You're the star on my way

di Teikci Ni Kare Suh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Biondi col grembiule e mori col casco non vanno d’accordo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A Jane e Cornelia, che mi supportano e mi fanno ridere, anche quando tutto è orribile e noioso.
Vi voglio bene, malandrine.

 
 
Prologo
 
Sbatto la porta e la chiudo a chiave.
Mi ci appoggio e lentamente mi siedo, il viso tra le ginocchia, tenute strette dalle braccia.
Le lacrime iniziano a scorrere, ma non m’importa.
Oggi è la giornata più brutta della mia vita.
Mi alzo, apro un dei cassetti del mobile vicino a me, e prendo uno dei fazzoletti profumati di lavanda.
Mi soffio il naso piuttosto rumorosamente e un singhiozzo mi fa sussultare.
Dicono che crogiolarsi nel proprio dolore sia stupido e controproducente.
Che sia da deboli.
Mando al diavolo tutte quelle stupide dicerie e i butto sul letto, affondando la faccia nel cuscino.
Ricordo quei momenti che hanno trasformato la giornata in un inferno.
Il viso felice di papà, questa mattina, che annunciava la sua promozione, e il nostro inevitabile trasferimento a Los Angeles.
Improvvisamente il tempo si era fermato: avrei lasciato la mia amata città, i posti a me cari, i miei amici.
Non avrei più visto Jane, ne…Thomas.
Ma in un certo senso il destino mi aveva giocato un’altra sorpresa, anzi due, aiutandomi e maledicendomi allo stesso tempo.
Probabilmente si divertiva a giocare con la mia vita.
Jane mi aveva urlato contro durante la pausa pranzo, davanti a tutti, dicendomi che non potevo partire così all’improvviso, che si sentiva tradita e cose di questo tipo.
Ma cosa cavolo potevo farci?
Non avevo mica saltato di gioia per la mia imminente partenza.
Con il morale sottozero, me ne stavo tornando a casa, quando la mia vita si era trasformata in un’autentica maledizione.
Un ragazzo, il MIO ragazzo tanto per precisare, che si baciava con una biondina tutta tette e niente cervello.
Lei era attaccata a lui come una cozza allo scoglio e le loro labbra…
Altre lacrime scivolano giù sulle guance al solo pensiero.
In quel momento mi ero sentita come Hermione che vede Ron baciare Lavanda.
In poche parole: arrabbiata, gelosa e disgustata.
Certo lei non era fidanzata con lui…ma non soffermiamoci sui dettagli.
Al contrario di Hermione però, non me n’ero andata, pensando di fargliela pagare dopo.
Ero scesa dalla bici, e senza tanti complimenti l’avevo scaraventata a terra, con tale foga che i due si erano staccati, strano le labbra sembravano incollate con l’attack, e mi avevano guardata stupefatti.
Lei era sbiancata di colpo, probabilmente doveva aver inteso chi ero.
Mentre mi stavo avvicinando l’avevo riconosciuta: Violet Breen, club delle cherleeder, una delle più belle della scuola.
Inquadrata la ragazza grazie alla mia memoria fotografica, avevo rivolto la mia attenzione a lui: sembrava più calmo, ma le nocche delle mani erano bianche, da quanto le stringeva ed era rigido.
In quei momenti avevo pensato a come comportarmi e l’opzione controllo e calma, mi era sembrata una buona strategia.
Certo, buttare a terra la bici non era stata un’idea  fantastica, ma ormai era fatta.
“Thomas…”
Mi sarebbe piaciuto sputargli sul quel bel faccino che si ritrovava, ma dovetti controllarmi.
“Elizabeth…ci-ciao. Cosa ci fai da queste parti?”
Poco originale era dir poco, avevamo fatto talmente tante volte quella strada assieme.
“Beh, sai com’è…io faccio questa strada per tornare a casa.
Risposta perfetta, calma e che gli dava dello stupido.
“Ah, già”
Silenzio imbarazzante.
“Ma non mi hai ancora presentato la tua..” bel respiro “amica”.
Lui era stupito.
“Lei è, è Violet”
Avevo sorriso sorniona, ma niente convenevoli.
Poi lei lo aveva guardato
“Io, dovrei andare”
Leggero saluto e corsa veloce verso la salvezza.
I suoi occhi mi avevano guardato, il loro blu immenso che mi ero soffermata a guardare talmente tante volte mi era sembrato estraneo.
“Ti posso spiegare. Elizabeth…”
“Non hai nulla da dire. E’ finita”
E con quello me ne ero andata, ignorandolo.
Alzo il viso dal cuscino e guardo la sveglia sul comodino: le 4.36.
Non ho voglia di fare niente, solo starmene lì, apatica, immersa nella tristezza.
Acchiappo l’Mp4 dal comodino e lo accendo mentre mi metto le cuffiette.
Chiudo gli occhi e premo a caso sul piccolo schermo, scegliendo una canzone.
La musica parte, e la riconosco immediatamente.
Sorrido.
Quasi non credevo di poterlo fare in un momento del genere.
“Now and then I think of when we were togheter
Like when you said you felt so happy, you coul die...”
Piano piano mi sento la mente annebbiata e il corpo più leggero, finchè mi addormento dolcemente tra lacrime e sorrisi.
 

