Hope is stronger than fear.

di Jessica James
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


"Hope is stronger than fear."
 
I miei genitori mi ripetevano questa frase ogni giorno, da quando portavo ancora il pannolino, fino a quando non ho iniziato a crederci davvero. Mio papà amava cantare e mi ha insegnato a suonare il pianoforte quando avevo solo sette anni. Mia mamma amava la danza, le scorreva nelle vene. Ricordo come le si illuminavano gli occhi quando papà accendeva lo stereo e la invitava a ballare. Passavano ore a volteggiare per casa, mentre io mi riempivo di biscotti appena sfornati, fino a quando papà si fermava con il fiatone e le guance rosse.
Vivevamo in una casa piccola ma accogliente, a Brighton, città che ho imparato ad amare con tutta me stessa.
Ogni volta che nonna Alicia passava a trovarci, la sentivo chiedere a mamma "Perchè non vi decidete a comprare una casa più grande? I soldi non vi mancano!" e mamma ogni volta le rispondeva dicendo "Io e James abbiamo deciso di tenere da parte quei soldi per Ashley, le serviranno per studiare a Londra. Qui ci troviamo bene, non abbiamo bisogno di una casa più grande."
La Sylvia Young Theatre School è sempre stato il sogno di mia madre, ma non è mai stata ammessa.
I miei hanno messo da parte i risparmi di una vita per pagarmi la retta della scuola, nel caso fossi riuscita ad entrarci.
Nell'estate del 2005 ho fatto l'audizione per poter essere ammessa. Mia madre era più emozionata di me. 
Ogni mattina, quando venivano nella mia cameretta per svegliarmi, mia madre si sedeva sul letto e mi abbracciava, ripetendomi che mi voleva bene, mentre mio padre rimaneva appoggiato sullo stipite della porta, ci guardava sorridendo e mi mimava un "ti voglio bene" con le labbra. E' uno dei ricordi più belli che ho di loro.
Le settimane passavano e dalla scuola non arrivava nessuna notizia. Iniziai a spaventarmi e lo dissi ai miei genitori, mentre passeggiavamo lungo la spiaggia mangiando un gelato.
"Ho paura che non mi ammettano.", dissi tutto d'un fiato, continuando a fissare il mare.
"Meriti un posto in quella scuola, hai talento bambina mia. Devi sperarci con tutta te stessa, perchè i sogni, se ci credi davvero, si realizzano.", disse mia madre.
"La speranza è più forte della paura, giusto?", aggiunse mio padre.
"Giusto."
Papà mi accompagnava ogni giorno alla posta a vedere se era arrivata la lettera di risposta dalla scuola.
Quando arrivò non riuscii a dire una parola. Il mio futuro era in quella lettera, l'ansia mi stava divorando lo stomaco.
"Bhè? Non la apri?", mi chiese papà.
"No, la apro a casa, voglio che ci sia anche la mamma."
Quando arrivammo, la casa era vuota. 
Giravo per le stanze chiamando il nome di mia madre, senza ricevere risposta. Squillò il telefono e mio padre corse a rispondere. Quando lo raggiunsi era pallido, gli occhi sgranati, e continuava a ripetere "Non è possibile, non ci credo."
Un attimo dopo mi prese per mano e iniziò a correre fuori, verso la macchina.
"Che succede papà? Dov'è mamma? "
"Allacciati la cintura!" , fu l'unica cosa che mi disse.
Quando arrivammo in ospedale mio padre era sempre più pallido e quando mi strinse la mano notai che tremava.
Mia madre era distesa in un letto dalle lenzuola candide, la testa era circondata da fasce bianche, macchiate di sangue.
Dalle braccia  e dal naso le uscivano un'infinità di tubicini collegati a macchinari che la tenevano in vita.
Vidi papà precipitarsi da lei. Il medico disse che c'era stato un incidente d'auto frontale e che mia madre aveva riportato parecchie fratture.
Iniziai a tremare anche io. 
Mio padre prese uno sgabello e si sistemò accanto al letto di mamma, le afferrò una mano e la baciò dolcemente. 
Continuò a ripeterle che lui era lì con lei, che non doveva avere paura e che la amava, fino a quando lei aprì gli occhi.
"Amore, indovina un po'? E' arrivata la lettera dalla scuola di Londra."
Mia madre strinse le dita di mio padre e mi guardò. 
"Vieni qui Ash, " disse mio padre, facendomi sedere sulle sue gambe, "Apri la lettera."
Ricordo che quando lessi che ero stata ammessa mamma mi sorrise mentre papà rideva e  le asciugava le lacrime, passandole un bacio dopo l'altro sulle guance.
Ricordo che con voce roca mi sussurrò : "Sono così fiera di te."
E ricordo anche che qualche attimo dopo, quando la abbracciai, il suo cuore aveva smesso di battere.
 
