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Il sole lentamente, come se fosse stanco di nascere di nuovo, si
affacciò oltre le aspre montagne innevate che abbracciavano le spalle della
città
Capitolo 1: una
via da prendere
INTRODUZIONE: Questo racconto può essere
definito un racconto d’amore…ma non aspettatevi grandi scene romantiche, baci
appassionati e smielate rivelazioni. Questo racconto può essere definito un
racconto d’avventura, ma non aspettatevi grandi battaglia e sanguinosi duelli
tra grandi eroi.
Aspettatevi
quello che c’è da aspettarsi. L’amore, l’avventura e l’ironia di Sparta.
Lentamente
il sole si affacciò oltre le aspre montagne innevate che abbracciavano le
spalle della città. Il grano divenne luminoso più dell’oro
quando i raggi solari giunsero su di esso, e una dolce brezza mattutina
smosse le tende delle camere, trasportando da lontano il sapore del mare e
della neve, del caldo e del freddo. Lievi passi risuonarono lungo i corridoi
della dimora dello Spartiato Ebdacle.
Sua
moglie si apprestava a raggiungere la stanza della loro figlia. La donna entrò
lentamente, senza far rumore, mentre le candide e velate tende si avvolgevano
appena intorno alle colonne e le oscuravano la vista del letto, sopra cui giaceva, dormiente, la propria figlia. Le si avvicinò, senza far rumore: osservò il suo viso
delicato ma dai tratti decisi; osservò a lungo i suoi ricci neri che le
discendevano lungo la schiena; osservò il suo corpo, forte e tonico, bello come
un fiore ma forte come il ferro.
Le si strinse il cuore solo a pensare perché doveva
svegliare quella splendida fanciulla, solo a pensare al suo sdegno e alla sua
delusione alle parole che suo padre le dovrà dire. Tuttavia doveva obbedire a
suo marito.
Si
inginocchiò e lentamente sussurrò il nome di sua figlia, più volte, per
svegliarla. La fanciulla mugugnò qualcosa come “ancora un po’”. La madre
ridacchiò dolcemente.
–
Devi svegliarti, figlia mia. Tuo padre vuole vederti, devi prepararti – le
rispose accarezzandole la nera chioma.
La
ragazza aprì lentamente i profondi occhi neri, sbadigliando e mettendosi a
sedere. – Va bene, sono sveglia, madre – rispose, e subito si alzò per
prepararsi.
Quando
il sole ormai illuminava tutta la pianura, Gorgo e sua madre si diressero verso
il cortile interno della dimora, dove il capo famiglia le attendeva. Sotto il
porticato si fermò la moglie del consigliere, mentre Gorgo avanzò lentamente,
sollevando appena la bianca tunica retta da fasce di cuoio.
–
Lieto giorno, figlia mia. Dormito bene? – disse l’uomo seduto su un seggio di
legno. Gorgo si sedette davanti a lui, posando le mani sulle gambe. Osservò il
viso di suo padre, uno degli uomini più saggi e vecchi (aveva oltrepassato la
soglia dei cinquanta anni) della città.
–
Si, padre. Mi avete fatto chiamare…- rispose pacatamente Gorgo.
-
Sì, è vero, figlia mia. Ormai è venuto il momento di decidere la tua via. Tuo
fratello minore ha terminato ormai l’agogè e lo stesso Re Leonida vuole
nominarlo fra le sue Guardie personali. Ma tu, figlia mia, tu cosa vuoi? – le
chiese infine, sorridendo, il padre.
–
Io voglio sempre e solo servire Sparta, padre. Qualunque cosa tu deciderai per
me, io l’accetterò – rispose Gorgo chinando il capo, mentre i corvini ricci
oscillavano appena davanti al viso.
-
Bene, allora. Sappi che gli Efori ti hanno scelta come loro oracolo. Domani
all’alba partirai con una piccola scorta verso la loro dimora – rispose
Ebdacle. Gorgo si sollevò di scatto dalla sedia e subito sua madre le corse
incontro, in silenzio.
–
Padre, come potete fare una cosa simile?? Sapete
benissimo che il mio ultimo desiderio è quello di vivere tra quei schi… -
cominciò ad opporsi Gorgo, ma subito l’uomo si alzò e sollevò secco una mano.
–
Non osare definire negativamente i saggi Efori, donna! E’ un grande privilegio
divenire loro oracolo! – rispose alzando la voce.
–
Sì, è anche un privilegio per te avere una grande ricompensa dagli dèi, vero?!? – ribatté ironica Gorgo
sollevando le mani al cielo.
–
Questa è la mia decisione, così avverrà! – urlò tonante Ebdacle.
Per
un attimo padre e figlia si fronteggiarono con lo sguardo, poi Gorgo chinò il
capo, stringendo forte il tessuto della veste.
–
Sì…padre – rispose in un sussurro, quindi si avviò a passo veloce oltre il
porticato, sparendo alla vista dei genitori.
Ektha
osservò suo marito, rimproverandolo solo con un’occhiata.
–
Non guardarmi così, donna, non mi fai sentire per nulla in colpa – annunciò
Ebdacle alla moglie, mentre si sedeva lentamente sul seggio.
–
Dovresti, invece. Tu non sei uno stolto, marito mio, e fra gli Spartiati sei il
più saggio e il più giusto. Sai dove finisce l’adempimento delle leggi e
l’inizio della dignità umana. Sapevi fin dall’inizio che tua figlia non avrebbe
accettato una cosa del genere, eppure ti sei fatto abbindolare dalle parole di
quei vecchi stolti! – ribatté subito la moglie.
–
Sono antichi sacerdoti, dotti e saggi più di quanto tu
non immagini, donna! – esclamò furioso Ebdacle.
–
Oh certo, solo quando vedono oro e fanciulle a cui
sottrarre la dignità e l’orgoglio! – esclamò sarcasticamente Ektha.
Ebdacle
fece per ribattere, ma non trovò le parole. Rimase a bocca aperta, mentre sua
moglie l’osservava corrucciata.
–
Mi ritiro nelle mie stanze, marito mio – sussurrò infine la donna; chinò il
capo e si diresse altrove, lentamente.
Gorgo
si affrettò ad uscire dalla sua dimora, camminando più velocemente che poteva,
il viso coperto dai lunghi capelli neri.
–
Mia signora! – , una voce la richiamò, pochi metri
dietro di lei. La ragazza si volse, stringendo forte i lembi del velo. Vide
avvicinarsi a lei Delios, soldato spartano di circa trent’anni, ritenuto uno
dei più forti e valorosi soldati. Lo conosceva ormai da molto tempo, vicini di
casa e segreti confidenti.
–
Mia signora, dove vai così di fretta? – le chiese l’uomo, ansante.
–
Via da qui – rispose seria Gorgo, quindi si volse e
camminò verso le porte della città. Delios le si avvicinò
e le prese un braccio, trattenendola.
–
Via da Sparta? E perché? Un uomo ti ha disonorato, forse? Dimmelo, lo punirò io
stesso! – esclamò furioso Delios. Gorgo si volse e sorrise appena, scuotendo il
capo:
-
Ti ringrazio, spartano, ma nessun uomo mi ha
disonorato. Mio padre ha deciso per me: domani all’alba devo essere condotta
dagli Efori come loro oracolo… - rispose a capo chino la ragazza.
Vi
fu un attimo di silenzio tra i due ed il cuore di Delios di riempì di rabbia e
di incredulità.
–
Mia signora, il mio cuore piange per la tua sorte, ma il volere di un padre è
legge per una figlia – rispose mestamente il giovane uomo.
–
E allora vorrà dire che andrò contro le leggi per salvare la mia dignità di
spartana e di donna! – ribatté in un sussurro Gorgo, osservando il soldato.
Delios
osservò la giovane donna negli occhi e in essi vide la
determinazione, il coraggio e l’orgoglio che solo le donne spartane posseggono.
Sorrise lievemente:
-
Mia signora, il tuo coraggio è pari a quello del più valoroso dei soldati, ma
purtroppo devo ricordarti che sei una donna…e per quanta importanza tu abbia, puoi essere uccisa per aver trasgredito un ordine
paterno – rispose infine l’uomo, mentre entrambi camminavano sotto i portici
dell’agorà.
–
Allora preferisco morire o essere torturata o imprigionata, piuttosto che
vivere sotto gli ordini di quelle luride bestie. Sono una donna, certo, ma sono
anche una spartana e prima ancora una donna libera! – esclamò furiosa Gorgo. Delios le fece cenno di abbassare la voce,
poi subito chinò il capo per salutare due Spartiati che passavano di lì.
–
Mia signora, è pericoloso parlare così ad alta voce nell’agorà. Ben sai che i
nostri pensieri sugli Efori sono diversi da quelli degli anziani. Se ci
sentono… - rispose Delios, ma subito Gorgo lo
interruppe: - Che ci sentissero, allora! - .
–
Mia signora, sai anche cosa accade a chi è accusato di blasfemia. Lo stesso Re
Leonida ha rischiato la prigionia per i suoi ideali e si è appena riconciliato
con il Consiglio – rispose Delios. Entrambi si
fermarono sotto i portici, osservando la piazza ancora poco frequentata.
-
Delios! – una voce imperiosa richiamò il giovane uomo. Entrambi si volsero
verso la soglia di un edificio, la sala d’addestramento. Un uomo attendeva
Delios, in silenzio.
–
Mio signora, io devo andare. Stai attenta, ti prego…A
presto! – la salutò l’uomo prima di attraversare
l’agorà e di entrare nell’edifico. Per un attimo il veterano osservò Gorgo, poi
chino appena il capo e scomparve anch’egli oltre la soglia.
La
ragazza si osservò intorno, come spaesata. Che fare, ora? Non poteva fuggire,
lo sapeva: non sarebbe andata lontana, non conosceva il mondo esterno a Sparta.
Ma era certo che non poteva attendere inerme il suo destino! “Uno Spartano non si arrende mai, uno
Spartano non si ritira mai!”.
Non
si sarebbe nascosta: sarebbe andata dagli Efori e li avrebbe convinti a
scegliere un’altra ragazza per divenire oracolo. Ma ora, ora che fare? Senza
una méta si diresse verso le porte della città. Proprio lì incontrò una madre
con le proprie figlie, tutte e tre cariche di brocche d’acqua.
–
Lieto giorno, Spartane. Dove vi state recando? – chiese Gorgo chinando il capo.
Le tre donne chinarono anch’esse il capo, in segno di saluto e rispetto, poi la
madre rispose:
-
Ci stiamo recando, per nostra spontanea volontà, nei campi di grano dove mio marito
ed altri uomini si stanno allenando. Portiamo loro acqua fresca – spiegò.
-
Ti prego, Spartana, lascia che ti aiuti…Vedo tutte e tre affaticate ed io non
ho nulla da fare, per il momento – rispose Gorgo cortese. La madre annuì e
sorridendole le porse una brocca d’acqua.
Gorgo
la ringraziò, quindi prese la brocca. Si fecero aprire i cancelli e si avviò
verso gli alti steli di grano, dove intravedeva delle lontane figure.
-
Equilibrate bene il colpo, non affondate senza calcolare bene la distanza, la
precisione e la vibrazione! Tenete alto lo scudo se il colpo dell’avversario è
alto! Egli si troverà dunque con il petto indifeso e voi potrete ferirlo, se
non ucciderlo! – urlò imperioso il Re, mentre allenava i propri soldati. Le
spade fendevano l’aria con secchi sibili, i loro colpi risuonavano sordi sugli
scudi d’acciaio, i loro piedi schiacciavano il grano, creando come una piccola
radura intorno agli alti steli.
–
Mio signore! – gridò uno dei giovani soldati, fermandosi e indicando con la
spada la città. Tutti, compreso il valoroso Leonida,
si volsero in direzione di alcune figure che si dirigevano verso di loro.
