Questioni d'anzianità

di Littlefinger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Piacere, mi chiamo Neil McRoberts e sono un mago.
     Questo l’avrete capito dal fuoco fatuo che mi ronza intorno, il cappello a punta e il bastone intarsiato che mi porto sempre appresso. Scherzo, ovviamente; non indosso un cappello a punta, sono così fuori moda.
     Dicevo, mi chiamo Neil McRoberts e sono un mago, laureato cum laude nella città-stato di Xiam, centro mondiale del sapere scientifico. O almeno lo sarei se avessi discusso la tesi e non fossi andato via per… diciamo questioni di forza maggiore. Ma questa è un’altra storia.
     Quella di oggi era meno avventurosa, almeno in principio. Mi trovavo in un piccolo bar in uno sperduto paesino nell’entroterra sardo in compagnia di un’amica, mentre attendevo un collega. Mi dondolavo sulla sedia tenendo le spalle appoggiate al muro, Naturalmente ci trovavamo in un tavolo d’angolo. Nel nostro mestiere è d’obbligo non farsi sorprendere alle spalle: non voglio certo farmi servire una Dead Man’s Hand. Chiara era seduta alla mia destra e sorseggiava un bicchiere d’aranciata. Mi voltai a guardarla, perché, diamine, era proprio uno spettacolo. Aveva due occhi neri incantevoli e un visetto con due gote paffute che mettevano in evidenza le fossette sulle guance quando sorrideva. Teneva i capelli castani legati in una coda di cavallo e la tuta da ginnastica che indossava non rendeva giustizia al suo fisico atletico. Si accorse che la guardavo e mi sorrise. Un sorriso lievemente divertito, come a dirmi “Sogna pure”. Che donna!
     La porta del bar si aprì ed entrò un robusto uomo di colore. Robusto era riduttivo: alto quasi due metri e con cento chili di muscoli guizzanti, Jebediah Spencer non era passato nella NFL per un soffio. Aveva quindi deciso di dedicarsi alla sua seconda passione e si era avventurato nell’allegro mondo dei PMC (Private Military Contractor), o mercenari, come dicono nei film.
     «Salve, Neil.» disse, mentre si sedeva al tavolo. «Chiara, è sempre un piacere vederti.» La donna ricambiò il saluto con un cenno della testa.
     «Salve, Big J. fatto buon viaggio?» Jebediah è un nome troppo lungo per i miei gusti e il “Big” si spiega da solo.
     «Tranquillo, anche se le coordinate che mi hai dato per il Salto mi hanno fatto quasi finire dentro un porcile.»
     Ridacchiai. Da qualche anno era consuetudine che gli preparassi dei Salti in posizioni abbastanza strane. “Saltare” era un modo di dire che indicava l’utilizzo di portali magici per compiere lunghi spostamenti. Solitamente si preparava un luogo in cui si potesse aprire un Portale e il viaggiatore usava un oggetto incantato per utilizzarlo. Poi serviva un altro oggetto che “conteneva” le coordinate magiche del punto d’arrivo, con il quale il viaggiatore poteva attraversare con sicurezza il Portale e arrivare nel luogo voluto e non, che so, nella tana di un drago o in una dimensione popolata da demoni birichini. Poi vi erano anche altri tipi di Portali, per altre occasioni: viaggiare in gruppo, con destinazione fissa  e via dicendo. Meglio che non mi dilunghi in questioni tecniche.
      Avevo un Portale disponibile vicino a tutte le località importanti – Londra, Praga, Las Vegas per citarne alcune - ma la Sardegna non era fra queste. Io ero arrivato in aereo e ne avevo preparato uno apposta per l’occasione, con l’aiuto di Chiara.   
     Jebediah non aveva nessun talento magico, ma la nostra professione richiedeva l’apprendimento di qualche trucco per viaggiare comodi e non morire con troppa facilità. La stessa cosa valeva per Chiara. Anche lei non aveva nessun addestramento nel campo della magia, ma aveva qualche asso nella manica.
     La donna posò il bicchiere e disse: «Ora che anche Big J è arrivato puoi sputare il rospo e dirci di cosa si tratta.»
     Sempre dritta al punto. «Un lavoro di routine. L’obiettivo si è rintanato da qualche parte nelle montagne e bisogna stanarlo.» dissi.
     «Nelle montagne? Non sulle?» chiesi Big J curioso.
     «Sì, dentro le montagne. È nascosto in una caverna.»
     «Dobbiamo prenderlo vivo o morto?»
     «Indifferente. Quindi, se il gioco diventa pericoloso, prendiamo la via sicura.»
     Jebediah annuì. «Meglio lui che noi.»
     «Quanto è protetto? Solo sgherri acqua e sapone o anche qualche simpaticone sovrannaturale? Non vorrei finisse come l’anno scorso a La Paz.» disse Chiara.
     «Proprio no.» concordò l’altro.
     A La Paz erano successe un paio di cose non proprio piacevoli: demoni delle Sfere Esterne e bazzecole simili. «Secondo il mio cliente solo l’obiettivo possiede addestramento magico.» risposi. Chiamai la cameriera per ordinare dell’altra aranciata. Avrei preferito una bella birra ghiacciata, ma sul lavoro non si beve. Altra regola del grande gioco del piccolo mercenario.
     «E suppongo che tu sia in grado di tenergli testa.» disse Chiara.
     «Ovviamente! Sono o non sono Neil McRoberts, laureato cum laude…»
     «Sì, sì» m’interruppe  «sappiamo la storia.»
     «Tu che ne pensi, Mic?» disse Jebediah.
     Mic è il mio Spirito, il fuoco fatuo che mi ronza attorno di cui parlavo prima. Si manifestò durante la mia prima esercitazione, quando avevo otto anni e quasi distrussi il laboratorio della scuola. Da allora non ha più smesso di rompermi le scatole. Per dovere di cronaca - e non per il puro gusto di vantarmi – è un 5k. Negli Orbitali sopra di lui ci sono Spiriti il cui potere non è descrivibile con la nostra fisica. E il mentore di Merlino. Sì, avete capito bene, quel Merlino.
     Mic svolazzò intorno all’energumeno. «Non dovrebbero esserci problemi. La Paz ha insegnato a Neil che non si deve evocare ciò che poi non si è in grado di rispedire indietro.»
     «O ciò che può a sua volta evocare qualcosa che non possiamo prendere a calci nel didietro. Sì, lo sappiamo. Abbiamo tutti letto Lovecraft.» replicai. «Ora basta parlare di La Paz.»
     «Le informazioni che ci ha passato il cliente ci dicono che ha un addestramento minimo. Un qualsiasi studente di primo livello potrebbe tenergli testa.» disse Mic. «Inoltre abbiamo fatto una ricognizione prima che arrivaste e non abbiamo individuato nessuna radiazione magica fuori dalla norma. Uno stregone di un certo livello non può nascondere l’aura magica che irradia.»
     «Se ci fosse stato un vero mago ce ne saremmo accorti.»
     «Allora non dovrebbero esserci problemi di sorta.» disse Chiara, mentre si alzava, seguita subito da Jebediah. «Domani ci ritroviamo qua?»
     Annuii e mi alzai anche io. «Dimenticavo. L’obiettivo è un vampiro.»
     La sorpresina paralizzò i due. Poi mi guardarono scocciati e Chiara scosse la testa. Alle donne faccio sempre quell’effetto.
     «In quale universo “eliminare un vampiro” è un lavoro di routine, Neil?» si lamentò Jebediah.
     «Ecco l’inghippo!» aggiunse Chiara. «Un vampiro! Mi sembrava strano che fosse un lavoro facile facile.»
     «Un vampiro!» ripeté , mentre usciva dal bar.
    
     Se vi è mai capitato di partecipare a un’escursione in montagna sapete che non è il massimo del divertimento, almeno secondo il significato che do alla parola. Scarpinare lungo sentieri accidentati, mentre il sole mi martella sulla schiena non è fra i miei hobby. Preferisco di gran lunga sedere in un pub a gustare un buon whisky oppure in uno strip club a godermi una lap dance. Questione di gusti. Se poi aggiungete il fatto che il lavoro del mago è molto sedentario – ore e ore a leggere libroni e studiare vecchie pergamene, anche se l’avvento dei computer e d’Internet ha facilitato le cose – e che Chiara e Jebediah erano molto più in forma di me, potete immaginare come mi sentissi felice nel vederli qualche metro avanti a me che saltellavano sulle rocce come due dannati stambecchi.
     Entrambi avevano sulle spalle uno zaino tattico che pesava almeno venti chili. Il mio equipaggiamento era molto più leggero e su quel fronte non potevo lamentarmi. Oltre all’immancabile zaino in cui tenevo acqua e cibo, portavo con me solo il bastone e una Glock che tenevo nei jeans, nascosta alla vista dalla larga felpa che indossavo. Se mi state immaginando vestito come Gandalf il Grigio, vi state sbagliando di grosso. Niente cappe, cappelli a punta, vesti lunghe con cappucci o lunghe barbe bianche. Come Jebediah e Chiara, portavo un paio di jeans scadenti e una felpa grigia, comprati il giorno precedente al supermercato, scarpe da tennis e un cappellino da baseball per riparami dal sole. In effetti, il bastone – superava la mia testa di almeno tre pollici - può ricordare Gandalf. Attendo con ansia l’occasione di gridare “Tu non puoi passare!” e far saltare un ponte.
     Arrivammo sull’obiettivo nel tardo pomeriggio. L’imbocco della caverna in cui il vampiro si nascondeva si trovava vicino a un nuraghe. L’antica costruzione si stagliava imponente sull’ingresso della caverna, nonostante il tempo non gli fosse stato clemente. Vista la sua posizione in cima all’altura, in antichità probabilmente veniva usato come avamposto e punto di controllo. All’interno si distinguevano due uomini armati di Kalashnikov che discutevano fra loro, mentre fuori, a guardia della caverna, c’erano altri tre uomini, intenti a fumare e giocare a carte.
     «Vi pare il modo di fare il proprio lavoro? Ci manca solo che siano ubriachi!» commentò Chiara. «Rovinano l’immagine della categoria.»
     «Chi ti dice che siano dei PMC? Magari sono solo dei cultisti che adorano il vampiro.» disse Jebediah.
     Ridacchiai. «Sono i fanboy del vampiro.»
     «Suvvia, non scherziamo.» disse Chiara, dopo aver riso a sua volta. «Slavi armati di Kalashnikov, è  ovvio che siano colleghi. Piuttosto maldestri, ma pur sempre colleghi.»
     «Regole d’ingaggio?» chiese Jebediah, mentre ci avvicinavamo all’obiettivo e le guardie si accorgevano della nostra presenza.
     «Fingiamoci dei simpatici escursionisti e appena capiscono che non lo siamo e mettono mano alle armi, cominciamo la sinfonia Parabellum.» dissi, anche se in realtà non ero sicuro dei violini che avrebbero suonato Jebediah e Chiara. Il primo era un aficionado della Heckler&Koch e solitamente usava un MP-5, mentre Chiara preferiva usare due Beretta 92.
     «Roger, capo.» dissero, quasi in contemporanea.
     Misi da parte le pignolerie sulle mie baggianate e mi concentrai, attingendo all’energia che si trovava nel mio corpo e tutt’intorno. Usare la magia elementare non richiedeva un grande equipaggiamento, almeno al mio livello. Certo, un bambino che impara ad accendere una candela o formare un cubetto di ghiaccio in una bevanda in principio ha bisogno di qualcosa – oggetti, parole, movimenti; vettori, se vogliamo usare il termine tecnico – per incanalare l’energia e produrre il fenomeno che vuole produrre. Con l’esperienza si migliora la propria abilità nel concentrarsi e nel sentire l’energia, per cui si può fare a meno dei vettori. Naturalmente se volessi fare qualcosa di complicato – che so, deviare l’orbita di un satellite geostazionario – anche io avrei bisogno di vettori, e tanti, ammesso e non concesso che sia in grado di controllare l’energia richiesta senza ammazzarmi.
     Questo è l’altro inghippo nell’utilizzo della magia: non si possono bypassare le leggi della termodinamica e della fisica in generale. Per cui, se volessi far precipitare il suddetto satellite, dovrei fornire all’incantesimo almeno l’energia necessaria per il cambio di orbita. Dico almeno perché se il Primo Principio dice che non possiamo vincere, il Secondo dice che non possiamo nemmeno pareggiare; entropia e via dicendo, non voglio farvi una lezione di fisica.
     In parole povere, avrei potuto far esplodere – letteralmente far esplodere - con molta facilità, e tanta violenza, i tre mercenari che ci venivano incontro, ma dopo i miei amici avrebbero dovuto attaccarmi una flebo al braccio e portarmi con urgenza all’ospedale più vicino.
     «Allontanatevi.» gridò una delle guardie, in un italiano stentato.
     «Siamo solo dei poveri escursionisti che si sono persi.» gridai di rimando, mentre caricavo l’energia sul bastone. Prima mentivo, anche io uso un vettore. Altrimenti perché mi porterei dietro un bastone? Mica sono zoppo.
     I mercenari ormai erano a distanza di tiro e si leggeva chiaramente nei loro movimenti che non avevano intenzione di essere gentili con i poveri escursionisti che si erano persi. «Musica, maestro.» dissi.
     Mi voltai a sinistra e vidi Jebediah che con un gesto della mano apriva un Portale; come un piccolo strappo in una tenda, solo che la tenda era la nostra realtà e dall’altra parte c’era una differente dimensione. Un’applicazione rozza e grossolana degli incantesimi di trasporto, ma non mi soffermo a spiegarvi la teoria che c’è dietro, non vorrei tediarvi. E soprattutto non ne ho voglia.
     Jebediah infilò la mano nello strappo e tirò fuori il suo SMG e contemporaneamente mise il colpo in canna. Era un MP-5, avevo indovinato. Dieci punti per Neil.
     Alla vista dell’arma, i tre mercenari sollevarono i loro mitra, ma a mia volta puntai il bastone su di loro e rilasciai un po’ dell’energia che vi avevo immagazzinato. Una potente folata di vento li fece sbilanciare e persero l’equilibrio.
     «Fico!» dissi. «Un Portale per non doversi portare appresso le armi pesanti. Vorrei tanto essere un mago e poterlo fare anche io! Nevvero, Chiara?» Mi girai a destra, ma Chiara era sparita. Un istante dopo, spari di piccolo calibro echeggiarono all’interno del nuraghe e subito furono accompagnati dalle ritmate raffiche  dell’arma di Jebediah, che finiva gli uomini a terra. Chiara apparve subito dopo alla porta del nuraghe, con le pistole puntate sull’imbocco della caverna; due Beretta 92. Altri dieci punti per Neil McRoberts.
     Jebediah imitò Chiara e si spostò velocemente in un punto riparato per tenere sotto tiro la caverna. Invece, io, lo stregone pigro e fuori allenamento, presi una barretta di cioccolato dallo zaino e la divorai in un paio di bocconi. Come vi dicevo, usare la magia consuma tanta energia e il cioccolato aiuta a ripristinare in fretta un po’ di zuccheri. Soprattutto è decisamente più buono delle maltodestrine. Sul serio. Un mio vecchio collega si portava appresso solo borracce d’acqua e di maltodestrine; sembrava un ciclista. Beveva come una spugna, ma devo ammettere che il metodo era molto efficiente. Lo uccise un lupo mannaro che lo sorprese mentre faceva pipì. La morale è che ogni tecnica ha i suoi punti deboli.
     «Che si fa? Entriamo?» La voce di Chiara mi distolse da quei pensieri importanti. O meglio, mi riportò a terra a pensare al lavoro.
     «Un attimo.» Mi avvicinai con cautela all’ingresso mentre studiavo con attenzione il fluire dell’energia magica intorno alla caverna. Volevo essere certo che il caro vampiro non avesse piazzato qualche trappola o qualche allarme. Diamine, gli spari erano stati un più che chiaro avvertimento e là sotto, chiunque ci fosse, si stava preparando a riceverci. Il miglior piano d’azione era quello di entrare in fretta e non dar loro il tempo di organizzarsi.
     Non vi era nulla di strano intorno alla caverna. Nessun segnale di attività magica, escludendo quella radiazione di fondo che permea qualunque luogo in cui sono presenti esseri viventi. Era lievemente superiore alla norma, in particolare intorno al nuraghe. L’aveva notato anche Mic durante la ricognizione, ma avevamo deciso che dipendesse dalle condizioni della zona.  La magia non è statica, si diffonde lungo grandi linee. È una sostanza in equilibrio dinamico, se vogliamo essere tecnici. Basta anche una variazione delle condizioni climatiche per modificarne il comportamento.
     Alzai il pollice per indicare il via libera e Jebediah entrò nella caverna. Io lo seguii subito dopo, mentre Chiara chiuse la formazione. In un ambiente stretto come quel tunnel, mandare avanti il nostro peso massimo era la soluzione migliore: se il combattimento fosse diventato ravvicinato o avessimo incontrato qualcosa armato di zanne e artigli, Big J aveva molte più possibilità di sopravvivenza rispetto a me e Chiara.
     Il tunnel era libero da qualsiasi ingombro e scendeva dritto come un fuso, con una lieve pendenza. Ci muovevano lentamente, quasi strisciando lungo le pareti per evitare di far da bersaglio a eventuali cattivoni appostati nell’ombra. Stare al centro del tunnel controluce era l’equivalente di appenderci al collo un’insegna al neon con scritto “Sparate qua, amici!”.
     Dopo una decina di passi, la luce che arrivava da fuori divenne insufficiente e la visibilità calò rapidamente. Mi sarebbe piaciuto alzare il bastone e dire “Shirak!” per evocare magicamente una luce, ma vale la considerazione precedente riguardo i facili bersagli. Invece, aprii una tasca dello zaino, tolsi fuori un paio di occhiali da sole e li indossai. Come per magia, il paesaggio si era colorato di quelle tinte verdi tipiche dei visori notturni. In effetti era proprio magia – ba-dum tish - quegli occhiali erano incantati in maniera tale da fungere proprio da visori notturni. Inoltre erano meno ingombranti dei modelli usati dai militari acqua e sapone. Ed erano alla moda. Jebediah e Chiara mi aveva imitato e avevamo ripreso la discesa.
