DESTINI INTRECCIATI

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lontani ***
Capitolo 2: *** Decisioni ***
Capitolo 3: *** Il disastro ***
Capitolo 4: *** Amore e sofferenze ***
Capitolo 5: *** Partenze ***
Capitolo 6: *** Scoperte ***
Capitolo 7: *** Ostacoli ***
Capitolo 8: *** INSIEME ***
Capitolo 9: *** Domande ***
Capitolo 10: *** Nuovi sentimenti ***
Capitolo 11: *** Tristi scoperte ***
Capitolo 12: *** Addii ***
Capitolo 13: *** Imprevisti ***
Capitolo 14: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 15: *** La Trappola ***
Capitolo 16: *** Veglia ***
Capitolo 17: *** Destini: Shampoo ***
Capitolo 18: *** Destini: Ucchan ***
Capitolo 19: *** Destini: Nabiki ***
Capitolo 20: *** Destini: Mousse ***
Capitolo 21: *** Destini: Ryoga ***
Capitolo 22: *** Destini: Ranma e Akane ***



Capitolo 1
*** Lontani ***


 

Cap.1

Lontani

 

 

In nessun luogo andai

Per niente ti pensai

E nulla ti mandai per mio ricordo.

……………………………

……………………………

Son le cose

Che pensano

Ed hanno di te

Sentimento

Esse t’amano e non io.

 

(Le cose che pensano L.B.)

 

 

 

Quella notte il bosco sembrava rilucesse di luce propria. Le stelle si erano accese tutte in quel cielo irreale, e Ranma le guardava affascinato, appollaiato comodamente sul ramo più alto dell’albero.

 

I suoi pensieri volarono a Nerima, Tokyo. Dove aveva visto delle stelle così belle l’ultima volta? Sul tetto del dojo? No.

Le aveva viste negli occhi di Akane mentre lo guardava con indosso il suo vestito da sposa. Arrossì al pensiero, e si maledisse per essere stato così debole. Se solo Hiroshi e Daisuke non lo avessero assillato con quella storia… dannazione, tutta la scuola li aveva assaliti con domande e allusioni il giorno dopo il matrimonio fallito!

Erano stati a casa da scuola per una settimana, evitando il Furinkan e i loro folli “abitanti”.

 

Non si erano più parlati. Erano così dannatamente imbarazzati da non riuscire a fare altro che dirsi “Ben alzato” e “Buonanotte”.

Lui si sentiva in colpa. Lei si sentiva stupida. Il perché glielo aveva confessato nell’unica conversazione decente che avevano avuto.

“Sai Ranma – gli aveva detto – mi sento così stupida ad averti voluto coinvolgere in tutto questo…” Lui aveva taciuto, non sapendo come rispondere, e lei aveva preso il suo silenzio come un assenso alle sue parole. Così aveva continuato “Credevo che tu mi amassi, e volevo che tu… bè… avessi la tua acqua magica. Ma ora capisco che era tutto un sogno; ora sono sveglia. So che tieni a me perché mi hai salvato la vita. Ma so che non mi ami, e che se mi avessi sposato sarebbe stato solo per gratitudine, perché avresti ricevuto la tua cura. Ma non ho bisogno che tu mi sia grato Ranma… io voglio sposarmi solo per amore, e non importa se non sarà con te.”

 

Quelle parole, dette in una sera di pioggia, gli riecheggiarono nell’anima davanti a tutte quelle stelle. Quella stessa notte, mentre la pioggia svaniva con le primissime luci, lui aveva deciso di andare via. Aveva fatto i bagagli, aveva preso un treno che lo portasse lontano, ed era fuggito via, dove non avrebbe più potuto farle del male.

Perché lui non voleva ferirla, non avrebbe sopportato di vedere ancora lacrime nei suoi occhi per colpa sua. E men che meno non voleva vederla parlare così freddamente nascondendo il dolore; quello era stato peggio che vederla piangere, ed era rimasto segretamente ferito e vagamente deluso nel sentire da lei tanto distacco.

Era sicuro di provare qualcosa di importante per lei, ma sarebbe morto piuttosto che continuare a nasconderglielo facendola stare male. Sarebbe tornato da lei quando fosse stato capace di dirglielo nella maniera giusta, e se non ne fosse mai stato capace… avrebbe preferito rinunciare a lei.

Sapeva che l’avrebbe aspettato, che non si sarebbe innamorata di nessuno mentre lui era via. Ed erano passati sei mesi.

E se lei si fosse già stancata? Con un brivido la vide fra braccia sconosciute, con un sorriso pieno d’odio…

Scosse la testa vigorosamente, per scacciare il pensiero.

Akane…

 

Sentì un fruscio fra le fronde, e non si stupì di vedere Ryoga uscirne con un ghigno di disperazione, gli occhi sbarrati con il disorientamento completo nello sguardo “MA DOVE DIAVOLO SONO!” Gridò esasperato.

Ranma lo afferrò per il colletto perché si voltasse, e con un sorrisetto maligno lo salutò: “Salve suino sperduto, qual buon vento?” Ryoga sentì subito salirgli in corpo l’antico odio: “Maledetto,  sono sei mesi che ti cerco per metterti le mani addosso, come hai potuto abbandonare Akane in vestito da sposa?!”

Ranma si accigliò. “Stai zitto, idiota!” A sorpresa, lo scaraventò giù dall’albero, e con un abile salto gli atterrò con eleganza sulla testa “Piuttosto – riprese come se nulla fosse accaduto – strano che tu non sia con lei adesso: ti sei perso P-chan?”

 

“Adesso BASTAAA!”

 

Con un salto balzò in piedi e, ruotando il busto, si preparò a suonargli un pugno dritto sul sopracciglio, ma Ranma fu più veloce.

Con un calcio bloccò il suo braccio, poi arcuò la schiena e si capovolse in un piccolo salto mortale all’indietro. Si rimise subito in guardia, ma si limitò a schivare i suoi colpi.

 

“Ehi Ryoga, sei diventato lento”

 

“Taci Ranma!” Con uno scatto Ryoga si abbassò e gli conficcò un pugno allo stomaco.

 

Ranma soffocò un grugnito. Decise che doveva fare sul serio. “Prendi questo Ryoga!” Gli mollò un destro alla mascella, facendolo barcollare  “Uno pari!” Gridò trionfante.

 

Continuarono così per più di un’ora finché, stanchi e ammaccati, crollarono a terra ansimando.

Il sole stava sorgendo.

 

Akane si era svegliata tardi quel giorno: dopotutto era domenica, e non aveva la scuola a cui pensare.

Quando uscì dal letto per  vestirsi erano già le nove di un mattino stupendo.

Aprì la finestra e guardò il piccolo panorama di ogni mattino, inspirò una profonda boccata d’aria e si coprì gli occhi per schermarsi dal bel sole che batteva.

 

Sarebbe andata in palestra direttamente, avrebbe saltato il suo footing mattutino e la colazione, visto che era tardi, e si sarebbe allenata con entusiasmo per scacciare i pensieri che l’assalivano.

 

Ranma…

 

Stupido Ranma, idiota Ranma! “Se n’è andato, è scappato come un ladro dalla vergogna!”

Infilò la tenuta da judo e strinse il laccio fino quasi a soffocare “Che rabbia!” Esclamò indignata.

Lui l’aveva abbandonata. Era stata sul punto di sposarlo, e lo stupido si era messo a rincorrere tutti per farsi ridare la sua cura. Era quello che voleva! Stupido!

Aveva sentito il cuore scoppiarle nel petto quando lui aveva detto che stava bene col suo vestito da sposa, ed era convinta che lui l’amasse. Poi si era distratto, e quel poco di considerazione che aveva mostrato si era dissolta.

Lei si era ritrovata sola col suo vestito e le sue sfumate speranze. Era una sposa abbandonata dal suo uomo prima che si avverasse il sogno. I fiori del bouquet erano appassiti. Il suo cuore anche.

 

Gli aveva detto in faccia che non avrebbe mai sposato un uomo che non la ricambiasse, e questo implicava…

Per essere ricambiata dovrei amarlo io per prima. Rifletté.              

 

Al diavolo! Voleva solo aiutarlo ad avere la sua cura, e poi se non era morta in Cina era stato perché lui l’aveva salvata. Gliene era grata, e sperava che lui lo avesse capito!

 

Ma forse lui non voleva la sua gratitudine; forse voleva da lei un sentimento più importante. Ma ne sarebbe stata capace? Le abitudini le avevano insegnato che era più facile tergiversare, mentire e mentirsi; faceva meno male, non esponeva a rischi. Non faceva soffrire in futuro.

Ma lui non aveva battuto ciglio alle sue parole, e questo significava che non provava nulla per lei. E poi se n’era andato, lasciandola sola e triste.

All’inizio era stato difficile per lei. Aveva smesso persino di allenarsi, e il cuore sembrava frantumarsi in mille pezzi.

 

Ma poi era venuta la rabbia.

 

La rabbia era un sentimento positivo, che le restituiva le energie, e quelle energie andavano spese bene.

Ora, mentre tirava calci e pugni al vento, sentiva l’anima scaricarsi da tutte le tristezze e i rancori.

Ora si sentiva svuotata.

 

Di nuovo.

 

Come tutte le volte scaricava le forze negli allenamenti e tutta la sua carica positiva svaniva. Ma invece di sentire benessere nella stanchezza e nel riposo, sentiva come… una mancanza.

Cosa le mancava? Chi le mancava?

Ma è ovvio, le mancava quello stupido con i suoi dispetti, con le sue schivate, con le sue linguacce.

Le feriva l’orgoglio e il cuore, ma le mancava l’idiota che l’aveva abbandonata poco prima di sposarla e che l’aveva lasciata sola in quella palestra ad arrovellarsi il cervello!

“IDIOTAAAA!”

 

Mollò un calcione al muro e si accasciò, inginocchiata, e scacciò rabbiosamente le lacrime amare che tentavano di accecarla.

 

Si sentì come se le mancassero un braccio o una gamba, e con lentezza penosa si trascinò in giardino.

Doveva aver preso una storta, il piede le faceva male al minimo movimento. Stavolta però, non c’era Ranma a prenderla sulle spalle.

Sedette davanti allo stagno, e immediatamente le venne in mente Ranma che si allenava col padre e cadeva dentro, trasformandosi. Poi lei gli correva incontro col bollitore pieno e…voilà!, ecco che tornava il ragazzo agile e bello che lei… che lei…

 

Si alzò di scatto, facendo una smorfia di dolore non appena poggiò il piede per terra.

 

“Maledizione!” ringhiò “Ogni angolo di questa casa mi ricorda quell’idiota che mi doveva sposare!”

 

Trascinando il piede si arrampicò fino alla camera che era stata dei Saotome; Genma era partito per un viaggio di allenamento: si vergognava del figlio, ma sperava che un giorno si ricredesse. Nel frattempo non aveva avuto il coraggio di restare in casa del suo migliore amico, si sentiva come se fosse stato lui il colpevole del “tradimento”.

Soun aveva fatto dei deboli tentativi per convincerlo a restare, e alla fine aveva guardato il compagno di tante avventure allontanarsi, con lo sguardo accigliato e le braccia incrociate.

 

Akane vide che il futon di Ranma era ancora là. Il calore di lui era scomparso, ma la ragazza cercò di immaginare che ce ne fosse rimasto un pochino, e se lo strinse al petto. Il cuore le batteva forte. E’quando una persona non c’è che se ne sente la mancanza Pensò.

 

“Ranma… perché mi hai lasciata sola?” Mormorò.

 

Le lacrime che seguirono non la colsero molto di sorpresa.

 

 

Quando Ryoga aprì gli occhi il sole era già alto. Scorse l’ombra di Ranma stagliarsi statuaria contro la luce.

Vide i movimenti decisi ed eleganti del suo allenamento, lo sguardo concentrato, la linea decisa e serrata della mascella.

 

Lui è il migliore. Pensò senza rendersene conto.

 

Si toccò la fronte, e sentì la superficie ruvida di un cerotto sul taglio che si era fatto mentre combattevano.

 

“Ha avuto il tempo di medicarmi e di riprendere ad allenarsi. Quel Ranma!”

 

Era sempre stato una spanna abbondante al di sopra di lui. Era forte, amato da tutte le ragazze che incontrava, era estroverso, orgoglioso… e aveva Akane.

Strinse con forza i pugni a quel ricordo. Come poteva l’invincibile Ranma avere così poco coraggio, essere così vigliacco.

Lui stesso, ricordò, non aveva avuto mai il coraggio necessario per rivelarle i suoi sentimenti, ma una volta…

“La saponetta magica!”  Esclamò la sua mente.

Quella volta, quando credeva che quel sapone avesse compiuto il miracolo di non farlo più trasformare, Ryoga aveva creduto di potercela fare; a modo suo le aveva rivelato che lei era importante, che ne era innamorato.

Ma la sua irruenza l’aveva spaventata, e le sue speranze erano andate perdute. Poi, tanto per cambiare, la saponetta magica si era rivelata un fallimento clamoroso, e lui era tornato ad essere “il suo P-chan”

 

“Sono stato un idiota a pensare anche solo per un momento che lei…” Sì colpì forte sul ginocchio, e capì quante illusioni inutili si era fatto.

Nel cuore di Akane non c’era posto per lui; a chi aveva chiesto aiuto per farsi liberare dalla sua corte spietata? A Ranma! E lui aveva abbracciato quel corpo femminile senza rendersi conto che quell’idiota si era trasformato apposta per proteggerla. Chissà quanto avrebbe riso Akane vedendolo!

Era a Ranma che lei si rivolgeva sempre, era il suo nome che faceva quando aveva bisogno di protezione. E lui era sempre là, forte e calmo a proteggerla, con la sua figura decisa, come quella che ancora vedeva muoversi nel sole.

 

Ranma si accorse che Ryoga lo fissava, ma non si voltò; erano i suoi sensi a dirglielo, e per il momento non voleva dargliela vinta. Poi però prese l’asciugamano e si avvicinò lentamente a lui.

 

Sedette accanto a Ryoga e, senza mai guardarlo chiese: “Allora, cosa avevi da fissarmi in quel modo?!”

 

Ryoga distolse lo sguardo indignato. “Mi chiedevo quand’è che mi hai messo questo stupido cerotto.”

 

Ranma sorrise, beffardo. “Eri addormentato come un sasso dopo la botta che ti ho rifilato su quella tua testa calda, e ho avuto il tempo di medicarti, di fare uno spuntino e di allenarmi.”

 

“Cos’è, vuoi dire che sono più debole di te?!”

 

“E’ evidente P-chan!”

 

“E non chiamarmi P-chan!” Ryoga si alzò in piedi, ma Ranma non si voltò neanche.

 

Anzi, lo prese per un braccio e lo obbligò a risedersi. “Calma Ryoga, piuttosto…”

 

“Cosa?! Che cosa vuoi?!” Gli ringhiò in faccia.

 

Ranma non si voltò ancora, e chiese timidamente con un filo di voce “Non hai più visto Akane dopo quel giorno che… insomma hai capito, no?”

 

Ryoga rimase senza fiato, e spalancò la bocca per la sorpresa.

 

Ranma girò appena lo sguardo, e si accigliò. “Che c’è?” gli disse rabbioso “Perché mi guardi con quella tua boccaccia spalancata, ti ho fatto una domanda semplice mi pare!”

 

Ryoga richiuse automaticamente la bocca. “No è che… non credevo che ti interessasse sapere come sta Akane”

 

Ranma si voltò dall’altra parte, urtato “Ma che vuoi che m’importi di un maschiaccio come lei?! Era così, per dire!”

 

Ryoga lo colpì sulla testa con un pugno. “Razza di idiota, non offendere più Akane in mia presenza!”

 

“Sì… hai ragione…”

 

Ryoga sentì che la mascella gli ricadeva di nuovo per lo stupore “Come hai detto scusa?”

Ranma si girò di scatto e lo guardò dritto negli occhi. “Ho detto che hai ragione, idiota! Io… devo smetterla di offenderla, sono uno stupido, no? Sono quello che l’ha abbandonata sull’altare, quello che la insulta, quello che la fa soffrire! Ma, diavolo!, ti sei mai chiesto perché?!”

 

Ryoga non riusciva più a parlare: da quando Ranma aveva quell’atteggiamento così strano? Si stava autoaccusando! E davanti ai suoi occhi! Era quasi sulla difensiva, anzi.

 

“E smettila di balbettare, stupido!” Ranma si alzò e smise di guardarlo. Ora era in piedi, i pugni serrati e lo sguardo basso.

 

Ryoga si alzò a sua volta, e lo scrutò con attenzione. Possibile che… ?!

 

“Ranma…?”

Nessuna risposta.

 

“Ranma!”

 

“Cosa, cosa c’è?”

 

Ryoga inghiottì a vuoto, e si schiarì piano la gola. “Non è che tu… che tu… insomma, vuoi bene ad Akane?”

 

Ranma sussultò impercettibilmente, ma Ryoga se ne accorse. Lo chiamò una volta, ma quando cercò di posargli una mano sulla spalla lui si voltò e fuggì tra gli alberi, spezzando i rami e facendo cadere una manciata di foglie verdi sulla testa di un Ryoga stupefatto e immobile.

 

Il sole volgeva pigro verso Occidente, e una stella si accese. Mandò un debole raggio di luce attraverso la finestra di Akane, sbirciandola fiocamente.

 

La divisa della scuola era ordinatamente appesa sulla stampella, pronta per essere indossata l’indomani. Kasumi l’aveva lavata e stirata, e il profumo del detersivo le giunse fresco alle narici.

Akane accese la piccola lampada della scrivania, e aprì un libro per studiare, ma la sua mente non era concentrata. Si sforzò di capirci qualcosa, ma si accorse che aveva riletto la stessa riga almeno dieci volte.

Con un moto di rabbia prese il libro e lo scaraventò sul letto.

 

Si chinò sulla scrivania e nascose la testa fra le braccia, singhiozzando leggermente, scuotendo le sue spalle in un pianto amaro e silente.

 

“Ranma – mormorò fra le lacrime – ti prego, torna da me, io… io non posso vivere senza di te”

 

Così finì un’altra giornata.

 

A Nerima, Tokyo, erano già le undici di sera.

Qualche chilometro più a nord, tra i boschi di una località pressoché sconosciuta, l’oscurità, favorita dall’assenza di luci elettriche, avvolse la vegetazione in un abbraccio sensuale.

Ma stanotte c’erano le nubi, e al posto delle stelle solo due occhi rimasero accesi, vigili, per molte, molte ore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Decisioni ***


 

Cap.2

Decisioni

 

 

Ranma sedeva su una roccia accanto al torrente, una mano sul mento.

 

Solo ora si rendeva conto dello sbaglio che aveva fatto andandosene via, facendole credere di non tenere a lei; la verità era che senza di lei la sua vita non aveva senso.

 

Ryoga gli aveva fatto sussultare il cuore.

 

Aveva cercato di negare con tutte le forze a se stesso quello che era ora così chiaro dentro di sé, e quando lui gli aveva chiesto “Le vuoi bene?”, pensava che gli sarebbe venuta fuori naturale una frase come “Ma che dici, idiota?” oppure “Io amare quel maschiaccio? Mai!”. Invece era scappato via, prima che gli sfuggissero parole che non andavano dette.

 

Come poteva esprimere a parole sentimenti che non ammetteva neanche con se stesso?

 

Credeva che le arti marziali fossero tutta la sua vita, ma allora non sapeva cosa significasse amare una persona.

 

Essere migliore dentro per combattere al di fuori…

 

Era Akane che glielo aveva insegnato!

 

Come poteva pensare di avere la piena padronanza di un’arte indiscriminata se non sapeva neanche cosa volesse dire amare indiscriminatamente?

 

A che valeva lottare con coraggio se nei rapporti umani era un vigliacco?!

 

No, doveva essere sincero, essere disposto a rischiare anche di soffrire per amore.

 

Ma come dirlo a uno che già aveva sperimentato su di sé cosa volesse dire soffrire per amore?

 

Ryoga l’avrebbe ucciso!

 

Ma ora non gli importava più di nessuno.

 

Ma se lei lo avesse preso per un pervertito, o peggio ancora gli avesse urlato in faccia che non voleva più vederlo, allora sì che la sua vita sarebbe finita.

 

Si fermò.

 

Aveva il TERRORE di essere rifiutato, ma i suoi piedi si mossero da soli verso la strada di casa.

 

 

 

Ucchan stava ripulendo il tavolo con una pezza bagnata, quando Ryoga entrò nel suo locale e stramazzò ai suoi piedi.

 

Quando si svegliò, era adagiato su un futon con il ghiaccio sulla fronte. Due occhioni scuri lo fissavano sorridenti.

 

“Akane…”

 

“Mi spiace ma sono io. Tutto bene scemone?”

 

Ryoga sbatté le palpebre e mise a fuoco la figura di Ucchan con la spatola gigante sulla schiena. Improvvisamente gli parve maledettamente carina.

 

“Mi… mi dispiace, devo essermi…”

 

“Perso! Lo sapevo, e sei anche svenuto, ma quanto è che non mangi? Thò, prendi questa!”

 

Un’okonomyaky gigante gli volò tra le mani, e Ryoga cominciò a divorarla biascicando ringraziamenti a bocca piena.

 

“Ma dove sei stato stavolta?” Ucchan si protese con le mani sul pavimento.

 

Ryoga smise di mangiare, e abbassò lo sguardo. “Ho visto Ranma.”

 

Gli occhi della ragazza brillarono tristemente. “Ranma?! Dov’è?”

 

“Si è accampato in un bosco a qualche miglio da qui, ma non chiedermi dove, perché non lo so.”

 

Ukyo strinse le labbra. “Gli hai parlato?”

 

“Sì”.

 

Da quando lui se n’era andato, si era dedicata anima e corpo al suo ristorante, cercando di soffocare i sentimenti che le facevano tanto male.

 

Ma non l’aveva dimenticato. Aveva desiderato ardentemente che Ranma tornasse da lei dopo aver abbandonato Akane sull’altare, ma sapeva di illudersi. Lui viveva per lei.

 

L’aveva vista a scuola dopo qualche tempo, e le era sembrata… spenta.

Anche lei sapeva cosa significasse essere abbandonate, ora, ma si guardò bene dal dirle ciò che pensava di Ranma.

 

Sarebbe stato troppo per lei avvicinarsi e dire semplicemente “Sai, non ti devi preoccupare, Ranma si vergognava per ciò che ha fatto, ma in realtà è te che ama, non lo sai?”

 

Non permise ai suoi pensieri di formulare simili parole, ma lo sapeva.

 

Ranma e Akane si appartenevano, e per un attimo vedendo la sua rivale in quello stato si chiese perché diavolo non corresse da lui immediatamente per gridargli in faccia che non faceva niente, che lei non era arrabbiata, che voleva solo riaverlo vicino!

 

Non era così difficile, no? Bastava seguire il cuore, ma quella stupida preferiva l’orgoglio e la sofferenza!

 

Sospirò.

 

Il silenzio cadde per alcuni attimi, poi Ryoga lo ruppe. “E’ ancora innamorato di Akane.”

 

“Cosa!?” Ukyo sedette sul pavimento,  come se fosse caduta. Ryoga l’aveva letta nel pensiero.

 

“Gli ho domandato se le volesse bene, e lui è scappato! Il vigliacco!”

 

“Ma se è scappato non vuol dire che...”

 

“…tu non lo hai visto!” La interruppe Ryoga “Era disperato, credo che si sia pentito. Mi ha chiesto di lei.”

 

Ucchan guardò per terra. Era giusto che fosse così, no? “E tu?”

 

“Non l’ho più vista da quando… quando…”

 

“Da quando stava per sposarlo?” Quando parlavano di Ranma e Akane, Ryoga e Ukyo si capivano alla perfezione.

 

Ryoga annuì, e Ucchan continuò. “Lo so io come sta lei.”  Gli occhi di Ryoga lampeggiarono.

 

“E’ tornata a scuola solo ieri, ed è distrutta. Alcune volte l’ho vista piangere, sembra che abbia il cuore a pezzi.”

 

Ryoga strinse la coperta del futon tanto forte da far sporgere una vena pulsante sul suo polso. “Ed è tutta colpa di quell’idiota che se ne sta zitto! Cosa darei IO per essere ricambiato da Akane!”

 

“Ma neanche tu riusciresti a dirglielo, vero?”

“Ma io so già qual’ é la risposta! Lui teme un rifiuto solo perché è stupido e non capisce che lei…”

 

Ukyo vide Ryoga sull’orlo delle lacrime, ed ebbe compassione per il compagno imbranato e sfortunato di tante avventure.

 

“Coraggio Ryoga, anche io ho il tuo stesso problema, ma cerco di farmene una ragione.” Come bugia non era niente male, ma ebbe effetto.

 

“Sì anche io ci ho provato, ma non mi riesce molto bene...” Ryoga accennò un sorrisetto amaro.

 

Ucchan si alzò. “Te la ricordi la grotta piena di spettri che abbiamo visitato qualche mese fa?”

 

Ryoga alzò un sopracciglio. “Il Tunnel del Perduto Amore? Veramente era proprio l’anno scorso.”

“Bene, vedo che hai memoria! Bè, noi abbiamo fatto di tutto per dividerli, ma alla fine sono usciti da lì più uniti di prima, e ci hanno lasciato indietro a combattere contro gli spettri come due babbei!”

 

“Litigare è il loro modo di amarsi: commettemmo un errore.” Ryoga si alzò per guardare alla finestra. Gli uccelli volavano bassi ed erano agitati come il suo cuore.

 

Ucchan tacque. Perché lottare? Anche lontani Ranma e Akane erano più uniti della sabbia al mare. Erano tutt’uno.

 

“Sono come le due metà della mela che Giove divise.” Recitò ad alta voce.

 

“CHE COSA?!” Vedendo l’espressione sconcertata di Ryoga,  Ukyo rise di cuore.

 

“E’ il simposio di Platone, stupido! Come si vede che non sei mai andato a scuola!”

 

Ryoga s’infuriò. “Ci sono andato, invece, è inutile che prendi in giro! Cominci a citare a sproposito come Kuno!”

 

Ucchan non fece caso all’ultima parte, e spalancò gli occhi. “Sei stato al Furinkan?! E quando?”

 

“Bè, è stato circa un anno e mezzo fa… ma non ho passato l’esame di ammissione per colpa di Ranma.” I suoi occhi si fecero remoti.

 

“Di Ranma?” Ucchan si accosciò accanto al futon dove lui si era nuovamente seduto.

 

“Sì. Akane mi aveva aiutato a studiare, e mi aveva fatto promettere che non avrei più combattuto con lui fino all’esame, e che avrei studiato, invece. Ma poi quell’idiota geloso ha rovinato tutto!”

 

“Dici che era geloso?”

 

“Lo avrebbe visto anche un bambino… io e lei studiavamo di notte, e Ranma si è messo in testa pensieri strani.”

 

“TU STUDIAVI DI NOTTE NELLA SUA CAMERA?!” Ukyo era senza parole. Non faceva Ryoga così coraggioso.

 

“E’ inutile che urli, era Ranma a pensare chissà cosa! Io ero lì impaurito con colei che amavo davanti agli occhi e sapevo che...”

 

“Che non ti apparteneva? Anche Ranma è stato qui di notte. Mi ha sempre trattata come una sorella… o come un fratello, non ho mai neanche provato ad essere troppo seria con lui. In fondo in fondo sapevo…”

“Che il suo cuore apparteneva a un’altra?” Ryoga finì per lei.

 

Ukyo gli sfoderò un altro bel sorriso. Ryoga si sentì confuso.

 

“Sai Ryoga, se io e te non fossimo innamorati di altre due persone saremmo una coppia perfetta, ci capiamo al volo!”

 

Ryoga divenne più rosso di un pomodoro maturo, e Ucchan si rese conto della sua battuta.

 

“N-no, non fraintendere, io di… dicevo così… per dire...!”

 

“Oh, sì sì, certo… bè, ora si è fatto tardi!”

 

Ukyo non disse nulla, e rimase seduta a far sbollire la vergogna, finché lui non le parlò di nuovo, facendola sussultare “Ucchan… mi accompagneresti da Akane? Vorrei rivederla, ma…”

 

“Ma cosa?!”

 

“Ecco, ho paura di perdermi!”

 

Ukyo fece un gesto esasperato, e disse: “Ma quanto sei imbranato!!!”

 

***************************************************

 

Akane gettò via dal cassetto l’ultimo paio di pantaloni, e chiuse con forza il suo zaino senza preoccuparsi di piegare i vestiti. Legò la tenda da campeggio in cima al bagaglio e se lo gettò sulle spalle.

 

Ora basta, la sua vita era un inferno. Doveva sapere almeno cosa gli passava per la testa a quello stupido, doveva sapere se l’avrebbe sposata oppure no in futuro.

 

Era solo questo, no?

 

Voleva che suo padre si mettesse il cuore in pace e capisse che Ranma non faceva per lei. Diamine, se lo sarebbe fatta dire in faccia che non l’amava, allora…

 

Allora si sarebbe messa il cuore in pace anche lei.

 

Ma se lui l’avesse fatto davvero? Il suo cuore che avrebbe fatto, si sarebbe spezzato in due o si sarebbe alleggerito di un peso?

 

Che stupida, lei lo sapeva che sposare Ranma era un obbligo e basta!

 

“Mi hanno costretta, io non lo volevo come marito quello stupido, maschilista cambia-sesso presuntuoso, idiota, vigliacco… io starò meglio quando lo saprò, e sarò libera, non lo vedrò mai più, e non mi mancherà più… e….”

 

E allora sì che soffrirò davvero, mi mancherà dannatamente e il cuore mi scoppierà!

 

E va bene – pensò – vediamo che posso fare si arrese.

 

“Bene, vedo che vai in cerca di lui finalmente!”

 

La voce familiare la fece sussultare. Pensava di essere sola, e invece era stata scoperta! Si sentì inspiegabilmente in colpa.

 

Si voltò di scatto, infuriata.

 

Nabiki apparve dietro di lei.

 

“Sei impazzita, vuoi farmi venire un infarto?!”

 

“Cos’è, ti vergogni ad ammettere che vai a cercare Ranma? Eh?!”

 

Nabiki sapeva essere davvero irritante quando si chinava ad insinuare col suo sorrisetto acuto e il dito puntato.

 

“Io non vado a cercare proprio nessuno!”

 

“Ah sì? E allora dove vai sorellina?” Chiese indifferente sorseggiando la sua coca.

 

“Io vado ad... allenarmi.” Guardò per terra ed arrossì.

 

“Sì come no, e io sono al verde! Andiamo, sii seria per una volta: stai andando a cercare Ranma!”

 

Akane aggrottò le sopracciglia. “Io non ho alcun interesse a cercare quell’idiota presuntuoso; ormai è uscito dalla mia vita.”

 

Nabiki sapeva che parlare di certi argomenti imbarazzava Akane a tal punto che la sua sorellina cominciava a dire bugie, così anche stavolta fece finta di assecondarla.

 

“Va bene, allora buon allenamento.” Si girò per andarsene, ma prima si voltò un’ultima volta. “Buona fortuna sorella.”

 

Akane spalancò gli occhi, e sussultò mentalmente: ma di cosa si stupiva, Nabiki era intelligente, e capiva sempre tutto al volo, chi voleva prendere in giro, se stessa forse?

 

Prima di uscire lanciò uno sguardo al dojo, dove lei e Ranma avevano lottato tante volte; un brivido le attraversò la schiena, ed ebbe una sensazione strana.

Voglio tornare là dentro insieme a lui  Pensò.

 

Quella fu l’ultima volta che vide il dojo.

 

 

 

“Ryoga! Dove vai, la casa dei Tendo è di qua!” Ukyo sbuffò, possibile che era così imbranato?!

 

“Eh?! Ah scusa, mi ero perso!”

 

“Allora dammi la mano, stupido!”

 

Ryoga sussultò; una ragazza lo stava tenendo per mano! Certo, era solo per non perdersi, ma si sentì lo stesso strano.

 

Era Ucchan che gli stava accanto, però, non Akane… eppure non gli importava.

 

Una dimostrazione d’affetto faceva sempre bene, e per uno solo come lui era…bè, come scaldarsi il cuore davanti a un caminetto in pieno inverno.

 

Scosse la testa; non doveva pensare a quello adesso, si doveva concentrare sulla ragazza che amava, su come consolarla, starle vicino e chissà, magari anche conquistarla.

 

Anche Ukyo aveva fatto pensieri simili su Ranma; magari la lontananza da Akane, un po’ di fortuna. Poteva sperare di diventare definitivamente qualcosa di più del “suo migliore amico”, chissà. Era bello sognare di poter stare fra le sue braccia calde, sposarlo, avere dei bambini…

 

Era persa con la testa fra mille nuvolette rosa, e quando si voltò Ryoga era sparito.

 

“Ryoga?! .idiota ti perderai!! Dove sei?!”

 

Ma parlava alla strada vuota.

 

Si era distratta un attimo a fantasticare, aveva lasciato la sua mano e Ryoga Hibiki si era perso per l’ennesima volta.

 

“Stupido.” Mormorò mentre si armava di pazienza e andava a cercare il ragazzo perduto.

 

 

Akane aveva appena messo piede fuori del cancello di casa sua per cercare Ranma col cuore pieno di speranze.

A qualche miglio di distanza, lui esitava sulla strada di casa.

Nabiki rifletteva sul coraggio di sua sorella sfogliando una rivista in giardino.

Soun si rilassava nella vasca da bagno pensoso, ignaro di tutto.

Kasumi stava tornando dalla spesa canticchiando.

Ukyo si stava chiedendo dove fosse finito quell’imbranato di Ryoga.

 

Tutto accadde in un istante, cambiando le loro vite.

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Capitolo 3
*** Il disastro ***


Cap.3

Il Disastro

 

 

“Questo non è il momento di fidanzarsi! Io me ne torno in Cina. Chissà, forse là troverò il modo per tornare normale!”

 

“Meglio così, non ci tengo ad essere la fidanzata di un pervertito!”

 

“Guardate, sono già una bella coppia!”

 

“Lui è già una coppia da solo!”

 

Il dolore tornò e la testa parve scoppiarle.

Cosa mi è caduto addosso, il cancello?!

 

Provò a muoversi, e tornò la nebbia.

 

“Fai a botte con loro tutte le mattine?”

 

“Sì, ed è tutta colpa di Kuno!”

 

Il Furinkan. Ranma. “Ma cosa?….”

 

Un altro boato, poi il silenzio.

 

“Mikado Sanzenin! Se ti azzardi a toccare Akane sei un uomo morto! Akane è la mia fidanzata, capito?!”

 

“Ranma!”

 

“Sei molto più carina quando sorridi”.

 

“Ran….Ranma….”

 

“Se ti piace tanto Nabiki, perché non ti metti con lei?!”

 

“Ma che cavolo dici?!”

 

Un dolore lancinante alla testa… flash-back… ricordi.

 

“Ma dove...”

 

“Mi dispiace di aver interrotto il tuo appuntamento romantico con Ryoga!”

“Ranma che dici?!”

 

“...dove...”

 

Il suo volto divenne più vicino… oh, se solo avesse potuto muoversi, toccarlo…

 

“Akane mi senti, non è vero? Svegliati, devo dirti una cosa!”

 

“Dove sono?”

 

“AKANEEEE!”

 

I suoi occhi si aprirono. Era vagamente conscia del grande cancello di casa sua sulla schiena, e delle lacrime che le scorrevano sul volto.

 

Poi ricordò tutto.

 

 

 

“Ryoga, dove ti sei cacciato?!”

 

Ukyo voltò l’angolo, ma Ryoga non c’era… poi sentì un’esplosione, forse un boato.

 

“Ma cosa… Ryoga! Ryo…”

 

La terra le tremò sotto i piedi, e vide un polverone alzarsi intorno a lei mentre tutto si frantumava e crollava. Per un attimo Ucchan pensò che Ryoga avesse usato la tecnica dell’esplosione per sbucare da un muro all’improvviso, ma capì che non poteva essere quello quando vide crollarle tutto il mondo addosso.

 

Un cavo dell’alta tensione si staccò improvvisamente dal pilone di cemento e si diresse in una folle danza elettrica verso di lei.

 

 

Ranma si accorse che qualcosa non andava quando avvertì i nervosi versi degli animali del bosco; gli uccelli volavano via a piccoli stormi ad intervalli regolari, sbattendo le ali e gridando forte il loro verso al cielo; gli scoiattoli si arrampicavano fulminei sugli alberi come per sfuggire ad un terreno ostile, e le civette… anche loro si svegliarono dal loro torpore e volarono via.

 

“Ma cos’è questa fuga?!” Ranma fece un passo, e improvvisamente ebbe chiaro che era inutile fuggire.

 

Sentì una vibrazione crescente solleticargli i piedi fino alle viscere, e poi quella stessa vibrazione divenne il movimento folle del terreno che lo sbatté per terra.

La minuscola frazione di mondo in cui Ranma si trovava parve collassare su se stessa tirandosi appresso tutto quello che c’era: alberi, dune, pilastri di roccia, addirittura le radici degli alberi, tutto gli parve crollare addosso.

 

Una spaccatura nel terreno zigzagò fino a lui aprendosi in pochi secondi in una voragine di vertiginosa profondità.

 

E per la prima volta, Ranma Saotome, seconda generazione della scuola di Arti Marziali Indiscriminate, ebbe paura di morire.

 

 

Akane ricordava di avere appena messo piede fuori del cancello per correre incontro alla speranza, quando le parve che le avessero tolto il mondo sotto i piedi.

Mentre cadeva, la sua mente formulò distrattamente un pensiero folle “Qualcuno ha spostato la Terra...?!”

 

Poi vide una scena che la colmò di un orrore indescrivibile, che anche a distanza di anni avrebbe faticato a dimenticare. In seguito, quella scena sarebbe tornata nei suoi incubi ripetuta migliaia di volte al rallentatore, facendola urlare nel sonno.

 

Vide la sua casa, e il dojo che sarebbe dovuto essere suo e di Ranma, crollare, accartocciarsi su loro stessi, diventando una massa informe di tegole, legno, vetro, marmo…

In pochi secondi la graziosa casa stile classico-giapponese, con tanto di laghetto e giardino smise di esistere divenendo un cumulo di macerie, e lei non vide mai le crepe che si aprirono lungo i muri indebolendo le strutture, o i muri stessi vacillare e cadere ad uno ad uno.

Lei vide semplicemente la metamorfosi da intero a nullo, come se la sua casa fosse stata un’illusione della mente e fosse semplicemente sparita, come se si fosse disintegrata da sé.

 

Le sue labbra formarono una “O” perfetta, ma non riuscì ad articolare che un verso strozzato.

 

Tentò di rialzarsi, e le parve di essere diventata lentissima. Poi sentì delle grida e, portandosi le mani alle orecchie mentre correva…

 

Non voglio sentire Pensò come per far tacere la paura.

 

è solo un incubo, e non griderò

 

Invece cominciò a gridare anche lei, e credette che le corde vocali le si sarebbero spezzate di netto.

 

 

Ranma non aveva mai visto la natura sconvolgersi in un modo così netto, così… definitivo.

Era come se un essere superiore, Budda, o forse Dio, avesse deciso di rompere come un giocattolo quello che aveva creato per costruirsene uno nuovo.

 

“Questa è la fine del mondo...?” Pensò confusamente a quello che aveva letto su quel tizio che prevedeva il futuro… Nostradamus forse?, e maledisse mentalmente il fatto che fosse accaduto proprio ora che aveva deciso di mettere ordine nella sua vita.

 

Solo allora si accorse di essere salvo per puro miracolo o, volendo, per la sua prontezza di riflessi; guardò in alto e poi in basso, e si rese conto che l’unica cosa che lo teneva saldo al terreno distrutto, in perfetto equilibrio fra cielo e terra, era la sua mano aggrappata all’orlo della voragine che aveva sotto i piedi.  

 

Qualcosa cadde sibilando a pochi centimetri dalla sua testa, poi si schiantò con un rumore forte, e Ranma si sentì investito come da migliaia di aghi.

 

Ma non mollò finché la terra non smise quella danza folle.

 

Con un indicibile sforzo riuscì a tirarsi su, e lo spettacolo che gli si parò di fronte lo lasciò senza fiato.

 

Tutto era distrutto.

 

Il bosco che c’era prima era una massa informe di legna e arbusti, radici espiantate dal terreno come fossero di burro, rami spezzati sparpagliati ovunque, alberi dai tronchi secolari caduti come fuscelli al vento.

 

Tirandosi in piedi, Ranma si accorse di avere un taglio profondo al braccio e tanti piccoli tagli un po’ ovunque.

 

Sedette a terra per esaminare la ferita, e capì il motivo per cui bruciava come l’inferno: aveva un grosso pezzo di vetro conficcato dentro, e ne scorse il luccichio solo guardando più attentamente.

 

Capì allora cosa lo aveva investito.

 

Il suo zaino era a pochi metri da lui, aperto.

 

“Non l’ho chiuso e il barattolo di riso è schizzato fuori – pensò - Bene, ora sono anche senza cena!”

 

Ma era stato meglio, si disse, perché se lo avesse colpito direttamente sarebbe svenuto e avrebbe lasciato la presa precipitando.

 

Comunque ora doveva pensare a tornare in città, doveva sapere che effetti il terremoto aveva avuto da quelle parti.

 

“Oh mio Dio…” La voce si riempì di terrore.

 

Se il bosco era in quelle condizioni, quante case avrebbe trovato ancora in piedi?

E quante persone erano scampate al crollo di muri, alberi, edifici…

 

“Akane…”

 

La paura gli si insinuò nelle viscere come una droga forte, e il cuore gli pulsò nelle tempie mentre cominciava a correre.

 

Il dolore e un fiotto di sangue gli ricordarono che aveva ancora il pezzo di vetro conficcato nel braccio destro.

 

“Maledizione!” Sibilò tra i denti.

 

Prese un respiro, lo afferrò con due dita e tirò.

 

Il gemito divenne un urlo di sofferenza e poi di rabbia.

 

“Dio che male!”

 

Si medicò e si fasciò alla meglio l’avambraccio imprecando contro il dolore ancora acuto.

 

Poi cominciò a correre.

 

 

Akane si accorse di avere un braccio rotto solo quando ci si poggiò per non cadere; allora gridò, ma non si fermò. Piangeva e urlava i nomi a lei cari mentre si avvicinava a quella che era stata la sua casa.

 

Distrutta.

 

Non un granello era rimasto in piedi.

 

“Papà! Nabiki! Rispondetemi vi prego!”

 

Udì una voce debole, e riconobbe sua sorella.

 

“Nabiki sei tu?”

 

“… si… ono… io!”

 

La voce sembrava provenire da sotto terra, lontana e flebile.

 

“Continua a parlare sto arrivando!”

 

“...atten… potrebbe croll… tutto!”

 

“Cosa?!” Poi capì. Sua sorella aveva ragione, se avesse camminato troppo sulle macerie le sarebbe crollato tutto addosso e l’avrebbe uccisa.

 

Il braccio le spediva delle ondate di dolore insopportabili ma, invece di perdere i sensi, Akane utilizzò la propria sofferenza per gridare a sua sorella di continuare a parlare; avrebbe individuato dove si trovava, e avrebbe cominciato a scavare con delicatezza fino a tirarla fuori.

 

Si accasciò sul cumulo di macerie e usò le ginocchia e il braccio buono per strisciare fino al punto giusto, poi le gridò: “ Nabiki! Sei ferita?”

 

“No! Mi sono riparata sotto al tavolo!” Ora la voce era più vicina.

 

“Bene, ascolta! Non muoverti, io comincio a scavare piano piano, va bene?”

 

“Ci puoi contare che non mi muovo sorella… sono incastrata!”

 

“Bene!” E cominciò a spostare le macerie a mani nude.

 

“Sai dov’è papà?!” Nessuna risposta.

 

Akane fu colta dal terrore, e scavò più velocemente.

 

“Nabiki! Per l’amor di Dio dov’era papà quando c’è stato il terremoto?!” Urlò

 

“Stava facendo il bagno Akane.” Disse lentamente.

 

“Oh mio Dio… e con cosa si è riparato?” Rifletté.

 

In un attimo la sua mente volò a sua sorella Kasumi che era per strada… e a Ranma.

Chissà dove erano, e come stavano…

Nuove lacrime l’accecarono, quando, scavando, scorse la sagoma informe di quello che era stato il tavolo della camera da pranzo dove tante volte aveva mangiato in compagnia delle sue sorelle, di suo padre, di Ranma…

 

“Nabiki, ti vedo!” La testa castana si era sporta un poco da sotto il tavolo.

 

“Akane… dobbiamo cercare papà!” Le tese il braccio.

 

Mentre allungava la mano, Akane vide un’altra persona nel volto di sua sorella.

 

Lei, che era sempre sicura di se stessa, che sorrideva davanti a tutto, che teneva a mostrare tutta la sua saggezza, ora le apparve solo come una ragazza impaurita, sporca di terra sul viso e sui capelli, pallida e preoccupata per suo padre.

 

“Akane ma… il tuo braccio…”

 

“Non è nulla. Nabiki…!” Pianse tirandola su e abbracciandola “Stai bene sorellina? Niente di rotto?”

 

Nabiki le batté un poco la mano sulle spalle “Coraggio Akane… ero spaventata, tutto qui, ma poi ho cercato di pensare e mi sono nascosta sotto il tavolo… dai, non è il momento di frignare, ora dobbiamo trovare papà!”

 

Akane annuì e si guardò intorno freneticamente. “Dove… dove sarà sprofondato il bagno?!”

 

Nabiki non era solo allarmata e spaventata: era terrorizzata, ma capì che doveva ragionare se voleva salvare suo padre, e non pensare al peggio; si morsicò un po’ le labbra e chiuse gli occhi. Percorse mentalmente il corridoio… e li riaprì indicando un punto. “Lì Akane, scaviamo lì!”

 

Senza esitare, cominciarono a spostare i pezzi più grandi, attente a non tagliarsi ulteriormente con i vetri.

 

“Papà! PAPA’!” Chiamarono all’unisono.

 

Nessuna risposta, finché non scorsero la manica di un accappatoio e la afferrarono.

 

Era privo di sensi, e con un brutto taglio sulla testa.

 

Senza dire una parola, Akane e Nabiki lo stesero sul terreno con delicatezza e lo chiamarono col panico nella voce. Gli occhi dell’uomo si aprirono lentamente, lucidi e confusi.

 

“N… Nabiki… A… Akane?”

 

“Papà stai bene?” Piagnucolò la più giovane delle Tendo.

 

“Akane perché piangi?”

Nabiki disse: “Papà grazie al cielo sei salvo, ma hai un taglio sulla fronte… vieni, cerchiamo un dottore”.

Akane intervenne: “Come hai fatto a salvarti dal crollo?”

 

“Mi sono infilato l’accappatoio non appena ho sentito tremare la terra. Avevo capito che era un terremoto, ma… – si portò una mano alla testa nel momento in cui le figlie lo tiravano in piedi – ma poi…”

 

“Papà stai bene?” Chiese preoccupata Akane.

 

“S-sì… solo un capogiro…”

“Allora papà continua a parlare, e cerca di non svenire di nuovo!” Lo esortò Nabiki intelligentemente.

 

“Ecco io… il tetto mi è crollato sulla testa, pensate un po’! Sembrava un’esplosione più che un terremoto, comunque prima… prima di svenire mi ci sono messo sotto perché la casa… mi stava crollando addosso…” Il pover’uomo non sapeva se ridere per essersi salvato così miracolosamente, o piangere per la disperazione della sua casa distrutta.

 

Ma prima che potesse decidere il mondo si oscurò, e udì una voce lontana…

 

“…papà…. papà che cos’hai?! -… anzi due voci… -papà resta sveglio… PAPA’!”

 

...poi entrò in coma.

 

 

Il dottor Tofu aveva sempre creduto che tutto ciò che di bello gli accadeva nella vita fosse un dono degli dei, ma non sapeva se meritarselo davvero.

 

Dava tutto per concesso, per questo si impegnava nel suo lavoro, aiutando gli altri per ringraziare il Cielo delle giornate in cui per caso incontrava Kasumi.

 

Ma quel giorno, trovandola svenuta e ferita tra le macerie, ringraziò il Cielo solo di averla trovata ancora viva.

