L'ultimo Paradiso

di Usagi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Incoronazione ***
Capitolo 2: *** L'Uomo Camaleonte ***
Capitolo 3: *** Stasi ***
Capitolo 4: *** Quiete ***
Capitolo 5: *** Preparativi ***
Capitolo 6: *** Ali grigie ***
Capitolo 7: *** Venti di guerra ***
Capitolo 8: *** Suoni nell'oscurità ***
Capitolo 9: *** Interferenze ***
Capitolo 10: *** Possibilità ***



Capitolo 1
*** L'Incoronazione ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


 
1
 L’Incoronazione Insanguinata

« Voi dovete vivere,
dovete vivere e far rinascere Fanelia...
 per tutta la nostra gente.
»

   

Era una meravigliosa giornata d’inizio primavera

Poteva considerarsi la prima del nuovo mondo, il mondo che stavano creando insieme, quello dove la consapevolezza della vita di Gaea si sarebbe radicata profondamente all’interno degli animi della gente. 

Questi erano i pensieri di Hitomi, mentre si sedeva sul palco reale per assistere alla cerimonia di proclamazione del legittimo sovrano di Fanelia. 

Accanto a lei, Merle era ancora imbronciata, eppure era evidente l’impazienza nel suo sguardo. Sorridendo mestamente, Hitomi sollevò con una mano la lunga veste turchese che indossava, sedendosi sul morbido cuscino che stava sopra lo scranno reale, ancora non si era abituata a quel ruolo.

Promessa sposa del Re di Fanelia.

Il che equivaleva a dire, una futura regina.

La sua vita era cambiata così velocemente. 

I mesi che erano passati lontano dalla sua casa sulla Terra, sembravano essere volati senza che se ne fosse resa conto davvero. Eppure, nonostante i primi tempi sentisse la mancanza della sua terra natia, adesso Hitomi era serena e non provava più nostalgia del passato, anzi: gli dei le avevano concesso molto più di quello che un semplice essere umano avrebbe mai potuto avere, aveva trovato la persona che il suo cuore aveva scelto, la forza del loro amore aveva salvato l’intero pianeta di Gaea, non c’era gioia più grande. O forse, vedere i bambini accalcarsi intorno alla figura di Van, sotto il palco reale, forse quella era una gioia ugualmente profonda, che Van si era meritato. Hitomi sorrise, vedendo Van lanciarle uno sguardo da lontano, mentre faceva volteggiare un bambino in aria e poi lo restituiva alle braccia della madre, orgogliosa di tale concessione.

Hitomi si era infine ambientata in quella che era la sua nuova casa. Fanelia, che adesso viveva in armonia con i draghi; Fanelia, che godeva della protezione degli astri, ma soprattutto della Prescelta di Gaea. Hitomi arricciò il naso ripensandoci: non le piaceva quell’onorifico che le avevano dato i cittadini del Regno. 

Gli eventi che erano trascorsi da quando la battaglia contro l’impero di Zaibach era conclusa, erano ancora freschi nella mente di Hitomi. 

Erano passati due mesi da allora ma si era già dovuta abituare a quella che era la sua nuova vita e le diverse incombenze a cui piano piano iniziava ad essere introdotta l’avevano aiutata a non indugiare più con i brutti pensieri.

Fanelia era stata ricostruita ed era tornata all’antico splendore, il palazzo era stato ristrutturato ed erano stati ritrovati gli oggetti preziosi che ornavano le sale dei templi più antichi che si temevano essere stati trafugati dopo l’attacco di Zaibach. Quando la storia dell’impresa compiuta da Van e da Hitomi si era diffusa per tutte e quattro le direzioni dei venti, Fanelia era stata meta di illustri sovrani e coraggiosi cavalieri, tutti a rendere onore e completa fedeltà al sovrano di Fanelia e alla sua dolcissima promessa sposa, la Prescelta di Gaea, colei che aveva salvato il mondo ben due volte dal destino di distruzione. Si era diffusa la convinzione che Hitomi, godendo della vita e della protezione di Gaea stessa, dovesse essere protetta e rispettata come se fosse lei stessa una dea. Quando aveva compreso le implicazioni di una simile credenza e ciò che avrebbe potuto generare, Hitomi e Van andarono su tutte le furie e decisero di non dare adito a quelle voci e decisero di dedicarsi completamente alla ricostruzione del regno, che in quelle settimane procedeva alacremente. Per Fanelia si prospettava l’inizio di un’epoca d’oro

Era inevitabile che tutte le speranze del popolo di Gaea risiedessero in Hitomi, eppure lei non era affatto cambiata esteriormente. Erano tuttavia mutate profondamente le sue percezioni. Adesso le sue visioni erano chiare e complete e recentemente aveva scoperto di essere anche in grado di prevedere i mutamenti climatici. 

Riusciva a sentire la terra diversamente da come aveva fatto in precedenza, ma forse perché Gaea era un pianeta che non conosceva ancora la tecnologia che possedeva la Terra, per cui era probabilmente quello era un fattore che le aveva facilitato ulteriormente l’entrare in simbiosi con la stessa. Ed invece, anche Van sosteneva che in fondo Hitomi era davvero la Prescelta di Gaea, anche se lui non lo diceva con deferenza ed evitava di ripeterlo in presenza dei nobili ospiti per evitare che simili voci trovassero fondamento.

Hitomi si riscosse dai suoi pensieri, quando il suo sguardo tornò a posarsi su Van che nel frattempo era salito di alcuni gradini e si apprestava ad accomodarsi al suo fianco, al centro di quello che era il palco reale.

Tra le acclamazioni della folla entusiasta per lo spettacolo che si sarebbe svolto di lì a poco e all’euforia riservata al saluto verso il re, Van non si dimenticò di donare un bacio sulla mano della sua promessa sposa, per poi accomodarsi anche lui, sullo scranno dai morbidi cuscini.

« Sei agitata? » domandò lui, d’un tratto, accostandosi al suo orecchio.

Hitomi annuì lievemente. « Si, anche se sei tu il sovrano da incoronare »

« Il fatto è che sarai tu a mettermi quella corona sulla testa. » sussurrò malizioso il ragazzo con un sorrisetto sulle labbra: conosceva la debolezza di Hitomi, dopotutto.

« Vuoi forse farmi arrabbiare? Potrei anche decidere di sbattertela in fronte, dopotutto! » ribadì lei, mantenendo bassi i toni, sebbene era evidente l’ilarità nella sua voce, come in passato, non le piaceva sembrare debole o in difficoltà e neanche in imbarazzo.

Van ridacchiò lievemente, poi le posò un delicato bacio sulla guancia, quindi si voltò, sfiorandole ancora la mano e tacendo, rivolse lo sguardo verso l’arena, dove si sarebbe svolta una giostra, torneo a cui avrebbero partecipato, ovviamente, parte dei migliori combattenti di Fanelia, a bordo dei loro guymelef.

Anche Hitomi guardò verso l’ampio spazio dove già si erano disposti dodici guymelef su due file, ad alzare un picchetto in onore dell’Escaflowne, che era esattamente all’opposto rispetto al palco reale. Era stato trasportato lì quella mattina stessa e ben presto Van avrebbe dovuto salirvi per inscenare un combattimento.

Fu allora infatti che Van si sollevò in piedi.

« A dopo. » parlò con dolcezza verso di lei, lasciandogli la mano e allontanandosi dagli spalti.
 « Buona fortuna » le augurò lei, sorridendo a sua volta, seguendolo con lo sguardo fino a quando non le fu possibile vederlo.

Si rilassò sulla poltrona, sospirando lievemente. Forse, non c’era ragione per cui essere così agitati. Visto che c’era molta distanza fra lei e le persone, non riusciva a percepire gli sguardi direttamente e questo aveva contribuito ad alleviarle la tensione, almeno in parte.

 

« Diciamo che non me la prenderò con te solo perché oggi sarà una giornata impegnativa. » 

La voce di Merle le arrivò a qualche centimetro dal viso. Si voltò appena in tempo per vedere una gatta in sembianze umane corrucciata con le braccia incrociate sul petto. 

Hitomi sorrise lievemente. « Dai, ti ho già chiesto mille volte scusa, anche io ero andata a cercare Van, come te! » ma le sue parole non ebbero l’effetto desiderato.

« Certo, come no! » esclamò lei, aprendo le braccia. « State sempre a sbaciucchiarvi e ad abbracciarvi..! » e Hitomi la vide avvinghiarsi il corpo in una stretta che poco aveva di amoroso, quindi la gattina arricciò le labbra, pantomima di un bacio.

Hitomi non poté fare a meno di arrossire, dopotutto era vero: Van passava molto tempo con lei, nonostante avesse le sue mansioni da sovrano da ottemperare.

Si ritrovò a pensare, per un momento, a come sarebbe stata la sua relazione se fosse stata sulla Terra e probabilmente tutto questo avrebbe potuto essere considerato insolito lì su Gaea, eppure Van non sembrava affatto porsi il problema. Come ogni sovrano che si rispetti, era lui a decidere cosa fosse giusto o meno nel proprio castello e quello era un esempio. Chissà se gli altri ritenevano opportuna la loro relazione…

Quando Merle vide Hitomi completamente arrossita rise di gusto sciogliendo la posizione che aveva assunto. « Hai visto? Avevo ragione! » e tornò nuovamente ad incrociare le braccia al petto. 

« Non preoccuparti! » rassicurò Merle, poco dopo, cambiando tono di voce, sedendosi su uno sgabello lì vicino, preparato per lei. « Non c’è motivo di essere in ansia, hai fatto cose peggiori e più pericolose di questa, in fondo. » 

Ma Merle non sapeva che per Hitomi, l’idea di mostrarsi in pubblico, per incoronare addirittura il sovrano, superava di gran lunga la sua idea di “peggiore”.

« Eccolo! Sta per iniziare! » esclamò Merle allungando il braccio, indicando l’Escaflowne in procinto di muoversi al centro della grande arena.

Hitomi tornò nuovamente ad osservare di fronte a sé e vide l’Escaflowne estrarre la spada, con eleganza, mentre la folla applaudiva dagli spalti. 

Quando vide il primo Guymelef attaccare l’Escaflowne, Hitomi capì cosa fosse in effetti tutta quella scena. Essa non era altro che una prova di forza, un modo per permettere alla gente di comprendere quella che era la capacità del sovrano e l’abilità nel combattimento. Serviva per ricordare, anche, le gesta del loro sovrano nella recente guerra. Avrebbero avuto una prova visiva che le voci sulle sorprendenti abilità di pilota dell’Escaflowne non erano infondate.

Mentre rifletteva su questo punto, Van metteva fuori combattimento senza alcuna difficoltà i guymelef che gli erano nemici. Quando fece cadere la spada ad anche l’ultimo avversario, Hitomi si accorse di come Merle e tutta la folla, fosse andata in visibilio nel momento in cui l’Escaflowne cambiava forma e si trasformava in un meraviglioso drago dei cieli. 

Vide Van, sorridere dall’alto della sua posizione, mentre cambiava rotta e si dirigeva verso il sole. Anche Hitomi si soffermò lungamente, seguendo la direzione dell’Escaflowne, fino a quando non venne accecata dai raggi del sole. 

I suoi occhi vennero feriti da tanta luce, che l’abbagliò per qualche istante, poi vide chiaramente d’innanzi a sé una forma indistinta che si accompagnò ad una spiacevole sensazione all’addome. Istintivamente andò ad accostarsi la mano sugli occhi, coprendoli dai raggi dell’astro, il viso spostato di lato e gli occhi ermeticamente chiusi, mentre cercava di riprendersi.

Ci mise qualche secondo, prima che decidesse di riaprire gli occhi, nessuno si era accorto di quello che le era successo, ed ancora Van effettuava acrobazie in volo.
 Respirò profondamente, cercando di comprendere da dove venisse quella sensazione che l’aveva improvvisamente turbata tanto. 

Aveva anche visto qualcosa, ne era certa. Sembrava una visione. Eppure, poteva essere solo lo scherzo della luce del sole? Mentre ripensava a quello che era accaduto poco prima, non smetteva di guardare Van, che si era fermato, atterrando al centro dell’arena.
 La folla si profuse in urla e applausi, ed anche Hitomi decise di sorridere ampiamente congiunse le mani, battendole, entusiasta.

Non era il momento di pensare a certe cose.

Fu in quel momento che Merle le si avvicinò. « Coraggio, è il tuo momento. Non fare una figuraccia! » le disse con il tono incoraggiante che servì a produrre l’effetto opposto. Hitomi le rivolse una rapidissima linguaccia e si sollevò dalla poltrona, discendendo lentamente dagli spalti, mentre Van veniva letteralmente ricoperto di petali di fiori al suo passaggio.
 Van sollevando lo sguardo, intravide Hitomi intenta a scendere la lunga passerella di legno costruita insieme al piccolo palco reale, dove sarebbe avvenuta l’incoronazione vera e propria.

Quando Hitomi raggiunse il centro del palco dove vi era una colonnina di pietra, sormontata da un cuscino sulla quale era poggiata la corona dorata, Van già metteva piede sul tappeto rosso che si congiungeva direttamente con la colonna accanto alla quale vi si trovava Hitomi, dritta in piedi, che l’osservava con in volto una espressione serena.

La folla cominciò a quietarsi, intuendo la sacralità del momento, persino i bambini e i più giovani tacquero di fronte al sovrano che si apprestava a raggiungere la fanciulla.
Van si pose di fronte ad Hitomi, che la guardò con occhi sicuri e forti, lo sguardo di un sovrano. Anche Hitomi fece altrettanto e mantenne un’aria di severità e compostezza che forse poco le si addicevano, ma erano sicuramente appropriate alla situazione.
 Eppure, nonostante quell’apparenza  così sicura e determinata, Hitomi stava sudando freddo dall’emozione e dall’imbarazzo. Prese un respiro lento e profondo, curando di non farsi vedere, chiedendo silenziosamente al suo cuore di calmare il proprio battito, schiuse le labbra per parlare.

« Van Slanzar De Fanel, quest’oggi, si rende onore a quelle che sono state le vostre imprese. Dapprima contro l’impero di Zaibach e poi, per la salvezza dell’intera Gaea, avete dimostrato la vostra superiorità in combattimento e la prontezza del vostro animo. Quest’oggi si proclama la rinascita del Regno di Fanelia e voi, siete chiamato a giurare d’innanzi al popolo, ai generali e ai vostri samurai che sarete pronto per difenderla nuovamente con la vostra spada e rischiando la vostra vita se necessario, per la salvezza delle sue genti e delle sue terre. »

Hitomi rivolse quindi lo sguardo verso l’uomo che non aveva battuto ciglio e che aveva sostenuto il suo sguardo per tutto il tempo.

« Io, Van Slanzar De Fanel, giuro sul mio onore che proteggerò a costo della mia vita Fanelia e i suoi abitanti! » la voce forte e sicura di Van arrivò alle orecchie di Hitomi e dei cittadini che, estasiati, non proferivano ancora parola. 

Van mosse la sua mano destra, impugnando la spada, che una volta gli era stata conferita come legittimo sovrano. Hitomi senza alcun indugio la prese in mano, sfiorando l’elsa.

Le arrivarono alla mente altre immagini, forti e accecanti come la luce del sole. La spada che le porgeva Van, sporca di sangue vermiglio. 

Riaprendo gli occhi, sconcertata in volto Hitomi si accorse dello sguardo preoccupato di Van, mentre ancora le porgeva la spada. Aveva la propria mano a pochissima distanza dall’elsa e si accorse che tremava leggermente. Prese la spada fra le mani e la sollevò in aria, profondamente turbata. Eppure, doveva continuare ad andare avanti a dispetto della sua visione. 

« Questa spada, simbolo della vostra sovranità vi viene nuovamente conferita e benedetta in nome degli Dei,   affinché sia portatrice di pace e di giustizia e mai di guerra e sete di sangue. » La voce aveva stentato a tremare, ma era durato solo per un momento.
 Quindi, dopo averla mostrata al popolo, avendola sollevata in aria, la restituì nuovamente fra le mani di Van, che ancora non smetteva di rivolgerle il suo sguardo interrogativo e preoccupato al contempo.

Hitomi si volse di un fianco, indirizzandosi verso la corona che giaceva ancora sul cuscino posto sul piedistallo, il cuore che batteva all’impazzata. Adesso l’agitazione e lo sgomento avevano di gran lunga superato l’ansia per che per ciò che doveva fare.

Cosa significavano quelle immagini? E perché proprio in quel momento? Fino a quel giorno, non c’erano state visioni così confuse, cosa le stava succedendo?
 La cerimonia di proclamazione, sembrava davvero essere passata in secondo piano, le mani si muovevano da sole, consapevoli di movimenti già provati in passato. Sollevò la grande corona dal morbido cuscino sulla quale era adagiata e ritornando nuovamente di fronte a Van la poggiò sulla sua testa chinata, pronto a riceverla.

« Ricevete questa spada e questa corona, come simbolo della vostra sovranità sul Regno di Fanelia. » Van si sollevò in piedi, mentre le urla del popolo scoppiavano in applausi e acclamazioni. Nessuno si era accorto di nulla, eppure Hitomi, tremendamente pallida, fece qualche passo indietro, per permettere a Van di farsi riconoscere dalla folla come suo sovrano e farsi acclamare.

 

Dopo qualche ora Van stringeva la mano di Hitomi in una morsa serrata e forte, era turbato quasi quanto lei.

Si erano ritirati nella stanza di Van, mentre fuori erano già iniziati i festeggiamenti che sarebbero durati fino al giorno dopo. 

Il sole era oramai calato e fuori si udivano le voci gioiose dei cittadini. Una semplice candela ardeva vicino al letto sulla quale era seduta Hitomi, Van l’osservava silenzioso, tenendole la mano, inginocchiato di fronte a lei, in assoluto silenzio, in attesa di una sua reazione della ragazza che si stava concentrando ad occhi chiusi.

D’un tratto Hitomi aprì gli occhi facendo uscire un profondo respiro dalle labbra rosee. 

« Non ci riesco! Non ho più avuto alcuna visione. La sensazione sembra essersi dissolta. » Van annuì, rasserenato di quelle parole. Si sollevò e si sedette accanto a lei.
 « Forse è stata l’agitazione, forse avevi solo paura di sbagliare durante la cerimonia e la tua mente ha fatto il resto. »

Hitomi annuì deglutendo pesantemente: doveva cercare di riprendersi. Quella situazione non le piaceva per niente: le riportava alla mente l’angoscia dei mesi precedenti.
 « Questa sera annunceremo la data del nostro matrimonio, sei sicura di farcela? » domandò preoccupato Van, guardandola negli occhi. 

Hitomi si riscosse, annuendo con vigore. « Ma certo! Sto bene dopotutto. Non è successo niente. » esclamò, padrona di nuova vitalità che fino a poco prima aveva dimenticato di possedere. Van sorrise e senza troppi preamboli la baciò. 

Hitomi si rese conto che non era un semplice bacio fugace.

Passarono pochi istanti perché perdesse completamente la testa. Si strinse a lui, aderendo con le labbra e con tutta se stessa al suo corpo, le mani di lui che già le stringevano la vita, si fecero carezzevoli lungo la sua schiena. Il bacio si approfondì e Hitomi ne assaporò ogni secondo. Per quanto fosse stata preoccupata e in ansia, quel gesto si stava rivelando capace di farle dimenticare ogni preoccupazione, al punto da farla completamente abbandonare all’altro. Senza timore, sollevò la propria mano cercando i capelli di lui, lasciando che le sue dita s’intrecciassero e spingessero con delicatezza Van nella propria direzione. Con il passare del tempo e dell’abitudine aveva acquisito maggiore coraggio e più iniziativa nei confronti di Van, anche se arrossiva ancora quando i loro contatti si facevano più audaci.

Quando sentì Van su di sé, capì che anche lui stava ben presto dimenticando ogni cosa.

L’assalto alla sua bocca continuò e Hitomi si lasciò scappare un gemito lievissimo quando Van, spostandosi, le morse il lobo dell’orecchio. Il cuore nuovamente impazzito, pulsante di una sensazione diversa che ultimamente provava spesso, rendeva il respiro di Hitomi profondo e incostante. Sentì le mani di Van pericolosamente vicine a quelle zone del suo corpo dove non si era mai avvicinato, riaprì gli occhi, solo per chiuderli di nuovo dopo qualche istante, le labbra contratte e morse dai denti, per cercare di soffocare l’ennesimo ansito.

D’un tratto, Van si fermò, sollevandosi di colpo. Ansante, Hitomi riaprì gli occhi, osservando il Re di Fanelia completamente in imbarazzo. Si sollevò anche lei, solo per restare seduta.

« Scusami... io. Non avrei dovuto. » la sua voce, resa roca dall’eccitazione crescente, si spense nel buio della stanza. 

Hitomi scosse il capo. « Non devi scusarti e comunque non mi è dispiaciuto affatto. » sbarrò gli occhi dopo qualche istante, rendendosi conto delle parole appena pronunciate, maggiormente in imbarazzo.

Van tornò ad avvicinarsi a lei con un sorriso sul volto. Hitomi colse nel suo sguardo qualcosa di diverso, non era semplicemente malizioso… era, sensuale.

« Non credevo che anche tu... fossi così ansiosa quanto me. » La sua voce era così calma, da essere addirittura... suadente.

Hitomi comprese la natura delle sue parole.

Quella era... una provocazione.

Non poteva pensare di farla franca così. Con uno scatto fulmineo, prese un cuscino immediatamente vicino alle sue mani e lo tirò dritto davanti a sé, in direzione della faccia di Van.

Il sovrano venne colpito in pieno, facendo sfumare così la sua aria accattivante e provocatoria.
 « Così impari a dire certe cose! » riprese Hitomi, ancora visibilmente imbarazzata, sollevandosi in piedi e superandolo. Eppure dopo aver compiuto alcuni passi, sentì avvolgere il suo polso dalla stretta della mano di lui. 

Con un leggero movimento a cui non si oppose, si lasciò nuovamente prendere fra le sue braccia, le sue mani che le cingevano i fianchi da dietro ed il suo respiro sul collo.

« Ti amo. » le sussurrò con una dolcezza tale da farle crollare ogni tentativo di opporvisi.
 « E ricordati che qualsiasi cosa accada, io ti proteggerò. » 

Hitomi si voltò, lasciando che il proprio sguardo cadesse su quello di lui.

Non ebbero bisogno di ulteriori parole, si baciarono nuovamente, per sancire quella promessa.

Qualche ora dopo, si trovavano al banchetto, una lunga tavolata riccamente imbandita i cui commensali erano i più alti funzionari di Fanelia, insieme alle loro facoltose famiglie.

Mangiavano e bevevano in allegria, e poco distante dalla tavolata dei nobili, erano stati allestiti altri banchetti, dove la gente poteva prendere ciò che più desiderava. Attorno ai fuochi, danzavano le coppie di giovani fidanzati e di bambini, accompagnati dalla musica suonata dai flautisti e dai migliori musicisti.

Hitomi si sentiva finalmente tranquilla e allegra, sollevata da tutta quell’ansia che l’aveva colta poco prima, e aveva mangiato ciò che le era più gradito e aveva affrontato discussioni a cui non era ancora abituata con i più alti dignitari del regno.

Van dal canto suo, era davvero soddisfatto dei festeggiamenti, tutto si era svolto come previsto e senza che nulla fosse andato storto. Più volte in quella giornata, si era ritrovato a pensare a Balgus e ai suoi generali, che avevano onorevolmente perso la vita nell’estremo tentativo di proteggere Fanelia all’inizio della guerra contro Zaibach. Non ci sarebbero più stati uomini come loro, suoi precettori e suoi fedeli consiglieri. Le stelle che brillavano nel cielo, portavano la luce della grandezza di quegli spadaccini che avevano perso la vita, e Van sapeva che il loro spirito li stava guardando e continuando a proteggerli da lontano.

Finita la cena, Van si sollevò in piedi, richiamando con la sua sola presenza, l’attenzione su di sé. 

« Vorrei fare un annuncio! » esclamò quindi, con un enorme sorriso in volto. 

All’udire le sue parole, gli uomini smisero di parlare dei loro affari e i giovani smisero di danzare, i suonatori interruppero le loro melodie e si diffuse la curiosità fra i ministri e i giovani samurai.

Van si volse verso Hitomi, tendendole una mano, lei annuì lievemente, cogliendo quella nella propria e sollevandosi in piedi, rimase in piedi accanto a lui.

« Sono lieto d’annunciarvi che dalla prossima luna Fanelia avrà finalmente una nuova Regina! » 

Il silenzio durò solo qualche istante, prima che tutti, nessuno escluso, incominciassero a battere le mani e a congratularsi a gran voce. 

Hitomi arrossì lievemente mentre stringeva la mano dell’uomo che amava, aveva temuto quel momento ma, com’era prevedibile, la notizia aveva scatenato reazioni gioiose e congratulazioni generali, non aveva fatto altro che rendere felici ancora una volta il popolo ed i funzionari tutti. 

Dopo pochi istanti ripresero i festeggiamenti e furono numerosi i brindisi in onore dei nuovi fidanzati. Deglutendo un sorso di vino Hitomi pensò che adesso il suo ruolo era ufficiale, anche se Van aveva insistito affinché incominciasse a prendere consapevolezza di quelli che sarebbero stati i suoi compiti una volta che sarebbe salita al trono come regina, già da qualche tempo. Avevano atteso quel giorno per proclamare le loro nozze, anche se non avevano celato in modo particolare la relazione che li legava, in virtù del fatto che era ben chiaro a tutti che ciò che aveva salvato Gaea fosse stata la fermezza dei loro sentimenti e la forza scaturita dalla loro unione.

Per quella sera, le visioni non tornarono più ed Hitomi si convinse che forse l’angoscia e la preoccupazione per la cerimonia di proclamazione, avevano esageratamente influito sui suoi pensieri, facendole vedere cose che esistevano.

« Lo sai cosa ti succede quando bevi troppo. » l’ammonì Van, sorridendo allegramente, sussurrando al suo orecchio.

Hitomi ancora con il bicchiere in mano tentennò: in effetti era già da un po’ che aveva la sensazione di essere leggera e ciò non preannunciava niente di buono. Eppure il vino servito era così buono che forse aveva esagerato senza accorgersene.

« Non cadrò addormentata di botto, non preoccuparti. » rispose lei, continuando a sorseggiare la bevanda, come se nulla fosse.

« Non mi riferisco a questo, mi riferivo al fatto che dovrò proprio riportarti nella tua stanza. » 

Hitomi arrossì, rischiando quasi di versare il vino, colpita dalle parole che fondamentalmente nascondevano un messaggio che solo qualche attimo dopo comprese.
 « Van… » mormorò lei, guardandolo di sottecchi: non si aspettava di certo che dicesse qualcosa del genere in pubblico, anche se lo aveva sentito solo lei, era chiaro.

Il sovrano di Fanelia sorrise, con aria furba. « Hai pensato a qualcosa di sconveniente? Quindi il vino ti fa anche questo effetto? »

Hitomi arrossì di più se possibile, ma prima di poter ribattere, si accorse che Van si era alzato.
 « Concedi un ballo al tuo futuro marito? » forse fu il tono con cui lo disse, forse fu il significato di quelle parole che la colpirono, ma Hitomi non riuscì a spiegarsi la sensazione di felicità e dolcezza che l’avvolse. In quel momento si rese conto che cosa significava quel legame che avevano costruito insieme e che entro un mese li avrebbe legati indissolubilmente, per l’eternità.

Capì che l’appartenere a qualcuno era molto di più di quello che il cuore le suggeriva.

Era avere una famiglia, la consapevolezza di avere qualcuno accanto, di non essere sola.

Strinse la mano che Van le porgeva con rinnovata sicurezza, trovando il sostegno nelle sue braccia quando l’equilibrio rischiò di mancarle e ballò con lui per tutta la sera, volteggiando sui passi appresi solo da poche settimane, ma che erano semplici e aggraziati al contempo.

Hitomi…
 Rischiò di inciampare d’un tratto e, se Van non l’avesse trattenuta nella sua stretta sicura, sarebbe di certo caduta. Si fermarono.

« Hitomi, stai bene? » chiese Van, seguendo la direzione dello sguardo della ragazza, infatti Hitomi stava guardando una direzione ben precisa.

« Hitomi.. » la chiamò di nuovo Van, facendola riscuotere.

« Eh? » domandò lei, con sguardo interrogativo, prima  che assumesse un’espressione imbarazzata.
 « Scusami, è che.. mi gira la testa. Possiamo smettere di ballare? » non aveva ancora imparato a mentire, però avvertiva chiaramente il poco equilibrio del proprio corpo dovuta all’alcol e alla stanchezza. 

Van annuì, convinto. Per una volta non si era insospettito e non aveva notato nulla di strano nel comportamento della fanciulla. Hitomi maledì mentalmente il fatto che avesse bevuto abbastanza: adesso sentiva anche le voci che la chiamavano. Era una giornata di festa, lei e Van avevano atteso per settimane che tutti i lavori fossero infine compiuti e aveva perso molte energie nell’organizzare i banchetti e la cerimonia di proclamazione. Non poteva mandare tutto alle ortiche e rischiare di fare una figuraccia solo perché aveva bevuto troppo.

Ritornarono a sedersi per riprendere le conversazioni con alleati e sovrani che avevano raggiunto Fanelia.

Stranamente si trovò ad intrattenersi con l’ambasciatore inviato dal Regno di Asturia.
 « La Principessa Millerna è dispiaciuta di non essere potuta venire lei stessa al mio posto, per festeggiare la ricostruzione del Regno di Fanelia, ma mi ha chiesto di rassicurarvi dicendo che non appena gli obblighi di corte saranno meno pressanti, verrà da Voi per vedervi di persona. »

Hitomi sorrise, sebbene le parole dell’ambasciatore erano state attente e misurate come il suo ruolo imponeva, provò ad immaginare con quanta gioia ed entusiasmo le aveva in realtà pronunciate Millerna. Entrambe tenevano già una fitta corrispondenza epistolare ed era stata una delle prime persone a venir a sapere delle sue nozze con Van, anche se ovviamente non aveva partecipato alla missione insieme ad Allen. Alla notizia non si era mostrata affatto sorpresa e quando l’aveva rivista, prima di ritornare definitivamente a Fanelia, aveva semplicemente scrollato le spalle e detto “Era ora che entrambi vi decideste!”.

« Portate i miei ringraziamenti alla Principessa Millerna e prima di partire vi affiderò una lettera che dovrete consegnarle di persona, sarete sicuramente più veloce e sicuro che dei miei uccelli viaggiatori. » rispose Hitomi, sorridendo amabilmente.

« Sarà fatto come desiderate, mia Signora. » disse lui con tono tranquillo, prima di immergersi negli eventi recenti accaduti ad Asturia.

Hitomi ascoltava interessata ed al contempo pensieros;, Millerna le aveva parlato delle difficoltà che aveva avuto nel suo rapporto con Dryden, eppure, finalmente, le cose tra loro sembravano essersi risolte. L’amore che provava verso Allen era maturato e adesso non provava più quella profonda passione che l’aveva caratterizzata nel periodo precedente alle sue nozze. Si era ben preso resa conto di essere inevitabilmente attratta da suo marito, anche se, Hitomi aveva appreso dalle parole della stessa Millerna, che il suo rapporto era peggiorato nel momento in cui si era accorta di appoggiarsi alle persone per stare bene con se stessa, dapprima con Allen, poi con Dryden e quando lui l’aveva capito aveva deciso di allontanarsi, pur ricordandole che sarebbe sempre stato innamorato di lei e che avrebbe atteso di essere altrettanto degno per lei. 

Dryden era quindi partito, accrescendo i propri affari e incrementando anche quelli del Regno di Asturia la cui economia era stata profondamente colpita dalla guerra contro Zaibach. Era stata proprio la distanza che aveva fatto comprendere alla Principessa Millerna che amava Dryden più di quanto avesse amato Allen. Un amore più adulto e costruito sulle basi solide costruite in periodo di vere difficoltà e che, insieme, erano riusciti a superare, aveva detto. Così dopo che la voce degli eventi accaduti ad Hitomi e all’intero equipaggio della Crusade si era sparsa, Dryden era ritornato nuovamente ad Asturia e aveva ripreso in mano il trono e insieme alla sua sposa avevano iniziato a ricostruire insieme ciò che la guerra aveva inevitabilmente danneggiato.

Senza che se ne accorgesse, aveva lei stessa congedato l’ambasciatore e si era alzata: adesso era davvero stanca, ed il vino stava giocando brutti scherzi alla sua vista. 

I festeggiamenti, benché durassero fino al mattino, trovavano ben poche persone ancora vicino ai fuochi allestiti. Attorno alle panche dove gli uomini parlavano e bevevano stavano i figli che dormivano l’uno accanto all’altro, abbracciati alle madri o ai fratellini.
 Hitomi sorrise, avvicinandosi ad un gruppo di bambini che dormivano vicino al fuoco.

Quando fu più vicina si accorse che non tutti dormivano. Un bambino stava giocherellando con un piccolo legnetto fra le mani, disegnando figure sulla cenere.
 Il bambino si volse, udendo l’arrivo di Hitomi, aveva gli occhi azzurri come il cielo e i capelli castani i cui riccioli splendevano alla luce del fuoco, poteva avere non più di cinque anni. Spalancò la bocca e gli occhi, quando riconobbe Hitomi. 

« Tu.. tu sei.. » la sorpresa era così forte che era rimasto con il bastoncino in mano senza parole.

Hitomi sorrise, « Il mio nome è Hitomi, tu come ti chiami? » domandò, piegando le ginocchia sedendosi accanto a lui, sulla panca di legno.

Il bambino sorrise ampiamente. « Io mi chiamo Drian e un giorno diventerò un samurai di Fanelia e ti proteggerò con la mia spada! » quindi cominciò ad inscenare una battaglia contro un invisibile nemico. Hitomi rise, colpita dalla dolcezza e dal coraggio del bambino.

« Sono sicura che diventerai un samurai forte e coraggioso! » annuì la fanciulla, contenta, prima di sollevarsi in piedi, forse si era trattenuta troppo a lungo lontano dal suo promesso sposo.

« Tu non dovrai preoccuparti! C’è sempre qualcuno che cerca di fare del male alle persone buone, però ci sono anche persone valorose che sapranno battere i cattivi! »
 Hitomi restò sorpresa dalle parole del piccolo mentre quest’ultimo si allontanava, accucciandosi accanto ai fratelli. 

Nella sua mente, apparvero di nuovo immagini confuse. 

Vide Allen, suo caro amico, mentre brandiva la sua spada, le labbra che si muovevano, come se stesse dicendo qualcosa. Non le giunse alcun suono alle orecchie. Gli occhi concentrati sulla scena, cercava di comprendere qualcosa, di capire che cosa stesse accadendo in quello scenario di confusione.

Vide le fiamme avvolgere completamente la sua visuale.


 Sobbalzò, qualcuno le aveva messo le mani sulle spalle, riscuotendola delle immagini.

« Hitomi, tutto bene? » la voce di Van la rassicurò, si volse verso di lui, annuendo.
 « Si, sono solo un po’ stanca, forse è meglio se vado a dormire, va bene? » fece lei, sorridendo mestamente.

Van l’osservò poco convinto, era evidente che fosse turbata. La giornata era stata lunga e gli eventi si erano succeduti veloci, forse aveva davvero solo bisogno di riposare.
 « Va bene Hitomi, vengo con te. » fece lui sfiorandole le braccia, ma il cenno di Hitomi gli arrivò poco dopo.

« No, non è necessario. Vado da sola. » disse lei, rassicurante. « Ma.. » cominciò lui, immediatamente interrotto. « Dico davvero, se ci allontanassimo entrambi chi intratterrebbe tutti gli altri? Mi dispiace lasciarti solo.. » mormorò lei, con il tono di qualcuno che sembrava stesse ripensandoci. Van sorrise, annuendo poco dopo. Aveva capito e la cosa bella fra loro era questa, riuscivano ad incontrarsi a metà strada, ogni volta.

« Hai ragione, Hitomi. Se dici che vuoi andare da sola, va bene così. Buona notte. » e sfiorandole la fronte con un bacio lasciò che se andasse.

Hitomi si volse quindi, dirigendosi verso il palazzo. 

Si accese una candela, la cui fiamma illuminava debolmente il corridoio che già ben conosceva. Ad ogni passo sentiva la stanchezza accumulata sempre più incombente ed anche il vino bevuto le stava facendo avere qualche capogiro. 

Quando si accostò alla porta scorrevole che portava alla sua stanza, sembrò sorridere alla vista del suo letto: era davvero sfinita. 

Il suono della porta che scorreva sembrò in qualche modo risvegliarla da quello stato di torpore nella quale era avvolta: la fiammella della candela proiettò la sua immagine sul muro di fronte a lei, che in quel momento le apparve un mostro spaventoso. Il cuore sobbalzò prima che la vista le diede ragione di rendersi conto della sua ombra.
« Neanche se avessi visto uno di quei vecchi film horror. » commentò, a bassa voce, ripensando a quando viveva sulla terra e ai film che guardava in compagnia dei suoi amici, detestava quelli che facevano paura. Pensò che non c’era ragione che giustificasse la sua tensione. « Sarà meglio che vada a dormire, prima di pensare che le mie stesse vesti vogliano uccidermi. » sussurrò, ricordando la trama di un vecchio film che aveva visto molto tempo prima, cominciandosi a svestire. Solo quando fu completamente denudata sentì freddo sulle spalle. Eppure non v’era alcuna porta aperta. Sentendo la spiacevole sensazione del freddo su tutto il corpo, Hitomi si rivestì dei suoi indumenti da notte più in fretta che poté. Era una serata primaverile, ma la temperatura nel cuore della notte era particolarmente bassa, si era anche sollevato un po’ di vento, lo vedeva a malapena dalle fronde che si muovevano visibilmente.

Si sedette qualche istante sul suo letto, prima di abbassare il capo, sdraiandosi e cominciando a sentire le membra più rilassate.

« Domani pioverà. » sancì in un soffio, prima di chiudere gli occhi e crollare in un sonno profondo.  


_______

Editing del 06/2020

Ciao a tutti!

Finalmente ho ripreso a scrivere questa storia e, contemporaneamente a revisionare i capitoli precedenti. Non ho parole per esprimere la gratitudine nei vostri riguardi. Ho continuato a ricevere recensioni ed incoraggiamenti e finalmente, dopo innumerevoli esperienze, credo di essere pronta a concludere questa storia. Spero di rivedervi più entusiasti che mai ed ancora appassionati come me al mondo di Escaflowne!  

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Capitolo 2
*** L'Uomo Camaleonte ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo paradiso»


2
L’Uomo Camaleonte

« Un essere dai mille volti
condannato a celare il proprio,
un uomo illusore costretto a vivere e morire in battaglia.
Tale è il crudele destino della nostra razza.
»

 

Un lampo squarciò il cielo e si abbatté prepotentemente presso il cortile interno del castello.
Hitomi si svegliò di scatto, con il cuore in gola.

Non era stata solo la paura, qualcosa l’aveva turbata nel profondo della sua coscienza. Si volse verso la sua destra rimpiangendo di non aver avuto Van al suo fianco.

Fuori, la pioggia aveva cominciato a scendere subito dopo il rombo del tuono e sembrava non avesse intenzione smettere tanto presto. Sarebbe stata l’alba a momenti, riconobbe Hitomi, muovendosi per raggiungere la finestra. Quando l’aprì una folata di vento le scompigliò i capelli e la bagnò di pioggia. Era freddo lì fuori.

La sua finestra dava direttamente sul cortile interno del grande castello, non era molto lontana dalla stanza del sovrano. La pioggia scrosciava e oramai il davanzale era stato completamente inzuppato. Hitomi restò qualche minuto lì, con la finestra aperta, osservando attentamente fuori, come se cercasse qualcosa. Tra le ombre della notte oramai quasi trascorsa, Hitomi vide qualcosa e spalancando gli occhi incontrò uno sguardo che stava fissando il proprio. Trattenendo il fiato, la fanciulla corse fuori dalla sua stanza per raggiungerla.

 

Il lampo caduto a pochi passi dal palazzo aveva svegliato anche lui, o meglio, aveva interrotto il tentativo migliore di addormentarsi che lo stava portando all’abbandono fra le braccia del sonno.

Sbuffò infastidito, muovendosi con la schiena per volgersi dall’altro lato e appoggiarsi su un fianco. Era quasi mattina e non aveva chiuso occhio. La mente del sovrano di Fanelia ripercorse con stanchezza gli eventi che si erano succeduti il giorno prima. Nonostante Hitomi avesse fatto di tutto per nascondere la propria preoccupazione, lui non l’aveva vista un solo istante totalmente tranquilla da quando avevano smesso di danzare. Accolse l’arrivo della pioggia improvvisa con l’ennesimo sbuffo: quel suono sanciva che non avrebbe proprio dormito, quella notte.

Cercò nuovamente di rilassarsi, facendo leva sulla stanchezza accumulata per poter cercare di sgombrare la mente da quei pensieri che lo preoccupavano. Richiuse gli occhi, decidendo di lasciare nella propria mente l’immagine della donna che amava e immaginò la meravigliosa sensazione che provava ogni volta che la stringeva fra le sue braccia. E poco dopo la pioggia sembrò davvero sparire. L’ennesimo tuono, troppo vicino. Van riaprì gli occhi: aveva cantato vittoria troppo presto.

Forse era per il silenzio rotto solo dalla pioggia e dai lampi, forse era perché pensava ad Hitomi, udì distintamente dei passi lungo il corridoio, passi veloci, concitati. Restò in attesa, sforzando maggiormente il suo udito. Si aspettava che quei passi ritornassero nuovamente qualche minuto dopo. Quando ciò non avvenne, Van Fanel era oramai completamente sveglio.

Non seppe spiegarsi l’origine di quella sensazione che poco dopo provò, eppure un diffuso sentore di pericolo s’impossessò del suo animo, facendolo sollevare in piedi e abbandonare definitivamente il suo letto. Che sta succedendo!?

Deciso a comprendere che cosa stesse succedendo all’interno del suo palazzo, si avvicinò alla finestra dov’era riposta la sua fidata spada. Fu proprio il fatto di avvicinarsi al vetro che gli consentì di vedere cosa stava succedendo fuori. Sbarrando lo sguardo di sorpresa e comprendendo al contempo il pericolo che si profilava pochi metri sotto di lui, afferrò la spada quasi furioso e si gettò fuori dalla porta.


Quello non era... l’uomo camaleonte? Lo stesso che tanti mesi prima aveva popolato i suoi incubi?

Davanti a lei si profilava l’essere avvolto per intero da un mantello scuro, che quasi si celava con gli alberi e le fronde vicine. Solo il viso era visibile, dipinto con tatuaggi che già aveva visto sul volto di quegli esseri, gli occhi grandi ed inespressivi, la bocca lunga, sottile e scarlatta, il pallore mortale che sembrava classificarlo come una creatura demoniaca.

Hitomi, oramai completamente fradicia sotto la pioggia, non era riuscita a resistere al richiamo muto di quell’individuo. Tutto era successo molto velocemente, nel momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli dell’uomo camaleonte, che sembravano osservarla da chissà quanto tempo, come se sapesse che da un momento all’altro lei si sarebbe affacciata dalla finestra e lo avesse trovato. Il silenzio era palpabile, animato solo dalla fitta pioggia. Gli occhi di Hitomi si spalancarono quando vide uscire dal mantello un esile braccio, lungo e ossuto, bianco, verso di lei. Chiaro invito ad avvicinarsi.

« Chi sei?! Che cosa vuoi da me?! » domandò Hitomi a voce alta, sentendo la schiena contrarsi in un brivido. Quando lui allungò anche la mano verso di lei, fece un passo indietro. L’assurdità di quella situazione la convinse di star sognando.

« Il mio padrone. Egli ti desidera, più di ogni altra cosa. » la voce che ne uscì da quelle labbra, ebbe il potere di farla terrorizzare ancora di più, se possibile.

« E chi sarebbe, il tuo padrone?! » domandò Hitomi, cercando di farsi coraggio.

« Egli vuole riportare in vita la stirpe divina di Gaea, e per farlo, ha bisogno di voi. » riprese l’uomo camaleonte.

« Venite con me, » esortò muovendosi di alcuni passi, « in questo modo non vi sarà fatto alcun male. »

Hitomi continuava ad indietreggiare, oramai spaventata. Sapeva che se avesse urlato Van o chiunque altro l’avrebbe di certo udita, ma prima di tentare la fuga, riaprì di nuovo le labbra per parlare.

« E cos- » si trovò le spalle bloccate da una stretta potente, che le mozzò il respiro. Gli occhi di Hitomi si dilatarono prepotentemente quando l’uomo camaleonte la fissò.

Aveva visto cosa accadeva a coloro che venivano privati del loro corpo e della loro identità dagli uomini camaleonte e cercò di scuotere l’intero corpo, senza alcun risultato. Eppure, l’uomo camaleonte riprese a fissarla, stringendola fortemente, per nulla turbato dal suo tentativo di liberarsi. Per qualche istante Hitomi cercò di aiutarsi con le mani, divincolandosi con le braccia e afferrando quelle ossute che la stringevano.

« Lasciami!! » sussurrò, con la voce ridotta ad un soffio. Presto realizzò quello che le stava accadendo. L’uomo camaleonte non voleva prendere la sua identità ma intorpidirla nell’incoscienza. Hitomi comprese che presto non avrebbe avuto più controllo sul suo corpo e non era nemmeno stata in grado di urlare, un vago senso di torpore cominciò a diffondersi giù per il torace, intaccando già le gambe, sollevate di qualche centimetro dal suolo. Tentò con tutte le sue forze di emettere un urlo, un richiamo, ma non riuscì a schiudere le labbra. Gli occhi, sempre più pesanti, minacciavano di chiudersi. Non avrebbe resistito a lungo.

Si ritrovò a pregare.

Che qualcuno mi aiuti! Van!


« Togli quelle disgustose mani da lei! » Esclamò, abbastanza vicino da poterlo infilzare con un colpo solo. I nervi contratti ed i muscoli tesi. Hitomi davanti a lui, sembrava non aver reagito, probabilmente era svenuta, pregò che fosse solo quello, dopotutto l’aveva udita parlare solo pochi istanti prima.

Si mosse di un passo verso l’uomo camaleonte che tornò ad osservarlo con i suoi occhi penetranti.

Che cosa diavolo ci faceva un uomo camaleonte all’interno del castello di Fanelia?

« Giovane sovrano di Fanelia, non intralciate l’esecuzione del mio dovere: questa donna è per il mio signore. » parlò lui, con calma, lasciando Van di stucco e al contempo aumentando la sua ira.

« Non ti permetterò di portarla da nessuna parte! » e con uno scatto si mosse per raggiungere l’uomo camaleonte che, prima di essere colpito, abbandonò la presa su Hitomi e salì sul ramo di un albero, sfuggendo al fendente che altrimenti avrebbe lacerato ben oltre che le sue vesti.

« Maledetto! » esclamò Van, avanzando di qualche passo, poi venne attratto dalla caduta di Hitomi sul selciato, lì vi rimase. « Hitomi! Stai bene?! » domandò lui, abbandonando per un momento la spada, inginocchiandosi accanto a lei, ancora con gli occhi chiusi, ancora incosciente.

L’uomo camaleonte rimase diversi metri in alto sopra di lui.

« Van Fanel, il mio padrone non si fermerà per così poco! Se ci tenete alla sopravvivenza del vostro popolo che ha appena ricominciato a vivere, dateci l’incarnazione della Dea, affinché ella riporti sul nostro mondo la stirpe di Atlantide. »

« Che tu sia maledetto! Non è ancora giunto il tempo di abbandonare la stirpe di Atlantide nel ricordo che commemora la loro grandezza?! » riprese Van, sollevando la spada verso l’uomo camaleonte.

« Non per il mio signore! Ancora c’è tempo per determinare ciò che può essere cambiato! »
E l’uomo camaleonte, spiccò un balzo e si confuse nell’oscurità, oltre la foresta.

Van digrignò i denti, tenendo ancora Hitomi appoggiata al suo braccio, venne riscosso dallo spasmo del corpo della fanciulla che riprendeva conoscenza.

« Hitomi...! Stai bene...?! » domandò, sollevandola in braccio, mentre lei riapriva gli occhi, nonostante la pioggia le battesse sugli occhi e sul viso.

«Van... » mormorò lei, e il sovrano di Fanelia non ebbe alcun bisogno di sentire altro. Con la spada rinfoderata, rientrò all’interno del palazzo.

 

« Calmatevi, Signorino Van! » esclamò Merle vedendo con quanta foga il sovrano di Fanelia si stava scagliando contro il fantoccio imbottito nella sala che fungeva d’armeria e al contempo sala d’allenamento. Era di pessimo umore e il modo migliore per sfogare la propria rabbia, sembrava proprio esser quello di infilzare il  manichino adibito ad avversario durante gli allenamenti. Di questo passo, l’avrebbe di sicuro sganciato dal suo piedistallo.

« Signorino Van, vi prego: adesso basta! È tutto il giorno che vi allenate! »

Van con uno slancio delle braccia, bloccò il proprio fendente all’altezza del collo dell’immaginario nemico, fermandosi di colpo, lasciò che una singola goccia di sudore scivolasse lungo la sua guancia. Sbuffando ritornò in posizione eretta, abbandonando la postura da combattimento e rinfoderando l’arma, fece sorridere lievemente Merle.

« Bene Signorino Van, adesso andate a farvi un bel bagno e dopo sarà pronto il pranzo. » esclamò Merle, fingendosi sinceramente rallegrata, mentre muoveva un passo indietro, verso l’uscita della grande stanza, lasciando il sovrano di Fanelia, solo.

Egli restò fermo per qualche istante, riprendendo fiato, la stanchezza accumulata durante l’estenuante allenamento continuato, gli aveva tenuto occupato la mente dalla sofferenza che aveva provato solo qualche ora prima, vedendo Hitomi priva di conoscenza fra le sue braccia. L’aveva riportata nel castello e svegliato le domestiche affinché pensassero a farle un bagno caldo. Tremava ancora quando l’aveva lasciata nelle loro sapienti e delicate mani, nonostante fosse priva di sensi.

Dopo qualche ora non aveva potuto fare a meno di ritornare nuovamente nella sua camera, accertandosi che stesse bene e che fosse ancora lì, dove l’aveva lasciata.
Con sua sorpresa, Hitomi era sveglia, seduta su una sedia ad osservare fuori dalla finestra: quell’immagine lo colpì nel profondo del cuore e per un momento ebbe la sensazione di aver già rivissuto un momento simile. La sorpresa si trasformò in sincero sgomento, quando riconobbe l’immagine di sua madre, che osservava la finestra alla stessa maniera, abbigliata con le vesti tradizionali di Fanelia.

« Van... così presto? » le aveva detto lei, voltandosi, con una voce bassa e tranquilla, come l’alba che sorgeva dietro di lei, gentile come la luce che le bagnava il volto, così calda e soave. Lui sorrise, rapito ancora una volta dalla presenza fisica che esprimeva la donna che amava.
L’aveva baciata sulle labbra e accarezzato il suo volto prima di decidersi a rispondere che era stato troppo preoccupato per lei da non riuscire a dormire. Eppure, in fondo, erano trascorse così poche ore.