     Camminare attaccati al muro, senza poter guardare dove si mettono i piedi, è un esercizio lento e stressante. Non guardi a terra perché hai lo sguardo fisso avanti per non farti cogliere di sorpresa e a ogni passo muovi il piede lentamente strisciando il tallone sulla parete, per seguirne il profilo. Poi lo posi piano cercando di non fare troppo rumore. Ripeto: lento e stressante. Si percorrono distanze piccole in tempi enormi ed è faticoso.
     Sono accortezze fondamentali quando gli obiettivi sono umani, ma lasciano il tempo che trovano quando si tratta di attaccare un predatore sovrannaturale. I vampiri fondamentalmente sono degli esseri umani, ma possono affinare con facilità i propri sensi tramite la magia, per cui non era scontato che non si accorgesse di noi. Per il nostro metro di giudizio potevamo pure essere silenziosi, ma magari il vampiro sentiva un fracasso stile concerto rock. Magari non aveva nemmeno bisogno di occhiali chic per vedere al buio.
     Il piano d’azione migliore sarebbe stato quello di svuotare un’autobotte di napalm dentro la caverna, poi lanciarci una dozzina di molotov e infine far crollare tutto. Così però non avremmo potuto confermare l’eliminazione del bersaglio e ci sarebbe toccato rinunciare la ricompensa, per cui non ci rimaneva che utilizzare la solita tattica e sperare di non diventare la cena dell’obiettivo.
     La domanda da un milione d’euro era perché stavamo scendendo indisturbati. Mi sarei aspettato una dozzina di mercenari che ci davano il benvenuto lanciandoci un po’ di confetti di piombo, oppure direttamente Mr. Dracula che ci correva incontro per farci a pezzi.
     Invece nulla.
     Proseguimmo nel tunnel per una decina di metri, fino ad arrivare a una porta di legno. Dalla base filtrava della luce. Jebediah si era già piazzato su un lato, pronto a fare irruzione. Con un gesto della mano indicai a Chiara di posizionarsi dalla parte opposta e mi preparai ad aprire la porta.
     “Aprire” era un eufemismo.
     Alzai la mano sinistra e concentrai dell’energia sul palmo fino a quando non apparve una sfera di fiamme azzurre. Mormorai una parola e il proiettile magico schizzò contro la porta, facendola saltare dai cardini e spingendola violentemente all’interno, accompagnata da una forte esplosione. Jebediah lanciò una flashbang dentro la stanza e ci coprimmo gli occhi. Dopo la detonazione, Big J entrò con l’arma in posizione di tiro. Fece in tempo a sparare una raffica e poi lo vidi volare verso destra, spinto da un attacco invisibile. Lo seguii dentro e mi preparai a lanciare una seconda sfera esplosiva contro la figura che si distingueva fra la nube di… polvere? Nebbia? Qualcosa d’indefinibile... che riempiva la stanza.
     Nell’istante che lanciai il mio attacco capii che qualcosa non andava. La palla azzurra sembrò rimbalzare su un muro e ritornò verso il mittente. Feci appena in tempo ad alzare il bastone ed evocare uno scudo magico per proteggermi. La sfera esplose sul muro invisibile, a pochi centimetri dalla mia faccia, e l’esplosione mi fece volare contro la parete.  La vista mi si riempii di puntini colorati, mentre scivolavo sul muro fino ad accasciarmi a terra.
     «Stai sveglio, Neil» mi dissi, nonostante tutto il mio corpo gridasse il contrario. Avevo preso una bella botta, ma lo scudo aveva assorbito gran parte dell’energia cinetica dell’esplosione e i danni erano minimi: solo qualche livido al posto di ustioni di terzo grado.
     Nella nebbia – o qualsiasi cosa fosse – vedevo due figure muoversi molto velocemente. E non intendo “Usain Bolt-velocemente”, ma “Superman-velocemente”. Chiara stava dando del filo da torcere a Mr. Dracula. Le silhouette sembravano danzare, mentre si scambiavano colpi con delle armi. Chiara – non potevo non riconoscere la sua figurina da ginnasta con le tette - stava usando il suo solito pugnale da combattimento, mentre il vampiro aveva un’arma più lunga, probabilmente una spada.
     Cercai di studiare la nebbia, perché era chiaramente un incantesimo che il vampiro stava usando per complicarci la vita. Mi concentrai per annullarlo, mentre Chiara lo teneva occupato. Non era nulla di astruso – una banale condensazione del vapore acqueo presente nell’aria - e mi bastò tagliare il contatto fra l’incantesimo e la mente dell’evocatore. Nel caso d’incantesimi semplici, una volta rimossa la fonte di energia, il fenomeno decade quasi istantaneamente.
     Quando la nebbia svanì mi si presentò una scena che sembrava tratta da un film di Tarantino.
     «E vai con lo stallo alla messicana!» esclamai, mentre mi rialzavo aiutandomi col bastone.
     Il vampiro era in piedi e puntava la spada – una striscia o, come dicevano i francesi, rapière – alla gola di Chiara, che stava in ginocchio e a sua volta teneva la pistola puntata sul cuore del vampiro. Il braccio sinistro le pendeva molle sul fianco e del sangue colava formando, una pozzanghera accanto al suo ginocchio. Jebediah si era rialzato e teneva l’MP-5 puntato su Mr. Dracula, che lo teneva sotto tiro con una pistola. Il pugnale della donna si trovava qualche passo più in là, probabilmente scaraventato via da un colpo di spada.  I tre erano pronti a farsi fuori a vicenda, in caso l’altro facesse una mossa sbagliata. Come al solito, io ero stato tagliato fuori dal divertimento.
     Immagino che ora vi starete chiedendo perché il vampiro si trovava in pericolo: non bisogna usare un paletto di frassino per ucciderne uno? Forse era vero in passato, quando non esistevano fucili di precisione che permettevano di abbatterli comodamente da un chilometro di distanza. In realtà, il manuale del perfetto killer spiega come traggano il proprio potere dal sangue, quindi l’importante è dissanguarli; e colpire il cuore è un ottimo metodo. Oppure farli deprimere affinché si taglino le vene nella vasca da bagno, ma questo sarebbe più complicato. Nonostante la loro reputazione letteraria li renda abbastanza spaventosi, nella realtà i vampiri non sono così pericolosi.  Almeno questi, perché ne esistono di un tipo ben più spaventoso, ma così rari che incontrarne uno è così improbabile che l’ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione.
     Per cui bastava che Chiara premesse il grilletto e Mr. Dracula era storia passata. Magari non sarebbe morto all’istante, ma ci avremmo pensato Big J e io a farlo a pezzettini.
     La donna sembrava brillare di luce propria. Era più radiosa. No, non sono innamorato di lei, cioè sì, ma non era quello il motivo. Il suo braccio continuava a sanguinare, ma non ero preoccupato. Lei era speciale, era una…
     «Una jana.» disse Mr. Dracula, compiaciuto. «Non sapevo che fossero in grado di combattere.»
     Io avrei detto fata, ma il succo era quello. Le janas sono un’antica razza di fate di origine sarda. Piccole fatine luminose che tessono con un telaio d’oro e vanno per le case a chiedere lievito per il pane. Mi piaceva chiamarle fate domestiche. Nomignolo che mi aveva fatto guadagnare uno schiaffo da parte di Chiara. Il folklore però aveva dimenticato le parti più interessanti, come velocità e resistenza sovrannaturali, talento innato per la magia e altri trucchetti utili nel nostro campo. E non dimentichiamo le tette spettacolari, anche se forse è solo una caratteristica di Chiara, visto che non conosco altre janas.
     «Il lavoro parla di vivo o morto.» dissi. «Quale opzione preferisci?»
     L’uomo si mise a ridere. «Potrei scegliere una terza opzione.»
     «Cioè?» Ora che la situazione era diventata meno frenetica mi presi due secondi per studiarlo. Aveva l’aspetto di un uomo di mezz’età ed era vestito come un pastore: pantaloni e giacca di velluto, stivali alti e berrìtta in testa. Portava diversi coltelli a serramanico appesi alla cintura. A prima vista non sembrava un tipo pericoloso.
     «Vi uccido tutti.» Si passò la lingua sulle labbra, come a gustare il momento in cui l’avrebbe fatto.
     Deglutii rumorosamente. Avevo abbastanza esperienza da distinguere una minaccia a vuoto da un dato di fatto e quella non era una minaccia. Il solito problema di quando il datore di lavoro ti forniva informazioni completamente sballate. Ci aspettavamo una barca a vela e invece eravamo andati a sbattere contro una corazzata, se mi passate la metafora nautica. Quel tizio maneggiava la magia molto bene, fisicamente teneva testa a Chiara e sembrava in grado di tirare di scherma e sparare contemporaneamente.
     «Stai bluffando.» dissi, cercando di mettere in mostra la mia espressione più sprezzante. «Oppure hai una terza mano con la quale mi stai tenendo sotto tiro.» Sentii Big J farsi sfuggire una risata.
     «Posso tranquillamente uccidere questi due e avere abbastanza tempo per sgozzarti, prima che tu possa pensare a quale incantesimo usare.» rispose.
     «E io dico che posso farti esplodere il cuore prima che tu possa dire bah.» disse Chiara. La luce che emanava il suo corpo sta aumentando d’intensità e cominciava a superare le lampade a fluorescenza che illuminavano la stanza.
     «Io le darei ascolto, Dracula. L’ultimo folle che ha sfidato Chiara in una gara di velocità ora sdraiato comodamente dentro una bara.»
     Il vampiro sorrise nuovamente. «Anche se mi arrendessi non so proprio come possiate consegnarmi al vostro capo. Probabilmente mi uccidereste non appena abbasserei le armi.»
     «Probabilmente.» ripetei.
     «Dunque siamo in una situazione di stallo.» disse Dracula. Era proprio un tipo sveglio.
     «Complimenti, Capitan Ovvio.» disse Big J.
     C'era solo un modo per sbloccare la situazione: fare qualcosa di stupido e folle che lasciasse di stucco il pastore vampiro.
     «Piano C.» dissi, per avvertire i miei compagni. Voleva dire: sto per fare una cretinata, state pronti.
     Battei a terra il bastone e scaricai al suolo tutta l’energia che avevo a disposizione. La terra intorno a noi cominciò a tremare violentemente.
     Perdemmo tutti l’equilibrio.
     Dracula sparò un paio di colpi, ma rimbalzarono sulla parete senza colpire nessuno. Chiara si era già allontanata e la spada la ferì solamente di striscio. Jebediah fece fuoco e una raffica colpì il vampiro a una gamba. Fra quello e il mini terremoto, Dracula cadde a terra. Fu una sfortuna, visto che così schivò i colpi sparati da Chiara. La caverna continuava a tremare e piccole rocce cominciavano a staccarsi dalla volta. Bisognava accelerare i tempi. Lanciai una folata di vento per costringere il vampiro a stare a terra e contemporaneamente Chiara e Jebediah scaricarono le loro armi su di lui. Un grido lacerò l’aria, poi più nulla.
     «Mission accomplished!» dissi, imitando l’accento texano. «Ora leviamoci dalle scatole prima di rimanere intrappolati!»
     «Forse è meglio che venga un secondo a guardare il cadavere.» mi disse Jebediah.
     Mi avvicinai, aspettandomi di trovare il pastore vampiro in formato groviera, sopra un lago di sangue.
     Mi sbagliavo. Il cadavere si stava sgretolando come se fosse stato una statua d’argilla.
     «Questo lavoro è stata una completa presa in giro.» borbottai. «Che diavolo abbiamo ucciso? Un vampiro? Un golem? Un “che diavolo abbiamo appena affrontato”?»
     «Sappi che voglio essere pagata ugualmente.» brontolò Chiara, mentre correva verso l’uscita, seguita a ruota da Big J.
     «Può bastare.» disse una vocina squillante. La caverna smise di tremare.
     Subito ci fermammo per cercare l’origine di quella voce. Spazzammo tutta la caverna con le armi alzate, ma non c’era nessuno.
     «È stato un bello spettacolo, ma ora basta.» continuò la voce misteriosa. «Siete molto efficienti e mi avete anche fatto divertire. Oppure hai una terza mano…» Una risata argentina risuonò nella caverna. Era un suono piacevole, alleggeriva le preoccupazioni. Non sentivo più la tensione del combattimento e del rischio di rimanere sepolto vivo. E questo era un male: mai abbassare la guardia in situazioni di potenziale pericolo. Per quel che ne sapevo poteva essere l’incantesimo di un folletto per distrarmi e farmi fuori con facilità.
     All’improvviso, un bambino comparve dal nulla nel centro della caverna. Era vestito con il tipico costume sardo, rosso, nero e bianco, ma la prima cosa che mi colpì del suo aspetto furono gli occhi castani. Si spostavano velocemente, osservandoci con attenzione. Distolsi lo sguardo perché ero certo che se li avessi fissati troppo a lungo, quell’essere mi avrebbe sopraffatto.
     Il tizio – ovviamente non era un vero bambino, chi mai poteva pensare che fosse un bambino? – era uno stregone. O un mago. O fattucchiere. Non so, non ricordo mai la terminologia corretta per differenziare gli usufruitori di magia. Il bimbo, al di là del termine, era forte. Potevo vedere l’aria intorno a lui vibrare, tale era l’aura di potere che emanava. Probabilmente avrebbe potuto ucciderci tutti e tre in un batter d’occhio, senza nemmeno troppo sforzo. Per fare un paragone calcistico, se io ero un centrocampista che militava in una modesta squadra di Serie A, lui era il cugino bravo di Messi. Mi chiesi come fosse stato possibile che Mic e io non ne avessimo individuato la presenza.
     Se lui era il vero obiettivo e il vampiro d’argilla era un’esca, eravamo in guai seri. Eravamo sprofondati nella merda fino al collo, se vogliamo usare un francesismo. Anzi, fino al collo è riduttivo; fino al naso rende meglio l’idea.
     Il bambino si mise ad applaudire. «Bravi, bravi. Ho fatto bene a scegliere voi. Sapete il fatto vostro.»
     Tirai un sospiro di sollievo, lui era solo il committente del lavoro.
     Grazie al cielo.
     Quel giorno non avevo voglia di morire.
     Chiara fu la prima ad abbassare l’arma.
     «E poi non mi aspettavo una jana!» continuò il bimbo. «Le tue simili solitamente non sono interessate alla guerra. Preferiscono tessere e fare il pane.» Sorrise. «Ti serve del lievito?»
     Le guance di Chiara si tinsero di rosso, ma si trattenne dal rispondere a tono e chinò il capo in segno di rispetto. «Maskinganna.» disse semplicemente.
     «Maskinganna?» esclamammo Big J e io praticamente all’unisono.
     Il bambino si lanciò nell’esecuzione di un’elaborata riverenza. «Al vostro servizio.» Fissò Chiara per un lungo istante, studiandone le fattezze. Poi sorrise, come se si fosse ricordato di qualcosa.
     «Mic.» chiamai. Lo spirito apparve nella sua solita forma di fuoco fatuo. Svolazzò intorno alla caverna, poi si fermò all’improvviso di fronte al bambino.  Ci girò attorno un paio di volte e tornò indietro, posandosi sulla visiera del mio cappellino.
     «Perché diavolo stiamo nella stessa stanza di un Lord delle fate?» disse, teso.
     «Un Lord delle fate?» ripetei. «È il nostro committente, Mic.»
     «È un Lord della corte fatata sarda, un Lord.» Mic scandì la parola lettera per lettera. «Noi abbiamo i Seelie e gli Unseelie, gli irlandesi hanno gli Aes Sidhe, c’è la Tylwyth Teg in Galles e anche in Sardegna hanno la propria corte, l’Areu Afadau
     Il bambino non sembrava molto preoccupato che si stesse parlando di lui come se non fosse presente. Guardò con curiosità Mic e disse: «Un Spirito della Conoscenza che proviene dalle Sfere Esterne. Sei fortunato ad avere un simile mentore, Neil McRoberts.»
     «Glielo dico sempre.» aggiunse Mic. Si rese conto che l’atmosfera era molto rilassata e si calmò. «Quindi non siamo nei guai? Non hai offeso Lord Maskinganna?»
     Mi tolsi il cappellino e lo agitai per far allontanare Mic. «No, non ho offeso nessuno. Per ora.»
     «Neil!» Chiara mi lanciò uno sguardo adirato.
     «Deve spiegarmi il perché di questa messinscena. E tu, Mic, devi dirmi perché non abbiamo individuato la sua presenza.»
     «Il nuraghe.» disse Maskinganna, indicando verso l’alto con un dito.
     Rimasi a bocca aperta. E altrettanto avrebbe fatto Mic, se avesse avuto una bocca.
     Era ovvio. Come dicevo prima, la magia non è qualcosa di statico, è in equilibrio dinamico. L’energia si diffonde lungo grandi linee, dai punti in cui è maggior concentrata verso le zone in cui è più rara. Al mondo esistono luoghi di potere da cui la magia “nasce”, se mi passate il termine non proprio tecnico. Ed esistono altri luoghi in cui essa tende ad accumularsi. Luoghi antichi d’importanza storica, luoghi di culto, campi di battaglia. Luoghi in cui una grande quantità di persone hanno provato le stesse emozioni, eseguito gli stessi rituali, trovato la morte. Stonehenge, Ichen Itza, Waterloo, il Colosseo, la Basilica di San Pietro a Roma, Bannockburn, Gettysburg, la Valle dei Re, Westminster Abbey, per fare qualche esempio. L’energia magica tende ad accumularsi in questi luoghi e poi lentamente si diffonde tutto intorno. Quando Mic e io avevano notato come la radiazione di fondo presente vicino al nuraghe fosse superiore alla media non avevamo tenuto conto di questo. Evidentemente anche esso era un luogo di potere, dunque qualsiasi segno di energia esterno veniva coperto dalla sua aura.
     «Il nuraghe.» ripeté Mic.
     «Ovviamente.» dissi. «Mic come hai fatto a non pensarci. Ti dimezzo la paga.»
     «Quale paga? Lavoro gratis!»
     Feci per rispondere, ma Maskinganna levò una mano e mi fermai.
     «Il motivo di questa messinscena è semplice. Ho bisogno di un gruppo di uomini, esterno alla corte, per un lavoretto.»
     «Potevi reclutarci subito per il lavoretto.» replicai, enfatizzando la parola come lui aveva enfatizzato “messinscena”.
     «Volevo vedervi in azione e assicurarmi che foste in grado di svolgere il compito che sto per assegnarvi.»
     «Cosa sarebbe successo se avessimo fallito?» chiese Jebediah.
