Non Sono Lei

di spikey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I CAPITOLO ***
Capitolo 2: *** II CAPITOLO ***
Capitolo 3: *** III CAPITOLO ***
Capitolo 4: *** IV CAPITOLO ***
Capitolo 5: *** V CAPITOLO ***
Capitolo 6: *** VI CAPITOLO ***
Capitolo 7: *** VI CAPITOLO ***



Capitolo 1
*** I CAPITOLO ***


 

 

Buongiorno a tutti!! Eccomi qui, a scrivere una nuova fanfic, per la precisione la prima che abbia come protagonista Robert Downey Jr.

Innanzitutto un ringraziamento a Beckystark, Allyson_, Jay W e tutte le fanfictioner che mi hanno ispirato questa nuova avventura. Spero che vi entusiasmi come a me ha entusiasmato scriverla.

Ultima nota personale...sono mooooolto amante dei commenti, che siano positivi o negativi non importa. Sono dell’opinione che una storia “cresca” anche per mano dei lettori che la seguono e danno consigli, suggerimenti o semplici conferme...quindi vi aspetto numerosi!

 

Buon inizio e... buon capitolo!!!

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La musica cominciava ad assordarla, le grida della gente a infastidirla e la mancanza di ossigeno a urtare la sua sensibilità polmonare. A tal punto la risposta era una sola: l’ora X era giunta e tra poco la ragazza avrebbe cominciato il suo conto alla rovescia per la fuga da quel posto.

Sospirando profondamente Gabriele guardò l’orologio. Le tre in punto; un’altra ora di quel supplizio poi l’aspettavano le coperte.

La ragazza posò il microfono sulla consolle e si piegò verso l’orecchio della deejay: “Francis, attacca coi pezzi di chiusura, vediamo se la gente comincia ad andare a casa”.

La biondina si tolse le cuffie e sorrise: “Non ne puoi più, vero- la frangia sudata le stava appiccicata alla fronte, pure lei aveva esaurito le energie- Vai a dire a Claude di scendere dal palco, cominciamo a raffreddare gli spiriti”.

 

La chioma riccia di Gabriele annuì compiaciuta, prima di scavalcare la ringhiera del palco per dirigersi verso le ballerine; una di loro la notò e capì al volo. Fece cenno a un bodyguard e quello la raggiunse per scortarla da Francis, che stava selezionando gli ultimi CD.

“Andiamo a casa?” la ballerina chiese conferma all’amica, prima di coprirsi con un accappatoio di cotone.

Gabriele la raggiunse, notando di sfuggita il succinto bikini con cui si era esibita quella sera.

“Dovrò parlare con Daniele, ormai i tuoi costumi di scena sono degni di un film porno”.

Claude sollevò un braccio per liberare i lunghi boccoli color miele dal colletto dell’accappatoio: “Ma sono una cubista”.

Gabriele sembrò non approvare e ribattè decisa: “Sarà...Ma sei anche una ballerina professionista e fino a prova contraria questa è una discoteca, non un night club”.

 

In risposta ricevette un broncio di disappunto; le labbra carnose di Claude si serrarono ammutolite.

Gli occhi grigi della riccia, leggermente a mandorla, si assottigliarono alla ricerca del direttore del locale: voleva parlargli, chiedergli la busta paga e andarsene prima che lui si perdesse nei conti di fine nottata.

Afferrò il microfono e con le solite frasi di rito salutò la folla di clienti, più o meno ubriachi, per incitarli ad andarsene il più in fretta possibile.

Gabriele lanciò un’occhiata a Francis e Claude, prima di buttarsi nella ressa: “Vado a cercare Daniele”. L’attimo successivo si infilò nella marea di corpi pressati davanti alla consolle.

 

Animatrice, deejay e ballerina: tre belle ragazze che esercitavano le tre professioni più ambite dai loro coetanei.

Ma in pochi sapevano che Claude aveva ballato alla scala, che Francis studiava al conservatorio da quando aveva sei anni e che Gabriele...beh, con lei era tutto più complicato.

Non erano semplici colleghe o “compagne di serate”; avevano condiviso un’amicizia lunga una vita intera, erano partite alla volta del successo per Milano, il trampolino di lancio di chi è deciso a distiguersi, a puntare alto alla roulette della vita.

21, 23 e 24. Le età di Claude, Francis e Gabriele si potevano in effetti giocare e loro avevano azzardato molto per pagarsi il futuro; così ora lavoravano insieme in uno dei locali notturni più frequentati della city Milanese, risparmiando ogni centesimo per i veri sogni.

 

Fu probabilmente il caso a far inciampare la ragazza sul suo capo, mentre questi correva frenetico a svolgere chissà quale mansione. Forse non lo sapeva nemmeno lui.

Gabriele cacciò quel pensiero polemico e parlò: “Dobbiamo chiudere, Dani”.

L’uomo nemmeno la sfiorò con lo sguardo, intento a far guizzare il capo da una parte all’altra: “Certo tesoro, si era capito che hai fretta e per tua fortuna ho un cliente iportante che aspetta in ufficio”.

 

Gabriele lo squadrò dall’alto al basso. Se lo poteva permettere, i suoi tronchetti borchiati tacco 12 la facevano svettare due spanne sopra il direttore; con quella differenza di altezza faceva fatica a darsi un tono autoritario.

La ragazza spense il microfono e lo infilò a fatica nella tasca dei pantaloni di ecopelle nera: “Bene, chiamo le altre e dico loro di chiudere bottega. Ci vediamo mercoledì”.

“Ehi, non così in fretta, cara- l’altro la bloccò per un braccio- Ti ho appena detto che c’è una persona importante che aspetta, vi voglio tutte e tre in ufficio, tra dieci minuti”.

Non ci fu tempo di ribattere, Daniele sparì di corsa su per le scale che portavano ai locali privati della discoteca.

Con i primi accenni di rabbia Gabriele si grattò la chioma leonina; un respiro profondo, un altro, poi andò a chiamare le amiche.

 

Francis aveva lasciato gli ultimi brani di chiusura in filo-diffusione, così sia lei che Claude la seguirono senza ribattere negli uffici.

Un bodyguard aprì loro la porta e le tre  si trovarono in quello che altro non era che un salotto privato di Daniele, con divanetti sparsi, cuscini, luci soffuse e un bar personale.

Quella era la sua idea di ufficio. Daniele era un genio della movida, narcisista e autocelebrativo.

Aveva voluto un personale esclusivamente femminile per il suo locale e aveva affibbiato a ognuna un nome d’arte, prettamente maschile. Per quale motivo? Per dare un tocco di esotico all’atmosfera. E perchè poteva farlo.

 

Una delle bariste si accostò a Gabriele: “Vi porto qualcosa da bere?”.

“Per me una Schweppes al limone, Andrea” Francis si accasciò su uno sgabello contro al bancone del bar; con un pettine di fortuna si riassettò la frangia per poi raccogliersi i capelli, dritti come spaghetti, in una coda di cavallo, rivelando dietro l’orecchio sinistro una zona della chioma rasata praticamente a zero, secondo la moda del momento.

Come molte cose di lei, quello era un suo lato che molti non si sarebbero aspettati.

Se qualcuno chiedeva a Gabriele un parere su di lei, la risposta era la stessa: “All’inizio sembra una brava ragazza. Poi ti fotte sempre”. Raramente si era sbagliata.

 

Claude invece optò per un succo di frutta e una bottiglietta d’acqua naturale; si era cambiata e ora sfoggiava un abito in cotone rosa e un paio di ballerine beige.

Era la più piccola di età e i suoi boccoli chiari, il naso a patata e le labbra a bocciolo di rosa le davano un’aura angelica...il tutto coronato dall’incoscienza di quanto fosse bella. Sembrava un angelo, sì...ma di quelli caduti per sbaglio dal cielo, direttamente su una passerella di Victoria’s Secret.

 

Gabriele prese posto accanto a Francis, liberandosi dell’ingombrante microfono e appoggiando il capo riccioluto al palmo della mano: “Per me un caffè shackerato...doppio, grazie”. Il morbido top che le passava dietro al collo si mosse, rivelando ulteriormente la schiena, già praticamente scoperta, andando a rivelare i suoi numerosi tatuaggi: una geisha che si perdeva tra le spire di un dragone, immortalato in combattimentocon una carpa variopinta, il tutto sotto una cascata di fiori di ciliegio che contornavano la spalla, disegnavano l’andamento delle vertebre e proseguivano fin sotto la linea del seno.

 

Claude le gettò un’occhiata distratta: “Copriti, sei praticamente nuda”.

Gli occhi grigio-verdi dell’amica rimasero fissi sul bancone: “Non me ne frega nulla, che Dani mi cacci pure, sarebbe la prima volta che mi manda a letto a un’orario decente”.

Francis scosse il capo: “Parli del diavolo...”.

Il diretto interessato fece il suo ingresso nella sala fra le grida e le risate di un gruppo di sconosciuti, che puntò dritto ai divanetti ignorando totalmente le ragazze.

“Bene, al mio tre scappiamo” propose fra i denti Gabriele.

“Ma quelli chi sono” Claude aguzzò la vista curiosa.

Francis fece spallucce e bevve il suo drink: “Chi lo sa? Almeno non sono un branco di sessantenni Russi, ubriachi di vodka”.

La chioma crespa di Gabriele si mosse: “Quanti bei ricordi...”.

 

“Ed ecco qui i nostri cavalli di battaglia- la voce adulatrice di Daniele le raggiunse dal divanetto- Coraggio, unitevi a noi”.

Francis e Gabriele si scambiarono un’occhiata, mentre Claude era già in procinto di alzarsi, quando la voce di uno degli sconosciuti sopraggiunse a fermarle: “State pure dove siete, vi raggiungiao noi, un po’ di cavalleria non guasta”.

Solo mentre parlava Gabriele si accorse che lo faceva in un inglese deformato dal tipico slang americano.

“Che ha detto?” si informò Claude.

“Lascia perdere, sono turisti Americani- Francis finì la sua tonica- Ma non vanno a fotografare la Madonnina, di solito?”.

Gabriele studiò in silenzio il gruppo di cinque uomini, capitanato da Daniele, mentre si avvicinava; conosceva discretamente l’inglese, più per passione che per altro e comprese solo allora che il suo capo l’aveva voluta lì per fare da interprete, oltre che da bella statuina.

 

Nei quattro sconosciuti non vi era nulla di insolito: jeans stinti, camicia e cravatta allentata. Solo uno di loro si distingueva per l’abbigliamento molto più casual e stranamente fuori luogo: sneakers, pantaloni stropicciati, una banalissima T-shirt...e per concludere berretto da baseball con occhiali da sole.

Il ragazzo aveva ancora qualche problema di fuso orario, evidentemente.

La ragazza si chiese se fosse stato lui a parlare; lo strano soggetto le si accostò con un mezzo sorriso, guardandola da sopra le lenti viola dei suoi RayBan specchiati; Gabriele non proferì parola, rimase a studiarlo appoggiata al bancone, in una posa che appariva speculare a quella di lui.

Contro ogni previsione l’uomo le allungò la mano, accennando una risata sghemba: “E’ un piacere conoscerti”.

Gabriele a stento resistette all’impulso di storcere il naso; lasciando il suo intelocutore con la mano a mezz’aria, si rivolse alle due amiche: “Cristo Santo, cambia la nazionalità, ma la puzza di vodka rimane”.

Claude rise, mentre uno degli altri ospiti, decisamente più sobrio, si presentava cortesemente a lei e Francis. Gli altri lo seguirono a ruota.

 

Con grande gioia, a Gabriele rimase la sua gatta da pelare, che dal suo canto continuava a fissarla, la mano ancora tristemente tesa in attesa di una risposta.

Quasi con pietà la ragazza contraccambiò la stretta: “Piacere, sono Gabriele”.

L’uomo sembrò sorpreso: “Gabri...ele? non è un nome da uomo?”.

“Esatto”. Nulla di più; la riccia si astenne dal proferire ulteriori parole. La presenza del suo ospite la metteva a disagio.

Non aveva detto il proprio nome, come se lo desse per scontato e questo era un comportamento ben noto alla ragazza, tipico di tutti quelli che, più o meno famosi, non ritenevano necessario annunciarsi. E non riuscire a riconoscerlo la faceva sentire inadeguata.

 

“Beh, a me sembri a tutti gli effetti una donna”.

Daniele intervenne in quel momento: “E lo è, anche se ci comanda tutti a bacchetta come se fosse un uomo- il direttore fece un cenno verso la barista- Andrea, una vodka liscia al nostro ospite. Ghiaccio e limone, grazie”.

Gabriele stette zitta, continuando la sua scansione ai Raggi X dello sconosciuto: portava il pizzetto e da sotto il berretto poteva intuire che avesse una folta chioma nera.

Altro particolare, era poco più basso di Daniele: la ragazza lo sorpassava in altezza con tutta la testa e lui aveva il naso pericolosamente all’altezza della sua scollatura.

“Perchè farla scomodare...pensaci tu” dopo quelle poche parole, quasi con la gestualità di un mago lo sconosciuto fece comparire una bamconota da 100 Euro fra le dita, per poi sventolarla di fronte al naso di Gabriele.

L’attimo successivo si premurò di farla scivolare nella scollatura della ragazza.

 

Al contatto della banconota con la pelle nuda del seno, Gabriele passò i primi istanti tra la sorpresa e l’afasia totale: un brivido insipegabile le corse giù per la schiena, non di freddo ma di una strana sensazione mista a calore e rabbia furente.

Il turbinio di quel tutto trovò sbocco in una mezza smorfia che aveva la lontana parvenza di un sorriso, per nulla cordiale.

Francis rimase in apnea, mentre Claude a stento non si affogò bevendo il suo succo.

 

“Non ti preoccupare” furono le laconiche parole della diretta interessata, mentre si allungava con fare languido per prendere il drink dal bancone. Si avvicinò di mezzo passo all’uomo, d’altra parte era quella la breve distanza che li separava.

Il viso di lei finì a sfiorare quello del misterioso ospite, a un battito di ciglia dalle sue labbra.

L’uomo inspirò profondamente, trovandosi immerso nell’aroma vanigliato ed esotico della chioma riccia: in attesa del suo verdetto inclinò il capo, ormai mancava un soffio a poterle sfiorare la pelle.

 

Il mezzo ghigno di Gabriele si allargò e con fare sensuale mormorò: “Offro io”.

La mano libera scivolò al passante dei jeans di lui; a stento trattenne un gemito quando un secco strattone lo scosse fino all’inguine.

L’attimo successivo la sua aguzzina gli versò tutto il contenuto del bicchiere nei pantaloni.

 

Alle loro spalle un gridolino femminile lasciò intuire alla riccia che Francis avesse soffocato una delle sue risate fragorose, mentre probabilmente Claude era impallidita per la vergogna; ci fu un suono sordo, che la ragazza riconobbe essere l’applauso di uno degli altri ospiti.

Per ora solo Daniele si avvaleva della facoltà di essere rimasto senza parole.

Dal canto suo il battezzato si era tolto il cappello, con cui si faceva aria a mo’ di ventaglio: era diventato improvvisamente caldo, lì dentro.

Con aria di trionfo Gabriele vide confermate le sue teorie: i capelli dell’ospite erano un po’ brizzolati alle tempie- gli aveva dato meno anni d quanti ne aveva realmente- ma erano davvero folti e neri, di quella consistenza soffice, che è un piacere prendere a manciate.

 

Prima ancora di tornare dal suo viaggio fra le nuvole, una voce maschile la riportò alla realtà: “Davvero divertente- il sorriso beffardo dello sconosciuto la fece vacillare un attimo- Ora penso sia il mio turno”.

Con un rapido gesto si liberò anche dell’ultima copertura: gli occhiali da sole. Due iridi brune si piantarono in quelle color cielo della riccia.