Avevano deciso di non parlarne per il momento, ma Van aveva compreso ben presto che Hitomi era sinceramente preoccupata e non aveva lasciato la sua stanza, dicendo che sentiva il bisogno di riflettere su quello che aveva visto e doveva cercare di comprendere le parole che aveva detto l’uomo-camaleonte. Per la prima volta, dopo tanto tempo, avevano rischiato di litigare: lui aveva ribattuto che dovessero discuterne insieme, che sarebbero stati una famiglia ora, e che ciò che sarebbe accaduto riguardava tanto lei quanto lui. Con sua sorpresa, Hitomi aveva annuito e Van, andando oltre la propria angoscia fu in grado di vedere quella di lei e comprese che non poteva addossarle anche la propria.

L’avrebbe protetta e sarebbe stata al sicuro, era solo questo ciò che contava. Se quello era l’inizio di una nuova, ennesima minaccia ad entrambi, lui sarebbe stato pronto ad affrontarla.
Sfiorandogli la mano con le labbra, si era ripromesso di tornare presto da lei e che nel frattempo avrebbe dovuto mangiare qualcosa. Ricevuta la sua approvazione si sentì d’intralcio, fra lei ed i suoi pensieri, perciò non trovò alcun buon motivo per rimanere ulteriormente.

Il turbamento che aveva cercato di calmare si era trasformato in rabbia per l’insuccesso dei suoi sforzi e così aveva finito per allenarsi, investendo le sue energie in qualcosa che non fosse l’arrovellarsi su poche parole che non avevano molto senso. Tuttavia, adesso che aveva concluso, madido di sudore, i nervi si erano sciolti e la sensazione di stallo era passata, sentendosi motivato e più tranquillo.

Rabbrividì, quando sentì il getto dell’acqua tiepida scorrergli lungo le spalle e percorrergli per intero la schiena. Quello stesso brivido lo ritemprò e fortificò i suoi muscoli brucianti dopo l’allenamento. Doveva tornare da Hitomi, voleva abbracciarla e rassicurarla. O forse, doveva rassicurare se stesso. L’idea che potesse di nuovo essere in pericolo e l’oggetto di qualche nemico lo rendeva inquieto.

Aveva perso chissà quanto tempo, seduta davanti a quella finestra. Ed era tornata indietro, ai suoi giorni sulla terra. Doveva essere passato oramai più di un anno da quando era stata portata via dal suo luogo natio. Per la prima volta, sentiva la mancanza della sua famiglia. Sentiva la mancanza dei suoi amici. Li aveva rivisti in sogno, proprio quando aveva perso i sensi, intorpidita dal potere psichico dell’uomo camaleonte. Evidentemente, si disse, anche questa volta i suoi poteri la rendevano un bersaglio. Non c’era alcuna spiegazione più logica, glielo aveva detto quello stesso individuo.

Egli ti desidera, più di ogni altra cosa.

Le parole che gli aveva detto l’uomo camaleonte ebbero l’effetto di farle venire la pelle d’oca anche al sicuro all’interno della sua stanza. Era stato chiarissimo. Volevano lei. Perché? Perché i suoi poteri erano aumentati negli ultimi tempi? E cos’è che cercavano esattamente di ottenere?
Tutti quei quesiti che le assillavano la mente avevano trovato necessario ricorrere ad un piacevole diversivo, ripensare alla sua terra, alla luna dell’illusione.

Hitomi sollevò lo sguardo, riscuotendosi. Aveva ricordato qualcosa del sogno che aveva fatto, era qualcosa di importante ma che tuttavia risultava inafferrabile, come se fosse appena a portata di mano.

Il bussare alla porta la distrasse. Si drizzò in piedi lasciando che la morbida veste sfiorasse il pavimento di legno. Senza aver bisogno di pronunciare parola, vide Van schiudere l’uscio.

« Hitomi.. come stai? » aveva domandato, osservandola da capo a piedi, mentre si avvicinava.
Hitomi sorrise, avvolta da una piacevole sensazione di tranquillità che la sua sola presenza era stata in grado di suscitare immediatamente. Si avvicinò anche lei di un paio di passi, giusto per dimezzare le distanze e cercare il conforto per i suoi dubbi fra le sue braccia.

Van ricambiò la stretta, con gentilezza e forza e per un lungo momento restarono così, silenziosi. Si godettero l’uno la presenza vitalizzante dell’altro.

« Stai bene? » domandò lui, affondando il viso fra i suoi capelli, essi profumavano piacevolmente.
Hitomi annuì, stringendosi al suo petto. « Se non ci fossi stato tu.. » mormorò lei, chiaramente riferendosi alla notte appena trascorsa. Van sollevò appena il capo, cercando i suoi occhi.

« Hitomi, tu sai chi era quella creatura...? Che cosa voleva da te...? »

Domande che si aspettava, indubbiamente e a cui doveva dare una risposta. Senza trovare la forza di separarsi da lui, Hitomi guardò Van con aria preoccupata e angosciata,  il non riuscire a dirgli quello che neanche lei sapeva. « Van.. non lo so. Ma.. è stata colpa mia. Io... io sono andata a cercare l’uomo camaleonte, lui.. era lì fuori. » rispose, dando solo però una spiegazione confusa. Quando Van se ne accorse, le prese le mani e la fece sedere su quella sedia che aveva occupato per troppo tempo il suo corpo turbato dai suoi pensieri, inginocchiandosi davanti a lei, l’osservò.

« Spiegami con calma: hai detto di averla.. sentita? Forse ti stava chiamando per mezzo dei suoi poteri mentali? » domandò con calma.

Hitomi scosse appena il capo. « Non saprei dirti.. non era una voce. Era come.. in un sogno. Quando mi sono svegliata avevo la sensazione di essere stata chiamata e lui.. era lì, oltre la finestra, che mi fissava.. E poi, è stato impossibile resistere all’impulso di seguirlo. »

Fece una pausa, solo per cercare negli occhi di Van tracce di rimprovero.

« Scusa, non avrei dovuto essere così sciocca e seguirlo e avrei dovuto urlare quando potevo, sono stata troppo ingenua. » riprese, cercando con lo sguardo la sua veste, e poi le mani di lui, ritenendo che fosse meno imbarazzante che guardarlo negli occhi. La mano di Van si mosse per sollevarle con un gesto delicato il mento e chiedere il contatto visivo, Hitomi non scorse uno sguardo arrabbiato o risentito.

« Non hai motivo di incolparti, gli uomini camaleonte possono plagiare anche la mente più forte e tu, appena sveglia, eri una preda troppo facile. » il tono però era stato grave, notò Hitomi.

Van si alzò, mettendosi di fronte a lei. Aveva abbandonato il tocco della sua mano.

« Hitomi, quando sei svenuta ho parlato con lui.. Ha nominato il Popolo Atlantide. »

« A-Atlantide? » si riscoprì con la voce tremante ed il suo cuore ritornò con la mente a momenti precedenti lo scontro finale, quando riusciva a vedere la distruzione dal centro del palazzo di Zaibach. Quelle parole, scivolarono sulla ragazza dandole lo stesso effetto che un pugno allo stomaco avrebbe dato ad un lottatore.

 « Ha detto che chi lo mandava, aveva bisogno di te per far rivivere la Stirpe di Atlantide. » Van parlava come se lei stessa conoscesse il mezzo per far avverare quanto appena detto. Eppure, lo sguardo che gli mandava, doveva essere eloquente. Non capiva come avrebbe potuto far avverare una simile promessa.

« Perché io? » si fece forza e la sua voce apparve più sicura e risentita alle sue orecchie. Van scosse il capo, tranquillo nei modi ma confuso al contempo nell’esprimersi.

« Non lo so e non intendo scoprirlo. Non finirai nelle sue mani o in quelle di di chiunque altro. » asserì lui, con decisione.

« Aumenterò la guardia e riarmeremo gli eserciti e, se sarà necessario, faremo appello alle antiche alleanze. » Hitomi si sollevò in piedi a sua volta, sconcertata.

« Van! Stai parlando di iniziare una guerra! » si oppose come se dovesse lei stessa bloccare la furia di quei pensieri, che non dovevano diventare in alcun modo azioni.

« Gaea è in pace così come lo sono i suoi popoli. Non c’è alcuna ragione di temere un’altra guerra! » Hitomi guardò Van, cercando in lui una risposta, il sovrano di Fanelia aveva volto lo sguardo da un’altra parte senza rispondere.

Hitomi lo guardò disorientata. Cosa non le stava dicendo?

Appellandosi a quelle maniere che aveva appreso sulla terra e che non sarebbero mai cambiate in lei, lo afferrò per un braccio, scuotendolo.

« Van! Devi dirmelo! » ripetè, con forza, stringendogli il braccio maggiormente.

Van finalmente si volse a guardarla, rivolgendole uno sguardo grave.


« Il regno di Basram ha di recente interrotto ogni forma di commercio con Asturia e Fanelia e sembra, inoltre, che le carovane di alcuni nostri mercanti e anche quelle che viaggiavano con gli stendardi del Re Aston siano state bloccate e costrette a non poter lasciare quei luoghi. »

Hitomi continuò a guardare Van, senza però trovare un nesso logico alle sue parole.

« E questo cosa c’entra con l’uomo camaleonte? » domandò, quindi, dando voce ai suoi dubbi.

Van scosse le spalle. « La guerra contro Zaibach ci ha insegnato che si può lottare su molti fronti. Nessun paese di Gaea è in lotta con un altro ma sono proprio queste scintille che danno avvio alla guerra. E tu... potresti essere un obiettivo. Non mi sorprenderei se lo fossi diventata ancora di più, dopo quello che è successo. » asserì Van, poggiando le mani sulle spalle di Hitomi, senza tuttavia caricarne del loro peso. « Per Zaibach cominciò in modo diverso, partì tutto dall’ingente quantità di metalli importati e dagli scienziati richiesti per lo sviluppo di quella che poi definirono “esperimenti”. La sorella di Allen ne fu un esempio. Io ero troppo giovane per ricordare tutto, a quel tempo non riuscivo a capire le faccende di stato, per quanto mi sforzassi. » Hitomi si accorse della piega che aveva assunto il discorso. Abbandonò la presa sul braccio, solo per portarla dietro la schiena di lui e stringerlo.

« Ho capito, adesso. » tacque solo per qualche istante, il tempo di sentirlo rilassarsi, poi tornò ad osservarlo dritto negli occhi.

« Quindi, da oggi sono ufficialmente la tua fidanzata. »

L’effetto delle proprie parole fu quello desiderato, Van riuscì nuovamente a sorridere. La cinse nuovamente fra le braccia e chinandosi sfiorò le sue labbra con quelle di Hitomi.

« Lo sei da ieri sera, in effetti. Abbiamo anche ballato un po’, ma forse il vino ha ottenebrato i tuoi ricordi! » si meritò uno scappellotto sulla spalla.

« Non è vero! » rispose, piccata. Quindi si voltò da un lato, sciogliendo l’abbraccio, fintamente offesa. Van le circondò i fianchi con le braccia e l’avvicinò a sé.

« Hai ragione. » rassicurò lui, sfiorandole il collo con un bacio. Hitomi si riscosse a quel tocco, era stato così piacevole ed intenso, come una scarica elettrica. Senza muoversi approvò silenziosamente che Van continuasse a restare in quella posizione.

« Ieri sera sembravi strana. » disse, senza provare a nasconderle la tacita domanda di fondo. « Avevi cominciato ad avvertire qualcosa, non è così? »

Hitomi si trovò per un momento sorpresa, poi si ritrovò ad annuire.

« Credevo che fosse solo l’agitazione per i festeggiamenti. » cercò intimamente di giustificarsi, una parte di sé si sentiva in colpa per non essere stata in grado di parlargliene subito.

« Se dovessi risentirti allo stesso modo, sappi che me ne accorgerò così come l’ho notato ieri. Te lo dico perché, così non avrai bisogno di chiedere aiuto, perché io sarò già pronto. »

Hitomi sentiva il proprio cuore battere forte nel proprio petto. Van la fece voltare nuovamente e i loro occhi s’incrociarono per un lungo istante. Il contatto delle labbra che successivamente crearono riappacificò i loro animi per il tempo che restarono unite, in un modo profondamente giusto e senza fretta alcuna. E per quei momenti, sembrò non esistere la minaccia di nuova sofferenza all’orizzonte.      

Il pranzo si era rivelato anche più sontuoso del banchetto della sera precedente, almeno per lei. Si era dovuta intrattenere più del dovuto con le gentil donne che erano giunte insieme ai mariti che non facevano che parlarle del suo matrimonio. Non era abituata ad essere al centro di troppi discorsi e sentir discutere sulle proprie nozze l’aveva messa a disagio più di quanto lei stessa potesse sopportare. Eppure, non aveva potuto ritirarsi prima che il pomeriggio fosse inoltrato. Il fatto che la discussione avesse riguardato temi di così poca rilevanza le fece pensare che nessuno fosse venuto a conoscenza di quello che le era accaduto la scorsa notte. Evidentemente, le cameriere che l’avevano soccorsa avevano mantenuto il silenzio su quello che Van gli aveva rivelato, a meno che, egli avesse trovato una storia più adatta e meno allarmante della realtà. Si rammentò di dover chiedere spiegazioni in merito.

Decise di andare a passeggiare per il bosco che si trovava ai margini del palazzo reale. Non conosceva passatempo migliore: inoltrarsi in quella natura incontaminata, diversa in tutto quello che aveva mai visto sulla terra, la rendeva felice e gioiosa come raramente riusciva ad essere. Sapeva che era tutto merito del legame che aveva stabilito con la terra, grazie alla vita ricevuta da Gaea. Ancora una volta il pensiero tornò alla sua amata Terra, lì gli uomini non avevano ancora capito ed apprezzato le potenzialità del proprio pianeta e Hitomi sperò che un giorno non troppo lontano, potessero armonizzarsi con la natura nel miglior modo possibile.

I suoi pensieri erano stati così intensi che i suoi passi l’avevano spinta troppo in lontananza e per un momento non riuscì più a raccapezzarsi; aveva abbandonato il sentiero principale per andare dove più il corso delle sue riflessioni – o meglio – dell’avanzare dei suoi piedi, la portavano.
Si fermò quindi, guardandosi a destra e a sinistra, cercando di orientarsi. Si morse il labbro, anche se non era particolarmente preoccupata: aveva attraversato anche troppe volte quei boschi per sentirsi a disagio e veramente in pericolo di non ritrovare la via del ritorno. Oltretutto, non erano boschi poi così grandi. Certo, la prima volta che aveva visto Fanelia non aveva capito che il regno non era arido come se lo aspettava, nonostante fosse costruita in una vallata circondata dalle montagne, era estremamente semplice raggiungere la boscaglia.

E perdersi all’interno di essa, evidentemente.

Hitomi si volse di spalle, riprendendo a camminare dalla direzione opposta, avrebbe di certo ritrovato il sentiero se avesse ripercorso fedelmente i suoi passi.
Non seppe se fu la sensazione a scuoterla o il suono che udì dopo qualche istante.

Un ramoscello spezzato, proprio dietro di lei. Non se ne sarebbe curata, se solo il suo sesto senso non l’avesse allertata. Si voltò rapidamente, cercando con lo sguardo la cosa che aveva provocato quel rumore così vicino a lei. Quando non vide nulla, il suo cuore cominciò ad accelerare, sempre più intimorita. Si diede mentalmente della stupida e con la mano prese a sollevarsi la veste, della cui lunghezza non si era ancora abituata. Riprese a camminare, con passi lenti, come se non volesse curarsi della tensione crescente.

Poi un ramo cadde esattamente davanti a lei.

Urlò e con un balzo si spostò indietro, mentre si sollevava terra e foglie.
Quando il drago della terra emerse dal fitto della boscaglia e spezzò con il semplice suo avanzare il tronco che era caduto a pochi metri da lei, Hitomi restò immobile, senza fiato.
Il drago finalmente la vide e lei si domandò come avesse fatto a non udirlo prima.

Di ghiaccio, Hitomi non ebbe il coraggio di muoversi di un solo passo.

Il drago della terra focalizzò il suo sguardo verso l’elemento che aveva seguito per tutto quel tempo. L’urgenza che brillava nei suoi occhi non poteva essere compresa dalla fanciulla da cui era stata attratta.

Hitomi aveva dimenticato di respirare e mentre la paura e l’istinto di sopravvivenza lottavano contro i suoi muscoli irrigiditi per farla fuggire, non riusciva a muoversi. La creatura era alta, quasi cinque metri – unità di misura che avrebbe usato se fosse stata sulla terra – e la grandezza non riusciva a stabilirla, visto che era in parte nascosta dal fitto della boscaglia.
La creatura non si mosse ma continuò a fissarla, restando immobile, esattamente com’era lei, il cui cuore batteva così forte da farle temere, quasi, che la creatura potesse udirla e per istinto, attaccare non appena il prossimo battito le sarebbe mancato.

Senza staccare il contatto visivo, Hitomi tremò, cercando di resistere all’irrefrenabile impulso di urlare e scappare.

Tutto era confuso. Dapprima un turbinio che le scompigliava i capelli, poi le voci attorno a lei.

« Il tramonto di quest’era sta per giungere al suo termine, con l’arrivo dell’abitante della luna dell’illusione e la sconfitta del Manipolatore, un nuovo futuro avrà luogo e dalle ceneri dei draghi, la Stirpe di Atlantide rinascerà! »

Hitomi, comprese, che le voci che udiva erano in realtà una sola, eppure, la tonalità androgina la confondeva, incapace di comprendere se fosse uomo o donna.

« Ferma tutto questo o il destino di Gaea è destinato a ripetersi! »

Hitomi si voltò, cercando di capire dove si trovasse quella voce che aveva udito, questa volta era maschile, ne era certa, e familiare al tempo stesso.

Nell’incubo generato dalla sua stessa visione, si alzarono le fiamme, circondandola.

« Che qualcuno mi aiuti…Van! » incominciò a correre, avendo nuovamente addosso la sua uniforme scolastica e le sue scarpe da tennis. Eppure, nella frenesia della corsa, non riusciva ad avanzare di un solo metro mentre le fiamme sembravano non darle tregua.

« Sta per cominciare.. e sarai proprio tu, il principio della fine del vostro mondo! »

Riaprì gli occhi proprio in quel momento, trovandosi nella sua stanza, al palazzo di Fanelia.
Era in piedi e per poco non si sbilanciò quando tentò di muoversi.
Allungò un braccio, appoggiandosi alla fredda parete di legno che percorreva la sua stanza cercando di comprendere che cosa fosse successo.

Fino ad un momento prima era nel bosco e adesso..?

Profondamente confusa ed ancora scossa, arrancò verso il letto, sedendosi. Le mani in mezzo ai capelli, a sostenere il capo diventato improvvisamente luogo di dubbi e d’incertezze.
Lunghi minuti trascorsero ed il silenzio si fece meno pesante: gli uccellini, all’esterno, cantavano ancora. Hitomi, sollevando il capo, si trovò ad osservare la finestra.

Il cielo splendeva sereno nel mezzo del pomeriggio. Sarebbe stata una di quelle giornate perfette da passare insieme a Yukari dentro qualche pasticceria a mangiare torte e bere frappé al cioccolato. In quei momenti di pace assoluta, dove la stretta dei suoi impegni e dei suoi doveri – che presto sarebbero diventati ancora più soffocanti – la portavano ai giorni spensierati di quando viveva sulla terra. Sentiva la mancanza dei suoi amici e della sua famiglia, dopotutto, anche se sapeva come avrebbe potuto contattarli. Nei sogni e nelle visioni avrebbe potuto raggiungere chiunque, se i suoi sentimenti fossero stati forti e sinceri. La vita sulla terra le mancava quando non c’era Van accanto a lei. In quei momenti si sentiva perduta in quel mondo che aveva conosciuto così inaspettatamente. Sentiva la mancanza anche dei suoi amici su Gaea, il Signor Allen e la Principessa Millerna ed anche il Signor Talpa.

Hitomi sorrise, pensando a come la prima volta che si era ritrovata davanti l’assurdo uomo dai sensi come una talpa: l’aveva preso per un maniaco, comprendendo poi che l’interesse era stato rivolto solo verso il suo scintillante ciondolo. Quella volta aveva anche incontrato Allen e i suoi modi cavallereschi - oltre che per la sua tremenda somiglianza con il senpai Amano - le avevano fatto letteralmente perdere la testa. Era stata fin troppo ingenua allora, nel pensare che fosse Allen la persona giusta per lei, era stata una bambina che aveva visto nell’affascinante Cavaliere Celeste di Asturia un principe azzurro uscito direttamente dalle fiabe.

Colta da un improvviso pensiero, Hitomi sollevò il capo e spalancò brevemente gli occhi: avrebbe potuto scrivere sia ad Allen che a Millerna. Con quest’ultima intesseva già una fitta corrispondenza, però prima d’allora non avevano mai parlato del passato, forse perché per entrambe, non era stato un periodo facile e Millerna le aveva confidato di essersi sentita impotente nell’aver appreso il tutto solo molto dopo; le aveva detto che avrebbe potuto fare qualcosa per alleviare i suoi dolori o essere utile in qualcosa. Hitomi aveva trovato il modo per consolarla, dicendole che nel suo dovere di reggente, Millerna aveva fatto la cosa più giusta anche in virtù del suo dovere verso il popolo e adesso Hitomi ne poteva comprendere il senso di quelle parole.
Avevano promesso di rivedersi quando il tempo avesse concesso ad entrambe un po’ di respiro e fino ad allora le loro lettere non avevano contenuto un accenno ad una rimpatriata.

Si sollevò in piedi, dirigendosi verso lo scrittoio. Doveva scrivere ai suoi migliori amici e fare in modo che venissero per il suo matrimonio.

Già, presto si sarebbe sposata. Anche quella era una cosa che aveva imparato ad accettare solo perché il contesto lo permetteva.

Sulla terra, sarebbe stato assurdo che una ragazza della sua età fosse già promessa in sposa. Aveva solo sedici anni – che in certi momenti le erano sembrati cento – e il matrimonio sembrava essere una cosa così lontana. Eppure, su Gaea, non esistevano strani pregiudizi. Anche in Giappone, durante il periodo Edo non doveva essere poi così diverso. I suoi sentimenti per Van erano assoluti e lo sarebbero stati fino a che entrambi avessero avuto vita. La consapevolezza era arrivata quando aveva potuto sentirne la voce nella terra e nel suo cuore. Ed era stato così anche per il padre e la madre di Van, lo aveva visto nelle visioni.

Seduta sulla sedia di legno prese piuma e calamaio ed incominciò ad intingere il pennino nell’inchiostro nero. Apprendere il linguaggio usato su Gaea non era stato troppo difficile.
Tutto derivava da Atlantide e Atlantide proveniva dalla terra. Aveva trovato una certa assonanza nei diversi linguaggi che aveva avuto modo di osservare. Nonostante i suoi numerosi errori però, Millerna e Allen avevano sempre compreso tutto e le risposte che le inviavano contenevano sempre parole che sapeva riconoscere.


« HITOMI!! »

Sobbalzò, sulla sua sedia, mentre la squillante voce di Merle sovrastava tutto il silenzio dapprima raggiunto, irrompendo all’interno della stanza.

Hitomi si voltò, sorpresa, aveva riconosciuto l’entusiasmo da parte della ragazza gatto.

« Merle, che succede? » domandò, restando ancora seduta ma appoggiando il pennino dentro il calamaio.

« Devi assolutamente venire a vedere! » esclamò lei, prendendola per un braccio, strattonandola. Hitomi si lasciò convincere, gradualmente più curiosa, si sollevò in piedi e accolse la stretta amichevole e non costrittiva della giovane gattina facendosi condurre fuori dalla stanza.
Attraverso i corridoi di legno così somiglianti alle antiche costruzioni giapponesi, Hitomi avanzò a passo svelto, seguendo Merle che faceva strada.

« .. E così non ho potuto fare a meno di venire a farvi un saluto, visto che è da un po’ che non ho il piacere di incontrarvi. »

Hitomi si bloccò prima ancora di entrare all’interno della stanza dove Merle aveva già spalancato le porte scorrevoli e tutta felice aveva annunciato che Hitomi era arrivata.

« Signor Dryden!? » mormorò avanzando a passi lenti, incredula.

Lui si voltò e le sorrise, avvolto nei soliti abiti da mercante, con lo stesso sguardo cerchiato da un paio di occhialini e la barba lievemente incolta.

« E’ un piacere rivederti Hitomi! Vedo che nonostante tu abbia cambiato modo di vestire, i tuoi occhi sono sempre gli stessi. »

Hitomi venne colta da un misto di felicità e sorpresa, era così felice di rivedere il reggente di Asturia che le venne voglia di abbracciarlo, tuttavia si contenne per quanto possibile e gli prese semplicemente le mani. « Signor Dryden! Sono così felice di rivederla! »

Dryden sorrise e ricambiando a sua volta la stretta amichevole parlò « Dovevo vedere la nostra futura regina di Fanelia, Van mi ha detto che celebrerete il mese prossimo: congratulazioni! »

Hitomi arrossì lievemente annuendo poi convinta, « La ringrazio Signor Dryden! Che sorpresa vederla qui! E’ insieme alla sua flotta mercantile? » domandò, quindi, immaginando una risposta affermativa, che non tardò ad arrivare.

« Esattamente! Stavo proprio dicendo a Van che, trovandomi a passare da qui, non ho potuto fare a meno che venire a salutarvi, dopo tutto quello che è successo, il minimo era fermarsi e ringraziarvi di persona. » e dicendo questo chinò lievemente il capo in direzione di Hitomi.

« Non ci sarebbe stato più un futuro per Gaea se non fosse stato per te, sei una ragazza dall’animo forte. Noi tutti ti dobbiamo molto, sin da quando sei arrivata sul nostro pianeta. »

Hitomi si sentì in imbarazzo per i brevi istanti di silenzio che seguirono. « Non occorre ringraziare, Dryden. Chiunque avrebbe fatto il possibile per salvare Gaea. » rispose Van « Noi ci siamo limitati a fare ciò che era in nostro potere » concluse quindi, volgendo lo sguardo verso Hitomi.

Lei annuì « Van ha ragione.. ma ora non pensiamo al passato, Signor Dryden si trattenga a Fanelia quanto tempo desideri! » Dryden sorrise ma fece un cenno di dissenso con il capo.

 « Resterei volentieri per tutta l’estate ma domani devo far rotta per Asturia, Millerna non può fare a meno di me! » asserì ridendo, per calmarsi subito dopo. « In realtà è che devo comunque tornare presto ad Asturia per riferire riguardo i movimenti sospetti del regno di Basram, ho sentito che anche con voi ha tagliato ogni forma di attività commerciale. »

Van si fece serio in volto ed annuì lievemente, « Si, è tutto vero. So anche che alcuni dei vostri mercanti non hanno potuto far ritorno, avete ricevuto notizie? »

« Sfortunatamente ancora nessuna, ed è per questo che devo tornare ad Asturia, bisogna comprendere la natura dell’imposizione di questo fermo. Non vorremmo che fosse una sorta di ricatto o peggio, che i nostri mercanti siano tenuti in ostaggio. »

Hitomi ascoltava silenziosa, percependo una strana sensazione dentro di sé. Quando era sulla terra, non era mai stata una cima nello studio della storia però sapeva che il commercio e l’economia in generale, erano fattori che più volte erano stati causa di conflitti anche di grosse proporzioni. In effetti, la situazione, poteva riproporsi anche su Gaea.

« Non credo che ci sia qualcuno che voglia fare la guerra, in tempi così pacifici. » intervenne, cercando la conferma negli occhi dei due uomini accanto a lei.  Fu Dryden a parlarle per primo.

« Quello che dici è vero, ma è proprio nei tempi di pace che si costruiscono i fondamenti per l’inizio di una guerra. »

Van annuì, concordando. « Dryden ha ragione, oltretutto non dimentichiamo che Basram, insieme all’Impero di Zaibach, aveva incrementato la richiesta di metalli e nuove tecnologie. »

Hitomi deglutì, sentendosi in dovere di esprimere la sua preoccupazione « State dicendo che potrebbe ricominciare una guerra? »

Dryden sorrise e le mise una mano sulla spalla. « Forse non è niente di tutto ciò, non vi è ancora motivo di preoccuparsi seriamente. »

Hitomi annuì, trovando incertezza nelle parole dell’uomo.


La cena trascorse con tranquillità e non si toccarono argomenti gravi, si discusse principalmente delle vicine nozze e di tutti i convenevoli del caso. Hitomi non era stanca, ma era desiderosa di parlare con Van di quello che aveva visto quel pomeriggio e dei dubbi che l’attanagliavano.
Quando la cena finì, il sovrano di Fanelia non aveva detto nulla riguardo alla notte precedente e all’uomo-camaleonte che aveva cercato di farle del male. Hitomi non se ne sorprese: era nel carattere di Van proteggere da solo quello a cui teneva, quell’aspetto del suo carattere non era mutato sin da quando lo aveva conosciuto. Il combattere strenuamente contro il nemico, anche nella situazione più pericolosa lo aveva reso fin troppo spavaldo, e aveva avuto da ricredersi solo quando l’intervento di alleati preziosi si erano rivelati più che necessari. Se Fanelia era rinata dalle ceneri era grazie a tante persone e alla fiducia dei suoi abitanti, Van lo sapeva bene e non ne aveva mai dubitato, ma aveva anche compreso che spesso chiedere aiuto agli altri non era sintomo di debolezza. Il fatto che non avesse detto niente a Dryden poteva significare quindi che aveva deciso di valutare la situazione prima di agire, il che era una mossa saggia, considerando che non potevano fare altrimenti e non avevano altri elementi su cui arrovellarsi.

Hitomi si sollevò dal tavolo solo qualche istante dopo che Dryden aveva lasciato la sala da pranzo, osservò distrattamente Merle che sembrava soddisfatta della cena e sembrava piuttosto stanca.
Van seguì i suoi movimenti e le venne vicino con fare premuroso

« Mi sei sembrata stranamente silenziosa a cena, è forse successo qualcosa? » a quel punto anche il viso di Merle si fece curioso, e osservò i due restando ancora seduta, con le orecchie appuntite rivolte verso di loro.

Hitomi scosse il capo e sorrise lievemente. « Ma no! È tutto a posto, sono solo un po’ stanca. »

Van la guardò senza dire nulla, quindi sorrise lievemente.

« Ahh! Questi piccioncini! Siete troppo, troppo per me! » sbottò Merle, infastidita, alzandosi dalla tavola. Quindi li guardò entrambi arrossire fino alla punta delle orecchie e ridacchiò. « Certo che ogni volta fate sempre la stessa faccia! Penso proprio che fra qualche tempo mi stancherò di punzecchiarvi! » continuò poco dopo, vedendo che i due erano rimasti nella stessa posizione di prima. « Ah..! Siete davvero esilaranti! » e cominciò a ridere, muovendosi verso la porta. « Coraggio, vi lascio soli, così potete amoreggiare in pace..! » uscì dalla porta, accompagnando i suoi movimenti ad un abbraccio improvvisato e a delle labbra contratte in avanti  impegnate a baciare invisibili amanti.

Il silenzio che cadde quando la porta venne chiusa, lì lasciò piacevolmente risollevati. Merle certe volte sembrava davvero una peste.

Van prese la mano di Hitomi, scrollandola da quel torpore fastidioso e si mosse verso un’altra porta, quella che conduceva verso le rispettive camere da letto. « Andiamo... »

Hitomi annuì lasciandosi trasportare fuori dalla sala da pranzo, inoltrandosi nei corridoi del castello di Fanelia che oramai conosceva molto bene. In quel momento si ritrovò a riflettere a cosa sarebbe potuto accadere quella notte, se avesse nuovamente sentito il richiamo irresistibile della notte precedente. Van aveva detto che avrebbe messo dei soldati vicino alla sua porta per qualsiasi emergenza, inoltre anche la sua camera era molto vicina alla propria, quindi sarebbe stato avvertito. Ciò che turbava Hitomi però, non erano le intenzioni di quei nuovi ed inaspettati nemici – se poteva cominciare a considerarli così – ma erano le motivazioni. La guerra contro l’impero di Zaibach le aveva fatto riflettere molto sulle motivazioni di ognuno, arrivando a comprendere persino quelle dell’imperatore Dornkirk.

Fu quando Van si fermò d’innanzi la porta della sua stanza che il flusso dei suoi pensieri venne a tacere. Hitomi sollevò il capo, osservando Van negli occhi. Era così... bello. Non era la stessa bellezza che aveva visto nei modi gentili di Allen o nella cotta che aveva preso per il senpai. La sua era una bellezza più, mascolina ma addolcita dagli occhi che le sapevano comunicare gentilezza e dolcezza in ogni occasione. Forse Van aveva intuito qualcosa, perché le si avvicinò sorridendo in un modo decisamente malizioso che la fece arrossire, timorata d’esser stata scoperta anche nei pensieri. Si trovò ad appoggiarsi contro la parete mentre le labbra di Van calavano sulle proprie, con dolcezza. Lui la strinse a se, intrappolandola fra il muro ed il proprio corpo, approfondendo il bacio. Hitomi rispose con la stessa intensità e si strinse maggiormente a lui, sfiorando i capelli con le mani che, già alzate, avvolgevano il suo collo e accarezzavano le sue spalle. Quando un suono di passi lontani raggiunse le loro orecchie smisero entrambi nello stesso istante, con i cuori palpitanti e l’urgenza di continuare. Van fece scivolare la sua mano in quella di lei ed in brevi passi raggiunsero la porta della sua camera che con un veloce e quanto mai repentino gesto della mano contro la maniglia della porta, la quale si aprì facendo un lieve rumore e si richiuse altrettanto velocemente quando entrambi vi entrarono all’interno, al sicuro.

Raggiunta la stanza Hitomi ebbe difficoltà a mettere a fuoco, visto il buio all’interno. Van invece, sapeva orientarsi benissimo grazie anche all’unica finestra grande quanto quella che si trovava nella propria camera che dava sull’esterno, nonostante fosse chiusa, le imposte di legno che impedivano la luce d’entrare erano aperte, così nonostante le tenebre, la luna e la Terra mandavano i loro bagliori riflessi gettando una pallida luce argentea all’interno della stanza.

Prima che Hitomi potesse muoversi di un solo passo, Van la circondò nuovamente fra le sue braccia e discese nuovamente sulle labbra. Trattenendo un gemito di sorpresa e approvazione, Hitomi non rifiutò quel contatto che anzi sembrava desiderare e respingere al contempo stesso. Il calore che batteva fortemente, sembrava accenderla ad ogni istante che sentiva le sue mani lungo i suoi fianchi e la sua bocca premere contro la propria.

« Van... » la voce ridotta ad un sussurro, mentre riprendeva fiato. Solitamente a quel punto Van si fermava, quando si rendeva conto che stava andando troppo oltre, ma questa volta fu diverso: quando lui le rivolse uno sguardo, Hitomi vide una strana luce brillare nei suoi occhi. La strinse maggiormente a sé, affondando il viso nell’incavo del suo collo, sfiorandolo con le labbra. 
Ad interrompere quel momento le porte della finestra si aprirono improvvisamente facendo un rumore così forte da far sobbalzare entrambi.

L’agitazione per le carezze sparì come neve gelida al sole quando entrambi si volsero e videro una lunga figura stagliarsi davanti a loro. Alta quasi due metri e avvolta da un mantello, solo il volto pallido e smunto e irrealmente lungo a fissarli.

Il silenzio che si generò per quei lunghi istanti in cui entrambi gli stomaci si aggrovigliarono per la sorpresa, diede il tempo a Van di infilare una mano sull’elsa della spada e frapporsi davanti ad Hitomi.

« Ancora tu. Che cosa vuoi?! » esclamò, con tono udibile, la voce non tremava ma sentì le mani di Hitomi appoggiarsi alla sua schiena, lievemente.

L’uomo-camaleonte restò immobile senza muoversi di un passo mentre l’aria entrava dalla finestra, facendo gonfiare le tende.

Van fece un passo e il contatto con Hitomi venne meno. « Rispondi! »

L’uomo camaleonte sembrò finalmente osservarlo e Van si rese conto che fino ad allora aveva guardato solo Hitomi, ignorandolo.

« La ragazza della luna dell’illusione non può unirsi con un mezzosangue. »

Van digrignò i denti e assunse uno sguardo più che ostile. « Che cosa intendi dire? »

« Che quella creatura sarà l’origine della nuova stirpe. E voi non sarete il suo compagno. »

 

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Capitolo 3
*** Stasi ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»

3
Stasi
« La nostra Vita era destinata a Finire.»



Van era pronto ad attaccare, a fermarlo era solo l’interesse a spillare quante più informazioni possibili da quella creatura che sembrava parlare con una sicurezza che non avrebbe dovuto possedere.
« Che cosa stai dicendo!? » ripeté lui, certo d’ aver udite le altrui parole ma non altrettanto di averne compreso il significato.
« Che quella donna è la chiave di volta per il ritorno dei discendenti dei nuovi abitanti della Valle dell’Illusione! »
Van non se ne accorse ma udì chiaramente uno spostamento d’aria. In un attimo lo sguardo dell’uomo camaleonte era vicinissimo a lui e l’istante successivo era stato spinto a terra ad oltre un metro di distanza. Un tonfo sordo e un dolore acuto all’altezza della schiena gli diedero senso a quello che era appena accaduto.
I sensi alimentati dall’adrenalina lo spinsero ad alzarsi il più velocemente possibile consapevole del pericolo che in quel momento Hitomi stava correndo. Fu in quel momento che la vide. Entrambe le mani dell’uomo-camaleonte stringevano le spalle di Hitomi il cui sguardo velato dal terrore, sembrava focalizzato sul viso dell’assalitore. Si accorse solo mentre stava attaccando – con la spada sguainata – che il contatto visivo fra i due era cessato. Avvenne tutto troppo velocemente.
Hitomi lanciò un urlo con occhi spalancati e il viso contratto in un’espressione che suscitò sgomento persino nell’uomo-illusore che, evitando scaltramente la lama recante il sigillo di Fanelia, si allontanò di un paio di metri, avvicinandosi alla finestra.
Van avrebbe voluto inseguirlo se Hitomi non fosse crollata a terra, sulle ginocchia, tremante. L’urlo di lei era stato abbastanza forte da mettere in allerta gli uomini che dovevano essere di sorveglianza in quel momento, in meno di un attimo furono lì.
« Inseguitelo! È uscito dalla finestra! »
Gli uomini, disorientati per un momento, ubbidirono immediatamente, correndo verso i corridoi mentre Van cingeva fra le braccia Hitomi che, tremante, continuava a tenersi la testa.
« Hitomi..! Hitomi che ti succede?! » cercando di sollevarle il viso, vide che gli occhi erano velati di lacrime ed i tremori sempre più forti.
« Io.. li ho visti. Li ho visti morire tutti! » esclamò, con voce rotta.
Van cercò di sorreggerla e di sollevarla ma ne sentì immediatamente la pelle rovente.
« Il fuoco.. lo sento anche io! »
« Hitomi! Era solo un’illusione! » la sollevò in piedi e per un istante credette che sarebbe riuscita a sorreggersi, quando istintivamente finì verso di lui, Van l’abbracciò contro di se, avvertendo il tremito innaturale del suo corpo.
« Fa caldo.. troppo..cal.. »
Van sentì il corpo di Hitomi irrigidirsi e farsi pesante. La chiamò ancora una volta, accorgendosi che aveva perso i sensi e che la sua fronte scottava.
« Ha la febbre alta.. » mormorò, sorpreso ed ancora atterrito. L’appoggiò sul letto, coprendola.
Il torpore del sonno sembrava averla fatta calmare, tuttavia Van si chiese cosa avesse mai potuto vedere di così sconvolgente da farla sentire così male.
Sedendosi sul letto, accanto a lei, le prese una mano osservando il suo viso febbricitante. Aveva ancora delle lacrime impigliate lungo le ciglia ed una, era sfuggita a quella fitta trama per scivolare lungo le tempie. Le guance le si erano arrossate. Van strinse il pugno della mano libera che non stringeva quella di Hitomi; non era riuscita proteggerla. Quell’uomo-camaleonte possedeva una velocità non indifferente, non l’aveva quasi visto quando si era spostato da un luogo all’altro dalla stanza. Ora non c’era tempo per pensare a quello.
Si sollevò in piedi e mosse un paio di passi, aprì la porta ma non l’attraversò.
Chiamò un inserviente ordinando che portasse immediatamente un catino con dell’acqua fresca ed un panno.
L’avrebbe fatto lui stesso ma non aveva intenzione di lasciarla neanche per un minuto, dopo il terrore che aveva scorto nei suoi occhi.
La valle dell’illusione era in fiamme e lei in mezzo a quell’inferno  non sapeva dove fuggire.
Hitomi non capiva come un ricordo o un’illusione potesse farle provare il fuoco sulla pelle e il dolore lancinante al petto a causa del fumo e dallo sforzo di fuggire. Indossava le vesti che era solita portare a Fanelia, era la prima volta che questo avveniva nei suoi sogni. Si era rifugiata dentro una grande casa, che aveva più le dimensioni di un tempio, probabilmente lo spazio non era un problema per gli atlantidesi vista la prosperità degli arazzi in fiamme e i mosaici sui pavimenti. Hitomi era allibita e spaventata, le fiamme erano dovunque.
« Van! Dove sei?! » chiamò, ad alta voce, mentre le fiamme facevano crollare una trave proprio sopra di lei. Se ne accorse in tempo e si scansò, correndo verso l’interno dell’enorme edificio in pietra candida. Il senso del pericolo appena trascorso le arrivò allo stomaco, il terrore si tramutò in desiderio di restare in vita.
Tutto questo non poteva accadere, non poteva succedere davvero.
Trovò quella che doveva essere un’uscita laterale, seguì il breve corridoio, finendo poi per giungere ad un giardino la cui bellezza doveva essere notevole ma che adesso era ridotto ad un cumulo di erbacce bruciate e di alberi le cui chiome andavano ancora in fiamme.
Perché sta accadendo tutto questo?  Nella sua mente, continuava a ripetersi quella voce a cui non sapeva rivolgere risposta. Nella frenesia della corsa, una radice sporgente la fece cadere in avanti, finendo fra le fiamme vicine. Sentendo il corpo andare a fuoco, insieme alle sue vesti, Hitomi urlò, cercando di sollevarsi in piedi. Il dolore delle scottature lambì per prima le braccia scoperte e poi s’insinuò fra le pieghe bruciacchiate della veste, minacciando di raggiungere le gambe.
Tentò con le mani di placare il principio di incendio nella sua veste, rendendosi conto che era in trappola nel momento stesso in cui la porta da cui era entrata era crollata sotto il peso dei soffitti. Il calcinaccio si riversò tutto nel giardino e nuvole bianche di polvere sollevata si unirono a quelle scure delle fiamme.
Doveva trovare una via d’uscita da quel giardino o non avrebbe avuto scampo.
I suoi occhi si volsero verso un albero, che sembrava esser stato momentaneamente risparmiato dal calore e dalle fiamme. Correndo oltrepassò cespugli bruciacchianti e sassi bollenti arrivando poi ad abbracciare il tronco. Notando che i rami più in alto sembravano comunicare con il muro bianco decise di provare la sua unica possibilità. Si arrampicò facendo appello a tutti i muscoli delle braccia – che non erano così allenati come quelli delle gambe – di sorreggerla e concederle la risalita. L’adrenalina sembrò esserle d’aiuto poiché si mosse più agilmente di quando in condizioni normali sarebbe stata in grado di fare. Adocchiando il muro poco più in la, si mise carponi, tenendosi con entrambe le braccia lungo tutto il ramo cercando di muoversi quanto più velocemente verso l’ostacolo che doveva aggirare.
Il muro bianco era abbastanza largo da concederle di stare in piedi senza eccessivo pericolo, perciò, tentò con un balzo e le due mani riuscirono ad appigliarsi per un soffio. Quindi facendo leva con le braccia, usò tutta la sua forza per sollevare il proprio corpo mettendosi quindi in una posizione tale da poter vedere cosa v’era oltre lo stesso.
Con suo sgomento, ciò che l’attendeva oltre il muro erano proprio le fiamme. Immobilizzata dalla paura incominciò a tremare, sempre più forte. Socchiuse gli occhi, mentre il tremore non si fermava. Riaprendoli si accorse con sgomento che non era lei a tremare, ma tutta la terra, ed il muro sembrava vacillare pietosamente verso le fiamme.
« Qualcuno mi aiuti! » esclamò, mettendosi inginocchiata, temendo di perdere l’equilibrio. Il terremoto non cessava e comprese che la sua fine stava arrivando nel momento in cui sentì il muro sgretolarsi sotto il suo peso.
Chiuse gli occhi, incapace di vedere la sua stessa fine, mentre il calore delle fiamme le invadeva il corpo.

