You always know how to make me feel better.

di AriTorres9
(/viewuser.php?uid=161789)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Happy Birthday, Sky! ***
Capitolo 2: *** What's wrong? ***
Capitolo 3: *** What are you doing here? ***
Capitolo 4: *** Worried. ***
Capitolo 5: *** I love you, brother. ***
Capitolo 6: *** Louis ***



Capitolo 1
*** Happy Birthday, Sky! ***


I fatti accaduti nella storia, le caratteristiche e la personalità dei personaggi sono assolutamente inventati. Non prendete nulla per vero, è tutto frutto della mia fantasia.
E' la mia prima fanfiction e spero davvero che vi piaccia. :)

« Auguri Sky! » strillarono i miei amici per la milionesima volta nell’arco di quella giornata che mi sembrava infinita.
Il pub era affollatissimo e loro, incuranti del fatto che ci fosse tantissima altra gente oltre a noi, stapparono una bottiglia di champagne e iniziarono a porgermi i regali.
Scocciata dalle occhiatacce della gente chiesi ai miei amici di smetterla di urlare ma quella sera erano troppo eccitati per riuscire ad abbassare la voce. 
E non avevano tutti i torti. Dopotutto era il mio diciottesimo compleanno, cavolo! Avevamo diritto a fare un po’ di rumore!
« Eddai Schuyler, apri i regali! » mi incoraggiò Zoey, la mia migliore amica.
Zoey è bellissima, lo era anche da piccola. La conosco da quando avevamo sì e no sei anni e da allora non ci siamo più lasciate.
Ha il visto ovale, molto regolare, sul quale spiccano i suoi enormi occhi scuri e le sue labbra piene. La lunga chioma mora e mossa le accarezza il collo da cigno, lungo e sottile e le ricade sulle spalle, per poi finire sotto il seno.
Fa la fotomodella ma è una persona semplicissima, estroversa, chiacchierona e appassionata di musica come me.
« Forza Sky! Che aspetti? » mi diede una spintarella sulla spalla Mike, un mio grande amico e ragazzo secolare di Zoey.
« Va bene, va bene! Adesso li apro ragazzi » cercai di calmarli, fallendo miseramente.
Lasciai il regalo di Zoey da parte, promettendole che l'avrei scartato per ultimo, come ogni anno.
Dopo dieci minuti e non so quanti regali e auguri ero già esausta.
« Merda ragazzi, quest'anno avete davvero esagerato coi regali! Sono davvero troppo belli! » 
Ringraziai tutti e finalmente raccolsi il regalo della mia migliore amica, che mi fece cenno con la mano come per dirmi di darmi una mossa ad aprirlo e mi disse entusiasta
“Ti piacerà, ne sono certa al cento per cento!” 
Mi affrettai a scartare il pacchetto, troppo presa dalla curiosità per fermarmi a leggere il bigliettino di auguri, e giuro che mi vennero le lacrime agli occhi vedendo che si trattava di Get Your Heart On, l’ultimo CD dei Simple Plan che non ero ancora riuscita a acquistare.
Corsi ad abbracciare Zy e la riempii di “grazie” e di baci.
« Oh cazzo Sky, girati! » la sentii sussurrarmi all'orecchio e percepii un'esagerata eccitazione nella sua voce.
Mi girai di scatto e mi paralizzai alla vista di colui che ammiravo da anni solo attraverso lo schermo di un computer.
Non avevo parole.
Non era possibile.
Lui.
Lì.
Oddio.




HEILA'!
Come ho già detto: questa è la mia prima fanfiction e , sinceramente, spero non vi faccia troppo cagare.
Duuunque, so che il prologo è molto corto ma ho deciso apposta di interromperlo così per lasciare un po' di suspance (sperando che qualcuno lo legga). ;)
Per gli altri capitoli non preoccupatevi, saranno più lunghi e scritti meglio (spero) ahahah
Boh, non so che dire...
Se volete darmi dei consigli o magari scrivermi che faccio cagare potete farlo sia qua su EFP, che su twitter - sono @AriTorres9 ;)
Adios.



                                                                                                                                                                                                               Schuyler.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** What's wrong? ***


PIERRE.
 
Mi affrettai ad entrare nel locale per evitare che le gocce di quella pioggerellina insistente mi bagnassero più di quanto non avessero già fatto durante il tragitto dalla macchina di David a questo pub.
Cazzo, non ricordavo ci fosse sempre tanta gente qui dentro!
Anche se, in effetti, era da un bel po’ di tempo che non ci venivo. Con il tour e i vari impegni della band eravamo stati lontani dalla nostra città per qualche mese e , tornare nel pub che frequentavamo da quando avevamo diciotto anni, mi sembrava che in qualche modo ci facesse riavvicinare alla tranquillità.
Strofinai velocemente i piedi all’ingresso e mi feci da parte, permettendo ai miei 4 amici di entrare per ripararsi dal tempaccio autunnale che da qualche giorno sembrava non volesse abbandonare Montreal.
«Su, Pierre! Andiamoci a prendere il nostro solito tavolo. » Mi incitò Chuck.
«Pensate sul serio che con tutta questa gente il divanetto più figo del pub sarà ancora vuoto ed aspetterà noi? » domandai ridacchiando.
Ma ormai erano già partiti verso il tavolo in fondo al pub, quello da secoli era Il Nostro Tavolo, quindi li seguii ma, dopo aver svoltato l’angolo e superato il bancone, improvvisamente si fermarono e Seb si girò verso di me con il suo classico sorriso da hovistaunafigapazzesca.
«Aiah, devi aver visto una bella ragazza» scherzai.
«No Pierre, non è una bella ragazza. E’stupenda. Anzi, affascinate. Ma che cazzo dico? È sublime! Oddio, non so come descrivertela. Vieni a vedere! »
Mi sporsi oltre alla spalla di Jeff per riuscire a vedere di chi parlasse Seb, quando mi resi conto che al nostro tavolo c’era un numeroso gruppo di giovani che sghignazzava.
«Merda, ma quello è il nostro tavolo. Vi avevo detto che sarebbe stato occupato» rinfacciai ai ragazzi, ma Seb mi tirò una gomitata e mi disse a bassa voce «Pierre, guarda quelle due a destra, in piedi. Quella mora. Dio. Non è la creatura più bella che tu abbia mai visto? Guarda che fisico, che sguardo.. »
Seb continuava a parlare e gli altri ragazzi continuavano a dargli ragione e ad annuire ad ogni complimento che facesse alla mora, ma io ormai non li stavo più ascoltando.
L’altra ragazza mi aveva stregato completamente.
Non era bella come la sua amica. Non aveva lo stesso fisico scolpito, no.
Ma era comunque di una bellezza disarmante.
Era impossibile non notarla, con quei capelli blu e quell’enorme felpa grigio topo che le arrivava quasi alle ginocchia.
- E’ decisamente magra - stabilii, notando come le pantacalze le fasciavano le gambe affusolate. Ai piedi portava delle bellissime Dr. Martens bordeaux, dalle quali uscivano dei calzettoni grigi che aveva arrotolato appena sopra alla caviglia.
Subito mi diedi uno scossone.
Perché ero così attento ai particolari? E perché mai le stavo guardando le scarpe? Alzai la testa deciso ad osservarle il viso.
Aveva gli occhi puntati sui miei.
E che occhi, wow!
Non riuscivo a definirne il colore, era troppo lontana e le luci del locale troppo soffuse per stabilire di che colore fossero quegli occhi che mi attiravano come due calamite.
Ok, forse sembrava che stessi esagerando. Ma non potevo proprio fare a meno di guardarli.
Mi sentivo catturato da quelle ciglia così lunghe e folte, da quelle sopracciglia sottili ad ala di gabbiano e soprattutto da quelle labbra piene sulle quali aveva passato qualche mano di rossetto rosso.
E proprio mentre si accorse che anch’io la fissavo insistentemente dischiuse la bocca in un timido sorriso, che poco a poco divenne sempre più largo, permettendomi di vedere la lucente dentatura.
Ok, forse stavo davvero esagerando!
Ma che mi era preso? Stavo sul serio guardandole i denti?
– Pierre, riprenditi – mi ordinai scocciato.
 
 
SCHUYLER.
 
Il sorriso sulle mie labbra si spense, lasciando spazio a un’espressione tesa.
«Zy, che cazzo stanno facendo?” domandai quasi terrorizzata alla mia migliore amica, vedendo che quei cinque ragazzi, meglio conosciuti come Simple Plan, si stavano avvicinando al nostro tavolo.
Zoey cominciò a ridere e, appena prima che arrivassero così vicino da poter sentire i nostri discorsi, mi sussurrò «Ok Sky, calmati e respira. Ti giuro che non avevo idea che venissero qua. Prova a scioglierti e a comportarti in modo quasi normale, sono sicura che tu ce la possa fare”.
«Grazie per la fiducia, Zy.” Replicai con un finto sorriso.
 
