Unexpected

di Jade MacGrath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


tecnicamente è la prima fic su SGA che scrivo, se non conto 'Epiphany' che è un crossover con SG-1 e BSG, quindi siate clementi...

L'ambientazione è dopo The Storm e The Eye, e ovviamente The Long Goodbye, dove abbiamo fatto la conoscienza di quelle due care entità aliene di nome Phebus e Thelan. Ma per l'ambientazione sarei propensa a dire terza stagione... dopo Irresponsible, perchè Kolya semplicemente non può morire. É l'arcinemico di Shep, il solo e unico!

 

***

 

La sorpresa che aveva provato non era paragonabile a niente di quello che aveva sperimentato in vita. Phebus si mise a sedere sul letto, e mosse piano la mano della dottoressa Weir, di nuovo in controllo. La mente della buona dottoressa era completamente senza potere, cosa facilitata dal fatto che stava dormendo.

Questa cosa era incredibile, e totalmente nuova. Non aveva mai sentito di imprinting che duravano tanto, neanche sapeva fosse possibile. Forse era stato un malfunzionamento del guscio quando la sua coscienza era stata scaricata nella mente di Elizabeth. Forse pura fortuna, che l’aveva fatta sopravvivere ai tentativi del corpo di Elizabeth di espellere la coscienza aliena. Poco importava.

Ora che aveva finalmente e stabilmente ripreso il controllo, l’unica cosa che voleva sapere era se anche lui era ancora lì.

 

Thelan come già da un paio di notti si svegliò quando Sheppard si addormentò. Non sapeva come fosse possibile, ma intendeva godersi quel che rimaneva della sua vita il più possibile. E così, come le altre due notti, si vestì e andò in esplorazione di Atlantide. Durante lo scontro con Phebus, non aveva potuto ammirare la città come meritava. Atlantide era meravigliosa. Irradiava pace, un sentimento che aveva dimenticato, e che Phebus non aveva mai conosciuto. C’era stato un tempo in cui amava arte e poesia, ma era stato decadi prima. Prima che la guerra diventasse la sua, anzi la loro, unica ragione di vita.

Incredibile pensare che erano davvero sposati. Per entrambi era stata una missione, per infiltrare le linee nemiche, ma c’erano stati istanti in cui aveva davvero creduto che tra loro due ci fosse realmente qualcosa, a parte un’innegabile attrazione fisica. Uno dei motivi principali per cui Phebus lo voleva morto. Non sopportava di vedere materializzato davanti a sé il suo tallone di Achille.

“Non riesce a dormire, colonnello?”

Dannazione, si disse, Weir.

Si voltò, con il migliore dei suoi sorrisi sornioni, pronto a salutarla… quando vide qualcosa negli occhi di Elizabeth che gli fece far scattare la mano sull’impugnatura della sua arma.

Elizabeth fu però più veloce, e gli puntò una pistola contro.

“Una giornata intera a stanarti, e ora ti trovo così. Thelan, che delusione.”

“Credevo fossi morta.”

“Stessa cosa.”

“Siamo due bravi attori, ma questo lo sapevamo già. Che cosa vuoi?”

“Ucciderti.”

“Mi avresti già sparato. Che cosa vuoi davvero?”

Phebus abbassò l’arma, con gran sorpresa di Thelan che lentamente fece altrettanto “Abbiamo appurato che questi… atlantidei… non ci lasceranno finire la nostra discussione.”

“L’eufemismo dell’anno.”

“E tantomeno ucciderci a vicenda.”

“Non vogliono perdere i loro leader. Gli dai torto?”

“Non avremo il controllo ancora per molto. Lo senti anche tu, l’imprinting sta svanendo. Stavolta moriremo sul serio.”

“Cosa proponi?”

“Un duello. Armi non letali. Ci sarà un vincitore, e nessun morto. E potrò vedere la tua faccia da sconfitto prima di andarmene.”

Thelan sorrise “Fai strada.”

 

L’arma scelta furono i bastoni athosiani. A Thelan piacevano, e il corpo aveva memoria degli allenamenti di Sheppard. Ma il vantaggio che credeva di avere venne annullato subito da Phebus, e dal suo talento innato per il combattimento. Era sempre rimasto stupito da come riuscisse a impadronirsi di tecniche di combattimento nuove in tempi tanto brevi.

Era per questo che quasi rimpiangeva che quella sarebbe stata l’ultima sfida. Era la nemica più stimolante che avesse mai avuto.

“Quasi un peccato” disse parando due attacchi rapidissimi di Phebus.

“Cosa? Il fatto che sto per batterti?”

“No, noi due. Non eravamo male.”

“Sapevo chi eri ancora prima di incontrarti. Niente è stato reale.”

Quello che disse Thelan però la fece vacillare. “Anch’io sapevo chi eri.”

E approfittando della sorpresa, la colpì con entrambi i bastoni allo stomaco e sotto le ginocchia, facendola cadere lunga distesa. Per impedirle di rialzarsi, Thelan la schiacciò con il suo peso contro il pavimento.

“Patetico, davvero patetico, Thelan.”

“Forse. Ma sai cosa credo? Che nessuno possa fingere tutto il tempo. Nemmeno tu.”

Phebus si fece una risata “Sai cos’è l’unica cosa migliore della tua faccia da sconfitto? Quella da illuso. Non ti ho mai amato, Thelan… ma mi piace l’idea ti averti fregato fino a questo punto. Lusinga il mio ego.”

Thelan si chinò per sussurrarle all’orecchio “Perfetto, perché non parlavo di sentimenti. E penso che tu sappia benissimo a cosa mi riferisco.”

Purtroppo sì, Phebus lo sapeva. Lo voleva morto proprio per quella ragione, non poteva tollerare di essere così attratta da un suo nemico. All’inizio andava fiera di quel potere che aveva su di lui, ma aveva ben presto realizzato che era un’arma a doppio taglio che anche lui sapeva gestire perfettamente. E che come lei non aveva nessuna remora ad usare.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno l’aveva toccata in quel senso, e non per torturarla o curarla? Phebus non se lo ricordava, e questo non era mai un buon segno. E poi, quale modo migliore di vincere la guerra, quello di eliminare il suo nemico quando era più vulnerabile?

Weir era quella indispensabile. Sheppard poteva essere sostituito benissimo, e Caldwell non aspettava altro.

E poi aveva la netta sensazione che anche alla sua ospite non avrebbe fatto male quel genere di attività. Specialmente con l’ospite di Thelan, se non aveva interpretato male le urla e le suppliche di non uccidere Sheppard quando aveva avuto l’occasione di farlo.

Decidendo che la situazione avrebbe portato più vantaggi che svantaggi, Phebus colse di sorpresa Thelan e invertì le posizioni.

“Hai dannatamente ragione, so benissimo a cosa ti riferisci” disse sfilandosi la maglia rossa di Elizabeth e baciando Thelan appassionatamente.

Thelan cercò di non sorridere troppo. Tutto stava andando come da programma.