  
Angolo autrice
 
Lo so, forse qualcuno si chiederà a che serve iniziare un’altra ff su Josh Hutcherson, ma sapete, l’ispirazione viene e va, e non sempre su ciò che si desidera.
Spero vivamente che questo prologo vi incuriosisca e vi piaccia.
Sempre vostra,
Teikci
 
N.B.: Le musiche, film o libri nominati nella seguente storia sono per renderla più realistica e cercare di trasmettere emozioni più forti, senza nessuno scopo pubblicitario o di lucro.
Grazie per la gentile attenzione,
Teikci 

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Capitolo 2
*** Un nuovo inizio ***


Un nuovo inizio
 
Scendo dall’autobus e mi guardo in torno, cercando di fare il punto della situazione: c’è un sacco di gente, che arriva in bici, gironzola con lo skateboard o che parlotta in gruppetti più, o meno, chiassosi.
L’edificio scolastico è piuttosto imponente, una piccola scalinata porta all’ingresso, vicino al muretto ci sono i porta biciclette e accanto a delle piccole aiuole si trovano delle panchine, che sembrano essere state messe lì per caso.
Ok, Lizzy. Fai un beò respiro ed entra.

Varco il cancello, e improvvisamente mi sento vibrare la gamba, vibrazione accompagnata da musica.
Rispondo al cellulare il prima possibile, qualcuno mi sta guardando in modo strano.
Devo ricordarmi di cambiare suoneria, forse i Linkin Park sono un po’ eccessivi, o almeno di mettere in silenzioso in cellulare.
Dalla fretta non guardo chi mi chiama e rispondo, un po’ seccata.
“Pronto?”
“Ciao, piccola! Come va?”
Improvvisamente tutta la mia paura si dissolve e mi sento più rilassata.
“James!”
“Pensavi che mi fossi dimenticato di te? Dove sei? A scuola?”
“Sono appena all’entrata. Devo andare in segreteria per farmi vedere dal preside.”
“Capito. Hai fatto amicizia con qualcuno?”
“James, sono qua da appena tre giorni, e a scuola da neanche cinque minuti. Abbi un po’ di pazienza.”
“D’accordo, ma applicati.”
“Lo sai che non sono molto brava” gli rispondo con una smorfia, che lui non può vedere.
“Anzi non sono brava per niente” penso.
“Sforzati almeno un po’. Insomma , non vorrai essere l’associale della scuola?”
“Certo che no!” questa discussione sta prendendo una piega che non mi piace per niente.
“A proposito, che fine ha fatto Jane?”
Appena la sento nominare lo stomaco mi si stringe.
“James, ne dobbiamo proprio parlare?”
“Dovrai affrontare prima o poi con lei la questione. Siete tutte e due cocciute, qualcuno dovrà fare il primo passo, o non t’importa più di lei?”
“Certo che m’importa di lei!”
“E allora cos’aspetti?”
E’ mai possibile che lui abbia sempre ragione?
“Ok, appena tornata da scuola la chiamo.”
“E brava la mia sorellina!”
Sorrido.
Per quanto lui non sia il mio fratello biologico, l’ho sempre considerato come tale.
Oh, James, c’eri sempre nei momenti più difficili per me, il mio fratellone.
“Cambiando discorso, come va con Jessica?”
“Quale, la rossa?”
“Non mi dire che l’hai già scartata?”
“Ti prego, una che mi parla degli alieni per tutto il primo appuntamento e da pazzi!”
Rido divertita.
“Poverina, dev’esserci restata male”
“Niente affatto, mi ha scartato lei: non ero abbastanza strano”
“Oh, povero il mio fratellone! La tua dignità sarà a pezzi”
“Credo di poter sopravvivere”
“Non ne dubito. Ora però devo correre dentro, prima che suoni vorrei già essere dal preside. Ci sentiamo dopo, ti faccio sapere com’è andata.”
“Ok, dolcezza.”
Chiudo la chiamata e vado a spasso spedito verso l’ingresso con un sorriso ebete stampato sulla faccia.
Un lungo corridoio avanza per una decina di metri; lo percorro finché non vedo un cartello su un corridoio laterale, con scritto “Segreteria”.
La porta dell’ufficio è poco distante.
Entro, e una donna rotondetta dai boccoli biondi mi sorride radiosa
“Di cosa hai bisogno cara?”
“Sono la nuova studentessa, Elizabeth Clark.”
“Aspetta che controllo”
Si volta verso il computer e inizia a scribacchiare qualcosa.
Dopo qualche minuto, il suo viso s’illumina
“Oh, eccoti qui! Elizabeth Clark! Ti sei trasferita qui da poco.”
Non era una domanda.
“Si, vengo da una cittadina vicino a Huston”
“Lontanuccio”
“Già” le rispondo con un mezzo sorrido, prendendo dei fogli che mi porge.
“La tua classe è  la terza porta a destra del prossimo corridoio.”
“Grazie mille”
Sto per farle una domanda quando lei mi precede
“Non serve che vai dal preside, sta tranquilla. Non è necessario”
Grazie al cielo, una rogna in meno.
“Allora, grazie ancora”
“Buona permanenza!”
Esco dalla segreteria e mi avvio piano verso la mia classe, mentre do un’occhiata ai fogli che ho in mano.
Il primo è un foglietto piuttosto piccolo e pieno di numeri:
 
