Il duca e la ragazza.

di Lady_Sticklethwait
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48. ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50. ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51. ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52. ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53. ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55. ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56. ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57. ***
Capitolo 58: *** AVVISO. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Questa storia è in fase di RISCRIZIONE. Ho deciso di dare finalmente un finale alla vicenda, i protagonisti (Colin ed Elisabeth) sono rimasti invariati ma la trama è, a grandi linee, mutata. SE VOLETE DARE UN’OCCHIATA ALLA NUOVA VERSIONE DE ‘IL DUCA E LA RAGAZZA’, POTETE TROVARE IL PRIMO CAPITOLO SUL MIO PROFILO.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.
Si sempre te stesso.
Tranne se sei un unicorno.
Bhè , in quel caso , sii sempre
un unicorno.

Londra, palazzo Bekwell , 1813.



Congratulazione Elisabeth! E' da una settimana che sei a Londra e ancora non sei riuscita a trovare tempo per comprare almeno un vestito che si addica alla serata. Pensò, mentre apriva il grande armadio posto nella casa di suo padre e vi erano solo pochi vestiti che le stavano stretti e scomodi. Sbuffò, e cercò seriamente di indossarli e manomettere il loro stile fanciullesco, in qualcosa di più odierno, ma con scarso successo. "DANNAZIONE!Se non mi entrano i vestiti di qualche anno fa ,devo essere diventata proprio una balenottera ..." disse incespicando mentre con una mano teneva i nastri per i capelli e le scarpette  che sperava le entrassero , e  con l'altra mano ,tentava , invano , di allacciarsi il corsetto alquanto stretto. "Elisabeth Barbrook , spero tu abbia imparato la lezione."
Una voce irritata proveniva dalla porta della stanza , dove si ergeva in tutta la sua statura ( 1, 60...) Kate , la sua amica d'infanzia.
Elisabeth si girò immediatamente , mentre cercava di riconoscere quella donna sulla porta , con dei ricci biondi che le incorniciavano il volto e occhi color nocciola che la scrutavano amorevolmente.
" Katee! " urlò presa dall'euforia, e, come se non bastasse, l'orlo della gonna e le scarpette strette la fecero rumorosamente cadere sul tappeto rosso . " Oh cielo , stasera non ne combino una giusta..." guardò la sua amica che tratteneva a stento una risata.
" C'è un detto " disse mentre si sedeva con le gambe incrociate e si levava le scarpette " che dice un qualcosa come...Mhh... Fammi pensare... Ah, si, le VERE amiche si vedono nel momento del BISOGNO ." puntualizzò mentre guardava tetramente la"piccola"e tenera Kate. Una sonora risata si sentì da quest'ultima, mentre l'aiutava ad alzarsi.
"Scusami , non ho saputo trattenermi " disse lei mentre asciugava gli ultimi residui  di lacrime, si metteva alle sue spalle ed allacciava il corsetto. " Lo vedo ".
" Dev'essere stato bello , viaggiare per il mondo" .
"Bhè , qualunque cosa che non sia andare a stupidi ricevimenti è divertente.." disse mentre la guardava di sottecchi .
" L'hai sempre pensata così... Bene , vedo che questi tre anni non ti hanno cambiata " le rivolse un caloroso sorriso mentre cotinuava a strattonare il corsetto.  " Però " aggiunse " sembra che i vestiti non abbiano il mio stesso parere..." .
" Grazie , sapevo me lo avresti rinfacciato. Ma posso giustificarmi. A quell'età  ero solo una giovane donnina..."  Kate la guardò come se non credesse neanche una parola di ciò che diceva. " E va bene , hai vinto. Ma, in mia discolpa " si girò,salì sul letto, e mettendosi una mano sul cuore enunciò "attribuisco l'aumento di ben due , e sottolineo DUE kg, signori e signori , all'illustre ed inimitabile... cioccolata svizzera !!."
"Ed io sapevo avresti cercato una scusa di questo genere " sorrise soddisfatta ,mentre Elisabeth curvava la schiena e ripristinava la posizione iniziale davanti la toeletta. Ci furono vari minuti di silenzio , prima che la voce di Kate urlasse " Fatto!"
" Sono sicura che chi ha inventato questi dannati busti non aveva nè una schiena , nè polmoni , nè riguardo per le povere ragazze ." bofonchiò dopo aver finito di esaminare la sua figura allo specchio. Mhhh...Niente male ragazza, questo vestito ti starebbe benissimo , se solo avessi il seno più piccolo.
" Oh , suvvia , sei deliziosa e questo colore è in sintonia con i tuoi occhi". Era vero , pensò . In effetti , l'abito non era tanto male come lo aveva immaginato , ma era così stretto che a stento respirava , e il seno era generosamente in mostra.
"Invece di fare falsi complimenti potresti spiegare a codesta umile mortale come hai fatto ad entrare? Ho chiesto al maggiordomo di non far intrufolare nessuno durante i miei momenti di crisi odierni "
" Quando imparerai , amica mia , che un sorriso ed un paio di occhi dolci possono risolvere molti problemi?"
" Di certo non risolvono i miei " disse Elisabeth mentre infilava le scarpe saltellando e sciogliendo la malsicura acconciatura posta sulla nuca.
" Ti serve una mano?"
" Queste stupide scarpette non... " si fermò all'istante, appoggiandosi contro l'armadio. Poi chiuse  gli occhi e sospirò dalla fatica. " Stavo dicendo... "
" Queste stupide scarpette non dovrebbero esistere per le ragazze che hanno i piedini fragili? " disse Kate con un sorriso a 32 denti.  Elisabeth annuì.
" Suvvia , ti aspetto nella mia carrozza ." guardò il suo volto irritato e non poté fare a meno di enunciare, mentre usciva dalla porta " Cerca di non dare fuoco a quell'innocente calzatura..."
" Ci stavo seriamente pensando" bofonchiò l'altra tra i denti mentre riprendeva la sua battaglia. Ci fu un risolino lontano, accompagnato da un " Ti ho sentita". Ed Elisabeth ,sorrise istintivamente.






Londra , casa Bekwell.
Elisabeth aveva sempre avuto un certo interesse per le abitazioni imponenti , ma se doveva paragonare la casa Shefield con tutti i palazzi che aveva visitato o solo guardato dall'esterno , non le veniva in mente nient'altro che la parola IMMENSA. Ed era sicuramente così. Nonostante avesse girato quasi tutta l'Europa , Elisabeth rimase sconvolta davanti alla severità della struttura di pietra , che si ergeva in tutta la sua maestosità e anche severità.
" Ho sempre avuto paura di questo palazzo , da piccola " affermò Kate con voce un tremolante , "Pensavo vi fossero all'interno dei fantasmi o creature viscide e schifose e..." una smorfia si dipinse sul suo viso , ed Elisabeth stette a guardare come le ombre della lanterna creavano dei giochi di luce sul suo volto. 
"Bhè ,  non si può dire che tu non ce l'abbia tutt'ora " . Kate le concesse uno sguardo incerto prima che la carrozza si fermasse proprio vicina a tante altre. Numerosissime dame scendevano con i loro vestiti di pizzo raffinati, i cappelli posati alla moda e ingioiellate fino all'ultimo lembo di pelle scoperto. Bhè, si disse mentre un valletto la faceva scendere dalla carrozza , spesso dietro ad una rara bellezza può nascondersi un cervello da gallina. Meglio essere semplice , vestirsi a proprio agio e pensare da sé ,invece di seguire tutti la stessa orrenda moda. Ma, in realtà, stava solo cercando di rallegrasi pensando di essere alternativamente intelligente, mentre tutte quelle donne raffinatissime erano imbacuccate nei pizzi .
La sala grande era schifosissimamente enorme ed illuminata, con ampie vetrate e tende tenute chiuse, in modo che il freddo che vi proveniva dall'esterno non potesse penetrare. Tre lampadari di cristallo erano posti al centro e ai lati, e, nonostante fornissero luce necessaria per illuminare quattro saloni, c'erano anche dei candelabri posti negli angoli della sala, in modo che tutto fosse ben visibile alla società londinese.
Benissimo , ora che c'è ancora confusione per l'arrivo delle carrozze , nessuno saprà del mio ritorno a Londra, quindi potrò sedermi su una poltrona abbandonata a se stessa , e fare la spettatrice.
Cercò di attuare il suo piano lasciando Kate in compagnia di sua madre e andandosene con la scusa di volere un bicchiere di limonata, per poi sedersi comodamente su una poltrona ISOLATA. Sorrise a se stessa , mentre passavano uomini , donne , libertini e cercatori di dote davanti ai suoi occhi , e che lei , chissà per quale ragione , riusciva a ricordarli a distanza di 3 anni.
Sono tutti così ...così...così... Il suo sguardo venne catturato da un gruppo di giovani donne che si riunivano attorno ad uno sconosciuto. Strano, pensò, non ho mai visto capelli di un castano così chiaro. No , evidentemente dev'essere qualche straniero venuto da chissà quale inferno per sposarsi un'ereditiera. Sorrise sadicamente, si alzò e prese un bicchiere di limonata per meglio scrutare il nuovo arrivato ma nulla. Le ragazze erano troppo accalcate e, nonostante fosse un tipo alto, era comunque di spalle, cosicché dovette tirare a freno la propria curiosità...Per il momento...
"Mi dici cosa diamine stai combinando?" Elisabeth  sussultò per l'improvviso rimprovero di sua madre, facendo cadere maggior parte della  limonata  sul suo vestito verde smeraldo.
" Oh cara, mi dispiace tanto, scusami non era mia intenzione spaventarti".
" Tranquilla madre , dovevo aspettarmi un tuo assalto prima o poi... Anzi , mi complimento , questa volta sei arrivata più tardi del solito ." sorrise cordialmente e con un inchino si congedò, per poi uscire alla ricerca di un bagno.
Dio, sono arrivata da 20 minuti e già tutti i miei piani sembrano esser andati in fumo... Oh , ma perché devo sempre ficcare il naso in affari che non mi riguardano??????!!!!!. Camminò alla cieca per ben 20 minuti nei corridoi ombrosi e isolati della residenza Shefield, ma sembrava che il bagno in quella casa non esistesse..
Ecco, complimenti Elisabeth, ora ti sei persa. Non solo hai il vestito sgualcito, non riesci a respirare e le scarpe ti provocano bolle insopportabili, ma ora sei anche vittima della tua stoltezza per non aver chiesto indicazioni, e , come se non bastasse, ti ritrovi in un simpaticissimo labirinto in una casa a te sconosciuta..
Quando sentì dei passi , ed il suo cuore si immobilizzò.
Cercò con lo sguardo un posto oscuro nel corridoio , dato che sentiva i passi molto vicini a lei ... Oppure era il suo cuore che stava riprendendo a battere furiosamente? Spense una candela appartenente al  candelabro vicino alla tenda e vi si nascose dietro quest'ultima , prestando attenzione a non commettere il più minimo rumore.
Lo sconosciuto passò quasi dinanzi a lei, e, dalla fragranza che emanava il corpo, chiunque poteva accorgersi che era un profumo esclusivamente maschile.
Per qualche secondo riuscì a smettere di pensare, per paura che anche ciò potesse causare rumore ma, ahimè, il suo vestito era così stretto e lei stava in una posizione così scomoda che si strappò violentemente .
L'ignoto signore si fermò. Oh signore , ti prego , verrò tutte le domeniche in chiesa , lo giuro , ma per favore , ti imploro , ti supplico aiutatami , ti prego , solo per oggi , lo giuro , lo giuro , lo giuro , lo giuro , lo giuro...
Egli si avvicinò pericolosamente alla tenda, ed Elisabeth aumentò ulteriormente, se possibile, le sue suppliche, quando questa si aprì con uno strattone.



Lady_Sticklethwait

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


                                             Capitolo 3.
Questa Autrice vuole precisare che, se commetto qualche errore di morfologia o sintassi, voi, mie care lettrici, non dovete far altro che avvertirmi in proposito. Qualche volta anche a me capita di sbagliare, e, lo dico con il cuore, mi piacerebbe sentire anche qualche critica circa i miei capitoli. Sono, ovviamente, ben accettate delucidazioni positive . Detto ciò, vi auguro una buona lettura.                                                                                                                      Lady_Sticklethwait.

Nel capitolo precedente... "[..] Lo sconosciuto passò quasi dinanzi a lei , e dalla fragranza che emanava il corpo, chiunque poteva accorgersi che era un profumo esclusivamente maschile. Per qualche secondo riuscì anche a smettere di pensare , per paura che persino ciò potesse causare rumore ma , ahimè , il suo vestito era così stretto e lei stava in una posizione così scomoda che si strappò  violentemente. [...] Egli si avvicinò pericolosamente alla tenda, ed Elisabeth aumentò ulteriormente , se possibile, le sue suppliche, quando questa si aprì con uno strattone.
" MAI Elisabeth si trovò in una situazione tanto imbarazzante e, se non fosse per il fatto che aveva lo sguardo fisso sugli stivali di pelle dell'uomo, sarebbe sicuramente andata alla ricerca di una pala per sotterrarsi.
Vi furono vari minuti di silenzio, dove anche il suo respiro affannato sembrava rimbombare nella testa dei due, ed ella ne era assolutissimamente consapevole, ma ora era l'ultimo dei suoi problemi... Per il momento doveva solo trovare il coraggio di guardarlo in faccia ed utilizzare una scusa convincente.
Si , pensò , se solo non mi scrutasse in questo modo ed avviasse lui il discorso, mi faciliterebbe molto le cose...Ok Elisabeth , al mio tre alzi il volto. Uno , due e ...
" Si sentite bene, signorina?" . Una voce calda e virile proveniva proprio dal ignoto signore davanti a lei , così , seppur contro la sua volontà ( che in quel momento le suggeriva di correre a più non posso fino ad arrivare a casa ) , si ritrovò a fissare due occhi meravigliosamente azzurri.
Erano di un colore molto raro, ricordavano il colore del cielo a mezzogiorno, oppure le profonde spiagge del Mediterraneo... Delle ciocche castane ribelli gli si arricciavano morbidamente sulle tempie , sulle orecchie e sulla nuca, conferendogli un aria fanciullesca e dissoluta, che le donne trovavano scandaloso ma allo stesso tempo anche attraente.
" S-s-i , credo " balbettò senza rendersene conto e ciò la fece arrossire tremendamente.
Oh Elisabeth , sei così sciocca...
" E' sicura? A me sembra il contrario. Accomodatevi nel mio studio , si sentirà sicuramente meglio..." si avviò verso una stanza a fine corridoio , e la guardò con aria quasi incerta.
"Scusate il disordine , ma non ho avuto tempo. Sapete , sembro sempre essere l'ultimo avvisato in questa casa quando si tratta di ricevimenti. Non che mi interessi molto esserne al corrente, però , diciamo che mi sento sempre più..." 
"Estemporaneo , turbato , fuori luogo , impacciato?" si prestò ad enuciare mentre l'uomo la scortava verso una poltrona molto grande e tappezzata di blu e giallo.
" Si , penso proprio che tutti e quattro i termini mi si adattino perfettamente" sorrise. E quel sorriso,pensò Elisabeth, le fece venire le farfalle nello stomaco... Farfalle? Lady Sticklethwait ,ma quali farfalle e farfalle , qui ci sono dei veri e propri pipistrelli!
"Non so ancora il suo nome.." disse mentre cercava di coprire con le mani la macchia provocata dalla limonata sul suo vestito smeraldo.
"Colin , Colin Bekwell. " - " Elisabeth Barbrook " disse timidamente tenendo lo sguardo fisso sul fuoco.
 Colin la scrutò con occhi attenti , ed ella non potè far altro che sorridere, non avendo argomenti intelligenti da trattare.
" Posso farle una domanda?  " Elisabeth alzò lo sguardo su di lui ,per incoraggiarlo. "Capisco che è difficile liberarsi dalle attenzioni delle madri , conoscenti e quant'altro .. Ma.. Nascondersi dietro ad una tenda non mi sembra la risoluzione più appropriata per sfuggire a.."
" Sono lieta del suo interesse , signore , ma le assicuro che se non avessi voluto cadere nelle grinfie di persone a me sgradevoli , nascondermi dietro ad una tenda e per lo più in un corridoio isolato, sarebbe stato l'ultimo dei miei pensieri" disse guardandolo con aria di sfida.
Colin , evidentemente divertito , le offrì un sorriso a 32 denti , e lei quasi credette che fosse un dio greco. I suoi occhi emanavano una luce allegra e  birichina , che la fecero sussultare e dimenticare del suo precedente imbarazzo.
" Si sta  prendendo gioco di me , signore?" Colin non rispose e si versò una generosa quantità di brandy , prima di dirle " Penso sia ora di fare il nostro glorioso ritorno nel salone."
Elisabeth annuì e si alzò avviandosi a grandi passi verso la porta. Uscì ed improvvisamente il suo istinto la fece arrivare al primo piano nelle vicinanze del salone. Si girò per chiede al suo "accompagnatore " dove fosse il bagno , ma il corridoio era scuro e vuoto  così che lei non seppe  neanche se egli l'aveva seguita o meno nella sua marcia .
"Sig.or Bekwell?" sussurrò appena , quando si udì una pronta risposta al suo fianco. " Sono qui " esclamò con voce allegra Colin. Eppure qualche minuto fa avrei giurato che affianco a me ci fosse stato soltanto il freddo muro...
" Vorrei solo accertarmi sulla sua discrezione per il nostro..Mhh.. "
" Incontro?"
" Direi incidente.."
" Permettetemi di correggervi , l'incidente riguarda il vostro vestito , ma , soggettivamente , penso che  questo sia stato uno degli incontri più divertenti che mi siano potuti capitare in tutta la mia vita" .
Elisabeth trovò quel suo commento molto fastidioso , ma non replicò.
"Siamo arrivati." sussurrò Colin . Poi , con un cenno di saluto, si incamminò velocemente davanti a lei e si immerse nella folla. Dio , che serata... Riuscì appena a pensare quando sua madre le venne incontro e la portò quasi al centro della sala . " Dalle mie parti si saluta " disse Elisabeth liberandosi con uno strattone e guardando sua madre con aria interrogativa.
" Scusami tesoro , ma dovevo assolutamente farti conoscere un gentiluomo. " si guardò intorno per un paio di secondi , poi quasi urlò " Sig.or Bekwell! "
Santissimi numi , di male in peggio!!
" Sig.ora Barbrook" si avvicinò Colin con un sorriso affascinante , e prima che potesse aggiungere qualcosa , sua madre esclamò " Oh , che sbadata , vi presento mia figlia , la sig.ina Elisabeth Barbrook"
VOGLIO - MORIRE- ORA.
"E' un immenso piacere , fare la vostra conoscenza.." Le prese la mano inguantata e sfiorò appena le sue nocche con un bacio.
Che splendido attore .Pensò mentre rispondeva " Il piacere è tutto mio , sig.or Barbrook." .
" Sapete , Colin... Posso chiamarvi Colin ?" egli annuì . " ogni volta che vi vedo non posso far altro che pensare a che diavoletto eri prima..." poi aggiunse prestamente " Non che la mia figliuola fosse da meno , naturalmente. Anzi , mi ricordo benissimo i vostri giochi maligni quando vi incontravate nel cortile di casa .."
Entrambi rimasero inermi , ed il gentiluomo annuì , guardando Elisabeth con sguardo malizioso.
" Allora " si schiarì la voce  " posso  avere l'onore di questo ballo , come rimpatriata dei vecchi tempi?" .
" Bhè..ecco..io" balbettò, e sua madre intervenne prontamente " Ma certamente che vuole. Anzi , sfortunatamente ho proprio intravisto una mia vecchia conoscenza e sarebbe un peccato non salutarla. " e si allontanò urlando dei nomi incomprensibili.
Madre , se un giorno troverò il coraggio , davvero vi ucciderò pensò ella mentre guardava il duca con aria innocente.
" Ebbene , sembra che le nostre strade siano costrette a incontrarsi , ancora una volta... " disse Colin mentre la scortava verso il centro della sala da ballo
" Nessun commento in proposito? Mi delude incredibilmente." abbassò gli occhi con fare dispiaciuto.
" Vuole sapere il mio parare? Bhè , trovo tutto questo incredibilmente sgradevole , anche per il fatto che mi sento assiduamente in trappola." sorrise amabilmente.  Egli si abbassò e le sussurrò nell'orecchio "Bene , perché io mi sto divertendo da matti ".
Elisabeth non poté replicare poiché iniziò il ballo che più odiava al mondo. IL VALZER.
" Sig.or Bekwell , ritengo sia giusto che lei sappia la mia penuria riguardo il valzer. Pertanto..."
" Pertanto state cercando di dirmi che, se i miei piedi saranno crudelmente pestati stasera, non vi assumete la resposabilità dei danni? Ne sono infinitamente addolorato " disse mettendo il broncio.
 Elisabeth non riuscì a trattenere la risata che le si stava formando in gola , così sghignazzò con fare poco signorile , e Colin pensò per quasi tutto il resto della serata a quella risata genuina .
Il resto del ballo proseguì silenziosamente e , alla fine , dopo che i due ebbero fatto una riverenza , egli esclamò allegramente " Niente piedi doloranti  quindi? Peccato , mi ero preparato al peggio. Posso quindi sperare in un futuro valzer per ricevere le pedate oggi non riscosse, oppure ci saranno più  balli chiaramente a rate?"
La guardò intensamente , e poi sorrise.
Dio , perché mai un uomo come lui vuole ballare con me?
" Mi sta forse corteggiando , signore? "chiese schiettamente.
" Con tutto il rispetto che provo verso di lei, signorina , non potrei mai corteggiarvi in una sala da ballo dopo avervi conosciuto da appena un'ora, e per di più ,in casa mia " Elisabeth arrossì immediatamente , e nel salone le sembrava facesse sempre più caldo.
" Questa , signore , penso sia stata indubbiamente una delle risposte peggiori che lei abbia mai potuto dare." disse cercando sua madre nella sala.
Perché quando ho bisogno di lei , non c'è mai?
" Sul serio? Ed io che pensavo potesse sopraffarvi "
" Indubbiamente starà perdendo colpi."
" Non ci contate , sig.na Barbrook" e quelle parole le disse con una voce talmente intensa che Elisabeth quasi tremò.
" Mi sembra di aver intravisto mia sorella..."
" Ed io penso invece di essere atteso dalla mia simpatica famigliola. " Si fermò , le prese la mano e la baciò, per poi sparire nella folla.
Elisabeth aveva la schiena piena di brividi freddi.
" Tesoro , penso sia ora di andarcene " disse sua madre spingendola verso l'uscita. E nella carrozza , nonostante le assidue chiacchiere di Kate, non  poté far altro che pensare a quegli occhi e al suo sorriso.




Lady Stichlethwait.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


                                                                                                Capitolo 4.
Londra , Green park.
Il sole si ergeva coperto da alcune nuvole grigie e bianche come il latte, mentre una leggera nebbia si posava sul manto verde di Green Park ; il tutto era impeccabilmente completato da una leggera sinfonia degli uccellini provenienti dagli alberi spogli.
 Cosiffatto si presentò il paesaggio quella mattina fredda del 10 Dicembre, mentre Colin passeggiava in groppa al suo cavallo nero come la notte e discuteva animatamente con un suo caro amico di studo: Jhon.
"Non sono un esperto, ma tra le varie tipologie che ho degustato, penso che La Tache e il Pinot Noir siano i più pregiati ".
" Chardonnay" .
"Armand de Brignac!"
"Champagne" Disse furbamente Jhon.
" Il thè "
" L'acqua "
" Il caffè." esclamò seriamente Colin.
" Il caffè? " ripetè l'altro.
Egli non rispose.
" Il caffèèè? " disse strascicando la e finale.
" Cercasi udito disperatamente " sorrise Colin e, all'aria confusa dell'amico spiegò.
" Non so come siamo potuti arrivare dai vini al caffè, ma, mio caro amico, non penso tu abbia mai avuto l'onore e il pregio di assaggiare il caffè nero italiano."
" Infatti no " ammise l'altro guardandolo con curiosità.
Ci furono vari minuti di silenzio, quando proseguì " E dove si può assaggiare?"
" Bhè, guarda, fuori dall'Inghilterra la prima a destra...".
 Jhon non afferrò la sua ironia.
" Oh cielo " esclamò sospirando Colin. " Caffè nero ITALIANO Jhon! Dove potrebbe mai trovarsi? In America? ".
" Intendevo sapere se c'è un luogo dove lo posso assaggiare qui , a Londra...Geniaccio " lo guardò di sbieco.
Colin si grattò il mento da finto filosofo , mentre osservava la lunga strada fatta di pietriccio alternata ai fili d'erba verdi e curati.
" Bhè, diciamo che quasi tutti i locali offrono del buon caffè...Se ben pagati " fece una leggera pausa e guardò Jhon, il quale vi vide una nuova luce maliziosa e birichina nei suoi occhi giulivi.
" Ma sono sicuro che il caffè migliore lo facciano le madri.Tranne la mia, naturalmente... Perciò, mio caro amico, sento il dovere di avvertirti... Qualora ti trovassi sfortunatamente a casa di mia madre, e quest'ultima avesse la simpaticissima idea di offrirti da bere" sorrise dandogli una pacca sulla spalla "scordati di uscire indenne dalla sua malefica dimora".
Jhon, confuso dall'ambigua affermazione del compagno incarnò un sopracciglio.
"E' peggio di una purga , dovrebbero dichiararlo illegale e contro i diritti fondamentali dell'uomo " disse Colin serissimo e Jhon scoppiò in una risata poco virile.


                                                              Un'ora dopo...


Elisabeth passeggiava spensieratamente per le vie di Green Park. Era una mattina molto tranquilla e soprattutto la maggior parte delle persone di sua conoscenza erano ancora immerse nel sonno, cosicché lei poteva passeggiare e godersi finalmente ciò a cui tanto auspicava: la solitudine.
I fili d'erba erano ancora impregnati dalla rugiada, che brillava alla luce del sole. Elisabeth amava quello spettacolo. Non c'è cosa più bella che passeggiare nella natura, pensò sfiorando con le sottili dita inguantate alcune piante e facendo inevitabilmente cadere delle gocce.
Un filo di luce attraversò gli i pini luccicanti e le illuminò il volto, dandole una sensazione di benessere mai provata durante le ultime settimane.
Così rimase immobile, con le dita bagnate e i raggi solari che le accarezzavano dolcemente le gote, mentre un vento debole le scompigliava l'elaborata acconciatura.
Chiuse gli occhi, per assaporare meglio quell'istante, quando un ramo si spezzò.
Si girò guardando in cagnesco l'intruso, ma, sfortunatamente, non vide nessuno.
Devono essere stati gli scoiattoli , sicuramente .
Mentre stava richiudendo gli occhi ,sentì un altro legnetto spezzarsi, questa volta accompagnato da un fruscio di foglie e seguito da un verso indescrivibile.
Ma cosa diavolo... Si guardò attorno per poi accorgersi che c'era un gattino , bianco ed incredibilmente piccolo, sopra di un albero .
" Ohhh... Ma stai tremando." si avvicinò Elisabeth mentre il gatto la guardava con occhi speranzosi ed emetteva suoni disperati.
Non è molto alto... Se mi levassi queste scarpette e mi aggrappassi con forza sul primo tronco , potrei salirci sopra e prenderlo. Inoltre è molto presto e non ho visto anima viva nel parco , quindi non c'è il rischio che possano vedermi ...
Così, senza pensarci più di tanto, si tolse freneticamente le scarpe, prese una leggera rincorsa e saltò sul primo tronco.
Il corpetto non l'aiutava molto, anzi, la comprimeva così tanto che a stento riusciva a respirare, mentre con una coscia si spingeva verso l'alto per sedersi sul tronco apparentemente robusto.
In fin dei conti un pò di altruismo non fa tanto male...
Cercò di rassicurarsi mentre prendeva il morbido gattino impaurito sul ramo e, quando ci fu riuscita, il fiocco che legava i capelli veniva irrimediabilmente sciolto lasciandole i suoi bei capelli ricci ramati sulla schiena e sul volto.
Si sedette sul tronco, stanca e tremante con su di se il gattino bianco, che ora si sdraiava comodamente sul suo ventre.
" Bhè , almeno uno di noi due si sta godendo la giornata.." disse mentre testava la morbidezza del suo pelo stranamente pulito.
Dopo aver inspirato ed espirato varie volte guardò giù.
Non erano molto in alto ma Elisabeth, fin da piccola, aveva sofferto di vertigini, e presa dalla foga di salvare quell'esserino pensava di aver scordato la sua inquietudine.
Guardò il gattino, e poi a terra, e poi il gattino e poi a terra con sguardo pieno di terrore mentre si aggrappava con forza sul tronco.
Sospirò, prima di compiere il grande salto e pregò, come non aveva quasi mai fatto nella sua vita.
Ma perché combino queste cose?!?!
"Sig.ina Barbrook" una voce ben nota piombò dal sentiero opposto, accompagnata dalla speldida visione del duca di Bekwell, vestito come sempre in modo impeccabile nel suo abito color beije intonato al colore dei capelli scombinati .
Egli aveva un sorriso divertito, e, sebbene non poteva ben vederlo, riusciva ad immaginare quelle scintille d'ironia che vi si leggevano frequentemente negli occhi acquamarina.
"Sig.or Bekwell.." disse guardandolo come se si fossero appena incontrati in una circostanza assolutamente normale. " Come mai da queste parti?"
Come mai da queste parti? Dio, Elisabeth! Sei su un albero con i capelli scombinati ,hai le sembianze di una zingara e tu chiedi come ma da queste parti?
Colin si avvicinò in sella al cavallo e, dopo essersi fermato abbastanza vicino alle scarpette, che esaminò con cura, scrollò le spalle e le sorrise.
" Mh, devo dire che riesce sempre a sorprendermi , signorina Babrook".
"Come prego?"
Colin ignorò la sua domanda e guardò attentamente il gatto che le si era addormentato sulle gambe. " E' suo? " disse indicandolo.
" No, bhè... Suppongo che ora si , però prima no io cioè ..ecco..." Arrossì e abbassò gli occhi sulle mani che stringeva nervosamente .
" Avrei molte domande da farle , come qualsiasi persona normale penso voglia porle, ma, per il momento, penso di potermi trattenere e godermi lo spettacolo". Scese dal cavallo, incrociò le braccia e la guardò con ludibrio.
" Ebbene?" proseguì sostenendo il suo sguardo a mò di sfida.
" Ebbene, sig.ina Barbrook, non capita tutti i giorni di vedere alle 8 di mattino una selvaggia molto affascinante su di un albero" .
Affascinante? SELVAGGIA? Come osa! Questo screanzato, nessuno può prendersi gioco di me, soprattutto quando sono in difficoltà . E' ignobile e vile e... Dalla rabbia non riuscì quasi più a pensare e il suo sguardo si scurì.
" Sono sicura , invece , che le SELVAGGIE cui vi riferite , Signore ,si trovano nella giungla , e non in un parco illustre nel bel mezzo di Londra." quasì lottò per non urlare e scandire le parole in perfetta calma.
Colin rise. La sua non era una risata comune ma bensì qualcosa che scaldava l'animo, che  rimbombava nella testa e poi scivolava via, lasciando delle adorabili fossette sul volto giovane e dai tratti raffinati dell'uomo.
" Per quanto mi rammarichi ammetterlo, penso di esser stato messo al mondo con il solo scopo di punzecchiare le persone "
" E posso assicurarle che questo vostro aspetto non è passato inosservato" commentò Elisabeth con calma e soavità. Egli fece spallucce a quell'affermazione, per poi cambiare bruscamente argomento. " Per quanto mi stia sforzando di rimandare l'irrimandabile, signorina Barbrook, penso che lei abbia  bisogno di aiuto per scendere da quell'albero"
Ella lo aveva quasi dimenticato, e il suo cuore ritornò a pulsarle in gola.
" Oh, ma io non sono in difficoltà, signore " esordì Elisabeth con un espressione innocente.
" Mh..." la guardò assorto nei suoi pensieri ." Mi state dicendo che lei non è una fanciulla in difficoltà? "
" Assolutamente no " disse radiante. " Anzi, le dico di più. Da qui si sta proprio comodi, sa? E poi avevo bisogno di riscaldarmi un pò le spalle. L'aria stamattina è così tiepida..".
Si girò di profilo verso il sole, chiuse gli occhi ed inspirò la fragranza dei fiori mescolata ad acqua e pino, conscia dello sguardo indagatore dell'uomo su di lei.
Colin aspettò che aprisse gli occhi  prima di poter rispondere a tono, ma, quando lo fece, l'immagine del suo piccolo naso accompagnata dalle ciglia folte e dalla bocca carnosa ed incredibilmente rosa non riuscivano ad andarsene dalla sua mente e rimase in silenzio per alcuni minuti.
"Mi sta dicendo che lei non ha bisogno di aiuto?"
"No " esclamò allegramente. " Le sto dicendo che sono in difficoltà ma me la cavo benissimo.E' stato un piacere, buon proseguimento della giornata ".
E con un gesto della mano lo congedò.
Colin incarnò un sopracciglio,e rimase a guardarla anche dopo aver montato sul cavallo.
" Bene bene, ora sono proprio curioso di vederla scendere da quell'albero , Sig.ina Barbrook".
Elisabeth tremò. Non ne faccio mai nessuna giusta , nemmeno una , nemmeno mezza... Un disastro sociale.
" Perchè mai dovrebbe interessarsi a vedermi scendere? "
Egli si avvicinò, arrivando fin sotto di lei guardandola seriamente.
" Andiamo, datemi quel gatto e poi seguite le mie istruzioni. Non voglio che lei si faccia male per colpa della testardaggine"
Ha ragione ,pensò, per quanto possa essere ostinata non riuscirò mai a scendere da sola da questo dannato albero senza farmi del male o fratturarmi qualcosa.
Ella fece ciò che il duca le aveva chiesto, poi, seguendo attentamente i suoi ordini si ritrovò in sella davanti a lui, schiacciata contro il suo ampio e forte petto.
Elisabeth si sentì mancare.
Ogni centimetro di pelle aderiva al suo, e, nonostante ci fossero gli indumenti, poteva quasi sentire il calore che emanava il suo corpo contro la schiena.
Tutto ciò è estremamente piacevole, si sorprese a pensare mentre teneva stretto il micio estremamente tranquillo.
Cavalcarono a passo lento per le vie di Green Park, mentre la dolce fragranza dei suoi capelli  gli inondava il volto ad ogni passo, come per ricordargli che aveva davanti a se una donna terribilmente affascinante.
E di buona famiglia, gli suggerì il cervello.
Colin, come quasi tutti i membri della famiglia Bekwell, era stato e ancora ora poteva "vantarsi " di essere uno dei libertini più celebri di Londra.
Certo, era un buon partito per tutte le ragazzine nubili in cerca da marito, ma lui non aveva mai pensato seriamente di poter condividere la sua vita con una sola donna .
E MAI lo avrebbe fatto, pensò guardando i boccoli lunghi della ragazza che portava in sella.
Durante il tragitto i due non si scambiarono la parola, se non per fornire informazioni strettamente necessarie.
Quando arrivarono davanti davanti casa Barbook, Colin l'aiutò a scendere e, solo dopo che il duca era sparito nella foschia, ad Elisabeth le venne in mente di non averlo neanche ringraziato.


Mi farebbe piacere se commentaste con una critica negativa , positiva o neutra ,per sapere cosa ne pensate del mio "lavoro".
Grazie e... Alla prossima!


Lady Stickelthwait

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5.

 


Capisci di aver letto un buon libro quando giri l'ultima pagina e ti senti come se avessi perso un amico.

Londra, casa Barbrook.

La mattina seguente, Elisabeth si svegliò con un raffreddore infernale. Non era sicura che la causa fosse stata la passeggiata in Green Parks, ma attribuiva la colpa soprattutto all'incontro (s)piacevole con il signor Bekwell.
L'aria di Dicembre era piuttosto fredda, soprattutto la mattina presto quando la nebbia calava su Londra rendendola molto umida. La giornata era totalmente differente dal giorno precedente, così Elisabeth si vide costretta a rimanere nel letto con il naso rosso e gli occhi annacquati.
Bussarono alla porta ed entrò la sua domestica personale, Belle, con in mano una grande tazza fumante e dei biscotti che appoggiò delicatamente sul comodino vicino al letto.
“Da come starnutiva stanotte, ho pensato di portarle un infuso caldo.” disse sedendosi e guardandola con occhi preoccupati.
Belle era ancora giovane. Non superava i 35 anni, ma Elisabeth non riusciva proprio a ricordare quando non si fosse presa cura di lei.
Da piccola le leggeva sempre le storie prima di addormentarsi, soprattutto quando sua madre era impegnata e, per un motivo o per l'altro, la lasciava sempre sola a giocare malinconicamente con le bambole.
Fortunatamente c'era Belle, che le tirava su di morale e si prendeva sempre lei la colpa quando Elisabeth faceva qualcosa di “terribilmente scandaloso”, così come sua madre lo definiva.
“ Grazie, davvero, non dovevi disturbarti” sussurrò appoggiando le labbra sulla tazza calda e sorseggiando l'infuso.
Belle sorrise e scrollò le spalle, mentre si avvicinava al camino e attizzava il fuoco.
“Posso chiederti una cosa?” sbottò improvvisamente Elisabeth.
“Naturalmente”rispose l'altra.
“ Secondo te sono così imbarazzante per mia madre?”
La domestica impallidì all'istante e la guardò severamente.
“Come prego?”
“Voglio dire...”
“In nome di tutto il bene che le voglio, non deve mai più ripetere una cosa del genere.” disse con tono grave.
Elisabeth abbassò lo guardo sulla tazza che stringeva spasmodicamente con entrambe le mani.
“Lei dice che non mi sposerò mai” disse ricacciando indietro le lacrime che le offuscavano la vista. “ Dice che sono sempre stata un disastro, fin da piccola... Le mie sorelle sono ed erano perfette.”
“Non dovrebbe sottovalutarsi così. E' vero, le sue sorelle hanno molte qualità, ma, per l'amor del cielo, si tolga dalla testa questa ridicola affermazione!”
“Katherine. Che difetti ha? E' composta, delicata, fa volontariato e suo marito l'adora! E Georgie?Ne vogliamo parlare? Con quei boccoli biondi e gli occhi nocciola sarebbe capace di conquistare anche un re.” disse sconfortata ma anche con una sorta di orgoglio per avere avuto delle sorelle strabilianti come loro.
Belle si avvicinò al letto, le prese la mano e se la portò il grembo, attendendo che la sua padroncina si sfogasse.
“Ed io, Bel? Io cosa sono? Bhè si, sono ritenuta la simpaticona della famiglia ma per il resto? Non sono una rara bellezza e non ho neanche la compostezza che tutte le dame dovrebbero avere.
Realizzo solo figuracce e sono l'intellettuale della casa. Io... Bhè , io sono io.” finì di dire Elisabeth sorridendo amaramente a quelle parole.
“Ha dimenticato moltissimi dettagli”
“Ti prego, dammi del tu”
Belle la guardò con incertezza per poi continuare. “ Sei molto forte, e, anche se qualche volta sei cocciuta come un mulo “ Elisabeth intraprese un sorriso “ tutti ti vogliono bene. Tutti ti amano, cara, e chi non lo fa può andare benissimo al diavolo. Sei bellissima proprio perché hai dei tratti particolari e il tuo umorismo ti caratterizza in tutto e per tutto. Sai che vita noiosa condurresti se non capitassero le sciagure? E sai quante persone vivono nella più completa tristezza proprio a causa di queste? Tu invece, padroncina, riesci sempre a rialzarti più forte di prima nonostante il mondo ti stesse candendo addosso. E questo, è il pregio più importante.”
Elisabeth cominciò realmente a piangere, non per il sentimento d'inferiorità di prima, ma bensì per le incantevoli parole che provenivano dal cuore di quella donna infinitamente saggia e confortevole.
“Grazie Belle” sussurrò “ Ti voglio bene” e l'abbracciò mentre la domestica sentiva sciogliersi il cuore.
Dopo che si furono ricomposte, l'ultima disse con sorriso malizioso “ Ora ditemi”
“ Dimmi”
“Ditemi “ insisé “ chi è che vi ha messo in questa l'idea del matrimonio?Non ci sarà mica qualche giovanotto che le piace?”
Elisabeth arrossì violentemente e si portò alle labbra l'infuso ormai tiepido, mentre pensava ad risposta appropriata.

No, in realtà non so proprio di cosa stai parlando...”
“E invece lo sa benissimo” la rimproverò.
“Ho conosciuto un gentiluomo in circostanze piuttosto...” si schiarì la gola “piuttosto imbarazzanti, ecco”
“Mhhh... Di che genere?”
Ella distolse immediatamente lo sguardo, al ricordo di quegli occhi azzurri e al sorriso sfacciatamente provocatorio.
“Mi ha trovata dietro ad una tenda e sopra un albero. Non ti dirò il motivo, ma posso accennare che è stato per una buona causa”. Detto ciò, starnutì poco signorilmente e Belle, non sapendo cos'altro dire all'evidente imbarazzo della padrona, mormorò un qualcosa sui piatti sporchi e i vestiti da stirare per poi congedarsi.
Elisabeth stette male per il resto del giorno, e il tempo non sembrava affatto consolarla. Dalla finestra poteva contemplare grossi e minacciosi nuvoloni grigi che si avvicinavano e preannunciavano un timoroso temporale.
“Odio i temporali “ disse sottovoce mettendosi sotto le coperte fino al naso. “E odio i tuoni, e odio..aaahh.aaah..acciuff!!!!” starnutì talmente forte che quasi cadde dal letto.
“Odio Colin Bekwell. Da quando lo conosco non fanno che capitarmi disgrazie.”

“Colin, guarda, mi sa che dovrai rimandare la tua cavalcata”disse sua madre con aria apprensiva.
“Perché ? Amo i temporali.”
“Si,, ma se tu uscissi con questo tempo ti prenderesti un bel malanno.”
“Non vedo il motivo per cui vi angosciate tanto, madre. Solo una passeggiatina. Vi prometto che tra massimo 30 minuti sarò di ritorno.” e si avviò verso la porta.
“ Colin Bekwell, torna immediatamente qui” fece sua madre con tono imperioso.
Egli si girò, con un sorriso innocente sulla sua bocca ben disegnata e seducente.
“Tu non “
“ Madre” disse inchinandosi.
“Oserai”
“Siete la mia consolazione”
“Varcare”
“Il mio unico pensiero” le baciò il palmo della mano
“Quella porta”
“La mia ragione di vita”
“Fin quando”
“Il mio sostegno”
“ non “ disse cominciando a lasciarsi andare alle dolci parole di suo figlio.

Sono vostro schiavo, potete far tutto di me. Sono vostro.”
“Colin” urlò sgranando gli occhi sua madre e ritirando immediatamente la mano.
“Ops” disse egli grattandosi la testa ed alzandosi “ devo aver sbagliato copione”.
Anne gli lanciò uno sguardo pieno di rimprovero mentre egli scoppiò in una rumorosa risata.
“Mi piacere ridere. Fammi ridere anche a me.”
“ Oh madre, è così bello provocarvi” disse mentre ella scioglieva un po' di tensione che aveva accumulato.
“Un giorno, figlio mio, mi farai prendere un infarto.”
“Penso che se ci riuscirò, passerò il resto della mia vita a pelare patatee” disse strascicando la “e”.
“Pelare cosa?” disse Anne.
“ A pelare patate. Scritto senza l' h”
“Ma non c'è l'h nella parola patate.”
“E' quello che ho detto...” disse Colin trattenendo una risata e, solo dopo che Anne si accorse del gioco di parole e del fatto che il figlio la stesse riprendendo in giro, si unì alla sua risata esclamando
“Oh Colin, a volte mi sembra che tu non abbia più di tre anni.”



[Sono sempre ben accettate le recensioni.]
 

 

Lady_Sticklethwait
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6.

Ciao! Sono spiacente, ma non sto prestando attenzione adesso. Per favore, lasciate un messaggio quando finirò di leggere il capitolo di Lady Sticklethwait.

 

 


“ Che cosa ne pensi, Colin?” disse con entusiasmo Julia, l'ultima delle sue sorelle, mentre girava attorno a se stessa .

La famiglia Bewkell era composta da quattro figli, tra cui egli era il maggiore e l'unico maschio ( se si esclude l'ultimo figlio che, sfortunatamente, dopo una settimana morì). Gli susseguivano, quindi, due sorelle estremamente attraenti e sui venticinque anni o poco più.
Julia, invece, aveva appena fatto ingresso nella società Londinese da pochi mesi, e, nonostante avesse appena diciotto anni, la sua presenza non era ignorata dagli uomini.
Colin alzò lo sguardo dalle numerose carte che occupavano la scrivania e guardò con disapprovazione la scollatura dell'abito color corallo.
“E' troppo scollato per te, mostriciattolo.”
“Non è vero, tutte le ragazze della mia età lo portano!” strinse i pugni “e non sono un mostriciattolo.”
“Per quanto mi riguarda, questo vestito non è adatto a te, perciò fila a cambiarti prima che mamma di veda.”
“Cosa non dovrei vedere?” fece irruzione Anne in un splendido vestito color blu notte.
“Madre, cos'ha che non va questo vestito?” disse con voce piagnucolante Julia mentre cercava di conquistare l'assenso della madre con occhi supplichevoli.
“Sei splendida figlia mia” disse Anne con un misto di orgoglio e commozione.
“Certo, tranne per il fatto che riesco a vedere persino i piedi dalla scollatura “ borbottò Colin.
“Evidentemente non sai nulla di moda”
“ No, infatti” rispose alzandosi di scatto.”Ma non mi stupirei se il prossimo anno vi vestisse da polli per seguire la moda.”
“ E scommetto che se così fosse, tu non faresti altro che guardare petto e cosce, giusto?” disse Julia con un sorriso malizioso.
Egli ricambiò il sorriso birichino e, solo qualche secondo dopo Anne si rese conto dell'insinuazione allusiva.
“Oh cielo! Tu” indicò Julia “ e...e...Tu! Colin!” mosse un dito accusatorio contro . “Non osare.”
“Tranquilla madre” disse la sorellina con occhi ridenti “ stavo solo scherzando.”
“Già”
“Meglio che vada” sbraitò Anne richiudendo accuratamente la porta dietro di se.
“Lo scoppio ritardato di nostra madre è stato un qualcosa di...Epico!” disse eccitata Julia mentre osservava Colin versarsi una generosa quantità di Brandy.
“A proposito, dov'è che state andando?”
“Al teatro. “
“Posso aggregarmi?”
“Se non hai nulla di meglio da fare...” disse.
“Mi stai evitando, mostriciattolo?”
“Come la peste” sorrise amorevolmente Julia .“ Ti aspetteremo al teatro, lo spettacolo inizia tra poco quindi affrettati a vestirti decentemente se non vuoi tardare”. Detto ciò uscì dalla camera, lasciandolo nel più solo e totale silenzio.


“Da qui non si vede un bel niente”
“La musica non si vede, si ascolta, Kate.”
“Bhè, nel mio caso sono venuta solo per vedere il declino di quella smorfiosa “so tutto io” “
“Intendi Debby Simmerthon?”
“ E chi altro sennò?” fece una smorfia disgustata mentre Elisabeth cercava con lo sguardo l'oggetto della loro conversazione.
“Non sembra tanto antipatica”
“Tu non l'hai avuta come vicina di casa...Non sai cosa mi faceva passare da piccola” disse Kate con aria estremamente seria, che fece ridere la tua interlocutrice.
“Ti sembra divertente?”
“Si!!”
“Contenta te...”
“ Oh Kate, sapessi che faccia hai fatto!” scoppiò nuovamente in un risolino che catturò l'attenzione di non poche persone.
“Dimmi” disse l'amica calmandosi “cosa ti faceva mai?”
“Mi ha sempre tirato le trecce e ogni volta che passavo rideva di me...”
“Oh povera cara” le mise una mano sulle spalle con aria di chi la sapeva lunga.
“Hey, ma quello non è il tuo amichetto?”
“Chi?”
“Quello lì “ alzò un dito per indicare un gentiluomo vestito di nero. Quando egli si girò e i suoi occhi guardarono quasi verso la sua direzione, il cuore prese a battere come un tamburo e le sue guance divennero paonazze.
“Oh santi numi... Oh santissimi numi, non qui” sussurrò Elisabeth girandosi di scatto e facendosi piccola piccola nella poltrona.
“Lo conosci?”
“Si...Cioè no, non proprio, ho ballato con lui qualche volta ma nulla di particolare.” mentì.
“Mh, sembra molto bello”.

Elisabeth a quella osservazione quasi si strozzò, non seppe con cosa, ma sentiva un nodo in gola insopportabile.
“ Stai bene?”
“Meravigliosamente” sorrise“ Ma penso proprio che quelle 3 tazzine di tè abbiano dato i loro frutti e...”
“ Non dire altro” la pregò Kate.

Elisabeth si alzò proprio nel momento in cui il sipario si apriva e corse verso il bagno che, questa volta, trovò in un batter d'occhio.
Dopo pochi minuti si vide costretta a ritornare nella sala, ma, appena si avvicinò e senti la brutta copia di quello che doveva essere il Requiem di Mozart, cambiò idea e decise di affacciarsi ad una finestra nei dintorno per guardare il temporale che stava iniziando proprio in quel momento.
“Odio i temporali”
“Amo i temporali” disse una voce calda che ormai lei ben riconosceva.
“Parli del diavolo” guardò Colin che si avvicinava verso di lei con il suo solito sorriso accentuato dalla luce tenue dei candelabri.
“Buonasera ,mademoiselle.”
“Buonasera signore” disse fredda lei mentre un fulmine illuminava la stanza.
“Mh...Ricapitolando : Corridoio buio, albero e ora al teatro. Non mi stupirei se la prossima volta ci incontrassimo in un circo.”
“Posso ricordarle che il se è esprime una probabilità?”
“Certo.”
“Bene.” Ci fu un imbarazzante silenzio e a Colin quasi venne voglia di abbracciarla quando un altro fulmine colpì un albero ed Elisabeth sussultò dalla paura.
“Signorina Barbrook, la prego di smetterla con queste sue continue chiacchiere. Gradirei del silenzio “ disse ironicamente, strappandole un sorriso.
“Non è colpa mia se la maggior parte delle volte che parlo con lei mi ritrovo in conversazioni spiacevoli ed oltremodo maleducate.”
“Ha ragione, non sono bravo a condurre una conversazione educata.”
“Oh, io non mi preoccuperei molto, signore, nutro ancora qualche piccola speranza dei suoi confronti.”
“Non immaginate che sollievo sia per me, mademoiselle.” disse ironicamente mettendosi una mano sul cuore.
Elisabeth rise di cuore mentre egli la scrutava profondamente. Le guance di lei erano arrossate e gli occhi lucidi per aver riso troppo. La sua bocca era piena e seducente, mentre si passava la lingua sul labbro inferiore. Colin ebbe la tentazione di baciarla, e lo avrebbe fatto, se Debby Simmerthon non lo avesse chiamato a gran voce.
“Dannazione” imprecò mentre si allontanava da Elisabeth che era in posizione eretta ed immobile.
“ Colin!Oh caro, ti ho cercato dappertutto!” esclamò con il fiatone mentre gli accarezzava intimamente il petto.
“Evidentemente avevo delle ragioni “ disse cordialmente, mentre allontanava la manina inguantata di Debby e le presentava Elisabeth, cui gli rivolse uno sguardo gelido.
“Bhè? Cosa stai facendo ancora qui, con questa...Provinciale?”
“Non ti permetto di parlarle così.”
“Ma...”
“Nessun ma Debby, torna in sala. Noi” e marcò appunto il NOI “ torneremo tra poco.”
“Non scomodatevi, vi prego, Kate mi starà aspettando e sono in grado di trovare la sala”
“No, aspettate” disse Colin prendendola per l'avambraccio. Elisabeth con uno strattone si dimenò e, dopo avergli lanciato uno sguardo truce, fece una referenza e con sorriso forzato esclamò “ Buona serata ad entrambi” per poi correre il più lontano possibile da quel seduttore maledetto.

 

 

E se mi diceste cosa ne pensate su questo capitolo? Al mio segnale, scatenate l'inferno.


Lady Sticklethwait


 


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Capitolo 7.
 

MAI giudicare un libro dalla copertina. Never.


Il mattino seguente, Elisabeth aveva fatto di tutto pur di non pensare agli avvenimenti della serata precedente.
E ci stava quasi riuscendo, pensò con soddisfazione, quando Belle aveva bussato alla porta annunciando che aveva visite.
“Visite? Sei sicura, Belle? Sono appena le otto...”
“Sissignora, un certo signor. Bekwell la attende nel salotto giallo.”
Elisabeth accantonò ogni possibilità di fuggire, e si alzò a malincuore dal letto caldo.
“Aspetta Belle! Dov'è il salotto giallo?”. La domestica rise alla preoccupazione che vi si leggeva negli occhi.
“Al primo piano, la seconda a destra” disse mentre le sceglieva un abito color pastello che si intonava perfettamente ai suoi capelli.
“D-d-d-d-io che fr-r-r-ed-d-o”
“Se continua a girovagare per la stanza senza darmi l'occasione di vestirla, padroncina, si riprenderà il raffreddore”. A quelle parole si fermò e non disse nulla fin quando non uscì dalla camera.
“Quel dannato libertino, gli sembra ora di fare visite di cortesia? Ohh, gli uomini!” borbottò sottovoce e, quando lo vide, quasi le si mozzò il fiato.
Colin stava di profilo, scompigliando pigramente degli spartiti sul pianoforte color noce.
Indossava una giacca blu sopra la camicia bianca e dei pantaloni marrone chiaro. Il tutto era completato da quei fantastici capelli mai in ordine e da un sorriso sornione che si accentuò quando la vide.
Dal suo canto, anche egli rimase sorpreso dalla bellezza della fanciulla. I capelli erano sciolti, segno che doveva essersi svegliata da poco, e, per un momento, ne volle tastare la morbidezza.
L'abito le rivelava delle curve assolutamente deliziose, pensò portando lo sguardo sulla modesta scollatura.
“Signore, non gli hanno insegnato che è abietto guardare una donna in quel modo?”
“Penso sia più che altro un complimento, signorina Barbook” disse avvicinandosi e baciandole il dorso della mano.
“Ho qualcosa per lei”. Si allontanò e dopo poco vide delle splendide rose bianche accompagnate da un paio di mughetti.
Elisabeth rimase senza parole. MAI nessuno le aveva regalato dei fiori. Di solito gli uomini li portavano alle sue sorelle, che ne erano tremendamente allergiche e che quindi finivano, in un modo o nell'altro, per ornare la sua stanza.
“Per me?”
“Non vedo per chi dovrebbero essere.”
“E'...E' un pensiero molto carino” riuscì solo a dire mentre ne assaporava la dolce fragranza.
Colin sorrise e la guardò per tutto il tempo. Sembrava quasi che avesse ricevuto il suo regalo preferito, e, ora che l'aveva ottenuto, ignorasse il mondo.
“Speravo di scusarmi per il comportamento di Debby riguardo ieri sera” sbottò all'improvviso, mentre si sedevano l'uno difronte all'altra.
“Dev'essere stato molto difficile..”
“Riguardo a cosa?”
“Prendevi il disturbo di andare dal fioraio, spendere dei soldi, bussare a casa mia, calpestare il suo orgoglio e chiedermi gentilmente di fare ammenda SOLO per non aumentare ulteriormente le voci.”
“Non capisco...Perchè pensa...”

No, aspettate, la capisco benissimo e le prometto che manterrò il “segreto” “ .
“Mi dispiace che lei pensa ciò sul mio conto...”
“Già” sorrise Elisabeth mostrando i dentini perfetti e bianchi.
“Tuttavia, non posso biasimarla”
“Lo so”
“Anche se sono venuto qui promettendomi di stabilire una certa amicizia fra noi.”
“Molto bene”
“Continuerà a rispondermi per monosillabi durante tutta la conversazione, signorina Barbrook?”
“No” fece lei sorridente mentre suonava il campanello per farsi portare il tè.
“Avete fatto colazione?”
“Avrei dovuto svegliarmi alle sei per farla”
Colin arrossì, sapendo di essere andato a farle visita ad un'ora improponibile.
“Potremmo andare fuori a mangiare. A dir la verità, sento anche io un certo languorino.”
“Mi piacerebbe molto, se non ci fossero appena due gradi centigradi “
“Ritentate, Elisabeth, la prossima scusa sicuramente sarà migliore.”
Ella stava per rispondere quando una domestica fece irruzione portando pasticcini e tè a volontà per sfamare un intero esercito.
“C'è l'imbarazzo della scelta..” enunciò Colin avvicinandosi alla guantiera e analizzando ogni singolo pasticcino.
Elisabeth si tolse i guanti, rivelando delle dita lunghe e sottili, per nulla rovinate e senza unghie mangiucchiate.
Dopo vari minuti di silenzio, i due si sorpresero ad alzare lo sguardo nello stesso momento.

No, non tentate neanche di intimorirmi, non distoglierò mai lo sguardo , pensò Elisabeth.
Bene, la forzerò a ritirare questa sfida oculare, pensò Colin incrociando le braccia sul petto.
Pochi secondi dopo, la voce squillante della madre fece eco in tutto il palazzo e i due si girarono vedendola entrare in tutta la sua gloria.
“Elisabeth! Oh, signor Bekwell! Che magnifica sorpresa!”
“Sono sicuro che lei è l'unica a pensarlo” disse sottovoce in modo che solo la fanciulla che gli stava accanto potesse sentirlo. Ella rise.
“Se mi permettete, madame, il piacere di rincontrarvi è tutto mio “ disse con voce suadente mentre effettuava un inchino perfetto.

“Oh, figliola, perché non sei uscito con il signor Bekwell? L'aria di stamattina è molto frizzante.”
“Sono assolutamente d'accordo” esordì Colin con sguardo divertito.
“In effetti non so come non mi sia potuta passare per la mente un'idea così...Eccellente” sorrise amabilmente prendendo il mantello più pesante che aveva mentre malediceva sua madre.
Quando furono fuori, l'aria di Dicembre si fece sentire e un terribile vento colpì il viso di Elisabeth, rendendogli il naso e le guance colorite di rosso.
“Siete più bella quando arrossite.”
“Non sto arrossendo!”
“Ah, no?” fece Colin con tono dispiaciuto.
“No”
“Perché mi odia?” borbottò egli in tono casuale.
“Io non vi odio” rispose ella.” Vi disprezzo soltanto”
“Posso essere a conoscenza del motivo?”
“Mhh...” Elisabeth fece quattro o cinque passi prima di rispondere “ se non fosse stato per la vostra amante di ieri sera, forse avrei potuto ritenervi anche simpatico.”
Colin sospirò. Quella donna davvero non voleva capire.
“Devo pensare che è gelosa, signorina Barbrook?”
Improvvisamente si sentì le guance accaldate e, per dissimulare l'imbarazzo scoppiò in una sonora risata.
Egli alzò un sopracciglio.
“Oh, mio signore, tra tutte le donne che potrei invidiare, Debby Simmerthon sarebbe l'ultima in classifica.”
“Chi disprezza vuol comprare” disse furbamente Colin.
“Non è sempre così”
“Ma il proverbio lo dice.”
“Non sempre tutti i proverbi hanno ragione.”
Egli stette zitto, fin quando la scarpetta di Elisabeth non incontrò una pietra di modeste dimensioni che la fece barcollare. Egli la prese prontamente per la vita e la tenne stretta, anche dopo alcuni secondi, che ella contò, erano quindici.
“Doveste prestare più attenzione” gli sussurrò con voce roca presso l'orecchio, che sfiorò volutamente con le labbra.
Elisabeth trattenne il respiro a quel contatto, e numerosi brividi di piacere le corsero per tutta la schiena.
Quasi si lasciò trasportare da quell'abbraccio, quando egli la lasciò, e l'aria fredda dell'inverno prese a raffreddarle le spalle e la vita.
Continuò a camminare, ancora intontita dalle intense sensazioni...Come poteva, una donna come lei, trovare affascinante un tale...un tale...
“Un tale seduttore”disse a bassa voce sospirando più e più volte.
“Come prego?”
“Oh, no, nulla, stavo...Stavo solo pensando ad alta voce, tutto qui.”
Egli le sorrise, e, in quel momento ,pensò che il mondo si fosse quasi fermato e le stelle cadenti fossero nate sporgendosi troppo dall'universo per guardare quell'incredibile arma seduttiva.
“Mi dispiace per il mio comportamento, mi permette di ricominciare da stamattina? Penso di essermi alzata dalla parte sbagliata del letto.”
“Al contrario, sono io che sento l'obbligo di scusarmi. Penso che a quest'ora qualunque lato del letto sarebbe stato sbagliato.”
Ella gli sorrise radiosamente, e il suo cuore fece una capriola.



Cose estremamente faticose da fare: Scrivere un capitolo con la febbre.
Chiedo venia se ci sono degli errori ortografici, ma i miei poveri occhi non ce la fanno a rileggerlo.
Mi affido alla vostra immensa clemenza.


Lady Sticklethwait

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


Capitolo 8.

Non c'è bisogno di aspettare Halloween per vedere in giro delle zucche vuote.

 

E' stata una passeggiata molto piacevole, signor Bekwell” disse sull'uscio della porta, mentre egli accarezzava il suo bel cavallo nero come la notte.
“Non si direbbe dai vostri brividi” fece lui con un sorriso.
“Oh, siete sempre il solito maleducato.”
“Non ho potuto trattenermi “
“Se io le dicessi tutto ciò che penso su di lei, penso che un semplice scusa non basterebbe” sorrise civettando Elisabeth.
Colin si mise una mano sul mento, come se stesse analizzando seriamente la situazione.
“Stasera” enunciò.
“E' ancora giorno...”
“Posso sperare di vederla stasera presso la residenza di mia madre?”
Ella aprì la bocca per rispondere, quando lui l'anticipò “ Si, è una delle sue strategie militari per maritare me o/e le mie sorelle, e sarà una serata noiosissima. Ma è questo il motivo per cui la invito. Vorreste recarmi il piacere di rallegrare la serata con la sua presenza, madamoiselle?” le baciò la mano.
“Non siete affatto convincente.”
“Ah no? Speravo di esserlo stato, soprattutto con il baciamano” disse con un filo di ironia nella voce.
Elisabeth rise. “Bhè,posso dedurre con grande umiltà, anzi, grandissima umiltà, che qualsiasi ballo senza Elisabeth Barbrook è noiosissimo.”
“Mh si, si, una cosa del genere...”
“Mi state trattando con condiscendenza, signore?”
“Di solito funziona sempre con mia madre” bofonchiò.
Elisabeth sorrise.
“La rivedrò stasera, allora” disse montando agilmente sul cavallo ormai spazientito.
“Non ci contate tanto.”
“Lo prendo come un si.” disse Colin scrocchiandole un'occhiata fugace. Dopo ciò, si allontanò con grazia fino a scomparire dietro una curva.


Elisabeth entrò furtivamente nella sua dimora, intenta a non essere vista da sua madre.
“Che cosa stai tentando di fare?” disse con voce divertita Georgie, appoggiata allo stipite di una porta.
“Georgie!”
“Sorellina!” dissero entrambe e, un momento dopo, si ritrovarono avvinghiate in un abbraccio poco formale.
“Dio quanto mi sei mancata”
“Anche tu, Elisabeth, anche tu” esclamò lei tenendola a distanza.
“Ma cosa diavolo...” disse mentre lo sguardo cadeva su una pancia rotonda e ben visibile.
“Tu sei...Quello è... Io non...E tu ora...”
“Da quanto in qua balbetti?” sorrise teneramente Georgie.
Elisabeth rimase per una manciata di secondi a bocca aperta, prima di realizzare la situazione.
“Sto per diventare ZIAAAAAAAAAAAAAAAAAA” urlò saltellando e battendo le mani, mentre si esibiva in quello che doveva essere un giro giro tondo.
“Oh sono così felice, Georgie! Dio mio, cosa ci fai in piedi? Siediti subito.” disse con faccia inorridita.
“Sei peggio di mio marito...E ti assicuro che non è un complimento.”
Andarono entrambe in cucina, mentre Elisabeth versava in due tazzine dei residui di tè caldo ancora caldo.
“Mamma lo sa?”
“Certo che si. Darà anche una festa in onore del nascituro, dato che tra un po' sarò abbastanza grossa da non potermi muovere dal letto.”
“E tuo marito?”
“Da quando lo ha saputo, è diventato più protettivo e assillante del solito. Pensa che mi ha persino proibito di andare a cavallo. Ti rendi conto?”
“Bhè, mi sembra normale...E' risaputo che le donne incinte non possano cavalcare “ fece Elisabeth sorseggiando dalla tazzina.
Georgie sospirò.

Ha detto che sarebbe stato fuori non più di tre ore, e invece...”
“Oh andiamo, avrà dei servizi da svolgere. Dopotutto sono vari mesi che vi siete trasferiti.”
“185 minuti e ancora non si fa vivo.”
Elisabeth fece un veloce calcolo mentale e...
“Se il mio cervello non erra, 185 minuti sono...”
“Tre ore e cinque minuti. Oh, come mi manca” disse con occhi luccicanti.
“Vedo che vi amate molto”
Georgie arrossì e sorrise guardandosi il pancione.
“Siamo una coppia molto affiatata”
Ella annuì, pensando a come doveva essere bello trovare una persona da amare così tanto da contare i minuti.
“E tu? Cosa mi dici?”
“Bhè nulla, le solite cose...Sono tornata qualche mese fa, e nostra madre non fa che presentarmi a gentiluomini. Non che non mi piaccia, ma questa situazione sta diventando”
“tremendamente fastidiosa” rispose prontamente Georgie.
“Già” sospirò Elisabeth. “Nostra madre certe volte sa essere spaventosamente”
“esacerbante.”
“Hai intenzione di farmi finire almeno una frase o no?” disse ridendo alla seria espressione della sorella.
“Bada alla ciance...Chi era quel gentiluomo fuori con te?”
Elisabeth si strozzò con il tè e appoggiò la tazzina sul piatto di vetro, che fece un rumore stridente.
“Ti stai sbagliando, non sono stata con nessuno”
Georgie alzò un sopracciglio. “Non penso di avere le visioni e...Oh, andiamo Eli!Ho visto il modo con cui lo ammiravi.”
Ella quasi ebbe la tentazione di chiederle come lo guardava...Non le piaceva affatto che il suo viso la tradisse così tanto da rivelare le emozioni che tanto cercava di nascondere.
“Forse ti stai riferendo al signor Bekwell”
“Indubbiamente è lui.”
“Si” rispose lei giocherellando con i guanti.
“E allora? Non mi dici niente?!”
Doveva aspettarselo, pensò: in famiglia, sua sorella era sempre stata la più curiosa e questo, se da una parte era un bene, dall'altra poteva essere una scocciatura, soprattutto nei momenti in cui Elisabeth avrebbe voluto trovarsi nella sua stanza a pensare e ripensare e...
“E' solo un amico” sbottò improvvisamente.
“Sicura?”
“Bhè penso di si...”
“Pensi? Come si può essere insicure su cose del genere?”
“Dannazione Georgie!” imprecò alzandosi di scatto e notando che dei grossi nuvoloni grigi si stavano avvicinando.
“talvolta puoi essere molto...Invadente.”
“Si, lo so” sorrise, per nulla offesa. “ E tu invece molto schietta.”
“Bene, questo me lo meritavo” sorrise Elisabeth . “ L'ho incontrato ad un ricevimento ad opera di tu sai chi.”
Preferiva non dirle la situazione imbarazzante che si era formata prima che questi venissero presentati rispettosamente. Non voleva che sua sorella la ritenesse può incresciosa di quanto già non lo fosse.
“Abbiamo ballato un po', e stamattina è venuto a trovarmi per invitarmi ad ballo che si terrà stasera.”
“E tu ci andrai?”

A dir la verità non ho intenzione di partecipare”
“Perché?”
“Perché” disse duramente “ non voglio andarci senza accompagnatore e comunque non conosco nessuno, e non ho molta confidenza con il signor Bekwell.”
“Ti accompagnerò io” sorrise Georgie alzandosi e avvicinandosi alla sorella.

Perché non chiudi mai quella maledetta boccaccia ?
“Non lo ritengo necessario.” disse guardando il pancione della sorella.
“Tranquilla, non corro il rischio di partorire da un momento all'altro, e un po' di movimento non può che farmi del bene. Sono sicura che avrò messo un paio di chili stando sempre a letto.”
Elisabeth sorrise e non poté che accettare la proposta della sorella.
Dopotutto, pensò, basta che non lasci neanche per un momento la sala e non ci saranno altri incontri sconvenienti.
No, si disse, non ricapiterà di nuovo.


Lady Sticklethwait.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


                                  Capitolo 10.

Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini.


Nessun bacio, nessun guanto slacciato e nessun battito accelerato del cuore.

Così Elisabeth si svegliò da quel sogno utopistico accanto a Colin che, gentilmente, le aveva offerto una parte del suo braccio.
Ella si allontanò subito quasi come scottasse.
« Oh, finalmente signorina. Pensavo non vi foste più svegliata.» fece lui assolutamente tranquillo.
« Non capisco come sia potuto succedere...Io...Ecco...Mi sono addormentata?» chiese più che altro a se stessa mentre tentava futilmente di aggiustare le forcine.
« Tempo fa. Ecco spiegato il motivo per cui mostravate sempre meno entusiasmo ai miei tentativi di parlare del caos.» sbottò lui con aria divertita, prima di prendere la giacca e alzarsi.
Elisabeth lo seguì nel salone, con aria terribilmente colpevole e il broncio.
Colin se ne accorse.
« Suvvia Elisabeth» L'aveva chiamata per nome o stava ancora sognando? « avete dormito solo per mezz'ora, vi avrei svegliata...Prima o poi » sorrise.
« Signore, non è affatto divertente.»
« Per me si.»
« Molto rassicurante da parte vostra.» disse ella dirigendosi verso una sedia.
Si accorse che egli la seguiva. « Bhè, cosa avete ancora da guardare?» fece una pausa e, vedendo che lui non rispondeva, continuò « Non vi basta la mia umiliazione?»
« Chiunque può avere un colpo di sonno, e le assicuro che non sono affatto offeso signorina Barbrook.» annunciò sedendosi sulla poltrona di fianco alla sua.
Ella si morse le labbra, presa dall'imbarazzo provato poco prima e anche perché, chissà come, avevano attirato l'attenzione di tutta la sala.
« Voi siete un duca, vero?» . Colin rimase un po' perplesso a quella domanda, ma annuì con il capo.
« E allora perché non portate il monocolo?»
Egli rise apertamente catturando, se possibile, ancora di più l'attenzione.
« Il monocolo non è necessario. E' solo un accessorio e serve per guardare le dame, cosa che posso fare benissimo con i miei occhi.»
Elisabeth scrollò le spalle « Bhè, ma non sembrate comunque avere l'aria di un duca.»
Colin si stupì davanti alla sincerità che poteva leggere negli occhi indubbiamente intelligenti. Ella era fresca, intelligente, con un gran senso dell'umorismo e soprattutto un'aperta schiettezza che le conferiva un'aria quasi infantile e terribilmente tenera.
« Illuminatemi, milady» .
« Bhè non camminate con un bastone, non grugnite, non respirate facendo rumore, e, onestamente, dubito che soffriate di gotta.»
Egli tentò di trattenersi dal ridere facendo finta di controllare l'orologio che aveva nel taschino.
« Stando a ciò che mi dice, dovrei cambiare titolo...»
Ella annuì. « Bhè, se foste strabico o con le gambe storte, vi assicuro che sareste un ottimo conte.»
Colin la guardò con tenerezza e lei si sentì sciogliere.
« Mh....Interessante.» si grattò il mento. « Dovreste scrivere un libro. Come riconoscere un duca in poche regole.»
« Oh, quasi dimenticavo» disse lei simulando finto orrore « un vero duca non si separerebbe MAI dal monocolo, neanche per correre o salire sul cavallo.»
« Sarebbe in ogni caso troppo grasso, per farlo.» fece Colin assecondando l'ironia di lei.
Rimasero entrambi in silenzio per quella che sembrò un'eternità. La pace e tranquillità fu spezzata dal conte William Denfbord che chiamò Colin per una simpatica partita a scacchi.
« Anche io so giocare» disse Elisabeth con calma.
Denfbord sgranò gli occhi. « Come prego?»
« Anche io so giocare a scacchi, e mi farebbe piacere riunirmi a voi»
« Ottimo!» disse il duca, prendendole la mano e portandola nella sala opposta scortato da William, che gli sussurrò in un orecchio « Non è poco rispettablile giocare a scacchi con una donna? Ed inoltre non è un gioco per tre persone...»
Colin fece finta di non sentirlo, troppo preso nel far sedere la signorina Barbrook davanti ad una grande scacchiera d'argento.
«Wow» sbottò lei accarezzando la tavola. « Deve esservi costata un mucchio di soldi » .
« In effetti» fece Colin, sbarazzandosi poco cortesemente di William.
«Mhh...Quindi sapete giocare a scacchi...Interessante»
« So fare molte altre cose.»
« Del tipo?» chiese mentre metteva in ordine le pedine.
« So giocare a freccette e una volta mio padre mi insegnò a giocare a biliardo...Ma temo di non ricordare più come si fa» disse con un filo di malinconia nella voce.
« Non mi stupirei in realtà di vederla impugnare una spada, mia cara» esordì Colin cogliendo la tristezza nella voce di lei.
Elisabeth sorrise di puro divertimento.

Mezz'ora dopo, la partita ancora non giungeva al termine.
« Gioca spesso?»
« No, non troppo.» disse ella mentre mangiava la sua torre.
« Non si direbbe. Sta tentando di minacciarmi?»
« Oh, accidenti, non è così semplice come avevo sperato.»
« Sono profondamente addolorato di averla delusa » borbottò Colin mangiando il suo cavallo.
« Lei è molto imprudente.»
« Dubito che potreste darmi consigli sulla strategia, mia cara » sorrise e mosse il suo re.
« Non so perché sto perdendo del tempo utile nel giocare a scacchi con un finto duca. »
« Ineffetti tutti sanno che questo gioco richiede una logia superiore, che è indubbiamente la maschile »
« La femminile »
« La maschile »
« La femminile »
Colin la guardò di sottecchi quando lei iniziò a muovere il suo alfiere.
« Mi sto chiedendo perché gioco con un'avversaria così poco dotata » disse con la sua solita ironia nello sguardo.
Dieci minuti dopo Elisabeth vinse.

 

 

Lady sticklethwait.

