THUNDERSTORM - The rain won't let me go

di 6PinkLady6
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** THUNDERSTORM - Parte Prima ***
Capitolo 2: *** THUNDERSTORM - Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** THUNDERSTORM - Parte Prima ***


Spero vi piaccia e buona lettura. <3
-----------------------------------------------------------------------------------*Angolo della Scrittrice*---------------------------------------------------------------------------------

«Aspettami Ritsu!»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Avevi detto che saremo tornate a casa insieme, ricordi?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusami Sawa, ultimamente ho la testa fra le nuvole»
Amicizie indissolubili.
«Lo vedo» disse la mora evitando che l’amica finisse contro un palo. «Oggi che facciamo?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Mi dispiace, ma fra un’ora ho lezione di piano. Oh, mi scusi» disse la ragazza con i capelli castani.
«Carino vero?» fece Sawa.
«Gli avrò fatto male?»
«Guarda che vi siete solo urtati. E poi è stato lui a venirti addosso.»
«No, è stata colpa mia... non guardo mai dove vado.»
«Su, su. Non è successo niente» la confortò Sawa strofinandole dolcemente la testa. «Piuttosto… credo tu abbia fatto colpo, se no per quale motivo l’avrebbe fatto?»
«Dici? Beh a me non piace» disse affrettando il passo.
«Ma dico, l’hai visto? Alto, robusto, moro, occhi verdi!» replicò Sawa.
«Non mi piace. Punto e basta» concluse Ritsu abbassando il volto.
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«Però sai, ho preso la scossa quando ci siamo toccati; come un brivido lungo la schiena.»
Futuri incerti.
«Vedi? Siete nati per stare insieme.»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Non intendo lasciare la mia vita in mano al destino.»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Un giorno dovrai affrontarlo, sai?» disse Sawa.
«Sì, come no. Uffa, ora devo correre altrimenti perdo il treno. Ci vediamo domani, ciao!» disse Ritsu iniziando a correre.

Dalla scuola alla stazione c’era almeno mezzo chilometro in salita da fare, il marciapiede era stretto e pieno di buche, ogni due cancelli c’era sicuramente un cane ad aspettare che passassi per esibirsi nel suo miglior abbaio e le macchine sfrecciavano vicinissime al marciapiede senza curarsi dei pedoni, il che non era un gran problema, purché non fosse periodo di pioggia e non fosse pieno di pozzanghere. Aggiungeteci che i treni partivano ogni venticinque minuti, quarantacinque minuti buoni per arrivare a casa e un impegno fra meno di un’ora, e avrete davanti agli occhi il motivo per cui Ritsu era di cattivo umore, arrivata al binario sud, non trovando il treno ad aspettarla, bagnata fradicia sia di sudore sia d’acqua, con il cuore a mille, i lunghi capelli scompigliati e una scarpa slacciata.
Ritsu odiava quella scuola, non ricordava neppure perché ci si fosse iscritta, forse per stare insieme alla sua migliore amica. Erano sempre state insieme, fin dall’asilo, e non sopportava l’idea di doverla perdere alle superiori; ecco perché aveva rinunciato alla scuola di musica per il liceo linguistico, anche se odiava le lingue.
Odiava tutto di quella scuola, dalle materie ai professori, dalla struttura all’ubicazione.
L’unico periodo dell’anno in cui era possibile apprezzare quella zona era la primavera. Quando tutti i ciliegi fiorivano e iniziavano a perdere i loro petali, e tutta la via si trasformava in una distesa rosa, quando anche se dovevi correre non sudavi e se le macchine correvano non ti schizzavano.

Ritsu si lasciò cadere a terra, disperata. Avrebbe sicuramente fatto tardi per la lezione di piano e Sarah si sarebbe di nuovo arrabbiata con lei. Non poteva neanche avvertirla, perché non aveva soldi al telefono. Se ne fece una ragione e si preparò il miglior discorso della sua vita da presentarle una volta arrivata a casa.
Mentre aspettava il treno si diede una sistemata ai capelli e ai vestiti cercando di tirarne fuori la maggior quantità d’acqua possibile. Tirò tutto fuori dalla borsa e strizzò anch’essa, si riallacciò le scarpe e rimise tutto al suo posto. A casa avrebbe dovuto prendere il phon e asciugare tutti i libri, l’astuccio, il diario e il vocabolario di greco… due scatole!
 Il cellulare nella tasca del giacchetto si mise a squillare e Ritsu non riuscì a trattenere un urlo di spavento. Inutile dire che tutti ora la osservavano attentamente. Per rispondere dovette combattere contro le mani bagnate e il telefono che voleva cadere a tutti i costi.
«Pronto!» urlò, ormai senza pazienza, appena fu in grado di premere il pulsante giusto, dopo aver schiacciato tutti gli altri.
«Ritsu! Dove sei? Ti sento malissimo»
«Mamma! Non ti sento!» urlò di rimando. Intorno a lei tutti ridevano, ma non capiva perché. «Mamma! Sono alla stazione! No, non in punizione! Stazione!»
«Oh, mi scusi». Una voce maschile, dopo averla urtata. Le prese il cellulare dalla mano, gli fece fare un giro di 180 gradi e glielo restituì. Dopodiché se ne andò come se nulla fosse.
«Ritsu! Mi senti?»
«Sì» rispose con la testa altrove. Era il ragazzo col quale si era scontrata all’uscita di scuola.
«Dove sei? Sarah è già qui»
«Scusa, ho… ho perso il treno» le gambe le iniziarono a tremare. «Dille che farò tardi. A dopo» e chiuse la comunicazione prima che le potesse rispondere.
Era in preda al panico. Il ragazzo la guardava di tanto in tanto. Non sapeva cosa pensare, quando finalmente arrivò il treno. Scesi i passeggeri, si affrettò a salire e a occupare un posto. In questo bisognava essere velocissimi, perché i posti liberi sparivano in un batter d’occhio. Sulla banchina si vedono studenti stremati e lavoratori di tutte le età senza più un briciolo di forza; poi, arrivato il treno, addio stanchezza, gli s’illuminano gli occhi, improvvisamente le loro menti si focalizzano su un unico pensiero: “Devo trovare un posto”. Appena si aprono le porte non fanno neanche scendere i passeggeri, gli piombano addosso, gli passano fra le gambe… è una lotta all’ultima sedia. Dopo mezz’ora di treno asfissiante, dove dopo cinque minuti rimpiangi di esserci salita per quanto possono puzzare quelli che ti stanno intorno, Ritsu arrivò alla sua fermata.
Uscita dalla stazione, aveva smesso di piovere e il sole, ormai in procinto di scomparire, faceva capolino fra le nubi. Stormi di uccelli uscivano dai nidi e si libravano in aria, piccoli puntini neri su uno sfondo arancione.