«Ehi ragazze, possiamo sederci con voi? Questo è il nostro tavolo storico e non ne vediamo altri liberi. Vi dispiace? » chiese gentilmente Jeff, il pelato del gruppo.
Oddio, sembravano così tranquilli e.. normali.
Zoey, vedendomi in difficoltà, rispose con un furbo sorriso
«A una condizione, dovete prima autografarle il cd. » disse indicandomi e prendendo su dal divanetto Get Your Heart On.
Ok, mi sarei voluta sotterrare.
Non volevo svelarmi subito come una banale fan, volevo apparire diversamente, provare a fare colpo..
Ad interrompere il flusso dei miei pensieri ci pensò il sorriso di Pierre e, un attimo dopo, la sua calda voce. «Allora sei una nostra fan. Ecco perché questa timidezza. » E mi fece un veloce occhiolino mentre mi autografava il cd.
«G-grazie mille» quasi balbettai, sorridendo come un’ebete.
Ma che mi era preso? Io timida e impacciata? Ma non esiste!
«Smetti di fissarla Pierre, la metti a disagio! » lo sgridò Chuck.
Ok, mi sarei voluta sotterrare. Di nuovo.
Sentii le guance diventarmi bollenti e sperai che non si notasse troppo il mio colorito paonazzo.
«Scusami» mi disse sorridendo dolcemente.
E non potei fare a meno di sorridergli anch’io, iniziando a sciogliermi.
Mike e Dallas si avvicinarono, avvertendoci del fatto che stavano andando verso casa e chiedendoci se avevamo bisogno di un passaggio.
«No Dallas, non ti preoccupare. Zoey ha la macchina.” Risposi. «Le ragazze sono già andate?” chiesi facendo riferimento alle mie compagne di scuola che erano passate per farmi gli auguri e per darmi i regali. «Certo Sky, non le hai viste? Sei proprio strana stasera! » mi rispose Mike scuotendo la testa con un sorriso divertito.
«Amore, allora ci vediamo domani. » si rivolse questa volta a Zoey, abbassandosi e dandole un leggero bacio sulle labbra. Ci salutarono e appena prima di uscire dal locale si girarono urlandomi «Auguri ancora, Sky! »
«E così sei fidanzata» constatò con tono piatto e un po’ deluso Seb.
Zoey non rispose, probabilmente a causa dell’imbarazzo.
Per fortuna a salvare la situazione ci pensò David. «Quindi Sky – se è così che ti chiami – oggi è il tuo compleanno. Quanti anni compi? »
L’espressione di Pierre lasciò trapelare per un momento una certa curiosità.
Con un’alzata di spalle risposi a Dave «Mi chiamo Schuyler in realtà, Sky e il mio soprannome. Lei è Zoey, detta Zy, ed è la mia migliore amica» indicai con il capo alla mia sinistra, dove stava seduta Zy «e oggi è il mio compleanno. Finalmente sono maggiorenne. »
Notai subito che Pierre aveva contratto la mascella e che della sua espressione serena non c’era più traccia.
«Ragazzi, non dovremmo andare? Si è fatto tardi. »
Sembrava più un’imposizione che una domanda e il suo tono si era fatto brusco e distaccato.
Cos’era successo così all’improvviso?
Si alzarono anche gli altri, ci salutarono velocemente facendomi gli auguri e si affrettarono a seguire Pierre, che ormai era già fuori dal locale.
Mi girai verso Zoey che, come me, sembrava aver stampato un enorme punto interrogativo in faccia.
Senza che le dicessi niente mi abbracciò sussurrandomi «Non lo so, tesoro. Non so cosa gli sia successo. »



PIERRE.
 
Scesi rapidamente dalla macchina, sbattendo violentemente lo sportello e sbuffando per l’ennesima volta.
Percorsi il vialetto di casa mia incurante delle espressioni sbalordite dei miei amici. Strofinai i piedi sul tappetino davanti alla porta ma, mentre prendevo le chiavi dalla tasca della giacca, udii dei passi farsi sempre più vicini, fino a quando non si fermarono esattamente dietro di me.
Non volevo fare lo stronzo con i ragazzi, ma in quel momento tirare fuori la parte migliore di me non mi riusciva proprio.
Sbuffai.
«Che c’è adesso? »
«Che c’è adesso?! Mi prendi per il culo Pierre?! Vuoi spiegarci che ti prende? Perché ti sei comportato così? » mi chiese Chuck con tono esasperato e preoccupato.
«Senti Chuck, lascia stare. Non ho voglia di parlarne adesso, e comunque non con te. » Cercai di evitare di guardarlo negli occhi mentre lo liquidavo così.
«Pierre: guardami! » cominciò ad alzare la voce «Non so cosa ti stia passando per la testa in questo momento ma questa doveva essere una serata in onore dei vecchi tempi, dovevamo divertirci e..” non gli lasciai finire la frase «Ecco vedi, è questo il problema! Siamo vecchi ormai! Non ti sentivi fuori posto in quel locale pieno di giovani? Cazzo Chuck, dobbiamo accettare di non essere più gli adolescenti di una volta! »
In quel momento mi resi conto che stavo ormai urlando e distogliendo lo sguardo vidi attraverso il finestrino dell’auto i volti contratti dei miei amici, probabilmente ansiosi di sapere cosa ci stavamo dicendo.
Tornai a prestare attenzione alla nostra discussione, aspettandomi un sfuriata che non arrivò.
Con mio enorme stupore Chuck rise.
Che cazzo c’era da ridere?
Con quell’atteggiamento stava mettendo a dura prova la mia pazienza.
Quando finalmente riuscì a smettere mi parlò con voce stupita e allo stesso tempo divertita.
«Stai davvero facendo tutta questa scenata perché ti senti vecchio? » Ricominciò a ridere.
«Dio, Pierre! Questa è la più enorme stronzata che tu abbia mai detto! Hai trentatre anni, non ottantatre! Ti sei sentito vecchio in confronto a lei? E’ lei che ti preoccupa tanto?
Ho notato come la guardavi, non mi freghi Bouvier. Ti conosco. Cos’ha di così speciale? »
Avrei voluto rispondergli che forse nemmeno io sapevo spiegare cos’aveva di così speciale da avermi colpito a prima vista.
Forse era il suo stile incredibilmente diverso da quello di qualsiasi ragazza.
Forse erano i suoi grandi ed espressivi occhi.
Forse era il suo naso.
Forse le sue labbra, o forse il rossetto che aveva.
Forse era la sua voce, così chiara e allegra.
Forse era il colore dei suoi capelli, o magari il modo in cui le ricadevano sulle spalle dritte.
O forse era il suo profumo, che ero riuscito a sentire dall’altra parte del tavolo.
Non riuscii a dare voce a nessuna di queste ragioni.
«Lascia stare Chuck, non capiresti. » Risposi banalmente, scuotendo il capo.
«Va bè Pierre, ne riparliamo domani. Comunque se è l’età il problema dovresti fregartene, prova a conoscerla: potrebbe rivelarsi matura. E se invece ti dimostrerà di essere una bambina potrai sempre dire di averci provato, no? »
Provò a incoraggiarmi sorridendo.
«So solo che si chiama Schuyler e ha diciotto anni, non penso di riuscire a ritrovarla. Dovrei lasciar stare. » Nel parlare non riuscii a nascondere l’amarezza e la delusione.
Chuck si limitò a darmi una pacca sulla spalla, come era solito fare quando ci salutavamo.
«Ci vediamo domani Pierre. Non affliggerti così, non ce ne facciamo niente di un Bouvier depresso alle prove! »
Mi fece un ultimo grande sorrisone prima di scendere qualche gradino, uscire dal portico che ci riparava dalla pioggia e fare una piccola corsa verso la macchina.
Con un cenno della mano salutai i miei compagni e, ormai stanchissimo, entrai in casa.




HEILA'!
Eccomi qui con il primo vero capitolo!
L'altro era una sorta di prologo che ho scritto e pubblicato per "invogliarvi" a leggere :)
Le personalità dei personaggi stanno pian pianino venendo fuori e la storia comincia a formarsi.
Spero che la storia vi incuriosisca.
Se avete voglia di lasciarmi qualche consiglio nelle recensioni ben venga, mi farebbe solo piacere! :D
Al prossimo capitolo, Ari.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** What are you doing here? ***


SCHUYLER.
 
Mi trovavo su una panchina del parco nel quale di solito portavo a spasso Nando, il mio labrador. Al mio fianco era seduto Pierre. Eravamo soli: io e lui.
Ridevamo a crepapelle, sembrando davvero felici.
Improvvisamente però Pierre si fece serio e, spostandomi dal viso una ciocca blu di capelli che mi era caduta, cominciò lentamente ad avvicinare il suo viso al mio, tenendo i profondi occhi castani incollati alle mie iridi verdi.
Eravamo così vicini che riuscivo sentire il suo respiro farsi sempre più irregolare. Istintivamente chiusi gli occhi, aspettandomi un bacio.
Stava per appoggiare dolcemente le sue labbra sulle mie quando “We started of incredible, connection ..
OH, CAZZO!
Mi alzai in fretta, correndo a spegnere la sveglia del telefono che, come tutte le mattine, mi obbligava a tirarmi su dal letto.
I swear I thought you were the one forever..”
«Oh, adesso basta, Pierre! Sono sveglia!» brontolai parlando con il telefono.
Non avevo per niente voglia di ascoltare You Suck At Love.
Ok, a dir la verità non avevo voglia di ascoltare nessun pezzo in dei Simple Plan; non volevo pensare alla serata appena trascorsa.
Bouvier-lo-sclerotico aveva deciso di andarsene all’improvviso, rovinandomi il compleanno e distruggendomi il buonumore.
E sognavo anche di baciarlo? Eh, no! Così non andava bene per niente!
Va bè, dovevo ammettere che non era stato niente male come sogno, ma dovevo smetterla di illudermi, non l’avrei più visto e non avrei mai avuto spiegazioni per quella reazione così esagerata e inaspettata.
“Ora basta pensare a lui, Sky!” Mi diedi uno scossone.
Dovevo vestirmi velocemente se non volevo arrivare tardi alla partita: il mister Travis aveva detto chiaramente che se avessi fatto un altro ritardo mi avrebbe lasciato in panchina.
Dopo essermi vestita e aver finito di preparare il borsone corsi giù per le scale urlando un “ciaaao” a mio fratello che probabilmente (anzi, sicuramente) dormiva ancora, e mi avviai di corsa verso il campo.
 