     «Avrei fatto sparire i cadaveri e contattato un altro gruppo.» rispose il folletto. «Ma basta con le domande, è ora che vi prepariate per il nuovo lavoro.»
     «E se non accettassimo?»
     «Sono certo che accetterete. Oppure non tenete all’amicizia dell’Areu Afadau?» disse Maskinganna, col sorriso sulle labbra. Era molto sicuro di sé e ne aveva tutti i motivi, dato che era l’equivalente magico di una portaerei.
     Ripeto, ho abbastanza esperienza per riconoscere le minacce a vuoto. Maskinganna magari non ci avrebbe uccisi subito, ma ci avrebbe sguinzagliato contro tutta la corte. Non mi andava di vivere il resto dei miei giorni braccato da fate e folletti.
     Guardai Big J e Chiara e fecero un cenno col capo. Anche loro avevano capito la situazione.
     «Qual è il lavoro? E qual è la paga?»
     Il bambino ridacchiò. «Sei saggio, Neil McRoberts.»
     «Allora?» continuai, ignorando il suo commento. «Lavoro? Paga?»
     «Lo sapete già. Dovete uccidere un vampiro.»
     «Ovviamente!» esclamò Jebediah, alzando le braccia al cielo.
     Nella mano del folletto comparve una cartella di plastica. L’aprì per guardare i fogli e poi me la consegnò. «Qua ci sono tutte le istruzioni e le informazioni necessarie.»
     «Spero siano più precise rispetto a quelle che ci hai dato per questo prova.» disse Jebediah.
     «Sono precise, Mr. Spencer. Vi avevo dato informazioni sballate per vedere come avreste reagito in una situazione non programmata. Avete superato quel test e ora non è certo mia intenzione ostacolare il vostro successo.» rispose Maskinganna. Fissò per un attimo Chiara e aggiunse: «Ti attendiamo a casa, jana. Il mio invito è sempre valido.»
     Chiara annuì e mi poggiò la mano sul braccio, fermando sul nascere la mia domanda. Invece mi rivolsi al Lord folletto. «Non hai ancora parlato della ricompensa.»
     Allargò le mani in un gesto di benevolenza. «Cosa ha più valore della riconoscenza dell’Areu Afadau?» Evidentemente si accorse della mia espressione dubbiosa e aggiunse: «E Oltre a questo riceverete dell’oro.»
     «Oro vero? Non come quelle truffe che voi folletti siete soliti rifilare?»
     Maskinganna inarcò un sopracciglio. Bastò quello per farmi capire che non era salutare scherzare troppo. «Stai dubitando della mia parola, uomo? Riceverete del vero oro della migliore qualità e nella forma che preferirete. Monete, gioielli, lingotti, qualunque cosa vi possa venire in mente.»
     Sorrisi. L’oro è l’unica cosa che adoro quanto le donne. Beh, quasi quanto le donne.
     «Vi contatterò quando avrete terminato il lavoro.» disse.
     «E se qualcosa dovesse andare storto?» domandai.
     «Se fallirete, sarete morti.» Un ghigno sinistro si disegnò sulle sue labbra. «Per mano del vampiro o per mano mia.» L’istante successivo era scomparso.
     «Dalla padella alla brace. Ogni volta che lavoro con voi capita sempre qualcosa di assurdo.» commentò Big J, mentre si allontanava verso l’uscita.
     Chiara e io ci scambiammo un sorriso divertito e lo seguimmo.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Lo schiaffo mi colpì all’improvviso e sentii la guancia che s’arrossava.
     Mi alzai dal sedile col vago sospetto che la signorina non gradisse la mia compagnia. Percorsi il corridoio del pullman fino a raggiungere Jebediah e Chiara. Il primo occupava due posti per conto suo ed era immerso nella lettura, mentre l’altra stava sdraiata nell’ultima fila di posti, con il cappuccio della felpa tirato, auricolari - a volume così alto che si poteva sentire cosa stesse ascoltando - e occhiali da sole; si era isolata dal mondo. Mi sedetti nel posto vicino a Big J, accanto a una simpatica vecchina.
     Stavamo viaggiando verso Cagliari in pullman.
     Sì, avete capito bene, in pullman. Un po’ anticlimatico, però era il mezzo più comodo. E l’unico a disposizione. Preparare un Portale per più persone verso una destinazione nuova era abbastanza complicato; richiedeva un rituale di preparazione piuttosto lungo e non volevo sprecare tanto tempo per un incantesimo fine a se stesso. Perdere un giorno per risparmiarsi tre ore di viaggio non era la scelta più saggia che mi venisse in mente. Inoltre viaggare in pullman ci avrebbe dato il tempo discutere il piano d’azione e di rilassarci per qualche ora. Niente Aston Martin, elicotteri o moto fiche per il povero Neil McRoberts.
     «Cosa ne pensi?» chiesi a Big J.
     «È un casino.» rispose, senza alzare gli occhi dal libro. Girò pagina. «Spero proprio che Bella non si metta con Edward.»
     «Guarda che parlo del lavoro.»
     Jebediah fece spallucce e continuò a leggere. «È un peccato che i vampiri veri non brillino al sole.  Sai che facilità riconoscerli e piantar loro una pallottola in testa?»
     «Terra chiama Big J, Terra chiama Big J.»
     «Ci sono, ci sono.» Sbuffò e socchiuse il libro. «Le istruzioni sono abbastanza chiare e non c’è molto spazio di manovra. Il capo vuole uno spettacolo con i fuochi d’artificio e non gli dobbiamo dare uno spettacolo coi fuochi d’artificio.» Lanciò un’occhiata alla vecchina, mia compagna di posto. «Sei proprio sicuro di volerne parlare qua?»
     «Che problema c’è?» Mi rivolsi alla signora. «Elena, lo sa che io e il mio amico siamo dei mercenari e stiamo andando a Cagliari per uccidere un vampiro?»
     La vecchina si mise a ridere. «Non ha proprio l’aspetto di uno che possa uccidere un vampiro, Neil.»
     «Maskinganna pensa il contrario.» risposi, un po’risentito.
     Al sentire quel nome, la signora si segnò e si alzò, andando a cercare un altro posto in cui sedersi.
     Jebediah si mise a ridere. «Complimenti per il tatto, ma almeno ora possiamo parlare con tranquillità.»
     «Chissà perché ha reagito così.» mi domandai. «Era una vecchina così simpatica.»
     «Perché la cultura popolare identifica Lord Maskinganna col diavolo cristiano.» rispose Chiara. Si era tolta un auricolare e mi fissava dal posto centrale. Non riuscivo a decifrare la sua espressione; non capivo se fosse divertita o irritata. «Maskinganna, o Maestro degli Inganni, è sempre stato associato al mondo sovrannaturale e le credenze più intolleranti solitamente tendono a bollare di malvagità ciò che non s’instrada nel loro credo.»
     «Aspetta un attimo!» esclamai eccitato. «Mi stai dicendo che Maskinganna è una parola che vuol dire  maestro degli inganni?»
     Chiara annuì. Ora era chiaramente – che gioco di parole sopraffino! – irritata. «Non mi piace ripetere le cose ovvie, Neil.»
     «Quindi abbiamo accettato un incarico da un tizio che si chiama Maestro degli Inganni?»
     «La nostra solita fortuna.» disse Big J, laconico. «Comunque mi è sembrato un tizio a posto.»
     «Eh, già!» Stavo cominciando ad alterarmi. «Sembra un tizio a posto! Che maestro degli inganni sarebbe altrimenti? Oppure secondo te dovrebbe andare in giro con un cartello “Potrei fregarvi”?»
     «Basta con le cazzate, Neil. Maskinganna è solo un nome con cui viene chiamato dagli altri, nessuno sa il suo vero Nome. Sai bene che le fate non lo dicono al primo che capita.»
     «E il tuo nome, Chiara? È quello vero oppure è solo una parola con cui ti chiamano gli altri?» Mi pentii subito di quello che avevo detto. Ero adirato per la storia del nome, ma non voleva attaccarla.
     «È il nome che mi hanno dato i miei genitori» replicò, accompagnando le parole con uno sguardo fulminante. Si rimise l’auricolare e si sdraiò sui sedili.
     Ci sono momenti in cui vorresti possedere un telecomando per far tornare indietro il tempo. Oppure una vanga per scavare una fossa e nasconderti per la vergogna. Meglio entrambi. Chiara era una cara amica e non meritava che la offendessi così.
     «Quello che voglio dire è che non mi posso fidare di un tizio che si chiama… che chiamano Maestro degli Inganni!» Lo so, non sono bravo nello scusarmi. Feci per alzarmi, ma Jebediah mi trattenne.
     Scosse la testa e disse: «Non ci sai proprio fare con le donne, Neil. Lasciala in pace. Conoscendoti ora non faresti altro che irritarla ancora di più. Parlale quando arriviamo.»
     «Ma…»
     Mi zittì con uno sguardo. Quando voleva Big J sapeva essere convincente. Anzi, spaventoso. «Quando arriviamo ti scusi e non cerchi nessuna giustificazione, chiaro? Visto quello che dobbiamo fare, non voglio che ci siano incomprensioni.»
     Annuii in segno d’assenso. Aveva perfettamente ragione.
     «E ora torniamo agli affari.» Sorrise. «Sono un po’ arrugginito con il tiro a segno, ma ho trovato un paio di postazioni interessanti abbastanza vicine all’obiettivo da non darmi troppe preoccupazioni. Ringraziamo Dio per Google Maps.»
     «Non prima di fare un paio di ricognizioni dal vivo.» obiettai. «Può essere pure che i palazzi che hai visto nelle foto siano stati abbattuti.»
     «Ovviamente, non sono un pivello. Piuttosto, tu saresti in grado di congiurare un paio di Portali per collegare istantaneamente le varie postazioni?»
     Rimasi in silenzio per quasi un minuto. In teoria l’idea di Big J non era per nulla malvagia. Un ottimo modo per far saltare le teste dei cattivi senza dare indicazioni sulla propria posizione. In pratica era un altro paio di maniche. Come si suol dire, tra il dire e il fare…
     «Ci devo pensare su. Non è un incantesimo banale da preparare.» dissi infine. «Mi serviranno parecchie cosine. E un chilo di cioccolato.»
     «Mic?» chiamò Big J.
     Lo Spirito apparve dopo qualche secondo. «Tutto si può fare.» disse, dopo che Big J gli ebbe spiegato la sua idea. «L’unico limite è l’energia di Neil. Alla fin fine lui dovrà combattere nella villa e non credo sia efficiente consumare energia per mantenere attivi i Portali.»
     Non mi andava a genio andare alla guerra con una frazione dei miei poteri. E non potevo nemmeno chiudere i Portali istantaneamente quando mi faceva comodo. Un incantesimo facile è come una lampadina, per azionarla basta premere un interruttore. Un incantesimo di quella complessità, invece, è come una centrale elettrica: molto più complicato da spegnere. Quando le potenze in gioco sono molto elevate – e quell’incantesimo ne dissipava parecchia – ci vogliono misure di sicurezza più stringenti, per evitare di far saltare in aria un intero quartiere o, peggio, aprire un Portale per qualche Dimensione non proprio amichevole.
     «Non possiamo tenerli aperti in qualche altro modo?» chiesi.
     «Si potrebbero usare uno o più vettori in cui stipare abbastanza energia per tenerli aperti per la durata della missione.» rispose Mic.
     «Una batteria, insomma.» disse Jebediah.
     «Esatto.» Mic mi anticipò.
     «La festa sarà fra dieci giorni, quindi abbiamo abbastanza tempo per preparare tutto.» aggiunsi dopo un po’. «La villa probabilmente sarà protetta magicamente da Portali estranei, quindi bisogna escogitare qualcosa per portare le armi all’interno.»
     «Portarle fisicamente come se foste normali essere umani?»
     «Dubito che la sicurezza faccia entrare degli ospiti armati.» Mi misi a parlare in falsetto. «Ma certo, signore, entri pure col suo fucile a pompa! Serve per i palloncini, vero?» Ripresi il mio solito tono. «Io posso arrangiarmi senza bastone, ma Chiara sarebbe troppo svantaggiata.»
     L’obiettivo della missione era Maria Salis, una sùrbile. Per chi non è ferrato in mitologia e folklore sardo – come non lo ero io, prima che Chiara mi erudisse - una surbile è un vampiro, una strega-vampiro, se vogliamo fare i pignoli. Non lo era nel senso stretto del termine definito da Bram Stoker,  e nemmeno da Stephenie Mayer, grazie al cielo, anche se Big J lo avrebbe preferito. Si cibava esclusivamente di neonati, preferibilmente non battezzati, o battezzati in famiglie non credenti dove il battesimo era una moda piuttosto che un atto di fede. Le religioni, se praticate coerentemente, sono un grandissimo strumento difensivo contro la magia e le creature sovrannaturali. Dracula temeva la croce non perché era formata da due bastoncini perpendicolari fra loro, ma per il simbolo che è e per ciò che rappresenta. Se io provassi a difendermi da un vampiro con un crocifisso, il suddetto ci metterebbe un attimo a trasformarmi in uno spuntino. D’altra parte, se a usarlo fosse un prete, la questione sarebbe ben diversa. Poi c’è sempre il problema del bilanciamento delle forze in gioco: se il tuo scudo si fa un baffo dei colpi di una spada, non è detto che resista a un bazooka.
     Naturalmente, “surbile” è solo un nome che deriva dalla tradizione sarda, si tratta comunque di un vampiro;  con una predilezione per gli infanti, ma pur sempre un vampiro.
     Maria Salis era pericolosa; una di quelle creature per cui l’aggettivo “antica” non era né offensivo né sproporzionato, ma una misura di quanto tempo avesse avuto per praticare l’arte magica. Stando alle informazioni dateci da Maskinganna, non possedeva del potere puro come un Lord dell’Areu Afadau né quella “forza” bruta tipica dei maghi e degli stregoni umani, però la sua arte era sottile e raffinata, come un samurai che taglia una goccia con la sua katana. Era anche molto abile anche nell’arte alchemica. Stando al rapporto, filtri e pozioni erano il suo pane quotidiano. Una vivida immagine mi apparve nella mente. Avete presente la classica figura della vecchia strega che mescola un calderone fumoso? Ecco!
     «Il trucco è di portare le armi dentro dopo che verrete perquisiti.» disse Jebediah. «Mi pare chiaro.»
     «Ci penseremo con calma dopo aver fatto un paio di ricognizioni.» replicai. Era inutile pensare a certi dettagli senza avere un solida base su cui ragionare. Potevamo anche pensare al miglior piano del mondo, ma se poi il terreno non era favorevole, eravamo punto a capo. In quel momento potevamo solo tracciare a grandi linee un piano d’azione e solo più tardi avremmo definito i dettagli. «È possibile che tu debba entrare nella villa per aiutarci. La surbile è potente, non so se posso affrontarla a testa bassa da solo.»
     Big J annuì. «Come se tu ti preoccupassi combattere onestamente. Dove non arriva la forza, arrivano i trucchi sporchi.»
     Sorrisi e alzai le mani. «Mica sono un Cavaliere della Tavola Rotonda.»
     «Se lo fossi stato, ti avrebbero espulso da un pezzo.» aggiunse Mic. «Ti ricordi del capodanno a Nuova Delhi?»
     «Legittima difesa!» esclamai.
     «E il mese scorso a Boston?»
     «In teoria il palazzo non doveva crollare.»
     «Ma è crollato.» obiettò Mic, continuando a ronzarmi intorno alla testa, fastidioso come un calabrone.
     «Colpa del troll.»
     «Come no. Lui è morto e non può replicare.»
     «La storia la scrivono i vincitori, bellezza.» Ridacchiai.
     Mi accorsi che un bambino ci guardava dal sedile davanti.  Sembrava interessato ai nostri discorsi, ma aveva una faccia un po’ spaventata. Gli mostrai il pollice alto e dissi: «Tranquillo, tigre. Noi siamo i buoni!» Tecnicamente non era proprio vero. Lo sarebbe stato in un’etica in cui il bene equivaleva ad un grande numero di zeri del mio conto svizzero. Di norma, quelli che mi pagano sono i buoni, gli altri i cattivi. Viva il relativismo!
     Il bambino sorrise e ricambiò il pollice su, poi si voltò a parlare con la mamma. Lo sentii riferire la storiella del troll e qualcosa sul voler fare il mago da grande. Certo, la carriera del mago mercenario è fantastica. Giri il mondo e lavori usando la tua arte e divertendoti. È come essere una rockstar, però senza i miliardi e le groupie e col rischio di morire a ogni “concerto”,  anche se quest’ultimo punto vale pure per tante rockstar. Se avessi studiato musica a quest’ora sarei stato in una piscina d’oro massiccio, circondato da conigliette di Playboy e non in un ridicolo pullman diretto a un mio possibile funerale.
     La voce di Mic mi riscosse dai pensieri sulla mia mancata carriera da musicista. «Alla festa ci saranno i rappresentanti di molte parti del mondo sovrannaturale, fossi in te eviterei di far crollare la villa o di combinare altri danni collaterali che potrebbero far adirare qualcuno.»
     «Ovviamente, Mic, ovviamente.» risposi. «Mi prendi per pazzo?»
     Big J scosse la testa e aprì il libro. «Non ti prendo semplicemente lo sei. Ora lasciami in pace e fammi finire di leggere il libro. Voglio godermi in santa pace la battaglia finale contro i Volturi.»
     Se avete letto Twilight, sapete che Jebediah sarebbe rimasto deluso. Io tifavo per i Volturi, comunque. Per tornare agli affari… facendola breve, Maria Salis era una servitrice dell’Areu Afadau, ma, a quanto sembrava, si era stancata di ciò e aveva deciso di ribellarsi. Si era convinta di essere abbastanza forte da potersi mettere in proprio; quale fosse il motivo di quel cambiamento, il rapporto non lo diceva. Quella festa era un po’ il debutto in società di Maria Salis in veste di leader del proprio clan. Membri importanti del mondo magico e di quello fatato erano stati invitati, insieme a membri dell’alta società e della politica italiana. Ovviamente la corte fatata non era d’accordo: era impensabile che una vampira, l’equivalente di una plebea del mondo sovrannaturale, potesse elevarsi come un nobile, figurarsi se poi decideva di farlo senza nemmeno consultarsi con un Lord. Secondo la corte, comportamenti di quel tipo esigevano un castigo esemplare.
     Noi eravamo, o saremmo dovuti essere, quel castigo.