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Capitolo 11
*** Capitolo 9. ***


Capitolo 9.
 

Non è importante la quantità, ma la qualità.

Quella stessa sera Elisabeth aveva i nervi tesissimi. Aveva iniziato a prepararsi già il pomeriggio e non aveva concluso un bel niente.
Dopo aver completamente svuotato il guardaroba, Georgie le aveva cortesemente prestato un vestito che non poteva mettersi più a causa della gravidanza.
Così, alla fine della battaglia, aveva optato per un vestito di raso bianco che le lasciava scoperta una spalla.
L'acconciatura, invece, era elaborata: morbidi ricci ornavano il suo bel viso e cadevano sul petto e sulla schiena, mentre il resto dei capelli era tenuto in alto da perline bianche e nastri dorati.
Georgie le pizzicò le guance, e ciò creava un magnifico effetto con la bocca piena e rossa.
“Sembri una dea, cara” le disse.
Elisabeth si squadrò allo specchio e, per la prima volta in tutta la sua vita, vide una splendida fanciulla felice che si guardava con un misto di incredulità.
“Oh Georgie, mi sento così bella” disse toccandosi il volto e facendo inchini alla sua immagine riflessa.
Sua sorella rise. “ Lo sei sempre stata.”

D'altro canto, a casa Bekwell, gli ospiti stavano già arrivando creando una grande confusione che disturbava Colin.
Essere un duca era molto pesante e tutte le responsabilità toccavano a lui.
Inoltre, ora che risiedeva nella casa della madre, aveva sempre più lavoro da svolgere perché non poteva partecipare personalmente alle attività degli operai.
E tutto ciò era molto stressate, ma gli altri non sembravano preoccuparsene, anzi, sua madre, pur sapendo che lavorava sette ore al giorno, pretendeva che lui trovasse il tempo per maritarsi.
Si ricompose presto e in pochi minuti riuscì anche a dipingersi un falso sorriso sul volto stanco.
Appena fu in sala non si stupì di trovare così tante persone, e soprattutto così tante ragazze nubili.
“Colin”
“Madre” le sorrise. “Non mi stupisco di trovare così pochi uomini”
“Oh, non lamentarti caro, sorridi e si amabile con tutti” disse mentre metteva in atto quella tattica con la signora Whodines.
A quel punto, egli non poté far altro che danzare con due o tre gentildonne che avevano disperatamente cercato sue attenzioni, quando la sala si fece piuttosto silenziosa.
Colin rimase folgorato. Elisabeth scendeva dalle scale con una grazia infinita, e aveva l'aspetto di venere.
Si fece spazio tra la folla, e presto le fu vicino.
“Signorina Barbrook, sono profondamente sconvolto da cotanta bellezza” disse con sguardo carico di ammirazione mentre si esibiva in un perfetto inchino.
“E io sono sconvolta dalla facilità con cui mi mentite, signore”
“Mi credete un ruffiano?”
“Della peggior specie” sorrise lei con grazia mentre si faceva portare al centro della pista da ballo.
“Dimostrate tatto con chiunque, oppure solo io ho il pregio di poter esser l'oggetto delle vostre critiche? Non che io le disprezzi, anzi, sono oltremodo...Adorabili” disse egli con un sorriso falsissimo.
“Oh no, assolutamente, per i migliori ho sempre in serbo il massimo di me...”
“Provo quasi pena per i peggiori” disse mentre l'orchestra iniziò a suonare le note di un ballo.
Per quasi tutto il tempo Elisabeth trattenne lo sguardo ovunque, fuorché da quegli occhi azzurri che la scrutavano senza un minimo di pudore. Appena la musica cessò, questa si allontanò dalle sue mani come se le bruciassero la pelle e cercò una scusa per andare dalla sorella.
“Oh, non dite sciocchezze, sua sorella sta gentilmente parlando con mia madre.”
“Oh cielo, io non ho ancora conosciuto vostra madre!” disse con occhi colmi di dispiacere.
“Che disgrazia! Non glie lo perdonerà mai” .
Elisabeth lo guardò con sguardo pieno di apprensione, mentre si mordeva le labbra.
“Dite sul serio? Io...”
“Ovviamente no” espresse con un sorriso Colin mentre la conduceva da loro.
“Madre, ho il piacere di presentarvi la signorina Elisabeth Barbrook.”
“Molto piacere.

Georgie, ti presento il signor Colin Bekwell.” entrambi si salutarono cortesemente.
“Come sta l'adorabile signora Barbrook?”disse Colin.
“Molto bene, grazie.”
“E suo padre, invece, come sta?” chiese Elisabeth.
“Suppongo come sempre, dato che è morto da trent'anni.”
“Oh” sbottò ella arrossendo violentemente e aprendo il ventaglio.

Fa così caldo in queste sale.”si giustificò.
“Volete che vi porti una limonata?” sbottò Colin e, senza neanche aspettare una risposta, si avviò verso il banco delle bibite.
“Pensavo fosse una domanda”

Mio figlio è davvero imprevedibile”
“Già” disse Elisabeth guardandolo. Anche egli era piuttosto affascinante, e il fatto che ogni giovane ragazza si girasse per guardarlo la infastidiva terribilmente.
Non che egli fosse suo, ovviamente, però...
“Ecco qui, tre bibite per tre signore deliziose” disse Colin sorridendo.
“Oh, signorina Barbrook” si girò verso Georgie “ devo farle assolutamente vedere la mia collezione di ventagli. E' deliziosa” disse la signora Bekwell prendendola per un braccio e portandola fuori dalla sala.
“Non ha una collezione di ventagli, vero?” esclamò ridendo Elisabeth.
“Peggio. Ne ha solo uno e lo porta ora sul braccio”.

Ella scoppiò in una rumorosa risata.
“Non capisco proprio cosa abbiano intenzione di fare...”
“Oh, mia sorella è convinta che lei sia l'uomo della mia vita” disse trattenendo un sorriso.
“Modestamente.”
“Ho detto che lei lo pensa, non io.”
“Ah, quindi lei pensa che non sia degno di essere suo marito?” disse con sorriso ironico.
Elisabeth non seppe più che rispondere e, per prendere tempo, si avvicinò verso i balconi accompagnata dall'uomo.
“Ma non è lei, signore, è la mia totale incapacità di scegliere gli uomini.”
“Ottimo alibi, vedo che migliora in quanto a scuse.” disse Colin sporgendosi ed ammirando il giardino illuminato.
Ella decise di non rispondere, troppo presa a guardare il profilo dell'uomo che le stava accanto.
“Stavo pensando” sbottò egli improvvisamente “Sapete quanti uomini mettono le...mhh...come dire...”
“Corna?” disse lei in tono assolutamente normale.
“Stavo cercando un sinonimo, ma vedo che stiamo instaurando rapporti di intimità” le schioccò uno sguardo malizioso.
Ella lo esortò a continuare. “ Chiedevo solo, sapete che la maggior parte delle gentildonne nella sala sono piene e strapiene di...Corna?”
“Si, bhè, sembra sia una nuova moda avere più amanti nel proprio letto.”
“E lo immaginate?”
“Immaginare cosa, milord?”
“Se per ogni cornuto ci fosse un lampione sa che illuminazione?” disse indicando il giardino.
“Oh cielo!” urlò prima di scoppiare a ridere accompagnata da Colin.
“Siete” disse asciugandosi le lacrime “ l'uomo più divertente che io abbia mai conosciuto. Complimenti milord, avete conquistato la mia simpatia.”
Egli stava per rispondere quando sentirono delle risatine soffocate.
“Siamo in tema, vedo.”
“Come prego? Vuole visitare il giardino? Ai suoi ordini, madamoiselle.” disse prendendola per un braccio e forzandola a camminare velocemente.
“Temo che voi abbiate disturbi all'udito, milord, perché io non ho detto affatto nulla del genere.” disse Elisabeth incrociando le braccia sotto ad un pino.
“Mi farò visitare.” borbottò egli togliendosi la giacca e sedendosi sotto l'albero.
Un paio di minuti dopo ella chiese “Dobbiamo stare qui per molto?”
“Oh, signorina Barbrook, lei può benissimo andarsene. Io cercavo solo un attimo di quiete; stare nella sala ed essere continuamente riempito di attenzioni mi soffoca.”
In effetti è vero, pensò ella sedendosi vicino a lui e toccando incidentalmente il suo braccio.
Stettero in silenzio per un po', poi egli indicò le stelle e le spiegò un paio di cose sull'astronomia e le costellazioni.
“Sapete, le stelle in Africa sono diverse”
“Davvero?” fece lei guardando quei piccoli puntini luccicanti.
“Si. Non saprei come spiegare...Sembrano molte di più e, sedendosi sulla sabbia, non puoi far altro che ammirarle.”
Elisabeth rimase incantata dalle spiegazioni di quell'uomo. Stare con lui le dava una sensazione di benessere, si sentiva a proprio agio...
Oh, ecco vedi? Conosci quest'uomo da appena un mese e già te ne stai innamorando, pensò mentre era calato il silenzio.
Improvvisamente Colin le prese la mano, ed ella sussultò al contatto caldo. Piano piano le tolse il guanto, fin quando non restò con la mano nuda nella sua, ed egli le percorreva sul dorso delle linee immaginarie.
“Suppongo che tutti ci staranno..”
“Shh” disse lui mettendole un dito sulle labbra. “Sono sicuro che mia madre starà facendo di tutto pur di intrattenere gli ospiti” sussurrò mentre le percorreva il contorno delle labbra con il dito.
“Siete così bella, Elisabeth”

 

Si avvicinò pericolosamente alle labbra, finché...

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. ***


Capitolo 11.


 


 


 

Carissime lettrici, questa Autrice sente il bisogno di informarvi e chiedere le vostre opinioni: da questo capitolo in poi, ho deciso di dare un ritmo più movimentato alla corrente storia. Da ciò, ne scaturisce il fatto che al genere “romantico” e “storico”, si aggiungerà avventura, azione, comicità, mistero … Hehehe , mie care lettrici, ne vedrete delle belle fra i due personaggi, garantito!


 

Lady Sticklethwait.


 


 

Dopo che il suo avversario, nonché perdente, si giustificò con un « Sono un gentiluomo e, osservando il vostro entusiasmo, ho dovuto farla vincere per forza» , la serata procedette velocemente.
O almeno finché Elisabeth, il mattino seguente, si trovò con una lettera rossa in mano.

« Belle! »

La domestica apparve sulla soglia della porta in un batter di ciglia, completamente avvolta dalla fuliggine. « Belle…» l’ammonì con lo sguardo « cos’è questo?» alzò la lettera che aveva in mano.

« Una lettera?»

Elisabeth sospirò. « Si, lo avevo capito.»

La domestica si fece per un attimo pensierosa, poi sbottò « Oh si, che sbadata. L’avete ricevuta ieri sera, mentre voi stavate fuori insieme a vostra sorella. Non mi hanno detto però chi fosse il mittente» .

Ella guardò curiosamente la forma e il colore dell’epistola e congedò Belle con un gesto della mano. Aveva paura di aprila, e le tremavano le mani.

« Oh Elisabeth, non essere sciocca è solo una lettera!» disse con un sussurro mentre la buttava sulla toeletta. Si vestì rapidamente e scese, trovandosi davanti un intero esercito di biscotti, dolci, cioccolata e quant’altro.

« Ma cosa diamine …»

« Buongiorno.»

Dal timbro di voce ella capì subito chi fosse. Intravide, dai lembi dei giorni, il tipico sorriso di Simon Kellington.

Elisabeth rimase a bocca aperta.

Erano 3 anni che non vedeva il suo migliore amico, ed ora lui era … Era lì.

Da piccola, ella aveva sempre avuto una cotta per lui. E, all’età di quindici anni, dopo essersi sbucciata le ginocchia, Simon le era venuto in aiuto. Da allora diventarono amici inseparabili.

Non c’era cosa che Elisabeth non sapesse di lui, e di tutti i dispetti che avevano complottato contro sua madre … Dio, sembrava appena ieri quando si erano lasciati!

« Allora? Non mi dici nulla?» egli si alzò e posò il giornale. Simon era sempre stato di bell’aspetto, ma quel mattino era davvero raggiante.

Folti capelli neri gli ricadevano sulla fronte, accompagnati da occhi altrettanto scuri che un tempo l’avevano stregata. Ma ora Elisabeth era una donna, si disse, e tra loro non poteva esserci altro che una stretta relazione di amicizia.

Vera, pura, confortevole amicizia.

« Sono … Oddio Simon! Sono così contenta di vederti!» gli corse incontro e lo abbracciò, mandando all’aria le formalità.

Egli fu preso alla sprovvista, ma sorrise all’enfasi dell’amica. Ai suoi occhi Elisabeth si era completamente trasformata, tanto che aveva faticato a riconoscerla. Non tutte le ragazzine che conosceva erano cambiate in un lasso di tempo così breve. I suoi capelli erano stati raccolti in una morbida treccia che scendeva fino alla vita, mentre i suoi occhi erano diventati, se possibile, ancora più verdi e splendenti. Le guance erano perennemente colorate, ma mai come la bocca rossa e sensuale. Indossava un vestito giallo particolarmente stretto che le metteva in risalto le tenere curve dei fianchi. Simon arrossì a quel pensiero, mentre lei si staccava dall’abbraccio.

« Come mai questa piacevole sorpresa?» si portò alla bocca un pasticcino alla crema.

« Mi hanno detto che sei arrivata in città da un bel po’, così ho deciso di prendere io l’iniziativa.»
« Oh... Mi dispiace di non essere venuta prima, ma sono stata molto impegnata.»
« Capisco» disse egli sorridendo. Riprese il giornale. « Guarda un po'. Sul Times, dicono che è stata trovata una donna morta per assideramento appena ieri sera. Quest'inverno sembra non finire mai.»
« Povera cara» commentò ricordandosi della lettera che non aveva ancora letto. Si alzò di scatto.
« Simon, puoi aspettarmi cinque minuti?» disse salendo già le scale.
« Come se me lo avessi chiesto» . Ella rise.


« NO! Non può essere! Non ci credo Simon, dimmi che non è vero!!!» disse portandosi le mani sulle tempie. Egli cercò di avvicinarsi per consolarla.
« Elisabeth, magari è solo uno scherzo.»
« No che non è uno scherzo. Non così di cattivo gusto.»
« Non penserai che sia la verità?»
Elisabeth si morse il labbro. Respirava affannosamente e aveva buttato la lettera per terra. L'aveva letta cinque... Sei... Ma che dico, venti volte. E ancora non poteva crederci. NON voleva crederci.

« Non lo so, Simon» disse lasciandosi cadere mollemente sulla poltrona. « Non mi resta che andare a controllare di persona.»
« Cosa?!?» si girò di scatto.
« Hai capito bene. Devo andare a trovarlo. Devo scoprire la verità, io non posso...» non riuscì a finire la frase. Rabbia, tristezza, incredulità, felicità e dolore le stavano divorando il cuore e l'offuscavano il nume della ragione. Ma non poteva non andarci. Suo padre era vivo, stando a quando diceva la lettera e lei, dannazione, sarebbe andata a trovarlo e a chiedergli spiegazioni.
Aveva tante domande da fargli. Così tante che ora non glie ne veniva in mente nemmeno una.

« Capisco.» disse con voce comprensiva Simon. « Ti accompagnerò. La prossima nave per Parigi salperà a Gennaio, dopo Natale. Conosco un buon capitano e...»
« Non essere stupido. Sai che ho sempre odiato aspettare, e per quando mi guarda la prossima nave potrebbe partire anche tra un anno. Salperò il 27 di questo mese, con o senza di te.» dichiarò con voce ferma.
« Ma Elisabeth...»
« Niente ma, Simon.»
« Ci sono solo navi per le merci, al momento. Per i passeggeri di prima classe, le navi salperanno a Gennaio, lo sai bene. Nessuno può salirci se non domestici, mozzi e...»
Lo sguardo di lei si illuminò.

« No, ti prego, non dirmelo.»
« Oh, si » fece lei sorridendo.
« Vorrei tanto poterti incatenare a casa, Elisabeth.»
« Che peccato, sono una ragazza proprio ribelle, vero mio caro Simon?»
« No, assolutamente no. Non permetterti di farlo oppure io...io...»
« Tu cosa ? Oh andiamo! Sarà solo per due settimane... In fin dei conti, la Francia non è così lontana come si pensa.»
« Non immischiarmi nella faccenda, signorina Babrook.»
« Infatti non lo farò. Andrò da sola. Dovresti solo farmi un piccolo favore.» Simon sospirò. « Avresti degli abiti da maschio più o meno della mia misura?»
« TU SEI PAZZA.»
« L'amore di un amico» fece lei guardandolo con occhi seducenti. Egli girò il volto.
« No, no e poi no. Sai in che guai potresti cacciarti? Potrebbero scoprirti, e non puoi immaginare cosa possono fare gli uomini quando non vedono una donna da mesi. Non se ne parla neanche.»
« Simon » inspirò profondamente e lo costrinse a girarsi « Sono una donna, so che voi uomini avete determinate...»
« Esigenze...»
« Ecco. Te lo giuro, nessun uomo mi vedrà e io mi spaccerò per un ragazzino di 18 anni. Starò dove ci sono i bauli e cercherò di uscire il meno possibile. Poi andrò da mio padre, lo ucciderò verbalmente e tornerò a Londra sana e salva.»
« Chissà perché non mi sembra una buona idea...» Ad Elisabeth le si illuminarono gli occhi, e lo abbracciò mormorando « Grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie ed ancora grazie!»
Simon sorrise approfittando del contatto di lei e stringendola di più in vita. Inalò l'odore di lei. Pane, viole e...Miele?
Ella si staccò, completamente ignara dei pensieri di lui, e gli diede un bacio sulla guancia.

« Portami i vestiti domani, Simon...» E, con una lieve reverenza tornò in camera, incapace di trattenere la felicità che la divorava.
« Parigi, papà... Sto arrivando.»


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. ***


                                     Capitolo 12.

Le donne bisogna farle ridere. Se ti riesce solo da nudo, bhè, non è un buon segno...


La notte prima di partire, Elisabeth era rigida e tesa come una corda di un violino. Il sonno non voleva proprio arrivare, e così stette fino a notte tarda con gli occhi puntati sul soffitto.
Non sapeva ben definire quali emozioni la stessero tormentando ma, inconsciamente, se da una parte cercava di essere forte ed intraprendente, dall'altra aveva paura di ciò che l'aspettava...
Aveva detto a tutti che sarebbe andata a trovare suo cugino nello Yorkshire, e sua madre si era deliziata all'idea. Ma lei non aveva la minima idea dei suoi piani...
Bhè, in effetti ci voleva un gran cervello per smascherarla. Le dame non avevano bisogno di travestirsi da domestiche... Ma Elisabeth non era una dama. Oh, poteva plasmare il suo comportamento imitandole alla perfezione, ma il suo carattere tagliente... Nessuno avrebbe potuto domarla, questo era poco ma sicuro. Ed era altrettanto convinta che proprio per il suo spirito forte nessuno avrebbe potuto pensare che lei fosse una ragazza/selvaggia. Tranne uno, sospirò.
Fino ad allora, solo un uomo aveva osato intrattenere una conversazione che andava ben oltre delle condizioni atmosferiche, di cui lei, ormai, ne era diventata maestra.
Ed aveva anche sognato di essere baciata. Arrossì di nuovo al pensiero, e si portò le coperte fin sotto il naso.
Occhi azzurri, capelli ricci e quel sorriso. Si infilò ancora di più sotto le coperte, scuotendo la testa. Non voleva pensarci. Colin Bekwell era solo un libertino della peggior specie, e soltanto Dio sapeva cosa stesse facendo quel mascalzone a quest'ora. Non che a lei importasse, naturalmente. Forse un po'. Ma giusto un pochino, si disse ripensando alla partita a scacchi. Da allora non l'aveva più visto. Chissà se gli sarebbe mancato durante tutto il mese. A Natale non si erano incontrati, e non lo aveva neanche avvertito che sarebbe partita. Voleva almeno un bacio d'addio.

« Oddio ma che cosa...» si sorprese a sussurrare.
« E' inutile. Sono una psicopatica, parlo da sola e non riesco neanche a controllare i miei pensieri. Che dio m'aiuti» .



« Svegliatevi, Elisabeth.» disse Belle scuotendola dolcemente. « Elisabeth, svegliatevi!»
Ella si voltò e borbottò un qualcosa molto simile ad un « Vattene» .
« Ma signorina, lei mi ha detto di svegliarvi a quest'ora. Dovete andare da vostro cugino.»
« Mhhhhm...pmhhhf »
« Avete detto che avreste fatto così, ma non devo farci caso. Svegliatevi.» la scosse ancora di più, fin quando Elisabeth non si mise a sedere di scatto e realizzò la situazione.
« Che ore sono? »
« Manca poco alle sei.»
« Perdio Belle, lasciatemi dormire.» fece per appoggiarsi con la testa sul cuscino, quando si ricordò del piano.
« Ohmiodio.»
« Qualcosa non va?»
« No Belle, grazie per avermi svegliata.»
« Avete anche detto che non devo andarmene finché non sarete uscita dal letto.»
Elisabeth sospirò e scostò le coperte, pronta per affrontare la sua avventura.
Sotto gli abiti da donna, si mise i calzoni logori di Simon, una camicia e gli stivali da uomo, mentre nella valigia portava un berretto con la retina per nascondere i capelli, tre giacche e un altro paio di pantaloni.
Per l'ennesima volta in tutta la sua vita, Elisabeth odiò profondamente gli abiti femminili.
Dopo aver fatto un'abbondante colazione, tra baci e lacrime, uscì e si tolse gli abiti da donna nella stalla, dove, fortunatamente, non c'era nessuno.

« Sembro una ladra in casa mia» sussurrò mentre il corsetto le si rompeva con uno strattone.
Non se ne curò più di tanto, e aggrovigliò il vestito nella misera valigia, nascondendolo sotto a tutto.

 

 

Arrivata davanti alla NoivalBridg, restò incantata dalla maestosità della nave. Non ne aveva mai visto una così da vicino, e quasi temette di essere schiacciata dalla potenza che emanava.
Una miriade di familiari salutavano i passeggeri con dei fazzoletti. Bambini che piangevano, donne che salutavano i propri mariti, madri che raccomandavano i propri figli... Elisabeth quasi ringraziò il fatto che tutti fossero impegnati, poiché così aveva il tempo di spargersi un po' di terra sul viso, in modo che i suoi tratti venissero offuscati.
Una volta salita sulla NoivalBridg, non fu facile orientarsi.
Il castello, sia a prua che a poppa, era una sovrastruttura leggera, praticamente una piattaforma, circondata da una balaustra o da un grigliato per non pesare sulle estremità della nave. L'albero di mezzana era armato con velacci e controvelacci, al di sopra della randa, in modo da procedere molto più velocemente e per sfruttare di più la forza del vento.
Non fece neanche in tempo a controllare le dimensioni della nave che, un grand'uomo con la barba bianca e lunga, li chiamò tutti sugli attenti.
Elisabeth quasi morì di vergogna quando il capitano, notando che era più bassa rispetto agli altri uomini, le chiese l'età.

« Diciotto, signore.» disse con voce grave.
Egli la scrutò, girandole attorno come uno squalo.

« Sei mai stato su una nave, giovanotto?»
« No, signore.»
Il capitano cacciò dalla bocca il fumo che aveva inspirato dalla pipa, facendoglielo andare tutto sul volto.
Ella quasi soffocò e gli occhi iniziarono a lacrimare, ma mantenne un comportamento dignitoso e alzò il volto a mo' di sfida.

« Ti occuperai delle cabine sul fondo della nave, dove pulirai le stanze, fornirai acqua calda e cibo ai signori, ed acconsentirai a qualsiasi ordine. Mi hai capito?» annuì. « Sei troppo magro per poter sopportare pesi» disse scuotendole il braccio destro, e spingendola verso una rampa di scale.
« Scendi giù, troverai cinque cabine una di fianco all'altra. I materiali te li darà Alfred, il personale. Se hai domande chiedi a lui, e non fare casini. Tutto chiaro ragazzino?» Elisabeth non riuscì a spiccicare una parola, così annuì veemente.
« Bene» disse e se ne andò.

Prima che potesse ancora pensare, scese in gran fretta le scale fino a toccare l'ultimo gradino. La nave era appena salpata, e dovette mantenersi alla ringhiera per non cadere.
Un paio di minuti dopo, perlustrò il “piano terra”, girovagando a vuoto.

« Ah, allora è qui che alloggiano i passeggeri» guardò un paio di cabine con porte pulite, nuove e bianche.
Dall'altra parte, invece, vi erano le merci, pertanto le stanze erano enormi ma disgustosamente sporche e piene di polvere.
Alla vista di quello che le aspettava si appoggiò su una porta già sfinita.
La giornata iniziava già male.

« Hey, ragazzino. Cosa c'è, sei già stanco?» disse ironicamente Alfred.
« Al contrario, sono molto felice di essere qui.»
« Allora devi essere proprio un poveraccio, amico mio. Vieni, ti mostro dove prendere la roba.»
Elisabeth, non avendo scelta, lo seguì e si ritrovò in uno scantino pieno di scope, secchi di ferro, spugne nere e sapone.
Alfred le diede una pacca sulla spalla, e, vendendo la sua aria smarrita, aggiunse
«Tranquillo amico, per oggi dovrai pulire solo il primo sgabuzzino per le merci. E' quello meno sporco, ma contiene oro, quindi bada a ciò che fai marmocchio, oppure in men che non si dica ti ritroverai con un cappio al collo.»
Elisabeth ingurgitò quel poco di saliva che le era rimasta e si mise all'opera.








                                                                                                                                                                                                                                                                              Lady Sticklethwait.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. ***


Capitolo 13.
 

 

La prima cosa che la lettura insegna è come stare da soli.

 

 

Avanti ed indietro, pulisci e sfrega, strofina e gratta. Togli lo sporco Elisabeth, oppure finirai nel mezzo del mare. Oh che odiosi, stupidi, bruti...
« Wow, che bel lavoro.» la interruppe Alfred appoggiandosi alla muro. Elisabeth si alzò imbarazzata, strizzando la spugna e guardandosi le mani ormai rovinate.
Erano passati appena sei giorni da quando si era travestita da ragazzo e, nonostante ciò non creasse problemi, la facevano lavorare per tutto il giorno ininterrottamente.
Pulire, riordinare e lavare le stanze non era la miglior mansione, soprattutto per l'esile corpicino di Elisabeth che non era abituato allo sforzo fisico. Sulle mani iniziarono a formarsi dei lievi calli, ed oltre ad essere perennemente screpolate e arrossate, le assi di legno delle botti spesso e volentieri le si conficcavano sui palmi, causandole piccole ma atroci ferite.
Ad aumentare tutto ciò, la fascia che comprimeva il seno per nasconderne la sua pienezza stava cominciando a lasciarle dei profondi solchi rossi sulla pelle, che a fine serata le dolevano.
Oltre ciò, però, non poteva lamentarsi. Sapeva che in superficie non sarebbe durata neanche un giorno, ed inoltre le piaceva la solitudine. Spesso Alfred la derideva e le portava il pranzo, ma non si fermava mai a lungo poiché non “si intratteneva con i mocciosi”.
Elisabeth, a quell'affermazione, si mordeva sempre la lingua per non risponderlo in malo modo.

« Hai perso la lingua per caso?» la istigò lui con un ghigno beffardo.
Ella fece finta di non aver sentito e si ripiegò sulle ginocchia per finire di pulire la gamba di un tavolo.

« Bene, mi piacciono i tipi pacifici. Ma ho brutte notizie. Stasera riceveremo ospiti, molto ricchi.»
Elisabeth alzò di colpo il capo. « E con ciò?»

« E con ciò, marmocchio, dovrai pulire almeno una decina di stanze per i nostri lord.» si guardò attorno prima di aggiungere « e dato che fai un buon lavoro e non abbiamo più bisogno di te, inizierai già da ora.»
« Aspetta!» urlò alzandosi di scatto e prendendolo per una manica. Alfred la guardò disgustato.
« Che cosa vuoi.» disse in tono freddo.
« Dove sono le camere? Ed entro quanto devo finirle? E' gia pomeriggio inoltrato, non ho mangiato, e non penso di riuscire a finirle tutte in tempo per domani...»
« Lavorerai tutta la notte se è necessario. Per il cibo, bhè, non ti aspetterai che i mocciosi come te mangino ogni giorno, vero?»
Elisabeth tacque davanti a tale prepotenza. Era sicura, neanche il più vile e viscido animale si sarebbe comportato così difronte ad un ragazzino.
Alfred incrociò le braccia .
« Non ho tempo da perdere. Le stanze si trovano alla fine di questo corridoio. Se entro domani hai svolto per bene il tuo lavoro, riceverai del buon cibo ed addirittura un letto nuovo. Altrimenti...» ghignò mostrando i denti d'oro « a buon intenditore poche parole.»

 

 

 

Elisabeth si ritrovò pochi istanti dopo inoltrata in un lungo corridoio, fino ad arrivare davanti ad una decina di porte bianche e ben pulite. Aprì la prima, e rimase esterrefatta davanti alla sporcizia e al tonfo insopportabile. Si mise una mano sulla bocca e si fece largo tra la polvere e le bottiglie di vetro vuote, fino ad arrivare ad un oblò. Lo aprì e buttò la testa fuori, per prendere aria.
Oh mammina, dove diavolo mi trovo. Questo posto è un inferno. Papà, lo giuro, te la farò pagare, costi quel che costi. Si promise mentre riportava lo sguardo verso delle coperte piene di sangue e lerce. Uscì dalla stanza per controllare come fossero messe le altre camere, ma nulla era diverso. In tutte e dieci regnava lo stesso caos, tanto che sembrava fosse passato un uragano. Lo stomaco le brontolò. Ma non poteva permettersi di perdere tempo, se voleva mangiare. Doveva stringere i denti, e guardare avanti.
« Si. Ce la posso fare, ce la posso fare, ce la posso fare. Volere è potere. E se io voglio, posso. Un po' di sacrificio, su, che sarà mai...» ripeteva ad alta voce mentre toglieva le bottiglie sporche da terra. Una figura immersa nell'ombra la distrasse dal lavoro sudicio che stava compiendo. RATTI. RATTI OVUNQUE.
« Bhè Elisabeth, almeno hai compagnia» si disse tristemente asciugandosi una goccia di sudore.




Un insieme di voce la svegliò da sonno profondo cui era caduta. Aveva lavorato fino a tarda notte, e, dopo aver pulito l'ultima stanza era letteralmente crollata per terra. Si svegliò racchiusa nella posizione fetale, immobile e piena di dolori. Dalle assi di legno penetrava l'aria fredda. Ma ormai, da quando era salpata in quella nave dell'inferno, si poteva dire che l'umidità era di casa.
Alzandosi lentamente e massaggiandosi distrattamente le parti dolenti, si accorse che la nave era ferma, e che le voci provenivano da fuori.
Rendendosi conto della situazione, sgusciò fuori alla ricerca della sua camera, dove poteva riscuotere il cibo ed una mancia, ma si accorse che un gruppo di signori e signore ben vestiti stavano camminando per l'elegante corridoio accompagnato da...Alfred. Quel farabutto vigliacco, non si era degnato neanche di svegliarla!
Presa dal panico, posò lo sguardo su possibili oggetti che potevano fungere da nascondiglio. Optò per una poltrona di tessuto blu. Neanche il tempo di mettersi comoda che la porta si spalancò e...

« Ho sempre un -come si suol dire- asso nella scarpa, signore.»
« Mh... Quindi, oltre ad avere l'asso nella manica, avete anche l'asso nella scarpa... Uomo dalle infinite risorse.» enunciò una voce roca e dolce, infinitamente virile.
Le sembrava di averla già conosciuta, si disse Elisabeth restando sempre ben coperta dietro lo schienale della poltrona.
Alfred arrossì, rendendosi conto di aver enunciato il detto sbagliato.

« Sono sicuro che esiste anche questa versione alternativa, mio signore» disse mostrandogli la camera ed aprendo le ante di uno splendido armadio bianco. Le ci era voluta tutta la notte per pulirlo, pensò Elisabeth soddisfatta del risultato finale.
« La chiamerei più versione personalizzata. Molto ben tenuta la camera, complimenti, ma temo che ora sia arrivato il momento di sperimentare la durezza di questi...» bussò su una scrivania di legno « ...vecchi mobili.» sorrise.
Alfred, schernito, non se lo fece ripetere due volte e con furia uscì dalla camera.
Lo sconosciuto sospirò e si riempì un bicchiere con del liquore o un qualcosa del genere. Elisabeth gemette di frustrazione, quando si accorse che non aveva ancora mangiato. Sperava che lo stomaco tenesse in serbo i suoi rancori per più tardi. Ora doveva solo trovare un modo per uscire da quel pasticcio.

« Avanti, esci da lì. Smettiamola con questa pagliacciata.»
Elisabeth non respirò più, e il suo cuore prese a battere velocemente. Non osò dire una sola parola.
« Coraggio. Non voglio farti del male, ragazzino.» continuò lo sconosciuto con voce invitante. Eppure... Eppure quel suono le era così familiare che...
Egli fece pochi passi e lanciò un ultimatum
« Se la montagna non va da Maometto...»
Elisabeth si alzò con tutto il coraggio che le era rimasto, e disse con aria di sfida « Maometto va dalla montagna.»
Lo guardò, e si sentì le gambe morbide e molli. Non era possibile, non poteva crederci, buon Dio! Era lui... Era... Era...
Prima di realizzare la frase, un insieme di luci e colori le passarono davanti agli occhi e, accompagnata dalla morsa della fame e dalla stanchezza, svenne.

 

 

 

 

Chiedo venia se non ho aggiornato i capitoli prima.


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Capitolo 15
*** Capitolo 14. ***


                                                 Capitolo 14.

Tutti vogliono la felicità, nessuno vuole il dolore; ma non si può ottenere l'arcobaleno senza un po' di pioggia.


Una raggio di luce entrò nell'oblò, fino ad illuminare il volto ormai pulito ed incorniciato dai capelli ramati. Elisabeth, dopo essere svenuta, era sprofondata in un dormiveglia. Ovviamente la sua reazione non poteva essere attribuita unicamente alla vista dell'uomo. La fame, i muscoli dolenti e la stanchezza avevano contribuito a farle perdere i sensi. Ma questo, a Ruark Tarlen, non gli importava. Era andato lì, su quella lurida nave per farle ritornare il lume della ragione. Un paio di giorni prima, un suo vecchio amico, Simon Kellington, lo aveva convocato, allarmato per la pazzia che stava compiendo Elisabeth. Quando però egli era stato informato, era già troppo tardi.
Qualunque cosa avesse spinto quella piccola donnina a fare un'azione così sconsiderata...Una lettera. Si, gli parve che Simon aveva parlato di un'epistola da parte di suo padre o un qualcosa del genere. In quel momento non era stato in grado di realizzare più nulla, aveva preso il cappotto ed era andato a chiedere informazioni su come prendere il NoivalBridg.
La guardò di sottecchi, mentre si rannicchiava sul suo letto.
« Elisabeth» la scosse, « Elisabeth, mi sentite?»
Ella aprì le palpebre, ma subito le richiuse, chiaramente infastidita dalla luce solare.
« Grazie al cielo state bene.» sussurrò accarezzandole il volto. Elisabeth si ritrasse e si mise a sedere. Con occhi spalancati, guardò il volto Ruark Tarlen, e tutto le balenò come un lampo nella mente.

Ruark... Non c'era ricevimento o festa in cui non le chiedesse di ballare. Era ormai noto a tutti che egli era infatuato di Elisabeth, e non c'era stata occasione in cui non glie l'aveva rinfacciato.
Le aveva addirittura chiesto di sposarlo. E non una, ma ben sette volte!
« Cosa...Cosa ci fate voi qui?» si sorprese nel vedersi i lunghi riccioli sulle spalle. Ormai aveva scoperto il suo segreto.
« Simon mi ha avvertito di tutto. Ma ora, prima di strangolarvi con tutte le forze che ho... Voglio sapere... Cosa diavolo vi passa in quella testa, maledizione?!?!» urlò veemente. Ella alzò un sopracciglio.
« Innanzitutto, signore, la prego di abbassare il tono e di moderare le bestemmie davanti ad una...» si guardò i vestiti da maschiaccio « signora.»
« Certo, chiedo venia se mi sono preoccupato per un'azione così avventata! Cosa speravate di ottenere, mh?!
»
« La verità.»
« Potevate inviare qualcuno. Potevate aspettare Gennaio e salpare come tutte le persone dame normali. Ed invece? »
« Ed invece ho preso di mano la situazione e, se non non fosse stato per voi, ora sarei nella mia camera a mangiare e...»
« Vi rendete conto del pericolo in cui vi siete messa? Avete perso il senno.»
« Cosa?» si alzò di scatto e gli puntò un dito contro « Voi non avete nessun diritto di dirmi cosa devo o non devo fare. Vi siete permesso di fare irruzione nella mia vita solo per rinfacciarmi di avervi detto di“NO” ad ogni proposta di matrimonio. Non ho due anni. So benissimo badare a me stessa. Ah, buona giornata.» sorrise e si girò. Ruark la prese per una spalla

e l'abbracciò.
Un abbraccio molto possessivo, forte, che le fece mancare il fiato. Elisabeth cercava di dimenarsi, scalciava e gli tirava pugni sul suo petto, invano. Ruark era muscoloso, poderoso e molto alto. Aveva un viso spigoloso, i tratti marcati e dei capelli neri come la notte. Era un bell'uomo, dovette ammettere, ma il suo carattere iperprotettivo e la sua ossessione erano davvero insopportabili.
« Che cosa state cercando di fare?» . Ruark la strinse ancora più forte in vita, e lei boccheggiò per la sorpresa. Quell'uomo avrebbe potuta ucciderla con una sola mano, se solo avesse voluto. Smise di lottare. Non aveva ancora recuperato del tutto le forze, e il suo stomaco brontolava rumorosamente.
« Shhh... Calma, dolcezza
, calma. Voglio solo aiutarti » le sussurrò tra i capelli, inalando il suo profumo.
« Non ho bisogno di aiuto. So benissimo cavarmela da sola. Ho tutto ciò che posso desiderare e...»
Non fece in tempo a finire la frase che egli abbassò il viso e successe. La baciò.
Non era uno di quei baci che lei aveva sempre sognato. No. Era duro, esigente e completamente sgradevole. Pochi secondi dopo, Elisabeth, approfittando della sua passività, gli diede un calcio così forte che quasi si spaventò vedendolo crollare sulle ginocchia.
« Ecco. Vedete a cosa siamo arrivati? Voi, lurido porco, come osate baciare una dama senza il suo consenso? Vale così poco l'opinione che avete su di me? MI RISPETTATE COSI' POCO?»
Ruark continuò a tenere fisso lo sguardo a terra, con l'aria colpevole e di chi sa che deve subire una ramanzina.
Cinque minuti più tardi, ella stava ancora aspettando la sua risposta, che purtroppo non arrivò.
« Bene. Me ne vado.
Au revoir.» fece per andarsene, quando rimbombò per tutta la stanza il suo « Aspettate.»

Si voltò.
« Mi dispiace, cara. Non era mia intenzione agire in modo così poco sconsiderato nei vostri confronti. Sono profondamente addolorato » si guardò le mani « ma, capite, pensavo che tra noi...Insomma...Ci fosse del feeling, io...»
« Ho fatto qualcosa per incoraggiarvi, signore?»
« Non avete neanche fatto il contrario.»
Elisabeth rimase sbalordita. « Signore, pensate che ad ogni proposta di matrimonio dica no per sport? »
Ruark si grattò la nuca e si alzò da terra, profondamente imbarazzato.
« Ma voi, mia dama, siete così bella da rendere tutte le donne vicino a voi pari alla nullità. Sono anni che vi adoro, vi bramo, vi desidero ardentemente.» si schiarì la gola e si inginocchiò nuovamente. « Elisabeth Barbrook, vuole concedermi l'onore di sposar...»
Non riuscì a finire la frase che ella chiuse la porta con così tanta violenza che le pareti tremarono. Ruark si aggrappò alle coperte impregnate del suo profumo cedevole ed angelico.



 

 

Anne, quello stesso giorno, e, più specificamente, quando calò la sera, non aveva l'espressione più giusta quando Colin giunse in salotto.
Aveva un aria così compiaciuta e tranquilla che il duca dovette chiedersi il motivo di quella convocazione. Di solito, quando la madre lo faceva chiamare con tale urgenza, era solo per i rimbrotti e copricapo che sin da piccolo lo avevano tormentato. Eppure non sembrava aver quell'aria corrucciata e tempestosa di sempre. Ciò lo mise a disagio.
« Siediti, figliolo.» egli si avvicinò e cadde a ciondoloni sulla poltrona difronte. « Hai un aspetto spaventoso.»
Non essendosi preso la briga di cambiarsi, aveva la camicia e la giacca completamente strattonate ed i capelli ancora più in disordine del solito, dato che molte mani ne avevano tastato la morbidezza poche ore prima. Purtroppo ( o forse no ), ciò gli conferiva un aspetto trasandato e dissoluto che lo rendeva irresistibile.
Colin le rivolse un sorriso splendente e fanciullesco, mentre si versava da bere un po' di vodka.
« Gradite un sorso, madame?» alzò la bottiglia verso di lei, che rifiutò disgustata.
« Da quanto hai il vizio di bere?»
« Da quanto ho raggiunto la maggiore età. » scolò il bicchiere tutto d'un sorso.
I minuti che seguirono furono incredibilmente silenziosi, ed Anne accentuò il suo sorriso soddisfatto.
« Allora, come mai la mia presenza è stata richiesta così a gran voce stasera?»
« C'è un contratto sul tavolo. Prendilo.»
« Madre » disse pazientemente « se vi servono soldi, non esitate a...»
« E' un contratto di matrimonio » sbottò tutto d'un fiato.
Colin, in apprensione, prese il documento. Non c'erano dubbi, era intestata a lui e vi era un'esplicita richiesta di sposarsi con una tale signora, di cui non era specificato neanche il nome!
« State scherzando, vero? » rise, ma appena vide il volto serio della madre si fermò.
Il giovane appallottolò la lettera e la gettò dall'altro capo della stanza, dove rimbalzò contro un candelabro d'argento e rotolò per terra. Aveva una gran voglia di schiacciarla sul tappeto con il tacco dello stivale.
« Scordatevelo.»
« Ma Colin...»
« Ho detto che non lo farò, per tutti i diavoli! Rispondete, dite che ho la malaria o la peste, oppure dite che sono morto. Non mi importa. Quando mi sposerò sceglierò IO la moglie ideale.»
« E' stato già tutto accordato. Vi sposerete nella chiesa che tuo nonno, pace all'anima sua, ha discretamente indicato nel documento.»
Colin rise di nuovo e ciò innervosì ancora di più Anne.
« Non mi stai prendendo sul serio, ragazzino.»
« No, madre. Semplicemente, non si discute.»
« Questa è una risposta evasiva.»
« E questa» disse con un sorriso da furfante « è una manovra evasiva.»
« Colin!»
Ma ormai era già uscito dalla stanza.





Lady Sticklethwait.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. ***


Capitolo 15.

 

Trovo strano il fatto che a sempre più gente non piaccia leggere. E quando ti pongono la fatidica domanda “ Cosa fai nel tempo libero?” e tu rispondi “ Leggo” ti guardano come una lebbrosa.
Ah, mie care lettrici, non posso neanche biasimarli. Molti collegano i libri con il dovere scolastico, e ciò è terribilmente scorretto! La lettura è un piacere, non un'incombenza . Se solo lo capissero...

 

 

 

Mi perdonerete se vi dico che sono andata avanti più di una settimana nella storia? Ho pensato che sarebbe stato vano se non monotono descrivere lo stato di schiavitù della nostra protagonista. Detto ciò, visto che mi piacciono le azioni più delle chiacchiere, ho anche omesso il fatto che Elisabeth sia arrivata ( FINALMENTE) a Parigi, la città dell'amour!
Buona lettura.

 

 

Se trovare una persona a Londra poteva essere faticoso, a Parigi era quasi impossibile. Eppure, dopo aver girovagato come una vera propria vagabonda, Elisabeth si ritrovò seduta nella camera d'attesa di suo padre.
« Siete sicura di non desiderare neanche un po' di te, mademoiselle Barbrook?»
« No, grazie.» sorrise amaramente.
« Oggi la governante ha preparato dei délicieux biscottini al cocco...»
« Sono allergica al cocco» sorrise amabilmente.
« Ora che ci penso, però, alcuni erano anche al cioccolato...»
« Oh, signor...» «Pour vous Peter.»
« Peter...» disse scandendolo bene « Non è un nome inglese?»
« Oui, madame. Sono cresciuto in Inghilterra ma anni fa mi sono trasferito insieme al padrone...»
« Capisco» abbassò lo guardò sui morbidi guanti che le coprivano le mani tagliuzzate. Le ultime settimane sulla NoivalBridge erano passate faticosamente. Aveva perso incredibilmente peso, e ciò in un certo senso l'aveva rallegrata; ma quando le anche avevano iniziato a farsi sempre più aguzze e le costole sempre più sporgenti, aveva capito che sarebbe dovuta scendere a tutti i costi da quella nave. I capelli le si erano allungati in una maniera sbalorditiva, ed erano ancora più ricci e ramati di quanto ricordasse. Le guance erano un tantino scavate, gli zigomi pronunciati, gli occhi verde smeraldo erano perennemente spenti... Di certo non aveva MAI immaginato che questa sua avventura sarebbe stata così “disastrosa”... Tutto per la sua testardaggine, per suo padre... Un padre che non aveva mai conosciuto, un padre completamente assente dalla sua vita. Eppure lei lo sapeva. Sapeva, fin da piccola, in cuor suo, che suo padre era vivo. Ed anche se fidarsi di una stupida lettera anonima non era stata sicuramente la cosa più saggia da fare, ora era lì, a Parigi. Ma forse era scappata da Londra. Forse quella era tutta una scusa, per scappare via dalle responsabilità, da una società in cui l'intelletto femminile era ritenuto nettamente inferiore rispetto all'altro sesso, da una madre che non aspettava altro che si sposasse per trarne un profitto vantaggioso... E la lista sarebbe potuta continuare, sicché suo padre entrò.
Non se lo era mai immaginato così. A dir la verità, si aspettava un uomo completamente simile a Georgie, sua sorella. Ed invece Cristopher Babrook era praticamente la sua fotocopia. Alto, un po' massiccio, con radi capelli scuri e gli occhi verdi, segnavano la presenza di un uomo che in passato era stato sicuramente un dongiovanni.

« Eliiiiiiiiiiiiis, ma petite! Sei uno splendore, cara, ma non ti immaginavo così magra » sorrise prendendole le mani e baciandole le guance rumorosamente. Elisabeth sorrise debolmente.
« Sarai sicuramente stanca per il lungo viaggio, temo... Veni, ti ho fatto preparare un bel bagno caldo e degli abiti puliti»

« Non ho intenzione di rimanere.»
 

Cristopher si fermò, e lei ripeté lentamente la stessa frase scandendo bene le parole in un inglese perfetto.
« Avrai sicuramente fame...»
« No, padre. Sono venuta a parlarvi.» si avviò verso la finestra scegliendo bene le parole da dire. « Mi chiedo se dovrei ancora chiamarvi padre, signore.»
« Certo che devi.»
« Ah, si? Di solito, il padre e la madre sono due figure che generano e CRESCONO i figli. Seppur non con amore, almeno restano a casa e danno un nome alla famiglia, signor Cristopher.»
« Non sai cosa mi ha costretto a scappare via da Londra. Temi che non abbia sofferto?»
« Certo che non avete sofferto.» si girò ed incrociò le braccia. « Non ci avete mai scritto una lettera, mandato dei fiori, un qualunque segno di vita. Pensate che sia stato semplice, per mia madre, crescere tre figlie scalmanate? »
« Da me non ha voluto neanche un soldo.»
« Vi aspettavate che si inginocchiasse chiedendovi e supplicandovi di darle quel po' di danaro per sopravvivere? Dai problemi non si scappa, père, i problemi si affrontano.»
« Ero pieno di debiti, fino al collo, direi. Non avrei potuto offrirvi nulla di più, ed ero stanco di sentire che la mia famiglia sarebbe caduta in rovina per colpa di un ubriacone. Avrei infangato mia moglie e le mie figlie.»
« Avreste dovuto smettere, e cominciare di nuovo. Con l'aiuto di un buon amministratore, scommetto che in un anno massimo saremmo usciti dalla crisi, e io avrei avuto la figura di un padre. Non potete capire come mi sono sentita quando tutte le bambine passeggiavano con i propri genitori mentre io...» tirò su il naso e si coprì la bocca con le mani. « Scusatemi» sussurrò.
Cristopher si avvicinò e le diede varie pacche sulla spalla, mentre mormorava parola semi-rassicuranti.

« Venire qui è stato un errore. Scusatemi padre, me ne andrò subito.»
« NO! »la prese per il braccio e la tenne stretta.
« Mi fate male» sussurrò.
« Zitta, stupida piagnucolona. Vieni nel mio studio». Non le diede neanche il tempo di rispondere che la trascinò letteralmente nel suo studio. Elisabeth era atterrita dallo sguardo furioso che le lanciarono gli scintillanti occhi verdi. Si liberò dalla stretta ed incrociò le braccia. Era stanca, e da più di qualche settimana non mangiava altro che pane e formaggio. Sentiva che avrebbe dovuto combattere fino alla fine, e che venire lì, era stato indubbiamente un errore.
« Ti chiederai chi ti ha mandato quella lettera, ma petite.»
Lei annuì.
« Cosa pensi, che chiunque qui sappia che ho abbandonato Londra? Nessuno sa di voi, ragazzina, e come al solito sei stata molto ingenua a seguire un'epistola anonima. Me lo auguravo, in realtà. Pensavo però che le mie figlie fossero più astute di quella cagna che ho sposato. Bhè, se non altro ora posso esporti il motivo della tua convocazione.»
Elisabeth ingoiò una manciata di saliva, e la sua bocca si fece secca ed impastata. Non avrebbe mai pensato che suo padre potesse essere così... Senza cuore. Ed inoltre aveva anche offeso la mamma, definendola cagna. Eppure, pensò, le aveva sempre parlato di come fosse stata bene con suo padre prima che si sposasse, di come fossero felici insieme e tanto altro... Tutte le sue convinzioni si stavano sgretolando lentamente, e il mondo che si era costruita da piccola stava lasciando posto ad una realtà crudele e spietata. « Mi hanno detto che le tue sorelle si sono già sposate...» assentì, come suo solito.
« Ora tocca a te, cara. Ho già un contratto di matrimonio per te. Oh, andiamo, non fare quella faccia, vedrai, ti piacerà.»
« Non se ne parla.»disse trattenendosi per non urlare.
« Ed invece lo farai. Non ho un solo scellino, capisci? Zero! Sono in banca rotta, e se non ho soldi non posso partecipare ai balli, e se non partecipo ai balli la società francese mi escluderà!Senza poi contare che alla tua povera madre confischerò tutti i beni... In un modo o nell'altro.»
Elisabeth impallidì e scosse la testa. « No? E' questo che vuoi? Far vivere tua madre nella più assoluta miseria?Ovviamente anche tu vivrai in mezzo ad una strada.»
« Non mi importa di essere povera, mi adatterò benissimo. Ti chiedo solo di non far soffrire la mamma, lei... Penso che morirebbe se sapesse una cosa del genere.»
« Oh, lo sapevo» si toccò la barba e sorrise. « La povera figliola in apprensione per la madre. Che scena commovente.»
Elisabeth fremette per la rabbia. No, non poteva creare quel dispiacere a sua madre. Essere esclusa dalla società per vivere nei vicoli degradati di Londra... Sarebbe morta dalla vergogna e non l'avrebbe mai più guardata in volto.
« Chi è?»
Cristopher si illuminò. « Oh, vedo che ragioniamo» sorrise « Un duca Londinese.»
« Voglio sapere il nome.» sbottò mentre il padre sfogliava spazientito una serie di fogli. Ne estrasse uno.
« Oh, ecco qui. Il duca di Kerwin, lord Logan Damon Kerwin. E' un buon uomo, vedrai.»
Elisabeth cercò di collocare quel nome indubbiamente prestigioso ad una figura maschile, ma gli risuonò ignoto.
« Devi solo firmare qui, cara. Ecco. » disse mentre le porse una penna nelle mani tremolanti.
Ella chiuse gli occhi, e cercò di pensare al bene che sua madre le voleva, nonostante la torturasse presentandole partiti vantaggiosi.
Esitante tracciò il suo nome, mentre una lacrima le scendeva lentamente sulla guancia.

 

 

 

 

Lady_Sticklethwait

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. ***


Capitolo 16.

 

 

Avere un amico irritato che chiedeva il suo aiuto era un conto, ma quando Colin Bekwell aveva bisogno di una seconda spalla non esitava a fare irruzione in qualsiasi momento.
Quella notte, infatti, Colin entrò rabbiosamente nella stanza del suo caro amico Alex, mentre questo stava smaltendo la sbornia del giorno prima.

« Alex, dio, aiutami, sono desolato di doverti disturbare a quest'ora, ma ho un problema così grosso che penso di poter commettere un omicidio se non lo risolvo immediatamente.»
« Non avrai per caso iniziato con il mio domestico, spero.»
« Chi? Io? Cosa? Oh, no, quell'idiota non voleva farmi entrare così l'ho solo messo al tappeto.»
Alex scese dal letto e si lavò la faccia, mentre Colin passeggiava avanti ed indietro come un indemoniato.
« Hai parlato con tua madre, vero?»
« Si si si! Ma se avessi avuto anche solo il minimo sospetto di quello che stava per rivelarmi – e con estremo piacere, tengo a precisare – a quest'ora sarei già a metà strada vero il confine, sparito per sempre, morto, forse, e non mi avresti più rivisto. »
« Non può essere tanto grave, amico...»
« No! Cioè si, è gravissimo! Se non faccio qualcosa, Alex, la mia vita sarà rovinata per sempre capisci? Dio sa quanto io sia cattolico »il suo interlocutore rise e Colin alzò un sopracciglio « Dio sa quanto sia cattolico, ma non penso che possa confidare in lui per un miracolo.»
« Smettila di agitarti.»
« Agitarmi? Chi, io?» disse spalancando le braccia e facendo cadere un vaso cinese per terra.
Sorrise per sdrammatizzare.
« Con la fortuna che ho, scommetto che era il vaso preferito di tua madre.»
« Infatti lo era...Prima di essere ridotto in pezzi.»
« Ti ripagherò. Comunque, non mi dici niente? Sono venuto qui per parlarti del mio problema, non di un vaso rotto.»
« Sarebbe carino se mi informassi su cosa stai farneticando.»
Colin lo guardò incredulo. « Ma come, non te l'ho detto?»
Alex scosse la testa.
« Mia madre, insieme a mio nonno, hanno stipulato un contratto di matrimonio un paio di anni fa, ove io mi dovrò sposare con una ragazza che non ho mai visto, e di cui non so neanche il nome! Ti rendi conto?»
« Non mi sembra tanto grave...»

Si guadagnò un'occhiataccia .
« Che cosa intendi fare?»
« Non lo so.»
« Si che lo sai.»
« Intendo impedire questo matrimonio, a costo di pagare un occhio della testa per la mia libertà.»
« Vai a dormire, Colin, domani cerca di rivedere la situazione in un modo diverso, possibilmente meno frustrato.»
« Facile a dirsi.»
« Certo. E poi penso che il matrimonio ti faccia bene, amico.» Colin lo guardò incredulo « Andiamo, tutti prima o poi dobbiamo sposarci. E poi ho il presentimento che la donna che stai per scegliere ti cambierà per sempre la vita. Mh, non so. Magari sarà speciale.»
« Non me ne importa, ne ho a dozzina di donne.»
« E' questo il punto» enfatizzò le sue parole battendo un pugno sulla scrivania « Colin, sappiamo tutto che sei un libertino della peggior specie - senza offesa, naturalmente -. Le donne si invaghiscono di te senza neanche conoscerti, mi sembra ovvio che tutto ciò ti ha reso molto poco propenso a scegliere una compagna da sopportate per tutta la vita.»
« Baaaaaah.»borbottò mentre si dirigeva verso la porta a grandi passi e questa si chiudeva rumorosamente.
Alex sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

Londra, 31 Gennaio 1813
« Non ho mai visto una sposa più triste di voi, signora» disse una domestica mentre le metteva una ghirlanda di fiori sui capelli sciolti. Elisabeth accennò appena un sorriso, e tornò a posare lo sguardo sullo specchio, dove il suo volto era apparentemente senza vita. Dentro di lei, invece, ardeva un fuoco così potente da poter bruciare chiunque le si parasse davanti.
Era irritata. No, di più, furiosa, iraconda, indignata... Ora che era costretta a sposarsi, non avrebbe esitato ad essere la moglie più cocciuta ed esasperante sulla terra. Era questo, infatti, il suo piano. Se il pegno da pagare per essere stata così buona con suo padre era sposare un perfetto sconosciuto, bhè, avrebbe fatto in modo che il suo matrimonio fosse un fallimento. Suo padre non avrebbe avuto un soldo da lei, questo era poco ma sicuro.

« Signora? Signora, si sente bene?»
« Benissimo» esordì con un sorriso di trionfo. Oh, sentiva già il dolce sapore della vendetta.

Se sposare una sconosciuta sarebbe stato un dramma, sposarsi con Elisabeth Barbrook era stata davvero una sorpresa... Non gli andava di definirlo un infarto, anche se ci aveva pensato.
Eppure lei era lì, bella, alta con le labbra più rosse che mai ma con uno sguardo così impaurito e triste che Colin si sentì smuovere il cuore. Forse – se non sicuramente- ciò era dovuto al suo aspetto. Smascherarsi era sempre stato suo divertimento, fin da bambino, ed ora, interpretare la parte di un vecchio zoppo con la gotta e il volto mascherato lo divertiva infinitamente.
Dal suo canto, Elisabeth, rimase terrorizzata. Il suo respiro si fermò all'istante. Aveva sperato che lord
Logan Damon Kerwin, fosse almeno un bel giovane, ma da ciò che vedeva non era altro che un povero vecchio al fine dei suoi giorni. Sul volto aveva una maschera di cuoio nera come la notte, e gli occhi erano debolmente coperti. Camminava – per modo di dire – con un bastone, ed il piede sinistro era leggermente storto, cosicché ad ogni passo strusciava sul pavimento. La figura, però, era slanciata. Anzi, era molto alto e aveva fianchi e vita incredibilmente stretti. Forse non era così vecchio quanto credeva... Appena le prese una mano e la baciò, Elisabeth sentì un brivido, non seppe dire se di disgusto o di eccitazione. Oh, domare quel signore mascherato sarebbe stato sicuramente divertente. Decise di vederla più come una sfida, che come una maledizione.
La cerimonia passò in fretta, e quando finì ad Elisabeth le parve di volteggiare in uno stato di pace. Non provava nessuna emozione, e non ne lasciava trasparire. Poi vide il padre muoversi verso di loro.
« Figliola mia, siete la dama più radiosa che...
» non fece in tempo a finire la frase che una piccola manata si disegnò sulla sua guancia sinistra. Elisabeth le aveva dato uno schiaffo che a nessuno era passato inosservato.

 

 

 

 

Lady Sticklethwait.
P.s ho deciso di prendere una piccola pausa. Purtroppo in questo periodo non riesco molto a conciliare studio, lettura e scrittura. Spero tanto che per natale riuscirò a pubblicare nuovi capitoli per me e soprattutto per voi. Qualche volta bisogna distrarsi dalla vita quotidiana per fantasticare un po' con la mente. Chiedo grazie a tutte le ragazze che mi fanno sapere la loro opinione, credetemi è molto importante per me conoscere i vostri pareri a riguardo. A presto, miladies!

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. ***


Capitolo 17.

Prof che “ se non ti interessa, puoi anche uscire”.
NON PROVOCARMI.

 

 

Durante il tragitto verso la sua nuova casa, in carrozza ci fu un silenzio tombale. A onor del vero...
« Un cimitero è molto più allegro, signora.»
Elisabeth sorrise e cercò con lo sguardo di intravedere almeno gli occhi dell'uomo, irrimediabilmente coperti da quella maschera di cuoio nera.
Logan si schiarì la voce e continuò
« Davvero, miss Kerwin » a quel nuovo titolo Elisabeth sussultò « Mi piacerebbe conoscerla e spero che mi concediate il piacere di farlo già da ora.»
« Cosa volete sapere ?»
« Non so. Cosa pensate di me? Cosa pensate del matrimonio?»
« Non vi aspettate che vi risponda davvero, sir?»
« Perché no?!» incrociò le braccia e la guardò. Colin, dentro di se, si stava divertendo da matti. Essere sposato con quella donna sarebbe stato davvero eccitante.
« Bhè, non ho una buona opinione su di voi. Oh, ma non prendetevela, è proprio il genere maschile ad essermi terribilmente irritante.»
« Potrei dire lo stesso anch'io.»
« Nessuno ve lo vieta.» girò il volto verso il finestrino, indicando che per lei la conversazione era finita.
« Ma, dal momento che siamo sposati e che dovremmo vivere sotto lo stesso tetto, temo che dobbiamo sopportarci l'uno con l'altra. Non crede?»
« Per me non è un problema, dato che ho programmato di stare fuori il maggior tempo possibile.»
« State tentando di evitarmi già da ora?»
« Oh, non siate sciocco...» fece un gesto con la mano accompagnato da una smorfia. « E' solo che non intendo farmi comandare da nessuno.»
« Vedo che la gattina ha cacciato gli artigli.»
« Mi ci sono voluti anni per renderli così affilati, milord.»
« Non mettetevi contro di me, perdereste già in partenza.»
« Uh, ma sentiamo un po', queste parole le ho già sentite. Si. Mi sembra di aver fatto una partita a scacchi con un uomo, e quest'ultimo, dopo avermi minacciata, ha perso. » sorrise.
Colin arrossì ricordandosi di quella serata così piacevole e divertente. Elisabeth poteva essere davvero una buona compagnia, se non la si provocava.

« Ci sono uomini e donne in questo mondo, signorina Kerwin, come ci sono i perdenti e i vincenti.»
« Come ci sono i gentiluomini e i palloni gonfiati, sbruffoni e dittatori, e...» si fermò, notando che la carrozza si era arginata al marciapiede. Erano finalmente arrivati nella sua nuova casa: Crainford Hall. Il palazzo era davvero enorme, e quando Elisabeth scese quasi le vennero le vertigini. Era situato nella periferia di Londra, quasi isolato, e dietro vi spuntavano immensi campi coltivati e piantagioni di ulivi.
« Oh, è così bello.»
« Lo so, sono favoloso » fece Logan da dietro pulendosi i guanti. Ella trattenne una risata.
Vari domestici si occuparono di raccogliere i suoi bagagli. Tutti sembravano molto cordiali e felici, il ché era molto strano. Non aveva mai visto dei servi così operosi e di buon umore. Una signora sulla sessantina le si avvicinò con un sorriso sornione, e lei suppose che fosse la governante.

« Benvenuta, cara. Il viaggio deve averla stancata moltissimo. Bhè, se non le dispiace ho dato ordine di prepararle un bel bagno caldo»
« Oh, grazie mille siete molto gentile signora...?»
« Mary. Chiamatemi Mary e datemi del tu, perfavore»
« Mary...» disse seguendo la governante « E' da molto che sei qui?»
« Oh, ho visto il piccolo C...» si fermò in tempo, schiarendosi la gola « Scusatemi. Stavo dicendo... Ah, si. Sono praticamente cresciuta a Crainford Hall, e ho badato personalmente a tutti i membri della famiglia, incluso Logan.» sorrise e un vento gelido scombinò i riccioli di Elisabeth « Oddio, mi sono dilungata un po' troppo e sembra che stia per venire una tormenta di neve. Entriamo, prima che vi prendiate un brutto raffreddore.» la prese sottobraccio ed entrambe entrarono nella dimora.
Si stava già facendo buio, in quel pomeriggio di Gennaio, cosicché erano accese una moltitudine di candele accompagnate da un ampio camino bianco che illuminava tutto il soggiorno. Elisabeth non riusciva quasi a credere che quella fosse la sua nuova dimora.
Soggiogata dalla bellezza del salone bianco ed oro, non si accorse che Logan non era entrato con loro. L'aveva forse offeso? Poco importava. Anzi, cercò di convincersi che quella serata sarebbe stata perfetta, con o senza suo marito. Mary si fermò davanti alla maestosa scala di marmo che finiva su un ampio pianerottolo.

« Penso possiate proseguire da sola. Più tardi vi manderò una domestica. Nel tal caso avreste bisogno di qualcosa, non esitate a suonare»
« Ti prego, Mary, non perdere altro tempo. A dopo.» sorrise, e la governante si dileguò con un inchino tra i domestici.

 

 

 

Certamente, dormire da sola in un letto a due piazze e soprattutto in una casa che non conosceva non era una cosa particolarmente rassicurante, ma Elisabeth era felice di quella intimità concessagli da suo marito. In fin dei conti, non aveva alcuna intenzione di dividere il letto con un tipo mascherato e di cui conosceva solo il nome. Aveva sperato, come tutte le ragazze di sposarsi per amore... Sospirò. Sarebbe stato fantastico vivere in quella casa con un uomo che l'amava, magari con gli occhi azzurri e i capelli ricci e... Sobbalzò all'immagine che le si stava formando nella mente. Colin Bekwell. No, non poteva essere! Quel maledetto disgraziato anche nei suoi pensieri si immischiava. Ma ora era una donna sposata, si disse tristemente, e non si sarebbe mai più unita ad un altro uomo dopo aver ottenuto il divorzio. Oh, il divorzio! Se ne era completamente dimenticata!
Aveva visto, di nascosto, che vi era una piantagione un po' più lontano dalla casa... E se si fosse dedicata all'agricoltura? Logan ne avrebbe risentito? Bhè, sicuramente. Insomma, chi vorrebbe una duchessa che si comporti come delle domestiche? Le sembrava che ci fossero anche varie stalle... Mh, tutto ciò era molto interessante. Forse, lord Kerwin, non era assolutamente accorrente del viaggio che aveva fatto a Parigi, e sicuramente sapeva che l'aveva sposato per soldi. E se si fosse finta una povera ragazza di origini campagnole, pronta a comportarsi come tale ed a disturbarlo mattina e sera per le sue scampagnate? Rise. Oh, sarebbe stato così bello prendersi gioco di suo marito. Alla fine, non aveva nulla da perdere e questo gioco si dimostrava molto intrigante. Insomma, lei era Elisabeth Barbrook! Colei che non aveva paura di niente e che era sempre stata considerata la “scintilla” delle feste. Oh si, avrebbe fatto di tutto per vincere la sua libertà e non dare un soldo a suo padre.

 

 

 

 

Scusatemi se questo capitolo è un po' troppo corto, ma ho la febbre ( per la 5 volta in 2 mesi. Coincidenze con la fine del mondo? ), e l'ho scritto con le poche facoltà mentali che mi rimangono. Un bacio a tutte.

Lady_Sticklethwait.

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. ***


Capitolo 18.

 

 

Il mattino seguente, Elisabeth si svegliò terribilmente presto a causa del gallo che non smetteva di cantare. Si, i suoi istinti omicida erano aumentati più di quanto pensasse in un solo mese. Un nuovo record, pensò lavandosi la faccia con l'acqua gelida e chiedendosi il perché avesse la bocca così impastata. Si diresse verso degli armadi e cercò di trovare qualche abito maschile. Dopo vari muti di ricerca ci riuscì : optò per una camicia bianchissima e del calzoni molto stretti, che non nascondevano nulla delle sue curve. Lasciò i capelli sciolti, e sorrise guardandosi allo specchio. Chissà cosa avrebbe pensato quel damerino di suo marito! Si diede un'ultima occhiata e fischiettando uscì per il corridoio.
Si sorprese quando inconsciamente arrivò giusto davanti alla porta di suo marito.
E' la cosa giusta? Massi, cosa sarà mai svegliare un uomo alle 6 del mattino... Anzi, molti agricoltori si alzano addirittura alle 4. Deve capire che moglie sono. Si, sono arrivata fin qui ed ora lo farò.
Bussò con nocche decise e non si stupì quando da dentro non arrivò nessun suono. Riprovò due, tre, quattro volte. Doveva osare? Osò.
Quindi si decise ad entrare.

« Buongiorno!» disse con il tono più allegro e convincente che potesse. « Buongiorno.» ridisse con ancora più decisione.
« Logan?» disse avvicinandosi al letto. Elisabeth rimase sconvolta. Dormiva anche con la maschera, perdio!
Ma cosa avrà mai da nascondere? Arrivò ai piedi del letto e cominciò a blaterare « Signore, andiamo, smettetela di dormire! E' una bella giornata, o almeno non si vedono nuvoloni e c'è una bella arietta fresca che vi farà svegliare in un batter di ciglia!» . Nulla, silenzio più assoluto. « Chi dorme non piglia pesci.» osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi da sotto le coperte.

« Uomo indolente non riempe il granaio.» il colore della sua pelle era abbronzato, o almeno così ipotizzò dato la scarsa illuminazione.
« Il troppo dormire porta il mal vestire.» Chissà se dormiva a petto nudo o meno, pensò vergognandosene subito dopo.
« A casa Poltroni è sempre festa.» . Egli in risposta grugnì rumorosamente ed Elisabeth lo spinse.
« Ma insomma! Che modi sono mai questi? Nessuno vi ha mai insegnato le buone maniere? Rifiutare in questo modo una passeggiata mattutina... Con la propria moglie, oltretutto! Che odioso...»
« Cosa diamine state farneticando?» disse con voce roca e terribilmente sexy.
« Ma cosa diavolo...» sbottò vedendo che fuori era ancora buio. Alternava lo sguardo dalla finestra al sorriso fanciullesco ed innocuo di Elisabeth, come se lei volesse dire “ non è stata colpa mia, è capitato.
« Sono venuta a svegliarvi.»
« L'ho notato.»
Alzò un sopracciglio per esortarla a continuare.
« Oh, non devo averla avvertita prima, mi dispiace. E' solo che fin da piccola sono stata abituata ad alzarmi alle prime luci dell'alba e, dato che avete espresso il desiderio di conoscermi meglio, ho pensato che sarebbe stato un ottimo inizio condividere le nostre abitudini.»
« Se l'ho detto – e dubito molto di averlo fatto – chiedo venia se non mi sono ben spiegato. Conoscervi meglio è sicuramente ciò che auspico, ma toglietevi dalla mente che io voglia svegliarmi alle quattro...»
« Le sei»
« Alle quattro del mattino...»
« Le seiiiiiii!»
« Le cinque e mezza, va bene?» Ella annuì. « Dunque, nessun uomo sano di mente vorrebbe svegliarsi a quest'ora solo per condividere questa magica avventura. Credetemi, sono onorato che abbiate scelto me invece di un cavallo.»
« Senz'altro...» stava per uscire quando...« Oh, ma è ovvio! Mi dispiace per non averle dato il tempo di prepararsi, signore, sono davvero mortificata. Sono sicura che tre... Nah, ma che dico, quattro minuti – e il tutto solo perché siete voi - , possano bastare per vestirsi di tutto punto e...»
« Elisabeth.»
« E comunque non riuscireste a prendere sonno perché è davvero una bella giornata! Gli uccelli cinguettano...»
« Elisabeth.»
« La brina si è posata sulle foglie. A proposito, sapete che ha nevicato? Sembra proprio che si stia preparando una bufera! Sarebbe ottimo approfittarne ora, prima che sia troppo tardi...»
« Uscite.»
« Ma io...»
« IMMEDIATAMENTE!» urlò.
Non se lo fece ripetere due volte e fuggì.

 

 

 

 

« Oh, guardate, il sole sta finalmente sorgendo» sbottò Elisabeth per interrompere il silenzio.
« Ne sono immensamente sollevato» disse suo marito mentre sfogliava le pagine del giornale rabbiosamente. Ella sorrise. Già il fatto che suo marito fosse irritato oltre ogni limite quella mattina era un punteggio in più.
« Non mangiate?»
« Preferisco farlo in solitudine.»
« Oh...» si morse le labbra per cercare un nuovo argomento. Avrebbe potuto chiedergli di uscire, ma il tempo non prometteva bene.
« Come mai vi siete vestita in questo modo?»
« E' molto comodo. Non capisco perché noi donne dovremmo comprimerci il busto fino a non respirare mentre voi uomini portate abiti così comodi.»

« E' da tanto che vi vestite così, o solo alle sei del mattino per inaugurare la giornata?»
« Mi sono sempre vestita da uomo quando lavoravo nella fattoria.»
« Di quale fattoria parlate?»
vMa come... La fattoria di mia nonna... Quella di ...Emh... A...Ford» starnutì per guadagnare tempo.
« La fattoria di che...?»
« Di Eamenford. Mia nonna abitava lì» guardò il soffitto per non scoppiare a ridere. Era sempre stata una frana nelle bugie. Sperava che egli non se ne fosse accorto.
Colin osservò nel suo viso varie emozioni: menzogna, eccitazione, vittoria... Davvero pensava che fosse così stupido? Ad ogni modo, si divertiva nel vederla in imbarazzo. C'era un qualcosa in lei che lo spingeva a voler stare al gioco. In fin dei conti, non diceva così quel detto “ Con il buon visto stai a gioco?”. No... Ecco, forse non era proprio così, comunque...

« Avete ancora intenzione di visitare le stalle, milady?» Gli occhi di lei si illuminarono.
« Sisisisisi! Mi farebbe immensamente piacere! Grazie mille! Siete un tesoro.» non gli diede neanche il tempo di rispondere che prese cappotto e sciarpa ed uscì.

 

 

« E così siete vissuta in una fattoria...»
« Si. Bhè, vissuta è dire troppo, ma passavo maggior parte del mio tempo da mia nonna e mi piaceva accudire personalmente gli animali. Sapete, noi abbiamo un terzo occhio.»
« E cosa sarebbe?»
« Non ne avete mai sentito parlare?» disse mentre accarezzava un piccolo pony appena nato. Egli scosse la testa. « Gli antichi Egizi, al culmine della loro gloria, indicavano il terzo occhio sulle statue dei loro dei con una sporgenza sulla fronte. Insegnavano alla gente ad usare il terzo occhio nel tempio di Ma-at, dove veneravano il dio con la testa d'avvoltoio – avete presente? -, poiché gli avvoltoi hanno una vista acutissima. Se andrete in oriente, penso che possiate trovare statue con queste protuberanze sulla fronte.»

