Story Of A Girl di Akarai92 (/viewuser.php?uid=20411)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piece of Heaven ***
Capitolo 2: *** Magic Summer Night ***
Capitolo 3: *** Dancing Queen ***
Capitolo 4: *** Requiem for a dream ***
Capitolo 1 *** Piece of Heaven ***
Piece of Heaven
Piece of
Heaven
Alagaesia. Valle Palancar. Villaggio di Carvahall.
Un ragazzo sui diciassette anni aprì gli occhi al mondo,
disturbato dalla luce del sole che penetrava dalla sua finestra. Due
meravigliose pozze color del mare si guardarono attorno ancora
assonnate, cercando di dare al loro possessore una minima idea di che
ore fossero. Il cervello ancora totalmente appannato dal sonno del
giovane non gli permise di farsi un’idea. Ma a tutto
c’è rimedio. “Forza Eragon muoviti!!!!
C’è parecchio da fare oggi!!” Ora
però il
ragazzo era completamente sveglio, grazie al miracoloso urlo di suo zio
Garrow. Eragon si alzò a fatica dal suo letto e provvedette
a
sciacquarsi il viso e a cambiarsi. L’immagine del ragazzo che
finalmente uscì dalla stanza non era per niente male:
capelli
biondi corti, occhi azzurri molto grandi, alto, abbastanza muscoloso,
vestito con una semplice veste da contadino. Lentamente si
avvicinò alla porta, la aprì e uscì
all’aperto. “Ma perché devo sempre fare
tutta questa
fatica?!” esclamò stiracchiandosi.
“Perché se
vuoi mangiare devi darti da fare, tutto qui!!”
gridò
ridendo un ragazzo dai capelli castani dall’altra parte del
campo. Suo cugino Roran. “AhAhAh” rispose Eragon
ironicamente. Comunque, nonostante le sue lamentele, il ragazzo
cominciò a lavorare. In fondo suo cugino aveva ragione: se
voleva mangiare, avrebbe dovuto lavorare. E poi c’era
abituato,
erano anni che viveva nella fattoria, e il lavoro ormai non lo
preoccupava più. Infatti, Eragon era arrivata al villaggio
di
Carvahall quando era ancora un neonato in fasce, portato lì
da
sua madre, Selena, la sorella di Garrow. Lei poi era corsa via e non
era più tornata. Erano passati diciassette anni da quel
giorno.
Il ragazzo era diventato grande e aveva cominciato a desiderare di
uscire dal villaggio e vedere il mondo. Forse era anche per quel motivo
che si era offerto di andare a caccia sulla Grande Dorsale, la catena
di montagne che sormontava la Valle Palancar, da sempre considerata
maledetta e abitata da strane creature. Ma Eragon ancora non sapeva
quanto si sarebbe allontanato dalla sua casa, trascinando con
sé
anche la persona per lui più importante.
Una bella ragazza correva per le stradine di Carvahall. Non era vestita
con i tradizionali abiti delle donne del villaggio bensì con
una
tunica verde e marrone e degli stivali alti di pelle. Forse era per
questo che tutte le donne che incontrava le lanciavano
un’occhiata strana. In mano aveva un sacchettino e sembrava
avere
una gran premura. Come un fulmine, passò davanti alla
locanda e
salutò di sfuggita il proprietario “Buongiorno,
Horst!” “Buongiorno a te, Rae (si pronuncia
“Rè” NdM)!” La giovane
sembrava correre verso
la fattoria di Garrow, e abitando all’intermo del villaggio,
si
sarebbe dovuta fare un bel pezzo di strada. Finalmente, dopo venti
minuti buoni, riuscì ad arrivare in vista della fattoria. Il
sole che splendeva alto nel cielo illuminava pacificamente il tetto di
paglia dell’abitazione, e lanciando riflessi stupendi sulle
foglie e sull’erba bagnate ancora di rugiada, faceva
assomigliare
il paesaggio ad un piccolo frammento di paradiso. Si fermò
un
attimo a riprendere fiato, poi ripartì più
lentamente,
diretta alla fattoria.
Eragon si era ritirato nel fienile, per prendersi una piccola pausa dal
lavoro e una piccola tregua dal sole cocente. Erano già le
undici del mattino e lui lavorava dalle otto. Completamente sudato, si
sedette su una balla di fieno e cominciò a giocare con delle
pagliuzze che ne sporgevano. “Ehi cuginetto! Si batte la
fiacca?!” Roran entrò ridendo nel fienile, anche
lui
fradicio di sudore e si parò dritto davanti ad Eragon,
guardandolo con aria di sfida. Il cugino lo osservò con un
sopracciglio pericolosamente alzato. “Cerchi guai,
Roran?”
disse con un ghigno. Per tutta risposta, il ragazzo
ridacchiò
con fare di scherno. “Bene, fatti sotto allora!!” e
gli si
lanciò contro. I due cominciarono a combattersi, prima con
dei
bastoni, poi azzuffandosi sul fieno, rotolando tra le pagliuzze.
“Siete proprio due bambini!” Una voce femminile li
interruppe, lasciandoli uno sopra all’altro. Entrambi si
voltarono verso la porta del fienile, da dove era provenuta la voce.
Davanti all’entrata si stagliava l’esile profilo di
una
ragazza vestita con una tunica verde e marrone. I suoi capelli erano
raccolti in una treccia che le arrivava a metà schiena e i
suoi
occhi erano due luminosi smeraldi. Li stava guardando con le mani sui
fianchi, tentando di sembrare arcigna. I due si alzarono in tutta
fretta, fecero finta di rassettarsi, poi si avvicinarono e le fecero un
inchino. “Perdonateci, vostra signoria, ma il lavoro ci ha
debilitato e avevamo bisogno di riprenderci…”
cominciò a dire Eragon, poi entrambi scoppiarono a ridere.
“E bravi, così mi prendete anche in
giro… peccato,
e pensare che vi avevo persino portato la
colazione…”
disse la ragazza con un sorrisetto malizioso. Alla parola colazione i
due si attivarono, in fondo il lavoro mette fame, e tornarono seri (se
così si può dire). “Oh avanti Rae, lo
sai che
scherziamo… non farci questo…” le disse
Roran con
voce pietosa. “Non lo so ci devo
pensare…” “Ti
prego Rae…” Eragon le si era avvicinato e aveva
messo su
un paio di occhi da cucciolo abbandonato, a cui nemmeno lo stesso
Galbatorix avrebbe potuto resistere. Lo detestava quando faceva
così, perché lui sapeva benissimo che non era
capace di
resistere a quell’espressione. In fondo erano migliori amici
da
quando avevano due anni. “E va bene, ma solo
perché mi
fate pena!” e detto questo posò il sacchettino sul
piccolo
tavolo di legno. I due si fondarono letteralmente sul cordoncino e lo
aprirono: il piccolo fagotto di pelle conteneva dei graziosi e rotondi
biscotti, color beige. Gli occhi dei due ragazzi si illuminarono
“Rae… te lo abbiamo mai detto che ti
adoriamo!”
esclamò Eragon, correndo verso la ragazza e schioccandole un
bacio su una guancia, seguito a ruota da Roran. “
Sì,
sì… ma se fino a due minuti fa mi
odiavate!” disse
la ragazza, mentre i due si avventavano letteralmente sui biscotti. Li
osservò per un po’, poi con noncuranza chiese:
“Sono
buoni?” Nessuno dei due ragazzi rispose, ma entrambi fecero
un
segno di assenso con la testa. “…li ho fatti
io!!”
esclamò tutta contenta. Eragon e Roran si fermarono di
colpo, e,
guardandosi terrorizzati, fecero finta di tossire per eliminare il
sapore dei biscotti. “Ma non potevi dircelo prima!”
“Per poco non ci uccidi! Assassina!” I ragazzi
erano sul
punto di soffocare, sia per i falsi colpi di tosse, sia per le risate
mal trattenute alla vista del muso che Rae aveva messo su. “E
dai, adesso non ti offendere! In fondi ci piacciono i tuoi
biscotti… molto in fondo…”
“Grazie Roran, tu
sì che sai come risollevare il morale alla gente.”
Rispose
ironica. “Su, perdonaci! Non mettere il muso, sei
più
carina quando sorridi!” Eragon lo disse con l’aria
più suadente che gli riusciva, e riuscì a
strappare un
sorrisetto alla ragazza, che però lo nascose subito,
voltandosi
verso l’uscita e cominciando ad uscire. “Vedo che
qui io e
i miei biscotti non siamo graditi, perciò me ne
vado!”. I
due ragazzi rimasero un attimo esterrefatti, poi si scambiarono uno
sguardo maligno. “Non credo proprio!” Rae si
voltò
di scatto, trovandosi Roran proprio di fronte. Il ragazzo sorrise
malefico, poi improvvisamente si piegò e la
sollevò tra
le braccia. “RORAN, SEI IMPAZZITO?!!!!!”. Ma invece
di
risponderle il ragazzo cominciò a ridere, facendo finta di
lasciarla cadere. “Roran, mettimi
giù!!!!!!”
“Va bene…” E infatti la mise
giù… a
suo modo. La lanciò letteralmente in mezzo ad un mucchio di
fieno. “Ma sei completamente impazzito?!!!!”
gridò,
tentando di sembrare arrabbiata. “Mi hai detto tu di
lasciarti!” le rispose lui con un visino taaaaanto innocente.
Rae
fece per alzarsi, sbuffando alle parole del ragazzo, quando un peso
molto… pesante le piovve addosso. Si ritrovò
praticamente
stesa sul fieno, con Eragon seduto sul suo stomaco. “Eragon,
gentilmente… potresti toglierti?!!! Pesi!” gli
disse con
un sopracciglio pericolosamente alzato. “…e cosa
mi
succede se non lo faccio?!” chiese il giovane con negli occhi
un
guizzo malizioso. Rae si avvicinò al suo naso, poggiandoci
poi
la punta del suo. “Tante cose
terribili…” e
approfittando del momento di incertezza del ragazzo, lo girò
e
gli si sedette a sua volta sullo stomaco. “Prova solo a dire
che
peso!” Il tono della sua voce non ammetteva repliche. Eragon
sembrava in procinto di dire qualcosa, ma venne interrotto da
un’improvvisa apparizione di Roran che, con nessun apparente
sforzo, prese la ragazza per la vita e la sollevò dal corpo
del
povero Eragon. Così la fece volteggiare per tutto il
fienile,
tenendola stretta e facendole occasionalmente il solletico. Intanto
Eragon li seguiva, tentando di far soffocare Rae dalle risate
dicendole: “Respira, respira!!” Ma
all’improvviso
qualcosa li interruppe: un colpo di tosse. Abbastanza eloquente. Sulla
porta del fienile era apparsa la fidanzata di Roran: Katrina. I suoi
occhi dicevano tutto. In effetti la scena era abbastanza ambigua:
Roran, seguito da Eragon, teneva stretta tra le braccia Rae, rossa in
viso e con le lacrime agli occhi per le risate, con i capelli
completamente scarmigliati e pieni di pagliuzze di fieno.
Tossicchiando, i due si divisero. “Ciao
Katrina…”
dissero tutti i tre. Roran li guardò solo per un attimo, poi
uscì in giardino con lei. Rae sospirò: come al
solito,
alla fine era sempre colpa sua. Le grida di Katrina si sentivano fino
al fienile, chiare come se i due fossero stati a pochi centimetri da
loro: “La devi smettere!!! Non ce la faccio più!!!
Sei
sempre attaccato a lei!!! Ogni volta che vi vedo siete abbracciati!!!!