 
Due settimane dopo fui costretta a partire per Londra.
La morte della mamma aveva lasciato un vuoto enorme. La casa era sempre buia e silenziosa. 
Avevo preso l'abitudine di  dormire in camera dei miei genitori, abbracciata a papà. 
Lui aveva sempre gli occhi rossi e gonfi, ma non l'ho mai visto piangere.
Lasciare Brighton mi straziava il cuore. Lì avevo tutti i miei ricordi, i miei amici, il mio papà, che a quel punto avrei rivisto solo durante le vacanze.
In quella città avevo tutto ciò che mi legava a mia madre.
Quando salutai mio padre davanti alla Sylvia Theatre School un nodo mi serrava la gola.
"Ash, tutto bene?"
"Ho paura papà."
"Ma hai anche tanta.."
"Tanta speranza. Hope is stronger than fear. Lo so papà. Lo so."
"Ti voglio bene Ash."
"Io di più. Mi mancherai tanto."
"Anche tu bambina mia, non sai quanto."
La sua voce tremava. Mi staccai e lo guardai negli occhi.
"Ce la farai papà?"
"Certo. I Price non crollano mai."
 
Vorrei poter dire che davvero noi Price non crolliamo mai, ma sarei una bugiarda.
Io crollai, dopo solo tre settimane che passai dentro quella scuola.
Un po' perchè non riuscivo a superare la morte di mia madre, un po' perchè la distanza dal mio papà mi distruggeva ancora di più.
E un po' anche perchè a undici anni e mezzo mi ritrovai in una città nuova, in mezzo a gente che non conoscevo e che però non si faceva scrupoli a ferirmi solo perchè ero fra le più piccole della scuola.
La ragione per la quale oggi sono qui, e sono in grado di raccontare la mia storia, ha un nome: Gregory Simon West.
Devo tutto a lui.
 
 
@mickyslaugh

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Durante i primi due anni che passai in quella scuola fui vittima di bullismo.
Amo mangiare, da sempre, e non ho mai avuto un fisico invidiabile.
A quell'età avevo pancia e gambe grassottelle.
E le mie compagne mi prendevano in giro per questo.
Per loro era molto divertente quando Jordan se ne usciva con frasi del tipo “Chi vuole giocare a pallone? Possiamo usare Ashley come palla, sai come rimbalza bene su tutta quella ciccia?” oppure, “Non riesco a vedere nulla, c'è un borsone enorme che me lo impedisce. Ah no, non è un borsone. E' la pancia di Ashley!”.
Era umiliante anche perchè, essendo una delle più piccole, non potevo reagire.
Non c'era nessuno che, in mensa o durante le lezioni, si sedesse accanto a me. Nessuno con cui passare quei lunghi pomeriggi.
Cercavo di fare amicizia, ma la maggior parte delle volte la gente si allontanava mormorando “Sfigata.”
Ogni mattina quando entravo in classe Jordan esclamava “Cos'è questa puzza? Oh, è entrata Price. Che schifo.” e tutti i miei compagni ridevano.
Tutto questo per due lunghissimi anni.
Dio, ricordo ancora quanto faceva male.

