Profumo di Neve di fragolottina (/viewuser.php?uid=66427)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I parte ***
Capitolo 2: *** II parte ***
Capitolo 3: *** III parte ***
Capitolo 1 *** I parte ***
profumo di neve
fragolottina's time
buonasera lettrucciole,
vi presento il mio Racconto di Natale... lo so che è un po'
presto per pensare al Natale, però è tutto programmato!
piacendo al cielo, dovremmo finire tutto per il ventiquattro dicembre,
o il venticinque... insomma quel periodo lì...
dunque... sarà un racconto caratterizzato dalle tre B: breve, bello, buono!
se sgamate l'inghippo subito mi indispettirò abbastanza...
quindi, nel caso non ditemelo... e soprattutto fate la faccia sorpresa
quando ve lo dico io!
poi... fondamentalmente come idea è un po' bislacca, ma tanto
non vi turberete più di tanto, no? insomma, ormai vi sarete
fatte una certa idea di quello che scrivo...
PROFUMO DI NEVE
I parte
Quando mi sveglio mi
rendo subito conto che è quasi il momento. Mi sembra di riuscire
a toccare la sua crescente eccitazione nell’aria e sorrido con
gli occhi ancora chiusi.
Nick
è già in piedi e lo sento baciarmi il collo, il petto
attraverso la scollatura del pigiama, la pancia nuda, facendomi
rabbrividire per il freddo, che gela il suo bacio umido immediatamente.
Apro
gli occhi e cerco la sua testa, passo le dita tra i suoi dreadlocks
stretti e precisi. Sbadiglio. «Qualcuno è di buon
umore.» commento, ancora assonnata.
Nick
si tira su, rimanendo comunque con il busto su di me. Ha il sorriso
più bello del mondo, perché il suo sorriso non è
una smorfia rapida, che torna al disappunto o alla noia subito dopo;
quando Nick sorride è allegro sul serio ed è duraturo,
sarà così felice fino all’anno prossimo.
«Non lo senti?» mormora, tanto vicino al mio viso che
non resisto alla tentazione di baciarlo, con le sue parole che vibrano
sulle mie labbra. Io non resisto mai alla tentazione di baciarlo.
È così bello, ha il viso che ho sognato di trovare per
tutta la vita. Ha il naso perfetto. Adoro i suoi dreadlocks castani. Ha
gli occhi più grandi e blu che si siano mai visti. E brillano,
come la prima neve sotto un raggio di sole mattutino. Brillano di
quello che è, nel suo intimo più profondo.
Dio, il ragazzo che mi ama è perfetto.
«Cosa?»
Si
appoggia coi gomiti ai lati della mia testa e prende a giocherellare
con i miei capelli. «La neve.» solleva il mento ed annusa
l’aria intorno a noi. «La prima neve di
quest’anno.»
So
cosa significa per lui, non c’è qualcosa che ami
più della neve: la prima neve, significa che è quasi ora
di tornare a lavoro ed a Nick il suo lavoro piace. Mi tiro su sui
gomiti e mi trovo ancora più vicina, quando mi bacia questa
volta, è più intenso, più profondo. Sarà
difficile smettere.
«E se non andassi a… mm…» gli mordo le
labbra riuscendo a togliergli l’intenzione di parlare per qualche
secondo, finché non appoggia la fronte contro la mia. Abbiamo
entrambi il respiro talmente frammentato, che sembra flash-forward di
quello che accadrà tra poco. «Non andare a lavoro,
Meg.»
«Devo.» cerco le sue spalle, le sue braccia sotto la
t-shirt leggera con cui dorme e le strofino con le mani.
«Il capo sono io.» mi ricorda.
Rido
contro le sue labbra. «Quindi questa potrebbe quasi essere
considerata molestia sul lavoro.» lo prendo in giro.
«Ah-ah.» mi riprende. «Qualcuno non sta facendo la brava bambina.»
Mi
lascio di nuovo cadere sul cuscino e dischiudo le gambe, per lasciare
che una delle sue scivoli tra le mie.
Nick
mi sfiora la linea del collo in punta di dita. «Dovresti stare
attenta, è quasi Natale. Babbo Natale sarà sicuramente in
ascolto.» sgrana gli occhi con enfasi. «Niente regali per
la mia Maggie.»
Mi
specchio nel suo sorriso e non riesco ad impedirmi di essere felice.
Sono sperduta in un villaggio nordico semi deserto per quasi tutto
l’anno, lavoro in una tavola calda desolata con pochi clienti
abituali che mi chiamano per nome, ho lasciato tutto, la mia vita, il
mio mondo per seguire un ragazzo che è stato il mio più
perfetto regalo di Natale. E non riesco a ricordare un anno più
felice di questo.
Nick dice che ci eravamo
già incontrati, molti anni prima. Dice che ero molto piccola ed
è normale che non ricordi. C’era ancora mia madre, io
avevo quattro anni ed un’idea tutta mia sulla morte.
Dice che lo sorpresi mentre la guardava in piedi accanto al suo letto.