Casa di Ritsu era situata su una collina e aveva solo un vicino di casa, anziano per giunta. Insomma la sua era la casa dei sogni di qualunque ladro: villa tre piani, soffice giardino senza animali da guardia, zona isolata dal resto del mondo, vicini inesistenti. Ritsu odiava anche la sua casa, perché non c’era attività lì intorno, tutto morto, e poi era distante anni luce dalle sue amiche. La “casa dei vecchi” la chiamava. Nome azzeccato giacché i suoi genitori avevano una certa età e che era figlia unica.
Stava per aprire il cancello, quando fece retromarcia e girò dietro la casa per entrare dall’apertura nel muretto che si era creata anni prima per evadere di notte. Non le andava di incontrare Sarah e di beccarsi il cazziatone appena messo piede dentro, meglio mettersi in ordine e risistemare la borsa prima, poi avrebbe affrontato la sua insegnate.
Davanti al buco grande come una porta, si bloccò di colpo e alzò gli occhi al cielo. Lì, avvolto da un blu oltremare, fluttuava un fiocco di neve; forse era una goccia d’acqua, o un chicco di grandine, oppure… no, non era nulla di tutto ciò. Nel cielo non c’erano più nuvole, era impossibile che fosse qualcosa composto d’acqua.
Da lontano sembrava grande come il palmo della sua mano, ma in realtà non era più grande di un pollice. Aveva la forma di un diamante e i riflessi della luce brillavano sulla sua superficie liscia. Si preparò a prendere lo strano “oggetto” come si aspetta che un fiocco di neve si posi sulla mano.
Appena il diamante sfiorò la sua pelle, scomparve. Avete mai visto un video, un documentario o una ricostruzione di come esplodono le stelle? Se non lo avete ancora fatto vi consiglio di andarlo a vedere, perché è proprio in quel modo che il diamante scomparve tra le mani di Ritsu.
Appena il diamante esplose, Ritsu notò qualcosa di diverso nel buco nel muretto. Si era formato come un muro invisibile ma visibile allo stesso tempo, come uno strato di sapone.
Incuriosita, si avvicinò e allungò la mano per toccarlo. Il cuore le batteva fortissimo, non aveva mai visto niente di simile, era sicura che Sawa non le avrebbe mai creduto se glielo avesse raccontato.
Appena prima di riuscire a toccarlo, il velo di sapone esplose in silenzio e scaraventò Ritsu un metro indietro col sedere a terra. Il contenuto della borsa si sparpagliò per terra, ma per la prima volta nella sua vita, rimetterlo a posto era l’ultimo dei suoi pensieri. Come una calamita al ferro, era attratta a quello che prima era sapone ma ora acqua. Nell’alzarsi cadde due volte e c’era una qualche entità superiore che non le permetteva di restare in piedi. Alla fine dovette gattonare per avvicinarsi allo specchio d’acqua.
Era veramente fantastico. Nel vero senso della parola. Era una cosa fuori dall’ordinario, irreale. Un muro d’acqua cristallina, sottile come un foglio, perfettamente incastrato nel buco del suo recinto. Come fosse un altro cancello.

«Ritsu Downpour. 16 anni, giusto?» chiese un ragazzo alle sue spalle.
«Quasi diciassette veramente» rispose lei in tono allegro girandosi per vedere con chi stesse parlando. «A-a-a-a-a-ancora tu! Chi sei? Che vuoi? Come conosci il mio nome? N-non sarai mica uno stalker!» gridò in preda al panico riconoscendolo.
Fece per aprire la borsa e prendere il cellulare, quando si accorse di averla lasciata a terra insieme a tutto ciò che conteneva.
«Ti ho osservata a lungo, Ragazza della Pioggia, in attesa di questo momento» disse indicando qualcosa dietro di lei. Vedendo che non capiva, agitò più volte la mano, poi le fece segno con gli occhi, con la testa, ma niente.
«Lo specchio d’acqua» disse spazientito dopo un minuto. Il volto di Ritsu s’illuminò come se si fosse appena ricordata qualcosa che non avrebbe dovuto dimenticare.
«Lo specchio d’acqua!» ripeté lei con euforia. «È una cosa stupenda vero? Avresti dovuto vedere il cristallo che mi è esploso fra le mani!»
Il ragazzo si stupì nel vedersi trascinare per mano davanti suddetto specchio. Giorni e giorni di sudore nella preparazione e stesura di un discorso che avrebbe fatto impallidire un professore di letteratura, spazzati via in pochi minuti da questa ragazza.
«E sta proprio nel buco del muretto di casa mia, sembra fatto apposta! Ora però come entro senza farmi beccare da Sarah? Io non l’ho ancora toccato, vuoi farlo prima tu?»
Continuò a parlare con entusiasmo di quello che era successo. Arrivò a parlare di Sawa, di come si erano incontrate, del liceo, della sua famiglia… Insomma andò avanti per un quarto d’ora. A un certo punto si bloccò di colpo, imbarazzata abbassò lo sguardo sulle loro mani ormai intrecciate e lasciò la presa di scatto allontanandosi di mezzo metro.
«Scusa, mi dispiace tanto. Giuro che non l’ho fatto apposta. Oddio che vergogna» disse Ritsu prendendosi il volto tra le mani.
«Huthor-sama»
«Cosa?»
«Il mio nome, idiota!» esclamò irritato. «Mi stai stremando» sussurrò mimando un forte mal di testa.
«Huthor...»
«Ho detto Huthor-sama! »
«Ah! E che differenza c’è scusa? Io credevo fosse il cognome. E poi non c’è bisogno di gridare!»
«Si dà il caso che io sia un principe e…» iniziò lui tutto serio.
«Ah- Ahahahahah!» sbottò lei. «Ma non mi dire! Un principe! Ahahahah, scusa ma non riesco a smettere… di ridere… una volta che inizio» disse asciugandosi le lacrime.
«Come dicevo…»
«Un principe! Scusa, non rido più, promesso» disse cercando di assumere un tono serio.
«Da dove vengo io si usa suffissare il nome dei nobili»
«E –sama sarebbe…»
«Il suffisso in questione» concluse Huthor.
«Scusa, ma è inutile» disse Ritsu facendosi scappare una risata.
«È un fatto di rispetto. I comuni cittadini non possono permettersi, anzi neanche sognare, di chiamarci solo per nome! Anche in Giappone usano fare così. Non posso credere che non lo sapessi!»
«E tu come fai a sapere tutte queste cose?»
«Diciamo che ho viaggiato parecchio»
«Immagino tu possa permettertelo.»
Huthor andò a riprenderle la mano e la portò davanti allo specchio d’acqua.
«Ehi, ma che fai!» esclamò Ritsu cercando di liberarsi dalla sua presa ferrea.
La sistemò al centro dello specchio, si spostò dietro di lei e le mise le mani sulle spalle.
«Cosa vedi?» le sussurrò gentilmente all’orecchio.
«La mia casa circondata dal giardino» rispose Ritsu, impassibile.
«Non guardare dall’altra parte del buco, guarda nell’acqua» la incoraggiò.
«Ma lo sto facendo!»
«Non è vero, altrimenti vedresti quello che vedo io: il nostro riflesso. Io, te e la pioggia tutt’intorno» concluse Huthor bonariamente prima di mettersi fra lei e lo specchio. «Vieni con me» disse porgendole la mano.
Questo ragazzo la stordiva, non lasciava trasparire nulla di ciò che pensava. Le rivenne in mente la conversazione che aveva avuto con Sawa, poche ore prima. Non poteva credere che tutto questo stesse accadendo a lei. Il cervello le diceva di non fidarsi, di non lasciarsi portare chissà dove da chissà chi; ma al cuor non si comanda, lui l’avrebbe volentieri seguito in capo al mondo. Ecco perché decise di afferrare quella mano molto più grande e forte della sua.
Vide Huthor toccare delicatamente la superficie dello specchio d’acqua con la mano libera e passarvi attraverso. Lo vedeva ancora, non era sparito. Non poté pensare altrettanto della sua casa però, quella si era volatilizzata nel nulla.
«Ho paura» balbettò Ritsu ancora aggrappata al suo misterioso compagno.
«Non ti preoccupare, ci sono qui io» disse tirandola un po’ verso di sé.
Ritsu posò la mano libera sul pelo dell’acqua, fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e passò dall’altra parte.