 

Non era stato molto carino riderle in faccia, ma Thelan non aveva potuto trattenersi. Phebus si era sempre vantata di essere una grande stratega e manipolatrice, e di leggerlo come un libro aperto. Questa volta però la sua pazienza aveva pagato. Aveva lentamente imparato a prendere e mantenere il controllo del suo ospite mentre era incosciente, a differenza di Phebus che aveva ottenuto il controllo improvvisamente. E un atto coinvolgente come fare l’amore con lui aveva ottenuto l’effetto sperato. Phebus aveva perso il controllo, e stava abbandonando definitivamente il corpo di Weir. In quel momento lo stava ricoprendo di insulti, mentre cercava di resistere alle convulsioni. Thelan la teneva stretta, e non riuscì a evitare di sussurrarle tronfio, appena prima che Phebus svanisse: “Anche la tua faccia da sconfitta non è male, Phebus.”

Qualche istante più tardi, si trovò tra le braccia il corpo esanime di Elizabeth Weir.

Thelan, che dopotutto era un gentiluomo, rivestì la donna cercando di guardare il meno possibile (un conto era che prima fosse Phebus, ma ora le cose erano decisamente cambiate) e la riportò nella sua stanza.

“Devo proprio dartene atto, Sheppard” disse Thelan a John, anche se non credeva potesse sentirlo. “La signora qui è davvero splendida...”

L’aveva appena rimessa a letto, quando iniziò ad avvertire le fitte dolorose che preludevano alle convulsioni. Riuscì ad arrivare all’alloggio di Sheppard appena in tempo.

Ma non era triste. Decisamente poteva morire in pace. Una seconda occasione, quanti potevano dire di averne avuto una?

Aveva rivisto quella pazza psicotica di sua moglie, e si era preso la soddisfazione di sedurla e sconfiggerla in un colpo solo. Aveva vinto la guerra. E nessuno si era fatto male.

 

Se avesse avuto una vaga idea di cosa sarebbe successo, forse avrebbe voluto rivedere la sua ultima affermazione.

 

***

 

Elizabeth dovette quasi svenire di fronte a Sheppard durante una delle loro discussioni per ammettere finalmente che non stava bene. Ma anche se non l’avesse ammesso, non avrebbe fatto nessuna differenza, perché John l’avrebbe portata di peso – letteralmente – in infermeria in ogni caso.

Carson si era dimostrato affabile come sempre, sgridando pacatamente Elizabeth e dicendole che tutto il suo stacanovismo accoppiato allo scarso rispetto dei pasti e delle ore di sonno prima o poi doveva presentarle il conto. Ascoltò i sintomi, che annotò sulla sua cartella, e decise di tenerla in osservazione. John trovò veramente divertente che per una volta i ruoli fossero invertiti, ovvero che Elizabeth fosse quella che non voleva stare a letto e lui quello che cercava di farcela stare. Dopo aver negoziato con entrambi una riduzione del tempo di osservazione, Elizabeth acconsentì a restare in infermeria e disse a John che poteva andare.

“La città …Bisogna controllare i …”

“Elizabeth, riposati e non preoccuparti. È il punto di avere un secondo in comando, no?”

Elizabeth alzò un sopracciglio dubbioso e John finse di essere offeso, poi le lanciò uno dei suoi sorrisi e uscì dall’infermeria.

Elizabeth lo salutò con la mano, e poi decise di approfittare del tempo necessario agli esami per dormire un po’. Era incredibile come si sentisse stanca. Carson imputava la cosa ad una tabella di marcia troppo serrata, ma ultimamente dormiva perfino più del solito. Il cibo era un problema, perché da un po’ di tempo a questa parte i sandwich confezionati che mangiava di solito le davano attacchi di nausea molto forte, e vivere solo di yogurt e cracker non era esattamente una dieta bilanciata.

E poi c’erano quei sogni assurdi… non era la prima volta che aveva dei sogni erotici, ma niente del genere. Non si era mai svegliata imbarazzata da quel che aveva sognato, per dirne una. E soprattutto da chi aveva sognato. Indubbiamente John Sheppard era un uomo affascinante, le aveva salvato la vita in varie occasioni ed era una donna con un paio di occhi funzionanti, per l’amor del cielo, ma prima di tutto era il suo secondo in comando. Ed era un amico. Aveva definito il loro rapporto con chiarezza nella sua testa, sicura di non tornare più sull’argomento… a quanto pareva però il suo subconscio aveva molto altro da dire.

 

Carson era famoso per la sua aura di calma, che niente e nessuno sembrava scalfire. Era anche uno dei motivi per cui era un ottimo medico: sommato alla sua esperienza, non c’era niente che potesse stupirlo.

O almeno credeva.

Perché visti i risultati degli esami del sangue di Elizabeth Weir, si sentì in dovere di compierne un altro che non aveva pensato di fare, nonostante i sintomi strillassero nella sua direzione. Ripetendosi che non poteva davvero essere e che ci doveva essere un’altra spiegazione, Carson prese un altro campione di sangue dalla provetta e lo infilò in una delle macchine di laboratorio.

Appena lesse il risultato, il personale presente poté scoprire che Carson Beckett aveva anche lui i suoi momenti di agitazione, e che conosceva delle esclamazioni scozzesi molto colorite.

Quando ebbe rifatto tutti gli esami almeno tre volte, e la possibilità di un errore era completamente svanita, Carson prese coraggio e con i risultati in mano andò a svegliare la dottoressa Weir.

Elizabeth si stiracchiò le braccia, cercando di svegliarsi del tutto. Sorrise al dottore, ma il dottore non ricambiò. Non subito almeno, e questo fece capire ad Elizabeth che qualcosa non andava.

“Carson, che cosa hai trovato?”

Il dottore tirò la tenda intorno al letto della Weir, per avere un po’ di privacy, e si sedette sulla sedia al suo capezzale.

“Elizabeth… perché non sei venuta da me prima? Credevo ti fidassi.”

“E mi fido. Solo che non pensavo… Carson, dimmi la verità, è grave? L’SGC e l’IOC devono esserne informati?”

“Grave per la tua salute non direi, ma credo che sì, dovrai informare Landry e Woolsey.”

“Carson, per favore, parla. Cosa hai trovato?”

Carson prese un respiro profondo “Elizabeth, sei incinta.”

 

 

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Capitolo 2
*** II ***


 

 

Elizabeth lo guardò scioccata, e poi scoppiò a ridere.

“Carson, andiamo! Io, incinta? A meno che non sia stata un’immacolata concezione, non vedo come possa essere possibile…”

“Ho ripetuto i test tre volte. Non c’è errore.”

“Magari hai confuso i campioni. Ti occupi anche della salute dei nostri rifugiati Athosiani…”

Carson fece segno di no con la testa, come fece per ogni possibile scusa che Elizabeth riuscì a trovare.