Mio
padre si era addormentato vestito per paura che allontanandosi,
distraendosi anche solo per un secondo l’avrebbe persa, gli
sarebbe scivolata tra le dita. Mamma era così fragile e
l’ultima chemioterapia l’aveva distrutta. Ricordo il suo
viso solo dalle foto, ma ricordo il suo respiro: esitante, troppo
profondo, come se i suoi polmoni accumulassero più aria del
necessario per paura che non ce ne fosse un altro.
Io, che mi ero alzata per andare in bagno, lo trovai lì, immobile.
«Sei un angelo?» gli chiesi preoccupata.
Nick si voltò dispiaciuto, senza dire niente.
Io
rimasi in piedi sulla soglia, stringendo in mano il braccio del mio
orsetto. «Papà, dice che siccome mamma sta tanto male,
presto un angelo verrà a portarla via.»
Lui sospirò.
Ora mi
racconta sempre che non sapeva cosa dirmi, che ero così piccola,
che mia madre mi amava così tanto.
Usò anni di esperienza con i bambini per sorridermi, uscì
dalla stanza dei miei genitori e la socchiuse per non svegliarli; poi
si accucciò davanti a me e studiò il mio peluche.
«Quello è davvero un bell’orsacchiotto.»
«Ti piace?» gli domandai eccitata. Troppo piccola per
pensare che c’era uno sconosciuto in casa mia e poteva essere
pericoloso.
«Tantissimo e io me ne intendo di orsacchiotti.» mi
lisciò la magliettina del pigiama con affetto. «Sai
cos’altro mi piacciono?» mi chiese.
Io continuai a guardarlo, dice che avevo occhi enormi per essere una bambina tanto piccola.
«Gli alberi di Natale.»
Lo
portai a vedere il mio e gli indicai la presa della corrente per
illuminarlo, papà si era raccomandato di non toccarla. Per
alcuni secondi rimanemmo lì, fermi, a guardare le lucine
accendersi e spegnersi.
Io
allungai la mano e presi la sua. «Se sei un angelo, perché
non guarisci la mia mamma invece di portarla via?»
Lui si
accucciò di nuovo accanto a me. «Non posso guarire la tua
mamma.» scosse la testa. «Ma non sono qui per portarla via.
Passerete il Natale insieme e sarete felici, ti prometto che
sarà bellissimo.» abbassò gli occhi.
«Però poi verranno a prenderla.»
«Oh.» gli occhi mi diventarono lucidi ed acquosi e Nick mi abbracciò.
«Non fare così, piccina.» cercò di consolarmi.
«Sarà brutto.»
«Si, dovrai essere molto buona e forte per il tuo
papà.» si allontanò per guardarmi negli occhi.
«Anche la mia mamma se n’è andata da poco,
sai?»
«Davvero?» chiesi incerta.
Lui annuì con la testa.
«E ti manca?»
Sospirò, poi però cercò di sorridere.
«Sempre, ma sono sicuro che ovunque si trovi anche io manco a
lei.»
«Mamma non mi dimenticherà?»
«No.» il suo sorriso fu più convinto questa volta.
«E tu?»
Si allontanò e mi baciò la fronte. «Mai.»
Tutto quello che mi aveva
detto si avverò. Mamma per Natale stette bene, abbastanza da
stare alzata in soggiorno a giocare, mangiare biscotti e guardare la tv
con me.
Si avverò tutto, però.
Cominciò a stare di nuovo male il ventotto dicembre e
chiese di farsi ricoverare, per non essere nella mia bella casetta
quando… beh, immagino fosse un gesto molto premuroso.
Io ricordo l’ambulanza, come il lampeggiante si rifletteva sul mio albero di Natale.
L’anno dopo quando mio padre provò a decorare un
abete, io scoppiai a piangere disperata. Lui non disse niente, prese
tutto, lo chiuse in un paio di scatoloni e lo portò in soffitta.
Niente più alberi di Natale.
lo so... è un po'
cortino - Lamponella
dice di no, ma lei non è abituata ai miei
capitoli chilometrici... vedi il Mitronio di Synt!
ma quanto sono cucciolosi!
anche perchè deve essere tutto tenero e morbidoso per Natale...
ma parlando di cose serie... che ne pensate? vi piace?
se vi va di farmelo sapere mi renderete molto gioiosa!
baciallajinglebellsinanticipo
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Capitolo 2 *** II parte ***
profumo di neve
fragolottina's time
secondo capitolo del racconto natalizio, lettrucciole.
allora, mi devo parare un po' il sederino. prima che me lo diciate o
che aggrottiate le sopracciglia perplesse davanti allo schermo
facendovi venire le rughe, of course, lo so, che di norma le cose non
vanno proprio così. ma è una storia fantasy e lui
è... LUI!
cmq, ci vediamo più giù!
PROFUMO DI NEVE
II parte
Ci vestiamo insieme davanti allo stesso specchio, la convivenza ha scacciato via ogni imbarazzo.
