Knight of kindred spirits

di LiquidScience
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black Firebird ***
Capitolo 2: *** Red Light ***



Capitolo 1
*** Black Firebird ***


L’aria serale scuoteva le foglie degli alberi posti a distanza regolare lungo il marciapiede che costeggiava la strada, mentre nel parcheggio quattro passanti (tra cui una donna) camminavano stretti nel loro cappotto. C’erano solamente tre auto ferme, una Dodge charger blu, una Ford Mustang gialla e una Pontiac Firebird nera, parcheggiate come le caselle nere di una scacchiera.
Chi sono io? No, non sono l’uomo con in mano la busta colma di spesa e nemmeno quello che sta fumando un sigaro davanti a una lavanderia. Io sono quella Firebird nera parcheggiata.
Sembra incredibile che una macchina possa parlare, eh? Tipico di voi umani.
Io sono la voce del supercomputer Knight Industries Two Thousand, il mio numero di serie è Alpha-Delta-227529 e sono stato programmato per preservare la vita umana.
Ma potete semplicemente chiamarmi KITT.
Lavoro, insieme al mio pilota Michael Knight, per la Fondazione per la Legge e il Governo, per fare un esempio di facile comprensione siamo dei paladini della giustizia: combattiamo il crimine e difendiamo i deboli e gli oppressi. Molti di voi non mi conosceranno, cosa alquanto probabile. Sono l’auto più tecnologicamente avanzata, non un fenomeno da baraccone.
Dalla porta di un negozio uscì un uomo alto, capelli castani e ricci e occhi azzurri, indossava un giubbotto in pelle nera, una camicia rosso vivo e un paio di jeans grigio-nero.
“KITT, vieni a prendermi” disse alzando l’orologio da polso all’altezza della bocca.
Io mi metto in moto e lo raggiungo. Ecco un’altra delle mie funzioni: l’Auto cruise, il pilota automatico.
Non appena mi fermo, apro la portiera e il mio pilota entra, prendendo i comandi.
“Bene, amico, anche questa missione è fatta” annunciò Michael come se avesse appena terminato un compito in classe.
“Hai già programmato qualcosa?” chiesi. Avevo in memoria qualcosa da fare, ma volevo prima verificare i suoi piani.
“Beh, veramente no. Pensavo di chiedere a Bonnie di uscire”
Bonnie è il mio tecnico, controlla e ricalibra minuziosamente i miei sensori dopo ogni missione.
“Michael, lo sai benissimo che declinerà. Perché voi umani insistete così tanto anche se sapete già di ottenere un rifiuto? È fatica sprecata”
“Forse per voi computer sì ma per noi umani no. Tentar non nuoce”
“Avrei qualcosa da dire a riguardo. Per esempio…”
“KITT”
“Sì, Michael?”
“Sta’ zitto”
Michael era molto simpatico e gentile, ma era anche molto, molto testardo.
Ma gli voglio molto bene anche per questo: lavorando con gli esseri umani ho capito che non sono solo i pregi, ma anche i difetti che li rendono unici e speciali.
“Come vuoi, Michael”
Seguirono dieci minuti di completo silenzio, fatta eccezione per il rumore delle ruote contro l’asfalto e qualche raro “bip” dei sensori.
Il mio pilota allungò la mano per accendere la radio.
“Ehi, come mai non funziona la radio?”
Io non risposi. Mi aveva ordinato di stare zitto.
“Puoi anche rispondere, adesso”
“Costringendomi a tirare fuori dal fossato quella jeep hai danneggiato il mio circuito Alpha, a cui è connessa la radio”
Quelli, insieme ad altri, è stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita.
Michael emise un lamento e portò per un attimo gli occhi al cielo.
“Ah, sei robusto, indistruttibile, salti oltre 40 piedi da terra e ti danneggi per quelle piccolezze?”
“Michael, io sono solo una macchina, non un carro attrezzi”
“KITT, tu sei unico” disse mutando improvvisamente da un’espressione scocciata a una sorridente.
Non capivo il motivo di tale cambiamento. Ah, gli umani!
Dopo tre minuti e mezzo, giungemmo in vista di un camion nero che correva ad andatura sostenuta, la Base Mobile. Il portellone del rimorchio si abbassò in corsa, permettendoci di entrare.
Spento il motore, Michael scese.
“Ehi, ciao Bonnie!”
“Ciao Michael”
Era talmente concentrata a lavorare su un gruzzolo di vecchi circuiti da salutare frettolosamente, seduta dietro un tavolino all’interno del camion e reggendo in mano un piccolo saldatore e un paio di pinze.
“Cosa stai facendo?” chiese Michael.
“Niente che ti riguardi” rispose freddamente Bonnie.
“Verresti fuori con me questa sera, quando hai finito?” le sussurrò.
“No, Michael. Ho del lavoro da fare, a differenza di qualcuno” disse il tecnico scocciata e agitando pericolosamente in aria un cacciavite a stella.
“Nemmeno solo per questa sera?”
“Nemmeno solo per questa sera”
Sconfitto, Michael probabilmente decise di abbandonare. Ma sono sicuro che ci proverà ancora.
“Buonanotte Bonnie, Buonanotte KITT” disse, varcando la porta che portava a un’altra sezione del rimorchio con delle brandine.
“Buonanotte Michael” dissi io.
“Buonanotte Michael” mi fece eco Bonnie.
Bonnie lavorò ai circuiti fino a mezzanotte. Confrontai l’ammasso con tutti i modelli della mia banca dati, uno ad uno, circuito dopo circuito, per capire di cosa si trattasse e anche per ingannare il tempo.
Il tecnico lottava disperatamente di tenere gli occhi aperti e per rimanere sveglia.
“Bonnie, i miei sensori rivelano una tua instabilità dovuta alla stanchezza”
“No, KITT. Ce la faccio”
“Ti consiglio di andare a dormire. Domani sarai più fresca e riposata, una mente lucida lavora meglio”
“Già, hai ragione. Buonanotte”
“Buonanotte, Bonnie”
Dopo che anche lei se ne fu andata, rimasi da solo insieme alle mie ricerche.
All’una e venti di notte, trovai una risposta. Il circuito che Bonnie stava riparando era molto sofisticato, corrispondente per il 94,3% a un solo tipo nella mia ricca banca dati:
Il mio.