“No, Carson, deve esserci un motivo. Deve! Perché io non… io non ho… O mio Dio, Carson, io non ho…”

Si portò una mano tremante alla bocca, cercando di non crollare di fronte al dottore. Al momento pensava ad una sola altra possibilità, e la terrorizzava. Anche Carson era arrivato alla stessa conclusione, e il solo pensiero che qualcuno ad Atlantis potesse essersi macchiato di una colpa simile, e contro Elizabeth Weir per di più, lo fece inorridire.

Diede un sedativo ad Elizabeth, sempre più sconvolta ad ogni secondo che passava, e una volta certo che dormisse andò a cercare Sheppard. Non aveva intenzione di violare il segreto medico/paziente, ma sapeva che il colonnello stava aspettando una scusa qualsiasi per scappare dall’ufficio e tornare al capezzale di Elizabeth. Fin dal tentato assedio da parte di Kolya e dei Genii, John aveva sempre tenuto d’occhio Elizabeth con più attenzione di prima, cercando sempre di fare in modo che Elizabeth non si accorgesse di questa attenzione speciale. Qualcuno avrebbe potuto insinuare che tale interesse non fosse solamente professionale… ma anche se non lo era, quei due avevano troppo buon senso per non sapere cos’era meglio fare.

Atlantis prima, il resto poi.

Come aveva immaginato, John fu più che felice di lasciare McKay e Zelenka a bisticciare tra di loro, e lo ringraziò sentitamente per tutto il tragitto. Quando chiese novità di Elizabeth però, il medico disse che sarebbe stata Elizabeth stessa a parlargliene, se si sentiva di farlo. E non ci fu niente che John poté dire per fargli cambiare idea o anche solo per avere un accenno vago sulla sua condizione. Il colonnello arrivò fino al suo letto, e si sedette accanto a lei. Notò che aveva le guance bagnate di lacrime, e sommato alla reticenza di Carson a parlare fu più che sufficiente a mandare la paranoia di Sheppard fuori scala. Che cosa poteva essere successo ad Elizabeth di così grave che Carson non poteva dirgli, e che aveva ridotto la stoica dottoressa Weir in lacrime? Stava forse morendo? Aveva contratto qualche malattia aliena durante una delle sue missioni diplomatiche? Andava così poco fuori Atlantis… se era così, era profondamente ingiusto. Perché lei?

 

 

Circa un’ora più tardi, Elizabeth iniziò a muoversi leggermente, segno che stava per risvegliarsi. John posò la rivista che stava sfogliando e si avvicinò al suo letto, sedendosi e prendendole la mano.

“Elizabeth?”

Elizabeth aprì piano gli occhi, un attimo disorientata. Non capiva perché si trovasse in infermeria. Poi ricordò tutto: il malessere, le analisi, e…

La realtà le piombò addosso come un muro di mattoni. Era incinta. Senza sapere come, dove, quando… e soprattutto chi. Una nuova ondata di lacrime iniziò a uscire dai suoi occhi, quando realizzò che tutto quanto successo non era un incubo, ma la pura e semplice realtà, e d’istinto abbracciò John nascondendo la sua faccia contro il suo collo e iniziando a singhiozzare.

John aveva spalancato gli occhi per la sorpresa del gesto, come l’altra volta che Elizabeth l’aveva abbracciato dopo che l’aveva creduto morto, ma questa volta reagì subito e la strinse forte tra le braccia.

Usando quel tono di voce che riservava solo a lei, Sheppard chiese ad Elizabeth che fosse successo.

Cercando di ricomporsi, Elizabeth sciolse l’abbraccio e si asciugò gli occhi. John la guardò preoccupato, e le domandò di nuovo che le avesse detto Beckett sulla sua salute.

Quando Elizabeth abbassò gli occhi e gli disse che era incinta, John sentì per un secondo una vampata di gelosia verso chiunque fosse il responsabile. Aveva un rapporto speciale con lei, ma sapeva che non poteva diventare niente di più di una profonda amicizia. Però c’era qualcosa

 Che non quadrava. Per quanto inaspettata, una gravidanza non portava alla crisi di pianto a cui aveva appena testimoniato. E le chiese che altro ci fosse da dire.

Facendosi forza, Elizabeth confessò a John che non sapeva come fosse rimasta incinta o di chi fosse il bambino.

John la prese di nuovo tra le braccia per confortarla. Le giuro con voce calma e fredda, anche se erano due sentimenti che stava facendo veramente fatica a mantenere, che avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per trovare il bastardo che le aveva fatto quello. Nella mente di John il trovarlo coincideva con l’ucciderlo, ma non diede voce a quel pensiero, preferendo per il momento tenerlo per sé.

Decise di occuparsi in prima persona delle indagini, senza informare nessuno. Carson gli aveva detto che gli Antichi avevano delle macchine incredibili per le analisi del dna e che avrebbe tentato la sorte per cercare di identificare il colpevole, anche se a quello stadio della gravidanza poteva essere troppo presto. Comunque, sperava che da qualche parte nei filmati di sorveglianza ci fosse il necessario per inchiodare chiunque avesse fatto quello ad Elizabeth.

Mentre Carson stava spiegando a Elizabeth come si sarebbe svolto l’esame e quanto tempo sarebbe servito per un risultato, Elizabeth prese un respiro profondo e gli disse che appena possibile, avrebbe interrotto la gravidanza. Voleva che chiunque l’avesse violentata fosse rimpatriato e punito, ma voleva anche di più dimenticare l’intera faccenda. Quel figlio indesiderato che le cresceva dentro non l’aiutava.

John sentì quella sera della sua decisione, e al pari di Carson (che le aveva consigliato anche di rivolgersi alla Heighmeyer )non poteva biasimarla. Le disse che non c’era nessun problema se voleva prendersela comoda per qualche giorno finché non fosse in grado di concentrarsi sul lavoro, ma Elizabeth gli aveva scoccato un’occhiataccia. Se c’era una cosa di cui aveva bisogno in quel momento, era di annullarsi nel lavoro. Aveva sempre funzionato benissimo, quando non voleva pensare alla sua vita o a quello che le era capitato in passato.

Intanto le ricerche di Sheppard continuavano, ma era cercare un ago in un pagliaio. Elizabeth continuava a ripetere che non aveva nessun ricordo, quindi nessuna idea di dove fosse stata aggredita. E Atlantis era enorme, sarebbe potuto essere stato dovunque.

Poi, d’un tratto, vide sé stesso camminare di notte per la città deserta. Fermò l’avanzamento veloce, e si concentrò su quanto vedeva. Era proprio lui, non c’era dubbio, e non era sonnambulo. Camminava, si guardava intorno, parlava tra sé e sé. Quella cadenza però gli era familiare… e quando si sentì parlare, rivolgendosi a sé stesso come se fosse un’altra persona, d’un tratto comprese.

