L'alfabeto dei ricordi

di sonyx1992
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01- A di Andrea ***
Capitolo 2: *** 02- B di Bacialo ***
Capitolo 3: *** 03- C di Cielo ***
Capitolo 4: *** 04- D di Dimenticare ***
Capitolo 5: *** 05- E di Emanuele ***
Capitolo 6: *** 06- F di Fidati ***
Capitolo 7: *** 07- G di Gioco ***
Capitolo 8: *** 08- H di Happy Ending ***



Capitolo 1
*** 01- A di Andrea ***


A di “Andrea”

In genere non mi piace ricordare, tornare indietro al mio passato per rivivere eventi dimenticati; ma, visto che ci tenete così tanto, vi accontenterò.
Uno dei ricordi più belli che ho si chiama Andrea, come mio fratello, come il primo amore che mi ha spezzato il cuore e come la mia migliore amica. Sì, state pensando bene: ero circondato da Andrea.
La mia migliore amica, in particolare, è quella che ricordo meglio. Non so perché; forse perché con mio fratello ci litigavo spesso o, forse, perché non ci tengo molto a ricordare la persona che mi ha spezzato il cuore.
Fatto sta che un’amica come Andrea non la si dimentica facilmente.

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Capitolo 2
*** 02- B di Bacialo ***


B di “Bacialo”

Andrea era una ragazza davvero insicura. Non riusciva a fare niente se prima non ci aveva pensato su almeno un miliardo di volte; ma, anche in quel caso, era difficile che fosse sicura al 100% della sua decisione.
Si era innamorata spesso la mia amica Andrea, anche di ragazzi che non la meritavano e che non capivano lei e la sua indecisione.
Mi ricordo, in particolare, di Claudio, il suo vicino di casa, dal cuore freddo come il ghiaccio e la pelle scura.
Era abbronzatissimo Claudio  e i suoi capelli color corvino erano perfetti insieme al suo cuore e al colore della sua pelle.
Un giorno stavo accompagnando Andrea a casa sua perché aveva dimenticato qualcosa (tipico di lei).
E lui era là, appoggiato al muretto con lo sguardo basso e le braccia conserte, nella posizione da tipico “uomo macho” che io non sopportavo. Questo, però, non valeva anche per Andrea.
Ricordo di averla guardata mentre il suo volto arrossiva, tanto che all’improvviso temetti che avesse smesso di respirare.
Non sapevo della sua infatuazione per il vicino di casa; non me l’aveva mai confessato; ma, a notare il sorriso sgarbato di Claudio, intuii che ero solo io a non esserne a conoscenza.
“Posso parlarti un attimo in privato, Andrea?”
Aveva la voce suadente Claudio, come le sirene di Ulisse. Peccato che la mia migliore amica non avesse né una corda  né un albero maestro al quale legarsi per salvarsi da quella melodiosa  voce: i suoi piedi si mossero in modo automatico e si avvicinarono al bell’esemplare di sirena africana, dalla pelle scura e i capelli corvini.
Non la fermai, del resto, sarebbe stato inutile. Anzi, se avessi fatto qualcosa, avrei rischiato di cadere, pure io, nell’incantesimo dell’affascinante sirena.
Si allontanarono entrambi, per restare “in privato” come aveva detto Claudio, il quale sembrò approfittare della situazione per avvicinarsi ad Andrea e toccarla, come se dovessero condividere un segreto.
La sirena la intrappolò in un angolo, facendola appoggiare con la schiena ad un muretto ed appoggiando una mano vicino alla sua testa, per impedirle la fuga.
Era bello Claudio e Andrea lo sapeva, perché all’improvviso ritornò rossa in volto e trattenne il fiato per placare i battiti del suo cuore impazzito.
Le labbra della Sirena si avvicinarono al suo orecchio ed iniziarono ancora ad emettere il loro ipnotico canto.
Infine, si allontanarono, ma rimasero comunque lì, in attesa di qualcosa, aspettando una reazione da parte della ragazza.
“Bacialo!”, pensai, intuendo il desiderio e le aspettative di Claudio.
“Bacialo!”, ripetei  con un’ansia improvvisa.
Ma dimenticavo che Andrea non era brava a leggere nel pensiero e che la sua insicurezza metteva da parte ogni certezza.
Spinse via Claudio e, tappandosi le orecchie mentalmente, si allontanò da lui e dalla sua bellissima voce.
Non la capivo l’insicurezza di Andrea, ma la invidiavo.