Studente: Elizabeth Clark
Classe: 3C
Armadietto n°784
Combinazione 643787
 
Mi guardo attorno e mi accorgo solo ora che il corridoio principale è pieno di armadietti.
Mi volto verso quello più vicino e guardo il piccolo numero stampatoci sopra: 750
Vado un po’ avanti: 760…770…780, 781, 782, 783, 784!
Lo apro.
L’anta all’interno e pieno di materiale colloso: probabilmente il suo precedente proprietario aveva attaccato qualcosa con dello scotch e poi se l’era ripreso.
Per il resto però sembra a posto.
Mi accorgo però di un piccolo oggetto nell’angolo a destra e lo prendo: è una collana con qualche piuma e un dolce teschietto celeste.
Driiin!!!!
Chiudo, con troppa foga, l’armadietto e corro verso la mia nuova classe mentre ficco la collana nello zaino.
Entro e noto che nessun alunno è già entrato.
C’è solo un uomo vicino alla cattedra, quasi certamente un prof.
I capelli sono castano chiaro e corti, ma non riesco a vedergli gli occhi, perché è chino su un registro.
Sono sicura che sia sulla trentina, molto giovane.
Mi avvicino e ho la bocca aperta a metà per presentarmi quando lui si volta.
Gli occhi verdi, dolci e accoglienti, mi guardano, mentre un sorrisetto gli appare sul volto.
“Elizabeth Clark, suppongo”
“Esattamente”
Il suo sorriso si allarga ancora di più e mi porge la mano.
“John Boots, professore di inglese”
Gli stringo la mano.
“Piacere di conoscerla.”
“Presto arriveranno anche i tuoi compagni, intanto puoi sederti lì. Vicino alla finestra in terza fila”
Yeah!!!!
In terza fila, e per di più vicino al termo!!!!
La giornata sta piano piano migliorando.
Sfoggio il più caloroso sorriso che ho e lo ringrazio.
Mi accomodo al mio nuovo posto e tiro fuori un po’ del materiale.
Qualche ragazzo entra e saluta il prof.
Certi mi guardano, ma solo per un attimo.
Dopo appena cinque minuti la classe è già al completo, a parte il banco vicino a me.
“Bene, ci siamo tutti!”
“Manca Rose, professore”
Il prof. guarda nella mia direzione e il suo volto assume un’aria divertita e spazientita allo stesso tempo.
“Beh, non possiamo aspettarla oltre…”
SBAM!!!
La porta si apre con uno scatto improvviso che ci fa sobbalzare tutti.
La ragazza apparsa sulla soglia è appoggiata sulle ginocchia e ha il fiatone.
E’ vestita in modo bizzarro: un maglione verde acqua troppo grande, i pantaloni rossi rimboccati alle estremità e degli scarponi gialli.
I capelli sono bianchi ossigenati, con un ciuffo rosa che copre la fronte alla ragazza; quando alza la testa per parlare noto che ha gli occhi grigi e brillanti, attorniati da un trucco piuttosto scuro ma che le dona.
“Mi…scusi…prof.”
“Rose, è la ventesima volta nel giro di quattro mesi”
“Non se ne perde una, prof.” le risponde sorridendo lei.
Lui ricambia il sorriso e le indica il posto.
“Su, siediti, così potremo iniziare la lezione.”
Lei mi raggiunge e si siede, lasciando cadere pesantemente la cartella.
Mi saluta con un cenno del capo e io faccio lo stesso.
Poi si volta, gli occhi grandi e la bocca aperta
“Ma tu sei quella nuova!”
A voce un po’ più alta e ti avrebbe sentito la California intera.
“Stavo appunto per presentarla, Rose” aggiunge il professore “Ti prego, Elizabeth, raggiungimi qui alla cattedra.
Perché? Odio questo genere di cose.
“Bene, ragazzi. Questa è Elizabeth Clark, la vostra nuova compagna.” Incrocia le braccia, mi guarda “Raccontaci qualcosa di te”
Ok, ce la posso fare.
“Ciao a tutti. Io, beh, vengo da Micheston, un piccolo paesino vicino a Huston. Mi sono trasferita qui a Los Angeles a causa del lavoro di mio padre.”
Silenzio, tutti mi guardano.
“C’è tanta differenza da lì a qui, vero?”  mi domanda un ragazzo della seconda fila.
“Parecchia. Qui c’è tanta confusione. Ero abituata a posti calmi e silenziosi, ma non è così male”
“Dicci cosa ti piace”
Mi volto: questa volta è stata Rose, la mia strana e curiosa compagna di banco.
“Adoro leggere e ascoltare musica, ma anche suonare il piano e…cantare”
I suoi occhi si illuminano e mi guardano estasiati.
“Direi che può bastare. D’altronde non devi vedere l’ora di andare al posto” m’interrompe il prof.
Io lo assecondo e vado al mio posto, mentre lui inizia la sua lezione.
 