Thelan! Il soldato che aveva recuperato dal guscio e che si era impossessato del suo corpo mesi prima! D’un tratto il suo cuore iniziò a battere furiosamente. Se Thelan era sopravvissuto dentro di lui dopo che tutti erano certi fosse morto, forse anche Phebus…

Continuò a seguire la sua versione posseduta tutta la notte, ma non fece altro che ammirare la città e camminare in solitudine. Sheppard decise allora di controllare se Thelan lo aveva portato a fare una passeggiatina notturna anche altre volte, e gli si fermò il cuore quando vide che durante una di queste, aveva incontrato Weir, sotto l’influsso di Phebus.

Non gli piaceva per niente la piega che stava prendendo quella storia, e quando vide quello che era successo nella palestra, era totalmente incredulo.

Era lui?

Lui aveva messo incinta Elizabeth?

Se non fosse stata una cosa tanto grave, l’avrebbe trovata quasi ironica. Aveva passato una notte con Elizabeth, e nessuno dei due se lo sarebbe ricordato. Anche se, pensò, c’era una prova tangibile di quanto successo che stava crescendo dentro di lei…

D’un tratto ricordò quello che Elizabeth aveva detto di voler fare, e preso il cd col filmato di sorveglianza andò diretto da lei.

Non sapeva cosa avrebbe detto. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe detto lui. Ma era una cosa che avrebbero dovuto decidere insieme, di questo era sicuro.

 

 

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Capitolo 3
*** III ***


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John trovò Elizabeth appoggiata alla ringhiera del ‘loro’ balcone, con lo sguardo perso nel vuoto. Inutile dire che sapeva cosa stava pensando. L’aggressione. Il bambino.

Avrebbe cambiato le cose sapere che il realtà non c’era stata nessuna violenza? Sapere che lui era il padre? John non ne aveva la minima idea. Nel giro di cinque minuti aveva scoperto di aspettare un figlio dalla donna che più ammirava e rispettava in tutta la galassia, e la cosa non l’aveva ancora colpito a piena forza. Riusciva solo a pensare al bambino. Che avrebbero fatto? John non aveva mai seriamente preso in considerazione l’idea di diventare padre, a parte quando sua moglie gli aveva detto di volerne uno, e vista com’era andata tra di loro era stato molto meglio non averne. Ma ora non si trattava di una discussione teorica. Il bambino c’era. Esisteva.

Di nuovo, tutto dipendeva da come Elizabeth avrebbe preso la notizia. Tentennare sulla soglia del terrazzo non avrebbe portato a niente, così fece un respiro profondo e rese nota ad Elizabeth la sua presenza.

Elizabeth si asciugò gli occhi col dorso della mano, e si voltò a guardare Sheppard.

“John… che posso fare per te?”

Altro respiro profondo. “Elizabeth… so cosa ti è successo esattamente. So chi è stato.”

Elizabeth si portò una mano sul cuore, cercando di calmarsi senza riuscirci. Aveva atteso e temuto quel momento fin da quando Carson le aveva dato la notizia della gravidanza.

“John, ti prego. Parla.”

“Elizabeth, è meglio se ti siedi.”

“No, voglio saperlo. Chi è stato?”

“Davvero, Elizabeth. Torniamo nel tuo ufficio. È molto meglio se riceverai la notizia stando seduta.”

John era mortalmente serio, e questo non fece molto per calmare le paure di Elizabeth. La donna però lo seguì fin nel suo ufficio, e chiuse la porta dietro di lei. John camminò fino al portatile di Weir, e inserì il filmato della sorveglianza. Dopo aver fatto sedere la donna, fece partire la registrazione.

 

Al termine, Elizabeth era estremamente grata che John l’avesse fatta sedere. Con ogni probabilità sarebbe crollata a terra, se non l’avesse fatto. Inconsapevolmente, si portò una mano allo stomaco. Il bambino era del colonnello Sheppard. Aveva sperato di avere un colpevole un carne ed ossa, qualcuno a cui urlare, da punire e sui cui sfogare la sua rabbia, ma John era innocente quanto lei. E i veri responsabili si erano dissolti nell’aria, una volta per tutte.

“Credevo di essere l’unica ad essere stata costretta a fare qualcosa contro la sua volontà. A quanto pare, no. Che diavolo ci è saltato in mente di aprire quei gusci, quella volta?”

“Elizabeth, direi che il problema adesso è un altro.”

La donna sfiorò ancora una volta la sua pancia, e poi strinse entrambe le mani sopra il tavolo. Ascoltò John parlare dell’assurda situazione in cui erano finiti, ma il tono e le parole che usava la misero subito in allerta. Prima che potesse continuare, Elizabeth lo interruppe con un cenno della mano.

“John… io non ho intenzione di avere questo bambino.”

“Neanche adesso che le cose sono cambiate?”

“Cambiate? John, non è cambiato niente! Un’entità aliena ha preso possesso del mio corpo e mi ha costretto a fare qualcosa che mai avrei fatto volontariamente! Aspetto un figlio, per l’amor del cielo. Un figlio che non voglio. John, tu non centri, davvero. Sono io. Non voglio avere figli, quando ho iniziato questa professione sapevo che avrei dovuto mettere il lavoro al primo posto, e mi va benissimo così. Non sarei seduta qui, altrimenti.”

Ed era tutto vero. O quasi. Ad ogni modo Elizabeth disse che doveva organizzare il suo viaggio diplomatico su Varenia, un pianeta di recente scoperta, e che voleva restare da sola.

John obbedì, e la dottoressa lavorò tranquilla per il resto della giornata. A cena però, John tornò all’attacco. Non poteva dire di non capirlo, a parti inverse forse avrebbe fatto lo stesso… sicuramente, anni prima lo avrebbe fatto. Ora non ne era più sicura. John si sedette accanto a lei nella sala mensa, e iniziò di nuovo a parlarle.

“Anch’io non sarei qui se Helen avesse avuto quello che voleva quando eravamo sposati, Elizabeth. Non ho mai pensato di volere figli, ma non ho mai rifiutato l’idea a prescindere. Il viaggio durerà cinque giorni. Perché non li usi per rifletterci sopra?”

“John…”

“Non ti chiedo altro. Se al ritorno vorrai andare avanti con la tua decisione di abortire, non mi opporrò.”

“Davvero?”

“Davvero.”

“Sarà difficile che cambi idea al riguardo, John.”

“Difficile, sì. Ma non impossibile.”

 

John quando si era svegliato il mattino dopo, era ancora sicuro di essere riuscito a convincere Weir a pensarci sopra. Ma era destinato a ricredersi subito. Nel momento in cui vide Elizabeth uscire dall’infermeria accompagnata da Carson, entrambi con un’aria seria in faccia. Se aveva ancora dubbi sull’argomento della visita, questi sparirono subito quando Elizabeth incrociò il suo sguardo. Infatti si voltò subito e fece per andarsene.

John invece l’aveva raggiunta e fermata, afferrandola per il braccio, e le aveva chiesto che diavolo voleva dire quel che aveva appena visto.

 “John, te l’ho già detto. Deciderò da sola cosa fare, e senza pressioni da parte tua.”

“A me sembra che una decisione tu l’abbia già presa, ma vorrei ricordassi che...”