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Capitolo 3
*** 03- C di Cielo ***


C di “Cielo”

Oltre ad Andrea non avevo molte amicizie. Qualche compagno di classe, uno o due amici che mi portavo dietro dall’infanzia, ma niente di più.
Ora che ci penso, però, mi viene in mente un ragazzo, o meglio, un bambino, con il quale avevo l’abitudine di guardare il cielo.
Non ricordo il suo nome; quello, come la sua fisionomia, è perso nei meandri della mia mente.
Le uniche cose che mi sono rimaste impresse sono le sue mani e le sue ginocchia; le prime sempre sporche di terra, le seconde sbucciate ed insanguinate.
Era un bambino avventuroso, che non riusciva a stare fermo, che sentiva il bisogno disperato di scoprire il mondo in cui viveva, disposto perfino a farsi sanguinare le ginocchia.
È un peccato che non ricordi il suo nome, perché era davvero una persona speciale per me; è buffo come spesso dimentichiamo coloro che riescono a cambiarci la vita anche solo con la loro presenza e compagnia.
Quando penso a quel bambino, mi viene in mente il cielo che guardavamo insieme, sdraiati in cima ad una collinetta, e alle nuvole che si inseguivano fra loro, formando delle sagome assurde.
Io, in quei disegni, ci vedevo solo aquile e facce di cani che dopo pochi secondi si disfacevano: non avevo molta fantasia; ma lui, invece, vedeva sempre l’infinito in quelle nubi, giochi segreti, cieli sconfinati. Un cielo nel cielo. È difficile da spiegare, ma non trovo le parole giuste per dirlo.
Quel bambino mi ha insegnato ad aver fiducia in me e nei miei sogni, a non vergognarmi nel dire che, in quelle nuvole, vedevo sempre e solo le stesse cose. Amavo quel bambino, era il mio migliore amico.
Poi, un giorno, ha iniziato a piovere forte e le nuvole erano tanto scure e spesse che era impossibile riconoscerci qualche cosa; neppure quel bambino ci riusciva.
Se ne andò dopo pochi minuti, stanco di aspettare l’arcobaleno dopo la tempesta.
Di quel giorno ricordo le sue mani pulite e dei cerotti sulle sue ginocchia.
Era cresciuto, all’improvviso.

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Capitolo 4
*** 04- D di Dimenticare ***


D di “Dimenticare”

Andrea aveva un grande vizio, un fastidioso difetto ed un enorme pregio: viveva la giornata. Non si preoccupava per domani, per ieri; l’unico giorno che esisteva per lei era “oggi”.
In effetti, se sapesse che proprio ora sto riportando a galla parte del nostro passato, storcerebbe il naso e mi rimprovererebbe: “ma cosa stai facendo, scusa? A cosa serve tutto questo?”.
Già, Andrea era una che dimenticava in fretta. Quando ci ritrovavamo insieme, io e lei, e per qualche motivo mi tornava in mente un episodio trascorso, mi buttavo e tentavo di farglielo ricordare ma lei, niente, come se non fosse mai successo.
Spesso mi arrabbiavo quando faceva così, quando non riusciva a memorizzare neanche un giorno per me speciale; ad un certo punto, ho iniziato a pensare che i giorni passati insieme non erano così importanti per lei.
Mi sbagliavo, eccome.
È vero, ancora non capisco il motivo delle sue amnesie, ma la nostra amicizia per lei era più importante di qualsiasi altra cosa, perfino del ricordare giorni passati insieme o del dimenticare le nostre esperienze.
Perché lei avrebbe potuto dimenticare tutto ma non cosa ci legava.