Con tutt’altra verve tornò a porgerle la mano, sibilando le presentazioni: “Piacere, sono Robert Downey Jr. e da oggi sono il socio maggioritario di questa baracca. E visto che mi piace essere sincero...il tuo primo colloquio di lavoro è stato un vero schifo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** II CAPITOLO ***


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II CAPITOLO

 

 

 

 

Il sole era già alto quando la sveglia suonò nel piccolo loft milanese affacciato sui Navigli.

Francesca rotolò fino all’oggetto infernale e lo spense con un sonoro pugno.

“Cazzo...credo che la nostra sveglia sia l’unica che suona a quest’ora della domenica”. Si schermò gli occhi dalla luce che entrava prepotentemente dalle alte finestre in stile vittoriano, restaurate da poco.

Un braccio inerte di Claudia penzolò giù dal rialzo mansardato in cui dormiva: “Che ore sono?” piagnucolò poi.

“Le dieci...Abbiamo dormito quattro ore- Francesca calciò via le coperte- Comincio ad odiare questa vita”.

 

Sì, perchè una volta spenti i riflettori delle notti in discoteca, quando ad accendersi era il sole di tutti i giorni, Francis e Claude tornavano a vestire i panni di Francesca e Claudia, studentesse rispettivamente di giurisprudenza e marketing internazionale.

“Piantatela di lamentarvi, qui l’unica che oggi lavora davvero sono io” una voce roca e impastata le raggiunse da un angolo dell’open space che condividevano in tre: Claudia, Francesca e Gabriele...o meglio, Eva.

“Senti senti...è resuscitata Miss Simpatia- la rimbeccò Francesca- Ringrazia di averlo ancora, un lavoro. E se lo abbiamo tutte...non è di sicuro grazie al tuo caratteraccio”.

 

Eva sbuffò sonoramente, per poi voltare le spalle all’amica e coprirsi la faccia col piumone: erano ormai anni che le altre cercavano di smussare gli spigoli taglienti del suo carattere. Le volevano bene così com’era, ma non poteva aspettarsi lo stesso trattamento dal resto del mondo.

Di questo la ragazza non sembrava curarsene, e lo dimostrava la frase che aveva appeso al grosso frigorifero della cucina:

 

“Non essere triste a causa delle persone.

Moriranno tutti.”

 

Decisamente troppo sociopatico per un’animatrice-vocalist della movida Milanese.

 

Tra un mugugno e l’altro la chioma riccia riemerse dalle coperte e lo stesso fecero i ricordi della nottata. Si era concluso tutto con il vociare concitato delle altre ragazze, scioccate dalla rivelazione dell’inaspettato ospite

Noncurante del fatto che si trattasse di un VIP, Francesca aveva ignorato le moine del caso per rivolgersi al suo capo: “Cosa diavolo significa?!” aveva grugnito alterata.

Purtroppo dopo quattro anni di collaborazione il propietario del locale aveva venduto la sua quota societaria per dedicarsi ad altri progetti lavorativi; guardacaso la sua liquidazione era stata lautamente coperta dall’ingresso in scena di lui. L’altro. Robert Downey Jr.

Un VIP d’oltreoceano che avrebbe trattato il destino del loro locale come l’acquisto di un qualsiasi oggetto in commercio, fosse esso un orologio o un apribottiglie.

 

Nel caos più totale si era limitato a rimanere immobile, gli occhi scuri e penetranti conficcati in quelli di Eva (Gabriele per lui) che a stento respirava.

Non si era mossa dalla sua statuaria posizione, neppure quando l’uomo le si era avvicinato di un passo, scimmiottando la recita sensuale di lei.

L’alito di vodka le era entrato nei polmoni e non aveva potuto reagire: l’uomo aveva bevuto, ma era tutt’altro che ubriaco, lo rivelava l’espressione furente, a un passo dall’esplodere.

Eva aveva continuato a fissarlo, dentro quelle iridi di fuoco incastonate sugli zigomi spigolosi. Si era soffermata un attimo di troppo su quei lineamenti così magnetici, che era rimasta assordata dai battiti del proprio cuore.

“Sorpresa”. Fu l’ultimo sussurro, a fior di labbra, del suo carnefice, prima che questi se ne andasse senza salutare nessuno.

 

“Quel borioso egocentrico...Lo odio già”. Le lamentele di Francesca riportarono l’amica sulla Terra.

“Però resta incredibilmente sexy”. Claudia si sporse giù dal soppalco, appoggiata ai gomiti.

Eva la fulminò con lo sguardo: “No Cloud...lo sono Sherlock Holmes...o Tony Stark...Questo è solo un fottutissimo uomo reale, ex-tossicodipendente e come abbiamo visto, amante dell’alcool. Non confondiamo l’immaginazione con la vita vera”. Pronunciò l’ultima frase con un brivido lungo la schiena, forse più come monito a se stessa che alla sua Cloud.

 

Le aveva dato quel soprannome anni addietro, prima che Daniele lo francesizzasse in “Claude”.

Con la pronuncia inglese, Cloud suonava come l’abbreviazione del nome vero, Claudia, e assumeva il doppio significato di nuvola. D’altronde era così che spesso Eva vedeva la sua amica d’infanzia: una nuvola candida e allegra.

Francesca invece...era soltanto Fra. Breve, semplice, deciso. Come lei, del resto.

 

Fu quest’ultima a uscire per prima dal letto, per afferrare il proprio violino, appoggiato sul comò; l’attimo successivo sfiorò le corde con l’archetto, in procinto di accordarlo.

“Diamine, che mal di testa...” borbottò Eva imitando l’amica e alzandosi dal letto, per poi puntare dritta al bagno.

L’immagine riflessa nello specchio le diede solo la conferma di come si sentisse quella mattina: uno straccio sbattuto con tanto di occhiaie, pelle cinerea e capelli inguardabili. Con rassegnazione la ragazza li raccolse in uno stretto chignon, per poi fermare i ciuffi più crespi con un cerchietto grigio.

L’acqua del lavandino era ormai bollente quando ci tuffò il viso per cercare di riacquistare un po’ di colore.

 

Claudia fece capolino dalla porta: “Dove devi andare?” bofonchiò intenta a lavarsi i denti.

“Un cliente importante deve visitare la sua futura casa. O meglio, il suo futuro attico da cento milioni di euro”. Eva non perse tempo col trucco, non voleva arrivare tardi.

“Ma è Domenica!” ribattè l’altra.

“Sì, ma la Proto Organization non ha giorni di ferie. La Domenica l’ha inventata Dio, mentre la Proto è...”

“E’ l’inferno, lo so!” completò per lei la biondina.

Eva sorrise divertita; grazie all’amica e a un buon analgesico la giornata avrebbe preso una piega migliore. Tutti gli altri casini potevano aspettare.

 

 

Il jet lag era la cosa che odiava di più al mondo. Più dell’emicrania, della nausea e dello spesamento totale in cui Robert Downey Jr. si era trovato dopo i bagordi della sera prima.

La camera d’albergo era un vero schifo; almeno in quello rifletteva il suo stato d’animo.

Accanto al retrogusto di vodka e di sigaretta, qualcos’altro rese più amaro il risveglio dell’attore: erano secoli che non si incazzava così. Tuttavia quella Gabriele aveva toccato i tasti giusti per farlo esplodere, anche senza toccare nulla di fisico e tangibile.

Si era trattato più di qualcosa di impalpabile, qualcosa che sembrava fluttuare nei pochi centimetri di aria che li separavano; gli era bastato perdersi nel suo sguardo magnetico per andare su tutte le furie.

Era abituato a orde di fan urlanti, pronte a strapparsi i vestiti di dosso per lui, ma non era preparato a quell’aria strafottente, sbattuta su un così bel viso, come un trucco troppo pesante.

Era lui di solito lo stronzo maschilista, soprattutto quando non c’era Susan a tirare le fila del suo carattere irruento.

 

Come uno strillo lancinante il suo cellulare prese a suonare; ci volle qualche ritornello dell’odiosa musichetta prima che Robert si decidesse ad alzarsi. Nel bel mezzo della ricerca, un groviglio di camicie e pantaloni finì sul suo percorso come una trappola; Robert cadde con un tonfo sordo, schivando di un soffio il comò; poco male, il telefono era proprio lì sotto.

L’uomo rispose farfugliando un confuso: “Hello?”.

 

Era l’agenzia immobiliare. Lo contattava per confermare l’appuntamento delle 11 in punto. E al momento erano le...10 del mattino.

Aveva meno di un’ora per resuscitare, lavarsi, rendersi presentabile e recarsi al suo nuovo appartamento; o come lo avrebbe definito sua moglie, al suo “ultimo capriccio immobiliare”.

Fanculo. Resuscitare era l’unica cosa fondamentale. Per i restanti punti della lista, la decenza comune sarebbe andata a farsi fottere.

 

Più che un’azienda di marketing e design internazionale, quel gruppo sembrava un piccolo corteo di servi e governanti alla corte del Re Sole. Fu uno dei tanti pensieri polemici che Eva era solita tenersi per sè, per poi borbottarlo una volta rimasta sola.

Quello dove si trovava era un attico di cui non aveva tuttora individuato l’inizio e la fine, ancora totalmente privo di mobili e per questo apparentemente più immenso del reale.

Con lei vi erano un paio di architetti e progettisti, la curatrice dell’arredamento con il suo designer personale, l’addetta all’ufficio marketing con rispettivo assistente e lui: Alessandro Proto.

Già il fatto che i pesci grossi fossero scesi dall’Olimpo per quell’evento l’aveva insospettita; ora erano lì, in fila indiana, alcuni concentrati sulla punta delle proprie scarpe, altri sugli stucchi appena tinteggiati del soffitto, tutti comunque sull’attenti come al primo giorno di leva obbligatoria, mentre il “Generale Proto” sciorinava la sua ramanzina.

“Non sono qui per ripetervi che siamo i numeri uno sul mercato, che da voi esigo la perfezione e anche qualcosa di più”.

 

Eva abbassò lo sguardo sui suoi stivali di pelle grigia, in tinta con la gonna; per quell’evento aveva scelto una mìse semplice e sobria. Camicia bianca e longuette a vita alta, in tinta con gli stivali e il cerchietto grigio; aveva evitato la cravatta perchè insieme agli occhiali e alle lentiggini l’avrebbe fatta sembrare una scolaretta con la divisa del college.

Il discorso nel frattempo continuava: “Il cliente che sta per entrare da quella porta è uno dei più importanti nella storia di quest’azienda. Ora penserete che non vi ho detto di chi si tratta per motivi di privacy o simili...Beh, non è del tutto esatto- l’uomo fece una pausa per dare più enfasi a ciò che stava per dire- Noi siamo l’eccellenza con la “E” maiuscola, indipendentemente dal cliente, senza se e senza ma”.

 

Inutile dire che il suono del campanello fu incredibilmente d’effetto a quel punto del monologo.

Lo stesso Alessandro Proto andò ad aprire la porta; contro il briefing tenuto dal sommo-capo, Eva si allungò curiosa per scorgere il misterioso proprietario di casa...che poi tanto misterioso non era.

La ragazza trattenne a stento un grido di sorpresa e nel farsi da parte dietro al codazzo di ossequiosi dipendenti, si premette una mano sulla bocca. Non poteva essere!

 

“Mr Downey, questo è il mio team di fedelissimi”. Il diretto interessato buttò una fugace occhiata al gruppo di salme immobile in un angolo, accennando un saluto svogliato con la mano.

Alla vista dei ben noti occhiali da sole, con tanto di cappellino da baseball, Eva ebbe un tuffo al cuore e implorò di diventare improvvisamente invisibile. E cominciò a pensare di avere un karma molto nero da espiare.

 

Fortunatamente la voce civettuola e stridula dell’arredatrice sovrastò qualsiasi altra cosa: “Se siete d’accordo, potremmo iniziare il tour della casa”.

Un distratto Robert Downet Jr. fece cenno di assenso col capo, lasciando vagare lo sguardo tra pavimento e soffitto, ignorando lo sproloquio dell’attempata signora in tailleur beige.

Alessandro Proto si accostò al suo cliente dalle uova d’oro mentre i restanti si accodarono come un corteo religioso, di cui Eva era il terrorizzato fanalino di coda.

Passarono così la cucina, l’enorme salone su piani sfalsati che si affacciava sul terrazzo ancora in ristrutturazione, per poi finire nella zona notte; mentre l’istrionica curatrice del design illustrava come sarebbe stato con un mobile lì, il letto laggiù, la cassettiera contro quel muro...Eva scrutava ogni sigola mossa- o meglio, ogni singolo sbadiglio- di un annoiato Robert Downey Jr.

 

Sembrava un bambino in gita scolastica al museo delle scienze; come poteva essere così menefreghista e noncurante di tutto ciò che gli apparteneva?

La ragazza scosse la testa: di quel passo ancora un paio di mesi, poi il suo locale sarebbe andato a farsi benedire e con esso il proprio lavoro. Grandioso!

Con immenso rammarico dell’arredatrice i “soli” seicento metri quadri di appartamento- più cento di solarium- erano finiti, così il gruppo si apprestò ad uscire.

“Prima di salutarla, ci terrei a presentarle i membri del team che curerà la realizzazione della casa”. Alessandro Proto si gonfiò nell’elencare nomi che il blasonato attore si sarebbe dimenticato una volta abbandonata la futura dimora.

Non posò lo sguardo su nessuno di loro; solo per caso così non fu per Eva.

D’altra parte, benchè si fosse nascosta fino ad allora le era impossibile non spiccare sopra quel gruppo di vecchie salme impagliate.

 

“Lei è la mia assistente ai progetti di design- spiegò sempre il sommo capo- Curerà la parte attuativa del progetto. E’ la nostra stagista più giovane ma è molto esperta- si rivolse direttamente a lei- Eva, dopo lascia il tuo biglietto da visita al Signor Downey, così ti contatterà direttamente per qualsiasi evenienza” il cielo volle che il cellulare di Proto squillasse proprio allora.

Dal canto suo la ragazza era rimasta in silenzio senza accennare neanche un mezzo sorriso, con gli occhi fissi in un punto indefinito tra il mento brizzolato e il primo bottone del colletto di...lui.

Il resto del gruppo cominciò ad avviarsi verso l’uscita, mentre il sommo-capo discuteva al telefono con un piede già fuori dalla porta.

 

Erano rimasti solo loro due. E gli occhi scuri dell’attore cominciarono a farsi pesanti, anche dietro gli occhiali da sole.

“Ci conosciamo, per caso?” fu la domanda borbottata svogliatamente dall’uomo. Poi si tolse berretto e occhiali.

Un battito, due, tre e a Eva parve che il mondo si fosse capovolto; di nuovo quello sguardo inquisitore che tanto l’aveva confusa la notte precedente.

Robert stirò la bocca in un sorriso beffardo: “Sei un’attrice nata, devo dirlo. A stento ti ho riconosciuta”.

Un groppo in gola tolse il respiro alla ragazza: la Proto Organization era una vasca di squali del marketing, della finanza e dell’edilizia. E lei aveva nuotato nel sangue per avere quel posto, quella semplice, misera opportunità.

Ciò che il sommo-capo aveva detto con paroloni altisonanti era vero, almeno in parte.

Avrebbe curato lei la parte esecutiva dei lavori: per “esecutiva” si intendeva controllare le consegne dei fornitori, prendere appuntamento con idraulici, elettricisti e impiantisti, stare attenta che i facchini non smiccassero i mobili o non segnassero il parquet...in sostanza bassa manovalanza.

Ma era in dirittura d’arrivo con la laurea  in architettura degli interni e la sua tesi...verteva proprio su quel fottutissimo loft in Piazza San Babila.

