How will I know? di Jane Ale (/viewuser.php?uid=169666)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lontano, ma non abbastanza ***
Capitolo 3: *** Anime fragili, stupide ed egocentriche ***
Capitolo 4: *** Come tutti gli altri ***
Capitolo 5: *** Umanità ***
Capitolo 6: *** Verità ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Se
pensavano che sarebbe bastato mandarmi via per un po', si sbagliavano
di grosso.
Non ero pazza, non ero
malata, non avevo bisogno di "staccare", ma evidentemente loro non la
pensavano così.
Era il quattro aprile
quando i miei
genitori mi annunciarono che avrei passato qualche mese all'estero:
avrei studiato, imparato una lingua e sarei tornata a casa "come nuova".
Ma ciò che
non avrebbero mai
capito è che i problemi non scompaiono se te ne vai, ma
restano
lì ad attendere il tuo ritorno.
Non persi di certo
tempo a spiegarglielo.
Feci le valigie, come
mi era stato
richiesto, e alla fine di maggio partii, senza salutare nessuno, senza
aver atteso la fine della scuola.
Partii da sola, con il
cuore atrofizzato, alla volta di New York.
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Capitolo 2 *** Lontano, ma non abbastanza ***
Capitolo 1
Lontano, ma non
abbastanza
E
sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con
le tue mani
ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte
del mondo tu cerchi di fuggire,
perché non importa dove tu corra, finirai sempre per
imbatterti in te stessa.
-Colazione da Tiffany
Ero in aereo solo da due ore e già volevo scendere. Il
problema
non era l'aereo in sé, ma il fatto di essere sola, senza
qualcuno con cui parlare, costretta a stare seduta su un seggiolino
che, a dirla tutta, era piuttosto scomodo.
Fortunatamente mi era stato assegnato il posto accanto al finestrino.
Contemplai il paesaggio sotto di me: città, colline,
montagne,
laghi, tutti di dimensioni ridotti da quell'altezza. Ma anche il
momento contemplativo non durò molto, perché mi
stancai
quasi subito. Non avevo voglia di mangiare, non avevo voglia di
scrivere, non avevo voglia neppure di leggere. Decisi di provare a
dormire. Mi distesi come meglio potevo, cercando di non urtare contro
il ginocchio del passeggero seduto alla mia sinistra e chiusi gli
occhi. In men che non si dica presi sonno.
Mi svegliai di colpo dopo aver picchiato la testa nel finestrino.
Guardai l'ora sull'orologio che avevo al polso: secondo i miei calcoli
doveva mancare poco all'arrivo. Qualche minuto dopo, infatti, una voce
metallica annunciò che sarebbe iniziato l'atterraggio. Lo
sguardo mi cadde sulle mie mani: erano sudate.
"Non ci credo, -pensai- sono agitata! Forza Greta, datti un contegno!"
Presi a respirare profondamente e ceraci di far rallentare i frenetici
battiti del mio cuore, ma poi ci rinunciai.
Era totalmente inutile. Non si può chiedere a una ragazza
che
viene spedita a chilometri da casa sua, ignara di ciò che si
troverà di fronte, di stare tranquilla.
Non appena l'aereo toccò la terreferma, mi resi conto di non
sapere chi avrei trovato ad aspettarmi. Sulla lettera che
avevo
ricevuto settimane prima dal college, era scritto che un
accompagnatore, scelto personalmente dal direttore dell'istituto,
sarebbe venuto a prendermi per poi accompagnarmi fino al luogo che, per
i mesi successivi, sarebbe stato la mia casa.
Aspettai qualche minuto prima di prendere il mio bagaglio a mano, poi
scesi dall'aereo con lentezza assoluta. Ritirai la mia valigia, che fu
tra le prime ad arrivare, e mi diressi, inevitabilmente, verso l'uscita.
Inutile dirlo, mi ritrovai davanti a una massa informe in movimento,
costituita da perfetti estranei; mi guardai intorno cercando di
individuare una persona che avesse in mano un cartello, una bandierina
o un qualsiasi segno distintivo che potesse farmi capire che era stata
mandata dal college, ma non vidi nessuno. Mi avviai verso alcune
poltroncine e mi sedetti, aspettando che questo qualcuno si facesse
vivo.
I minuti passavano e la mia pazienza stava svanendo. Stavo cercando il
mio cellulare per chiamare il college, quando un ragazzo mi si
avvicinò. Lo squadrai per qualche secondo: alto, castano,
capelli perfettamente pettinati, occhi neri.
"Carino, - pensai- ma speriamo che non voglia informazioni!"
Mi sorrise, prima di dire con un perfetto accento britannico che
stonava terribilmente con il posto in cui ci trovavamo: « Sei
Greta?»
«Si. Sei l'accompagnatore mandato dal college?»
chiesi.
Rise. «Diciamo
di sì. Sono uno studente del college e sono stato mandato a
prenderti in quanto rappresentante degli studenti del tuo anno.»
Sorrisi e risposi con un flebile "ok". Presa il mio bagaglio
più
grande e mi fece strada fuori da quell'enorme aeroporto. Mi trovai
davanti ad un parcheggio immenso, pieno di auto di tutti i tipi e
colori; mi pareva impossibile che si ricordasse dove avesse
parcheggiato. E invece si diresse a colpo sicuro verso un piccolo bus
parcheggiato a qualche metro di distanza da noi. Guardai il mezzo
stranita: era grigio metallizzato e sulla fiancata recava la scritta
"NEW YORK CITY COLLEGE".
«È uno dei mezzi ufficiali della
scuola.» mi spiegò, notando il mio sguardo. «Solitamente
gli alunni non sono autorizzati a guidarlo, anche se possiedono la
patente, ma per oggi hanno fatto un'eccezione, visto che nessun
insegnante era disponibile per venirti a prendere». Mi
strizzò l'occhio e mi fece segno di salire.
Aprii lo sportello e mi sedetti sul sedile del passeggiero, poi mi
voltai a fissare il ragazzo.
«Così
tu sei una nuova studentessa. Greta, giusto?» mi
domandò con naturalezza.
«Esatto.
E tu sei?»
Sembrò
accorgersi solo in quel momento di non essersi presentato.
«Scusami, sono davvero imperdonabile. Sono Josh Anderson,
rappresentante del terzo anno, giocatore di basket e tuo nuovo compagno
di studi.»
Scoppiai a ridere di fronte a quella presentazione, probabilmente se
l'era preparata prima del mio arrivo. Josh mi fissava, attendendo una
mia presentazione.
«Oh
giusto!
Io sono Greta Sani, nuova studentessa della tua scuola, ex ballerina di
danza classica e, ovviamente, italiana.»
«Perché
ovviamente?» mi chiese lui, quasi contrariato.
«La
pronuncia, no? Si sente che non sono amricana, ma neppure
inglese.» gli dissi, riferendomi al suo accento.
«Si
nota così tanto?» mi chiese ridendo.
«Un
po'.» ammisi, «ma
è carino.»
Per il resto del viaggio, durato poco più di mezz'ora, Josh
mi
raccontò che era venuto a New York tre anni primi, quando
aveva
diciotto anni, per studiare. Prima abitava a Bristol, in Inghilterra,
ma, grazie all'aiuto dei suoi genitori, aveva potuto realizzare il suo
sogno di studiare negli Stati Uniti.
Avevo avuto fin da subito un'impressione positiva del ragazzo, ma
più ci parlavo, più la mia simpatia nei suoi
confronti
cresceva: non solo era vivace e divertente, ma sapeva anche come
mantenere una conversazione e non stava mai zitto.
Quando arrivammo al college, restai a bocca aperta: al di là
dei
cancelli si estendeva un enorme giardino verde pieno di ragazzi che
camminavano, leggevano e si divertivano; in fondo al giardino si
trovava un edificio di dimensioni pazzesche che, come Josh mi
spiegò, costituiva l'edificio principale, quello contente le
aule. Dietro a questo si trovavano altri edifici: quello sportivo, il
dormitorio, la mensa e una piccola chiesa. Non avevo mai visto un
campus prima di allora, se non in alcuni film, ma nella
realtà
era davvero tutta un'altra cosa. Dopo aver parcheggiato, Josh mi
accompagnò in segreteria per avvertire del mio arrivo. La
stanza
adibita alla segreteria era molto grande e luminosa, dipinta di
arancione, colore che la rendeva ancora più solare. La
segretaria era una signora un po' robusta sulla cinquantina; quando mi
vide mi sorrise amabilemente.
«Tu
devi essere Greta, giusto? Fortunatamente Josh ti ha portata sana e
salva.» disse divertita.
«Ehi
Mary!» protestò Josh sorridendo. Poi si rivolse a
me: «Mary
è la nostra segretaria, ti lascio nelle sue mani. Adesso
devo
scappare, ma ci vediamo a lezione Greta.» Mi sorrise prima di
andarsene.
«Allora
cara, questa è la mappa del campus, nel caso in cui tu
dovessi
averne bisogno» disse Mary porgendomi un foglio «e
questi sono il tuo orario e la chiave della tua stanza. Spero che non
ti dispiaccia doverla condividere con un'altra ragazza, ma al momento
non avevamo più singole.»
«Non
si preoccupi, andrà benissimo.» le dissi
sorridendo.
«Bene
cara, qualsiasi problema io sono qui.»
«Grazie.»
le risposi. Presi le mie valige e mi diressi verso quello che, secondo
la mappa, era il dormitorio.
Fortunatamente non era distante, perché senza l'aiuto di
Josh le
valigie erano terribilmente pesanti. Guardai la chiave della mia
stanza: numero 112. Camminai ancora un po', finché non mi
trovai
davanti alla porta con il numero esatto.
Infilai la chiave nella serratura e girai; la porta si aprì:
la
stanza era abbastanza grande e luminosa, al centro si trovavano due
letti da una piazza e mezzo, uno dei quali era cosparso di vestiti. Mi
avvicinai a quello libero e ci posai la mia borsa. Poi trascinai dentro
i miei bagagli e chiusi la porta. In quel momento, alla mie spalle una
seconda porta, probabilmente quella del bagno, si spalancò e
ne
uscì una ragazza in accappatoio. Era non molto alta,
abbronzata,
occhi marroni e capelli biondi, quasi platino.