Ricordo ancora la prima notte che ho dormito in questa casa, la nostra
casa; ricordo il terrore cieco che mi ha assalita quando ho visto il
letto enorme nella camera. Io non avevo mai avuto un fidanzato, quindi,
non avevo mai esplorato certi orizzonti. Avevo baciato un paio di
ragazzi, quasi per sbaglio.
«Nick…»
Lui mi aveva abbracciata da dietro, con il mento
appoggiato alla mia spalla. «Ti sentiresti più a tuo agio
con una camera tutta tua?» mi aveva chiesto, indovinando i miei
timori. «Posso chiedere a Mrs. Tillman di preparartela.»
«Mrs. Tillman?»
«La governante.»
Avevo continuato a tenere gli occhi fissi sul letto.
«Abbiamo già dormito insieme.» gli avevo ricordato.
«Si, ma questa è casa mia, nostra… magari ti rende imbarazzata.»
Ci avevo pensato. «Tu sai…» avevo
lasciato la frase in sospeso per qualche secondo, per dargli tempo di
concluderla da solo. «vero?»
Mi strinse più forte la vita. «Si, lo
so, Meg. Per questo non ti ho chiesto niente.» mi aveva girata
piano e guardata con un misto di fastidio finto e divertimento.
«Se mi dici di no ancora prima che te lo chieda mi scoraggi. Devo
presumere che sia venuta via con me solo perché sono un ragazzo
facoltoso.»
L’avevo guardato, avevo scosso la testa e gli
avevo buttato le braccia al collo prima di baciarlo. Completamente
consapevole che lo volevo, a livello molto teorico in quel momento, ma
prima o poi sarebbe stato tutto più concreto. Nick
l’avrebbe capito, sapevo che mi avrebbe chiesto solo in quel
momento.
In quel momento io gli avrei detto di si.
«Frustrante.» commenta lui, legandosi tutti dreadlocks.
Lavora come assistente nel reparto pediatrico di un
ospedale, non è un infermiere, è più una specie di
maestro. Gioca con loro, racconta favole, li aiuta a fare i compiti.
Nick ama i bambini, tutti i bambini. Forse perché una parte di
lui è ancora un bambino giocoso, dice sempre che la cosa che
odia di più è essere costretto ad essere triste.
Il problema è che quando lavori nel reparto
pediatrico di un ospedale, sei costretto ad essere triste più
spesso di quanto vorresti.
«La prima neve e devo lavorare.»
«Siamo quasi a dicembre.» lo rincuoro
mentre mi intreccio i capelli. «Tra poco potrai dedicarti a
quello che ti piace di più.»
Mi rende un po’ triste sapere che avrà
un mese di aspettativa e che non avrà mai tempo per me, ma
capisco anche che il suo è un impegno improrogabile.
Lui incrocia il mio sguardo nello specchio. «Rotolarmi nel letto con te?» mi chiede malizioso.
Rido arrossendo poco, poco. «Anche.»
fisso la treccia con un elastico, poi faccio forza sulle braccia e mi
siedo sul piano del lavello.
Nick si avvicina e si appoggia con le gambe alle mie
ginocchia. «Dovremmo fare qualcosa per festeggiare la prima neve
stasera.» riflette.
«Tipo?»
«Non lo so.» scrolla le spalle e mi da
un bacio veloce sulle labbra. «Ne riparliamo a pranzo?»
Come ricordo il nostro primo incontro? Mm… strano, se non altro.
Mancavano due settimane a Natale ed io ero sola a casa. Mio padre aveva
il turno di notte e, da quando ero diventata troppo grande per le
baby-sitter, mi infilava sotto il letto la sua mazza da baseball,
ricordandomi ogni volta che se qualcuno entrava in casa senza il mio
invito, non era per mangiare biscotti.
Così quando sentii un rumorino venire dal
piano di sotto, sbarrai gli occhi, recuperai la mazza e mi avviai,
tenendola ben salda tra i pugni, in cucina. Cercai di non fare nemmeno
un rumore, evitai le assi del parquet che scricchiolavano, mi impedii
perfino di accendere la luce. Al buio riuscivo a riconoscere solo
un’ombra ed il raggio di una torcia che vagava per la cucina.
Quando fui abbastanza vicina da colpirlo, il ladro
si voltò di botto, gridò un «Aspetta!» e
bloccò la mia mazza con un braccio. La sua torcia volò
per terra e rotolò fino a fermarsi contro il mio piede nudo,
creando strane ombre dietro di lui.
Per alcuni secondi rimanemmo a fissarci: io con il
respiro rotto da tutta l’adrenalina rilasciata, lui con gli occhi
sgranati di paura. «Potevi ammazzarmi!» mi
rimproverò.
Io presi un respiro profondo ed allungai una mano,
senza smettere di guardarlo, per accendere la luce, poi tirai di nuovo
indietro la mia arma improvvisata. «Chi-chi sei?» deglutii.
«Che ci fai in casa mia?» domandai con più sicurezza.
«Non voglio farti del male.» mi disse
mostrandomi i palmi vuoti. Era fermo e calmo, non c’era niente in
lui che potesse sembrare pericoloso, ma era comunque uno sconosciuto.