–
Sono delle giovani, ci stanno portando l’acqua – annunciò quasi seccato
Leonida. Gli uomini gettarono le armi e gli scudi a terra, attendendo le tre
donne.
Si
stupirono, tuttavia, quando videro una di loro, la più grande certamente.
–
Lieto giorno, valorosi soldati. Vi abbiamo portato dell’acqua per rinfrescarvi
– annunciò questa, chinando rispettosa il capo. Gli uomini la osservarono:
indossava solo una bianca tunica retta da fasce di cuoio, sandali semplici e un
velo sul capo da cui sfuggiva qualche riccio nero; i suoi occhi erano scuri,
colmi di forza ma velati da una profonda tristezza.
Gorgo
fece un cenno alle ragazze di servire l’acqua nelle ciotole; lei stessa servì
alcuni soldati, fino a giungere davanti allo stesso Leonida.
Osservò il suo sguardo fiero, la sua lieve barba, il suo corpo appena imperlato
di sudore; chinò infine il capo, rispettosamente, poi riempì la ciotola d’acqua
e la porse all’uomo.
Questi
bevve più di una volta, si bagnò il capo, le mani, il petto.
–
Vi ringraziamo, figlie di Sparta – disse infine il principe, chinando appena il
capo. Le tre giovani ricambiarono il saluto. Gorgo si volse, dando le spalle
agli uomini, ma uno di loro la fermò con la propria voce:
-
Non sei forse tu la ragazza che dicono vinca tutte le gare atletiche e che
superi tutte le altre spartane? – chiese indicandola. Gorgo si volse lentamente,
osservando il giovane soldato.
–
Così dicono, mio signore. Io faccio solo il mio dovere – rispose pacatamente
Gorgo, chinando il capo.
–
Mia figlia ti ammira molto, donna, afferma che sei abile in ogni arte atletica
e che hai lo stesso coraggio di un soldato – insistette un altro uomo più
anziano.
–
E che sei molto saggia – terminò infine un terzo
soldato.
–
Così dicono…- rispose semplicemente Gorgo, sollevando appena le spalle.
–
Sei modesta, donna, fin troppo per una Spartana… - commentò pacatamente
Leonida, incrociando le braccia al petto.
–
Non è forse la moderazione una delle virtù del cittadino Spartano? La mia non è
modestia, signore: so di essere brava ma non mi ritengo la più brava – rispose
senza arroganza la giovane donna, che fece ammutolire tutti gli uomini. Le dueragazze poi si
avviarono verso la città. Gorgo chinò il busto in segno di saluto, quindi si
unì alle due ragazze.
Nello
stesso pomeriggio, Gorgo si diresse al gymnasion,
per allenarsi insieme alle altre ragazze per le ultime gare atletiche del
tramonto. Erano queste molto importanti per le giovani spartane: davano prova
della loro forza e della loro abilità, pari a quella dei ragazzi; se vincevano,
erano elogiate dai loro cittadini e se avevano fortuna, durante il banchetto
comunitario, avevano la possibilità di essere chiesta in matrimonio da uno
degli Spartani. Gorgo sospirò appena, pensando: - Io non avrò mai occasione di sposarmi, né quella di essere felice se
uno spartano mi chiede in sposa. Non vedrò la gioia e l’agitazione negli occhi
di mia madre, né l’orgoglio in quelli di mio padre, né l’onore e il rispetto in
quelli di mio marito…
Varcò
la soglia dell’edificio e giunse infine nell’ampio cortile circondato dalle
grigie colonne.
–
Gorgo! – una voce allegra la richiamò, facendola voltare verso un angolo: una
bambina di appena dieci anni, snella e minuta, le corse incontro fino a
giungere davanti a lei. Gorgo osservò la piccola che ormai da molto riteneva
come una sorella minore.
–
Ciao, Edoné. Hai terminato già il tuo allenamento prima
della gara di dopodomani? – le chiese cortesemente. La bambina scosse il capo:
-
Ancora no, ma manca poco. Tu dove vai? – rispose curiosa. Gorgo non poté non
sorridere, seppur lievemente.
-
Vado anch’io ad allenarmi. Questa sera mi attende la gara più difficile: lotta
– rispose accarezzandole il capo.
–
Buon allenamento! – gridò felice Edoné prima che Gorgo scomparì oltre il
porticato.
La
ragazza raggiunse un altro cortile, più piccolo, dove ci si allenava nella
lotta libera. Le sue compagne erano già pronte, in piedi davanti la sua
maestra, mentre pochi uomini, probabilmente qualche membro del consiglio, erano
seduti sotto il porticato, celati dall’ombra. Quando Gorgo giunse, le ragazze
la salutarono con rispetto. Lei ricambiò e senza attendere altro si tolse le
vesti, facilitandosi così i movimenti nella lotta.
–
Ognuna di voi si riscaldi un po’, poi ci alleneremo sul serio! – annunciò ad
alta voce la maestra, Filorome. Riscaldamento in tal caso significava
immaginare che un sacco di grano fosse il proprio avversario. Gorgo dunque si
posizionò in un angolo e cominciò a riscaldarsi. Cominciava a sentire il sudore
scivolargli sulla pelle nuda, esposta al sole; cominciava a sentire le nocche,
le ginocchia e le gambe doloranti, eppure continua a colpire e colpire e
colpire, fin quando il sacco non si squarciò. I semi del grano caddero a terra,
sparpagliandosi tutti intorno.
Tutti
si volsero verso di lei che era rimasta ancora con i pugni serrati. La maestra
la osservò senza nulla dire ma con uno sguardo ammonitore. Eppure, sotto i
porticati, gli uomini applaudirono la sua forza e la sua precisione nei colpi. Filorome
le si avvicinò, le diede una pacca sulla spalla e le
disse:
-
Raccogli tutto ed allenati con Elafre. Questa sera ti scontrerai con Bias - .Bias era la campionessa indiscussa nella
lotta libera: nessuna allieva era mai stata superiore a lei, nessuna mai
l’aveva sconfitta durante una gara atletica: questo Gorgo lo sapeva. Annuì
e lentamente si avvicinò alla sua compagnia d’allenamento.
–
Elafre, vieni qui – la richiamò seriamente. Subito la
ragazza si posizionò davanti a lei, divaricando le gambe e ponendo gli
avambracci davanti il viso per difenderlo.
–
Si dice che sei stata scelta come oracolo. E’ vero? – le chiese dopo qualche
minuto, quando aveva già ricevuto dei potenti colpi da Gorgo.
–
Sì – rispose semplicemente quest’ultima, affondando un pugno nel suo stomaco. Elafre
arretrò, gemendo, poi tornò di nuovo a colpire.
–
E non sei contenta? Non devi sposarti! Oppure hai già notato qualche spartano?
– chiese insistentemente la ragazza, ridacchiando, mentre il sangue gocciolava
dal suo naso.
– Non sono affari tuoi, Elafre – ribatté
seccamente Gorgo, lanciandole un altro pugno nello stomaco, ma questa volta
l’avversaria lo evitò agilmente.
–
Qualcuno mi ha detto che questa mattina eri con i soldati di Leonida e con il
Re stesso. Mi hanno detto che pendevi dalle sue labbra come una donnina
innamorata...! – incalzò di nuovo Elafre. Per un
attimo Gorgo ricordò la mattina appena passata e comprese subito che quel
“qualcuno” era sicuramente una delle due ragazzine che l’hanno accompagnata. Afferrò
il braccio della ragazza, furiosa; con un movimento agile e veloce la
scaraventò a terra violentemente, sentendo le sue ossa scricchiolare.
–
Non m'importa cosa dicono delle stupide ragazzine…Ma
prova a ripetere quello che hai detto, se ne hai il coraggio, e ti ritroverai
presto nell’Ade – sussurrò furente Gorgo, fissandola negli occhi. Elafre la
fissò spaventata, mentre nelle orecchie d'entramberisuonavano gli applausi degli uomini
spettatori.
Gorgo
si sollevò e si sedette su una panca, ansante. Un’allieva più piccola le portò
dell’acqua e una pezza con cui la ragazza portò via dal corpo nudo il sudore e
il sangue. La sua istruttrice le si avvicinò
lentamente:
-
Vai a casa, Gorgo, riposati. Bias è molto più forte d'Elafre, molto più grande,
più esperta e più crudele. E’ l’unica che tu non hai battuto. Riposati, lava e
cura le tue ferite. Per questa sera devi essere in piena salute – le ordinò
pacatamente, poi tornò al suo lavoro. Gorgo sospirò appena, scuotendo il capo e
ricordando le parole di Elafre: ma come si poteva definire l’oracolo una buona
“via”? Avrebbe preferito sposare Terone che divenire oracolo degli Efori!
Irritata
si rivestì e si diresse verso l’uscita.
–
Devi avere davvero molta forza se riesci ad atterrare una persona in così poco
tempo – commentò una voce nell’ombra, una volta giunta nel corridoio. Gorgo si
volse intorno e vide giungere davanti a sé la figura di Terone, il giovane
spartiato figlio di un membro del Consiglio.
– Mi stavo semplicemente sfogando, signore –
rispose pacatamente la ragazza, avanzando verso l’uscita del gymnasion.
–
Ma davvero? E per cosa? Per il destino che ti attende? Povera Gorgo… - rispose
ridacchiando l’uomo, accarezzandole i capelli neri. Gorgo si volse di scatto e
l’osservò furiosa.
–
Devo ricordarti, ancora una volta, che non sono la tua donna né la tua concubina
e che quindi non hai il diritto di toccarmi…! - sussurrò calma ma con una nota
di disprezzo nella voce.
–
Attenta a come parli, donna! – ribatté seccato l’uomo, afferrando con violenza
il collo della ragazza.
–
Terone! – esclamò una voce in fondo al corridoio. Subito l’uomo lasciò la presa
e Gorgo chinò il busto in avanti, tossendo. Colui che aveva parlato era il Re.
–
Se ti vedo ancora maltrattare un altro Spartano o un’altra Spartana, aspettati
una mia visita – disse pacato il guerriero con la sua profonda e autorevole
voce. Terone chinò il capo, poi andò via velocemente.
Per
la seconda volta, Gorgo poté ammirare il Re e generale spartano, in quel
momento in una veste più splendida e solenne. “Pendevi dalle sue labbra come una donnina innamorata…!”: ricordò le
parole di Elafre e la sua voce beffarda. Non
è vero, io non sono una donnina innamorata né tanto meno pendo dalle labbra di
nessuno spartano!,pensò irritata la ragazza. Senza
nulla dire fece per camminare verso l’uscita dell’edifico.
–
Non dare confidenza a Terone, spartana. Non è molto raccomandabile – disse
Leonida, osservando la ragazza andare via. Gorgo si fermò sulla soglia.
–
Non ho bisogno d'avvertimenti, né del tuo aiuto, mio signore…Me la sarei
comunque cavata anche da sola – rispose pacata Gorgo, chinando il capo.
-
Oh, non ne ho alcun dubbio, spartana. Mi hanno detto che sei la più forte delle
ragazze. La tua avversaria però è molto più forte di tu,
non è mai stata battuta…- rispose Leonida osservandola ancora.
–
Questo lo so. Anche tu sapevi che il lupo non era mai stato battuto, eppure
l’hai sconfitto, mio Re…Lieta giornata…- rispose Gorgo, prima
di chinare il capo e di varcare la soglia dell’edificio.
Leonida
la osservò, colpito da quell’astuta risposta. Poi si avviò verso il cortile
interno.
–
Anche questo è vero…- sussurrò pensieroso tra sé, con un barlume d’orgoglio
negli occhi scuri.
Il sole stava per morire, oltre le montagne innevate. Il cielo
lentamente si dipinse di un profondo rosso sangue con sfumature d'arancio. I
cittadini - uomini, donne e bambini -uscirono dalle loro case per dirigersi
al gymnasion, dove si sarebbero
svolte le gare atletiche femminili.