OGNI VOLTA!!!! Ora devi scegliere: O LEI O ME!!!!” Eragon
vide
Roran rimanere di sasso: come poteva chiedergli una cosa del genere,
Rae era la sua migliore amica. Lo vide abbassare lo sguardo, poi
abbracciare Katrina. Aveva scelto, forse… Sospirando, si
voltò. Rae era in un angolo della stanza e si stava
rifacendo la
treccia. Sicuramente aveva visto e sentito tutto. Quando ebbe terminato
il complicato lavoro delle sue mani sui capelli, fece un sospiro e si
voltò. Senza guardarlo in viso, fece per andarsene.
“Dove
vai?” Una domanda stupida. “A casa… non
ho
più voglia di stare qui.” La sua voce sembrava
leggermente
spezzata. Eragon le prese delicatamente la mano e la
avvicinò a
sé. Lei lo guardò: aveva gli occhi lucidi di
lacrime.
“Accidenti a Roran!” esclamò irato,
prima di
intrecciare le sue dita con quelle di lei. “Non preoccuparti,
andrà tutto bene. Non può… aver
preferito lei a
te.” Finalmente la ragazza gli regalò un sorriso.
Poi lo
abbracciò, stringendolo e posando il viso
nell’incavo del
collo. Lui la strinse protettivo, affondando il volto tra i suoi
bellissimi capelli, quella piccola parte lasciata apposta fuori dalla
treccia, e si lasciò inebriare dal suo profumo,
così
simile a quello delle rose. “Grazie… di
tutto…” si divisero e Rae lo baciò
dolcemente su
una guancia: cosa che lo fece arrossire non poco. Salutandolo con la
mano, si avviò verso il giardino. Roran e Katrina se ne
erano
andati. Prima che voltasse l’angolo per il sentiero Eragon le
gridò: “Vieni stasera!”
“Perché?!” “Stasera
è la notte delle
stelle cadenti!!! Le dobbiamo vedere insieme!!”
“Allora ci
sarò!” gridò sorridendo, poi si
voltò. Ma il
ragazzo riuscì comunque a vedere una dolce lacrima solitaria
solcarle il viso.
--------------------------------------------------------------------
Ciauz a tutti! Questa è la prima fic che pubblico, quindi
siate
clementi! Non so se pubblicherò anche gli altri capitoli,
dipende da quanti la recensiranno!! XD E per quelli che non lo hanno
capito (tanto non si capisce) nel secondo chap svelerò anche
il
mistero del nome dei miei capitoli. Mi raccomando, recensite! XD
Akarai
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Magic Summer Night ***
Magic Summer Night
Magic
Summer Night
Una Rae praticamente mezza nuda si aggirava per la sua stanza, tentando
con una mano di legare i lacci che le tenevano la tunica, e con
l’altra di convincere i pantaloni ad allacciarsi, mentre tra
i denti teneva il suo fermaglio per i capelli, completamente in legno,
marrone con delle intagliature dorate. Finalmente riuscì a
sistemare i pantaloni, ma i lacci non ne volevano proprio sapere. Dopo
centinaia di tentativi e di nodi diversi, oltre che
d’imprecazioni non dette, la ragazza si arrese. Facendo
ricadere le braccia indolenzite lungo il corpo, sbuffò:
“Ma tutto stasera mi doveva capitare! Sono pure in ritardo!
Che bella giornata!” Chiuse gli occhi per calmarsi, con il
fermaglio in mano, quando all’improvviso sobbalzò:
un paio di mani calde le avevano afferrato i lacci della tunica e
avevano cominciato a legarli. Rae si voltò trattenendo il
respiro, ma non appena vide l’uomo dietro di lei si
tranquillizzò immediatamente. Un uomo alto e muscoloso, con
barba e capelli neri e dolci occhi nocciola, le sorrideva affidabile.
Indossava una tunica completamente nera, leggermente aperta sul
davanti, e una mantella bianca. Un tatuaggio rosso spiccava sul dorso
della sua mano come una macchia di sangue nella cenere, sulla sua pelle
leggermente scura, e una grande collana pendeva dal suo collo, un
cristallo color avorio, retto da una cordicella. Quell’uomo
si chiamava Norvadia ed era un indovino e un mago, il più
famoso d’Alagaesia, dopo il re. Quell’uomo era suo
padre.
L’ultimo laccio venne sistemato e finalmente la ragazza fu a
posto, a parte i capelli. “Sbaglio o diventi ogni giorno
più bella?!” le disse suo padre facendola voltare.
Rae ridacchiò: “Il classico complimento di un
padre alla figlia, sei monotono, Norvadia!” Norvadia. Lei non
lo aveva mai chiamato padre, semplicemente perché lui non lo
aveva mai richiesto, semplicemente si accontentava che lei lo chiamasse
per nome, e questo ormai era normale per entrambi e per tutti, anche se
ancora al villaggio qualcuno li guardava in maniera strana, quando
passavano per le strade ridendo oppure semplicemente chiacchierando,
come fossero fratello e sorella. “Ragazzina, portami
rispetto! Ringrazia che non ti abbia obbligato a fare gli allenamenti
stasera!” La giovane rise: “Ma di solito sono io
che mi offro volontaria per allenarmi, o sbaglio? Sto anche diventando
più brava di te!” In realtà non erano
veri e propri allenamenti, erano più propriamente lezioni.
Infatti Norvadia, quando aveva del tempo libero, insegnava a sua figlia
come combattere con diverse armi: il bastone, la spada, il pugnale e
l’arco. In più la istruiva sull’arte
della magia, e Rae era già abbastanza esperta in materia,
sapeva già usare qualcuna delle magie elementali di
base. Comunque il mago all’affermazione della
figlia era scoppiato in una sonora risata. “Ti ci
vorrà ancora molto per superarmi, ragazzina!”
Detto questo le scompigliò i capelli e se andò.
Rae sospirò, poi sorrise e cominciò a sistemarsi
i capelli.
Dopo neanche due minuti, era seduta sul suo letto, con i capelli
raccolti in una crocchia, e si stava mettendo gli adorati stivali di
pelle che le aveva regalato suo padre. Poi per precauzione,
infilò nella fodera anche un piccolo pugnale: “Non
si sa mai!” pensò prima di uscire, coprendosi le
spalle esili con un mantello nero. Attraversò
l’intera casa e giunse davanti alla porta
d’ingresso, confinante con lo studio gigantesco di suo padre,
sempre pieno di libri enormi e di scartoffie. Norvadia era chino sulla
scrivania, a quanto pareva stava scrivendo qualcosa, così
decise di lasciarlo da solo. Aprì la porta e uscì
dalla casa, respirando a pieni polmoni l’aria dolce del
paese. A giudicare dal terreno bagnato e dall’odore
d’umido che aleggiava nell’aria, doveva aver
piovuto, ma fortunatamente il cielo era sereno. “Bene, le
stelle si vedranno meglio!!” esclamò prima di
avviarsi verso il sentiero che portava alla fattoria di Garrow.
Eragon sedeva solo su una pietra all’esterno della sua casa,
e ogni tanto si passava la mano tra i capelli. Era leggermente teso.
Rae sarebbe arrivata a momenti. Ma non era il suo arrivo che lo
agitava, bensì la sua reazione davanti a… Roran.
Che proprio in quel momento era uscito dalla fattoria. Si
avvicinò e si sedette vicino a lui.
“Credi… che sia arrabbiata?” sembrava
preoccupato. “Forse… più amareggiata
che arrabbiata…” Roran sospirò.
“Speriamo solo che mi voglia almeno ascoltare.”
Dopo un silenzio che sembrò durare un’ora, il
ragazzo si alzò e, come suo cugino pochi minuti prima, si
passò una mano tra i capelli. Eragon si alzò a
sua volta e gli si avvicinò.
“Fratello…” non era raro che Roran lo
chiamasse così, in fondo erano praticamente fratelli. Fece
una pausa poi ricominciò: “… quando
io… beh… hai capito… te ne prenderai
cura tu vero? Le resterai vicino?” I suoi occhi erano tristi
e si aspettavano una risposta affermativa. “Ma
certo!” il ragazzo più giovane sorrise, provocando
il riso anche dell’altro. Roran gli posò una mano
sulla spalla. “Grazie, fratello”.
Finalmente Rae sbucò dalla boscaglia vicino alla fattoria,
ritrovandosi in una situazione simile a quella della mattina. Mentre si
avvicinava alla costruzione, vide due figure nel cortile, illuminate
dalla lanterna della casa. Eragon e Roran. “ERAGON!!!!!
RORAN!!!!!!! Urlò a squarciagola, cominciando a correre
verso di loro. I suddetti si voltarono appena in tempo verso di lei,
prima che il tornado a forma di ragazza gettasse loro letteralmente le
braccia al collo. Ridendo, stampò un bacio sulla guancia
prima all’uno poi all’altro. Eragon se la
scollò dal collo e ne approfittò per abbracciarla
e dirle nell’orecchio, non visto da Roran: “Guarda
che ti deve dire una cosa… ascoltalo…”.
La ragazza lo guardò per un momento negli occhi, poi si
voltò verso Roran, squadrandolo: “Allora, cosa
devi dirmi?!” disse sorridendo. Eragon si portò
una mano a coprire gli occhi. Delicatezza: zero. Il ragazzo gli
inviò un’occhiata estremamente omicida, con la
chiara intenzione di fargliela pagare prima o poi.
“Ehm… ecco… ti ricordi… cosa
mi aveva detto Katrina… mi aveva chiesto di
scegliere…” Rae annuì. Eccome se lo
ricordava. “Beh… io ci ho pensato molto oggi
e…” La ragazza chiuse gli occhi, pronta a sentirsi
dire di stargli lontana. Ma improvvisamente si sentì
circondare da un paio di braccia e qualcuno che le sussurrava
nell’orecchio, come aveva fatto Eragon poco prima:
“Le ho detto che amo solo e soltanto lei, ma che tu sei
troppo importante per me per cancellarti dalla mia vita. Sarebbe come
dimenticare una sorella. Siete entrambe le mie donne!”
Aprì di scatto gli occhi. Roran la stava guardando,
tenendola tra le braccia. D’un tratto le lacrime cominciarono
a farsi strada nei suoi occhi. Lo abbracciò, stringendolo a
sé: “Roran non sai quanto mi hai fatto felice!!!
Grazie! Grazie!” “Piano, piano che così
mi uccidi! Non è volermi bene questo!” Lo
lasciò frettolosamente e si asciugò gli occhi con
il dorso della mano. Prese un gran respiro ed esclamò:
“Allora, cosa aspettiamo?!! Le stelle non durano per sempre!
Forza!!!” e detto questo si avviò di corsa verso
la loro collina, il posto dove tutti gli anni se ne stavano, sdraiati
sull’erba con gli occhi al cielo per guardare le stelle,
cadenti o meno. Ma venne subito fermata da qualcosa o meglio qualcuno,
che la abbrancò all’altezza della vita.
“Io non mi merito nemmeno mezzo abbraccio?” Con
fare annoiato Rae si voltò: ovviamente era Eragon.
“No, tu non te lo meriti.” Due occhioni da cucciolo
la guardarono sofferenti. Accidenti a lui!