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Capitolo 5
*** 05- E di Emanuele ***


E di “Emanuele”

A quel tempo, ancora non lo sapevo, ma Andrea era innamorata.
In effetti, in quel periodo, la vedevo diversa: aveva più cura di sé, si vestiva meglio, si truccava e arrossiva più spesso. Stava diventando una donna.
Il processo di metamorfosi era lento quanto invisibile e restava muto, come Andrea nei miei confronti.
Era innamorata ma a me non diceva nulla.
Lui si chiamava Emanuele. Il primo amore della mia migliore amica.
Era biondo, gli occhi chiari, la pelle chiara (l’esatto contrario di Claudio, insomma) ed un sorriso che la faceva svenire. Non era un ragazzo atletico, muscoloso o grasso, con chili di troppo che escono dappertutto; agli occhi di Andrea, lui era perfetto.
Prima di innamorarsi, loro già si conoscevano; erano stati amici per molto tempo, ignari di ciò che provavano l’un per l’altro. La prima ad accorgersene fu lei.
Emanuele, a quel tempo, ancora non l’aveva capito. Se ne sarebbe reso conto più tardi, dopo averla rifiutata, dopo aver rovinato la loro amicizia, quando lei non l’avrebbe più voluto perché troppo ferita.
Era stupido Emanuele, non capiva.
Non aveva capito nemmeno che la sua migliore amica Andrea si era innamorata di lui.

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Capitolo 6
*** 06- F di Fidati ***


F di “Fidati”

Io ed Andrea condividevamo le nostre giornate e la nostra gioventù.
La nostra amicizia era più profonda di quello che pensavo ed ancora non sapevo della lenta metamorfosi della mia migliore amica.
Ho dei bei ricordi di quei momenti, di quelle passeggiate insieme a lei, di quando, sorridendo, la portavo a mangiare un gelato.
Era buffa quando affondava le sue labbra nel cono, lasciando che il cioccolato le macchiasse il naso.
Ridevo tutte le volte, per poi passarle un fazzoletto ed osservarla mentre se lo puliva, fingendosi offesa perché la prendevo in giro.
Un giorno, in estate, siamo andati in gita ad un laghetto, io e lei. Di quel giorno ricordo il suo costume che mi aveva fatto arrossire e i suoi capelli biondi legati dietro la testa per non bagnarli; penso alle nuvole grigie che coloravano il blu del cielo e che ci avevano lasciati soli su quella riva.
Poi c’era lo scoglio, l’acqua alta ed io, che non avevo mai imparato a nuotare.
Avevo paura, ma Andrea insisteva che mi tuffassi insieme a lei: “Dai, Ele! Se affoghi ti salvo io”.
Lei era la sola a chiamarmi in quel modo; gli altri storpiavano il mio nome in “Ema” o “Manu”, ma la mia migliore amica era l’unica ad essere stata la più originale.
Mi tirai indietro e la squadrai da cima a fondo, con i suoi 50 kg che mai avrebbero potuto sorreggere i miei 75.
“Te lo scordi, Andrea. Non mi tufferò mai!”
Chiusi gli occhi ed incrociai le braccia davanti al petto, fermo e sicuro nella mia decisione.
Poi, un tocco: lei che mi sfiora il braccio e scioglie la mia fermezza. Mi prende per mano e mi sorride.
“Dai, fidati di me!”
E dal suo sguardo avrei dovuto pur intuirlo! I suoi occhi non esprimevano dolcezza e sicurezza; tremavano, avevano paura, erano indecisi.
Mi fidai, perché la luce che scorsi nelle sue iridi azzurre era bellissima e, senza che me ne accorgessi, mi faceva battere forte il cuore.
Era lo sguardo di una persona innamorata.


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Capitolo 7
*** 07- G di Gioco ***


G di “Gioco”