Nel salone accanto al grande cortile interno, le allieve
ricevevano le ultime raccomandazioni dalle loro insegnanti.
Gorgo, seduta ad un angolo del salone, ascoltava con attenzione le
parole di Filorome.
– L’unica cosa che ti raccomando è di tenere sempre, e dico
sempre, il viso difeso con ipugni. Non lasciare nessuno spiraglio
di speranza all’avversario! Quando non la colpisci, piega appena il busto:
potrai difenderti meglio dai suoi possibili attacchi. Equilibra il peso del
corpo con le gambe, calcola bene la distanza prima di colpire e se lei ti
colpisce, non farti prendere dal panico: alzati subito, anche se il dolore è
insopportabile; in questo modo non le mostrerai nessuna debolezza. Non devi ucciderla,
ma devi farle più male che puoi. Tutto chiaro? – spiegò con calma la donna,
osservandola dritta negli occhi.
Gorgo ripeté a mente tutte le ultime
istruzioni della maestra, poi annuì, mentre fasciava di cuoio le sue mani, fino
alle nocche.
– Tutto chiaro – rispose.
– Bene…vieni, esercizio di respirazione – le disse infine la
donna. Entrambe si alzarono e con calma rilassarono i muscoli, semplicemente
inspirando ed espirando. Intanto nella propria testa ripeteva tutte le qualità
che una spartana doveva possedere e che sicuramente le potevano essere d’aiuto,
almeno alcune di esse: fedeltà al marito e alla patria, amore per questi e per i figli,
coraggio, forza, senso della giustizia, della pace, della libertà, moderazione,
temperanza, astuzia, intelligenza, rispetto per i sovrani e le leggi.
Tuttavia la ragazza non faceva che pensare a quel che sarebbe
accaduto al sorgere del sole: avrebbe lasciato Sparta, per sempre; non si
sarebbe più allenata, non sarebbe mai stata orgogliosa di generare figli forti
e robusti. Sarebbe invece stata schiava di quei perversi animali, costretta a
dare loro il suo corpo.
- Gorgo, calmati. Non pensarci, pensa alla gara! – sussurrò la sua
maestra che subito aveva intuito il motivo della sua tensione.
– Scusami – rispose solamente Gorgo, sospirando e chinando il
capo. La donna la osservò, non sapendo in che modo confortarla, visto che
niente avrebbe potuto salvarla da quel destino a lei tanto avverso.
Quando non udirono nessun rumore provenire dal cortile, le allieve
si posarono sulle spalle un mantello rosso, simile e quello dei soldati, che
celava tutto il corpo nudo. La campionessa Bias si avviò verso il cortile,
preceduta dalla sua istruttrice. Gorgo la osservò: era più alta di lei ed anche
se aveva la corporatura molto agile e snella, le sue braccia e le sue gambe
erano forti.
– Non farti ingannare dalla sua corporatura, Gorgo – disse subito
Filorome all'allieva.
– Oh no, certo – rispose ironica Gorgo.
Le due donne si sorrisero, quindi attesero il loro turno.
Sentivano gli applausi dei cittadini e vedevano tornare nel salone
le avversarie di Bias, malconce, con ossa rotte, alcune addirittura piangenti. Deve essere davvero forte e imbattibile come
dicono, se riesce a far piangere una ragazza spartana…Ebbene, ha trovato pane
per i suoi denti! Pensa al lupo, pensa al lupo sconfitto…,pensò
insistentemente Gorgo. Socchiuse gli occhi e rilassò di nuovo i muscoli.
Finalmente giunse la sua volta. Si alzò, si sistemò bene il manto
rosso e senza nulla dire si avviò verso il cortile esterno, preceduta dalla sua
maestra. Preparati, oh lupo selvaggio: il
tuo cacciatore sta per giungere e non andrà via fin quando
non ti avrà sconfitto..., pensò mentre varcava la soglia del cortile.
La luce della luna e il cielo trapuntato di stelle luminose furono
le prime cose che vide. Seguirono poi le fiaccole che circondavano il terreno,
Bias al centro del cortile, gli spettatori. Mentre ancora i cittadini la
stavano applaudendo, la sua istruttrice la condusse davanti il sovrano. Entrambe
s'inchinarono, in segno di rispetto. Nel risollevarsi, Gorgo incrociò lo
sguardo con quello del Re, che la osservò senza nessun'espressione nel volto
statuario. Dopo fu la volta dei membri del Consiglio: suo padre le diede la
benedizione, come era d’uso prima delle lotta. Filorome infine si sedette in un angolo del
cortile quadrato e Gorgo avanzò lentamente al centro, ancora vestita del
mantello.
Una di fronte all’altra, le due ragazze si osservarono senza nulla
dire, a quattro metri di distanza. Poi Gorgo aprì appena le braccia e il manto
di porpora cadde ai suoi piedi, dolcemente. La luna si rifletteva sulla sua
pelle, sui piccoli seni, sulla nuda schiena, sui neri ricci legati, sulle sode
natiche e sulle agili gambe. Un corpo perfetto, di cui la sua maestra si
vantava con le altre istruttrici e che generava una segreta gelosia da parte
delle altre allieve.
Secondo il regolamento, la campionessa aveva il diritto a colpire
per prima, quindi subito Gorgo divaricò le gambe e si mosse in posizionedi difesa, attenta
ad ogni singolo respiro di Bias. La sua avversaria attese molti
minuti prima di correre verso di lei e di sganciare una serie di pugni e
calci che Gorgo evitò con semplici parate. Una
classica tattica di chi non ha nessuna tattica!,
pensò divertita. Fece una ruota su se stessa, saltò ed atterrò dolcemente,
flettendo le ginocchia.
Il combattimento era molto veloce: le due ragazze non avevano mai
i piedi fermi, e le braccia si muovevano di continuo, proteggendo, parando e
sferrando pugni. Entrambe erano forti e abili, ma Bias
aveva di certo la meglio. La sua stazza non le permetteva di essere agile come
Gorgo, ma una volta che riusciva a prenderla la riempiva di colpi senza che lei
potesse far nulla. All’ennesimo colpo, Gorgo venne
scaraventata dall’altra parte del cortile. Strisciò per qualche metro, poi si
fermò, inerme. Aprì lentamente gli occhi gonfi di dolore, sentiva la voce di
Filorome, a pochi metri da lei: - Alzati…!- , sentiva
la voce della sua mente: - coraggio,
forza, astuzia, intelligenza…- . “Astuzia”, ripeté nella sua mente, mentre
faceva leva con le braccia e si sollevava sulle gambe tremanti.
Bias le venne incontro, non dicendo nulla ma guardandola con
crudeltà. Gorgo sollevò lentamente lo sguardo da terra e nei suoi occhi neri si
intravide la sua forza, il suo onore, il suo orgoglio…Sparta stessa. Bias
l’afferrò per il collo, sollevandola dal terreno.
- Fermate il gioco! – esclamò in un
sussurro Ektha, madre di Gorgo.
– No! Fermi…- ribatté subito Leonida, sollevando appena il
braccio. Osservò Gorgo rimanere immobile, pendere come morta; osservò la
distanza tra il suo corpo e quello di Bias: non sarebbe riuscita a colpirla con
la testa, né con le braccia, ma forse…
Lentamente, l’espressione di dolore di Gorgo mutò in
un’espressione di furore. Lanciò un gridò profondo e
furioso. Le sue gambe si sollevarono ed insieme andarono a colpire il volto di
Bias con un agile movimento. L’avversaria lanciò un grido e lasciò la presa dal
suo collo, facendola cadere a terra. Entrambe rimasero immobili sul terreno,
mentre gli spettatori applaudivano, dando coraggio a Gorgo e rabbia a Bias.
La figlia di Ebdacle si sollevò prima della sua avversaria e le
corse incontro, mentre la vedeva rialzarsi a fatica, il viso sporco di sangue. Bias
non fece in tempo a scostarsi e Gorgo, a meno di un metro da lei, si sollevò in
aria e ripeté la mossa di prima, colpendola al petto questa volta. Bias arretrò
di qualche passo. Batté la schiena contro il muro del cortile e cadde in
ginocchio, dolorante, a capo chino, mentre gocce di sangue cadevano sulla
sabbia. Gorgo non si lasciò sfuggire quell’occasione e come una Menade
impazzita sollevò una sola gamba colpendo la ragazza dietro il cranio con il
tallone. Bias gemette e cadde faccia avanti, immobile.
Un profondo silenzio cadde sull’arena intera. Gorgo osservava
incredula la sua avversaria, svenuta, sconfitta. Poi sollevò lentamente il
capo, puntando gli occhi sul Re, lontano, mentre il corpo tremava lievemente. Leonida
osservò ammirato quella ragazza, apparentemente così fragile, che si ergeva
davanti il suo nemico, come egli stesso si era eretto
davanti al lupo vinto. Si alzò dal suo seggio e battè le mani in direzione di
Gorgo. Tutti allora si alzarono dai loro posti, applaudendo ed elogiando la
campionessa.
– Brava, bravissima! – esclamò felice la sua maestra che le si avvicinò velocemente. Per un attimo Gorgo si sentì le
gambe cedere ma subito la donna la sollevò per le
spalle, conducendola verso il salone laterale. Per un attimo Gorgo si volse
verso Leonida, ancora in piedi ad applaudirla. Al suo sguardo, il principe
chinò appena il capo, in segno di saluto e rispetto.
Un’ora dopo, tutti i cittadini si sedettero al banchetto allestito
nell’agorà, per festeggiare la campionessa e le ragazze che avevano conseguito
la vittoria in altre gare.
Gorgo, seduta tra il padre e Filorome, osservava senza appetito il
suo piatto che, per quell’occasione, era stato riempito di cereali, pane e
carne secca.
– Figlia mia, mangia, ti prego. Devi recuperare le tue forze! – la
incoraggiò il padre, posandole una mano sulla spalla coperta dalla bianca tunica
della vittoria e dal rosso mantello della gloria.
Gorgo scosse appena il capo, facendo oscillare i neri boccoli
trattenuti da una corona d’alloro.
– Non ho appetito, padre…- rispose in un lieve sussurro. Ebdacle
sospirò appena; si volse per osservare la moglie al suo fianco, ma dovette
subito volgere gli occhi altrove, per evitare di vedere negli occhi di Ektha la
cruda verità: aveva fallito nel suo dovere di padre. Ma cosa avrebbe dovuto
fare? Gli Efori erano più potenti degli Spartiati stessi, lo avrebbero di certo
punito! Non poteva negare loro nulla, erano più forti…Eppure quella situazione
abbatteva il suo orgoglio spartano, il suo onore paterno, la sua libertà di
uomo.
– Con il vostro permesso,
padre, vorrei fare una passeggiata lontana da qui. Sono stanca e le grida dei
miei concittadini non mi aiutano a riposare la mente, anche se li apprezzo –
disse d’un tratto Gorgo, cominciando a sistemarsi il mantello rosso.
Il padre annuì, osservando gli occhi neri della figlia. Simili ai
suoi, ma quelli della ragazza erano velati da una profonda tristezza e da una
silenziosa rabbia.
Pochi la notarono allontanarsi dal banchetto, prendendo una via
della città. Tra quei pochi vi fu il Re.
Dopo un lungo e silenzioso cammino, immersa nei suoi più tristi
pensieri, Gorgo si diresse verso una tettoia, dove riposava un profondo stagno.
Scese in silenzio i gradini mentre si toglieva dal
capo la corona e la gettava con rabbia in fondo ai gradini. Si sedette,
sospirando, sul bordo del pezzo. Osservò la sua profondità abissale, osservò i
raggi della luna penetrare le lievi tende rosse e posarsi sulle lievi onde
dell’acqua, mossa dal vento notturno.
