Questioni d'anzianità di Littlefinger (/viewuser.php?uid=5892)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Piacere, mi chiamo Neil
McRoberts e sono un mago.
Questo
l’avrete capito dal fuoco fatuo che mi ronza intorno, il cappello a
punta e il
bastone intarsiato che mi porto sempre appresso. Scherzo, ovviamente;
non
indosso un cappello a punta, sono così fuori moda.
Dicevo,
mi
chiamo Neil McRoberts e sono un mago, laureato cum laude nella
città-stato di
Xiam, centro mondiale del sapere scientifico. O almeno lo sarei se
avessi
discusso la tesi e non fossi andato via per… diciamo questioni di forza
maggiore. Ma questa è un’altra storia.
Quella
di oggi era meno avventurosa, almeno in principio. Mi trovavo in un
piccolo bar
in uno sperduto paesino nell’entroterra sardo in compagnia di un’amica,
mentre
attendevo un collega. Mi dondolavo sulla sedia tenendo le spalle
appoggiate al
muro, Naturalmente ci trovavamo in un tavolo d’angolo. Nel nostro
mestiere è d’obbligo
non farsi sorprendere alle spalle: non voglio certo farmi servire una
Dead
Man’s Hand. Chiara era seduta alla mia destra e sorseggiava un
bicchiere
d’aranciata. Mi voltai a guardarla, perché, diamine, era proprio uno
spettacolo. Aveva due occhi neri incantevoli e un visetto con due gote
paffute
che mettevano in evidenza le fossette sulle guance quando sorrideva.
Teneva i
capelli castani legati in una coda di cavallo e la tuta da ginnastica
che
indossava non rendeva giustizia al suo fisico atletico. Si accorse che
la
guardavo e mi sorrise. Un sorriso lievemente divertito, come a dirmi
“Sogna
pure”. Che donna!
La
porta
del bar si aprì ed entrò un robusto uomo di colore. Robusto era
riduttivo: alto
quasi due metri e con cento chili di muscoli guizzanti, Jebediah
Spencer non
era passato nella NFL per un soffio. Aveva quindi deciso di dedicarsi
alla sua
seconda passione e si era avventurato nell’allegro mondo dei PMC
(Private
Military Contractor), o mercenari, come dicono nei film.
«Salve,
Neil.» disse, mentre si sedeva al tavolo. «Chiara, è sempre un piacere
vederti.» La donna ricambiò il saluto con un cenno della testa.
«Salve,
Big
J. fatto buon viaggio?» Jebediah è un nome troppo lungo per i miei
gusti e il
“Big” si spiega da solo.
«Tranquillo,
anche se le coordinate che mi hai dato per il Salto mi hanno fatto
quasi finire
dentro un porcile.»
Ridacchiai.
Da qualche anno era consuetudine che gli preparassi dei Salti in
posizioni
abbastanza strane. “Saltare” era un modo di dire che indicava
l’utilizzo di
portali magici per compiere lunghi spostamenti. Solitamente si
preparava un
luogo in cui si potesse aprire un Portale e il viaggiatore usava un
oggetto
incantato per utilizzarlo. Poi serviva un altro oggetto che “conteneva”
le
coordinate magiche del punto d’arrivo, con il quale il viaggiatore
poteva
attraversare con sicurezza il Portale e arrivare nel luogo voluto e
non, che
so, nella tana di un drago o in una dimensione popolata da demoni
birichini.
Poi vi erano anche altri tipi di Portali, per altre occasioni:
viaggiare in
gruppo, con destinazione fissa e
via
dicendo. Meglio che non mi dilunghi in questioni tecniche.
Avevo un Portale disponibile
vicino a tutte le
località importanti – Londra, Praga, Las Vegas per citarne alcune - ma
la
Sardegna non era fra queste. Io ero arrivato in aereo e ne avevo
preparato uno
apposta per l’occasione, con l’aiuto di Chiara.
Jebediah
non aveva nessun talento magico, ma la nostra professione richiedeva
l’apprendimento di qualche trucco per viaggiare comodi e non morire con
troppa
facilità. La stessa cosa valeva per Chiara. Anche lei non aveva nessun
addestramento nel campo della magia, ma aveva qualche asso nella
manica.
La
donna
posò il bicchiere e disse: «Ora che anche Big J è arrivato puoi sputare
il
rospo e dirci di cosa si tratta.»
Sempre
dritta al punto. «Un lavoro di routine. L’obiettivo si è rintanato da
qualche
parte nelle montagne e bisogna stanarlo.» dissi.
«Nelle
montagne? Non sulle?» chiesi Big J curioso.
«Sì,
dentro le montagne. È nascosto in una caverna.»
«Dobbiamo
prenderlo vivo o morto?»
«Indifferente.
Quindi, se il gioco diventa pericoloso, prendiamo la via sicura.»
Jebediah
annuì. «Meglio lui che noi.»
«Quanto
è protetto? Solo sgherri acqua e sapone o anche qualche simpaticone
sovrannaturale?
Non vorrei finisse come l’anno scorso a La Paz.» disse Chiara.
«Proprio
no.» concordò l’altro.
A
La Paz
erano successe un paio di cose non proprio piacevoli: demoni delle
Sfere
Esterne e bazzecole simili. «Secondo il mio cliente solo l’obiettivo
possiede addestramento
magico.» risposi. Chiamai la cameriera per ordinare dell’altra
aranciata. Avrei
preferito una bella birra ghiacciata, ma sul lavoro non si beve. Altra
regola
del grande gioco del piccolo mercenario.
«E
suppongo che tu sia in grado di tenergli testa.» disse Chiara.
«Ovviamente!
Sono o non sono Neil McRoberts, laureato cum laude…»
«Sì,
sì»
m’interruppe «sappiamo
la storia.»
«Tu
che
ne pensi, Mic?» disse Jebediah.
Mic
è il
mio Spirito, il fuoco fatuo che mi ronza attorno di cui parlavo prima.
Si
manifestò durante la mia prima esercitazione, quando avevo otto anni e
quasi
distrussi il laboratorio della scuola. Da allora non ha più smesso di
rompermi
le scatole. Per dovere di cronaca - e non per il puro gusto di vantarmi
– è un
5k. Negli Orbitali sopra di lui ci sono Spiriti il cui potere non è
descrivibile con la nostra fisica. E il mentore di Merlino. Sì, avete
capito
bene, quel Merlino.
Mic
svolazzò intorno all’energumeno. «Non dovrebbero esserci problemi. La
Paz ha
insegnato a Neil che non si deve evocare ciò che poi non si è in grado
di
rispedire indietro.»
«O
ciò
che può a sua volta evocare qualcosa che non possiamo prendere a calci
nel
didietro. Sì, lo sappiamo. Abbiamo tutti letto Lovecraft.» replicai.
«Ora basta
parlare di La Paz.»
«Le
informazioni che ci ha passato il cliente ci dicono che ha un
addestramento
minimo. Un qualsiasi studente di primo livello potrebbe tenergli
testa.» disse
Mic. «Inoltre abbiamo fatto una ricognizione prima che arrivaste e non
abbiamo
individuato nessuna radiazione magica fuori dalla norma. Uno stregone
di un
certo livello non può nascondere l’aura magica che irradia.»
«Se
ci
fosse stato un vero mago ce ne saremmo accorti.»
«Allora
non dovrebbero esserci problemi di sorta.» disse Chiara, mentre si
alzava,
seguita subito da Jebediah. «Domani ci ritroviamo qua?»
Annuii
e
mi alzai anche io. «Dimenticavo. L’obiettivo è un vampiro.»
La
sorpresina paralizzò i due. Poi mi guardarono scocciati e Chiara scosse
la
testa. Alle donne faccio sempre quell’effetto.
«In
quale universo “eliminare un vampiro” è un lavoro di routine, Neil?» si
lamentò
Jebediah.
«Ecco
l’inghippo!» aggiunse Chiara. «Un vampiro! Mi sembrava strano che fosse
un
lavoro facile facile.»
«Un
vampiro!» ripeté , mentre usciva dal bar.
Se
vi è
mai capitato di partecipare a un’escursione in montagna sapete che non
è il
massimo del divertimento, almeno secondo il significato che do alla
parola.
Scarpinare lungo sentieri accidentati, mentre il sole mi martella sulla
schiena
non è fra i miei hobby. Preferisco di gran lunga sedere in un pub a
gustare un
buon whisky oppure in uno strip club a godermi una lap dance. Questione
di
gusti. Se poi aggiungete il fatto che il lavoro del mago è molto
sedentario –
ore e ore a leggere libroni e studiare vecchie pergamene, anche se
l’avvento
dei computer e d’Internet ha facilitato le cose – e che Chiara e
Jebediah erano
molto più in forma di me, potete immaginare come mi sentissi felice nel
vederli
qualche metro avanti a me che saltellavano sulle rocce come due dannati
stambecchi.
Entrambi
avevano sulle spalle uno zaino tattico che pesava almeno venti chili.
Il mio
equipaggiamento era molto più leggero e su quel fronte non potevo
lamentarmi.
Oltre all’immancabile zaino in cui tenevo acqua e cibo, portavo con me
solo il bastone
e una Glock che tenevo nei jeans, nascosta alla vista dalla larga felpa
che
indossavo. Se mi state immaginando vestito come Gandalf il Grigio, vi
state
sbagliando di grosso. Niente cappe, cappelli a punta, vesti lunghe con
cappucci
o lunghe barbe bianche. Come Jebediah e Chiara, portavo un paio di
jeans
scadenti e una felpa grigia, comprati il giorno precedente al
supermercato, scarpe
da tennis e un cappellino da baseball per riparami dal sole. In
effetti, il bastone
– superava la mia testa di almeno tre pollici - può ricordare Gandalf.
Attendo
con ansia l’occasione di gridare “Tu non puoi passare!” e far saltare
un ponte.
Arrivammo
sull’obiettivo nel tardo pomeriggio. L’imbocco della caverna in cui il
vampiro
si nascondeva si trovava vicino a un nuraghe. L’antica costruzione si
stagliava
imponente sull’ingresso della caverna, nonostante il tempo non gli
fosse stato
clemente. Vista la sua posizione in cima all’altura, in antichità
probabilmente
veniva usato come avamposto e punto di controllo. All’interno si
distinguevano
due uomini armati di Kalashnikov che discutevano fra loro, mentre
fuori, a
guardia della caverna, c’erano altri tre uomini, intenti a fumare e
giocare a carte.
«Vi
pare
il modo di fare il proprio lavoro? Ci manca solo che siano ubriachi!»
commentò
Chiara. «Rovinano l’immagine della categoria.»
«Chi
ti
dice che siano dei PMC? Magari sono solo dei cultisti che adorano il
vampiro.»
disse Jebediah.
Ridacchiai.
«Sono i fanboy del vampiro.»
«Suvvia,
non scherziamo.» disse Chiara, dopo aver riso a sua volta. «Slavi
armati di
Kalashnikov, è ovvio
che siano colleghi.
Piuttosto maldestri, ma pur sempre colleghi.»
«Regole
d’ingaggio?» chiese Jebediah, mentre ci avvicinavamo all’obiettivo e le
guardie
si accorgevano della nostra presenza.
«Fingiamoci
dei simpatici escursionisti e appena capiscono che non lo siamo e
mettono mano
alle armi, cominciamo la sinfonia Parabellum.» dissi, anche se in
realtà non
ero sicuro dei violini che avrebbero suonato Jebediah e Chiara. Il
primo era un
aficionado della
Heckler&Koch e
solitamente usava un MP-5, mentre Chiara preferiva usare due Beretta
92.
«Roger,
capo.» dissero, quasi in contemporanea.
Misi
da
parte le pignolerie sulle mie baggianate e mi concentrai, attingendo
all’energia che si trovava nel mio corpo e tutt’intorno. Usare la magia
elementare non richiedeva un grande equipaggiamento, almeno al mio
livello.
Certo, un bambino che impara ad accendere una candela o formare un
cubetto di ghiaccio
in una bevanda in principio ha bisogno di qualcosa – oggetti, parole,
movimenti;
vettori, se vogliamo usare il termine tecnico – per incanalare
l’energia e
produrre il fenomeno che vuole produrre. Con l’esperienza si migliora
la
propria abilità nel concentrarsi e nel sentire l’energia, per cui si
può fare a
meno dei vettori. Naturalmente se
volessi fare qualcosa di
complicato – che so, deviare l’orbita di un satellite geostazionario –
anche io
avrei bisogno di vettori, e tanti, ammesso e non concesso che sia in
grado di
controllare l’energia richiesta senza ammazzarmi.
Questo
è
l’altro inghippo nell’utilizzo della magia: non si possono bypassare le
leggi
della termodinamica e della fisica in generale. Per cui, se volessi far
precipitare il suddetto satellite, dovrei fornire all’incantesimo
almeno
l’energia necessaria per il cambio di orbita. Dico almeno perché se il
Primo
Principio dice che non possiamo vincere, il Secondo dice che non
possiamo
nemmeno pareggiare; entropia e via dicendo, non voglio farvi una
lezione di
fisica.
In
parole povere, avrei potuto far esplodere – letteralmente far esplodere
- con
molta facilità, e tanta violenza, i tre mercenari che ci venivano
incontro, ma
dopo i miei amici avrebbero dovuto attaccarmi una flebo al braccio e
portarmi
con urgenza all’ospedale più vicino.
«Allontanatevi.»
gridò una delle guardie, in un italiano stentato.
«Siamo
solo dei poveri escursionisti che si sono persi.» gridai di rimando,
mentre caricavo
l’energia sul bastone. Prima mentivo, anche io uso un vettore.
Altrimenti
perché mi porterei dietro un bastone? Mica sono zoppo.
I
mercenari ormai erano a distanza di tiro e si leggeva chiaramente nei
loro
movimenti che non avevano intenzione di essere gentili con i poveri
escursionisti che si erano persi. «Musica, maestro.» dissi.
Mi
voltai a sinistra e vidi Jebediah che con un gesto della mano apriva un
Portale; come un piccolo strappo in una tenda, solo che la tenda era la
nostra
realtà e dall’altra parte c’era una differente dimensione.
Un’applicazione
rozza e grossolana degli incantesimi di trasporto, ma non mi soffermo a
spiegarvi
la teoria che c’è dietro, non vorrei tediarvi. E soprattutto non ne ho
voglia.
Jebediah
infilò la mano nello strappo e tirò fuori il suo SMG e
contemporaneamente mise
il colpo in canna. Era un MP-5, avevo indovinato. Dieci punti per Neil.
Alla
vista dell’arma, i tre mercenari sollevarono i loro mitra, ma a mia
volta
puntai il bastone su di loro e rilasciai un po’ dell’energia che vi
avevo
immagazzinato. Una potente folata di vento li fece sbilanciare e
persero
l’equilibrio.
«Fico!»
dissi. «Un Portale per non doversi portare appresso le armi pesanti.
Vorrei
tanto essere un mago e poterlo fare anche io! Nevvero, Chiara?» Mi
girai a
destra, ma Chiara era sparita. Un istante dopo, spari di piccolo
calibro
echeggiarono all’interno del nuraghe e subito furono accompagnati dalle
ritmate
raffiche dell’arma
di Jebediah, che
finiva gli uomini a terra. Chiara apparve subito dopo alla porta del
nuraghe,
con le pistole puntate sull’imbocco della caverna; due Beretta 92.
Altri dieci
punti per Neil McRoberts.
Jebediah
imitò Chiara e si spostò velocemente in un punto riparato per tenere
sotto tiro
la caverna. Invece, io, lo stregone pigro e fuori allenamento, presi
una barretta
di cioccolato dallo zaino e la divorai in un paio di bocconi. Come vi
dicevo,
usare la magia consuma tanta energia e il cioccolato aiuta a
ripristinare in
fretta un po’ di zuccheri. Soprattutto è decisamente più buono delle
maltodestrine. Sul serio. Un mio vecchio collega si portava appresso
solo borracce
d’acqua e di maltodestrine; sembrava un ciclista. Beveva come una
spugna, ma
devo ammettere che il metodo era molto efficiente. Lo uccise un lupo
mannaro
che lo sorprese mentre faceva pipì. La morale è che ogni tecnica ha i
suoi
punti deboli.
«Che
si
fa? Entriamo?» La voce di Chiara mi distolse da quei pensieri
importanti. O
meglio, mi riportò a terra a pensare al lavoro.
«Un
attimo.»
Mi avvicinai con cautela all’ingresso mentre studiavo con attenzione il
fluire
dell’energia magica intorno alla caverna. Volevo essere certo che il
caro
vampiro non avesse piazzato qualche trappola o qualche allarme.
Diamine, gli
spari erano stati un più che chiaro avvertimento e là sotto, chiunque
ci fosse,
si stava preparando a riceverci. Il miglior piano d’azione era quello
di
entrare in fretta e non dar loro il tempo di organizzarsi.
Non
vi
era nulla di strano intorno alla caverna. Nessun segnale di attività
magica,
escludendo quella radiazione di fondo che permea qualunque luogo in cui
sono
presenti esseri viventi. Era lievemente superiore alla norma, in
particolare
intorno al nuraghe. L’aveva notato anche Mic durante la ricognizione,
ma avevamo
deciso che dipendesse dalle condizioni della zona.
La magia non è statica, si diffonde lungo
grandi linee. È una sostanza in equilibrio dinamico, se vogliamo essere
tecnici. Basta anche una variazione delle condizioni climatiche per
modificarne
il comportamento.
Alzai
il
pollice per indicare il via libera e Jebediah entrò nella caverna. Io
lo seguii
subito dopo, mentre Chiara chiuse la formazione. In un ambiente stretto
come
quel tunnel, mandare avanti il nostro peso massimo era la soluzione
migliore: se
il combattimento fosse diventato ravvicinato o avessimo incontrato
qualcosa
armato di zanne e artigli, Big J aveva molte più possibilità di
sopravvivenza
rispetto a me e Chiara.
Il
tunnel era libero da qualsiasi ingombro e scendeva dritto come un fuso,
con una
lieve pendenza. Ci muovevano lentamente, quasi strisciando lungo le
pareti per
evitare di far da bersaglio a eventuali cattivoni appostati nell’ombra.
Stare
al centro del tunnel controluce era l’equivalente di appenderci al
collo un’insegna
al neon con scritto “Sparate qua, amici!”.
Dopo
una
decina di passi, la luce che arrivava da fuori divenne insufficiente e
la
visibilità calò rapidamente. Mi sarebbe piaciuto alzare il bastone e
dire
“Shirak!” per evocare magicamente una luce, ma vale la considerazione
precedente riguardo i facili bersagli. Invece, aprii una tasca dello
zaino,
tolsi fuori un paio di occhiali da sole e li indossai. Come per magia,
il
paesaggio si era colorato di quelle tinte verdi tipiche dei visori
notturni. In
effetti era proprio magia – ba-dum tish
- quegli occhiali erano incantati in maniera tale da fungere proprio da
visori
notturni. Inoltre erano meno ingombranti dei modelli usati dai militari
acqua e
sapone. Ed erano alla moda. Jebediah e Chiara mi aveva imitato e
avevamo ripreso
la discesa.