Ero ansiosa ed eccitata: ci aspettava la partita più importante del campionato e dovevamo giocarci l’andata in casa.
Arrivai al campo e corsi subito in spogliatoio per l’appello. Salutai le mie compagne e mi misi a scherzare con loro per allentare la tensione pre-derby quando Travis si avvicinò al nostro gruppo e mi chiese se avevo un attimo per poter scambiare due parole con lui. Annuii un po’ turbata e mi allontanai dalle ragazze.
«Sono in orario mister, che c’è che non va? Non mi dica che mi vuole lasciare fuori perché ci rimarrei proprio male…»
Travis rise «Non lascerei mai fuori la migliore punta che abbiamo! Oggi giochiamo con un 4-2-3-1, come ti ho già spiegato. Volevo solo dirti che faccio affidamento su di te, Schuyler. Teniamo molto entrambi a questa partita, non farti spaventare dalla stazza di quelle ragazze. Sei magrina, lo so, ma sei molto agile e la potenza nelle gambe non ti manca. Mi raccomando, non mi deludere.»
Non avevo idea di come rispondere.
Non pensavo che il mister avesse così tanta fiducia in me.
Stavo per dirgli che ce l’avrei messa tutta quando Megan, la nostra trequartista e capitano, c’interruppe.
«Dovremmo entrare in campo, Sky! Datti una mossa e facciamo il culo alle stronze!»
«Così mi piacete, ragazze: combattive e spietate!»
Non potei fare a meno di ridere, lasciandomi trascinare in quella conversazione che mi fece tornare il buonumore, e dimenticandomi per un po’ dell’ansia e della preoccupazione.
Entrammo in campo sorridenti ma concentrate, con un obiettivo in mente: vincere.
Stringemmo le mani alle avversarie e ci andammo a posizionare secondo la formazione.
Osservai i difensori: erano schierate secondo una difesa a tre ed erano tutte tremendamente alte e muscolose.
Cercai di farmi forza ricordando le parole del mister e, quando l’arbitro fischiò l’inizio del gioco, pensai soltanto a non deludere Trevis, le mie compagne e le mie aspettative.
Durante tutto il primo tempo dominarono loro ma riuscimmo a non farle segnare, restando su un sufficiente ma banale 0 a 0.
Ricevetti palla solo un paio di volte: una volta mi trovai tre avversarie davanti e non riuscii a smarcarle, un’altra volta invece – poco prima che finisse il primo tempo – mi ritrovai addosso il terzino sinistro, una mora molto alta e muscolosa, che con una spallata mi buttò per terra.
Durante la caduta mi storsi la caviglia, che mi provocò un dolore atroce.
«Porca troia» piagnucolai scocciata.
Sentivo la caviglia pulsare dal male che mi faceva.
Mi rialzai subito, cercando di ignorare il dolore. L’arbitro alzò il cartellino e fischiò la fine del primo tempo.
Uscii dal campo fingendo di stare bene, non volevo essere sostituita.
Dovevo mettercela tutta per riuscire a segnare, avrebbe significato davvero tanto per me.
Mi fermai sotto la tribuna per prendere qualche borraccia da portare alle mie compagne in spogliatoio; nonostante la brutta botta appena presa volevo essere generosa e positiva.
Ok, non è vero. In realtà cercavo di perdere tempo per non pensare alle fitte che continuavo a sentire.
Mi chinai per prenderne un paio, quando vidi due mani scattare in avanti e afferrarle prima di me con decisione.
«Lascia stare, te le prendo io. Dove le devo mettere?»
Quella voce mi era familiare, alzai la testa e rimasi paralizzata per un momento. Che diavolo ci faceva lui qui?
 
PIERRE.
 
«Che diavolo ci fai qui?» mi chiese quasi sconvolta.
Non riuscii a non sorriderle.
“Bè, mi sembrava avessi bisogno d’aiuto e, nonostante ieri sera non sia stato molto carino a scappare così, sono ancora un gentiluomo.»
Cercai di allentare la tensione che si era creata tra di noi ma, a giudicare dalla sua fredda espressione, non ebbi successo.
«Oh bè, grazie tante gentiluomo, ma io intendevo che ci fai qui in questo campo, sotto questa tribuna, a vedere questa partita.» Ribatté con tono acido.
Bè, se non voleva essere gentile con me, perché avrei dovuto esserlo io con lei?
«Non avevo idea che giocassi a calcio e no, non ti sto stalkerando, se è questo che vuoi sapere.» Le risposi col tono più scontroso che riuscii ad avere.
«Ah.» Sembrava imbarazzata e delusa.
Non la capivo proprio. Aveva fatto lei la stronza per prima! No, non era del tutto vero. In realtà ero stato io la sera prima ad essermi comportato da pazzo senza motivo.
Cercai di sistemare la situazione. Mi dispiaceva vederla triste.
«Sono qua con i ragazzi perché Christin, la sorella di Dave, gioca e ci ha chiesto di venire a vedere la sua partita».
Provai a rilanciare la conversazione, questa volta però con un tono sereno, e notai che cominciò a incuriosirsi.
«Ah, sul serio? Allora dev’essere una mia rivale.. » mi sorrise e mi sembrava che si stesse sciogliendo, mostrandomi finalmente la vera Schuyler.
«Direi proprio di sì, è la numero 3.» Dissi cercando di sembrare disinvolto, quando in realtà ero davvero preoccupato della sua reazione.
«Cosa? Quella che mi ha tirato quella spallata che tra un po’ mi catapultava dall’altra parte del campo?» domandò sorpresa.
«Eh sì, mi dispiace. Penso che David le sia andato a parlare per calmarla. Quando gioca è sempre molto fallosa.» Cercai di giustificarla, anche se in realtà speravo proprio che Dave le avesse fatto un cazziatone pesante. Insomma, non può lanciare per terra la gente che fisicamente è la metà di lei!
Vedere Schuyler a terra mi aveva provocato una piccola fitta al cuore.
So che sembra strano, ma ero convinto di essermi già affezionato.
Mi aveva colpito subito e mi ero detto che se il destino c’avesse fatto rincontrare non mi sarei lasciato sfuggire l’occasione di conoscerla.
Ed ora eccoci qua, a parlare della sua partita e di come la sorella del mio migliore amico le avesse fatto fallo.
«Già, me ne sono accorta.» Disse facendo una smorfia.
«Sicura di non esserti fatta male?» le domandai, cercai di non far trapelare quanto quell’informazione fosse indispensabile per la mia salute mentale.
Non penso che sarei riuscito a trattenermi dall’andare a sgridare io stesso Christin se Sky m’avesse detto le si era fatta male davvero.
«Sì, certo. Non preoccuparti. Ora puoi anche lasciarmi le borracce, grazie per avermi accompagnato.»
Gli angoli della sua bocca si incurvarono all’insù, mostrandomi un sorriso timido e dolce.
Non mi ero accorto di essere già arrivato sulla soglia della porta del suo spogliatoio. Quella ragazza aveva uno strano effetto su di me, mi stavo completamente rincoglionendo.
«Magari ci vediamo a fine partita, se ti va..» proposi un po’ imbarazzato.
Io? Imbarazzato? Questa sì che era una novità!
Annuì un po’ titubante e ,mentre mi prendeva dalle mani le borracce, mi disse sorridendomi «Allora a dopo.»
Le afferrai il braccio prima che entrasse nello spogliatoio, costringendola a girarsi, e abbassando il tono di voce le sussurrai «In bocca al lupo Schuyler, tiferò per te.» E, con un sorriso soddisfatto, le voltai le spalle e me ne andai.
 
SCHUYLER.
 