 

Nessuno sul posto di lavoro sapeva del suo impiego notturno, un’azienda di tale prestigio non avrebbe tollerato nulla al di fuori dell’elegante perfezione, totalmente agli antipodi di locali notturni, minigonne e tacchi a spillo. Una parola storta a riguardo l’avrebbe sbattuta fuori. E in quel momento aveva di fronte una montagna di parole storte, che vestivano i panni di Robert Downey Jr.

Così, con un ultimo disperato colpo di genio, Eva improvvisò la sua migliore faccia d’angelo: “Non so di cosa stia parlando, Mr. Downey”.

 

L’uomo stava già per ribattere, quando un dubbio gli guizzò nella mente: e se i postumi della sbronza gli avessero dato alla testa? Cercando di concentrarsi, si avvicinò pericolosamente alla ragazza e focalizzò l’attnzione sui suoi lineamenti.

Era certo che fosse lei, senza ombra di dubbio...o quasi.

“Come hai detto che ti chiami?”.

L’altra abbassò ulteriormente lo sguardo: “Eva”. Punto. Calò un denso silenzio.

L’attore esitò qualche istante, scansionandola da capo a piedi: stessi occhi grigi, stesse labbra carnose, stesso ovale delicato.

Ma quelle lentiggini c’erano, la notte prima? E i capelli...non erano una massa riccia e voluminosa? Improvvisamente gli parvero diversi, così stirati sulla fronte. Anche l’altezza lo insospettiva; la sera prima avrebbe potuto affondarle il viso nel decolletè, ora lei lo superava di una spanna scarsa.

 

Improvvisamente il suo sguardo si illuminò, causando a Eva un improvviso giramento di testa. Non le restava che subire l’inevitabile sentenza.

“Sorella?”. Un’unica parola, lapidaria e inattesa la stordì.

Le parve di non aver capito: “Come scusi?”.

“Sorella!” ripetè perentorio Robert, con tono più deciso; ancora Eva faticava a stargli dietro. “Diavolo- l’uomo si innervosì- Hai una sorella?”.

La ragazza sgranò gli occhi, indecisa se urlare dalla gioia o svenire per la tensione: “Ehm...s-sì...sì” balbettò poi.

L’attore si battè una mano sulla fronte: “Ma certo! Gemelle?”.

Eva abbassò di nuovo lo sguardo; ora tremava e si limitò ad annuire lievemente. Non voleva rovinare quell’inaspettata piega degli eventi.

 

L’uomo si spremette le meningi per un’ultima conferma: “Gabriele, giusto?” l’altra annuì di nuovo.

Fu una liberazione: “Cavolo, ora si spiega tutto- Robert rise da solo- Che storia assurda...Da non crederci: prima la sorella carina ma stronza, poi la gemella un po’meno carina ma educata e remissiva. Decisamente non potevate essere la stessa persona- l’uomo parlò ad alta voce, più a se stesso che alla sua interlocutrice, noncurante di risultare sgarbato o peggio, cafone- Cristo, devo piantarla con la vodka!”.

 

Eva serrò le labbra, deglutendo l’arroganza di quelle parole con un groppo di saliva. Sempre con lo sguardo basso parlò: “Se ha bisogno di qualsiasi cosa, questo è il mio numero” il biglietto da visita le fu strappato di mano con altrettanta noncuranza.

“Sì, come vuoi tu...- Robert la liquidò con un piede già sulla soglia- Buona giornata”.

 

L’attimo dopo la ragazza era sola nell’infinito appartamento; le gambe le cedettero e lei si lasciò cadere in ginocchio sui giornali lasciati dagli imbianchini. Con un respiro profondo si liberò della tensione di poco prima. Per la frustrazione, la paura e la rabbia non sarebbe stato altrettanto facile.

 

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Capitolo 3
*** III CAPITOLO ***


III CAPITOLO

 

 

 

“Mi stai dicendo che l’ha bevuta?” Francesca si passò un asciugamano tra i capelli bagnati.

Claudia rincarò la dose: “Insomma, siamo sicuri che quest’uomo non si droghi più?- soffiò sulle dita laccate di smalto fresco- Doveva essere fatto, per arrivare a una conclusione simile”.

“Può darsi- Eva riflettè un attimo poi puntò la matita per occhi verso le altre due- Ehi...Niente porcherie simili nel nostro locale...La prima polvere bianca che vediamo girare si va dritte dalla Security”.

“Puoi dirlo forte” concordò Francesca pettinandosi la frangia.

 

Era mercoledì e la serata sarebbe stata dedicata alla cena con lo staff del locale, che rimaneva aperto fino alle due come lounge bar; Daniele ne approfittava per fare un resoconto del week-end precedente e per pianificare il successivo.

Quella sarebbe stata la cena di presentazione ufficiale del nuovo “padrone di casa”; Eva al pensiero storse il naso.

“Cazzo...E pensare che amavo il mio lavoro”.

Francesca la rimbeccò: “Sai benissimo cosa dovresti fare per tornare ad amarlo”:

“Ne abbiamo già parlato, è un capitolo chiuso” la rabbia montò sulle gote lentigginose della riccia.

“Ehi ehi, ragazze...Calma. Anch’io vi amo con tutto il cuore” il sarcastico intervento di Claudia calmò apparentemente le acque.

Eva spesso si chiedeva come facesse la sua “Cloud” ad essere sempre...così; non aveva mai incontrato nessuno con cui l’amica avesse litigato, o con cui non fosse in buoni rapporti. Era davvero così angelica come sembrava.

 

Francesca si sistemò i capelli da una parte, mettendo in risalto la rasata punk-chic.

Claudia indosso un’elegante tuta in seta grigia, composta da top senza spalline e pantalone cuciti insieme.

“Cosa ne dite, nero o verde?” Eva mostrò due tubini simili.

“Verde” fu la risposta unanime delle altre due.

 

Di solito lo staff cenava in mezzo al locale insieme alla clientela, ma visto l’ospite di tutto rispetto si era deciso di spostare la location su un palchetto un po’ defilato e protetto da paraventi.

Il posto a capotavola era stato lasciato inequivocabilmente vuoto, così Eva si premurò di distanziarsi il più possibile, una dozzina di sedie più in là.

Si trovò circondata dalle ragazze con cui condivideva il proprio lavoro, bariste, ballerine, driver dell’animazione e si sentì subito a casa; le bastarono gli abbracci e i sorrisi smaglianti di alcune di loro, l’umore migliorò all’istante. Si sedette in mezzo al vociare allegro delle sue amiche e si dimenticò di tutto il resto.

 

 

Per una volta nella sua vita, Robert ringraziò la vena logorroica della moglie che l’aveva fatto arrivare in ritardo: non aveva nessuna voglia di incrociare di nuovo lo sguardo con quella Gabriele; lo avrebbe negato anche dinnanzi al padre eterno, ma qualche giorno prima il suo ego di dimensioni pachidermiche aveva vacillato di fronte a quello altrettanto spropositato della giovane poco più che ventenne. Nemmeno la rivelazione della propria identità da VIP sembrava averla scalfita.

 

Ed eccola lì, seduta in mezzo a una schiera di ragazze incredibilmente belle, persa nella sua risata cristallina; si vedeva lontano un miglio che non le interessava un fico secco della sua presenza.

Gli occhi grigio-verdi gli guizzarono addosso, mentre lei sorseggiava da un calice di vino, per poi tornare a immergersi nei gossip femminili del resto della comitiva.

La maggior parte dei presenti salutò Robert come una persona qualunque, solo chi non l’aveva ancora incontrato si presentò con una semplice stretta di mano e un sorriso affabile; la cosa lo sorprese, non era abituato a quelle piccole discrezioni.

Daniele si sporse a chiedergli cosa ne pensasse del locale in quella veste più elegante; con un cenno del capo l’Americano fece capire che approvava.

 

La cena proseguì in modo molto formale e misurato; tra una portata e l’altra si discusse della città, a confronto con le metropoli statunitensi, del clima mite di quell’inizio di primavera...Ma Robert si estraniò per la maggior parte del tempo, preso dal più interessante impiego di scrutare ogni singola mossa della sua antagonista.

Lo scambio di occhiate fra i due, tra un boccone di arroso e un sorbetto al limone, fece passare l’appetito a Eva: “Quanto lo detesto- sibilò all’orecchio di Francesca- Non la pianta di fissarmi”.

“Aspetta, mi sposto un po’...così gli impallo la visuale”.

Claudia rise e per poco non sputò il caffè: “Siete fantastiche, ragazze!”.

“Vallo a dire a lui- borbottò la perseguitata- Mi ha fatto venire così tante paranoie che ho la nausea...Dio ti prego, fa che non mi riconosca!”.

 

Fortunatamente a cena terminata, il gruppo si spostò negli uffici di Daniele, per continuare a bere e chiacchierare. Lungo il tragitto che lo divideva dalle scale Robert fu bloccato da qualche fan, per un autografo e le foto di rito.

Eva prese posto appollaiata allo sgabello del bancone dove era solita mettersi per studiare la collocazione dei tavoli del venerdì successivo.

Dopo breve un bicchiere pieno di un qualche alcolico entrò nella sua visuale; la ragazza scansionò con lo sguardo la mano che gliel’aveva allungato. Registrò nella sua mente l’anello d’oro bianco a fascia e il rolex in acciaio, poi risalì su per il braccio, coperto da un costoso gessato, fino alla spalla...che come tutto il resta apparteneva a Robert Downey Jr.

 

Dal canto suo l’uomo se ne stava lì, gli occhi leggermente stralunati su di lei, in un atteggiamento di studio che si addiceva più a Sherlock Holmes che all’uomo reale.

Eva sospirò profondamente, accettò un sorso del drink, che scoprì essere vodka liscia, e si rimise a scribacchiare.

Con fare disinteressato l’attore si appoggiò al bancone: “Sai...qualche giorno fa ho conosciuto tua...”

“Sorella. Lo so” lo interruppe lei senza degnarlo di uno sguardo.

“Davvero?” Robert si finse sorpreso.

La ragazza smise di prendere appunti e celando il nervosismo cercò di zittirlo: “Siamo sorelle, giusto?”.

“Quindi siete...intime, cioè...molto intime...confidenti...vi parlate spesso” farfugliò incerto l’uomo.

Eva tentò di porre fine a quel monologo, degno del più impacciato Tony Stark: “Già”.

Robert guardava fisso davanti a sè, la schiena appoggiata al bar, una mano che stringeva il poso opposto, in una posa decisamente plastica: “Passate molto tempo insieme?”.

“Vediamo...-il tono di lei divenne sarcastico- Praticamente tutto il tempo”.

 

Una pausa di silenzio le fece intuire che l’altro fosse a corto di domande; tuttavia il fascinoso attore non sembrava avere intenzione di andarsene.

“Dammi del tu” bastò così poco a far barcollare Eva sul suo sgabello.

Cercando di celare l’evidente disagio, la riccia posò la biro sul ripiano e bevve un altro sorso di vodka; con un’occhiata fugace esaminò il drink dell’uomo, non si sarebbe sorpresa se stesse bevendo formaldeide, come il ben noto Sherlock.

Eva inspirò e rispose: “Ok Downey, ora ti dispiacerebbe lasciarmi in pace? Tutto lo staff mi sta fissando e lo detesto”.

“Robert...Robert è il mio nome...” la corresse lui con fare da maestrina.

“Peccato Downey, formula meglio la tua richiesta la prossima volta” la ragazza lo rimbeccò pregando che quel dibattito finisse lì. Invano.

 

L’uomo inizialmente basito, tornò alla carica: “Gabriele, tu lavorerai per me. Non rendere tutto più difficile”. Quando la ragazza alzò lo sguardo su di lui si accorse della breve distanza che li separava; avrebbe voluto allontanarsi, ma si trovava bloccata sullo sgabello e non poteva muoversi. Come faceva ad attirarla sempre in trappola?

“Bene...lascia che ti sveli un segreto, Downey”.

“Robert...”

Downey- tutte le volte che Eva pronunciava il suo cognome lo caricava di disprezzo- Per lavorare insieme non dobbiamo nè piacerci, nè andare d’accordo. L’unica regola è...non farlo”.

“Fare cosa?” l’attore si appoggiò al bancone a braccia incrociate.

“Quello che stai già facendo- Eva finse un mezzo sorriso e si spiegò- Non sono il parafulmine delle tue frustrazioni da insoddisfatto uomo di mezza età. Credi di essere il primo a piombare qua dentro pisciando in ogni angolo per marcare il territorio?- abbassò il tono della voce, che si fece quasi gutturale- Non accanirti su di me. Non fare l’errore di dichiararmi guerra o non sarò nè carina, nè educata, nè remissiva”.

Detto ciò, la ragazza tornò a chinarsi sul suo blocco note, mentre un basito Robert Downey Jr. rimaneva lì, a fissare la sua chioma riccia, senza parole.

 

Tra un boccolo e l’altro, a ogni movimento del capo emergeva un lembo di pelle, segnato dai tratti del tatuaggio; i capelli ramati della ragazza incorniciavano le forme della geisha, carezzando le scaglie colorate della carpa e le fauci del dragone, ben visibili sulla schiena nuda.

Imperterrito Robert afferrò uno sgabello e lo piazzò accanto a quello di Eva, che sussultò nel trovarselo così vicino.

“Credo che io e te siamo partiti col piede sbagliato. Sento che in realtà potremmo andare molto d’accordo” a far tentennare Eva non fu l’insistenza del suo interlocutore, bensì il sussurò con cui furono pronunciate tali parole.

 

La ragazza socchiuse gli occhi e ricacciò indietro il brivido che l’aveva percorsa giù per il collo, lungo la schiena, fino al braccio...che ora si trovava a sfiorare quello di Robert.

Con una roca risata dissimulò l’imbarazzo :”Molto d’accordo?” lo schernì con fare noncurante.

L’altro si sporse ulteriormente: “Molto” ripetè con convinzione.

Eva non resistette e deglutì rumorosamente.

“Bingo!” pensò il sadico attore, con un ghigno di vittoria dipinto in volto.

 

Molto...era bastata quell’unica parola, nella nota finale, per far cadere tutte le resistenze della ragazza. I battiti cardiaci le esplosero nel petto, mentre si trovava ad analizzare i lineamenti mascolini, seppur delicati, dell’attore. Aveva saggiamente evitato il contatto visivo fino a quel momento e ora si ritrovava ipnotizzata da quegli occhi castani, dalle sottili rughe di espressione che si riempivano quando sorrideva, come stava facendo anche in quel momento, mentre le labbra sottili si aprivano a mostrare una fila di denti sfacciatamente perfetti.

Ricacciando indietro le immagini poco professionali di un istante prima, Eva scosse il capo: “Ok...d’accorto...perfetto Downey, è stata una piacevole conversazione ma ora...avrei...da fare, per cui se non ti dispiace...” come conclusione a quella frase confusa, si limitò a finire tutto d’un fiato il proprio drink.

 

L’attore in risposta non fece altro che sorridere; con un gesto della mano le passò il proprio bicchiere: “Finisci anche questo”. Nessun ciao o arrivederci.

Eva si trovò all’improvviso da sola...per poco.

Alla presenza oppressiva e magnetica di Robert Downey Jr. se ne sostituirono due, più esili e frizzanti.

“Allora allora...Mi sa che ci devi delle spiegazioni, Miss Simpatia” Francesca la punzecchiò battendole sulla spalla sinistra, mentre Claudia incalzava dal lato opposto.

“Hai monopolizzato il divo per più di mezz’ora. Ho tutto il corpo di ballo in subbuglio!- da dietro le lunghe ciglia gli occhi di Cloud brillarono- Breve ma intenso?”.

 

Eva si premette le meningi “E anche un po’ inquietante...Cristo, non sapevo più cosa dire, avevo esaurito tutto il repertorio di frasi acide”.