***
“Ma quanta roba ti sei presa!”
Gli occhi di Rose mi guardano stupiti.
“E’ un po’ troppo?”
Lei mi guarda e cambia completamente espressione
“Se per te non è troppo, allora va bene. Solo che di solito nessuno prende molto da mangiare”.
“E come mai?”
“Non lo so. Ma anch’io ho i mei momenti da fame cosmica, don’t worry.”
Le sorrido riconoscente.
“E’ che la mia mensa non era un granché e c’era molta meno scelta.”
“Allora è perfetto”
Ci dirigiamo verso un piccolo tavolo con due sedie e iniziamo il nostro pranzo.
“Allora, cos’era quel club di canto e ballo di cui mi parlavi?”
Gli occhi le si illuminano come a lezione e inizia a raccontarmi
“E’ un club meraviglioso! Devi entrarci! Facciamo spettacoli di ballo e canto, e abbiamo dei professori simpatici e bravissimi. Non puoi dirmi di no!”
“I membri sono tutti come te?” dico ridendo.
“Oh, no. Sono più normali, tranquilla.” Mi risponde ridendo anche lei “Alcuni…” aggiunge sottovoce.
Le lancio un’occhiata di disapprovazione, a cui lei risponde con una sonora risata.
Anche se la conosco da poco, so già di adorare Rose: quel suo fare spigliato, strano e divertente, mi fa sentire a mio agio.
Ma ciò che mi piace di più di lei, è la sua assoluta indifferenza, perciò che pensa di lei la gente.
“Devo avvertirti  però” mi dice improvvisamente con fare grave.
Il mio volto si fa serio e preoccupato.
“Rispetto a cosa?”
Mi si avvicina con fare circospetto.
“C’è una profonda e micidiale rivalità tra il club di canto e ballo e quello di …”
“Di?”
“Recitazione!!”
Sospiro.
“Mio dio, pensavo di peggio! Credevo un club, che so…di pugilato!”
“Sono anche una brava attrice! Sono fiera di me stessa” dice con fare soddisfatto e ci manca poco che non le rovesci addosso l’aranciata.
“Cosa ne pensi?”
“A proposito di cosa?”
“Del nostro affascinantissimo professore di inglese!”
“E’ molto bravo. Meglio sicuramente degli altri.”
“Si, ma non è super fico? Insomma un Indiana Jones, solo più figo e dolce!”
La guardo mentre mangio il mio panino con cotoletta
“Ti rendi conto che ha almeno vent’anni più di noi, ed è un professore?”
“Sono dettagli insignificanti per me”
“Si, insignificanti.”
“Comunque sono quindici”
“Cosa?”
“Ha quindici anni più di noi”
Mi avvicino e faccio per spingerla giù dalla sedia mentre lei ride a crepapelle
Finito il pranzo portiamo indietro i nostri vassoi e facciamo una passeggiata fuori.
Il sole splende luminoso e non una nuvola ricopre il cielo, nonostante sia dicembre.
“E’ bello qui”
Rose mi guarda