“Sono io quella che è rimasta incinta senza volerlo, quindi sì, la cosa riguarda solo me!” sibilò Elizabeth, attenta a non farsi sentire. “Valuto troppo il mio lavoro qui per metterlo a rischio in questo modo.”

“È solo questo che è il bambino per te? Una seccatura?”

Elizabeth non rispose, ma disse che aveva già preso accordi con Carson per quando sarebbe tornata dalla missione diplomatica.

John la lasciò andare. “Allora non ti trattengo” mormorò gelido. “Prima parti, prima Carson potrà liberarti del tuo problema.”

“Vorrei che ti sforzassi di capire la mia posizione, dannazione! Come diavolo farei a mandare avanti questa città se fossi incinta? Mangio e dormo a malapena in condizioni normali! Non ho bisogno di un’altra fonte di stress oltre a quelle che già ho. E soprattutto non voglio lasciare Atlantis, e non darò a nessuno una ragione per rispedirmi a casa. Senza contare i rischi che corriamo ogni volta che passiamo lo Stargate! Ti sei dimenticato dei Wraith? E anche questa stessa città alle volte è un pericolo! Atlantis non è il posto per crescere un bambino, tantomeno per averne uno.”

“Gli Antichi non hanno mai avuto problemi.”

“Non siamo loro. E con questo considero l’argomento chiuso, colonnello.”

“Come desidera, dottoressa Weir.”

Elizabeth osservò John allontanarsi. Non accettava che non avesse mai preso in considerazione l’idea di tenerlo… ma come avrebbero fatto? Era un errore. Qualcosa che mai sarebbe accaduto se non fossero stati posseduti, e di cui non aveva memoria. Era meglio rimettere le cose a posto ora che c’era ancora tempo, e andare avanti. Con il tempo John se ne sarebbe fatta una ragione, e tutto sarebbe ritornato alla normalità.

John non era alla balaustra del piano elevato della sala Stargate, dov’era sempre quando lei partiva per qualche missione diplomatica. Non si aspettava ci fosse, ma era un segno molto chiaro di quanto fosse arrabbiato. Finora nessun alterco tra di loro aveva interrotto quella piccola tradizione, che era iniziata il giorno della prima missione ad Atlantis…

Elizabeth prese un respiro profondo, e passò lo Stargate con la sua scorta armata. Avrebbe condotto la mediazione per un’alleanza commerciale e al ritorno avrebbe visto con discrezione il dottor Beckett.

E questa storia sarebbe finalmente finita.

 

 

 

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Capitolo 4
*** IV ***


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Varenia era uno dei pochi pianeti civilizzati rimasti nella galassia di Pegaso, e doveva la sua relativa intoccabilità alla cintura di asteroidi che circondava il suo sistema e ad una nube ionica che interferiva con i radar delle navi spaziali e che in qualche modo risultava nociva per la fisiologia Wraith, che avevano rinunciato a razziare la sua popolazione secoli prima.

“Non mi illudo” disse il giovane ambasciatore Valorum alla dottoressa Weir, durante il loro giro della capitale Varena “Prima o poi troveranno il modo di passare la nube con le loro navi alveari. È per questo che il principe Gareth e la principessa Sarita han dato ordine di continuare la ricerca di mondi disabitati provvisti di Stargate, che possano supportare la vita umana. Oltre che, ovviamente, proteggere la nostra flotta.”

“Flotta?”

“Forse non potrà scendere sul suo pianeta, ma le assicuro che non ha problemi sul pianeta dove è allocata. Abbiamo dovuto fare molta attenzione, ma ora possiamo dire con orgoglio che… Non mi guardi così, dottoressa. Nessuno qui su Varenia ha intenzioni di espandersi.”

“Lo devono aver detto anche i tedeschi del Reich prima di invadere la Polonia” disse Elizabeth, e il ragazzo aggrottò la fronte. Il senso della frase gli sfuggiva.

Elizabeth spiegò che erano due popoli del suo pianeta d’origine, e in pratica gli fece un riassunto conciso della seconda guerra mondiale. Valorum la guardò fisso, e decise di essere sincero.

“Nessuno la cui voce conti ha intenzione di comandare guerre di conquista, ma non le mentirò… qualcuno ritiene che la nostra flotta sia sprecata solo come arma di difesa. Riportano qui le storie che ascoltano nei mercati di altri mondi, sul ritorno dei Genii sulla scacchiera politica, e la gente inizia a parlare. Anch’io ho sentito queste storie, e sa che penso? Che la cosa migliore per noi sia avere voi, gente di Atlantis, come amici. Un’alleanza con voi ucciderà sul nascere qualsiasi tentativo di sovvertire l’ordine.”

“Mi pare di intuire che non le piacciano i Genii.”

“Sono infidi e doppiogiochisti, è la loro natura. Cowen e Kolya sono i peggiori. Ladon Radim stranamente è un’eccezione. Dev’essere perché è più un uomo di scienza che di guerra. Ha chiesto di poter stipulare un’alleanza commerciale con noi.”

“Perché me lo sta dicendo? Vuole vedere la mia reazione?”

Valorum sorrise. “Non dovrei? Tra le varie storie che mi sono giunte alle orecchie, quella che preferisco è come un solo uomo del suo esercito ha combattuto e sconfitto la forza d’assalto d’élite dei Genii comandata da Kolya. E tutto questo durante un uragano che minacciava di distruggere la città degli antenati. Dev’essere un uomo di grande valore e coraggio.”

“Allora, un paio di correzioni… io non ho un esercito, è una coalizione armata internazionale che viene dal mio pianeta. Io sono a capo della spedizione, ma le decisioni militari dipendono dal colonnello Sheppard, il mio secondo in comando, che è anche il soldato che lei ammira tanto.”

“Allora spero che le nostre trattative vadano a buon fine, così che io possa venire ad Atlantis da amico e congratularmi vivamente con il colonnello per aver dato una lezione ad Acastus Kolya.”

“Si è anche guadagnato un nemico per la vita.”

“Conoscendo Kolya, mi sarei stupito del contrario. Ma ora venga, dottoressa, torniamo indietro. Ho tenuto la cosa più piacevole per ultima. I giardini del palazzo reale sono un incanto in questa stagione, e ospitano alcune piante ormai estinte sul pianeta da secoli. Meritano da soli una visita su Varenia.”

Valorum galantemente le offrì il braccio, ed Elizabeth accettò con un sorriso.

 

Valorum non aveva mentito sui giardini. Elizabeth non ricordava di aver mai visto qualcosa di così bello in tutta la sua vita. Il suo accompagnatore le raccontò la storia di quel piccolo paradiso floreale, di come fosse stata la precisa volontà della bisnonna del principe Gareth, ancora adesso nota come la più grande esperta di botanica mai vissuta. Tutto stava andando benissimo, e Valorum sembrava bendisposto nei suoi riguardi. Finalmente avevano trovato un alleato di peso…

Fu allora che tutto iniziò a girarle intorno. Elizabeth sentì le ginocchia cederle, e l’ambasciatore l’afferrò per la vita prima che potesse cadere.