 

 

Akane avrebbe voluto caricare suo padre sulle spalle e correre di volata allo studio del dottor Tofu, ma il braccio rotto glielo impedì, e così si fece aiutare da Nabiki.

 

Il tragitto, che di solito richiedeva non più di cinque minuti,  costò alle sorelle quasi un’ora di pellegrinaggio e di slalom tra le macerie della città distrutta.

 

In un paio di occasioni, stentarono addirittura a riconoscere la strada, ma preferirono evitare di commentare l’entità di quel disastro, come per un tacito accordo.

 

Non dovevano permettere alle loro menti di concentrarsi più del necessario sulle case crollate, i pali della luce pericolosamente crepati e spezzati, gli alberi caduti, i cumuli di macerie che avevano coperto l’asfalto di diversi metri, costringendole ad arrampicarsi faticosamente.

 

Ma si costrinsero a fermarsi ogniqualvolta scorgevano delle tracce di sangue.

L’ultima persona che videro semisepolta era una giovane donna con la testa voltata in maniera innaturale. Akane si avvicinò, la toccò sul collo rotto per percepire inesistenti pulsazioni, e stavolta cedette.

Si inginocchiò accanto a lei tremante e piangente e rimise la colazione di circa due ore prima.

 

Nabiki le si accostò.  “Tutto bene Akane?”

 

“Sì… solo che ho visto troppe persone morte per oggi, non ci fermiamo più per favore”.

 

“Ok. Vieni, siamo quasi arrivate, vedrai che il dottor Tofu si è salvato e salverà anche nostro padre, e….ti curerà quel braccio…” Si sforzò di sorridere ad Akane, ma non le riuscì.

 

“Spero tanto che tu abbia ragione Nabiki…” Mormorò stancamente.

 

Non avevano fatto che dieci metri quando videro il buon dottore chinato all’angolo della sua clinica con una borsa del ghiaccio in mano.

 

“Dottor Tofu… grazie a…” Ma Akane non riuscì a continuare quando riconobbe sua sorella Kasumi nella donna stesa accanto a lui.

 

 

Ryoga non capì bene quello che stava accadendo. Ricordò solo un gran fracasso poco dopo che aveva perso di vista Ucchan, poi un crollo seguito da uno schianto.

 

Quando vide il grosso cavo elettrico dirigersi verso Ukyo pensò che non ce l’avrebbe mai fatta, poi saltò.

 

L’afferrò appena in tempo, ma non prima che il cavo le sfiorasse il volto appena sotto l’occhio destro.

La sentì gridare, ma vide che non c’era tempo per fermarsi e vedere quanto danno le aveva fatto la scarica: ora dovevano mettersi in salvo.

 

Saltò a casaccio sui tetti che gli crollavano sotto i piedi pregando di non cadere in quell’inferno di macerie che si andavano accumulando, poi si fermò in cima ad un tetto che sembrava reggere al sisma.

 

Allora si rannicchiò con la sua amica svenuta fra le braccia e aspettò che il mondo smettesse di tremare o si distruggesse per sempr

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Capitolo 4
*** Amore e sofferenze ***


Cap.4

Amore e Sofferenze

 

 

Non so con chi adesso sei

Non so che cosa fai

Ma so di certo a cosa stai pensando

E’ troppo grande la città

Per due che come noi

Non sperano però si stan cercando

Cercando…..

 

(“….E penso a te” L.B.)

 

Ranma sapeva che il bosco era fitto e intricato, e dopo il terremoto gli fu quasi impossibile riuscire ad attraversarlo in maniera normale. Saltò su alberi e rami spezzati, finché la sera e lo sfinimento del digiuno  non lo sorpresero e il pensiero gli volò ad Akane.

 

La sua Akane.

 

“Come posso pensare a quel maschiaccio in un momento simile?! Devo preoccuparmi di mia madre, dei miei amici…”

 

Eppure, prima di addormentarsi, fu il viso sorridente di lei ad apparirgli nella mente, e dalle sue labbra scappò solo un sussurro. “La mia piccola Akane…”

 

Desiderò per un attimo essere come Ryoga, piccolo ed innocuo per dormirle vicino, e così per quella notte, almeno in sogno, dormì accanto alla sua fidanzata.

 

************************************

 

In quel momento anche la mente di lei era concentrata su Ranma.

 

Le mancava terribilmente, ormai erano sei mesi che non lo vedeva, e le sembrava di essere stata come mutilata di una parte indispensabile della sua vita.

Se lui fosse stato lì qualche ora prima, l’avrebbe protetta stringendola al suo torace muscoloso, e non avrebbe permesso che qualcuno si facesse male. Se solo avesse potuto assaporare ancora il calore del suo abbraccio protettivo, respirare il profumo dolce e sensuale della sua pelle appena sudata e coriacea……forse desiderava addirittura baciarlo, sapere che sapore avevano le sue labbra.

 

Ranma – si disse – farai bene ad avere cura di te, io devo ancora sapere come… si ama un uomo, e se ti fosse accaduto qualcosa io… non te lo perdonerei mai! Abbiamo così tante cose da scoprire l’uno dell’altra…

 

Baciare uno scorbutico come lui? Piuttosto la morte! Abbracciarlo ed essere abbracciate?! Da un pervertito che diventava donna?! Già, ma quando era un uomo normale era così bello, e forte…

 

Si era scoperta a fare questi pensieri nel sonno, quando si trovava nel bel mezzo di un disastro, dopo aver visto decine di morti e aver rischiato la vita sua e dei suoi cari. All’inizio pensò che era lo stress, il richiamo alla vita a farle venire in mente certe cose, poi capì che erano semplici proiezioni dei veri desideri che aveva nel cuore.

 

Akane Tendo credeva di impazzire; ma cos’era, attrazione fisica o follia da terremotata?

 

Comunque era inutile mentire: ci teneva a Ranma, ed era preoccupatissima per lui, così prese una decisione.

 

Quando si fosse accertata che il dottor Tofu si sarebbe preso cura di suo padre e di Kasumi, decise che forse avrebbe potuto ripartire per sincerarsi che anche Ranma stesse bene.

 

Era ancora mezzo addormentata, ma sentì distintamente la radio, che Nabiki aveva scovato ancora funzionante tra le macerie, annunciare l’entità del disastro.

 

“Il violento terremoto che stamane ha colpito la capitale del Giappone, pare abbia avuto come epicentro proprio la zona centrale di Tokyo. Il sisma, che ha avuto effetti devastanti, ed è stato stimato intorno ai 7,5 gradi di magnitudo della scala Richter, è stato avvertito su quasi tutto il territorio nipponico; gli effetti più devastanti sono stati riscontrati nelle zone periferiche della città dove si stanno organizzando, grazie al tempestivo intervento della Protezione Civile, molti “Ospedali-tenda”, piccoli centri di soccorso per feriti più o meno gravi. Finora le vittime accertate sono circa duemila, ma per l’entità del disastro, si suppone che ce ne siano purtroppo almeno il triplo. Molte voragini si sono aperte, specie nelle zone boschive come quelle intorno a Kawagoe e al monte Fuji; si pensa che…”

 

“Akane perché hai spento?” Chiese Nabiki.

 

“Non posso più sentire”. Akane era pallida come la benda di fortuna che il dottor Tofu le aveva sistemato intorno al braccio, steccandoglielo attentamente.

 

Era ancora chino su Kasumi, quasi sollevato che avesse perso di nuovo conoscenza e non potesse vedere Akane in quello stato.

 

Nabiki ruppe il silenzio. “Comunque ora sappiamo che siamo tutti salvi. Papà si riprenderà, lo sai, di che ti preoccupi?”

 

Era troppo, e Akane esplose.

 

Si voltò verso la sorella, facendola sussultare di sorpresa; il suo sguardo la incenerì.

“Parli bene, tu!” Anche il dottore si voltò, sorpreso.

“Non hai sentito quante persone sono state trovate morte fino ad ora? Pensi che abbiano contato anche quelle che abbiamo trovato noi? Quante erano, te le ricordi? Dieci?! Venti?! Tutte schiacciate dalle loro stesse case! Uomini, donne… bambini!! Tutti morti! Quante ne abbiamo trovate vive?! Nessuna! Noi siamo stati solo sfacciatamente fortunati! E ci hai pensato a tutti i nostri amici?! Ai nostri compagni di scuola, alle loro famiglie, quanti saranno ancora vivi secondo te, Nabiki, quanti saranno morti, saresti capace di andarli a contare tutti come fai con i tuoi soldi?!”

 

Nabiki la schiaffeggiò, e Akane ammutolì.

 

“Scusa sorella, hai perfettamente ragione, ma stavi esagerando”

 

Akane si toccò il viso, incredula.

 

“Pensi che non ci abbia pensato?! Secondo te io sono bella tranquilla?! Sei talmente sotto shock che non ti accorgi nemmeno che cercavo di tranquillizzarti?” Nabiki si fermò, sicura che se avesse continuato sarebbe scoppiata a piangere, e non se lo sarebbe mai permesso. Lei era quella che ragionava al di sopra di tutto, la donna di ghiaccio che tutto risolveva senza provare sentimenti.

 

“Perdonami… io… io…” Akane riprese a piangere, e Nabiki l’abbracciò. Come sorella maggiore doveva almeno tranquillizzarla, no?

 

“Sssst calma Akane, vedrai che andrà tutto bene” Mormorò come avrebbe fatto una madre.

 

“Voglio cercare Ranma”. Confessò trai singhiozzi.

 

“Ci avrei scommesso sorellina”

“Lui ha sempre adorato allenarsi in mezzo ai boschi, e se è vero che si sono aperte delle voragini…”

 

“Akane, mi stupisci! Tu che ti preoccupi per quello stupido arrogante?!” Nabiki sperò che la sorella non capisse che anche lei era preoccupata, nonostante pensasse che Ranma se la sarebbe cavata sempre.

 

“Se fosse stato colto di sorpresa dal terremoto e fosse… ferito?”

 

“Pensavo che non ti interessasse più visto che ti ha mollata!”

 

Akane tacque, e Nabiki non ebbe bisogno di indagare oltre: era chiaro come il sole che quei due si amavano.

Sapeva, in fondo al suo cuore, che Ranma era scappato via sopraffatto dai sensi di colpa e dalla vergogna. Sapeva che sarebbe morto piuttosto che continuare a farla soffrire.

 

E sapeva che sarebbe tornato.

 

Questo era il vantaggio di essere sempre forti e poco inclini alle proprie emozioni: si capivano meglio quelle degli altri. E lei aveva imparato a leggere nei cuori di sua sorella e di Ranma come in due libri aperti.

 

“Akane – la voce del dottor Tofu era un bisbiglio – so che sarebbe inutile fermarti, ma resta almeno fino all’alba, vuoi? Si sta facendo buio e ti perderesti. Inoltre ti devo medicare di nuovo il braccio.”

Akane sorrise. “Va bene dottore, grazie. So che lei avrà cura di mio padre e delle mie sorelle”

L’uomo annuì. “E io so che tu avrai cura di te. Trova il tuo fidanzato, digli quanto lo ami e riportalo qui”

 

“Lui… sta bene, vero?” La sua voce era esitante.

 

“Lo conosci meglio di me: non sarà stato certo il terremoto a metterlo in difficoltà, non ne dubitare”. Ma era in pensiero anche lui. Le catastrofi naturali non erano esattamente le cose contro cui Ranma si era allenato.

 

Anche Akane lo sapeva, ma non permise al suo pensiero di concretizzarsi.

 

Poi sentì una voce familiare pronunciare il suo nome e trasalì.

 

 

Ryoga rimase rannicchiato sul tetto per un tempo indefinito, poi la terra smise di rivoltare zolle e tremare, e discese con Ucchan fra le braccia. Lei stava bene, era solo svenuta.

 

Lui invece stava male.

 

Cosa, in nome degli dei, era accaduto così all’improvviso? Aveva sentito che stava per accadere qualcosa, ma non avrebbe mai sospettato che fosse così… grave!

 

Grave?! Si guardò intorno, e si costrinse a sedersi adagiando piano Ukyo accanto a sé.

 

Per un’orribile minuto, credette con tutto il cuore di essere l’unico sopravvissuto in quella tragedia.

 

Le case non esistevano più, sul terreno si erano aperte voragini capaci di inghiottire una locomotiva intera, fili elettrici scoperti si agitavano come serpenti ciechi. E i corpi…

 

Mani… piedi… grida… sangue… era un incubo! Quanti erano ancora vivi?

 

Come un automa si diresse verso un uomo che giaceva senza vita sotto le macerie; vedeva solo la mano destra, un pezzo di braccio, e il volto.

Aveva gli occhi aperti, ma sapeva che era morto ancora prima di toccare la sua mano appena tiepida e di vedere che aveva la schiena spezzata.

 

Poi vide anche il bambino, con la testa girata da un lato, un sottile rivoletto di sangue sceso sulla fronte, un grosso calcinaccio sulla tempia destra, gli occhi pieni della paura che ormai apparteneva solo al passato.

 

Non ci mise molto a capire che aveva smesso di vivere.

 

Poteva avere dodici, forse tredici anni, e la sua bicicletta era abbandonata di lato, completamente fracassata.

 

Qualcosa si addensò nella sua gola, affannandogli il respiro. Lacrime?

 

Pensò che quel bambino non avrebbe più giocato a palla nel parco, non sarebbe più andato a scuola, non sarebbe mai cresciuto, non si sarebbe mai innamorato, e soprattutto non avrebbe mai più avuto paura.

 

Mai più.

 

Stupidamente, cercò di tirarlo fuori, poi vide che era fatica sprecata.

Non aveva bisogno di essere liberato, era…

 

Morto? Era così che si diceva? In tutta la sua breve vita quante persone aveva davvero visto morte?

 

Nessuna.

 

Ed ecco il coraggioso Ryoga Hibiki, uno dei migliori combattenti di Arti Marziali, che aveva sfidato mari, monti, e persino il grande Ranma Saotome, impallidire e rischiare di svenire davanti al suo primo cadavere.

 

Ci aveva messo quasi diciotto anni a vederne uno dal vero, e prima o poi sarebbe accaduto con la vita che faceva.

 

Ma quello era solo un bambino.

 

E per la prima volta si sentì lui stesso solo un vulnerabile ragazzino, non meno giovane di quello morto che aveva sotto gli occhi, sfortunato negli affetti, terribilmente solo, e ancora troppo giovane per bere alcolici al bar.

 

Capì di essere stato giovane e spensierato fino ad allora, gli sembrò di aver giocato a fare l’uomo duro con Ranma, il sentimentale con Akane, la vita era stata leggera e priva di vere difficoltà.

 

Quanto aveva sofferto per amore, per vergogna, per le volte che si era perso? Aveva sempre creduto che fossero quelle cose a spezzargli il cuore, ma era vero solo in parte.

Se non fosse stata una situazione drammatica avrebbe riso di sé. La vera sofferenza, quella dei veri uomini, non se l’era mai neanche immaginata.

 

La provava solo ora. E solo ora, capì di essere cresciuto all’improvviso, di essere maturato con tale violenza, che rimpianse di non essere rimasto bambino ancora un po’.

 

Il respiro gli divenne pesante, e il petto era doloroso da sollevare, credeva di soffocare.

 

Le lacrime versate per la vergogna di diventare un maialino nero

 

Gli occhi gli bruciarono come per del fuoco.

 

...quelle versate per Akane…

 

I pugni gli si strinsero da soli.

 

...nulla in confronto a quello che si può provare vedendo la morte negli occhi di un bambino innocente…

 

Ryoga cominciò a singhiozzare convulsamente, liberando il pesante bagaglio di conoscenza che gli era piombato addosso in meno di un minuto, spezzando il suo cuore ancora inconsciamente bambino, temendo di morirne, anelando alla vera vita per la prima volta.

 

Pianse tutte le lacrime di cui era capace, finché si sentì più leggero.

 

L’ultima lacrima fu per l’innocenza perduta.

 

Poi, cominciò a pensare come un uomo per la prima volta.

 

 

 

Pensò ad Ucchan e a come salvarle la vita.

 

La riprese fra le braccia, leggera e inerte, e scoprì che anche se si fosse perso non gli importava: l’importante era trovare qualcuno ancora vivo e cercare di salvarsi la vita tutti insieme.

 

Camminò per ore, maledicendo il mondo quando si trovava a passare per due volte nello stesso posto, poi vide un gruppo di persone sedute per terra, e udì parole umane dopo quella che gli era parsa un’eternità.

 

Si avvicinò, e riconobbe Akane, Nabiki e il dottor Tofu. Accanto a lui una giovane donna… Kasumi?

 

“Akane…” La sua voce era un bisbiglio incredulo.

 

Lei si voltò, sussultando, socchiuse le labbra e pronunciò il suo nome in un grido.

 

“RYOGA! Santo Cielo!” Vide Ukyo tra le sue braccia , sporca e lacera, con un grosso livido sullo zigomo destro, e gli corse incontro.

 

“Lei è…?”

“Sta tranquilla, è solo svenuta, e tu… come stai Akane?”

 

“Io sto bene, almeno fisicamente”.

 

Ryoga la guardò meglio. “Che hai fatto al braccio?”

 

“E’ rotto, ma non è niente. Oh Ryoga, se sapessi come sono felice di vederti vivo!” La voce le tremò.

 

“Vieni a sederti viaggiatore, ti vedo sfinito.” Intervenne Nabiki.

 

Ucchan fu adagiata su una coperta, e Ryoga diede una mano per accendere il fuoco: la sera era calata.

 

Erano tutti riuniti in silenzio quando Soun Tendo riprese conoscenza.

 

“A… Akane… Kasumi… Nabiki…” Si alzò su un braccio, ma Tofu lo fece riadagiare.

 

“Stanno bene, vede? La piccola Akane le ha salvato la vita, cerchi di riposare.”

 

Nabiki gli prese la mano, e Akane la imitò. “Tranquillo papà, siamo tutte qui!”

 

“Kasumi…” Le lacrime avevano già inondato il suo viso stanco.

 

“Kasumi sta bene, lei e Nabiki sono solo leggermente ferite, riposa, hai preso una brutta botta.”

 

L’uomo si guardò intorno ancora un po’, e il dottor Tofu tirò fuori una siringa.

 

“Dottore…”

“Stai tranquilla Nabiki, è un sonnifero. Finché non troviamo qualcosa da mangiare è meglio che recuperi le forze dormendo. Domattina cercheremo del cibo.”

 

Il dottor Tofu medicò anche la bruciatura ad Ukyo, e decise di non svegliarla “Starà bene, tranquilli, ora fate dormire anche lei, è meglio.”

 

Kasumi si svegliò una volta, e parlò un poco solo per accertarsi che stessero tutti bene, poi chiese al dottore di riposare.

 

“Kasumi ha ragione dottore, lei ha fatto tanto per noi, cerchi di dormire un poco.” Akane lo guardò come una madre premurosa, e il medico decise di sdraiarsi a breve di stanza da Kasumi per non perderla d’occhio.

 

Kasumi sospirò. “E’ stato terribile… sono salva solo grazie a lei, dottor Tofu.”

 

L’uomo cominciò a balbettare, commosso “Oh Ka… Kasumi, io… non ho fatto niente… io…”

 

“Lei mi ha salvato la vita e ha curato la mia famiglia, ed io non lo dimenticherò mai…” Gli occhi le si chiusero, e il sonno la colse di nuovo, migliore medicina contro la tristezza, la paura, il dolore.

 

Il buon medico si stese accanto a lei, e sorrise all’espressione serena della donna che amava segretamente.

 

Nabiki sorrise. “Siete proprio due piccioncini”.

“Nabiki!” Akane sibilò alla sorella, poi le fece segno di tacere.

 

Lei sorrise un po’, poi proruppe in un enorme sbadiglio “Bene, credo che dormirò un po’ anch’io, domattina ci sarà da fare. Akane, tu e Ryoga vegliate sulla povera Ukyo, ma cercate di riposare.

E tu Ryoga controlla che mia sorella non scappi via prima dell’alba… deve fare provviste e medicarsi.”

 

Ryoga non capì dove Akane dovesse fuggire, ma alzò il pollice e rassicurò Nabiki.

 

La notte calò, e Ryoga ed Akane poterono finalmente parlare di ciò che era accaduto davanti al fuoco.

 

“E’ da molto che non ci vediamo, Akane-chan. ”

 

“E’ vero, hai viaggiato molto?”

 

“Sì, ma ero stufo di girare senza meta, così sono tornato qui a Nerima, magari a fare un salto a casa a posare i souvenir… ma ora credo di non avere più una casa…”

 

“Oh Ryoga…”

 

“Dov’è che vai Akane-chan?” Ryoga chiese in un bisbiglio.

 

Lei alzò lo sguardo, e sorrise un poco “Io… voglio cercare Ranma, voglio solo assicurarmi che… che stia bene.” Concluse in tono piatto. Le abitudini erano dure a morire, e ancora una volta lei si sentì imbarazzata nel parlare di Ranma.

 

Il viso di Ryoga balenò alla luce del fuoco. “Davvero tu…?!”

 

Lei annuì, e Ryoga decise che era ora di arrendersi all’evidenza “Allora è vero, voi non smettete di pensare l’uno all’altra…”

 

Akane si affrettò a rispondere. “Ma no, voglio solo sapere se sta bene, sai che mi importa di quello stupido! -poi piegò il capo con aria interrogativa - Perché parli al plurale?”

 

“Perché io ho visto Ranma pochi giorni fa, e credo… che c’è?” Akane si era chinata verso di lui.

 

“Tu l’hai visto?!”

 

“S-sì, era in un bosco qui vicino… credo…”

 

“Nel bosco?!” La voce di Akane era allarmata, ma si costrinse a parlare più piano per non svegliare tutti “Ryoga… sapresti tornarci?”

 

Ryoga abbassò il capo “Sai che il mio senso dell’orientamento è pessimo, ma… ci posso provare. Sei proprio decisa, eh?”

 

“Sì, io… gli hai parlato?” Si era ricomposta, ma il cuore le batteva così forte…

 

“Gli ho chiesto se gli mancassi, e lui è scappato via, ha paura ancora di ammetterlo.” Ranma aveva paura di ammettere i propri sentimenti: la rivelazione improvvisa non lo stupì più di tanto.

 

“Lui ha paura di ammettere che gli manco?” Gli occhi le si fecero grandi.

 

“Io… credo di sì, gliel’ho letto negli occhi.”

 

Akane ne rimase sconvolta “Tu dici… ma Ryoga, te l’ha detto lui forse?”

 

“Non aveva bisogno di dirlo Akane, ma se vuoi io ti porterò da lui e glielo chiederai tu stessa.” Tacque, e vide Akane abbassare un po’ il capo come per un assenso.

 

Il ragazzo annuì a sua volta, e per un momento tacquero entrambi, finché una terza voce non ruppe il silenzio.

 

“Ah… Ran… Ranchan!” La voce era flebile e sofferente, e i due si voltarono verso Ucchan.

 

Akane le fu accanto per prima “Ucchan, stai…”

 

“Akane, sei tu?… Ohi, mi scoppia la testa!”

 

“Devi riposare.” Protestò Akane, ma lei si era già tirata a sedere.

 

“In nome del cielo… Ryoga, Akane, che mi è successo?”

 

“Bè… il cavo elettrico ti ha sfiorata appena sulla guancia e sei svenuta, ma il dottor Tofu ti ha medicata”

 

“Già, ora ricordo! Ecco perché mi fa male lo zigomo… e la testa…”

 

“Sei stata molto fortunata – intervenne Akane – Ryoga ci ha trovati e il dottore ha potuto curarti.”

 

Ukyo sorrise. “E’ stato Ryoga a salvarmi la vita…” Gli spedì uno sguardo di gratitudine, e lui arrossì un poco di nuovo.

 

“Bè, tu ti sei offerta di accompagnarmi da Akane, è stato il minimo che potessi fare…”

 

Akane era stupita. “Stavate venendo da me?”

 

Ryoga annuì “Volevo… ecco, sì, venire a farti visita, ma poi è accaduto di tutto…”

 

I loro sguardi divennero seri, e Ukyo chiese: “Bene; ora volete spiegarmi cosa diavolo è accaduto a questa città? E’stato un terremoto, vero?”

 

Ryoga parlò a bassa voce: “Sì. E’ stata una vera catastrofe, Nerima non esiste quasi più. Mentre venivo qui ho visto decine di… morti… sotto le macerie” Si costrinse a schiarirsi la voce.

 

“Anch’io ne ho visti Ryoga, è stato orribile, vero?” Akane lo guardò con complicità.

 

“Già… bè, credo che dovremo farci coraggio: non è ancora finita.” Ryoga sapeva che c’erano altre vittime.

 

“Oggi abbiamo ascoltato la radio – disse Akane – il terremoto è stato molto violento, e ha ucciso tanta gente.   Siamo stati tutti molto fortunati…” Ingoiò, come per non dire cose che le avrebbero fatto male. Aveva paura. Paura per lui.

 

Ukyo intervenne: “Mentre mi stavo risvegliando ho sentito che parlavate di Ranma: per questo l’ho nominato, credevo che fosse qui…”

 

Ryoga la guardò imbarazzato “Ecco noi… io e Akane abbiamo pensato che forse potrebbe avere avuto… qualche difficoltà; domani pensavamo di andare a raggiungerlo, ecco tutto”

 

Akane lampeggiò. Ryoga l’avrebbe accompagnata!

 

“Tu l’hai visto qualche giorno fa, vero Ryoga?” Chiese Ukyo.

 

“Sì… potrei provare a tornare nello stesso posto.” Ma era titubante.

 

“Bene, e io verrò con voi. Akane, ti assicuro che più siamo e meglio sopravviviamo al non-orientamento di Ryoga… chissà dove ti porterebbe questo zuccone!”

 

Ryoga fece una smorfia, ma non poté darle torto.

 

“Bene – disse poi – domani andremo a cercare Ranma tutti insieme, tu Akane hai un braccio rotto, ed è meglio che non vada da sola.”

 

“Grazie Ryoga… e anche a te Ukyo.”

 

Lei annuì, poi tacque per un po’, e chiese: “Ranchan sta bene, vero Akane?”

 

La ragazza sussultò “Io… io sono sicura di sì! Lui è il miglior artista marziale che io conosca, se l’è cavata di sicuro… vero Ryoga?”

 

Lui sembrò sorpreso dalla domanda, e sentì il vecchio odio rimontargli in corpo: lui aveva abbandonato Akane. “Quel bastardo starà più che bene, vedrai Akane.”

 

Lei annuì, incapace di replicare, e Ucchan intervenne: “Bene, ora riposiamo, domani sarà una giornata molto dura.

 

Pian piano si accesero tutte le stelle, e ognuno dormì pensando a qualcun altro che era lontano….

 

 

 

Akane sognò di incontrare Ranma sano e salvo. Lo vide in un bosco completamente distrutto, correre verso di lei e gridare il suo nome.

 

Col cuore in tumulto si gettò fra le sue braccia invocandolo, desiderando di stringerlo a sé… poi il sogno svaniva…

 

Una lacrima le scese lenta sul viso “Ranma…” Bisbigliò nel sonno dolorosamente “Ranma...”

 

 

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Capitolo 5
*** Partenze ***


 

Cap.5

Partenze

 

 

Quando si svegliò, Ranma si rese conto immediatamente di due cose: l’alba era giunta sotto una pioggerellina regolare trasformandolo in una ragazza, e la terra stava tremando di nuovo. Arrancando afferrò lo zaino per salvare almeno il piccolo kit medico e la scorta d’acqua, e si aggrappò ad un tronco caduto sul terreno già fangoso per proteggersi dal sisma.

 

Si accorse che era meno forte del primo, ma abbastanza violento da provocare altri danni attorno a lui.

Un albero pericolante cadde con un tonfo sordo, e la crepa semi-chiusa accanto ai suoi piedi si aprì definitivamente.

 

Poi tutto cessò.

 

“Maledizione… non è ancora finita?!”

 

Si alzò piano piano, e si sistemò lo zaino sulle spalle. Aveva fame, ed era sfinito dalla lunga corsa del giorno prima, e il suo corpo femminile non lo rendeva certo più forte. Ma cominciò ad avanzare con passo deciso verso la fine del bosco distrutto.

 

In lontananza, scorgeva già le luci di Tokyo.

 

 

Akane, Ryoga e Ukyo si erano svegliati sotto alla pioggia regolare, e il ragazzo con la bandana aveva fatto appena in tempo ad aprire il suo grosso ombrello prima di trasformarsi davanti a tutti.

 

Kasumi e Soun si erano svegliati quasi insieme, e con il dottor Tofu programmarono la giornata: innanzitutto dovevano cercare provviste, poi avrebbero valutato l’entità dei danni nelle rispettive case, anche se avevano già una mezza idea al riguardo.

 

Nabiki si offrì di andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti insieme alla sorella e ai suoi amici che stavano per partire, e Kasumi disse che voleva andare a vedere cosa poteva recuperare da casa.

 

“E’ troppo pericoloso figliola, potrebbe crollare di nuovo.” Protestò Soun.

 

Ma lei era decisa più che mai “Papà quella era casa nostra! Voglio recuperare più cose possibili.”

 

Il dottor Tofu non aveva mai visto Kasumi così determinata, e questa novità la rese ancora più bella ai suoi occhi. “Verrò con voi – disse – siete ancora feriti, ed io sono tutto intero.”

 

Soun annuì. “Sta bene, e… Akane?”

 

“Sì papà?”

 

“Fai attenzione figliola – le pose le mani sulle spalle, e notò la nuova medicazione che le aveva fatto il dottore prima ancora dell’alba – hai anche un braccio rotto, ma mi fido di te.”

Poi si rivolse ai due ragazzi alle spalle della figlia. “Ryoga, Ukyo, so che avrete cura di lei… e di voi; trovate Ranma e portatemelo qui: ho due cosette da dirgli.”

Akane si accigliò. “Papà…”

 

“Va bene… va bene… decidete tra voi, ma non negate mai i vostri sentimenti, soprattutto ora che questa disgrazia potrebbe riavvicinarvi, me lo prometti figlia mia?”

 

Lei abbassò il capo, ma a Soun bastò.

 

“Bene – disse Nabiki – andiamo a fare provviste, Akane, Ryoga, Ukyo…? Kasumi… voi andate verso casa e rimediate qualche tegame, o qualche stoviglia, sarò lì in un baleno.” Per fortuna c’era Nabiki che aveva un forte senso dell’organizzazione e del dovere, la sua forza d’animo rianimava tutti.

 

I due gruppi partirono, e la pioggia parve allentare in favore di un raggio di sole e di speranza.

 

 

Al momento del sisma, il primo, quello più forte, Genma si trovava a casa sua con Nodoka.

 

Parlavano di Ranma.

 

“Quell’ingrato di mio figlio! Ha lasciato sola quella povera ragazza e non ha mantenuto la sua promessa. Doveva ereditare la palestra e non l’ha fatto!”

 

La donna ascoltava paziente, poi decise di dire la sua. “Tesoro… forse imporre le cose a nostro figlio non è stata la cosa migliore. Lui deve essere in grado di fare le sue scelte da solo."

 

“Non sono d’accordo! Aveva promesso, e la parola di un uomo è sacra, e poi lui e Akane si volevano bene sicuramente, io lo so.”

 

“Questa lontananza lo aiuterà a crescere… e a decidere, vedrai!”

 

Genma centellinò il suo tè con un’espressione grave. “Un artista marziale non deve avere ripensamenti – dichiarò – sarebbe stato meglio fargli fare harakiri sin dall’inizio: Ranma non è un vero uomo.”

 

“Ah si? – la donna ammiccò – Anche tu sei un panda… o sbaglio?”

L’uomo si rese conto del suo errore, e fece un sorriso beffardo. Poi si versò dell’acqua addosso e si trasformò.

 

“Genma! Non puoi semplicemente rispondere invece di ricorrere al solito trucco? Ammettilo, è colpa tua se Ranma è caduto nella sorgente della ragazza affogata, ed è colpa tua se non sa mostrare i suoi veri sentimenti!”

Il panda tirò fuori l’ennesimo cartello: Io sono un tenero panda innocente!

 

“Genma Saotome…!”

 

La scena tranquilla e familiare fu interrotta dalle forze della natura, e la casa cominciò a crollare.

 

 

Ranma poteva già scorgere la città sotto di sé, e corse lungo il pendio, fino a che la stanchezza non gli giocò un brutto tiro.

Inciampò e cadde malamente, ferendosi mentre rotolava giù scompostamente.

 

Giunto a valle, si rannicchiò sul proprio corpo di donna per proteggersi dalle pietre che gli cadevano addosso per effetto dello spostamento, e stette lì tremante per alcuni minuti, certo che la montagna intera gli sarebbe crollata addosso.

 

Poi aprì gli occhi. Era salvo, e provò a muoversi studiando attentamente i segnali del suo piccolo corpo. Niente ossa rotte, grazie al cielo!

Stirò gli arti con cautela e raccolse lo zaino tirandosi in piedi lentamente. Aveva i vestiti lacerati, e imprecò contro il suo seno scoperto.

 

Strinse i denti, e riprese a camminare.

 

 

Nel momento della seconda scossa, quella di assestamento, il gruppo formato da Ryoga, Akane, Nabiki e Ucchan era appena entrato tra le macerie di un negozio pericolante.

 

Il sisma smosse le pareti e fece precipitare il tetto creando immediatamente il panico; Akane si gettò su Nabiki per proteggerla, cercando di non urtare il braccio rotto, Ryoga afferrò Ucchan con un braccio e schermò Akane e sua sorella con l’altro, giusto in tempo per evitare loro una pioggia di calcinacci.

 

Rimasero tutti stretti e tremanti in un angolo, finché il sisma cessò. Poi alzarono le teste timidamente per guardarsi attorno.

 

“State tutti bene?” Chiese esitante Ryoga.

 

“Sì, ma la prossima volta ci resto per attacco cardiaco.” Dichiarò Ukyo.

 

“Nabiki, tutto bene?” Ad Akane tremava la voce.

 

“Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco sorella.” Ribattè.

 

“Bene – riprese Ryoga – prendiamoci quello che possiamo finché…”

 

“Bè? – chiese Nabiki – perché ti sei…?”

 

“Zitta!” La interruppe lui, ed alzò la testa per ascoltare.

 

Stettero tutti in religioso silenzio e sentirono anche loro. “Aiuto… sono qui sotto!”

 

“Oh mio…” Ma Akane non finì la frase e si precipitò con i suoi amici verso la botola semi -sfondata dalle macerie.

 

Tirarono tutti insieme e videro due occhi stanchi e lacrimosi che li fissavano. Il proprietario era un vecchio spaventato.

 

 

Shampoo aveva sentito il peso rassicurante sopra di sé, e si accorse che qualcuno l’aveva protetta anche dal secondo sisma, quello che aveva distrutto definitivamente il Nekohanten e le camere in cui vivevano la sua bisnonna, lei e Mousse.

 

La prima volta si erano nascosti al piano di sotto, nel ristorante vero e proprio, ed erano riusciti a salvare anche alcuni clienti.

Poi si erano azzardati a passare la notte tutti nelle camere che erano sprofondate: le scale non esistevano più, ma i letti e la vasca da bagno erano ancora utilizzabili… al piano terra.

Come accampamento di fortuna non era niente male.

 

C’erano una ragazza del villaggio cinese delle donne che era andata a trovare Shampoo, un uomo di mezza età, e i due compagni di scuola e migliori amici di Ranma, Hiroshi e Daisuke, tra i clienti.

 

Tra uomini e donne saranno stati una decina.

 

Mousse si era guadagnato una secchiata d’acqua gelida dalla cinesina quando aveva tentato di abbracciarla dichiarando che l’avrebbe protetta anche dalla bomba atomica, poi tutto aveva ricominciato a tremare.

 

C’era stato un fuggi fuggi generale, e Shampoo ricordò all’improvviso quello che era accaduto.

Mousse-papero si era fatto cadere addosso la pentola d’acqua bollente che era sul fuoco, rischiando di cuocersi da solo, e si era gettato come uomo su di lei per proteggerla dal tetto che crollava.

 

Poi Shampoo era svenuta e ora, aprendo gli occhi, sentiva il corpo inerte su di lei.

Tentò di muoversi, ma il peso richiedeva uno sforzo in più: da quando Mousse era diventato così pesante?

Scivolò sotto di lui e vide con orrore il cielo sopra di lei e un quarto del tetto precipitato sulle sue gambe e sulla sua schiena.

 

“Mousse!” Gridò cercando di liberarlo. Ma il cumulo di macerie pesava troppo, e gli schiaffeggiò il volto pallido.

“Mousse, in nome dei Kami, rispondimi! MOUSSE!”

 

“Sha… Shampoo…?” La sua voce era un bisbiglio sofferente, i suoi occhi chiari privi delle lenti rotte.

 

“Mousse…credevo che fossi morto! Hai tutto il tetto addosso!” La voce le tremò un poco.

 

“S… sei… sei salva…oh…” Mousse era svenuto di nuovo, e Shampoo gridò il suo nome altre dieci, cento volte.

 

 

“Ero riparato nel sotterraneo del negozio a riposare dopo il primo terremoto quando la terra ha ricominciato a tremare…”

 

Ryoga alzò un sopracciglio. “E’stato un miracolo che la botola non le sia caduta in testa.”

 

Il vecchio rise pacatamente. “Avrei preferito morire piuttosto che sapere che fine aveva fatto il mio nipotino lì fuori…”

 

“Suo nipote è ancora fuori e lei non è andato a cercarlo?!” Esclamò Nabiki.

 

“Nabiki! Che dici, ci sarà stato un motivo, non è vero Miyaki-sama?” Chiese Akane.

 

Il vecchio abbassò lo sguardo. “E’uscito stamattina all’alba con la bici e non l’ho più visto. Ha detto che andava a cercare aiuto, io ho tentato di fermarlo, ma lui…”

Il vecchio prese a singhiozzare convulsamente, e Ukyo tentò di consolarlo. “Vedrà che lui starà bene, noi l’aiuteremo a cercarlo, non è vero Ryoga?”

 

Ma Ryoga era impallidito improvvisamente, e gli occhi sembravano quasi vacui. Un bambino con una bici?

 

Akane lo chiamò a sua volta. “Ryoga?! Che c’è?”

 

“Io… io credo di sentirmi poco bene… vado un attimo fuori, scusate”

 

Nabiki lo seguì, intuendo che c’era qualcosa sotto.

 

Ryoga si chinò sulle macerie da un lato dell’ex costruzione, e cominciò a respirare affannosamente.

 

Nabiki gli si avvicinò “Che cos’hai Ryoga-kun?” Gli chiese affettuosamente.

 

“Il…il bambino con la bici… io l’ho visto… è morto… il calcinaccio…” Poi cominciò a singhiozzare lasciando Nabiki di stucco.

 

“Ehi Ryoga, sei uno straccio, ma cosa ti è preso? Capisco che vedere quel bambino può averti scosso, ma non ti ho mai visto ridotto così!”   

 

“Tu non puoi capire – Ryoga sedette – è stato come avere una rivelazione. Quel bambino innocente ridotto ad un mucchietto insignificante di ossa rotte… la sua vita spezzata…”

 

“Oh Ryoga…” La voce li fece girare: era Ukyo.

 

“Tu sei stata fortunata a non averlo visto, Ukyo, è stato ancora peggio che vedere quei due poveri anziani mentre venivamo qui.”

 

“Immagino che qualcuno dovrà dirlo a quel poveretto.” Sospirò Nabiki.

 

“No, lasciamogli ancora un po’ di tempo…” Protestò Ukyo.

 

“Ma non possiamo andarcene e lasciarlo qui con la sua convinzione!” Esclamò Ryoga.

 

“Se è per questo non possiamo neanche lasciarlo qui!” Ribatté la ragazza con la spatola.

 

Nabiki intervenne: “Ehi, ma credete davvero che dobbiamo portare con noi tutti i dispersi nel terremoto? Ci sono gli ospedali-tenda, basta lasciarli là!”

 

“Nabiki Tendo – sibilò Ukyo – sapevo che eri spietata, ma non fino a questo punto!”

 

“Io parlo solo di praticità! Hai idea delle persone sepolte sotto terra?! Pensi che noi possiamo fare qualcosa per loro?! Noi non gli ridaremo mai suo nipote! Io dico di portarlo in un ospedale-tenda e lasciare che lo sappia da sé!”

 

“Questo è crudele, come pensi che glielo diranno quelli della protezione civile?! ‘Sa Miyaki-sama, abbiamo avuto tanti corpi da disseppellire, ed abbiamo trovato anche suo nipote con un calcinaccio nella testa, ma forse è colpa sua che l’ha lasciato andare!’ E’ questo che vuoi?!” Ukyo era fuori di sé.

 

Nabiki le si avvicinò fino a sfiorarle la fronte. “Bene Ukyo Kuonji – le sibilò con disprezzo – allora vacci tu a dirgli che suo nipote è stato schiacciato con la sua bici da una casa!”

 

Ryoga poteva vedere le aure fiammeggianti delle due ragazze e le invitò a calmarsi, quando la voce disperata di Akane li chiamò. I tre accorsero.

 

“Che succede, Akane-chan?!” Chiese Ryoga spaventato vedendola con il vecchio esanime fra le braccia.

 

“Stavamo parlando… - disse piangente – poi si è portato una mano al petto ed è svenuto! Non sarà mica…”

 

“Un infarto!” Concluse Nabiki tastando il collo e il polso.

 

Ryoga la imitò, e Ukyo stette in piedi tremante. “E’… è morto?”

 

“Ho paura di sì.” mormorò lui “Non serve più litigare per decidere chi gli dovrà dire di suo nipote.”

 

Akane lo guardò confusa, tra le lacrime “Cosa…?!”

 

“Il bambino che ha visto Ryoga ieri pomeriggio… molto probabilmente era suo nipote. Oh povero Myiaki-sama…!” Proruppe Ucchan piangendo e accosciandosi accanto a lui e ad Akane.

 

“Bè – sospirò Nabiki – ormai non possiamo più fare niente per lui… prendiamo le provviste da questo emporio e andiamocene.”

 

Ukyo si voltò con un moto di furia, ma Ryoga la fermò “Ucchan… Nabiki ha ragione, non possiamo più fare nulla per lui – mormorò con una dolcezza a lui estranea posandole le mani sulle spalle – vieni via.”

 

Lei si alzò, e Akane disse in un bisbiglio: “Copriamolo almeno, e recitiamo una preghiera per lui e per il bambino… vi prego!”

Ryoga non resistette agli occhi supplicanti di Akane, così coprirono il vecchio con il copridivano e recitarono una preghiera, poi scesero nel magazzino.

 

C’era una grande quantità di pesce e carne in scatola, e scatole di spaghetti giapponesi precotti. Acqua e tè abbondavano.

 

Misero tutto negli zaini e risalirono; si fermarono ancora una volta accanto alla salma, fecero un inchino per uno, e Akane mormorò: “Grazie comunque per le provviste, arigatou Miyaki-sama.”

Poi uscirono fuori, dove c’era il sole.

 

 

Cologne chiamò sua nipote con la voce così flebile che lei stentò a sentirla.

 

“Bisnonna! Oh santo cielo, anche tu sei là sotto?” Gridò Shampoo spaventata.

 

Scavò un poco, attenta a non ferire Mousse, e l’aiutò ad uscire. La vecchia amazzone era immobile e la fissava. “Eh, non sono più quella di cento anni fa! Non sono riuscita a proteggerti per prima, ma Mousse ha provveduto, vedo...”

 

“Bisnonna…” Shampoo vide la rigidità del corpo minuscolo della donna, e cominciò a piangere “Che hai fatto?”

 

“Mi sono distratta, o forse era destino, ho la schiena spezzata in almeno due punti, ma non sto soffrendo molto bambina, tranquilla…”

 

“Oh bisnonna… ti farò curare dal miglior medico del Giappone, no anzi, ti farò operare in Cina! Così tornerai quella di una volta!”

“Non essere stupida Shampoo, non puoi fare niente per me… ma non importa, prima o poi sarebbe accaduto…”

 

“…oh nonnina…”

 

“…anche se avrei preferito più poi che prima, ah, ah, ah! Ouch… ora sì che fa male…”

 

“Nonnina ti prego…”

“Ora basta Shampoo… vediamo come liberare il povero Mousse”

 

La vecchia si concentrò, ed alzò un dito lentamente. La lunga unghia sfiorò appena il cumulo che sovrastava il ragazzo svenuto, e Shampoo poté assistere per una volta al colpo dello tsubo detonatore nella versione originale di Cologne.

 

Mousse fu libero, ed aprì piano gli occhi “O… Obaba… sei stata tu…?”

 

“Mousse!” Esclamò Shampoo con qualcosa di simile al sollievo.

 

“Mi raccomando, Mousse, abbi cura della mia Shampoo ora che il futuro marito se n’è andato…se tornerà sarà per un’altra persona, ne sono sicura”

 

“Bisnonna, ti prego non mi lasciare, come farò senza di te!”

“Shampoo… sii forte… stai accanto a Mousse, lui avrà cura di te, e ti amerà sempre. Ranma non lo farebbe mai, e mai lo ha fatto in vita sua. Volgi il tuo cuore verso chi lo merita davvero bambina, e dimentica quelle sciocche regole prive d’amore.”


“Cologne…” Mormorò il ragazzo, sorpreso, stordito, chiamandola per nome per la prima volta, sentendo per lei un rispetto infinito.

 

Shampoo piangeva tenendole la mano, soffrendo come se le si fosse spezzato il cuore in due. Cologne era stata la sua consigliera, la sua tutrice, tutto ciò che poteva somigliare ad una madre, ed odiava doverla perdere ora.

 

“Ti prego… non morire…” Disse con voce rotta e impastata, conoscendo già la risposta.

 

“Arrivederci, ragazzi, e buona fortuna…” La vecchia fece un sorriso, un sorriso fatto con la serenità di chi ha vissuto molto ed è pronto a scendere al capolinea della vita.

 

“Nonna… nonnina mia…” Pianse Shampoo cullandola fra le braccia, posandole baci lievi sulla fronte rugosa.

 

Ma il sorriso della vecchia non svanì; pensò a qualcos’altro da dire a sua nipote, ma era così stanca! Aveva vissuto trecento anni, dopotutto, e per un attimo cercò di pensare ad una battuta sul fatto di essere un’amazzone e di morire in un terremoto piuttosto che in battaglia… ma mentre stava ancora pensando, morì.

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Capitolo 6
*** Scoperte ***


Nota dell'autrice: La maggior parte dei commenti che ho ricevuto mi ha soddisfatta appieno, perchè si tratta di recensioni costruttive e fatte col cuore. Alcune persone poi avevano già letto la storia quindi non potevano far altro che ribadirmi il loro parere. Fin qui tutto ottimo. Poi c'è stato il crollo, sia nella qualità che nella quantità dei commenti. Badate bene che non parlo di commenti che debbano per forza lodare la storia, parlo di commenti VERI. Quelli di chi ha letto con la testa e col cuore e mi fa capire dove e perchè sono piaciuta o ho peccato. Oggi posto questo capitolo, ma se continuerò a ricevere pochi commenti e per lo più abbastanza sterili, (specifico, per chi non ha modo o pazienza di capire, che i capitoli sono 22 e li ho già tutti completi nel PC, anche se mi sembra ridicolo doverlo far presente perchè mi si legga) pur dispiacendomi per chi ama questa storia, sarò costretta a toglierla perchè lasciarla on line a quel punto diventa inutile. Spero non sarà necessario perchè dispiacerebbe a me per prima e decreterebbe, nonostante la vittoria del Concorso, un fallimento per quanto riguarda il giudizio di voi lettori, giudizio che a parer mio è il più importante di tutti.

 

Cap.6

Scoperte

 

 

Ranma scese dalla montagna imprecando contro i morsi della fame, contro la stanchezza, contro il suo corpo di donna, poi giunse in città.

 

Lì trovò del cibo e rimediò un bagno caldo gratuito che lo riportò alle sue condizioni normali. Al centro infatti, nonostante i parecchi crolli e il caos generale, trovò un vecchio bagno pubblico abbandonato e ancora funzionante; man mano che si allontanava dalla zona ed entrava in periferia però lo scenario degradava rapidamente.

 

Nerima era a pochi chilometri, e il panorama attuale non lo tranquillizzò affatto; troppe case crollate, troppa gente riunita in ospedali-tenda, troppa morte, troppa poca vita.