“Si è molto bello. Adoro passeggiare, soprattutto quando è freddo e non c’è nessuno a disturbarmi”
Continuiamo ancora un po’ a camminare, fino a quando lei non mi rivolge una domanda che mi stupisce
“Cos’è che ti rende triste, Elizabeth? Perché hai gli occhi così tristi?”
La fisso sconvolta.
Non mi sarei mai aspettata una domanda del genere, almeno non il primo giorno di scuola.
Non vedendomi rispondere, capisce e mi sorride malinconica
“Scusa, sono stata troppo diretta. Ne parleremo più avanti, se vorrai”
La guardo riconoscente.
“Grazie.”
In quel momento i rintocchi dell’orologio sull’ingresso ci fanno tornare alla realtà
“Dovremo andare, tra dieci minuti inizia la lezione”
Annuisco e c’incamminiamo verso l’ingresso.
Quando raggiungiamo le scale vengo assalita da una nube di fumo e inizio a tossire.
Mi sento quasi soffocare e l’odore è nauseabondo.
Sento delle risate dietro di me e mi volto: un gruppetto di ragazzi della nostra età ridono sguaiatamente.
Quello più vicino a me stringe una sigaretta, dev’essere stato lui a mandarmi quel fumo in faccia.
Lo guardo con un’occhiata assassina e lui mi si rivolge ridacchiando
“Ops.”
Gli altri ridono ancora più forte.
“La piccola si è offesa” riesce a biascicare uno tra le risate.
Piccola?
Piccola lo dici a tua madre!
“Sei un disastro Ryan!”
“Che ci vuoi fare? Sono fatto così” risponde il ragazzo con la sigaretta.
Rose si fa avanti
“Potresti almeno chiedere scusa. Hutcherson”
Pronuncia quel cognome con disprezzo, come fosse qualcosa di estremamente ripugnante.
I ragazzi ridono.
Il volto di lui s’incupisce
“Vattene, Smith. Nessuno ti ha chiesto niente”
Rose sta per rispondergli quando la campanella suona.
“Su Smith, va. Non vorrai arrivare in ritardo come tuo solito” la incalza.
Probabilmente lei potrebbe sputargli in faccia, ma la fermo.
“Andiamo, Rose. Arriveremo in ritardo e poi non voglio perdere altro tempo con questi idioti”
Entriamo, mentre i ragazzi ci ridono dietro.
“Perché non hai lasciato che li sistemassi.”
“Erano tanti e noi solo due, e poi cosa avresti voluto fare, picchiarli?”
“Era un’opzione”
Sorrido leggermente.
“Non pensare che sia una vigliacca, ma non avevo voglia di attaccar briga proprio il primo giorno”
“Giusto, hai ancora cinque mesi per farlo”
Ridiamo di gusto ed entriamo in classe.
Mentre inizia la lezione mi rivolgo a  Rose
“Ma com’è che tu conoscevi quel…quel Hutcherson”
“Beh, è molto famoso e fa parte del club di recitazione, davvero non lo conosci?”
“No, perché, chi è?”
“Chi è? Ma, è Josh Ryan Hutcherson!”
 