“Dottoressa Weir, tutto bene?”

“Io… la testa… un capogiro…”

“Venga, si sieda un attimo.”

Elizabeth si sedette su una panchina del giardino maledicendo la sua condizione per l’ennesima volta, ma si rincuorò dicendosi che, entro un paio di giorni, avrebbe smesso di stare male. Nonostante avesse assicurato all’ambasciatore Valorum che non fosse niente di grave, il giovane aveva comunque deciso di riaccompagnarla ai suoi alloggi e di mandarle il medico di corte per una breve visita.

Elizabeth si distese nel magnifico letto a baldacchino nella sua stanza e chiuse gli occhi. Sollevò l’orlo della sua maglietta rossa, e sfiorò di nuovo la pancia con entrambe le mani. Nessuno ovviamente aveva l’occasione di vederla senza uniforme a parte Carson, ma se così non fosse stato avrebbero notato che si stava arrotondando. Tempo un altro mese, tutti avrebbero scoperto la sua condizione… meno male se n’era accorta in tempo. Elizabeth chiese perdono a quella piccola creatura indifesa per quello che stava per fargli o farle appena ritornata ad Atlantis, ma era l’unica soluzione che intendeva contemplare.

Sentì bussare alla porta, e rimessa a posto la maglia disse al medico che poteva entrare. Rimase sorpresa di vedere una giovane donna entrare, e anche la dottoressa se ne doveva essere accorta, perché le sorrise e le disse che le capitava spesso di suscitare sguardi perplessi.

“Ma non si preoccupi, dottoressa Weir, sono piuttosto brava a far ricredere gli scettici sulle mie abilità.”

Aveva un sorriso aperto e confortante, che ricordava quello di Carson, ed Elizabeth si trovò a ricambiare il gesto. La donna, di nome Eris, insistette per una visita veloce e Weir non riuscì a rifiutare. Al termine dell’esame e delle domande, sorrise di nuovo e le chiese di quanti mesi fosse. Elizabeth fece finta di non comprendere, ma Eris le disse che i sintomi che le aveva descritto il principe Gareth durante le negoziazioni più quello che aveva osservato nella visita le facevano pensare solo ad una gravidanza.

“Sì, sono all’incirca di quattro mesi… scusi, ha detto il principe Gareth? Io conosco solo l’ambasciatore Valorum…”

Eris rise “È uno dei segreti meglio custoditi della corte di Varena. Il principe Gareth e l’ambasciatore Valorum sono la stessa persona. Quando si è trattato di associare uno dei suoi figli al regno, il vecchio sovrano ha preferito il figlio maggiore rispetto al minore, Jonas. Alla morte del sovrano però Gareth ha deciso di sovvertire questa decisione. Essendo i due fratelli gemelli, nessuno ha notato la differenza. Avrebbe voluto fare le cose alla luce del sole, ma è Jonas che vuole restare nell’ombra.”

“E non è un problema?”

“Non direi, i due fratelli e la principessa eletta, Sarita, prendono tutte le decisioni insieme. Gareth è molto abile a mantenere le relazioni diplomatiche, e Jonas sa far funzionare il governo interno lavorando in coppia con Sarita. Quei tre sono la cosa migliore che ci poteva capitare. Ma torniamo alla sua condizione. Ha altri sintomi?”

“Non importa, davvero. Non sarò una donna incinta ancora a lungo.”

“Non intende portare a termine la gravidanza?”

“Questo bambino è un errore a cui preferisco porre rimedio subito. Può sembrare una decisione fredda e spietata, ma è così.”

“Sono un medico, sono tenuta ad essere imparziale. Posso chiedere le cause di questa decisione?”

Elizabeth stava per risponderle di no, ma alla fine finì con lo spiegarle le cause per cui era così decisa ad abortire appena tornata a casa.

Eris annuì, e le diede un piccolo involucro di carta dalla sua borsa medica.

“Serve per la nausea?”

“Serve a risolvere i problemi. Non do questa medicina alla leggera, dottoressa Weir. Ritengo solo che una decisione tanto dolorosa non debba ferire più del necessario. Ma vorrei che ci riflettesse bene comunque per il resto della sua permanenza qui. È una decisione che cambierà la sua vita, in un modo o nell’altro.”

Elizabeth annuì, ed Eris le diede da bere un’altra medicina che l’avrebbe fatta sentire meglio, poi se ne andò. La dottoressa riguardò l’involucro che teneva in mano e le istruzioni su come prendere la medicina. Per un secondo fu tentata di prenderla subito. Se avesse perso il bambino durante il viaggio diplomatico, John non avrebbe potuto dirle niente… No, non poteva fagli questo. Nascose la medicina nel suo bagaglio, e decise di farla esaminare poi a Carson una volta tornata a casa.

 

Il giorno della partenza, fu di nuovo ‘l’ambasciatore’ ad accompagnare lei e la sua scorta fino allo Stargate. Decidendo di essere sincera, Elizabeth gli disse che sapeva chi era in realtà. Gareth sorrise, e disse che Eris appena uscita dalla sua stanza era corsa da lui a dirgli quel che le aveva detto.

“Si sentiva in colpa per aver tradito la mia fiducia. Io le ho risposto che se non l’avesse fatto lei, l’avrei fatto io oggi. Mi fido di lei, dottoressa Weir, e sono certo che sia Atlantis che Varenia trarranno molti benefici dalla nostra alleanza.”

“Ne sono certa anch’io, vostra altezza.”

“E anch’io” disse una voce che Elizabeth conosceva bene. Prima che potesse capire da dove provenisse esattamente, dalla vegetazione emersero soldati con uniformi Genii, armati fino ai denti, che li circondarono. I marines di Elizabeth e le guardie del principe Gareth puntarono anche loro le armi contro i loro nemici, ma anche la loro forza congiunta non era abbastanza per metterli in minoranza. Kolya emerse per ultimo, disarmato, e ordinò che deponessero le armi. Avvicinandosi, sorrise e salutò la dottoressa Weir.

“Elizabeth, è un piacere rivederla.”

“Non posso dire altrettanto, Kolya.”

“Mi dispiace, ma credo che adesso dovrà venire con me.”

Per tutta risposta, i marines si serrarono più stretti intorno al loro leader.

“Non mi renda le cose difficili, dottoressa.”

“Le cose sono già difficili, Kolya” disse Gareth.

“Ambasciatore Valorum… quanto tempo. Lei non mi interessa, come non mi interessa la sua gente. Mi lasci la dottoressa Weir, e sarà libero di andarsene.”

“Non credo di volere, Kolya. La dottoressa è ancora sotto protezione della corte reale. Sono costretto a rifiutare.”

“Mi permetta di insistere” disse il comandante Genii, chiamando via radio un altro dei suoi soldati. Questo comparve trascinando Eris, legata e sanguinante, e gettandola a terra in mano modo ai piedi di Kolya.