“Perché, cosa ho fatto?” La ragazza
sospirò. “Perché non sei un cavaliere,
dovrebbe essere l’uomo ad abbracciare la donna, non il
contrario. Ma ti devo insegnare proprio tutto! Impara da Roran, lui
sì che è un gentiluomo!” Roran mise su
un’aria compiaciuta, guardandosi attorno pomposo e facendo
imbestialire Eragon. “Parlando di buone maniere, dovresti
imparare anche tu! Ma una signorina non dovrebbe essere gentile,
dabbene, esprimendosi in maniera carina e non vestendosi con una
tunica, degli stivali e un mantello? Tu mi sembri tutto il
contrario!” “Ma che peccato che tu mi consideri una
cattiva ragazza, avevo quasi intenzione di abbracciarti… Ma
se mi lasci andare, forse…” aggiunse davanti
all’espressione affranta del ragazzo. Sospirando, Eragon la
lasciò andare. Questo fu un errore. Infatti non appena
libera, Rae cominciò a correre verso la collina:
“Prendimi se ci riesci!!” “La devo
prendere come una sfida?!” le gridò di rimando. La
ragazza annuì, ridendo. “Povera
te…” detto questo cominciò a correre
verso di lei. Ma i due correvano alla stessa velocità,
così erano nella stessa posizione quando arrivarono alla
collina. Un semplice sollevamento del terreno, con un gigantesco salice
piangente in cima. Fu proprio accanto al salice che lei decise di
rallentare, sfinita dalla corsa. Si voltò indietro e vide
solo lui correrle dietro. Dovevano aver lasciato Roran molto indietro.
Finalmente, Eragon la raggiunse, praticamente travolgendola e insieme
caddero a terra. Rae cercava di divincolarsi, ridendo allo stesso
tempo, mentre lui la teneva stretta a sé. Rotolarono
così fino ai piedi del salice, dove, senza fiato, si
fermarono, ridacchiando e cercando di respirare. Solo dopo qualche
secondo si accorsero che la situazione era alquanto spinosa: rotolando,
Eragon era finito a cavalcioni di Rae, bloccandole le braccia,
così la ragazza si trovava inchiodata a terra dal peso del
ragazzo. Smisero entrambi di ridere. Senza volerlo, finirono per
incatenare ognuno lo sguardo in quello dell’altra. Verde e
azzurro. I prati e il cielo. Complementari.
Entrambi avevano il respiro fermo in gola, ma stavolta non
per la corsa. Rae, esattamente come Eragon, sentiva qualcosa nello
stomaco, qualcosa di molto simile ad uno sciame di farfalle impazzite,
ed era sicura di essere diventata color pomodoro maturo. Ma fu quello
che accadde dopo a farle mancare più di un battito al cuore:
il ragazzo si era lentamente chinato verso di lei, con gli occhi
socchiusi. E quello che non la fece più raccapezzare fu che
lei si stava ancora più lentamente protendendo verso di lui.
In fondo la prospettiva di baciarlo non le dispiaceva. Proprio quando
le loro labbra furono ad un millimetro di distanza, sentirono un
leggerissimo colpo di tosse. Più veloce della luce, Rae
spinse via Eragon, facendolo cadere a terra, e si alzò
precipitosamente. Roran si trovava ai piedi della collinetta, e li
guardava sospettoso: “Ho interrotto qualcosa?!”
chiese, quasi ironicamente. Sembrava abbastanza corrucciato.
“Ma no!! Ci stavamo chiedendo quando ti saresti deciso ad
arrivare!! Lumacone!” esclamò ridendo la ragazza,
decisa in tutto e per tutto a dimenticare quello che era appena
successo. “Ahi!! Certo che sei lento,
Roran!” esclamò Eragon, rialzandosi. Roran per un
secondo lo guardò imbronciato, poi gli sorrise.
“Sai, io sono un po’ troppo grande per questi
giochi da bambini!” disse con fare altezzoso, da adulto. Rae
rise sonoramente, esattamente un secondo prima di spingerlo a terra, e
di cominciare a fargli il solletico, aiutata da Eragon, che sembrava
avere le sue stesse esatte intenzioni riguardo all’episodio
di poco prima. “Va bene! Va bene! Avete vinto, non
sarò mai abbastanza grande! Ma ora smettetela, vi prego!!
Devo respirare!” Senza fiato per le risate, Eragon e Rae
caddero pesantemente sull’erba, sdraiandosi supini, guardando
il cielo. Nessuna nuvola lo oscurava e ogni stella brillava come un
diamante, ognuna posata nella magnifica rete del firmamento. I tre
ragazzi rimasero incantati dalla bellezza di quella magica notte
d’estate, mentre cercavano frenetici la minima traccia di una
stella cadente, simbolo d’augurio e speranza per tutto
l’anno. Ottima occasione anche per esprimere i propri
desideri, affidandoli al cielo e sperando che qualcuno,
dell’alto delle nuvole, se ne prenda cura e li esaudisca.
Eragon, Rae e Roran non seppero mai dire quanto rimasero distesi sotto
le stelle, con l’erba come letto e cuscino. Seppero solo che
passarono tutta la sera appoggiati l’uno all’altro:
Eragon, sdraiato sull’erba, aveva la testa di Rae appoggiata
al petto, mentre Roran appoggiava la sua sullo stomaco di Rae.
Finalmente dopo una lunga attesa, Eragon esclamò:
“Guardate, una stella!” “Forza,
esprimiamo un desiderio!” Tutti e tre chiusero gli occhi,
pensando al proprio desiderio. Alla fine li riaprirono. “Voi
cosa avete desiderato?” chiese curiosa Rae. “Ma non
lo sai che non si possono raccontare i desideri affidati alla stella?
Non si avvereranno!” disse Eragon concitato, come fosse un
bambino. “Io credo che se alla stella importa del desiderio,
non si curerà se lo abbiamo detto a qualcuno! Avanti
ditemelo!” Ma i due rimanevano zitti. “Va bene!
Allora lo dico io per prima!” Sembravano proprio dei bambini,
eccitati per aver visto la stella e aver espresso il loro desiderio.
“Ho desiderato… di rimanere per sempre con voi
due… per sempre” lo disse con voce estremamente
seria, molto diversa da quella infantile di poco prima.
“Io… ho desiderato… di non essere mai
separato da voi due… per nessun motivo” Anche
Eragon era tornato serio. Detto questo, si mise a giocare con una
ciocca dei capelli color del legno di Rae, per nascondere
l’imbarazzo. “Io… ho chiesto alla stella
di tenerci legati per tutta la vita, nonostante tutto quello che ci
capiterà” Roran l’aveva detto ad occhi
chiusi, forse per non guardare in faccia gli altri due.
“Credo proprio che la stella si curerà di tre
desideri uguali, anche se sono stati detti!” disse la
ragazza, sorridendo. Ora erano allegri tutti e tre, dimentichi del
mondo e di tutto ciò che li circondava. Ma come al solito,
quando si è nel proprio mondo personale,
c’è sempre qualcuno che ha il compito di riportare
alla realtà. Spesso quel compito è affidato agli
adulti. “Ragazzi, credo che sia ora che torniate a casa!
Ormai è notte fonda!” Lo zio di Eragon e Roran,
Garrow, era ai piedi della collina. I tre si alzarono come una sola
entità, e s’incamminarono verso l’uomo.
“Buonasera, signor Garrow, scusi se prima non la ho nemmeno
salutata.” Disse Rae, sorridendo all’uomo che in
pratica le era zio. “Non importa, Rae, non preoccuparti. Mi
dispiace interrompervi, ma credo che i miei ragazzi debbano tornare,
soprattutto tu, Eragon! Stanotte sei a caccia, ricordatelo!”
“Cosa? La caccia è stasera? Perché non
me l’hai detto?” esclamò la ragazza,
guardandolo imbronciata. “Mi sono scordato, tutto qui!
Davvero!” aggiunse vedendola ancora arrabbiata.
“Forza, allora, tutti dentro! Ah! Rae ovviamente tu sei
compresa! Non ho la minima intenzione di lasciarti andare in giro da
sola a quest’ora della notte, devi anche attraversare una
boscaglia! Meglio che tu dorma qua.” “Grazie mille,
signor Garrow!” disse la giovane, sorridendo. “Come
sai, abbiamo solo i nostri letti, e visto che abbiamo disponibili solo
i letti dei ragazzi, dovrai scegliere uno dei due. Anche se credo
propenderai per il nostro giovanotto, qui!”
esclamò l’uomo, scompigliando i capelli ad Eragon.
“Già, non vorrei scatenare reazioni omicide in
Katrina, ci tengo alla pelle!” e detto questo i tre entrarono
in casa, augurando la buonanotte, prima a Garrow, poi a Roran.
Finalmente, i due entrarono in camera. Per Rae era assolutamente
normale dormire in camera con Eragon, era come dormire con suo
fratello. Stiracchiandosi, la ragazza si guardò in giro, in
cerca di qualcosa. “E adesso dove l’hai
messa?” “Ah, devo averla messa… qui!
Trovata!” riemergendo da una cassapanca, il ragazzo le
lanciò una piccola camicia da notte, che le arrivava
pressappoco al ginocchio, completamente bianca, la solita che indossava
quando dormiva da loro. “E come mai era in fondo a quel
baule?!” chiese lei, fingendosi contrariata.
“Perché l’abbiamo lavata!”
Rae, accontentatasi della risposta, fece spallucce e
cominciò a slegarsi i lacci della tunica. Eragon si
voltò di scatto verso il muro. “RAE!! Lo sai che
non lo sopporto quando lo fai! Mi metti in imbarazzo!”
“Non fare lo stupido, Eragon! Mi hai visto nuda un sacco di
volte! Abbiamo pure fatto il bagno assieme da piccoli!”
Intanto era arrivata ai pantaloni, e si era già tolta gli
stivali e sciolta i capelli. “Sì, appunto eravamo
piccoli… non eri così…
così…”
“Così?”
“Così… beh…
bella…” lo disse sottovoce, ma Rae
sentì benissimo. Finalmente si era infilata la camicia da
notte e si era avvicinata a lui. “Grazie, Eragon!”
Lui si voltò di scatto, coprendosi gli occhi: “Ti
sei vestita?” “Sì, stupido, sono
vestita!” Il ragazzo fece cadere le mani dagli occhi.
“Bene… …. Senti… per
prima… sulla collina… io… mi
dispiace…” Sembrava molto imbarazzato
“Non devi scusarti!” Lui sgranò gli
occhi “E’ normale che tu mi voglia baciare, bella
come sono!” disse questo, sorpassandolo, con fare da donna
vissuta. “Ehi! Adesso non montarti la testa!”
esclamò Eragon, acchiappandola e facendole il solletico.
Cominciarono a ridere, ma… “RAE!! ERAGON!!! FATE
SILENZIO!!!” i due si guardarono un attimo disorientati, poi
si misero a ridacchiare: Roran aveva sentito tutto dalla stanza
accanto, la sua. Ancora ridacchiando, i due si misero sotto le coperte,
abbracciati per scaldarsi, poiché, nonostante fosse estate,
di notte faceva abbastanza freddo.
Stettero così per un po’, ma nessuno dei due
riusciva a prendere sonno. “Rae…”
“Mhhhh?” “Sei sveglia?”
“Ora sì!” “Bugiarda, non
dormivi.” “Può essere… che
vuoi?!” Eragon rimase zitto per un minuto, poi disse:
“Non ti manca mai tua madre?” Quella domanda
svegliò per bene Rae. La ragazza sospirò, poi
disse: “A volte… ma vivo bene con mio
padre… e poi ho due fratelli meravigliosi!”
sembrava allegra, ma nella sua voce c’era una nota triste.
Infatti sua madre era morta pochi anni prima, per la precisione cinque,
quando Rae aveva solo dodici anni. Da quel giorno lei era sempre
vissuta con suo padre, cercando di alleviare il dolore di entrambi.