Socchiuse gli occhi: finalmente intorno a lei c’era pace,
silenzio. Voleva rimanere sola in quelle ultime ore di libertà. Tentava di
affrontare il suo destino con razionalità, eppure non vedeva nessuna via
d’uscita alla disperazione e alla rabbia. Chinò il capo, osservando il terreno
sotto i suoi nudi piedi. Rabbia le scorreva nelle vene. Rabbia,
solo rabbia. Non le restava che pregare.
Perché,
perché proprio io, somma Artemide? Perché non un’altra?Sono stata consacrata a
te, oh Agrotera e a te volevo dedicare tutta la mia vita. Avrei
voluto rimanere a Sparta, avrei voluto allenarmi, fare tante altre gare,
combattere, generare Spartani forti e robusti. Ti prego, Artemide Kourothropos,
se mai è giunta a mia voce fin da te, se mai ti ho soddisfatto ed ho agito in
tuo nome…salvami! Io sono una tua cerva, io sono del tuo seguito, non puoi
lasciare che gli Efori incatenino le ali della mia libertà! Salvami, forte e
libera Artemide!
Pose il viso nelle mani, sospirando
profondamente, impedendosi di piangere ma sentendo gli occhi bruciare. E’ disonorevole piangere per una spartana.
Non mi vedranno mai piangere, quelle bestie! Non sprecherò nemmeno una lacrima
per loro, maledette belve!.
Tratteneva la rabbia, tratteneva la sua rabbia, tratteneva le sue
grida piene di disperazione, odio, disaccordo, lacrime.
D’improvviso sentì un lieve rumore vicino a lei, sul bordo del
pozzo. Sollevò lentamente gli occhi, osservando prima la sua corona, poi,
alzando il viso, l’imponente figura severa del Re Leonida.
- La corona è per te e tu la getti a terra, i festeggiamenti sono
per tu, e tu vai via – osservò l’uomo sedendosi al suo
fianco, raccogliendo nella sua forte mano la corona. Gorgo osservò il terreno,
sollevando appena le spalle:
- Cosa c’è da festeggiare? Dimmelo, mio signore, e provvederò a
gioire…– rispose mestamente con una nota di furore.
Rimasero un attimo in silenzio, ognuno immerso nei propri
pensieri, poi Leonida prese parola di nuovo:
- Tuo padre è un uomo saggio, Spartana, eppure anche un uomo così
saggio deve chinare davantila tradizione e gli dèi. Come io stesso
sono costretto- . Gorgo pose l’attenzione su di lui, perplessa.
– Non dovresti dire così, mio signore. Gli dèi…– cominciò, non
capendo.
- Tu credi che gli dèi vogliano tutta
quella corruzione?!? Corruzione nella sacra Sparta! No, io credo di no –
intervenne l’uomo scuotendo il capo.
Gorgo fu davvero colpita da quelle parole: per la prima volta,
vedeva davvero qualcuno che la capiva e che la pensava come lei.
– Non credo nemmeno che Apollo Lyceios mi voglia come suo oracolo.
Non capisco perché non fanno qualcosa…– rispose Gorgo, mesta.
- Questo nessuno può saperlo, nemmeno l’oracolo. Allora tutti
dovremmo chiederci perché io sono Re, perché Sparta è fatta così e non in altro
modo, perché il mondo stesso esiste. Non penso si possa fare molto per gli
Efori, ma quando si ha degli ideali, bisogna seguirli fino alla fine – rispose
l’uomo.
Vi fu un altro momento di profondo silenzio, in cui Gorgo pensò
alle parole del Re: quando si ha degli
ideali, bisogna seguirli fino alla fine. In quel momento pensò che quelle
parole erano state pronunciate per lei, per
incoraggiarla.
Alla fine entrambi si alzarono. Gorgo sollevò gli occhi al cielo:
era ora di andare.
– Devo tornare a casa, devo riposare. Mia madre sarà già
sicuramente tornata – annunciò osservando l’uomo. Questi ricambiò lo sguardo ed
annuì, poi le pose la corona sulla testa. Osservò i suoi ricci neri, poi i suoi
occhi.
– Lieta notte, figlia di Sparta. Ricordati le mie parole- rispose
seriamente. Gorgo annuì appena e, sorreggendo il manto rosso con le mani, salì
lentamente i gradini che portavano all’agorà, sicura ora che le parole del Re
erano state dette per lei.
Il giorno dopo, all’alba, tutto era pronto. Gorgo si sistemò il
mantello sulle spalle, quello stesso cremisi che indossava durante la gara: un
ricordo di Sparta. In silenzio, nelle loro stanze, le serve
ilote piangevano sommessamente; in silenzio, all’ombra del porticato, la madre
l’osservava senza espressione; in silenzio, nel cortile interno della dimora,
suo padre la osservava, attendendola.
Quando Gorgo giunse, egli osservò il mantello rosso, la treccia,
la tunica corta e i sandali da viaggio.
– Possiamo andare, allora – disse Ebdacle, volgendosi verso
l’uscita.
– Spartana! – Ektha richiamò la figlia. Quest’ultima si volse
verso di lei e le si avvicinò lentamente. La madre
l’osservò senza nulla dire, poi si tolse un ciondolo e lo legò intorno al suo
collo.
– Me lo darai quando tornerai – . Gorgo
osservò quell’ artiglio argentato, ricordo dell’agogè
di Ektha , quindi annuì e si volse verso l’uscita della dimora, senza nulla
dire.
Appena fuori, si volse indietro, per un ultimo sguardo a quelle
mura in cui nacque e in cui avrebbe tanto voluto crescere.
La città era ancora poco frequentata: solo le donne, con piccole
brocche, s’avvicinavano al profondo pozzo per attingere l’acqua fresca del
mattino. Gorgo sorrise loro, ma non disse nulla. Si diressero verso le porte
della città…Silenzio.
– Bene…Buon viaggio, figlia mia – disse Ebdacle, osservando sua
figlia.
– Grazie, padre – null’altro disse la giovane spartana. Osservò
suo padre, quindi gli volse le spalle e si avviò verso l’esterno della città,
sospirando.
- Ebdacle! – riconobbe quella voce solenne ma pacata. Leonida!, pensò la ragazza, voltandosi di
scatto indietro. Davanti a suo padre sostava il Re e tre spartani, in veste da
guerra.
– Accompagneremo vostra figlia…Devo recarmi anch’io dagli Efori: è
quasi giunto il tempo delle sacre Glancizie…comprendi, Ebdacle? – spiegò il
sovrano all’uomo che subito si inchinò.
– Certamente signore,
comprendo benissimo – rispose Ebdacle, quindi lanciò un ultimo sguardo alla
figlia e si diresse verso la propria dimora. I quattro uomini, tra cui il
giovane e valoroso Delios, si avvicinarono verso la giovane atleta.
Gorgo tuttavia non badò al loro arrivo ma
alla figura di suo padre che si allontanava, per poi scomparire. Diede un
ultimo sguardo, un ultimo addio alla sua città: salutò l’agorà, il gymnasion, la sala del consiglio, le
botteghe, la casa reale, casa sua, tutto.
- Spartana, non ho tempo da perdere – la richiamò il Re, mentre le
passava accanto. Gorgo annuì, quindi si sistemò la sacca sulle spalle e si pose
alla fine del piccolo gruppo di spartani, mal armati ma sicuri che nessuno
avrebbe dato loro fastidio. Al loro contrario, Gorgo riusciva a mala pena a
camminare, costretta dalla Legge, probabilmente, mentre il suo cuore le gridava
di tornare indietro, di fuggire dal suo destino. Ma perché fuggire? Prima o poi
sarebbe giunto…che differenza fa essere schiava degli Efori oggi o domani?
Tutto per un maledetto Oracolo…
Addio per
sempre, Sparta mia. Ti porterò sempre nel mio cuore. Addio, madre mia, ti ho
amato sempre. Addio, padre mio, non ti do alcuna colpa...Tu hai solo ubbidito
alle leggi. Addio, Filorome, ti ringrazio per tutto ciò che mi haiinsegnato. Addio,
mia Edoné, saprai troppo tardi che tua sorella non c’è più. Addio, fratello
mio, che tu possa sempre vincere le tue battaglie.
Addio…sacra
Sparta. Addio…Gorgo.
Ringrazio
coloro che hanno apprezzato, commentato o semplicemente letto questo mio
racconto. Mi date la forza di scrivere ancora e di apprezzare di più il mio
lavoro.
P.S. non
temete, non ho fatto il mio solito racconto lungo Kilometri! ^_*
Durante la giornata non si fermarono quasi mai, se non nel
pomeriggio appena inoltrato, presso un ruscello che proveniva dalle lontane
montagne a nord. Si fermarono lì, intesi a ripartire dopo un’ora.
Mentre i quattro soldati si riunirono per mangiare insieme, Gorgo
decise di sedersi su un masso lì vicino, libera di immergersi nei suoi
pensieri.
- Mia signora – la voce di Delios, dietro di lei, la fece tornare
alla realtà. Si volse e vide il soldato porgerle una scodella di cibo.
- Sapete che non mi è permesso mangiare carne e formaggio, mio
signore – disse pacata la ragazza, osservando il soldato che scosse il capo:
- Qui non siamo a Sparta, mia signora. O mangi questo o non mangi
– ribatté con voce seria l’uomo, porgendole ancora la ciotola.
- Bene, vorrà dire che non mangerò – rispose Gorgo e si volse ad
osservare le pianure davanti a sé. Delios osservò i suoi capelli raccolti in
una treccia, il profilo serio e deciso. La guardava e non sapeva che dire per
rincuorarla. Sapeva bene il sacrificio che stava compiendo quella ragazza e una
parola eccessiva avrebbe potuto intaccare il suo precario equilibrio interiore.
Decise così di non dire nulla e di tornare dai suoi compagni, ma la voce di
Gorgo lo fermò:
- Aspetta, mio signore. Vorrei chiederti una cosa – . Delios si fermò e si volse, attendendo.
- Quanto tempo impiegheremo per raggiungere il tempio degli Efori?
– gli chiese la ragazza. L’uomo si sedette al suo fianco, la scodella per mano;
poi rispose:
- Sul tardo pomeriggio raggiungeremo i piedi del monte, ma la
salita sarà molto ardua: la roccia è friabile e bisogna stare molto attenti a
dove si mette piedi; vi sono caverne che possono dare rifugio
ma molte di esse sono abitate da fiere selvagge. Non è una passeggiata,
credetemi. Almeno tutta la notte e l’alba seguente per salire e scendere – .
Gorgo rimase ad ascoltarlo attentamente, poi annuì appena: - Vi
ringrazio. Ora potete tornare dai vostri compagni – rispose appena, chinando il
capo.
Delios si alzò e tornò dai soldati con la scodella.
Ancora un
giorno di libertà. Spero di morire durante la salita, magari cadendo o uccisa
dalle bestie, pensò Gorgo con il viso raccolto nelle mani. Subito il suo
pensiero andò a Sparta, che già le mancava. A
quest’ora mi starei allenando e starei ad ascoltare le lezioni della mia
maestra, le favole di Edoné e le lamentele delle mie amiche che non trovano un
marito. Allora io subito risponderei, come sempre: -
Meglio sole per qualche anno che mal accompagnate tutta la vita! Non abbiate,
fretta! -. E nel mentre, tutte le ragazze mi farebbero eco, perpoi scoppiare a
ridere…Oh, se solo potessi tornare a casa! Pagherei qualsiasi cosa pur di
tornare a Sparta! Mi metterei anche a fare la serva del re!.
- Spartana! – una voce autoritaria la chiamò. Gorgo si volse e
vide avvicinarsi a lei proprio il sovrano.
– Sì, mio signore…? – rispose alzandosi Gorgo.
- Delios mi ha detto che non vuoi mangiare. Decisione sbagliata:
il cammino è arduo, faticoso…e non vorrei raccoglierti ogni minuto, mentre saliamo
sul fianco della montagna – disse Leonida, sedendosi al suo fianco.
