DESTINI INTRECCIATI di moira78 (/viewuser.php?uid=16037)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lontani ***
Capitolo 2: *** Decisioni ***
Capitolo 3: *** Il disastro ***
Capitolo 4: *** Amore e sofferenze ***
Capitolo 5: *** Partenze ***
Capitolo 6: *** Scoperte ***
Capitolo 7: *** Ostacoli ***
Capitolo 8: *** INSIEME ***
Capitolo 9: *** Domande ***
Capitolo 10: *** Nuovi sentimenti ***
Capitolo 11: *** Tristi scoperte ***
Capitolo 12: *** Addii ***
Capitolo 13: *** Imprevisti ***
Capitolo 14: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 15: *** La Trappola ***
Capitolo 16: *** Veglia ***
Capitolo 17: *** Destini: Shampoo ***
Capitolo 18: *** Destini: Ucchan ***
Capitolo 19: *** Destini: Nabiki ***
Capitolo 20: *** Destini: Mousse ***
Capitolo 21: *** Destini: Ryoga ***
Capitolo 22: *** Destini: Ranma e Akane ***
Capitolo 1 *** Lontani ***
Cap.1
Lontani
In nessun luogo
andai
Per niente ti
pensai
E nulla ti mandai per mio
ricordo.
……………………………
……………………………
Son le
cose
Che
pensano
Ed hanno di
te
Sentimento
Esse t’amano e non
io.
(Le cose che pensano
L.B.)
Quella notte il
bosco sembrava rilucesse di luce propria. Le stelle si erano accese tutte in
quel cielo irreale, e Ranma le guardava affascinato, appollaiato comodamente sul
ramo più alto dell’albero.
I suoi pensieri
volarono a Nerima, Tokyo. Dove aveva visto delle stelle così belle l’ultima
volta? Sul tetto del dojo? No.
Le aveva viste negli
occhi di Akane mentre lo guardava con indosso il suo vestito da sposa. Arrossì
al pensiero, e si maledisse per essere stato così debole. Se solo Hiroshi e
Daisuke non lo avessero assillato con quella storia… dannazione, tutta la scuola
li aveva assaliti con domande e allusioni il giorno dopo il matrimonio
fallito!
Erano stati a casa
da scuola per una settimana, evitando il Furinkan e i loro folli
“abitanti”.
Non si erano più
parlati. Erano così dannatamente imbarazzati da non riuscire a fare altro che
dirsi “Ben alzato” e “Buonanotte”.
Lui si sentiva in
colpa. Lei si sentiva stupida. Il perché glielo aveva confessato nell’unica
conversazione decente che avevano avuto.
“Sai Ranma – gli
aveva detto – mi sento così stupida ad averti voluto coinvolgere in tutto
questo…” Lui aveva taciuto, non sapendo come rispondere, e lei aveva preso il
suo silenzio come un assenso alle sue parole. Così aveva continuato “Credevo che
tu mi amassi, e volevo che tu… bè… avessi la tua acqua magica. Ma ora capisco
che era tutto un sogno; ora sono sveglia. So che tieni a me perché mi hai
salvato la vita. Ma so che non mi ami, e che se mi avessi sposato sarebbe stato
solo per gratitudine, perché avresti ricevuto la tua cura. Ma non ho bisogno che
tu mi sia grato Ranma… io voglio sposarmi solo per amore, e non importa se non
sarà con te.”
Quelle parole, dette
in una sera di pioggia, gli riecheggiarono nell’anima davanti a tutte quelle
stelle. Quella stessa notte, mentre la pioggia svaniva con le primissime luci,
lui aveva deciso di andare via. Aveva fatto i bagagli, aveva preso un treno che
lo portasse lontano, ed era fuggito via, dove non avrebbe più potuto farle del
male.
Perché lui non
voleva ferirla, non avrebbe sopportato di vedere ancora lacrime nei suoi occhi
per colpa sua. E men che meno non voleva vederla parlare così freddamente
nascondendo il dolore; quello era stato peggio che vederla piangere, ed era
rimasto segretamente ferito e vagamente deluso nel sentire da lei tanto
distacco.
Era sicuro di
provare qualcosa di importante per lei, ma sarebbe morto piuttosto che
continuare a nasconderglielo facendola stare male. Sarebbe tornato da lei quando
fosse stato capace di dirglielo nella maniera giusta, e se non ne fosse mai
stato capace… avrebbe preferito rinunciare a lei.
Sapeva che l’avrebbe
aspettato, che non si sarebbe innamorata di nessuno mentre lui era via. Ed erano
passati sei mesi.
E se lei si fosse
già stancata? Con un brivido la vide fra braccia sconosciute, con un sorriso
pieno d’odio…
Scosse la testa
vigorosamente, per scacciare il pensiero.
Akane…
Sentì un fruscio fra
le fronde, e non si stupì di vedere Ryoga uscirne con un ghigno di disperazione,
gli occhi sbarrati con il disorientamento completo nello sguardo “MA DOVE
DIAVOLO SONO!” Gridò esasperato.
Ranma lo afferrò per
il colletto perché si voltasse, e con un sorrisetto maligno lo salutò: “Salve
suino sperduto, qual buon vento?” Ryoga sentì subito salirgli in corpo l’antico
odio: “Maledetto, sono sei mesi che
ti cerco per metterti le mani addosso, come hai potuto abbandonare Akane in
vestito da sposa?!”
Ranma si accigliò.
“Stai zitto, idiota!” A sorpresa, lo scaraventò giù dall’albero, e con un abile
salto gli atterrò con eleganza sulla testa “Piuttosto – riprese come se nulla
fosse accaduto – strano che tu non sia con lei adesso: ti sei perso
P-chan?”
“Adesso BASTAAA!”
Con un salto balzò
in piedi e, ruotando il busto, si preparò a suonargli un pugno dritto sul
sopracciglio, ma Ranma fu più veloce.
Con un calcio bloccò
il suo braccio, poi arcuò la schiena e si capovolse in un piccolo salto mortale
all’indietro. Si rimise subito in guardia, ma si limitò a schivare i suoi
colpi.
“Ehi Ryoga, sei diventato lento”
“Taci Ranma!” Con uno scatto Ryoga si abbassò e gli conficcò un pugno
allo stomaco.
Ranma soffocò un
grugnito. Decise che doveva fare sul serio. “Prendi questo Ryoga!” Gli mollò un
destro alla mascella, facendolo barcollare “Uno pari!” Gridò trionfante.
Continuarono così
per più di un’ora finché, stanchi e ammaccati, crollarono a terra
ansimando.
Il sole stava
sorgendo.
Akane si era
svegliata tardi quel giorno: dopotutto era domenica, e non aveva la scuola a cui
pensare.
Quando uscì dal
letto per vestirsi erano già le
nove di un mattino stupendo.
Aprì la finestra e
guardò il piccolo panorama di ogni mattino, inspirò una profonda boccata d’aria
e si coprì gli occhi per schermarsi dal bel sole che batteva.
Sarebbe andata in
palestra direttamente, avrebbe saltato il suo footing mattutino e la colazione,
visto che era tardi, e si sarebbe allenata con entusiasmo per scacciare i
pensieri che l’assalivano.
Ranma…
Stupido Ranma, idiota Ranma! “Se n’è andato, è scappato come un ladro
dalla vergogna!”
Infilò la tenuta da
judo e strinse il laccio fino quasi a soffocare “Che rabbia!” Esclamò
indignata.
Lui l’aveva
abbandonata. Era stata sul punto di sposarlo, e lo stupido si era messo a
rincorrere tutti per farsi ridare la sua cura. Era quello che voleva!
Stupido!
Aveva sentito il
cuore scoppiarle nel petto quando lui aveva detto che stava bene col suo vestito
da sposa, ed era convinta che lui l’amasse. Poi si era distratto, e quel poco di
considerazione che aveva mostrato si era dissolta.
Lei si era ritrovata
sola col suo vestito e le sue sfumate speranze. Era una sposa abbandonata dal
suo uomo prima che si avverasse il sogno. I fiori del bouquet erano appassiti.
Il suo cuore anche.
Gli aveva detto in
faccia che non avrebbe mai sposato un uomo che non la ricambiasse, e questo
implicava…
Per essere ricambiata dovrei
amarlo io per prima. Rifletté.
Al diavolo! Voleva
solo aiutarlo ad avere la sua cura, e poi se non era morta in Cina era stato
perché lui l’aveva salvata. Gliene era grata, e sperava che lui lo avesse
capito!
Ma forse lui non
voleva la sua gratitudine; forse voleva da lei un sentimento più importante. Ma
ne sarebbe stata capace? Le abitudini le avevano insegnato che era più facile
tergiversare, mentire e mentirsi; faceva meno male, non esponeva a rischi. Non
faceva soffrire in futuro.
Ma lui non aveva
battuto ciglio alle sue parole, e questo significava che non provava nulla per
lei. E poi se n’era andato, lasciandola sola e triste.
All’inizio era stato
difficile per lei. Aveva smesso persino di allenarsi, e il cuore sembrava
frantumarsi in mille pezzi.
Ma poi era venuta la rabbia.
La rabbia era un
sentimento positivo, che le restituiva le energie, e quelle energie andavano
spese bene.
Ora, mentre tirava
calci e pugni al vento, sentiva l’anima scaricarsi da tutte le tristezze e i
rancori.
Ora si sentiva
svuotata.
Di nuovo.
Come tutte le volte
scaricava le forze negli allenamenti e tutta la sua carica positiva svaniva. Ma
invece di sentire benessere nella stanchezza e nel riposo, sentiva come… una
mancanza.
Cosa le mancava? Chi le mancava?
Ma è ovvio, le
mancava quello stupido con i suoi dispetti, con le sue schivate, con le sue
linguacce.
Le feriva l’orgoglio
e il cuore, ma le mancava l’idiota che l’aveva abbandonata poco prima di
sposarla e che l’aveva lasciata sola in quella palestra ad arrovellarsi il
cervello!
“IDIOTAAAA!”
Mollò un calcione al
muro e si accasciò, inginocchiata, e scacciò rabbiosamente le lacrime amare che
tentavano di accecarla.
Si sentì come se le
mancassero un braccio o una gamba, e con lentezza penosa si trascinò in
giardino.
Doveva aver preso
una storta, il piede le faceva male al minimo movimento. Stavolta però, non
c’era Ranma a prenderla sulle spalle.
Sedette davanti allo
stagno, e immediatamente le venne in mente Ranma che si allenava col padre e
cadeva dentro, trasformandosi. Poi lei gli correva incontro col bollitore pieno
e…voilà!, ecco che tornava il ragazzo agile e bello che lei… che lei…
Si alzò di scatto, facendo una smorfia di dolore non appena poggiò il
piede per terra.
“Maledizione!” ringhiò “Ogni angolo di questa casa mi ricorda
quell’idiota che mi doveva sposare!”
Trascinando il piede
si arrampicò fino alla camera che era stata dei Saotome; Genma era partito per
un viaggio di allenamento: si vergognava del figlio, ma sperava che un giorno si
ricredesse. Nel frattempo non aveva avuto il coraggio di restare in casa del suo
migliore amico, si sentiva come se fosse stato lui il colpevole del
“tradimento”.
Soun aveva fatto dei
deboli tentativi per convincerlo a restare, e alla fine aveva guardato il
compagno di tante avventure allontanarsi, con lo sguardo accigliato e le braccia
incrociate.
Akane vide che il
futon di Ranma era ancora là. Il calore di lui era scomparso, ma la ragazza
cercò di immaginare che ce ne fosse rimasto un pochino, e se lo strinse al
petto. Il cuore le batteva forte. E’quando una persona non c’è che se ne sente
la mancanza Pensò.
“Ranma… perché mi hai lasciata sola?” Mormorò.
Le lacrime che seguirono non la colsero molto di sorpresa.
Quando Ryoga aprì
gli occhi il sole era già alto. Scorse l’ombra di Ranma stagliarsi statuaria
contro la luce.
Vide i movimenti
decisi ed eleganti del suo allenamento, lo sguardo concentrato, la linea decisa
e serrata della mascella.
Lui è il migliore. Pensò senza
rendersene conto.
Si toccò la fronte, e sentì la superficie ruvida di un cerotto sul taglio
che si era fatto mentre combattevano.
“Ha avuto il tempo di medicarmi e di riprendere ad allenarsi. Quel
Ranma!”
Era sempre stato una
spanna abbondante al di sopra di lui. Era forte, amato da tutte le ragazze che
incontrava, era estroverso, orgoglioso… e aveva Akane.
Strinse con forza i
pugni a quel ricordo. Come poteva l’invincibile Ranma avere così poco coraggio,
essere così vigliacco.
Lui stesso, ricordò,
non aveva avuto mai il coraggio necessario per rivelarle i suoi sentimenti, ma
una volta…
“La saponetta
magica!” Esclamò la sua
mente.
Quella volta, quando
credeva che quel sapone avesse compiuto il miracolo di non farlo più
trasformare, Ryoga aveva creduto di potercela fare; a modo suo le aveva rivelato
che lei era importante, che ne era innamorato.
Ma la sua irruenza
l’aveva spaventata, e le sue speranze erano andate perdute. Poi, tanto per
cambiare, la saponetta magica si era rivelata un fallimento clamoroso, e lui era
tornato ad essere “il suo P-chan”
“Sono stato un
idiota a pensare anche solo per un momento che lei…” Sì colpì forte sul
ginocchio, e capì quante illusioni inutili si era fatto.
Nel cuore di Akane
non c’era posto per lui; a chi aveva chiesto aiuto per farsi liberare dalla sua
corte spietata? A Ranma! E lui aveva abbracciato quel corpo femminile senza
rendersi conto che quell’idiota si era trasformato apposta per proteggerla.
Chissà quanto avrebbe riso Akane vedendolo!
Era a Ranma che lei
si rivolgeva sempre, era il suo nome che faceva quando aveva bisogno di
protezione. E lui era sempre là, forte e calmo a proteggerla, con la sua figura
decisa, come quella che ancora vedeva muoversi nel sole.
Ranma si accorse che
Ryoga lo fissava, ma non si voltò; erano i suoi sensi a dirglielo, e per il
momento non voleva dargliela vinta. Poi però prese l’asciugamano e si avvicinò
lentamente a lui.
Sedette accanto a Ryoga e, senza mai guardarlo chiese: “Allora, cosa
avevi da fissarmi in quel modo?!”
Ryoga distolse lo sguardo indignato. “Mi chiedevo quand’è che mi hai
messo questo stupido cerotto.”
Ranma sorrise,
beffardo. “Eri addormentato come un sasso dopo la botta che ti ho rifilato su
quella tua testa calda, e ho avuto il tempo di medicarti, di fare uno spuntino e
di allenarmi.”
“Cos’è, vuoi dire che sono più debole di te?!”
“E’ evidente P-chan!”
“E non chiamarmi P-chan!” Ryoga si alzò in piedi, ma Ranma non si voltò
neanche.
Anzi, lo prese per
un braccio e lo obbligò a risedersi. “Calma Ryoga, piuttosto…”
“Cosa?! Che cosa
vuoi?!” Gli ringhiò in faccia.
Ranma non si voltò
ancora, e chiese timidamente con un filo di voce “Non hai più visto Akane dopo
quel giorno che… insomma hai capito, no?”
Ryoga rimase senza
fiato, e spalancò la bocca per la sorpresa.
Ranma girò appena lo
sguardo, e si accigliò. “Che c’è?” gli disse rabbioso “Perché mi guardi con
quella tua boccaccia spalancata, ti ho fatto una domanda semplice mi
pare!”
Ryoga richiuse
automaticamente la bocca. “No è che… non credevo che ti interessasse sapere come
sta Akane”
Ranma si voltò
dall’altra parte, urtato “Ma che vuoi che m’importi di un maschiaccio come lei?!
Era così, per dire!”
Ryoga lo colpì sulla
testa con un pugno. “Razza di idiota, non offendere più Akane in mia
presenza!”
“Sì… hai
ragione…”
Ryoga sentì che la
mascella gli ricadeva di nuovo per lo stupore “Come hai detto
scusa?”
Ranma si girò di scatto e lo guardò dritto negli occhi. “Ho detto
che hai ragione, idiota! Io… devo smetterla di offenderla, sono uno stupido, no?
Sono quello che l’ha abbandonata sull’altare, quello che la insulta, quello che
la fa soffrire! Ma, diavolo!, ti sei mai chiesto perché?!”
Ryoga non riusciva
più a parlare: da quando Ranma aveva quell’atteggiamento così strano? Si stava
autoaccusando! E davanti ai suoi occhi! Era quasi sulla difensiva,
anzi.
“E smettila di
balbettare, stupido!” Ranma si alzò e smise di guardarlo. Ora era in piedi, i
pugni serrati e lo sguardo basso.
Ryoga si alzò a sua
volta, e lo scrutò con attenzione. Possibile che… ?!
“Ranma…?”
Nessuna
risposta.
“Ranma!”
“Cosa, cosa
c’è?”
Ryoga inghiottì a
vuoto, e si schiarì piano la gola. “Non è che tu… che tu… insomma, vuoi bene ad
Akane?”
Ranma sussultò
impercettibilmente, ma Ryoga se ne accorse. Lo chiamò una volta, ma quando cercò
di posargli una mano sulla spalla lui si voltò e fuggì tra gli alberi, spezzando
i rami e facendo cadere una manciata di foglie verdi sulla testa di un Ryoga
stupefatto e immobile.
Il sole volgeva
pigro verso Occidente, e una stella si accese. Mandò un debole raggio di luce
attraverso la finestra di Akane, sbirciandola fiocamente.
La divisa della
scuola era ordinatamente appesa sulla stampella, pronta per essere indossata
l’indomani. Kasumi l’aveva lavata e stirata, e il profumo del detersivo le
giunse fresco alle narici.
Akane accese la
piccola lampada della scrivania, e aprì un libro per studiare, ma la sua mente
non era concentrata. Si sforzò di capirci qualcosa, ma si accorse che aveva
riletto la stessa riga almeno dieci volte.
Con un moto di
rabbia prese il libro e lo scaraventò sul letto.
Si chinò sulla
scrivania e nascose la testa fra le braccia, singhiozzando leggermente,
scuotendo le sue spalle in un pianto amaro e silente.
“Ranma – mormorò fra
le lacrime – ti prego, torna da me, io… io non posso vivere senza di
te”
Così finì un’altra
giornata.
A Nerima, Tokyo,
erano già le undici di sera.
Qualche chilometro
più a nord, tra i boschi di una località pressoché sconosciuta, l’oscurità,
favorita dall’assenza di luci elettriche, avvolse la vegetazione in un abbraccio
sensuale.
Ma stanotte c’erano
le nubi, e al posto delle stelle solo due occhi rimasero accesi, vigili, per
molte, molte ore.
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Capitolo 2 *** Decisioni ***
Cap.2
Decisioni
Ranma
sedeva su una roccia accanto al torrente, una mano sul
mento.
Solo
ora si rendeva conto dello sbaglio che aveva fatto andandosene via, facendole
credere di non tenere a lei; la verità era che senza di lei la sua vita non
aveva senso.
Ryoga
gli aveva fatto sussultare il cuore.
Aveva
cercato di negare con tutte le forze a se stesso quello che era ora così chiaro
dentro di sé, e quando lui gli aveva chiesto “Le vuoi bene?”, pensava che gli
sarebbe venuta fuori naturale una frase come “Ma che dici, idiota?” oppure “Io
amare quel maschiaccio? Mai!”. Invece era scappato via, prima che gli
sfuggissero parole che non andavano dette.
Come
poteva esprimere a parole sentimenti che non ammetteva neanche con se
stesso?
Credeva
che le arti marziali fossero tutta la sua vita, ma allora non sapeva cosa
significasse amare una persona.
Essere
migliore dentro per combattere al di fuori…
Era
Akane che glielo aveva insegnato!
Come
poteva pensare di avere la piena padronanza di un’arte indiscriminata se non
sapeva neanche cosa volesse dire amare
indiscriminatamente?
A
che valeva lottare con coraggio se nei rapporti umani era un
vigliacco?!
No,
doveva essere sincero, essere disposto a rischiare anche di soffrire per
amore.
Ma
come dirlo a uno che già aveva sperimentato su di sé cosa volesse dire soffrire
per amore?
Ryoga
l’avrebbe ucciso!
Ma
ora non gli importava più di nessuno.
Ma
se lei lo avesse preso per un pervertito, o peggio ancora gli avesse urlato in
faccia che non voleva più vederlo, allora sì che la sua vita sarebbe
finita.
Si
fermò.
Aveva
il TERRORE di essere rifiutato, ma i suoi piedi si mossero da soli verso la
strada di casa.
Ucchan
stava ripulendo il tavolo con una pezza bagnata, quando Ryoga entrò nel suo
locale e stramazzò ai suoi piedi.
Quando
si svegliò, era adagiato su un futon con il ghiaccio sulla fronte. Due occhioni
scuri lo fissavano sorridenti.
“Akane…”
“Mi
spiace ma sono io. Tutto bene scemone?”
Ryoga
sbatté le palpebre e mise a fuoco la figura di Ucchan con la spatola gigante
sulla schiena. Improvvisamente gli parve maledettamente
carina.
“Mi…
mi dispiace, devo essermi…”
“Perso!
Lo sapevo, e sei anche svenuto, ma quanto è che non mangi? Thò, prendi
questa!”
Un’okonomyaky
gigante gli volò tra le mani, e Ryoga cominciò a divorarla biascicando
ringraziamenti a bocca piena.
“Ma
dove sei stato stavolta?” Ucchan si protese con le mani sul
pavimento.
Ryoga
smise di mangiare, e abbassò lo sguardo. “Ho visto Ranma.”
Gli
occhi della ragazza brillarono tristemente. “Ranma?!
Dov’è?”
“Si
è accampato in un bosco a qualche miglio da qui, ma non chiedermi dove, perché
non lo so.”
Ukyo
strinse le labbra. “Gli hai parlato?”
“Sì”.
Da
quando lui se n’era andato, si era dedicata anima e corpo al suo ristorante,
cercando di soffocare i sentimenti che le facevano tanto
male.
Ma
non l’aveva dimenticato. Aveva desiderato ardentemente che Ranma tornasse da lei
dopo aver abbandonato Akane sull’altare, ma sapeva di illudersi. Lui viveva per
lei.
L’aveva
vista a scuola dopo qualche tempo, e le era sembrata…
spenta.
Anche
lei sapeva cosa significasse essere abbandonate, ora, ma si guardò bene dal
dirle ciò che pensava di Ranma.
Sarebbe
stato troppo per lei avvicinarsi e dire semplicemente “Sai, non ti devi
preoccupare, Ranma si vergognava per ciò che ha fatto, ma in realtà è te che
ama, non lo sai?”
Non
permise ai suoi pensieri di formulare simili parole, ma lo
sapeva.
Ranma
e Akane si appartenevano, e per un attimo vedendo la sua rivale in quello stato
si chiese perché diavolo non corresse da lui immediatamente per gridargli in
faccia che non faceva niente, che lei non era arrabbiata, che voleva solo
riaverlo vicino!
Non
era così difficile, no? Bastava seguire il cuore, ma quella stupida preferiva
l’orgoglio e la sofferenza!
Sospirò.
Il
silenzio cadde per alcuni attimi, poi Ryoga lo ruppe. “E’ ancora innamorato di
Akane.”
“Cosa!?”
Ukyo sedette sul pavimento, come se
fosse caduta. Ryoga l’aveva letta nel pensiero.
“Gli
ho domandato se le volesse bene, e lui è scappato! Il
vigliacco!”
“Ma
se è scappato non vuol dire che...”
“…tu
non lo hai visto!” La interruppe Ryoga “Era disperato, credo che si sia pentito.
Mi ha chiesto di lei.”
Ucchan
guardò per terra. Era giusto che fosse così, no? “E tu?”
“Non
l’ho più vista da quando… quando…”
“Da
quando stava per sposarlo?” Quando parlavano di Ranma e Akane, Ryoga e Ukyo si
capivano alla perfezione.
Ryoga
annuì, e Ucchan continuò. “Lo so io come sta lei.” Gli occhi di Ryoga
lampeggiarono.
“E’
tornata a scuola solo ieri, ed è distrutta. Alcune volte l’ho vista piangere,
sembra che abbia il cuore a pezzi.”
Ryoga
strinse la coperta del futon tanto forte da far sporgere una vena pulsante sul
suo polso. “Ed è tutta colpa di quell’idiota che se ne sta zitto! Cosa darei IO
per essere ricambiato da Akane!”
“Ma
neanche tu riusciresti a dirglielo, vero?”
“Ma io so già qual’ é la
risposta! Lui teme un rifiuto solo perché è stupido e non capisce che
lei…”
Ukyo
vide Ryoga sull’orlo delle lacrime, ed ebbe compassione per il compagno
imbranato e sfortunato di tante avventure.
“Coraggio
Ryoga, anche io ho il tuo stesso problema, ma cerco di farmene una ragione.”
Come bugia non era niente male, ma ebbe effetto.
“Sì
anche io ci ho provato, ma non mi riesce molto bene...” Ryoga accennò un
sorrisetto amaro.
Ucchan
si alzò. “Te la ricordi la grotta piena di spettri che abbiamo visitato qualche
mese fa?”
Ryoga
alzò un sopracciglio. “Il Tunnel del Perduto Amore? Veramente era proprio l’anno
scorso.”
“Bene, vedo che hai memoria! Bè, noi abbiamo fatto di tutto per
dividerli, ma alla fine sono usciti da lì più uniti di prima, e ci hanno
lasciato indietro a combattere contro gli spettri come due
babbei!”
“Litigare
è il loro modo di amarsi: commettemmo un errore.” Ryoga si alzò per guardare
alla finestra. Gli uccelli volavano bassi ed erano agitati come il suo
cuore.
Ucchan
tacque. Perché lottare? Anche lontani Ranma e Akane erano più uniti della sabbia
al mare. Erano tutt’uno.
“Sono
come le due metà della mela che Giove divise.” Recitò ad alta
voce.
“CHE
COSA?!” Vedendo l’espressione sconcertata di Ryoga, Ukyo rise di
cuore.
“E’
il simposio di Platone, stupido! Come si vede che non sei mai andato a
scuola!”
Ryoga
s’infuriò. “Ci sono andato, invece, è inutile che prendi in giro! Cominci a
citare a sproposito come Kuno!”
Ucchan
non fece caso all’ultima parte, e spalancò gli occhi. “Sei stato al Furinkan?! E
quando?”
“Bè,
è stato circa un anno e mezzo fa… ma non ho passato l’esame di ammissione per
colpa di Ranma.” I suoi occhi si fecero remoti.
“Di
Ranma?” Ucchan si accosciò accanto al futon dove lui si era nuovamente
seduto.
“Sì.
Akane mi aveva aiutato a studiare, e mi aveva fatto promettere che non avrei più
combattuto con lui fino all’esame, e che avrei studiato, invece. Ma poi
quell’idiota geloso ha rovinato tutto!”
“Dici
che era geloso?”
“Lo
avrebbe visto anche un bambino… io e lei studiavamo di notte, e Ranma si è messo
in testa pensieri strani.”
“TU
STUDIAVI DI NOTTE NELLA SUA CAMERA?!” Ukyo era senza parole. Non faceva Ryoga
così coraggioso.
“E’
inutile che urli, era Ranma a pensare chissà cosa! Io ero lì impaurito con colei
che amavo davanti agli occhi e sapevo che...”
“Che
non ti apparteneva? Anche Ranma è stato qui di notte. Mi ha sempre trattata come
una sorella… o come un fratello, non ho mai neanche provato ad essere troppo
seria con lui. In fondo in fondo sapevo…”
“Che il suo cuore apparteneva a
un’altra?” Ryoga finì per lei.
Ukyo
gli sfoderò un altro bel sorriso. Ryoga si sentì confuso.
“Sai
Ryoga, se io e te non fossimo innamorati di altre due persone saremmo una coppia
perfetta, ci capiamo al volo!”
Ryoga
divenne più rosso di un pomodoro maturo, e Ucchan si rese conto della sua
battuta.
“N-no,
non fraintendere, io di… dicevo così… per dire...!”
“Oh,
sì sì, certo… bè, ora si è fatto tardi!”
Ukyo
non disse nulla, e rimase seduta a far sbollire la vergogna, finché lui non le
parlò di nuovo, facendola sussultare “Ucchan… mi accompagneresti da Akane?
Vorrei rivederla, ma…”
“Ma
cosa?!”
“Ecco,
ho paura di perdermi!”
Ukyo
fece un gesto esasperato, e disse: “Ma quanto sei
imbranato!!!”
***************************************************
Akane
gettò via dal cassetto l’ultimo paio di pantaloni, e chiuse con forza il suo
zaino senza preoccuparsi di piegare i vestiti. Legò la tenda da campeggio in
cima al bagaglio e se lo gettò sulle spalle.
Ora
basta, la sua vita era un inferno. Doveva sapere almeno cosa gli passava per la
testa a quello stupido, doveva sapere se l’avrebbe sposata oppure no in
futuro.
Era
solo questo, no?
Voleva
che suo padre si mettesse il cuore in pace e capisse che Ranma non faceva per
lei. Diamine, se lo sarebbe fatta dire in faccia che non l’amava,
allora…
Allora
si sarebbe messa il cuore in pace anche lei.
Ma
se lui l’avesse fatto davvero? Il suo cuore che avrebbe fatto, si sarebbe
spezzato in due o si sarebbe alleggerito di un peso?
Che
stupida, lei lo sapeva che sposare Ranma era un obbligo e
basta!
“Mi
hanno costretta, io non lo volevo come marito quello stupido, maschilista
cambia-sesso presuntuoso, idiota, vigliacco… io starò meglio quando lo saprò, e
sarò libera, non lo vedrò mai più, e non mi mancherà più…
e….”
E
allora sì che soffrirò davvero, mi mancherà dannatamente e il cuore mi
scoppierà!
E
va bene
– pensò – vediamo che posso fare si
arrese.
“Bene,
vedo che vai in cerca di lui finalmente!”
La
voce familiare la fece sussultare. Pensava di essere sola, e invece era stata
scoperta! Si sentì inspiegabilmente in colpa.
Si
voltò di scatto, infuriata.
Nabiki
apparve dietro di lei.
“Sei
impazzita, vuoi farmi venire un infarto?!”
“Cos’è,
ti vergogni ad ammettere che vai a cercare Ranma? Eh?!”
Nabiki
sapeva essere davvero irritante quando si chinava ad insinuare col suo
sorrisetto acuto e il dito puntato.
“Io
non vado a cercare proprio nessuno!”
“Ah
sì? E allora dove vai sorellina?” Chiese indifferente sorseggiando la sua
coca.
“Io
vado ad... allenarmi.” Guardò per terra ed arrossì.
“Sì
come no, e io sono al verde! Andiamo, sii seria per una volta: stai andando a
cercare Ranma!”
Akane
aggrottò le sopracciglia. “Io non ho alcun interesse a cercare quell’idiota
presuntuoso; ormai è uscito dalla mia vita.”
Nabiki
sapeva che parlare di certi argomenti imbarazzava Akane a tal punto che la sua
sorellina cominciava a dire bugie, così anche stavolta fece finta di
assecondarla.
“Va
bene, allora buon allenamento.” Si girò per andarsene, ma prima si voltò
un’ultima volta. “Buona fortuna sorella.”
Akane
spalancò gli occhi, e sussultò mentalmente: ma di cosa si stupiva, Nabiki era
intelligente, e capiva sempre tutto al volo, chi voleva prendere in giro, se
stessa forse?
Prima
di uscire lanciò uno sguardo al dojo, dove lei e Ranma avevano lottato tante
volte; un brivido le attraversò la schiena, ed ebbe una sensazione
strana.
Voglio
tornare là dentro insieme a lui Pensò.
Quella
fu l’ultima volta che vide il dojo.
“Ryoga!
Dove vai, la casa dei Tendo è di qua!” Ukyo sbuffò, possibile che era così
imbranato?!
“Eh?!
Ah scusa, mi ero perso!”
“Allora
dammi la mano, stupido!”
Ryoga
sussultò; una ragazza lo stava tenendo per mano! Certo, era solo per non
perdersi, ma si sentì lo stesso strano.
Era
Ucchan che gli stava accanto, però, non Akane… eppure non gli
importava.
Una
dimostrazione d’affetto faceva sempre bene, e per uno solo come lui era…bè, come
scaldarsi il cuore davanti a un caminetto in pieno
inverno.
Scosse
la testa; non doveva pensare a quello adesso, si doveva concentrare sulla
ragazza che amava, su come consolarla, starle vicino e chissà, magari anche
conquistarla.
Anche
Ukyo aveva fatto pensieri simili su Ranma; magari la lontananza da Akane, un po’
di fortuna. Poteva sperare di diventare definitivamente qualcosa di più del “suo
migliore amico”, chissà. Era bello sognare di poter stare fra le sue braccia
calde, sposarlo, avere dei bambini…
Era
persa con la testa fra mille nuvolette rosa, e quando si voltò Ryoga era
sparito.
“Ryoga?!
.idiota ti perderai!! Dove sei?!”
Ma
parlava alla strada vuota.
Si
era distratta un attimo a fantasticare, aveva lasciato la sua mano e Ryoga
Hibiki si era perso per l’ennesima volta.
“Stupido.”
Mormorò mentre si armava di pazienza e andava a cercare il ragazzo
perduto.
Akane
aveva appena messo piede fuori del cancello di casa sua per cercare Ranma col
cuore pieno di speranze.
A
qualche miglio di distanza, lui esitava sulla strada di
casa.
Nabiki
rifletteva sul coraggio di sua sorella sfogliando una rivista in
giardino.
Soun
si rilassava nella vasca da bagno pensoso, ignaro di
tutto.
Kasumi
stava tornando dalla spesa canticchiando.
Ukyo
si stava chiedendo dove fosse finito quell’imbranato di
Ryoga.
Tutto
accadde in un istante, cambiando le loro vite.
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Capitolo 3 *** Il disastro ***
Cap.3
Il
Disastro
“Questo non è il momento di
fidanzarsi! Io me ne torno in Cina. Chissà, forse là troverò il modo per tornare
normale!”
“Meglio così, non ci tengo
ad essere la fidanzata di un pervertito!”
“Guardate, sono già una
bella coppia!”
“Lui è già una coppia da
solo!”
Il dolore tornò e la testa
parve scoppiarle.
Cosa mi è caduto addosso, il
cancello?!
Provò a muoversi, e tornò la
nebbia.
“Fai a botte con loro tutte
le mattine?”
“Sì, ed è tutta colpa di
Kuno!”
Il Furinkan. Ranma. “Ma
cosa?….”
Un altro boato, poi il
silenzio.
“Mikado Sanzenin! Se ti
azzardi a toccare Akane sei un uomo morto! Akane è la mia fidanzata,
capito?!”
“Ranma!”
“Sei molto più carina quando
sorridi”.
“Ran….Ranma….”
“Se ti piace tanto Nabiki,
perché non ti metti con lei?!”
“Ma che cavolo
dici?!”
Un dolore lancinante alla
testa… flash-back… ricordi.
“Ma
dove...”
“Mi dispiace di aver
interrotto il tuo appuntamento romantico con Ryoga!”
“Ranma che
dici?!”
“...dove...”
Il suo volto divenne più
vicino… oh, se solo avesse potuto muoversi, toccarlo…
“Akane mi senti, non è vero?
Svegliati, devo dirti una cosa!”
“Dove
sono?”
“AKANEEEE!”
I suoi occhi si aprirono.
Era vagamente conscia del grande cancello di casa sua sulla schiena, e delle
lacrime che le scorrevano sul volto.
Poi ricordò
tutto.
“Ryoga, dove ti sei
cacciato?!”
Ukyo voltò l’angolo, ma
Ryoga non c’era… poi sentì un’esplosione, forse un boato.
“Ma cosa… Ryoga!
Ryo…”
La terra le tremò sotto i
piedi, e vide un polverone alzarsi intorno a lei mentre tutto si frantumava e
crollava. Per un attimo Ucchan pensò che Ryoga avesse usato la tecnica
dell’esplosione per sbucare da un muro all’improvviso, ma capì che non poteva
essere quello quando vide crollarle tutto il mondo
addosso.
Un cavo dell’alta tensione
si staccò improvvisamente dal pilone di cemento e si diresse in una folle danza
elettrica verso di lei.
Ranma si accorse che
qualcosa non andava quando avvertì i nervosi versi degli animali del bosco; gli
uccelli volavano via a piccoli stormi ad intervalli regolari, sbattendo le ali e
gridando forte il loro verso al cielo; gli scoiattoli si arrampicavano fulminei
sugli alberi come per sfuggire ad un terreno ostile, e le civette… anche loro si
svegliarono dal loro torpore e volarono via.
“Ma cos’è questa fuga?!”
Ranma fece un passo, e improvvisamente ebbe chiaro che era inutile
fuggire.
Sentì una vibrazione
crescente solleticargli i piedi fino alle viscere, e poi quella stessa
vibrazione divenne il movimento folle del terreno che lo sbatté per
terra.
La minuscola frazione di
mondo in cui Ranma si trovava parve collassare su se stessa tirandosi appresso
tutto quello che c’era: alberi, dune, pilastri di roccia, addirittura le radici
degli alberi, tutto gli parve crollare addosso.
Una spaccatura nel terreno
zigzagò fino a lui aprendosi in pochi secondi in una voragine di vertiginosa
profondità.
E per la prima volta, Ranma
Saotome, seconda generazione della scuola di Arti Marziali Indiscriminate, ebbe
paura di morire.
Akane ricordava di avere
appena messo piede fuori del cancello per correre incontro alla speranza, quando
le parve che le avessero tolto il mondo sotto i piedi.
Mentre cadeva, la sua mente
formulò distrattamente un pensiero folle “Qualcuno ha spostato la
Terra...?!”
Poi vide una scena che la
colmò di un orrore indescrivibile, che anche a distanza di anni avrebbe faticato
a dimenticare. In seguito, quella scena sarebbe tornata nei suoi incubi ripetuta
migliaia di volte al rallentatore, facendola urlare nel
sonno.
Vide la sua casa, e il dojo
che sarebbe dovuto essere suo e di Ranma, crollare, accartocciarsi su loro
stessi, diventando una massa informe di tegole, legno, vetro,
marmo…
In pochi secondi la graziosa
casa stile classico-giapponese, con tanto di laghetto e giardino smise di
esistere divenendo un cumulo di macerie, e lei non vide mai le crepe che si
aprirono lungo i muri indebolendo le strutture, o i muri stessi vacillare e
cadere ad uno ad uno.
Lei vide semplicemente la
metamorfosi da intero a nullo, come se la sua casa fosse stata un’illusione
della mente e fosse semplicemente sparita, come se si fosse disintegrata da
sé.
Le sue labbra formarono una
“O” perfetta, ma non riuscì ad articolare che un verso
strozzato.
Tentò di rialzarsi, e le
parve di essere diventata lentissima. Poi sentì delle grida e, portandosi le
mani alle orecchie mentre correva…
Non voglio
sentire
Pensò come per far tacere la paura.
è solo un incubo, e non
griderò
Invece cominciò a gridare
anche lei, e credette che le corde vocali le si sarebbero spezzate di
netto.
Ranma non aveva mai visto la
natura sconvolgersi in un modo così netto, così…
definitivo.
Era come se un essere
superiore, Budda, o forse Dio, avesse deciso di rompere come un giocattolo
quello che aveva creato per costruirsene uno nuovo.
“Questa è la fine del
mondo...?” Pensò confusamente a quello che aveva letto su quel tizio che
prevedeva il futuro… Nostradamus forse?, e maledisse mentalmente il fatto che
fosse accaduto proprio ora che aveva deciso di mettere ordine nella sua
vita.
Solo allora si accorse di
essere salvo per puro miracolo o, volendo, per la sua prontezza di riflessi;
guardò in alto e poi in basso, e si rese conto che l’unica cosa che lo teneva
saldo al terreno distrutto, in perfetto equilibrio fra cielo e terra, era la sua
mano aggrappata all’orlo della voragine che aveva sotto i piedi.
Qualcosa cadde sibilando a
pochi centimetri dalla sua testa, poi si schiantò con un rumore forte, e Ranma
si sentì investito come da migliaia di aghi.
Ma non mollò finché la terra
non smise quella danza folle.
Con un indicibile sforzo
riuscì a tirarsi su, e lo spettacolo che gli si parò di fronte lo lasciò senza
fiato.
Tutto era
distrutto.
Il bosco che c’era prima era
una massa informe di legna e arbusti, radici espiantate dal terreno come fossero
di burro, rami spezzati sparpagliati ovunque, alberi dai tronchi secolari caduti
come fuscelli al vento.
Tirandosi in piedi, Ranma si
accorse di avere un taglio profondo al braccio e tanti piccoli tagli un po’
ovunque.
Sedette a terra per
esaminare la ferita, e capì il motivo per cui bruciava come l’inferno: aveva un
grosso pezzo di vetro conficcato dentro, e ne scorse il luccichio solo guardando
più attentamente.
Capì allora cosa lo aveva
investito.
Il suo zaino era a pochi
metri da lui, aperto.
“Non l’ho chiuso e il
barattolo di riso è schizzato fuori – pensò - Bene, ora sono anche senza
cena!”
Ma era stato meglio, si
disse, perché se lo avesse colpito direttamente sarebbe svenuto e avrebbe
lasciato la presa precipitando.
Comunque ora doveva pensare
a tornare in città, doveva sapere che effetti il terremoto aveva avuto da quelle
parti.
“Oh mio Dio…” La voce si
riempì di terrore.
Se il bosco era in quelle
condizioni, quante case avrebbe trovato ancora in piedi?
E quante persone erano
scampate al crollo di muri, alberi, edifici…
“Akane…”
La paura gli si insinuò
nelle viscere come una droga forte, e il cuore gli pulsò nelle tempie mentre
cominciava a correre.
Il dolore e un fiotto di
sangue gli ricordarono che aveva ancora il pezzo di vetro conficcato nel braccio
destro.
“Maledizione!” Sibilò tra i
denti.
Prese un respiro, lo afferrò
con due dita e tirò.
Il gemito divenne un urlo di
sofferenza e poi di rabbia.
“Dio che
male!”
Si medicò e si fasciò alla
meglio l’avambraccio imprecando contro il dolore ancora
acuto.
Poi cominciò a
correre.
Akane si accorse di avere un
braccio rotto solo quando ci si poggiò per non cadere; allora gridò, ma non si
fermò. Piangeva e urlava i nomi a lei cari mentre si avvicinava a quella che era
stata la sua casa.
Distrutta.
Non un granello era rimasto
in piedi.
“Papà! Nabiki! Rispondetemi
vi prego!”
Udì una voce debole, e
riconobbe sua sorella.
“Nabiki sei
tu?”
“… si… ono…
io!”
La voce sembrava provenire
da sotto terra, lontana e flebile.
“Continua a parlare sto
arrivando!”
“...atten… potrebbe croll…
tutto!”
“Cosa?!” Poi capì. Sua
sorella aveva ragione, se avesse camminato troppo sulle macerie le sarebbe
crollato tutto addosso e l’avrebbe uccisa.
Il braccio le spediva delle
ondate di dolore insopportabili ma, invece di perdere i sensi, Akane utilizzò la
propria sofferenza per gridare a sua sorella di continuare a parlare; avrebbe
individuato dove si trovava, e avrebbe cominciato a scavare con delicatezza fino
a tirarla fuori.
Si accasciò sul cumulo di
macerie e usò le ginocchia e il braccio buono per strisciare fino al punto
giusto, poi le gridò: “ Nabiki! Sei ferita?”
“No! Mi sono riparata sotto
al tavolo!” Ora la voce era più vicina.
“Bene, ascolta! Non
muoverti, io comincio a scavare piano piano, va bene?”
“Ci puoi contare che non mi
muovo sorella… sono incastrata!”
“Bene!” E cominciò a
spostare le macerie a mani nude.
“Sai dov’è papà?!” Nessuna
risposta.
Akane fu colta dal terrore,
e scavò più velocemente.
“Nabiki! Per l’amor di Dio
dov’era papà quando c’è stato il terremoto?!” Urlò
“Stava facendo il bagno
Akane.” Disse lentamente.
“Oh mio Dio… e con cosa si è
riparato?” Rifletté.
In un attimo la sua mente
volò a sua sorella Kasumi che era per strada… e a Ranma.
Chissà dove erano, e come
stavano…
Nuove lacrime l’accecarono,
quando, scavando, scorse la sagoma informe di quello che era stato il tavolo
della camera da pranzo dove tante volte aveva mangiato in compagnia delle sue
sorelle, di suo padre, di Ranma…
“Nabiki, ti vedo!” La testa
castana si era sporta un poco da sotto il tavolo.
“Akane… dobbiamo cercare
papà!” Le tese il braccio.
Mentre allungava la mano,
Akane vide un’altra persona nel volto di sua sorella.
Lei, che era sempre sicura
di se stessa, che sorrideva davanti a tutto, che teneva a mostrare tutta la sua
saggezza, ora le apparve solo come una ragazza impaurita, sporca di terra sul
viso e sui capelli, pallida e preoccupata per suo padre.
“Akane ma… il tuo
braccio…”
“Non è nulla. Nabiki…!”
Pianse tirandola su e abbracciandola “Stai bene sorellina? Niente di
rotto?”
Nabiki le batté un poco la
mano sulle spalle “Coraggio Akane… ero spaventata, tutto qui, ma poi ho cercato
di pensare e mi sono nascosta sotto il tavolo… dai, non è il momento di
frignare, ora dobbiamo trovare papà!”
Akane annuì e si guardò
intorno freneticamente. “Dove… dove sarà sprofondato il
bagno?!”
Nabiki non era solo
allarmata e spaventata: era terrorizzata, ma capì che doveva ragionare se voleva
salvare suo padre, e non pensare al peggio; si morsicò un po’ le labbra e chiuse
gli occhi. Percorse mentalmente il corridoio… e li riaprì indicando un punto.
“Lì Akane, scaviamo lì!”
Senza esitare, cominciarono
a spostare i pezzi più grandi, attente a non tagliarsi ulteriormente con i
vetri.
“Papà! PAPA’!” Chiamarono
all’unisono.
Nessuna risposta, finché non
scorsero la manica di un accappatoio e la afferrarono.
Era privo di sensi, e con un
brutto taglio sulla testa.
Senza dire una parola, Akane
e Nabiki lo stesero sul terreno con delicatezza e lo chiamarono col panico nella
voce. Gli occhi dell’uomo si aprirono lentamente, lucidi e
confusi.
“N… Nabiki… A…
Akane?”
“Papà stai bene?” Piagnucolò
la più giovane delle Tendo.
“Akane perché piangi?”
Nabiki disse: “Papà grazie al cielo sei salvo, ma hai un taglio sulla
fronte… vieni, cerchiamo un dottore”.
Akane intervenne: “Come hai fatto a
salvarti dal crollo?”
“Mi sono infilato
l’accappatoio non appena ho sentito tremare la terra. Avevo capito che era un
terremoto, ma… – si portò una mano alla testa nel momento in cui le figlie lo
tiravano in piedi – ma poi…”
“Papà stai bene?” Chiese
preoccupata Akane.
“S-sì… solo un
capogiro…”
“Allora papà continua a parlare, e cerca di non svenire di
nuovo!” Lo esortò Nabiki intelligentemente.
“Ecco io… il tetto mi è
crollato sulla testa, pensate un po’! Sembrava un’esplosione più che un
terremoto, comunque prima… prima di svenire mi ci sono messo sotto perché la
casa… mi stava crollando addosso…” Il pover’uomo non sapeva se ridere per
essersi salvato così miracolosamente, o piangere per la disperazione della sua
casa distrutta.
Ma prima che potesse
decidere il mondo si oscurò, e udì una voce lontana…
“…papà…. papà che cos’hai?!
-… anzi due voci… -papà resta sveglio… PAPA’!”
...poi entrò in
coma.
Il dottor Tofu aveva sempre
creduto che tutto ciò che di bello gli accadeva nella vita fosse un dono degli
dei, ma non sapeva se meritarselo davvero.
Dava tutto per concesso, per
questo si impegnava nel suo lavoro, aiutando gli altri per ringraziare il Cielo
delle giornate in cui per caso incontrava Kasumi.
Ma quel giorno, trovandola
svenuta e ferita tra le macerie, ringraziò il Cielo solo di averla trovata
ancora viva.