 
Angolo autrice
 
Ecco a voi un altro capitolo, spero sinceramente che vi piaccia.
E’ comparso subito Josh!!!! Credo che ne sarete soddisfatte. è.è
Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate e recensite!!!! Vi prego è importantissimo per me :D
P.S. Il paese dove viveva Elizabeth, nella realtà non esiste.

 

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Capitolo 3
*** Biondi col grembiule e mori col casco non vanno d’accordo. ***


Josh Hutcherson.
Quel nome continua a gironzolarmi per la mente, senza dirmi niente di niente.
Avrei dovuto conoscerlo?
Evidentemente  per Rose, si.
Peccato che non avesse potuto dirmi di più, visto che il prof. aveva minacciato interrogazione a chiunque avesse parlato.
Eravamo andati in laboratorio di chimica e fatto qualche esperimento, di cui non ricordo neanche le sostanze usate.
Le due ore erano passate in fretta, ma mi sentivo già male pensando alla marea di compiti da fare.
Varcata la porta di casa, mia madre mi assale con voce ansiosa
“Allora, com’è andata?”
“Mamma, ti prego. Fammi almeno riprendere fiato.”
Vado in cucina, tiro fuori una bottiglia di aranciata e ne bevo un bicchiere.
Mi sento sfinita, e siamo solo all’inizio.
“Ho conosciuto una ragazza, si chiama Rose. E’ molto simpatica”
Mia madre mi sorride compiaciuta.
“E i professori come sono?”
“Oh, il professore d’inglese è molto bravo, ma il prof. di chimica è….”
E così inizio a raccontarle di tutto, come sono i compagni, i prof più antipatici, quelli lunatici e così via.
Dopo mezz’ora salgo in camera mia, getto la cartella in un angolo e mi butto sul letto.
Mi rilasso completamente e mi sento meglio.
Sento la tasca che vibra e tiro fuori il cellulare.
Ho un messaggio di James
James: Spero che la giornata sia andata bene :D
Scusa se non ti chiamo ma sono al lavoro, mi raccomando studia.
Il tuo Fratellone.
P.S. Chiama Jane.
Cavolo, me n’ero quasi dimenticata!
Dovevo assolutamente chiamare Jane.
Ma cos’avrei dovuto dirle, e come?
Fisso intensamente il cellulare, quasi pensando che possa darmi una risposta.
Chiamarla o non chiamarla, chiamarla o non chiamarla?
“Chiamala, scema! Avresti già dovuto farlo prima, senza la richiesta di James!”urla una vocina nella mia testa.
Le do ragione, perciò afferro il cellulare e scelgo nella rubrica il profilo Jane.
Lo porto all’orecchio e aspetto.
Qualche secondo e parte la segreteria telefonica.
“Salve questa è la segreteria telefonica di Jane Evans! Al momento sono occupata nel difficile studio dell’ozio, perciò non posso rispondere. Lasciate un messaggio!”
Bene, perfetto!
Arrabbiata mi infilo la giacca, prendo le chiavi ed esco.
“Lizzy, dove vai?” urla mia madre.
“A fare un giro nei dintorni, non preoccuparti”
Cammino lentamente per sbollirmi un po’.
Miseriaccia, e adesso quando ritrovo il coraggio di chiamarla?
“Non sarà mica questo il problema? Devi solo ritrovare il telefono libero” interviene la vocina.
Si, grazie, la fai facile tu.
Intanto ripasso a mente la lezione d’inglese, tanto per tirarmi più avanti.
Beh, dopo inglese mi sarebbe rimasto da fare storia e scienze.
Vago per le strade ancora un po’, immersa nei ricordi.
Mi viene in mette di tutte quelle volte che mi ero sentita triste, quando ero al mio paese, e correvo al bar dello zio Jack a strafogarmi di ciambelle alla Homer Simpson e frappè al cioccolato.
Certo la mia linea non faceva i salti di gioia, ma era un problema sul quale cercavo di riflettere il meno possibile: vedere quanti chili hai preso dall’ultima volta che ti sei pesata, come vedere il credito residuo nel telefono, è una di quelle cose che ti rovina come minimo la mattinata.
Poi altri ricordi.
Quando ero giù, lui c’era sempre.
Tom.
Scaccio il suo viso dalla mente, ma un groppo mi sale alla gola e devo sedermi su una panchina lì vicino, per calmarmi.
Liz, keep calm, non pensarci, è solo un brutto ricordo, non ti mancherà di certo?
Ovvio che non mi manca…no.
Ma chi voglio prendere in giro?
“Datti una svegliata! Ehi, devi riprenderti. Non vorrai rimanere uno zombie per colpa sua?”
E riecco la vocina seccante.