Wow, ero ancora in agitatissima: avevo appena parlato con Pierre!
Ed eravamo riusciti ad avere una conversazione quasi normale, incredibile!
Inizialmente avevo provato a risultate il più scontrosa possibile per vendicarmi del suo comportamento di merda della sera precedente.
Zy non ci crederebbe mai! Io e la scontrosità viviamo in due universi differenti!
Di solito sono solare, spigliata, estroversa e anche molto sensibile, ma di certo non acida e scontrosa.
Mi ero però imposta di mostrare a Pierre che potevo trattarlo male anch’io ma parlandoci mi ero completamente dimenticata di avercela con lui (è un brutta abitudine che dovrei togliermi, in effetti! Mi dimentico sempre di essere arrabbiata con le persone, facendoci la pace senza neanche accorgermene).
Parlandoci mi era sembrato quasi che potessimo essere coetanei; come se lui non facesse parte di una delle mie band preferite e come se io non fossi solo una fan dai capelli blu e con un’enorme passione per il calcio.
Pensando al calcio mi tornò in mente la caviglia, e subito la controllai. Era un po’ gonfia e arrossata e sperai vivamente che il tutto dipendesse solo dalla botta, che mi sarebbe venuto un livido e che con un po’ di pomata sarei tornata come nuova.
Facendo la strada fino allo spogliatoio con Pierre non mi ero neanche accorta che mi facesse ancora male.
«Forse dovrei semplicemente non pensarci, distrarmi.» Mi dissi, cercando di convincermi che così facendo mi sarebbe passato.
«Sky ci sei? Dobbiamo rientrare, forza!» mi intimò Megan, sorridendomi.
Vedendo il mio viso contratto e la mia espressione tesa si preoccupò e si catapultò a sedere sulla panca di fianco a me, poggiandomi un mano sulla spalla.
«Ehi, che c’è?» chiese con un leggero tono preoccupato.
«Niente Meg, figurati. Dai rientriamo.» Cercai di sorridere.
Pensavo di aver finto in modo pessimo e che da un momento all’altro lei mi avrebbe costretto a dirle ciò che non andava, ma invece mi sorrise a sua volta, confortandomi da vero capitano «Crediamo tutti in te Sky, il gol arriverà.»
Oh, pensava che fosse per il mio problema con i gol.
Era da tanto che non segnavo e in squadra avevano tutti paura che io mi deprimessi o che ci pensassi troppo, rendendomi la vita impossibile.
Ci stavo male, è vero. Ma in quel momento non ci avevo nemmeno pensato, ero così presa dalla caviglia…
Decisi che per niente al mondo avrei chiesto la sostituzione. Avrei combattuto fino alla fine, avrei segnato e avrei reso tutti fieri e orgogliosi di me, o almeno lo speravo.
Mi alzai dalla panchina e rientrai in campo in compagnia di Meg.
Alzai lo sguardo verso la tribuna cercando Pierre con gli occhi.
C’era così tanta gente rispetto al solito! Va bè che siamo la squadra femminile del Montreal Impact, ma non mi aspettavo di avere così tanti tif..
Notai un punto in basso della tribuna dove si era creata una gran ressa e ci misi pochissimo a fare due più due.
I fans non erano nostri, la gente non era lì per vedere le nostre squadre battersi in una delle partite che per noi significavano di più in assoluto, no. Erano qui solo per loro, ovviamente.
Oh, adesso sì che ero incazzata! Volevo solo giocare e, magari, vincere.
Invece Pierre si è presentato qui, facendomi credere di tenere davvero all’esito della partita e augurandomi un in bocca al lupo che è contato più di quello di chiunque altro, e il risultato era questo: Io a cercarlo con occhi come un’ingenua tredicenne innamorata persa del cantante della sua band preferita e lui circondato da chissà quante ragazze.
Già, a suoi occhi dovevo proprio sembrare una stupida adolescente che gli sbavava dietro come quelle ochette che aveva intorno in quel momento.
Ma poi, come diavolo avevano fatto a sapere che si trovavano lì in quel momento?
Eh, no! Non mi sarei fatta rovinare la partita da un branco di bambinette con gli ormoni smossi.
Dovevo smettere di pensare a lui!
“Concentrati Sky, puoi farcela” tentai di rincuorarmi da sola.
Lanciai un urlo alle mie compagne di squadra «Ragazze, vogliamo vincerla o no questa partita?!»
Percepii che si stavano caricando. «Aspettiamo da troppo questo scontro, dobbiamo dare il massimo, forza!» le incitai, mentre loro mi venivano in contro e urlavano.
Ci abbracciammo, promettendoci a vicenda di non mollare, e ci andammo a disporre sul campo per iniziare il secondo tempo.
Lanciai un ultimo sguardo alla tribuna, per controllare la relazione oche-simple plan.
Ma guarda.. le galline si erano calmate, probabilmente avevano avuto il loro autografo e i bodyguard le avevano allontanate.
Sospirai.
Spostai lo sguardo sui seggiolini dove stavano seduti i Simple Plan e li osservai uno ad uno: Jeff era intento a scrivere qualcosa al cellulare, David cercava di comunicare con sua sorella ma da così lontano le sue parole risultavano dei versi, Chuck ridacchiava sottovoce con Seb e Pierre… Bè, Pierre mi stava fissando sorridendo.
Non feci in tempo a ricambiare il sorriso che l’arbitro fischiò.
La sorella di Dave mi stava squadrando e mi sembrò di percepire un lampo di rabbia nei suoi occhi.
“A noi due, Christin."



HEY!

Volevo solo ringraziare le poche ragazze che recensiscono, siete davvero dei tesori!
E' bello sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivi.. Siete fantastiche!
Riguardo al capitolo.. bè, spero che il calcio non vi faccia schifo e che la storia continui a piacervi.
Lasciatemi pure i vostri consigli o le vostre critiche nelle recensioni ;)

A presto!

                                                                                                                                                                                                                                Ari.
PS: gustatevi il bel Bouvier ;) 
[IMG]Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Worried. ***


PIERRE.
 
«Certo che hai proprio un bel culo, Pierre! » Constatò Chuck.
«Lo so, tesoro. Me lo dicono in tanti. » Gli risposi sorridendo maliziosamente e alzando un sopracciglio con fare ammiccante.
«Che coglione che sei!” Mi sgridò mentre cercava di trattenersi dal ridere.
«Intendevo dire che hai avuto una gran botta di culo, o fortuna, chiamala come ti pare, con Schuyler! Non avrei mai pensato che l’avresti rivista. O almeno non così presto, sinceramente. »
“Già, nemmeno io. » Farfugliai, spostando lo sguardo dal mio amico seduto di fianco a me ai piedi della piccola tribuna e concentrando la mia attenzione su ciò che stava accadendo in campo e, in particolar modo, all’unica ragazza coi capelli blu.
Schuyler era incredibilmente insancabile: correva come un fulmine facendo il possibile per aiutare le sue compagne, andando a ricoprire ogni ruolo che richiedesse una mano.
Potevo leggere la determinazione nel suo sguardo.
Era evidente come volesse dare il massimo ad ogni costo.
Ogni tanto però – notai – si concedeva delle pause e, cercando di non attirare l’attenzione, controllava la situazione della caviglia che, per quanto ero riuscito a intuire, non mi era sembrata delle migliori.
Quando le avevo domandato se le faceva ancora male mi aveva risposto di stare più bene, ma era chiaro che non fosse stata sincera.
Quanto avrei voluto accertarmi che non fosse niente di grave…
Comunque la sera prima mi ero proprio sbagliato riguardo al suo fisico.
Sì, era magra, ma avrei fatto meglio a definita, come dire… in forma.
Ora che potevo finalmente vederle le gambe, scoperte per metà dalla lunghezza scarsa dei pantaloncini, avevo notato che erano assolutamente dritte e proporzionate e che, appena faceva uno scatto, i polpacci si contraevano lasciando intravedere un muscolo sodo e ben tirato.
Wow. Era davvero spettacolare.
Non mi riuscivo a capacitare del fatto che mi sembrasse sempre più bella, ogni secondo che passava.
Anche pochi minuti prima, quando mi ero avvicinato per aiutarla. Era così sudata, trasandata e dolorante per la storta nella caviglia che, se fosse stata una ragazza qualsiasi, non mi sarei mai sognato di definire attraente.
Eppure lo era stata anche in quel momento.
Aveva qualcosa di caratteristico, di speciale. Dovevo assolutamente conoscerla più a fondo e cercare di dimostrarle che non ero realmente il coglione che se ne andava rovinando una bella serata senza un motivo apparente.
Che palle, da quando ero così determinato a far cambiare idea a una ragazza appena incontrata?
Improvvisamente lasciai perdere il discorso interiore che stavo facendo per concentrarmi totalmente sul campo, dove Schuyler correva con la palla al piede verso la porta.
Si era ritrovata sola davanti al portiere, dopo aver saltato Christin ed essersi fiondata dentro all’area di rigore a tutta velocità.
Il portiere, un’altissima bionda grande circa il doppio di Schuyler , era uscita per contrastarla. Schuyler non si era fatta fregare e, riuscendo magnificamente a evitare il portiere tirò un potente destro che andò a finire proprio sotto la traversa.
Era in estasi.
E lo ero anch’io.
Vederla così contenta mi fece stare bene.
Purtroppo però quella sensazione di felicità ed euforia durò ben poco, lasciando spazio a una sgradevole preoccupazione.
 
 
SCHUYLER.

Non ero felice, di più!
Quello era in assoluto il miglior regalo di compleanno che potessi farmi.
Cazzo, mi sarei voluta stringere la mano da sola dal gran che ero stata brava.
Ero incredula, avevo fatto davvero una gran giocata e finalmente ero riuscita a segnare!
Questi pensieri stavano giusto prendendo forma nella mia mente dopo la scarica di adrenalina che non mi aveva permesso di capire che cosa stava succedendo intorno a me, quando un’incazzata Christin mi si parò davanti, facendomi una bruttissima e potentissima entrata in scivolata proprio sulla caviglia che già mi faceva male.
Caddi rovinosamente a terra, senza riuscire ad evitare il calcio e non avendo la lucidità necessaria per rendermi conto di ciò che stava accadendo.
Non riuscivo ad alzare la testa.
Desideravo soltanto avere la forza di alzarmi e reagire, di prendere a schiaffi quella stronza e di chiederle che cazzo di problema avesse con me.
Ma in quel momento mi sentivo così scossa e impotente che non riuscii a dire niente ai medici mentre mi spruzzavano il ghiaccio spray sulla caviglia.
Si era creato un cerchio intorno a me: non capitava tutti i giorni che durante delle partite tra ragazze succedessero degli episodi del genere.
Erano tutti lì: le mie compagne, le avversarie, l’arbitro, il guardalinee, gli allenatori e i medici.
E va bene, non c’erano proprio.
Mancava quella stronza di Christin.
– E Pierre.. – disse una vocina nella mia mente.
Scossi la testa, cercando di non pensare a quanto avrei voluto che Bovier fosse lì a consolarmi e a quanto invece avrei desiderato spaccare la faccia alla sorella di David.
«Ehi, Schuyler… riesci a muovere la caviglia? » chiese un uomo brizzolato sulla cinquantina con due spessi occhiali da vista.
Doveva essere il medico.
 «C-ci provo» balbettai. Cercai di ruotarla ma al minimo movimento mi faceva così male che mi sarei voluta mettere a piangere.
Provai a trattenermi, stringendo i denti.
«Ok, ok. Calmati Schuyler! Non sforzarla, se non riesci a muoverla probabilmente è perché è rotta, o magari è solo una distorsione. Penso proprio che sia necessario che tu venga con me in ospedale per fare degli accertamenti.
Ce la fai a camminare o preferisci essere portata fino all’ambulanza in barella? » mi domandò molto gentilmente e con un sorriso rassicurante che proprio non riuscii a ricambiare.
«Che? In barella? » chiesi scolvolta.
Era stato già abbastanza umiliante farmi rompere la caviglia davanti a tutti, non volevo addirittura che provassero pena per me.
«No» Risposi riprendendo un po’ di lucidità «non ce n’è bisogno, ce la posso fare. Mi dia solo una mano a tirarmi su. »
 
 
PIERRE.
 