- Come “non vorrei raccogliervi ogni minuto”? Non verrai tu ad
accompagnarmi, mio signore? – chiese Gorgo perplessa.
- Sì, vengo io. Devo recarmi da quelle bestie lassù per decidere
delle Glancizie e non voglio scomodare un mio soldato per un sacrificio simile.
Loro mi attenderanno ai piedi del monte– spiegò il Re, osservando l’orizzonte
con sguardo mesto.
- Siate felice, mio buon signore…-, sussurrò sospirando Gorgo, -
Tu raggiungi luoghi remoti, ma ben sai che poi tornerai a casa…a Sparta. Io
invece compio un viaggio di sola andata e ben so che non tornerò più dalla mia
famiglia, né mai avrò un marito da aspettare -.
Leonida non rispose, non sapendo cosa dire. La ragazza aveva
ragione: non poteva darle nessun conforto. Chinò a terra il capo e notò
qualcosa, nella sacca della ragazza, catturare i raggi del sole. Allungò appena
lo sguardo, giusto il tempo di vedere l’elsa di una spada, prima che la giovane
afferrasse la sacca e la posasse altrove. I due si osservarono negli occhi, per
qualche istante, poi l’uomo si alzò e catturò su di lui l’attenzione dei
soldati:
- Smontate tutto, ripartiamo – annunciò.
- Mio signore! – esclamò un soldato, indicando una nuvola che
camminava verso di loro.
- Cos’è? – chiese perplesso un secondo soldato.
- Un gruppo di vagabondi o qualcosa di simile. Rimaniamo uniti:
potrebbe essere una trappola – rispose Leonida una volta che distinse il carro
e le poche figure che si stavano avvicinando.
Aveva ragione Leonida: poveri vagabondi e mendicanti che andavano
in cerca di rifugio. Vedendo che nessun soldato si fermava, nemmeno per uno
sguardo, Gorgo si avvicinò appena, un po’ indifferente.
– E’ inutile che vi
fermiate, buona gente. Non abbiamo nulla per voi – annunciò con tono pacato,
scuotendo il capo. Dall’unico carro che trasportavano quegli straccioni, uscì
una donna armata fino ai denti. Alla sua apparizione, tutti i mendicanti si
tolsero i mantelli strappati, mostrando affilate spade.
– Tu dici, mia signora? Oh, io credo proprio di no! – esclamò
ridendo la donna, saltando giù dal carro e correndo verso Gorgo.
– Leonida!! – gridò quest’ultima, estraendo dalla sua sacca la
spada che segretamente aveva condotto con sé. Subito gli Spartani corsero verso
i briganti e si disposero in cerchio gli scudi a difendere il busto e le lance
poste in orizzontale, pronte a colpire. Più i banditi colpivano, più ne
cadevano. Il piccolo gruppo di Spartani nemmeno dovette scomodarsi a rompere le
file, tanto quei poveracci erano inesperti di tattica militare. In breve tempo
sulla distesa erbosa giacevano i cadaveri dei mendicanti, mentre gli Spartani
uscirono indenni dallo scontro. Leonida si aggirò tra i cadaveri
ma non riconobbe nessuno di loro.
– Cani rognosi – sussurrò irritato, poi sputò su un cadavere e
sollevò il pugno in alto per raccogliere a sé i propri uomini.
– State attenti, aguzzate bene la vista: potrebbero essercene
altri – annunciò osservandoli uno per uno. Si volse poi verso Gorgo, un po’ più
distante dal piccolo gruppo.
- Stai bene? – le chiese, mentre lei riponeva nella sacca la sua
spada.
- Sì, sto bene – rispose subito la ragazza, osservandolo negli
occhi.
- Bene – rispose l’uomo e subito sollevò la mano destra per poi
arrivarle un forte schiaffo. Gorgo, sorpresa dal colpo, cadde a terra e subito
cominciò ad uscirle sangue dal naso.
- Questo è per esserti allontanata da noi e per aver disubbidito
ad un mio ordine. Avevo detto di rimanere uniti…non hai eseguito il mio ordine
– sussurrò osservandola dall’alto, oltre il terribile elmo. Poi andò via,
mettendosi alla testa dei suoi tre uomini. Delios, con la scusa di aver visto
uno dei briganti muoversi, le si avvicinò appena:
- Mia signora… – sussurrò tendendole una mano. Gorgo scansò con
violenza l’aiuto dell’amico, si sollevò e posando una mano sulla bocca e la
gengiva sanguinante, si avviò verso il gruppo di uomini, ancora confusa dal
colpo.
Delios non rimase per nulla colpito da quella reazione, conoscendo
bene l’orgoglio della ragazza, quindi raggiunse in silenzio il fianco
dell’impassibile Leonida che stava conducendo il piccolo gruppo verso le vette
innevate della dimora degli Efori.
Bene, eccovi il
sesto capitolo. Che ve ne pare? E’ leggermente più lungo degli altri capitoli e
contiene l’unico vero “combattimento” del racconto. Spero vi sia
piaciuto…commentate mi raccomando!
Mancava un’ora al tramonto, quando giunsero ai piedi della
montagna. Gorgo pose la sua sacca a terra, senza molta delicatezza; si sedette
vicino un piccolo ruscello proveniente dalla montagna, così bagnò più volte una
benda per portare via il sangue dalla pelle e dal mantello rosso.
- Leonida, è meglio che Gorgo riposi e che cominciate il viaggio
domani all’alba – propose Delios, una volta posati gli
scudi, mentre lui e il suo signore osservavano la ragazza occupata a levarsi dal
viso il sangue uscito dal labbro e dalla bocca. Entrambi si erano accorti che
aveva un’aria malaticcia e il suo colorito roseo era mutato in un colorito
pallido. Leonida osservò le bende rosse della ragazza, le sue mani appena
tremolanti, la rabbia nei suoi occhi. Sorrise tra sé.
- Riposeremo solo qualche ora, ma non possiamo partire domani
mattina: è troppo tardi, Delios, non faremo in tempo poi a tornare a Sparta a
mezzo giorno – rispose pacatamente il sovrano. Delios chinò appena il busto,
quindi annunciò agli altri due soldati l’ordine del comandante, mentre questo
si avvicinava a Gorgo.
Si fermò davanti a lei, poi flesse le ginocchia e allungò la mano
per controllarle il labbro, ma subito la ragazza scostò il suo braccio con un
gesto silenzio, come avesse scacciato via un insetto.
- Voglio vedere se il labbro è rotto – le disse pacato l’uomo,
allungando di nuovo la mano. Gorgo spinse indietro l’uomo che mantenne a stento
l’equilibrio:
- Avete fatto già abbastanza, mio signore, grazie – rispose Gorgo
osservandolo un attimo, per poi rovistare nella sacca in cerca di un’altra
fascia.
– Riposeremo per qualche ora, ma ripartiremo prima che si faccia
buio – annunciò atono Leonida, sollevandosi.
- Sempre che gli Efori mi vorranno con questo labbro conciato male.
Forse dovrei ringraziarti…-, rispose Gorgo, sollevando gli occhi su di lui ed
osservandolo con sguardo glaciale mentre il labbro continuava a sanguinare, - …ma
stai certo che non lo farò…mio signore - .
Si scambiarono un breve sguardo, poi Leonida tornò dai suoi uomini
e Gorgo tornò a attenuare il sangue che ancora usciva.
Poco dopo, Delios portò a Gorgo una scodella di cibo che la
ragazza rifiutò, come nel pomeriggio.
- Spartana, devi mangiare! Non puoi stare a
digiuno: hai il viso pallido e l’ascesa al monte non è una passeggiata, avrai
bisogno di forze! – sussurrò Delios, posando la pietanza vicino a lei. Gorgo
scosse il capo e allontanò il piatto con la mano:
- Ho con me del pane e un po’ di cereali: basteranno – rispose
pacata. Delios l’osservò un attimo, poi sollevò le spalle, sospirando.
- Il labbro è rotto? – le chiese infine. Gorgo scosse il capo, poi
non disse più nulla, lasciando intendere che non voleva parlarne. Delios la
osservò ancora per qualche secondo, poi riprese la ciotola e tornò dai suoi
compagni.
Gorgo si osservò un attimo indietro, lo sguardo cadde su Leonida
che era chino sul proprio piatto e mangiava lentamente. Quando il sovrano si volse verso di lei, Gorgo si era già voltata verso
l’orizzonte.
Gli occhi della Spartana si riempirono della luce del tramonto ed
un lieve sospiro uscì dalle sue labbra. La pelle cominciò a fremere sotto la tunica…ma non aveva freddo. I suoi occhi si velarono di lacrime…ma non stava piangendo. Una profonda malinconia
afferrò il suo animo, mentre il sole moriva lentamente oltre le montagne
innevate, colorando di rosso, arancione e oro la neve, il cielo, le foglie
degli alberi, il suo viso. Era il tramonto più bello e malinconico che Gorgo avesse mai visto. Era così sola, così
disperata…Non voleva lasciare Sparta, non poteva, non doveva! Strinse forte i
pugni, trattenendo a stento le lacrime: Filorome l’aveva addestrata bene.
Le era stato insegnato fin da bambina che una Spartana non piange
mai…lei non l’avrebbe fatto.
Le era stato insegnato che una Spartana non fugge mai davanti il
pericolo…lei non l’avrebbe fatto.
Le era stato insegnato che una Spartana affronta sempre la realtà
con forza e onore, che mai avrebbe disubbidito alle leggi e agli dèi…e lei non
l’avrebbe fatto.
Le era stato insegnato che una Spartana opera solo per il bene del
suo popolo e per volere degli dèi…lei l’avrebbe fatto.
Gorgo avrebbe ubbidito agli insegnamenti spartani, non avrebbe
ceduto agli Efori nemmeno una lacrima, né sarebbe fuggita, né avrebbe
disubbidito. Lei sarebbe salita sul monte e sarebbe divenuta oracolo…
Una lacrima sì posò sulle sue ciglia. Stava disubbidendo. Senza
scomporsi asciugò quella stilla con un lembo del mantello. La vide essere
assorbita dal tessuto e pochi attimi dopo scomparire in essa,
prosciugandosi. Come la mia vita, come il
suo spirito, pensò Gorgo. Sentiva il dio che le strappava a forza l’anima
dal corpo, sentiva le cuciture che univano anima e corpo cedere….presto sarebbe
diventata solo un corpo, solo materia, mentre il dio si divertiva a strappare la
sua anima in tanti piccoli pezzetti per poi gettarli nel cielo, facendoli
disperdere nell’infinito. E cosa sarebbe rimasto di lei? Un guscio di carne,
pelle e ossa; qualcosa e non qualcuno, un vegetale che non prova emozioni e
giorno dopo giorno, anno dopo anno, avrebbe profetizzato a lui, sicuro del
fatto che sarebbe tornato a Sparta.
Non si era accorta che il tramonto era morto e che le prime stelle
spuntavano nel cielo nero. Si volse verso i soldati: dormivano, tutti, compreso
Delios, compreso Leonida.
Ne approfittò per riposare anche lei. Chiuse gli occhi. Oscurità…
- Questa non è la tua via…- una voce sussurrò nella mente di
Gorgo, prima lontana poi sempre più nitida.
– Questa non è la tua via, mia signora. Tu non diverrai oracolo,
ma qualcosa di più grande…!- ancora quella voce parlava nella sua testa. Gorgo
aprì gli occhi maintornò a
sé non vide altro che nera oscurità e una paura abissale.
– Qual è la mia strada, allora? Che cosa devo fare? – chiese Gorgo
alla Voce. Questa rispose, lontana: - La tua via ti sarà rivelata
presto…attendi la mia voce…tu non diverrai oracolo, ma qualcosa di ben più
grande….mia signora! - .