La freschezza partì dalla fronte fino a raggiungere il collo e le spalle, vincendo il calore e attenuando la pesantezza che sentiva nel petto.
Riaprì gli occhi, trovandosi davanti Van ed una candela accesa accanto a lui. Il panno che le poggiò sulla fronte e poi lungo il collo, tamponando lievemente la fecero sentire meglio e al contempo le fecero capire da dove provenisse quella frescura.
« Hitomi.. come ti senti? » domandò lui, sussurrando per poi chinarsi e sfiorarle la fronte con un bacio.
Hitomi socchiuse appena le palpebre, sospirando pesantemente, il fumo nei suoi polmoni sparito come la sua illusione.
« Me lo ha mostrato.. ho visto e sentito le fiamme che avvolgevano la Valle dell’Illusione.. » solo dopo aver parlato si rese amaramente conto di non essere per niente di aiuto in quella situazione. Tentò di alzarsi per mettersi seduta trovando un Van che ignorava il panno umido sul catino e le cingeva le spalle con le braccia.
« Hitomi.. hai urlato e mentre eri svenuta deliravi. Stai giù. »  la ammonì con tono preoccupato.
Hitomi prese un respiro profondo, affondando con il capo sul cuscino, riflettendo su ciò che aveva visto.
Van le prese la mano, stringendola.
« Temo che il palazzo non sia un luogo sicuro, si muoveva troppo velocemente. »
Hitomi udì nella voce del Re di Fanelia una sorta di rimprovero, si stava logorando per non essere riuscito a fare niente.
« Se solo avesse voluto, avrebbe potuto ucciderci, non eravamo abbastanza preparati.. »
Hitomi scosse il capo e lo guardò « Non voleva farci del male, voleva che.. capissi. »
Van si fece più curioso.
« Che cosa intendi?
 « Quello che ho detto. Che non voleva farmi del male, voleva semplicemente che acconsentissi a quello che diceva, che comprendessi le sue più intime ragioni. »
Van restò in silenzio, in attesa che Hitomi concludesse, la frase era inevitabilmente rimasta in sospeso. Hitomi intuì e si voltò di lato.
« Voleva che mi unissi per l’obiettivo del suo mandante: ricreare la razza degli uomini-draghi divini. »
« Che cosa?! » la frase, risuonò con disgusto per le pareti della stanza, Hitomi arrossì lievemente: non avevano mai parlato di argomenti del genere, ed anche se adesso era in ballo la sua vita e – inevitabilmente – quella di lui, non avrebbe dovuto mostrarsi così imbarazzata.
« Non lo diceva espressamente, ma è quello che sono riuscita a cogliere dagli ultimi eventi. » poi si interruppe, sollevando appena il capo, come se fosse stata richiamata da un suono esterno, socchiuse appena gli occhi.
« Si sta alzando il vento.. » una constatazione detta con voce sicura e tranquilla.
« I tuoi poteri si stanno amplificando o è una mia impressione? »
Hitomi annuì lievemente. « Sembra di si e sento che sia strettamente condizionato dal tempo che trascorro su Gaea. Fino a qualche giorno fa non ero in grado di sentire il vento. Adesso è come.. » s’interruppe ancora una volta, incapace di continuare. Van sorrise e le mise una mano sulla spalla.
« Non preoccuparti. Lo so, deve essere meraviglioso. E deve essere una cosa positiva. Lo spirito di Gaea è dentro di te. »
Hitomi sorrise a sua volta, « Non preoccuparti. Riusciremo ad arginare anche questa minaccia. »
« Non ti lascerò sola questa notte. » Van si sollevò e fece per mettersi accanto a lei, il letto era abbastanza grande da poter ospitare due persone.
Hitomi arrossì e fece per sollevarsi. « Cosa..? » l’imbarazzo le rese la voce più acuta del solito, il rossore che imporporava le guance.
« Hai la febbre, non posso lasciarti dopo quello che è successo. »
Ma Hitomi non voleva che lo facesse.
Van si accomodò accanto a lei, sopra le coperte, quindi l’avvicinò, facendole poggiare la testa sul suo petto.
Hitomi sospirò pesantemente, appoggiandosi con la fronte contro di lui, adesso si sentiva molto meglio.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, esprimergli un ringraziamento, lodare qualsiasi divinità che le aveva concesso di incontrarlo e di innamorarsene, ma la stanchezza e la sonnolenza la colsero ben presto, troppo. Cercò le sue mani e le strinse, in un gesto che avrebbe voluto mai porvi fine.
Il mattino seguente però, Van non era più accanto a lei, nonostante il suo profumo le fosse rimasto fra le coltri, o forse – rammentò – era perché si trovava lei nella sua stanza e quello era il suo letto. Se non avesse potuto trovarlo all’interno di quello stesso palazzo si sarebbe sentita certamente sola.
Hitomi si voltò, girandosi contro la finestra.
Sbuffando, si chiese che cosa non andasse in lei. Si mise una mano sulla fronte, per constatare che era fresca, la febbre era sparita, la temperatura nuovamente normale. Quanto tempo aveva dormito? Si stiracchiò lievemente, togliendo poi le coperte da sopra il suo corpo.
Tutta quell’immobilità non le piaceva. Non era mai stata un tipo fragile e non aveva mai amato le preoccupazioni che le altre persone potevano riservarle. La sensazione di star lasciando qualcosa di importante da parte, un lembo della sua vita, qualcosa che le appartenesse nel suo intimo più profondo. Sollevandosi in piedi la veste le ricadde lungo le gambe, nascondendole fino alla caviglia. Fino a qualche tempo prima, non faceva altro che indossare la sua divisa, ma adesso si era sgualcita in più punti ed era stato inevitabile riporla, a rammentare tempi per certi versi migliori.
Fuori, la giornata si era rivelata ventosa, così come aveva potuto constatare la sera precedente.
Anche il poter percepire i cambiamenti climatici non la esaltava più di tanto, era indubbiamente qualcosa di positivo – come le aveva detto Van – eppure c’era qualcosa che non tornava, era come se sentiva di star dimenticando qualcosa e doveva essere di estrema importanza, visto il turbamento che le causava.
Improvvisamente qualcosa le attraversò la mente e gli occhi di Hitomi si illuminarono e le labbra s’incurvarono in un sorriso.
Aveva finalmente trovato quello che le serviva per risollevarsi il morale.
E no, le cameriere non l’avrebbero trattenuta, questa volta.
Van aveva appena finito di raccontare gli eventi accaduti la sera precedente ad un interessato Dryden, che era rimasto pensieroso ed attento nell’ascolto per tutto il tempo.
« Non è da sottovalutare, Re di Fanelia » commentò, poco dopo, sollevando il capo.
Van restò in silenzio, lasciandolo continuare.
« Di fatto, ogni attentato ad Hitomi, è un attacco ad ogni regno di Gaea. I cittadini di Fanelia la considerano la cosa più vicina ad una divinità e la sua fama si è estesa anche oltre queste montagne. »
Van annuì, grave. « Questo lo so bene, ma come facciamo? Gaea è stata appena ricostruita, abbiamo bisogno di stabilità, non posso richiamare i miei uomini alla guerra proprio adesso. »
« E chi ha parlato di guerra? » sorrise malizioso il reggente di Asturia, Van l’osservò incuriosito.
« Mi riferisco al fatto che non è necessario – per il momento. Sebbene tu abbia detto che l’uomo-illusore ha cercato di portar via Hitomi, non è stato ancora mobilitato nessun esercito. »
Van sollevò il pugno. « Ma non capisci? Ha detto che agisce per conto di qualcuno, qualcuno che vuole ricreare la razza degli uomini-draghi divini! Hitomi ha avuto delle visioni..! »
Dryden lo fermò con una mano. « Hai detto che i poteri di Hitomi sono cresciuti negli ultimi tempi, non può essere che sia dovuto a questo? Se dopotutto lo spirito di Gaea giace dentro di lei, potrebbe aver accesso anche alle memorie riguardanti il popolo di Atlantide. »
Van tacque in un primo momento, poi sollevò le spalle.  « Sinceramente, non lo so. Lei sembrava così sicura di quello che percepiva: il calore che diceva di sentire le ha fatto alzare la febbre.. ha delirato! Qualsiasi cosa sia in grado di poterle far accadere una cosa del genere non può essere sottovalutata! » Van strinse i pugni. « Ed io non voglio che le accada qualcos’altro di male, ha già sofferto abbastanza a causa di una terra che non le appartiene neanche per diritto di nascita. »
Dryden restò in silenzio, osservando il Re di Fanelia crucciarsi. Per quanto odiasse ammetterlo, la situazione era pressoché impossibile da mutare. A meno che gli eventi accaduti a Fanelia avessero una qualche attinenza con il regno di Basram, non era possibile prevedere eventuali mosse in vista di successivi attacchi.
« Non possiamo fare altro che attendere e proteggere Hitomi. » sancì infine Dryden, sostenendosi il mento con la mano destra. « A proposito, dove si trova adesso? »
« Riposava ancora qualche ora fa, non sembrava avesse più febbre. »
« Questa è una buona notizia, si riprende in fretta! » commentò, sorridendo.
Proprio in quel momento una donna di mezza età entrò all’interno della sala.
« Vostra Maestà perdonatemi! » asserì trafelata, inchinandosi velocemente.
Van si sollevò in piedi. « Che cosa succede? » aveva riconosciuto la donna, era una delle inservienti incaricate di occuparsi di Hitomi.
« La Principessa.. la Principessa Hitomi è uscita dalla sua stanza! Le avevo detto di non farlo ma ha indossato quegli strani indumenti e ha cominciato a correre più lesta del vento! »
Van e Dryden si voltarono giusto in tempo verso la finestra. Quindi il reggente di Asturia incominciò a ridere di gusto, portandosi una mano alla testa come a sorreggersi la fronte.
Fuori Hitomi correva su per una collina, indossando i pantaloncini e la giacca della tuta.
« Mi dispiace, mi dispiace immensamente! » ripeté la donna, mortificata.
Van scosse il capo e sorrise allegro.
« Non preoccupatevi, non è colpa vostra. »
Quindi si voltò verso Dryden:  « Stavo appunto per dirti che proteggere Hitomi, può rivelarsi davvero impegnativo. »
 
Finalmente aveva trovato qualcosa che le aveva dato nuovamente la gioia di essere viva. Correre non le era mai sembrata un’esperienza più emozionante come adesso. Sentiva la terra sotto i piedi e la spinta delle sue gambe darle nuovo vigore, nuova forza.
Non era stato difficile scappare nel momento in cui le donne che dovevano occuparsi di lei stavano cominciando a diventare più ossessive di quel che ricordava.
Dicevano che doveva sentirsi debole, che dopo una notte passata con un febbrone come quello avrebbe dovuto solo riposarsi, eppure Hitomi sentiva di stare meglio ad ogni falcata.
L’aria che le sferzava il viso e le scompigliava i capelli sembrava un toccasana, l’umore di Hitomi era alle stelle. Era passato tanto tempo, troppo, da quando non si era sentita così viva. Certo, stare con Van riusciva a darle meravigliose emozioni ogni volta, ma questo.. era tutta un’altra cosa.
Ciò che la rendeva così viva era sentire la terra sotto di se. Non aveva mai provato una sensazione così intima e gioiosa che le partiva dalla pianta del piede fino a raggiungere la testa. Sentiva che questo era dovuto allo spirito di Gaea dentro di sé, non poteva essere altrimenti. Era tutto così..
« Hitomi! »
La voce familiare di Van la fece sobbalzare ed interrompere i propri passi, quasi rischiò d’inciampare sui suoi stessi piedi; portando le mani in avanti andò ad appoggiarsi contro un albero, evitando il peggio.
«Van! Cosa ci fai qui? » domandò, assalita dal fiatone.
« Veramente potrei chiederti la stessa cosa. Fino a ieri stavi male.. »
« Eh no! Non ti ci mettere anche tu! »
Van restò un attimo interdetto ed Hitomi capì di aver esagerato.
« Scusa, è che tutti mi dicono la stessa cosa » cercò di rimediare, ma non riuscì ad alzare lo sguardo.
« Sei sicura di sentirti bene? » domandò lui, con tono tranquillo. Hitomi sollevò lo sguardo notando la serenità nel suo volto. « In effetti oggi hai un colorito migliore. » asserì sfiorandole la guancia arrossita per lo sforzo. Hitomi annuì. « Non mi sono mai sentita meglio! » rispose lei, con tono sicuro.
« Bene, però non stancarti troppo siamo intesi? » chiese lui, la sua dolce preoccupazione scaldò l’animo di Hitomi.
« Certo che corri proprio veloce, Signorina! »
La voce del reggente di Asturia attirò l’attenzione di Hitomi, concentrandola oltre le spalle di Van, mentre un affaticato Dryden li raggiungeva con passo pesante.
« Signor Dryden?! » esclamò, regolarizzando il suo respiro.
« Corri più veloce degli arcieri di Asturia! » commentò divertito, chinandosi per afferrare le gambe, ancora con il fiatone.
Hitomi rise lievemente, seguita da Van. Avrebbe voluto che ci fossero anche Allen e Millerna, ma presto sarebbero stati tutti lì, si disse. Ciò che come una minaccia oscura si stagliava nell’ombra di segreti dimenticati da troppo tempo, sembravano solo lontani pensieri nella sua testa. Sarebbe andato tutto bene, avevano combattuto molto e le perdite subìte erano state ingenti su tutti i fronti. Presto, si sarebbe avviato un periodo di pace e armonia, lì su Gaea.
Gaea, il pianeta che aveva condiviso con lei parte della sua vita, il cui spirito conviveva con la sua anima e che riusciva a comunicare con lei attraverso sensazione di affinità con ciò che faceva parte di quel mondo.
La veste candida che indossava aveva assunto i colori del sangue e una mano le stringeva il braccio, tirandola verso qualcuno che l’aveva afferrata per la vita. I suoi occhi erano velati dalla stanchezza e dalle lacrime versate, sentiva che non avrebbe resistito molto.
« Mia.. sei mia..»
Hitomi si ritrovò nuovamente sulla sommità della collina, insieme a Van che ancora sorrideva e Dryden che si era appena risollevato e aveva ripreso fiato.
Cosa.. cosa era successo? Si chiese, mentre sfiorava i capelli, umidi di sudore sulla sommità della propria testa. Era stata una visione? O forse il ricordo di un sogno? Era lei la ragazza vestita di bianco? E soprattutto, di chi era quella voce?
Si riscosse prima che Van o Dryden potessero accorgersi del suo stato.
« Beh allora.. io continuo! Ci vediamo dopo! » esclamò, ritrovando il sorriso più convincente che conosceva e dopo qualche attimo, era scattata in avanti proseguendo la corsa.

« Sembra possedere energie da vendere, quella ragazza » concluse Dryden, vedendola allontanarsi di tutta fretta, Van annuì subito dopo, concorde.
« Potrebbe essere uno dei tanti poteri che lo spirito di Gaea le ha conferito » proseguì lui, volgendosi a guardare il Re di Fanelia che sorridendo, scosse appena il capo.
« No, quell’energia l’ha sempre posseduta sin da quando è arrivata qui. »
Dryden sorrise compiaciuto mentre ritornando sui suoi passi incominciò a discendere la collinetta, l’atmosfera più serena.
« Allora il grande giorno sta arrivando, presto tutta Fanelia sarà in festa. »
« Si, fra qualche settimana cominceranno ad arrivare gli ospiti più importanti. Ho invitato anche i reali di Basram. »
Dryden restò sorpreso, ma solo per qualche istante, prima di assumere un’aria convinta.
« Saggia mossa politica, Van Fanel. In questo modo non potranno sottrarsi al dialogo durante il banchetto. »
« A meno che decidano di non venire. » commentò Van, sarcastico.
« Oh, non credo proprio, sono tutti molto interessati di conoscere Hitomi, a quanto pare. Per settimane non si è parlato d’altro ad Asturia. »
« In vero, le genti di Fanelia erano convinte che Hitomi fosse divenuta una sorta di divinità, lei stessa ha dovuto smentire la voce. »
Dryden restò un attimo in silenzio, momentaneamente assorto.
« Il fatto è che, ispira rispetto e una naturale autorevolezza. Te ne sei accorto? » domandò quindi, incrociando nuovamente lo sguardo del Re.
Van annuì, divenuto serio. « Sì, è come se quando ci fosse lei, tutti fossimo oscurati dalla sua persona. Non in senso negativo, ovviamente. È come se brillasse, in un certo senso. » 
« È una fortuna che sia una ragazza sveglia e giudiziosa, sarà un’ottima regina per Fanelia. »
« Mia madre era ben voluta, ma non amata. La sua discendenza – la mia discendenza – spaventavano i nostri sudditi. Quando mio padre la scelse come sua sposa, incontrò molte difficoltà al consiglio che gli si opposero con tutte le loro sciocche motivazioni, in realtà lui non gli diede molta importanza. Ma con Hitomi sarà diverso, lei ha già il rispetto e l’amore di Fanelia dalla sua parte e il suo carattere non potrà che fare del bene al futuro del Regno. »
« Hai dimenticato che Fanelia ha anche un Re? Sin da quando c’incontrammo ricordo che il tuo unico scopo era di vendicare il tuo regno. Non avevo mai visto una tale devozione. »
« All’epoca ero ancora accecato dall’odio e dal rancore, se non avessi incontrato Hitomi, probabilmente sarei morto la prima volta che Zaibach mi catturò. »
« Anche tu hai fatto tanto per lei. »
« Si ma lei è riuscita a tirare fuori il meglio di me, e credo che l’abbia fatto con molti. »
Dryden restò in silenzio, facendo un rapido calcolo, ne dedusse che Van Fanel aveva ragione.

Aveva continuato a correre per un’altra mezzora buona, senza fermarsi.
Inutile dire che benché le sue gambe stessero cedendo dallo sforzo, la soddisfazione che provava era notevole. Erano settimane che non correva e lo sforzo causato dalla mancanza di allenamento si faceva sentire. Probabilmente il giorno dopo avrebbe avuto qualche dolore muscolare ma non era quella la sua preoccupazione.
Durante la corsa aveva potuto riflettere lucidamente su quello che era successo. Quello che l’uomo camaleonte le aveva fatto vedere non era un futuro certo o forse era il passato. Ciò che in quel momento la spaventava davvero era l’obiettivo che le aveva comunicato. Volevano lei, perché proveniva dalla Terra e perché lo spirito di Gaea si era unito alla sua anima. Lei non si sentiva cambiata, esteriormente le erano cresciuti un po’ i capelli, ma avrebbe ovviato a quel fastidio molto presto. Internamente però, era diventata molto più ricettiva all’esterno, sapeva quando il tempo subiva un cambiamento e il suo istinto le diceva che presto avrebbe sviluppato la medesima affinità con gli alberi e gli animali. Benché questo fosse di per sé meraviglioso, non era proprio quello a cui aspirava. Sulla Terra, coloro che la conoscevano erano allo stesso tempo curiosi e timorosi nei suoi riguardi solo perché era in grado di leggere i tarocchi – come se fosse una cosa tanto difficile. Su Gaea invece, era trattata con rispetto che rasentava quasi l’adorazione, soprattutto per gli abitanti di Fanelia. L’avevano appellata “Gaea”,  l’avevano identificata con lo Spirito del pianeta. Fortunatamente, le cose erano un po’ diverse. Lei poteva percepire Gaea e venirne influenzata, non viceversa. In lei, restavano le qualità di un normale essere umano, sarebbe cresciuta e sarebbe morta a suo tempo e lo spirito di Gaea avrebbe donato i suoi influssi a qualcun altro.. Qualcun altro?!
Hitomi deglutì, rabbrividendo.
Ritornata nella sua stanza, fece riempire la vasca. Abituata a farsi il bagno in solitudine, imbarazzata dalle donne che volevano aiutarla, aveva potuto riflettere su quel concetto che inizialmente le era parso tanto strano quanto il più ovvio.
Fondamentalmente tornava tutto. Anche il vero motivo per cui volevano lei, proprio lei.
Avrebbe dovuto parlarne con Van, si disse. Anche se era solo una supposizione, era certamente quella più ovvia. Tutto combaciava alla perfezione.
Chiuse gli occhi, lasciandosi andare al rilassamento causato dall’acqua calda e dai balsami profumati che erano stati disciolti in essa. Sarebbe andato tutto bene, si disse. La sua felicità era ad un passo, come ogni volta che una nuova difficoltà si era ripresentata. Questa volta non sarebbe stata inutile come le altre volte.
Come vecchi amici e compagni di avventure, Dryden, Van ed Hitomi mangiarono chiacchierando allegramente, rievocando il viaggio che li aveva portati nella Valle dell’Illusione.
Dopo pranzo, Dryden annunciò che la sua flotta era pronta a salpare, quindi, sarebbe ripartito da lì a qualche ora.
« Se avrete bisogno di uomini da aggiungere alle vostre truppe per la salvaguardia del castello e di Hitomi, sarò felice di mandarti i miei soldati migliori. » disse, accomiatandosi, nel grande spiazzo che ospitava la fortezza volante che brulicava degli ultimi preparativi.
« Ti ringrazio Dryden, terremo conto della tua offerta se ci sarà bisogno! » sancì Van, con un sorriso lieve.
« Non dimentichi di salutarmi Millerna! » ribadì Hitomi, mentre stringeva le mani dell’uomo con affetto.
« Stanne pur certa che insieme ai tuoi saluti sarò costretto anche a sorbirmi tutte le sue domande riguardanti il matrimonio! »
Hitomi ridacchiò, pensando a quanto fosse tipicamente femminile una richiesta come questa.
« Mi raccomando, abbiate cura di voi! » salutò infine, con un inequivocabile cenno della mano, poco prima che il portellone venisse chiuso e la flotta si sollevasse da terra.
« A proposito! » incominciò Van, guardandola con uno sguardo indecifrabile.
Hitomi si volse, osservandolo perplessa.
« Quando mi farai vedere il tuo vestito? »
Hitomi avvampò quindi scosse il capo. « Il giorno del Matrimonio! »
« Sono curioso, perché vuoi farmi aspettare così tanto?! » ribadì il ragazzo, afferrandola per la vita con l’intenzione di sollevarla.
Hitomi non si oppose ma mantenne l’aria di chi la sapeva lunga. « Sulla Terra è una tradizione che mi ha sempre affascinato, quindi faremo così! O vuoi forse che dica a Millerna di occuparsi anche del tuo di vestito? »
Una luce attraversò gli occhi di Van « No no! Le insegne reali andranno bene per me: anche quella è tradizione del Regno di Fanelia! » Quindi le fece compiere una breve giravolta che suscitò le sue risa, quindi, poggiandola a terra, le diede un bacio leggero a fior di labbra.
« Verrò a spiare! » concluse lui, divertito.
« Eh no! Lo sai che porta sfortuna! » ribatté lei.
« Proprio tu dici queste cose? »
Hitomi sembrò pensarci su, poi gli diede un altro bacio.
« Facciamo che non spii perché te lo sto chiedendo io, d’accordo? » e gli rivolse uno dei suoi sguardi più teneri ed irresistibili che fosse in grado di fare.
Van si costrinse a girarsi di lato, fingendosi invulnerabile.
« D’accordo? » ripeté lei, muovendo la testa per cercarne lo sguardo.
Van sembrò resistere per qualche secondo di troppo, quindi abbassò il capo e le sorrise.
« Promesso! Ma non guardarmi così!! »
Hitomi lasciò le sue braccia con non curanza, ridacchiando.
Van le vide quella luce negli occhi che gli riscaldava il cuore e seppe che non aveva bisogno di nient’altro per essere davvero felice.

Erano passati già dieci giorni da quando Dryden era venuto a far loro visita ed insieme alla sua flotta mercantile anche l’uomo-camaleonte si teneva lontano dal Castello.
Nel regno di Fanelia si erano aperte le ricerche con scarsi risultati.
Di tanto in tanto qualche suddito riferiva che aveva visto un uomo-camaleonte nel bosco e allora si avviava lo stato di allerta, tutto al solo scopo di proteggere la Principessa Hitomi, che sarebbe diventata a meno di tre settimane, la nuova meravigliosa Regina di Fanelia.
Una principessa impegnata nell’organizzazione del proprio matrimonio.
Se non ci fosse stata Millerna, probabilmente sarebbe collassata nel giro di qualche giorno.
Per Hitomi fu una vera e propria manna dal cielo. Era arrivata tre giorni prima, carica di bellissimi vestiti e di gioielli preziosi, aveva portato un’aria di novità non indifferente.
Il matrimonio della reggente di Asturia si era svolto non troppo tempo addietro e questo la rendeva ancora pienamente consapevole di tutte le incombenze che erano necessarie per uno svolgimento perfetto dello stesso.
Hitomi vide l’impegno profuso dalla donna e pensò che probabilmente, tale dedizione derivava dal fatto che non solo il suo matrimonio le era stato imposto, ma che non era comunque finito bene, a causa dell’attacco di Zaibach che aveva interrotto la cerimonia sul più bello.
« Che ne pensi di questo? » domandò Millerna, mostrandole un disegno di un abito bianco, con rifiniture dorate e un meraviglioso arabesco che risaliva da un lembo del vestito e s’inoltrava per il corpetto.
Hitomi l’osservò, sfiorando la veste. « Il tessuto di cui mi hai parlato mi piace, è abbastanza leggero, ma.. il vestito è troppo.. elaborato. »
Non era di certo uno dei modelli che aveva visto sulla Terra. Anzi, fogge simili le ricordavano il periodo Edo occidentale, il Medioevo. Sorrise, pensando che in fondo, anche Asturia assomigliava ad una città di cui aveva tanto sentito parlare in Europa. Gaea e la Terra non erano così diverse, si disse.
« Potremmo fermarci un momento? » domandò Hitomi, quando le fece vedere l’ennesimo schizzo.
« Hitomi che ti succede? » ribatté la donna. « Mancano meno di tre settimane e le sarte stanno fremendo, non possono cucire tutto in una sola notte. Oggi devi scegliere per forza, altrimenti non ci sarà più tempo! »
Hitomi annuì, benché fosse davvero sfinita. Erano giorni che non riusciva a scambiare una sola parola con Van e, nonostante fosse felice che presto l’avrebbe sposato, non poteva comunicargli la sua gioia, non poteva raccontargli di quanto era stancante organizzare la musica, il menù, i fiori e tutto il resto; anche lui aveva degli impegni, che si sommavano a quelli quotidiani dell’amministrazione del regno, il che significava che avevano pochissimo tempo per vedersi e certe volte entrambi erano così stanchi che non si vedevano nemmeno per cenare.
« Hitomi, cosa c’è che non va? » domandò infine la donna, posando il blocco degli disegni che le erano stati dati.
Hitomi sollevò lo sguardo e scrollò le spalle, il vestito che indossava represse un altro respiro profondo. « Sono solo un po’stanca, è tutto il giorno che non ci fermiamo un momento. »
Millerna sorrise, « Vedi il lato positivo, oramai ci mancano pochissime cose da decidere. I fiori sono stati commissionati, gli alloggi per gli ospiti sono stati approntati, il castello fra una settimana comincerà ad essere agghindato, manca solo che una certa sposa scelga il suo abito e abbiamo finito. »
Hitomi spalancò gli occhi, rendendosi effettivamente conto di quanto erano stati pesanti quei giorni e in particolare l’ultima settimana. Istintivamente allargò le braccia e strinse a se l’amica.
« Millerna! Non so come ringraziarti! Se non ci fossi stata tu sarei ancora alle prese con quei matti dei musicisti, per non parlare dei fiorai! » cominciò ad elencarli sul punto di piangere dalla gioia. Era euforica, quando la consapevolezza che tutto questo sarebbe stato presto uno dei ricordi più stressanti della sua vita si era fatta finalmente razionale.
Millerna ricambiò l’abbraccio e cominciò a ridere. « Sì sì, lo so che senza di me non ti saresti mai sposata, avevi proprio bisogno dell’aiuto di una donna esperta come me. » si finse un po’ snob e questo aiuto l’atmosfera a sciogliersi e a distendersi.
Hitomi dopo qualche minuto sorrise. « Mi piaceva questo qui, comunque. » ed indicò uno degli schizzi che era stato lasciato fra quelli più interessanti.
A Millerna le si illuminarono gli occhi. « Speravo proprio che scegliessi questo, ti starà d’incanto! » quindi con un cenno, lo fece vedere alle sarte.
« Adesso arriva la parte più divertente, cara Hitomi. Sù! In piedi! » disse prendendole le mani e facendola sollevare in piedi.
Subito due sarte le furono accanto, con degli strani rotoli nelle mani che ben presto vennero sciolti.
« Dobbiamo prendervi le misure del corpo, Principessa! »
Hitomi lanciò uno sguardo di fuoco a Millerna che rideva divertita.
A quello non aveva proprio pensato.
Van passava in rassegna insieme ad un alto ufficiale gli uomini che avrebbero issato il picchetto d’onore con le loro spade. Stavano in posizione marziale davanti a lui, vestiti con l’alta uniforme e dallo sguardo fiero e orgoglioso di poter adempiere ad un simile compito.
« Questi sono i ventiquattro che avete scelto. Mi sembrano uomini forti. » cominciò Van, osservandolo ad uno ad uno.
« Certamente Maestà, e come da voi richiesto saranno anche la prima linea difensiva per la coppia reale nel caso di pericolo. » annuì l’uomo alla sua destra, che camminava insieme a lui.
« E l’Escaflowne? » Domandò lui, serio.
« Sarà dove avete ordinato di posizionarlo. » ribatté lui, preparato.
« Bene.. » concluse, compiaciuto, quindi si voltò verso gli uomini.
« Fratelli! Non dimenticate che il vostro Re scenderà a combattere al vostro fianco se sarà necessario, per questo vi chiedo di proteggere la Principessa e il popolo prima di chiunque altro. »
« Si, Signore! » risposero tutti all’unisono.
Anche l’ufficiale chinò il capo. « Sarà fatto, vostra Maestà. »
Van con un saluto militare lasciò la stanza, per niente tranquillo.
Non c’erano stati più strane apparizioni notturne, il castello era regolarmente sorvegliato notte e giorno e benché tutti fossero presi dalla gioia delle nozze imminenti, Van non si sentiva affatto contagiato dall’aria di festa che si respirava già a Fanelia.
Era agitato, preoccupato e in certi momenti la tensione gli faceva tremare le mani quando teneva la sua spada. Era da tempo che non si sentiva così: da sempre l’idea della minaccia in agguato non lo aveva intimorito più di tanto, ma questa volta, forse a causa degli abietti propositi del suo nemico che ancora non conosceva, sentiva che doveva fare del suo meglio, che il pericolo era fin troppo vicino e la sensazione che se non si fosse fatto trovare preparato gli avrebbe causato un danno immenso, era pressante nella sua mente.
Si fermò, contemplando fuori dalla finestra, grosse nuvole si avvicinavano, annunciando un altro temporale primaverile. Proprio in quel momento, un lampo squarciò il cielo e la sua luce illuminò i corridoi del castello adombrati dalla mattinata grigia.
Van sgranò gli occhi ed il cuore gli sussultò in gola.
In una zona ombrosa, scarsamente illuminata, la luce del lampo aveva fatto luce su una figura che lo stava osservando immobile.




Buongiorno a tutti! E' da un po' che non ho pubblicato a causa di impegni che mi hanno tenuta fisicamente lontano dal pc per qualche settimana, ma ecco qui il terzo capitolo della fanfiction. Aspetto commenti e recensioni :) 
Un bacio e a presto.
Usagi.
    

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Capitolo 4
*** Quiete ***


Untitled 1

The Vision of Escaflowne

«L'Ultimo Paradiso»


4
Quiete

« Se io avessi paura lei, Signor Folken, lo avvertirebbe.
E questo sarebbe controproducente.
Se non si da fiducia non la si può ottenere.»



Un nuovo lampo, forte quanto il precedente, risuonò nella fitta pioggia scatenatasi da poco.
Il cielo, fattosi scuro con l’imperversare del temporale gettò pesanti ombre sul giardino che si affacciava dal castello.
Respirando lentamente, il Re di Fanelia, incurante della pioggia nelle proprie vesti, osservò l’oggetto delle sue recenti preoccupazioni.
« Non sono venuto per combattere. »
Van sgranò gli occhi e la curiosità mista alla tensione si mescolarono.
« Che cosa vuoi!? » disse ad alta voce, impossibile che gli altri soldati non lo sentano.
« Mostrarti qualcosa. » l’impassibilità della sua voce, non fu tradita nemmeno dai movimenti. Si limitò a restare immobile.
« Vostra Maestà! »
L’ufficiale con la quale aveva parlato pochi minuti prima era arrivato, con un drappello di pochi uomini. Sarebbero bastati per fermarlo. Van si voltò e con un cenno diede l’ordine di restare nella posizione.
« Il mio padrone ti manda questo, Re di Fanelia! »
Dal mantello, tirò fuori una grossa sfera nera, che ricadde pesantemente al suolo.
Gli uomini, attirati dal possibile pericolo si disposero immediatamente a difesa e due di loro sollevarono le spade per attaccare l’uomo-camaleonte.
Un altro lampo, seguito dal suono fortissimo del tuono, rivelò che il nemico era fuggito, per l’ennesima volta.
« Cercatelo, non deve sfuggirci! » esclamò Van con rabbia, mentre, chinandosi andava ad esaminare l’oggetto sferico, familiare.
Van non ci mise molto tempo per riconoscerla, scosse il capo, incredulo.
« Non è possibile.. » mormorò, osservando lo stemma inciso.
« Di cosa si tratta, vostra maestà? » domandò l’ufficiale, osservando l’oggetto nelle mani di Van.
Il Re di Fanelia si fece cupo in volto.
« Ancora non lo so con esattezza, ma bisogna rafforzare la guardia su ogni lato del castello: riesce ancora ad eludere la nostra sorveglianza »
« E’ veloce mio Signore e riesce a muoversi nell’ombra come nessun esser umano è in grado di fare. »
« Non m’interessa quanto sia scaltro lui, ho bisogno che siate svegli voi tutti! » ribatté con troppa forza. L’ufficiale risentì della sfuriata e chinò il capo.
« Sarà fatto come ordinate, vostra maestà. » e in breve tempo gli volse le spalle per tornare al suo posto, dai suoi uomini.
Oramai fradicio di pioggia, Van strinse la mano che teneva la sfera di freddo metallo scuro.
« Non puoi essere proprio tu. »
 

Era distrutta, sfinita, più morta che viva!
Se Millerna non fosse stata la sua migliore amica, l’avrebbe odiata, come minimo.
Dopo aver scelto il modello non era stato tutto così semplice come le aveva detto, in uno slancio di affetto. Eh no, le aveva detto tutte quelle cose solo perché sarebbe arrivato il peggio.
« Non so come funzionassero le cose di questo tipo sulla Luna dell’Illusione, ma qui per un vestito da sposa ci vogliono settimane e molto impegno da parte della sposa. »
E aveva avuto ragione.
Era rimasta in piedi almeno un’ora, in biancheria intima, solo perché dovevano prenderle tutte le misure possibili ed immaginabili. Persino la circonferenza del polso!
A quel punto credeva che la stessero prendendo in giro, possibile che era necessario persino misurarle il collo e la fronte?!
« Il velo non si crea dal nulla. » Le aveva detto Millerna, con aria di sufficienza.
Alla fine del pomeriggio, quando aveva cominciato a piovere, era rimasta ancora in piedi, perché Millerna voleva proprio togliersi lo sfizio di vedere in anteprima come scendeva la stoffa da un lato e come apparisse in ogni angolatura. Le sempre più flebili proteste di Hitomi – che aveva pranzato lì, in quella camera – avevano sempre come risposta un “E’ necessario se vuoi essere bellissima” oppure “Vedrai che ne varrà la pena”.
Adesso che tutto sembrava esser concluso, almeno per quella sera, non aveva trovato la forza che per arrivare in camera propria, con passo pesante e poco elegante – Millerna l’avrebbe rimproverata anche di questo se l’avesse vista – senza neppure passare dalla cucina.
Il tonfo che fece il suo corpo nel momento in cui arrivò sul letto, fu seguito da un sospiro di puro piacere.
« Finalmente a letto! » sospirò, esasperata.
Chiuse gli occhi per qualche istante, volendosi godere quei pochi attimi di rilassamento, perché anche lo stomaco aveva le proprie esigenze dopo una giornata come quella.
Il bussare alla propria porta la fece ritornare alla realtà, si era già addormentata.
Una giovane donna fece il suo ingresso nella stanza dopo essere stata invitata ad entrare.
« Desiderate che vi porti qualcosa da mangiare o preferite scendere in sala da pranzo? » domandò con tono cortese stringendosi le mani al grembo.
Hitomi si sollevò con la schiena, restando seduta.
« Van mangerà in sala da Pranzo? » domandò, speranzosa.
« Sua Maestà è ancora impegnato con le truppe, non è stato dato alcun ordine di allestire la tavola reale. »
Hitomi sospirò.
« Allora per favore, portatemi qualcosa qui. Sono molto stanca anche io. » mormorò, mentre la donna faceva un passo avanti.
« Non siate in pena, vostra altezza. Presto tutti questi impegni avranno fine, vi sposerete e sarete felice. » lo disse con sincerità, notò Hitomi.
« Ti ringrazio Margaret, hai ragione. Eppure, è così che dovrebbe essere? » la domanda colse impreparata la giovane donna che si lasciò andare ad un sorriso.
« Ogni sposa attraversa un periodo di questo tipo prima delle nozze. Si è solo un po’ spaventati di essere impreparati, di non essere in grado di tener fede ad un impegno così grande. » Il viso si addolcì, mentre la donna si avvicinò di un altro passo, e Hitomi poté vedere l’anello nuziale, all’anulare sinistro.
La donna si accorse dello sguardo della fanciulla e sorrise.
« Si, anche io ho avuto il vostro stesso timore ed anche se la cerimonia fu molto intima e la festa tra le più semplici, fui costretta a spendervi molto tempo. »
Hitomi annuì, serena quindi allungò le mani, per prendere quelle di lei che sobbalzò dalla sorpresa ma restò immobile.
« Margaret, ti ringrazio davvero per le tue parole. Ora sono più tranquilla. » In realtà, aveva un grosso nodo alla gola.
La donna, spiazzata, sorrise gentilmente.
« Non ho fatto nulla, sono lieta di esservi stata comunque d’aiuto. Vado a portarvi qualcosa da mangiare, avete preferenze? »
Hitomi scosse il capo, « Nessuna, però non ho molta fame, quindi qualcosa di leggero e semplice andrà bene. »
Margaret annuì e uscì dalla stanza.
Hitomi soffocò la testa nel cuscino, cominciando a singhiozzare.
Non si trattava solo della stanchezza ma di qualcosa di più profondo. Le parole di Margaret le avevano fatto comprendere che benché Millerna le fosse stata indubbiamente di grande aiuto, quello che le mancava davvero non era la volontà di fare per il suo stesso matrimonio.
Sarebbe stata molto più partecipe se avesse potuto dividere la gioia di quello che stava accadendo con sua madre.


Quando sollevò la testa dal cuscino, la stanza era immersa nel buio.
Si guardò intorno, realizzando che doveva essersi addormentata, gli occhi le pesavano enormemente. Mettendo a fuoco nell’oscurità si rese conto che doveva essere notte fonda, benché credesse di aver dormito qualche minuto. Si mise seduta ed in quel momento realizzò che vi era un vassoio su una sedia accanto al letto. Un po’ di frutta, piscas sbucciata, e dei crostini con quello che sembrava essere una speciale crema tipica di Fanelia che le piaceva molto. Allungò una mano, poiché anche lo stomaco si era risvegliato ed il senso di vuoto incombente era pari solo alla sua richiesta di essere colmato. Non accese alcuna luce, poiché la luna brillava alta nel cielo e gettava uno squarcio luminoso parallelo dalla finestra al suo letto che illuminava quanto bastava per poter vedere.
Era ancora assonnata, ma mangiare le fece recuperare le forze e le tolse momentaneamente la stanchezza dell’aver dormito poco.
Una volta concluso il pasto, si sedette sul letto, pensierosa.
Neanche quel giorno era riuscita a vedere Van, se non per qualche minuto quando si erano incrociati. Sospirò, sentendosi sola più che mai. Se non fosse stato così tardi sarebbe andata da lui, ma probabilmente stava dormendo e poi, non era un’epoca dove l’amore poteva essere vissuto liberamente. C’erano molte contraddizioni che aveva affrontato tranquillamente e a testa alta, adeguandosi ai costumi e alle tradizioni che si allontanavano parecchio dal proprio modo di vedere la realtà. Eppure, in quel momento, non le sembrava affatto sconveniente andare nella camera del proprio futuro marito.
Marito.
Hitomi deglutì sentendosi mancare l’aria. Era ancora così giovane! Nel suo pianeta sarebbe risultato strano, se non innaturale, che una ragazza della sua età, si sposasse così in fretta.
Sospirò. Era in un altro mondo. E poi, non c’era niente di sbagliato, si disse. Lei amava Van e lui amava lei. Questo non sarebbe cambiato perché i suoi sentimenti erano veri, erano stati proprio quelli a salvare Gaea e certamente non avrebbero vacillato solo perché credeva di stare per sposarsi troppo presto. In fondo, sarebbe stata felice ed era questo ciò che veramente doveva contare, adesso ed in futuro.
Sorrise, mentre si spogliava, mettendosi poi la lunga camicia da notte che era piacevole indossare a causa del freddo che avrebbe inaugurato il giorno l’indomani mattina.
Chiuse gli occhi, preparandosi ad accogliere il sonno che sarebbe arrivato a breve, portato dal calore della coperta che l’accoglieva dolcemente.

E senza nemmeno contare le fatiche trascorse, era arrivato il grande giorno.
Fanelia era in festa e si era dovuta svegliare prestissimo per gli ultimi preparativi.
Millerna continuava a stringere i lacci del corsetto che rendevano la propria figura ancora più longilinea di quanto in realtà non fosse.
« Millerna, non respiro! » disse in un soffio, cercando di prendere aria quanto più poteva, ma la cassa toracica chiedeva qualche centimetro di libertà in più.
« Non lamentarti! Non è colpa mia se sei ingrassata durante la notte! » si lamentò a sua volta la reggente di Asturia.
« Ma tu hai idea di quanto sia stretto questo coso?! » ribatté Hitomi tenendosi ad una sedia che stava rapidamente cedendo sotto la spinta della donna alle sue spalle
« Meno di ieri, questo è certo! » rispose lei, mentre con un ultima stretta trovò in fine il modo di legare i lacci.
« Hai scelto tu questo modello, ricordi? »  
« Ma non credevo che oggi avrei sofferto così tanto! » disse, distaccandosi dalla parete.
« Sarai bellissima! » esclamò la donna, compiaciuta, guardandola da capo a piedi.

Un sentiero ornato di candidi fiori freschi era stato preparato sul lungo tappeto che l’avrebbe condotta lì, d’innanzi al ministro del culto, accanto a Van, che le sorrideva estasiato. In quel momento si disse che aveva fatto bene a non permettergli di vedere il suo vestito prima di quel giorno, la sorpresa e lo stupore nei suoi occhi erano meglio di qualsiasi complimento avrebbe mai potuto farle.
Incominciò a camminare da sola, una ventina di metri che sembravano interminabili. Non appena fu abbastanza vicina, Van scese dal palchetto che era stato allestito e le prese la mano.
Quando lo fece giunse una lingua di fuoco dall’alto.
Hitomi cadde a terra e l’ombra calò su di loro.
Un enorme guymelef piombò dal cielo e quello che riuscì a processare in quel momento, furono le urla che si generarono dai presenti.
Fu proprio in quel momento che il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi. Vide Van con lo sguardo sorpreso e determinato puntare verso l’Escaflowne, i soldati schierati a difenderla, Millerna accanto a lei che le urlava qualcosa nell’orecchio.
Un sospiro le arrivò dietro le spalle, facendola rabbrividire.
L’uomo-camaleonte l’osservava a pochissima distanza, improvvisamente tutto dissolto nell’oscurità.
« Non volete che questo accada, non è vero? »
« Perché!? Perché devi mostrarmi tutto questo?! »
« Sei tu che con le tue azioni genererai questo futuro. Ancora non l’hai capito? »
Hitomi restò basita e non riuscì a pronunziare parola.
« Si. E’ proprio quello a cui state pensando. Voi siete la prescelta. »
« No! Non vi permetterò mai di usarmi per i vostri scopi! E’ assurdo quello che volete fare! La razza degli uomini draghi divini si è estinta, io non sono una di loro! »
« Ma non avete ancora capito? Il vostro potere ne genererà uno ancora più forte e la discendenza reale non si perderà! »
« Van è l’unico sovrano di Fanelia! »
« Ne siete sicura? Forse in quella battaglia lui non ne uscirà vivo e allora.. non ci sarà più un sovrano. »
Hitomi si mise le mani alla testa, scuotendola con veemenza.
« Non permetterò che un simile futuro accada! »
Nel suo collo, il ciondolo brillò di una luce fortissima ed intensa. La creatura di fronte a lei indietreggiò di un passo.
« Ah..! Questa luce?! » l’uomo-camaleonte cercò riparo nel suo manto prima che il sogno svanisse.
Hitomi si ritrovò ancora seduta nel suo letto, la finestra spalancata.
Il malessere si diffuse rapido e, senza nemmeno indirizzarsi verso il cuscino, cadde pesantemente di lato, finendo con la testa quasi a toccare terra ed un braccio penzolante la cui mano semichiusa a sfiorare il pavimento lasciava cadere il ciondolo la cui cordicella era ancora aggrovigliata alle dita.    


Merle zampettava felice accanto a Millerna. Sin da principio aveva considerato la Principessa di Asturia come una ragazza troppo viziata e avvezza alla vita di corte, incapace di relazionarsi con altre persone all’infuori di quel suo cavaliere blu e degli altri servitori.
Tuttavia, quando si era occupata di guarire il Signorino Van aveva cominciato a cambiare opinione nei suoi riguardi. Non avrebbe dimenticato facilmente la fermezza con la quale aveva cercato di guarire le sue ferite interne a differenza sua, che si sentiva tremendamente inutile ed impotente. In quella particolare situazione aveva capito che stava prendendo un granchio anche nei riguardi di Hitomi. In realtà, all’inizio era stata soprattutto la gelosia che le aveva oscurato la capacità di ragionare. Nutriva dei profondi sentimenti di affetto verso Van, ma non aveva mai pensato a lui come invece avrebbe potuto pensare Hitomi o qualsiasi altra ragazza. Per lei, lui era il fratello che non aveva mai avuto, la famiglia che non c’era mai stata. L’idea che qualcuno potesse portarglielo via, l’aveva logorata. Era stata la prima a rendersi conto del nascere, del crescere e dello sbocciare dei sentimenti che avevano l’uno per l’altra e nel momento in cui Van era stato più vulnerabile, aveva deciso di fare il meglio che aveva potuto: gli aveva fatto comprendere quanto fosse evidente il sentimento fra i due e lui era andato da lei. Nel momento stesso in cui l’aveva visto partire per raggiungere la Luna dell’Illusione, nonostante fosse impossibile raggiungere quel pianeta così lontano, erano stati i sentimenti di entrambi a farli riunire. Aveva fatto la cosa giusta e benché non avesse cambiato il suo carattere per nessun altro, aveva imparato a comprendere che non avrebbe perso il suo adorato fratellone.
« Vuoi spiegarmi perché dobbiamo andare a svegliarla noi? » fece così alla volta di Millerna.
« Perché così potremmo prepararla a quello che le aspetta stamattina. Ieri sera era davvero stanca e poi l’ho vista un po’ giù di morale. Non fa bene ad una sposa a così poca distanza dal proprio matrimonio. » rispose la reggente di Asturia, continuando a guardare un foglio di carta dove vi erano una lista di cose da fare.
« Secondo me ti preoccupi troppo! Non ci sono stati nemmeno altri pericoli. »
Millerna si fermò ricordandosi improvvisamente di una cosa.
« Merle! Tu non l’hai saputo! » quindi la guardò dritta in volto e abbassò la voce.
« Ieri l’uomo-camaleonte si è fatto di nuovo vivo, ma questa volta non ha alzato un dito contro Van ne gli altri soldati. »
« Che cosa?! » esclamò, sorpresa « Il signorino Van è stato in pericolo!? »
Millerna mise un dito contro le labbra « Ssshh! Insomma! Hitomi non deve saperlo, si preoccuperebbe ancora di più, il fatto che già lei e Van non siano riusciti a vedersi la rende un po’ malinconica, ma se sapesse questo non riuscirebbe a concentrarsi su quello che deve fare. La conosci, no? Me lo ha chiesto Van stesso. »
Merle la guardò poco convinta, « Il signorino Van che tiene nascosta qualcosa proprio ad Hitomi? » scosse il capo, senza dare voce ai propri pensieri: doveva esserci qualcosa che non andava.
Girarono l’angolo e si trovarono d’innanzi alla porta scorrevole che dava sulla stanza di Hitomi, le due guardie posizionate vicine all’ingresso fecero il saluto militare d’innanzi alla reggente di Asturia.
« Potete andare, ragazzi! » esclamò Merle con il suo solito tono tranquillo. Millerna sollevò un sopracciglio pensando che quella gattina aveva uno strano modo di rapportarsi alla gente.
I due soldati si sgranchirono le braccia e poi salutarono con garbo prima di allontanarsi dalla porta.
Senza dare il tempo a Millerna di fornirle istruzioni la gattina spalancò di colpo la porta, annunciando a gran voce « Hitoomi!! Svegl.. » la voce le morì in gola nel momento in cui si soffermò finalmente sulla figura ancora dormiente della donna.
Fu Millerna ad avvicinarsi per prima, entrando di corsa all’interno della stanza.
« Hitomi! » esclamò, andando a toccarle il polso, per prima cosa.
Fece per sollevarla ed in quel momento la ragazza riaprì gli occhi.
« Millerna..? » mormorò, completamente assonnata. In poco tempo le arrivò il dolore alla schiena per aver dormito male.
« Ahi..! » esclamò, nel momento in cui si riappoggiò al cuscino.
« Hitomi ma che ti è successo?! » esclamò Merle, portandosi vicino.
Hitomi osservò le due perplessa. « A parte che ho dormito malissimo? » in quel momento sentì qualcosa nelle sue mani e riaprendo il pugno chiuso rivelò il ciondolo che era ancora intrecciato nelle dita.
« E’ successo qualcosa stanotte? Stavi dormendo in una posizione assurda, avevi quasi la testa a terra. » e il volto di Millerna, si fece improvvisamente serio.
Hitomi osservò la reggente di Asturia con sguardo assonnato.
« Io.. non credo. Ricordo di essermi addormentata. Devo aver fatto degli incubi e forse sono finita fuori dal letto. » rispose, mettendosi entrambe le mani dietro la schiena, cercando di raddrizzarsi.
« Certo che sei proprio strana! » fece Merle, incrociando le braccia sotto il petto.
« Ma chi ti ha chiesto qualcosa! » rispose piccata Hitomi, facendole una linguaccia.
 Millerna sbuffò, scuotendo il capo, ignorando per qualche istante il litigio che era scoppiato nella stanza. La posizione innaturale di Hitomi l’aveva fatta riflettere, benché fosse probabile che si fosse ritrovata da sola, la postura del corpo era troppo innaturale per potersi mantenere a lungo. L’unica ipotesi plausibile da considerare era che durante il sonno si fosse spostata; eppure, era capitato che condividessero la stessa cabina nella Crusade e non aveva mai visto Hitomi dormire in quel modo.
« Oh, adesso basta voi due! » sbraitò d’un tratto, mentre con la mano libera passava alla ragazza ancora a letto la lista che aveva ancora con sé.
« Ecco, queste sono le cose che bisogna sistemare oggi! Possibile che ci siamo addirittura scordati della torta?!  »
Hitomi restò sorpresa e non mancò di farlo presente alla giovane reggente di Asturia.
« Credevo che solo sulla Terra vi fosse l’usanza di tagliare una torta il giorno del matrimonio di qualcuno. »
Millerna l’osservò come se avesse appena detto una stupidaggine.
« In fondo, anche tu sei un’umana come me, quindi perché dovrebbero esserci usanze così diverse? Su adesso lavati e vestiti, che abbiamo perso già troppo tempo! » e detto questo si volse verso l’armadio della giovane principessa e aprendolo, si mise a cercare qualcosa di adatto da farle indossare.
Merle sbuffò. « Comincio ad andare, non metteteci troppo tempo! » esclamò, ritornando nei pressi della porta scorrevole prima di sparire al di là della stessa.
Hitomi si alzò in piedi, stiracchiandosi meglio che poteva.
« Ah! La mia schiena! Com’è possibile che io abbia dormito in quella posizione per tutta la notte! »

Van continuava ad osservare la sfera scura in suo possesso. Non poteva fare a meno di ricordare quello che quel simbolo inciso aveva significato per lui.
Una lunga torre, avvolta dalle ali di un grifone nelle cui zampe s’incrociavano due spade. Erano simboli che le erano stati mostrati solo qualche volta da bambino.
Strinse la sfera nera contro la mano portandosela all’altezza della fronte.
La consapevolezza gli aveva tolto il sonno ed ancora non poteva crederci.
Mancavano meno di tre settimane e qualcosa gli faceva temere che il giorno in cui lui avrebbe attaccato corrispondeva proprio a quello delle sue nozze.
Scosse il capo abbandonando la sfera sul tavolo, il suono sordo che provocò s’interruppe fra le pagine di un libro aperto, dove era proprio raffigurato il medesimo simbolo inciso.
Aveva rafforzato la guardia e nel corso della notte non c’erano stati incidenti. Aveva piovuto anche quella notte e il nuovo giorno si era presentato migliore ma con le nuvole minacciose all’orizzonte.
Prima di andare a dormire aveva parlato con Millerna, pregandola che non dicesse nulla di quello che era successo ad Hitomi, era probabile che la reggente di Asturia sarebbe venuta a conoscenza dell’ennesima apparizione dell’uomo-camaleonte, notizia che lei stessa avrebbe riferito ad Hitomi. Non voleva farla preoccupare oltre il dovuto. In quei giorni era stata così impegnata – lo erano stati entrambi – che non erano riusciti a vedersi, quando per qualche minuto s’incrociavano a tavola, parlavano del necessario, non perché fosse successo qualcosa tra di loro, ma i loro sguardi riuscivano a comunicare loro quanto fosse stata pesante la giornata appena trascorsa.
E adesso si aggiungeva anche questo problema.
Van strinse il fodero della sua lama con forza, cercando un appiglio che in quel momento poteva essere solo la sua sposa.
Il problema era più grave di quello che aveva supposto sin dall’inizio.
La cosa più giusta da fare – si disse – era quella di mantenere il segreto fino a dopo le nozze, pregando che non accadesse nient’altro prima di allora. Se Hitomi avesse conosciuto la verità avrebbe fatto di tutto per rimandare il matrimonio e lui – egoisticamente – voleva sposarla al più presto, proteggerla e amarla apertamente, come solo un marito poteva fare.  
Se le fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato. Hitomi era la ragazza più forte che conosceva, ma poteva fare ben poco con nemici che adoperavano la sua debolezza fisica – era pur sempre una donna – per farle del male. Sapeva di esserle fondamentale almeno quanto lei lo era per lui e proprio per questo non si dava pace. Tenerle nascosta una verità come quella equivaleva a lasciarle credere che lui non si fidasse abbastanza di lei, in realtà non si trattava di quello. Il suo cuore gli urlava di tenerla al sicuro ma persino fra le sue braccia non lo era.
Stava inoltre cominciando a riflettere sull’identità di quell’uomo-camaleonte, non ne aveva mai visti di così veloci e attenti. Di solito la tattica adoperata era quella di prendere le sembianze di un soggetto per potersi muovere velocemente e senza essere scoperto ma lui non lo aveva mai fatto. Non aveva avuto bisogno di rubare il corpo di nessun essere umano per poter accedere liberamente al castello, era riuscito a penetrarvi con il favore delle tenebre e null’altro.
Van si sedette sulla sedia, allargando le gambe e portando la testa in alto, cercando di riflettere.
Possibile che non avessero mai pace? Nemmeno nel momento in cui entrambi avrebbero dovuto essere felici?