 

La paura gli s’insinuò nell’anima come un serpente velenoso e subdolo.

 

Ormai era quasi sera.

 

 

Soun Tendo aveva raggiunto in mattinata i resti della sua casa, assieme a Kasumi e al dottor Tofu.

Lo spettacolo che gli si parò davanti andava contro le sue più nere aspettative.

 

Kasumi notò l’espressione distrutta di suo padre, e gli posò una mano sulla spalla “Oh papà…” Mormorò.

 

“La mia… la mia casa… la nostra palestra… il nostro bel giardino… tutto distrutto!” La voce era stanca e piena di una cupa rassegnazione.

Il pover’uomo si avvicinò a quello che una volta era un delizioso laghetto per i pesci, e raccolse tra le mani il corpo freddo e viscido del suo unico abitante. Anche lui era morto.

 

Soun guardò il pesce con aria inebetita, poi lo gettò dove l’aveva trovato e trovò qualcosa che gli spezzò il cuore: la targa della famosa palestra dei Tendo era a pezzi, e lui raccolse quello che era rimasto inondandolo di lacrime.

 

Il dottor Tofu fece cenno a Kasumi di raggiungere suo padre, e si sorprese del suo autocontrollo nel guardarla e non dare di testa. Forse quella disgrazia lo aveva guarito dalla sua follia dovuta alla timidezza, ma avrebbe dato chissà che perché non fosse accaduto nulla; avrebbe preferito rischiare ancora di essere visto in giro a ballare con Betty e a gridare il nome di Kasumi piuttosto che trovarsi in quel disastro.

 

Kasumi si inginocchiò accanto al padre, e gli sussurrò che sarebbe tutto andato bene, che avrebbero ricostruito tutto…

 

Pian piano l’uomo si calmò, e i tre cominciarono lentamente a scavare.

 

 

“Allora siamo d’accordo – aveva detto Nabiki – io torno da papà e Kasumi, e voi accompagnate Akane.”

 

“Non ti preoccupare, ci prenderemo cura di lei, tu torna dalla tua famiglia e buona fortuna!” Rispose Ukyo.

 

“Già – disse Nabiki grattandosi la testa – la casa e la palestra sono distrutte, e papà sarà sotto shock, sarà dura… Akane, sai che tu e Ranma non potrete più ereditare nessun dojo?”

 

Lei si gelò: non ci aveva pensato…

 

“Bè, non importa, a me basta che quello stupido stia bene, poi può fare della sua vita ciò che vuole!” Ancora un volta la sua bugia era stata recitata alla perfezione, e Ryoga e Ucchan esultarono interiormente.

 

Nabiki li vide sghignazzare “Ehi, voi due…” Cominciò, ma Ryoga e Ukyo presero Akane in disparte dicendole che dovevano affrettarsi, perché il sole era già alto.

 

Nabiki si accigliò, e tirò via sua sorella. “Aspettate, ora ve la restituisco!”

“Nabiki! Perché mi tiri, che c’è?!”

 

Lei si avvicinò di più al viso della sua sorella minore, e bisbigliò con una serietà che Akane non dimenticò mai: “Non lasciare che siano gli altri a decidere della tua vita; infischiatene della palestra, e segui solo il tuo cuore. Non lasciarti rubare da chi non lo merita ciò che ti appartiene sorellina, ok?”

Akane sbattè gli occhi, stupita… dentro di sé aveva capito, eccome! Ma preferì tacere. Prima di allontanarsi, però, lanciò uno sguardo di complicità a sua sorella.

 

 

La donna si stava recando all’ospedale-tenda più vicino, sperando che suo marito fosse già lì, quando il bambino che aveva con sé cominciò a gridare: “Mamma, guarda! C’è un panda laggiù!”

 

“Ma che dici Taiko, i panda sono allo zoo!”

“Ma mamma!” Protestò vivacemente tirandola per il grembiule.

 

“Avanti, smettila e andiamo a cercare papà!”

 

Il panda in questione grugnì qualche parolaccia nella sua lingua, e continuò il cammino sperando che nessuno lo vedesse finché non avesse trovato un po’ d’acqua calda.

 

 

“Avanti Ryoga, cerca di ricordare, com’era il bosco dove hai incontrato il mio Ranchan?!” Urlò Ukyo disperata.

 

“Come vuoi che sia un bosco, c’erano alberi e siepi, i boschi sono tutti uguali!” Gridò lui di rimando.

 

Akane ebbe un’illuminazione improvvisa: “C’erano animali strani?” Chiese.

 

“Come strani? no, non mi pare, c’erano normali scoiattoli, normali uccelli, qualche normale talpa…”

 

“Va bene, va bene ho capito: non era Riugenzawa.” Dichiarò lei con un sospiro di delusione.

 

“Eh già, questo è qualcosa, no?” Rise lui meritandosi un’occhiataccia da Ucchan.

 

“Ma questo non aiuta!” Proseguì Akane.

 

Stettero tutti e tre soprappensiero per un attimo, cercando di capire in quale dannata direzione, in quale dannata zona boschiva andare a cercare Ranma, quando Akane tirò fuori una cartina.

 

Ukyo alzò un sopracciglio, scettica “E pensi che quella basti a far orientare Ryoga?!”

 

“Hai qualche altra idea?” Rispose lei irritata.

 

Poi chiamò Ryoga accanto a sé, stese la cartina per terra e gli disse: “Bene, Ryoga, qui ci sono un sacco di punti di riferimento; sei passato vicino a un bagno pubblico, o ad una centrale elettrica…?”

 

Ryoga si accigliò e prese a pensare.

 

“Dunque, vediamo… ho visto il sole tramontare dietro al monte Fuji quella sera…”

 

Ucchan sospirò. “Il monte Fuji lo vediamo quasi tutti.”

 

“Sì ma è pur sempre un suggerimento – intervenne Ryoga – se vedevo il monte Fuji dove tramontava il sole, vuol dire che il bosco dove ho visto Ranma si trova a Ovest dove il sole invece sorge…”

 

“…a Est, asino! Il monte era a Ovest e il bosco è…”

 

“…a Est!” Concluse Akane.

 

“Già – convenne Ryoga imbarazzato – dove sorge effettivamente il sole…”

 

E prontamente si diresse dalla parte opposta costringendo le ragazze a richiamarlo.

 

 

Ranma si mise quasi a gridare per lo spavento quando sentì qualcuno tirarlo per la camicia; abbassò gli occhi e vide che si trattava di un uomo sepolto sotto ad un camion enorme.

 

La gola gli si seccò. “E’ ancora vivo!” Pensò con stupore.

 

Senza perdere un attimo, cominciò a sollevare l’enorme mezzo facendo leva sui piedi e sulle braccia… solo allora si rese conto che non sarebbe mai riuscito a muoverlo di un millimetro.

 

Ma Ranma non si arrese, pur subodorando che l’uomo era spacciato.

 

Poi sentì la voce flebile dell’uomo che lo chiamava.

 

Gli si accostò, accosciandosi al sul fianco “Vedrà che i pompieri saranno qui molto presto. Ne ho visti in giro, e credo…”

 

“Lascia… perdere… ragazzo… e ascoltami…”

 

Ranma annuì lentamente, incapace di mentire oltre.

 

“Ascolta… io so che qui non passerà nessuno per ore… tutti… gli aerei, e le sirene, sono diretti alla periferia di Tokyo” Ranma si gelò: c’era Nerima alla periferia di Tokyo.

 

In quel momento avrebbe voluto cominciare a correre verso la città, invocando il nome di Akane fino a farsi scoppiare i polmoni. “Oh, Dio, fa che sia viva, fa che sia viva, fa…”

 

I suoi pensieri furono interrotti bruscamente quando vide l’uomo estrarre una pistola.

 

“Tranquillo… non è a te che voglio sparare – Ranma si dovette avvicinare, perché la sua voce era ridotta a un bisbiglio – Ascolta ragazzo: sto soffrendo come un cane e so che non mi rimane molto tempo…”

“Ma…”

 

“Silenzio ragazzo, ho poco fiato… io non sono mai stato molto coraggioso, ma non voglio aspettare di morire qui da solo – gli porse la pistola, e Ranma allontanò la mano come se gli stesse mettendo in mano uno scorpione velenoso – Prendila! Aiutami a finire di soffrire… ti prego, fa tanto male…”

 

Ranma rimase senza fiato.

 

“Io… non posso farlo… scordatelo amico.” Dichiarò cominciando a girarsi.

 

“Ascoltami… ti prego!” La forza residua della sua voce costrinse Ranma a voltarsi.

 

L’uomo aveva lo sguardo annebbiato dalla sofferenza e dal dolore. Non avrebbe mai dimenticato il viso di quell’uomo moribondo che gli parlò con il cuore in mano.

 

“Ti starai chiedendo come mai ho una pistola con me… non è vero ragazzo?”

 

“Non sono affari miei… comunque suppongo che trasportasse materiale importante, e magari si volesse difendere dai ladri; non ha la faccia da delinquente.” Ranma si sedette.

 

“Hai centrato l’obiettivo, sei intelligente… ho cominciato a fare questo lavoro quando un balordo mi ha rubato il carretto di okonomyaki con cui lavoravo da anni con passione. Divertente, no?”

 

Ranma rilasciò il respiro improvvisamente, non si era neanche accorto di averlo trattenuto. Si accorse che l’uomo stava sanguinando dalla bocca, e lo tamponò distrattamente con un fazzoletto.

 

Ebbe per un istante la spiacevole sensazione di conoscerlo.

 

“Davvero…? Chi è stato a derubarla?” Sapeva che il poveretto era allo stremo delle forze, ma improvvisamente fu MOLTO interessato alla sua storia.

 

“Eh! Quell’uomo mi aveva chiesto da mangiare, ed era diventato mio amico. Aveva un bambino con sé, lo stava addestrando nelle Arti Marziali nonostante la tenera età. Anche io avevo una figlia, ed avevano più o meno il medesimo tempo di vita. Decidemmo di far sposare i nostri figli in futuro; la mia dote era la bancarella di okonomyaki, e la sua….bè, l’abilità che avrebbe acquisito suo figlio, il mio amico credeva che l’avrebbe arricchito un giorno.”

 

Ranma sentì uno strano ronzio in testa; lui quella storia la conosceva già, e fin troppo bene, ma invitò l’uomo, che ormai era SICURO di conoscere, a proseguire.

 

“Quel bastardo però aveva già promesso suo figlio ad un altro centinaio di bambine con i padri pronti a dare chissà cosa per vedere le figlie sposate con un artista marziale; così mi portò via la bancarella lasciando mia figlia in lacrime. Ora lei ha aperto un negozio in una città qui vicino, non è ancora maggiorenne, ma se la cava una meraviglia; aveva deciso di vendicarsi di quel ragazzino e di suo padre, e si era travestita da uomo e allenata per sconfiggerli e costringere lui a sposarla. Ma io non ho più avuto sue notizie, e so che questo significa solo una cosa…”

 

“Che cosa?” Domandò Ranma con la gola improvvisamente arida come il deserto.

“E io che ho sempre pensato che suo padre fosse morto…” Pensò confusamente.

 

“Ti ho detto che quel bambino aveva decine di fidanzate sparse per il Giappone, no? Bene, credo che abbia fatto la sua scelta. Ho saputo dalle lettere della mia sfortunata bambina che lui è fidanzato ufficialmente con una delle figlie di un certo signor Tendo, che ha una palestra a Nerima. Bè. Io ero diretto là per vendicare la mia piccola Ucchan, è così che quel ragazzino, Ranma, la chiamava sempre scambiandola per un maschietto...

 

“Lei voleva… uccidere questo Ranma?” Ma conosceva già la risposta, e gli fu confermata dalla mano che teneva la pistola. Improvvisamente strinse più forte.

 

“Se avessi trovato quel bastardo e suo padre li avrei uccisi con le mie stesse mani. Mi sono fatto consegnare un carico per Nerima, e ho deciso di andare laggiù per uccidere quei maledetti Genma e Ranma Saotome… ma poi… il terremoto… ugh!”

 

“Non si sforzi… sta sanguinando.” Lo ammonì Ranma.

 

Che poteva dirgli? Che era lui il bastardo che aveva deluso sua figlia? Che suo padre aveva giocato sporco e lui non c’entrava niente? No. Non sarebbe servito a lenire il dolore in quegli occhi morenti.

Quello era solo un padre che amava sua figlia e voleva il suo bene.

 

“Fammi un favore, ragazzo. Mi sembri una persona apposto. Io non ho che dei generi alimentari nel camion; non posso che offrirti quelli per te e per la tua gente colpita dal terremoto. In cambio, se non vuoi uccidere me, ti prego, vendica mia figlia. Vai a Nerima al posto mio, trova Ranma Saotome… e uccidilo”

 

Lui si gelò… come poteva promettere una cosa simile?

 

“E’l’ultimo desiderio di un moribondo… ti prego” Gli allungò la pistola carica, e come un automa, Ranma l’afferrò.

 

“Io… - cominciò – posso prometterle che farò del mio meglio, glielo giuro” Improvvisamente sentì qualcosa di amaro in gola, ed inghiottì.

 

“Grazie… ora… posso morire tranquillo… dì a mia figlia che l’amo, si chiama Ukyo… Ukyo Kuonji, dille…”

Ranma annuì, sentiva gli occhi pungergli, ed evitò di parlare.

 

“Dille che il suo papà l’ha sempre amata, dille… che sia… felice… felice… sempre…” L’uomo sussultò, ed emise un fiotto di sangue dal naso e dalla bocca.

 

Tremò un momento, prese un respiro pesante dai polmoni perforati dalle costole rotte, emise un sibilo, facendo rabbrividire Ranma. Poi tentò di prendere un altro alito, ma la bocca rimase socchiusa, gli occhi aperti.

 

Ranma gli chiuse gli occhi con una mano tremante, pescò una coperta vecchia dal suo zaino e lo coprì. Si asciugò affettatamente le lacrime che gli scorrevano sul volto stanco e sporco e recitò una breve preghiera.

Prima di andarsene parlò all’uomo morto un’ultima volta.

 

“Le prometto che troverò sua figlia, sensei – mormorò – mi dispiace di aver fatto soffrire tanta gente a causa della mia timidezza e del mio caratteraccio indeciso; ma ora so che devo fare. Non sposerò sua figlia, ma la renderò felice e la proteggerò comunque, le do la mia parola d’onore di artista marziale. Che gli dei proteggano la sua anima.”

 

Ciò detto si morse il labbro per impedirsi di piangere ancora.

Aveva molte persone da trovare e da proteggere, prime fra tutte sua madre, la sua fidanzata, e la sua migliore amica.

 

Prese un po’ di provviste dal camion, e corse verso Nerima approfittando delle ultime luci del tramonto. Se avesse corso abbastanza, sarebbe arrivato prima di notte.

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Capitolo 7
*** Ostacoli ***


Ringrazio di cuore tutti coloro che mi incoraggiano a continuare a postare i capitoli di questa fic. E' giusto che anche se siete pochi, ma apprezzate o fate critiche costruttive, abbiate il diritto di leggerla. Ho apprezzato molto sia gli interventi delle affezionate (Mi ripeto: Breed, Giulia, Tiger, Akane-val) che gli ultimi di Akane 25, girovaghi e Silvia 91 (si, Ranma si mostra un pochino troppo, ma purtroppo mi era necessario dargli una svegliata a 'sto ragazzo, sennò non avrei mai potuto evolvere la situazione sentimentale di stallo fra lui ed Akane! Spero solo di essere abbastanza graduale. Nel caso non mancare di farmelo notare! Per quanto riguarda le fughe post matrimonio sì, è un classico in effetti, ma se la memoria non mi inganna all'epoca in cui la scrissi non ne vidi di simili; anche in questo caso potrei sbagliarmi, non voglio certo peccare di presunzione dicendo di essere stata la prima, se avete titoli antecedenti alla mia pubblicazione che ne parlano segnalatemeli pure.) Grazie a tutti, vi dedico questo capitolo e, incrociando le dita, anche i prossimi!

Cap.7

OSTACOLI

 

Era quasi mezzanotte.

 

Soun, Nabiki, Kasumi e il dottor Tofu si erano accampati nel giardino semi-distrutto dove una volta c’era il dojo.

 

Avevano recuperato delle pentole, qualche fornello elettrico e dei vestiti. Avevano mangiato in silenzio quello che Nabiki aveva rimediato nel negozio di Miyaki-sama, ed ora erano tutti stesi nei loro sacchi a pelo intorno al fuoco, con gli occhi spalancati e la mente in subbuglio.

 

Nabiki fissò per molti minuti il suo orologio al quarzo, contando mentalmente i secondi con gli occhi, e fu quando scattò l’una in punto che sentì un fruscio dietro di sé e vide il panda gigante dagli occhi pieni di disperazione.

 

 

Ryoga fissò l’enorme diga crollata che bloccava il passaggio e il fiume che scorreva sconnessamente attraverso le crepe del terreno.

 

Al centro di quello che era stato il letto del fiume si apriva una voragine di dimensioni spaventose.

 

Ukyo fu la prima a parlare. “Dunque, a quanto pare l’unico modo che ci porterebbe dall’altra parte sarebbe saltare sulle macerie senza cadere in quel buco enorme, giusto?”

Ryoga annuì. “Credo che scorra dell’acqua laggiù, nel baratro, se disgraziatamente dovessimo precipitare avremmo una possibilità di salvarci.”

 

“Non c’è altro modo dobbiamo per forza passare di qua, vero? Accidenti, io non so nuotare!” Mormorò Akane.

Ucchan prese una pietra e la lanciò nella voragine. Dopo mezzo minuto sentì un lontano SPLASH.

 

“Nessuno di noi deve nuotare: se cadiamo lì dentro l’impatto con l’acqua sarebbe sufficiente ad ucciderci… e questa maledetta diga si estende per chilometri. Non c’è nessun altro punto più sicuro di questo.”

 

Nella mente di Ukyo si formarono mille immagini inquietanti: Ranma sorpreso dal terremoto… Ranma che precipita… Ranma in un lago di sangue… Ranma che grida e nessuno lo ascolta.

 

I pensieri di Akane non erano più ottimisti, ciononostante Ucchan partì di corsa prima di lei.

 

 

Nabiki rimase silenziosa per tutto il tempo in cui Genma parlò; non aveva nulla da dire in realtà.

 

Come poteva esprimere a parole il suo ribrezzo per quel destino strano e violento che aveva colpito la sua famiglia, la sua città, i suoi amici.

Pensò a quanto Akane sperasse di ritrovare il suo Ranma, a quegli occhi pieni d’amore che aveva quando parlava di lui…

 

Povero Ranma, la sua punizione l’ha avuta, ma è stata troppo crudele. Ricordò quanto lui fosse felice il giorno che sua madre l’aveva finalmente stretto fra le braccia, aveva visto le lacrime scorrergli libere per la gioia, e capì quanto fosse grande il suo cuore.

 

Sperava che Akane l’avrebbe ritrovato presto, che gli sarebbe stata vicino il più possibile.

 

Pensò che avrebbe avuto bisogno di tutto il suo amore dopo che avesse saputo che sua madre, che aveva ritrovato da non più di un anno, era morta nel terremoto.

 

 

Ryoga spalancò gli occhi per il terrore quando vide Ukyo correre verso la diga e saltare sulle macerie malferme e sospese sulla voragine. Ma non ebbe tempo di gridarle di fermarsi, che anche Akane era corsa via, e lui non aveva potuto fare altro che seguirle.

 

“Dove andate, razza di imprudenti, volete precipitare?” Gridò.

 

“Non preoccuparti, piuttosto sta attento, tu sei più pesante di noi!” Urlò Ukyo di rimando.

 

Akane era quasi dall’altra parte quando udì distintamente il CRAC che seguì l’urlo del ragazzo. Si voltò di scatto e rimase paralizzata dal terrore.

 

“RYOGA!” Il grido di Ucchan le rimbombò nella testa.

 

La ragazza tornò sui suoi passi giusto in tempo per afferrare lo zaino sulle spalle di Ryoga.

Lui imprecò, e fissò il volto preoccupato di Ukyo. “Grazie Ucchan, ora siamo pari.”

 

“Non sprecare fiato, e vedi di salire su, pesi sai?”

L’eterno disperso mosse le gambe in modo da toccare la parete rocciosa, ma il terreno gli franò sotto i piedi.

Intanto Akane aveva afferrato a sua volta lo zaino di Ucchan per un laccio. “Mi dispiace di non potermi avvicinare di più, qui è crollato tutto!” Le gridò.

“Non c’è problema, al mio tre tiriamo tutte e due insieme e tiriamolo fuori.”

 

Ryoga udì lo schianto del laccio dello zaino che si staccava di netto e trattenne il fiato mentre cominciava a precipitare.

 

Ucchan urlò di nuovo, più forte, Akane la imitò, e si affacciò con lei sull’orlo del burrone.

 

Allora la diga cedette, e precipitarono anche loro.

 

 

Incredibilmente fu il crollo a salvarli tutti; le macerie erano cadute più velocemente di loro riempiendo parzialmente la voragine, facendoli atterrare meno violentemente prima di raggiungere l’acqua.

 

Ryoga cercò di abituare gli occhi all’oscurità, e sentì il respiro affannato per lo spavento fare eco in quella specie di tunnel sotterraneo.

 

“Ryoga… sei tu?” La voce flebile di Ukyo era vicina.

 

“Ukyo, sei qui? Tutto bene?”

“Sì… anche se me la sono fatta sotto dalla paura!”

 

“Non sei la sola!” Commentò lui guardandosi attorno.


“Ehi Ryoga, stiamo galleggiando! Le macerie ci hanno fatto da zattera!”

 

“Ukyo! Ryoga! Rispondete!” Era Akane, ma la sua voce era più lontana.

 

 Ukyo tirò fuori una torcia. “Stai bene?!” Le gridò.

 

“Dove siete?!” Urlò lei di rimando.

 

Ucchan puntò la torcia davanti a loro, e scorse un muro di detriti che si estendeva in altezza per almeno dieci metri “Ryoga…?” Chiese titubante.

 

“Le macerie ci hanno divisi da Akane… ehi Akane, dove sei?!”

 

“Sono quassù, Ryoga! Mi sentite?”

 

“Sì! – poi aggiunse a bassa voce – è più in alto di noi, forse…”

“Ehi Akane! – le gridò Ukyo – credi di riuscire a risalire?!”

 

Akane si guardò attorno, e poi in alto. “Vedo la luce! Posso provare ad arrampicarmi, uscire e chiedere aiuto!”

 

“Brava Akane! E il braccio?”

“Tranquilla Ucchan, sono atterrata sui piedi, va tutto bene! Sarò un po’ lenta però!” In effetti si chiese come diavolo sarebbe risalita con un braccio solo.

 

“Non ci sarà bisogno di arrampicarsi, Akane! – intervenne Ryoga – ci penso io! Tecnica dell’ es...”

 

“FERMO!” Ukyo afferrò il suo dito appena in tempo.

 

“Ehi, che ti prende?!”

 

“Vuoi far crollare tutto e ammazzarci tutti quanti?!”

 

“Hai ragione – si voltò verso destra, e scorse una sorta di grotta sotterranea – guarda! Possiamo vedere se…”

Lei annuì. “Bene! Ehi Akane?!”

“Si?!”

 

“C’è una specie di tunnel qua sotto! Proviamo a passare di lì! Tu vai a cercare Ranchan!”

 

“Ma non posso lasciarvi laggiù tutti da soli!” Protestò lei.

 

“Tranquilla, noi ce la caveremo! Cerca Ranchan, ti prego! Voglio sapere... che sta bene! C’è Ryoga con me!” Ucchan si volse a guardarlo. Lui sospiro, poi annuì.

 

“E va bene. Akane vai prima che crolli ancora! Vai a cercare… Ranma.” Concluse a bassa voce. Faceva male spingerla ad andare da lui, ma almeno si sarebbe salvata.

 

“Siete sicuri?!” Cercò di non far trasparire la gioia nella voce. Fra poco l’avrebbe rivisto!

 

“Vai Akane!” Le gridarono quasi in coro.

 

Akane guardò in giù per un attimo, indecisa, poi si voltò e cominciò a salire.

 

 

Ukyo andò avanti per prima, illuminando la strada con la torcia e assicurandosi che Ryoga la seguisse. Poi si fermò, e lui le cozzò contro.

 

“Mi dici perché ti sei fermata così all’improvviso?!” Urlò.

 

Lei le fece segno di tacere. “Parla piano, stupido! C’è un’eco assurda, e il rumore potrebbe far crollare tutto, non ci hai pensato?!”

 

“Già, ma... dove pensi che sbucheremo?!”

 

“Non lo so, ma sento il fiume che scorre qui sotto, probabilmente questa grotta c’era già prima… tu che dici Ryoga? – ma lui era sparito – Ryoga?” Chiamò con voce tremante.

 

Intorno a lei regnava il silenzio e l’oscurità, ed ebbe paura. Ma non era più per l’eco o per i crolli, improvvisamente non le piacque stare sola in quella grotta che poteva anche non avere un’uscita. E se ci fosse stato un altro terremoto? Sarebbe rimasta sepolta là sotto, e avrebbero trovato solo un mucchietto di ossa ed una spatola.

Rabbrividì.

Si pentì quasi di aver lasciato andare Akane…

 

“RYOGAAAAAAAAAA!”

 

 

Il povero Ryoga aveva preso la strada sbagliata per l’ennesima volta, ma sentì l’urlo di Ucchan.

 

“Ukyo? – disse fra sé – UCCHAAAAAN! DOVE SEEEI?!”

 

“DOVE SEI TU, IDIOTA!”

 

Poi lo vide da lontano e gli puntò la torcia in pieno volto. Lui si schermò con le mani.

 

“Accidenti a te, ma lo sai che paura che ho avuto?! Qui, da sola, al buio?!”

 

“Ehi, calmati Ucchan, tu hai anche la torcia, no?”

“E tu sei uno stupido!”Gli gridò sul punto di mettersi a piangere.

 

“Ma… ma… ma io… mi dispiace!”

 

Non fece in tempo a scusarsi che la terra tremò di nuovo.

 

Lei lo afferrò per un braccio. “I-il terremoto…?!” Sibilò.

 

“No, le nostre urla! Qui crolla tutto… CORRI UKYO!”

 

La grotta cominciò a collassare su se stessa: il soffitto si staccò in grossi pezzi di roccia e di stalattiti, rischiando di ucciderli.

 

I due corsero a perdifiato mentre dietro di loro il cunicolo sembrava implodere in un caos di rocce e polvere e inseguirli come un terribile mostro.

Corsero come non avevano mai corso in vita loro, pregando che ci fosse un’uscita, anelando la luce.

 

“Oh, Dio, fa che non sia un cunicolo cieco, fa che non moriremo seppelliti qui dentro, oh Dio...”

 

E mentre pregavano, correvano ancora.

 

 

Akane si stava arrampicando lungo la parete rocciosa con i denti stretti in un ghigno di fatica inesprimibile.

 

Si stringeva il braccio sinistro al petto e affondava le unghie dell’altra mano nella roccia friabile cercando un appiglio sicuro, poi spostava i piedi nelle rientranze più resistenti, piegando le ginocchia il più possibile, un colpo di reni, una spinta di gambe, e affondava di nuovo la mano destra; ormai le sanguinava copiosamente, ma non ci fece caso.

 

Continuò a stringere i denti e a salire, sperando di non precipitare.

 

La luce era flebile, la notte era vicina, e quando finalmente uscì da quell’inferno era sfinita, e la luna era appena sorta.

 

 

Ranma tagliò per i boschi: sarebbe stato troppo passare per la strada e vedere altre macchine ribaltate, altra gente disperata in attesa di aiuto.

Inoltre sarebbe stato di certo rallentato, invece così poteva correre più liberamente.

 

Non avrebbe aspettato l’alba, sarebbe arrivato da Akane prima che sorgesse il sole; gli alberi caduti e le aperture nel terreno erano diventati un ostacolo costante che ormai era abituato a superare agilmente. Bene, aveva imparato qualcosa di simile ad una nuova tecnica: schivate veloci degli ostacoli! Gli sarebbe stata utile contro Ryoga, Mousse, Obaba, Happosai e tutti quelli che lo sfidavano almeno una volta al giorno. Sarebbe tornato alla vita di tutti i giorni, tutto sarebbe tornato come prima, nessuno di quelli che conosceva poteva morire per uno stupido terremoto… vero?

 

La sua mente terrorizzata cercò di allontanare ogni dubbio. Non poteva perdere Akane, ma non poteva perdere neanche coloro che avevano dato una piega nuova alla sua vita!

Avrebbe dovuto sfidarli quando sarebbe tornato da lei, certamente…

 

Il mondo si fermò.

 

Vide una piccola figura stesa tra le foglie, con una mano protesa verso di lui, il sangue che gocciolava fra le dita. Aveva un’espressione di sfinito dolore negli occhi, ma vide l’ombra di un sorriso sulle sue labbra appena lo vide.

 

“Ran… Ranma…” Respirò fuori flebilmente tendendo di più la mano.

 

Lui mise a fuoco la figura e si avvicinò.

 

“A… Akane…?!” Mormorò.

 

Ma lei non poteva sentirlo perché era svenuta.

 

 

La cascata li investì in un getto gelido di incredibile forza.


Tentarono di urlare, ma l’acqua li soffocò; furono sbalzati in direzioni diverse, trascinati con violenza.

Ryoga tentò di tenersi a galla, sapendo che le sue corte zampe da maialino non lo avrebbero di certo salvato.

 

Grugnì disperatamente, e registrò l’urlo disperato di Ucchan tra il frastuono dell’acqua prima di affondare e di cominciare a bere acqua di fiume.

 

Poi tutto divenne nero, e l’oblio fu quasi un sollievo.

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Capitolo 8
*** INSIEME ***


Cap. 8

INSIEME

 

Quanto t’ho amato

E quanto t’amo non lo sai

E non lo sai perché non te l’ho detto mai.

Anche se resto in silenzio

Tu lo capisci da te…

Quanto t’ho amato

E quanto t’amo non lo sai

Non te l’ho detto e non te lo dirò mai

Nell’amor le parole non contano

Conta la musica.

 

Ranma e Akane erano di nuovo insieme. Il mondo, il loro mondo, era crollato e si era distrutto, ma loro erano di nuovo insieme.

 

I sei mesi passati avevano contribuito ad accendere l’ardore nei loro cuori, la luce nelle loro anime, la rivelazione nelle loro menti.

Anche se la terra si fosse spaccata in due, non contava più.

 

Perché loro erano insieme.

 

 

Quando vide il volto di Ranma chino su di lei, Akane credette che si trattasse solo del frutto della sua fantasia. Forse sto sognando – pensò – si, è così, sono svenuta per la fatica e sto sognando.

 

Ma poi sentì la sua voce calda e la sua mano protettiva sulla fronte, e capì che era tutto vero.

 

“Ranma… sei proprio tu?” Chiese con un filo di voce.

 

“Sì sono io. Va tutto bene ora; hai la febbre alta, riposa.”

 

Ma lei non voleva addormentarsi.

 

Voleva continuare a guardarlo, a parlargli, ad affondare nei suoi grandi occhi blu. La guardava così teneramente, il cuore galoppava libero come un puledro sui prati, e le lacrime le scesero silenti e gioiose per le guance.

 

“Non lasciarmi…” Pianse.

 

Ranma sussultò: aveva sentito bene?

 

“No Akane, io non ti lascerò, ma tu dormi ora, va bene?” Le prese la mano e gliela tenne finché non si addormentò.

 

Allora rimase accanto a lei pensoso.

 

“Akane, razza di stupida, che ci fai qui?” Mormorò trai denti.

 

 Perché lei era lì? Era ferita ma viva, e di questo ne era felice.

 

Ma che sarebbe accaduto quando avessero parlato di nuovo? Non poteva sopportare di farla soffrire ancora, e accanto a lui Akane aveva sempre e solo sofferto.

 

Era tutto così disordinato… entrambi erano contesi da più persone che gettavano sempre nel caos le loro vite cercando di uccidere il rispettivo rivale, tutto era un inferno.

 

Akane rischiava di essere battuta o peggio avvelenata da Shampoo o da quella pazza di Kodachi. Lui non voleva perdere del tutto le loro amicizie, ma così metteva in pericolo la sua fidanzata.

 

Se solo avesse avuto il coraggio di parlare chiaro e allontanare tutti una volta e per sempre…!

 

Fino a quel momento però, appena cercava di giustificarsi veniva preso in contropiede e accusato da chiunque di mentire e di inventarsi le cose.

Scommise addirittura che il povero papà di Ucchan, dai cieli, gli stesse preparando chissà quale maledizione per le bugie che aveva detto. Poveretto… come lo avrebbe detto a lei?

 

E se avesse cercato di consolarla e Ukyo si fosse messa in testa che l’amava?

Cosa avrebbe raccontato ad Akane?

 

Doveva rivelare o no ad Akane quanto le era mancata?

 

Si scompose i capelli, in un gesto esasperato.

 

Il matrimonio fallito, il terremoto, il padre di Ucchan… e ora Akane lì… troppo stress, troppe decisioni, troppi sentimenti contrastanti in gioco.

 

No, doveva pensarci bene, prendere le sue decisioni con calma.

Poteva illuderla di una felicità che forse, con la sua vita disordinata, non era in grado di darle?

 

 

Ukyo aprì gli occhi e un fiotto d’acqua le salì in gola e nel naso. Si voltò per non rimanerne soffocata e rimase lì, tremante, ascoltando il rumore lontano della cascata.

 

L’acqua le era penetrata fin nelle ossa e quando si voltò si accorse di essere ancora a mollo su un argine del fiume, nell’acqua bassa.

 

“Sono ancora viva?” Si chiese.

 

Si tirò faticosamente in piedi e si guardò attorno.

 

“RYOGA!” Chiamò. Ma lui non le rispose, la preoccupazione le strinse improvvisamente il cuore

 

“Oh, Dio, spero che quello stupido non sia annegato…! Fa che non sia…”

 

Poi vide il suo zaino navigare sul fiume. Lo raccolse e lo portò con sé a riva.

 

Guardò ancora, con un brutto presentimento che le si faceva strada nel cuore.

 

Nulla. Solo acqua e… un cosino nero che galleggiava a un metro circa da lei.

Ucchan aggrottò le ciglia, senza capire, poi ebbe un lampo. Quello è il porcellino di Akane! Ma che ci fa qui? Pensò.

 

Portò a riva anche lui e lo liberò dell’acqua che aveva inghiottito premendo leggermente sulla piccola pancia tonda. Il maialino tossì e grugnì, poi la guardò ed emise un verso di sorpresa quando sentì una goccia calda cadergli sulla testa e vide che la ragazza stava piangendo.

 

“Quello stupido – disse con voce strozzata – non è stato capace di salvarsi… e adesso che faccio qui tutta sola? Eh P-chan?”

 

Lui la guardò e si sentì ad un tratto strano: Ukyo era davvero in pena per lui!

La sua voce lo fece sussultare.

 

“Siamo rimasti solo noi due P-chan. Anche Ryoga mi ha lasciata sola… quello stupido! Perché doveva morire così, perché anche lui mi ha abbandonata?!” Scoppiò in un pianto dirotto che a Ryoga spezzò il cuore; sentendola singhiozzare così disperatamente abbassò le orecchie con occhi tristi, e le si avvicinò un poco…

 

Avrebbe voluto avere dell’acqua calda per farle sapere che lui era lì e poteva ancora farle compagnia in quel viaggio, provava davvero una gran pena.

Anche Ucchan era sola come lui.

Akane era corsa da Ranma, e lei era l’unica ad avere bisogno di lui.

 

Si disse che doveva fare qualcosa per farle capire chi era, così cercò di attirare in tutti i modi la sua attenzione, grugnendo e saltellando.

 

Lei alzò gli occhi, e attraverso le lacrime lo guardò con una certa curiosità.

Vide che il porcellino nero era agitato, così cercò di capire cosa volesse dirle. Poi notò qualcosa che stringeva trai dentini affilati, qualcosa che aveva sempre avuto attorno al collo ma che non aveva mai veramente guardato con attenzione.

 

Allungò una mano e riconobbe la bandana gialla di Ryoga. “Ma questa… vuoi dire che…?!”

Il porcellino annuì vigorosamente. “...che hai visto Ryoga?” Lui gemette di delusione, ed ebbe un’altra idea. Cominciò a cercare dei rametti secchi e li dispose laboriosamente in un mucchietto accanto a loro.

 

Ukyo guardò il maialino lavorare faticosamente e capì. “Vuoi che accenda un fuoco?” Altro cenno d’assenso.

 

Allora si mise all’opera ed accese il fuoco. “Hai ragione, fa freddo e siamo zuppi tutti e due.” Poi ammutolì, e ruppe il silenzio solo per mormorare: “Ryoga… Ranchan…”

Lui spalancò gli occhi: era stato nominato prima di Ranma!

 

Si diresse verso lo zaino e tirò fuori un bollitore che riempì faticosamente con acqua di fiume.

 

“Ehi P-chan! Sai fare anche il tè?! Non ti facevo così intelligente!”

 

Lui non l’ascoltò (anche se l’affermazione gli aveva solleticato una punta d’ilarità), e mise l’acqua sul fuoco. Lei lo guardava con la bocca semiaperta e gli occhi spalancati per lo stupore.

 

Avrai ben altro di cui stupirti fra un po’. Pensò Ryoga.

 

Poi si gettò addosso l’acqua bollente e lei soffocò un grido.

 

“Tu… t-tu… Ryo… Ryoga!” Gridò, e senza pensarci su due volte gli si gettò addosso abbracciandolo convulsamente. “Ryoga, anche tu… come Ranma! Perché, perché non mi hai detto nulla, stupido maialino!? Perché… PERCHE’?!” Cominciò a tempestarlo di pugni sul torace, continuando a chiedergli il perché del suo silenzio.

 

Ryoga non era solo sbalordito: era paralizzato.

Non credeva che un giorno qualcuno sarebbe stato così felice di rivederlo vivo, men che meno si era mai aspettato un abbraccio simile da una ragazza!

Goffamente le portò le mani sulla schiena cercando di calmare i suoi singhiozzi… solo allora si accorse di essere completamente nudo.

 

Il rossore gli coprì la faccia e il sangue gli affluì fino alla punta dei capelli. “U… Ucchan…?”

Lei alzò lo sguardo e arrossì violentemente a sua volta. Con un grido si staccò da lui mentre gli sbatteva lo zaino in faccia con una violenza tale da farlo finire a gambe levate.

 

“STUPIDO MAIALE! COPRITI!”

Ryoga si asciugò una singola goccia di sangue dal naso. “Ehi, maiale a chi?! Sei stata tu a…” Ma si fermò, perché lei stava singhiozzando di nuovo.

 

Si rivestì e si avvicinò cautamente. “Non volevo spaventarti Ucchan… scusami.”

 

Lei voltò lo sguardo su Ryoga, e il ragazzo si ritrovò a pensare al colore dei suoi occhi. Non sono  castani, ora sono azzurri. Ma prima che potesse formulare tutto il pensiero lei gli si gettò di nuovo fra le braccia, e lui le circondò piano la schiena.

 

“Sssst… calmati… calma.” Sussurrava mentre sorgeva l’alba, e lei si addormentò.

 

 

Akane si tirò a sedere: per un attimo non ricordò più dove si trovava, poi scorse Ranma di spalle, accanto a un fuoco ed ebbe l’istinto di abbracciarlo forte. Ma si trattenne.

 

“Ben svegliata Akane! Come ti senti?”

 

“Meglio… grazie. Che stai facendo?” Ma Ranma gli aveva già allungato una ciotola fumante e profumata.

 

“E’ zuppa di miso calda, mangiala prima che si raffreddi.”

 

Le lo guardò per un istante, fremendo alla vista del suo viso gentile e sorridente, poi il suo stomaco brontolò e trangugiò la zuppa; era così gustosa e calda…!

 

“Grazie Ranma… mi ci voleva proprio.”

 

Lui si sedette a gambe incrociate di fronte a lei e le chiese: “Mi spieghi come e perché sei arrivata fin qui?”

 

Il primo impulso fu di gridargli: “Perché ho bisogno di te, ero preoccupata che tu fossi in pericolo e la mia vita non ha senso se tu non mi sei accanto! Ti prego, torna a casa!”

Ma non era sicura che Ranma volesse sentire quello. In fondo se n’era andato, e forse non aveva alcuna intenzione di avere a che fare ancora con lei.

 

“Io… credevo… ecco… che magari potessi essere in difficoltà.” Mormorò infine.

 

Lui spalancò gli occhi per la sorpresa. “Tu eri preoccupata per me?!”

A lei sembrò di sentire quasi una nota di gioia nella sua voce, ma non ne era sicura. Così disse la prima stupidaggine che le passò per la testa: “Io… ero molto spaventata, e pensavo che giù in città potessi essere utile, ecco tutto.”

 

Lui alzò un sopracciglio. “E che potrei fare?! Ci sono già la Protezione Civile e i pompieri, no?”

 

Lei abbassò gli occhi. “Io… forse…”

 

Ranma si alzò e le voltò le spalle.

 

No – pensò Akane – Non di nuovo, non lasciarmi di nuovo, io… io ti amo.

Invece non disse niente e fu lui a parlare, lasciandola senza fiato.

 

“Io mi stavo allenando, e qui è troppo pericoloso per te. E’ meglio che torni in città e ti faccia curare quel braccio rotto come si deve.” La sua voce era dura, e lui stesso si odiò. Ma poteva proteggerla e starle ancora accanto rischiando di non riuscire più a lasciarla andare?

 

Poi sentì un fruscio e si voltò. Lei si alzò col viso basso, e Ranma si accorse che stava piangendo.

 

“E io – disse con voce rotta dai singhiozzi – che mi ero preoccupata per te! Ho fatto tanta strada solo per raggiungerti! Credevo… di mancarti anche io, e invece… sono stata una stupida! Stupida!” Si voltò e cominciò a correre.

 

Ma il cuore di Ranma fece un salto e stavolta la rincorse. “Aspetta Akane!” Cosa aveva detto? Aveva sentito bene? Aveva detto: credevo di mancarti anche io, o aveva sognato?


Lei continuava a correre, anche se i suoi piedi avrebbero voluto andare nella direzione opposta.

Come vorrei – pensò amaramente – oh come vorrei abbracciarlo forte come nel mio sogno, come vorrei potergli dire…!

Una mano l’afferrò sulla spalla, ma lei non si girò.

 

“Akane…” Poteva sentire il suo alito caldo solleticargli dolcemente la nuca e il lobo dell’orecchio, e la schiena le fu attraversata da brividi incontrollati.

 

“Io… non volevo ferirti Akane – sospirò pesantemente, come prendendo una decisione – è vero, anche tu… mi mancavi, ed io ero terribilmente preoccupato per te. Ecco, te l’ho detto.”

 

Lei sussultò e si voltò di scatto, per poco il suo naso non sfiorava il suo. “Ranma…” Bisbigliò dolcemente.

 

Lui la guardò, concentrato, e Akane non osò muoversi; le mani di lui le risalirono dolcemente sulla schiena, trasmettendole altri brividi come scosse elettriche. Poteva sentire il suo respiro sulle labbra, e già pregustava il sapore del contatto; socchiuse gli occhi e rimase delusa a morte quando lui si voltò e si allontanò da lei. PERCHE’, PERCHE’?! Urlava la sua mente.

 

Come riflesso ai suoi pensieri lo udì dirle: “Io… non voglio più farti soffrire Akane. Per questo ho deciso di uscire dalla tua vita; non potevo sposarti rischiando di renderti infelice per sempre.”

 

“Ranma…” Cominciò lei senza sapere esattamente cosa dire.

 

“Rischieresti ogni giorno di essere aggredita da Ucchan, o da Shampoo, o da Kodachi… la nostra vita sarebbe stata un inferno se noi ci fossimo…”

 

“…sposati?” Concluse per lui. “E’ per questo che mi hai lasciata? Per proteggermi?” C’era una punta di rabbia nella sua voce, e Ranma si voltò furioso.

 

“Ma che vuoi, mi hai detto tu stessa che hai sbagliato a volermi sposare, non sei contenta che io sia uscito dalla tua vita per sempre?!” Le urlò in faccia.

 

“Io ti volevo sposare perché credevo che mi amassi, invece volevi solo quella dannata acqua, come pensi che mi sia sentita io, eh?!”

“E come pensi che mi sia sentito io a sentirmi dire che mi volevi sposare solo per farmi un favore, te lo sei mai chiesta Akane?”

“Io credevo…”

“Sì, lo so cosa credevi, ma bisogna essere in due ad amarsi quando ci si sposa di solito!”

 

Lei aprì la bocca per parlare, ma non seppe assolutamente come replicare a quell’affermazione.

 

“Hai ragione. Bisogna essere in due.” Affermò con calma. “Ma evidentemente non siamo stati mai in due.”

 

Lui si voltò. “Davvero? Vedi che ho ragione? Avresti sacrificato la tua vita.”

 

Lei fece un passo, avvicinandosi; ansimava e stringeva i pugni con forza. La sua mente stava annegando tra mille pensieri, poi strinse gli occhi, forte, come se volesse dare una spinta potente alla sua mente e buttare fuori tutto quello che in due anni non era riuscita ad esprimere.

 

“Io non avrei sacrificato un bel niente Ranma…” Mormorò infine.

 

Lui spalancò gli occhi e il cuore gli saltò in gola. Si voltò di scatto, il vento che scompigliava loro i capelli mentre si fissavano.

 

“V… vuoi dire…che…?!”

 

“Io ti amo Ranma, ti ho sempre amato!” Disse la frase velocemente, con impeto, poi si girò e fuggì ancora, a testa bassa per nascondere la vergogna.

 

Ecco, l’ho fatto – pensò - almeno sono riuscita a dirglielo. Ora starà ridendo di me, non mi vorrà più vedere, ma almeno ora starò col cuore in pace, so che lui non mi ricambia… che l’ho perso per sempre…

 

Lanciò quasi un urlo quando sentì la mano di Ranma sulla sua spalla e si girò sorpresa, le guance bagnate, gli occhi spalancati.

 

“Akane…” Bisbigliò lui con affanno.

 

Sperava che il cuore gli avrebbe retto.

 

Lei alzò gli occhi. “Non voglio la tua pietà Ranma…” Fece per fuggire nuovamente, ma lui le mise un dito sulla bocca.

 

“Silenzio Akane. Ora... ridimmelo, vuoi?”

 

Lei spalancò gli occhi, sorpresa. “Cosa?”

 

“Che mi ami.” Disse lui calmo.

 

“E a che pro, così puoi ridere di me?” Gli gridò infuriata. “Per sentirmi dire che preferisci Shampoo, o Ucchan, e che io sono un maschiaccio, e…”

Lui aggrottò le ciglia e le strinse un poco le spalle con le mani. “Stupida! Se tu me lo dici di nuovo… allora forse troverò il coraggio di dirtelo anch’io.”


“Io non voglio che tu…!” Smise di urlare e si placò. Aveva sentito bene? Spalancò la bocca e lo guardò negli occhi. “Ranma… tu… vuoi…?!”

 

“Avanti…” La esortò con dolcezza.

 

Lei non seppe esattamente cosa le passò per la mente in quel momento magico, ma alzò il volto e lo guardò con serietà. “Io ti amo Ranma Saotome.” Disse, poi arrossì e abbassò lo sguardo. “Ora sei contento?” Chiese imbronciata.

 

Lui sorrise e le alzò il mento con un dito. “Moltissimo.” Foggiò a coppa il suo viso tra le mani. “E io amo te Akane Tendo.”

 

E unì le labbra alle sue.

 

 

Ryoga guardò in giù verso Ukyo.

 

“Va un po’ meglio?” Chiese.

 

“Sì… scusami per prima, ero spaventata.”

“Nessuno si era mai preoccupato tanto per la mia vita… grazie.” Si sentiva di nuovo strano e imbarazzato.

 

“Vuoi dire che… nessuno ti ha mai voluto bene?”

Lui spalancò gli occhi. “Vuoi dire che tu mi vuoi… bene?”

 

“Bè, siamo amici o cosa?” Poi abbassò lo sguardo. “Perché non me l’hai mai detto prima?”

 

“Cosa?”

“Che tu sei P-chan!” Rispose lei spazientita.

 

“Non credevo che ti potesse interessare.”

“Diciamo che forse ti avrei capito meglio… non dev’essere piacevole per te.”