Akane avrebbe voluto
caricare suo padre sulle spalle e correre di volata allo studio del dottor Tofu,
ma il braccio rotto glielo impedì, e così si fece aiutare da
Nabiki.
Il tragitto, che di solito
richiedeva non più di cinque minuti,
costò alle sorelle quasi un’ora di pellegrinaggio e di slalom tra le
macerie della città distrutta.
In un paio di occasioni,
stentarono addirittura a riconoscere la strada, ma preferirono evitare di
commentare l’entità di quel disastro, come per un tacito
accordo.
Non dovevano permettere alle
loro menti di concentrarsi più del necessario sulle case crollate, i pali della
luce pericolosamente crepati e spezzati, gli alberi caduti, i cumuli di macerie
che avevano coperto l’asfalto di diversi metri, costringendole ad arrampicarsi
faticosamente.
Ma si costrinsero a fermarsi
ogniqualvolta scorgevano delle tracce di sangue.
L’ultima persona che videro
semisepolta era una giovane donna con la testa voltata in maniera innaturale.
Akane si avvicinò, la toccò sul collo rotto per percepire inesistenti
pulsazioni, e stavolta cedette.
Si inginocchiò accanto a lei
tremante e piangente e rimise la colazione di circa due ore
prima.
Nabiki le si accostò. “Tutto bene
Akane?”
“Sì… solo che ho visto
troppe persone morte per oggi, non ci fermiamo più per
favore”.
“Ok. Vieni, siamo quasi
arrivate, vedrai che il dottor Tofu si è salvato e salverà anche nostro padre,
e….ti curerà quel braccio…” Si sforzò di sorridere ad Akane, ma non le
riuscì.
“Spero tanto che tu abbia
ragione Nabiki…” Mormorò stancamente.
Non avevano fatto che dieci
metri quando videro il buon dottore chinato all’angolo della sua clinica con una
borsa del ghiaccio in mano.
“Dottor Tofu… grazie a…” Ma
Akane non riuscì a continuare quando riconobbe sua sorella Kasumi nella donna
stesa accanto a lui.
Ryoga non capì bene quello
che stava accadendo. Ricordò solo un gran fracasso poco dopo che aveva perso di
vista Ucchan, poi un crollo seguito da uno schianto.
Quando vide il grosso cavo
elettrico dirigersi verso Ukyo pensò che non ce l’avrebbe mai fatta, poi
saltò.
L’afferrò appena in tempo,
ma non prima che il cavo le sfiorasse il volto appena sotto l’occhio
destro.
La sentì gridare, ma vide
che non c’era tempo per fermarsi e vedere quanto danno le aveva fatto la
scarica: ora dovevano mettersi in salvo.
Saltò a casaccio sui tetti
che gli crollavano sotto i piedi pregando di non cadere in quell’inferno di
macerie che si andavano accumulando, poi si fermò in cima ad un tetto che
sembrava reggere al sisma.
Allora
si rannicchiò con la sua amica svenuta fra le braccia e aspettò che il mondo
smettesse di tremare o si distruggesse per sempr
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Capitolo 4 *** Amore e sofferenze ***
Cap.4
Amore e
Sofferenze
Non so con chi adesso
sei
Non so che cosa
fai
Ma so di certo a cosa stai
pensando
E’ troppo grande la
città
Per due che come
noi
Non sperano però si stan
cercando
Cercando…..
(“….E penso a te”
L.B.)
Ranma sapeva che il bosco
era fitto e intricato, e dopo il terremoto gli fu quasi impossibile riuscire ad
attraversarlo in maniera normale. Saltò su alberi e rami spezzati, finché la
sera e lo sfinimento del digiuno
non lo sorpresero e il pensiero gli volò ad Akane.
La sua
Akane.
“Come posso pensare a quel
maschiaccio in un momento simile?! Devo preoccuparmi di mia madre, dei miei
amici…”
Eppure, prima di
addormentarsi, fu il viso sorridente di lei ad apparirgli nella mente, e dalle
sue labbra scappò solo un sussurro. “La mia piccola Akane…”
Desiderò per un attimo
essere come Ryoga, piccolo ed innocuo per dormirle vicino, e così per quella
notte, almeno in sogno, dormì accanto alla sua fidanzata.
************************************
In quel momento anche la
mente di lei era concentrata su Ranma.
Le mancava terribilmente,
ormai erano sei mesi che non lo vedeva, e le sembrava di essere stata come
mutilata di una parte indispensabile della sua vita.
Se lui fosse stato lì
qualche ora prima, l’avrebbe protetta stringendola al suo torace muscoloso, e
non avrebbe permesso che qualcuno si facesse male. Se solo avesse potuto
assaporare ancora il calore del suo abbraccio protettivo, respirare il profumo
dolce e sensuale della sua pelle appena sudata e coriacea……forse desiderava
addirittura baciarlo, sapere che sapore avevano le sue
labbra.
Ranma – si disse – farai bene ad avere cura di te, io devo
ancora sapere come… si ama un uomo, e se ti fosse accaduto qualcosa io… non te
lo perdonerei mai! Abbiamo così tante cose da scoprire l’uno
dell’altra…
Baciare uno scorbutico come
lui? Piuttosto la morte! Abbracciarlo ed essere abbracciate?! Da un pervertito
che diventava donna?! Già, ma quando era un uomo normale era così bello, e
forte…
Si era scoperta a fare
questi pensieri nel sonno, quando si trovava nel bel mezzo di un disastro, dopo
aver visto decine di morti e aver rischiato la vita sua e dei suoi cari.
All’inizio pensò che era lo stress, il richiamo alla vita a farle venire in
mente certe cose, poi capì che erano semplici proiezioni dei veri desideri che
aveva nel cuore.
Akane Tendo credeva di
impazzire; ma cos’era, attrazione fisica o follia da
terremotata?
Comunque era inutile
mentire: ci teneva a Ranma, ed era preoccupatissima per lui, così prese una
decisione.
Quando si fosse accertata
che il dottor Tofu si sarebbe preso cura di suo padre e di Kasumi, decise che
forse avrebbe potuto ripartire per sincerarsi che anche Ranma stesse
bene.
Era ancora mezzo
addormentata, ma sentì distintamente la radio, che Nabiki aveva scovato ancora
funzionante tra le macerie, annunciare l’entità del
disastro.
“Il violento terremoto che
stamane ha colpito la capitale del Giappone, pare abbia avuto come epicentro
proprio la zona centrale di Tokyo. Il sisma, che ha avuto effetti devastanti, ed
è stato stimato intorno ai 7,5 gradi di magnitudo della scala Richter, è stato
avvertito su quasi tutto il territorio nipponico; gli effetti più devastanti
sono stati riscontrati nelle zone periferiche della città dove si stanno
organizzando, grazie al tempestivo intervento della Protezione Civile, molti
“Ospedali-tenda”, piccoli centri di soccorso per feriti più o meno gravi. Finora
le vittime accertate sono circa duemila, ma per l’entità del disastro, si
suppone che ce ne siano purtroppo almeno il triplo. Molte voragini si sono
aperte, specie nelle zone boschive come quelle intorno a Kawagoe e al monte
Fuji; si pensa che…”
“Akane perché hai spento?”
Chiese Nabiki.
“Non posso più sentire”.
Akane era pallida come la benda di fortuna che il dottor Tofu le aveva sistemato
intorno al braccio, steccandoglielo attentamente.
Era ancora chino su Kasumi,
quasi sollevato che avesse perso di nuovo conoscenza e non potesse vedere Akane
in quello stato.
Nabiki ruppe il silenzio.
“Comunque ora sappiamo che siamo tutti salvi. Papà si riprenderà, lo sai, di che
ti preoccupi?”
Era troppo, e Akane
esplose.
Si voltò verso la sorella,
facendola sussultare di sorpresa; il suo sguardo la
incenerì.
“Parli bene, tu!” Anche il
dottore si voltò, sorpreso.
“Non hai sentito quante
persone sono state trovate morte fino ad ora? Pensi che abbiano contato anche
quelle che abbiamo trovato noi? Quante erano, te le ricordi? Dieci?! Venti?!
Tutte schiacciate dalle loro stesse case! Uomini, donne… bambini!! Tutti morti!
Quante ne abbiamo trovate vive?! Nessuna! Noi siamo stati solo sfacciatamente
fortunati! E ci hai pensato a tutti i nostri amici?! Ai nostri compagni di
scuola, alle loro famiglie, quanti saranno ancora vivi secondo te, Nabiki,
quanti saranno morti, saresti capace di andarli a contare tutti come fai con i
tuoi soldi?!”
Nabiki la schiaffeggiò, e
Akane ammutolì.
“Scusa sorella, hai
perfettamente ragione, ma stavi esagerando”
Akane si toccò il viso,
incredula.
“Pensi che non ci abbia
pensato?! Secondo te io sono bella tranquilla?! Sei talmente sotto shock che non
ti accorgi nemmeno che cercavo di tranquillizzarti?” Nabiki si fermò, sicura che
se avesse continuato sarebbe scoppiata a piangere, e non se lo sarebbe mai
permesso. Lei era quella che ragionava al di sopra di tutto, la donna di
ghiaccio che tutto risolveva senza provare sentimenti.
“Perdonami… io… io…” Akane
riprese a piangere, e Nabiki l’abbracciò. Come sorella maggiore doveva almeno
tranquillizzarla, no?
“Sssst calma Akane, vedrai
che andrà tutto bene” Mormorò come avrebbe fatto una
madre.
“Voglio cercare Ranma”.
Confessò trai singhiozzi.
“Ci avrei scommesso
sorellina”
“Lui ha sempre adorato allenarsi in mezzo ai boschi, e se è
vero che si sono aperte delle voragini…”
“Akane, mi stupisci! Tu che
ti preoccupi per quello stupido arrogante?!” Nabiki sperò che la sorella non
capisse che anche lei era preoccupata, nonostante pensasse che Ranma se la
sarebbe cavata sempre.
“Se fosse stato colto di
sorpresa dal terremoto e fosse… ferito?”
“Pensavo che non ti
interessasse più visto che ti ha mollata!”
Akane tacque, e Nabiki non
ebbe bisogno di indagare oltre: era chiaro come il sole che quei due si
amavano.
Sapeva, in fondo al suo
cuore, che Ranma era scappato via sopraffatto dai sensi di colpa e dalla
vergogna. Sapeva che sarebbe morto piuttosto che continuare a farla
soffrire.
E sapeva che sarebbe
tornato.
Questo era il vantaggio di
essere sempre forti e poco inclini alle proprie emozioni: si capivano meglio
quelle degli altri. E lei aveva imparato a leggere nei cuori di sua sorella e di
Ranma come in due libri aperti.
“Akane – la voce del dottor
Tofu era un bisbiglio – so che sarebbe inutile fermarti, ma resta almeno fino
all’alba, vuoi? Si sta facendo buio e ti perderesti. Inoltre ti devo medicare di
nuovo il braccio.”
Akane sorrise. “Va bene dottore, grazie. So che lei
avrà cura di mio padre e delle mie sorelle”
L’uomo annuì. “E io so che tu
avrai cura di te. Trova il tuo fidanzato, digli quanto lo ami e riportalo
qui”
“Lui… sta bene, vero?” La
sua voce era esitante.
“Lo conosci meglio di me:
non sarà stato certo il terremoto a metterlo in difficoltà, non ne dubitare”. Ma
era in pensiero anche lui. Le catastrofi naturali non erano esattamente le cose
contro cui Ranma si era allenato.
Anche Akane lo sapeva, ma
non permise al suo pensiero di concretizzarsi.
Poi sentì una voce familiare
pronunciare il suo nome e trasalì.
Ryoga rimase rannicchiato
sul tetto per un tempo indefinito, poi la terra smise di rivoltare zolle e
tremare, e discese con Ucchan fra le braccia. Lei stava bene, era solo
svenuta.
Lui invece stava
male.
Cosa, in nome degli dei, era
accaduto così all’improvviso? Aveva sentito che stava per accadere qualcosa, ma
non avrebbe mai sospettato che fosse così… grave!
Grave?! Si guardò intorno, e
si costrinse a sedersi adagiando piano Ukyo accanto a sé.
Per un’orribile minuto,
credette con tutto il cuore di essere l’unico sopravvissuto in quella
tragedia.
Le case non esistevano più,
sul terreno si erano aperte voragini capaci di inghiottire una locomotiva
intera, fili elettrici scoperti si agitavano come serpenti ciechi. E i
corpi…
Mani… piedi… grida… sangue…
era un incubo! Quanti erano ancora vivi?
Come un automa si diresse
verso un uomo che giaceva senza vita sotto le macerie; vedeva solo la mano
destra, un pezzo di braccio, e il volto.
Aveva gli occhi aperti, ma
sapeva che era morto ancora prima di toccare la sua mano appena tiepida e di
vedere che aveva la schiena spezzata.
Poi vide anche il bambino,
con la testa girata da un lato, un sottile rivoletto di sangue sceso sulla
fronte, un grosso calcinaccio sulla tempia destra, gli occhi pieni della paura
che ormai apparteneva solo al passato.
Non ci mise molto a capire
che aveva smesso di vivere.
Poteva avere dodici, forse
tredici anni, e la sua bicicletta era abbandonata di lato, completamente
fracassata.
Qualcosa si addensò nella
sua gola, affannandogli il respiro. Lacrime?
Pensò che quel bambino non
avrebbe più giocato a palla nel parco, non sarebbe più andato a scuola, non
sarebbe mai cresciuto, non si sarebbe mai innamorato, e soprattutto non avrebbe
mai più avuto paura.
Mai
più.
Stupidamente, cercò di
tirarlo fuori, poi vide che era fatica sprecata.
Non aveva bisogno di essere
liberato, era…
Morto? Era così che si
diceva? In tutta la sua breve vita quante persone aveva davvero visto
morte?
Nessuna.
Ed ecco il coraggioso Ryoga
Hibiki, uno dei migliori combattenti di Arti Marziali, che aveva sfidato mari,
monti, e persino il grande Ranma Saotome, impallidire e rischiare di svenire
davanti al suo primo cadavere.
Ci aveva messo quasi
diciotto anni a vederne uno dal vero, e prima o poi sarebbe accaduto con la vita
che faceva.
Ma quello era solo un
bambino.
E per la prima volta si
sentì lui stesso solo un vulnerabile ragazzino, non meno giovane di quello morto
che aveva sotto gli occhi, sfortunato negli affetti, terribilmente solo, e
ancora troppo giovane per bere alcolici al bar.
Capì di essere stato giovane
e spensierato fino ad allora, gli sembrò di aver giocato a fare l’uomo duro con
Ranma, il sentimentale con Akane, la vita era stata leggera e priva di vere
difficoltà.
Quanto aveva sofferto per
amore, per vergogna, per le volte che si era perso? Aveva sempre creduto che
fossero quelle cose a spezzargli il cuore, ma era vero solo in parte.
Se non fosse stata una
situazione drammatica avrebbe riso di sé. La vera sofferenza, quella dei veri
uomini, non se l’era mai neanche immaginata.
La provava solo ora. E solo
ora, capì di essere cresciuto all’improvviso, di essere maturato con tale
violenza, che rimpianse di non essere rimasto bambino ancora un
po’.
Il respiro gli divenne
pesante, e il petto era doloroso da sollevare, credeva di
soffocare.
Le lacrime versate per la
vergogna di diventare un maialino nero…
Gli occhi gli bruciarono
come per del fuoco.
...quelle versate per
Akane…
I pugni gli si strinsero da
soli.
...nulla in confronto a
quello che si può provare vedendo la morte negli occhi di un bambino
innocente…
Ryoga cominciò a
singhiozzare convulsamente, liberando il pesante bagaglio di conoscenza che gli
era piombato addosso in meno di un minuto, spezzando il suo cuore ancora
inconsciamente bambino, temendo di morirne, anelando alla vera vita per la prima
volta.
Pianse tutte le lacrime di
cui era capace, finché si sentì più leggero.
L’ultima lacrima fu per
l’innocenza perduta.
Poi, cominciò a pensare come
un uomo per la prima volta.
Pensò ad Ucchan e a come
salvarle la vita.
La riprese fra le braccia,
leggera e inerte, e scoprì che anche se si fosse perso non gli importava:
l’importante era trovare qualcuno ancora vivo e cercare di salvarsi la vita
tutti insieme.
Camminò per ore, maledicendo
il mondo quando si trovava a passare per due volte nello stesso posto, poi vide
un gruppo di persone sedute per terra, e udì parole umane dopo quella che gli
era parsa un’eternità.
Si avvicinò, e riconobbe
Akane, Nabiki e il dottor Tofu. Accanto a lui una giovane donna…
Kasumi?
“Akane…” La sua voce era un
bisbiglio incredulo.
Lei si voltò, sussultando,
socchiuse le labbra e pronunciò il suo nome in un grido.
“RYOGA! Santo Cielo!” Vide
Ukyo tra le sue braccia , sporca e lacera, con un grosso livido sullo zigomo
destro, e gli corse incontro.
“Lei è…?”
“Sta
tranquilla, è solo svenuta, e tu… come stai Akane?”
“Io sto bene, almeno
fisicamente”.
Ryoga la guardò meglio. “Che
hai fatto al braccio?”
“E’ rotto, ma non è niente.
Oh Ryoga, se sapessi come sono felice di vederti vivo!” La voce le
tremò.
“Vieni a sederti
viaggiatore, ti vedo sfinito.” Intervenne Nabiki.
Ucchan fu adagiata su una
coperta, e Ryoga diede una mano per accendere il fuoco: la sera era
calata.
Erano tutti riuniti in
silenzio quando Soun Tendo riprese conoscenza.
“A… Akane… Kasumi… Nabiki…”
Si alzò su un braccio, ma Tofu lo fece riadagiare.
“Stanno bene, vede? La
piccola Akane le ha salvato la vita, cerchi di riposare.”
Nabiki gli prese la mano, e
Akane la imitò. “Tranquillo papà, siamo tutte qui!”
“Kasumi…” Le lacrime avevano
già inondato il suo viso stanco.
“Kasumi sta bene, lei e
Nabiki sono solo leggermente ferite, riposa, hai preso una brutta
botta.”
L’uomo si guardò intorno
ancora un po’, e il dottor Tofu tirò fuori una siringa.
“Dottore…”
“Stai
tranquilla Nabiki, è un sonnifero. Finché non troviamo qualcosa da mangiare è
meglio che recuperi le forze dormendo. Domattina cercheremo del
cibo.”
Il dottor Tofu medicò anche
la bruciatura ad Ukyo, e decise di non svegliarla “Starà bene, tranquilli, ora
fate dormire anche lei, è meglio.”
Kasumi si svegliò una volta,
e parlò un poco solo per accertarsi che stessero tutti bene, poi chiese al
dottore di riposare.
“Kasumi ha ragione dottore,
lei ha fatto tanto per noi, cerchi di dormire un poco.” Akane lo guardò come una
madre premurosa, e il medico decise di sdraiarsi a breve di stanza da Kasumi per
non perderla d’occhio.
Kasumi sospirò. “E’ stato
terribile… sono salva solo grazie a lei, dottor Tofu.”
L’uomo cominciò a
balbettare, commosso “Oh Ka… Kasumi, io… non ho fatto niente…
io…”
“Lei mi ha salvato la vita e
ha curato la mia famiglia, ed io non lo dimenticherò mai…” Gli occhi le si
chiusero, e il sonno la colse di nuovo, migliore medicina contro la tristezza,
la paura, il dolore.
Il buon medico si stese
accanto a lei, e sorrise all’espressione serena della donna che amava
segretamente.
Nabiki sorrise. “Siete
proprio due piccioncini”.
“Nabiki!” Akane sibilò alla sorella, poi le
fece segno di tacere.
Lei sorrise un po’, poi
proruppe in un enorme sbadiglio “Bene, credo che dormirò un po’ anch’io,
domattina ci sarà da fare. Akane, tu e Ryoga vegliate sulla povera Ukyo, ma
cercate di riposare.
E tu Ryoga controlla che mia
sorella non scappi via prima dell’alba… deve fare provviste e
medicarsi.”
Ryoga non capì dove Akane
dovesse fuggire, ma alzò il pollice e rassicurò Nabiki.
La notte calò, e Ryoga ed
Akane poterono finalmente parlare di ciò che era accaduto davanti al
fuoco.
“E’ da molto che non ci
vediamo, Akane-chan. ”
“E’ vero, hai viaggiato
molto?”
“Sì, ma ero stufo di girare
senza meta, così sono tornato qui a Nerima, magari a fare un salto a casa a
posare i souvenir… ma ora credo di non avere più una
casa…”
“Oh
Ryoga…”
“Dov’è che vai Akane-chan?”
Ryoga chiese in un bisbiglio.
Lei alzò lo sguardo, e
sorrise un poco “Io… voglio cercare Ranma, voglio solo assicurarmi che… che stia
bene.” Concluse in tono piatto. Le abitudini erano dure a morire, e ancora una
volta lei si sentì imbarazzata nel parlare di Ranma.
Il viso di Ryoga balenò alla
luce del fuoco. “Davvero tu…?!”
Lei annuì, e Ryoga decise
che era ora di arrendersi all’evidenza “Allora è vero, voi non smettete di
pensare l’uno all’altra…”
Akane si affrettò a
rispondere. “Ma no, voglio solo sapere se sta bene, sai che mi importa di quello
stupido! -poi piegò il capo con aria interrogativa - Perché parli al
plurale?”
“Perché io ho visto Ranma
pochi giorni fa, e credo… che c’è?” Akane si era chinata verso di
lui.
“Tu l’hai
visto?!”
“S-sì, era in un bosco qui
vicino… credo…”
“Nel bosco?!” La voce di
Akane era allarmata, ma si costrinse a parlare più piano per non svegliare tutti
“Ryoga… sapresti tornarci?”
Ryoga abbassò il capo “Sai
che il mio senso dell’orientamento è pessimo, ma… ci posso provare. Sei proprio
decisa, eh?”
“Sì, io… gli hai parlato?”
Si era ricomposta, ma il cuore le batteva così forte…
“Gli ho chiesto se gli
mancassi, e lui è scappato via, ha paura ancora di ammetterlo.” Ranma aveva
paura di ammettere i propri sentimenti: la rivelazione improvvisa non lo stupì
più di tanto.
“Lui ha paura di ammettere
che gli manco?” Gli occhi le si fecero grandi.
“Io… credo di sì, gliel’ho
letto negli occhi.”
Akane ne rimase sconvolta
“Tu dici… ma Ryoga, te l’ha detto lui forse?”
“Non aveva bisogno di dirlo
Akane, ma se vuoi io ti porterò da lui e glielo chiederai tu stessa.” Tacque, e
vide Akane abbassare un po’ il capo come per un assenso.
Il ragazzo annuì a sua
volta, e per un momento tacquero entrambi, finché una terza voce non ruppe il
silenzio.
“Ah… Ran… Ranchan!” La voce
era flebile e sofferente, e i due si voltarono verso
Ucchan.
Akane le fu accanto per
prima “Ucchan, stai…”
“Akane, sei tu?… Ohi, mi
scoppia la testa!”
“Devi riposare.” Protestò
Akane, ma lei si era già tirata a sedere.
“In nome del cielo… Ryoga,
Akane, che mi è successo?”
“Bè… il cavo elettrico ti ha
sfiorata appena sulla guancia e sei svenuta, ma il dottor Tofu ti ha
medicata”
“Già, ora ricordo! Ecco
perché mi fa male lo zigomo… e la testa…”
“Sei stata molto fortunata –
intervenne Akane – Ryoga ci ha trovati e il dottore ha potuto
curarti.”
Ukyo sorrise. “E’ stato
Ryoga a salvarmi la vita…” Gli spedì uno sguardo di gratitudine, e lui arrossì
un poco di nuovo.
“Bè, tu ti sei offerta di
accompagnarmi da Akane, è stato il minimo che potessi
fare…”
Akane era stupita. “Stavate
venendo da me?”
Ryoga annuì “Volevo… ecco,
sì, venire a farti visita, ma poi è accaduto di tutto…”
I loro sguardi divennero
seri, e Ukyo chiese: “Bene; ora volete spiegarmi cosa diavolo è accaduto a
questa città? E’stato un terremoto, vero?”
Ryoga parlò a bassa voce:
“Sì. E’ stata una vera catastrofe, Nerima non esiste quasi più. Mentre venivo
qui ho visto decine di… morti… sotto le macerie” Si costrinse a schiarirsi la
voce.
“Anch’io ne ho visti Ryoga,
è stato orribile, vero?” Akane lo guardò con complicità.
“Già… bè, credo che dovremo
farci coraggio: non è ancora finita.” Ryoga sapeva che c’erano altre
vittime.
“Oggi abbiamo ascoltato la
radio – disse Akane – il terremoto è stato molto violento, e ha ucciso tanta
gente. Siamo stati tutti
molto fortunati…” Ingoiò, come per non dire cose che le avrebbero fatto male.
Aveva paura. Paura per lui.
Ukyo intervenne: “Mentre mi
stavo risvegliando ho sentito che parlavate di Ranma: per questo l’ho nominato,
credevo che fosse qui…”
Ryoga la guardò imbarazzato
“Ecco noi… io e Akane abbiamo pensato che forse potrebbe avere avuto… qualche
difficoltà; domani pensavamo di andare a raggiungerlo, ecco
tutto”
Akane lampeggiò. Ryoga
l’avrebbe accompagnata!
“Tu l’hai visto qualche
giorno fa, vero Ryoga?” Chiese Ukyo.
“Sì… potrei provare a
tornare nello stesso posto.” Ma era titubante.
“Bene, e io verrò con voi.
Akane, ti assicuro che più siamo e meglio sopravviviamo al non-orientamento di
Ryoga… chissà dove ti porterebbe questo zuccone!”
Ryoga fece una smorfia, ma
non poté darle torto.
“Bene – disse poi – domani
andremo a cercare Ranma tutti insieme, tu Akane hai un braccio rotto, ed è
meglio che non vada da sola.”
“Grazie Ryoga… e anche a te
Ukyo.”
Lei annuì, poi tacque per un
po’, e chiese: “Ranchan sta bene, vero Akane?”
La ragazza sussultò “Io… io
sono sicura di sì! Lui è il miglior artista marziale che io conosca, se l’è
cavata di sicuro… vero Ryoga?”
Lui sembrò sorpreso dalla
domanda, e sentì il vecchio odio rimontargli in corpo: lui aveva abbandonato
Akane. “Quel bastardo starà più che bene, vedrai Akane.”
Lei annuì, incapace di
replicare, e Ucchan intervenne: “Bene, ora riposiamo, domani sarà una giornata
molto dura.
Pian piano si accesero tutte
le stelle, e ognuno dormì pensando a qualcun altro che era
lontano….
Akane sognò di incontrare
Ranma sano e salvo. Lo vide in un bosco completamente distrutto, correre verso
di lei e gridare il suo nome.
Col cuore in tumulto si
gettò fra le sue braccia invocandolo, desiderando di stringerlo a sé… poi il
sogno svaniva…
Una lacrima le scese lenta
sul viso “Ranma…” Bisbigliò nel sonno dolorosamente
“Ranma...”
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Capitolo 5 *** Partenze ***
Cap.5
Partenze
Quando si svegliò,
Ranma si rese conto immediatamente di due cose: l’alba era giunta sotto una
pioggerellina regolare trasformandolo in una ragazza, e la terra stava tremando
di nuovo. Arrancando afferrò lo zaino per salvare almeno il piccolo kit medico e
la scorta d’acqua, e si aggrappò ad un tronco caduto sul terreno già fangoso per
proteggersi dal sisma.
Si accorse che era meno
forte del primo, ma abbastanza violento da provocare altri danni attorno a
lui.
Un albero pericolante cadde
con un tonfo sordo, e la crepa semi-chiusa accanto ai suoi piedi si aprì
definitivamente.
Poi tutto
cessò.
“Maledizione… non è ancora
finita?!”
Si alzò piano piano, e si
sistemò lo zaino sulle spalle. Aveva fame, ed era sfinito dalla lunga corsa del
giorno prima, e il suo corpo femminile non lo rendeva certo più forte. Ma
cominciò ad avanzare con passo deciso verso la fine del bosco
distrutto.
In lontananza, scorgeva già
le luci di Tokyo.
Akane, Ryoga e Ukyo si erano
svegliati sotto alla pioggia regolare, e il ragazzo con la bandana aveva fatto
appena in tempo ad aprire il suo grosso ombrello prima di trasformarsi davanti a
tutti.
Kasumi e Soun si erano
svegliati quasi insieme, e con il dottor Tofu programmarono la giornata:
innanzitutto dovevano cercare provviste, poi avrebbero valutato l’entità dei
danni nelle rispettive case, anche se avevano già una mezza idea al
riguardo.
Nabiki si offrì di andare a
cercare qualcosa da mettere sotto i denti insieme alla sorella e ai suoi amici
che stavano per partire, e Kasumi disse che voleva andare a vedere cosa poteva
recuperare da casa.
“E’ troppo pericoloso
figliola, potrebbe crollare di nuovo.” Protestò Soun.
Ma lei era decisa più che
mai “Papà quella era casa nostra! Voglio recuperare più cose
possibili.”
Il dottor Tofu non aveva mai
visto Kasumi così determinata, e questa novità la rese ancora più bella ai suoi
occhi. “Verrò con voi – disse – siete ancora feriti, ed io sono tutto
intero.”
Soun annuì. “Sta bene, e…
Akane?”
“Sì
papà?”
“Fai attenzione figliola –
le pose le mani sulle spalle, e notò la nuova medicazione che le aveva fatto il
dottore prima ancora dell’alba – hai anche un braccio rotto, ma mi fido di
te.”
Poi si rivolse ai due
ragazzi alle spalle della figlia. “Ryoga, Ukyo, so che avrete cura di lei… e di
voi; trovate Ranma e portatemelo qui: ho due cosette da dirgli.”
Akane si
accigliò. “Papà…”
“Va bene… va bene… decidete
tra voi, ma non negate mai i vostri sentimenti, soprattutto ora che questa
disgrazia potrebbe riavvicinarvi, me lo prometti figlia
mia?”
Lei abbassò il capo, ma a
Soun bastò.
“Bene – disse Nabiki –
andiamo a fare provviste, Akane, Ryoga, Ukyo…? Kasumi… voi andate verso casa e
rimediate qualche tegame, o qualche stoviglia, sarò lì in un baleno.” Per
fortuna c’era Nabiki che aveva un forte senso dell’organizzazione e del dovere,
la sua forza d’animo rianimava tutti.
I due gruppi partirono, e la
pioggia parve allentare in favore di un raggio di sole e di
speranza.
Al momento del sisma, il
primo, quello più forte, Genma si trovava a casa sua con
Nodoka.
Parlavano di
Ranma.
“Quell’ingrato di mio
figlio! Ha lasciato sola quella povera ragazza e non ha mantenuto la sua
promessa. Doveva ereditare la palestra e non l’ha fatto!”
La donna ascoltava paziente,
poi decise di dire la sua. “Tesoro… forse imporre le cose a nostro figlio non è
stata la cosa migliore. Lui deve essere in grado di fare le sue scelte da
solo."
“Non sono d’accordo! Aveva
promesso, e la parola di un uomo è sacra, e poi lui e Akane si volevano bene
sicuramente, io lo so.”
“Questa lontananza lo
aiuterà a crescere… e a decidere, vedrai!”
Genma centellinò il suo tè
con un’espressione grave. “Un artista marziale non deve avere ripensamenti –
dichiarò – sarebbe stato meglio fargli fare harakiri sin dall’inizio: Ranma non
è un vero uomo.”
“Ah si? – la donna ammiccò –
Anche tu sei un panda… o sbaglio?”
L’uomo si rese conto del suo errore, e
fece un sorriso beffardo. Poi si versò dell’acqua addosso e si
trasformò.
“Genma! Non puoi
semplicemente rispondere invece di ricorrere al solito trucco? Ammettilo, è
colpa tua se Ranma è caduto nella sorgente della ragazza affogata, ed è colpa
tua se non sa mostrare i suoi veri sentimenti!”
Il panda tirò fuori
l’ennesimo cartello: Io sono un tenero panda innocente!
“Genma
Saotome…!”
La scena tranquilla e
familiare fu interrotta dalle forze della natura, e la casa cominciò a
crollare.
Ranma poteva già scorgere la
città sotto di sé, e corse lungo il pendio, fino a che la stanchezza non gli
giocò un brutto tiro.
Inciampò e cadde malamente,
ferendosi mentre rotolava giù scompostamente.
Giunto a valle, si
rannicchiò sul proprio corpo di donna per proteggersi dalle pietre che gli
cadevano addosso per effetto dello spostamento, e stette lì tremante per alcuni
minuti, certo che la montagna intera gli sarebbe crollata
addosso.
Poi aprì gli occhi. Era
salvo, e provò a muoversi studiando attentamente i segnali del suo piccolo
corpo. Niente ossa rotte, grazie al cielo!
Stirò gli arti con cautela e
raccolse lo zaino tirandosi in piedi lentamente. Aveva i vestiti lacerati, e
imprecò contro il suo seno scoperto.
Strinse i denti, e riprese a
camminare.
Nel momento della seconda
scossa, quella di assestamento, il gruppo formato da Ryoga, Akane, Nabiki e
Ucchan era appena entrato tra le macerie di un negozio
pericolante.
Il sisma smosse le pareti e
fece precipitare il tetto creando immediatamente il panico; Akane si gettò su
Nabiki per proteggerla, cercando di non urtare il braccio rotto, Ryoga afferrò
Ucchan con un braccio e schermò Akane e sua sorella con l’altro, giusto in tempo
per evitare loro una pioggia di calcinacci.
Rimasero tutti stretti e
tremanti in un angolo, finché il sisma cessò. Poi alzarono le teste timidamente
per guardarsi attorno.
“State tutti bene?” Chiese
esitante Ryoga.
“Sì, ma la prossima volta ci
resto per attacco cardiaco.” Dichiarò Ukyo.
“Nabiki, tutto bene?” Ad
Akane tremava la voce.
“Ci vuole ben altro per
mettermi fuori gioco sorella.” Ribattè.
“Bene – riprese Ryoga –
prendiamoci quello che possiamo finché…”
“Bè? – chiese Nabiki –
perché ti sei…?”
“Zitta!” La interruppe lui,
ed alzò la testa per ascoltare.
Stettero tutti in religioso
silenzio e sentirono anche loro. “Aiuto… sono qui sotto!”
“Oh mio…” Ma Akane non finì
la frase e si precipitò con i suoi amici verso la botola semi -sfondata dalle
macerie.
Tirarono tutti insieme e
videro due occhi stanchi e lacrimosi che li fissavano. Il proprietario era un
vecchio spaventato.
Shampoo aveva sentito il
peso rassicurante sopra di sé, e si accorse che qualcuno l’aveva protetta anche
dal secondo sisma, quello che aveva distrutto definitivamente il Nekohanten e le
camere in cui vivevano la sua bisnonna, lei e Mousse.
La prima volta si erano
nascosti al piano di sotto, nel ristorante vero e proprio, ed erano riusciti a
salvare anche alcuni clienti.
Poi si erano azzardati a
passare la notte tutti nelle camere che erano sprofondate: le scale non
esistevano più, ma i letti e la vasca da bagno erano ancora utilizzabili… al
piano terra.
Come accampamento di fortuna
non era niente male.
C’erano una ragazza del
villaggio cinese delle donne che era andata a trovare Shampoo, un uomo di mezza
età, e i due compagni di scuola e migliori amici di Ranma, Hiroshi e Daisuke,
tra i clienti.
Tra uomini e donne saranno
stati una decina.
Mousse si era guadagnato una
secchiata d’acqua gelida dalla cinesina quando aveva tentato di abbracciarla
dichiarando che l’avrebbe protetta anche dalla bomba atomica, poi tutto aveva
ricominciato a tremare.
C’era stato un fuggi fuggi
generale, e Shampoo ricordò all’improvviso quello che era
accaduto.
Mousse-papero si era fatto
cadere addosso la pentola d’acqua bollente che era sul fuoco, rischiando di
cuocersi da solo, e si era gettato come uomo su di lei per proteggerla dal tetto
che crollava.
Poi Shampoo era svenuta e
ora, aprendo gli occhi, sentiva il corpo inerte su di lei.
Tentò di muoversi, ma il
peso richiedeva uno sforzo in più: da quando Mousse era diventato così
pesante?
Scivolò sotto di lui e vide
con orrore il cielo sopra di lei e un quarto del tetto precipitato sulle sue
gambe e sulla sua schiena.
“Mousse!” Gridò cercando di
liberarlo. Ma il cumulo di macerie pesava troppo, e gli schiaffeggiò il volto
pallido.
“Mousse, in nome dei Kami,
rispondimi! MOUSSE!”
“Sha… Shampoo…?” La sua voce
era un bisbiglio sofferente, i suoi occhi chiari privi delle lenti
rotte.
“Mousse…credevo che fossi
morto! Hai tutto il tetto addosso!” La voce le tremò un
poco.
“S… sei… sei salva…oh…”
Mousse era svenuto di nuovo, e Shampoo gridò il suo nome altre dieci, cento
volte.
“Ero riparato nel
sotterraneo del negozio a riposare dopo il primo terremoto quando la terra ha
ricominciato a tremare…”
Ryoga alzò un sopracciglio.
“E’stato un miracolo che la botola non le sia caduta in
testa.”
Il vecchio rise pacatamente.
“Avrei preferito morire piuttosto che sapere che fine aveva fatto il mio
nipotino lì fuori…”
“Suo nipote è ancora fuori e
lei non è andato a cercarlo?!” Esclamò Nabiki.
“Nabiki! Che dici, ci sarà
stato un motivo, non è vero Miyaki-sama?” Chiese Akane.
Il vecchio abbassò lo
sguardo. “E’uscito stamattina all’alba con la bici e non l’ho più visto. Ha
detto che andava a cercare aiuto, io ho tentato di fermarlo, ma lui…”
Il
vecchio prese a singhiozzare convulsamente, e Ukyo tentò di consolarlo. “Vedrà
che lui starà bene, noi l’aiuteremo a cercarlo, non è vero
Ryoga?”
Ma Ryoga era impallidito
improvvisamente, e gli occhi sembravano quasi vacui. Un bambino con una
bici?
Akane lo chiamò a sua volta.
“Ryoga?! Che c’è?”
“Io… io credo di sentirmi
poco bene… vado un attimo fuori, scusate”
Nabiki lo seguì, intuendo
che c’era qualcosa sotto.
Ryoga si chinò sulle macerie
da un lato dell’ex costruzione, e cominciò a respirare
affannosamente.
Nabiki gli si avvicinò “Che
cos’hai Ryoga-kun?” Gli chiese affettuosamente.
“Il…il bambino con la bici…
io l’ho visto… è morto… il calcinaccio…” Poi cominciò a singhiozzare lasciando
Nabiki di stucco.
“Ehi Ryoga, sei uno
straccio, ma cosa ti è preso? Capisco che vedere quel bambino può averti scosso,
ma non ti ho mai visto ridotto così!”
“Tu non puoi capire – Ryoga
sedette – è stato come avere una rivelazione. Quel bambino innocente ridotto ad
un mucchietto insignificante di ossa rotte… la sua vita
spezzata…”
“Oh Ryoga…” La voce li fece
girare: era Ukyo.
“Tu sei stata fortunata a
non averlo visto, Ukyo, è stato ancora peggio che vedere quei due poveri anziani
mentre venivamo qui.”
“Immagino che qualcuno dovrà
dirlo a quel poveretto.” Sospirò Nabiki.
“No, lasciamogli ancora un
po’ di tempo…” Protestò Ukyo.
“Ma non possiamo andarcene e
lasciarlo qui con la sua convinzione!” Esclamò Ryoga.
“Se è per questo non
possiamo neanche lasciarlo qui!” Ribatté la ragazza con la
spatola.
Nabiki intervenne: “Ehi, ma
credete davvero che dobbiamo portare con noi tutti i dispersi nel terremoto? Ci
sono gli ospedali-tenda, basta lasciarli là!”
“Nabiki Tendo – sibilò Ukyo
– sapevo che eri spietata, ma non fino a questo punto!”
“Io parlo solo di praticità!
Hai idea delle persone sepolte sotto terra?! Pensi che noi possiamo fare
qualcosa per loro?! Noi non gli ridaremo mai suo nipote! Io dico di portarlo in
un ospedale-tenda e lasciare che lo sappia da sé!”
“Questo è crudele, come
pensi che glielo diranno quelli della protezione civile?! ‘Sa Miyaki-sama,
abbiamo avuto tanti corpi da disseppellire, ed abbiamo trovato anche suo nipote
con un calcinaccio nella testa, ma forse è colpa sua che l’ha lasciato andare!’
E’ questo che vuoi?!” Ukyo era fuori di sé.
Nabiki le si avvicinò fino a
sfiorarle la fronte. “Bene Ukyo Kuonji – le sibilò con disprezzo – allora vacci
tu a dirgli che suo nipote è stato schiacciato con la sua bici da una
casa!”
Ryoga poteva vedere le aure
fiammeggianti delle due ragazze e le invitò a calmarsi, quando la voce disperata
di Akane li chiamò. I tre accorsero.
“Che succede, Akane-chan?!”
Chiese Ryoga spaventato vedendola con il vecchio esanime fra le
braccia.
“Stavamo parlando… - disse
piangente – poi si è portato una mano al petto ed è svenuto! Non sarà
mica…”
“Un infarto!” Concluse
Nabiki tastando il collo e il polso.
Ryoga la imitò, e Ukyo
stette in piedi tremante. “E’… è morto?”
“Ho paura di sì.” mormorò
lui “Non serve più litigare per decidere chi gli dovrà dire di suo
nipote.”
Akane lo guardò confusa, tra
le lacrime “Cosa…?!”
“Il bambino che ha visto
Ryoga ieri pomeriggio… molto probabilmente era suo nipote. Oh povero
Myiaki-sama…!” Proruppe Ucchan piangendo e accosciandosi accanto a lui e ad
Akane.
“Bè – sospirò Nabiki – ormai
non possiamo più fare niente per lui… prendiamo le provviste da questo emporio e
andiamocene.”
Ukyo si voltò con un moto di
furia, ma Ryoga la fermò “Ucchan… Nabiki ha ragione, non possiamo più fare nulla
per lui – mormorò con una dolcezza a lui estranea posandole le mani sulle spalle
– vieni via.”
Lei si alzò, e Akane disse
in un bisbiglio: “Copriamolo almeno, e recitiamo una preghiera per lui e per il
bambino… vi prego!”
Ryoga non resistette agli occhi supplicanti di Akane,
così coprirono il vecchio con il copridivano e recitarono una preghiera, poi
scesero nel magazzino.
C’era una grande quantità di
pesce e carne in scatola, e scatole di spaghetti giapponesi precotti. Acqua e tè
abbondavano.
Misero tutto negli zaini e
risalirono; si fermarono ancora una volta accanto alla salma, fecero un inchino
per uno, e Akane mormorò: “Grazie comunque per le provviste, arigatou
Miyaki-sama.”
Poi uscirono fuori, dove
c’era il sole.
Cologne chiamò sua nipote
con la voce così flebile che lei stentò a sentirla.
“Bisnonna! Oh santo cielo,
anche tu sei là sotto?” Gridò Shampoo spaventata.
Scavò un poco, attenta a non
ferire Mousse, e l’aiutò ad uscire. La vecchia amazzone era immobile e la
fissava. “Eh, non sono più quella di cento anni fa! Non sono riuscita a
proteggerti per prima, ma Mousse ha provveduto, vedo...”
“Bisnonna…” Shampoo vide la
rigidità del corpo minuscolo della donna, e cominciò a piangere “Che hai
fatto?”
“Mi sono distratta, o forse
era destino, ho la schiena spezzata in almeno due punti, ma non sto soffrendo
molto bambina, tranquilla…”
“Oh bisnonna… ti farò curare
dal miglior medico del Giappone, no anzi, ti farò operare in Cina! Così tornerai
quella di una volta!”
“Non essere stupida Shampoo, non puoi fare niente
per me… ma non importa, prima o poi sarebbe accaduto…”
“…oh
nonnina…”
“…anche se avrei preferito
più poi che prima, ah, ah, ah! Ouch… ora sì che fa male…”
“Nonnina ti
prego…”
“Ora basta Shampoo… vediamo come liberare il povero
Mousse”
La vecchia si concentrò, ed
alzò un dito lentamente. La lunga unghia sfiorò appena il cumulo che sovrastava
il ragazzo svenuto, e Shampoo poté assistere per una volta al colpo dello tsubo
detonatore nella versione originale di Cologne.
Mousse fu libero, ed aprì
piano gli occhi “O… Obaba… sei stata tu…?”
“Mousse!” Esclamò Shampoo
con qualcosa di simile al sollievo.
“Mi raccomando, Mousse, abbi
cura della mia Shampoo ora che il futuro marito se n’è andato…se tornerà sarà
per un’altra persona, ne sono sicura”
“Bisnonna, ti prego non mi
lasciare, come farò senza di te!”
“Shampoo… sii forte… stai
accanto a Mousse, lui avrà cura di te, e ti amerà sempre. Ranma non lo farebbe
mai, e mai lo ha fatto in vita sua. Volgi il tuo cuore verso chi lo merita
davvero bambina, e dimentica quelle sciocche regole prive
d’amore.”
“Cologne…” Mormorò il
ragazzo, sorpreso, stordito, chiamandola per nome per la prima volta, sentendo
per lei un rispetto infinito.
Shampoo piangeva tenendole
la mano, soffrendo come se le si fosse spezzato il cuore in due. Cologne era
stata la sua consigliera, la sua tutrice, tutto ciò che poteva somigliare ad una
madre, ed odiava doverla perdere ora.
“Ti prego… non morire…”
Disse con voce rotta e impastata, conoscendo già la
risposta.
“Arrivederci, ragazzi, e
buona fortuna…” La vecchia fece un sorriso, un sorriso fatto con la serenità di
chi ha vissuto molto ed è pronto a scendere al capolinea della
vita.
“Nonna… nonnina mia…” Pianse
Shampoo cullandola fra le braccia, posandole baci lievi sulla fronte
rugosa.
Ma il sorriso della vecchia
non svanì; pensò a qualcos’altro da dire a sua nipote, ma era così stanca! Aveva
vissuto trecento anni, dopotutto, e per un attimo cercò di pensare ad una
battuta sul fatto di essere un’amazzone e di morire in un terremoto piuttosto
che in battaglia… ma mentre stava ancora pensando, morì.
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Capitolo 6 *** Scoperte ***
Nota dell'autrice: La maggior parte dei commenti che ho ricevuto mi ha soddisfatta appieno, perchè si tratta di recensioni costruttive e fatte col cuore. Alcune persone poi avevano già letto la storia quindi non potevano far altro che ribadirmi il loro parere. Fin qui tutto ottimo.
Poi c'è stato il crollo, sia nella qualità che nella quantità dei commenti. Badate bene che non parlo di commenti che debbano per forza lodare la storia, parlo di commenti VERI. Quelli di chi ha letto con la testa e col cuore e mi fa capire dove e perchè sono piaciuta o ho peccato. Oggi posto questo capitolo, ma se continuerò a ricevere pochi commenti e per lo più abbastanza sterili, (specifico, per chi non ha modo o pazienza di capire, che i capitoli sono 22 e li ho già tutti completi nel PC, anche se mi sembra ridicolo doverlo far presente perchè mi si legga) pur dispiacendomi per chi ama questa storia, sarò costretta a toglierla perchè lasciarla on line a quel punto diventa inutile.
Spero non sarà necessario perchè dispiacerebbe a me per prima e decreterebbe, nonostante la vittoria del Concorso, un fallimento per quanto riguarda il giudizio di voi lettori, giudizio che a parer mio è il più importante di tutti.
Cap.6
Scoperte
Ranma scese dalla
montagna imprecando contro i morsi della fame, contro la stanchezza, contro il
suo corpo di donna, poi giunse in città.
Lì trovò del cibo e rimediò
un bagno caldo gratuito che lo riportò alle sue condizioni normali. Al centro
infatti, nonostante i parecchi crolli e il caos generale, trovò un vecchio bagno
pubblico abbandonato e ancora funzionante; man mano che si allontanava dalla
zona ed entrava in periferia però lo scenario degradava
rapidamente.
Nerima era a pochi
chilometri, e il panorama attuale non lo tranquillizzò affatto; troppe case
crollate, troppa gente riunita in ospedali-tenda, troppa morte, troppa poca
vita.