“Ho avuto modo di fare quattro chiacchiere con Eris, qui. Era un po’ reticente, ma alla fine mi ha detto cose molto interessanti.”

Eris lanciò uno sguardo dolente al suo principe, che però non sembrava preoccupato. E quando sentì i rumori dell’unità di guardia allo Stargate, comprese perché. Senza farsi notare, doveva averli allertati… come fece notare lo stesso Gareth a Kolya, mostrandogli il dispositivo di comunicazione e ordinandogli  di arrendersi e di liberare Eris.

“Hai commesso un errore, principe” disse Kolya, e diede l’ordine di aprire il fuoco.

Nel giro di un istante, quello che doveva essere un semplice commiato di due freschi alleati si trasformò in un bagno di sangue.

 

Come Gareth riuscì a tirare fuori Elizabeth e sé stesso dal fuoco incrociato, non lo sapeva nemmeno lui. I soldati della scorta e quelli di guardia allo Stargate stavano combattendo assieme alla guardia armata di Elizabeth, meno i quattro soldati che erano stati assegnati alla loro protezione, e cercando di non far notare la loro scomparsa decisero di muoversi e di ritornare indietro verso la città.

Sfortunatamente per loro, era esattamente quello che Kolya aveva previsto. Tese loro un’imboscata, e uccise le guardie reali e i marines. Quando Gareth fece per difendere Elizabeth, il comandante sparò due colpi all’addome al giovane principe, che cadde a terra immobile.

Elizabeth ora era sola, nelle sue mani. Il cuore le batteva all’impazzata, con gli occhi continuava a guardarsi intorno nella speranza che un marine, una guardia di Varena, una qualsiasi persona armata venisse in suo soccorso, ma come Kolya le disse mentre i suoi uomini l’afferrarono e la trascinarono via con Eris verso lo Stargate, non sarebbe venuto nessuno a salvarla.

 

***

 

Non so se chi legge Unexpected sta leggendo anche Epiphany (Beh, lo spero! E se cercate quest'ultima, me l'hanno spostata d'ufficio nella sezione crossover!), ad ogni modo ricordatevi di Varenia e della sua gente, perchè torneranno anche lì, con le dovute modifiche alla storia.

 

 

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Capitolo 5
*** V ***


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John era seduto alla sua scrivania, facendo quello che amava di meno. Scrivere e leggere rapporti. Chiunque però sapeva che per mettersi seduto a fare quel lavoro Sheppard doveva essere o molto annoiato, o molto desideroso di stare da solo.

Continuava a pensare ad Elizabeth. Tra non molto sarebbe rientrata ad Atlantis, forse aveva ancora una possibilità di convincerla a tenere il loro bambino. Doveva tentare ancora.

La sua radio si accese, distraendolo dai suoi pensieri. Era Chuck, il tecnico della sala Stargate, che gli diceva di correre, che stava arrivando una videocomunicazione da Varenia.

John arrivò subito, e trovò già lì McKay e Beckett. I due uomini si guardarono, ma nessuno disse niente e aspettarono di essere collegati.

Apparve una ragazza dai capelli castani, con le insegne reali del pianeta, che si presentò come la principessa Sarita di Varenia.

“È successo un fatto grave e increscioso, e appena ne ho avuto notizia ho pensato di dovervi informare. La dottoressa Weir è stata rapita.”

“Che cosa?” disse McKay. “E come è stato possibile?”

“Stiamo svolgendo le nostre indagini, dottor McKay, e tutti saranno interrogati. Traditori, all’interno del palazzo reale… è inconcepibile per noi tanto quanto lo è per voi. Se vorrete inviare dei delegati per partecipare alle indagini, saranno i benvenuti.”

“Lo faremo” disse Sheppard. “Altezza, ci dica di più.”

“La dottoressa e l’ambasciatore Valorum avevano lasciato Varena con le loro scorte, diretti allo Stargate, ma sono stati assaliti da un commando Genii. Valorum è stato ferito gravemente, ma è sopravvissuto e ha potuto dirci che a capo dell’azione c’era nientemeno che Acastus Kolya.”

John non poteva credere alle sue orecchie. Kolya? Kolya era morto. Gli aveva sparato lui stesso, al cuore. L’aveva visto cadere morto di fronte a lui.

“Non può essere.”

“Mi dispiace contraddirla, colonnello Sheppard, ma è vivo. E ha rapito la Elizabeth Weir e la contessa Eris Davinian. I Davinian sono una delle nostre famiglie più in vista, si occupano in prima persona dello sviluppo della nostra flotta, quindi capirete che anche per noi la cosa è della massima importanza.”

“Avete un indizio, qualcosa…?”

Sarita scosse la testa, ma disse di aver appena parlato con Ladon Radim, il capo di stato Genii.

“È furioso almeno quanto voi, soprattutto dopo la fatica fatta per conseguire l’alleanza con Atlantis e per intavolare le trattative con noi. Ha detto che vi contatterà per coordinare le ricerche.”

“Si fida di lui?”

“Tendo a non fidarmi dei Genii in nessuna occasione, colonnello, ma Ladon ha lavorato troppo per vedere i suoi interessi distrutti da una mina vagante. Ho fiducia nel suo istinto di conservazione come leader, diciamo questo.”

“Grazie di averci avvisato subito, principessa Sarita. Vi contatteremo a breve con il nostro piano di azioni.”

Sarita fece un cenno di saluto con la testa, e interruppe la comunicazione.

 

In un sotterraneo chissà dove, Elizabeth  rinvenne legata mani e piedi. Eris era seduta ad un angolo della cella, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi. Non riusciva a credere a quello che aveva fatto. Aveva tradito il suo pianeta, la corte di cui faceva parte, tutto quello in cui credeva. Ma che altro poteva fare? Kolya aveva in pugno tutta la sua famiglia. Aveva già ucciso Mikal, suo fratello minore. Non voleva perdere anche gli altri.

“Dottoressa, sta bene?”

“Dove siamo?” disse Elizabeth, tentando di mettersi seduta. Eris si alzò e l’aiutò. Elizabeth notò che Eris non era legata… perché?

“Non lo so. Elizabeth, mi dispiace tanto.”

“Hai dovuto dire del principe, ti ha costretta…”

“Non mi riferivo a questo” disse la donna, mentre la porta della cella si aprì. Entrò Kolya, che si avvicinò ad Elizabeth e si chinò alla sua altezza, tagliando le corde che aveva intorno alle caviglie.

“Elizabeth. Immagino che le congratulazioni siano d’obbligo. Eris non mi ha saputo dire il nome del padre, ma immagino possa essere solo una persona. Il colonnello Sheppard ha sterminato la mia unità ed era pronto a lasciare che Atlantis fosse distrutta, quando gli ho detto di averti uccisa. Era solo questione di tempo prima che qualcosa del genere succedesse.”

Elizabeth continuava a fissarlo in silenzio con odio, e Kolya continuò.