« Sembrate molto informata»
Elisabeth arrossì. « Ho sempre amato le civiltà del passato, e ho letto molti libri a proposito.»
« Chissà, magari un giorno potreste insegnare storia.»
« Ho accantonato questa possibilità da vari anni, mio signore. Il mio terzo occhio mi ha assolutamente proibito di insegnare un qualcosa a dei diavoletti scatenati. Sapete, sono poco propensa a restare calma.»
Eppure a Colin non sembrò. Da come parlava, sembrava che Elisabeth Barbrook fosse una selvaggia, senza cuore e senza amore, irascibile e dispettosa. E parlava di tutto ciò mentre accarezzava e baciava un piccolo pony, perdio! La tenerezza che trasmetteva a quell'animale la si poteva sentire anche da Roma.
« Dal mio terzo occhio, capisco che tutto ciò che state dicendo sono solamente sciocchezze.»
Si irrigidì.
« Vi riferite all'Egitto?»
« No, mi riferisco al fatto che non avete pazienza. E, a dirla tutta, non sembrate una che non ama i bambini.»
« Non ho detto che li odio.»
« Ma neanche il contrario.»

Ci fu un lungo momento di silenzio. Colin, improvvisamente, notò i calzoni che indossava. Quella piccola sfacciata! Non poteva assolutamente girare così! Erano così stretti che sembravano una seconda pelle, e, a dirla franca, l'immagine di Elisabeth con i capelli sciolti e vestita in quel modo gli riscaldò il basso ventre. Guardò a terra. Non poteva permettersi di essere un marito severo, ma neanche troppo cedevole. Era un uomo, e doveva stabilire delle regole in quella casa. Senza contare che era sua moglie. Già, sua moglie. Aveva ogni diritto su di lei, e dormire insieme ne faceva parte. Insomma, non avrebbe potuto respingerlo. Era suo marito, e già durante la notte di nozze era stato alquanto clemente nel lasciarla da sola.
Si avvicinò silenziosamente, ed Elisabeth sussultò quando le sue mani, seppur con i guanti, le sfiorarono i capelli ed il collo. Rimase immobile. Diamine, non aveva calcolato i diritti che aveva su di lei.

« Come mai avete il volto coperto, milord?» disse con voce sorprendentemente calma.
« Ho avuto un brutto incidente.» seguì la linea della sua mascella.
« Che tipo di incidente, se non sono indiscreta?» cercò con tutte le forze di cambiare argomento o di pensare ad altro. Non voleva che suo marito la toccasse, ma finché esplorava il suo viso poteva anche concederglielo.
« Un incendio. Ho il corpo ed il volto coperto da cicatrici che purtroppo non sono mai andate via.»
« Deve aver sofferto molto, stando a ciò che...» le passò il pollice sulle labbra.
« Signore...» bisbigliò mentre un'altra mano si insinuava sotto la camicia. Elisabeth, completamente terrorizzata, gli morse la mano.
Colin fece un passo in dietro.
« Che cosa diamine...»
« Mio signore, capisco che non dovrei oppormi, ma non sono pronta... Mi sembra prematuro, io... Vorrei conoscervi di più.»
« Vorrete conoscermi meglio anche domani, e il giorno dopo, e il giorno successivo ancora... Mi sembra di essere stato abbastanza discreto durante la notte di nozze.»
« Si, e ve ne sono immensamente grata! Ma vede, abbiamo tutta la vita davanti e poi...»
« Risparmiate le vostre spiegazioni, Elisabeth. Quando vorrò vi prenderò dove voglio e come voglio.» detto ciò uscì da quella sottospecie di stalla dandole una pacca sul sedere.
« Brutto maniaco!» gli urlò dietro, quando fu sicura che fosse ancora vicino. Sentì una risata.

 




La febbre mi è passata, ollè! E tra poco è Natale... Sappiate che quel giorno pubblicherò un capitolo come regalo per le festività. Vi auguro una buona serata.


Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. ***


                                                                                                                                                     Capitolo 19.


Lo so, lo so, sono sparita, è vero. Ma vi assicuro che avrei pubblicato questo capitolo, se la tastiera del mio computer non si fosse rotta. Si, la tastiera. CAPITE?!? ROTTA. Completamente andata ed inutilizzabile. E’ la peggior cosa che possa capitare ad una “scrittrice”. Non lo auguro a nessuno. Comunque tanti auguri a tutte di buon natale, spero di pubblicare un altro capito per capodanno ( non ci contate, quanto a promesse, ho ereditato dal nostro caro Colin. Non capite? Lo scoprirete nel corso di questo capitolo.  )



« Colin, ti stai cacciando in un terribile guaio » ripeté per la trentaduesima volta la signora Bekwell.
Erano nel salotto della madre, ed ella lo aveva chiamato per “questioni urgenti”. Ovviamente già sapeva che sua madre era un osso duro e, quando l’aveva  informata della sua doppia identità, era quasi svenuta. No. In effetti era proprio svenuta, ma  lo faceva continuamente, soprattutto quando lui combinava qualche guaio o la prendeva in giro. Diciamo che si era abituato.
Rassegnato, si mise le mani in tasca e sospirò. Come darle torto, dopotutto? Anne voleva suo figlio sposato! Era quello il compito delle madri … Non si era assolutamente aspettata questa mossa ingegnosa e sconsiderata.
« Non startene lì con le mani in mano a guardare le stelle. Parlami. »
« E’ giorno » puntualizzò.
« Colin» disse fermamente sua madre «  Capisco che deve essere stato molto difficile per te accettare di sposarti, ma non puoi nasconderti per sempre. »
No… Era vero. Non poteva nascondersi per sempre, ma per il momento poteva trarne dei vantaggi da quel maledetto matrimonio. Quali fossero, ancora non lo sapeva.
« Lo so. »
« E’ questa la tua risposta? Non mi sembra di parlare con un uomo adulto. »
« Madre, per cortesia, sono venuto qui con la speranza che mi parlaste di questioni importanti. »
« Ti sembra un argomento futile, figliolo? »
Futile no, ma estremamente noioso, pensò Colin dirigendosi verso il divano. Sapeva che sua madre aveva ragione, ma non voleva pensarci più di tanto. Diamine, si stava quasi pentendo del piano. Sicuramente Elisabeth lo avrebbe fatto uscire e vivere la sua vita, in fin dei conti, gli era sempre sembrata una donna ragionevole e con cui si potesse scendere a patti.
Ora, invece, quasi tutti lo chiamavano … Qual’era l’aggettivo con cui sua madre l’aveva definito?
« E per questo non mi sembra giusto che tu machi di rispetto a tua moglie. E’ una donna molto dolce, sai? Può sembrare molto forte fuori, ma penso che dentro sia completamente innamorata di te. »
No, sicuramente non disprezzava la sua mogliettina … Aspetta, cosa? Elisabeth innamorata di lui? Si strozzò con il tè.
« Capisci, caro? I gentiluomini devono assumersi le responsabilità delle proprie azioni, e tu, ora, sembri proprio un vigliacco. »
Ahh, ecco qual’era l’aggettivo. Vigliacco.
« Ti senti bene figliolo? » domandò Anne sporgendosi. Colin non riuscì a smettere di tossire mentre pensava ciò che quella “gattina” gli aveva fatto passare in due settimane di matrimonio.
« Madre, vi assicuro che Elisabeth non prova nessun sentimento che si possa minimamente avvicinare all’affetto. »
Anne sorrise gustandosi il tè con estrema calma. « Ma io non ho detto affetto, Colin, quello lo si può provare persino per un animale domestico. »
« E allora cosa intendete? »
« Penso che lo scoprirai da solo. »
« Mi ha svegliato alle quattro e mezzo del mattino. »
« Svegliarsi presto è una virtù. Di questi tempi sembrano tutti dormiglioni, a Londra. »
« Si veste da maschio e lavora con i domestici. »
« Oh, quindi è molto altruista … Dovresti prendere esempio. »
« Mi ha fatto spalare le feci del suo caro ed amatissimo bambino. »
A quella risposta i suoi occhi luccicarono, e si mise subito all’attacco.
« Bambino? Hai detto bambino? »
« Si, madre» sospirò godendosi quel momento.
« Per … Perché non me l’hai detto? Un nipote! Oh, che immensa gioia. »
« Mi dispiace di interrompere questo momento di gloria, ma non intendevo affatto i bambini. »
Anne incarnò un sopracciglio. «  E cosa? »
« Cavalli. » Rispose con nonchalance. Ed ecco che si prospetta un altro svenimento tra tre, due, uno e …
« Chiami cavalli i tuoi bambini? »
Colin rise. «  No, madre. Lei, piuttosto, chiama il suo cavallo preferito “bambino”. »
« Bhè …»aprì il ventaglio energicamente «  che dire … Sarà bello conoscerla meglio di persona, caro. »
« Non ne dubito. »
Anne sorrise, ed indicò con il capo alcuni cioccolatini e numerosi mazzi di rose sopra ad un tavolo.
« Perbacco, non sapevo avessimo un giardino in casa. »
« Colin» lo ammonì con lo sguardo, mentre egli si avvicinava e strofinava le dita sui petali morbidi delle rose. «  Da quando? E’ nuovo? Dovresti stare attenta, le api potrebbero organizzarsi per un’imboscata. »
« Non penso, dato che oggi ho compiuto gli anni e tutti mi hanno mandato qualcosa o dei biglietti, tranne chi? Ti lascio indovinare. »si puntò le mani sui fianchi.
La situazione si era improvvisamente capovolta.
« Madre, non è giusto, siete di mano e puntate tutto contro di me. Ma ricordate, potreste sballare da un momento all’altro. » Sorrise compiaciuto mentre Anne si accigliava sempre di più.
« Non mi piace il linguaggio metaforico, e non cercare di temporeggiare o scappare così, senza scuse. Come hai potuto dimenticartene? Mi aspettavo che quest’anno te ne ricordassi, visto che di solito sei sempre fuori. »
Colin sapeva di essere un pessimo figlio, ma cosa poteva fare? Non poteva ricordarsi i compleanni di chiunque.
Sbuffò. «  E va bene, ve lo dico. »
« Dirmi cosa? »
« Ho due notizie per voi, una buona ed una cattiva. Quale volete sapere per prima? »
Chiuse il ventaglio con un colpo secco. « La cattiva. »
« Allora, la cattiva notizia è che ho organizzato una festa a sorpresa. Ora, però, non lo è più – intendo una sorpresa - . La buona, invece, è che ho dimenticato quanti anni compiete, ma questo non importa, vero? ” sorrise amabilmente. Egli, davanti all’entusiasmo della madre, non poté far altro che pensare » Sono un cattivo figlio, sono molto malvagio e racconto bugie a mia madre per renderla felice. “
« Oh, caro, mi dispiace di averti accusato e processato subito, senza neanche sentire le tue intenzioni. Mi dispiace e oh, sono così contenta! Verrai con tua moglie, vero? Ti prego Colin, dimmi che lo farai. »
« Emh ... mhh … nsssssinnn…» balbettò, finché gli occhi della madre non lo sconfissero « Si, va bene, verrò in qualità di vostro figlio e porterò Elisabeth. »
Anne si alzò con un sorriso, e quasi dimostrò venti anni in meno quando lo abbracciò e lo baciò solo come una madre può fare.
Colin si divincolò dalla stretta della madre e mormorò un qualcosa sugli ultimi inviti che doveva spedire, per poi incamminarsi verso la porta.
« A stasera, allora. »
« Sssi, a stasera, madre. »

SONO UN UOMO MORTO, pensò dirigendosi verso la carrozza che lo aspettava. Cosa avrebbe inventato, ora? Oh, diamine, sua madre riusciva sempre a metterlo in trappola. No, questa volta era stata colpa sua. Come diavolo gli era venuto in mente di organizzare una festa a sorpresa? Non poteva dirle semplicemente di essersene scordato? Ora si sentiva Giuda.
Quando arrivò a Crainford Hall ed indossò le vesti di Lord Kerwin, sperò che sua moglie avesse la febbre. No, magari una storta avrebbe potuto salvarlo da una serata infernale. Dov’era la sciagura quando ne aveva bisogno? E soprattutto, dov’era quel brandy che lo gettava nell’oblio ?
Aprì la stanza di sua moglie con pensieri molto simili all’omicidio, e la trovò praticamente a soqquadro.
Fece pochi passi, e vide Elisabeth  spuntare da dietro al divano, con una mazza della scopa in mano e un fazzoletto sporco sul capo.
Ella si portò l’indice sulla bocca, ad indicargli di star zitto, e lo incoraggiò ad avvicinarsi cautamente.
« E’ lì» sussurrò appena.
« Chi ? »
«  Benny. »
« Chi è Benny? »
« Il mio coniglio. » Spiegò lei mettendosi a quattro zampe.
«  Cosa? »
«  Il mio coniglio. Benny? »
« Non mi direte che come animale domestico avete un coniglio? Buon Dio! Possibile che questa donna non faccia mai niente di normale? »
« Di solito è così buono » si scusò lei con aria smarrita.
Improvvisamente un batuffolo di pelo bianco uscì dal nascondiglio e percorse l’intera stanza.
Colin stava per collassare dalla risate. Elisabeth gattonava verso il coniglio ed ogniqualvolta che lo stava per acciuffare, questo scappava.
« Suppongo che non potevate comportarvi come il resto degli esseri umani e tenere un gatto o un cane» commentò Colin. « Penso si sia cacciato sotto l’armadio» soggiunse accondiscendente.
Elisabeth si avvicinò in punta di piedi con la scopa, e guardò sotto il grosso mobile «  SSSh, mettetevi dall’altra parte e fare qualcosa per spaventarlo».
Colin si mise anche lui a quattro zampe e disse con voce orripilante «  Salve, bel coniglietto. Oddio, bello non proprio. Questa sera stufato di coniglio. »
Benny corse fuori e balzò direttamente tra le braccia di Elisabeth. Rendendosi conto di essere in trappola, prese a squittire, ma ella lo calmò con carezze lenti e sorprendentemente efficaci.
« Bene. » Guardò il coniglio «  Cosa avete intenzione di fare con lui? »
« Metterlo fuori dalla mia stanza, che è il suo posto. »
« Io direi che il suo posto è in cucina, o meglio, in pentola! »
« Non ci pensate neanche, signore. Benny è il mio tesorino. Non è vero, cuccicucci? »Ed era vero. Le era stato regalato all’età di 18 anni, e da allora non se ne era mai separata. Anche se sua madre lo odiava profondamente, per lei era come un amico fedele, e lo trattava da tale.
« Cuccicucci? » gli fece eco lui.
Elisabeth annuì, uscendo con il coniglio sul seno. Colin quasi lo invidiò, mentre esclamava ad alta voce. « Una che ama conigli e chiama bambino un cavallo. Una ragazza dal cuore tenero. »







Lady_Sticklethwait.


Dieci minuti davanti al fuoco di casa et voilà... Sono il Gabibbo.


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Capitolo 21
*** Capitolo 20. ***


Capitolo 20.

 

 

 

 

 

 

«Prego, entrate. »

Elisabeth avanzò nella stanza con passo fermo e deciso, mentre teneva in braccio un... Peluche? Mah, meglio non indagare.
«Mi avete chiamata?» domandò sedendosi sotto direttiva di Colin su di una poltrona davanti alla scrivania. Egli diede un'ultima occhiata alle carte dinanzi a se e poi, con un unico movimento, chiuse un immenso libro che Elisabeth pensò fosse la contabilità.
Passarono cinque lunghi ed interminabili minuti, prima che suo marito si decidesse a parlare.
«Conosci i Bekwell, cara?»
Elisabeth si mosse un labbro.
« Si »
«Questa sera è il compleanno della signora Bekwell, e ci hanno cortesemente invitati.»
«Questa sera? Ma mancano poche ore ed io...»
Lord Kerwin sbuffò. «Si, lo so, e si sono scusati anche per il ritardo. Non so a cosa sia dovuto, ma ci hanno chiesto di essere discreti al riguardo.»
«Capisco. Allora questa sera, faremo il nostro primo debutto da coniugi in società?»
«Io...» egli si schiarì la gola e prese a giocare con la tabaccheria d'argento posta sul tavolo « non penso di poter venire. Ho...Degli affari urgenti.»
«Benissimo» si alzò stringendo quello strano pupazzo «Allora non dovete far altro che disdire.»
«Non posso. I Bekwell sono sempre venuti ai compleanni dei miei defunti genitori, ed inoltre devo molto... Al...Duca»
Elisabeth arrossì sentendo nominare il duca. Sembrava appena ieri che si fossero scontrati in corridoio... E al parco... E in giardino. Chissà perché quella maledetta sensazione di averlo sempre alla calcagna non se ne andava...
«Ma milord, la gente mormora... Penseranno chissà cosa e ...»
«Mi dispiace, ma non posso disdire i miei impegni.»
«Scrivetegli e ditegli che voi siete altrove ed io...»
«E voi?» domandò poggiando le grandi mani sulla scrivania.
«Che malattia posso avere? Peste, malaria, febbre. Non so, inventatevi qualcosa. »
«Cara, » da quando in qua aveva iniziato a parlarle in tono così informale? «devo pensare che la famiglia Bekwell vi abbia in qualche modo offeso?»
«No no no!» affermò veemente Elisabeth. Non voleva destare sospetti, però non le andava proprio l'idea di doversi presentare da sola e di subire un'ondata di piccole donne che le chiedevano i dettagli sul matrimonio. E poi c'era lui. Il duca. Mai e poi mai avrebbe voluto scontrarsi con lui per subire il fascino della sua ironia.
«E allora, cosa vi spinge a rifiutare? Sarà una serata piacevole, vedrete.»
Inutile lottare. Farlo avrebbe solo sprecato tempo prezioso per prepararsi ( soprattutto mentalmente ) ad un eventuale – ma sicuro – incontro con il duca. Chissà se sapeva del suo matrimonio. Sarebbe stato interessante vedere la sua reazione.
«Elisabeth? »non seppe per quanto tempo aveva taciuto, persa nei suoi pensieri.
«Si?» sbatté le palpebre innumerevoli volte.
«Vi ho chiesto se volete essere scortata da Lucy, o magari Heyacint.»
«No milord, sono sicura che nessuno tenterà di assassinarmi durante l'evento dell'anno. E, anche se ciò avvenisse, non penso avrebbe il tempo di scappare- l'assassino, chiaramente- o per lo meno, non senza aver fatto prima i conti con me...» sorrise amabilmente.
«Se devo esprimere il mio modesto parere, sarei in pena per lui, madame.»
«Sarà una serata interessante, Milord.»

E' la giornata più noiosa della mia vita. Lo pensò varie volte, quella sera, mentre sorrideva cortesemente alle domande delle giovani donne sedute accanto a lei. Era arrivata a Bekwell Hall da meno di un'ora, e già non vedeva l'ora di andarsene. Lo avrebbe fatto, se non fosse stato che la dolce signora Bekwell non aveva ancora fatto il suo ingresso nel salone. Come se non bastasse, la miriade di persone che parlavano animatamente tra loro, creava un chiasso tremendo, accentuato dal tono acuto della signorina Dutherfod. «Per questo, dicevo, non apprezzo che i nobili sposano delle luride cameriere. Se andremo davanti così, ci ritroveremo immersi negli zingari.» «Esatto!» «Eccellente teoria » «La pensiamo tutti come voi» fecero altre tre biondine accanto a lei, applaudendola. Elisabeth volle sotterrarsi. Come diamine aveva fatto a trovare, nel raggio di 20 metri, delle persone così stupide?
«La pensate come me, signora Kerwin?» ritornò brevemente alla realtà.
«Non esattamente, signorina Dutherfod. Penso che le persone non debbano essere giudicate in base al rango cui appartengono. Per lo meno, questo è ciò che insegnano i libri. Spesso, i poveri, hanno il cuore e scopi nella vita più nobili di tutti noi.»
«Leggete troppo, per i miei gusti.» rispose sventolando il ventaglio sulle guance rosse. Era una bella fanciulla, se non fosse stato che ragionava come una gallina.
Elisabeth sorrise accondiscendente ed inclinò graziosamente il capo. Nello stesso momento entrò in sala la signora Bekwell che, accolta da un applauso generale, diede il via alle danze.

«E' una donna davvero affascinante.»disse la testolina bionda vicino a lei.
«E che classe!»
«Già» sospirò Elisabeth. Com'era odioso trovarsi vicino a delle giovani ipocriti! Ringraziò Iddio per essere nata schietta e sincera.
«Vi sentite bene, cara?»
«Si si. Bhè, a dire il vero, avrei bisogno di cibarmi. Con permesso.» fece un breve inchino e si avvicinò al tavolo dei dolciumi. Che bellezza! Assaggiò pasticcini e tortini ripieni di crema e cioccolato. Dopo l'orribile viaggio verso Parigi, era molto dimagrita e non si era del tutto dimessa. Aveva persino dovuto farsi un nuovo guardaroba. Bhè, per lo meno ora poteva mangiare senza scrupoli e sensi di colpa.
Stava per infilarsi il quarto ripieno in bocca, quando una mano le toccò lievemente la spalla.

«Signorina Barbook.»
Ella si girò di scatto, sentendo quella voce tanto nota ed odiata.

«Signora Kerwin. Sono sposata, signor Tarlen.»
«Oh, allora le voci erano vere...». Le baciò lentamente la mano inguantata.
Ci mise esattamente un'eternità.

«Dipende da quali voci, signore. Come mai qui?»
«Speravo di incontrarvi.»
«Non vi smentite mai» cercò di prenderla scherzosamente.
Lo sguardo di Ruark si fece più intenso
«Volete concedermi l'onore di questo ballo?»
Elisabeth si guardò attorno, cercando una scusa. A quanto pare le ochette bionde avevano già trovato compagnia, e si stavano anche divertendo parecchio. Dov'erano le amiche salva-guai quando servivano?

«Ma certo.» rispose mentre egli la scortava quasi al centro della pista.
«Vi piacciono i valzer?» chiese interessato.
«Non proprio...» li odio, proprio come odio voi e il vostro maledetto sorriso da ebete.
«E' un ballo molto nobile, sapete? E' nato da più di un secolo, eppure lo balliamo tutt'ora.»
«L'Inghilterra...» fece lei con occhi sognanti «l'emblema della modernità.»
«Io penso...»sbottò Ruark, facendole ruotare le gonne in un piccolo vortice «che sia apprezzato non solo per la musica orecchiabile.»
«E per cosa?» domandò assecondando i movimenti di lui.
Però, per essere un mezzo maniaco, si muove abbastanza bene.
«Forse è perché la coppia di ballerini danza abbracciata.» e con ciò la strinse sempre di più in vita.
Elisabeth ebbe la voglia di staccarsi immediatamente dalle mani grandi e tozze di lui. Il ricordo di quel bacio rubato sulla nave le fece venire i conati di vomito.

«Signore, non avete nessun ritegno.»
«Davvero?» la voce sarcastica.
«Si. Qualunque cosa vogliate fare, tenete a posto quelle manacce.»
«Voglio fare molte cose, Elisabeth... Con voi.»
Ella aprì le labbra per replicare, ma fortunatamente la musica terminò. Con un inchino ed un sorriso falsissimo, si allontanò da Ruark, quasi completamente sconvolta.

 

 

Quando Colin arrivò vestito per l'occasione, tutti sembravano guardarlo con una strana luce negli occhi, come per sottolineare “ Lo sappiamo tutti che sei un mascalzone e per recuperare quel briciolo di dignità, hai organizzato all'ultimo minuto una festa a tua madre.” Tuttavia a lui non importava. Aveva reso felice sua madre, e la serata sembrava stesse procedendo alla grande.
«Signor Bekwell! » Oh dio, no. Perché ho invitato anche la sig.ra Stander?
«Signora Stander» le baciò galantemente la mano « che immenso piacere, rivederla.»
«Non mentite, ragazzo, si vede dagli occhi che siete infastidito oltre ogni misura.»
«Mi offendete.»
«Baah» esclamò muovendo il suo bastone. «Non capisco come mai gli uomini come voi» portò il bastone all'altezza del suo torace « possano diventar schiavi, da un momento all'altro, della prima ragazzetta graziosa che passa davanti. Non mi riferivo a voi, ovviamente.»
Colin incarnò un sopracciglio.
«Vi assicuro che non mi sposerò se la mia consorte non avrà la vostra approvazione.»
«Così va molto meglio. Ed ora via, ho bisogno di riposarmi un po'.»
Colin schioccò i tacchi e si allontanò dalla vecchia signora. Chi avesse avuto il coraggio di sposarla, dev'essere stato davvero un uomo coraggioso. Sorrise tra sé. Quella signora assomigliava vagamente ad Elisabeth. Elisabeth! Diamine, chissà dove si era cacciata?
Mentre si guardava intorno per scorgere la sua figura, ecco che arrivà con passo di marcia Debby Simmerthon, una delle creature più altezzose sulla faccia del pianeta.

«Signor Bekwell.»
«Madame» si inchinò.
«Dovete farvi vedere in giro più spesso, o penseranno tutti che siate finito in qualche luogo dimenticato da Dio.»
«Magari!»
Debby tossì leggermente, e Colin ne approfittò per offrirle un bicchiere di limonata.

«Ne sarei molto grata, grazie.»




«Buff- Puff- uhhff»
«Vi sentite bene? »
«Si.» rispose secca mettendosi la mano sul petto.« Sarà un po' di polvere. Anzi» esclamò cogliendo l'opportunità di dileguarsi « penso proprio che un goccino di limonata possa placare i miei mali. Un po' di movimento non mi farà male. Ah, ho visto anche una mia vecchia conoscenza! Com'è piccolo il mondo, signor Tarlen, vero? Con permesso.».
Te l'ho fatta, te l'ho fatta , cantò nella sua mente attraversando il salone per arrivare al tavolo delle bibite.
Ah, finalmente un po' di pace...Ora mi siedo qui e mi gusto una bella limonata alla...
Il caso volle che proprio quella giornata – o meglio, quella serata – i due nostri eroi si incontrassero nel modo più imbarazzante possibile. Mh, immaginate un po'? Bevande – Limonata... No, eh? No.
Elisabeth si scontrò con Colin emettendo un gridolino, mentre il bicchiere pieno di egli cadde irreversibilmente sulla sua camicia bianca.

«Mi dispiace» le parole le morirono sulla bocca. Le sue mani grandi ed affusolate le ressero i gomiti e poi scivolarono in una carezza.
Quegli occhi! Erano così limpidi e preoccupati che lei non riuscì a distaccare lo sguardo. Suo malgrado lo fece, quando lo sentì parlare.

«Non è importante.» Tutta la sala, dopo il breve “incidente” riprese a chiacchierare. Accorgendosi ancora della vicinanza fra i due, Colin sobbalzò di un passo guardandosi i vestiti ormai sgualciti.
«Oh... Mi dispiace, davvero. Vi manderò una camicia nuova e magari dei soldi...»
«Non siate sciocca» la interruppe lui poggiando il bicchiere sul tavolo. «Magari potreste aiutarmi a pulirmi, se proprio non riuscite a stare con le mani in mano. » le rivolse uno sguardo seducente ed Elisabeth divenne paonazza.
Bhè, aiutarlo era il minimo che potesse fare, e la situazione stava diventando davvero insostenibile. Sentiva di poter scoppiare per un eccesso di riso da un momento all'altro.

«Non ci sono pezze bagnate in questa sala?» chiese circospetta.
«Si trovano nelle cucine. Pensate di poter arrivarci senza svenire?»
«Pensavo mi conosceste abbastanza per capire che non svengo mai.»
«E poi dicono che non sono un gentiluomo.» esclamò sarcastico mentre scendevano delle scale.
Le cucine di Bekwell Hall si trovavano quasi ai confini dell'Inghilterra. Quel palazzo era davvero enorme. Era strano che l'uomo accanto a lei si ricordasse così bene le strade. Anche se avesse vissuto in quella casa per anni, lei non sarebbe mai riuscita a ricordarsi le strade per le cucine senza prima consultare una mappa. Era strano, ma non aveva una buona memoria quanto a castelli.

«Ci vuole ancora tempo?» chiese torcendosi le mani.
«Siamo quasi arrivati.»
5 minuti dopo.

«Siamo arrivati?» richiese. Quei corridoi erano così poco illuminati che le vennero i brividi.
«La pazienza non è il vostro forte, a quanto vedo.»
«No, in effetti...»
«Ho saputo che vi siete sposata. I miei auguri.»
«Grazie.»
Silenzio.

«Signor Bekwell...»
«Signora Kerwin...» dissero contemporaneamente.
«Prima voi.»
«No, prima voi.»
«Insisto, signore.»
«Prima le donne, milady.»
«Oh, che sciocchezza!» sbuffò dignitosa e Colin sorrise. Il cuore prese a tamburellarle velocemente. «Come ben sapete, sono sposata da poco.» egli annuì. «e non conosco molto bene mio marito, per quanto io mi sforzi di farlo e venirgli in contro come una buona moglie dovrebbe fare.»
Colin si astenne dal ribadire “
dovrebbe fare.” .Era davvero una brava attrice.
«Venite al dunque.»
«Vorrei sapere perché mio marito, certe volte, è così... Scontroso. »
«Non capisco la logica secondo il quale lo chiedete a me. Non sono io l'interessato.»
«No, no, certo che no! Ma ho saputo che siete conoscenti, e in qualche modo mi sono permessa di insinuare che condividete un rapporto di natura amichevole.»
«Vi siete sbagliata. Lord Kerwin ed io trattiamo solo affari. Raramente ci siamo incontrati in diverse circostanze.»
«Capisco.» altro momento di pausa. Ma dove diavolo erano le cucine?
«Tocca a voi.»
«Prego?»
«Mi è sembrato che prima stavate per dirmi qualcosa, signore.»
«Nulla di importante.»
«No, ora avete aizzato la mia curiosità! »
«E se non volessi?»
«E se ve lo chiedessi?»
«E se non ricordassi?»
«Ricordate una strada così lunga e non un pensiero? Tentate un'altra scusa, magari sarete più fortunato.»
Colin rise.
«Signora, siete davvero incorregibile.»
«Faccio del mio meglio per esserlo.» sorrise.
«Vostro marito dev'essere stato alquanto fortunato ad avervi come moglie.»
«Mi state prendendo in giro?»
«Affatto. Siete adorabile.» Elisabeth arrossì. «Soprattutto quando arossite.»
«Non stò arrossendo!»
«No?» alzò un sopracciglio e le guardò le guance, ormai quasi del tutto in fiamme.
«E' il mio colorito naturale. Ma dove sono le cucine?!»
«Eccole» disse Colin indicando una porta aperta.





Mi hanno chiesto capitoli più lunghi, ed ecco qui. Spero vi piaccia il mio lavoro... Ah, buon anno anche se in ritardo!

 

Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21. ***


Capitolo 21.

 

 

 

 

Ho notato che la mia storia, essendo stata scritta davvero in fretta e furia, non vi ha dato molto il tempo di capire gli avvenimenti. Tranquille! Ci pensa zia Sticklethwait a farvi una sintesi brevissima:
- Colin è obbligato a sposarsi con una donna ( Elisabeth ) di cui non sa il nome. Per salvaguardare la sua fama da libertino, si farà chiamare Lord Kerwin ed indosserà una maschera.
-Elisabeth compie un lungo viaggio per arrivare a Parigi dove il padre la costringerà a sposarsi con un certo Lord Kerwin ( ma chi sarà mai?? ). Tutto ciò con il ricatto, ovviamente.
- Elisabeth e Lord Kerwin ( cioè Colin ) si sposano.
-La nostra protagonista ha in mente un piano : Esasperare suo marito per chiedere l'annullamento. Dall'altro canto Colin si sta divertendo tantissimo ( e chi può biasimarlo? ).
-
NESSUNO sa che sotto le vesti di lord Kerwin si nasconde il nostro «eroe.»
Ora, la domanda è : Quand'è che Colin dirà la verità alla povera Elisabeth? E soprattutto... Che cosa succederà?


 


«Pensate di riuscire nell'ardua impresa, o devo chiamare rinforzi?» chiese con aria divertita.
«Io non penso, io
so.» ribatté aprendo per l'ennesima volta il forno. Per fare ciò doveva mettersi a gattoni, e ciò offriva una splendida vista del suo didietro a Colin.
«Perché non vi date da fare anche voi, milord?»
«Questa cucina è calda come l'inferno.» borbottò girovagando per i tavoli. Possibile che non ci fosse uno straccio per pulirsi?
«Milady» sospirò « posso benissimo andare sopra a cambiarmi d'abito. Vi assicuro che non è davvero necessario tutto questo
accanimento...»
«Trovato!» esclamò entusiasta tenendo su l'oggetto in questione come se fosse un premio.
«Siete sicura di sapere come togliere una macchia? Ho saputo che se non si conosce il tipo di tessuto, potrebbe allargarsi...»
Elisabeth si avvicinò invitante e maliziosa, ondeggiando le anche.
«Certamente,
mio signore, avete dubbi? Perplessità? Domande? Paura?»
Colin comiciò ad indietreggiare fino a trovarsi con le spalle al muro. Cosa diavolo gli era passato per la mente quando aveva permesso a quella donna di accompagnarlo in cucina?
«Avete davvero una fervida immaginazione.»
«Ah si?» spostò una sedia con il fianco destro, e quello fu uno dei movimenti più infantili e seducenti che Colin avesse mai visto.
Si schiarì la gola. «Ho più denaro di quanto voi possiate immaginare. Perché dovrei aver paura di una donna come...» la squadrò « no, avete ragione. Voi non siete come tutte le altre.»
«Molto saggio da parte vostra non paragonarmi a quel branco di pecore senza cervello.»
«Non vi salta in mente vi stia trattando con condiscendenza?»
«No, signore.»
«Davvero?»
«Si, signore.»
«Come si spiega che all'improvviso è come se fossimo entrati a far parte dell'esercito?»
«Sarà la cucina» avanzò fino a trovarsi ad un metro di distanza.
«Ah, capisco, il vostro habitat naturale.» esclamò esibendo uno dei suoi sorrisi mortali.
«Sapete, per caso, come mai le donne vivono – in media – di più rispetto agli uomini?» poggiò le mani sui propri fianchi.
«Mh...»
. Elisabeth sopportò quel silenzio solo per un paio di secondi. « Ci vorrà ancora molto? «
«Sto pensando.» disse secco.
«Davvero? Prodigioso da parte vostra. Ho sempre ammirato un uomo che tenti di allargarsi la mente, pensare è un buon punto di partenza, anche se può affaticare...»
«Elisabeth.»
Si fermò. Da quanto in qua la chiamava con il suo nome di battesimo?
«Per voi solo Lady Bar... Bar...»
«Kerwin. Lady Kerwin.»
«Si» abbassò lo guardo e portò il suo peso da un piede all'altro. A Colin gli si strinse il cuore. Forse era malvagio approfittarsi della sua fanciullezza, eppure non era ancora pronto per dirle tutta la verità. Era sicuro che, se l'avesse fatto, lei lo avrebbe lasciato e... Lui non voleva. No, non ancora. Si convinse del fatto che a fine giornata era sempre piacevole chiacchierare – o cercare conigli - con sua moglie.
«Ebbene» esclamò con tono allegro « perché?»
«Perché cosa?» .
Prese lo straccio bagnato e gli si avvicinò appena; poi cominciò a fare piccoli movimenti circolari, in modo che la limonata potesse schiarirsi o almeno confondersi con il resto della camicia. Era quasi del tutto sicura che nessuna dama si sarebbe accorta della piccola macchia che gli copriva il petto ed il colletto bianco immacolato. Con il sorriso che si trovava... Ecco, era arrossita,
di nuovo.
«Oh, si, certo. Sono davvero delusa, signore. Era una domanda e-le-men-ta-re . Pensate che mia cugina- quattro anni e mezzo- è arrivata alla conclusione in pochi secondi e...»
«Vi prego, ho afferrato il concetto.»
Elisabeth sorrise.» Bhè, non mi sorprende che in cucina ci siano tutti questi coltelli» gli lanciò un occhiatina maliziosa.
«Buon Dio, era questa la risposta?» gesticolò con le mani, e lei dovette allontanarsi dalla camicia.
«Volete restare fermo? Sto lavorando, e devo dire che si sta rivelando meglio di quanto pensassi.»
«Sarei curioso di sapere cosa non vi riesce bene...»borbottò.
Elisabeth non rispose, ed egli le alzò con l'indice il mento, in modo da poter avere un tête-à-tête con quei magnifici occhi.
Potete immaginare il colore del volto di Elisabeth. Rosso fuoco. Non si sarebbe sorpresa se fosse scoppiato un incendio nelle cucine...
«Non so cantare, penso. Si, sono alquanto negata in tutto ciò che riguarda la musica.»
«Orrore!» commentò lui portandosi una mano al cuore. Un ondata di menta, tabacco e colonia la travolsero come il vento di primavera. Non volle guardargli le labbra. Sapeva, in un certo qual modo, che non sarebbe più riuscita a distogliere lo sguardo.
«Si» fece con aria trasognante. I volti vicini, la sua mano gli teneva ancora il mento e quelle profondità marine sembravano volerle leggere l'anima.
«Quindi» fece avvicinandola con un movimento lento al proprio corpo bollente « non ditemi che sapete cucinare, milady.»
«Perché no?» incarnò un sopracciglio. Non era giusto che lui dovesse monopolizzare la situazione.
«Ecco, sapevo che avreste risposto così.» sorrise, ed una minuscola fossetta si disegnò sulla guancia destra. Oh Dio, com'era bello!
«E se non lo avessi fatto, signore? Cosa sarebbe successo? Oh, non voglio neanche immaginare la desolazione, la ripugnanza e il disprezzo che si sarebbero dipinti sul vostro volto.» decise di guadagnare tempo prendendolo alle lunghe. Era molto stuzzicante vederlo avvicinare per poi ritrarsi improvvisamente perché lei iniziava un sermone greco.
«Avreste perso del tutto il mio rispetto, ve lo assicuro.»
«Questo è un colpo basso.»
Colin era serafico « Non sono un eccellente tiratore, ma penso che voi sappiate – come me – schivare un colpo. Scusate il gioco di parole.»
«No, non vi scuso. Ora, se volete
scusarmi, penso sia ora di ripulire l'ultima traccia di limonata» alzò lo straccetto all'altezza del suo petto, ma Colin le mise un braccio attorno alla vita e la strinse contro il proprio corpo vigoroso. Era una posizione compromettente, specialmente perché lei sentiva i muscoli scolpiti del suo petto e quelli forti delle gambe. D'altra parte, anche Colin gioiva della vicinanza contro il corpo caldo e morbido di Elisabeth. Poteva sentire tutte le sue curve e soprattutto il suo alito caldo sul collo. L'acconciatura elaborata sembrava risplendere sotto l'enorme candelabro di argento, donando una sfumatura di biondo, rosso e marrone ai capelli. Colin riusciva persino a vedere il colore delle sue guance, che in quel momento erano leggermente dipinte di rosa.
Lo divertiva vedere la reazione che esercitava sul corpo di lei. Era... Come dire... Gratificante.
Non che lui restasse immune al calore di Elisabeth, ovviamente. Quella piccola donna così ostinata, caparbia ed incredibilmente bella lo affascinava. Bhè, cosa c'era di male?

Molte volte, durante la sua monotona vita, era stato affascinato da qualche donna: cantanti, attrici, musiciste, letterate, Elisabeth...
Certo, non gli capitava tutti i giorno di sentirsi attratto da una
semplice donna, ma cosa c'era di male? Sarebbe passata, e la terra avrebbe ripreso a girare normalmente. Pf, come se non lo facesse già ora... No, in effetti si era fermato un intero universo. Oh dio, com'erano rosse e turgide quelle labbra! Doveva...
Si avvicinò lentamente inclinando il capo e tenendo lo sguardo fisso sulla sua bocca. Elisabeth, presa dall'atmosfera e dal calore dell'alito di Colin, assecondò i movimenti di lui e ben presto si ritrovarono naso contro naso. Pochi centimetri e le loro labbra si sarebbero sfiorate. Sentiva già i fuochi d'artificio nello stomaco. Non aveva mai baciato un uomo, e chi ci aveva provato era uscito sempre zoppicando, bestemmiando o entrambi.
Inoltre, ci doveva pur essere una prima volta, e lei non pensava assolutamente di poter concedere questo privilegio a... Suo marito.

Diamine, ma cosa sto facendo?!?!
Con un movimento deciso girò il capo verso sinistra e Colin si trovò a baciare la morbida guancia invece delle labbra. Elisabeth, non potendo sopportare più quel senso di benessere e di calore, balzò in dietro e perse quasi l'equilibrio. Fortunatamente vi era un tavolo su cui si sorresse.
Colin barcollò ma non prima di aver fatto un'acida affermazione « Cosa diavolo ti è preso,
gitana?»
«Sono sposata! Oddio, cosa stavo facendo! Sono una peccatrice! Io ho giurato, capite? Davanti a Dio! Stavo per commettere adulterio! Oh santa pace!» gli occhi le si riempirono di lacrime.
«Elisabeth» le prese un braccio e lo accarezzò, ma lei si spostò immediatamente, come se il suo tocco le bruciasse la pelle. «Vi prego, non comportatevi così, non abbiamo fatto nulla di male.»
«Come potete parlare così? Ah, giusto, voi non siete vincolato da un falso contratto matrimoniale! Perfetto, signor Bekwell, nessuno vi può imporre di non sedurre giovani donzelle nel vostro palazzo, ma non toccatemi mai più.»
«Orsù Elisabeth, siete un po' troppo suscettibile.»
«Suscettibile. Ah, io! Suscettibile io!»
«Si, voi»
«Molto bene. La macchia ve la pulirete da sola.»
«Non intendevo offendervi, davvero.»
«Non sono affatto offesa, ve lo garantisco.» Stizzita, gettò lo straccio sul petto di lui, che prese prontamente. Appena Colin alzò lo sguardo per scusarsi nuovamente, Elisabeth si era già dileguata nei lunghi corridoi.
Si portò quel pezzo di stoffa al naso e lo odorò. Poteva ancora sentire il suo odore di pane e miele.


 


 

Ho iniziato una nuova storia, si chiama «Bocca di rosa» ed è, ovviamente,di genere romantico. Leggetela se vi va!
Un bacio a tutte e alla prossima.


 

Lady sticklethwait

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22. ***


                                                                 Capitolo 22.


 


«Ci chiamano il 'sesso debole'. Noi donne. Il sesso DEBOLE. Capite, signora? Che orrenda definizione! Esser etichettata così da coloro che hanno più affluenza di sangue nei 'paesi bassi' che al cervello, è davvero sconcertante. Non capisco. Insomma, intellettualmente parlando, non penso ci siano differenze tra uomini e donne. Ringraziando Iddio siamo tutte dotate di un quoziente intellettivo che si presuppone sia elevato - ho detto si presuppone, signora. Per farvi un esempio, il mio roano è molto più perspicace, sagace, raziocinante ed altri sinonimi affini, di molte ragazze che debuttano in società - , ma non è questo il punto. O forse si.»
La sig.ra Stander annuì e con accondiscendenza mosse il bastone per esortarla a parlare.
«Ovvero, voglio solo capire perché a noi donne non siano concessi molti privilegi di cui godono solo gli uomini. Che differenze ci sono? Sig.ra Stander? Mi state seguendo?» inclinò il capo e socchiuse gli occhi.
Ella borbottò un qualcosa come proseguite.
«Ma vi ho appena posto una domanda. Sarei esterrefatta di conoscere il vostro giudizio critico al riguardo.»
«Non penso di potermi schierare da nessuna parte.»
«Perché?» chiese con una nota di delusione nella voce.
«Non sarebbe oggettivo brandire spade e bastoni ed andare contro chi, indubbiamente, è più forte di noi. E' una battaglia persa.»
«Non la penso così. Ecco, se noi invece ci dibattessimo di più sui nostri diritti, penso che qualche buon samaritano, prima o poi, possa venirci in contro.»
«Non capisco a quali diritti vi state riferendo, signora Kerwin.»
«Politica, commercio, affari e...Bhè, vi assicuro che la lista è davvero lunga.»
«Certo ma...»
«Comunque» sbottò Elisabeth con allegria «ho letto il London Times, e mi sono molto informata sui movimenti da fare in Borsa. Penso che prima o poi, signora Tarlen, raggrupperò un bel gruzzolo di danaro tutto mio.»
e finalmente sarò libera di scappare, aggiunse tra se e se.
«Pensavo che il matrimonio vi avesse giovata, ma a quanto vedo...» Giovata? Elisabeth trattenne a stento una sonora risata.
«Chi dice che il matrimonio debba cambiare le persone? Io sono sempre rimasta ancorata ai miei forti principi, signora Tarlen, e non cambierò MAI per un uomo.»
«Mh, ma davvero?» una voce maschile e virile interruppe il discorso tra le due dame. Colin Bekwell era andato a casa della signora Tarlen con la speranza di parlare con suo figlio, James Tarlen, e guarda un po' chi si ritrovava davanti... Ah, il destino!
Elisabeth, appena vide la figura elegante e sbarazzina di lui, smise di respirare per un secondo. Poi la sorpresa prese il posto alla rabbia e al risentimento, quasi come se schifasse più se stessa che lui.
«Che sorpresa, signore! Volete unirvi a noi?»domandò con riguardo la signora Tarlen.
«Se non disturbo...»
«Oh, sono sicura che la Signora Kerwin sarà più che felice di accettare la vostra compagnia. D'altronde, lo sarebbero tutte le signore di Londra.» esclamò sotto una risatina nervosa.
«La troppa sicurezza è madre della negligenza; ed il timore discreto è il padre dell'attenzione, signora Tarlen.»
«Sono perfettamente d'accordo. Chi è sicuro di stare in piedi, badi di non cadere« sorrise lasciandosi cadere su una poltrona abbastanza vicina a quella di Elisabeth. I loro sguardi si incontrarono; quelli di lui luccicanti e vogliosi di scherno, quelli di lei freddi come il ghiaccio d'inverno.
«Che belle parole, signori.»commentò la padrona di casa sentendosi esclusa dagli sguardi eloquenti dei due.
«Esatto, parole» posò il tè sul piattino di porcellana «molte volte possono essere fraintese, sapete? Soprattutto da noi donne. Si può dire che siamo maestre nel trovare messaggi nascosti in un periodo. Non è forse vero, signor Bekwell? Anche voi coltivate questa subdola passione?». Colin sorrise alla frecciatina di lei «Raramente mi capita di interpretare a mo' di oracolo le frasi del mio interlocutore. Secondo il mio modesto parere, penso sia più semplice recepire il messaggio così come viene presento.»
«Se posso permettermi una critica, penso che voi siate un po' troppo passivo, o magari è pura arroganza; chissà...»
Colin stette al gioco « Arrogante, mascalzone, spettatore della vita... Un autentico mostro, mia signora, mi compiaccio di non essere ancora sulla lista nera di Londra.»
«Aggiungete anche sbadato, dissoluto, manipolatore e...»
«Sono sicuro che stavate per dire affascinante.» si trastullò sulla sedia.
Elisabeth si riportò la tazzina sul viso per nascondere il calore che stava lentamente salendo sulle guance.
La signora Tarlen sembrava stordita, e Colin se ne stava sulla poltrona dai colori femminili con un sorriso vincente stampato sul volto.
Elisabeth avrebbe tanto voluto strappargli quell'espressione tanto nota dal volto. Che odioso presuntuoso!
«Oh cielo!» esclamò la padrona di casa appena capì quei pochi insulti che i due si erano scambiati «Signori, che parole acide!»
Colin corrucciò le sopracciglia e strinse gli occhi in maniera adorabile « Mi tratta in modo orrendo, lo sapevate?»
Elisabeth scrollò le spalle, sentendo su di sé lo sguardo accusatorio della donna «Qualcuno deve pur farlo»
«Visto?» fece lui con aria trionfante «cosa vi avevo detto?»
«Elisabeth, cara, cerca di essere più gentile con il
nostro ospite.»
«Ma cosa!» esclamò trattenendosi dall'alzarsi. Rivolse il suo guardo verso Colin, che se la rideva sotto i baffi «Non intendo rimanere qui a perdere le staffe con costui! Voi» lo indicò con indice accusatorio « siete il peggior... Il peggior... Ahhh!» non trovando termini per definire l'indefinibile, chiuse i pugni e si diresse verso l'uscita con passi decisi.
«Pensate che dovrei...»
«Si.»
«Ma se...»
«Riferirò a James che siete passato a trovarlo.»
Egli abbassò il capo in cenno di gratitudine e prese a guardare fuori dalla finestra.
«Colin?» chiese ella con aria familiare per catturare la sua attenzione.
«Si?»
«ORA.»
Egli sobbalzò dalla poltrona, prese un biscotto al cioccolato e salutò la signora Tarlen che aveva in volto l'espressione di chi la sa lunga.




Appena montò sul suo cavallo e scorse Elisabeth, vide che si era tolta il cappellino e lo stringeva con la mano sinistra mente camminava a passo di marcia. Chissà come dovevano splendere i suoi magnifici occhi. Quando la raggiunse fece finta di non notarlo, raddrizzò la schiena e camminò a testa alta. Colin rimase impressionato dall'orgoglio di quella donna impettita. Rallentò il cavallo e si spostò al suo fianco.
«Pensate di poter arrivare a piedi senza bagnarvi o impolverarvi il vestito?»
Elisabeth continuò a guardare avanti in un punto distante dalla realtà «ci riuscirò benissimo.»
«Una donna dalle mille risorse.»
«Milleuno, prego.»
«Giusto, giusto» rispose.
Seguirono altri minuti di interminabile silenzio, poi Colin scoppiò « Mi dispiace immensamente per ciò che è accaduto la scorsa sera. Sono perfettamente in grado di riconoscere quando ho torto. Siamo partiti con il piede sbagliato, Elisabeth, e vorrei rimediare...»
«Non chiamatemi E...»
«Chiamatemi Colin. Penso che siamo diventati piuttosto amici per permetterci qualche informalità.»
Elisabeth sospirò sconfitta.
«Allora, amici?» chiese tendendole la mano destra. Elisabeth si fermò e lo guardò fisso nei suoi occhi, cercando di poter scorgere qualche segno di cattiveria in quelle profondità marine. Nulla. Vi trovò solo uno sguardo amichevole e pieno di speranza. Elisabeth avvicinò lentamente la sua piccola mano fredda a quella calda e forte di lui. Il contatto la fece arrossire senza volerlo, anche perché lui ora la stava guardando con occhi diversi, caldi e senza un ombra di malizia, quasi le promettesse devozione eterna. Devozione a che cosa, poi?
Di scatto Colin allungò anche l'altra mano e ruppe l'incantesimo fatto di sguardi reciprochi, per issarla sul cavallo. Elisabeth non tentò neanche di dibattere quando si ritrovò per la seconda volta contro il petto ampio e muscoloso di lui. Era sicura, non ci sarebbero state molte differenze semitiche tra il suo volto e quello di una barbabietola.
«Sono felice che abbiate accettato di firmare il nostro ultimatum, Elisabeth.»
«Chissà perché ho la sensazione di aver stretto un patto con il diavolo»
«Non avete tutti i torti.» commentò e successivamente il cavallo prese ad avanzare lentamente.

«Allora...» fece lei dopo vari minuti di silenzio « parlatemi di voi.»
«Di me?» il tono della sua voce era incredulo.
«Si, esatto. Raccontatemi della vostra infanzia.»
Colin sorrise all'evidente interesse di lei « Ma certo, milady. Cosa volete sapere di preciso?»
«Non so...Qualche avventura fanciullesca, credo.»

«Sono certo che già immaginerete il mio aspetto.»
«Mh...Non so. Vi immagino come un bambino timido e dolce che da grande è diventato un serpente velenoso. Oh, non fate complimenti, i miei insulti sono gratuiti.» sorrise lanciandogli un'occhiata divertita. Colin stava quasi imparando ad amare quel suo modo di ribaltare la situazione.
«Avete una fervida immaginazione, Elisabeth, perché da piccolo ero tutto men che meno un angioletto
timido e grazioso
«Oh» gesticolò con la mano «sono sicuro che ora state esagerando.»
«Affatto, ero davvero un piccolo demonio.»
Elisabeth gli fece cenno di proseguire.
«Bhè, ricordo che da piccolo, mia madre mi negò l'uso dell'arco di legno per non aver imparato bene una pagina di storia. Ovviamente ero infuriatissimo perché era il mio primo arco da caccia che mi era stato regalato da mio nonno, e non avevo ancora avuto il modo di utilizzarlo. Così, sapendo che mia madre era – ed è tutt'ora – molto pignola per quanto riguarda i libri, mi recai in biblioteca con l'idea di...»
«Oddio! Un vero genio del male» sbottò lei portandosi una mano alla bocca « non ditemi che...»
Colin sorrise «E' stato uno dei miei scherzetti infantili, ed ero davvero infuriato! Sono entrato in biblioteca e ho spostato l'ordine di quasi tutti i libri di mia madre.»
«Come avete potuto!» fece finta di essere sgomenta.
«Al momento mi era sembrata un'azione adeguatamente perfida» scrollò le spalle. « Il peggio è che non si mostrò mai un atto sufficientemente malvagio.»
«Perché?»
«Quella stessa notte, Nina, la nostra domestica, li rimise tutti in ordine ed il giorno seguente mia madre non si accorse di nulla. Inutile descrivere la mia delusione.»
«Eravate davvero un demonio»
«Traumi infantili, non voglio assolutamente parlarne.»
«E poi ve lo fece utilizzare, l'arco?»
«Dovette farlo, oppure avrei sfasciato completamente Bekwell house.» sorrise, ed Elisabeth lo fece di rimando. Un sasso fece sobbalzare il cavallo ed ella rischiò di cadere se non fosse stato per le braccia di Colin che la strinsero prontamente a se. Ella si aggrappò al suo colletto, ed il tempo, mentre i due si guardavano appassionatamente negli occhi, sembrava non scorrere mai.
Il capitolo inizia in media res, quindi non potrete sapere cos'è successo la serata stessa del ballo a casa Bekwell ( dopo che Elisabeth è scappata dalle grinfie del nostro duca) . Magari, nei prossimi capitoli, lo accennerò.
Grazie per la vostra attenzione, buona serata ladies!

Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23. ***


Capitolo 23.


 


 

Buongiorno/pomeriggio/sera a tutte! Premetto che questo capitolo è stato scritto in un lasso di tempo supermegavelocissimo perché domani ho due compiti in classe .
Che bello.
La mia vita è sempre molto entusiasmante.
Vorrei che un meteorite mi disintegrasse ora.
Buona lettura!


 


 

Stranamente, fu Colin a spezzare il gioco di sguardi che i due esercitavano involontariamente.
Stranamente, fu Colin a schiarirsi la gola e a focalizzare i suoi occhi su un punto fisso all'orizzonte.
Stranamente, fu Elisabeth a sentirsi delusa ed insoddisfatta mentre riportava lo sguardo alle sue mani, che stringevano in una morsa il colletto di lui.
Stranamente - o forse non tanto - fu il cielo a decidere di scaricare quelle poche lacrime che gli restavano proprio in quel momento.
Stranamente, da quando si erano conosciuti, sembrava proprio che Dio non riserbasse per se nulla, e decidesse di far nevicare o piovere proprio in momenti meno opportuni.
«Ecco, lo sapevo» commentò aggiustandogli con le mani il fazzoletto color panna e ritirandole immediatamente quando lui le rivolse un'occhiata confusa.
«Nulla» farfugliò.
Colin sorrise e fece per togliersi il cappotto quando Elisabeth lo fermò «Vostra grazia emh... Colin, non dovete farlo, è solo un po' di neve.»
«Non vorrei che si dicesse in giro che il duca di Bekwell non offre il suo ausilio a... Fanciulle in difficoltà.»
«State certo che da questa mio bocca non uscirà nulla.»
«Riguardo cosa?» sorrise ed una fossetta si disegnò sulla guancia ben rasata.
Elisabeth lo sfidò con lo sguardo «voi cosa intendete?»
«Mh...» borbottò pensieroso affondando un po' di più i talloni nel ventre del cavallo «siete voi la schietta - e testarda, oso dire - della situazione. Ma ora lasciate che il mio cappotto vi copra l'esile corpo e la chioma lucente dei capelli» disse con toni teatrali e si tolse il cappotto esercitando il controllo dell'animale con l'uso delle gambe.
Ad Elisabeth, della neve, non le poteva importare più di tanto. Anche se l'aveva sempre adorata da piccola, ora che viveva in Inghilterra, si era così abituata da definirla un contrattempo noioso e ripetitivo.
E poi... E poi, vi era anche il fatto che non sentiva per nulla freddo. Anzi, un bel tuffo nel laghetto vicino casa l'avrebbe alquanto giovata.
«Grazie mille.» sussurrò stringendo i lembi dell'abito sul suo petto, quasi come uno scudo.
Colin rispose portandosi la mano sul cilindro nero, e, con uno strattone, riprese abilmente le redini.
Di quel passo sarebbero arrivati a casa entro una decina di minuti. Eppure, quella maledetta sensazione di torpore e felicità non voleva andarsene, soprattutto ora che poteva osservare meglio il profilo dell'uomo davanti a lei.
Accorgendosi di essere osservato, Colin sorrise imbarazzato, come solo lui sapeva fare.
Era sicura al cento per cento, anzi, al mille per mille che quel sorriso avrebbe fermato una guerra, se fosse stato necessario.
«I vostri occhi brillano, mia diletta. Spero che siano pensieri felici, quelli che abbindolano la vostra mente.»
«O magari, con i tempi che corrono e non salutano, è solo influenza.» pochi secondi dopo, Elisabethe realizzò di aver utilizzato una delle battute più scadenti del suo ampio repertorio.
Colin la guardò amareggiato e si portò una mano al cuore «Sono mortificato, lo dico sul serio! Ma questa, è stata davvero una delle battute più squallide che io abbia mai sentito...»
Elisabeth mise il broncio prima ancora di sentire interamente la frase « ed ora, penso seriamente di amarvi» sbottò con una risata che riempì tutto il vuoto di quell'orribile e meravigliosa giornata.
«Oh» fece lei portandosi una mano sulla bocca, come se il mondo fosse crollato proprio in quel momento. Poi, stando al gioco, rispose assumendo un tono umile ma onesto «ma milord, come può, una gitana come me, essere l'oggetto di tanto affetto da parte di sua signoria?»
«Davvero un bel copione, Elisabeth, ma non è così che parlano le donne d'alto lignaggio.»
«Ah, ma davvero?»
Colin le lanciò un occhiatina maliziosa «nonostante sia stato la rovina di tutta la mia famiglia, penso di aver imparato abbastanza sui 'trucchi-femminili-infallibili-accalappia-uomini'.»
«Volete dire che è questo il segreto del vostro successo con le donne? Sempre se ne avete, si intende...»
Colin tossì «oh-oh! Sento aria di sfida! Qualcuno ha insinuato che non ho successo con le donne, o sbaglio?»
«Non ho insinuato, l'ho esplicitamente detto.» alzò il sopracciglio. Com'era bello scherzare insieme a lui!
«Come mai ho la sensazione di essere stato marchiato sulla lista nera dell'inferno? Voi, milady, state seriamente mettendovi in un grosso guaio.»
«E' una minaccia?»
«E' una affermazione. Ed ora, se non vi dispiace, lasciate il posto ai professionisti.»
Elisabeth abbassò il capo e nascose mezzo viso nel cappotto mentre vedeva la preparazione di Colin.
Egli alzò il mento in modo assolutamente femminile, la squadrò di sottecchi e fece un tipico movimento femminile con le labbra.
Poi si avvicinò e spalancò improvvisamente gli occhi «Oh, cielo cara, buona
ffera! Non vi avevo riconofiuta! Fiete davvero incantevole con quefto veffito di velluto.»
Elisabeth era completamente scossa da grasse risate, e Colin continuò il discorso, assumendo la pronuncia blesa di una famosa pettegola. « Come
ftanno i voftri adorabili bambini?»
Ella riuscì per pochi secondi a trattenersi, e chiese di quali bambini stesse parlando.
«Ma
fignora! I belliffimi bambini Kerwin che potrefte avere! Già immagino i nomi, oh! Farah, Felene, Famuel, Fampronio... Oh, e che bel nome farebbe fandocan!»
«Sandocan?» domandò tra le risa.
Colin annuì e cercò di inchinarsi, come più poteva, sopra il cavallo.
I fiocchi di neve cadevano sempre più intensi, finché i capelli di Elisabeth vennero irrimediabilmente coperti da uno strato bianco che spiccava contro i riccioli ramati di lei.
Non riuscì a trattenersi; la risata, il suo calore, gli occhi verdi lucenti, il colore della pelle, il profumo di pane caldo e miele, la sua vicinanza, la bocca rosa, la sua piccola voglia a forma di Irlanda sul collo, e sarebbe potuto andare avanti, se non fossero stati nelle prossimità del castello.
«Elisabeth» il tono della voce serio «devo dirvi una cosa...
»
Ella sorrise per incoraggiarlo, e Colin le prese la mano destra. Era fredda e piccola, come quella di una bambina, e la sue dita calde e da pianista le accarezzarono l'interno del palmo con piccoli movimenti
Stranamente, Elisabeth incastrò le mani con quelle di Colin, ed entrambi seppero che loro erano i pezzi mancanti per completare il puzzle.
Stranamente, fu in quel momento che arrivarono sotto al grande palazzo strappa sogni.
Stranamente, Colin non riuscì più a scandire una sillaba e rimase imbambolato mentre Elisabeth staccava le dita dalle sue e con movimenti dolci gli restituiva il cappotto.
Stranamente, rimase immobile davanti
casa sua, e per la seconda volta si portò il tessuto al naso per ispirare la fragranza di lei.
Stranamente, la neve cessò di scendere proprio in quel momento, e vide Elisabeth affacciarsi dalla finestra dell'ala nord-est della casa per mandargli un sorriso splendente.
Colin sentì le pareti del suo cuore tremare finché si accorse di essere completamente infreddolito.





Nuova storia. “Bocca di rosa”. Leggetela se volete perdere tempo.


 

Lady_Sticklethwait.


 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. ***


Capitolo 25.


 

«Capite, Ruark? Non riesco proprio ad intuire come sia potuto accadere; in fondo, Stephen, mi era sempre apparso come un uomo dai gusti raffinati e che prediligesse di buon senso!
Che destino crudele, finire sul patibolo.. Emmh... Sposarsi così presto.
Non lo auguro a nessun uomo. Mai.»

Tratto da una lettera di Colin Bekwell inviata dall'università di Cambridge al suo amico Ruark Tarlen.

 

 

Carissima signora Kerwin,
E' con tutta la mia più completa stima e sincerità che sto scrivendo questa lettera. Domenica ci sarà una battuta di caccia organizzata da me medesimo, e sarei davvero deliziato di potervi rivedere almeno un'ultima volta prima della mia partenza per l'America.
Credetemi, mi rammarica moltissimo sapere di dover lasciare l'Inghilterra, ma spero che non vogliate aggiungere un ulteriore dolore declinando il mio invito.
Chiaramente, vostro marito potrà unirsi a noi. Sarebbe sicuramente molto interessante conoscere l'uomo che ha avuto la fortuna di sposarvi.
Non vorrei dilungarmi troppo, Milady; sappiate solo che confido tutte le speranze e le mie gioie in voi, sperando che abbiate compassione per un uomo che non chiede altro di vedere il vostro angelico volto un'ultima volta.

Vostro devoto ammiratore,
Ruark Tarlen.

Elisabeth, appena lesse quella lettera, scoppiò a ridere. Non per l'invito, ovviamente, ma per la parte in cui aveva nominato suo marito.
L'uomo che ha avuto la fortuna di sposarvi. Rise di nuovo al pensiero, pensando che tra lei e suo marito poteva esserci di tutto, fuorché la gioia di essere coniugi.
Ruark. Ma per quanto tempo ancora avrebbe dovuto sopportare le maniere di quel rozzo yankee?!
Sospirò. Non voleva di certo accettare l'invito come se nulla fosse successo fra loro, ma non poteva neanche declinare quando veniva esplicitamente richiesta la sua partecipazione. E poi, quando si trattava di battute di caccia, Elisabeth non si faceva mai indietro.
Ora, però, era una donna sposata; chissà cosa le avrebbe detto suo marito quando l'avrebbe vista in abiti da maschio, pronta a seguire i cani per la caccia. Azzardò a pensare che avrebbe sicuramente chiesto il divorzio, lì, davanti a tutti. Che bello sarebbe stato!
Ma Elisabeth si costrinse a riaprire gli occhi, conscia che doveva rispondere a quella lettera prima possibile. Non voleva assolutamente ritrovarsi Ruark a casa sua per chiederle personalmente il suo assenso o no. Sarebbe stata una cosa terribile! Tremò al solo pensiero di quel bacio. Nulla, rispetto alle sensazioni che aveva provato con...
Scosse la testa. Ma che diamine le prendeva? Lei e Colin non si erano ancora baciati e
mai sarebbe accaduto!
Certo, Elisabeth, non accadrà mai, vero?
Ella si prese la testa fra le mani e appoggiò i gomiti sulla scrivania, con aria corrucciata, come quando i bambini non vogliono il piatto di broccoli che gli si propina quotidianamente.
Prese la penna tra le mani, ed iniziò a scrivere.

Carissimo Signor Tarlen,
No, forse non era il caso di esprimere tanta familiarità. Prese un altro foglio.
Egregio Signor Tarlen,
No, troppo formale ora! Nella foga di accartocciare l'epistola fece cadere l'inchiostro che le macchiò inevitabilmente i polpacci.
«No, cavoli!» imprecò alzandosi di scatto vedendo la macchia nera farsi spazio sulla scrivania.
«Elisabeth, sei ufficialmente una stupida.» borbottò tra se mentre cercava di mettere al riparo le poche cose rimaste indenni all'inchiostro nero come la pece.
Elisabeth era così indaffarata che non sentì la presenza di suo marito alle spalle.

«Problemi in paradiso?» chiese con aria ironica.
Elisabeth fece un grugnito poco signorile e prese a sistemare gli oggetti con sistemata irritazione.

«E' così che salutate vostro marito? Sono mancato per una settimana, e l'accoglienza è un grugnito bellicoso?»
La donna si girò, gli occhi in fiamme per essere stata disturbata da quell'uomo tanto odioso e fece un inchino beffardo «Buongiorno Milord, è un onore per me poter contare sulla vostra presenza. Addio» sorrise e ritornò alla sua postazione iniziale. Purtroppo non si era accorta che, per mettere in salvo altri oggetti, li aveva sporcati con le mani piene di inchiostro. La tentazione di buttar giù un 'maledizione' era
molto forte.

Colin rischiò di scoppiare a riderle in faccia- o, meglio, in schiena- nel vedere l'impegno di Elisabeth. Quella donna era davvero un demonio.
«Buongiorno anche a voi, Milady. Cosa ne dite di divertirci con una di quelle conversazioni che, mi dicono, si usano tra marito e moglie?» avanzò di qualche passo fino ad appoggiarsi interamente con le spalle al muro, mentre studiava la schiena ed il grazioso collo da cigno di Elisabeth.
«E, se non sono indiscreta, come posso accontentare la vostra richiesta?» disse con gesti plateali, sempre indaffarata con i gingilli della scrivania.
«Voi mi dite qualcosa del tipo ' Caro, carissimo, adoratissimo e gloriosissimo marito mio...'»
«Oh, ma per favore» borbottò.
Ignorandola, proseguì «Amato, amatissimo sposo, cosa avete fatto di bello, quest'oggi?»
Elisabeth sospirò scoraggiata, non seppe se per il marito, la lettera o la scrivania macchiata. O magari tutti e tre.
«Va bene, penso di poter stare al gioco.»
«Molto sportivo da parte vostra»
Lei si girò per guardarlo stizzita, e disse «cosa avete fatto di bello, oggi?»
«Mh... Può migliorare con l'impegno, vero, Elisabeth?»
ODIAVA quando qualcuno la chiamava per nome, ma, ovviamente, era suo marito, ed ogni suo desiderio era un ordine.
Tentò di scoppiare in una risata isterica.
Ogni suo desiderio era un ordine? Ma che razza di frase da schiavista era mai questa?
Sospirò sconfitta e lo affrontò «Mio diletto sposo, l'ansia di sapere come si è svolta la vostra mattinata mi lascia senza fiato, e non oso immaginare a qualcosa di meno importante ed emozionante da fare in questo momento» si schiarì la gola ed esordì un sorriso smagliante «
proprio non ci riesco» disse a denti stretti per la rabbia.
«Migliorate a vista d'occhio, Elisabeth! I miei più sentiti complimenti. Per quanto riguarda la vostra domanda, penso sia mio dovere rispondervi in modo completo ed esaustivo.»
Elisabeth fece un sorriso forzato e lo esortò a continuare.
«Non sono affari che vi riguardano» disse semplicemente Colin, ed uscì dalla stanza prima che sua moglie avesse intenzione di tirargli una scarpa addosso. E non era un modo di dire. Elisabeth ne sarebbe stata davvero capace.
La donna rimase immobile, e solo pochi secondi dopo si accorse delle unghie conficcate nella scrivania. Perfetto, ora si era anche graffiato.
Come era odioso quell'uomo! Ma chi diavolo si credeva di essere!

«No, io non lo sopporto proprio. Non lo sopporto, non lo sopporto, non lo sopporto.» borbottò mentre si avvicinava alla finestra per guardare l'immenso giardino coperto di neve. La fontana era completamente ghiacciata ed una fitta nebbia copriva i rami degli alberi spogli, dandole l'illusione che possedessero solo il tronco. Rise all'idea di vedere suo marito come quegli alberi. In realtà era così; era come se lord Kerwin non possedesse un capo, ma solo un corpo grosso e perennemente vestito di nero. Se ci pensava, il suo aspetto fisico non era neanche tanto malmesso. Anzi, forse in gioventù poteva esser stato anche un uomo dal fascino magnetico e magari dai profondi occhi azzurri che... No, ancora!
«Non posso crederci» commentò mentre si redigeva bruscamente verso la sedia bianca. Colin Bekwell la tormentava ovunque, anche quando stava pensando a suo marito!
Il ché era molto strano, rifletté. Ogni volta che pensava a suo marito era portata a paragonare le due personalità, senza riuscire mai a finire la frase. Lord Kerwin e Colin Bekwell erano, indubbiamente, due persone dal carattere e dall'aspetto fisico completamente opposti.
Suo marito, ad esempio, era molte volte tetro e silenzioso; bastava pensare che non si faceva mai vedere. Da una parte era un bene, anche perché Elisabeth aveva ormai abbandonato da tempo l'idea di esasperare una persona che poteva permettersi anche la luna, se avesse voluto. Dall'altra parte, invece, si stava rendendo conto che la sua vita in quella enorme casa, senza la presenza di un qualcuno che la volesse bene, stava diventando davvero difficile. Non che le domestiche non la tenessero compagnia, anzi, erano molto affidabili e chiacchierine – come del resto, tutte le servitù dell'intera Inghilterra -. Ma forse, quello di cui aveva bisogno, era un po' di affetto. Non pretendeva l'amore di suo marito, ovviamente, ma qualche gentilezza ogni tanto, qualche gesto di tenera comprensione o addirittura una confidenza personale...
«Sei una stupida, Elisabeth, credi ancora nelle favole» disse prendendo un foglio nuovo per scrivere la lettera.
Colin, invece...Bhè, Colin era Colin! Come poteva mai descriverlo? Aveva un carattere brillante dal sorriso facile, e quando la guardava intensamente le sembrava di scorgere un luccichio quasi diabolico in quegli occhi troppo profondi. E così, ogni volta che si trovava dinanzi a quell'uomo, continuava a ripetersi mentalmente di esprimere frasi di senso compiuto e che non la facessero sembra una stupida. Soggetto, verbo, complemento. Facile, no?
Ovviamente, se non erano le parole a farla sembrare una scema del villaggio, lo erano i fatti. Ovunque si trovasse,
ovunque andasse, se era in prossimità di una figuraccia, c'era lui. Sempre. Era un fatto matematico. Situazioni imbarazzanti? La risposta era sempre Colin.
Non sapeva perché, e non sapeva neanche come, ma ogni volta che suo marito le si accostava più vicino di quelli che erano i canoni dettati dalla
distanza anti-stupro, sentiva le stesse ed identiche sensazioni che provava quando Colin la guardava o addirittura la sorrideva. Era letale.
Si chiese se fossero stati i tipici fratelli gemelli separati dalla nascita: uno bello come un dio, l'altro... Bhè, magari anche suo marito era bello! Ma questo poco importava, soprattutto se doveva contrattare con un orso come lui. Persino Colin le sarebbe risultato meno attraente se... No, impossibile. Colin era Colin, e non si sarebbe mai comportato così con lei. Lui era spiritoso, vivace, proveniva da una famiglia nobile e, per l'amor del cielo, era un duca! Il duca di Bekwell. Chissà quante responsabilità implicava l'essere duca... Non che lei lo sapesse, ovviamente, ma per possedere un titolo nobiliare così alto dove sicuramente essere al corrente di tutti i progetti, terre, lavoratori...
Perfetto, un altro pregio a suo favore. Vivace, nobile ( non che ciò le importasse particolarmente, dato che anche lei era una duchessa ) ed intelligente. Bhè, la bellezza non poteva essere considerata un pregio, dato che era quella la sua arma letale. Oh, se solo non fosse stato così affascinante!
Elisabeth sospirò e riportò lo sguardo sul nuovo foglio immacolato che poggiava sulla scrivania. Magari, se avesse accettato l'invito, sarebbe stato presente anche Colin!
Quella iniziativa la scombussolò, ed il cuore prese a batterle velocemente.
Magari, rifletté, si sarebbe divertita, e
qualsiasi fonte di distrazione, che fosse anche Ruark Tarlen, era preferita piuttosto che restare in quella casa a farsi schernire dai modi barbari di suo marito.
Così, prendendo in considerazione l'invito dello yankee come un alibi per sfuggire alla sua vita monotona e, soprattutto, per incontrare Colin, prese in mano la penna stilografica con il pennino in oro, ed iniziò a scrivere.

 

 

 

 

 

Ecco, un altro capitolo appena sfornato. So che siete ansiose di scoprire cosa avverrà alla battuta di caccia, ma dovevo scrivere questo capitolo per riprendere un po' il filo del discorso con Elisabeth.
Un bacio a tutte. Speriamo che nevichi presto, diamine!
Ed ora, do ut des!


Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 26
*** Capitolo 24. ***


Capitolo 24.

 

 

Quando ti avvicini divento la persona più solare del mondo. Nel senso che se ti avvicini ti incenerisco.
 