La paura gli s’insinuò
nell’anima come un serpente velenoso e subdolo.
Ormai era quasi
sera.
Soun Tendo aveva raggiunto
in mattinata i resti della sua casa, assieme a Kasumi e al dottor
Tofu.
Lo spettacolo che gli si
parò davanti andava contro le sue più nere aspettative.
Kasumi notò l’espressione
distrutta di suo padre, e gli posò una mano sulla spalla “Oh papà…”
Mormorò.
“La mia… la mia casa… la
nostra palestra… il nostro bel giardino… tutto distrutto!” La voce era stanca e
piena di una cupa rassegnazione.
Il pover’uomo si avvicinò a
quello che una volta era un delizioso laghetto per i pesci, e raccolse tra le
mani il corpo freddo e viscido del suo unico abitante. Anche lui era
morto.
Soun guardò il pesce con
aria inebetita, poi lo gettò dove l’aveva trovato e trovò qualcosa che gli
spezzò il cuore: la targa della famosa palestra dei Tendo era a pezzi, e lui
raccolse quello che era rimasto inondandolo di lacrime.
Il dottor Tofu fece cenno a
Kasumi di raggiungere suo padre, e si sorprese del suo autocontrollo nel
guardarla e non dare di testa. Forse quella disgrazia lo aveva guarito dalla sua
follia dovuta alla timidezza, ma avrebbe dato chissà che perché non fosse
accaduto nulla; avrebbe preferito rischiare ancora di essere visto in giro a
ballare con Betty e a gridare il nome di Kasumi piuttosto che trovarsi in quel
disastro.
Kasumi si inginocchiò
accanto al padre, e gli sussurrò che sarebbe tutto andato bene, che avrebbero
ricostruito tutto…
Pian piano l’uomo si calmò,
e i tre cominciarono lentamente a scavare.
“Allora siamo d’accordo –
aveva detto Nabiki – io torno da papà e Kasumi, e voi accompagnate
Akane.”
“Non ti preoccupare, ci
prenderemo cura di lei, tu torna dalla tua famiglia e buona fortuna!” Rispose
Ukyo.
“Già – disse Nabiki
grattandosi la testa – la casa e la palestra sono distrutte, e papà sarà sotto
shock, sarà dura… Akane, sai che tu e Ranma non potrete più ereditare nessun
dojo?”
Lei si gelò: non ci aveva
pensato…
“Bè, non importa, a me basta
che quello stupido stia bene, poi può fare della sua vita ciò che vuole!” Ancora
un volta la sua bugia era stata recitata alla perfezione, e Ryoga e Ucchan
esultarono interiormente.
Nabiki li vide sghignazzare
“Ehi, voi due…” Cominciò, ma Ryoga e Ukyo presero Akane in disparte dicendole
che dovevano affrettarsi, perché il sole era già alto.
Nabiki si accigliò, e tirò
via sua sorella. “Aspettate, ora ve la restituisco!”
“Nabiki! Perché mi
tiri, che c’è?!”
Lei si avvicinò di più al
viso della sua sorella minore, e bisbigliò con una serietà che Akane non
dimenticò mai: “Non lasciare che siano gli altri a decidere della tua vita;
infischiatene della palestra, e segui solo il tuo cuore. Non lasciarti rubare da
chi non lo merita ciò che ti appartiene sorellina, ok?”
Akane sbattè gli
occhi, stupita… dentro di sé aveva capito, eccome! Ma preferì tacere. Prima di
allontanarsi, però, lanciò uno sguardo di complicità a sua
sorella.
La donna si stava recando
all’ospedale-tenda più vicino, sperando che suo marito fosse già lì, quando il
bambino che aveva con sé cominciò a gridare: “Mamma, guarda! C’è un panda
laggiù!”
“Ma che dici Taiko, i panda
sono allo zoo!”
“Ma mamma!” Protestò vivacemente tirandola per il
grembiule.
“Avanti, smettila e andiamo
a cercare papà!”
Il panda in questione grugnì
qualche parolaccia nella sua lingua, e continuò il cammino sperando che nessuno
lo vedesse finché non avesse trovato un po’ d’acqua calda.
“Avanti Ryoga, cerca di
ricordare, com’era il bosco dove hai incontrato il mio Ranchan?!” Urlò Ukyo
disperata.
“Come vuoi che sia un bosco,
c’erano alberi e siepi, i boschi sono tutti uguali!” Gridò lui di
rimando.
Akane ebbe un’illuminazione
improvvisa: “C’erano animali strani?” Chiese.
“Come strani? no, non mi
pare, c’erano normali scoiattoli, normali uccelli, qualche normale
talpa…”
“Va bene, va bene ho capito:
non era Riugenzawa.” Dichiarò lei con un sospiro di
delusione.
“Eh già, questo è qualcosa,
no?” Rise lui meritandosi un’occhiataccia da Ucchan.
“Ma questo non aiuta!”
Proseguì Akane.
Stettero tutti e tre
soprappensiero per un attimo, cercando di capire in quale dannata direzione, in
quale dannata zona boschiva andare a cercare Ranma, quando Akane tirò fuori una
cartina.
Ukyo alzò un sopracciglio,
scettica “E pensi che quella basti a far orientare
Ryoga?!”
“Hai qualche altra idea?”
Rispose lei irritata.
Poi chiamò Ryoga accanto a
sé, stese la cartina per terra e gli disse: “Bene, Ryoga, qui ci sono un sacco
di punti di riferimento; sei passato vicino a un bagno pubblico, o ad una
centrale elettrica…?”
Ryoga si accigliò e prese a
pensare.
“Dunque, vediamo… ho visto
il sole tramontare dietro al monte Fuji quella sera…”
Ucchan sospirò. “Il monte
Fuji lo vediamo quasi tutti.”
“Sì ma è pur sempre un
suggerimento – intervenne Ryoga – se vedevo il monte Fuji dove tramontava il
sole, vuol dire che il bosco dove ho visto Ranma si trova a Ovest dove il sole
invece sorge…”
“…a Est, asino! Il monte era
a Ovest e il bosco è…”
“…a Est!” Concluse
Akane.
“Già – convenne Ryoga
imbarazzato – dove sorge effettivamente il sole…”
E prontamente si diresse
dalla parte opposta costringendo le ragazze a richiamarlo.
Ranma si mise quasi a
gridare per lo spavento quando sentì qualcuno tirarlo per la camicia; abbassò
gli occhi e vide che si trattava di un uomo sepolto sotto ad un camion
enorme.
La gola gli si seccò. “E’
ancora vivo!” Pensò con stupore.
Senza perdere un attimo,
cominciò a sollevare l’enorme mezzo facendo leva sui piedi e sulle braccia… solo
allora si rese conto che non sarebbe mai riuscito a muoverlo di un
millimetro.
Ma Ranma non si arrese, pur
subodorando che l’uomo era spacciato.
Poi sentì la voce flebile
dell’uomo che lo chiamava.
Gli si accostò,
accosciandosi al sul fianco “Vedrà che i pompieri saranno qui molto presto. Ne
ho visti in giro, e credo…”
“Lascia… perdere… ragazzo… e
ascoltami…”
Ranma annuì lentamente,
incapace di mentire oltre.
“Ascolta… io so che qui non
passerà nessuno per ore… tutti… gli aerei, e le sirene, sono diretti alla
periferia di Tokyo” Ranma si gelò: c’era Nerima alla periferia di
Tokyo.
In quel momento avrebbe
voluto cominciare a correre verso la città, invocando il nome di Akane fino a
farsi scoppiare i polmoni. “Oh, Dio, fa che sia viva, fa che sia viva,
fa…”
I suoi pensieri furono
interrotti bruscamente quando vide l’uomo estrarre una
pistola.
“Tranquillo… non è a te che
voglio sparare – Ranma si dovette avvicinare, perché la sua voce era ridotta a
un bisbiglio – Ascolta ragazzo: sto soffrendo come un cane e so che non mi
rimane molto tempo…”
“Ma…”
“Silenzio ragazzo, ho poco
fiato… io non sono mai stato molto coraggioso, ma non voglio aspettare di morire
qui da solo – gli porse la pistola, e Ranma allontanò la mano come se gli stesse
mettendo in mano uno scorpione velenoso – Prendila! Aiutami a finire di
soffrire… ti prego, fa tanto male…”
Ranma rimase senza
fiato.
“Io… non posso farlo…
scordatelo amico.” Dichiarò cominciando a girarsi.
“Ascoltami… ti prego!” La
forza residua della sua voce costrinse Ranma a voltarsi.
L’uomo aveva lo sguardo
annebbiato dalla sofferenza e dal dolore. Non avrebbe mai dimenticato il viso di
quell’uomo moribondo che gli parlò con il cuore in mano.
“Ti starai chiedendo come
mai ho una pistola con me… non è vero ragazzo?”
“Non sono affari miei…
comunque suppongo che trasportasse materiale importante, e magari si volesse
difendere dai ladri; non ha la faccia da delinquente.” Ranma si
sedette.
“Hai centrato l’obiettivo,
sei intelligente… ho cominciato a fare questo lavoro quando un balordo mi ha
rubato il carretto di okonomyaki con cui lavoravo da anni con passione.
Divertente, no?”
Ranma rilasciò il respiro
improvvisamente, non si era neanche accorto di averlo trattenuto. Si accorse che
l’uomo stava sanguinando dalla bocca, e lo tamponò distrattamente con un
fazzoletto.
Ebbe per un istante la
spiacevole sensazione di conoscerlo.
“Davvero…? Chi è stato a
derubarla?” Sapeva che il poveretto era allo stremo delle forze, ma
improvvisamente fu MOLTO interessato alla sua storia.
“Eh! Quell’uomo mi aveva
chiesto da mangiare, ed era diventato mio amico. Aveva un bambino con sé, lo
stava addestrando nelle Arti Marziali nonostante la tenera età. Anche io avevo
una figlia, ed avevano più o meno il medesimo tempo di vita. Decidemmo di far
sposare i nostri figli in futuro; la mia dote era la bancarella di okonomyaki, e
la sua….bè, l’abilità che avrebbe acquisito suo figlio, il mio amico credeva che
l’avrebbe arricchito un giorno.”
Ranma sentì uno strano
ronzio in testa; lui quella storia la conosceva già, e fin troppo bene, ma
invitò l’uomo, che ormai era SICURO di conoscere, a
proseguire.
“Quel bastardo però aveva
già promesso suo figlio ad un altro centinaio di bambine con i padri pronti a
dare chissà cosa per vedere le figlie sposate con un artista marziale; così mi
portò via la bancarella lasciando mia figlia in lacrime. Ora lei ha aperto un
negozio in una città qui vicino, non è ancora maggiorenne, ma se la cava una
meraviglia; aveva deciso di vendicarsi di quel ragazzino e di suo padre, e si
era travestita da uomo e allenata per sconfiggerli e costringere lui a sposarla.
Ma io non ho più avuto sue notizie, e so che questo significa solo una
cosa…”
“Che cosa?” Domandò Ranma
con la gola improvvisamente arida come il deserto.
“E io che ho sempre pensato
che suo padre fosse morto…” Pensò confusamente.
“Ti ho detto che quel
bambino aveva decine di fidanzate sparse per il Giappone, no? Bene, credo che
abbia fatto la sua scelta. Ho saputo dalle lettere della mia sfortunata bambina
che lui è fidanzato ufficialmente con una delle figlie di un certo signor Tendo,
che ha una palestra a Nerima. Bè. Io ero diretto là per vendicare la mia piccola
Ucchan, è così che quel ragazzino, Ranma, la chiamava sempre scambiandola per un
maschietto...
“Lei voleva… uccidere questo
Ranma?” Ma conosceva già la risposta, e gli fu confermata dalla mano che teneva
la pistola. Improvvisamente strinse più forte.
“Se avessi trovato quel
bastardo e suo padre li avrei uccisi con le mie stesse mani. Mi sono fatto
consegnare un carico per Nerima, e ho deciso di andare laggiù per uccidere quei
maledetti Genma e Ranma Saotome… ma poi… il terremoto…
ugh!”
“Non si sforzi… sta
sanguinando.” Lo ammonì Ranma.
Che poteva dirgli? Che era
lui il bastardo che aveva deluso sua figlia? Che suo padre aveva giocato sporco
e lui non c’entrava niente? No. Non sarebbe servito a lenire il dolore in quegli
occhi morenti.
Quello era solo un padre che
amava sua figlia e voleva il suo bene.
“Fammi un favore, ragazzo.
Mi sembri una persona apposto. Io non ho che dei generi alimentari nel camion;
non posso che offrirti quelli per te e per la tua gente colpita dal terremoto.
In cambio, se non vuoi uccidere me, ti prego, vendica mia figlia. Vai a Nerima
al posto mio, trova Ranma Saotome… e uccidilo”
Lui si gelò… come poteva
promettere una cosa simile?
“E’l’ultimo desiderio di un
moribondo… ti prego” Gli allungò la pistola carica, e come un automa, Ranma
l’afferrò.
“Io… - cominciò – posso
prometterle che farò del mio meglio, glielo giuro” Improvvisamente sentì
qualcosa di amaro in gola, ed inghiottì.
“Grazie… ora… posso morire
tranquillo… dì a mia figlia che l’amo, si chiama Ukyo… Ukyo Kuonji,
dille…”
Ranma annuì, sentiva gli occhi pungergli, ed evitò di
parlare.
“Dille che il suo papà l’ha
sempre amata, dille… che sia… felice… felice… sempre…” L’uomo sussultò, ed emise
un fiotto di sangue dal naso e dalla bocca.
Tremò un momento, prese un
respiro pesante dai polmoni perforati dalle costole rotte, emise un sibilo,
facendo rabbrividire Ranma. Poi tentò di prendere un altro alito, ma la bocca
rimase socchiusa, gli occhi aperti.
Ranma gli chiuse gli occhi
con una mano tremante, pescò una coperta vecchia dal suo zaino e lo coprì. Si
asciugò affettatamente le lacrime che gli scorrevano sul volto stanco e sporco e
recitò una breve preghiera.
Prima di andarsene parlò
all’uomo morto un’ultima volta.
“Le prometto che troverò sua
figlia, sensei – mormorò – mi dispiace di aver fatto soffrire tanta gente a
causa della mia timidezza e del mio caratteraccio indeciso; ma ora so che devo
fare. Non sposerò sua figlia, ma la renderò felice e la proteggerò comunque, le
do la mia parola d’onore di artista marziale. Che gli dei proteggano la sua
anima.”
Ciò detto si morse il labbro
per impedirsi di piangere ancora.
Aveva molte persone da
trovare e da proteggere, prime fra tutte sua madre, la sua fidanzata, e la sua
migliore amica.
Prese un po’ di provviste
dal camion, e corse verso Nerima approfittando delle ultime luci del tramonto.
Se avesse corso abbastanza, sarebbe arrivato prima di
notte.
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Capitolo 7 *** Ostacoli ***
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi incoraggiano a continuare a postare i capitoli di questa fic. E' giusto che anche se siete pochi, ma apprezzate o fate critiche costruttive, abbiate il diritto di leggerla. Ho apprezzato molto sia gli interventi delle affezionate (Mi ripeto: Breed, Giulia, Tiger, Akane-val) che gli ultimi di Akane 25, girovaghi e Silvia 91 (si, Ranma si mostra un pochino troppo, ma purtroppo mi era necessario dargli una svegliata a 'sto ragazzo, sennò non avrei mai potuto evolvere la situazione sentimentale di stallo fra lui ed Akane! Spero solo di essere abbastanza graduale. Nel caso non mancare di farmelo notare! Per quanto riguarda le fughe post matrimonio sì, è un classico in effetti, ma se la memoria non mi inganna all'epoca in cui la scrissi non ne vidi di simili; anche in questo caso potrei sbagliarmi, non voglio certo peccare di presunzione dicendo di essere stata la prima, se avete titoli antecedenti alla mia pubblicazione che ne parlano segnalatemeli pure.)
Grazie a tutti, vi dedico questo capitolo e, incrociando le dita, anche i prossimi!
Cap.7
OSTACOLI
Era quasi
mezzanotte.
Soun, Nabiki, Kasumi e il
dottor Tofu si erano accampati nel giardino semi-distrutto dove una volta c’era
il dojo.
Avevano recuperato delle
pentole, qualche fornello elettrico e dei vestiti. Avevano mangiato in silenzio
quello che Nabiki aveva rimediato nel negozio di Miyaki-sama, ed ora erano tutti
stesi nei loro sacchi a pelo intorno al fuoco, con gli occhi spalancati e la
mente in subbuglio.
Nabiki fissò per molti
minuti il suo orologio al quarzo, contando mentalmente i secondi con gli occhi,
e fu quando scattò l’una in punto che sentì un fruscio dietro di sé e vide il
panda gigante dagli occhi pieni di disperazione.
Ryoga fissò l’enorme diga
crollata che bloccava il passaggio e il fiume che scorreva sconnessamente
attraverso le crepe del terreno.
Al centro di quello che era
stato il letto del fiume si apriva una voragine di dimensioni spaventose.
Ukyo fu la prima a parlare.
“Dunque, a quanto pare l’unico modo che ci porterebbe dall’altra parte sarebbe
saltare sulle macerie senza cadere in quel buco enorme, giusto?”
Ryoga
annuì. “Credo che scorra dell’acqua laggiù, nel baratro, se disgraziatamente
dovessimo precipitare avremmo una possibilità di
salvarci.”
“Non c’è altro modo dobbiamo
per forza passare di qua, vero? Accidenti, io non so nuotare!” Mormorò
Akane.
Ucchan prese una pietra e la lanciò nella voragine. Dopo mezzo
minuto sentì un lontano SPLASH.
“Nessuno di noi deve
nuotare: se cadiamo lì dentro l’impatto con l’acqua sarebbe sufficiente ad
ucciderci… e questa maledetta diga si estende per chilometri. Non c’è nessun
altro punto più sicuro di questo.”
Nella mente di Ukyo si
formarono mille immagini inquietanti: Ranma sorpreso dal terremoto… Ranma che
precipita… Ranma in un lago di sangue… Ranma che grida e nessuno lo
ascolta.
I pensieri di Akane non
erano più ottimisti, ciononostante Ucchan partì di corsa prima di
lei.
Nabiki rimase silenziosa per
tutto il tempo in cui Genma parlò; non aveva nulla da dire in
realtà.
Come poteva esprimere a
parole il suo ribrezzo per quel destino strano e violento che aveva colpito la
sua famiglia, la sua città, i suoi amici.
Pensò a quanto Akane
sperasse di ritrovare il suo Ranma, a quegli occhi pieni d’amore che aveva
quando parlava di lui…
Povero Ranma, la sua
punizione l’ha avuta, ma è stata troppo crudele. Ricordò quanto lui fosse felice
il giorno che sua madre l’aveva finalmente stretto fra le braccia, aveva visto
le lacrime scorrergli libere per la gioia, e capì quanto fosse grande il suo
cuore.
Sperava che Akane l’avrebbe
ritrovato presto, che gli sarebbe stata vicino il più
possibile.
Pensò che avrebbe avuto
bisogno di tutto il suo amore dopo che avesse saputo che sua madre, che aveva
ritrovato da non più di un anno, era morta nel terremoto.
Ryoga spalancò gli occhi per
il terrore quando vide Ukyo correre verso la diga e saltare sulle macerie
malferme e sospese sulla voragine. Ma non ebbe tempo di gridarle di fermarsi,
che anche Akane era corsa via, e lui non aveva potuto fare altro che
seguirle.
“Dove andate, razza di
imprudenti, volete precipitare?” Gridò.
“Non preoccuparti, piuttosto
sta attento, tu sei più pesante di noi!” Urlò Ukyo di
rimando.
Akane era quasi dall’altra
parte quando udì distintamente il CRAC che seguì l’urlo del ragazzo. Si voltò di
scatto e rimase paralizzata dal terrore.
“RYOGA!” Il grido di Ucchan
le rimbombò nella testa.
La ragazza tornò sui suoi
passi giusto in tempo per afferrare lo zaino sulle spalle di
Ryoga.
Lui imprecò, e fissò il
volto preoccupato di Ukyo. “Grazie Ucchan, ora siamo
pari.”
“Non sprecare fiato, e vedi
di salire su, pesi sai?”
L’eterno disperso mosse le gambe in modo da
toccare la parete rocciosa, ma il terreno gli franò sotto i
piedi.
Intanto Akane aveva
afferrato a sua volta lo zaino di Ucchan per un laccio. “Mi dispiace di non
potermi avvicinare di più, qui è crollato tutto!” Le
gridò.
“Non c’è problema, al mio
tre tiriamo tutte e due insieme e tiriamolo fuori.”
Ryoga udì lo schianto del
laccio dello zaino che si staccava di netto e trattenne il fiato mentre
cominciava a precipitare.
Ucchan urlò di nuovo, più
forte, Akane la imitò, e si affacciò con lei sull’orlo del
burrone.
Allora la diga cedette, e
precipitarono anche loro.
Incredibilmente fu il crollo
a salvarli tutti; le macerie erano cadute più velocemente di loro riempiendo
parzialmente la voragine, facendoli atterrare meno violentemente prima di
raggiungere l’acqua.
Ryoga cercò di abituare gli
occhi all’oscurità, e sentì il respiro affannato per lo spavento fare eco in
quella specie di tunnel sotterraneo.
“Ryoga… sei tu?” La voce
flebile di Ukyo era vicina.
“Ukyo, sei qui? Tutto
bene?”
“Sì… anche se me la sono
fatta sotto dalla paura!”
“Non sei la sola!” Commentò
lui guardandosi attorno.
“Ehi Ryoga, stiamo
galleggiando! Le macerie ci hanno fatto da zattera!”
“Ukyo! Ryoga! Rispondete!”
Era Akane, ma la sua voce era più lontana.
Ukyo tirò fuori una torcia. “Stai bene?!”
Le gridò.
“Dove siete?!” Urlò lei di
rimando.
Ucchan puntò la torcia
davanti a loro, e scorse un muro di detriti che si estendeva in altezza per
almeno dieci metri “Ryoga…?” Chiese titubante.
“Le macerie ci hanno divisi
da Akane… ehi Akane, dove sei?!”
“Sono quassù, Ryoga! Mi
sentite?”
“Sì! – poi aggiunse a bassa
voce – è più in alto di noi, forse…”
“Ehi Akane! – le gridò Ukyo – credi
di riuscire a risalire?!”
Akane si guardò attorno, e
poi in alto. “Vedo la luce! Posso provare ad arrampicarmi, uscire e chiedere
aiuto!”
“Brava Akane! E il
braccio?”
“Tranquilla Ucchan, sono atterrata sui piedi, va tutto bene!
Sarò un po’ lenta però!” In effetti si chiese come diavolo sarebbe risalita con
un braccio solo.
“Non ci sarà bisogno di
arrampicarsi, Akane! – intervenne Ryoga – ci penso io! Tecnica dell’
es...”
“FERMO!” Ukyo afferrò il suo
dito appena in tempo.
“Ehi, che ti
prende?!”
“Vuoi far crollare tutto e
ammazzarci tutti quanti?!”
“Hai ragione – si voltò
verso destra, e scorse una sorta di grotta sotterranea – guarda! Possiamo vedere
se…”
Lei annuì. “Bene! Ehi Akane?!”
“Si?!”
“C’è una specie di tunnel
qua sotto! Proviamo a passare di lì! Tu vai a cercare
Ranchan!”
“Ma non posso lasciarvi
laggiù tutti da soli!” Protestò lei.
“Tranquilla, noi ce la
caveremo! Cerca Ranchan, ti prego! Voglio sapere... che sta bene! C’è Ryoga con
me!” Ucchan si volse a guardarlo. Lui sospiro, poi annuì.
“E va bene. Akane vai prima
che crolli ancora! Vai a cercare… Ranma.” Concluse a bassa voce. Faceva male
spingerla ad andare da lui, ma almeno si sarebbe salvata.
“Siete sicuri?!” Cercò di
non far trasparire la gioia nella voce. Fra poco l’avrebbe
rivisto!
“Vai Akane!” Le gridarono
quasi in coro.
Akane guardò in giù per un
attimo, indecisa, poi si voltò e cominciò a salire.
Ukyo andò avanti per prima,
illuminando la strada con la torcia e assicurandosi che Ryoga la seguisse. Poi
si fermò, e lui le cozzò contro.
“Mi dici perché ti sei
fermata così all’improvviso?!” Urlò.
Lei le fece segno di tacere.
“Parla piano, stupido! C’è un’eco assurda, e il rumore potrebbe far crollare
tutto, non ci hai pensato?!”
“Già, ma... dove pensi che
sbucheremo?!”
“Non lo so, ma sento il
fiume che scorre qui sotto, probabilmente questa grotta c’era già prima… tu che
dici Ryoga? – ma lui era sparito – Ryoga?” Chiamò con voce
tremante.
Intorno a lei regnava il
silenzio e l’oscurità, ed ebbe paura. Ma non era più per l’eco o per i crolli,
improvvisamente non le piacque stare sola in quella grotta che poteva anche non
avere un’uscita. E se ci fosse stato un altro terremoto? Sarebbe rimasta sepolta
là sotto, e avrebbero trovato solo un mucchietto di ossa ed una
spatola.
Rabbrividì.
Si pentì quasi di aver
lasciato andare Akane…
“RYOGAAAAAAAAAA!”
Il povero Ryoga aveva preso
la strada sbagliata per l’ennesima volta, ma sentì l’urlo di
Ucchan.
“Ukyo? – disse fra sé –
UCCHAAAAAN! DOVE SEEEI?!”
“DOVE SEI TU,
IDIOTA!”
Poi lo vide da lontano e gli
puntò la torcia in pieno volto. Lui si schermò con le
mani.
“Accidenti a te, ma lo sai
che paura che ho avuto?! Qui, da sola, al buio?!”
“Ehi, calmati Ucchan, tu hai
anche la torcia, no?”
“E tu sei uno stupido!”Gli gridò sul punto di
mettersi a piangere.
“Ma… ma… ma io… mi
dispiace!”
Non fece in tempo a scusarsi
che la terra tremò di nuovo.
Lei lo afferrò per un
braccio. “I-il terremoto…?!” Sibilò.
“No, le nostre urla! Qui
crolla tutto… CORRI UKYO!”
La grotta cominciò a
collassare su se stessa: il soffitto si staccò in grossi pezzi di roccia e di
stalattiti, rischiando di ucciderli.
I due corsero a perdifiato
mentre dietro di loro il cunicolo sembrava implodere in un caos di rocce e
polvere e inseguirli come un terribile mostro.
Corsero come non avevano mai
corso in vita loro, pregando che ci fosse un’uscita, anelando la
luce.
“Oh, Dio, fa che non sia un
cunicolo cieco, fa che non moriremo seppelliti qui dentro, oh
Dio...”
E mentre pregavano,
correvano ancora.
Akane si stava arrampicando
lungo la parete rocciosa con i denti stretti in un ghigno di fatica
inesprimibile.
Si stringeva il braccio
sinistro al petto e affondava le unghie dell’altra mano nella roccia friabile
cercando un appiglio sicuro, poi spostava i piedi nelle rientranze più
resistenti, piegando le ginocchia il più possibile, un colpo di reni, una spinta
di gambe, e affondava di nuovo la mano destra; ormai le sanguinava copiosamente,
ma non ci fece caso.
Continuò a stringere i denti
e a salire, sperando di non precipitare.
La luce era flebile, la
notte era vicina, e quando finalmente uscì da quell’inferno era sfinita, e la
luna era appena sorta.
Ranma tagliò per i boschi:
sarebbe stato troppo passare per la strada e vedere altre macchine ribaltate,
altra gente disperata in attesa di aiuto.
Inoltre sarebbe stato di
certo rallentato, invece così poteva correre più
liberamente.
Non avrebbe aspettato
l’alba, sarebbe arrivato da Akane prima che sorgesse il sole; gli alberi caduti
e le aperture nel terreno erano diventati un ostacolo costante che ormai era
abituato a superare agilmente. Bene, aveva imparato qualcosa di simile ad una
nuova tecnica: schivate veloci degli ostacoli! Gli sarebbe stata utile contro
Ryoga, Mousse, Obaba, Happosai e tutti quelli che lo sfidavano almeno una volta
al giorno. Sarebbe tornato alla vita di tutti i giorni, tutto sarebbe tornato
come prima, nessuno di quelli che conosceva poteva morire per uno stupido
terremoto… vero?
La sua mente terrorizzata
cercò di allontanare ogni dubbio. Non poteva perdere Akane, ma non poteva
perdere neanche coloro che avevano dato una piega nuova alla sua
vita!
Avrebbe dovuto sfidarli
quando sarebbe tornato da lei, certamente…
Il mondo si
fermò.
Vide una piccola figura
stesa tra le foglie, con una mano protesa verso di lui, il sangue che gocciolava
fra le dita. Aveva un’espressione di sfinito dolore negli occhi, ma vide l’ombra
di un sorriso sulle sue labbra appena lo vide.
“Ran… Ranma…” Respirò fuori
flebilmente tendendo di più la mano.
Lui mise a fuoco la figura e
si avvicinò.
“A… Akane…?!”
Mormorò.
Ma lei non poteva sentirlo
perché era svenuta.
La cascata li investì in un
getto gelido di incredibile forza.
Tentarono di urlare, ma
l’acqua li soffocò; furono sbalzati in direzioni diverse, trascinati con
violenza.
Ryoga tentò di tenersi a
galla, sapendo che le sue corte zampe da maialino non lo avrebbero di certo
salvato.
Grugnì disperatamente, e
registrò l’urlo disperato di Ucchan tra il frastuono dell’acqua prima di
affondare e di cominciare a bere acqua di fiume.
Poi tutto divenne nero, e
l’oblio fu quasi un sollievo.
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Capitolo 8 *** INSIEME ***
Cap. 8
INSIEME
Quanto t’ho
amato
E quanto t’amo non lo
sai
E non lo sai perché non te l’ho
detto mai.
Anche se resto in
silenzio
Tu lo capisci da
te…
Quanto t’ho amato
E quanto t’amo non lo
sai
Non te l’ho detto e non te lo
dirò mai
Nell’amor le parole non
contano
Conta la
musica.
Ranma e Akane erano
di nuovo insieme. Il mondo, il loro mondo, era crollato e si era distrutto, ma
loro erano di nuovo insieme.
I sei mesi passati
avevano contribuito ad accendere l’ardore nei loro cuori, la luce nelle loro
anime, la rivelazione nelle loro menti.
Anche se la terra si
fosse spaccata in due, non contava più.
Perché loro erano
insieme.
Quando vide il volto
di Ranma chino su di lei, Akane credette che si trattasse solo del frutto della
sua fantasia. Forse sto sognando –
pensò – si, è così, sono svenuta per la
fatica e sto sognando.
Ma poi sentì la sua
voce calda e la sua mano protettiva sulla fronte, e capì che era tutto
vero.
“Ranma… sei proprio
tu?” Chiese con un filo di voce.
“Sì sono io. Va
tutto bene ora; hai la febbre alta, riposa.”
Ma lei non voleva
addormentarsi.
Voleva continuare a
guardarlo, a parlargli, ad affondare nei suoi grandi occhi blu. La guardava così
teneramente, il cuore galoppava libero come un puledro sui prati, e le lacrime
le scesero silenti e gioiose per le guance.
“Non lasciarmi…”
Pianse.
Ranma sussultò:
aveva sentito bene?
“No Akane, io non ti
lascerò, ma tu dormi ora, va bene?” Le prese la mano e gliela tenne finché non
si addormentò.
Allora rimase
accanto a lei pensoso.
“Akane, razza di
stupida, che ci fai qui?” Mormorò trai denti.
Perché lei era lì? Era ferita ma viva, e
di questo ne era felice.
Ma che sarebbe
accaduto quando avessero parlato di nuovo? Non poteva sopportare di farla
soffrire ancora, e accanto a lui Akane aveva sempre e solo sofferto.
Era tutto così
disordinato… entrambi erano contesi da più persone che gettavano sempre nel caos
le loro vite cercando di uccidere il rispettivo rivale, tutto era un
inferno.
Akane rischiava di
essere battuta o peggio avvelenata da Shampoo o da quella pazza di Kodachi. Lui
non voleva perdere del tutto le loro amicizie, ma così metteva in pericolo la
sua fidanzata.
Se solo avesse avuto
il coraggio di parlare chiaro e allontanare tutti una volta e per
sempre…!
Fino a quel momento
però, appena cercava di giustificarsi veniva preso in contropiede e accusato da
chiunque di mentire e di inventarsi le cose.
Scommise addirittura
che il povero papà di Ucchan, dai cieli, gli stesse preparando chissà quale
maledizione per le bugie che aveva detto. Poveretto… come lo avrebbe detto a
lei?
E se avesse cercato
di consolarla e Ukyo si fosse messa in testa che l’amava?
Cosa avrebbe
raccontato ad Akane?
Doveva rivelare o no
ad Akane quanto le era mancata?
Si scompose i
capelli, in un gesto esasperato.
Il matrimonio
fallito, il terremoto, il padre di Ucchan… e ora Akane lì… troppo stress, troppe
decisioni, troppi sentimenti contrastanti in gioco.
No, doveva pensarci
bene, prendere le sue decisioni con calma.
Poteva illuderla di
una felicità che forse, con la sua vita disordinata, non era in grado di
darle?
Ukyo aprì gli occhi
e un fiotto d’acqua le salì in gola e nel naso. Si voltò per non rimanerne
soffocata e rimase lì, tremante, ascoltando il rumore lontano della
cascata.
L’acqua le era
penetrata fin nelle ossa e quando si voltò si accorse di essere ancora a mollo
su un argine del fiume, nell’acqua bassa.
“Sono ancora viva?”
Si chiese.
Si tirò
faticosamente in piedi e si guardò attorno.
“RYOGA!” Chiamò. Ma
lui non le rispose, la preoccupazione le strinse improvvisamente il
cuore
“Oh, Dio, spero che
quello stupido non sia annegato…! Fa che non sia…”
Poi vide il suo
zaino navigare sul fiume. Lo raccolse e lo portò con sé a riva.
Guardò ancora, con
un brutto presentimento che le si faceva strada nel cuore.
Nulla. Solo acqua e…
un cosino nero che galleggiava a un metro circa da lei.
Ucchan aggrottò le
ciglia, senza capire, poi ebbe un lampo. Quello è il porcellino di Akane! Ma che ci
fa qui? Pensò.
Portò a riva anche
lui e lo liberò dell’acqua che aveva inghiottito premendo leggermente sulla
piccola pancia tonda. Il maialino tossì e grugnì, poi la guardò ed emise un
verso di sorpresa quando sentì una goccia calda cadergli sulla testa e vide che
la ragazza stava piangendo.
“Quello stupido –
disse con voce strozzata – non è stato capace di salvarsi… e adesso che faccio
qui tutta sola? Eh P-chan?”
Lui la guardò e si
sentì ad un tratto strano: Ukyo era davvero in pena per lui!
La sua voce lo fece
sussultare.
“Siamo rimasti solo
noi due P-chan. Anche Ryoga mi ha lasciata sola… quello stupido! Perché doveva
morire così, perché anche lui mi ha abbandonata?!” Scoppiò in un pianto dirotto
che a Ryoga spezzò il cuore; sentendola singhiozzare così disperatamente abbassò
le orecchie con occhi tristi, e le si avvicinò un poco…
Avrebbe voluto avere
dell’acqua calda per farle sapere che lui era lì e poteva ancora farle compagnia
in quel viaggio, provava davvero una gran pena.
Anche Ucchan era
sola come lui.
Akane era corsa da
Ranma, e lei era l’unica ad avere bisogno di lui.
Si disse che doveva
fare qualcosa per farle capire chi era, così cercò di attirare in tutti i modi
la sua attenzione, grugnendo e saltellando.
Lei alzò gli occhi,
e attraverso le lacrime lo guardò con una certa curiosità.
Vide che il
porcellino nero era agitato, così cercò di capire cosa volesse dirle. Poi notò
qualcosa che stringeva trai dentini affilati, qualcosa che aveva sempre avuto
attorno al collo ma che non aveva mai veramente guardato con
attenzione.
Allungò una mano e
riconobbe la bandana gialla di Ryoga. “Ma questa… vuoi dire che…?!”
Il porcellino annuì
vigorosamente. “...che hai visto Ryoga?” Lui gemette di delusione, ed ebbe
un’altra idea. Cominciò a cercare dei rametti secchi e li dispose laboriosamente
in un mucchietto accanto a loro.
Ukyo guardò il
maialino lavorare faticosamente e capì. “Vuoi che accenda un fuoco?” Altro cenno
d’assenso.
Allora si mise
all’opera ed accese il fuoco. “Hai ragione, fa freddo e siamo zuppi tutti e
due.” Poi ammutolì, e ruppe il silenzio solo per mormorare: “Ryoga…
Ranchan…”
Lui spalancò gli
occhi: era stato nominato prima di Ranma!
Si diresse verso lo
zaino e tirò fuori un bollitore che riempì faticosamente con acqua di
fiume.
“Ehi P-chan! Sai
fare anche il tè?! Non ti facevo così intelligente!”
Lui non l’ascoltò
(anche se l’affermazione gli aveva solleticato una punta d’ilarità), e mise
l’acqua sul fuoco. Lei lo guardava con la bocca semiaperta e gli occhi
spalancati per lo stupore.
Avrai ben altro di cui stupirti fra un
po’. Pensò Ryoga.
Poi si gettò addosso
l’acqua bollente e lei soffocò un grido.
“Tu… t-tu… Ryo…
Ryoga!” Gridò, e senza pensarci su due volte gli si gettò addosso abbracciandolo
convulsamente. “Ryoga, anche tu… come Ranma! Perché, perché non mi hai detto
nulla, stupido maialino!? Perché… PERCHE’?!” Cominciò a tempestarlo di pugni sul
torace, continuando a chiedergli il perché del suo silenzio.
Ryoga non era solo
sbalordito: era paralizzato.
Non credeva che un
giorno qualcuno sarebbe stato così felice di rivederlo vivo, men che meno si era
mai aspettato un abbraccio simile da una ragazza!
Goffamente le portò
le mani sulla schiena cercando di calmare i suoi singhiozzi… solo allora si
accorse di essere completamente nudo.
Il rossore gli coprì
la faccia e il sangue gli affluì fino alla punta dei capelli. “U…
Ucchan…?”
Lei alzò lo sguardo
e arrossì violentemente a sua volta. Con un grido si staccò da lui mentre gli
sbatteva lo zaino in faccia con una violenza tale da farlo finire a gambe
levate.
“STUPIDO MAIALE!
COPRITI!”
Ryoga si asciugò una
singola goccia di sangue dal naso. “Ehi, maiale a chi?! Sei stata tu a…” Ma si
fermò, perché lei stava singhiozzando di nuovo.
Si rivestì e si
avvicinò cautamente. “Non volevo spaventarti Ucchan… scusami.”
Lei voltò lo sguardo
su Ryoga, e il ragazzo si ritrovò a pensare al colore dei suoi occhi. Non sono castani, ora sono azzurri. Ma prima
che potesse formulare tutto il pensiero lei gli si gettò di nuovo fra le
braccia, e lui le circondò piano la schiena.
“Sssst… calmati…
calma.” Sussurrava mentre sorgeva l’alba, e lei si addormentò.
Akane si tirò a
sedere: per un attimo non ricordò più dove si trovava, poi scorse Ranma di
spalle, accanto a un fuoco ed ebbe l’istinto di abbracciarlo forte. Ma si
trattenne.
“Ben svegliata
Akane! Come ti senti?”
“Meglio… grazie. Che
stai facendo?” Ma Ranma gli aveva già allungato una ciotola fumante e
profumata.
“E’ zuppa di miso
calda, mangiala prima che si raffreddi.”
Le lo guardò per un
istante, fremendo alla vista del suo viso gentile e sorridente, poi il suo
stomaco brontolò e trangugiò la zuppa; era così gustosa e calda…!
“Grazie Ranma… mi ci
voleva proprio.”
Lui si sedette a
gambe incrociate di fronte a lei e le chiese: “Mi spieghi come e perché sei
arrivata fin qui?”
Il primo impulso fu
di gridargli: “Perché ho bisogno di te, ero preoccupata che tu fossi in pericolo
e la mia vita non ha senso se tu non mi sei accanto! Ti prego, torna a
casa!”
Ma non era sicura
che Ranma volesse sentire quello. In fondo se n’era andato, e forse non aveva
alcuna intenzione di avere a che fare ancora con lei.
“Io… credevo… ecco…
che magari potessi essere in difficoltà.” Mormorò infine.
Lui spalancò gli
occhi per la sorpresa. “Tu eri preoccupata per me?!”
A lei sembrò di
sentire quasi una nota di gioia nella sua voce, ma non ne era sicura. Così disse
la prima stupidaggine che le passò per la testa: “Io… ero molto spaventata, e
pensavo che giù in città potessi essere utile, ecco tutto.”
Lui alzò un
sopracciglio. “E che potrei fare?! Ci sono già la Protezione Civile e i
pompieri, no?”
Lei abbassò gli
occhi. “Io… forse…”
Ranma si alzò e le
voltò le spalle.
No – pensò Akane – Non di nuovo, non lasciarmi di nuovo, io… io
ti amo.
Invece non disse
niente e fu lui a parlare, lasciandola senza fiato.
“Io mi stavo
allenando, e qui è troppo pericoloso per te. E’ meglio che torni in città e ti
faccia curare quel braccio rotto come si deve.” La sua voce era dura, e lui
stesso si odiò. Ma poteva proteggerla e starle ancora accanto rischiando di non
riuscire più a lasciarla andare?
Poi sentì un fruscio
e si voltò. Lei si alzò col viso basso, e Ranma si accorse che stava
piangendo.
“E io – disse con
voce rotta dai singhiozzi – che mi ero preoccupata per te! Ho fatto tanta strada
solo per raggiungerti! Credevo… di mancarti anche io, e invece… sono stata una
stupida! Stupida!” Si voltò e cominciò a correre.
Ma il cuore di Ranma
fece un salto e stavolta la rincorse. “Aspetta Akane!” Cosa aveva detto? Aveva
sentito bene? Aveva detto: credevo di mancarti anche io, o aveva
sognato?
Lei continuava a
correre, anche se i suoi piedi avrebbero voluto andare nella direzione
opposta.
Come vorrei – pensò amaramente – oh come vorrei abbracciarlo forte come nel
mio sogno, come vorrei potergli dire…!
Una mano l’afferrò
sulla spalla, ma lei non si girò.
“Akane…” Poteva
sentire il suo alito caldo solleticargli dolcemente la nuca e il lobo
dell’orecchio, e la schiena le fu attraversata da brividi
incontrollati.
“Io… non volevo
ferirti Akane – sospirò pesantemente, come prendendo una decisione – è vero,
anche tu… mi mancavi, ed io ero terribilmente preoccupato per te. Ecco, te l’ho
detto.”
Lei sussultò e si
voltò di scatto, per poco il suo naso non sfiorava il suo. “Ranma…” Bisbigliò
dolcemente.
Lui la guardò,
concentrato, e Akane non osò muoversi; le mani di lui le risalirono dolcemente
sulla schiena, trasmettendole altri brividi come scosse elettriche. Poteva
sentire il suo respiro sulle labbra, e già pregustava il sapore del contatto;
socchiuse gli occhi e rimase delusa a morte quando lui si voltò e si allontanò
da lei. PERCHE’, PERCHE’?! Urlava la
sua mente.
Come riflesso ai
suoi pensieri lo udì dirle: “Io… non voglio più farti soffrire Akane. Per questo
ho deciso di uscire dalla tua vita; non potevo sposarti rischiando di renderti
infelice per sempre.”
“Ranma…” Cominciò
lei senza sapere esattamente cosa dire.
“Rischieresti ogni
giorno di essere aggredita da Ucchan, o da Shampoo, o da Kodachi… la nostra vita
sarebbe stata un inferno se noi ci fossimo…”
“…sposati?” Concluse
per lui. “E’ per questo che mi hai lasciata? Per proteggermi?” C’era una punta
di rabbia nella sua voce, e Ranma si voltò furioso.
“Ma che vuoi, mi hai
detto tu stessa che hai sbagliato a volermi sposare, non sei contenta che io sia
uscito dalla tua vita per sempre?!” Le urlò in faccia.
“Io ti volevo
sposare perché credevo che mi amassi, invece volevi solo quella dannata acqua,
come pensi che mi sia sentita io, eh?!”
“E come pensi che mi sia sentito
io a sentirmi dire che mi volevi sposare solo per farmi un favore, te lo sei mai
chiesta Akane?”
“Io credevo…”
“Sì, lo so cosa credevi, ma bisogna
essere in due ad amarsi quando ci si sposa di solito!”
Lei aprì la bocca
per parlare, ma non seppe assolutamente come replicare a
quell’affermazione.
“Hai ragione.
Bisogna essere in due.” Affermò con calma. “Ma evidentemente non siamo stati mai
in due.”
Lui si voltò.
“Davvero? Vedi che ho ragione? Avresti sacrificato la tua vita.”
Lei fece un passo,
avvicinandosi; ansimava e stringeva i pugni con forza. La sua mente stava
annegando tra mille pensieri, poi strinse gli occhi, forte, come se volesse dare
una spinta potente alla sua mente e buttare fuori tutto quello che in due anni
non era riuscita ad esprimere.
“Io non avrei
sacrificato un bel niente Ranma…” Mormorò infine.
Lui spalancò gli
occhi e il cuore gli saltò in gola. Si voltò di scatto, il vento che
scompigliava loro i capelli mentre si fissavano.
“V… vuoi
dire…che…?!”
“Io ti amo Ranma, ti
ho sempre amato!” Disse la frase velocemente, con impeto, poi si girò e fuggì
ancora, a testa bassa per nascondere la vergogna.
Ecco, l’ho fatto – pensò - almeno sono riuscita a dirglielo. Ora
starà ridendo di me, non mi vorrà più vedere, ma almeno ora starò col cuore in
pace, so che lui non mi ricambia… che l’ho perso per
sempre…
Lanciò quasi un urlo
quando sentì la mano di Ranma sulla sua spalla e si girò sorpresa, le guance
bagnate, gli occhi spalancati.
“Akane…” Bisbigliò
lui con affanno.
Sperava che il cuore
gli avrebbe retto.
Lei alzò gli occhi.
“Non voglio la tua pietà Ranma…” Fece per fuggire nuovamente, ma lui le mise un
dito sulla bocca.
“Silenzio Akane.
Ora... ridimmelo, vuoi?”
Lei spalancò gli
occhi, sorpresa. “Cosa?”
“Che mi ami.” Disse
lui calmo.
“E a che pro, così
puoi ridere di me?” Gli gridò infuriata. “Per sentirmi dire che preferisci
Shampoo, o Ucchan, e che io sono un maschiaccio, e…”
Lui aggrottò le
ciglia e le strinse un poco le spalle con le mani. “Stupida! Se tu me lo dici di
nuovo… allora forse troverò il coraggio di dirtelo anch’io.”
“Io non voglio
che tu…!” Smise di urlare e si placò. Aveva sentito bene? Spalancò la bocca e lo
guardò negli occhi. “Ranma… tu… vuoi…?!”
“Avanti…” La esortò
con dolcezza.
Lei non seppe
esattamente cosa le passò per la mente in quel momento magico, ma alzò il volto
e lo guardò con serietà. “Io ti amo Ranma Saotome.” Disse, poi arrossì e abbassò
lo sguardo. “Ora sei contento?” Chiese imbronciata.
Lui sorrise e le
alzò il mento con un dito. “Moltissimo.” Foggiò a coppa il suo viso tra le mani.
“E io amo te Akane Tendo.”
E unì le labbra alle
sue.
Ryoga guardò in giù
verso Ukyo.
“Va un po’ meglio?”
Chiese.
“Sì… scusami per
prima, ero spaventata.”
“Nessuno si era mai preoccupato tanto per la mia
vita… grazie.” Si sentiva di nuovo strano e imbarazzato.
“Vuoi dire che…
nessuno ti ha mai voluto bene?”
Lui spalancò gli occhi. “Vuoi dire che tu
mi vuoi… bene?”
“Bè, siamo amici o
cosa?” Poi abbassò lo sguardo. “Perché non me l’hai mai detto prima?”
“Cosa?”
“Che
tu sei P-chan!” Rispose lei spazientita.
“Non credevo che ti
potesse interessare.”
“Diciamo che forse ti avrei capito meglio… non
dev’essere piacevole per te.”