     I Lord delle corti - quelli che nel folklore gaelico si chiamano Aes Sidhe – non sono tizi che amano sporcarsi le mani, preferiscono lasciare i lavori di manovalanza a noi poveri mortali. Loro sono dei nobili e combattono le loro battaglie con eleganza e sottigliezza. Se avessimo avuto successo probabilmente Maskinganna avrebbe negato qualsiasi suo coinvolgimento – “sono scioccato quanto voi! Chi poteva immaginare che i miei emissari impazzissero e uccidessero la povera Maria!” - ma tutti avrebbero saputo che era stato lui a ordinare i fuochi d’artificio. Proprio per questo motivo aveva richiesto che il lavoro venisse svolto durante la festa: voleva che tutti potessero vedere qual era il prezzo del disobbedire all’Areu Afadau. E chi poteva accusare un Lord di mentire, senza correre il rischio di venire incenerito sul posto per aver offeso il suo onore?     
     Sprofondai nel sedile, cercando di trovare una posizione comoda in cui stare. Era arrivata la parte più importante del viaggio in pullman. Chiusi gli occhi e mi addormentai.
 
     Mi svegliai nell’esatto istante in cui il pullman si fermò, preciso come un orologio atomico. Nel mio campo ci si abitua molto velocemente a dormire quando se ne ha la possibilità e a farlo con un occhio solo. Così si diventa attenti e reattivi a ogni minimo suono fuori dall’ordinario. E gli strilli del bambino che non voleva scendere erano lievemente sopra la soglia di “minimo suono”. Tirai giù dal portabagagli lo zaino e il bastone e uscii, seguito da Chiara e Jebediah.
     «Vado a fare due passi intorno all’obiettivo, per vedere se quei palazzi di cui ti dicevo ci sono ancora. Tu sai cosa devi fare. » disse Big J, dandomi una pacca sulla spalla. «Rendez-vous al bed & breakfast.»
     Si allontanò velocemente, percorrendo il marciapiede a grandi falcate. Avrei potuto seguirlo con facilità. Se avessi avuto una bicicletta a portato di mano. Mi voltai verso Chiara. Era ancora in modalità “isolamento”. Batteva il ritmo della musica sulla coscia e sembrava aspettare me.
     «Senti» disse mentre m’incamminavo. «per quanto riguarda prima…»
     «Hai detto una stronzata» m’interruppe «l’hai capito e ora ti vuoi scusare.» Sorrise.  «Scuse accettate.»
     Con un gesto veloce le tolsi gli occhiali da sole e mi guardò perplessa. «Volevo vedere se fossi la vera Chiara e non un doppelganger.»
     «Idiota.» replicò, ma continuava a sorridere, le fossette sulle guance lievemente rosse. «Cosa facciamo? Andiamo direttamente al B&B o diamo una mano a Big J?»
     «No, può fare da solo. Del resto è lui che deve trovare un posto comodo per il suo materassino.» risposi. «Noi dobbiamo fare un’altra cosa.»
     La casa che affittava alcune stanze, e molto esageratamente si definiva bed & breakfast, si trovava vicino alla stazione dei pullman, per cui era comodo andarci a piedi. Inoltre volevo fermarmi a fare shopping prima di arrivare, perché mi servivano un po’ di cosine per preparare l’incantesimo dei Portali. Fui fortunato: trovai quasi subito il negozio che mi serviva. Chiesi a Chiara di aspettare qualche minuto ed entrai da solo.
     Quando uscii, con una busta stracarica in ogni mano, la jana si mise a ridere. «A cosa ti serve tutta quella roba? Hai svaligiato la cartoleria?»
     Esatto, una cartoleria. Non tutti i maghi usano ali di pipistrello, occhi di rospo e cervello di scimmia per preparare i propri incantesimi. Non più, oramai. Oggi ci sono tanti materiali molto più efficaci, e meno inquietanti, per incanalare l’energia magica. Mille tipi di carta, mille tipi di inchiostro, mille tipi di plastica. Non potete nemmeno immaginare quante cose si possono fare con un foglio A4 e una penna arcobaleno.
     Dopo un quarto d’ora arrivammo al nostro quartier generale. Un uomo di mezza età ci aspettava sulla porta. Ci guardò con sufficienza e ci fece segno di entrare. Probabilmente pensava che fossimo due studenti stranieri in cerca di un’abitazione meno provvisoria. Chiara poteva passare tranquillamente per una ventenne e io… beh… io potevo essere un fuoricorso molto in ritardo. Ovviamente ogni studente universitario va in giro con una o più pistole nascoste sotto la felpa. Ci chiese quando sarebbe arrivato il terzo e ci mostrò le stanze, al cui interno c’era il minimo indispensabile per poterle definire tali. Chiara posò il bagaglio sul letto e poi mi raggiunse nella mia stanza. Io ero già seduto alla spartana scrivania di formica e avevo tirato fuori i miei acquisti della cartoleria.
     «Hai intenzione di metterti subito a lavorare all’incantesimo?» domandò, mentre chiudeva a chiave la porta. Si buttò sul letto e si sedette a gambe incrociate.
     «Devo fare un po’ di tentativi, prima di essere sicuro che sia affidabile durante la missione.» replicai. Presi un foglio e cominciai a tracciare diverse figure a matita. Lo scopo era quello di costruire una specie di contenitore – una batteria, come l’aveva perfettamente definita Jebediah – su cui versare l’energia necessaria per mantenere attivi i Portali. Presi riga e compasso e cominciai a disegnare un pentagono regolare. Era una figura molto importante per via delle sue proprietà geometriche: questioni di sezione aurea e altri arzigogoli matematici, roba noiosa per noi rudi uomini d’azione. L’importante è sapere che viene utilizzata spesso negli incantesimo di contenimento per via di quelle proprietà.
     «Che fai?» mi chiese Chiara.
     «In primis devo costruire il contenitore.» replicai, mentre continuavo ad armeggiare con riga e compasso. Non è affatto banale disegnare un pentagono regolare. «Una specie di bicchiere in cui mettere l’energia.»
     «Non mi pare una cosa così complicata o astrusa. Da come ne parlavi in pullman pensavo fosse qualcosa al di fuori delle tue abilità.»
     «Questa è la parte semplice. Poi bisogna fare in modo che l’energia rimanga là per tutto il tempo necessario. Spostare l’energia è semplice, lo si fa ogni volta che si esegue un incantesimo. Il problema è contenerla.» Mic era apparso e fluttuava sopra il foglio, verificando che non stessi facendo cavolate. «La particelle che trasportano l’energia magica si muovono per diffusione, un classico moto br…»
     «Niente fisica, per favore, altrimenti… » mi puntò contro l’indice e abbassò il pollice. «Bang!»
     «Diciamo che in condizioni normali tendono a spostarsi e a occupare egualmente tutto lo spazio disponibile. Un po’ come quando spruzzi del profumo. Noi però non vogliamo che succeda questo.»
     «Per cui…»
     «Per cui bisogna costruire un campo di contenimento che riduca la diffusione. Ovviamente è impossibile annullarla completamente, ma l’importante è renderla trascurabile rispetto al consumo dovuto ai Portali.»
     Il pentagono era completo. Ora si trattava di colorarlo. Lo so, sembra che vi stia raccontando i compiti di quando andavo all’asilo, ma da un certo punto di vista sono cose simili. Mai sentita la barzelletta sul bimbo che evoca Yog-Sothoth mentre disegna la sua famiglia? No? Lo immaginavo, è solo per addetti ai lavori. Ogni colore ha un particolare significato e un determinato potere. O forse è la particolare composizione chimica a dotarlo di ciò, non si sa bene ma ci sono studi in corso.  Fatto sta che una volta costruito il bicchiere si trattava di “rivestirlo” di colori in maniera tale da non far disperdere l’energia.
     «L’ultimo passo» disse Mic, rivolgendosi a Chiara «è quello di costruire un “pacchetto” che lo protegga dagli agenti atmosferici.»
     Presi della plastilina dalla buste delle compere e mi misi a lavorarla. «Naturalmente questo porta altri casini.» borbottai. «Si tratta di un lavoro di precisione perché si rischia di danneggiare il contenitore.»
     «È come cercare di plasmare sull’unghia un rivestimento di piombo intorno a un calice di cristallo.» aggiunse il fuoco fatuo.
     «Bella similitudine, Mic.»
     Chiara si alzò. «Ora che mi avete spiegato cose di cui non capisco nulla, posso andare a fare un po’ di manutenzione alle mie armi.»
     «Poi ci servirai.» le dissi, mentre apriva la porta.
     Chiara si voltò e m’indirizzò uno sguardo interrogativo.
     «Ci devi dare una mano a riempire le batterie.» dissi col sorriso sulle labbra. «Sei una fata, hai più energia tu nel mignolo che io in testa.»
     «Non ne dubito. Col cervello che ti ritrovi.» Lo sbattere della porta mise il punto esclamativo alla battuta.
     Jebediah tornò qualche ora dopo. Era soddisfatto del risultato della ricognizione e mi raccontò tutto mentre continuavo a lavorare sulla batteria.
     «Sorpresa! I palazzi ci sono ancora. Non ho verificato l’accesso al tetto, ma non dovrebbero esserci problemi. Ho fatto un giro intorno alla villa ed è parecchio grande. Il muro di cinta è alto quasi due metri e sopra c’è un’inferriata.»
     «Non sarà difficile scavalcarlo.» commentai. Avevo già una mezza idea di come portare dentro le armi.
     «L’ingresso era controllato. Due uomini.» continuò Big J. «Grossi, molto grossi.» E se lo diceva lui c’era da preoccuparsi.
     «Umani?»
     «Non credo. Le iridi completamente nere e i denti aguzzi mi fanno pensare il contrario.»
     «Sgherri sovrannaturali della surbile. Avevano anche armi?»
     «A prima vista non mi è parso. Potrebbero avere una pistola sotto la giacca, ma ho idea che siano tizi che preferiscono sfondarti la cassa toracica con un pugno, piuttosto che spararti semplicemente.»
     «Motivo per cui ci terremmo a distanza di sicurezza.» Sollevai con entrambe le mani la prima batteria. «Mirate!» esclamai.
     «Cos’è?» domandò Jebediah. «Sembra una palla.»
     «È una palla. Una palla di plastilina rossa al cui interno è contenuto un dodecaedro di cartoncino, riempito a sua volta con altra plastilina. Quella dentro è verde, se ti può interessare.»
     «Non m’interessa.» tagliò corto Big J. «Tanto non sono ferrato per apprezzare queste finezze teoriche. L’importante è che funzioni.» Prese la palla in mano e inarcò un sopracciglio. «Perché funziona, vero?»
     Sollevai le braccia. «Mistero.» replicai.
     «Va testata.» aggiunse Mic. «È un primo prototipo ma non dovrebbe funzionare troppo male.»
     «Autonomia?» chiese Big J.
     «A piena carica dodici ore, in linea teorica.» disse lo spirito. «In pratica, se tutto va bene, direi che sei ore è una buona approssimazione.»
     «Possiamo provarla subito?» Big J soppesava l’oggetto, passandoselo da mano a mano, per valutarne il peso e la consistenza.
     «Prima va caricata.» risposi. «Poi vanno aperti i Portali per testarla. Mi serve Chiara. Mic, vai a chiamarla per favore.» Lo Spirito sparì nella fessura fra la porta e il pavimento.
     «Non puoi testarla usando qualche incantesimo meno vistoso?»
     Scossi la testa. «Per rischiare che poi saltino fuori problemi durante il lavoro? Non credo proprio. Meglio faticare prima piuttosto che morire poi.»
     La porta si aprì e Chiara entrò, con Mic posato sulla spalla. Big J le tirò la batteria e la prese prontamente al volo.
     «È questo il mirabile artefatto magico di cui Mic mi stava enunciando i pregi?» chiese, mentre continuava a lanciarla in aria.
     «Smettetela di giocarci!» esclamai, adirato. Avevo impiegato un sacco di tempo per fare quella… palla. Non volevo vederla cadere a terra e  rovinarsi. «Chiara, dato che sei la nostra jana preferita, devi caricarla.»
     «Come devo fare?» chiese.
     «Tienila in mano, ma anche no, basta che sia a contatto col tuo corpo. Puoi fare la foca e tenerla sul naso, se  vuoi.»
     «Neil…» borbottò Chiara con uno sguardo minaccioso.
     «Va bene, non c’è bisogno di scaldarsi. Tienila in mano e poi concentrati. Non hai mai usato coscientemente la magia?»
     Scosse la testa in segno di diniego.
     «Praticamente è la stessa cosa di quando ti muovi velocemente o di quando rigeneri le ferite leggere.»
     «Ma è una cosa che faccio naturalmente, come respirare. Mica mi metto a pensare “ora devo correre più velocemente” o “voglio saltare più in alto”.»
     «Appunto. Chiudi gli occhi e immagina un fiume.»
     Chiuse gli occhi e, suppongo, immaginò un fiume.
     «Immagina ora che una diga blocchi il fiume. L’acqua continua a muoversi, ma non può andare avanti. Spinge, ma s’infrange sulla diga. Comincia ad accumularsi e si forma un lago.»
     «Sta brillando!» esclamò Big J.
     «Silenzio!» dissi, ma aveva ragione. La pelle di Chiara aveva preso a illuminarsi leggermente. Non tanto quanto usava la magia inconsciamente, ma il fenomeno stava aumentando d’intensità. «Ora immagina di raccogliere l’acqua, di essere tu a controllarla, a plasmarla.»
     Dopo qualche minuto, Chiara brillava come non avevo mai visto prima, l’energia che possedeva era immensa. Che maga sarebbe potuta diventare, se si fosse applicata allo studio dell’arte.
     «Rimani concentrata» continuai «non farti sommergere dalla magia. Sei tu a controllare lei e non il contrario. Continua a plasmare l’acqua: fanne una sfera. Contienila, non farla sfaldare. Ora costruisci una seconda sfera, attingendo dalla prima. Piano, con calma, non devi distruggerla. Quella è l’energia che stai fornendo alla palla. Continua fino a quando non senti che l’energia viene respinta dalla sfera più piccola.»
     Passarono diversi minuti prima che Chiara completasse l’incantesimo. Lentamente la sua pelle tornò normale, mentre la palla di plastilina aveva acquisito una tenue luminosità che aveva la stessa tonalità di quella di Chiara. La fata aprì gli occhi, era visibilmente provata e il sudore le imperlava il viso.
     «Ci sono riuscita?» domandò, asciugandosi la fronte.
     Le presi la palla dalla mano. «Direi proprio di sì.» replicai. «Ottimo lavoro. Hai vinto questa barretta di cioccolato. Attenta ai brufoli.» Le tirai una delle merendine che tenevo sempre a portata di mano.
     «Grazie, Neil. Ora posso fare le magie spettacolari che usi tu? Palle di fuoco, aculei di ghiaccio e quelle figaggini?»
     «Quando riuscirai a ripetere quello che hai fatto ora in una frazione di secondo.» Sorrisi. «Quel metodo va bene per la magia da laboratorio, dove non hai fretta e hai il tempo per raffinare l’energia e centellinarla per bene. La magia da combattimento è tutta un altro mondo.»
     Chiara fece spallucce. «Fa nulla.» disse, anche se sembrava un po’ delusa. Potevo capirla.
     Gli esseri fatati possiedono una quantità di energia ordini di grandezza superiore a quella di un essere umano e la usano inconsciamente. La scienza magica è un’invenzione umana, pensata per ridurre questo gap. Tramite regole e tecniche noi umani cerchiamo o di aumentare l’efficienza e la facilità con cui possiamo controllare le forze magiche. Poi ovviamente ci sono creature come Maskinganna che hanno avuto migliaia di anni per imparare a controllare i propri poteri e si fanno beffe della magia umana. Chiara è giovane secondo i canoni umani, figurarsi se paragonata a un Lord delle fate.
     «Ora non ci rimane che testarla con un Portale.»
     Il primo test non andò tanto bene. A quanto pare la forma sferica non era adatta a un oggetto che volevamo rimanesse assolutamente immobile. La batterie divennero quindi dei coni e poi delle piramidi. Il secondo test andò quasi peggio. E pure il terzo e il quarto. Ci vollero otto giorni per progettare la “Palla di Plastilina, versione sei punto zero”, la migliore batteria che Mic e io riuscimmo a produrre. Era lievemente instabile e durava poco meno di due ore, ma sarebbe bastata. Avrebbe dovuto bastare, volenti o nolenti, visto che non c’erano altre opzioni. Ne costruimmo una per ogni Portale e una di ricambio, in caso sarebbero emersi problemi. Assumere che ce ne saranno non è mai una cattiva linea di pensiero.
     Il party si sarebbe tenuto la sera del giorno successivo. Mentre Mic e il sottoscritto giocavano con la plastilina, i colori e le forbici dalla punta arrotondata, Chiara e Big J si erano dedicati alla ricognizione dell’obiettivo, alla preparazione delle armi e avevano organizzato il trucchetto per portare le armi all’interno della villa. Erano appena rientrati dall’ultimo, importantissimo, incarico: noleggiare i vestiti per la festa. L’invito, infatti, diceva “cravatta nera” e non ci tenevo a mancare di rispetto a un vampiro. L’ultima volta avevo dovuto nascondermi in Groenlandia per un paio di mesi, prima che un mio amico convincesse il simpatico succhia sangue a rimuovere la taglia sulla mia testolina.
     «Ecco il tuo smoking.» disse Jebediah, mentre posava il vestito sul mio letto.
     «Uno smoking?»
     «Certo. Cosa pensavi volesse dire “cravatta nera”?»
     «Che ne so.» risposi. «Pensavo a un vestito da funerale. Boh, non m’intendo di vestiti. Comunque… uno smoking! Finalmente!»
     Big J mi guardò con un’espressione fra il preoccupato e il divertito.
     «Finalmente sarò come James Bond, potrò andare a lavoro in smoking!» spiegai.
     «Se non fossi un mago fottutamente in gamba mi rifiuterei di lavorare con un pazzo del tuo calibro.» Scosse la testa e fece per uscire.
     «Anche Chiara sarà in smoking?»
     «Direi proprio di no. Ha un abito da sera. Per donne. Si è chiusa un camera perché deve fargli un paio di modifiche.»
     «Modifiche? Ma così perderemo la caparra che abbiamo lasciato al negozio!» protestai.
     «Dici che la perderemo per quello?» Big J inarcò un sopraciglio, dubbioso.
     «In effetti credo che il negoziante difficilmente rivedrà i suoi vestiti interi.»