 

 

Un frastuono seguito da un diverbio caotico destarono Colin da suo lavoro e, chiaramente infastidito, si alzò dalla scrivania mandando all'aria una moltitudine di carte.
«Ma cosa diavolo succede?» urlò scendendo le scale con movimenti decisi e ritmici.
Una serva gli si parò davanti giustificando la confusione con un balbettio incomprensibile.
«Cosa succede?» il suo sguardo si puntò su Abel, il maggiordomo, che tentava invano di chiudere la porta con uno sforzo immane.
«Abel, smettila!»
«Ma signore, avevate detto che non volevate essere disturbato e...»
«Fatelo entrare.» disse avvicinandosi alla porta e questi si spostò.
Ruark Tarlen si catapultò così velocemente nel salone che per poco non cadde.
«Ruark, che bella sorpresa!» sorrise mostrandogli il palmo aperto che venne immediatamente afferrato da questi.
«Ma è pazzo? Perché non lo licenzi? Per poco non mi chiudeva la mano nella porta, dannazione.» guardò in cagnesco il maggiordomo che assunse un'espressione di fedele lealtà al padrone.
«Ho chiesto io di non essere disturbato, ed Abel ha recepito perfettamente i miei ordini» strizzò l'occhio al maggiordomo e condusse Ruark al piano di sopra, nel suo studio.
Quando Colin chiuse la porta, Ruark iniziò a camminare rumorosamente avanti ed indietro per la stanza, mormorando parole incomprensibili.
«No, non ce la faccio. E se poi... No, non funzionerebbe. Eppure, se io solo potessi... Non ho i mezzi, ecco. Non ho nulla, sono destinato ad essere infelice per sempre! Colin!» urlò ascoltandolo intonare un motivetto molto in foga durante la stagione; egli stava raccogliendo le numerose carte che erano irrimediabilmente sparpagliate sul tappeto rosso vermiglio.
«Mi stai ascoltando? Sembri un pazzo. Un pazzo che canta e raccoglie delle stupide carte. Chiama una serva e falla lavorare.»
Colin alzò di sorpresa il capo e gli concesse un sorriso indulgente ed ironico « Sai, Ruark, sono passati appena due minuti ed hai insinuato che io, i miei servi ed il mio maggiordomo siamo tutti pazzi. Non è che...?» sorrise.
Ruark sbuffò e si accasciò sulla poltrona davanti alla libreria, esaminando un paio di volumi con i segnalibri. Prese in mano
Storia parlamentare dell'Inghilterra. Mh, gli sembrava abbastanza grande per picchiarselo sul capo.
«Dimmi un po', caro amico Ruark, come mai ho l'onore di questa visita?»
Ruark non rispose. Colin si alzò e lasciò perdere le carte per sedersi sulla sua scrivania, come faceva sempre quando si trovava a suo agio.
«Allora? Non avrai perso la lingua»
Ancora silenzio.
«Va bene, ho capito» aprì un cassetto e vi cacciò una bottiglia di Cognac abbastanza grande da destare l'attenzione dell'amico.
L'alzò come un trofeo « E' il migliore che io possegga.» guardò l'iscrizione sulla bottiglia « ventiquattro anni di invecchiamento.»
«Puah» sbottò Ruark avvicinandosi interessato. « E tu lo apri solo ora?»
Colin fece spallucce ed iniziò a versare una grossa quantità nei grossi bicchieri di cristallo.
Ruark ne scolò una grossa quantità d'un colpo. Perciò, prese a tossire sotto la risata di Colin.
«Cosa... Ridi?... Sto.... per morire... Infame»
Egli si alzò e gli diede una grossa pacca sulla schiena. Chissà come, la tosse si fermò all'istante lasciando solo un grosso bruciore sulla gola di Ruark.
«Grazie» sussurrò.
«Si vede che non sei abituato a bere» commentò sorseggiando il suo Cognac « Squisito, non trovi?»
«DA MORIRE»
«Ora parla, amico. Oggi ti trovo più stupido del solito, e ti assicuro che è un complimento.»
Si guadagnò un'occhiataccia.
«Hai una brutta faccia. Non che la tua faccia mi piaccia molto, però...»
«Ho capito, Colin, ho capito!»
Egli sorrise, contento di aver istigato il suo amico a parlare
«E' per quella ragazza. Lo sai già, stessa storia stesso problema.»
«Uhuh, allora è per questo che prima deambulavi. Vedo che è cosa seria, amico.»
«Lo è.» rispose in cagnesco.
«Perfetto. Sei venuto nel posto più giusto. Altro che Bekwell House, dovrebbero chiamarla
Il covo dell'intelligente, affascinante, ruba cuori, simpatico...»
«Stupido» aggiunse
«
Romantico Colin. Lo dici sono perché sei invidioso di me.»
«Certo, chiunque vorrebbe essere al tuo posto, hai ragione.»
Colin alzò un sopracciglio «Non mi piace essere adulato. Serve solo a gonfiare l'opinione che ho di me, e si tratta di una cosa pericolosa. Sono già troppo arrogante così»
«Come vuoi. Comunque sia, non voglio parlare di questo.»
Ancora silenzio nella stanza.
«Colin...» la voce di Ruark era incredibilmente cambiata; da forte, dura ed ironica a dolce e quasi rotta dal pianto «Sei mai stato innamorato?»
«L'amore è per le persone forti e dolci.» disse guardando in controluce il liquido giallastro nel bicchiere.
«Tu mi sembri abbastanza forte.»
«Certo, ma non sono dolce.»
o almeno, non sono dolce come lei.
«Pensavo che alle donne piacessero gli uomini forti, non i rammolliti.»
Colin rise davanti a quella affermazione «Oh, uomini forti, certo! Ce ne sono quanti ne vuoi, è questo il problema! Trovami invece un uomo vero»
«Io penso di esserlo. Eppure, non riesco proprio a conquistarla!»
«Allora non lo sei» disse semplicemente guardandolo negli occhi.
«Stai insinuando che io non sia abbastanza uomo da conquistare una donna?»
«Sto insinuando che tu non sia abbastanza uomo da conquistare
LA donna. E' diverso, amico.»
«Bah» sbuffò Ruark muovendosi irrequieto «tutte quei libri ti hanno istupidito.»
«Allora, mi dici chi è?»
«E' un segreto.»
«Ruark, pensi davvero che io possa, in qualche modo, cercare di conquistare la
tua femmina?»
«Penso ci sia un motivo per cui tutte le donne baciano il suolo dove cammini.»
Colin scoppiò in una rumorosa risata « Credimi, non è così.»
«Davvero? A me sembra proprio il contrario» prese a rimuovere dei peli invisibili sul suo panciotto color crema.
«Si. O, almeno, guarda un po' che ironia, la vita! L'unica donna che mi interessa, se potesse, scapperebbe alle
colonie* pur di non rivedermi» sorrise amaramente e scolò il bicchiere d'un sorso. Fortunatamente non tossì.
«Ah, come ti capisco. Ho tentato di dimenticarmela, ma non ci riesco! Ogni notte il suo profumo e e e... Non lo so. Non lo so! Sto per impazzire, amico.
IO DEVO AVERLA.»
«Calma i tuoi istinti, Ruark, con la rabbia non otterrai di certo un bel niente. Dimmi un po', lei lo sa che nutri dei sentimenti indubbiamente nobili per lei?»
Il suo interlocutore si gratto il capo e prese a rigirare un orologio d'argento tra le mani.
«Penso di averglielo fatto capire, sì» sussurrò ripensando al bacio rubato ad Elisabeth.
«E lei è ben disposta ad accettare le tue
avances
«Non sa di amarmi, ma prima o poi lo capirà, me lo sento Colin. Vorrei solo che tu mi aiutassi a farle aprire gli occhi il più presto possibile. Ah, bhè è anche sposata. Ma non penso ami suo marito, quindi non c'è pericolo.»
Colin alzò un sopracciglio: cosa significava
non sa di amarmi ma prima o poi lo capirà? «Come posso aiutarti?» domandò incredulo.
Ruark si porto le mani al capo, in un gesto disperato «penso di essermi comportato in modo un po' rude con lei. Magari, se vedrà che posso reggere il confronto con te – e stai sicuro che farò di tutto pur di apparire meglio di te – si ricrederà.»
Colin scoppiò a ridere e, sotto lo sguardo interrogativo dell'amico, commentò « sei proprio esasperato, Ruark.»
«Lo so, amico, lo so. Sono innamorato marcio.»
«Sono disposto ad aiutarti, in cambio di un favore.»
Egli si spose in avanti « sono tutto orecchie.»
«Coltivi ancora l'amicizia con quel fioraio? Ecco, vorrei regalare dei fiori a ...» si fermò in tempo. Stava per dire
mia moglie.« alla mia amante. Penso sia carino viziarla un po'» improvvisò.
«Ma certo, ma certo» disse con aria di chi la sapeva lunga su quell'argomento «Rose rosse?»
«Rosse come le sue labbra, si» .
Appena si accorse di quella similitudine da perfetto
scemo, sorrise imbarazzato e cercò di giustificarsi con un «Non è come sembra...»
Ruark gli si avvicinò trionfante « ah ah! Colin innamorato della sua amante! Che scandalo pazzesco. E' sposata?»
Egli lo guardò con aria di sfida « E' un segreto.»
«Andiamo,
sex-machine, come si chiama? »
«E' un segreto» ripeté sorridendo «ed i segreti non si dicono.»

Ruark sbuffò e si avvicinò alla porta seguito dallo sguardo del duca « Ci rivedremo alla prossima battuta di caccia, che organizzerò io stesso. Inviterò la ragazza e farò in modo che non possa declinare l'invito. Per il resto, confido su di te.»
Colin gli fece un simbolico assenso con il capo e, quando Ruark uscì, un sorrisetto da mascalzone gli incorniciò le labbra.
« Ah, l'amour! C'est un terrible tragédie!» urlò sulle scale sentendo rimbombare la sua voce per tutta la casa.
Per l'ennesima volta, le serve lo guardarono come se fosse il solito ragazzino senza speranza, ed era vero! Se Colin avesse smesso di ridere, non ci sarebbe stata più speranza per l'intero pianeta.




Colonie* : America. Gli Inglesi, dopo aver fondato delle colonie stabili nel nord America, presero a chiamare così i loro abitanti e l'intero paese.

Capitolo molto breve, lo so, ma sono davvero stra impegnata, e l'ho scritto tutto durante questa mattina.
Ringrazio tutte le mie lettrici per i complimenti e, perché no, anche per le critiche! Cerco di rispondervi tutte e, se avete qualche dubbio o magari consiglio, potete sempre contattarmi privatamente!
Disponibilità massima.
Detto ciò, torno a ripetere che è in corso anche un'altra storia: “Bocca di rosa”. Cercherò di aggiornarla al più presto possibile.

Finché rimarrò su Efp, posso assicurarvi che pubblicherò
sempre romance storici. Perché? Bhè, è il mio genere preferito, e spero di migliorare sempre di più riguardo alla descrizione degli ambienti aristocratici.
Bene, ora che sono sicura di avervi abbastanza annoiate, posso prendermi un attimo di riposo. Un abbraccio!!

Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26. ***


Capitolo 26.

 

 

Colin sapeva benissimo che le battute di caccia non si organizzavano a Febbraio, perché forse, ma proprio forse, vi era sotto sotto un motivo: sul terreno c'era ancora la neve.
Non seppe se maledire se stesso per aver accettato ad aiutare un amico, oppure se maledire Ruark per avergli indubbiamente fatto perdere un altro paio di stivali nuovi.
Decise di incolpare l'amico, e spronò il cavallo quando intravide sua proprietà.
Se c'era una cosa che più odiava al mondo, era andare a caccia. Non sopportava di vedere quegli animali soffrire solo per il puro e perverso divertimento umano. Perciò si era proposto di vedere la ragazza, capire che tipo era, dare alcuni consigli a Ruark e poi sfilarsene dalla marmaglia come se nulla fosse successo.
Il suo stomaco brontolò. No, forse era meglio anche mangiare qualcosa.

Ma non aveva già fatto colazione?
Immerso com'era nei suoi pensieri, non si era accorto che Ruark era praticamente a pochi metri davanti e gli sorrideva felice.
Fortunatamente riuscì a tirare le redini in tempo, prima che si facesse male.
«Ma sei impazzito? Potevo ucciderti.»
«Ho fiducia in te»
«Beato te» borbottò e scese con movimenti rigidi ed abili. Odiava essere al centro dell'attenzione, anche se vi era abituato, ma in quel momento tutti, uomini e donne, lo stavano guardando incuriositi.
«Perché hai invitato così tanta gente? Ne bastavano una ventina.»
«Meglio abbondare per non destare sospetti» controbatté Ruark portando il cavallo nella stalla.
«Non è illegale corteggiare una donna.» rifletté.
Ruark non rispose a quell'affermazione e, appena furono soli, gli mise le mani sulle spalle «Colin. Se qualcosa dovesse andare storto, io...»
«Ma smettila! Ora stai parlando come un ladro.» disse scostandosi dalla stretta di Ruark, e prese ad accarezzare il suo purosangue.
«Tu non capisci, non sai com'è fatta quella donna. Lei è...» si bloccò e con il dito allentò alcuni bottoni della camicia, come se facesse troppo caldo.
«Stai bene? Dio, ti prego, dimmi che non stai per vomitare... »
Ruark continuò a guardare un punto con occhi luccicanti e Colin segui il tuo sguardo.
Vide una donna che volgeva loro le spalle, con lucenti capelli ricci e pantaloni da cavallerizza.
La donna si abbassò, intenta a pulire i residui della neve sulle zampe del cavallo, ignara del fatto che tutti la stessero osservando con aria interrogativa.
Colin soffocò una imprecazione quando il pantalone aderì perfettamente alle cosce esili e soprattutto alle natiche, rivelando o
gni.Sua.Santissima.Forma.
«Cristo» borbottò Ruark che sembrava aver ripreso la facoltà di parola «è lei.»
«Lei chi?» mormorò Colin senza togliere lo sguardo dalla figura davanti a se.
«Elisabeth»

In quello stesso momento la donna si girò verso di loro e, non appena scorse Colin, sorrise.
«Signora Kerwin» esclamò Ruark dirigendosi verso ella, che lo squadrò con cortese gentilezza.
«Signor Tarlen»
Egli prese la mano e se la portò alla bocca « siete splendida, quest'oggi.»
Elisabeth sorrise di nuovo e lanciò timidamente un occhiata a Colin; aveva distolto lo sguardo e sembrava molto impegnato a guardarsi gli stivali.
«Ma, ovviamente, lo siete sempre, non fraintendetemi» continuò Ruark con aria galante «e vedo che avete indossato anche gli abiti appositi per cavalcare.»
«Si, è molto più comodo che utilizzare le gonne, signore»
«Ruark. Chiamatemi Ruark, ve ne prego.»
Ella sorrise ed indicò il cavallo irrequieto « non è abituato a vedere tanti suoi coetanei.»
«Potete metterlo nelle stalle ; inizieremo la caccia non appena saranno arrivati tutti gli ospiti.»
«Siete sicuro che vi sono degli animali da cacciare, in queste terre? Emh» si corresse subito «ovvero, è ancora inverno e...»
«Ci sono centinaia di volpi lungo i percorsi, le ho viste io stesso e vi posso assicurare che non passano inosservate, se è questo che vi preoccupa.»
Elisabeth fece una smorfia poco signorile ed entrambi si avviarono nella stalla tiepida.
«Buono, Bimbo, buono» sussurrò all'animale vicino a se che stava iniziando a sbuffare e a nitrire.
«Non è un po' troppo focoso per voi?» chiese Ruark ammirato dal fatto che una donna potesse calmare una bestia del genere con il suo tocco.
«Assolutamente no. Mia madre lo acquistò per il mio quindicesimo compleanno, e da allora siamo diventati
amici inseparabili. Chiaramente solo io posso montalo, se è questo che chiedete.»
«Sono sicuro, invece, che con un po' di gentilezza e disciplina, chiunque potrebbe montalo» commentò Colin avvicinandosi ai due.
La giacca del completo era stata gettata con noncuranza su una sedia, mentre la cravatta era ben stretta. E, come se ciò non bastasse per conferirgli un aria incredibilmente attraente e dissoluta, le maniche della camicia erano arrotondate fino al gomito, scoprendo i muscolosi avambracci piuttosto abbronzati.
Elisabeth ingoiò un paio di volte prima di risponderlo per le rime. Diavolo, la stava guardando dalla testa ai piedi, e ciò non l'aiutava molto.
«Risparmiamo la disciplina agli uomini, signore, gli animali hanno solo bisogno di un immenso affetto da parte dei propri padroni» sorrise accarezzando il capo del cavallo che emise suoni piacevoli a quel tocco.
«Non ne sarei molto sicuro. Spesso ci vuole anche una certa dose di fermezza ed autorità, come con i bambini.» sorrise a sua volta e si appoggiò con il gomito ad una asta di legno abbastanza robusta.
Ruark si schiarì la gola e riportò l'attenzione dei due su di sé.
«Vi conoscete?»
«No» sbottò Colin seguito immediatamente da Elisabeth che esclamò «si.»
Ruark alzò un sopracciglio.
«No, non ci conosciamo» disse Elisabeth contemporaneamente al «Si, ci siamo scontrati qualche volta» di Colin.
Calò immediatamente un silenzio imbarazzante.
«Bene» disse il padrone di casa «ora che è tutto più chiaro penso di dovervi presentare. Signora Kerwin, questo è...»
«Non c'è bisogno, so benissimo il suo nome.»
Ruark parve rasserenato alla vista di alcuni ospiti e mormorò delle scuse ai due, senza prima aver lanciato a Colin un occhiata di ammonimento ed abbandonò la stalla.
«Cosa ci fate qui?» domandò l'uomo incrociando le braccia sul petto.
«La stessa cosa che state facendo voi, milord.»
«Non vedo vostro marito. Quando avrò l'onore di conoscerlo? E soprattutto: sa che siete vestita come...Come...»
«Come un uomo? Mi stupite, dovreste sapere che sono molto abile nel nascondere gli inviti ed i vestiti.»
«Non avete risposto alla mia prima domanda.»
Elisabeth diede una mela al suo cavallo e si girò di scatto «dovrei?»
Colin fece spallucce e la fissò. Era sconcertante il fatto che fosse sempre bellissima, anche vestita da uomo.
«Non capisco perché abbiate fatto finta di non conoscermi, prima.» commentò con aria vana «ve lo ha detto lui?»
Egli sgranò gli occhi «Prego?»
«Avete capito benissimo»
«Non so quali illazioni stiate facendo sul mio conto, ma vi assicuro che...»
Elisabeth avanzò verso di lui, fino a trovarsi a pochi centimetri di distanza «No» disse scrutando gli occhi azzurri «cosa pensate, che non lo sappia? Credete davvero che io sia così stupida?»
Colin trattenne il fiato, pensando che si riferisse alla sua doppia identità.
«Davvero pensate di essere più furba di me, tutti e due? Ho capito benissimo le intenzioni di Ruark, e non fate il finto tonto, sapete che sto dicendo la verità.»
Egli prese ad avanzare, cercando di instaurare in lei una sensazione di terrore, ma non la vide arretrare neanche di un centimetro. Anzi, alzò il mento e portò le mani sui fianchi, come quando faceva sua madre quando era piccolo.
«Ruark non mi avrà mai. Avete capito? Mai.»
Colin trasse un sospiro di piacere, sollevato da quella affermazione. Dio, e lui che si era anche preoccupato di far concorrenza con Ruark.
La sua felicità era tale che scoppio in una fragorosa risata sotto lo sguardo interrogativo di Elisabeth.
«Cosa avete da ridere?» chiese osservando l'uomo davanti a se piegato in due per le risate.
«Oh, Elisabeth, eravate così terribilmente seria che pensavo stesse per cascare il cielo su di noi» disse in un gemito.
Elisabeth sorrise davanti al divertimento di lui, e si allontanò immediatamente, conscia di essergli un po' troppo vicino.
«Comunque» fece Colin riprendendo la sua compostezza di sempre «non dovete preoccuparvi. Ruark sa benissimo che non ha molte speranze con voi, ed è per questo che mi ha invitato qui.»
«Cosa avete a che fare, voi, con questa faccenda?» chiese con tono ironico.
«Bhè, teoricamente dovrei dargli consigli su come conquistare il vostro cuore, comprendere il vostro carattere, abitudini, hobby, gusti e bla bla bla»
«E praticamente?»
Colin si portò una mano al mento «bella domanda. Bhè, spero proprio che Ruark si dimentichi di voi.»
«Perché?» chiese maliziosa.
«Nessuno ve l'ha detto che siete un po' troppo curiosa?»
«Me lo dicono tutti. Allora, perché volete che si dimentichi di me? In fondo, è vostro amico, e voi dovreste aiutarlo.»
«Stavo pensando di costruire delle museruole destinate agli umani... Quand'è il vostro compleanno?» disse con tono vano.
«Oh, smettetela» rise di gusto e riportò la sua attenzione al Bambino.
«Ruark non può avervi» disse con tono fermo e determinato. «non può.»
Ricalò nuovamente il silenzio nella stalla, ed egli si avvicinò ad Elisabeth. Le prese un ricciolo dalle spalle e ne tastò la consistenza, arricciandoselo sul dito.
Lei lo guardò con aria persa, il viso leggermente arrossato e lo sguardo interrogativo.
«Voi siete mia.»
«Siete assurdo, Colin. Come potete mai pensare una cosa del genere? Io non sono il giocattolo di nessuno e...Smettetela di guardarmi così.»
Colin la scrutò più a fondo e prese ad accarezzarle la guancia bollente.
«Smettetela, ho detto» disse debolmente Elisabeth, sentendosi sciogliere sotto l'intensità di quello sguardo «è un ordine» le tremò il labbro e Colin le alzò lentamente il mento, fino ad annientare la lontananza tra i due volti.
«Non posso.» sussurrò alitandole sulle labbra rosee «non posso resistere.»
Elisabeth rimase immobile vedendo l'uomo davanti a se combattere con se stesso.
«Colin» disse posandogli una mano sul petto, come per tranquillizzarlo «cosa...» non riuscì a finire la frase, perché egli calò le labbra sulle sue.



Mi aspetto molte recensioni con scritto 'FINALMENTE'. Lo so, avete ragione, ma cosa ci posso fare? Sono molto lenta sotto questo punto di vista.
Comunque sia, come reagirà Elisabeth? E cosa succederà se Ruark verrà a sapere che il suo amico lo ha tradito nella sua stessa casa?
Ah, Colin, che testa dura che hai! Per colpa delle tue azioni avventate, ora scoppierà un putiferio!

 

 


Lady_Sticklethwait.


 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27. ***


Capitolo 27.

 

 

 

E' inutile aspettare il principe azzurro.
Alzati e trovalo.

Con ogni probabilità il povero idiota si sarà incastrato sotto un albero o qualcosa del genere...


 

 

Colin non era neanche più sicuro del momento in cui l'aveva baciata.
Fino all'ultimo istante, era stato capace di convincersi che avrebbe resistito alla dolce forma delle labbra. Non era stata proprio sua intenzione baciarla. O, per lo meno, quel poco di lucidità che gli permetteva di considerare la causa-effetto delle sue azioni, erano stati completamente stravolti dal profumo di lei.
Buon dio, era solo un bacio! Cosa poteva mai succedere? Ed un bacio molto casto, dovette aggiungere mentre i cavalli di fianco a loro presero a scalciare e sbuffare.
Elisabeth, ancora stupida dall'azione dell'uomo, era rimasta completamente immobile tra le braccia di Colin. La stava baciando, Dio, lei! Proprio lei! La donna che da piccola aveva giurato insieme alle sue sorelle di dare il suo primo bacio all'uomo che amava.
Era umiliante fare un qualcosa contro la sua volontà, eppure non riuscì a staccare le labbra dalle sue. Erano così assorti nei loro pensieri che non si erano accorti di essere rimasti semplicemente immobili l'uno nelle braccia dell'altro; le labbra di entrambi serrate per la rabbia o forse per la frustrazione.
Colin si allontanò di colpo, quasi come il contatto delle sue labbra potesse bruciarlo.
Elisabeth si sentì stranamente ed inconsciamente ferita, e si portò una mano sul petto, in un gesto di difesa. Poi aggiunse :
«Dovrei...»
«Sta zitta» sussurrò riavvicinandosi nuovamente.
Questa volta, però, Elisabeth mise le mani sul petto di lui per allontanarlo «Non toccatemi»
«Zitta, buon Dio» mormorò a denti stretti mentre le metteva una mano sulla bocca e la stringeva a sé.
«C'è qualcuno qui dentro.» le disse in un secondo momento tra le ciocche scombinate di lei.
Elisabeth sbarrò gli occhi, impaurita che qualcuno avesse visto il loro
bacio.
Guardò il volto di Colin che era indaffarato ad aguzzare la vista per scorgere l'intruso, il suo profilo più affascinante che mai.
Oh, com'era bello stare tra le sue braccia!
Ebbe la malsana voglia di baciargli il palmo della grande mano che era premuto sulle sue labbra.
Un rumore di passi.
Qualcuno si stava avvicinando.
Elisabeth strinse le sue mani contro il petto duro di Colin, che la guardò con sicurezza e le baciò la fronte. Un momento dopo mormorò un flebile «scusa» e la spinse in un pagliericcio appartato appena dietro di lei.
«Colin! Dannazione, ti stavo cercando dappertutto.»
Egli si abbottonò i polsini e si legò il fazzoletto bianco al collo «Scusami, Erik, ho avuto dei problemi di natura... Amorosa, ecco.»
Elisabeth si strinse di più nell'ombra ed ingoiò una manciata di saliva.
L'amico rise e gli diede alcune pacche sulla spalla «Allora, chi è? Aspetta! Non mi dire quella bella cameriera spagnola che è sparita da un bel po' di tempo?»
«Au contraire! Penso di essermi proprio preso una bella cotta, amico mio. Guarda» disse indicando uno stallone marrone davanti a se «guarda che esemplare, che muscolatura e che andamento regale!» aggiunse con enfasi.
«Si, si. Bhè in effetti è un bel cavallo, non c'è ombra di dubbio.»
Colin diede un ultima pacca sul cavallo ed annuì.
Calò il silenzio ed Erik si sentì in imbarazzo.
«Bhè, quindi, ti aspettiamo fuori.»
«Esatto.»
«Allora io vado...» disse Erik indicando l'uscita. Colin annuì.
«Sto per andarmene...»
«Lo vedo» sorrise.
«Esco fuori eh.»
«E' un addio?» chiese con voce commossa.
Erik ridacchiò ed uscì dalla stalla.


«Dovrei schiaffeggiarti.»
«Davvero?» chiese ironico Colin mentre puliva la sua giacca dalla polvere.
«Si.» rispose Elisabeth alzandosi con movimenti decisi ed infuriati. I vestiti erano pieni di paglia, dannazione!
«E allora perché non lo fai, dolce, morbida e cedevole Elisabeth?»
Ella uscì dall'ombra e si diresse a passi di marcia davanti l'uomo «Ma come vi permettete di usare questi aggettivi così vergognosi!» Colin le lanciò un occhiatina di apprezzamento e tornò a pulirsi la dannata giacca.
«Rispondetemi! Oh, se solo foste un gentiluomo a quest'ora io...»
Egli scoppiò in una fragorosa risata e ciò aumentò, se possibile, la rabbia di Elisabeth.
«Perdonatemi se non vedo il lato ironico della situazione!»
«Oh, Elisabeth, possibile che siate così deliziosamente ingenua?»
Ella alzò un sopracciglio e si portò le mani sui fianchi, esigendo spiegazioni con il linguaggio del corpo.
«Sono un gentiluomo a tutti gli effetti e...»
«Pft» sbuffò alzando gli occhi e battendo il piede per terra come segno di impazienza.
«Stavo dicendo che sono un gentiluomo, ma come ogni regola c'è sempre l'eccezione.»
«Ah, sì? Questo vuol dire che sarei io l'eccezione?»
«Se la matematica non è un opinione, si.» rispose zelante infilandosi la giacca.
«Ah bene» mormorò guardandolo con sguardo truce « non vedo come ciò abbia potuto influire nella vostra scelta di baciarmi.»
«La parola chiave è scelta.»
«La parola chiave è pistola. Se fossi un uomo, vi risponderei con l'aiuto di una bella pistola carica.»
«Se fossi un uomo, non avresti nessuna ragione per farlo.»
Elisabeth serrò i pugni e si morse un labbro per trattenere parole pesanti e disdicevoli per una lady.
Colin guardò la donna davanti a lei fremere di rabbia, e si dispiacque per essersi comportato da perfetto villano. Però, in un modo o nell'altro, quella storia doveva finire.
Lui era suo marito, diavolo, perché si comportava così? Se voleva poteva benissimo baciarla sotto le vesti di Lord Kerwin.
La verità, però, venne a galla scombussolandogli i sensi: lui era Colin.
Lui era il duca di Bekwell, e voleva provare a se stesso che poteva benissimo conquistare l'unica donna che gli aveva opposto resistenza.
Voleva che Elisabeth diventasse pazza di lui, non di Lord Kerwin.
Lord Kerwin... Ma che razza di nome si era inventato?
«Volete rispondermi?»
«Cosa?»
«Vi ho appena fatto una domanda» sospirò «avete intenzione di farne parola con qualcuno?»
«Perché mai dovrei?»
«Oh, bhè, non saprei, a voi uomini piace così tanto elogiarvi per baci rubati.»
Colin si portò una mano al mento « in effetti sarebbe una buona idea dato che...» non riuscì a terminare la frase poiché vide la mano di Elisabeth tagliare l'aria per fermarsi a pochi centimetri dalla sua guancia.
«Non è sportivo attaccare un avversario quando è distratto, dolcezza.» commentò stringendole il polso a mezz'aria.
Elisabeth sorrise con aria seducente e si morse il labbro «avete ragione. Sono stata meschina, mio signore.» si avvicinò di più finché le labbra furono a pochi centimetri da quelle di lui « penso proprio che dovrò essere punita con un bacio spietato.»
«Non mi piace quest'aria docile» commentò Colin aspirando la dolce fragranza di lei.
Ed ebbe ragione, perché pochi secondi dopo Elisabeth gli pestò il piede con tutta la forza che poté.




 

La scuola mi sta uccidendo, non ho mai tempo per leggere e scrivere!
CHE DESTINO CRUDELE.
Su, altri 3 mesi, coraggio, ce la poss(iam)o fare...
Basta, mi licenzio!



Morale: mai sfidare troppo una donna.


Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 29
*** Capitolo 28. ***


Capitolo 28.

 

Care lettrici,
codesta scrittrice, quando dice di essere molto sfortunata, davvero lo è!
Esempio molto semplice e banale: Il giorno del mio compleanno ( tecnicamente e teoricamente dovrebbe essere il dì più bello dell'anno), la mia grande sfortuna ha fatto si che quel giorno sacrosanto ci siano ben due interrogazioni da fare e, ( come se non bastasse), anche il compito di greco.
Qualcuno, lassù, ce l'ha con me, ed io voglio sapere il perché!!
Scusate lo sfogo, mi diverto a narrare le mie sventure, un bacio e buona lettura!


 

 

 

 

Finalmente arrivò la grande ora. Elisabeth era emozionatissima di vedere tanti cavalli insieme pronti per la caccia.
Purtroppo, però, altrettanti signori e signore la stavano guardando con disprezzo, come se non avessero mai visto una donna vestita da uomo.
Bhè, in effetti era proprio così. Che vita noiosa, la loro!
Si guardò attorno e purtroppo notò che Ruark Tarlen si stava dirigendo verso di lei, con occhi pieni di compiacimento per il suo abito. Dio, come la guardava! Aveva voglia di sferrargli un destro, o magari di pestargli un piede come aveva fatto con Colin.
Rise al ricordo: si era sentita così astuta e seducente che aveva dimenticato che gli stivali dell'uomo erano di gran lunga più robusti dei suoi, e quindi il colpo era stato gran parte attutito.
Bhè, comunque Colin aveva riso di gusto nonostante il dolore che lei sperò di avergli causato, e se ne era uscito fischiettando allegramente.
Non sarebbe mai riuscita a capire quell'uomo.
I suoi pensieri, comunque, furono interrotti dalla voce profonda e roca di Ruark
«Vorrei vedervi più spesso sorridere, signora Kerwin. Lo fate così raramente, che a volte mi dimentico quanto possa essere bello vedere i suoi occhi illuminarsi di felicità.»
Elisabeth lo guardò stupida, e gli concesse un altro sorriso
«Questo è uno dei regali più preziosi che abbia mai avuto.» si fermò a pochi centimetri da lei su di un cavallo molto più grosso del suo «spero che me ne concederete altri, ovviamente» sussurrò.
Elisabeth si guardò le mani, imbarazzata dall'audacia dell'uomo ed istintivamente cercò Colin con lo sguardo, sperando che potesse salvarla da quell'imbarazzante situazione.
«Vedo che siete immersa nei vostri pensieri. A chi pensate?»
«Affatto, signore, ammiro la vostra tenuta. E' davvero bello, qui» affermò guardando gli alberi ed il cielo che stava cominciando ad annuvolarsi «spero che il tempo non peggiorerà»
«Purtroppo viviamo in Inghilterra, e il tempo cambia molto velocemente.»
«Oh» esclamò con finta disperazione « allora sarà meglio sguinzagliare i cani prima che ciò avvenga.»
Ruark rise di gusto, attirando l'attenzione di tutti «Elisabeth, siete così ingenua che mi fate ridere. Sono il padrone di casa, e se scoppiasse un temporale è mio obbligo accogliere gli ospiti in casa.»
Elisabeth annuì e finalmente trovò Colin; stava scherzando con Thomas appoggiato al recinto della stalla.
Proprio in quel momento gli occhi dei due si incontrarono, e Colin sorrise, sfidandola a fare altrettanto in presenza di Ruark.
«A chi state guardando, se non sono indiscreto?»
Si, sei indiscreto e molto ma proprio molto irritante.
«Come mai il signor Bekwell non cavalca?» chiese con malizia.
«Il signor Bek...» guardò in direzione di Colin ed urlò « Bekwell! Venite qui!»
Colin, imbarazzato dal fatto che tutti si fossero girati verso di lui, lasciò Thomas e camminò con estrema lentezza fino ad arrivare davanti ai due. Si portò una mano sul capo per toccarsi il cappello in segno di saluto, ma non lo trovò, e si rassegnò esibendo un profondo e perfetto inchino.
«Bekwell, perché non sellate anche voi un cavallo?»
«Con tutto il rispetto, credo che la caccia sia noiosa quasi quanto i ricevimenti della signora Khat. E, credetemi, lo dico nonostante mi prepari sempre i miei tramezzini preferiti. A proposito, dov'è il cibo?» chiese con aria minacciosa.
Elisabeth si posò una mano sulla bocca per evitare di deridere il padrone di casa, e Ruark lo rispose con finta calma
«Non fate lo sciocco, anche se non vi piace, è sempre una buona occasione per fare due chiacchiere. Non credete?» disse marcando di più l'ultima parola.
«Siete un buon cavallerizzo, signore?» chiese Elisabeth con aria interessata.
«Più che buono» rispose senza smettere di guardarla.
«Perfetto, allora vi farò sellare Tempesta.» prima ancora che Colin potesse controbattere, Ruark chiamò un servo sottolineando che il signor Bekwell insisteva cavalcarlo.

«Vi piacerà» lo tranquillizzò.
«Non ne dubito, ma...»
«Ma?» chiese sfidandolo.
«Non c'è del cibo?»
«Come potete pensare al cibo in un momento come questo?» disse indicando Elisabeth con un cenno del capo.
«Io penso sempre al cibo.» guardò Elisabeth» C'è qualcosa di più desiderabile?»
Mentre ella stava scrutando i suoi occhi ipnotici, l'attenzione di tutti fu attratta da un rumore di lotta che proveniva dalla stalla.
Un ragazzo bestemmiò e poi gridò di dolore e Tempesta uscì dal recinto lanciando un altro ragazzo contro la barriera.
«Non è meraviglioso?» esclamò Ruark lanciando uno sguardo malizioso alla sua potenziale vittima.

Improvvisamente il cavallo si diresse verso di loro, poi si voltò su se stesso mentre Elisabeth indietreggiava nello stesso momento in cui lo stallone dava un calcio rompendo la barriera di legno che volò in mille pezzi.
«E' molto... Impulsivo» sussurrò Elisabeth senza fiato.
«In effetti» ammise Colin lasciando che il suo sguardo indifferente vagasse dal cavallo a Ruark.
«Se ha paura di montarlo ditelo» suggerì Ruark « sono sicuro che potremo trovare una
cavalcatura più docile, come per esempio Praline.»

Reprimendo una risata indicò con un gesto una vecchia giumenta di razza che pascolava tranquillamente, il suo ventre che quasi sfiorava il suolo e Colin la guardò disgustato.
«David! Il signor Bekwell ah deciso di montare Praline...»
«Lo stallone mi sembra più che perfetto» lo interruppe Colin lanciandogli uno sguardo glaciale e dirigendosi verso l'animale.
«Non può farlo! Lo ucciderà». La voce di Elisabeth piena di terrore.
Nessuno dei due uomini la stette a sentire, e tutti si affacciarono, compresi gli stallieri, a godersi lo spettacolo.
Colin accarezzò il collo dello stallone parlandogli dolcemente e, pensando che quella
stessa mano aveva accarezzato anche la sua guancia, Elisabeth arrossì di collera.

Lui mise un piede nella staffa e poi montò su Tempesta evitando qualunque movimento brusco. Nonostante le sue precauzioni il cavallo si ribellava agli uomini che lo stavano trattenendo.

Ruark rideva nel vederlo dibattersi in quel modo. Aspettava che Colin rinunciasse da un momento all’altro, ma lui prese le redini e gli uomini si allontanarono.

«Piano» disse Colin concentrato sull’animale che si dibatteva ancora furiosamente «piano»

La voce di Colin sembrò calmare lo stallone. Lo stava domando con fermezza ma senza fare alcun danno.
Lo stallone rizzò le orecchie ed alzò il capo, come se fosse fiero del suo padrone, e Colin guardò Ruark con aria di sfida.

 

 

 

 

 

 

 

Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29. ***


                      Capitolo 29.

 

 

 





Per tutte quelle ragazze che ogni giorno si illudono dicendo 'leggerò al massimo uno o due capitoli' e poi rimangono sveglie fino alle quattro del mattino.
Maledetti libri, maledetto tempo che sembra scorrere sempre troppo in fretta e maledette occhiaie!

 

 

 

 





Uno sparo lacerò l'aria dando via al momento tanto atteso. Elisabeth non si rese neanche conto dei gentiluomini attorno a lei e spronò il cavallo fino a disseminare una gran parte.
I cani abbaiavano rumorosamente ed ella si sentì fiera di avere uno stallone tanto veloce e carico di adrenalina pronto a concorrere con altri suoi coetanei.
Accanto a lei vi erano due omoni così grossi da creare un'ombra fredda e minacciosa sul suo volto, ed incitò il cavallo a correre più velocemente; per un momento ebbe i risultati cui auspicava.
Elisabeth provò un misto di orgoglio per la sua destrezza e sapeva che gli uomini la stavano ancora guardando meravigliati, non seppe se per la velocità o per altro.
I cani intrapresero un sentiero piuttosto insidioso e dovette rallentare l'andatura se voleva scovare qualche animale abbastanza grande.
Sfortunatamente, però, qualcuno aveva preso una via molto più lineare ed era già nei pressi de le grandi querce, il luogo dove Ruark aveva detto ci fossero le volpi.
«Dannazione» mormorò scostando i rami davanti ai suoi occhi. Non avendo studiato il territorio, le era stato impossibile capire che vi erano più vie per raggiungere le grandi querce, ma sperava di vincere ugualmente puntando tutto sulla velocità di Leo.
Eppure, ora si ritrovava incastrata in quell'orribile posto e ciò le avrebbe fatto perdere tempo, quando invece aveva sperato di vincere già da un pezzo.
Sentì voci maschili che consigliavano di arretrare per poi proseguire in una delle tante radure che Elisabeth non sapeva.
«Bravissima Elisabeth, complimenti, devi sempre complicarti la vita. La prossima volta, sappi che un po' di astuzia non fa mai...» un ramo si imprese tra i riccioli ramati e l'urlo che mandò fu così acuto che non si stupì quando quei pochi uccellini che erano nelle sue vicinanze spiccarono il volo impauriti.
Finalmente, dopo più di dieci minuti, Elisabeth riuscì ad intravedere una scorciatoia abbastanza uniforme da potere essere attraversata senza impicci di quel genere.
«Oh, finalmente» esclamò soddisfatta di essere uscita da quel buco ingarbugliato.
Spronò Leo, speranzosa che ancora nessuno fosse arrivato alle grandi querce o, per lo meno, non avesse trovato prede da catturare. L'aria di quel giorno era così fresca e pungente che provò un senso di rimorso a non essersi messa qualcosa di più pensante, ma andava bene così, in fin dei conti non mancava molto alla fine della caccia e presto sarebbe potuta tornare a casa ad attendere suo marito.
Chissà cosa diavolo stava facendo in quel momento, pensò quando era abbastanza sicura che non ci fosse nessuno a minacciarla lì intorno, e trasse un sospiro di sollievo alla vista delle querce che si ergevano maestose davanti a lei.
L'abbaiare dei cani, però, era ancora lontano, e non un anima viva sembrava alloggiare in quel posto deserto.
Ormai non si illudeva più di vincere e scese dal cavallo, troppo stanca per stare un minuto di più sulla sella robusta, e distrattamente si accarezzò le natiche dolenti.
«Vedo che vi state divertendo, signora Kerwin.»
Elisabeth si ricompose in un batter d'occhio, ma non mancò l'occhiatina maliziosa di Ruark mentre si avvicinava proprio stallone.
Stizzita, esordì un sorriso falsissimo prima di enunciare «Possibile che qualsiasi cosa faccia voi vi ritrovate sempre « e sottolineò quest'ultima parola « dietro di me, signor Tarlen?»
«Devo forse pensare che la mia presenza non è di vostro gradimento?» chiese con un'occhiatina insinuante.
«Pensavo di essere stata abbastanza chiara qualche mese fa; dovrei rinfrescarvi la memoria, signore? Sapete, qualche volta capita che ci dimentichiamo questi piccoli dettagli, ma io sono sempre molto disponibile a...»
«Davvero osate rivolgervi a me con questo tono? Qualcuno dovrebbe insegnarvi le buone maniere» commentò con disprezzo.
Elisabeth sorrise «oh, ma sentiamo un po' da che pulpito viene la predica!»
Ruark scese dal cavallo ed istintivamente ella arretrò «signora, non sono disposto a subirmi le vostre maniere da... Bassifondi Londinesi.»
«Avete ragione « ammise con dispiacere «penso proprio di non essere degna di intrattenere una conversazione con Vostra Grazia in persona.» vedendo l'opportunità di scappare si girò in direzione del cavallo, ma Ruark, avendo le gambe lunghe, con un passo riuscì a starle dietro, le prese il braccio e la girò.
«Non osate.»
Elisabeth, che fino a quel momento aveva scherzato, provò un misto di paura e frustrazione quando la stretta di lui si fece sempre più esigente « mi fate male. Smettetela, ho detto.»
«E' ciò che sento ogni volta che guardate e ridete con qualche uomo. Cosa credete, che non abbia notato come guardate quel Colin Bekwell? E' lui la causa per cui non vi fate vedere mai con vostro marito, vero?»
«Ma che cosa state dicendo» mormorò cercando di liberarsi «voi siete pazzo, signore, completamente fuori di testa! Io sono sposata e...»
«Sapete che il signor Bekwell è innamorato di una delle sue amanti? No, che non lo sapete. Ma ve lo dico io, per mostrarvi che lui non si interesserà mai di una « la squadrò dalla testa ai piedi «devo chiamarvi donna o uomo?»
«Siete un imbecille!» gli urlò in faccia ed inspiegabilmente lacrime amare presero a scorrere lungo le guance rosee « voi non capite nulla, non sapete nulla su di me. Come pretendete di conquistare una donna svalorizzandola e portandola allo stesso ripiano di una donna dai facili costumi!?!?»
Ruark aumentò la presa ed Elisabeth si dimenò ancora più furiosamente «non tentateci nemmeno. Allora, come ci si sente? Come ci si sente a non essere ricambiati? Come ci si sente a stringere la sabbia e a vedere che più lo fai e più questa scappa via dalle tue mani?»
«Questo non è amore, Ruark, quando lo capirai? La tua è solo ossessione, pura e malata ossessione. Smettila di stringermi, Ruark, ho detto smettila! Se non lo farai, giuro che urlerò, e allora...»
«E allora verrà il tuo amato Colin a salvarti? No, sciocchina, lui non verrà. Non questa volta» e detto ciò l'avvicino a se e chinò le labbra sulle sue.










«Ecco, mi sono perso» sospirò Colin rassegnato osservando la moltitudine di alberi che non permettevano la visuale di una via d'uscita.
Dopo lo sparo di partenza, Tempesta si era così innervosito per il rumore e per il fracasso attorno a lui che aveva iniziato a scalpitare al fine di disarcionare il condottiero ma, dopo vani tentativi, Colin si era dimostrato più inflessibile che mai ed aveva anche osato frustarlo – cosa che non aveva mai fatto – per mitigare il suo temperamento.
Solo allora lo stallone, temendo altri colpi di frusta, aveva deciso di assoggettarsi al volere del padrone ed aveva acconsentito ad ogni suo volere.
Purtroppo, però, non conoscendo i confini di quelle terre, Colin si era reso conto di non sapere affatto in che luogo Tempesta l'avesse portato e, ovviamente, non riusciva neanche a scorgere il palazzo a causa della moltitudine di alberi che, appunto, gli oscuravano la vista.
Solo, affamato, e per di più senza alcuna certezza di uscire da quell'inferno, Colin prese a fischiettare, come se fosse la cosa più naturale del mondo in una situazione critica qual'era.
D'un tratto un qualcosa tra i rami secchi catturò la sua attenzione: nonostante ci fosse ancora la neve sul terreno, dei piccoli bucaneve bianchi erano ritti e fieri, sfidando il ghiaccio che giaceva sul terreno sottostante.
«Ma guarda guarda» mormorò avvicinandosi con Tempesta per scrutarle meglio i fiorellini.
«Cosa ne dici, amico?» chiese scendendo dallo stallone per poi chinarsi sui bucaneve «mhhh, dici che quella piccola selvaggia merita un regalo così prezioso?»
Tempesta sbuffò e Colin rise «lo penso anch'io» accarezzò i petali delicati e, mormorando una scusa a madre natura, strappò un paio di fiori, incolpando Elisabeth per il suo atto crudele.
L'uomo si issò nuovamente sul cavallo che prese a camminare cautamente mentre Colin si impegnava ad intrecciare i bucaneve per formare un bracciale.
Dopo aver terminato il lavoro sorrise soddisfatto del risultato; i petali bianchi si intrecciavano ai busti verdi e lunghi creando un gioco di colori molto gradevole agli occhi.

«
Pf, e poi sarei io quello poco romantico.» guardò il bracciale contro luce per ammirare la sua bellezza «neanche Michelangelo sarebbe riuscito a creare un lavoro tanto perfetto.»
Tempesta sbuffo nuovamente e Colin si indispettì «va bene, va bene, forse ho esagerato un pochino.» lo stallone ansò in risposta e Colin alzò un sopracciglio «Oh, sei davvero impossibile da accontentare! Giuro che sembri quasi più esasperante di Elisabeth» sorrise al pensiero e scuoté il capo «no, impossibile.»
«Comunque...» commentò fiero della sua opera « le tue argomentazioni mi uccidono, perciò sappi che quando usciremo dall'Ade tenterò svariate volte il suicidio. Mi terrai sulla coscienza per molto, molto tempo, Tempesta» ridacchiò e di colpo si rese conto di aver toccato davvero il fondo: parlare con gli umani? Troppo comune. Meglio intrattenere una conversazione con uno stallone. Almeno eri sicuro che non avrebbe mai osato prendere l'iniziativa di... Tempesta rizzò di colpo la testa e partì al trotto, cogliendo Colin di sorpresa.
Numerosi rami si impigliarono sulla giacca stappandola inevitabilmente, ed egli tentò, invano, di fermare il cavallo tirando le redini.
«Tempesta, fermati, dannaz...» non riuscì a concludere la frase poiché un tronco, a causa delle vibrazioni che lo stallone emanava con i suoi zoccoli, si mosse, e una gran quantità di neve cadde sul capo di Colin.
L'uomo, con la giacca strappata, la camicia intrisa di foglie ed i capelli pieni di neve, riuscì a frustare sul di dietro Tempesta, che si fermò.
«Pensavo fossimo amici» commentò Colin trattenendo un istinto omicida. Guardò l'oggetto di interesse del suo stallone e vide un cavallo bianco. Ecco spiegato il motivo di quella corsa infelice.
Pochi istanti dopo si accorse che Tempesta era riuscito, grazie all'odore di quel cavallo, a portarli fuori dalle
grandi querce, ed era in prossimità di urlare di gioia, quando...
«No, sciocchina, lui non verrà. Non questa volta» e vide Ruark appoggiare le sue labbra su quelle di Elisabeth.

 

 

 

 

 






 

 

Il dialogo tra Ruark ed Elisabeth, come avete potuto notare, varia dal -tu- al -voi-. Tranquille, non è un mio errore, ma è l'effetto desiderato.
Mi dispiace per aver pubblicato questo capitolo un tantino in ritardo, ma prometto che quando finirà la scuola sarò più presente.
Non ho potuto non notare che ho molte lettrici silenziose. Ah, ciò non può che allietarmi l'animo ( non parlo davvero così, lo giuro ), ma mi piacerebbe leggere qualche recensione nuova- che sia positiva o negativa -circa questo capitolo.
Confido in un vostro cenno di vita.


Lady Sticklethwait.


 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30. ***


                                                                                                     Capitolo 30.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Un breve ripasso della storia non fa mai male, perciò mi vedo costretta ad elencare gli ultimi avvenimenti:
- Ruark innamorato ( se si può definire così ) di Elisabeth.
- Elisabeth odia Ruark.
- Ruark chiede un aiuto a Colin per conquistare la donna.
- Colin, appena comprende chi è la dama in questione, se ne lava le mani.
- Battuta ti caccia.
- Colin si perde ( come al solito ) ma non si avvilisce. Mentre passeggia abbandonato a se stesso, vede Ruark che cala le labbra su quelle di Elisabeth.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Colin si avvicinò con estrema cautela ai due piccioncini, osservando il modo in cui Ruark stringeva i polsi di Elisabeth e questa rimaneva immobile.
Tempesta, avvertendo la rigidità del padrone, alzò il capo e si mosse con estrema fermezza fino ad arrivare a pochi centimetri da Leo.
Elisabeth, che fino a quel momento era rimasta ferma con la speranza che Ruark l'avesse lasciata per mancanza di partecipazione, aprì gli occhi sentendo un'ombra oscura sul suo volto.
Ciò che vide la sconvolse nel più profondo dell'animo.
Il Colin bello, simpatico, astuto, mascalzone, con lo sguardo sempre illuminato da quella luce maliziosa e la bocca che accennava un pigro sorriso, era praticamente scomparso: quello non era l'uomo che qualche ora prima aveva scherzato con lei.
Sgranò gli occhi per la sorpresa e prese a lottare contro Ruark che, non essendosi accorto della presenza di uno spettatore, bestemmiò sonoramente quando Elisabeth gli pestò il piede con tutta la sua forza.
«Sei pazza, donna? Mi hai quasi rotto un alluce.
» urlò saltellando sulla gamba sinistra.
«Ringraziate Dio che sia stato solo piede, perché ciò che meritavate, signore,
» contorse la bocca dopo quella parola, come se non lo ritenesse degno di quel titolo «sarebbe stato di gran lunga più doloroso e malvagio.» si liberò da lui che, solo quando si volse verso il suo salvatore , capì di essere stato colto con le mani nel sacco.
Colin, che fino a quel momento non aveva detto nulla, incrociò le mani sul petto possente; gli occhi erano ridotti a due fessure, scuri e gelidi come il giaccio, la fronte aggrottata, la bocca sensuale ridotta ad una linea retta severa...
Tuttavia, non stava guardando lei. Il suo sguardo da folle omicida era rivolto verso Ruark, il quale, ignaro del pericolo che stava correndo, sorrideva come un bambino che aveva appena ottenuto il permesso di uscire a giocare.
Elisabeth si morse il labbro. Se c'era una cosa che più odiava era il silenzio, soprattutto quando non prometteva nulla di buono.

Che giornataccia!
In solo poche ore era stata baciata da due uomini diversi, aveva tradito suo marito ben due volte e, come se non bastasse, ora si sentiva terribilmente in colpa di tutto ciò.
Non avrebbe mai dovuto partecipare a quella battuta di caccia.
Non avrebbe mai dovuto allontanarsi da casa sua.

Non avrebbe mai dovuto lasciarsi incantare da un libertino quale il duca di Bekwell.
Non avrebbe mai dovuto accettare l'invito di Ruark.
E, infine, non avrebbe mai dovuto tradire suo marito. In fondo, lei non lo conosceva così bene, ma magari era un brav'uomo – o almeno sperava vivamente che lo fosse – e neanche il più viscido degli uomini meritava di essere tradito da una moglie. Mai.
E così, persa nei suoi pensieri e piena di rimorsi, portò lo sguardo sul duca, una figura così fiera e tetra che si stagliava sul cielo privo di nuvole in quell'orribile dì.
Chissà cosa stava pensando su di lei.
Ruark, poco tempo prima, le aveva riferito che era innamorato della sua amante.
Della sua amante... Innamorato della sua amante...
Quelle parole le rimbombarono nella testa e ringraziò il cielo che nessuno dei due uomini potesse seguire il filo dei suoi discorsi.
Quindi, se il signor Bekwell aveva una amante – cosa di cui nessuno si sarebbe meravigliato, data la sua fama – perché allora si ostinava a fare il gentiluomo con lei? Perché, ora, invece di essere scappato via dalle grandi querce, era ancora lì, con un muscolo pulsante sulla mascella ben rasata e le mani strette a pugno?
Era davvero un rompicapo.

Ruark smise il suo balletto del dolore e guardò il duca con sfrontatezza, mentre si portava la mano al cappello in segno di saluto.
«Salve
» mormorò esordendo un inchino perfetto.
Colin alzò un sopracciglio con evidente disappunto.

L'amico continuò « Stavamo parlando proprio di te, sai? E soprattutto del tuo senso del tempo impeccabile»
Colin continuò a non rispondere e dopo vari secondi di ansia, – ad Elisabeth parvero anni – ,scese da Tempesta con movimenti bruschi e misurati.

Elisabeth notò come i calzoni color prugna si erano stretti attorno alle cosce sode e cercò anche di non notare come la camicia bianca era stata strattonata, rivelando un lembo di belle abbronzato e dai riflessi dorati.
Arrossì violentemente e si strinse le mani portando lo sguardo sui suoi stivali che, fortunatamente, non lasciavano intravedere nulla di particolarmente eccitante.
«Un talento al quale tengo
» rispose con voce altrettanto gelida e carica di disprezzo.
«Mi piacerebbe, e penso anche alla signora qui presente, che lo coltivassi un po' meno.
»
Colin portò per la prima volta lo sguardo su Elisabeth, la quale strinse le mani a pugno, offesa profondamente dalle parole di quel... Quel...
«Siete solo uno sciocco se pensate che io accetti i vostri insulti senza fiatare.
»
Ruark trattenne una risata « nessuno vi ha mai detto che siete adorabile quando vi irritate, dolcezza?»
Elisabeth non ci vide più. Strinse i denti e alzò la mano per schiaffeggiarlo ma Colin, con tutta la calma di questo mondo, le afferrò il polso a mezz'aria e la guardò con ammonimento.
I suoi profondi occhi, quelli così azzurri e vivaci, si scontrarono con quelli verdi di lei, vogliosi di stampare sulla faccia di quel buffone un sonoro schiaffo.
«Lasciatemi
» si dibatté contro Colin, che non si mosse di un centimetro «lasciatemi dare una lezione a quel mostro, lurido, schifoso verme!» urlò in direzione di Ruark.
Colin la spinse senza troppe cerimonie su Leo, esortandola ad andarsene via.
«No, non me ne vado, non senza aver...
» la frase rimase a metà mentre l'uomo la mise sulla sella e le mise in tasca uno strano oggetto che Elisabeth pensò fossero soldi.
«Non voglio i vostri schifosi sol...
» la frase rimase a metà mentre Colin aveva colpito con un buffo il cavallo, il quale prese il trotto.
Elisabeth decise di andare via, odiando entrambi gli uomini.
Perché la sua vita doveva essere sempre così complicata?
Quando fu abbastanza lontana mise la mano nella tasca per buttare i soldi e solo allora capì che Colin le aveva fatto un regalo.
Un regalo così romantico da farle uscire le lacrime.
«Oh, Colin...
» sussurrò mordendosi il labbro mentre il vento le scombinava i capelli.

 

 

 

«Lascia stare la ragazza, Ruark, non ti vuole.» ripeté per la centesima volta Colin. «Non lo vedi? Come puoi essere così cieco? Se potesse ti ucciderebbe all'istante.»
«Oh, non esagerare, amico, mi stavo solo divertendo un po'.»
«Divertendo? DIVERTENDO?» alzò la voce avvicinandosi minaccioso « è questo il modo di divertirti? Baciare una duchessa che ti disprezza?»
Egli si rabbuiò « non sembrava così dispiaciuta di ricevere mie attenzioni»
Colin camminò furioso avanti e dietro con le braccia sui fianchi «non ti è passato per la tua stupida testolina che ora, lei, possa riferire qualcosa a suo marito?» domandò, anche se dubitava che Elisabeth gli dicesse qualcosa.
«Lo avrebbe già detto tempo fa...
»
«Cosa?»
«Avrebbe già detto qualcosa quando la baciai sulla nave.» rispose con nonchalance appoggiandosi ad un tronco « e non lo ha fatto.»
Colin rimase sconvolto, per la seconda volta in quella giornata.
«Dannazione, quale nave?
»
«Quella diretta verso Parigi, amico.» davanti allo sguardo confuso dell'amico, prese a raccontare solo alcuni dettagli dell'accaduto « ...E così, poi, è ritornata a Londra ed ha sposato quell'orribile duca. Non c'è da aspettarsi che sia così suscettibile e...» ridacchiò « non voglio neanche immaginare cosa sia successo la prima notte di nozze. Pensaci, Colin: perché mai un duca non si presenta agli eventi modani con una mogliettina adorabile quale Elisabeth?»
Perché forse è troppo impegnato ad allontanare folli come te?!?!
Pensò con rinnovata rabbia.
«Non lo so.
»
«Ma è semplice! Perché loro si odiano! Capisci, Colin? Non è innamorata del duca, lo si può leggere dagli occhi!
Sembrerebbe, invece, che sia infatuata di qualcun altro
» commentò sputando a terra.
«Illuminami di nuovo.
» sospirò passandosi una mano sui capelli ormai ondulati e scombinati.
«Dimmi, Colin, perché mai ti da tanto fastidio che io tocchi Elisabeth? Insomma, proprio tu!
»
«Conosco lord Kerwin e penso che non sia giusto approfittare di sua moglie, ecco tutto»
Ruark rise apertamente « parla proprio colui che si è portato a letto l'amante di suo cugino!»
Colin sogghignò « è stato per una buona causa, ma » il suo sguardo si rabbuiò « Elisabeth non è una donna qualsiasi, Ruark. Lasciala stare, è un consiglio.» ripeté per la millesima volta.
«Dimmi, amico...
» si avvicinò «non è che per caso la fanciulla ha fatto breccia nel tuo cuore?» insinuò con aria di sfida.
Ovviamente non stava facendo sul serio.
Sperava che fosse così.
Colin rise apertamente, cercando di dissimulare il turbamento che quella domanda gli aveva procurato...
«Non essere stupido, Ruark, non mi piacciono le donne difficili.
»
L'uomo parve rilassarsi e ritornò sul suo albero « bene, meglio così, oppure mi sarei sentito obbligato a sfidarti.»
Colin fece finta di sorridere.
Come poteva ridere e scherzare con l'uomo che aveva baciato quelle labbra morbide e grandi poco dopo di lui?
«Ruark, promettimi che non lo farai mai più e che da oggi in poi lascerai perdere la signora Kerwin.
» sbottò all'improvviso.
Silenzio assoluto.
«Promettimelo, dannazione!
» urlò puntandogli un dito contro « se oserai toccare nuovamente...»
«Va bene, va bene, hai vinto tu» alzò le mani sospirando «non toccherò più quella donna. Inizi a farmi paura, amico, e sinceramente non me la sento di...»
Ma Colin se ne era già andato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lady_Sticklethwait.
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31. ***


Capitolo 31.

 

 

Salve!
Ho finalmente visto il film 'orgoglio e pregiudizio' girato nel 2005, e devo dire che mi è piaciuto.
Abbastanza fedele al libro, ho adorato soprattutto i paesaggi ed i vestiti (anche se stile impero), però devo fare una critica: Mr Darcy. Dio, era completamente opposto alle mie aspettative!
Non so, a mio parere i film rovinano
quasi sempre le fantasie del lettore, ergo, preferisco leggere.
Buona lettura.





Elisabeth marciò a pugni serrati in camera sua. Non si assicurò neanche che suo marito fosse in casa, o che qualcuno potesse vederla vestita da maschio, ma salì semplicemente le scale e sbatté la porta alle spalle per poi poggiarsi sopra e lasciarsi scivolare lentamente.
« Che giornataccia, perdinci!» sospirò.
« Uno si alza con le migliori intenzioni del mondo» proseguì togliendosi gli stivali incredibilmente pesanti « poi se ne vanno e neanche ti salutano».
« Io non capisco... Perché devono sempre complicare tutto? Insomma» buttò gli stivali contro l'armadio di legno e causarono un rumore sordo « non è colpa loro, per carità, sono nati uomini e, di conseguenza, privi di una sola scintilla di buon senso e di buone maniere» si tolse frettolosamente la camicia ed i calzoni per poi rimanere con una sottoveste trasparente « solo che...» si guardò allo specchio « io speravo fosse diverso... Capisci? Quando mi disse di voler essere sua amica, io gli ho davvero creduto» abbassò gli occhi sui piedi scalzi.
Pochi minuti dopo riportò lo sguardo sullo specchio ed indicò se stessa
« illusa, ah povera illusa! Cosa puoi aspettarti da un uomo innamorato della sua amante?» disse imitando con una smorfia le parole di Ruark.
« Aveva ragione mia madre, quando diceva che gli uomini non portano mai nulla di buono.» lagnò mentre ripiegava il pantalone e lo metteva nell'armadio.
Cadde il braccialetto regalatogli da Colin, e lentamente lo prese in mano, studiando la dolce curva degli steli che si intrecciavano tra loro. Perché le aveva fatto quel regalo assolutamente delizioso? Forse era un modo per scusarsi?

« Colin, Colin, Colin» mormorò infilandosi il braccialetto sul polso destro « perché sei così...»
« Signora Kerwin?» la voce di Mary, la governante, riecheggiava nella stanza e per i corridoi « signora Kerwin, vi ho portato gli abiti stirati, la biancheria nuova, le coperte pulite e lo scaldaletto.»
« Mary» rispose impicciata nascondendo i panni da uomo nell'armadio « apro subito, sto... Sto mettendo in ordine»
« Oh, non vi preoccupate, signora! Provvederanno le domestiche a pulire la stanza» controbatté dall'altra parte della porta.
« Si, si, si, un attimino e...» aprì la porta « buonasera» sorrise innocuamente « fa freddo, fuori?»
Mary alzò un sopracciglio, sorpresa dall'umore della padrona
«Non saprei, madame, ma sta calando la nebbia e dubito prevarrà il buon tempo nelle prossime settimane» entrò nella camera e poggiò tutto sul letto.
« E le mucche? Voglio dire, non soffrono il freddo nelle stalle?»
« No, signora» rispose quella piegando le lenzuola « lord Kerwin si occupa personalmente sul benessere degli animali e, ovviamente, di tutti noi domestici. E' davvero un brav'uomo»
« Non ne dubito»
« Sapete, l'ho visto nascere e crescere proprio con i miei occhi. Mi sembra appena ieri di vederlo correre per casa a combinare chissà qualche guaio.»
Elisabeth sorrise, immaginando il fisico snello ed atletico di suo marito trasformarsi immediatamente in un bambino vivace e combina guai.
Mary la guardò negli occhi, lo sguardo incredibilmente serio
« madame, tenetevelo stretto, statemi a sentire. E' un uomo davvero splendido e la sua gentilezza è genuina.»
Elisabeth si astenne dal commentare che solo con lei non era particolarmente gentile, ma si limitò ad annuire.

« Oh, mi perdoni, mi sono lasciata andare»
« No, no, continuate» disse affascinata dalla piega dei fatti. « Mi piacerebbe conoscere di più riguardo mio marito. Sapete» si morse un labbro « molte volte sembra quasi che non ci sia, e pare che non gli importi nulla di noi umani sotto la sua maschera di indifferenza.»
« E' sempre stato così, signora» controbatté Mary sistemando le lenzuola. Ridacchiò pensando a quanto si era calato bene nell'immagine dell'uomo freddo ed impegnato, ma si guadagnò un'occhiataccia da parte di Elisabeth.
Quel farabutto di un Colin! Non voleva mancargli di lealtà, ovviamente, però era dura mentire alla nuova padroncina che sembrava così dolce ed ingenua.
E poi... Bhé, aveva esagerato! Colin indifferente e serio? Per poco non scoppiò a ridere.

« Non è mai stato molto propenso a comunicare. Fin da piccolo è stato educato molto severamente, e ciò non ha giovato di certo la sua vena comica.» Cielo, quante stupidaggini stava dicendo?
Certo, Colin era stato educato per diventare un futuro duca e ciò non gli aveva permesso di crescere con serenità ed allegria come ogni famiglia, ma il suo carattere da diavoletto prendeva quasi sempre il sopravvento, facendogli vivere una vita spensierata e nello stesso tempo impegnata.

« Immagino... Io non riuscirei mai a crescere un figlio in un ambiente così triste e severo.»
« Madame, ma lui non era triste. Non aveva molto tempo per giocare, ovviamente, ma in compenso combinava abbastanza guai da tenerci occupati tutti» sorrise, decidendo di dire almeno un po' di verità a quella donna.
« Vorrei... Vorrei sapere com'è successo.» chiese Elisabeth imbarazzata nella sua sedia color mogano.
« Oh, sapete, le disgrazie capitano» iniziò a piegare e mettere i vestiti nel grande armadio « fu un terribile incidente, madame. Purtroppo il povero Lord Kerwin ne uscì vivo ma, per quanto possa esserne felice, è sfregiato irrimediabilmente e le conseguenze...» si schiarì la voce « potete notarle.»
Dato che la matrona non intendeva parlarne ancora o scendere nei dettagli, Elisabeth la congedò con un cenno della mano.

« Oh, che bel bracciale, madame!» disse con occhi scintillanti.
Dannazione, si era scortata di toglierlo!

« Si» mormorò togliendoselo « è davvero bello.»
« Lo avete fatto da sola?» chiese meravigliata.
Elisabeth decise di annuire, lieta che la donna non avesse sospettato nulla. Dannato Colin, l'aveva messa in un bel pasticcio!

« Vuoi?» se lo tolse dal polso e glie lo porse « ti prego, prendilo come un regalo di ringraziamento.»
Mary arrossì e scosse il capo energicamente.

« Oh, suvvia, sono sicura che non avrò mai tempo per mettermelo.»
« Ne siete certa, madame?»
Elisabeth sorrise e lo infilò accuratamente nel polso della matrona.

« E' bellissimo, madame, grazie, grazie mille!» le baciò svariate volte le mani.
« Su, vai, ti ho sottratto già troppo tempo.»
Mary esordì un inchino perfetto ed uscì tutta allegra dalla stanza.
Elisabeth si sentì scoppiare il petto per la separazione di quel braccialetto, ma non aveva scelta. Se suo marito lo avesse visto su di lei, sicuramente avrebbe sospettato qualcosa.
Sì, era meglio così.



Quando le domestiche l'avvertirono che suo marito voleva cenare con lei, Elisabeth si sentì così male al pensiero di rivederlo che decise di fingere di essere indisposta.
Ovviamente, quando vide suo marito sulla porta della sua camera, capì il linguaggio del suo corpo:
scelta sbagliata.

L'uomo, con la sua statura imponente, sembro torreggiare su di lei appena le fu abbastanza vicino.
Per un paio di minuti nessuno sembrò deciso a parlare, ed Elisabeth sprofondò nella coperta sempre di più, sperando che sparisse dalla faccia della terra.

Che giornataccia, che giornataccia, che giornataccia!
« Mi hanno riferito che siete indisposta» commentò con il suo accento marcato e leggermente strascicato.
Chissà dove l'aveva appreso.

« Così è, signore» rispose frapponendo la coperta come scudo tra loro.
Ancora silenzio, e quell'orribile orologio sembrava fatto apposta per ricordarle quanto era dannatamente imbarazzata.

« Avete trascorso una bella giornata?» il tono di voce totalmente disinteressato e freddo, come sempre.
« Si, grazie.»
Tic-tac-tic-tac-tic-tac-tic-tac. Giurò a se stessa di buttare dalla finestra quell'orologio il prima possibile.

« E voi? Presumo che vi siete ritirato pochi minuti fa»
« Deduzione affrettata. Mi sono rinchiuso nello studio per tutto il tempo.»
« Oh» commentò Elisabeth sobbalzando dal letto. Cielo, mica l'aveva vista ritornare in quelle condizioni?
« Sorpresa?»
« No, affatto. Dev'essere stancante, per voi, gestire questa proprietà immensa.»
Lord Kerwin alzò le spalle ed infilò le mani inguantate nei calzoni color prugna.
Prugna. Color prugna. Quei pantaloni erano... Erano così simili a quelli di...

« Sarà meglio che io vada, avete bisogno di dormire.»
« Si» mormorò ancora perplessa.
« Volete che vi faccia portare qualcosa da mangiare?»
Il no morì sulle labbra morbide e si trasformò in un lamento.

« Mi preoccupate, Elisabeth» quel nome, sulle sue labbra, le parve così familiare « volete che chiami un medico?»
« No!» rispose con tanta veemenza che il letto tremò. « Non ce n'è bisogno» aggiunse dolcemente, « davvero.»
Lord Kerwin la fissò, o almeno le parve che il suo sguardo la stesse perlustrando da cima a fondo, per poi andarsene senza neanche un cenno di saluto.
Colin, quando uscì dalla stanza, era furibondo con se stesso. Diamine, come gli era venuto in mente di organizzare questa farsa? Prometté a sé stesso di non fare
mai più una cosa del genere e di dire al più presto possibile la verità ad Elisabeth.
Scese con furia le scale, scontrandosi incidentalmente con Mary, la governante, la quale sorrise ed alzò le gonne per inchinarsi.

« Padrone»
Il fato volle che lo sguardo gli scivolò sul polso, dove aveva un bracciale di bucaneve, molto simile a quello di Elisabeth.
No, non poteva essere.
Prese furiosamente il braccio della donna e lo esaminò da vicino.

« Me lo ha regalato la padrona, milord.» rispose fiera.
Colin le strinse il bracco e per un momento pensò di volerglielo togliere da dosso, ma poi la lasciò bruscamente.
Evidentemente quella piccola selvaggia non apprezzava neanche un regalo fattogli con il cuore. E allora, non avrebbe ricevuto da lui mai più nulla.




 

Buona domenica delle palme a tutte!


Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 33
*** Capitolo 32. ***


                                                            Capitolo 32.

La mia simpaticissima professoressa di italiano – tengo a precisare che mi odia per motivi sconosciuti – ha detto che rischio il debito perché non mi esercito abbastanza nello scritto.
No, aspettate, nell’ultimo compito in classe solo io ho ‘conquistato’ il sei politico, mentre ci sono stati anche otto e nove.
Vi chiederete ‘ bhè, magari hai fatto molti errori oppure mancava di contenuti ‘, ah ah, sbagliato!
Neanche un errore, nulla che indicasse la mia esiguità nello scritto.