- Mia signora! – la voce di Delios svegliò di soprassalto Gorgo
che aprì di scatto gli occhi.
- Scusate, mia signora, ma dobbiamo andare – le spiegò il soldato.
Gorgo annuì appena, quindi si mise a sedere. Lentamente mise a fuoco il luogo
dove si trovava e le figure che le camminavano intorno: i due soldati stavano
ancora riposando, essendo piena notte, e solo Delios e Leonida erano svegli.
Gorgo si alzò e si sistemò per bene il mantello, la sacca sulle spalle e la
spada alla cinta. E’ stato solo un sogno,
ingenua Gorgo…, pensò tristemente tra sé mentre gettava acqua sul suo viso,
per cercare di portare via il sonno dagli occhi. Sollevò lo sguardo verso il
cielo: fissò Selene e i suoi argentati capelli fin quando la voce del sovrano
non la richiamò alla realtà e lasciò volare via la sua ultima preghiera a
Selene.
- Delios, affido a te il comando. Mi raccomando: molta attenzione,
occhi ben aperti. Ci rivedremo qui, al mattino. Siate
pronti a partire – disse il comandante al suo soldato che annuì deciso: -
Certamente, signore – rispose.
Nel mentre, Gorgo si avvicinò ai due soldati.
– Buon viaggio – disse Delios osservando la sua concittadina e
porgendole la mano. Gorgo osservò l’amico negli occhi, ma non disse nulla: il
suo sguardo parlava più di mille parole. I due si strinsero l’avambraccio, in
segno d'eterna amicizia, quindi Gorgo si volse verso la montagna e, senza
volgersi indietro, cominciò l’ascesa, preceduta da Re Leonida.
Questo è un
capitolo a cui tengo davvero molto e a mio parere è il
più bello di tutto il racconto. In particolar modo, spero vi sia piaciuta la
scena del tramonto e la descrizione dei suoi pensieri.
Ringrazio Laura
Sparrow per il consiglio che mi ha dato^_^Spero ti piaccia!
L’ascesa al monte degli Efori si rivelò davvero un’impresa. A
notte inoltrata si trovavano appena a metà del cammino, ed erano entrambi
affaticati. Avevano incontrato molti ostacoli, sia bestie sia passaggi
accidentati, ed il loro ottimismo diminuiva sempre più. Di certo Gorgo non era
triste, ma sarebbe stata più felice se il loro cammino fosse più facile e
accessibile.
- Non solo sono dei mostri, ma pretendono anche che rischiamo la
vita per raggiungerli! – borbottò irritato Leonida, quando si fermarono su una
piccola e pericolosa sporgenza, per riposare.
Mangiarono velocemente qualcosa, si riposarono in silenzio e
ripresero la via poco dopo. Gorgo intanto pensava a cosa avrebbe dovuto
aspettarsi da quelle bestie che vivevano sulla cima del monte. Quale benvenuto
avrebbero ricevuto? E come erano davvero d’aspetto, questi Efori?.
- La bellezza è la loro maledizione. La cercano perché non la possiedono.
Orribilmente sfigurati, il loro corpo sembra fatto di spine e pietra. Corrotti,
perversi, bestie immonde che inventano leggi per
ottenere ricchezza. Si alleerebbero anche con il nemico, pur di guadagnare oro
e piacere. Piacere che ottengono dai corpi degli oracoli, anche semplicemente
osservandole. Le sfruttano, risucchiano la loro vita, poi le gettano dalla
montagna, come fiori secchi, appassiti – spiegò l’uomo quando Gorgo glielo
chiese.
La ragazza rimase inorridita e sconvolta da quella spiegazione. Le
mani sudate scivolarono sul masso a cui lei si reggeva.
I piedi scivolarono e il sostegno cadde sotto di essi. Non disse nulla, ma un
lieve sussulto uscì dalle sue labbra. Per un attimo il panico la sopraffece, ma
subito riacquistò lucidità e tentò di poggiare i piedi su qualche pietra o in
qualche crepa. Leonida si accorse poco dopo della sua assenza e si volse di
sotto, vedendola penzolare e cercare un sostegno su cui poggiarsi. Osservò la
parete sui cui Gorgo si trovava o notò una sporgenza alla sua destra.
- Girati alla tua destra, c’è una sporgenza! Aiutati con essa,
poggia il piede! – le urlò indicandole con gli occhi il rialzo. Gorgo si volse
alla sua destra, notò la sporgenza e subito vi posò il piede. Si assicurò che
fosse stabile, quindi riprese la scalata, prima con un po’ d' incertezza, poi
sempre più spedita e tranquilla.
- Tutto bene? – le chiese Leonida una volta che la vide salire al
suo fianco. Gorgo non lo guardò in viso e rispose appena:
- Forse dovrei ringraziarvi…ma state certo che non lo farò,
nemmeno questa volta - .
- Donne…- borbottò scuotendo il capo Leonida, poi riprese
anch’egli l’ascesa.
Quando la luna era sopra le loro teste, bianca e
splendente come una giovane nel giorno delle sue nozze, Leonida e Gorgo
terminarono la prima tappa del loro viaggio, giungendo in una piccola piazzola
che terminava nel vuoto. Davanti a loro, l’ascesa ripida attendeva. Gorgo
osservò la parete verticale e sospirò, quindi si sedette a terra, attenta a non
farsi male con qualche sassolino appuntito.
- Riposeremo solo qualche minuto – annunciò Leonida sedendosi a
sua volta e avvolgendosi nel mantello scuro. Gorgo non rispose e posò il capo
contro la roccia, socchiudendo gli occhi. La luna sopra di lei era lucente ed
illuminava tutto il montuoso paesaggio, penetrando nella fragile nebbiolina,
riflettendosi su i suoi ricci neri come gli abissi. Leonida osservò quei
riflessi, come se i capelli della spartana fossero davvero neri e argentati.
Era un colore che si addiceva alla sua pelle chiara, perlacea quasi. Scuotendo
appena il capo, volse lo sguardo davanti a sé e notò davanti a sé, lontano
nell’orizzonte, i fuochi di Sparta. Una profonda malinconia afferrò il suo
cuore, desideroso di ritrovarsi presto nella sua sacra e cara città, disteso
sul suo letto o affacciato a guardare la luna. Si volse di nuovo verso Gorgo
che aveva lo sguardo perso nel vuoto, lo spirito assente, il corpo abbandonato
a se stesso. La vide e pensò che quella ragazza non avrebbe mai più visto
Sparta, né avrebbe più potuto dormire, mangiare o semplicemente vivere…solo
sopravvivere. Ma che poteva fare? Nemmeno il Re, nemmeno il figlio del leone
poteva fare qualcosa per lei. Aveva affrontato grandi battaglie, ucciso molti
nemici e custodito la libertà e la gloria di Sparta…e non poteva salvare una sua figlia da un destino così nefasto e avverso.
- Andiamo, dobbiamo andare - . Questa
volta fu Gorgo a parlare, alzandosi. Leonida se ne stupì ma
non lo diede a vedere mentre gli alzava e la precedeva, come sempre, nell’ardua
scalata.
Un’ora dopo la posizione verticale della luna, Gorgo e Leonida giunsero
finalmente ai piedi della gradinata. Sopra le loro teste
dominava il tempio degli Efori, illuminato dalle fiaccole. S'issarono ai piedi
dei gradini e davanti a loro trovarono una figura, incappucciata e vestita di
una tunica bianco-sporco.
Gorgo fece un lieve passo indietro, inorridita nel vedere quella
figura sospirare gutturalmente alla sua vista.
- Una fanciulla davvero splendida, mi hai portato Leonida…Certo
non può di certo essere paragonata a quella attuale, ma è davvero splendida –
sussurrò l’Efore, mostrando un ghigno sotto quel cappuccio che nascondeva
chissà quale abominevole viso. Si avvicinò a Gorgo e le strinse un braccio,
tirandola a sé, ma la ragazza si liberò facilmente dalla debole presa del
vecchio. L’Efore stava per ribattere, ma Leonida sollevò una mano, scuotendo il
capo:
– Non è ancora il tempo che io vada, Efore. Le Glancizie… -
rispose autorevole l’uomo. Per la prima volta, Gorgo si sentì debitrice verso
il sovrano: le sembrava che avesse ritardato la sua morte. Voleva piangere,
come non aveva mai fatto in vita sua, eppure il suo orgoglio da Spartana non
glielo permise. Sii forte, Gorgo, non
cedere alle debolezze umane!, ripeteva una voce dentro di sé.
Salirono lentamente la grande scalinata che abbracciava tutta la
montagna, fino a giungere ai piedi del tempio.
Era una piccola struttura, tenuta in piedi da un cerchio di ventotto
colonne tra il primo ed il secondo cerchio; fra una colonna e l’altra v’era una
fiaccola accesa ad illuminare altre quattro figure incappucciate, simili alla
prima.
Gorgo posò la sua attenzione ad una figura oltre la struttura,
sdraiata sulla pietra, vicina ad un fuoco d’incenso e spezie magiche:
l’oracolo. Rimase colpita, affascinata e impietosita da quella fanciulla che
dormiva apparentemente in modo sereno.
- Benvenuto, Re Leonida…e benvenuta anche tu, Gorgo, figlia di
Ebdacle. Tu hai ricevuto il gran privilegio di essere stata scelta come nostro
oracolo. Sarai trattata con il massimo rispetto e riverenza, come una creatura
divina, in quanto tu sei la voce degli dèi…- disse uno degli Efori, portando
sulle spalle il cappuccio e mostrando il suo orribile viso. Gorgo arretrò
appena, di nuovo, ma Leonida le posò una mano sulla spalla, invitandola a
rimanere ferma, per non generare l’ira degli uomini.
- Leonida, sei giunto fin qui per
consultare l’oracolo sulle Glancizie, giusto? Bene, seguiteci – proferì con
voce pacata e quasi gracchiante uno degli Efori. Dunque si diressero oltre il
tempio, fermandosi a pochi passi dall’oracolo. A Gorgo si gelò il sangue:
quella spartana era più giovane e più bella di lei, indubbiamente. Aveva i capelli neri con alcuni riflessi rosso-scuro, occhi scuri
e la pelle diafana come la luna che si rifletteva sul suo corpo seminudo. Uno
degli Efori scoperchiò la ciotola degli incensi. L’oracolo si sollevò, come
trasportata da lingue di vento. Le sue membra erano molli,
senza vita; i suoi occhi chiusi; i suoi scuri capelli si muovevano nell’aere,
come padroni di loro stessi. Compì come una danza dell’aria, mentre
Gorgo aveva gli occhi incollati a quella ragazza…come potevano gli dèi essere così crudeli?
Quando l’oracolo si accosciò al suolo, ansante, un Efore le si avvicinò e tradusse ciò che lei pronunciava
nell’antico e sacro greco.
- “Gare atletiche per la Vergine dei Boschi…gare
atletiche e feste in mio onore. Una grande festa vi sarà...per la vostra
signora” -:
queste le parole dell’oracolo.
Quando l’Efore tacque, Gorgo seppe che era giunta la sua fine. Gli
Efori si avvicinarono a loro due: - Vieni, Gorgo…! – sussurrò mollemente uno di
quelle luride bestie, annuendo alle sue stesse parole e porgendole una mano
piena di protuberanze.
Gorgo chinò gli occhi a terra, sospirò appena, poi si avvicinò. La
mano tremante indugiava in aria, a poca distanza da quella dell’Efore. Il suo
spirito gridava, piangeva, si dibatteva, voleva fuggire…ma nessuna emozione
apparve sul volto bello ma triste della ragazza. Moderazione…equilibrio…ubbidienza alle leggi spartane…ripeteva tra
sé Gorgo, in continuazione, disperatamente. Sentiva i passi di Leonida volgerle
le spalle, sentiva che la sua unica speranza, il suo unico contatto con il
mondo, il suo mondo, scompariva pian piano. Stava per afferrare, con
riluttanza, la mano del sacerdote, ma una voce raggiunse i presenti. Leonida si
fermò sull’orlo del tempio, agghiacciato. I sacerdoti sussultarono e si volsero
tutti su uno stesso punto, tutti sulla ragazza adagiata sul terreno. Gorgo vide
le labbra rosse della ragazza muoversi e da esse
uscire una voce né maschile né femminile.