Chi ha detto che “l’amore è un gioco” si è sbagliato di grosso e non ha mai conosciuto la mia amica Andrea.
Per lei l’amore era una vita intera, un battito irregolare di un cuore, un imbarazzo da notare nel rossore delle guance; per lei l’amore ero io, il suo amico Emanuele.
Ma ciò che lei non sapeva era che ad Emanuele piaceva ancora giocare e l’amore poteva essere il passatempo migliore in una giornata uggiosa e spenta.
Il problema era che, come ogni gioco che si rispetti, anche l’amore vuole avere un compagno con cui divertirsi e, per di più, il 14 ottobre era la giornata più piovosa dell’anno.
Emanuele si annoiava; Andrea credeva che la pioggia potesse rendere tutto più romantico.
L’invito che aveva mandato attraverso il suo cellulare poteva essere chiaro per chiunque, ma non per il suo amico Emanuele che voleva essere ancora un bambino.
Mentre si dirigeva a casa sua, dove si erano dati appuntamento per parlare di “una cosa seria” (così mi aveva scritto Andrea), Emanuele giocava saltando in una pozzanghera, rendendo più lento il suo arrivo a casa della sua amica.
Ma ogni gioco ha le sue regole.
Suona il campanello ed entra in casa, togliendosi le scarpe per educazione e per non bagnare il pavimento.
Si siede sul divano e sorride alla sua amica Andrea che, a differenza di lui, di voglia di sorridere non ne ha nemmeno un po’.
“Devo dirti una cosa”, esordisce lei e subito distoglie lo sguardo.
Ma per me, quando si dice una cosa, bisogna farlo con gli occhi legati, puntati l’uno all’altro, per cogliere le differenze e i pensieri nascosti: gli occhi sono il miglior mezzo con cui i nostri sentimenti viaggiano all’esterno.
Quindi mi chino verso di lei, appoggio i gomiti sulle ginocchia e la guardo, cercando il suo sguardo.
Lei lo alza, coraggiosa, ma dopo poche parole preferisce puntare le mie labbra che i miei occhi: “io ho capito di provare qualcosa…”.
Si interrompe e le parole le muoiono in gola, deglutite con la saliva.
Guarda per terra e le sue mani si stringono sui suoi pantaloni, mentre la mia amica Andrea domanda a se stessa se sia giusto continuare.
La conosco e so che quando fa così è perché ha paura della vita; è buffo, non credete? Proprio lei che vive il momento, senza pensieri, senza domandarsi se esista davvero un futuro, adesso è qui, davanti a me, che cede lo sguardo e le parole ad una paura insensata.
Mi alzo dal divano e le vado incontro, le appoggio le mani sulle spalle e, di conseguenza, lei rialza lo sguardo su di me, distendendo istintivamente anche la schiena ed il collo e torna a guardarmi negli occhi.
Arrossisce e le sue mani non sanno come comportarsi, giocano tra loro intrecciandosi le dita.
“Continua”, la esorto, senza rendermi conto della serietà che mi ha preso all’improvviso e del sorriso che è scomparso dal mio volto.
Lei si alza, facendomi cadere le mani dalle sue spalle e cercando di portarsi al mio livello, anche se sa di essere più bassa di me e che quindi non ce la può fare.
“Non riesco a dirlo, Ele”, mi confessa incurvando le sopracciglia e continuando a scrutare i miei occhi.
Stringo i pugni lungo i fianchi, all’improvviso inspiegabilmente nervoso ed agitato.
“Provaci”, insisto.
Andrea si gira, mi dà le spalle e fugge via, con passo incerto, decisa ad arrendersi per riprendere fiato.
Istintivamente, senza pensarci, la mia mano si allunga verso di lei e le afferra il polso, per fermarla.
La mia amica si volta e sembra che non avesse aspettato altro: in un secondo me la ritrovo davanti, una sua mano mi tiene fermo il volto restando appoggiata sulla mia guancia, l’altra resta intrappolata nella mia; Andrea si alza sulle punte e coglie il momento in cui sono curvo su di lei: socchiude le sue labbra e le appoggia sulle mie, impreparate ad accogliere un suo bacio.
In un solo istante accadono cose infinite, che accelerano a dismisura la velocità del gioco: il mio cuore accelera, i miei occhi si sgranano, la mia mano si stringe sul suo polso, le mie labbra si staccano dalle sue e fuggo.
Fuggo, esco di casa, mi allontano, corro sotto la pioggia con un’espressione indecifrabile sul volto; senza meta, senza ombrello, senza coraggio. Ho dimenticato perfino le scarpe.
E correre sull’asfalto in calzini mi mette freddo ai piedi e mi fa pure male; ma l’indecisione nel cuore è più forte.
Nella corsa cado ancora nella pozzanghera in cui avevo giocato prima e, questa volta, sento l’acqua che mi perfora i calzini e la pelle, entrandomi dentro, nelle viscere, gelando tutto.
Il cuore mi batte forte; la mia fuga ha segnato la fine del gioco. Ma in giochi come questo non c’è nessun vincitore, solo sconfitti.
E dimentico che se per me l’amore è un gioco, per Andrea è tutta una vita.