“E a te? A te manca tua madre?” Anche Eragon
sospirò, poi rispose: “A volte… in
fondo lei mi ha abbandonato… ma poi penso che ho una sorella
e un fratello meravigliosi, e allora mi tiro su!” Sorrise, e
lei sorrise a sua volta. “Grazie,… fratello! E
buonanotte.” “Dovere, e buonanotte…
sorella!” E detto questo si addormentarono, l’una
tra le braccia dell’altro.
Era notte fonda. Eragon lentamente si alzò dal letto, dove
aveva lasciato Rae a dormire. Quella notte, infatti, doveva andare a
caccia sulla grande dorsale, per trovare della carne e venderla al
macellaio del villaggio. Uscì dalla stanza, dando
un’ultima occhiata alla ragazza accoccolata tra le coperte,
prese l’arco e uscì dalla porta, diretto alle
montagne.
Un’elfa. A cavallo. Ha i capelli castani. Dietro di lei, due
cavalieri. Sono elfi anche loro. Un’ombra tra gli alberi. Il
sibilo di una freccia. Cosa succede? Il primo elfo cade, morto. Un
altro sibilo. Il secondo cade da cavallo. E’ morto anche lui.
L’elfa è spaventata. Un terzo sibilo. Il suo
cavallo s’impenna. L’ha colpito una freccia. Lei
cade da una scarpata. Urla. E degli ordini. Una voce velenosa e dei
capelli rossi. Una pelle color della neve. Poi tutto cambia. Un
ragazzo. E’ biondo. Ha un arco in mano. Eragon? Cosa ci fai
lì? Ma l’elfa? Dov’è finita?
Ma lui non ti sente. Sta puntando un cervo. L’arco tirato.
E’ pronto a scoccare. Fuoco. Eragon! Ma non lo vedi
più. L’elfa è tornata. Ha la spada in
mano. Sta correndo a perdifiato. Tiene qualcosa, sulle spalle. Una
sacca. Altro fuoco. La figura dai capelli rossi si avvicina.
E’ uno spettro. Lei lo chiama Durza. Lui la chiama Arya. Lei
gli dice di andare via. Lui le chiede l’uovo.
L’uovo? Lei tira fuori qualcosa dalla sacca. Una pietra.
E’ bellissima e blu. La tiene in alto. Dice qualcosa.
L’antica lingua? La pietra brilla. Lo spettro sembra
allarmato. La pietra scompare con un lampo. Non
c’è più fuoco. Eragon è
tornato. Sta ancora puntando il cervo. Stavolta è pronto.
Tira la freccia. Ma c’è un lampo blu. Il cervo
scappa. La freccia s’incendia. E lui non sa cosa fare. Si
avvicina alla pietra. La accarezza. E tutto prende fuoco. Tra le
fiamme, appare l’elfa. Sembra soffrire. Lo spettro la
tortura. Ancora fiamme. Cosa le genera? Vedi tre sagome… tre
draghi? Uno è blu, sembra più gentile degli altri
due. Uno è rosso, sembra minaccioso. Ti sembra di
conoscerlo. Uno è nero. E quello ti terrorizza.
All’improvviso, tutti e tre sputano fuoco. Appare una donna.
Ha i capelli neri. Gli occhi verdi. Ti somiglia. Ha le orecchie a
punta. Un elfo? Accanto a lei arriva un uomo. Lo conosci. Ha i capelli
grigi ma sembra ancora giovane. Ha gli occhi neri. Ma entrambi
spariscono. Nel fuoco, ora, un ragazzo. E’ vestito di nero,
il colore dei suoi capelli. Ti guarda. Lo vorresti raggiungere.
Sparisce anche lui. Ora ci sei tu. Sei a terra, in ginocchio. Piangi.
Chiami qualcuno. Ma sei proprio tu? Hai le orecchie a punta. No. Non
sei tu. Tu sei un’umana. Poi ancora Eragon. E’
accanto ad un drago. Sembra ferito. Ti guarda. Ti chiama. Ti chiede
aiuto. Poi sparisce. In un lampo. Una spada rossa. Un bagliore. Una
cicatrice. Un bacio. No, due baci. Un biondo. Un moro. Sangue. Poi
più niente. “ERAGON!!!!”
-----------------------------------------------------------
Ed ecco il secondo capitolo!!!! Uao nn credevo di riscuotere questo
successo! Avevo promesso che avrei svelato il mistrioso mistero dei
miei capitoli... siete pronti?! Bene! I titoli dei miei capitoli in
realtà sono...... titoli di canzoni!!! Siete delusi nn
è vero?! Comunque, il primo e il secondo capitolo sono
canzoni dei magici "Cascada" che fanno canzoni tanto idiote quanto
divertenti. I prossimi chi lo sa! Ora voglio passare a ringraziare
tutti i dolcissimi che mi hanno recensito:
@
kessachan: nn sai quanto mi hai gasato! Sei
stata la prima a recensirmi! Grazie grazie grazie!!
@
Ludo91: Grazie millissime anche a te! Visto?
Ho aggiornato! Ovviamente anche tu hai contribiuto al mio gasamento!!
@
Eleuthera: in effetti nn lo so nemmeno io...
ma credo più al film, visto che il libro l'ho letto molto
tempo fa e nn mi ricordo quasi niente. Cmq credo che in futuro
farò un mix! ^^
@
Draghettina: in realtà su un sito
internet avevo trovato "Angolo di Paradiso"... ma devo dir che "Mare
del paradiso" mi piace molto di più. p.s. anch'io detesto
Katrina, con Rae nn c'è confronto! XD
@
argentlam: grazie mille anche a te! Un bacio
@
carlottina: nn ci penso minimamente a nn
continuare!!! Soprattutto adesso che sto male nn ho niente altro da
fare, scriverò cm una pazza!
@
piccola: anche a me scocciava nn vedere
eragon e roran comportarsi cm due ragazzi della loro età! Sn
stra-contenta che ti sia piaciuta e spero che ti piacerà
anche il nuovo chappy!!
Akarai
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Dancing Queen ***
Dancing Queen
Dancing
Queen
Il bosco sembrava ancora addormentato, nonostante fosse quasi giorno
pieno. Dagli alberi filtrava una sottile luce dorata, che andava ad
illuminare il fogliame a terra, rendendolo somigliante
all’oro. Eragon camminava lentamente, assaporando ogni
secondo di quella camminata nel bosco, in direzione di casa sua. Aveva
a tracolla la sua solita borsa, dove teoricamente avrebbe dovuto
infilare la selvaggina catturata. Peccato che quella notte lui non
avesse preso proprio un bel niente. Ma forse qualcosa lo aveva
catturato, o meglio trovato. Una grande pietra blu, liscia al tatto e a
quanto pareva vuota. Doveva essere molto preziosa. Anche se ancora non
si spiegava come mai fosse apparsa così
all’improvviso. Comunque, il macellaio, Sloan, lo avrebbe
pagato sicuramente più per una pietra preziosa, che per un
fagiano o un cervo. L’arco giaceva inutilizzato sulla sua
spalla, poiché il suo possessore era leggermente contrariato
per aver perso una preda così facile.
Finalmente, giunse ai margini della boscaglia che copriva la catena
della Grande Dorsale e scendeva fino ai bordi del villaggio. Il
sentiero si divideva in due: da una parte portava alla fattoria, da una
parte al villaggio di Carvahall. Distendendosi i muscoli del collo,
optò per la strada che portava a casa sua, giusto per
cambiarsi e posare l’arco. Dopo nemmeno dieci minuti,
arrivò in vista della fattoria di Garrow. Nel campo non
c’era nessuno, nemmeno Roran. “Strano, di solito a
quest’ora sta già lavorando!”
pensò curioso di sapere per quale motivo suo cugino non
fosse al lavoro. “Zio! Sono tornato!” Non lo
avrebbe mai ammesso, ma la sua voce era leggermente rotta. In fondo
tornare a casa dalla caccia senza aver preso un fico secco non era
proprio una cosa onorevole. Garrow apparve dalla stanza adibita a
cucina e sala da pranzo. “Finalmente sei tornato! Credevo che
ti fossi perso nella foresta!!” lo disse corrucciato, ma era
chiaro il lampo di divertimento nei suoi occhi. Subito, i suoi occhi
finirono sulla borsa a tracolla di Eragon. “Ah! Cosa hai
preso stavolta?! Un cervo? Un fagiano? Una lepre?”
“Ehm… ecco… veramente… ci
sarebbe un piccolissimo inconveniente… io… NON HO
PRESO NIENTE!!” Lo disse tutto di un fiato, tentando di
trattenere l’istinto che lo portava ad alzare i tacchi e
correre il più lontano possibile, anche nella stanza del re
se necessario, se fosse servito ad allontanarlo dalla furia dello zio.
L’uomo lo squadrò per qualche secondo con le
sopracciglia aggrottate, poi scoppiò in una grassa risata.
Eragon lo guardò sbalordito. “Non preoccupati,
ragazzo! Era la tua seconda battuta di caccia! Già
è tanto che tu sia riuscito a prendere qualcosa la prima
volta!! Non crederai mica che la fortuna non abbia di meglio da fare
che stare dietro ad un cacciatore novellino! Ah Ah Ah!!!” Il
giovane sospirò: suo zio certe volte aveva la
sensibilità di un sasso. “Cambiando discorso
zio… come mai Roran non è al lavoro oggi? Il
campo è vuoto!” “Ma come, non te lo
ricordi? Oggi è giorno di festa al villaggio! Ho lasciato
che Roran andasse un po’ a divertirsi! Soprattutto con quello
che è successo con Katrina… siete ancora molto
giovani, dovete pensare solo a divertirvi! Almeno per oggi!”
Garrow sembrava estremamente allegro, e, spintonandolo,
obbligò Eragon a dirigersi verso la sua camera, per
“mettersi in ordine”. “Mio zio sta
cominciando ad avere dei serissimi problemi!”
pensò mentre apriva la porta della camera.
Considerando l’ora, avrebbe quasi sicuramente trovato quella
dormigliona di Rae ancora a poltrire nel letto. Ridacchiando,
entrò. Soltanto per trovare il letto completamente vuoto. Le
coperte erano ancora in disordine e la delicata camicia da notte della
ragazza era stata appoggiata di corsa sul materasso. Il ragazzo
posò lentamente l’arco in un angolo della stanza,
e la tracolla con molta più delicatezza sul letto, poi si
avvicinò all’armadio, ne tirò fuori una
veste marrone pulita e si cambiò, tanto per accontentare suo
zio. Uscì dalla stanza, con la tracolla sulle spalle, e si
avvicinò alla “cucina”. “Zio,
perché Rae non è ancora a dormire? Dormigliona
com’è dovrebbe essere ancora a letto.”
Garrow, che stava placidamente facendo la punta ad alcuni coltelli, si
voltò verso di lui: “Mi sembra normale. Oggi
è giorno di festa e per Rae non c’è
giorno più buono! C’è molta gente al
villaggio e ormai lei sta diventando famosa…”
lasciò la frase a metà, come se volesse
aggiungere qualcos’altro, ma non lo fece. “Giusto!