     Big J si mise a ridacchiare e uscì.

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Capitolo 3
*** 3. ***


«Invito, prego.» ordinò il grosso energumeno che mi sbarrava il passo. Dovevo alzare il capo per guardarlo in faccia e notare gli occhi dalle iridi nere di cui Big J mi aveva parlato. Gli consegnai gli inviti, dopo avermeli fatti girare fra le dita, come un gambler con un dollaro d’argento. Li lesse e li controllò, come se si aspettasse che fossero falsi. Perché? Un comune mortale non poteva partecipare al party della sua cara padrona? Oppure non ero abbastanza elegante in smoking?
     «Siete gli emissari dell’Areu Afadau?» disse con un ghigno sul volto, alternando lo sguardo fra Chiara e me. «Degli umani? Che decadenza.»
     Ci fece attraversare il cancello e lo sentimmo sghignazzare coi suoi compari, mentre percorrevamo il sentiero in ghiaietto che portava all’entrata della villa. Non eravamo fra quegli ospiti che arrivavano con il macchinone fino alla piazza davanti all’ingresso.
       «Vedrai come sarà decadente la tua signora a fine serata, mio caro energumeno.» mormorai a Chiara. La fata mi teneva il braccio ed era di una bellezza mozzafiato nell’abito da sera rosa confetto.
     «Quando dovremo cominciare?»
     «Quando Big J sarà in posizione e noi saremo pronti per dare il via alle danze.» risposi. «Per il resto possiamo approfittarne e divertirci un pochino. Sai ballare?»
     Scosse la testa e sbuffò. «Non siamo venuti per ballare. O faceva ancora parte della metafora sul dare il via alle danze?»
     «No, no. Dico ballare sul serio. Dobbiamo mischiarci alla folla, passare inosservati. Non possiamo certo sederci in un angolino e aspettare.»
     «Purtroppo no.» replicò, sconsolata. Chiara non era tipa da feste e balli.
     Arrivammo all’ingresso della villa, dove mostrammo nuovamente gli inviti a uno degli energumeni dagli occhi neri, subimmo un’altra derisione e ci fecero entrare. Nell’atrio c’era un altro punto di controllo. Un tavolo era al centro della sala e al suo fianco era montato un metal detector: unico punto d’ingresso per il vero e proprio party. Al tavolo era seduta una giovane donna bionda con una cuffia e un microfono. Accanto a lei c’erano altri due Occhi Belli.
     A quanto sembrava, c’era la fila per passare il controllo del metal detector. Nell’attesa osservai con attenzione uno degli Occhi Belli, in cerca di eventuali debolezze. Erano tutti identici: tutti alti più di due metri con le spalle più larghe di un armadio; tutti con gli occhi dalle iridi completamente nere e i denti aguzzi. Stranamente non avevano capelli, non so se perché non ne avessero di natura o perché se li radessero. Anche il viso era perfettamente rasato. Anche loro erano vestiti in smoking.
            Stando a Chiara, erano una specie di uomini neri. Avete presente quando eravate piccoli e vostra madre per spaventarvi vi diceva che se vi foste comportati male l’Uomo Nero sarebbe venuto a prendervi? Gli Occhi Belli erano fra gli addetti a quel lavoro. Io non conoscevo quella storia: mia madre mi spaventava abbastanza quando tornava a casa ubriaca e mi picchiava, al massimo l’Uomo Nero avrebbe potuto salvarmi. Bando alle ciance, gli Occhi Belli erano quelli che portavano i neonati alla surbile e, quando serviva, fungevano da picchiatori. Grossi e cattivi picchiatori. Per fortuna non erano molto svegli e non sembravano in grado di riconoscere gli essere fatati: avevano pensato che Chiara fosse umana.
     «Buonasera.» disse la donna al tavolo, distogliendomi dai miei pensieri. «Per favore posate telefoni, chiavi e quant’altro possa far suonare il metal detector e passateci in mezzo.» Sorrise. «Perdonatemi, ma la mia signora vuole essere sicura che i suoi ospiti possano sentirsi a proprio agio, senza preoccupazioni di sorta.»
     «Non sia mai che qualcuno entri con un fucile a pompa nascosto sotto la giacca.» dissi, mentre posavo il cellulare sul tavolo. Chiara fece altrettanto.
     La donna rise. «Proprio no, niente fucili a pompa.»
     «Del resto è un’arma così banale, una persona di classe non la userebbe mai.» Feci per passare, ma l’Occhi Belli accanto al metal detector mi mise il braccio davanti.
     «Il bastone.» disse.
     «Non può entrare col bastone.» confermò la donna. «Se possedete delle armi da cerimonia potete lasciarle qua.» Indicò alle sue spalle e vidi che c’era una teca piene di vecchie armi: spade da lato, pistole ad avancarica, bastoni da passeggio e persino un’ascia bipenne. «Tutti gli ospiti non si sono fatti scrupoli a lasciare in nostra custodia le loro armi.»
     Mi voltai verso di lei. «Vuole privare un vecchio del suo supporto per camminare?»
     Mi guardò divertita, piegando di lato la testa. «Lei non è vecchio.» Poi ridacchiò e aggiunse: «E non mi sembra nemmeno Gandalf.»
     «Mi ha scoperto!» replicai, ignorando l’occhiata adirata che mi lanciò Chiara. «Oltre che bella ha anche degli ottimi gusti. Una di queste sere potrei invitarla a cena.»
     «Il mio fidanzato non gradirebbe.»
     «Ma lei sì?»
     «No, non gradirei.» Gli occhi e il sorriso però stavano dicendo il contrario.
     «Suvvia… » non potei concludere perché qualcuno mi prese la testa e me la sbatté sul tavolo, tenendomi immobilizzato in quella posizione. Era dannatamente forte.
     «La signora ha detto che non gradisce.» disse l’Occhi Belli. «Posa il bastone oppure ti sbatto fuori a calci in culo.»
     «Lascialo subito, è un ospite della mia signora!» gridò la donna, alzandosi in piedi.
     Occhi Belli obbedì e mi lasciò andare. Posai il bastone sul tavolo e dissi: «Verrò a riprenderlo.»
     «Ovviamente. Lo terrò con cura.» rispose.
     Occhi Belli sghignazzò e ci fece passare. Il metal detector non suonò, così recuperammo i nostri telefoni e finalmente potemmo entrare al party.
     «Potevi evitare che mi aggredisse.» dissi a Chiara.
     «Non volevo interrompere il corteggiamento.» rispose, trattenendo a stento una risata.
     «Non credo comunque di aver fatto una bella figura.»
     «Quella donna era strana.» disse la fata, pensierosa. «I suoi occhi erano strani.»
     «Anche i suoi riccioli erano strani. E con strani intendo bellissimi.»
     Chiara mi colpì al fianco col gomito. «Ora basta con le stupidaggini, si lavora.»
     Annuii. Era ora di mettersi a lavoro, niente più sciocchezze. Il salone della festa non era affollato come mi aspettavo, sembrava quasi una festa per pochi intimi. C’erano sì e no una ventina di persone. Un quartetto d’archi e un clavicembalista addolcivano l’orecchio suonando musica barocca. Appropriato. Rubai due bicchieri di vino da un cameriere di passaggio e ne passai uno a Chiara. Ero curioso di conoscere qualche altro ospite. Nel nostro mestiere più contatti si hanno meglio è. C’è anche il pericolo di farsi qualche nemico, ma quel rischio lo si corre sempre. Ci avvicinammo a un gruppo di persone per unirci a qualsiasi conversazione stessero facendo.
     «Salve!» salutai con allegria.
     Un uomo si voltò e, dopo avermi sorriso, disse: «Neil? Neil McRoberts? Dio mio, cosa ho fatto di male!»
     «È un piacere anche per me, Bertie.» Ricambiai il sorriso. Odiava quel diminutivo. Robert Von Kempf era un signore che trasudava germanicità – si può dire germanicità? – da tutti i pori. Alto, capelli biondi a spazzola, occhi azzurri come il cielo d’estate, pizzetto ben curato da cattivo dei film, anche se in realtà era buono come il pane. Aveva messo su qualche chilo, rispetto all’ultima volta che l’avevo visto. Ci eravamo conosciuti a Xiam, dove seguimmo insieme diversi corsi di storia antica e magia, e avevamo coltivato l’amicizia. A differenza di me, che non avevo completato gli studi, lui era diventato uno dei più importanti studiosi di storia germanica. Inoltre era il leader di uno dei più grandi branchi di mannari d’Europa. Al suo fianco c’era una signora tarchiata altrettanto germanica, che avrebbe fatto la sua bella figura all’Ocktober Fest, un pretzel in una mano e un mega boccale di birra nell’altra. La signora Von Kempf era una delle donne più divertenti che conoscessi.
     Ci scambiammo una stretta di mano e presentai loro Chiara.
     «Finalmente ti sei accasato, Neil?» scherzò Robert.
     Chiara mi anticipò. «Le sembro una ragazza che da piccola è caduta dal seggiolino? Non vedo altro motivo per cui qualcuna possa sposare Neil.»
     «Come siamo simpatici.» risposi, senza troppa voglia. Non volevo cimentarmi, per quanto mi divertisse, in un’altra schermaglia verbale con Chiara. Ero curioso di conoscere il motivo della presenza di Robert. Il Baden-Wurttemberg non si poteva certo definire limitrofo al Campidano e mi chiedevo il perché della sua presenza. Glielo domandai.
     «Politica.» rispose. «Sempre la solita dannata politica. Una mio alleata mi ha procurato un invito. Se alleata si può definire.»
     «Alleata?» ripetei. Mi bagnai le labbra col vino, senza però berne. Quando si deve uccidere una strega-vampiro è meglio essere ben lucidi.
     «Forse è meglio dire amica per questioni di forza maggiore.» Mi indicò un gruppo di donne che si trovava dall’altra parte della sala. «Vedi quelle belle signore laggiù?»
     Eccome se le avevo viste, sembravano uscite da un catalogo di Victoria’s Secret. «Sì, le ho notate.» risposi, ma era una bugia. Le avevo spogliate con gli occhi. Due volte.
     «Fanno parte di un gruppo di vampiri, miei corregionali. Stando a quello che ho sentito dire, la nostra ospite ha stretto diverse alleanze con clan di tutta Europa.» disse. «Ora che ha l’appoggio di gente potente si sente abbastanza sicura da sfidare i padroni della Sardegna.» Si riferiva ai miei datori di lavoro.
     «E tu sei qui per…»
     «Tenere d’occhio la situazione. Volevo conoscere Maria Salis e vedere se la sua alleanza con la mia amica può sbilanciare i fragili equilibri nella Foresta Nera.»
     «Capisco.» dissi. Era ovvio. La vecchia succhia sangue era abbastanza intelligente da non sfidare l’Areu Afadau senza un appoggio. Era pacifico che se aveva deciso di farlo, poteva contare su qualche amico, vampiri tedeschi o che altro. Nelle informazioni che ci aveva passato Maskinganna non c’era nulla di ciò. Forse nemmeno lui sapeva. Più probabilmente non ci aveva informato perché non rientrava nei suoi grandi schemi politici. Del resto noi non eravamo altro che dei pedoni. Non avevo nessun problema ad esserlo se la paga era buona, almeno finché Maskinganna non avesse deciso che valeva la pena sacrificarci. In tal caso avrei trovato un nuovo datore di lavoro. Decisi che i vampiri teutonici non rappresentavano un problema. I problemi della Corte non erano con gli stranieri, ma con Maria Salis. Era lei la suddita ribelle che doveva essere punita. Intervenire in quella questione privata sarebbe equivalso a dichiarare guerra all’Areu Afadau e ai suoi alleati. “I suoi alleati” erano le parole magiche: nessuno vuole incrociare la strada degli Aes Sidhe. Le corti gaeliche sono le più antiche e temibili fra i popoli fatati. Chi sfida una bean sidhe o un dullahan  non è coraggioso, è pazzo.
     «E tu invece cosa ci fai qua?» mi chiese Robert.
     «Siamo i rappresentanti dell’Areu Afadau.» rispose Chiara al mio posto.
     Il tedesco mi guardò intensamente per un attimo lunghissimo. Si stringeva le labbra fra pollice e indice. Conoscevo quel gesto: stava riflettendo. Gli ingranaggi nel suo teutonico cervellino stavano lavorando e facevano due più due. «Deduco che sia meglio non restare fino a tardi.» disse infine.
     Sapeva qual era il mio lavoro e il fatto che fossi là in vece della corte sarda voleva soltanto dire che era in programma una serata in stile McRoberts: esplosioni, demoni fuori controllo e litri e litri di birra. I miei festini all’università erano leggendari.
     «Ho l’impressione che sarà una serata noiosa.» rispose Chiara, facendo scioccare la lingua. «Probabilmente è meglio andare via prima della fine. Per non rischiare di morire.» Sorrise e ammiccò. «Di noia.»
     Robert e sua moglie spalancarono gli occhi e la guardarono attoniti. Poi si voltarono verso di me, come in attesa di una spiegazione. Diamine, mi aveva fregato la battuta! «A forza di frequentarmi» dissi «Chiara ormai sa come penso e mi ruba le risposte migliori!»
     «Stai invecchiando, Neil. Comunque, vista com’è la situazione ci perdonerai se andiamo a razziare il buffet.»
     «Figurati, nessun problema. Grazie per le info.»
     «E di che?» Si rivolse alla moglie: «Andiamo, Eva?»
     La signora Von Kempf  prese Chiara per un braccio e disse: «Tu però devi venire con noi. Sono proprio curiosa di conoscere un’amica di Neil. È sempre un tipo così solitario…»
     Mentre veniva trascinata via, Chiara mi lanciò un’occhiata fra il preoccupato e il supplicante.
     «È presto.» dissi solo muovendo le labbra. Non ero in grado aiutarla, non si può sfuggire a Eva Von Kempf. È come un fiume in piena: non provi a nuotare controcorrente, ma ti lasci trasportare.
     Avrei approfittato dell’occasione per conoscere le Victoria’s Vampires. Volevo scoprire quanto stretta fosse la loro alleanza con Maria Salis e come si sarebbero comportate in caso di attacco. E magari prendere il numero di telefono di qualcuna di loro. O il contatto Facebook.
     Mi avvicinai con nonchalance, mostrandomi sicuro del mio fascino irresistibile e della mia chioma ordinatamente disordinata. In quel momento mi sentivo come un incrocio fra George Clooney e Johnny Depp.
     Evidentemente il risultato visto dall’esterno era completamente differente, dato le occhiate divertite che mi lanciarono le donne. Forse è un bene che George Clooney e Johnny Depp non possano fare un figlio insieme.
     «Buonasera.» salutai, simulando disinvoltura e distaccato interesse, nonostante le risatine sommesse di alcune delle donne.
     «Buonasera. Con chi ho il piacere di parlare?» rispose una di loro, una rossa dagli occhi verdi il cui decolleté prorompente del suo abito a tubino avrebbe ipnotizzato qualunque uomo.
     «Neil McRoberts.» dissi. «Sono il rappresentate della corte fatata sarda.»
     Le risatine s’interruppero.
     «Un inglese rappresenta la corte sarda?» disse la rossa, la voce carica di perplessità.
     «Scozzese, per favore.»
     «Uno scozzese rappresenta la corte sarda?». Alla perplessità si era aggiunto il sarcasmo.
     «Può ripeterlo usando tutte le nazionalità che conosce, ma non cambia i fatti.» replicai.           
     Una delle Victoria’s Vampires fece un passo verso di me, ma un’occhiata della rossa la paralizzò. «Io sono Greta, matriarca del clan Schwarz.» disse, allungando una mano verso di me.
     Gliela strinsi e aggiunsi: «L’alleata crucca della nostra ospite e cara amica di Von Kempf» Bravo, Neil! Brillante conversatore, ma solo quando si tratta di offendere folletti o vampiri.
     «Ha una lingua molto veloce, Mr. McRoberts.» replicò. Se il “crucca” l’avesse offesa non lo dava a vedere. «Mi chiedo se la sappia usare così bene anche in altri contesti.» Mi guardò languidamente e si morse il labbro superiore.
     Deglutii e mi passai una mano fra i capelli. Il dialogo stava prendendo una direzione piacevolmente interessante, ma non era quello il luogo, né il momento. «Ad esempio la uso molto bene per fare domande.» dissi, cercando di cambiare argomento.  «Come mai siete interessati a una vecchia vampira sarda? Cosa c’è di così importante da scomodare i vampiri mezza Europa?»
     Greta scoppiò a ridere. «Perché non l’ha chiesto al suo amico mannaro?»
     «Volevo avere una scusa per parlare con lei e chiederle il numero di telefono.»
     «È antica. Molto antica.» rispose, dopo aver smesso di ridere. «Una dei più antichi membri della nostra specie.»
     «E quindi? Non sapevo voi vampiri foste protettivi nei confronti dei vostri antenati.»
     «Non lo siamo, infatti. Ma cosa direbbe lei se potesse parlare, che so, con Merlino?»
     Ora era più chiaro. «Un’enorme fonte di conoscenza.» mormorai. Maria Salis era un assetto importantissimo per i vampiri d’Europa. Un essere che aveva vissuto per un tempo lunghissimo era depositario di segreti e conoscenze che difficilmente erano reperibili da altre parti. La questione diventava più complicata. Fino a quanto erano disposti a proteggere la surbile?
     «Esatto!» disse Greta,  la voce quasi stridula.  «Immagina quante cose potrei imparare!» Era eccitata e aveva ottimi motivi per esserlo.
     «La surbile, però, è una criminale.» le dissi, sperando di ottenere una qualche reazione che mi potesse informare sulle sue intenzioni.
     «Solo perché ha deciso di ribellarsi a dei falsi padroni?»  esclamò.
     «Eviterei di usare “falsi padroni” e “fate” nella stessa frase. Comunque, non sono qui per disquisire di sottigliezze legali.»
     «Allora perché sei qui? O stai veramente provando a rimorchiare una vampira?»
     Nell’eccitazione della conversazione si era dimenticata di darmi del lei. Sarò anche un simpaticone dalla battuta facile, ma ci tengo alle formalità. Stavo per farglielo notare, quando un’altra persona si unì al gruppo.