Verso la fine del secondo anno ricevetti una lettera da mio padre.
Non lo vedevo da un mese e mezzo perchè non aveva più avuto la possibilità di venire a trovarmi.
La professoressa Kate mi condusse nell'aula di musica, che in quel momento era vuota. Aveva dei modi gentili ma non sorrideva, non quel giorno.
“Ciao Ashley. Come stai?”
“Mmh, bene, grazie professoressa.”
“Chiamami Kate. Sono tua amica prima di essere la tua insegnante.” 
Distese le labbra in un sorriso breve, appena accennato, e mi fece cenno di sedermi vicino a lei.
“Non sai quanto mi dispiaccia doverti dare questa notizia..”
“Che succede?”
“Vedi questa lettera? E' da parte di tuo padre. Stava andando alla posta ad imbucarla quando è stato investito.”
Il mio cuore perse un colpo.
Le mie mani iniziarono a tremare e Kate le strinse fra le sue.
“Ashley, guardami. Non farti prendere dal panico. Ascoltami: è in ospedale. Ora sta dormendo e non si sa quando si sveglierà.”
Mi osservò per vedere come reagivo. 
Non sentivo nulla, solo un enorme senso di vuoto. 
Kate si avvicinò e tentò di abbracciarmi, ma l'unico abbraccio di cui avevo bisogno era quello di mio padre, perciò la scansai e scappai.
“Hey Ashley” mi chiamò mentre me ne stavo andando via, diretta verso la mia camera. “Se vuoi posso chiamare in ospedale, ogni giorno, e tenerti aggiornata su come sta.”
Non riuscivo a rispondere, perciò mi limitai ad annuire.
Avevo una gran voglia di indossare uno dei vecchi maglioni di papà, che però usava mamma per dormire, e mettermi sotto le coperte ad ascoltare musica e a leggere la lettera scritta da mio padre.
Accellerai il passo per raggiungere prima il dormitorio e andai a sbattere contro Jordan.
“Guarda dove metti i piedi, cretina!” mi urlò, lanciandomi uno spintone che mi fece finire a terra. Nell'impatto la lettera mi era scivolata dalle mani e Jordan la raccolse.
“Cos'abbiamo qui? Uhm, interessante. Vediamo un po' chi scrive alla piccola Price.”
“Ridammi la lettera, non sono affari tuoi!” gli dissi, con le guance rosse per la rabbia.
Iniziò ad aprirla tenendo le braccia alte e spingendomi per allontanarmi.
Mi sentivo ridicola mentre saltavo per cercare di riprendermi la lettera e quando mi accorsi che molta gente si era fermata a guardare la scena sentii le lacrime bruciarmi agli angoli degli occhi.
“Lasciala stare.” disse una voce alle mie spalle.
“Gregory, non immischiarti.” replicò Jordan, “Insomma, guardala, è una sfigata. Che ti importa di lei?” 
“Jordan, amico, guardati. Ti diverti a fare il bullo con una ragazzina più piccola di te. Chi è il vero sfigato?”
Vidi Jordan impallidire ma subito dopo sorrise.
Mi guardò e iniziò a strappare la lettera. 
“No!” urlai, mentre le lacrime iniziarono a scorrermi sul viso.
“Ridalle la lettera.” disse un ragazzo di terzo che stava accanto a Gregory.
“E tu chi sei?”
“Daniel, ma poco importa. Ridagliela o ti ritroverai in guai seri, piccoletto.”
Gregory prese la lettera, si avvicinò a me e mi sussurrò “No, non qui. Vieni con me.” quando si accorse che stavo per scoppiare a piangere davvero.
Non mi forzò a parlare, mi lasciò piangere in silenzio passandomi qualche fazzoletto e qualche cioccolatino.
Era il secondo incidente stradale che faceva del male alla mia famiglia, sentivo di non potercela fare. 
Piansi tutte le lacrime che avevo, fino a quando mi sentii svuotata di tutto, anche del dolore che mi stringeva la gola.
Quando smisi di singhiozzare, Greg mi sorrise.
“So come ti senti. E' stato così anche per me all'inizio. E sai cosa facevo quando mi sentivo solo? Venivo qui e cantavo.”
“E ti aiutava?”
“Ogni volta. E ci torno ancora, quando mi sento solo, o triste. Cantare mi fa stare bene.”
Si girò a sorridermi e si sedette accanto a me.
“Com'è che ti chiami?”
“Ashley.”
“Hey Ashley..”
“Si, Greg?”
“Hai voglia di cantare con me?”

Mi rimase accanto quel pomeriggio, cantò con me fino a quando mi sentii meglio.
Mi rimase accanto sempre, da quel momento.