“Il che la dice lunga...-la canzonò Francesca- Ma smettila, si vedeva lontano un miglio che stavate flirtando- le scompigliò i ricci con una mano- Avanti, racconta”.

L’interrogata prese con un gesto meccanico il bicchiere di Robert e ne bevve un sorso: “Cazzo...ma cosè questa roba?” scosse il capo per liberarsi del gusto bruciante che le stava scendendo giù per la gola.

“Cosa bevi?” Claudia annusò il misterioso drink e si ritrasse con una smorfia.

“Penso sia petrolio...misto a formaldeide e...fluidi corporei di Robert Downey Jr...”

“Questo era il suo bicchiere?” Francesca lo esaminò come se fosse un reperto radioattivo.

 

Eva scosse nuovamente il capo e riportò l’attenzione delle altre a problemi più seri: “Ragazze, venerdì dobbiamo organizzare uno show da urlo. Dobbiamo far capire a quel pompato che non abbiamo bisogno di lui”.

Claudia si strinse nelle spalle: “Era nell’aria l’idea di una serata a tema...Oriente, sushi, kimono...Cosa ne dici?”.

La riccia sbuffò tesa: “Cosa ne dici di rispolverare dal tuo repertorio un po’ di danza aerea? Te la senti?”.

L’altra riflettè solo un attimo, prima di accettare: “Chiederò a Daniele di montare qualche nastro sospeso per allenarmi”.

Francesca intervenne a dare il suo contributo: “Io porterò il mio violino elettronico...E’ da un po’ che non mi diverto a improvvisare qualche accordo in serata”.

Eva allungò un braccio a dare il cinque alle altre due: “Grande! Mettiamoci al lavoro”.

 

Sì, lavoro. Forse quell’incombenza avrebbe rallentato i battiti cardiaci di Eva. E le avrebbe permesso d tornare a pensare lucidamente.

 

 

 

 

Rieccomi qua...Mi scuso se mi sono fatta attendere più de dovuto, ma mi sono appena trasferita e ho dovuto assestarmi, prima di tornare a concetrarmi sul racconto.

Spero che vi piaccia!

Ringrazio chi finora ha commentato, o mi ha inserito tra le preferite/seguite/da ricordare...attendo il vostro giudizio, mi piacerebbe se ci fosse un contributo anche da chi legge per nuovi spunti sulla trama!

Prometto che tornerò a pubblicare prestisssssimo!

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Capitolo 4
*** IV CAPITOLO ***


IV CAPITOLO

 

 

 

 

“Non sarai entrata nel clima di quest’azienda finchè non sarà il lavoro stesso a svegliarti la mattina”

 

Fino ad allora Eva non aveva totalmente compreso le parole di Proto; ora era consapevole che ne avrebbe volentieri fatto a meno.

Otto e mezza di mattina. Il suo cellulare aveva già squillato tre volte. Era un segno: i lavori a casa Downey sarebbero cominciati proprio quel giorno. Così Eva si tuffò nel primo paio di leggins grigi che trovò nell’armadio e scelse un grande camicione bianco a coprirla fino alle ginocchia.

Snobbando le decine di scarpe che aveva in comunione con le amiche, si accontentò delle solite amate sneakers, l’ideale per correre alla fermata dell’autobus, cambiare in volata due fermate di metro ed essere per le nove in punto in Piazza San Babila, dove una squadra di facchini stava già scaricando diversi imballaggi.

 

La ragazza li precedette salendo di corsa le scale per aprire l’appartamento, disinserire l’allarme e sistemarsi in assetto da battaglia con disegni e piante dell’appartamento stesi su un tavolo di fortuna.

Passò diversi minuti al telefono con l’impresa che avrebbe dovuto adeguare il solarium a ospitare una piscina (sì, estremamente kitsch ed esattamente americano) per evitare che si accavallasse con il falegname che doveva lucidare i parquet. Nel frattempo i facchini stavano assemblando i pensili della cucina.

 

“Tra un’ora dovrebbe arrivare la gru, fino ad allora non fissate nulla al muro” ordinò la ragazza, trovandosi a contemplare le facce spaesate dei presenti.

“Il ripiano della cucina a isola è un blocco unico di marmo rosa del Sud Africa. Non ci stava in ascensore”. In effetti una gru per un pezzo di un semplice mobile era un concetto astratto per molti comuni mortali...ma per i VIP questo e altro!

Il telefono squillò di nuovo: l’idraulico avrebbe tardato ad arrivare, stava aspettando la consegna della jacuzzi da installare in uno dei tre bagni: “I piastrellisti così saranno rimandati a domani” constatò contrariata.

Esaminando le carte Eva si fece un’idea dell’immenso lavoro che la aspettava.

“Che spreco...” disse fra sè con disapprovazione.

 

“Buongiorno!” una decisa voce maschile le fece alzare lo sguardo.

Sulla soglia se ne stava Robert, un caffè rigorosamente Americano stretto nella destra. La ragazza inforcò gli occhiali da vista improvvisamente a disagio: “B...buongiorno Mr. Downey. Che sorpresa...”. non voleva arrossire ma si rassegnò all’inevitabilità della cosa.

Robert aprì le braccia in segno di ovvietà: “Beh, è casa mia- con tono sarcastico indicò l’ingresso- Posso entrare?”.

Eva annuì decisa: “Prego...Attento alla vernice fresca” si torse le mani, tesa come una corda di violino mentre l’uomo si sistemava su una sedia ancora incellophanata.

Fortunatamente la ragazza non era l’unica a subire il fascino dell’inaspettata presenza: “Forza, tutti al lavoro!” ordinò ai vari imbianchini e facchini che fissavano il VIP imbambolati. Poi tornò a concentrarsi sui suoi disegni.

 

Robert si mise a studiarla da sotto le lenti specchiate: infilata il quella camicia extra large sembrava più esile di quanto già non fosse. I grandi occhiali e le lentiggini le davano un’aria infantile, togliendole alcuni dei suoi...quanti anni aveva?

“Quanti anni hai?” l’attore non fece in tempo a pensarlo che gli sfuggì dalle labbra.

Eva finse indifferenza e rispose cortesemente: “Ventiquattro...quasi venticinque”. La discussione nacque e morì lì.

Robert continuò a sorseggiare il suo caffè, più accasciato che seduto, con lo sguardo che correva interrogativo su tutti i vari personaggi che gli turbinavano attorno.

Alla fine l’occhio gli cadde nuovamente sulla ragazza: sembrava incredibilmente a suo agio, immersa nel lavoro, al contrario di lui che si sentiva immensamente inutile e fuori posto.

 

Senza togliere il fatto che ancora non si capacitava di quanto fossero identiche lei e Gabriele. Ora che era sobrio i dubbi si accentuavano.

Liberandosi delle lenti specchiate partì all’attacco: “Dammi pure del tu”.

Eva si fermò solo un attimo, giusto per alzare il capo e sorridergli cordialmente: “Non credo che sia il caso...”.

Altro silenzio di sorpresa. Robert stirò i lati della bocca in un ghigno sarcastico, scuotendo il capo: “Vi hanno fatte proprio incasinate, te e tua sorella...”.

Eva sgranò gli occhi innocenti per un istante: “Non credo di capire”.

“Beh, se è per quello nemmeno io”. Ribattè  borbottando l’uomo; con fare annoiato prese a battere il piede sul pavimento, mentre esaminava con scarso interesse gli stucchi appena verniciati sul soffitto.

 

In una cosa le due ragazze erano identiche: dimostravano una totale indifferenza nei suoi confronti e questo lo metteva a disagio. Nessuno lo aveva mai fatto sentire così inadeguato.

E da parte sua Robert non vedeva altra soluzione se non quella di mettere altrettanto a disagio le due, che si trattasse di Eva o Gabriele non importava; la sera prima aveva funzionato con quella più irriverente, non poteva di sicuro fallire con l’altra.

“Tua sorella è un bel tipo- iniziò a prendere il giro largo- Non è di sicuro facile da domare”.

I battiti cardiaci di Eva cominciarono ad accelerare e il tratto della matita si fece più frenetico: “Lo dicono in molti. Deve essere così”. La ragazza cercò di deviare su frasi di circostanza, consapevole di trovarsi su un sentiero minato.

“Che tu sappia...- Robert la guardò di sottecchi- ...ha il fidanzato?”.

 

Eva ebbe un singulto di sorpresa e la punta della matita si piantò sul foglio, spezzandosi; pregò il cielo che l’attore non se ne fosse accorto.

Doveva agire in fretta e decisa allo stesso tempo. Prese un respiro profondo e lo guardò negli occhi: “No, non ce l’ha”.

Dall’altra parte della barricata ricevette come risposta il sarcasmo di Robert: “Ci avrei scommesso una mano. Certo, col carattere che si ritrova....”.

Eva non potè fare altro che ammutolire; mai e poi mai si sarebbe aspettata tanta sfacciataggine. Aveva sulla punta della lingua una delle sue risposte acide, o meglio, una delle risposte acide di Gabriele...ma si frenò appena in tempo; non doveva dimenticarsi che era perennemente sotto esame, sul filo del rasoio.

 

Tuttavia nulla le impediva di ribattere per difendere Gabriele...cioè se stessa...Dannazione, la cosa cominciava a confondere anche lei.

“Lo ha avuto...una volta...” fu l’unica cosa che le venne in mente, buttata lì tra una riga e l’altra del suo disegno.

Robert inarcò un sopracciglio: “Una volta? E che gli è successo poi, lo ha divorato?” non trattenne un mezzo risolino compiaciuto.

Eva deglutì amaro e si sforzò con ogni fibra del suo corpo a ignorare le provocazioni. “Beh, come si suol dire...tutto ha una fine”. La voce la tradì e nella nota finale le tremò, ma lui parve non accorgersene.

“Di chi è stata la colpa? Di Gabriele?” incalzò l’uomo.

“Oh no...Credo di nessuno- a quel punto Eva smise di lavorare e lo inchiodò alla sedia con lo sguardo, placida e decesa- Se ci fosse qualche colpevole, credo che Gabriele l’avrebbe ucciso”. Concluse la frase col più sincero dei sorrisi, che mise in mostra una fila di piccoli denti perlati, fermandosi tuttavia alle labbra, senza illuminarle gli occhi chiari.

 

Con quel semplice gesto Robert era di nuovo KO: lo aveva steso con la genuinità più disarmante e aveva fatto intendere con poche, sorridenti parole che quella era la pura verità.

La grinta di Gabriele calzata nel guanto vellutato di Eva; il breve interrogatosio non gli aveva chiarito nessun dubbio. Semmai li aveva fermentati e ora era più a disagio di prima.

“Bene, i lavori qui possono continuare anche senza di noi” l’intervento deciso della ragazza interruppe il flusso dei pensieri di Robert.

“Come scusa?”.

“Intendo dire...la disposizione interna dei mobili è stata decisa solo parzialmente, era stato accordato con l’agenzia che le finiture fossero decise con la sua collaborazione. D’altronde questa è casa sua!” concluse la ragazza con il solito aplômbe. Afferrò una cartellinae fece capire al suo interlocutore che era in procinto di uscire.

 

“S-sì...certo...- balbettò l’uomo alzandosi di scatto- Quindi...devo venire con...cioè tu verrai...- si indicò impacciato- insomma, insieme...”.

Eva lo lasciò finire il monologo claudicante poi confermò: “E’ quello che le ho appena detto- si accinse a dirigersi verso la porta- Se vuole seguirmi...”.

Robert inforcò nuovamente gli occhiali e sbuffò, irritato dal suo stesso atteggiamento: “Sì sì...come dici tu”.

 

 

 

Presto l’attore dovette ricredersi sulla metropoli Italiana: gli bastarono due incroci, un attraversamento pedonale e qualch suono di clacson: “Qui a Milano sono tutti matti” accelerò il passo per stare dietro alla giovanissima assistente (da quando aveva cominciato a definirlà così?).

“E poi a cosa servono i semafori se sono perennemente gialli? Qui il cittadino medio passa la giornata sospeso tra la vita e la morte”. Quella che per Robert era la pura verità fece ridere Eva come la migliore delle battute.

“Siamo quasi arrivati” disse semplicemente, prima di infilarsi sotto il maestoso porticato di Corso Vittorio Emanuele, sede della sua libreria preferita. Nei cinque piani di scaffali e libri avrebbero trovato di sicuro quello che cercavano.

“Prego, la sezione di architettura d’interni è al terzo piano”.

 

L’uomo esitò un istante, appena oltrepassato l’ingresso: “Giù cosa c’è?” chiese indicando le scale che portavano al piano interrato.

“La sezione videogiochi e tecnologia” spiegò Eva col piede già sullo scalino per salire. Anche Robert aveva già il piede sullo scalino...per scendere. Gli bastò il silenzio di tomba che seguì a tale gesto per sollevare lo sguardo sulla riccia.

Lei se ne stava lì, con la sua cartellina in mano e lo sguardo distaccato di chi sa di non aver bisogno di espressioni facciali per mettere a disagio chi di dovere.

L’attore lasciò cadere le braccia sbuffando, poi si tolse gli occhiali: “D’accordo, andiamo”.

Eva si limitò a fare strada, soddisfatta.

 

“Qui ci sono i testi più nuovi sull’arredamento e il design -Spiegò la ragazza indicando la montagna di libri esposti- Mentre cerco in giro dia pure un’occhiata, se trova qualcosa di interessante ancora meglio!” con quelle semplici parole Robert si trovò improvvisamente solo e spaesato. Non ne sapeva un accidente di arredamento ma non voleva fare la figura dello scolaretto che non ha studiato la lezione, così iniziò a sfogliare titubante qualche libro.

Girato l’angolo, Eva prelevò dagli scaffali alcuni volumi che le sembrarono perfetti per la ricerca, poi si diresse al settore “Letteratura”; non aveva più tempo libero per leggere, i libri erano diventati per lei un lusso tanto quanto le scarpe costose su cui sbavavano le sue coetanee.

 

Quasi per caso ne adocchiò uno dei suoi preferiti e si ritrovò a carezzarne la copertina: era la versione in inglese, non era ancora riuscita a includerla nella propria collezione. Sì, poteva fare uno strappo alla regola!

“Trovato qualcosa?” la ben nota voce maschile la colse di sorpresa e il libro le sfuggì di mano.

Fu lo stesso Robert a raccoglierlo e nel farlo gli cadde l’occhio sul titolo: “Oh...Non dirmi che leggi questa roba” fu l’osservazione sorpresa dell’uomo.

Eva tentennò, lievemente offesa: “Qual’è il problema? Non si aspettava che i giovani d’oggi sapessero leggere cose diverse da Twilight?”.

In risposta ricevette lo sguardo di sottecchi dell’attore; ok, quella era stata decisamente una risposta Gabriele-style, così la ragazza riaggiustò il tiro sfoderando il suo miglior sorriso angelico.

 

L’uomo dal canto suo si limitò a fare spallucce: “Ho visto il cartone animato e mi è bastato” a tale affermazione, la riccia non seppe stare zitta.

“Oh no...Credo che con questa Victor Hugo si starà rigirando nella tomba- Eva si accinse a spiegare- Il Notre Dame De Paris è in assoluto uno dei capolavori della letteratura mondiale. Chi non lo legge non saprà mai che Frollo era un alchimista, o che Febo era un semplice donnaiolo...per non parlare del finale- la ragazza accarezzò rapita la copertina- Se lo avesse conosciuto, Shakespeare avrebbe avuto molto da imparare da Hugo”.

 

A tali parole Robert inarcò un sopracciglio e si lasciò sfuggire una risata supponente:”Stai dicendo che il Notre Dame De Paris è migliore del Romeo e Giulietta?”.