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Capitolo 2
*** Red Light ***


Bonnie si alzò presto quella mattina e si mise subito a riparare i miei circuiti Alpha, prima che Michael si svegliasse.
“Ecco fatto, KITT!” disse il meccanico chiudendo il vano sotto il cruscotto da dove si poteva accedere ai circuiti e scendendo dall’abitacolo.
“Grazie, Bonnie. Non so cosa farei senza di te” dissi io.
“Probabilmente saresti dallo sfasciacarrozze, visto la cura con cui ti tratta Michael”
Detto questo, scosse la testa sorridendo e ricominciò a lavorare sull’ammasso di circuiti.
La parola ‘sfasciacarrozze’ mi irritò i circuiti. Ci sono stato una volta in quel posto e mi è bastata.
Michael aprì la porta e si stiracchiò.
“Buongiorno, Michael!” lo salutai io.
“Oh, beh svegliato!” disse Bonnie.
“Buon giorno anche a voi. Cosa stai facendo?” disse Michael, avvicinandosi. Quando vide quello a cui il meccanico stava lavorando, emise un debole ‘ah’ e guardò altrove, distraendosi.
“Bene, KITT. Andiamo a fare colazione?”
“D’accordo, Michael. Traccio un percorso per il punto di ristoro più vicino”
“Bonnie, tu non vieni?”
“No grazie, non ho fame”
“Non ho visto RC prima, che fine ha fatto?” disse il mio pilota prima di salire. Bonnie fece cenno di non saperlo.
“RC si è addormentato sul sedile della Base Mobile e non si è ancora svegliato” risposi prontamente io.
Reginald Cornelius III, detto comunemente RC, è l’autista del camion ma a volte approfitta un po’ troppo del pilota automatico e finisce per guardarsi la televisione o addormentarsi. A parte questo, è un umano simpatico. E non lo dico solo perché ha dato man forte a Bonnie per ripararmi, l’anno scorso.
Michael sorrise, entrò e mi mise in moto. Bonnie aprì il portellone del rimorchio e uscimmo.
 