Lui fece una risata amara. “Ci puoi
scommettere!”
Lei sedette in modo più comodo, incrociando le gambe.
“Com’è successo?”
I suoi occhi si
fecero remoti. “Accadde circa due anni fa. Ed è tutta colpa di
Ranma!”
L’improvvisa rabbia
nella sua voce la fece sussultare. “Ranchan? Che ti ha fatto? Credevo fossero le
sorgenti maledette!”
“In parte sì. Io
l’avevo seguito in Cina per chiudere i conti una volta per tutte, e diciamo pure
che l’ho trovato subito…”
Lei lo guardò con
aria interrogativa e Ryoga proseguì: “Era appena caduto nelle sorgenti di
Jusenkijo e stava inseguendo suo padre. Entrambi si erano già trasformati,
quindi io non li riconobbi. So solo che questa ragazza dai capelli rossi mi è
saltata sulla testa facendomi precipitare nella fonte del porcellino annegato, e
da allora… la mia vita è stata un inferno! Ho persino rischiato di essere
cucinato vivo!”
Ucchan ridacchiò a
quest’ultima affermazione e si guadagnò un’occhiataccia da parte di Ryoga.
“Scusami, so che non è divertente ma, voglio dire… Ranma non l’ha fatto di certo
apposta, no?”
Lui la guardò in
cagnesco. “E pensi che questo mi basti?!” Urlò.
“Ora capisco perché
ce l’avevi tanto con lui… ma ti sei fatto adottare da Akane, non ne sei
felice?”
Lui alzò uno sguardo e scoccò la freccia. “A te piace essere
amica di Ranma?”
Lei alzò le spalle.
“Touchè. Uno pari palla al centro. Hai ragione, non dev’essere bello essere
trattato come una specie di animale domestico.”
“Già, senza contare
tutte le volte che ha pianto segretamente per colpa di
quell’imbecille!”
Lei girò un pochino
la testa di lato. “Le stavi spesso accanto, vero? – poi ebbe come una
rivelazione improvvisa – Ecco perché Ranma era così…!”
“…geloso? Era
furioso, te lo dico io, ma era troppo vigliacco per ammetterlo.”
I due stettero in
silenzio. Aleggiava una complicità nuova fra di loro, si sentivano come due
naufraghi nella stessa barca, e questo li avvicinava.
“Siamo entrambi
innamorati di due persone che si amano segretamente tra loro.” Recitò. “Sembra
un gioco di parole ma è la verità.”
“Già.”
Ancora
silenzio.
“Ryoga?”
“Mh?”
“Ti senti solo
qualche volta?”
Lui alzò il labbro in un improbabile sorriso. “Qualche
volta? Io direi quasi sempre. E tu?”
“Anch’io. Sai, una cosa è essere
amici, Ranma mi parla, viene a mangiare al mio locale – sospirò – al mio ex
locale, poi però, nel momento di scegliere, corre sempre da lei.”
Lui alzò lo sguardo.
“E lo dici a me? Si è bello essere coccolati, ma io rimango sempre P-chan per
Akane.”
Ukyo si protese verso di lui, e quasi bisbigliò: “Ma hai mai
pensato a dirle che la ami? Quando combinai quell’appuntamento mi sembrava che
andaste d’accordo!”
“Come potrei dirle
una cosa simile? Dirle che sono P-chan, che le ho dormito accanto, che mi sono
lasciato vezzeggiare da lei perché l’amo? Mi odierebbe!”
“Razza di vigliacco,
magari capirebbe invece, e chissà…!”
“Ormai sono troppo coinvolto, se
glielo dicessi ora non credo che la prenderebbe bene.”
“Allora dille solo
che l’ami!” Insisté lei.
Ryoga la guardò
complice. “E tu pensi che lei vorrebbe diventare qualcosa di più che una mia
amica? Con Ranma?”
Lei abbassò gli occhi. “Anche lui non mi vuole che
come un’amica… o un amico.”
“E’ inutile
ingannarsi…” Poi tacque, non osando girare i coltelli nelle loro
piaghe.
Poi Ukyo chiese:
“Che dici, a quest’ora si saranno già incontrati?”
“Temo di
sì”
Lei si alzò. “Bene! Andiamo loro incontro, vuoi?”
Ryoga rimase seduto
e alzò lo sguardo. “Dici che…?”
La ragazza gli rivolse un’occhiata fiera.
“Io non mi arrendo.” Dichiarò.
Quando Akane sentì
le labbra di Ranma sulle sue, sentì un calore ardente investirla come un vento
del deserto. Chiuse gli occhi, e portò le mani alle scapole di lui.
Quanto l’aveva
sognato! Lui era così caldo e confortevole, e il suo bacio era dolce ed
esigente, come mai aveva immaginato prima.
Ranma la strinse un
po’ più forte prima di staccarsi e lei rimase per un attimo lì sospesa, con gli
occhi ancora chiusi.
Rimasero a guardarsi
in silenzio per un minuto intero, e quando Ranma si accorse che non rischiava di
essere picchiato si azzardò a chiedere: “Tu… lo volevi Akane?”
“E tu?” Lo
stuzzicò lei.
“Non l’avrei fatto
se non avessi voluto, no?”
Lei si accigliò per
un momento. “Se lo volevi tanto perché non sei tornato a chiedermelo! E, se è
vero che mi ami, come hai potuto pensare che fuggendo avresti risolto
tutto!?”
Ranma chiuse gli
occhi e mormorò: “Credevo che mi avresti rifiutato, schiaffeggiato, insultato…
temevo di perderti.”
Akane alzò lo
sguardo sorpresa. “Tu avevi paura che io ti rifiutassi? E’ per questo che non
sei tornato?”
Lui si grattò la
testa. “Uh? Credo di sì!”
“Bè ti sbagli: avevo già fatto i bagagli prima
che incominciasse il terremoto, volevo… io volevo rivederti.” Concluse tutto
d’un fiato.
Il ragazzo col
codino sorrise. “Sai, anch’io avevo cominciato ad incamminarmi quando mi è
crollato il bosco addosso.”
Lei spalancò di
nuovo gli occhi. Quello era un giorno in cui non avrebbe mai smesso di
sorprendersi. “Vuoi dire che stavi tornando da me?”
L’affetto e l’ardore
nella sua voce gli sciolsero il cuore. “Come potevo stare lontano da colei che
stavo per sposare senza provare rimorso… dolore…”
Akane strinse i pugni.
“Ma allora era solo un fatto di rimorso!”
“Stupida, credevo
che tu mi avresti sposato solo per l’acqua delle sorgenti!”
“Stupido tu! Pensi
che avrei sposato un uomo che non amavo solo per fargli un favore?! Cosa ci
avrei guadagnato io?!”
“Tu pensavi che io
ti amassi, ecco cosa!”
“Perché non era
vero?!”
“Sì ma tu non lo sapevi! Tu sposeresti un uomo che non ti ama
perché lui tiene a te?!”
“Certo che no! Ma io…!”
Sospirarono
all’unisono, e Ranma dichiarò: “Non è il momento di litigare. Ti va di tornare a
casa ora?”
La ragazza abbassò
lo sguardo e si morse le labbra. Lui sbirciò la sua espressione. “Bè? Che c’è,
ti sei già pentita?”
“Stupido, non è
questo! E’ che…”
“Cosa?!”
“La nostra casa non
c’è più e… anche il dojo è crollato.”
Ranma ammutolì e un sentimento di
preoccupazione e di dolore profondi gli invase il cuore.
“E… - si costrinse a
schiarirsi la voce – e tuo padre? E Nabiki… Kasumi…?!”
Lei accennò un
sorriso amaro. “Stanno bene per fortuna. Papà e Nabiki… bè li ho aiutati io e
Kasumi, pensa un po’, l’ha salvata il dottor Tofu!”
Ranma si accorse del
dolore nella sua voce. “E’ stata dura, vero? Li hai salvati… tutta da
sola?!”
Le labbra le
tremarono. “Erano tutti e due sotto le macerie, e io ho scavato… avevo un
braccio rotto ma… ho scavato e…” I singhiozzi le impedirono di
continuare.
Lui le si avvicinò e
la circondò in un abbraccio dolce. “Sssst – disse – ora è tutto finito. Sei
stata coraggiosa.”
Ma lei non poté
smettere di piangere; affondò il volto sul suo torace forte e pianse tutto il
dolore, la tensione, tutta la disperazione di quei giorni. Lui la tenne stretta
a sé, assaporando la sua vicinanza, e insieme spartirono il sentimento gioioso e
comune di un amore da tempo sbocciato e appena rivelato.
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Capitolo 9 *** Domande ***
Cap.9
DOMANDE
“Fermati un attimo
Ryoga! Non ce la faccio!” Ukyo si inginocchiò a terra e posò lo
zaino.
“Ma… non hai paura
che Akane e Ranma possano essersi già incontrati?”
“Sì ma sono due giorni
che non mettiamo niente sotto i denti, e io ho fame!”
“Hai ragione… anche
io.”
Ryoga si sedette e
guardò il tramonto malinconicamente: chissà dov’era Akane in quel momento, e
chissà se stavano andando nella direzione giusta.
Anche Ranma e Akane
stavano riposando dopo aver camminato per tutto il giorno; avevano deciso di
tornare a Nerima per dare un’occhiata al danno reale del dojo e riunirsi alle
loro famiglie, ma ora erano davvero sfiniti: anche loro avevano terminato le
provviste.
Avevano parlato poco
in realtà, tentando di schiarirsi la mente dal turbinio dei pensieri.
Avevano confessato:
colpevoli Vostro Onore, i due imputati sono accusati di essere innamorati ed
hanno confessato.
Come sarebbe stata
ora la loro vita, come avrebbero dovuto comportarsi ora che erano una… bè… una
coppia dichiarata? Lo avrebbero detto agli altri? E avrebbero avuto il coraggio
di ridirselo in faccia quando sarebbe sorto di nuovo il sole?
“Che ne dici se
piantiamo le tende qui, stanotte?” Chiese Ranma uscendo dalle sue
congetture.
Lei annuì. “Speriamo
che per domani saremo arrivati, non ce la faccio più!”
Lavorarono in
silenzio, sistemando le rispettive tende ed accendendo il fuoco. Erano talmente
stanchi che andarono a dormire quasi subito.
I pensieri martellanti li abbandonarono in favore di un lungo sonno
ristoratore, e non si accorsero nemmeno che da quando si erano dichiarati l’uno
all’altra avevano ripreso ad ignorarsi quasi o anche più di prima.
Paura? Indecisione?
Le domande non ebbero risposta, e quando il sole ricomparve all’orizzonte
le spazzò via del tutto.
Ryoga guardò Ucchan
dormire.
Lui non aveva sonno,
troppi pensieri gli affollavano la mente perché potesse riposare.
Quella ragazza era
stata l’unica a preoccuparsi per lui in quei giorni: Akane non aveva esitato a
correre da Ranma, e non si sarebbe mai presa tanta pena per lui come aveva fatto
Ukyo.
Ricordò come gli era
sembrata carina quando gli aveva sorriso nel suo locale, in città, poco prima
del terremoto. Aveva sperato di guardare negli occhi di Akane, ma erano quelli
di Ucchan che lo osservavano con simpatia e lo fissavano attentamente mentre
parlava.
La udì lamentarsi
nel sonno, e bisbigliare il nome di colui che amava.
“Ranma…” Ringhiò.
“Sempre lui!”
Ranma era l’unico in
grado di fare a pezzi così tanti cuori in una volta, mentre lui…
Ma io ho Akari! Esclamò la sua
mente.
Certo, come no, si
disse.
Saranno tre mesi che non la
vedo…
Akari era partita
per un viaggio con i suoi genitori e non aveva esitato a lasciarlo solo ancora
una volta. Non era stata lei a stargli accanto in quei momenti difficili dopo il
terremoto.
Non gli aveva
parlato lei con comprensione quando era rimasto scioccato dal bambino morto, non
era lei ad ascoltarlo mentre si confidava, e non era lei a cercare di dargli
consigli quando si disperava.
Diceva di amarlo,
certo, ma amare… era davvero quello? Si ritrovò a pensare a come Ranma e Akane
dicessero di odiarsi a vicenda, ma quando c’era qualche pericolo, qualche
ostacolo, lui era sempre pronto a proteggerla ed a rischiare la vita per lei.
Non aveva mai visto tanta gratitudine e amore negli occhi di qualcuno come in
quelli di Akane quando lo guardava.
Era in quei momenti
che capiva quanto loro si amassero, quanto fossero una cosa sola. Non serviva a
nulla dire “Ti amo” ad una persona se poi non lo si dimostrava
veramente.
E Ucchan gli era
stata così vicino in quel momento…
Ryoga Hibiki, cosa ti sei messo in testa?!
Si sgridò.
Poi la udì
lamentarsi ancora nel sonno e le sistemò le coperte sulle spalle. Vide il
luccichio di una lacrima all’angolo dell’occhio, e l’asciugò delicatamente con
un dito.
“Povera piccola
Ucchan.” Mormorò con un sorriso, non sentendosi improvvisamente più
solo.
Lentamente si infilò
nel suo sacco a pelo e, guardando le stelle, si addormentò.
Shampoo crollò a
terra esanime, e Mousse cominciò a starnazzare furiosamente.
Impossibilitato ad
usare le zampe, si alzò in volo e cominciò a cercare aiuto.
Sorvolò la zona
boschiva appena fuori Nerima, sperando di incrociare qualche elicottero di
soccorso, e invece scorse due sagome familiari in lontananza.
“Guarda lassù Ranma!
Non è Mousse quello?!” Gridò Akane.
Lui si schermò dal
sole con una mano e guardò in alto. “E’ vero, hai ragione! MOUSSE!”
Chiamò.
Il papero planò a
poca distanza da loro, e atterrò pesantemente sulle zampe inermi.
Ranma bollì
dell’acqua e gliela versò addosso. “Ma che cosa ti è successo,
Mousse?”
Il ragazzo rimase
seduto con le gambe stese, e poggiò le mani a terra.
Ranma e Akane si
guardarono un momento, poi sedettero accanto a lui.
“Mousse… vuoi dirci
che cosa ti è successo?” Mormorò dolcemente Akane.
I due sussultarono
quando si accorsero che il ragazzo stava singhiozzando
incontrollabilmente.
“MOUSSE!” Gridò
Ranma scuotendolo.
“Ranma! Così gli
farai male!” Gridò Akane.
“Oh… scusami.”
Borbottò lui.
“Non preoccuparti
Akane – disse piano Mousse – nessuno può farmi più male di così.”
La coppia lo guardò
con preoccupazione, ma lui non se ne accorse nemmeno. “Dobbiamo aiutare Shampoo:
è svenuta a poca distanza da qui.” Disse con la testa bassa.
Ranma si alzò in
piedi e lei lo imitò. “Bè, cosa aspettiamo, andiamo a cercarla, no?”
Ma Mousse non si
mosse e Ranma lo guardò. “Avanti, cosa aspetti?!”
Il ragazzo alzò il
viso verso di lui; era incredibilmente pallido, e gli occhi verde mare
spiccavano sul suo volto. “Io… non
posso camminare Ranma.”
“Cooosa?!” Urlò Akane.
Mousse afferrò il
terriccio umido in una mano, con rabbia. “Io… io sono paralizzato.”
Mormorò.
“Ehi Ryoga! Guarda
cosa ho trovato in quel chiosco abbandonato!” Gridò correndogli
incontro.
“Cos’è?”
Domandò.
“Tutti gli
ingredienti necessari per fare un okonomiyaki gigante!”
Lui fece un sorriso
enorme. “Evviva, si mangiaaa!”
Senza accorgersene si abbracciarono e
cominciarono a saltare di gioia gridando all’impazzata.
Poi si fermarono, si
guardarono un momento e si voltarono ognuno da una parte, arrossendo.
“Bene… Ryoga – tossì
fuori Ukyo – ora è meglio che io cucini.”
Lui non rispose,
imbarazzato, e lei gli domandò: “Come lo preferisci, con la soia o…?” Tacque.
Lui le aveva afferrato le spalle.
Vide i suoi occhi
brillare e si sentì tremendamente strana. “Che… che cosa c’è adesso?”
Ryoga abbassò lo
sguardo. “Io… io volevo… solo ringraziarti.”
Lei spalancò gli
occhi. “Ringraziarmi per cosa?”
“Bè… per un mucchio di cose: per esserti
preoccupata per me, per non avermi preso in giro quando hai scoperto che sono
P-chan, per cercare di capirmi… perché mi sei amica.”
La ragazza prese un
respiro e lo rilasciò. “Oh Ryoga… tu mi hai salvato la vita, e poi noi… noi
siamo amici, te l’ho detto, no?”
“Già – disse lui intensamente – ma
nessun amico mi ha mai abbracciato così fino ad ora.”
Rimasero immobili
per un po’, a guardarsi negli occhi, confusi, le mani di Ryoga sulle sue
spalle.
Poi lui la lasciò, e
Ucchan guardò per terra imbarazzata “Bè… - esordì – io vado a cucinare,
ok?”
Lui annuì, senza
staccare gli occhi da lei; continuò a guardarla anche quando si allontanò e
cominciò ad impastare gli ingredienti.
Ranma spalancò gli
occhi, e Akane soffocò un grido.
Come poteva
l’amazzone più vecchia ed esperta dell’Oriente intero essere…?!
“Mi dispiace… voi vi
siete appena ritrovati e io sono latore di cattive notizie.” Disse Mousse
lentamente.
“Ma come può essere
morta, Mousse?! – pianse Akane – Lei è… era forte, come…?!”
Lui alzò lo sguardo,
e Ranma gli lesse negli occhi. “Non capisci Akane? Lei era distratta, stava
pensando a salvare sua nipote, e così…” Le labbra gli tremarono, e lui si
asciugò gli occhi affettatamente.
Mousse tacque,
addolorato.
“Su andiamo –
esclamò Ranma all’improvviso – Shampoo ha bisogno di noi.”
Ranma camminò
lentamente, Akane al suo fianco e Mousse sulle sue spalle, inerte.
Aveva raccontato che
Shampoo era stata presa da una crisi di shock ed era fuggita piangendo dal
locale. L’aver scoperto che sua nonna era morta e che lui era rimasto
paralizzato per averle salvato la vita l’aveva scossa a tal punto che era quasi
impazzita dal dolore.
“Io non ho potuto
far altro che gettarmi addosso dell’acqua fredda sperando di poterle volare
dietro: la maledizione mi è stata utile. Ma poi lei ha vagato per giorni senza
nutrirsi, e io non sapevo cosa fare… non mi ascoltava più! Spero che non abbia
perso del tutto la ragione…” Mormorò infine.
Infine la
videro.
Akane prese un
respiro pesante; la giovane amazzone era stesa per terra, i capelli color
lavanda erano sparsi intorno a lei, sporchi e spettinati. Il pallore del volto
metteva in risalto il terriccio sulle sue guance, e i suoi vestiti erano
lacerati.
Le sembrava
impossibile che la nemica che tanto la ostacolava fosse ridotta in quello stato,
e provò improvvisamente una gran pena per lei.
Akane le si
avvicinò, e Ranma la prese delicatamente fra le braccia “Ehi Shampoo – mormorò –
Shampoo!”
Lei aprì gli occhi
che sembravano vuoti.
Non appena mise a
fuoco la figura di Ranma un lume d’intelligenza le illuminò lo
sguardo.
“Lanma… sei… proprio
tu…?!” Mormorò.
“Ora stai calma
Shampoo, va tutto bene.”
Gli occhi le si
riempirono di lacrime, e la consapevolezza che l’aveva abbandonata per giorni le
piombò addosso come una valanga.
“Lan… LANMA! OH
LANMA… LAAAAA…!”
Il grido straziante
e continuo le uscì ad intervalli regolari dalle labbra, trasformandosi in urla e
singhiozzi disperati. Sembrava non essere capace di dire altro che il suo nome,
mentre lo stringeva convulsamente e si aggrappava a lui come un naufrago
all’ultimo appiglio di salvataggio.
Mousse e Akane
rimasero ammutoliti di fronte all’orgogliosa amazzone che mai si era data per
vinta nella sua vita, che gridava e si gettava nella disperazione più
folle.
Entrambi avvertirono
una punta dolente di gelosia, ma non ebbero il coraggio di ribellarsi davanti a
quello spettacolo straziante, sbalorditi e confusi.
Shampoo urlò il nome
di Ranma ancora una volta, e poi svenne di nuovo.
Quella sera Ryoga e
Ucchan mangiarono in silenzio, mentre la luna faceva capolino tra due piccole
nubi scure.
Poi lei si alzò in
piedi e si allontanò.
Ryoga la seguì, e si
accorse che stava piangendo.
“Ehi Ucchan… che
hai?” Bisbigliò con voce calda.
Lei era voltata, e
Ryoga poté vedere le sue spalle che scuotevano.
Le mise una mano
sulla spalla, allora lei si voltò.
I suoi occhi
castano-azzurri sembravano due boccioli impregnati di rugiada mattutina; lui ne
rimase affascinato.
Improvvisamente ebbe
l’impulso di posare dei baci su quegli occhi grandi e tristi.
Invece le pose una
mano socchiusa sulla guancia. “Ucchan – bisbigliò di nuovo – lui ti manca, non è
vero?”
La ragazza poté
sentire il suo alito caldo sul viso, aromatizzato leggermente alla soia, e
avvertì un brivido leggero. “E’ che so che mi lascerà di nuovo sola per… per…”
“….per Akane? –
l’aiutò lui – Se è per questo anch’io temo che lei mi lascerà di nuovo solo per
Ranma.”
Gli si appoggiò
leggermente con la fronte fresca sul mento, e Ryoga sentì il cuore che gli
accelerava di un battito o due.
Poi spostò la mano
sui suoi capelli morbidi e sussurrò dolcemente: “Vedi? Abbiamo gli stessi
problemi, ma insieme… vedrai che ce la faremo.”
“Dici davvero
Ryoga?” Bisbigliò lei senza muoversi. “Parlerai ancora con me quando mi sentirò
sola?”
Lui sorrise appena.
“Puoi contarci, piccola Ucchan.”
E lo
fece.
Abbassò lo sguardo
verso di lei, prese il suo viso tra le mani e, dopo averle accarezzato
dolcemente le lacrime sulle guance, cominciò a porre baci leggeri sui suoi occhi
chiusi, assaporando il lieve gusto salato.
Ukyo non osò
muoversi, attraversata da una sensazione nuova e piacevole. Rilasciò il respiro
appena un poco e si mosse contro di lui abbracciandolo leggermente, aspirando un
poco del suo profumo maschile.
Il ragazzo rilasciò
un breve alito sulle sue labbra e le sfiorò delicatamente, abbracciandola più
forte.
Ukyo intrecciò le
mani tra i suoi capelli e, senza sapere cosa stava facendo, sciolse la bandana
dalla testa di Ryoga e approfondì il bacio.
Poi l’incanto si
ruppe e, come se avessero capito solo in quell’istante cosa stavano facendo, si
staccarono, tremanti e confusi.
Lui fu il primo a
parlare: “U… Ucchan… io… io non so cosa mi…”
“Neanch’io…” Ansimò
lei. “Ma era bello.” Mormorò quasi a se stessa.
Ryoga inghiottì,
prese il coraggio a due mani e le si avvicinò di nuovo. Se era piaciuto anche a
lei, perché non rifarlo? Le prese di nuovo il viso fra le mani, e lei strofinò
carezzevole le guance sui suoi palmi. Di nuovo si avvicinarono, palpitanti, di
nuovo si baciarono, bramosi, poi le mani di lui sfiorarono il suo seno e lei lo
allontanò dolcemente.
Ryoga arrossì
furiosamente “Scu… scusami i… io…” Gesticolò alla cieca.
Lei sorrise, il
rossore anche sulle sue guance. “Non sono arrabbiata, è che…”
“Cosa?!” Chiese lui
ancora sommerso da sensazioni contraddittorie.
“Domani potremmo
pentircene… E’ così che si dice in questi casi, no?”
Lui sorrise appena.
“Hai ragione. Non è perdendo la testa che risolveremo i nostri
problemi.”
Ukyo annuì leggermente: ma era proprio amicizia quella
sensazione strana? Forse lo stress e la paura di morire avevano giocato loro un
brutto scherzo, e quel richiamo fisico non era altro che un richiamo alla
vita.
“Bene – esordì lei –
io vado a dormire.”
“Io… credo che mi sgranchirò un po’ le gambe.”
Rispose lui soprappensiero.
Ukyo lo guardò
un’ultima volta e si allontanò.
Ryoga camminò
nell’oscurità per molte ore, stando attento a non allontanarsi e a non perdersi,
cercando di placare la sensazione nascosta che si era svegliata così
all’improvviso annebbiandogli i sensi.
Ma neanche lei
riuscì ad addormentarsi tanto presto. Avvertiva ancora dei brividi lungo la
schiena quando pensava a come lui l’aveva toccata, e si chiese cosa mai le fosse
piaciuto così tanto nell’essere sfiorata da un uomo che non era
Ranma.
Infine, si
addormentò.
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Capitolo 10 *** Nuovi sentimenti ***
Cap.10
NUOVI
SENTIMENTI
Shampoo dormiva
profondamente, e Mousse le rimase accanto, incapace di lasciarla sola anche nel
sonno.
Ranma cedette loro
la sua tenda e preparò l’altra ad Akane.
“E tu dove
dormirai?” Chiese lei.
Lui alzò le spalle.
“Dormirò fuori, nel sacco a pelo, in fondo ci sono abituato.”
“Ma
prenderai freddo!” Protestò lei.
Il ragazzo col
codino le si avvicinò, sornione. “Vuoi che dorma nella tenda, con te
allora?”
Akane arrossì. “Ma…
ecco… io… se prometti che farai il bravo… insomma, potrei anche…”
Lui la
guardò attentamente. “Akane, se non vuoi non fa niente, ma sappi che io non
farei mai nulla che tu non vorresti.”
Lei lo guardò rapita: era proprio
lo stesso Ranma che aveva lasciato andar via sei mesi prima?
“Allora vieni
dentro, sciocco: fuori fa troppo freddo…”
Silenziosamente si
infilarono ognuno in una coperta, vicini ma non troppo, e il sonno tardava a
venire.
Ancora una volta si
sentivano imbarazzati a causa dei loro stessi sentimenti.
“Ranma?”
“Mmh?”
“Pensi… che Shampoo starà bene?”
Lui
si girò dal suo lato. “Bè, io penso che sarà molto difficile per lei, ma è una
ragazza forte, vedrai che lo supererà.”
“E che mi dici di
Mousse?”
Ranma la fissò
intensamente, e allungò la mano verso di lei.
“Che… che c’è
Ranma?!” Chiese timorosa.
“Akane – mormorò lui
– sei così buona; nonostante tutti i problemi che ci hanno causato quei due tu
ti preoccupi per loro. Sei davvero altruista.”
Lei prese la sua mano, e
se la poggiò su una guancia. “E’ conoscendo te che ho imparato ad esserlo. Tu mi
hai insegnato che un vero artista marziale deve essere sempre pronto ad aiutare
il prossimo, per questo… mi sono innamorata di te, per il tuo grande
cuore.”
Lui sorrise
dolcemente. “Te l’ho mai detto che sei davvero carina? Soprattutto quando
sorridi?”
Akane arrossì. “Veramente mi hai sempre detto:‘non sei per
niente carina!’ Esclamò imitando la sua voce.
Ranma rise
divertito, seguito da lei. “Davvero parlo così? E’ che mi
vergognavo!”
“Già, sei sempre
stato un timidone!” Lo stuzzicò.
“Ah, sì? – la sfidò
Ranma – Se fossi un timidone potrei fare questo?” E delicatamente la
baciò.
Lei rispose al
bacio, ed esclamò: “Forse ci ho ripensato.”
Poi si accoccolò fra le sue
braccia, e Ranma lanciò un’esclamazione di sorpresa.
“Ehi! Mi sto solo
scaldando…”
“Hai freddo?” Bisbigliò teneramente soffiando sul suo
orecchio.
“Un po’… e tu sei
così caldo!” Si sistemò meglio, con aria beata, e lui la circondò con le
braccia, assaporandone la vicinanza.
“Akane?”
“Mh?”
“Cosa… che diremo
agli altri, cioè… ora che stiamo… insieme…?”
Lei fece un sorriso
triste. “Che vuoi che ti dica? Aspettiamo che le cose si sistemino, poi si
vedrà. Rischiamo di provocare un caos ancora maggiore se diciamo a tutti quello
che è successo tra noi.”
Lui sospirò. “Hai
ragione.”
Per un momento sentì
l’impulso di raccontarle del padre di Ucchan, della promessa che aveva fatto, ma
poi si rilassò: c’era tempo per parlarne, e in quanto a tragedie umane ne
avevano parecchie per il momento.
Affondò un poco il
viso fra i suoi capelli, respirandone il profumo pulito.
Lei chiuse gli occhi
nella sua stretta, felice, ascoltando il ritmo del suo cuore dal torace forte e
profumato di muschio.
Non aveva mai
immaginato che dormire fra le braccia di Ranma fosse così bello!
E si sentì la
ragazza più felice della Terra.
Ryoga si alzò presto
quella mattina, e cominciò ad allenarsi.
Quando Ucchan
sbirciò dalla sua tenda poté vederlo tutto intento nei suoi esercizi;
all’improvviso si ritrovò a pensare a quanto lo avesse osservato sempre con
superficialità.
Aveva degli
addominali forti e marcati, una vera gioia per gli occhi, e ricordando come era
stata stretta contro di lui il giorno prima arrossì furiosamente.
Non se n’era mai
accorta… ma Ryoga era bello almeno quanto Ranma.
Sentendosi osservato
lui girò gli occhi e la vide intenta a fissarlo; inghiottì a fatica, conscio del
suo sguardo, poi alzò la mano con disinvoltura, in cenno di saluto.
Lei sussultò,
rispose brevemente al saluto e rientrò nella tenda.
Per la prima volta
da tanto tempo decise di pettinarsi più accuratamente.
Riavviò i capelli
all’indietro e li legò in una morbida coda di cavallo, poi decise di cambiarsi i
vestiti; entrò in un paio di pantaloni attillati che le lasciassero le caviglie
scoperte e mise un corpetto sportivo che le lasciava intravedere generosamente
il décolleté.
Oggi di sicuro vedrò Ranma – pensò – e voglio essere bella! Ma era già meno
convinta che fosse per quello.
Corse verso Ryoga
chiamandolo a gran voce. “Dai pigrone, andiamo! Tra un po’ dovremmo
raggiungerli, andiamo loro incontro!”
“Pigrone?! Ma se mi
stavo allenando!”
“Dai, non borbottare, pieghiamo le tende ed
andiamo!”
Prepararono gli
zaini insieme, lavorando silenziosamente, e ognuno dei due cercava di chiarire
la confusione nella propria mente.
Mousse si svegliò
molto prima dell’alba, e rimase a guardarla dormire.
Se solo Shampoo mi amasse – pensò – le starei io accanto… ma no, cosa penso?! Io
non posso più proteggerla, le sarei solo d’impiccio… oh dei, cosa devo
fare?!
Poi lei aprì gli
occhi, e lui mormorò il suo nome.
“M… Mousse? Dove
siamo?”
“Akane e Ranma ci
hanno prestato una tenda, e siamo accampati a circa cinque chilometri da
Nerima.”
“Oh…!” Poi tacque
per alcuni secondi, e chiese. “Come stanno le tue… le tue gambe?”
“Oh…
Shampoo! – si sentì insieme commosso e disperato – Io mi farò
curare.”
Lei guardò in aria, pensosa. “E’ stata tutta colpa mia - poi
all’improvviso – dov’è Lanma?”
“Lui… lui è
nell’altra tenda…” Rispose esitante.
L’amazzone spalancò
gli occhi, furiosa. “Col maschiaccio violento?!”
Si alzò tremante,
insicura sulle gambe ma risoluta.
“Aspetta,
Shampoo!”
Ma lei era già corsa via, e aveva spalancato l’altra tenda per
scoprire che stavano dormendo insieme.
I due si svegliarono
nello stesso istante, stirandosi e strofinandosi gli occhi.
“Oh… buongiorno
Shampoo!” Biascicò Ranma.
“Come stai oggi
Shampoo?” Chiese assonnata Akane.
La ragazza rimase
sbalordita davanti a tanta tranquillità. “Ma… voi… avete dormito
insieme?”
Ranma rise imbarazzato. “Bè, vedi, fuori faceva freddo e così
noi… ma non è successo niente, davvero!”
“Assolutamente niente… sul serio
Shampoo! Lui stava congelando fuori al freddo, e così…”
L’aura di battaglia
di Shampoo si affievolì e la ragazza si inchinò, lasciandoli sbalorditi. “Grazie
per quello che avete fatto per me.” Disse piano prima di fuggire via.
Ranma si grattò la
testa, confuso, e Akane chiese: “Bè, che fai, non la segui?”
“Non è mica le la
mia fidanzata!”
“Sì ma… è nostra amica, e poi è sotto shock! Vuoi che
scopra tutto proprio adesso?”
“E’ vero – ammise lui – ma prima posso
avere un buongiorno come si deve?”
Lei lo guardò, maliziosa.
“Tipo…?”
“Mhhh…” Fece lui sporgendo un po’ le labbra.
La ragazza gli
schioccò un bacio sonoro, e lui si alzò soddisfatto.
Rimasta sola, Akane
sorrise un po’. Avrebbe mai immaginato che un giorno lei e Ranma sarebbero stati
così bene insieme?
Ranma si avvicinò a
Shampoo, e la chiamò esitante.
Lei si voltò con un
mezzo sorriso e si asciugò una lacrima con le dita. “E’ questa la mia
punizione?” Chiese.
“Che vuoi dire?”
Ranma le sedette accanto.
“La punizione per
aver lasciato morire mia nonna e per avere salva la vita a discapito di
Mousse.”
“Nessuno ti sta
punendo, Shampoo.” Disse calmo lui.
L’amazzone si girò.
“Ah, sì? Tu e Akane mi sembravate molto vicini poco fa.”
Lui si fece
serio. “Io e Akane abbiamo solo dormito al caldo stanotte, non è successo niente
e in fondo… lei è la mia fidanzata.”
Shampoo si accigliò. “Cos’ha più di
me il maschiaccio violento?!”
“Non è un maschiaccio violento!”
“Ma
tu lo dicevi sempre!” Gridò lei.
“Mentivo! Lei almeno
non mi ha mai ingannato per stare accanto a me!” Ranma si accorse che la stava
ferendo, ma non poté farne a meno. Non ora.
Gli occhi di Shampoo si
spalancarono. “Vuoi dire che io… ti ho sempre ingannato?”
“Bè, tu come lo
chiami ricattarmi per avere polverine pseudo-magiche o saponi semi-miracolosi?!
Senza parlare di tutti gli intrugli che mi hai rifilato nel cibo!”
Lei abbassò lo
sguardo. “Io lo facevo perché ti amavo!”
“L’amore e l’inganno sono due
cose diverse – dichiarò – saresti davvero felice che io mi fossi messo con te
solo grazie a qualche magia? Non preferiresti essere semplicemente amata per
quello che sei? Spontaneamente?! Per esempio come fa Mousse!”
“Mousse non
è il futuro marito di Shampoo.” Esclamò.
“Tu sei ancora
ancorata a quelle stupide regole, ecco il tuo problema!” Gridò Ranma.
Lei rifletté un
momento. “Prima di morire – singhiozzò – la mia nonnina mi ha detto qualcosa di
simile… MA IO TI AMO SUL SERIO!”
Il ragazzo col codino scosse la testa.
“Shampoo… dimenticami, ti prego. Io resterò sempre tuo amico, però… non
chiedermi l’impossibile: io non ti amo.” Ecco l’aveva detto.
L’amazzone si
alzò lentamente, e camminò verso la sua tenda.
“Vuoi dire che ami
Akane?” Chiese con voce tremante.
“Io… non ho detto
questo.” Cercò di riparare lui, ma era troppo tardi. Aveva parlato troppo
chiaro.
Shampoo strinse i
pugni, pensosa, infine mormorò: “Ora torniamo in città, così portiamo Mousse da
un dottore.”
Poi entrò e sparì.
Ryoga guardò il
cielo, accigliato.
“Che c’è Ryoga?”
Chiese Ucchan.
“Credo che molto
presto pioverà.” Dichiarò.
Lei alzò lo sguardo.
“Ma non ci sono nuvole!”
Il ragazzo sorrise.
“Fidati, ho imparato a conoscere i capricci della natura. Viaggiando ho acuito i
sensi, soprattutto perché la pioggia non mi prendesse mai di
sorpresa.”
Ukyo abbassò il
capo. “Già…Come hai vissuto la tua maledizione, solo, senza aiuti?”
Ryoga alzò le spalle
“Ho imparato a sopravvivere.”
“Tu sei molto
coraggioso Ryoga, soprattutto contando che sei stato più sfortunato di
Ranma.”
Lui la guardò,
sorpreso. “COOOSA?! Ti senti bene Ucchan?”
“Di che ti stupisci?
Alla fine lui ha smesso di viaggiare, tu no.”
“Mi fa piacere che
tu te ne renda conto… è che non so ancora quale sia la mia vera casa; al dojo
non sono mai me stesso, e dai miei genitori, bè, sono sempre solo anche
là.”
Ukyo rifletté per un attimo; anche lei era sola, e loro erano amici.
Perché non farsi compagnia a vicenda? No, macchè! Lei era una ragazza, e lui…
che sarebbe accaduto se la solitudine avesse giocato loro uno scherzo simile a
quello della sera prima? Come sarebbe andata a finire se fosse accaduto di nuovo
di avvicinarsi così…?
Scosse la testa, e
sperò ardentemente di trovare Ranma che litigasse ancora con Akane, sperò che
tutto tornasse come prima.
Poi li
vide.
“Quello sulle spalle
di Ranma non è Mousse?!” Esclamò Ryoga all’improvviso.
Ukyo non rispose, ma
corse incontro al gruppo e si gettò fra le braccia di Ranma.
Lui barcollò,
cercando di equilibrare il peso sulla sua schiena.
“Ehi Ucchan… piano,
mi fai cadere!”
“Oh Ranchan, come ero preoccupata per te!”
Pianse.
Il ragazzo le
circondò le spalle con un braccio, sotto lo sguardo sbalordito di
Mousse.
Ranma era felice che
lei fosse salva, ma un nuovo terrore gli invase la mente: E ora come glielo dico che suo
padre…!?
Decise che c’era
tempo e la strinse un poco, con fare protettivo.
Ryoga vide che
c’erano anche Shampoo e Akane, e che la sua amata aveva lo sguardo fisso su Ukyo
che stringeva il suo fidanzato.
“E’gelosa.”
Pensò con rabbia.
E si accorse che,
per un breve istante, sentì qualcosa di simile alla gelosia anche
lui.
In lontananza ruggì
il rombo di un tuono, e le ultime parole di Mousse ne furono come
sottolineate.
“E così l’hai
salvata… sei stato molto coraggioso, Mousse.” Dichiarò Ukyo.
Shampoo alzò lo
sguardo verso di lei. “Anche la mia bisnonna ha cercato di salvarmi… non
dimenticatelo.”
“Già – intervenne Ryoga – ma lei ha avuto meno fortuna…
poveretta.” Con una punta di nostalgia ricordò l’allenamento tra le montagne
con Cologne; era stata proprio lei ad insegnargli la tecnica
esplosiva.
“So a cosa pensi,
Ryoga.” Ranma gli aveva letto nel pensiero. “Anche a me ha insegnato un mucchio
di cose, e noi la ricorderemo sempre come una grande amazzone
guerriera!”
Stettero in silenzio
per alcuni minuti, e fu Akane a parlare per prima.
“Bene ragazzi,
andiamo allora; vediamo di portare Mousse dal dottor Tofu e di ricominciare una
vita normale!”
Ucchan annuì, e
ognuno di loro tirò su il suo zaino. “Il tuo lo porto io, Mousse.” Dichiarò
Shampoo.
“G… grazie Shampoo.”
Ma il suo sguardo era triste, e la cinesina provò per lui una gran
pena.
“Aggrappati Mousse.”
Disse Ryoga offrendo la sua schiena. Poi schiacciò l’occhio a Ranma. “Ti do il
cambio.”
“Grazie amico.” Rispose. Poi si rivolse alla fidanzata: “Akane,
più tardi andrò a dare un’occhiata a casa di mia madre… so che c’era papà, ma
voglio essere sicuro, mi capisci?”
“Certo! – annuì lei
– Ma io vengo con te.”
Ryoga vide lo sguardo d’intesa fra loro, e sentì
una rabbia antica ribollirgli nelle vene.
Ma l’occhiata non
sfuggì neanche ad Ukyo e a Shampoo, e le due si lanciarono uno sguardo a loro
volta.
Ranma notò tutto
questo e giurò a se stesso che, appena le cose si fossero risolte, avrebbe
parlato chiaro a tutti quanti una volta per sempre.
Molto
chiaro.
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Capitolo 11 *** Tristi scoperte ***
Cap.11
TRISTI
SCOPERTE
Quando il dottor
Tofu alzò lo sguardo vide con gioia che il gruppo era aumentato.
“Ehi ragazzi!”
Esclamò alzando il braccio in segno di saluto.
In testa alla fila
c’era Ranma che portava due grossi zaini, seguito da Akane. Un po’ più in là
c’era Ryoga con Mousse sulle spalle, poi Ukyo e Shampoo.
Ranma lasciò cadere
gli zaini rumorosamente. “Uff! Ragazzi che scarpinata assurda! Salve
dottore.”
“Bentornato a te
Ranma. Ero in pensiero, sai?”
Ranma fece un sorrisetto ironico. “Deve
ancora arrivare il terremoto che mi metterà ko, ma devo dire che ce la siamo
vista tutti molto brutta.”
“Lo vedo. – annuì il
dottore ammiccando verso Ryoga – Che ha il vostro amico?”
Ranma si voltò.
“Ecco lui…”
“…non cammina
dottore, è paralizzato dalla vita in giù.” Concluse Ryoga.
Tofu annuì, e fece
segno al gruppo di entrare nel suo nuovo studio-tenda.
Controllò
innanzitutto il braccio di Akane, e quando glielo tastò lei emise un gridolino
di dolore e strinse la mano di Ranma.
“Mi dispiace – si
scusò il dottore – purtroppo il macchinario per fare le lastre è andato
distrutto nel terremoto… resisti ancora un po’.”
Lei annuì, senza
lasciare la mano di Ranma, e Ryoga scorse l’occhiataccia da parte di Ucchan e
Shampoo.
Fasciato il braccio
di Akane, il dottor Tofu chiese agli altri di uscire per poter visitare Mousse
con più calma.
Ranma si sedette per
terra con un sospirone, pescò una borraccia dall’accampamento e bevve
avidamente, poi la passò ad Akane che la accettò molto volentieri.
Shampoo li guardò
accigliata. “Siete sicuri di non stare insieme voi due?” Domandò
velenosamente.
Akane si strozzò ed
esclamò: “Ma NOOO! Che dici Shampoo?!”
“Già – s’intromise Ukyo – sembra
che andiate molto d’accordo! Ranma sputa l’osso!”
Lui si alzò in
piedi. “Ucchan, ora non è il momento di essere gelosa; ho altro a cui pensare.
Quando il dottore avrà terminato con Mousse andrò a cercare mia
madre.”
“Vengo con te...”
Cominciò Akane, ma fu freddata dagli sguardi delle due pretendenti di
Ranma.
Come potevano tenere
nascosta una cosa così evidente?
Le aure blu delle
due ragazze fiammeggiarono fiere, pronte a divenire rosso fuoco, quando il
dottor Tofu sbucò dalla tenda.
Ryoga fu il primo ad
accorgersene. “Oh, dottor Tofu… di già? Allora?”
Il buon medico scosse la
testa. “Mi dispiace, ma è molto difficile che Mousse torni quello di una
volta.”
Cadde il silenzio,
rotto solo da una flebile esclamazione di Shampoo.
“Ecco… ha due
vertebre schiacciate l’una sull’altra, in questo modo – fece un gesto per
chiarire la posizione delle ossa – e i nervi della trasmissione del movimento,
che arrivano dal cervello, sono interrotti.” Scrutò i loro sguardi smarriti,
così concluse. “Operarlo sarebbe un rischio, soprattutto ora che ci sono tante
emergenze per via del terremoto e le strutture ospedaliere sono andate
distrutte. Sono spiacente.”
Shampoo sentì
montare in lei il senso di colpa ancora una volta, e domandò flebilmente:
“Quindi… rimarrà così per sempre?”
“Non lo so Shampoo.
Bisognerebbe controllare tramite un’operazione, e non so quando potrò farlo: qui
è tutto distrutto.”
“Ma una volta
individuato il danno si può riparare?” Chiese Ranma speranzoso.
“Come ho detto è
molto difficile riparare questo tipo di schiacciamento delle vertebre, si
rischia di aumentare il danno, bisognerà trovare un buon chirurgo che abbia il
coraggio di operare… e anche così non garantisco il successo.”
Shampoo cadde in
ginocchio, e per un attimo dimenticò la sua gelosia per Ranma. “Ma… lui lo
sa?”
“Ho preferito tacere: è molto scosso, e molto preoccupato per te.
Ora dorme.”
“Non è possibile!
Povero Mousse…” Mormorò Akane incredula.
Ranma incrociò le
braccia. “E’una cosa davvero terribile, ma non possiamo far altro che sperare e
stargli vicino.”
Ryoga annuì, come
eco alle sue parole.
Per un attimo
stettero tutti in silenzio, storditi, increduli di fronte a quella sconcertante
verità, poi Ranma decise che era venuto il momento di cercare sua
madre.
“Vengo con te!”
Esclamò Ucchan.
Ranma la guardò. Suo padre è morto per colpa mia. Pensò
improvvisamente.
“E va bene Ucchan. –
dichiarò - Akane, vieni anche tu?”
“Certo!” Poi si
voltò, sorpresa che Shampoo non si fosse ancora fatta avanti.
La ragazza rimase in
silenzio per qualche secondo, poi si alzò e guardò Ranma dritto negli
occhi.
Ah, ecco, mi pareva! Pensò
Ukyo.
“Io rimango qui con
Mousse.” Disse invece spiazzando tutti.
“Cooosa?! Ma
Shampoo, ti senti bene?” Esclamò Ryoga.
Ukyo gli mollò una
gomitata nel fianco. “Zitto, stupido!” Sibilò.
Ma lei non si
scompose, e si diresse con triste lentezza nella tenda, sotto lo sguardo
incantato del gruppetto.
“Bene, lo spettacolo
è finito: c’è andata davvero. Ora vogliamo andare anche noi per favore?”
Disse Ranma
guardando le due ragazze al suo fianco.
Ryoga mise lo zaino
sulle spalle. “Vengo con voi – dichiarò – potrei essere utile.”
Ma Ranma non
rispose, e s’incamminò.
Aveva un brutto
presentimento, molto brutto, e sperava con tutto il cuore che sua madre stesse
bene.
Lo sperò con tutte le sue forze.
Kuno Tatewaki era
giunto a ‘casa’ dei Tendo con sua sorella al seguito e, non trovando né Akane né
la sua ragazza col codino, si era offerto di rimanere a dare una mano con le
macerie.
Nabiki aveva alzato
un sopracciglio, scettica. “Tu vuoi aiutare? Ma sei sicuro di non aver preso una
botta in testa, Kuno?”
Lui fece il suo solito sorrisetto coordinato col
gesto della mano tra i capelli. “E’ dovere di noi potenti e forti dare una mano
ai più deboli… con il mio prezioso aiuto da queste macerie rinascerà la tua
casa, Nabiki Tendo, te lo assicuro.”
“Già – fece lei ironica – e quando
mia sorella tornerà potrai dirle: ‘vedi Akane Tendo, la tua reggia è stata
rimessa in piedi dal tuo principe azzurro, vuoi essere mia sposa?’” Concluse
mimando la sua voce.
Kuno si accigliò e
fece un debole tentativo di discolparsi, ma fu preceduto dalla risata isterica
di sua sorella. “Non mentire fratello, anch’io ho deciso di dare una mano per
amore del mio Ranma… ah ah ah ah ah ah!”
Nabiki si pose una
mano sulla fronte. “Prevedo grossi guai…” Gemette.
Soun non disdegnò un
po’ d’aiuto e Genma si unì a loro lavorando alacremente, in silenzio; mentre
ancora scavavano Kasumi preparava il pranzo su un fornello d’emergenza. Osservò
il gruppo in serena armonia e sorrise un poco.