Eva scosse il capo: “Andiamo...Quanto può essere banale e trito lo stereotipo d’amore impossibile tra due ragazzini? Metà della letteratura contemporanea lo ha riutilizzato...ecco, appunto...Twilight!- riprese volutamente l’esempio di poco prima- In Quasimodo invece c’è la sofferenza, il rifiuto del diverso, il razzismo verso lo straniero, sullo sfondo di un’Europa infiammata dal crollo di un’Era, all’alba del Nuovo Mondo...Più lo leggo, più mi sembra un romanzo dei giorni nostri” concluse la ragazza, cercando di darsi un tono più moderato e fra le righe. Ma ormai era tardi, le gote rosse lasciavano trasparire l’eccitazione per il suo stesso racconto. Non potè fare a meno di vergognarsi per essersi lasciata andare.

 

Robert non nascose un mezzo ghigno divertito nel riconoscere tanta timidezza, celata fino ad allora: “Io di là ho finito- le porse una pila di libri- Direi che possiamo andare”.

Eva si limitò ad annuire e a fare strada alla cassa.

Mentre una biondina sui trenta cominciava a fare il conto, la riccia divise in due la pila di libri: “Tenga separato il Notre Dame De Paris, tutto il resto va su questa carta di credito...ecco il documento del titolare dell’azienda e la delega”.

“Lascia stare” più delle parole fu il tocco sulla mano a farla sussultare. Gli occhi grigi si sgranarono a focalizzare un sorridente Robert Downey Jr. Senza gli occhiali da sole e il berretto le rughe di espressione rimandavano tutte a quel sorriso.

Cloud avrebbe detto “Sono le persone buone ad avere le rughe da sorriso”. Eppure Eva stentava a crederlo possibile...benchè fosse decisamente piacevole vederlo compiere quel gesto.

Con semplice eleganza l’uomo restituì la carta di credito alla ragazza e sfoderò la propria: “Faccia un conto unico” concluse impilando tutti i volumi e lasciandola definitivamente di stucco.

La commessa obbedì senza ribattere- e senza riconoscere il VIP che stava servendo-. Un attimo dopo erano fuori.

 

La cucina era quasi totalmente assemblata e dal bagno si sentiva smartellare, sintomo che la jacuzzi era arrivata; Eva si liberò del cappotto e andò a controllare i piastrellisti della sala, ormai a metà dell’opera.

“Bene, direi che possiamo procedere- constatò soddisfatta la riccia- le lascerò tutti i manuali di arredamento. Lunedì comunicherò le sue preferenze all’agenzia e provvederemo a cercare i mobili.”.

Robert aggrottò la fronte: “Tutto qui? Mi abbandoni da solo in balìa dei libri?”.

Eva strinse al petto la fedele cartellina: “Siamo solo al lavoro preliminare, le finiture non sono ancora completate. Ci vorrà ancora un mese per concludere tutto...certo, con un tocco femminile, magari di sua moglie...”.

“No, un mese va più che bene” concluse l’uomo, il capo chino sui disegni, ma ai disegni indifferente.

 

La ragazza buttò l’occhio all’orologio, sperando di fuggire dall’imbarazzo di quella gaffe: “Si è fatto tardi, devo sistemare alcune cose alla Proto Organization” smistò i tomi di architettura per recuperare il suo Victor Hugo, ma per la seconda volta una mano entrò in collisione con la sua.

“Questo resta con me- Robert sventolò il libro incriminato- Ho qualche presuntuosa teoria da verificare!”.

“Presuntuosa?” Eva si morse la lingua. Sempre una parola di troppo.

L’attore parve non farci caso: “Non temere, potresti sempre sorprendermi” e la salutò con un occhiolino.

 

 

 

Buonasera a tutti...Comincio scusandomi del ritardo con cui pubblico, ma vivo perennemente con l’istinto omicida verso le mie coinquiline di Milano...Ergo: finchè non torno a casa, non riesco a trovare la vena per pubblicare.

Un grazie immenso a chi mi ha commentato, nel capitolo precedente e in posta privata.

Ho voluto cominciare a dare un po’ di dettagli al personaggio di Eva, sulla sua storia, le sue passioni (non dico altro, evitiamo gli spoiler).

Piccola nota personale: le citazioni riguardo ai libri nominati nel capitolo sono puramente attinenti alla trama, non voglio peccare di presunzione dando giudizi ad alcuni dei pilastri della letteratura mondiale (e...ehm, mi spiace ma non mi riferisco a twilight, la citazione è volutamente provocatoria). Comunque sia, liberi di criticarmi e lapidarmi sulla pubblica piazza...

Aspetto numerosi i vostri commenti...

Un grazie in particolare a:

RoxyDowney, Beckystark che mi hanno inserito tra i preferiti

Foreverlove_ che mi ha inserito tra i seguiti

Alian, Doctor Smith , Jade Lee, LightCross, mistero, che mi hanno inserito tra i ricordati

 

a presto!!!

 

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Capitolo 5
*** V CAPITOLO ***


V CAPITOLO

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“Tesoro...Sei in ritardo!”.

“Lo so Cloud, lo so!- piagnucolò Eva saltellando da una parte all’altra del loft ancora in mutande e col telefono incastrato tra orecchio e spalla- Il kimono non si stira da solo”.

L’amica sospirò: “Ok, ma muoviti! Io comincio ora a riscaldarmi e Fra è già al suo violino”.

L’ultima parte del discorso si perse nell’etere; Eva si stava infilando nel mini-abito, cercando di non rovinare trucco e parrucco.

Voleva che quella serata fosse perfetta, Robert sadoveva arrivare nel bel mezzo dello show e rimanere a bocca...

 

Che cosa?! E’ già qui?” la riccia non celò l’isteria nel tono.

“E’ nella tana di Daniele” Francesca buttò un occhio alle vetrate degli uffici al secondo piano del locale: da lì il direttore controllava l’andamento della serata. “Ma non preoccuparti, staranno bevendo come animali...a proposito, bel vestito!” osservò la bionda con un’occhiata al kimono di Eva, costellato di fiori di ciliegio.

“Anche la tua camicia alla koreana non è male” ammise l’amica affrettandosi a passo svelto dietro la consolle.

 

“Maledizione, se le cose cominciano ad andare storte adesso...entro un’ora mi sarò licenziata” Eva prese possesso del suo microfono; tutt’intorno i clienti del locale cominciavano ad alzarsi dai tavoli delle cene per lasciare la possibilità al personale di sgomberare la pista da ballo.

Alla sinistra della consolle quattro nastri appesi all’alto soffitto si mossero leggermente; a terra Claudia cominciava a prendere posto per le danze.

La riccia fece un rapido cenno di saluto all’amica, poi si rivolse all’addetta alle luci: “Alex, comincia a spegnere i fari principali...accendi i due a luce rossa...perfetto”. In sottofondo la musica si movimentava e si vedevano i primi brindisi ai tavolini della discoteca.

Francesca si raccolse i capelli in uno chignon per evitare che si impigliassero con l’archetto del violino: la parte rasata della chioma era decorata con un fiore di loto, disegnato con una rasatura più corta.

 

Con un gesto misurato Eva scavalcò il parapetto del palco e accese il microfono. Era il momento delle frasi di rito: “Grazie per essere con noi stasera, spero che la cena sia stata di vostro gradimento- sfoderò il suo miglior sorriso, ammiccante e radiosa come suo solito- Seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino”. L’animatrice si girò verso le amiche facendo l’occhiolino: amava il loro motto, con cui iniziavano tutte le serate.

Questo è il posto dove si può far casino- continuò alzando il tono, sopra la musica crescente-Benvenuti alla nostra Isola Che Non C’è!”.

Una musica house mixata da Francesca coprì le grida esaltate della gente e con esse qualsiasi altro rumore.

 

Mentre Claudia si esibiva avvolta nelle spire dei suoi nastri, per lasciarsi cadere e rimanere morbidamente sospesa per aria, Eva conduceva la sua serata ballando da un tavolo all’altro, elargendo saluti e dediche al microfono e concedendo di rado delle brevissime improvvisazioni di canto, a cui Fra rispodeva con gli arpeggi del violino.

Erano secoli che non si diverivano così e l’andamento frizzante della serata, costellata di brindisi e giri di drink extra, non faceva che confermare l’entusiasmo delle tre amiche.

 

“Direi che il nostro nuovo padrone rimarrà a bocca aperta” commentò la deejay.

“Non so Fra...finchè non vedo non credo- la riccia bevve un sorso di vodka e si sedette dietro la consolle- se dovessi confrontare il Downey di giorno con quello che viene qui di notte al locale...direi che è stregato. Forse dopo la mezzanotte si trasforma- pensò ad alta voce- una specie di Dr. Jekyll e Mr. Hyde”.

“No tesoro, quella sei tu!” scherzò Francesca impugnando le cuffie del mixer.

Eva rise e scosse il capo: “Ti odio!”. Finì in un sorso il proprio bicchiere e con una piroetta era di nuovo sul palco, a scatenarsi con il corpo di ballo, scherzando con i ragazzi che si accalcavano tutt’intorno.

 

“Wow...” fu il laconico commento da dietro le vetrate dell’ufficio.

“Già, è quello che dicono in molti” ribattè soddisfatto Daniele.

Decisamente, Robert non si sentiva di negare la grandiosità di quello spettacolo; saranno state...un migliaio di persone, accalcate intorno alla consolle per ballare a un ritmo scandito nientemeno che da...lei.

“Sa essere odiosa, saccente e irritante...Ma quando sale sul palco è...- Daniele aprì le mani per simulare un’esplosione- Bang!”.

L’attore annuì silenzioso, lo sguardo fisso sulla sala: “E quella...Claude, dove ha imparato a ballare così?”.

“Nella stessa scuola di spettacolo dove ha studiato Francis. Proponi qualsiasi tipo di danza e qualsiasi strumento musicale: loro non ti deluderanno. Sono delle fuoriclasse, dei geni da palcoscenico- il direttore artistisco scosse il capo- Non so cosa farei senza quelle tre”.

 

Robert fece un mezzo ghigno compiaciuto.

Claude gli sembrava una farfalla, con quei nastri candidi a farle da ali, e Francis appariva quasi magica persa com’era tra l’eleganza del suo violino e la grinta dei pezzi che improvvisava al mixer.

Poi c’era lei...e il wishkey che l’uomo stava bevendo prendeva già tutto un altro gusto: il tema della serata era il Giappone e Gabriele col suo look da geisha lo incarnava alla perfezione. Capelli cotonati e raccolti sulla nuca, trucco elaborato e un mini-kimono con un profondo scollo a “V” sul davanti e sulla schiena.

In quanto alla parte inferiore...beh, lasciava ben poco all’immaginazione; le gambe svettanti sui tacchi vertiginosi erano in mostra in tutta la loro lunghezza.

La soluzione ai pensieri dell’americano fu accendersi un sigaro e inspirare alcune boccate di fumo: “Eppure anche ai geni devono essere date delle regole”.

 

Le tre e mezza arrivarono incredibilmente in fretta quella notte, non vi era più alcuna stanchezza o noia nelle risate delle ballerine, delle bariste e dell’intero personale.

L’allegria delle tre amiche aveva contagiato tutti, così Daniele rimase quasi stordito dalla folata di esuberanza che fece irruzione insieme a loro nell’ufficio.

“Diavolo Claude, mi ero dimenticata di quanto amassi la tua danza” ammise la riccia sedendosi al bancone e versandosi l’ennesima vodka.

La diretta interessata mimò un inchino, avvolta nel suo accappatoio: “Grazie, grazie...se solo qualcuno non avesse stonato con il suo violino...” stava evidentemente scherzando e la deejay colse l’ironia.

“Ma se per poco non ti impiccavi, annodata com’eri ai tuoi pezzi di stoffa”.

 

Un colpo di tosse deciso fece girare il capo a Eva e successivamente alle altre; un inaspettto Robert Downey Jr. stava applaudendo in solitaria al terzetto femminile, che assisteva al gesto con aria basita e leggermente a disagio.

Pure Andrea, Alex e le altre ragazze presenti smisero di svolgere le proprie mansioni, intimidite da tale gesto.

Robert sorrise, sfoggiando insieme al suo sigaro una spavalda mìse composta da camicia di jeans, pantalone sportivo e sneakers; un pugno in un occhio, se indossato da qualsiasi altro. Ma lui poteva.

Capì di avere tutte le attenzioni su di sè e la cosa gli piacque: “Bene bene...Devo farvi i miei complimenti, non c’è che dire. L’organizzazione è stata impeccabile, la cambusa ineccepibile e l’incasso di tutto rispetto- enfatizzò il discorso con una pausa- Non vi avevo ancora viste veramente all’opera ma...hey, ci sapete fare!”.

 

Daniele intervenne rivolgendosi direttamente al team: “Andrea, tu e le altre non avete sbagliato un drink e la gestione delle file all’ingresso è stata perfetta- alzò il bicchiere- Direi di fare un applauso alle nostre ragazze”. I presenti seguirono il suggerimento di buon grado, senza riuscire a sollevare l’atmosfera pesante lasciata dall’enigmatico attore.

“Claude, non avevo mai visto nessuno ballare così, dico davvero- le parole di Robert parvero sincere- e...Francis, giusto? Prima di stasera non credevo fosse possibile fare quello che hai fatto con il tuo violino”. Le dirette interessate ringraziarono limitandosi a un lieve sorriso.

 

Quasi si sapesse che non era finita, calò un silenzio di tomba. Infatti...

“E Gabriele...- Robert indicò il vestito- Ti si vedeva tutto, da sotto il palco”.

A tali parole qualcheduno fischiò, altri bisbigliarono sommessamente; tra il brusio generale Eva sentì il “Porca puttana” di Francesca.

“Si mette male” osservò Claudia fra i denti.

Ma l’unica vera risata esplose esattamente da lei, Eva, che con allegria disinvolta scavallò le gambe: “Beh Downey...- iniziò riaccavallando la destra sulla sinistra, con fare provocatorio- Come hai fatto a vederlo, sei sceso a verificare di persona?”. Il tutto coronato da un ampio sorriso, che stonava decisamente con l’astio del tono di voce.

 

Mentre le due amiche della riccia si limitavano a sbiancare, altri fischi d’approvazione si sollevarono dal piccolo gruppo sparso del personale.

Dall’altra parte della barricata Robert non fece altro che riaccendersi il sigaro, prima di parlare nuovamente: “Beh, vedi bambolina....Sono il proprietario di questa attività e da bravo imprenditore devo, per così dire...vedere la situazione da diverse prospettive”. Insieme alle ultime parole un denso fumo gli uscì dalle labbra e lo avvolse per un attimo. Un singolo attimo in cui Eva deglutì rumorosamente, stringendo la mandibola fino a far scricchiolare i denti.

Il pugno attorno al bicchiere rischiò di frantumarne il vetro; un singolo attimo, poi Robert fu di nuovo visibile dietro alla sua cortina da tabagista e il volto della ragazza tornò a calzare il solito sfrontato aplombe.

 

“Ok gente, un giro gratis per tutti!” le parole di Daniele distolsero definitivamente le attenzioni degli spettatori dal teatrino tragi-comico dei due personaggi.

Ben consapevole della bomba che aveva fatto esplodere, l’attore si avvicinò lentamente al bancone, dove stazionavano le tre inseparabili.

Con un’occhiata fugace Eva fece intuire a Claudia e Francesca che voleva essere lasciata sola per quel tête a tête; poi sa appoggiò al bancone del bar con schiena e gomiti: “Sii sincero Downey- finse un’espressione divertita- Non riesci proprio a digerire il fatto di non andarmi a genio”.

Lui si strinse nelle spalle masticando il mozzicone del sigaro: “Sono ricco, famoso e sexy. Non vedo come sarebbe possibile il contrario”.

Eva abbassò lo sguardo: “Non puoi pensarla davvero così”.