Stavo correndo verso il campo, come chiunque d’altronde.
Le gente era troppo sotto shock per fare caso a me e al resto del gruppo.
Reagii d’istinto, senza pensare.
Un attimo prima era sulla tribuna a esultare per il gol, e un secondo dopo mi ritrovavo a correre sul campo per raggiungere Schuyler.
Ero davvero troppo preoccupato, troppo incazzato e troppo colpito per comportarmi bene.
Non avevo idea di dove fosse finita Christin, avevo solo visto l’allenatore che la trascinava fuori dal campo urlandole nelle orecchie.
Avrei pensato a lei dopo comunque, in quel momento l’importante era accertarmi che Schuyler non stesse troppo male.
Arrivai da lei ma con tutte quelle persone intorno non riuscivo a vederla.
Sempre più incazzato diedi qualche spallata a chi mi stava attorno, incurante del fatto che probabilmente potessero essere amici di Schuyler preoccupati per lei almeno quanto lo ero io, se non di più.
Quando finalmente riuscii a creare un varco tra la folla m’inserii all’interno della cerchia di gente che circondava letteralmente Schuyler.
Avevo il cuore a mille ed ero troppo in ansia per quello che le stava accadendo che non riuscivo a ragionare.
Il medico la stava aiutando ad alzarsi e, quando si ritrovò in piedi e zoppicante, alzò la testa.
Solo allora, quando i miei occhi nocciola incontrarono i suoi smeraldo, mi resi conto che stava piangendo.
Aveva gli occhi lucidi e le lacrime le scorrevano lungo le guance arrossate. L’espressione infinitamente triste e delusa ma, allo stesso tempo, arrabbiata.
Non resistetti.
Mi avvicinai velocemente a lei, togliendola dalle braccia del medico, prendendola tra le mie e abbracciandola come se volessi in qualche modo proteggerla da ciò che le stava accadendo e, accarezzandole dolcemente la schiena, le sussurrai all’orecchio «Sono qui, non ti preoccupare. Starai bene, te lo prometto. »
Sentii qualcosa picchiettarmi sulla spalla e, senza nessuna intenzione di lasciarla andare, sciolsi il nostro abbraccio prendendole la mano e mi girai.
«Mi scusi, lei è un parente della signorina Schuyler? »
Stavo per rispondere di sì, che l’avrei seguita in ospedale, e che… che cazzo ne so! Mi sarei inventato di essere suo fratello, o suo cugino, ma la voce di Sky mi anticipò, impedendomi di rispondere.
«Non è un mio parente ma i miei… sono in Europa, mio fratello e la mia migliore amica sono a lavorare…Per favore, lo lasci venire con me. » Chiese facendo una pausa ogni tanto per tirare su col naso.
Merda, doveva aver preso una bella botta per stare in quelle condizioni.
«In questo caso signore può venire con noi. Andremo in ambulanza per precauzione, non vi preoccupate. Non dovrebbe essere niente di grave. »
«Ok, bene. » Acconsentii e mi girai verso Schuyler, che stava rassicurando qualche sua compagna di squadra.
«Sto bene ragazze, tornerò il più presto possibile. La partita non è finita qua. » La sentii dire mentre tirava un finto sorriso e si asciugava qualche lacrima che non era riuscita a trattenere.
Che bugiarda.
Si vedeva che sapeva di non poter tornare a giocare presto.
Probabilmente cercava di convincere le sue amiche a non mollare, o magari cercava di convincere solo se stessa che sarebbe stata in grado di recuperare.
Dopotutto, per quello che avevo potuto vedere, il calcio era la sua passione.
Cazzo, stavo davvero correndo troppo.
Non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere emotivamente così tanto. Insomma… la conoscevo a malapena!
«Pierre, sei sicuro di volermi accompagnare? Ormai sono maggiorenne, posso anche firmarli io i documenti. Non devi farlo se non ne hai voglia. » Cercò di sorridermi, riuscendo solo a fare una ridicola smorfia.
«Scherzi? Certo che t’accompagno. Non ti lascio andare da sola. » La rassicurai.
«Ce la fai a camminare o vuoi che ti prenda in braccio? » le domandai, con gentilezza.
«Oh, Bouvier! Come sei sfiduciato nei miei confronti! » sorrise asciugandosi le ultime lacrime.
«Forza, andiamo! Pigrone che non sei altro! » Mi prese in giro avviandosi all’uscita del campo zoppicando in un modo un po’ ridicolo che la rendeva ancora più buffa e bè… bella, in un certo senso.
La raggiunsi in un secondo, prendendole un braccio e appoggiandomelo sopra alle spalle.
«Ecco, così forse andiamo un po’ più velocemente. Tu che dici? » la canzonai, sorridendole divertito.
«E va bene, sei assunto. » Disse seria.
«Come sono assunto? Che vuoi dire? » domandai, non capendo a cosa si riferisse.
«Sarai la mia stampella umana! Ormai è deciso, PierStampella. Non ti puoi opporre. »
La sua risposta pronta mi fece rimanere di stucco e scoppiai a ridere.
Per fortuna ero riuscito a distrarla e a tirarle fuori un po’ d’umorismo.
La sentii ridacchiare a sua volta e mi resi conto che ormai aveva smesso di piangere del tutto.
- Dopotutto Chuck aveva avuto ragione - pensai sorridendo.
Non avrei dovuto affrontare la differenza d’età in quel modo.
Anzi, in realtà non avrei proprio dovuto affrontarla, stavo affrettando troppo i tempi.
In quel momento, mentre eravamo stretti l’un l’altro, non mi interessava affatto quanti anni potesse avere.
Mi sentivo solo… felice.

 

Eccomi qua con un altro capitolo c:
Come avrete notato ho cambiato scrittura, non pensate sia più carina questa? 
Boh, a me piace di più..
Coooomunque bè riguardo al capitolo con calma verranno fuori le ragioni per cui Christin ha perso la testa (non vogliatela subito morta AHAHAHAHHA)
Spero che vi sia piaciuto e se avete qualcosa da chiedere o magari qualche correzione da fare sono @aritorres9 su twitter :)
Non ho idea di quando riuscirò ad aggiornare perchè sono strapiena di studio :/
Alla prossima,
                                                                                                                                                                          Ari.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I love you, brother. ***


PIERRE.
 
Appoggiai il cellulare sul divano di casa Stinco, ormai rassegnato al fatto che Schuyler non intendesse/potesse/volesse rispondermi.
Senza riuscire ad evitarlo sbuffai rumorosamente, facendo distogliere l’attenzione dei miei amici dal film che stavamo guardando.
«Ragazzi non trovate molto divertente vedere Pierre in preda all’ansia? » chiese ironicamente Jeff, rivolgendosi a Chuck, Seb e David.
Eravamo tutti sdraiati sui divani del salotto di Jeff e stavamo guardando un film dopo aver mangiato una pizza in compagnia, come eravamo soliti fare ogni domenica autunnale e invernale nella quale non eravamo in tour.
Era piacevole starcene per un po’tra di noi, convincendoci di essere delle persone qualsiasi vivendo la quotidianità di Montreal in perfetta tranquillità.
Non che non apprezzassi il mio lavoro, è chiaro. Però ogni tanto era bello poter staccare dai mille impegni e stare a casa propria con la famiglia e gli amici di sempre, senza angosce e orari da rispettare.
«Eddai, non prendetelo in giro! Guardate quant’è carino tutto preoccupato per la sua bella! » disse David con aria sognante scatenando le risate di tutti quanti, comprese le mie.
Incredibile quanto si divertissero a prendermi per il culo.
«Sta’ zitto Dave, che è tutta colpa di Christin! » lo ribeccai.
«Bouvier, non ricomincerai mica a discutere, eh? Ti ho già detto che non ho idea del motivo per cui si sia comportata così! » ribatté a sua volta David con tono scocciato.
«E va bene, lasciamo stare. » Accordai.
Evitai di continuare la discussione, ne avevamo già parlato e non avrebbe avuto senso prendersela con uno dei miei migliori amici quando il casino madornale l’aveva combinato sua sorella.
Pensare a Christin mi fece tornare in mente le immagini della mattinata appena trascorsa e mi nacque sulle labbra un sorriso sincero, sicuramente dovuto a quanto ero stato felice in compagnia di Schuyler.
Era stata una giornata intensissima tra la partita, l’infortunio della blu, l’averla accompagnata in ospedale e l’attesa con lei. Ma indubbiamente la cosa che più mi aveva scosso erano stati i suoi profondi occhi verdi che catturavano il mio sguardo ogni qualvolta che mi giravo nella sua direzione.
Il colore dell’iride era assolutamente indefinibile, dal momento che variava col tempo, con le stagioni e probabilmente anche con il suo umore.
Durante la pausa tra il primo e il secondo tempo della partita mi erano sembrati di un verde acceso, mentre invece quando l’avevo vista piangere erano più tendenti al grigio.
Anche in ospedale, mentre parlavamo di un po’ di tutto, non riuscivo a smettere di fissarli cercando di capirne il colore esatto.
Sorrisi nuovamente ripensando ai discorsi che avevamo fatto sulle sedie nella stanza d’attesa dell’ospedale.
Io in realtà non avevo detto molto, più che altro avevo cercato di far parlare lei, per conoscerla meglio e per evitare che l’agitazione avesse la meglio sulla sua spontanea spensieratezza.
Mi aveva raccontato dei suoi genitori, di come si erano conosciuti in una vacanza in Italia e di quanto fossero rimasti legati sentimentalmente a quel posto.
Mi aveva spiegato che suo padre era spagnolo e che proprio da lui aveva ereditato la passione calcistica e l’amore per qualsiasi cosa riguardasse la sua amata Spagna.
Sua madre invece era di Montreal ed era così affezionata al posto da essere riuscita a convincere suo padre a venire a vivere qua con lei.
Non ci eravamo molto soffermati nel parlare della sua famiglia perché poi le chiesi che progetti avesse per il futuro e lì iniziammo un discorso quasi senza fine.
Il suo sogno era sempre stato quello di diventare “qualcuno” nel mondo del calcio e questo sogno si era fatto ogni giorno più importante, spingendola addirittura a fare il provino per entrare nella squadra femminile più importante di Montreal: il Montreal Impact.
Questa passione si era intensificata nel 2008, quando aveva cominciato a seguire Fernando Torres, il suo calciatore preferito che, mi disse, giocava attualmente nel Chelsea, una squadra di Londra.
Mi confessò addirittura che aveva chiamato il suo cane Nando proprio in onore di Torres e arrossendo, aveva riso abbassando la testa.
Lei era così: si apriva lasciandosi andare e raccontandomi spensieratamente tutto quello che le passava per la testa ma poi, rendendosene conto, si richiudeva a riccio, probabilmente per paura di aver detto troppo, di aver esagerato nell’essere espansiva.
Io, che non ero mai stato un appassionato di calcio, avevo ascoltato con attenzione tutto ciò che mi aveva detto.
Era impossibile non essere interessato a tutto ciò che usciva dalla sua bocca, per il semplice fatto che raccontava tutto con così tanto entusiasmo che le brillavano gli occhi, rendendola ancora più bella e intrigante di quanto non lo fosse già.
Con lei mi trovavo spiazzato: ogni discorso che mi frullava nella testa scompariva non appena aprivo bocca; perché con lei mi veniva tutto così naturale da non avere la necessità di prepararmi le risposte mentalmente.
Alla fine perciò parlammo di qualsiasi cosa, senza annoiarci nemmeno un secondo.
Ero arrivato alla conclusione, dopo sì e no un giorno che la conoscevo, che lei mi faceva stare bene.
Con lei sentivo di potermi comportare come una persona normale, non come un cantante famoso, e questo mi faceva stare maledettamente bene da mettermi l’ansia.
Guardai ansioso un’ultima volta il cellulare.
No – sbuffai – nessuna risposta.
 