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N.d.A.:
Chiedo scusa a tutti i lettori per l'incredibile ritardo di questo capitolo! Come al solito ho un'ispirazione infame che questa volta si è lasciata arrestare per un anno intero a causa dell'Università. -.-
Mi inginocchio per chiedere a tutti perdono!!!!!

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Capitolo 8
*** 08- H di Happy Ending ***


H di “Happy Ending”


Andrea mi conosceva bene. Quando qualcosa mi spaventava l’unica cosa che riuscivo a fare era fuggire.
Mi comportavo come un codardo ma non riuscivo a non scappare, non riuscivo a restare e a combattere; dovevo prima di tutto fuggire, per pensare ad assimilare la situazione; solo in seguito, potevo tornare e andare avanti.
Andrea mi inseguiva, mi rincorreva; non importava quanto corressi o quanto veloce andassi: tutte le volte che mi fermavo anche solo per riprendere fiato, lei era lì e mi stava accanto.
Nel momento in cui cado nella pozzanghera e il cuore si bagna come i miei piedi, mi volto e non c’è nessuno; Andrea non c’è.
Sono solo.
Del resto, cosa potevo aspettarmi? Se la mia migliore amica mi avesse seguito anche questa volta, sarei dovuto fuggire di nuovo, in eterno, perché era lei ciò che era riuscita a terrorizzarmi.
No, lei mi conosceva talmente bene che aveva capito di dover restare dov’era, che era inutile correre sotto la pioggia come me, senza ombrello, senza scarpe, senza meta, senza coraggio.
Lei non era una codarda, se aveva un problema, rimaneva lì e lo affrontava. In questo eravamo molto diversi.
Quando arrivo a casa, trovo solo mio fratello che nota i miei calzini bagnati e il mio cuore infranto.
Socchiude gli occhi per inquadrarmi meglio ma poi rimane zitto e non dice niente.
Continuo a correre, salgo le scale, mi rifugio in camera, sbatto la porta e mi lascio soffocare dal cuscino.
Mi fermo, con il volto nascosto ma il cuore scoperto, che ancora batte forte per farsi sentire.
Quando mi volto a pancia in su, sento ancora le labbra che scottano per quel bacio di fuoco e che tremano gelate da quel tocco improvviso.
Me le tocco con le dita, incredulo di me e della mia amica Andrea.
Perché l’ha fatto? “Migliori amici” era forse troppo poco, per lei? O magari era troppo?
La porta si apre e mio fratello fa capolino con sguardo indifferente.
Lo guardo senza espressione e lui ricambia con un freddo “Ohi!”.
Non abbiamo mai avuto un buon rapporto, troppo vicini con l’età, troppo lontani con il carattere.
DI un solo anno più grande di me, mio fratello Andrea non aveva mai capito quel mio fuggire davanti ai problemi e quel mio restare incollato alla realtà, rifiutando di alzare lo sguardo verso il cielo.
E ora, eccolo lì, appoggiato allo stipite della porta che, con un suono freddo, mi chiede il permesso per entrare.
Glielo nego, voltandomi verso la parte opposta a lui, rannicchiandomi su un lato; lo sento sospirare pesantemente e chiudere la porta, andandosene in silenzio.
E il silenzio si rivela all’improvviso pesante, difficile da sostenere. Nella stanza sento solo il mio respiro confuso e i singhiozzi che, inspiegabilmente, non riesco più a trattenere.
Mi alzo di scatto, forse per il gelo insopportabile che sento ai piedi, o per il dolore al petto causato da un cuore impazzito.
Per cancellare il vuoto silenzioso che ha riempito la stanza, mi tolgo i calzini bagnati e cammino a piedi nudi verso lo stereo.
Non so quale cd ci sia dentro, non controllo nemmeno: accendo il lettore, alzo il volume e poi mi lascio crollare a terra, con la schiena incollata al muro e stringendo i miei piedi infreddoliti contro di me.
Il cd è di Mika e la sua voce acuta riempie la stanza, urlando al posto mio, che resto in silenzio ad ascoltarlo.
“Happy Ending” era la canzone mia e di Andrea. L’ultima di tante. Quella che lei amava cantarmi fingendo di tenere un microfono nelle mani, facendomi credere di avere un sorriso sincero sul volto, illudendomi che quelle che cantava fossero solo parole in una lingua straniera che non avessero un significato.
Bugiarda!