“Cielo, sono davvero fantastici! Lady Kerwin, lady Kerwin, venite a vedere questi due” prese due nastri di seta “rosso?” alzò il primo e se lo portò sui riccioli biondi” oppure blu?”
“Sei adorabile con entrambi” sorrise modestamente Elisabeth sperando che quel supplizio finisse il più presto possibile.
“Oh, e che adorabili capellini!” posò immediatamente i nastri e si diresse a velocità supersonica verso uno scaffale enorme.
Elisabeth ruotò gli occhi, speranzosa che la vivacità di Lady Daphne Batth potesse, in qualche modo, contagiare anche lei.
Guardò nuovamente i capi di abbigliamento sparsi in tutto il negozio e la povera commessa che cercava di piegare e rassettare la stanza.
Elisabeth le rivolse uno sguardo di commiserazione, e la poveretta sorrise in risposta, mordendosi il labbro inferiore quando Lady Batth la chiamò nuovamente.
 Ella represse una risata.
“Ditemi, signora”
“Vorrei comprare questi cappellini, ma non sono sicura sulla scelta del nastro.”
“Signora, dipende dal vestito che indosserete”
“Ho deciso di optare per il secondo abito che ho provato” disse altezzosa osservando i vari tipi di stoffa.
“Il… Il vestito giallo, madame?” chiese sperando in una risposta negativa.
La dama annuì.
“Ma l’ho appena riposto, e voi stessa avete detto che…”
“Bhè” si girò e la squadrò dal basso verso l’alto “prendilo, che cosa aspetti?Ho cambiato idea.”
“Si, mia signora” abbassò il capo e sparì in un lungo corridoio, desolata per essere stata sgridata da una dama.
“Non dovevate trattarla così” commentò Elisabeth con aria casuale accarezzando le stoffe morbide ed elaborate.
“A chi vi riferite?”
“Alla ragazzina che avete congedato così bruscamente. In fin dei conti, sta solo compiendo il suo lavoro.”
“Oh” sbottò osservando un paio di scarpe bianche “se lo meritava. Avete visto con che insolenza mi ha debilitato le mie parole in faccia? Aveva bisogno di un buon richiamo. Molte volte, questi poveracci si scordano del posto che spetta loro.”
Elisabeth decise di non controbattere solo perché la ragazza era appena entrata nella stanza con quel vestito enormemente decorato.
“Oh, finalmente” dichiarò Lady Betth prendendo in mano l’abito composto dal corpino, mantellina e gonna. I primi due erano in tela di lino ocra, stampati con piccoli motivi gialli, mentre la gonna era amplia ed in taffetas.
“Vorrei riprovarlo, se non ti dispiace, con tutti gli accessori che ho scelto”
“Certo signora”
Elisabeth bestemmiò sottovoce e sorrise non appena Lady Batth le rivolse uno sguardo interrogativo “Oh, cara, mi dispiace, è da più di un’ora che mi sopportate.”
“Esattamente” guardò l’orologio “ due ore e venticinque minuti”
“Come potrò mai…Ah!” balzò quando la ragazza le strinse il corsetto e si portò una mano sul ventre, respirando affannosamente “come… Come potrò mai far ammendaaaaah!” il viso chiaramente dolorante.
“Lady Batth, ho visto mio marito passeggiare più in là e…”
La donna, con un gesto della mano, la fermò e la pregò di fare tutto ciò che voleva. Elisabeth uscì trionfante da quel negozio di vestiti.
Ovviamente non era vero che aveva intravisto suo marito, ma era sempre comodo utilizzare Lord Kerwin come scusa.
Passeggiò per quel viale aristocratico, salutando qua e là le dame che passeggiavano a braccetto con il proprio marito. Una di queste, Lady Huberfett, ebbe anche l’audacia di domandarle il perché fosse da sola.
Elisabeth aveva risposto che suo marito era nelle vicinanze e si era sottratta per pochi istanti alle sue premurose attenzioni.
“Oh, lo vedo bene, non è vero Ron?” diede una gomitata al marito il quale annuì veemente “Siete sicura di non essere del tutto sola? Vi vedo alquanto spaesata” commentò sardonica.
Elisabeth strinse i pugni ed aprì la bocca, ma dietro di lei si udì l’accento strascicato e profondo di suo marito, il quale catturò l’attenzione di tutti.
Nessuno, prima d’ora, aveva mai visto Lord Kerwin in persona, ed ora eccolo lì, passeggiare alla buon’ora proprio nel viale che aveva scelto Elisabeth e per di più nelle sue vicinanze.
“Uno si chiede” cominciò avvicinandosi ad Elisabeth che riuscì a vedere la sua ombra stagliarsi contro i due damerini davanti a loro “se trovarsi al posto giusto, nel momento giusto, sia uno dei tanti poteri che Dio mi ha generosamente concesso. Perché, sapete, non molti posso vantarsi di tali qualità, non è vero Signori Huberfett?” si inchinò profondamente.
Elisabeth trattenne una risata, grata che suo marito avesse un tale senso dell’umorismo. A dir la verità, pensava che questa qualità gli fosse assolutamente estranea.
“S-s-s-i, signore” balbettò la dama, nervosa dal fatto che stesse parlando con un duca “è una bella giornata, non credete?” sorrise torcendosi le mani.
Lord Kerwin alzò il viso mascherato verso il cielo e proprio in quel momento un cristallo di neve gli cadde sulla fronte.
“Mh… Non direi”
“Voglio dire” si schiarì la gola “ questa giornata è stata particolarmente favorevole fino al vostro arrivo, ecco.”
“Quindi, state dicendo che ho anche il potere di far scatenare una bufera di neve quando decido di passeggiare?” commentò sardonico mettendo una mano sulla vita di Elisabeth, che si tratteneva per non scoppiare a ridere.
“No milord! Non intendevo… Ron! Dici qualcosa, per l’amor del cielo.”
L’uomo tacque ancora impressionato dall’apparizione del duca.
“Interiezione interessante, dato le circostanze. Ora, se volete scusarci” si toccò il cappello e trascinò Elisabeth dall’altra parte della strada, per osservare la reazione dei due.
Erano ancora immobili e solo all’ora  si erano resi conto che i signori Kerwin erano andati via, suscitando l’ilarità di tutti i presenti, compreso di Elisabeth.
“Signore, come avete fatto a trovarmi?” chiese con occhi limpidi. Lord Kerwin scrollò le spalle e si appoggiò con nonchalance al bastone da passeggio ( che in realtà non era proprio un bastone dato che all’interno c’era una spada ) “Vi ho vista uscire con lady Batth, e ho pensato avreste avuto bisogno di rinforzi.”
“Si.”
“Ottimo. Pensate che ora potremo andare prima che inizi a nevicare, oppure avete bisogno di dare una lezioncina a qualche dama impertinente?”
“Oh, no, non preoccupatevi, va benissimo così.” Rispose lasciandosi trasportare verso il cavallo di lord Kerwin.
“Non possiamo affittare una carrozza?”
“Non vi fidate di me?” rispose con tono beffardo.
“E’ una sfida?” chiese incrociando le mani, divertita dal fatto che stesse giocando un po’ con suo marito.
“Potrebbe” sellò sul cavallo e tirò le redini; poi le porse una mano inguantata “ poggiate un piede sul mio stivale ed afferrate la mia mano”
Elisabeth non esitò e salì con fermezza mentre le mani di lui le tenevano stretta la vita, anche dopo essere salita.
Lord Kerwin infilò i piedi nelle staffe e spronò il cavallo al galoppo, e quando Elisabeth poggiò la sua schiena sul petto di lui, sognò che il cavaliere fosse il suo, adorato, Colin.




 
 
Capitolo di passaggio, o meglio, Elisabeth inizia a conoscere un po’ di più suo marito ed apprezza il suo salvataggio straordinario.
Inoltre, devo far notare che è la prima apparizione di Lord Kerwin in pubblico, cosa non poco importante.
Purtroppo non riesco a sostituire le virgolette con le caporali perché sto scrivendo con un programma/computer diverso dal mio.


Un saluto a tutte e… FINALMENTE VACANZE!


Lady_Sticklethwait.

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33. ***


                           Capitolo 33.

 

你好 !
Vi auguro una buona pasqua a tutte, ma attente a non mangiare troppa cioccolata, altrimenti... Addio prova costume.

 

 

 

 




L'enorme sala da ballo era praticamente piena di persone. Non era molto grande, notò Elisabeth con dispiacere, e le risatine delle dame sembravano provocarle un eco infinito nella testa.
L'orchestra, posta dietro a delle colonne maestose stile impero romano, sembrava ignorare il brusio dei presenti e continuava a suonare canzoni popolari che nessuno osava ballare.
Lord Kerwin le aveva detto, prima di uscire, che si sarebbe liberato al più presto da una scomoda riunione e sarebbe arrivato lì quanto prima, ma Elisabeth dubitava le avesse detto la verità.
Insomma, Lord Kerwin ad un ballo? Le venne da ridere al pensiero. Non avrebbe messo piede in quel posto, e l'avrebbe abbandonata a se stessa sotto gli sguardi inquisitori delle dame.
Sospirò al pensiero di dover affrontare un'altra terribile serata.
Osservò distrattamente i vestiti delle dame e li comparò con il suo: bhé, potevano dir tutto su suo marito, ma non che non le regalasse vestiti costosi e alla moda.
Egli, infatti, le aveva comperato di nascosto quell'abito ed Elisabeth lo aveva ricevuto poche ore prima, in un pacco bianco con dentro un biglietto 'Accettate il mio regalo, signora, e vedrete che stasera nessun uomo potrà distogliere lo sguardo da voi.'
Elisabeth sorrise alla sensazione di benessere che aveva provato nel vedere quel vestito favoloso ed assolutamente sobrio. Odiava tutti quei pizzi, nastri e scarpette doloranti, e suo marito sembrava essersene accorto.
“Signora Kerwin, che magnifica sorpresa”
Elisabeth, che non aveva mai sentito quella voce, si girò con il solito sorriso di fredda cortesia, ma quando si ritrovò davanti la madre di Colin, per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
“Signora Bekwell” si inchinò prontamente “sì, è... E' davvero una
bella coincidenza” sottolineò.
Si preparò ad uno scontro diretto con Colin. Aspettava di vederlo spuntare da un momento all'altro, anche da dietro una pianta.
Per sicurezza, si allontanò da una Falangio che si trovava nelle vicinanze.
“Temo che non abbiamo mai avuto tempo di chiacchierare insieme. Oh, se solo penso a quanto siete cresciuta dall'ultima volta che vi ho visto!” esclamò eccitata e le prese la mano inguantata. “Vogliamo sederci?”
Elisabeth, che era rimasta incantata, annuì velocemente e si fece trascinare su un divano molto alto e ben imbottito.
“E quindi anche la cara Elisabeth si è sposata. Chi l'avrebbe mai immaginato?”
Già, pensò, chi?!?
“Esattamente” sorrise.
“Ho sentito dire che il fortunato è un duca. E' un peccato, cara, che non vi abbia mai visto insieme. Siamo tutti molto curiosi.”
“E' un brav'uomo, signora, e siamo molto felici insieme.”
“E ditemi... Dov'è avvenuto il vostro primo incontro?” chiese con aria eccitata.
“A Parigi” rispose prontamente.
“Città interessante, peccato che i Francesi non mi stiano particolarmente a cuore.”
Elisabeth decise di non commentare e scrutò la sala con occhi incuriositi. Di Colin non vi era ancora l'ombra.
“Cercate qualcuno?” chiese cortesemente Anne con sguardo malizioso.
“Oh, nessuno in particolare solo... Pensavo che mio marito fosse arrivato, tutto qui.”
“Sono sicura che arriverà il più presto possibile.”
Elisabeth sorrise “ Ditemi... Come stanno le vostre figlie? Ho sentito dire che Julia ha appena fatto ingresso nella società.”
“La mia cara figliuola... Oh, sta bene, e come! Guardatela, com'è corteggiata” la indicò con un cenno del capo. Julia era una ragazza davvero bella. Molto minuta e magra, sembrava aver le curve nel posto giusto e il suo volto presentava dei tratti aristocratici, ma non sembrava affatto la sorella di Colin.
O meglio, non aveva quel curioso colore di capelli caratteristico dell'uomo ed aveva gli occhi castani. Molto grandi, sì, ma non erano comparabili con quelli penetranti ed azzurri del fratello.
“E' molto graziosa. Scommetto che ha già ricevuto mille richieste di matrimonio.”
“Sì, lo è” disse guardando la figlia ridere con un gentiluomo “oh, no! A dir la verità, non ne ha ricevuta nessuna. Non guardatemi così, signora Kerwin, è tutta colpa di Colin.”
Elisabeth arrossì di colpo. “Ah, sì? Perché mai?”
Anne si guardò in torno “sapete, è il primo ed unico figlio maschio. Deve tener a bada tre sorelle ed altrettanti corteggiatori. Non è un compito semplice.”
“Sono dell'opinione che ogni donna è capace di scegliere per sé il proprio marito. Non vi è affatto bisogno dell'opinione del fratello, o meglio, l'influenza di quest'ultimo dev'essere parsimoniosa.”
Anne rise di piacere, attirando l'attenzione “Signora Kerwin, è bello parlare con una donna piena di spirito come voi!
Purtroppo, la dura realtà è un'altra... Uno :Colin è un uomo molto possessivo, sapete? Può trasformarsi dal più rispettabile degli uomini in un perfetto furfante, se ciò è necessario. Due: è particolarmente devoto alla famiglia. Nobile qualità, certo, ma non penso che le mie care figliuole la apprezzino con dovuto riguardo.” ridacchiò sventolando velocemente il ventaglio viola.

Tutto ciò è molto dolce, signora Kerwin. E' raro vedere un uomo geloso delle proprie sorelle” sorrise teneramente immaginando un Colin geloso. Oh, adorabile!
Cosa? Ma che diamine le stava prendendo?
“Si, lo è, ed apprezzo molto questa sua possessività. Grazie a lui, le mie figlie hanno scampato matrimoni davvero disastrosi.”
“Oh, lady Bekwell, io penso proprio che noi donne abbiamo in sesto senso che gli uomini non hanno, ed è per questo che riusciamo a smascherare i furfanti prima di loro. Il sesso superiore, non c'è dubbio” disse scherzosa sotto lo sguardo divertito della donna.
“Sapete una cosa? Mi piacete, signora Kerwin. Venitemi a trovare, qualche volta, sarò felice di presentarvi la mia numerosa prole.”
Elisabeth si astenne dal commentare che già conosceva il principale esponente della famiglia Bekwell.
La sala, improvvisamente, si fece meno rumorosa e calò – seppur per pochi secondi – il silenzio generale.
Elisabeth già poteva immaginare il perché, ma non riuscì a reprimere un gemito di felicità. Finalmente suo marito si degnava di fare la sua prima apparizione in società.
Alto, slanciato, ed elegante, si muoveva con sicurezza nel suo completo nero come la notte. Il bastone sfiorava leggermente il pavimento, la schiena sembrava essersi raddrizzata, cosa però non valida per il piede che continuava a strascicare per terra richiamando l'attenzione di tutti.
Lord Kerwin fermò la sua passeggiata giusto davanti ad Elisabeth, che si sentì sulle nuvole quando la prese delicatamente per la vita e la portò al centro della pista da ballo. Persino l'orchestra aveva smesso di suonare, e tutti guardavano la coppia con occhi sgranati. Il silenzio regnava, ma Elisabeth si sentì fiera di avere un marito tanto imponente e che mettesse a tacere le chiacchiere di quelle stupide ochette.
Con un gesto della mano, partì un valzer molto famoso ed in voga durante la stagione, ed Elisabeth, pur odiando i valzer, accettò l'invito di suo marito, appoggiandosi sulle spalle ampie e ben modellate. Dio, sembrava così simile a Colin!
“Alla fine siete riuscito a liberarvi?” chiese provocatrice.
“Si, più o meno è andata così.”
“Cosa volete dire?”
“Ho minacciato un paio di loro per abbandonare quella riunione. Stupidi damerini” borbottò con stizza.
“Oh” ridacchiò “spero abbiano capito che trattenere Lord Kerwin è alquanto pericoloso per la loro incolumità”
“Possono trattenermi quanto vogliono, se ciò non danneggia il nostro tempo”
Elisabeth sorrise e si lasciò cullare dalle sue braccia forti, ed improvvisamente ricordò il momento in cui aveva avuto la stessa sensazione di benessere che stava provando ora: il primo ballo della stagione. Colin.
Gemette e si guardò a torno, aspettandosi di scorgere la figura dell'uomo, ma non lo trovò. Strano... Eppure la sua famiglia era riunita tutta lì.
“Vi state agitando...C'è qualcosa che non va?”
La danza finì ed entrambi si inchinarono per poi passeggiare lungo i margini della sala “no, nulla...”
“Sicura? Forse non vi siete ancora rimessa del tutto. Volete tornare a casa?” chiese sempre con il suo accento strascicato e lievemente preoccupato.
“Si, non mi piace essere troppo al centro dell'attenzione, signore. Ma non vi preoccupate, voi restate qui, io chiamerò una carrozza e mi farò scortare a casa.” disse furtiva. Ora che aveva mostrato al mondo con chi era sposata, poteva anche tornarsene a casa.
Odiava i ricevimenti, dannazione.
“No, andremo insieme.”
“Vi prego...” insisté Elisabeth prendendogli un braccio “voi restate qui, sono solo un po' stanca ed emozionata, mi passerà subito.”
Lord Kerwin, però, non volle stare a sentire spiegazioni. La prese per un braccio e la portò fuori dalla sala, ignorando tutti coloro che lo salutavano timidamente.
Chiamò una carrozza e vi fece entrare Elisabeth; poi entrò anche lui.
Ecco, pensò massaggiandosi le tempie , il solito caprone scorbutico.
La carrozza li portò a casa.



Prometto che il prossimo capitolo sarà molto interessante. SìSìSìSìSìSìSìSìSìSìSìSì.


Lady Sticklethwait.





 

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Capitolo 35
*** Capitolo 34. ***


                      Capitolo 34.







 

 

Care lettrici,
non so cosa mi stia succedendo, ma è da un po' di tempo da questa parte che sto sfornando capitoli quasi ogni giorno.
Non capisco, è più forte di me! Quando sono in giro non faccio in tempo a salutare le persone che subito corro sotto il mio albero di fiducia, mi armo di penna e dell'agenda, e scrivo dialoghi che potrebbero entrar a far parte della storia...

 

 







 


Lady Anne Bekwell stava sorseggiando lentamente il suo tè con tutta la calma di questo mondo, anche quando Colin arrivò come un tuono nel salottino. Era una stanza splendida, con colonne di gesso riccamente decorate, molta produzione artistica Italiana, quadri raffiguranti scene di Bacco ed il soffitto sontuosamente affrescato.
Era noto a tutti che Bekwell Hall fosse decorata secondo lo stile italiano, proprio perché il marito di Lady Anne Bekwell, il caro e defunto Lord Richard Bekwell, amava così tanto l'arte e la cultura italiana che aveva trascorso molti anni in quel paese.
Comunque, Lady Bekwell aveva avvertito la presenza di suo figlio già prima che entrasse in casa. Era così semplice immaginare il suo umore, pensò poggiando la tazzina di ceramica sul piattino tenuto a mezz'aria, che cercò di ipotizzare quale fosse la causa della sua ira.
Colin aprì la porta così velocemente che i vetri tremarono ed un vaso cinese vacillò pericolosamente per qualche istante.
«Madre» divulgò avvicinandosi per baciarle la mano. In seguito si tolse il cappello ed i guanti, prese a stropicciarli nervosamente tra le mani e si fermò a pochi passi da lei.
Lady Anne ripose il tè sulla teiera d'argenti con estrema calma, ed alzò lo sguardo aspettando che parlasse.
Colin aprì varie volte la bocca, ma subito dopo scuoteva la testa e riprendeva a camminare avanti e dietro per la stanza.
Dopo interminabili minuti di quel
via vai, si sedette nella poltrona affianco alla sua ed appoggiò i gomiti sulle cosce, mantenendosi la testa con le mani.
«Preoccupato?» chiese melliflua Anne, cercando di scorgere l'espressione indubbiamente corrucciata di Colin.
«Touchè, madre»
L'orologio sul pendolo segnò le cinque in punto, e l'uomo alzò di scatto la testa.
«Qualcuno sa chi sono.» enunciò meccanicamente.
Lady Anne tacque, aspettando che continuasse.
Colin riprese a stropicciare il cappello e guardò sua madre con sguardo intenso «qualcuno ha scoperto chi è Lord Kerwin.»
«Oh, era ora.»
«Madre!» la sgridò «non sto scherzando e no, non è quel che pensate: Elisabeth non sa ancora chi sono, ma qualcun altro l'ha preceduta»
«Chi, mio caro?» chiese preoccupata.
Colin guardò a terra e sorrise, scoprendo una deliziosa fossetta sulla guancia destra «non ne ho la più pallida idea»
«Questo è molto rassicurante» l'ammonì. «Come lo hai scoperto?»
L'uomo frugò nelle tasche del cappotto blu ed estrasse una lettera dall'aspetto giallastro e con un marchio rosso fuoco sul centro. Gliela tese con aria sprezzante, e gettò sul tavolo il cappello ed i guanti ormai stropicciati.
Lady Bekwell aprì lentamente l'epistola e la tenne vicino agli occhi, fin quando non sobbalzò con occhi sgranati
«Cinquemila sterline! Cinquemila!» si portò una mano sulla bocca e inspirò lentamente «Colin» iniziò con calma «se è uno scherzo...»
«Perdinci, madre!» balzò in aria e si passò una mano tra i capelli castani «come potrei mai scherzare su un argomento del genere?»
«Una madre può sempre sperare, caro.»
L'uomo si tolse il cappotto come se facesse troppo caldo in quella stanza e lo gettò con noncuranza sulla poltrona dov'era seduto pochi minuti fa.
«Comunque» si avvicinò alla grande portafinestra «non sono venuto per questo.»
«Ah, no?»
Colin scosse la testa e guardò fuori «non pagherò quell'ingente somma di denaro, che sia chiaro, ma anche se fossi costretto non mi rivolgerei di certo a voi, madre.»
La donna annuì, sapendo già in principio che suo figlio non le avrebbe mai chiesto un aiuto finanziario, sia per orgoglio, sia perché non ne aveva assolutamente bisogno.
«Madre... Voi siete una donna, giusto?» non era una domanda, ovviamente, e Colin si sentì stupido per aver pensato ad alta voce.
«Cielo, non volevo intendere...»
La risata di sua madre gli impedì di finire la frase. Cosa diavolo ci trovava di tanto divertente?
«Scusami, caro» disse sventolando energicamente il ventaglio di seta « vai avanti.»
Colin le lanciò un'occhiataccia, ma riprese il discorso «sono venuto qui per Elisabeth.»
La donna acuì la vista e si alzò, pronta a non perdere nessuna parola di quel discorso.
Egli cercò di non notare l'interesse ed il mutamento d'umore della madre e proseguì il discorso «Dopo varie riflessioni e meditazioni a riguardo, sono giunto alla conclusione di...»
«E' una brava e bella donna» lo sguardo malizioso mentre si avvicinava.
«Sto parlando.» sbottò Colin tentando di mantenere la calma. Diavolo, quel discorso era più difficile di quanto credesse.
«Dunque...Mh... Dov'ero? Ah, sì. Dopo molte notti insonni, ho finalmente deciso di...»
«La ami, vero?»
«Madre! Posso finire un discorso senza essere interrotto da vossignoria? Che diamine.»
Lady Bekwell scrollò le spalle ed alzò un sopracciglio, ma non rispose.
«Sono giunto alla conclusione che è inutile, improduttivo ed assolutamente rischioso per la mia incolumità – se conoscete solo un pò quella donna, capirete perché – continuare questa farsa. Inoltre, dato che qualcuno ha scoperto la mia seconda identità – e ciò è davvero
molto ma molto frustrante – penso che mia moglie abbia il diritto di sapere chi sono e magari aiutarmi in questo momento. Oltretutto» alzò un dito per non farsi bloccare nuovamente dalla donna «prima o poi Elisabeth sarebbe comunque venuta a conoscenza di questo scomodo artifizio, e stento già ad immaginare la sua reazione quando glie lo dirò io stesso, figuriamoci se l'avesse scoperto tramite bocche infamatorie e pettegole o addirittura da sola.» guardò sua madre che se ne stava vicino ad un tavolino con le braccia incrociate e lo sguardo corrucciato.
«Ora vi ritirerete per deliberare?» disse scherzosamente, ma la madre non afferrò l'ironia.
«Colin, come puoi scherzare così? Quella povera ragazza, l'altra sera, era terribilmente sola! Capisci? Appena l'ho vista inerme ed attaccata da tutte le donne dell'alta società, ho cercato di sottrarla dai loro artigli, ma se non fosse venuto il misterioso e tanto acclamato Lord Kerwin sarebbe stata al centro dei pettegolezzi.»
«Elisabeth sa cavarsela benissimo da sola, madre, e poi non si è mai lamentata del fatto che non fossi mai apparso in società.»
«Come ti sentiresti, tu, se fossi una donna costretta a sposarti con un uomo dall'aspetto orribile – si, caro, quel piede strascicante e quella maschera incutono davvero timore -, ed a partecipare ai ricevimenti sempre sorridente ed allegra nonostante tutte ti pugnalino alle spalle?»
Colin strinse i pugni. Non era venuto lì per una ramanzina, e poi Elisabeth non era mai stata impaurita dal suo aspetto, o almeno, credeva.
«Madre, tutto ciò non importa. Ora le dirò la verità e...»
«Caro, c'entra, invece! Solo perché sei costretto a rivelare la tua identità prima che quei brutti ceffi – o magari quel brutto ceffo, perché dubito sia una donna – rendano pubblica la tua vera identità, non significa che tu debba rivelarti di botto a tua moglie. E' un momento delicato, bisogna procedere per gradi. Penso resterà già sorpresa quando scoprirà chi è in realtà Lord Kerwin, figuriamoci se le dirai subito che la tua vita è in pericolo!»
«Ho tutto sotto controllo, non preoccupatevi.»
«Colin, per una buona volta, ascolta i consigli di tua madre. Lascia stare questa faccenda del ricatto, e cerca di far capire ad Elisabeth che hai quel... Quel piccolo segreto.»
«Ne ho abbastanza delle tue chiacchiere, madre» sbottò prendendo il cappotto, i guanti ed il cilindro, che si infilò prontamente sul capo.
«Bene, ricordati allora di essere cauto. Buona fortuna» disse con voce fredda, alzando la mano per farsela baciare.
Colin sfiorò la mano ma, sentendo la voce risentita della madre, le rivolse un sorriso da mascalzone «Dai, mammina, fatti dare un bacio.»
Lady Bekwell si divincolò ridacchiando «No, Colin, vai.»
«Daaaai» inclinò la testa come quando faceva da piccolo «solo uno, piccolo piccolo, lo giuro.»
«Oh cielo, pensavo fossi cresciuto per queste coseeaaaah» Colin prese a rincorrerla per tutta la stanza ed Anne riuscì in tempo ad aprire un cassetto contenente
tutte le opere di Shakespeare.
«Esci fuori oppure ti suonerò questo libro in testa» disse sicura di vincere.
«Va bene, va bene, mi arrendo» alzò le mani in segno di sconfitta e scorse sopra quel comodino la lettera «posso prenderla?» disse indicandola.
Anne annuì e Colin allungò un braccio per afferrare l'epistola ma, quando stava per ritrarsi, le schioccò un rumoroso bacio sulla guancia incipriata.
«Aah, farabutto!» gli urlò addosso e Colin corse verso la porta chiudendola accuratamente, prima di ricevere Shakespeare sul capo.
Il libro, infatti, si schiantò sulla porta chiusa e Colin rise, divertito dal fatto di aver stuzzicato di nuovo sua madre.
Non si sarebbe mai stancato di farlo.














Si, lo so, ora sarete curiosissime di sapere il seguito, ma devo avvertirvi, non sarà così facile come credete...







Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 36
*** Capitolo 35. ***


                           Capitolo 35.

 

 


Restiamo amici = voglio che tu resti comunque disponibile, così posso raccontarti nei dettagli più dolorosi – per te quello che faccio con gli uomini che mi piacciono davvero.
Credimi, non sei tu! Sono io = No. Sei tu.

 

 

 

 

Colin se la prese assolutamente con comoda prima di rivelarsi ad Elisabeth, o meglio; era troppo indaffarato ad osservare qualsiasi ombra o uomo sospettoso si trovasse nelle sue vicinanze.
Era frustrante sentirsi pedinato ed analizzato ogniqualvolta che metteva piede fuori l'uscio della porta, e per sicurezza portava una pistola sotto gli strati della giacca, ma sapeva che non bastava... Se il farabutto avesse voluto somministrargli tutto il denaro di un colpo, non avrebbero mostrato la minima pietà per la sua figura.
Diavolo, e poi c'era anche il problema del numero: chissà se il suo nemico faceva parte di era un'associazione delinquenziale oppure era completamente solo... Colin diffidava che un uomo, indubbiamente più povero di lui, avesse avuto l'audacia di minacciare un duca, ma non voleva escludere anche quella possibilità.
Dannazione, c'era anche Elisabeth: se qualcuno voleva prendere i suoi soldi, non ci sarebbe stata minaccia più esemplare e classica del ricatto della moglie.
Aprì di nuovo la lettera, scorgendo le ultime parole dolorosamente familiari: '
La tua identità è nota. La somma richiesta è quanto appuntato sopra. Se non vorrete avere brutte sorprese, farete bene a consegnare i soldi alla prossima luna piena, Tower Bridge, mezzanotte in punto. '
E poi sopra, come se non fosse già abbastanza allarmante, vi era una croce accompagnata dalla somma scritta con il sangue. Perdinci, quei furfanti sapevano bene come far accapponare la pelle!
Ripiegò accuratamente la lettera e la nascose tra le tante carte sparpagliate sulla scrivania. Era lunedì, e la luna piena ci sarebbe stata la prossima settimana.
Meglio così, pensò mangiucchiando alcuni biscotti deliziosi, avrebbe avuto più tempo per pensare e scoprire chi fosse l'artefice di quella minaccia.
Ovviamente non sottovalutava la situazione, ma fin quando non ci sarebbero stati dei segni da parte di costoro, non sapeva proprio da dove cominciare. Perché, maledizione, Londra era così grande?
Era come cercare un ago nel pagliaio, e con la fortuna che si trovava, ridacchiò Colin, ci avrebbe messo davvero un bel po' per venirne a capo.
Una cosa era certa: non avrebbe sganciato un solo centesimo.
I suoi pensieri vennero interrotti dall'arrivo della sorella, Julia, che non bussò nè si degnò di sostenere un tono di voce basso.
«Colin! Smettila di restare chiuso in questa camera, e vieni a giocare con noi. Ci sono tantissime dame che cercano
disperatamente la tua attenzione.»
Colin alzò gli occhi al cielo.
«Daai» pregò la sorella avvicinandosi con le mani giunte «ti prego»
«Julia, sono impegnato, non vedi?» indicò la scrivania.
La ragazza alzò un sopracciglio «No, a meno che mangiare non sia un lavoro.»
Colin sorrise «Penso sia un'attività di gran lunga più interessante che essere lasciato
solo – perché questo farai, nevvero? Mi abbandonerai tra quelle lupe fameliche che auspicano solo a diventare signore rispettabili – mentre tu te la spasserai insieme a mia madre – davvero molto carino, pugnalare il sangue del vostro sangue dietro le spalle – ed io vi implorerò aiuto senza essere, aimé, soccorso.»
«Oh, caro, mi fai sembrare un mostro.»
«Tu dici? Vogliamo parlare di quella volta in cui mi facesti fare per dieci volte di fila le scale - aggiungo con te sulle spalle - solo per averti staccato incidentalmente la testa di quell'orribile bambola? Subdola è dir poco.»
«Non è vero, lo hai fatto apposta, e poi era bellissima» giunse le mani e guardò in cielo, sorridente «ah, quanti bei pomeriggi ho passato a pettinarti e vestirti, mia dolce e cara Emily.»
«E' stato un dolore disumano perderla nel fiore della sua giovinezza. Oh, se ne vanno sempre i migliori!» commentò mettendosi una mano sul cuore. Julia fu tentata di lanciargli un secchio di acqua addosso e gli rivolse uno sguardo gelido.
Il fratello ridacchiò.
«Allora» sbottò picchiettando il piede sul pavimento e tenendo le mani incrociate «ti unirai a noi oppure resterai segregato in questa stanza per il resto dei tuoi giorni? Che sia chiaro, non mi spiacerebbe vederti morire in una lenta agonia qui dentro» sorrise osservando il suo studio.
Colin si alzò dalla scrivania, quindi, si diresse verso la finestra. Notò molte dame in giardino, tutte coinvolte in conversazioni che potevano sembrare apparentemente interessanti, ma egli sapeva che l'arduo enigma della stagione era: azzurro o rosso?
Poi, aguzzando la vista, osservò meglio una dama che sembrava parlare animatamente con sua madre, gesticolando e facendo anche dei movimenti un po' goffi.
«La signora Kerwin» sospirò Julia affianco alla finestra... Ma non stava vicino alla porta?!
«E' così piena di vita e di un'allegria frizzante, ma non oso rivolgerle la parola» continuò Julia aggiustandosi un ricciolo «molte volte sembra così...»
«Così?» chiese Colin pendendo dalle sue labbra.
«Oh non saprei» ridacchiò nervosamente «non so neanche come definirla»
Colin riportò lo sguardo corrucciato su Elisabeth, e capì subito il perché della convocazione di sua madre: voleva che le dicesse la verità.
Cielo, perché quella donna desiderava a tutti i costi interferire nella sua vita? Come se lui non sapesse cavarsela da solo.
Sbuffò.
«Cos'hai,
big brother?»
Ecco, iniziava anche sua sorella, ma la ignorò deliberatamente sicché vide un gentiluomo avvicinarsi ad Elisabeth e baciarle con estrema lentezza la mano.
Colin si irrigidì. «Chi è quello?»
«Scusami?»
«Chi è quel damerino laggiù?» disse indicando con un cenno del capo l'uomo.
«Oh, dici Lord Stirling? Suppongo un nuovo affascinante confidente di nostra madre. Sai com'è fatta; non riesce a tenere la bocca chiusa ed odia far parte del circolo delle
vedove anziane.»
«Dovrebbe iniziare a mettersi bene in testa che ha anche un'immagine da rispettare, ragion per cui il circolo delle vedove anziane è appropriato ad una duchessa vedova... Ed anziana.»
Julia scrollò le spalle « cinque sterline se riuscirai a convertirla» ridacchio.
Colin, con un sorriso furbo, rispose « venti se ci riuscirò senza farle sospettare nulla.»
«Affare fatto»
«Bene» si strinsero la mano come due alleati di guerra e tornarono a guardare fuori dalla finestra.
Lord Stirling... Non aveva mai sentito quel titolo. Evidentemente era un nuovo arrivato. Lo chiese a sua sorella per avere maggior sicurezza.
«Non saprei, Colin. L'unica informazione in mio possesso è che sta mirando ad impossessarsi del seggio in Parlamento, e si dice anche che sia molto in confidenza con il Primo ministro.»
Perfetto. Sapeva abbastanza per odiarlo subito, ma la sua irritazione crebbe quando posò abilmente la mano di Elisabeth sopra il suo braccio e la diresse presso la fontana di Afrodite.
«Sai una cosa? Non mi sono mai piaciuti gli uomini politici, ma per quel signore, farei proprio un'eccezione» ridacchiò.
Il fratello non rispose e quando si girò trovò la stanza vuota.



Colin scese dalla porta riservata alla servitù che affacciava direttamente su un giardino ed un vasto corridoio dove, sulla destra, si poteva trovare la fontana di Afrodite.
Non aveva assolutamente voglia di farsi vedere da quelle signorine urlanti e leggermente isteriche, e sperò ardentemente che non avessero cambiato la loro postazione di battaglia.
Attraversò come un tuono il lungo corridoio di terra battuta e voltò a destra. Elisabeth era seduta sulla pedana di marmo e con un dito faceva dei movimenti nell'acqua, ascoltando distrattamente le parole dell'uomo che, invece, stava elogiando la bellezza e l'armonia della dea.
Grazie mille, pensò Colin, è Afrodite, la dea della bellezza, potrebbe mai essere rappresentata come un drago a due teste?
L'immagine del drago gli ricordò vagamente sua madre oppure Elisabeth infuriate: non vi era illustrazione più idonea.
«Rimembro, signora Kerwin, una poesia che studiai all'università. Essa è di una delle più famose poetesse greche al mondo, ed è una sorta di invocazione alla dea Afrodite.»
«Ah, si?» chiese curiosa Elisabeth, rivolgendogli un caldo sorriso « e cosa invoca, se posso saperlo?»
«L'amore» rispose con voce calda e sguardo intenso «l'amore della donna che ama.»
Colin trasalì a quelle parole e si nascose come meglio poteva dietro ad un cespuglio piuttosto folto. L'amore! Ma cosa diavolo aveva studiato all'università?
«Volete...» ingurgitò rumorosamente la saliva «volete recitarmi un passo, signore? Sarei molto lieta di ascoltare tale opera d'arte.»
Tom Stirling arrossì violentemente ed inchinò il capo, iniziando a disegnare dei piccoli cerchi con la punta dello stivale «non penso di ricordare con esattezza le parole, signora, ma posso sempre provare.»
Elisabeth chinò il capo in segno di incoraggiamento e giunse le mani in grembo, pronta ad ascoltare la fatidica poesia.
L'uomo si schiarì la voce ed iniziò «Dunque... Afrodite, figlia di Zeus, ti prego: l'animo non piegarmi, signora» si inchinò galantemente ed Elisabeth rise.
Colin si armò di tutte le sue buone intenzioni per non
piegare quell'individuo con un pugno.
«Con tormenti ed affanni. Vieni... Vieni...» si toccò la fronte «dannazione, com'era? Ah, sì! Vieni qui come le altre volte, udendo la mia voce, mi esaudisti, e lasciata la casa... La casa d'argento... No, era d'oro, sì. E lasciata la casa d'oro del padre venisti, aggiogato al carro.»
Elisabeth applaudì ridacchiando «oh, bravo, bravo! Davvero molto bella»
«Non è finita, madame. Volete che continui?» sorrise malizioso.
Colin,, che sperava non ci fosse un nuvolone nero con tanto di fulmini sul suo capo, uscì da quel nascondiglio e si diresse verso i due, stanco di dover sopportare ancora per molto quella meravigliosa poesia così mal recitata, piena di errori e parti mancanti.
«Prego, allora, proseguite.»
L'uomo aprì la bocca per continuare, ma le parole che vi uscirono non erano assolutamente sue. Elisabeth si girò, sorpresa dal fatto che fosse comparso proprio in quel momento Colin.
Era da un bel po' che non lo vedeva...
Egli sembrava quasi un leone, i capelli arruffati e con addosso soltanto la camicia ed il panciotto finemente ricamato; procedeva con un'andatura lenta e scrutatrice, una mano nella tasca e l'altra stretta a pugno.
«Tu, beata, sorridevi nel tuo volto immortale e mi chiedevi del mio nuovo soffrire: perché di nuovo ti invocavo: cosa mai desideravo che avvenisse al mio animo folle.» si avvicinò sempre di più, con voce roca e da seduttore «Chi di nuovo devo persuadere a rispondere al tuo amore?» gli occhi di entrambi sembravano leggersi l'uno nell'anima dell'altra, cercando di scoprire i segreti più nascosti. «Chi è ingiusto verso te, Saffo?» si inginocchiò ai piedi di Elisabeth e le prese una mano. Elisabeth sussultò al contatto con le sue mani lisce, pur avendo i guanti. In quel momento erano così presi dai loro sguardi che non si accorsero di Tom, il quale, imbarazzatissimo com'era, aveva iniziato a tossire per richiamare l'attenzione.
«Abbiate pazienza, salto subito al dunque» ringhiò Colin lanciandogli un'occhiataccia.
Tom non parlò più da quel momento in poi.
I due si riguardarono di nuovo, ed egli pensò quasi di sprofondare negli occhi di lei. Erano appannati e molto lucidi, e il labbro inferiore le tremava interrottamente, come se avesse freddo.
«Vieni da me anche ora: liberami dagli affanni angosciosi: colma tutti i desideri dell'animo mio; e proprio tu...» fece una pausa ad effetto e vide Elisabeth prendere letteralmente dalle sue labbra.
«Sì?» chiese in un leggero sussurro che gli accarezzò il viso come il vento primaverile.
«Sii la mia alleata.» si abbassò lentamente sulla mano inguantata e la sfiorò con l'alito caldo, per poi alzarsi immediatamente con il solito sorriso da mascalzone.



 

 

 

 

 

 

 

Lady_Sticklethwait

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. ***


                        Capitolo 36.

 



Non c'è cosa di più subdolo e sadico dei saldi nel reparto dolciumi.
Diabete, prendi pure la mia anima...




Tom Stirling, dopo che Colin ebbe finito di recitare, cominciò a borbottare ed a tossire fin quando non ottenne nuovamente l'attenzione di entrambi.
«Credo che vostra madre vi stia cercando, signora Kerwin.»
Elisabeth annuì e si alzò mentre Tom le si avvicinava per offrirle il braccio «lasciate che vi accompagni.»
La donna appoggiò la mano su quella di lui e si rivolse a Colin «Signore, voi non venite?»
Quando Colin si voltò, Elisabeth pensò che l'incolumità di Tom fosse a serio rischio; egli, infatti, gli aveva lanciato uno sguardo così carico d'odio e di disprezzo che si stupì quando non vide uscire il fumo dalle orecchie.
Elisabeth si morse un labbro. Diamine, perché mai si comportava in quel modo assurdo? Non capiva che così facendo si sarebbe guadagnato l'inimicizia di tutti gli uomini D'Ighilterra?
Sospirò; uomini. Quando avrebbero ammesso di aver sbagliato, si sarebbero trasformati in donne.
«Devo dire di essere particolarmente sorpreso, signor...»
«Bekwell» rispose gelido accennando a proseguire lungo un vicolo.
«Dove avete imparato quest'ode? Non si può dire che non sia celebre, ma pensavo che queste piccole sfumature di antica poesia Greca fossero studiate
solo da appassionati d'epoca.»
«Vedete, signor...» sorrise da farabutto.
«Stirling» disse Elisabeth sfidandolo con lo sguardo. Colin le fece l'occhiolino, e le si mozzò il respiro.
«Signor Stirling, mi rincresce che la storia narri solo le gesta eroiche di uomini altrettanto ardimentosi, ma chi può rendere giustizia a coloro che sono sempre stati eclissati dagli uomini citati prima, se non la poesia? Mi spiego meglio: nell'antica Grecia, come in tutte le altre epoche, non vi era solo Omero come poeta, sapete? Ve ne posso elencare una dozzina che voi sicuramente non conoscete, ma se vi capiterà qualora di leggere le loro poesie o il pensiero filosofico, penso che ne rimarreste esterrefatto.»
«Rispetto il vostro pensiero, signor Bekwell, ma non capisco come ciò possa essere coerente con la domanda che vi ho posto» disse svoltando lentamente lungo un vicolo.
Colin lp seguì. «Bhè, a dir la verità, ho solo detto ciò che mi passava per la mente ed ammetto che il mio discorso era assolutamente sconclusionato e leggermente fuori luogo, ma, sapete, è difficile cimentarsi su una domanda quando si è accecati dalla folgorante bellezza della donna.»
Tom annuì sommessamente «Sì, Afrotide è bellissima, non è vero, signora Kerwin?» chiese scrutando il volto di Elisabeth.
«Sì, lo è.»
Colin ridacchiò « Cielo, davvero pensate che mi stessi riferendo ad Afrodite?»
Elisabeth lo guardò sgomenta, seguita da Tom. Maledetto. Come poteva corteggiarla così spudoratamente davanti ad un altro uomo?!?!
I tre svoltarono a destra e si ritrovarono
troppo presto davanti a Bekwell Hall.
«Purtroppo la nostra passeggiata è terminata qui.» commentò Tom con un pigro sorriso.
«Oh, non credo proprio. Signora Kerwin, vi andrebbe di fare altri due passi con me?» chiese Colin offrendole il suo braccio.
Bhè, più che una domanda sembrava un ordine, ragione per cui Elisabeth declinò l'invito.
«Temo di essere molto stanca, oggi. Scus...»
«Perfetto» sbottò prendendola per il gomito e trascinandola indietro «lo prenderò per un sì.»
«Antipatico»
«Un giorno mi ringrazierete» disse quando furono abbastanza lontani da Tom che, contrariamente a quanto si poteva pensare, si era dato da fare con una signorina bruna ed alta. Meglio così, pensò Colin svoltando a sinistra. Almeno quel damerino non avrebbe avuto modo di interromperli.
Pochi minuti dopo stavano ancora camminando per chissà dove. Elisabeth desiderò eclissarsi immediatamente piuttosto che restare nuovamente da sola con quell'uomo.
«Signor Bekwell» sbottò spazientita «mi fate male. Lasciatemi.»
«Non ancora»
«Ora.»
«Smettetela di lamentarvi.»
«Oh, certo, lo farei se non...» un sasso la fece inciampare ma, grazie alla stretta di Colin, riuscì a non cadere.
«Avete la grazia di un elefante» commentò Elisabeth cercando di tenere il passo.
«Vi ringrazio»
«Figuratevi. Ah, e già che ci sono, dove avete intensione di portarmi?»
Colin continuò a camminare a passo veloce, non accennando una parola.
«Potreste avere almeno la decenza di rispondere alla mia domanda?»
«Vi aspettate che vi risponda?»
«E' quello che farebbe qualsiasi gentiluomo» disse sprezzante. Odiava quando Colin si comportava come l'orso che era; cosa diavolo voleva da lei? E perché era diventato tutto d'un tratto impertinente quando pochi minuti prima aveva detto... Aveva detto che era bellissima?
Colin finalmente si fermò nei pressi di un ponte. L'acqua che vi scorreva sotto era molto abbondante a causa della neve che si era parzialmente sciolta, ma soffiava un vento davvero gelido e non si poteva dire che fosse arrivata la primavera.
Elisabeth si strinse a se lo scialle, cercando in tutti i modi di non far penetrare l'aria fredda sotto il leggero vestito di stoffa.
«Avete freddo?» chiese Colin appoggiando la gamba su una panchina poco lontana ed il braccio sulla gamba alzata.
«No, non molto.» guardò i pochi alberi sempreverdi ululare insieme al vento, e riuscì quasi a sentire degli schizzi d'acqua bagnarle il volto.
Sembravano due estranei; Colin confabulava poco lontano e le volgeva le spalle, Elisabeth stava dritta ed immobile con le mani inguantate poggiate sul muretto bianco immacolato.
Il silenzio era davvero insopportabile.
Colin si girò quel poco per osservare il profilo fiero della donna, e per pochi secondi desiderò mandare tutto all'aria per prenderla e scappare lontano da tutto e da tutti.
Sarebbe stato davvero un sogno.
Ed invece no, era costretto a mentire a lei, a se stesso e a tutta la società, solo per mantenere quella vita da scapolo incallito che era; eppure, rifletté osservando la curva delle ciglia ed il piccolo naso francese, sarebbe stato felice se avesse sposato un'altra donna che non fosse lei.
Da quanto era iniziata la sua duplice vita, quella di Colin Bekwell si era praticamente ridotta a partecipare a quei pochi eventi che richiedevano la sua presenza e a tenere d'occhio quella ragazza. Insomma, non si poteva dire che si stesse divertendo!
Era sicuro al mille per mille che se avesse sposato un'altra donna si sarebbe dato alla pazza gioia nelle vesti di Colin Bekwell.
Chissà perché non riusciva più a mantenere quel tenore di vita che un tempo aveva pensato fosse lo scopo principale della sua vita...
Elisabeth lo aveva cambiato? Ma in cosa? Perché non riusciva più a divertirsi con la sua combriccola di amici ed a conquistare le giovani come prima? Forse era divenuto brutto?
No, impossibile, pensò sorridendo e scacciando via quell'assurda idea; il giorno in cui sarebbe diventato brutto e stupido, l'avrebbe fatta finita.
«Ebbene, signor Bekwell?» sbottò continuando ad osservare un punto lontano e distante.
«Se ben ricordo, penso che un tempo abbia avuto l'onore di essere chiamato con il mio nome di nascita,
Elisabeth.»
«Evidentemente abbiamo una concezione sbagliata di amicizia.» la voce gelida e tagliente.
«Davvero?» Colin si mise giù la coscia e si avvicinò con studiata lentezza «e voi cosa intendete per amicizia, cara Elisabeth?»
La donna si girò, alzò un sopracciglio e con aria di sfida rispose « Amicizia, sostantivo femminile: sentimento di affetto, di simpatia, di solidarietà, di stima tra due o più persone, che si traduce in rapporti di dimestichezza e familiarità.»
Colin si appoggiò con il braccio sul muretto « Allora, dato che fino a pochi minuti fa stavamo parlando di poesie, ti di\rò - con una figura retorica - la mia concezione di amicizia» ridacchiò e poi la guardò intensamente «relazione amorosa.»
Elisabeth sobbalzò «No! Non potete! Non è corretto definire un concetto con un eufemismo!»
Colin, intanto, se la rideva sotto i baffi «certo che si può. Chi può impedirmelo?» alzò un sopracciglio.
«Siete... Siete un
farabutto e comunque ciò non vi autorizza a baciarmi quando vi pare e piace.»
«Anche questo è un eufemismo? Farabutto?»
Elisabeth sorrise «oh, si, immaginate che parola vuole sostituire»
Colin si passò una mano fra i capelli «attraente seduttore?»
«Risposta sbagliata»
«Peccato» fece spallucce e guardò il fiume. Anche Elisabeth riportò la sua attenzione sull'acqua che scorreva; era mille volte meno pericoloso che guardare Colin sorridere e scherzare con lei.
Pochi minuti dopo cominciò ad allargarsi il fazzoletto, come se lo strozzasse «Elisabeth, ci sono mille ragioni per cui ti ho portata qui, ma penso che sarebbe più opportuno iniziare con la cosa più elementare e meno importante che ci sia.» aspettò che lei si girasse per guardarlo negli occhi «non farti mai più trovare da sola con un uomo che non sia tuo marito, oppure non risponderò più delle mie azioni.»
Elisabeth rimase esterrefatta «Come... Come... Cielo!» sbottò stringendo i pugni «come osate! Voi siete... Siete l'uomo più arrogante, cinico, dominante, egocentrico, spavaldo e... e... e
cattivo che io abbia mai conosciuto! Non me ne starò, qui, a sentirmi dire cosa devo o non devo fare da uno come voi!»
si girò per andarsene ma Colin le prese il braccio.
Elisabeth, con uno strattone che le strappò una manica, si liberò dalla mano dell'uomo e, con un sorrisino impertinente, alzò le gonne e si rigirò.
«Elisabeth, girati immediatamente. Devo parlarti.»
Ma la donna era già a metà ponte, intenzionata ad andarsene il prima possibile. Cacciando indietro l'idea di buttarla giù dal parapetto, Colin la raggiunse e riuscì a bloccarla, la fece girare e la sollevò da terra, con le braccia strette alla vita. La duchessa lanciò uno strillo e scalciò in avanti cercando di colpirlo alle ginocchia. Lui la scosse di nuovo.
Le era caduto il cappello ed i riccioli ramati gli ricadevano in faccia. Erano freddi, morbidi come la seta e profumavano di fiori e di primavera.
Non voleva stringerla ancora a lungo. «Cosa diavolo ti prende, Elisabeth? Scappare ed offendermi così quando ho solo voluto metterti in guardia dagli uomini. Dovresti ringraziarmi.»
«Lasciatemi! Lasciatemi, oppure urlerò»
«Calmati e lo farò.» poi, con un tono di voce più dolce molto vicino all'esasperazione, disse « Elisabeth, voglio solo parlarti.»
«No, non voglio, lasciami Colin» gli lanciò un'occhiata glaciale e gli tempestò le spalle di pugni.
«Oh cielo» guardò il fiume e si avvinghiò con le braccia sul suo collo «oh cielo, oh cielo»
«Elisabeth?» sussurrò con la faccia premuta sul suo collo. Diavolo, se solo solo si fosse resa conto che le sue labbra premevano sulla sua pelle in modo così scandalosamente intimo, si sarebbe allontanata immediatamente.
«Oh cielo, soffro... Soffro di vertigini, oh!» strinse le mani sui morbidi ricci di lui.
«Calma, calma, ora ci allontaniamo subito.» fece per camminare sul ponte ma ella lanciò un urlo.
Dannazione, non era questa la sua intenzione; non voleva spaventarla, ma solo evitare che se ne andasse via quando era arrivato il momento di dirle la verità.
«Elisabeth, chiudi gli occhi, va tutto bene» le accarezzò lentamente la schiena e sentì la donna sprofondare il viso nei suoi capelli.
Pochi secondi dopo, la fece distendere contro un albero; ansimava ed aveva gli occhi ancora sbarrati per la paura.
Finalmente, si riprese.
«Mi dispiace, io... Mi sono fatta prendere dal panico. Quand'ero piccola una mia amica, giocando, mi spinse da un ponte ed io... Caddi nell'acqua gelata.» disse mordendosi un labbro.
Colin le accarezzò la guancia morbida ed incredibilmente fredda con il pollice «non è nulla, tranquilla.»
Elisabeth, tuttavia, non riusciva a comprendere il perché quell'uomo si comportasse sempre così con lei. Da un minuto all'altro poteva variare dal più romantico adulatore ad un orso ostile.
«Io...» chiuse gli occhi ed inspirò «penso di non capire. Perché ti ostini a proteggermi da tutti e...» il pollice di Colin passò sul suo labbro inferiore, in un movimento languido e lento.
I due si guardarono negli occhi, il momento era carico di tensione; poi Colin ritirò la mano, come se si fosse scottato, e guardò altrove «Finalmente ti sei decisa a darmi del tu» commentò alzandosi.
Elisabeth non rispose, ancora stordita dal tocco delle sue dita sulle sue labbra. Diavolo, era stato terribile, magnifico. Terribilmente magnifico.
«Penso che dovremmo ritornare indietro» le offrì la mano ed Elisabeth la accettò senza esitare.
«Oh, il mio cappellino!»
«A dire la verità...» iniziò Colin riprendendo la strada di prima «sei più bella senza.»
Elisabeth sorrise «Grazie... Cosa dovevate dirmi? E' importante, giusto?» lo sguardo preoccupato.
«Oh, lasciate perdere
signora Kerwin, ne discuteremo la prossima volta.»

 

 

 

 

 

Ripeto: le variazioni dal 'voi' al 'tu' sono ovviamente volute da questa autrice. Lo stesso vale per le parti in grassetto o in corsivo.
Questo capitolo è carico di 'brio', dove il povero Colin decide -finalmente- di dire la verità ad Elisabeth che- sfortunatamente- rifiuta di ascoltare l'uomo per la sua arroganza.
Caro Colin,
sappi che ti ho sempre stimato dall'inizio di questa storia, ma ti sei comportato proprio male, no-no, così non va.
Farai meglio a farti perdonare e magari evitare metodi così drastici per richiamare l'attenzione...
Cara Elisabeth,
sappi che sei stata sempre il mio modello di donna ideale, ma ti prego di ragionare prima di farti prendere dall'ira e mutilare il povero Colin... Siamo tutti umani e, bhé, possiamo sbagliare.
Care lettrici,
voglio farmi pubblicità da sola, anche se penso di avervi annoiato abbastanza con le mie chiacchiere, per cui; leggete l'altra mia storia 'Bocca di Rosa', oppure due cioccolatini succosi si suicideranno.
Caro Babbo Natale,
Ops... Forse ho sbagliato pagina...



Lady_Sticklethwait.

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. ***


                            Capitolo 37.

 

 

 

 

Stomaco del dessert: organo secondario che supporta lo stomaco principale quando è pieno, ma vuoi mangiare lo stesso quel meraviglioso dolce che ti viene messo davanti gli occhi.

 

 

 

 

Un segno, un miracolo. Colin saltò dalla sedia felice come una pasqua, aprì le finestre e mise la lettera controluce. Sì, si vedeva, era come aveva pensato e sorrise come un ebete per interminabili minuti. Poi si sedette sulla scrivania e fece mente locale: dove aveva mai visto quel marchio?
Era molto particolare e non sapeva dire se c'erano delle lettere o numeri particolarmente significativi; fatto sta che, i suoi ricattatori, avevano commesso un errore matronale, cosa di cui gli era estremamente grato.
Sorrise compiaciuto di se stesso. Ormai era fatta, poteva già sentire l'odore della vittoria e vedere quei farabutti dietro le sbarre della prigione.
Doveva solo scoprire a chi apparteneva quel marchio.
Sospirò, mettendosi una mano nei capelli e studiando le linee complesse che formavano una sottospecie di leone. Non aveva mai visto quel logo in tutta la sua vita, e cominciò a prendere in considerazione che i ricattatori non fossero Londinesi.
Dannazione, proprio nel momento in cui aveva intravisto le porte della verità spalancarsi e far uscire la luce, con l'ultima constatazione si erano irrimediabilmente chiuse lasciando Colin nell'oscurità più profonda.
Era davvero un rompicapo.
Sbuffò e fece una smorfia per poi riportare la sua attenzione sull'epistola; bhé, disperarsi non sarebbe servito a niente, e per un attimo gli balenò in mente l'idea di uscire per chiedere a tutti a chi appartenesse quel marchio.
No, rifletté tamburellando la penna stilografica sulla scrivania, non avrebbe fatto la figura dello scemo del villaggio, anche se si sentiva tale... O quasi.
«Signor Kerwin?»
Colin, a malincuore, dovette rimettersi quell'odiosa maschera nera che gli pizzicava continuamente la fronte per poi ricadere mollemente su di una sedia.
«Signor Kerwin? Posso entrare? Ho portato la cena»
«Prego»
Una cameriera dal corpo minuto e le mani alquanto tremolanti entrò in camera con un vassoio d'argento che appoggiò rumorosamente sul tavolo davanti al duca.
«Ecco, signore. Avete...» deglutì rumorosamente «avete bisogno di qualcos'altro?»
Colin alzò lo sguardo dalla lettera e lo portò sulla domestica; sembrava davvero nervosa e poco incline ad essere fredda come quel lavoro richiedeva.
«No, faccio io»
La donna si inchinò e fece per uscire velocemente, senza però lanciare uno sguardo
più che curioso sulla lettera.
«Aspetta.» disse alzandosi in piedi e raggiungendola con poche falcate.
«Sì?» domandò voltandosi con il sorriso più innocente che avesse mai visto.
Quando Colin arrivò vicino alla domestica, non poté non notare che i suoi occhi, di un nocciola chiaro e brillante, tradivano completamente il sorriso lanciatogli poco prima.
«Perché hai paura?»
«Mi scusi?» chiese con voce tremolante.
«Hai sentito bene» sbottò prendendola per un braccio «chi sei? Quando sei stata assunta? Non ti ho mai vista lavorare qui.»
«Milord, io...» si morse un labbro e guardò la mano del padrone stringersi sempre di più sulla carne soffice del braccio «ho sempre lavorato qui, da anni, aggiungerei. Non mi avete mai vista perché di solito mi distinguo nell'arte culinaria e...»
«Il tuo linguaggio è forbito, dunque non puoi essere una semplice serva.»
«Sono cresciuta con i De Moffers che, prima di abbandonarmi, mi hanno concesso di seguire le lezioni che indottrinavano alla loro figliuola»
Colin strinse ancora di più il braccio della giovane, che divenne rossa come un pomodoro «non ti credo, nessuna domestica avrebbe l'audacia di esprimersi così apertamente con il proprio padrone.»
La donna guardò per terra, il braccio tenuto ancora a mezz'aria.
«Non mi piacciono le bugie, e non mi piace essere preso in giro!» tuonò osservando la giovane che parve sfinita da quel breve dibattito.
«Chi sei?» gli chiese nuovamente scuotendola fino a guadagnare la sua attenzione «ti ho fatto una domanda, ragazzina.»
La donna alzò il mento e lo guardò con aria di sfida «signore, sono pagata per servirvi, non per divulgare sulle mie faccende personali.»
Colin rimase esterrefatto «Insolente ragazzina, chiedere il tuo nome e la tua provenienza è cosa privata?»
«Sono solo una serva, milord.»
«Ed io vi sto chiedendo di rispondermi; voglio sapere come si chiama la ragazza che mi
spia in casa mia e che tra pochi secondi sarà licenziata.»
La donna deglutì rumorosamente, ma non abbassò lo sguardo.
Colin, in diverse circostanze, si sarebbe divertito un mondo per la totale mancanza di sottomissione di quella ragazza da parte di un suo superiore. Non che lui ritenesse i domestici non degni di rispetto o altro; solo che, quella dannatissima donna, lo sfidava con così poco riguardo delle conseguenze che a lui non sembrava proprio fosse una domestica.
Magari si era fatto prendere troppo dalla situazione, pensò in un millesimo di secondo, ma subito scacciò quell'idea: Primo, non l'aveva mai vista in vita sua e, anche se non ricordava a memoria tutti i nomi dei suoi domestici, si sarebbe sicuramente ricordato di un visino tanto dolce quanto impertinente.
Secondo, nessuna domestica, per quanto ben istruita, aveva una pronuncia così perfetta e limpida. Per quanto ne sapeva, era impossibile restare inerme alle influenze dei bassi fondi Londinesi, ragione per cui, anche se era stata graziata dalla clemenza dei suoi padroni, avrebbe comunque perso la purezza e il tono tipico del
ton.
Terzo, nonostante avesse una maschera sul volto ed emanasse una indubitabile autorità, nessuno si era dimostrato tanto turbato dalla sua presenza da sudare e tremare concitatamente, quindi ne dedusse che aveva sicuramente qualcosa da nascondere. Cosa o chi fosse, lo avrebbe scoperto presto.
Quarto, quell'occhiata fugace ma intensa alla lettera che Colin aveva deliberatamente poggiato sul tavolo gli aveva fatto scattare qualcosa nella mente; insomma, e se fosse stata una spia? E se quei maledetti furfanti si stessero informando sul suo conto attraverso quella domestica?

No, non andava affatto bene.
«Il mio nome è Faith Aiysah, provengo da Harrow, milord.»
«Bene, Faith» constatò, e d'un tratto la lasciò così velocemente da farla vacillare. «Ora rispondi bene a questa domanda: per chi lavori?»
«Per nessuno, se non per me stessa.»
Colin sbuffò e si appoggiò con i polpacci su di una poltrona «allora, te lo ripeto una seconda volta... Chi ti manda qui?»
Faith si morse un labbro e guardò la porta: mai era stata così invitante da raggiungere.
Colin già capì cosa aveva in mente, e prima che lei potesse darsela a gambe si precipitò sulla porta e si appoggiò sulla schiena guardandola trionfante.
«Milord, fatemi uscire, immediatamente!»
«Oh oh,
dolcezza, la gallina nella tana del lupo. Non è molto piacevole, immagino.»
Faith non rispose e guardò altrove, in segno di insolenza ed assoluto disprezzo.
Colin ispirò «senti, dobbiamo ancora giocare per molto? Io inizio a stancarmi come penso che tu lo sia, perciò ti propongo un accordo» fece una pausa ad effetto e la donna lo guardò sprezzante ma comunque curiosa.
«Che tipo di accordo?»
«Tu mi dirai per chi lavori e chi ti manda qui, ed io ti lascerò libera e ti darò danaro a sufficienza per poter vivere nell'alterigia per i prossimi...» fece un veloce calcolo a mente «due anni.»
La donna, che evidentemente non poteva permettersi di rifiutare tale offerta, tintinnò leggermente e concluse con un sorriso da affarista ben
collaudata «Cinque anni.»
«Tre»
«Quattro anni e tre mesi»
«Tre anni e otto mesi, ultima offerta»
«Perfetto» sbottò aprendo il palmo della mano destra, cercando immediatamente il danaro.
«Oh, no no no» sbottò con un sorriso da mascalzone che lei non poteva vedere «prima le notizie, mia cara.»
Ella sbuffò «Giuro, milord, siete davvero insopportabile!»
«Ringraziate il mio temperamento, ragazzina, se fossi stato un altro uomo a quest'ora avresti la schiena grondante di sangue per tutte le frustate prese.»
Faith inorridì per un momento e poi guardò fissa il duca che continuava a sovrastarla di parecchi centimetri «Lo chiamano Illeo, non so perché e non so neanche se sia il suo nome di nascita, ma mi ha sempre detto di chiamarlo così.»
«Illeo» ripeté Colin pensieroso... Che razza di nome era, Illeo?
«Viveva a Londra, anni fa, ma poi misteriosamente emigrò via ed ora non so più dove sia... Fatto sta che mi ha mandato una lettera dove mi chiedeva di tenervi d'occhio e di scoprire tutto su di voi.»
«Dov'è?»
«Scusatemi?»
«Dov'è ora?!?» chiese aumentando il tono di voce.
«Non c'è bisogno che urliate, signore.»
«Smettila di darmi ordini, ragazzina, sono stufo di te e dei tuoi giochetti, dannazione!» piantò un pugno sulla poltrona che cadde rumorosamente a terra. Faith indietreggiò.
«Non mi stai dando nessuna informazione utile, nulla! Mi dici che lo chiamano con un nome di fantasia e poi che è emigrato fuori Londra e non sai neanche dove sia!»
La domestica si ravvide dal controbattere e si portò le mani sul petto, spaventata dalla furia del duca.
Colin passeggiò rumorosamente avanti e dietro, con le mani sulle tempie coperte dalla maschera.
«Continua» sbottò con aria ostile.
Dopo un momento di incertezza, Faith cominciò a dirle tutto ciò che sapeva su Illeo, anche se non era molto.
«E quindi» la interruppe Colin, facendo un gesto con la mano «quest'uomo ha intenzione di sapere ogni mio movimento, giusto?»
La donna annuì veemente.
«Perché?» chiese semplicemente.
Faith parve davvero smarrita dopo quella domanda, e riaprì varie volte la bocca senza spiccicare una sola sillaba.
«Non saprei» riuscì a mormorare dopo interminabili minuti di silenzio, «non me l'ha mai riferito, milord» continuò massaggiandosi il braccio offeso.
Colin annuì con aria severa, felice di aver saputo il nome del suo nemico ma sconcertato per non poter fare assolutamente nulla.

Bhé, forse potresti iniziare col dire tutta la verità ad Elisabeth, geniaccio!

«Signore?» domandò, sperando che quell'uomo la rilasciasse il prima possibile da quell'insopportabile interrogatorio.
«Mhh?» grugnì quello in risposta, immerso nei suoi pensieri.
«Posso?» chiese indicando la porta ed arretrando di qualche passo.
Il duca annuì con aria solenne e Faith si dileguò in un millesimo di secondo, lasciando una scia di profumo e aria gelida nella sua stanza.

 

 


Nello stesso momento, quella sera...

Carissima Georgie,
Non puoi davvero immaginare quanto sia felice di ricevere tue notizie! E' da un po' di tempo che ho perso contatti con nostra madre, e temevo che con la maternità non avresti avuto neanche tu più tempo per la
povera e piccola Elisabeth.
Va bene, lo ammetto, mia madre si è praticamente eclissata chissà in quale inferno e Katherine è troppo occupata con i suoi pargoletti e suo marito – solo io non noto la differenza tra i due? -, per occuparsi della corrispondenza.
Sono diventata zia per due volte, e ancora non riesco a crederci, Georgie! Ben due gemelli, giusto? Spero non siano sorte complicazioni durante il parto, anche se penso che il peggio sia passato... A prendermi.
Si, Georgie, sono felice della tua oh-così bella, oh- così amabile, oh-così
noiosa vita matrimoniale, ma, se da una parte le mie due sorelle sono soddisfatte della loro scelta, ricorda che qui c'è una povera innocente che è stata costretta da un tiranno quale nostro padre il signor Christopher Barbrook, a posarsi con un uomo...un uomo...
Non vorrei
scaricarmi per lettera, mia cara alleata e compagna di letture, ma penso che se non racconto l'assurda situazione in cui mi trovo, finirò ben presto in manicomio, come la signora Luberfield.
Non è particolarmente allettante, ecco tutto.
Oh, Georgie, perché è così difficile abbandonarsi completamente a chi si vuole bene?
E' una tortura, per me, dover rimanere composta ed inerme in questa casa fredda che non mi appartiene, e per di più, mio marito, ha davvero tutte le intenzioni di evitarmi.
Non capisco il perché, ma resta sempre chiuso nella biblioteca a studiare e studiare e... Davvero, non so cosa pensare!
Sarà che sono diventata paranoica?
No, non penso.
Cielo, magari sì!... O forse no?!?
Ecco, vedi? Sto per perdere quel poco di salute mentale che mi rimane...
Non è colpa mia, è lui; solo e soltanto il signor
C.B.
Di chi può essere, altrimenti?
Sai, l'ho visto pochi giorni fa nel giardino di sua madre. E' stato
fantastico magnifico delizioso bello tremendo dover affrontare un tête-à-tête con quei occhi incredibilmente azzurri ed il sorriso perenne su quel volto.
Mi manca. Mi manchi, Georgie. Mi manca.
Alcune piante stanno iniziando a fiorire, l'inverno è quasi giunto al termine. Non è bello?


Con immenso affetto,
Tua Elisabeth.







Questo capitolo non mi piace per nulla, non so voi, ma penso sia il peggiore che abbia mai scritto.
Domani ho il compito di italiano. Non mi applicherò, prenderò sei e ballerò la giga perché la vita è bella.
Salut!


Lady_Sticklethwait.







 


 

 

 

 

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 38. ***


 

                         Capitolo 38.

 

 

Girovagando su Google, ho trovato questa immagine...

http://img694.imageshack.us/img694/1060/27041420270870644351242.jpg

 

 

Non ci credo, ragazze, sono loro! Colin ed Elisabeth!
Mio dio, la somiglianza è impressionante...




«Signore? Posso entrare?» chiese Abel, un maggiordomo in livrea con radi capelli bianchi e guance scavate.
Il padrone, con un cenno della mano, gli fece segno di procedere. Il suo volto era avvolto nell'ombra, e solo un raggio di luna proveniente dalle porta finestre socchiuse illuminava la stanza.
Abel si strinse nervosamente le mani callose e tenne gli occhi sul pavimento, in attesa che il signore parlasse.
«Ci sono notizie?» chiese quello con tono autoritario e privo di emozioni. Il maggiordomo annuì, e prese a raccontare le notizie che lo portavano qui.
«Quindi, la ragazza è scappata?» concluse con voce apparentemente calma.
«Si,
monsieur, e gli altri temono che possa aver detto qualcosa a...» si bloccò, inclinando il capo «voi sapete chi, signore.»
Interminabili minuti di silenzio susseguirono quella conversazione; Abel riuscì quasi a sentire i pensieri angusti che tormentavano la testa del suo padrone, e decise di mantenersi in silenzio religioso fin quando non gli avrebbe dato ordini.
Quel momento arrivò subito.
«Abel, trova la ragazza...» fece una pausa ed il maggiordomo sentì il bicchiere di vetro che aveva in mano il suo padrone, rompersi in mille pezzi.
Le mani di egli presero a sanguinare, ma non se ne importò più di tanto «uccidila.»
Abel deglutì rumorosamente, chinando il capo in segno di sottomissione «Si, monsieur.»
«Bene.» disse, iniziando a togliersi le schegge di vetro dalla mano come se fosse un comportamento assolutamente normale «Puoi andare.»
Abel fece un inchino e si girò per uscire dalla stanza del padrone, quando questi lo richiamò
«Il signor Bekwell non sa contro chi si sta mettendo, Abel. Faglielo capire.»
Il maggiordomo tintinnò per vari secondi «come, mio signore?»
Le mani, che erano completamente illuminate dalla luce lunare, si irrigidirono immediatamente, ma il suo tono di voce era ancora pacato e freddo come il ghiaccio «Inventati qualcosa, ma non ucciderlo, no, non uccidere neanche Elisabeth; vorrei evitare di spargere sangue,
per ora
L'orologio a pendolo suonò rumorosamente, segnalando le tre del mattino. Alcuni corvi, appollaiati sulla finestra, volarono gracchiando verso la luna più bianca e splendente che si fosse mai vista.








 

 

«Oh, no, no, cavolo, era bellissimo» borbottò Elisabeth infilzando con veemenza il ricamo, cercando di riparare il danno commesso.
Aveva pensato di regalare a sua sorella – e quindi ai bambini – due bellissimi ricami a forma di fiore, uno giallo, l'altro rosa, ma, dopo aver letto la lettera di rimando di sua sorella, il suo umore era radicalmente cambiato.
Chissà perché non riusciva a togliersi dalla testa l'ultima frase di Georgie:
Mi sembra chiaro, Elisabeth, che tu sia un tantino innamorata del signor-ho-un-sorriso-smagliante-e-profondi-occhi-azzurri-che-fanno-battere-il-cuore-persino-ad-una-vecchia.
«Io? Innamorata? Ah, questa è bella» bofonchiò, osservando che il povero fiore giallo aveva preso la forma di un orribile pulcino deforme.
Elisabeth scrollò le spalle e prese il filo arancione. A quel punto, tanto valeva fargli un bel becco e due zampette.
E poi, dì la verità,non ti batte forte il cuore ogni volta che lo vedi?
Io sento lo stesso con Anthony, cara, ed è normale.

«No, Georgie, non è normale, soprattutto per una donna sposata come me»
rispose a bassa voce, sperando che i domestici non sentissero i suoi dialoghi... Esteriori.
«E poi» continuò, notando che aveva ricamato il becco troppo in alto. Perfetto, sarebbe stato un bellissimo pulcino con un cappellino in testa! «Io cerco accuratamente di evitarlo. E' lui che non riesce a tener a freno la sua mania di apparire miracolosamente in ogni occasione imbarazzante.»
… E quando ti sorride il mondo si scioglie e le gambe si tramutano in gelatina, vero?
«Oh, Georgie, mi conosci così bene.» concordò con voce avvilita e stanca.
«Chi è che vi conosce così bene, signora?»
Elisabeth alzò gli occhi al cielo; Evidentemente suo marito ed il signor Bekwell condividevano la stessa passione: comparire nei momento meno opportuni.
«E' una bella giornata, non trovate?» domandò Elisabeth alzandosi appena per salutare suo marito.
Egli annuì, sospettoso che quel cambiamento di argomento fosse dovuto al fatto che si vergognava di lui.
Elisabeth che è imbarazzata? Oh, ma figuriamoci!
«Il sole ha riscaldato l'aria, e sono sbocciati molti fiori nella serra.»
«Serra?» chiese incredula abbandonando il ricamo. «Voi avete una serra?»
Lord Kerwin annuì, poggiandosi sul divanetto davanti ad ella.
«Quando avevate intenzione di dirmelo?»
L'uomo scrollò le spalle «non pensavo vi interessasse.»
«Cosa ve lo ha fatto pensare?» corrugò la fronte.
«Non sembrate la donna a cui... Piacciono i fiori.»
«Ah sì?»
Lord Kerwin ridacchiò, osservando la contessa riprendere a ricamare «A dir la verità, sarebbe strano per una donna che alleva maiali e simpatici coniglietti domestici.»

Elisabeth sorrise, compiaciuta della sua condotta scandalosa «Ho altri interessi oltre agli animali e a rendervi la vita insopportabile, Lord Kerwin.»
«Sì? Ed io che pensavo di conoscervi così bene, signora Kerwin» sbottò divertito con il familiare accento coloniale.
Elisabeth fece una smorfia, riportando tutta la sua attenzione al pulcino deforme.
«A proposito di fiori... Come mai in quello è spuntato una bocca?» chiese indicando il ricamo.
«Non è una bocca, e neanche un fiore» rispose stizzita.
«Stamattina lo era.»
«Mi piace variare secondo l'umore. Sapete, sono molto fantasiosa.» prese l'ago nero e tracciò il contorno.
Il signor Kerwin rimase ad osservare il lavoro di sua moglie in perfetto silenzio.
«Ecco qui»sbottò, alzando il ricamo all'altezza dei suoi occhi «è uscito proprio un bel pesce palla, non è vero? Ora devo fargli solo le pinne.»
Colin ridacchiò togliendole lentamente la sua opera d'arte dalle mani, prima che facesse fin troppi guai.
Elisabeth rimase immobile, le sue dita delle mani inguantate del marito. Era troppo intimo, troppo calore e... Decise di spezzare il contatto con le guance in fiamme.
Lord Kerwin sembrava non essersene neanche accorto e si alzò, accompagnato da lei. «Avete voglia di fare una cavalcata con me?»