Trascorsero altre due settimane e Fanelia era in fermento per l’imminente matrimonio.
Da ogni angolo di Gaea erano arrivati i sovrani di ogni regno. Il popolo aveva appeso ad ogni porta della propria casa una ghirlanda di fiori e nel castello tutto era in agitazione.
Il cortile esterno era stato già allestito, a causa dell’insicurezza del tempo era stato montato un enorme gazebo dove nastri candidi e azzurri s’intrecciavano, il giorno seguente sarebbero stati inseriti i fiori che altrimenti rischiavano di appassire prima del tempo.
Allen Schezar camminava a passo lento, osservando i preparativi che continuavano senza sosta, come se non ci fosse mai tempo. Accanto a lui il giovane Principe Chid che sembrava estasiato dalla bellezza del Castello.
« Non avevo mai avuto l’occasione di visitare il Regno di Fanelia. » commentò osservando il piazzale.
« La ricostruzione del regno di Fanelia si è conclusa appena un mese fa, è incredibile come tutto sia tornato al suo antico splendore. » gli fece eco il vero padre che non sapeva di aver a fianco.
« Questo dimostra che la fedeltà del popolo e il suo favore sono i veri cardini che reggono un regno forte e saldo. » rispose il ragazzino di poco più di sette anni, che parlava con una saggezza che stupiva sempre Allen.
Il Cavaliere Celeste guardò il figlio con un sorriso, a tempo debito gli avrebbe probabilmente rivelato chi in realtà lui fosse, per il momento, la sua gioia più grande consisteva nell’osservare come la saggezza di Marlene, l’unica donna che avesse mai amato veramente con tutto se stesso, si fosse trasmessa insieme ai propri tratti, che li rendevano così somiglianti che talvolta pensava che tutti gli altri potessero accorgersene.
A qualche passo di distanza camminava Celena, la sorella ritrovata e che un tempo aveva militato per l’impero di Zaibach. In realtà frutto di una mutazione che le aveva trasformato il perfetto corpo da donna in quello di un uomo. Si era occupato di lei ma aveva lasciato la sua istruzione alla Principessa Eries, che l’aveva resa una donna di corte in poco tempo. Tuttavia, benché Celena restasse ancora una ragazza chiusa e profondamente segnata da quello che era stato il suo passato, si stava riprendendo in fretta e aveva incominciato a sorridere più spesso, anche se parlava poco, con garbo e quando era necessario. Molto spesso Allen si chiedeva se il suo silenzio fosse dovuto al fatto che nei panni di Dilandou avesse compiuto e detto delle cose terribili. Non ne avevano mai parlato ma era chiaro che la ragazza di diciotto anni ne soffrisse ancora.
Celena si avvicinò al fratello e cercò il suo braccio.
« Guarda Fratello! » lo fermò, indicando un nido di pettirossi che era visibile da un albero vicino. Un uccello più grande – doveva essere la madre – stava imboccando i piccoli che cinguettavano allegramente. La sorella sembrava estasiata. Era molto affascinata dalla natura. A Zaibach non c’erano foreste, solo una città grigia e sempre piena di fumo delle industrie che costruivano in continuazione armi e guymelef.
Allen sorrise, poggiando una mano sulla propria come per acconsentire alle sue parole. Da quando la guerra era finita e su Gaea era stata ristabilita la pace e l’equilibrio, sembrava che tutto fosse tornato alla tranquillità e la sua vita aveva preso una nuova piega. L’amore per Millerna che per un lungo periodo l’aveva fatto tentennare sia come uomo che come Cavaliere si era sopito nel momento in cui lei stessa aveva compreso che doveva dimenticarsi di lui e non poteva non esserne lieto, in fondo, lui per primo aveva rivisto negli occhi azzurri della Principessa di Asturia quelli più maturi della sorella che aveva amato all’epoca in cui era solo un ragazzo; i sentimenti per Millerna erano stati forti e sinceri ma non erano paragonabili a quelli che aveva provato per Marlene. Il fatto di aver ritrovato sua sorella e l’aver fatto luce sul passato di suo padre avevano calmato in lui quel senso di rancore che per troppi anni aveva rivolto nei confronti di quel genitore che non si era mai sforzato di conoscere davvero. La sua vita era cambiata e adesso era davvero felice. Non aveva bisogno di un amore, quello di sua sorella le bastava. Almeno per adesso.
Nella loro passeggiata scorsero Hitomi attorniata da Millerna e Merle – quest’ultima sembrava che le stesse rimproverando qualcosa. Da lontano poté osservare come fosse cambiata e allo stesso tempo rimasta uguale. Li separavano una decina di metri e lei ci mise poco a riconoscerlo.
« Signor Allen! Principe Chid!» esclamò, prendendo con entrambe le mani l’ampio vestito che era stata costretta ad indossare – sicuramente per mano di Millerna, a giudicare da come la guardava con disappunto vedendola avanzare con tanta fretta.
Allen allungò le braccia, accogliendo le mani di Hitomi che si strinsero nelle proprie, gli occhi che brillavano come due luci nell’oscurità.
« Principe Chid, siete diventato più alto dall’ultima volta che vi ho incontrato! » fece Hitomi volgendosi verso di lui, chinando il capo con rispetto e gentilezza.
« E voi Hitomi siete diventata ancora più bella. A nome del Principato di Freid vi ringrazio per quello che avete fatto per l’intero pianeta di Gaea. » e il fanciullo con una dignità da vero sovrano chinò il capo e parte del busto per sottolineare la sua sincera gratitudine. Hitomi sorrise e poggiò una mano sull’esile e piccola spalla del fanciullo.
« Il pensare al vostro popolo vi rende così simile a Van, ve lo dissi anche quella volta. Non occorre che mi ringraziate. »
Il Principe Chid sorrise, quindi Hitomi si rivolse verso Celena.
« Celena! E’ un piacere rivederti, come stai? » sguardo che rivolse per un breve momento anche ad Allen, consapevole di quali fossero le difficoltà di adattamento di quella giovane ragazza che solo adesso, dopo oltre dieci anni, conosceva la pace e la serenità.
« Molto bene Hitomi, Fanelia è un regno meraviglioso. » rispose pacata, arrossendo lievemente ma non troppo imbarazzata.
« Siamo giunti questa mattina e abbiamo già incontrato Van. Mi chiedo come mai tu non sia con lui. » incominciò Allen mentre si avvedeva dell’avvicinarsi di Millerna e Merle.
Le sorrise, facendogli comprendere che per lui non c’era alcun risentimento e lei, riuscì ad andare oltre la propria sofferenza e vedere quella altrui: affetto.
« Principessa Millerna.. » s’inchinò lievemente l’uomo, abbassando appena il capo.
« Zia Millerna, è bello rivedervi dopo tanto tempo! Ho saputo che il merito di queste decorazioni sontuose è anche opera vostra. » parlò Chid, avvicinandosi alla donna che sorrise stringendolo affettuosamente a se.
« Ehi! Non dimenticatevi che quella che ha fatto tutto il lavoro pesante sono stata io! » bofonchiò Merle battendo un piede con aria  convinta.
Poco dopo tutti incominciarono a ridere.
Felicità.

   
« Hitomi.. »
La giovane si riscosse dai suoi pensieri, il tramonto che stava osservando era meraviglioso ma la voce che aveva udito scatenava in lei sensazioni migliori.
Sorrise con dolcezza e si sollevò in piedi. Lui la raggiunse e levò una mano con la stessa grazia di chi invita ad un ballo.
« Questo castello non mi era mai sembrato così grande da quando è in grado di dividerci. » commentò lui, avvicinandola a se, guardandola dritta negli occhi.
Si baciarono, senza alcuna fretta, come la prima volta che l’avevano fatto, quando tutto sembrava ancora così incerto e tutto il resto un luogo pericoloso.
« L’ho capito vedi. » incominciò lei guardandolo, improvvisamente seria.
Van s’irrigidì e l’ovvia domanda si dipinse nel suo viso.
« C’è qualcosa che ti preoccupa. Che non mi hai detto. Siamo entrambi impegnati e possiamo vederci solo per poco tempo, ma fra qualche giorno non sarà più così e vorrei che tu mi sposassi con la serenità nel cuore. »
Van non disse niente per un lungo istante, limitandosi a portare le mani sulle altrui spalle.
« Potresti fare le carte per predire cosa accadrà dopo il nostro matrimonio? »
Hitomi declinò il capo verso destra, perplessa.
« L’ultima volta che ho provato a fare una cosa del genere il matrimonio di Millerna è stato terribile.. Ti aspetti che l’uomo-camaleonte si faccia vivo per allora? »
Van sollevò le spalle, cercando di sorridere. « Veramente io volevo vedere solo se saresti stata una brava regina. »
Hitomi si allontanò appena, fingendosi piccata.
« Ah! È dunque questo quello che pensi? Che sarò una regina irresponsabile? » mise il broncio più dolce che conosceva e Van, ovviamente non seppe resistere.
Rise, come non era riuscito a fare sinceramente da giorni. « Forse, però voglio anche assicurarmi che non ci siano pericoli. » E senza chiederle il permesso, la circondò ancora con le braccia.
« Se proprio ci tieni lo farò. » e si distaccò appena, mentre si dirigeva verso la scrivania lì dove erano accuratamente posate le carte dal dorso azzurro chiaro.
Van si avvicinò, sedendosi sull’altro capo del tavolo, Hitomi di fronte a lui incominciò a mescolare le carte.
« Sei proprio sicuro che vuoi sapere cosa potrebbe accadere? » indugiò ancora una volta, prima di porgergli il mazzo che avrebbe dovuto alzare lui stesso, guidato dalla sua mano destra.
«Sì. » fece lui, prendendo le carte e poggiandole sul tavolo.
La ragazza chiuse gli occhi, per concentrarsi prima di cominciare. Tuttavia un sorriso nacque dalle sue labbra.
« Aspetta. »
Proprio in quel momento bussarono alla sua porta.
Van si sollevò in piedi ed Hitomi fece lo stesso, volgendosi per aprire l’uscio che le ricordava una casa giapponese.
« Signor Allen.. »
« Sapevo che avrei trovato Van qui. Vi ho forse disturbato? » fece il Cavaliere Celeste, restando sulla porta con un’espressione tranquilla.
« Nessun disturbo. Cosa possiamo fare per lei? » domandò la ragazza, indietreggiando di un passo, invitandolo ad entrare.
Il Cavaliere Celeste restò però sulla porta.
« In realtà cercavo Van, volevo parlargli di una cosa. » quindi lo sguardo dell’uomo colse gli occhi del Re di Fanelia che annuì.
« Ma certo Allen, vengo subito. »
Hitomi mostrò la sua perplessità a cui il Cavaliere di Asturia trovò ben presto una risposta.
« Non te lo porterò via a lungo, devo solo chiedergli dove posizionare lo Scherazade durante i festeggiamenti. »
« In questo caso allora.. ci vediamo a cena. » disse, rivolti ad entrambi.
Allen sorrise e Van le accarezzò la mano prima di andare.

« Presupponendo che potevi chiedere ad uno dei generali di Fanelia, deduco che non sia questo ciò di cui dovevi parlarmi. » gli disse Van poco dopo, all’esterno del grande spiazzo dove sarebbe stato celebrato il suo matrimonio.
Allen sorrise. « Non sbagli, Van. In realtà, non volevo far preoccupare Hitomi. »
Van si fermò, guardando l’uomo con attenzione. « E’ forse successo qualcosa? »
Il Cavaliere Celeste scosse il capo, « No, però Millerna mi ha detto che cosa sta succedendo a Fanelia da qualche tempo. Se avessi bisogno del mio aiuto, la mia spada ed il mio equipaggio sono sempre a tua disposizione. »
« Grazie Allen. Ho paura che ci saranno nuove battaglie e ogni aiuto sarà prezioso. » rispose Van con serietà.
« Il coinvolgimento del regno di Basram è accertato? » domandò l’uomo, sfiorando la sua spada appesa alla cintura.
« Ancora non lo sappiamo, ma il loro arrivo è previsto per domani. »
« Piuttosto sfacciato presentarsi nonostante abbiano interrotta ogni forma di commercio proprio con noi. »
« Se verranno, saranno costretti a parlare, o ad usare i loro diplomatici per farlo. Ciò che m’interessa in questo momento è far si che non accada nulla dopodomani. Fanelia è stata ricostruita da poco e il popolo non sopporterebbe un altro attacco alla sua città. » Van strinse i pugni, sentendosi dolorosamente impotente.
Allen gli mise una mano sulla spalla.
« Ricordo ancora il caos generato ad Asturia durante il matrimonio di Millerna, non ci aspettavamo proprio un attacco di quella portata. »
« Già. Adesso però sarà ancora più grave. Tutti i sovrani dei regni vicini si troveranno concentrati a Fanelia. Non è un regno grande e ampio come quello di Asturia.. »
« Ma la popolarità di Hitomi lo ha reso certamente il più importante. » Allen concluse per lui.
« Sono preoccupato, Allen. Certe volte penso che sia stato egoistico pretendere che Hitomi restasse su Gaea solo per amor mio. Sulla Luna dell’Illusione non sarebbe stata in pericolo, lì conduceva una vita tranquilla. » si appoggiò ad una colonna, stringendo un pugno contro il legno.
« Non voglio vederla soffrire per le sue stesse visioni e non vorrei che fosse sempre lei l’obiettivo dei nostri nemici. »
Allen osservò il giovane Re che si trovava tra due fuochi, l’amore per la ragazza e la sua propria felicità. Non c’era scelta, perché Hitomi aveva già deciso cosa fare della sua vita.
« Van.. Hitomi ti ha scelto, perché tu sei davvero l’unica persona più importante. Non puoi scegliere per lei, perché sono sicuro che preferirebbe soffrire altre mille volte, piuttosto che perderti. Possiede un grande potere che può manifestarsi solo quando voi due siete uniti. Siete stati voi a far terminare la guerra e voi a salvare il pianeta dalla distruzione. Avete mondato tutto il sangue versato su Gaea solo grazie al vostro amore.. Tu pensi davvero che lei potrebbe essere felice altrove? »
Il discorso di Allen fece breccia nel cuore gonfio di preoccupazione del Re di Fanelia.
« Allen.. devo dirti un’altra cosa. Credo di sapere chi sia il nostro nemico. » sollevò appena il capo dal braccio che era rimasto appoggiato sulla colonna.
Il Cavaliere Celeste restò sorpreso dallo sguardo indecifrabile di Van.

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Capitolo 5
*** Preparativi ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


5
Preparativi

« Asso di uccelli. Cinque di pesci. Il diavolo. Cinque di Bestie.
Se si sposasse soffrirebbe molto a causa di una persona molto vicina,
e poi potrebbe rimanere coinvolta in una guerra...?»

 

 Hitomi si disse che mancava solo un giorno, solo 24 ore – dal punto di vista terrestre - affinché tutto questo finisse.
Continuava a ripeterselo mentre indossava per l’ennesima – e forse l’ultima – volta il suo vestito. Era emozionata, certo. Come tutte le spose che il giorno successivo avrebbero coronato il loro sogno d’amore. Eppure riusciva a vedere più emozione nello sguardo di Merle e di Millerna, che in quello in proprio che le rimandava lo specchio cesellato d’oro.
« Devo ammetterlo Hitomi, con questo vestito sembri davvero bella. » Ovviamente, era stata Merle a parlare.
« Cosa stai insinuando, che di solito non lo sono? » rispose lei, pronta a litigare.
« Beh.. lo hai detto tu. » fece lei con tono di sufficienza. Maledetta gatta!
Fece per muoversi ma un ago le si conficcò nella carne all’altezza delle spalle, si raddrizzò quasi di scatto.
« Perdonatemi vostra altezza, ma se non  restate ferma non riuscirò a finire di sistemarvi questa fila di perle. » fece una ragazza alle sue spalle, costernata.
Hitomi sbuffò, scuotendo il capo.
« Coraggio Hitomi resisti! Hai voluto che eliminassimo il corpetto, almeno cerca di star ferma. » fece Millerna, in piedi di fronte a lei. Il suo ruolo era chiaro: stava controllando che le sarte facessero il lavoro migliore.
« Ti ho detto che non volevo metterlo, mi avrebbe stretto troppo in vita! »
In realtà non lo aveva neanche provato. Tuttavia aveva chiesto le modifiche il giorno successivo a quando aveva scelto il modello. Non sapeva nemmeno lei spiegare il perché, però si diceva che non sarebbe stata una cattiva idea e che il vestito non avrebbe perso della sua bellezza.
« Ecco. Abbiamo finito! » annunciò dopo averle appuntato il velo all’altezza dei capelli.
Hitomi poté finalmente rimirare la sua figura senza alcuna sarta intorno.
Certo che aveva scelto davvero bene e le sarte avevano fatto un ottimo lavoro ad accontentare i suoi desideri.
Sorrise ampiamente, mentre sentiva la gioia che si diffondeva in quella stanza.
« Ti sta benissimo Hitomi! » dichiarò Millerna, prendendole una mano.
« Grazie Millerna, io.. sono così felice. » disse, con la voce tremante.
Anche le sarte annuirono compiaciute, la loro Principessa era di rara bellezza, nonostante avesse la strana abitudine di tenere i capelli corti.
« Adesso però sarà meglio toglierlo non è il caso che si rovini il giorno prima delle nozze! » continuò la reggente di Asturia, facendo segno alle giovani cameriere di aiutare per svestirla.

Van non avrebbe potuto vedere Hitomi durante tutta quella giornata. Le tradizioni di Fanelia imponevano che gli sposi non potessero vedersi durante il giorno che avrebbe preceduto il loro matrimonio. Questo perché – oltre ai numerosi impegni che comunque lo avrebbero tenuto occupato – entrambi avrebbero dovuto sostenere una cerimonia di purificazione. Ogni rito importante sanciva la necessità di un rito di purificazione spirituale a precederlo. Lui avrebbe meditato sui propri valori di Re e di primo Samurai di Fanelia, si sarebbe raccolto in preghiera, davanti alle grandi statue dei draghi protettori del Regno a riflettere sui suoi impegni: l’amore che provava in quel momento non doveva essere secondo ai suoi doveri di Re. Lo stesso matrimonio non era altro che un sacro impegno nei confronti di Fanelia che, attraverso un legame benedetto dagli Dei, avrebbe garantito la prosecuzione dell’eredità. Il matrimonio era un dovere per un sovrano, necessario per portare avanti la stirpe. Lui, come suo padre, aveva scelto la sua futura consorte per amore, anche se aveva avuto meno difficoltà di suo padre a farlo accettare ai suoi generali.
Nonostante il crescendo di gioia che si respirava nel proprio regno e all’interno del castello lo aveva inevitabilmente coinvolto, si sentiva ancora turbato. Il motivo giaceva ancora sulla sua scrivania e gli dava da riflettere.
Si sollevò in piedi, uscendo dalla sua stanza.

« Cosa? Vuoi un duello di allenamento? » fece Allen intento a prendere la propria cintura d’arme appesa alla sedia.
« Si, Allen. Voglio allenarmi cercando di perfezionare la mia chiaroveggenza. »
« Vuoi dire la tecnica che ti ha insegnato Hitomi? »
« Proprio così » annuì, « Voglio vedere se i miei sensi sono peggiorati durante questo periodo di pace. »
Allen sorrise e allacciò la cintura d’arme, dove penzolava la sua fedele spada.
Si diressero così nella Sala degli allenamenti. Ogni volta che Van vi entrava non poteva che riportare alla memoria il sommo Balgus, suo mentore, che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva. Medesimo insegnamento aveva impartito anche ad Allen, quando non aveva ancora compreso lo spirito del guerriero e l’aveva salvato da morte certa. Allenarsi con Allen, in qualche modo, gli dava l’impressione di seguire gli antichi insegnamenti del suo maestro. Due allievi dello stesso maestro.
Van si posizionò davanti ad Allen. Con la spada in pugno, chiuse gli occhi e si concentrò sull’immagine mentale del Cavaliere Celeste. Qualche istante dopo Allen incominciò ad attaccare e percepì lo spostamento d’aria alla sua destra. Riuscì ad evitare il colpo per un soffio.
Allen si fermò, osservandolo riaprire gli occhi. Era incerto e sembrava perplesso.
« Ancora! » esclamò il Re di Fanelia, chiudendo gli occhi, restando in posizione di difesa, pronto a respingere il colpo successivo.
Nella sua mente il silenzio cadde e il pendolo di Hitomi incominciò ad oscillare fino a quando non si mosse seguendo la direzione che esso gli indicava. La sua spada impattò prepotentemente contro quella di Allen. L’uomo dai lunghi capelli non si fermò e provò un affondo dal lato opposto ma Van lo colse in anticipo e con l’elsa della spada si portò in avanti con il busto, finendo per portare un colpo dal basso verso l’alto, al fine di disarmare l’avversario.
Non era così difficile però sorprendere il Cavaliere Celeste e con un passo a sinistra riuscì ad evitare di perdere l’equilibrio e il baricentro del suo corpo si spostò lievemente al fine di provare a colpire il fianco sinistro del Re di Fanelia. Van, ancora con gli occhi chiusi, piegò il polso verso sinistra e l’arma impattò contro quella avversaria prima che potesse sfiorare il suo corpo.
« Sei molto abile! » esclamò Allen a quel punto, visibilmente sorpreso del fatto che il giovane Re di Fanelia riuscisse ad essere suo pari nonostante si fosse precluso di vedere.
Nella mente di Van, la figura di Allen era come una sagoma chiara che si muoveva a seconda dei colpi che quest’ultimo portava. Era come lo vedesse chiaramente e non aveva bisogno di aprire gli occhi per scorgerne la posizione.
Fu proprio in quel momento, nell’attimo in cui stava per portare un altro colpo offensivo che si fermò a mezz’aria, con la spada sollevata. Volse il capo verso destra, lì dove aveva percepito la presenza del tutto estranea che immediatamente scomparve non appena si resse conto di essere stata vista.
Van aprì gli occhi, mentre Allen lo guardava preoccupato.
« Tu non hai visto niente? » gli rivolse uno sguardo serio, mentre Allen scuoteva leggermente il capo, perplesso.
« Sarà stata la mia impressione. » Scosse il capo, poco convinto. « Continuiamo! »
E le due lame, ripresero a danzare.

 
Aveva aperto l’armadio che conteneva numerosi vestiti. Non cercava niente di particolare, ma voleva solo distrarsi, dagli innumerevoli pensieri che le affollavano la mente.
Restò lì qualche secondo come cercando una risposta alle sue domande e alle sue emozioni.
In un colpo d’occhio riuscì a scorgere un indumento particolare. La sua divisa scolastica. Diversa da ogni genere di capo presente in quell’armadio, era appeso in fila insieme agli altri. Allungando la mano, l’istinto di prenderla fu forte e cedette al desiderio di rimirare quel pezzo del suo passato.
Era rovinata in più punti, d’altronde era l’unica che aveva con sé quando quel giorno aveva deciso di tornare a Fanelia. Quando l’Escaflowne era riapparso sulla pista e lei, quella volta, aveva deciso di andare di sua spontanea volontà, vinta dal desiderio di rivedere Van.
Era stato allora che lei aveva capito l’importanza dei suoi sentimenti verso il Re di Fanelia, che inizialmente era stato scontroso e forse anche troppo opportunista nel mostrare interesse unicamente ai suoi poteri.
Sorrise lievemente, quando lo sguardo ricadde sul borsone che era appoggiato su un lato dell’armadio, accanto a delle scarpe da tennis. Quelle le usava più spesso, erano molto più comode di altre calzature. Ripose con cura la divisa scolastica e focalizzò la sua attenzione nel borsone. S’inginocchiò sul tappeto e dopo averla tirata fuori fece scorrere la zip. Il suono riportò indietro ricordi piacevoli.
Dentro c’erano ancora le cose che erano rimaste dopo l’allenamento: la sua canotta insieme ai pantaloncini, una tovaglia, il deodorante, le calze, parte degli oggetti che conteneva il suo beauty case.
Spalancò lo sguardo quando si accorse di un altro oggetto che le era sfuggito e che credeva di aver perduto molto tempo prima, durante la guerra contro Zaibach.
Il suo cerca-persone. Lo prese fra le mani, e quando premendo un pulsante sentì il classico suono di risposta, si trattenne dal gridare di sorpresa.
C’era ancora un messaggio.
* Spero che tu sia felice, Hitomi. *Amano-sempai. Il nome che lei aveva salvato nella breve memoria del suo cerca-persone brillava di luce artificiale nel display.
La data era straordinariamente recente.   
Due lacrime scivolarono dai suoi occhi.
Si era felice. E loro lo avrebbero saputo, in un modo o nell’altro.
Provò a scrivere una risposta e benché i caratteri a disposizione fossero davvero pochi pregò che il messaggio affidato alle onde invisibili, potesse giungere lì dove sembrava impossibile che arrivassero.
Si sollevò in piedi e sistemò con cura ogni cosa, non prima di aver rivolto ad ognuna di esse uno sguardo d’affetto ad ogni oggetto, intriso di ricordi preziosi, che le avrebbero sempre ricordato la sua provenienza anche se la sua casa adesso sarebbe diventata Fanelia.
Ripensò alla predizione che avrebbe dovuto fare a Van, realizzando che successivamente al loro incontro non erano più riusciti a parlare dell’argomento.
Gettò uno sguardo verso le carte, e prima di poterle prendere in mano qualcuno piombò nella sua stanza producendo un gran frastuono. Conosceva quello stile.
« Hitomi! Non sei ancora pronta?! » esclamò Merle con la delicatezza di sempre.
« Ah! La cerimonia di purificazione! » si distaccò dal tavolo e incominciò a svestirsi dei suoi abiti. Sul suo letto la veste cerimoniale attendeva solo di essere indossata dalla giovane sposa.
Hitomi osservò il vestito. Aveva un qualcosa che le ricordava un kimono, ma probabilmente era la sua impressione. Era bianco e ricadeva morbido lungo i fianchi, stringendosi sotto il seno. Le arrivava fino ai piedi e aveva delle meravigliose pieghe che le ricordavano il vestito di una principessa. Un piccolo strascico partiva dalla schiena, simile ad un mantello ma lasciando le spalle scoperte. Sarebbe dovuta restare scalza e pregò che la cerimonia non fosse troppo lunga. Uscì in fretta e furia dalla stanza.
Qualche minuto dopo una folata d’aria entrò dalla finestra semi aperta e le carte lasciate sulla scrivania si mossero, spostandosi dal mazzo, fino a quando una non cadde. Nel momento in cui toccò il pavimento la Carta della Torre mostrò il suo responso.


Venne portata alle spalle del palazzo dove, all’interno del boschetto, sorgeva una modesta sorgiva d’acqua lambita da un bellissimo salice in fiore. Aveva visto più volte quel luogo, un piccolo paradiso. Ma non pensava che la cerimonia si sarebbe svolta proprio lì.
Una donna l’aiutò ad entrare nell’acqua e si posizionò lì dove il getto d’acqua le accarezzava il viso con dolcezza, senza essere fastidioso.
Sapeva cosa doveva fare. Le era stato spiegato, ed inoltre, quella pratica era ampiamente conosciuta anche in Giappone seppur per finalità diverse.
Non avrebbe dovuto spostarsi da quel luogo. Tutto ciò che doveva fare era lasciare che l’acqua la purificasse, lavando il proprio corpo e purificando il suo spirito. Chiuse gli occhi, mentre sentiva il silenzio scendere con l’andarsene di tutti gli altri. Ci sarebbero state delle guardie a debita di distanza, ma non sarebbe stata disturbata. Quella era qauclosa che riguardava solo lei.
La donna che l’aveva accompagnata era una delle sacerdotesse del culto che le rivolse un sorriso pacato prima di andarsene. Era giovane ed estremamente gentile.
« Al tramonto avrete concluso. Verrò a chiamarvi io stessa, Principessa. »
Hitomi annuì e sorrise, constatando che l’acqua non era troppo fredda, benché all’inizio le avesse fatto venire la pelle d’oca. I piedi erano ben saldi nel terreno sotto di lei che non avrebbe ceduto sotto il suo peso.
Qualche minuto dopo, ciò che udì fu solo l’acqua scorrere. Era piacevole, rilassante.
Avrebbe dovuto trascorrere solo qualche ora, visto che già era pomeriggio inoltrato. Aprì gli occhi, muovendosi di qualche passo, incurante del fatto che il vestito le si fosse appiccicato addosso. Adesso capiva perché era così largo e fatto di una stoffa così pesante. Nonostante fosse completamente fradicia non rischiava di esser vista quasi nuda da chi avrebbe dovuto proteggerla. Hitomi sorrise pensando che Van non avrebbe mai permesso di sorvegliarla se ci fosse stato un simile pericolo. Evidentemente ciò che lo preoccupava era ben altro. Hitomi richiuse gli occhi, lasciando che l’acqua le scorresse lungo le spalle e il volto.

« Hitomi.. »
Riaprì gli occhi lentamente, come se avesse dormito per tutto il tempo. Davanti a lei, la madre di Van restava in piedi, avvolta dal suo abito blu e con i lunghissimi capelli neri che le scendevano quasi fino alle caviglie. Stava nell’acqua insieme a lei, immobile e con le mani intrecciate all’altezza del grembo.
Hitomi restò senza parole e gli occhi si spalancarono per un lungo momento. L’acqua aveva smesso di scorrere. Tutto il tempo si era fermato allo stesso modo.
« Voi siete... » balbettò, senza riuscire a completare la frase a cui non aveva bisogno di risposta.
« Ti ringrazio Hitomi, confidavo tu restassi a Fanelia. Sarai una splendida regina. » e sorrise, trasmettendole una dolcezza che sembrò risollevarla di un grosso peso.
Hitomi restò ad ascoltare, come se sapesse che la donna non aveva ancora concluso. I loro incontri non erano mai stati fatti di convenevoli.
« Devi fare attenzione. Un grande pericolo minaccia te e Van, dovete restare uniti per poterlo sconfiggere e vivere finalmente sereni. »
Hitomi cercò di decifrare lo sguardo preoccupato della donna.
« Parlate dell’uomo-camaleonte? Di quale pericolo? Di chi si tratta? »
« Non dimenticare mai che tu possiedi un grande potere. Devi avere fiducia in te stessa. »
Qualcosa turbò i suoi occhi che le trasmisero una nuova urgenza.
Sparì, senza darle neanche una risposta.
« Aspetta! »
Hitomi allungò una mano lì dove si sarebbe trovata la figura della donna, prendendo solo aria. Aria che si tramutò nel corpo dell’uomo-camaleonte, alto e flessuoso, privo di mantello.
Sobbalzò, mentre lui si raddrizzò sulla schiena e fece per tenderle una mano.
L’acqua ancora immobile aveva reso immutata ogni cosa e persino il suo respiro venne meno.
« Guarda. » gli sussurrò. Ed immediatamente tutto sparì.
Calò il buio, l’oscurità profonda, e un silenzio pesante. Hitomi avvertì persino l’aria rarefarsi.
E nella sua mente, nuove immagini riapparvero, lenti e incontrastabili.
Si volse per non vedere, ma anche chiudendo gli occhi, riuscì comunque a sentire a percepire.
Era la Valle dell’Illusione nelle sue ultime ore, quando le fiamme l’avevano avvolta, quando i suoi abitanti erano morti uno dopo l’altro soffocati dal calore intenso di fiamme impossibili da spegnere, frutto del desiderio di perfezione che li aveva condotti alla dannazione e all’ira degli dei.
Hitomi s’inginocchiò portandosi le mani alle orecchie. In quel momento vide, proprio accanto a lei, due piedi. Sollevò il capo, vedendo il volto di una fanciulla con delle piccole ali sulla schiena che la guardava con gli occhi carichi di lacrime.
« Ti aiuto io a rialzarti.. » le mormorò, porgendole la mano. Hitomi l’osservò stupita. La fanciulla era meravigliosa nonostante avesse meno di dieci anni. Grandi occhi marroni, quasi rossi, erano incorniciati da un viso dalla pelle chiara e gentile, onde d’ebano scivolavano fino alle spalle ed un cerchietto dorato sulla sommità della testa, reggeva la lunga chioma, che altrimenti avrebbe finito sicuramente per finirle sul viso.
« Sto cercando la mia mamma ed il mio papà, ma loro sono andati via insieme a mio fratello. »
Hitomi si sollevò in piedi e cominciò ad avanzare insieme alla piccola bambina lungo le vie che ancora non erano state colpite dalle fiamme.
Quando una trave da una casa vicina cadde sopra di loro, Hitomi fu più veloce e spingere la fanciulla ma parte del suo vestito incominciò a bruciare.
« Aspetta, aspetta! » esclamò la bambina, correndo verso di lei, per tentare con le mani di placare le fiamme.
« Attenta, ti farai male! » esclamò Hitomi, ma in quel momento vide una luce emergere dal collo della bambina, e si rese conto che aveva proprio un ciondolo come il suo. In pochi istanti la sua attenzione si spostò dal ciondolo al suo vestito. La bambina aveva chiuso le mani l’una dentro l’altra, in silenzioso raccoglimento e le fiamme avevano smesso di ardere sul suo vestito.
La bambina barcollò leggermente e Hitomi la sostenne.
« Che ti succede? » domandò, allarmata, guardandole in volto impassibilmente avvolto da un’aria di stanchezza crescente.
« Ora che la Torre è caduta. Non ci è più permesso di realizzare i nostri desideri. » e sollevando un braccino indicò il punto da dove le fiamme avevano cominciato ad ardere ed inghiottito tutta la città.
« Quella è...» Ma Hitomi non poté continuare il suo discorso, perché la fanciulla si era sollevata in volo e aveva raggiunto altre tre persone, troppo lontane per essere riconosciute.
Proprio in quel momento una fiamma si sollevò impetuosa contro la famiglia riunita.
« Noo! » esclamò, tentando inutilmente di correre in quella direzione. Le fiamme non le costrinsero però di vedere che fine avessero fatto. Hitomi strinse i pugni, mentre avanzava, con le lacrime agli occhi per il fumo e il senso di disperazione che aveva iniziato a provare.
Ci fu un boato e d’un tratto, la terra cominciò a tremare violentemente fino a quando il pavimento sotto i suoi piedi non prese a perdere solidità. Hitomi traballò pericolosamente vicina a cadere, ma riuscì a riprendersi e inutilmente tentò di correre, ma ad ogni passo che compiva, la terra sotto di sée cedeva nel nulla del vuoto. Quando anche davanti a lei la terra cominciò a cadere finì per precipitare. Stavolta però nessuna luce sopraggiunse in aiuto portando con sé la presa rassicurante di Van. In quel momento l’immagine sparì e si ritrovò immersa nel lago, lì dove il getto della fontana la colpiva pienamente lungo il collo e la schiena. Era abbassata sulle ginocchia, con lo sguardo rivolto verso il basso, le braccia totalmente immerse nell’acqua cristallina.
Era finito tutto.
Respirò a pieni polmoni, incurante dell’acqua che le bagnava il viso e attraversava le sue narici e lambiva la sua bocca. La sensazione di oppressione all’altezza del cuore non era cessata.
Sollevò lo sguardo e chiudendo gli occhi, lasciò che quell’acqua lavasse via le tracce delle lacrime che stava intrappolando nelle sue palpebre.
Perché doveva esserle mostrato tutto questo. Che cosa aveva a che fare con quello che era accaduto oltre diecimila anni prima? Come avrebbe potuto impedirlo?
« Principessa Hitomi. »
Hitomi volse il capo, notando l’avvicinarsi della donna che precedentemente l’aveva accompagnata, nel suo sguardo poté vedere l’altrui preoccupazione.
« State bene? » domandò, inginocchiandosi nei pressi della riva, senza sfiorare l’acqua.
Hitomi annuì e si sollevò in piedi, lentamente, cercando di non impigliarsi con lo stesso vestito. La donna continuava a guardarla, perplessa.
« Siete molto pallida. Forse siete stata troppo in acqua. » le tese la mano aiutandola ad uscire dall’acqua. Hitomi cercò di abbozzare un sorriso, posando lo sguardo sulla donna.
« No, non preoccupatevi. » mormorò semplicemente e quella annuì, senza parlarle.
Venne condotta in camera sua dove era stata preparata una vasca piena d’acqua calda.
« E’ primavera ma ancora le serate sono fredde. Il rito di purificazione è concluso ma non sarebbe l’ideale prendersi un malanno proprio alla vigilia delle vostre nozze. »
« Avete ragione. » rispose con altrettanta gentilezza. E solo quando fu sola – come sua abitudine – si tolse gli abiti fradici e s’immerse nella vasca ricolma d’acqua.
Liberò un sospiro dalle labbra, mentre il proprio corpo decisamente infreddolito, riprendeva a riscaldarsi rapidamente. Chiuse gli occhi, scivolando fino a restare con solo il naso e il resto del viso fuori dall’acqua.
Hitomi non poteva fare a meno di essere pensierosa e turbata. Volse uno sguardo verso la scrivania dove aveva lasciato le carte. Sollevò il capo, curiosa. Aveva lasciato tutto in un’altra posizione. Cercò di trovare la spiegazione in una finestra lasciata aperta per dimenticanza ma così non era.
Proprio in quel momento bussarono alla porta alle sue spalle ed una donna entrò. Hitomi si volse notando che si trattava di Margaret, che le portava una grossa e calda tovaglia.
« Se volete vi aiuto ad uscire, non vorrei che scivolaste. » disse con gentilezza, approssimandosi ad un’arrossita Hitomi che si era portata le mani ad incrociarsi sul petto. Le gambe strette attorno alla propria nudità.
« Ehm... non occorre, Margaret. Lascia tutto sulla sedia qui accanto, resto ancora qualche minuto. » balbettò indecisa, come se non sapesse come rivolgersi.
« Come desiderate. » indugiò ancora sui suoi passi. « Non occorre che v’imbarazziate, Principessa. Anche io sono una donna come voi. » quindi chinò il capo ed uscì dalla stanza.
Hitomi sprofondò sotto l’acqua, immergendo anche il viso.
A quel particolare dettaglio non si era ancora abituata.
Da quando era stata abbastanza grande e la mamma le aveva dato il suo permesso, aveva sempre fatto il bagno da sola, senza l’intervento di nessuno. Sapeva che però su Gaea non funzionava così. Le persone nobili avevano il grande vantaggio di avere altre persone pronte ad occuparsi di ogni loro necessità. Questa era una tra le tante altre. In fondo, anche Van aveva degli inservienti - maschi – e spesso il discorso era ricaduto proprio sulla strana abitudine di Hitomi di non voler nessuno ad aiutarla durante quell’incombenza.
L’acqua attutiva i suoi pensieri e socchiuse gli occhi. Solo in quel momento si rese conto che il giorno dopo, meno di ventiquattro ore, sarebbe stata ufficialmente incoronata regina di Fanelia e sarebbe stata sposata!
Il cuore riprese a batterle più veloce, mentre riaffioravano tutte le paure ataviche che – si disse – ogni donna avrebbe provato prima di intraprendere una decisione di questo tipo. Ne aveva sentito parlare persino quando era stata una semplice studentessa del liceo.
Desiderosa d’aria ritornò con il viso fuori dall’acqua dopo qualche secondo. Il viso era diventato rosso e non per il calore trasmessole dall’acqua.
Stava succedendo tutto troppo in fretta.
Le visioni che aveva avuto poco prima, l’aver visto la madre di Van. Il pericolo imminente che si prospettava.
E domani, domani si sarebbe pure sposata.
Deglutì, cercando di riordinare le idee: doveva parlare con Van. Eppure non poteva, anche lui probabilmente stava sostenendo un rituale. Si, doveva pregare le sacre statue protettrici di Fanelia.
Sbuffò, sollevandosi in piedi, lentamente. Lasciando che l’acqua defluisse dal proprio corpo. Un piccolo tappeto era stato posizionato ai piedi della vasca, in modo tale da non scivolare sul pavimento freddo. Con un gesto allungò un braccio, verso la sedia a poca distanza dove era stata posizionata la grande tovaglia. Si accucciò sul letto, asciugandosi i capelli con dei panni caldi che le avevano portato. Ogni volta, ringraziava la sconsiderata fortuna che aveva nell’aver i capelli corti. Quando finì di asciugarsi, era già sera.
Bussarono nuovamente alla sua porta.
« Com’è andato il rito di purificazione? » la voce di Millerna era radiosa e gentile, sembrava più eccitata di lei.
« Ho avuto una visione. Di Atlantide. »
Millerna si rabbuiò e si avvicinò immediatamente ad Hitomi, ancora seduta sul letto con un semplice vestito indosso. Le prese le mani.
« Hitomi. Andrà tutto bene. »
« E se succedesse qualcosa domani? » incalzò, portandosi in piedi.
Millerna chinò il capo e non rispose.

 
Era inginocchiato, la spada poggiata a terra, di fronte a sé.
Silenziosamente, continuava a pensare a quello che sarebbe accaduto l’indomani.
Era felice almeno quanto era preoccupato. Sapeva che non era giusto quello che stava facendo.
Stava nascondendo ad Hitomi qualcosa di importante, ma domani le avrebbe detto tutto, quando sarebbero stati insieme e non avrebbero potuto lasciare indietro ciò che era già stato fatto. Era preoccupato per Fanelia, sentiva la minaccia di un assedio alle porte e sapeva che il suo regno non era preparato. La guerra contro Zaibach era finita da poco, da troppo poco affinché qualsiasi paese avesse potuto fornirsi di un nuovo esercito o di nuove armi. Gran parte dei guymelef erano stati distrutti e Fanelia stessa ne poteva contare appena una decina, escluso l’Escaflowne.
Van sapeva che non poteva costringere il suo regno nuovamente ad una guerra, Fanelia era già stata distrutta una volta, e solo con la grande forza di volontà dei suoi cittadini era tornato tutto al suo antico splendore. Non era il tempo di chiedere nuovi sacrifici e nuove perdite. Non l’avrebbe accettato lui stesso.
Se Hitomi non avesse avuto un ruolo centrale in quella vicenda, sarebbe partito lui stesso per la battaglia, ma sapeva che se l’avesse lasciata sola sarebbe stata ancora più in pericolo.
Van strinse un pugno che sfiorava terra, preda dell’incertezza e del dubbio.
Se domani fosse successo qualcosa, non avrebbe esitato a combattere con tutte le proprie forze. Eppure, ciò che lo torturava più di ogni altra cosa, era non poter trovare conforto fra le braccia dell’unica persona che avrebbe potuto capirlo. Al bando le tradizioni! Lui doveva vederla.
Si sollevò in piedi, guardando le statue che per delle ore avevano ascoltato le sue preghiere.
Proteggete il mio popolo e la persona che amo, non vi chiedo altro.

« Van! Che cosa ci fai qui? »
Millerna era uscita dalla stanza di Hitomi e si era ritrovata davanti proprio il Re di Fanelia.
« Devo parlare con Hitomi. » fece lui, chiedendole con lo sguardo di spostarsi.
« Si è appena addormentata, e poi lo sai che non ti è concesso vederla oggi. »
Van strinse i pugni, soffocando una risposta che non doveva riservare proprio alla reggente di Asturia.
« E’ forse accaduto qualcosa? » domandò lei, conciliante.
Van scosse il capo. « Volevo solo parlarle. »
Millerna si mosse di un passo. « Non devi proprio adesso, è già preoccupata. »
Van spalancò gli occhi. « Glielo hai detto? »
Millerna lo guardò negli occhi, quindi scosse il capo. « No, e non sai quanto mi stia risultando difficile tenerle nascosto qualcosa. Lei ha avuto delle visioni durante il rito di purificazione. Dice di aver rivisto la distruzione di Atlantide ma questa volta, è stato l’uomo-camaleonte a mostrargli un episodio diverso. »
A Van gli si annodò lo stomaco e restò momentaneamente silenzioso ma urlante di pensieri all’interno.
« Ha visto una bambina e come la sua famiglia fosse stata distrutta. L’ha spaventata. Non riesce a capire perché le vuole mostrarle tutto questo. Ha bisogno di te almeno quanto tu adesso abbia bisogno di lei, ma domani sarete sposati ed entrambi avete bisogno che questo accada prima di poter pensare ad una nuova guerra. Rimandare tutto adesso sarebbe troppo. »
Van abbassò lo sguardo. « Quel maledetto. Riesce ad entrare nella sua mente.. Non avrei dovuto organizzare le nozze così presto. »
Millerna sorrise. « Non avresti dovuto? Tutti se lo aspettavano, Van. Ed eravate in tempo di pace. Se fino ad ora non è accaduto niente, perché pensi che avverrà domani? »
« Zaibach non si è fatto di questi problemi quando si è trattato del tuo matrimonio e non ha neanche atteso che fossi proclamato re del mio popolo. »
« Ma qui non si tratta di Zaibach. Van, il tuo popolo desidera più di ogni altra cosa vederti felice, sa quanto hai fatto per loro. Adorano Hitomi e la considerano già una regina da quando ha salvato Gaea dalla distruzione. Non si meritano anche loro di godere della tua felicità? »
Van non seppe replicare ma per Millerna non ve ne fu bisogno.
« Adesso vai a riposare. Sono sicura che non accadrà niente. Entrambi non state riuscendo a godere della vostra felicità. Preoccupandovi l’uno dell’altro non state dimenticando forse che siete insieme, qualsiasi cosa dovesse accadere? Presto dovrai dire ad Hitomi quello che hai saputo, e lei dovrà dirti delle sue visioni. Cercando di non preoccuparvi per voi stessi avete riversato sull’altro la preoccupazione che tutta questa storia vi sta facendo provare. E vi ha allontanati. »
« Hai ragione. » fece Van, annuendo.
« Cerca di dormire bene Van, domani ogni cosa potrà essere chiarita. » e Millerna si allontanò di qualche passo, certa che Van non avrebbe interrotto il sonno di Hitomi.
« Millerna. » la chiamò, a bassa voce ma certo che lei si sarebbe fermata.
Ed in fatti si volse con un mezzo sorriso.
« Grazie, davvero. »
« Non c’è di che, Van. »

 

Sapeva che ci sarebbe stato il sole, ma non pensava che anche la giornata sarebbe stata così piacevolmente calda.
Aveva dormito tutta la notte, senza fare un solo incubo, senza avere alcun sogno spaventoso. Aveva riposato fino a quando alle prime luci dell’alba, non erano arrivate le cameriere, già in ansia e trepidanti per il nuovo giorno forse sorto troppo presto per loro.
Hitomi, forse ancora mezza addormentata, visse tutto come se non fosse stata in sé. Si fece persino fare il bagno obbediente e senza fiatare.
Le cameriere continuavano a dirle che era bellissima, splendida, che il giorno era meraviglioso e che fra qualche ora sarebbe stato tutto pronto. La cerimonia avrebbe avuto luogo quando il sole avrebbe raggiunto lo zenith, anche se mancavano diverse ore, tutte si comportavano come se non ci fosse tempo e lei sapeva che ad ogni ora trascorsa, un pezzetto dell’ansia che aveva accumulato andava sciogliendosi insieme ai suoi muscoli.
Il suo cervello si riattivò quando un discorso in particolare attirò la sua attenzione.
« E non avete visto il reggente di Basram. È davvero affascinante! »
Hitomi si riscosse, quindi, cercando di non tossire per i litri di profumo che le erano stati versati addosso formulò la sua domanda.
« Quindi, alla fine sono arrivati? »
« Si, vostra altezza. E hanno portato dei doni meravigliosi, dei guymelef. »
Hitomi si fece più attenta.
« Dei guymelef? » domandò, pacata.
« Esattamente! Sono dei bellissimi guymelef ornamentali, belli quasi quanto quelli di Asturia! » la donna, era troppo eccitata sia dal suo lavoro che dal fascino del reggente di Basram da non cogliere la sua preoccupazione.
In fondo, avevano prodotto “l’arma definitiva”. Hitomi sapeva che era la cosa più vicina ad una bomba atomica che avesse mai visto in quel mondo. Solo – fortunatamente – non prevedeva le drammatiche conseguenze successive al suo utilizzo. Ricordava ancora come quella sera, mentre Merle si stringeva a lei, piangendo perché in pena per Van al fronte, aveva visto quella luce grande, immensa, lambire le acque ed illuminare il cielo come un piccolo sole nascente.
Scosse il capo: era il giorno del suo matrimonio, doveva sorridere, commuoversi ed avere strani desideri con la quale tormentare le cameriere, non era il momento di preoccuparsi.
Almeno per oggi.
Non appena finì di lavarsi, indossò il suo vestito, quindi la fecero sedere ed incominciarono ad intrecciarle il velo fra i corti capelli.
Era un lavoro laborioso perché oltre ad usare dei nastri stavano adoperando dei fiori bianchi, degli iris freschi. Hitomi sentiva il cuore batterle forte nel petto: il momento si stava avvicinando.
D’un tratto arrivò Merle, che come al suo solito si fece annunciare dallo scorrere prepotente della porta.
« Hitomi!! » corse ad abbracciarla quasi con le lacrime agli occhi.
« Merle! » esclamò la ragazza, perplessa; non sapeva proprio che cosa dire.
Le accarezzò la testa con fare affettuoso mentre la gattina si metteva lì vicino a lei.
« Sapessi quanta gente si è riunita! » cominciò così, guardandola con gli occhi pieni di gioia.
« Merle... stai bene? » domandò Hitomi, un po’ preoccupata dallo slancio d’affetto della gatta.
La gattina annuì allontanandosi di qualche passo, lanciando occhiate torve alle cameriere che le avevano lanciato sguardi di fuoco nel momento in cui aveva interrotto il loro lavoro.
« Volevo solo farti gli auguri prima di ogni altra persona. In fondo me lo merito! Sto ufficialmente dandoti il permesso di occuparti del Signorino Van al posto mio! » e Hitomi sorrise, rincuorata. Tutto stava andando nel migliore dei modi.
  
Van aveva dato ordine ai suoi ufficiali di tenere gli occhi ben aperti, di controllare ogni singolo accesso al regno e di sorvegliare i cieli fin dove i loro occhi potevano scorgere. La bella giornata sembrava essere loro favorevole, almeno in questo.
Era stata una mattina pesante anche per lui, ovviamente. Aveva dormito, poco, ma sufficientemente per poter esser abbastanza lucido, nel momento in cui gli furono portati le vesti e poté cambiarsi. Era abbastanza presto e non si era fermato un momento.
Aveva presieduto al via vai di camerieri e di donne che si affrettavano ad ultimare le decorazioni sul gazebo di legno predisposto in caso di pioggia, sembrava che non ce ne fosse stato bisogno, per fortuna, ma oramai lo avrebbero usato comunque. La mattinata era stata fresca ma con l’avanzare dell’astro lungo il cielo, l’aria si era fatta più calda, piacevole e sperò che si mantenesse così per tutto il giorno.
Il luogo dove si era svolta la sua incoronazione era del tutto rinnovato. Il gazebo ospitava delle preziose panche di legno chiaro, che avrebbe accolto la maggior parte dei nobili e degli ospiti provenienti dai regni vicini.
Non c’era abbastanza spazio per far entrare tutto il popolo, ma gli spalti che erano stati allestiti durante la cerimonia di proclamazione erano ancora stabili e gran parte della gente era stata invitata a partecipare. Il castello era gremito di gente.
Van sollevò lo sguardo, osservando il cielo azzurro. Il manto svolazzava mosso da una brezza gentile, per nulla fastidioso. Guardò il cielo e pregò ancora una volta che non accadesse niente.

Hitomi si sollevò in piedi, guardandosi nuovamente allo specchio. Nell’ampia scollatura che le lasciava il vestito all’altezza delle scapole, sembrava mancasse qualcosa.
Tuttavia Millerna ci aveva già pensato e non aveva lasciato nulla al caso.
Uno dei suoi doni di nozze consisteva proprio in quel particolare gioiello. Era una collana, non troppo corta ma che ricopriva perfettamente la porzione di pelle lasciata scoperta dal vestito. Era stata lavorata finemente ed un grosso turchese andava ad intrecciarsi al centro tra una luna ed un sole. Hitomi sorrise, pensando a come quel ciondolo in fondo le si addicesse: era sempre stata chiamata “la ragazza della luna dell’illusione”, era un simbolo molto appropriato.
Quando lo indossò ricevette numerosi sguardi di apprezzamento. Arrossì quando qualcuna fece un commento lievemente malizioso su come attirasse lo sguardo in direzione del suo seno.