Lui fece una risata amara. “Ci puoi scommettere!”

Lei sedette in modo più comodo, incrociando le gambe. “Com’è successo?”

 

I suoi occhi si fecero remoti. “Accadde circa due anni fa. Ed è tutta colpa di Ranma!”

 

L’improvvisa rabbia nella sua voce la fece sussultare. “Ranchan? Che ti ha fatto? Credevo fossero le sorgenti maledette!”

 

“In parte sì. Io l’avevo seguito in Cina per chiudere i conti una volta per tutte, e diciamo pure che l’ho trovato subito…”

 

Lei lo guardò con aria interrogativa e Ryoga proseguì: “Era appena caduto nelle sorgenti di Jusenkijo e stava inseguendo suo padre. Entrambi si erano già trasformati, quindi io non li riconobbi. So solo che questa ragazza dai capelli rossi mi è saltata sulla testa facendomi precipitare nella fonte del porcellino annegato, e da allora… la mia vita è stata un inferno! Ho persino rischiato di essere cucinato vivo!”

 

Ucchan ridacchiò a quest’ultima affermazione e si guadagnò un’occhiataccia da parte di Ryoga. “Scusami, so che non è divertente ma, voglio dire… Ranma non l’ha fatto di certo apposta, no?”

 

Lui la guardò in cagnesco. “E pensi che questo mi basti?!” Urlò.

 

“Ora capisco perché ce l’avevi tanto con lui… ma ti sei fatto adottare da Akane, non ne sei felice?”

Lui alzò uno sguardo e scoccò la freccia. “A te piace essere amica di Ranma?”

 

Lei alzò le spalle. “Touchè. Uno pari palla al centro. Hai ragione, non dev’essere bello essere trattato come una specie di animale domestico.”

 

“Già, senza contare tutte le volte che ha pianto segretamente per colpa di quell’imbecille!”

 

Lei girò un pochino la testa di lato. “Le stavi spesso accanto, vero? – poi ebbe come una rivelazione improvvisa – Ecco perché Ranma era così…!”

“…geloso? Era furioso, te lo dico io, ma era troppo vigliacco per ammetterlo.”

 

I due stettero in silenzio. Aleggiava una complicità nuova fra di loro, si sentivano come due naufraghi nella stessa barca, e questo li avvicinava.

 

“Siamo entrambi innamorati di due persone che si amano segretamente tra loro.” Recitò. “Sembra un gioco di parole ma è la verità.”

 

“Già.”

 

Ancora silenzio.

 

“Ryoga?”

 

“Mh?”

 

“Ti senti solo qualche volta?”

Lui alzò il labbro in un improbabile sorriso. “Qualche volta? Io direi quasi sempre. E tu?”

“Anch’io. Sai, una cosa è essere amici, Ranma mi parla, viene a mangiare al mio locale – sospirò – al mio ex locale, poi però, nel momento di scegliere, corre sempre da lei.”

 

Lui alzò lo sguardo. “E lo dici a me? Si è bello essere coccolati, ma io rimango sempre P-chan per Akane.”

Ukyo si protese verso di lui, e quasi bisbigliò: “Ma hai mai pensato a dirle che la ami? Quando combinai quell’appuntamento mi sembrava che andaste d’accordo!”

 

“Come potrei dirle una cosa simile? Dirle che sono P-chan, che le ho dormito accanto, che mi sono lasciato vezzeggiare da lei perché l’amo? Mi odierebbe!”

 

“Razza di vigliacco, magari capirebbe invece, e chissà…!”

“Ormai sono troppo coinvolto, se glielo dicessi ora non credo che la prenderebbe bene.”

“Allora dille solo che l’ami!” Insisté lei.

 

Ryoga la guardò complice. “E tu pensi che lei vorrebbe diventare qualcosa di più che una mia amica? Con Ranma?”

Lei abbassò gli occhi. “Anche lui non mi vuole che come un’amica… o un amico.”

 

“E’ inutile ingannarsi…” Poi tacque, non osando girare i coltelli nelle loro piaghe.

 

Poi Ukyo chiese: “Che dici, a quest’ora si saranno già incontrati?”

 

“Temo di sì”

Lei si alzò. “Bene! Andiamo loro incontro, vuoi?”

 

Ryoga rimase seduto e alzò lo sguardo. “Dici che…?”

La ragazza gli rivolse un’occhiata fiera. “Io non mi arrendo.” Dichiarò.

 

 

Quando Akane sentì le labbra di Ranma sulle sue, sentì un calore ardente investirla come un vento del deserto. Chiuse gli occhi, e portò le mani alle scapole di lui.

 

Quanto l’aveva sognato! Lui era così caldo e confortevole, e il suo bacio era dolce ed esigente, come mai aveva immaginato prima.

 

Ranma la strinse un po’ più forte prima di staccarsi e lei rimase per un attimo lì sospesa, con gli occhi ancora chiusi.

 

Rimasero a guardarsi in silenzio per un minuto intero, e quando Ranma si accorse che non rischiava di essere picchiato si azzardò a chiedere: “Tu… lo volevi Akane?”

“E tu?” Lo stuzzicò lei.

 

“Non l’avrei fatto se non avessi voluto, no?”

 

Lei si accigliò per un momento. “Se lo volevi tanto perché non sei tornato a chiedermelo! E, se è vero che mi ami, come hai potuto pensare che fuggendo avresti risolto tutto!?”

 

Ranma chiuse gli occhi e mormorò: “Credevo che mi avresti rifiutato, schiaffeggiato, insultato… temevo di perderti.”

 

Akane alzò lo sguardo sorpresa. “Tu avevi paura che io ti rifiutassi? E’ per questo che non sei tornato?”

 

Lui si grattò la testa. “Uh? Credo di sì!”

“Bè ti sbagli: avevo già fatto i bagagli prima che incominciasse il terremoto, volevo… io volevo rivederti.” Concluse tutto d’un fiato.

 

Il ragazzo col codino sorrise. “Sai, anch’io avevo cominciato ad incamminarmi quando mi è crollato il bosco addosso.”

 

Lei spalancò di nuovo gli occhi. Quello era un giorno in cui non avrebbe mai smesso di sorprendersi. “Vuoi dire che stavi tornando da me?”

L’affetto e l’ardore nella sua voce gli sciolsero il cuore. “Come potevo stare lontano da colei che stavo per sposare senza provare rimorso… dolore…”

Akane strinse i pugni. “Ma allora era solo un fatto di rimorso!”

 

“Stupida, credevo che tu mi avresti sposato solo per l’acqua delle sorgenti!”

 

“Stupido tu! Pensi che avrei sposato un uomo che non amavo solo per fargli un favore?! Cosa ci avrei guadagnato io?!”

 

“Tu pensavi che io ti amassi, ecco cosa!”

 

“Perché non era vero?!”

“Sì ma tu non lo sapevi! Tu sposeresti un uomo che non ti ama perché lui tiene a te?!”

“Certo che no! Ma io…!”

 

Sospirarono all’unisono, e Ranma dichiarò: “Non è il momento di litigare. Ti va di tornare a casa ora?”

 

La ragazza abbassò lo sguardo e si morse le labbra. Lui sbirciò la sua espressione. “Bè? Che c’è, ti sei già pentita?”

 

“Stupido, non è questo! E’ che…”

 

“Cosa?!”

 

“La nostra casa non c’è più e… anche il dojo è crollato.”

Ranma ammutolì e un sentimento di preoccupazione e di dolore profondi gli invase il cuore.

“E… - si costrinse a schiarirsi la voce – e tuo padre? E Nabiki… Kasumi…?!”

 

Lei accennò un sorriso amaro. “Stanno bene per fortuna. Papà e Nabiki… bè li ho aiutati io e Kasumi, pensa un po’, l’ha salvata il dottor Tofu!”

Ranma si accorse del dolore nella sua voce. “E’ stata dura, vero? Li hai salvati… tutta da sola?!”

 

Le labbra le tremarono. “Erano tutti e due sotto le macerie, e io ho scavato… avevo un braccio rotto ma… ho scavato e…” I singhiozzi le impedirono di continuare.

 

Lui le si avvicinò e la circondò in un abbraccio dolce. “Sssst – disse – ora è tutto finito. Sei stata coraggiosa.”

 

Ma lei non poté smettere di piangere; affondò il volto sul suo torace forte e pianse tutto il dolore, la tensione, tutta la disperazione di quei giorni. Lui la tenne stretta a sé, assaporando la sua vicinanza, e insieme spartirono il sentimento gioioso e comune di un amore da tempo sbocciato e appena rivelato.

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Capitolo 9
*** Domande ***


Cap.9

DOMANDE

 

“Fermati un attimo Ryoga! Non ce la faccio!” Ukyo si inginocchiò a terra e posò lo zaino.

 

“Ma… non hai paura che Akane e Ranma possano essersi già incontrati?”

“Sì ma sono due giorni che non mettiamo niente sotto i denti, e io ho fame!”

“Hai ragione… anche io.”

 

Ryoga si sedette e guardò il tramonto malinconicamente: chissà dov’era Akane in quel momento, e chissà se stavano andando nella direzione giusta.

 

 

Anche Ranma e Akane stavano riposando dopo aver camminato per tutto il giorno; avevano deciso di tornare a Nerima per dare un’occhiata al danno reale del dojo e riunirsi alle loro famiglie, ma ora erano davvero sfiniti: anche loro avevano terminato le provviste.

 

Avevano parlato poco in realtà, tentando di schiarirsi la mente dal turbinio dei pensieri.

 

Avevano confessato: colpevoli Vostro Onore, i due imputati sono accusati di essere innamorati ed hanno confessato.

Come sarebbe stata ora la loro vita, come avrebbero dovuto comportarsi ora che erano una… bè… una coppia dichiarata? Lo avrebbero detto agli altri? E avrebbero avuto il coraggio di ridirselo in faccia quando sarebbe sorto di nuovo il sole?

 

“Che ne dici se piantiamo le tende qui, stanotte?” Chiese Ranma uscendo dalle sue congetture.

 

Lei annuì. “Speriamo che per domani saremo arrivati, non ce la faccio più!”

 

Lavorarono in silenzio, sistemando le rispettive tende ed accendendo il fuoco. Erano talmente stanchi che andarono a dormire quasi subito.

 

I pensieri martellanti li abbandonarono in favore di un lungo sonno ristoratore, e non si accorsero nemmeno che da quando si erano dichiarati l’uno all’altra avevano ripreso ad ignorarsi quasi o anche più di prima.

 

Paura? Indecisione?

 

Le domande non ebbero risposta, e quando il sole ricomparve all’orizzonte le spazzò via del tutto.

 

Ryoga guardò Ucchan dormire.

 

Lui non aveva sonno, troppi pensieri gli affollavano la mente perché potesse riposare.

 

Quella ragazza era stata l’unica a preoccuparsi per lui in quei giorni: Akane non aveva esitato a correre da Ranma, e non si sarebbe mai presa tanta pena per lui come aveva fatto Ukyo.

 

Ricordò come gli era sembrata carina quando gli aveva sorriso nel suo locale, in città, poco prima del terremoto. Aveva sperato di guardare negli occhi di Akane, ma erano quelli di Ucchan che lo osservavano con simpatia e lo fissavano attentamente mentre parlava.

 

La udì lamentarsi nel sonno, e bisbigliare il nome di colui che amava.

 

“Ranma…” Ringhiò. “Sempre lui!”

 

Ranma era l’unico in grado di fare a pezzi così tanti cuori in una volta, mentre lui…

 

Ma io ho Akari! Esclamò la sua mente.

 

Certo, come no, si disse.

 

Saranno tre mesi che non la vedo…

 

Akari era partita per un viaggio con i suoi genitori e non aveva esitato a lasciarlo solo ancora una volta. Non era stata lei a stargli accanto in quei momenti difficili dopo il terremoto.

Non gli aveva parlato lei con comprensione quando era rimasto scioccato dal bambino morto, non era lei ad ascoltarlo mentre si confidava, e non era lei a cercare di dargli consigli quando si disperava.

 

Diceva di amarlo, certo, ma amare… era davvero quello? Si ritrovò a pensare a come Ranma e Akane dicessero di odiarsi a vicenda, ma quando c’era qualche pericolo, qualche ostacolo, lui era sempre pronto a proteggerla ed a rischiare la vita per lei. Non aveva mai visto tanta gratitudine e amore negli occhi di qualcuno come in quelli di Akane quando lo guardava.

 

Era in quei momenti che capiva quanto loro si amassero, quanto fossero una cosa sola. Non serviva a nulla dire “Ti amo” ad una persona se poi non lo si dimostrava veramente.

 

E Ucchan gli era stata così vicino in quel momento…

 

Ryoga Hibiki, cosa ti sei messo in testa?! Si sgridò.

 

Poi la udì lamentarsi ancora nel sonno e le sistemò le coperte sulle spalle.
Vide il luccichio di una lacrima all’angolo dell’occhio, e l’asciugò delicatamente con un dito.

“Povera piccola Ucchan.” Mormorò con un sorriso, non sentendosi improvvisamente più solo.

 

Lentamente si infilò nel suo sacco a pelo e, guardando le stelle, si addormentò.

 

 

Shampoo crollò a terra esanime, e Mousse cominciò a starnazzare furiosamente.

Impossibilitato ad usare le zampe, si alzò in volo e cominciò a cercare aiuto.

 

Sorvolò la zona boschiva appena fuori Nerima, sperando di incrociare qualche elicottero di soccorso, e invece scorse due sagome familiari in lontananza.

 

“Guarda lassù Ranma! Non è Mousse quello?!” Gridò Akane.

 

Lui si schermò dal sole con una mano e guardò in alto. “E’ vero, hai ragione! MOUSSE!” Chiamò.

 

Il papero planò a poca distanza da loro, e atterrò pesantemente sulle zampe inermi.

 

Ranma bollì dell’acqua e gliela versò addosso. “Ma che cosa ti è successo, Mousse?”

 

Il ragazzo rimase seduto con le gambe stese, e poggiò le mani a terra.

 

Ranma e Akane si guardarono un momento, poi sedettero accanto a lui.

 

“Mousse… vuoi dirci che cosa ti è successo?” Mormorò dolcemente Akane.

 

I due sussultarono quando si accorsero che il ragazzo stava singhiozzando incontrollabilmente.

 

“MOUSSE!” Gridò Ranma scuotendolo.

 

“Ranma! Così gli farai male!” Gridò Akane.

 

“Oh… scusami.” Borbottò lui.

 

“Non preoccuparti Akane – disse piano Mousse – nessuno può farmi più male di così.”

 

La coppia lo guardò con preoccupazione, ma lui non se ne accorse nemmeno. “Dobbiamo aiutare Shampoo: è svenuta a poca distanza da qui.” Disse con la testa bassa.

 

Ranma si alzò in piedi e lei lo imitò. “Bè, cosa aspettiamo, andiamo a cercarla, no?”

 

Ma Mousse non si mosse e Ranma lo guardò. “Avanti, cosa aspetti?!”

 

Il ragazzo alzò il viso verso di lui; era incredibilmente pallido, e gli occhi verde mare spiccavano sul suo volto.  “Io… non posso camminare Ranma.”

“Cooosa?!” Urlò Akane.

 

Mousse afferrò il terriccio umido in una mano, con rabbia. “Io… io sono paralizzato.” Mormorò.

 

 

“Ehi Ryoga! Guarda cosa ho trovato in quel chiosco abbandonato!” Gridò correndogli incontro.

 

“Cos’è?” Domandò.

 

“Tutti gli ingredienti necessari per fare un okonomiyaki gigante!”

 

Lui fece un sorriso enorme. “Evviva, si mangiaaa!”

Senza accorgersene si abbracciarono e cominciarono a saltare di gioia gridando all’impazzata.

Poi si fermarono, si guardarono un momento e si voltarono ognuno da una parte, arrossendo.

 

“Bene… Ryoga – tossì fuori Ukyo – ora è meglio che io cucini.”

 

Lui non rispose, imbarazzato, e lei gli domandò: “Come lo preferisci, con la soia o…?” Tacque. Lui le aveva afferrato le spalle.

 

Vide i suoi occhi brillare e si sentì tremendamente strana. “Che… che cosa c’è adesso?”

 

Ryoga abbassò lo sguardo. “Io… io volevo… solo ringraziarti.”

 

Lei spalancò gli occhi. “Ringraziarmi per cosa?”

“Bè… per un mucchio di cose: per esserti preoccupata per me, per non avermi preso in giro quando hai scoperto che sono P-chan, per cercare di capirmi… perché mi sei amica.”

La ragazza prese un respiro e lo rilasciò. “Oh Ryoga… tu mi hai salvato la vita, e poi noi… noi siamo amici, te l’ho detto, no?”

“Già – disse lui intensamente – ma nessun amico mi ha mai abbracciato così fino ad ora.”

 

Rimasero immobili per un po’, a guardarsi negli occhi, confusi, le mani di Ryoga sulle sue spalle.

 

Poi lui la lasciò, e Ucchan guardò per terra imbarazzata “Bè… - esordì – io vado a cucinare, ok?”

 

Lui annuì, senza staccare gli occhi da lei; continuò a guardarla anche quando si allontanò e cominciò ad impastare gli ingredienti.

 

 

Ranma spalancò gli occhi, e Akane soffocò un grido.

 

Come poteva l’amazzone più vecchia ed esperta dell’Oriente intero essere…?!

 

“Mi dispiace… voi vi siete appena ritrovati e io sono latore di cattive notizie.” Disse Mousse lentamente.

 

“Ma come può essere morta, Mousse?! – pianse Akane – Lei è… era forte, come…?!”

 

Lui alzò lo sguardo, e Ranma gli lesse negli occhi. “Non capisci Akane? Lei era distratta, stava pensando a salvare sua nipote, e così…” Le labbra gli tremarono, e lui si asciugò gli occhi affettatamente.

 

Mousse tacque, addolorato.

 

“Su andiamo – esclamò Ranma all’improvviso – Shampoo ha bisogno di noi.”

 

Ranma camminò lentamente, Akane al suo fianco e Mousse sulle sue spalle, inerte.

Aveva raccontato che Shampoo era stata presa da una crisi di shock ed era fuggita piangendo dal locale. L’aver scoperto che sua nonna era morta e che lui era rimasto paralizzato per averle salvato la vita l’aveva scossa a tal punto che era quasi impazzita dal dolore.

 

“Io non ho potuto far altro che gettarmi addosso dell’acqua fredda sperando di poterle volare dietro: la maledizione mi è stata utile. Ma poi lei ha vagato per giorni senza nutrirsi, e io non sapevo cosa fare… non mi ascoltava più! Spero che non abbia perso del tutto la ragione…” Mormorò infine.

 

Infine la videro.

 

Akane prese un respiro pesante; la giovane amazzone era stesa per terra, i capelli color lavanda erano sparsi intorno a lei, sporchi e spettinati. Il pallore del volto metteva in risalto il terriccio sulle sue guance, e i suoi vestiti erano lacerati.

 

Le sembrava impossibile che la nemica che tanto la ostacolava fosse ridotta in quello stato, e provò improvvisamente una gran pena per lei.

 

Akane le si avvicinò, e Ranma la prese delicatamente fra le braccia “Ehi Shampoo – mormorò – Shampoo!”

 

Lei aprì gli occhi che sembravano vuoti.

Non appena mise a fuoco la figura di Ranma un lume d’intelligenza le illuminò lo sguardo.

 

“Lanma… sei… proprio tu…?!” Mormorò.

 

“Ora stai calma Shampoo, va tutto bene.”

 

Gli occhi le si riempirono di lacrime, e la consapevolezza che l’aveva abbandonata per giorni le piombò addosso come una valanga.

 

“Lan… LANMA! OH LANMA… LAAAAA…!”

 

Il grido straziante e continuo le uscì ad intervalli regolari dalle labbra, trasformandosi in urla e singhiozzi disperati. Sembrava non essere capace di dire altro che il suo nome, mentre lo stringeva convulsamente e si aggrappava a lui come un naufrago all’ultimo appiglio di salvataggio.

 

Mousse e Akane rimasero ammutoliti di fronte all’orgogliosa amazzone che mai si era data per vinta nella sua vita, che gridava e si gettava nella disperazione più folle.

Entrambi avvertirono una punta dolente di gelosia, ma non ebbero il coraggio di ribellarsi davanti a quello spettacolo straziante, sbalorditi e confusi.

 

Shampoo urlò il nome di Ranma ancora una volta, e poi svenne di nuovo.

 

 

Quella sera Ryoga e Ucchan mangiarono in silenzio, mentre la luna faceva capolino tra due piccole nubi scure.

 

Poi lei si alzò in piedi e si allontanò.

Ryoga la seguì, e si accorse che stava piangendo.

 

“Ehi Ucchan… che hai?” Bisbigliò con voce calda.

 

Lei era voltata, e Ryoga poté vedere le sue spalle che scuotevano.

 

Le mise una mano sulla spalla, allora lei si voltò.

I suoi occhi castano-azzurri sembravano due boccioli impregnati di rugiada mattutina; lui ne rimase affascinato.

Improvvisamente ebbe l’impulso di posare dei baci su quegli occhi grandi e tristi.

 

Invece le pose una mano socchiusa sulla guancia. “Ucchan – bisbigliò di nuovo – lui ti manca, non è vero?”

 

La ragazza poté sentire il suo alito caldo sul viso, aromatizzato leggermente alla soia, e avvertì un brivido leggero. “E’ che so che mi lascerà di nuovo sola per… per…”

 

“….per Akane? – l’aiutò lui – Se è per questo anch’io temo che lei mi lascerà di nuovo solo per Ranma.”

 

Gli si appoggiò leggermente con la fronte fresca sul mento, e Ryoga sentì il cuore che gli accelerava di un battito o due.

Poi spostò la mano sui suoi capelli morbidi e sussurrò dolcemente: “Vedi? Abbiamo gli stessi problemi, ma insieme… vedrai che ce la faremo.”

 

“Dici davvero Ryoga?” Bisbigliò lei senza muoversi. “Parlerai ancora con me quando mi sentirò sola?”

 

Lui sorrise appena. “Puoi contarci, piccola Ucchan.”

 

E lo fece.

 

Abbassò lo sguardo verso di lei, prese il suo viso tra le mani e, dopo averle accarezzato dolcemente le lacrime sulle guance, cominciò a porre baci leggeri sui suoi occhi chiusi, assaporando il lieve gusto salato.

Ukyo non osò muoversi, attraversata da una sensazione nuova e piacevole. Rilasciò il respiro appena un poco e si mosse contro di lui abbracciandolo leggermente, aspirando un poco del suo profumo maschile.

Il ragazzo rilasciò un breve alito sulle sue labbra e le sfiorò delicatamente, abbracciandola più forte.

Ukyo intrecciò le mani tra i suoi capelli e, senza sapere cosa stava facendo, sciolse la bandana dalla testa di Ryoga e approfondì il bacio.

 

Poi l’incanto si ruppe e, come se avessero capito solo in quell’istante cosa stavano facendo, si staccarono, tremanti e confusi.

 

Lui fu il primo a parlare: “U… Ucchan… io… io non so cosa mi…”

 

“Neanch’io…” Ansimò lei. “Ma era bello.” Mormorò quasi a se stessa.

 

Ryoga inghiottì, prese il coraggio a due mani e le si avvicinò di nuovo. Se era piaciuto anche a lei, perché non rifarlo? Le prese di nuovo il viso fra le mani, e lei strofinò carezzevole le guance sui suoi palmi. Di nuovo si avvicinarono, palpitanti, di nuovo si baciarono, bramosi, poi le mani di lui sfiorarono il suo seno e lei lo allontanò dolcemente.

 

Ryoga arrossì furiosamente “Scu… scusami i… io…” Gesticolò alla cieca.

 

Lei sorrise, il rossore anche sulle sue guance. “Non sono arrabbiata, è che…”

 

“Cosa?!” Chiese lui ancora sommerso da sensazioni contraddittorie.

 

“Domani potremmo pentircene… E’ così che si dice in questi casi, no?” 

 

Lui sorrise appena. “Hai ragione. Non è perdendo la testa che risolveremo i nostri problemi.”

Ukyo annuì leggermente: ma era proprio amicizia quella sensazione strana? Forse lo stress e la paura di morire avevano giocato loro un brutto scherzo, e quel richiamo fisico non era altro che un richiamo alla vita.

 

“Bene – esordì lei – io vado a dormire.”

“Io… credo che mi sgranchirò un po’ le gambe.” Rispose lui soprappensiero.

 

Ukyo lo guardò un’ultima volta e si allontanò.

 

Ryoga camminò nell’oscurità per molte ore, stando attento a non allontanarsi e a non perdersi, cercando di placare la sensazione nascosta che si era svegliata così all’improvviso annebbiandogli i sensi.

 

Ma neanche lei riuscì ad addormentarsi tanto presto. Avvertiva ancora dei brividi lungo la schiena quando pensava a come lui l’aveva toccata, e si chiese cosa mai le fosse piaciuto così tanto nell’essere sfiorata da un uomo che non era Ranma.

 

Infine, si addormentò.

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Capitolo 10
*** Nuovi sentimenti ***


Cap.10

NUOVI SENTIMENTI

 

Shampoo dormiva profondamente, e Mousse le rimase accanto, incapace di lasciarla sola anche nel sonno.

Ranma cedette loro la sua tenda e preparò l’altra ad Akane.

 

“E tu dove dormirai?” Chiese lei.

 

Lui alzò le spalle. “Dormirò fuori, nel sacco a pelo, in fondo ci sono abituato.”

“Ma prenderai freddo!” Protestò lei.

 

Il ragazzo col codino le si avvicinò, sornione. “Vuoi che dorma nella tenda, con te allora?”

 

Akane arrossì. “Ma… ecco… io… se prometti che farai il bravo… insomma, potrei anche…”

Lui la guardò attentamente. “Akane, se non vuoi non fa niente, ma sappi che io non farei mai nulla che tu non vorresti.”

Lei lo guardò rapita: era proprio lo stesso Ranma che aveva lasciato andar via sei mesi prima?

“Allora vieni dentro, sciocco: fuori fa troppo freddo…”

 

Silenziosamente si infilarono ognuno in una coperta, vicini ma non troppo, e il sonno tardava a venire.

 

Ancora una volta si sentivano imbarazzati a causa dei loro stessi sentimenti.

 

“Ranma?”

“Mmh?”

“Pensi… che Shampoo starà bene?”

Lui si girò dal suo lato. “Bè, io penso che sarà molto difficile per lei, ma è una ragazza forte, vedrai che lo supererà.”

“E che mi dici di Mousse?”

 

Ranma la fissò intensamente, e allungò la mano verso di lei.

 

“Che… che c’è Ranma?!” Chiese timorosa.

 

“Akane – mormorò lui – sei così buona; nonostante tutti i problemi che ci hanno causato quei due tu ti preoccupi per loro. Sei davvero altruista.”

Lei prese la sua mano, e se la poggiò su una guancia. “E’ conoscendo te che ho imparato ad esserlo. Tu mi hai insegnato che un vero artista marziale deve essere sempre pronto ad aiutare il prossimo, per questo… mi sono innamorata di te, per il tuo grande cuore.”

 

Lui sorrise dolcemente. “Te l’ho mai detto che sei davvero carina? Soprattutto quando sorridi?”

Akane arrossì. “Veramente mi hai sempre detto:‘non sei per niente carina!’ Esclamò imitando la sua voce.

 

Ranma rise divertito, seguito da lei. “Davvero parlo così? E’ che mi vergognavo!”

 

“Già, sei sempre stato un timidone!” Lo stuzzicò.

 

“Ah, sì? – la sfidò Ranma – Se fossi un timidone potrei fare questo?” E delicatamente la baciò.

 

Lei rispose al bacio, ed esclamò: “Forse ci ho ripensato.”

Poi si accoccolò fra le sue braccia, e Ranma lanciò un’esclamazione di sorpresa.

 

“Ehi! Mi sto solo scaldando…”

“Hai freddo?” Bisbigliò teneramente soffiando sul suo orecchio.

 

“Un po’… e tu sei così caldo!” Si sistemò meglio, con aria beata, e lui la circondò con le braccia, assaporandone la vicinanza.

 

“Akane?”

 

“Mh?”

 

“Cosa… che diremo agli altri, cioè… ora che stiamo… insieme…?”

 

Lei fece un sorriso triste. “Che vuoi che ti dica? Aspettiamo che le cose si sistemino, poi si vedrà. Rischiamo di provocare un caos ancora maggiore se diciamo a tutti quello che è successo tra noi.”

 

Lui sospirò. “Hai ragione.”

 

Per un momento sentì l’impulso di raccontarle del padre di Ucchan, della promessa che aveva fatto, ma poi si rilassò: c’era tempo per parlarne, e in quanto a tragedie umane ne avevano parecchie per il momento.

 

Affondò un poco il viso fra i suoi capelli, respirandone il profumo pulito.

 

Lei chiuse gli occhi nella sua stretta, felice, ascoltando il ritmo del suo cuore dal torace forte e profumato di muschio.

 

Non aveva mai immaginato che dormire fra le braccia di Ranma fosse così bello!

 

E si sentì la ragazza più felice della Terra.

 

 

Ryoga si alzò presto quella mattina, e cominciò ad allenarsi.

 

Quando Ucchan sbirciò dalla sua tenda poté vederlo tutto intento nei suoi esercizi; all’improvviso si ritrovò a pensare a quanto lo avesse osservato sempre con superficialità.

Aveva degli addominali forti e marcati, una vera gioia per gli occhi, e ricordando come era stata stretta contro di lui il giorno prima arrossì furiosamente.

 

Non se n’era mai accorta… ma Ryoga era bello almeno quanto Ranma.

 

Sentendosi osservato lui girò gli occhi e la vide intenta a fissarlo; inghiottì a fatica, conscio del suo sguardo, poi alzò la mano con disinvoltura, in cenno di saluto.

 

Lei sussultò, rispose brevemente al saluto e rientrò nella tenda.

 

Per la prima volta da tanto tempo decise di pettinarsi più accuratamente.

 

Riavviò i capelli all’indietro e li legò in una morbida coda di cavallo, poi decise di cambiarsi i vestiti; entrò in un paio di pantaloni attillati che le lasciassero le caviglie scoperte e mise un corpetto sportivo che le lasciava intravedere generosamente il décolleté.

 

Oggi di sicuro vedrò Ranma – pensò – e voglio essere bella! Ma era già meno convinta che fosse per quello.

 

Corse verso Ryoga chiamandolo a gran voce. “Dai pigrone, andiamo! Tra un po’ dovremmo raggiungerli, andiamo loro incontro!”

 

“Pigrone?! Ma se mi stavo allenando!”

“Dai, non borbottare, pieghiamo le tende ed andiamo!”

 

Prepararono gli zaini insieme, lavorando silenziosamente, e ognuno dei due cercava di chiarire la confusione nella propria mente.

 

 

Mousse si svegliò molto prima dell’alba, e rimase a guardarla dormire.

 

Se solo Shampoo mi amasse – pensò – le starei io accanto… ma no, cosa penso?! Io non posso più proteggerla, le sarei solo d’impiccio… oh dei, cosa devo fare?!

 

Poi lei aprì gli occhi, e lui mormorò il suo nome.

 

“M… Mousse? Dove siamo?”

 

“Akane e Ranma ci hanno prestato una tenda, e siamo accampati a circa cinque chilometri da Nerima.”

 

“Oh…!” Poi tacque per alcuni secondi, e chiese. “Come stanno le tue… le tue gambe?”

“Oh… Shampoo! – si sentì insieme commosso e disperato – Io mi farò curare.”

Lei guardò in aria, pensosa. “E’ stata tutta colpa mia - poi all’improvviso – dov’è Lanma?”

 

“Lui… lui è nell’altra tenda…” Rispose esitante.

 

L’amazzone spalancò gli occhi, furiosa. “Col maschiaccio violento?!”

 

Si alzò tremante, insicura sulle gambe ma risoluta.

 

“Aspetta, Shampoo!”

Ma lei era già corsa via, e aveva spalancato l’altra tenda per scoprire che stavano dormendo insieme.

 

I due si svegliarono nello stesso istante, stirandosi e strofinandosi gli occhi.

 

“Oh… buongiorno Shampoo!” Biascicò Ranma.

 

“Come stai oggi Shampoo?” Chiese assonnata Akane.

 

La ragazza rimase sbalordita davanti a tanta tranquillità. “Ma… voi… avete dormito insieme?”

Ranma rise imbarazzato. “Bè, vedi, fuori faceva freddo e così noi… ma non è successo niente, davvero!”

“Assolutamente niente… sul serio Shampoo! Lui stava congelando fuori al freddo, e così…”

 

L’aura di battaglia di Shampoo si affievolì e la ragazza si inchinò, lasciandoli sbalorditi. “Grazie per quello che avete fatto per me.” Disse piano prima di fuggire via.

 

Ranma si grattò la testa, confuso, e Akane chiese: “Bè, che fai, non la segui?”

 

“Non è mica le la mia fidanzata!”

“Sì ma… è nostra amica, e poi è sotto shock! Vuoi che scopra tutto proprio adesso?”

“E’ vero – ammise lui – ma prima posso avere un buongiorno come si deve?”

Lei lo guardò, maliziosa. “Tipo…?”

“Mhhh…” Fece lui sporgendo un po’ le labbra.

 

La ragazza gli schioccò un bacio sonoro, e lui si alzò soddisfatto.

 

Rimasta sola, Akane sorrise un po’. Avrebbe mai immaginato che un giorno lei e Ranma sarebbero stati così bene insieme?

 

 

Ranma si avvicinò a Shampoo, e la chiamò esitante.

 

Lei si voltò con un mezzo sorriso e si asciugò una lacrima con le dita. “E’ questa la mia punizione?” Chiese.

 

“Che vuoi dire?” Ranma le sedette accanto.

 

“La punizione per aver lasciato morire mia nonna e per avere salva la vita a discapito di Mousse.”

 

“Nessuno ti sta punendo, Shampoo.” Disse calmo lui.

 

L’amazzone si girò. “Ah, sì? Tu e Akane mi sembravate molto vicini poco fa.”

Lui si fece serio. “Io e Akane abbiamo solo dormito al caldo stanotte, non è successo niente e in fondo… lei è la mia fidanzata.”

Shampoo si accigliò. “Cos’ha più di me il maschiaccio violento?!”

“Non è un maschiaccio violento!”

“Ma tu lo dicevi sempre!” Gridò lei.

 

“Mentivo! Lei almeno non mi ha mai ingannato per stare accanto a me!” Ranma si accorse che la stava ferendo, ma non poté farne a meno. Non ora.

Gli occhi di Shampoo si spalancarono. “Vuoi dire che io… ti ho sempre ingannato?”

 

“Bè, tu come lo chiami ricattarmi per avere polverine pseudo-magiche o saponi semi-miracolosi?! Senza parlare di tutti gli intrugli che mi hai rifilato nel cibo!”

 

Lei abbassò lo sguardo. “Io lo facevo perché ti amavo!”

“L’amore e l’inganno sono due cose diverse – dichiarò – saresti davvero felice che io mi fossi messo con te solo grazie a qualche magia? Non preferiresti essere semplicemente amata per quello che sei? Spontaneamente?! Per esempio come fa Mousse!”

“Mousse non è il futuro marito di Shampoo.” Esclamò.

 

“Tu sei ancora ancorata a quelle stupide regole, ecco il tuo problema!” Gridò Ranma.

 

Lei rifletté un momento. “Prima di morire – singhiozzò – la mia nonnina mi ha detto qualcosa di simile… MA IO TI AMO SUL SERIO!”

Il ragazzo col codino scosse la testa. “Shampoo… dimenticami, ti prego. Io resterò sempre tuo amico, però… non chiedermi l’impossibile: io non ti amo.”
Ecco l’aveva detto.


L’amazzone si alzò lentamente, e camminò verso la sua tenda.

“Vuoi dire che ami Akane?” Chiese con voce tremante.

 

“Io… non ho detto questo.” Cercò di riparare lui, ma era troppo tardi. Aveva parlato troppo chiaro.

 

Shampoo strinse i pugni, pensosa, infine mormorò: “Ora torniamo in città, così portiamo Mousse da un dottore.”

Poi entrò e sparì.

 

 

Ryoga guardò il cielo, accigliato.

 

“Che c’è Ryoga?” Chiese Ucchan.

 

“Credo che molto presto pioverà.” Dichiarò.

 

Lei alzò lo sguardo. “Ma non ci sono nuvole!”

 

Il ragazzo sorrise. “Fidati, ho imparato a conoscere i capricci della natura. Viaggiando ho acuito i sensi, soprattutto perché la pioggia non mi prendesse mai di sorpresa.”

 

Ukyo abbassò il capo. “Già…Come hai vissuto la tua maledizione, solo, senza aiuti?”

 

Ryoga alzò le spalle “Ho imparato a sopravvivere.”

 

“Tu sei molto coraggioso Ryoga, soprattutto contando che sei stato più sfortunato di Ranma.”

 

Lui la guardò, sorpreso. “COOOSA?! Ti senti bene Ucchan?”

 

“Di che ti stupisci? Alla fine lui ha smesso di viaggiare, tu no.”

 

“Mi fa piacere che tu te ne renda conto… è che non so ancora quale sia la mia vera casa; al dojo non sono mai me stesso, e dai miei genitori, bè, sono sempre solo anche là.”

Ukyo rifletté per un attimo; anche lei era sola, e loro erano amici. Perché non farsi compagnia a vicenda? No, macchè! Lei era una ragazza, e lui… che sarebbe accaduto se la solitudine avesse giocato loro uno scherzo simile a quello della sera prima? Come sarebbe andata a finire se fosse accaduto di nuovo di avvicinarsi così…?

 

Scosse la testa, e sperò ardentemente di trovare Ranma che litigasse ancora con Akane, sperò che tutto tornasse come prima.

 

Poi li vide.

 

 

“Quello sulle spalle di Ranma non è Mousse?!” Esclamò Ryoga all’improvviso.

 

Ukyo non rispose, ma corse incontro al gruppo e si gettò fra le braccia di Ranma.

Lui barcollò, cercando di equilibrare il peso sulla sua schiena.

 

“Ehi Ucchan… piano, mi fai cadere!”

“Oh Ranchan, come ero preoccupata per te!” Pianse.

 

Il ragazzo le circondò le spalle con un braccio, sotto lo sguardo sbalordito di Mousse.

Ranma era felice che lei fosse salva, ma un nuovo terrore gli invase la mente: E ora come glielo dico che suo padre…!?

Decise che c’era tempo e la strinse un poco, con fare protettivo.

 

Ryoga vide che c’erano anche Shampoo e Akane, e che la sua amata aveva lo sguardo fisso su Ukyo che stringeva il suo fidanzato.


“E’gelosa.” Pensò con rabbia.

 

E si accorse che, per un breve istante, sentì qualcosa di simile alla gelosia anche lui.

 

 

In lontananza ruggì il rombo di un tuono, e le ultime parole di Mousse ne furono come sottolineate.

 

“E così l’hai salvata… sei stato molto coraggioso, Mousse.” Dichiarò Ukyo.

 

Shampoo alzò lo sguardo verso di lei. “Anche la mia bisnonna ha cercato di salvarmi… non dimenticatelo.”

“Già – intervenne Ryoga – ma lei ha avuto meno fortuna… poveretta.”
Con una punta di nostalgia ricordò l’allenamento tra le montagne con Cologne; era stata proprio lei ad insegnargli la tecnica esplosiva.

 

“So a cosa pensi, Ryoga.” Ranma gli aveva letto nel pensiero. “Anche a me ha insegnato un mucchio di cose, e noi la ricorderemo sempre come una grande amazzone guerriera!”

 

Stettero in silenzio per alcuni minuti, e fu Akane a parlare per prima.

 

“Bene ragazzi, andiamo allora; vediamo di portare Mousse dal dottor Tofu e di ricominciare una vita normale!”

 

Ucchan annuì, e ognuno di loro tirò su il suo zaino. “Il tuo lo porto io, Mousse.” Dichiarò Shampoo.

 

“G… grazie Shampoo.” Ma il suo sguardo era triste, e la cinesina provò per lui una gran pena.

 

“Aggrappati Mousse.” Disse Ryoga offrendo la sua schiena. Poi schiacciò l’occhio a Ranma. “Ti do il cambio.”

“Grazie amico.” Rispose. Poi si rivolse alla fidanzata: “Akane, più tardi andrò a dare un’occhiata a casa di mia madre… so che c’era papà, ma voglio essere sicuro, mi capisci?”

 

“Certo! – annuì lei – Ma io vengo con te.”

Ryoga vide lo sguardo d’intesa fra loro, e sentì una rabbia antica ribollirgli nelle vene.

Ma l’occhiata non sfuggì neanche ad Ukyo e a Shampoo, e le due si lanciarono uno sguardo a loro volta.

 

Ranma notò tutto questo e giurò a se stesso che, appena le cose si fossero risolte, avrebbe parlato chiaro a tutti quanti una volta per sempre.

 

Molto chiaro.

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Capitolo 11
*** Tristi scoperte ***


Cap.11

TRISTI SCOPERTE

 

 

Quando il dottor Tofu alzò lo sguardo vide con gioia che il gruppo era aumentato.

 

“Ehi ragazzi!” Esclamò alzando il braccio in segno di saluto.

 

In testa alla fila c’era Ranma che portava due grossi zaini, seguito da Akane. Un po’ più in là c’era Ryoga con Mousse sulle spalle, poi Ukyo e Shampoo.

 

Ranma lasciò cadere gli zaini rumorosamente. “Uff! Ragazzi che scarpinata assurda! Salve dottore.”

 

“Bentornato a te Ranma. Ero in pensiero, sai?”

Ranma fece un sorrisetto ironico. “Deve ancora arrivare il terremoto che mi metterà ko, ma devo dire che ce la siamo vista tutti molto brutta.”

 

“Lo vedo. – annuì il dottore ammiccando verso Ryoga – Che ha il vostro amico?”

 

Ranma si voltò. “Ecco lui…”

 

“…non cammina dottore, è paralizzato dalla vita in giù.” Concluse Ryoga.

 

Tofu annuì, e fece segno al gruppo di entrare nel suo nuovo studio-tenda.

 

Controllò innanzitutto il braccio di Akane, e quando glielo tastò lei emise un gridolino di dolore e strinse la mano di Ranma.

 

“Mi dispiace – si scusò il dottore – purtroppo il macchinario per fare le lastre è andato distrutto nel terremoto… resisti ancora un po’.”

 

Lei annuì, senza lasciare la mano di Ranma, e Ryoga scorse l’occhiataccia da parte di Ucchan e Shampoo.

 

Fasciato il braccio di Akane, il dottor Tofu chiese agli altri di uscire per poter visitare Mousse con più calma.

 

Ranma si sedette per terra con un sospirone, pescò una borraccia dall’accampamento e bevve avidamente, poi la passò ad Akane che la accettò molto volentieri.

 

Shampoo li guardò accigliata. “Siete sicuri di non stare insieme voi due?” Domandò velenosamente.

 

Akane si strozzò ed esclamò: “Ma NOOO! Che dici Shampoo?!”

“Già – s’intromise Ukyo – sembra che andiate molto d’accordo! Ranma sputa l’osso!”

 

Lui si alzò in piedi. “Ucchan, ora non è il momento di essere gelosa; ho altro a cui pensare. Quando il dottore avrà terminato con Mousse andrò a cercare mia madre.”

 

“Vengo con te...” Cominciò Akane, ma fu freddata dagli sguardi delle due pretendenti di Ranma.

Come potevano tenere nascosta una cosa così evidente?

 

Le aure blu delle due ragazze fiammeggiarono fiere, pronte a divenire rosso fuoco, quando il dottor Tofu sbucò dalla tenda.

 

Ryoga fu il primo ad accorgersene. “Oh, dottor Tofu… di già? Allora?”

Il buon medico scosse la testa. “Mi dispiace, ma è molto difficile che Mousse torni quello di una volta.”

 

Cadde il silenzio, rotto solo da una flebile esclamazione di Shampoo.

 

“Ecco… ha due vertebre schiacciate l’una sull’altra, in questo modo – fece un gesto per chiarire la posizione delle ossa – e i nervi della trasmissione del movimento, che arrivano dal cervello, sono interrotti.” Scrutò i loro sguardi smarriti, così concluse. “Operarlo sarebbe un rischio, soprattutto ora che ci sono tante emergenze per via del terremoto e le strutture ospedaliere sono andate distrutte. Sono spiacente.”

 

Shampoo sentì montare in lei il senso di colpa ancora una volta, e domandò flebilmente: “Quindi… rimarrà così per sempre?”

 

“Non lo so Shampoo. Bisognerebbe controllare tramite un’operazione, e non so quando potrò farlo: qui è tutto distrutto.”

 

“Ma una volta individuato il danno si può riparare?” Chiese Ranma speranzoso.

 

“Come ho detto è molto difficile riparare questo tipo di schiacciamento delle vertebre, si rischia di aumentare il danno, bisognerà trovare un buon chirurgo che abbia il coraggio di operare… e anche così non garantisco il successo.”

 

Shampoo cadde in ginocchio, e per un attimo dimenticò la sua gelosia per Ranma. “Ma… lui lo sa?”

“Ho preferito tacere: è molto scosso, e molto preoccupato per te. Ora dorme.”

 

“Non è possibile! Povero Mousse…” Mormorò Akane incredula.

 

Ranma incrociò le braccia. “E’una cosa davvero terribile, ma non possiamo far altro che sperare e stargli vicino.”

Ryoga annuì, come eco alle sue parole.

 

Per un attimo stettero tutti in silenzio, storditi, increduli di fronte a quella sconcertante verità, poi Ranma decise che era venuto il momento di cercare sua madre.

 

“Vengo con te!” Esclamò Ucchan.

 

Ranma la guardò. Suo padre è morto per colpa mia. Pensò improvvisamente.

 

“E va bene Ucchan. – dichiarò - Akane, vieni anche tu?”

 

“Certo!” Poi si voltò, sorpresa che Shampoo non si fosse ancora fatta avanti.

 

La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, poi si alzò e guardò Ranma dritto negli occhi.

Ah, ecco, mi pareva! Pensò Ukyo.

“Io rimango qui con Mousse.” Disse invece spiazzando tutti.

 

“Cooosa?! Ma Shampoo, ti senti bene?” Esclamò Ryoga.

Ukyo gli mollò una gomitata nel fianco. “Zitto, stupido!” Sibilò.

 

Ma lei non si scompose, e si diresse con triste lentezza nella tenda, sotto lo sguardo incantato del gruppetto.

 

“Bene, lo spettacolo è finito: c’è andata davvero. Ora vogliamo andare anche noi per favore?”

Disse Ranma guardando le due ragazze al suo fianco.

 

Ryoga mise lo zaino sulle spalle. “Vengo con voi – dichiarò – potrei essere utile.”

 

Ma Ranma non rispose, e s’incamminò.

 

Aveva un brutto presentimento, molto brutto, e sperava con tutto il cuore che sua madre stesse bene.

 

Lo sperò con tutte le sue forze.

 

Kuno Tatewaki era giunto a ‘casa’ dei Tendo con sua sorella al seguito e, non trovando né Akane né la sua ragazza col codino, si era offerto di rimanere a dare una mano con le macerie.

 

Nabiki aveva alzato un sopracciglio, scettica. “Tu vuoi aiutare? Ma sei sicuro di non aver preso una botta in testa, Kuno?”

Lui fece il suo solito sorrisetto coordinato col gesto della mano tra i capelli. “E’ dovere di noi potenti e forti dare una mano ai più deboli… con il mio prezioso aiuto da queste macerie rinascerà la tua casa, Nabiki Tendo, te lo assicuro.”

“Già – fece lei ironica – e quando mia sorella tornerà potrai dirle: ‘vedi Akane Tendo, la tua reggia è stata rimessa in piedi dal tuo principe azzurro, vuoi essere mia sposa?’” Concluse mimando la sua voce.

 

Kuno si accigliò e fece un debole tentativo di discolparsi, ma fu preceduto dalla risata isterica di sua sorella. “Non mentire fratello, anch’io ho deciso di dare una mano per amore del mio Ranma… ah ah ah ah ah ah!”

 

Nabiki si pose una mano sulla fronte. “Prevedo grossi guai…” Gemette.