Allora io vado al villaggio… credo che tornerò
con Roran! A dopo zio!” e detto questo fece per uscire. Ma la
voce di Garrow lo raggiunse di nuovo. “…dovresti
preoccuparti un po’ di più per
Rae…” Eragon si voltò verso
l’uomo. Cosa voleva dire? “Cosa vuoi
dire?” Ancora non capiva. “Stanotte… Rae
si è svegliata urlando… il tuo nome. Roran
è corso da lei… era seduta sul letto,
completamente sudata… il tatuaggio sulla sua
spalla… il tatuaggio degli indovini… brillava e
scottava. Ha guardato Roran con degli occhi spauriti da far
rabbrividire chiunque, e ha ripetuto il tuo nome… poi
è tornata a dormire. Stamattina non ricordava
nulla… o almeno così ci ha detto.” Il
ragazzo era terrorizzato. Certo, Rae era solita fare strani sogni
premonitori, in fondo con un padre come Norvadia era il minimo, ma di
così strani e con quegli effetti… era la prima
volta. Prese un gran respiro per calmarsi, poi disse: “Credo
proprio che al villaggio le parlerò… Ora
vado.” Suo zio lo guardò e annuì
compiaciuto.
Dopo venti minuti buoni di camminata, Eragon raggiunse il villaggio di
Carvahall. In effetti, c’erano molte più persone
del solito. Il giorno successivo la notte delle stelle, infatti, era
tradizione che Carvahall fosse in festa. Non importava quanto lavoro
rimaneva da fare, in quel giorno specifico ogni persona doveva pensare
solo a divertirsi. Lungo le strade si potevano trovare cantastorie,
banchi di qualsiasi tipo, mercanti, ogni genere di
personalità, anche e soprattutto stranieri. Senza mancare di
guardarsi intorno, il ragazzo si diresse verso la sua meta: la
macelleria di Sloan, il padre di Katrina. Una bottega ordinata, dove
aleggiava perennemente un odore di sangue. Il proprietario, Sloan,
sembrava più un assassino che un macellaio: oltre ad essere
vestito con un grembiule completamente coperto di sangue, aveva tutto
l’aspetto di qualcuno che poteva tranquillamente commettere
un crimine. Comunque, Eragon si avvicinò al banco e
salutò l’uomo. “Buongiorno a te,
Eragon.” Gli occhi gli caddero sulla sacca: “Cosa
abbiamo catturato di buono stanotte?” Il ragazzo rise amaro.
“Niente…”aggiunse il macellaio con un
ghigno, tornando al suo macabro lavoro. “Ma posso offrirti
comunque qualcosa!” Sloan alzò gli occhi
interessato. “Sentiamo…” Circospetto,
Eragon tirò fuori dalla bisaccia la grande pietra blu. Il
macellaio la prese in mano, soppesandola e esaminandola accuratamente.
“L’ho trovata sulla Grande Dorsale…
trovata!!” aggiunse, vedendo lo sguardo canzonatorio
dell’uomo di fronte a lui. Ma quello sguardo, in una frazione
di secondo, cambiò da divertito a terrorizzato.
“Dove hai detto che l’hai trovata?!”
“Sulla… Grande Dorsale…” Il
viso di Sloan si trasformò in una maschera di terrore.
“Puoi… puoi tenertela… non…
non m’interessa! Non me ne faccio nulla! E adesso…
vai via!!” “Ma…!!”
“Ti ho detto vai via!!! Forza, fuori!!!”
Sospirando, il ragazzo rimise la pietra nella sacca.
“Accidenti e adesso?” pensò amareggiato.
Ma venne distratto subito da qualcosa. Un gruppo molto folto di persone
era raccolto attorno a qualcosa, in mezzo alla piazza del villaggio.
Una musica soave ma sostenuta aleggiava nell’aria. Curioso,
Eragon si avvicinò. La prima cosa che notò fu che
la maggior parte degli astanti era straniera. La seconda fu che tutti
erano raccolti attorno ad una figura. Finalmente, raggiunse una
posizione favorevole… e rimase a bocca aperta. Una figura
completamente vestita di bianco stava danzando in mezzo alla piazza.
Una leggerissima tunica corta e senza maniche le copriva il torso e una
gonna bianca volteggiava nell’aria, seguendo i suoi
movimenti. Era scalza. Portava degli orecchini dorati e una miriade di
braccialetti le tintinnava ai polsi, dove erano attaccati due
giganteschi pezzi di tessuto lunghi quasi fini a terra, bianchi
anch’essi, che le facevano di maniche e seguivano
armoniosamente la sua figura. Una cascata di capelli castani le
ricadeva sulle spalle, movendosi ad ogni suo minimo spostamento. Un
appariscente tatuaggio rosso le copriva la spalla scoperta. Anche se la
sua pelle era resa lucida dal sudore, Eragon poté comunque
notare la sua bellezza. Ma fu quando si voltò verso di lui,
che rimase veramente di sasso: un paio d’occhi colore dei
prati, occhi in cui si era perso un milione di volte. Rae.
Anche se sapeva benissimo che Rae, nei suoi momenti liberi, danzava
nella piazza del villaggio, non l’aveva mai vista ballare
veramente. E sapeva anche benissimo il perché di quella
scelta: dopo la morte della madre, lei e suo padre, rimasti da soli,
avevano dovuto arrangiarsi, e così Rae, sfruttando la sua
passione e il suo talento per la danza, aveva scelto di racimolare
qualcosa danzando. Ovviamente non c’era nessuno a suonare,
per donarle quella musica meravigliosa. Come minimo suo padre aveva
usato la magia e la musica si diffondeva tranquillamente per la piazza.
Perso com’era nell’osservarla, Eragon si accorse
che la ragazza aveva smesso di ballare solo quando la folla attorno a
lui cominciò a scemare, fino a lasciarli da soli.
“Non ti avevo mai vista ballare… sei
eccezionale!” fu l’unica cosa che il ragazzo
riuscì a dire. “Esagerato! Comunque, buongiorno
sono felicissima di vederti!” Rae lo baciò su una
guancia, facendolo arrossire, esattamente come il giorno prima.
“Però, non mi ricordavo che tu avessi
quest’ascendente sugli uomini… ti guardavano tutti
con delle espressioni indescrivibili!” Disse lui
circondandolo le spalle con un braccio. Rae gli diede un leggero
buffetto sulla guancia, ridacchiando.
Ma quell’allegro quadretto venne bruscamente interrotto. Un
soldato che passava da quelle parti si avvicinò lentamente
alla ragazza, squadrandola dalla testa ai piedi. Eragon strinse i
pugni. Nonostante fosse ormai normale che i soldati del re si
avvicinassero al centro del villaggio, e fosse altrettanto normale (se
così si può dire) che ci provassero con quasi
tutte le donne del villaggio, soprattutto con quelle bellissime come
Rae, lui continuava a non sopportarli, come la maggior parte dei
cittadini. “Ma guarda cosa abbiamo qui! Una dolce rosellina
bianca!” Intanto si avvicinava sempre di più.
Quando fu quasi ad un centimetro dalla giovane, Eragon si fece avanti,
ma venne bloccato immediatamente da due altre guardie. Sicuramente il
seccatore era il loro capitano. Sogghignando, l’uomo protese
la mano verso il suo viso, per sfiorarla, quando…
“Non ti consiglio di toccarla!!” Una profonda voce
maschile era intervenuta. Rae si voltò di scatto. Dietro di
lei si ergeva la figura di un uomo, con capelli e barba grigi, profondi
occhi neri, e vestito con una tunica segnata dal tempo.
“Cantastorie… ti sei già messo
abbastanza nei guai, non aggravare la situazione…”
il capitano si era però lentamente allontanato dalla
ragazza, per fortuna. L’uomo non dava segni di volersi
muovere, anzi le mise delicatamente una mano sulla spalla.
Dopo qualche minuto, il capitano si allontanò e con un gesto
di stizza fece cenno agli altri due di lasciare Eragon. Quando se ne
furono andati, Rae si voltò completamente versò
l’uomo: “Grazie mille, Brom! Non so cosa avrei
fatto se non fossi arrivato tu!” Brom. Il cantastorie
più famoso e misterioso del villaggio. Ogni anno arrivava al
villaggio e ci rimaneva per lunghissimo tempo, a volte mesi e mesi. Rae
adorava ascoltare le sue storie e lui ne aveva sempre qualcuna speciale
per lei. Era anche un grandissimo amico di Norvadia. “Oh
è stato un piacere essere il coraggioso difensore di una
fanciulla indifesa!” Si inchinò con fare
cavalleresco, facendola scoppiare a ridere. “A proposito,
cosa voleva dire quel soldato con sei già abbastanza nei
guai? Cosa hai fatto?” “Nulla di cui
preoccuparsi… un fatto di fagiani e fulmini…
troppo complicato!” Sorridendo, le scompigliò
affettuosamente i capelli. Eragon li guardava spesso giocare in questa
maniera: Brom aveva sempre attenzioni speciali per Rae, sempre una
storia pronta, un aneddoto per farla ridere o semplicemente per averla
vicino. Certo, era sicuro che non aveva quelle attenzioni per gli altri
ragazzi del villaggio. “A proposito,… lo sai che
una ragazza non dovrebbe andare in giro vestita così.
Soprattutto prenderai freddo…” e detto questo si
tolse il mantello e lo chiuse sulle spalle della ragazza.
“Cosa mi tocca fare…”
sospirò, scotendo la testa. “Forza, allora,
andiamo!!” “Dove?” chiese lei curiosa.
“Stanotte sono riuscito a ricordarmi una storia molto molto
interessante… Tutta per la nostra regina
danzante!” Rae sembrava al massimo della felicità.
Sorridendo a trentadue denti, batté le mani e fece una
piccola piroetta, facendo volteggiare la sua gonna nell’aria.
“AH! E ovviamente anche il nostro ragazzo lì
è compreso…” Eragon si riscosse
improvvisamente, quando vide che Brom gli sorrideva stancamente. Ma non
riuscì a rispondere, perché Rae gli
gettò le braccia al collo. “Forza, forza,
andiamo!! Non vedo l’ora di sentire cosa si è
ricordato stavolta!” Sembrava una bambina, eccitata
all’idea di sognare di nuovo, cullata dalle parole di Brom,
che le narrava di draghi, di cavalieri, di eroi e di principesse. Di
viaggi e di avventure, e in Rae aumentava ogni giorno il desiderio di
viverle in prima persona, magari assieme ai suoi
“fratelli”. Allora non sapeva quanto,
successivamente, avrebbe rimpianto quei desideri.
“Sono tornata a casa!… Norvadia?!” La
sua casa era deserta, e non si sentiva il minimo rumore.
“Sarà uscito…” Rae fece
spallucce e salì in camera sua. Appoggiò sul
gigantesco letto il mantello di Brom, prima o poi glielo avrebbe
ridato, e provvedette a cambiarsi. Dopo qualche minuto, la gonna, la
tunica e le maniche finirono sul letto, sostituite da una tunica
pesante, stivali e guanti di pelle da combattimento. Infatti la ragazza
era intenzionata, dopo essersi estremamente emozionata per la storia di
Brom (stavolta era su un cavaliere dei draghi che combatteva per
salvare la sua città e la sua famiglia), ad allenarsi con le
armi nel grande cortile della casa. Prendendo l’unica arma
che suo padre le consentiva di tenere in camera, la spada, scese al
piano inferiore, per poi uscire nel cortile. E, come c’era da
aspettarsi, non era da sola: suo padre si stava allenando, distruggendo
alcuni bersagli per il tiro con l’arco con degli incantesimi,
che apparentemente non gli richiedevano il minimo sforzo.