Era così facile
andare tutti d’accordo! Ma ci voleva proprio una tragedia per avvicinarsi
così?
Finito di scavare ed
arrivati alle fondamenta, non riuscirono a non pensare che sarebbe stato
necessario ricostruire sia il dojo che tutti i primi piani.
“La palestra può
aspettare: ora dobbiamo pensare a rifarci una casa – Sospirò – e non oso pensare
a quanto mi costerà.”
Kuno aggrottò le
ciglia e incrociò le braccia. “Non sia mai che Akane Tendo, la mia futura sposa,
non possa avere un tetto sotto il quale dormire con la sua famiglia! – Tutti si
voltarono a guardarlo, e lui sorrise – Perciò vi fornirò i materiali che vi
servono e insieme ricostruiremo il castello della mia
principessa!”
“Grazie Kuno ma ci basta una semplice casa, non un
castello, e comunque non credo che Akane ti sposerà mai…” Dichiarò Nabiki, ma si
sentì di nuovo sollevata all’idea di riavere un tetto sulla testa.
Soun cominciò a
piangere e si profuse in ringraziamenti esagerati.
Kodachi invece
appariva pensierosa.
“Kodachi…? A che
pensi di grazia?”
“Vedi Nabiki Tendo…
i materiali da costruzione li tenevamo in un magazzino dietro alla nostra
residenza, e visto che la nostra bella casa è crollata non vedo come il
magazzino possa stare ancora in piedi.”
Nabiki si lasciò
cadere sulle ginocchia. “Oh no…”
“Accidenti sorella,
non ci avevo pensato! Sarà tutto sepolto dalle macerie, come faremo a
ricostruire le nostre case senza i materiali e gli attrezzi?”
I tre si misero a
pensare, e nella mente di Nabiki si accese un lumicino. “Ryoga!”
Esclamò.
Kuno la guardò
stizzito. “Cosa pensi che possa fare quello stupido ragazzo privo di
orientamento?”
“Lui sa utilizzare il colpo esplosivo! Così eliminerà le
macerie e noi possiamo arrivare ai materiali!”
Soun le afferrò le
mani, speranzoso. “Oh figliola, come sei intelligente! Presto, andatelo a
cercare!”
“E’una parola… lui è
con Ukyo e Akane a cercare Ranma, dove lo andiamo a pescare?”
“COOOSA?! Akane
Tendo è andata a cercare quel Saotome senza dirmi niente?!” Gridò Kuno fuori di
sé.
“Non urlare, Kuno!
Magari sono già tornati. Su, andiamo a vedere se sono dal dottor Tofu. Ormai è
una settimana che sono partiti.”
“Bè, allora che
aspettiamo? Ranma amore mio aspettami! Kodachi, la rosa nera, sta arrivando per
toglierti dalle grinfie di quella smorfiosa, ah ah ah ah ah ah ah!”
La sorella folle di
Kuno partì di corsa con il nastro al seguito e una scia di rose nere dietro di
sé.
Nabiki scosse le
spalle. “Andiamo Kuno.” E si avviò.
“Dimmi un po’ Ranma
– esordì Ryoga guardandolo di sottecchi – come mai stai tenendo per mano
Akane?”
Lui guardò la sua
mano intrecciata a quella di Akane, poi si voltò e scorse l’aura blu-indaco di
Ukyo e l’occhiataccia di Ryoga. Prontamente lasciò la presa.
“Bè… ecco… io…
noi…”
“RANMA! Traditore!”
Ringhiò la ragazza afferrando la sua spatola.
“Ukyo, lascia stare.
È colpa mia: io…”
“Taci Akane!” la
ammonì Ryoga.
Lei si ritrasse, e
Ryoga si scagliò contro il suo avversario. “Ranma, razza di bugiardo, avevi
detto che non stavate insieme!”
Lui cominciò a
schivare i colpi, e gli afferrò un braccio giusto in tempo. “Ryoga, dannazione,
non puoi scegliere un altro momento?! Sei venuto per intralciarmi?”
Anche
Ucchan era inferocita, ed era pronta ad infierire contro Akane che intanto aveva
assunto la posa di attacco.
Il caos ebbe di
nuovo inizio, e Ranma era tra due fuochi: da un lato Ryoga che lo assaliva,
dall’altro Akane da proteggere.
Un turbinio di
pensieri prese ad agitarglisi nella testa come uno sciame di api impazzite: lui
doveva cercare sua madre, e non stare a combattere con le folli gelosie di quei
due.
Non voleva fare male
ad Ucchan, né con le mani né con le parole, ma doveva smetterla di ferire Akane
e doveva scegliere. E va bene. Pensò.
Ora la faccio finita e confesso, lo dirò
in faccia a tutti e due, dovesse costarmi la vita, glielo dirò che io e
Akane…!
I suoi pensieri
furono interrotti bruscamente: un piede in fallo e il mondo si
capovolse.
Ranma batté la testa
contro qualcosa di solido, e imprecò di dolore.
Quando si voltò per
vedere cosa aveva colpito si gelò: era una stele funeraria.
Kodachi era sparita
da un po’, e Kuno e Nabiki camminavano silenziosamente.
Le macerie erano
state parzialmente rimosse, ma ancora erano visibili gli effetti devastanti di
quello che venne definito ‘il più forte terremoto del secolo’.
Fu lui a parlare per
primo: “Santi numi… questa è una vera catastrofe!”
Intorno a loro si
stagliavano blocchi di marmo che una volta erano state delle case, steli
provvisorie che indicavano le vittime, mobili abbandonati e mutilati dai
crolli.
Nabiki annuì. “Se
non fosse stato per Akane io e papà saremmo ancora sepolti sotto le nostre
macerie.”
Lui ammiccò. “Quella
ragazza è in gamba, l’ho sempre saputo!”
La ragazza si
accigliò. “Lascia stare mia sorella, Kuno: il suo cuore non appartiene a te, ma
a Ranma.”
“Ranma Saotome non sarà un ostacolo, io lo sconfiggerò e lui
dovrà arrendersi!”
“Smettila!”
Gridò.
Il ragazzo si voltò,
sorpreso. “Nabiki Tendo! Se non fossi sano di mente direi che nel tuo cuore
alberga la gelosia!”
“Non dire
stupidaggini! E’ che Akane è innamorata di Ranma, mettitelo bene in
testa!”
Lui fece la solita risata ironica e si passò la mano tra i
capelli: in quel momento a Nabiki parve davvero affascinante… ma non era la
prima volta che lo pensava, giusto?
“...con
lui!”
Lei si riscosse.
“Come hai detto, Kuno?”
“Ho detto che non
permetterò mai che Akane Tendo metta su famiglia con lui!”
Nabiki smise di
lottare: a che serviva? Kuno era più testardo di un mulo!
“Dimmi un po’ Nabiki
Tendo...” Continuò invece lui.
“Sì?” Fece lei
spazientita.
“Come mai l’odioso
Saotome ha deciso di andare via di casa sei mesi fa?”
La domanda la
sorprese. “Io… credo che volesse riflettere.”
“Certo, certo… avrà
recitato il mea culpa più lungo della sua vita per aver rinunciato ad una
ragazza come Akane lasciando campo libero a me.”
Lei lo assecondò.
“Certo… come no! Peccato che lei si sia precipitata a riprenderselo!”
Lui sembrò
sinceramente colpito dalle sue parole. “E’ stata lei a decidere di andare a
cercarlo? Vuoi dire che nessuno ha tentato di convincerla?”
“Naturalmente no.”
Rispose la ragazza pazientemente. “Possibile che non ti accorgi di quello che ti
accade intorno Kuno? Come puoi non esserti reso conto che lei non ti
vuole?”
Kuno parve
riflettere un momento, poi parlò con una serietà che lasciò di stucco Nabiki
stessa. “E’ che mi rifiutavo di crederci… mi è sempre così difficile avere
qualcuno da amare…”
Rimase impietrita, e
provò qualcosa di simile alla pena. “Kuno? Tu vuoi davvero… qualcuno da
amare?”
“Vorrei qualcuno che
mi ami piuttosto – sospirò pensieroso – mio padre è un folle, e non credo che
sappia cosa significhi amare un figlio.”
“Ma hai tua
sorella!” Protestò lei.
Lui sorrise di nuovo
in quel suo modo affascinante, e a Nabiki girò per un secondo la
testa.
“Quella sciocca è
invasata di suo, senza contare che anche lei pensa sempre e solo all’odiato
Saotome!”
Nabiki allungò il collo ammiccante. “Sei per caso geloso di
Ranma?” Arrischiò.
Il ragazzo la guardò
intensamente per un attimo, poi si voltò stizzito. “Questo Saotome arriva un bel
giorno e si prende sia Akane che l’appena conosciuta ragazza col codino, poi
forma dietro di sé una schiera di pretendenti tra cui mia sorella, ma chi si
crede di essere?!”
Lei abbassò lo
sguardo, e ragionò ad alta voce. “Bè… lui non ha mai chiesto di essere amato, e
forse… ecco, forse proprio per la sua discrezione nei rapporti con gli altri ha
attirato tante persone. Senza contare che è sempre stato solo; a parte suo padre
non ha mai avuto amici, e quest’aura di mistero un po’ esotica ha incuriosito
gli altri. Inoltre è molto forte, e abile…”
“…va bene, basta
così! Smettila di enunciarmi i pregi di Ranma Saotome, ho capito.”
Per il resto del
viaggio lui fu silenzioso, e Nabiki si chiese se per caso nella sua mente non si
fosse svegliato qualcosa.
Ryoga e Ukyo si
fermarono improvvisamente, urtandosi a vicenda, e Akane mormorò: “Credo che…
siamo arrivati.”
I suoi occhi erano
fissi sulla stele.
“Di chi è quella…
tomba?” Arrischiò Ryoga.
Ranma si accosciò
per leggerne il nome, e Akane lo imitò; un secondo più tardi risucchiò aria in
un sibilo di sorpresa e si portò una mano alla bocca.
“Che c’è?” Chiese
Ukyo tremante.
“La… la stele…”
Akane non seppe continuare, allungò il dito ad indicarla, e Ryoga e Ucchan
lessero contemporaneamente: Nodoka Saotome.
Le spalle di Ranma
sussultarono violentemente, e nessuno ebbe più il coraggio di parlare; Akane gli
sfiorò la spalla, in un timido gesto di conforto, provò a dire il suo nome, ma
non le riuscì: aveva la gola arida come il deserto.
Il ragazzo affondò
un pugno nel terreno. “MALEDIZIONE!” Esclamò con voce rotta.
“Ranma…” Piagnucolò
la sua fidanzata, ma lui non registrava nient’altro che la propria
rabbia.
“Dov’era… DOV’ERA
MIO PADRE MENTRE LEI MORIVA?!” Affondò una mano nel terreno umido, singhiozzando
disperatamente.
“DANNAZIONE!
DANNAZIONE DANNAZIONE DANNAZIONE! L’AVEVO APPENA RITROVATA!”
Ukyo e Ryoga
ammutolirono, quasi spaventati da tanta disperazione, e tacquero anche quando
Akane gli si avvicinò.
Ranma la guardò con
gli occhi spalancati di stupore. “Mia madre – pianse – mia madre… è morta, e io
non ero con lei…”
Akane annuì, le
lacrime che le scorrevano libere sulle guance. “Non… non è colpa tua
Ranma…”
Lui la fissò ancora,
inebetito, poi lasciò che gli si inginocchiasse al fianco, le posò la testa sul
grembo e pianse.
E mentre sfogava la
sua rabbia, sentiva la voce della sua fidanzata…
“Sssst… calmo Ranma…
ci sono io…”
…le sue lacrime che
gli inumidivano i capelli
“Sssst
Ranma…”
…e le sue mani
carezzevoli sulla testa come quelle di una madre.
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Capitolo 12 *** Addii ***
Cap.12
ADDII
l'ultimo bacio mia dolce bambina
brucia sul viso come gocce di limone
l'eroico coraggio di un feroce addio
ma
sono lacrime mentre piove piove
mentre piove piove
mentre piove piove
Magica quiete velata indulgenza
dopo l'ingrata tempesta
riprendi fiato e con intenso trasporto
celebri un mite e insolito risveglio
Mille violini suonati dal vento
l'ultimo abbraccio mia amata bambina
nel
tenue ricordo di una pioggia d'argento
il
senso spietato di un non ritorno
Shampoo si era
incamminata non appena Mousse si era risvegliato; cosa le era venuto in mente?!
Preoccuparsi per lui! Era vivo; paralizzato, sì, ma vivo.
Il senso di colpa se
ne sarebbe andato presto, in fondo mica l’aveva chiesto lei di essere salvata!
Chi ci aveva rimesso la pelle era sua nonna, e questo sì che sarebbe stato
difficile da superare.
Sarebbe giunta a
casa Saotome e si sarebbe presa il suo Ranma, costasse quel che costasse, e guai
a chi… Si fermò.
“Ma come si
permette!” Sibilò vedendo Akane che stringeva Ranma con tanta enfasi.
“Ehi tu! – gridò
lanciando un bombori nella sua direzione – Lascia andare il mio
Lanma!”
Akane spinse via un
confuso Ranma, che si scostò appena in tempo per vedere una mano che afferrava
l’arma con destrezza. Era Ucchan.
“Ehi tu, spatola,
che vuoi? Perché mi intralci?!” Gridò l’amazzone indispettita.
“Ma non vedi che
Ranma è disperato, stupida!” Le urlò di rimando Ukyo.
“Disperato…?”
Ryoga si mise di
mezzo “Sì, ha appena perso sua madre, e Akane…”
“…e Akane ne ha
approfittato per consolarlo! Ma che furba che sei, raggirare così il mio Lanma
approfittando del suo dolore!”
Akane strinse forte
i pugni, aveva ancora le lacrime agli occhi ma ora si sentiva infuriata. “Ma
come ti permetti Shampoo! Non hai rispetto per i morti?! Come ti viene in mente
una cosa simile?! Di solito sei tu quella che raggira Ranma!”
“Bugiarda!” Strepitò lei. E l’attaccò con un altro bombori.
Lei si scostò in ritardo e ricevette il colpo sulla spalla ingessata.
Ryoga si infuriò.
“Come puoi colpire Akane pur sapendo che ha un braccio rotto?! Non hai un
minimo di pudore?!” Si intromise Ukyo. “E ricordati che se qui c’è una che ha il
diritto di essere gelosa, quella sono io! Non dimenticare che Ranma è il mio
fidanzato!”
“Ma non farmi ridere! Come potrebbe Ranma mettersi con una cuoca pessima
come te?! Sono io l’unica ad avere il diritto di consolarlo, lasciami
passare!”
Lei si mise davanti, sbarrandole il passo. “No! Lo proteggerò da te e dai
tuoi trucchetti fino alla morte! Che vuoi fargli stavolta, eh? Narcotizzarlo e
portartelo via?”
Akane era allibita: come potevano mettersi a litigare in quel modo di
fronte ad una tragedia simile? Si mise in mezzo alle due contendenti, cercando
di farle ragionare.
“Ma che vi prende, siete impazzite?! Ranma ha appena scoperto che sua
madre è morta e voi vi mettete a litigare su chi abbia più diritto di stargli
vicino e chi meno?! Siete meschine e cattive!”
“Zitta tu!” L’amazzone la
colpì in pieno volto stavolta, facendola barcollare.
“Ah è così?! Non mi ascoltate?!” Akane assunse la posizione di attacco,
pronta a colpire, braccio rotto o no.
“Fatti da parte Akane! – le intimò Ucchan – Potresti farti male. Ci penso
io a questa ragazzina maleducata!”
“Ragazzina maleducata a chi?! Guarda
che…!”
“BASTA! SMETTETELA TUTTE QUANTE!”
Era Ranma, rimasto in silenzio per tutto il tempo, che ora esplodeva di
rabbia e di dolore.
“Io non posso credere che stiate facendo questo sul serio… - sibilò –
Siete due stupide! Io… IO VI ODIOOOOOOOO! CAPITO?! E’ INUTILE CHE LITIGHIATE PER
ME, IO VI ODIO ENTRAMBE!”
L’urlo lacerò il cielo, e Ukyo e Shampoo furono spaventate da Ranma per
la prima volta nelle loro vite.
“Lanma…?!” Azzardò l’amazzone timidamente.
“Taci Shampoo!” Ringhiò.
Il suo volto si contrasse dal dolore, guardò le due contendenti con
qualcosa di simile all’odio e bisbigliò un’unica, distinta parola:
“Addio.”
E fuggì, saltando sulle macerie e sugli alberi, perché nessuno lo
seguisse.
“RANMA!” Gridò Akane cominciando a correre.
Shampoo e Ucchan fecero per seguirla, ma due mani le afferrarono salde.
“Ferme!” Il tono di Ryoga non ammetteva repliche. “Avete fatto abbastanza per
oggi. Lasciatelo in pace.” Le due ragazze lo fissarono per un momento, poi si
rivolsero uno sguardo tra di loro chiedendosi se per caso Ryoga non fosse
impazzito.
Quando Akane si svegliò era tarda serata, e si rese conto di due cose:
era sola e si trovava nella tenda di Ranma. Lentamente strisciò fuori, cercando di
fare mente locale.
“Akane…”
Era la voce di
Ranma. Ricordava come aveva invocato il suo nome.
“Akane… oh
Akane…!”
Con tanta
disperazione…
“Akane…
Akane…”
…con tanto
dolore…
Ranma era fuggito
disperato, quel pomeriggio, e lei gli era corsa dietro.
Quando lo vide, era
seduto con le braccia allacciate intorno alle ginocchia, piangendo per sua madre
come un bambino.
Lei gli si era
avvicinata, incapace di parlare, e lo aveva consolato accarezzandolo,
abbracciandolo, finché i suoi singhiozzi non si erano placati e lui si era
addormentato sulle sue ginocchia.
Allora Akane aveva
montato la tenda, lentamente a causa del braccio, ma in tempo per ripararsi
dalla pioggia e dalla notte. Aveva dormito accanto a lui, accoccolata tra le sue
braccia, bisbigliandogli tutto il suo conforto, risvegliandolo dagli
incubi.
Poi Ranma le aveva
detto qualcosa, mentre l’alba sorgeva e il sonno la cullava finalmente
nell’oblio: sapeva che erano parole dette con il cuore e, anche se non ne capì
il significato, sorrise alla voce calda di lui e si addormentò.
Ma ora si era
svegliata da sola.
Poi vide il messaggio sul cuscino di lui, e tutto ritornò a
galla.
Ranma arrivò dove
una volta c’era il dojo e rimase per un attimo senza respiro.
Non è rimasto niente. Pensò.
Ma ora aveva altro
di cui occuparsi; camminò silenziosamente arrivando alle spalle di Kasumi china
sui fornelli d’emergenza.
Quando lei si girò
gli lesse negli occhi qualcosa che le impedì di salutarlo, invece si pose una
mano sulle labbra e mormorò il suo nome.
Lui la guardò per un
istante, cercando di portare un po’ di calore alla sua occhiata, ma riuscì solo
a spaventarla di più.
Soun si voltò
accigliato. Ci siamo. Pensò. Lo sa.
Genma stette in
piedi, immobile, guardando il figlio con un misto di disperazione e di
pietà.
Nessuno fiatò, e
Ranma si scagliò contro suo padre pronto ad ucciderlo.
“Ranma! Per l’amor
del cielo, basta! Così lo ucciderai!” La voce di Soun tuonò nelle sue orecchie
frastornandolo.
E’ quello che voglio fare! Formulò la
sua mente.
Lo aveva colpito
ripetutamente, accecato dal dolore e dalle lacrime, gridandogli che era un
maledetto idiota, che lo odiava, che aveva ucciso sua madre, che…
“Ranma, basta!” La
voce pacata di Kasumi ebbe l’effetto di un tocco magico su di lui, e
d’improvviso smise; si guardò le mani, istupidito, poi guardò suo padre
piangente e disperato.
Non ha nemmeno cercato di difendersi.
Pensò.
Sentì nel cuore un
peso troppo grande, e credette di morirne.
Cosa era accaduto in
fondo?
Aveva deluso colei
che amava e la stava lasciando da sola per la seconda volta.
Aveva vissuto nel
panico della terra che tremava, aveva incontrato il padre della sua migliore
amica mentre moriva e chiedeva giustizia, aveva visto uno dei suoi avversari
perdere la mobilità alle gambe pur di salvare colei che amava, aveva perso sua
madre, aveva picchiato a sangue suo padre incolpandolo di qualcosa senza
chiedere spiegazioni, aveva…
…perso la
ragione.
Tremando di paura e
di esasperazione fuggì via, lontano, ignaro dei richiami, ignaro della meta,
desiderando di perdersi, di morire, di cancellare.
Di cancellare tutto
come fosse stato solo un incubo.
Akane si portò le
mani sul viso, coprendosi gli occhi “Mio dio…” Mormorò.
Lui aveva sussurrato
qualcosa nel suo orecchio, mentre lei era semi-addormentata.
“Mi dispiace…- aveva
detto – Oh Akane, non volevo coinvolgerti in tutto questo, io ti amo, e ora so
come fare per farti smettere di soffrire…”
Si sedette adagio
sull’erba, e cominciò a leggere il messaggio che lui le aveva
lasciato.
Mentre correva,
Ranma ripercorse con la mente i momenti passati con lei, e capì che non sarebbe
bastato lasciarla: lei avrebbe sofferto.
Forse sì,
all’inizio, ma poi…
Avrebbe vissuto una
vita tranquilla, lontana dalle sue battaglie, dalla sua maledizione, da tutte
quelle che gli correvano dietro, amiche più o meno care che rendevano all’unica
donna che lui amasse la vita impossibile. Akane non si meritava tutto questo, e
non sarebbe mai stata felice accanto a lui.
L’aveva amata,
cercando un ultimo ricordo del suo profumo, della sua pelle, del suo calore, ma
ora basta; le aveva dato l’ultimo bacio e aveva spezzato il proprio cuore
decidendo di non vederla più.
Per il suo
bene.
Per lei.
“Me ne vado, non so se tornerò stavolta, non
voglio più farti soffrire…Perdonami.
Ranma.”
“Razza di… STUPIDO!”
Gridò stringendo la lettera fino a stracciarla.
“Pensi di farmi
felice, così?! Pensi che io possa essere felice senza di te?! Ranma… SEI UN
IDIOTAAAA!”
Il grido lacerò il
cielo, e gli uccelli volavano via come impazziti.
Il vigliacco l’aveva
lasciata di nuovo, pur di non farla soffrire, e adesso era chissà
dove.
Ranma era stato
sorpreso dalla pioggia ed era diventato ragazza; aveva lasciato Akane nella sua
tenda e ora era rannicchiato sotto un olmo, infreddolito e disperato.
Gli mancava… Dio se
gli mancava! Ma avrebbe resistito per il suo bene.
Ripensò a sua madre,
e sentì nuove lacrime bruciargli gli occhi: era di nuovo solo, di nuovo in giro
senza meta… era proprio quello il suo destino? Fuggire per non ferire gli
altri?
Una volta era
scappato, e sua madre era morta; era tornato, ma Akane era stata nuovamente
presa di mira da Shampoo e dagli altri.
Ma allora cos’era
giusto fare? Forse era meglio sparire, o forse fare chiarezza una volta per
tutte nella sua vita era la soluzione.
Ahhh, dannazione!
Finché era così confuso non sarebbe tornato da lei; si erano confessati i propri
sentimenti, ma non era servito a niente, non fino a che gli altri erano in
giro.
Ricordò la promessa
fatta al padre di Ucchan, e gettò la testa fra le braccia: quante promesse che
non era in grado di mantenere! Quanti problemi su cui riflettere!
La testa gli doleva
per la fatica e per il freddo.
Stette sotto la
pioggia per tutta la notte, febbricitante e in preda agli incubi, parzialmente
protetto dall’olmo e, se Ryoga non lo avesse trovato la mattina dopo, sarebbe di
certo morto di freddo.
“Dannazione.”
Bisbigliò Ryoga insultandosi mentalmente.
Si era perso di
nuovo, e pioveva a dirotto; ma almeno aveva l’ombrello.
Aveva lasciato
Ucchan davanti alle macerie di casa Saotome, ed era andato via in preda allo
sconforto: Akane e Ranma andavano d’accordo, la madre di lui era morta nel
terremoto e questo li avrebbe avvicinati. Mousse era fuori combattimento, non
aveva più né speranze né avversari.
Che valeva restare?
Per un attimo aveva pensato a come sarebbe stato rimanere accanto ad Ukyo, ma
scacciò il pensiero con un sorriso ironico: essere suo amico? Con il pensiero di
Ranma che li assillava entrambi? No, grazie.
Era cresciuto, aveva
maturato una consapevolezza adulta da quando aveva visto il bambino morto sotto
le macerie.
Piantò la tenda,
scaldò del riso e si addormentò.
Era di nuovo
solo.
E fuori imperversava
una vera e propria tempesta.
Ucchan e Shampoo
giunsero all’accampamento dove avevano lasciato Mousse e il dottor Tofu quando
era già mezzanotte passata.
Erano fradice,
sporche di fango e stanche.
Il dottore le vide
entrare, una ragazza pallida e una gattina, e scattò in piedi. “Santo cielo
ragazza mia, ma che fine avete fatto?!”
Vide l’espressione
disperata di Ukyo e tacque.
Lei cominciò a
singhiozzare, e un attimo dopo si era gettata tra le sue braccia
piangendo.
“Lacrime di coccodrillo…” Mormorò urtata Shampoo versandosi addosso
l’acqua calda.
Mousse dormiva e la
stufa era accesa, attaccata al generatore, scaldando parzialmente il tendone
sotto il quale Tofu aveva allestito il piccolo pronto soccorso.
Shampoo scaldò della
zuppa di miso e ne porse una ciotola ad una riluttante Ukyo.
“Devi mangiare! –
disse il dottore – Sei debole e influenzata, vuoi ammalarti per
caso?”
Lei annuì, e bevve
un sorso dalla ciotola, sentendo scendere in gola la minestra bollente,
sentendosi calda all’istante. Sulle guance le riapparve un po’ di
colore.
“Allora Ucchan –
iniziò Shampoo spazientita – mi vuoi spiegare cosa è successo al mio
Lanma?”
La ragazza si
accigliò. “Sua madre è morta, e Ranma non è tuo.”
Il dottor Tofu
trattenne un respiro alla notizia della morte di Nodoka, e Shampoo spalancò gli
occhi.
“Lo so che è morta,
ma come?”
“C’era solo una
lastra di pietra lì, io che ne so?! Sarà stato per via del terremoto, no!?
Stupida!”
“Stupida sei tu che
l’hai lasciato andare col maschiaccio!”
“Basta Shampoo!” Era
Mousse. Tutti si voltarono.
“Ma non stavi
dormendo?” Domandò lei spazientita.
Lui sorrise
amaramente. “Questa è la Shampoo che conosco, antipatica con
me e violenta con gli altri; sei rimasta con me oggi, ma adesso ti sei ripresa.
Sono felice che tu stia meglio.”
“Mousse…”
“Ukyo, hai ragione,
Ranma non appartiene né a te né a lei; appartiene solo a se stesso. E ad
Akane.”
L’amazzone si alzò
in piedi. “Io vado a cercarlo. Non mi importa quello che dici!”
“Ragazzi…”Cominciò
il dottor Tofu, ma Mousse lo interruppe.
“Shampoo, Ranma ha
appena perso sua madre, non ha bisogno dei tuoi capricci!”
“Mousse, fatti gli
affari tuoi!” Gridò lei indispettita.
Lui si tirò a
sedere, e la guardò dritta negli occhi. “Stavolta non ti fermerò, perché non
posso farlo; la mia vita è rovinata e non spererò più di poterti avere accanto,
perché ti intralcerei e basta. Ormai sono un invalido e non ti serve avere un
invalido al tuo fianco.
Ma lascia che gli
altri siano felici.
Fallo per il tuo
onore, perché da Ranma riceveresti solo un rifiuto!”
Ucchan era
sconvolta. Mousse che faceva la predica a Shampoo? Si era definito un invalido,
e le sembrava di aver capito che rinunciava a lei.
Cosa accadeva tra
quei due?
“Ranma! Ranma apri
gli occhi per favore, RANMA!”
Una voce.
Un volto conosciuto
pieno di preoccupazione.
“Ryoga…?” Mormorò
con la sua voce femminile.
Il ragazzo con la
bandana sospirò sollevato, e si lasciò cadere seduto.
“Santo cielo Ranma,
credevo che fossi morto! Ma che ci facevi fuori sotto la pioggia?! Lo sai che
hai un febbrone da cavallo?!”
La ragazza rossa si
accorse di essere avvolta in un sacco a pelo e in qualcosa come una decina di
coperte; era nella tenda di Ryoga, e una piccola teiera gialla scaldava sul
fornello elettrico.
Sorrise.
“E così mi hai
salvato la vita e ti sei anche preoccupato per me… Grazie P-chan!”
Lui incrociò le
braccia. “Ringrazia il cielo che sei malato, o ti avrei già buttato fuori! Non
chiamarmi mai più P-chan!”
Si voltò e prese la
teiera. “Acqua calda, bella fanciulla?”
A Ranma non sfuggì il tono
ironico, fece una smorfia e se la gettò addosso, godendosi il calore.
“Grazie amico!”
Gliela porse, e lui gli scoccò uno sguardo di traverso.
“Non sono tuo
amico!”
Lui sorrise, e si
distese nuovamente sotto le coperte. Gli girava la testa.
“Dimmi un po’ Ranma…
– cominciò Ryoga sul vago – dove hai lasciato Akane?”
“L’ho lasciata
andare.”
“COOOSA?!”
“Hai sentito bene.
Ieri mattina presto ho deciso che era meglio così. Non posso metterla sempre in
pericolo; la mia vita è troppo caotica, e lei non si merita tutto questo.” Si
rigirò sul fianco, aspettando le parole di trionfo di Ryoga.
Invece lui tacque
per qualche secondo, poi disse piano: “Come sei stupido Ranma…”
Il
ragazzo col codino si voltò, guardandolo attentamente con le palpebre socchiuse
e roventi.
“Sì, hai capito, sei
stupido! Pensi che soffra di meno lontana da te?! Pensi che le importi qualcosa
di tutto il marasma che ti crei attorno ogni volta che una delle tue fidanzate
ti corteggia?! Può esserne gelosa, soffrirne, questo sì, ma quando è lontana da
te Akane è molto più infelice!”
Lui lo guardò,
mormorò il suo nome una volta stentando a riconoscerlo, credendo che fosse la
febbre a dargli le allucinazioni.
“Non sto delirando
Ranma, solo… mi sono guardato attorno. Durante il terremoto ho vissuto dei
momenti orrendi, in cui ho creduto di impazzire! Intorno a me ho visto la
distruzione totale, la gente morire, le mie certezze crollare! L’unica che non
ha mai smesso di pensare a te un solo istante mentre il mondo le cadeva addosso
è stata Akane.
Mi ha fatto una
rabbia assurda, ma è così!”
Ranma si voltò. “Lo
so, sono un vigliacco. Così vigliacco da non riuscire neanche ad amarla senza
timore di far soffrire lei e gli altri. Ma come faccio?! Come posso sperare di
rimettere tutto al suo posto in un giorno solo?! Hai visto cosa è accaduto oggi!
Lei rischia la vita ogni giorno con me accanto! Forse col tempo si sistemerà
tutto, ma non subito. Subito è impossibile!”
Ryoga si rilassò: il
suo dovere l’aveva fatto, a che serviva lottare?
“Mi dispiace per tua
madre, e per quello che è accaduto.” Mormorò.
“Va tutto bene –
disse Ranma – tu hai solo cercato di mettere pace.”
Lui alzò le spalle.
“Bè… buonanotte Ranma.”
“Buonanotte
Ryoga.”
L’alba faceva
capolino timidamente, impedita dalla pioggia, e i due amici-nemici si
abbandonarono al sonno come due soldati stanchi di combattere.
Da tutt’altra parte,
Akane piangeva per il suo amore nuovamente perduto.
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Capitolo 13 *** Imprevisti ***
Cap.13
IMPREVISTI
Ryoga si era perso
di nuovo e il cielo minacciava pioggia.
O neve.
“Dannazione!”
Sibilò. “Eppure stavolta credevo di essere vicino…!”
Poi la vide da
lontano: aveva la divisa della scuola, e davanti a lei c’era una fila di camion
carichi di legname ed altro materiale. La sua casa era quasi completata
ormai.
Lei si girò: il suo
volto era pallido, ma appena lo vide accennò un sorriso. “Ryoga!
Ciao.”
Il ragazzo le si
accostò. “Come stai Akane? Vedo che Kuno ha mantenuto la sua promessa: casa tua
è come nuova.”
“Già – Akane tacque
per un po’ – Notizie di Ranma?” Chiese infine.
Lui si tolse lo
zaino e sospirò. “L’ho visto ieri, e dice che parlerà con Ucchan in questi
giorni… tornerà, vedrai!” Le pose una mano sulla spalla, e la ragazza gli
sorrise.
Erano passate due
settimane da quando Ranma l’aveva lasciata nella tenda, e aveva mantenuto i
contatti con lei tramite Ryoga.
Voleva riflettere
bene sul da farsi, infine aveva trovato gli argomenti e le parole giusti da dire
ad Ukyo e a Shampoo.
Il ragazzo perduto
aveva acuito i sensi, era riuscito a fare da spola trai due senza perdersi
troppe volte ed aveva tratto dai suoi viaggi l’allenamento di cui aveva
bisogno.
Shampoo si era
ritirata in Cina e aveva trovato un chirurgo che curasse Mousse; in una lettera
annunciava che il medico, amico e collega fidato del dottor Tofu, l’avrebbe
rimesso come nuovo. Lei sarebbe tornata a giorni, da sola, per riprendersi Ranma
e il ragazzo col codino sapeva che sarebbe stata dura parlarle, ma che era
necessario.
Akane seguì lo
sguardo di Ryoga. “Vanno d’accordo quei due, eh?”
Lei sorrise. “Già.
Credo che alla fine si metteranno insieme!”
Nabiki e Kuno
parlavano animatamente dei lavori in casa Tendo, dei costi, dei materiali, e
pareva si capissero a meraviglia. Sembrava impossibile!
“So che anche Ucchan
sta ricostruendo il ristorante.” Disse Akane.
Ryoga arrossì un
poco. “Già, è un po’ che non la vedo… credo che farò un salto da lei. Magari
spiano un po’ il terreno a Ranma.”
La minore delle
Tendo lo guardò con affetto. “Grazie per quello che stai facendo per me e Ranma,
sei un vero amico!”
Il ragazzo abbassò
il capo, in imbarazzo. “Non avrei mai creduto di poterlo fare… io ho sempre
odiato Ranma. Lo faccio per te, so quanto tieni a lui.”
“Oh
Ryoga…”
L’eterno disperso rifletté per un istante, come prendendo una
decisione, poi si voltò di scatto verso di lei fissando i suoi occhi color caffè
e i capelli scuri un po’ allungati; si sentì come annegare per un attimo, poi
buttò là la domanda: “Tu lo ami?”
Lei spalancò gli occhi, un po’ a
disagio, e lui le prese le mani con fare accorato. “Io… devo saperlo! Devo
sapere se... sperare ancora oppure… dimmelo Akane, ti prego!”
“Ryoga
tu…?!” Indirettamente le aveva rivelato i suoi sentimenti e lei si sentì
turbata; ne era davvero sorpresa? Aveva sospettato qualcosa, ogni tanto, ma ora…
detto così…
Prese un respiro
profondo: quello che contava adesso era dirglielo, per spezzare la catena degli
equivoci e delle incertezze per sempre.
“Sì… io… lo amo,
Ryoga.”
Lui annuì. “Immaginavo…” Mormorò. “Bene, grazie. Ora posso andare
via tranquillo.”
Lei notò la sua
delusione velata, e si sentì un po’ in colpa.
Ryoga si voltò.
“Addio Akane…”
Senza guardare dove
andava, cominciò a camminare velocemente, sentendo i resti del suo mondo
cadergli addosso come non gli era capitato neanche durante il
terremoto.
Poi sentì la sua
voce argentina che lo chiamava; si voltò e la vide: Akane lo stava chiamando, lo
stava quasi rincorrendo!
Possibile? Forse
lei aveva cambiato idea, forse sentiva qualcosina per lui, anche se piccolo
piccolo, forse…
“Akane…” Bisbigliò
quasi con le lacrime agli occhi.
“Ryoga – ansimò - Ti
perderai se vai solo; ti accompagno se vuoi.”
Le stelle che si
erano accese nella sua testa scomparvero e Ryoga si insultò, dandosi mentalmente
dell’idiota: ma che era andato a pensare, in nome del cielo?
“Bè… si,
grazie.” Si sentì imbarazzato, ma le camminò al fianco fino al nuovo chiosco di
Ukyo.
Nessuno dei due poteva sapere che Ranma era dentro con lei.
Ukyo sentì le
lacrime salirle agli occhi e scosse la testa, incredula. “Povero papà!”
Mormorò.
Ranma le porse un
fazzoletto e ricominciò. “La pistola l’ho gettata trai rovi… non volevo neppure
vederla e così non ho nemmeno pensato che tu non potessi volerla per
ricordo.”
La ragazza sorrise. “La mia spatola è il suo ricordo. Comunque
ti ringrazio di avermelo detto tu, non lo avrei sopportato se fosse stato
qualcun altro.”
“Mi sento così in
colpa… ma la verità è che io ti proteggerò e ti sarò sempre amico,
Ucchan.”
Lei gli si gettò fra le braccia. “Oh Ranma!” Pianse.
“Bè, è carino!
Meglio dell’altro direi!” Commentò Akane.
Ryoga sentì una
voce. “Sembra che Ucchan abbia visite…”
Lei lo guardò. “E’
vero, ho sentito anch’io! Chi mai…?!” Poi si gelò.
“Akane?
Cosa…?!”
“E’ Ranma – deglutì
– è la voce di Ranma.”
“Ucchan… io devo
dirti una cosa…” Cercò di parlare, ma lei gli si stringeva al torace come se non
volesse lasciarlo più.
“Ranma, resta con
me! Non lasciarmi, io ti amo!”
“Ucchan…”
S’interruppe:
alzando la testa vide Akane e Ryoga che li spiavano attraverso il
vetro.
“Oh mio…!”
Mormorò.
Ukyo alzò il volto
umido di lacrime verso di lui, con aria interrogativa. Poi si voltò e li vide
anche lei: Akane era bianca come un lenzuolo.
Scelse quel momento
per afferrare il volto di Ranma e pigiare le proprie labbra contro le
sue.
Akane mandò un
singhiozzo strozzato, e Ryoga fracassò il vetro con un pugno, facendo risuonare
la stanza di un rumore infernale.
“Bene!” Esclamò
trionfante. “E’così che pensi ad Akane, razza di dongiovanni da
strapazzo!”
Ranma scostò
leggermente la ragazza castana da sé. “Io… non è come pensate!”
Akane lo
guardò di traverso. “Le solite scuse – sibilò – credevo che mi avessi detto la
verità, che mi amassi! CREDEVO CHE FOSSI CAMBIATO!”
Il silenzio cadde su
di loro come un presagio.
“Akane…” cominciò il
ragazzo col codino disperato.
“ZITTO!” Gli intimò
lei. “Ti serviva del tempo per sistemare le cose, eh?! PER FARE CHIAREZZA! BE’
SAI CHE TI DICO, RANMA SAOTOME?! CHE PIU’CHIARO DI COSI SI MUORE!”
Lui le si avvicinò e
cercò di spiegarsi, ma lei gli sibilò contro come una tigre inferocita. “NON MI
TOCCARE!” Gridò. “Vorrei non averti mai cercato, vorrei… essere morta in quel
terremoto!”
Il ragazzo alzò il braccio per colpirla, ma Ryoga lo bloccò.
“Che vuoi fare, Ranma, schiaffeggiarla? Sei impazzito?!”
Lui liberò il
braccio con un gesto di stizza. “Fatti gli affari tuoi Ryoga Hibiki! Mi avete
stufato tutti quanti! E’ stata lei a baciarmi, maledizione, è stata lei! Akane è
la mia fidanzata e se tutti quanti vi foste fatti gli affari vostri fin
dall’inizio non saremmo a questo punto!”
Saltò attraverso la
finestra rotta ma, prima di fuggire via, si voltò verso un’Akane scioccata.
“Grazie per esserti fidata di me anche questa volta!” E se ne andò.
Lei rimase inebetita
a vederlo scappare via e Ryoga si accostò ad Ucchan, che seguiva la scena con
gli occhi spalancati. “Brava! – le disse piano – Vedo che baciare uno o l’altro
non ti fa molta differenza!”
La ragazza staccò
gli occhi dal punto che stava fissando per guardare Ryoga, incredula. Ma, prima
che potesse dire qualcosa, lui se n’era già andato via con Akane.
L’eterno disperso
non sapeva perché avesse detto quelle parole, non sapeva nemmeno se lei
ricordasse quel bacio dato un mese prima, ma improvvisamente si era sentito in
dovere di ferirla come lei aveva fatto con Akane; si sentiva addirittura…
geloso!
Che diritto aveva
avuto quella stupida di lasciarsi baciare da lui come fosse stato il sostituto o
il ripiego di Ranma? Se lo amava tanto, perché aveva risposto al suo bacio? Gli
sembrava di ricordare che aveva detto che era bello, che voleva baciarlo di
nuovo!
Mah, certo che la
paura di quei giorni aveva fatto brutti scherzi! Comunque ora doveva pensare
solo ad Akane, a consolarla, poi avrebbe cercato Ranma e lo avrebbe preso a
pugni finché non gli si fosse gonfiata tutta la faccia!
Lo odiava… Dio, se
lo odiava!
Ranma se ne stava
accovacciato in riva al fiume, abbracciandosi le ginocchia con rabbia
“Dannazione!” Sibilò a denti stretti. “Va a finire sempre così! E io che ero
tornato per fare chiarezza con tutti!”
Dietro di lui udì un
fruscio, e credette che Ryoga fosse lì per fargli la predica un’altra
volta.
“Ryoga per piacere,
non sono in vena!”
Ma non era
lui.
Voltandosi, si
ritrovò perso negli occhi appena umidi di Akane, quegli occhi tristi che gli
spezzavano il cuore in due.
“Mi… dispiace,
Ranma.” Bisbigliò lei con una vocina che gli sciolse le viscere.
Il ragazzo si alzò:
erano tre settimane che non la vedeva, e il bisogno di abbracciarla faceva male
in modo quasi fisico. La strinse a sé, sentendo i suoi singhiozzi rombargli nel
petto al ritmo del proprio cuore, e affondò il viso tra i capelli profumati di
lei.
Poi le alzò il viso
e fissò i suoi occhi color caffé, così grandi e sinceri.
Le tenne il mento
con due dita gentili e Akane rabbrividì al suono dolce della sua voce. “Mi
dispiace Akane, non volevo colpirti: non l’avrei mai fatto.”
“Lo so.” Disse lei
con voce rotta. “Lo so…”
“Ti amo Akane Tendo.”
“Oh Ranma! –
Esclamò affondando il viso nel suo torace – Anch’io ti amo Ranma, ti prego, non
lasciarmi più! Ti prego rimani con me!”
Lui la strinse
contro di sé, il cuore che gli galoppava nel petto. “No Akane, non ti lascerò
più.” Disse deciso. “Ora so cosa fare.”
Nascosto da un
albero vicino, Ryoga osservava la scena e nuove lacrime di dolore gli punsero
gli occhi.
Era di nuovo
solo.
Ukyo aveva detto di
essere sua amica, ma non le credeva.
E P-chan non sarebbe
più potuto entrare in scena: non ora che lei e Ranma…
Allora fuggì, e
quasi si scontrò contro una ragazza dai capelli color lavanda.
“Mi scusi… SHAMPOO?!
Sei tu?!”
“Sono tornata, e
quello che ho visto non è piaciuto neanche a me! – Poi fece un sorriso cattivo.
– Ma rimedieremo…”
Lui si accigliò.
“Che intenzioni hai, Shampoo?! Li hai già divisi una volta, non
vorrai…”
Non poté finire la
frase, perché Shampoo gli aveva spruzzato qualcosa sul viso, qualcosa che
sapeva… di menta? Di etere? Di alcool? Qualsiasi cosa fosse, Ryoga svenne pochi
istanti più tardi, ma udì distintamente le parole sibilate
dall’amazzone: “Uccidere il nemico!”
Ukyo chiuse la porta
della sua camera; fuori nevicava, e l’aria filtrava dalla finestra rotta gelando
la casa.
“Stupido Ryoga!”
Disse avvolgendosi in un’altra coperta e rabbrividendo lo stesso.
Ma cosa gli era
saltato in mente di ricordarle quel gesto, quel bacio stupido come se fosse
stato geloso?! Non significava niente, loro erano amici, punto e
basta!
Ma allora come mai
le era piaciuto, lì per lì? Mah, sicuramente aveva pensato a Ranma e si era
illusa di baciare lui.
No, non pensava a
Ranma, non in quel modo almeno; ricordava di essersi sentita abbandonata e di
aver pensato… a tradirlo? A fargli dispetto? No, a lui non sarebbe importato chi
baciava, lui pensava solo ad Akane!
“Mi ha sempre
abbandonata per lei.” Rifletté.
Ricordò il bacio che
gli aveva rubato qualche ora prima, e mentalmente cominciò a fare la differenza
con quello dato a Ryoga.
Oh, naturalmente non
c’era paragone! Ranma era colui che amava, e il suo bacio…
“Lui non lo voleva.”
Bisbigliò.
Era stato bello, ma
freddo, perché lei provava il brivido del contatto e lui no; non c’era risposta,
non c’era calore come nel bacio dato a Ryoga.
Sicuramente quello
stupido che si perdeva sempre stava pensando ad Akane mentre la baciava ma,
chissà perché, in fondo al suo cuore sapeva, sperava, che non fosse così.
Avrebbe voluto che quel bacio fosse solo per lei.
Lei, che non era mai
stata amata né desiderata da nessun uomo, se escludeva quei due pazzi travestiti
di Tsubaza e Konatsu…
Mentre pensieri
contraddittori le affollavano la mente, un rumore forte al piano di sotto
risuonò per tutta la casa, e lei si irrigidì.
“I ladri!” Pensò.
“La finestra è rotta e sono entrati i ladri!”
Inghiottì un groppo
di paura che aveva in gola, sgusciò fuori dalle coperte e afferrò saldamente la
sua spatola gigante.
I suoi piedi nudi
scricchiolavano appena sul legno del pavimento e lei li sentì insensibili per
via del freddo.
Tremando di paura e
di gelo si avvicinò alle scale, scendendole ad una ad una con i denti stretti e
il respiro affannato che le si condensava davanti agli occhi.
Qualcuno era
raggomitolato davanti all’entrata, immobile.
Ukyo accese la luce
e gettò via la spatola, riconoscendolo: era Ryoga, e sembrava quasi morto dal
freddo.
Quando Akane e Ranma
tornarono a casa, trovarono un biglietto sulla porta della cucina.
Diceva:
“Siamo andati tutti nella nuova
tenuta di casa Kuno; là c’è un magnifico condizionatore d’aria calda, e le
finestre sono impermeabili alla neve.
Se volete raggiungerci ci sono
due posti anche per voi.
Firmato:
Papà, Kasumi, Nabiki, e
Genma”
“Ah, che
freddolosi!” Esclamò Ranma stizzito. “Akane, vuoi andarci?”
Lei scosse la testa.
“Fuori c’è una vera e propria tormenta di neve, vuoi morire
congelato?”
“Hai ragione!
Accendiamo la stufa e rimediamo un po’ di coperte, io vado a vedere se ci hanno
lasciato della cena in caldo.”
La ragazza annuì, e
lanciò uno sguardo alla finestra: la neve cadeva impetuosa sotto l’azione di un
vento gelido, e sembrava non voler smettere per lungo tempo.
L’inverno era
proprio arrivato.
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Capitolo 14 *** Ritrovarsi ***
Ringrazio tutti coloro che mi hanno commentata inducendomi a continuare con gli agiornamenti. Grazie a tutti.
Mi faccio anche pubblicità se permettete: nella serie Dragon Ball troverete una mia lemon one-shot sulla coppia Bulma/Vegeta intitolata Under the Moon, che avrà presto un seguito.
Alla prossima!