Poco dopo ci fermammo in un bar. Michael parcheggiò su uno dei 15 posti liberi e scese.
“Ah, a proposito: KITT, quanto hai di autonomia?”
“Considerando l’andatura media, la probabilità e la velocità del vento contrario, l’aumento dei consumi causato dal tuo vizio di tenere sempre aperto il finestrino e…”
“KITT!” mi interruppe Michael.
“62,15 miglia”
“Beh, allora dopo faremo un saltino al distributore”
Oh, no! Il distributore no!
“Oh, Michael! Non si potrebbe tornare alla Fondazione e fare il pieno con il mio carburante?”
“Eh dai, KITT! Sei mai morto?”
“Due volte, ma solo per cause esterne”
“Ecco, vedi? Rimani lì e fai il bravo” concluse Michael avviandosi verso il locale.
Io rimasi lì, apparentemente tranquillo, ma in realtà tormentato dal pensiero di passare il pomeriggio a spurgare il serbatoio.
 
Dopo sei minuti di totale calma, i miei sensori captarono un paio di ragazzini che camminavano tra le auto. Le osservavano bene, una ad una, come se fossero nel parcheggio di un autoconcessionario.
Quando passarono vicino a me, uno dei due si fermò. Indossava una maglietta rossa di almeno due taglie più grande, jeans blu e un berrettino dello stesso colore della maglia. Anche l’altro indossava un paio di jeans, ma aveva anche un giubbotto dello stesso materiale e una maglietta bianca.
“Toh, guarda questa!” disse quello con la maglietta rossa indicandomi.
“Wow, che forza! Guarda dentro!” rispose l’altro.
Non avevo oscurato i vetri, per cui si vedevano tutti gli interni. Normalmente lo faccio solo se devo parlare con un essere umano che non mi conosce.
Quello con il giubbotto in jeans provò a scassinare la serratura, inutilmente. Nessuno ci è mai riuscito, figuriamoci un ladruncolo da quattro soldi.
Ma io ero comunque eccitato: se qualcuno tenta di rubarmi vuol dire che ho valore, sia estetico che effettivo.
“Niente da fare. Proviamo con quella lì?” disse infine il ragazzino, indicando una Mustang nuova fiammante.
“Sì, è anche molto più nuova e bella di questa qui” concluse il secondo ragazzino, andandosene via con il primo.
E così, tutto il mio entusiasmo scemò così come era venuto.
Dopo un tempo apparentemente interminabile il mio pilota uscì dal bar.
“Michael…”
“Cosa c’è?” chiese lui, entrato nell’abitacolo.
“Secondo te io passerò di moda?” dissi con un tono forzato.
“Eh? In che senso?”
“Nel senso, diventerò mai un modello superato, da museo?”
“Come ti saltano in mente cose simili, KITT? Tu sei insuperabile! Vedrai, anche fra trent’anni tutti ti adoreranno”
“Lo spero proprio, Michael”
“Anche perché sei l’unico della tua specie. Come te, non c’è nessuno”
“Grazie, Michael”
Il viaggio verso la sede della Fondazione continuò tranquillamente, il ronzio del motore e quello degli pneumatici sull’asfalto erano gli unici rumori che rompevano il silenzio della strada.
La Base Mobile era tornata alla F.L.A.G. (la Fondazione) mentre Michael era a fare colazione.
Io e il mio pilota entrammo nel garage, dove c’erano anche Bonnie e RC che stavano lavorando al solito ammasso di circuiti circondati da grandi macchinari all’avanguardia, potenti due o tre volte un normale computer anni ottanta che si trovi comunemente in giro.
“Siete arrivati giusto in tempo, stiamo per accenderlo” annunciò Bonnie con un sorriso stampato sulle labbra.
“Cos… Bonnie, ma sei impazzita?”
“No, Michael. Questa volta credo di avercela fatta”
Bonnie fece un cenno a RC, che attaccò una spina.
Delle lucette si accesero dentro una scatola, affianco all’ammasso di circuiti.
Tutti rimasero col fiato in sospeso.