Il velo che le posizionarono sulla testa non le nascondeva del tutto il viso ma aveva un lungo strascico. Il modello che aveva scelto Millerna ricordava vagamente la moda di Asturia, ma Hitomi non poté fare a meno di ammettere che il suo vestito aveva anche un qualcosa dal tratto orientale, simile agli abiti tradizionali giapponesi che aveva visto sulla Terra. Era una cosa curiosa che lo stile di Fanelia ricordasse molto il Giappone medievale: un simile influsso poteva essere generato unicamente dai viaggi che gli uomini draghi divini avevano compiuto un tempo sulla Terra e al retaggio che da essa avevano tramandato sul pianeta di Gaea da loro creato grazie al potere dei desideri.
Quando finirono definitivamente di vestirla e di farle un trucco leggero Millerna aveva gli occhi lucidi.
« Adesso sei pronta a diventare una Regina. »

Il corteo della sposa si sarebbe mosso distaccato da quello dello sposo per poi ricongiungersi nel piazzale centrale. Hitomi non aveva alcuna parentela che potesse rappresentarla, per questo aveva chiesto che fossero Merle e Millerna a venire con lei, scortate da due guardie che avrebbero portati alti gli stendardi e che sarebbero state pronte a proteggerle in qualsiasi circostanza.
Quando le guardie annunciarono che era il momento Merle si avvicinò ad Hitomi e si occupò di sistemarle il velo mentre usciva dalla stanza. Per una volta, notò, non sembrava scocciata ma lieta di essere utile. Camminando lentamente, iniziò a sentirsi impacciata.
Arrossì, sentendo un tuffo al cuore per la felicità e sperò di non fare brutta figura.

Van indossava un’armatura cerimoniale che lo appesantiva.
Il suo seguito era composto dai nuovi samurai che aveva nominato quando era stato necessario ripristinare l’ordine a Fanelia. Anche loro erano bardati in armatura pesante e con le spade al seguito. Pensò a Balgus e al fatto che avrebbe tanto voluto che fosse lì, ma forse, in quel momento il suo spirito li stava comunque osservando.
Quando arrivò sul grande piazzale notò immediatamente i nobili e i dignitari presenti che occupavano gli spalti più prossimi all’altare reale.
Individuò il reggente di Basram. Era il figlio del sovrano che aveva perso la vita nell’ultima battaglia contro Zaibach. Doveva avere l’età di Allen e per sua sfortuna non era riuscito a parlargli come avrebbe dovuto. Non vi era stato il tempo, o forse il reggente si era deciso ad arrivare all’ultimo momento di proposito, solo il giorno prima, e l’unica cosa che aveva fatto era stata quella di presentargli dei guymelef in dono.
Quell’incontro si era concluso con la reciproca consapevolezza che ogni questione sarebbe stata chiarita in quei giorni, lì dove gran parte dei sovrani si era riunita. Asturia era quanto mai coinvolta nella faccenda, giacché direttamente confinante con Basram. Van aveva compreso che sarebbe toccato a Fanelia ospitare la possibile riconciliazione dei due Regni e lui avrebbe fatto di tutto per garantire che non si arrivasse ad una soluzione bellicosa.
Il bianco scintillante attirò il suo sguardo distogliendolo dai suoi pensieri.
Si volse, attirato dalla luce del sole che rendeva ancora più bianco il vestito di Hitomi.
Rimase senza parole e per un secondo fu costretto a interrompere i propri passi, come folgorato. Sentì il frastuono delle persone del popolo che si erano lì riunite ad acclamarla.

Le guardie aprivano il corteo sventolando alti gli stendardi di Fanelia. Al centro del gruppo formato da Millerna e Merle stava Hitomi. Rimase ad osservarla attentamente, ritrovandosi senza fiato dall’ammirazione.
Era bellissima e radiosa. Ora comprendeva perché non le fosse stato concesso di vedere prima quel vestito. Era come vederla per la prima volta e al contempo riconoscerla come la compagna della propria anima.
Sul suo viso nacque spontaneamente un sorriso e da quel momento, non riuscì più a staccarle gli occhi di dosso.

Ad ogni passo l’emozione stava aumentando.
Cercava di mantenere un’andatura regolare, ma dopo qualche passo si era resa conto che stava avanzando troppo velocemente e si era avvicinata troppo alle guardie. Dunque cercò di rallentare, per rimanere sempre ad una certa distanza, anche perché non poteva lasciare indietro . Era nervosa. Le mani erano congiunte in grembo ma le sentiva tremare lievemente. Il cortile non le era mai sembrato così lontano come allora.
Quando uscì all’aperto, la luce del sole per un momento l’accecò.
Era la giornata che tutti avevano sperato di trovare quel giorno.
Qualche istante dopo, sentì le urla della gente che avevano iniziato ad acclamare la sua uscita.
Sollevò il capo ed il suo sguardo trovò immediatamente la figura di Van.
Oh, lui la stava già fissando probabilmente sin dall’inizio. Non vedeva chiaramente il suo volto a causa della distanza, ma in quel momento seppe che stava sorridendo. Lo fece anche lei.
Tu-tum.
Il fiato le si spezzò in gola.
I suoi sensi si allertarono e un brivido le attraversò la schiena.
Tu-tum.  
Il cuore mancò un battito. No, no, no. Non poteva succedere in quel momento.
Van continuava ad avvicinarsi insieme ai generali, non si era ancora accorta del suo turbamento.
« Hitomi? Che succede? »
La voce di Millerna la riscosse dai suoi pensieri. Si era fermata.
Senza riuscire a risponderle riprese quasi meccanicamente ad avanzare. Non si voltò per spiegare, i suoi occhi iniziarono a guizzare da un capo all’altro del grande cortile. Doveva capire cosa stava succedendo.
I nobili si erano alzati dai loro spalti per accoglierla.
Tu-tum.
C’era qualcosa che non andava, qualcosa sarebbe presto successa. No, no, no! Non quel giorno, non ancora una volta! C’erano così tante persone.
La sua attenzione si volse finalmente nella direzione giusta.
La stava osservando come tutti gli altri, in piedi e voltato nella sua direzione, in volto, un’espressione trionfante.

Il frastuono di un'esplosione, sovrastò qualsiasi altro suono.

 

_______________

 

Sono tornata, dopo tutti questi anni. Sono imperdonabile, non è vero? 
Non posso, però, che ringraziarvi dal profondo del mio cuore per tutto l'affetto che avete dimostrato in questi anni nel continuare a recensire la storia, pur essendo incompleta da molto tempo.
Sto cercando di finirla, dopotutto. 
In questi anni il mio stile è decisamente maturato e penso che questa storia ne segni un po' il passaggio. Rivendendo "Il Richiamo della Terra" sorrido, pensando che - effettivamente - non ero che un'adolescente alle prime armi. Non è che ora sia migliorata tantissimo, ma suppongo che noterete come anche il tema della storia sia un po' più "maturo" anche se cerco di mantenere le stesse atmosfere dell'anime originale.
Il mio obiettivo, attraverso la storia, è quello di farvi rivivere i personaggi così come li avete conosciuti. Nella mia storia è ovviamente passato del tempo e la crescita psicologica dei personaggi è inevitabile tuttavia, vi chiedo un favore personale: se ritenete che io stia andando troppo OOC avvisatemi, perché vorrei essere una burattinaia che muove personaggi che tutti conosciamo, non voglio stravolgerli più di tanto!
Un bacione e a presto! 

Usagi.

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Capitolo 6
*** Ali grigie ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


6
Ali grigie

« Fanelia, la terra protetta dai Draghi, è stata condotta alla rovina da colui che dai draghi ha ereditato il sangue.»



L’esplosione fu così forte che gran parte delle persone persero l’equilibrio e caddero.
Bastarono pochi attimi perché si generasse il caos.
Van restò immobile per qualche istante, sovrastato da quanto stava accadendo. I generali al suo fianco sguainarono immediatamente le spade. Il suo primo pensiero fu di raggiungere Hitomi.
Millerna era caduta e Merle stava cercando di sollevarla, impacciata anche lei dalle sue vesti eleganti e troppo lunghe a cui non era di certo abituata. Hitomi era stata immediatamente accerchiata dalle guardie che si trovavano nelle sue più immediate vicinanze. L’ordine era che la conducessero al sicuro, ma i soldati erano disorientati da tutta quella confusione. Van non fece in tempo a cercare di avvicinarsi ad Hitomi che al centro del piazzale piombarono i guymelef ornamentali di Basram. Non avevano mantelli come quelli di Zaibach ma erano comunque in grado di volare. Erano stati tratti in inganno. Gli energyst che li alimentavano erano stati adeguatamente camuffati per non essere visti, fino a quel momento.
Non c’era più alcun dubbio.
Tutto questo era familiare. Era stato lo stesso attacco che Zaibach aveva ordito contro Asturia, rompendo l’alleanza nella maniera più vigliacca possibile. Piombando contro di loro durante le nozze della Principessa Millerna. Avevano usato la stessa tattica di allora. Aveva visto lui stesso quelle armature, non sembravano possedere degli energyst. Le gemme ornamentali dovevano essere state sostituite durante la notte.
« Maestà, dobbiamo prendere i nostri guymelef! »
L’urlo dei suoi generali lo scosse. Non poteva permettersi di indugiare ulteriormente, doveva rispondere all’attacco.
Volse uno sguardo alla ricerca di Hitomi. Tutto il drappello che l’accompagnava non c’era più.
Neanche lei. Chiamando l’Escaflowne, sentì il legame con il Drago riattivarsi con forza.

Una delle guardie la prese per un braccio e cominciò a condurla lontano da lì.
Cercò di protestare ma fu inutile, non riuscì neanche lei stessa ad udire le proprie parole.
Si era appena allontanata dal cortile insieme a Millerna e a Merle e già iniziava a sentire i suoni del combattimento.
Come era potuto accadere?
L’intuizione era arrivata subito dopo.
I guymelef ornamentali che Basram aveva portato in dono. Aveva visto distrattamente le grandi armature piombare nel cortile poco prima che venisse portata via. Il frastuono era stato ancora più forte del precedente e aveva fatto scatenare il panico.
« Dove sarà Dryden? E il principe Cid?! Erano proprio lì quando sono piombati i guymelef! »
La voce preoccupata di Millerna la raggiunse. Anche lei veniva scortata dall’altra guardia, Merle riusciva a stare comunque dietro ed era visibilmente preoccupata.
Nonostante si stessero allontanando dal fulcro della battaglia, molte persone avevano iniziato a correre in tutte le direzioni rendendo difficoltoso scappare.
Tutti loro si aspettavano un attacco imminente, ma niente avrebbe potuto far credere loro che avrebbero utilizzato una strategia di quel tipo. In fondo, il reggente di Basram era proprio lì, in mezzo alla folla, in mezzo a tutti gli altri.
Hitomi continuò a correre, mentre nonostante il panico cercava di continuare a pensare.
« C’erano molte guardie, vedrai che staranno bene anche loro. »
La propria voce non riuscì a convincere neanche lei stessa.
Si sentì un nuovo frastuono che fece tremare le mura del castello.
La battaglia era già iniziata.

A niente era valsa la preoccupazione di mettere i guymelef di Basram lontani da dove si sarebbe svolta la cerimonia. L’inganno era stato orchestrato bene, persino per lui, che aveva tentato con ogni modo di proteggere il suo castello.
Sollevandosi in volo, sentì l’Escaflowne pulsare di energia. Condivideva la sua rabbia e la sua frustrazione.
Dall’alto, riuscì a vedere la situazione con maggiore chiarezza.
Dei sei guymelef che erano piombati nel cortile, due si erano appena librati in volo per inseguirlo. Cercò di pensare a mente lucida faticando a riconoscere quella tecnologia.
Era la stessa che aveva sviluppato Zaibach e al contempo c’era qualcosa di diverso. Le armature erano più piccole e quello era stato il principale fattore che era riuscito a trarli in inganno, innanzitutto. Non aveva mai visto dei guymelef così piccoli funzionare. Uno di loro era grande meno della metà del suo Escaflowne, questo però li rendeva inevitabilmente più agili.
Il gazebo e l’area dove avrebbero dovuto svolgersi le nozze erano già in fiamme. Furioso, iniziò subito ad ingaggiare battaglia con il primo guymelef che era stato in grado di raggiungerlo.
Direzionando l’Escaflowne in modo da sferrare un fendente orizzontale contro l’armatura nemica, questa riuscì ad allontanarsi di colpo. Van realizzò in quel momento che essi non avevano alcuna arma con cui attaccarlo. Con un insperato vantaggio, Van tentò con tutte le sue forze di sferrare attacchi multipli, ma non riusciva ad andare a segno. Come aveva temuto, il guymelef di Basram, rossi come quelli che al tempo aveva pilotato il miglior condottiero di Zaibach, era estremamente veloce.
Venne raggiunto da un altro guymelef che si posizionò accanto al compagno. Anche lui era privo di arma, restarono semplicemente fermi, in aria, in attesa di una sua mossa.
A Van non importò e continuò ad attaccare.

La prima reazione che aveva avuto Dryden era stata quella di prendere con sé suo nipote, il Principe di Freid e allontanarsi dal pericolo incombente.
Non aveva potuto fare a meno di notare che allo scoppiare del caos, una sola persona era rimasta ferma, immobile, a continuare ad osservare in direzione di Hitomi.
Rakos Athiss di Basram.
Il reggente di Basram, colui che era riuscito abilmente a sottrarsi al confronto e che si era presentato tranquillamente in quell’evento. La tranquillità che aveva visto nel suo sguardo e la soddisfazione nel suo volto erano stati così evidenti che Dryden si sorprese di quanto fossero stati tutti degli ingenui a lasciare che si fidassero di lui.
Aveva compiuto delle ricerche su quell’uomo e aveva provveduto ad informare anche Van di quello che era stato il passato di quell’uomo. Nonostante la scarsità di informazioni al riguardo, Rakos aveva lasciato il suo regno per andare a studiare la tecnologia Zaibach e diventare un alchimista al servizio di Folken Fanel.
Van aveva annuito gravemente, e gli aveva mostrato un oggetto curioso che aveva ricevuto dall’uomo camaleonte.
Nonostante la sua curiosità, Van aveva spiegato che quell’oggetto apparteneva a nient’altri che a suo fratello.
Il Re di Fanelia aveva visto con i propri occhi la morte del fratello e lo aveva seppellito lui stesso.
Quello che vide lo sconcertò.
Rakos si levò la parte superiore della sua elegante tunica e restò a torso nudo.
Qualche istante dopo, sul dorso sbucarono delle ali, le stesse di quelle di Van, ma di un colore diverso.
Erano grigio scuro.
Prima che potesse dire o anche solo pensare a qualcosa, Rakos aveva allargato le spalle e aveva spiccato il volo.

Hitomi fu costretta ad arrestarsi quando raggiunsero la foresta alle spalle del castello.
Con il fiatone e i piedi doloranti per aver corso con scarpe non adatte alla fuga le guardie allentarono il passo e si guardarono intorno.
« Non preoccupatevi vostra altezza, qui sarete di certo più al sicuro che dentro il palazzo. »
Strinse i pugni, cercando di calmare la sensazione di oppressione nel petto.
I suoni della battaglia si erano fatti più lontani ma di certo il caos aveva procurato ingenti danni e chissà quanti feriti.
« Millerna, stai bene? »
La voce di Merle la riscosse dai suoi pensieri. Millerna si era stretta alla gatta e stava tremando.
« E’ stato come quella volta, ad Asturia. »
Hitomi comprese immediatamente e sbarrò gli occhi. Comprese immediatamente la paura nello sguardo di lei. In quell’occasione Dryden era stato ferito gravemente e c’erano stati molti morti. Il motivo per cui i soldati della fortuna potenziata erano arrivati a seminare tanta distruzione era per trovare lei. Era riuscita a fermarli solo quando aveva deciso di andare con loro, ponendo fine alla battaglia.
Doveva essere preoccupatissima per le sorti di suo nipote e per quelle di suo marito. Non potevano di certo prendere parte alla battaglia come di certo aveva fatto Van.
Van. Chissà contro chi stava combattendo.
Contrariamente alle sue preghiere e alla sua volontà, ogni cosa si era svolta nel peggior modo possibile.
Sentì sfrecciare qualcosa oltre gli alberi. Vide la sagoma dell’Escaflowne nel cielo sfrecciare in direzione delle montagne. Poco dopo vide altri due guymelef rossi intenti ad inseguirlo.
La preoccupazione le serrò il respiro.
« Signorino Van! »
Merle aveva urlato, ma le guardie la intimarono di tacere.
Si voltò, udendo un fruscìo nell’erba.
« Dobbiamo nasconderci nel fitto della foresta, così ci è stato detto da sua Maestà. »
Millerna annuì e dopo aver recuperato un po’ del suo coraggio iniziò ad avanzare.
« Hitomi? »
Sentì il suono della sua voce, ma Hitomi rimase immobile, incapace di parlare. Millerna, Merle e le guardie seguirono il suo sguardo.

Si portò una mano alle labbra, incapace di credere a ciò che i suoi occhi stavano vedendo.
Il reggente di Basram stava d’innanzi a loro. Le ali spalancate. Hitomi indietreggiò di un passo e quando le guardie reagirono, immediatamente si frapposero fra di loro con le spade alte e rivolte verso l’uomo.
« Quelle ali! » era stata Merle a parlare, in un soffio, visibilmente scioccata anche lei.
Millerna stava trattenendo il fiato, come lei.
« Vieni con me, Hitomi. » sollevò una mano, con la stessa tranquillità di chi offre un ballo.
« Voi non siete forse il reggente di Basram? » chiese una guardia, ma l’uomo lo ignorò.
Hitomi notò che era disarmato.
« Che cosa vuoi da Hitomi? » esclamò Merle, muovendo un passo. Era stata l’unica in grado di rispondergli.
L’uomo rivolse a malapena uno sguardo di sfuggita alla donna-gatto e incurvò le labbra in un sorriso sghembo.
Le guardie lo attaccarono simultaneamente, ma le loro spade s’infransero contro qualcosa d’invisibile. Con una sottile vibrazione, l’uomo camaleonte riapparve, proprio come se fosse stato sempre lì, invisibile agli occhi. Aveva due pugnali fra le mani e il suo corpo era totalmente nudo e pronto al combattimento. Iniziò a fronteggiare le guardie, in simultanea.
Millerna si accostò a lei. « Devi scappare, adesso. »
Hitomi si guardò intorno, osservando la foresta aprirsi d’innanzi a lei. Quante probabilità aveva di sfuggirgli?
L’uomo, forse intuendo i suoi pensieri, mosse un passo in sua direzione. Merle cercò di avventarglisi addosso, tentando di graffiarlo. Finì sul suo braccio, ma non fece in tempo ad utilizzare il suo stesso slancio che questo la scaraventò di lato, facendola rovinare al suolo.
« Merle! » Hitomi cercò di andare verso di lei, ma Millerna la trattenne afferrandola per le braccia.
« Vai! Adesso! » le disse, portandosi davanti a lei. Hitomi non riuscì a muoversi e la Principessa di Asturia si voltò per guardarla. « Guadagneremo tempo per Van, vai! » le attraversò l’ombra di un sorriso, un misto di fiducia e preoccupazione al contempo che costrinse Hitomi a voltarsi.
Iniziò a correre, sollevando la veste fin sopra le ginocchia.
Non si voltò indietro, e iniziò a prendere una strada non ben definita. Il suo unico scopo era quello di infilarsi dentro gli alberi e perdersi nel fitto della foresta, così da rallentare la sua inevitabile cattura. Ignorò il dolore che i propri piedi stavano provando e l’urgenza la spinse a dare fondo alle sue energie e alla sua velocità.
Van! Aveva bisogno di lui. In fondo, lei non aveva alcun potere che avrebbe potuto fermare quell’uomo.
Non c’erano più dubbi su chi fosse il vero nemico da fronteggiare.
Quelle ali... erano le stesse di Van. Come poteva essere possibile?

Aveva abbattuto uno dei guymelef semplicemente andandosi a scontrare all’ultimo momento e facendolo precipitare in direzione della foresta. L’altro continuava a braccarlo e ad inseguirlo, senza però contrattaccarlo. Era una strategia logorante e che non stava portando ad alcun risultato da entrambe le parti. Gettando uno sguardo dal basso, i suoi uomini e lo Scheherazade di Allen stavano fronteggiando gli altri quattro nemici che erano rimasti al suolo. Notò che quest’ultimi stavano ingaggiando battaglia con delle spade lunghe e grandi più delle armature stesse.
C’era qualcosa che non andava.
Perché non lo stavano attaccando, limitandosi soltanto a seguirlo e a difendersi?
Il caos che era scoppiato aveva disperso le sue forze e concentrato i suoi uomini a difendere il castello. Apparentemente, la battaglia era concentrata lì nel cortile interno, ma allora...?
Con un timore crescente, andò in picchiata, avvicinandosi pericolosamente verso il terreno.
« Van! Van! »
Vide le braccia sollevate di Dryden cercare di attirare la sua attenzione in un angolo del cortile. Cercò di muoversi verso di lui ma il guymelef rosso glielo impedì.
Non aveva altra scelta, comprese. Doveva attaccarlo. Quello, semplicemente, tornò a difendersi rimanendo a debita distanza in modo da evitare i suoi colpi.
Anche qui, doveva cercare di essere più veloce di lui. Il nemico doveva aver compreso che avrebbe di certo usato la tattica che aveva portato l’Escaflowne ad abbatere il suo compagno, e si tenne ben cauto. Tentando di trovare un’apertura a destra, qualcosa attraversò il suo campo visivo.
Sconcertato, sbatté gli occhi per accertarsi che quello che vedeva fosse reale.
Piume. Proprio come quelle sue, ma grigie, simili a quelle che aveva avuto suo fratello.
Con disperazione crescente, comprese. Era stato ingannato. Tutti loro lo erano stati.
Hitomi!
Volgendo lo sguardo in direzione della foresta vide una sottile striscia di fumo sollevarsi lì dove era precipitato il guymelef. Aveva dato ordine affinché Hitomi venisse condotta verso le montagne oltre la foresta.
Come aveva potuto essere così stupido?!
« Più veloce, Escaflowne!! » urlando, l’Escaflowne ripiegò le ali all’indietro e l’energyst verde brillò di energia lasciando una scia di luce. L’aumento della velocità rischiò di rimandarlo indietro, proprio come quando era riuscito a fuggire da Zaibach portando Hitomi e Allen con sé.

« Merle! Merle, rispondimi! »
La voce di Millerna la riscosse dal suo sonno. « Cosa? »
La Principessa di Asturia tirò un sospiro di sollievo. « Meno male, non sei ferita. Le guardie non sono state altrettanto fortunate. »
La donna-gatto si sollevò sulla schiena guardandosi intorno. Le due guardie erano riverse a terra, ferite, ma ancora vive.
« L’Escaflowne è qui! Hitomi? »
Millerna scosse il capo. « Van è andato a cercarla. »
Solo in quel momento Merle si accorse delle piume bianche che vorticavano lievemente intorno a loro, posandosi sul terreno.

Non seppe per quanto tempo corse, ma sapeva che non sarebbe potuta andare lontano. Il vestito si era infine lacerato in più punti e le scarpe le si erano sfilate e stava correndo scalza.
Millerna, Merle: chissà come stavano. Le aveva lasciate indietro nonostante non avesse voluto farlo davvero.
Sbattè contro una pietra e il dolore alle dita la fece urlare di dolore ed inciampare. Finì al suolo, con le mani in avanti a coprire la faccia. L’erba riuscì ad attutire l’impatto, in qualche modo.
Cercò di rimettersi in piedi e sbattè contro qualcosa. Soffocando un’esclamazione si trovò ai piedi dell’uomo camaleonte.
Quello rimase fermo al suo tentativo di allontanarsi, perfettamente calmo.
« Non ha più senso fuggire. »
Si voltò dal lato opposto: il reggente di Basram stava di fronte a lei, con le ali grigie spiegate.
« Che cosa avete fatto a Millerna e a Merle? »
L’uomo la guardò come se fosse sinceramente sorpreso di quella domanda.
« Non è mia intenzione fare del male a chi non può difendersi. Eppure, devo rimuovere gli ostacoli sul mio cammino. »
Hitomi spalancò gli occhi e perse colore sul volto.
« Non ho fatto loro del male, se è questo che vi preoccupa, Hitomi Kanzaki. »
C’erano molte cose che la preoccupavano, ma a quel punto non aveva più importanza.
« Il mio nome è Rakos, sono il reggente di Basram. »
Hitomi riuscì a sollevarsi in piedi. Alle sue spalle l’uomo camaleonte restava silenzioso, in attesa.
Van. Van!
« So chi siete. Non dovreste avere quelle ali. »
« Infatti, ma attraverso la forza dei propri desideri il destino può essere cambiato. »
Hitomi si sentì raggelare. L’uomo aveva corti capelli scuri e occhi color del mare in tempesta. Nonostante quello che le stava dicendo con molta calma, riusciva a percepire una forte volontà dietro le sue parole.
« Come hai fatto? » chiese, muovendo un passo laterale. Lui volse uno sguardo alle sue spalle. L’uomo camaleonte con uno scatto le serrò le braccia con le sue fredde mani. L’aveva bloccata.
« Lasciami andare! »
« Mi dispiace costringervi contro la vostro volontà, ma sono certa che cambierete idea una volta che saprete ogni cosa. » Rakos di Basram sembrava davvero contrito e il suo tono era calmo.
Hitomi cercò di divincolarsi, ma la presa dell’uomo camaleonte era ferrea.
« Non opponete resistenza, Prescelta. » il tono neutro dell’uomo camaleonte riuscì a dissuaderla da ulteriori tentativi. Stava solo facendosi del male.
Van. Dove sei?
« L’imperatore Dornkirk era un terrestre, proprio come voi. »
Hitomi lo sapeva già, ma si stupì comunque che una simile verità fosse a lui conosciuta da quell’uomo.
« Egli credeva erroneamente di poter usare e controllare il potere di Atlantide per i suoi scopi. Era ossessionato dal destino e dalla possibilità di prevederlo e controllarlo. Tuttavia, con quel suo corpo, non avrebbe potuto fare altro che guardare. » lo vide sorridere e seppe che Rakos di Basram lo aveva odiato fino a quando l’Imperatore di Zaibach aveva avuto vita.
Hitomi continuò ad ascoltarlo.
« Aveva compreso che voi foste l’elemento indeterminante, ma non aveva mai pensato alle implicazioni di un simile potere. »
Hitomi scosse il capo. « Che cosa volete dire? »
« Non possiamo controllare il potere di Atlantide, ma possiamo far rinascere quelle antiche linee di potere, la stirpe degli uomini che crearono questo pianeta con la forza dei loro desideri. È solo un altro modo, per arrivare al medesimo scopo, quello più sicuro. »
Che cosa?!

L’uomo camaleonte si volse di scatto verso il fitto della foresta percependo l’arrivo di un attacco imminente. Qualche istante dopo emerse la figura di Van, con le ali spiegate e con la spada in pugno, pronto ad attaccare per liberare la ragazza che tratteneva contro la sua volontà. « Hitomi! »
Le si voltò. « Van! » sorpresa, cercò di divincolarsi ancora una volta ma l’uomo camaleonte la rinnovò la stretta sulle sue braccia, impedendole di muoversi. Cercò di allungare le braccia, senza alcun risultato.
Vide Van caricare direttamente l’uomo-camaleonte con tutto il suo corpo nel tentativo di liberarla, grazie alla spinta delle ali aveva acquisito nuova velocità ma non servì. La creaturà non poté far altro che lasciarla andare, ma la sua libertà durò ben poco. Si ritrovò tra le braccia di Rakos, afferrata per le spalle. Lui aggrottò le sopracciglia e lo vide scuotere il capo, senza nulla dire.
La spada di Van incontrò il vuoto: l’uomo-camaleonte era riuscito a spostarsi in tempo. Il Re di Fanelia però stava guardando in un’altra direzione.
« Lasciala andare immediatamente! »
Rakos allargò le sue ali. Hitomi comprese che voleva fuggire anche lui in quel modo, utilizzando le sue ali.
« Lasciami andare, non verrò con te! »
Rakos abbassò le mani, fino a raggiungerle la vita. La strinse all’altezza dello stomaco. Sentì le gambe cederle dalla paura.
Van continuava a lanciarsi contro l’uomo camaleonte. Il volto era contratto in una smorfia di preoccupazione e al contempo di determinazione. Sapeva di essere in minoranza e che il suo avversario stava tentando di guadagnare tempo per favorire la fuga del proprio padrone. Tuttavia, non aveva la minima intenzione di arrendersi.
Hitomi non aveva smesso di dibattersi, nel tentativo di guadagnare la libertà. La presa di Rakos però, era estremamente salda. Tuttavia, cominciò a prendersi di panico. Comprese di avere poco tempo e di non avere molte speranze quando i suoi gesti iniziarono a divenire disperati.
Quello sarebbe dovuto essere il giorno più lieto della sua vita. Niente avrebbe dovuto turbare quella pace. Sapeva di essersi impegnata tanto per ottenerla e che a quel punto aveva meritato il periodo di serenità dopo la guerra contro Zaibach e il destino di distruzione che ne era seguito. Quell’uomo non era poi tanto diverso dall’Imperatore Dornkirk. Aveva uno sguardo audace ma al contempo era dominato da una estrema calma che lo rendeva sicuro delle sue azioni e certo della sensatezza delle motivazioni che si celavano dietro i suoi desideri. Anche lui, come avevano tentato altri prima, avrebbe cercato di utilizzarla per i suoi scopi, senza neanche tenere in considerazione la propria volontà? Era inaccettabile. Se esisteva davvero un destino maledetto su Gaea, quello era il suo. Perché, perché doveva essere costretta ad essere al centro dei conflitti?
“E’ inconcepibile! Non potete prendere in sposa un’appartenente alla stirpe maledetta!”
“Gli uomini draghi divini sono le creature demoniache che segnarono la fine di Atlantide.”
“Volete che anche Fanelia vada incontro alla distruzione?”
“Non possiamo approvare assolutamente questo matrimonio, Vostra Maestà.”

Era per quello. Comprese, mentre rivedeva i volti dei consiglieri del padre di Van, Gou Fanel, osteggiare le pretese del Re. Il padre di Van aveva amato profondamente Varye, al punto tale da sfidare le leggi e le tradizioni pur di farla divenire la sua regina. Folken e Van erano nati da quell’unione, ereditando le ali e metà della discendenza della stirpe degli uomini-draghi-divini. In fondo, intuì, cos’era lei stessa? Una terrestre, proprio come lo erano stati gli uomini che per mezzo dei loro desideri erano stati in grado di farsi crescere delle ali sul dorso. Lei, come loro, non apparteneva a Gaea.
Per questo motivo ogni volta che provava a restare con Van qualcosa arrivava puntualmente ad ostacolarli.
Rakos si tese, pronto a spiccare un salto per darsi lo slancio.
« Hitomi, no!! » vide Van volgersi verso di lei, cercando con tutte le sue forze di raggiungerla, ma lo sapeva benissimo che l’uomo-camaleonte non gli avrebbe concesso terreno.
Sentendosi completamente incapace di reagire, venne vinta dalla disperazione. Sentì le lacrime iniziare a bruciare, impigliate fra le sue ciglia.
“Io non voglio essere protetta se le condizioni sono queste!”
La luce emessa dal suo ciondolo illuminò ogni cosa.
Tuttavia, fu in grado anche di creare una forza propulsiva. Sentì l’energia provenire dal centro del suo petto e scagliarsi con forza in avanti, facendola urlare per lo sforzo.
La presa contro di lei venne meno e sentì la voce familiare di Van urlare qualcosa in sua direzione. Probabilmente la stava chiamando. Cercò di aprire gli occhi, ma la luce era troppo intensa anche per lei. Stava succedendo nuovamente, si disse. Quella era la stessa colonna di luce che avrebbe potuto portarla a casa, sulla terra. Sentì una fitta da qualche parte, al centro del petto. L’essenza di Gaea che abitava dentro di lei si riscosse.
Sentì formulare dentro di sé una domanda, la stessa essenza gli diede una risposta.
E poi, lo vide.
Il destino che Rakos di Basram voleva costruire attraverso la volontà espressa dalla forza del proprio desiderio.
La Valle dell’Illusione ricostruita, dotata di nuova prosperità. Il vociare allegro degli abitanti che conducevano serenamente le loro vite. Ognuno di loro aveva un paio d’ali, candide come la neve. E poi, comprese. C’era anche la Torre. La torre che accentrava il flusso della loro energia, la stessa energia che dava vita a tutta Gaea.
La carta della torre.
La distruzione.
Di quel futuro lei ne avrebbe fatto parte? E Van?
No, si disse. Quello non era che una pallida imitazione di un passato le cui conseguenze erano destinate a ripetersi, in ogni caso.
Fluttuando in quello spazio senza tempo, Hitomi vide le fiamme sollevarsi, la torre colpita da un fulmine e distruggersi. Il caos iniziare a dilagare e a divampare per tutto il pianeta.
« Non voglio più vedere queste cose. »
Dirlo per l’ennesima volta, suonò inutile persino a lei. Non servì comunque a placare il dolore alla vista di tutta quella morte. Servì solo a renderla furiosa.
Oramai aveva compreso che per quanto potesse odiarlo, le visioni sarebbero arrivate comunque, cariche di significati che sul momento risultavano incomprensibili.
Doveva esserci un motivo per cui quella visione, su tutte, continuava a mostrarsi con tanta forza.
Una luce attirò il suo sguardo e comprese che quella era la via per uscire fuori da quella visione.
La prese, senza indugiare.

L’impatto era stato così forte che era stato coinvolto anche lui.
Era stato sbalzato a terra a diversi metri di distanza da dove aveva combattuto l’uomo camaleonte.
La luce aveva brillato per pochissimi secondi, ma lui aveva visto da dove questa provenisse. Il ciondolo di Hitomi.
Riaprire gli occhi gli costò molta fatica e sforzo. Non aveva mai visto una tale energia sprigionarsi con tale intensità dalla ragazza. La testa era pesante e gli occhi impiegarono qualche secondo in più per rimettere a fuoco l’ambiente.
Vide la foresta sopra di lui e cercò di ignorare il fatto che la testa gli girasse e che il suo corpo fosse come intorpidito. Rimettendosi seduto si guardò intorno, alla ricerca febbrile di Hitomi. Nonostante la confusione che aveva rallentato i suoi movimenti, la lista delle sue priorità era estremamente chiara.
Non impiegò molto a trovarla.
Poco dopo, sentì la sua ira crescere.
Vide Rakos piegarsi per afferrare Hitomi dalla schiena e sotto le spalle. Era svenuta.
Lui era perfettamente incolume. Comprese subito il perché. L’uomo camaleonte, all’ultimo momento, aveva ignorato il pericolo costituito dal Re di Fanelia ed era riuscito a frapporsi fra il suo padrone e la grande energia, venendo colpito in pieno. Protetto in quel modo, Rakos di Basram era stato il primo a sollevarsi in piedi e a reagire. Non degnò neanche uno sguardo al compagno riverso a terra che si era sacrificato per lui.
L’uomo camaleonte giaceva riverso al suolo, privo di conoscenza.
Non portarla via. No!
Digrignando i denti per la rabbia tentò di puntellarsi con la spada che aveva fortunatamente ancora in mano.
« A-Aspetta. »
Barcollando, cercò di rimettersi in piedi.
Rakos si voltò, degnandogli a mala pena di metà del viso e un quarto della sua attenzione.
Lo sottovalutava, comprese. Lo sottovalutava nonostante fosse stato così vigliacco da farsi proteggere da un uomo camaleonte.
« Non ti permetterò di portarla via. »
Vide nel suo volto l’accenno di un sorriso.
« So perfettamente che intralcerete i miei piani, Re di Fanelia. È per questo che vi ho sfidato qui, nel cuore del vostro regno, per farvi comprendere che io non vi temo. »
« Maledetto! Quelle ali... »
« Vi ricordano quelle di vostro fratello non è vero? »
Van trasalì.
« Anche queste diverranno nere e mi condurranno alla morte. Ma io, a differenza di vostro fratello, so già cosa desidero e come impiegare il tempo che mi rimane. Attraverso questa ragazza riuscirò a ricreare la stirpe di Atlantide e allora, sarò in grado di ricreare quel mondo meraviglioso senza che esso venga corrotto dall’avidità. »
Van, incredulo, mosse un passo. Cercò di trascinarsi, ma il potere che Hitomi aveva riversato, certamente per tentare di proteggersi, gli aveva quasi fatto perdere conoscenza, adesso era completamente inutile. Avrebbe dovuto guadagnare tempo.
« Tu sei completamente pazzo, proprio come l’Imperatore Dornkirk prima di te. È una follia. »
Rakos scosse il capo.
« Ed è qui che vi sbagliate, Vostra Maestà. » rispose, con tono calmo. Hitomi giaceva immobile fra le sue braccia e non dava segni di risveglio. « Ho tentato di seguire le orme di vostro fratello, ma egli era troppo superbo per accogliere uno degli alchimisti di Zaibach al suo fianco. Così, ho atteso, con pazienza. Fino a quando non l’ho visto precipitare, nell’insulso tentativo di uccidere colui che lo aveva creato. È stato allora che ho avuto la mia occasione. »
Van avrebbe voluto avere più forza per poterlo attaccare e farlo tacere definitivamente. Riuscì solo a tenersi in piedi, pregando che arrivasse qualcuno al più presto.
Rakos si preparò a sollevarsi in volo, dando un colpo di ali per assestarsi.
« Fermo! »
Ma lui lo ignorò e pose fine in quel modo al breve scambio.
Con uno slancio, le ali si allargarono e sferzarono l’aria concedendogli un movimento in verticale che iniziò a sollevarlo per qualche metro di distanza.
Le sue ali, invece, erano ripiegate e pesavano dolorosamente sulla schiena. Sollevando un braccio, colmo di disperazione, finì per ricadere sulle ginocchia, urlando il nome della donna che amava.
Non poté fare altro che lasciare che la portasse via, straziato per essere stato, di nuovo, inutile.
Con gli occhi umidi di lacrime, Van si lasciò andare al suolo, cadendo sulle ginocchia, le mani strette in pugno. Continuò a sfogare la sua frustrazione e la sua disperazione, battendo i pugni chiusi sul terreno e urlando lì, ai margini della foresta dei draghi. 
Le piume grigie iniziarono a vorticare intorno a lui ricadendo delicatamente al suolo.
Tra le dita della sua mano destra, però, si era ritrovato il ciondolo di Hitomi. Avrebbe dovuto averlo lei, al collo.
Non emetteva più alcuna luce.

« E’ stato un atto di guerra, vostra Maestà! »
« Questa volta Fanelia non si piegherà più nell’attesa di essere salvata dai regni alleati! »
« Rapire la vostra promessa sposa nel giorno delle vostre nozze rappresenta il peggior affronto che un sovrano alleato possa compiere! »
« Dobbiamo prepararci alla battaglia! Asturia e il Principato di Freid saranno certamente al nostro fianco! »
« Non avremmo mai dovuto fidarci di Basram! »
Van continuava ad ascoltare tutto, senza pronunciare una parola.
Il consiglio si era riunito quasi subito, non appena era stata ristabilita una relativa calma.
I danni al castello erano stati minimi, i feriti pochissimi, per miracolo non era perito nessuno. Con il diffondersi della notizia della scomparsa di Hitomi, portata via dal Reggente di Basram, era stato subito chiaro come il sole che l’attacco altro non era stato che un pretesto per seminare il panico e permettere di rapire la futura regina. Il loro piano di sicurezza aveva rappresentato la falla più grande. Portare Hitomi lontano dal luogo della battaglia era stato stupido. Avrebbe dovuto tenerla vicino, non importa quante guardie avesse avuto intorno. Non avrebbe dovuto lasciarla da sola.

A Dryden era stato concesso di partecipare al Consiglio in rappresentanza di Asturia e Allen si era unito su espressa richiesta del Principe Chid, che si era slogato una gamba, durante la fuga. Aveva avuto completa fiducia nel Cavaliere Celeste, certo che avrebbe saputo dare il suo contributo anche in assenza del Sommo Voris che non aveva alcuna intenzione di lasciare le cure del suo principe a nessun altro.
Il silenzio del Re di Fanelia era più eloquente di qualsiasi parola. Allen poteva solo lontanamente immaginare quali fossero i pensieri di Van, in quel momento. Era per questo che non aveva ancora detto niente, certo che quella sofferenza non avrebbe tardato a manifestarsi. Van era maturato molto se in qualche modo era riuscito a mettere da parte i suoi sentimenti e a sforzarsi di comportarsi come un sovrano. Ai tempi di Zaibach sarebbe di certo salito sul suo Escaflowne e avrebbe inseguito gli assalitori in capo al mondo, ma i suoi atteggiamenti erano cambiati molto da quando era ritornato a proteggere il suo regno. Era proprio per Fanelia che adesso Van doveva restare, a proteggere prima di tutto il suo popolo.
« Ho già mandato i miei emissari a Palace affinché avvisino dell’imminente pericolo. Saremo pronti a fare la nostra parte e saremo pronti a respingere gli invasori. »
Il Cavaliere Celeste si voltò. Era stato Dryden a parlare.
Van avrebbe dovuto dire qualcosa a quel punto ma si sollevò in piedi, poggiando entrambe le mani sul tavolo.
« Rakos di Basram ha gli stessi folli piani dell’Imperatore Dornkirk ed essendo stato un alchimista al servizio di Zaibach non si esclude che possieda la conoscenza tecnologica per realizzare i suoi piani. » la sua voce calma destabilizzò l’atmosfera del consiglio. Il Re di Fanelia era... svuotato di ogni energia mentale oltre che fisica.
Allen fece un passo avanti, annuendo.
« Confermo quanto detto da sua Maestà. I guymelef che abbiamo affrontato oggi ne sono un esempio. Essi non sono concepiti per l’attacco ravvicinato ma possiedono una velocità che supera di gran lunga i modelli costruiti per fronteggiare l’Escaflowne. »
Non disse che uno di quelli, il guymelef rosso che aveva portato la distruzione proprio in quel luogo, era stato pilotato da sua sorella, nei panni di Dilandou Albatou, si trovò a stringere le mani cariche di frustrazione.
« La principessa Hitomi potrebbe diventare una merce di scambio per soddisfare le pretese di Rakos di Basram. Non possiamo concedergli un simile vantaggio. Dobbiamo trovare il modo di liberarla. »
Van abbassò il capo, le mani strette in pugno non si mossero dal tavolo.
« I prigionieri? »
Fu uno dei generali a parlare.
« Non hanno ancora ripreso conoscenza. Alcuni di loro sono rimasti feriti. L’uomo illusore è incolume, ma non ha ancora ripreso conoscenza. »
Van fu glaciale. « Occorre comprendere le intenzioni di Basram. Quando saranno pronti per essere interrogati fatemelo sapere. »
Si mosse per raggiungere l’uscita, senza degnare di uno sguardo alcuno.
Alcuni dei samurai di Fanelia si guardavano tra loro, altri scossero la testa ma nessuno decise di aggiungere altro.
Anche loro riuscivano a capire quali fossero i sentimenti del loro sovrano.

« Signorino Van. »
La voce di Merle lo riscosse dai suoi pensieri. Era già il tramonto. Un intero giorno era trascorso, in un modo o nell’altro.
« Merle. » si volse, guardando la ragazza gatto con il capo chino e le mani intrecciate all’altezza dello stomaco in una posizione contrita.
« Non sono stata in grado di mantere la promessa che vi ho fatto, Signorino Van. » la gatta era sul punto di piangere.
Van scosse il capo e si fece vicino. « Non è colpa tua, anche Millerna ha detto che hai fatto del tuo meglio, adesso non dovresti fare altro che riposare. »
Merle sollevò finalmente il capo, gli occhioni ricolmi di lacrime che cercava di trattenere.
« Perché quell’uomo aveva le vostre stesse ali? »
Van non rispose immediatamente, strinse i pugni.
« Temo che quell’uomo abbia utilizzato su di sé la macchina di mutazione del destino, proprio come l’Imperatore Dornkirk ha fatto con mio fratello. »
Merle sobbalzò, sorpresa e sconcertata dalle parole.
« E questo che cosa significa? »
« Che non discende dal popolo di Atlantide come mia madre o me. Ha tentato di assumerne le sembianze, utilizzando in qualche modo mio fratello e la macchina di modifica del destino di Zaibach. »
Merle spalancò la bocca e non riuscì a parlare. Se la sorella di Allen era stata tramutata in un uomo a seguito degli esperimenti che gli alchimisti di Zaibach avevano praticato su di lei, quell’uomo – che altri non era che uno di loro – cosa era stato in grado di fare con il corpo di Folken?
Lei non era stata presente durante gli eventi della guerra, ma sapeva chiaramente cosa era successo.
« Dobbiamo liberare Hitomi, non possiamo lasciarla nelle mani di quell’uomo! » cercò di non pensare volutamente a cosa avrebbe potuto farle.
Van annuì, ma non replicò.


« L’avrà condotta a Basram? »
« Non è da escludere, ma sarebbe una scelta troppo ovvia. Dobbiamo scoprire se i piloti dei guymelef che ci hanno attaccato conoscevano i piani del loro comandante. Non possiamo muoverci senza considerare questa eventualità. E Van lo sa. Per questo sa che non può fare altro che attendere. »
Dryden stava cercando di spiegare a Millerna la situazione dopo il Consiglio di guerra che si era tenuto nel cuore del palazzo.
Millerna aveva deciso di ritirarsi nelle sue stanze quando aveva compreso che c’era molto meno lavoro di quello che temeva. Si era occupata dei feriti ma dopo qualche ora si era resa conto che non c’era altro che potesse fare se non quello di concedersi di riflettere.
Era stato Allen a raggiungere per primo il Re di Fanelia e quando erano ritornati senza Hitomi al loro fianco aveva capito che non c’era stato nulla che avessero potuto fare.
Frustrata, si era dedicata per tutta la giornata a prestare aiuto lì dove era stato necessario, tuttavia, il castello si era fatto presto silenzioso e tutto ciò che c’era da fare era quello di mettere in ordine. Ci sarebbero voluti parecchi giorni per togliere le macerie e il legno bruciato ma nessuno sembrava avere fretta di iniziare a ripulire il cortile.
« Non mi è mai piaciuto quell’uomo, sin da quando è ritornato da Zaibach. Sapevo che non avremmo dovuto fidarci. »
« Basram è sempre stata una repubblica interessata unicamente alla propria ricchezza. Erano alleati con Zaibach per un buon motivo: ambivano a sviluppare le loro armi e le loro tecnologie. Nell’ultima guerra abbiamo rischiato tanto proprio per questo: non avevamo la loro stessa conoscenza. »
Millerna si risentì delle parole di Dryden. « Stai forse dicendo che avremmo perso la guerra? »
« Sto dicendo che in quel campo di battaglia si combatteva senza una valida ragione. Sembrava che il mondo fosse uscito di senno. »
Dryden si appoggiò sul tavolo di legno, portando la testa all’indietro.
« Se Basram è riuscita a sottrarre le conoscenze accumulate dall’Imperatore Dornkirk c’è da temere che abbia atteso fino ad oggi per uscire allo scoperto per una buona ragione. »
Millerna si avvicinò, cercando l’altrui mano. Il contatto stupì Dryden che si risollevò. Guardò negli occhi la donna e allungò le labbra in un sorriso.
« Non preoccuparti. Troveremo il modo di riportare indietro Hitomi. Te lo prometto. »
Si abbracciarono con la consapevolezza che l’altro avrebbe fatto del proprio meglio.