     Era una simpatica vecchina dai capelli bianchi come la neve. Li teneva legati in una stretta crocchia e un fazzoletto nero glieli teneva coperti. Era alta non più di un metro e mezzo e indossava quel tipico vestito delle vecchie signore sarde dei paesini di montagna: vestito nero, con uno scialle di lana intorno al petto e un grembiule blu scuro che scendeva fino alle caviglie insieme alla gonna. Aveva gli occhi di un colore indefinibile, un miscuglio di grigio e verde che però sembrava cambiava continuamente. La pelle del volto era indurita dal tempo e le rughe le incorniciavano gli occhi e le labbra sottili.  Era un viso nobile, la vecchiaia non ne aveva scalfito i tratti fascinosi. Dietro di lei, c’era un Occhi Belli diverso dagli altri: anziché essere perfettamente rasato, portava barba e baffi perfettamente curati.  Lo soprannominai  Barbetta.
     Greta si voltò versa la signora e chino il capo. «Maria.» salutò.
     «Maria Salis!» esclamai, battendo le mani. «Finalmente posso conoscerla!»
     La surbile mi guardò fisso negli occhi e mi sentii come se fossi stato colpito da un pugno in faccia. Fui costretto a fare un passo indietro.
     «Chi sei tu?» domandò. La sua voce era potente e lo spiccato accento sardo ne esaltava la forza e la determinazione. «Non ricordo di aver invitato un maghetto da quattro soldi.» Leggevo il disprezzo nei suoi occhi. Ciò che era abbastanza spaventoso, però, era che mi aveva catalogato subito come mago, con appena un’occhiata. Quello era Talento con la T maiuscola.
     «Piacere, Neil McRoberts. Di professione idraulico, ma nel tempo libero faccio il maghetto da quattro soldi.» Nessuno mi aveva mai dato del “maghetto da quattro soldi”, per cui perdonatemi se non trovai subito una risposta simpatica.
     Evidentemente nemmeno Maria la trovò divertente – oppure il suo senso dell’umorismo era vecchio di qualche secolo – perché continuò a fissarmi gelidamente. Poi disse: «Non mi hai ancora detto perché sei qui.»
     Barbetta si era fatto pericolosamente vicino.
     «Sono qui per fare le veci di Lord Maskinganna, nobile dell’Areu Afadau e tuo signore.» risposi col sorriso sulle labbra. Se non fosse stata una persona  a cui stavano a cuore le antiche regole dell’ospitalità, probabilmente mi avrebbe strappato gli occhi sul posto.
     «Dunque il mio vecchio signore» quasi sputò la parola «non si scomoda ad accettare il mio invito e al suo posto manda un misero umano?»
     «Esatto.» risposi. «Due per la precisione. C’è anche una mia amica. Probabilmente il folletto ha pensato che l’invito fosse “Maskinganna più uno”.»
     La tensione era salita alle stelle. La mia concentrazione era puntata su Greta e Barbetta. Ero certo che in nome dell’ospitalità Maria non mi avrebbe aggredito senza provocazione fisica, ma non ero sicuro degli altri due e temevo in particolare i pugni di Barbetta. Erano grandi quanto dei magli.
     «Attento a come parli. La gentilezza che ti devo per via delle leggi dell’ospitalità ha un limite.» disse semplicemente la surbile, senza alcuna traccia di minacciosità nella voce. Era una banale costatazione: se mi manchi di rispetto un’altra volta ti taglio la lingua. Poi aggiunse: «Se Maskinganna pensa che negandomi il suo benestare io torni sui miei passi, si sbaglia di grosso.» Continuava a fissarmi e avevo difficoltà a distogliere lo sguardo da quegli occhi antichi.
     Sentivo gli occhi di Greta trapassarmi la testa. A quel punto mi chiesi se almeno avesse capito quale fosse il vero motivo per cui mi trovavo alla festa. Maria sicuramente pensava che fossi una nullità mandata da Maskinganna giusto per mancarle di rispetto. Non pensava che il suo vecchio boss scegliesse un maghetto da quattro soldi come sicario; probabilmente si aspettava qualche killer fatato con le palle cubiche. Buon per me. Adoro quando mi sottovalutano e non prendono le misure adeguate per gestirmi.
     Qualcuno mi poggiò un mano sulla spalla  e quella distrazione mi consentì di staccare gli occhi da quelli della strega.
     «Neil, non lasciarmi mai più nelle mani di Eva Von Kampf.» Era Chiara.
     «A volte sa essere molto invadente, però è un mito! La donna più divertente che conosca.»
     «Lei è il “più uno”?» domandò Greta, puntando l’indice su Chiara. «Pensavo avessi gusti migliori.»
     La fata la degnò appena di uno sguardo e poi si rivolse nuovamente a me. «Ho già ucciso la mia quota di vampiri per questa settimana e non sono venuta qua per lavorare.»
     «Calma, signore.» dissi, mettendomi fra loro. Ci mancava solo che cominciassero a tirarsi i capelli e graffiarsi. Non che non ami un sexy catfight, ma purtroppo il momento non era favorevole. Strinsi il braccio a Chiara per ricordarle che in effetti eravamo là per lavorare, ma non era ancora ora di uccidere nessuno.
     «Non ci sarà nessuno scontro.» disse Maria Salis, con il suo solito tono imperioso. «Non nella mia casa, durante la mia festa.»
     Chiara e Greta annuirono, ma continuarono a guardarsi in cagnesco. Approfittai dell’occasione per salutare le vampire e allontanarmi con Chiara. Le carte ormai erano in tavola e non rimaneva che aspettare Big J. Gli avevo consegnato tre anelli che avevo incantato per aprire i Portali. Lui doveva semplicemente portarsi in posizione, usare l’anello e attivare la batteria. Poi doveva ripetere il procedimento nelle altre due postazioni. 
     È possibile “memorizzare” – con un uso un po’ informatico del termine – degli incantesimi su dei vettori per poter essere utilizzati più tardi anche da chi non ha l’abilità per congiurarli da sé. Il rovescio della medaglia sta nel fatto che è necessaria molta più energia, perché l’incantesimo deve rimanere in stasi fino a quando l’utilizzatore finale non lo sblocca, per cui bisogna tenere conto della naturale dissipazione dell’energia magica. Per lo stesso motivo, hanno anche una durata limitata. Dopo un certo intervallo di tempo semplicemente l’energia contenuta nell’oggetto non è più sufficiente a supportare l’incantesimo. Ovviamente non è obbligatorio usare degli anelli, qualsiasi altro ammennicolo va bene. L’ideale sono oggetti di metallo, gemme, qualsiasi cosa abbia una struttura molecolare semplice ed elegante. Si possono usare anche oggetti di plastica, di legno, roba elettronica o altre cose più complesse, ma il dispendio di energia è enorme. Viceversa, le gemme con un alto grado di purezza arrivano ad avere un’efficienza praticamente unitaria. Tutti conoscete la storia del diamante Hope. Sì, è maledetto, uccide i suoi proprietari da qualche secolo a questa parte. Opera di uno stregone dal discutibile senso dell’umorismo.
     Il vantaggio dello stratagemma – oltre all’aver fatto guadagnare parecchio al pasticciere vicino al nostro B&B – era che Big J poteva preparare con calma la sua postazione senza la mia presenza. Potendolo fare a festa iniziata era in grado di verificare per bene le posizioni degli obiettivi e piazzarsi nel modo più comodo possibile. Probabilmente in quel momento stava cominciando a lavorare. Mancavano circa due ore all’orario concordato.
     Per ingannare l’attesa, Chiara e io continuammo a girare per il salone per conoscere gli altri ospiti.  Nonostante l’arroganza mostrata da Maria Salis, non c’erano grandi rappresentanti del mondo sovrannaturale. Molti vampiri, qualche stregone e nulla più. Nessuna fata né folletto, nemmeno un piccolo demone minore: quelli con le ali di pipistrello e il forcone in mano. I demoni maggiori sono molto più affascinanti; almeno quando si degnano di assumere una forma umana e nascondere i tentacoli, le corna, gli aculei e altre appendici per cui non esistono parole adatte a descriverle. Non era presente neanche un drago; ma, del resto, chi ha mai visto un drago?
     Quando il mio telefono suonò, erano passate più di due ore. Molti ospiti se n’erano andati e quelli rimasti erano per lo più inebriati dall’alcool. La surbile e le Victoria’s Vampires erano sparite dalla circolazione. Presi il cellulare e lessi il messaggio ad alta voce, a vantaggio di Chiara.
     «Handsome Bear t’invita a giocare ad Angry Birds e ti dice: i maialini sono sotto tiro.»
     «Bene.» disse Chiara, piegando la testa di lato e facendosi schioccare le ossa del collo. «Stavo cominciando ad annoiarmi.»
     Le passai un braccio sulla vita e la strinsi a me. Barcollando un po’, come se fossimo brilli, ci avvicinammo all’Occhi Belli seduto accanto alla porta da cui eravamo entrati.  Nel vederci l’uomo nero si alzò e ci venne incontro. Ci fermammo e Chiara appoggiò una mano sul mio petto e cominciò a baciarmi sul collo. Guardai Occhi Belli con complicità maschile e quello sorrise.
     «C’è un posto tranquillo in cui possiamo appartarci?» chiesi.
     «Seguite il corridoio che avete fatto per arrivare qua, l’ultima porta a destra, quella prima della porta per l’atrio.» rispose, lanciando uno sguardo al fondoschiena di Chiara. «Buon divertimento.» aggiunse, mentre uscivamo dalla sala.
     Nell’istante in cui la porta si richiuse, Chiara balzò a due passi da me.
     «Sarebbe meglio fingere almeno finché arriviamo alla stanza.» protestai. «Occhi Belli potrebbe vederci e mangiare la foglia.»
     «Ti piacerebbe.» rispose Chiara,  allungando il passo.
     Non sembra, ma è innamorata di me.
     Anziché arrivare alla porta suggeritaci da Occhi Belli entrammo nella seconda stanza a sinistra e ci dirigemmo subito verso la finestra. Chiara la spalancò e saltò fuori. Io rimasi appoggiato sul davanzale, pronto a coprirla in caso di problemi. Attraversò il giardino in men che non si dica e con un salto si aggrappò all’inferriata del muro di cinta. Fece forza e la scavalcò con un salto. Raccolse qualcosa da dentro un bidone della spazzatura e poi ripeté l’operazione nella direzione opposta. In meno di due minuti era di nuovo nella stanza. Buttò a terra un borsone sportivo. Portare l’equipaggiamento all’interno della villa si era rivelato più facile del previsto.
     «Ottimo lavoro! Un po’ lenta, forse… »
     «Idiota. La prossima volta lo farai tu.» rispose, mentre si chinava per aprire la borsa.
     Sbuffai. «Sono fuori allenamento e poi mi fa male un ginocchio.»
     Ignorò il commento e mi passò un fucile a pompa, un Ithaca 37, e una scatola di munizioni. Caricai l’arma e misi un po' di cartucce di riserva nelle tasche dei pantaloni. Poi lo appoggiai, mi tolsi la giacca e strappai l’ignobile farfallino. Al diavolo lo smoking! L’avevo odiato dal momento in cui l’avevo indossato. Dire che era scomodo era riduttivo. Il farfallino mi stringeva il collo e la giacca mi opprimeva e mi faceva sentire imbalsamato. Al diavolo lo smoking e al diavolo James Bond! Gli abiti da sera non sono adatti a chi fa il mio mestiere.
     Chiara era del mio stesso avviso, dato che aveva strappato la parte inferiore del suo abito rosa, mettendo in mostra le sue lunghe gambe affusolate. Mi concessi un attimo di pausa per ammirarla. Sotto il vestito da sera indossava un paio di pantaloncini alla Lara Croft e ora stava legando alle cosce due fondine per le pistole.  La parte superiore del vestito era stata recisa perfettamente all’altezza del’ombelico e sembrava uno di quei top malandati che andavano di moda fra le ragazzine.
     «Era questa la modifica che dovevi fare al vestito? Distruggerlo definitivamente per perdere la caparra?» Intanto mi tolsi i gemelli e li misi in tasca. Avvolsi le maniche fino ai gomiti e mi aprii due bottoni della camicia per liberare il collo. Così ero molto più comodo.
     La fata si tolse le scarpe dal tacco stratosferico e indossò un paio di scarpe da tennis. «Non volevo perdere tempo o strapparlo male. Pensa che scomodità se dovessi combattere con le tette al vento.» disse, mentre  annodava i lacci delle scarpe.
     «Certo. Che scomodità… »
     «Maiale.» Come ultima cosa raccolse i capelli sopra la nuca e li legò con un paio di elastici. «Sei pronto?»
     Raccolsi il fucile e me l’appoggiai sulla spalla. «Sono nato pronto.»
     «Per favore, risparmiami i cliché da film d’azione.»

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Capitolo 4
*** 4. ***


Uscimmo nel corridoio, decisissimi a tornare nel salone per chiedere – con gentilezza, ovviamente – a uno degli Occhi Belli dove fosse andata Maria Salis. Volevo ridurre al minimo i danni collaterali. Mi fermai all’improvviso e dissi: «Prima voglio recuperare il bastone!» Mi voltai per andare verso l’atrio.
     Chiara mi seguì e disse: «Tre  uomini neri e la receptionist dai riccioli d’oro.» Anche io lo ricordavo, ma non era male avere un ulteriore aiuto a visualizzare la posizione.
     Arrivammo alla porta  e feci un lieve inchino, invitandola ad entrare per prima. «Pensaci tu con i coltelli, non vorrei che facessimo troppo rumore.»
     «Agli ordini, capo.» Spalancò la porta con un calcio e svanì.
     Tecnicamente avrei potuto usare qualche incantesimo poco appariscente per aiutarla, ma non volevo sprecare troppe energie prima di affrontare la surbile. Lo stesso motivo per cui avevo un fucile.
     Corsi dentro con l’arma spianata, anche se sapevo di non poter competere con la velocità della fata. Due Occhi Belli erano a terra con la gola squarciata da un orecchio all’altro. Il terzo, invece, sembrava aver anticipato Chiara e ora i due se le stavano dando di santa ragione.  Mi mossi verso la teca dov’erano riposte le armi.
     «Gandalf è tornato, baby, e ora ha un fottuto fucile!» gridai verso la reception, che però era vuota.
 Puntai il fucile su Occhi Belli, in caso ci fosse necessità di aiutare Chiara. Non volevo sparare, ma l’eventualità di venire scoperti aumentava esponenzialmente col tempo che rimanevamo là.
     All’improvviso qualcosa mi spinse a terra. Feci in tempo a voltarmi per vedere Riccioli d’Oro con una bacchetta – una di quelle da direttore d’orchestra - puntata verso di me. Accompagnai la caduta con una capriola e mi rialzai nella sua direzione.
     Così mi trovai una pistola puntata  sul viso.
     «Oh, cazzo.» borbottai.
     «Un fucile a pompa» disse Riccioli D’Oro «che arma banale.»
     Sorrisi, ripensando alla nostra precedente conversazione. «Non ho mai detto di essere una persona di classe.» Teneva la bacchetta nella mano sinistra e la pistola,  un’automatica, nella destra.
     «Buttalo a terra.» mi ordinò. Era molto calma e professionale, segno che aveva già partecipato a feste di quel tipo.
     Lasciai andare l’impugnatura e mi mossi lentamente per poggiarlo a terra, quando all’improvviso sentii Chiara gridare. Riccioli D’Oro si distrasse per solo una frazione di secondo, ma fu abbastanza per evocare uno scudo magico davanti a me e saltarle addosso.  Fece fuoco con la pistola, ma la pallottola andò a sbattere sullo scudo e schizzò sul pavimento. Rotolammo a terra e  gettò le sue armi per avvinghiarsi a me. Cercai di colpirla con il calcio dell’arma, ma eravamo attaccati e non riuscivo a dare abbastanza forza al colpo.  Anche io lasciai andare l’arma e rotolai sopra di lei, bloccandole le gambe con le ginocchia. Le fermai anche le mani, ma non prima che mi graffiasse sul volto un paio di volte. Sentii il sapore del sangue sulle labbra.
     «Immagino che per quella cena non ci sia più nulla da fare.»     
     Mi gridò contro qualche epiteto poco simpatico.
     «Comunque, non mi va di uccidere una signorina.» le dissi. Mormorai un paio di parole senza senso e le posai una mano sulla fronte. L’istante successivo dormiva come una bimba. Presi il fucile e mi alzai. Chiara e Occhi Belli stavano ancora combattendo, ma la fata era in difficoltà. L’uomo nero l’aveva appena colpita con un calcio alle costole e ora l’aveva presa per la gola, sollevandola di un paio di piedi da terra.
     Occhi Belli era troppo impegnato nel gustarsi la faccia stravolta della donna, perché non si accorse di me quando mi avvicinai e fece appena in tempo a voltarsi quando gli piazzai la canna dell’arma fra gli occhi.
     Sorrisi. «La signora ha detto che non gradisce.»
     Premetti il grilletto e la materia cerebrale di Occhi Belli si sparse per tutto l’atrio.
     Chiara cadde a terra insieme al cadavere, ma si rimise subito in piedi, massaggiandosi la gola.
     «Forza.» esclamai. «Altri Occhi Belli saranno qui fra poco.»
     Andai alla teca per recuperare  il mio bastone e nel mentre tirai fuori il cellulare per chiamare Big J.
     Rispose al primo squillo. «Cambio di programma.» dissi. «Abbatti subito tutti i bersagli che hai sotto tiro. È possibile che vengano a prenderci nell’atrio.»
     «Roger.» rispose Jebediah. Dopo un attimo aggiunse: «Il settore giallo è libero. Verdi e rossi in arrivo verso di voi. Evil Witch è nel settore blu.» Tradotto in termini umani significava: la sala della festa è libera da nemici; persone che non c’entrano nulla stanno scappando verso l’uscita e cattivoni che vogliono farvi la pelle sono dietro di loro; Maria Salis è al piano superiore.  Capite perché è più comodo comunicare in codice?
     «Ricevuto, Handsome Bear.» Corsi verso le scale e mi misi l’auricolare per continuare a comunicare con Big J. In quel momento era un po’ il nostro angelo custode. Nell’istante in cui arrivammo sull’ampio pianerottolo, la porta da cui eravamo arrivati si spalancò e una dozzina di persone si riversò nell’atrio. Alcune correvano e gridavano in preda al panico, altre  - quelle più abituate a quelle situazioni  - cercavano di fuggire più ordinatamente. Nessuno però era intenzionato a fermarsi e combattere. Del resto chi glielo avrebbe fatto fare? Chi aveva un po’ di sale in zucca probabilmente aveva capito che questa era la punizione che l’Areu Afadau aveva comminato per la surbile. Chi invece era all’oscuro di tutto, beh… affari suoi. Entrambe le categorie comunque si preoccupavano esclusivamente di uscirne vivi.