«Che ci fai in casa mia?» ruggii di nuovo, senza abbassare la guardia.
Lui guardò dietro di sé quattro
biscotti, di cui uno mezzo mangiucchiato, e del latte in un thermos. Lo
sapevo perché ce lo avevo messo io.
«Non è presto per lasciare i biscotti a
Babbo Natale?» mi domandò curioso mentre si sedeva ad una
sedia, evidentemente nemmeno io sembravo gran ché aggressiva.
«Non sono per Babbo Natale, sono per mio padre, quando tornerà domandi mattina.»
«Premurosa.» commentò.
Io scossi la testa. «Fammi capire, sei entrato per rubarmi i biscotti?» chiesi incredula.
Annuì piano, poi, come ripensandoci:
«Non rubarli, io… ehm…» si morse le labbra,
sembrava divertito.
Abbassai la mazza, giacché non sembrava
intenzionato ad aggredirmi, ed incrociai le braccia sul petto in attesa
di una spiegazione più convincente. «Dimmi perché
non dovrei chiamare la polizia?»
«Perché avevo molta fame?» tentò guardingo.
Alzai gli occhi al cielo. «Da dove sei entrato?» continuai implacabile.
Lui recuperò il biscotto mangiucchiato e lo
addentò, dopo essersi assicurato che non lo avrei colpito.
«Ecco…» masticò con calma, lo sguardo
assottigliato, non c’era bisogno di una psicologa per capire che
stava cercando di inventare una bugia credibile. «C’era una
finestra aperta.» concluse.
«No, non è vero.»
Mi fissò. «Si, invece.»
«Quale?»
Rise, senza provare nemmeno a fingersi serio. «L’ho chiusa.»
Sollevai le sopracciglia scettica.
«Temevo che potessi prendere freddo!»
Sbuffai esasperata e mi sedetti, tenendo la mazza con me, non si poteva mai sapere.
Mi osservò attento. «Rilassati. Mangio e me ne vado, promesso!»
Non risposi, non mi mossi e di certo non mi rilassai.
Allungò una mano in mia direzione, io
indietreggiai di botto, ma lui: «Mi chiamo Nick.» disse
soltanto.
Incerta gliela strinsi. «Io Maggie.»
Rimasi a guardarlo mangiare, non ero del tutto
convinta che fosse entrato per quello, ma nel caso avesse avuto cattive
intenzioni sembrava averle abbandonate; se l’unica cosa che
intendeva rubarmi erano dei biscotti, non mi sentivo di negarglieli.
Ora che ci ripenso da parte mia fu stupidamente irresponsabile.
«Quindi tuo padre non torna fino a domani
mattina?» mi domandò dopo aver bevuto un sorso di latte.
Lo guardai sospettosa senza rispondere, certa che
rassicurare uno sconosciuto sul fatto che nessuno adulto sarebbe
rientrato fino al giorno dopo, non fosse saggio.
Mise le braccia conserte sul tavolo e ci si
appoggiò con il mento, guardandomi da sotto in su. «Di
solito le ragazze della tua età fanno venire il proprio
fidanzato per farsi fare compagnia.»
«Cos’è stai facendo un sondaggio?» sbottai arrossendo.
Scosse la testa tranquillo. «No, sono curioso.»
Sospirai. «Non ho un fidanzato.» ammisi.
«Perché?» chiese tanto incredulo da sembrare dispiaciuto.
«Ma la smetti!» lo rimproverai.
Lui si tirò su dispiaciuto. «Scusa,
è che sei bella e di solito le ragazze belle hanno un
fidanzato.»
«Di solito le ragazze ti parlano della loro
vita, dopo che ti sei infilato abusivamente in casa loro a mangiare
biscotti.»
Si leccò le labbra, appena imbarazzato anche
lui. «Touché.» mormorò divertito, si
tirò indietro sullo schienale della sedia. Rimanemmo a studiarci
per un po’, poi lui prese a guardarsi intorno. «Non hai
l’albero di Natale.» notò.
Non risposi.
«E Babbo Natale dove ti lascia i regali?»
Sbattei le palpebre perplessa. «Ho diciassette anni.» gli feci notare.
«E allora?» mi domandò tornando a guardarmi sinceramente curioso.
Mi strinsi nelle spalle. «Non credo più a Babbo Natale.»
Per alcuni secondi mi fissò e basta,
mettendomi anche abbastanza a disagio, poi si chinò in avanti ed
avvicinò la propria sedia alla mia. Così vicino che se
avesse chiuso le ginocchia si sarebbe scontrato con le mie. Lanciai
un’occhiata alla mazza da baseball che avevo finito per
appoggiare sul piano della cucina, ma non la recuperai; non so
esattamente come, ma avevo finito per fidarmi di lui.
«Quanta magia riesce a vedere in giro, Meg?»
«Poca.» risposi piano. «Ma che c’entra?»
«C’entra.» annuì. «Ce
n’è poca e di solito non la vediamo. Passiamo una vita
immersi nella realtà più spietata e diventiamo cinici,
scorbutici e…»
«Tristi.» terminai per lui.