-----------------------------------------------------------------------------------*Angolo della Scrittrice*---------------------------------------------------------------------------------
Prima parte finita. Vi prego di farmi notare eventuali errori. Onegaishimasu *si inchina*
Grazie ancora per la visita. BaCi
 

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Capitolo 2
*** THUNDERSTORM - Parte Seconda ***


Ci ho impiegato un po' perchè ero impegnata a fare dei ritratti su commissione. Mi scuso per il ritardo e per le continue modifiche.
-----------------------------------------------------------------------------------*Angolo della Scrittrice*---------------------------------------------------------------------------------

«Benvenuta su Shinki» enfatizzò Huthor, «Ragazza della Pioggia.»
Ritsu riaprì gli occhi e gli lasciò la mano per potersi guardare intorno. Lo specchio d’acqua si richiuse dietro di lei emettendo un sibilo e non poté fare a meno di chiedersi come sarebbe tornata indietro. D’altro canto non è che lì fosse poi tanto male. Il terreno rifletteva il cielo come uno specchio riflette la propria immagine. Non capì come fosse possibile fino a quando Huthor non mosse qualche passo: acqua. Al posto della terra c’era l’acqua, un’immensa distesa d’acqua.
Una leggera pioggerellina stava iniziando a bagnarla, ma non ci fece caso: era così bello guardare le gocce cadere e infrangersi a contatto col suolo. Si accovacciò e immerse le mani a coppa per portare un po’ di quell’acqua alla bocca. Beh almeno non sarebbe morta dissetata: quell’acqua era dolce. Tutt’intorno c’erano grandi alberi che sembrava raggiungessero le nuvole grigie che coprivano il cielo, i loro tronchi avevano la circonferenza grande come una casa e le loro foglie più piccole erano grosse come una Smart. Nessuno di quegli alberi aveva frutti, quindi o non era stagione o non li davano affatto, però erano abitati da strani animali. La flora lì intorno non si limitava agli alberi. C’erano anche cespugli e alberelli a statura d’uomo le cui foglie erano grandi come un ombrello. Un’altra assenza di cui non si accorse immediatamente era il vento. Tutto era immobile, l’acqua non era increspata, le foglie non erano cullate dall’aria e la pioggia cadeva senza variazioni direzionali.
Huthor strappò una foglia dall’arbusto più vicino e tornò da Ritsu.
«Questa ti proteggerà dalla pioggia» disse porgendogliela.
«Ehi guarda quant’è carino quest’uccello! Lo posso tenere?» disse ignorando il suo “ombrello” e mostrandogli un uccello multicolore grande come un canarino che le si era posato sulla spalla.
«Quella è una specie rarissima e in via d’estinzione, dove l’hai trovato?»
«È stato lui a venire da me. Lo posso tenere?» disse imitando la voce che fanno i bambini quando vogliono assolutamente qualcosa e cercano di comprarsi i genitori.
«Lascialo andare e se ci segue di sua iniziativa va bene, altrimenti no»
«Grazie!» urlò abbracciandolo. «Hai sentito Jill? Puoi restare!» gridò rivolta all’uccello.
«Non puoi dargli un nome se non sai nemmeno se ti seguirà. Aspetta, sei certa che sia una femmina?» disse guardando meglio l’uccello. «E che razza di nome sarebbe quello comunque?»
«E quanto borbotti Huthor! È femmina per forza, non vedi il portamento? Già il fatto che ha scelto la spalla sinistra invece che la destra la dice lunga» disse mettendosi alla sua sinistra e imitando una sposa.
«Ti ho detto che mi devi chiamare…»
«Huthor-sama» finì la frase Ritsu facendogli il verso.
«Comunque, la vuoi questa foglia o no?» chiese mettendogliela davanti agli occhi.
«E tu?»
«Io ci sono abituato a questa pioggia, ma se non la vuoi...»
«Grazie mille per l’ombrello» disse strappandogliela dalla mano e iniziando a camminare.
«Come pensavo» disse Huthor sorridendo.
Non c’erano sentieri da seguire, bisognava farsi strada tra la vegetazione e visto che Ritsu non sapeva dove andare, lasciò passare avanti Huthor.
«Certo che… stavo pensando che io non so nulla di te, neanche il tuo cognome. Perché mi sei venuto addosso davanti scuola? Perché mi hai seguito fino a casa? Perché me? Hai visto lo specchio d’acqua nel mio muro e non ti sei sorpreso. Voglio dire… io non credevo ai miei occhi, pensavo di essere impazzita, avevo una fifa cane, ma tu ci sei entrato senza paura. E una volta qui, non ti sei nemmeno guardato intorno meravigliato, come se fosse tutto normale. Quando mi hai detto di essere un principe non ti ho dato ascolto; insomma, chi ci avrebbe creduto? Ma ora voglio sapere. Sei apparso così all’improvviso che ho paura tu possa svanire altrettanto in fretta, e lasciarmi sola in questo strano posto. Quindi voglio sapere» disse Ritsu.
Stava pochi passi dietro la sua guida e camminava con la testa bassa ed entrambe le mani aggrappate allo stelo.
«Wow» disse Huthor fermandosi. «È la prima volta che ti sento seria, quasi non ci credo»