Siamo cresciuti insieme, io e Greg.
Mi ero abituata a vedere i suoi occhi assonnati ogni mattina, a riconoscere la sua risata in una stanza affollata e la sua voce durante le lezioni di canto. Quel ragazzo fu la mia salvezza. Mi presentò ai suoi amici, mi diede qualche dritta sulla scuola, “Ti abituerai presto, all'inizio è stato un incubo per tutti” mi diceva, e si limitava ad abbracciarmi quando gli rispondevo che il mio incubo durava da due anni.
Jordan smise di darmi fastidio, anche se continuava a lanciarmi occhiate cariche di odio. 
Con tutti i corsi di danza che seguivo avevo perso parecchio peso e le mie compagne avevano smesso di prendermi in giro.
La professoressa Kate mi chiamava ogni giorno nell'aula di musica per aggiornarmi sulle condizioni di mio padre. Era ancora in coma.
Greg e Daniel, il ragazzo che mi aiutò a riprendermi la lettera, erano gli unici, a parte la professoressa Kate, a sapere cos'era successo al mio papà.
Daniel era il compagno di stanza di Greg, aveva un anno più di noi ed era piuttosto popolare a scuola. 
Quando ti guarda con i suoi occhi cioccolato e ti sorride, non puoi fare a meno di sorridere insieme a lui. E' sempre stato così, infatti le ragazze della mia classe lo chiamavano Sorriso Assassino. Non lo vedevamo spesso perchè era sempre in giro con ragazza, una certa Debbie.
Però qualche volta si sedeva accanto a me con un “Ciao piccola, come sta papà Price?” e lo adoravo, perchè mi dimostrava che gli interessava veramente.
“Ash, non credi anche tu che Greg sia odioso?” 
“Sì, decisamente. Specialmente quando ruba il cibo dal mio piatto.” rispondevo io, ridendo.
“Oh, lo fa sempre! A volte lo appenderei al muro per le mutande. Però poi mi guarda con quei suoi occhioni chiari e..”
“Ed è impossibile non amarlo. Lo so Dan, lo so. Parlando di occhi chiari, come va con Debbie?”
Ogni volta che sentiva quel nome gli spuntava il sorriso più dolce.
E ogni singola volta mi rispondeva “E' un
qualcosa di speciale, e voglio che sia solamente nostro”.

Un giorno, al termine delle lezioni, Dan arrivò di corsa e mi abbracciò forte.
“Daniel? Dan, che succede?” chiesi, ridendo.
“Corri a preparare la borsa, partiamo! Per tre giorni, quindi non portarti troppa roba.”
“Smettila di giocare, non possiamo partire!”
“Chi lo dice?”
“Il regolamento! Non possiamo saltare tre giorni di scuola.”
“Oh, non preoccuparti. Io e Greg abbiamo pensato a tutto. Abbiamo parlato con i prof e con la preside, e ci hanno dato il permesso di andare. Siamo o non siamo i migliori amici del mondo?”
“Stai scherzando? Dove andiamo?”
“Lo scoprirai quando saremo arrivati! Ora sbrigati che abbiamo il treno fra un'ora!”
Mi portarono a Brighton.
Mentre percorrevo le strade di quella città mi resi conto di quanto mi era mancata.
“Perchè mi avete portata qui?”
“Vedrai..” mi rispose Greg sorridendo.


@mickyslaugh

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


"E' proprio necessario?" chiesi, quando mi bendarono gli occhi.
"Sì, e dovrai pure mettere le cuffie."
"Ma così non sentirò nulla!"
"Appunto!" replicò Dan ridendo.
Mi aiutarono a salire quasi un centinaio di scale e rischiai più di una volta di cadere a faccia avanti.
"Non esiste un ascensore qui?" chiesi, togliendomi una cuffia.
"Sì, ma vederti inciampare è più divertente."
"Sei un babbano Dan!"
"Stai buona, siamo quasi arrivati."
"Dov'è Greg?"
"Sono qui." rispose da dietro le mie spalle, togliendomi anche l'altra cuffia, "Sei pronta Ash?"
Annuii e mi tolse la sciarpa che mi copriva gli occhi.
Ricordo l'ondata di emozioni che mi investì quando vidi mio padre sorridermi, seduto sul letto.
"Ciao bambina mia."
Ricordo che pensai che il mio cuore non avrebbe retto tutta quella felicità.
Ricordo le sue braccia stringermi, dopo tutti quei mesi di assenza.
E ricordo Dan e Greg, all'angolo della stanza, sempre così presenti e sempre più importanti.
 