« This is the way you left me, I'm not pretending. No hope, no love, no glory, no Happy Ending. »
E non c’è mai un lieto fine per chi fugge davanti ai problemi.
« This is the way that we love, like it’s forever. Then live the rest of our life, but not together. »
Ma non insieme, hai ragione, Andrea. Non insieme.
Abbassi il tuo microfono invisibile e mi guardi, fingendo un sorriso, facendomi credere che per te queste parole non significano niente.
E io, il tuo migliore amico Emanuele, il codardo e l’ingenuo, ti credo e ricambio il sorriso.


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Buonasera! :)
Innanzitutto, voglio spiegare qui alcuni piccoli particolari riguardanti anche il precedente capitolo:
-Come avrete notato, il capitolo 7 ha un cambio del tipo di narratore…o meglio, non è proprio esatto detto così, quindi cerco di spiegarmi meglio…fino a quel capitolo, bene o male, il narratore (che tutti voi avete capito essere Emanuele) ha parlato di sé prevalentemente in terza persona (escluso il capitolo 6- Fidati), mentre invece all’improvviso, appena Andrea lo bacia, racconta di sé in prima persona.
Probabilmente questa cosa vi avrà un po’ confuso e\o disturbato nella vostra lettura, ma in realtà è stato fatto apposta: il fatto che Emanuele abbia parlato, fino a quel momento, di sé in terza persona stava a significare che non voleva farse coinvolgere troppo nella sua storia, era un puro racconto dei suoi ricordi, non voleva “sporgersi” troppo, diciamo…
Ma nel momento in cui Andrea lo bacia, si sente coinvolto eccome e i ricordi si fanno più forti, lo coinvolgono di più! Entrano in gioco di più i suoi sentimenti! Mentre quello di prima era un racconto freddo della storia tra Andrea ed Emanuele, adesso lo brucia, ne deve parlare in prima persona…
L’Emanuele estraneo, quello di prima di quel bacio, non c’è più.
E’ un casino, lo so, come al solito non riesco bene a spiegarmi, ma spero che mi abbiate comunque capito.

Alcune piccole note e osservazioni di questo capitolo:

-Come avete visto, è comparso il secondo Andrea citato nel primo capitolo, il fratello maggiore. Niente, tutto qui, ve l’ho fatto solo notare. -.- (ahahahaha :P, scusate).

-Traduzione dei due brevi pezzi della canzone di Mika:
“questo è il modo in cui mi hai lasciato, non sto fingendo. Nessuna speranza, nessun amore, nessuna gloria, nessun Lieto Fine.”
“questo è il modo in cui amiamo, come se fosse per sempre. Poi viviamo il resto della nostra vita, ma non insieme.”

-Ultimo particolare: questo capitolo è leggermente più lungo degli altri e il narratore Emanuele è meno pensieroso, ma soprattutto meno rivolto al passato! Nel modo in cui racconta, è come se tutto ciò gli stesse accadendo adesso, non è un semplice ricordo, quindi non ha tempo di pensare a cose profonde, a migliori amici che guardavano il cielo (capitolo 3), e non riesce a dilungarsi molto sui ricordi che lo legano alla sua migliore amica Andrea (ad esempio il capitolo 2, il 4 o il 5). Il bacio di Andrea non riesce più a farlo ragionare, è costretto solo a vivere e a sentire il suo battito del cuore.
Naturalmente questa è solo una fase di shock iniziale, a breve si riprenderà e cercherà di trovare una soluzione a tutto ciò e di mettere ordine nei suoi sentimenti.

Bene, con queste note che sono quasi più lunghe del capitolo, vi lascio qui evi aspetto al prossimo capitolo!! ;) (Che secondo la mia idea dovrebbe essere MOLTO più breve!).

Un bacio, S.

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