“Sei venuta ad allenarti?!” le chiese senza nemmeno
guardarla. “Credo proprio di
sì…” “Spada, bastone o
magia?” Ancora non la guardava. Non che fosse arrabbiato con
lei, ma se la avesse accolta dolcemente, poi non sarebbe riuscito ad
allenarsi lealmente. “Spada e poi bastone… oggi
facciamo seriamente…” Si mise a posto i guanti,
poi impugnò saldamente la sua spada. Norvadia si
voltò e tirò fuori la sua bellissima spada dalla
fodera: una spada lucida, intagliata sulla lama con lettere in oro, e
incastonato sull’impugnatura, uno smeraldo lucente.
“Bene, allora cominciamo!!” E detto questo,
l’uomo si scagliò verso di lei, in un affondo
molto veloce. Senza farsi spaventare, Rae si voltò di scatto
e, quando fu a pochi centimetri, con un gesto fulmineo, si
passò la spada dietro la schiena, tenendola in verticale. Le
due spade, non appena si sfiorarono, produssero un mare di scintille.
Continuarono a combattere per moltissimo tempo, fino a quando Norvadia
non si stancò e decise di passare al bastone. Rinfoderarono
le spade e presero due bastoni lavorati, con due lame alle
estremità. Anche con i bastoni combatterono a lungo, ma alla
fine, Norvadia disarmò Rae. Entrambi con il fiatone,
andarono a posare le armi. Era ormai sera inoltrata, ed entrambi
rientrarono in casa. “La nostra principessina sta diventando
sempre più brava, a quanto pare” Norvadia
passò un braccia attorno alle spalle della figlia,
stringendola a sé. Rae appoggiò la testa sulla
sua spalla, poi arrivata ai piedi delle scale che conducevano alla sua
camera, gli schioccò un bacio sulla guancia, e gli
augurò la buonanotte. “Buonanotte, …
padre!” Prima di voltarsi, vide Norvadia cambiare
espressione: i suoi occhi si spensero e il suo viso si
rattristò. Chissà per quale motivo?
Erano passati tre giorni dalla notte delle stelle, e nella fattoria di
Garrow regnava la pace. Eragon aveva riportato la pietra a casa,
nascondendola nella sua camera, per non farla trovare a suo zio o a
Roran. Roran continuava a lavorare, senza mancare di stuzzicare Rae ad
ogni occasione. Era ormai pomeriggio inoltrato e tutto era tranquillo.
O quasi… “Mi dispiace, ma è impossibile
battermi!” “Ah sì?! Lo
vedremo!!”Un gran cozzare di bastoni di legno proveniva dal
cortile davanti al fienile della fattoria: due figure si stavano
allenando ferocemente con i bastoni. Una ragazza castana e un ragazzo
biondo. Rae ed Eragon. “Allora, stasera dormi qui, non
è vero?!” esclamò il ragazzo,
colpendola violentemente. “Dipende…”
disse lei di rimando, cercando di disarmarlo. “Da
cosa?!” “Se vinco io, rimango; se vinci tu, torno a
casa!” e dopo quasi venti secondi da questa affermazione, il
bastone di Eragon volò via, atterrando qualche metro
più in là. “Non vale, mi hai fatto
vincere!!” esclamò Rae, tentata di tirargli il
bastone. “Io? Nooooo!” detto questo, la
abbracciò da dietro, dandole
un’infinità di baci sulle guance. “Va
bene, va bene!! Ti ho già perdonato!” E ridendo, i
due entrarono in casa.
Dopo aver cenato assieme a Roran e Garrow, i due si diressero come al
solito nella stanza di Eragon, dove Rae di solito dormiva. Non appena
entrata, notò qualcosa. “E quella
cos’è?” Stava guardando verso la grande
pietra blu. “L’ho trovata sulla Grande
Dorsale… ho cercato anche di venderla a Sloan, ma non ne ha
voluto sapere.” Mentre Eragon, parlava la ragazza si era
sempre di più avvicinata alla pietra.
“E’ bellissima…”
sussurrò, guardandola estasiata. Lentamente,
allungò una mano per toccarla… e la ritrasse
subito terrorizzata. La pietra si era mossa!!!
“Eragon… Eragon…” Eragon si
voltò verso di lei, leggermente preoccupato. Dopo quel
sogno, si preoccupava ogni volta che sembrava anche leggermente strana.
Al villaggio non aveva avuto il coraggio di parlarle, non sapeva da
dove cominciare. Così aveva lasciato perdere: se lei avesse
voluto, gliene avrebbe parlato. Lentamente, le si avvicinò,
e rimase a bocca aperta. La pietra si stava crepando!! “Ma
che sta succedendo?!” esclamò lei, incapace di
muoversi.
Successe tutto in un attimo. La pietra scoppiò, Rae cadde
all’indietro, ed Eragon con lei. Ma quello che li
lasciò più sorpresi fu che, quando riaprirono gli
occhi, al posto della pietra c’era uno strano esserino
violetto, coperto di squame e con due grandissimi occhi da cucciolo. I
due ragazzi si accucciarono accanto all’essere. “E
tu cosa saresti?” Rae sembrava ora estremamente curiosa,
più che spaventata. “La pietra non era una
pietra… era un uovo!” esclamò Eragon
sorridendo. “Un uccello non è… non ha
le piume…” la ragazza ancora rimuginava.
“Non è nemmeno un altro… animale, non
vedo pelo o roba simile…” Anche il ragazzo ora si
era incuriosito. Ma all’improvviso a Rae si illuminarono gli
occhi: sembrava aver scoperto qualcosa, che la eccitava parecchio.
“Ma certo!!! …E’ UN DRAGO!!!”
lo aveva urlato al massimo della felicità. “Un
drago… ma dai! A te fa male sentire le storie di
Brom!” Poi però osservò meglio
l’esserino violetto: in effetti, aveva tutte le
caratteristiche del perfetto rettile, e quelle ali…
“Un drago…” Eragon sorrise: allora i
draghi non erano scomparsi, come diceva Brom. Uno era rimasto.
Lentamente, mentre Rae lo osservava, allungò la mano verso
il piccolo. Quello si avvicinò a lui, annusandolo
diffidente, come farebbe un cucciolo di cane.
Finalmente, dopo averlo annusato, il draghetto si avvicinò
per farsi accarezzare. I due si toccarono. Un lampo. Eragon venne
scaraventato all’indietro. “Eragon!!” Rae
si avvicinò a lui. Sembrava svenuto. “Ma
cosa…?!” Si voltò di scatto verso il
piccolo drago e incrociò il suo sguardo. Un mare
cristallino, dalle sfumature violette, dove perdersi, un mare
tranquillo, ma pieno di saggezza, una saggezza inusuale per un essere
nato da poco. All’improvviso, i suoi occhi si oscurarono.
“Di nuovo?! NO!!!” Di nuovo quelle premonizioni,
quei sogni, quelle immagini. Ma cosa stava succedendo? Di nuovo fiamme,
di nuovo un drago, ma stavolta le immagini erano veloci, non si
riusciva a capire nulla. Tutto bruciava. Poi un’improvvisa
fitta alla spalla la scosse. Si scoprì la spalla: il
tatuaggio brillava di rosso e scottava, scottava in una maniera
terribile. Le immagini continuavano. Rae credeva di impazzire. Alla
fine, completamente senza forze, si accasciò a terra,
svenuta.
-----------------------------------------------------------------
E anche il terzo capitolo è andato!! WOW!! Mi diverto sempre
di più a vedere le vostre supposizioni sulle vicende della
piccola Rae!!! Come mi sento potente!! Ah!! GRAZIE MILLE A TUTTE PER LE
MERAVIGLIOSE RECENSIONI SIETE GRANDI!!! X3 Ora voglio indire un
concorso: indovinate quali sono le canzoni che danno i titoli ai miei
capitoli, partendo da questo e vincerete......... assolutamente
niente!! AHAHAHA!! Cmq grazie a tutti e, a Piccola: visto il mistero
del sogno è risolto!! Siao alla prossima!!
Akarai
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Requiem for a dream ***
Requiem for a dream
4. Requiem for a Dream
Aprì lentamente gli occhi. Una delicata luce mattutina
illuminava la stanza. A quanto pareva aveva dormito per tutta la notte.
A giudicare dal mal di schiena e dal giaciglio che somigliava a tutto
meno che ad un materasso, doveva anche aver dormito tutto il tempo a
terra. Cautamente, per non aggravare la situazione della sua schiena,
fece per alzarsi, ma qualcosa che le piombò dritto dritto
sullo stomaco glielo impedì. Il piccolo essere sbucato dalla
“pietra” si era appena accovacciato su di lei.
“Grazie mille, …coso. Sei molto gentile. Spero di
essere abbastanza comoda.” Sospirando, guardò la
sua spalla: il tatuaggio era tornato normale, non bruciava e nemmeno
brillava. Poi si voltò verso la presenza al suo fianco:
Eragon ancora dormiva accanto a lei. Rae sorrise, sembrava un
angioletto con quell’espressione. Lentamente, fece per
avvicinarsi a lui con una mano, sostenendosi in bilico su un gomito,
per sfiorargli il volto con le dita. Ma quando fu a pochi centimetri,
il ragazzo aprì gli occhi di scatto. Presa alla sprovvista,
lei sobbalzò, facendo cadere il piccolo drago a terra,
proprio dietro la sua schiena. Il draghetto, abbastanza seccato, si
scosse e, stizzito, allargò le ali, molto larghe nonostante
la sua giovane età. Ed anche molto forti. Infatti, con la
sua solo apertura alare, riuscì a sbilanciare Rae, facendola
franare su Eragon. Il ragazzo, solo in quel momento totalmente sveglio,
se la ritrovò praticamente sdraiata sopra. “Un
buongiorno normale sarebbe bastato sai?! Ma devo dire che questo non mi
dispiace!” Il suo sorrisetto malizioso non prometteva nulla
di buono. “Non farti strane idee… il tuo drago
è parecchio nervosetto a quanto pare…”
disse lei rialzandosi. Stiracchiandosi, tentò di rimettere a
posto quel poco di spina dorsale che le era rimasta. “Anche
tu non mi sembri da meno!” anche lui si era alzato e la
guardava negli occhi. Erano stanchi e affaticati, gli occhi di una
persona gravata da un peso più grande di lei. “Che
hai?” Le mise delicatamente una mano sulla spalla. Lei
sospirò, stanca. “Quei sogni, Eragon, quelle
visioni… mi stanno distruggendo. Prima o poi mi faranno
impazzire. Quella notte, ieri sera,… sono sempre
più frequenti. Ho paura di addormentarmi la
notte!” Sembrava davvero spaventata. Anche se le capitava
spesso di avere sogni premonitori, nessuno di loro aveva avuto questa
pressione su di lei. Dolcemente, la abbracciò, stringendola
tra le braccia. Non sapeva cosa dire. Semplicemente voleva farla
sentire al sicuro. “Sai Eragon… tu ci sei spesso
nelle mie visioni… anzi ci sei quasi
sempre…” “Mmmmmh…
ma davvero? Allora non sono poi così terribili queste
visioni!” le sussurrò nell’orecchio. Rae
rise e lui sorrise di rimando. Era riuscito a farla tornare allegra.
I due si divisero, ed Eragon le fece un’affettuosa carezza
sulla guancia. Rae gli prese la mano e la strinse nella sua. Fu proprio
in quel momento che si accorse di un particolare.
“Eragon… cosa hai fatto alla mano?!!”
Sul palmo della mano del ragazzo era apparso un simbolo, che
sicuramente non c’era la sera prima, rassomigliante ad un
drago stilizzato avvolto a spirale. Era come inciso nella pelle del
ragazzo, quasi una scottatura. “Ma
cosa…?!” Lui sembrava stupito quanto la ragazza.