 

Hitomi riaprì gli occhi, spalacandoli con urgenza.
I suoi occhi incontrarono l’oscurità e per qualche istante non fu in grado di vedere nulla. Venne assalita dall’ansia. Dove mi trovo?
Puntellandosi con le mani si sollevò, mettendosi seduta. Le dita incontrarono una morbida resistenza, doveva essere stata sdraiata su qualcosa di morbido. Poi la sua attenzione venne attirata verso l’alto da dove proveniva una pallida luce esterna.
Notte.
Era già così tardi.
La stella che aveva visto poco prima sparì. Poi comprese.
Si stava muovendo.
I suoi sensi furono in grado di percepire dei motori attivi in profondità. Deglutendo riuscì a guardarsi finalmente intorno.
Non c’erano dubbi.
Era su una nave volante.
La cabina all’interno della quale era stata alloggiata non aveva aperture, eccetto la finestra rotonda qualche metro più in alto. Era stretta, completamente diversa da quelle su cui aveva viaggiato. Persino la Crusade aveva delle aperture maggiori e degli spazi più ampi. Lì avrebbe potuto solo sollevarsi in piedi e uscire... la porta.
Con uno scatto si protese verso la maniglia e per un momento, quando questa compì mezzo giro pensò che fosse aperta. La delusione arrivò a farle sbattere un pugno sulla porta metalica, producendo un rumore assordante che si diffuse nel silenzio.
« Fatemi uscire da qui! » urlò di frustrazione, tirando la maniglia verso di sé.
Non ci fu risposta.
Hitomi si guardò intorno febbrilmente, cercando una possibile via d’uscita. La finestra era l’unica apertura al di fuori della porta sigillata, ma non sarebbe mai riuscita ad uscire da lì, visto quanto era piccola. L’agitazione la condusse in pochi minuti a sentirsi avvilita. Si portò le mani al petto, e poi con una nuova fitta di ansia allo stomaco, risalì a tastarsi il collo a mani aperte, constatando che non aveva più il suo ciondolo.
Gli era stato sottratto?
Era una possibilità.
Frustrata, tornò a sedersi sulla brandina.
Aveva ancora addosso il suo vestito nuziale. Era sporco lì dove aveva sbattuto, cadendo, e in alcuni punti si era pure strappato. In qualche modo, il vedersi in quello stato le fece venir voglia di piangere.
Strinse le mani all’altezza delle ginocchia, tenendo il tessuto tra le dita.
Non poteva arrendersi subito. Forse adesso non c’era l’occasione di scappare e ritornare a Fanelia, ma presto si sarebbe potuta presentare.
Van. Doveva essere preoccupato da morire, a quel punto.
Ricordava che i suoi poteri si erano manifestati in un modo anormale, diverso da tutte le volte precedenti. Il suo pensiero era stato quello di difendersi e liberarsi.
Come risultato le sue energie erano state completamente svuotate.
E, sulla base di quelli che erano i fatti, non era servito completamente a nulla.
Sollevò lo sguardo tornando a guardare dalla finestra. Da lì poteva vedere solo il cielo.
Cambiando angolazione, riuscì in qualche modo a scorgere un angolo del suo pianeta, la Terra.
In quel momento sentì la serratura della porta scattare.
Ad un paio di passi di distanza, la figura di Rakos di Basram era tornata quella di un essere umano normale, non vi erano più le ali sulla sua schiena.
Istintivamente si sollevò in piedi, di scatto.
« Perdonatemi per questa angusta cabina, avrei voluto rendervi più gradevole il viaggio. »
Hitomi corrucciò lo sguardo. « Dove mi state portando? » parlò con tutta la calma che le era possibile.
« A Zaibach. »


  ______________________________


Adesso la storia entra nel vivo! 
Finalmente sulla scena è entrato il principale antagonista che - a differenza di altri - fa le cose in prima persona pur di arrivare al proprio scopo. 
Immagino quanti siano arrivati fino a qui con la stessa frustrazione che ha mosso la mia scrittura: anche io volevo che la cerimonia andasse a buon fine, ma Rakos fa le cose di testa sua! 
Se dopo tutti questi anni continuate a leggere questa storia mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate: lasciate una recensione!
A presto.
Usagi

 

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Capitolo 7
*** Venti di guerra ***


«L’Ultimo Paradiso»


7
Venti di guerra

« Le guerre sono inutili. Non ci si guadagna nulla,
non ci si crea nulla. Servono solo a distruggere le cose e le persone.
Proprio io che come mercante vivo del valore delle cose
non posso fare niente per impedire che esse vengano distrutte.
Ironia della sorte.
»

 

Il pugno si chiuse direttamente sulla guancia dell’uomo, spostando il viso di qualche centimetro.
Il prigioniero rischiò quasi di cadere di lato all’impatto, ma all’ultimo fu in grado di sostenersi dalla sedia sulla quale era seduto e non finire al suolo.
« Ti ho detto di dirmi quello che sai! »
La voce del Re di Fanelia suonava imperiosa ma neanche il Cavaliere Celeste Allen Schezar avrebbe potuto impedire che Van scatenasse la sua furia: era il terzo prigioniero che interrogava e nessuno di loro sembrava intenzionato a collaborare.
« Onore a Basram. » mormorò l’uomo, riportando il volto e lo sguardo sul sovrano di Fanelia.
Un lampo brillò negli occhi del Re che mosse un altro passo e lo afferrò per il bavero del colletto. Indossava ancora l’armatura leggera con cui l’avevano trovato, all’interno del guymelef. Gli erano state legate le mani e i piedi, impedendogli di muoversi durante l’interrogatorio che inizialmente era stato condotto da alcuni uomini.
« Basram non è più qui. Il tuo signore ti ha lasciato alla mia mercé! » scandì Van, con una calma che palesava la sua ira.
L’uomo sorrise, incurante che metà del suo volto stesse già iniziando a gonfiarsi.
« Questo non ha alcuna importanza, adesso. Egli ci ha scelto come i più meritevoli per servirlo, per compiere il suo grande progetto. »
Van allentò la presa.
« Di che cosa stai parlando? »
L’uomo sembrò incerto per qualche istante, come se stesse misurando le successive parole. Van strinse un pugno, pronto a colpirlo di nuovo, ma la mano di Allen si posò sulla spalla. Voltandosi, il Re di Fanelia vide il Cavaliere Celeste scuotere il capo in una muta richiesta di avere pazienza, ancora una volta.
Il prigionierò sollevò lo sguardo.
« Far tornare su Gaea l’antico potere di Atlantide, la Torre che realizza i tutti desideri degli uomini! »
Van e Allen rimasero di stucco, incapaci di credere che un soldato conoscesse qualcosa di simile.
« E questo che cosa ha a che fare con Hitomi? »
Il prigioniero accennò ad un sorriso e scosse il capo.
« Chi credete possa compiere una cosa del genere? Soltanto la Ragazza della Luna dell’Illusione ha un simile potere! »
« I vostri tentativi saranno inutili. Non sarà mai disposta ad aiutarvi. » intervenne Allen, mettendosi di fronte l’uomo.
« Non serve che lo voglia. » ghignò.
Van si scostò da Allen e questa volta gli assestò un pugno sullo stomaco.
L’uomo si piegò in avanti gli occhi spalacanti e il respiro spezzato poi perse i sensi.
Il Re di Fanelia lasciò la stanza subito dopo.
L’interrogatorio era finito.


Vide il cielo farsi sempre più chiaro mano a mano che il sole sorgeva.
Neanche le tenebre erano riuscite a farla decidere di riposare un po’, nonostante fosse distrutta fisicamente e non solo.
Hitomi non era disposta ad arrendersi così facilmente. Aveva trascorso ciò che rimaneva della notte pensando ad un modo per fuggire, anche se aveva realizzato in breve che sarebbe stato impossibile farlo fino a quando si trovavano in viaggio. Un’altra idea che le era balenata in mente era stata quella di trovare un modo per comunicare il luogo della sua destinazione. Sapeva che i suoi poteri le avrebbero potuto permettere di connettersi a Van, ma quella era una capacità che si manifestava raramente e solo in presenza di un grave pericolo. Era qualcosa che andava al di là della sua consapevolezza, almeno fino a quel momento, non aveva mai sentito la necessità di esercitarsi sulla nuova espressione che avevano assunto i suoi poteri e adesso si trovava nella condizione di maledirsi perché non lo aveva mai fatto.
I poteri che Gaea le aveva donato, attraverso lo spirito che aveva tornato a dare vita alla sua anima perduta, le erano sconosciuti e quasi del tutto inesplorati. Probabilmente non sarebbe mai stata in grado di comprenderli del tutto, fino in fondo, ma adesso le avrebbe fatto comodo riuscire ad aprire un canale di comunicazione con Van quanto meno per fargli sapere che, nonostante tutto, stava bene.
Il suo sguardo venne attirato all’esterno, dove la piccola finestra rivelava che stavano scendendo di quota.
Si sollevò in piedi, cercando di osservare meglio l’esterno.
Non riuscì a vedere molto, se non che dovevano essersi abbassati di parecchio visto che adesso i rilievi montuosi erano più vicini e ad un’altitudine minore.
Nonostante non avesse ancora ben chiara la geografia di Gaea, sapeva che Zaibach era molto più lontana e non sarebbe stato possibile raggiungerla in poco più di una notte.
Non vi era alcun dubbio del fatto che stessero scendendo di quota, però.
Infatti, dopo poco meno di mezz’ora atterrarono.
Dovevano trovarsi in un luogo disabitato poiché non vi era alcuna costruzione intorno.
Dalla finestra non riusciva a vedere granché, eppure, quel luogo le sembrava piuttosto familiare.
Sentì il chiavistello della sua cabina aprirsi dall’esterno e istintivamente si avvicinò alla parete, il che equivalse – in realtà – a fare mezzo passo all’indietro.
Rakos aprì la porta.
« Immaginavo di trovarvi sveglia. Spero che il viaggio non sia stato troppo scomodo, fino ad ora. »
Hitomi si raddrizzò. « Un prigioniero è comunque un prigioniero. »
L’uomo sembrò per un momento sorpreso da quelle parole.
« I miei modi saranno stati bruschi e di certo vi ho condotto qui contro la vostra volontà. Ma vi prego di considerarvi mia ospite, poiché non vi sarà fatta mancare alcuna cortesia anche una volta raggiunta Zaibach. »
Hitomi non era particolarmente d’accordo con quell’affermazione, ma decise di soprassedere: aveva una domanda ben più urgente.
« Questa non è Zaibach. »
L’uomo annuì. « Ci troviamo ai confini del regno di Cesario.  Questa nave è veloce, ma l’energia che alimenta i nostri massi galleggianti si esaurisce rapidamente. Anche con gli energyst in nostro possesso non possiamo ripartire subito. »
Hitomi non ne sapeva abbastanza da poter dire qualcosa, ma si limitò solo ad annuire.
Poi accadde qualcosa di totalmente inaspettato: il suo stomaco produsse un suono inconfondibile. Lei abbassò lo sguardo, sentendo le guance diventare calde, ma si impose con orgoglio di non dire una parola. Il volto di Rakos si distese in un sorriso.
« E’ normale che abbiate fame, venite. » si voltò, facendo per uscire dalla porta della cabina.
Hitomi rimase immobile, perplessa. Incerta sul da farsi.
« Non vi lascerò di certo morire di fame, non credete? Immagino vogliate anche uscire un po’ all’esterno. »
E quella gentilezza da dove veniva fuori?

Sentì il verso di un drago in lontanza. « Proprio per questo motivo dobbiamo cambiare il destino di coloro che cercano solo il sangue. » aveva detto Folken salvandola da morte certa, il giorno in cui si era riconciliato con Van, in una Fanelia distrutta e invasa dai draghi.

Sobbalzò, riaprendo e chiudendo gli occhi di scatto.
Rakos di Basram si era fermato a guardarla. Hitomi riuscì a riavere il controllo sui propri pensieri.
Cos’era stata? Una visione? Per un momento il profilo di Rakos le aveva ricordato quella di Folken o forse era stata la sua immaginazione.
Non aveva molte alternative.
Lo seguì.

« E così neanche il nostro Re di Fanelia è riuscito a scoprire qualcosa di più. »
Allen non sapeva neanche per quale motivo era andato da Dryden a parlarne. In genere, in queste situazioni, l’astuto mercante sapeva essere sagace e fastidioso al tempo stesso. Nonostante detestasse ammetterlo, quell’uomo era l’unico capace di vedere le cose da un punto di vista diverso da tutti gli altri. In quei casi si dimostrava una vivace intelligenza che più di una volta aveva permesso a tutti loro di venire fuori da situazioni di stallo come quella.
« Mi sembra ovvio quale sia la conclusione più logica. » Dryden si era portato gli occhiali sottili fin sulla punta del naso. Allen non aveva ancora capito se li indossasse per qualche ragione o se lo facesse per vezzo.
« E quale sarebbe? »
L’uomo si sollevò in piedi.
« Dobbiamo attaccare Basram per primi. È chiaro. »
Il Cavaliere Celeste faticò a credere che quelle parole fossero uscite da un tipo come Dryden.
L’uomo però sembrava avere delle buone motivazioni.
L’incertezza di Allen venne dissipata poco dopo, quando il reggente di Asturia spiegò la sua idea.
Il Cavaliere Celeste aveva solo un appunto da fare.
« Non credo che quest’idea piacerà molto a Van. »
Dryden si fece serio.
« Non credo ci siano molte alternative sul piatto. »
« Forse è come dici tu. In fondo, Van non ha mai affrontato scelte facili. »
In quel momento il Re di Fanelia entrò nella sala. Lo sguardo rabbuiato e stanco tradiva che un riposo che non si era concesso da quando era iniziato tutto.
« Avete saputo qualcosa da Asturia? » chiese, pensando evidentemente che le notizie che gli portassero avessero a che fare con questo.
Fu Allen a parlare per primo « No, Van. Ma forse c’è qualcosa che possiamo fare. »
Lo sguardo del ragazzo si sollevò appena: aveva ottenuto il suo interesse. Dryden lo anticipò, oltrepassando la scrivania sulla quale poco prima era stato seduto.
« Attaccheremo Basram. »
Van strinse i pugni e la notizia non lo colse impreparato. « È ciò a cui anche io ero arrivato, pur ritenendolo un rischio. Fanelia non ha ancora ricostituito un esercito regolare che possa definirsi pronto per una grande battaglia. »
Allen rimase sorpreso d’innanzi alle parole del sovrano: doveva averci pensato sin da prima di lui. Era un buon indicatore: Van non faceva che maturare di settimana in settimana, assumendo sempre più le sembianze di un buon Re.
Dryden allungò le labbra senza nascondere nel viso un’espressione soddisfatta. « Siete diventato più saggio Vostra Maestà. Ma Asturia onorerà le antiche amicizie e quelle nuove. » poggiando le mani sulla scrivania si raddrizzò e si volse verso l’uomo biondo.
« Mentre il grosso dell’esercito assedierà Basram con un attacco frontale, l’Escaflowne penetrerà al suo interno. »
« E i guymelef volanti? »
Van aveva riflettuto anche su questo punto.
« Non c’è altra scelta che affrontarli direttamente. Lo farò io con l’Escaflowne. »
Allen annuì: su quel punto del piano non c’erano altre strategie. Nemmeno il suo Scheherazade avrebbe potuto combatterli se fossero rimasti in volo. « Se siamo fortunati la maggior parte dei loro guymelef sono stati impiegati per colpire Fanelia. Ma non escludo che possano averne costruiti altri. Basram non ha mai smesso di prepararsi per la guerra, anche dopo la caduta di Zaibach. »
« Cavaliere Celeste Allen Schezar, posso contare su di voi per preparare le nostre truppe e ideare una strategia d’attacco? »
Allen si volse, colpito dalle parole formali che aveva ricevuto. Si raddrizzò e chinò il capo lievemente. « Le truppe di Asturia sono pronte a cingere i confini di Basram entro due giorni. »
Quando il Cavaliere Celeste sollevò lo sguardo incontrando gli occhi di Dryden seppe che in futuro sarebbero potuti andare maggiormente d’accordo. Forse avrebbero trovato un modo di comunicare senza innervosirsi a vicenda.
Van si mosse per lasciare la stanza, senza dire null’altro.
« Hitomi è una ragazza forte, Van. Siamo stati salvati più volte dalle sue azioni, in passato. So che sei preoccupato per lei e che in questo momento saresti a cercarla lì fuori. Stai agendo al meglio per il tuo popolo. Ho fiducia nel fatto che lei lo sappia e ti stia aspettando. »
Van si fermò, sulla porta.
« Sbagli nel credere che io sia nel giusto, Dryden. » disse, senza voltarsi.
Dryden e Allen si scambiarono un’occhiata.
« Nonostante fossimo preparati, siamo stati comunque colti di sorpresa e più di ogni altra cosa, non sono riuscito a proteggerla. Come posso proteggere un intero regno se non sono in grado di impedire che una singola persona venga portata via? »
I due videro il Re di Fanelia stringere il pugno della mano destra, ma non ci fu alcun altro movimento.
Prima che i due potessero dire qualcosa Van aveva già lasciato la stanza.

 

Da quella distanza non era possibile vedere la città, solo qualche casupola di certo appartenente a qualche pastore o allevatore.
Le montagne che si estendevano in direzione nord-est separavano geograficamente i confini dei due regni, Cesario e Zaibach. Lo aveva saputo quando si era decisa finalmente a studiare un po’ la geografia del pianeta sulla quale aveva deciso di vivere.
Era una piccola regione pacifica, che si sviluppava prevalentemente sulle stesse acque che solo più a sud lambivano Asturia. Dalle carte geografiche che aveva osservato attentamente aveva compreso che la maggior parte dei regni era concentrata in prossimità di un grande lago che confluiva a nord nel mare, lo stesso mare che occorreva attraversare per arrivare alla perduta terra di Asgard.
Hitomi fu colpita dalla luce del nuovo giorno e dalla brezza fredda che calava direttamente dai picchi ancora spruzzati di neve. Strinse le gambe giacché il vestito si era parzialmente strappato e si portò le mani sulle braccia, strofinandole.
« Avrei dovuto avvertirvi che quassù fa ancora piuttosto freddo. »
La voce di Rakos la distolse dall’osservare l’ambiente attorno a lei. Voltandosi, si accorse che l’uomo aveva portato con sé un mantello.
« Tenete questo. » le disse, porgendole il manto.
Hitomi fu colpita dal gesto gentile. « G-grazie. » la voce le tremò solo perché non era riuscita a trattenere un brivido.
Rakos allargò le braccia e con movimenti delicati fu lui stesso a metterglielo sulle spalle.
Incerta d’innanzi quell’atteggiamento gentile, Hitomi non fece altro che stringersi il mantello addosso. Forse avrebbe potuto sfruttare quel comportamento a suo vantaggio.
Solo dopo aver messo qualcosa nel suo stomaco riuscì a trovare le parole giuste.
« Chiunque abbia cercato di utilizzare il potere di Atlantide ha incontrato un triste destino. In questo modo scatenerete un’altra guerra! »
Rakos mosse qualche passo, sollevandosi in piedi da dove aveva consumato il proprio pasto, poco prima. Il terreno sotto i suoi piedi era roccioso, ma già qualche ciuffo d’erba primaverile aveva iniziato a sbucare qua e là. Ad un centinaio di metri vi erano diversi alberi di conifere che si estendevano a perdita d’occhio. Era evidente che avessero scelto una radura per atterrare in sicurezza. Non aveva dato molta importanza agli uomini che aveva visto affaccendarsi intorno alla nave volante ma a giudicare dalle voci che riusciva ad udire, sarebbero ripartiti presto.
« Quello che voglio è evitare tutte le guerre, in futuro. Se l’uomo riuscirà a perfezionarsi, allora sarà anche in grado di abbandonare simili cose futili. »
Hitomi lo aveva ascoltato, ma faticava a capire il senso del suo discorso.
« Conoscevo i piani dell’imperatore Dornkirk e sono diventato un’alchimista cercando di inseguire l’ombra di Folken Fanel. La guerra talvolta può essere un mezzo necessario per raggiungere un fine più alto. »
Quella era un’assurdità! Scosse il capo. « Sono stati proprio questi pensieri che hanno condotto Gaea sull’orlo del disastro. Era a questo che Basram stava pensando quando ha creato quella… quella bomba? »
Rakos sembrò stupito per qualche istante, poi lo sguardo si rilassò. Aveva capito.
« Quindi anche sulla Luna dell’Illusione esiste una cosa del genere. » fece una pausa prima di scuotere il capo a sua volta. « Non c’entro nulla nei progetti di costruzione dell’Arma Definitiva. È stata la follia di un generale che non ha rispettato la catena di comando. Non avrei mai dato il consenso. Tuttavia, all’epoca, non ero io a governare su Basram. Mio padre perse la vita proprio a causa di quello, si trovava su una nave volante che sfortunatamente rimase coinvolta nell’incidente. »
La freddezza con cui aveva narrato l’episodio lasciò Hitomi turbata.
« Non voglio ricreare un luogo della fortuna assoluta. »
« Come fate a conoscere queste cose? »
Lei stessa ne sapeva pochissimo, e solo per bocca dell’Imperatore Dornkirk in persona o… lo spirito che si era manifestato subito dopo la sua morte. Quella volta, il desiderio di quell’uomo era stato così forte da superare i confini della morte e concedergli di espandere la sua coscienza fino anche a ricreare uno spirito che potesse osservare compiersi il destino degli uomini.
« A Zaibach non è andato distrutto quasi niente, dopo la guerra, anche se il castello è stato saccheggiato, gli uomini e le donne non hanno toccato i preziosi appunti che Folken e Dornkirk avevano scritto sul perduto popolo di Atlantide. »
Lei aveva ancora un’altra domanda da porgergli, probabilmente in futuro non sarebbe stato così facile parlare con lui. « Voi non siete un discendente del popolo di Atlantide, quelle ali... sono nere. »
« Sono un’alchimista, non dimenticatelo. Ed ero a Zaibach il giorno in cui la guerra si concluse. Ero lì, il giono in cui voi portaste Folken d’innanzi all’Imperatore Dornkirk perché egli lo uccidesse. Ero lì, quando vidi i due più grandi uomini su questo pianeta perire per colpa dei loro desideri. »
Una folata di vento più forte delle altre li investì, e Hitomi si strinse nel mantello.

“Ho guidato il corso del destino. Facendo in modo che tu portassi a me la ragazza della Luna dell’Illusione”.
“Fino a quale punto avete intenzione di giocare con il destino?!”
“La tua domanda mi sorprende: dovresti sapere bene i miei obiettivi.”
“Così come voi dovreste conoscere bene la ragione che mi ha condotto qui!”
“Sei venuto per uccidermi, vero Folken? Avanti uccidimi! Non c’è nessuno qui che possa fermarti!”
Folken aveva spalancato le ali, sollevando la sua spada.
La risata rauca dell’Imperatore Dornkirk aveva iniziato a diffondersi insieme al suono stridente di ingranaggi che si attivavano e aria che veniva decompressa, che lo liberavano dalla sua protezione di metallo, la stessa che lo manteneva in vita.
“Questa è la tua occasione! Vieni avanti Folken!!”
“Voi siete pazzo!”
“Signor Folkeen!”
Aveva visto tutto da lontano, aveva urlato, ma non aveva potuto fare niente per fermarlo.
“NOOO!”
La spada di lui che perforava il torace dell’anziano imperatore. La punta spezzarsi e conficcarsi direttamente nel petto di Folken.
“Ora capisco. Questo luogo è il fulcro della modifica del destino. Per questo le forze di azione e reazione sono molto più intense… Ma l’unica cosa che conta è che la guerra sia terminata. Che la pace regni sul mondo di Gaea.”
Lo aveva visto crollare al suolo, ricoperto di sangue e visto esalare il suo ultimo respiro.
“Van…”

Quando ritornò in sé, aveva il viso umido di lacrime e gli gonfi di pianto. Si ritrovò sdraiata, in un luogo semi oscuro, Rakos era al suo fianco.
« Immagino che abbiate avuto una visione. Siete svenuta. »
Quanto tempo era passato?
Comprese di essere nuovamente sulla nave volante e che adesso erano ripartiti. Poteva sentire il movimento e il suono dei motori, in un ronzio familiare.
Si portò le mani agli occhi, asciugandosi velocemente le lacrime.
Aveva tentato con tutte le sue forze di dimenticare quello che era accaduto quel giorno.
Rakos continuava ad osservarla, senza dire nulla. Qualcosa nel suo comportamento le suggeriva che sembrava… preoccupato?
Si mise seduta, cercando di riordinare la mente. Aveva un leggero mal di testa. Si accorse che era ancora avvolta nel mantello che l’uomo le aveva dato.
Comprendendo, forse, che lei aveva bisogno di stare da sola e di riprendersi Rakos si sollevò in piedi muovendosi di appena un passo, visto che l’uscita era praticamente già alle sue spalle.
« Riposate, arriveremo a Zaibach entro il tramonto. »
« Aspettate! »
C’era assolutamente una cosa che doveva dirgli.
« Folken… egli sarebbe comunque morto, a causa di ciò che gli alchimisti avevano fatto con il suo corpo. »
Rakos annuì lievemente.
« E sarà così anche per me. Ho accettato questo fato nel caso io sia destinato a fallire nel mio obiettivo. Tuttavia, se riuscirò a ricreare la Torre di Atlantide, qualunque malattia svanirà da questo mondo. E la stirpe degli uomini-draghi-divini potrà nuovamente prosperare su questa terra. »
Uscì dalla stanza, lasciando Hitomi con mille dubbi e i ricordi della visione ancora vividi nella sua mente.
Trovò stranamente confortante essere avvolta da quel tessuto, ma si riscoprì tremante e non per il freddo. Una volta sola, si lasciò andare ai singhiozzi. La sofferenza rinnovata per la morte di Folken, per la sofferenza di Van e le conseguenze che quella guerra aveva prodotto sull’intero pianeta di Gaea riaffiorarono nel suo cuore, inondandola di una tristezza che non era solo sua. Da qualche parte, nelle profondità della sua anima, alla medesima sofferenza rispondeva anche lo spirito di Gaea che aveva trovato dimora dentro di lei.
« Van… dove sei? »
Si addormentò, pregando di rivederlo presto.


Aveva lasciato lui per ultimo. Colui che aveva tormentato il castello per settimane rimanendo nell’ombra, riuscendo a nascondersi alla vista di chiunque, ma che era stato comunque in grado di penetrare in quelle mura nonostante la sorveglianza, complice dell’oscurità. E nell’oscurità lui lo aveva lasciato, decidendo che la più lontana e angusta cella delle prigioni del castello di Fanelia sarebbe stata adatta.

L’uomo camaleonte se ne stava quieto, in piedi, in prossimità di un angolo della su cella. Non c’era dubbio che avesse assunto quella posizione poiché aveva sentito che qualcuno si stava avvicinando. Le fasciature erano state cambiate quello stesso giorno, mentre le sue mani erano tenute legate perché non si ribellasse o tentasse di prendere il corpo di chi lo stava curando.
La luce della torcia accompagnava, inoltre l’unico pasto che gli veniva offerto, per tenerlo in vita. Tuttavia, doveva aver capito che quella non era l’ora in cui avrebbe ricevuto cibo né ulteriori medicazioni.
Si trovò davanti il Re di Fanelia, illuminato dalla luce della torcia che aveva utilizzato per illuminare i suoi passi. Aveva la spada legata al fianco.
Il volto, era quello di un uomo affranto. Le sbarre di ferro che dividevano la cella dal resto delle prigioni sarebbero servite da insperata protezione. L’uomo camaleonte sapeva che se il Re di Fanelia lo avesse voluto, avrebbe potuto togliergli la vita in qualsiasi momento. Quello era un destino comune, per il suo popolo, quello di essere assoggettati ai desideri altrui ed essere utilizzati come meri strumenti, utili fin tanto che essi compivano il loro dovere per poi essere buttati o, nella migliore delle ipotesi, venduti a chiunque altro avesse avuto bisogno delle sue abilità.
L’uomo camaleonte temeva per la sua vita, da quando si era separato dal suo padrone che si era rivelato inaspettatamente gentile con lui. Rakos di Basram era l’essere umano che non lo aveva schernito. Era arrivato a servirlo dopo che Folken di Fanelia aveva lasciato l’Impero di Zaibach. Per lungo tempo era stato inviato nei paesi alleati per spiare le corti dei regni vicini. Il fondamento della forza dell’impero era stato costruito anche grazie agli sforzi che lui e la sua gente avevano compiuto per servire quegli esseri umani. Dopo la fine della guerra i suoi compagni si erano dispersi, fuggendo il più lontano possibile, ma lui era rimasto insieme all’alchimista alla quale era stato affidato e che non gli aveva mai affidato compiti che lo conducessero alla morte.
Tuttavia, in quel momento, con il Re di Fanelia che lo osservava con uno sguardo cupo, il suo animo vacillava. Forse Rakos di Basram aveva finito con lui? Proteggerlo a costo della sua vita gli aveva causato delle ferite che quelle persone avevano medicato solo perché sapeva che sarebbe stato utile in futuro. Ma adesso che egli aveva ottenuto la ragazza della Luna dell’Illusione e lo aveva lasciato lì, a Fanelia, forse non aveva più alcun motivo di essergli utile.
Con questi pensieri, senza più avere la certezza di essere protetto dall’ombra del suo signore, avrebbe dovuto rispondere alle domande del giovane Re che gli stava davanti.
« Qual è il tuo nome? »
Era una domanda che non si aspettava. In genere, gli esseri umani si appellavano a lui con il nome della sua razza, come se fosse una bestia qualunque.
« Zuhri. »
« Una volta Hitomi ha rischiato di morire per colpa di un uomo-camaleonte. »
Vide il Re di Fanelia sfiorare il suo fianco, lì dove vi era la sua spada. Istintivamente indietreggiò di un passo. Quella storia gli era familiare. Un suo compagno era stato posto sotto il comando del Comandante Dilandou Albatou ed era perito in missione. Scelse di non dire nulla.
Il Re di Fanelia mostrò qualcosa alla luce della torcia.
« Come facevi ad avercela tu? »
Era la sfera di metallo che gli aveva dato Rakos e che aveva dovuto consegnare personalmente, qualche settimana prima. Quello era un messaggio, che avrebbe dovuto portare sgomento nel cuore di quel giovane e turbare la tranquillità del castello. Era stato necessario prendere tempo in quel modo, per permettere a Rakos di ultimare i suoi guymelef.
« Apparteneva a vostro fratello Folken. »
« Lo so benissimo a chi apparteneva. Ti ho chiesto come faceva ad essere in tuo possesso. »
Il tono del Re era affilato, prossimo a perdere la pazienza, avrebbe dovuto rispondere per salvarsi la vita. Il suo padrone cosa avrebbe voluto?
« Mi è stata data dal mio padrone affinché giungesse a voi, il Re di Fanelia. »
« Rakos, quel maledetto. Ed egli dove lo ha preso? »
Esitò, non sapendo se quell’informazione potesse essere rivelata. Quell’interrogatorio si sarebbe potuto protrarre a lungo se non avesse collaborato.
« Il mio padrone conosceva vostro fratello. Un tempo, prima che ritornasse a sedere sul trono di Basram era un esperto alchimista dell’Impero di Zaibach. Non so dirvi come quell’oggetto sia giunto nelle mani del mio signore. »
Il Re di Fanelia poggiò la torcia da qualche parte, in un punto che lui non poteva vedere, da qualche parte, sul muro. Le fiamme continuarono a crepitare allungando l’ombra del giovane sovrano.
« Perché avete atteso fino al giorno del matrimonio per attaccarci. Cosa stavate aspettando? »
Zuhri abbassò lo sguardo, chinando lievemente la testa. Si sentiva agitato: fino ad ora quelle domande si stavano svolgendo in tranquillità, ma conosceva bene cosa erano in grado di fare gli esseri umani quando avevano quello sguardo sul volto. Se non mostrava quanto poteva essere utile, allora non meritava di vivere.
Van fece un passo in avanti e con una mano strinse l’inferriata di ferro che consisteva nella porta della cella.
« Farai meglio a rispondere. Non mi piace uccidere inutilmente, questo sicuramente lo sa anche il tuo padrone. Non sfidare la mia pazienza, uomo-camaleonte: ti ho già concesso di vivere più a lungo di quanto immagini. »
La cosa più spaventosa di quel ragazzo, comprese Zuhri, era la calma di cui erano impregnate le sue parole. Era piuttosto pallido e gli occhi erano scavati dall’assenza di sonno. Poteva capire perché. Li aveva osservati per molti giorni, senza essere notato, anche quando non si trovavano insieme.
Lui e la ragazza della Luna dell’Illusione erano profondamente innamorati.
Il comportamento di quegli esseri umani cambiava totalmente rispetto a quando si trovavano ad interagire con altre persone. Quando erano insieme davano l’idea che il mondo fosse totalmente in pace. Una tranquillità che aveva lui stesso assaporato nell’aria di festa che nonostante le sue incursioni e gli incubi che avevano turbato la ragazza della Luna dell’Illusione non era stata intaccata.
L’uomo davanti a lui era spezzato preoccupazione.
Se i suoi calcoli erano corretti, dovevano essere passati oramai due o tre giorni dal giorno del matrimonio. E se il Re di Fanelia non si era lanciato immediatamente nell’inseguimento, allora il suo padrone doveva avere un notevole vantaggio, in più, se lo stesso Van Fanel veniva a scomodarsi per parlare con lui e interrogarlo di persona, poteva significare soltanto che tutti brancolassero nell’incertezza per le sorti della futura regina.
« Il mio padrone doveva essere certo di poter utilizzare il potere dei guymelef volanti e ultimare i preparativi necessari. »
Il Re di Fanelia comprese il suo tentativo di rispondere in modo generico.
Fu più veloce di quanto si aspettasse nell’entrare all’interno della cella e puntargli la spada alla gola.
« Non tollererò ulteriormente i tuoi giri di parole!! »
Sentire la fredda lama sulla sua gola lo fece cedere dalla paura.
Il Re di Fanelia lo spinse fino all’angolo della cella. Istintivamente, si portò le braccia d’innanzi a sé, in un disperato tentativo di difendersi. Ma con nient’altro che la sua pelle non poteva nulla contro un’arma umana.
« Il mio padrone ha ottenuto le ali degli uomini-draghi-divini tramite il corpo di vostro fratello. Adesso non gli resta che rifondare la stirpe unendosi con la ragazza della Luna dell’Illusione! Unendo i poteri della ragazza con le macchine dell’Impero di Zaibach sarà possibile ricostruire la Torre di Atlantide e creare un nuovo mondo! »

Van sentì che la sua presa sull’arma stava cedendo.
Quello era un incubo.
Un’ossessione maledetta che si era diffusa come una malattia.
I semi della follia dell’Imperatore Dornkirk non erano periti con esso.
Vide l’espressione terrorizzata dell’uomo-camaleonte e non dubitò della verità delle sue parole.
« Dove aveva intenzione di portare Hitomi?! Rispondi!! »
L’uomo-camaleonte si rannicchiò nell’angolo, tremando.
« N-non lo so. » tremò, accucciandosi su se stesso, temendo che quella parola corrispondesse alla sua condanna a morte.

Van non aveva alcun dubbio che quella fosse la verità. Era altamente probabile che l’uomo-camaleonte non fosse a conoscenza della parte più importante dei piani del suo signore.
Allo stesso modo, non ne erano a conoscenza i suoi sottoposti.
Richiuse con forza la porta della cella, provocando un clangore che fece sobbalzare l’uomo-camaleonte.
I piani di quell’uomo non potevano essere così complessi. Non era uno stratega come suo fratello e non aveva la stessa forza che l’Impero di Zaibach aveva costruito negli anni.
Quell’uomo non era un sovrano. Era spinto da interessi egoistici che poco avevano a che fare con la conduzione di un regno.
Un lampo di comprensione fece spalancare gli occhi di Van.
Esatto. La guerra non era che un diversivo.
Catturare i mercanti di Asturia era stato un espediente per creare un incidente diplomatico.
Mandare l’uomo-camaleonte a Fanelia era stato un mezzo per fargli guadagnare tempo.
Uscire allo scoperto in modo così plateale, proprio durante le sue nozze, era stato solo un modo per sviare l’attenzione da qualcosa che Rakos di Basram doveva considerare più importante di ogni altra cosa.
La guerra che stavano preparando era la più logica e naturale delle conseguenze contro simili atti perpetrati non solo contro Asturia ma anche contro Fanelia.
Rakos di Basram sapeva da principio che le cose si sarebbero messe così.
C’era solo un motivo per cui quell’uomo voleva che l’attenzione dei suoi nemici fosse focalizzata sulla guerra.

Perché lui non ne avrebbe preso parte.


____________________


Come promesso, il capitolo entro agosto! 
E' stato faticoso scrivere questo intermezzo necessario per mettere qualche spiegazione qua e là. Perdonate il ritardo di circa due settimane rispetto a quello che avevo preventivato. L'estate, per quello che mi riguarda, è stato molto poco relax e tante cose importanti da fare.
Spero che continuiate a recensire la storia e mi facciate sapere cosa ne pensate.
I vostri commenti sono letteralmente il carburante che alimenta la mia ispirazione!

A presto!
Usagi.



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Capitolo 8
*** Suoni nell'oscurità ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


 
8
 
Suoni nell’oscurità

« Rispondere all'acciaio con l'acciaio 
 è l'ineluttabile dovere di un Cavaliere. 
»

 

Le notti di Zaibach erano fredde, nonostante fosse già quasi estate. 

Il territorio brullo e circondato dalle montagne rendeva quella regione desolata e inadatta alla prosperità, tuttavia, l’Imperatore Dornkirk era stato in grado di sfruttare i giacimenti minerari del suo sottosuolo per renderla una potenza militare gloriosa.

Utilizzando la sua intelligenza e la grande forza di volontà di quel popolo, Zaibach era divenuto un impero in un tempo sufficientemente breve da diventare minaccioso per la potenza belligerante che era stato in grado di sviluppare.

Hitomi, nell’apprendere la storia recente dell’Impero di Zaibach, aveva trovato un’interessante assonanza con qualcosa che era successa, ad un certo punto, sulla Terra: sapeva che quell’avanzamento culturale corrispondeva a quel periodo storico che aveva studiato nei libri di scuola, quando ancora era una studentessa giapponese. In occidente, si era verificato un fenomeno simile che poi era passato alla storia come “età industriale” e che aveva riguardato prima il cuore dell’Europa e solo poi aveva raggiunto gli estremi del pianeta terra.

Le grandi ciminiere che svettavano tra le abitazioni più basse probabilmente avrebbero potuto funzionare ancora, se fossero state alimentate a dovere, pensò Hitomi, osservando la città dall’alto.

Doveva esserci qualche ritardo nei piani di Rakos, poiché erano atterrati solo qualche ora dopo il tramonto del sole. In ogni caso, fu impressionata dal fatto che il Reggente di Basram non si facesse alcun problema a mostrarsi così apertamente, attraccando la nave proprio in prossimità del grande palazzo nella quale si trovava il quartier generale dell’Impero.

« Dopo la fine della guerra, Basram aveva tutti i diritti di controllare i territori di un suo vecchio alleato. » aveva spiegato Rakos, portandola all’interno del palazzo, i corridoi erano freddi ma tenuti illuminati da candele che diffondevano odore di fumo e cera.

Rakos aveva ripreso a spiegarle la situazione. « Ufficialmente, la giurisdizione di questi territori è stata disciplinata dall’accordo di pace, si vocifera che il popolo abbia chiesto di poter eleggere un suo rappresentante, visto che tutti i generali di Zaibach sono morti. » aveva riso allegramente, con sincera ironia, « Non credete che sia assurdo? Il popolo che sceglie il proprio sovrano! »

Hitomi non fu d’accordo con lui. « Io non credo che sia così sbagliato. In fondo, credo che sia giusto che siano le persone a determinare il modo in cui vivere nel luogo in cui abitano. »

Rakos si era fermato sui suoi passi, guardandola con aria sinceramente sorpresa.

« V-voglio dire. » cercò di spiegarsi, sentendosi improvvisamente in imbarazzo « Funziona così sulla Luna dell’Illusione. Non solo in Giappone, da dove provengo io, ma in quasi tutto il pianeta, ecco. »

Rakos si fermò ad osservarla, il suo sguardo era visibilmente interessato.
 « Giappone. È questo il nome del regno in cui siete nata? »

Hitomi annuì. « Sì. Centinaia di anni fa anche il Giappone era un Impero. Adesso è uno stato democratico. »

L’uomo si accese d’interesse. « Cosa significa “stato democratico”? »

« è quando le persone si riuniscono e decidono tutte insieme le leggi e le fanno rispettare. »

« E chi stabilisce l’autorità? Non avete un re o un ministro del culto che per diritto determina il controllo e la sovranità sul popolo? »

Hitomi scosse il capo. « Sì, abbiamo ancora un imperatore, ma non ha più il controllo sul Giappone. È più una figura di rappresentanza, un simbolo delle nostre tradizioni. È il popolo stesso che sceglie dei rappresentanti attraverso una votazione che coinvolge tutte le persone che vivono in quel luogo. »

Rakos di Basram sembrava scioccato e al contempo affascinato. Anche per lei era una novità: nessuno le aveva mai chiesto apertamente delle cose talmente specifiche sulla sua Terra. 

Rakos allungò il braccio indicandole la porta chiusa in mezzo ad un corridoio. 
 « Questa sarà la vostra stanza. Fintanto che resterete qui non sarete trattata come una prigioniera. Potrete muovervi abbastanza liberamente all’interno di questo palazzo. »

Hitomi venne scortata all’interno della stanza: essa era piuttosto grande ed un fuoco ardeva già all’interno. Doveva essere stata preparata quando erano arrivati. Fece qualche passo all’interno, dandogli le spalle.

« Suppongo che la libertà di muovermi sia molto limitata anche qui, giusto? »
 Non lo vide, ma comprese che l’uomo aveva appena chinato il capo.

« Una guardia sarà ai vostri ordini per scortarvi tra le sale di questo palazzo. »

Sentì di fare una precisazione doverosa. « Ai miei ordini, o ai vostri piuttosto? »

Rakos abbassò le spalle. « Vostri, fino a quando essi non vadano in diretto contrasto coi miei. »

Hitomi apprezzò lo sforzo di cortesia che stava usando nei suoi riguardi e annuì lievemente, senza aggiungere altro. 

« Manderò qualcuno affinché si occupi delle vostre necessità personali. »
 Un suono inconfondibile si diffuse lieve ma udibile proveniente dall’addome della ragazza. Hitomi sobbalzò e il rossore le arrivò fino alle orecchie.

« Non temete, farò in modo anche che mangiate a sufficienza. Il viaggio deve essere stato comunque faticoso per voi: siete ancora molto pallida. » 

Nonostante stesse continuando a mantenere una fredda cortesia, Hitomi sentì, ancora una volta, nel suo tono di voce la sfumatura di una sincera preoccupazione. Se ne andò subito dopo.

Una volta rimasta da sola, Hitomi andò prima di ogni altra cosa a sedersi sul letto. 

Nonostante fosse già buio, non si sentiva pienamente stanca. Era sorpresa e perplessa al contempo di trovarsi all’interno del palazzo che solo poco tempo prima aveva ospitato il quartier generale dell’Impero di Zaibach. Era stato costruito per volere dell’imperatore Dornkirk e si sentiva piuttosto a disagio.

Nonostante la sensazione di essere in pericolo era svanita, in lei si fece strada l’urgenza di trovare il modo per liberarsi da quella situazione. Guardandosi allo specchio si accorse prima di tutto del suo stato assolutamente pietoso. Era ancora avvolta nel manto che Rakos le aveva dato, ma non poteva indossare quello e continuare a portare il suo abito nuziale che in più punti si era letteralmente strappato. Sorrise stancamente ricacciando le lacrime indietro, l’assurdità della situazione le fece provare pena per se stessa.

Guardandosi intorno, individuò nella stanza un grosso armadio. Ritenendo che non ci fosse ragione di indugiare, lo aprì, cercando al suo interno qualcosa che potesse indossare senza sembrare una fuggitiva. Fu fortunata. Trovò dei vestiti semplici e che sembravano adatti alle sue misure. Lo stile le ricordò in qualche modo gli abiti che andavano di moda ad Asturia, lunghi e con ricami all’altezza delle spalle e della scollatura. 

Desiderando, come di tanto in tanto accadeva, di poter indossare ancora una volta un paio di jeans, doveva rassegnarsi all’idea di indossare una gonna, purtroppo, ma sempre meglio che continuare ad indossare ciò che rimaneva del suo abito da sposa.

La gonna era lievemente a pieghe e raggiungeva le caviglie, era tinta di un colore pallido, un arancione non troppo acceso che ben si adattava con la sobrietà di quei luoghi ma ciò che la sorprese davvero fu il rivestimento interno di tessuto. In pelliccia, poiché con molta probabilità a Zaibach faceva freddo più che a Fanelia. Hitomi sapeva che in quelle zone non era insolito che cadesse la neve e c’era molto più freddo che altrove anche a causa delle montagne vicine. La prospettiva di potersi coprire di più era molto più allettante. 

Proprio quando ebbe finito di rivestirsi sentì bussare alla propria porta. 

Fece capolino una giovane fanciulla. Aveva corti capelli castani raccolti in una coda di cavallo e portava con sé un vassoio con del cibo ancora fumante. Chinò delicatamente il capo facendo il suo ingresso nella stanza.

« Mi chiamo Elyse e sono una cameriera di questo palazzo. Mi è stato chiesto di occuparmi di ogni vostra necessità. »

Hitomi l’osservò meglio. Era giovanissima, non dimostrava più di dodici o tredici anni. Aveva un viso rotondo e una spruzzata di lievissime lentiggini sul naso e sulle gote. L’oscurità nella stanza non le permetteva di discriminare correttamente quale fosse il colore dei suoi occhi, ma intuì una luce infantile e gioviale che la fece rilassare subito.

Vedendo che lei non aveva ancora detto nulla la giovane fece un altro passo.
 « Vi ho portato la cena. Se c’è qualcos’altro che preferite farò il possibile per accontentarvi. »
 Hitomi finalmente recuperò l’uso della parola. 

« Grazie, io… va bene così. »

Il suo stomaco sembrò apprezzare ciò che i suoi occhi videro sul vassoio con l’ennesimo brontolio rumoroso. La fanciulla fece finta di non sentire ma andò a poggiare con delicatezza il cibo sul tavolo posto ad un lato della stanza. Si soffermò a lungo sull’abito da sposa rovinato adagiato sul letto, ma per rispetto non disse nulla.

« Mangiate pure, prima che si freddi. Penserò anche ad alimentare il fuoco in questa stanza. »

Hitomi si era avvicinata al cibo quasi automaticamente.

« Il mio nome è Hitomi, piacere di conoscerti. » iniziò a mangiare, più che altro perché la ragazzina sembrava essere impegnata a sistemare i ciocchi di legna dentro il piccolo camino posto su un lato della camera e lei era davvero affamata. Era silenziosa e diligente, notò Hitomi. Forse poteva permettersi di essere più rilassata almeno in sua presenza. 
 « È da molto che lavori in questo palazzo? » 

La fanciulla ritornò immediatamente in posizione eretta. Sembrava essere vagamente stupita di aver ricevuto attenzione.

« Sì. Sono già trascorsi quattro anni. Prima lavoravo nelle cucine, ma adesso che sono più grande mi è stato permesso di diventare una cameriera. Anche se sono giovane ho già molta esperienza, non dovete preoccuparvi. » Aveva stretto le mani lungo il grembiule ed aveva abbassato lo sguardo, lievemente in imbarazzo.

Hitomi sorrise e si affrettò a chiarire. « Non devi preoccuparti di queste cose, con me. In ogni caso, non starò qui per molto. » 

Elyse sollevò il capo, stupita da quella affermazione. « Ma voi siete la preziosa ospite del nostro sovrano Rakos! Non potete andarvene già via. »

« Ospite? Una prigioniera, piuttosto. Non sono certo qui per mia volontà. » 

« Questo non è possibile! Il nostro reggente non è certamente una persona cattiva. »

Hitomi era perplessa di fronte ad una tale accorata difesa. Con molta probabilità, concluse, quella giovane ragazza non poteva davvero conoscere le reali motivazioni per cui era stata condotta in quel palazzo. 

« Aveva detto che voi ci avreste aiutato a rendere Zaibach un posto migliore, che sareste rimasta poiché con il vostro potere potete cambiare tutto quanto! »

Hitomi aveva spalancato gli occhi, sorpresa nel vedere che ci fosse qualcuno pronto a difendere sinceramente le azioni di quell’uomo.

« Hai visto anche tu la guardia alla mia porta. »

« Quella guardia serve a proteggervi. Per noi tutti siete davvero un ospite molto importante, vogliamo che vi sia garantita ogni necessità e la giusta protezione. »

« E da chi dovrei essere protetta? »

Adesso che la luce del camino acceso aveva reso più luminosa la stanza, Hitomi poté vedere più chiaramente lo sguardo della ragazzina. Occhi castano chiaro, tendente al colore dell’ambra erano accesi di pura determinazione. Era evidente che quella fosse una persona estremamente devota al suo servizio. Vide la sua incertezza e seppe di averla messa in difficoltà.

« Mi dispiace, ma io non dovrei essere qui. » spiegò Hitomi, indicando con lo sguardo il vestito che aveva lasciato sul letto.

Elyse sembrò non capire, scosse il capo e mosse lunghi passi verso l’uscita della porta.
 « Mi sono attardata troppo dalle mie incombenze. Voi sarete di certo stanca, dopo il lungo viaggio. Fatemi chiamare per qualsiasi cosa abbiate bisogno. »

Chinando il capo si era dileguata in fretta, chiaramente in difficoltà dal continuare quella conversazione. Sazia del cibo che aveva appena mangiato, la sensazione di sonnolenza e stanchezza s’impadronì in fretta di Hitomi. Il fuoco stava già iniziando a riscaldare la stanza e le arrivava un tepore piacevole che la spinse a rilassarsi fisicamente lasciandosi andare sul letto.

Il materasso era piuttosto morbido e le lenzuola profumavano ancora: evidentemente erano state lavate recentemente, realizzò, sfiorandole con la punta delle dita.

Era stato impossibile per lei, rendersi conto della reale grandezza del castello così immerso nell’oscurità della notte. Sembrava una enorme sagoma di una piramide priva di punta dall’esterno, ma sebbene una tale grandezza dovesse suggerire sfarzo, invece ciò che aveva visto fino a quel momento, rivelavano, invece un aspetto piuttosto semplice e austero all’interno. Era evidente che quel luogo aveva ospitato a lungo una nazione che era stata praticamente militarizzata sotto ogni punto di vista.

Persino dalla finestra non riusciva a vedere nulla, pensata per essere stretta così da reggere al meglio un eventuale assedio.

Era passato un altro giorno, un altro lungo giorno lontano da Van.

Chissà quanto dovesse essere preoccupato per lei in quel momento. Poteva solo immaginare quanto fosse in pena per le sue sorti. Anche per lui, Hitomi sentiva di non poter più lasciarsi andare allo sconforto e accettare passivamente tutto quello che le succedeva. Non sarebbe stato facile trovare una via di fuga, l’ultima volta che aveva lasciato Zaibach era stato proprio a bordo dell’Escaflowne. A meno che Van non riuscisse a trovarla e a trarla in salvo una seconda volta avrebbe dovuto trovare un modo per provare ad andarsene, fuggire. 

Le mancavano molte informazioni, realizzò, vedendo quanto potesse essere complicata quell’impresa.  Capire quelle che erano le intenzioni di Rakos avrebbe potuto aiutarla di certo ad anticipare le sue possibili mosse ma il giovane si era chiuso nella sua corazza di cortesia e non aveva parlato di nulla, rimanendo di fatto un mistero. 

Si addormentò cercando di capire come avrebbe potuto tirarsi fuori da quella situazione.

 

Il suono delle sue scarpe da tennis quando correva produceva lo stesso rumore che avrebbe generato se avesse corso in pista. Eppure, nell’oscurità del suo sogno, Hitomi avanzava in una direzione ben precisa, diretta verso una destinazione che aveva ben chiara in mente. Era un’immagine piuttosto bizzarra, la sua, visto che indossava un vestito la cui foggia ricordava lo stile che esisteva su Gaea, quando invece avrebbe dovuto indossare i suoi pantaloncini sportivi. Come quando si era ritrovata costretta a strappare il vestito che le era stato dato ad Asturia per poter riuscire a correre con maggiore agilità, anche in quell’occasione la gonna che indossava era strappata in maniera irregolare in più punti mostrando le gambe nude e scoperte fino a poco sopra il ginocchio.

Sentiva l’urgenza di affrettarsi, poiché sapeva che c’era poco tempo per porre fine all’enorme errore che avrebbe potuto facilmente rovinare tutto ciò che era stato costruito fino a quel momento. Non c’era nessun’altro che avrebbe potuto impedire che il peggio accadesse. 

Con sgomento, fu costretta a fermarsi: le sue mani erano viscide e umide, guardandole, si accorse che erano ricoperte di sangue. Il liquido nonostante fosse vischioso era così abbondante da gocciolarle tra le dita e lungo i polsi. 

Sangue non suo. 

Le arrivò al naso l’odore e la vista le si annebbiò. Al suo cuore mancò un battito: sapeva di chi era quel sangue.

 

 

« Van, cosa hai intenzione di fare? »

La voce del Cavaliere Celeste lo raggiunse alle sue spalle. Lui si trovava all’interno di un’ala del castello che da sempre aveva contenuto i guymelef appartenenti a Fanelia. Il loro arsenale di armature da combattimento contava meno di quindici guymelef, più di quanti il suo regno ne avesse avuti. 

Nel corso dei mesi erano stati ricostruiti, riparati o donati alla nazione che aveva il privilegio e l’orgoglio di ospitare colei era benedetta da Gaea stessa. 

Al centro di quella grande sala capeggiava l’Escaflowne, un posto privilegiato non a caso. Van aveva fatto costruire un’apertura sommitale esattamente sopra l’alloggiamento. Lo aveva pensato per una rapida sortita, per fronteggiare una minaccia improvvisa.

Curiosamente, quella sarebbe stata la prima volta che l’avrebbe usata.

« La guerra non è che un pretesto per perdere tempo! Lui è da qualche parte con Hitomi! Hai sentito anche tu cosa vuole fargli quel maledetto Rakos. »

Aveva indossato abiti comodi, da viaggio, una blusa rossa e un paio di pantaloni chiari, la spada al suo fianco legata alla cintura. Era pronto ad andare. Ogni minuto che passava lontano da Hitomi era un minuto in più in cui lei si sarebbe trovata in pericolo.