 
Tre mesi dopo mio padre si era completamente ripreso e veniva spesso a trovarmi.
O meglio, a trovarci, dato che ormai aveva stretto amicizia anche con Greg e Dan.
"Mi piacciono molto, sai?" mi disse, un giorno, indicando con la testa Dan e Greg che giocavano a pallone.
"Già, anche a me.." sussurrai.
"Tutto bene?" 
"Mmh, si."
"Però c'è qualcosa che ti preoccupa, giusto?"
"Forse."
"Qualcosa tipo un ragazzo?"
"Ma ti pare?"
"Sicura?"
"...mmh."
"Oh cielo. La mia bambina si è presa una cotta!"
"Cosa? No! Dio, papà! Ma che..? No!"
Arrossii fino alla punta delle orecchie, sotto il suo sguardo divertito.
Abbassai gli occhi sulle dita e iniziai a giocherellare con le foglie sull'erba.
"E allora?"
"E' un amico di Dan, ultimamente stanno quasi sempre insieme. E spesso Greg si unisce a loro."
"E..?"
"E... niente, non è importante."
"Leily, sei gelosa di questo ragazzo?"
"Si. No. Cioè, non lo so. Non lo conosco nemmeno, so solo che si chiama tipo Nick... Mark.. non ricordo, qualcosa del genere."
"Prova a parlarne con i ragazzi. O se non vuoi, puoi andare con loro quando escono con lui. Magari se lo conosci ti sta anche simpatico."
"Ne dubito." borbottai, ancora imbronciata.
Mio padre rise e mi abbracciò.
"Mi mancava tanto, sai?" 
"Cosa?"
"Essere chiamata Leily. Sei l'unico a farlo." lo strinsi ancora più forte, " E' bello essere tua figlia."
Percepii il suo sorriso mentre mi rispondeva "E' bello essere tuo padre."
 
 
Mancava una settimana a Natale, ero seduta sul letto di Greg mentre lo aiutavo con una nuova canzone.
"Posso portarti con me, domani, Ash?"
"Tipo porta fortuna?"
"No." ridacchiò, "E' che amo cantare con te, mi rilassa. E se tu fossi con me probabilmente andrebbe meglio. Potremmo fare un duetto!"
"Già, peccato che la prof non sia d'accordo con te."
Si passò una mano sui capelli, sbuffando, e venne a sedersi per terra, vicino al letto.
Lo osservai per un po', in silenzio, mentre canticchiava le parole della canzone, sussurrandole, con la sua voce dolce.
"Greg?"
"Sì?"
"Sei bellissimo, te l'ha mai detto nessuno?" 
Mi guardò, stupito, sbattendo le lunghe ciglia bionde e arrossendo leggermente.
Finse di pensarci un po' su prima di rispondermi, grattandosi il mento.
"Mmh, a parte mia madre no, nessuno."
"Allora sono contenta di essere la prima."
Sorrisi, sentendolo ridere.
"Ma tu sei di parte, è un po' come quando me lo dice mia madre. Cioè, mi vuoi troppo bene per pensare che io sia bello in modo... in modo.."
"In modo attraente?"
"Sì. E' Dan quello attraente... io sono solo..io."
"Simon!"
"Merda, mi chiami così solo quando sei incazzata.."
"Puoi dirlo forte! Come osi dire una cosa del genere del mio Greg?!"
"Cosa..? Hey, stiamo parlando di me!" esclamò, scoppiando a ridere. Mi sedetti sul pavimento, davanti a lui.
"Sono seria Greggolo. Sei bellissimo. E non sono l'unica a pensarlo. Sabato ero con Alyssa, e visto che le parlo sempre di voi ha voluto che le mostrassi una vostra foto. Ecco, le sei piaciuto. Si è tenuta la tua foto. Dovevi vederla, era tutta rossa mentre mi chiedeva di te."
"Chi è Alyssa?"
"La mia nuova compagna di stanza. Quella che viene da Bristol, dai, te ne ho parlato l'altro giorno!"
Non disse nulla, si limitò a guardarmi con le sopracciglia aggrottate. Mi avvicinai ancora, posandogli una mano sulla guancia.
"Non voglio mai più sentirti dire una cosa del genere. Sei bellissimo proprio perchè sei tu."
E in quell'attimo qualcuno bussò alla porta.
Greg mi sorrise prima di alzarsi per andare ad aprire. Si appoggiò alla porta e da quel punto non riuscivo a vedere chi c'era fuori.
"Ciao Micky!" alzai gli occhi sentendo quel nome. Ma stava sempre in mezzo quel ragazzo?
"Abbiamo in programma una partita di calcio fra mezz'ora, vieni con noi?"
"Certo! Ci vediamo al campo, ora ho da fare."
Quando chiuse la porta lo guardai incrociando le braccia al petto.
"Heey, non guardarmi così Ash. Sbaglio o fino a qualche minuto fa mi stavi dicendo che sono bellissimo?" mi disse, allargando le braccia per abbracciarmi.
"Esatto, finchè non è arrivato quel Micky a rovinare tutto!"
"Dal tono posso intuire che non ti va a genio..."
"Mi è indifferente."
"Non è vero."
"No, infatti, non è vero. Non posso nemmeno sentirlo nominare, non lo sopporto!"
"Un giorno di questi potresti venire con noi, così te lo presento."
"Non ci pensare nemmeno. Non voglio conoscerlo. Non voglio parlarci e non voglio nemmeno vederlo, chiaro West?"
"Okay Price, hai vinto." rise, alzando le mani in segno di resa.
"Parlando di cose serie.." continuò, aprendo l'armadio per prendere la tuta, "Ti va di venire da me per le vacanze?"
"A casa tua? A Essex?" , annuì e io sorrisi.
"Mi piacerebbe da morire. Però non posso. Il Natale è il periodo più duro dell'anno per noi. Senza mia madre in casa è straziante. Era la sua festa preferita. Era lei a fare l'albero, a decorare tutte le stanze. Ogni giorno cucinava torte o biscotti, e la casa era sempre così piena di amore. Da quando se n'è andata è tutto spento, vuoto. Triste. Non posso lasciare mio padre da solo proprio in quei giorni, gli farebbe troppo male. Però grazie, è bella da parte tua avermi invitata."
Mi lanciò uno dei suoi sorrisi più dolci. 
"Mi mancherai, Ashley."
"Anche tu, non puoi immaginare quanto."
 