Camminare
attaccati al muro, senza poter guardare dove si mettono i piedi, è un
esercizio
lento e stressante. Non guardi a terra perché hai lo sguardo fisso
avanti per
non farti cogliere di sorpresa e a ogni passo muovi il piede lentamente
strisciando
il tallone sulla parete, per seguirne il profilo. Poi lo posi piano
cercando di
non fare troppo rumore. Ripeto: lento e stressante. Si percorrono
distanze
piccole in tempi enormi ed è faticoso.
Sono
accortezze fondamentali quando gli obiettivi sono umani, ma lasciano il
tempo
che trovano quando si tratta di attaccare un predatore sovrannaturale.
I
vampiri fondamentalmente sono degli esseri umani, ma possono affinare
con
facilità i propri sensi tramite la magia, per cui non era scontato che
non si
accorgesse di noi. Per il nostro metro di giudizio potevamo pure essere
silenziosi, ma magari il vampiro sentiva un fracasso stile concerto
rock. Magari
non aveva nemmeno bisogno di occhiali chic per vedere al buio.
Il
piano d’azione migliore sarebbe stato quello di svuotare un’autobotte
di napalm
dentro la caverna, poi lanciarci una dozzina di molotov e infine far
crollare
tutto. Così però non avremmo potuto confermare l’eliminazione del
bersaglio e
ci sarebbe toccato rinunciare la ricompensa, per
cui non ci rimaneva
che utilizzare la solita tattica e sperare di non diventare la cena
dell’obiettivo.
La
domanda da un milione d’euro era perché stavamo scendendo indisturbati.
Mi
sarei aspettato una dozzina di mercenari che ci davano il benvenuto
lanciandoci
un po’ di confetti di piombo, oppure direttamente Mr. Dracula che ci
correva
incontro per farci a pezzi.
Invece
nulla.
Proseguimmo
nel tunnel per una decina di metri, fino ad arrivare a una porta di
legno. Dalla
base filtrava della luce. Jebediah si era già piazzato su un lato,
pronto a
fare irruzione. Con un gesto della mano indicai a Chiara di
posizionarsi dalla
parte opposta e mi preparai ad aprire la porta.
“Aprire”
era un eufemismo.
Alzai
la
mano sinistra e concentrai dell’energia sul palmo fino a quando non
apparve una
sfera di fiamme azzurre. Mormorai una parola e il proiettile magico
schizzò
contro la porta, facendola saltare dai cardini e spingendola
violentemente
all’interno, accompagnata da una forte esplosione. Jebediah lanciò una
flashbang
dentro la stanza e ci coprimmo gli occhi. Dopo la detonazione, Big J
entrò con
l’arma in posizione di tiro. Fece in tempo a sparare una raffica e poi
lo vidi
volare verso destra, spinto da un attacco invisibile. Lo seguii dentro
e mi
preparai a lanciare una seconda sfera esplosiva contro la figura che si
distingueva fra la nube di… polvere? Nebbia? Qualcosa d’indefinibile...
che
riempiva la stanza.
Nell’istante
che lanciai il mio attacco capii che qualcosa non andava. La palla
azzurra
sembrò rimbalzare su un muro e ritornò verso il mittente. Feci appena
in tempo
ad alzare il bastone ed evocare uno scudo magico per proteggermi. La
sfera
esplose sul muro invisibile, a pochi centimetri dalla mia faccia, e
l’esplosione mi fece volare contro la parete. La
vista mi si riempii di puntini colorati,
mentre scivolavo sul muro fino ad accasciarmi a terra.
«Stai
sveglio, Neil» mi dissi, nonostante tutto il mio corpo gridasse il
contrario.
Avevo preso una bella botta, ma lo scudo aveva assorbito gran parte
dell’energia
cinetica dell’esplosione e i danni erano minimi: solo qualche livido al
posto
di ustioni di terzo grado.
Nella
nebbia – o qualsiasi cosa fosse – vedevo due figure muoversi molto
velocemente.
E non intendo “Usain Bolt-velocemente”, ma “Superman-velocemente”.
Chiara stava
dando del filo da torcere a Mr. Dracula. Le silhouette sembravano
danzare,
mentre si scambiavano colpi con delle armi. Chiara – non potevo non
riconoscere
la sua figurina da ginnasta con le tette - stava usando il suo solito
pugnale
da combattimento, mentre il vampiro aveva un’arma più lunga,
probabilmente una
spada.
Cercai
di studiare la nebbia, perché era chiaramente un incantesimo che il
vampiro
stava usando per complicarci la vita. Mi concentrai per annullarlo,
mentre
Chiara lo teneva occupato. Non era nulla di astruso – una banale
condensazione
del vapore acqueo presente nell’aria - e mi bastò tagliare il contatto
fra
l’incantesimo e la mente dell’evocatore. Nel caso d’incantesimi
semplici, una
volta rimossa la fonte di energia, il fenomeno decade quasi
istantaneamente.
Quando
la nebbia svanì mi si presentò una scena che sembrava tratta da un film
di
Tarantino.
«E
vai con
lo stallo alla messicana!» esclamai, mentre mi rialzavo aiutandomi col
bastone.
Il
vampiro era in piedi e puntava la spada – una striscia o, come dicevano
i
francesi, rapière – alla gola di
Chiara, che stava in ginocchio e a sua volta teneva la pistola puntata
sul
cuore del vampiro. Il braccio sinistro le pendeva molle sul fianco e
del sangue
colava formando, una pozzanghera accanto al suo ginocchio. Jebediah si
era
rialzato e teneva l’MP-5 puntato su Mr. Dracula, che lo teneva sotto
tiro con
una pistola. Il pugnale della donna si trovava qualche passo più in là,
probabilmente scaraventato via da un colpo di spada.
I tre erano pronti a farsi fuori a vicenda,
in caso l’altro facesse una mossa sbagliata. Come al solito, io ero
stato
tagliato fuori dal divertimento.
Immagino
che ora vi starete chiedendo perché il vampiro si trovava in pericolo:
non bisogna
usare un paletto di frassino per ucciderne uno? Forse era vero in
passato,
quando non esistevano fucili di precisione che permettevano di
abbatterli
comodamente da un chilometro di distanza. In realtà, il manuale del
perfetto
killer spiega come traggano il proprio potere dal sangue, quindi
l’importante è
dissanguarli; e colpire il cuore è un ottimo metodo. Oppure farli
deprimere
affinché si taglino le vene nella vasca da bagno, ma questo sarebbe più
complicato. Nonostante la loro reputazione letteraria li renda
abbastanza
spaventosi, nella realtà i vampiri non sono così pericolosi. Almeno questi, perché ne
esistono di un tipo
ben più spaventoso, ma così rari che incontrarne uno è così improbabile
che
l’ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione.
Per
cui
bastava che Chiara premesse il grilletto e Mr. Dracula era storia
passata.
Magari non sarebbe morto all’istante, ma ci avremmo pensato Big J e io
a farlo
a pezzettini.
La
donna
sembrava brillare di luce propria. Era più radiosa. No, non sono
innamorato di
lei, cioè sì, ma non era quello il motivo. Il suo braccio continuava a
sanguinare, ma non ero preoccupato. Lei era speciale, era una…
«Una
jana.» disse Mr. Dracula,
compiaciuto. «Non
sapevo che fossero in grado di combattere.»
Io
avrei
detto fata, ma il succo era quello. Le janas
sono un’antica razza di fate di origine sarda. Piccole fatine luminose
che tessono
con un telaio d’oro e vanno per le case a chiedere lievito per il pane.
Mi
piaceva chiamarle fate domestiche. Nomignolo che mi aveva fatto
guadagnare uno
schiaffo da parte di Chiara. Il folklore però aveva dimenticato le
parti più
interessanti, come velocità e resistenza sovrannaturali, talento innato
per la
magia e altri trucchetti utili nel nostro campo. E non dimentichiamo le
tette spettacolari,
anche se forse è solo una caratteristica di Chiara, visto che non
conosco altre
janas.
«Il
lavoro parla di vivo o morto.» dissi. «Quale opzione preferisci?»
L’uomo
si mise a ridere. «Potrei scegliere una terza opzione.»
«Cioè?»
Ora che la situazione era diventata meno frenetica mi presi due secondi
per
studiarlo. Aveva l’aspetto di un uomo di mezz’età ed era vestito come
un
pastore: pantaloni e giacca di velluto, stivali alti e berrìtta
in testa. Portava diversi coltelli a serramanico appesi alla
cintura. A prima vista non sembrava un tipo pericoloso.
«Vi
uccido tutti.» Si passò la lingua sulle labbra, come a gustare il
momento in
cui l’avrebbe fatto.
Deglutii
rumorosamente. Avevo abbastanza esperienza da distinguere una minaccia
a vuoto da
un dato di fatto e quella non era una minaccia. Il solito problema di
quando il
datore di lavoro ti forniva informazioni completamente sballate. Ci
aspettavamo
una barca a vela e invece eravamo andati a sbattere contro una
corazzata, se mi
passate la metafora nautica. Quel tizio maneggiava la magia molto bene,
fisicamente teneva testa a Chiara e sembrava in grado di tirare di
scherma e
sparare contemporaneamente.
«Stai
bluffando.» dissi, cercando di mettere in mostra la mia espressione più
sprezzante. «Oppure hai una terza mano con la quale mi stai tenendo
sotto
tiro.» Sentii Big J farsi sfuggire una risata.
«Posso
tranquillamente uccidere questi due e avere abbastanza tempo per
sgozzarti,
prima che tu possa pensare a quale incantesimo usare.» rispose.
«E
io
dico che posso farti esplodere il cuore prima che tu possa dire bah.»
disse
Chiara. La luce che emanava il suo corpo sta aumentando d’intensità e
cominciava a superare le lampade a fluorescenza che illuminavano la
stanza.
«Io
le
darei ascolto, Dracula. L’ultimo folle che ha sfidato Chiara in una
gara di
velocità ora sdraiato comodamente dentro una bara.»
Il
vampiro sorrise nuovamente. «Anche se mi arrendessi non so proprio come
possiate consegnarmi al vostro capo. Probabilmente mi uccidereste non
appena
abbasserei le armi.»
«Probabilmente.»
ripetei.
«Dunque
siamo in una situazione di stallo.» disse Dracula. Era proprio un tipo
sveglio.
«Complimenti,
Capitan Ovvio.» disse Big J.
C'era
solo un modo per sbloccare la situazione: fare qualcosa di stupido e
folle che
lasciasse di stucco il pastore vampiro.
«Piano
C.» dissi, per avvertire i miei compagni. Voleva dire: sto per fare una
cretinata, state pronti.
Battei
a
terra il bastone e scaricai al suolo tutta l’energia che avevo a
disposizione. La
terra intorno a noi cominciò a tremare violentemente.
Perdemmo
tutti l’equilibrio.
Dracula
sparò un paio di colpi, ma rimbalzarono sulla parete senza colpire
nessuno.
Chiara si era già allontanata e la spada la ferì solamente di striscio.
Jebediah fece fuoco e una raffica colpì il vampiro a una gamba. Fra
quello e il
mini terremoto, Dracula cadde a terra. Fu una sfortuna, visto che così
schivò i
colpi sparati da Chiara. La caverna continuava a tremare e piccole
rocce
cominciavano a staccarsi dalla volta. Bisognava accelerare i tempi.
Lanciai una
folata di vento per costringere il vampiro a stare a terra e
contemporaneamente
Chiara e Jebediah scaricarono le loro armi su di lui. Un grido lacerò
l’aria,
poi più nulla.
«Mission
accomplished!» dissi, imitando l’accento texano. «Ora leviamoci dalle
scatole
prima di rimanere intrappolati!»
«Forse
è
meglio che venga un secondo a guardare il cadavere.» mi disse Jebediah.
Mi
avvicinai, aspettandomi di trovare il pastore vampiro in formato
groviera,
sopra un lago di sangue.
Mi
sbagliavo. Il cadavere si stava sgretolando come se fosse stato una
statua
d’argilla.
«Questo
lavoro è stata una completa presa in giro.» borbottai. «Che diavolo
abbiamo
ucciso? Un vampiro? Un golem? Un “che diavolo abbiamo appena
affrontato”?»
«Sappi
che voglio essere pagata ugualmente.» brontolò Chiara, mentre correva
verso
l’uscita, seguita a ruota da Big J.
«Può
bastare.» disse una vocina squillante. La caverna smise di tremare.
Subito
ci fermammo per cercare l’origine di quella voce. Spazzammo tutta la
caverna
con le armi alzate, ma non c’era nessuno.
«È
stato
un bello spettacolo, ma ora basta.» continuò la voce misteriosa. «Siete
molto
efficienti e mi avete anche fatto divertire. Oppure hai una terza
mano…» Una
risata argentina risuonò nella caverna. Era un suono piacevole,
alleggeriva le
preoccupazioni. Non sentivo più la tensione del combattimento e del
rischio di
rimanere sepolto vivo. E questo era un male: mai abbassare la guardia
in
situazioni di potenziale pericolo. Per quel che ne sapevo poteva essere
l’incantesimo di un folletto per distrarmi e farmi fuori con facilità.
All’improvviso,
un bambino comparve dal nulla nel centro della caverna. Era vestito con
il
tipico costume sardo, rosso, nero e bianco, ma la prima cosa che mi
colpì del
suo aspetto furono gli occhi castani. Si spostavano velocemente,
osservandoci
con attenzione. Distolsi lo sguardo perché ero certo che se li avessi
fissati
troppo a lungo, quell’essere mi avrebbe sopraffatto.
Il
tizio
– ovviamente non era un vero bambino, chi mai poteva pensare che fosse
un
bambino? – era uno stregone. O un mago. O fattucchiere. Non so, non
ricordo mai
la terminologia corretta per differenziare gli usufruitori di magia. Il
bimbo,
al di là del termine, era forte. Potevo vedere l’aria intorno a lui
vibrare,
tale era l’aura di potere che emanava. Probabilmente avrebbe potuto
ucciderci
tutti e tre in un batter d’occhio, senza nemmeno troppo sforzo. Per
fare un
paragone calcistico, se io ero un centrocampista che militava in una
modesta squadra
di Serie A, lui era il cugino bravo di Messi. Mi chiesi come fosse
stato
possibile che Mic e io non ne avessimo individuato la presenza.
Se
lui
era il vero obiettivo e il vampiro d’argilla era un’esca, eravamo in
guai seri.
Eravamo sprofondati nella merda fino al collo, se vogliamo usare un
francesismo. Anzi, fino al collo è riduttivo; fino al naso rende meglio
l’idea.
Il
bambino si mise ad applaudire. «Bravi, bravi. Ho fatto bene a scegliere
voi.
Sapete il fatto vostro.»
Tirai
un
sospiro di sollievo, lui era solo il committente del lavoro.
Grazie
al cielo.
Quel
giorno non avevo voglia di morire.
Chiara
fu la prima ad abbassare l’arma.
«E
poi
non mi aspettavo una jana!»
continuò
il bimbo. «Le tue simili solitamente non sono interessate alla guerra.
Preferiscono tessere e fare il pane.» Sorrise. «Ti serve del lievito?»
Le
guance di Chiara si tinsero di rosso, ma si trattenne dal rispondere a
tono e
chinò il capo in segno di rispetto. «Maskinganna.» disse semplicemente.
«Maskinganna?»
esclamammo Big J e io praticamente all’unisono.
Il
bambino si lanciò nell’esecuzione di un’elaborata riverenza. «Al vostro
servizio.» Fissò Chiara per un lungo istante, studiandone le fattezze.
Poi
sorrise, come se si fosse ricordato di qualcosa.
«Mic.»
chiamai. Lo spirito apparve nella sua solita forma di fuoco fatuo.
Svolazzò
intorno alla caverna, poi si fermò all’improvviso di fronte al bambino. Ci girò attorno un paio di
volte e tornò
indietro, posandosi sulla visiera del mio cappellino.
«Perché
diavolo stiamo nella stessa stanza di un Lord delle fate?» disse, teso.
«Un
Lord
delle fate?» ripetei. «È il nostro committente, Mic.»
«È
un
Lord della corte fatata sarda, un Lord.» Mic scandì la parola lettera
per
lettera. «Noi abbiamo i Seelie e
gli Unseelie, gli irlandesi hanno
gli Aes Sidhe, c’è la Tylwyth Teg in Galles e anche in Sardegna
hanno la propria corte,
l’Areu Afadau.»
Il
bambino non sembrava molto preoccupato che si stesse parlando di lui
come se
non fosse presente. Guardò con curiosità Mic e disse: «Un Spirito della
Conoscenza che proviene dalle Sfere Esterne. Sei fortunato ad avere un
simile
mentore, Neil McRoberts.»
«Glielo
dico sempre.» aggiunse Mic. Si rese conto che l’atmosfera era molto
rilassata e
si calmò. «Quindi non siamo nei guai? Non hai offeso Lord Maskinganna?»
Mi
tolsi
il cappellino e lo agitai per far allontanare Mic. «No, non ho offeso
nessuno.
Per ora.»
«Neil!»
Chiara mi lanciò uno sguardo adirato.
«Deve
spiegarmi il perché di questa messinscena. E tu, Mic, devi dirmi perché
non
abbiamo individuato la sua presenza.»
«Il
nuraghe.» disse Maskinganna, indicando verso l’alto con un dito.
Rimasi
a
bocca aperta. E altrettanto avrebbe fatto Mic, se avesse avuto una
bocca.
Era
ovvio. Come dicevo prima, la magia non è qualcosa di statico, è in
equilibrio
dinamico. L’energia si diffonde lungo grandi linee, dai punti in cui è
maggior
concentrata verso le zone in cui è più rara. Al mondo esistono luoghi
di potere
da cui la magia “nasce”, se mi passate il termine non proprio tecnico.
Ed esistono
altri luoghi in cui essa tende ad accumularsi. Luoghi antichi
d’importanza
storica, luoghi di culto, campi di battaglia. Luoghi in cui una grande
quantità
di persone hanno provato le stesse emozioni, eseguito gli stessi
rituali,
trovato la morte. Stonehenge, Ichen Itza, Waterloo, il Colosseo, la
Basilica di
San Pietro a Roma, Bannockburn, Gettysburg, la Valle dei Re,
Westminster Abbey,
per fare qualche esempio. L’energia magica tende ad accumularsi in
questi
luoghi e poi lentamente si diffonde tutto intorno. Quando Mic e io
avevano
notato come la radiazione di fondo presente vicino al nuraghe fosse
superiore
alla media non avevamo tenuto conto di questo. Evidentemente anche esso
era un
luogo di potere, dunque qualsiasi segno di energia esterno veniva
coperto dalla
sua aura.
«Il
nuraghe.» ripeté Mic.
«Ovviamente.»
dissi. «Mic come hai fatto a non pensarci. Ti dimezzo la paga.»
«Quale
paga? Lavoro gratis!»
Feci
per
rispondere, ma Maskinganna levò una mano e mi fermai.
«Il
motivo di questa messinscena è semplice. Ho bisogno di un gruppo di
uomini,
esterno alla corte, per un lavoretto.»
«Potevi
reclutarci subito per il lavoretto.» replicai, enfatizzando la parola
come lui
aveva enfatizzato “messinscena”.
«Volevo
vedervi in azione e assicurarmi che foste in grado di svolgere il
compito che
sto per assegnarvi.»
«Cosa
sarebbe successo se avessimo fallito?» chiese Jebediah.