«Smettila di prendermi in giro!» gridò Ritsu lasciando cadere la foglia e iniziando a prenderlo a pugni sulla schiena. «Non ti sopporto!»
Huthor si girò e le afferrò i polsi. «Nemmeno io» disse guardandola negli occhi. «Scherzo» aggiunse scherzoso lasciando la presa e strofinandole la testa affettuosamente. Aveva notato che aveva gli occhi lucidi e non voleva vederla piangere. Recuperò la foglia caduta e riprese il cammino camminando accanto a Ritsu, in modo da proteggere entrambi dalla pioggia – anche se ormai erano fradici.
«Cosa vuoi sapere di preciso?» chiese Huthor.
Questa domanda ridonò a Ritsu il buon’umore e la spensieratezza che aveva prima.
«Chi sei? Dove siamo? Dove stiamo andando? Perché camminiamo sull’acqua? Come fanno a crescere le piante se non hanno le radici? E… Ah sì! Perché non c’è vento?»
«E che sei oh! Una per volta!»
«Ehi Huthor, Jill ci segue. Vedi?» disse Ritsu indicando un ramo poco distante da loro.
«Povero uccellino, avere un nome del genere…» sussurrò Huthor. «Ehi aspetta, come mi hai chiamato? Ah non fa niente. Chiamami come ti pare» disse commiserandosi.
«Non rispondi alle mie domande?» chiese Ritsu.
«Ok. Allora… Mi chiamo Huthor Outburst, quarta dinastia; credo ormai tu abbia capito che abito qui. Ti ho detto che sono un principe ma credo che presto diventerò re, giacché mia madre è morta quando ero piccolo e che anche mio padre sta per lasciare questo mondo»
«Mi dispiace»
«A me no. Mia madre non c’è mai stata per me e mio padre non lo conosco granché, mi ha solo insegnato a prendere in mano le redini del nostro regno.» Prima di proseguire fece una pausa per ricordarsi quale fosse la seconda domanda. «Siamo su Shinki, il mio pianeta. So che questo nome significa “i tre grandi tesori”, ovvero la spada, i gioielli e lo specchio»
«Ho capito, ho capito!» lo interruppe Ritsu, tutta eccitata. «I gioielli sono tipo quella cosa che mi è esplosa in mano, lo specchio è… beh ci siamo passati attraverso e ci stiamo camminando sopra, e la spada…»
«La spada è una leggenda» concluse Huthor.
«Mi piacciono le leggende!»
«Non ora. Comunque, non so altro su questo pianeta. Né dove si trova di preciso né come o quando è nato. L’altra domanda… Dove siamo diretti. A Sheen, la città dove dimora la mia famiglia. Si può dire che è la capitale del regno, Serene. Ce ne sono altri quattro e sono tutti più grandi e forti del mio, ma nessuno ha una densità di popolazione alta come la nostra.» S’interruppe e guardò Ritsu. «Qual era l’altra domanda?»
«Perché camminiamo sull’acqua, come fanno a crescere le piante e che fine ha fatto il vento»
«Ah sì. Tempo fa quest’acqua, questo mare dolce, non c’era. Shinki era un pianeta rigoglioso, con catene montuose e verdi distese che si estendevano per chilometri, era abitato da ogni genere di animale e la gente andava d’amore e d’accordo. Poi l’acqua è piovuta su di noi. Ha sommerso tutto. Per fortuna Dio ci ha salvati, permettendoci di camminare sull’acqua, altrimenti non oso pensare che fine avremmo fatto. Le piante hanno iniziato a crescere a dismisura, le montagne sono sparite, i fiori morti, gli animali estinti. Si sono salvate solo le specie che sanno arrampicarsi e i volatili. Il vento è sparito anch’esso, forse per permetterci di camminare su questa superficie; la vedo dura infatti camminare sull’acqua se il vento o la corrente fossero forti. Inoltre, come forse avrai notato, non ci sono stagioni definite, e non si sa mai quando è possibile trovare frutti sugli alberi, bisogna avere fortuna.»
«E cosa mangiate allora?» chiese Ritsu.
«Abbiamo scorte di frutta e di carne, ma è impossibile coltivare, quindi alimenti come pasta, cereali e ortaggi sono stati dimenticati. Credo questo risponda anche all’altra domanda. Le radici delle piante sono dove sono sempre state: sotto terra» concluse Huthor.
«Che brutta vita. Come avete fatto ad adattarvi a questo stile di vita? Io sarei morta nel giro di una settimana. Devi sapere che non sono il tipo di persona che riesce a rinunciare alla pasta o al latte; e poi la frutta mi disgusta e… non mangio carne» ammise Ritsu imbarazzata.
«Fortuna che non rimarrai qui a lungo! Scherzi a parte, cosa pensi di mangiare quando arriveremo a Serene?»
«Manderò giù qualche spicchio di mela» disse facendo una faccia disgustata. «Quello che hai detto prima mi ha fatto ricordare una domanda che volevo farti: perché me? Perché mi hai seguita e poi portata qui?»
Huthor non rispose. Abbassò il volto e si fermò.
«Che succede, stai male?» chiese preoccupata. Si accovacciò per guardarlo negli occhi e disse che non doveva per forza rispondere se non voleva, le bastava non essere lasciata sola e sapere di poter tornare indietro. Non le dispiaceva d’essere stata portata lì, le piaceva quel pianeta. «E anche i suoi abitanti» aggiunse sottovoce.
«Prometto di rispondere anche a questa domanda, ma a tempo debito. Per il momento cerchiamo di arrivare a Sheen» disse ricominciando a camminare… un po’ più veloce di prima.