Allungò una mano esitante e, quando
realizzò che non mi sarei allontanata, mi sfiorò appena
la guancia. Le sue dita erano calde e morbide. Credo di aver iniziato
ad amarlo in quel momento, perché in quel momento realizzai che
non avrei mai voluto che smettesse di accarezzarmi.
«Già, tristi.» convenne.
«Credere a qualcosa di magico, anche se si tratta di qualcosa
palesemente irreale, rende più felici.»
Assottigliai lo sguardo. «Chi diavolo sei tu?»
Sgranò gli occhi con enfasi, ridendo. «Babbo Natale.»
Risi anche io. «Ti immaginavo leggermente più anziano.»
Lui sorrise intimo. «Io non ti immaginavo più bella.»
Continuammo a parlare, gli raccontai la mia vita e
lui seguì ogni mia parola con la stessa attenzione che un
bambino avrebbe dedicato ad una favola meravigliosa. Anche lui mi
parlò di sé, del suo lavoro con i piccoli malati, di
quanto era difficile a volte giocare e ridere con loro, sapendo che
alcuni il giorno dopo non ci sarebbero stati più. Mi chiese,
ancora, perché non avessi un fidanzato e questa volta risposi.
«Ho paura che muoia.» confessai, era la
prima volta che lo ammettevo ad alta voce e… dio, lo stavo
raccontando ad uno sconosciuto.
Lui mi studiò senza dire niente, nei suoi
occhi non c’era traccia di rimprovero, solo una leggera e
incredibilmente rispettosa curiosità. «Spiegami.»
«Quando mia madre è morta, mio padre
è morto con lei. Ho visto il suo dolore, lo vedo ancora.»
scossi la testa. «Non riuscirei a sopportare una sofferenza tanto
profonda. Non voglio sopportare una sofferenza tanto profonda.»
risi amara, cercando di evitare il più possibile il suo sguardo.
«Ti sembrerò pazza.»
Nick mi fissò serio e dispiaciuto, poi scosse
la testa e cercò la mia mano, non il mio viso, rispettò
il mio volermi celare. «No, non mi sembri pazza neanche un
po’.» si voltò e guardò la finestra, era
ancora notte, ma c’era un grado di oscurità minore
rispetto a quando avevamo iniziato a parlare. «Dovrei andare, non
credo che tuo padre sarebbe contento di trovarmi qui.»
Si alzò in piedi ed io con lui. Lo
accompagnai alla porta, come se fosse stato un ospite super gradito e
non un potenziale ladro che si era intrufolato in casa mia.
Quando gli sbloccai il portone e lo dischiusi mi
prese una strana ansia. Lo guardai preoccupata, parlare con lui era
stato così bello, e se non lo avessi visto mai più?
«Tu non sei di qui.» dissi piano.
Sorrise e scosse la testa.
«Io vorrei rivederti.»
«Anche io.» rispose semplicemente.
Deglutii. «Per parlare.»
Fece una passo verso di me, piano per non farmi
spaventare. Staccò le mie dita dal pomello della porta e lo
chiuse con delicatezza. Mi prese anche l’altra mano e le
congiunse dietro il suo collo, poi mi abbracciò per la vita; era
dell’altezza giusta, perché, con quella vicinanza, fossi
costretta a sollevare lo sguardo per fissarlo negli occhi.
«Parlare?» mi domandò, sollevando un sopracciglio.
Arrossii e slacciai le mani per spingerlo via per il
petto. «Se non vuoi rivedermi per parlare, non vuoi
rivedermi.» sbottai offesa.
Nick non mi lasciò andare. «Meg.»
mi chiamò. «Parlare è perfetto.»
Lui era perfetto, avrei voluto dirglielo ce
l’avevo sulla punta della lingua. Chinò il viso su di me,
stringendomi forte; io spostai le mie mani sulla sua schiena,
scivolando sulla leggera infossatura della spina dorsale. Mi
lasciò un bacio tra i capelli, un bacio dolcissimo e intimo.
«Tu sei perfetta.» mi disse prima di andarsene.
Si, lo amavo già.
come vedete la storia si snocciolerà attraverso i ricordi di Maggie.
dunque, lo so, che ancora non è molto natalizia - non c'è
nemmeno l'albero di Natale - ma datemi tempo per farvi capire di cosa
stiamo parlando!
spero che vi piaccia...
baci
ps. stavo per dimenticarmi Lamponella - l'amministatrice della mia Fan Page, per chi non lo sapesse - chi la sente poi!
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Capitolo 3 *** III parte ***
profumo di neve
fragolottina's time
AHHHH! ma siamo in ritardo!
oh, mio dio così non ce la faremo mai per Natale!
il che è un problema che si presenta un po' in tutti i racconti di Natale quindi ben venga...
cmq, no, in realtà sono pochi capitoli, quindi se mi metto sotto
ce la dovremmo fare... è un grande 'se', non vi assicuro niente!
prometto, però, di farcela per la fine delle vacanze!