«Avrei
fatto sparire i cadaveri e contattato un altro gruppo.» rispose il
folletto.
«Ma basta con le domande, è ora che vi prepariate per il nuovo lavoro.»
«E
se
non accettassimo?»
«Sono
certo che accetterete. Oppure non tenete all’amicizia dell’Areu Afadau?» disse Maskinganna, col
sorriso sulle labbra. Era
molto sicuro di sé e ne aveva tutti i motivi, dato che era
l’equivalente magico
di una portaerei.
Ripeto,
ho abbastanza esperienza per riconoscere le minacce a vuoto.
Maskinganna magari
non ci avrebbe uccisi subito, ma ci avrebbe sguinzagliato contro tutta
la corte.
Non mi andava di vivere il resto dei miei giorni braccato da fate e
folletti.
Guardai
Big J e Chiara e fecero un cenno col capo. Anche loro avevano capito la
situazione.
«Qual
è
il lavoro? E qual è la paga?»
Il
bambino ridacchiò. «Sei saggio, Neil McRoberts.»
«Allora?»
continuai, ignorando il suo commento. «Lavoro? Paga?»
«Lo
sapete già. Dovete uccidere un vampiro.»
«Ovviamente!»
esclamò Jebediah, alzando le braccia al cielo.
Nella
mano del folletto comparve una cartella di plastica. L’aprì per
guardare i
fogli e poi me la consegnò. «Qua ci sono tutte le istruzioni e le
informazioni
necessarie.»
«Spero
siano più precise rispetto a quelle che ci hai dato per questo prova.»
disse
Jebediah.
«Sono
precise, Mr. Spencer. Vi avevo dato informazioni sballate per vedere
come
avreste reagito in una situazione non programmata. Avete superato quel
test e
ora non è certo mia intenzione ostacolare il vostro successo.» rispose
Maskinganna. Fissò per un attimo Chiara e aggiunse: «Ti attendiamo a
casa, jana. Il mio invito è sempre
valido.»
Chiara
annuì e mi poggiò la mano sul braccio, fermando sul nascere la mia
domanda.
Invece mi rivolsi al Lord folletto. «Non hai ancora parlato della
ricompensa.»
Allargò
le mani in un gesto di benevolenza. «Cosa ha più valore della
riconoscenza dell’Areu Afadau?»
Evidentemente si accorse
della mia espressione dubbiosa e aggiunse: «E Oltre a questo riceverete
dell’oro.»
«Oro
vero? Non come quelle truffe che voi folletti siete soliti rifilare?»
Maskinganna
inarcò un sopracciglio. Bastò quello per farmi capire che non era
salutare
scherzare troppo. «Stai dubitando della mia parola, uomo? Riceverete
del vero
oro della migliore qualità e nella forma che preferirete. Monete,
gioielli,
lingotti, qualunque cosa vi possa venire in mente.»
Sorrisi.
L’oro è l’unica cosa che adoro quanto le donne. Beh, quasi quanto le
donne.
«Vi
contatterò quando avrete terminato il lavoro.» disse.
«E
se
qualcosa dovesse andare storto?» domandai.
«Se
fallirete, sarete morti.» Un ghigno sinistro si disegnò sulle sue
labbra. «Per
mano del vampiro o per mano mia.» L’istante successivo era scomparso.
«Dalla
padella alla brace. Ogni volta che lavoro con voi capita sempre
qualcosa di
assurdo.» commentò Big J, mentre si allontanava verso l’uscita.
Chiara
e
io ci scambiammo un sorriso divertito e lo seguimmo.
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Capitolo 2 *** 2. ***
Lo schiaffo mi colpì
all’improvviso e sentii la
guancia che s’arrossava.
Mi
alzai
dal sedile col vago sospetto che la signorina non gradisse la mia
compagnia.
Percorsi il corridoio del pullman fino a raggiungere Jebediah e Chiara.
Il
primo occupava due posti per conto suo ed era immerso nella lettura,
mentre
l’altra stava sdraiata nell’ultima fila di posti, con il cappuccio
della felpa
tirato, auricolari - a volume così alto che si poteva sentire cosa
stesse
ascoltando - e occhiali da sole; si era isolata dal mondo. Mi sedetti
nel posto
vicino a Big J, accanto a una simpatica vecchina.
Stavamo
viaggiando verso Cagliari in pullman.
Sì,
avete capito bene, in pullman. Un po’ anticlimatico, però era il mezzo
più
comodo. E l’unico a disposizione. Preparare un Portale per più persone
verso
una destinazione nuova era abbastanza complicato; richiedeva un rituale
di
preparazione piuttosto lungo e non volevo sprecare tanto tempo per un
incantesimo fine a se stesso. Perdere un giorno per risparmiarsi tre
ore di
viaggio non era la scelta più saggia che mi venisse in mente. Inoltre
viaggare
in pullman ci avrebbe dato il tempo discutere il piano d’azione e di
rilassarci
per qualche ora. Niente Aston Martin, elicotteri o moto fiche per il
povero
Neil McRoberts.
«Cosa
ne
pensi?» chiesi a Big J.
«È
un
casino.» rispose, senza alzare gli occhi dal libro. Girò pagina. «Spero
proprio
che Bella non si metta con Edward.»
«Guarda
che parlo del lavoro.»
Jebediah
fece spallucce e continuò a leggere. «È un peccato che i vampiri veri
non
brillino al sole. Sai
che facilità riconoscerli
e piantar loro una pallottola in testa?»
«Terra
chiama Big J, Terra chiama Big J.»
«Ci
sono, ci sono.» Sbuffò e socchiuse il libro. «Le istruzioni sono
abbastanza
chiare e non c’è molto spazio di manovra. Il capo vuole uno spettacolo
con i
fuochi d’artificio e non gli dobbiamo dare uno spettacolo coi fuochi
d’artificio.» Lanciò un’occhiata alla vecchina, mia compagna di posto.
«Sei
proprio sicuro di volerne parlare qua?»
«Che
problema c’è?» Mi rivolsi alla signora. «Elena, lo sa che io e il mio
amico
siamo dei mercenari e stiamo andando a Cagliari per uccidere un
vampiro?»
La
vecchina si mise a ridere. «Non ha proprio l’aspetto di uno che possa
uccidere
un vampiro, Neil.»
«Maskinganna
pensa il contrario.» risposi, un po’risentito.
Al
sentire quel nome, la signora si segnò e si alzò, andando a cercare un
altro
posto in cui sedersi.
Jebediah
si mise a ridere. «Complimenti per il tatto, ma almeno ora possiamo
parlare con
tranquillità.»
«Chissà
perché ha reagito così.» mi domandai. «Era una vecchina così simpatica.»
«Perché
la cultura popolare identifica Lord Maskinganna col diavolo cristiano.»
rispose
Chiara. Si era tolta un auricolare e mi fissava dal posto centrale. Non
riuscivo a decifrare la sua espressione; non capivo se fosse divertita
o
irritata. «Maskinganna, o Maestro degli Inganni, è sempre stato
associato al
mondo sovrannaturale e le credenze più intolleranti solitamente tendono
a
bollare di malvagità ciò che non s’instrada nel loro credo.»
«Aspetta
un attimo!» esclamai eccitato. «Mi stai dicendo che Maskinganna è una
parola
che vuol dire maestro
degli inganni?»
Chiara
annuì. Ora era chiaramente – che gioco di parole sopraffino! –
irritata. «Non
mi piace ripetere le cose ovvie, Neil.»
«Quindi
abbiamo accettato un incarico da un tizio che si chiama Maestro degli
Inganni?»
«La
nostra solita fortuna.» disse Big J, laconico. «Comunque mi è sembrato
un tizio
a posto.»
«Eh,
già!» Stavo cominciando ad alterarmi. «Sembra un tizio a posto! Che
maestro
degli inganni sarebbe altrimenti? Oppure secondo te dovrebbe andare in
giro con
un cartello “Potrei fregarvi”?»
«Basta
con le cazzate, Neil. Maskinganna è solo un nome con cui viene chiamato
dagli
altri, nessuno sa il suo vero Nome. Sai bene che le fate non lo dicono
al primo
che capita.»
«E
il
tuo nome, Chiara? È quello vero oppure è solo una parola con cui ti
chiamano
gli altri?» Mi pentii subito di quello che avevo detto. Ero adirato per
la
storia del nome, ma non voleva attaccarla.
«È
il
nome che mi hanno dato i miei genitori» replicò, accompagnando le
parole con
uno sguardo fulminante. Si rimise l’auricolare e si sdraiò sui sedili.
Ci
sono
momenti in cui vorresti possedere un telecomando per far tornare
indietro il
tempo. Oppure una vanga per scavare una fossa e nasconderti per la
vergogna. Meglio
entrambi. Chiara era una cara amica e non meritava che la offendessi
così.
«Quello
che voglio dire è che non mi posso fidare di un tizio che si chiama…
che
chiamano Maestro degli Inganni!» Lo so, non sono bravo nello scusarmi.
Feci per
alzarmi, ma Jebediah mi trattenne.
Scosse
la testa e disse: «Non ci sai proprio fare con le donne, Neil. Lasciala
in
pace. Conoscendoti ora non faresti altro che irritarla ancora di più.
Parlale
quando arriviamo.»
«Ma…»
Mi
zittì
con uno sguardo. Quando voleva Big J sapeva essere convincente. Anzi,
spaventoso. «Quando arriviamo ti scusi e non cerchi nessuna
giustificazione,
chiaro? Visto quello che dobbiamo fare, non voglio che ci siano
incomprensioni.»
Annuii
in segno d’assenso. Aveva perfettamente ragione.
«E
ora
torniamo agli affari.» Sorrise. «Sono un po’ arrugginito con il tiro a
segno,
ma ho trovato un paio di postazioni interessanti abbastanza vicine
all’obiettivo da non darmi troppe preoccupazioni. Ringraziamo Dio per
Google
Maps.»
«Non
prima di fare un paio di ricognizioni dal vivo.» obiettai. «Può essere
pure che
i palazzi che hai visto nelle foto siano stati abbattuti.»
«Ovviamente,
non sono un pivello. Piuttosto, tu saresti in grado di congiurare un
paio di
Portali per collegare istantaneamente le varie postazioni?»
Rimasi
in silenzio per quasi un minuto. In teoria l’idea di Big J non era per
nulla
malvagia. Un ottimo modo per far saltare le teste dei cattivi senza
dare
indicazioni sulla propria posizione. In pratica era un altro paio di
maniche.
Come si suol dire, tra il dire e il fare…
«Ci
devo
pensare su. Non è un incantesimo banale da preparare.» dissi infine.
«Mi
serviranno parecchie cosine. E un chilo di cioccolato.»
«Mic?»
chiamò Big J.
Lo
Spirito apparve dopo qualche secondo. «Tutto si può fare.» disse, dopo
che Big
J gli ebbe spiegato la sua idea. «L’unico limite è l’energia di Neil.
Alla fin
fine lui dovrà combattere nella villa e non credo sia efficiente
consumare
energia per mantenere attivi i Portali.»
Non
mi
andava a genio andare alla guerra con una frazione dei miei poteri. E
non
potevo nemmeno chiudere i Portali istantaneamente quando mi faceva
comodo. Un
incantesimo facile è come una lampadina, per azionarla basta premere un
interruttore. Un incantesimo di quella complessità, invece, è come una
centrale
elettrica: molto più complicato da spegnere. Quando le potenze in gioco
sono
molto elevate – e quell’incantesimo ne dissipava parecchia – ci
vogliono misure
di sicurezza più stringenti, per evitare di far saltare in aria un
intero
quartiere o, peggio, aprire un Portale per qualche Dimensione non
proprio
amichevole.
«Non
possiamo tenerli aperti in qualche altro modo?» chiesi.
«Si
potrebbero usare uno o più vettori in cui stipare abbastanza energia
per tenerli
aperti per la durata della missione.» rispose Mic.
«Una
batteria, insomma.» disse Jebediah.
«Esatto.»
Mic mi anticipò.
«La
festa sarà fra dieci giorni, quindi abbiamo abbastanza tempo per
preparare
tutto.» aggiunsi dopo un po’. «La villa probabilmente sarà protetta
magicamente
da Portali estranei, quindi bisogna escogitare qualcosa per portare le
armi
all’interno.»
«Portarle
fisicamente come se foste normali essere umani?»
«Dubito
che la sicurezza faccia entrare degli ospiti armati.» Mi misi a parlare
in
falsetto. «Ma certo, signore, entri pure col suo fucile a pompa! Serve
per i
palloncini, vero?» Ripresi il mio solito tono. «Io posso arrangiarmi
senza
bastone, ma Chiara sarebbe troppo svantaggiata.»
L’obiettivo
della missione era Maria Salis, una sùrbile.
Per chi non è ferrato in mitologia e folklore sardo – come non lo ero
io, prima
che Chiara mi erudisse - una surbile
è un vampiro, una strega-vampiro, se vogliamo fare i pignoli. Non lo
era nel
senso stretto del termine definito da Bram Stoker,
e nemmeno da Stephenie Mayer, grazie al
cielo, anche se Big J lo avrebbe preferito. Si cibava esclusivamente di
neonati, preferibilmente non battezzati, o battezzati in famiglie non
credenti
dove il battesimo era una moda piuttosto che un atto di fede. Le
religioni, se
praticate coerentemente, sono un grandissimo strumento difensivo contro
la
magia e le creature sovrannaturali. Dracula temeva la croce non perché
era
formata da due bastoncini perpendicolari fra loro, ma per il simbolo
che è e
per ciò che rappresenta. Se io provassi a difendermi da un vampiro con
un
crocifisso, il suddetto ci metterebbe un attimo a trasformarmi in uno
spuntino.
D’altra parte, se a usarlo fosse un prete, la questione sarebbe ben
diversa.
Poi c’è sempre il problema del bilanciamento delle forze in gioco: se
il tuo scudo
si fa un baffo dei colpi di una spada, non è detto che resista a un
bazooka.
Naturalmente,
“surbile” è solo un nome che deriva
dalla tradizione sarda, si tratta comunque di un vampiro; con una predilezione per
gli infanti, ma pur
sempre un vampiro.
Maria
Salis era pericolosa; una di quelle creature per cui l’aggettivo
“antica” non
era né offensivo né sproporzionato, ma una misura di quanto tempo
avesse avuto
per praticare l’arte magica. Stando alle informazioni dateci da
Maskinganna,
non possedeva del potere puro come un Lord dell’Areu
Afadau né quella “forza” bruta tipica dei maghi e degli
stregoni umani, però la sua arte era sottile e raffinata, come un
samurai che
taglia una goccia con la sua katana. Era anche molto abile anche
nell’arte
alchemica. Stando al rapporto, filtri e pozioni erano il suo pane
quotidiano. Una
vivida immagine mi apparve nella mente. Avete presente la classica
figura della
vecchia strega che mescola un calderone fumoso? Ecco!
«Il
trucco è di portare le armi dentro dopo che verrete perquisiti.» disse
Jebediah. «Mi pare chiaro.»
«Ci
penseremo con calma dopo aver fatto un paio di ricognizioni.» replicai.
Era
inutile pensare a certi dettagli senza avere un solida base su cui
ragionare.
Potevamo anche pensare al miglior piano del mondo, ma se poi il terreno
non era
favorevole, eravamo punto a capo. In quel momento potevamo solo
tracciare a
grandi linee un piano d’azione e solo più tardi avremmo definito i
dettagli. «È
possibile che tu debba entrare nella villa per aiutarci. La surbile è potente, non so se posso
affrontarla a testa bassa da solo.»
Big
J
annuì. «Come se tu ti preoccupassi combattere onestamente. Dove non
arriva la
forza, arrivano i trucchi sporchi.»
Sorrisi
e
alzai le mani. «Mica sono un Cavaliere della Tavola Rotonda.»
«Se
lo
fossi stato, ti avrebbero espulso da un pezzo.» aggiunse Mic. «Ti
ricordi del
capodanno a Nuova Delhi?»
«Legittima
difesa!» esclamai.
«E
il
mese scorso a Boston?»
«In
teoria il palazzo non doveva crollare.»
«Ma
è
crollato.» obiettò Mic, continuando a ronzarmi intorno alla testa,
fastidioso
come un calabrone.
«Colpa
del troll.»
«Come
no. Lui è morto e non può replicare.»
«La
storia la scrivono i vincitori, bellezza.» Ridacchiai.
Mi
accorsi che un bambino ci guardava dal sedile davanti.
Sembrava interessato ai nostri discorsi, ma
aveva una faccia un po’ spaventata. Gli mostrai il pollice alto e
dissi:
«Tranquillo, tigre. Noi siamo i buoni!» Tecnicamente non era proprio
vero. Lo
sarebbe stato in un’etica in cui il bene equivaleva ad un grande numero
di zeri
del mio conto svizzero. Di norma, quelli che mi pagano sono i buoni,
gli altri
i cattivi. Viva il relativismo!
Il
bambino sorrise e ricambiò il pollice su, poi si voltò a parlare con la
mamma.
Lo sentii riferire la storiella del troll e qualcosa sul voler fare il
mago da
grande. Certo, la carriera del mago mercenario è fantastica. Giri il
mondo e
lavori usando la tua arte e divertendoti. È come essere una rockstar,
però
senza i miliardi e le groupie e col rischio di morire a ogni
“concerto”, anche
se quest’ultimo punto vale pure per tante
rockstar. Se avessi studiato musica a quest’ora sarei stato in una
piscina d’oro
massiccio, circondato da conigliette di Playboy e non in un ridicolo
pullman
diretto a un mio possibile funerale.
La
voce
di Mic mi riscosse dai pensieri sulla mia mancata carriera da
musicista. «Alla
festa ci saranno i rappresentanti di molte parti del mondo
sovrannaturale, fossi
in te eviterei di far crollare la villa o di combinare altri danni
collaterali
che potrebbero far adirare qualcuno.»
«Ovviamente,
Mic, ovviamente.» risposi. «Mi prendi per pazzo?»
Big
J
scosse la testa e aprì il libro. «Non ti prendo semplicemente lo sei.
Ora lasciami
in pace e fammi finire di leggere il libro. Voglio godermi in santa
pace la
battaglia finale contro i Volturi.»
Se
avete
letto Twilight, sapete che Jebediah sarebbe rimasto deluso. Io tifavo
per i
Volturi, comunque. Per tornare agli affari… facendola breve, Maria
Salis era
una servitrice dell’Areu Afadau,
ma,
a quanto sembrava, si era stancata di ciò e aveva deciso di ribellarsi.
Si era
convinta di essere abbastanza forte da potersi mettere in proprio;
quale fosse
il motivo di quel cambiamento, il rapporto non lo diceva. Quella festa
era un
po’ il debutto in società di Maria Salis in veste di leader del proprio
clan.
Membri importanti del mondo magico e di quello fatato erano stati
invitati,
insieme a membri dell’alta società e della politica italiana.
Ovviamente la corte
fatata non era d’accordo: era impensabile che una vampira,
l’equivalente di una
plebea del mondo sovrannaturale, potesse elevarsi come un nobile,
figurarsi se
poi decideva di farlo senza nemmeno consultarsi con un Lord. Secondo la
corte,
comportamenti di quel tipo esigevano un castigo esemplare.