SCHUYLER.
 
Mi svegliai a causa di un fastidioso prurito appena sopra alla caviglia.
Allungai sbadatamente la mano con l’intenzione di grattarmi ma andai a sbattere contro un qualcosa di duro che mi fasciava una buona parte della gamba.
Ma che cazz…?
Un gesso?
Merda, la partita!
Ora ricordavo!
Quella stronza di Christin, la sorella di David, mi aveva massacrato la caviglia con quell’entrata degna di cartellino rosso.
E Pierre? Ma allora non l’avevo sognato, lo conoscevo sul serio!
Sembrava tutto così surreale che stentavo a crederci, e più me lo ricordavo più mi sembrava fosse frutto della mia contorta immaginazione.
Mi aveva davvero portata in ospedale e aveva davvero fatto un’ora di fila con me aspettando che mi ingessassero la gamba?
A quanto pare sì.
Cazzo, quel ragazzo era proprio perfetto.
Era stato così attento e premuroso che faticavo a pensare che fosse lo stesso della sera prima.
In effetti non mi aveva ancora spiegato che gli era preso quando se n’era andato in quel modo.
Bè, forse era meglio così: avrei avuto una scusa per chiamarlo.
O forse avrei dovuto lasciar perdere, aspettare che fosse lui a cercarmi?
Ma dai, chi stavo prendendo in giro? Lui era Pierre Bouvier, mica un ragazzo qualsiasi!
Con lui qualsiasi “regola” sul come-comportarsi-con-un-ragazzo-con-cui-stai-iniziando-ad-uscire non valeva: lui era tutta un’altra cosa.
Mi alzai dal letto e raggiunsi con molta fatica le stampelle appoggiate allo stipite della porta.
Abbassai la maniglia e schiusi la porta per permettere ai miei urli di arrivare fino alle orecchie di mio fratello, che (ci avrei scommesso) stava giocando alla PlayStation.
«Juan! Mi aiuti a scendere le scale? » gridai.
«Che palle che fai venire, Sky! » brontolò dal piano di sotto «finisco la partita e arrivo. Non posso spegnere adesso, sto vincendo! »
Sorrisi, immaginavo che mi avrebbe risposto così.
Quando giocava a Fifa era irremovibile e il salotto diventava di sua proprietà.
A ventitré anni si presumeva che un ragazzo avesse altri interessi oltre alla Play, alle ragazze e al calcio. E invece la sua vita girava esattamente intorno a quelle tre cose.
Bè, riguardo al calcio non avrei potuto rimproverargli niente perché condividevamo entrambi la stessa passione.
Non potevo proprio lamentarmi in realtà, Juan era un bravo ragazzo: lavorava in un negozio di articoli sportivi da quando aveva smesso di andare a scuola ed era fidanzato con Grace da… più o meno da sempre.
Avevo sostenuto fin da piccola che prima o poi si sarebbero sposati, sono sempre stati una bella coppia e non sarei mai stata in grado d’immaginare mio fratello con qualcun’altra.
Mi era sempre piaciuto pensare che, in qualche modo, si completassero a vicenda: così diversi ma così indispensabili l’uno per l’altra.
Gettai un’occhiata all’orologio appeso alla parete color pesca, l’unica senza poster attaccati.
Erano le 9.20 di sera e dovevo ancora mangiare, avevo dormito tutto il pomeriggio.
Dovevo essere stata proprio stanca.
In effetti ultimamente non avevo dormito molto: la sera del mio compleanno ero arrivata a casa tardi e a furia di pensare e ripensare a Pierre ero finita per addormentarmi alle quattro, e la mattina seguente mi ero dovuta svegliare prestissimo per la partita.
Ero stata così concentrata sul match che avevo lasciato perdere la stanchezza ma, una volta arrivata a casa, ero letteralmente crollata.
«Juan, muoviti che ho fame! » gli urlai sperando che per una volta mi desse retta.
Il suono familiare dei suoi passi che salivano le scale mi confermò che stava arrivando.
«Eccomi, brontolona. » Disse non appena entrò in camera.
«Ah, comunque oggi pomeriggio ti hanno cercata sul cellulare» mi avvisò passandomelo.
«Uhm, ok. Dai, scendiamo che così mi mangio qualcosa. » proposi, afferrando il cellulare e infilandolo nella tasca destra della tuta.
Non volevo che mio fratello si insospettisse, era molto geloso e poi.. bè, non c’era nessuno motivo per cui potesse ingelosirsi, dal momento che alla fine avevo chiamato Zoey dall’ospedale non appena era riuscita a staccare dal lavoro e mi ero fatta portare a casa da lei per evitare qualsiasi tipo di malinteso e per permettere a Pierre di andare finalmente a casa.
«Certo. Vieni dai, ti prendo in spalla. »
«Ma sei scemo? Peserò due quintali e mezzo! »
Juan rise «e come pensi di scendere le scale Signora GuardateQuantoSonoObesa? Rotolando? »
Mi chiese prendendomi in giro e ridendo come un matto.
«ah-ah, davvero spiritoso. » Constatai con sufficienza, trattenendomi dal ridere a mia volta.
«Eh va bene, l’hai voluto tu. Attento che salto» lo avvertii e, senza dargli neanche il tempo di rendersene conto, mi aggrappai alla sua schiena, attaccandomi come un koala.
In meno di un minuto eravamo già sulle scale a cantare a squarciagola “Born In The USA” divertendoci come solo noi due sapevamo fare.
C’era sempre stata una grande intesa tra di noi ed eravamo così attaccati l’uno all’altra che ero quasi certa di poterlo definire il mio migliore amico.
Mi sedetti a tavola mentre continuavo a rimuginare su quanto fossi fortunata ad avere un così bel rapporto con Juan e a quanto gli volessi bene quando non faceva altro che farmi ridere, proprio come in quel momento, permettendomi di distrarmi dalle preoccupazioni che ultimamente non mi lasciavano un attimo in pace.
 