 
 
Tornai alla Sylvia Teathre School il 28 Dicembre, prima di quando avevo previsto.
Avevo i nervi a fior di pelle ed ero sollevata che la scuola fosse quasi deserta.
Alyssa era a Bristol dalla famiglia, e sarebbe tornata la settimana successiva, perciò avevo la stanza tutta per me.
Mi sentivo così arrabbiata e triste. Ma soprattutto sola. 
Mi buttai sul letto, con la musica a palla nelle cuffie, stringendo i denti mentre  le lacrime mi scivolavano sulle guance, fino a quando mi addormentai.
Mi svegliai di colpo, sentendo il telefono squillare.
"Pronto?" risposi, sedendomi sul letto, confusa.
"Ash!"
"Greg? Ma che ore sono?" chiesi, guardando fuori dalla finestra e notando che era già buio. Quanto avevo dormito?
"Non lo so, le sette, credo. Stai bene Ash?"
"No. Si... sto bene, tu?"
"Non mi convinci Price, che succede?"
"Niente."
"Come hai passato la vigilia?"
"Prossima domanda?"
"Okay, mi arrendo. Che ne dici di passare il capodanno tutti insieme? Potremmo raggiungerti a Brighton, così papà Price non rimarrebbe solo."
"Noi chi?"
"Tu, io, Dan...e Michael."
"Allora sai già la mia risposta." risposi, gelida.
"Dai Ashley, non fare così."
"Lo sai che non voglio avere niente a che fare con lui e tu mi proproni di passarci insieme il capodanno? Mi prendi in giro?"
"Non puoi giudicare una persona senza conoscerla!"
"Non insistere Simon. E comunque non sono a Brighton."
"Dove sei?"
"A Londra." cominciavo ad innervosirmi.
"E' successo qualcosa con tuo padre?"
"Non mi va di parlarne. Non per telefono." lo sentii sospirare dall'altra parte del telefono, stava cercando di non perdere il controllo.
"Greg, scusa. Non mi piace trattarti male, è che... adesso ho tanto bisogno di un tuo abbraccio. Mi manchi."
"Anche tu Ash. Torno il primo gennaio, okay?"
"Non dovevi restare fino al 6?"
"Non voglio lasciarti sola tutti questi giorni. Ora devo andare, mi sta chiamando Olivia. Ti saluta!"
"Oh, ricambia da parte mia. Ci sentiamo. E, Greggolo.."
"Sì?"
"Grazie."
Quella sera decisi di passare nella biblioteca della scuola per prendere qualche libro da leggere. 
Dietro al bancone, come al solito c'era Ginny. Ormai mi conosceva bene, passavo spesso lì.
"Ciao Ash, posso aiutarti?"
"Mi hanno consigliato Aquila Solitaria, di Danielle Steele, sai dove posso trovarlo?"
"Laggiù, dopo i tavoli gira a destra. In fondo al corridoio, ultimo scaffale a sinistra."
La bibioteca era immensa e faceva impressione vederla così vuota.
Il rumore dei miei passi rimbombava lungo le corsie.
Quando raggiunsi lo scaffale che mi aveva indicato Ginny iniziai a scorrere i titoli.
Trovai Aquila Solitaria, lo presi dallo scaffale e nello stesso momento qualcuno tolse un libro alla stessa altezza, dalla parte opposta.
Mi ritrovai a fissare gli occhi color cioccolato di un ragazzo bellissimo. Rimasi senza fiato. E quando mi sorrise, arrossii notevolmente. Imbarazzante. 
"Posso vedere che libro hai scelto?" anuii e gli porsi il libro.
"Aquila Solitaria. Dovrebbe essere interessante."
Non spiccicai parola, non riuscivo a smettere di fissarlo, era maledettamente bello.
Strappò un pezzo di foglio, ci scrisse sopra qualcosa,  mise il foglio nel libro e me lo restituì.
Mi sorrise una volta ancora prima di sparire, lasciandomi stordita in mezzo a quell'infinità di scaffali.
Aprii il libro e lessi.
"Girl tonight you look so pretty, yes you do. Time Square can't shine as bright as you. I swear it's true"
.
 