L'autrice
Cap.14
RITROVARSI
Ryoga delirava e si
agitava tra le pesanti coperte di lana che Ukyo gli aveva gettato
addosso.
Gli tolse il
termometro dalla bocca prima che lo mordesse, in preda agli incubi, e lo lasciò
quasi cadere quando lesse che la temperatura arrivava a quarantuno.
“Santo cielo, se va
avanti così morirà!” Esclamò. Allora ebbe un’idea: da qualche parte aveva letto
che per abbassare una febbre particolarmente alta e resistente si doveva bagnare
il paziente con acqua fredda per abbassare la temperatura corporea in modo
veloce e sicuro.
Così corse in bagno,
riempì la vasca di acqua gelida e lo trascinò dentro: P-chan ne uscì
scrollandosi e tremando.
Ukyo lo afferrò, lo
avvolse in una coperta e gli ficcò il termometro trai denti. “Fermo lì Ryoga,
devo vedere se ha fatto effetto!”
Ma il ragazzo
continuava ad agitarsi, così lei gli buttò addosso l’intera teiera. “Insomma
cosa c’è?!”
Lui rabbrividì, si
tolse il termometro dalla bocca e la afferrò per le spalle.
“Ma che fai?!
Ryoga…?” Chiese Ukyo imbarazzata.
“Akane è in
pericolo!” Gridò in preda al panico e gettando la ragazza nella più totale
confusione.
Ranma e Akane si
erano avvolti in tutte le coperte che avevano trovato e guardavano la neve
comodamente accucciati sul divano.
Erano così vicini
che potevano percepire l’uno il respiro dell’altra.
Akane era felice:
Ranma le aveva promesso che avrebbe parlato con Ukyo il giorno dopo, e le aveva
permesso di accompagnarlo; con la sua fidanzata davanti, la cuoca di okonomiyaki
non avrebbe fatto nulla di insolito e Akane l’avrebbe convinta a sua volta che
il ragazzo non l’amava.
Sapeva come era
morto suo padre, ma non le avrebbe permesso di prendersi Ranma con la scusa di
una promessa che lui, in realtà, non le aveva mai fatto seriamente.
No, Ranma era suo, e
Ukyo poteva esserle solo amica!
L’unica cosa di cui
il ragazzo col codino si preoccupava era Shampoo: lei era così testarda!
Sembrava essersi avvicinata a Mousse, dopo l’incidente, ma poi era tornata ad
essere quella di sempre, prepotente e arrogante, pronta a fare qualsiasi cosa
per rubarlo ad Akane.
Ma non glielo
avrebbe permesso. Mai!
Non ora che lui ed
Akane erano così vicini.
All’improvviso la
luce mancò, e i due furono immersi nell’oscurità.
“Ranma…?” Akane
sentì la mano di lui stringerla più forte nel buio.
“Va tutto bene. Hai
paura?”
“Se sono con te
no.”
Parlavano a
bassa voce, quasi temessero di rompere un incanto fatto di buio e di
calore.
Lui aumentò la
stretta e Akane cercò a tastoni il suo viso per baciarlo; quanto le era mancato!
Ora poteva sentire il suo respiro caldo sulle proprie labbra e il suo profumo
maschile drogarle i sensi con una tenera euforia.
Con dolcezza, lui le
passò le mani tra i capelli, accarezzandole dolcemente le tempie, ravviandole
piano le ciocche, guardandola nel buio.
Lei quasi lo imitò,
portando le proprie mani dietro al collo di Ranma, giocherellando con la sua
treccia, studiando le reazioni di entrambi.
Poi, come per un
tacito accordo, si lasciarono cadere sul divano, lui su di lei.
“Akane…” Cominciò
lui in imbarazzo.
Lei sorrise e gli
mise un dito sulle labbra. “Sssst! Va tutto bene.”
“Sei sicura di
volerlo Akane?” Bisbigliò Ranma soffiandole alito caldo sulle labbra.
“Vuoi forse dire che
non ti piaccio?” Lo stuzzicò lei.
“Non è questo
stupida! E’ solo che…”
“Che cosa? Parla Ranma!”
“Tu sei sempre
così forte e decisa, ma talvolta… mi sembri così fragile Akane, come un
soprammobile di cristallo, e io ho timore di ferirti…”
“Le parole che mi
hai detto oggi mi hanno riparata da tutte le incrinature che la vita mi ha
dato.
Ricostruiremo il
dojo, Ranma, e lo gestiremo noi! Sei ancora il mio fidanzato, non te lo
scordare, e io… io non voglio perderti.”
Lui spalancò gli
occhi. “Vuoi dire che… mi sposerai?”
Lei gli sorrise
dolcemente. “Se tu me lo chiederai…”
Ranma si schiarì la
gola. “Mi vuoi sposare Akane Tendo?”
“Sì… lo voglio!”
“Akane… oh
Akane…!”
Ogni dubbio fu
spazzato dalle loro menti e, la bufera di neve e il gelo furono dimenticati da
entrambi.
“COOOOSA?! Un
congelante?!”
Ryoga le tappò la bocca con una mano rovente per la febbre
ancora alta.
“E non urlare, ti ho
detto che non so come funziona, ma so che quando me l’ha gettato addosso ho
sentito freddo come se fossi stato nudo dentro a un freezer!”
Ukyo si portò un
dito sulla tempia, riflettendo. “Quindi questo significa che se fuori ci sono
due gradi sottozero chi ne viene a contatto ne avverte almeno venti di meno… ma
è terribile!”
Lui annuì. “Già, e
ho la sensazione che voglia provarlo su Akane!”
Lei si alzò in
piedi. “Vuole ucciderla!”
L’eterno disperso assunse un’espressione grave
e Ukyo dichiarò: “Non può ucciderla per prendersi Ranma, non è giusto che
ricorra a questo per conquistarlo! Lo renderebbe solo infelice!”
Si
accorse dello sguardo felino di Ryoga e arrossì. “Parla quella che lo ha
sbaciucchiato proprio davanti ad Akane!” Le ricordò.
“Ma almeno io ho
usato metodi leali!”
Lui stava per ribattere qualcosa, ma Ukyo lo bloccò.
“Vado io a dirlo a Ranma, tu sei troppo malato!”
Ryoga si alzò, con
la coperta ancora avvolta intorno. “Tu vuoi dirlo a Ranma sperando di
accattivarti la sua gratitudine e magari avvicinarlo a te! Non sei proprio
cambiata!”
Lei lo guardò con
rabbia. “Ma che vuoi, non ti importa più che stia con Akane?! Se la ami così
tanto…!”
“…la amo così tanto che voglio la sua felicità! Ma se l’hai
detto un attimo fa?! Separando quei due non faresti altro che la loro
infelicità! Vuoi rendere il tuo Ranma infelice per il resto della sua vita?!
E’così che dici di amarlo?! Proprio come Shampoo?!” Gli occhi di Ryoga erano di
fuoco, e Ukyo si ritrasse.
Stavano urlandosi in
faccia, ed erano praticamente naso a naso.
“Ma io…” Farfugliò
meno convinta Ucchan ritraendosi.
Lui le gettò una
coperta sulle spalle e la tirò via. “Avanti, andiamo a salvare Akane!”
E
lei non poté fare a meno di seguirlo.
La tormenta di neve
non accennava a diminuire e, con tutte le coperte addosso, Ryoga e Ukyo si
sentivano gelare.
“Se andiamo avanti
così moriremo assiderati!” Urlò lui per sovrastare il vento.
Ucchan si voltò a
guardarlo, schermandosi dal vento con le mani. “Tu sei ancora malato! Sentirai
più freddo di me!”
“Ho un’idea!” Disse
Ryoga all’improvviso e, prima che lei potesse capire, l’aveva afferrata
saldamente e stava saltando attraverso i tetti, quasi sovrastando la
tormenta.
Ukyo sentì le
braccia muscolose del ragazzo stringerla forte, e il suo petto caldo e pulsante;
era una sensazione così bella e calda!
“E’ proprio come il
mio Ranchan…” Bisbigliò senza accorgersene.
Lui si abbassò a
guardarla. “Cosa? Hai detto qualcosa Ucchan?”
“No no! Solo che
forse ci servirebbe la mia torcia. – Si frugò nelle tasche della tenuta. –
Eccola qua!”
“Bene! – esclamò lui – dirigila davanti a noi in modo che…
AAAAHHHH!”
Ryoga scivolò, la
neve gli fu fatale, ed entrambi urlarono.
Con un fracasso
infernale precipitò attraverso il tetto sul quale si trovava, alzando neve e
nugoli di polvere.
Ukyo, che a malapena
aveva capito cosa stava accadendo, si rialzò quasi indenne, con un vago dolore
al fondoschiena e istintivamente puntò la torcia davanti a sé.
“Ryoga, dannazione,
cosa diavolo…?!”
Quello che vide la
lasciò senza fiato.
Senza accorgersene
erano precipitati proprio a casa Tendo (era stata appena ricostruita e già il
tetto era da riparare!); Ukyo si era appena resa conto che Ryoga non si era
perso quel giorno, ma lo stupore lasciò presto spazio ad una grossa
delusione.
L’eterno disperso,
dal canto suo, aveva lasciato cadere la mascella in una buffa espressione di
sorpresa e gli occhi parvero volergli uscire dalle orbite.
Akane e Ranma erano
davanti a loro, sul divano, semisvestiti, e stavano amoreggiando tra un mucchio
scomposto di coperte.
Si guardarono quasi
per un minuto intero, quattro paia d’occhi spalancati e fissi.
Poi Ryoga puntò un
dito verso loro due e balbettò: “T… tu… voi… cosa… ?! RANMA
SAOTOMEEEEEE!”
Ukyo lo guardò e,
come se nei suoi occhi avesse trovato dei suggerimenti, cominciò a strillare
anche lei verso la coppia. “Ranma! Non avrei mai creduto che tu… Akane! Non me
lo sarei mai aspettato da te…!”
I balbettii di Ryoga e gli strilli
esasperati di Ucchan si sovrapposero, e si confusero nelle frasi arrancanti di
Ranma ed Akane che si nascondevano furiosamente sotto le coperte come se così
potessero cancellare delle prove.
Il ragazzo col
codino gesticolava alla cieca. “Io… noi… non è come pensate!” La sua fidanzata
lo imitava alla perfezione. “Giuro… n… noi… lui… io…!”
Accorgendosi che
stavano parlando tutti assieme, infine tacquero di colpo,
all’unisono.
Ukyo prese un
respiro per calmarsi e disse con voce quasi calma: “Ok, ricomponiamoci e vediamo
di ragionare. – indicò la ragazza dai capelli corti con le guance in fiamme –
Akane, tu sei in pericolo… Ryoga, tu sei malato, vatti a fare un bagno caldo o
ci rimetti le penne.”
Ranma lo guardò con
aria interrogativa. “Malato?”
Akane si indicò con
l’indice. “Io sono in pericolo?”
Ryoga sospirò, poi
si alzò in piedi e si grattò la testa. “Ok, finché stiamo in queste condizioni
non sarà facile capirsi. Voi due – li indicò evitando di guardarli – rives… ehm…
ricomponetevi e raggiungeteci in cucina. Poi parleremo.”
Akane afferrò la sua
camicetta e, avvolta da una coperta, corse in camera sua; Ukyo fece un cenno a
Ryoga, e la seguì.
Ranma continuava a
fissare il ragazzo con la bandana. “Bè? Che c’è, hai paura che ti uccida?” Il
ragazzo col codino scosse la testa vigorosamente.
Ryoga lo guardò di
traverso, e prima di voltarsi gli disse acidamente. “Rimettiti i pantaloni
Saotome, abbiamo da discutere io e te.”
Lui scese dal
divano, urtato. “Guarda che ce li ho i pantaloni, idiota! E non dire frasi
fatte, cosa ti sei messo in testa?!”
Ryoga si portò una
mano alla nuca, imbarazzato. “Meglio così. – si disse – Molto meglio
così.”
Akane si tolse la
gonna leggera e si infilò il paio di pantaloni più pesante che aveva; il gelo
non risparmiava l’interno della casa ora che il tetto era bucato. Poi sentì
bussare.
“Chi è?!”
Sussultò.
“Sono Ukyo, posso
entrare?”
“Sì!”
Quando entrò e vide
Akane con un maglione in mano la squadrò. “Da quanto non porti il
reggiseno?”
Lei arrossì furiosamente e si infilò il maglione. “Io… l’ho
lasciato…”
“...di sotto?” Fece lei maligna.
“Ukyo…” Cominciò
pazientemente, ma la ragazza castana alzò una mano per farla tacere.
“Non importa, non
siamo venuti per spiare i vostri amoreggiamenti: Shampoo ha un’arma nuova, e tu
sei davvero in pericolo!”
Lei si sedette sul
letto. “Cosa vuole ora, perché non ci lascia in pace?!”
Ucchan la raggiunse.
“Forse teme che Ranma possa essere infelice con te.”
“Ucchan!” Esclamò
lei urtata.
Lei tacque per un
po’, giocherellando con le dita, poi chiese timidamente: “Cosa è successo prima…
quando noi…?”
Akane si voltò. “Non
sono affari che ti riguardano! Ranma è il mio fidanzato e io e lui possiamo…
fare quello che vogliamo senza dare conto a nessuno!” Tacque, sorpresa dalla
propria determinazione.
Ukyo la guardò con
tanto d’occhi e lei sostenne il suo sguardo.
Poco a poco la
determinazione della ragazza con la spatola si affievolì e le speranze di
riavere Ranma si spegnevano sempre più miseramente.
Bisbigliò qualcosa,
ma Akane non la sentì. “Cosa?”
“Ho detto: FALLO
FELICE!”
“Ukyo…?!”
“Dimmi una cosa Akane… tu lo ami? Ricambi il suo
amore?”
Lei arrossì lievemente. “Sì io… io lo amo.”
“Bene!” Ukyo si alzò
e, dandole le spalle, disse. “Se non lo farai felice, Akane Tendo, giuro che mi
alleerò con Shampoo e ti perseguiterò per il resto della tua vita! Sono stata
chiara?!”
Lei annuì, incapace di trovare altre parole.
Ryoga era immerso
nel vapore di un bagno caldo e Ranma sedeva sull’orlo della vasca.
Nessuno dei due
aveva ancora parlato e fu il ragazzo col codino a rompere il ghiaccio “Ryoga…
voglio che tu sappia che non ho fatto nulla ad Akane… nulla contro la sua
volontà. E comunque non abbiamo fatto nulla che ti suggerisca la tua fervida
immaginazione!”
Lui fece un
sorrisetto amaro. “Lo spero bene Ranma: in quel caso ti avrei fatto a
pezzi.”
Lo guardò di sottecchi. “Credevo che avessi rinunciato ad
Akane…”
“E questo che significa?! Pensi che mi faccia piacere vederla tra
le braccia di un altro adesso?! Pensi che io abbia rinunciato a lei perché…
perché non l’amo più?!”
L’eco delle sue parole si perse nel silenzio,
rotto solo dallo sgocciolio di un rubinetto e dal vento impetuoso dietro i
vetri.
“Mi dispiace Ryoga.
– mormorò Ranma – Io… io non sapevo quanto tu soffrissi quando venivi ad
informarci delle nostre vite, durante questo mese.”
“Almeno ho migliorato
il mio senso dell’orientamento. Ranma, io lo so che Akane ti ama, ed è stata la
sua confessione a spingermi a questa decisione.”
“Lei ti ha
detto…?!”
“Sì Ranma. Oggi le ho parlato di qualcosa riguardo i miei veri
sentimenti, e lei senza alcuna esitazione mi ha detto di amarti. Ho perso,
Ranma, Akane è definitivamente tua.”
L’artista marziale
scorse le lacrime negli occhi del suo amico e scosse la testa. “Ryoga, io la
renderò felice anche per te. Te lo giuro.”
Lui sorrise tristemente. “Va
bene così, Ranma, lo so. Ma mi ci vorrà del tempo per dimenticarla; non posso
deciderlo da un giorno all’altro.”
“Lo so.”
Mentre i quattro si
chiarivano davanti alla stufa accesa nel salotto di casa Tendo, Shampoo si
trovava dietro i vetri di casa Kuno cercando uno spiraglio da cui
entrare.
“Maledizione! –
bisbigliò – Questa casa è così grande! Dove sarà la stanza giusta?”
Il suo alito si era
addensato su un vetro e lei lo cancellò con un gesto distratto della mano; poi
guardò dentro e sorrise.
Bussò leggermente e
la ragazza con la coda di cavallo si avvicinò alla finestra.
L’amazzone vide le
sue labbra muoversi, ma non udì alcun suono, e fece un gesto spazientito con la
mano.
Allora l’altra
ragazza guardò in aria, esasperata, ed aprì un’anta.
“Che cosa vuoi a
quest’ora e con questo tempo, Shampoo?!”
Lei sorrise. “Vieni con me
Kodachi, ho un piano per sistemare definitivamente Akane Tendo!”
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Capitolo 15 *** La Trappola ***
Cap.15
LA TRAPPOLA
“Quindi secondo te
Shampoo vuole far fare ad Akane la fine di Ryoga!” Chiese Ranma.
Ukyo annuì. “Temo
che voglia usarne una dose più massiccia: con Ryoga ha usato solo una minima
parte per avvertirci degli effetti. Se ne usasse di più… nessun bagno, né freddo
né caldo, potrebbe salvarla.”
Akane avvertì un brivido. “Domani avremmo
dovuto parlare con lei e… con voi.”
Tutti
tacquero.
“Ci dispiace di
essere piombati in quel modo, in quel momento…” Mormorò Ryoga.
“Bè l’avete fatto
per uno scopo nobile, e poi non è successo nulla di quello che voi immaginate!”
Protestò Ranma.
“Davvero! –
s’intromise Akane in imbarazzo – Noi eravamo solo… solo…”
“Va bene, va bene. –
minimizzò Ucchan – La prossima volta avrete tutto il tempo per stare
soli!”
“Ma che dici?!”
Gridarono i due all’unisono.
Ryoga li interruppe
bruscamente: “Zitti! Ascoltate.”
Fuori, una finestra
cigolava.
“Vuoi ibernare Akane
Tendo?!” Gridò Kodachi nella bufera.
“Ma no, stupida!
Quello era solo un modo per ingannarla! Lei crederà che io voglia versarle
addosso la boccetta di liquido magico, invece faremo di meglio.”
La rosa
nera guardò Shampoo di traverso.“Faremo? Cosa ti fa pensare che io voglia
aiutarti?!”
L’amazzone assunse
un’aria di sfida. “Vogliamo o no entrambe che Lanma sia libero da ogni legame
con quella mocciosa?!”
Kodachi sorrise.
“Sta bene, dimmi che dobbiamo fare.”
“La sua famiglia è
tutta a casa tua, non è vero? Quindi lei sarà sola a casa con Ryoga e Ucchan,
che sono corsi ad avvertirla e con il mio Lanma, giusto?”
“Tuo?!”
“Va bene, va bene,
con Lanma… Ora: il piano è semplice: mentre tu distrai…”
Le sue parole le
seppe solo il vento.
“E’ Shampoo, ci
scommetto la mia spatola!” Mormorò Ucchan.
Ryoga si volse verso
Ranma “A te non farà del male, valle incontro e fermala!”
Lui annuì, e si
avviò verso la finestra; l’unica luce era quella di un paio di candele e del
riflesso bianco della neve che turbinava nel vento. Il ragazzo col codino
avvertì solo il rumore incessante e il gelo.
“Shampoo, sei tu?”
Chiese alla sagoma fuori dal vetro. Nessuno rispose.
“Shampoo, non fare
la sciocca, ti vedo anche al buio, sai?” Per un attimo Ranma dubitò che fosse
davvero lei: c’era qualcosa, nella sua sagoma, che non gli quadrava.
Si avvicinò ancora
un poco, trattenendo il respiro; se qualcuno era in vena di scherzi lui
gliel’avrebbe fatta pagare.
La finestra si aprì
e, del viso sconosciuto, Ranma vide solo gli occhi: il resto era celato da una
lunga sciarpa di lana. Poi la neve l’accecò e lo spruzzo di una strana sostanza
gli annebbiò i sensi.
La ragazza lo prese
tra le braccia e si accucciò in un angolo con lui. “Sssst… ora dormi mio caro
Ranma, fra un po’ sarà tutto finito.”
Prima di perdere i
sensi, Ranma riuscì a pronunciare solo un nome: “Kodachi…!”
Ryoga voltò la testa
di scatto. “La finestra…! Ranma l’ha fatta entrare!”
“Calmati Ryoga,
vorrà farla ragionare senza fretta!” Suggerì Ucchan.
“Già! Vedrai che
lui… - Akane s’interruppe, impallidì e si portò una mano alle labbra tremanti -
Oh mio…!”
“Akane? Cosa…!?”
Ukyo e Ryoga si voltarono e la videro.
Shampoo era in piedi
dietro di loro, e in mano stringeva una pistola.
Kodachi adagiò
dolcemente Ranma su una sedia, afferrò il nastro ed entrò nel salone, attenta a
non farsi udire; dalla sua posizione poté vedere che i tre erano
atterriti.
Akane Tendo era un
poco più in là di Ukyo e Ryoga. “Bene.” Ghignò.
Shampoo intanto
teneva la pistola dritta davanti a sé, puntata contro di loro, ma nessuno si
accorse che la sua mano tremava…
Ryoga era infuriato.
“Shampoo sei impazzita?! Cosa ti salta in mente?!”
Lei fece un sorriso
cattivo. “Taci maialino nero, tu non sei stato capace di prenderti Akane, sei un
codardo! Che diritto hai di giudicare me?!”
Lui stava per scattare, in un
impeto di rabbia, ma poi spalancò gli occhi, incredulo. “Ma cosa… Shampoo come
parli, non ti riconosco!”
“Che razza di
amazzone sei?! – strillò Ukyo esasperata – E’ questo il tuo codice
d’onore?!”
“Il mio codice non è
affar tuo ragazza spatola!”
Akane era
ammutolita, e sbiancò quando gli occhi della sua avversaria la squadrarono dalla
testa ai piedi.
“Shampoo, ma
cosa…?!” Biascicò.
Alle sue spalle un
rumore secco la fece voltare all’improvviso; il suo sguardo si spostò orripilato
dalla mano di Shampoo che impugnava la pistola ad Ucchan e Ryoga che venivano
intrappolati da un nastro rosso come due pacchi regalo. Registrò vagamente la
risata di Kodachi alle sue spalle, l’assenza di Ranma, e fuggì.
Ora era
sola.
Il freddo tagliente
la colpì come uno schiaffo e le fece ricordare che non aveva nemmeno una giacca
addosso; mentre pensava che per fortuna si era messa almeno dei pantaloni
pesanti, sentiva i passi frettolosi ed attutiti di Shampoo che la inseguiva: era
sola con la sua nemica.
Kodachi usò il resto
del sonnifero con Ryoga e Ukyo, e mentre si compiaceva del suo piano e impugnava
un binocolo per seguire la scena, si chiese cosa l’amazzone avesse in serbo per
quella piccola stupida di Akane.
Le aveva visto
qualcosa in mano, ma non era riuscita a distinguere di cosa si
trattasse.
“E’un’arma
infallibile. – le aveva detto poco prima – Fidati di me!”
Poi erano arrivati
nei pressi della nuova casa dei Tendo e lei non aveva chiesto altre spiegazioni;
però si fidava di lei: Shampoo aveva usato magie e sortilegi che neanche lei,
la Rosa
Nera, avrebbe immaginato potessero esistere.
Kodachi era esperta
in fatto di sonniferi e polverine paralizzanti, ma l’amazzone la batteva in
quanto a fantasia, così lei le aveva dato piena fiducia.
“Dovrò chiederle le
ricette di qualche pozione prima o poi.” Si disse mentre seguiva l’inseguimento,
tentando di mettere a fuoco le lenti.
“Magari ha qualche
strana cosa che farà diventare Akane Tendo più brutta di un rospo, oppure una
polverina che la allontana dagli uomini, oppure…”
Kodachi si gelò:
Shampoo aveva in mano una pistola di piccolo calibro.
Akane ansimava per
la corsa e tremava per il freddo e, dietro di sé, l’amazzone sembrava stremata a
sua volta.
“Fermati Akane
Tendo! Voglio solo ucciderti!” Gridava.
Akane cadde
malamente e si voltò ad affrontarla. “Ma dico, sei impazzita?! Minacciarmi con
una pistola?!”
Shampoo ghignò
trionfante e, nel suo sorriso distorto, la minore delle Tendo vide un lampo di
follia. “Che c’è Akane, hai paura?”
“Shampoo…”
“Sai una cosa?
Anch’io ho paura! Ma una di noi due deve morire, e quella sarai tu!”
“Ma che dici, non
capisco!” Non sentiva già più le mani.
“Non capisci?! –
strillò Shampoo – Allora te lo spiego io! Dopo il terremoto la mia bisnonna è
morta, lei era l’unica persona che avevo al mondo, ed è morta per colpa mia!
Secondo le leggi del mio villaggio, non solo io ho mancato al mio dovere di
proteggerla, ma sono anche tornata da sola, senza l’uomo che era destino che
sposassi!”
Akane si rannicchiò
il più possibile e cercò di farla ragionare prima di gelarsi del tutto. “Ma non
è stata colpa tua! Tu non sapevi del terremoto, e poi lei era tua tutrice,
doveva difenderti, e Ranma…”
“Lanma è mio! – gridò nel vento – Se non
sposo l’uomo che mi ha sconfitto non posso tornare in Cina senza rischiare la
vita!”
Akane notò le lacrime nei suoi occhi. “Ma ci sarà una
soluzione…”
“Non c’è! – pianse lei disperata – Qui non ho più nessuno che
mi voglia bene, io… io devo tornare a casa, dove… dove potrei andare
altrimenti?!”
Tornare a casa
significava rischiare la vita, capì Akane, e si sentì quasi in pena per lei. “Ma
a che servirà uccidermi, eh Shampoo?! Pensi che Ranma ti vorrebbe sapendo che mi
hai uccisa?”
“Ma…” La volontà di
Shampoo cominciò a vacillare.
La mano che
stringeva la pistola allentò la presa, e Akane scelse quel momento per
continuare a parlare. “Tu non sei un’assassina Shampoo, e non mi uccideresti
mai, lo so. Perciò ora mettila via, ok?”
Le lacrime le
inondavano il viso, e l’amazzone le sentì gelarsi sulle guance. Se io non posso avere Lanma – pensò – non mi serve a nulla continuare a
vivere.”
Akane intravide
Kodachi correre verso di loro.
Il mio
Lanma…”
Con la coda
dell’occhio scorse un movimento di Shampoo…
…il mio
villaggio…
…e le si gelò il
cuore.
…la mia
bisnonna…
L’amazzone si
stava…
...tutto
perduto…
…puntando la pistola
alla tempia.
Kodachi correva a
perdifiato, affondando nella neve, e rifletteva sul fatto che forse Shampoo era
impazzita a causa della morte di sua nonna.
La Rosa Nera odiava Akane
Tendo, oh sì! Akane Tendo aveva il suo adorato Ranma tutto per lei ma mai, mai
nella sua vita aveva pensato di ucciderla davvero.
Uccidere era un
gesto basso, insulso, indegno del genere umano; il suo onore non le impediva di
ingannare, aggirare le persone, ma uccidere… quello era diverso.
Scorse la figura di
Shampoo voltata di spalle, Akane accucciata nella neve, e… ”Che diavolo!”
Proruppe vedendola con la pistola puntata alla testa. “Quella pazza vuole
davvero…!”
Poi udì i passi
ovattati nella neve, il grido lacerante di Akane.
“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”
...e lo sparo rimbombare nell’aria
fredda come un’esplosione.
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Capitolo 16 *** Veglia ***
Cap.16
VEGLIA
Il dottor Tofu
raggiunse Ranma nel corridoio del primo ospedale ristrutturato di Tokyo e gli
pose una mano sulla spalla.
Lo guardò: aveva la
giacca a vento intrisa di sangue, i pantaloni zuppi di neve, e l’espressione
stravolta sul viso pallido.
“Ora vai a casa
Ranma. Qui non c’è più niente che puoi fare.” Mormorò il dottore con voce
calda.
Lui alzò il viso e
lo fissò come istupidito, poi annuì.
“Bene. Se ti sbrighi
riuscirete a prendere l’ultimo autobus di mezzanotte; fa freddo per passare dai
tetti, no?” Tofu gli accennò un vago sorriso, ma Ranma non lo
ricambiò.
“Grazie.” Mormorò
piano.
Quando Akane lo vide
gli corse incontro e gli afferrò le mani: aveva gli occhi spalancati e colmi di
un unico interrogativo.
Ranma prese un
sospiro e sfiorò la guancia della sua fidanzata. “Lo stanno operando, lui… ha
una pallottola conficcata vicino al cuore.”
Il volto di Akane si
contrasse, e un singhiozzo lieve le salì in gola. Una lacrima solitaria andò a
cadere sulla nocca della mano destra del ragazzo col codino.
“E’ stata tutta
colpa mia!” Proruppe lei disperata.
Ranma la abbracciò
forte. “Sssssst… Non è stata colpa tua Akane, tu hai cercato di
fermarla.”
“Io non sapevo che lui fosse là, io credevo…!” Singhiozzò
incontrollabilmente.
“Nessuno di noi
sapeva che Mousse sarebbe tornato stanotte, neanche Shampoo.” Mormorò con voce
dolce.
“Lui rischia di
morire… oh Ranma, io non me lo perdonerei mai!”
“Sssst…” L’artista
marziale cercava di calmarla, cullandola fra le braccia, sentendo i singhiozzi
scuoterla dalla testa ai piedi. Quando si fu un po’ calmata le alzò il viso e le
sfiorò le labbra con un bacio gentile. “Ora torniamo a casa, mhh?”
Lei
annuì, asciugandosi le lacrime col dorso delle mani. “E Shampoo?”
“Starà
qui con lui: non vuole venire.”
Akane abbassò gli occhi e si morse il
labbro inferiore, non sapendo cosa dire.
Lentamente si
avviarono verso il piazzale dove c’era l’autobus che li avrebbe riportati a
Nerima; pur avendo la sciarpa calcata fino agli occhi, sentivano il gelo entrare
nelle loro ossa, nei loro cuori.
Quando sarebbe
finito tutto quell’orrore? Quando avrebbero goduto della felicità del loro nuovo
amore? Quando avrebbero avuto del tempo solo per loro?
Pieni di domande
senza risposta, tornarono verso casa senza parlare per tutto il
viaggio.
“Sì, capisco… va
bene; grazie Nabiki.” Soun riattaccò il telefono e vide le facce piene di
curiosità.
“Allora papà? –
chiese Kasumi apprensiva – Kuno e Nabiki hanno trovato Kodachi?”
Genma era in piedi
dietro di lei, pallido. Era sempre stato pallido da quando sua moglie era morta,
pareva che con lei se ne fosse andato tutto il colore della sua vita.
E ora lo guardava
come se avesse intuito la tragedia.
L’uomo sospirò.
“Sarà una notte lunga questa.” Dichiarò preparandosi a raccontare
l’accaduto.
Quando Ukyo e Ryoga
udirono aprirsi la porta d’ingresso erano le due di mattina passate e una gelida
luna tondeggiava nel cielo nero come un volto senza vita.
Ryoga accese la
stufa grande nella camera che era stata di Ranma e Genma. “E’una stanza piccola,
ci scalderemo meglio qui.” Aveva spiegato.
“Dove sono gli
altri?” Domandò Akane.
“Kodachi l’ho messa
a nanna con il suo stesso sonnifero, mentre Nabiki e Kuno…” Ryoga s’interruppe,
vedendo arrivare la seconda delle sorelle Tendo.
“Ragazzi, mi ero
appisolata! – dichiarò strofinandosi gli occhi e sbadigliando – Ma ora sono
tutta orecchi per sentire la vostra storia. Ho sentito che Mousse se l’è
cavata.”
“Per ora…” Mormorò
Ranma, e Akane si voltò a guardarlo con aria di rimprovero.
“Mousse è forte, non
morirà prima di aver sconfitto il Tuono Blu del Furinkan… ammesso che ci
riesca!”
“Kuno!”
“Sono qui Saotome. Voglio proprio sapere cosa è
successo di così grave da indurre la qui presente Nabiki Tendo a buttarmi giù
dal letto in una nottata come questa! Io non ci ho capito molto.”
Avvolti in pesanti
coperte, sorbendo del tè bollente, i sei si guardarono in volto per la prima
volta in quella nottata terribile.
“Allora Ranma –
esordì Ryoga calmo – Ora ci spieghi cosa ci è successo veramente?”
Ranma prese un lungo
respiro e cominciò “Come vi ho detto appena arrivati, Mousse è ancora vivo. Lo
stanno operando. E’ tornato in Giappone solo stanotte, con un volo diretto dalla
Cina; abbiamo trovato il biglietto d’aereo nel suo cappotto.”
“Era guarito e
voleva fare una sorpresa a Shampoo.” Teorizzò Ukyo.
Akane annuì, lo
sguardo basso e colpevole.
“Il medico chirurgo
amico del dottor Tofu – continuò Ranma – ha fatto un vero e proprio miracolo, e
Mousse sarà stato così contento da non voler nemmeno rimanere per la
riabilitazione. Si è munito di stampelle ed è tornato a casa, con l’intenzione
di allenarsi a Nerima vicino a Shampoo. Ma è tornato al momento sbagliato e la
sorpresa l’ha avuta lui.”
Kuno annuì, con lo
sguardo tetro. “La sua Shampoo è impazzita.”
“No, non è così –
intervenne Akane – Lei… lei è rimasta sola. La sua bisnonna è morta nel
terremoto, e al suo villaggio vogliono ucciderla perché è tornata senza Ranma.
Per di più Mousse era rimasto paralizzato per salvarla, così si è sentita sola e
disperata, ecco tutto.” Concluse alzando le spalle.
“Akane non
giustificarla! – esclamò Ranma sorpreso – Ha cercato di uccidere te e poi se
stessa, ha perso la testa!”
“Ranma lo so, non giustifico lei, ma il suo
dolore!” Rispose lei esasperata.
“Tu sei così buona
Akane…!” Sospirò Ryoga con occhi sognanti. Ucchan notò che in quello sguardo
brillava qualcosa di simile alla venerazione.
“Tornando al punto:
dove ha trovato una pistola?”
“Colpa mia, Nabiki” Sospirò
Ranma.
“Tua?!” Gli fecero
eco gli altri.
“Era… la pistola che
mi ha dato tuo padre, Ucchan, l’ho riconosciuta appena l’ho vista – lei
impallidì – Ti avevo detto che l’avevo gettata nel bosco, no? Bè, per uno strano
scherzo del destino Shampoo l’ha trovata mentre vagava dopo il crollo al
Nekohanten. Mousse era con lei, ma non deve essersene accorto. Forse lei
pensava… che le sarebbe tornata utile.” Concluse esitante.
“Mio Dio, che
storia… Shampoo ha perso proprio la testa! – proruppe Ukyo sconvolta - Però mi
fa un po’ pena.”
“Allora Saotome,
cosa c’entra mia sorella con Shampoo?” Domandò Kuno spazientito.
“Chiedilo a Nabiki:
è lei che le ha viste insieme. Io non ho neanche capito cosa ci facciate
qui!”
“Ok, ok. – esordì
lei gesticolando – Mentre dormivo nel calore del tuo nuovo sistema di
condizionamento dell’aria, ho sentito un rumore in camera di tua sorella e
quando mi sono alzata per andare a vedere ho notato che stava parlando con
Shampoo attraverso la finestra.”
“Evidentemente le serviva una complice
che distraesse eventuali presenti dall’operazione e Kodachi c’è cascata in
pieno!” Ruggì Kuno.
“Già, e quelle due
pazze per poco non uccidevano Akane!” Esclamò Ryoga.
“Mia sorella! –
rifletté Kuno –Stava per trasformarsi nella complice di un omicidio!”
“Ti
sbagli fratello!”
Tutti si voltarono, riconoscendo la voce della Rosa
Nera.
“Ma tu non stavi
dormendo?” Domandò Ukyo sorpresa.
“Ah ah ah ah ah!
Conosco le mie pozioni e questa aveva una durata limitata, altrimenti tu e il
tuo amico non vi sareste svegliati in tempo per godervi l’accaduto!”
Ranma si alzò in
piedi e fece un passo verso di lei. “Kodachi, tu sapevi che stavi per
assassinare Akane?”
“Ranma tesoro mio –
cominciò lei – io odio a morte Akane Tendo, ma ho un codice d’onore e non porrei
mai fine alla vita di qualcuno deliberatamente. Shampoo aveva un piano, ma non
sapevo che la sua nuova arma era una pistola e quando me ne sono accorta ho
cercato di fermarla!” Si voltò verso Akane e la affrontò. “Tu, ragazzina, non
dirmi che non mi hai vista arrivare!”
Lei annuì. “Sì è
vero: lei era dietro a Shampoo quando… bè quando lei mi stava puntando quella
pistola.”
Tutti tacquero per
un istante, scossi da una storia che sembrava un film giallo di terza
categoria.
Poi Ukyo domandò:
“Ma se Shampoo stava puntando la pistola ad Akane… mi spiegate come ha fatto a
colpire Mousse?!”
“E’colpa mia.”
Sentenziò Akane.
“Akane, ne abbiamo
già parlato, non devi sentirti in colpa!”
“Ranma sono stata io a cercare
di fermare Shampoo quando…”
Strinse i pugni,
sentendo le lacrime pungerle gli occhi.
Ricordava la mano di
Shampoo volgere l’arma contro di sé, il suo grido disperato mentre si lanciava
contro di lei e le afferrava la mano… il colpo esploso accidentalmente, il volto
pallido di Mousse, in lontananza.
La sua stampella
destra era caduta sulla neve con un tonfo inutile nel caos della bufera. Ma lei
lo aveva udito amplificato mille, milioni di volte.
E poi il sangue, lui
che si portava una mano tremante sul cuore, la neve bianca tinta di rosso. Poi
Ranma le aveva scosso le spalle e Akane si era accorta di lui solo allora; lo
aveva visto lanciarsi verso lo sfortunato ragazzo e afferrarlo prima che si
accasciasse a terra. Aveva visto se stessa afferrare per una mano una catatonica
Shampoo e mettersi a seguire Ranma fino alla clinica-tenda del dottor
Tofu.
L’ambulanza, il
sangue, le lacrime di Shampoo, le grida di Ranma… tutto le roteò
attorno.
“Akane, stai…?!”
Udì vagamente la
voce preoccupata di Ranma.
“...bene?”
Poi le sue braccia
forti la afferrarono…
“AKANE?!”
…prima che
svenisse.
Il monitor segnava
la linea incerta del battito cardiaco di Mousse, sottolineandolo con un “bip” chiaramente percettibile nel
silenzio della stanza.
Shampoo sedeva
accanto al suo letto, col volto pallido rigato dalle tracce delle lacrime
passate.
“Se passa la notte
se la caverà. – avevano detto i medici – Abbiamo rimosso la pallottola, ma
dobbiamo vedere se il suo cuore reggerà al trauma che ha subito.”
Mousse.
Il papero stupido e
rompiscatole che cercava sempre di allontanarla dal suo Lanma; l’idiota che per
salvarle la vita era rimasto paralizzato dalla vita in giù, e che poi si era
fatto guarire in Cina e sperava di farle una sorpresa… e lei l’aveva quasi
ucciso.
Mousse.
Ricordò le parole di
sua nonna, prima di morire:
“Shampoo… sii forte… stai
accanto a Mousse, lui avrà cura di te e ti amerà sempre. Ranma non lo farebbe
mai, e mai lo ha fatto in vita sua. Volgi il tuo cuore verso chi lo merita
davvero bambina, e dimentica quelle sciocche regole prive
d’amore.”
Mousse era stato
l’unico a starle accanto dopo la tragedia, si era fatto guarire e
poi…
Si portò le mani al
viso ed emise un singhiozzo lieve, dondolandosi avanti e indietro.
Poi allungò una mano
e sfiorò il viso pallido davanti a lei, parzialmente coperto dalla maschera
dell’ossigeno.
Scostò dolcemente i
capelli umidi dalla sua fronte e gli carezzò piano il lato della testa. “Mousse
– mormorò – tu non devi morire… fallo per me.”
Poi rimase in
silenzio, sperando in cuor suo che lui l’avesse udita.
Ranma sistemò meglio
le coperte ad Akane, ponendole in modo che le sfiorassero appena il mento. Poi
le baciò la fronte e spense la lampada sulla sua scrivania.
“Buonanotte Akane.”
Mormorò chiudendo la porta.
Nel corridoio, Ryoga
era appoggiato al muro, le braccia incrociate. “Allora? Come sta?” Chiese
alzando le sopracciglia.
“Bene. Aveva solo
bisogno di riposare un po’ tranquilla.”
Ranma si avviò per
le scale e Ryoga lo seguì guardandosi attorno. “Kuno ha fatto un bel lavoro:
sembra che questa casa non sia mai crollata!”
Il ragazzo col
codino rise. “Immagino che avrà fatto impazzire i suoi architetti di fiducia:
LA STANZA
DI AKANE TENDO DEVE ESSERE PERFETTA!” Fece mimando la sua voce
e scatenando un accesso di risa in Ryoga.
“Sì! – fece lui con
le lacrime agli occhi – E poi avrà detto: UN GIORNO QUI CI SARA’ LA NUOVA PALESTRA
TENDO, IL PARADISO DELLE ARTI MARZIALI A TRE PIANI!”
A quel punto anche
Ranma rideva incontrollabilmente. “E magari pensava già di mandare in pensione
il povero Soun Tendo! RAGAZZO! – esclamò stavolta in un’imitazione del padre di
Akane – COSA TI STAI METTENDO IN TESTA?! QUI IL PADRONE SONO IO!”
I due risero
spensierati come due amici per la prima volta, dimenticando per un momento la
tragedia del terremoto, i morti, le pistole usate impropriamente e Mousse, che
forse stava morendo all’ospedale.
Poi i ricordi
tornarono e i due si fecero seri.
“Andiamo a dormire,
Ryoga: domani sarà un’altra giornata dura.”
Ryoga rabbrividì, intuendo
cosa poteva esserci dietro a quelle parole. “Credi che Mousse…?”
“Non
voglio credere niente. – lo interruppe – Voglio solo sperare ora.”
Scesero le scale in
silenzio.
Giunti in salone, si
sorpresero nel trovare ancora svegli i loro amici. E non erano solo svegli:
stavano pregando, inginocchiati davanti ad una piccola icona di Budda, dono di
Kuno, con gli occhi chiusi e le mani giunte sotto il mento.
“Ehi ragazzi…?!”
Cominciò Ranma perplesso.
“Sssst!” Gli intimò
Nabiki aprendo un occhio.
“Saotome, non vedi
che preghiamo l’eccelso Budda perché ridia piene forze al nostro avversario?”
Disse Kuno solennemente.
“Voi
state…!?”
“Sì Ryoga, preghiamo
per il povero Mousse. – intervenne Ukyo senza muoversi – Avanti, venite anche
voi due!”
Ranma e Ryoga si
guardarono per un attimo negli occhi, perplessi, poi si inginocchiarono e
pregarono a loro volta.
All’ospedale di
Tokyo, inginocchiata per terra e con le mani giunte sul letto di Mousse, anche
Shampoo pregava in silenzio.
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Capitolo 17 *** Destini: Shampoo ***
Cap.17
DESTINI:
Shampoo
Supererò le correnti
gravitazionali
Lo spazio e la luce per non
farti invecchiare
E guarirai da tutte le
malattie
Perché sei un essere
speciale
Ed io avrò cura di
te.
(“La cura”
F.B.)
C’era la luce,
questo era evidente, ma c’era anche un riflesso strano: come se qualcosa di
estremamente bianco riflettesse ogni singolo raggio di quel debole
sole.
Shampoo cambiò
posizione, girando la testa dall’altro lato.
No, non era la luce
ad essere strana: aveva nevicato tutta la notte, e il candore della neve causava
il riflesso.
Era il
silenzio.
Un silenzio strano,
che al suo villaggio in Cina era così raro! Forse poteva udire un silenzio come
quello solo durante una cerimonia solenne, come…
“Un funerale…”
Mormorò, e scacciò immediatamente il pensiero.
Mousse.
Shampoo aprì gli
occhi di colpo e li dovette richiudere perché rimase accecata da quella luce
così insolita.
C’era ancora quel
silenzio strano, che si sente solo quando c’è la neve ed è tutto attutito: i
passi, i rumori, i pensieri, i battiti del cuore…
“Il suo cuore…!”
Biascicò l’amazzone riaprendo piano gli occhi e schermandosi con le
mani.
Il cuore di Mousse
quasi colpito da una pallottola, aperto e operato.
Il “bip” costante
della macchina che lo teneva sotto controllo.
Ora quel “bip” non
lo sentiva più.
Akane si svegliò per
lo stesso effetto di luce che aveva accecato Shampoo. Si guardò intorno esitante
e riconobbe i contorni della nuova camera nella quale non si era ancora
ambientata, nonostante fosse molto simile alla precedente.
Ed era
sola.
“Dove sono gli
altri?” Chiese alle mura fredde e indifferenti.
Scese adagio dal
letto e si accorse di avere addosso lo stesso maglione e gli stessi pantaloni
della sera prima. “Naturale – rifletté – Ranma deve avermi messa a letto dopo…”
Ricordò solo allora
di essere svenuta e allora si chiese come stava il povero Mousse.
Scese le scale
velocemente e quello che vide le piegò leggermente le labbra in un sorriso:
Ranma, Ryoga, Ucchan, Kuno e Nabiki dormivano scompostamente tra un mucchio
disordinato di coperte e cuscini.
Camminò lentamente
attraverso di loro, attenta a non calpestare la mano che Nabiki teneva distesa
vicino alla spada di legno del Tuono Blu.
“Kuno… con la spada
anche mentre dormi!?” Disse a bassa voce.
Superò Ucchan, stesa
su un fianco, e Ryoga, raggomitolato in una posizione quasi fetale che lo
rendeva particolarmente vulnerabile ai suoi occhi, poi raggiunse
Ranma.
Il ragazzo col
codino russava sonoramente a bocca spalancata e Akane ebbe un moto di
tenerezza.
Il mio Ranma. Pensò mentre si chinava a
pizzicargli gentilmente il naso con due dita.
Lui emise un lamento
e scosse la testa sentendo di avere il naso chiuso da qualcosa. Akane sorrise
mentre apriva gli occhi con un’espressione indignata sulla faccia.
Poi i suoi muscoli
facciali si distesero. “Akane!”
“Proprio io.”
Mormorò lei.
Ranma si alzò a
sedere, strofinandosi gli occhi e stirandosi i muscoli. “Che ore
sono?”
“Quasi le nove.”
Ranma spalancò gli occhi, stupito. “Così tardi?!”
“Bè, ieri
abbiamo fatto le ore piccole.” Rispose lei sedendogli accanto.
“Già. – ribatté
Ranma stancamente – Dovremmo chiamare l’ospedale tra un po’.”
Lei annuì e abbassò
un po’ la testa. Lui scrutò la sua espressione, poi le sollevò piano il mento e
la guardò negli occhi con un espressione e un’intensità che sciolse il cuore di
Akane. Ha il mare negli occhi. Pensò
improvvisamente.
“Akane. – La sua
voce la riscosse: era calda ma ferma. – Non è colpa tua; chiunque le avrebbe
afferrato la mano in quel modo al posto tuo… ok?”
Lei annuì di nuovo,
le labbra che tremavano un poco. “Lui vivrà, lo farà per Shampoo”
Ranma
fece un piccolo sorriso. “Lo so.”
Stettero in silenzio
per un minuto intero, durante il quale Ranma guardò fuori dai vetri riflettendo
su qualcosa che sfuggiva ad Akane.
Lo stava ancora
guardando, cercando di carpire i suoi pensieri, quando lui le parlò di nuovo.
“Sarebbe così bello…!”
“Cosa?” Fece lei disorientata.
“Stavo pensando che
sarebbe così bello svegliarmi ogni mattina e vedere il tuo sorriso come prima
cosa. Sei carina quando sorridi.”
La ragazza arrossì e sorrise, in
imbarazzo. “Ranma…”
Lui le prese le
mani. “Quando tutto questo sarà finito… io… voglio…”
“Anch’io.” Rispose
Akane senza neanche ascoltare. Già sapeva cosa stava per dire.