– Gli dèi…non vogliono ciò – udirono
tutti. L’oracolo sollevò il busto, in ginocchio, come sorretta da braccia
invisibili. Reclinò in avanti il capo, poi lo portò in avanti, osservando con
occhi vuoti gli Efori, poi Gorgo.
– Tu…hai un destino
diverso…attendi l’alba…questa non è la tua via…il figlio del leone…e la figlia
del lupo…attendi l’alba…questa non è la tua via…mia signora… - sussurrò poi,
con più vigore, alzando il tono della voce. Alla fine cadde a terra, immobile,
il viso rivolto verso di loro.
Gorgo corse verso di lei, con la necessità di soccorrere quella
giovane che non aveva nessuna colpa, se non quella di essere bellissima. Il suo
cammino fu bloccato da un braccio di un Efore che la strinse a sé, impedendole
di fuggire.
– Hai venticinque anni, vero? Ma non fa nulla, sei ancora giovane
e bella! Sei comunque una donna, una creatura debole e fragile! Avrai bisogno
di protezione! Resterai con noi, come tributo della città agli Efori! – esclamò
ridendo, tastandole il viso, il seno, i capelli. Gorgo, prima ancora che
Leonida potesse intervenire, lanciò una testata all’Efore che indietreggiò
dolorante. Gorgo tornò libera e guardò con disprezzo l’Efore:
- E’ ovvio che non conosci le donne Spartane! – rispose pacata,
portando indietro la lunga chioma nera. Leonida l’osservò e sorrise tra sè.
L’oracolo aveva ragione: sembrava proprio un lupo, con quel suo sguardo fiero e
crudele, la lunga chioma scura, il viso tagliente, il corpo flessuoso ma forte.
- No, tu rimarrai con noi! – gridò furioso un secondo Efore che si
avvicinò velocemente a Gorgo, le mani protese e gli occhi desiderosi di
piacere, di lussuria, di libidine. Ma prima ancora che qualcuno potesse fare qualcosa, l’oracolo parlò di nuovo, rimanendo
sul terreno, mentre i suoi capelli era scossi da un potente zefiro divino.
- Taci, Efore!- , urlò l’oracolo, - Non
osare opporti al volere degli dèi! Avrete un altro oracolo, ma non sarà lei, né
quella che avete ora! - . Poi, volgendosi ad occhi chiusi verso Gorgo, le
sorrise dolcemente e le sussurrò nella sua mente: - Ricordati di me, Gorgo…- quindi
non proferì più nulla, svenuta.
Vi fu un attimo di silenzio, in cui gli Efori rimasero
pietrificati dal terrore e Gorgo gioiva in cuor suo. Era libera, sarebbe
tornata a Sparta! Ma che cosa voleva dire l’oracolo con “il figlio del leone…la
figlia del lupo…attendi l’alba…”? Che cosa sarebbe successo all’alba? Era
rimasta affascinata da quella fanciulla, da quella povera ragazza schiava degli
Efori. Si sarebbe ricordata di lei, anche di più.
Per quanto riguardava Leonida, era anch’egli rimasto colpito dalle
parole dell’oracolo. Aveva la sensazione che l’oracolo avesse
profetizzato loro qualcosa di importante, ma che sfuggiva ad
entrambi.Fu proprio lui che riprese
parola:
- Miei rispettosi Efori, è tempo per noi di andare. I preparativi
attendono, così come l’amore della madre di questa spartana -
. Gorgo si volse verso Leonida e sorrise, per la prima volta. Quindi si avvicinò
alla scalinata, senza degnare di uno sguardo gli Efori, turbati e scossi. Si
volse un’ultima volta verso l’oracolo, dormiente. Mi ricorderò di te, spartana…
La discesa del sovrano e della spartana fu molto più ardua
dell’ascesa.
Quando giunsero ai piedi della montagna, ansanti e graffiati, il
sole stava per nascere. Il cielo, come durante il tramonto, era tinto di rosso,
arancio e giallo, mentre le dita rosee di Aurora sollevava il mantello della
notte, illuminando con Apollo tutto il paesaggio. La neve si colorò si nuovo di rosa e arancio, i cinguettii degli uccelli
risuonavano ovunque ed una leggera brezza scherzosa cominciò a scompigliare le
verdi chiome degli alberi, la superficie dei fiumi, i lunghi capelli neri di
Gorgo.
Era un paesaggio magnifico, magico, uno dei tramonti più belli che la ragazza abbia mai visto, soprattutto dopo giorni
pieni di angosce e dolori.
– Se dovrò pensare a siano fatti i Campi
Elisi…so che sono così…- pensò, con gli occhi pieni di luce. Si accorse troppo
tardi che aveva pensato ad alta voce e si volse intorno, sperando che il Re non
fosse vicino a lei. Al contrario, l’uomo era al suo fianco e osservava anche
lui quella splendida alba.
- Solo a Sparta si ammira un’alba così bella. La neve delle
montagne si tinge di rosso, così come gli steli di grano, appena fuori dalla città. La bianca pietra degli edifici si colora,
come coperta da un magnifico mantello di porpora e oro. Il tempo si ferma per un
attimo e gli anziani sospirano, pensando a quanti affanni porti un giorno,
mentre i giovani ardono dalla voglia di allenarsi in questo nuovo giorno. Che
si pensi alla morte o alla vita, alla gioia o alla
sofferenza, questo è un giorno di vita per Sparta…la nostra Sparta…- sussurrò
l’uomo, facendo quasi piangere di commozione Gorgo per quelle splendide parole
che descrivevano in breve la bellissima e gloriosa città. Vi fu un attimo di
silenzio, poi Leonida si volse verso la strada che conduceva a Sparta. Osservò
il terreno ed alcune impronte nella terra secca.
– I miei uomini sono tornati a Sparta già da tre ore, almeno. Andiamo
– annunciò portando lo scudo dietro la schiena. Gorgo annuì e in silenzio lo
seguì, non più a capo chino ma ammirando ancora i pochi resti dell’alba. Per
questo non vide un sasso davanti il suo cammino, per questo inciampò. Per non
cadere a terra, afferrò il mantello rosso di Leonida che, colto di sorpresa,
scivolò. Entrambi caddero goffamente in una grossa pozzanghera, sporcandosi.
Gorgo rimase immobile nell’acqua sporca, terrorizzata dalla
reazione prossima del Re. Questi si volse verso di lei, infangato in viso. Si
osservarono per qualche istante, poi all’unisono scoppiarono a ridere, osservando
i loro ridicoli visi. Cercarono di rimettersi in piedi
ma la cosa risultò assai ardua, sia perché il terreno era scivoloso, sia perché
non riuscivano a smettere di ridere, cancellando per un attimo il loro decoro Spartano.
- Scusami, mio signore, stavo per cadere e senza pensarci ho
afferrato il tuo mantello! – esclamò ridendo Gorgo, mentre afferrava la
scivolosa mano di Leonida.
- Per fortuna che non mi hai strozzato! – ribatté l’uomo, ridendo
anch’egli. Stava per riuscire a far alzare da terra Gorgo, ma alla fine i piedi
si posarono di nuovo sul fango e scivolò per l’ennesima volta, cadendo come un
sacco di patate a terra. Le loro risate aumentarono e Gorgo cominciava a
sentire i muscoli del ventre indolenzirsi per il troppo ridere. Rimasero
entrambi sul loro letto di fango, cercando di placarsi e di darsi un contegno,
ma invano.
- Chissà se mio padre vorrà abbracciarmi! – esclamò ridendo Gorgo,
osservando il cielo con i capelli affogati nel fango.
- Oh, ne dubito! – rispose Leonida sospirando. Si volsero l’un
verso l’altra, sorridendosi. Leonida le pulì vanamente il viso con una mano
sporca di fango, ridacchiando. Le sfiorò appena le labbra, la fissò negli occhi
e senza pensarci la baciò, socchiudendo gli occhi.
Una brezza gelida scivolò sui loro corpi, facendoli rabbrividire. Il
sole sorrise felice nel vedere i loro baci, mentre le candide nuvole si
affollavano per vedere i due amanti, tendendo le orecchie
quando Leonida le chiese la mano e quando lei accettò.
Quando varcarono la soglia della città, sporchi e infangati, gli
Spartani che li osservavano arretrarono perplessi e confusi. Uscì dalla propria
dimora Ebdacle, correndo verso la figlia. Si fermò di colpo, vedendola così
imbrattata. – Figlia mia…torni da una battaglia o
cos’altro?? – chiese perplesso, mentre dietro di lui gli uomini di Leonida
trattenevano a stento le loro risate. La ragazza rimase per qualche istante ad
osservare le facciate degli edifici, il pavimento di pietra, ogni singolo viso familiare ma scosso dei suoi concittadini, poi rispose: -
Sì, padre, qualcosa di simile…- inchinandosi al padre.
- Bene…ehm…mio signore, anche tu…? – chiese Ebdacle, osservando il
fango sul corpo del sovrano.
- Eh si, mio buon Ebdacle…i nemici hanno resistito a lungo, ma
alla fine li abbiamo sconfitti…In quanto a tua figlia, avrei qualcosa da dirti
– rispose in tono serio Leonida.
- Ti ha forse offeso in qualche modo, mio signore?- chiese subito
Ebdacle, allarmato. Leonida non rispose ma fece
intendere che ne avrebbe voluto parlare in privato.
- Prego, mio buon signore…parleremo nella mia dimora…forse prima è
meglio che vi laviate…entrambi…-
rispose infine Ebdacle, lanciando un’occhiata alla figlia. Quest’ultima,
insieme al Re e alla famiglia, varcò con un sospiro di sollievo la soglia della
dimora.
Uscirono dalla casa di Ebdacle quando il
mattino era nel pieno delle sue forze. Tutti gli Spartani, uomini e donne,
erano rimasti inchiodati davanti la dimora del consigliere, riempiendo tutta
l’agorà…in attesa. Di cosa? Non lo sapevano, ma
sapevano che era qualcosa di importante.
Quando Gorgo si fermò sulla soglia della dimora, lavata e con una
lunga tunica splendente, osservò con immensa dolcezza la sua città. Al suo
fianco sentiva il lento respiro del sovrano, così come quello agitato della
madre dietro di lei e quello regolare del padre. Il silenzio mattutino fu
interrotto dal leggero muovere delle vesti, delle spade, delle ceste, delle
sacche, mentre tutta Sparta si inchinava davanti a lei, a capo chino, il pugno
sul petto. Gorgo spalancò appena gli occhi neri, stupita: mai avrebbe pensato
di poter vedere una cosa simile. Tra la folla riconobbe
Filorome e alcune lacrime posarsi sulla pietra; vide la piccola Edoné era in
ginocchio, come in adorazione, ma a volte sollevava il viso per incrociare gli
occhi di sua sorella; vide Bias con un braccio fasciato ed un pugno sul petto,
in rispettoso silenzio.
Gorgo si volse verso Leonida, meravigliata. L’uomo le accennò un
sorriso e annuì appena, incoraggiandola. Gorgo sospirò e tornò ad osservare la
sua città…
Sapeva cosa doveva fare per prima cosa: doveva salvarla.
Tadan! Ci
troviamo quasi alla fine, non temete! Spero vi sia piaciuto questo capitolo
“romantico”. Laura, ti è piaciuto il modo in cui ho fatto avvicinare i due
spartani? =P Spero di sì! Spero sia piaciuto anche a tutti i lettori: volevo
che vi fosse meno romanticismo possibile e che si baciassero in una
circostanza…anormale!