Penso a cosa risponderle, e nel mentre comprendo che sto letteralmente dando i numeri se mi metto a litigare con una voce che è frutto della mia immaginazione, quando  il mio sguardo viene attirato da qualcosa: un piccolo locale che assomiglia a una scatola di sardine, in mezzo ai grattacieli e agli enormi edifici di Los Angeles.
Qualche tavolo fuori, una luce soffusa proviene da dentro e un’insegna al neon che dice “New Paradise”.
Non so perché, ma mi ispira ed entro.
Forse perché sembra talmente fuori posto in questa città così grande…un po’ come me.
Mi siedo su una delle sedie alte vicino al bancone e richiamo l’attenzione della cameriera.
“Si?” mi domanda con una voce che sembra sia appena tornata dal regno dei morti, mentre mastica una mentina che purtroppo non sminuisce il puzzo di fumo del suo alito.
“Un frappè al cioccolato, per favore” dico trattenendo il fiato.
Pago e aspetto il mio frappè, osservando il posto.
Ci sono vecchi poster della coca cola appesi alla parete, un’immagine di Capitan America e un jukebox.
Mi sembrerebbe di essere negli anni cinquanta, se non fosse per l’enorme televisione appesa all’angolo che trasmette una partita di baseball.
Arriva il mio frappè e mi metto a guardare la partita per distrarmi un po’.
Il battitore fa due strike, ma riesce a colpire la terza palla e inizia a correre.
Mi protendo in avanti, senza accorgermene, interessata al tiro: il giocatore in seconda base parte come un razzo e arriva alla casa base, ma il battitore rischia troppo ed è out.
Arriccio le labbra con disappunto e mi rimetto dritta sulla sedia.
Sento una risatina alle mie spalle e mi volto: due splendidi occhi verdi che sembrano smeraldi mi abbagliano, mentre mi guardano divertiti.
Alto, biondo, i capelli scompigliati e un sorriso mozzafiato: è la fotocopia di Pettyfer, solo un po’ più grande e i contorni del viso più dolci.
“Che c’è da ridere?” riesco a balbettare, con meno convinzione, anzi forse proprio senza, di quanto avrei voluto.
Il cameriere-Pettyfer continua a ridacchiare, mentre lo guardo indispettita.
“Avevi una faccia. Non credevo che ad un’adolescente interessasse il baseball”
“Beh, è così” e gli faccio la linguaccia, pentendomene subito.
Dio, che infantile!
Ora penserà che ho seri problemi mentali.
Cerco di non badargli e mi concentro sul frappè.
“Com’è?”
Alzo gli occhi e vedo che il cameriere-Pettyfer si sta rivolgendo a me.
“Buono, non male”
“Guarda che potrei offendermi”
Gli sorrido.
“Io sono Daniel”
“Elizabeth”
Mi osserva concentrato, e questo non mi piace per niente.
“Che succede?”
La domanda mi coglie di sorpresa e non riesco a coglierne il senso, almeno non appieno.
“In che senso?”
Daniel ridacchia, come se la sapesse lunga.
“Hai un’aria talmente…afflitta. Che è successo?”
Lo fisso negli occhi e mi sento così tranquilla e fiduciosa che in due minuti è al corrente di tutto.
“Però. Un bel po’ di problemi”
Sorrido mestamente “Già”
Silenzio.
“Sai, mi sembro uno di quegli uomini lasciati dalle mogli, che si ubriacano e si confidano con il barista. Sono messa così male?”
“In effetti hai la stessa espressione depressa di quegli uomini. Con la differenza che tu sei sobria”
Ci scambiamo uno sguardo divertito.
Una piccola sveglia suona e Daniel volta di scatto la testa verso l’orologio dietro di lui.
Sono le cinque in punto.
Si leva il grembiule e si infila il giubbotto bordò appeso vicino alla porta della cucina.
“Ci vediamo domani, Ester”
L’altra cameriera gli fa un cenno con la mano senza staccare gli occhi dalla tv.
Il rumore della cannuccia che tira su a vuoto mi risveglia.
Daniel mi guarda.
“Hai qualcosa da fare?”
Non so cosa rispondergli, ma poi mi dico che è meglio non correre troppo.
“Beh, è meglio che torni a casa. Non vorrei che mia madre si preoccupasse troppo”
Lui annuisce comprensivo.
“Dove abiti?”
“Flower Street”
Un’aria pensierosa compare sul suo volto, ma dopo poco si illumina.
“Io devo andare da un ferramenta, ma Flower Street mi porta un po’ fuori strada. Se vuoi ti accompagno per un piccolo tratto”
E perché no?