«Ahhh!
Chi sei?» Mi domandò spaventata.
«Ehm..sono Greta, la
tua compagna di stanza» le risposi incerta.
«Compagna
di stanza? Non mi avevano detto che ne avrei avuta una. Beh, c'era da
aspettarselo, sarebbe stato troppo avere una camera doppia tutta per
me. Vabbè, non fa niente. Comunque io sono Mandy
Sommer!»
disse porgendomi una mano.
Capii subito che era un tipo abbastanza loquace: nei venti minuti
successivi mi aveva già raccontato che anche lei non era
americana, ma era arrivata da Berlino due anni prima, dopo aver vinto
una borsa di studio, ma che era il primo anno che alloggiava al campus
perché prima aveva abitato da sola in un appartamento; mi
chiese
se avevo già conosciuto qualcuno e quando le dissi di Josh,
si
mise a ridere, ma non capii il perché.
Erano soltato le sette quando guardai l'orologio, ma ero stanchissima.
Il fuso orario mi aveva fatto perdere la cognizione del tempo e avrei
fatto volentieri una dormita, ma proprio mentre stavo per distendermi
sul letto, Mandy mi disse: «Non vieni a cena?
Così ti faccio conoscere un po' di gente.»
Decisi di seguirla, non volevo fare la figura dell'asociale. La mensa
era nell'edificio di fronte al nostro dormitorio e, come tutte le cose
che avevo visto fino ad allora in quel campus, era enorme: era in grado
di ospitare migliaia di ragazzi, secondo ciò che mi disse
Mandy,
ma non tutti mangiavano insieme, perché a quell'ora alcune
classi avevano ancora lezione. Mi misi in fila dietro alla biondina e
presi un'insalata e una fetta di pollo arrosto, poi la seguii ad un
tavolo dove erano sedute già sei persone. Erano quattro
maschi e
due femmine: le ragazze si chiamavano Santana e Fleur, la prima alta,
mora, con un fisico perfetto, la seconda alta, magra e castana, ma non
bella quanto la prima ragazza. Santana era molto amica di Mandy, mentre
l'altra era una ragazza francese arrivata da poco, ma che avevano
cercato di far integrare nel gruppo. Dei quattro ragazzi uno era Josh,
il mio accompagnatore, mentre gli altri tre mi vennero presentati come
Adam, Max e David: Adam era molto alto, con una chioma di capelli neri
e riccioluti, magro e pallido; Josh mi disse che era un suo compagno di
squadra e che erano molto amici; Max, invece era il migliore amico di
Adam, compagno di classe di Josh: muscoloso, abbronzato, con i capelli
castani e spettinati, aveva l'aria del tipico ragazzo playboy; l'ultimo
ragazzo, David, era il più silenzioso di tutti e non
prestò attenzione alle presentazioni: era magro, ma le sue
spalle lasciavano capire che praticasse sport, capelli biondo-cenere,
occhi marroni ed espressione indecifrabile sul volto. Di lui non mi
venne detto molto, se non che era amico di Max ed Adam. "E di Josh?",
pensai, ma non ebbi modo di porre la mia domanda, perché fui
assediata da quelle dei miei nuovi compagni, curiosi di sapere qualcosa
su di me.
Erano le otto e mezzo quando mi alzai; ormai eravamo rimasti soltanto
io, Mandy, Santana e Josh al nostro tavolo, ma avevo bisogno di andare
a riposare. Così mi scusai e, spiegandogli la situazione,
gli
dissi che avrei voluto dormire un po'. Mi salutarono, dicendomi che ci
saremmo incontrati il giorno successivo, mentre Mandy, mi disse che mi
avrebbe raggiunta poco dopo nella nostra stanza. Non mi ero portata la
mappa del campus con me, ma credevo che avrei potuto ritrovare
facilmente la strada per i dormitori, anche se, di buio, avrei avuto
qualche difficoltà in più.
Infatti dieci minuti dopo stavo ancora vagando per i corridoi:
sembravano tutti uguali e dove credevo fosse situata la mia stanza
c'era la numero 175. Dovevo aver sbagliato qualcosa. Continuai a
camminare, controllando i numeri sulle porte finché non
andai a
sbattare contro qualcosa o meglio, qualcuno.
«Mi
dispiace, ero distratta, stavo guardando..mi sono persa..»
dissi
dispiaciuta prima di alzare la testa e notare che la persona contro cui
ero andata a sbattere era David. «Oh, David sei
tu.» mi uscì.
«Nemmeno mi
conoscessi da una vita!» mi rispose quello sprezzante. «Stai più
attenta quando cammini, bambina
del cazzo.» Ma che problemi aveva il ragazzo?
«Ehi!!» lo
richiamai, facendolo voltare. «Se
hai qualche problema vedi di risolverlo. Ti sono venuta addosso e mi
sono scusata, ho pensato che tu fossi più estroverso, ma mi
sono
sbagliata. Datti una calmata!»
Non avevo respirato per tutto il discorso e seppi quasi subito di aver
assunto un colore che si avvicinava molto al viola livido.
«Ascoltami
bene, perché chiarirò subito la
questione» mi disse
abbassando il tono della voce, che rimaneva pur sempre piena di rabbia «non
so cosa ti abbiano detto gli altri, ma qui dentro non siamo tutti
amici, che ti piaccia o no. E sicuramente io non sono il tipo che vuole
fare amicizia, quindi se avessi voluto parlarti, presentarmi o
qualsiasi altra cosa che presentasse un contatto con te, l'avrei fatto.
Quindi non cercare di essere gentile con me, non me ne frega niente e a
te non riesce!»
Detto questo se ne andò. Rimasi imbambolata, come se mi
avessero
appena dato uno schiaffo, come se fossi appena tornata a casa. "Che vi
avevo detto, cari i miei genitori, per quanto uno possa
andare
lontano, i problemi non scompaiono!"
Potevo aver cambiato città, stato, persino continente, ma
nessun
posto sarebbe mai stato abbastanza lontano per non farmi ricordare, per
non farmi rivivere.
Quello che sei, quello che gli altri credono che tu sia, resta per
sempre con te.
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Capitolo 3 *** Anime fragili, stupide ed egocentriche ***
Capitolo 2
Anime fragili, stupide
ed egocentriche
Elena: Why don't
you ever let anyone see the good in you?
Damon: When people see good
they expect good. And I don't wanna live up to anyone's expectations.
- The Vampire
Diaries, 3x19 "Heart of Darkness"
_______________
Elena: Perché non lasci mai che qualcuno veda il bene che
c'è in te?
Damon: Quando le persone vedono del bene, si aspettano del bene. E io
non voglio essere all'altezza delle aspettative di qualcuno.
Quando il mattino dopo mi
svegliai, mi sentivo terribilmente stanca. Non avevo dormito molto bene
e in più la sere precedente avevo fatto un'emorme figuraccia
con
la mia compagna di stanza: infatti Mandy mi aveva trovata a giro per i
corridoi dopo il mio incontro con David, ma non le avevo rivolto
parola; arrivata in camera mi ero chiusa in bagno e poi subito a letto.
La discussione con il ragazzo mi aveva provocato un forte dolore
all'altezza dello stomaco: le sue parole mi avevano colpita, anche se
lui non avrebbe potuto sapere il significato che avevano per me.
Non cercare di essere
gentile con me, non me ne frega niente e a te non riesce,
aveva detto.
Aveva colto il punto: non ero capace di essere gentile, né
riuscivo a fingere di esserlo; non riuscivo a provare sentimenti nei
confronti delle persone, non avevo amici, non avevo relazioni sociali
di nessun tipo. E David aveva colto il punto.
Mi alzai dal letto controvoglia e notai che Mandy era distesa sul suo
letto intenta a fissare lo schermo del suo cellulare.
«Buongiorno» mi salutò sorridendo.
«Buongiorno.
Mandy volevo scusarmi per ieri sera, sono stata maleducata, ma non mi
sentivo molto bene..» le dissi dispiaciuta del mio
comportamento.
«Tranquilla»
mi disse. Rimase in silenzio per qualche secondo e poi aggiunse: «Se
vuoi parlarne, insomma non so, però non devi prendertela per
quello che ti dice David. Non lo conosco benissimo, ma..»
La guardai, spalancando gli occhi: come era arrivata a David?
«David?»
le domandai, sperando di riuscire a non entrare nel discorso. Non
volevo parlare male di persone che conoscevo da appena qualche ora, ma
soprattutto non volevo che Mandy pensasse di avere una petulante
ragazzina con spirito critico come compagna di stanza.
«Ho tirato
ad indovinare. L'ho incontrato poco prima di trovare te ieri sera,
quindi ho pensato che aveste parlato e insomma, conoscendolo non mi
sorprenderei se fosse stato sgarbato.» mi spiegò.
«Già.»
le risposi, confermando la sua tesi. «Diciamo che mi ha
fatto capire di non apprezzare la mia presenza.»
«Non te la
prendere, lui è fatto così. te l'ho detto, non lo
conosco
molto bene: è un ragazzo chiuso, non parla quasi con
nessuno,
viene al college solo per studiare, poi la sera se ne va. Max
è
quello con cui ha stretto di più, probabilmente
perché
vanno molto d'accordo in fatto di ragazze, ma credo che neppure lui sia
riuscito a portare a termine una vera conversazione con
David.»
Sorrisi meccanicamente, come se quelle informazioni potessero farmi
stare meglio. Non mi importava niente del fatto che fosse un asociale,
timido, playboy, o qualsiasi altra cosa. Non mi importava che mi avesse
chiamata bambina del
cazzo. Non
mi importava se mi avrebbe ignorata per tutta la sua vita. Non aveva il
diritto di giudicarmi, di pensare di conoscermi, di credere di aver
capito tutto di me, perché in verità non ci aveva
capito
assolutamente niente.