“Avevo in mente di usarti come merce di scambio. Sheppard sarebbe stato incline a darmi tutto quello che volevo per evitare che ti succedesse qualcosa. Ma nemmeno io posso torturare una donna incinta.”

“Allora liberami.”

“No, Elizabeth, mi dispiace… credo tu mi abbia frainteso. E spero tu abbia guardato bene la tua bella città, prima di lasciarla per Varenia, perché non la rivedrai mai più. E vale anche per te.”

“Che cosa sta dicendo?” disse Eris. “I patti non erano questi.”

“Le cose cambiano, contessa. Avevi detto che ci sarebbe stata solo la scorta della dottoressa Weir, e invece ho dovuto uccidere il principe Gareth ed entrambe le scorte per far perdere le mie tracce. Senza contare le perdite tra i miei uomini. Tenta un’altra volta di fare la furba e perderai qualcun altro. Tua sorella Maya, per esempio… una fanciulla così dolce… quanti anni ha? Quattordici?”

“No! Maya è solo una bambina, ti prego, no!”

“Allora ricordati che le loro vite sono nelle tue mani” disse guardandola, e poi guardando Elizabeth, che in questo modo seppe senza ombra di dubbio cosa sarebbe successo se Eris avesse provato ad aiutarla. Kolya fece cenno a due uomini rimasti all’entrata di venire avanti, e i due presero Eris di peso, trascinandola via.

“Un medico in più può sempre servire” disse Kolya alzandosi “Viste le tue condizioni.”

“Che cosa significa?”

“Elizabeth, io non torturo né tantomeno uccido donne incinte. Significa che dovrò aspettare che tu non lo sia più.”

Elizabeth cercò di non far trasparire il panico che quella frase le aveva provocato. Voleva che avesse il bambino. E poi l’avrebbe uccisa.

“E il bambino?” sussurrò.

“Sono certo che il colonnello sarà molto più motivato a cercarti, se saprà che non c’è solo la tua vita sul piatto. E quando non ci riuscirà, avrà un’idea di cosa si prova a vedersi strappare tutto quello che si ama… quello che ho perso per colpa sua!”

L’aveva fatta alzare prendendola per un braccio, e l’aveva trascinata di fronte ad una di quelle telecamere vecchio stile, le stesse che erano state rinvenute nel rifugio di Kolya dove aveva torturato Sheppard con quel Wraith.

Disse ai suoi soldati di metterlo in comunicazione con Atlantis, e puntò la canna di una pistola dietro la schiena di Elizabeth, intimandole di stare buona.

“Credevo non facessi del male alle donne incinte” mormorò Elizabeth sarcastica.

“È una mia regola, dottoressa. Questo non significa che i miei uomini" disse indicando con la testa i soldati dalle facce poco raccomandabili che erano presenti nella stanza "siano così superiori. Quindi attenta a te.”

 

“Abbiamo un segnale in entrata” disse Chuck, facendo riavvicinare Sheppard, McKay e Beckett. “Audio e video.”

“Facci vedere.”

Chuck obbedì, e sulle schermo comparvero Kolya ed Elizabeth.

“Colonnello Sheppard, se mi riceve, risponda.”

John fece un cenno al tecnico “Apri un canale.”

Fissò lo sguardo sul suo nemico, e fece un respiro profondo per cercare di calmarsi almeno un poco.

“Kolya, qui Sheppard.”

“Colonnello, è un piacere risentirla. Un piacere inaspettato, direi… devo ringraziare un... come lo chiamate voi? Giubbotto antiproiettile? Sono riuscito a procuramene alcuni durante il nostro fallimentare attacco ad Atlantis. Tecnologia veramente utile.”

“La prossima volta mirerò alla testa.”

“Se ci sarà una prossima volta. Ad ogni modo, congratulazioni per la sua imminente paternità. Elizabeth non ha semplicemente potuto tenermelo nascosto.”

McKay si voltò sconvolto a fissare John, come tutti quelli che erano a portata d’orecchio. John però non se ne accorse nemmeno, era totalmente concentrato su Elizabeth. Aveva delle ferite sul viso, del sangue rappreso sulla guancia e sui vestiti, che erano strappati e sporchi. Stava lottando per mantenere il controllo, ma poteva vedere che stava respirando affannosamente. Era spaventata a morte. Stava piangendo silenziosamente. L'ultima volta che era stata in mano di quell'uomo, McKay aveva detto che era stata stoica e fiera, senza cedere mai alle sue richieste. Cosa c'era di diverso ora?

“Torcile un solo capello, e rimpiangerai di essere nato” ringhiò John.

Kolya rise “Vedo che il suo fascino è sempre intatto, Sheppard. Ma non ho intenzione di ucciderla. Rispetto la vita che porta in grembo. Non sono un mostro.”

“Perdonaci se non ti crediamo” disse sarcasticamente McKay con una smorfia di disprezzo.

“Ma Elizabeth non sarà incinta per sempre, Sheppard. E se non sbaglio, a tuo figlio mancano cinque mesi e mezzo per venire al mondo. Credi di farcela a trovarli entrambi… vivi?”

Kolya interruppe in quel momento il collegamento.

“Kolya! Kolya, aspetta! Kolya!” urlò Sheppard, ma Kolya non poteva più sentirlo.

Sentiva come se qualcuno gli avesse preso il cuore e lo stesse stritolando. Elizabeth… il bambino… Non riusciva a credere a quello che aveva sentito.

Quell’uomo voleva aspettare che Elizabeth avesse il bambino, per uccidere entrambi… solo per vendicarsi di lui?

McKay, con qualche insulto più colorito, disse esattamente le stesse cose.

“Ha anche detto di non essere un mostro… maledetto bastardo, ma non muore mai?”

“Non ti preoccupare, McKay” disse John, con un tono di voce basso e gelido che non gli aveva mai sentito, e che gli fece discretamente accapponare la pelle. “La prossima volta che lo ucciderò, sarà l’ultima.”

Subito diede ordine di far venire ad Atlantis Ladon Radim, per parlare della situazione. Al pari di Sarita, anche lui era molto fiducioso nell'istinto di conservazione del leader Genii. Avrebbe fatto l’impossibile per aiutarli. E disse di ricontattare i Vareniani, per far loro sapere le ultime novità. Disse a Lorne di occuparsi della delegazione da inviare su Varenia, e disse di contattarlo alla minima novità.

Ritornò nel suo ufficio, dove la pila dei rapporti che doveva leggere era ancora lì ad aspettarla, accanto a quella dei rapporti ancora da scrivere. L’aveva fatta così alta per evitare di pensare ad Elizabeth, al bambino… era arrabbiato con lei, deluso. E ora rischiava di non rivederla mai più… il bambino sarebbe venuto al mondo solo per essere ucciso…

Con un gesto rabbioso e un urlo, spazzò via la pila di documenti dalla scrivania.

Lo giurava in quel momento, ci sarebbe stato un solo morto in quella storia... e sarebbe stato Kolya.

 

 

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