Il paesaggio era tutto uguale: acqua per terra, alberi intorno e altra acqua che cadeva dall’alto. Verso mezzanotte, varcarono il confine del regno di Huthor e dopo un’ora di cammino arrivarono a Sheen. I cittadini vennero ad accoglierlo, preoccupati perché era sparito senza dire niente a nessuno. Lo informarono che le condizioni di suo padre erano peggiorate in sua assenza e che la regina Mìriel, del regno di Gloomy, era venuta a cercarlo e avrebbe passato la notte in una locanda, in attesa del suo ritorno. Ritsu non prestò attenzione al resto della conversazione o del viaggio, era troppo presa a fantasticare sulla casa di Huthor. Si aspettava di vedere il castello di Cenerentola, perciò è nomale che rimase delusa nel vedere un castello-baracca; a confronto, le case dei “normali cittadini”, come li chiamava lui, erano ville.
Somigliava alla sua casa sulla collina. L’interno però superò le sue aspettative. Era pieno di domestici e aveva due maggiordomi, le pareti erano piene di quadri e di foto di famiglia, le scale e il pavimento erano in cristallo, così come i lampadari. Huthor le spiegò che le case dei nobili erano le uniche ad avere dei pavimenti.
«Così lei è la Ragazza della Pioggia!» disse uno dei maggiordomi appena vide Ritsu.
Le si avvicinò e le strinse forte la mano, le chiese se aveva fame, sete, se doveva andare in bagno o se voleva coricarsi; la fece sedere su una poltrona e le disse che le avrebbe subito portato un bicchiere d’acqua. Huthor la prese per mano e la portò al piano di sopra, le chiese scusa per il comportamento dei domestici, le diede dei vestiti di sua madre e le disse di cambiarsi. Lui l’avrebbe aspettata fuori dalla porta.
«Perché mi ha chiamata in quello strano modo?» chiese spogliandosi.
«Poi te lo spiego con calma» disse Huthor togliendosi la maglietta.
«Sire, che sta facendo! Per l’amor del cielo, vada in bagno. Non vorrà che qualche cameriera la veda!» lo rimproverò il medico che era appena uscito dalla camera del padre.
«Non si preoccupi Alfred, è tutto sotto controllo, fra pochi minuti ho finito. E poi il bagno è occupato» rispose sfilandosi i pantaloni. «Mio padre?»
«Sempre peggio, sire. Gli rimangono poche settimane ormai»
«La ringrazio, può andare»
«Con permesso» disse piegando il capo e togliendo il disturbo.
«Era il medico?» chiese Ritsu.
«Sì. È una brava persona. Senti puoi aprire così ti passo i miei vestiti bagnati e tu mi dai un asciugamano?» chiese battendo un colpo alla porta.
«Come vuole, sire» rispose aprendola di pochi centimetri.
«Quanto ti odio quando fai così…» disse passandogli i vestiti e ricevendo l’asciugamano in cambio. Ritsu li posò per terra pensando che poi se ne sarebbero occupati i domestici, e finì di cambiarsi.
«Huthor, hai finito, posso uscire?» chiese per timore di vederlo nudo.
«Ho finito da un pezzo, io» affermò aprendo la porta.
«Non pensavo mi sarebbero andati bene» disse riferendosi ai vestiti di sua madre.
«Sono di quando era giovane» disse Huthor ammirandola in tutta la sua figura. «Le somigli, sai? Sia fisicamente che caratterialmente» disse con un pizzico di nostalgia nella voce.
Aveva i capelli lunghi pettinati in una coda di cavallo, scarpe da principessa che la alzavano di tre centimetri – il che non era male, e un vestito azzurro lungo fino alle ginocchia, con un’ampia scollatura e maniche a tre quarti. Era tutto perfetto, ma appena mosse un passo cadde a terra e Huthor dovette darle un paio di scarpe senza tacco per evitare che si ammazzasse. Lui, dal canto suo, si era messo dei pantaloni neri attillati e una giacca nera che avrebbe dovuto coprire la maglia bianca a mezze maniche che aveva sotto, ma visto che la portava sbottonata serviva a ben poco.
«Vieni, voglio farti vedere una cosa» disse Huthor scendendo al piano di sotto.
Scansò un quadro che ritraeva una ragazza che si specchiava nello stesso velo d’acqua che aveva attraversato lei alcune ore addietro, e poggiò la mano al muro. La parete indietreggiò e scivolò a destra, scomparendo. Entrarono in una stanza senza finestre dove l’unica luce era una piantana posta strategicamente in un angolo. Al centro di questa camera buia c’era un espositore con copertura in vetro; al suo interno c’era un cuscino rosso e agli angoli c’erano delle luci potenti abbastanza da illuminare l’oggetto in esposizione: un turchese grande come il palmo di una mano. Huthor le fece cenno di avvicinarsi in modo da poterlo vedere meglio e lei ne rimase affascinata, proprio come tutto di quel pianeta.
«Volevi sapere la leggenda, no?» chiese mettendosi a sedere su una poltrona accanto alla piantana. «Si dice che questa pietra sia una lacrima cristallizzata caduta dal cielo: la prima goccia che anticipò l’inondazione che seguì qualche mese dopo la sua comparsa. La leggenda dice che un giorno giungerà la persona che l’ha versata e che quando questo avverrà, tutta la natura se ne renderà conto: gli alberi inizieranno a essere mossi da una leggera brezza, gli uccelli canteranno e le acque danzeranno. Tuttavia, un evento piacevole ne porta sempre uno brutto. Infatti si narra che porterà anche tristezza, guerre, temporali… morte; ma dice di non preoccuparsi poiché porterà soprattutto salvezza. Il giorno in cui metterà mano sulla sua lacrima, essa risplenderà e si trasformerà in una spada potente, capace di mettere fine a ciò che di male ha portato. E la tristezza svanirà e le acque si ritireranno e i fiori sbocceranno, gli animali rinasceranno, le piante si rimpiccioliranno e la pioggia, finalmente, cesserà.»
«È una bellissima leggenda, ma io la chiamerei profezia, no?» commentò Ritsu ancora incollata all’espositore.
«Abbiamo smesso tanti anni fa di chiamarla in quel modo disgustoso, ormai è leggenda» disse Huthor alzandosi e uscendo dalla stanza. «Io non ci ho mai creduto.»
Ritsu lo raggiunse e andarono a cenare. Il muro si richiuse dietro di loro.

Dopo aver mangiato, Huthor la accompagnò in quella che sarebbe stata la stanza da letto di Ritsu. Prima di andare nella sua e lasciarla così riposare, la afferrò per le spalle.
«Ti prego, ti scongiuro, durante questa notte cerca di abbandonare la tristezza»
«Ma io non sono triste» controbatté Ritsu.
«Parlo di quella nascosta nelle profondità del tuo cuore. Ti prego di lasciarla scorrere via, non cercare di trattenerla come hai fatto con Jill, lasciala andare, aggrappati a qualcos’altro ma non alla tristezza. Ti prego.»
 Le scompigliò i capelli e lasciò la stanza per andare a dormire, anche se non sarebbe stato un sonno tranquillo: aveva tanto cui dover pensare.