Dopo aver fatto colazione velocemente al bar del campus insieme alla
mia compagna di stanza, ci avviammo verso l'aula in cui avremmo svolto
la prima ora di lezione. Materia: letteratura inglese. Non pensavo di
avere problemi, in fondo avevo sempre amato l'inglese, ma ero comunque
preoccupata di affrontare la materia al di fuori della mia scuola. Fino
ad allora avevo sempre avuto la possibilità di chiedere
chiarimenti ai miei insegnanti anche utilizzando la mia lingua,
l'italiano; adesso avrei potuto parlare soltanto in inglese.
Mi sedetti accanto a Mandy e cominciai a guardarmi intorno: tra le
numerose facce nuove riconobbi, però, Josh, che mi
salutò
sorridendo, Max e David. Se Max ci rivolse un "ciao" frettoloso, David
non diede segno di essersi accorto della nostra presenza.
«Allora, com'è l'insegnante di
letteratura?» chiesi
a Mandy, sperando che la sua risposta mi avrebbe tranquillizzata.
«Non male:
è una donna simpatica, ma a volte sembra che abbia la testa
da
un'altra parte, si dimentica ciò che sta dicendo, lascia i
discorsi a metà. È difficile seguire interamente
una sua
lezione.» mi rispose ridendo.
"Perfetto!" pensai ironicamente.
Qualche minuto più tardi la professoressa entrò
in
classe: era bassa, non più giovanissima, ma sul suo volto
c'erano ancora i segni di una bellezza particolare. Non appena
notò la mia presenza, si presentò come "Mrs.
Bright" e mi
fece alcune domande su di me, sulla mia vita in Italia, sulla mia
vecchia scuola, sul programma che avevo svolto.
Alla fine della lezione avevo già intuito che Mrs. Bright
sarebbe diventata una delle mie insegnanti preferite, non tanto
perché la sua materia mi piaceva, ma perché i
suoi modi
di fare gentili e premurosi avrebbero invogliato chiunque a studiare
con passione.
Quando uscimmo dall'aula e controllai il mio orario, mi accorsi di non
avere più lezioni fino al pomeriggio. Ero sorpresa da questo
vuoto nel mio orario, ma poi ricordai che il giorno dell'iscrizione
avevo scelto di frequentare il minor numero possibile di corsi, ovvero
tre: letteratura inglese, comunicazione e matematica. Naturalmente
l'ultima materia mi era stata imposta dai miei genitori, convinti che
sarebbe stata "essenziale ai fini della mia maturazione psicologica".
«Greta, io adesso ho psicologia, tu invece?» mi
chiese Mandy interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Ora
libera!» le risposi nascondendo il mio orario. Stavo
iniziando a
vergognarmi di aver scelto così pochi corsi.
«Allora a
dopo!» mi disse mentre si allontanava sorridendo.
Mi voltai, pensando si andare a fare un giro per il campus, quando
andai a sbattere contro qualcuno.
«Ahi! Mi
dispiace, ero distratta..» cominciai a dire. Ma non appena
alzai
la testa, ebbi una strana sensazione, come se avessi già
vissuto
quel momento. Déjà
vu, pensai.
«Sempre tra i
piedi!» esclamò David sprezzante. «Mi pareva di
avertelo già detto ieri: devi stare più attenta,
chiaro?»
«Cristallino!»
gli risposi con aria di sfida, guardandolo dritto negli occhi.
Restammo qualche secondo a fissarci, inespressivi, poi, senza neppure
accorgermene, parlai: «Caffé?»
Lui rimase stupito dalla mia domanda, poi si riprese: «Te l'ho spiegato, bambina, io non
voglio essere tuo amico.»
«Nemmeno
io.» gli risposi convinta. «Ho solo bisogno di
qualcuno che sappia accompagnarmi al bar, perché non ricordo
la strada.»
«Non hai una
mappa?» mi chiese quasi annoiato.
«Certo!
È in bagno.» gli risposi tranquillamente,
ricordando di
aver appoggiato la mappa sul lavandino quella mattina.
Lui si limitò a fissarmi, poi annuì.
Dieci minuti più tardi ero seduta su una panchina vicino
alla
mensa in compagnia di un David silenzioso, ma con il volto rilassato
come mai lo avevo visto prima.
«Allora..»
cominciai, sperando che fosse disposto a far conversazione. «Com'è la
vita qui?»
Vidi i suoi occhi ridursi a fessure, poi si alzò. «Ti ho detto di
no!»
«Tu sei tutto
scemo!» gli dissi alzando il tono della voce.
«Mi pareva
di averti detto di non voler essere tuo amico, ma non mi hai ascoltato;
ti avevo anche detto di non fingere di essere gentile,
perché
non sei una persona che riesce a fingere con successo, ma,
evidentemente, sei sorda!»
Mi stavo per
arrabbiare, lo sentivo. «Io non voglio essere tua amica,
quante
volte te lo devo ripetere? Sto solo cercando di parlare con qualcuno in
questo stramaledettissimo posto. Sai, il mondo è pieno di
gente,
per vivere devi relazionartici, che tu lo voglia o no. E non importa se
non riesco a nascondere il fatto che anche scambiare due parole con una
persona mi irrita, perché almeno io ci
provo!» Feci per andarmene, ma poi mi costrinsi a guardarlo
in faccia per dirgli un'ultima cosa.«Non
credere che sia orgogliosa di non saper essere gentile. E non credere
che sia un caso che sia qui a parlare con te.»
«Mi stai
implicitamente dicendo che nemmeno io sono gentile?» mi
chiese alzando un sopracciglio.
«No. Ti sto
esplicitamente dicendo che per quanto tu possa essere bastardo, io lo
sono sempre più di te. Per questo potresti andarmi a genio,
perché non sei meglio di me.» Sorrisi amaramente.
«Dovrebbe essere un
complimento?» domandò.
«Forse.»
Poi me ne andai, lasciandolo in piedi accanto a quella panchina.
Sapevo di aver fatto un discorso da esibizionista, eppure non avevo
detto altro che la verità: lui era una di quelle persone che
se
la prendono con il mondo intero solo perché non riescono ad
accettarsi e sentirsi accettate. David si era costruito un muro
invalicabile perché nessuno gli si avvicinasse o provasse a
farlo.
Ma io conoscevo quel tipo di persone all'apparenza rocce
indistruttibili, ma dentro anime fragili, stupide ed egocentriche.
Io ero
fatta così, da sempre. Non avevo mai trovato il mio posto nel mondo,
come viene chiamato nei libri, ed ero cresciuta da sola, giudicando i
sentimenti come qualcosa di inutile.
Eppure guardando David e vedendo quanto eravamo simili, avevo capito
che forse, nel profondo, c'era ancora qualcosa di buono in lui,
qualcosa che io ritenevo aver perso da tempo.
Per questo non ero riuscita a non parlargli.
Per questo non avrei smesso.
Se fossi riuscita a tirar fuori quel qualcosa da David,
probabilmente, alla fine, ci sarei potuta riuscire anch'io.
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Capitolo 4 *** Come tutti gli altri ***
Capitolo 4
Come tutti gli altri
L'ho
imparato da mia madre che lo
diceva sempre a mio padre che
tutti gli uomini sono bugiardi,
bevono, giocano e tornano tardi.
Tutti uguali, tutti uguali.
-Tutti uguali, Mia Martini
"Inspira, espira.
Inspira, espira."
Andavo avanti così da cinque minuti buoni. Era impossibile
tentare di respirare lì dentro.
«Mandy, ti prego, non posso farcela!» esclamai
irritata.
Perché continuava ad insistere? Era più forte di
me, non
avrei potuto sopportarlo.
«Non
pregarmi, cara! Ti sto facendo un favore, presto mi
ringrazierai.» mi disse dirigendosi verso l'armadio per
l'ennesima volta.
«Hai
idea
di quanto sia stretto questo vestito?! Non respiro,
soffocherò!» Mi guardai allo specchio: certo, il
vestitino
che Mandy mi aveva prestato era carino, rosso, non troppo corto e con
una giusta scollatura, perfetto per uscire, se non per il piccolo
particolare che mi stava togliendo il respiro!
«Assolutamente
no! Tu vuoi toglierlo perché ti vergogni, è
questa la
verità!» mi disse continuando a rovistare tra i
mille
vestiti che aveva nell'armadio. «Eccolo!»
esclamò dopo qualche secondo.
«Prova questo, è fantastico!» disse
porgendomi un altro vestito.
Sbuffai, ma poi mi tolsi l'abito rosso che indossavo per provarlo. Non
mi dispiaceva affatto: era nero, con due spalline sottili, lungo fin
sopra il ginocchio e aveva una fascia piena di piccoli brillantini
sotto il seno.
Era molto carino, ma soprattutto permetteva all'ossigeno di passare dai
miei polmoni.
«Questo
mi piace.» le dissi guardando il mio riflesso allo specchio.
«Aggiudicato!»
Mi strizzò l'occhio.
Continuai a guardarmi allo specchio per qualche altro secondo, ma poi
distolsi lo sguardo. Avevo imparato a convivere con il mio corpo, con
la mia anima, ad accettare i miei difetti e ad essere orgogliosa dei
miei pregi, ma, a volte, sentivo ancora quella sensazione, quel
maledettisimo peso all'altezza dello stomaco che mi faceva distogliere
lo sguardo ed abbassare la testa. C'è chi l'avrebbe chiamata
vergogna, chi umiliazione, altri avrebbero detto che si trattava di
senso di colpa, ma a me avevano insegnato a chiamarlo errore.
Quando uno sbaglia, mi avevano detto, porterà per
sempre
con sé un segno interiore che gli ricordi ciò che
ha
fatto. Non è una punizione, ma una semplice traccia, una
segnalazione di passaggio che non si può cancellare. E non
avranno nessuna azione il pentimento, le scuse o i rimorsi della
coscienza, perché non si cancellano le azioni, esse sono
indelebili.