Noi
eravamo, o saremmo dovuti essere, quel castigo.
I
Lord
delle corti - quelli che nel folklore gaelico si chiamano Aes Sidhe – non sono tizi che amano
sporcarsi le mani, preferiscono
lasciare i lavori di manovalanza a noi poveri mortali. Loro sono dei
nobili e
combattono le loro battaglie con eleganza e sottigliezza. Se avessimo
avuto
successo probabilmente Maskinganna avrebbe negato qualsiasi suo
coinvolgimento
– “sono scioccato quanto voi! Chi poteva immaginare che i miei emissari
impazzissero e uccidessero la povera Maria!” - ma tutti avrebbero
saputo che
era stato lui a ordinare i fuochi d’artificio. Proprio per questo
motivo aveva
richiesto che il lavoro venisse svolto durante la festa: voleva che
tutti
potessero vedere qual era il prezzo del disobbedire all’Areu
Afadau. E chi poteva accusare un Lord di mentire, senza
correre il rischio di venire incenerito sul posto per aver offeso il
suo onore?
Sprofondai
nel sedile, cercando di trovare una posizione comoda in cui stare. Era
arrivata
la parte più importante del viaggio in pullman. Chiusi gli occhi e mi
addormentai.
Mi
svegliai nell’esatto istante in cui il pullman si fermò, preciso come
un
orologio atomico. Nel mio campo ci si abitua molto velocemente a
dormire quando
se ne ha la possibilità e a farlo con un occhio solo. Così si diventa
attenti e
reattivi a ogni minimo suono fuori dall’ordinario. E gli strilli del
bambino
che non voleva scendere erano lievemente sopra la soglia di “minimo
suono”.
Tirai giù dal portabagagli lo zaino e il bastone e uscii, seguito da
Chiara e
Jebediah.
«Vado
a
fare due passi intorno all’obiettivo, per vedere se quei palazzi di cui
ti
dicevo ci sono ancora. Tu sai cosa devi fare. » disse Big J, dandomi
una pacca
sulla spalla. «Rendez-vous al bed & breakfast.»
Si
allontanò velocemente, percorrendo il marciapiede a grandi falcate.
Avrei
potuto seguirlo con facilità. Se avessi avuto una bicicletta a portato
di mano.
Mi voltai verso Chiara. Era ancora in modalità “isolamento”. Batteva il
ritmo
della musica sulla coscia e sembrava aspettare me.
«Senti»
disse mentre m’incamminavo. «per quanto riguarda prima…»
«Hai
detto una stronzata» m’interruppe «l’hai capito e ora ti vuoi scusare.»
Sorrise. «Scuse
accettate.»
Con
un
gesto veloce le tolsi gli occhiali da sole e mi guardò perplessa.
«Volevo
vedere se fossi la vera Chiara e non un doppelganger.»
«Idiota.»
replicò, ma continuava a sorridere, le fossette sulle guance lievemente
rosse.
«Cosa facciamo? Andiamo direttamente al B&B o diamo una mano a
Big J?»
«No,
può
fare da solo. Del resto è lui che deve trovare un posto comodo per il
suo
materassino.» risposi. «Noi dobbiamo fare un’altra cosa.»
La
casa
che affittava alcune stanze, e molto esageratamente si definiva bed
& breakfast,
si trovava vicino alla stazione dei pullman, per cui era comodo andarci
a
piedi. Inoltre volevo fermarmi a fare shopping prima di arrivare,
perché mi
servivano un po’ di cosine per preparare l’incantesimo dei Portali. Fui
fortunato: trovai quasi subito il negozio che mi serviva. Chiesi a
Chiara di
aspettare qualche minuto ed entrai da solo.
Quando
uscii, con una busta stracarica in ogni mano, la jana
si mise a ridere. «A cosa ti serve tutta quella roba? Hai
svaligiato la cartoleria?»
Esatto,
una cartoleria. Non tutti i maghi usano ali di pipistrello, occhi di
rospo e
cervello di scimmia per preparare i propri incantesimi. Non più,
oramai. Oggi
ci sono tanti materiali molto più efficaci, e meno inquietanti, per
incanalare
l’energia magica. Mille tipi di carta, mille tipi di inchiostro, mille
tipi di
plastica. Non potete nemmeno immaginare
quante cose si possono fare con un
foglio A4 e una penna arcobaleno.
Dopo
un
quarto d’ora arrivammo al nostro quartier generale. Un uomo di mezza
età ci
aspettava sulla porta. Ci guardò con sufficienza e ci fece segno di
entrare.
Probabilmente pensava che fossimo due studenti stranieri in cerca di
un’abitazione meno provvisoria. Chiara poteva passare tranquillamente
per una
ventenne e io… beh… io potevo essere un fuoricorso molto in ritardo.
Ovviamente
ogni studente universitario va in giro con una o più pistole nascoste
sotto la
felpa. Ci chiese quando sarebbe arrivato il terzo e ci mostrò le
stanze, al cui
interno c’era il minimo indispensabile per poterle definire tali.
Chiara posò
il bagaglio sul letto e poi mi raggiunse nella mia stanza. Io ero già
seduto
alla spartana scrivania di formica e avevo tirato fuori i miei acquisti
della
cartoleria.
«Hai
intenzione di metterti subito a lavorare all’incantesimo?» domandò,
mentre
chiudeva a chiave la porta. Si buttò sul letto e si sedette a gambe
incrociate.
«Devo
fare un po’ di tentativi, prima di essere sicuro che sia affidabile
durante la
missione.» replicai. Presi un foglio e cominciai a tracciare diverse
figure a
matita. Lo scopo era quello di costruire una specie di contenitore –
una
batteria, come l’aveva perfettamente definita Jebediah – su cui versare
l’energia necessaria per mantenere attivi i Portali. Presi riga e
compasso e
cominciai a disegnare un pentagono regolare. Era una figura molto
importante
per via delle sue proprietà geometriche: questioni di sezione aurea e
altri
arzigogoli matematici, roba noiosa per noi rudi uomini d’azione.
L’importante è
sapere che viene utilizzata spesso negli incantesimo di contenimento
per via di
quelle proprietà.
«Che
fai?» mi chiese Chiara.
«In primis devo costruire il
contenitore.» replicai, mentre continuavo ad armeggiare con riga e
compasso.
Non è affatto banale disegnare un pentagono regolare. «Una specie di
bicchiere
in cui mettere l’energia.»
«Non
mi
pare una cosa così complicata o astrusa. Da come ne parlavi in pullman
pensavo
fosse qualcosa al di fuori delle tue abilità.»
«Questa
è
la parte semplice. Poi bisogna fare in modo che l’energia rimanga là
per tutto
il tempo necessario. Spostare l’energia è semplice, lo si fa ogni volta
che si
esegue un incantesimo. Il problema è contenerla.» Mic era apparso e
fluttuava
sopra il foglio, verificando che non stessi facendo cavolate. «La
particelle
che trasportano l’energia magica si muovono per diffusione, un classico
moto
br…»
«Niente
fisica, per favore, altrimenti… » mi puntò contro l’indice e abbassò il
pollice. «Bang!»
«Diciamo
che in condizioni normali tendono a spostarsi e a occupare egualmente
tutto lo
spazio disponibile. Un po’ come quando spruzzi del profumo. Noi però
non
vogliamo che succeda questo.»
«Per
cui…»
«Per
cui
bisogna costruire un campo di contenimento che riduca la diffusione.
Ovviamente
è impossibile annullarla completamente, ma l’importante è renderla
trascurabile
rispetto al consumo dovuto ai Portali.»
Il
pentagono era completo. Ora si trattava di colorarlo. Lo so, sembra che
vi stia
raccontando i compiti di quando andavo all’asilo, ma da un certo punto
di vista
sono cose simili. Mai sentita la barzelletta sul bimbo che evoca
Yog-Sothoth
mentre disegna la sua famiglia? No? Lo immaginavo, è solo per addetti
ai
lavori. Ogni colore ha un particolare significato e un determinato
potere. O
forse è la particolare composizione chimica a dotarlo di ciò, non si sa
bene ma
ci sono studi in corso. Fatto
sta che
una volta costruito il bicchiere si trattava di “rivestirlo” di colori
in
maniera tale da non far disperdere l’energia.
«L’ultimo
passo» disse Mic, rivolgendosi a Chiara «è quello di costruire un
“pacchetto”
che lo protegga dagli agenti atmosferici.»
Presi
della plastilina dalla buste delle compere e mi misi a lavorarla.
«Naturalmente
questo porta altri casini.» borbottai. «Si tratta di un lavoro di
precisione
perché si rischia di danneggiare il contenitore.»
«È
come
cercare di plasmare sull’unghia un rivestimento di piombo intorno a un
calice
di cristallo.» aggiunse il fuoco fatuo.
«Bella
similitudine,
Mic.»
Chiara
si alzò. «Ora che mi avete spiegato cose di cui non capisco nulla,
posso andare
a fare un po’ di manutenzione alle mie armi.»
«Poi
ci
servirai.» le dissi, mentre apriva la porta.
Chiara
si voltò e m’indirizzò uno sguardo interrogativo.
«Ci
devi
dare una mano a riempire le batterie.» dissi col sorriso sulle labbra.
«Sei una
fata, hai più energia tu nel mignolo che io in testa.»
«Non
ne
dubito. Col cervello che ti ritrovi.» Lo sbattere della porta mise il
punto
esclamativo alla battuta.
Jebediah
tornò qualche ora dopo. Era soddisfatto del risultato della
ricognizione e mi
raccontò tutto mentre continuavo a lavorare sulla batteria.
«Sorpresa!
I palazzi ci sono ancora. Non ho verificato l’accesso al tetto, ma non
dovrebbero esserci problemi. Ho fatto un giro intorno alla villa ed è
parecchio
grande. Il muro di cinta è alto quasi due metri e sopra c’è
un’inferriata.»
«Non
sarà difficile scavalcarlo.» commentai. Avevo già una mezza idea di
come
portare dentro le armi.
«L’ingresso
era controllato. Due uomini.» continuò Big J. «Grossi, molto grossi.» E
se lo
diceva lui c’era da preoccuparsi.
«Umani?»
«Non
credo. Le iridi completamente nere e i denti aguzzi mi fanno pensare il
contrario.»
«Sgherri
sovrannaturali della surbile.
Avevano
anche armi?»
«A
prima
vista non mi è parso. Potrebbero avere una pistola sotto la giacca, ma
ho idea
che siano tizi che preferiscono sfondarti la cassa toracica con un
pugno,
piuttosto che spararti semplicemente.»
«Motivo
per cui ci terremmo a distanza di sicurezza.» Sollevai con entrambe le
mani la
prima batteria. «Mirate!» esclamai.
«Cos’è?»
domandò Jebediah. «Sembra una palla.»
«È
una
palla. Una palla di plastilina rossa al cui interno è contenuto un
dodecaedro
di cartoncino, riempito a sua volta con altra plastilina. Quella dentro
è
verde, se ti può interessare.»
«Non
m’interessa.» tagliò corto Big J. «Tanto non sono ferrato per
apprezzare queste
finezze teoriche. L’importante è che funzioni.» Prese la palla in mano
e inarcò
un sopracciglio. «Perché funziona, vero?»
Sollevai
le braccia. «Mistero.» replicai.
«Va
testata.» aggiunse Mic. «È un primo prototipo ma non dovrebbe
funzionare troppo
male.»
«Autonomia?»
chiese Big J.
«A
piena
carica dodici ore, in linea teorica.» disse lo spirito. «In pratica, se
tutto
va bene, direi che sei ore è una buona approssimazione.»
«Possiamo
provarla subito?» Big J soppesava l’oggetto, passandoselo da mano a
mano, per
valutarne il peso e la consistenza.
«Prima
va caricata.» risposi. «Poi vanno aperti i Portali per testarla. Mi
serve
Chiara. Mic, vai a chiamarla per favore.» Lo Spirito sparì nella
fessura fra la
porta e il pavimento.
«Non
puoi testarla usando qualche incantesimo meno vistoso?»
Scossi
la testa. «Per rischiare che poi saltino fuori problemi durante il
lavoro? Non
credo proprio. Meglio faticare prima piuttosto che morire poi.»
La
porta
si aprì e Chiara entrò, con Mic posato sulla spalla. Big J le tirò la
batteria
e la prese prontamente al volo.
«È
questo il mirabile artefatto magico di cui Mic mi stava enunciando i
pregi?»
chiese, mentre continuava a lanciarla in aria.
«Smettetela
di giocarci!» esclamai, adirato. Avevo impiegato un sacco di tempo per
fare
quella… palla. Non volevo vederla cadere a terra e
rovinarsi. «Chiara, dato che sei la nostra jana
preferita, devi caricarla.»
«Come
devo fare?» chiese.
«Tienila
in mano, ma anche no, basta che sia a contatto col tuo corpo. Puoi fare
la foca
e tenerla sul naso, se vuoi.»
«Neil…»
borbottò Chiara con uno sguardo minaccioso.
«Va
bene,
non c’è bisogno di scaldarsi. Tienila in mano e poi concentrati. Non
hai mai
usato coscientemente la magia?»
Scosse
la testa in segno di diniego.
«Praticamente
è la stessa cosa di quando ti muovi velocemente o di quando rigeneri le
ferite
leggere.»
«Ma
è
una cosa che faccio naturalmente, come respirare. Mica mi metto a
pensare “ora
devo correre più velocemente” o “voglio saltare più in alto”.»
«Appunto.
Chiudi gli occhi e immagina un fiume.»
Chiuse
gli
occhi e, suppongo, immaginò un fiume.
«Immagina
ora che una diga blocchi il fiume. L’acqua continua a muoversi, ma non
può
andare avanti. Spinge, ma s’infrange sulla diga. Comincia ad
accumularsi e si
forma un lago.»
«Sta
brillando!» esclamò Big J.
«Silenzio!»
dissi, ma aveva ragione. La pelle di Chiara aveva preso a illuminarsi
leggermente. Non tanto quanto usava la magia inconsciamente, ma il
fenomeno
stava aumentando d’intensità. «Ora immagina di raccogliere l’acqua, di
essere
tu a controllarla, a plasmarla.»
Dopo
qualche minuto, Chiara brillava come non avevo mai visto prima,
l’energia che
possedeva era immensa. Che maga sarebbe potuta diventare, se si fosse
applicata
allo studio dell’arte.
«Rimani
concentrata» continuai «non farti sommergere dalla magia. Sei tu a
controllare
lei e non il contrario. Continua a plasmare l’acqua: fanne una sfera.
Contienila, non farla sfaldare. Ora costruisci una seconda sfera,
attingendo
dalla prima. Piano, con calma, non devi distruggerla. Quella è
l’energia che
stai fornendo alla palla. Continua fino a quando non senti che
l’energia viene
respinta dalla sfera più piccola.»
Passarono
diversi minuti prima che Chiara completasse l’incantesimo. Lentamente
la sua
pelle tornò normale, mentre la palla di plastilina aveva acquisito una
tenue
luminosità che aveva la stessa tonalità di quella di Chiara. La fata
aprì gli
occhi, era visibilmente provata e il sudore le imperlava il viso.
«Ci
sono
riuscita?» domandò, asciugandosi la fronte.
Le
presi
la palla dalla mano. «Direi proprio di sì.» replicai. «Ottimo lavoro.
Hai vinto
questa barretta di cioccolato. Attenta ai brufoli.» Le tirai una delle
merendine che tenevo sempre a portata di mano.
«Grazie,
Neil. Ora posso fare le magie spettacolari che usi tu? Palle di fuoco,
aculei
di ghiaccio e quelle figaggini?»
«Quando
riuscirai a ripetere quello che hai fatto ora in una frazione di
secondo.»
Sorrisi. «Quel metodo va bene per la magia da laboratorio, dove non hai
fretta
e hai il tempo per raffinare l’energia e centellinarla per bene. La
magia da
combattimento è tutta un altro mondo.»
Chiara
fece spallucce. «Fa nulla.» disse, anche se sembrava un po’ delusa.
Potevo
capirla.
Gli
esseri fatati possiedono una quantità di energia ordini di grandezza
superiore
a quella di un essere umano e la usano inconsciamente. La scienza
magica è
un’invenzione umana, pensata per ridurre questo gap. Tramite regole e
tecniche
noi umani cerchiamo o di aumentare l’efficienza e la facilità con cui
possiamo
controllare le forze magiche. Poi ovviamente ci sono creature come
Maskinganna
che hanno avuto migliaia di anni per imparare a controllare i propri
poteri e
si fanno beffe della magia umana. Chiara è giovane secondo i canoni
umani,
figurarsi se paragonata a un Lord delle fate.
«Ora
non
ci rimane che testarla con un Portale.»
Il
primo
test non andò tanto bene. A quanto pare la forma sferica non era adatta
a un
oggetto che volevamo rimanesse assolutamente immobile. La batterie
divennero
quindi dei coni e poi delle piramidi. Il secondo test andò quasi
peggio. E pure
il terzo e il quarto. Ci vollero otto giorni per progettare la “Palla
di
Plastilina, versione sei punto zero”, la migliore batteria che Mic e io
riuscimmo a produrre. Era lievemente instabile e durava poco meno di
due ore,
ma sarebbe bastata. Avrebbe dovuto bastare, volenti o nolenti, visto
che non
c’erano altre opzioni. Ne costruimmo una per ogni Portale e una di
ricambio, in
caso sarebbero emersi problemi. Assumere che ce ne saranno non è mai
una
cattiva linea di pensiero.
Il
party
si sarebbe tenuto la sera del giorno successivo. Mentre Mic e il
sottoscritto
giocavano con la plastilina, i colori e le forbici dalla punta
arrotondata,
Chiara e Big J si erano dedicati alla ricognizione dell’obiettivo, alla
preparazione delle armi e avevano organizzato il trucchetto per portare
le armi
all’interno della villa. Erano appena rientrati dall’ultimo,
importantissimo,
incarico: noleggiare i vestiti per la festa. L’invito, infatti, diceva
“cravatta nera” e non ci tenevo a mancare di rispetto a un vampiro.
L’ultima
volta avevo dovuto nascondermi in Groenlandia per un paio di mesi,
prima che un
mio amico convincesse il simpatico succhia sangue a rimuovere la taglia
sulla
mia testolina.
«Ecco
il
tuo smoking.» disse Jebediah, mentre posava il vestito sul mio letto.
«Uno
smoking?»
«Certo.
Cosa pensavi volesse dire “cravatta nera”?»
«Che
ne
so.» risposi. «Pensavo a un vestito da funerale. Boh, non m’intendo di
vestiti.
Comunque… uno smoking! Finalmente!»
Big
J mi
guardò con un’espressione fra il preoccupato e il divertito.
«Finalmente
sarò come James Bond, potrò andare a lavoro in smoking!» spiegai.
«Se
non
fossi un mago fottutamente in gamba mi rifiuterei di lavorare con un
pazzo del
tuo calibro.» Scosse la testa e fece per uscire.
«Anche
Chiara sarà in smoking?»
«Direi
proprio di no. Ha un abito da sera. Per donne. Si è chiusa un camera
perché
deve fargli un paio di modifiche.»
«Modifiche?
Ma così perderemo la caparra che abbiamo lasciato al negozio!»
protestai.