La mattina, mentre Huthor e Ritsu stavano facendo colazione, il maggiordomo informò il principe che la regina Mìriel era seduta in soggiorno e voleva parlargli urgentemente.
«Mìriel, che ci fai qui?» iniziò Huthor scorbuticamente.
«Buongiorno anche a te principe Huthor.»
Ritsu si era fermata alla porta e guardava in silenzio. La regina era più giovane di lei, ma più alta. I suoi riccioli biondi erano annodati in una treccia fatta in fretta che ricadeva sulla spalla destra, e la gonna del vestito sgualcito aveva venti centimetri d’acqua. In quel momento non aveva nulla della regina, portamento e buone maniere a parte.
«Mi dispiace d’aver interrotto la tua colazione» disse guardando Ritsu. «Non ci presenti?»
«Mìriel, Ritsu. Ritsu, Mìriel. Contenta ora? Ciao» disse spingendola verso l’ingresso.
«Non ricordo d’averti mai vista da queste parti» azzardò liberandosi di Huthor e andandole di fronte. «Da dove vieni, straniera?»
«Da Melbourne maestà, Australia» rispose Ritsu sostenendo il suo sguardo.
«Mìriel, credo sia proprio ora che te ne torni a Darkhood» s’intromise Huthor.
«Sai perché ti ha condotto qui?» domandò con aria di sfida.
«Ora basta!» sentenziò Huthor accompagnando Ritsu all’ingresso. «Mi dispiace» le disse con aria da cane bastonato. «Perché non vai a prendere una boccata d’aria?»
Più che un invito sembrava un ordine.
«Prendi l’ombrello che trovi fuori dalla porta» le disse prima di chiudere la porta.

Incredibile, fuori ancora pioveva. Ritsu prese l’ombrello e si andò a fare un giro per la città. Si chiese come facevano le pareti degli edifici a tenersi in piedi sopra l’acqua, quale metodo di costruzione usassero lì, quale sistema giuridico avessero. Era sicura che non lo avrebbe mai scoperto... Non che le importasse più di tanto: erano solo pensieri di un’adolescente che si ritrova sola in un luogo sconosciuto e che non sa cosa fare. Per le vie c’erano molti negozi e avrebbe voluto prendere qualcosa per Sawa, ma non aveva soldi con sé.
«Oggi dovrebbe essere sabato» rifletté a bassa voce. «Domani devo tornare, altrimenti si preoccuperanno, specie Sawa. E poi c’è scuola.»
Si fermò alla vetrina di un negozio che vendeva gioielli.
«Ah, ma chi se ne frega di quella dannata scuola!» gridò senza accorgersene.
I passanti si fermarono a osservarla spaventati e allibiti.
«Scusate, ero sovrappensiero» disse prima di entrare nell’emporio.
Dentro non c’era nessuno e ne approfittò per dare un’occhiata alla merce. C’erano orecchini, collane, anelli, bracciali, orologi… tutto in vetro smerigliato.
«La posso aiutare?» si sentì chiedere alle spalle.
«No, grazie. Sto solo guardando.»
Appena lo disse fu attirata da un paio di bracciali azzurri. Erano semplici, ma per qualche ragione facevano la loro scena. Quel verde acqua le ricordava gli occhi di Huthor.
«Se è interessata, sono suoi per 56 raice» disse tornando dietro al bancone.
«Non ho soldi con me, mi dispiace» disse Ritsu avviandosi verso l’uscita. «Mi scusi, quanto ha detto che costano?» chiese voltandosi verso il commesso.
«56 raice»
«Cosa sono i raice
«Lei non sa… Vede» disse, «sono questi.»
Estrasse una moneta dalla tasca di un cappotto che stava appeso dietro di lui e le si avvicinò. La moneta che aveva in mano era d’argento e c’era incisa una goccia d’acqua abilmente dipinta d’azzurro. Era stupenda.
«Mi scusi. Se posso permettermi, da dove viene?» chiese il commesso.
«Australia»
«Allora lei è… lei è… Oh mi scusi, dovevo capirlo immediatamente» disse tornando dietro alla cassa e sfogliando freneticamente un registro. «Vediamo... 56 raice dovrebbero essere... circa 74 dollari australiani!»
«Capisco…» disse Ritsu fingendosi interessata. «Io, comunque, non…»
«Se vuole glieli posso regalare!»
«Ma io non… Davvero, non ce n’è bisogno.»
Alla fine dovette accettarli come regalo. Il commesso insistette così tanto, che non poté rifiutare, sarebbe stato scortese nei suoi confronti. Ritsu però non era affatto dispiaciuta che le cose fossero andate a finire in quel modo. Mentre faceva roteare i due braccialetti al polso, pensava che forse avrebbe dovuto darne uno a Huthor, come ringraziamento per tutto quello che aveva fatto per lei. Senza rendersene conto, arrivò in una piazzetta che aveva una specie di fontana al centro. In qualche modo erano riusciti a incanalare l’acqua del terreno in una specie di tubo verticale che la rigettava al cielo facendola ricadere al suolo a mo’ di pioggia. Si sedette su una delle tante panchine e osservò meglio i bracciali.
«Ottimo acquisto» le disse un uomo sulla trentina sedendosi accanto a lei. Aveva la barba corta e i capelli castani raccolti in una coda. «Ne darai uno al tuo ragazzo?»
«No! Come le viene in mente!» esclamò Ritsu imbarazzata.
«E allora a chi? Un’amica?» chiese persistente.
«No- Non ci avevo pensato» ammise.
«Io sono Yujin Draghum, vengo da Shudder» si presentò lo sconosciuto tendendo la mano.
«Ritsu Downpour. Piacere» disse stringendogliela.

Nel frattempo, Huthor stava ancora discutendo con la regina Mìriel.
«È per questo che non troverai mai marito! Sei troppo testarda!» stava dicendo lui.
«E tu non troverai mai moglie! Perché sei troppo cattivo!» gli urlò in faccia appena prima di pestargli un piede e spingerlo forte all’altezza del petto, facendolo cadere a terra. «Metti quella ragazza, Ritsu… Non si merita quello che le stai facendo!»
«Sei solo una bimba viziata che non sarà mai in grado di guidare il proprio regno. Non voglio perdere tempo a discutere con te di cosa sia meglio per la sopravvivenza di Shinki!» urlò rialzandosi.
«Uno che sacrifica un essere umano per “salvare il proprio pianeta”, non è degno del dono della vita e merita di morire egli stesso!» rispose Mìriel estraendo un pugnale dalla scollatura del vestito.
Gli si fiondò addosso, ma Huthor evitò la lama, passò dietro la sua assalitrice e le sfilò l’arma dalla mano. Mìriel non si diede per vinta e cercò di riappropriarsi di ciò che era suo, ma lui era più alto di lei e teneva il coltello sopra la sua testa. Dopo un po’ si diede per vinta e si lasciò cadere a terra, sfinita. Huthor iniziò a provocarla, ma a un tratto si fermò e si voltò verso l’ingresso.
 Mìriel cercò di capire cosa c’era che non andasse, ma lui non la ascoltava, aveva lo sguardo fisso nel vuoto.
«Ritsu…» sussurrò lasciando cadere il pugnale a terra. E un secondo dopo era già fuori di casa, senza neanche aver preso l’ombrello, che correva verso la piazza.
«Huthor, aspetta!» gridò Mìriel dalla porta. «Proprio non capisco cosa c’è che non va in lui» disse fra sé e sé. Riprese il coltello e gli corse dietro.