Preso atto di ciò, però, si può
decidere se
lasciarsi andare, chiudersi in casa e vivere tra i "se" e i "ma" di un
passato che ormai non può più essere cambiato,
oppure
assumersi le proprie responsabilità, superare il dolore e
continuare il proprio percorso.
Questo è quello che mi avevano detto. Naturalmente io non
avevo
mai ascoltato, non avevo mai voluto ascoltare, ma almeno adesso stavo
cominciando a capire il significato di quel tragico discorso.
In quel momento ricordai le parole che mi erano state dette pochi mesi
prima. Non è
mai troppo tardi.. Sbuffai.
«Invece
lo
sarà se non finisci di prepararti velocemente!» mi
intimò Mandy, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Non
mi
ero accorta di aver parlato ad alta voce. Sperai che non facesse
domande.
«Tutto
bene Greta?» mi chiese lei, quasi leggendomi nel pensiero.
«Certo,
stavo solo riflettendo.» le risposi sorridendo. Poi mi
diressi verso il bagno per truccarmi.
Ma Mandy mi seguì. Sapevo che avrebbe provato a chiedermi
qualcosa.
«Cosa
significa "non è mai troppo tardi"? A cosa ti riferivi,
Greta?» mi chiese fissandomi.
«Niente,
te l'ho detto ero assorta nei miei pensieri.» le risposi
passandomi il mascara sulle ciglia.
«Avevi
un'espressione così triste. C'è qualcosa che non
va?»
«No,
è tutto okay. Non preoccuparti.» Le sorrisi e
sperai che
mi credesse e non cercasse di fare altre domande. E così fu.
«Okay.»
mormorò prima di tornare nell'altra stanza.
Chiusi il mascara e presi il lucidalabbra, dando una passata veloce.
Premetti le labbra insieme e guardai l'effetto finale. Poteva andare.
Come ultima cosa spazzolai i capelli, poi uscii dal bagno,
trovando Mandy intenta a riordinare il suo armadio. Sapevo di doverle
dire qualcosa prima che arivasse Josh, ma non ero mai stata brava ad
uscire da queste situazioni.
«Mandy..»
«Si?»
mi risponse voltandosi verso di me.
«Mi
dispiace, non volevo essere sgarbata prima.» "Veramente
patetica, Greta, veramente.", pensai.
«Non
preoccuparti, sono stata troppo invadente. Non avrei dovuto
intromettermi, scusa.» mi disse lei.
«No
Mandy,
non devi scusarti, assolutamente! È che non sono abituata a
parlare di me, o a parlare in generale, credo, il che mi rende tutto
più complicato, capisci?»
Mi sorrise.
«Se mai vorrai, sai dove trovarmi.»
«Grazie.»
In quel momento qualcuno bussò alla porta. Mi girai di
scatto
verso la sveglia che avevo sul comodino. Le otto e tre minuti.
Impossibile! Il tempo era passato troppo velocemente, non poteva essere
già Josh.
Aprii la porta e, come non detto, la figura di Josh si
materializzò davanti ai miei occhi.
«Ciao,
pronta?» mi salutò allegro.
«Pronta!»
gli risposi, ma dentro di me ero tutt'altro che pronta!
«Se
non vuoi rivelarmi dove andiamo, vuoi almeno dirmi quanto
manca?» supplicai Josh ancora una volta.
Eravamo in viaggio da quarantacinque minuti, ma ancora non ero riuscita
a far parlare Josh.
«Te
l'ho già detto, è una sorpresa e manca
poco.» mi rispose pazientemente sorridendo.
«È
la decima volta che lo ripeti!» brontolo.
«Perché
è la decima volta che me lo chiedi. Non ti facevo
così
impaziente, piccola Greta.» Rise.
Non credevo di essere impaziente. O forse sì? Non mi erano
mai
piaciute le soprese, le attese e gli imprevisti, figuriamoci essere
portata in un posto sconosciuto dovendo sopportare un'ora di viaggio
prima in autobus e poi in metropolitana. Un incubo! Ok, forse stavo
esagerando. La mia parte infantile stava avendo la meglio, ma odiavo
essere all'oscuro della nostra destinazione.
«Ti
sei offesa?» mi chiese Josh. Si era seduto accanto a me e mi
fissava in attesa di una mia risposta.
Provai
a restare
seria, ma, notando la sua espressione preoccupata, scoppiai a ridere.
«Josh, scusa se te lo dico, ma sei buffissimo quando sei
preoccupato.»
Vidi i suoi muscoli rilassarsi e il suo volto stendersi in un sorriso.
«Grazie,
nessuno mi aveva ancora detto quanto fossi buffo.»
Restammo qualche secondo in silenzio, poi chinai il viso, fissando il
pavimento sporco di quella metropolitana. Ero così assorta
nell'osservare involucri di caramelle e giornali vecchi lanciati a
terra, che mi accorsi a malapena che Josh stava avvicinando una mano al
mio volto. "Cosa sta facendo?" mi domandai mentalmente. "Oddio cosa
vuole fare? Perché non allontana quella mano?"
Le sue dita afferrarono una ciocca di capelli che mi era scivolata sul
volto per portarla dietro l'orecchio.
«Hai
dei bei capelli.» mi disse tranquillo.
«Gr-grazie.»
gli risposi incerta.
"Che
stupida", pensai. "Mi ha
gentilmente una ciocca di capelli e io mi impaurisco nel vedere la sua
mano. Non c'è male. E mi metto pure a balbettare, cavolo!"
Sbuffai.
"Sei rimasta fuori dal mondo per troppo tempo!" sussurrò
quell'assurda vocina nella mia testa. "Non è vero!", risposi
pronta.
«Ci
siamo!» mi disse Josh. «Scendiamo.»
Finalmente! Appena le porte della metro si aprirono, sentii la mano di
Josh scivolare nella mia. Lo guardai in viso, stupita.
«Così
non ti perdo!» mi disse ammiccando.
Annuii, ma senza fare a meno di pensare che, forse, quella vocina aveva
ragione.
Ero rimasta fuori dal
mondo per troppo tempo.
«Come
hai detto che si chiama questo..coso?» chiesi per
la terza volta.
Josh rise. «È
un burrito con riso, pollo, formaggio e pomodori.»
«Burrito,
giusto!» Non riuscivo a ricordare quella parola. Josh mi
aveva
portata in un ristorante messicano proprio sotto l'Empire State
Building. Era la prima volta che mettevo piede nella città,
ma
l'impatto era stato qualcosa di sensazionale, davvero inspiegabile.
Appena avevo messo piede sull'asfalto, avevo chiuso gli occhi e
inspirato profondamente; quando finalmente avevo guardato cosa mi
circondava, avevo provato una sensazione stranissima all'altezza
dell'addome. Emozione
era la
parola che avrei usato per descriverla. Mi ero emozionata. Le strade, i
negozi, le luci, i grattacieli erano veramente davanti ai miei occhi,
non si trattava di un film! Poi vidi la cosa più
strabiliante:
l'Empire State Building si stagliava in tutti i suoi
quattrocentoquaranta metri davanti ai miei occhi, reso ancora
più appariscente dalle migliaia di luci dalle quali era
illuminato. Ero stata immobile su quel marciapiede per più
di
cinque minuti a fissare l'edificio come rapita, finché Josh
mi
aveva risvegliata dicendomi che dovevamo andare, eppure distogliere lo
sguardo era stato davvero difficile.
«A
cosa stai pensando?» mi chiese Josh, distogliendomi da quei
pensieri.
«All'Empire.»
ammisi.
«Fa
un certo effetto la prima volta, vero?»
«Eh
già.» risposi sorridendo.
«Se
vuoi
una volta andiamo a Top of the Rock, da lì puoi vedere tutta
la
città. È veramente bellissimo!» mi
disse.
«Ci
sto!» accettai senza pensarci due volte, senza accorgermi di
aver
appena accettato un secondo appuntamento con lui.
Dopo che ebbi finito il mio burrito, uscimmo dal locale e ci dirigemmo
verso la metropolitana. Guardai l'orologio. Erano già le
undici.
Il tempo era volato!
«Ti
è piaciuto?» mi chiese Josh appena salimmo sul
vagone. «So che
non abbiamo avuto molto tempo, ma spero di poter rimediare.»
«No,
è stato bello invece. Ho visto New York per la prima volta
nella
mia vita e ho assaggiato il cibo messicano, non potrei volere di
più!» dissi sincera.
Mi sorrise soddisfatto. Passarono alcuni secondi prima che Josh
parlasse di nuovo, e, quando lo fece, il suo tono era mutato, sembrava
più agitato.
«Sono
felice che tu abbia accettato di venire stasera, Greta.»
cominciò. «All'inizio
ero convinto che mi avresti detto di no, un po' perché ci
conosciamo appena e un po' perché non pensavo che una come
te
avrebbe accettato.»
«Una
come me?» chiesi meravigliata. Non capivo cosa volesse dire
con quell'espressione.
«Riservata,
seria, chiusa..non so come spiegarmi, ma tu non sembri una di quelle
persone che si lasciano convincere subito e facilmente.» mi
spiegò.
«Infatti
non lo sono. Ho accettato semplicemente perché pensavo che
sarebbe stata un'occasione per imparare a conoscere la città
in
compagnia di qualcuno che ne sa qualcosa, tutto qui.» Ero io
oppure quel discorso stava diventando strano?
Perché avevo la sensazione di essere sotto giudizio?
Assunse
un'espressione diversa. Era forse delusione quella che vedevo sul suo
volto? «Ah, sì, giusto. Beh sì, la
città..» affermò poco convinto.
Non capivo cosa fosse successo. Perché Josh si era
ammutolito? Cosa avevo detto?
"La città.." suggerì quell'estenuante vocina
nella mia testa.
Poi afferrai: gli avevo appena detto che ero uscita con lui per usarlo
come guida. Che genio!
"Si può essere più scemi?" mi chiesi.
«Ehi
Josh» lo chiamai per attirare la sua attenzione. «Allora,
quand'è che usciamo di nuovo?» chiesi sorridendo.