«Dici
che la perderemo per quello?» Big J inarcò un sopraciglio, dubbioso.
«In
effetti credo che il negoziante difficilmente rivedrà i suoi vestiti
interi.»
Big
J si
mise a ridacchiare e uscì.
|
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Capitolo 3 *** 3. ***
«Invito, prego.» ordinò
il grosso energumeno che mi
sbarrava il passo. Dovevo alzare il capo per guardarlo in faccia e
notare gli
occhi dalle iridi nere di cui Big J mi aveva parlato. Gli consegnai gli
inviti,
dopo avermeli fatti girare fra le dita, come un gambler con un dollaro
d’argento.
Li lesse e li controllò, come se si aspettasse che fossero falsi.
Perché? Un
comune mortale non poteva partecipare al party della sua cara padrona?
Oppure
non ero abbastanza elegante in smoking?
«Siete
gli emissari dell’Areu Afadau?»
disse
con un ghigno sul volto, alternando lo sguardo fra Chiara e me. «Degli
umani?
Che decadenza.»
Ci
fece
attraversare il cancello e lo sentimmo sghignazzare coi suoi compari,
mentre
percorrevamo il sentiero in ghiaietto che portava all’entrata della
villa. Non
eravamo fra quegli ospiti che arrivavano con il macchinone fino alla
piazza
davanti all’ingresso.
«Vedrai come sarà
decadente la tua signora a
fine serata, mio caro energumeno.» mormorai a Chiara. La fata mi teneva
il
braccio ed era di una bellezza mozzafiato nell’abito da sera rosa
confetto.
«Quando
dovremo cominciare?»
«Quando
Big J sarà in posizione e noi saremo pronti per dare il via alle
danze.»
risposi. «Per il resto possiamo approfittarne e divertirci un pochino.
Sai
ballare?»
Scosse
la testa e sbuffò. «Non siamo venuti per ballare. O faceva ancora parte
della
metafora sul dare il via alle danze?»
«No,
no.
Dico ballare sul serio. Dobbiamo mischiarci alla folla, passare
inosservati.
Non possiamo certo sederci in un angolino e aspettare.»
«Purtroppo
no.» replicò, sconsolata. Chiara non era tipa da feste e balli.
Arrivammo
all’ingresso della villa, dove mostrammo nuovamente gli inviti a uno
degli
energumeni dagli occhi neri, subimmo un’altra derisione e ci fecero
entrare.
Nell’atrio c’era un altro punto di controllo. Un tavolo era al centro
della
sala e al suo fianco era montato un metal detector: unico punto
d’ingresso per
il vero e proprio party. Al tavolo era seduta una giovane donna bionda
con una
cuffia e un microfono. Accanto a lei c’erano altri due Occhi Belli.
A
quanto
sembrava, c’era la fila per passare il controllo del metal detector.
Nell’attesa
osservai con attenzione uno degli Occhi Belli, in cerca di eventuali
debolezze.
Erano tutti identici: tutti alti più di due metri con le spalle più
larghe di
un armadio; tutti con gli occhi dalle iridi completamente nere e i
denti
aguzzi. Stranamente non avevano capelli, non so se perché non ne
avessero di
natura o perché se li radessero. Anche il viso era perfettamente
rasato. Anche
loro erano vestiti in smoking.
Stando
a Chiara, erano una specie di uomini neri. Avete presente quando
eravate
piccoli e vostra madre per spaventarvi vi diceva che se vi foste
comportati
male l’Uomo Nero sarebbe venuto a prendervi? Gli Occhi Belli erano fra
gli
addetti a quel lavoro. Io non conoscevo quella storia: mia madre mi
spaventava
abbastanza quando tornava a casa ubriaca e mi picchiava, al massimo
l’Uomo Nero
avrebbe potuto salvarmi. Bando alle ciance, gli Occhi Belli erano
quelli che
portavano i neonati alla surbile e,
quando serviva, fungevano da picchiatori. Grossi e cattivi picchiatori.
Per
fortuna non erano molto svegli e non sembravano in grado di riconoscere
gli
essere fatati: avevano pensato che Chiara fosse umana.
«Buonasera.»
disse la donna al tavolo, distogliendomi dai miei pensieri. «Per favore
posate
telefoni, chiavi e quant’altro possa far suonare il metal detector e
passateci
in mezzo.» Sorrise. «Perdonatemi, ma la mia signora vuole essere sicura
che i
suoi ospiti possano sentirsi a proprio agio, senza preoccupazioni di
sorta.»
«Non
sia
mai che qualcuno entri con un fucile a pompa nascosto sotto la giacca.»
dissi,
mentre posavo il cellulare sul tavolo. Chiara fece altrettanto.
La
donna
rise. «Proprio no, niente fucili a pompa.»
«Del
resto è un’arma così banale, una persona di classe non la userebbe
mai.» Feci
per passare, ma l’Occhi Belli accanto al metal detector mi mise il
braccio
davanti.
«Il
bastone.» disse.
«Non
può
entrare col bastone.» confermò la donna. «Se possedete delle armi da
cerimonia
potete lasciarle qua.» Indicò alle sue spalle e vidi che c’era una teca
piene
di vecchie armi: spade da lato, pistole ad avancarica, bastoni da
passeggio e
persino un’ascia bipenne. «Tutti gli ospiti non si sono fatti scrupoli
a
lasciare in nostra custodia le loro armi.»
Mi
voltai verso di lei. «Vuole privare un vecchio del suo supporto per
camminare?»
Mi
guardò divertita, piegando di lato la testa. «Lei non è vecchio.» Poi
ridacchiò
e aggiunse: «E non mi sembra nemmeno Gandalf.»
«Mi
ha
scoperto!» replicai, ignorando l’occhiata adirata che mi lanciò Chiara.
«Oltre
che bella ha anche degli ottimi gusti. Una di queste sere potrei
invitarla a
cena.»
«Il
mio
fidanzato non gradirebbe.»
«Ma
lei
sì?»
«No,
non
gradirei.» Gli occhi e il sorriso però stavano dicendo il contrario.
«Suvvia…
» non potei concludere perché qualcuno mi prese la testa e me la sbatté
sul
tavolo, tenendomi immobilizzato in quella posizione. Era dannatamente
forte.
«La
signora ha detto che non gradisce.» disse l’Occhi Belli. «Posa il
bastone
oppure ti sbatto fuori a calci in culo.»
«Lascialo
subito, è un ospite della mia signora!» gridò la donna, alzandosi in
piedi.
Occhi
Belli obbedì e mi lasciò andare. Posai il bastone sul tavolo e dissi:
«Verrò a
riprenderlo.»
«Ovviamente.
Lo terrò con cura.» rispose.
Occhi
Belli sghignazzò e ci fece passare. Il metal detector non suonò, così
recuperammo i nostri telefoni e finalmente potemmo entrare al party.
«Potevi
evitare che mi aggredisse.» dissi a Chiara.
«Non
volevo interrompere il corteggiamento.» rispose, trattenendo a stento
una
risata.
«Non
credo comunque di aver fatto una bella figura.»
«Quella
donna era strana.» disse la fata, pensierosa. «I suoi occhi erano
strani.»
«Anche
i
suoi riccioli erano strani. E con strani intendo bellissimi.»
Chiara
mi colpì al fianco col gomito. «Ora basta con le stupidaggini, si
lavora.»
Annuii.
Era ora di mettersi a lavoro, niente più sciocchezze. Il salone della
festa non
era affollato come mi aspettavo, sembrava quasi una festa per pochi
intimi.
C’erano sì e no una ventina di persone. Un quartetto d’archi e un
clavicembalista addolcivano l’orecchio suonando musica barocca.
Appropriato.
Rubai due bicchieri di vino da un cameriere di passaggio e ne passai
uno a
Chiara. Ero curioso di conoscere qualche altro ospite. Nel nostro
mestiere più
contatti si hanno meglio è. C’è anche il pericolo di farsi qualche
nemico, ma
quel rischio lo si corre sempre. Ci avvicinammo a un gruppo di persone
per
unirci a qualsiasi conversazione stessero facendo.
«Salve!»
salutai con allegria.
Un
uomo
si voltò e, dopo avermi sorriso, disse: «Neil? Neil McRoberts? Dio mio,
cosa ho
fatto di male!»
«È
un
piacere anche per me, Bertie.» Ricambiai il sorriso. Odiava quel
diminutivo.
Robert Von Kempf era un signore che trasudava germanicità – si può dire
germanicità? – da tutti i pori. Alto, capelli biondi a spazzola, occhi
azzurri
come il cielo d’estate, pizzetto ben curato da cattivo dei film, anche
se in
realtà era buono come il pane. Aveva messo su qualche chilo, rispetto
all’ultima
volta che l’avevo visto. Ci eravamo conosciuti a Xiam, dove seguimmo
insieme
diversi corsi di storia antica e magia, e avevamo coltivato l’amicizia.
A
differenza di me, che non avevo completato gli studi, lui era diventato
uno dei
più importanti studiosi di storia germanica. Inoltre era il leader di
uno dei
più grandi branchi di mannari d’Europa. Al suo fianco c’era una signora
tarchiata altrettanto germanica, che avrebbe fatto la sua bella figura
all’Ocktober Fest, un pretzel in una mano e un mega boccale di birra
nell’altra. La signora Von Kempf era una delle donne più divertenti che
conoscessi.
Ci
scambiammo una stretta di mano e presentai loro Chiara.
«Finalmente
ti sei accasato, Neil?» scherzò Robert.
Chiara
mi anticipò. «Le sembro una ragazza che da piccola è caduta dal
seggiolino? Non
vedo altro motivo per cui qualcuna possa sposare Neil.»
«Come
siamo simpatici.» risposi, senza troppa voglia. Non volevo cimentarmi,
per
quanto mi divertisse, in un’altra schermaglia verbale con Chiara. Ero
curioso
di conoscere il motivo della presenza di Robert. Il Baden-Wurttemberg
non si
poteva certo definire limitrofo al Campidano e mi chiedevo il perché
della sua
presenza. Glielo domandai.
«Politica.» rispose. «Sempre la solita
dannata politica. Una mio alleata mi ha procurato un invito. Se alleata
si può
definire.»
«Alleata?» ripetei. Mi bagnai le labbra col
vino, senza però berne. Quando si deve uccidere una strega-vampiro è
meglio
essere ben lucidi.
«Forse è meglio dire amica per questioni di
forza maggiore.» Mi indicò un gruppo di donne che si trovava dall’altra
parte
della sala. «Vedi quelle belle signore laggiù?»
Eccome se le avevo viste, sembravano uscite
da un catalogo di Victoria’s Secret. «Sì, le ho notate.» risposi, ma
era una
bugia. Le avevo spogliate con gli occhi. Due volte.
«Fanno parte di un gruppo di vampiri, miei
corregionali. Stando a quello che ho sentito dire, la nostra ospite ha
stretto diverse
alleanze con clan di tutta Europa.» disse. «Ora che ha l’appoggio di
gente
potente si sente abbastanza sicura da sfidare i padroni della
Sardegna.» Si
riferiva ai miei datori di lavoro.
«E tu sei qui per…»
«Tenere d’occhio la situazione. Volevo
conoscere Maria Salis e vedere se la sua alleanza con la mia amica può
sbilanciare i fragili equilibri nella Foresta Nera.»
«Capisco.» dissi. Era ovvio. La vecchia
succhia sangue era abbastanza intelligente da non sfidare l’Areu Afadau senza un appoggio. Era
pacifico che se aveva deciso di farlo, poteva contare su qualche amico,
vampiri
tedeschi o che altro. Nelle informazioni che ci aveva passato
Maskinganna non
c’era nulla di ciò. Forse nemmeno lui sapeva. Più probabilmente non ci
aveva
informato perché non rientrava nei suoi grandi schemi politici. Del
resto noi
non eravamo altro che dei pedoni. Non avevo nessun problema ad esserlo
se la
paga era buona, almeno finché Maskinganna non avesse deciso che valeva
la pena
sacrificarci. In tal caso avrei trovato un nuovo datore di lavoro.
Decisi che i
vampiri teutonici non rappresentavano un problema. I problemi della
Corte non
erano con gli stranieri, ma con Maria Salis. Era lei la suddita ribelle
che
doveva essere punita. Intervenire in quella questione privata sarebbe
equivalso
a dichiarare guerra all’Areu Afadau
e
ai suoi alleati. “I suoi alleati” erano le parole magiche: nessuno
vuole
incrociare la strada degli Aes Sidhe.
Le corti gaeliche sono le più antiche e temibili fra i popoli fatati.
Chi sfida
una bean sidhe o un dullahan
non è coraggioso, è pazzo.
«E tu invece cosa ci fai qua?» mi chiese
Robert.
«Siamo i rappresentanti dell’Areu
Afadau.» rispose Chiara al mio
posto.
Il tedesco mi guardò intensamente per un
attimo lunghissimo. Si stringeva le labbra fra pollice e indice.
Conoscevo quel
gesto: stava riflettendo. Gli ingranaggi nel suo teutonico cervellino
stavano
lavorando e facevano due più due. «Deduco che sia meglio non restare
fino a
tardi.» disse infine.
Sapeva qual era il mio lavoro e il fatto
che fossi là in vece della corte sarda voleva soltanto dire che era in
programma
una serata in stile McRoberts: esplosioni, demoni fuori controllo e
litri e
litri di birra. I miei festini all’università erano leggendari.
«Ho l’impressione che sarà una serata
noiosa.» rispose Chiara, facendo scioccare la lingua. «Probabilmente è
meglio
andare via prima della fine. Per non rischiare di morire.» Sorrise e
ammiccò.
«Di noia.»
Robert
e
sua moglie spalancarono gli occhi e la guardarono attoniti. Poi si
voltarono
verso di me, come in attesa di una spiegazione. Diamine, mi aveva
fregato la
battuta! «A forza di frequentarmi» dissi «Chiara ormai sa come penso e
mi ruba
le risposte migliori!»
«Stai
invecchiando, Neil. Comunque, vista com’è la situazione ci perdonerai
se
andiamo a razziare il buffet.»
«Figurati,
nessun problema. Grazie per le info.»
«E
di
che?» Si rivolse alla moglie: «Andiamo, Eva?»
La
signora Von Kempf prese
Chiara per un
braccio e disse: «Tu però devi venire con noi. Sono proprio curiosa di
conoscere un’amica di Neil. È sempre un tipo così solitario…»
Mentre
veniva trascinata via, Chiara mi lanciò un’occhiata fra il preoccupato
e il
supplicante.
«È
presto.» dissi solo muovendo le labbra. Non ero in grado aiutarla, non
si può
sfuggire a Eva Von Kempf. È come un fiume in piena: non provi a nuotare
controcorrente, ma ti lasci trasportare.
Avrei
approfittato dell’occasione per conoscere le Victoria’s Vampires.
Volevo
scoprire quanto stretta fosse la loro alleanza con Maria Salis e come
si
sarebbero comportate in caso di attacco. E magari prendere il numero di
telefono di qualcuna di loro. O il contatto Facebook.
Mi
avvicinai con nonchalance, mostrandomi sicuro del mio fascino
irresistibile e
della mia chioma ordinatamente disordinata. In quel momento mi sentivo
come un
incrocio fra George Clooney e Johnny Depp.
Evidentemente
il risultato visto dall’esterno era completamente differente, dato le
occhiate
divertite che mi lanciarono le donne. Forse è un bene che George
Clooney e
Johnny Depp non possano fare un figlio insieme.
«Buonasera.»
salutai, simulando disinvoltura e distaccato interesse, nonostante le
risatine
sommesse di alcune delle donne.
«Buonasera.
Con chi ho il piacere di parlare?» rispose una di loro, una rossa dagli
occhi
verdi il cui decolleté prorompente del suo abito a tubino avrebbe
ipnotizzato
qualunque uomo.
«Neil
McRoberts.» dissi. «Sono il rappresentate della corte fatata sarda.»
Le
risatine s’interruppero.
«Un
inglese rappresenta la corte sarda?» disse la rossa, la voce carica di
perplessità.
«Scozzese,
per favore.»
«Uno
scozzese rappresenta la corte sarda?». Alla perplessità si era aggiunto
il
sarcasmo.
«Può
ripeterlo usando tutte le nazionalità che conosce, ma non cambia i
fatti.»
replicai.
Una
delle Victoria’s Vampires fece un passo verso di me, ma un’occhiata
della rossa
la paralizzò. «Io sono Greta, matriarca del clan Schwarz.» disse,
allungando
una mano verso di me.
Gliela
strinsi e aggiunsi: «L’alleata crucca della nostra ospite e cara amica
di Von
Kempf» Bravo, Neil! Brillante conversatore, ma solo quando si tratta di
offendere folletti o vampiri.
«Ha
una
lingua molto veloce, Mr. McRoberts.» replicò. Se il “crucca” l’avesse
offesa
non lo dava a vedere. «Mi chiedo se la sappia usare così bene anche in
altri
contesti.» Mi guardò languidamente e si morse il labbro superiore.
Deglutii
e mi passai una mano fra i capelli. Il dialogo stava prendendo una
direzione
piacevolmente interessante, ma non era quello il luogo, né il momento.
«Ad
esempio la uso molto bene per fare domande.» dissi, cercando di
cambiare
argomento. «Come
mai siete interessati a
una vecchia vampira sarda? Cosa c’è di così importante da scomodare i
vampiri
mezza Europa?»
Greta
scoppiò a ridere. «Perché non l’ha chiesto al suo amico mannaro?»
«Volevo
avere una scusa per parlare con lei e chiederle il numero di telefono.»
«È
antica.
Molto antica.» rispose, dopo aver smesso di ridere. «Una dei più
antichi membri
della nostra specie.»
«E
quindi? Non sapevo voi vampiri foste protettivi nei confronti dei
vostri
antenati.»
«Non
lo
siamo, infatti. Ma cosa direbbe lei se potesse parlare, che so, con
Merlino?»
Ora
era
più chiaro. «Un’enorme fonte di conoscenza.» mormorai. Maria Salis era
un
assetto importantissimo per i vampiri d’Europa. Un essere che aveva
vissuto per
un tempo lunghissimo era depositario di segreti e conoscenze che
difficilmente
erano reperibili da altre parti. La questione diventava più complicata.
Fino a
quanto erano disposti a proteggere la surbile?
«Esatto!»
disse Greta, la
voce quasi
stridula. «Immagina
quante cose potrei
imparare!» Era eccitata e aveva ottimi motivi per esserlo.
«La
surbile, però, è una criminale.» le
dissi, sperando di ottenere una qualche reazione che mi potesse
informare sulle
sue intenzioni.
«Solo
perché ha deciso di ribellarsi a dei falsi padroni?»
esclamò.
«Eviterei
di usare “falsi padroni” e “fate” nella stessa frase. Comunque, non
sono qui
per disquisire di sottigliezze legali.»
«Allora
perché sei qui? O stai veramente provando a rimorchiare una vampira?»
Nell’eccitazione
della conversazione si era dimenticata di darmi del lei. Sarò anche un
simpaticone dalla battuta facile, ma ci tengo alle formalità. Stavo per
farglielo notare, quando un’altra persona si unì al gruppo.