     Poi cominciarono a entrare  gli Occhi Belli. Erano parecchi, molti più di quanti avessimo preventivato.
     I primi non capirono nemmeno cosa stesse succedendo. A due esplose la testa; un terzo si fermò a fissarsi un buco in mezzo al petto. Un altro si buttò a terra e un proiettile lo colpì alla schiena. Quando si viene attaccati con un fucile di precisione da un chilometro di distanza è difficile capire cosa stia succedendo: i proiettili sono supersonici, per cui si muore prima di sentire lo sparo – ammesso che tu sia abbastanza vicino da poterlo sentire.
      Gli Occhi Belli vedevano alcuni dei loro compagni cadere a terra come frutti maturi ed erano rimasti spaesati. Aggiunto a ciò, Chiara e io scaricammo le armi nella loro direzione. Bastò per farli uscire dall’atrio e ad avanzare più lentamente.
     «Altri cattivoni in arrivo dal settore blu.» sentii nell’auricolare.
     «Roger.» Anche Chiara si era messa l’auricolare e annuii nella mia direzione.
     Gettai a terra il fucile. Ormai avevo recuperato il bastone e, soprattutto, non potevo portare in giro due armi così ingombranti. A volte mi piacerebbe tanto essere come Guybrush Threepwood e potermi infilare una scala a pioli nei pantaloni.
     Continuammo a salire per le scale. Due Occhi Belli comparvero in cima ad esse, ma Chiara li freddò subito. Qualcuno avrebbe dovuto rivelare a Maria Salis l’esistenza della armi da fuoco e come sia contro produttivo mandare orde di sgherri disarmati verso gente che sa sparare.
     «Evil Witch si è nascosta in una stanza difesa da cattivoni armati pesantemente.»
     Ok, qualcuno le aveva rivelato l’esistenza delle armi da fuoco, chiedo scusa. «Roger. Puoi eliminarli?»
     «Negativo. Hanno mangiato la foglia e stanno chiudendo tutte le tende.»
     «Ricevuto, Handsome Bear. Procediamo, per ora guardaci le spalle. Nel momento in cui non puoi più far nulla da là, raggiungici.»
     «Roger.»
     Arrivati in cima alle scale, la porta si aprì improvvisamente e un Occhi Belli saltò fuori. Preso alla sprovvista, la prima cosa che mi venne in mente fu di colpirlo con la punta del bastone. Probabilmente non gli diede più fastidio di una puntura di zanzara, ma lo distrasse abbastanza da permettere a Chiara di sparagli a bruciapelo.
     Il piano superiore, il settore blu, sembrava essere disabitato. I mobili erano coperti da lenzuola e la polvere regnava ovunque. Maria Salis aveva problemi di denaro e non poteva permettersi abbastanza membri della servitù per tenere pulita la villa?
     Attraversammo un paio di stanze senza trovare resistenza, ma poi fummo costretti a fermarci all’ingresso di un corridoio. La porta era spalancata e ciò non prometteva nulla di buono. Ci spostammo ai lati e, non appena chinammo un pochino la testa per guardare, raffiche di mitra risuonarono nella stanza.
     Fucili d’assalto. Controllai Chiara, per vedere se non fosse stata colpita. Naturalmente no, con i suoi riflessi da supereroe. Alzò tre dita della mano sinistra e due della destra.
     Annuii. C’erano cinque Occhi Belli, tre a sinistra e due a destra. Avevano costruito una specie di barricata con delle poltrone e dei tavolini: un fortino dei poveri. Feci il gesto di lanciare una granata.
     Scosse la testa, confermandomi che non ne avevamo portate. Non ci aspettavamo così tanti Occhi Belli. L’unica soluzione era di prendere la stanza con la forza. Non mi andava però di consumare troppa energia - bloccare le raffiche di cinque fucili d’assalto non è affatto un’inezia – ma del resto si doveva avanzare.  Non avevamo portato nemmeno i sacchi a pelo per dormire sul pavimento.
     Feci segno a Chiara di seguirmi e poi uscii dal riparo.
     I fucili d’assalto ripresero a suonare la loro letale melodia, ma le pallottole s’infransero sullo scudo che avevo evocato. Aveva l’aspetto di un vetro spesso,  deformava lievemente  la visione, con l’unica differenza che i proiettili ci rimbalzavano sopra. Era un incantesimo complesso e dispendioso.  Certo, era ottimo per bloccare proiettili di piccolo calibro o armi a bassa cadenza di tiro, ma in questo caso era altamente inefficiente. Però se tutto fosse andato come prevedevo non avrei dovuto tenerlo attivo per molto tempo. Nel momento che avrebbero esaurito i proiettili e si sarebbero fermati per ricaricare, sarebbero toccato a noi.
     Chiara stava alle mie spalle e attendeva il momento giusto per intervenire.  Avrei voluto muovermi più velocemente per ridurre la distanza dai nemici, ma l’incantesimo richiedeva abbastanza concentrazione da impedirmelo.
     Le cose non andarono come avevo sperato. Anziché continuare a bersagliarci dalla lunga distanza, tre degli Occhi Belli sfoderarono un machete e ci corsero incontro, mentre gli altri due ci tenevano sotto tiro.  A quel punto lo scudo diventava inutile: era fatto apposta per bloccare oggetti dalla piccola massa, non tre giganti armati di coltellacci.
     «Occupati dei due col fucile.» ordinai a Chiara e disattivai lo scudo. Mi lanciai a tutta forza contro i tre, in modo tale da sparire dalla linea di tiro degli altri, mentre la jana si mosse abbastanza velocemente da scomparire dalla mia vista.
     Gli Occhi Belli alzarono le armi per colpirmi ma io puntai avanti il bastone e liberai tutte l’energia che vi avevo accumulato a causa dei proiettili che si erano scontrati sullo scudo. Una specie di KERS magico, se mi passate la metafora. Non era un attacco fenomenale, ma pensavo sarebbe bastato per far cadere i tre energumeni. Invece quelli barcollarono un attimo ma subito si ricomposero.
     Sentii un machete passarmi a un pollice dal naso.  Mi buttai all’indietro ed evocai un altro incantesimo: l’aria davanti a me comincio a solidificarsi e un sottile muro di ghiaccio comparve fra me e gli Occhi Belli. Due ci andarono a sbattere contro, mentre l’altro lo dribblò con agilità. Non fu un bene per lui, visto che prese  una palla di fuoco dritta in faccia. Si buttò a terra mentre le fiamme lo divoravano e le sue urla quasi coprirono i suoi degli spari che arrivavano dall’altra parte del salone.
     Preparai un’altra palla di fuoco e arrostii un secondo gigante, ma non riuscii a schivare il terzo che mi caricò, colpendomi in petto con una spallata. Non sono mai stato investito, ma credo che l’effetto sia molto simile. Volai per qualche metro e andai a sbattere pesantemente contro il muro. Non contento, Occhi Belli continuò a correre verso di me con il machete sollevato.  Non feci in tempo a rialzarmi, ma parai il colpo con il bastone. Il machete si piantò nel legno e penetrò fino a bloccarsi all’anima di metallo.
     Occhi Belli lo strappò senza fatica e m’indirizzo un ghigno famelico. La botta sul muro mi aveva stordito e non riuscivo a concentrarmi abbastanza per preparare un incantesimo. Nel momento in cui riuscivo ad evocare un po’ di energia, quella mi scivolava fra le mani come sabbia.
     «Fossi in te mi guarderei le spalle.» dissi con ironia.
     Quello rise e fece calare il machete.
     Chiara gli piantò due colpi in testa e il cadavere mi cadde addosso. «Cazzo, Neil!» esclamò la fata. «Cosa ti è saltato in mente? Volevi farti uccidere?»
     «Avevo la situazione sotto controllo.» risposi, mentre sgusciavo da sotto il cadavere del gigante e mi rialzavo.  Dall’altra parte della sala c’erano i corpi senza vita degli ultimi due Occhi Belli.
Gli ultimi se avessimo escluso quelli appena arrivati dalla parte da cui eravamo entrati. Erano almeno una dozzina, ma almeno non avevano armi.
     «Tu vai avanti. Questi li tengo a bada io.» disse Chiara, mentre infilava gli ultimi caricatori nelle pistole. «Dì a Jebediah di sbrigarsi e di portare un bell’SMG per la sottoscritta.»
     Le diedi una pacca sulla spalla e corsi via. Riferii a Big J la situazione e gli suggerii di muoversi. Percorsi un altro corridoio e trovai Barbetta che mi ostruiva il passaggio.
     Mi fermai e dissi: «Deduco che dopo quella porta ci siano le stanze private della tua padrona.»
     Barbetta non sembrava avere nessun’arma a portata di mano. Teneva le braccia conserte e mi guardava con una certa intensità. Se devo essere sincero, sembrava il presentatore di un quiz show che attende un’eternità prima di dire se se la risposta è esatta.
     «Perché vuoi ucciderla?» mi chiese.
     Alzai le spalle. «Lavoro, nulla di personale. Non ho niente contro di te, puoi fuggire se vuoi.»
     «Fuggire?» esclamò, trattenendo una risata. «Perché dovrei fug…»
     S’interruppe perché l’aculeo di ghiaccio che avevo evocato gli si era piantato nell’addome. Biascicò qualcosa riguardo lealtà e onore, mentre la bocca gli si riempiva di sangue. Come ho già detto, non sono un Cavaliere della Tavola Rotonda e nemmeno un tipo sportivo.
     Barbetta sembrò cadere su un ginocchio, ma resistette e mi corse contro.
     Ammetto che era un duro, uno con le palle, ma comunque un pazzo suicida. Non corri incontro a un mago pronto a riceverti. Un conto è caricarlo mentre i tuoi amici lo minacciano con dei fucili d’assalto, in quel caso puoi aver successo, come avevano dimostrato poco prima gli altri Occhi Belli. Quella di Barbetta, invece, era solo una corsa verso la morte. Forse era troppo legato a Maria Salis e si sentiva in dovere di sacrificarsi per lei. Oppure era solo troppo stupido per vivere.
     Ricordate che vi dissi che volendo avrei potuto far esplodere una persona? Era troppo dispendioso e non volevo sprecare energie, però usai un incantesimo simile. Caricai un po’ di energia nel bastone  e poi lo feci roteare con tutta la forza che avevo a disposizione. Una delle estremità si scontrò in pieno con il petto di Barbetta e l’uomo nero si frantumò in più parti. Il torace e la testa quasi mi colpirono, se non mi fossi spostato di lato. Le braccia partirono in direzioni opposte, lasciando una scia di sangue a segnare la loro traiettoria. Le gambe continuarono a muoversi per inerzia e si accasciarono dopo un paio di passi.
     Un incantesimo banale dai risultati fin troppo scenografici e cruenti. Avevo semplicemente concentrato l’energia contenuta sul bastone su una dell’estremità  e, da un certo punto di vista, Barbetta era come stato colpito dalla palla di ferro di un gru da demolizione.
     Entrai nella stanza e trovai il mio obiettivo. Maria Salis era seduta su una poltrona e sul divano accanto a lei si trovavano Greta e le Victoria’s Vampires.
     Non era per nulla buono. Una strega e uno, due, tre, quattro, cinque vampiri. Male, molto male. Guardando la situazione dal lato positivo, però, c’era un vantaggio: erano tutti ammucchiati al centro della stanza, per cui avrei potuto eliminarne un paio con un solo attacco. Mi misi una mano in tasca e strinsi i gemelli.
     «Come osi?» disse Maria Salis, alzandosi in piedi. Notai che, nonostante l’aria di superiorità di cui si circondava, le tremavano le mani. «Dov’è Francesco?»
     Supposi si riferisse a Barbetta. Scrollai le spalle e dissi: «È rimasto nell’altra stanza. Un pezzo da una parte, un pezzo dall’altra…» La guardai negli occhi e sorrisi.
     La surbile stava quasi per saltarmi addosso, ma Greta la fermò, posandole una mano sulla spalla. Le sussurrò qualcosa all’orecchio. Ero restio a completare subito il lavoro, perché non sapevo come le Victoria’s Vampires avrebbero reagito. Se potevo, avrei preferito eseguire un intervento chirurgico, piuttosto che un bombardamento a tappeto.
     «Perché vuoi ucciderla?» chiese Greta. «Non c’è niente che possiamo fare per dissuaderti?»
     «Te l’ho detto, è una criminale.»
     «E Maskinganna manda te a fare il lavoro sporco.» Maria quasi sputò le parole. Poi sembrò calmarsi e con voce più suadente aggiunse: «Ti faccio un’offerta.»
     Alzai la mano. «Ferma là. Non sprechiamo tempo, il mio contratto è con Lord Maskinganna e solitamente rispetto gli accordi.»
     «Sai che non ti permetteremo di ucciderla, vero?» disse Greta. Le altre vampire si stavano lentamente allargando, per circondarmi.
     «Lo so, lo so.» risposi. «Ma non cambia nulla.»
     «Vuoi inimicarti la metà di vampiri d’Europa?»
     «Sono un rappresentante della corte sarda. Interferire col mio lavoro equivale a interferire con la politica interna dell’Areu Afadau
     «Maria è una della Madri! Non ha nulla a che vedere con la corte sarda!» gridò Greta.
     Una Madre! Una fra i primi umani a diventare un vampiro. Era molto differente rispetto a “uno dei più antichi membri della nostra specie”. Differente come il cielo e la terra.
     Dovete sapere che esistono due tipi di vampiri: quelli che chiamiamo con quel nome, come Maria e le Victoria’s Vampires, sono il tipo più comune. Il secondo tipo invece è molto più raro e sconosciuto ai più. Diciamo semplicemente che i vampiri sono una brutta copia di questi ultimi. 
     Il tipo raro si ciba di esseri umani e solitamente nel processo uccide la preda. I pochi fortunati che sopravvivono acquisiscono un simulacro del loro potere; la magia del sangue, ossia la possibilità di estrarre energia magica dal sangue. Una specie di carburante extra che si può ottenere con facilità se non si è schizzinosi nel succhiarlo dalle vene altrui. Fra quei pochi che muoiono, non tutti si accorgono di quel “dono”e non tutti sono in grado di sfruttarlo.  Le Madri – suppongo esistano anche i Padri – sono le prime che hanno imparato a utilizzare quel tipo di magia, diventando quindi ciò che chiamiamo “vampiri”.  Se ne conoscono molto poche e la maggior parte sono a capo di diversi clan. Maria, probabilmente a causa dello strapotere dell’Areu Afadau nella sua terra, era sempre rimasta in una posizione di sottomissione.
     Ecco perché Greta era tanto interessata a lei. Probabilmente la surbile conosceva anche il rituale per formare nuovi vampiri. Contrariamente al quel che si pensa non si generano nuove reclute via morso. Se così fosse, ora il mondo sarebbe popolato da vampiri e mannari.
     Scossi la testa. «Non m’intendo di politica, ho stipulato un contratto e devo risolverlo. Nulla di personale, è solo una questione di lavoro.»
     «Non te lo perm…»
     La interruppi. «Se mi ostacoli, è come se dichiarassi guerra all’Areu Afadau. Sai cosa significa?»
     Greta lasciò andare Maria Salis e fece un passo indietro.
     «Vedo che hai capito.» Sorrisi e diedi un colpetto a terra con il bastone. «Una dichiarazione di guerra formale farebbe scendere in campo anche le altre corti fatate.»
     «Che significa, Greta?» chiese Maria, voltandosi verso la vampira tedesca. «Avevate promesso di aiutarmi!»
     «Maria, se Maskinganna ha deciso di giocare duro, c’è poco che io possa fare.»
     «Potete andare via.» proposi.
     Greta scosse la testa. Guardò le altre vampire, che aspettavano solamente un segnale per attaccarmi. «Mi spiace, Neil, è una delle Madri. Non possiamo abbandonarla. È troppo importante.»
     «Sei seriamente disposta a metterti contro gli Aes Sidhe? Per lei? Per quel po’ di conoscenza che può possedere?» Le Victoria’s Vampires si erano equamente distribuite lungo la stanza, pronte a colpirmi da più fronti.  Se le mie abilità dialettiche non avrebbero persuaso Greta, mi sarei trovato in una situazione piuttosto imbarazzante.
     «Se ti eliminiamo ora nessuno al di fuori di questa stanza saprà chi ti ha ucciso e non avranno prove per poter intervenire contro di noi.»
     «Andiamo, Greta, non fare la stupida. Pensi che a Maskinganna importi qualcosa di me? La mia morte al massimo ritarderà la punizione.»
     «E non ci sarà il rischio di una guerra totale.»
     «Secondo te non ci siamo preventivati per una simile evenienza?» Stavo cominciando a scaldarmi. La tedesca era fin troppo testarda.
     «Sono pronta a rischiare.» rispose.
     La guardai negli occhi. Era sincera. Dovevo convincerla che non era la soluzione migliore per il suo clan.
     «Sei pazza.» dissi, senza metterci troppa enfasi, come se stessi enunciando un dato empirico. «Hai mai incontrato un sidhe
     «Non ho avuto la sfortuna.»
     «Quindi non hai idea del loro potere.»
     «Conosco delle storie» rispose «ma sono storie, appunto.»
     Sorrisi. Era venuto il momento di istruire la vampira. «Tunguska.» dissi, ancora col sorriso sulle labbra. «Conosci l’evento di Tunguska?»
     Fece cenno di sì. «La meteorite del 1908, no?»
     «Esatto. Solo che non era una meteorite.»
     Greta mi guardò, il volto colmo di dubbio. «E cosa è successo allora? Sono stati gli alieni?» Si mise a ridere, ma era una risata forzata.
     «No, no, no.» risposi. «Niente alieni. Lasciamo queste cose ai film e ai fumetti.»
     «Cosa vuoi dirmi?» Stava cominciando a capire dove stessi andando a parare.
     Cominciai a raccontare la mia bella favoletta: «Nei primi anni del Novecento, in Russia esisteva un circolo di arcimaghi. Era una cosa molto simile al Dipartimento di Studi Magici di Xiam, una specie di precursore. Questi arcimaghi era molto potenti ma un giorno decisero di stipulare un accordo con un aes sidhe, una leanan sidhe. La fata rispettò la sua parte, ottemperando alla richiesta fattale dai maghi, ma loro decisero che il prezzo stipulato in partenza era troppo alto e si rifiutarono di pagare.»