“Perchè no?”.

“Non ci credo”.

 

Pausa. Il laconico botta e risposta della ventenne era riuscito a scalfirlo? Forse nelle parole, ma l’atteggiamento dell’attore rimaneva strafottente come al solito.

Nemmeno ora che il suo sguardo percorreva i lineamenti fini del viso di lei, per scendere lungo il collo fino alla profonda scollatura, che lasciava in vista un ampio lembo di pelle a un soffio dalla linea del seno, senza però scoprirlo...

“Nastro adesivo”.

“Come scusa?” le dure parole di Eva risvegliarono l’uomo dalla propria contemplazione.

Eva scese dallo sgabello: “Se ti stai chiedendo come mai il kimono non si apra lasciandomi nuda, la risposta è...nastro adesivo” con il bicchiere alla mano passò dietro al paravento dove stavano i rifornimenti di alcolici.

Mentre rabboccava la vodka, il tonfo di un bicchiere sul ripiano la fece sussultare: ancora lui. Ma questa volta non gli diede modo di autocompiacersi e mantenne lo sguardo fisso su ciò che stava facendo.

 

“Tutti hanno dato il massimo stasera. Da parte tua non ho visto la stessa...dedizione”.

 La ragazza soffocò una risata di scherno: “Mi vorresti insegnare come fare il mio lavoro, Downey?”.

Il ghigno che ebbe di rimando le fece accapponare la pelle, non per il gesto in sè ma perchè sentì distintamente il fiato di lui nell’incavo del collo.

Robert era ora alle sue spalle, pericolosamente vicino: poteva annusare l’odore di tabacco del suo sigaro, misto a un profumo molto costoso che ben si sposava col sentore di whiskey del suo alito.

La ragazza dovette farsi violenza per evitare di strofinarsi le braccia, in preda a un brivido gelido...o bollente.

 

“Tesoro, credo di poterti insegnare molto sul mondo dello spettacolo. E visto che sono il tuo capo, posso addirittura ordinartelo”.

Qualcosa toccò l’orecchio di Eva, che sussultò quando si reste conto che si trattava delle labbra di lui.

“Devi cantare”.

Mai parole furono più temute; Eva inghiottì un grido di sorpresa e si girò su se stessa a fronteggiare il nemico: “NO”.

Lui era ancora lì, non aveva allontanato le distanze, quindi il volto della riccia si trovava a un palmo dal suo; Robert ne rimase sorpreso. Il whiskey aveva bruciato le tappe intermedie. D’altronde le vie di mezzo non gli erano mai piaciute, neanche da sobrio.

“Oh, sì che lo farai...” fu la compiaciuta constatazione dell’attore; ad accompagnare tali parole la lingua gli guizzò tra le labbra, lasciva come se stesse leccando parti ben più intime e sensibili del proprio labbro.

 

Eva rimase immobile: aveva visto una volta un documentario sui serpente a sonagli. Il suono della coda manteneva ferme le prede, a metà tra il terrorizzato e l’ipnotizzato.

Si sentiva così, un topo in trappola, con la maledetta tentazione di lasciarsi avvolgere tra le spire del suo aguzzino.

Robert si sporse in avanti causando la sua reazione all’indietro; nell’inarcarsi con la schiena la scollatura del kimono si aprì leggermente, con il suono colloso del nastro adesivo che non prometteva niente di buono.

Bastarono uno, due respiri affannosi e la copertura cominciò a cedere.

L’occhio di Robert cadde sul decolletè della ragazza e il lato destro della bocca si piegò in una smorfia divertita; allungò una mano per staccare un pezzo di nastro venuto allo scoperto e questo non fece altro che scatenare la tensione di lei, repressa fino a quel momento.

 

Con un colpo del dorso della mano Eva allontanò quella di lui, lasciandolo di stucco. Tale gesto aveva sì evitato il contatto fisico diretto, ma aveva definitivamente guastato l’impeccabile scollatura da geisha.

Priva di parole, Eva tornò a immobilizzarsi: era consapevole di essere mezza nuda, ma aveva apparentemente perso ogni forza per reagire.

Era forse questo l’obiettivo del suo carnefice?

Robert dal canto suo rimase inizialmente contagiato dall’immobilità di lei, gli occhi fissi nelle iridi grigie della ragazza; per questo Eva non si attentava a muovere muscolo. Temeva che al minimo cenno quella posizione di stasi si interrompesse, facendo calare lo sguardo dell’uomo più in basso.

 

Tutt’a un tratto la mano ancora a mezz’aria di lui percorse a ritroso la traiettoria di poco prima; con un gesto lieve e misurato strinse tra l’indice e il pollice un lembo scomposto di stoffa...per poi ricoprire la spalla rimasta nuda. La seta fece attrito sulla pelle del seno strappando un gemito alla ragazza.

Con quel gesto il respiro tornò a riempire i polmoni di Eva e il cuore riprese ad assordarla con i propri battiti.

L’attimo di –malefica?- magia era svanito; ormai non più vittima degli eventi, la riccia deglutì diverse volte benchè non avesse alcuna intenzione di proferir parola.

Fu robert a prendere le redini della situazione: rientrò in possesso del bicchiere di whiskey mentre con l’altra mano riaccendeva il sigaro.

Sollo alla fine buttò l’occhio nella scollatura ormai ricomposta: “Bel piercing”. Poi scomparve nella sala.

 

 

 

 

Ok, ok...ammetto che il mio mostruoso ritardo è imperdonabile, ma ho avuto un mese piuttosto intenso, emotivamente parlando...e mi sono trovata a zero con le energie.

Pian piano vedrò di ritornare in sella: spero che il capitolo e la foto che ho allegato possano essere sufficienti per farmi perdonare.

Un grazie a chi si è aggiunto nei commenti, in particolare a Deaths Head Moth che ha inserito la storia nelle seguite.

 

A prestissimo!

 

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Capitolo 6
*** VI CAPITOLO ***


Anticipo questo capitolo con una breve introduzione. Per chi già mi conosce, saranno poche righe di INFINITE SCUSE per la mia altrettanto infinita assenza. Mi giustificherò con una frase incomprensibile ai più, ma sufficiente per chi è dell’interland Milanese e per chi, in generale, fa l’Università. Nel 2014 mi sono iscritta al Politecnico di Milano, la tomba di qualsiasi espressione individuale.

Ora che sono giunta al capolinea di quel calvario, una premessa: non ho mai abbandonato EFP, mi sono affezionata ad alcuni autori con nostalgia dei miei vecchi tempi da scrittrice e chi come me ama questo mondo capirà perche torno, nonostante la distanza prolungata.

Una sola parola: FRENESIA. La scrittura ti entra dentro, rimane lì e scava. Prima o poi esce, non c’è scampo. Senza questa parte di me, mi sentivo incompleta.

Spero che le vacanze natalizie diano ai miei “antichi” lettori la possibilità di “rimettersi sulle righe” di questa storia. Per chi è nuovo- ma anche per gli altri- suggerisco di leggerla dall’inizio. Oh voi che leggete a pizzichi e bocconi: VI OSSERVO!

Nella mia testa- e nel mio cuore- Robert, Eva e Gabriele nel frattempo hanno viaggiato lontano, continuando la loro avventura in molti, moltissimi capitoli, di cui alcuni già realizzati. Mi sembra superfluo dire che li amo come quattro anni fa.

Che dire, buona lettura!

 

VI CAPITOLO

 

Ci erano voluti diversi drink per permettere ad Eva di prendere l’iniziativa e uscire dalla sua tana, per tornare dritta a casa senza salutare nessuno.

Grazie al cielo Robert aveva già dato la buonanotte al team e le compagne di vita della riccia avevano fatto lo stesso.

 

Ora lei se ne restava a letto, certa di trovarsi in un orario imprecisato tra le dieci di mattina e le due di pomeriggio; un range discreto, gentilmente concesso dai residui alcolici delle vodke trangugiate.

Eva sbattè le palpebre e sentì distintamente l’ombretto pesarle sulle ciglia; non struccarsi prima di dormire le regalava la piacevole sensazione “Urlo di Munch”.

 

Abituò con fatica gli occhi alla semioscurità, resa meno impenetrabile dagli spiragli di sole di quel freddo sabato mattina.

Il suo fouton era in teoria il divano dell’open space del loft, da cui la ragazza poteva vedere la cucina a isola, sormontata dal grande soppalco su cui dormivano le altre due.

Un ciuffo biondo la scrutava dall’alto.

 

“Sei sveglia?”.

“Sì Cloud” fu il mugugno misto a lamento che ricevette in risposta.

 

L’amica ballerina non proferì altro; scese la scala di legno- così intuì la riccia dagli scricchiolii in lontananza- e con un breve spignattare cominciò a preparare la colazione.

Qualche minuto dopo il materasso di Eva subì uno scossone; la proprietaria del letto socchiuse un occhio e potè intravedere l’amica che si intrufolava sotto il piumone d’oca.

 

“No ma prego! Faccia con comodo!- scherzò Eva facendole spazio- Sei una piccola invadente!”.

“Ehi, cos’è questo baccano?! L’unica mattina che possiamo dormire…”. Francesca. E chi, altrimenti?

Trascorsero pochi attimi prima che anche il terzo elemento si aggiungesse al meeting sotto le coperte, chiudendo nel mezzo Eva.

“Su su… Via il dente, via il dolore- Francesca scostò la frangia- Racconta tutto”.

 

La diretta interessata si coprì il volto con le mani: “Porca puttana ragazze… non ci capisco più niente! La storia della doppia identità era già sufficientemente complicata, ma questo…è l'inferno!”

 

 Claudia si rimboccò le coperte fin sopra il naso: “Cosa ti ha detto?” la voce risultò attutita dalla coltre del piumone.  Ci fu un attimo di silenzio, poi…”Ha detto che devo cantare”

“Che cosa?!” l'esclamazione stridula delle altre due fu accompagnata dallo scatto simultaneo con cui si drizzarono a sedere

Shh…Piano ragazze, è mattina presto…e poi c'è freddo e voi mi avete scoperta”  la riccia aspettò che le amiche tornassero alla loro posizione.

“Ma dico io: si può sapere cosa vuole da me?! In un certo senso ieri ho pure cantato”.

 

 Francesca la guardò di sottecchi “Non raccontare frottole! Rispetto a cosa puoi davvero fare se affermi di aver cantato è come paragonare il solfeggio alla Nona di Beethoven.

Questa volta fu Claudia a sbottare: “Fra non essere idiota: la nostra regola è sempre stata che nessuno doveva essere costretto o forzato nel lavoro al locale- spiegò col solito fare candido- Daniele non ho mai preteso…

“Beh questo non è Daniele- la interruppe la Dj-violinista - ma un fottuto stronzo qualsiasi”

Eva sospirò: “Amo la tua diplomazia” con lo sguardo al cielo.

 

 Sempre da sotto la frangia, l'amica rincarò la dose: “Dimmi la verità tesoro: è successo dell'altro!” e si mise di taglio, sollevata sul gomito.

“Piantala con le tue solite insinuazioni! La storia dell'attore patinato che flirta con la poco più che adolescente è superata. Ormai le teenager nelle loro fanfiction depresse hanno più fantasia”.

 

 Claudia fece spallucce: “Eppure sembrava particolarmente trafelato dopo il vostro tete-a-tete

 “Quella si chiama sbronza, tesoro” sempre diretta, la cara Francesca.

“A dire il vero… c'è stato un momento di imbarazzo- si accinse a spiegare Eva- il mio kimono si è mosso e mi ha visto il piercing”

“Quale quello che hai all'ombelico?” si informò Francesca.

“Cretina all'ombelico ce l'ho io!-  la riprese Claudia- ma aspetta un momento… non l'avevi tolto quel piercing?!” gli occhioni azzurri si spalancarono esterrefatti.

 

Francesca fece due più due e affondò il viso nel piumone: “Oh merda ti ha visto spogliata”.

Eva attese qualche attimo in cerca della risposta adeguata: “Solo per metà a dire il vero… e solo in parte”. “Ma abbastanza da vedere che hai un piercing al capezzolo- Francesca non risparmiava colpi- e  lui che ha fatto?”.

“Niente mi ha ricoperta” fu la laconica risposta dell'inquisita.

“Amorevole, quasi paterno” fu l'osservazione sarcastica di Francesca.

“Ma scusa un attimo- Claudia si drizzò sedere- solo a me sorge la domanda Come hai fatto a rimanere nuda sotto gli occhi di Robert Downey Junior??”.

 

Il muto sguardo inquisitore di Fra si unì ad aumentare la gravità di tale quesito; Eva sbuffò: “Non è successo nulla, ve lo ripeto: si è solo avvicinato troppo, ma per provocarmi e ci scommetto una mano che non voleva provarci”.

Di nuovo le occhiate dubbiose delle amiche presero il posto di qualsiasi obiezione verbale.

“Andiamo ragazze! Stiamo parlando di un divo di Hollywood, sposato e con due figli”.

“E con ciò?!” Francesca cominciava a darle sui nervi.

“Dico io, li leggete i giornali- la riccia si drizzò sedere- sapete chi è sua moglie? Oltre a essere la donna che lo ha ripulito è la produttrice dei suoi ultimi… cinque, dieci film? Si parla di un matrimonio a sei zeri… e secondo voi Robert Downey Junior metterebbe a rischio la propria carriera per un…prurito nei confronti di una ragazzina?”

“Come sei venale…

 “No Cloud sono realista: la stragrande maggioranza delle coppie del mondo dello spettacolo sono pura strategia di marketing. Dannazione, in questo caso è come se lei fosse il datore di lavoro e lui il dipendente!”.

 

Ci fu una pausa di silenzio a rafforzare le ragioni di Eva, durante la quale le tre amiche rimasero sdraiate con la faccia rivolta al soffitto e solo gli occhi che spuntavano da sotto il piumone; come era prevedibile che succedesse, Francesca fu la prima parlare: “Però ti ho vista nuda…”.

Forse fu la genuina spontaneità con cui lo disse, fatto sta che Eva scoppiò in una risata fragorosa: “Ma piantala! Avrà visto sicuramente di meglio”.

Claudia lasciò spaziare lo sguardo dal lampadario alle travi a vista del soppalco: “Beh, io al tuo posto mi sentirei… non dico importante ma… con quel qualcosa in più che attirato l'attenzione di un divo hollywoodiano”.

La riccia rise di nuovo e calciò  via le coperte: “Comincerò a sentirmi come dici tu quando lui inizierà a pagarmi le rette universitarie e le bollette”.

Francesca alzo la mano: “Anche le mie, grazie!”

Ehi… l'ho visto prima io!” scherzò di rimando Eva.

“Allora lo ammetti!”.

 

In quel momento suonarono alla porta; Eva non pensò che fosse insolito ricevere visite il sabato mattina, si limitò ad andare ad aprire sovrappensiero.

La presenza a cui si trovò dinnanzi fu una secchiata d'acqua gelida e  il primo pensiero che le venne in mente fu:

“Come. Cazzo.Fa. A essere. Già sveglio?”

 

Ma si limitò contraccambiare il sorriso furbo dell'altro con un silenzio basito.

 

“Buongiorno, c'è Eva in casa?!”.

Uno, due, tre… nel frastuono più totale dei propri battiti cardiaci la riccia dovette venire a capo del caotico inventario di informazioni da cui era stata bombardata di prima mattina, per di più dopo una sbronza di tutto rispetto: Robert Downey Junior era lì, l'aveva scambiata per Gabriele- merito forse del trucco sbavato- e cercava la-finta- sorella… un  momento, come sapeva che viveva lì?

Ah certo, la Proto Organization doveva avergli dato l'indirizzo; impiegò forse una manciata di secondi di troppo a riordinare i pensieri:

 

“Pronto? C'è nessuno in casa?” fu la sarcastica cantilena di Robert.