«Dove mi vuole portare?» chiese Ritsu all’uomo di nome Yujin che la stava trascinando a forza verso chissà dove.
«Questa maledetta pioggia deve finire, e se questo è l’unico modo... così sia.»
La gente che stava guardando non interveniva e Ritsu si chiese che razza di persone fossero quelle: “Vedono una ragazza strattonata da uno sconosciuto che parla in codice, e non agiscono, non chiamano aiuto... stanno a guardare”. In quel momento voleva solo tornare a casa.
«Non capisco una sola parola di quel cha sta dicendo!» urlò Ritsu iniziando ad arrabbiarsi.
«Sono quasi 17 anni ormai che piove. I nostri regni originali sono stati sommersi e siamo costretti a vivere questo schifo di vita per colpa tua! Oh, ma per la prima nella sua vita quell’incapace, il principe Huthor, ha avuto una buona idea: eliminare la causa delle nostre disgrazie, cioè te. Se tu non esistessi, il nostro mondo vivrebbe giorni felici e non di guerre e tristezza, come ora!»
«Non ti credo!» gridò Ritsu liberandosi dalla sua presa e indietreggiando.
«Beh è così. Che ti piaccia o no, sei tu la causa delle nostre disgrazie! Fattene una ragione... ragazza della pioggia.»
Ritsu abbassò il volto e iniziò a piangere lacrime amare. La folla intorno a loro si era triplicata. Il cielo si era fatto nero e la pioggia si stava calmando. Ritsu sentì chiamare il suo nome da lontano, ma non alzò lo sguardo.
«Parli del diavolo...» disse Yujin. «Principe Huthor, regina Mìriel... ma che tempismo perfetto. Sai principe si parlava di te qui» lo provocò vedendolo farsi strada fra la gente.
«Huthor» iniziò Mìriel, «non dirmi che ti sei alleato col regno di Humblehail, col re Draghum. Non dirmelo ti prego...» disse sconcertata.
«Avanti Huthor, confessa i tuoi peccati» lo incitò Yujin. «Dì a questa povera ragazza che tutto il tuo regno si sta preparando per la sua esecuzione pomeridiana, che il mio regno parteciperà all’evento e dei conflitti che quest’unico essere ha portato sul nostro pianeta.»
Un rumore lontano coprì le parole di risposta di Huthor. Tutti i presenti guardarono prima il principe, poi il cielo: la pioggia aveva smesso di cadere. Il popolo si riversò per le strade iniziando a festeggiare e a gridare di gioia. Solo i tre sovrani erano perplessi e rimasero dov’erano a guardare le nuvole che non erano sparite con essa. Huthor fu il primo a distogliere lo sguardo e a rivolgerlo a Ritsu.
Si sentì un altro rombo, questa volta più vicino. La regina Mìriel vide i capelli di Ritsu muoversi, e capì. Yujin parlava con Huthor, ma le sue parole erano coperte da una serie di boati che si susseguirono l’uno all’altro per due minuti. Huthor non faceva che guardare Ritsu con un velo di dispiacere negli occhi. Mìriel si mise a gridare agli abitanti di rientrare di corsa in casa, che lo spettacolo era finito, ma nessuno le diede ascolto.
«Ti prego Huthor, questi obbediscono solo a te. Convincili a rientrare» lo implorò la regina.
«Di che hai paura bionda?» chiese Yujin. «Non piove più, lasciali stare.»
Huthor iniziò ad avvicinarsi a Ritsu con passi lenti e indecisi.
«Non lo fare!» gridò Mìriel senza muovere un dito. «Dobbiamo allontanarci!»
Per quanto volesse farlo, alla fine la regina seguiva sempre Huthor come un cagnolino ubbidiente, specialmente in situazioni del genere. Quando furono a 50 metri dalla ragazza, Mìriel si fermò e lasciò andare avanti solo il principe suo amico. Si girò per vedere che fine avesse fatto il re Yujin, e lo scoprì seduto su una panchina a sorridere divertito. Non poté non provare un senso di disgusto per quell’uomo. Avvertì qualcosa di diverso nel suolo e cadde a terra mentre Yujin rideva di cuore. Quando la panchina gli si ribaltò non rise più. L’acqua del suolo si era increspata e ben presto iniziarono a formarsi piccole onde: aveva iniziato a soffiare il vento.
«Huthor, non toccarla!» gridò Mìriel vedendo che l’amico aveva teso la mano verso Ritsu.
«Va bene, ho aspettato troppo» disse Yujin affrettando il passo verso Huthor. «Uccidiamola.»
Fischiò con le dita e una massa di soldati s’identificò tra la folla. Uno di loro lanciò una spada al re, e insieme si diressero verso la ragazza della pioggia. Era inutile per la regina cercare di fermarli, non poteva nulla contro di loro. Huthor poggiò delicatamente la mano sopra la testa di Ritsu, lei alzò gli occhi gonfi di lacrime e lo guardò con risentimento. In quel momento un fulmine si abbatté dietro di lei e dopo altri continuarono a cadere tutt’intorno. La folla fece quello che avrebbe dovuto fare dall’inizio e rientrò in casa. Il vento iniziò a soffiare più forte e la pioggia ricominciò a cadere, più violenta di prima. Gli uccelli iniziarono a gridare da lontano, come se comprendessero quello che provava Ritsu. Si fece improvvisamente notte, una notte buia illuminata solo dai lampi fra le nuvole e dal loro riflesso nel terreno.
«Io mi fidavo di te...» sussurrò Ritsu. «Io mi fidavo di te!» ripeté allontanandolo da sé.
Huthor non rispose né le si avvicinò, sapeva che aveva ragione.
«Vieni qua piccolina» disse Yujin come se stesse parlando con un gatto. «Non ti farò troppo male» continuò avanzando verso Ritsu.