Era
una
simpatica vecchina dai capelli bianchi come la neve. Li teneva legati
in una
stretta crocchia e un fazzoletto nero glieli teneva coperti. Era alta
non più
di un metro e mezzo e indossava quel tipico vestito delle vecchie
signore sarde
dei paesini di montagna: vestito nero, con uno scialle di lana intorno
al petto
e un grembiule blu scuro che scendeva fino alle caviglie insieme alla
gonna. Aveva
gli occhi di un colore indefinibile, un miscuglio di grigio e verde che
però
sembrava cambiava continuamente. La pelle del volto era indurita dal
tempo e le
rughe le incorniciavano gli occhi e le labbra sottili.
Era un viso nobile, la vecchiaia non ne aveva
scalfito i tratti fascinosi. Dietro di lei, c’era un Occhi Belli
diverso dagli
altri: anziché essere perfettamente rasato, portava barba e baffi
perfettamente
curati. Lo
soprannominai Barbetta.
Greta
si
voltò versa la signora e chino il capo. «Maria.» salutò.
«Maria
Salis!» esclamai, battendo le mani. «Finalmente posso conoscerla!»
La
surbile mi guardò fisso negli occhi
e mi
sentii come se fossi stato colpito da un pugno in faccia. Fui costretto
a fare
un passo indietro.
«Chi
sei
tu?» domandò. La sua voce era potente e lo spiccato accento sardo ne
esaltava
la forza e la determinazione. «Non ricordo di aver invitato un maghetto
da
quattro soldi.» Leggevo il disprezzo nei suoi occhi. Ciò che era
abbastanza
spaventoso, però, era che mi aveva catalogato subito come mago, con
appena un’occhiata.
Quello era Talento con la T maiuscola.
«Piacere,
Neil McRoberts. Di professione idraulico, ma nel tempo libero faccio il
maghetto da quattro soldi.» Nessuno mi aveva mai dato del “maghetto da
quattro
soldi”, per cui perdonatemi se non trovai subito una risposta simpatica.
Evidentemente
nemmeno Maria la trovò divertente – oppure il suo senso dell’umorismo
era
vecchio di qualche secolo – perché continuò a fissarmi gelidamente. Poi
disse:
«Non mi hai ancora detto perché sei qui.»
Barbetta
si era fatto pericolosamente vicino.
«Sono
qui per fare le veci di Lord Maskinganna, nobile dell’Areu
Afadau e tuo signore.» risposi col sorriso sulle labbra. Se
non fosse stata una persona a
cui
stavano a cuore le antiche regole dell’ospitalità, probabilmente mi
avrebbe
strappato gli occhi sul posto.
«Dunque
il mio vecchio signore» quasi sputò la parola «non si scomoda ad
accettare il
mio invito e al suo posto manda un misero umano?»
«Esatto.»
risposi. «Due per la precisione. C’è anche una mia amica. Probabilmente
il
folletto ha pensato che l’invito fosse “Maskinganna più uno”.»
La
tensione era salita alle stelle. La mia concentrazione era puntata su
Greta e
Barbetta. Ero certo che in nome dell’ospitalità Maria non mi avrebbe
aggredito
senza provocazione fisica, ma non ero sicuro degli altri due e temevo
in
particolare i pugni di Barbetta. Erano grandi quanto dei magli.
«Attento
a come parli. La gentilezza che ti devo per via delle leggi
dell’ospitalità ha
un limite.» disse semplicemente la surbile,
senza alcuna traccia di minacciosità nella voce. Era una banale
costatazione:
se mi manchi di rispetto un’altra volta ti taglio la lingua. Poi
aggiunse: «Se
Maskinganna pensa che negandomi il suo benestare io torni sui miei
passi, si
sbaglia di grosso.» Continuava a fissarmi e avevo difficoltà a
distogliere lo
sguardo da quegli occhi antichi.
Sentivo
gli occhi di Greta trapassarmi la testa. A quel punto mi chiesi se
almeno avesse
capito quale fosse il vero motivo per cui mi trovavo alla festa. Maria
sicuramente
pensava che fossi una nullità mandata da Maskinganna giusto per
mancarle di
rispetto. Non pensava che il suo vecchio boss scegliesse un maghetto da
quattro
soldi come sicario; probabilmente si aspettava qualche killer fatato
con le
palle cubiche. Buon per me. Adoro quando mi sottovalutano e non
prendono le
misure adeguate per gestirmi.
Qualcuno
mi poggiò un mano sulla spalla e
quella
distrazione mi consentì di staccare gli occhi da quelli della strega.
«Neil,
non
lasciarmi mai più nelle mani di Eva Von Kampf.» Era Chiara.
«A
volte
sa essere molto invadente, però è un mito! La donna più divertente che
conosca.»
«Lei
è
il “più uno”?» domandò Greta, puntando l’indice su Chiara. «Pensavo
avessi
gusti migliori.»
La
fata
la degnò appena di uno sguardo e poi si rivolse nuovamente a me. «Ho
già ucciso
la mia quota di vampiri per questa settimana e non sono venuta qua per
lavorare.»
«Calma,
signore.» dissi, mettendomi fra loro. Ci mancava solo che cominciassero
a tirarsi
i capelli e graffiarsi. Non che non ami un sexy catfight, ma purtroppo
il
momento non era favorevole. Strinsi il braccio a Chiara per ricordarle
che in effetti
eravamo là per lavorare, ma non era ancora ora di uccidere nessuno.
«Non
ci
sarà nessuno scontro.» disse Maria Salis, con il suo solito tono
imperioso.
«Non nella mia casa, durante la mia festa.»
Chiara
e
Greta annuirono, ma continuarono a guardarsi in cagnesco. Approfittai
dell’occasione per salutare le vampire e allontanarmi con Chiara. Le
carte
ormai erano in tavola e non rimaneva che aspettare Big J. Gli avevo
consegnato
tre anelli che avevo incantato per aprire i Portali. Lui doveva
semplicemente
portarsi in posizione, usare l’anello e attivare la batteria. Poi
doveva
ripetere il procedimento nelle altre due postazioni.
È
possibile “memorizzare” – con un uso un po’ informatico del termine –
degli
incantesimi su dei vettori per poter essere utilizzati più tardi anche
da chi
non ha l’abilità per congiurarli da sé. Il rovescio della medaglia sta
nel
fatto che è necessaria molta più energia, perché l’incantesimo deve
rimanere in
stasi fino a quando l’utilizzatore finale non lo sblocca, per cui
bisogna tenere
conto della naturale dissipazione dell’energia magica. Per lo stesso
motivo,
hanno anche una durata limitata. Dopo un certo intervallo di tempo
semplicemente l’energia contenuta nell’oggetto non è più sufficiente a
supportare l’incantesimo. Ovviamente non è obbligatorio usare degli
anelli,
qualsiasi altro ammennicolo va bene. L’ideale sono oggetti di metallo,
gemme,
qualsiasi cosa abbia una struttura molecolare semplice ed elegante. Si
possono
usare anche oggetti di plastica, di legno, roba elettronica o altre
cose più
complesse, ma il dispendio di energia è enorme. Viceversa, le gemme con
un alto
grado di purezza arrivano ad avere un’efficienza praticamente unitaria.
Tutti
conoscete la storia del diamante Hope. Sì, è maledetto, uccide i suoi
proprietari da qualche secolo a questa parte. Opera di uno stregone dal
discutibile senso dell’umorismo.
Il
vantaggio
dello stratagemma – oltre all’aver fatto guadagnare parecchio al
pasticciere
vicino al nostro B&B – era che Big J poteva preparare con calma
la sua
postazione senza la mia presenza. Potendolo fare a festa iniziata era
in grado
di verificare per bene le posizioni degli obiettivi e piazzarsi nel
modo più
comodo possibile. Probabilmente in quel momento stava cominciando a
lavorare.
Mancavano circa due ore all’orario concordato.
Per
ingannare l’attesa, Chiara e io continuammo a girare per il salone per
conoscere gli altri ospiti. Nonostante
l’arroganza mostrata da Maria Salis, non c’erano grandi rappresentanti
del
mondo sovrannaturale. Molti vampiri, qualche stregone e nulla più.
Nessuna fata
né folletto, nemmeno un piccolo demone minore: quelli con le ali di
pipistrello
e il forcone in mano. I demoni maggiori sono molto più affascinanti;
almeno
quando si degnano di assumere una forma umana e nascondere i tentacoli,
le
corna, gli aculei e altre appendici per cui non esistono parole adatte
a
descriverle. Non era presente neanche un drago; ma, del resto, chi ha
mai visto
un drago?
Quando
il mio telefono suonò, erano passate più di due ore. Molti ospiti se
n’erano
andati e quelli rimasti erano per lo più inebriati dall’alcool. La surbile e le Victoria’s Vampires erano
sparite dalla circolazione. Presi il cellulare e lessi il messaggio ad
alta
voce, a vantaggio di Chiara.
«Handsome
Bear t’invita a giocare ad Angry Birds e ti dice: i maialini sono sotto
tiro.»
«Bene.»
disse Chiara, piegando la testa di lato e facendosi schioccare le ossa
del
collo. «Stavo cominciando ad annoiarmi.»
Le
passai un braccio sulla vita e la strinsi a me. Barcollando un po’,
come se
fossimo brilli, ci avvicinammo all’Occhi Belli seduto accanto alla
porta da cui
eravamo entrati. Nel
vederci l’uomo nero
si alzò e ci venne incontro. Ci fermammo e Chiara appoggiò una mano sul
mio
petto e cominciò a baciarmi sul collo. Guardai Occhi Belli con
complicità
maschile e quello sorrise.
«C’è
un
posto tranquillo in cui possiamo appartarci?» chiesi.
«Seguite
il corridoio che avete fatto per arrivare qua, l’ultima porta a destra,
quella
prima della porta per l’atrio.» rispose, lanciando uno sguardo al
fondoschiena
di Chiara. «Buon divertimento.» aggiunse, mentre uscivamo dalla sala.
Nell’istante
in cui la porta si richiuse, Chiara balzò a due passi da me.
«Sarebbe
meglio fingere almeno finché arriviamo alla stanza.» protestai. «Occhi
Belli
potrebbe vederci e mangiare la foglia.»
«Ti
piacerebbe.» rispose Chiara, allungando
il passo.
Non
sembra, ma è innamorata di me.
Anziché
arrivare alla porta suggeritaci da Occhi Belli entrammo nella seconda
stanza a
sinistra e ci dirigemmo subito verso la finestra. Chiara la spalancò e
saltò
fuori. Io rimasi appoggiato sul davanzale, pronto a coprirla in caso di
problemi. Attraversò il giardino in men che non si dica e con un salto
si
aggrappò all’inferriata del muro di cinta. Fece forza e la scavalcò con
un
salto. Raccolse qualcosa da dentro un bidone della spazzatura e poi
ripeté
l’operazione nella direzione opposta. In meno di due minuti era di
nuovo nella
stanza. Buttò a terra un borsone sportivo. Portare l’equipaggiamento
all’interno della villa si era rivelato più facile del previsto.
«Ottimo
lavoro! Un po’ lenta, forse… »
«Idiota.
La prossima volta lo farai tu.» rispose, mentre si chinava per aprire
la borsa.
Sbuffai.
«Sono fuori allenamento e poi mi fa male un ginocchio.»
Ignorò
il commento e mi passò un fucile a pompa, un Ithaca 37, e una scatola
di
munizioni. Caricai l’arma e misi un po' di cartucce di riserva nelle
tasche dei
pantaloni. Poi lo appoggiai, mi tolsi la giacca e strappai l’ignobile
farfallino. Al diavolo lo smoking! L’avevo odiato dal momento in cui
l’avevo
indossato. Dire che era scomodo era riduttivo. Il farfallino mi
stringeva il
collo e la giacca mi opprimeva e mi faceva sentire imbalsamato. Al
diavolo lo
smoking e al diavolo James Bond! Gli abiti da sera non sono adatti a
chi fa il
mio mestiere.
Chiara
era del mio stesso avviso, dato che aveva strappato la parte inferiore
del suo
abito rosa, mettendo in mostra le sue lunghe gambe affusolate. Mi
concessi un
attimo di pausa per ammirarla. Sotto il vestito da sera indossava un
paio di
pantaloncini alla Lara Croft e ora stava legando alle cosce due fondine
per le
pistole. La parte
superiore del vestito
era stata recisa perfettamente all’altezza del’ombelico e sembrava uno
di quei
top malandati che andavano di moda fra le ragazzine.
«Era
questa la modifica che dovevi fare al vestito? Distruggerlo
definitivamente per
perdere la caparra?» Intanto mi tolsi i gemelli e li misi in tasca.
Avvolsi le
maniche fino ai gomiti e mi aprii due bottoni della camicia per
liberare il
collo. Così ero molto più comodo.
La
fata
si tolse le scarpe dal tacco stratosferico e indossò un paio di scarpe
da tennis.
«Non volevo perdere tempo o strapparlo male. Pensa che scomodità se
dovessi
combattere con le tette al vento.» disse, mentre
annodava i lacci delle scarpe.
«Certo.
Che scomodità… »
«Maiale.»
Come ultima cosa raccolse i capelli sopra la nuca e li legò con un paio
di
elastici. «Sei pronto?»
Raccolsi
il fucile e me l’appoggiai sulla spalla. «Sono nato pronto.»
«Per
favore, risparmiami i cliché da film d’azione.»
|
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Capitolo 4 *** 4. ***
Uscimmo nel corridoio,
decisissimi a tornare nel
salone per chiedere – con gentilezza, ovviamente – a uno degli Occhi
Belli dove
fosse andata Maria Salis. Volevo ridurre al minimo i danni collaterali.
Mi
fermai all’improvviso e dissi: «Prima voglio recuperare il bastone!» Mi
voltai
per andare verso l’atrio.
Chiara
mi seguì e disse: «Tre uomini
neri e la
receptionist dai riccioli d’oro.» Anche io lo ricordavo, ma non era
male avere
un ulteriore aiuto a visualizzare la posizione.
Arrivammo
alla porta e feci
un lieve inchino,
invitandola ad entrare per prima. «Pensaci tu con i coltelli, non
vorrei che
facessimo troppo rumore.»
«Agli
ordini, capo.» Spalancò la porta con un calcio e svanì.
Tecnicamente
avrei potuto usare qualche incantesimo poco appariscente per aiutarla,
ma non
volevo sprecare troppe energie prima di affrontare la surbile.
Lo stesso motivo per cui avevo un fucile.
Corsi
dentro con l’arma spianata, anche se sapevo di non poter competere con
la
velocità della fata. Due Occhi Belli erano a terra con la gola
squarciata da un
orecchio all’altro. Il terzo, invece, sembrava aver anticipato Chiara e
ora i
due se le stavano dando di santa ragione.
Mi mossi verso la teca dov’erano riposte le armi.
«Gandalf
è tornato, baby, e ora ha un fottuto fucile!» gridai verso la
reception, che
però era vuota.
Puntai il
fucile su Occhi Belli, in caso ci fosse necessità di aiutare Chiara.
Non volevo
sparare, ma l’eventualità di venire scoperti aumentava esponenzialmente
col
tempo che rimanevamo là.
All’improvviso
qualcosa mi spinse a terra. Feci in tempo a voltarmi per vedere
Riccioli d’Oro
con una bacchetta – una di quelle da direttore d’orchestra - puntata
verso di
me. Accompagnai la caduta con una capriola e mi rialzai nella sua
direzione.
Così
mi
trovai una pistola puntata sul
viso.
«Oh,
cazzo.» borbottai.
«Un
fucile
a pompa» disse Riccioli D’Oro «che arma banale.»
Sorrisi,
ripensando alla nostra precedente conversazione. «Non ho mai detto di
essere
una persona di classe.» Teneva la bacchetta nella mano sinistra e la
pistola, un’automatica,
nella destra.
«Buttalo
a terra.» mi ordinò. Era molto calma e professionale, segno che aveva
già
partecipato a feste di quel tipo.
Lasciai
andare l’impugnatura e mi mossi lentamente per poggiarlo a terra,
quando
all’improvviso sentii Chiara gridare. Riccioli D’Oro si distrasse per
solo una
frazione di secondo, ma fu abbastanza per evocare uno scudo magico
davanti a me
e saltarle addosso. Fece
fuoco con la
pistola, ma la pallottola andò a sbattere sullo scudo e schizzò sul
pavimento.
Rotolammo a terra e gettò
le sue armi
per avvinghiarsi a me. Cercai di colpirla con il calcio dell’arma, ma
eravamo
attaccati e non riuscivo a dare abbastanza forza al colpo. Anche io lasciai andare
l’arma e rotolai
sopra di lei, bloccandole le gambe con le ginocchia. Le fermai anche le
mani,
ma non prima che mi graffiasse sul volto un paio di volte. Sentii il
sapore del
sangue sulle labbra.
«Immagino
che per quella cena non ci sia più nulla da fare.»
Mi
gridò
contro qualche epiteto poco simpatico.
«Comunque,
non mi va di uccidere una signorina.» le dissi. Mormorai un paio di
parole
senza senso e le posai una mano sulla fronte. L’istante successivo
dormiva come
una bimba. Presi il fucile e mi alzai. Chiara e Occhi Belli stavano
ancora
combattendo, ma la fata era in difficoltà. L’uomo nero l’aveva appena
colpita
con un calcio alle costole e ora l’aveva presa per la gola,
sollevandola di un
paio di piedi da terra.
Occhi
Belli era troppo impegnato nel gustarsi la faccia stravolta della
donna, perché
non si accorse di me quando mi avvicinai e fece appena in tempo a
voltarsi
quando gli piazzai la canna dell’arma fra gli occhi.
Sorrisi.
«La signora ha detto che non gradisce.»
Premetti
il grilletto e la materia cerebrale di Occhi Belli si sparse per tutto
l’atrio.
Chiara
cadde a terra insieme al cadavere, ma si rimise subito in piedi,
massaggiandosi
la gola.
«Forza.»
esclamai. «Altri Occhi Belli saranno qui fra poco.»
Andai
alla teca per recuperare il
mio bastone
e nel mentre tirai fuori il cellulare per chiamare Big J.
Rispose
al primo squillo. «Cambio di programma.» dissi. «Abbatti subito tutti i
bersagli che hai sotto tiro. È possibile che vengano a prenderci
nell’atrio.»
«Roger.»
rispose Jebediah. Dopo un attimo aggiunse: «Il settore giallo è libero.
Verdi e
rossi in arrivo verso di voi. Evil Witch è nel settore blu.» Tradotto
in termini
umani significava: la sala della festa è libera da nemici; persone che
non
c’entrano nulla stanno scappando verso l’uscita e cattivoni che
vogliono farvi
la pelle sono dietro di loro; Maria Salis è al piano superiore. Capite perché è più comodo
comunicare in
codice?
«Ricevuto,
Handsome Bear.» Corsi verso le scale e mi misi l’auricolare per
continuare a
comunicare con Big J. In quel momento era un po’ il nostro angelo
custode.
Nell’istante in cui arrivammo sull’ampio pianerottolo, la porta da cui
eravamo
arrivati si spalancò e una dozzina di persone si riversò nell’atrio.
Alcune
correvano e gridavano in preda al panico, altre
- quelle più abituate a quelle situazioni
- cercavano di fuggire più ordinatamente.