«Sì.»
«Ottimo. Harry!» tuonò suonando il campanello con vigore. Si presentò un ragazzo dai capelli corti e così biondi da risultare quasi bianchi.
«Sella per la signora il cavallo più...» lanciò un occhiatina ad Elisabeth «docile che abbiamo.»
«Sì, signore.» rispose girandosi per eseguire l'ordine.
«No!» il ragazzo si girò meravigliato «sellami Pluto. Oggi voglio divertirmi.»
«Pluto è uno stallone, signora, e non è castrato.» mormorò l'uomo di fianco a lei.
«Non avrò problemi nel controllarlo, se è questo che temete, Milord»

Colin, da sotto la maschera, le lanciò uno sguardo truce, poi guardò il ragazzo che sembrava essersi perso nella foresta pluviale « Harry, sellami il solito, invece, per la signora, Molly, grazie.»
Lo stalliere si inchinò ed uscì dalla stanza con i brividi lungo la schiena, a causa dello sguardo glaciale che gli aveva lanciato la duchessa.

«Siete sempre così autoritario?» chiese con aria seccata.
«Solo quando è strettamente necessario.»
Il tono di Elisabeth era sarcastico ed irritato«Volete che mi metta qualcosa in particolare, Milord?»
Colin scosse la testa e, dopo un rapido inchino, si affrettò a prendere il mantello ed il cappello per poi entrare nelle stalle.

Brutto despota, dittatore, tiranno, dispotico autocrate! Pensò Elisabeth mentre sceglieva gli abiti da equitazione. Optò per un pantalone molto stretto e lungo di color crema, dei stivali marroni che le arrivavano quasi fino alle ginocchia ed una camicia bianca e larga, che infilò nei calzoni.
Il suo aspetto era assolutamente scandaloso, e sorrise quando si guardò allo specchio per sciogliersi i boccoli ramati e tenerli lunghi sulle spalle; il signor Kerwin non l'aveva mai vista così, e rise di gusto immaginando la sua reazione.
Bhè, aveva impiegato diciassette minuti per vestirsi, e sicuramente suo marito stava perdendo le staffe. Sarebbe stato davvero bello osservare il temuto Lord Kerwin perdere la pazienza; e poi ad Elisabeth non piacevano i numeri dispari. Sì, si sarebbe presentata alle dieci e mezza, minuto di più, minuto di meno.
Ridacchiò, stendendosi sul letto.




 

 

 

 

« Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»

Vi auguro una buona giornata, e buona festa della liberazione!

 

 

 

 

Lady Sticklethwait.

 

P.s.Il prossimo capitolo sarà MOLTO importante. Cielo, non vedo l'ora di scriverlo!


 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39. ***


                              Capitolo 39.












Il sole splende, gli uccelli cinguettano, i fiori sbocciano, i pollini volano e ti si attaccano addosso come parassiti, le persone escono fuori con gli amici per divertirsi e, in tutto ciò, Lady Sticklethwait sta a casa con il raffreddore, gli occhi iniettati di sangue per la mancanza di sonno ed una marea di compiti da svolgere per il giorno dopo.
Inizio seriamente a pensare che la giustizia divina sia solo una leggenda metropolitana...













Elisabeth scese le scale con tutto il rumore che le concedevano gli stivali, ma rimase delusa quando, sull'uscio della porta, trovò Lord Kerwin assolutamente rilassato ed a suo agio.
Si era aspettata di trovarlo nervoso per il ritardo o l'abbigliamento scandaloso, e invece le rivolse un inchino perfetto accompagnato da un epiteto che l'aveva sempre turbata: 'dolcezza'.
Elisabeth rispose con un cenno del capo e, non sapendo che tipo di reverenza fosse adatta per quel tipo di...Bhé, per quei vestiti
inusuali, si limitò a sorridere.
Entrambi si incamminarono verso le stalle in perfetto silenzio ed Harry, notando la signora, sbottò «Molly è impaziente di essere sellata, milady»
«Avrei preferito che non lo fosse» rispose Elisabeth, alludendo al fatto che non le era stato concesso di sellare Pluto.
Un giorno lo avrebbe fatto, con o senza il consenso del
tiranno al suo fianco.
«Prego, Milady» mormorò Harry dando una pacca sul cavallo e tenendogli le redini. Elisabeth lo montò senza troppe cerimonie e rimase soddisfatta quando notò che suo marito non si era dato neanche la pena di aiutarla a salire.
Bene, pensò avviandosi verso il magnifico cavallo nero del
despota, finalmente aveva capito che era indipendente... Riguardo quell'aspetto del matrimonio.
Sbuffò, infilando i talloni su Molly e cercando di darsi un contegno da vera duchessa; prima o poi i soldi che aveva sul suo conto sarebbero serviti a qualcosa, no?
Sperò di poterli utilizzare il più presto possibile per mettere fine a quella pagliacciata chiamata matrimonio.
Già le sembrava di poter sentire l'odore della libertà...
Sorrise tra sé e si avvicinò a Lord Kerwin che sembrava orribilmente felice sul suo cavallo, anche se non poteva scoprirlo.
Quell'orribile maschera.
Dio, avrebbe pagato oro incenso e mirra per strappargliela con le unghie dal suo volto.
«E' una vostra abitudine sellare a cavalcioni, Milady?» chiese con tono di voce annoiato e casuale mentre entrambi procedevano a passo
molto-troppo lento.
«Lungi lontana da me l'idea che ogni signora debba cavalcare da amazzone. E' terribilmente scomodo!»
«Immaginavo che il decoro lo richiedesse» commentò, ed Elisabeth faticò un po' per capire il suo accento.
«Le regole del bon ton sono così tediose, Lord Kerwin. Ricordo, qualche giorno addietro, che una grassa signora mi ha dato una lezione di vita sul buon uso del fazzoletto.»
«Oh, mia signora, mi stupisce la vostra discrezione per non aver fatto cenno al nome della moralista odierna» disse con un cenno di allegria nella voce.
Elisabeth si portò le mani sulla bocca «Cielo, chissà ora cosa penserete di me se vi dicessi che ho completamente dimenticato il suo nome...»
«Signora Kerwin» disse, portandosi una mano sul cuore e dirigendo entrambi verso una radura piena di alberi «tutta la stima che avevo serbato in voi è completamente svanita. Sono molto rammaricato e costernato dalla vostra condotta riprovevole.»
Elisabeth ridacchiò, ringraziando il signore che suo marito non mancasse di ironia «Come farò, ora?!
Ahimè! Sul mio capo la fiamma celeste piombasse! A che viver mi giova? Ahi, ahi, nella morte disciogliermi potessi, lasciare la mia vita odiosa!» recitò, fingendo la disperazione.
Lord Kerwin applaudì discretamente, ed Elisabeth fece numerosi inchini con il capo, mormorando ringraziamenti alle piante, al cielo ed a suo marito.
«Euripide... Ho sempre pensato che possedesse una certa classe nell'affrontare argomenti così... Catastrofici.»
«Ho sempre provato una sorta di solidarietà per Medea, tranne alla fine dell'opera, ovviamente.»
«Lo avevo intuito già dall'inizio» disse Lord Kerwin, svoltando a destra «non bisognerebbe mai fidarsi troppo di questi drammaturghi Greci.»
«Dal vostro tono, signore, sembrerebbe che vi siate rattristito per l'esito della vicenda.» lo punzecchiò Elisabeth, seguendo la via che aveva intrapreso... Ma dove diavolo stavano andando? Quella proprietà era immensa!
«Deluso è l'aggettivo appropriato, signora. Avevo sperato nella morte di Giasone e della stessa Medea, non dei pargoletti.»
«Io penso che sia proprio per questo motivo che si chiama tragedia ...»
Lord Kerwin svoltò ancora a sinistra, ed entrambi si trovarono ad oltrepassare un ponte «Mh, tragedia, dite? Dove trionfano i cattivi ed i buoni soccombono? Bella filosofia di vita, molto realistica e positiva, oserei dire.» disse sarcastico.
«E' solo un'opera, Lord Kerwin, non tormentate il vostro animo di simili pensieri.»
«Avete ragione» concordò «perché perdere tempo in pensieri filosofici quando posso godere della vostra
ricercata compagnia?»
Elisabeth ridacchiò nervosa, ed indicò una roccia bianca che si ergeva ad un centinaio di iarde.
«Penso sia arrivato il momento di vedere di che pasta siete fatto, Milord. Chi arriverà prima a quella roccia, avrà diritto a...Mh...» pensò, mettendosi una mano sul mento. «Idee?»
Lord Kerwin sembrò entusiasta, ed annuì «Penso di avere già in mente il premio che riscatterò a fine corsa, Milady, ma non credo di sentirmi così buono d'animo da enunciarvelo» sbottò, girando in torno ad Elisabeth con il suo cavallo nero.
«Oh-oh» inveì la donna mettendosi le mani sui fianchi modellati dai calzoni «facciamo i difficili, nevvero?»
«Non la penserei così, signorina Kerwin, dato che mi state sfidando da ben...»prese l'orologio che aveva nel taschino e guardò l'orario «venti minuti e quaranta secondi.»
Elisabeth aggrottò le ciglia «Sfidando? Vi assicuro che sto cercando di comportarmi nel modo più idoneo per...»
«Se non chiudete il becco, mia cara, vi caricherò sulle spalle e vi porterò nella casetta più vicina a noi.»
La donna si morse il labbro e cercò di decifrare le parole di suo marito... Cielo, non voleva per caso...?!
L'idea la fece inorridire ed automaticamente strinse le redini di Molly, facendola arretrare di qualche passo.
Colin rimase in silenzio a contemplare la selvaggia donna che aveva davanti, e si compiacé di se stesso: finalmente aveva intimorito Elisabeth.
Non che fosse stata sua intenzione, ovviamente, ma la tentazione era stata troppo grande... Le donne non chiudevano mai la bocca quando era necessario?
Il suo stallone scalpitò per la noia, e Colin riportò l'attenzione su di lui.
«Allora, avete ancora intenzione di sfidarmi oppure...» ma non riuscì a finire la frase, perché Elisabeth era sfrecciata in direzione della roccia davanti a loro, gridando «L'ultimo che arriva è un pesce marcio.»
Pesce marcio?
Pesce marcio? Lui?! Sorrise, infilò i talloni nel ventre del cavallo e in pochi minuti fu dietro la donna.
Inutile descrivere la visione angelica di Elisabeth;
ora che sfrecciava veloce come il vento, la massa di riccioli ramati le si sparpagliava fino ad arrivare quasi alla vita.
Ora, per mantenersi in equilibrio, si era piegata in avanti concedendogli una visione a dir poco angelica del suo didietro e delle cosce ben modellate da quel pantalone.
Perché, perché, dannazione, doveva sempre essere anticonformista? Non sapeva che la visione di quel completo assolutamente maschile avrebbe fatto bollire il sangue anche a Papa Pio VII?
«Stanco, Milord?» chiese con aria vincente, mantenendo fisso lo sguardo sulla roccia bianca davanti a se. Pochi metri, pochissimi metri e... Lord Kerwin sfrecciò in avanti come una furia, il cavallo nero alla carica e pronto a vincere in direzione del traguardo.
«Noo!» sbottò Elisabeth, notando che Molly era molto più lenta di quello stallone e quindi non sarebbe mai riuscita a superarlo.
Lord Kerwin arrivò, ovviamente, per primo alla meta, ed aspetto impaziente Elisabeth che, con un fiero cipiglio, si avvicinava superbamente.
La donna scese da Molly senza troppe cerimonie e, con una mano su un fianco e l'altra puntata nel petto di Lord Kerwin, iniziò
«Voi, brutto tiranno despota autocrate che non siete altro, siete solo un verme schifoso senza onore!»
«Anche io vi voglio bene, cara» commentò Colin scendendo dal cavallo. Ah, come diavolo era bella con quel completo, le gote arrossate, il fiatone e lo sguardo omicida?
«Voi sapevate benissimo che Molly non avrebbe mai vinto contro... Contro quel bestione» lo indicò con un gesto della mano, ed il cavallo sbuffò.
«Se non sbaglio, Milday, avete proposto voi questa sfida» rispose canzonatorio.
«Sì, ma...» Elisabeth si morse il labbro, e spiegò le braccia con aria di rassegnazione « e va bene, va bene, avete vinto, lo ammetto, ma sappiate che la vendetta è un piatto che va servito freddo,
molto freddo» sogghignò.
Lord Kerwin fece un gesto esagerato con il braccio «quando volete voi, Milady. Sono a vostra completa disposizione.»
«Bene» disse acida Elisabeth, incrociando le braccia e guardandosi attorno. Non aveva mai visto quella parte di proprietà, ma quegli alberi perfettamente allineati, il profumo dell'erba, i pochi raggi di sole che riscaldavano l'aria, il cinguettio degli uccelli e la vitalità della flora, la mettevano a suo agio.
«Siamo nei confini di Crainford Hall, se volete saperlo. Dopo laggiù» disse, indicando una staccionata «non sarete più nella mia proprietà.»
«E' incredibile, Milord, che questa proprietà sia così grande, eppure così... Triste» mormorò con tono lievemente malinconico.
Colin sussultò «Triste? Cosa intendete?»
La donna gli rivolse un'occhiatina veloce, per scoprire che anche lui la stava guardando. Distolse immediatamente lo sguardo.
«Non saprei come spiegarlo, milord, ma la vostra dimora ed...»
«La nostra, cara» sussurrò prendendole una mano e portandosela vicinissimo al volto.
«Bhè, sì, Crainford è... è semplicemente fantastica, il giardino, la serra che
non mi avete ancora fatto vedere, questi prati, la natura che si risveglia dal letargo ma...»
«Ma?» chiese lord Kerwin con voce mielosa, ed Elisabeth si morse un labbro.
Sospirò. «Oh, nulla, lasciate perdere, signore, non roviniamo questa magnifica giornata che preannuncia la primavera!» sorrise con aria rassicurante.
«Come volete. Avete altri progetti in mente, mia signora? .»
Elisabeth si sedette su di una roccia e puntellò l'indice sul labbro inferiore «non saprei, sul serio!»
«Potremmo sempre andare al lago» propose Lord Kerwin, che se ne stava con le mani nei pantaloni neri, una posa assolutamente inusuale per lui.
«Al lago?!» chiese incredula.
«Sì, perché no? Non fatemi credere che non sapete nuotare, mia signora, sarebbe alquanto deludente.»
«Certo che so nuotare» rispose stizzita, portando le labbra all'insù, in una smorfia poco signorile.
Lord Kerwin ridacchiò, e le si avvicinò tendendole la mano «Allora, se elogiate così tanto le vostre virtù da perfetta gentildonna, perché vi lasciate indispettire e...»
«Non intendo spogliarmi davanti a voi» lo interruppe alzandosi.
Lord Kerwin si allontanò di qualche passo ed Elisabeth pensò di averlo offeso in qualche modo, così, quando era sul punto di chiedergli scusa, suo marito scoppiò a ridere.
«Perbacco, non finirete mai di stupirmi!» disse tra una risata e l'altra.
«Smettetela di prendermi in giro, non... Non stavo scherzando.»
«Lo so.» rispose facendosi completamente serio.

Quel cambiamento repentino la mise in subbuglio, soprattutto quando Lord Kerwin la avvicinò a sé prendendole la mano.
Cosa diavolo...?!
Non riuscì a finire quel pensiero, che suo marito la attrasse a sé e la strinse nelle sue grandi braccia.
La stava abbracciando.
Il cervello di Elisabeth rischiò seriamente di prendere fuoco o di esplodere in quello stesso momento. Perché, perché quell'uomo era così lunatico?
«Questo è il mio premio» mormorò, aumentando la pressione.
Ella decise di non dimenarsi dalla stretta, ma neanche di partecipare; rimase inerme e, mano mano che trascorrevano i secondi, si rese conto di trattenere il fiato.
Inspirò rumorosamente la fragranza di Lord Kerwin, e si meravigliò che fosse così buona e mascolina; sembrava... Sembrava qualcosa come cuoio... No, non era cuoio, forse era pane oppure... Ah, sì! Colonia, tanta colonia e...Mh, menta!
Colonia e menta!

Colonia e menta... Colonia e menta... menta, menta, menta, e colonia, colonia virile e buona che sapeva di... COLIN!
Quel nome, inaspettato come un fulmine a ciel sereno, la scosse profondamente ed Elisabeth iniziò a dimenarsi tra le braccia di suo marito, cosicché lui la lasciò.
«Mia signora?» chiese con una nota di preoccupazione nella voce.
«Signor, signor Kerwin...» non riusciva a parlare, la lingua si era attaccata sul palato e le gambe erano completamente di gelatina. Si sedette sulla pietra di prima, e prese la testa tra le mani. Come poteva, come poteva ancora
confondere l'odore di Colin con quello di suo marito?
Era scandaloso, indecente, terribilmente imbarazzante ed abominevole desiderare così tanto il signor Bekwell da
sognare di essere tra le sue braccia.
Oh, perché, perché era così
innamorata di lui? Cosa diavolo gli aveva fatto? Perché la vita le aveva giocato quello scherzo orrendo e così di poco gusto?
Si strinse il labbro tra i denti, e quasi le venne voglia di scappare via da tutto e da tutti, quando la faccia preoccupata di suo marito fece capolino tra i suoi gomiti socchiusi.
«Tutto bene?» chiese, pur sapendo che la risposta era negativa.
Elisabeth guardò il volto coperto di suo marito... Oh, le dispiaceva così tanto non essersi innamorata di lui, invece di quel mascalzone che non era altro.
Sospirò e sorrise mal voglia «andiamo a casa, ho fame.»











Okay, non il mio capitolo migliore, ma neanche il peggiore. Purtroppo mi sono un po' dilungata nel discorso iniziale, e gli eventi MOLTO importanti che avevo promesso di narrare... Bhè...Ci saranno nel prossimo capitolo, non temete.
Finalmente qualcuna capisce di essere innamorata ( ma noi già lo sapevamo), e speriamo presto che anche qualcuno capirà di essere innamorato ( anche se noi già lo sappiamo).















Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40. ***


                    Capitolo 40.


Care lettrici...
Grazie grazie grazie grazie. Siete
tutte gentilissime, ed io non pensavo affatto di poter arrivare a questo punto.
Cielo, siete tantissime, ed io non so davvero come ringraziare la vostra passione per questa storia... E' meravigliosa, fantastica, incredibile e...WOW.
Detto questo, mi metto a lavoro.
Spero che questo capitolo vi piaccia, anche perché è uno dei mio preferiti.
Un bacio enorme!
Lady Sticklethwait.



La prima cosa che i due sposi notarono ritirandosi da quella passeggiata mattutina, fu il fumo.
La seconda, in effetti, fu l'incendio che stava avendo luogo proprio a pochi metri di distanza.
Lingue di fuoco si stagliavano contro il cielo, mandando zampilli e travolgendo qualsiasi cosa incontrassero nel loro cammino.
Il fumo formava una cappa nera attorno a Crainford Hall, inghiottendo i deboli raggi del sole che attraversavano le nuvole grigiastre.
«Chi è stato?» riuscì a chiedere Elisabeth, mantenendo lo sguardo sulla natura che lentamente moriva.
Lord Kerwin sembrò non accorgersi della richiesta della donna, e continuò a guardarsi in torno spaesato; intanto, alcuni domestici posti dall'altra parte del castello, stavano accorrendo con le braccia alzate e botti contenenti l'acqua.
Se non avessero fermato l'incendio, tutto il raccolto sarebbe andato perso ed il fuoco avrebbe potuto minacciare anche la loro casa, che si trovava pericolosamente vicino.
Elisabeth strinse le redini di Molly e fece per infilare i talloni nella carne soffice del ventre, ma suo marito le mise una mano sulla spalla e le parlò con voce tagliente «Non osate.»
«Non voglio che tutto vada distrutto, lasciatemi!» urlò in risposta Elisabeth, cercando di sgusciare dalla sua stretta.
«Ho detto di no. Restate qui, me ne occuperò io»
«Non fate lo sciocco, signor...»
«Vi sembra che stia scherzando?!» gli intimò, aumentando la stretta sulla spalla «rimanete qui, se non volete combinare altri guai. Non ho bisogno di ulteriori preoccupazioni, sono già pieno di problemi. Sono stato chiaro?»
Elisabeth aveva tanto inferno dentro da poter friggere tutti i maledetti scarafaggi del mondo, ma annuì malvolentieri.
Colin infilò i talloni sul suo stallone e galoppò fino a raggiungere i domestici ed i contadini che, quando lo scorsero, iniziarono ad urlare atterriti dalla paura « A fuoco! A fuoco!»
«Harry, Tom, Abel, Cory, disponetevi in catena per poter passare i secchi d'acqua. Damian ed Elliot, portate via le donne ed i bambini dalle vicinanze, forza, forza! Veloci! Garland, Gareth ed Harris, voi cercate di domare l'incendio; non importa che i rami degli alberi si brucino, basta che le fiamme non intacchino il fondo delle radici. Ian, fatti aiutare dalla tua combriccola di amici e prendi tutti i panni e le pezze che trovi. Bisogna spegnere il fuoco, avanti!»
Dopo aver dato ordini da far invidia ad un generale, Colin scese dal cavallo che iniziava a scalpitare per l'aumento della temperatura, e lo lasciò andare. Dopo ciò, iniziò a correre avanti e dietro cercando di gettare più acqua possibile sulla vegetazione spoglia.
Il fumo immergeva tutto e tutti, e solo le fiamme alte ed ingorde riuscivano a sovrastare quella coltre nera. Colin dovette togliersi il mantello, la camicia e soprattutto la maschera, che gli annebbiava la vista e non gli permetteva di respirare, per poi utilizzarli per placare le lingue di fuoco che si stavano avvicinando al castello.

L'agitazione e la paura era generale, e per questo cercò di utilizzare l'accento di Lord Kerwin e di dare continuamente ordini agli uomini che, non potendolo vedere ma sentire, gli obbedivano cecamente.
Alcune contadine coraggiose si unirono a quella lotta e presero a bagnare le loro mantelline nell'acqua per cercare di domare il fuoco; Colin stesso prese ciò che restava dei suoi indumenti e collaborò nell'impresa, imprecando ogni volta che le fiamme gli ustionavano le braccia ed il petto scoperti.
Elisabeth non poteva restare a guardare, e di certo Lord Kerwin avrebbe dovuto sapere che non aveva un carattere docile e malleabile; per questo legò Molly ad un albero vicino e corse, corse fin quando non arrivò nei pressi dell'incendio e lì, osservando costernata la distruzione di ogni forma di vita, dovette premersi una mano sul naso per non respirare il fumo.
«Signora, non dovreste essere qui!» esclamò un contadino intento a gettare grossi secchi d'acqua su di un albero.
«Datemi un secchio» rispose Elisabeth, avvicinandosi con sguardo determinato.
«Ma, signora, voi...» replicò l'uomo disperato.
Elisabeth fece una smorfia accompagnato da un epiteto alquanto scandaloso e si avvicinò a delle botti contenenti litri e litri d'acqua.
Impugnò un secchio, lo riempì d'acqua, e si diede da fare per spegnere le fiamme.
La dura lotta contro le fiamme ardenti si era rivelata più ardua di quel che sembrava: infatti, il fuoco sembrava quasi nutrirsi dell'acqua che vi si buttava sopra, ed Elisabeth decise che il modo migliore per placare la sua fame fosse quello di tamponargli sopra i vestiti bagnati.
Per questo si tolse la camicia bianca ed ordinò ad alcuni contadini di seguire il suo esempio; tutti la obbedirono.
Dopo circa un'ora, l'incendio sembrava finalmente placarsi, lasciando come traccia ceneri e distruzione.
Elisabeth osservò i contadini ed i domestici rientrare con facce sconvolte a Crainford Hall e nelle loro rispettive case, rompendole quasi il suo cuore per la tristezza.
Chi aveva provocato quest'incendio doloso? Qual'era il suo motivo?
Era sicura che fosse stato appiccato da qualcuno... Il fuoco non si spargeva così velocemente, non vi erano condizioni naturali per lo sviluppo di un tale disastro.
Elisabeth si morse un labbro, notando le mani, le braccia e la leggera sottoveste bianca sporche di ceneri. Doveva avere un aspetto orribile, e ne era consapevole, ma ora non importava:
doveva trovare Lord Kerwin e dirgli che qualcuno voleva distruggere Crainford Hall.
Quel pensiero la fece tremare, ed il suo cuore vacillò allorché una mano forte e sporca di fuliggine le si poggiò sulla spalla.
Sapeva chi fosse, ma rimase immobile dov'era, con lo sguardo perso nel vuoto in un punto lontano e distante.
«Elisabeth» mormorò la voce calda, roca e baritona di... Colin Bekwell. Colin?

Colin?!? Cosa diavolo...?!
«Colin?» ripeté ad alta voce, girandosi lentamente; le sue incertezze furono scansate via dal sorriso impertinente e disinvolto dell'uomo che, ora come ora, risaltava sul volto leggermente sudato e... Cielo, era nudo fino alla cintola!
Il duca posò lo sguardo sulla sulla leggera camicia di lino che spariva dentro i pantaloni da equitazione, lasciando trapelare più di quando sperasse ed il suo sorriso si accentuò, se possibile, ulteriormente.
Elisabeth si sentì improvvisamente nuda e si abbracciò il petto, allontanandosi dalla sua mano che esercitava lungo tutto il braccio deliziosi brividi.
«Co...Cosa ci fate voi qui?» chiese diffidente, guardandosi in torno.
Di suo marito, non vi era neanche l'ombra.
Colin continuò a sorriderle... E pensare che poche ore prima, aveva appena ammesso a se stessa di essere innamorata di lui.
Come poteva,
come poteva presentarsi lì nonostante suo marito fosse nei paraggi?
«Allora?» domandò, battendo impazientemente il piede per terra.
«Elisabeth» ripeté per la seconda volta, guardandola intensamente.
Oh, com'erano azzurri i suoi occhi!
«Sì, mi chiamano così, già» controbatté sarcastica, incarnando un sopracciglio.
Colin rimase ancora con quel sorriso da predatore-che-non-mangia-da-parecchi-anni, ed inspirò rumorosamente
«Ho bisogno di parlarvi, ci sono delle cose che dovete sapere.»
«Perfetto» esclamò «avete scelto il momento più appropriato per una simpatica chiacchierata tra amici, perché anche io ho qualcosa da dirvi»
«Davvero?» chiese confuso.
«Certo» sorrise rassicurante, avvicinandosi con un passo «andatevene immediatamente, prima che mio marito spunti da qualche orrendo cespuglio e vi dichiari guerra.» intimò, con sguardo da assassina.
Colin scoppiò in una risata, che non divertì affatto Elisabeth: questa, infatti, si avvicinò minacciosa «pensate che stia scherzando? Pensate che mi diverta, qui, a stare con un uomo mezzo nudo mentre pochi minuti fa ho rischiato la vita per salvare quel poco di cibo che rimane ai contadini? Oh, sì, lo è. Per voi è tutto uno scherzo, vero? Vivete nella vostra bella casa da scapolo nel centro di Londra, ed il massimo che dovete fare per vivere è...»
Elisabeth non riuscì a finire la frase, allorché Colin la prese per un braccio e la fece indietreggiare così velocemente che in pochi secondi si ritrovò con la schiena imprigionata ad un albero.
L'uomo le aveva preso le mani con le sue e le tratteneva sopra i loro capì, cosicché le sue cosce ed il petto scolpito ed abbronzato premevano scandalosamente con il proprio corpo.
Elisabeth, dopo un momento di iniziale sgomento, provò vergogna,
molta vergogna, ma non abbassò lo sguardo; infatti, quando alzò gli occhi, vide che il volto di Colin era così vicino al proprio che poteva persino sentire sulla fronte il respiro veloce dell'uomo.
Oh, cielo, quei magnifici occhi azzurri che di solito brillavano di scherno, ora erano diventati di un blu notte così profondo ed intenso che dovette spostare lo sguardo sulla sua bocca.
Ah, errore, sbagliato, sbagliatissimo!!
Vedere quelle labbra rosee e carnose fu un abbaglio davvero clamoroso, ed Elisabeth dovette respirare varie volte per non cedere alla tentazione di toccarle.
Colin si accorse del turbamento della ragazza, e sorrise vittorioso «Oh, allora anche voi qualche volta provate paura.»
«Mai» gli rispose la donna, serrando la bocca e tentando di dimenarsi.
«E' inutile, dolcezza, risparmiate le forze e state ad ascoltarmi.»
«No!» urlò Elisabeth, aumentando gli sforzi per sfuggirgli.
«Elisabeth», la voce incredibilmente bassa e tenebrosa «non fatemi irritare ulteriormente. Questa giornata è stata faticosa anche per me e, cielo, è solo mezzogiorno!»
«Davvero? Oh, ma quanto mi dispiace che vi siate sporcato le mani per aver spento un incendio che
non riguardava la vostra proprietà. Un'azione così nobile ha sicuramente bisogno di una generosa ricompensa, ma sappiate che né io né mio marito avevamo bisogno del vostro aiuto, per cui smettetela di immergervi nella vostra falsa modestia ed andatevene da qui.»
Colin sogghignò «Vi assicuro che è stato un vero piacere poter aiutare Crainford Hall, dolcezza, e non ho bisogno di alcuna ricompensa, credetemi.»
«E allora? Cos'altro volete da me? Ah, sì, forse ci sono: non siete soddisfatto della vostra vita da perfetto...
Sfaccendato e, per dare un po' più di colore a questa triste esistenza che vi sconvolge, avete bisogno di rovinare matrimoni per chissà quali...»
«Smettetela di farneticare, Elisabeth, ne ho abbastanza.»
«Oh, sì, ne avete abbastanza? Bhé, allora mi dispiace, perché io non ho alcuna intenzione di smetterla e la lista sulla vostra condotte deplorevole – nei miei confronti, ovviamente – è ancora lunga, per cui mettetevi comodo Signor Bekwell, e lasciate che vi insegni ad essere un gentiluomo.»
«Voi? Un gentiluomo? Per vostra informazione, io sono un
perfetto gentilman.»
«Davvero?» chiese con aria di sfida, alzando il mento «Non dubito della vostra galanteria, certo, ma chiunque potrebbe essere gentile, anche un assassino, ma quanto a uomo?
Siete o no abbastanza uomo per capire che io sono una donna sposata e...»
«Uomo? Non sono uomo, signora Kerwin? Ah, è questo che pensate di me?
Pensate che Colin Bekwell non sia abbastanza uomo?!???» tuonò, stringendo le mani contro le sue in una morsa ed irrigidendo i muscoli della mascella.
Elisabeth rimase muta e chiuse gli occhi, aspettando come minimo un ceffone o una frustata da parte di quello ma, quando li riaprì, non vide nulla del genere se non la faccia di Colin che da una parte era tremendamente irritata, e dall'altra... Triste?
Improvvisamente Colin la lasciò e si allontanò di qualche passo, senza distogliere lo sguardo da quello di Elisabeth che ritornò ad abbracciarsi il petto con le braccia in un vano tentativo di coprirsi.
Nessuno dei due parlò per un momento che sembrava un'eternità; lo sguardo dell'uomo era fisso sulla figura snella e slanciata di Elisabeth, mentre quest'ultima continuava a guardarsi intorno in cerca del marito.
«E' inutile che continuate a cercarlo, signora, non arriverà.»; il tono freddo ed autoritario.
«Co-cosa? Cosa state farneticando? Certo che ritornerà, e quando sarà qui, state sicuro che vi romperà tutti i denti.»
Colin non volle ribattere; aveva la gola secca, la schiena gli doleva da morire e gli scoppiava la testa. Si sentiva tremare le braccia e guardandole scoprì che era vero.
Il matrimonio, decise, e
soprattutto quella donna, erano nocivi alla salute.
«Elisabeth, non penso che questo sia il momento più appropriato per confessarvi ciò che avevo intenzione di dirti, ma vedo che non mi lasciate scelta e, come al solito, le vostre parole pungenti mi nuocciono il cuore, per cui...»
«Smettetela di farla tanto lunga, Bekwell, e finiamola qui.» rispose acida, stringendo le braccia come uno scudo protettivo e guardandosi le scarpe.
«Gradirei la vostra attenzione, signora» controbatté Colin utilizzando l'accendo coloniale di Lord Kerwin.
Elisabeth alzò immediatamente lo sguardo...No...NO!
«Perfetto, grazie mille,
dolcezza» l'accento ancora più marcato ed inequivocabile. Ad Elisabeth vennero meno le forze e dovette aggrapparsi con le unghie all'albero dietro di lei.
Colin si avvicinò, prendendo tra le dita una ciocca di capelli ramati e ricci della donna che, nel frattempo, gli guardava il petto con orrore.
«Elisabeth... Mi dispiace, avevo preparato un discorso molto convincente ed idoneo alla vostra indole, ma non sono riuscito a trattenermi: dovevo dirvelo e rivelarvi questo flagello che porto sullo stomaco da vari mesi. Lo so, capisco che questo momento è... Non saprei neanche come definirlo, ma date le circostanze non posso far a meno di notare che qualcuno ce l'ha con me e... Semplicemente, ho problemi di natura leggermente più allarmante ed urgenti da sbrigare, ecco. Non mi aspetto che voi prendiate questa rivelazione con un sorriso, ma sappiate che è stato altrettanto difficile per me dover
gettare la maschera e mostrarmi a voi per quello che sono. Sappiate che nessuno è a conoscenza della mia vera identità se non voi e mia madre che, poverina, ha patito le pene dell'inferno a causa del mio segreto, se così vogliamo chiamarlo.
Elisabeth» ripeté, sfiorandole il volto pallido e sudato con la destra «vorrei solo che voi non rendiate la situazione ancora più ardua di quel che è cominciando con crisi isteriche, piani di vendetta ed altre idee strambe che solo la vostra mente da assassina può ideare, perché...»

«Vi dispiace? Discorso convincente? La mia indole selvaggia? E' stato difficile per voi dover rivelare la verità? Non dovrei mette in scena crisi isteriche?!?!?!?!» tuonò, fissandolo con sguardo identico a quello di un gatto che osserva un nemico rizzando il pelo. Rimase così per qualche istante, le sopracciglia inarcate, le labbra socchiuse, il respiro trattenuto ed un dito accusatorio puntato sul suo petto.
Colin sospirò: dannazione, perché quella donna riusciva sempre ad estorcere informazioni per farlo sembrare un mostro, sorvolando la parte in cui le chiedeva scusa?
«Elisabeth...» fece per dire, ma il tono alto ed irascibile della donna lo fermò
«NON. CHIAMATEMI. ELISABETH.»
«Ma...»
«Andate via!» urlò, trattenendo le lacrime per l'irritazione.
«Mi dispia...»
«Via, ho detto! Laciatemi! Non ho più intenzione di vedervi, mai più.»
«Calmatevi. Se le mie parole vi hanno offesa, chiedo ulteriormente scusa. Non penso di avervi gettato in mezzo ad una strada o avervi ingravidata sotto inganno. Non riesco proprio a capire
dove sia il problema. La nostra vita può semplicemente continuare così com'era e, se volete, potete chiedere l'annullamento
«Offesa? Annullamento?» Elisabeth lo guardò incredula «Problema?» gli fece eco «PROBLEMA?» tuonò questa volta.
Colin si accigliò «Bhè, no, capisco che è un dolore accettare repentinamente questo...La mia...Ecco...Bè, lo vedo anche io che c'è qualcosa che non va, magari anche varie cose, ma, emh, dicevo in senso generale, sapete, volevo dire...»
«COLIN, CRAINFORD HALL E' IN CENERE E TU MI HAI MENTITO FIN DAL PRINCIPIO, SPACCIANDOTI PER UN UOMO CHE NON ESISTE!» urlò Elisabeth, dandogli numerosi pugni sul petto.
Colin rimase immobile e prese i gomiti di Elisabeth, che sembrava davvero furiosa; questa lo spinse via e l'uomo si allontanò di qualche metro, dandole la schiena.
«Penso che sarebbe bene interrompere i rapporti tra noi due per qualche tempo.» disse con voce alta, guardando per terra.
«Potrete vivere nella mia casa a Londra, mentre io resterò qui ad occuparmi di Crainford Hall; ovviamente, vi darò tutto il danaro che vi serve e potete disporre illimitatamente di...» non riuscì a terminare la frase, che uno stivale gli sfiorò la spalla.
«Ma che diavolo...?»
Si girò, ma dovette abbassarsi fulmineamente allorché un altro stivale gli volò sopra la testa.
Elisabeth, ora, si stata avviando verso un vasto assortimenti di pietre che dava l'impressione di voler utilizzare fino a completo esaurimento.
Considerata la breve distanza che li separava, il duca decise di parlare velocemente «Elisabeth, per l'amor del cielo, smettetela di comportarvi come un generale di guerra e...» una pietra piuttosto grossa gli sfiorò pericolosamente la guancia.
Il giovane dovette schivare un altro proiettile, e le chiese quale fosse
il problema.
Intanto la mira di Elisabeth andava pericolosamente migliorando, ed un altro masso gli volò sopra la testa, accompagnato da un urlo rabbioso «essere mantenuta da un lurido verme schifoso come voi? NELLA CASA DOVE VI DATE DA FARE CON LE VOSTRE AMANTI?»
Dannazione, le donne e la loro stramaledettissima suscettibilità! E lui che aveva sperato che Elisabeth si sottraesse alla regola generale: ma, ovviamente, quando poteva benissimo essere anormale, eccola rientrare perfettamente nella norma.
«Possiamo parlarne...» tentò lui, ma la donna gli urlò contro un NO chiaro, preciso e tondo.
La guerra sembrava non voler più finire, e Colin alzò gli occhi al cielo, mormorando supplichevole «ti prego, portami via.»

 

 

 


 

Come piangere mentre si scrive un capitolo; ta daaaaaaaan.
Fatemi sapere con una piccola recensione cose ne pensate della reazione di Elisabeth che, secondo me, non è affatto esagerata.

Colin, figlio mio, fattelo dire: hai la delicatezza di un elefante.



Lady Sticklethwait.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 41. ***


                              Capitolo 41.

 

 

Cara madre,
chiariamo una cosa: la mia cameretta
non è disordinata, ho solo attuato un percorso ad ostacoli studiato per tenermi in forma prima dell'odiosa prova costume.






«Bruto, sciagurato, odioso, insensibile, arrogante, bugiardo...» borbottò Elisabeth accompagnando ogni singolo epiteto con una pietra diretta verso l'uomo che, schivando i colpi, tentava di addolcire quella che era la rabbia omicida della duchessa.
«Ti prego, Elisabeth, giuro che...»
«Astruso!»
«Ma io non...»
«Ipocrita»
«Ti prometto che da oggi in poi...»
«Dai oggi in poi cosa, Colin? Cosa?!» gli urlò contro, chiudendo ansimante i pugni e guardandolo con sdegno.
«Lasciami spiegare, Elisabeth, per favore.» pregò, ringraziando Iddio che la donna avesse smesso -momentaneamente- di lapidarlo.
«Risparmiati le parole, libertino scavezzacollo che non sei altro, perché non ho più intenzione di ascoltare bugie.» commentò acida, ripulendosi le mani piene di terra sui 'vestiti'.
Colin osservò la donna senza dire più un'altra parola; che senso avrebbe avuto spiegarle che non era stata sua intenzione ferirla?
Ma insomma, cosa doveva fare per far felici tutti? Mentire non andava bene e dire le verità neanche... Sembrava proprio che il mondo ce l'avesse con lui.
«Oooh, lo sapevo, dannazione, avrei dovuto seguire il consiglio di mia nonna e diventare monaco prima di tutto questo.»
Elisabeth incarnò un sopracciglio «come, prego?»
Colin la guardò spaesato, rendendosi conto che aveva la pessima abitudine di pensare ad alta voce.
Sorrise imbarazzato «oh, nulla, solo un...» abbozzò una risata nervosa e si portò una mano sui capelli «...capisci?»
La donna incarnò anche l'altro sopracciglio, creando una serie di rughe sopra la fronte liscia che facevano pensare ad una catena montuosa.
«Voi siete fuori di testa ed io» sottolineò indicandosi il petto con il pollice «non ho intenzione di restare qui un minuto di più con un tale psicopatico, mascalzone, lascivo...»
«Ho capito, ho capito, saltate al dunque.» sorrise avvicinandosi di qualche passo.
Elisabeth alzò la mano «Non avvicinatevi. Non fatelo, Milord, altrimenti inizierò ad urlare e tutti penseranno che stavate abusando di me, dato che siete...Cioè...Non avete la... Camicia, ed io sono...» si abbracciò il petto con le mani e fece qualche passo in dietro, guardandolo con occhi socchiusi.
Colin si grattò, confuso, il capo.
«Penso che sia oltremodo disdicevole e disonorevole restare un altro minuto in vostra compagnia, per tanto,
signore, io ho intenzione di ritornare nella mia casa a Londra, quanto a voi, se avete un po' di buon senso o tenete a cuore la vostra incolumità – anche se ne dubito fortemente -, fareste bene a sparire per...» fece un calcolo sulle dita ed alzò lo sguardo con un cenno di sorriso.
«Il resto dei vostri giorni?» tentò l'uomo.
«Allora non siete così ottuso come pensavo!»
«In effetti non sono mai andato d'accordo con gli angoli ottusi. Sono sempre stato del parere che gli angoli acuti siano i...»
«Il vostro umorismo è patetico.»
Colin si pompò in petto «Il mio umorismo è... Ehi, dove diavolo andate?»
Non si fermò; o meglio, non si sarebbe fermata se il duca non l'avesse presa per la sottoveste e trascinata indietro. Elisabeth sentì il rumore della stoffa strappata e si ritrovò -per la seconda volta in un giorno- contro il petto vigoroso dell'uomo.
Furibonda, fece per ribattere e dargli un sonoro schiaffo, ma Colin le tappò la bocca con la mano e la trasportò dietro ad un grosso tronco di abete che, fortunatamente, aveva perso solo le sue foglie nell'incendio.
«Non fiatate, Elisabeth.» le sussurrò guardandosi intorno con aria preoccupata.
Elisabeth non riusciva a capire il perché di quella situazione assurda: voleva mordergli la mano, voleva dargli uno, dieci, centomila schiaffi su quel bel volto che si ritrovava e soprattutto voleva sapere cosa stesse succedendo ma, ricordandosi che Colin aveva utilizzato il tono più cagnesco e tiranno che avesse mai sentito, si decise – per una buona volta – a tacere.
Fece bene: un paio di cavalli dall'aria minacciosa stavano lentamente avvicinandosi a loro. I loro cavalieri erano vestiti con colori altrettanto funerari, ed avevano sul loro volto delle maschere cosicché non poté capire chi fossero e soprattutto cosa volessero nei pressi della loro proprietà.
Uno dei due si guardava attorno con spaventosa frequenza, e per un istante ebbe a sgradevole sensazione che si fosse girato nella loro direzione.
«Damon?»
«Si, Derek?» rispose l'altro con voce infinitamente annoiata.
«Senti anche tu quest'odore?»
Damon fiutò con aria canina ed annuì «Sì. C'è puzza di fumo, qui.»
«Idiota» commentò quello, fermandosi. Inspirò ancora, ed ancora, ed ancora per quello che sembrava un lungo minuto.
Elisabeth non sapeva il perché avesse paura, ma si sentì terrorizzata quando Derek si avvicinò verso di loro; poteva persino scorgere, dal loro
nascondiglio, il manico di una pistola che sbucava dalla tasta della redingote.
Colin, con una mano sulla sua bocca e l'altra stretta attorno alla pancia, la spostò sul suo fianco, in modo che lei risultasse meno visibile ai due
gentiluomini.
«Elisabeth, ascolta.» le sussurrò con un filo di voce, allentando la stretta sulla sua bocca « questi tipi non mi piacciono, ed ho la sgradevole sensazione che stiano cercando proprio me.»
Elisabeth sgranò gli occhi, facendogli una muta domanda... Perché?
L'uomo, dopo un'ultima occhiata ai due cavalieri, riportò lo sguardo su di lei«Non preoccuparti, andrà tutto bene.» sussurrò con il suo tono da ottimista.
Tutto bene? TUTTO BENE?
Elisabeth avrebbe voluto gridargli contro che ogni volta che stava con lui non andava
mai nulla bene, e se ora si trovavano in quel pasticcio era solo colpa sua e dei suoi segreti.
Colin parlò veloce «Vorrei non doverlo dire ma...Quando sarà il momento, ti spingerò e tu scapperai verso est: lì troverai la capanna del taglialegna. Chiuditi dentro e non voltarti, capito?»
Elisabeth, scossa dalla paura, annuì. Non le piaceva quella storia, non le piaceva quella mattinata e, dannazione, non le piaceva quella giornata!
«Derek, su, non c'è nessuno qui» piagnucolò Damon, sbuffando in continuazione.
«Taci.»
«Non potremmo ritentare domattina? Con un po' di fortuna li ritroveremo...»
«Cosa non capisci della parola
taci?» chiese l'uomo con tono minaccioso.
Damon stette in silenzio e scrollò le spalle.
Dannazione, una volta finita quella storia, avrebbe dovuto chiedere ad Abel di far uccidere quell'uomo!
Derek seguì la scia di profumo indubbiamente femminile che si distingueva nettamente con gli altri odori: c'era qualcuno, lì, e magari era proprio la bella Faith che si nascondeva da loro.
Ingenua, ingenua Faith!
Non sapeva che il padrone l'avrebbe comunque trovata in questo mondo o nell'altro? Ridacchiò tra sé, notando un piccolo drappo di stoffa bianca sorgere a pochi metri di distanza.
Oh-oh, la piccola Faith aveva commesso un grave errore!
Scese dal cavallo con grazia felina, si chinò e racchiuse il tessuto tra il pollice e l'indice: no, impossibile, nessuna donna di quella posizione poteva indossare una stoffa così morbida e pregiata.
Inspirò la fragranza, e si inebriò di quell'odore, immaginando che la veste fosse indossata da qualche bella cortigiana.
«Hai trovato qualcosa?» chiese Damon, scendendo a sua volta dal cavallo ed inciampando su varie radici sporgenti.
«Nulla di significativo» ripose, alzandosi e nascondendo l'oggetto delle sue fantasie dietro la schiena.
«Sarà, amico mio, ma ho una fame da lupi e non ci tengo a cercare una calunniatrice ed un uomo che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere anche morto.»
«Se non ritroveremo almeno Faith, Abel ci ucciderà.» rispose rimontando sul cavallo.
«Allora vuol dire che dovrà svolgere le mansioni del capo da solo.»
«Molto divertente, ma ci ucciderà comunque.» rispose acido, guardando la natura morta attorno a sé.
«Uhh, come sei macabro!» scherzò.
«Senti un po', se ci tieni così tanto a morire con una pallottola in testa non è affar mio, ma si da il caso che io non ho affatto voglia di sperimentare la clemenza dei padrone perciò...»
Damon fece dietrofront con il cavallo «sì sì sì, ho capito,
Derek. Sai essere molto ripetitivo e noioso, sai?»
L'uomo non fece caso al commento dell'amico e, mettendosi in tasca il prezioso oggetto di stoffa, salì sul cavallo.
«Ti ritroveremo, Faith, stanne certa.» gridò prima di lasciare dietro di sé una grossa nuvola di terra e polvere.







 

Capitolo di intersezione, capitemi, non si può ripristinare la situazione iniziale con uno schiocco di dita... Purtroppo.

Lady_Sticklethwait.







 

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Capitolo 42
*** Capitolo 42. ***


                                  Capitolo 42.


- Ci tengo a precisare che ho scritto questo benedetto capitolo per ben due volte ed in entrambi i casi il mio misterioso portatile non li ha salvati.
- Non ci credo, la scuola è
finita -improvviso un balletto classico con tanto di tutù rosa -
- Ho scritto una terza storia... Sì, lo so, a stento riesco a terminare questa ma... Cosa volete farci?
E' una fanfiction ambientata a Londra nel 1825. Il genere è romantico e già dal primo capitolo potete osservare la comicità della storia.
Okay, ora basta pubblicità e chiacchiere, a lavoro!

P.s Il titolo del racconto citato sopra è «Odi et amo«, ecco il link --------> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1889135&i=1











 

L'aria di primo mattino era fresca e corroborante. Elisabeth non ci pensò due volte a dirigersi verso la carrozza pubblica che sostava a pochi metri da Hyde Park.
I pesi – o meglio, le valigie – che portava in entrambe le mani la stavano letteralmente esasperando, senza contare che il fango le aveva sporcato la gonna del suo vestito verde-azzurro di ben tre dita.
«Avete bisogno di qualcosa?
» chiese il cocchiere notando la figura della donna arrancare verso la carrozza.
«Sì
» rispose, soffermandosi a pochi metri di distanza e poggiando ai lati della gonna i suoi bagagli.
«Vorrei andare a Londra, precisamente a Rothen Hall, se non vi dispiace
» disse, cacciando dal lungo mantello che le copriva il capo e metà del volto una sacca abbastanza capiente.
Il cocchiere scese come un lampo alla vista del suo guadagno e prese le valigie della donna «Si accomodi dentro, Signora. Vi auguro un buon viaggio
»
Elisabeth sorrise e pochi minuti dopo la frustata dell'uomo fece partire i cavalli.




Durante tutto il viaggio, Elisabeth non riuscì a chiudere occhio, il ché era strano data la nottataccia passata a rigirarsi tra le coperte.
L'alba era spuntata da poco ed il sole era ancora basso all'orizzonte.
Londra era ancora immersa nel sonno, mentre i lavoratori erano già all'opera.
Si stiracchiò nel sedile e guardò fuori:
Si stavano avvicinando a un fiume che avrebbero attraversato tramite un ponte coperto. A sinistra il fiume si gettava in un lago appena visibile fra gli alberi. Oltre il ponte si stendevano prati ben curati in lieve salita verso una grande ed elegante villa di pietra grigia. Dal lato del lago sorgevano le stalle ed un ricovero per le carrozze.
Immaginò che fossero ancora lontani dalla sua meta e, non sapendo che fare, prese dal mantello la lettera che aveva ricevuto due giorni fa.
La lesse e rilesse tre, quattro, cinque volte, fin quando le parole non le divennero familiari.




Cara Elisabeth,

 


Spero che riceverai il prima possibile questa lettera e che tu risponda altrettanto celermente.
Vorrei che accettassi questo invito per due motivi:
1 nostra madre e Katherine sono qui, ed abbiamo pensato che sarebbe stato bello trascorrere qualche giorno in compagnia a Rothen Hall.
2 Ho saputo dell'incendio nella tua tenuta.
Lo so che non vuoi parlarne, ma, se ti va, potremmo anche discutere sull'uomo-dagli-occhi-azzurri-più-profondi-del-mare... E di Lord Kerwin.
Sarà nauseabondo e scocciante, non lo nego, ma è pur sempre un argomento, no?
Meglio di niente.
Ecco, ora veniamo alle notizie meno importanti ;i miei piccoli odiano la bambinaia e, con tutta la sincerità di questo mondo, non posso biasimarli dato che ha una pustola
enorme sul mono-ciglio.
E, credimi, quando dico enorme intendo davvero di dimensioni esorbitanti.
Comunque, la mia vita qui prosegue tranquilla e felice. Mio marito non ha ancora superato il fatto che abbia partorito ben tre settimane fa, ed ad ogni mio piccolo sforzo si rabbuia e diventa scontroso come un orso bruno.
Ci sto lavorando, giuro, cerco in tutti i modi di annullare questa sua mania di vedermi come una piccola bambola di porcellana in bilico su una mensola, ma penso proprio che sarà più ardua del previsto.
Oh, a proposito di bambole di porcellana, grazie mille per il regalo annesso alla tua lettera! Ai bambini piacerà sicuramente – quando capiranno che non è un oggetto da mangiare – anche se, devo ammetterlo, non so dove mettere tutti questi regali per i miei piccoli... Magari puoi penderli alcuni tu?
Sicuramente ti torneranno utili...

Ho bisogno di parlarti, Elisabeth, urgentemente.
Mi piacerebbe se tu mettessi da parte l'orgoglio e venissi a trovarmi/trovarci a Londra.
Ti aspettiamo con immensa gioia.


Georgie.


 

 

Poteva mai esserci invito più desiderato di questo?
No, ovviamente, ed Elisabeth lo sapeva, eccome se lo sapeva: chi l'avrebbe mai detto che la pignola perfetta dolce e ficcanaso Georgie le avrebbe offerto una scappatoia proprio nel momento del bisogno?

A stento riusciva a crederci lei.
Ah, quando si dice l'amore di una famiglia!
Sorrise rilassata e, dopo minuti interminabili di attesa, notò che la carrozza aveva superato le stalle e le ruote stavano macinando la ghiaia dell’ampia spianata di fronte alla gradinata di marmo che saliva all’ingresso colonnato, oltre il quale le massicce doppie porte attendevano spalancate.
La stavano aspettando tutti sugli scalini: Anne, Georgie e Katherine con i relativi mariti.
Il cocchiere tirò le redini ed Elisabeth tentò di apparire più rilassata e spensierata del solito, esibendo un sorriso disarmante mentre aspettava di essere scortata dai suoi familiari.
Entrambe le sorelle esclamarono all'unisono «Elisabeth!
» , facendole riaffiorare i bei tempi dell'infanzia.
Oh, al diavolo le galanterie, pensò, e spalancò le braccia per ricevere l'abbraccio caloroso di Georgie.
Poi fu la volta di Katherine.
«Mi siete mancate. Tutte.
» sussurrò Elisabeth con una leggera nota di commozione nella voce. Anne sorrise e guardò scontrosa i due suoceri che non si erano ancora scomodati di ricevere sua figlia.
Si schiarì la voce, batté i piedi per terra, fischiettò e starnutì, ma i due erano troppo impegnati a parlare di affari per destarle un minimo di attenzioni.
Anne diede una gomitata sulla schiena di Anthony, che la guardò confuso.
«E' arrivata mia figlia
» disse con tono di voce mellifluo con tanto di aureola sulla testa.
«Oh!
» esclamò Charles, il marito di Katherine, e si avvicinò ad Elisabeth.
Esibendo un generoso e perfetto inchino, si appropriò della sua mano inguantata «E' un piacere rivedervi, Mrs Kerwin.
»
«Oh, datemi del tu, Mr Debugg.» sorrise ella, mostrando una fila di denti bianchissimi.
«Solo se lo farete voi
»
«Potete giurarci»
Charles inchinò nuovamente in capo e diede spazio ad Anthony per permettergli di rendere omaggi alla signora.
Stettero fuori per un bel po' di tempo o per lo meno fin quando Georgie e Katherine si impossessarono delle braccia di Elisabeth e la costrinsero ad entrare in casa, accompagnando quel piccolo tragitto con frasi del genere:
«Abbiamo molte cose su cui parlare, vero, cara?«
»
«Senz'altro! La piccola Elisabeth non sembra più tanto piccola.»
«Ovvio che no, e, per la cronaca, non sei mai stata brava a mentire, cara»
«Mai.»
«Ti direi buongiorno, sempre che per te lo sia davvero.»
«Hai un aspetto inquietante e non credo sia stanchezza da viaggio.»
«Fidati, Katherine, quelle occhiaie si possono avere solo dopo nottate intere passate in bianco.»
«Lo so, Georgie.»
«Tanto per la cronaca, Elisabeth, non inganni nessuno con quel sorriso dolce e da brava suora sottomessa.»
«No-no, men che meno noi due, cara.»
«Eh già, avrà molte cose da dirci, vero, Katherine?»
«Certo, Georgie.»
«Mi pare che siamo tutti d'accordo sul voler sapere cos'è successo durante questi mesi.»
Elisabeth irruppe un timido sorriso e si abbandonò alle chiacchiere delle sorelle che, come al solito, avevano già programmato tutto ed avvisato tutti, tranne che lei.

 

 

 

 

Lady Sticklethwait.

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Capitolo 43
*** Capitolo 43. ***


                          Capitolo 43.





 

(Purtroppo) domani partirò per Vienna e non potrò pubblicare capitoli per almeno una settimana...
Non potrò scrivere per tutto questo tempo? No, non ci credo.
Forse impazzirò.
Già.
Destino crudele...


Un bacio a tutte e buona lettura!






 

 


Elisabeth, condotta dalle sue sorelle, entrò in un salottino che le piacque subito a prima vista.
L'arredamento era sontuoso, come del resto lo era sempre stata la camera personale di Georgie, ma quella sembrava proprio arredata per lei con arazzi broccati che spiccavano sulle pareti color crema, il soffitto affrescato, il comodo sofà e le grandi poltrone disposte in cerchio davanti il caminetto spento.
C'era un tocco femminile in quella stanza che la rendeva antica ed affascinante, assolutamente speciale.
Una domestica dall'aria dolce e devota si avvicinò alla padrona di casa, sussurrandole che i bambini avevano finito di fare il bagnetto e che era ora della prima poppata mattutina.
Georgie si allontanò a fatica dalle sorelle, mormorando un triste «Scusatemi» e sparendo dietro una rampa di scale maestosa.
Katherine strinse forte il braccio di Elisabeth « E' sempre una novità, per lei, dover lasciare gli ospiti per assecondare i bisogni dei piccoli.»
«Oh, lo immagino» rispose facendosi spazio tra le poltrone e scegliendo quella più vicina al camino.
Katherine, la bella ed inimitabile Katherine, le si sedette a fianco con le mani in grembo.
Sembrava quasi che fosse nervosa, o infastidita, oppure entrambi; poi, con sua immensa sorpresa, parlò «Uomini. Quando non hai bisogno di loro, sono sempre lì a sorriderti con l'immancabile espressione angelica ed adorante.»
Elisabeth ridacchiò quando vide che Katherine aveva pronunciato quelle parole con l'aria di chi aveva appena fatto un commento sul tempo.

Il tutto, ovviamente, era avvenuto anche davanti a suo marito ed Anthony che, ignari di tutto, l'avevano salutata con un sorriso sornione sulle labbra.
«Non capiranno mai» continuò alzando il mento e ricambiando il saluto.
Elisabeth si morse il labbro e prese a giocare con i guanti bianchi.
Era un fascio di nervi, non poteva negarlo. Quale signora, che fosse sana di mente, sarebbe scappata di casa con l'agilità di un ladro professionista senza avvertire suo marito?
Ripeté: Quale signora, che fosse sana di mente, sarebbe scappata di casa senza avvertire un uomo imprevedibile?
Non si sarebbe meravigliata se Colin fosse spuntato da un momento all'altro in casa di Georgie.
In realtà, per dirla tutta, dopo l'incendio e la terribile rivelazione di Colin, Elisabeth aveva fatto di tutto per evitarlo in casa. C'era riuscita per un giorno, ma poi, la sera prima, Colin era entrato nella sua stanza a mezzanotte passata.
Elisabeth aveva finto di dormire ed aveva pregato a più non posso mentre l'uomo si avvicinava con passo felpato al suo letto; durante quei pochi secondi, aveva persino preso in considerazione l'idea di rifugiarsi sotto il letto, ma il suo orgoglio glie lo impediva.
Per farla breve, egli si era chinato su di lei e le aveva lentamente accarezzato la guancia con l'indice.
Elisabeth aveva trattenuto il fiato, cercando di non darne mostra, ma poi il cuore aveva iniziato a battere così velocemente che le sembrava di averlo in gola.

Poi se n'era andato, e non lo aveva visto più per il resto della giornata.
«Eccoci qui!» sbottò Georgie portando in braccio un fagottino ricoperto da una coperta blu.
Doveva essere Michael, il figlio maschio. Sorrise quando Georgie si avvicinò e mostrò loro il volto di un bimbo bellissimo.
Due occhietti incredibilmente vispi studiarono tutta la stanza per poi posarsi su di Elisabeth che, istintivamente, gli sorrise con fare materno.
Il bimbo ricambiò il sorriso mostrando la bocca sdentata e prese a muovere freneticamente i pugnetti sul petto di Georgie.
«Ha fame» si scusò, accarezzando la fronte lucida ed ombrata da una lieve peluria bruna.
«Ehi, voi due» urlò Katherine, rivolgendosi agli uomini che stavano in disparte in un angolino a parlare freneticamente di politica «perché non andate fuori e regalate il vostro magnifico sottofondo virile alla natura? Qui ne abbiamo abbastanza.»
Katherine. Oh, la
dolce, tenera e sfrontata Katherine.
Gli uomini sorrisero all'audacia della donna e, esibendo un inchino di commiato, si affrettarono ad uscire dalla porta principale.
«Oh, finalmente!» esclamò la donna, poggiando un gomito sulla poltrona e mantenendo la testa con una mano «non ce la facevo più a sentir parlare di Napoleone e della battaglia di Lutzen »
«Non capisco cosa ci trovino di così eccitante gli uomini nella guerra.» osservò Georgie e prese a sbottonarsi il corsetto «Oh» alzò lo sguardo sulle sorelle che sedevano di fronte «Posso?» chiese, indicando il vestito sbottonato.
«Certo» risposero in coro con un lieve sorriso sulle labbra.
«Comunque, stavo dicendo... Ah, sì, Napoleone. Pf, sbruffone ed insolente. Godrò e sarò la prima a festeggiare quando lo uccideranno.»
Elisabeth corrucciò la fronte «Come fai a sapere che verrà assassinato?»
«Bhè» fece Katherine con un cenno di mano «queste cose finiscono sempre così. Già è stato avvelenato una volta ma è miracolosamente sopravvissuto. Quanto pensi che vivrà, ancora? Cinque? Dieci anni?»
Georgie prese ad allattare Michael, che bevve famelico il latte «Comunque, spero solo che il suo interesse rimanga vivo nei confronti della Russia. Non mi piacerebbe se adocchiasse la Gran Bretagna.»
Elisabeth rimase in silenzio ad ascoltare i commenti delle sorelle, poi si decise a parlare « Sapete, il nostro presunto padre vive a Parigi.»
Georgie e Katherine le puntarono gli occhi addosso.
«Lo sappiamo»
«Bene.»
Katherine prese la mano di Elisabeth e se la portò in grembo«Elisabeth... Non è un uomo per cui dobbiamo preoccuparci. Se fosse stato un bravo e vero padre, non ci avrebbe abbandonato.»
«Io non mi preoccupo affatto!» sbottò, alzandosi dalla sedia. «Sapete che vi dico? Spero che rimanga ferito sotto le macerie quando la Francia verrà distrutta- perché verrà annientata, vero? - e, quando ci chiederà aiuto per...»
«Elisabeth» la interruppe Katherine.
«...quando ci manderà una lettera per...»
«Elisabeth, calmati»
«...noi... noi non lo aiuteremo.»
Calò il silenzio nella stanza, ed Elisabeth si risedette. Inspirò ed espirò lentamente, poi ricacciò indietro le lacrime e guardò Georgie «quell'uomo non merita compassione.»
Le sorelle annuirono con silenzio religioso.
Georgie, Katherine, Ruark e Simon erano gli unici cui lei aveva rivelato il suo viaggio oltre i confini dell'Inghilterra.
In un primo momento, quando aveva confidato a Georgie cosa aveva dovuto fare per arrivare in Francia, sua sorella l'aveva guardata con diffidenza, ribadendole continuamente che 'il troppo bere portava a seri problemi mentali, oltre che alla dipendenza fisica'.
Poi, quando Elisabeth le aveva spiegato il motivo per cui si era sposata, o meglio, chi l'aveva obbligata a quel matrimonio di convenienza, Georgie aveva dichiarato guerra al padre brandendo sedie e bottiglie vuote.
Fu il silenzio a distrarla e, con un sussulto colpevole, si accorse che le sue sorelle la stavano guardando ansiosamente, come in attesa della sua risposta.
«Si, certo, mi sembra... giustissimo» disse, anche se non aveva ascoltato una parola.
Katherine e Georgie si guardarono dubbiose.
«Quindi» dedusse la prima con un sorriso malizioso «non vuoi parlare di tuo marito e per questo motivo non lo hai portato con te, nevvero?»
«Povera cara...» iniziò la seconda, accarezzando dolcemente la testolina di Michael «hai ragione. Spesso i mariti possono complicare terribilmente le cose. Hai fatto bene a non viaggiare con lui fin qui... Non che io lo odi, sia chiaro, ma... Non è lui il motivo della tua preoccupazione, vero, cara? Cos'è che ti turba?»
Katherine alzò una mano, come se fosse alle elementari «Io lo so, io lo so!»
Elisabeth alzò un sopracciglio «Ma la smettete? Cielo, sono appena arrivata ed in tutta sincerità vi preferivo mentre parlavate di Napoleone.»
Katherine ridacchiò ed abbassò la mano «Ehi, non siamo così impiccione come credi» si guadagnò un'occhiataccia incredula da parte di Elisabeth.
«E va bene, Napoleone era solo un argomento per rompere il ghiaccio, lo ammetto.»
«Molto carino da parte vostra» commentò la duchessa.
«Suvvia, Elisabeth, noi vogliamo solo aiutarti.»
«Infatti, Eli, non risentirti. Le buone sorelle fanno così, vero, Georgie? Si aiutano a vicenda.»
«Giusto, Katherine. »
Elisabeth alzò gli occhi al cielo. Cosa poteva farci, dopotutto? Era andata a casa di Georgie, se l'era cercata, ed ora non poteva fare la preziosa dopo aver viaggiato per più di un'ora.
In fin dei conti era giunta a Rothen Hall, ed era risaputo che chiunque avesse delle sorelle impiccione ed un segreto abbastanza importante diventava automaticamente una vittima da interrogare fino allo sfinimento.
«E va bene, vi dirò il motivo del mio tormento ma...»
«Ma?» chiesero in coro, pendendo letteralmente dalle sue labbra.
Elisabeth sorrise con aria maliziosa «Non vi dirò nulla fin quando la padrona di casa non mi porterà una grossa guantiera contenente biscotti e tè senza zucchero.»
Georgie sorrise e, con Michael in braccio, prese a suonare il campanellino vigorosamente.










In questo capitolo sentivo il bisogno di spiegare alcuni concetti riguardanti non solo il racconto ma anche il quadro storico degli altri paesi.
Prometto che nel prossimo capitolo ci saranno i Glossip che tanto bramate; riguarderanno Colin e soprattutto la psicologia di Elisabeth che, poverina, è rimasta così scossa dal comportamento dell'uomo che ha paura di rivelare i suoi segreti alle sorelle.
Un bacio e alla prossima!


Lady Sticklethwait.

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Capitolo 44
*** Capitolo 44. ***


 

                         Capitolo 44.

 

 

- Mi congedai dal mio esame di maturità rispondendo alla domanda «cosa vuoi fare da grande?»
con «La storia» con tanto di sguardo magnetico volto verso l'orizzonte a mirare un futuribile grande progetto e petto gonfio d'orgoglio.
Da allora dormo 12 ore al giorno vagando per casa come un parassita in pigiama.-





 

 

 

 

Colin si svegliò tardi, ma di buon umore.
Aprì le tende blu di velluto, spalancò le finestre e, quando il sole caldo gli illuminò il petto, socchiuse gli occhi e sorrise.
Sì, quella era proprio una bella giornata; il cielo era blu e sgombro dei tanto temuti nuvoloni grigi tipici dell'Inghilterra, gli uccellini volavano qua e là frenetici alla ricerca di nuovi nidi, e l'odore pungente del fumo si era fortemente attenuato.
Una moltitudine di contadini lavoravano i campi ai confini della sua tenuta; donne e uomini intonavano tipiche canzoni aristocratiche improvvisando qualche piroetta accompagnata da sguardi lascivi.
Colin si stiracchiò come un gatto e sbadigliò.
Quella giornata sarebbe stata piena di impegni, e non aveva alcuna intenzione di poltrire nella sua stanza, anche se sarebbe stato piacevole dedicare una giornata alla tanto amata e ricercata solitudine.
Si verso l'acqua nel catino dalla brocca sul lavabo e insaponò un pennello. Nel giro di quindici minuti si era rasato, aveva indossato gli abiti formali scelti dal guardarobiere e si era chiuso i polsini con gemelli d'argento massiccio.
Sollevando il colletto della camicia, si passò attorno al collo un fazzoletto bianco di seta; quindi ripose l'orologio nel taschino del gilet, prese con sé un cappello nero a cilindro e, dopo esser uscito dalla sua camera, si fermò di fronte a quella di Elisabeth.
«Buongiorno, Elisabeth.» provò con tono giovale esordendo un sorrisino patetico.
Ritornò serio.
No, era troppo familiare come saluto.
«Buon mattino, mia signora.» disse deciso, inchinandosi davanti alla porta.
No, dannazione, era troppo elegante.
Si tolse il cilindro e lo rigirò e rigirò tra le mani.
«Splendida mattinata, vero, Elisabeth? Sono sicuro che...che...»
Cielo, ora balbettava anche! Era peggio di quanto pensasse.
«Mrs. Kerwin» tentò, gesticolando con il cappello in mano, «sarei lieto se voi... insomma... noi potremmo... sempre se vi va, ovviamente» si morse un labbro, imbarazzato «come dite?» chiese con aria incredula «non... non siete dell'umore adatto? Oh... capisco, insomma, ormai penso di conoscervi abbastanza da sapere che il vostro umore è perennemente... no, no, no!» corrucciò la fronte «non è un'offesa, per carità, a nessun uomo sano di mente verrebbe voglia di...ecco...» ingoiò una manciata di saliva ed in quel momento si sentì l'uomo più ridicolo sulla faccia della terra.
Diavolo, perché non riusciva mai a parlarle? Bastava solo aprire quella dannata porta, esibire un impeccabile inchino accompagnato dal suo sorriso da mascalzone ed il gioco era fatto.
Funzionava sempre con le altre donne.
Perché Elisabeth doveva essere così assiduamente anticonformista?
Immaginò che la sua fosse una sorta di arma di difesa contro i bell'imbusti come lui, e rise all'immagine che gli venne in mente: Elisabeth vestita da riccio che mostrava fieramente i suoi aculei appuntiti.
Oh cielo, sono matto, pensò, rimettendosi il cilindro sul capo e ridacchiando tra se e se.
Forse aveva bisogno dei fiori.

Ma sì, certo, i fiori funzionavano sempre!
In quel momento gli sembrò un'ottima idea e scese le scale con un sorriso sornione sul volto.
Non appena varcò la soglia di casa, gli parve che fosse una trovata pessima.
Fiori? Elisabeth? Pff, anziché accettarli e perdonarlo gli avrebbe tirato il suo mazzo di fiori in faccia.
Compreso il vaso, ovviamente.












 

 

«Correggimi se dico bene, cara...» continuò Katherine mangiucchiando un biscottino al cioccolato «il bastardo si è nascosto dietro una maschera nera per circa...mhh...»
«Quattro mesi» intervenne Georgie.
«Già.»
«Ecco.»
«Sì» rispose Elisabeth tenendo gli occhi bassi sul suo tè.
Georgie, che aveva appena finito di allattare il suo piccolo, se lo portò sulla spalla e gli diede delle piccole pacche sulla schiena per farlo digerire.
«Come hai fatto a non accorgertene?» chiese improvvisamente Katherine, scrutandola con gli intelligenti e vivaci occhi nocciola.
Elisabeth scrollò le spalle e sbuffò «Cosa vuoi che ti dica, Kat. Ero troppo presa a non farmi affascinare da Colin Bekwell per accorgermi che lui e mio marito erano...»
«Sono» la corresse.
«Sono» le lanciò un'occhiataccia «la stessa persona.»
Georgie, che non aveva pronunciato una sola parola durante il racconto della sua disastrosa vita matrimoniale, richiamò l'attenzione delle sorelle tossicchiando.
«Io sono nella squadra di Colin.»
Katherine aprì la bocca incredula «Cosa??!!?»
Ella ignorò il commento di sua sorella «insomma, non possiamo fargliene una colpa. Il poveretto si è trovato in una situazione insostenibile per un libertino ed uno scapolo incallito; e poi, lo hai detto stessa tu, Elisabeth, non aveva idea che fossi tu la sua sposa.»
«Ma è assurdo!» intervenne Katherine. «E poi, anche se gli dessi ragione per quanto riguarda il suo trauma -chiamiamolo così-, Colin Bekwell non ha fatto altro che stuzzicare Elisabeth con le sue apparizioni tanto indecenti quanto improvvise, rendendole la vita impossibile.»
Georgie alzò un sopracciglio «E vorresti biasimarlo? Insomma, se avesse smesso di stuzzicare Elisabeth lei si sarebbe ben presto accorta del suo cambiamento e... due più due fa quattro, Katherine.»
Elisabeth rimase ad ascoltare il dibattito delle due, rimanendo in perfetto silenzio.
«Georgie, capisco la tua parte da buon samaritano, ma ricordati che codardi del genere non meritano alcuna comprensione tanto meno compassione»
«Pff, parli come se lo condannassi alla forca! E' solo un uomo, Katherine, ed io credo proprio che si sia preso una bella cotta per la nostra Elisabeth.»
Katherine ridacchiò «E cosa ne sai, tu?»
Georgie sospirò «E' possibile che qui nessuna abbia capito un bel nulla?»
Le due sorelle alzarono entrambe il sopracciglio destro; avevano la stessa ed identica espressione facciale e sedevano nello stesso modo; la schiena rigida non poggiava sullo schienale e le mani erano raccolte sul grembo.
«Oh, santo cielo, devo spiegarvi proprio tutto» disse, più a se stessa che alle due donne che le stavano avanti.
Michael, con sorpresa di tutte, fece il ruttino di fine pasto e la sua espressione facciale divenne un misto tra assonnata-soddisfatta.
«Posso?» chiese Elisabeth allungando le braccia verso il fagottino che, ignaro di quel cambiamento, continuò a sbattere gli occhietti vispi con stanchezza.
Elisabeth portò il piccolo sul petto e si sentì stringere il cuore quando quello cominciò a sonnecchiare sul suo seno.
«Comunque» cominciò Georgie, ricomponendosi «chiunque si accorgerebbe che il gentiluomo in questione prova un affetto profondo per Elisabeth. Primo: la notte di nozze – e le seguenti - non l'ha sfiorata, giusto? Questo significa che prova rispetto per la sua figura.
Secondo: Elisabeth ha detto che ha la brutta abitudine di spuntare fuori quanto meno se lo aspetta. Perché fa questo? Per attirare l'attenzione su di se, ovvio, ed ora arrivo ai punti principali...» fece una pausa ad effetto e bevve un bicchiere d'acqua.
«Non abbiamo tutta la mattinata» commentò Katherine, ricordando loro che l'ora di pranzo era già passata.
Georgie cacciò la linguaccia e ridacchiò «Se il signor Bekwell- Kerwin odiasse Elisabeth non le avrebbe rivelato questo suo piccolo segreto dopo quattro mesi. Avrebbe potuto tacere per molto più tempo e lasciare che lei lo scoprisse da sola; invece no. Il signor Bekwell si è dimostrato umile e nel contempo pentito di...»
«Umile, pentito! Ma sentiti, Georgie, parli come nostra madre!»
«Lasciami terminare la frase, Katherine , e cerca di contenere la tua frenesia, per favore.»
La sorella in questione serrò le labbra ed incrociò le braccia, sbuffando e guardandola di sottecchi.
«Grazie.» disse Georgie «Allora... Dove eravamo rimaste? Ah, sì. Dunque, il...»
«Non fa niente, Georgie» sbottò Elisabeth «ho capito quello che entrambe volete dire e, credetemi, sono lusingata di aver ottenuto così tanto la vostra attenzione da spingervi a comportarvi come delle adolescenti, ma credo proprio che abbiate torto.»
Il coro di entrambe di levò subito dopo l'ultima constatazione di Elisabeth«Perché?»
Elisabeth accarezzò la testolina di Michael e sorrise con malinconia «Io... Credo che partirò.»
«No, Elisabeth, no! Sii ragionevole, sei ancora giovane e...»
«No, no» la interruppe con un gesto della mano, ed alzò gli occhi «ho preso la mia decisione. Non voglio restare in una città dove tutti parlano di Lord Kerwin e di quanto sia affascinante l'abbronzatura di Colin Bekwell...io... penso che morirei, davvero. Non andrò in un altro continente, ed il mio trasferimento sarà temporaneo, solo... vorrei allontanarmi il più possibile da Londra e...»
«Da lui» dissero entrambe con una nota dispiaciuta nella voce.
«Sì.»
«E' realmente questo che vuoi, Elisabeth? Insomma, potresti restare da me per tutto il tempo che vuoi, nessuno ti darà fastidio qui con domande indiscrete.»
Elisabeth sorrise «No, Georgie, sei troppo gentile, ma non posso usufruire troppo della tua bontà, specie con i bambini»
«Capisco»
Katherine, che non aveva ancora detto nulla se non monosillabi, si alzò in piedi e, con i pugni serrati e gli occhi in fiamme, disse «Ma dico... SEI IMPAZZITA?»