 

Soun non disdegnò un po’ d’aiuto e Genma si unì a loro lavorando alacremente, in silenzio; mentre ancora scavavano Kasumi preparava il pranzo su un fornello d’emergenza. Osservò il gruppo in serena armonia e sorrise un poco.

Era così facile andare tutti d’accordo! Ma ci voleva proprio una tragedia per avvicinarsi così?

 

Finito di scavare ed arrivati alle fondamenta, non riuscirono a non pensare che sarebbe stato necessario ricostruire sia il dojo che tutti i primi piani.

 

“La palestra può aspettare: ora dobbiamo pensare a rifarci una casa – Sospirò – e non oso pensare a quanto mi costerà.”

 

Kuno aggrottò le ciglia e incrociò le braccia. “Non sia mai che Akane Tendo, la mia futura sposa, non possa avere un tetto sotto il quale dormire con la sua famiglia! – Tutti si voltarono a guardarlo, e lui sorrise – Perciò vi fornirò i materiali che vi servono e insieme ricostruiremo il castello della mia principessa!”

“Grazie Kuno ma ci basta una semplice casa, non un castello, e comunque non credo che Akane ti sposerà mai…” Dichiarò Nabiki, ma si sentì di nuovo sollevata all’idea di riavere un tetto sulla testa.

 

Soun cominciò a piangere e si profuse in ringraziamenti esagerati.

Kodachi invece appariva pensierosa.

 

“Kodachi…? A che pensi di grazia?”

 

“Vedi Nabiki Tendo… i materiali da costruzione li tenevamo in un magazzino dietro alla nostra residenza, e visto che la nostra bella casa è crollata non vedo come il magazzino possa stare ancora in piedi.”

 

Nabiki si lasciò cadere sulle ginocchia. “Oh no…”

 

“Accidenti sorella, non ci avevo pensato! Sarà tutto sepolto dalle macerie, come faremo a ricostruire le nostre case senza i materiali e gli attrezzi?”

 

I tre si misero a pensare, e nella mente di Nabiki si accese un lumicino. “Ryoga!” Esclamò.

 

Kuno la guardò stizzito. “Cosa pensi che possa fare quello stupido ragazzo privo di orientamento?”

“Lui sa utilizzare il colpo esplosivo! Così eliminerà le macerie e noi possiamo arrivare ai materiali!”

 

Soun le afferrò le mani, speranzoso. “Oh figliola, come sei intelligente! Presto, andatelo a cercare!”

 

“E’una parola… lui è con Ukyo e Akane a cercare Ranma, dove lo andiamo a pescare?”

 

“COOOSA?! Akane Tendo è andata a cercare quel Saotome senza dirmi niente?!” Gridò Kuno fuori di sé.

 

“Non urlare, Kuno! Magari sono già tornati. Su, andiamo a vedere se sono dal dottor Tofu. Ormai è una settimana che sono partiti.”

 

“Bè, allora che aspettiamo? Ranma amore mio aspettami! Kodachi, la rosa nera, sta arrivando per toglierti dalle grinfie di quella smorfiosa, ah ah ah ah ah ah ah!”

 

La sorella folle di Kuno partì di corsa con il nastro al seguito e una scia di rose nere dietro di sé.

 

Nabiki scosse le spalle. “Andiamo Kuno.” E si avviò.

 

 

“Dimmi un po’ Ranma – esordì Ryoga guardandolo di sottecchi – come mai stai tenendo per mano Akane?”

 

Lui guardò la sua mano intrecciata a quella di Akane, poi si voltò e scorse l’aura blu-indaco di Ukyo e l’occhiataccia di Ryoga. Prontamente lasciò la presa.

“Bè… ecco… io… noi…”

 

“RANMA! Traditore!” Ringhiò la ragazza afferrando la sua spatola.

 

“Ukyo, lascia stare. È colpa mia: io…”

 

“Taci Akane!” la ammonì Ryoga.

 

Lei si ritrasse, e Ryoga si scagliò contro il suo avversario. “Ranma, razza di bugiardo, avevi detto che non stavate insieme!”

 

Lui cominciò a schivare i colpi, e gli afferrò un braccio giusto in tempo. “Ryoga, dannazione, non puoi scegliere un altro momento?! Sei venuto per intralciarmi?”

Anche Ucchan era inferocita, ed era pronta ad infierire contro Akane che intanto aveva assunto la posa di attacco.

 

Il caos ebbe di nuovo inizio, e Ranma era tra due fuochi: da un lato Ryoga che lo assaliva, dall’altro Akane da proteggere.

 

Un turbinio di pensieri prese ad agitarglisi nella testa come uno sciame di api impazzite: lui doveva cercare sua madre, e non stare a combattere con le folli gelosie di quei due.

 

Non voleva fare male ad Ucchan, né con le mani né con le parole, ma doveva smetterla di ferire Akane e doveva scegliere. E va bene. Pensò. Ora la faccio finita e confesso, lo dirò in faccia a tutti e due, dovesse costarmi la vita, glielo dirò che io e Akane…!

 

I suoi pensieri furono interrotti bruscamente: un piede in fallo e il mondo si capovolse.

Ranma batté la testa contro qualcosa di solido, e imprecò di dolore.

 

Quando si voltò per vedere cosa aveva colpito si gelò: era una stele funeraria.

 

 

Kodachi era sparita da un po’, e Kuno e Nabiki camminavano silenziosamente.

 

Le macerie erano state parzialmente rimosse, ma ancora erano visibili gli effetti devastanti di quello che venne definito ‘il più forte terremoto del secolo’.

 

Fu lui a parlare per primo: “Santi numi… questa è una vera catastrofe!”

Intorno a loro si stagliavano blocchi di marmo che una volta erano state delle case, steli provvisorie che indicavano le vittime, mobili abbandonati e mutilati dai crolli.

 

Nabiki annuì. “Se non fosse stato per Akane io e papà saremmo ancora sepolti sotto le nostre macerie.”

 

Lui ammiccò. “Quella ragazza è in gamba, l’ho sempre saputo!”

 

La ragazza si accigliò. “Lascia stare mia sorella, Kuno: il suo cuore non appartiene a te, ma a Ranma.”

“Ranma Saotome non sarà un ostacolo, io lo sconfiggerò e lui dovrà arrendersi!”

 

“Smettila!” Gridò.

 

Il ragazzo si voltò, sorpreso. “Nabiki Tendo! Se non fossi sano di mente direi che nel tuo cuore alberga la gelosia!”

 

“Non dire stupidaggini! E’ che Akane è innamorata di Ranma, mettitelo bene in testa!”

Lui fece la solita risata ironica e si passò la mano tra i capelli: in quel momento a Nabiki parve davvero affascinante… ma non era la prima volta che lo pensava, giusto?

 

“...con lui!”

 

Lei si riscosse. “Come hai detto, Kuno?”

 

“Ho detto che non permetterò mai che Akane Tendo metta su famiglia con lui!”

 

Nabiki smise di lottare: a che serviva? Kuno era più testardo di un mulo!

 

“Dimmi un po’ Nabiki Tendo...” Continuò invece lui.

 

“Sì?” Fece lei spazientita.

 

“Come mai l’odioso Saotome ha deciso di andare via di casa sei mesi fa?”

 

La domanda la sorprese. “Io… credo che volesse riflettere.”

 

“Certo, certo… avrà recitato il mea culpa più lungo della sua vita per aver rinunciato ad una ragazza come Akane lasciando campo libero a me.” 

 

Lei lo assecondò. “Certo… come no! Peccato che lei si sia precipitata a riprenderselo!”

 

Lui sembrò sinceramente colpito dalle sue parole. “E’ stata lei a decidere di andare a cercarlo? Vuoi dire che nessuno ha tentato di convincerla?”

 

“Naturalmente no.” Rispose la ragazza pazientemente. “Possibile che non ti accorgi di quello che ti accade intorno Kuno? Come puoi non esserti reso conto che lei non ti vuole?”

 

Kuno parve riflettere un momento, poi parlò con una serietà che lasciò di stucco Nabiki stessa. “E’ che mi rifiutavo di crederci… mi è sempre così difficile avere qualcuno da amare…”

 

Rimase impietrita, e provò qualcosa di simile alla pena. “Kuno? Tu vuoi davvero… qualcuno da amare?”

 

“Vorrei qualcuno che mi ami piuttosto – sospirò pensieroso – mio padre è un folle, e non credo che sappia cosa significhi amare un figlio.”

 

“Ma hai tua sorella!” Protestò lei.

 

Lui sorrise di nuovo in quel suo modo affascinante, e a Nabiki girò per un secondo la testa.

“Quella sciocca è invasata di suo, senza contare che anche lei pensa sempre e solo all’odiato Saotome!”

Nabiki allungò il collo ammiccante. “Sei per caso geloso di Ranma?” Arrischiò.

 

Il ragazzo la guardò intensamente per un attimo, poi si voltò stizzito. “Questo Saotome arriva un bel giorno e si prende sia Akane che l’appena conosciuta ragazza col codino, poi forma dietro di sé una schiera di pretendenti tra cui mia sorella, ma chi si crede di essere?!”

 

Lei abbassò lo sguardo, e ragionò ad alta voce. “Bè… lui non ha mai chiesto di essere amato, e forse… ecco, forse proprio per la sua discrezione nei rapporti con gli altri ha attirato tante persone. Senza contare che è sempre stato solo; a parte suo padre non ha mai avuto amici, e quest’aura di mistero un po’ esotica ha incuriosito gli altri. Inoltre è molto forte, e abile…”

 

“…va bene, basta così! Smettila di enunciarmi i pregi di Ranma Saotome, ho capito.”

 

Per il resto del viaggio lui fu silenzioso, e Nabiki si chiese se per caso nella sua mente non si fosse svegliato qualcosa.

 

 

Ryoga e Ukyo si fermarono improvvisamente, urtandosi a vicenda, e Akane mormorò: “Credo che… siamo arrivati.”

I suoi occhi erano fissi sulla stele.

 

“Di chi è quella… tomba?” Arrischiò Ryoga.

 

Ranma si accosciò per leggerne il nome, e Akane lo imitò; un secondo più tardi risucchiò aria in un sibilo di sorpresa e si portò una mano alla bocca.

 

“Che c’è?” Chiese Ukyo tremante.

 

“La… la stele…” Akane non seppe continuare, allungò il dito ad indicarla, e Ryoga e Ucchan lessero contemporaneamente: Nodoka Saotome.

 

 

Le spalle di Ranma sussultarono violentemente, e nessuno ebbe più il coraggio di parlare; Akane gli sfiorò la spalla, in un timido gesto di conforto, provò a dire il suo nome, ma non le riuscì: aveva la gola arida come il deserto.

 

Il ragazzo affondò un pugno nel terreno. “MALEDIZIONE!” Esclamò con voce rotta.

 

“Ranma…” Piagnucolò la sua fidanzata, ma lui non registrava nient’altro che la propria rabbia.

 

“Dov’era… DOV’ERA MIO PADRE MENTRE LEI MORIVA?!” Affondò una mano nel terreno umido, singhiozzando disperatamente.

 

“DANNAZIONE! DANNAZIONE DANNAZIONE DANNAZIONE! L’AVEVO APPENA RITROVATA!”

 

Ukyo e Ryoga ammutolirono, quasi spaventati da tanta disperazione, e tacquero anche quando Akane gli si avvicinò.

 

Ranma la guardò con gli occhi spalancati di stupore. “Mia madre – pianse – mia madre… è morta, e io non ero con lei…”

 

Akane annuì, le lacrime che le scorrevano libere sulle guance. “Non… non è colpa tua Ranma…”

 

Lui la fissò ancora, inebetito, poi lasciò che gli si inginocchiasse al fianco, le posò la testa sul grembo e pianse.

 

E mentre sfogava la sua rabbia, sentiva la voce della sua fidanzata…

 

“Sssst… calmo Ranma… ci sono io…”

 

…le sue lacrime che gli inumidivano i capelli

 

“Sssst Ranma…”

 

…e le sue mani carezzevoli sulla testa come quelle di una madre.

 

 

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Capitolo 12
*** Addii ***


Cap.12

ADDII

 

l'ultimo bacio mia dolce bambina

brucia sul viso come gocce di limone

l'eroico coraggio di un feroce addio

ma sono lacrime mentre piove piove

mentre piove piove

mentre piove piove

 

Magica quiete velata indulgenza

dopo l'ingrata tempesta

riprendi fiato e con intenso trasporto

celebri un mite e insolito risveglio

 

Mille violini suonati dal vento

l'ultimo abbraccio mia amata bambina

nel tenue ricordo di una pioggia d'argento

il senso spietato di un non ritorno

 

Shampoo si era incamminata non appena Mousse si era risvegliato; cosa le era venuto in mente?! Preoccuparsi per lui! Era vivo; paralizzato, sì, ma vivo.

Il senso di colpa se ne sarebbe andato presto, in fondo mica l’aveva chiesto lei di essere salvata! Chi ci aveva rimesso la pelle era sua nonna, e questo sì che sarebbe stato difficile da superare.

 

Sarebbe giunta a casa Saotome e si sarebbe presa il suo Ranma, costasse quel che costasse, e guai a chi… Si fermò.

 

“Ma come si permette!” Sibilò vedendo Akane che stringeva Ranma con tanta enfasi.

 

“Ehi tu! – gridò lanciando un bombori nella sua direzione – Lascia andare il mio Lanma!”

 

Akane spinse via un confuso Ranma, che si scostò appena in tempo per vedere una mano che afferrava l’arma con destrezza. Era Ucchan.

 

“Ehi tu, spatola, che vuoi? Perché mi intralci?!” Gridò l’amazzone indispettita.

 

“Ma non vedi che Ranma è disperato, stupida!” Le urlò di rimando Ukyo.

 

“Disperato…?”

 

Ryoga si mise di mezzo “Sì, ha appena perso sua madre, e Akane…”

 

“…e Akane ne ha approfittato per consolarlo! Ma che furba che sei, raggirare così il mio Lanma approfittando del suo dolore!”

 

Akane strinse forte i pugni, aveva ancora le lacrime agli occhi ma ora si sentiva infuriata. “Ma come ti permetti Shampoo! Non hai rispetto per i morti?! Come ti viene in mente una cosa simile?! Di solito sei tu quella che raggira Ranma!”

 

“Bugiarda!” Strepitò lei. E l’attaccò con un altro bombori.

 

Lei si scostò in ritardo e ricevette il colpo sulla spalla ingessata. Ryoga si infuriò.

 

“Come puoi colpire Akane pur sapendo che ha un braccio rotto?! Non hai un minimo di pudore?!” Si intromise Ukyo. “E ricordati che se qui c’è una che ha il diritto di essere gelosa, quella sono io! Non dimenticare che Ranma è il mio fidanzato!”

 

“Ma non farmi ridere! Come potrebbe Ranma mettersi con una cuoca pessima come te?! Sono io l’unica ad avere il diritto di consolarlo, lasciami passare!”

 

Lei si mise davanti, sbarrandole il passo. “No! Lo proteggerò da te e dai tuoi trucchetti fino alla morte! Che vuoi fargli stavolta, eh? Narcotizzarlo e portartelo via?”

 

Akane era allibita: come potevano mettersi a litigare in quel modo di fronte ad una tragedia simile? Si mise in mezzo alle due contendenti, cercando di farle ragionare.

 

“Ma che vi prende, siete impazzite?! Ranma ha appena scoperto che sua madre è morta e voi vi mettete a litigare su chi abbia più diritto di stargli vicino e chi meno?! Siete meschine e cattive!”

“Zitta tu!” L’amazzone la colpì in pieno volto stavolta, facendola barcollare.

 

“Ah è così?! Non mi ascoltate?!” Akane assunse la posizione di attacco, pronta a colpire, braccio rotto o no.

 

“Fatti da parte Akane! – le intimò Ucchan – Potresti farti male. Ci penso io a questa ragazzina maleducata!”

“Ragazzina maleducata a chi?! Guarda che…!”

 

“BASTA! SMETTETELA TUTTE QUANTE!”

 

Era Ranma, rimasto in silenzio per tutto il tempo, che ora esplodeva di rabbia e di dolore.

 

“Io non posso credere che stiate facendo questo sul serio… - sibilò – Siete due stupide! Io… IO VI ODIOOOOOOOO! CAPITO?! E’ INUTILE CHE LITIGHIATE PER ME, IO VI ODIO ENTRAMBE!”

 

L’urlo lacerò il cielo, e Ukyo e Shampoo furono spaventate da Ranma per la prima volta nelle loro vite.

 

“Lanma…?!” Azzardò l’amazzone timidamente.

 

“Taci Shampoo!” Ringhiò.

 

Il suo volto si contrasse dal dolore, guardò le due contendenti con qualcosa di simile all’odio e bisbigliò un’unica, distinta parola: “Addio.”

 

E fuggì, saltando sulle macerie e sugli alberi, perché nessuno lo seguisse.

 

“RANMA!” Gridò Akane cominciando a correre.

 

Shampoo e Ucchan fecero per seguirla, ma due mani le afferrarono salde. “Ferme!” Il tono di Ryoga non ammetteva repliche. “Avete fatto abbastanza per oggi. Lasciatelo in pace.” Le due ragazze lo fissarono per un momento, poi si rivolsero uno sguardo tra di loro chiedendosi se per caso Ryoga non fosse impazzito.

 

 

Quando Akane si svegliò era tarda serata, e si rese conto di due cose: era sola e si trovava nella tenda di Ranma.  Lentamente strisciò fuori, cercando di fare mente locale.

 

“Akane…”

 

Era la voce di Ranma. Ricordava come aveva invocato il suo nome.

 

“Akane… oh Akane…!”

 

Con tanta disperazione…

 

“Akane… Akane…”

 

…con tanto dolore…

 

Ranma era fuggito disperato, quel pomeriggio, e lei gli era corsa dietro.

Quando lo vide, era seduto con le braccia allacciate intorno alle ginocchia, piangendo per sua madre come un bambino.

 

Lei gli si era avvicinata, incapace di parlare, e lo aveva consolato accarezzandolo, abbracciandolo, finché i suoi singhiozzi non si erano placati e lui si era addormentato sulle sue ginocchia.

Allora Akane aveva montato la tenda, lentamente a causa del braccio, ma in tempo per ripararsi dalla pioggia e dalla notte. Aveva dormito accanto a lui, accoccolata tra le sue braccia, bisbigliandogli tutto il suo conforto, risvegliandolo dagli incubi.

 

Poi Ranma le aveva detto qualcosa, mentre l’alba sorgeva e il sonno la cullava finalmente nell’oblio: sapeva che erano parole dette con il cuore e, anche se non ne capì il significato, sorrise alla voce calda di lui e si addormentò.

 

Ma ora si era svegliata da sola.

 

Poi vide il messaggio sul cuscino di lui, e tutto ritornò a galla.

 

Ranma arrivò dove una volta c’era il dojo e rimase per un attimo senza respiro.

Non è rimasto niente. Pensò.

 

Ma ora aveva altro di cui occuparsi; camminò silenziosamente arrivando alle spalle di Kasumi china sui fornelli d’emergenza.

Quando lei si girò gli lesse negli occhi qualcosa che le impedì di salutarlo, invece si pose una mano sulle labbra e mormorò il suo nome.

 

Lui la guardò per un istante, cercando di portare un po’ di calore alla sua occhiata, ma riuscì solo a spaventarla di più.

Soun si voltò accigliato. Ci siamo. Pensò. Lo sa.

 

Genma stette in piedi, immobile, guardando il figlio con un misto di disperazione e di pietà.

Nessuno fiatò, e Ranma si scagliò contro suo padre pronto ad ucciderlo.

 

 

“Ranma! Per l’amor del cielo, basta! Così lo ucciderai!” La voce di Soun tuonò nelle sue orecchie frastornandolo.

E’ quello che voglio fare! Formulò la sua mente.

 

Lo aveva colpito ripetutamente, accecato dal dolore e dalle lacrime, gridandogli che era un maledetto idiota, che lo odiava, che aveva ucciso sua madre, che…

 

“Ranma, basta!” La voce pacata di Kasumi ebbe l’effetto di un tocco magico su di lui, e d’improvviso smise; si guardò le mani, istupidito, poi guardò suo padre piangente e disperato.

 

Non ha nemmeno cercato di difendersi. Pensò.

Sentì nel cuore un peso troppo grande, e credette di morirne.

 

Cosa era accaduto in fondo?

Aveva deluso colei che amava e la stava lasciando da sola per la seconda volta.

Aveva vissuto nel panico della terra che tremava, aveva incontrato il padre della sua migliore amica mentre moriva e chiedeva giustizia, aveva visto uno dei suoi avversari perdere la mobilità alle gambe pur di salvare colei che amava, aveva perso sua madre, aveva picchiato a sangue suo padre incolpandolo di qualcosa senza chiedere spiegazioni, aveva…

 

…perso la ragione.

 

Tremando di paura e di esasperazione fuggì via, lontano, ignaro dei richiami, ignaro della meta, desiderando di perdersi, di morire, di cancellare.

 

Di cancellare tutto come fosse stato solo un incubo.

 

 

Akane si portò le mani sul viso, coprendosi gli occhi “Mio dio…” Mormorò.

Lui aveva sussurrato qualcosa nel suo orecchio, mentre lei era semi-addormentata.

 

“Mi dispiace…- aveva detto – Oh Akane, non volevo coinvolgerti in tutto questo, io ti amo, e ora so come fare per farti smettere di soffrire…”

 

Si sedette adagio sull’erba, e cominciò a leggere il messaggio che lui le aveva lasciato.

 

 

Mentre correva, Ranma ripercorse con la mente i momenti passati con lei, e capì che non sarebbe bastato lasciarla: lei avrebbe sofferto.

Forse sì, all’inizio, ma poi…

Avrebbe vissuto una vita tranquilla, lontana dalle sue battaglie, dalla sua maledizione, da tutte quelle che gli correvano dietro, amiche più o meno care che rendevano all’unica donna che lui amasse la vita impossibile. Akane non si meritava tutto questo, e non sarebbe mai stata felice accanto a lui.

 

L’aveva amata, cercando un ultimo ricordo del suo profumo, della sua pelle, del suo calore, ma ora basta; le aveva dato l’ultimo bacio e aveva spezzato il proprio cuore decidendo di non vederla più.

 

Per il suo bene.

 

Per lei.

 

 

Me ne vado, non so se tornerò stavolta, non voglio più farti soffrire…Perdonami.

 

Ranma.

 

“Razza di… STUPIDO!” Gridò stringendo la lettera fino a stracciarla.

“Pensi di farmi felice, così?! Pensi che io possa essere felice senza di te?! Ranma… SEI UN IDIOTAAAA!”

 

Il grido lacerò il cielo, e gli uccelli volavano via come impazziti.

 

Il vigliacco l’aveva lasciata di nuovo, pur di non farla soffrire, e adesso era chissà dove.

 

 

Ranma era stato sorpreso dalla pioggia ed era diventato ragazza; aveva lasciato Akane nella sua tenda e ora era rannicchiato sotto un olmo, infreddolito e disperato.

 

Gli mancava… Dio se gli mancava! Ma avrebbe resistito per il suo bene.

Ripensò a sua madre, e sentì nuove lacrime bruciargli gli occhi: era di nuovo solo, di nuovo in giro senza meta… era proprio quello il suo destino? Fuggire per non ferire gli altri?

Una volta era scappato, e sua madre era morta; era tornato, ma Akane era stata nuovamente presa di mira da Shampoo e dagli altri.

Ma allora cos’era giusto fare? Forse era meglio sparire, o forse fare chiarezza una volta per tutte nella sua vita era la soluzione.

 

Ahhh, dannazione! Finché era così confuso non sarebbe tornato da lei; si erano confessati i propri sentimenti, ma non era servito a niente, non fino a che gli altri erano in giro.

 

Ricordò la promessa fatta al padre di Ucchan, e gettò la testa fra le braccia: quante promesse che non era in grado di mantenere! Quanti problemi su cui riflettere!

 

La testa gli doleva per la fatica e per il freddo.

 

Stette sotto la pioggia per tutta la notte, febbricitante e in preda agli incubi, parzialmente protetto dall’olmo e, se Ryoga non lo avesse trovato la mattina dopo, sarebbe di certo morto di freddo.

 

 

“Dannazione.” Bisbigliò Ryoga insultandosi mentalmente.

 

Si era perso di nuovo, e pioveva a dirotto; ma almeno aveva l’ombrello.

 

Aveva lasciato Ucchan davanti alle macerie di casa Saotome, ed era andato via in preda allo sconforto: Akane e Ranma andavano d’accordo, la madre di lui era morta nel terremoto e questo li avrebbe avvicinati. Mousse era fuori combattimento, non aveva più né speranze né avversari.

Che valeva restare? Per un attimo aveva pensato a come sarebbe stato rimanere accanto ad Ukyo, ma scacciò il pensiero con un sorriso ironico: essere suo amico? Con il pensiero di Ranma che li assillava entrambi? No, grazie.

Era cresciuto, aveva maturato una consapevolezza adulta da quando aveva visto il bambino morto sotto le macerie.

 

Piantò la tenda, scaldò del riso e si addormentò.

Era di nuovo solo.

E fuori imperversava una vera e propria tempesta.

 

 

Ucchan e Shampoo giunsero all’accampamento dove avevano lasciato Mousse e il dottor Tofu quando era già mezzanotte passata.

Erano fradice, sporche di fango e stanche.

 

Il dottore le vide entrare, una ragazza pallida e una gattina, e scattò in piedi. “Santo cielo ragazza mia, ma che fine avete fatto?!”

Vide l’espressione disperata di Ukyo e tacque.

 

Lei cominciò a singhiozzare, e un attimo dopo si era gettata tra le sue braccia piangendo.

 

“Lacrime di coccodrillo…” Mormorò urtata Shampoo versandosi addosso l’acqua calda.

 

Mousse dormiva e la stufa era accesa, attaccata al generatore, scaldando parzialmente il tendone sotto il quale Tofu aveva allestito il piccolo pronto soccorso.

Shampoo scaldò della zuppa di miso e ne porse una ciotola ad una riluttante Ukyo.

 

“Devi mangiare! – disse il dottore – Sei debole e influenzata, vuoi ammalarti per caso?”

 

Lei annuì, e bevve un sorso dalla ciotola, sentendo scendere in gola la minestra bollente, sentendosi calda all’istante. Sulle guance le riapparve un po’ di colore.

 

“Allora Ucchan – iniziò Shampoo spazientita – mi vuoi spiegare cosa è successo al mio Lanma?”

 

La ragazza si accigliò. “Sua madre è morta, e Ranma non è tuo.”

 

Il dottor Tofu trattenne un respiro alla notizia della morte di Nodoka, e Shampoo spalancò gli occhi.

 

“Lo so che è morta, ma come?”

 

“C’era solo una lastra di pietra lì, io che ne so?! Sarà stato per via del terremoto, no!? Stupida!”

 

“Stupida sei tu che l’hai lasciato andare col maschiaccio!”

 

“Basta Shampoo!” Era Mousse. Tutti si voltarono.

 

“Ma non stavi dormendo?” Domandò lei spazientita.

 

Lui sorrise amaramente. “Questa è la Shampoo che conosco, antipatica con me e violenta con gli altri; sei rimasta con me oggi, ma adesso ti sei ripresa. Sono felice che tu stia meglio.”

 

“Mousse…”

 

“Ukyo, hai ragione, Ranma non appartiene né a te né a lei; appartiene solo a se stesso. E ad Akane.”

 

L’amazzone si alzò in piedi. “Io vado a cercarlo. Non mi importa quello che dici!”

 

“Ragazzi…”Cominciò il dottor Tofu, ma Mousse lo interruppe.

 

“Shampoo, Ranma ha appena perso sua madre, non ha bisogno dei tuoi capricci!”

 

“Mousse, fatti gli affari tuoi!” Gridò lei indispettita.

 

Lui si tirò a sedere, e la guardò dritta negli occhi. “Stavolta non ti fermerò, perché non posso farlo; la mia vita è rovinata e non spererò più di poterti avere accanto, perché ti intralcerei e basta. Ormai sono un invalido e non ti serve avere un invalido al tuo fianco.

Ma lascia che gli altri siano felici.

Fallo per il tuo onore, perché da Ranma riceveresti solo un rifiuto!”

 

Ucchan era sconvolta. Mousse che faceva la predica a Shampoo? Si era definito un invalido, e le sembrava di aver capito che rinunciava a lei.

Cosa accadeva tra quei due?

 

 

“Ranma! Ranma apri gli occhi per favore, RANMA!”

 

Una voce.

 

Un volto conosciuto pieno di preoccupazione.

 

“Ryoga…?” Mormorò con la sua voce femminile.

 

Il ragazzo con la bandana sospirò sollevato, e si lasciò cadere seduto.

“Santo cielo Ranma, credevo che fossi morto! Ma che ci facevi fuori sotto la pioggia?! Lo sai che hai un febbrone da cavallo?!”

 

La ragazza rossa si accorse di essere avvolta in un sacco a pelo e in qualcosa come una decina di coperte; era nella tenda di Ryoga, e una piccola teiera gialla scaldava sul fornello elettrico.

Sorrise.

“E così mi hai salvato la vita e ti sei anche preoccupato per me… Grazie P-chan!”

 

Lui incrociò le braccia. “Ringrazia il cielo che sei malato, o ti avrei già buttato fuori! Non chiamarmi mai più P-chan!”

 

Si voltò e prese la teiera. “Acqua calda, bella fanciulla?”

A Ranma non sfuggì il tono ironico, fece una smorfia e se la gettò addosso, godendosi il calore.

 

“Grazie amico!” Gliela porse, e lui gli scoccò uno sguardo di traverso.

“Non sono tuo amico!”

 

Lui sorrise, e si distese nuovamente sotto le coperte. Gli girava la testa.

 

“Dimmi un po’ Ranma… – cominciò Ryoga sul vago – dove hai lasciato Akane?”

 

“L’ho lasciata andare.”

 

“COOOSA?!”

 

“Hai sentito bene. Ieri mattina presto ho deciso che era meglio così. Non posso metterla sempre in pericolo; la mia vita è troppo caotica, e lei non si merita tutto questo.” Si rigirò sul fianco, aspettando le parole di trionfo di Ryoga.

 

Invece lui tacque per qualche secondo, poi disse piano: “Come sei stupido Ranma…”

Il ragazzo col codino si voltò, guardandolo attentamente con le palpebre socchiuse e roventi.

 

“Sì, hai capito, sei stupido! Pensi che soffra di meno lontana da te?! Pensi che le importi qualcosa di tutto il marasma che ti crei attorno ogni volta che una delle tue fidanzate ti corteggia?! Può esserne gelosa, soffrirne, questo sì, ma quando è lontana da te Akane è molto più infelice!”

 

Lui lo guardò, mormorò il suo nome una volta stentando a riconoscerlo, credendo che fosse la febbre a dargli le allucinazioni.

 

“Non sto delirando Ranma, solo… mi sono guardato attorno. Durante il terremoto ho vissuto dei momenti orrendi, in cui ho creduto di impazzire! Intorno a me ho visto la distruzione totale, la gente morire, le mie certezze crollare! L’unica che non ha mai smesso di pensare a te un solo istante mentre il mondo le cadeva addosso è stata Akane.

Mi ha fatto una rabbia assurda, ma è così!”

 

Ranma si voltò. “Lo so, sono un vigliacco. Così vigliacco da non riuscire neanche ad amarla senza timore di far soffrire lei e gli altri. Ma come faccio?! Come posso sperare di rimettere tutto al suo posto in un giorno solo?! Hai visto cosa è accaduto oggi! Lei rischia la vita ogni giorno con me accanto! Forse col tempo si sistemerà tutto, ma non subito. Subito è impossibile!”

 

Ryoga si rilassò: il suo dovere l’aveva fatto, a che serviva lottare?

 

“Mi dispiace per tua madre, e per quello che è accaduto.” Mormorò.

 

“Va tutto bene – disse Ranma – tu hai solo cercato di mettere pace.”

 

Lui alzò le spalle. “Bè… buonanotte Ranma.”

 

“Buonanotte Ryoga.”

 

L’alba faceva capolino timidamente, impedita dalla pioggia, e i due amici-nemici si abbandonarono al sonno come due soldati stanchi di combattere.

 

Da tutt’altra parte, Akane piangeva per il suo amore nuovamente perduto.

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Capitolo 13
*** Imprevisti ***


Cap.13

IMPREVISTI

 

Ryoga si era perso di nuovo e il cielo minacciava pioggia.

O neve.

 

“Dannazione!” Sibilò. “Eppure stavolta credevo di essere vicino…!”

 

Poi la vide da lontano: aveva la divisa della scuola, e davanti a lei c’era una fila di camion carichi di legname ed altro materiale. La sua casa era quasi completata ormai.

 

Lei si girò: il suo volto era pallido, ma appena lo vide accennò un sorriso. “Ryoga! Ciao.”

 

Il ragazzo le si accostò. “Come stai Akane? Vedo che Kuno ha mantenuto la sua promessa: casa tua è come nuova.”

 

“Già – Akane tacque per un po’ – Notizie di Ranma?” Chiese infine.

 

Lui si tolse lo zaino e sospirò. “L’ho visto ieri, e dice che parlerà con Ucchan in questi giorni… tornerà, vedrai!”
Le pose una mano sulla spalla, e la ragazza gli sorrise.

 

Erano passate due settimane da quando Ranma l’aveva lasciata nella tenda, e aveva mantenuto i contatti con lei tramite Ryoga.

Voleva riflettere bene sul da farsi, infine aveva trovato gli argomenti e le parole giusti da dire ad Ukyo e a Shampoo.

Il ragazzo perduto aveva acuito i sensi, era riuscito a fare da spola trai due senza perdersi troppe volte ed aveva tratto dai suoi viaggi l’allenamento di cui aveva bisogno.


Shampoo si era ritirata in Cina e aveva trovato un chirurgo che curasse Mousse; in una lettera annunciava che il medico, amico e collega fidato del dottor Tofu, l’avrebbe rimesso come nuovo. Lei sarebbe tornata a giorni, da sola, per riprendersi Ranma e il ragazzo col codino sapeva che sarebbe stata dura parlarle, ma che era necessario.

 

Akane seguì lo sguardo di Ryoga. “Vanno d’accordo quei due, eh?”

Lei sorrise. “Già. Credo che alla fine si metteranno insieme!”

 

Nabiki e Kuno parlavano animatamente dei lavori in casa Tendo, dei costi, dei materiali, e pareva si capissero a meraviglia. Sembrava impossibile!

 

“So che anche Ucchan sta ricostruendo il ristorante.” Disse Akane.

 

Ryoga arrossì un poco. “Già, è un po’ che non la vedo… credo che farò un salto da lei. Magari spiano un po’ il terreno a Ranma.”

 

La minore delle Tendo lo guardò con affetto. “Grazie per quello che stai facendo per me e Ranma, sei un vero amico!”

 

Il ragazzo abbassò il capo, in imbarazzo. “Non avrei mai creduto di poterlo fare… io ho sempre odiato Ranma. Lo faccio per te, so quanto tieni a lui.”

 

“Oh Ryoga…”

L’eterno disperso rifletté per un istante, come prendendo una decisione, poi si voltò di scatto verso di lei fissando i suoi occhi color caffè e i capelli scuri un po’ allungati; si sentì come annegare per un attimo, poi buttò là la domanda: “Tu lo ami?”

Lei spalancò gli occhi, un po’ a disagio, e lui le prese le mani con fare accorato. “Io… devo saperlo! Devo sapere se... sperare ancora oppure… dimmelo Akane, ti prego!”

“Ryoga tu…?!” Indirettamente le aveva rivelato i suoi sentimenti e lei si sentì turbata; ne era davvero sorpresa? Aveva sospettato qualcosa, ogni tanto, ma ora… detto così…

 

Prese un respiro profondo: quello che contava adesso era dirglielo, per spezzare la catena degli equivoci e delle incertezze per sempre.

“Sì… io… lo amo, Ryoga.”

Lui annuì. “Immaginavo…” Mormorò. “Bene, grazie. Ora posso andare via tranquillo.”

 

Lei notò la sua delusione velata, e si sentì un po’ in colpa.

 

Ryoga si voltò. “Addio Akane…”

Senza guardare dove andava, cominciò a camminare velocemente, sentendo i resti del suo mondo cadergli addosso come non gli era capitato neanche durante il terremoto.

Poi sentì la sua voce argentina che lo chiamava; si voltò e la vide: Akane lo stava chiamando, lo stava quasi rincorrendo!

Possibile?
Forse lei aveva cambiato idea, forse sentiva qualcosina per lui, anche se piccolo piccolo, forse…

 

“Akane…” Bisbigliò quasi con le lacrime agli occhi.

 

“Ryoga – ansimò - Ti perderai se vai solo; ti accompagno se vuoi.”

 

Le stelle che si erano accese nella sua testa scomparvero e Ryoga si insultò, dandosi mentalmente dell’idiota: ma che era andato a pensare, in nome del cielo?

“Bè… si, grazie.” Si sentì imbarazzato, ma le camminò al fianco fino al nuovo chiosco di Ukyo.

 

Nessuno dei due poteva sapere che Ranma era dentro con lei.

 

 

Ukyo sentì le lacrime salirle agli occhi e scosse la testa, incredula. “Povero papà!” Mormorò.

 

Ranma le porse un fazzoletto e ricominciò. “La pistola l’ho gettata trai rovi… non volevo neppure vederla e così non ho nemmeno pensato che tu non potessi volerla per ricordo.”

La ragazza sorrise. “La mia spatola è il suo ricordo. Comunque ti ringrazio di avermelo detto tu, non lo avrei sopportato se fosse stato qualcun altro.”

 

“Mi sento così in colpa… ma la verità è che io ti proteggerò e ti sarò sempre amico, Ucchan.”

Lei gli si gettò fra le braccia. “Oh Ranma!” Pianse.

 

 

“Bè, è carino! Meglio dell’altro direi!” Commentò Akane.

 

Ryoga sentì una voce. “Sembra che Ucchan abbia visite…”

 

Lei lo guardò. “E’ vero, ho sentito anch’io! Chi mai…?!” Poi si gelò.

 

“Akane? Cosa…?!”

 

“E’ Ranma – deglutì – è la voce di Ranma.”

 

 

“Ucchan… io devo dirti una cosa…” Cercò di parlare, ma lei gli si stringeva al torace come se non volesse lasciarlo più.

 

“Ranma, resta con me! Non lasciarmi, io ti amo!”

 

“Ucchan…”

 

S’interruppe: alzando la testa vide Akane e Ryoga che li spiavano attraverso il vetro.

 

“Oh mio…!” Mormorò.

 

Ukyo alzò il volto umido di lacrime verso di lui, con aria interrogativa. Poi si voltò e li vide anche lei: Akane era bianca come un lenzuolo.

 

Scelse quel momento per afferrare il volto di Ranma e pigiare le proprie labbra contro le sue.

 

Akane mandò un singhiozzo strozzato, e Ryoga fracassò il vetro con un pugno, facendo risuonare la stanza di un rumore infernale.

 

“Bene!” Esclamò trionfante. “E’così che pensi ad Akane, razza di dongiovanni da strapazzo!”

 

Ranma scostò leggermente la ragazza castana da sé. “Io… non è come pensate!”

Akane lo guardò di traverso. “Le solite scuse – sibilò – credevo che mi avessi detto la verità, che mi amassi! CREDEVO CHE FOSSI CAMBIATO!”

 

Il silenzio cadde su di loro come un presagio.

“Akane…” cominciò il ragazzo col codino disperato.

 

“ZITTO!” Gli intimò lei. “Ti serviva del tempo per sistemare le cose, eh?! PER FARE CHIAREZZA! BE’ SAI CHE TI DICO, RANMA SAOTOME?! CHE PIU’CHIARO DI COSI SI MUORE!”

 

Lui le si avvicinò e cercò di spiegarsi, ma lei gli sibilò contro come una tigre inferocita. “NON MI TOCCARE!” Gridò. “Vorrei non averti mai cercato, vorrei… essere morta in quel terremoto!”

Il ragazzo alzò il braccio per colpirla, ma Ryoga lo bloccò. “Che vuoi fare, Ranma, schiaffeggiarla? Sei impazzito?!”

 

Lui liberò il braccio con un gesto di stizza. “Fatti gli affari tuoi Ryoga Hibiki! Mi avete stufato tutti quanti! E’ stata lei a baciarmi, maledizione, è stata lei! Akane è la mia fidanzata e se tutti quanti vi foste fatti gli affari vostri fin dall’inizio non saremmo a questo punto!”

 

Saltò attraverso la finestra rotta ma, prima di fuggire via, si voltò verso un’Akane scioccata. “Grazie per esserti fidata di me anche questa volta!” E se ne andò.

 

Lei rimase inebetita a vederlo scappare via e Ryoga si accostò ad Ucchan, che seguiva la scena con gli occhi spalancati. “Brava! – le disse piano – Vedo che baciare uno o l’altro non ti fa molta differenza!”

 

La ragazza staccò gli occhi dal punto che stava fissando per guardare Ryoga, incredula. Ma, prima che potesse dire qualcosa, lui se n’era già andato via con Akane.

 

L’eterno disperso non sapeva perché avesse detto quelle parole, non sapeva nemmeno se lei ricordasse quel bacio dato un mese prima, ma improvvisamente si era sentito in dovere di ferirla come lei aveva fatto con Akane; si sentiva addirittura… geloso!

Che diritto aveva avuto quella stupida di lasciarsi baciare da lui come fosse stato il sostituto o il ripiego di Ranma? Se lo amava tanto, perché aveva risposto al suo bacio? Gli sembrava di ricordare che aveva detto che era bello, che voleva baciarlo di nuovo!

 

Mah, certo che la paura di quei giorni aveva fatto brutti scherzi! Comunque ora doveva pensare solo ad Akane, a consolarla, poi avrebbe cercato Ranma e lo avrebbe preso a pugni finché non gli si fosse gonfiata tutta la faccia!

 

Lo odiava… Dio, se lo odiava!

 

 

 

Ranma se ne stava accovacciato in riva al fiume, abbracciandosi le ginocchia con rabbia “Dannazione!” Sibilò a denti stretti. “Va a finire sempre così! E io che ero tornato per fare chiarezza con tutti!”

 

Dietro di lui udì un fruscio, e credette che Ryoga fosse lì per fargli la predica un’altra volta.

“Ryoga per piacere, non sono in vena!”

 

Ma non era lui.

 

Voltandosi, si ritrovò perso negli occhi appena umidi di Akane, quegli occhi tristi che gli spezzavano il cuore in due.

 

“Mi… dispiace, Ranma.” Bisbigliò lei con una vocina che gli sciolse le viscere.

 

Il ragazzo si alzò: erano tre settimane che non la vedeva, e il bisogno di abbracciarla faceva male in modo quasi fisico. La strinse a sé, sentendo i suoi singhiozzi rombargli nel petto al ritmo del proprio cuore, e affondò il viso tra i capelli profumati di lei.

 

Poi le alzò il viso e fissò i suoi occhi color caffé, così grandi e sinceri.

 

Le tenne il mento con due dita gentili e Akane rabbrividì al suono dolce della sua voce. “Mi dispiace Akane, non volevo colpirti: non l’avrei mai fatto.”

 

“Lo so.” Disse lei con voce rotta. “Lo so…”

“Ti amo Akane Tendo.”

“Oh Ranma! – Esclamò affondando il viso nel suo torace – Anch’io ti amo Ranma, ti prego, non lasciarmi più! Ti prego rimani con me!”

 

Lui la strinse contro di sé, il cuore che gli galoppava nel petto. “No Akane, non ti lascerò più.” Disse deciso. “Ora so cosa fare.”

 

 

Nascosto da un albero vicino, Ryoga osservava la scena e nuove lacrime di dolore gli punsero gli occhi.

 

Era di nuovo solo.

 

Ukyo aveva detto di essere sua amica, ma non le credeva.

E P-chan non sarebbe più potuto entrare in scena: non ora che lei e Ranma…

 

Allora fuggì, e quasi si scontrò contro una ragazza dai capelli color lavanda.

 

“Mi scusi… SHAMPOO?! Sei tu?!”

 

“Sono tornata, e quello che ho visto non è piaciuto neanche a me! – Poi fece un sorriso cattivo. – Ma rimedieremo…”

 

Lui si accigliò. “Che intenzioni hai, Shampoo?! Li hai già divisi una volta, non vorrai…”

 

Non poté finire la frase, perché Shampoo gli aveva spruzzato qualcosa sul viso, qualcosa che sapeva… di menta? Di etere? Di alcool? Qualsiasi cosa fosse, Ryoga svenne pochi istanti più tardi, ma udì distintamente le parole sibilate dall’amazzone:
“Uccidere il nemico!”

 

 

Ukyo chiuse la porta della sua camera; fuori nevicava, e l’aria filtrava dalla finestra rotta gelando la casa.

 

“Stupido Ryoga!” Disse avvolgendosi in un’altra coperta e rabbrividendo lo stesso.


Ma cosa gli era saltato in mente di ricordarle quel gesto, quel bacio stupido come se fosse stato geloso?! Non significava niente, loro erano amici, punto e basta!

Ma allora come mai le era piaciuto, lì per lì? Mah, sicuramente aveva pensato a Ranma e si era illusa di baciare lui.

 

No, non pensava a Ranma, non in quel modo almeno; ricordava di essersi sentita abbandonata e di aver pensato… a tradirlo? A fargli dispetto? No, a lui non sarebbe importato chi baciava, lui pensava solo ad Akane!

 

“Mi ha sempre abbandonata per lei.” Rifletté.

Ricordò il bacio che gli aveva rubato qualche ora prima, e mentalmente cominciò a fare la differenza con quello dato a Ryoga.

 

Oh, naturalmente non c’era paragone! Ranma era colui che amava, e il suo bacio…

“Lui non lo voleva.” Bisbigliò.

 

Era stato bello, ma freddo, perché lei provava il brivido del contatto e lui no; non c’era risposta, non c’era calore come nel bacio dato a Ryoga.

Sicuramente quello stupido che si perdeva sempre stava pensando ad Akane mentre la baciava ma, chissà perché, in fondo al suo cuore sapeva, sperava, che non fosse così. Avrebbe voluto che quel bacio fosse solo per lei.

Lei, che non era mai stata amata né desiderata da nessun uomo, se escludeva quei due pazzi travestiti di Tsubaza e Konatsu…

 

Mentre pensieri contraddittori le affollavano la mente, un rumore forte al piano di sotto risuonò per tutta la casa, e lei si irrigidì.

 

“I ladri!” Pensò. “La finestra è rotta e sono entrati i ladri!”

 

Inghiottì un groppo di paura che aveva in gola, sgusciò fuori dalle coperte e afferrò saldamente la sua spatola gigante.

I suoi piedi nudi scricchiolavano appena sul legno del pavimento e lei li sentì insensibili per via del freddo.

 

Tremando di paura e di gelo si avvicinò alle scale, scendendole ad una ad una con i denti stretti e il respiro affannato che le si condensava davanti agli occhi.

 

Qualcuno era raggomitolato davanti all’entrata, immobile.

 

Ukyo accese la luce e gettò via la spatola, riconoscendolo: era Ryoga, e sembrava quasi morto dal freddo.

 

 

Quando Akane e Ranma tornarono a casa, trovarono un biglietto sulla porta della cucina.

 

Diceva:

 

“Siamo andati tutti nella nuova tenuta di casa Kuno; là c’è un magnifico condizionatore d’aria calda, e le finestre sono impermeabili alla neve.

Se volete raggiungerci ci sono due posti anche per voi.

Firmato:

Papà, Kasumi, Nabiki, e Genma

 

“Ah, che freddolosi!” Esclamò Ranma stizzito. “Akane, vuoi andarci?”

 

Lei scosse la testa. “Fuori c’è una vera e propria tormenta di neve, vuoi morire congelato?”

 

“Hai ragione! Accendiamo la stufa e rimediamo un po’ di coperte, io vado a vedere se ci hanno lasciato della cena in caldo.”

 

La ragazza annuì, e lanciò uno sguardo alla finestra: la neve cadeva impetuosa sotto l’azione di un vento gelido, e sembrava non voler smettere per lungo tempo.

L’inverno era proprio arrivato.

 

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Capitolo 14
*** Ritrovarsi ***


Ringrazio tutti coloro che mi hanno commentata inducendomi a continuare con gli agiornamenti. Grazie a tutti.