 
Dopo aver cenato convinsi Juan a guardaci assieme American Pie Il Matrimonio che, a parer nostro, era e rimarrà sempre il migliore di tutta la serie.
Quando anche American Pie finì diedi la buonanotte a mio fratello che era steso sul divano in uno stato quasi comatoso e, armandomi di molta pazienza, salii le scale aiutandomi con le stampelle.
Dopo un periodo che mi era sembrato un’eternità arrivai in camera e, mentre mi lasciavo cadere sul mio amato letto da una piazza e mezzo, ripensai interamente a quello che era successo in una sola giornata.
Era tutto così strano che non potevo credere fosse accaduto davvero.
Pierre, l’avergli parlato, l’essere stati così vicini a lungo, il suo sguardo penetrante, il suo modo di fare che mi faceva impazzire, i suoi capelli, la dolcezza che esprimevano le sue guance, il suo buffo modo di aggrottare le sopraciglia, la sua voce indescrivibile, il movimento delle sue labbra, i suoi caldi sorrisi… mi era sembrato un sogno, decisamente troppo bello per essere vero.
Poi però pensai alla caviglia, a Christin, al calcio, al dolore, a come avrei fatto a recuperare, a quando sarei potuta tornare a giocare… e la giornata così da un fantastico sogno prendeva le sembianze di un tremendo incubo.
Sospirai ed estrassi il cellulare dalla tasca.
Quattro chiamate e due messaggi.
Cliccai velocemente su visualizza, spinta dalla curiosità.
Quattro chiamate da: Zoey.
Ah, rimasi un po’ delusa.
Io e Pierre ci eravamo scambiati i numeri e sinceramente mi aspettavo che si sarebbe fatto vivo anche lui, ma probabilmente mi sbagliavo.
Forse non gli importava di me, o forse non provava i sentimenti che ero certa crescessero in me ogni secondo che passavo in sua presenza.
Mi sentii una povera illusa. – Cogliona. Cogliona! – pensai, sbattendomi una mano in fronte.
Stavo già troppo male per il fatto che non sarei tornata in campo per molto tempo, perdendo una delle poche cose che mi faceva stare veramente bene: il calcio.
E in più, come se non bastasse il dolore che mi provocava staccarmi per chissà quanto dalla mia grande passione, mi ero attaccata ad un’illusione, a una falsa speranza.
Mi ero convinta del fatto che potessimo funzionare, che almeno ci avremmo provato, che per lui significavo qualcosa.
Ma come potevo pensare certe cose dopo solo un giorno che lo conoscevo?
Ricacciai indietro le lacrime che mi pizzicavano gli occhi, e mi decisi a ributtare lo sguardo sullo schermo.
Due messaggi ricevuti.
Visualizza.
Zoey:
«Dove cazzo sei finita? E’ tutto il pomeriggio che ti chiamo! Dimmi che stai bene! Dobbiamo parlare di Tu Sai Chi! Mi devi finire di raccontare…»
«Ti chiamo domani, sto benino. Comunque non penso ci sia molto da raccontare. ‘Notte. » Risposi frettolosamente, convinta che di aver espresso per bene la mia amarezza anche attraverso un messaggio.
Sbadigliasi, ero distrutta e avevo davvero bisogno di dormire se l’indomani sarei voluta arrivare a scuola in orario e con un aspetto decente, magari senza sembrare uno zombie.
Un messaggio ricevuto.
Aprii il messaggio convinta che fosse della mamma che, come ogni sera da quando era partita, chiamava per salutarci o mandava per messaggio la buonanotte anche da parte di papà, ma quando lessi il mittente rimasi paralizzata.
Pierre:
«Ciao Sky, sono Pierre. Volevo sapere come stavi e se eri arrivata a casa sana e salva. Fammi sapere, ho voglia di sentirti. »
Avevo letto bene? Pierre?!
Sentii il battito cardiaco accelerare e le mani che pian piano stavano cominciando a tremare mentre cercavo una risposta adeguata da mandagli.
Oddio, che deficiente.
Avevo appena fatto una scenata per niente!
Mi aveva pensato e addirittura mi aveva scritto un messaggio!
Che cosa avrei dovuto rispondergli?
Ci pensai un po’ su ma, stanca com’ero, non riuscii a formulare niente di meglio che
«Ehi PierStampella! Sono arrivata a casa tutta intera e sono viva e vegeta, non temere. J Magari ci sentiamo domani. Notte. Ah, grazie mille per oggi. Davvero. »
Inviai il messaggio e mi tranquillizzai, rilassando i muscoli e riprendendo a respirare con un ritmo regolare.
Mi infilai sotto le coperte, chiusi gli occhi e, liberando la mente dalle preoccupazioni riguardanti la caviglia, finalmente mi addormentai con il cellulare ben stretto tra le mani, la mente affollata da immagini di Pierre e un sorriso sincero sulle labbra.





SCUSATEMI per il ritardo! 
Giuro che avrei voluto aggiornare prima ma sono stata tutta la settimana senza internet per problemi dovuti alla connessione, i'm so sorry ):
Riguardo al capitolo.. bè, a me fa abbastanza schifo. Non succede niente di che ma spero di movimentare un po' la storia con il prossimo.
Non pensate che Sky sia sempre così "fragile". Sì è un po' lasciata andare perchè la situazione della caviglia la preoccupa molto e, non essendosi sfogata come si deve, strippa un po' per tutto xD Perdonatela ;)
Magari lasciatemi i vostri pareri in una recensione, mi farebbe davvero piacere!
Alla prossima,
Ari.




Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Louis ***


Schuyler.
 
Uscii dalla classe non appena sentii l’ormai quotidiano trillare della campanella.
Facendo un lento slalom tra i banchi arrivai alla porta e svoltai a destra, dirigendomi verso l’enorme mensa della East High.
Attraversare metà scuola all’ora di pranzo non era esattamente un’impresa semplice.
Il corridoio era grande e spazioso, ovvio. Ma c’erano ragazzi che andavano in tutte le direzioni e pur di arrivare a destinazione in fretta spintonavano chiunque senza farsi troppi problemi.
Sperai vivamente che quel giorno avrebbero evitato di calpestarmi, viste le condizioni della mia gamba. Ma, non appena formulai quel pensiero, qualcuno mi venne addosso facendomi quasi precipitare a terra.
Fortunatamente qualcun altro, con i riflessi pronti e le braccia abbastanza muscolose, riuscì a prendermi da dietro evitandomi un’imbarazzante e dolorosa caduta.
«Ma sei scemo? Non vedi che ha la gamba ingessata?! Sta’ attento, idota! » gridò con tono incazzato il ragazzo che avevo alle spalle.
Non mi sembrava una voce familiare. Non era una voce profonda, e nemmeno roca, ma era senza dubbio maschile.
Mi voltai dubbiosa e incuriosita verso lo sconosciuto, incurante delle finte scuse del ragazzetto scheletrico e biondiccio che mi era piombato addosso.
Rimasi incantata.
Era da tanto che non vedevo un ragazzo così bello. Escluso Pierre, ovviamente.
Era molto alto, o forse era una mia impressione, viste le spalle larghe e muscolose che lo rendevano slanciato. I capelli castani, più tendenti al biondo che al moro, ero scompigliati al di sotto di una cuffia di lana grigio topo. Sulle guance si intravedevano delle timide lentiggini che facevano risaltare ancora di più l’azzurro cielo dei suoi occhi. Una leggera gobbetta pronunciava il suo naso, dandogli un’aria molto matura e le labbra rosee lasciate leggermente socchiuse lo facevano risultare, almeno ai miei occhi, parecchio affascinante.
«Ecco bravo, vattene! » Stava continuando a dire, mentre il ragazzino riprendeva la sua corsa in mezzo alla folla di studenti.
Lo sconosciuto abbassò gli occhi e finalmente si accorse che il mio sguardo era fisso su di lui.
Dovevo avere un’espressione alquanto strana: un misto tra l’imbarazzato, il riconoscente e lo stupefatto.
«Stai bene? Ti ho fatto male? Scusami tanto, volevo solo evitare che cadessi. » Si rivolse a me apparentemente preoccupato, poggiandomi delicatamente la mano sulla spalla.
«Non preoccuparti, sto bene. » Gli sorrisi. «Anzi, sei stato gentilissimo. Grazie per avermi presa. »
«Figurati.. Io comunque sono Louis, piacere. » Si presentò, allungandomi la mano.
«Schuyler.” Mi presentai a mia volta. Gli afferrai la mano e gliela strinsi e, dopo pochi attimi di silenzio, mi decisi a domandargli «Sei nuovo? Non ti ho mai visto da queste parti. »
Quel ragazzo mi sembrava sincero e diretto e, inspiegabilmente, mi ispirava simpatia. Quindi perché non provare a farci amicizia?
«Sì, in effetti mi sono appena trasferito. Questo è il mio primo giorno di scuola e stavo proprio cercando qualcuno che mi facesse da guida. » Mi spiegò, prendendomi sottobraccio, afferrando una stampella e avviandosi per il corridoio che pian piano si stava cominciando a svuotare. «Perciò, carissima Schuyler, sarai obbligata a sdebitarti della mia eroica impresa guidandomi almeno fino alla mensa, ho un certo appetito » Dichiarò divertito massaggiandosi la pancia.
«Come vuoi tu, padrone. » Gli risposi con un accento straniero, facendolo ridere.
 