Michael si svegliò con un tumulto ed iniziò a piagnucolare.
«Katherine, per favore» la supplicò Elisabeth, cullando e rassicurando il bimbo.
Puntò un dito su di Elisabeth «Tu sei pazza.» si girò in direzione di Georgie e la guadò «tu sei troppo condiscendente e materna. Ma dico, siamo impazziti? Andare via per...per... Oh! Da quanto in qua scappi dai problemi, sorellina? Li hai sempre affrontati con imperturbabilità e fermezza.»
«Katherine, smettila, Elisabeth ha preso la sua decisione, non vedi?»
«No! No, Georgie, no! Mi aspettavo che, in qualità di sorella maggiore, tu correggessi questa follia, ed invece... Invece acconsenti, perdinci!»
«Dio, ora ci sarà una rivoluzione» commentò Elisabeth porgendo Michael a Georgie.
«Elisabeth»
«Sì?»
«Guardami!»
Ella fece come sua sorella voleva, ed ascoltò attentamente «Non posso permettere che tu vada via.»
«Ah sì?» fece sarcastica lei, alzando un sopracciglio « ed avresti un'alternativa migliore, Katherine?»
La sorella in questione fece un sorriso sinistro e furbo, i suoi occhi nocciola brillarono di malizia e si risedette sul divano prendendo un altro biscottino «certo che ho un piano. Cosa ti aspettavi, cara? Io ho
sempre un piano di riserva.»
Sei occhi si puntarono su di lei, compresi quelli di Michael che sembrava ascoltare la conversazione con estrema attenzione.
«Sputa il rospo, Katherine.»
«E' semplice ed molto elementare. Ricambierai Colin Bekwell-Kerwin con la stessa moneta.»
«Ovvero?» chiese Elisabeth, prendendo anche ella un altro biscotto.
Katherine sorrise maliziosa «Lui ti ha ingannata con una maschera ed il suo fascino nascosto, giusto? Oh, sapete una cosa? Ho proprio voglia di organizzare una festa in maschera. Cosa ne sarebbe se una donna attraente e mascherata facesse girare la testa a tutti i libertini di Londra?»
«Non funzionerà, Katherine» disse Georgie amaramente. «Mrs Bekwell prova qualcosa per Elisabeth, ne sono sicura, e non farà caso ad una donna che proviene da chissà quale continente solo per...»
«AH-AH!» fece vittoriosa Katherine, inforcando un altro biscotto ed innalzandolo come un trofeo «Ed è qui che ti sbagli, perché io farò in modo che Colin Bekwell sappia chi è la donna misteriosa che, casualmente, ballerà con tutti i suoi ammiratori e si farà corteggiare spudoratamente.»

Georgie sorrise e si morse un labbro «Sei sempre la solita, Kat.»
«Lo so, cara.»
«Emh-emh» fece Elisabeth schiarendosi la gola «E con questo, cosa vorresti dimostrare? Non cambierà nulla, lo sai.»
«Mi siederò in disparte solo per vedere quell'uomo consumarsi di gelosia.»
«Sei una strega»
Georgie alzò una mano «Come sai che morirà di gelosia?»
«Lo hai detto tu, no?» sorrise soddisfatta «E' innamorato di Elisabeth.»








 

 

 

Okay, non volevo che questo capitolo finisse così, ma Katherine ha praticamente preso in mano la situazione e man mano che scrivevo mi sono fatta coinvolgere dal suo entusiasmo e...
Oh, Dio, perché do sempre ascolto ai personaggi?
Autodisciplina ed autocontrollo, Lady.
Ecco, ti manca.


Un bacio a tutte, spero vi siate divertite con questo capitolo.
A presto!


Lady Sticklethwait.

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Capitolo 45
*** Capitolo 45. ***


                                   Capitolo 45.

 

 

 

-»Scusami, per mettersi in contatto con il tuo cervello ci sono fasce orarie o bisogna comporre il numero verde?»-
 

 

 

 

Rothen hall era tutta in mattoni e la sua architettura ricordava vagamente quella di una villa di campagna inglese. Un lungo viale girava tutt'intorno all'edificio e portava direttamente all'entrata principale. In primavera i cespugli di corniolo si riempivano di fiori bianchi creando un effetto favoloso in contrasto col verde intenso delle foglie e con i boccioli multicolori delle altre piante.
Sull'ingresso, ampio e luminoso, si aprivano due enormi saloni con il pavimento tutto in marmo lucente e dei fantastici lampadari di cristallo. Una maestosa scalinata conduceva ai piani superiori.
Vi erano molte altre stanze, tutte spaziose e con un arredamento caldo e accogliente oltre che di gusto raffinato.
«Santi numi» sussurrò Elisabeth.
Un brivido di adrenalina le attraversò tutta la schiena facendole rizzare i peli.
Inspirò lentamente e giocherellò con i sottili nastri bianchi e dorati della maschera prima di legarli; questa era stata confezionata da Monique, una sarta francese, che l'aveva ornata con alcuni lapislazzuli finti che si abbinavano perfettamente al suo vestito.
Lapislazzuli... Il loro colore le ricordava i magnifici occhi di Colin che sembravano quasi brillare quando le luci erano soffuse e...
Sospirò, stanca che ogni volta i pensieri prendessero il sopravvento sui suoi sentimenti; odiava Colin Bekwell, e questo era quanto.
Non poteva permettersi di provare altri sentimenti sicuramente più nobili dell'odio, dopo tutto ciò che le aveva fatto... Dopo tutte quelle bugie.
Katherine aveva ragione, doveva allontanarsi da quell'uomo e chiedere il più in fretta il divorzio, ma prima... prima voleva ripagarlo con la stessa moneta.
«Ehi» la voce bassa di Katherine la fece sussultare come un grillo.
«Dio mio, vuoi farmi morire Kat?»
La sorella sorrise, mostrando una fila di denti bianchissimi e leggermente sovrapposti in avanti «Non era mia intenzione, cara.»
Elisabeth prese due bicchieri di Champagne che i camerieri offrivano insistentemente a tutti i presenti, e li bevve avidamente.
«Ehi» la rimproverò la sorella, togliendole di mano le bibite e poggiandole su di un vassoio d'argento «vacci piano con quelli. Non voglio una sorella ubriaca. Il divertimento è appena iniziato»
Elisabeth sbuffò «sono già stanca e, francamente, preferirei trovarmi a casa in compagnia di un bel libro invece di...Perché tu non porti la maschera?»
«Sono l'organizzatrice di questa festa, mia cara, sarebbe scortese nascondermi dagli ospiti dietro un artifizio del genere.»
«Io lo farei se fossi in te» fu il commento della sorella, che si guadagnò un'occhiataccia.
Katherine continuò a scrutare con occhi critico la folla, chinando la testa ogni tanto ed augurando un buon proseguimento a chiunque le si parasse davanti.
«Non è ancora arrivato» disse con una nota di divertimento che Elisabeth trovò alquanto inquietante.
«Non mi stupisce, Kat.» questa alzò il sopracciglio e fece una smorfia.
«Insomma» continuò Elisabeth lanciando sorrisi nervosi a tutti gli uomini che la guardavano con interesse «devi averlo spaventato a morte con il tuo invito a questo ballo in maschera.» si schiarì la voce e recitò gli ultimi versi della lettera«
Non disperate, Mr. Kerwin, vostra moglie – nel tal caso non ve ne foste ancora accorto – era così entusiasta all'idea di partecipare ai preparativi di quest'evenienza, che è partita alle prime luci del mattino.»
Katherine rise alla recitazione impeccabile di sua sorella che aveva marcato con l'accento tutte le parole scritte in grassetto.
«Bhè» ammise «non sono stata un modello di cortesia ma... Confido nel suo orgoglio maschile ferito»
Elisabeth sorrise mestamente e scrutò la sala da ballo; un inquietante gruppo di gentiluomini si mosse all'unisono con un eleganza disarmante e, prima che potesse commentare l'entrata in scena di tali predatori con sua sorella, un paio di loro la adocchiarono e si mossero nella sua direzione, senza togliere lo sguardo dal vestito che non nascondeva nulla.
«Oh cielo Kat, dimmi che non è vero» disse con un sorriso fino quasi come i lapislazzuli della maschera.
Katherine si allontanò con grazia e velocità da sua sorella che ora sembrava trasudare ansia e nervosismo da tutti i pori.
Se ne dispiacque molto, ma non poteva fare altro; la sua missione era assicurarsi che Elisabeth fosse assiduamente corteggiata da gentiluomini e, nello stesso tempo, assicurarsi che Colin Bekwell assistesse a quello sproloquio di frasi senza senso.
Dieci uomini di alto lignaggio circondarono la duchessa, offrendole
di portarle il punch, chiedendole di ballare, supplicando la sua attenzione.
Qualcuno le mise due bicchieri in mano che lei accettò con un sorriso.
Facendo una pausa per bere qualche sorso della bibita, assaporò la sensazione di calore che le attraversò le vene. Con grazia alzò la mano inguantata di bianco per scostarsi un ricciolo che pendeva sulla fronte e sorrise alla folla.
«Signori» disse con voce gutturale, indubbiamente aiutata dal liquore « siete un gruppo di gentiluomini molto affascinanti. E sono lusingata per le vostre attenzioni, ma state parlando tutti insieme. Io posso conversare solo con tre o quattro contemporaneamente.»

Loro rinnovarono i loro sforzi con entusiasmo.

«Signorina, posso accompagnarla in giardino…

« … un bicchiere di vino?

«… un dolcetto?

«… e se ballasse con me?
Elisabeth accettò di buon umore gli inviti dei gentiluomini ed uno di loro ebbe l'audacia di appropriarsi della sua manina inguanta per trasportarla al centro della sala da ballo.
«Presto io stesso morirò con il cuore spezzato» gridò un altro che le aveva offerto di ballare molto tempo prima.
Un motivo classico iniziò e vorticarono insieme seguendo il ritmo della dolce melodia; Elisabeth scoraggiò tutti i tentativi di conversazione dell'uomo, e si godette la danza.
Quando ebbero finito si dileguò con un sorriso glaciale dalla stretta dell'uomo mascherato da pirata, che insisteva di vederla senza maschera allo scoccare della mezzanotte.

«Vi prego» un altro sconosciuto le prese il braccio e le offrì un bicchiere di punch «ditemi che a mezzanotte mi permetterete di osservare il vostro incantevole viso.»
Elisabeth si irrigidì «Posso descrivervelo io. Due occhi, un naso, una bocca...»
«Una bocca incantevole» la corresse con un sorriso birichino.
«Smettila Jhon» fece un altro, dandogli un colpetto con il gomito «non lo vedi che la signora non vuole essere importunata?»
Il cosiddetto Jhon fece il broncio e con un inchino si dileguò nella folla.
«Vogliate scusarlo, non riesce mai a contenersi»
Elisabeth sorrise «Allora è una fortuna che nei paraggi ci siano dei salvatori come lei.»
L'uomo le prese la mano inguanta e si chinò con studiata lentezza «E' un piacere fare la vostra conoscenza, Milady. Il mio nome è Ruark Tarlen.»






Damon e Derek si tolsero le maschere dalla faccia e si inchinarono davanti ad Abel.
«Padrone... Faith sembra essere scomparsa.»
Derek alzò la testa e parlò con decisione «Abbiamo appiccato l'incendio come voi ci avete detto, ma non ci sono state tracce né di Colin Bekwell né di Faith»
«Ho...Abbiamo....P-p-p-pensavamo che se la ragazza è scappata da più di una settimana, ritrovarla sarebbe stato imp-imp-imp-impossibile, padrone.»
«Inoltre» intervenne Derek con voce più sicura «se Faith ha parlato sono sicuro che non ci vorrà molto prima che Colin Bekwell scopra l'identità di Illeo. Ho sentito che conosce il suo stemma da leone, padrone, e da molti giorni si aggira nel quartiere della vecchia residenza di Christian Barbrook.»
«Bene» disse Abel, incrociando le braccia «fate in modo che il signor Bekwell sappia che noi aspetteremo ansiosamente la sua generosa ricompensa in danaro. Intanto, miei cari alleati, fate in modo che qualcosa di suo venga irrimediabilmente rotto.»
Damon ridacchiò «abbiamo visto la moglie di-di-di-di-di Bekwell... Una g-g-g-gemma davvero rara.»
«Quel che vuole dire, padrone» spiegò Derek mettendosi sulle ginocchia «è che la moglie del signor Bekwell, Elisabeth, è davvero un bel bocconcino e sembra anche che lui le sia parecchio affezionato.»
«Li abbiamo visti a-a-a-a-abbracciati la mattina dell'incendio, p-p-padrone»
«Bene, ma non ho garanzie sull'affetto che ci sia tra i due. Scopritelo.»
«Padrone?» chiese Derek, stringendo la stoffa che aveva trovato per terra «cosa faremo se Bekwell non ci darà i soldi che ci spettano?»
Abel sorrise, ricordando l'ordine di Illeo.
«Uccidetelo»

 

 

 

Capitolo alquanto macabro...
Forza Team Bekwell!

 

 

Lady_Sticklethwait

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Capitolo 46
*** Capitolo 46. ***


                                    Capitolo 46.

 

 

 

 

Ogni santissima notte...

23,30: tra poco vado a dormire.
4,30: perché sono su Wikipedia a documentarmi sulla fauna del Kenya?

 

 

 

 

 

L'unica risposta che Elisabeth concesse al suo salvatore fu un «Oh» di sorpresa, accompagnato da una risatina sciocca e falsa.
L'uomo, vedendo che la donna misteriosa in maschera tardava a presentarsi, le lasciò la mano ed inclinò la testa «Vogliate scusarmi, forse sono stato un po' troppo invadente
»
La duchessa si sentì come un pesciolino fuor d'acqua; Colin non si era ancora fatto vivo, e Katherine – ignara di tutto ciò che Ruark le aveva fatto – lo aveva tranquillamente aggiunto alla lista degli ospiti.
Meglio di così non poteva andare, no?
Ruark le offrì gentilmente il braccio, allontanandola dalla flotta di uomini che avevano esasperatamente chiesto le sue attenzioni e da Elisabeth così mal corrisposti.
«Scusate l'indiscrezione ma... Qual'è il vostro legame con la Mrs. Debugg?
»chiese con aria vaga.
La duchessa non esitò a rispondergli. «Oh, intendete Katherine? Siamo amiche da molto tempo. Vedete, il nostro rapporto è molto confidenziale.
»
«E, perdonatemi ancora, condividete la stessa sintonia anche con gli altri membri della sua famiglia?»
Elisabeth si sentì precipitare in un abisso profondo e senza ritorno; perché, perché proprio a lei doveva capitare quella sventura?
Un giorno avrebbe fatto fuori Ruark Tarlen.
Magari lo avrebbe lapidato, dato che la sua mira era pericolosamente migliorata grazie a Colin Bekwell.
Ruark, vedendo che la dama ritardava a rispondere, adottò il solito tono che di solito riserbava per i funerali «Scusatemi, sono stato davvero invadente, ma è che... voi...
» si schiarì la voce, ed Elisabeth iniziò ad apprezzare vivamente il motivo floreale della tappezzeria. «Voi avete un viso molto familiare.»
«Davvero?» chiese incredula, spostando lo sguardo sul pavimento che brillava alla luce dell'immenso candelabro.
Sperava vivamente che Katherine avesse fatto rinforzare il soffitto prima di appendere una cosa del genere.
Doveva pesare tonnellate!
E lei aveva davvero troppe cose da fare – vedi: trasformare la vita di Colin Bekwell in un inferno per i prossimi tre millenni – prima di morire tramortita dall'eccesso di opulenza.
«Sì. Posso chiedervi se risiedete a Londra? Forse ho avuto la fortunata coincidenza di...
»
«Oh, che sbadata!» sbottò la duchessa con finta esasperazione «ho completamente dimenticato di salutare una mia carissima amica e... Oh, cielo, non me lo perdonerà mai»« recitò, portandosi le mani sulla bocca.
«Sono costernato, io...
»
«Non preoccupatevi, sono certa che ci rivedremo presto.»
«Vi prego, ditemi il vostro nome...»
«Addio, Mr. Tarlen» disse, avviandosi verso l'altra parte della stanza.
Fortunatamente l'uomo non la seguì, ed Elisabeth cercò di nascondersi nella folla di gente; aveva voglia di esibire una danza della vittoria, ma si astenne, solo perché aveva il timore che Ruark la raggiungesse di nuovo.
La notte era ancora giovane e la sala da ballo era praticamente piena di gente; per questo, Katherine,
aveva aperto il salotto grande, il soggiorno privato, il salone e la sala da pranzo, in modo che tutti gli ospiti potessero muoversi senza darsi gomitate tra loro.
Ogni stanza era illuminata a giorno da una miriade di candele. Il lungo tavolo nella sala da pranzo era ricoperto da una candida tovaglia di lino e piatti colmi di ogni tipo di cibi.
Due domestici in livrea non si allontanavano un attimo, pronti ad aiutare gli ospiti a scegliere e a riempire i loro piatti.
Altri passavano da una stanza all’altra
con i vassoi pieni di bicchieri.
Elisabeth decise che quello non era il suo ambiente. Si sentiva a disagio con quel vestito sfarzoso ed i capelli portati in alto, ornati di perline come la moda dettava.
L'idea di partecipare a questo ballo in maschera era stata sicuramente una delle trovate più stupide di Katherine che, pur di non far andare via la sorella, aveva speso davvero molti denari.
La testardaggine di Kat le aveva impedito di aiutarla economicamente in questa impresa, e così Elisabeth era rimasta inerme mentre le sue sorelle si erano coalizzate per organizzare il fatidico ballo in maschera che, per dirla tutta, aveva solo uno scopo: attirare Colin Bekwell e dargli il colpo di grazia.
Colin, però, non era ancora venuto ed Elisabeth ormai non sperava più nelle sue miracolose apparizioni da perfetto furfante qual'era.
Se il motivo vero per cui voleva ritirarsi era che Colin non si era presentato, una ragione in più per tornarsene in camera era Ruark Tarlen, che di sicuro ora la stava cercando per tutta la sala.
Così, armata di determinazione ed un innovato istinto di sopravvivenza, si eclissò dalla sala da ballo e salì lentamente le scale di servizio che erano meno affollate e portavano dritto nella sua stanza.
La camera di Elisabeth era decorata in toni lavanda e giallo. L'elaborato giardino era ben visibile da un paio di finestre con tende divise al centro.
Camminando fino al letto con baldacchino, Elisabeth toccò le morbide lenzuola di lino; i
l buio e l'ombra tappezzavano la stanza, dandole un'atmosfera vellutata. Soffitti, ornati da fregi scolpiti, si innalzavano circa trenta metri sopra alla sua testa.
Alcune candele semiconsumate, le cui lingue fiammeggianti oscillavano nella corrente d'aria, combattevano per illuminare la camera enorme. Elisabeth aprì e chiuse le palpebre per cercare di abituare gli occhi a quell'oscurità e si avvicinò alla toeletta cercando di togliersi le forcine.
All'improvviso fu cosciente di un brivido freddo dietro la testa, che le fece rizzare i capelli dietro la nuca; non ci fu un suono, nulla che potesse metterla sull'avviso della sua presenza, tuttavia lo sentì.
Sentì il suo sguardo su di lei, e si voltò lentamene.
Colin era in piedi dietro di lei appoggiato al muro in una posa rilassata, la testa inclinata leggermente di lato e la stava fissando come un sultano ispeziona il suo ultimo acquisto femminile.
Cercò i suoi occhi ardenti, che tradivano l'oziosa curva del sorriso.
Colin era lì. Era venuto, alla fine!
Elisabeth voleva parlare, voleva dire qualcosa di incredibilmente sarcastico e tagliente, voleva farlo sentire indesiderato, ma neanche una parola uscì dalle labbra socchiuse.
Cercò di darsi un contegno e si raddrizzò sulla sedia, ma questo aumentò il divertimento dell'uomo che incrociò le braccia e continuò a fissarla.
Alla fine, Colin si decise a parlare
« Buonasera, dolcezza» mormorò in tono seducente.
Se Elisabeth
avesse avuto un camino in cima alla testa forse non sarebbe stata in così grave pericolo di esplosione, come invece era.
« Devo ammettere che non credevo fossi così impaziente di vedermi»
« Cosa ti fa pensare che sia felice di rivederti?» chiese, alzando un sopracciglio.
Colin si mise una mano sul mento
« Non è così?»
Elisabeth si alzò dalla sedia «Assolutamente; forse dovrei insinuare la stessa cosa di te, dato che ti sei intrufolato nella mia stanza come un perfetto ladro.»
« Touché, dolcezza»
Colin si avviò verso le finestre e, sotto la luce di una luna crescente che gli illuminava il volto, iniziò « Vedi, Elisabeth, il bello di te è che sei così impulsiva e, bhè, forse leggermente irascibile, che non riesci a renderti conto di quanto tutto ciò per me sia... » la inchiò con i suoi occhi ardenti « incredibilmente attraente.»
Elisabeth ridacchiò « oh, cielo, non vorrai corteggiarmi nella mia stanza da letto e per giunta alle undici di sera?»
Colin alzò un sopracciglio. « C'è un orario preciso per corteggiarti, dolcezza?»
« No, ma sono sicura che in un momento più ragionevole...» si mise le mani su entrambi i fianchi e lo guardò incredula « Cielo, stiamo davvero discutendo sull'orario in cui corteggiarmi?»
Colin fece spallucce ed alzò le mani « Hai iniziato tu.»
La duchessa sbuffò e continuò a guardarlo torvo, rifiutando di dare vita ad una nuova conversazione.
Colin riportò lo sguardo fuori la finestra ed osservò la luna pensieroso; mancava poco e quel satellite sarebbe diventato pieno e tondo, proprio come un arancia.

« Elisabeth» incominciò prendendo la lettera dalla tasca « ho bisogno di chiederti un piacere.»
« Mh.» la donna lo guardò di sottecchi ed il suo sguardò fu catturato dalla lettera; Colin le indicò la ceralacca a forma di leone, ed Elisabeth sussultò quanto lo riconobbe.
« Apparteneva a mio padre» disse, scrutando attentamente le curve che modellavano il crine del leone « ma da quando se ne è andato da qui, lo ha sostituoto con un'aquila.»
Colin rimase esterrefatto. Suo padre? Cosa diamine c'entrava, lui, con i ricattatori?
« Dov'è tuo padre? Come si chiama?» chiese con apprensione, avvicinandosi alla duchessa.
Elisabeth alzò il mento ed incrociò le braccia; il linguaggio del corpo diceva esplicitamente che non lo avrebbe aiutato.

« Perchè vuoi saperlo?»
« Andiamo, Elisabeth!» sbottò, e le mise le mani sulle spalle. « Perfavore»
« No, Colin, non ti aiuterò frattanto non mi dirai cosa sta accadendo. Sembri davvero spaventato – non che mi dispiaccia, chiaramente – ma sono affascinata di sapere il motivo di cotanta curiosità.»
Colin si portò una mano tra i capelli e sospirò; quella donna era davvero insopportabile.
« Elisabeth» ripetè, scuotendole leggermente le spalle « ti prometto che ti dirò tutto, ma prima devi aiutarmi. Qual'è il nome di tuo padre e dove risiede?»
Gli occhi di Colin sembravano così intensi ed azzurri che alla duchessa le parve di affogarvici dentro.
Come poteva un uomo del genere non ottenere quelo che voleva con quello sguardo?
Ritenne che la natura fosse stata troppo generosa con lui e per un momento gli balenò in mente l'idea di non volerlo rispondere, giusto per punirlo della sua bellezza, ma poi si ricordò che le duchesse non si comportavano come delle adolescenti.
Peccato, sarebbe stato divertente vederlo innverosire anche solo per un istante

« Christian Barbrook, vive a Parigi.»
Colin sospirò e lasciò la duchessa così veemente che ella barcollò all'indietro.
No, non poteva essere lui il ricattatore, sarebbe stato troppo facile scoprire la sua identità; forse... forse, riflettè Colin riportando lo sguardo alla luna, qualcuno voleva fargli credere così per incastrarlo.
Ma chi? Chi, dannazione?!?
Sospirò dinuovo, e strinse la lettera che teneva in tasca; quindi il padre di Elisabeth, Christian Barbrook, era solo uno degli scagnozzi che facevano il lavoro sporco... oppure no?

« Allora?» chiese Elisabeth mantenendo le distanze tra loro. « Cosa sta succedendo?»
Davanti l'insistenza della donna, Colin prese la lettera dalla redingote e glie la porse continuando a guardare la luna.
Elisabeth afferrò l'epistola con diffidenza mentre un brivido di adrenalina le percorse tutto il corpo: quell'uomo stava condividendo qualcosa di indubbiamente grosso con lei.
Forse questo era il suo modo di scursarsi.
Fece una smorfia e la lesse tutta d'un colpo, andando quasi in apnea e, quando vi scorse anche tracce di sangue, si portò una mano tremolante alla bocca.

« C-c-olin... Cosa dd-diavolo hai fatto? »



Questo è stato indubbiamente uno dei capitoli più faticosi da scrivere in assoluto.
Ogni frase mi suonava sempre sbagliata, giuro, un incubo.
Non so come sia uscito questo capitolo, davvero.
Lady _ Sticklethwait.

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Capitolo 47
*** Capitolo 47. ***


                              Capitolo 47.

 

 

 

 

Ho deciso di creare un profilo facebook; se volete parlare, chiedere consigli o semplicemente scambiarci libri online, ecco dove potete contattarmi ---->https://www.facebook.com/ladystickleth.wait?fref=ts

 

 

 

 

 

«Colin... Dimmi....Dimmi che non è come sembra, io...» ingurgitò una manciata di saliva e portò la mano tremula sulla gola «Perché non me l'hai detto prima? Sei... Io non...» si zittì, la lettera ancora in mano; voleva parlare, voleva urlagli addosso che era stato un perfetto imbecille per averle nascosto un segreto così grande.
Bugie, bugie ed ancora bugie.
Non poteva sopportarlo, non più.
Ancora scossa, si risedette sulla sedia della toeletta e posò la lettera sul tavolino bianco. Mille pensieri le turbinavano in mente, inebriandola, ed aggrottò le sopracciglia quando scoprì cos'era realmente accaduto pochi giorni prima.
«Loro... Loro hanno appiccato l'incendio... vero?»
Silenzio.
Fu il silenzio più totale e letale, l'arma più crudele di qualsiasi altra parola che le diede la triste conferma, e quell'uomo, quell'uomo che le voltava le spalle e continuava a guardare un punto distante senza dare alcun cenno di vita, sembrava goderne a pieno.
Non poteva ignorarlo e lasciare il duca sull'orlo dei un precipizio, ne era dolorosamente consapevole, ma cosa doveva fare?
Come poteva cercare di incastrare quegli idioti senza mettere a rischio la propria e la sua vita?
Mossa da una forte determinazione, Elisabeth balzò in piedi e si mise le mani sui fianchi «Bene. E' una cifra esorbitante, certo, ma nulla di insormontabile per un duca che ha proprietà persino alle colonie .» commentò con tono severo.
Colin si ostinava a non controbattere, ma ella lo ignorò e continuò a parlare, forse più per rassicurare se stessa che il duca.
«Potrei aiutarti economicamente in questa impresa, se per te fosse un problema, ma sono già certa che il tuo maledetto orgoglio maschile sarebbe messo alla prova e mi proibiresti fin dall'inizio di immischiarmi nelle tue faccende private, ma devi ammettere che...»
«Elisabeth»
«legalmente sono ancora tua moglie»
«Elisabeth»
« Sì, lo so, sono la consorte di Lord Kerwin, non la tua»
«Elisabeth.» disse con tono più marcato, facendo risuonare il suo nome per tutta la stanza.
«Sei un po' troppo pignolo, sai? Insomma, che differenza c'è?» chiese, alzando le spalle e le braccia «Davvero, certe volte non hai un briciolo di buon senso. Comunque, sono più che disposta ad aiutarti e...»
Colin si girò di scatto, colmò la lontananza tra loro due e l'afferrò per le spalle; Elisabeth smise di parlare e si immobilizzò all'istante.
L'uomo la stava scrutando con i suoi insistenti ed ardenti occhi azzurri, seminascosti dalle lunghe ciglia nere. Non aveva mai visto il suo volto così severo.

«Devi tacere e lasciarmi parlare.»
Il suo alito le sfiorava appena la fronte, e cercò di ignorare l'ignobile desiderio di volerlo rassicurare per tutta la notte, ma era consapevole che se non si fosse allontanata subito da Colin il suo corpo non avrebbe risposto agli impulsi del cervello e...Elisabeth cercò di divincolarsi dalla stretta oppressiva dell'uomo, chiaramente senza successo; le mani di Colin la stavano trattenendo senza sforzo apparente, ed Elisabeth quasi mugugnò di dolore quando il duca la strattonò nuovamente con più vigore.
«Smettila di comportarti così ed ascoltami!» tuonò, rassicurato dal fatto che nessuno poteva sentirli.
Elisabeth strinse i denti « Per l'appunto, non c'è bisogno di stringermi così forte, ma immagino che questo sia uno dei tuoi atteggiamenti tipici per ottenere,..» la scosse ancora una volta, facendole capire che forse, ma proprio forse, era arrivato il momento di tacere.
Vedendo la smorfia di dolore sul volto della donna, Colin passò dalle spalle ai polsi e, seguendo tutta la lunghezza del suo braccio, li tenne a mezz'aria.
Elisabeth sperò vivamente che l'uomo non si fosse accorto dei brividi freddi che il suo tocco le provocava ogni volta su tutta la superficie del corpo.
«Odio doverti trattare così» disse con afflizione nella voce «ma non mi lasci scelta. Avrei voluto dirtelo in un'occasione diversa ma... Insomma...Io...» strinse le labbra e portò il suo sguardo su un boccolo ribelle ramato che seguiva la delicata linea del collo.
Elisabeth lo guardò carica di aspettativa, incitandolo a parlare con un lieve e quasi impercettibile movimento del capo.
«Devo dirtelo ora, o ne avrò il rimorso per sempre se...Oh, dannazione!» la inchiodò con il suo sguardo azzurro ed amareggiato; i suoi occhi blu tradivano lo smarrimento, un senso di inquietudine come guardare il cielo al crepuscolo e fissare una sola stella, quando le illusioni che danno conforto svaniscono e il solido tetto del cielo si dissolve tradendo la sua vera e paurosa distanza.
Il duca le lasciò i polsi con estrema delicatezza, un aggettivo che, per quanto ne sapeva Elisabeth, era decisamente all'ultimo posto nella sua lista di
Come diventare un gentiluomo.
Si massaggiò i polsi con movimenti circolari e lo guardò di sottecchi, illuminato dalla luce lunare.
Non serviva un matematico per capire che Colin aveva un problema.
Un problema che non riusciva a comunicarle.
Perché?
Perché non si fidava di lei?
«Colin...» iniziò con il tono di voce che di solito riserbava per i bambini piccoli, ma il duca la ammonì bruscamente con una mano alzata, costringendola a tacere.
Egli parlò come una macchinetta «Devo chiederti di non tornare più a Crainford Hall e di affrettare i documenti per il divorzio.» Elisabeth aggrottò le sopracciglia ed aprì la bocca per ribattere, ma il duca continuò il suo discorso con una velocità sorprendente «Frattanto vivrò questa situazione devo chiederti di non cercarmi più o tentare di aiutarmi. Posso cavarmela da solo e mi piacerebbe se tu accettassi di vivere in una piccola dimora che ho acquistato pochi giorni fa nei pressi di Londra. Lì ti troverai bene e potrai vivere la tua vita da divorziata senza che nessuno ti infastidisca. Inoltre, contatterò il mio avvocato e lui farà in modo che questa casa sia intestata a te. Potrai ovviamente usufruire di tutti i mezzi che vuoi e, per favore, metti tutto sul mio conto. Sono più che felice di...» lo schiaffo di Elisabeth arrivò dritto e preciso sulla sua guancia destra, costringendolo a voltare il capo verso sinistra.
Elisabeth ritirò immediatamente la mano e, dopo aver congiunto entrambe, se le portò sul petto ansimante.
«Se l'unico modo per farti ragione è ricorrere alla violenza fisica...» tuonò « sarò più che felice di accontentarti, duca.»
Colin girò lentamente la testa e, con sorpresa di entrambi, sorrise scoprendo una buona porzione di denti bianchi
«Ti preoccupi per me, Elisabeth?»
Colin, Colin, Colin!
n momento prima sembri furioso e subito dopo mi fai un sorriso del genere con tanto di voce suadente?
Ma dico, vuoi farmi impazzire?!
Elisabeth gli diede una leggera spinta «Cosa?»
Il duca continuò la sua lenta seduzione «Ho capito» disse con una strana luce negli occhi « Finalmente ti sei accorta di essere pazzamente innamorata di me ed ora ti preoccupi per la mia incolumità.»
La duchessa si finse in un primo momento scioccata ed aggiunse maggior enfasi con le mani «Che sciocchezza!» esclamò con una risatina «davvero, la tua immaginazione non ha limiti. Ora, ritornando al ricatto, penso proprio che dovremmo pagare subito e poi denunciare l'accaduto alla polizia.»
Colin si mise a giocare con il boccolo ramato che scendeva pericolosamente nelle vicinanze del seno, ed Elisabeth si scostò all'istante «Potresti evitare di comportarti come un neonato ed ascoltarmi, per una buona volta? Non sto parlando del meteo e neanche del prossimo abito che andrà di moda, bensì...»

Colin le mise l'indice sulla bocca e la zittì « Penso che parli troppo per i miei gusti.»
Elisabeth spalancò gli occhioni verdastri. L'ultima volta che era stata così vicina a quell'uomo era accaduto nelle scuderie di Ruark Tarlen e, se ben ricordava, non c'era stato proprio un bel lieto fine.

Erano troppo vicini, e alle narici di Elisabeth arrivò l'odore fresco della sua giacca e della camicia inamidata. E la fragranza più nascosta e intima di pelle maschile, pulita e arricchita dall'aroma di un sapone da barba al bergamotto.
La duchessa si allontanò istintivamente e la mano dell'uomo scivolò come una carezza sulla mandibola per poi cadere nel nulla.
«Io... Penso che ci sia un equivoco, ecco... Noi non...»
Colin si avvicinò per accorciare la distanza tra loro.
«Noi non? Cosa, Elisabeth?» la voce roca e gli ipnotizzanti occhi azzurri fissi sul suo volto ormai arrossato.
Elisabeth si schiarì la voce e fece un passo indietro, seguita immediatamente da Colin che avanzava con un vago sorrisino sul volto ben rasato.
«Colin» disse con fermezza «penso che tu abbia sbagliato persona, e casa, e luogo e... Momento.»
«Sono tuo marito, nulla di ciò è sbagliato.»
Elisabeth ingoiò una manciata di saliva e si morse un labbro «Sono la moglie di Lord Kerwin, non la tua.»
«Ah!» sbottò Colin alzando un dito «Ti stai arrampicando sugli specchi, mia amata, perché non mi sembra proprio che tu prima abbia detto una cosa del genere.»

Mentre parlavano, lei continuava ad allontanarsi e lui continuava ad avvicinarsi come un gatto pronto all'attacco, finché Elisabeth non toccò il freddo e desolante muro con le spalle.
Era in trappola e Colin sembrava compiaciuto di ciò.
«Bene, ed ora?» chiese, tentando disperatamente di cambiare argomento «Come faremo con questi farabutti?»

Il duca sembrò aggrottarsi «Ho detto che ci penserò io.»
«Non hai intenzione di pagare? Ma se non lo farai la tua identità verrà...»
«No, non succederà, fidati di me.» disse con determinazione «Non riusciranno a portarmi via anni di duro lavoro.»
Elisabeth azzardò una domanda «Come farai?»
Il duca si avvicinò ancora, fino a sfiorare con il mento la fronte della donna; poi, con assoluta calma nella voce e quasi una nota di soddisfazione, ammise «Ucciderò quei bastardi uno ad uno.»
Dei pericolosi passi di donna rintoccarono per il corridoio adiacente alla stanza, mettendo Elisabeth sull'allarme.
«Sta arrivando qualcuno. E'...è meglio che tu vada.»
Il duca, al contrario, sembrava rilassato con il mento appoggiato sulla sua fronte ed il respiro lento, quasi languido.
«Sì, hai ragione» si scostò «forse è proprio arrivata ora di ritornare al ballo» ammise, prendendo una maschera dalla tasca.
«Ballo? Tu...» aggrottò le sopracciglia «Tu non hai partecipato ai festeggiamenti...O sbaglio?»
Colin ammiccò un sorriso ed abbassò lentamente il capo fino a sfiorare il lobo della duchessa «Ti ho osservata per tutta la sera, mia amata, ed ho – aimé - realizzato e scoperto un lato odiosissimo del mio carattere: sono inconsapevolmente, ostilmente e irrimediabilmente
geloso
Elisabeth quasi saltò in aria per la gioia di quel momento; il suo piano aveva funzionato, Colin era arrivato e l'aveva vista filtrare con quegli sgradevoli e falsi gentiluomini per tutta la serata.
Eppure... Eppure non era soddisfatta.
«Immagino» continuò, avvicinando ancora di più il petto saldo ed ampio al corpo esile e tremule di Elisabeth «che ora tu sia soddisfatta di sentirmelo dire. Devo dire che non è stato semplice trattenermi e limitarmi a guardarti mentre civettavi con chicchessia, ma ammetto che è stata una vittoria capire che hai organizzato tutto ciò solo per adescarmi qui.» ora il suo alito le sfiorava dolcemente il collo ed Elisabeth si irrigidì.

NON doveva/poteva lasciarsi andare, e l'unico modo per farlo era non pensare alla calda vicinanza con quell'uomo.
I passi nel corridoio diventavano più insistenti e vicini, ma il battito del suo cuore accelerato superava di gran lunga quel suono sgradevole e guastafeste.
Non sapeva cosa fare se non restare immobile ed ascoltare la melodica voce di Colin; in fin dei conti era suo marito e...
No! Non era una scusa plausibile! Presto lei avrebbe ottenuto i documenti del divorzio e sarebbero diventati estranei.
Non poteva permettere che il duca le si insinuasse nel cuore proprio in quel momento, proprio mentre LUI rischiava la vita per la testardaggine.
«Colin, devi andare.» disse con fermezza.
L'uomo allontanò il capo dal collo e le si parò davanti «Concedimi almeno il bacio della mezzanotte o, se non vuoi, un abbraccio.»
La sua mente tentava disperatamente di riprendere il controllo e rispondere con freddezza «No!»
«Solo per un minuto»
« E' troppo lungo»
La voce melodica di Colin le arrivò dritta al cuore«Allora trenta secondi»

 

 

 

Lady Sticklethwait

 

 

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 48. ***


                       Capitolo 48.

 

 

 

Lo ammetto, sono sparita, è vero, ma sono andata in vacanza e... Wuh...Come passa il tempo, ragazze!
Spero che questo capitolo un po' più intrigante del solito vi piaccia e... Buon ritorno sui libri!

 

 

Fu una notte turbolenta ed insonne, quella.
Colin, dopo averle mormorato una proposta altresì indecente – N.B. indecente per una donna non sposata -, aveva aperto la porta con movimenti così dolci ed accorti che Elisabeth ne era rimasta quasi incantata e, sempre con quel suo odiosissimo sorrisino soddisfatto, si era immerso nei corridoi bui, evitandole uno scandalo alquanto spiacevole.
Sì, finalmente il duca aveva fatto qualcosa che era pericolosamente vicino al 'preoccuparsi per il prossimo', ed Elisabeth era spaventata di questo; non sopportava la versione di Colin come un uomo dalle mille qualità.
Piuttosto, preferiva quello arrogante, bruto, ironico nei momenti meno opportuni, seducente un momento ed un orso bruno in un altro, scansafatiche, scapigliato, testardo come un mulo e...Decise di completare la lista l'indomani mattina.
Magari avrebbe anche potuto scriverli su un foglio ed aggiungere un aggettivo ogni giorno.
L'idea le piacque subito.
Riflettendo su quella serata, il fatto che il duca le avesse evitato uno scandalo non indifferente ( infatti, poco dopo essersi eclissato nel nulla, i passi rumorosi e pericolosamente adiacenti alla stanza di Elisabeth si erano fermati proprio davanti alla sua porta e, con immensa sorpresa per la duchessa, la contessina Marefer aveva fatto timidamente incursione nella stanza, sostenendo di essersi persa durante la ricerca del bagno.), non cambiavano assolutamente la predisposizione ostile e guerresca di Elisabeth nei suo confronti.
Bhè, date le circostanze, forse poteva momentaneamente chiudere un occhio sull'insolenza del duca, ma dubitava che Colin smettesse di brandire la spada per poi allearsi in un secondo momento con lei.
Piuttosto la avrebbe uccisa, anzi, ne era assolutamente certa.

Doveva quindi pensare a qualcosa, ed anche in fretta.
Incrociò le gambe sotto la vestaglia di lino bianca e poggiò i gomiti sulle ultime; strinse le mani a pugno e vi posò il volto in una smorfia corrucciata.
Era ovvio che non avrebbe seguito il consiglio/ordine del duca, ed era palese che Colin aveva bisogno del suo aiuto nonostante non volesse ammetterlo.

Nonostante tutto, Elisabeth non riusciva ancora a capire cosa centrasse suo padre in quella storia; non che lo ritenesse un perfetto santo, ovviamente, ma dubitava del fatto che fosse lui uno dei principali ricattatori.
A quale pro, in fin dei conti?
Da quando era sposata con Lord Kerwin, una percentuale- seppur minima- della sua dote andava direttamente nelle tasche di suo padre, ed Elisabeth, anche se pensava che quel viscido verme non dovesse meritare neanche la misericordia di un santo, non aveva obiettato quando Colin le aveva chiesto se volesse smettere di mantenerlo economicamente.
Suo padre era un ubriacone, uno scansafatiche, un giocatore sfrenato che si indebitava con chiunque, dunque non era difficile pensare che se non avesse ricevuto costantemente dei soldi sarebbe andato in banca rotta.
Christian Babrook...
Elisabeth lanciò un cuscino contro l'armadio e si girò per guardare la luna.
Colin aveva bisogno d'aiuto.
LEI doveva fare qualcosa.
Per lui.
Per suo marito.

 

 

 

 

 
































 

 

 

«Dannazione, questa finestra è più pesante di quanto ricordassi!» mormorò Elisabeth scivolando lentamente in quella che doveva essere la camera da letto di sua sorella.
Fortunatamente, le finestre di quella casa erano state sempre facili da manomettere e per Elisabeth, che in quella casa c'era cresciuta, era stato davvero un gioco da ragazzi.
Cadde rumorosamente sul pavimento quando il vestitino che aveva indossato si impigliò sotto quella che doveva essere la scrivania più spigolosa ed elaborata che avesse mai visto.
«Ah, Katherine ed i suoi gusti strambi... Qualche giorno quella ragazza mi farà ammazzare» borbottò, tirandosi con fatica a sedere in un groviglio di vestaglie e gonne.
Okay, sì, erano le due del mattino – un ora che non conveniva assolutamente alle visite di cortesia – , ma durante il giorno c'erano troppi testimoni per potersi permettere un'entrata così elegante, ed Elisabeth non aveva assolutamente voglia di dare spettacolo.
Inoltre, con la sua solita fortuna, le chiavi di questa vecchia casa erano state date a sua madre, e solo Dio sapeva quanto Lady Barbrook fosse curiosa ed invadente nei momenti meno opportuni.
Insomma, inoltrarsi in casa propria di nascosto non era il massimo che potesse fare, soprattutto perché ciò la faceva sentire un ladro- il ché non era molto gratificante, rifletté -, però il suo istinto le aveva detto che se suo padre c'entrava qualcosa in quella storia il luogo migliore dove iniziare era sicuramente quella casa.
La casa di Christian Barbrook, quella in cui era andata a vivere i primi tempi in cui era arrivata a Londra.
La casa della sua infanzia.
Ah, sembrava essere passata un'eternità!
Mise da parte i bei ricordi in cui era ancora nubile, e si rialzò in piedi; se c'era una cosa che odiava era perdere tempo, e quegli sciocchi pensieri- oltre che causarle una nostalgia infinita- le stavano davvero martellando il cervello.
«Bene, non credo che qui ci sia qualcosa per cui vale la pena restare» affermò con tono pieno di vitalità. .
In realtà, però, era così stanca che a stento riusciva a tenere gli occhi aperti; dopo una buon'oretta passata a struggersi per Colin, aveva deciso di prendere la prima carrozza e dirigersi in quella casa.
Il viaggio era stato molto breve e per fortuna nessuno l'aveva vista, ma quegli abiti erano così scomodi e stretti che Elisabeth si maledì per non aver indossato quelli strategici da uomo.
Sospirò e mosse i primi passi in direzione della porta; la camera di sua sorella era completamente buia, come d'altronde lo era anche il resto della casa.
«Ecco, Elisabeth, un'altra delle tue eccellenti idee: perquisire una casa senza esserti portata neanche un fiammifero!»
Ma ciò non bastò per intimorirla, no, ci voleva ben altro per far fare dietrofront ad Elisabeth Kerwin!
Con questo pensiero rassicurante e cantando l'inno Inglese per farsi coraggio, aprì la porta e si diresse verso le scale a passo di marcia, noncurante del fatto che i gradini di quella lunga scalinata non fossero pienamente sicuri.
Ora, se la mente non la tradiva, quella stanza infondo, sì, quella più oscura e lontana da tutte, era stata molto tempo addietro lo studio di suo padre.
Da piccola aveva sempre avuto una particolare paura per quella camera, perché le domestiche mormoravano in continuazione che da lì provenissero dei lamenti di una donna durante le notti di luna piena.
Superstizioni, ovviamente, solo e pure superstizioni.
Elisabeth prese a camminare lentamente lungo quel corridoio; da piccola, sua madre le aveva vietato categoricamente l'accesso in quella stanza, perché a suo dire non vi era nulla di interessante.
Sicuramente c'era qualche segreto, lo sentiva, lo percepiva.
Il rumore dei suoi passi attutiti sul tappeto le fecero aumentare l'andatura: non le piaceva il silenzio, non lì, non a quell'ora e non quando potevano esserci potenziali litanie.
In men che non si dica si ritrovò con la faccia spiaccicata alla porta, fredda come il marmo; la maniglia al tatto sembrava elaborata, con piccole pietruzze che fuoriuscivano come schegge.
Bene, quel luogo era inquietante, sì, ma sarebbe stato ancora più inquietante vedere suo marito morto in mezzo ad una strada.
Inspirò ed abbassò la maniglia, memore del fatto che sarebbe stata ardua cercare un indizio nel più profondo buio, ma spinse la porta con forza e decisione, proprio mentre un uomo, vedendola, si era chinato per spegnere la candela che c'era sulla scrivania.





Chi sarà mai l'uomo misterioso?
Un bacio e alla prossima!


Lady Sticklethwait


 

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


                        Capitolo 49

 

 

 

 

 

Momento sdolcinato: tra diciotto giorni farò un anno su questo sito e, dato che questa è la mia prima storia, compierà anche essa un anno.
Dio, mi sento così vecchia!

 

 

 

 

 

 

«Cosa diavolo ci fai tu qui?» urlò Elisabeth, assicurandosi che la porta dietro di sé fosse completamente chiusa.
Vide un fiammifero accendersi e dopo alcuni istanti la candela tornò ad illuminare gran parte della stanza «Potrei farti la stessa domanda» strinse gli occhi «perché non la smetti di perseguitarmi?»
Elisabeth lasciò la maniglia della porta e si mosse nella sua direzione.
Colin notò che aveva spesso la tendenza a muoversi a grandi passi, come se avesse energia da spendere e come se non avesse mai sentito parlare di signorilità nel portamento...
«Si potrebbe presumere» disse con il tono di voce che utilizzava sempre per smorzare le pretese altrui «che io non avevo la più pallida idea che tu fossi qui.»
Colin sorrise «incontrarti qui è piacevole come fare un bagno nel mare Glaciale Artico» si inchinò elegantemente, ma il suo sorriso scomparì non appena si rese conto del rischio che la donna aveva corso nel venire qui.
«Elisabeth, sei la donna più esasperante ed incosciente di questo mondo. Mi aspetto, come minimo, che...»
Prima ancora che Colin potesse finire la sua predica ed avesse la possibilità di muoversi, lei aveva attraversato la stanza: il suo guardo era fisso su un alto e stretto mobiletto.
«Dev'essere quello» mormorò.
Quando lui la raggiunse lei aveva già aperto un cassetto e vi stava rovistando dentro.

« Vuoto» Elisabeth corrugando la fronte. Si inginocchiò e tirò fuori il cassetto in fondo. Vuoto anche quello.
Elisabeth si alzò, si piazzò le mani sui fianchi ed osservò la stanza con aria assente «Sono abbastanza sicura di aver visto una cartella appena ritornata dal mio viaggio in Europa. Grande, piena di documenti e fogli, sembrava molto preziosa ma...»
Si girò di scatto e tirò l'anta dell'armadio affianco al mobile e, constatando che anche quello era inesorabilmente vuoto, si girò con aria affranta «Nulla. Non c'è più nulla»
«Per caso, cercavi questo?» chiese l'uomo appoggiato con ostentata indifferenza alla scrivania, mentre le mostrava una sottospecie di libro dall'aspetto e dalla mole molto simile al documento che lei cercava.
Si avvicinò con cautela e lo studiò meglio, poi alzò lo sguardo sull'uomo che la osservava con un mesto sorriso che gli curvò la bocca, facendo increspare gli angoli dei suoi profondi occhi azzurri.
Elisabeth strizzò gli occhi «Quando avevi intenzione di dirmelo?»
Colin fece spallucce «sei entrata come un contadino eccitato che assiste al primo parto della sua giumenta preferita» rispose divertito dall'irritazione di lei.
Lei non apprezzò particolarmente il suo sarcasmo e Colin se ne accorse dal respiro affannoso e le mani strette a pugno, oltre che il sorriso forzato e stretto: ah, la sua Elisabeth! Reagiva sempre in modo così passionale che era impossibile non accorgersene.
«Dimmi» iniziò, accantonando per un momento il motivo per cui erano in quel luogo «sei così passionale anche a letto?»
«Brutto por...»
Ammutolì, o meglio, fu costretta a farlo.
Colin le aveva coperto la bocca con la sua mano aristocratica.
Presa alla sprovvista, lei lo guardò: stava tenendo un dito sulle proprie labbra, indicando con la testa la direzione della porta.
Anche Elisabeth, dopo un momento di esitazione, sentì dei pesanti passi sulle scale e poi sul corridoio.
Colin si avvicinò alla porta ed vi appoggiò un orecchio contro, poi, nemmeno un secondo dopo, indietreggiò, prese Elisabeth per un braccio, ed indicò verso sinistra.
La duchessa lo seguì, gli occhi sbarrati, il cuore che era impazzito e dopo poco tempo lui la trascinò nello sgabuzzino di suo padre, pieno di abiti impolverati.
Elisabeth si trovò schiacciata contro Colin, che stava davanti, ed i vestiti: non respirava, ed il duca le sussurrò all'orecchio «non proferir parola, ti prego»
La porta si aprì di scatto, ed i due sentirono i passi di più uomini nella stanza.
Dannazione, dannazione! Avevano dimenticato la candela accesa!
Elisabeth afferrò la manica di Colin e la tirò leggermente, per comunicarglielo.
I tizi che erano nella stanza dopo qualche passo si fermarono «La luce è accesa»
«Forse sono già scappati» suggerì la voce di un altro, che stava spostando vari mobili.
Terrorizzata all'idea di venire scoperta, Elisabeth indietreggiò e si nascose dietro gli abiti, tirando leggermente la mano di Colin affinché facesse la stessa cosa.
Deglutì più e più volte. Se stavano cercando Colin, o, nel peggiore dei casi, entrambi, si sarebbero presi la briga di ispezionare anche lo sgabuzzino di suo padre e... Elisabeth non riusciva ad immaginare tragedia più grande!
Cercò di indietreggiare ancora, ma quando toccò il muro freddo si sentì come un topo in trappola; d'altra parte, Colin, le stava davanti e la stava attirando a sé.
Voleva proteggerla, schermandola in modo tale che, se qualcuno avesse aperto la porta dello sgabuzzino, avrebbe visto soltanto lui.
Ad Elisabeth non stava bene, assolutamente no, odiava queste manie di eroismo, ma non poteva opporvisi: lui era un uomo, fisicamente più forte e grosso, e per la prima volta le balenò in mente il pensiero che quello fosse il gesto più carino che avesse fatto per lei.
Elisabeth sentì dei passi avvicinarsi allo sgabuzzino e la maniglia della porta abbassarsi.
Siamo morti, siamo morti!
Supplicò perdono per tutte le volte che aveva escogitato una scusa per non andare in chiesa, e si mise a pregare «Signore, ti prego, fammi tornare a casa sana e salva. Prima che muoia di paura. Prima di svenire per la situazione assurda che si è creata.
Oh, ti supplico!
Prometto che presterò maggior attenzione ai sermoni e non starò più a spiare le persone dalle vetrate sporche.
Non imprecherò più, sarò gentile con i miei e tenterò di perdonare persino l'inganno di Mr. Kerwin, anche se tu sai quanto mi costa farlo»

Così l'appassionata litania continuò, fin quando, presa dal panico, afferrò Colin per la giacca e lo fece indietreggiare ancora di più: lui era scandalosamente vicino a lei, riusciva a sentire il suo profumo di colonia, la forma dei vestiti, il suo corpo per tutta la lunghezza, spalle, ginocchia, cosce... e tutto ciò che c'era in mezzo.
Si morse un labbro e chiuse gli occhi.
C'era un qualcosa, un qualcosa di strano in quella situazione assurda che le provocava un misto di paura e di consapevolezza della vicinanza di lui.
Dannazione, non era il momento!
Seppur terrorizzata e raggelata dalla paura, non poteva, non riusciva ad evitare di sentire qualcos'altro... Eccitazione, forse?
No, era un fremito, era qualcosa di inebriante, di incredibilmente bello, speciale, intimo, che le faceva venir voglia di scoppiare in un pianto infinito.
Di gioia.
Di tristezza.
Di paura.
Poi, come per magia, i passi si allontanarono all'istante accompagnati da «Qui non c'è nulla!»
Elisabeth si accasciò contro di Colin: non riusciva a reggersi in piedi, tremava ancora dalla paura... O forse era sollievo?
Com'era possibile?

Che Dio avesse stabilito che quello non era il momento per morire?
Fece una breve preghiera di ringraziamento accompagnata dal rimbombo delle bestemmie che gli uomini stavano lanciando a Colin Bekwell.
Aspettarono dieci minuti, per sicurezza, poi Colin aprì lo sgabuzzino ed entrambi sgattaiolarono fuori, stando ben attenti a non fare il minimo rumore.
«Hai preso il documento?»
Colin annuì severamente e le prese la mano: la guidò verso una finestra al primo piano, rotta, ovviamente, ed uscì prima lui.
Poi fu il turno di Elisabeth, ed il duca la tenne sollevata in modo che potesse chiudere la finestra ancor prima di balzare giù.
L'accompagnò a casa in silenzio. Era chiaro che lei volesse parlare: Elisabeth voleva sempre farlo.
Ma sapeva anche quando era il momento di tacere. Adesso si trovavano lì, davanti al portone della casa di sua sorella, e lui si sentiva incredibilmente a disagio.
«Mi dispiace per averti messo in pericolo» le disse all'improvviso, sentendo di doversi scusare in qualche modo.
Elisabeth alzò un sopracciglio «non è colpa tua, Colin.»
Lui fece per controbattere, ma Elisabeth le mise l'indice davanti alla sua bocca, invitandolo a stare zitto.
Il duca le baciò impercettibilmente il dito, ed Elisabeth, arrossendo, lo ritrasse immediatamente.
«Vuoi entrare?» gli chiese per puro atto di cortesia, ricordò a se stessa.
Colin scosse la testa, le prese la mano e la baciò «Buonanotte, Elisabeth.»
«Buon-n-n-ot-» balbettò, poi si diede un colpetto sul braccio e si costrinse a pronunciarlo correttamente «Buonanotte»





Lady Sticklethwait.







 

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Capitolo 50
*** Capitolo 50. ***


                       Capitolo 50.

 

 

 

 

 

 

15 Marzo 1775
 

Le mie certezze stanno vacillando, portandomi lentamente alla follia. Mi guardo allo specchio e mi rendo conto che la mia immagine, il mio riflesso, è paragonabile a quello di un uomo senza voglia di vivere, segnato dall'inesorabile avanzare degli anni.
La vita è crudele, è un usuraio senza cuore; ti concede quei pochi piaceri che noi umani definiamo idilliaci, angelici, placidi, per poi sottrarti tutto e farne spese.

Ho bisogno di pace e di rumore, di silenzio e di confusione di gioia e di dolore. La mia esistenza, la mia irrilevante, incompresa, ignobile esistenza, non lascia spazio a tali e mirabolanti sentimenti.
Mi sovviene ogni tanto l'aberrante pensiero che nessuno possa in qualche modo ricordare e piangere la mia morte, ma che io, George Bekwell, duca di Bekwell, debba continuamente veder cadere i miei amati, inabissandomi nella più amara e profonda solitudine.
Non so come possa...

Colin abbandonò la sua lettura ed osservò il fuoco; nella sua mente c'erano così tanti fatti disconnessi che era praticamente impossibile cercare di trovare un disegno comune.
Non stava facendo alcun progresso, pensò, anche perché Georgie Bekwell sembrava parlare solo attraverso metafore ed astrusi sentimenti, per cui accolse quasi con sollievo il lieve bussare alla sua porta.
«Entrate»
Il maggiordomo aprì la porta, e si inchinò «avete visite, signore.»
«Fatelo entrare»
«Signore...» disse quello imbarazzato «lei è un lui, cioè, lui è un lei»
«Un ermafrodito?» domandò Colin godendosi l'imbarazzo del maggiordomo.
«Fatela entrare» gli ordinò, per poi vederlo congedarsi.
Colin si apprestò a rinchiudere il documento/diario in un cassetto, prima che nella stanza entrasse una donna vestita con un abito azzurro scuro di seta ricamato con fili d’argento, le orecchie ornate con pendenti tondi e una collana di diamanti e zaffiri.
Colin fece un sorriso benigno prima di alzarsi da dietro la scrivania e rivolgerle un'occhiata glaciale.
«Faith» mormorò dopo che la donna ebbe chiuso dietro di sé la porta.
Notò che dall'ultima volta che l'aveva vista era cambiata notevolmente; era particolarmente giovane, pensò, e doveva andare per i venti. Aveva dei begli occhi grandi, un viso piuttosto rotondo che, impossibile non notarlo, appariva abbronzato al sole.
Come se questo non bastasse, aveva una spruzzata di lentiggini sul naso e portava i capelli, scuri e ricci, corti.
«Lord Kerwin» esitò «o forse dovrei chiamarvi Lord Bekwell?» chiese, avvicinandosi con malizia.
Colin la guardò con sufficienza. «La rivelazione della mia identità non deve averti sconvolta particolarmente, a quanto vedo.»
«La servitù mormora, signore, e poi» si accostò vicino alla finestra ed accarezzò le tende di velluto «io sono molto brava ad ottenere ciò che voglio.»
Egli sbuffò «non sono sicuro di preferire questa versione manipolatrice e così sicura di sé, ma non vorrei indugiare su come hai speso i miei soldi.»
«Non è evidente, signor Bekwell?» chiese, alzando un sopracciglio.
Colin fece cadere lo sguardo sulla scollatura vertiginosa della donna e scosse la testa con disapprovazione «Vorrei tanto non averlo notato.»
Faith si appropriò di una delle poltrone presenti nel suo studio e le lanciò un'occhiata carica di malizia «Chi disprezza vuol comprare, signore.»
«Chi disprezza...» iniziò Colin con una leggera nota canzonatoria nella voce, ma poi si bloccò «che cosa vuoi, Faith?»chiese in tono bellicoso.
«Mi rincresce comunicarvelo, Singor Bekwell, ma è cattiva educazione non finire la frase. Voi aristocratici siete così...» fece roteare gli occhi «pignoli per quanto riguarda il bon ton.»
«E' maleducazione anche girare con un vestito indecente» le fece notare.
«Touché, signor Bekwell» sorrise.
Colin, che non aveva l'umore adatto per scherzare, si preparò ad una lunga e tortuosa conversazione, dunque, sospirando sonoramente, prese un bicchiere di Brandy dal cassetto e lo bevve tutto d'un fiato.
Faith sembrò contrita «non mi offrite da bere? Che villania, signore.»
«Chiedo venia, rimedierò subito» si scusò con disprezzo riempendo un nuovo bicchiere di Brandy per la donna.
«Ed ecco a voi, sua maestà» disse in tono solenne porgendole il bicchiere.
Aspettò che la donna si accomodasse meglio sullo schienale e bevve un paio di sorsi.
«Alla felicità» disse Colin sollevando il bicchiere e, quando vide sputare un lieve rossore sulle gote della donna, sorrise di gusto, prevedendo già costa stava per accadere.
Faith appoggiò il bicchiere sul tavolo ed iniziò a tossire rumorosamente sotto lo sguardo soddisfatto di Colin che distese le lunghe gambe davanti a sé.
«Niente brindisi alla felicità?» domandò, guadagnandosi un'occhiataccia carica di sarcasmo.
Scrollò le spalle«Peccato» disse, e bevve quanto restava del liquido ambrato nel bicchiere fin quando la donna riassunse il suo aspetto abituale.
«Qual buon vento ?» appoggiò i gomiti sulla scrivania, unì le mani e si sostenne il mento ben rasato con la punta delle mani.
«Oserei dire che si tratta del vostro interesse, Milord, anche se siete perennemente sulla difensiva ed in questo modo considerate tutti come un potenziale avversario o nemico»
Colin allargò le braccia «illuminami, dunque»
Faith si schiarì la voce «non vi aspetterete di certo che io dispensi consigli senza alcun guadagno» gli lanciò un'occhiatina seducente che Colin considerò davvero un fallimentare tentativo di abbindolarlo.
«Faith...»
«Illeo.»
Colin si ammutolì.
Scrutò la donna, la valutò, strinse gli occhi per osservarla meglio e magari scorgere qualche traccia di nervosismo che poteva in qualche modo trapelare la menzogna.
Nulla.
La donna sostenne il suo sguardo, anzi, incrociò le labbra e lo guardò con disappunto.
«E bene» si decise a parlare «quale sarebbe la tanto bramata ricompensa?»
Faith sorrise, e quel sorriso non gli piacque per nulla. Tuttavia, era troppo meditabondo per pensarci su, e tutto quello che voleva era scoprire qualcosa sul suo nemico.

«Bhè» si scostò un ricciolo dalla fronte «penso che voi sappiate quanto sia ritrosa l'aristocrazia nell'accettarmi in società» abbassò lo sguardo e si guardò le mani inermi sul grembo «ed è per questo che ho preso una decisione» alzò lo sguardo e si trovò davanti gli occhi più azzurri e cristallini che avesse mai visto.
Inghiottì una grande manciata di saliva e si fece coraggio «signore, vorrei che voi faceste di me la vostra amante.»
Colin, che era impegnato in un vizio che sua madre detestava, oscillare di continuo su due piedi della sedia, cadde letteralmente al suolo.
Fortunatamente riuscì a mettersi in piedi abbastanza velocemente per esclamare un «COOSA?!?» di puro stupore, cosa che non sorprese Faith, la quale si limitava ad osservare la scena con una nota di interesse.
«Non meravigliatevi così tanto, signor Bewell, sono certa di non essere stata la prima ad avervi fatto una proposta del genere.» disse tutta calma e tranquillità.
Di fronte alla donna, invece, c'era un cinghiale imbufalito che ringhiava debolmente.
Poi, improvvisamente, la rabbia sparì.
E rise.
Rise forte, a crepapelle, tanto che si dovette appoggiare con le mani sulla scrivania per non cadere.
Che assurdità.
«Sono contenta di essere il motivo scatenante della vostra ilarità» commentò acida.
Colin si schiarì la voce, ma non sparì tutto il divertimento «sono...tu...» altra risata contenuta «la mia amante...Elisabeth... Oh, quando lo verrà a sapere...» lo spasso cesso immediatamente «ti ucciderà.»
La donna ridacchiò «oh, ne sono certa, ma, ecco, vedete, se non morirò io, certamente Illdeo vi ucciderà entrambi.»
Colin ritornò serio, e si sedette sul suo trono «perché?» chiese semplicemente.
«Ho notato che le amanti sono trattate bene, sotto ogni aspetto; hanno carrozze ed una casa a Londra, abiti, gioielli, danaro, ma soprattutto una posizione considerabile di prestigio.»
Il duca alzò un sopracciglio ed incrociò le braccia «non vedo nulla di appetibile nel diventare una puttana» disse con disprezzo.
Faith alzò gli occhi al cielo «ma, vedete, c'è un universo di differenza tra essere una puttana, come dite voi, ed essere l'amante di un duca.»
Colin continuò imperterrito «Davvero? Soltanto perché una puttana svolge la sua professione in una soglia buia per un penny, mentre l’amante di un duca si esibisce tra lenzuola di seta per una

piccola fortuna?»
«Dimenticate che non siete nella posizione per giudicare la mia condotta» ribatté con disdegno «allora, accettate sì o no?»
Il duca la scrutò attentamente e sorrise «cara, dì pure a chiunque ti mandi qui che non ho assolutamente intenzione di essere osservato come se fossi una specie in via d'estinzione, ergo, rigetto l'offerta.»
La donna spalancò gli occhi «Cosa state confabulando... Non...»
«Davvero dobbiamo giocare a questo gioco?» chiese il duca alzando un sopracciglio e scrutandola dall'alto.
«No, certamente, ma...»
Colin sbuffò «Illeo, o meglio, la sua combriccola di scagnozzi sguinzagliati ti stanno cercando per cielo e per terra... Entrare in società sarebbe come mettere una firma sul vostro contratto di morte» osservò.
«Non...non è assolutamente come pensate» balbettò Faith, tentando di mantenere la calma.
Colin rise «Oh, andiamo» socchiuse gli occhi minacciosi «non dirmi che hai davvero creduto che cedessi a questa farsa»
Faith si morse un labbro. Cielo era stata scoperta, di nuovo.
Dannato Colin Bekwell e la sua oculatezza!
La donna cercò di assumere un atteggiamento dignitoso quando si alzò dalla sedia «bene» disse, avviandosi verso la porta «non credo di poter sopportare ancora un minuto di più questa sciocca conversazione»
Colin si inchinò ed aggiunse sarcastico «mai quanto me, Faith, mai quanto me.»
«Addio»
La donna mise la mano inguantata sul pomolo della porta e, quando la aprì a metà, sentì la voce del duca intimarle testuali parole «farai bene a riferire ad Illeo di guardarsi le spalle; ha lasciato molti inizi circa la sua identità in mani poco affidabili...» sembrava voler aggiungere qualcosa, ma Faith, spaventata, chiuse la porta velocemente e si precipitò dalle scale, ignorando la risata di Colin che la perseguitò lungo tutto il tragitto verso casa.

 

 

 

 

 

Lady Sticklethwait.
 

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Capitolo 51
*** Capitolo 51. ***


                               Capitolo 51.

 

 

 

 

 

Ci sono momenti in cui l'uomo offre una varietà di motivi per farsi amare, com'è altrettanto vero che, ahimè, in molte situazioni compie scelte che chiunque definirebbe come 'folli, sbagliate, affrettate'.
Se c'era qualcuno in quel momento degno di essere designato con tali attributi era sicuramente Colin Bekwell, la cui serenità, se così vogliamo chiamarla, era stata bruscamente interrotta dalla sgradevole visita di Faith.
Certo, il nostro duca aveva tenuto testa alla velata astuzia della donna, ma i dubbi che gli aveva scaturito quell'infida creatura persistevano imperterriti, ed ogni secondo segnato dall'odioso rintocco dell'orologio sembrava beffarsi di lui.
Girando un'altra pagina del documento di suo padre scosse la testa, alzò leggermente il libro e costrinse gli occhi a riportare lo sguardo sulle prime parola della ventesima pagina.
«Non nego in cuor mio che la sua sola presenza mi allietava l'animo, com'era giusto che fosse, ma ogni qualvolta che mi sorrideva con gli occhi, giuro che il mio cuore mi si riempiva d'orgoglio per essere l'unico uomo a cui era destinato tale omaggio.»
Colin sbuffò ancora; non che non fosse interessato alle vicende amorose del padre, certamente, ma c'era un qualcosa nella sua ottica di studiare quella donna che lo inquietava.
«Scoprii di essere geloso, morboso, anche violento nei confronti del gentiluomini che la corteggiavano, ma la mia musa ispiratrice non sapeva quanto fosse passionale il mio sentimento.
Scoprii che provava un perverso piacere nella mia sofferenza.
Scoprii che tutta la matassa di sensazioni che mi inebriavano letteralmente il cervello svaniva al solo pensiero della sua voce soave nella nostra casa.
Giuro che avrei bandito gli usignoli purché questi non sovrastassero il canto celestiale di lei, la mia Afrodite, la mia amata, la mia Jane.»

«Perdio, padre. Potrei vomitare»
Colin mise un dito all'interno della pagina e lo socchiuse: una miriade di pensieri ancora più confusi di prima continuavano a punzecchiarlo, attendendo una sua reazione.
Non poteva crederci.
Suo padre aveva amato un'altra prima di sua madre?
Chi era?

Guardò l'orologio: le sette in punto di sera.
Si passò una mano sui capelli sconvolti per poi poggiare il mento sul pugno chiuso, e decise di continuare a leggere.
«La amavo, o sì, se non l'amavo.
Da morire.
Si può amare così tanto una persona, mi chiedo?
Si possono amare così tanto gli occhi cerulei della mia Afrodite?
Occhi brillati, furbi, scrutatori, solidali, caldi come la neve, freddi come il sole; non posso ignorarli con finta galanteria.
Non possono passare inosservati.
Non da me.
Non da Leonardo.»

«Perdinci!» esclamò Colin alzandosi dalla sedia.
Arrivò con quattro falcate verso il camino in modo da poter usufruire di una maggiore quantità di luce e si sedette senza troppe cerimonie.
Passò avanti di qualche pagina, fin quando ritrovò nuovamente il nome di questo sconosciuto, Leonardo.
«La feccia di questa società, il mio incubo peggiore, colui che affligge la mia esistenza senza remore: Leonardo.
Puro egocentrismo ed egoismo distribuiti in
ogni.singola.parte.del suo corpo,ma evidenti soprattutto nello sguardo calcolatore e perennemente neutro.
Non riesco a non pensare a quanta gioia – seppur ignobile – ho provato nel sottrargli TUTTI i suoi beni, TUTTI i suoi soldi e SOPRATTUTTO la donna che tanto bramava, la mia dolce e bella Jane.
Leonardo, futuro baronetto di Westing, mi è sempre apparso come un
ragazzino immaturo ed arrogante che ha vissuto la vita crogiolandosi nei suoi averi, trascorrendo boriosamente le sue serate in taverna ed ubriacandosi come se non ci fosse un domani.
La sua velleità più fastidiosa, oserei dire, è stata quella di
innamorasi, come dice lui, di incapricciarsi, come dico io, di Jane.
Birba a chi fosse mancato al duello avvenuto tra noi!
L'esito è stata la mia vittoria ma il farabutto non era ancora contento di non essere stato ridotto dal sottoscritto in brandelli e così, un giorno, decise di sfidarmi a carte, giocandosi tutti i suoi averi, sicuro di poter favorire in questo modo l'amore di Jane, e portarmela via..
Che Dio mi perdoni, ma credo di essere stato quasi in procinto di toccare il cielo ogni qual volta che vedevo il poverello seduto ai margini della strada a chiedere l'elemosina.
La giustizia divina esiste per tutti.

Colin girò pagina, ma si prospettava un altro monotono capitolo sull'amore che provava per quella donna.
Inoltre, un infida preoccupazione si insinuò nel suo cuore: che fine aveva fatto Leonardo?
E soprattutto, non è che c'entrava qualcosa con...
La risposta tanto agognata arrivò come un fulmine a ciel sereno, facendolo scattare sull'attenti una seconda volta.
Senza neanche pensare strappò le poche pagine che trattavano di quell'uomo, prese il cappotto, si infilò i guanti e scese le scale con rapidità fulminea.
Doveva assolutamente vedere Elisabeth.





 

 

 

Nello stesso momento...