Nessuno però era intenzionato a fermarsi e combattere. Del resto chi
glielo
avrebbe fatto fare? Chi aveva un po’ di sale in zucca probabilmente
aveva
capito che questa era la punizione che l’Areu
Afadau aveva comminato per la surbile.
Chi invece era all’oscuro di tutto, beh… affari suoi. Entrambe le
categorie
comunque si preoccupavano esclusivamente di uscirne vivi.
Poi
cominciarono a entrare gli
Occhi Belli.
Erano parecchi, molti più di quanti avessimo preventivato.
I
primi
non capirono nemmeno cosa stesse succedendo. A due esplose la testa; un
terzo
si fermò a fissarsi un buco in mezzo al petto. Un altro si buttò a
terra e un
proiettile lo colpì alla schiena. Quando si viene attaccati con un
fucile di
precisione da un chilometro di distanza è difficile capire cosa stia
succedendo: i proiettili sono supersonici, per cui si muore prima di
sentire lo
sparo – ammesso che tu sia abbastanza vicino da poterlo sentire.
Gli Occhi Belli vedevano
alcuni dei loro
compagni cadere a terra come frutti maturi ed erano rimasti spaesati.
Aggiunto
a ciò, Chiara e io scaricammo le armi nella loro direzione. Bastò per
farli
uscire dall’atrio e ad avanzare più lentamente.
«Altri
cattivoni in arrivo dal settore blu.» sentii nell’auricolare.
«Roger.»
Anche Chiara si era messa l’auricolare e annuii nella mia direzione.
Gettai
a
terra il fucile. Ormai avevo recuperato il bastone e, soprattutto, non
potevo
portare in giro due armi così ingombranti. A volte mi piacerebbe tanto
essere
come Guybrush Threepwood e potermi infilare una scala a pioli nei
pantaloni.
Continuammo
a salire per le scale. Due Occhi Belli comparvero in cima ad esse, ma
Chiara li
freddò subito. Qualcuno avrebbe dovuto rivelare a Maria Salis
l’esistenza della
armi da fuoco e come sia contro produttivo mandare orde di sgherri
disarmati
verso gente che sa sparare.
«Evil
Witch si è nascosta in una stanza difesa da cattivoni armati
pesantemente.»
Ok,
qualcuno le aveva rivelato l’esistenza delle armi da fuoco, chiedo
scusa.
«Roger. Puoi eliminarli?»
«Negativo.
Hanno mangiato la foglia e stanno chiudendo tutte le tende.»
«Ricevuto,
Handsome Bear. Procediamo, per ora guardaci le spalle. Nel momento in
cui non
puoi più far nulla da là, raggiungici.»
«Roger.»
Arrivati
in cima alle scale, la porta si aprì improvvisamente e un Occhi Belli
saltò fuori.
Preso alla sprovvista, la prima cosa che mi venne in mente fu di
colpirlo con
la punta del bastone. Probabilmente non gli diede più fastidio di una
puntura
di zanzara, ma lo distrasse abbastanza da permettere a Chiara di
sparagli a
bruciapelo.
Il
piano
superiore, il settore blu, sembrava essere disabitato. I mobili erano
coperti
da lenzuola e la polvere regnava ovunque. Maria Salis aveva problemi di
denaro
e non poteva permettersi abbastanza membri della servitù per tenere
pulita la villa?
Attraversammo
un paio di stanze senza trovare resistenza, ma poi fummo costretti a
fermarci
all’ingresso di un corridoio. La porta era spalancata e ciò non
prometteva
nulla di buono. Ci spostammo ai lati e, non appena chinammo un pochino
la testa
per guardare, raffiche di mitra risuonarono nella stanza.
Fucili
d’assalto. Controllai Chiara, per vedere se non fosse stata colpita.
Naturalmente no, con i suoi riflessi da supereroe. Alzò tre dita della
mano
sinistra e due della destra.
Annuii.
C’erano cinque Occhi Belli, tre a sinistra e due a destra. Avevano
costruito
una specie di barricata con delle poltrone e dei tavolini: un fortino
dei
poveri. Feci il gesto di lanciare una granata.
Scosse
la testa, confermandomi che non ne avevamo portate. Non ci aspettavamo
così
tanti Occhi Belli. L’unica soluzione era di prendere la stanza con la
forza.
Non mi andava però di consumare troppa energia - bloccare le raffiche
di cinque
fucili d’assalto non è affatto un’inezia – ma del resto si doveva
avanzare. Non
avevamo portato nemmeno i
sacchi a pelo per dormire sul pavimento.
Feci
segno a Chiara di seguirmi e poi uscii dal riparo.
I
fucili
d’assalto ripresero a suonare la loro letale melodia, ma le pallottole
s’infransero sullo scudo che avevo evocato. Aveva l’aspetto di un vetro
spesso, deformava
lievemente la
visione, con l’unica differenza che i
proiettili ci rimbalzavano sopra. Era un incantesimo complesso e
dispendioso. Certo,
era ottimo per bloccare proiettili di
piccolo calibro o armi a bassa cadenza di tiro, ma in questo caso era
altamente
inefficiente. Però se tutto fosse andato come prevedevo non avrei
dovuto
tenerlo attivo per molto tempo. Nel momento che avrebbero esaurito i
proiettili
e si sarebbero fermati per ricaricare, sarebbero toccato a noi.
Chiara
stava alle mie spalle e attendeva il momento giusto per intervenire. Avrei voluto muovermi più
velocemente per
ridurre la distanza dai nemici, ma l’incantesimo richiedeva abbastanza
concentrazione da impedirmelo.
Le
cose
non andarono come avevo sperato. Anziché continuare a bersagliarci
dalla lunga
distanza, tre degli Occhi Belli sfoderarono un machete e ci corsero
incontro,
mentre gli altri due ci tenevano sotto tiro. A
quel punto lo scudo diventava inutile: era
fatto apposta per bloccare oggetti dalla piccola massa, non tre giganti
armati
di coltellacci.
«Occupati
dei due col fucile.» ordinai a Chiara e disattivai lo scudo. Mi lanciai
a tutta
forza contro i tre, in modo tale da sparire dalla linea di tiro degli
altri,
mentre la jana si mosse abbastanza
velocemente
da scomparire dalla mia vista.
Gli
Occhi Belli alzarono le armi per colpirmi ma io puntai avanti il
bastone e
liberai tutte l’energia che vi avevo accumulato a causa dei proiettili
che si
erano scontrati sullo scudo. Una specie di KERS magico, se mi passate
la
metafora. Non era un attacco fenomenale, ma pensavo sarebbe bastato per
far
cadere i tre energumeni. Invece quelli barcollarono un attimo ma subito
si
ricomposero.
Sentii
un machete passarmi a un pollice dal naso.
Mi buttai all’indietro ed evocai un altro incantesimo:
l’aria davanti a
me comincio a solidificarsi e un sottile muro di ghiaccio comparve fra
me e gli
Occhi Belli. Due ci andarono a sbattere contro, mentre l’altro lo
dribblò con
agilità. Non fu un bene per lui, visto che prese una
palla di fuoco dritta in faccia. Si buttò
a terra mentre le fiamme lo divoravano e le sue urla quasi coprirono i
suoi
degli spari che arrivavano dall’altra parte del salone.
Preparai
un’altra palla di fuoco e arrostii un secondo gigante, ma non riuscii a
schivare il terzo che mi caricò, colpendomi in petto con una spallata.
Non sono
mai stato investito, ma credo che l’effetto sia molto simile. Volai per
qualche
metro e andai a sbattere pesantemente contro il muro. Non contento,
Occhi Belli
continuò a correre verso di me con il machete sollevato. Non feci in tempo a
rialzarmi, ma parai il
colpo con il bastone. Il machete si piantò nel legno e penetrò fino a
bloccarsi
all’anima di metallo.
Occhi
Belli lo strappò senza fatica e m’indirizzo un ghigno famelico. La
botta sul
muro mi aveva stordito e non riuscivo a concentrarmi abbastanza per
preparare
un incantesimo. Nel momento in cui riuscivo ad evocare un po’ di
energia,
quella mi scivolava fra le mani come sabbia.
«Fossi
in te mi guarderei le spalle.» dissi con ironia.
Quello
rise e fece calare il machete.
Chiara
gli piantò due colpi in testa e il cadavere mi cadde addosso. «Cazzo,
Neil!»
esclamò la fata. «Cosa ti è saltato in mente? Volevi farti uccidere?»
«Avevo
la situazione sotto controllo.» risposi, mentre sgusciavo da sotto il
cadavere
del gigante e mi rialzavo. Dall’altra
parte della sala c’erano i corpi senza vita degli ultimi due Occhi
Belli.
Gli ultimi se avessimo escluso quelli appena
arrivati dalla parte da cui eravamo entrati. Erano almeno una dozzina,
ma
almeno non avevano armi.
«Tu
vai
avanti. Questi li tengo a bada io.» disse Chiara, mentre infilava gli
ultimi
caricatori nelle pistole. «Dì a Jebediah di sbrigarsi e di portare un
bell’SMG
per la sottoscritta.»
Le
diedi
una pacca sulla spalla e corsi via. Riferii a Big J la situazione e gli
suggerii di muoversi. Percorsi un altro corridoio e trovai Barbetta che
mi
ostruiva il passaggio.
Mi
fermai e dissi: «Deduco che dopo quella porta ci siano le stanze
private della
tua padrona.»
Barbetta
non sembrava avere nessun’arma a portata di mano. Teneva le braccia
conserte e
mi guardava con una certa intensità. Se devo essere sincero, sembrava
il
presentatore di un quiz show che attende un’eternità prima di dire se
se la
risposta è esatta.
«Perché
vuoi ucciderla?» mi chiese.
Alzai
le
spalle. «Lavoro, nulla di personale. Non ho niente contro di te, puoi
fuggire
se vuoi.»
«Fuggire?»
esclamò, trattenendo una risata. «Perché dovrei fug…»
S’interruppe
perché l’aculeo di ghiaccio che avevo evocato gli si era piantato
nell’addome.
Biascicò qualcosa riguardo lealtà e onore, mentre la bocca gli si
riempiva di
sangue. Come ho già detto, non sono un Cavaliere della Tavola Rotonda e
nemmeno
un tipo sportivo.
Barbetta
sembrò cadere su un ginocchio, ma resistette e mi corse contro.
Ammetto
che era un duro, uno con le palle, ma comunque un pazzo suicida. Non
corri
incontro a un mago pronto a riceverti. Un conto è caricarlo mentre i
tuoi amici
lo minacciano con dei fucili d’assalto, in quel caso puoi aver
successo, come
avevano dimostrato poco prima gli altri Occhi Belli. Quella di
Barbetta,
invece, era solo una corsa verso la morte. Forse era troppo legato a
Maria
Salis e si sentiva in dovere di sacrificarsi per lei. Oppure era solo
troppo
stupido per vivere.
Ricordate
che vi dissi che volendo avrei potuto far esplodere una persona? Era
troppo
dispendioso e non volevo sprecare energie, però usai un incantesimo
simile. Caricai
un po’ di energia nel bastone e
poi lo
feci roteare con tutta la forza che avevo a disposizione. Una delle
estremità
si scontrò in pieno con il petto di Barbetta e l’uomo nero si frantumò
in più
parti. Il torace e la testa quasi mi colpirono, se non mi fossi
spostato di
lato. Le braccia partirono in direzioni opposte, lasciando una scia di
sangue a
segnare la loro traiettoria. Le gambe continuarono a muoversi per
inerzia e si
accasciarono dopo un paio di passi.
Un
incantesimo banale dai risultati fin troppo scenografici e cruenti.
Avevo
semplicemente concentrato l’energia contenuta sul bastone su una
dell’estremità e,
da un certo punto di
vista, Barbetta era come stato colpito dalla palla di ferro di un gru
da
demolizione.
Entrai
nella stanza e trovai il mio obiettivo. Maria Salis era seduta su una
poltrona
e sul divano accanto a lei si trovavano Greta e le Victoria’s Vampires.
Non
era
per nulla buono. Una strega e uno, due, tre, quattro, cinque vampiri.
Male,
molto male. Guardando la situazione dal lato positivo, però, c’era un
vantaggio: erano tutti ammucchiati al centro della stanza, per cui
avrei potuto
eliminarne un paio con un solo attacco. Mi misi una mano in tasca e
strinsi i
gemelli.
«Come
osi?» disse Maria Salis, alzandosi in piedi. Notai che, nonostante
l’aria di
superiorità di cui si circondava, le tremavano le mani. «Dov’è
Francesco?»
Supposi
si riferisse a Barbetta. Scrollai le spalle e dissi: «È rimasto
nell’altra
stanza. Un pezzo da una parte, un pezzo dall’altra…» La guardai negli
occhi e
sorrisi.
La
surbile stava quasi per saltarmi
addosso,
ma Greta la fermò, posandole una mano sulla spalla. Le sussurrò
qualcosa
all’orecchio. Ero restio a completare subito il lavoro, perché non
sapevo come
le Victoria’s Vampires avrebbero reagito. Se potevo, avrei preferito
eseguire
un intervento chirurgico, piuttosto che un bombardamento a tappeto.
«Perché
vuoi ucciderla?» chiese Greta. «Non c’è niente che possiamo fare per
dissuaderti?»
«Te
l’ho
detto, è una criminale.»
«E
Maskinganna manda te a fare il lavoro sporco.» Maria quasi sputò le
parole. Poi
sembrò calmarsi e con voce più suadente aggiunse: «Ti faccio
un’offerta.»
Alzai
la
mano. «Ferma là. Non sprechiamo tempo, il mio contratto è con Lord
Maskinganna
e solitamente rispetto gli accordi.»
«Sai
che
non ti permetteremo di ucciderla, vero?» disse Greta. Le altre vampire
si
stavano lentamente allargando, per circondarmi.
«Lo
so,
lo so.» risposi. «Ma non cambia nulla.»
«Vuoi
inimicarti la metà di vampiri d’Europa?»
«Sono
un
rappresentante della corte sarda. Interferire col mio lavoro equivale a
interferire con la politica interna dell’Areu
Afadau.»
«Maria
è
una della Madri! Non ha nulla a che vedere con la corte sarda!» gridò
Greta.
Una
Madre! Una fra i primi umani a diventare un vampiro. Era molto
differente
rispetto a “uno dei più antichi membri della nostra specie”. Differente
come il
cielo e la terra.
Dovete
sapere che esistono due tipi di vampiri: quelli che chiamiamo con quel
nome,
come Maria e le Victoria’s Vampires, sono il tipo più comune. Il
secondo tipo
invece è molto più raro e sconosciuto ai più. Diciamo semplicemente che
i
vampiri sono una brutta copia di questi ultimi.
Il
tipo
raro si ciba di esseri umani e solitamente nel processo uccide la
preda. I
pochi fortunati che sopravvivono acquisiscono un simulacro del loro
potere; la
magia del sangue, ossia la possibilità di estrarre energia magica dal
sangue.
Una specie di carburante extra che si può ottenere con facilità se non
si è
schizzinosi nel succhiarlo dalle vene altrui. Fra quei pochi che
muoiono, non
tutti si accorgono di quel “dono”e non tutti sono in grado di
sfruttarlo. Le
Madri – suppongo esistano anche i Padri – sono
le prime che hanno imparato a utilizzare quel tipo di magia, diventando
quindi
ciò che chiamiamo “vampiri”. Se
ne
conoscono molto poche e la maggior parte sono a capo di diversi clan.
Maria,
probabilmente a causa dello strapotere dell’Areu
Afadau nella sua terra, era sempre rimasta in una posizione
di
sottomissione.
Ecco
perché Greta era tanto interessata a lei. Probabilmente la surbile conosceva anche il rituale per
formare nuovi vampiri.
Contrariamente al quel che si pensa non si generano nuove reclute via
morso. Se
così fosse, ora il mondo sarebbe popolato da vampiri e mannari.
Scossi
la testa. «Non m’intendo di politica, ho stipulato un contratto e devo
risolverlo. Nulla di personale, è solo una questione di lavoro.»
«Non
te
lo perm…»
La
interruppi. «Se mi ostacoli, è come se dichiarassi guerra all’Areu Afadau. Sai cosa significa?»
Greta
lasciò andare Maria Salis e fece un passo indietro.
«Vedo
che hai capito.» Sorrisi e diedi un colpetto a terra con il bastone.
«Una
dichiarazione di guerra formale farebbe scendere in campo anche le
altre corti
fatate.»
«Che
significa, Greta?» chiese Maria, voltandosi verso la vampira tedesca.
«Avevate
promesso di aiutarmi!»
«Maria,
se Maskinganna ha deciso di giocare duro, c’è poco che io possa fare.»
«Potete
andare via.» proposi.
Greta
scosse la testa. Guardò le altre vampire, che aspettavano solamente un
segnale
per attaccarmi. «Mi spiace, Neil, è una delle Madri. Non possiamo
abbandonarla.
È troppo importante.»
«Sei
seriamente disposta a metterti contro gli Aes
Sidhe? Per lei? Per quel po’ di conoscenza che può
possedere?» Le
Victoria’s Vampires si erano equamente distribuite lungo la stanza,
pronte a
colpirmi da più fronti. Se
le mie
abilità dialettiche non avrebbero persuaso Greta, mi sarei trovato in
una
situazione piuttosto imbarazzante.
«Se
ti
eliminiamo ora nessuno al di fuori di questa stanza saprà chi ti ha
ucciso e
non avranno prove per poter intervenire contro di noi.»
«Andiamo,
Greta, non fare la stupida. Pensi che a Maskinganna importi qualcosa di
me? La
mia morte al massimo ritarderà la punizione.»
«E
non
ci sarà il rischio di una guerra totale.»
«Secondo
te non ci siamo preventivati per una simile evenienza?» Stavo
cominciando a
scaldarmi. La tedesca era fin troppo testarda.
«Sono
pronta a rischiare.» rispose.
La
guardai negli occhi. Era sincera. Dovevo convincerla che non era la
soluzione
migliore per il suo clan.
«Sei
pazza.» dissi, senza metterci troppa enfasi, come se stessi enunciando
un dato
empirico. «Hai mai incontrato un sidhe?»
«Non
ho
avuto la sfortuna.»
«Quindi
non hai idea del loro potere.»
«Conosco
delle storie» rispose «ma sono storie, appunto.»
Sorrisi.
Era venuto il momento di istruire la vampira. «Tunguska.» dissi, ancora
col
sorriso sulle labbra. «Conosci l’evento di Tunguska?»
Fece
cenno di sì. «La meteorite del 1908, no?»
«Esatto.
Solo che non era una meteorite.»
Greta
mi
guardò, il volto colmo di dubbio. «E cosa è successo allora? Sono stati
gli
alieni?» Si mise a ridere, ma era una risata forzata.
«No,
no,
no.» risposi. «Niente alieni. Lasciamo queste cose ai film e ai
fumetti.»
«Cosa
vuoi dirmi?» Stava cominciando a capire dove stessi andando a parare.
Cominciai
a raccontare la mia bella favoletta: «Nei primi anni del Novecento, in
Russia
esisteva un circolo di arcimaghi. Era una cosa molto simile al
Dipartimento di
Studi Magici di Xiam, una specie di precursore. Questi arcimaghi era
molto
potenti ma un giorno decisero di stipulare un accordo con un aes sidhe, una leanan
sidhe. La fata rispettò la sua parte, ottemperando alla
richiesta fattale dai maghi, ma loro decisero che il prezzo stipulato
in
partenza era troppo alto e si rifiutarono di pagare.»