«Ma che fai!» esplose la regina Mìriel raggiungendo Huthor. «Ohi svegliati!» disse iniziando a scuoterlo. Vedendo che l’amico non reagiva, si scagliò contro il re, ma fu respinta e buttata a terra. Yujin sguainò la spada e si preparò a infilzare la ragazza. Nel momento in cui inflisse il colpo ci fu un lampo che sembrò durare un’eternità. Era sicuro di averla colpita perché ci fu un lamento, ora la domanda era se l’aveva uccisa. Ritsu non sapeva cosa fosse successo, non sentiva dolore. Pensò che fosse in quella fase della morte in cui non si sente nulla se non freddo. Quando il bagliore svanì e gli occhi si riabituarono al buio, Mìriel si chiese che fine avesse fatto Huthor. Difatti era lui che aveva una spada conficcata nella spalla. Aveva fatto da scudo a Ritsu, e ora guardava Yujin negli occhi provando per la prima volta un odio che gli bruciava l’anima e che gridava morte. Ritsu gli stava dietro, impietrita. Guardava la punta della spada che lo aveva trapassato e che gocciava sangue come ipnotizzata.
«Togliti di mezzo, spazzatura!» inveì Yujin estraendo con violenza la spada da Huthor. «Non vali niente come principe e non potrai mai diventare re!» continuò cercando di oltrepassarlo, ma Huthor era come un muro. Il suo corpo ormai era un’unica ferita sanguinante, e l’acqua del terreno si era tinta di rosso. Un fulmine cadde vicinissimo al re, che fu costretto a indietreggiare, di poco è vero, ma abbastanza da permettere a Mìriel di raggiungere Ritsu.
«Ehi ragazza! Reagisci» le disse arrabbiata. «Qui si combatte per te, lo sai? Vedi quei signori soldati lì?» Ritsu distolse lo sguardo da Huthor per vedere di che stesse parlando la regina. «Ora stanno fermi perché re Yujin vuole divertirsi, ma quando si stancherà cosa pensi faranno?»
Si sentì una fragorosa risata quando il corpo sanguinante di Huthor schiacciò la regina a terra. Allora il re, ancora ridente, si avviò verso Ritsu, facendo bene attenzione che la spada rossa fosse sempre in vista. Mìriel si divincolò dal corpo del principe e disperata si chiese cosa avrebbe dovuto fare, cosa avrebbe fatto l’amico al posto suo. Con le mani tremanti e le lacrime agli occhi, verificò la salute di Huthor e cercò di rianimarlo, con successo.
«Come ti sembra?» chiese Yujin a Ritsu, rigirandosi la spada fra le dita. «Credi farà male?»
In preda al panico e con movimenti impacciati, la regina aggredì Yujin da dietro e gli si appese al collo, impedendogli di respirare. Si sforzò di rimanere appesa con una mano sola, e con l’altra estrasse il pugnale dalla scollatura del vestito e glielo conficcò nella schiena. Il re iniziò a dare di matto e andò verso i suoi soldati per farsi aiutare a estrarlo e a medicarsi. Mìriel colse quella pausa momentanea per tornare da Huthor e aiutarlo a rimettersi in piedi. Tentò di convincerlo alla ritirata, ma rispose che dovevano andare sole perché le avrebbe solo rallentate, e che lui avrebbe cercato di trattenere Yujin il più a lungo possibile. A quelle parole non poté più trattenersi e scoppiò a piangere accorata.
«Devi portare Ritsu al sicuro» le ordinò. «Promettimelo» la implorò guardandola negli occhi.
«Ok, ok, va bene. Ma tu che farai?» chiese preoccupata guardando le sue innumerevoli ferite.
«Non preoccuparti per me, sto bene» mentì avviandosi zoppicando verso Ritsu.
Quando le fu davanti si guardarono negli occhi, ma lei era ancora impietrita e non lasciava trasparire nessun’emozione. Huthor la abbracciò per la prima volta da quando si erano conosciuti e fu pervaso da un calore nuovo.
«Mi dispiace» sussurrò con le lacrime agli occhi.
Mìriel arrivò ancora singhiozzando dicendo che Yujin stava tornando e che dovevano andare. Senza guardare Huthor negli occhi si avviò alla fontana nella piazza. Si muoveva come un robot, si limitava a fare quello che le era stato ordinato di fare, d’altronde era quello che le riusciva meglio. Quando Huthor sciolse l’abbraccio e andò incontro al re ancora piangendo, Ritsu stessa piangeva.
«Ti rivedrò?» ebbe la forza di urlare a Huthor. Lui non rispose, fece solo un cenno affermativo con la testa. Le bastava. Poteva raggiungere Mìriel.
«Non te lo lascerò fare! Non ti lascerò riportare la ragazza sulla Terra!» gridò Yujin scagliandosi su Huthor.
«Mi riporterai a casa?» chiese Ritsu a Mìriel.
«Esatto. Huthor mi ha chiesto di portarti al sicuro, e quello l’unico posto che mi viene in mente» rispose armeggiando con un po’ d’acqua nelle mani. «Non ho mai visto Huthor così» le confessò la regina, asciugandosi una lacrima. «Lo hai cambiato.»
L’acqua nelle mani di Mìriel si trasformò in un cristallo che a sua volta divenne lo specchio d’acqua che conduceva a casa.
«Dai, sbrigati» la incitò la regina.
«Ma non mi troveranno?»
«Solo il mio regno e quello di Huthor sanno dove abiti. Non ti disturberanno»
«Sono felice di avervi conosciuto»
«Allora che ne dici di far smettere di piovere? Così si ristabilirà la pace su Shinki»
«Cosa devo fare?» chiese Ritsu.
«Essere felice» disse Mìriel con un sorriso amaro sul viso.
«Daresti questo a Huthor?» chiese dandole uno dei due bracciali che aveva al polso. «E digli che tornerò presto a rompere le uova nel paniere» disse oltrepassando lo specchio d’acqua
 Prima che si richiudesse si voltò, e l’ultima cosa che vide fu Yujin correre verso di lei, Mìriel correre verso Huthor e quest’ultimo a terra, in un mare di sangue. La pioggia cadeva ancora copiosa e il temporale irrompeva il silenzio del suo giardino. Lo specchio si richiuse scoprendo il buco nel suo muretto di casa e lasciando un vuoto e un’atroce verità dentro di lei: non li avrebbe mai più rivisti.

-----------------------------------------------------------------------------------*Angolo della Scrittrice*---------------------------------------------------------------------------------
Storia Completa. Revisione Completa. Spero vi sia piaciuto e che commentiate in tanti. Non vi preoccupate presto arriverà il seguito... con un altro titolo. BaCi

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