Facemmo il nostro ingresso in mensa ridendo come pazzi; quel Louis era davvero simpatico, ci avevo visto giusto!
Mentre gli spiegavo la gerarchia dei tavoli non faceva altro che ridere a battutine davvero orrende che faceva lui stesso e alle quali però non potevo fare a meno di ridere anch’io.
«E il tavolo dei puffi esiste? » mi chiese di punto in bianco facendosi serio.
«Dei puffi? » Domandai non capendo a cosa si riferisse.
«Sì, i nani blu come te! » Mi rispose iniziando nuovamente a ridere.
«Ah-Ah. Non sono bassa scemo, sei tu che sei un gigante! » Lo canzonai facendogli una linguaccia.
«Non hai abbastanza argomentazioni per ribattere, Schuyler. Su, cos’hai da dire a discolpa del colore assolutamente ripugnante dei tuoi capelli? Come pensi di giustificarti? » Continuò a stuzzicarmi.
Stavo per replicare quando sentii tossicchiare. Solo allora mi accorsi di essere arrivata al nostro tavolo, dove Zoey, Mike e Dallas ci guardavo stupiti.
«Ragazzi: lui è Louis. Un mio amico. » Lo presentai al mio gruppo, sorridendogli incoraggiante.
Louis, invece di salutare e presentarsi timidamente come mi aspettavo facesse, si lancio direttamente su Zoey, alzandola di peso e abbracciandola e  dicendole con tono emozionato «Oh merda, tu devi essere Zoey! Schuyler mi ha parlato tanto di te! Sono così contento di conoscerti! »
Involontariamente scoppiai a ridere.
Non capivo se facesse l’idiota per il gusto di farlo o se effettivamente lo fosse. Certo era che era proprio bravo a recitare.
«Già, sono Zoey.”» Disse Zy, cercando di scollarselo di dosso mentre io restavo a guardare la scena divertita.
«Ok, adesso però staccati. » Intervenne Mike, protettivo come sempre nei confronti della sua bella.
«Ehi Mike! Sky mi ha parlato tanto anche di te! Non essere geloso, dai! Non sono solito rubare le ragazze agli amici. » Lo tranquillizzò Louis stringendolo in un abbraccio.
Non riuscivo a smettere di ridere, e continuai a farlo ancora più forte sentendo Mike borbottare «Ma io neanche ti conosco. » mentre si lasciava abbracciare dal mio nuovo e fantastico amico.
Gli avevo solo accennato i nomi dei miei amici e lui continuava a fingere di averne sentito parlare per secoli.
«Dai Lou, adesso smettila di fare l’appiccicoso. » Lo sgridai scherzosamente.
Si girò di scatto verso di me, sciogliendosi velocemente dall’abbraccio con Mike, e mi guardo con l’aria ferita. «Tu…Tu…Tu pensi che io sia appiccicoso? » mi chiese con la voce tremolante e gli occhi lucidi.
Smisi di ridere immediatamente e mi sentii tremendamente in colpa. Non credevo potesse essere tanto sensibile, stavo solamente scherzando.
«No, Louis. Assolutamente no. Scusami, stavo scherzando. » Gli dissi imbarazzata e intimidita dalla sua reazione.
Invece di rassicurarmi e dirmi che era tutto ok, che non se l’era presa e che avrebbe continuato a scherzare come prima, continuò il suo discorso cominciando a piangere a testa bassa, sedendosi sulla sedia alla sua sinistra.
«Tu non sai cosa voglia dire dover essere sempre al massimo, fare sempre il simpatico, cercare di accontentare tutti e, nonostante tutto, spesso non essere accettato.. Non hai idea di come mi sentissi fino a qualche minuto fa, quando era convinto di aver trovato degli amici sinceri ed affettuosi, non puoi capire cosa significhi tutto questo per me.. »
Non sapevo cosa dire.
I ragazzi seduti ai tavoli attorno al nostro si erano girati verso di noi, incuriositi da ciò che stava accadendo. Oltre a sentirmi in colpa ora ero anche agitata e imbarazzata dagli sguardi della gente.
Bè, non poteva andare peggio di così.
Dallas e Mike erano sconvolti almeno quanto me, e Zoey sembrava turbata: non sapevamo affatto come comportarci e cosa dire per migliorare la situazione.
Dopo un po’ di tempo in cui restammo tutti in silenzio, col fiato sospeso, mi decisi a parlare.
«Ascoltami Lou, mi dispiace. Io non volevo farti star male. E’ vero che ci conosciamo da pochissimo, ma ti considero già un caro amico. Su, smetti di piangere. » Provai a farlo ragionare, avvicinandomi a lui e appoggiandogli una mano sulla spalla.
Louis tirò su col naso e con una mano si asciugò sbadatamente le lacrime che continuavano imperterrite a bagnargli il viso e, con la voce rotta dal pianto, mi disse
«Schuyler, sono disposto a perdonarti solo se mi bacerai i piedi qui, ora, davanti a tutti. »
C-cosa?
“Ma mi prendi per il culo??! »
«Sì. » Dichiarò alzando la testa e scoppiando a ridere.
«Sono o non sono un bravo attore? » Domandò alzandosi in piedi e godendosi degli applausi dei ragazzi seduti ai tavoli vicini.
 
Dio, che coglione.
 
 
Pierre.

15:02.
Ormai aveva smesso di piovere ma i grossi nuvoloni che ricoprivano Montreal non accennavano a spostarsi di un millimetro.
Il maltempo mi metteva un’inspiegabile tristezza addosso.
Avevo passato la mattinata scrivendo qualche bozza di una nuova canzone alla quale stavo lavorando in compagnia di David.
Passare del tempo con il mio migliore amico era sempre piacevole: lui era una delle poche persone a conoscere il vero Pierre.
Con Dave sapevo di non dovermi fingere felice se non lo ero. Sapevo di poter contare su di lui ventiquattro ore su ventiquattro: ero certo che se l’avessi chiamato alle quattro di notte dopo avermi insultato mi avrebbe sicuramente chiesto cosa non andava, se poteva aiutarmi in qualche modo, o semplicemente mi avrebbe ascoltato.
Sapevo che se stavo male non mi avrebbe fatto mille domande sul perché ma avrebbe semplicemente cercato di tirarmi su il morale facendomi divertire.
Era questa l’amicizia.
Dave era semplicemente… cazzo! Non mi venivano neanche le parole per descrivere quanto bene stessi con lui.
Comunque, dopo aver passato la mattinata a cazzeggiare, gli avevo proposto di rimanere a pranzo da me, ma mi aveva liquidato dicendo che si doveva vedere con Sarah, la ragazza che frequentava da un paio di mesi e con la quale – mi sembrava – stesse costruendo un rapporto serio.
Sbuffai.
Era ormai la quarta volta nell’arco di mezz’ora e non riuscivo a smettere di farlo.
Continuavo a guardare l’asfalto grigio della strada attraverso la finestra, annoiato come non mai.
Avevo mangiato da solo nel mio appartamento e mi ero ritrovato improvvisamente solo e con una voglia strana di parlare con qualcuno. Ma di cosa? E con chi?
Non mi andava di disturbare i ragazzi. E poi beh, non era con loro che avrei voluto parlare.
Avevo davvero bisogno di sentire Schuyler.
Dopo il messaggio che mi aveva mandato durante la notte e al quale avevo risposto solo in tarda mattinata, dopo essermi svegliato, non si era più fatta sentire.
Impossibile che si fosse già scordata di me. Probabilmente, essendo a scuola, non aveva avuto l’occasione per accendere il cellulare.
Mi venne un’idea. Avrei potuto andarla a prendere da scuola!
Perché non ci avevo pensato prima?!
Mi aveva detto che frequentava l’ultimo anno all’East High School, che non era troppo lontano da casa mia. Decisi perciò che ci sarei andato a piedi, se non si fosse messo a piovere.
Merda, sembrava passato un secolo dall’ultima volta in cui ero andato a prendere una ragazza a scuola.
Mi sgridai, impedendomi di pensare ancora una volta alla differenza di età e mi avviai verso il bagno, deciso a farmi una doccia prima di uscire di casa.
 
 «Cazzo» esclamai, accorgendomi di essere in ritardo. Si erano ormai fatte le quattro meno dieci e dovevo assolutamente sbrigarmi.
M’infilai una felpa e afferrai un paio di Ray-Ban con le lenti oscurate. Ero abituato a portarli anche d’inverno quando giravo in città; preferivo non essere riconosciuto.
Percorsi a grandi passi il vialetto di casa e mi misi in strada per arrivare alla scuola.
Merda, dovevo fare in fretta.
Non volevo che Sky se ne andasse senza avermi visto, senza esserci nemmeno salutati.
Così accesi l’ipod e m’infilai le cuffie nelle orecchie, convinto che con un po’ di musica avrei accelerato il passo.
 
Varcai la soglia del grosso cancello della scuola qualche secondo prima che la campanella suonasse
- Oh, appena in tempo. – mi dissi, appostandomi su un lato dell’edificio. Cercavo di stare semi-nascosto ma di avere, allo stesso tempo, una buona visuale sulla porta d’uscita.
Bè, di sicuro non sarebbe stato difficile individuare Schuyler.
Era impensabile trovare una ragazza che le assomigliasse. O semplicemente che avesse la sua stessa chioma blu.
Mi accorsi di stare sorridendo.
Quando pensavo a lei mi capitava spesso di sorridere senza rendermene conto. Che cosa stupida.
Oh, e va bene!
Forse un po’ mi piaceva. Ma solo un po’, eh.
Eccola.
Era in mezzo a un gruppo di persone ma la riconobbi subito. Stava ridendo. Sentivo la sua risata da qualche metro di distanza. Era davvero bellissima, merda.
Mi decisi ad andarle in contro, impaziente di poterle di nuovo parlare. Ormai ero arrivato a metà strada, mi mancavano una decina di passi per raggiungerla, quando improvvisamente mi resi contro che era tenuta sotto braccio da un ragazzo alto che doveva avere più o meno la sua età.
Cazzo.
Mi fermai bruscamente e, in quell’esatto momento, si voltò ancora ridendo nella mia direzione.
Quando i nostri sguardi s’incrociarono smise di ridere e la sentii dire «Ehy Lou, ti va se ci sentiamo dopo? » e, senza neanche aspettare che il giovane le rispondesse, iniziò a camminare nella mia direzione.
Aggrottai le sopracciglia… chi era quel Lou?

scusate!
Giuro mi dispiace ma morire per essere riuscita a pubblicare questo schifo con così tanto ritardo.
Scusatemi davvero.
Ho avuto un "blocco" e non sono riuscita a scrivere niente di meglio di questo.
Spero di poter rimendiare con i capitoli successivi.
E' che è un periodo un po' di merda! AHAH scusate ancora.
Ah, mi farebbe piacere leggere qualche recensione, anche se non me lo meriterei per il capitolo orrendo che vi ho proposto AHAHAAHAAHAAHAHAH

Alla prossima,

                                                                                                                              Ari.


 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1291826