“Ieri non c’era nulla…
cosa…?” Mentre parlava, la ragazza avvicinava
sempre di più la punta delle dita allo strano segno,
percorrendo lentamente l’intera mano di Eragon. Lo
sfiorò delicatamente e… urlò.
Urlò e si portò la mano sulla spalla. Fuoco.
Fuoco sulla sua pelle. “RAE!!! Che succede?!”
“Brucia… il tatuaggio… brucia da
morire!” Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore,
mentre la luce rossa del grande tatuaggio si poteva vedere oltre la
stoffa della sua tunica. Si stringeva convulsamente la spalla,
respirando a fatica. Lui non sapeva cosa fare.
“Accidenti…” pensò rabbioso.
Lei urlò di nuovo. Eragon prese un gran respiro, poi con
risolutezza le scostò il braccio dalla spalla. Rae lo
guardò stupita, per poi passare ad un’espressione
incredula. Eragon le stava abbassando in malo modo la spalla della
tunica, dopo averle praticamente slacciato tutti i lacci che la
tenevano ferma davanti. “Ma che stai facendo?!!!!”
“Sto cercando di fare qualcosa per quel maledetto
tatuaggio!!!” Sembrava risoluto. Lei prese un gran respiro,
semplicemente per calmarsi, non pensare al dolore e tentare di
riprendere fiato, poi gli diede uno schiaffo sulla mano.
“Ahi!! Ma cosa…?!” “Stupido!!
Non ti viene in mente di alzarmi la manica, invece di metterti a
spogliarmi?!” Era color peperone, e questo la faceva
arrabbiare ancora di più. “Ah…
è vero…” Sembrava alquanto stupito.
Sbuffando, lei si alzò la manica della tunica, completamente
aperta davanti. Per fortuna ne portava un’altra sotto,
più leggera. Al contatto con l’aria il tatuaggio,
che sembrava aver smesso di bruciare, riprese la sua tortura. Lei
urlò per la terza volta, colta impreparata. Eragon
guardò il simbolo: il colore del sangue sulla neve, brillava
come se fosse stato veramente incendiato. All’improvviso le
gambe della ragazza sembrarono cedere. Di scatto, lui la sorresse.
“Io… cosa posso fare…” Lei
sembrava non ascoltarlo. Il suo primo istinto fu di darle sollievo: le
sue mani erano fredde, così decise di tentare di avvicinarle
al simbolo bruciante. Lentamente, mentre con la sinistra la sosteneva,
con la destra le si avvicinò. “NO ERAGON NO!!!
QUELLA MANO NO!!! NON LA DESTRA!!!” Troppo tardi. La mano
marchiata dal simbolo del drago si appoggiò sul tatuaggio
degli indovini.
E Rae urlò come non aveva mai urlato in vita sua. Un urlo
straziante, che venne udito a molti metri di distanza, da Roran e
Garrow che lavoravano nei campi. Un urlo terribile che Eragon non
avrebbe dimenticato mai. Roran e il padre si guardarono per un attimo,
poi corsero immediatamente in casa. Irruppero nella stanza di Eragon e
li trovarono. Lui la teneva tra le braccia, terrorizzato, lei ansimava
e piangeva di dolore, non avendo neanche la forza di stringere la
spalla. “Eragon cosa…?!” Garrow sembrava
confuso ed estremamente preoccupato. Eragon scosse la testa, scosso.
“Il tatuaggio… di nuovo… io
l’ho appena toccata…” L’uomo
pensò solo un momento al da farsi: “Io
andrò a chiamare Norvadia. E’ sua figlia e lui
capisce queste cose meglio di noi! Voi due… ve la affido.
Prendetevi cura di lei!” Detto questo uscì dalla
stanza, diretto verso la porta. Aveva anche cominciato a piovere.
Roran, senza una parola, si avvicinò alla ragazza e la prese
in braccio, stringendola tra le braccia. La appoggiò
delicatamente sul letto di Eragon, facendole una delicata carezza sulla
fronte. Lei aprì gli occhi. Sussurrò il suo nome.
“Roran… …
scusami…” Il ragazzo non resistette. Voltandosi,
uscì dalla stanza. Lasciando Eragon a guardarla. Aveva
chiuso gli occhi di nuovo, e ansimava, spasimando ogni tanto, quando il
dolore si faceva più acuto. Il ragazzo uscì
precipitosamente dalla porta, raggiungendo il cugino. Roran era seduto
su una panca, con le mani tra i capelli. Eragon gli si parò
davanti. Alzò gli occhi: stava piangendo. A quella vista,
anche ad Eragon scappò una lacrima. Roran si alzò
e abbracciò stretto il cugino. “Mi sento in
colpa… tantissimo” Eragon aveva la voce spezzata.
“Anch’io… come posso abbandonarla in un
momento simile… io…” “Non
starà per sempre così…
forza!” Si divisero, asciugandosi le lacrime.
“Allora, io vado a farle compagnia, tu vai a prendere un
po’ d’acqua dal pozzo e dei pezzi di stoffa,
dobbiamo bagnarle la fronte!” Roran ora sembrava veramente
deciso. Eragon annuì.
Quando Eragon rientrò, Roran era seduto accanto al letto e
teneva la mano a Rae. Non era cambiato assolutamente nulla nel suo
comportamento: ancora ansimava, ancora spasimava. Occasionalmente anche
qualche lacrima cadeva dai suoi occhi serrati, provocata dal dolore
tremendo.
In poco tempo le posarono delle bende fredde sulla fronte, per darle
sollievo, ma non cambiava ancora niente. Eragon era sdraiato accanto a
lei sul letto, e occasionalmente le cambiava la benda e le bagnava il
viso, che scottava come se fosse febbricitante. Roran le teneva la mano
e la accarezzava ritmicamente sulla guancia. All’improvviso,
la porta si aprì. Un uomo vestito di bianco e di nero
entrò nella stanza, quasi correndo. Norvadia. Garrow era con
lui. Roran si fece da parte per farlo avvicinare al letto. Lentamente,
l’indovino si sedette, accanto a sua figlia e le
spostò dolcemente una ciocca di capelli dal viso. Rae
aprì gli occhi, e scrutò il padre.
Aprì le labbra per dire qualcosa, ma non uscì
nessun suono. Norvadia sembrava avere gli occhi pieni di lacrime. Poi
lo sguardo gli cadde sul suo braccio: il tatuaggio brillava come se
fosse stato fatto di sangue. Preoccupato, lo sfiorò:
scottava come il fuoco. Sua figlia emise un piccolo lamento, a quanto
pareva le aveva fatto male anche solo sfiorandola. Si alzò,
serrando gli occhi. “Non credevo che il suo tempo sarebbe mai
giunto…” pensò, mentre li riapriva per
scrutare i due ragazzi, che lo fissavano ansiosi. Cosa gli aveva detto
Garrow prima che lui corresse da sua figlia? Lui e Roran avevano
trovato Rae accasciata tra le braccia di Eragon, in preda al dolore. E
lui sapeva benissimo che una sola cosa poteva provocare quella reazione
in una persona marchiata dal simbolo degli indovini.
“Eragon…” Il ragazzo lo
guardò con occhi preoccupati. “…vieni
fuori, devo parlarti…” Eragon si alzò
lentamente, e, prima di uscire, diede un’ultima occhiata al
letto, e allo spazio buio sotto di esso: sapeva che il piccolo drago si
era nascosto là sotto dopo l’urlo di Rae.
Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Norvadia
non lo stava guardando, era voltato di spalle. Rimasero così
per qualche secondo, poi l’uomo si voltò. Lo
guardò fisso negli occhi e Eragon sostenne il suo sguardo,
uno sguardo inquisitore e allo stesso tempo mortalmente preoccupato.
“Mostrami le mani, Eragon.” Lo disse calmo, ma in
realtà stava fremendo. Il ragazzo ebbe un attimo di
esitazione, poi capì che poteva fidarsi
dell’indovino, e gli mostrò le mani, con i palmi
protesi in alto. Il marchio del drago brillava come se avesse catturato
la luce del sole e la volesse mostrare in quella giornata
così cupa. A quella vista, Norvadia sobbalzò, poi
si passò stancamente una mano sugli occhi.
“Così sei tu… dovevo
immaginarlo…” Lo guardò di nuovo dritto
negli occhi, serio, poi si aprì in un sorriso luminoso e
triste allo stesso tempo. “Trattala bene, Eragon. Sappi che
mia figlia non lascerà mai il tuo fianco, qualunque sia la
situazione. Questo ormai è il suo destino. Io e te non ci
rivedremo più. La mia parte ormai è
finita.” Detto questo si allontanò verso la porta
principale. “Norvadia!!” L’uomo si
voltò. “…cosa posso fare con Rae?
Io…” “Fai quello che ti consiglia il tuo
istinto… dovrai farlo sempre più spesso,
d’ora in poi…” Aprì la porta,
scoprendo un cielo sereno e senza nuvole. “Addio,
Eragon… o meglio…
Cavaliere…” La porta si chiuse alle sue spalle. In
quel momento Eragon seppe che quella sarebbe stata l’ultima
volta in cui avrebbe parlato con Norvadia l’indovino.
Eragon tornò silenziosamente nella stanza: Roran e Garrow
erano ancora accanto a Rae. Il ragazzo incrociò lo sguardo
dello zio, poi abbassò gli occhi. Roran fece per aprir
bocca, ma… “Roran, andiamo! Abbiamo delle cose di
cui parlare!” Lo guardò interrogativamente per un
secondo, poi si alzò e lo seguì fuori dalla
porta. Eragon rimase solo nella stanza con Rae. Si distese lentamente
accanto a lei, e ripensò alle parole di Norvadia.
“Il mio istinto…” era più un
sospiro che una frase vera e propria. Cosa gli comandava di fare il suo
istinto? Guardò il simbolo sulla sua mano. Poi
pensò al perché Rae soffriva così
tanto. Era stato il contatto di quello strano segno con il tatuaggio
degli indovini a farla star male, quindi forse…
Prima di pensarci due volte, le accarezzò dolcemente la
spalla marchiata con la mano destra, provocando un piccolo bagliore nel
momento in cui i due simboli entrarono in contatto. Ma non successe
nient’altro. Eragon sospirò rassegnato, poi la
vide: Rae aveva aperto gli occhi e si stava guardando attorno spaesata.
Non poté mai descrivere la sensazione che provò
in quel momento. Ridendo di felicità, la
abbracciò, baciandola sulle guance.
“Eragon… ma che… cosa è
successo???” Lui sembrava non trovare le parole adatte.
“Io… tu… il tatuaggio…
scottava…” “Eragon! Eragon! ERAGON!!
Stai calmo!!!” Rae lo prese per le spalle, per guardarlo
negli occhi e soprattutto per staccarselo da dosso. Il ragazzo prese un
respiro profondo, tentando di calmarsi. “Va bene, va bene!
Ora sono calmo…” Entrambi, più
tranquilli, si tirarono a sedere. La giovane sembrava essersi ripresa,
anche se ancora qualche goccia di sudore le imperlava la fronte. Eragon
sospirò. “Non… non ti ricordi proprio
niente?” Rae scosse la testa. “Ricordo
solo… che Norvadia mi si è avvicinato e ha detto
qualcosa… era triste…” Il ragazzo la
guardò in viso: era ancora leggermente pallida, e i suoi
occhi verdi al pensiero del padre erano diventati tristi, senza motivo.