Vidi i suoi occhi illuminarsi prima di rispondere al mio sorriso.
Per quella volta ero riuscita a salvarmi. Forse stavo imparando.
Il resto del viaggio trascorse tranquillamente tra chiacchiere e
risate. Quando arrivammo al campus, Josh insistette per accompagnarmi
fino alla porta della mia stanza ed io non rifiutai, ricordavo fin
troppo bene come mi ero persa facilmente per i meandri di
quell'edificio.
«Grazie
Josh.» gli dissi quando arrivammo di fronte alla mia
stanza. «Mi sono
divertita.»
Potevo sembrare banale, ma era la verità.
«Grazie
a te.» mi rispose lui abbassando la voce.
Poi vidi il suo volto avvicinarsi pericolosamente al mio. "Vuole solo
darti un bacio sulla guancia per ringraziarti.", mi dissi.
Così girai la testa, pogendogli la gota. Ma quello che non
riuscii a prevedere fu la velocità con la quale si
abbassò ancora di più e sfiorò le mie
labbra con
le sue.
Cosa cavolo stava succedendo? Perché mi stava baciando? Mi
sembrava di essere finita di una soap opera: ragazzi che invitano le
ragazze ad uscire dopo due giorni che si conoscono e provano a baciarle
al primo appuntamento. Sì, ero stata catapultata in una di
quelle serie televisive che vengono trasmesse durante l'estate, ne ero
quasi sicura!
«Josh,
cosa fai?» Il mio tono di voce si era alzato di qualche
ottava.
«Ehm..scusa,
mi dispiace.» Posso assicurarvi che in quel momento era tutto
fuorché dispiaciuto.
«Sì,
anche a me, che tu sia un cretino.» gli dissi. Non so
perché lo feci o come mi fosse venuto in mente, ma non
credevo
possibile che avesse davvero tentato di baciarmi. Ci conoscevamo
soltanto da qualche giorno!
"Perché i maschi devono sempre rovinare tutto?" mi chiesi.
«Greta
scusami davvero, ho sbagliato.» si scusò lui,
questa volta con più convinzione.
«Lasciamo
perdere. Buonanotte Josh!» lo salutai.
«Aspetta,
davvero, mi dispiace. Greta non pensare che io sia quel genere di
ragazzo. Anche prima, quando ho detto che pensavo che non ti saresti
lasciata convincere così facilmente, non intendevo dire che
tu
fossi poco seria. Scusa.» Adesso era veramente pentito,
potevo
leggerlo nei suoi occhi.
«Sì,
okay. Scuse accettate. Buonanotte.» Non aspettai che mi
rispondesse, ma entrai in camera. Mandy dormiva già, potevo
sentire il suo respiro calmo e rilassato provenire da sotto le coperte.
Almeno non avrei dovuto farle subito il resoconto della serata.
Continuai a pensare a Josh. Cosa gli era preso? Mi rendevo conto di
aver avuto una reazione eccessiva per un semplice sfioramento di
labbra, ma la cosa che mi aveva disturbata era stato il suo
comportamento: credeva davvero che avrei risposto al bacio? "Devo dare
l'impressione di essere una ragazza seria.", pensai ironicamente.
Eppure non riuscivo a credere che Josh ci avesse realmente provato. Mi
era sembrato così dolce e carino, invece..
"Invece è esattamente come tutti gli altri!" concluse al
posto mio la vocina.
Sì, come
tutti gli altri.
Il mattino seguente fui svegliata da qualcuno che bussava alla porta.
All'inizio ignorai il rumore, sperando che Mandy andasse ad aprire al
posto mio, ma, considerato che non accennava a smettere, mi decisi ad
alzarmi. Vidi che il letto della mia compagna era vuoto,
così
guardai l'orologio. Le 12.22. Quanto avevo dormito?
Aprii la porta e mi ritrovai davanti un Josh un po' imbarazzato.
«Ti
ho svegliata?» mi chiese come se non fosse stato ovvio.
Annui. Non ero ancora abbastanza sveglia per proferire parola.
«Volevo
scusarmi per ieri sera.» disse tenendo lo sguardo basso. «Sono
stato imperdonabile.»
«Sì,
vabbé, è andata così.» gli
risposi con la voce ancora un po' impastata dal sonno.
«Greta,
non
pensare male di me, è stato un attimo di..non so, forse
pazzia,
debolezza. Chiamala come vuoi, ma non volevo rovinare tutto. Mi
dispiace!»
«Okay,
Josh. Tranquillo, farò come se non fosse mai
successo.»
Cercò di sorridere. «Grazie.»
«Adesso,
se non ti dispiace, vorrei farmi una doccia. Ieri sera mi sono
addormentata di colpo.» gli dissi.
«Oh
scusa, hai ragione. Allora, ci vediamo.»
«Sì,
ci vediamo. Ciao Josh!» lo salutai chiudendo la porta.
Tornai verso il letto, lasciandomici cadere a peso morto. "Mi ha
svegliata, ma almeno si è scusato.", pensai.
Non ebbi il tempo di chiudere di nuovo gli occhi che bussarono di nuovo
alla porta. "Ancora?"
Mi alzai di malavoglia dal letto per la seconda volta nel giro di
cinque minuti ed andai ad aprire.
Non avrei voluto essere sgarbata, ma la stanchezza dominava sul mio
lato gentile in quel momento.
«Josh, cosa c'è adesso?» dissi un po'
troppo acida mentre aprivo la porta.
Poi mi resi conto dell'errore. Non era Josh, bensì David.
«Oh
David, non sei.. Beh, scusa, ho sbagliato persona.» mi
scusai, mentre lo fissavo stupita di trovarmelo davanti.
«Ho
notato.»
«Hai
bisogno di qualcosa?» gli chiesi ignorando il suo commento.
Non mi
rispose subito. Prese fiato e poi chiese: «Hai
detto che non mi vuoi aiutare, giusto?»
Non riuscivo a capire dove volesse arrivare, così annuii.
«Però
dici di capirmi.» continuò lui.
Annuii ancora, sempre più stupita dalle sue parole.
«Bene,
allora credo di aver bisogno del tuo non-aiuto.» concluse
serio.
Sentii i miei occhi spalancarsi. Non sapevo cosa rispondere,
così aprii tutta la porta facendo segno di accomodarsi.
Lui entrò. Solo dopo aver chiuso la porta e averlo visto
fermo
in mezzo alla mia stanza capii che, forse, c'era ancora una speranza. Forse.
Sorrisi.
-Note dell'autrice-
Salve a tutte!
Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo. So di aver parlato quasi
sempre dell'appuntamento tra Josh e Greta e probabilmente è
risultato noioso, ma era necessario, ai fini della narrazione, che lo
descrivessi. Mi scuso per questo. :)
Come avrete notato, questa volta la citazione all'inizio del capitolo
è tratta da una canzone di Mia Martini. Pur non rientrando
contestualmente con ciò che è narrato nel
capitolo, ho voluto inserirla, quasi ironicamente, per collegarla al
titolo: infatti sono entrambi stereotipi riferiti agli uomini. So che
può sembrare stupido, ma mi è sembrata un'idea
carina. :)
Ringrazio di cuore tutte coloro che sono arrivate in fondo anche a
questo capitolo e continuano a leggere la storia. Grazie!
Volevo ringraziare anche Mary_TVD che ha inserito "How will I know?"
tra le storie preferite, e Carrie L, 5HuNtEr5, GoodbyeCalm, che l'hanno
inserita tra le seguite. Siete fantastiche!
Vi ricordo che resto a disposizione per qualsiasi informazione o dubbio
voi abbiate, e che le recensioni sono sempre bene accette. ;)
A presto!
Baci,
Jane Ale
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Capitolo 5 *** Umanità ***
Capitolo 3
Umanità
Questo
era senza dubbio il più eccelso e infimo di tutti i mondi:
i sensi migliori, le emozioni più squisite, i desideri
più maligni, le imprese più cattive.
Forse doveva essere così. Forse senza l'abisso non
potevano esserci le vette.
- The Host, Stephenie Meyer
Fino al giorno successivo non incontrai più David, che non
si era presentato nemmeno a cena.
Il mattino seguente, non appena uscii dalla mia stanza, incontrai Josh.
«Buongiorno piccola Greta!» mi salutò
con un grande sorriso stampato sul volto.
«Ehi
Josh!» ricambiai, sorpresa dalla confidenza.
«Tutto
bene?» mi chiese.
«Certo.»
«Senti Greta, volevo
chiederti una cosa..» iniziò incerto. «Potrà
sembrarti strano, in fondo sono soltanto due giorni che sei qui,
però.. Insomma, vuoi uscire con me? Perché credo
che tu
mi piaccia.»
Rimasi completamente pietrificata. La mia mente non sarebbe riuscita a
produrre un discorso sensato nemmeno sotto tortura. In quale mondo
parallelo un ragazzo chiedeva ad una ragazza di uscire solo dopo due
giorni?
"Non ti ha mica fatto una proposta di matrimonio!" rispose una voce
malefica dentro la mia testa.
In effetti aveva ragione, si trattava solo di un appuntamento. Quel
termine mi fece rabbrividire. Non che non avessi mai provato ad uscire
con un ragazzo, ma ogni volta era finita male e dopo un po' avevo
smesso di accettare appuntamenti.
Pensandoci bene, io non avevo mai avuto un vero ragazzo, uno che fosse
durato più di qualche settimana almeno.
Ma Josh..
Lo guardai attentamente: certo, era carino, lo avevo notato fin da
subito, ma non avevo mai pensato a lui in quei termini. Anzi, non mi
ero neppure accorta di piacergli!
"Come avrei potuto?" pensai.
Ma la voce nella mia testa parlò ancora: "Avresti potuto, se
per
tutti questi anni non ti fossi chiusa in una bolla. Sai, il mondo va
avanti!"
Non le diedi ascolto, ma guardai Josh in faccia. Stava sorridendo, ma
capivo lo sforzo che stava facendo per non mostrarmi quanto realmente
fosse agitato. I suoi occhi erano colmi di..speranza.