 S-sì scusa… ehm, cosa vuoi Downey?” Eva si appoggiò alla porta semi aperta.

“Te l'ho detto, ho bisogno di tua sorella… cose di lavoro, roba seria, nulla che si risolva con una canzonetta e un paio di gambe sgallettanti”.

Solo dopo la solita provocazione intravide alle spalle della riccia le altre due, seminascoste dalle coperte: “Ehi ragazze, come va?” mentre le dirette interessate salutavano con la mano, Robert notò lo spazio vuoto fra le due e il cuscino con la vistosa impronta della testa di Gabriele; con un flash l'uomo indicò il letto “Ho interrotto qualcosa?” gli dici era voluto poco per fare due più due… e sbagliare il calcolo.

 

La riccia decise di rimanere in clima Gabriele e con un ghigno beffardo socchiuse ancora di più la porta, lasciando spuntare fuori solo la folta chioma e precludendogli del tutto la vista: “Comunque fosse nulla che ti interessi; che vuoi da mia sorella?”.

“Non sono affari tuoi. E’ in casa?”.

 

 Lei si morse la lingua: ecco, quello è un casino con la C maiuscola. La risposta giusta? Aveva il 50% di possibilità di azzeccarla:

“Sì ma è in doccia. Posso riferirle io, se vuoi?”

Roberto storte storse il naso con un lamento di disapprovazione: “Preferisco parlarle di persona. Sai riguarda casa mia-  lei si preparò all'ennesima battuta sarcastica- non vorrei mai che vi capiste male invece di un tendaggio nero di lino mi ritrovassi un leopardato stile trans gender”.

 

Di nuovo, uno, due, tre; Eva stritolò la maniglia fino a sentirla  un tutt'uno con la mano, poi sibilò fra i denti “Vedo cosa posso fare” e richiuse la porta lasciando il nemico dall'altro lato ad aspettare.

 

Si battè la mano sulla fronte.

“Merda!” sibilò fra in preda al panico.

Fu Claudia a prendere in mano la situazione: “Calma, adesso rilassati, respira e…

“Come cazzo faccio a calmarmi?!” la riccia quasi si strozzò nel cercare di non urlare.

L'amica ballerina scosse il capo per riordinare le idee:  “Ok ok,  ehm…i capelli! Raccoglili  in uno chignon!”.

“Esatto!- si aggiunse Francesca- il trucco… vallo a togliere subito!”

 

 Eva obbedì e alla velocità della luce si trasformò nell'altra sé, ignorò l'acqua bollente che per poco non le ustionò la faccia, si asciugò le mani fra i capelli pettinandoli contemporaneamente con le dita, e si passò una salvietta a eliminare gli ultimi residui di trucco.

“La maglia, cambiati la maglia!”. Suggerì Claudia lanciandogliene una bianca in cambio della grigia che indossava.

La riccia si tolse pure i pantaloni del pigiama: “Passami i tuoi!”.

Claudia stava già per spogliarsi quando fu colpita da un lampo di genio: “Rimani pure così”.

 Eva strabuzzò gli occhi: “Stai scherzando?!” indicò la coulotte che le copriva lo stretto indispensabile.

 

Francesca reclinò il capo e fece spallucce: “Puoi andare, tanto se sei spacciata comunque”.

Eva gettò il capo all'indietro con un gridolino isterico: “Grazie tante”.

Claudia alzò le mani a tranquillizzarla: “Fidati: elemento di distrazione- notò l'espressione dubbiosa dell'altra-  Sono non sono la maga del trasformismo?”.

La diretta interessata si fece il segno della croce, già con la maniglia in mano: “Che Dio abbia pietà di me!”. L'attimo successivo stava sfoggiando un angelico sorriso il suo interlocutore evidentemente basito.

 

“Buongiorno!”.

 

Questa volta fu Robert a dover contare fino a tre e poi fino a dieci… e fino un numero imprecisato, mentre lo sguardo passava dalle dita dei piedi, su per le caviglie fino a…

 

“Di che cosa doveva parlarmi?”.

 L'intrusione della voce di Eva lo riportò alla realtà: “Ehm… si certo- l'attore si schiarì la voce e le porse una pila di libri- ho guardato tutto come mi avevi suggerito, ho messo anche qualche segnalibro sulle soluzioni che mi piacevano di più e…

“Bene- Eva rientrò in possesso dei volumi- mi occuperò personalmente di consegnare il materiale in sede.  Lunedì cominceremo con lo studio del progetto”.

 

 Robert tacque attonito; una volta di più si ritrovava a fare i conti col proprio imbarazzo. Colpa della determinazione con cui si era trovato a fronteggiarsi o dello stacco di coscia che gli entrava impertinente nel campo visivo, con tutta la sfacciata innocenza che tanto caratterizzava la ragazza?

 Tentò di concentrarsi allora su i lineamenti del viso, ma il ghiaccio delle iridi tonde non gli venne in aiuto. Lui era Robert Downey Junior, dannazione! Non poteva essere sconfitto così da un paio di lentiggini e due labbra imbronciate.

 

L'imbarazzo fu istantaneamente scavalcato dalla rabbia e quando l'attore tornò a parlare il tono era molto diverso: “Gradirei che l'azienda cominciasse a occuparsene a partire da oggi stesso: a breve mia moglie verrà a fare visita alla casa e desidero che i mobili siano già tutti presenti per allora”.

Tali parole furono come una sferzata in pieno viso per la riccia che si trovò alla ricerca disperata delle parole giuste con cui rispondere.

 

“E allora perché non porti i tuoi maledetti libri a fanculo con te, Downey? Non sono la tua schiava!”.

 

Ecco, Gabriele avrebbe risposto così, ma Eva fu costretta a mediare con fare estremamente diplomatico: “Probabilmente in sede non ci sarà nessuno oggi- in effetti era sabato- ma lascerò volentieri la documentazione ad Alessandro Proto- poi, bruciante e delicata, lasciò la propria firma- se vuole può accompagnarmi” e mise il punto a quanto detto con un breve e neutro sorriso.

 

Di nuovo alle strette, Robert e non sapeva cosa rispondere: rifiutando avrebbe dato l'aria di non essere poi così tanto interessato e che tutta quella fretta fosse solo un capriccio; accettando si sarebbe dovuto adattare alla fastidiosa presenza di quella ventenne che ultimamente gli stava dando più capogiri della vodka.

 Alla fine l'uomo sbuffò rassegnato: “Vatti a preparare, ti aspetto in taxi” con un gesto della mano la rispedì in casa e si dileguò giù per le scale.

 

Eva richiuse la porta e vi si accasciò di schiena: “Ok sto per svenire- chiuse le palpebre solo un attimo, poi alzò il dito alla cieca indicando la metà del letto dove stava Francesca- chi mi aveva dato per spacciata?”.

La diretta interessata alzò le braccia in segno di resa: “Hai avuto solo molta fortuna, o meglio, Claudia ne ha avuta con il suo colpo di genio- indicò le gambe nude della riccia- lo hai distratto! Nemmeno ti ha guardata in faccia”

 

L'altra biondina si versò una tazza di tè e tornò a sistemarsi sotto il piumone:  “Ha parlato pure di sua moglie…”.

Che cosa ti avevo detto prima? Matrimonio a sei cifre… poveri illusi coloro che sperano in una crisi”. Pronunciò l'ultima frase con un tocco di amarezza: se davvero la vita coniugale del patinato attore era rose e fiori, le provocazioni che la ragazza era costretta a subire tutte le sere al locale non erano altro che un puro egocentrico gioco di potere; nessuna malizia o doppio fine. Stranamente la cosa suonava assai più frustrante.

 

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Sotto questa nuova luce non le ci volle molto per infilarsi un paio di pantaloni neri da cavallerizza, coronati da una camicia rosa antico; pure Robert studiò quella mìse eterea, quando Eva si affiancò a lui nel taxi Impiegarono una manciata di minuti per giungere a destinazione: in città c'era il blocco del traffico e a parte qualche sparuto ciclista le strade erano deserte.

 

Mentre Robert e scendeva dal lato opposto, la riccia si aprì da sola la propria portiera e si strinse nel cappotto scuro che la copriva fino alle ginocchia; sorvolò sul fatto di trovarsi a lavorare anche nel suo unico giorno libero e fece passare il tesserino magnetico nella banda di riconoscimento.

Come previsto gli uffici erano pressoché vuoti, fatta esclusione della segretaria che li accolse con uno smagliante sorriso, degno del dentista più in di Milano.

 

“Ciao Denise, ti chiedo un favore- Eva si liberò del peso dei libri che portava e li scaricò sulla scrivania della donna- vorrei che scansionassi tutte le pagine evidenziate dal signor Downey e le inviassi a Proto nella mattinata”.

Eva riconobbe che quello altro non era che un inutile eccesso di zelo, ma doveva dimostrare al pretenzioso cliente che non aveva bisogno dei suoi ordini. La povera segretaria annuì rassegnata, prima di congedare i due che avrebbero reso il suo sabato un inferno.

 

Una volta a piano terra, Robert fece per fermare un taxi di passaggio ma Eva scosse il capo: “Preferisco andare a piedi”.

Il buona giornata di congedo le morì sulle labbra quando l'uomo si strinse nelle spalle: “Prego fai strada”.

Lei serrò le labbra inizialmente pendule, a di pesce lesso; il passo successivo fu inventarsi un itinerario che la portasse il più in fretta possibile a casa e lontano da Robert.

 

“Dov'è il suo albergo?” la ragazza tastò il terreno.

 L'uomo scosse il capo: “No no, prima le signore: non ti lascerei mai girare per la grande città da sola”.

Eva inarcò un sopracciglio: “E’ sabato mattina… e c'è il sole!”.

 “E io devo fare colazione, non conosco nessun posto decente e ho bisogno di una guida” l'attore esaminò da dietro le lenti l'espressione dell'assistente; una qualsiasi reazione che sarebbe andata bene, ma Eva si limitò ad annuire. Frustrante.

 

Dopo un breve vagare per le vie del centro, la ragazza si fermò di fronte a una vetrina: “Prego”.

L'attore rimase interdetto: gli era parso di camminare senza una meta precisa, invece la riccia lo aveva portato in un… cos'è era quello?

 

“California Bakery- lesse lui ad alta voce- mi piace! Cos'è?” .

Eva indico la vetrina strabordante di dolci: “Ho pensato che un piccolo angolo d'America l'avrebbe fatta sentire a casa.

In effetti l'atmosfera country ricordava quella delle pasticcerie e panifici degli Stati Uniti; e le cheesecackes che spuntavano da ogni angolo davano un tocco di magia al minuscolo locale ritagliato tra gli immensi palazzoni del centro.

Robert sorrise compiaciuto ed entrò trionfante; scelse un tavolo da sei e si mise a capotavola.  Eva lo imitò con fare quasi distratto, sistemandosi all'estremo opposto del tavolo:  probabilmente non notò nemmeno il suo “cliente” che alzava gli occhi al cielo, esasperato.

 

 “Buongiorno! Cosa vi porto?” solo dopo aver parlato la cameriera si rese conto della ridicola disposizione dei due, sistemati in entrambi capotavola del medesimo tavolo. Sembravano stranieri così scosse il capo, ormai avvezza alle stranezze dei turisti.

 

“Un cappuccino e una cheesecake ai frutti di bosco” fu la laconica risposta di Eva.

Robert colto alla sprovvista si limitò a dire: “Anche per me, grazie”.

Di nuovo solo con la ragazza, cerco di concentrarsi sul suo sguardo sfuggente: era disagio lì con lui, si capiva chiaramente. Di sicuro non aveva aiutato il fare imperioso dell'uomo, che l'aveva voluta lì con lui per puro capriccio e in secondo luogo perché detestava mangiare da solo, ma questo non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura.

 

Qualche minuto di silenzio, poi nel campo visivo dei due impacciatissimi commensali entrò il vassoio con la loro colazione; il tempo di dire grazie e di infilzare un pezzo di torta con la forchetta, che Robert scosse il capo: “Scusa ma non ce la faccio, per me è assurdo- così dicendo fece scivolare il piatto di fianco alla ragazza e lì si sedette- Volevo chiederti una cosa- iniziò poi con non-chalance zuccherando il proprio cappuccino- Invece di fare una piscina esterna e uno nella palestra, si potrebbero unire?”

Ovviamente stava parlando del proprio appartamento e ovviamente aveva proposto una cosa americanamente assurda.

 

Eva sgranò gli occhi: erano gomito a gomito in una situazione del tutto pacifica e immensamente diversa da quella della notte precedente. Certo, per lui il discorso era diverso ed anche la compagnia lo era.

La riccia si schiarì la voce e cercò di ragionare lucidamente; fingendo disinteresse, sfoderò una pianta dell'attico che teneva sempre con sé nell'inseparabile cartellina.

A un primo esame la proposta non sembrava nemmeno impossibile: le due piscine previste erano difatti attigue, per semplificare la sistemazione degli impianti. Si sarebbe trattato di abbattere il muro che le divideva.

 

“L'unico problema è… come isolare la palestra dall'esterno?”.

L'attore impugnò la propria stilografica: “Permetti?- domandò prima di iniziare a scarabocchiare il disegno- Invece del muro potremmo sistemare una vetrata a tutta altezza… - tracciò un segno per spiegarsi- …che si interrompe a filo con l'acqua- depose la penna- in questo modo si potrebbe passare dall'esterno in casa semplicemente con due bracciate sott'acqua”.

Eva si grattò la nuca contrariata: “E’ una bella idea, ma di inverno la palestra diventerebbe fredda e inutilizzabile”.

“Riscaldiamo l'acqua” la interruppe Robert, zittendola.

 

Lei fece qualche calcolo, disegnò in un angolo uno schizzo dell'idea con tanto di assonometria, poi dichiarò: “E’ complicato: dovremmo differenziare le guaine di esterno e interno, raccordarle tra di loro e con le due diverse pavimentazioni e poi isolare i giunti con la vetrata”.

Robert e alzo le braccia in segno di resa: “Questa è roba tua, per me è arabo. Mi basta sapere se si può fare”.

 

Eva contò fino a dieci, prima di sbilanciarsi: “Lo proporrò in azienda lunedì”.

Sufficientemente soddisfatto, l'attore torno a concentrarsi sulla torta; la riccia si limitò ogni tanto a lanciargli occhiate furtive divorando frettolosa la propria.

Di nuovo la carta di credito dell'attore fece capolino dalla tasca al momento del conto; questa volta Eva non batté ciglio, come avrebbe fatto una qualsiasi dipendente di un qualsiasi capo d'industria…o una escort…ma questo fu un pensiero che cacciò scuotendo la chioma.

 

Fuori dal locale le strade si popolavano dell'allegro viavai del sabato mattina milanese e un timido sole riscaldava l'aria; dentro di sé Robert provava a raccapezzarsi per la città, ma la sfilza di palazzoni tutti uguali avevano fatto perdere l'orientamento a lui, figlio delle megalopoli statunitensi.

Fu quasi per caso che gli cadde l'occhio su un imponente struttura bianca ridipinta di fresco, austera ed elegante, che gli ricordò una versione della Casa Bianca in miniatura, stretta nella trama dei fitti palazzi milanesi.

 

“E questo cos'è?- solo a un esame più attento notò le guardiole ai lati dell'ingresso, due ragazzi se ne stavano lì sull'attenti, a fissare il vuoto- E’ per caso il… Palazzo di Giustizia?”.

Eva si bloccò solo un attimo lo sguardo inchiodato sull'entrata: “No- scosse il capo, un dolce sorriso le si dipinse in volto; con la cartellina stretta in petto si avvicinò di qualche passo ai due cadetti-  E’ il liceo accademico”.