Mi faccio anche pubblicità se permettete: nella serie Dragon Ball troverete una mia lemon one-shot sulla coppia Bulma/Vegeta intitolata Under the Moon, che avrà presto un seguito.

Alla prossima!

L'autrice

Cap.14

RITROVARSI

 

Ryoga delirava e si agitava tra le pesanti coperte di lana che Ukyo gli aveva gettato addosso.

 

Gli tolse il termometro dalla bocca prima che lo mordesse, in preda agli incubi, e lo lasciò quasi cadere quando lesse che la temperatura arrivava a quarantuno.

 

“Santo cielo, se va avanti così morirà!” Esclamò. Allora ebbe un’idea: da qualche parte aveva letto che per abbassare una febbre particolarmente alta e resistente si doveva bagnare il paziente con acqua fredda per abbassare la temperatura corporea in modo veloce e sicuro.

Così corse in bagno, riempì la vasca di acqua gelida e lo trascinò dentro: P-chan ne uscì scrollandosi e tremando.

 

Ukyo lo afferrò, lo avvolse in una coperta e gli ficcò il termometro trai denti. “Fermo lì Ryoga, devo vedere se ha fatto effetto!”

 

Ma il ragazzo continuava ad agitarsi, così lei gli buttò addosso l’intera teiera. “Insomma cosa c’è?!”

 

Lui rabbrividì, si tolse il termometro dalla bocca e la afferrò per le spalle.

“Ma che fai?! Ryoga…?” Chiese Ukyo imbarazzata.

 

“Akane è in pericolo!” Gridò in preda al panico e gettando la ragazza nella più totale confusione.

 

 

Ranma e Akane si erano avvolti in tutte le coperte che avevano trovato e guardavano la neve comodamente accucciati sul divano.

 

Erano così vicini che potevano percepire l’uno il respiro dell’altra.

 

Akane era felice: Ranma le aveva promesso che avrebbe parlato con Ukyo il giorno dopo, e le aveva permesso di accompagnarlo; con la sua fidanzata davanti, la cuoca di okonomiyaki non avrebbe fatto nulla di insolito e Akane l’avrebbe convinta a sua volta che il ragazzo non l’amava.

Sapeva come era morto suo padre, ma non le avrebbe permesso di prendersi Ranma con la scusa di una promessa che lui, in realtà, non le aveva mai fatto seriamente.

No, Ranma era suo, e Ukyo poteva esserle solo amica!

 

L’unica cosa di cui il ragazzo col codino si preoccupava era Shampoo: lei era così testarda! Sembrava essersi avvicinata a Mousse, dopo l’incidente, ma poi era tornata ad essere quella di sempre, prepotente e arrogante, pronta a fare qualsiasi cosa per rubarlo ad Akane.

Ma non glielo avrebbe permesso. Mai!

Non ora che lui ed Akane erano così vicini.

 

All’improvviso la luce mancò, e i due furono immersi nell’oscurità.

 

“Ranma…?” Akane sentì la mano di lui stringerla più forte nel buio.

 

“Va tutto bene. Hai paura?”

“Se sono con te no.”


Parlavano a bassa voce, quasi temessero di rompere un incanto fatto di buio e di calore.

Lui aumentò la stretta e Akane cercò a tastoni il suo viso per baciarlo; quanto le era mancato! Ora poteva sentire il suo respiro caldo sulle proprie labbra e il suo profumo maschile drogarle i sensi con una tenera euforia.

 

Con dolcezza, lui le passò le mani tra i capelli, accarezzandole dolcemente le tempie, ravviandole piano le ciocche, guardandola nel buio.

 

Lei quasi lo imitò, portando le proprie mani dietro al collo di Ranma, giocherellando con la sua treccia, studiando le reazioni di entrambi.

Poi, come per un tacito accordo, si lasciarono cadere sul divano, lui su di lei.

 

“Akane…” Cominciò lui in imbarazzo.

 

Lei sorrise e gli mise un dito sulle labbra. “Sssst! Va tutto bene.”

 

“Sei sicura di volerlo Akane?” Bisbigliò Ranma soffiandole alito caldo sulle labbra.

 

“Vuoi forse dire che non ti piaccio?” Lo stuzzicò lei.

 

“Non è questo stupida! E’ solo che…”

“Che cosa? Parla Ranma!”

“Tu sei sempre così forte e decisa, ma talvolta… mi sembri così fragile Akane, come un soprammobile di cristallo, e io ho timore di ferirti…”

 

“Le parole che mi hai detto oggi mi hanno riparata da tutte le incrinature che la vita mi ha dato.

Ricostruiremo il dojo, Ranma, e lo gestiremo noi! Sei ancora il mio fidanzato, non te lo scordare, e io… io non voglio perderti.”

 

Lui spalancò gli occhi. “Vuoi dire che… mi sposerai?”

 

Lei gli sorrise dolcemente. “Se tu me lo chiederai…”

 

Ranma si schiarì la gola. “Mi vuoi sposare Akane Tendo?”

“Sì… lo voglio!”

 

“Akane… oh Akane…!”

 

Ogni dubbio fu spazzato dalle loro menti e, la bufera di neve e il gelo furono dimenticati da entrambi.

 

 

“COOOOSA?! Un congelante?!”

Ryoga le tappò la bocca con una mano rovente per la febbre ancora alta.

 

“E non urlare, ti ho detto che non so come funziona, ma so che quando me l’ha gettato addosso ho sentito freddo come se fossi stato nudo dentro a un freezer!”

 

Ukyo si portò un dito sulla tempia, riflettendo. “Quindi questo significa che se fuori ci sono due gradi sottozero chi ne viene a contatto ne avverte almeno venti di meno… ma è terribile!”

 

Lui annuì. “Già, e ho la sensazione che voglia provarlo su Akane!”

 

Lei si alzò in piedi. “Vuole ucciderla!”

L’eterno disperso assunse un’espressione grave e Ukyo dichiarò: “Non può ucciderla per prendersi Ranma, non è giusto che ricorra a questo per conquistarlo! Lo renderebbe solo infelice!”

Si accorse dello sguardo felino di Ryoga e arrossì. “Parla quella che lo ha sbaciucchiato proprio davanti ad Akane!” Le ricordò.

 

“Ma almeno io ho usato metodi leali!”

Lui stava per ribattere qualcosa, ma Ukyo lo bloccò. “Vado io a dirlo a Ranma, tu sei troppo malato!”

 

Ryoga si alzò, con la coperta ancora avvolta intorno. “Tu vuoi dirlo a Ranma sperando di accattivarti la sua gratitudine e magari avvicinarlo a te! Non sei proprio cambiata!”

 

Lei lo guardò con rabbia. “Ma che vuoi, non ti importa più che stia con Akane?! Se la ami così tanto…!”

“…la amo così tanto che voglio la sua felicità! Ma se l’hai detto un attimo fa?! Separando quei due non faresti altro che la loro infelicità! Vuoi rendere il tuo Ranma infelice per il resto della sua vita?! E’così che dici di amarlo?! Proprio come Shampoo?!” Gli occhi di Ryoga erano di fuoco, e Ukyo si ritrasse.

 

Stavano urlandosi in faccia, ed erano praticamente naso a naso.

 

“Ma io…” Farfugliò meno convinta Ucchan ritraendosi.

 

Lui le gettò una coperta sulle spalle e la tirò via. “Avanti, andiamo a salvare Akane!”

E lei non poté fare a meno di seguirlo.

 

 

La tormenta di neve non accennava a diminuire e, con tutte le coperte addosso, Ryoga e Ukyo si sentivano gelare.

 

“Se andiamo avanti così moriremo assiderati!” Urlò lui per sovrastare il vento.

 

Ucchan si voltò a guardarlo, schermandosi dal vento con le mani. “Tu sei ancora malato! Sentirai più freddo di me!”

 

“Ho un’idea!” Disse Ryoga all’improvviso e, prima che lei potesse capire, l’aveva afferrata saldamente e stava saltando attraverso i tetti, quasi sovrastando la tormenta.

 

Ukyo sentì le braccia muscolose del ragazzo stringerla forte, e il suo petto caldo e pulsante; era una sensazione così bella e calda!

 

“E’ proprio come il mio Ranchan…” Bisbigliò senza accorgersene.

 

Lui si abbassò a guardarla. “Cosa? Hai detto qualcosa Ucchan?”

 

“No no! Solo che forse ci servirebbe la mia torcia. – Si frugò nelle tasche della tenuta. – Eccola qua!”

“Bene! – esclamò lui – dirigila davanti a noi in modo che… AAAAHHHH!”

 

Ryoga scivolò, la neve gli fu fatale, ed entrambi urlarono.

 

Con un fracasso infernale precipitò attraverso il tetto sul quale si trovava, alzando neve e nugoli di polvere.

 

Ukyo, che a malapena aveva capito cosa stava accadendo, si rialzò quasi indenne, con un vago dolore al fondoschiena e istintivamente puntò la torcia davanti a sé.

 

“Ryoga, dannazione, cosa diavolo…?!”

 

Quello che vide la lasciò senza fiato.

 

 

Senza accorgersene erano precipitati proprio a casa Tendo (era stata appena ricostruita e già il tetto era da riparare!); Ukyo si era appena resa conto che Ryoga non si era perso quel giorno, ma lo stupore lasciò presto spazio ad una grossa delusione.

 

L’eterno disperso, dal canto suo, aveva lasciato cadere la mascella in una buffa espressione di sorpresa e gli occhi parvero volergli uscire dalle orbite.

 

Akane e Ranma erano davanti a loro, sul divano, semisvestiti, e stavano amoreggiando tra un mucchio scomposto di coperte.

 

Si guardarono quasi per un minuto intero, quattro paia d’occhi spalancati e fissi.

 

Poi Ryoga puntò un dito verso loro due e balbettò: “T… tu… voi… cosa… ?! RANMA SAOTOMEEEEEE!”

 

Ukyo lo guardò e, come se nei suoi occhi avesse trovato dei suggerimenti, cominciò a strillare anche lei verso la coppia. “Ranma! Non avrei mai creduto che tu… Akane! Non me lo sarei mai aspettato da te…!”

I balbettii di Ryoga e gli strilli esasperati di Ucchan si sovrapposero, e si confusero nelle frasi arrancanti di Ranma ed Akane che si nascondevano furiosamente sotto le coperte come se così potessero cancellare delle prove.

 

Il ragazzo col codino gesticolava alla cieca. “Io… noi… non è come pensate!” La sua fidanzata lo imitava alla perfezione. “Giuro… n… noi… lui… io…!”

 

Accorgendosi che stavano parlando tutti assieme, infine tacquero di colpo, all’unisono.

 

Ukyo prese un respiro per calmarsi e disse con voce quasi calma: “Ok, ricomponiamoci e vediamo di ragionare. – indicò la ragazza dai capelli corti con le guance in fiamme – Akane, tu sei in pericolo… Ryoga, tu sei malato, vatti a fare un bagno caldo o ci rimetti le penne.”

 

Ranma lo guardò con aria interrogativa. “Malato?”

Akane si indicò con l’indice. “Io sono in pericolo?”

 

Ryoga sospirò, poi si alzò in piedi e si grattò la testa. “Ok, finché stiamo in queste condizioni non sarà facile capirsi. Voi due – li indicò evitando di guardarli – rives… ehm… ricomponetevi e raggiungeteci in cucina. Poi parleremo.”

 

Akane afferrò la sua camicetta e, avvolta da una coperta, corse in camera sua; Ukyo fece un cenno a Ryoga, e la seguì.

 

Ranma continuava a fissare il ragazzo con la bandana. “Bè? Che c’è, hai paura che ti uccida?”
Il ragazzo col codino scosse la testa vigorosamente.

 

Ryoga lo guardò di traverso, e prima di voltarsi gli disse acidamente. “Rimettiti i pantaloni Saotome, abbiamo da discutere io e te.”

 

Lui scese dal divano, urtato. “Guarda che ce li ho i pantaloni, idiota! E non dire frasi fatte, cosa ti sei messo in testa?!”

 

Ryoga si portò una mano alla nuca, imbarazzato. “Meglio così. – si disse – Molto meglio così.”

 

 

Akane si tolse la gonna leggera e si infilò il paio di pantaloni più pesante che aveva; il gelo non risparmiava l’interno della casa ora che il tetto era bucato. Poi sentì bussare.

 

“Chi è?!” Sussultò.

 

“Sono Ukyo, posso entrare?”

“Sì!”

 

Quando entrò e vide Akane con un maglione in mano la squadrò. “Da quanto non porti il reggiseno?”

Lei arrossì furiosamente e si infilò il maglione. “Io… l’ho lasciato…”

“...di sotto?” Fece lei maligna.

 

“Ukyo…” Cominciò pazientemente, ma la ragazza castana alzò una mano per farla tacere.

 

“Non importa, non siamo venuti per spiare i vostri amoreggiamenti: Shampoo ha un’arma nuova, e tu sei davvero in pericolo!”

 

Lei si sedette sul letto. “Cosa vuole ora, perché non ci lascia in pace?!”

 

Ucchan la raggiunse. “Forse teme che Ranma possa essere infelice con te.”

“Ucchan!” Esclamò lei urtata.

 

Lei tacque per un po’, giocherellando con le dita, poi chiese timidamente: “Cosa è successo prima… quando noi…?”

 

Akane si voltò. “Non sono affari che ti riguardano! Ranma è il mio fidanzato e io e lui possiamo… fare quello che vogliamo senza dare conto a nessuno!” Tacque, sorpresa dalla propria determinazione.

 

Ukyo la guardò con tanto d’occhi e lei sostenne il suo sguardo.

 

Poco a poco la determinazione della ragazza con la spatola si affievolì e le speranze di riavere Ranma si spegnevano sempre più miseramente.

 

Bisbigliò qualcosa, ma Akane non la sentì. “Cosa?”

 

“Ho detto: FALLO FELICE!”

 

“Ukyo…?!”

“Dimmi una cosa Akane… tu lo ami? Ricambi il suo amore?”

Lei arrossì lievemente. “Sì io… io lo amo.”

 

“Bene!” Ukyo si alzò e, dandole le spalle, disse. “Se non lo farai felice, Akane Tendo, giuro che mi alleerò con Shampoo e ti perseguiterò per il resto della tua vita! Sono stata chiara?!”

Lei annuì, incapace di trovare altre parole.

 

 

Ryoga era immerso nel vapore di un bagno caldo e Ranma sedeva sull’orlo della vasca.

 

Nessuno dei due aveva ancora parlato e fu il ragazzo col codino a rompere il ghiaccio “Ryoga… voglio che tu sappia che non ho fatto nulla ad Akane… nulla contro la sua volontà. E comunque non abbiamo fatto nulla che ti suggerisca la tua fervida immaginazione!”

 

Lui fece un sorrisetto amaro. “Lo spero bene Ranma: in quel caso ti avrei fatto a pezzi.”

Lo guardò di sottecchi. “Credevo che avessi rinunciato ad Akane…”

“E questo che significa?! Pensi che mi faccia piacere vederla tra le braccia di un altro adesso?! Pensi che io abbia rinunciato a lei perché… perché non l’amo più?!”

L’eco delle sue parole si perse nel silenzio, rotto solo dallo sgocciolio di un rubinetto e dal vento impetuoso dietro i vetri.

 

“Mi dispiace Ryoga. – mormorò Ranma – Io… io non sapevo quanto tu soffrissi quando venivi ad informarci delle nostre vite, durante questo mese.”

“Almeno ho migliorato il mio senso dell’orientamento. Ranma, io lo so che Akane ti ama, ed è stata la sua confessione a spingermi a questa decisione.”

“Lei ti ha detto…?!”

“Sì Ranma. Oggi le ho parlato di qualcosa riguardo i miei veri sentimenti, e lei senza alcuna esitazione mi ha detto di amarti. Ho perso, Ranma, Akane è definitivamente tua.”

 

L’artista marziale scorse le lacrime negli occhi del suo amico e scosse la testa. “Ryoga, io la renderò felice anche per te. Te lo giuro.”

Lui sorrise tristemente. “Va bene così, Ranma, lo so. Ma mi ci vorrà del tempo per dimenticarla; non posso deciderlo da un giorno all’altro.”

“Lo so.”

 

 

Mentre i quattro si chiarivano davanti alla stufa accesa nel salotto di casa Tendo, Shampoo si trovava dietro i vetri di casa Kuno cercando uno spiraglio da cui entrare.

 

“Maledizione! – bisbigliò – Questa casa è così grande! Dove sarà la stanza giusta?”

 

Il suo alito si era addensato su un vetro e lei lo cancellò con un gesto distratto della mano; poi guardò dentro e sorrise.

 

Bussò leggermente e la ragazza con la coda di cavallo si avvicinò alla finestra.

L’amazzone vide le sue labbra muoversi, ma non udì alcun suono, e fece un gesto spazientito con la mano.

 

Allora l’altra ragazza guardò in aria, esasperata, ed aprì un’anta.

 

“Che cosa vuoi a quest’ora e con questo tempo, Shampoo?!”

Lei sorrise. “Vieni con me Kodachi, ho un piano per sistemare definitivamente Akane Tendo!” 

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Capitolo 15
*** La Trappola ***


Cap.15

LA TRAPPOLA

 

 

“Quindi secondo te Shampoo vuole far fare ad Akane la fine di Ryoga!” Chiese Ranma.

 

Ukyo annuì. “Temo che voglia usarne una dose più massiccia: con Ryoga ha usato solo una minima parte per avvertirci degli effetti. Se ne usasse di più… nessun bagno, né freddo né caldo, potrebbe salvarla.”

Akane avvertì un brivido. “Domani avremmo dovuto parlare con lei e… con voi.”

 

Tutti tacquero.

 

“Ci dispiace di essere piombati in quel modo, in quel momento…” Mormorò Ryoga.

 

“Bè l’avete fatto per uno scopo nobile, e poi non è successo nulla di quello che voi immaginate!” Protestò Ranma.

 

“Davvero! – s’intromise Akane in imbarazzo – Noi eravamo solo… solo…”

 

“Va bene, va bene. – minimizzò Ucchan – La prossima volta avrete tutto il tempo per stare soli!”

 

“Ma che dici?!” Gridarono i due all’unisono.

 

Ryoga li interruppe bruscamente: “Zitti! Ascoltate.”

 

Fuori, una finestra cigolava.

 

 

“Vuoi ibernare Akane Tendo?!” Gridò Kodachi nella bufera.

 

“Ma no, stupida! Quello era solo un modo per ingannarla! Lei crederà che io voglia versarle addosso la boccetta di liquido magico, invece faremo di meglio.”

La rosa nera guardò Shampoo di traverso.“Faremo? Cosa ti fa pensare che io voglia aiutarti?!”

 

L’amazzone assunse un’aria di sfida. “Vogliamo o no entrambe che Lanma sia libero da ogni legame con quella mocciosa?!”

 

Kodachi sorrise. “Sta bene, dimmi che dobbiamo fare.”

 

“La sua famiglia è tutta a casa tua, non è vero? Quindi lei sarà sola a casa con Ryoga e Ucchan, che sono corsi ad avvertirla e con il mio Lanma, giusto?”

 

“Tuo?!”

 

“Va bene, va bene, con Lanma… Ora: il piano è semplice: mentre tu distrai…”

 

Le sue parole le seppe solo il vento.

 

 

“E’ Shampoo, ci scommetto la mia spatola!” Mormorò Ucchan.

 

Ryoga si volse verso Ranma “A te non farà del male, valle incontro e fermala!”

 

Lui annuì, e si avviò verso la finestra; l’unica luce era quella di un paio di candele e del riflesso bianco della neve che turbinava nel vento. Il ragazzo col codino avvertì solo il rumore incessante e il gelo.

 

“Shampoo, sei tu?” Chiese alla sagoma fuori dal vetro. Nessuno rispose.

 

“Shampoo, non fare la sciocca, ti vedo anche al buio, sai?” Per un attimo Ranma dubitò che fosse davvero lei: c’era qualcosa, nella sua sagoma, che non gli quadrava.

 

Si avvicinò ancora un poco, trattenendo il respiro; se qualcuno era in vena di scherzi lui gliel’avrebbe fatta pagare.

 

La finestra si aprì e, del viso sconosciuto, Ranma vide solo gli occhi: il resto era celato da una lunga sciarpa di lana. Poi la neve l’accecò e lo spruzzo di una strana sostanza gli annebbiò i sensi.

 

La ragazza lo prese tra le braccia e si accucciò in un angolo con lui. “Sssst… ora dormi mio caro Ranma, fra un po’ sarà tutto finito.”

 

Prima di perdere i sensi, Ranma riuscì a pronunciare solo un nome: “Kodachi…!”

 

 

Ryoga voltò la testa di scatto. “La finestra…! Ranma l’ha fatta entrare!”

 

“Calmati Ryoga, vorrà farla ragionare senza fretta!” Suggerì Ucchan.

 

“Già! Vedrai che lui… - Akane s’interruppe, impallidì e si portò una mano alle labbra tremanti - Oh mio…!”

 

“Akane? Cosa…!?” Ukyo e Ryoga si voltarono e la videro.

 

Shampoo era in piedi dietro di loro, e in mano stringeva una pistola.

 

 

Kodachi adagiò dolcemente Ranma su una sedia, afferrò il nastro ed entrò nel salone, attenta a non farsi udire; dalla sua posizione poté vedere che i tre erano atterriti.

 

Akane Tendo era un poco più in là di Ukyo e Ryoga. “Bene.” Ghignò.

 

Shampoo intanto teneva la pistola dritta davanti a sé, puntata contro di loro, ma nessuno si accorse che la sua mano tremava…

 

 

Ryoga era infuriato. “Shampoo sei impazzita?! Cosa ti salta in mente?!”

Lei fece un sorriso cattivo. “Taci maialino nero, tu non sei stato capace di prenderti Akane, sei un codardo! Che diritto hai di giudicare me?!”

Lui stava per scattare, in un impeto di rabbia, ma poi spalancò gli occhi, incredulo. “Ma cosa… Shampoo come parli, non ti riconosco!”

 

“Che razza di amazzone sei?! – strillò Ukyo esasperata – E’ questo il tuo codice d’onore?!”

 

“Il mio codice non è affar tuo ragazza spatola!”

 

Akane era ammutolita, e sbiancò quando gli occhi della sua avversaria la squadrarono dalla testa ai piedi.

 

“Shampoo, ma cosa…?!” Biascicò.

 

Alle sue spalle un rumore secco la fece voltare all’improvviso; il suo sguardo si spostò orripilato dalla mano di Shampoo che impugnava la pistola ad Ucchan e Ryoga che venivano intrappolati da un nastro rosso come due pacchi regalo. Registrò vagamente la risata di Kodachi alle sue spalle, l’assenza di Ranma, e fuggì.

 

Ora era sola.

 

Il freddo tagliente la colpì come uno schiaffo e le fece ricordare che non aveva nemmeno una giacca addosso; mentre pensava che per fortuna si era messa almeno dei pantaloni pesanti, sentiva i passi frettolosi ed attutiti di Shampoo che la inseguiva: era sola con la sua nemica.

 

 

Kodachi usò il resto del sonnifero con Ryoga e Ukyo, e mentre si compiaceva del suo piano e impugnava un binocolo per seguire la scena, si chiese cosa l’amazzone avesse in serbo per quella piccola stupida di Akane.

Le aveva visto qualcosa in mano, ma non era riuscita a distinguere di cosa si trattasse.

 

“E’un’arma infallibile. – le aveva detto poco prima – Fidati di me!”

Poi erano arrivati nei pressi della nuova casa dei Tendo e lei non aveva chiesto altre spiegazioni; però si fidava di lei: Shampoo aveva usato magie e sortilegi che neanche lei, la Rosa Nera, avrebbe immaginato potessero esistere.

Kodachi era esperta in fatto di sonniferi e polverine paralizzanti, ma l’amazzone la batteva in quanto a fantasia, così lei le aveva dato piena fiducia.

 

“Dovrò chiederle le ricette di qualche pozione prima o poi.” Si disse mentre seguiva l’inseguimento, tentando di mettere a fuoco le lenti.

“Magari ha qualche strana cosa che farà diventare Akane Tendo più brutta di un rospo, oppure una polverina che la allontana dagli uomini, oppure…”

Kodachi si gelò: Shampoo aveva in mano una pistola di piccolo calibro.

 

 

Akane ansimava per la corsa e tremava per il freddo e, dietro di sé, l’amazzone sembrava stremata a sua volta.

 

“Fermati Akane Tendo! Voglio solo ucciderti!” Gridava.

 

Akane cadde malamente e si voltò ad affrontarla. “Ma dico, sei impazzita?! Minacciarmi con una pistola?!”

 

Shampoo ghignò trionfante e, nel suo sorriso distorto, la minore delle Tendo vide un lampo di follia. “Che c’è Akane, hai paura?”

“Shampoo…”

“Sai una cosa? Anch’io ho paura! Ma una di noi due deve morire, e quella sarai tu!”

 

“Ma che dici, non capisco!” Non sentiva già più le mani.

 

“Non capisci?! – strillò Shampoo – Allora te lo spiego io! Dopo il terremoto la mia bisnonna è morta, lei era l’unica persona che avevo al mondo, ed è morta per colpa mia! Secondo le leggi del mio villaggio, non solo io ho mancato al mio dovere di proteggerla, ma sono anche tornata da sola, senza l’uomo che era destino che sposassi!”

 

Akane si rannicchiò il più possibile e cercò di farla ragionare prima di gelarsi del tutto. “Ma non è stata colpa tua! Tu non sapevi del terremoto, e poi lei era tua tutrice, doveva difenderti, e Ranma…”

“Lanma è mio! – gridò nel vento – Se non sposo l’uomo che mi ha sconfitto non posso tornare in Cina senza rischiare la vita!”

Akane notò le lacrime nei suoi occhi. “Ma ci sarà una soluzione…”

“Non c’è! – pianse lei disperata – Qui non ho più nessuno che mi voglia bene, io… io devo tornare a casa, dove… dove potrei andare altrimenti?!”

 

Tornare a casa significava rischiare la vita, capì Akane, e si sentì quasi in pena per lei. “Ma a che servirà uccidermi, eh Shampoo?! Pensi che Ranma ti vorrebbe sapendo che mi hai uccisa?”

 

“Ma…” La volontà di Shampoo cominciò a vacillare.

 

La mano che stringeva la pistola allentò la presa, e Akane scelse quel momento per continuare a parlare. “Tu non sei un’assassina Shampoo, e non mi uccideresti mai, lo so. Perciò ora mettila via, ok?”

 

Le lacrime le inondavano il viso, e l’amazzone le sentì gelarsi sulle guance. Se io non posso avere Lanma – pensò – non mi serve a nulla continuare a vivere.”

 

Akane intravide Kodachi correre verso di loro.

 

Il mio Lanma…”

 

Con la coda dell’occhio scorse un movimento di Shampoo…

 

…il mio villaggio…

 

…e le si gelò il cuore.

 

…la mia bisnonna…

 

L’amazzone si stava…

 

...tutto perduto…

 

…puntando la pistola alla tempia.

 

 

Kodachi correva a perdifiato, affondando nella neve, e rifletteva sul fatto che forse Shampoo era impazzita a causa della morte di sua nonna.

 

La Rosa Nera odiava Akane Tendo, oh sì! Akane Tendo aveva il suo adorato Ranma tutto per lei ma mai, mai nella sua vita aveva pensato di ucciderla davvero.

Uccidere era un gesto basso, insulso, indegno del genere umano; il suo onore non le impediva di ingannare, aggirare le persone, ma uccidere… quello era diverso.

 

Scorse la figura di Shampoo voltata di spalle, Akane accucciata nella neve, e… ”Che diavolo!” Proruppe vedendola con la pistola puntata alla testa. “Quella pazza vuole davvero…!”

 

Poi udì i passi ovattati nella neve, il grido lacerante di Akane.

 

“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”

...e lo sparo rimbombare nell’aria fredda come un’esplosione.

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Capitolo 16
*** Veglia ***


Cap.16

VEGLIA

 

Il dottor Tofu raggiunse Ranma nel corridoio del primo ospedale ristrutturato di Tokyo e gli pose una mano sulla spalla.

Lo guardò: aveva la giacca a vento intrisa di sangue, i pantaloni zuppi di neve, e l’espressione stravolta sul viso pallido.

 

“Ora vai a casa Ranma. Qui non c’è più niente che puoi fare.” Mormorò il dottore con voce calda.

 

Lui alzò il viso e lo fissò come istupidito, poi annuì.

 

“Bene. Se ti sbrighi riuscirete a prendere l’ultimo autobus di mezzanotte; fa freddo per passare dai tetti, no?” Tofu gli accennò un vago sorriso, ma Ranma non lo ricambiò.

 

“Grazie.” Mormorò piano.

 

Quando Akane lo vide gli corse incontro e gli afferrò le mani: aveva gli occhi spalancati e colmi di un unico interrogativo.

 

Ranma prese un sospiro e sfiorò la guancia della sua fidanzata. “Lo stanno operando, lui… ha una pallottola conficcata vicino al cuore.”

 

Il volto di Akane si contrasse, e un singhiozzo lieve le salì in gola. Una lacrima solitaria andò a cadere sulla nocca della mano destra del ragazzo col codino.

 

“E’ stata tutta colpa mia!” Proruppe lei disperata.

 

Ranma la abbracciò forte. “Sssssst… Non è stata colpa tua Akane, tu hai cercato di fermarla.”

“Io non sapevo che lui fosse là, io credevo…!” Singhiozzò incontrollabilmente.

 

“Nessuno di noi sapeva che Mousse sarebbe tornato stanotte, neanche Shampoo.” Mormorò con voce dolce.

 

“Lui rischia di morire… oh Ranma, io non me lo perdonerei mai!”

 

“Sssst…” L’artista marziale cercava di calmarla, cullandola fra le braccia, sentendo i singhiozzi scuoterla dalla testa ai piedi. Quando si fu un po’ calmata le alzò il viso e le sfiorò le labbra con un bacio gentile. “Ora torniamo a casa, mhh?”

Lei annuì, asciugandosi le lacrime col dorso delle mani. “E Shampoo?”

“Starà qui con lui: non vuole venire.”

Akane abbassò gli occhi e si morse il labbro inferiore, non sapendo cosa dire.

 

Lentamente si avviarono verso il piazzale dove c’era l’autobus che li avrebbe riportati a Nerima; pur avendo la sciarpa calcata fino agli occhi, sentivano il gelo entrare nelle loro ossa, nei loro cuori.

Quando sarebbe finito tutto quell’orrore? Quando avrebbero goduto della felicità del loro nuovo amore? Quando avrebbero avuto del tempo solo per loro?

 

Pieni di domande senza risposta, tornarono verso casa senza parlare per tutto il viaggio.

 

 

“Sì, capisco… va bene; grazie Nabiki.” Soun riattaccò il telefono e vide le facce piene di curiosità.

 

“Allora papà? – chiese Kasumi apprensiva – Kuno e Nabiki hanno trovato Kodachi?”

 

Genma era in piedi dietro di lei, pallido. Era sempre stato pallido da quando sua moglie era morta, pareva che con lei se ne fosse andato tutto il colore della sua vita.

E ora lo guardava come se avesse intuito la tragedia.

 

L’uomo sospirò. “Sarà una notte lunga questa.” Dichiarò preparandosi a raccontare l’accaduto.

 

 

Quando Ukyo e Ryoga udirono aprirsi la porta d’ingresso erano le due di mattina passate e una gelida luna tondeggiava nel cielo nero come un volto senza vita.

 

Ryoga accese la stufa grande nella camera che era stata di Ranma e Genma. “E’una stanza piccola, ci scalderemo meglio qui.” Aveva spiegato.

 

“Dove sono gli altri?” Domandò Akane.

 

“Kodachi l’ho messa a nanna con il suo stesso sonnifero, mentre Nabiki e Kuno…” Ryoga s’interruppe, vedendo arrivare la seconda delle sorelle Tendo.

 

“Ragazzi, mi ero appisolata! – dichiarò strofinandosi gli occhi e sbadigliando – Ma ora sono tutta orecchi per sentire la vostra storia. Ho sentito che Mousse se l’è cavata.”

“Per ora…” Mormorò Ranma, e Akane si voltò a guardarlo con aria di rimprovero.

 

“Mousse è forte, non morirà prima di aver sconfitto il Tuono Blu del Furinkan… ammesso che ci riesca!”

“Kuno!”

“Sono qui Saotome. Voglio proprio sapere cosa è successo di così grave da indurre la qui presente Nabiki Tendo a buttarmi giù dal letto in una nottata come questa! Io non ci ho capito molto.”

 

Avvolti in pesanti coperte, sorbendo del tè bollente, i sei si guardarono in volto per la prima volta in quella nottata terribile.

 

“Allora Ranma – esordì Ryoga calmo – Ora ci spieghi cosa ci è successo veramente?”

 

Ranma prese un lungo respiro e cominciò “Come vi ho detto appena arrivati, Mousse è ancora vivo. Lo stanno operando. E’ tornato in Giappone solo stanotte, con un volo diretto dalla Cina; abbiamo trovato il biglietto d’aereo nel suo cappotto.”

 

“Era guarito e voleva fare una sorpresa a Shampoo.” Teorizzò Ukyo.

 

Akane annuì, lo sguardo basso e colpevole.

 

“Il medico chirurgo amico del dottor Tofu – continuò Ranma – ha fatto un vero e proprio miracolo, e Mousse sarà stato così contento da non voler nemmeno rimanere per la riabilitazione. Si è munito di stampelle ed è tornato a casa, con l’intenzione di allenarsi a Nerima vicino a Shampoo. Ma è tornato al momento sbagliato e la sorpresa l’ha avuta lui.”

 

Kuno annuì, con lo sguardo tetro. “La sua Shampoo è impazzita.”

 

“No, non è così – intervenne Akane – Lei… lei è rimasta sola. La sua bisnonna è morta nel terremoto, e al suo villaggio vogliono ucciderla perché è tornata senza Ranma. Per di più Mousse era rimasto paralizzato per salvarla, così si è sentita sola e disperata, ecco tutto.” Concluse alzando le spalle.

 

“Akane non giustificarla! – esclamò Ranma sorpreso – Ha cercato di uccidere te e poi se stessa, ha perso la testa!”

“Ranma lo so, non giustifico lei, ma il suo dolore!” Rispose lei esasperata.

 

“Tu sei così buona Akane…!” Sospirò Ryoga con occhi sognanti. Ucchan notò che in quello sguardo brillava qualcosa di simile alla venerazione.

 

“Tornando al punto: dove ha trovato una pistola?”

“Colpa mia, Nabiki” Sospirò Ranma.

 

“Tua?!” Gli fecero eco gli altri.

 

“Era… la pistola che mi ha dato tuo padre, Ucchan, l’ho riconosciuta appena l’ho vista – lei impallidì – Ti avevo detto che l’avevo gettata nel bosco, no? Bè, per uno strano scherzo del destino Shampoo l’ha trovata mentre vagava dopo il crollo al Nekohanten. Mousse era con lei, ma non deve essersene accorto. Forse lei pensava… che le sarebbe tornata utile.” Concluse esitante.

 

“Mio Dio, che storia… Shampoo ha perso proprio la testa! – proruppe Ukyo sconvolta - Però mi fa un po’ pena.”

 

“Allora Saotome, cosa c’entra mia sorella con Shampoo?” Domandò Kuno spazientito.

 

“Chiedilo a Nabiki: è lei che le ha viste insieme. Io non ho neanche capito cosa ci facciate qui!”

 

“Ok, ok. – esordì lei gesticolando – Mentre dormivo nel calore del tuo nuovo sistema di condizionamento dell’aria, ho sentito un rumore in camera di tua sorella e quando mi sono alzata per andare a vedere ho notato che stava parlando con Shampoo attraverso la finestra.”

“Evidentemente le serviva una complice che distraesse eventuali presenti dall’operazione e Kodachi c’è cascata in pieno!” Ruggì Kuno.

 

“Già, e quelle due pazze per poco non uccidevano Akane!” Esclamò Ryoga.

 

“Mia sorella! – rifletté Kuno –Stava per trasformarsi nella complice di un omicidio!”

“Ti sbagli fratello!”

Tutti si voltarono, riconoscendo la voce della Rosa Nera.

 

“Ma tu non stavi dormendo?” Domandò Ukyo sorpresa.

 

“Ah ah ah ah ah! Conosco le mie pozioni e questa aveva una durata limitata, altrimenti tu e il tuo amico non vi sareste svegliati in tempo per godervi l’accaduto!”

 

Ranma si alzò in piedi e fece un passo verso di lei. “Kodachi, tu sapevi che stavi per assassinare Akane?”

 

“Ranma tesoro mio – cominciò lei – io odio a morte Akane Tendo, ma ho un codice d’onore e non porrei mai fine alla vita di qualcuno deliberatamente. Shampoo aveva un piano, ma non sapevo che la sua nuova arma era una pistola e quando me ne sono accorta ho cercato di fermarla!”
Si voltò verso Akane e la affrontò. “Tu, ragazzina, non dirmi che non mi hai vista arrivare!”

 

Lei annuì. “Sì è vero: lei era dietro a Shampoo quando… bè quando lei mi stava puntando quella pistola.”

 

Tutti tacquero per un istante, scossi da una storia che sembrava un film giallo di terza categoria.

 

Poi Ukyo domandò: “Ma se Shampoo stava puntando la pistola ad Akane… mi spiegate come ha fatto a colpire Mousse?!”

 

“E’colpa mia.” Sentenziò Akane.

 

“Akane, ne abbiamo già parlato, non devi sentirti in colpa!”

“Ranma sono stata io a cercare di fermare Shampoo quando…”

Strinse i pugni, sentendo le lacrime pungerle gli occhi.

Ricordava la mano di Shampoo volgere l’arma contro di sé, il suo grido disperato mentre si lanciava contro di lei e le afferrava la mano… il colpo esploso accidentalmente, il volto pallido di Mousse, in lontananza.

 

La sua stampella destra era caduta sulla neve con un tonfo inutile nel caos della bufera. Ma lei lo aveva udito amplificato mille, milioni di volte.

 

E poi il sangue, lui che si portava una mano tremante sul cuore, la neve bianca tinta di rosso. Poi Ranma le aveva scosso le spalle e Akane si era accorta di lui solo allora; lo aveva visto lanciarsi verso lo sfortunato ragazzo e afferrarlo prima che si accasciasse a terra. Aveva visto se stessa afferrare per una mano una catatonica Shampoo e mettersi a seguire Ranma fino alla clinica-tenda del dottor Tofu.

 

L’ambulanza, il sangue, le lacrime di Shampoo, le grida di Ranma… tutto le roteò attorno.

 

“Akane, stai…?!”

Udì vagamente la voce preoccupata di Ranma.

 

“...bene?”

 

Poi le sue braccia forti la afferrarono…

 

“AKANE?!”

 

…prima che svenisse.

 

 

Il monitor segnava la linea incerta del battito cardiaco di Mousse, sottolineandolo con un “bip” chiaramente percettibile nel silenzio della stanza.

Shampoo sedeva accanto al suo letto, col volto pallido rigato dalle tracce delle lacrime passate.

“Se passa la notte se la caverà. – avevano detto i medici – Abbiamo rimosso la pallottola, ma dobbiamo vedere se il suo cuore reggerà al trauma che ha subito.”

 

Mousse.

 

Il papero stupido e rompiscatole che cercava sempre di allontanarla dal suo Lanma; l’idiota che per salvarle la vita era rimasto paralizzato dalla vita in giù, e che poi si era fatto guarire in Cina e sperava di farle una sorpresa… e lei l’aveva quasi ucciso.

 

Mousse.

 

Ricordò le parole di sua nonna, prima di morire:

 

“Shampoo… sii forte… stai accanto a Mousse, lui avrà cura di te e ti amerà sempre. Ranma non lo farebbe mai, e mai lo ha fatto in vita sua. Volgi il tuo cuore verso chi lo merita davvero bambina, e dimentica quelle sciocche regole prive d’amore.”


Mousse era stato l’unico a starle accanto dopo la tragedia, si era fatto guarire e poi…

 

Si portò le mani al viso ed emise un singhiozzo lieve, dondolandosi avanti e indietro.

Poi allungò una mano e sfiorò il viso pallido davanti a lei, parzialmente coperto dalla maschera dell’ossigeno.

Scostò dolcemente i capelli umidi dalla sua fronte e gli carezzò piano il lato della testa. “Mousse – mormorò – tu non devi morire… fallo per me.”

 

Poi rimase in silenzio, sperando in cuor suo che lui l’avesse udita.

 

 

Ranma sistemò meglio le coperte ad Akane, ponendole in modo che le sfiorassero appena il mento. Poi le baciò la fronte e spense la lampada sulla sua scrivania.

 

“Buonanotte Akane.” Mormorò chiudendo la porta.

 

Nel corridoio, Ryoga era appoggiato al muro, le braccia incrociate. “Allora? Come sta?” Chiese alzando le sopracciglia.

 

“Bene. Aveva solo bisogno di riposare un po’ tranquilla.”

 

Ranma si avviò per le scale e Ryoga lo seguì guardandosi attorno. “Kuno ha fatto un bel lavoro: sembra che questa casa non sia mai crollata!”

 

Il ragazzo col codino rise. “Immagino che avrà fatto impazzire i suoi architetti di fiducia: LA STANZA DI AKANE TENDO DEVE ESSERE PERFETTA!” Fece mimando la sua voce e scatenando un accesso di risa in Ryoga.

 

“Sì! – fece lui con le lacrime agli occhi – E poi avrà detto: UN GIORNO QUI CI SARA’ LA NUOVA PALESTRA TENDO, IL PARADISO DELLE ARTI MARZIALI A TRE PIANI!”

A quel punto anche Ranma rideva incontrollabilmente. “E magari pensava già di mandare in pensione il povero Soun Tendo! RAGAZZO! – esclamò stavolta in un’imitazione del padre di Akane – COSA TI STAI METTENDO IN TESTA?! QUI IL PADRONE SONO IO!”

 

I due risero spensierati come due amici per la prima volta, dimenticando per un momento la tragedia del terremoto, i morti, le pistole usate impropriamente e Mousse, che forse stava morendo all’ospedale.

Poi i ricordi tornarono e i due si fecero seri.

 

“Andiamo a dormire, Ryoga: domani sarà un’altra giornata dura.”

Ryoga rabbrividì, intuendo cosa poteva esserci dietro a quelle parole. “Credi che Mousse…?”

“Non voglio credere niente. – lo interruppe – Voglio solo sperare ora.”

 

Scesero le scale in silenzio.

 

 

Giunti in salone, si sorpresero nel trovare ancora svegli i loro amici. E non erano solo svegli: stavano pregando, inginocchiati davanti ad una piccola icona di Budda, dono di Kuno, con gli occhi chiusi e le mani giunte sotto il mento.

 

“Ehi ragazzi…?!” Cominciò Ranma perplesso.

 

“Sssst!” Gli intimò Nabiki aprendo un occhio.

 

“Saotome, non vedi che preghiamo l’eccelso Budda perché ridia piene forze al nostro avversario?” Disse Kuno solennemente.

 

“Voi state…!?”

 

“Sì Ryoga, preghiamo per il povero Mousse. – intervenne Ukyo senza muoversi – Avanti, venite anche voi due!”

 

Ranma e Ryoga si guardarono per un attimo negli occhi, perplessi, poi si inginocchiarono e pregarono a loro volta.

 

 

All’ospedale di Tokyo, inginocchiata per terra e con le mani giunte sul letto di Mousse, anche Shampoo pregava in silenzio.

 

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Capitolo 17
*** Destini: Shampoo ***


Cap.17

DESTINI:

Shampoo

 

Supererò le correnti gravitazionali

Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

E guarirai da tutte le malattie

Perché sei un essere speciale

Ed io avrò cura di te.

(“La cura” F.B.)

 

 

C’era la luce, questo era evidente, ma c’era anche un riflesso strano: come se qualcosa di estremamente bianco riflettesse ogni singolo raggio di quel debole sole.

 

Shampoo cambiò posizione, girando la testa dall’altro lato.

 

No, non era la luce ad essere strana: aveva nevicato tutta la notte, e il candore della neve causava il riflesso.

 

Era il silenzio.

 

Un silenzio strano, che al suo villaggio in Cina era così raro! Forse poteva udire un silenzio come quello solo durante una cerimonia solenne, come…

 

“Un funerale…” Mormorò, e scacciò immediatamente il pensiero.

 

Mousse.

 

Shampoo aprì gli occhi di colpo e li dovette richiudere perché rimase accecata da quella luce così insolita.

 

C’era ancora quel silenzio strano, che si sente solo quando c’è la neve ed è tutto attutito: i passi, i rumori, i pensieri, i battiti del cuore…

 

“Il suo cuore…!” Biascicò l’amazzone riaprendo piano gli occhi e schermandosi con le mani.

 

Il cuore di Mousse quasi colpito da una pallottola, aperto e operato.

 

Il “bip” costante della macchina che lo teneva sotto controllo.

 

Ora quel “bip” non lo sentiva più.

 

 

Akane si svegliò per lo stesso effetto di luce che aveva accecato Shampoo. Si guardò intorno esitante e riconobbe i contorni della nuova camera nella quale non si era ancora ambientata, nonostante fosse molto simile alla precedente.

 

Ed era sola.

 

“Dove sono gli altri?” Chiese alle mura fredde e indifferenti.

 

Scese adagio dal letto e si accorse di avere addosso lo stesso maglione e gli stessi pantaloni della sera prima. “Naturale – rifletté – Ranma deve avermi messa a letto dopo…”

Ricordò solo allora di essere svenuta e allora si chiese come stava il povero Mousse.

 

Scese le scale velocemente e quello che vide le piegò leggermente le labbra in un sorriso: Ranma, Ryoga, Ucchan, Kuno e Nabiki dormivano scompostamente tra un mucchio disordinato di coperte e cuscini.

 

Camminò lentamente attraverso di loro, attenta a non calpestare la mano che Nabiki teneva distesa vicino alla spada di legno del Tuono Blu.

 

“Kuno… con la spada anche mentre dormi!?” Disse a bassa voce.

 

Superò Ucchan, stesa su un fianco, e Ryoga, raggomitolato in una posizione quasi fetale che lo rendeva particolarmente vulnerabile ai suoi occhi, poi raggiunse Ranma.

 

Il ragazzo col codino russava sonoramente a bocca spalancata e Akane ebbe un moto di tenerezza.

Il mio Ranma. Pensò mentre si chinava a pizzicargli gentilmente il naso con due dita.

 

Lui emise un lamento e scosse la testa sentendo di avere il naso chiuso da qualcosa. Akane sorrise mentre apriva gli occhi con un’espressione indignata sulla faccia.

 

Poi i suoi muscoli facciali si distesero. “Akane!”

 

“Proprio io.” Mormorò lei.

 

Ranma si alzò a sedere, strofinandosi gli occhi e stirandosi i muscoli. “Che ore sono?”

 

“Quasi le nove.”

Ranma spalancò gli occhi, stupito. “Così tardi?!”

“Bè, ieri abbiamo fatto le ore piccole.” Rispose lei sedendogli accanto.

 

“Già. – ribatté Ranma stancamente – Dovremmo chiamare l’ospedale tra un po’.”

 

Lei annuì e abbassò un po’ la testa. Lui scrutò la sua espressione, poi le sollevò piano il mento e la guardò negli occhi con un espressione e un’intensità che sciolse il cuore di Akane. Ha il mare negli occhi. Pensò improvvisamente.

 

“Akane. – La sua voce la riscosse: era calda ma ferma. – Non è colpa tua; chiunque le avrebbe afferrato la mano in quel modo al posto tuo… ok?”

 

Lei annuì di nuovo, le labbra che tremavano un poco. “Lui vivrà, lo farà per Shampoo”

Ranma fece un piccolo sorriso. “Lo so.”

 

Stettero in silenzio per un minuto intero, durante il quale Ranma guardò fuori dai vetri riflettendo su qualcosa che sfuggiva ad Akane.

Lo stava ancora guardando, cercando di carpire i suoi pensieri, quando lui le parlò di nuovo. “Sarebbe così bello…!”

“Cosa?” Fece lei disorientata.

 

“Stavo pensando che sarebbe così bello svegliarmi ogni mattina e vedere il tuo sorriso come prima cosa. Sei carina quando sorridi.”