 « Signorino Van! »


 Ovviamente. Sapeva chi c’era dietro a quella fuga di informazioni. Merle era appena entrata nella sala, trafelata e visibilmente in difficoltà.

« Hai intenzione di lasciare il tuo popolo senza una guida? » Allen aveva usato un tono oltraggiato: sapeva come ferire il suo orgoglio, si conoscevano abbastanza da sapere l’uno i punti deboli dell’altro. Proprio lui, forse più di tutti gli altri, non capiva come si sentisse?

« Non riesco neanche a proteggere la persona che amo, Allen. » 

Le parole erano venute fuori colme di una rassegnata frustrazione, lasciando cadere il silenzio per qualche lungo istante.

« Lui non le farà del male, Hitomi è troppo preziosa per la sua causa. »

« E tu cosa ne sai di quello che vuole farle? Hai sentito l’uomo-camaleonte? Quell’uomo era un alchimista dell’Impero di Zaibach. Adesso è Basram che ha il controllo di quella terra! Siamo stati così stupidi da pensare che nessuno sarebbe stato interessato a tutta quella tecnologia e noi abbiamo lasciato che la prendessero! » 

Si era finalmente voltato, mostrando la sua frustrazione e la sua ira chiaramente. 

Le mani indossavano i guanti rinforzati che lo aiutavano meglio ad utilizzare i comandi dell’Escaflowne, ma la forza con cui stava stringendo le mani chiuse a pugno faceva comunque sentire le nocche penetrare nei palmi. 

Allen Schezar, rimase silenzioso, accusando il colpo. Era stata una leggerezza che avevano commesso tutti loro, Asturia in primis. 

« Non andate via Signorino Van, come faremo senza di voi? » Merle era quasi in lacrime. Van la guardò a lungo e un po’ la compiacque: sicuramente anche lei era preoccupata per Hitomi ed in quei giorni aveva fatto del proprio meglio per essergli di supporto, sapendo che quella era l’unica cosa che avrebbe potuto fare. 

Anche lui doveva fare del proprio meglio.

« Ho già dato disposizione affinché i miei generali vi seguano in battaglia, Allen. Fanelia non si tirerà indietro quando viene minacciata. »

« E tu? Cosa farai? »

« Io… devo trovare Hitomi. Se le parole dell’uomo-camaleonte corrispondono a verità, se è vero che Rakos sta tentando di riportare in vita ancora una volta il Potere di Atlantide, allora utilizzerà di certo quello che l’Imperatore Dornkirk aveva scoperto. La sfera apparteneva a mio fratello. Sono sicuro che c’è un legame con questo, erano entrambi alchimisti. »

 « E se fosse una trappola? » fu Merle a parlare, muovendo un passo in avanti: aveva la coda sollevata e dritta, tesa.

« Lo è, quasi certamente. Ma nonostante questo andrò. »

« I tuoi soldati marceranno senza che vi sia il suo Re alla testa del suo esercito. »

« Se le mie supposizioni sono esatte, troveremo un esercito sguarnito. »

Allen aveva scosso il capo: « Sei forse impazzito?! Ed è tua intenzione andare da solo dove pensi che vi sia il grosso delle truppe? » strinse la mano sull’impugnatura della sua spada, come faceva ogni volta che stava cedendo al nervosismo « Non possiamo correre il rischio di dividere l’esercito. Preferisco andare da solo.»

« È una follia, questo non può definirsi un piano, te ne rendi conto? » 

Merle aveva preso a singhiozzare cercando di mantenersi silenziosa, con pochi risultati. 

« Signorino Van, vi prego… »

« Se dovesse succedere qualcosa a Hitomi, non me lo perdonerei mai. » 

Allen aveva annuito: « Ricordati che sei un sovrano, Van. Tuttavia sono sicuro che c’è un’altra soluzione. » il tono del Cavaliere Celeste era cambiato, le labbra si erano allungate in un sorriso sghembo. Il Cavaliere Celeste aveva avuto un’idea. 

Van rimase ad ascoltare.

 

Hitomi si svegliò di soprassalto, come se fosse stata colta da un incubo che, tuttavia, aveva dimenticato nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi. Ricordava vagamente il profilo dell’Escaflowne stagliarsi su un campo di battaglia con la luce del tramonto alle spalle, vessilli spezzati catturati dal vento e un cielo al tramonto avvolto dal fumo di fiamme lontane.

Aveva dormito solo qualche ora, notò, rendendosi conto che la stanza era completamente avvolta dalle tenebre e che anche il fuoco, non essendo più alimentato, era già ridotto ad un cumulo di braci ancora ardenti. 

Si sollevò seduta, portandosi una mano all’altezza della fronte: sentiva un dolore sordo pulsarle all’altezza delle tempie e che stava iniziando ad estendersi. La stanchezza non era ancora svanita dalle membra, infatti, pensò che avrebbe dovuto dormire ancora ma subito si sentì pervadere dall’angoscia e dall’inquietudine.  

Rimase con gli occhi chiusi, mentre con la mente, inevitabilmente, correva nuovamente agli ultimi momenti trascorsi nel fitto della foresta dove si era separata da Van.

Il suo disperato tentativo di fuga non aveva avuto alcun esito, l’energia che l’aveva avvolta era letteralmente deflagrata all’esterno, svuotandola. Qualche istante prima di perdere sensi però, si era resa conto che il suo potere aveva investito tutti gli altri coinvolgendo anche Van.

Era stata una stupida. Era comunque riuscita a complicare le cose, come al suo solito. Si sollevò seduta, completamente sveglia. Se fosse stata in grado di usare i suoi poteri forse le cose sarebbero andate diversamente forse… 

Una voce, un canto lontano risuonò da qualche parte all’esterno della sua stanza. Istintivamente si mise in piedi, spingendo di lato le lenzuola mentre cercava di osservare nell’oscurità intorno a lei. Solo un fascio di luce notturna emergeva dalla feritoia posta dall’altro lato della stanza, definendo i contorni degli oggetti intorno a sé. Il caminetto oramai ridotto ad un cumulo di polvere e braci prossime a spegnersi non le avrebbe fornito più luce della notte.

Lo sguardo andò alla porta, dove il riflesso di quella che doveva essere una torcia accesa, certamente per dare luce alla guardia che doveva essere ancora lì a svolgere il suo servizio di sorveglianza. Proprio in quel momento vide un’ombra attraversare il fascio di luce e allontanarsi all’improvviso. A quel punto, Hitomi era oramai in piedi, vinta dalla curiosità.

Elyse le aveva lasciato delle scarpe da notte che assomigliavano a delle babbucce. 

Le infilò alla svelta e apprezzò il fatto che fossero ricoperte di pelliccia e che non dovesse sentire il freddo del pavimento ai piedi. 

Il canto sembrava essersi affievolito, ridotto ad una melodia sempre più distante. Eppure, riusciva ancora ad udirlo chiaramente, da qualche parte all’esterno. 

Arrivò alla porta e con un movimento incerto, provò ad aprire lentamente appoggiandosi con una mano allo stipite. Rimase stupita quando si accorse che la porta non era stata chiusa dall’esterno. Rakos aveva detto, in fin dei conti, che sarebbe stata trattata da prigioniera.

Fu ancora più sorpresa quando si accorse che, contrariamente alle sue aspettative, non c’era nessuno a sorvegliare la porta. 

Mise un piede fuori dalla sua stanza e con la testa si mosse a destra e a sinistra senza incontrare anima viva. Il corridoio era avvolto dall’oscurità tranne che per qualche torcia ancora accesa. 

Hitomi si sentì rabbrividire e si rese conto di avere il cuore in gola. 

Quella poteva essere un’occasione insperata.

Il suo sguardo venne attirato da qualche parte alla sua destra e la melodia si fece più forte, riprendendo una strana cantilena di cui ancora non riusciva bene a comprenderne il significato. 

Lasciò la sua stanza senza neanche avere troppa cura di socchiudere la porta alle sue spalle. Quella melodia la incuriosiva enormemente al punto tale che non le importava risultare incauta. Fece qualche passo in avanti e un istante dopo vide un’ombra attraversare l’altro lato del corridoio.

Win dain a lotica

En valturi

Si lota…

Hitomi mosse i suoi passi e, nel frattempo, un piccolo anfratto della sua mente si sforzò per cercare di afferrare il senso di quelle strane parole che aveva udito. Una parte di sé aveva riconosciuto quel linguaggio. 

La melodia continuò e i suoi piedi si mossero da soli, seguendo la direzione del suono. 

Si mosse in silenzio e nell’oscurità, oltrepassando stanze chiuse e continuando, in silenzio ad inoltrarsi nella fortezza di Zaibach.

Ancora una volta sentì ripetere le parole accompagnate dalla melodia e questa volta, fu in grado di comprendere il significato celato dietro quelle sillabe appartenenti ad una lingua a lei sconosciuta. 

Si sentì avvolgere completamente dal suono e la sua mente ne fu soggiogata. 

Una minuscola parte di sé, la stessa che guidava i suoi movimenti e la guidava in quegli spazi che non conosceva si rendeva conto che si stava allontanando dagli alloggi e da una possibile via d’uscita, ma non le importava. 

Non indugiò neanche quando si trovò di fronte una rampa di scale completamente avvolta nell’oscurità. Le discese con la stessa naturalezza di chi sapeva esattamente dove mettere i piedi.

Sentì gli occhi pesare enormemente e nell’ultimo fulgido momento di consapevolezza capì di sentirsi come quando le erano state praticate le arti segrete dal Monaco Pranktu. 

Con la mente svuotata di ogni pensiero, solo la melodia e il canto lontano la stavano guidando. 

Arrivò ad un’ampia sala dove sorgevano dei macchinari che dovevano essere operativi a giudicare dal suono basso emesso dagli ingranaggi che riusciva a malapena a scorgere. 

Hitomi fu assalita da un senso di cognizione: sapeva dove si trovava perché c’era già stata una volta.  

Il laboratorio dell’Imperatore Dornikirk. O meglio, quello che ne era rimasto. 

La grande macchina che aveva tenuto in vita l’imperatore era stata spostata di lato, probabilmente troppo grossa per poter essere rimossa. Ma c’era un’altra cosa, qualcosa che attirò maggiormente Hitomi.

A partire dal pavimento si ergeva un pilastro alto circa tre metri sormontato in cima da una sfera verde dai riflessi dorati, sembrava leggermente illuminata al suo interno. Comprese proprio in quel momento che la melodia e il canto provenivano dall’interno. 

Allungando le braccia, l’istinto che ebbe fu quello di cercare di raggiungere la sfera. Cosa che, ovviamente, le risultò impossibile. 

Mi chiama…

Dedusse, nella sua mente. 

Si fermò ai piedi del pilastro e con lo sguardo sollevato verso l’alto continuò a rimanere lì ad ascoltare la melodia che proseguiva. 

Chiuse gli occhi, lasciando che la visione l’accogliesse.

 

C’era il profumo di fiori e di sole e i prati erano verdi tutt’intorno.

Ricordava di aver visto quello stesso paesaggio quando Gaea aveva unito il suo spirito con la sua anima perduta, ricostruendo l’antica capitale di Atlantide come se non avesse mai conosciuto un solo giorno di rovina. 

Quel mondo perduto era stato ricostruito ed era stato abitato nuovamente. 

Poteva sentire il vociare delle persone a distanza e già i suoi occhi riuscivano a scorgere, dal punto elevato in cui si trovava, le persone andare e venire nelle strade sottostanti. Alcuni si libravano nel cielo con ali candide lieti di accorciare le distanze in quel modo. 

Nessuno sembrava curarsi di lei, non era un elemento estraneo a quel contesto. 

Una parte di se stessa sapeva che avrebbe potuto muoversi con la stessa semplicità. Testò questa consapevolezza dando un preciso ordine al suo corpo e due ali bianche le spuntarono sul dorso. 

La parte di lei che stava vivendo quel momento e che era ancora legata ai ricordi della sua vita precedente si chiese come potesse essere possibile una cosa del genere. 

Da quando anche lei era in grado di volare?

Da quando lo aveva desiderato. 

La risposta le era arrivata alla mente con la stessa facilità. 

Avrebbe potuto mutare anche il suo aspetto, se lo avesse voluto. 

Pochi ci riuscivano ma lei ne sarebbe stata certamente in grado.

I paramenti che indossava, erano indice dell’alto rango che possedeva: la lunga veste e la gemma dello stesso colore del suo ciondolo appuntata al centro della veste, all’altezza del petto, riusciva a catalizzare i suoi poteri e permettere di realizzare l’impossibile.

Quel pensiero produsse una consapevolezza: lei era in grado di fare qualsiasi cosa.

Aveva già curato delle malattie e aveva guarito ferite che avrebbero certamente condotto alla morte tanti soldati. 

Hitomi si arrestò a mezz’aria, mentre nella sua testa si era formato un ricordo doloroso. 

Erano morti in tanti, in troppi, nella guerra che li aveva condotti a questo futuro e lei… Ebbe un sussulto e riaffiorò alla sua mente una rivelazione sconcertante. 

Era stato tutto a causa sua! 

Il senso di disperazione l’avvolse e si sentì quasi andare in pezzi. Aveva perso tutto in cambio di un futuro costruito sull’inganno. Il suo volo si fece incerto, le ali pesanti. Scosse la testa, lasciando che calde lacrime le annebbiassero la vista. 

Come aveva potuto pensare di dimenticarlo? 

Aveva creduto davvero di poter andare avanti in quel mondo che era stato costruito sul sangue di coloro che aveva amato. Neanche il suo stesso potere aveva potuto obliare quei ricordi dolorosi che aveva deciso di rilegare per poter continuare a sopravvivere. 

Tornò a guardare sotto di sé, la città brulicante di vita e di felicità solo apparente. Pianse, perché non era servito a nulla, tutti i suoi sforzi erano stati vani, già il seme del male aveva intaccato Gaea dalla profondità e lei… stava diventando uno strumento di terrore e paura verso coloro che aveva in verità voluto solo proteggere. Non aveva più alcun senso continuare in quel modo. Aveva fatto una scelta, credendo che avrebbe salvato tutti, ed invece, era stata tradita! 

Guardò in basso e individuò il campo fiorito dalla quale si era allontanata. 

Ora ricordava cosa stava per fare.



______________

Che sorpresa, questo capitolo!

In questi giorni, forse complice l'essere riuscita a scrivere un nuovo frammento nelle short-stories dedicate a questa long fic sono finalmente andata avanti con la storia principale! 

Finalmente sono riuscita a completare questo capitolo e, il successivo, è oramai alle sue battute finali. 

Non ho mai voluto accantonare la storia principale anche se è diventata impegnativa. La storia ha già raggiunto le oltre 100 cartelle su Word e questo mi fa capire quante ore abbia dedicato ad un lavoro di questo tipo.

In futuro, mi piacerebbe revisionare sia questa storia che "Il Richiamo della Terra": è certamente scritta con un registro linguistico che, ad oggi, ritengo essersi sviluppato ulteriormente. Tuttavia, sono sicura di una cosa: è mio preciso compito finire questa storia PRIMA di dedicarmi a progetti di review. Sento di doverlo fare per chi ancora popola questo fandom, per chi ancora - come me - riesce a scrivere qualcosa su questo Anime meraviglioso che avrebbe meritato certamente più attenzione.

Spero che ci sia ancora qualcuno a leggere questa storia e che voglia lasciare un commento. Non sapete quanto potete rendermi felice dirmi semplicemente cosa ne pensate.

A presto!

Usagi.

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Capitolo 9
*** Interferenze ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


 
9
 
Interferenze

« Ti sbagli, giovane fanciulla
 
Anche su Gaea è scorso molto sangue. 
 Il sangue versato nelle battaglie che si combattevano qui come sulla Terra già molto prima del mio arrivo. 
»

 

Sarebbe riuscito a dormire quella notte?

Van ne dubitava fortemente. 

Affacciato alla finestra della sua stanza, il Re di Fanelia continuava a guardare il cielo stellato fissando l’orizzonte. Rakos di Basram si era allontanato in direzione delle montagne ma poi, quale direzione aveva preso?

Strinse i pugni, pensando che se avesse preso l’Escaflowne si sarebbero accorti della sua assenza solo il mattino dopo, quando sarebbe stato impossibile da raggiungere per qualsiasi nave volante.

L’avrebbe fatto se avesse saputo con certezza dove dirigersi.

Si portò la mano al petto, lì dove c’era il ciondolo di Hitomi.

Lei avrebbe saputo cosa fare. Sarebbe stato in grado di trovarlo, a parti invertite, ne era assolutamente certo.

Lo aveva già fatto in passato, in fin dei conti.

Si sentiva uno stupido, provava vergogna per se stesso al solo pensiero di quante volte lei era stata in grado di salvare la sua vita e lui… non era in grado neanche di proteggerla.

Furioso, sbatte un pugno contro il davanzale e abbassò lo sguardo, stringendo i denti. 

Si sentiva così miserabile e inutile che ebbe voglia di spaccare le pareti del suo stesso palazzo. Diede un pugno contro il muro e imprecò a denti stretti, incurante di chi all’esterno avrebbe potuto sentirlo. Ignorò il dolore alle nocche che il colpo gli aveva procurato e si lasciò scivolare sconfortato sulle ginocchia. 

In quel momento una luce si diffuse dal ciondolo di Hitomi che attirò inevitabilmente il suo sguardo.

Subito il Re di Fanelia si allarmò e sollevandosi in piedi, sfilò subito la collana affinché potesse osservare il ciondolo da vicino.

Stava succedendo qualcosa ad Hitomi, Van ne era sicuro. 

Incapace di capire cosa potesse fare in quel momento, decise di avvicinarsi il ciondolo al petto e pensare intensamente alla ragazza.

Hitomi, dove sei?

La visione arrivò quasi subito.

Si trovava da qualche parte, in una grande stanza illuminata a malapena. Hitomi si trovava davanti a lui ma gli dava le spalle.

« Hitomi! » urlò, allungando un braccio e muovendo veloci passi in sua direzione. 

Ma lei non ebbe alcuna reazione, in effetti, comprese, le sue parole non emettevano alcun suono. Era una strana dimensione, poteva osservare ma non intervenire. Anche quando fu abbastanza vicino da toccarla, non fu in grado di farlo.

A quel punto Van comprese cosa stava guardando la ragazza. Una colonna sormontata da una sfera verde. Quell’oggetto gli fu familiare. In qualche modo riuscì a ricordargli la tecnologia di Zaibach, la stessa tecnologia che aveva visto nella Vione – la fortezza volante di suo fratello.

Hitomi sollevò le braccia e allungò le mani verso l’alto. Come se eseguisse un suo comando la sfera si sollevò da quello che infine doveva essere il suo piedistallo e sembrò volteggiare sospesa in aria, iniziando a splendere di luce propria. Pur essendo inevitabilmente attratto da quell’oggetto Van cercò nuovamente di rivolgersi in direzione di Hitomi, quando si accorse, con sgomento, che gli occhi della ragazza avevano perso la luce della consapevolezza. Divenuti vacui, come quando era stata in trance le sue guance erano però rigate da lacrime che, copiose, avevano iniziato a discendere lungo il volto.

Van sentì il pericolo crescere e la sensazione di urgenza farsi sempre più forte, pressante. Anche se non capiva cosa stesse succedendo, poteva sentire quanto tutto quello che stesse vedendo fosse incredibilmente sbagliato.

Provò ancora una volta ad allungare un braccio per afferrare Hitomi ma quando le sue dita sfiorarono il suo corpo questo si dissolse, insieme a tutta la stanza e l’ambiente circostante.
 Il buio lo avvolse. 

« Hitomi! HITOMI! » urlò, mentre la sua voce si perdeva nell’oscurità. 

“Non ho altra scelta. È la stessa arma di allora! L’arma definitiva. Fanelia, Palace e Godashim. Raderà al suolo le città se non faccio come dice!”

Era stata la voce di lei che aveva udito, da qualche parte. Cercò di guardarsi intorno, con la speranza di riuscire a vederla da qualche parte, ma non c’era nulla attorno a sé.
 « Hitomi? Dove sei?! »

“Ti prego, Van…”  aveva detto ancora, con la voce rotta dal pianto, “Lui mi ha promesso che non avrebbe fatto del male a nessuno.”

Da qualche parte, lei stava piangendo. 

Poi la vide di fronte a sé o meglio, vide se stesso di fronte a lei. Ancora, come se stesse guardando la vita di qualcun altro. Era tra le sue braccia e nonostante potesse leggere il sollievo nel suo volto, lui era ferito e lei enormemente preoccupata e… disperata. Nonostante questo, nei suoi occhi brillava ancora un barlume di iniziativa, nonostante stesse piangendo.

Lui era stato ferito ma lei sembrava incolume e questo era più che sufficiente.
 Poi qualcosa la fece voltare ed indietreggiare. Qualcuno le aveva poggiato una mano sulla spalla.

“Adesso è il momento di andare Hitomi. Spero che vi siate detti tutto ciò che c’era da dire.”

La versione di se stesso nella scena tentò di opporsi ma i suoi movimenti furono inutili: era stato legato ai polsi con delle catene. Questo fece in modo di acuire la sua furia e fare nuovamente scoppiare in lacrime lei. 

Non aveva dubbi su chi appartenesse quella voce.

Rakos di Basram andò a cingere entrambe le spalle di Hitomi con le sue mani, impendendole di avvicinarsi. Vide la ragazza mordersi le labbra con i denti, cercando di trattenere un singhiozzo. Lui continuava a starle troppo vicino e la cosa lo turbò enormemente.

“Dovreste osservare anche voi, Re di Fanelia.” Si rivolse a lui in prima persona.

Van fu sicuro di star pensando la stessa cosa del se stesso legato in catene e impossibilitato a muoversi: avrebbe voluto ucciderlo sul posto. Ma c’era in gioco la vita di troppe persone ed Hitomi aveva abbassato lo sguardo, completamente alla di lui mercé. 

“Osservare l’inizio di una nuova Era per Gaea!”

 

Van riprese conoscenza, ancora inginocchiato sul pavimento. 

Aveva gli occhi spalancati, il cuore che batteva all’impazzata. Le mani erano ricadute pesantemente al suolo e il ciondolo di Hitomi aveva smesso di brillare. Cercò di sollevarle, quasi a voler capire se il suo corpo era in grado di rispondere ai suoi comandi. Ci riuscì, ma con fatica: stava tremando.

Le conseguenze di quella visione erano state devastanti. Sconcertato, cercò di trovare la forza per alzarsi. Doveva reagire, doveva fare immediatamente qualcosa altrimenti sarebbe impazzito. 

Confuso ancora dall’esperienza spiacevole appena vissuta, si portò le mani alla faccia, imponendosi di pensare a qualsiasi cosa gli avrebbe permesso di staccarsi dall’immobilità. 

Hitomi aveva parlato di come fosse stato in grado di prevedere le mosse di Dilandou tramite le visioni che aveva avuto impedendogli più volte di ucciderlo. Forse c’era ancora tempo, forse poteva ancora rimediare a quel futuro tanto avverso.

Quella visione non doveva assolutamente avverarsi.

Animato dalla paura, dalla preoccupazione e dal senso di urgenza, Van Fanel uscì dalla sua stanza.

Quella visione aveva suggerito anche un elemento che non doveva essere trascurato. 

Era il momento di richiamare il consiglio di Guerra.

 

 

Quando riaprì gli occhi si ritrovò tra le braccia di Rakos di Basram. La stava sostenendo perché era evidentemente svenuta. Il peso che le aveva oppresso il cuore in quel momento si era dissolto ma l’aveva lasciata totalmente priva di forze. 

Confusa, cercò di guardarsi intorno, ma quell’uomo si stava muovendo ancora nell’oscurità del palazzo di Zaibach.

Il suo tentativo di fuga era certamente finito in un completo disastro, pensò, cercando disperatamente di ricordare come fosse arrivata a quella situazione. 

Rapidamente, cercò di riunire i momenti precedenti a ciò che stava facendo ma si rese conto immediatamente che le mancava un pezzo in tutta quella strana vicenda. Fu in quel momento che l’uomo si accorse che si era svegliata e si fermò. 

« Sembra che oramai ci sia rimasto davvero poco tempo, Hitomi Kanzaki. »


 Quindi la colpa era sua se era finita ancora una volta preda delle sue visioni!

« Cosa è successo? Dove mi state portando? » La sua voce risuonò debole, anche se si era sforzata di sembrare autoritaria. Aveva tutto il diritto di sapere.

Rakos scosse il capo e si fermò ad osservarla. Hitomi ricambiò lo sguardo, perdendosi per un momento negli occhi scuri che stavano indugiando sul suo volto. Evitando di arrossire reclinò il capo di lato e fece per muoversi. 

Doveva assolutamente scendere. Rakos fu lesto ad acconsentire a darle almeno la libertà di restare sulle sue gambe.

« Vi stavo riportando nella vostra stanza. Dovreste riposare. » 

Quando Hitomi trovò solo le sue gambe a sorreggerla, scoprì che queste erano così pesanti e molli e, quando iniziò a barcollare e ad adagiarsi con una spalla sulla parete vicina l’uomo si mosse per afferrarla per le spalle. « Maledizione. » imprecò a denti stretti. 

Rakos la sostenne con inaspettata gentilezza.

« È evidente che non vi siete ancora ripresa. Ma spero che domani mattina sarete in grado di dirmi cosa avete visto al centro del campo di forza. »

Hitomi si sentiva confusa, incapace di comprendere cosa stesse dicendo quell’uomo. Si tese ad osservarlo in volto rimanendo stupita da quello che vi vedeva. Nonostante le parole fredde e l’atteggiamento misurato quella che cercava di stemperare era… euforia? 

Era evidente che sembrava contento per qualcosa.

« Di cosa state parlando? Dove mi avete portata? » 

Rakos la osservò per qualche istante, probabilmente cercando di valutare se la ragazza fosse in grado di camminare da sola.

« Siete stata voi a raggiungere la macchina di Atlantide che ho ricostruito. Non so come avete fatto, la porta era stata chiusa a chiave e la guardia ha giurato di non avervi vista. »

Fece una pausa prima che il suo viso s’illuminasse. «Siete stata guidata fin lì dal ricordo del passato che sono stato in grado di ricostruire e che sto studiando da diverse settimane. Per la prima volta la macchina si è attivata da sola! Ed è bastato solo che voi foste in questo luogo! » 

Hitomi si sentì improvvisamente nauseata. La sua prima reazione fu quella di volgere il capo di lato e portarsi una mano alla bocca. Rakos sembrò allarmarsi ma Hitomi aveva bisogno di mettere una naturale distanza tra lei e quell’uomo. 

Incredibilmente, riuscì ad evitare di imbarazzare se stessa in quel luogo e dopo aver preso un respiro profondo iniziò a sentirsi meglio. Cercò di assestarsi rimanendo in piedi da sola, indietreggiando di un altro passo. Dall’altro lato ci fu il rispetto di lasciarla fare.

« Chi è che stava cantando? Ho sentito una voce… » chiese, ricordando proprio in quel momento la strana melodia che aveva deciso di seguire e che l’aveva condotta nelle profondità della fortezza.

Rakos corrucciò lo sguardo, perplesso. Hitomi comprese subito che probabilmente era un ricordo appartenente ad una visione e scosse il capo. « Cosa significa che siete riuscito a ricreare un ricordo del passato? E che c’è rimasto poco tempo?»

L’uomo indugiò qualche istante prima di formulare una risposta. 

« Nutrivo pochi dubbi sul fatto che sareste stata compatibile con la Macchina di modifica del destino, ma non mi aspettavo una tale… sincronizzazione. » 

Hitomi indietreggiò: stava parlando di quella specie di pilastro che aveva visto? « Che cosa significa?»

« Che con il vostro potere riuscireste senz’altro a portare alla realtà la Capitale di Atlantide, adesso inaccessibile se non tramite il suo Portale! »

Hitomi capì cosa intendeva dire. 

Il continente di Asgard dove si riteneva fosse ubicata la Capitale di Atlantide in realtà ospitava uno spazio fisico vuoto, in quanto la vera città si trovava in un’altra dimensione. 

Lei era stata due volte in quel luogo e in entrambe le occasioni avevano dovuto accedere tramite l’anello dorato posto nel cielo, un spazio che non apparteneva né alla Terra né a Gaia. 

« Volete portare Atlantis su Gaea? » Hitomi era sbalordita. Non solo perché il nome di quella città era riaffiorato da chissà dove ma per l’implicazione di quello che significava mettere in atto un simile proposito.

« Fonderemo lì il nuovo futuro per l’intero pianeta di Gaea! Una città che conoscerà solo prosperità. » Rakos sembrava estasiato da quelle parole. Mosse un passo nella sua direzione ed Hitomi, istintivamente, indietreggiò.

« Questo è assurdo! Sono state proprio simili ambizioni a condurre il popolo di Atlantide alla rovina! » 

Rakos scosse il capo, il suo volto era ancora raggiante. « Voi siete la migliore garanzia per raggiungere un simile obiettivo. Chi potrebbe rivaleggiare contro colei che è stata benedetta da Gaea stessa? »

Hitomi era furente. « Cosa vi fa pensare che sarò disposta ad aiutarvi? Quello che cercate di fare è assurdo! » 

Lo sguardo di Rakos cambiò improvvisamente. Sebbene fosse sparito l’entusiasmo dal volto sollevò le labbra in un sorriso che fece fare un ulteriore passo indietro ad Hitomi. 

« Non voglio che utilizziate i vostri poteri per me. Voglio condividere con voi il futuro che ho intenzione di costruire. » Fece una pausa e avanzò ancora. La ragazza fece un ulteriore passo indietro ma con il tallone del piede sbatté contro il muro, fu abbastanza brava da non inciampare ma Rakos sollevò un braccio e appoggiando la mano contro il muro le venne vicino. Troppo vicino.

« Non sareste la Regina di un piccolo regno tra le montagne. Potreste essere colei in grado di ripristinare l’antica linea di discendenza di coloro che hanno creato questo pianeta. Voi che possedete il potere Atlantide in quanto proveniente dalla Luna dell’Illusione e il potere di Gaea, in quanto portatrice della forza vitale di questo pianeta! »

Hitomi sentì la spiacevole sensazione di un vuoto allo stomaco e iniziò a provare paura. 

Quell’uomo era… assetato di potere. Invece di restare ammutolita, con il cuore a battere con forza, cercò di recuperare un po’ di quel coraggio che aveva avuto crescendo sulla Terra. Raccolse le forze e riuscì a sgattaiolare velocemente, facendo un passo laterale. 

Rakos la lasciò fare, seguendola con lo sguardo.
 « Non sono interessata. »

Iniziò ad avanzare, riconoscendo, nonostante l’oscurità, la porta della propria camera. Vi si diresse a passo svelto, certa di avere lo sguardo di Rakos alle proprie spalle fino al momento in cui non riuscì a chiudersi la porta alle spalle.

 

« Vi sto dicendo che è così! Ne sono assolutamente sicuro! »

Stava sorgendo l’alba.

Avuta la visione, Van si era precipitato dai suoi generali e aveva fatto chiamare persino i rappresentanti di Freid e di Asturia. Quella era una questione che meritava di essere trattata con la massima importanza.

Uno sbadiglio interruppe il vociare confuso di coloro che erano stati trascinati lì dentro, richiamati dagli ordini del Re di Fanelia.

Era stato Dryden, che fino a quel momento non aveva ancora pronunciato una sola parola. 

« Quello che ci state dicendo è che il nostro nemico, Rakos di Basram, ha intenzione di posizionare – ammesso che non l’abbia già fatto – altre di quelle… armi definitive nel cuore dei nostri regni? »

Van annuì con forza. « Sì! Quell’uomo sta completando quello che l’Imperatore Dornkirk non riuscì a realizzare! Ha tutto l’interesse nel guadagnare tempo! »

Il volto del Reggente di Asturia era visibilmente perplesso. Dal suo punto di vista non c’era alcuna logica dietro le parole di Van. 

« L’esercito ci aspetta a Basram perché la sua intenzione è quella di concentrare le nostre forze in un solo punto affinché lui possa agire indisturbato. È questo che temete? »

Allen era in piedi e sembrava quello che aveva reagito meglio alla sveglia improvvisa. Si era presentato al consiglio vestito con il suo abito blu, la camicia perfettamente appuntata al di sotto e la spada al fianco.

Dryden continuò ad osservare il Re di Fanelia perplesso, e gettò uno sguardo verso Allen. Lui, al contrario, si era letteralmente messo la prima cosa che aveva avuto a sua disposizione. Scosse il capo a quei pensieri: non sarebbe mai riuscito ad essere un Cavaliere Celeste come Allen. 

« Vostra Maestà, se non verso Basram, dove dovremmo dirigere il nostro esercito?! »

Era stato uno dei nuovi generali di Fanelia a parlare. Un uomo che era riuscito a superare indenne la Guerra di Gaea, anche lui, discepolo di Balgus. 

« Come facciamo a sapere dove si trovano queste armi? Se iniziassimo a cercare a casaccio perderemmo giorni, ma che dico, settimane! »

Van aveva ragionato su quel punto e non era riuscito a venirne a capo. Era stato per questo che aveva convocato tutti loro, dovevano trovare una soluzione.

« Basram non ci ha ancora fatto pervenire alcune condizioni di rilascio, per la nostra Principessa. » intervenne un altro.

« Forse non intendono rilasciarla, per il momento. O forse non si aspettavano di riuscire nel loro intento. » avanzò un rappresentante di Freid, scochiando un’occhiata a Van, e fu chiaro che lo stava incolpandolo tacitamente della sicurezza del suo regno. « Se avanzassero delle richieste irragionevoli, quelle armi sarebbero un'altra lama puntata alla schiena. » 

D’un tratto, Dryden sollevò il capo. « Un momento. » disse, lasciando che l’attenzione ricadesse su di lui.

« Avete detto che le città coinvolte sono quelle presenti a questo tavolo. È una coincidenza non da poco, non è vero? » si soffermò ad osservare Van allungando le labbra in un sorriso sghembo. 

« Sono distanti tra loro ma, soprattutto, se concentrassimo le nostre forze nelle nostre città ignoreremo una porzione di territorio che fino ad ora non abbiamo considerato. »

Ad Allen si illuminò lo sguardo, di chi aveva colto l’allusione.

« I territori di Zaibach non sono forse stati lasciati a Basram in cambio di una cospicua somma ad indennizzo? »

Fu il rappresentante di Freid ad intervenire « Nessuno di noi avrebbe voluto quella zona arida, aspra e attorniata dalle montagne! Soprattutto dopo la caduta dell’imperatore Dornikirk. Ci sono solo contadini e minatori che prima o poi decideranno di andarsene, come avrebbero dovuto fare da tempo! » 

Anche Van, in quel momento, riuscì a cogliere il sottinteso.

« Tranne Rakos di Basram. » Concluse Dryden inforcandosi gli occhiali che gli erano finiti sul naso.

« Io stesso mi sono pentito di non aver pensato di rivendicare un po’ della conoscenza dell’Imperatore Dornikirk. Dopo la Guerra, è stato importante ricostruire. Tuttavia, il principe di Basram non dimentichiamoci che è stato un alchimista al servizio di Folken Fanel. Nessuno di noi avrebbe mai pensato che avesse delle ambizioni personali. » fece una pausa, scuotendo il capo, « Di certo, come Alchimista non è stato capace di distinguersi molto. »

« Fino alla morte di mio Fratello… » rispose Van, sottovoce, stringendo i pugni.

« Ci sono buone possibilità che Hitomi possa trovarsi tanto a Zaibach quanto a Basram. » concluse Allen, portandosi una mano all’altezza della spada. « Se decidessimo di spostare i nostri eserciti verso un unico punto e non trovassimo nessun esercito ad attenderci sarebbe tutto inutile. »

« Inoltre, » aggiunse ancora il funzionario di Freid « Siamo davvero così sicuri che ci siano queste armi nascoste all’interno delle nostre città, pronte ad essere attivate da un momento all’altro? » Si voltò a guardare direttamente Van, ancora una volta. « Basare le nostre scelte militari sulla base di una visione che avete avuto... perdonatemi Maestà, ma se la Prescelta di Gaea potesse darci un segno, credo proprio che ci indicherebbe il luogo dove è stata condotta! »

Quelle parole colpirono Van, ferendolo nell’orgoglio. Come se le visioni potessero essere controllate! Stava sporgendosi per parlare ma fece un passo avanti il Cavaliere Celeste che si trovava in piedi, a poca distanza da lui. « Con tutto il rispetto, Eccellenza, in passato siamo stati guidati e condotti da questo genere di… visioni. Non ho motivo di dubitare delle parole del Re di Fanelia. 

Dryden sollevò una mano aperta, poggiando il gomito sul tavolo. « Neanche io, se è per questo. » fece una pausa, tornando a guardare il Re di Fanelia. « Tuttavia, è vero che non possiamo decidere solo sulla base di questo. Non sappiamo dove sia Hitomi né tantomeno se Rakos ci sta aspettando a Basram con un esercito. » 

Van abbassò il capo, senza riuscire a trovare un buon argomento per perorare il suo punto di vista.

I primi raggi di sole iniziarono ad illuminare la stanza, investendo di luce i presenti. Era già mattino. Ancora un giorno trascorso senza che sapesse dove fosse Hitomi.

« L’Arma definitiva… fu sganciata da una nave volante. » riprese uno dei generali di Fanelia. « Dobbiamo accertarci che nessuna nave straniera entri nei nostri confini. »

Allen si allarmò improvvisamente, colpito da un pensiero. « La nave di Basram si trova ancora a Fanelia! »

Uno dei generali di Fanelia si sollevò in piedi e fece un cenno alla guardia. « Presto! Fai controllare da cima a fondo quella nave immediatamente! »

La guardia fece un cenno affermativo e uscì immediatamente dalla stanza. 

« Avete intenzione di far controllare tutte le navi volanti? » intervenne ancora una volta il rappresentante di Freid. A quel punto il suo nervosismo era palese.

« No, ma avrebbe senso controllare quelle che provengono da Basram. Non avevate forse iniziato a commerciare anche voi di Godashim con loro? » fece una pausa, reclinando il capo con ancora un mezzo sorriso sul svolto. « Sbaglio o recentemente avete iniziato ad acquistare il ferro estratto dalle loro miniere? Anche il vostro esercito deve essere pian piano ricostruito… »

Il rappresentante di Freid si ammutolì e volse il capo dall’altro lato.

 

In qualche modo, riuscì a dormire serenamente fino al mattino inoltrato. 

Senza che nulla turbasse il suo sonno, per un breve momento, poco dopo essersi svegliata, Hitomi ebbe l’illusione di trovarsi ancora a Fanelia. La sensazione durò solo qualche istante, giusto il tempo che il suo stomaco facesse una capriola a causa dell’ansia che era ritornata a crescere insieme alla sua consapevolezza.

Era una mattinata nuvolosa, si rese immediatamente conto, gettando comunque uno sguardo in direzione della finestra. Come se fosse servito davvero a qualcosa. Aveva smesso di stupirsi del cambiamento climatico da quando, con il minimo sforzo, riusciva a prevedere – e con una buona dose di accuratezza – le mutazioni metereologiche.

Quella mattina, provò a richiamare dentro di sé la coscienza di Gaea, ma questa, sagacemente, non intendeva rispondere né fornirle alcuna sensazione che potesse guidarla. Fino a quando andava tutto bene, realizzò, doveva pensarci da sola a tirarsi fuori dai guai! Concluse, sollevandosi seduta.

Qualche minuto dopo Elyse fece capolino nella stanza, portandole la colazione. Nonostante la ragazza fosse stata gentile il pomeriggio precedente, Hitomi era preoccupata e pensierosa. Seppure d’innanzi alle premure della ragazza che si occupò di aiutarla a lavarsi e cambiarsi d’abito, Hitomi aveva iniziato a pensare a quello che era successo la notte precedente ed era piuttosto silenziosa.

« Avete forse dormito male, mia signora? Siete molto pallida. » chiese quando aveva oramai concluso ogni incombenza. « Con questo tempo non vi direi comunque di avventurarvi all’esterno, qui fa ancora molto freddo, inoltre potrebbe piovere. »

Hitomi finalmente si sollevò a guardarla. « Sto bene, Elyse. Non devi preoccuparti per me. Tu… ehm. » era in difficoltà. « Puoi portarmi da Rakos? » 

La fanciulla non sembrò stupirsi della richiesta della ragazza. « Certo, in genere a quest’ora è già a lavoro. Aveva comunque chiesto di voi. Vi accompagnerò, se lo desiderate. »

Bene, pensò Hitomi. Anche se non si sentiva al sicuro, quanto meno poteva cercare di soddisfare la sua curiosità.

Non faceva altro che pensare alla grande stanza con il pilastro che aveva visto la notte prima. Rammentava chiaramente che la Macchina di Modifica del Destino dell’Imperatore Dornkirk fosse molto più grande, così come rammentava chiaramente che essa era andata distrutta alla fine della Guerra contro Zaibach. Dunque, di cosa si trattava?

Inoltre, rifletté, aveva chiaramente sentito una voce, una sorta di canzone di non aveva afferrato chiaramente le parole ma ne aveva vagamente intuito il senso profondo… Per quanto si sforzasse, in quel momento la sua mente non riusciva a rievocare nulla di concreto. Come una nebbia inafferrabile, tali erano i frammenti di pensiero che era riuscita a raccattare. 

« Se volete, posso accompagnarvi anche adesso. » Elyse interruppe il silenzio che si era creato nella stanza. Istintivamente, andò nuovamente alla ricerca del ciondolo che avrebbe dovuto avere al collo, scoprendosi ancora una volta delusa, nel non trovarlo. Il guardare in basso la portò ad osservare anche il vestito che aveva indossato.

Zaibach era una regione fredda e il palazzo, fatta eccezione per le stanze che erano utilizzate, doveva essere generalmente molto freddo, un problema che – tra le altre cose – aveva reso difficile trascorrere l’inverno a Fanelia. Quindi, indossava un vestito lungo fino alle caviglie di un colore verde scuro, che bene si adattava al cielo esterno, cupo. Si sentiva anche lei in quel modo, anche se aveva appena cercato di trovare uno scopo ed un obiettivo, perché non era abbastanza brava da creare una colonna di luce a comando e andare dove voleva a piacimento. 

« Ti seguo. » disse convinta, annuendo leggermente.

KIl palazzo le era sembrato tanto scuro la notte prima, ma anche durante il giorno era certamente difficile considerarlo accogliente e particolarmente luminoso. Era una fortezza, e come tale, costruita per resistere a qualsiasi attacco dall’esterno. I lucernari erano pochi e in taluni punti le torce erano continuamente tenute accese, soprattutto quando dall’esterno non si poteva godere di una bella giornata. Il tragitto per arrivare nuovamente al laboratorio le sembrò decisamente più lungo della notte prima e, mentalmente, cercò di memorizzare i corridoi giusti. Probabilmente, rifletté, si sarebbe facilmente persa senza la guida di Elyse.

D’un tratto, la ragazza si fermò d’innanzi l’ingresso di una sala molto ampia. Attese, senza attraversarla. «A me non è concesso avanzare oltre questo punto. Ma voi… Lui vi sta aspettando. » ripeté, « Sapeva che sarebbe stata vostra intenzione venire qui. »

Hitomi annuì, cercando ancora una volta di capire come un uomo come Rakos avesse potuto guadagnare il sincero rispetto e un’autentica stima da quella ragazzina gentile. 

Certamente non aveva idea di quello che era stato disposto a fare per condurla lì. Un pensiero andò a Fanelia, pregò silenziosamente che tutti stessero bene, poi entrò.

 

Rakos era in piedi, di fronte un tavolo lungo ricolmo di pergamene, appunti, oggetti e strumentazioni. 

Non era stato facile rimettere in sesto la sala principale dove aveva vissuto l’Imperatore Dornkirk. Gli erano costati mesi preziosi solo il recuperare gli strumenti che potevano essere ancora utilizzati nelle macerie; altrettanti per liberare i detriti, svolgere le riparazioni necessarie e rendere nuovamente funzionale quel posto. 

Aveva trovato degli ottimi lavoratori nella popolazione di Zaibach che, nonostante il loro stato generale di povertà, erano stati a lungo devoti all’Imperatore Dornkirk per il grande progresso tecnologico che aveva portato ad un miglioramento delle loro condizioni generali. Per questo sembravano soddisfatti e ben disposti a collaborare con un reggente che non aveva alcuna intenzione di condurli ad un nuovo governo che non ne avrebbe promosso un ritorno alle antiche – ed arretrate – abitudini contadine. 

Con i suoi studi, e gli appunti sia di Folken Fanel che dello stesso Imperatore Dornkirk era riuscito a rimettere in sesto il grande laboratorio di osservazione del destino. 

Nel suo processo di rinnovamento però, anche se aveva trovato necessario apportare alcune modifiche, in qualche modo era riuscito a ripristinare alcune delle strumentazioni in possesso. Grazie all’Amplificatore del Destino, era riuscito – rischiando di morire – ad unire in maniera artificiale il corpo di Folken Fanel al suo. Il risultato era stato chiaro, aveva ottenuto in quel modo l’elemento peculiare della discendenza degli Uomini-draghi-divini, ovvero le ali. Nere, come quelle che erano state già macchiate una volta a causa della reazione alla fortuna, ma Rakos sapeva di avere ancora tempo. 

Forse più tempo di quello che avrebbe avuto Folken.

La sua scommessa contro il tempo sarebbe dipesa unicamente da Hitomi Kanzaki.

Nel poco tempo che aveva trascorso insieme a quella ragazza ne era rimasto estremamente affascinato. La sua assoluta mancanza di ambizione era altamente contrapposta al grado di forza e di carisma che era in grado di suscitare. Se all’inizio aveva temuto un crollo emotivo che l’avrebbe condotta ad una generale instabilità del suo potere, aveva dovuto ricredersi in poco tempo.

Se l’enorme energia che aveva liberato a Fanelia l’aveva inizialmente preoccupato, vedere con quanta facilità Hitomi Kanzaki era stata in grado di arrivare in quel luogo gli aveva dato conferma che si trovava sulla strada giusta.

Forse sarebbe riuscito a convincere della sensatezza delle sue posizioni, visto che quella ragazza era già naturalmente attratta da quello che era riuscito fortuitamente a raccogliere e a sigillare. Un antico ricordo dell’antico splendore di Atlantide era stato conservato all’interno della sfera che aveva rinvenuto tra gli oggetti di Folken. Dagli appunti che aveva trovato, l’alchimista aveva già intuito di poter fare anche questo, estrapolando frammenti di informazioni dagli oggetti. Probabilmente, il crescendo della guerra e i piani di modifica del destino dell’Imperatore avevano costretto l’alchimista più promettente della sua epoca a concentrarsi su altri progetti, certamente maggiormente orientati a soddisfare le necessità belliche e di espansione dei generali di Zaibach.

In quel momento sentì i passi di qualcuno che entrava nella stanza. Si volse, osservando la ragazza proveniente dalla Luna dell’Illusione fare il suo ingresso all’interno dell’ampia sala illuminata da fioche candele e da luci artificiali. Si soffermò ad osservarla senza poter fare a meno di notare che gli suscitava un certo fascino. Era molto bella, nonostante fosse lontana dal suo tipo ideale e dalle donne che aveva avuto in passato. Gli occhi, in particolare – così intensi – suggerivano una vivace intelligenza di cui spesso si era parlato ai tempi in cui alchimisti come lui avevano sognato di studiare da vicino i suoi poteri di chiaroveggenza. Il viso dall’incarnato roseo era circondato da capelli castano chiaro che la fanciulla si ostinava a tenere molto più corti di tutte le altre donne. Era vestita con i colori austeri di Zaibach, ma sarebbe stata ancora più affascinante se avesse indossato qualcosa confezionato seguendo l’ultima moda di Asturia.

Fu costretto ad interrompere quello strano flusso di pensieri quando lei fu abbastanza vicina da ritenere quel suo sguardo forse un po’ troppo audace, perché si corrucciò abbastanza da cambiare espressione.

« Sono venuta qui per dirvi che non è mia intenzione aiutarvi. » Fu abbastanza sicura di sé da dirlo tenendo lo sguardo sollevato, fissandolo con determinazione. 

Rakos d’innanzi a quell’ostentazione di fierezza sentì qualcosa smuoversi all’interno della sua coscienza. 

« Non vi avrei aiutato neanche se non vi foste spinto fino a questo punto. » aggiunse.
 « Avete trovato scomoda la vostra sistemazione? » 

La sua domanda, che non aveva altro scopo se non quello di provocarla – e non seppe neanche lui chiedersi perché lo avesse fatto – ebbe esattamente quell’effetto. 

« Se si realizzerà quello che avete in mente non si porrà fine a tutte le guerre e di certo non si vivrà in eterno! Anche l’Imperatore Dornkirk era ossessionato dalla civiltà perduta di Atlantide, ma quel mondo è stato distrutto tanto tempo fa, volete che possa succedere ancora una volta? »

Rakos aveva ascoltato, interessato dalle parole della ragazza. In qualche modo era ammirato da quella passione che esprimeva con tanta autentica sincerità.

Fece un passo nella sua direzione e vide la ragazza irrigidirsi, perdendo un po’ della sua convinzione.

« Un tempo, siete stata voi a dire che se non si dà fiducia alle persone non è possibile ottenerla in cambio. » 

La Ragazza della Luna dell’Illusione aveva colto l’allusione e impallidì. Quelle erano state parole che lei aveva rivolto a Folken qualche tempo prima che lui morisse.

« Come sapete queste cose? »

« Alcuni dei ricordi di Folken Fanel sono arrivati a me il giorno in cui ho ottenuto le ali. » 
 D’un tratto, Rakos sentì l’esigenza di ammorbidire il tono, di essere più conciliante. 

Ricordi che in qualche modo, a causa di ciò che aveva fatto, gli erano state trasmessi, pensò Hitomi.

« Non avrei mai voluto arrecarvi un simile dolore. So quanto io vi stia facendo soffrire. »

Hitomi sembrò rilassare appena il volto. « Se mi lasciaste andare ora, forse potrei… sì! » sembrava assolutamente convinta, « Potrei parlare con Van e il Signor Dryden e sono sicura che…»

« No. » la interruppe « Questo è impossibile. » era meglio spezzare qualsiasi illusione le fosse venuta in mente e farlo immediatamente.

Allungando una mano fu lesto a prenderle il polso. Lei, istintivamente, si mosse per opporsi; ma la sua presa non voleva essere dolorosa. Si sforzò per continuare a serrarla senza farle male.

Si mosse in direzione del pilastro, trascinandola in maniera ferrea ma senza strattonarla, ignorando le sue proteste.

Neanche qualche metro di distanza dalla macchina e quest’ultima iniziò ad attivarsi come si aspettava. Rakos non sapeva dire se questa avesse reagito all’emozione crescente della ragazza o alla sua semplice vicinanza, ma per la prima volta fu in grado di sentire il ricordo che aveva intrappolato nella macchina. 