«Sì.» risposi senza neppure sapere cosa
volessi dire con quel "sì".
Le sue pupille si dilatarono.
«Sì nel senso che uscirai con me? Cioè
davvero?»
«Sì!»
confermai con un sorriso tirato.
Avevo accettato un appuntamento. Come diavolo mi era venuto in mente?
Neppure un minuto prima avevo provato l'impulso di scappare per non
dover rispondere al suo invito e poi, senza neppure pensarci, avevo
accettato? C'era sicuramente qualcosa di sbagliato in me.
«Che ne dici se
andiamo al cinema? Oppure preferisci un ristorante? Insomma, non lo
so..»
«Josh!» lo
richiamai. «Perfavore,
calmati, non c'è bisogno che tu ti affanni così.
Qualsiasi cosa andrà bene, davvero.» gli dissi
sorridendo,
questa volta sinceramente.
«Cena e
passeggiata?» chiese.
«Perfetto.»
«Sabato
sera?»
«Okay.»
«Allora alle
otto?» mi chiese ancora.
«Sì, va
bene.»
«Okay, bene. Allora,
ci vediamo..» mi salutò sorridendo prima di
andarsene.
Non feci in tempo a rispondere al suo saluto che la porta alle mie
spalle si aprì.
«Esci con
Josh??» mi domandò Mandy, incredula.
«Sì,
credo.. Ehi, ma cosa stavi facendo? Ascoltavi?» le chiesi,
corrugando la fronte.
«Ero impossibilitata
ad uscire, stavo aspettando che aveste finito. Non stavo
ascoltando!» disse, fingendosi offesa.
«Mandy, posso farti
una domanda?» le chiesi con poca
sicurezza.
«Se non mi accusi di
spiarti da dietro una porta..» mi rispose ridendo.
«No, assolutamente..
Si tratta di un'altra cosa.»
«Spara!»
mi disse facendomi l'occhiolino.
«A te piace
Josh?» Non avrei mai posto una domanda del genere, ma Mandy
era
la mia compagna di stanza e non mi era sfuggita la sua reazione la
prima volta che avevo fatto il nome di Josh. Insomma, non volevo
problemi.
«Dritta al punto,
eh?» disse ironica.
«No, scusa,
non volevo. Ma la prima volta che ho nomita Josh..insomma, hai riso e
il tuo sguardo.. Scusa, non avrei dovut chiederlo.» Ero una
deficiente: conoscevo la mia compagna di stanza da quanto, qualche
giorno?, e già avrei potuto compromettere il nostro
rapporto. Un
record persino per me!
«Greta rilassati!
Non è successo nulla, davvero.» cercò
di tranquillizzarmi. «Mi
hai solo colta alla sprovvista, tutto qua. Non posso dirti che non sia
mai stata attratta da Josh, ma lui stava con Santana e lei è
diventata subito la mia migliore amica, capisci? E anche adesso che non
stanno più insieme, Josh rimane un' "intoccabile" per me, se
sai
cosa voglio dire.»
«Già, la
regola dell'amica..» mormorai, convinta che non mi
avesse sentita.
Invece mi sorrise, annuendo. Poi aggiunse: «Ma non ti devi
preoccupare, per me è okay se esci con Josh.»
«E per Santana,
invece?» le chiesi, tenendo lo sguardo basso.
Fece un risolino, quasi nervoso. «Probabilmente
si arrabbierà, non ti parlerà, ma sa meglio di
chiunque
altro che la sua storia con Josh è chiusa. In fondo
è
stata lei a voler mettere tutto in discussione, ma questo è
un
altro discorso. Quindi tranquilla, permesso accordato.» Mi
sorrise ancora, come a volermi confermare di nuovo il suo permesso.
«Grazie Mandy. Non
so se questa cosa
avrà un esito positivo, ma ti ringrazio.»
Non seppi come, ma, per la prima volta dopo anni, mi ritrovai ad
abbracciare qualcuno, ad abbracciarlo veramente:
non si trattava di uno di quei convenevoli delle feste ordinate,
né di un falso gesto di amicizia, era più un
gesto di
solidarietà e comprensione per trasmetterle tutta la
gratitudine
che a parole non sarei mai riuscita a comunicare.
Non si trattava dell'appuntamento che Josh, il quale non occupava la
mia mente più del dovuto, quanto del fatto che Mandy era
riuscita a tirare fuori una parte di me che da tanto tempo era sepolta.
Un abbraccio, un semplice gesto che aveva scoperto una Greta diversa,
quasi umana.
Quella mattina
avevo avuto tre ore di lezione consecutive, la più lunga da
quando ero arrivata. Mi faceva un po' male la testa, non ero
più
abituata a restare concentrata troppo a lungo, non da quando.. Cambiai
subito la rotta dei miei pensieri. Avevo assolutamente bisogno di un
caffè, sì assolutamente.
Arrivata al bar ordinai il mio caffè, poi mi misi alla
ricerca
di un tavolino libero: possibile che fossero tutti al bar in quel
momento? Dopo qualche attimo di ricerca, riuscii ad individuare un
tavolo libero vicino alla siepe. Meglio che niente! Mi avviai con passo
svelto verso il mio obiettivo, ma proprio mentre appoggiavo il mio
caffè sulla superficie del tavolo, un'altra persona ci
appoggiò i suoi libri. "Col cavolo che ti lascio il
tavolo!",
pensai.
Quando alzai la testa, avrei voluto sprofondare. O l'universo era privo
di una qualsiasi logica o aveva uno strano, se non perverso, senso
dell'umorismo: David stava di fronte a me con le braccia incrociate e
un'espressione scocciata sul volto.
«Non è
possibile!» esclamai irritata.
«Non avrei saputo
dirlo meglio!» mi rispose con il suo solito tono scocciato.
«Okay,
bene..prima che tu ti metta ad urlare e a dirmi che ti seguo e roba
varia, ti dico che sono una donna, sono stanca e che quindi il tavolo
lo prendo io. Mi dispiace, ma se fossi stato qualcun altro,
probabilmente, non mi sarei fatta problemi a chiedergli di sedersi, ma
visto i precedenti..»
«Dovresti
lasciarmi il posto soltanto per la stupidtà del tuo
discorso!» mi disse, scuotendo impercettibilmente il capo.
«Mai!»
esclamai sedendomi.
«Bene, caso
chiuso!» disse lui, sedendosi di fronte a me.
«Ma che
cos..?»
«Non mi hai dato
scelta.» disse con tono serio. «Ho bisogno di
sedermi e stare in pace, se non te ne vuoi andare allora condivideremo
il tavolo.»
«Stai
parlando come se fossi io quella che si è messa a urlare
perché gli è stata rivolta parola.»
dissi acida.
«Non ho reagito
così perché mi hai parlato..»
«Ah no, e allora
perché?» Sentivo la rabbia crescere dentro di me.
«Dimmelo
tu il perché, scommetto che ci arrivi.» E per la
prima
volta da quando ero arrivata a New York, fece una cosa che mi fece
rimanere a bocca aperta: sorrise. Non era un sorriso di
felicità, ma neppure un sorriso derisorio. Era un misto di
consapevolezza e sfida, come se volesse vedere fino a che punto sarei
riuscita a capirlo. "Bello", pensai. Sì, il suo era un
sorriso
che si definisce bello, non tanto perché era il primo
sorriso
che vedevo sul suo volto, o perché lui stesso fosse un bel
ragazzo in sé, ma perché era un sorriso genuino,
vero,
uno di quelli che vedi e pensi "Questo è il sorriso che
cercavo", anche quando non stai cercando niente.
Presi una boccata d'aria e risposi, sentendomi sotto esame. «Tu
hai alzato un muro, giusto? Non volevi che ti parlassi
perché
relazionarsi con le persone è più difficile che
essere
scontrosi e mandare tutto a quel paese. Hai pensato che non fosse
giusto stravolgere il tuo status quo, o meglio che fosse troppo..faticoso,
sbaglio?»
Fece un cenno con il capo, invitandomi ad andare avanti. Proseguii.
«Però hai visto quanto siamo simili, o meglio,
quanto,
nonostante i nostri caratteri siano simili, io mi sforzassi di cercare
un contatto con il mondo intorno a me, un appiglio per scavalcare il
muro. Perché stare al di là del muro, da soli,
è
brutto, no? Ma il cambiamento richiede forza e fatica, lo so. Ma
correggimi se sbaglio.» Gli sorrisi, quasi sfidandolo.
«Sveglia, ma non
abbastanza.» mi disse, riducendo gli occhi a due fessure. «Genitore
psichiatra?» mi chiese all'improvviso.
«Cosa?»
domandai stupita. «Pensi
che la mia analisi sia dovuta al fatto che ho un genitore
psichiatra?» Per un attimo non seppi chi fosse il vero pazzo
tra
noi due. «Te l'ho detto,
David, io ti capisco, ma tu non accetti di essere capito.»
«Dicono tutti
così e poi ti spediscono in terapia. Ci sono passato,
grazie, ma non ho bisogno del tuo aiuto.»
«Ehi, ma
che stai dicendo? Senti, questo discorso sta diventando abbastanza
strano. Io non ho genitori psichiatri, né voglio
aiutarti.» gli dissi seria.
«E allora?
Perché sei qui?» domandò con una punta
di
curiosità che cercò di nascondere con una smorfia
di
rabbia.
«Sei stato in
terapia, vero?» ignorai la sua domanda.
«Cosa te lo fa
pensare?»
Risi. «Touché.
Te lo ripeto, io ti capisco.»
«Va bene, ammettiamo
che tu mi "capisca"» mimò le virgolette con le
mani, «allora dimmi,
perché tu non fai come me e ti fai gli affari tuoi? Cosa
vuoi da me? La verità.»
«Io non
posso fare come te, David. Ho già passato quello che stai
passando tu, il rifiuto, il silenzio, quel cavolo di muro. Questa
è la mia ultima possibilità, devo provarci. E
cavolo, non
riesco a vedere qualcuno che fa ciò che ho già
fatto io,
sbagliando. Sai quanto darei per tornare indietro, per essere al tuo posto?»