I loro volti si
avvicinarono lentamente e le loro labbra si sfiorarono appena. Poi il bacio si
approfondì un poco, divenne più intimo, umido, caldo…
“Ma guarda un po’
cosa mi tocca vedere!” Esclamò Kuno facendoli allontanare precipitosamente con
un grido.
“Ranma… cosa stai
facendo ad Akane?!” Chiese Ryoga minaccioso.
“Sai che potrei
anche essere gelosa?” Ribatté Ukyo.
“Peccato che non ho
la
Polaroid… ragazzi, che scoop!” Gongolò Nabiki.
“Ehi… un momento…!”
Fece Ranma gesticolando.
“Insomma, cosa
stavate lì a guardare come tanti stupidi?! Noi non facevamo niente!” Esclamò
Akane.
“Saotome!” Ringhiò
Kuno sfoderando la spada, ma Nabiki fu lesta a fermarlo.
“Buono, Kuno! Prima
pensiamo alle cose importanti!”
Il suo sguardo
scrutò in volto tutti quanti, uno ad uno, come se dovesse scegliere un
volontario. “Allora – esordì incrociandosi le braccia al petto – chi telefona in
ospedale?”
“MOUSSE! MOUSSE!”
Shampoo gridò il suo nome scuotendolo con mani così fredde e tremanti che
stentava a controllarle.
Udendo le urla, un
medico ed un’infermiera si precipitarono nella stanza a controllare i parametri
vitali del loro paziente.
Una terza infermiera
intervenne per tenere Shampoo lontana dal letto; lei si dimenò disperatamente,
gridando e piangendo.
“Pulsazioni assenti…
respirazione interrotta.” Sentenziò la prima infermiera.
Il medico annuì e si
avvicinò a Mousse. “Procediamo con la rianimazione.”
Shampoo vide la
sagoma delle due persone chine sul suo letto e l’immagine distorta dalle lacrime
le invase il cervello e i sensi come un veleno: il dottore pompava il
respiratore nei suoi polmoni, l’infermiera praticava la rianimazione
cardiaca.
“Mousse!
MOUUUUUSSE!”
“Signorina, lo
stanno aiutando!”
“Mi lasci! Lui non deve morire! Anche lui
no!”
“Signorina…”
Ma lei non
ascoltava. Udiva soltanto il silenzio provenire da quella maledetta macchina dei
battiti cardiaci. Le giunse alla mente, familiare e calda, la voce di Mousse che
le ripeteva: “Io ti amo Shampoo” e qualcosa nel suo cuore fece male, tanto male
da devastarla.
Un insolito
sentimento di rimorso e tenerezza esplose nella sua anima, espandendosi ad un
livello quasi fisico.
“MOUUUUUUUUUUUSSE!
NON MORIRE! IO… IO TI VOGLIO BENE!”
Il medico scosse la
testa in direzione della sua assistente e l’infermiera lasciò andare
Shampoo.
“Ora del decesso… ”
Cominciò il dottore.
“NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!” Col cuore straziato e la gola in fiamme per il
tanto urlare, Shampoo corse verso il letto e si gettò su di lui afferrandolo
disperatamente.
Come era stata
stupida…
“MOUSSE
SVEGLIATI!”
...a non
accorgersene prima!
“MOUSSE IO TI VOGLIO
BENE!”
Anche se aveva amato
Ranma…
“NON PUOI
LASCIARMI!”
…Mousse era stato il suo unico amico…
“MOUSSE TORNA DA
ME!”
…il compagno che le era sempre stato accanto…
“MOUUUSSE!”
…colui che l’aveva
sempre seguita in silenzio, come un’ombra…
“COME FACCIO SENZA
DI TE?!”
…e lei aveva bisogno di aggrapparsi a lui, ne aveva sempre avuto
bisogno, ora lo sapeva, e adesso più che mai lo voleva al suo fianco.
Ormai era rimasta
solo un’infermiera e quando cercò di sfiorarle la spalla con un gesto di
conforto lei si voltò e sibilò come una tigre ferita.
“Lui vivrà, vivrà per me! Lui ha sempre vissuto
per me, e ora non me lo PORTERETE VIA!”
“Signorina…” Tentò l’infermiera
nuovamente.
Poi Shampoo vide
qualcosa che cambiava sul suo volto e si placò per un istante: ora lo sentiva
anche lei.
Era il monitor: il
cuore di Mousse batteva di nuovo.
“Shhhh… am… poo…?”
La voce di Mousse
era meno di un bisbiglio stentato. Lei si voltò di scatto e scorse i suoi occhi
chiari spiccare semiaperti nel pallore del suo volto.
“M…
Mousse?”
Si chinò su di lui e gli prese una mano.
“Sham… poo…
tu…?!”
“Ssssst! Non parlare Mousse, sei debole!”
Lui sorrise appena
al tono della sua voce e sentì che le sue mani erano gelide almeno quanto la
neve.
“Tu… mi vuoi…
davvero… b-bene… Shampoo?” Bisbigliò a fatica.
“Sì Mousse, ma ora
tu devi vivere, non farmi mai più uno scherzo del genere, capito?”
Intanto il medico
era riapparso alla porta e guardava perplesso la sua assistente. “Ma come è
possibile?! – le domandò – Lui era…!”
Ma Shampoo non lo
udì. Mousse le stava parlando e lei ne udiva appena appena le parole; quasi gli
leggeva le labbra.
“Io – riprese a
fatica – ho visto… com’era… dall’altra parte… ma poi… ti ho sentita… chiamarmi…
e s-sono… tornato… p-per te…!”
“Oh Mousse!” Fece
lei con voce rotta, ricominciando a piangere sulle sue coperte.
Il ragazzo riuscì
faticosamente ad alzare un braccio e posarlo trai capelli color lavanda di lei.
Ora il suo cuore
batteva di nuovo, e forte.
E batté forte anche
quello di Shampoo, per la prima volta da tanti mesi, di gioia.
Nabiki riattaccò il
telefono e volse lo sguardo verso la soglia della porta dove tutti stavano
accalcati, frementi nell’attesa.
Ranma aveva il
braccio stretto sulle spalle di Akane, e Kuno stringeva spasmodicamente la punta
della sua spada.
“Allora, Nabiki?”
Chiese Ryoga con voce tremante.
“Come sta… è… vivo?”
Fece Ukyo in un lamento.
Nabiki alzò
lentamente la mano e vide il sollievo nei loro volti quando alzò l’indice e il
medio nel segno della vittoria.
“Bene. – esordì Kuno
mentre tutti saltavano di gioia e si abbracciavano strillando – Io torno alla
mia magione, è stata una notte lunga!”
Nabiki si guardò
attorno, perplessa. “Ehi ma dov’è tua sorella? E’da ieri notte che non la
vedo…”
Lui si spostò il
ciuffo di capelli dalla fronte in quel modo che a Nabiki pareva quasi
affascinante e rispose solenne. “Colei che ha contribuito a far soffrire Akane
Tendo di sensi di colpa ingiustificati deve subire una punizione… e trattandosi
di mia sorella ho deciso che farla dormire con il frutto dei suoi sortilegi
fosse la cosa più giusta.”
Nabiki spalancò gli
occhi. “Le hai fatto annusare dell’altra pozione?! Ma si avvelenerà!”
Il Tuono Blu
sorrise. “Non temere, Nabiki Tendo, è in piedi dietro di te, viva e
vegeta.”
Lei si volse di scatto e vide la Rosa Nera avvolta in una coperta,
gli occhi gonfi e l’espressione confusa.
“Tatewaki! Come ti
sei permesso di addormentarmi di nuovo!” Poi cadde svenuta, praticamente tra le
braccia di Nabiki.
Kuno la prese in
braccio e guardò la ragazza davanti a sé. “Forse ho effettivamente esagerato con
quell’intruglio, ma ora la riporterò a casa e la rimetterò in sesto.”
Nabiki si volse di
nuovo verso il gruppo urlante e gioioso, poi tornò a guardarlo alzando le
spalle. “Vengo con te a riprendermi il resto della famiglia… se Kasumi non viene
a cucinare non voglio pensare a chi la sostituirà!”
Lui non capì e
Nabiki accennò alla sorella minore. Il Tuono Blu si accigliò, vedendo che stava
abbracciando Ranma, e distolse lo sguardo borbottando qualcosa.
Poco dopo
s’incamminarono insieme.
Quando riaprì gli
occhi, Mousse vide Shampoo come prima cosa e un sorriso tremulo affiorò sulle
sue labbra ceree.
“Dormito bene,
Mousse?” Chiese lei.
Il ragazzo annuì,
poi formulò una frase che all’amazzone risultò incomprensibile.
“Cosa? Non ti sento
Mousse…” Avvicinò l’orecchio alla sua bocca e sentì il suo alito caldo
solleticarle il lobo.
“Ho detto che ti…
amo… Shampoo.”
Lei gli sorrise
tristemente. “Lo so, Mousse, lo so.”
Lui si leccò le
labbra secche. “T-tu hai detto… che mi… vuoi bene…”
Di nuovo quella
domanda, o quell’affermazione… la stessa che aveva sentito nel proprio cuore
quando temeva che fosse morto. Non poteva rimandare ancora e si risolse a dirgli
la verità.
“Io ti voglio bene
Mousse… ma non credo di amarti come mi ami tu…non ancora.”
Altra frase
incomprensibile.
“Come?”
“Ho
detto c-che… mi basta.”
L’amazzone sorrise,
più sollevata stavolta. “Non so cosa accadrà col tempo, ma a me invece basta che
tu mi stia vicino come hai sempre fatto.”
Lui prese un respiro
profondo, assaporando la vicinanza di Shampoo, sorrise e annuì in risposta. Poi
bisbigliò un nome “Ranma…?”
Quella sì che era
una domanda, lo sapeva, e ancora una volta disse la verità. “Io lo so che Lanma
non mi vuole, però… non posso dimenticarlo così facilmente… non subito… lo
capisci, Mousse?” La sua voce tremava, come sull’orlo delle lacrime, e il
ragazzo alzò una mano per carezzarle piano la guancia.
Lei non si ritrasse
e pose la propria mano sulla sua, cercando di trarne calore.
“Io… ti starò
sempre… accanto… e tu… non sarai… m-mai più… sola.” Mormorò.
Stavolta le lacrime
affiorarono negli occhi della ragazza, e lui le asciugò dolcemente con le dita.
“Grazie Mousse… per starmi sempre vicino, anche se io ti ho trattato sempre
male, io… grazie.”
Pose la testa sul
suo torace ancora coperto dalle lenzuola, assaporandone il profumo pulito,
sentendo la sua mano sulla spalla, calda e tenera, e il suo cuore che batteva di
nuovo.
Batte per me. Pensò felice.
E si ritrovò a
sperare che, un giorno, anche il proprio potesse sussultare d’amore per
lui.
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Capitolo 18 *** Destini: Ucchan ***
Cap.18
DESTINI:
Ucchan
Ricordati di
me
Questa sera che
non hai da fare
E tutta la
città
È allagata da questo
temporale
*************************
Ma amici
mai
Per che si cerca come
noi
Non è
possibile
Odiarsi
mai
Per chi si ama come
noi
Sarebbe
inutile.
(“Ricordati di me”-
“Amici mai” A.V.)
Furono giorni di
festa vera e propria a Nerima.
Dopo la guarigione
miracolosa di Mousse, tutto cominciò ad andare per il verso giusto e le cose
iniziarono a tornare alla normalità dal giorno del terremoto.
Ranma e Akane erano
ormai fidanzati ufficialmente anche tra di loro, ed è inutile dire che la
notizia scatenò la gioia e le lacrime incontrollate di Soun Tendo. Genma
Saotome, dal canto suo, rimaneva quasi in disparte, partecipando alla felicità
dell’amico in maniera pacata.
Una sera lui e Ranma
erano rimasti soli in un corridoio dell’ospedale dove Mousse era ancora
ricoverato e parlarono per la prima volta dopo la morte di Nodoka. Il ragazzo
col codino si era detto sinceramente pentito dell’aggressione insensata verso il
padre e ora stava davanti a lui con la testa china.
“Ranma – esordì
l’uomo – io devo dirti come andarono le cose.” Il suo tono non ammetteva
repliche e il ragazzo col codino annuì.
Genma si schiarì la
voce e lo sguardo rimase celato dietro il riflesso dei suoi occhiali. “Io e tua
madre stavamo parlando di te in quel momento…” Ranma inghiottì, a disagio.
“Io non sono mai
stato un uomo molto coraggioso nella mia vita, almeno davanti a lei, la mia
determinazione crollava di fronte alla sua semplicità… e così fu anche quella
volta. Mi trasformai in un panda, per non rispondere alle sue domande, e poi… e
poi tutto è cambiato.”
“Papà, cos’è successo?” Chiese Ranma con voce
roca.
“Ci è crollata la
casa addosso figliolo, e il mio primo impulso è stato di gettarmi su di lei per
proteggerla, ma mentre ci provavo mi è caduto in testa qualcosa e io… io sono
svenuto come un idiota, Ranma. Quando ho ripreso i sensi… tua madre…” Genma
ormai singhiozzava incontrollabilmente e Ranma non trovò di meglio che mettergli
una mano sulla spalla, esortandolo a finire.
“Lei era sotto
quello che era stato il nostro tetto. Tua madre era là sotto e io non potevo far
altro che scavare, stupido panda idiota, ma quando l’ho trovata era troppo
tardi.”
Il silenzio aleggiò
tra i due più eloquente di qualsiasi parola e Ranma ora sentiva dentro tutto il
dolore che credeva di essersi lasciato alle spalle risalirgli nelle viscere e
nell’anima.
“Non ho potuto far
altro che starmene lì a guardarla, inebetito, pur sapendo che non respirava più,
cullandola… Poi l’ho seppellita con le mie mani davanti a casa
nostra.”
Ranma lo guardò con
un misto di compassione, dolore e senso di perdita comune. Poi gli si avvicinò e
si rese conto di voler bene a suo padre, nonostante la vita tormentata, gli
allenamenti inutili, le parole dure.
“Io – cominciò – non
avevo idea che fosse stata così dura per te.”
Genma fece un gesto
esasperato. “Ma io sono svenuto quando dovevo aiutarla!” Pianse.
“Hai detto che il
tuo primo impulso è stato quello di proteggerla, no?”
“Sì
ma…”
“Non è stata colpa tua, papà… lei non lo penserebbe.”
“Oh, figliolo,
grazie!” Genma si gettò sul figlio frignando disperatamente.
“Papà… va bene… ma
mi soffochi!” Nonostante odiasse le effusioni, Ranma lo lasciò fare per un po’,
poi lo allontanò da sé, ma non senza un po’ di fatica.
Dietro di loro,
qualcuno aprì la porta “Ranma!”
“Akane, che c’è?” Rispose
avvicinandosi.
“Bè ecco, Mousse ha
espresso il desiderio di parlarti un attimo… da soli.”
Ranma inarcò le
sopracciglia, sorpreso. “Vuole già sfidarmi?!”
“Ma no, sciocco! Credo
voglia parlarti di Shampoo.”
Lui alzò le spalle e
si avviò nella camera. “Dove sono gli altri?”
“Giù al bar, credo
tornassero a casa. Vuoi che ti aspetti?”
Il ragazzo le fece l’occhiolino.
“Se non mi vedi tra mezz’ora torna a casa con mio padre: vuol dire che sarò
stato attaccato!”
“Ranma non essere stupido! Mousse è ancora debole, non
ha intenzioni bellicose.”
Lui alzò una mano, arrendendosi, e si chiuse la
porta alle spalle.
“Volevi vedermi,
Mousse?”
Il ragazzo giaceva sul letto, appoggiato a tre grossi cuscini.
Stava meglio, anche se pallido, e sarebbe stato dimesso in due o tre giorni al
massimo. Ciononostante appariva stanco e provato.
“Piove.” Esordì
guardando fuori dalla finestra.
Ranma guardò nella
stessa direzione ed annuì.
“Scioglierà la neve…
peccato.”
Il ragazzo si mosse nervosamente sulla sedia. “Mousse, mi hai
chiamato per parlare del tempo?”
“No – sorrise lui- Ti ho chiamato perché
volevo parlarti di Shampoo.”
“Mousse, se è per quello che è successo,
io…”
“No Ranma, aspetta –
lo interruppe – Lo so che pensi che io la difenderò, ma non è così.” Si tolse
gli occhiali, e lui poté vedere come il colore chiaro degli occhi facesse
risultare il suo viso più bianco del latte.
“Ha fatto una cosa
molto brutta, Ranma, non credere che non lo sappia.” Lui sussultò a quella
dichiarazione così schietta e quasi gliene chiese il motivo, ma
tacque.
“Shampoo ha fatto
molte cose brutte, ma non solo a te e ad Akane. Anche a me. Ma sono contento di
averle salvato la vita, quella volta, e di averla di nuovo rischiata una
settimana fa. E sai perché, Saotome?”
Lui scosse la testa e Mousse fece
un sorrisetto d’intesa. “Per lo stesso motivo per cui tu perdonavi Akane per la
sua aggressività: amore, Saotome, insensato, stupido, semplice amore. Meritato o
meno.”
“Anche lei ti vuole
bene, Mousse, ne sono sicuro.” Mormorò convinto.
“Oh anch’io! Me l’ha
anche detto che mi vuole bene, ma come a un amico: è te che ama.”
“Mousse
– Ranma si allungò verso di lui come per farsi ascoltare meglio – è dicendoti
che ti vuole bene che ti ha riportato in vita, te lo sei scordato?! E io sono
sicuro che non mentiva!”
“E io sono tornato per lei… ma ora me ne pento.”
Sospirò.
“Perché?!” Esclamò Ranma esasperato. “Dalle del tempo, è già un
inizio, no?”
“Io non sarò mai come te!” Gridò Mousse. “Non sono né
speciale né invincibile, io non ho nulla che a lei possa piacere!”
Ranma
si accigliò, prese un sospiro, poi esordì: “Tu sei quello che le è stato vicino
più di tutti dopo la morte di Obaba. Shampoo mi ha raccontato che le sue ultime
parole sono state per te. E so che in fondo al suo cuore… lei vorrebbe
amarti.”
Mousse aprì un poco di più gli occhi. “Davvero?”
Ranma
annuì energicamente. “Sì Mousse, ormai sa di avermi perso del tutto e si è
rassegnata a questo. Io sono sicuro che è vero quello che ti ha detto: ti vuole
bene, e tu devi vivere perché il suo affetto diventi… bè, più
profondo.”
Mousse sorrise, stupito e un po’ a disagio. “Non credevo che
anche tu sapessi fare dei discorsi seri Saotome: ti invidio, quasi.”
“Non
invidiarmi… Per la mia indecisione e paura ho rischiato di perdere l’unica
persona a cui tenevo veramente, in tutta la confusione di fidanzate che mi
ritrovo. Tu almeno sai dire la verità senza rimpianti.”
“Hai ragione. Bè,
credo che seguirò il tuo consiglio; ho fatto bene a parlare da uomo a uomo con
te, Ranma, avevo visto giusto.”
“Avevi visto giusto in cosa?”
“Da
quando ti sei dichiarato ad Akane Tendo sei migliore.”
Ranma rifletté per
un istante, inclinando la testa da un lato. “Forse stare insieme, amarsi… ci
rende tutti migliori, non pensi?”
“Hai ragione. – Mousse si fece serio –
Comunque volevo chiederti scusa per tutto lo scompiglio dell’altra notte, so che
Ryoga e Ukyo mi hanno già perdonato, ma…”
“Aspetta un momento
Mousse… tu cosa c’entri?” Lo interruppe.
“Io… dovevo sapere che Shampoo
stava per combinarne un’altra delle sue, dovevo avvertirvi, non pensavo che
avrebbe fatto una cosa così grave.”
Ranma scosse la
testa. “Non importa Mousse, davvero, tu avevi altro a cui pensare.”
“Già.
– il suo viso si illuminò di colpo – Ci alleneremo di nuovo insieme? Sarà
un’ottima fisioterapia per me!”
L’artista marziale
incrociò le braccia sulla nuca, con fare altezzoso. “Va bene, va bene, userò la
mano leggera con te.”
“Saotome!”
“Stavo solo scherzando! – si
difese lui agitando le mani davanti ad un sorriso – Mi farà davvero piacere
allenarmi di nuovo con te!”
Mousse annuì. “Dì ad
Akane che non voglio che si senta in colpa per causa mia.”
Lui alzò il
pollice. “Sarà fatto! Ma puoi anche dirglielo tu, è qui fuori.”
Il
ragazzo arrossì lievemente. “E’ che… non sono molto bravo in questo genere di
cose.”
Ranma scosse le spalle, avviandosi verso la porta, poi ci ripensò
e si voltò. “Sono contento che tu sia ancora fra noi, Mousse.”
Lui ne fu
quasi commosso e sorrise sinceramente. “Devo sconfiggerti prima di andare
all’altro mondo!”
Ranma aprì la porta, quando lui lo
richiamò.
“Mh?” Fece girandosi di nuovo a guardarlo.
“Grazie.”
Mousse aveva
ragione. Pioveva a dirotto da quasi due ore e la neve si andava sciogliendo in
una fanghiglia insidiosa e densa.
Davanti alla porta
del suo nuovo ‘Ucchan II’, Ukyo e Ryoga si stavano salutando.
“Ma Ryoga, vuoi
partire proprio stasera che piove a dirotto?” Chiese lei
impensierita.
“Si Ukyo, è meglio
così, e poi ho il mio ombrello con me!” Cercò di sorriderle, ma non gli riuscì
molto bene.
“Lascia almeno che
ti faccia un tè caldo!” Protestò lei.
Ryoga fece il gesto
lieve di sfiorarle una guancia. “Grazie Ucchan… ma stasera non posso: devo
andarmene ora, prima di ripensarci.”
Lei lo guardò sospettosa. “Akane…?”
Chiese.
Lui si morse il
labbro inferiore. “Non è solo questo… è che devo rimettere i pensieri a posto.
Sono successe così tante cose! Ho conosciuto dei momenti terribili, ho perso la
mia casa qui e sì, forse ho perso anche un po’ di me stesso.”
“E’ per via
di quel bambino morto, vero?”
“In parte. Ho visto tanta disperazione,
tanta… distruzione! E poi devo ancora accettare che Ranma mi abbia sconfitto e
che Akane abbia spezzato del tutto il mio cuore.”
“E che mi dici di
quella ragazza che ama i maiali, Akari.”
Ryoga abbassò il capo, a
disagio. “Non la vedo da molto, e poi… non voglio che qualcuno mi ami perché
sono per metà un maiale. Io voglio essere amato per chi sono
dentro..”
Ukyo lo guardò quasi con tenerezza. “E chi sei dentro?”
Chiese.
Lui alzò le spalle.
“Sono solo Ryoga, un vagabondo che ama le arti marziali. E’ un po’poco,
vero?”
Ucchan fu quasi
presa dal desiderio di dirgli che no, non era poco, che anche lei ora era da
sola ed era semplicemente una cuoca di crepès alla giapponese, ma non disse
nulla. Invece gli prese la mano.
“Abbi cura di te,
Ryoga.”
Lui la fissò per un attimo e fu quasi tentato di restare con lei:
in fondo era sua amica, no?
“Ukyo – disse invece – Quella notte… il
bacio…”
“Va tutto bene. – lo interruppe – Eravamo soli, disperati.
Qualcuno lo chiama richiamo alla vita.”
Non era solo quello. Voleva risponderle.
Io lo volevo davvero, e forse anche
tu.
“Ryoga…?”
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto: era
tempo di pensare alle cose reali. “Abbi cura di te anche tu, Ucchan. Ci
vediamo.” Senza aggiungere altro, si voltò e andò via per un’altra
destinazione ignota che neanche lui conosceva.
Ukyo rimase a
guardarlo per un po’, ferma sotto la piccola tettoia, sulla soglia.
Le fece male il
cuore a veder andare via anche lui.
Sono rimasta sola. Pensò entrando
dentro.
E quella casa era
così vuota!
Aveva sempre vissuto
da sola, rifletté, ma sapendo che ora Ranma stava ufficialmente con Akane si
sentì vuota dentro.
Lo aveva perso,
definitivamente ormai. Non ci sarebbero più state battaglie per conquistarlo,
bugie per dirsi che no, non poteva amarla davvero. Lui aveva scelto la sua
fidanzata, il gioco era terminato, game over, niente più gettoni.
Salì le scale
stancamente, quasi trascinandosi, e si buttò sul letto singhiozzando, piangendo
tutta la realtà che le era crollata addosso dopo il terremoto.
Mai la pioggia le
era sembrata più triste e deprimente, e avrebbe tanto desiderato che Ryoga fosse
rimasto a comunicarle un po’ di vita, a darle compagnia. Ma anche lui se n’era
andato, rifiutato da colei che amava e incapace di sfidare di nuovo il suo
avversario.
Addirittura Shampoo,
per quanti errori avesse commesso, aveva qualcuno accanto che la amava e la
proteggeva, anche se non corrisposto. L’unica a non contare nulla era lei;
nessuno che dichiarava il proprio amore, nessuno la proteggeva con braccia
calde.
“Non è giusto.”
Pianse.
Braccia
calde…
Ryoga.
Quello stupido col
suo abbraccio dolce, col suo bacio… così voluto, così… bello.
Gli occhi verde
oliva di lui, annebbiati di un tenero e non svelato desiderio, le riaffiorarono
in mente dandole i brividi.
“Potremmo
pentircene..” Aveva detto lei sottraendosi al suo calore.
Come sono stata stupida! Pensò. Almeno lui mi voleva davvero, istinto di
sopravvivenza o no ero IO ad essere con lui quella sera, non Akane! Eppure
lui…”
Amore non
corrisposto.
Amici.
Senza accorgersene,
Ucchan si addormentò, e dormì sognando un ragazzo dai capelli castani, con due
buffi canini aguzzi e una bandana gialla tra i capelli.
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Capitolo 19 *** Destini: Nabiki ***
Cap.19
DESTINI:
Nabiki
Nabiki tornò a casa
tardi, quella sera, e incrociò gli sguardi curiosi della sua famiglia. Tacque
per un secondo, sorridendo più col pensiero che con le labbra, poi
esordì:
“Allora, che
c’è?”
Akane guardò suo
padre, sull’orlo delle lacrime, vide il signor Genma con la faccia avida di
curiosità e Ranma che sembrava il suo ritratto, allora prese per mano sua
sorella e corse su per le scale.
Accorgendosi di
essere seguita si voltò facendo retrocedere il gruppo.
Chiuse la porta
della propria camera a chiave e la incitò.
“Allora, raccontami
tutto!”
Nabiki roteò gli
occhi in aria. “Che vuoi sapere?”
“Ma come! – fece lei
indignata – Sei uscita con Kuno, o no?”
“Sì ma non è come
pensate!” Rispose Nabiki spazientita.
“Non è come
pensiamo? Allora perché hai preso in prestito il mio vestito migliore e le
scarpe alte di Kasumi?”
La ragazza si morse il labbro, in trappola. “Era…
per ringraziarlo.”
“Ringraziarlo di averci ricostruito la casa?” Akane
ammiccò.
“Akane – cominciò
sua sorella con fare indagatorio – anche tu hai qualcosa da
raccontarmi.”
Lei la guardò,
disorientata, e Nabiki le rinfrescò la memoria. “So cosa è accaduto quella sera
della tempesta di neve tra te e Ranma!”
Akane vide il dito puntato di sua
sorella e si accorse di essere in trappola. Inghiottì. “Come l’hai saputo?”
Chiese.
“Fonti sicure.” Fece
lei con sufficienza. “Se tu mi racconti i particolari, potrei anche rivelarti
cosa c’è tra me e Kuno.”
Akane si sedette e le fece promettere di non
raccontarlo a nessuno.
Nabiki avrebbe
voluto farsi dare qualche yen in cambio, ma poi pensò che anche lei aveva un
segreto da nascondere, così decise di rimanere pari.
Akane si raggomitolò
sul letto e arrossì. “Non successe nulla – cominciò in imbarazzo – di quello che
credi tu, ma…”
“Ma?” Fece Nabiki avida. “Ci siete andati
vicino?”
“No!” Rispose Akane spazientita. “E’ stato solo un abbraccio,
tutto qui.”
“Un abbraccio? Ma se eravate… seminudi!” Nabiki la squadrò
attentamente con gli occhi ridotti a due fessure.
“Semi! – sottolineò
lei – Non del tutto! Avevamo i maglioni umidi di neve e li abbiamo tolti… Oh,
diavolo, non avevamo intenzione di fare nient’altro, solo…
scaldarci.”
“Sicura…?” Nabiki ora sovrastava la sorella minore con uno
sguardo che non ammetteva bugie.
“Nabiki, ci vogliamo
bene ma non siamo ancora pronti per… bè, per altre cose. C’è stato qualche bacio
affettuoso, qualche carezza, niente di più serio. Non sappiamo neanche se ci
sposeremo prima di finire il liceo. Siamo ancora due adolescenti e ci siamo
appena affacciati all’amore.”
La ragazza col
caschetto rimase a fissarla accigliata. Poi sospirò e si ritrasse. “Che
paroloni, Akane! Sei cambiata davvero, ma è stato un discorso efficace. Va bene
ti credo.”
Akane sorrise. “Adesso tocca a te – le si avvicinò mimando le
sue mosse – Cosa hai fatto con Kuno?”
Nabiki si ritrasse a
sua volta. “Ehi, ma questo non è leale… mi stai facendo il
verso!”
“Imparo in fretta.” Dichiarò Akane senza scomporsi.
“Allora?”
“Siamo usciti e mi ha offerto la cena al ristorante.” Rispose
lei con sufficienza.
“E poi…?” Chiese
sporgendosi di più su di lei e facendola sedere di peso sul letto.
Nabiki arrossì
furiosamente e prese un bel respiro. “Mi ha riaccompagnata qui fuori
e…”
“E…?!”
“Mi ha
baciata.” Disse in fretta.
In quella, si udì un
tonfo in giardino e le due sorelle
corsero alla finestra.
Akane si accigliò,
vedendo il suo fidanzato dolorante sul terreno. “RANMA! Ci stavi spiando!”
Lui gesticolò alla
cieca. “Ecco… io… veramente…! Ma Nabiki, davvero hai baciato Kuno, eh?” Chiese
beffardo.
La minore delle
Tendo prese il grosso libro di matematica e lo lanciò con una mira eccellente
sulla tempia di Ranma.
“SPIONE!” Gridò
chiudendo le ante.
Nabiki si mise una
mano sulla fronte, esasperata. “Dopo digli che era anche da parte mia!”
Sospirò.
“Tranquilla – fece
Akane conciliante – Terrà la bocca chiusa!”
“Lo spero!”
“E ora
dimmi – sbirciò la finestra, vide che non c’era nessuno e mormorò – Ti è
piaciuto?”
“Cosa?”
“Il bacio! Ti è piaciuto o no?”
Nabiki
inclinò la testa pensierosa. “Un pochino…”
Akane fece un cenno
interrogativo con la testa. “Un pochino…?!”
“Oh insomma! – esclamò Nabiki
– Non so cosa c’è tra noi! Lui sembra aver rinunciato a te e alla ragazza col
codino, ma non so se si sta veramente innamorando di me. Quando quel tizio amico
di Sasuke gli predisse il futuro era più che sicuro di voler sposare me, ma ora
è diverso. E’ lui a dover decidere e ha bisogno di tempo. E
anch’io.”
Akane scrollò le spalle “Di tempo ne avete da vendere, ma non
fate l’errore mio e di Ranma.” Nabiki la scrutò con aria interrogativa e lei
proseguì: “Noi abbiamo perso due anni a litigare e a insultarci, temevano i
sentimenti come se fossero velenosi e deleteri, così mantenevamo un delicato
equilibrio tra noi e gli altri. Ranma non voleva ferire né le sue fidanzate né
me e io ero testarda almeno quanto lui nella mia indecisione, così abbiamo
rischiato di perdere tutto. La sincerità avrebbe evitato un mucchio di
problemi.”
“Seguirò il tuo
consiglio sorellina.” Mormorò la ragazza sorridendo.
Akane le strizzò
l’occhio. “Buona fortuna Nabiki.”
Più tardi, Ranma
vide Akane salire sul tetto accanto a lui.
“Ciao.” La
salutò.
Lei contemplò il
livido sulla sua testa. “Ti fa male?”
Lui si strinse nelle spalle. “Come
tutti gli altri”
“Mi spiace, ma te lo
sei meritato! Non si spiano due signorine che parlano di cose private!”
Esclamò.
L’artista marziale
inarcò le sopracciglia, con un sorrisetto ironico. “Signorine? Io qui vedo solo
un maschiaccio terribilmente violento!”
Akane si accigliò. “Ranma non
cambierai mai! Idiota che non sei…!” Cominciò rabbiosa, ma lui le chiuse la
bocca con un bacio.
“Ma sei il mio
maschiaccio – sussurrò – Quindi sei perdonata per il lancio del
libro!”
Lei tacque e arrossì
profusamente. “Ranma, il mio spione! E’ vero che non cambierai mai!”
Per
un po’ rimasero lì, a guardare le stelle e la luna, poi lui esordì. “Non lo dirò
a nessuno, tranquilla.”
“Di Nabiki?” Chiese lei accoccolandosi sul suo
torace forte.
Lui annuì. “Le hai
raccontato di noi?”
Akane si sentì quasi in colpa. “Lo sapeva già… ho
dovuto spiegarle che tra noi non era accaduto nulla di… bè…”
“Va bene, va bene,
siete pari, nessuno racconterà niente a nessuno. Uh? Che c’è?” Vide il suo
sguardo indagatore.
“Ranma Saotome, ma
allora tu eri là alla finestra fin dall’inizio!”
Il ragazzo col codino
sorrise accarezzandosi la nuca. “Eh già, che viziaccio, eh?”
Lei lo
guardò di sottecchi. “Potrei metterti in astinenza da baci per una settimana per
questo, lo sai? – vide lo sguardo oltraggiato di lui e si mise a ridere – Ma
credo che non ne avrò il coraggio.”
Lui si accigliò e
arrossì. “Si, ridi, ridi… ma poi spiegami una cosa.”
“Che cosa?” Fece lei
ricomponendosi.
“Che ci ha trovato
tua sorella in Kuno Tatewaki?! Va bene che la casa ve l’ha ricostruita lui, ma
da qui a innamorarsi…”
Akane si raggomitolò nelle ginocchia. “Io credo
che abbia trovato in lui qualcosa di bello; mi ha raccontato di avergli parlato
durante la ricostruzione e ha scoperto una persona orgogliosa ma
sola.”
Ranma alzò le sopracciglia, sorpreso. “Kuno è una persona
sola?”
Lei annuì. “Le ha confessato, in un momento di debolezza, di
desiderare qualcuno che lo ami veramente, e questo… bè, l’ha
colpita.”
Ranma fissò la luna, pensoso. “E io che credevo che Kuno e
Nabiki fossero due pezzi di ghiaccio!”
“E invece hanno dei sentimenti
anche loro.” Concluse Akane un po’ polemica.
“Ranma?”
“Mh?”
“Cosa ti ha chiesto Mousse quel giorno,
quando era ancora in ospedale?”
“Voleva scusarsi per non aver fermato
Shampoo in tempo… come se non ci avesse rimesso solo lui!”
Akane sospirò. “Deve
amarla proprio molto poveretto.”
“Shampoo ha detto di volergli bene: lo
ha gridato quando pensava che Mousse fosse morto.”
Lei si voltò si
scatto. “Ma questo non basta! Deve stargli accanto e cercare di essere più
carina con lui!”
Ranma la guardò con sarcastica complicità. “Senti chi
parla, quella che all’inizio mi dava del maniaco!”
Akane arrossì. “Ma
io ho capito il mio errore, e Shampoo…”
“Lo farà anche lei. – concluse
Ranma – Credo che abbia un disperato bisogno di attaccarsi a lui ora che sa di
noi due e penso che stia cercando di innamorarsene.”
“Tu dici? – chiese
lei titubante – Le dovrebbe venire spontaneo!”
“Forse
accadrà…”
“…con il tempo.”
Concluse Akane. Poi le sovvenne una cosa. “Credi che anche Ukyo si sia… insomma…
rassegnata?”
Lui sorrise. “Dopo
quello che ha visto anche Ryoga si è convinto!”
La ragazza arrossì al
ricordo. “Che vergogna! E’ stato così imbarazzante farsi trovare in quelle
condizioni… equivoche!”
Ranma arrossì a sua
volta. “Credevo che Ryoga mi avrebbe ucciso quella notte stessa! Eravamo così
confusi e infreddoliti che… – poi notò l’espressione assorta di Akane – Eh? Che
hai?”
Lei si morsicò il
labbro inferiore, a disagio. “Ecco, io… Ranma?”
“Cosa?” Fece lui
incuriosito, notando il rossore che persisteva sulle sue guance.
“Ti ricordi il
Tunnel del Perduto Amore? Quando credevamo che Ryoga e Ucchan si fossero messi
insieme?”
Lui incrociò le
braccia pensieroso, poi si illuminò. “Ma sì, certo che mi ricordo!”
“Pensi che loro…
Insomma, io li ho visti molto vicini ultimamente, e credevo…”
Ranma si
stese con le braccia dietro la testa. “Ahhh non pensarci nemmeno, Akane. Sono
più amici perché ne hanno passate tante insieme durante il terremoto, ma niente
di più; Ryoga è addirittura ripartito!”
Lei rimase assorta
per un po’, poi scrollò le spalle. “Se lo dici tu…” Poi si rialzò. “Fa freddo.
Rientriamo?” Chiese.
“Vuoi che ti scaldi
di nuovo?” Fece lui malizioso.
“Maniaco.” Gli rispose col sorriso negli
occhi e nella voce.
Ranma annuì,
rassegnato. “Hai ragione, troppa gente in giro! Entriamo come due bravi
ragazzi.” E seguì la sua fidanzata dentro casa.
All’alba del giorno
dopo, Akane sentì i rumori di una lotta furiosa e quando si affacciò dalla sua
finestra vide due sagome familiari.
Ranma! Pensò. Combatte con suo padre già alle cinque del
mattino!
Poi si strofinò gli
occhi assonnati, soffiando una nuvoletta bianca di umidità, e si accorse che
l’altro non era affatto Genma.
“Ma chi
diavolo…?!”
Poi lo riconobbe: era Mousse.
Vide i movimenti
fluidi di Ranma e quelli un po’ incerti dell’avversario. Mousse non aveva più
difficoltà a muoversi sulle gambe, ma era più lento del solito nei suoi lanci di
catene e pugnali.
Il suo fidanzato
cercava di frenarsi e lo vide rallentare leggermente per consentirgli di
riprendere fiato.
Sorrise lievemente,
rivestendosi con calma, e quando bussarono alla porta era convinta che fosse
Kasumi.
Invece si ritrovò
davanti Shampoo.
Fuori, il sole di un
nuovo giorno d’inverno nasceva timidamente.
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Capitolo 20 *** Destini: Mousse ***
Cap.20
DESTINI:
Mousse
Quando Ranma rientrò
in casa trovò Akane sulla soglia.
Con un gesto lento
le accarezzò i capelli e la baciò dolcemente, così dolcemente che lei credette
di sciogliersi.
“Ranma?”
“Mh?” Fece lui senza smettere di accarezzarle i
capelli.
“Possiamo parlare un
momento?”
Lui le sfiorò ancora le labbra. “Di cosa vuoi
parlare?”
“Di Shampoo e Mousse.”
Il ragazzo si staccò da lei,
spazientito. “Insomma! Quando la smetteremo di preoccuparci degli altri?! Da
quando ci siamo detti quelle cose pare che non abbiamo più un momento per
noi!”
Lei gli mise le mani sul viso e lo guardò profondamente negli
occhi. “Hai ragione – mormorò – la penso come te, ma non possiamo ignorare
quello che sta accadendo. Rivelando a tutti i nostri sentimenti non abbiamo
risolto del tutto le cose. Noi abbiamo avviato un meccanismo delicato, un
equilibrio più precario di com’era prima. Avremo tutto il tempo del mondo dopo,
ma ora dobbiamo risolvere ancora i problemi del passato!”
Lui sospirò,
tremulo, e le prese il viso tra le mani calde. “Vorrei solo che finisse, prima o
poi… sono così stanco!”
“Hai ragione, anche
io lo sono.” Si sedette, e Ranma la imitò.
Presto, nel luogo dove si
trovavano ora, sarebbe sorta la nuova palestra Tendo.
“Shampoo vuole
tornare in Cina.” Esordì Akane.
“Cooosa?! Ma la
uccideranno!”
Lei si voltò, sorpresa. “Ma come, Mousse non ti ha detto
niente?”
“Cosa? Lui si sta
allenando da solo e non vede Shampoo da…- Ranma contò sulle dita - Una settimana
circa.”
Akane si morse il labbro. “Lo sapevo! Non gliel’ha
detto.”
“Detto cosa?” Ranma era sempre più disorientato.
“Lei vuole
affrontare il suo destino! E’salita in camera mia mezz’ora fa e ha detto che ora
che ti ha perduto per sempre vuole prendersi le sue responsabilità!”
“Un momento, una
cosa per volta… – lui gesticolò confuso – Shampoo è stata qui?!”
“Sì! Ma
non è questo il problema! Io non sono riuscita a convincerla!” Fece lei
esasperata.
“Mi stai dicendo che
Shampoo è pronta a morire pur di tornare al suo villaggio in
Cina?!”
“Già! Vuole bene a Mousse, ma crede che non riuscirà mai a
provare qualcosa per lui come… come per te.”
Ranma si grattò la testa,
confuso. “Ah, questo sì che è un bel problema! Ma se tornasse lì, orgogliosa
com’è si lascerebbe anche uccidere, e Mousse stavolta ci resterebbe secco!”
“Io credo che col
tempo potrebbe imparare ad amarlo.”
“Forse. – fece Ranma dubbioso – Ma se
torna a casa e la uccidono…”
Negli occhi di
Akane passò un lampo di luce. “Ma io ho già un piano! Se loro tornassero al
villaggio come fidanzati, nessuno potrà dirle che ha fallito!”
“Ma era me
che doveva portare a casa! Sono io che l’ho sconfitta!”
Lei sorrise,
sorniona. “Ma se Mousse sconfiggesse lei e poi te diventerebbe automaticamente
il fidanzato di Shampoo!”
“Vero, ma… Akane, a cosa stai
pensando?”
Il suo sorriso si allargò.
Shampoo li stava
seguendo da un pezzo e si accorse appena che un familiare ragazzo con la bandana
era con loro e parlava animatamente.
In un paio di
occasioni le parve anche di ascoltare il nome di Mousse, ma non ne era
certa.
Quello che era certo
era che non le avrebbero mai impedito di tornare nel suo villaggio a scontare la
giusta punizione; in fondo, lei era un’amazzone orgogliosa.
“Un momento. – lo
interruppe Ryoga – Come facevi a sapere che oggi sarei stato qui?”
Akane
arrossì violentemente e rispose al posto di Ranma. “Io… ecco, l’idea è stata mia
e contavo bè, sul fatto che eri partito da dieci giorni circa, ed ero sicura che
per via del tuo problema con l’orientamento saresti tornato più o meno in questi
giorni…”
Ryoga reagì con una risatina imbarazzata. “Già, sono molto
prevedibile, eh?”
“Allora Ryoga –
s’intromise Ranma spazientito – ci stai o no?!”
Lui incrociò le braccia.
“Bè, con Mousse ne abbiamo passate tante, Shampoo non è esattamente mia
amica…”
Ranma fece un gesto
esasperato.
“..e contando che me
l’ha chiesto Akane… va bene, ci sto!” Concluse battendo una mano sulla spalla di
Ranma.
“EVVIVA!” Gioì Akane
battendo le mani.
In punta di piedi, i
tre si avvicinarono al Nekohanten e ringraziarono i Kami che Shampoo non fosse
nei paraggi.
Ranma annuì in
direzione di Ryoga e Akane, ed entrò fronteggiando Mousse.
Lui lasciò lo
straccio sul tavolo che stava pulendo, si sistemò gli occhiali sul naso ed
esordì: “Saotome! Come mai…?!”
“Vedo che la tua vista è migliorata!” Lo
interruppe lui. “Ma ora hai ben altri problemi amico mio.”
“Cosa? – fece
lui disorientato – Non capisco.”
“Shampoo vuole tornare in
Cina.”
L’affermazione secca e tranquilla di Ranma gli gelò il sangue
nelle vene. Credette che stavolta il cuore non gli avrebbe retto.
“Come… come lo sai?”
Biascicò incredulo.
“Ha parlato
stamattina con Akane. Mentre combattevamo.”
“Ma la uccideranno!” Gridò
Mousse disperato.
Ranma lo guardò con
serietà e disse con voce ferma: “Hai una possibilità per salvarla,
Mousse.”
Lui si accigliò, accorgendosi che si era messo in guardia, e ad
un tratto capì.
“BATTERMI!” E Ranma
partì all’attacco.
Ryoga era riuscito a
raggiungere il muro posteriore del nuovo Nekohanten senza farsi vedere (e
facendosi accompagnare da Akane), ed era pronto ad intervenire non appena avesse
udito la parola d’ordine.
Akane stava
giungendo tirando Shampoo per un braccio.
“Sbrigati Shampoo,
devi fermarli o Ranma potrebbe fargli del male!”
“Non me ne importa
nulla! Mousse sbaglia a sfidare Lanma e Mousse paga!” Rispose lei
indignata.
“Ma non capisci che
lo fa per te?” Ringhiò Akane.
Shampoo abbassò gli
occhi tristemente. “Mousse non batterà mai il mio Lanma e io… tornerò al
villaggio da sola, non ho paura!”
Akane la spinse a guardare i due che si
fronteggiavano. “Ma è per Mousse che devi avere paura! Lui non si tirerà
indietro!”
Shampoo li fissò
sbalordita.
Il combattimento tra
i due non era molto diverso dal solito e gli attacchi più lenti di Mousse erano
facili da evitare. Ma Ranma doveva sembrare in difficoltà, così cercò di
sembrarlo in tutti i modi.
Mentre saltava e
schivava i colpi cercò di dirigersi con le spalle al muro pregando che nessuno
si accorgesse che fingeva.
Oh Dio, fa che…
Una catena a destra
fece un buco sul pavimento.
…non veda che
fingo…
Un’altra gli ferì
appena la guancia.
…o sarà la fine.
Una terza gli
strappò la manica.
Sentì il muro dietro
le spalle, vide la sfera d’acciaio sbucare dalla manica destra di
Mousse.
Ora! Pensò.
“ADESSO!” Gridò
caricando il destro in direzione di Mousse.
“Fermo Mouuuusse!”
Gridò Shampoo accorgendosi che Ranma si preparava a colpire.
Ma ha le spalle al muro! Rifletté
confusamente mentre correva dentro al ristorante. Lanma ha le spalle al
muro!
Poi quel muro
crollò, sfiorato appena dall’arma di Mousse e Shampoo non vide più
niente.
Quando la polvere
dei calcinacci si posò, rivisse per un attimo gli attimi orribili del terremoto.
“Oh no – pigolò con disperazione – Non di nuovo…!”
“MOUUUSSE! – gridò,
poi lo vide in piedi con un’espressione esterrefatta sul viso – Tu sei…?!” Seguì
la direzione del suo sguardo e le mani le salirono al viso.
“LANMA!”
Ranma giaceva nei calcinacci maledicendo Ryoga per l’impetuosità
della sua tecnica dell’esplosione, e nello stesso tempo lodandolo. La testa gli
faceva un po’ male in effetti, ma cercò di sembrare mezzo svenuto.
“Ranma!” Gridò Akane
accucciandosi vicino a lui. Shampoo la imitò e lo prese fra le braccia
meritandosi un’occhiataccia da lei.
“Lanma – mormorò –
Come hai potuto lasciare che…?!”
Il ragazzo fece un sorriso stentato.
“Stavolta mi ha battuto davvero… dannazione!”
L’amazzone spalancò gli
occhi e sembrò incredula davanti a Ranma battuto da Mousse. Allora Akane fece
una mossa astuta.
“Ranma – mormorò –
Sei sicuro che Happosai non ti abbia cauterizzato di nuovo?”
Lui la
guardò inebetito, poi balbettò: “Io… io non lo so! Sono mesi che non lo
ve…”
La fidanzata si accigliò e gli tappò la bocca in un’improbabile
abbraccio. “Oh Ranma! – pianse – Quel vecchiaccio è tornato per metterti di
nuovo in difficoltà! Come faremo adesso?!”