PROFUMO DI NEVE
III parte
La tavola calda dove lavoro era dei genitori di Nick, lui non
l’ha mai toccata. Ha lasciato che Mrs. Durden, la capo cameriera,
la gestisse come ritenesse più opportuno. Solo quando io sono
venuta a vivere da lui ed avevo bisogno di un lavoro, ha chiesto che
venissi assunta.
Il mio impiego mi piace, mi fa sentire utile anche
se gli avventori non sono molti ed io servo solo caffè. Ho
imparato che vivere qui è una scelta coraggiosa, per tutto
l’inverno la neve isola il paese da tutto il resto del mondo e
bisogna essere forti per superarlo. La proprietà privata viene
quasi considerata un delitto, c’è la comunità ed
è giusto condividere per aiutare tutti.
Tutti sanno chi è Nick, perciò nessuno
si sorprende che, nonostante l’ospedale dove lavora sia a
centocinquanta chilometri da qui, lui riesca comunque a venire a pranzo
da me ed ad arrivare in tempo per il turno pomeridiano. La limousine di
Nick corre veloce.
I miei concittadini mi vogliono bene. Dal primo
giorno che sono venuta qui. Hanno assimilato solo tre cose di me:
primo, che sono la fidanzata di Nick; secondo, che mi chiamo Maggie;
terzo, che vengo da fuori città.
Tutto il resto non li ha mai interessati.
Ed anche il terzo punto, per loro si tratta solo di
un’indicazione per suggerire che devono spiegarmi alcune cose.
«Secondo me dovrebbe lavorare qui anche lui visto che ha te.»
Il signor Jackson è sempre un po’
scorbutico, ma so che è solo una posa. Nick mi ha raccontato che
quando i suoi genitori se ne sono andati è stato proprio lui ad
aiutarlo ad organizzare tutto quanto. A quanto pare lui e suo padre
erano molto amici.
«Se ai miei tempi ci fosse stata una cameriera
tanto carina, di certo non mi sarei fatto problemi per il suo ragazzo.
Soprattutto se non c’era mai.»
«Oh, smettila Tom!» sbotta Mrs. Durden,
servendogli la sua omelette. «Il ragazzo fa un lavoro di cui
tutti dovremmo essere fieri. Ed è un bel giovanotto, se anche ai
tuoi tempi Maggie ci fosse stata, di certo non si sarebbe fatta rubare
da te.»
«La lascia sola per Natale.»
Mrs. Durden lo fissa omicida. «Oh, questa
poi.» sbotta indignata, scappando a sfogare il dispetto nella
cucina, dove suo marito prepara i cibi. «Scordati che ti serva
qualcos’altro.» la sentiamo gridare.
«Mi lascia sola soltanto per la Vigilia, signor Jackson.» lo correggo.
«Non va bene comunque.»
«Oh, su Mr. Jackson! Mi dia un po’ di
tregua.» lo supplica Nick entrando nella tavola calda.
Ci guardiamo e riesco quasi a vedere una specie di
aura luminosa intorno a lui: non so se sia perché è lui o
se i miei occhi innamorati lo rendano più luccicante. Mi sorride
e fa alcuni passi nella mia direzione, come se non vedesse altro. Mi
raggiunge dietro il bancone e mi abbraccia prima di darmi un bacio. Tra
i suoi dreads sono rimasti intrappolati dei fiocchi di neve, che si
sciolgono a contatto delle mie dita; ne ha uno anche sulla guancia, che
gli cola sul viso come una lacrima, ma i suoi occhi luccicano: se fosse
una lacrima, sarebbe di gioia.
Mi stringe forte, sovraeccitato come un bambino con troppo zucchero in corpo.
«Sei bella.» mi sussurra ad un orecchio,
sfiorandolo con il naso gelato. Le sue labbra però sono calde.
Lo abbraccio a mia volta. «Anche tu.»
«Non è tutto più bello quando
c’è la neve?» chiede un po’ a tutti sorridendo.
«Dio, come lo odio quando entra nella parte.» borbotta il signor Jackson.
Ma la felicità di Nick è molto, molto
dura da scalfire, non basta certo un po’ di cinismo.
«Vedrà Mr. Jackson, anche lei sarà contento per
Natale.» prognostica e si siede accanto a lui.
«Se lo dici tu.»
«Che mangi?» gli domando.
Io suoi occhi dicono “Te” e sento un
brivido caldo scivolarmi sulla schiena. «Pancake, con tanto
zucchero a velo, tanto sciroppo d’acero, mirtilli ed una
spruzzata di cioccolata.»
Il signor Jackson lo studia aggrottando le
sopracciglia. «Che mi venga un colpo! Morirei di diabete solo a
pronunciare una roba del genere e questo qui, invece, è magro
come un chiodo!»
«Faccio tanto attività fisica.» spiega tranquillo.
«Ma non prendermi per il…»
«Signor Jackson!» lo interrompe Mrs.
Durden rientrando attivamente in servizio prima dell’inevitabile.
Io rido, perché questo è il mio posto.
La seconda volta che ci incontrammo fu in un caffè, di pomeriggio.