 

Uno dei ragazzi la notò subito, a ruota anche l'altro; in un sincrono pressoché perfetto si portarono la mano alla tesa del cappello.

Contro ogni aspettativa, Eva allargo le spalle e battendo i tacchi replicò in maniera esemplare il saluto militare dei due commilitoni.

L'attimo successivo era di nuovo sul marciapiede accanto a Robert. La ragazza accennò a ricominciare la passeggiata ma l'uomo esitò un attimo prima di seguirla: aveva tentato di fare breccia nella corazza di lei per tutta la mattina, inventandosi i trucchi più rocambolesche e assurdi.

Poi avevano girato l'angolo e in un flash lei era cambiata; esaminò il capo di Eva chino sull’asfalto, con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.

 

“Sarò blasfemo, ma quello non mi sembrava semplice patriottismo. Cioè, capisco il fascino della divisa ma…

 A sorpresa il suo monologo impacciato fece aprire le labbra della ragazza in una risata aperta e cristallina, che sembrava non voler smettere, finché non rispose: “No nessuno dei due- indicò l'edificio bianco ormai alle loro spalle- Era il mio liceo: ammetto che è stato un tuffo nei ricordi”.

 

Robert ammutolì e in effetti non avrebbe potuto fare di meglio: liceo accademico

Contro ogni aspettativa quella ragazza lo stava ricoprendo di sorprese- certo non esattamente quelle che si aspettava- ma la studiò ancora.

Perché quell’esile fenicottero dagli occhi grandi se ne stava a fare da assistente in uno studio di design, invece di intraprendere la carriera militare?

 

Stava per domandarlo, quando uno spiraglio di sole illuminò il volto di lei portando alla luce uno scintillio di troppo sulle sue iridi grigie: una lacrima.

L'attore abbasso lo sguardo e si morse la lingua.

No, quello non era il momento per il VIP Downey Junior di soddisfare le proprie curiosità e i soliti capricci.

Fu il momento per Robert di restare semplicemente in silenzio.

 

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Capitolo 7
*** VI CAPITOLO ***


 

VII CAPITOLO

 

Esistono i venerdì sera magici, che passano in un lampo e lasciano la leggerezza della serata trascorsa sul palco; ma esistono anche i venerdì sera che scorrono lenti come i lunedì mattina.

Per Eva  quel venerdì apparteneva di più alla seconda categoria, soprattutto dopo la settimana d’inferno passata a studiare giorno e notte una soluzione per la funambolica piscina di Robert.

 

Per cui ora era lì, accasciata al bancone ad aspettare la busta paga della serata, tra un sorso e l'altro di Martini Bianco; il prurito tra le scapole le faceva intuire che Robert la stesse fissando- ormai aveva sviluppato una sorta di sesto senso a riguardo-.

Infatti, impeccabile come suo solito, l'elemento in questione se ne stava comodamente seduto su un divanetto, le gambe accavallate e le braccia stese ad angelo sul poggiatesta; nella mano l'immancabile bicchiere di whisky e il sigaro acceso.

 

La esaminava da cima a fondo, partendo dalla punta dei tacchi a spillo, su per le caviglie e i polpacci inguainati nei jeans, fino alla schiena nuda.

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Il tema della serata era la primavera, così tutte le ragazze dello staff portavano gli stessi pantaloni attillati e un bikini a fascia dei più disparati colori, a coprire lo stretto indispensabile del busto.

 

Quello di Eva –Gabriele- era fucsia scintillante, adornato da innumerevoli collane.

Lo sguardo dell'attore continuò a scansionarla su e giù, dalle fossette lombari fino alle linee eleganti del grande tatuaggio, che occupava buona parte della schiena e continuava sul costato fin sotto il mini top azzurro.

Robert si domandò dove finisse; stava per alzarsi e andare a chiederlo alla diretta interessata, quando nel campo visivo dell'uomo si parò una figura alta, maschile, che coprì gli occhi alla riccia con entrambe le mani, facendola ruotare sullo sgabello.

 

“Indovina chi sono!” pronunciò poi ridendo.

Robert assottigliò le palpebre analizzando i lineamenti dell'intruso: un sorridente ragazzo sulla ventina dalle spalle larghe e muscolose, coi capelli castani e mossi.

Un ampio sorriso si disegnò sulle labbra di Eva, che l'attore riusciva intravedere solo di profilo.

 

Vediamo…- cominciò quella- Sei più alto di me… Hai le spalle larghe…- si tolse dagli occhi le mani del misterioso nuovo arrivato-  …e hai il profumo più buono del mondo!”.

Non esitò un attimo e ruotò su se stessa, buttandosi al collo del ragazzo e regalandogli la risata più radiosa che potesse dargli.

La musica di sottofondo fece perdere a Robert parti del discorso tra i due, così in un attimo di spaesamento alzò il braccio e chiamò Daniele al suo fianco.

 

“Chi è il tizio che parla con Gabriele?”.

 “Quale?”.

“Quello che la tiene arpionata per la vita e le sta dando un bacio sulla guancia” precisò sarcastico l'attore.

 Il direttore artistico del locale si strinse nelle spalle: “Credo sia il fratello del suo ex… o qualcosa del genere”.

 

Una spiegazione che lasciò di stucco Robert: poteva aspettarsi di tutto, un pretendente, un amante, un ballerino molto espansivo -il fisico gliel'avrebbe permesso facilmente- ma mai qualcosa di così… amichevole.

 

Si focalizzò sulla atteggiamento reciproco dei due: si sorridevano a vicenda, lui le teneva affettuosamente una mano sulla spalla, ma i corpi rimanevano a una distanza pacifica, senza alludere a intenzioni maliziose.

 

Ad un tratto la musica cambiò ritmo e Robert carpì poche parole:

“Fammi vedere” pronunciate dalla stessa Eva, alzando la maglietta dell'amico.

L'attore nella penombra del privè riuscì solo a intravedere una linea nera sotto il pettorale sinistro del ragazzo, probabilmente un tatuaggio.

La riccia me carezzò le linee indistinte: “Il tuo rimane il più bello in assoluto, non c'è che dire”.

“Beh, tu lo porti sicuramente meglio” rispose l'altro contraccambiando il gesto e carezzando il costato di Eva nel medesimo punto.

 

Con quel semplice movimento scostò impercettibilmente il top portando allo scoperto i tratti di una parola indefinita, scritta forse in aramaico o cirillico, che fece sussultare Robert; ora sapeva che anche lì sotto la ragazza era tatuata. I dubbi sull'intimità dei due riaffiorarono.

 

Un baccano improvviso fece sussultare l'attore, timoroso di essere colto in flagrante mentre passava ai raggi X la ragazza: Claudia e Francesca invasero il suo campo visivo gridando allegre in italiano e saltando il collo dell'ospite. Stettero qualche minuto a perdersi tra risate e abbracci, poi si dileguarono sulla terrazza esterna a fumare.

 

 Eva, di nuovo sola, si risedette al suo posto, giocherellando con le cannucce sul bancone.

Lo sguardo dell'uomo studiò per un attimo i movimenti degli altri ragazzi mentre si allontanavano; poi contò fino a tre e si alzò deciso, mirando dritto al bancone.

Il suo bicchiere prese posto di fianco al Martini di Eva e con esso anche il solito sorriso beffardo; una delle bariste gli versò istantaneamente dell'altro whisky, prima di tornare a riordinare il bar.

 

Dal suo canto la riccia focalizzò la bibita ambrata, il Rolex d'acciaio, poi tornò a fissare il vuoto. Quella ragazza si rivelava sempre di più un’escalation di fiaschi totali.

 

“Ciao”.

Secco, quasi aggressivo, l'attore cercò di inserirsi nel suo flusso di pensieri. Niente. L'avversaria non girò nemmeno il capo.

Fu un invito a nozze per Robert, che accolse quel rifiuto come una sfida.

 

“Ti ho vista… particolarmente felice un attimo fa”.

In tutta risposta Eva abbassò lo sguardo sui suoi tacchi a spillo, come se dovesse controllarli.

Robert d’istinto la imitò: “Che c'è? Ti è caduto qualcosa?”.

“No Downey, controllavo se mi stessi pisciando sulla gamba”.

 

Esterrefatto l’attore strabuzzò gli occhi.

“Come?!”.

“Hai capito bene- scandì la riccia, girandosi totalmente verso l'interlocutore- Cosa credi di fare? Di venire qui coi tuoi dollari sonanti e cominciare a dare ordini a tutti?”.

Robert allargò le braccia: “Da quando sono i miei sodi il problema?- le puntò un dito contro- Vorrei ricordarti che sono i miei dollari sonanti a riempire le tue buste paga”.

“Sì, ma non il tuo cervello- Eva si girò a fronteggiarlo- I tuoi soldi sono un problema… per te: credi di poter comprare tutto, comprese le persone, per un unico semplice motivo- afferrò il proprio bicchiere in procinto di andarsene- Sei pateticamente solo”:

 

La cambusa le parve un ottimo rifugio, non fosse che Robert la seguì anche lì.

“Provocatoria e presuntuosa” la rimbeccò chiudendosi la porta alle spalle.

Eva prese una bottiglietta d'acqua: basta alcolici per quella sera.

“Cosa vuoi Downey? Non hai una vita fuori di qui? Hai una moglie e dei figli; che cazzo vuoi da me?!”.

 

L'uomo mutò espressione, diventando improvvisamente rigido; il bicchiere di whisky finì in un secchio della spazzatura con un fragore di vetri rotti.

Passò solo qualche istante e poi la voce ferma di Robert rispose: “Voglio solo che tu canti”.

 

Quell'improvviso cambiamento mise sull'attenti la ragazza che inspirò profondamente, appoggiandosi al muro a braccia conserte; cominciava a sentire freddo, vestita com'era.

“Ti ho già detto che non lo farò” il tono era ora calmo, non più tagliente e aggressivo.

 

Robert apparteneva a quella categoria di persone che, in fondo, la spaventava: imprevedibile, inaffidabile e fondamentalmente violenta. Si era dimenticata fino a quel momento del suo passato da tossicodipendente. Decise che era il momento di farsi più cauta.

 

Avanti…- l'attore fece qualche passo verso di lei- eppure non mi sembra che tu abbia una brutta voce, anzi: direi che sei più abile di quanto fai credere”.

La riccia chiuse gli occhi: “Non lo faccio più da tempo e non ho intenzione di ricominciare”.

“Perché?” Robert era pericolosamente vicino e con lui le sue parole.

“Non ti riguarda”. Di nuovo una frase di troppo.

 

Il pugno dell'uomo si abbatte sul muro a pochi centimetri dal viso di Eva e la fece sussultare vistosamente; il cuore le partì a mille, gli occhi grigi sì sbarrarono su quelli di lui, trasbordanti d’ira.

Per un tempo indeterminato non ci furono altre parole, solo lo sbuffo furioso del respiro di Robert sul suo viso; poteva quasi sentirne il gusto, quando i respiri dell'uomo passavano attraverso le labbra di lei.

 

Eva serrò la mascella, non per rabbia, ma per celare la paura che altrimenti le avrebbe fatto battere i denti.

I secondi passavano e la ragazza cominciava a sentire il cranio dolerle dietro la nuca, nel punto in cui era premuto convulsamente al muro; se avesse potuto si sarebbe fusa volentieri col ruvido e freddo cemento della parete.

Robert, dal canto suo, non accennava a spostarsi, solo la mano, prima stretta pugno, si era rilassata col palmo aperto, appoggiato a un soffio dal viso di lei, tanto da sentire il tocco dei boccoli ramati.

 

Quasi inconsciamente prese a disegnare col pollice dei semicerchi sul muro, aumentando man mano il contatto con la folta chioma.

Eva sussultò quando sentì quella carezza arrivare a sfiorarle la guancia, ma non osò scostarsi.

 

“Hai paura di me, adesso?” notò con tono di scherno l'uomo.

La riccia scosse lievemente il capo: “Non ho paura di te- calcò il tono della voce- Ho paura di quello che fingi di essere, perché non lo sai controllare”.

Una frustata. Quelle parole pietrificarono Robert come una frustata in pieno petto.

Non si aspettava una freddezza così tagliente dalla ragazzina che fino a poco prima appariva terrorizzata: il botta e risposta provocatorio che l'uomo aveva intavolato gli era piaciuto, anzi, se ne era compiaciuto. fino a quella piega inaspettata.

 

Ora che le due iridi grigie erano tornate a infiammarsi come loro consuetudine, non poteva che rispondere al fuoco con altrettanta arroganza: l'uomo serrò le distanze e Eva poté sentire distintamente la barba di lui pungerle l'orecchio.

 

“Se davvero la pensi così, ti conviene assecondarmi- l'alito sottile di lui sul collo le fece venire la pelle d’oca; la ragazza chiuse gli occhi- Se dovessi davvero perdere il controllo, potrebbe non piacerti”.

 Il tocco della sua voce e fu sostituito da qualcosa di più tangibile; Eva stette qualche secondo col fiato sospeso prima di capire che quelle che le stavano accarezzando il collo erano le labbra di Robert.

La ragazza si lasciò sfuggire un singulto sorpreso, poi con entrambe le mani risalì fino al petto dell'uomo e lo spinse via con forza.

 

“E’ questo che vuoi Downey? L'ennesimo trofeo, l'ennesimo capriccio da bambino?!- Eva si staccò dal muro con grinta rinnovata- Lasci il tuo marchio ovunque passi e tutti si limitano ad aprirti il varco con un inchino, a chiederti una foto o una stretta di mano… è questo che vuoi da me?!”.

Solo allora, mentre la riccia avanzava furibonda, Robert si rese conto che era davvero più alta di lui; altera e inferocita, lo fece tentennare.

Poi con un gesto del tutto inaspettato, Eva afferrò la parte superiore del succinto top e lo strattonò, abbassandolo fino alla linea del seno.

 

“Avanti Robert Downey Junior, un autografo! Non vorrai deludere una tua fan”.

Tale gesto lo lasciò decisamente spaesato: per la seconda volta in pochi giorni Robert e si ritrovò a fissare la scollatura di Eva, pressata dal sottile tessuto cangiante del minuscolo indumento.

Ipnotizzato da ritmico abbassarsi e sollevarsi del suo petto, rimase indeciso sul da farsi ma solo per poco: era il suo turno e l'attore deciso bene di contrattaccare alla sua maniera.

 

Con calma misurata, sollevò un lato della giacca per rovistare nella tasca interna: ne estrasse il pennarello con cui era solito firmare foto, braccia, addome e- in alcuni casi- fondoschiena delle fan sfegatate; il suo preferito, nero e ovviamente indelebile.

 

“Eccoti accontentata”.

Detto ciò, premette la punta sulla pelle calda di lei e cominciò comporre il proprio nome. Lo fece con lentezza snervante, indugiando sulla linea tonda e morbida del seno, calcando la mano in quella che si tramutò in un'involontaria carezza.

Lo fece guardandola negli occhi, il tappo del pennarello stretto tra le labbra a sostituire il solito sigaro.

 

Eva non era affatto pronta a un contatto tanto intimo, ma si auto-costrinse a restare immobile: se l'era cercata e per nulla al mondo avrebbe mostrato segni di cedimento.

Soddisfatto del risultato. Robert re infonderò la sua arma letale e un sorrisetto gli si dipinse in volto:

 

Volià!”

 

Il tono sarcastico lasciò Eva disarmata: si sentiva battuta, derisa, sconfitta.

Si era abbassata quel giochino rivoltante e aveva perso; con uno scatto si ricompose, coprendo la maledetta firma, il suo marchio.

Gli occhi le si appannarono di lacrime e un attimo prima che la tradissero spintonò di lato Robert, diretta all'uscita sul retro.

 

“Sarai soddisfatto, ora”.

Lui si limitò a sbottare in una risata ben poco naturale. Lo era davvero?

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