La ragazza arrossì e sorrise, in imbarazzo. “Ranma…”

 

Lui le prese le mani. “Quando tutto questo sarà finito… io… voglio…”

“Anch’io.” Rispose Akane senza neanche ascoltare. Già sapeva cosa stava per dire.

 

I loro volti si avvicinarono lentamente e le loro labbra si sfiorarono appena. Poi il bacio si approfondì un poco, divenne più intimo, umido, caldo…

 

“Ma guarda un po’ cosa mi tocca vedere!” Esclamò Kuno facendoli allontanare precipitosamente con un grido.

 

“Ranma… cosa stai facendo ad Akane?!” Chiese Ryoga minaccioso.

 

“Sai che potrei anche essere gelosa?” Ribatté Ukyo.

 

“Peccato che non ho la Polaroid… ragazzi, che scoop!” Gongolò Nabiki.

 

“Ehi… un momento…!” Fece Ranma gesticolando.

 

“Insomma, cosa stavate lì a guardare come tanti stupidi?! Noi non facevamo niente!” Esclamò Akane.

 

“Saotome!” Ringhiò Kuno sfoderando la spada, ma Nabiki fu lesta a fermarlo.

“Buono, Kuno! Prima pensiamo alle cose importanti!”

 

Il suo sguardo scrutò in volto tutti quanti, uno ad uno, come se dovesse scegliere un volontario. “Allora – esordì incrociandosi le braccia al petto – chi telefona in ospedale?”

 

 

“MOUSSE! MOUSSE!” Shampoo gridò il suo nome scuotendolo con mani così fredde e tremanti che stentava a controllarle.

 

Udendo le urla, un medico ed un’infermiera si precipitarono nella stanza a controllare i parametri vitali del loro paziente.

 

Una terza infermiera intervenne per tenere Shampoo lontana dal letto; lei si dimenò disperatamente, gridando e piangendo.

 

“Pulsazioni assenti… respirazione interrotta.” Sentenziò la prima infermiera.

Il medico annuì e si avvicinò a Mousse. “Procediamo con la rianimazione.”

 

Shampoo vide la sagoma delle due persone chine sul suo letto e l’immagine distorta dalle lacrime le invase il cervello e i sensi come un veleno: il dottore pompava il respiratore nei suoi polmoni, l’infermiera praticava la rianimazione cardiaca.

 

“Mousse! MOUUUUUSSE!”

 

“Signorina, lo stanno aiutando!”

“Mi lasci! Lui non deve morire! Anche lui no!”

 

“Signorina…”

 

Ma lei non ascoltava. Udiva soltanto il silenzio provenire da quella maledetta macchina dei battiti cardiaci. Le giunse alla mente, familiare e calda, la voce di Mousse che le ripeteva: “Io ti amo Shampoo” e qualcosa nel suo cuore fece male, tanto male da devastarla.

Un insolito sentimento di rimorso e tenerezza esplose nella sua anima, espandendosi ad un livello quasi fisico.

 

“MOUUUUUUUUUUUSSE! NON MORIRE! IO… IO TI VOGLIO BENE!”

 

Il medico scosse la testa in direzione della sua assistente e l’infermiera lasciò andare Shampoo.

 

“Ora del decesso… ” Cominciò il dottore.

 

“NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!” Col cuore straziato e la gola in fiamme per il tanto urlare, Shampoo corse verso il letto e si gettò su di lui afferrandolo disperatamente.

 

Come era stata stupida…

 

“MOUSSE SVEGLIATI!”

 

...a non accorgersene prima!

 

“MOUSSE IO TI VOGLIO BENE!”

 

Anche se aveva amato Ranma…

 

“NON PUOI LASCIARMI!”

…Mousse era stato il suo unico amico…

 

“MOUSSE TORNA DA ME!”

…il compagno che le era sempre stato accanto…

 

“MOUUUSSE!”

 

…colui che l’aveva sempre seguita in silenzio, come un’ombra…

 

“COME FACCIO SENZA DI TE?!”

…e lei aveva bisogno di aggrapparsi a lui, ne aveva sempre avuto bisogno, ora lo sapeva, e adesso più che mai lo voleva al suo fianco.

 

Ormai era rimasta solo un’infermiera e quando cercò di sfiorarle la spalla con un gesto di conforto lei si voltò e sibilò come una tigre ferita.

 

Lui vivrà, vivrà per me! Lui ha sempre vissuto per me, e ora non me lo PORTERETE VIA!”

 

“Signorina…” Tentò l’infermiera nuovamente.

 

Poi Shampoo vide qualcosa che cambiava sul suo volto e si placò per un istante: ora lo sentiva anche lei.

 

Era il monitor: il cuore di Mousse batteva di nuovo.

 

 

“Shhhh… am… poo…?”

 

La voce di Mousse era meno di un bisbiglio stentato. Lei si voltò di scatto e scorse i suoi occhi chiari spiccare semiaperti nel pallore del suo volto.

 

“M… Mousse?”

Si chinò su di lui e gli prese una mano.

 

“Sham… poo… tu…?!”

“Ssssst! Non parlare Mousse, sei debole!”

 

Lui sorrise appena al tono della sua voce e sentì che le sue mani erano gelide almeno quanto la neve.

 

“Tu… mi vuoi… davvero… b-bene… Shampoo?” Bisbigliò a fatica.

 

“Sì Mousse, ma ora tu devi vivere, non farmi mai più uno scherzo del genere, capito?”

 

Intanto il medico era riapparso alla porta e guardava perplesso la sua assistente. “Ma come è possibile?! – le domandò – Lui era…!”

 

Ma Shampoo non lo udì. Mousse le stava parlando e lei ne udiva appena appena le parole; quasi gli leggeva le labbra.

 

“Io – riprese a fatica – ho visto… com’era… dall’altra parte… ma poi… ti ho sentita… chiamarmi… e s-sono… tornato… p-per te…!”

 

“Oh Mousse!” Fece lei con voce rotta, ricominciando a piangere sulle sue coperte.

 

Il ragazzo riuscì faticosamente ad alzare un braccio e posarlo trai capelli color lavanda di lei.

Ora il suo cuore batteva di nuovo, e forte.

 

E batté forte anche quello di Shampoo, per la prima volta da tanti mesi, di gioia.

 

 

Nabiki riattaccò il telefono e volse lo sguardo verso la soglia della porta dove tutti stavano accalcati, frementi nell’attesa.

 

Ranma aveva il braccio stretto sulle spalle di Akane, e Kuno stringeva spasmodicamente la punta della sua spada.

 

“Allora, Nabiki?” Chiese Ryoga con voce tremante.

 

“Come sta… è… vivo?” Fece Ukyo in un lamento.

 

Nabiki alzò lentamente la mano e vide il sollievo nei loro volti quando alzò l’indice e il medio nel segno della vittoria.

 

“Bene. – esordì Kuno mentre tutti saltavano di gioia e si abbracciavano strillando – Io torno alla mia magione, è stata una notte lunga!”

 

Nabiki si guardò attorno, perplessa. “Ehi ma dov’è tua sorella? E’da ieri notte che non la vedo…”

 

Lui si spostò il ciuffo di capelli dalla fronte in quel modo che a Nabiki pareva quasi affascinante e rispose solenne. “Colei che ha contribuito a far soffrire Akane Tendo di sensi di colpa ingiustificati deve subire una punizione… e trattandosi di mia sorella ho deciso che farla dormire con il frutto dei suoi sortilegi fosse la cosa più giusta.”

 

Nabiki spalancò gli occhi. “Le hai fatto annusare dell’altra pozione?! Ma si avvelenerà!”

 

Il Tuono Blu sorrise. “Non temere, Nabiki Tendo, è in piedi dietro di te, viva e vegeta.”

Lei si volse di scatto e vide la Rosa Nera avvolta in una coperta, gli occhi gonfi e l’espressione confusa.

 

“Tatewaki! Come ti sei permesso di addormentarmi di nuovo!” Poi cadde svenuta, praticamente tra le braccia di Nabiki.

 

Kuno la prese in braccio e guardò la ragazza davanti a sé. “Forse ho effettivamente esagerato con quell’intruglio, ma ora la riporterò a casa e la rimetterò in sesto.”

 

Nabiki si volse di nuovo verso il gruppo urlante e gioioso, poi tornò a guardarlo alzando le spalle. “Vengo con te a riprendermi il resto della famiglia… se Kasumi non viene a cucinare non voglio pensare a chi la sostituirà!”

 

Lui non capì e Nabiki accennò alla sorella minore. Il Tuono Blu si accigliò, vedendo che stava abbracciando Ranma, e distolse lo sguardo borbottando qualcosa.

 

Poco dopo s’incamminarono insieme.

 

 

Quando riaprì gli occhi, Mousse vide Shampoo come prima cosa e un sorriso tremulo affiorò sulle sue labbra ceree.

 

“Dormito bene, Mousse?” Chiese lei.

 

Il ragazzo annuì, poi formulò una frase che all’amazzone risultò incomprensibile.

 

“Cosa? Non ti sento Mousse…” Avvicinò l’orecchio alla sua bocca e sentì il suo alito caldo solleticarle il lobo.

 

“Ho detto che ti… amo… Shampoo.”

 

Lei gli sorrise tristemente. “Lo so, Mousse, lo so.”

 

Lui si leccò le labbra secche. “T-tu hai detto… che mi… vuoi bene…”

 

Di nuovo quella domanda, o quell’affermazione… la stessa che aveva sentito nel proprio cuore quando temeva che fosse morto. Non poteva rimandare ancora e si risolse a dirgli la verità.

 

“Io ti voglio bene Mousse… ma non credo di amarti come mi ami tu…non ancora.”

 

Altra frase incomprensibile.

 

“Come?”

“Ho detto c-che… mi basta.”

 

L’amazzone sorrise, più sollevata stavolta. “Non so cosa accadrà col tempo, ma a me invece basta che tu mi stia vicino come hai sempre fatto.”

 

Lui prese un respiro profondo, assaporando la vicinanza di Shampoo, sorrise e annuì in risposta. Poi bisbigliò un nome “Ranma…?”

 

Quella sì che era una domanda, lo sapeva, e ancora una volta disse la verità. “Io lo so che Lanma non mi vuole, però… non posso dimenticarlo così facilmente… non subito… lo capisci, Mousse?” La sua voce tremava, come sull’orlo delle lacrime, e il ragazzo alzò una mano per carezzarle piano la guancia.

Lei non si ritrasse e pose la propria mano sulla sua, cercando di trarne calore.

 

“Io… ti starò sempre… accanto… e tu… non sarai… m-mai più… sola.” Mormorò.

 

Stavolta le lacrime affiorarono negli occhi della ragazza, e lui le asciugò dolcemente con le dita. “Grazie Mousse… per starmi sempre vicino, anche se io ti ho trattato sempre male, io… grazie.”

 

Pose la testa sul suo torace ancora coperto dalle lenzuola, assaporandone il profumo pulito, sentendo la sua mano sulla spalla, calda e tenera, e il suo cuore che batteva di nuovo.

 

Batte per me. Pensò felice.

 

E si ritrovò a sperare che, un giorno, anche il proprio potesse sussultare d’amore per lui.

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Destini: Ucchan ***


Cap.18

DESTINI:

Ucchan

 

Ricordati di me

Questa sera che non hai da fare

E tutta la città

È allagata da questo temporale

*************************

Ma amici mai

Per che si cerca come noi

Non è possibile

Odiarsi mai

Per chi si ama come noi

Sarebbe inutile.

(“Ricordati di me”- “Amici mai” A.V.)

 

 

 

Furono giorni di festa vera e propria a Nerima.

Dopo la guarigione miracolosa di Mousse, tutto cominciò ad andare per il verso giusto e le cose iniziarono a tornare alla normalità dal giorno del terremoto.

 

Ranma e Akane erano ormai fidanzati ufficialmente anche tra di loro, ed è inutile dire che la notizia scatenò la gioia e le lacrime incontrollate di Soun Tendo. Genma Saotome, dal canto suo, rimaneva quasi in disparte, partecipando alla felicità dell’amico in maniera pacata.

 

Una sera lui e Ranma erano rimasti soli in un corridoio dell’ospedale dove Mousse era ancora ricoverato e parlarono per la prima volta dopo la morte di Nodoka. Il ragazzo col codino si era detto sinceramente pentito dell’aggressione insensata verso il padre e ora stava davanti a lui con la testa china.

 

“Ranma – esordì l’uomo – io devo dirti come andarono le cose.” Il suo tono non ammetteva repliche e il ragazzo col codino annuì.

Genma si schiarì la voce e lo sguardo rimase celato dietro il riflesso dei suoi occhiali. “Io e tua madre stavamo parlando di te in quel momento…”
Ranma inghiottì, a disagio.

“Io non sono mai stato un uomo molto coraggioso nella mia vita, almeno davanti a lei, la mia determinazione crollava di fronte alla sua semplicità… e così fu anche quella volta. Mi trasformai in un panda, per non rispondere alle sue domande, e poi… e poi tutto è cambiato.”

“Papà, cos’è successo?” Chiese Ranma con voce roca.

 

“Ci è crollata la casa addosso figliolo, e il mio primo impulso è stato di gettarmi su di lei per proteggerla, ma mentre ci provavo mi è caduto in testa qualcosa e io… io sono svenuto come un idiota, Ranma. Quando ho ripreso i sensi… tua madre…”
Genma ormai singhiozzava incontrollabilmente e Ranma non trovò di meglio che mettergli una mano sulla spalla, esortandolo a finire.

 

“Lei era sotto quello che era stato il nostro tetto. Tua madre era là sotto e io non potevo far altro che scavare, stupido panda idiota, ma quando l’ho trovata era troppo tardi.”

 

Il silenzio aleggiò tra i due più eloquente di qualsiasi parola e Ranma ora sentiva dentro tutto il dolore che credeva di essersi lasciato alle spalle risalirgli nelle viscere e nell’anima.

 

“Non ho potuto far altro che starmene lì a guardarla, inebetito, pur sapendo che non respirava più, cullandola… Poi l’ho seppellita con le mie mani davanti a casa nostra.”

 

Ranma lo guardò con un misto di compassione, dolore e senso di perdita comune. Poi gli si avvicinò e si rese conto di voler bene a suo padre, nonostante la vita tormentata, gli allenamenti inutili, le parole dure.

 

“Io – cominciò – non avevo idea che fosse stata così dura per te.”

 

Genma fece un gesto esasperato. “Ma io sono svenuto quando dovevo aiutarla!” Pianse.

 

“Hai detto che il tuo primo impulso è stato quello di proteggerla, no?”

“Sì ma…”

“Non è stata colpa tua, papà… lei non lo penserebbe.”

 

“Oh, figliolo, grazie!” Genma si gettò sul figlio frignando disperatamente.

 

“Papà… va bene… ma mi soffochi!” Nonostante odiasse le effusioni, Ranma lo lasciò fare per un po’, poi lo allontanò da sé, ma non senza un po’ di fatica.

 

Dietro di loro, qualcuno aprì la porta “Ranma!”

“Akane, che c’è?” Rispose avvicinandosi.

 

“Bè ecco, Mousse ha espresso il desiderio di parlarti un attimo… da soli.”

 

Ranma inarcò le sopracciglia, sorpreso. “Vuole già sfidarmi?!”

“Ma no, sciocco! Credo voglia parlarti di Shampoo.”

 

Lui alzò le spalle e si avviò nella camera. “Dove sono gli altri?”

“Giù al bar, credo tornassero a casa. Vuoi che ti aspetti?”

Il ragazzo le fece l’occhiolino. “Se non mi vedi tra mezz’ora torna a casa con mio padre: vuol dire che sarò stato attaccato!”

“Ranma non essere stupido! Mousse è ancora debole, non ha intenzioni bellicose.”

Lui alzò una mano, arrendendosi, e si chiuse la porta alle spalle.

 

 

“Volevi vedermi, Mousse?”

Il ragazzo giaceva sul letto, appoggiato a tre grossi cuscini. Stava meglio, anche se pallido, e sarebbe stato dimesso in due o tre giorni al massimo. Ciononostante appariva stanco e provato.

 

“Piove.” Esordì guardando fuori dalla finestra.

 

Ranma guardò nella stessa direzione ed annuì.

 

“Scioglierà la neve… peccato.”

Il ragazzo si mosse nervosamente sulla sedia. “Mousse, mi hai chiamato per parlare del tempo?”

“No – sorrise lui- Ti ho chiamato perché volevo parlarti di Shampoo.”

“Mousse, se è per quello che è successo, io…”

 

“No Ranma, aspetta – lo interruppe – Lo so che pensi che io la difenderò, ma non è così.”
Si tolse gli occhiali, e lui poté vedere come il colore chiaro degli occhi facesse risultare il suo viso più bianco del latte.

 

“Ha fatto una cosa molto brutta, Ranma, non credere che non lo sappia.”
Lui sussultò a quella dichiarazione così schietta e quasi gliene chiese il motivo, ma tacque.

 

“Shampoo ha fatto molte cose brutte, ma non solo a te e ad Akane. Anche a me. Ma sono contento di averle salvato la vita, quella volta, e di averla di nuovo rischiata una settimana fa. E sai perché, Saotome?”

Lui scosse la testa e Mousse fece un sorrisetto d’intesa. “Per lo stesso motivo per cui tu perdonavi Akane per la sua aggressività: amore, Saotome, insensato, stupido, semplice amore. Meritato o meno.”

 

“Anche lei ti vuole bene, Mousse, ne sono sicuro.” Mormorò convinto.

 

“Oh anch’io! Me l’ha anche detto che mi vuole bene, ma come a un amico: è te che ama.”

“Mousse – Ranma si allungò verso di lui come per farsi ascoltare meglio – è dicendoti che ti vuole bene che ti ha riportato in vita, te lo sei scordato?! E io sono sicuro che non mentiva!”

“E io sono tornato per lei… ma ora me ne pento.” Sospirò.

“Perché?!” Esclamò Ranma esasperato. “Dalle del tempo, è già un inizio, no?”

“Io non sarò mai come te!” Gridò Mousse. “Non sono né speciale né invincibile, io non ho nulla che a lei possa piacere!”

Ranma si accigliò, prese un sospiro, poi esordì: “Tu sei quello che le è stato vicino più di tutti dopo la morte di Obaba. Shampoo mi ha raccontato che le sue ultime parole sono state per te. E so che in fondo al suo cuore… lei vorrebbe amarti.”

Mousse aprì un poco di più gli occhi. “Davvero?”

Ranma annuì energicamente. “Sì Mousse, ormai sa di avermi perso del tutto e si è rassegnata a questo. Io sono sicuro che è vero quello che ti ha detto: ti vuole bene, e tu devi vivere perché il suo affetto diventi… bè, più profondo.”

Mousse sorrise, stupito e un po’ a disagio. “Non credevo che anche tu sapessi fare dei discorsi seri Saotome: ti invidio, quasi.”

“Non invidiarmi… Per la mia indecisione e paura ho rischiato di perdere l’unica persona a cui tenevo veramente, in tutta la confusione di fidanzate che mi ritrovo. Tu almeno sai dire la verità senza rimpianti.”

 

“Hai ragione. Bè, credo che seguirò il tuo consiglio; ho fatto bene a parlare da uomo a uomo con te, Ranma, avevo visto giusto.”

“Avevi visto giusto in cosa?”

“Da quando ti sei dichiarato ad Akane Tendo sei migliore.”

 

Ranma rifletté per un istante, inclinando la testa da un lato. “Forse stare insieme, amarsi… ci rende tutti migliori, non pensi?”

“Hai ragione. – Mousse si fece serio – Comunque volevo chiederti scusa per tutto lo scompiglio dell’altra notte, so che Ryoga e Ukyo mi hanno già perdonato, ma…”

 

“Aspetta un momento Mousse… tu cosa c’entri?” Lo interruppe.

“Io… dovevo sapere che Shampoo stava per combinarne un’altra delle sue, dovevo avvertirvi, non pensavo che avrebbe fatto una cosa così grave.”

 

Ranma scosse la testa. “Non importa Mousse, davvero, tu avevi altro a cui pensare.”

“Già. – il suo viso si illuminò di colpo – Ci alleneremo di nuovo insieme? Sarà un’ottima fisioterapia per me!”

 

L’artista marziale incrociò le braccia sulla nuca, con fare altezzoso. “Va bene, va bene, userò la mano leggera con te.”

“Saotome!”

“Stavo solo scherzando! – si difese lui agitando le mani davanti ad un sorriso – Mi farà davvero piacere allenarmi di nuovo con te!”

 

Mousse annuì. “Dì ad Akane che non voglio che si senta in colpa per causa mia.”

Lui alzò il pollice. “Sarà fatto! Ma puoi anche dirglielo tu, è qui fuori.”

Il ragazzo arrossì lievemente. “E’ che… non sono molto bravo in questo genere di cose.”

Ranma scosse le spalle, avviandosi verso la porta, poi ci ripensò e si voltò. “Sono contento che tu sia ancora fra noi, Mousse.”

Lui ne fu quasi commosso e sorrise sinceramente. “Devo sconfiggerti prima di andare all’altro mondo!”

Ranma aprì la porta, quando lui lo richiamò.

“Mh?” Fece girandosi di nuovo a guardarlo.

 

“Grazie.”

 

 

Mousse aveva ragione. Pioveva a dirotto da quasi due ore e la neve si andava sciogliendo in una fanghiglia insidiosa e densa.

 

Davanti alla porta del suo nuovo ‘Ucchan II’, Ukyo e Ryoga si stavano salutando.

 

“Ma Ryoga, vuoi partire proprio stasera che piove a dirotto?” Chiese lei impensierita.

 

“Si Ukyo, è meglio così, e poi ho il mio ombrello con me!” Cercò di sorriderle, ma non gli riuscì molto bene.

 

“Lascia almeno che ti faccia un tè caldo!” Protestò lei.

 

Ryoga fece il gesto lieve di sfiorarle una guancia. “Grazie Ucchan… ma stasera non posso: devo andarmene ora, prima di ripensarci.”

Lei lo guardò sospettosa. “Akane…?” Chiese.

 

Lui si morse il labbro inferiore. “Non è solo questo… è che devo rimettere i pensieri a posto. Sono successe così tante cose! Ho conosciuto dei momenti terribili, ho perso la mia casa qui e sì, forse ho perso anche un po’ di me stesso.”

“E’ per via di quel bambino morto, vero?”

“In parte. Ho visto tanta disperazione, tanta… distruzione! E poi devo ancora accettare che Ranma mi abbia sconfitto e che Akane abbia spezzato del tutto il mio cuore.”

“E che mi dici di quella ragazza che ama i maiali, Akari.”

Ryoga abbassò il capo, a disagio. “Non la vedo da molto, e poi… non voglio che qualcuno mi ami perché sono per metà un maiale. Io voglio essere amato per chi sono dentro..”

Ukyo lo guardò quasi con tenerezza. “E chi sei dentro?” Chiese.

 

Lui alzò le spalle. “Sono solo Ryoga, un vagabondo che ama le arti marziali. E’ un po’poco, vero?”

 

Ucchan fu quasi presa dal desiderio di dirgli che no, non era poco, che anche lei ora era da sola ed era semplicemente una cuoca di crepès alla giapponese, ma non disse nulla. Invece gli prese la mano.

 

“Abbi cura di te, Ryoga.”

Lui la fissò per un attimo e fu quasi tentato di restare con lei: in fondo era sua amica, no?

“Ukyo – disse invece – Quella notte… il bacio…”

“Va tutto bene. – lo interruppe – Eravamo soli, disperati. Qualcuno lo chiama richiamo alla vita.”

Non era solo quello. Voleva risponderle. Io lo volevo davvero, e forse anche tu.

“Ryoga…?”

Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto: era tempo di pensare alle cose reali. “Abbi cura di te anche tu, Ucchan. Ci vediamo.”
Senza aggiungere altro, si voltò e andò via per un’altra destinazione ignota che neanche lui conosceva.

 

Ukyo rimase a guardarlo per un po’, ferma sotto la piccola tettoia, sulla soglia.

Le fece male il cuore a veder andare via anche lui.

Sono rimasta sola. Pensò entrando dentro.

 

E quella casa era così vuota!

Aveva sempre vissuto da sola, rifletté, ma sapendo che ora Ranma stava ufficialmente con Akane si sentì vuota dentro.

 

Lo aveva perso, definitivamente ormai. Non ci sarebbero più state battaglie per conquistarlo, bugie per dirsi che no, non poteva amarla davvero. Lui aveva scelto la sua fidanzata, il gioco era terminato, game over, niente più gettoni.

 

Salì le scale stancamente, quasi trascinandosi, e si buttò sul letto singhiozzando, piangendo tutta la realtà che le era crollata addosso dopo il terremoto.

Mai la pioggia le era sembrata più triste e deprimente, e avrebbe tanto desiderato che Ryoga fosse rimasto a comunicarle un po’ di vita, a darle compagnia. Ma anche lui se n’era andato, rifiutato da colei che amava e incapace di sfidare di nuovo il suo avversario.

Addirittura Shampoo, per quanti errori avesse commesso, aveva qualcuno accanto che la amava e la proteggeva, anche se non corrisposto. L’unica a non contare nulla era lei; nessuno che dichiarava il proprio amore, nessuno la proteggeva con braccia calde.

 

“Non è giusto.” Pianse.

 

Braccia calde…

 

Ryoga.

 

Quello stupido col suo abbraccio dolce, col suo bacio… così voluto, così… bello.

Gli occhi verde oliva di lui, annebbiati di un tenero e non svelato desiderio, le riaffiorarono in mente dandole i brividi.

“Potremmo pentircene..” Aveva detto lei sottraendosi al suo calore.

Come sono stata stupida!  Pensò. Almeno lui mi voleva davvero, istinto di sopravvivenza o no ero IO ad essere con lui quella sera, non Akane! Eppure lui…”

 

Amore non corrisposto.

 

Amici.

 

Senza accorgersene, Ucchan si addormentò, e dormì sognando un ragazzo dai capelli castani, con due buffi canini aguzzi e una bandana gialla tra i capelli.

 

 

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Capitolo 19
*** Destini: Nabiki ***


Cap.19

DESTINI:

Nabiki

 

 

 

Nabiki tornò a casa tardi, quella sera, e incrociò gli sguardi curiosi della sua famiglia. Tacque per un secondo, sorridendo più col pensiero che con le labbra, poi esordì:

 

“Allora, che c’è?”

 

Akane guardò suo padre, sull’orlo delle lacrime, vide il signor Genma con la faccia avida di curiosità e Ranma che sembrava il suo ritratto, allora prese per mano sua sorella e corse su per le scale.

Accorgendosi di essere seguita si voltò facendo retrocedere il gruppo.

 

Chiuse la porta della propria camera a chiave e la incitò.

 

“Allora, raccontami tutto!”

 

Nabiki roteò gli occhi in aria. “Che vuoi sapere?”

 

“Ma come! – fece lei indignata – Sei uscita con Kuno, o no?”

 

“Sì ma non è come pensate!” Rispose Nabiki spazientita.

 

“Non è come pensiamo? Allora perché hai preso in prestito il mio vestito migliore e le scarpe alte di Kasumi?”

La ragazza si morse il labbro, in trappola. “Era… per ringraziarlo.”

“Ringraziarlo di averci ricostruito la casa?” Akane ammiccò.

 

“Akane – cominciò sua sorella con fare indagatorio – anche tu hai qualcosa da raccontarmi.”

 

Lei la guardò, disorientata, e Nabiki le rinfrescò la memoria. “So cosa è accaduto quella sera della tempesta di neve tra te e Ranma!”

Akane vide il dito puntato di sua sorella e si accorse di essere in trappola. Inghiottì. “Come l’hai saputo?” Chiese.

 

“Fonti sicure.” Fece lei con sufficienza. “Se tu mi racconti i particolari, potrei anche rivelarti cosa c’è tra me e Kuno.”

Akane si sedette e le fece promettere di non raccontarlo a nessuno.

Nabiki avrebbe voluto farsi dare qualche yen in cambio, ma poi pensò che anche lei aveva un segreto da nascondere, così decise di rimanere pari.

 

Akane si raggomitolò sul letto e arrossì. “Non successe nulla – cominciò in imbarazzo – di quello che credi tu, ma…”

“Ma?” Fece Nabiki avida. “Ci siete andati vicino?”

“No!” Rispose Akane spazientita. “E’ stato solo un abbraccio, tutto qui.”

“Un abbraccio? Ma se eravate… seminudi!” Nabiki la squadrò attentamente con gli occhi ridotti a due fessure.

 

“Semi! – sottolineò lei – Non del tutto! Avevamo i maglioni umidi di neve e li abbiamo tolti… Oh, diavolo, non avevamo intenzione di fare nient’altro, solo… scaldarci.”

“Sicura…?” Nabiki ora sovrastava la sorella minore con uno sguardo che non ammetteva bugie.

 

“Nabiki, ci vogliamo bene ma non siamo ancora pronti per… bè, per altre cose. C’è stato qualche bacio affettuoso, qualche carezza, niente di più serio. Non sappiamo neanche se ci sposeremo prima di finire il liceo. Siamo ancora due adolescenti e ci siamo appena affacciati all’amore.”

 

La ragazza col caschetto rimase a fissarla accigliata. Poi sospirò e si ritrasse. “Che paroloni, Akane! Sei cambiata davvero, ma è stato un discorso efficace. Va bene ti credo.”

Akane sorrise. “Adesso tocca a te – le si avvicinò mimando le sue mosse – Cosa hai fatto con Kuno?”

 

Nabiki si ritrasse a sua volta. “Ehi, ma questo non è leale… mi stai facendo il verso!”

“Imparo in fretta.” Dichiarò Akane senza scomporsi. “Allora?”

“Siamo usciti e mi ha offerto la cena al ristorante.” Rispose lei con sufficienza.

 

“E poi…?” Chiese sporgendosi di più su di lei e facendola sedere di peso sul letto.

 

Nabiki arrossì furiosamente e prese un bel respiro. “Mi ha riaccompagnata qui fuori e…”

 

“E…?!”

“Mi ha baciata.” Disse in fretta.

 

In quella, si udì un tonfo  in giardino e le due sorelle corsero alla finestra.

Akane si accigliò, vedendo il suo fidanzato dolorante sul terreno. “RANMA! Ci stavi spiando!”

 

Lui gesticolò alla cieca. “Ecco… io… veramente…! Ma Nabiki, davvero hai baciato Kuno, eh?” Chiese beffardo.

 

La minore delle Tendo prese il grosso libro di matematica e lo lanciò con una mira eccellente sulla tempia di Ranma.

“SPIONE!” Gridò chiudendo le ante.

 

Nabiki si mise una mano sulla fronte, esasperata. “Dopo digli che era anche da parte mia!” Sospirò.

 

“Tranquilla – fece Akane conciliante – Terrà la bocca chiusa!”

“Lo spero!”

“E ora dimmi – sbirciò la finestra, vide che non c’era nessuno e mormorò – Ti è piaciuto?”

“Cosa?”

“Il bacio! Ti è piaciuto o no?”

Nabiki inclinò la testa pensierosa. “Un pochino…”

Akane fece un cenno interrogativo con la testa. “Un pochino…?!”

“Oh insomma! – esclamò Nabiki – Non so cosa c’è tra noi! Lui sembra aver rinunciato a te e alla ragazza col codino, ma non so se si sta veramente innamorando di me. Quando quel tizio amico di Sasuke gli predisse il futuro era più che sicuro di voler sposare me, ma ora è diverso. E’ lui a dover decidere e ha bisogno di tempo. E anch’io.”

Akane scrollò le spalle “Di tempo ne avete da vendere, ma non fate l’errore mio e di Ranma.” Nabiki la scrutò con aria interrogativa e lei proseguì: “Noi abbiamo perso due anni a litigare e a insultarci, temevano i sentimenti come se fossero velenosi e deleteri, così mantenevamo un delicato equilibrio tra noi e gli altri. Ranma non voleva ferire né le sue fidanzate né me e io ero testarda almeno quanto lui nella mia indecisione, così abbiamo rischiato di perdere tutto. La sincerità avrebbe evitato un mucchio di problemi.”

 

“Seguirò il tuo consiglio sorellina.” Mormorò la ragazza sorridendo.

 

Akane le strizzò l’occhio. “Buona fortuna Nabiki.”

 

 

Più tardi, Ranma vide Akane salire sul tetto accanto a lui.

 

“Ciao.” La salutò.

 

Lei contemplò il livido sulla sua testa. “Ti fa male?”

Lui si strinse nelle spalle. “Come tutti gli altri”

 

“Mi spiace, ma te lo sei meritato! Non si spiano due signorine che parlano di cose private!” Esclamò.

 

L’artista marziale inarcò le sopracciglia, con un sorrisetto ironico. “Signorine? Io qui vedo solo un maschiaccio terribilmente violento!”

Akane si accigliò. “Ranma non cambierai mai! Idiota che non sei…!” Cominciò rabbiosa, ma lui le chiuse la bocca con un bacio.

 

“Ma sei il mio maschiaccio – sussurrò – Quindi sei perdonata per il lancio del libro!”

 

Lei tacque e arrossì profusamente. “Ranma, il mio spione! E’ vero che non cambierai mai!”

Per un po’ rimasero lì, a guardare le stelle e la luna, poi lui esordì. “Non lo dirò a nessuno, tranquilla.”

“Di Nabiki?” Chiese lei accoccolandosi sul suo torace forte.

 

Lui annuì. “Le hai raccontato di noi?”

Akane si sentì quasi in colpa. “Lo sapeva già… ho dovuto spiegarle che tra noi non era accaduto nulla di… bè…”

“Va bene, va bene, siete pari, nessuno racconterà niente a nessuno. Uh? Che c’è?”
Vide il suo sguardo indagatore.

“Ranma Saotome, ma allora tu eri là alla finestra fin dall’inizio!”

Il ragazzo col codino sorrise accarezzandosi la nuca. “Eh già, che viziaccio, eh?”

Lei lo guardò di sottecchi. “Potrei metterti in astinenza da baci per una settimana per questo, lo sai? – vide lo sguardo oltraggiato di lui e si mise a ridere – Ma credo che non ne avrò il coraggio.”

 

Lui si accigliò e arrossì. “Si, ridi, ridi… ma poi spiegami una cosa.”

“Che cosa?” Fece lei ricomponendosi.

 

“Che ci ha trovato tua sorella in Kuno Tatewaki?! Va bene che la casa ve l’ha ricostruita lui, ma da qui a innamorarsi…”

Akane si raggomitolò nelle ginocchia. “Io credo che abbia trovato in lui qualcosa di bello; mi ha raccontato di avergli parlato durante la ricostruzione e ha scoperto una persona orgogliosa ma sola.”

Ranma alzò le sopracciglia, sorpreso. “Kuno è una persona sola?”

Lei annuì. “Le ha confessato, in un momento di debolezza, di desiderare qualcuno che lo ami veramente, e questo… bè, l’ha colpita.”

Ranma fissò la luna, pensoso. “E io che credevo che Kuno e Nabiki fossero due pezzi di ghiaccio!”

“E invece hanno dei sentimenti anche loro.” Concluse Akane un po’ polemica.

 

“Ranma?”

“Mh?”

“Cosa ti ha chiesto Mousse quel giorno, quando era ancora in ospedale?”

“Voleva scusarsi per non aver fermato Shampoo in tempo… come se non ci avesse rimesso solo lui!”

 

Akane sospirò. “Deve amarla proprio molto poveretto.”

“Shampoo ha detto di volergli bene: lo ha gridato quando pensava che Mousse fosse morto.”

Lei si voltò si scatto. “Ma questo non basta! Deve stargli accanto e cercare di essere più carina con lui!”

Ranma la guardò con sarcastica complicità. “Senti chi parla, quella che all’inizio mi dava del maniaco!”

 

Akane arrossì. “Ma io ho capito il mio errore, e Shampoo…”

“Lo farà anche lei. – concluse Ranma – Credo che abbia un disperato bisogno di attaccarsi a lui ora che sa di noi due e penso che stia cercando di innamorarsene.”

“Tu dici? – chiese lei titubante – Le dovrebbe venire spontaneo!”

 

“Forse accadrà…”

 

“…con il tempo.” Concluse Akane. Poi le sovvenne una cosa. “Credi che anche Ukyo si sia… insomma… rassegnata?”

 

Lui sorrise. “Dopo quello che ha visto anche Ryoga si è convinto!”

La ragazza arrossì al ricordo. “Che vergogna! E’ stato così imbarazzante farsi trovare in quelle condizioni… equivoche!”

 

Ranma arrossì a sua volta. “Credevo che Ryoga mi avrebbe ucciso quella notte stessa! Eravamo così confusi e infreddoliti che… – poi notò l’espressione assorta di Akane – Eh? Che hai?”

 

Lei si morsicò il labbro inferiore, a disagio. “Ecco, io… Ranma?”

 

“Cosa?” Fece lui incuriosito, notando il rossore che persisteva sulle sue guance.

 

“Ti ricordi il Tunnel del Perduto Amore? Quando credevamo che Ryoga e Ucchan si fossero messi insieme?”

 

Lui incrociò le braccia pensieroso, poi si illuminò. “Ma sì, certo che mi ricordo!”

 

“Pensi che loro… Insomma, io li ho visti molto vicini ultimamente, e credevo…”

Ranma si stese con le braccia dietro la testa. “Ahhh non pensarci nemmeno, Akane. Sono più amici perché ne hanno passate tante insieme durante il terremoto, ma niente di più; Ryoga è addirittura ripartito!”

 

Lei rimase assorta per un po’, poi scrollò le spalle. “Se lo dici tu…” Poi si rialzò. “Fa freddo. Rientriamo?” Chiese.

 

“Vuoi che ti scaldi di nuovo?” Fece lui malizioso.

“Maniaco.” Gli rispose col sorriso negli occhi e nella voce.

 

Ranma annuì, rassegnato. “Hai ragione, troppa gente in giro! Entriamo come due bravi ragazzi.” E seguì la sua fidanzata dentro casa.

 

 

All’alba del giorno dopo, Akane sentì i rumori di una lotta furiosa e quando si affacciò dalla sua finestra vide due sagome familiari.

 

Ranma!  Pensò. Combatte con suo padre già alle cinque del mattino!

 

Poi si strofinò gli occhi assonnati, soffiando una nuvoletta bianca di umidità, e si accorse che l’altro non era affatto Genma.

 

“Ma chi diavolo…?!”

Poi lo riconobbe: era Mousse.

 

Vide i movimenti fluidi di Ranma e quelli un po’ incerti dell’avversario. Mousse non aveva più difficoltà a muoversi sulle gambe, ma era più lento del solito nei suoi lanci di catene e pugnali.

Il suo fidanzato cercava di frenarsi e lo vide rallentare leggermente per consentirgli di riprendere fiato.

 

Sorrise lievemente, rivestendosi con calma, e quando bussarono alla porta era convinta che fosse Kasumi.

Invece si ritrovò davanti Shampoo.

 

Fuori, il sole di un nuovo giorno d’inverno nasceva timidamente.

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Capitolo 20
*** Destini: Mousse ***


Cap.20

DESTINI:

Mousse

 

Quando Ranma rientrò in casa trovò Akane sulla soglia.

Con un gesto lento le accarezzò i capelli e la baciò dolcemente, così dolcemente che lei credette di sciogliersi.

 

“Ranma?”

“Mh?” Fece lui senza smettere di accarezzarle i capelli.

 

“Possiamo parlare un momento?”

Lui le sfiorò ancora le labbra. “Di cosa vuoi parlare?”

“Di Shampoo e Mousse.”

Il ragazzo si staccò da lei, spazientito. “Insomma! Quando la smetteremo di preoccuparci degli altri?! Da quando ci siamo detti quelle cose pare che non abbiamo più un momento per noi!”

Lei gli mise le mani sul viso e lo guardò profondamente negli occhi. “Hai ragione – mormorò – la penso come te, ma non possiamo ignorare quello che sta accadendo. Rivelando a tutti i nostri sentimenti non abbiamo risolto del tutto le cose. Noi abbiamo avviato un meccanismo delicato, un equilibrio più precario di com’era prima. Avremo tutto il tempo del mondo dopo, ma ora dobbiamo risolvere ancora i problemi del passato!”

 

Lui sospirò, tremulo, e le prese il viso tra le mani calde. “Vorrei solo che finisse, prima o poi… sono così stanco!”

 

“Hai ragione, anche io lo sono.” Si sedette, e Ranma la imitò.

Presto, nel luogo dove si trovavano ora, sarebbe sorta la nuova palestra Tendo.

 

“Shampoo vuole tornare in Cina.” Esordì Akane.

 

“Cooosa?! Ma la uccideranno!”

Lei si voltò, sorpresa. “Ma come, Mousse non ti ha detto niente?”

 

“Cosa? Lui si sta allenando da solo e non vede Shampoo da…- Ranma contò sulle dita - Una settimana circa.”

Akane si morse il labbro. “Lo sapevo! Non gliel’ha detto.”

“Detto cosa?” Ranma era sempre più disorientato.

 

“Lei vuole affrontare il suo destino! E’salita in camera mia mezz’ora fa e ha detto che ora che ti ha perduto per sempre vuole prendersi le sue responsabilità!”

 

“Un momento, una cosa per volta… – lui gesticolò confuso – Shampoo è stata qui?!”

“Sì! Ma non è questo il problema! Io non sono riuscita a convincerla!” Fece lei esasperata.

 

“Mi stai dicendo che Shampoo è pronta a morire pur di tornare al suo villaggio in Cina?!”

“Già! Vuole bene a Mousse, ma crede che non riuscirà mai a provare qualcosa per lui come… come per te.”

Ranma si grattò la testa, confuso. “Ah, questo sì che è un bel problema! Ma se tornasse lì, orgogliosa com’è si lascerebbe anche uccidere, e Mousse  stavolta ci resterebbe secco!”

“Io credo che col tempo potrebbe imparare ad amarlo.”

“Forse. – fece Ranma dubbioso – Ma se torna a casa e la uccidono…”


Negli occhi di Akane passò un lampo di luce. “Ma io ho già un piano! Se loro tornassero al villaggio come fidanzati, nessuno potrà dirle che ha fallito!”

“Ma era me che doveva portare a casa! Sono io che l’ho sconfitta!”

Lei sorrise, sorniona. “Ma se Mousse sconfiggesse lei e poi te diventerebbe automaticamente il fidanzato di Shampoo!”

“Vero, ma… Akane, a cosa stai pensando?”

Il suo sorriso si allargò.

 

 

Shampoo li stava seguendo da un pezzo e si accorse appena che un familiare ragazzo con la bandana era con loro e parlava animatamente.

 

In un paio di occasioni le parve anche di ascoltare il nome di Mousse, ma non ne era certa.

Quello che era certo era che non le avrebbero mai impedito di tornare nel suo villaggio a scontare la giusta punizione; in fondo, lei era un’amazzone orgogliosa.

 

 

“Un momento. – lo interruppe Ryoga – Come facevi a sapere che oggi sarei stato qui?”

Akane arrossì violentemente e rispose al posto di Ranma. “Io… ecco, l’idea è stata mia e contavo bè, sul fatto che eri partito da dieci giorni circa, ed ero sicura che per via del tuo problema con l’orientamento saresti tornato più o meno in questi giorni…”

Ryoga reagì con una risatina imbarazzata. “Già, sono molto prevedibile, eh?”

 

“Allora Ryoga – s’intromise Ranma spazientito – ci stai o no?!”

Lui incrociò le braccia. “Bè, con Mousse ne abbiamo passate tante, Shampoo non è esattamente mia amica…”

 

Ranma fece un gesto esasperato.

 

“..e contando che me l’ha chiesto Akane… va bene, ci sto!” Concluse battendo una mano sulla spalla di Ranma.

 

“EVVIVA!” Gioì Akane battendo le mani.

 

 

In punta di piedi, i tre si avvicinarono al Nekohanten e ringraziarono i Kami che Shampoo non fosse nei paraggi.

Ranma annuì in direzione di Ryoga e Akane, ed entrò fronteggiando Mousse.

 

Lui lasciò lo straccio sul tavolo che stava pulendo, si sistemò gli occhiali sul naso ed esordì: “Saotome! Come mai…?!”

“Vedo che la tua vista è migliorata!” Lo interruppe lui. “Ma ora hai ben altri problemi amico mio.”

“Cosa? – fece lui disorientato – Non capisco.”

“Shampoo vuole tornare in Cina.”

L’affermazione secca e tranquilla di Ranma gli gelò il sangue nelle vene. Credette che stavolta il cuore non gli avrebbe retto.

 

“Come… come lo sai?” Biascicò incredulo.

 

“Ha parlato stamattina con Akane. Mentre combattevamo.”

“Ma la uccideranno!” Gridò Mousse disperato.

 

Ranma lo guardò con serietà e disse con voce ferma: “Hai una possibilità per salvarla, Mousse.”

Lui si accigliò, accorgendosi che si era messo in guardia, e ad un tratto capì.

 

“BATTERMI!” E Ranma partì all’attacco.

 

 

Ryoga era riuscito a raggiungere il muro posteriore del nuovo Nekohanten senza farsi vedere (e facendosi accompagnare da Akane), ed era pronto ad intervenire non appena avesse udito la parola d’ordine.

 

Akane stava giungendo tirando Shampoo per un braccio.

 

“Sbrigati Shampoo, devi fermarli o Ranma potrebbe fargli del male!”

“Non me ne importa nulla! Mousse sbaglia a sfidare Lanma e Mousse paga!” Rispose lei indignata.

 

“Ma non capisci che lo fa per te?” Ringhiò Akane.

 

Shampoo abbassò gli occhi tristemente. “Mousse non batterà mai il mio Lanma e io… tornerò al villaggio da sola, non ho paura!”

Akane la spinse a guardare i due che si fronteggiavano. “Ma è per Mousse che devi avere paura! Lui non si tirerà indietro!”

 

Shampoo li fissò sbalordita.

 

 

Il combattimento tra i due non era molto diverso dal solito e gli attacchi più lenti di Mousse erano facili da evitare. Ma Ranma doveva sembrare in difficoltà, così cercò di sembrarlo in tutti i modi.

 

Mentre saltava e schivava i colpi cercò di dirigersi con le spalle al muro pregando che nessuno si accorgesse che fingeva.

 

Oh Dio, fa che…

 

Una catena a destra fece un buco sul pavimento.

 

…non veda che fingo…

 

Un’altra gli ferì appena la guancia.

 

…o sarà la fine.

 

Una terza gli strappò la manica.

 

Sentì il muro dietro le spalle, vide la sfera d’acciaio sbucare dalla manica destra di Mousse.

 

Ora! Pensò.

 

“ADESSO!” Gridò caricando il destro in direzione di Mousse.

 

 

“Fermo Mouuuusse!” Gridò Shampoo accorgendosi che Ranma si preparava a colpire.

 

Ma ha le spalle al muro! Rifletté confusamente mentre correva dentro al ristorante. Lanma ha le spalle al muro!

 

Poi quel muro crollò, sfiorato appena dall’arma di Mousse e Shampoo non vide più niente.

 

Quando la polvere dei calcinacci si posò, rivisse per un attimo gli attimi orribili del terremoto. “Oh no – pigolò con disperazione – Non di nuovo…!”

“MOUUUSSE! – gridò, poi lo vide in piedi con un’espressione esterrefatta sul viso – Tu sei…?!” Seguì la direzione del suo sguardo e le mani le salirono al viso. “LANMA!”

Ranma giaceva nei calcinacci maledicendo Ryoga per l’impetuosità della sua tecnica dell’esplosione, e nello stesso tempo lodandolo. La testa gli faceva un po’ male in effetti, ma cercò di sembrare mezzo svenuto.

 

“Ranma!” Gridò Akane accucciandosi vicino a lui. Shampoo la imitò e lo prese fra le braccia meritandosi un’occhiataccia da lei.

 

“Lanma – mormorò – Come hai potuto lasciare che…?!”

Il ragazzo fece un sorriso stentato. “Stavolta mi ha battuto davvero… dannazione!”

L’amazzone spalancò gli occhi e sembrò incredula davanti a Ranma battuto da Mousse. Allora Akane fece una mossa astuta.

 

“Ranma – mormorò – Sei sicuro che Happosai non ti abbia cauterizzato di nuovo?”