Trovai un mazzetto di vischio fuori la porta, con attaccato un
cartoncino. Mio padre mi prese in giro, elogiando le mie conquiste
amorose, mentre io rimasi a fissare la grafia ordinata e tonda che
diceva: “Ti aspetto allo Sugar Smell alle 17:30. Nick C.”
Conoscevo il locale, era una caffetteria molto carina a pochi minuti di cammino da casa mia.
Portai in camera con me il mazzetto ed il cartoncino
e mi sedetti sul letto, di fronte all’armadio. Era passata una
settimana da quando si era intrufolato in casa ed io non ero ancora
riuscita a sbrogliare la mia mente ed il mio cuore. Una cosa era stata
certa, però: dopo di lui, nessun ragazzo aveva toccato la mia
anima o, molto meno poeticamente, il mio interesse.
Riportai, ancora, alla mente ogni dettaglio che ero
riuscita ad immagazzinare di lui. Piccoli frammenti di bellezza ognuno
diverso dall’altro ed ognuno unico ed irripetibile, come i
fiocchi di neve. Nessuno parlava, si muoveva, sorrideva come lui. Nick,
se poi quello era davvero il suo nome, sapeva di speranza, di cose
buone e belle, di futuri rosei e radiosi. Di vita.
Ed io non sapevo cosa indossare.
Alla fine mi decisi per una gonna di jeans lunga
fino al ginocchio, un paio di stivali, calze lunghe a righe sui toni
del marrone ed un maglione color panna. Mi tirai indietro i capelli con
un fermaglio e completai tutto con cappello, guanti e sciarpa, sempre
bianco panna.
Quando scesi in soggiorno, mio padre non
commentò il mio abbigliamento più curato del solito, si
limitò solo ad augurarmi “Buona Fortuna” prima che
uscissi.
Nick era già lì quando arrivai,
nascosto sotto un giaccone pesante. Non appena mi vide i suoi occhi si
illuminarono così tanto, da farmi arrossire e sorridere, e
sentire prepotente la voglia di abbracciarlo.
«Credevo non venissi.» le sue parole si
condensarono in nuvolette, mentre parlava. Faceva freddo, nonostante le
strade pulite, sui marciapiedi c’era neve accumulata.
Strinsi i pugni guantati dentro la mia giacca. «Perché?»
Si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
sorrise ancora e, se è possibile, di più.
«Però sono contento che sei qui.»
Non dissi niente, perché non sapevo cosa dire.
Lui mi guardò per qualche secondo con le mani
in tasca, poi si morse il labbro e lanciò un’occhiata
dietro di sé. «Entriamo?»
Annuii.
Lo “Sugar Smell” era un locale carino e
dolce. Caldo e speziato per tutti i tè o le cioccolate profumate
che venivano servite. La cameriera – Viola diceva la targhetta
appuntata al suo petto – ci mostrò un tavolo libero per
due, proprio di fronte alla vetrina.
«Posso portarvi qualcosa?» ci domandò cortese.
Nick mi guardò in attesa.
«Un tè all’arancia, per favore.»
«Per me uno alla cannella e…»
assottigliò lo sguardo per studiare la vetrina di dolci anche da
quella distanza. «Biscotti al pan di zenzero?»
Viola annuì con un sorriso. «Arrivano.» ci assicurò.
Mi accomodai su una sedia e lui davanti a me.
«Cannella e pan di zenzero?» chiesi divertita.
«È Natale.» si limitò a rispondere lui con una scrollata di spalle.
«La prendi molto sul serio questa festa.»
«Il Natale è bello. Le persone cercano
di essere migliori, i bambini pregano e sperano di essere abbastanza
buoni davanti alle vetrine dei giocattoli, le città sono
illuminate. Non ti fa sentire calda?»
Sbattei le palpebre e mi sfilai cappello e guanti.
«Sono appena tre gradi. Nessuno può sentirsi caldo!»
la mia voleva essere una battuta, ma lui mi fissò per qualche
secondo, poi allungò una mano a palmo in su. La guardai incerta,
poi ci posai sopra la mia: era bollente. «Wow.» commentai.
Non avevo il coraggio di alzare gli occhi su di lui, perché sentivo di arrossire.
«Meg, che hai fatto in questi giorni?»
«Come?» gli lanciai appena
un’occhiata, poi presi a guardare la vetrina, il suo riflesso non
quello che c’era fuori.
Nick sollevò il gomito sul tavolo e ci si
appoggiò con il mento. «Raccontami della tua vita.»
Mi strinsi nelle spalle. «Ho diciassette anni,
vado al liceo. Non…» lo guardai incerta, preoccupata del
suo giudizio. «Non ho molti amici, mi sembra di essere sempre
fuori posto. Anche se forse è colpa mia.»
«Le sensazioni non sono mai una colpa.»
Non risposi. «E tu che hai fatto in questi giorni?»
Viola la cameriera ci portò le nostre
ordinazioni, i biscotti di Nick erano a forma di albero di Natale.
Presi una bustina di zucchero e la versai nel mio tè.