“D’accordo”
Lui sorride raggiante e usciamo dal locale, mentre tre moto parcheggiano lì davanti.
Daniel si ferma e s’irrigidisce, il viso scuro e serio.
Poi lo vedo apparire, sorridente e, lo devo dire ragazzi, con un fisico da urlo.
Hutcherson.
La giacca di jeans è aperta su una maglietta bagnata, probabilmente sudore (bleah!), appiccicata al petto di Hutcherson e si vedono i muscoli…
Levo lo sguardo e mi concentro sul viso che è serio e guarda nella nostra direzione.
Si avvicina e noto solo allora quanto sia basso: arriva alle spalle di Daniel ed è leggermente più alto di me.
“Price”
“Hutcherson”
Poi un sorrisetto appare sul suo viso.
“Vedo che hai cambiato lavoro. Di nuovo”
Le mani di Daniel si stringono in pugni e le nocche diventano bianche, ma lui non reagisce.
“Cosa sei venuto a fare qui?”
“Sai com’è, adoro le torte che fate qui…commissioni materne”
Sorride ancora con quel ghigno che mi da sui nervi.
“Ricordati che mi devi una partita a basket” dice.
Mi guarda e non riesco a capire cosa gli passi per la testa.
Vedo curiosità, nervosismo e…rabbia.
Boh, chissà che pensa.
Hutcherson entra coi suoi amichetti e noi restiamo soli fuori.
“Ti dispiace se non ti accompagno? Voglio restare un attimo solo”
“Oh, si fai pure. Don’t worry. Ci vediamo”
Guardo all’interno del locale e vedo Hutcherson che ci guarda.
Anzi, mi guarda.
Saluto Daniel con la mano e mi allontano.
La voglia di camminare mi passa e perciò prendo un taxi.
Entro in casa e corro immediatamente in camera mia.
Storia e scienze non sono poi così difficile e quando sono all’ultima domanda sul calcolo di non so che dello zinco in reazione alla quantità di un certo materiale, mia madre mi chiama.
“Elizabeth, scendi!”
E ora che cosa vuole?
Scendo stancamente le scale e trovo in soggiorno mia madre in compagnia di una donna bionda e dall’aria allegra e un ragazzetto magro di circa 11 anni.
“Eccoti finalmente” mi rimprovera mia madre “Questa è mia figlia Elizabeth” dice, voltandosi verso gli ospiti.
La bionda si alza e, con aria affabile, mi porge la mano.
“E’ un vero piacere conoscerti. Benvenuta a Los Angeles.”
Click, lampadina.
Quelli dovevano essere i vicini.
Mi appiccico sulla faccia un sorriso che spero sembri sincero.
“Grazie”
Poi guardo il ragazzino, che sembra cerchi di non incontrare il mio sguardo e fissa il pavimento.
La bionda allora me lo presenta.
“Questo è mio figlio Connor”
Lui mi guarda e cerco di sorridergli cordialmente, ma il ragazzino abbassa lo sguardo.
Credo sia piuttosto imbarazzato.
Insomma, non posso essere così repellente.
Mia madre colma il silenzio
“Anch’io ho una figlia più piccola, come le accennavo prima, Cornelia. Ma ora è fuori a lezione”
L’altra coglie la palla al balzo sorridente.
“Davvero! E’ meraviglioso pure io ho un figlio maggiore, credo che abbia la stessa età di Elizabeth. Forse lo conosci, cara”
“Come si chiama?”
Domando curiosa.
“Josh”
Quel nome fa nascere in me una strana sensazione…
“Allora, lo conosci?” mi domanda mia madre.
“Non saprei, qual è il vostro cognome?”
“Hutcherson. E’ Hutcherson”
Qualcuno prima o poi mi dovrà spiegare perché il destino ce l’ha con me.
“No, non lo conosco” mento.
Dlin dlon.
Il campanello.
Mia madre e la signora Hutcherson si lanciano uno sguardo d’intesa che non promette nulla di buono.
La porta viene aperta da mia madre e qualcuno, che però non riesco a scorgere, entra.
“Eccomi! Lei dev’essere la signora Clark. Piacere di conoscerla”
Mi si gela il sangue.
“Ho portato una torta. Spero non le dispiaccia” continua il nuovo arrivato mentre entrano in soggiorno.
“Niente affatto, Josh” gli risponde mia madre al settimo cielo.
La signora Hutcherson si alza e va ad abbracciare suo figlio.
“Finalmente sei arrivato. Ti devo presentare assolutamente la figlia della signora Clark. Elizabeth”
Lui si dirige verso di me, il sorriso luminoso, gli occhi da bambino e il fare un po’ impacciato.
Ma non ci mette molto a riconoscermi e il volto si fa serio e risentito.
“Tu qui?”
 
 Mi raccomando, recensite! <3
 
 

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