Lui la guardò inebetito, poi balbettò: “Io… io non lo so! Sono mesi che non lo ve…”

La fidanzata si accigliò e gli tappò la bocca in un’improbabile abbraccio. “Oh Ranma! – pianse – Quel vecchiaccio è tornato per metterti di nuovo in difficoltà! Come faremo adesso?!”

 

La recitazione di Akane parve convincerla, e Shampoo si alzò in piedi tristemente.

 

“Mousse.” Lo chiamò.

 

“Shampoo…” Cominciò lui.

 

“Tu lo hai sfidato perché sapevi che era debole!” Lo interruppe.

 

Akane si morse la lingua e Ranma le rivolse un’occhiata di disapprovazione, poi ebbe un lampo di genio. “L’ho sfidato io!” Esclamò vivamente.

 

I due si voltarono nella sua direzione, sbalorditi.

 

Il ragazzo col codino fece una voce sofferente: “Sono stato io a provocarlo, e stavolta ho perso.”

Mousse si grattò la testa. “Bè….è vero!” Commentò.

 

“Io non so chi sia stato, se Happosai o qualcun altro – imprecò tristemente – Ma dopo l’allenamento di stamattina con te, mentre mi cambiavo qualcuno mi è arrivato alle spalle e mi ha sfiorato con qualcosa di maledettamente bollente! E poi…” Ranma s’interruppe, sofferente.

 

“Lanma…” azzardò Shampoo.

 

Lui alzò una mano. “Volevo sapere se la mia forza mi aveva abbandonato di nuovo e così ho sfidato Mousse. E’ stata colpa mia, Shampoo. Mi auguro solo che il dottor Tofu abbia da qualche parte il disegno lasciatogli da Obaba.”

 

L’amazzone prese un respiro profondo e parve riflettere per un momento. Poi si avvicinò a Mousse e si mise in guardia.

 

“Shampoo…?” Fece lui senza capire.

 

“Battiti con me ora – disse – Se sconfiggi anche me…” Non concluse la frase ma, improvvisamente, Mousse capì che era davvero l’ultima possibilità che aveva di salvarle la vita e che Ranma aveva ragione.

 

Mentre i due si squadravano, Ranma mormorò una domanda all’orecchio di Akane. Lei si voltò di scatto, lo guardò con occhi che si fecero più grandi e si portò una mano alla bocca, impallidendo.

 

“Stupida! – le sibilò lui – Se non la batte sarà stato tutto inutile! E ora che fa…!”

Un urlo di Shampoo lo interruppe e Ranma si voltò simultaneamente ad Akane, lasciando cadere la mascella in un’espressione comica di stupore.

Da qualche parte fuori, Ryoga fece un verso strozzato di incredulità.

 

Mousse teneva Shampoo bloccata per i polsi, schiacciata contro il muro, le labbra pigiate ermeticamente su quelle di lei. Quando si staccò, l’amazzone aveva ancora un’espressione sbalordita e ascoltò le parole di Mousse come fossero dette in una lingua a lei sconosciuta.

 

“Ora, Shampoo, hai due possibilità – afferrò una caraffa d’acqua e gliela porse – O innaffiarmi e cucinarmi, per poi andare a morire in Cina, oppure…”

Lei inghiottì, abbassò gli occhi e fece un sorriso triste. “Oppure?” Domandò conoscendo già la risposta.

 

“Tornare a casa con me.” Concluse con voce calda.

 

La ragazza dai capelli color lavanda si guardò dentro, ad occhi chiusi, per un momento lunghissimo durante il quale Ranma si rimise in piedi ed Akane gli strinse forte la mano.

Un uccello cantò e Ryoga, nascosto tra le fronde di un albero sempreverde, alzò momentaneamente lo sguardo.

 

Gli occhi di lui erano del colore del mare estivo e per un attimo a Shampoo parve di affogare.

 

“Vengo con te.” Mormorò.

La dichiarazione concisa e chiara nel silenzio provocò un sussulto generale e, inaspettatamente, decretò il successo del piano.

 

 

La mattina dopo, all’alba, Ranma salì al piano superiore per aiutare Mousse a preparare i bagagli e Akane rimase sola con Shampoo.

L’amazzone era seduta ad un tavolo vuoto, la fronte appoggiata sulle mani; non aveva dormito molto quella notte e sembrava stesse riflettendo. Akane le si avvicinò titubante.

 

“Va… tutto bene Shampoo?”

Lei si voltò, fissandola con uno sguardo enigmatico, e Akane ebbe paura che ci avesse ripensato.

 

“Perché avete fatto questo a Shampoo?”

Il suo giapponese stentato rivelò ad Akane che l’amazzone era nervosa, così tentò di convincerla che era stato un incidente.

 

Ma lei sorrise severamente.

 

“Non sono stupida, Akane Tendo, ci ho riflettuto tutta la notte: tu e Lanma avete fatto qualcosa insieme a Ryoga. Ma io non amo Mousse. PERCHE’?” La domanda, perentoria ed esigente, convinse Akane che era inutile fingere ancora, così prese un lungo respiro e si decise a confessare.

 

“Ecco noi volevamo… noi volevamo che aveste del tempo da passare insieme. Dannazione Shampoo, lui è pazzo di te e tu vuoi bene a Mousse, che male c’è se tornate insieme invece di rischiare la vita?! Non abbandonarlo di nuovo, sono sicura che anche tu hai bisogno di lui, più di quando immagini! Forse quando meno te lo aspetti… un giorno anche tu… anche tu potresti innamorarti ed amarlo come lui ama te!”

 

Il fiume di parole le fluì spontaneo e Akane rimase quasi senza fiato, sperando.

 

I pugni di Shampoo si serrarono. “Che ne sai tu dei miei sentimenti?!”

 

“Ma… io credevo…”

 

“Perché vi siete intromessi… PERCHE’VOI?!”

 

“Perché io e Ranma non volevamo che tu morissi. L’idea però è stata mia. E’ colpa mia. Mi dispiace.”

Gli occhi di Shampoo brillarono per un istante. “Lanma voleva salvare… me?”

Akane annuì.

 

“E tu hai avuto l’idea?”

 

La minore delle Tendo annuì di nuovo. Si sentiva colpevole, ma oramai non poteva più farci niente.

Shampoo le voltò le spalle.

Ahi! Pensò. E’ proprio furiosa!

 

“Grazie.”

La parola, semplice e breve, scombussolò tanto Akane che lanciò un’esclamazione di stupore.

L’amazzone non si voltò, ma le sue spalle scuotevano. Stava piangendo.

 

“Io volevo ucciderti, eppure… tu sei stata l’unica amica che io abbia mai avuto… tu e la spatolona. Non vi dimenticherò mai.”

Akane rimase senza parole e rimase lì ad ascoltare Shampoo, l’orgogliosa amazzone dai capelli color lavanda, che le parlava di amicizia. Si sentì confusa e commossa al tempo stesso.

 

“Sii felice Shampoo.” Riuscì a mormorare a stento.

 

“Allora, che vi prende?!” La voce di Ranma le fece sussultare.

 

Ryoga scelse proprio quel momento per sbucare dalla parete appena riparata. “MA DOVE DIAVOLO E’ LA STRADA PRINCIPALE?!”

 

Tutti tacquero e Ranma lo afferrò per la collottola. “Idiota, proprio da qui dovevi sbucare?!”

 

L’eterno disperso balbettò qualcosa in segno di scusa, poi scorse Mousse e Shampoo muniti di bagaglio. “Oh ma state partendo voi due! Allora ieri ha funz… OUGGHHH!” Ranma gli piantò un gomito nello stomaco, sibilando qualcosa.

 

Poi notò lo sguardo tranquillo di Shampoo: pareva quasi che sorridesse, così rivolse un’occhiata curiosa ad Akane che gli bisbigliò nell’orecchio.

Ranma spalancò gli occhi, incredulo. “Tutta questa fatica e tu mi vieni a dire che ha scoperto tutto?!” Esclamò a bassa voce; la sua fidanzata fece spallucce e il ragazzo col codino lasciò andare Ryoga.

 

“Dovete partire proprio stamattina?” Domandò Ryoga ricomponendosi.

 

Shampoo annuì. “Mi aspettano per domani e il viaggio sarà lungo. ”

 

Ranma strinse la mano a Mousse, seguito da Ryoga; entrambi gli augurarono buona fortuna e il ragazzo li ringraziò per tutto quello che avevano fatto.

“Grazie.” Nei suoi occhi videro un lampo e si chiesero se per caso non avesse capito tutto anche lui.

 

Poi fu la volta di Shampoo.

 

L’amazzone si avvicinò a Ranma e Mousse rimase educatamente indietro.

 

“Wo ai ni Lanma. - bisbigliò – Tornerò quando ti avrò dimenticato.” Avrebbe voluto baciarlo, ma si rese conto che non poteva più farlo. Non con Akane lì davanti. Non con Mousse.

 

Invece Ranma l’attirò a sé e le baciò la fronte. “Sii felice piccola Shampoo.” Mormorò facendole tornare le lacrime agli occhi. Kami se lo amava!

 

Poi si voltò verso Akane, che non aveva reagito all’innocente bacio datole dal suo fidanzato. “Ragazza violenta. – cominciò, poi le tese la mano – Amiche?”

Akane gliela strinse con un sorrisetto mesto. “Amiche… ma tratta bene il povero Mousse!”

Il cipiglio di Shampoo si approfondì. “E tu fai felice il mio Lanma… o tornerò a prendermelo e la prossima volta non ci cascherò!”

Si riferisce al mio piano. Rifletté e considerò che, nonostante avessero fallito nella recitazione, l’avevano almeno convinta a tornare in Cina con lui.

 

Poi Shampoo si rivolse a Ryoga con uno sguardo strano. “Salutami la spat… Ukyo, ok?” Gli strizzò l’occhio e il ragazzo si accigliò mentre annuiva.

Ma come diavolo…?!

Scosse la testa, come per allontanare un pensiero negativo, e si unì ai saluti generali.

 

Mousse guardò Akane titubante. “Senti, per quell’incidente… la colpa non fu tua, anzi. Grazie di averle impedito di fare una tale sciocchezza.” Guardò con occhi amorevoli Shampoo e Akane annuì arrossendo lievemente.

 

“E il Nekohanten? Lo chiuderete?” Domandò Ranma.

 

Mousse si grattò la testa. “Sì, direi che finché non torniamo è il caso che resti chiuso, tu che ne dici Shampoo?” Si voltò a guardarla e lei capì che quella era la prima decisione che prendevano insieme.

 

E così sia. Pensò

Annuì, e lui le rivolse uno strano sorriso complice.

 

Mentre si allontanavano, Ranma, Akane e Ryoga scorsero la mano di Shampoo allacciarsi debolmente a quella di Mousse e sorrisero leggermente.

Era di sicuro un buon inizio.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Destini: Ryoga ***


CAP.22

DESTINI:

Ryoga

 

 

Era sempre stato solo e i pochi amici che aveva li poteva solo vedere quando non si perdeva per il Giappone.

Amici.

Già, come se Ranma fosse mai stato suo amico. D’accordo, in un paio di occasioni si erano anche aiutati a vicenda, ma quello era stato durante il terremoto e l’istinto di sopravvivenza era prevalso… ma era davvero tutto lì?
Ranma aveva Akane e la insultava sempre, l’aveva abbandonata sull’altare, poi era tornato e…

Ryoga batté un pugno contro il muro, facendo un grosso buco.

Il suo rivale aveva rivelato finalmente i suoi sentimenti ad Akane, e la cosa peggiore era che lei lo amava a sua volta. E così lui aveva perso, perso per sempre.

Mille pensieri gli turbinarono nella mente: chi c’era con lui mentre la sua mente gridava e il suo cuore si spezzava? Ma certo, Ukyo. Colei che aveva perso Ranma per sempre.

Ryoga sorrise. Erano così simili loro due! Due cuori infranti che si erano avvicinati quasi per caso. Poi lui l’aveva baciata, ed era cambiato tutto.

Qualcuno chiamava quel sentimento istinto di sopravvivenza della specie, un nome troppo scientifico per contenere le emozioni che lui aveva provato stringendola a sé. Anche Ucchan aveva provato qualcosa, lo aveva sentito da come vibrava e da come il suo cuore batteva.

Ma poteva funzionare una cosa simile? Potevano loro due sperare di costruire qualcosa insieme dalle ceneri di due amori perduti per sempre? Troppo arduo, forse, ma non impossibile.

Al limite sarebbe rimasta l’amicizia, la consolazione, il non sentirsi soli.

 

E, sospirando per farsi coraggio, Ryoga entrò nell’ “Ucchan’s II”.

 

 

“Ranma dormiresti qui con me stanotte?”

Lui si gelò. Akane gli aveva chiesto proprio… quello? Era entrato dalla finestra per un innocente bacio della buonanotte e si ritrovava a dover decidere se…

 

La ragazza si accorse della sua espressione imbarazzata, arrossì e sorrise. “Dormire! D-O-R-M-I-R-E! Cosa avevi capito, razza di pervertito?!”

 

Ranma divenne viola fino alla punta dei capelli. “Ah… ehm… scusa, io… credevo che… visto che l’altra volta ci eravamo andati… ehm… vicini… forse… io… pensavo…”

 

“Maniaco! Allora? Vuoi scaldarti anche tu sì o no? Non abbiamo i riscaldamenti come da Kuno e sospetto che il tuo futon sia troppo poco caldo. Oh, andiamo, abbiamo dormito insieme anche nella tenda, ricordi?”

Ranma annuì, arrossendo ancora al ricordo, e si avvicinò tremante. Sedette sul bordo del letto di Akane come se si fosse appena seduto su un tizzone ardente e mandò un’esclamazione di sorpresa quando lei lo afferrò e lo tirò in giù.

 

“Avanti, ficcati sotto queste coperte, mi sto congelando ad aspettare te!” Gli gridò per nascondere il proprio imbarazzo.

Con un gesto rapido ripiegò la coperta su di loro e lo guardò arrossendo. “C’è un bel calduccio, vero?”

“Sì, è vero. Il tuo letto è così caldo…!” Rispose accoccolandosi accanto a lei e stringendola tra le braccia.

 

“Mhhh…”

 

“Che c’è?” Fece lui allarmato.

 

“Anche tu sei molto caldo… potrei anche farci l’abitudine, sai?”

Ranma sorrise e le posò un bacio sulla fronte. Entrambi sentivano un gran calore ora, in parte per le coperte, in parte perché erano così vicini.

 

Pian piano il loro respiro si fece profondo e regolare e fu così che Ranma e Akane dormirono insieme quasi ogni notte.

 

 

Ukyo si avvicinò al divano sul quale Ryoga dormiva profondamente e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte.

 

“Posso rimanere un po’ qui?” Le aveva chiesto.

 

Ucchan aveva sorriso. “Sapevo che saresti tornato. Sai, anch’io mi sento sola, talvolta.”

Ancora una volta aveva interpretato appieno i suoi pensieri e Ryoga ne era rimasto affascinato: aveva girato i pollici per un po’, tormentandosi il labbro inferiore, incapace di parlare.

 

“Il divano…- cominciò lei indicandolo – E’abbastanza comodo, ti porto qualche coperta… se a te va bene.”

Se a te va bene? – Si domandò lui sorpreso. – Forse si aspetta che io le dica ‘oh no, Ucchan cara, preferisco dormire nel tuo letto?’ Ma no, era un’espressione come un’altra…!

 

“Sì.” Rispose imbarazzato.

 

Ora lei si stava domandando cosa ci fosse tra loro che li rendeva così complici: amicizia? Compassione? Oppure un pizzico di quella cosa tanto travolgente che cominciava per A…

 

“Akane…” Bisbigliò Ryoga nel sonno, e ad Ukyo si strinse il cuore.

 

 

Il liceo Furinkan era di nuovo agibile e Ranma e Akane stavano camminando di nuovo fianco a fianco verso la scuola.

 

“Certo che ne è passato di tempo.” Esordì il ragazzo col codino dall’alto del recinto dove camminava sempre.

 

“Da cosa?” Domandò la fidanzata da basso.

 

“Da quando andavamo a scuola… pare che dall’ultima volta siano passati mille anni!”

 

“Già.”

 

Stettero un po’ in silenzio, assaporando quel momento; per la prima volta andavano a scuola conoscendo i rispettivi sentimenti. Come si sarebbero comportati davanti agli altri? Cosa avrebbero risposto alle domande dei compagni?

“Akane?”

“Mhh?”

 

“Facciamo una corsa?”

Lei sorrise. “Come ai vecchi tempi?”

“Come ai vecchi tempi!”

 

E corsero, ridendo, nel sole.

 

 

“COOOOSA?! Shampoo e Mousse…?!”

 

Ryoga si grattò la testa. “Di cosa ti sorprendi? Ranma è stato battuto! Le leggi del villaggio di Shampoo…”

 

“Ma non hai detto che hanno scoperto il vostro trucco?” Lo interruppe Ucchan.

 

“Uh? Sì, è vero, però…”

Lei sorrise. “Si vede che lei gli vuole davvero bene.”

“Solo che non lo ama! Per me sotto sotto aveva paura di morire!”

“Come sei ingenuo! – lo apostrofò – Shampoo è sempre stata orgogliosa e non si sottrarrebbe mai al suo destino, anche se significasse morire. Se è andata con lui significa che sa che nel suo cuore può sbocciare qualcosa, un giorno.”

 

Per un attimo imbarazzante, i due si guardarono: in fondo loro erano in una situazione analoga.

 

“Ucchan…” Cominciò Ryoga titubante.

 

La ragazza arrossì ed esclamò a sproposito: “Devo andare a scuola!”

“Cosa?” Fece lui sorpreso.

 

“Sono le otto, farò tardi!” Rispose protendendo verso lo sconcertato ragazzo il polso con l’orologio.

 

Ryoga la guardò. “E… io?”

Lei gli si avvicinò. “Rimani.”

 

Lo aveva detto con tanta fermezza, e a Ryoga parve quasi di vederle gli occhi brillare. ‘Ti prego.’ Dicevano quegli occhi.

 

Senza pensare, le afferrò il polso e pigiò le sue labbra con le proprie, in un bacio veloce ed esigente.

 

Ucchan lo guardò confusa. “E questo cos’era?”

Lui alzò le spalle. “Il mio modo per augurarti una buona giornata.”

 

Ukyo sorrise, il primo sorriso sincero che le avesse visto sul suo volto dal giorno del terremoto.

 

“Grazie.” Gli disse.

 

“Di cosa?”

“Di un mucchi di cose.” Detto questo, gli strizzò l’occhio e se ne andò, lasciando Ryoga disorientato e fumante di vergogna.

 

 

“Ranma! Vecchio mio, ma allora sei ancora vivo!” Gridò Hiroshi abbracciandolo.

 

“Perché, cosa credevi?! Ehi, non mi stringere così!”

 

“Raaaanmaaa! Amico miooo!” Gridò Daisuke saltando addosso ai due in un improbabile abbraccio.

 

Akane scosse la testa sorridente: quei tre erano dei veri amici.

 

“Akaaaaneee!”

“Sayuri! Yuka!”

Le tre si abbracciarono, imitando i ragazzi.

 

Inevitabilmente, i discorsi finirono su lei e Ranma. Erano ancora fidanzati? Si erano dichiarati? Si erano… baciati? E il matrimonio?

“Calma, calma ragazze! Quante domande!”

“E dai! – insistè Sayuri – Dicci tutto!”

“Bè, ecco noi…”

“Voi…?!”

 

“Stiamo… insieme, sì.” Rispose arrossendo come una peonia.

 

“Ihhhh! Che bello! Raccontaci! Ti preeeeegoooo!” Cinguettarono in coro saltando intorno all’amica.

 

Intanto Ranma si stava avviando all’entrata con Hiroshi e Daisuke.

 

“Kami, Ranma, mi spiace davvero per tua madre!”

“Anche a me! Poveretta! E dire che vi eravate appena ritrovati!”

Ranma abbassò la testa e si morse il labbro: per un secondo temette di mettersi a piangere lì, nel cortile della scuola, poi tutto passò. Lei avrebbe voluto che fosse coraggioso e virile. “Già.” Mormorò.

 

Per un po’, mentre la professoressa Hinako dormiva sulla cattedra, tutti si raccolsero attorno ai due fidanzati. Parlarono di Cologne, della madre di Ranma, della tragedia del terremoto, e ovviamente della loro coppia preferita.

 

“Davveeerooo?! State insieme?!”

“Ma insieme insieme?”

“In che senso?” Domandò Ranma.

 

Hiroshi si guardò attorno e mormorò: “Avete fatto sesso?”

Scoppiarono tutti a ridere, vedendo i fidanzati arrossire furiosamente.

 

“Ma che domande sono?! Certo che no!” Gridò Akane.

 

“Bene… però vi sarete baciati!” Insisté Yuka.

 

I due balbettarono qualche: “bè”, “ecco”, “ma”, poi entrò Ukyo.

 

“Salve a tutti… uh? Cos’è, una riunione?”

Ranma fissò l’amica sorridendo e in breve fu coinvolta nei discorsi degli altri. Quindi è finita Si disse. Ranma e Akane lo hanno reso ufficiale.

 

Durante quella settimana le domande e l’interesse era tutto concentrato sulla coppia appena formata e la cuoca di okonomiyaki appariva sempre pensierosa e distratta.

 

“Ukyo? Posso rubarti un minuto?” Le domandò Akane una mattina di pioggia.

La ragazza con la spatola si morse il labbro e le rispose con una domanda: “Lo sapresti mantenere un segreto?”

Lei annuì, disorientata, e la seguì in disparte.

 

“Volevo proprio chiederti cosa ti accade ultimamente. Ti vedo così… pensierosa! E’ per Ranma?”

Ucchan la guardò con un sorriso. “No… non credo. Gli voglio molto bene, ma credo di essermi quasi abituata. Il problema è un altro.”

“Quale?” Domandò Akane accostandosi per ascoltare meglio.

 

“C’è un ragazzo in casa mia!” Sussurrò con fare circospetto.

 

Akane fece tanto d’occhi. “COOOOOOOOSA?!”

La ragazza le tappò la bocca. “Non gridare! Non è come pensi! Lui dorme sul divano!”

“E… lo conosco?” Fece Akane sul vago.

 

“Ecco… lui sarebbe…”

“Sarebbe?”

“Ryoga.”

 

Akane fece un piccolo salto e batté le mani. “Lo sapevo lo sapevo lo sapevo! E come vi trovate… insieme?”

Ucchan giocherellò con le dita. “Uhm… parliamo del più e del meno, ma…”

“Ma…?” Quel giorno Akane avrebbe dovuto strapparle le parole di bocca.

 

“Lui… mi ha baciata!” Disse in fretta.

Le sorprese non finivano mai. La minore delle Tendo si portò le mani davanti alla bocca. “Oh, Ucchan, vi volete bene allora!”

“Vedi – gli occhi di Ucchan si fecero remoti – Ricordi quella volta… quando tu risalisti per quella diga per correre da Ranma? Durante il terremoto?”

“Certo, ricordo. Mi sono tolta il gesso dal braccio due settimane fa!” Rispose con aria sofferta.

“Noi eravamo soli e sperduti. Io ero gelosa perché tu stavi per raggiungere Ranma, e Ryoga… sai che lui era innamorato di te?”

Akane annuì. “Ti confesso che per me è stata una sorpresa.”

 

“Ecco… ci siamo avvicinati. Insieme nella disgrazia, insieme nella solitudine e ora che voi state insieme… la solitudine ci ha avvicinati ancora di più. Oh Akane, che devo fare?!” Esclamò esasperata.

 

Lei le prese le mani e la guardò dritta negli occhi. “Fai quello che ti ordina il cuore, il resto verrà tutto naturale, vedrai. Ryoga è molto dolce, ma anche molto timido; incoraggialo con dolcezza, ascoltalo e cerca di capirlo. Vedrai che scoprirete di amarvi piano piano, col tempo.”

 

“Oh Akane – fece lei arrossendo – Che parole grossa: AMORE!”

“Anche io quando ho visto Ranma la prima cosa che mi è venuta in mente non è stata quella, ma poi…”

Ucchan sorrise “Trattalo bene Ranchan, è il mio migliore amico!”

“Te lo prometto Ukyo, e tu tratta bene il povero Ryoga. E’un ragazzo meraviglioso!”

“Lo so.”

Le due amiche si abbracciarono e non sospettarono assolutamente che Ranma stava origliando da una finestra, sorridendo.

 

 

Quella notte Ranma e Akane dormirono di nuovo assieme e parlarono di Ryoga e Ucchan. La ragazza si era infuriata sapendo che lui le aveva ascoltate di nascosto, ma poi gli sorrise e pace fu fatta.

 

“Credi che funzionerà tra loro due?” Domandò Ranma nella luce della luna.

 

“Sono molto amici. Vedrai che finiranno come noi!”

 

“A letto insieme?” Fece lui malizioso.

 

“Scemo! Intendo che si innamoreranno!”

Ma l’ambiguità nascosta sotto quelle parole li fece arrossire. Essere a letto insieme, per loro, significava dormire accoccolati nelle notti più fredde, in modo del tutto innocente.

Ma ultimamente, la vicinanza che li univa con tanta tenerezza dava loro il capogiro, e nuove sensazioni e desideri si fecero strada nei loro cuori.

 

Quella notte, Akane si svegliò sola; si alzò in punta di piedi e trovò Ranma in bagno, davanti allo specchio, intento a battersi i palmi delle mani sulle guance e poi a schizzarsi con l’acqua fredda fino a trasformarsi in una ragazza.

 

Evidentemente anche lui sente caldo questa notte. Pensò mentre tornava a letto e analizzava le proprie nuove, calde sensazioni.



Il prossimo è l'ultimo capitolo: grazie a tutti per i commenti fin qui!!

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Capitolo 22
*** Destini: Ranma e Akane ***


Cap.22

DESTINI:
Ranma e Akane

 

Io non so parlar d’amore

L’emozione non ha voce…

(L’emozione non ha voce A.C.)

 

 

Il ritmo del suo respiro era caldo, Ukyo lo sentiva aleggiare dolcemente sulle sue guance arrossate. Ryoga era uno sconsiderato che non faceva altro che perdersi, e come le aveva detto Akane era molto timido. E insicuro, avrebbe aggiunto lei.

 

Oh, certo! Pensò nel buio. Io invece vanto una sicurezza impressionante!

 

Delicatamente, scostò una ciocca ribelle dalla sua fronte e fece scorrere le dita dietro al suo orecchio, fino al lobo. Lui, che stava russando lievemente, fece una smorfia e si grattò l’orecchio, provocandole un sorrisetto.

 

Lentamente, si accucciò sul divano accanto a lui e si insinuò fra le sue braccia, assaporandone il calore. Ryoga si svegliò di scatto ed emise un gemito di sorpresa, arrancando nel buio come se, invece di una donna, fra le braccia avesse una bomba atomica. Cadde con un tonfo.

 

“Devo prenderla come un rifiuto?” Domandò Ukyo calma, esaminandosi le unghie.

 

Lui si alzò a sedere, massaggiandosi la testa.

 

“Sei un bel tipo, tu! Ti infili praticamente nel mio divanoletto e io non dovrei esserne sorpreso?!” Quasi gridò.

 

“Veramente – disse lei risentita – più che sorpreso sembravi spaventato… sono così brutta? Non reggo il confronto con la tua Akane?”

 

Ryoga la fissò allibito: anche nella luce pallida della luna, poté scorgere il luccichio nei suoi occhi.

 

Due boccioli impregnati di rugiada mattutina… Pensò proprio come quella notte.

 

“Non dire stupidaggini, sai benissimo che non è così!” Esclamò lui convinto.

 

Lei rimase seduta sul divano, fissando nel vuoto. “Sai… una volta, quando avevo più o meno tredici anni, mi capitò di invaghirmi di un ragazzino che era nella mia stessa classe, alla scuola maschile. Ovviamente non potevo farmi avanti, perché tutti mi credevano un ragazzo ed io ero brava a nasconderlo. Inoltre c’era Ranma; dovevo ritrovarlo e vendicarmi, e poi, chissà, magari anche obbligarlo a sposarmi – Fece una risatina scomoda, come per togliersi un peso. – Talvolta pensavo che nessuno mi avrebbe mai visto come una ragazza. Mi guardavo allo specchio e vedevo una ragazzina che si vestiva da maschietto e nascondeva tutto ciò che poteva compromettere la sua vera identità. Andavo in giro per strada e desideravo potermi vestire anch’io come le mie coetanee, con la minigonna a scoprirmi le gambe, le camicette attillate per mettere in evidenza… sai… il seno.”

 

Ryoga arrossì e lei lo imitò involontariamente.

 

“Non sai quanto mi costi dire questo a te che sei un ragazzo. Io non ho mai avuto una madre o delle amiche con cui parlarne; c’erano solo la scuola e gli allenamenti, e la mia femminilità… la tenevo nascosta. Quel ragazzino mi piaceva davvero e talvolta mi chiedevo come mi sarei sentita dentro ad un abbraccio maschile, considerata come una ragazza. Non mi è mai capitato, come ad Akane o Shampoo, di avere qualcuno che si sentisse… attratto da me. Mi faceva male, perché io mi sono sempre sentita una donna, ma nonostante tutto non ero capace di vestirmi, pettinarmi, comportarmi da tale. Semplicemente non l’avevo mai fatto.

Non so perché ti sto raccontando tutto questo… non l’ho mai detto neanche a Ranma; forse perché dentro di me sapevo che lui non avrebbe capito, il suo cuore non apparteneva a me. Non mi è mai appartenuto. Ho vissuto per tanto tempo sola, ho avuto degli amici e delle amiche, ma mi mancava qualcosa… qualcuno. Qualcuno da amare e che mi amasse. Qualcuno a cui piacere per quella che ero, con la passione per gli okonomiyaki. All’inizio li usavo per attirare Ranma, ma un uomo non si prende per la gola; l’ho capito quando ho visto che preferiva Akane a me nonostante lei fosse un disastro in cucina.” Fece un risolino affettato, poi ridivenne seria. “Quando quella notte davanti al fiume tu mi hai stretta e baciata… mi sono sentita desiderata da qualcuno per la prima volta.”

“Anch’io. – Ryoga si costrinse a schiarirsi la gola. – Anch’io mi sono sentito così. Anche se Akari diceva di amarmi… era come se le sue parole fossero solo per il maialino che era in me; e anche se lei lo negava io non lo sentivo! Non so come spiegarti, è troppo profonda come sensazione, e io non sono bravo a…”

 

Fu Ukyo ad interromperlo, saltando giù e premendo le sue labbra con le proprie, abbracciandolo.

 

“E’ questo che non riuscivi a sentire? Sai, perché mi è capitata la stessa cosa con Ranma quando l’ho baciato di prepotenza.” Gli occhi le brillarono mentre lo guardava attendendo una risposta, e lui le disegnò i contorni delle sopracciglia con i pollici, gentilmente.

 

“Credo – disse lui con voce roca - Che si chiami… sentirsi ricambiati, o attrazione reciproca. Tu che dici?”

 

“Io dico di sì.” Sussurrò a voce bassa.

 

Lui la circondò con le braccia e il contatto le fece girare la testa; Ucchan gli posò lievi baci sul collo, e si lasciò deporre sul divano tremando. Sospirò sentendo il seno, che aveva sempre costretto in fasce doppie, aderire contro il torace forte di lui. E, ragazzi, il suo cuore batteva così forte, era pervasa da una sensazione come… di condivisione. Avvertiva lo spirito di Ryoga, così affine al suo, fondersi nella propria anima.

 

“Ucchan… che sta accadendo? E qualunque cosa sia… deve accadere?” Domandò lui. Improvvisamente aveva il fiato corto.

 

Lei gli accarezzò i capelli. “Non so cosa accada esattamente quando c’è una qualche attrazione tra uomo e donna, ma credo che sia istintivo. Per me è la prima volta, non ho mai provato sensazioni simili, anche perché Ranma non me lo ha mai permesso e sinceramente ne sono spaventata. Ma è bello. Con te mi sento protetta, amata… VIVA! E tu?”

 

Ryoga si spostò un poco. In fondo non doveva metterla al corrente anche delle sue reazioni… fisiche, almeno non in quel momento.

“Io… ehm… tu mi piaci molto. Mi sei stata vicina, mi vuoi bene, e… baciarti è la cosa più bella che io abbia mai fatto. Davvero.”

Ukyo arrossì, sentendosi improvvisamente molto calda. Se avesse saputo che anche lui provava certe cose nei suoi confronti…!

 

“Allora baciami di nuovo, Ryoga, scaldami. Non lasciarmi sola come l’altra sera; sei l’unico che mi voglia veramente bene per quello che sono.”

 

Lui la strinse forte e rotolò su di lei. Le loro lingue si toccarono gentilmente, poi assaggiarono le labbra, poi…

 

“Ucchan…?”

“Mh?”

“Vuoi andare avanti? E se poi accade qualcosa di… irreparabile?”

Ukyo rise di gusto, rise e rise finché non le dolse la pancia dal tanto ridere. Lui la guardò indignato.

 

“Bè, che hai da ridere? Parlo seriamente io!”

“Hai ragione, scusa… in fondo sei un ragazzo.”

Lui spalancò gli occhi, sorpreso. “Vuoi dire che ho capito male?” Domandò accennando vivamente alla loro posizione poco innocente.

 

“Non hai capito male – Mormorò lei passandogli una mano sul torace, sotto la maglietta. – Ma non c’è nulla di irreparabile nel fare questo.”    

 

Ryoga avvertì il tocco di lei come un fuoco. “Vuoi dire – La voce gli tremò. – Che io posso fare questo?” Le sue dita le sfiorarono i seni con una delicatezza infinita e lei sospirò.

 

“Se mi vuoi bene non è male neanche questo.” Rispose lei prendendogli la mano e portandosela dentro la camicetta.

 

Le esitazioni di entrambi cessarono lì e nel giro di pochi secondi erano persi.

 

 

“Ti piaccio come ti piaceva Akane?” Domandò Nabiki al ragazzo che aveva di fronte.

Nel giardino di casa Kuno c’erano solo loro due.

 

“Nabiki Tendo – Cominciò lui serio. – So che la dolce Akane non mi apparterrà mai, ma non per questo io considero te la sua sostituta.”

Lei lo fissò intensamente. “Che vuoi dire, Kuno?”

Lui le prese il volto tra le mani e la Regina di Ghiaccio si sciolse d’incanto al tocco caldo e sincero di un ragazzo che non aveva quasi mai considerato.

 

“Tu sei tu e basta. Sei fredda e decisa, sai cosa vuoi, e la tua determinazione mi affascina Nabiki Tendo. Ora dimmi: potrò un giorno sperare se i miei nobili sentimenti nei tuoi confronti possano essere ricambiati?”

 

Lo baciò leggermente sulle labbra, sorprendendo se stessa e lui, e mormorò: “Oh, credo proprio di sì Kuno, credo proprio che accadrà.”

 

 

Kasumi chiamò Akane in cucina, dopo cena, e le versò del tè bollente nel bicchiere dicendo che voleva tanto parlarle di una cosa.

 

Lei si guardò attorno. Nabiki era altrove a flirtare con Kuno, e Ranma faceva il bagno. “Deve essere una cosa seria! Hai aspettato che papà e il signor Genma andassero a dormire!”

“E’una cosa seria sorellina.” Disse lei sorridente come al solito, come un’eco ai suoi pensieri.

 

“Dimmi allora.” La esortò allegramente portandosi il bicchiere alle labbra.

 

“Nabiki mi ha detto di te e Ranma.” Fece la maggiore delle Tendo sempre sorridendo.

 

Akane spalancò gli occhi e inghiottì il tè con un rumore forte che le fece male alla gola.

 

“COME DIAVOLO LO SA NABIKI?!” Gridò.

 

Il sorriso di Kasumi si allargò “Oh, sorellina, davvero non vi eravate accorti di lei? Stavolta deve essere stata davvero più che discreta!”

 

“Dove sono?” Ribatté Akane secca.

 

“Dove sono… cosa?!” Le domandò Kasumi senza capire.

 

“Le foto! Non dirmi che le ha già…?!”

“Tranquilla Akane, le ho comprate tutte io e le ho bruciate!” Aveva parlato come se fosse naturale comprare le foto dalla propria sorella. Ma conoscendo Nabiki non c’era da aspettarsi altro…

 

La ragazza le prese le mani. “Oh Kasumi, grazie! Grazie davvero!”

“Non c’è di che!” Sorrise “Ma non è tutto.”

 

Akane la guardò con circospezione “Che altro… oh no Kasumi, cosa stai pensando?” Domandò vedendole uno sguardo più che indagatorio.

Lei le porse una ciotola di biscotti. “Vuoi?”

La sorella minore ne prese uno, distrattamente. “Kasumi, non penserai davvero che io e lui…!”

 

“Oh, no Akane, sono sicura di no! Vi dovete ancora sposare e non sarebbe molto giusto.” Rispose come se fosse un fatto ovvio.

 

Akane rimase per un attimo interdetta. Era la verità, no? E allora perché si sentiva così irrequieta? Ragazza – Si disse – Non penserai mica di contraddirla e combinare qualcosa di disonorevole prima che lui ti abbia messo l’anello al dito!?

 

“Tuttavia… - Cominciò Kasumi riportandola alla realtà. – Visto che siete fidanzati e vi amate tanto non potrei mai biasimarvi se decideste diversamente.”

 

Akane si sentì come se si fosse tolta un macigno dal cuore. Ho il permesso! Pensò a disagio e, ancor più a disagio, si rese conto che ne era felice.  

 

Kasumi notò la sua espressione colpevole, e le pose le mani sulle spalle. “Sei tu a dover decidere, Akane, io non posso far altro che darti dei consigli, ma la scelta è vostra. Al cuore non si comanda, no?”

 

Lei annuì, imbarazzata. “Sai – Cominciò senza sapere esattamente che dire. – Qualche volta sento una cosa qui… nel cuore e vorrei che lui… io… oh Kasumi, sono una cattiva ragazza, non è vero?!” Concluse disperata.

 

La ragazza scosse la testa. “No, non sei una cattiva ragazza, Akane, sei solo innamorata di Ranma. E’ normale che tu ti senta attratta da lui.”

 

Akane sorrise, ora a suo agio. “Già, credo proprio che tu abbia ragione. Grazie sorellina.”

 

 

“Di cosa parlavate prima tu e Kasumi?” Domandò Ranma incuriosito, stringendole la mano nel buio.

 

Lei sussultò, sorpresa. Lui aveva sentito?! Oh… no… non…

 

Ranma si accorse della sua espressione e puntualizzò. “Non ho origliato. Ma mentre ero nella vasca da bagno ho sentito le vostre voci attraverso il muro, ma non ho capito nulla, giuro!”
 
Akane sorrise vedendolo contrito e colpevole, e si affrettò a rispondergli.

“Va bene, ti credo… ma non era niente di importante, davvero.”

 

Poi chiuse gli occhi e si decise a chiederglielo, nonostante il suo cuore battesse selvaggiamente. “Perché ieri notte eri in bagno a schizzarti d’acqua fredda?”

Lui si irrigidì e la sua stretta aumentò nello spasmo dell’imbarazzo. “Io avevo… solo un po’ caldo.”

 

“Anch’io.” Ammise lei candidamente sentendosi un po’ stupida, un po’ ardita e un po’ felice allo stesso tempo. Ranma tacque per un po’, mandandola nel panico; che lei avesse capito male? Che lui…? Oh, al diavolo – Si disse – Basta chiederglielo, no? Al massimo balbetterà un poco, ma se non vai al cuore del problema non saprai mai…

“Ranma…?”

“Cosa…?” Era improvvisamente nervoso.

 

“Tu… vuoi, cioè, vorresti… insomma… desideri…” Improvvisamente si era dimenticata come si parlava normalmente e lui la guardava come se fosse stupida.

 

“Cosa?!” Fece lui esasperato.

 

Akane prese un respiro. “Oh, cavolo! Insomma, tu… tu mi desideri?” Cavolo? Insomma? Come glielo aveva chiesto, in nome del cielo? Ma almeno l’aveva fatto. E lui era non rosso, ma viola. Si aspettava una delle sue solite risposte, un rifiuto, una risata, ma lui la sorprese oltre ogni dire.

 

“Io… sicura di volerlo sapere?”

“Certo!” Fece lei esasperata e un po’ confusa.

 

“E tu?”

Ecco, l’aveva spiazzata. Ora che gli diceva?! Una bugia: NO. O la verità: SI!...?

 

“Bè… non che mi sia passato per la mente che tu mi saltassi addosso, ma io credevo che tu…”

 

Lui la stava fissando con i suoi occhi azzurri che le mozzavano il fiato. Pensa! Si ordinò. Non perderti nel tuo sguardo ora!

 

“Sì.”

Akane restò confusa. Aveva detto di sì… almeno le era sembrato…

 

“Sì… cosa?” Fece lei credendo, in realtà di aver capito benissimo.

 

Ranma la guardò con una punta d’ironia. “E’la risposata alla tua domanda, no?”

Si voltò dall’altra parte mentre lo diceva. Era imbarazzato oltre ogni dire.

 

Akane gli prese il braccio, perché si voltasse.

 

Lui si girò di scatto. “Va bene, lo so, sono un pervertito, un maniaco, un…” Lei lo sorprese con un bacio e Ranma le passò le mani trai capelli.

 

“Che vuol dire?” Chiese piano.

 

“Che sei un idiota.” Mormorò dolcemente.

 

Gli si accoccolò tra le braccia, assaporando il suo calore così maschile e inebriante.

Lui la strinse a sé, tremando all’unisono con lei. E l’incantesimo li travolse.

Il loro bacio fu dapprima un dolce sfiorarsi, poi divenne esigente e per la prima volta le loro lingue si accarezzarono timidamente.

 

“Wow!” Fece lei. “Dove hai imparato a baciare così?”

“Qui. – Rispose lui leggermente in imbarazzo. – Ora.”

“Anch’io.”

Con delicatezza, la fece rotolare su di lui per stringerla a sé più forte e lei seguì il suo movimento con naturalezza, come se fosse nata per posare il capo sul suo petto. Sentì i muscoli massicci di Ranma e lo baciò leggermente attraverso la maglietta, insinuando le proprie mani sotto al tessuto per toccarlo. Era così caldo e forte…

Il ragazzo non ci pensò su due volte e si sfilò la canottiera mentre lei lo carezzava dandogli i brividi. Automaticamente le mani gli andarono sui bottoni del pigiama di Akane.

 

“Posso… di nuovo?” Chiese facendola sorridere.

 

“Solo se lo vuoi.” Mormorò facendolo rabbrividire.

 

“Lo voglio.” E Akane fu libera dalla maglietta.

 

Era la seconda volta che vedeva il seno della sua fidanzata e lei ne fu nuovamente imbarazzata. Come aveva potuto pensare che avesse un seno piccolo? Era così ben fatto e rigoglioso invece! Poi lei vi attirò le sue mani e si sentì… così calda! Lui continuava a baciarla e sentì che ansimava un poco, come non era accaduto quella volta sul divano.

Le mani di Ranma scivolarono fino alle sue anche, facendole venire i brividi, sentiva le sue dita oltre l’elastico dei suoi pantaloni e la sua lingua roteare sulla propria… finché la testa non le girò mentre ricambiava il bacio e avvertiva un calore elettrico sulle anche, dove lui la massaggiava delicatamente. La sensazione serpeggiò fino al basso ventre, fino all’inguine, poi Ranma si sollevò per approfondire il contatto, e…

“Ranma…?”

La sua voce allarmata lo costrinse ad aprire gli occhi. “Cosa…?”

“Tu… mi sembrava che fossi… ecco…” Si spostò e abbassò gli occhi per non guardare.

 

Ranma capì improvvisamente e si mise a sedere col viso in fiamme. “Insomma, cosa vuoi?! Mi stavi così appiccicata! Insomma sono fatto di carne e ossa, no?!”

Lei si volse dolcemente a guardarlo. “E’la prima volta, idiota, ero… spiazzata!”   

“Uh? Anch’io…!” Fece lui imbarazzato.

 

“A cosa pensi, Akane?” Chiese notando la sua espressione assorta.


“Voglio fare l’amore con te, Ranma.” Mormorò seguendo il suo cuore, rifiutandosi di riflettere per non incappare nella dannata timidezza.

 

Lui cercò di rimanere freddo, nonostante il turbinio delle sensazioni. “E non hai paura?” Chiese esitante.

 

“No.” Rispose candidamente. “E tu?”

 

“Neanche: lo vorrei anch’io.” Rispose con un sorriso timido che le fece galoppare il cuore.

 

Nudi, come Adamo ed Eva. Soli, in una stanza piccola e calda. Era come affogare nelle emozioni e il fiato non bastava mai se non per dirsi parole d’amore. I baci divennero una cosa sola con la loro pelle, con le loro mani.

L’urgenza dell’amore dopo le tragedie passate, il fuoco della passione dopo tanto stare lontani, tutto si fuse nell’esperienza che stavano vivendo.

Akane lasciò che la esplorasse nei suoi più segreti giardini e lo sentì chiamare il suo nome dolcemente, insistentemente.

Poi il calore la invase dall’inguine al cuore e lava fusa attraversò i loro corpi.

 

“Akane…!” Gemette lui.

 

“Ranma…!” Gemette lei.

 

Il cielo era lì solo per loro e vi volarono; fu come nascere una seconda volta, immersi in una nova in fase di esplosione: udirono distintamente il rombo e la luce della vita attraversarli mentre, palpitando, si chiamavano a vicenda e mentre le loro coscienze si fondevano in un piacere che li univa selvaggiamente e li faceva sentire deboli e VIVI.

L’urgenza divenne una danza frenetica, scompigliando i capelli ad Akane, portando le mani di Ranma lungo e oltre le sue anche. Rotolò su di lei, ansimando il suo nome, e la ragazza gli carezzò le scapole e insinuò le mani nella sua treccia.

 

Ora lui le stava dando dei piccoli baci sui capezzoli con le labbra, con la lingua, sfiorandoli con i denti, facendola impazzire e lei dovette mordersi le labbra per non gridare. Poi Ranma le morse delicatamente la spalla e Akane artigliò la schiena nuda e sudata di lui, sentendo l’onda che stava per travolgerli e trascinarseli via, nell’oceano.

 

La nova esplose nei loro nomi urlati nel sussurro roco e disperato di quell’esperienza così nuova e travolgente, nel bollore ardente che l’accompagnava e si trasformava, spandendosi dal fulcro della sua origine fino a coprire tutta la pelle del loro corpo come fuoco liquido.

 

Esausti, si accasciarono sul cuscino baciandosi, incapaci di trovare le parole per descrivere quello che avevano appena provato.     

 

Solo molti minuti dopo, quando il ritmo del cuore era divenuto normale e lo stupore era più lieve e sfumato, Ranma le domandò timidamente: “Come stai, Akane?”

“Bene.” Mormorò lei baciandolo sulle labbra. “E’stato bello.”

 

“Anche per me… meglio di una vittoria in un combattimento.”

“Bè – Fece lei accigliata. – Lo credo bene!”

“Era così, per dire!” Si difese accigliandosi a sua volta.

Lei lo abbracciò sorridendo. “Il mio Ranma! Io adoro baciarti, adoro toccarti… adoro fare l’amore con te.”

“Idem per me.” Fece lui guardandola negli occhi. “Anzi… credo che mi piacerebbe avere il bis!”

“Maniaco pervertito!” Esclamò Akane ridendo.

 

“Racchia! Maschiaccio!” Rispose lui mentre la baciava e le accarezzava le natiche con gentilezza.

 

“Mhhh… direi che se vuoi il bis merito prima delle scuse…” Mormorò mentre già abbassava le mani in zone proibite.

 

“Ehi, non è da ragazza perbene!” Disse lui, ma già era su di giri.

 

La ragazza si godé il profumo maschile e leggermente sudato di Ranma, inebriandosene, sprofondando il naso sul suo torace, sentendolo sussultare al suo duplice tocco. “Allora… queste scuse?”

 

“Perdonami.” Le bisbigliò nell’orecchio. “Ok?”

“Scuse accettate.” Rispose rotolando su di lui, pronta a morire e a vivere per lui.

 

 

 

 

FINE

 

 




 

 

 

 

 




E qui finisce la storia: un milione di ringraziamenti a TUTTI, ma proprio tutti coloro che hanno lasciato anche solo una recensione. Senza di voi non credo che questa storia sarebbe mai giunta a conclusione. Grazie di cuore!

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