“Questa è la voce del Knight Automated Roving Robot,  primo prototipo delle Knight Industries. Sono il prototipo della macchina del futuro”
Non avrei mai creduto di sentire di nuovo quella voce agghiacciante, cupa e fredda.
Quello era KARR, il mio prototipo. Fu disattivato ancora prima che io fossi costruito, a causa di un gravissimo errore di programmazione: era programmato per l’autodifesa e poteva diventare pericoloso.
Infatti, la prima volta che fu riattivato erroneamente da due barboni ha seminato il caos, disturbando la quiete pubblica e cercando di fare una rapina. Io e Michael abbiamo fatto in modo che cadesse da una scogliera, sperando di eliminare la potenziale minaccia.
E invece, due anni dopo fu ritrovato su una spiaggia da un passante,  che lo liberò dalla sabbia e lo riparò completamente. KARR minacciò più volte quel ragazzo e la sua fidanzata e li manovrò a suo piacere come delle pedine per preparare una trappola. Per me.
Contrattando in modo da non lasciare feriti, con uno scontro frontale distruggemmo quel prototipo una volta per tutte. Almeno, era quello che credevamo.
“Sono riuscita a cambiare la programmazione principale del suo sistema, è stata dura ma… KARR, come stai?” disse Bonnie, guardando a turno tutti i presenti, compreso me.
“I miei circuiti non sono soggetti a nessun stadio emotivo” rispose KARR, freddamente.
“KARR…” dissi io, a stento.
“Chi sei, tu?”
“KARR non ricorda nulla di tutto quello che è successo dopo esser stato disattivato la prima volta” informò Bonnie coprendo un piccolo microfono collegato alla CPU del mio prototipo.
“Io sono la Knight Industries Two Thousand, il tuo modello definitivo”
“Impossibile. Io sono l’unico della mia specie”
“Eccolo che ricomincia…” disse Michael tra sé, sospirando.
“Quanti siete? Perché non riesco a vedervi?” chiese KARR con un tono vagamente confuso.
“Non ho ancora collegato i tuoi sensori visivi. Io sono Bonnie, il meccanico che ti ha riattivato”
“Ti ringrazio per avermi riportato alla vita”
“Beh, io sono Michael Knight, il pilota di KITT” disse Michael, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro.
“Knight? Sei un parente di Wilton Knight?”
Wilton Knight è il genio che ha creato me e KARR e salvato Michael in fin di vita.
“No… non proprio” rispose Michael sorridendo.
Il suo vero nome era Michael Long, cambiò nome per questioni burocratiche dopo essere stato salvato da Wilton.
“E visto che siamo in vena di presentazioni e io non ho detto parola fino ad adesso… piacere, sono Reginald Cornelius III, RC per gli amici” disse RC guardando i circuiti sul banco da lavoro.
“Perché mi avete riattivato?” chiese KARR, dopo qualche secondo di attesa.
“Perché vogliamo darti una seconda possibilità” rispose Bonnie, incrociando le braccia.
“Allora, è un piacere conoscervi”
 
***                       
 
Quella notte rimasi in garage, come ero solito fare. La stanza era completamente buia, rischiarata a tratti dalla luce rossa del mio scanner.
“KITT, sei tu?” disse KARR ad un certo punto, illuminando il mucchio di circuiti di una tenue luce gialla.
“Sì, KARR, sono io”
KARR aveva certamente sentito il rumore del mio scanner.
“Qual è la tua disposizione strutturale esterna?”
“Come la tua”
KARR non era sempre stato nero e bianco con lo scanner color ambra: all’inizio era tale e quale a me.
Seguirono quattro minuti di silenzio, durante i quali nessuno dei due osò parlare.
“Quindi tu una mia replica”
“Non esattamente. Tu sei un prototipo pieno di difetti, io sono un modello definitivo eccellente”
“Comunque sia, rimani comunque una pallida copia dell’originale”

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