Gonfiò pienamente i polmoni, socchiudendo gli occhi
Capitolo 10: sopravvivrà
Le
guaritrici correvano su e giù per la casa. Gli avevano espressamente vietato di
entrare nella camera, da dove non giungeva nessun rumore.
Il
Re era poggiato contro il muro, all’inizio del corridoio, a braccia conserte.
Avrebbe cacciato già da molto quelle donne dalla sua dimora. Come osavano
ordinargli di rimanere lì, in attesa, con le mani in mano?? Non potevano!
Eppure…
-
Mio signore – una voce lo richiamò e sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Si
volse per osservare Delios davanti a lui.
-
Delios, amico mio- sussurrò chinando appena il capo.
-
Notizie, mio Re? – chiese preoccupato l’uomo.
-
No, ancora nulla...Vanno e vengono, senza dirmi nulla – rispose serio Leonida.
-
E la Regina,
come sta? – chiese poi Delios, preoccupato.
-
Nemmeno di lei mi dicono nulla. E’ lì da ore...è una tortura! – rispose
scuotendo appena il capo, senza mostrare al suo amico le proprie emozioni.
Delios gli posò una mano sulla spalla, incoraggiandolo.
-
So come vi sentite, mio signore, vi son passato anche io per ben tre volte! E’
come se fossimo in battaglia: questi sono i minuti prima dello scontro, dove
tutto è silenzio e una cappa d’ansia sopprime gli uomini. Poi, finalmente, da
lontano, s’ode il nemico giungere e le loro grida di battaglia risuonano nelle
nostre orecchie…- rispose, annuendo alle sue stesse parole. E, come se una
battaglia si fosse trasferita lì, un grido terribile squarciò il silenzio,
raggiungendo come una lama affilata l’udito di Delios e Leonida: era sua
moglie!
Era
tentato di correre nella stanza, per accertarsi che sua moglie stesse bene, ma
la ragione e la mano di Delios lo trattennero. I suoi muscoli sembravano
vibrare dall’agitazione, dall’ansia e dalla gioia. Suo figlio stava nascendo!!!
Le grida di sua moglie, come quelle del nemico, risuonavano nelle sue orecchie.
Ascoltava quel suono che chiedeva aiuto, pietà…Strinse in pugni, non volendo
pensare al fatto che lui, per la prima volta, non poteva far nulla per lei.
L’aveva salvata da un triste destino, dagli Efori, ma non poteva salvarla dalla
natura stessa. Resisti, amore mio, ti
prego…! Non lasciarmi proprio ora, resisti!, pensò disperatamente. Ben
sapeva che il rischio di morte era alto, sia per la regina sia per il
nascituro, ma lui sperava nella volontà e nella forza di sua moglie, una delle donne
più forti di Sparta.
I
minuti passavano velocemente, ma d’improvviso le grida sofferenti di sua moglie
cessarono, lasciando spazio ad un silenzio angosciante. Leonida spalancò
lentamente gli occhi, sconvolto…non voleva pensare a ciò che la ragione gli
stava suggerendo: è morta.
Il
suo cuore cominciò però a battere all’impazzata quando di nuovo il silenzio fu
rotto, ma non dalle grida di sua moglie, bensì quelle di…
-
Mio figlio…- sussurrò incredulo.
Si
volse velocemente verso Delios che sfoggiò un grande e felice sorriso.
-
Andate, mio signore! La regina e vostro figlio hanno bisogno di voi! – esclamò
felice il soldato. Leonida si lanciò subito verso la stanza, lasciando Delios
in compagnia del Contegno Spartano. Nelle sue orecchie giungeva nitido il
pianto potente del figlio, sempre più vicino, più acuto. Bravo figlio mio, hai già ottenuto una vittoria: quella contro la
morte!, pensò gioioso Leonida. Finalmente si trovò davanti la propria
stanza e una guaritrice gli fece cenno di entrare.
Ansante,
varcò lentamente la soglia della stanza. Subito gli occhi si posarono su una
scena che gli fece morire il fiato in gola: sua moglie, la splendida e forte
regina Gorgo, era seduta sul letto, quello stesso letto dove avevano concepito
il loro figlio. Aveva le gambe distese, il volto imperlato di sudore, l’aria
stanca. Ma sulle sue labbra un dolce e materno sorriso, mentre gli occhi velati
di lacrime si posavano su un piccolo fagotto bianco che appena si muoveva tra
le sue braccia.
Il
Re avanzò, titubante e al contempo meravigliato, sorpreso, estasiato. Si
avvicinò al letto, sprofondò nello sguardo dolce di sua moglie, poi si sedette.
Allungò appena il collo, per vedere oltre i bianchi panni intorno ad una
piccola figurina rosea che, ad occhi chiusi e i pugni stretti, annusava
timidamente il profumo del mondo. Gorgo si volse lentamente verso il marito,
quindi gli porse in silenzio il bambino che gemette appena nel sentire un nuovo
profumo, quello del padre, forte, virile, potente.
-
Benvenuto a Sparta, figlio mio. Hai già ottenuto una gloriosa vittoria contro
la morte…mi aspetto che tu ottenga anche un’altra vittoria contro la vita…Mi
aspetto da te ciò che ho sempre immaginato aspettarmi da mio figlio. Il tuo
nome sarà Plistarco, principe di Sparta, nato dal leone e dalla lupa…- disse
con tono sommesso, osservando il piccolo che poi ripose nelle braccia della
moglie. La osservò di nuovo negli occhi, la regina sorrise dolcemente e posò il
capo sulla sua spalla. Solo quando le donne uscirono dalla stanza, si lasciarono
dall’ebbrezza della gioia, dell’amore, dei baci e delle carezze.
D’improvviso,
grida e passi veloci giunsero alle loro orecchie, provenienti dal corridoio.
Subito Leonida si alzò, imperioso come Zeus, mentre osservava con sguardo
tagliente alcuni membri del Consiglio che erano irrotti nella stanza.
-
Come osate entrare nella stanza mia e della mia regina, Spartani! Fuori! –
sussurrò furioso Leonida.
-
Dobbiamo condurre via il bambino, Leonida! La prova che tutti i figli di Sparta
devono affrontare, vale anche per tuo figlio! – ribatté un membro del
Consiglio, sollevando al cielo un dito. Entrambi i sovrani stavano per
ribattere, ma Plistarco li precedette e nella stanza risuonò il suo pianto
potente. Leonida abbozzò un lieve sorriso:
-
Non so se avete inteso, ma mio figlio non vuole essere disturbato dalla vostra
presenza…- disse con una lieve nota di sarcasmo.
-
Leonida, la legge è…- cominciò a rispondere con calma un altro anziano, ma la
regina prese subito parola, con il suo solito tono pacato e diplomatico.
-
Miei signori, come ogni genitore spartano, anche noi ubbidiremo alle leggi ed
esporremo nostro figlio fuori le mura della città. Tuttavia la legge dice che
ciò deve accadere solo al calar del sole, quando è buio…o sbaglio? Dunque
andate via e lasciate a me e al vostro Re ancora alcuni momenti con nostro
figlio - . Gli anziani osservarono la donna, poi il bambino, poi il Re; infine
s'inchinarono e uscirono dalla dimora.
-
Ma come osano entrare nella nostra dimora, nella nostra stanza!! Non sanno che
è sacrilegio invadere il talamo nuziale! Se l’avesse fatto un qualsiasi altro
Spartano, sarebbe già morto! – esclamò furioso Leonida, senza alzare la voce
per non disturbare Plistarco. Gorgo, sorridendo appena, gli fece cenno di
sedersi con lei.
La
Regina
posò il capo sul suo petto, sorreggendo il bambino dormiente.
-
Ce la farà…vero? – sussurrò Gorgo, sollevando poi gli occhi sul viso dell’uomo.
Leonida la osservò e le baciò la fronte, affettuosamente, poi annuì:
-
E’ nostro figlio, è figlio di Sparta, è nato sotto il volere di Eracle e di
Atena. Ce la farà…sopravvivrà….- rispose speranzoso, accennando un sorriso.
Qualche
ora dopo, quando il sole era scomparso oltre le montagne, Gorgo uscì dalla sua
dimora, pallida in viso ma piena di forze. Fra le sue braccia dormiva
Plistarco, ignaro di tutto. Al suo fianco v'era colei che qualche anno prima
veniva chiamata Oracolo, ora semplicemente Tygatera. Il Re Leonida uscì poco
dopo, ma due membri del Consiglio lo fermarono, scuotendo il capo.
–
E’ una cosa che spetta solo alle donne, signore – disse Terone, nuovo membro
del Consiglio, il più giovane ma il più influente. Leonida l’osservò per
qualche istante, poi chinò il capo, appena.
Dunque
la Regina
seguì il membro più anziano del Consiglio, Sofosanere. Giunsero fuori delle
mura, all’ingresso della città. L’aria era fredda, la notte buia, la luna una
piccola falce di luce nel cielo nuvoloso. Gorgo si morse un labbro, pregando
dentro di sé gli avi e gli dèi di salvare suo figlio.
–
Mia signora…- disse Terone, avvicinandosi a lei. Gorgo indietreggiò, stringendo
a sé il piccolo ma Tygatera la trattenne con estrema dolcezza e la osservò con
i suoi profondi occhi neri.
–
Mia signora…fatelo per Sparta…- un sussurro uscì dalla sua bocca, un dolce
sorriso si posò sulle sue vellutate labbra. Gorgo sentì le mani di Terone
posarsi su suo figlio. Fece un pò di resistenza, ma alla fine lasciò andare il
bambino che dallo Spartiato fu condotto fuori della città. Il cancello si
chiuse.
Vi prego, v'imploro, miei
antichi avi e voi tutti dèi…Ti prego, Eracle, gloria di Era, signore della
forza, magnanimo e benigno guardiano di Sparta…Ti prego, saggia Atena,
vincitrice di battaglie, padrona delle menti ingegnose….Salvate mio figlio,
proteggetelo dalla morte, dal freddo, dal pericolo. Fate che domani possa
trovarlo ancora vivo, sotto le mura,
pensò disperatamente la donna, mentre osservava la notturna natura dalla sua
stanza.
-
Mia Regina…- la voce di suo marito la richiamò alla realtà, strappandola alla
preghiera. Aprì gli occhi e si volse lentamente verso Leonida che si stava
avvicinando, senza abiti a celarle il suo corpo divino.
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Hai pregato fin troppo, mia cara regina…Gli dèi si stancheranno di sentire le
suppliche di una Spartana…- le sussurrò Leonida dolcemente, con ironia,
posandole dolcemente le mani sulle spalle.
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Lo so, perdonami, mio signore…ma queste preghiere sono di una madre, non di una
spartana…Se perdessimo Plistarco…- sussurrò Gorgo a voce pacata ma a capo
chino.
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Non lo perderemo, ne sono sicuro. Chi l’ha concepito è forte, chi l’ha generato
è altrettanto forte. Non morirà…- sussurrò Leonida stringendola a sé. Rimasero
in silenzio, osservando i campi di grano oltre le mura, le montagne innevate, i
boschi dormienti. Gorgo si volse verso Leonida e si strinse a lui, senza una
parola sulle labbra, senza una lacrima sul viso…orgoglio spartano, dignità
muliebre.
Il
mattino seguente Leonida si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi. Vide
il viso di sua moglie, china su di lui, gli occhi che brillavano di gioia e un
ampio sorriso sulle labbra. Leonida la osservò…e capì…La voce della moglie
presto lo raggiunse, emozionata e commossa.
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E’ vivo…!-
Bene, questa storia è terminata...Spero di non avervi
annoiato, né di essermi dimostrata ridicola. Si accettano, come sempre,
complimenti e critiche.