Win dain a lotica…

en valturi si lota…

« Che cosa state facendo? Vi ho detto di lasciarmi! » Hitomi continuava ad opporsi con forza e quando iniziò anche lei a sentire la melodia si fermò per un momento, stupita. Vide nel suo sguardo lunghi momenti di smarrimento. Poi sembrò trovare la forza di continuare a strattonare, questa volta con più forza.

« No! Fatela smettere! Non voglio più vedere! »

Lui, però, voleva capire fino a che punto potevano spingersi.

Le prese anche l’altro polso e con un movimento che, per quanto si fosse sforzato di non esserlo - data l’urgenza - fu inevitabilmente brusco, le portò indietro le braccia, esponendola alla luce crescente del pilastro. 

Meraviglioso! Incredibile! La luce stava diventando più forte.

Le proteste della ragazza smisero all’improvviso e, subito dopo, anche i suoi tentativi di opporsi. Lui però non la lasciò andare.

Si ritrovò in un luogo che non poteva essere il suo pianeta. Lo capì immediatamente quando vide stagliarsi nel cielo non una sola luna, ma anche una formazione nuova. Con stupore, realizzò di essere sulla Terra e che quella in lontananza poteva essere solo Gaea. 

Hitomi era accanto a lui, in piedi, in quella collina verdeggiante e indossava quegli strani abiti corti, la gonna che le lasciava quasi tutte le gambe scoperte. Non si soffermò a quella vista, interessato piuttosto a ciò che aveva attirato la sua attenzione. Guardava un punto in lontananza osservando con crescente angoscia l’ambiente circostante. La devastazione non aveva ancora raggiunto il punto dove si trovavano loro ma gli arrivarono le voci concitate di chi probabilmente stava avvicinandosi in quella direzione. Volute di fumo si stagliavano in lontananza, portando l’odore acre di morte anche nella loro direzione.

« è cominciato così… » disse lei, finalmente voltandosi a guardarlo.

Le vide sul volto una tristezza autentica ma, nonostante questo lei sollevò una mano e l’allungò nella sua direzione. Rakos vide ancora un’ombra di determinazione nel volto di lei e, per un momento, sentì il suo cuore perdere un battito. Senza pensarci due volte, afferrò la mano che le stava porgendo.

Venne trasportato in un altro frammento, in una diversa collocazione spazio-temporale.

« Hanno tentato una seconda volta, su Gaea. » Spiegò lei, ancora accanto a lui. Aveva lasciato la sua mano e se l’era portata all’altezza del petto, il pugno chiuso. Rakos vide la frustrazione nel volto della fanciulla. 

Quando finalmente si decise a guardarsi intorno comprese immediatamente dove si trovasse. Quella era la capitale di Atlantide esistente su Gaea. 

Era semplicemente meravigliosa. Palazzi che somigliavano a templi, fontane con acqua limpida, strade lastricate di bianchi mattoni, un cielo limpido e… aprì la bocca per lo stupore, guardando il cielo quelli che vedeva non erano uccelli, ma persone… con ali sul dorso. 

Così assorto nell’osservare l’ambiente intorno a sé fu desideroso di procedere e mosse un passo. 

Proprio in quel momento, il frastuono arrivò alle sue orecchie e, qualche istante dopo, iniziò un terremoto fortissimo. L’oscillazione fu così continua e potente che restò in piedi solo perché fu abbastanza lesto da allargare le gambe e tenere basso il baricentro. La ragazza accanto a lui, invece, finì sulle ginocchia. Sporgendosi nella sua direzione si rese conto che si era accasciata in avanti e si stava stringendo la camicetta con forza, quasi come volesse strapparsela. Ansimava pesantemente e sembrava soffrire enormemente.

Un’ondata di preoccupazione lo travolse e immediatamente fu accanto a lei. 

Un altro frastuono in lontananza e il suono dei palazzi che crollavano sovrastarono le sue parole quando provò a chiederle cosa avesse. Lei non rispose. Gli circondò le spalle per tentare di risollevarla e fu inebriato dal suo odore. Vide intere porzioni di terreno sprofondare nel fuoco e nella lava che in qualche modo era fuoriuscita dalla terra e iniziò a sentire l’urgenza della paura incombere. Quella era una visione del passato, giusto? 

Cercò di ricordare come si fosse trovato in quel luogo. Era incredibile: aveva il privilegio di osservare eventi che si erano svolti millenni prima. Tutto questo grazie al potere della ragazza.

D’un tratto, vide una enorme colonna di luce dorata apparire da qualche parte, in lontananza. 

Nel frattempo, Hitomi aveva iniziato a calmarsi, progressivamente respirando in maniera più regolare si era mossa per rimettersi in piedi. Lui l’aiutò a risollevarsi indugiando qualche istante in più con la mano intorno al suo braccio, temendo che non riuscisse a resistere alle oscillazioni che progressivamente aumentavano. 

« Alcuni riuscirono a fuggire… una manciata di sopravvissuti. Il portale fu creato in questo modo, per sigillare questo luogo. »  disse, indicando la colonna di luce che lentamente svaniva all’orizzonte. Rakos vide le fiamme sollevarsi e aggredire tutto ciò che la vista poteva scorgere.

Quella era stata la fine di un’epoca d’oro. 

Hitomi si volse nuovamente a guardarlo. Rakos vide che il suo sguardo aveva perso quella scintilla di luce…sembrava, un’altra persona.

« A Gaea, benedetta dai desideri delle persone, non è permesso crollare. »

 

D’un tratto si ritrovò nuovamente nel suo laboratorio, la luce della macchina si affievolì e si rese conto che stava ancora tenendo per le braccia Hitomi che, quasi contemporaneamente, si afflosciò in avanti, con gli occhi semi chiusi, esausta. 

« Hitomi! » la chiamò, sostenendola. Si rese conto di quanto fosse piccola in confronto a lui e, soprattutto, leggera. Lei sollevò il capo stranita nel sentirsi chiamata per nome in quel modo, cercando di puntellarsi con i piedi per rimanere eretta. Rakos capì che non avrebbe voluto il suo aiuto e si stava sforzando per non cedere alla debolezza davanti a lui. Eppure era impallidita e sembrava svuotata di ogni energia.

« So che avete visto anche voi. » disse con la voce ridotta ad un sussurro. 

Lui annuì, osservandola dritta negli occhi. « Sì, ma i miei obiettivi non sono cambiati. » 
 Vide la delusione nel volto della ragazza e la frustrazione crescere.

« Come potete volervi spingere a tanto? Avete visto le conseguenze di chi ha provato prima di voi ad utilizzare un simile potere! » dicendolo, aveva guadagnato forza nella voce. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Rakos rimase sorpreso da quanta bellezza e fierezza trasmettessero il suo sguardo. Era arrabbiata e non si sarebbe fatta vedere debole. 

La vide fare un respiro e raccogliere le forze, liberandosi dalla sua stretta. Per un momento Rakos temette che potesse pericolosamente oscillare ma la Ragazza della Luna dell’Illusione aveva una volontà tutta sua e riuscì a rimanere in piedi. 

« Se non avete intenzione di capirlo voi, riusciremo a fermarvi! Van verrà certamente qui! »

Quelle parole di provocazione non lo scalfirono nel modo in cui si aspettava. 

Questa volta, cercò il suo polso e lo strinse nuovamente, mettendo una forza maggiore di poco prima. « Allora, vi lascerò provare. Ma voi siete la migliore garanzia del mio successo. » Hitomi l’osservò perplessa e con uno strattone Rakos lasciò che si liberasse. 

« Lo avete detto voi stessa: Gaea è retta dai desideri delle persone e non le è permesso di crollare! » 

 

Van era irrequieto. Lo era stato tutta la mattina. 

Erano trascorse diverse ore dalla conclusione del consiglio che aveva coinvolto tutti i dignitari che – ancora – rimanevano a Fanelia per decidere come e quando iniziare un attacco congiunto contro Basram, il Sovrano si era trattenuto a parlare con Allen.

« Ti rendi conto che ti sei giocato tutta la tua credibilità come sovrano, lì dentro? » Il Cavaliere Celeste era calmo, ma anche lui era rimasto piuttosto sconvolto dalle parole con cui Van aveva richiesto la loro attenzione.  

Van aveva continuato a camminare avanti e indietro, con la spada al fianco e un’aria d’urgenza stampata sul volto. 

« Allen, vorrei tanto sbagliarmi. Lo vorrei davvero. Ma forse il ciondolo di Hitomi è rimasto nelle mie mani per una ragione. » Dicendo questo lo tirò fuori dalla tasca all’interno della quale lo stava custodendo. Lo infilò intorno al collo. 

« Sono sicuro che Hitomi stia bene. Se fosse in grave pericolo sono certo che tu più di tutti noi riusciresti a sentirlo. »

Il Re di Fanelia strinse i pugni lungo i fianchi e si volse a guardare fuori dalla finestra. 
 « Mi sento come se fossi prossimo ad essere spinto in fondo ad un abisso. Non so quanto ci vorrà ma ho la sensazione che potrebbe succedere da un momento all’altro. »

Allen aveva scosso il capo. « Che tu sia preoccupato è naturale. Lo siamo tutti. Ma non dovresti sottovalutare la forza di Hitomi. In passato ha dimostrato di una avere una tempra rara. » 

Van annuì, apprezzando le parole di conforto dell’amico. 

« L’orientamento generale degli altri regni è quello di sferrare un attacco congiunto contro le forze di Basram. Esploratori mandati da Dryden sono già diretti ad Asturia per allertare il grosso delle truppe. La stessa cosa è stata predisposta dal Principato di Freid. A quest’ora avranno già ricevuto l’ordine di muoversi. »

« Così avrà inizio un’altra guerra…» Van scosse il capo, demoralizzato. 

Allen si mosse in direzione di Van e gli mise una mano sulla spalla. « Talvolta la battaglia incombe, che lo vogliamo oppure no. Questo mi era stato detto una volta dal Sommo Balgus. » fece una pausa, « Ma se è una battaglia deve avere luogo, allora che sia combattuta per proteggere e mai per aggredire per primi. »

Proprio in quel momento la grande porta scorrevole si aprì ed entrò una delle guardie del castello di Fanelia. Aveva il volto trafelato, era sudato ed era visibilmente agitato.

« Vostra Maestà! L’abbiamo trovata! L’Arma definitiva si trova nella foresta! »


__________________

Eccoci qua! 

Siamo nel vivo della storia! Oltre questo capitolo già pubblicato il successivo è già quasi pronto e sto procedendo con la scrittura dell'undicesimo.

Penso di essere arrivata più o meno a 3/4 della storia, sto già costruendo nella mia mente le scene principali del climax, spero di non deludervi!

Grazie, come sempre, a chi legge e a chi vorrà lasciarmi un commento sulla storia. 

A presto!

Usagi.

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Capitolo 10
*** Possibilità ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


 
10
 
Possibilità

« Ti sbagli, giovane fanciulla
 
Anche su Gaea è scorso molto sangue. 
 Il sangue versato nelle battaglie che si combattevano qui come sulla Terra già molto prima del mio arrivo. 
»

 

Hitomi aveva preferito andarsene, perché a quel punto, aveva finito le parole da poter usare con Rakos.

Ancora con le vivide immagini della visione in testa, riuscì ad avanzare con passo sicuro fino all’uscita. Si sentiva sollevata perché l’uomo non aveva provato in alcun modo a fermarla e grata al suo corpo che riuscisse a resistere tanto. Quella visione l’aveva… nauseata. Era stata molto più intensa di quelle avute solitamente e, per la prima volta, inconsapevolmente, aveva lasciato che qualcun altro che non fosse Van condividesse l’esperienza dell’illusione. 

Era stato a causa della strana macchina che si era attivata oppure erano stati i suoi poteri? Lei credeva più alla prima ipotesi. 

Frustrata, si appoggiò ad un corridoio per riprendere fiato. Le girava la testa e aveva ancora nel naso l’odore di fumo e di morte che aveva respirato nel ricordo.

Come poteva quell’uomo essere rimasto completamente indifferente alla vista della caduta della città di Atlantis? L’antica capitale che era stata ricostituita quando la forza di Gaea aveva mondato tutto il sangue che era stato versato nella Guerra contro Zaibach. Rimaneva ancora inaccessibile, fortunatamente, se non per coloro che riuscivano ad utilizzare il potere dei desideri. 

Hitomi cercò di riflettere. Era stata portata a Zaibach per un motivo. 

In quella sala c’erano ancora molte delle attrezzature utilizzate dagli alchimisti e dall’Imperatore Dornkirk. Rakos aveva utilizzato su di sé la Macchina di modifica del Destino per acquisire le ali di Folken ed ottenere così, seppur in maniera artificiale, la discendenza e il sangue degli Uomini-draghi-divini. 

Lei era stata condotta a Zaibach ma per quale ragione? 

Quella macchina… in qualche modo, quella macchina aveva amplificato i suoi poteri. Lo aveva percepito con facilità. Le era bastato solo un pensiero a guidarla. “Fa che lui possa vedere quella sofferenza”. Ed era riuscita a condividere quella visione. 

Distaccandosi dal muro, continuò ad avanzare, lasciando che i suoi pensieri la guidassero verso il suo ragionamento ed i suoi piedi in direzione della sua stanza. 

La sera prima era successo qualcosa a cui non era riuscita a darsi una spiegazione. Era arrivata in quella sala quasi come se stesse sognando, guidata da una musica che… era stata la stessa che aveva udito poco prima! Un canto lontano con parole che non aveva riconosciuto. 

Una fitta acuta alla testa la fece arrestare all’improvviso e riuscì a soffocare un’esclamazione di dolore perché rimase letteralmente senza fiato.

Ancora l’effetto della visione? Si chiese, dopo qualche secondo, cercando di capire se il dolore perdurasse. A cosa stava pensando? Ah, sì. Alla sera prima, a quando aveva iniziato a sentire quella strana musica, eppure come faceva?

Questa volta il dolore alla tempia fu così forte che fu costretta a portarsi entrambe le mani alle tempie, le dita a premere con forza sulla pelle. 

«  Mia Signora, Hitomi! » 

Riconobbe la voce di Elyse prima ancora di riuscire a vederla. Aveva svoltato un angolo, oramai doveva essere prossima a raggiungere la sua stanza, quando si era trovata davanti la giovane cameriera. 

Quest’ultima si accorse immediatamente che c’era qualcosa che non andava perché l’osservò con aria preoccupata. « Cosa avete? Avete male da qualche parte? »

Hitomi scosse il capo, la testa aveva finito di pulsare dolorosamente. Elyse le si affiancò sfiorandole un braccio con una mano. Osservandola meglio la ragazza si allungò con la mano e Hitomi lasciò che le sfiorasse il viso. La reazione di lei fu immediata.

« Ma voi state scottando! Dovete avere la febbre! »

Hitomi sbatté gli occhi e, improvvisamente, realizzò una cosa molto importante.

Il suo potere era in subbuglio o, cosa che non aveva previsto, si stava evolvendo. Era sempre stato così da quando la sua essenza aveva iniziato a rispondere al potere di Gaea. Evidentemente, il suo corpo non era in grado di gestire quella forza magica e, per questo, allo scopo di adattarsi, tentava di affrontarla allo stesso modo di come avrebbe fatto con un germe o un batterio. Combatteva fino a quando l’energia non si stabilizzava dentro di sé e, allora, riusciva a gestirne un po’ di più, ad acquisire qualcosa che prima non era stata in grado di compiere. 

« Sto bene. Passerà. » tentò di dire, ma si stava impegnando davvero tanto per rimanere in piedi. « Devo solo dormire un po’… » sarebbe stato più veloce adattarsi al nuovo cambiamento. Non poteva permettersi di essere inutile.

« Lasciate che vi accompagni in camera vostra. Coraggio. » Notò quanto la fanciulla fosse preoccupata ma lei poteva resistere.

Poteva farcela…

Quando arrivò a sedersi sul letto, rilasciò un sospiro esausto. 

« Riposate, adesso. Vi metto qualcosa di freddo sulla fronte, non vi muovete. » Aveva detto Elyse, andando in direzione della porta. 

Hitomi annuì lievemente e lasciò che andasse, grata di essere lasciata ancora un momento sola, a riflettere.

Si sdraiò sul letto, portandosi l’avambraccio destro appoggiato sulla fronte. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, ignorando il pulsare doloroso della testa a causa della febbre. Cercò di focalizzare l’attenzione dentro di sé, cercando di capire e capirsi, di dare una spiegazione a quello che le stava succedendo, ma se sperava di ricevere delle risposte interiori, queste non arrivarono. 

Apprezzando il silenzio che le si era creato intorno, conciliata dal sonno che sarebbe giunto presto, non badò quando sentì la porta aprirsi, certa che si trattasse di Elyse, che aveva fatto prima di quanto credesse. 

Con la coscienza ridotta ad lontanissimo sussurro nella sua testa, Hitomi scivolò nell’incoscienza del sonno qualche istante dopo.

 

Rakos aveva bussato e quando non aveva ricevuto risposta dall’interno era entrato quasi senza pensare alle conseguenze, rendendosi conto solo l’istante successivo che stava entrando nella camera di una donna senza che fosse stato invitato a farlo.

Certo, si era comportato in modo assolutamente indegno e, dunque, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di quello? Aspettandosi di ricevere un rimprovero dalla ragazza, si era invece immobilizzato sulla porta quando si era reso conto che Hitomi giaceva addormentata. Aveva notato la posizione insolita, un braccio quasi a proteggerle gli occhi e la vista, ma in quella camera non c’era tanta luce che potesse darle fastidio. Osservò ancora qualche istante e, dal movimento regolare del petto che si sollevava ed abbassava lentamente, intuì che stesse dormendo profondamente, anche se lei aveva lasciato la sua sala non più di mezz’ora prima. 

A quel punto, Rakos avrebbe dovuto dare retta a quel poco di educazione che gli era rimasta e sarebbe dovuto uscire: doveva ottenere in tutti i modi la fiducia di quella ragazza e, certamente, farsi trovare nell’unico luogo che avrebbe dovuto farla sentire al sicuro non era stata di certo una buona idea. Tuttavia…

Lo incuriosiva, quella ragazza era piena di fascino e mistero ed era bastato poco per accorgersi che quell’attrazione non era limitata unicamente ai poteri che possedeva. Rimase ad osservarla tenendosi ancora a qualche metro di distanza, incerto se avvicinarsi ancora o rimanere lì, quasi sull’ingresso, per concederle quel poco di spazio d’intimità che le aspettava di diritto.

Dormiva profondamente, segno che la visione che aveva avuto l’aveva indebolita. Se lo aspettava. Anche prima di conoscerla, aveva avuto modo di leggere alcuni rapporti stilati da alcuni alchimisti, sotto diretto comando dell’Imperatore Dornkirk. Informazioni tratte dalle spie che erano state ad Asturia avevano accuratamente riportato gli effetti causati dalle visioni su quella giovane ragazza. Per lo più perdita di coscienza, debolezza e… quella volta nel Principato di Freid, persino a sfiorare la morte. 

Rakos scosse il capo, avrebbe certamente dovuto darle più tempo, ma anche lui aveva oramai iniziato a sentire gli effetti che l’alterazione del Destino aveva comportato sul suo fisico. Anche se non era riuscito a calcolare quanto tempo gli restasse, riusciva a sentire la consapevolezza che quest’ultimo si assottigliava sempre di più. Guardando la ragazza dormire pensò che anche lui si meritava un po’ di felicità, ma ne valeva la pena sottrarla a chi aveva lottato in prima persona per raggiungerla?

Si voltò, pensando di andarsene, combattuto dalla certezza che non era giusto che stesse ancora in quella stanza. Proprio mentre compiva un passo sentì un fruscio alle sue spalle. Voltandosi, notò che la ragazza aveva spostato il braccio dalla fronte, facendolo scivolare all’altezza dello stomaco, trovando una nuova posizione, sicuramente più confortevole. Anche se aveva appena pensato di andarsene, trovò un buon motivo per indugiare ancora qualche istante: si fermò a guardarla in volto. I capelli corti ricadevano lievemente scomposti sul cuscino e le palpebre erano chiuse, rivelando un sonno tranquillo. Hitomi possedeva lunghe ciglia che si muovevano a malapena e la bocca era dischiusa leggermente. Rakos mosse un passo e poi un altro, fino ad esserle di fronte. Il suo sonno doveva essere molto profondo e lui si era mosso volontariamente con molta cautela, senza produrre il minimo rumore. 

Era venuto lì per approfondire alcuni elementi che avevano condiviso nella stessa visione ma mentre la guardava, in quel preciso momento, sentì che era solo una scusa. Trovare un buon motivo per parlare non era che un pretesto per giustificare la ricerca della sua compagnia. Lo realizzò in quel momento, e la forza di quella consapevolezza lo spinse a chiedersi quando avesse iniziato a provare quella strana curiosità per quella fanciulla.

I suoi pensieri si interruppero improvvisamente quando, continuando ad osservarla, si accorse che c’era qualcosa che non andava. Il suo respiro era visibilmente accelerato. Si sporse lievemente, allungando una mano. 

« Mio Signore! Cosa ci fate qui? » 

Ritirò immediatamente la mano, sentendosi come se stesse fosse stato colto in fallo nel fare qualcosa di sbagliato. Elyse era appena entrata, con un catino e una brocca riempita di acqua. 

Hitomi continuò a dormire, senza accorgersi di nulla.

Rakos fece due passi indietro, osservando i suoi movimenti. La ragazza si sentì in dovere di rispondere. « Eravate preoccupato anche voi? Sembra che abbia la febbre. Forse a causa della stanchezza del lungo viaggio. »

Si fece avanti e Rakos si spostò di lato. « Sì, sarà certamente per questo. »

Elyse sorrise, volgendogli un’occhiata serena. « Si rimetterà presto, vedrete. » Iniziò a versare l’acqua nel catino e immerse una pezzuola all’interno.

Rakos tornò a guardare la ragazza dormiente annuendo leggermente, senza sapere cosa rispondere.

« Elyse. » Disse, quasi sussurrando. « Lasciate che mi prenda cura personalmente della nostra ospite. È il minimo che possa fare. » avrebbe voluto parlarle ancora, non di Atlantide o dei suoi piani per il futuro.

La ragazza strizzò il panno fino a quando l’acqua in eccesso non si ridusse a poche gocce e, un po’ incerta, glielo passò. « Come desiderate, mio signore. » e dicendo questo, si sporse lievemente, porgendogli il panno.

Elyse, sulla porta, si volse un’ultima volta indietro, guardando ancora la ragazza addormentata, con un pensiero che non ebbe voce e poi, lasciò la stanza.

Rakos si sedette sulla sedia che Elyse aveva predisposto affinché potesse occuparsi di Hitomi. Fu incerto che potesse svegliarsi da un momento all’altro quando con un movimento lento appoggiò la pezzuola sulla fronte. La ragazza ebbe un lieve sussulto e sembrò quasi che stesse per svegliarsi. Trattenne il fiato, sentendo il battito del cuore accelerare. Non successe nulla: dopo qualche istante riprese a dormire, sembrando persino più rilassata. Lui continuò sforzandosi di non imprimere forza o di essere indelicato. Con movimenti leggeri percorse l’intero ovale del viso e quando notò che il volto della fanciulla aveva perso un po’ di rossore febbricitante si ritenne soddisfatto. Restò in silenzio lunghi minuti a guardarla, in silenzio. Il cuore non aveva smesso di battere più forte del solito.

 

Non era stato facile capire come rendere inoffensiva quell’arma e nelle ore successive, avevano preferito trovare un luogo sicuro prima di tentare di manometterla, piuttosto che evacuare immediatamente tutta la popolazione di Fanelia.

L’avevano trovata nel fitto della foresta, sorvegliata da un uomo solo che si era allontano dalla nave di Basram, trasportando segretamente l’ordigno nel fitto della vegetazione di Fanelia. Probabilmente Rakos non aveva scelto con molta cura quegli uomini, si era tradito accendendo un fuoco e, dunque, attirando la sua attenzione dopo interi giorni trascorsi a nascondersi. Con molta probabilità, se non avesse commesso quella leggerezza, sarebbe potuto rimanere nascosto ai loro occhi con facilità. 

Fortunatamente, una volta fatto prigioniero, l’esito dell’interrogatorio aveva finalmente portato alla luce delle informazioni interessanti: l’uomo aveva rivelato dove fossero nascoste le altre armi definitive che il Regno di Basram aveva segretamente trasportato e, perfettamente in linea con quello che Van aveva visto nella sua visione, aveva conferma che c’erano altre due unità che erano state piazzate al fine di tenere sotto scacco i regni vicini: Palace, la capitale di Asturia e Godashim del Principato di Freid.

La reazione degli esponenti dei regni presenti a Fanelia fu immediata.

« Preferirei che tu rimanessi qui, saresti certamente più al sicuro che a Palace. » aveva detto Dryden a Millerna, mentre questa iniziava a fare i bagagli per ritornare in patria immediatamente. La Principessa di Asturia aveva scosso il capo e con uno sguardo determinato aveva osservato il marito.

« Sarei più utile lì, qualsiasi cosa possa succedere al mio popolo. Non sappiamo neanche se riusciremo a fare in tempo. »

« Insistere non avrebbe alcun effetto, non è vero? » 

Millerna annuì gravemente. « Vista la forza con cui si è imposto mio nipote Chid, un bambino, come potrei dirmi degna del suo rispetto e di quello del mio popolo se facessi diversamente? »

Dryden aveva annuito, stupito anche lui della forza e della perseveranza che aveva dimostrato il nipote nel sovrastare tutti i dignitari in primis il Sommo Voris nel rispetto di quella che era la sua volontà. 

« Non resterò qui a nascondermi come un codardo! » aveva detto, rammentando ancora il sacrificio che il padre aveva compiuto durante lo scontro contro l’Impero di Zaibach. In quella occasione era stato costretto a fuggire, salvato dai suoi alleati, evitando una battaglia che tutti avevano detto essere impossibile ma che suo padre si era ostinato comunque a combattere. Questa volta sarebbe stato diverso, aveva detto, con un moto di orgoglio, riuscendo a spuntarla. Lui era andato via prima che fosse calato il sole. Asturia si trovava geograficamente più vicina e si poteva raggiungere in poche ore di volo. Probabilmente avrebbero lasciato Fanelia il mattino seguente in quanto, quella sera, era in programma una riunione del Consiglio che avrebbe deciso su come procedere.

« Io spero solo che Van abbia un piano per mettersi in contatto con Hitomi. Dopotutto, se in qualche modo è riuscito ad avere una visione del futuro, forse c’è anche la possibilità che possa scoprire dov’è tenuta prigioniera. » aveva concluso Millerna, dando una seconda occhiata al proprio bagaglio, con il dubbio di aver dimenticato qualcosa.

Dryden aveva incrociato le braccia: « Se c’è qualcuno che può farlo, quello è lui, non c’è alcun dubbio. » 

 

Van aveva i nervi a fiori di pelle.

Dopo che i suoi sospetti e la sua visione avevano trovato conferma nei fatti, si sentiva ancora più agitato e scosso, travolto dall’urgenza: Hitomi era in pericolo! E lui si trovava ancora lì, a Fanelia, impossibilitato ad andare da lei.

Le delegazioni di Asturia e Palace avevano intenzione di continuare a supportarlo per la battaglia, tuttavia, l’emergenza di liberare le proprie capitali dalla minaccia dell’arma definitiva aveva reso necessario svolgere alcune manovre di dislocamento militare non previste. Questo significava che in primo luogo bisognava rendere sicure le città e, dunque, la liberazione di Hitomi era stata messa in secondo piano. Comprensibilmente, aveva pensato lui, ma maledicendosi perché a quest’ora, se si fosse mosso con l’Escaflowne, avrebbe potuto raggiungere il Regno di Basram in metà del tempo. 

Tuttavia, si era detto, non avrebbe atteso l’alba prima di partire. 

Presto sarebbe stata servita la cena e, concluso il pasto, avrebbero deciso cosa fare, se concentrare il grosso delle truppe a Basram o tentare un approccio a tenaglia, su più fronti. 

Lui si era rinchiuso nella sua stanza, convinto che avrebbe dovuto usare quel tempo per rintracciare Hitomi, ovunque lei si trovasse.

Era riuscito ad elicitare una visione, che gli aveva permesso di ottenere un vantaggio tattico che certamente Rakos non si aspettava. In questo modo, avrebbe reso vuote le sue minacce, inconsistenti i suoi tentavi di tenere sotto scacco gli abitanti e, dunque, smascherare quella strategia permetteva loro di pensare ad un attacco mirato.

Tuttavia, Van era martellato da un dubbio. Dove si trovava Hitomi?

Era opinione diffusa che Rakos l’avesse condotta a Basram ma, per quelli che potevano essere i suoi piani, quell’uomo avrebbe potuto certamente portarla verso la regione di Asgard, direttamente dove sorgeva il portale di Atlantide. 

Eppure, Van sapeva che nel caso si fosse sbagliato, non avrebbe più avuto il tempo per tornare indietro. Avrebbe perso settimane nell’andare in direzione di Asgard e poi, in caso avverso, ritornare indietro. A quella consapevolezza c’era arrivato da solo, ma Allen era stato d’accordo con lui. Affrontare un viaggio di quel tipo oltre a richiedere una preparazione importante, doveva presupporre l’assoluta certezza di ritrovare Hitomi, una volta giunti a destinazione. E lui non aveva alcun indizio, alcuna certezza su dove fosse davvero.

Portava ancora con sé il suo ciondolo. Lo aveva tenuto in mano tante volte, nella speranza che lui potesse guidarlo da lei, ma non era arrivata alcuna visione e lui brancolava nel buio e nell’incertezza.

Osservando il sole calare, trascorso l’ennesimo giorno senza di lei, Van sentì il suo stomaco fare una capriola, colma di malessere. Quando calava la sera era il momento peggiore, perché era proprio in quel frangente della giornata in cui si rendeva conto di non essere arrivato a nessuna conclusione, di essere esattamente nel punto di partenza, quando aveva lasciato che lui la portasse via.

Strinse la sua spada tenendo i pugni saldamente chiusi.

Proprio in quel momento sentì la porta scorrevole aprirsi delicatamente.

Merle fece capolino da uno spiraglio.

« Signorino Van… vi stavo cercando. »

Lui rimase fermo d’innanzi la finestra che rimandava una tiepida luce arancione. Non si voltò neanche. « Cosa succede, Merle? » 

La ragazza gatto abbassò le orecchie, lui aveva un tono di voce così triste. Lei lo conosceva perfettamente e sapeva quanto in quelle giornate lui fosse stato turbato.

Fece un passo avanti, timidamente, sentendosi di troppo in quel dolore. Era stata incapace di aiutarlo a trovare una soluzione, era stata incapace di assolvere all’unico compito che lui le aveva affidato. Van aveva detto soltanto di restare vicino ad Hitomi, che si fidava più di lei che di chiunque altro per quel compito. Ma lei non era stata assolutamente all’altezza delle aspettative. Si era scusata più volte, inutilmente, giacché lui le aveva detto da subito che sapeva che aveva fatto del suo meglio e che non doveva affliggersi per una colpa che non aveva. Quella sua compassione le aveva fatto del male perché, forse, avrebbe preferito che lui si arrabbiasse con lei, piuttosto che mostrarle tutta quella tristezza che non poteva guarire, che non poteva alleviare in alcun modo.

Quella sera, però, aveva pensato a qualcosa.

« Rammentate quella volta in cui vostro Fratello Folken vi aveva portato sulla fortezza volante? Poco dopo che avevamo conosciuto il Signor Allen. » 

Van si volse, guardandola in maniera perplessa e incuriosita al contempo. « Sì, perché? »

Merle riacquistò un po’ di fiducia in se stessa vedendo finalmente accendere in lui l’interesse. « Ecco… quella volta fu Hitomi a trovare il luogo esatto dove vi avevano portato. »

Vide negli occhi del Re di Fanelia un’ombra di dubbio. « Sì…e con questo? »

Adesso arrivava la parte complessa. « Beh… ecco, io sono convinta che potreste riuscirci anche voi! »

Adesso l’espressione di Van era semplicemente basita. « Questo è impossibile, Merle. Non ho neanche un briciolo dei poteri di Hitomi. »

Ma lei non la pensava allo stesso modo, strinse i pugni e scosse il capo con forza.

« Non è vero! Già in passato avete dato prova in combattimento degli insegnamenti di Hitomi. » Van capì, ricordando quando era riuscito ad entrare così in sintonia con l’Escaflowne al punto da riuscire a prevedere le mosse dei suoi nemici e sconfiggerli facilmente. 

« Ti sbagli, Merle. Quella volta… io ero accecato dall’odio e dalla sete di sangue. »

Ma la gatta scosse ancora il capo con veemenza. « Vi sbagliate! Anche la visione che avete avuto ne è la prova! Il vostro legame con Hitomi vi ha permesso di raggiungerla anche quando si trovava sulla Luna dell’Illusione, non ricordate? »

Van sussultò, colpito nel segno: aveva ragione. Quella volta era stato guidato dai suoi sentimenti. L’Escaflowne aveva sentito la profondità e la forza del suo desiderio e aveva creato una colonna di luce che lo aveva portato, senza alcuna difficoltà, esattamente dove doveva arrivare, d’innanzi a lei.

« Adesso avete anche il suo ciondolo! Io ricordo che lo aveva con sé, ve lo ha lasciato per un motivo. Hitomi ha fatto in modo che voi l’aveste perché sapeva che avreste tentato di ritrovarla. »

Van, però ci aveva già provato. Da solo, aveva tentato più volte di provare a visualizzare Hitomi e di trovare una risposta alla domanda su dove fosse, ma non era arrivato nessun suggerimento.

« Ci ho già provato, Merle. Ma non ci riesco. »

Sul viso della gatta apparve un’espressione speranzosa. In quel momento Allen fece il suo ingresso nella stanza, mettendosi accanto alla gatta, era rimasto indietro per tutto il tempo. Aveva in mano una pergamena arrotolata che sollevò con la mano quasi sventolandola.

« Ma credo che tu non l’abbia fatto nello stesso modo in cui lei c’era riuscita! »

 

Così avevano piazzato sul tavolo la pergamena, che altro non era che una mappa dell’intero continente e gli avevano spiegato per filo e per segno quale era stata la strategia di Hitomi.

« Noi ti aiuteremo concentrarci pensando intensamente ad Hitomi e tu… tenterai ancora una volta! »

Le parole di Allen e di Merle gli avevano dato una speranza che quasi temeva di coltivare. La loro sicurezza in merito alle sue capacità lo faceva dubitare di se stesso, temendo di deludere loro e se stesso ancora una volta, ma avrebbe tentato una strada che già in passato aveva utilizzato Hitomi. Avrebbe tentato qualsiasi cosa pur di ritrovarla. Sedendosi, guardò negli occhi il Cavaliere Celeste e Merle, che considerava quasi una sorellina, e vide nei loro sguardi una fiducia autentica e speranza.

Fece un respiro profondo e sollevando il braccio con la mano che teneva il ciondolo di Hitomi iniziò a concentrarsi, chiudendo gli occhi, facendo muovere gentilmente il pendolo sulla mappa.

Insieme, l’avrebbero trovata.

 

Si risvegliò con la luce del tramonto a filtrare dalla sua finestra.

Aveva dormito serenamente e il mal di testa atroce che aveva avuto qualche ora prima era passato. Sollevandosi leggermente, la pezzuola umida che era rimasta sulla fronte si spostò cadendole in grembo. Aveva avuto la febbre? Si chiese, perplessa.

Nel silenzio che venne accompagnato dai suoi movimenti, si rese conto di essere sola. Era un sollievo, in quanto in quel momento le sovvenne l’urgenza di iniziare a pensare a qualcosa per togliersi da quella situazione. Seppure avesse tentato di convincere Rakos di Basram riuscendo in un modo che le era stato del tutto sconosciuto a condividere con lui la sua visione, si rendeva conto che non era stato sufficiente a fargli cambiare idea. 

Se quell’uomo aveva preferito utilizzare la macchina di modifica del destino su di sé, incauto delle conseguenze – che sarebbero state le stesse di Folken – evidentemente aveva ragione di credere che lei avrebbe accettato di aiutarlo, volente o nolente. 

L’entità delle conseguenze che aveva visto nella sua visione la spaventavano, ma non poteva arrendersi di fronte ad una possibilità che avrebbe fatto di tutto per non realizzare. 

Si alzò dal letto e si sentì rincuorata quando le sue gambe la sostennero senza fatica. Si sentiva di nuovo abbastanza bene.

Proprio in quel momento Elyse entrò piano piano nella stanza. Quando si avvide che era in piedi s’illuminò il volto. « Siete sveglia! Come vi sentite? »

« Devo parlare con Rakos immediatamente. » 

La fanciulla rimase perplessa ma annuì lievemente.

« Se è quello che desiderate farò in modo di avvisarlo ma prima mangiate qualcosa, d’accordo? »

Lo stomaco di Hitomi rispose prima ancora che potesse farlo lei stessa. 

 

Doveva avere pazienza, si diceva, mentre sentiva le mani di Merle e di Allen sostenere e al contempo pesare sulla propria. 

Era la prima volta che tentava seriamente di rintracciare Hitomi e gli stava costando tutta la sua concentrazione. 

Dischiuse leggermente gli occhi e vide che sia Merle che Allen erano completamente assorti e concentrati. La loro determinazione e la loro fiducia non potevano essere ripagati dall’ennesimo fallimento. I piccoli anelli della catena che sostenevano il ciondolo di Hitomi gli avevano segnato di rosso le dita, tale era la forza con cui le stava stringendo. Tuttavia, nella sua testa c’era solo l’oscurità. Continuava a muovere con lentezza il ciondolo, cercando di soffermarsi su quelle zone in particolare che aveva già avuto modo di vedere in prima persona e che erano anche le più probabili.

Hitomi. Dove sei?

 

« Vi siete ripresa del tutto, vedo. »

L’aveva accolta così Rakos, nuovamente, nel suo laboratorio. Pare che non avesse altre incombenze se non quello di continuare a restare in quella stanza in mezzo a libri, appunti e strani macchinari. 

Hitomi aveva annuito leggermente.

« Ho bisogno di sapere una cosa. » Si mosse in sua direzione, stranamente più calma del loro primo scambio. Non riusciva a spiegarsi da dove fosse sopraggiunta tutta quella sicurezza, eppure, sentiva che Rakos non aveva intenzione di farle del male direttamente e questo avrebbe reso le cose più semplici, forse.

Lui continuò ad osservarla in silenzio, in attesa.

« Cos’è quella canzone? » Questa volta era riuscita a ricordarla senza che la testa le scoppiasse al solo pensiero. 

Rakos sembrò per un momento sorpreso, ma poi volse lo sguardo in direzione della grande macchina che, in quel preciso momento, sembrava assolutamente inattiva.

« Credo che sia… un frammento di un ricordo. Speravo che voi riusciste a comprenderne meglio di me il suo significato. »

« Perché vi ostinate a credere che riportare in vita il Potere di Atlantide possa cambiare in meglio il destino degli abitanti di Gaea? » 

« Ritengo che solo voi possiate utilizzare quel potere alla sua massima espressione. Voi non solo siete un’abitante della Luna dell’Illusione ma avete anche dentro di voi la benedizione di Gaea stessa! Se sarete voi a tenere le redini di un simile potere, potreste garantire la prosperità di questo mondo per sempre! » fece un passo in avanti e Hitomi, seppure volesse indietreggiare, rimase ferma nella sua posizione. 

Rakos, non sembrò stupito ma nei suoi occhi si diffuse una luce di soddisfazione. 

Stava forse pensando di averla convinta?

« Se il vostro scopo è solo questo, allora perché usare su voi stesso la Macchina di Modifica del Destino dell’Imperatore Dornkirk per prendere su di voi… quella maledizione? »

Si riferiva alle ali nere, si riferiva alla condanna a morte che aveva siglato per una ragione che non aveva ancora capito.

Rakos fu punto vivo su quella domanda e si avvicinò ancora. Oramai era di fronte a lei. Hitomi vide distintamente la macchina iniziare ad emettere una debole luce. Si volse, ignorando lo sguardo dell’uomo su di sé e concentrandosi completamente sulla macchina capì che c’era stato un nuovo cambiamento.

Che cosa stava succedendo? Iniziò a diffondersi il suono di ingranaggi che si attivavano e di un movimento che, da qualche parte, era già iniziato.

Rakos le mise le mani sulle spalle e, questa volta, Hitomi cercò di allontanarsi. La presa di lui era forte e non vi riuscì.

« Lasciatemi! Cosa avete intenzione di fare? » Sentì crescere l’agitazione e lo stupore. Ma poi, comprese. Quella macchina era in grado di reagire oltre che alla sua presenza anche alla volontà di Rakos. Una consapevolezza le si fece strada e rammentò di quando, tanto tempo prima, Folken le avesse detto in merito al fatto che la sua sola presenza gettasse un’ombra sul destino ideale creato dall’Imperatore Dornkirk e che, di fatto, gli impediva di controllare pienamente tutti gli eventi. In quel momento, vide le spalle di Rakos contrarsi e, in pochi istanti, ali nere si levarono sulla sua schiena. Hitomi s’irrigidì, stupefatta e al contempo decisamente confusa. Sollevando le mani provò a far perno su di lui per potersi distaccare, ma il suo movimento non fece altro che farlo avvicinare ancora di più. Le mani dell’uomo calarono sulle sue braccia, stringendole per trattenerla a sé, con fermezza ma senza che le facesse male. Hitomi sollevò lo sguardo, osservando il volto dell’uomo, si stupì di vedere nel suo sguardo qualcosa che non aveva mai scorto.

« È il solo modo per avere un frammento di quel potere e di poterlo tramandare grazie alla discendenza che un giorno sarete in grado di creare, se vi unirete a me! »

Hitomi sentì come se le avessero dato un colpo allo stomaco e la paura la fece letteralmente raggelare. « Ch-che cosa? » cercò di dire, mentre il suono delle sue parole veniva sovrastato dal suono degli ingranaggi e della macchina.

Lo sguardo di Rakos si era acceso, gli occhi spalancati e il suo viso, che fino a quel momento aveva sempre mostrato una calma glaciale sembrava pieno di emozione, entusiasmo, no… sembrava invasato. Piume scure iniziarono a volteggiare intorno e a ricadere al suolo.

Si volse ancora una volta in direzione della macchina e questa aveva ripreso ad iniziare a pulsare di luce come stesse rispondendo all’emozioni crescenti dell’uomo. 

Rakos continuò a stringerla e a parlarle. « Hitomi! Qual è la vostra risposta? » 

Hitomi scosse il capo e cercò di divincolarsi, ma la presa di lui non le lasciava alcun margine di manovra. Iniziò ad agitarsi e si puntellò con i piedi, nella speranza di sottrarsi. Gli occhi di Rakos si accesero e lo sguardo fiammeggiante si posò su di lei. L’espressione neutra era svanita, gli occhi blu scuro due pozze in tempesta che non smettevano di fissarla, le dita delle mani che si stringevano attorno alla pelle, nonostante la pesante veste che indossava, la bocca dischiusa e la mente… la mente certamente avvolta da pensieri che non riusciva ad afferrare e trattenere. 

Hitomi capì che quella macchina stava reagendo in risposta alle forti emozioni provate da Rakos e tutto questo probabilmente aveva a che fare con la modifica del destino a cui aveva sottoposto il suo corpo. 

« Rakos! Cosa vi sta succedendo?» lo chiamò ad alta voce e l’uomo per un momento sbatté le palpebre, stupito. Il rumore degli ingranaggi e la luce della macchina sembrarono aumentare. Hitomi sollevò le braccia per tentare di scuotere a sua volta l’uomo al fine di divincolarsi. « Lasciatemi, BASTA! »

Ci fu una luce fortissima dalla macchina che illuminò a giorno tutta la stanza, accecandoli.

La presa sul suo corpo sembrò venire meno e, riuscendo nuovamente a vedere nonostante la luce accecante avvolgesse ogni cosa, Hitomi si ritrovò all’interno di una grande sala. Il pavimento era di bianco e freddo marmo ed i suoi piedi…erano nudi. Non aveva più addosso le sue vesti e neanche la sua uniforme scolastica. Guardandosi si vide addosso una semplice tunica bianca. Bianche, piume candide volteggiavano intorno a lei. Ci mise poco per comprendere che quelle piume provenivano direttamente dalle ali che partivano dalle sue scapole. La veste era intatta, notò con stupore, notando che questa le lasciava la schiena nuda, come se fosse stata disegnata e realizzata con lo scopo di lasciare che le ali si aprissero, senza danneggiarla.

Dove mi trovo?

Voltandosi si accorse che al centro della grande stanza troneggiava una colonna enorme, al cui apice vi era una sfera… non c’erano dubbi, era la stessa che aveva visto a Zaibach. 

Istintivamente, il suo corpo si mosse da solo e si avvicinò, lo sguardo fisso sul punto più in alto che brillava di luce propria, tenue e rassicurante.

Sapeva cosa doveva fare, era il motivo per cui si trovava lì, il solo ed unico scopo della sua esistenza.

S’inginocchiò e focalizzando tutta la sua consapevolezza iniziò a pregare.

Pregò per la stabilità di Gaea, pregò affinché nel cuore dei suoi abitanti non germogliasse il seme dell’odio, che non proliferasse la discordia, che nessuno provasse angoscia, che la natura fiorisse rigogliosa e che il raccolto fosse stato abbondante anche per quell’anno. 

Pregò affinché Van fosse al sicuro, perché non tentasse – ancora una volta – di salvarla dal suo destino. Lei non meritava di essere salvata. Perché lei lo aveva tradito. Aveva preferito barattare la sua felicità, il loro amore, la speranza di una vita insieme, la pace nel loro regno al solo scopo di salvargli la vita. La guerra era stata evitata e, questa volta, non era stato necessario che nessuno perdesse la vita. Di fronte alla minaccia della sua morte, anche se aveva significato perdere ogni speranza di felicità propria, Van era stato risparmiato. Gaea era salva. Gaea avrebbe prosperato. Avrebbe dedicato la sua vita per questo.

Calde lacrime avevano iniziato a scorrerle sulle guance e la sensazione di oppressione nel cuore era sempre lì, sua unica compagna. Non poteva andare avanti così. Quanti anni erano trascorsi da quando si era condannata a quella vita? Quante volte aveva pensato di recarsi sulle montagne vicine e di lasciarsi semplicemente cadere fino alla valle?

A Gaea non è permesso di crollare.

Hitomi si riebbe dalla sua visione. Le lacrime scorrevano sulle sue guance e gli occhi erano spalancati. La visione l’aveva lasciata senza parole. Rakos la stava ancora tenendo ma la sua presa era diventata incerta: non si chiese le motivazioni, ma ne approfittò per indietreggiare e liberarsi. Quando ci riuscì la sua mente era concentrata solo su un singolo obiettivo. Si girò di lato e lasciò che l’impulso la guidasse, senza farsi domande.

Con uno scatto, cercò di avventarsi sulla macchina, con l’unico scopo di distruggerla. 

Non era così distante, pensò, e quello che doveva fare era soltanto tentare di farla rovinare al suolo. Forse, se l’avesse spinta avrebbe permesso alla colonna di sbilanciarsi dal suo pilastro e oscillare fino a cadere del tutto, distruggendo la macchina che operava grazie ad essa.

« Che cosa avete intenzione di fare?! »

Sentì la voce di Rakos mentre si avventava con una spallata sulla colonna, come se volesse tentare di buttare giù una porta. Si rese conto dell’inutilità del suo gesto quando il dolore si propagò dalla spalla a tutta la schiena, la voce le venne fuori per il dolore e la frustrazione, e riuscì a non cadere rovinosamente al suolo perché Rakos fu nuovamente su di lei, ad afferrarla direttamente per i fianchi, stavolta per fare in modo che non si muovesse ulteriormente. 

Tuttavia, quella visione le aveva dato nuova forza ed energia e questa volta si divincolò con maggior forza. 

« Lasciatemi! Vi ho detto che dovete lasciarmi… io.. Devo distruggerla! » 

Rakos continuò a stringerla, ma continuò a protestare facendo sempre più fatica a contenerla. 

« Siete impazzita?! Fermatevi! »

Forse lo era appena diventata, pensò Hitomi, facendo appello a tutte le sue forze. Doveva ritentare, doveva assolutamente trovare il modo di distruggere quella macchina infernale, la fonte della cupidigia dell’Imperatore Dornkirk e, adesso, anche di Rakos di Basram. 

 

Van! Van! Aiutami!

Van ebbe un sussulto nel sentire la voce di Hitomi direttamente nella sua testa. Nella sua mente gli apparvero immagini confuse. Vide Hitomi correre e scontrarsi contro qualcosa di molto alto ed imponente, sembrava un… pilastro luminoso? 

Nel brevissimo istante successivo, vide Rakos di Basram, teneva Hitomi che sembrava tentasse di divincolarsi dalla sua stretta, all’interno di quella che sembrava una sala molto grande, avvolta dall’oscurità. 

Cercò di mantenere la concentrazione anche quando Merle fu la prima a staccarsi, urlando il nome di Hitomi, probabilmente anche lei aveva visto quella visione. 

« Non… cedere ora. » sentì la voce di Allen, arrivare alle sue orecchie piuttosto calma, anche se era evidente che anche lui si stava sforzando per fare in modo che il passo successivo fosse quello di individuare l’esatta locazione adesso che erano riusciti a stabilire un legame.

Fu in quel momento che Van continuò a vedere ancora la prosecuzione di quello che stava succedendo.

Rakos sembrava in difficoltà nel tentare di calmare e contenere Hitomi che, invece, aveva il viso e lo sguardo completamente stravolto e stava utilizzando tutte le sue forze per fuggire o forse… no, sembrava che fosse desiderosa di raggiungere ancora quel pilastro. L’uomo allora, evidentemente stanco delle continue proteste della donna, aveva liberato una mano solo per muoverla ed assestarle un colpo netto e deciso sulla nuca. Vide Hitomi spalancare gli occhi per un breve momento, immobilizzarsi e afflosciarsi, inerme e priva di sensi direttamente sulle braccia del nemico che la sostennero, impendendole di finire al suolo. 

Fu in quel momento che la visione si concluse e che Van aprì gli occhi.

Allen fece altrettanto e indietreggiò di un passo, incerto su quello che aveva visto, provato dall’esperienza e dai lunghi minuti di concentrazione. Si portò una mano alla bocca quando vide lo sguardo sconcertato del Re di Fanelia.

Il ciondolo aveva preso ad oscillare in un punto preciso della mappa.

Non c’era più alcun dubbio.

Avevano trovato la loro destinazione. 

Hitomi si trovava a Zaibach. 


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Eccomi qui! 

Passa sempre troppo tempo tra un aggiornamento e l'altro ma spero sempre che seguiate la mia storia. 

Ci stiamo avvicinando in prossimità del climax e le cose iniziano finalmente a sbloccarsi.

Spero di non farvi attendere molto per il prossimo capitolo ma, come sempre, non posso assicurarlo.

Grazie a chiunque legga ancora la storia. Mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, lasciate pure un commento anche solo per dire che siete passati!

A presto!

Usagi

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