     Greta si passò una mano sulla fronte. «Mi stai dicendo che l’evento di Tunguska non è stato causato da una meteorite ma da una sidhe adirata?»
     «Così però togli tutta la poesia dal racconto.» mi lamentai. «Comunque sì, quel circolo aveva sede vicino al Podkamennaja Tunguska. Furono abbattuti sessanta milioni di alberi in più di duemila chilometri quadrati. L’esplosione si sentì a seicento chilometri di distanza e a Londra, dov’era mezzanotte, il cielo era così chiaro che si poteva leggere un giornale senza bisogno di luce artificiale.»
     «È solo una storia.» replicò Greta. «Pensi di spaventarmi con una favola per bambini? E, se anche fosse vero, allora perché tutti i racconti ufficiali parlano di un meteorite?»
     «Perché me l’ha raccontata il padre di quella sidhe.» replicai. «E si parla di un meteorite perché nessuno si è scomodato a raccontare cos’è successo veramente. Lei preferisce tenere un basso profilo. Idem per il padre.»
     «Non ti credo. Stai solo cercando di farmi scappare.»
     «Può darsi.» risposi. La cosa stava andando per le lunghe. Infilai la mano in tasca e tolsi fuori i due gemelli, facendo bene attenzione a non mostrarli. «Può darsi che stia mentendo o può darsi che stia dicendo la verità. Ciò non toglie che gli Aes Sidhe siano degli esseri che è meglio non provocare.» Continuai a maneggiare i gemelli e aggiunsi: «Quindi puoi provare a uccidermi e rischiare di morire per mano mia o di una fata,  oppure puoi consegnarmi Maria e andare via senza problemi di sorta.»
     Sul suo viso si leggeva l’indecisione. Alzò una mano e le Victoria’s Vampire arretrarono.
     «Non puoi abbandonarmi!» strillò Maria. «Me l’avevi promesso!»
     «Non pensare sia finita così, Neil McRoberts.» disse Greta.  Gesticolò tracciando alcuni segni nell’aria e un Portale si aprì  accanto a lei. «Farai bene a guardarti le spalle.»
     Bene, mi ci voleva proprio un altro nemico. Le vampire modelle sfilarono lungo la stanza e attraversarono il Portale.
     Maria Salis prese Greta per un braccio e disse: «Non puoi abbandonarmi!»
     Quella si liberò con uno strattone e ignorò la surbile. Poi si rivolse a me e disse: «Avrai mie notizie.» Entrò nel Portale, che si richiuse subito dopo.
     «Bene, bene, bene.» dissi. Senza perdere altro tempo lanciai uno dei gemelli verso Maria. Come vi ho detto, qualsiasi oggetto può contenere un incantesimo. I gemelli avrebbero dovuto produrre un’onda d’urto come quella di un’esplosione.
     Maria non era certo rimasta a guardare e anche lei aveva lanciato qualcosa: una piccola fialetta che s’infranse ai miei piedi. Non feci in tempo a far nulla, perché l’onda dell’urto del mio incantesimo colpì pure me e mi scaraventò indietro. Indubbiamente avevo tarato male l’energia, ma fu una fortuna: evitai di respirare i fumi di quella sostanza, che sicuramente non era un profumo alla lavanda. In cambio però mi andai a schiantare su una cassettiera. Essendo un vero mobile in legno massiccio, e non un oggetto di scena del set di un film d’azione, non si sfondò e l’impatto mi fece parecchio male. Mi toccai la testa e la mano s’imbrattò di sangue.
     Non c’era tempo di giocare al dottore, perché la surbile si stava avvicinando con un’altra fiala in mano. Rotolai di lato, evitando l’ennesimo attacco. Sentii un intenso puzzo di bruciato provenire dalla cassettiera e mi voltai, per vederla in fiamme. Maria Salis forse non era potente o abile nell’arte magica, ma si sapeva difendere egregiamente.
     «Pensavi che mi sarei fatta sgozzare come un agnellino?» mi gridò contro. Sembrava che mi avesse letto nel pensiero. Aveva rallentato e preso in mano un coltellaccio dall’aspetto poco rassicurante. «È passato molto tempo dall’ultima volta che ho bevuto il sangue di un adulto.»
     Barcollai all’indietro, mentre con lo sguardo cercavo il mio bastone. L’onda d’urto me l’aveva fatto sfuggire di mano. Quell’incantesimo non era stata per nulla una buona idea.
     Congiurai una piccola sfera di fuoco e gliela lanciai contro per testare le sue difese.
     La surbile agitò una mano e il dardo infuocato si dissipò prima che arrivasse a toccarla. Mi guardò e sghignazzò. «Sul serio?» disse. «Impegnati di più, ragazzino.»
     Mi concentrai per accumulare più energia possibile, raggranellando tutta quella che mi era rimasta. Volevo lanciare un ultimo incantesimo e speravo che le uccidesse. Oltretutto la stanza, per quanto grande, non era infinita e non potevo indietreggiare per sempre.
     Maria fece uno scatto improvviso e provò a colpirmi con un affondo, che evitai per un soffio. Anzi non lo evitai, perché sentii qualcosa colare lungo il fianco e vidi la punta del coltello sporca di sangue. La vampira smise d’inseguirmi e pulì l’arma col bordo del grembiule.
     Ero stato appena avvelenato. Non ne ero certo, ma conoscendo la passione della strega per le pozioni era probabile che la lama del coltello fosse imbevuta di qualche porcheria. Quello e il fatto che la scalfittura bruciava come se ci avessero versato sopra del whisky. Magari la lama era imbevuta di whisky. Poco probabile.
     Comunque la situazione non era poi così grave. Probabilmente il veleno non era letale – i vampiri non sono necrofagi, al contrario dei ghoul – e ne avevo ricevuto una quantità così modesta che gli effetti ci avrebbero messo un po’ a manifestarsi. Inoltre, Maria era così arrogante – o forse poco abituata a combattere – che si era fermata, come ad attendere che il veleno facesse effetto. Grave errore, mia simpatica succhia sangue.
     Mi fermai anche io e completai l’incantesimo. Era molto più difficile farlo senza bastone, ma c’era poco da lamentarsi. L’aria cominciò a farsi fredda, molto fredda. Il vapore acqueo presente nell’aria cominciò a condensarsi e si formò una nebbiolina sul fondo della stanza. Contemporaneamente, io cominciai a sudare come se stessi partecipando a una maratona nel deserto.
     Maria si accorse dell’incantesimo e cominciò a gesticolare e cantare. Stava preparando un contro incantesimo e dovevo sperare che non fosse abbastanza svelta.
     Piccoli cristalli di ghiaccio cominciarono a formarsi sulla pelle della surbile. La sentii strillare e provò a scappare. Dico provò perché sotto di lei si era formato un leggero strato di ghiaccio che la fece scivolare. Cadde malamente a terra e vista il suo fisico da donna anziana non mi sarei stupito se si fosse fratturata un femore.
     Il sudore mi colava sugli occhi ed ero costretto a sbattere ripetutamente le palpebre. Sentivo che la mia temperatura corporea si stava alzando molto in fretta e cominciava a girarmi la testa. Dovevo chiudere la partita il più presto possibile, se non volevo andare in shock.
     Mi avvicinai a Maria Salis. Tutte le sue gambe erano ricoperte da uno strato di ghiaccio, ma continuava a cantare, cercando di combattere l’effetto dell’incantesimo.
     «È finita.» le dissi, chinandomi su di lei.
     Non l’avessi mai fatto. La strega estrasse un’ennesima fiala dalla camicia e me la tirò contro.
     Alzai il braccio destro per difendermi e la ruppi. Il liquido incolore si sparse sulla pelle e urlai. Sentivo la carne sfrigolare, come l’acido la consumava. Il dolore era ai limiti della sopportazione, ma dovevo continuare.  Posai la mano sulla faccia di Maria e concentrai tutta l’energia dell’incantesimo su di lei. Mi morse il palmo, come ultimo atto di difesa, ma non servì a nulla. Dopo qualche secondo la sua testa era diventata un blocco di ghiaccio, il viso immobilizzato in un’espressione di terrore. O forse era stupore. Il mio ego mi suggerì di optare per “terrore”.
     Interruppi l’incantesimo e mi buttai a terra. Ero sfinito e pieno di dolori. In particolare quello al braccio era terribile. Non stavo urlando solo perché non avevo energie per farlo. Lo alzai per verificare il danno. Non era una bella vista. La pelle era stata consumata e in alcuni punti potevo vedere il bianco delle ossa. Provai a stringere il pugno e non sembravano esserci problemi motori. Sarebbe rimasta una bella cicatrice da mostrare alle signorine.
     Presi il telefono e chiamai Jebediah.
     «Evil Witch è morta, ma ho bisogno di aiuto. Com’è la vostra situazione?»
     «Ricevuto, Bagpiper. Stiamo arrivando, i rossi sono fuggiti.»
     «Roger, Handsome Bear. Vi aspetto con trepidazione.»
     Dopo qualche minuto, Big J e Chiara entrarono nella stanza. L’uomo posò la mitraglietta, prese il kit del pronto soccorso  e mi prestò le prime cure.
     «Che diavolo ti è successo al braccio?» mi chiese mentre lo medicava.
     «Maria Salis si divertiva a giocare al piccolo chimico.»
     «E perché c’è così freddo?» domandò Chiara, sfregandosi le braccia scoperte. Vide il cadavere dell’obiettivo e aggiunse: «No, lascia stare. Non rispondere.»
     «Credo di avere un brutto taglio sulla testa. Sto sanguinando come una fontana.» dissi. «Avete avuto problemi con gli Occhi Belli?»
     «Certo che no.» rispose la jana. «Erano tutti disarmati a parte qualcuno con un machete. Sembrava di essere al luna park.»
     «E hai vinto un orsacchiotto?» Cercai di sorridere, ma la stanchezza stava prendendo il sopravvento. «C’è qualcosa da mangiare in quello zaino?»
     Jebediah tolse fuori una tavoletta di cioccolato fondente e me la passò. La divorai in dieci secondi. Poi mi caricò sulle spalle e disse: «E ora di svignarcela prima che arrivino le forze dell’ordine.»
     «Portatemi fuori di qua e vi apro un Portale per le Hawaii.» Ci ripensai un attimo e feci fermare Big J. «Passami la pistola.»
     Mi diede la sua arma e sparai un paio di colpi alla testa della surbile. Il ghiaccio si frantumò in mille pezzi. «Per sicurezza.» commentai.
     «A proposito, una curiosità.» disse Chiara, mentre ci allontanavamo dal luogo del misfatto. «Perché diavolo i pezzi dell’uomo nero qua fuori sono sparsi per tutta la sala?»

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Stavo per morire.
     Il sole stava tramontando e i suoi raggi tingevano di rosso il mare. Una leggera brezza agitava le palme, accompagnando il ritmico andirivieni delle onde. Qualche ora prima mi ero sdraiato su un lettino a prendere il fresco, con accanto una bottiglia di ottimo scotch. Erano passati sei mesi dal lavoro di Cagliari ed ero perfettamente guarito. L’oro del pagamento aveva rimpinguato il mio conto in banca. Non si poteva dire che stessi male. Quella spiaggia era il mio piccolo paradiso personale su Kaho’olawe; il mio rifugio dalla mondanità e  il posto in cui amavo rilassarmi lontano dal mondo.
     Nessuno era al corrente di questo mio rifugio e nessuno che mi conosceva avrebbe immaginato che passassi là gran parte del mio tempo libero, piuttosto che sulla Las Vegas Strip.
     Per questo non riuscivo a spiegarmi la presenza dei cinque vampiri che mi puntavano contro delle  pistole mitragliatrici. Mi avevano preso completamente di sorpresa e non sapevo cosa avrei potuto fare per difendermi.
     «Tanti saluti da Greta.» disse quello che doveva essere il capo. Poi fecero fuoco.
     Evocai uno scudo all’ultimo momento e mi salvò da una fine troppo repentina, ma sotto quel volume di fuoco sarebbe durato solo pochi secondi. Pensa, Neil, cosa fare per non morire?
     Non feci nulla e chiusi gli occhi. Mi consolai col fatto che almeno sarei morto in un posto bellissimo.
     Gli spari s’interruppero all’improvviso. Aprii gli occhi e vidi i vampiri stesi a terra. Morti. Qualche passo più indietro c’era Lord Maskinganna.
     «Chiudi la bocca o ci entrerà qualche insetto.» disse, mentre scavalcava i cadaveri.  Era nella stessa forma di bambino di quando l’avevo incontrato sei mesi prima. L’unica differenza era che indossava un paio di boxer floreali, anziché il costume tradizionale sardo.
     «Ma…»
     «Ma cosa? Non sei contento di essere ancora vivo?»
     «Certo, ma…»
     «Ancora?» Verso un po’ dello scotch nel bicchiere e ne bevve un sorso. Sospirò. «Eccellente. Nettare divino. Quasi meglio dell’abbardente
     La vista del bambino che sorseggiava il liquore mi lasciò più stupito del salvataggio last-minute. «Non sei troppo piccolo per bere whisky?» domandai, cercando di ricompormi. Non riuscivo a controllare il tremore delle mani.
     «Ho qualche millennio più di te, Neil McRoberts.» rispose. Bevve un altro sorso e si limitò a fissarmi.
     «Cosa è successo?» domandai, finalmente.
     «Greta Zimmermann non ha preso bene il modo in cui l’hai trattata a Cagliari.»
     «Questo l’ho dedotto pure io da quel che ha detto il vampiro.» risposi. Mi alzai e svuotai un bicchiere, per calmare i nervi. «Quello che non capisco è come abbiano fatto ad arrivare fin qua.»
     Maskinganna alzò le spalle. «Con tutto il casino che hai fatto nella villa di Maria Salis sicuramente hai lasciato abbastanza roba per preparare un rituale di ricerca. Sangue, capelli e via dicendo.»
     «Ho protetto questo luogo con una miriade di rituali. Dovrebbe essere schermato da qualsiasi incantesimo di ricerca. È il mio piccolo paradiso personale!»
     «Sì?» si limitò a commentare.
     «Non è possibile che una combriccola di vampiretti sia riuscita a trovarmi qua.»
     «Sono stati aiutati da qualcuno, è ovvio.»
     «Uno stregone non potrebbe trovarlo.» replicai. «Non senza un indizio con cui circoscrivere l’area di ricerca. Nessuno ha abbastanza energia per congiurare un rituale di ricerca su tutto il pianeta!»
     «Permettimi di correggerti.» Maskinganna alzò una mano. «Nessuno stregone umano ha abbastanza energia.»
     «I vampiri di norma non sono più potenti degli umani.»
     Mi ignorò. «Io ad esempio ci ho messo quasi una settimana per trovarti qua.» Sorrise. «Ammetto che hai fatto un buon lavoro con gli incantesimi di protezione.»
     «E questo mi porta al secondo problema. Che diavolo ci fai qua? Mi stai spiando?»
     «Ti sto proteggendo.»
     «E perché mai?»
     «Lo devo a Seamus. È stato lui a suggerirmi di assumerti e ora non posso certo lasciarti nei guai per causa mia.»
     Le sorprese cominciavano a essere fin troppe. «Conosci Seamus?»
     «Certo. Come pensi sia venuto a sapere di te? Non mi risulta che sia sull’elenco telefonico o abbia il tuo bel sito Internet.»
     «Quel maledetto vecchiaccio.» borbottai. Seamus era il mio tutore, colui che mi aveva fatto conoscere la magia. «Come sta?»
     «Come al solito.» rispose Maskinganna. «È sempre impegnato con gli intrighi degli Aes Sidhe
     «Posso immaginare.»
     «Bando alle ciance, non puoi più stare qui. Chi sta aiutando Greta è molto potente, se ha trovato anche lui questo santuario.» 
     «Al diavolo!» esclamai. «Non voglio fare la vita dell’uomo braccato. Non di nuovo.» Mi venivano ancora i brividi a pensare al tempo passato in Groenlandia.
     «Posso ospitarti in uno dei miei rifugi. In Sardegna.»
     Annuii. «Ti ringrazio, Lord Maskinganna.» risposi, con un leggero inchino. Avevo il vago sospetto che nei prossimi mesi avrei letto parecchio. «Chiara e Big J saranno al sicuro?»
     «Jebediah non è minacciato.»
     Il solito fortunello. «E Chiara?»
     «Per lei non posso fare nulla.» rispose. «Non finché non accetta il mio invito.»
     «È una changeling, vero?»
     Un changeling è un bimbo umano che viene scambiato nella culla con una fata. Non credo esista una parola italiana per descriverlo. E non chiedetemi perché le fate lo facciano, visto che non ne ho la più pallida idea.
     Maskinganna disse: «Sì, è una changeling e finché non decide di entrare a far parte dell’Areu Afadau, o di qualsiasi altre corte fatata, non posso aiutarla.»
     «Intendi dire finché non vi giurerà fedeltà!» lo corressi, adirato.
      «Se la vuoi mettere in questi termini…»
     Mi trattenni e contai fino a dieci. Non era bello insultare chi ti aveva appena salvato la vita. «Magari posso fare qualcosa che ti faccia cambiare idea.» proposi. «Ho dimostrato di saper lavorare bene, no?»
     «Non è possibile.» replicò lui. «Non è questione di favori. Finché non decide di far parte di una corte non posso fare nulla.»
     «Non ti credo.» dissi, però non ne ero convinto. Probabilmente era una questione di legami e giuramenti dovuta allo scambio. Le fate acquisivano potere sul bambino umano, ma dovevano cedere il controllo su quello fatato, per mantenere l’equilibrio.
     «Non cambierà certo la situazione.» disse. «Sei pronto a partire?»
     Scossi la testa. «Devo preparare un paio di bagagli. E staccare la corrente nel bungalow, non vorrei che le bollette prosciugassero il mio conto in banca.»
     «Allora ne approfitto per fare una nuotata!» Maskinganna, Lord dell’Areu Afadau e millenario folletto dai poteri fenomenali, corse verso il bagnasciuga e si tuffò con un grido. Sembrava quasi un vero bambino.
     Mi diressi verso il bungalow per buttare nello zaino le quattro cose che possedevo.       Per ora sarei scappato, ma presto sarebbe arrivata la resa dei conti e Greta Zimmermann si sarebbe pentita.
     Non si scherza con Neil McRoberts.

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