@mickyslaugh

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Tornai in biblioteca ogni sera, da quel giorno, con la speranza di incontrare quel ragazzo nello stesso posto dove mi aveva lasciata l'ultima volta.
Speravo con tutta me stessa di scorgere la sua figura in mezzo alla folla, ma allo stesso tempo speravo che non succedesse.
Cosa gli avrei potuto dire, se lo avessi trovato? 
"Ciao, non ti conosco ma non ho fatto che pensare a te negli ultimi giorni"?
Non mi era mai capitato prima, mi sentivo così... ridicola.
Cosa aveva quel ragazzo di così speciale da ridurmi in quello stato?

L'ultimo dell'anno fu il giorno più freddo in assoluto.
Pranzai in stanza e passai il resto del pomeriggio a leggere il libro che avevo preso in biblioteca, cercando di non pensare a quel ragazzo.
Fuori era già buio quando mi chiamò Daniel al telefono.
"Ciao piccola Price, sei vestita?"
"Dan! Ma che..?"
"No, non pensare male, ho solo bisogno che tu mi faccia un favore."
"Oh.. va bene, dimmi tutto."
"Hai presente il vaso vicino alla porta della nostra camera?"
"Mmh, sì." 
"Cè la chiave della mia stanza lì dietro, usala per entrare. Poi controlla se sopra il mio letto c'è un pacco, per favore."
"Certo, ti richiamo dopo."
Mi legai i capelli e decisi di ignorare le converse. 
Le pantofole con i maialini erano molto più comode.
Uscii, sperando che nessuno mi vedesse in quello stato.
Cercai le chiavi dietro il vaso ma non trovai nulla.
Chi poteva averle prese?
Mi avvicinai alla porta e abbassai la maniglia. Non era chiusa a chiave.
E quando entrai vidi un ragazzo che frugava nell'armadio di Greg.
"Che stai facendo?" chiesi e quando si girò a guardarmi, il mio cuore perse un colpo.
Era il ragazzo della biblioteca. Non me lo ricordavo così dannatamente bello.
"Potrei farti la stessa domanda." sorrise, osservandomi dalla testa ai piedi.
Ero in condizioni pietose, con quei fuseaux e quel maglione deformato.
Si lasciò sfuggire una risatina, guardando le mie pantofole.
Arrossii e scoppiai a ridere insieme a lui.
"Incontrare qualcuno non era nei miei programmi." mormorai, imbarazzata.
Annuì, mordendosi il labbro. 
"Sono qui per prendere i botti per stasera. Li teneva Greg perchè oggi, in teoria, saremmo dovuti andare a Brighton dalla sua migliore amica, per festeggiare insieme a lei, ma a quanto pare ha altri programmi. Perciò è saltato tutto; Greg è rimasto ad Essex e Dan a Porthcawl. E io qui."
"Oh Gesù."
"Che succede?"
"Tu sei Michael!"
Non fece in tempo a rispondere perchè il telefono squillò.
"Ah-ha?"
"Ashley, hai trovato quello che cercavi?"
"Ah-ha."
E riattaccai, ma un attimo dopo richiamò.
"Ashley, ma che ti prende?"
"Cosa..?"
"Il pacco, Ash!"
"Oh, giusto! Il pacco. Uhm.. sì, c'è!"
"Perfetto, grazie! Tutto bene?"
"Sì sì. Ci sentiamo dopo Dan!"
Michael teneva gli occhi fissi su di me.
"Quindi conosci Daniel?"
Annuii, pensando a quanto avevo odiato quel ragazzo senza conoscerlo e a quanto invece, per tre giorni, non avevo fatto che pensare al suo sorriso.
"E Greg è il mio migliore amico. Sono Ashley, quella che vi ha fatto saltare i piani di capodanno."
Alzò un sopracciglio, sorpreso.
"Puoi sempre rimediare." 
"Cosa ti fa pensare che io voglia rimediare?"
"Il rossore sulle tue guance. "
"Touchè. Dove mi porti?" e sentii che arrossivo ancora di più.
"Cosa ti fa pensare che io voglia portarti fuori?" replicò, imitando il mio tono.
"Il tuo sorriso provocatorio."
"Touchè." rise, "Stavo andando a prendere da mangiare da Mc. Va bene per te?"
"Sì, però devo andare a cambiarmi."
"No, non farlo. Stai benissimo così." disse, strappandomi un sorriso.
"Posso mettere almeno le scarpe?" scosse la testa, ridacchiando.
"Adoro quelle pantofole."