Lo vidi sgranare gli occhi. «Si, hai capito,
vorrei essere al tuo posto.» gli ripetei con più
convinzione.
«Non sai cosa stai
dicendo.» mi disse sprezzante.
«Proprio
perché lo so, te ne sto parlando.» Abbassai lo
sguardo.
Non sapevo perché mi ero aperta così con un
ragazzo che
per me era uno sconosciuto, non riuscivo a capirlo. Ma sapevo di non
essermi sbagliata. "Lo sguardo", pensai "i suoi occhi". Già,
erano stati quelli a convincermi. Conoscevo quella piega triste che
avevano assunto, quante volte me l'ero ritrovata davanti allo specchio,
ma non avevo potuto far nulla. Questa volta era diverso. Avrei potuto
aiutarlo, forse non sarebbe arrivato al limite, quel limite maledetto
che io avevo superato.
Volevo proteggerlo. Non come una mamma che vuole proteggere il figlio,
o la fidanzata che teme per il fidanzato. No, si trattava di qualcosa
di diverso, di più grande. Mi venne in mente la parola umanità.
Esatto, era umanità.
Finalmente anche a Greta importava
di qualcosa.
«Greta?»
mi sentii chiamare. Non mi ero resa conto di essermi alzata in piedi.
«Sì?»
«Quanti
anni?» mi chiese.
«Cosa?»
Non avevo capito cosa mi stesse chiedendo.
«Quanti anni sei
stata in terapia?»
Gli sorrisi, di uno di quei sorrisi che riservavo solo a chi poteva
capire.
«Tanti David,
tanti.» Poi me ne andai.
Non vidi il suo volto, ma seppi con certezza che stesse sorridendo.
Non chiedetemi come.
Lo sapevo, e basta.
Ero così confusa quando arrivai in camera, che non mi resi
conto
di aver saltato il pranzo. La conversazione con David mi aveva fatto
perdere la cognizione del tempo. Controllai l'orologio. Cavolo! La
mensa aveva chiuso da dieci minuti.
Lasciai la borsa sulla scrivania, presi qualche dollaro e uscii con la
speranza di trovare la mensa ancora aperta per non so quale miracolo.
Ma tutte le mie speranze furono inutili: la porta era chiusa, segnale
chiaro. Sbuffai e mi diressi di nuovo verso il bar, con l'intenzione di
prendere un panino. Sentii la porta della mensa aprirsi,
così mi
girai a controllare. Max, Fleur e Santana stavano uscendo dalla sala
chiaccherando tra loro. O meglio, Santana e Max chiaccheravano, mentre
Fleur ascoltava svogliatamente toccandosi i capelli. Dovettero fare
qualche passo prima di vedermi, ma quando lo sguardo di Santana si
posò su di me, non ebbi bisogno di conferme, lei sapeva. E la mia
teoria fu confermata subito dopo.
«Ciao
Greta!» mi salutò Max, sforzandosi nel fare un
sorriso.
«Ciao
ragazzi» li salutai, ma prima che potessi dire altro, Santana
parlò.
«Greta posso
parlarti?»
«Si,
certo.» cercai di apparire il più disinvolta
possibile, ma
sapevo di poter balbettare da un momento all'altro.
Max e Fleur, come se gli fosse stato ordinato, si allontanarono senza
neppure salutarmi.
«Dimmi
tutto.» dissi, cercando di sorridere.
«Non fingere, sai
esattamente di cosa voglio parlare.» Teoria confermata!
«Santana..»
provai a parlare, ma lei mi interruppe.
«No, parlo
io. Non mi importa se è stato lui a chiederti di uscire, non
mi
importa se ti piace davvero o se te lo vuoi semplicemente portare a
letto, ma io non posso, e ti ripeto, non posso
permettermi di perderlo. Josh è tutta la mia vita e so di
aver
fatto tante cazzate, ma le cose stavano andando meglio prima che tu
arrivassi. Non mi stai antipatica Greta, ho capito subito che sei una
ragazza sveglia e simpatica, ma Josh è mio e io
lotterò
per lui!»
Notai che aveva gli occhi lucidi e per un attimo mi sentii in colpa:
volevo davvero rubarle il ragazzo? Si vedeva che soffriva e che
l'amava. In fondo a me Josh neppure piaceva. Non che fosse brutto,
assolutamente no, ma non mi sentivo attratta da lui. "Però
vuoi
uscirci", disse la vocina nella mia testa. Quella volta non dissentii.
Sì, volevo uscirci. Era una grande occasione per me, la
prima
volta dopo tanto tempo che riuscivo a parlare con qualcuno. E non si
trattava di rubare il ragazzo di qualcuno, perché sapevo che
non
era quello. Volevo, semplicemente, tornare ad essere una ragazza
normale e quella era la mia occasione. Potevo lasciarmela sfuggire
perché Santana aveva commesso un errore?
Non ebbi modo di pensarci, perché la mia bocca
pronunciò la sentenza prima che riuscissi a fermarla.
«Santana, mi
dispiace, ma è stato un tuo errore, non mio.»
La ragazza mi fissò qualche secondo, il suo sguardo era
dispiaciuto. Poi, ad un tratto, la sua espressione mutò. Si
ricompose e mi sorrise. «Bene, vedremo chi
vincerà. Te l'ho detto, io non mollo».
Mi ci volle qualche istante per capire fino in fondo le sue parole.
Chi vincerà? Non si trattava di un gioco.
Poi pensai a cosa mi aveva detto qualche minuto prima. "Josh è mio e io
lotterò per lui!"
"Brava Greta", pensai "questo non è un gioco, è
una guerra!"
E, senza un perché logico, ebbi la sensazione che avrei
perso quella guerra.
-Note
dell'autrice-
Salve a tutte!
Intanto mi scuso per il ritardo, ma sono stata in vacanza e, non avendo
il pc con me, non ho potuto aggiornare. Scusate! :)
Poi volevo ringraziare le otto fantastiche persone che hanno messo la
mia storia tra le seguite, ovvero CiUffEttA, HopeCrazy, kikathefly,
kitty0890, maryfrance90, shana_musi, Shoahib, _maddy_25; e,
naturalmente, anche le stupende tre che l'hanno inserita tra le
preferite: juliet327, Lucia92, ventisette_ .
Grazie
di cuore, davvero.
Per adesso credo sia tutto. Per qualsiasi cosa, informazione,
curiosità, non esitate a contattarmi, e, se avete voglia,
recensite. :)
Spero di aggiornare il più presto possibile.
Baci.
|
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Capitolo 6 *** Verità ***
Capitolo 5
Verità
«Bene,
allora credo di aver bisogno del tuo non-aiuto.» concluse
serio.
Erano già passati cinque minuti, ma David non aveva
accennato a
parlare. Si era seduto sul mio letto e, sempre chiuso nel suo mutismo
esasperante, si era preso la testa tra le mani. Guardai la lancetta
dell'orologio compiere il suo sesto giro, poi mi decisi a rompere quel
silenzio.
«David, va tutto
bene?» chiesi incerta.
Non mi rispose, così feci un passo avanti. Contai fino a
dieci,
poi mi decisi ad avvicinarmi ancora a lui. Stavo per sedermi in
fondo al letto di Mandy, quando parlò, facendomi sobbalzare.
«Perché dovrei fidarmi? Spiegamelo Greta, per
quale fottutissimo motivo dovrei fidarmi di te, eh?»
Il suo tono era colmo di rabbia, amarezza e delusione. Non risposi, fu
lui a continuare.
«La fiducia
è una bastarda, comunque vada ti lascia sempre a terra, lo
sai?
Non c'è ragione per cui io dovrei riuscire ad aprirmi con
te,
sarebbe soltanto l'ennesima condanna. Eppure, cazzo..!»
Lo stavo ascoltando in silenzio. Se avessi proferito parola,
probabilmente, avrei prodotto un suono sconosciuto.
Sapevo quale fosse il suo stato d'animo in quel momento: frustrazione e
debolezza insieme, un mix che, il più delle volte,
è
letale per l'anima. Continuai ad aspettare, non c'era cosa migliore da
fare, nonostante quell'eppure
mi stesse logorando dentro. Poco dopo parlò ancora.
«Io sento
il bisogno di fidarmi di te, non come una necessità, ma come
unica
via possibile. Comprendi? Non so spiegarlo, ma io devo parlarti, non
solo
perché mi capisci, ma perché quando parli vai
dritta al
punto, mi colpisci dietro le barriere. È come se tu sapessi
quello che penso! Fa paura, ma non saprei dirlo diversamente.»
Era, senza dubbio, il discorso più lungo che gli avessi mai
sentito
pronunciare e, nonostante tutto, anche il più sofferto.
Vedevo
la fatica sul suo volto: aveva tirato fuori quelle parole contro la sua
volontà, aveva ammesso di aver bisogno di aiuto e adesso,
raggiunta la consapevolezza, era a pezzi. Mi decisi a muovermi. Mi
alzai lentamente e andai a sedermi al suo fianco.
«David..»
sussurrai il suo nome. Alzò la testa e puntò i
suoi occhi
dritti nei miei. Erano belli, grandi e sofferenti.
«Non posso
farti promesse, non sarei in grado di rispettarle, non lo sono mai
stata; posso, però, assicurarti che non ti farei mai del
male.
So quello che si prova, te lo assicuro.»
Erano parole banali, stupide, le più inadatte che avessi mai
pronunciato, ma lui non disse niente, continuò a fissarmi e
poi
annuì, come per confermarmi che mi credeva.
Ci ritrovammo nuovamente avvolti in un silenzio pressante, uno di
quelli durante il quale riesci persino a sentire il rumore dei pensieri
della persona che ti sta accanto. Non parlavamo, ma sapevamo che ci
sarebbero state parecchie cose da dire.