Greta
si
passò una mano sulla fronte. «Mi stai dicendo che l’evento di Tunguska
non è
stato causato da una meteorite ma da una sidhe
adirata?»
«Così
però togli tutta la poesia dal racconto.» mi lamentai. «Comunque sì,
quel
circolo aveva sede vicino al Podkamennaja Tunguska. Furono abbattuti
sessanta
milioni di alberi in più di duemila chilometri quadrati. L’esplosione
si sentì
a seicento chilometri di distanza e a Londra, dov’era mezzanotte, il
cielo era
così chiaro che si poteva leggere un giornale senza bisogno di luce
artificiale.»
«È
solo
una storia.» replicò Greta. «Pensi di spaventarmi con una favola per
bambini?
E, se anche fosse vero, allora perché tutti i racconti ufficiali
parlano di un
meteorite?»
«Perché
me l’ha raccontata il padre di quella sidhe.»
replicai. «E si parla di un meteorite perché nessuno si è scomodato a
raccontare cos’è successo veramente. Lei preferisce tenere un basso
profilo.
Idem per il padre.»
«Non
ti
credo. Stai solo cercando di farmi scappare.»
«Può
darsi.» risposi. La cosa stava andando per le lunghe. Infilai la mano
in tasca
e tolsi fuori i due gemelli, facendo bene attenzione a non mostrarli.
«Può
darsi che stia mentendo o può darsi che stia dicendo la verità. Ciò non
toglie
che gli Aes Sidhe siano degli
esseri
che è meglio non provocare.» Continuai a maneggiare i gemelli e
aggiunsi:
«Quindi puoi provare a uccidermi e rischiare di morire per mano mia o
di una
fata, oppure puoi
consegnarmi Maria e
andare via senza problemi di sorta.»
Sul
suo
viso si leggeva l’indecisione. Alzò una mano e le Victoria’s Vampire
arretrarono.
«Non
puoi abbandonarmi!» strillò Maria. «Me l’avevi promesso!»
«Non
pensare sia finita così, Neil McRoberts.» disse Greta.
Gesticolò tracciando alcuni segni nell’aria e
un Portale si aprì accanto
a lei. «Farai
bene a guardarti le spalle.»
Bene,
mi
ci voleva proprio un altro nemico. Le vampire modelle sfilarono lungo
la stanza
e attraversarono il Portale.
Maria
Salis prese Greta per un braccio e disse: «Non puoi abbandonarmi!»
Quella
si liberò con uno strattone e ignorò la surbile.
Poi si rivolse a me e disse: «Avrai mie notizie.» Entrò nel Portale,
che si
richiuse subito dopo.
«Bene,
bene, bene.» dissi. Senza perdere altro tempo lanciai uno dei gemelli
verso
Maria. Come vi ho detto, qualsiasi oggetto può contenere un
incantesimo. I
gemelli avrebbero dovuto produrre un’onda d’urto come quella di
un’esplosione.
Maria
non era certo rimasta a guardare e anche lei aveva lanciato qualcosa:
una
piccola fialetta che s’infranse ai miei piedi. Non feci in tempo a far
nulla,
perché l’onda dell’urto del mio incantesimo colpì pure me e mi
scaraventò
indietro. Indubbiamente avevo tarato male l’energia, ma fu una fortuna:
evitai
di respirare i fumi di quella sostanza, che sicuramente non era un
profumo alla
lavanda. In cambio però mi andai a schiantare su una cassettiera.
Essendo un
vero mobile in legno massiccio, e non un oggetto di scena del set di un
film
d’azione, non si sfondò e l’impatto mi fece parecchio male. Mi toccai
la testa
e la mano s’imbrattò di sangue.
Non
c’era tempo di giocare al dottore, perché la surbile
si stava avvicinando con un’altra fiala in mano. Rotolai di
lato, evitando l’ennesimo attacco. Sentii un intenso puzzo di bruciato
provenire dalla cassettiera e mi voltai, per vederla in fiamme. Maria
Salis
forse non era potente o abile nell’arte magica, ma si sapeva difendere
egregiamente.
«Pensavi
che mi sarei fatta sgozzare come un agnellino?» mi gridò contro.
Sembrava che
mi avesse letto nel pensiero. Aveva rallentato e preso in mano un
coltellaccio
dall’aspetto poco rassicurante. «È passato molto tempo dall’ultima
volta che ho
bevuto il sangue di un adulto.»
Barcollai
all’indietro, mentre con lo sguardo cercavo il mio bastone. L’onda
d’urto me
l’aveva fatto sfuggire di mano. Quell’incantesimo non era stata per
nulla una
buona idea.
Congiurai
una piccola sfera di fuoco e gliela lanciai contro per testare le sue
difese.
La
surbile agitò una mano e il dardo
infuocato si dissipò prima che arrivasse a toccarla. Mi guardò e
sghignazzò.
«Sul serio?» disse. «Impegnati di più, ragazzino.»
Mi
concentrai
per accumulare più energia possibile, raggranellando tutta quella che
mi era
rimasta. Volevo lanciare un ultimo incantesimo e speravo che le
uccidesse.
Oltretutto la stanza, per quanto grande, non era infinita e non potevo
indietreggiare per sempre.
Maria
fece uno scatto improvviso e provò a colpirmi con un affondo, che
evitai per un
soffio. Anzi non lo evitai, perché sentii qualcosa colare lungo il
fianco e
vidi la punta del coltello sporca di sangue. La vampira smise
d’inseguirmi e
pulì l’arma col bordo del grembiule.
Ero
stato appena avvelenato. Non ne ero certo, ma conoscendo la passione
della
strega per le pozioni era probabile che la lama del coltello fosse
imbevuta di
qualche porcheria. Quello e il fatto che la scalfittura bruciava come
se ci
avessero versato sopra del whisky. Magari la lama era imbevuta di
whisky. Poco
probabile.
Comunque
la situazione non era poi così grave. Probabilmente il veleno non era
letale –
i vampiri non sono necrofagi, al contrario dei ghoul – e ne avevo
ricevuto una
quantità così modesta che gli effetti ci avrebbero messo un po’ a
manifestarsi.
Inoltre, Maria era così arrogante – o forse poco abituata a combattere
– che si
era fermata, come ad attendere che il veleno facesse effetto. Grave
errore, mia
simpatica succhia sangue.
Mi
fermai anche io e completai l’incantesimo. Era molto più difficile
farlo senza
bastone, ma c’era poco da lamentarsi. L’aria cominciò a farsi fredda,
molto
fredda. Il vapore acqueo presente nell’aria cominciò a condensarsi e si
formò
una nebbiolina sul fondo della stanza. Contemporaneamente, io cominciai
a
sudare come se stessi partecipando a una maratona nel deserto.
Maria
si
accorse dell’incantesimo e cominciò a gesticolare e cantare. Stava
preparando
un contro incantesimo e dovevo sperare che non fosse abbastanza svelta.
Piccoli
cristalli di ghiaccio cominciarono a formarsi sulla pelle della surbile. La sentii strillare e provò a
scappare. Dico provò perché sotto di lei si era formato un leggero
strato di
ghiaccio che la fece scivolare. Cadde malamente a terra e vista il suo
fisico
da donna anziana non mi sarei stupito se si fosse fratturata un femore.
Il
sudore mi colava sugli occhi ed ero costretto a sbattere ripetutamente
le
palpebre. Sentivo che la mia temperatura corporea si stava alzando
molto in
fretta e cominciava a girarmi la testa. Dovevo chiudere la partita il
più
presto possibile, se non volevo andare in shock.
Mi
avvicinai a Maria Salis. Tutte le sue gambe erano ricoperte da uno
strato di
ghiaccio, ma continuava a cantare, cercando di combattere l’effetto
dell’incantesimo.
«È
finita.» le dissi, chinandomi su di lei.
Non
l’avessi mai fatto. La strega estrasse un’ennesima fiala dalla camicia
e me la
tirò contro.
Alzai
il
braccio destro per difendermi e la ruppi. Il liquido incolore si sparse
sulla
pelle e urlai. Sentivo la carne sfrigolare, come l’acido la consumava.
Il
dolore era ai limiti della sopportazione, ma dovevo continuare. Posai la mano sulla faccia
di Maria e
concentrai tutta l’energia dell’incantesimo su di lei. Mi morse il
palmo, come
ultimo atto di difesa, ma non servì a nulla. Dopo qualche secondo la
sua testa
era diventata un blocco di ghiaccio, il viso immobilizzato in
un’espressione di
terrore. O forse era stupore. Il mio ego mi suggerì di optare per
“terrore”.
Interruppi
l’incantesimo e mi buttai a terra. Ero sfinito e pieno di dolori. In
particolare quello al braccio era terribile. Non stavo urlando solo
perché non
avevo energie per farlo. Lo alzai per verificare il danno. Non era una
bella
vista. La pelle era stata consumata e in alcuni punti potevo vedere il
bianco
delle ossa. Provai a stringere il pugno e non sembravano esserci
problemi
motori. Sarebbe rimasta una bella cicatrice da mostrare alle signorine.
Presi
il
telefono e chiamai Jebediah.
«Evil
Witch è morta, ma ho bisogno di aiuto. Com’è la vostra situazione?»
«Ricevuto,
Bagpiper. Stiamo arrivando, i rossi sono fuggiti.»
«Roger,
Handsome Bear. Vi aspetto con trepidazione.»
Dopo
qualche minuto, Big J e Chiara entrarono nella stanza. L’uomo posò la
mitraglietta, prese il kit del pronto soccorso
e mi prestò le prime cure.
«Che
diavolo ti è successo al braccio?» mi chiese mentre lo medicava.
«Maria
Salis si divertiva a giocare al piccolo chimico.»
«E
perché c’è così freddo?» domandò Chiara, sfregandosi le braccia
scoperte. Vide
il cadavere dell’obiettivo e aggiunse: «No, lascia stare. Non
rispondere.»
«Credo
di avere un brutto taglio sulla testa. Sto sanguinando come una
fontana.»
dissi. «Avete avuto problemi con gli Occhi Belli?»
«Certo
che no.» rispose la jana. «Erano
tutti disarmati a parte qualcuno con un machete. Sembrava di essere al
luna
park.»
«E
hai
vinto un orsacchiotto?» Cercai di sorridere, ma la stanchezza stava
prendendo
il sopravvento. «C’è qualcosa da mangiare in quello zaino?»
Jebediah
tolse fuori una tavoletta di cioccolato fondente e me la passò. La
divorai in
dieci secondi. Poi mi caricò sulle spalle e disse: «E ora di
svignarcela prima
che arrivino le forze dell’ordine.»
«Portatemi
fuori di qua e vi apro un Portale per le Hawaii.» Ci ripensai un attimo
e feci
fermare Big J. «Passami la pistola.»
Mi
diede
la sua arma e sparai un paio di colpi alla testa della surbile.
Il ghiaccio si frantumò in mille pezzi. «Per sicurezza.»
commentai.
«A
proposito, una curiosità.» disse Chiara, mentre ci allontanavamo dal
luogo del
misfatto. «Perché diavolo i pezzi dell’uomo nero qua fuori sono sparsi
per
tutta la sala?»
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
Stavo per morire.
Il
sole
stava tramontando e i suoi raggi tingevano di rosso il mare. Una
leggera brezza
agitava le palme, accompagnando il ritmico andirivieni delle onde.
Qualche ora
prima mi ero sdraiato su un lettino a prendere il fresco, con accanto
una
bottiglia di ottimo scotch. Erano passati sei mesi dal lavoro di
Cagliari ed
ero perfettamente guarito. L’oro del pagamento aveva rimpinguato il mio
conto
in banca. Non si poteva dire che stessi male. Quella spiaggia era il
mio
piccolo paradiso personale su Kaho’olawe; il mio rifugio dalla
mondanità e il
posto in cui amavo rilassarmi lontano dal
mondo.
Nessuno
era
al corrente di questo mio rifugio e nessuno che mi conosceva avrebbe
immaginato
che passassi là gran parte del mio tempo libero, piuttosto che sulla
Las Vegas
Strip.
Per
questo non riuscivo a spiegarmi la presenza dei cinque vampiri che mi
puntavano
contro delle pistole
mitragliatrici. Mi
avevano preso completamente di sorpresa e non sapevo cosa avrei potuto
fare per
difendermi.
«Tanti
saluti da Greta.» disse quello che doveva essere il capo. Poi fecero
fuoco.
Evocai
uno scudo all’ultimo momento e mi salvò da una fine troppo repentina,
ma sotto
quel volume di fuoco sarebbe durato solo pochi secondi. Pensa, Neil,
cosa fare
per non morire?
Non
feci
nulla e chiusi gli occhi. Mi consolai col fatto che almeno sarei morto
in un
posto bellissimo.
Gli
spari s’interruppero all’improvviso. Aprii gli occhi e vidi i vampiri
stesi a
terra. Morti. Qualche passo più indietro c’era Lord Maskinganna.
«Chiudi
la bocca o ci entrerà qualche insetto.» disse, mentre scavalcava i
cadaveri. Era nella
stessa forma di
bambino di quando l’avevo incontrato sei mesi prima. L’unica differenza
era che
indossava un paio di boxer floreali, anziché il costume tradizionale
sardo.
«Ma…»
«Ma
cosa? Non sei contento di essere ancora vivo?»
«Certo,
ma…»
«Ancora?»
Verso un po’ dello scotch nel bicchiere e ne bevve un sorso. Sospirò.
«Eccellente. Nettare divino. Quasi meglio dell’abbardente.»
La
vista
del bambino che sorseggiava il liquore mi lasciò più stupito del
salvataggio
last-minute. «Non sei troppo piccolo per bere whisky?» domandai,
cercando di
ricompormi. Non riuscivo a controllare il tremore delle mani.
«Ho
qualche millennio più di te, Neil McRoberts.» rispose. Bevve un altro
sorso e
si limitò a fissarmi.
«Cosa
è
successo?» domandai, finalmente.
«Greta
Zimmermann non ha preso bene il modo in cui l’hai trattata a Cagliari.»
«Questo
l’ho dedotto pure io da quel che ha detto il vampiro.» risposi. Mi
alzai e
svuotai un bicchiere, per calmare i nervi. «Quello che non capisco è
come abbiano
fatto ad arrivare fin qua.»
Maskinganna
alzò le spalle. «Con tutto il casino che hai fatto nella villa di Maria
Salis
sicuramente hai lasciato abbastanza roba per preparare un rituale di
ricerca.
Sangue, capelli e via dicendo.»
«Ho
protetto
questo luogo con una miriade di rituali. Dovrebbe essere schermato da
qualsiasi
incantesimo di ricerca. È il mio piccolo paradiso personale!»
«Sì?»
si
limitò a commentare.
«Non
è
possibile che una combriccola di vampiretti sia riuscita a trovarmi
qua.»
«Sono
stati
aiutati da qualcuno, è ovvio.»
«Uno
stregone non potrebbe trovarlo.» replicai. «Non senza un indizio con
cui
circoscrivere l’area di ricerca. Nessuno ha abbastanza energia per
congiurare
un rituale di ricerca su tutto il pianeta!»
«Permettimi
di correggerti.» Maskinganna alzò una mano. «Nessuno stregone umano ha
abbastanza energia.»
«I
vampiri di norma non sono più potenti degli umani.»
Mi
ignorò. «Io ad esempio ci ho messo quasi una settimana per trovarti
qua.»
Sorrise. «Ammetto che hai fatto un buon lavoro con gli incantesimi di
protezione.»
«E
questo mi porta al secondo problema. Che diavolo ci fai qua? Mi stai
spiando?»
«Ti
sto
proteggendo.»
«E
perché mai?»
«Lo
devo
a Seamus. È stato lui a suggerirmi di assumerti e ora non posso certo
lasciarti
nei guai per causa mia.»
Le
sorprese cominciavano a essere fin troppe. «Conosci Seamus?»
«Certo.
Come pensi sia venuto a sapere di te? Non mi risulta che sia
sull’elenco
telefonico o abbia il tuo bel sito Internet.»
«Quel
maledetto vecchiaccio.» borbottai. Seamus era il mio tutore, colui che
mi aveva
fatto conoscere la magia. «Come sta?»
«Come
al
solito.» rispose Maskinganna. «È sempre impegnato con gli intrighi
degli Aes Sidhe.»
«Posso
immaginare.»
«Bando
alle ciance, non puoi più stare qui. Chi sta aiutando Greta è molto
potente, se
ha trovato anche lui questo santuario.»
«Al
diavolo!» esclamai. «Non voglio fare la vita dell’uomo braccato. Non di
nuovo.»
Mi venivano ancora i brividi a pensare al tempo passato in Groenlandia.
«Posso
ospitarti in uno dei miei rifugi. In Sardegna.»
Annuii.
«Ti ringrazio, Lord Maskinganna.» risposi, con un leggero inchino.
Avevo il
vago sospetto che nei prossimi mesi avrei letto parecchio. «Chiara e
Big J
saranno al sicuro?»
«Jebediah
non è minacciato.»
Il
solito fortunello. «E Chiara?»
«Per
lei
non posso fare nulla.» rispose. «Non finché non accetta il mio invito.»
«È
una changeling, vero?»
Un
changeling è un bimbo umano che
viene
scambiato nella culla con una fata. Non credo esista una parola
italiana per descriverlo.
E non chiedetemi perché le fate lo facciano, visto che non ne ho la più
pallida
idea.
Maskinganna
disse: «Sì, è una changeling e
finché
non decide di entrare a far parte dell’Areu
Afadau, o di qualsiasi altre corte fatata, non posso
aiutarla.»
«Intendi
dire finché non vi giurerà fedeltà!» lo corressi, adirato.
«Se la vuoi mettere in
questi termini…»
Mi
trattenni e contai fino a dieci. Non era bello insultare chi ti aveva
appena
salvato la vita. «Magari posso fare qualcosa che ti faccia cambiare
idea.»
proposi. «Ho dimostrato di saper lavorare bene, no?»
«Non
è
possibile.» replicò lui. «Non è questione di favori. Finché non decide
di far
parte di una corte non posso fare nulla.»
«Non
ti
credo.» dissi, però non ne ero convinto. Probabilmente era una
questione di
legami e giuramenti dovuta allo scambio. Le fate acquisivano potere sul
bambino
umano, ma dovevano cedere il controllo su quello fatato, per mantenere
l’equilibrio.
«Non
cambierà certo la situazione.» disse. «Sei pronto a partire?»
Scossi
la testa. «Devo preparare un paio di bagagli. E staccare la corrente
nel
bungalow, non vorrei che le bollette prosciugassero il mio conto in
banca.»
«Allora
ne approfitto per fare una nuotata!» Maskinganna, Lord dell’Areu Afadau e millenario folletto dai
poteri fenomenali, corse verso il bagnasciuga e si tuffò con un grido.
Sembrava
quasi un vero bambino.
Mi
diressi verso il bungalow per buttare nello zaino le quattro cose che
possedevo.
Per ora sarei scappato,
ma presto sarebbe arrivata la resa dei conti e Greta Zimmermann si
sarebbe
pentita.
Non
si
scherza con Neil McRoberts.
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