La recitazione di
Akane parve convincerla, e Shampoo si alzò in piedi tristemente.
“Mousse.” Lo
chiamò.
“Shampoo…” Cominciò
lui.
“Tu lo hai sfidato
perché sapevi che era debole!” Lo interruppe.
Akane si morse la
lingua e Ranma le rivolse un’occhiata di disapprovazione, poi ebbe un lampo di
genio. “L’ho sfidato io!” Esclamò vivamente.
I due si voltarono
nella sua direzione, sbalorditi.
Il ragazzo col
codino fece una voce sofferente: “Sono stato io a provocarlo, e stavolta ho
perso.”
Mousse si grattò la testa. “Bè….è vero!” Commentò.
“Io non so chi sia
stato, se Happosai o qualcun altro – imprecò tristemente – Ma dopo l’allenamento
di stamattina con te, mentre mi cambiavo qualcuno mi è arrivato alle spalle e mi
ha sfiorato con qualcosa di maledettamente bollente! E poi…” Ranma s’interruppe,
sofferente.
“Lanma…” azzardò
Shampoo.
Lui alzò una mano.
“Volevo sapere se la mia forza mi aveva abbandonato di nuovo e così ho sfidato
Mousse. E’ stata colpa mia, Shampoo. Mi auguro solo che il dottor Tofu abbia da
qualche parte il disegno lasciatogli da Obaba.”
L’amazzone prese un
respiro profondo e parve riflettere per un momento. Poi si avvicinò a Mousse e
si mise in guardia.
“Shampoo…?” Fece lui
senza capire.
“Battiti con me ora
– disse – Se sconfiggi anche me…” Non concluse la frase ma, improvvisamente,
Mousse capì che era davvero l’ultima possibilità che aveva di salvarle la vita e
che Ranma aveva ragione.
Mentre i due si
squadravano, Ranma mormorò una domanda all’orecchio di Akane. Lei si voltò di
scatto, lo guardò con occhi che si fecero più grandi e si portò una mano alla
bocca, impallidendo.
“Stupida! – le
sibilò lui – Se non la batte sarà stato tutto inutile! E ora che fa…!”
Un
urlo di Shampoo lo interruppe e Ranma si voltò simultaneamente ad Akane,
lasciando cadere la mascella in un’espressione comica di stupore.
Da qualche parte
fuori, Ryoga fece un verso strozzato di incredulità.
Mousse teneva
Shampoo bloccata per i polsi, schiacciata contro il muro, le labbra pigiate
ermeticamente su quelle di lei. Quando si staccò, l’amazzone aveva ancora
un’espressione sbalordita e ascoltò le parole di Mousse come fossero dette in
una lingua a lei sconosciuta.
“Ora, Shampoo, hai
due possibilità – afferrò una caraffa d’acqua e gliela porse – O innaffiarmi e
cucinarmi, per poi andare a morire in Cina, oppure…”
Lei inghiottì,
abbassò gli occhi e fece un sorriso triste. “Oppure?” Domandò conoscendo già la
risposta.
“Tornare a casa con
me.” Concluse con voce calda.
La ragazza dai
capelli color lavanda si guardò dentro, ad occhi chiusi, per un momento
lunghissimo durante il quale Ranma si rimise in piedi ed Akane gli strinse forte
la mano.
Un uccello cantò e
Ryoga, nascosto tra le fronde di un albero sempreverde, alzò momentaneamente lo
sguardo.
Gli occhi di lui
erano del colore del mare estivo e per un attimo a Shampoo parve di
affogare.
“Vengo con te.”
Mormorò.
La dichiarazione concisa e chiara nel silenzio provocò un
sussulto generale e, inaspettatamente, decretò il successo del piano.
La mattina dopo,
all’alba, Ranma salì al piano superiore per aiutare Mousse a preparare i bagagli
e Akane rimase sola con Shampoo.
L’amazzone era
seduta ad un tavolo vuoto, la fronte appoggiata sulle mani; non aveva dormito
molto quella notte e sembrava stesse riflettendo. Akane le si avvicinò
titubante.
“Va… tutto bene
Shampoo?”
Lei si voltò, fissandola con uno sguardo enigmatico, e Akane
ebbe paura che ci avesse ripensato.
“Perché avete fatto
questo a Shampoo?”
Il suo giapponese
stentato rivelò ad Akane che l’amazzone era nervosa, così tentò di convincerla
che era stato un incidente.
Ma lei sorrise
severamente.
“Non sono stupida,
Akane Tendo, ci ho riflettuto tutta la notte: tu e Lanma avete fatto qualcosa
insieme a Ryoga. Ma io non amo Mousse. PERCHE’?” La domanda, perentoria ed
esigente, convinse Akane che era inutile fingere ancora, così prese un lungo
respiro e si decise a confessare.
“Ecco noi volevamo…
noi volevamo che aveste del tempo da passare insieme. Dannazione Shampoo, lui è
pazzo di te e tu vuoi bene a Mousse, che male c’è se tornate insieme invece di
rischiare la vita?! Non abbandonarlo di nuovo, sono sicura che anche tu hai
bisogno di lui, più di quando immagini! Forse quando meno te lo aspetti… un
giorno anche tu… anche tu potresti innamorarti ed amarlo come lui ama te!”
Il fiume di parole
le fluì spontaneo e Akane rimase quasi senza fiato, sperando.
I pugni di Shampoo
si serrarono. “Che ne sai tu dei miei sentimenti?!”
“Ma… io
credevo…”
“Perché vi siete
intromessi… PERCHE’VOI?!”
“Perché io e Ranma
non volevamo che tu morissi. L’idea però è stata mia. E’ colpa mia. Mi
dispiace.”
Gli occhi di Shampoo brillarono per un istante. “Lanma voleva
salvare… me?”
Akane annuì.
“E tu hai avuto
l’idea?”
La minore delle
Tendo annuì di nuovo. Si sentiva colpevole, ma oramai non poteva più farci
niente.
Shampoo le voltò le
spalle.
Ahi! Pensò. E’ proprio
furiosa!
“Grazie.”
La
parola, semplice e breve, scombussolò tanto Akane che lanciò un’esclamazione di
stupore.
L’amazzone non si
voltò, ma le sue spalle scuotevano. Stava piangendo.
“Io volevo
ucciderti, eppure… tu sei stata l’unica amica che io abbia mai avuto… tu e la
spatolona. Non vi dimenticherò mai.”
Akane rimase senza parole e rimase
lì ad ascoltare Shampoo, l’orgogliosa amazzone dai capelli color lavanda, che le
parlava di amicizia. Si sentì confusa e commossa al tempo stesso.
“Sii felice
Shampoo.” Riuscì a mormorare a stento.
“Allora, che vi
prende?!” La voce di Ranma le fece sussultare.
Ryoga scelse proprio
quel momento per sbucare dalla parete appena riparata. “MA DOVE DIAVOLO E’
LA STRADA
PRINCIPALE?!”
Tutti tacquero e
Ranma lo afferrò per la collottola. “Idiota, proprio da qui dovevi
sbucare?!”
L’eterno disperso
balbettò qualcosa in segno di scusa, poi scorse Mousse e Shampoo muniti di
bagaglio. “Oh ma state partendo voi due! Allora ieri ha funz… OUGGHHH!” Ranma
gli piantò un gomito nello stomaco, sibilando qualcosa.
Poi notò lo sguardo
tranquillo di Shampoo: pareva quasi che sorridesse, così rivolse un’occhiata
curiosa ad Akane che gli bisbigliò nell’orecchio.
Ranma spalancò gli
occhi, incredulo. “Tutta questa fatica e tu mi vieni a dire che ha scoperto
tutto?!” Esclamò a bassa voce; la sua fidanzata fece spallucce e il ragazzo col
codino lasciò andare Ryoga.
“Dovete partire
proprio stamattina?” Domandò Ryoga ricomponendosi.
Shampoo annuì. “Mi
aspettano per domani e il viaggio sarà lungo. ”
Ranma strinse la
mano a Mousse, seguito da Ryoga; entrambi gli augurarono buona fortuna e il
ragazzo li ringraziò per tutto quello che avevano fatto.
“Grazie.” Nei suoi
occhi videro un lampo e si chiesero se per caso non avesse capito tutto anche
lui.
Poi fu la volta di
Shampoo.
L’amazzone si
avvicinò a Ranma e Mousse rimase educatamente indietro.
“Wo ai ni Lanma. -
bisbigliò – Tornerò quando ti avrò dimenticato.” Avrebbe voluto baciarlo, ma si
rese conto che non poteva più farlo. Non con Akane lì davanti. Non con
Mousse.
Invece Ranma
l’attirò a sé e le baciò la fronte. “Sii felice piccola Shampoo.” Mormorò
facendole tornare le lacrime agli occhi. Kami se lo amava!
Poi si voltò verso
Akane, che non aveva reagito all’innocente bacio datole dal suo fidanzato.
“Ragazza violenta. – cominciò, poi le tese la mano – Amiche?”
Akane
gliela strinse con un sorrisetto mesto. “Amiche… ma tratta bene il povero
Mousse!”
Il cipiglio di Shampoo si approfondì. “E tu fai felice il mio
Lanma… o tornerò a prendermelo e la prossima volta non ci cascherò!”
Si riferisce al mio piano. Rifletté e
considerò che, nonostante avessero fallito nella recitazione, l’avevano almeno
convinta a tornare in Cina con lui.
Poi Shampoo si
rivolse a Ryoga con uno sguardo strano. “Salutami la spat… Ukyo, ok?” Gli
strizzò l’occhio e il ragazzo si accigliò mentre annuiva.
Ma come
diavolo…?!
Scosse la testa,
come per allontanare un pensiero negativo, e si unì ai saluti
generali.
Mousse guardò Akane
titubante. “Senti, per quell’incidente… la colpa non fu tua, anzi. Grazie di
averle impedito di fare una tale sciocchezza.” Guardò con occhi amorevoli
Shampoo e Akane annuì arrossendo lievemente.
“E il Nekohanten? Lo
chiuderete?” Domandò Ranma.
Mousse si grattò la
testa. “Sì, direi che finché non torniamo è il caso che resti chiuso, tu che ne
dici Shampoo?” Si voltò a guardarla e lei capì che quella era la prima decisione
che prendevano insieme.
E così sia. Pensò
Annuì, e lui le
rivolse uno strano sorriso complice.
Mentre si
allontanavano, Ranma, Akane e Ryoga scorsero la mano di Shampoo allacciarsi
debolmente a quella di Mousse e sorrisero leggermente.
Era di sicuro un
buon inizio.
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Capitolo 21 *** Destini: Ryoga ***
CAP.22
DESTINI:
Ryoga
Era sempre stato
solo e i pochi amici che aveva li poteva solo vedere quando non si perdeva per
il Giappone.
Amici.
Già, come se Ranma
fosse mai stato suo amico. D’accordo, in un paio di occasioni si erano anche
aiutati a vicenda, ma quello era stato durante il terremoto e l’istinto di
sopravvivenza era prevalso… ma era davvero tutto lì? Ranma aveva Akane e la
insultava sempre, l’aveva abbandonata sull’altare, poi era tornato e…
Ryoga batté un pugno
contro il muro, facendo un grosso buco.
Il suo rivale aveva
rivelato finalmente i suoi sentimenti ad Akane, e la cosa peggiore era che lei
lo amava a sua volta. E così lui aveva perso, perso per sempre.
Mille pensieri gli
turbinarono nella mente: chi c’era con lui mentre la sua mente gridava e il suo
cuore si spezzava? Ma certo, Ukyo. Colei che aveva perso Ranma per
sempre.
Ryoga sorrise. Erano
così simili loro due! Due cuori infranti che si erano avvicinati quasi per caso.
Poi lui l’aveva baciata, ed era cambiato tutto.
Qualcuno chiamava
quel sentimento istinto di sopravvivenza della specie, un nome troppo
scientifico per contenere le emozioni che lui aveva provato stringendola a sé.
Anche Ucchan aveva provato qualcosa, lo aveva sentito da come vibrava e da come
il suo cuore batteva.
Ma poteva funzionare
una cosa simile? Potevano loro due sperare di costruire qualcosa insieme dalle
ceneri di due amori perduti per sempre? Troppo arduo, forse, ma non
impossibile.
Al limite sarebbe
rimasta l’amicizia, la consolazione, il non sentirsi soli.
E, sospirando per
farsi coraggio, Ryoga entrò nell’ “Ucchan’s II”.
“Ranma dormiresti
qui con me stanotte?”
Lui si gelò. Akane gli aveva chiesto proprio…
quello? Era entrato dalla finestra per un innocente bacio della buonanotte e si
ritrovava a dover decidere se…
La ragazza si
accorse della sua espressione imbarazzata, arrossì e sorrise. “Dormire!
D-O-R-M-I-R-E! Cosa avevi capito, razza di pervertito?!”
Ranma divenne viola
fino alla punta dei capelli. “Ah… ehm… scusa, io… credevo che… visto che l’altra
volta ci eravamo andati… ehm… vicini… forse… io… pensavo…”
“Maniaco! Allora?
Vuoi scaldarti anche tu sì o no? Non abbiamo i riscaldamenti come da Kuno e
sospetto che il tuo futon sia troppo poco caldo. Oh, andiamo, abbiamo dormito
insieme anche nella tenda, ricordi?”
Ranma annuì, arrossendo ancora al
ricordo, e si avvicinò tremante. Sedette sul bordo del letto di Akane come se si
fosse appena seduto su un tizzone ardente e mandò un’esclamazione di sorpresa
quando lei lo afferrò e lo tirò in giù.
“Avanti, ficcati
sotto queste coperte, mi sto congelando ad aspettare te!” Gli gridò per
nascondere il proprio imbarazzo.
Con un gesto rapido ripiegò la coperta
su di loro e lo guardò arrossendo. “C’è un bel calduccio, vero?”
“Sì, è
vero. Il tuo letto è così caldo…!” Rispose accoccolandosi accanto a lei e
stringendola tra le braccia.
“Mhhh…”
“Che c’è?” Fece lui
allarmato.
“Anche tu sei molto
caldo… potrei anche farci l’abitudine, sai?”
Ranma sorrise e le posò un
bacio sulla fronte. Entrambi sentivano un gran calore ora, in parte per le
coperte, in parte perché erano così vicini.
Pian piano il loro
respiro si fece profondo e regolare e fu così che Ranma e Akane dormirono
insieme quasi ogni notte.
Ukyo si avvicinò al
divano sul quale Ryoga dormiva profondamente e gli scostò una ciocca di capelli
dalla fronte.
“Posso rimanere un
po’ qui?” Le aveva chiesto.
Ucchan aveva
sorriso. “Sapevo che saresti tornato. Sai, anch’io mi sento sola,
talvolta.”
Ancora una volta aveva interpretato appieno i suoi pensieri e
Ryoga ne era rimasto affascinato: aveva girato i pollici per un po’,
tormentandosi il labbro inferiore, incapace di parlare.
“Il divano…-
cominciò lei indicandolo – E’abbastanza comodo, ti porto qualche coperta… se a
te va bene.”
Se a te va bene?
– Si domandò lui sorpreso. – Forse si
aspetta che io le dica ‘oh no, Ucchan cara, preferisco dormire nel tuo letto?’
Ma no, era un’espressione come un’altra…!
“Sì.” Rispose
imbarazzato.
Ora lei si stava
domandando cosa ci fosse tra loro che li rendeva così complici: amicizia?
Compassione? Oppure un pizzico di quella cosa tanto travolgente che cominciava
per A…
“Akane…” Bisbigliò
Ryoga nel sonno, e ad Ukyo si strinse il cuore.
Il liceo Furinkan
era di nuovo agibile e Ranma e Akane stavano camminando di nuovo fianco a fianco
verso la scuola.
“Certo che ne è
passato di tempo.” Esordì il ragazzo col codino dall’alto del recinto dove
camminava sempre.
“Da cosa?” Domandò
la fidanzata da basso.
“Da quando andavamo
a scuola… pare che dall’ultima volta siano passati mille anni!”
“Già.”
Stettero un po’ in
silenzio, assaporando quel momento; per la prima volta andavano a scuola
conoscendo i rispettivi sentimenti. Come si sarebbero comportati davanti agli
altri? Cosa avrebbero risposto alle domande dei
compagni?
“Akane?”
“Mhh?”
“Facciamo una
corsa?”
Lei sorrise. “Come ai vecchi tempi?”
“Come ai vecchi
tempi!”
E corsero, ridendo,
nel sole.
“COOOOSA?! Shampoo e
Mousse…?!”
Ryoga si grattò la
testa. “Di cosa ti sorprendi? Ranma è stato battuto! Le leggi del villaggio di
Shampoo…”
“Ma non hai detto
che hanno scoperto il vostro trucco?” Lo interruppe Ucchan.
“Uh? Sì, è vero,
però…”
Lei sorrise. “Si vede che lei gli vuole davvero
bene.”
“Solo che non lo ama! Per me sotto sotto aveva paura di morire!”
“Come sei ingenuo! –
lo apostrofò – Shampoo è sempre stata orgogliosa e non si sottrarrebbe mai al
suo destino, anche se significasse morire. Se è andata con lui significa che sa
che nel suo cuore può sbocciare qualcosa, un giorno.”
Per un attimo
imbarazzante, i due si guardarono: in fondo loro erano in una situazione
analoga.
“Ucchan…” Cominciò
Ryoga titubante.
La ragazza arrossì
ed esclamò a sproposito: “Devo andare a scuola!”
“Cosa?” Fece lui
sorpreso.
“Sono le otto, farò
tardi!” Rispose protendendo verso lo sconcertato ragazzo il polso con
l’orologio.
Ryoga la guardò. “E…
io?”
Lei gli si avvicinò. “Rimani.”
Lo aveva detto con
tanta fermezza, e a Ryoga parve quasi di vederle gli occhi brillare. ‘Ti prego.’ Dicevano quegli
occhi.
Senza pensare, le
afferrò il polso e pigiò le sue labbra con le proprie, in un bacio veloce ed
esigente.
Ucchan lo guardò
confusa. “E questo cos’era?”
Lui alzò le spalle. “Il mio modo per
augurarti una buona giornata.”
Ukyo sorrise, il
primo sorriso sincero che le avesse visto sul suo volto dal giorno del
terremoto.
“Grazie.” Gli
disse.
“Di
cosa?”
“Di un mucchi di cose.” Detto questo, gli strizzò l’occhio e se ne
andò, lasciando Ryoga disorientato e fumante di vergogna.
“Ranma! Vecchio mio,
ma allora sei ancora vivo!” Gridò Hiroshi abbracciandolo.
“Perché, cosa
credevi?! Ehi, non mi stringere così!”
“Raaaanmaaa! Amico
miooo!” Gridò Daisuke saltando addosso ai due in un improbabile
abbraccio.
Akane scosse la
testa sorridente: quei tre erano dei veri amici.
“Akaaaaneee!”
“Sayuri! Yuka!”
Le tre si abbracciarono,
imitando i ragazzi.
Inevitabilmente, i
discorsi finirono su lei e Ranma. Erano ancora fidanzati? Si erano dichiarati?
Si erano… baciati? E il matrimonio?
“Calma, calma ragazze! Quante
domande!”
“E dai! – insistè Sayuri – Dicci tutto!”
“Bè, ecco
noi…”
“Voi…?!”
“Stiamo… insieme,
sì.” Rispose arrossendo come una peonia.
“Ihhhh! Che bello!
Raccontaci! Ti preeeeegoooo!” Cinguettarono in coro saltando intorno
all’amica.
Intanto Ranma si
stava avviando all’entrata con Hiroshi e Daisuke.
“Kami, Ranma, mi
spiace davvero per tua madre!”
“Anche a me! Poveretta! E dire che vi
eravate appena ritrovati!”
Ranma abbassò la testa e si morse il labbro:
per un secondo temette di mettersi a piangere lì, nel cortile della scuola, poi
tutto passò. Lei avrebbe voluto che fosse coraggioso e virile. “Già.”
Mormorò.
Per un po’, mentre
la professoressa Hinako dormiva sulla cattedra, tutti si raccolsero attorno ai
due fidanzati. Parlarono di Cologne, della madre di Ranma, della tragedia del
terremoto, e ovviamente della loro coppia preferita.
“Davveeerooo?! State
insieme?!”
“Ma insieme insieme?”
“In che senso?” Domandò
Ranma.
Hiroshi si guardò
attorno e mormorò: “Avete fatto sesso?”
Scoppiarono tutti a ridere,
vedendo i fidanzati arrossire furiosamente.
“Ma che domande
sono?! Certo che no!” Gridò Akane.
“Bene… però vi
sarete baciati!” Insisté Yuka.
I due balbettarono
qualche: “bè”, “ecco”, “ma”, poi entrò Ukyo.
“Salve a tutti… uh?
Cos’è, una riunione?”
Ranma fissò l’amica sorridendo e in breve fu
coinvolta nei discorsi degli altri. Quindi è finita Si disse. Ranma e Akane lo hanno reso
ufficiale.
Durante quella
settimana le domande e l’interesse era tutto concentrato sulla coppia appena
formata e la cuoca di okonomiyaki appariva sempre pensierosa e
distratta.
“Ukyo? Posso rubarti
un minuto?” Le domandò Akane una mattina di pioggia.
La ragazza con la
spatola si morse il labbro e le rispose con una domanda: “Lo sapresti mantenere
un segreto?”
Lei annuì, disorientata, e la seguì in disparte.
“Volevo proprio
chiederti cosa ti accade ultimamente. Ti vedo così… pensierosa! E’ per
Ranma?”
Ucchan la guardò con un sorriso. “No… non credo. Gli voglio molto
bene, ma credo di essermi quasi abituata. Il problema è un
altro.”
“Quale?” Domandò Akane accostandosi per ascoltare
meglio.
“C’è un ragazzo in
casa mia!” Sussurrò con fare circospetto.
Akane fece tanto
d’occhi. “COOOOOOOOSA?!”
La ragazza le tappò la bocca. “Non gridare! Non
è come pensi! Lui dorme sul divano!”
“E… lo conosco?” Fece Akane sul
vago.
“Ecco… lui
sarebbe…”
“Sarebbe?”
“Ryoga.”
Akane fece un
piccolo salto e batté le mani. “Lo sapevo lo sapevo lo sapevo! E come vi
trovate… insieme?”
Ucchan giocherellò con le dita. “Uhm… parliamo del più
e del meno, ma…”
“Ma…?” Quel giorno Akane avrebbe dovuto strapparle le
parole di bocca.
“Lui… mi ha
baciata!” Disse in fretta.
Le sorprese non finivano mai. La minore delle
Tendo si portò le mani davanti alla bocca. “Oh, Ucchan, vi volete bene
allora!”
“Vedi – gli occhi di Ucchan si fecero remoti – Ricordi quella
volta… quando tu risalisti per quella diga per correre da Ranma? Durante il
terremoto?”
“Certo, ricordo. Mi sono tolta il gesso dal braccio due
settimane fa!” Rispose con aria sofferta.
“Noi eravamo soli e sperduti.
Io ero gelosa perché tu stavi per raggiungere Ranma, e Ryoga… sai che lui era
innamorato di te?”
Akane annuì. “Ti confesso che per me è stata una
sorpresa.”
“Ecco… ci siamo
avvicinati. Insieme nella disgrazia, insieme nella solitudine e ora che voi
state insieme… la solitudine ci ha avvicinati ancora di più. Oh Akane, che devo
fare?!” Esclamò esasperata.
Lei le prese le mani
e la guardò dritta negli occhi. “Fai quello che ti ordina il cuore, il resto
verrà tutto naturale, vedrai. Ryoga è molto dolce, ma anche molto timido;
incoraggialo con dolcezza, ascoltalo e cerca di capirlo. Vedrai che scoprirete
di amarvi piano piano, col tempo.”
“Oh Akane – fece lei
arrossendo – Che parole grossa: AMORE!”
“Anche io quando ho visto Ranma
la prima cosa che mi è venuta in mente non è stata quella, ma
poi…”
Ucchan sorrise “Trattalo bene Ranchan, è il mio migliore
amico!”
“Te lo prometto Ukyo, e tu tratta bene il povero Ryoga. E’un
ragazzo meraviglioso!”
“Lo so.”
Le due amiche si abbracciarono e
non sospettarono assolutamente che Ranma stava origliando da una finestra,
sorridendo.
Quella notte Ranma e
Akane dormirono di nuovo assieme e parlarono di Ryoga e Ucchan. La ragazza si
era infuriata sapendo che lui le aveva ascoltate di nascosto, ma poi gli sorrise
e pace fu fatta.
“Credi che
funzionerà tra loro due?” Domandò Ranma nella luce della luna.
“Sono molto amici.
Vedrai che finiranno come noi!”
“A letto insieme?”
Fece lui malizioso.
“Scemo! Intendo che
si innamoreranno!”
Ma l’ambiguità nascosta sotto quelle parole li fece
arrossire. Essere a letto insieme, per loro, significava dormire accoccolati
nelle notti più fredde, in modo del tutto innocente.
Ma ultimamente, la
vicinanza che li univa con tanta tenerezza dava loro il capogiro, e nuove
sensazioni e desideri si fecero strada nei loro cuori.
Quella notte, Akane
si svegliò sola; si alzò in punta di piedi e trovò Ranma in bagno, davanti allo
specchio, intento a battersi i palmi delle mani sulle guance e poi a schizzarsi
con l’acqua fredda fino a trasformarsi in una ragazza.
Evidentemente anche lui sente caldo questa
notte. Pensò mentre tornava a letto e analizzava le proprie nuove, calde
sensazioni.
Il prossimo è l'ultimo capitolo: grazie a tutti per i commenti fin qui!! |
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Capitolo 22 *** Destini: Ranma e Akane ***
Cap.22
DESTINI: Ranma e Akane
Io non so parlar d’amore
L’emozione non ha voce…
(L’emozione non ha voce A.C.)
Il ritmo del suo respiro era
caldo, Ukyo lo sentiva aleggiare dolcemente sulle sue guance arrossate. Ryoga
era uno sconsiderato che non faceva altro che perdersi, e come le aveva detto
Akane era molto timido. E insicuro, avrebbe aggiunto lei.
Oh, certo! Pensò nel buio. Io invece vanto una sicurezza
impressionante!
Delicatamente, scostò una ciocca
ribelle dalla sua fronte e fece scorrere le dita dietro al suo orecchio, fino al
lobo. Lui, che stava russando lievemente, fece una smorfia e si grattò
l’orecchio, provocandole un sorrisetto.
Lentamente, si accucciò sul
divano accanto a lui e si insinuò fra le sue braccia, assaporandone il calore.
Ryoga si svegliò di scatto ed emise un gemito di sorpresa, arrancando nel buio
come se, invece di una donna, fra le braccia avesse una bomba atomica. Cadde con
un tonfo.
“Devo prenderla come un rifiuto?”
Domandò Ukyo calma, esaminandosi le unghie.
Lui si alzò a sedere,
massaggiandosi la testa.
“Sei un bel tipo, tu! Ti infili
praticamente nel mio divanoletto e io non dovrei esserne sorpreso?!” Quasi
gridò.
“Veramente – disse lei risentita
– più che sorpreso sembravi spaventato… sono così brutta? Non reggo il confronto
con la tua Akane?”
Ryoga la fissò allibito: anche
nella luce pallida della luna, poté scorgere il luccichio nei suoi occhi.
Due boccioli impregnati di rugiada
mattutina… Pensò proprio come quella notte.
“Non dire stupidaggini, sai
benissimo che non è così!” Esclamò lui convinto.
Lei rimase seduta sul divano,
fissando nel vuoto. “Sai… una volta, quando avevo più o meno tredici anni, mi
capitò di invaghirmi di un ragazzino che era nella mia stessa classe, alla
scuola maschile. Ovviamente non potevo farmi avanti, perché tutti mi credevano
un ragazzo ed io ero brava a nasconderlo. Inoltre c’era Ranma; dovevo ritrovarlo
e vendicarmi, e poi, chissà, magari anche obbligarlo a sposarmi – Fece una
risatina scomoda, come per togliersi un peso. – Talvolta pensavo che nessuno mi
avrebbe mai visto come una ragazza. Mi guardavo allo specchio e vedevo una
ragazzina che si vestiva da maschietto e nascondeva tutto ciò che poteva
compromettere la sua vera identità. Andavo in giro per strada e desideravo
potermi vestire anch’io come le mie coetanee, con la minigonna a scoprirmi le
gambe, le camicette attillate per mettere in evidenza… sai… il seno.”
Ryoga arrossì e lei lo imitò
involontariamente.
“Non sai quanto mi costi dire
questo a te che sei un ragazzo. Io non ho mai avuto una madre o delle amiche con
cui parlarne; c’erano solo la scuola e gli allenamenti, e la mia femminilità… la
tenevo nascosta. Quel ragazzino mi piaceva davvero e talvolta mi chiedevo come
mi sarei sentita dentro ad un abbraccio maschile, considerata come una ragazza.
Non mi è mai capitato, come ad Akane o Shampoo, di avere qualcuno che si
sentisse… attratto da me. Mi faceva male, perché io mi sono sempre sentita una
donna, ma nonostante tutto non ero capace di vestirmi, pettinarmi, comportarmi
da tale. Semplicemente non l’avevo mai fatto.
Non so perché ti sto raccontando
tutto questo… non l’ho mai detto neanche a Ranma; forse perché dentro di me
sapevo che lui non avrebbe capito, il suo cuore non apparteneva a me. Non mi è
mai appartenuto. Ho vissuto per tanto tempo sola, ho avuto degli amici e delle
amiche, ma mi mancava qualcosa… qualcuno. Qualcuno da amare e che mi amasse.
Qualcuno a cui piacere per quella che ero, con la passione per gli okonomiyaki.
All’inizio li usavo per attirare Ranma, ma un uomo non si prende per la gola;
l’ho capito quando ho visto che preferiva Akane a me nonostante lei fosse un
disastro in cucina.” Fece un risolino affettato, poi ridivenne seria. “Quando
quella notte davanti al fiume tu mi hai stretta e baciata… mi sono sentita
desiderata da qualcuno per la prima volta.”
“Anch’io. – Ryoga si
costrinse a schiarirsi la gola. – Anch’io mi sono sentito così. Anche se Akari
diceva di amarmi… era come se le sue parole fossero solo per il maialino che era
in me; e anche se lei lo negava io non lo sentivo! Non so come spiegarti, è
troppo profonda come sensazione, e io non sono bravo a…”
Fu Ukyo ad interromperlo,
saltando giù e premendo le sue labbra con le proprie, abbracciandolo.
“E’ questo che non riuscivi a
sentire? Sai, perché mi è capitata la stessa cosa con Ranma quando l’ho baciato
di prepotenza.” Gli occhi le brillarono mentre lo guardava attendendo una
risposta, e lui le disegnò i contorni delle sopracciglia con i pollici,
gentilmente.
“Credo – disse lui con voce roca
- Che si chiami… sentirsi ricambiati, o attrazione reciproca. Tu che dici?”
“Io dico di sì.” Sussurrò a voce
bassa.
Lui la circondò con le braccia e
il contatto le fece girare la testa; Ucchan gli posò lievi baci sul collo, e si
lasciò deporre sul divano tremando. Sospirò sentendo il seno, che aveva sempre
costretto in fasce doppie, aderire contro il torace forte di lui. E, ragazzi, il
suo cuore batteva così forte, era pervasa da una sensazione come… di
condivisione. Avvertiva lo spirito di Ryoga, così affine al suo, fondersi nella
propria anima.
“Ucchan… che sta accadendo? E
qualunque cosa sia… deve accadere?” Domandò lui. Improvvisamente aveva il fiato
corto.
Lei gli accarezzò i capelli. “Non
so cosa accada esattamente quando c’è una qualche attrazione tra uomo e donna,
ma credo che sia istintivo. Per me è la prima volta, non ho mai provato
sensazioni simili, anche perché Ranma non me lo ha mai permesso e sinceramente
ne sono spaventata. Ma è bello. Con te mi sento protetta, amata… VIVA! E
tu?”
Ryoga si spostò un poco. In fondo
non doveva metterla al corrente anche delle sue reazioni… fisiche, almeno non in quel momento.
“Io… ehm… tu mi piaci molto. Mi
sei stata vicina, mi vuoi bene, e… baciarti è la cosa più bella che io abbia mai
fatto. Davvero.”
Ukyo arrossì, sentendosi improvvisamente molto calda. Se
avesse saputo che anche lui provava certe cose nei suoi confronti…!
“Allora baciami di nuovo, Ryoga,
scaldami. Non lasciarmi sola come l’altra sera; sei l’unico che mi voglia
veramente bene per quello che sono.”
Lui la strinse forte e rotolò su
di lei. Le loro lingue si toccarono gentilmente, poi assaggiarono le labbra,
poi…
“Ucchan…?”
“Mh?”
“Vuoi andare avanti?
E se poi accade qualcosa di… irreparabile?”
Ukyo rise di gusto, rise e
rise finché non le dolse la pancia dal tanto ridere. Lui la guardò
indignato.
“Bè, che hai da ridere? Parlo
seriamente io!”
“Hai ragione, scusa… in fondo sei un ragazzo.”
Lui spalancò gli occhi, sorpreso. “Vuoi dire che ho capito male?”
Domandò accennando vivamente alla loro posizione poco innocente.
“Non hai capito male – Mormorò
lei passandogli una mano sul torace, sotto la maglietta. – Ma non c’è nulla di
irreparabile nel fare questo.”
Ryoga avvertì il tocco di lei
come un fuoco. “Vuoi dire – La voce gli tremò. – Che io posso fare questo?” Le
sue dita le sfiorarono i seni con una delicatezza infinita e lei sospirò.
“Se mi vuoi bene non è male
neanche questo.” Rispose lei prendendogli la mano e portandosela dentro la
camicetta.
Le esitazioni di entrambi
cessarono lì e nel giro di pochi secondi erano persi.
“Ti piaccio come ti piaceva
Akane?” Domandò Nabiki al ragazzo che aveva di fronte.
Nel giardino di casa Kuno c’erano
solo loro due.
“Nabiki Tendo – Cominciò lui
serio. – So che la dolce Akane non mi apparterrà mai, ma non per questo io
considero te la sua sostituta.”
Lei lo fissò intensamente. “Che vuoi
dire, Kuno?”
Lui le prese il volto tra le mani
e la Regina di
Ghiaccio si sciolse d’incanto al tocco caldo e sincero di un ragazzo che non
aveva quasi mai considerato.
“Tu sei tu e basta. Sei fredda e
decisa, sai cosa vuoi, e la tua determinazione mi affascina Nabiki Tendo. Ora
dimmi: potrò un giorno sperare se i miei nobili sentimenti nei tuoi confronti
possano essere ricambiati?”
Lo baciò leggermente sulle
labbra, sorprendendo se stessa e lui, e mormorò: “Oh, credo proprio di sì Kuno,
credo proprio che accadrà.”
Kasumi chiamò Akane in cucina,
dopo cena, e le versò del tè bollente nel bicchiere dicendo che voleva tanto
parlarle di una cosa.
Lei si guardò attorno. Nabiki era
altrove a flirtare con Kuno, e Ranma faceva il bagno. “Deve essere una cosa
seria! Hai aspettato che papà e il signor Genma andassero a
dormire!”
“E’una cosa seria sorellina.” Disse lei sorridente come al
solito, come un’eco ai suoi pensieri.
“Dimmi allora.” La esortò
allegramente portandosi il bicchiere alle labbra.
“Nabiki mi ha detto di te e
Ranma.” Fece la maggiore delle Tendo sempre sorridendo.
Akane spalancò gli occhi e
inghiottì il tè con un rumore forte che le fece male alla gola.
“COME DIAVOLO LO SA NABIKI?!”
Gridò.
Il sorriso di Kasumi si allargò
“Oh, sorellina, davvero non vi eravate accorti di lei? Stavolta deve essere
stata davvero più che discreta!”
“Dove sono?” Ribatté Akane
secca.
“Dove sono… cosa?!” Le domandò
Kasumi senza capire.
“Le foto! Non dirmi che le ha
già…?!”
“Tranquilla Akane, le ho comprate tutte io e le ho bruciate!”
Aveva parlato come se fosse naturale comprare le foto dalla propria sorella. Ma
conoscendo Nabiki non c’era da aspettarsi altro…
La ragazza le prese le mani. “Oh
Kasumi, grazie! Grazie davvero!”
“Non c’è di che!” Sorrise “Ma non è
tutto.”
Akane la guardò con circospezione
“Che altro… oh no Kasumi, cosa stai pensando?” Domandò vedendole uno sguardo più
che indagatorio.
Lei le porse una ciotola di biscotti. “Vuoi?”
La
sorella minore ne prese uno, distrattamente. “Kasumi, non penserai davvero che
io e lui…!”
“Oh, no Akane, sono sicura di no!
Vi dovete ancora sposare e non sarebbe molto giusto.” Rispose come se fosse un
fatto ovvio.
Akane rimase per un attimo
interdetta. Era la verità, no? E allora perché si sentiva così irrequieta? Ragazza – Si disse – Non penserai mica di contraddirla e
combinare qualcosa di disonorevole prima che lui ti abbia messo l’anello al
dito!?
“Tuttavia… - Cominciò Kasumi
riportandola alla realtà. – Visto che siete fidanzati e vi amate tanto non
potrei mai biasimarvi se decideste diversamente.”
Akane si sentì come se si fosse
tolta un macigno dal cuore. Ho il
permesso! Pensò a disagio e, ancor più a disagio, si rese conto che ne era
felice.
Kasumi notò la sua espressione
colpevole, e le pose le mani sulle spalle. “Sei tu a dover decidere, Akane, io
non posso far altro che darti dei consigli, ma la scelta è vostra. Al cuore non
si comanda, no?”
Lei annuì, imbarazzata. “Sai –
Cominciò senza sapere esattamente che dire. – Qualche volta sento una cosa qui…
nel cuore e vorrei che lui… io… oh Kasumi, sono una cattiva ragazza, non è
vero?!” Concluse disperata.
La ragazza scosse la testa. “No,
non sei una cattiva ragazza, Akane, sei solo innamorata di Ranma. E’ normale che
tu ti senta attratta da lui.”
Akane sorrise, ora a suo agio.
“Già, credo proprio che tu abbia ragione. Grazie sorellina.”
“Di cosa parlavate prima tu e
Kasumi?” Domandò Ranma incuriosito, stringendole la mano nel buio.
Lei sussultò, sorpresa. Lui aveva
sentito?! Oh… no… non…
Ranma si accorse della sua
espressione e puntualizzò. “Non ho origliato. Ma mentre ero nella vasca da bagno
ho sentito le vostre voci attraverso il muro, ma non ho capito nulla,
giuro!” Akane sorrise
vedendolo contrito e colpevole, e si affrettò a rispondergli.
“Va bene, ti credo… ma non era
niente di importante, davvero.”
Poi chiuse gli occhi e si decise
a chiederglielo, nonostante il suo cuore battesse selvaggiamente. “Perché ieri
notte eri in bagno a schizzarti d’acqua fredda?”
Lui si irrigidì e la sua
stretta aumentò nello spasmo dell’imbarazzo. “Io avevo… solo un po’ caldo.”
“Anch’io.” Ammise lei
candidamente sentendosi un po’ stupida, un po’ ardita e un po’ felice allo
stesso tempo. Ranma tacque per un po’, mandandola nel panico; che lei avesse
capito male? Che lui…? Oh, al diavolo
– Si disse – Basta chiederglielo, no? Al
massimo balbetterà un poco, ma se non vai al cuore del problema non saprai
mai…
“Ranma…?”
“Cosa…?” Era improvvisamente nervoso.
“Tu… vuoi, cioè, vorresti…
insomma… desideri…” Improvvisamente si era dimenticata come si parlava
normalmente e lui la guardava come se fosse stupida.
“Cosa?!” Fece lui esasperato.
Akane prese un respiro. “Oh,
cavolo! Insomma, tu… tu mi desideri?” Cavolo? Insomma? Come glielo aveva
chiesto, in nome del cielo? Ma almeno l’aveva fatto. E lui era non rosso, ma
viola. Si aspettava una delle sue solite risposte, un rifiuto, una risata, ma
lui la sorprese oltre ogni dire.
“Io… sicura di volerlo
sapere?”
“Certo!” Fece lei esasperata e un po’ confusa.
“E tu?”
Ecco, l’aveva
spiazzata. Ora che gli diceva?! Una bugia: NO. O la verità: SI!...?
“Bè… non che mi sia passato per
la mente che tu mi saltassi addosso, ma io credevo che tu…”
Lui la stava fissando con i suoi
occhi azzurri che le mozzavano il fiato. Pensa! Si ordinò. Non perderti nel tuo sguardo ora!
“Sì.”
Akane restò confusa.
Aveva detto di sì… almeno le era sembrato…
“Sì… cosa?” Fece lei credendo, in
realtà di aver capito benissimo.
Ranma la guardò con una punta
d’ironia. “E’la risposata alla tua domanda, no?”
Si voltò dall’altra
parte mentre lo diceva. Era imbarazzato oltre ogni dire.
Akane gli prese il braccio,
perché si voltasse.
Lui si girò di scatto. “Va bene,
lo so, sono un pervertito, un maniaco, un…” Lei lo sorprese con un bacio e Ranma
le passò le mani trai capelli.
“Che vuol dire?” Chiese
piano.
“Che sei un idiota.” Mormorò
dolcemente.
Gli si accoccolò tra le braccia,
assaporando il suo calore così maschile e inebriante.
Lui la strinse a sé, tremando
all’unisono con lei. E l’incantesimo li travolse.
Il loro bacio fu dapprima un
dolce sfiorarsi, poi divenne esigente e per la prima volta le loro lingue si
accarezzarono timidamente.
“Wow!” Fece lei. “Dove hai
imparato a baciare così?”
“Qui. – Rispose lui leggermente in imbarazzo. –
Ora.”
“Anch’io.”
Con delicatezza, la fece rotolare su di lui per
stringerla a sé più forte e lei seguì il suo movimento con naturalezza, come se
fosse nata per posare il capo sul suo petto. Sentì i muscoli massicci di Ranma e
lo baciò leggermente attraverso la maglietta, insinuando le proprie mani sotto
al tessuto per toccarlo. Era così caldo e forte…
Il ragazzo non ci pensò su due
volte e si sfilò la canottiera mentre lei lo carezzava dandogli i brividi.
Automaticamente le mani gli andarono sui bottoni del pigiama di Akane.
“Posso… di nuovo?” Chiese
facendola sorridere.
“Solo se lo vuoi.” Mormorò
facendolo rabbrividire.
“Lo voglio.” E Akane fu libera
dalla maglietta.
Era la seconda volta che vedeva
il seno della sua fidanzata e lei ne fu nuovamente imbarazzata. Come aveva
potuto pensare che avesse un seno piccolo? Era così ben fatto e rigoglioso
invece! Poi lei vi attirò le sue mani e si sentì… così calda! Lui continuava a
baciarla e sentì che ansimava un poco, come non era accaduto quella volta sul
divano.
Le mani di Ranma scivolarono fino
alle sue anche, facendole venire i brividi, sentiva le sue dita oltre l’elastico
dei suoi pantaloni e la sua lingua roteare sulla propria… finché la testa non le
girò mentre ricambiava il bacio e avvertiva un calore elettrico sulle anche,
dove lui la massaggiava delicatamente. La sensazione serpeggiò fino al basso
ventre, fino all’inguine, poi Ranma si sollevò per approfondire il contatto,
e…
“Ranma…?”
La sua voce
allarmata lo costrinse ad aprire gli occhi. “Cosa…?”
“Tu… mi sembrava che
fossi… ecco…” Si spostò e abbassò gli occhi per non guardare.
Ranma capì improvvisamente e si
mise a sedere col viso in fiamme. “Insomma, cosa vuoi?! Mi stavi così
appiccicata! Insomma sono fatto di carne e ossa, no?!”
Lei si volse dolcemente a
guardarlo. “E’la prima volta, idiota, ero… spiazzata!”
“Uh? Anch’io…!” Fece
lui imbarazzato.
“A cosa pensi, Akane?” Chiese
notando la sua espressione assorta.
“Voglio fare l’amore con te,
Ranma.” Mormorò seguendo il suo cuore, rifiutandosi di riflettere per non
incappare nella dannata timidezza.
Lui cercò di rimanere freddo,
nonostante il turbinio delle sensazioni. “E non hai paura?” Chiese esitante.
“No.” Rispose candidamente. “E
tu?”
“Neanche: lo vorrei anch’io.”
Rispose con un sorriso timido che le fece galoppare il cuore.
Nudi, come Adamo ed Eva. Soli, in
una stanza piccola e calda. Era come affogare nelle emozioni e il fiato non
bastava mai se non per dirsi parole d’amore. I baci divennero una cosa sola con
la loro pelle, con le loro mani.
L’urgenza dell’amore dopo le
tragedie passate, il fuoco della passione dopo tanto stare lontani, tutto si
fuse nell’esperienza che stavano vivendo.
Akane lasciò che la esplorasse
nei suoi più segreti giardini e lo sentì chiamare il suo nome dolcemente,
insistentemente.
Poi il calore la invase
dall’inguine al cuore e lava fusa attraversò i loro corpi.
“Akane…!” Gemette lui.
“Ranma…!” Gemette lei.
Il cielo era lì solo per loro e
vi volarono; fu come nascere una seconda volta, immersi in una nova in fase di
esplosione: udirono distintamente il rombo e la luce della vita attraversarli
mentre, palpitando, si chiamavano a vicenda e mentre le loro coscienze si
fondevano in un piacere che li univa selvaggiamente e li faceva sentire deboli e
VIVI.
L’urgenza divenne una danza
frenetica, scompigliando i capelli ad Akane, portando le mani di Ranma lungo e
oltre le sue anche. Rotolò su di lei, ansimando il suo nome, e la ragazza gli
carezzò le scapole e insinuò le mani nella sua treccia.
Ora lui le stava dando dei
piccoli baci sui capezzoli con le labbra, con la lingua, sfiorandoli con i
denti, facendola impazzire e lei dovette mordersi le labbra per non gridare. Poi
Ranma le morse delicatamente la spalla e Akane artigliò la schiena nuda e sudata
di lui, sentendo l’onda che stava per travolgerli e trascinarseli via,
nell’oceano.
La nova esplose nei loro nomi
urlati nel sussurro roco e disperato di quell’esperienza così nuova e
travolgente, nel bollore ardente che l’accompagnava e si trasformava,
spandendosi dal fulcro della sua origine fino a coprire tutta la pelle del loro
corpo come fuoco liquido.
Esausti, si accasciarono sul
cuscino baciandosi, incapaci di trovare le parole per descrivere quello che
avevano appena provato.
Solo molti minuti dopo, quando il
ritmo del cuore era divenuto normale e lo stupore era più lieve e sfumato, Ranma
le domandò timidamente: “Come stai, Akane?”
“Bene.” Mormorò lei
baciandolo sulle labbra. “E’stato bello.”
“Anche per me… meglio di una
vittoria in un combattimento.”
“Bè – Fece lei accigliata. – Lo credo
bene!”
“Era così, per dire!” Si difese accigliandosi a sua
volta.
Lei lo abbracciò sorridendo. “Il mio Ranma! Io adoro baciarti,
adoro toccarti… adoro fare l’amore con te.”
“Idem per me.” Fece lui
guardandola negli occhi. “Anzi… credo che mi piacerebbe avere il
bis!”
“Maniaco pervertito!” Esclamò Akane ridendo.
“Racchia! Maschiaccio!” Rispose
lui mentre la baciava e le accarezzava le natiche con gentilezza.
“Mhhh… direi che se vuoi il bis
merito prima delle scuse…” Mormorò mentre già abbassava le mani in zone
proibite.
“Ehi, non è da ragazza perbene!”
Disse lui, ma già era su di giri.
La ragazza si godé il profumo
maschile e leggermente sudato di Ranma, inebriandosene, sprofondando il naso sul
suo torace, sentendolo sussultare al suo duplice tocco. “Allora… queste
scuse?”
“Perdonami.” Le bisbigliò
nell’orecchio. “Ok?”
“Scuse accettate.” Rispose rotolando su di lui,
pronta a morire e a vivere per lui.
FINE
E qui finisce la storia: un milione di ringraziamenti a TUTTI, ma proprio tutti coloro che hanno lasciato anche solo una recensione. Senza di voi non credo che questa storia sarebbe mai giunta a conclusione.
Grazie di cuore! |
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