Delicatamente, le posò una mano sulla guancia. Lei
alzò gli occhi. Lui le sorrise. “Mi hai fatto
preoccupare tantissimo… ti ho toccata
appena…” Mentre parlava faceva lentamente
scivolare la mano, percorrendole il collo, appena sfiorandola.
“Qui…” Era arrivato alla spalla, ancora
scoperta. “E tu hai urlato… di dolore…
non lo dimenticherò mai
più…” Rae prese la mano che il ragazzo
ancora le teneva sulla spalla, e la strinse tra le sue. “Poi
sono arrivati lo zio e Roran… ti hanno poggiata sul
letto… zio Garrow è andato a chiamare tuo padre,
e Roran è rimasto con noi…” Fece una
piccola pausa, per guardarla dritto negli occhi. “E alla fine
è arrivato Norvadia…” “ E
cosa ha detto?!” La ragazza lo guardava trepidante.
“Lui… ha detto…” Ma Eragon
non fece in tempo a finire la frase, che la porta si aprì
all’improvviso. Una testa bionda fece capolino, assieme a
tutto il corpo. Roran. “Eragon, come…?”
E anche lui non riuscì a finire la frase, perché
si ritrovò davanti una Rae in piena forma, seduta sul letto
assieme a suo cugino. “Rae…” Lei sorrise
allegra. “Ciao Roran!!” Dopo neanche un secondo, la
ragazza si ritrovò di nuovo sdraiata sul letto, schiacciata
da Roran, che le era praticamente saltato addosso. “Roran!!
Roran!! Calmati!!” esclamò lei tra le risa. Lui
continuava a baciarla sulle guance, sulla fronte, senza fare caso a
dove capitassero le sue labbra. “Ehi, cugino, guarda che sono
contento anch’io!!” E detto questo Eragon lo spinse
via, prendendo Rae tra le braccia, e stringendola come se dovesse
proteggerla da un nemico. “Ah! Vuoi la guerra,
cugino?!!!” Quell’aria di sfida non prometteva
nulla di buono. “No, no, no, no!! Non cominciate a litigare,
non sono in vena!” esclamò la ragazza, spingendo
Eragon per farsi mollare. Il ragazzo non fece obiezioni e la mise a
terra. Non appena pose i piedi sulla terraferma, il mondo
cominciò a girare vorticosamente, facendole improvvisamente
perdere l’equilibrio. Pronta all’impatto con il
terreno, chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente
quando sentì attorno a sé la stretta di forti
braccia. Entrambi i ragazzi la stringevano tra le braccia. Infatti sia
Eragon che Roran erano scattati non appena l’avevano vista
cadere, arrivando a “salvarla” contemporaneamente.
Così, Roran la stringeva per la vita e Eragon le cingeva le
spalle. Rae sospirò sollevata e improvvisamente rassicurata
dalla presenza accanto a sé di quei ragazzi fantastici, che
considerava come fratelli. Felice, abbandonò la testa sulla
spalla di Roran, proprio dietro di lei. “Sono felice che
siate con me. Tutti e due.” Eragon le sorrise, posandole un
bacio delicato sulla fronte. Roran invece non fece nulla, anzi
abbassò gli occhi, puntandoli sul pavimento, guardando fisso
le assi che lo componevano. Cosa avrebbe dato per restare ancora con
lei…
Erano passati giorni dal giorno dell’incidente del tatuaggio
e la vita scorreva normale e tranquilla nel villaggio di Carvahall.
Solo a volte la pace era turbata dai soldati del re, che portavano via
qualche giovane per arruolarlo come “volontario”
nell’esercito. Anche i ragazzi vivevano tranquilli,
continuando a vedersi e a passare intere giornate assieme. Eragon e
Roran come al solito lavoravano alla fattoria dello zio, mentre Rae
continuava a ballare e ad esercitarsi con suo padre.
E proprio come al solito, i due ragazzi stavano lavorando nel campo
della fattoria di Garrow, arando e piantando nuovi germogli. Ma
all’improvviso, Roran si fermò, posando la pala
che aveva usato fino a poco prima sul terreno. Eragon si accorse che
qualcosa che non andava, e smise anche lui di lavorare. Entrambi si
guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Roran prese la parola.
“Ho deciso… i soldati passeranno tra qualche
giorno e io ho l’età per essere
reclutato… non voglio arruolarmi, soprattutto per servire un
uomo che non è il mio re… partirò
domani mattina!”Eragon rimase in silenzio per un
po’ poi disse: “Glielo hai detto?” Roran
sapeva benissimo a chi si stesse riferendo. “No…
non potresti…” “No Roran! Questo devi
farlo tu!” Il fatto era che nessuno dei due sopportava
l’idea di vederla soffrire ancora. Roran provava una morsa al
cuore ogni volte che tentava solo di pensare al volto della ragazza
rigato di nuovo di lacrime. Ma fu quando Eragon guardò oltre
la sua spalla e gli indicò un punto sulla collina che il suo
cuore fece davvero un salto mortale: Rae stava correndo giù
per la collina, con il mantello che si faceva maltrattare dal vento e i
capelli raccolti nella solita treccia.
Rae era finalmente arrivata al margine della foresta, proprio in cima
alla piccola collina. Il cielo era, come al solito in quei giorni,
sereno, e solo alcune nuvolette bianche macchiavano
l’azzurro. I campi verdi attorno alla fattoria di Eragon
lasciavano intravedere l’arrivo della piena estate. Due
figure erano in piedi in mezzo ad uno di quei campi, a prima vista
stavano parlando tra loro. Ovviamente, anche da lontano la ragazza
seppe riconoscere le teste bionde dei suoi due migliori amici. Ad un
tratto, Eragon e Roran si voltarono e lei cominciò a correre
giù per il versante della collina, sventolando le mani in
segno di saluto. I due non fecero in tempo a salutarla, che il piccolo
tornado piombò loro addosso, stringendoli entrambi nel
solito abbraccio collettivo. Ma l’abbraccio quel giorno era
diverso. Roran, senza guardarla negli occhi, si scostò e la
lasciò tra le braccia di Eragon.
“Roran… tutto bene…?” Si
liberò dalla stretta di Eragon e raggiunse il biondino.
Roran la guardò di sottecchi, poi la prese per mano e la
trascinò in un angolo del giardino, più
ombreggiato del resto dell’area, dicendo: “Ti devo
parlare!” Quando si trovarono faccia a faccia, Rae
aspettò che Roran spiccicasse parola, ma il ragazzo non si
decideva a parlare. “Roran… hai detto che mi devi
parlare…” Quelle parole sembrarono scuoterlo,
perché Roran alzò la testa e la guardò
fissa negli occhi. Come in trance, mosse la mano e la poggiò
sulla pelle liscia della sua guancia, in una carezza amara.
C’era nei suoi occhi dorati tanto di quel dolore che Rae
stentava a riconoscere il suo caro Roran. “Forse…
forse Eragon aveva ragione quella notte, sulla collina… non
avremmo dovuto rivelare i nostri desideri…” Lei
non riusciva a capire. Adesso cosa significavano le stelle e i
desideri? Cosa voleva dirle il ragazzo? “Roran,
spiegati… non capisco” Una pausa ed un sospiro,
come a voler raccogliere il coraggio per pronunciare quelle due parole,
quelle parole maledette, che non volevano uscire dalla gola.
“Domani parto” detto con una semplicità
unica, come se quella certezza non scalfisse minimamente il suo cuore
di adolescente, ma fu come una frustata per la giovane di fronte a lui.
Solo per pochi secondi, il suo cuore sembrò cessare di
battere, il suo respiro spezzarsi per non tornare mai più,
lacrime prepotenti salirono a lambire quegli smeraldi preziosi che le
illuminavano il viso. Chiuse gli occhi, per fermarle, per impedire loro
di scendere perfide sulle sue guance e così mostrare a Roran
il suo dolore. Il suo orgoglio glielo impediva. “Dove
andrai?” La sua voce era ghiaccio. Non disperata, non triste,
solo fredda. Lui rimase esterrefatto a quella reazione.
“Voglio… voglio andare a Dras-Leona, lì
i soldati sono già passati” Un altro silenzio.
“Bene! Buona fortuna!” Adesso sorrideva. Rae
sorrideva con uno di quei sorrisi aperti e dolci che solo lei sapeva
tirar fuori. “Ma…!” Roran non ebbe il
tempo di replicare: lei era già corsa via, verso Eragon.
L’unica cosa che gli restava da fare era guardarla
allontanarsi, con il cuore stretto, con la quasi certa sensazione di
averla persa per sempre.
“Torno a casa… ero passata solo a
salutarvi” Eragon avrebbe creduto a qualsiasi altra cosa:
-Inventati qualcos’altro- Mentre la stringeva a
sé, cercava di guardarla negli occhi, per capire. Anche se
era più che certo di sapere il perché di
quell’improvvisa voglia di tornare a casa.
“Rae… sei sicura di star bene?” Domanda
retorica. Ovvio che non stava bene. Per niente. Era chiaro che non
avrebbe mai fatto tutta la strada da casa sua alla fattoria di Garrow
solo per andarli a salutare. E poi quei grandi occhi verdi non potevano
mentire. “Ma certo che sto bene, cosa vai a
pensare!… Però adesso devo proprio
andare…” E così salutandolo con la mano
si avviò per la strada, intenzionata a mettere tutta la
distanza possibile tra lei e i suoi due amici prima di scoppiare a
piangere.
Ma quando fu arrivata a metà sentiero, sentì dei
passi dietro di lei. Cocciuto. Un pezzo di marmo. Ovviamente era
Eragon. Senza lasciarle nemmeno il tempo di parlare, la
abbracciò, stringendola al suo petto, tentando di farla
sentire protetta, al sicuro, …capita. Ma ottenne solo
l’effetto contrario. Stava facendo esattamente ciò
che lei non voleva facesse. (contorta lo so!^^” NdA) In malo
modo, si allontanò da lui, sciogliendo
l’abbraccio, e incrociò le braccia davanti al
petto, a mo’ di scudo. Eragon non tentò nemmeno di
riavvicinarsi. Era come una lupa selvatica, in quei momenti.
Intrattabile. Rassegnato, fece per andarsene, ma all’ultimo
momento ricordò cosa realmente doveva dirle:
“Rae… verrai domattina a salutarlo?” Lei
lo guardò solo per un momento, poi senza una parola gli
voltò le spalle e corse via, verso la foresta, verso la sua
casa, lasciandolo lì a guardare il bosco pieno
d’ombra. Affranto si voltò di nuovo verso la sua
stessa casa.
Leggere gocce caddero sul suo viso. Alzò gli occhi al cielo:
cupe nuvole nere avevano coperto l’azzurro, gonfie
d’acqua. Altre piccole ma pesanti gocce caddero su di lui,
bagnando la sua pelle e i suoi vestiti. Poi lo sguardo gli cadde su un
angolo del giardino: Roran era ancora lì, dove lo aveva
lasciato. E guardava alternamente lui e il bosco dove Rae era sparita.
I vestiti e i capelli color del grano erano fradici. Il suo viso rigato
di pioggia.
Ma Eragon avrebbe giurato che non fossero tutte gocce.
-------------------------------
Salve a tutti, rieccomi qua!!! Scusate la lunghissima attesa, ma la
scuola mi ha distrutto! xp Comunque ecco a voi il nuovo capitoletto. Da
qui in poi le cose cominciano a farsi movimentate!!! Ghhghghghgh!! Mi
raccomando commentate!! Alla prossima!!
Akarai
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=116239
|