 

 

 

«Elisabeth, ti prego» la esortò per l'ultima volta la sorella «è pericoloso.»
La donna continuò a spazzolarsi con più vigore i capelli «credi davvero che io abbia ancora paura del buio, Georgie?» chiese sarcastica. «Inoltre, se la memoria non mi inganna, chi mi chiedeva di non spegnere le candele prima di andare a dormire eri proprio tu.»
La sorella sospirò sonoramente «dai, lascia fare a me»; si avvicinò ad Elisabeth ed iniziò ad acconciarle i capelli «sai bene a cosa mi riferisco, Liz.»
«Georgie, Georgie, Georgie» sospirò «credimi se ti dico che questo non è solo un capriccio. Devo andare dal signor Bekwell. Ti prego, non chiedermi il perché»
La sorella iniziò a fare una lunga treccia con i capelli di Elisabeth in cui si interponevano tra una ciocca e l'altra alcuni nastri verdi, in completa sintonia con il vestito che indossava.
Durante l'impegnativa operazione, Elisabeth passò in rassegna tutte le cose che aveva da dire a Colin; per prima cosa, le sarebbe piaciuto schiaffeggiato sonoramente per essere sparito nel nulla, ma poi si accorse che forse era meglio passare al lato pratico invece di perder tempo con comportamenti aberranti.
Dunque, forse la cosa migliore da fare era trovare il documento che avevano trovato, leggerlo in poche ore e fare un resoconto della situazione.
Era sicura che prima o poi sarebbero usciti fuori da quella situazione indenni, ma per fare ciò era necessario che Colin la rendesse partecipe dei suoi progetti e delle sue azioni.
«Dico io, è così difficile andare oltre il falso mito della donna cialtrona
Georgie alzò un sopracciglio «Liz? Cosa stai farneticando?»
Elisabeth incrociò le braccia, strinse le labbra e sbuffò « nulla degno di importanza»
«Strano» continuò Georgie terminando la sua opera d'arte «avrei giurato di aver sentito un qualcosa su difficile e donna»
«Touchè»
Elisabeth ti alzò, si stirò la gonna lunga con le mani e fece una giravolta su se stessa.
«Sei un incanto» disse una terza voce proveniente dalla porta «chi cadrà sotto le tue grinfie anche questa volta?»

«Katherine» mormorò Liz con voce strozzata «Cielo, che assurdità. Non ho intenzione di sedurre ed abbindolare nessuno.»
La sorella avanzò di qualche passo «Se non ti conoscessi, direi che stai andando dal signor Bekwell»
Georgie fece una risatina nervosa, la quale si guadagnò un'occhiataccia da parte di Elisabeth.
«Traditrice» mormorò sull'uscio della stanza.
Georgie si sedette con dignità di una regina accompagnata da Katherine e fece spallucce, divenendo tutta rossa in volto.
E' noto che la bocca della verità siano i bambini, ma, in quel caso specifico, una virtù o un vizio di Georgie era di arrossire ogni qual volta che diceva una bugia.
La prova inconfutabile della verità.
Elisabeth scosse la testa e, dopo aver salutato le sorelle affettuosamente, scese le scale con calma disarmante.
Come sottofondo, non potevano mancare le risatine (mal)trattenute delle sorelle.

 

 

 

 

Dopo essere uscita di casa, la nostra eroina compie il doloroso viaggio -più assomigliante alla via crucis- per andare dal nostro duca che, dall'altra parte, si sta avvicinando- non con meno frustrazione-alla dimora delle sorelle Barbrook



 


Le lanterne della carrozza illuminavano alberi, siepi e l'intero sentiero, mentre questa percorreva Perrins così velocemente che Elisabeth sentiva il cuore palpitarle in gola.
Ella si era assicurata di trovare un cocchiere abbastanza fidato e rapido da poterla portare in pochi minuti alla residenza del signor Bekwell, ma quel viaggio si stava rivelando davvero un incubo!
Egli frustò nuovamente i cavalli e la carrozza sobbalzò violentemente facendole schioccare il collo contro il finestrino, che si rivelò più freddo del solito.
«Oh, questa era davvero brutta» commentò quando la carrozza svoltò all'improvviso, mandandola sul sedile opposto; per fortuna le concesse abbastanza tempo per rimetterla in sesto, poi sentì un urlo, ed essa sbandò pericolosamente percorrendo una quindicina di metri su due ruote e ricadendo sulle assi.
Elisabeth si ritrovò con il volto schiacciato contro la tenda del finestrino e socchiuse gli occhi dalla rabbia. Batté con il piede contro il tettuccio della carrozza per avvertire il cocchiere «Non aspettatevi neanche un penny da parte mia!»
Cercò di ricomporsi come meglio poteva, ma quando sentì più voci all'esterno ridacchiare e parlottare tra di loro un brivido di terrore le attraversò la spina dorsale e decise di restare immobile, nella vana speranza che nessuno potesse anche solo insinuare la sua presenza lì dentro.
«Signori, vi esorto a...»
Un tonfo sordo accompagnato da sghignazzi mise fine alle deboli proteste del cocchiere.
Elisabeth chiuse gli occhi: non era possibile, sua sorella l'aveva anche avvertita di non uscire!
Che possedesse qualche dono speciale?
Sperò vivamente che un giorno glielo avrebbe chiesto ed avrebbero riso insieme della situazione davanti ad un bel camino scoppiettante, una tazza piena di biscotti della signora Wrether, possibilmente al cioccolato, e...
«Dai amico, vediamo che bottino ci aspetta questa sera!»
Elisabeth si morse un labbro e si coprì il corpo con le braccia allorché si aprì la carrozza, rivelando il volto coperto di uno dei malfattori.
«Ehilà, bellezza» disse introducendo all'interno della carrozza una lanterna in modo da poterla scrutare meglio. Liz girò il volto dall'altro lato e l'uomo chiamò i suoi amici «E' una di quelle dannate donne dal sangue blu, cosa ne facciamo, capo?»
«Portatela fuori» ordinò un'altra voce
Elisabeth sussultò quando delle manacce fredde le presero con saldezza il braccio e la portarono fuori; la serata era fresca ma delle grosse nuvole minacciavano l'arrivo di un temporale.
Elisabeth guardò a terra e vide il povero cocchiere trucidato a pochi metri di distanza, supino, con il collo spezzato.
Uno di loro si avvicinò audacemente«Ciao, bocconcino»
«Smettila, Jhon» disse quello che prima era stato definito con il nome di capo.
Era un signorotto ben vestito rispetto agli altri, che spiccava forse per delle ciocche bionde irrimediabilmente oppresse da una pesante maschera marrone.
«Cosa volete?» chiese finalmente Elisabeth, facendosi coraggio. Tutti, ora, la stavano guardando, e dentro di lei si fece largo la sconcertante certezza che non avrebbe potuto ribellarsi né scappare dinanzi a tutti quei banditi.
«Gioielli, vestiti, oggetti di valore.»
«Dacci tutto» fece un altro, guardandola con avidità.
«Avanti!» incalzò gli altri Jhon, prendendola per un braccio.
Elisabeth si dimenò e lo spinse via; non fu un gesto cosciente, ovviamente, ma dettato dal puro istinto di sopravvivenza.
«Sporca puttana!» disse Jhon, il quale le diede uno schiaffo così violento da farla cadere per terra.
Il gesto del farabutto scatenò l'ilarità generale, mentre il capo rimase immobile.
Jhon si buttò su di Elisabeth, la prese per la vita e cominciò a strattonarle il vestito con intenzioni poco onorevoli; Liz si strinse a sé il mantello e si allontanò ancora ma, ahimè, un sasso la fece inciampare e cadde in ginocchio.
«Non abbiamo ancora iniziato, dolcezza» fece un bandito prendendole il cappotto e, con uno strattone, lo strappò in due parti.
Elisabeth gridò, lo guardò in faccia e lo sputò in un occhio. L'uomo imprecò e la spinse sulla carrozza, intento a schiaffeggiarla, quando, in quel momento, un proiettile proveniente dalla sua destra colpì al torace il malvivente che, prima di cadere in avanti, morto, assunse un'espressione sorpresa.
Gli altri banditi sussultarono nel sentire il boato della pistola di Colin. Nel vedere quell'uomo vestito con il panciotto di seta, la lussuosa camicia e gli stivali costosi, le loro facce si fecero incredule. Era il meglio che potesse capitare per i rapinatori, e Colin lo sapeva.
«Saltate sui cavalli ed andatevene. Nessuno di voi sarà colpito.»
Per un attimo nessuno si mosse, né i banditi né Elisabeth. Poi, lentamente, uno cominciò a ridere, stringendo Liz a sé.
«Subito!» ordinò Colin, continuando ad avanzare e cercando di impressionarli, facendo mostra di sicurezza.
E poi... E poi scoppiò l'inferno.
Lingue di fiamme uscirono dalle pistole di tre banditi mentre Colin udì il sibilìo di un proiettile che gli passò vicino.
Elisabeth, approfittando del caos, cercò di mettersi al riparo all'interno della carrozza. I cavalli impennarono, nitrendo impauriti. Colin avanzava attraverso la fitta erbaccia sul lato della strada, cercando di avvicinarsi ai ladri prima che avessero il tempo di ricaricare e sparare. Il piede si posò su una chiazza di fango e perse per un momento l'equilibrio.
Gran parte dei banditi stava battendo in ritirata, solo due di quelli corsero verso di lui, lanciandogli un torrente di minacce. Colin si spostò verso sinistra mentre un bandito sparava un altro colpo. Il fango schizzò in aria. Il malvivente continuava ad avanzare, ruggendo a squarciagola e tirando fuori l'altra pistola. Arditamente Colin scivolò sull'erbaccia bagnata, la guancia gli doleva come se fosse stata punta da uno sciame d'api. Era notevolmente svantaggiato, lo sapeva, ma non si diede per vinto. Neanche per sogno. Diede una stoccata per raggiungere la pistola, fece una capriola e alzandosi a sedere colpì con tutta la sua forza il bandito che avanzava.
Questo, colto di sorpresa, oscillò e Colin vide la possibilità di dargli il colpo di grazia.
Egli cadde indietro, portandosi le mani sul petto dove si stendeva uno squarcio ed emise un rantolo mortale.
L'altro aggrottò le sopracciglia, i suoi compagni erano già scappati via in chissà quale altro luogo e l'unica possibilità che vide fu quella di entrare in carrozza e vendicarsi dell'uccisione dei compagni.
Colin si sentì morire in petto allorché il bandito iniziò a correre verso Elisabeth che, ignara di tutto, si era nascosta all'interno della vettura.
«Elisabeth» urlò, rincorrendo il bandito con tutte le sue forze; quando l'uomo arrivò a pochi metri dalla carrozza non ci vide più e vi si gettò addosso, colpendogli una tempia con il manico della pistola ormai scarica.
Il bandito, prima di morire stremato, premette il grilletto sul petto di Colin.
Egli sussultò per la sorpresa, guardò il bandito abbandonare la vita e mise una mano sul suo petto: la camicia, un tempo bianca come il latte, era divenuta piena di sangue
Prima di piombare nel buio vide il volto di Elisabeth pieno di lacrime venirgli incontro e, sorridendole, cadde in un lungo sonno.









Lady Sticklethwait.







 

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Capitolo 52
*** Capitolo 52. ***


                                                                                                Capitolo 52.


 





«Nell’ipotesi migliore tuo padre mi scorticherebbe. In quella peggiore mi obbligherebbe a sposarti.»
«Sarebbe così brutto?»

«Essere scorticato?»
«Sposarmi.»


 





Elisabeth si inginocchiò e prese la sua mano morbida, bianca ed affusolata per scoprirne il polso e verificare il battito del cuore.
Sospirò di sollievo quando sentì che c'era ancora speranza, e tentò invano di trattenere le lacrime quando osservò il volto del conte di un bianco candido, quasi privo di vita.
Mossa da una gran determinazione gli allentò rapida il fazzoletto annodato sul collo; poi si affrettò a sbottonare il panciotto elegante e si sporcò le dita di sangue caldo sfiorando la ferita sull'ampio petto, precisamente un po' più sotto delle costole.
«Oh, Colin» mormorò, facendo scivolare le dita al di sotto del panciotto, staccandolo dalla camicia inzuppata di sangue.
Avvertì un forte senso di nausea nel vedere quello spettacolo, ma soprattutto nel vederlo in quelle condizioni.
Frattanto il duca era praticamente immobile sotto le mani tremolanti di Elisabeth; il capo era poggiato sulle sue ginocchia ed il resto del corpo era stato coperto con il mantello della duchessa.
La donna bestemmiò quando vide che il sangue non si fermava; strappò un pezzo di tessuto dalla sua sottoveste e lo tamponò sulla ferita, nel tentativo di arrestare il sangue «Ho...Ho bisogno di un medico, maledizione, ho bisogno di un medico!» ripeté tra le lacrime ed i singhiozzi disperati, piena di paura e terrorizzata per l'assurdità della situazione.
Ora le sue mani erano completamente sporche di sangue, ma non se ne curò ed accarezzò con i polpastrelli tremanti la sua guancia rasata, macchiandolo.
Lo fece con dolcezza, come se fosse un cristallo fragile e prezioso, come se avesse paura di ucciderlo anche solo con una carezza.
Doveva fare qualcosa e temporeggiare in quella situazione era la scelta peggiore che potesse mai fare, ma non poteva abbandonarlo per cercare aiuto, né mettersi ad urlare con il rischio di attirare nuovi banditi.
L'unica cosa da fare era...
«Colin, santo cielo» gli diede una piccola pacca sulla guancia ormai divenuta fredda e pallida come il gesso «santissimi numi, svegliati! Dobbiamo andarcene, non posso abbandonarti a te stesso... Colin!!» questa volta gli diede un vero e proprio buffetto sulla guancia, ed il duca gemette.
Elisabeth continuò a parlargli nella speranza che recuperasse almeno le energie necessarie per issarlo con il suo aiuto sul cavallo e trovare al più presto un luogo dove ripararsi.
Mossa dalla disperazione lo scosse leggermente e Colin aprì un occhio; l'unica fonte di luce in quel mare di oscurità erano le lanterne della carrozza che, forse per un infelice allineamento stellare, forse per il vento, si spensero proprio in quel momento.
«Maledizione!» disse tra i denti la donna.
Elisabeth gemette e si focalizzò sul da farsi: Il centro di Londra non era così lontano, ma in una situazione del genere anche mezz'ora poteva risultare fatale, e lei non poteva permettersi errori.
Osservò la carrozza e vide che i cavalli erano scappati per la paura. Perfetto, ora sì che era totalmente spacciata.
Persa nella matassa di pensieri, la donna non si accorse neanche che un cavallo si stava avvicinando verso di loro, e...
«Elisabeth?» disse la voce preoccupata di Simon Kellington.
La duchessa si girò di scatto: l'uomo teneva in mano una lanterna e quando si avvicinò ulteriormente, Elisabeth realizzò che sì, era proprio lui, Simon, l'amico che sembrava sparito da molto tempo.
Non era mai stata tanto entusiasta di vedere un altro essere umano in vita sua.
«Simon, che dio ti benedica, ho immediato bisogno di...»
«E' morto?» chiese l'uomo scendendo dal cavallo.
«NO!» urlò Elisabeth con foga, e Simon quasi sussultò «No, non è morto, ma ho bisogno che tu lo porti immediatamente da un medico.»
L'uomo annuì constatando che il volto del duca era completamente immobile e bianco «potrei portarlo nella mia residenza in campagna, a cavallo solo cinque minuti.»
«Ottimo.»
«Da lì, poi, posso chiamare un...»
Colin iniziò ad agitarsi, cercando a tastoni la ferita sul suo petto e sforzandosi di capirne l'entità. Elisabeth gli prese la mano, le dita macchiate di sangue si intrecciarono con quelle di lui. Era una mano morbida, bianca, elegante, che era stata capace di uccidere... per lei.
Si lamentò, la testa umida si mosse sulle sue ginocchia «oh, sono all'inferno»
Elisabeth gli scostò alcuni ricci dalla fronte e guardò Simon con determinazione «Dobbiamo spostarlo. Subito.»







 

Si può morire di ansia?
Il medico uscì dalla camera di Simon solamente al termine di un'operazione terminata dopo diverse ore.
Precisamente, erano le undici e mezza quando finalmente Elisabeth rivide la porta aprirsi.
E poi richiudersi.
Il medico non aveva permesso a nessuno di entrare, e quando aveva finalmente abbandonato la stanza non si dimostrò affatto sorpreso di ritrovare Elisabeth e Simon ad aspettarlo oltre la porta.
«Starà bene, ha solo bisogno di molto riposo» aveva assicurato loro prima di lasciare la casa, e per Elisabeth fu come rinascere.
Aveva trascorso il tempo perennemente fuori dalla stanza, in attesa di qualunque notizia lo riguardasse, continuando a ripetersi che Colin era in quel letto per colpa sua.
Era sicura che sarebbe morto dissanguato, vista la grande quantità di lenzuola coperte di sangue trasportate incessantemente dalle domestiche.
Invece, contro ogni aspettativa, Colin era sopravvissuto.
Il medico si era raccomandato di non disturbarlo, ma per Elisabeth fu un divieto troppo forte, un imposizione a cui non poteva obbedire dopo tutto quello che era accaduto.
Si coprì meglio con la giacca che Simon le aveva gentilmente prestato e, dopo aver aspettato che tutti fossero andati a dormire, si alzò dalla poltrona nella sala d'aspetto ed attraversò esitante la soglia, arrestandosi: l'ombra ricopriva parzialmente la camera, ed alcune candele semiconsumate stavano combattendo per non spegnersi.
Elisabeth strinse gli occhi ed osservò la stanza, al suo interno vi era anche un camino di marmo ormai quasi spento sul quale erano appoggiate molte lenzuola pulite.
Si guardò attorno per poi finire sul letto dove c'era Colin Bekwell.
Chiunque si sarebbe aspettato un uomo sfinito, stanco di combattere tra il varco barcollante della vita e della morte.
Ed invece no, c'era da aspettarselo, rifletté Elisabeth: se quell'uomo poche ore fa stava per morire, ora sembrava un reduce di guerra vittorioso che la scrutava dall'alto della sua perfezione.
Colin era sostenuto da una montagna di guanciali di broccato, in un letto massiccio di quercia scolpita, con i capelli in disordine, un lenzuolo tirato sul torace nudo ed un sorrisino indolente all'angolo della bocca. Alzò lo sguardo su Elisabeth ed il suo cuore cominciò a battere furiosamente.
La duchessa inspirò sonoramente, e per la prima volta non seppe se restare immobile al centro della stanza oppure fuggire come se avesse il diavolo alla calcagna.
Deglutì, si guardò le mani e riportò lo sguardo su Colin: il bagliore delle candele rendeva la sua pelle dorata, mettendo in risalto la struttura del suo corpo ed i muscoli levigati: si spandeva sulle braccia forti e sul suo petto in parte fasciato da una parte con benda bianca, dall'altra parte, invece, era ricoperto da una peluria ricciuta castana, che alla luce delle candele che stavano vicino al letto sembrava brillare di un colore dorato caldo, quasi come i capelli ricci che gli incorniciavano il viso.
«Avvicinati»
Il cuore di Elisabeth fece un'altra capriola allorché sentì la voce del duca calma, dolce, quasi stremata.
Il solo pensiero che poche ore fa credeva di non poterla sentire mai più le fece annacquare gli occhi di più, sempre di più, fin quando una lacrima traditrice cominciò a scendere lentamente lungo tutta la guancia destra per poi suicidarsi sul tappeto persiano.
Elisabeth non si curò di nascondersi, la paura era stata troppa, e l'orgoglio... Quello poteva aspettare, soprattutto quando Colin la esortò nuovamente ad avvicinarsi.
Elisabeth non se lo fece ripetere una terza volta e con la foga di una bambina si sedette sul lato del letto: gli gettò le braccia sul collo e cominciò a piangere disperatamente sulla parte sana del suo petto, riempendoglielo di lacrime amare e liberatorie.
Cominciò a singhiozzare come non aveva mai fatto, i sensi di colpa, la paura, l'impossibilità di fare qualcosa mentre lui stava perdendo la vita, i banditi...
Colin la circondò con le braccia mormorandole parole rassicuranti vicino all'orecchio destro, mentre con una mano prese ad accarezzarle i capelli ribelli che si erano liberati dalla treccia.
Restarono così per svariati minuti, i singhiozzi di Elisabeth man mano si affievolivano fino a cessare del tutto, ma i due non accennarono a staccarsi, forse perché la paura di lasciarsi di nuovo sarebbe stata troppo difficile da gestire, o forse perché Elisabeth si sentiva così al sicuro tra le braccia di Colin, tra le braccia di suo marito, che...
«Ho avuto così paura» ammise con un sospiro, il tono di voce leggero ed appena udibile dall'interlocutore.
I rintocchi dell'orologio, mischiati al respiro ansioso di Elisabeth erano gli unici rumori che rompevano il silenzio della stanza: la duchessa non si era mai sentita così a suo agio tra le braccia di un uomo.
Tra le braccia di Colin.
Arrossì sentendo il battito del suo cuore leggermente accelerato contro il suo orecchio e di scatto si allontanò dal suo petto
«Oh, perdonami, io...» erano così vicini ora, pochi centimetri li separavano, e quegli occhi... Quei seccanti occhi azzurri erano così limpidi sul volto ancora pallido che dovette spostare lo sguardo per non rimanere vittima della loro magia.
«Non ti ho chiesto neanche come stai» ammise, mordendosi un labbro ed allentando la stretta con cui gli aveva imprigionato il collo.
Piano piano le mani scesero in una leggera carezza fino a toccare la parte in cui la ferita era stata fasciata da una benda pulita: Elisabeth notò che i muscoli di Colin iniziavano a contrarsi sotto il suo tocco, ed anche il respiro accelerava mentre lei esaminava la ferita scostando delicatamente le bende; il proiettile era stato rimosso e l'emorragia stava accennando a placarsi, ma un orribile livido violaceo circondava tutta la parte circostante alla ferita, rendendola insopportabile alla vista.
Ricoprì diligentemente la ferita con le bende ed incontrò i suoi occhi stanchi, offuscati ed interrogativi, così diversi dallo sguardo canzonatorio e libertino che di solito accalappiava le donzelle indifese.
«E' molto doloroso?»
«A dire il vero» le coprì l'intera mano con la sua più grande e calda «non sento più nulla.»



 





I miei più sinceri auguri di buon natale, spero che questo capitolo un po' più diverso dagli altri sia apprezzato da tutte, quindi mi affido completamente al giudizio parsimonioso delle vostre recensioni.
Buone feste!


Lady Sticklethwait.


 

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Capitolo 53
*** Capitolo 53. ***


                          Capitolo 53.

 

 

 

Il nostro eroe non si svegliò il giorno seguente per la colazione, ed Elisabeth credette di essere diventata matta quando scese nell'attico e i trovò omaggi floreali, biglietti e congratulazioni.
Alzò un sopracciglio sempre più contrita mentre si avvicinava ad uno splendido bouquet di lillà spedito da un gruppo di fanciulle – che lei aveva sempre etichettato come 'timide' – ma che in quell'occasione si erano dimostrate molto più audaci di chiunque altro.
Una mezza dozzina di rose rosse e bianche arrivarono accompagnate da un cesto pieno di cioccolatini e frutta succosa da parte di una certa Lady Shandow, vedova allegra con cui Colin aveva dovuto scambiare più di due chiacchiere, date le esplicite allusioni della lettera.
Infine, come ciliegina sulla torta, quando Elisabeth credé di non poter sostenere un altro dono in più, vi trovò sulla credenza un'ardente poesia bruciante di ammirazione dalla penna generosa di Lady Endrew, priva di cervello ed idiota quasi quanto suo fratello, Kevin.
Dei passi risuonarono per tutta la stanza, ma Elisabeth non si meravigliò di trovare il volto di Simon completamente sconvolto...Quasi pari al suo.
«Buongior...Uh!» fece un passo indietro, osservando meglio quello strano fenomeno.
«La chiamano fauna femminile» commentò acida Elisabeth, aprendo una lettera gialla spedita da... No, non volle saperlo.
«Potrei giurare che questo sia il periodo d'accoppiamento, Simon.»
«E'...» fece una pausa significativa «davvero una bella sorpresa» si avvicinò con cautela presso il tavolo «Sono tutte per il signor Bekwell, immagino.»
Elisabeth fece finta di ignorarlo e prese a leggere la lettera gialla con immenso disprezzo «Al generoso ed impetuoso cavaliere Colin Bekwell»
«Mh, suberbo»
Elisabeth gettò la lettera sul tavolo e si avviò verso la finestra «E' disgustoso»
Simon ridacchiò aprendo il giornale «adagio, Elisabeth, se non ti conoscessi potrei pensare che sei verde dalla gelosia.»
La donna sobbalzò ma non si voltò per guardarlo in faccia «non essere sciocco, sai bene che ho sempre ripudiato le adulazioni.»
«Potrei azzardare che sono meritate»
«Potrei azzardare» disse alzando la voce « che la tua servitù ha romanzato il tutto designandolo come un principe»
«Bhè» fece Simon girando un'altra pagina di giornale « se non altro suppongo che ne converrai con me, se mi azzardo a sottolineare che l'operato del signor Bekwell ti ha salvato la vita.»
Elisabeth arrossì e decise di cambiare discorso, quando un lacchè entrò nella stanza con un'altra lettera in mano.
«Mettila sulla pila» gli ordinò Simon senza neanche alzare lo sguardo.
Elisabeth davvero non ne poteva più.
«Ora basta» si girò e con decisione attraversò la stanza fino ad arrivare alla pila di bigliettini.
«Cosa hai intenzione di fare, Liz?»
«Il signor Bekwell» iniziò avvicinandosi pericolosamente al camino «è già sin troppo orgoglioso, esageratamente spocchioso, egocentrico, imprudente ed affascinante per...»
La voce di Simon risuonò davvero stupita quando accantonò il giornale«Affascinante?»
Elisabeth alzò la testa dal mucchio di lettere «Affascinante?»
«Giurerei di aver sentito proprio affascinante.»
«Ho detto affascinante?» chiese confusa quasi quanto Simon.
«Già» sorrise sornione.
«Non ho mai detto... Oh, mi stai distraendo!» esclamò stizzita.
«Stai arrossendo»
«Non è vero!» si portò una mano sul volto, sentendoselo quasi in fiamme.
Oh, cielo, che situazione imbarazzante.
Simon la scrutò con estremo interesse e, dannazione, con quel sorriso canzonatorio e malizioso sembrava prendersi gioco di lei come quando erano piccini.
L'uomo scosse la testa e ritornò ad immergersi nel Times, dando un temporaneo sollievo alla duchessa.
Temporaneo, infatti, proprio perché quando Elisabeth si girò verso il camino con le lettere in mano, Simon soggiunse con voce comprensiva:
«Non devi nascondermi i tuoi sentimenti per il signor Bekwell, Liz.»
Silenzio assoluto.
Imbarazzo totale.
La duchessa non si girò per guardare Simon ma restò immobile davanti al camino, le gambe erano diventate improvvisamente di gelatina ed il cuore che batteva come un tamburo.
Perché, dannazione, si sentiva così a disagio?
«Non c'è bisogno che tu risponda» continuò l'amico «il tuo silenzio vale più di mille parole.»
Già.
Perché non riusciva a parlare?
Insomma, sapeva di non essere del tutto indifferente a Colin Bekwell, come voleva far credere a tutti, e non lo odiava così tanto, come voleva far credere a sé stessa.
Inoltre la preoccupazione che aveva nutrito durante la giornata precedente era stata così sincera e devastante che definirsi banalmente attratta da Colin era un eufemismo.
La duchessa sentì il rumore del giornale che veniva chiuso da Simon ed i suoi passi verso la porta da dov'era entrato
«Buona Giornata, Elisabeth»
Ella si girò per salutarlo, ma ormai l'uomo aveva già chiuso la porta.








 

Elisabeth fece appello a tutto il suo coraggio e, dopo aver preso un bel respiro, decise di girare la maniglia.
La camera era interamente illuminata dalla luce del giorno, persino il letto dove ora si intravedeva la sagoma di Colin era completamente accarezzato dai raggi solari.
La duchessa si avvicinò con fare sospettoso poiché non sapeva se il duca fosse realmente sveglio oppure dormisse ancora; per fortuna l'enorme tappeto attutiva i passi, così ella potette arrivare fino alla testa del letto senza emettere alcun rumore.
Eppure, il respiro affannoso ed il cuore che pompava come un pazzo poteva sentirli solo lei.
Meglio così, si disse poggiando le bende sul comodino: perfetto, non aveva ancora guardato il duca, ma non ce n'era bisogno, giusto?
Se non si era accorto di lei, voleva dire che stava ancora dormendo, e se stava ancora dormendo, perché svegliarlo per cambiargli la fasciatura?
Magari poteva affidare quell'ardua impresa ad una domestica.
Sì, avrebbe fatto così.
In fin dei conti, cosa ne sapeva lei di come si cambiasse la fasciatura? Limitatamente alle sue conoscenze, la ferita si sarebbe potuta anche aprire, e lei davvero non ne poteva più di vedere sangue o di sentire l'odore del sangue.
Durante quei mirabolanti pensieri non si accorse che il duca, sdraiato a metà su un fianco con un braccio piegato dietro alla testa, la stava osservando come se avesse intenzione di risolvere un enigma.
Vide che Elisabeth piegava e sistemava le cianfrusaglie sul suo comodino, ora si fermava a riflettere, ora arrossiva, ora scuoteva la testa con decisione, ora si mordeva un labbro nell'indecisione.
Quando la donna si voltò per andarsene ed il duca sentì il lieve fruscio delle gonne accompagnato dalla lieve fragranza di lei, decise di rivelare al mondo la sua presenza.
Sbadigliò esageratamente ed esordì un suono gutturale poco o molto virile, a seconda dei punti di vista.
«Per tutti i diavoli» sobbalzò la donna rischiando di cadere sul pavimento per lo spavento.
«Buongiorno, mia musa» mormorò il duca con voce sonnolenta e le palpebre pesanti «noto con piacere che sei ancora rimasta qui»
«Q-qui?» Elisabeth indietreggiò fino a toccare con le spalle la finestra e volse lo sguardo altrove, disperatamente imbarazzata e spaventata e sconvolta e...Oh, Dio, quell'uomo era completamente nudo sotto il lenzuolo, e non sembrava nutrire un minimo di pudore, né sembrava comprendere il suo disagio.
No, forse lo comprendeva, ma forse era troppo impegnato a metterla in imbarazzo ed a non rispettare l'etichetta, piuttosto che coprirsi come minimo i fianchi.
Elisabeth tentò disperatamente di non pensare ancora al suo petto così possente, ai fianchi stretti, ai suoi occhi così azzurri, ai suoi capelli capelli ricci così scompigliati e leggermente sudaticci, alla barba del giorno dopo che era in contrasto con il sorriso più sincero che avesse mai visto.
«Sì, bhé, in realtà non pensavo rimanessi in questa casa, dato che...» si strofinò gli occhi e sollevò un braccio indietro, lasciandolo cadere vicino alla testa, col pugno semiaperto sui cuscini bianchi candidi « insomma, in casa con due scapoli»
«Ah, sì, ma io stavo proprio per» ingoiò una manciata di saliva «andare via»
«Ora?» si alzò a sedere con l'aiuto delle braccia ed emise una leggera smorfia di dolore.
Elisabeth fece un passo in avanti per aiutarlo, ma quando gli occhi del duca la scrutarono canzonatori, ritornò ad appoggiarsi alla finestra; non voleva aiuti, era palese.
Una manciata di cuscini rotolarono per terra allorché Colin incrociò le braccia sotto la testa, offrendo ad Elisabeth la vista di una pelosa ascella maschile e di un muscolo guizzante.
«Che ore sono?» chiese con tutta la naturalezza di questo mondo, ignorando volutamente il pudico rossore che si dilaniava sulle guance della donna.
«Sono le otto, emh, cioè, le dieci del mattino. Sono venuta a portarti queste fasciature, non era mia intenzione svegliarti» spostò lo sguardo dal cassettone, al davanzale, allo scrittoio...
«Suppongo che il Mr. Kellington non sia in casa»
«Infatti»
Colin sorrise e guardò il soffitto quando Elisabeth gli chiese il motivo di quell'affermazione.
«Non penso ti lascerebbe vagare nella stanza di un uomo, specialmente quando sta dormendo»
La donna alzò il mento ed incrociò le mani «Mi conosci davvero poco se pensi che qualcuno possa impedirmi di fare qualcosa.»
Lui rise, lo sguardo caldo, impertinente, e blu come il cielo.
Elisabeth fu davvero confusa e turbata dall'attrazione che provava verso di Colin.
«Ora devo davvero andare.»
«Oh, no, la tua compagnia è l'unico sollievo che posso concedermi in questa valle di lacrime.» aggiunse, poi, persuasivo «resta.»
La duchessa si morse un labbro «è sconveniente...»
«Nessuno sa che sei qui»
«La servitù parla...» fece lei, ma Colin la interruppe «Le domestiche dicono tante di quelle assurdità che ormai nessuno crede loro.»
«E' sconveniente parlare con un uomo che si è appena svegliato, è in casa da solo, è nudo sotto le coperte e...»
Le sue sopracciglia si incarnarono «Chi ti dice che io sia nudo sotto le coperte?»
Elisabeth avvampò « giuro di non aver sbirciato!»
Il duca sospirò con aria affranta «avrei voluto che lo facessi.»
«Colin!»
Il duca rise di cuore «Suvvia Liz, tu...»
«Colin Bekwell, siete davvero terribile.» lo rimproverò con tutta la severità a cui poteva far appello.
«Vergogna, Elisabeth Kerwin» replicò. «Non è sportivo da parte vostra non permettermi di finire la frase.»
Lei piegò una testa di lato e fece una reverenza «chiedo venia, Milord; stavate forse per dire qualcosa di interessante?»
Colin fece un mezzo sorriso «Io sono sempre interessante» mormorò.
«Stai cercando di spaventarmi?»
«Non nutro speranze nel riuscirci, Liz»
Elisabeth avvertì lo sguardo intenso di lui su di lei e rise per sdrammatizzare, ma l'aria giocosa di poco prima terminò quando Colin le chiese una seconda volta di restare con lui.
Bhè, suppongo che non ci sia nulla in contrario nel rimanere fino a questo pomeriggio... pensò, e nel momento in cui realizzò di averlo detto ad alta voce, capì di essere totalmente alla mercé di quell'uomo.


 

 







 

 

Perdonatemi le descrizioni un po' spinte del nostro duca, ma non sono riuscita a frenare l'immaginazione che, ahimè, su questa scrittrice ha sempre la meglio.



Lady_Sticklethwait.

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Capitolo 54
*** Capitolo 54. ***


 

                             Capitolo 54

 

 

 

Pubblicherò il prossimo capitolo a breve, dato che ci saranno le vacanze di Pasqua...Evviva!
 

 

 

 

Non fu facile decidere di stabilirsi a Crainford Hall, la vecchia tenuta di Lord Kerwin, senza destare occhiatacce con la O maiuscola dalle sue sorelle, e fu ancora meno facile convincerle che la sua decisione di ritornare a casa non era dovuta al loro comportamento.
Sì, casa.
Oramai non riusciva più a guardarla come una fredda tenuta invernale senza poterla considerare almeno un po' propria.
Lì aveva trascorso – seppur per pochi mesi – un po' di tempo con suo marito, lì Colin le aveva rivelato tutta la verità, lì aveva passato tutto sommato bei momenti alternati a giorni di tristezza estrema o rancore.
Ma tutto ciò non le importava, rifletté tenendo a bada i sentimentalismi: il vero motivo per cui si recava a Crainford Hall era perché Colin quello stesso giorno, poco prima che lei se ne andasse, l'aveva informata che non sopportava più l'idea di dover 'marcire', secondo la sua espressione, 'riposare', secondo quella di Elisabeth, a casa di Simon.
Certo, figuriamoci se un duca come lui poteva mai trascorrere più di ventiquattro ore in un letto troppo poco sfarzoso per mantenere intatta la dignità ducale!
Elisabeth, comunque, si era trattenuta dal sottolineare che se non fosse stato per Simon ora probabilmente lui sarebbe già morto dissanguato e lei avrebbe perso la sua sanità mentale. Non lo fece anche perché durante il pomeriggio Colin gli era sembrato molto più debole di quel mattino, e lungi da Elisabeth stuzzicare il suo avversario quando questo non era in grado di difendersi.
Insomma, non sarebbe stato equo.
«Perché?» chiese semplicemente Georgie senza rivelare altre emozioni «non avevi detto che volevi prenderti una pausa?»
«Già» esclamò Katherine interrompendo il faccia a faccia «perché?»
Elisabeth fece spallucce, stanca di dover dare sempre spiegazioni «Abito lì»
«Io penso che tu abiti qui» commentò Georgie lisciandosi le gonne.
Katherine la ignorò. «Credo che ti accompagnerò»
La duchessa sobbalzò «Cosa?No, Non ce n'è bisogno, Kat.»
«Mi piacerebbe visitare Lord Kerwin, dopo... Bhè, lo sappiamo tutte»
«Non penso sia in grado di poter sostenere una visita nelle sue attuali condizioni» rispose evasiva.
«Povero cuore» rifletté ad alta voce Georgie, con le mani sul petto «nessun uomo meriterebbe di essere aggredito in quel modo da banditi!»
Bhè, sì, Elisabeth forse aveva romanzato un po' il racconto tenendo nascosti potenziali particolari dell'incidente, giusto per non aggravare ulteriormente la situazione. Infatti le era sembrato inutile svelare alle sorelle che 1) i banditi avevano preso di mira la sua di carrozza, non quella del duca, che 2) probabilmente l'avrebbero violentarla se 3) Colin non fosse spuntato all'improvviso.
E non dimentichiamoci che 4) se il bandito avesse puntato un po' più in alto la pistola probabilmente Colin sarebbe morto per salvarla.
In quel caso eccezionale, Elisabeth aveva ripetuto più volte a sé stessa che il fine giustificava i mezzi: non importava come fossero andate realmente le cose, la cosa più importante ora era sperare che Colin si rimettesse al più presto e che non morisse per altri motivi.
Motivi che potevano essere perfettamente attribuiti all'infido ricatto.
Cielo, quanti problemi!
Sospirò più forte del dovuto ed arricciò meglio una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio. «Devo andare» disse alla fine ed appena prese le valigie in mano caddero a terra con un gran tonfo «Mi mancherai!» sbottò Georgie, imprigionandola in un abbraccio soffocante «scrivimi, ti prego, Liz!»
Elisabeth sorrise e le schioccò sulla guancia un sonoro bacio «Prometto che lo farò.»
Allontanatasi Georgie, fu il turno di Katherine che si offrì nuovamente di accompagnarla durante il viaggio di andata nonostante dovesse andare al teatro con suo marito e – dio se ne scampi – entrambe sapevano quanto potessero essere esasperanti i mariti se non si eseguivano gli ordini da loro impartiti.
Elisabeth riprese in mano le valigie «A presto»
Un maggiordomo aprì la porta.
Era tempo di riprendere in mano anche l'assurda situazione che si era venuta a creare.






Colin girò nuovamente la testa e si coprì fino al collo con le coperte pesanti; aveva un maledettissimo mal di testa ed il dottore aveva detto di non preoccuparsi se la febbre avesse sfiorato i trentanove gradi.
Certo, detta così era fin troppo semplice!
«E' una normale reazione del corpo per l'infezione provocata dalla ferita» aveva spiegato riponendo gli strumenti nella borsa «non possiamo fare nulla per impedirlo se non aspettare che passi.»
«Passerò domani mattina a visitarvi» aveva aggiunto in prossimità della porta «non fate idiozie, signor Bekwell. Portate pazienza e vedrete che entro una settimana ritornerete come prima. Forse due.»
«Tre se sono davvero sfortunato» aveva commentato Colin in preda ad attacchi di freddo.
Ed ora eccolo lì, a Crainford Hall, solo ed infelice sul letto di morte.
Bhé, non stava di certo per morire, ma i dolori che provava alla testa e sul petto erano tanto insopportabili che si stupì di non essere ancora deceduto.
Poco tempo prima sua madre insieme con Julie gli aveva fatto visita, raccontandogli aneddoti su tutto quello che si era perso un due giorni.
In Due.Maledettissimi.Giorni erano accaduti più scandali di quanti ne fossero successi in tutto l'anno e durante tutto il tempo della visita non avevano fatto altro che informalo su Trevelstam che, povero cuore, era stato tradito dalla moglie per un domestico.
E stavano per sposarsi!
«Che storia triste» aveva commentato Colin sul punto di lasciarsi andare nelle braccia di Morfeo.
Giurò di offrire da bere a Trevelstam qualora fosse guarito sopravvissuto.
E giurò anche di non addormentarsi più mentre sua madre e sua sorella parlavano.
A tal proposito, dovette ricordarsi che erano le sette di sera ed Elisabeth gli aveva promesso di fargli compagnia prima delle undici; che lo avesse preso in giro?
Brontolò e si nascose sotto le coperte a covare vendetta, fin quando non sentì la voce di una donna sull'uscio della porta.
«Sei proprio difficile da uccidere, mh?»
«Vivrò per intrattenerti, mia dolce mogliettina.»
Elisabeth soppresse una risata ed entrò con due domestiche armate di valigie e borse, pronte a riporre tutto negli appositi cassonetti.
Colin alzò leggermente il capo per poter guardare Elisabeth, ma la ferita lo costrinse a rimanere disteso in posizione supina; maledizione, era stanco di dover guardare il soffitto!
Preferì, quindi, la finestra, ed aspettò pazientemente che la servitù uscisse dalla sua camera per poter rimanere da solo con Elisabeth.
«Vedo che non hai indossato la maschera, e la servitù...»
«La servitù sa tutto» rispose Colin semplicemente, come se stessero facendo una banale conversazione.
La duchessa attese che le donnicciole si allontanassero abbastanza da non poter sentire nulla «Ma sei impazzito, per caso?» chiese guardinga, tenendo un tono di voce piuttosto basso per i suoi normali canoni «le domestiche parlano, Dio! Quanto tempo credi che ci vorrà fin quando tutta la società scoprirà che...»
«Non pensavo ti importasse così tanto dell'alta società»
Elisabeth, che ancora stringeva la maniglia della porta, si avvicinò al letto per poter guardare il duca in volto il duca, dato che fino a quel momento non era riuscita a vederlo.
Si accorse controvoglia che stava tremando e sperò che il duca non riuscisse a vedere quanto la sua sola presenza la turbasse.
«Davvero l'ho proclamato?» si strofinò il mento con aria pensierosa «Che falsità da parte mia»
«Davvero inaccettabile; sono molto contrito dalla vostra cond...co...Acchiuf!»
Elisabeth si avvicinò ulteriormente al letto, ed ora riusciva a guardare bene il volto di Colin, dove i suoi occhi erano incredibilmente azzurri e rilucevano sul volto pallido.
«Hai il raffreddore?» chiese allarmata, poggiando una mano sulla fronte calda.
Colin borbottò «Forse. Probabilmente stanotte sarò già mezzo morto»

«Ma tu hai la febbre!»
Il duca sorrise con aria innocente e fece spallucce «Sorpresa?»
Elisabeth decise di lasciar cadere l'argomento della maschera e di rimandarlo in un altro momento: così, in pochi secondi, si fece portare svariate pezze bagnate alternate ad alcune asciutte dettando ordini a dritta ed a manca.
«Hai freddo?» chiese con l'aria di un generale pronto a scendere in battaglia.
Egli annuì, ed ella si apprestò a ravvivare il fuoco.
Durante la difficile operazione, il duca commentò casualmente «Non dovevi prenderti il disturbo di tornare qui, Liz, sarei riuscito a sopravvivere anche da solo, benché ammetto - con fervida convinzione - che sarebbe stato di gran lunga più tedioso»
«Per te o per le domestiche?» chiese con punta di sarcasmo, continuando a stare china sul camino.
Colin sorrise «Ahimè, temo per entrambi»
Le lingue di fuoco finalmente tornarono a danzare sul muro ed a scoppiettare allegramente sorpassando il ticchettio del pendolo; Elisabeth si avvicinò al letto, imbarazzata nel sentire l'odore virile di Colin per tutta la stanza.
Il duca, d'altra parte, era lo stesso tremendamente imbarazzato per le sue condizioni; con tentativi poco persuasivi rassicurò Elisabeth di star meglio, nonostante sapesse che la donna non se ne sarebbe andata da quella stanza neanche per tutto l'oro d'Inghilterra.
Liz si lisciò le gonne, tirò un po' su il naso ricordandosi poco dopo che non era affatto un comportamento idoneo ad una duchessa, arrossì pudicamente e guardò a terra, dondolandosi sui piedi.
Colin ebbe il mal di mare, nonostante guardasse il soffitto con insistente freddezza.
Dopo svariati minuti di silenzio stoico da parte di entrambi, il duca decise di averne abbastanza «leggimi il documento.»
«Come, prego?»
Colin trattenne una risata quando vide il suo volto completamente disorientato della giovane «Il documento, ricordi? Quello che abbiamo rinvenuto in quell'avventata serata... Leggimelo»
«Dov'è esattamente?»

Colin ci pensò un attimo su. «In libreria, al primo piano.» Elisabeth annuì ed in pochi secondi raggiunse la porta, quando Colin aggiunse «non ha una copertina vera e propria, è più che altro un diario... Spero lo riconoscerai.»
«Stai forse dubitando di me?»
Egli alzò le mani in segno di resa «Mai»
Elisabeth chiuse la porta e sospirò.


 

 

 

Un altro capitolo di passaggio necessario per la risoluzione della faccenda: nel prossimo capitolo, infatti, anche Elisabeth riuscirà ad accedere alle informazioni nascoste nel diario.
Purtroppo il povero Colin è momentaneamente KO, per cui puntiamo tutto sulla duchessa scaltra; forza Liz!



Lady Sticklethwait.

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Capitolo 55
*** Capitolo 55. ***


                                  Capitolo 55.

 

 

 

 

 

Care lettrici,
per tutte coloro che mi contattano con insistenza chiedendo di continuare le altre due storie, ripeto e rispondo che, al momento, dato che questa storia è ormai agli sgoccioli, cercherò di dedicarmi maggiormente a questa per concluderla definitivamente.

 

 

 

 

 

Dopo varie ricerche senza alcun successo, Elisabeth si fermò dinanzi all'ultima porta del corridoio, che si presumeva fosse la libreria.
Entrò con cautela guardandosi intorno, non stupendosi affatto che non ci fosse nessuno al suo interno.
Socchiuse la porta e si fermò ad osservare la libreria di Colin; certamente era arredata con gusto molto maschile, si disse soffermandosi sulle poltrone di cuoio dall'imbottitura spessa che erano sistemate strategicamente per coloro che desideravano sfogliare un volume con calma.
Inoltre, nell'aria aleggiava una miscela di odori piacevole e vagamente familiare di cera, pergamena, inchiostro e polvere di libri, che le ricordavano vagamente la biblioteca di suo nonno.
Avanzò ancora e raggiunse un paio di scaffali, soffermandosi ad osservare le copertine allineate in pelle, dorate e con le scritta in latino.
Si meravigliò dell'ingente quantità di libri che Colin possedeva, ma decise che quello non era il momento giusto per testarli tutti.
Venti minuti dopo ancora non riusciva a capire dove potesse mai essere il documento.
Concia del fatto che Colin la stava aspettando, iniziò una ricerca quasi disperata e le mani iniziarono a tradire segni di nervosismo.
Non seppe il motivo di tanta ansia, ma comunque non aveva un bel presentimento e fu dannatamente tentata di risalire al piano di sopra per chiedere direttamente al duca dove fosse.
Tutto ad un tratto si ricordò di non aver controllato la scrivania e trasse un sospiro di sollievo; numerose carte giacevano sul piano ricoperto di pelle accanto ad un tampone di carta assorbente, delle penne d'oca affilate ed una boccetta d'inchiostro con il tappo d'argento.
Dopo tante ricerche tra inviti a ricevimenti, fogli di giornale e quant'altro, finalmente trovò il tanto agognato documento affianco ad un modulo in bella vista su cui vi era scritto...

 

 

 

 

 

 

“Ricorso per separazione personale consensuale?!” urlò Elisabeth con una mano stretta sul fianco sinuoso ed un'altra mostrante al volto stralunato di Colin il documento, chiese con tono sprezzante“cosa starebbe a significare, signor Bekwell?”
Colin che, povero cuore, era stato appena svegliato dall'arrivo brusco della sua mogliettina, decise che era giunto il momento di ricorrere alla religione e pregare.
Forse Dio lo avrebbe soccorso, o forse gli avrebbe mandato il colpo di grazia seduta stante.

Magari un fulmine...
“Elisabeth” disse con il tono più giovale che poté “già di ritorno?”
La donna gli fece dondolare davanti agli occhi il foglio, esigendo spiegazioni.
Spiegazioni che, onestamente, Colin preferì rimandare a domani.

“Assolutamente no!” era stata la riposta di Elisabeth, ferita nell'orgoglio di 'moglie'.
“Oh, per favore Liz, non sarebbe meglio...”
“No.”
“E se...”
“No.”
“Ma se solo...”
“No.”
“Tu potessi...”
“Assolutamente no.”
“Capire.”
Elisabeth ora si mise con le braccia incrociate “parlate.”
Il duca si issò sulle braccia per appoggiarsi con la schiena e mettersi in posizione eretta; Liz notò che era ancora a petto nudo e la benda era completamente bianca, segno che non c'era più pericolo di un'emorragia.
Preferì non demordere e tradire la maschera di freddezza ed intransigenza che aveva avuto fino ad allora, ma era sicura che il battito del cuore non era dovuto unicamente all'irritazione che provava in quel momento.
No, si disse ammirando nuovamente la perfezione di quell'uomo, decisamente no.
“Diciamo che oggi pomeriggio ho pensato ad alcune cose più o meno rilevanti, tutte riguardanti te, Elisabeth.” emise un profondo respiro, quasi un sospirone; un immenso, stanco, accorato sospiro che portò l'uomo quasi a sgonfiarsi davanti ad Elisabeth “e, fidati, non saresti al sicuro in qualità di mia moglie. Potrebbero prenderti di mira per farmi del male, Liz, e questo lo sai sin troppo bene.”

“Avevi quantomeno l'obbligo morale di avvertire tua moglie, Colin.” continuò a ripetere Elisabeth, troppo... offesa? Offuscata? Delusa? Per vedere le cose con criterio.
“Inoltre, non vedo cosa possa c'entrare in questa storia, dato che non sanno neanche che io...”
“Certo che lo sanno. Dannazione, Liz” alzò il tono di voce “credi che colpendo me ricaverebbero mai qualcosa in danaro? Non ho eredi che possano essere eventualmente ricattati, non ho fratelli né – che io sappia – lontani cugini. E secondo te, qual è il modo migliore per minacciarmi se non far del male alle persone che amo?”

Le persone che amo? Che amo?!? Pensò Liz, stupida da quel piccolo messaggio segreto uscito come un fulmine dalla bocca di Colin.
Abbassò il capo “Colin, io comprendo le tue preoccupazioni ma ormai ci sono anch'io in questa storia, che tu voglia accettarlo o meno.” lo fissò con determinazione “Credi che mi faccia piacere sapere che potrei essere oggetto di ricatto? Che potrei persino diventare vittima di tutto questo? Ma soprattutto” fece cadere i fogli, si inginocchiò a terra e gli prese il volto bollente con mani tremolanti “credi che mi importi rimanere in vita quando tu...potresti morire da un momento all'altro per colpa loro?”
Colin fece un sorriso sinistro “Elisabeth Bekwell, potrei pensare che tu ti stia innamorando di me”
Elisabeth guardò con insistenza le sue labbra ipnotiche.
Così rosse, così piene e ben delineate e...Tolse subito le mani dal suo volto quasi scottasse, ma Colin gliele bloccò all'istante.
“Che... cosa stai facendo?”
“Ah, Liz, Liz, quanto ti contraddici...”
Alzò un sopracciglio, contrita “chiedo scusa?”
Colin sogghignò “sei pronta ad affrontare i pericoli e mettere a repentaglio la tua gloriosa esistenza ma poi, quando si tratta di baciarmi, scappi come una ragazzina impaurita.”
Ella alzò lo sguardo per fulminarlo ed arrossì “Io non scappo mai”
“Ah, davvero?” chiese ironicamente.
Elisabeth annuì e con velocità fulminea gli diede un bacio sulle labbra, per poi sorridere vittoriosa.
“Non era questo che intendevo ma... Potremo sempre migliorare” fece pensoso.
Elisabeth si sentì offesa.
E scombussolata.
Ed imbarazzata.
E si alzò.
Ed andò alla porta.
Ed entrambi si augurarono la buonanotte come se fossero estranei.

Ed il fatto più grave fu, ripensandoci, che Colin non l'aveva trattenuta ulteriormente (cosa che aveva sperato, visto che già sapeva di non poter riuscire a dormire quella notte da sola).
Così decise che più tardi sarebbe andata a fargli di nuovo visita, magari quando lui si sarebbe appisolato.
Meritava di stare da solo, si disse scendendo furiosamente le scale; documenti di separazione nascosti, banditi, ricatti, pettegolezzi... Dio, che matassa!
Percorse un lungo corridoio rassicurata dal fatto che non c'era nessuno e si diresse in biblioteca con l'intento di leggere quel famoso documento di suo padre.
Ah, che brutta vita quella delle donne innamorate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lady Sticklethwait.








 

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Capitolo 56
*** Capitolo 56. ***


                                                           Capitolo 56.



Vi chiedo davvero scusa se il carattere di questo capitolo è alquanto piccolo ma sto riscontrando alcuni problemi con il sito e non riesco ad aumentare la dimensione.
Spero sia un problema momentaneo.
Buona lettura!




~~Erano le cinque del mattino ed Elisabeth si svegliò tutta indolenzita. Aveva il collo rigido, la schiena a pezzi e un piede completamente intorpidito. Inoltre, come se non bastasse, era terribilmente accaldata.
Ricordava di aver chiuso la finestra dopo che era ritornata dalla biblioteca. Colin era di nuovo piombato nel sonno e per evitare che prendesse un colpo d’aria e si raffreddasse aveva chiuso persino la porta. Ora, però, si sentiva una sciocca, dato che la stanza era calda quasi quanto un forno ed era più che sicura che il suo volto fosse  paonazzo.
Non che le importasse granché, si disse fiduciosa scrollando il piede e facendo una smorfia quando il documento di suo padre le cadde sul piede intorpidito.
 Maledizione!
Si chinò in avanti, lo racchiuse tra le mani e lo ripose sulla mensola vicino al letto a baldacchino di Colin.
Tra uno sbadiglio ed un lamento Elisabeth si mise in piedi, ignorando volutamente gli scricchiolii delle proprie giunture. D’altronde, esistevano delle ragioni per cui gli uomini non dormivano sulle sedie. Se avesse dovuto dormire in quelle condizioni anche la nottata seguente,  si sarebbe sdraiata a terra.
O magari vicino a Colin, le suggerì il piccolo diavoletto che aveva dentro di sé.
Elisabeth ignorò volutamente quel suggerimento e si avvicinò alla finestra, desiderosa di far passare l’aria viziata. Scostò le tende e sbatté le palpebre: nel cielo si scorgeva qualche striscia color rosa o pesca e sui campi aleggiava una bruma impalpabile. Elisabeth aprì la finestra ed incastrò il volto nello spazio tra i due battenti, riempiendosi d’aria i polmoni.
Colin stava ancora dormendo, povero cuore: aveva avuto la febbre alta per tutta la notte ed Elisabeth aveva trascorso tutto il tempo a tamponargli il volto con delle pezze bagnate, sino a quando il conte aveva mostrato dei segnali di ripresa.
Era allora che Elisabeth si era abbandonata alla stanchezza, solo due ore prima.
Si diresse sonnolenta verso Colin per accertarsi che la febbre non fosse tornata, precipitandosi sul fianco del letto.
Quando lo toccò trasse un sospiro di sollievo constatando che finalmente la febbre era calata .
- Grazie mille- disse con lo sguardo rivolto verso il cielo.
- Figurati - mormorò Colin di rimando.
Elisabeth emise un urletto sorpreso e balzò all’indietro.
- Scusami - rise Colin, schiarendosi la voce.
Elisabeth lo guardò di sottecchi e disse in tono impertinente - non stavo ringraziando te -
- Lo so - rise ancora.
Bhè, a quanto pareva non gli mancava ancora il senso dell’umorismo e, a dirla tutta, non le dispiaceva affatto.
Elisabeth addolcì la voce - Come ti senti? -
- Assetato… -
Elisabeth alzò un sopracciglio.
- …E decisamente meglio di ieri -
- Sul serio? -  chiese Liz con uno scintillio negli occhi mentre riempiva delicatamente il bicchiere d’acqua con la brocca.
Colin annuì e, per quanto gli concedeva la fasciatura, si stiracchiò; poi bevve con avidità due bicchieri d’acqua e si sdraiò sconfitto sui cuscini.
- Si prospetta una bella giornata, oggi -
Colin prese uno tra i tanti boccoli che sfuggivano a quella che un tempo doveva essere stata un’acconciatura dignitosa ed incominciò ad arricciarselo sull’indice.
Guardò Elisabeth reprimere uno sbadiglio ed arrossire per l’audacia del suo gesto.
Era assonnata e scombinata.
A Colin parve bellissima.
- Potrei, non so, portarti fuori. L’aria è fresca e credo che ti farebbe anche bene, ovviamente si sottintende che anche tu lo desideri. Personalmente a me piace uscire di prima mattina. - fece un sorrisino nervoso - Inoltre, credo di aver letto su qualche giornale che l’aria mattutina è davvero una tisana per chi soffre di asma. Hai mai sofferto di asma? Io no, ma c’è una mia cugina che da piccola aveva dei veri e propri attacchi d’asma. Credo che sia una malattia davvero terribile, sempre se escludiamo il vaiolo, il morbillo, la scarlattina, la rosolia, la difterite, la sifilide, il colera, la febbre gialla, il tifo, la poliomielite e… -
Colin, scosso dalle risate, si sistemò meglio sui cuscini. Non avrebbe dovuto scoppiare a ridere, ma non riuscì a trattenersi.
Elisabeth corrucciò lo sguardo - Non c’è nulla di divertente. Davvero.-
Egli ne era cosciente, ma Elisabeth aveva parlato con una tale gravità da rendergli impossibile prendere la cosa sul serio.
Soprattutto perché stava vaneggiando.
Ah, la sua Elisabeth.
- Io non riderei se fossi in te - incrociò le braccia e girò la testa verso la finestra in modo da impedirgli di toccarle nuovamente i capelli.
Era quella la causa per cui si sentiva tanto nervosa, quell’assidua  piacevole  tortuosa vicinanza.
Doveva calmarsi, si disse mentre la risata di Colin echeggiava ancora nella sua mente: nessun uomo aveva il diritto di farla sentire così nervosa.
Soprattutto se quell’uomo era suo ‘marito’.
- Perché non dovrei, ma chérie? - disse con un perfetto accento francese.
Elisabeth pensò che tanto fascino fosse illegale.
Perdio, doveva esserlo!
- Bhè…- decise di stare al gioco e lo guardò con malizia - parli nel sonno. -
- Sul serio? - chiese incredulo.
- Sul serio. Stanotte durante il tuo delirio estemporaneo hai bofonchiato qualcosa a proposito dei conigli.-
- Conigli? -
Elisabeth annuì - chissà a cosa stavi pensando. Al cibo? Oh, cielo - scattò in piedi - il tuo inconscio ti sta urlando di mangiare ed io me ne sono completamente dimenticata. Che pessima infermiera. -
Colin fu sorpreso dalla premura di lei e, bhè, in effetti avvertiva un languorino non indifferente.
- Hai fame, vero? Sono sicura che la cuoca sarà ben felice di preparare qualcosa per te. Sai, qui sono stati tutti molto gentili con me ed ovviamente con te. Non so se questo abbia a che fare con il fatto che sei un duca e che se volessi potresti riempire ogni singola stanza al semplice scrocchiar di dita, ma forse sto vaneggiando. -
- Sì. -
Elisabeth si allontanò dal letto in direzione della porta e lo guardò contrita - sì alla prima domanda o al fatto che sto vaneggiando? -
Colin si accarezzò pensieroso il mento dove aleggiava la barba dei giorni prima - Mhhh, che percentuale c’è di sopravvivere se rispondo affermativamente all’ultima opzione? -
Liz abbozzò un sorriso e si affrettò a dire sull’uscio della porta - nessuna, temo. -
- Allora scelgo la seconda alternativa -disse, persuasivo.
Elisabeth uscì dalla stanza.

 


Dopo aver mangiato, Elisabeth decise di lasciar riposare ancora un po’ Colin e nel frattempo si dedicò pienamente alla lettura del documento di suo padre.
Per le prime ore non ci trovò nulla di particolarmente significativo o allarmante, o almeno sino a quando giunse nello stesso punto in cui Coiln si era fermato qualche giorno prima.
“La feccia di questa società, il mio incubo peggiore, colui che affligge la mia esistenza senza remore: Leonardo.
Puro egocentrismo ed egoismo distribuiti in ogni.singola.parte.del suo corpo,ma evidenti soprattutto nello sguardo calcolatore e perennemente neutro.
Non riesco a non pensare a quanta gioia – seppur ignobile – ho provato nel sottrargli TUTTI i suoi beni, TUTTI i suoi soldi e SOPRATTUTTO la donna che tanto bramava, la mia dolce e bella Jane.”
Elisabeth tremò e sfogliò furiosamente le ultime pagine del documento, in cerca dell’unica cosa che avrebbe potuto finalmente scogliere quel dilemma.
Un cognome.
Illing.
Leonardo Illing.
IlLeo.
Elisabeth si mise una mano sulla bocca, sconcertata ed incredula nello stesso momento.
Finalmente aveva capito chi fosse il loro ricattatore e per un attimo fu tentata di alzarsi ed improvvisare una danza della vittoria.
Ebbene, Leonardo era stato l’acerrimo nemico del padre di Colin ed era comprensibile, ora come ora, che volesse indietro tutti i beni che gli erano stati sottratti, ma… Perché farlo con un ricatto?
Insomma, non sarebbe stato più risolutivo derubarlo o escogitare un piano di gran lunga più diabolico di questo, tipico dei cattivoni delle fiabe?
Liz fece spallucce e si stiracchiò riponendo con cura il documento sottochiave all’interno di un cassetto.
Sbadigliò in modo poco signorile e guardò l’ora: le cinque del pomeriggio?
Gesù, quanto tempo era stata dentro la sua camera?
Aveva promesso a Colin di portarlo fuori subito dopo pranzo, ed invece… Bhè, aveva fatto delle scoperte sensazionali, si disse orgogliosa mentre si guardava allo specchio, l’avrebbe senz’altro perdonata.
Si diresse con un ampio sorriso verso la stanza di Colin, dove la porta era accostata. La fanciulla appoggiò una mano sul battente di legno scuro e lo spinse con delicatezza. Infilò la testa nello spiraglio, si girò per poterlo vedere e... Fu molto sorpresa quando non lo trovò a letto. Una cameriera stava cambiando le lenzuola.
— Sapete dov’è lord Bekwell? — s’informò la giovane, con la speranza che non fosse successo nulla.
— È nella camera accanto. — Le guance della domestica si imporporarono. — Insieme al suo valletto.
Liz deglutì con un certo imbarazzo e arrossì di rimando, quando comprese che l’amico stava facendo il bagno. La cameriera lasciò la stanza con un fagotto di biancheria da lavare tra le braccia e la giovane restò sola, chiedendosi cosa fare. Non poteva attenderlo lì. Non era un comportamento corretto.
Decise, quindi, con un sospiro malinconico, di andare a fare un giro da sola.
Non che fosse il massimo del divertimento, ne era perfettamente concia, ma l’alternativa era restare in quella camera con le mani in mano vogliosa di sdraiarsi su quel morbido letto profumato e dormire fino all’alba del giorno seguente.
No, si convinse scendendo le scale in gran fretta: non era un comportamento per nulla fattibile.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 57
*** Capitolo 57. ***



                                                                                                                                    Capitolo 57.

 


Elisabeth non aveva idea di dove si trovasse in quel preciso istante.
Né, in realtà, di come vi fosse arrivata.
il perché avesse le mani legate dietro la schiena, un bavaglio sulla bocca ed i piedi legati.
Era appoggiata ad un fianco del letto e dinanzi a lei vi era un muro bianco.
Forse.
No, era decisamente grigio, anche se presentava delle chiazze più scure e… Bhè, forse non era esattamente il momento giusto per fantasticare sull’ipotetico colore di quel dannato muro.
Pensò che chiunque l’avesse ridotta in quello stato non aveva ritenuto opportuno bendarle gli occhi, anche perché la stanza era a tratti immersa nel buio.
Batté furiosamente gli occhi per adattarsi all’oscurità, tuttavia non riuscì a scorgere nient’altro se non quel freddo muro dal dubbio colore.
Aveva un’idea di chi fossero i rapitori, anzi, in un certo qual modo aveva quasi previsto una mossa del genere.
Ma cos’era successo?
“Pensa, Elisabeth, pensa!”
Era uscita quel pomeriggio per schiarirsi un po’ le idee e poi…poi…
Tutto era confuso, non riusciva a ricordare il momento esatto in cui l’avessero rapita.
Perché, se una cosa era certa, quello era sicuramente un rapimento.
Cominciò a divincolarsi, pur sapendo che era inutile. Si scostò dal letto, utilizzò i piedi come perno mentre si spostava in avanti con il resto del corpo, quando sentì dei passi provenire dall’esterno.
Improvvisamente una mano sulla maniglia della porta la face raggelare e ritornò in un instante nella stessa posizione di prima.
Chiuse gli occhi.
Tentò di trattenere il respiro profondo, veloce, affannoso, e mutarlo in uno più confacente ad una dolce fanciulla che dormiva.
Si raggelò quando dei passi fecero capolino ed andarono dritti verso di lei.
“Ancora non è sveglia”
Riconobbe quella voce, ed un brivido di consapevolezza prese a scorrerle lungo tutta la schiena.
Erano quei loschi tipi che avevano osato appiccare l’incendio nelle proprietà di Colin.
Colin…
Chissà se avevano preso anche lui.
Tentò di indirizzare tutti i pensieri su vecchi ricordi per tranquillizzarsi; e, difatti, sembrò funzionare.
“Si può soffocare dalla paura?”
Si accorse di star trattenendo ancora il respiro solo dopo che la porta fu chiusa da due manate e riaprì di scatto gli occhi.
“Si può morire di sollievo?”
Era impossibile uscire di lì.
Da sola.
Bhè, si disse a sé stessa: qualcuno doveva pur essersi accorto della sua sparizione.
O almeno così sperava.

 

 


“DOV’E’?”
Colin riuscì a dire solamente questo prima di scagliarsi contro la domestica che stava nelle stanze di Elisabeth.
“Chiedo scusa?”
“Ho detto” fece una pausa e tentò di calmarsi, ma il risultato finale fu un urlo d’ira “DOV’E’”
“Io non…” l’intera servitù era entrata nella stanza ed un valletto coraggioso si fece spazio tra Colin e la domestica, separandoli da un’eventuale aggressione.
“Non capisco, mio signore, io…”
Colin sentì dei passi frenetici provenienti dal piano di sotto e, senza neanche fermarsi a riflettere, sorpassò la servitù e si diresse sulle scale del piano terra premendosi la mano sul petto dolorante, dove trovò una domestica nell’intento di fuggire.
Nel vedere la donna allontanarsi sempre di più prese un candelabro che si trovava nelle vicinanze e lo lanciò sulla porta aperta, rendendole impossibile la fuga.
La paura che lo attanagliava lo rese persino più forte, ed oramai non riusciva neanche più a sentire il dolore che gli provocava la ferita.
Anzi, era proprio il dolore a renderlo forte.
Si avventò come un aquila su un coniglio e prese la donna per un braccio.
Questa, sgomenta, tentò di lottare.
“DOV’E’.”
“Non lo so… Io non lo so. Avevano detto che…”
Colin la prese per le spalle e la scosse violentemente fino a farle cadere il cappellino bianco “CHI? CHE COSA?”
“Mi fate male, signore…”
“Male?” chiese con sgomento, ed una ciocca di capelli ricci gli cadde sugli occhi ridotti oramai a due fessure cupe “dovrei farti impiccare per quello che hai fatto. DOV’E’ ELISABETH, DANNAZIONE”
La donna aprì la bocca ma non riuscì a spiaccicare una sola sillaba.
Colin tenne gli occhi fissi sulla donna, i capelli ricci completamente spettinati, la bocca ridotta ad una fessura, gli occhi azzurri che mandavano lampi e saette ed il cuore… Dio, il cuore gli batteva così veloce che non si sarebbe stupito se da un momento all’altro fosse scoppiato.
“Signor Bekwell” fece lo stalliere togliendosi il cappello e ritorcendolo tra le mani “c’è qualcosa per voi.”
Colin rimase con le mani sulle spalle della giovane e girò il capo quel poco che gli serviva per tenere sottocontrollo entrambi.
Lo stalliere gli pose un biglietto che egli prese senza alcuna esitazione.

Uomo avvisato, mezzo salvato. Se collaborate, la signora vivrà. Costerà parecchio, molto più del prezzo richiestvi prima.
Non parlate con nessuno.

 

 

Un paio di minuti dopo la sgradevole interruzione di quel losco tipo, Elisabeth si impose di rilassarsi per poter ragionare con lucidità. La rabbia era l’emozione che sovrastava di gran lunga la paura: come osavano rapire una duchessa?
Come osavano rapire Elisabeth Kerwin?
Cosa pensavano, che sarebbe stata zitta e muta in quel posticino come avrebbero fatto la maggior parte delle donne?
Animata da un grande coraggio si sforzò di mettersi seduta e cominciò ad esaminare la stanza, ma era davvero difficile vedere qualcosa con quella luce fioca.
Con minuscole spinte si spostò più vicino alla parete e vi poggiò sopra la guancia: era liscio e pulito, senza asperità o vernice scrostata.
Quei pochi elementi che riuscì a percepire rendevano impossibile l’identificazione del luogo in cui l’avevano condotta.
Sospirò sommessamente e voltò la testa verso la parete sul fondo. C’era una finestra, ma era oscurata da una pesante tenda di velluto. Rosso scuro, forse? Blu? Impossibile da dirlo.
Si chiese se sarebbe riuscita a scendere dal letto per guardare fuori. Sarebbe stato difficile: le avevano legato le caviglie così strette che c’erano poche speranze di muovere persino qualche piccolissimo passo. Con infinita cautela ruotò le gambe e si mosse gattonando vicino alla finestra; poi, appoggiandosi a vari mobili sconosciuti, si alzò e cercò di scostare la tenda con il viso. La condensa del suo fiato rendeva ancora più arduo riconoscere il luogo in cui l’avevano condotta, ma Elisabeth non si perse d’animo e vide…
Udì dei passi ed il cuore prese a battere all’impazzata. Trascinando i piedi e saltellando un poco, cercò di raggiungere il letto e riuscì a buttarvisi sopra proprio nel momento in cui la chiave girava due volte nella serratura.
“Il vostro respiro, signora, tradisce la vostra ansia” la redarguì il sequestratore.
Lei si fermò a fissarlo, incapace di giustificare l’affanno.
Quella voce non era nuova, ed Elisabeth rabbrividì quando sentì l’uomo sedersi accanto a lei sul letto.
“Sapete, contrariamente a ciò che si può pensare, provo profonda stima per voi, Elisabeth” continuò l’uomo sconosciuto.
La duchessa strinse gli occhi nel tentativo di identificare il volto dell’uomo ma non ci riuscì.
Prese a dimenarsi nell’ampio letto ed il sequestratore reagì con un sogghigno.
“Per essere così piccola fate davvero un gran bel casino”
Elisabeth cessò immediatamente di muoversi e soppesò tutte le parole dell’uomo: che l’avesse scoperta?
L’uomo si sporse verso di lei con le braccia protese e poi le ritrasse “Tuttavia, sono un uomo magnanimo mia duchessa. Volete che vi porti un po’ di te?”
Elisabeth gli lanciò un’occhiata carica di odio e sarcasmo che, evidentemente, la losca figura recepì perché rise sommamente “Oh, che stupido” fece lui “ non potete dire niente”
Lei si accostò e le slacciò il bavaglio.
Elisabeth tossì e impiegò parecchi secondi prima di riuscire a inumidire la bocca quel tanto da poter parlare “Chi siete?”
Egli sogghignò “speravo me lo chiedessi, amor mio”
La consapevolezza di conoscerlo le mozzò il fiato ed il  nome gli uscì carico di odio dalle sue labbra “Ruark.”
“Shh, sciocchina ” fece lui, mettendogli una mano sulla bocca “qui non sanno il mio nome.” Si girò cautamente in direzione della porta, quasi come se avesse paura che qualcuno potesse coglierlo da un momento all’altro “da oggi in poi chiamami Rich.”
“Tu… io… non… oh. Oh. OH, TU” carica di rammarico e rabbia si trattenne per non urlare “cosa ci faccio qui e cosa diavolo hai intenzione di...”
“Se non te ne fossi accorta “ la interruppe “sto cercando di aiutarti.”
Elisabeth fu tutt’orecchie e si raddrizzò sullo schienale del letto.
Ruark sospirò “ora non posso spiegarti, mio cuore, ma ho tutte le intenzioni di farti andare via da qui.”
“Ma… ma…C-c-ome? Perché? Quando?”
“Tempo al tempo, amor mio, tempo al tempo.”
In un batter di ciglia sentì Ruark alzarsi dal letto ed un secondo dopo serrare la porta.
Elisabeth fu così scombussolata dalle emozioni contrastanti che si accorse di star tremando: non sapeva se di paura, rabbia, sollievo, stanchezza. Cadde nell’oblio con stampata in mente l’immagine di due grandi occhi azzurri sorridenti.
Colin l’avrebbe salvata, n’era certa.







 

Aggiornamento finalmente portato al termine. Questa settimana finirò di pubblicare anche i capitoli delle altre mie storie e, a questo proposito, mi piacerebbe se voi deste un’occhiatina alla mia nuova fan fiction ‘Cuori d’inverno’ che è la storia sostituta di ‘Bocca di rosa’.
Un abbraccio!


Lady Sticklethwait.

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Capitolo 58
*** AVVISO. ***


Questa storia è in fase di RISCRIZIONE. Ho deciso di dare finalmente un finale alla vicenda, i protagonisti (Colin ed Elisabeth) sono rimasti invariati ma la trama è, a grandi linee, mutata. SE VOLETE DARE UN’OCCHIATA ALLA NUOVA VERSIONE DE ‘IL DUCA E LA RAGAZZA’, POTETE TROVARE IL PRIMO CAPITOLO SUL MIO PROFILO.

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