«Ho lavorato un sacco, è un brutto
periodo.» rise e scosse la testa. «Cioè, è un
periodo bello, ma ho un sacco da fare e neanche un po’ di tempo
per me. E ti ho pensata, sempre.» mi sorpresi di come non si
facesse remore a dirmelo, sincero in modo totalizzante.
Lo fissai. «Hai preso un giorno di ferie per me?»
«Qualcosa del genere.» rispose
tranquillo, come me, anche lui scelse lo zucchero, due bustine.
«Mi sono innamorato di te e penso che tu ti possa innamorare di
me. Quindi, ho intenzione di starti dietro finché non
sarà troppo pazzo portarti a vivere da me.»
Sgranai gli occhi stupita. «Oh,
beh…» scossi la testa. «Ma non mi conosci!»
obbiettai.
«Si, ma certe cose si capiscono subito.»
afferrò un biscotto e lo addentò sempre guardandomi,
sfidandomi a dire il contrario.
«Hai una visione particolare dell’amore.» commentai.
«L’amore è semplice, sono le persone a complicarlo.»
Bevvi il mo tè all’arancia più
per nascondere il viso che per effettiva necessità. Avevo
sentito alcune ragazze, con le quali pranzavo a scuola, lamentarsi di
fidanzati troppo silenziosi e pragmatici, ma anche avere a che fare con
un ragazzo così loquace non era semplice.
«Ti va di fare qualcosa insieme dopo?» mi chiese, passando ad un altro biscotto.
Posai la mia tazza e lui spinse il piattino verso di
me per offrirmene uno. Scelsi il più piccolo. «Tipo?»
Sorrise nei miei occhi. «Ti ho portato un regalo.»
Fuori dal locale lo aspettava una limousine nera con i vetri scuri.
«Rudolph, mi apri il bagagliaio.»
Rudolph, un uomo di circa sessant’anni che era
sceso dal posto del guidatore non appena ci eravamo avvicinati,
recuperò le chiavi e raggiunse il retro dell’auto.
«Subito, sir.» quando mi passò davanti mi fece un
leggero inchino. «Miss, è un piacere conoscerla.»
Io arrossii perché, dacché ricordassi, nessuno si era mai inchinato davanti a me.
Diedi una leggere gomitata a Nick che mi
lanciò un’occhiata. «Oh, lui è Rudolph.
È l’autista della famiglia.»
Chiusi gli occhi poi li sgranai. «Tu hai un
autista che ti scarrozza in limousine?!» domandai incredula.
Nick annuì, semplicemente.
«Quindi, sei ricco.» dedussi.
Ancora un cenno del capo.
Gli afferrai un braccio e lo scrollai. «E vieni a rubare i biscotti a casa mia?!»
Scoppiò a ridere e mi prese il viso tra le
mani per lasciarmi un bacio sul naso. «Non sono cose di cui si
può parlare prima del terzo appuntamento.»
Recuperò una scatola dal bagagliaio, mentre
io ero tutta intenta ad arrossire ed imbarazzarmi, e la aprì
sotto i miei occhi. Dentro c’erano un paio di pattini da ghiaccio
a fiori blu e rosa. «Ti piacciono?»
«Mi porti a pattinare?» domandai
contenta, troppo contenta per mantenere lo stesso livello di disagio di
poco prima. «Io sono sempre voluta andare a pattinare.» li
sfiorai piano e ritirai la mano, quasi potessero sparire sotto i miei
occhi. Non ero mai andata a pattinare, anche se ricordavo mia madre
ripetermi che da grande mi avrebbe insegnato.
Nick rise divertito e bellissimo. «Lo so.»
«Lo sai?» scossi la testa e gli afferrai
un braccio. «No, ti prego, non dirmi cose che non voglio
sapere.»
Mi avvolse le spalle. «Non prima del terzo
appuntamento, tranquilla.» mi guidò piano verso lo
sportello della limousine, mentre Rudolph riprendeva il suo posto.
«Non sono capace, però.»
Una volta, anni dopo che era morta, avevo chiesto a
mio padre e lui mi aveva guardato così addolorato che mi sarei
rimangiata tutto quanto: “Mi dispiace, Maggie, io non so
pattinare.”
«Ti insegno.» promise.
Lo spazio all’interno dell’auto era
grande circa quanto la mia cameretta. Niente a che vedere con il
fuoristrada da mio padre, che, ad ogni modo, era una macchina molto
spaziosa.
«Ma qui in paese non c’è una
pista da pattinaggio.» riuscii a fargli notare, quando la
meraviglia per tutto quello che mi circondava fu passata.
Lui mi lanciò un’occhiata carica di
sottintesi. «Sai dove c’è una straordinaria pista di
pattinaggio?»
Lo studiai timorosa, senza capire esattamente dove andasse a parare. «Dove?» finii per chiedere.
«A Mosca.»
cioè vi prego, ma la limousine guidata dall'autista Rudolph è o non è una genialata?!
non posso dire altro.
cmq, probabilmente nel prossimo capitolo Nick farà outing, d'altronde sarà il terzo appuntamento, no?
fatemi sapere che ne pensate!
baci
ps. as always Lamponella...
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