"Ah... abbiamo un problema. Ho sentito che il mio compagno di stanza non ti va a genio.." disse, mentre stavamo tornando al dormitorio con due buste piene di McMenu.
"Jordan. Greg mi ha raccontato tutto quello che ti ha fatto passare."
"Mmh. Bhè, potremmo andare nella mia stanza. La mia compagna è ancora a casa dei suoi."
"Sicura che non è un problema?"
"No, anzi! Grazie per essere ricomparso. Il mio capodanno sarebbe stato abbastanza deprimente, se fossi rimasta da sola."
"Perchè sei tornata prima da Brighton?"
"Vuoi davvero saperlo?"
"E' un modo per conoscerti, quindi sì."
Ci sedemmo sul letto e iniziammo a tirare fuori la roba dalle buste.
"Non sopportavo più mio padre." aprii la porta della mia stanza e lo feci entrare, "Mia madre è morta tre anni fa e da allora non si è più ripreso. Durante le vacanze di Natale si deprime ancora di più. Mi fa male vederlo così triste, vorrei urlargli di reagire, di cercare di andare avanti, come sto facendo io. Non è facile, lo so fin troppo bene, però la situazione è diventata ingestibile. E me ne sono dovuta andare, altrimenti sarei impazzita."
"Ti manca tanto, vero?" la dolcezza nella sua voce mi fece salire le lacrime agli occhi.
"Da morire." 
"Dovresti chiamarlo. Tuo padre, intendo. Probabilmente si sente molto solo e sono sicuro che, sentire la tua voce, lo farebbe stare meglio."
Aveva ragione. Quando finimmo di mangiare chiamai papà e mi si strinse il cuore quando mi disse che gli mancavo, ma che era felice di sentirmi.
Chiusi la telefonata e tornai a guardare Michael. Stava guardando la mia scrivania.
"L'hai tenuto." sorrise, guardando il fogliettino che mi aveva infilato nel libro giusto qualche giorno prima.
"Sì, bhè. è.. è una cosa carina."
Sorrise di nuovo, stavolta guardandomi negli occhi. 
E io arrossii, perchè il suo sguardo mi frugava dentro, abbatteva ogni mia barriera.
"C'è una festa in un locale qui vicino, se hai voglia di party hard. Altrimenti stavo pensando che potremmo salire in terrazza e guardare i fuochi d'artificio da lassù."
"Mi sembra un'ottima idea. Prendo le coperte?" risposi, emozionata come una bambina.

Eravamo seduti sulle coperte, con i visi rivolti verso l'alto, ad ammirare quel gioco di luci e buio che era il cielo in quel momento.
"E' stupendo." sussurrai.
Mi guardò e scoppiai a ridere.
Sai Michael, devo confessarti una cosa. Giusto qualche ora fa pensavo di odiarti. E non chiedermi il motivo, perchè non lo so."
"Ma a quanto pare sono riuscito a farti cambiare idea." sorrise, tenendo gli occhi fissi nei miei.
Smisi di ridere e sentii un brivido lungo la schiena, mentre mi perdevo nei suoi occhi scuri.
"Sì, ci sei riuscito. A dirla tutta non mi sarei mai aspettata di sentirmi così felice di essere qui, con te."
"Lo sono anch'io." sussurrò, e sbattè la sua lattina di coca-cola sulla mia, facendole tintinnare a mo' di brindisi.


@mickyslaugh

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