Presi coraggio e appoggiai una mano sulla spalla. Stavo cercando un
contatto di qualche tipo con lui, qualcosa che gli impedisse di
richiudersi nuovamente su se stesso, una conferma al fatto che lui era
lì e voleva davvero il mio aiuto.
«David..»
pronunciai il suo nome per la terza volta in quella mattina. «Posso farti una
domanda?» gli chiesi titubante.
«Sì.»
rispose lui flebilmente.
«Quando hai
deciso di fidarti? Voglio dire, cosa ti ha convinto?». Mi
sentivo
ipocrita nel rivolgergli una domanda del genere in quel momento, come
se volessi sentirmi adulata, ma volevo sapere cosa poteva averlo spinto
a venire da me, ci doveva pur essere una ragione valida.
«Non ti piacerebbe
saperlo.» mi disse, storgendo la bocca in una strana smorfia.
«Te l'ho
chiesto, voglio saperlo; non sempre le domande che facciamo hanno
risposte che ci piacciono, ma non per questo non dobbiamo ascoltarle,
no?» chiesi retorica.
Sorrise debolmente. «Saggia.»
«Allora?»
insistetti.
Sbuffò, quasi scocciato.
«Ehi, cosa ti
aspettavi?» gli dissi scherzando.
«Hai
ragione.» Rispose sorridendo, questa volta sul serio. «Ricordi
la prima volta che ci siamo scontrati nel corridoio? Io sono stato
sgarbato nei tuoi confronti, e anche le volte dopo.»
Ovvio che me lo ricordassi. Erano passati pochi giorni, ma non si
dimentica facilmente uno scorbutico che si infiamma per niente in mezzo
a un corridoio vuoto. Ma non dissi nulla, lasciandolo proseguire.
«Poi tu mi hai detto
quelle cose sul muro, sul fatto di capirmi, sulla..terapia
e ho pensato che non importava se quello che dicevi era vero, tu mi
stavi sulle palle. Non riuscivo a sopportarti, eri sempre nel
mezzo. Poi, però, ho pensato che se mi davi così
noia,
forse, non eri tanto sbagliata. Solitamente le persone ti
colpiscono in due modi: o ti innamori di loro, o le odi. Altrimenti non
contano niente, capisci?»
Annuii.
Non si agisce mai
perché qualcuno ci è indifferente, mi
avevano detto, si agisce
perché ci si sente toccati, smossi, persino attaccati. Ci si
protegge, o ci si apre completamente.
Me l'avevano insegnato quando ancora non sapevo chi fossi, quando
ancora mi guardavo allo specchio e vedevo il vuoto di fronte a me. La
maggior parte delle volte le persone cambiano perché
qualcosa le
ha spinte una direzione nuova, diversa, sia che questo qualcosa
rappresenti l'amore, il bene, la positività, sia che
rappresenti
la paura, l'odio, il conflitto. Se non ci fossero le persone che
amiamo, non svilupperemmo mai quel senso di protezione nei loro
confronti, quello che ci fa tentare di tutto pur di non vedere la
sofferenza sui loro volti. Se non ci fossero i conflitti, non saremmo
mai spinti a difenderci, a guardarci dentro per costruire nuovi sistemi
di fortificazione e, nel peggiore dei casi, di rinascita.
Le cose più sublimi e quelle più infime
coesistono e sono essenziali nel cammino di ogni individuo.
Io avevo rappresentato il conflitto, il tentativo di difesa, la voglia
di lottare di David.
E, probabilmente, lo rappresentavo anche in quel momento.
«E
adesso?» gli chiesi.
«Adesso
cosa?»
«Mi odi?»
«No.»
Sentii una fitta all'altezza dello stomaco, ma non riuscii a
classificarla.
Sarà fame, pensai.
Non feci più domande.
Avrei dovuto capire che la fame non si percepisce con l'anima.
Quando uscii di camera per andare a mangiare qualcosa, David se ne era
andato da poco. Ero ancora confusa dalla conversazione appena avuta, ma
che ancora non era stata conclusa: certo, David si era
aperto,
aveva deciso di venire a parlare con me, aveva tentato di abbattere gli
ostacoli che gli permettevano di fidarsi, eppure non mi aveva detto niente. Eravamo pur
sempre al punto di partenza, si teneva ancora tutto dentro.
Sbuffai. Era frustrante quella situazione, avrei voluto fare di
più, saperne di più.
Ancora immersa nei pensieri, non mi accorsi della figura che camminava
a passo svelto nella mia direzione, fino a quando non si
fermò davanti a me.
«Greta.»
«Santana.»
Non era un buon segno il fatto che avesse pronunciato solo il mio nome:
era arrabbiata, lo avevo capito ancora prima di guardarla negli occhi.
«Ti avevo detto di
stare lontana da Josh. Perché hai fatto di testa
tua?» Il suo tono era calmo, sembrava quasi un leggero
rimprovero di una mamma alla figlia.
«Perché
non credo che spettasse a te la decisione, né spettava a te
impormi di rifiutare. Santana, parliamo chiaro: tu hai lasciato Josh.
Josh adesso non vuole stare con te. Nessuno di questi due è
un mio problema.» Era inutile girarci intorno: essere
diretta, andare dritta al punto, quella era la soluzione.
«Sì, ma
lo diventeranno se ti ostini ad uscire con lui. Mi pare di avertelo
già detto, io rivoglio Josh indietro e nessuno
potrà fermarmi. Perciò ti consiglio di farti da
parte.»
L'occhiata che mi lanciò fu tutt'altro che rassicurante, ma
la mia voglia di discutere era pari a zero. Perché dovevo
finire sempre al centro di situazioni assurde e degne dei migliori
telefilm? Quello era il mistero buffo
della mia vita: facevo parte di una tragi-commedia, eppure la parte
comica non faceva ridere come narravano i libri.
La guardai in faccia e le risposi: «Santana, lascia che
te lo dia io un consiglio: la vita fa già abbastanza schifo,
non peggiorarla!». Poi la superai e mi diressi verso il bar,
avevo assolutamente bisogno di cibo.
Continuavo a chiedermi perché una ragazza come Santana,
bella ed intelligente, dovesse abbassarsi a certi
livelli per un ragazzo. Non dubitavo del fatto che a lei piacesse Josh,
ma sembrava che per lei fosse importante averlo. Se si fosse
trattato solo di trovare un ragazzo con cui divertirsi, non avrebbe
avuto nessun problema a sceglierne un altro, eppure lei voleva Josh.
Perché? Cosa spinge una persona a decidere di volerne
un'altra? Quale meccanismo si aziona nel cervello per permettere ad un
essere umano di compiere una scelta così radicale? Ci doveva
essere una risposta logica e razionale a quel quesito. Non riuscivo a
trovare una ragione valida da giustificare la decisione di Santana, un
perché che giustificasse la sua irrazionalità, la
sua posizione, il suo volere.
Eppure non capivo. Non ancora.
Erano le dieci di sera quando sentii bussare alla porta della mia
stanza. Ero sdraiata sul letto a leggere un libro, Mandy era ancora
fuori dalla mattina, così non mi restava che alzarmi per
andare ad aprire.
«Josh!»
esclamai.
«Greta, senti devo
parlarti.» mi disse sfregandosi le mani insieme e tenendo lo
sguardo basso.
«Dimmi
tutto.»
«Posso
entrare?» mi chiese gentilmente, ma senza alzare il viso.
«No Josh, forse
è meglio se mi dici qui quello che mi devi dire.»
gli risposi cercando di non essere sgarbata.
«Sì, hai
ragione, scusa. Greta, io non so come spiegartelo, ma tu mi piaci! Ma
non solo per il fatto che sei bella e che io mi sento attratto da
te..»
Lo interruppi subito. «Frena, Josh,
fermati un secondo!»
«No! Se non ti dico
tutte queste cose adesso, non lo farò più. Mi
piaci, Greta! Non riesco a fare altro che pensarti e poi quando ti
parlo mi sento uno scemo, non riesco a trovare le parole, la lingua non
si vuole muovere, capisci? Mi sento come uno di quei ragazzini nei film
dal primo momento che ti ho vista!»
«Adesso basta,
Josh!»
«Ho quasi finito.
Voglio solo dirti che so di aver sbagliato ieri sera, sono stato troppo
avventato, ma ti prego, dammi un'altra possibilità!
Seguirò i tuoi tempi, le tue modalità,
farò tutto quello che vuoi, ma non dirmi di no.»
concluse.
Restai immobile, pietrificata. Non sapevo cosa dire.
Gli piacevo e fino a lì potevo arrivarci. Si sentiva
attratto da me, poteva essere. Non faceva altro che pensarmi e non
riusciva a trovare le parole giuste quando parlava con me. No, quello
no, non avrei potuto accettarlo! Non avevo mai sopportato le
dichiarazioni d'amore dei film, sembravano false e smielate e, la
maggior parte delle volte, il protagonista maschile diceva quelle cose
solo per portarsi a letto la ragazza. Non stavo accusando Josh di
volermi portare a letto (o forse anche quello), ma non potevo credere
che lui provasse davvero certe cose nei miei confronti dopo
così poco tempo, era impossibile! I fatti della sera
precedente, inoltre, non facevano altro che alimentare la mia teoria:
lui ci provava con me per fare numero, come se fossi una delle tante.
Mi dispiaceva pensare quelle cose, in fondo non lo reputavo un cretino,
ma non volevo uscire con lui un'altra volta.
«Josh, potrei dirti
che mi dispiace, ma non avrebbe senso, alimenterei solo le tue
speranze. Non uscirò più con te, non voglio. E
non dare la colpa a quello che è successo ieri sera, non
è solo quello: non provo quello che tu provi per me e, per
quanto tu possa essere un bel ragazzo, non sono attratta da te in quel
senso. In altre parole, potrei dirti che non sei il mio tipo, che tra
noi non potrebbe mai funzionare, ma sarebbe banale: non voglio uscire
con te.»
Ero stata cattiva, non ne dubitavo, ma ero sicura che la
sincerità sarebbe stata il miglior mezzo per chiudere la
cosa: addolcire il concetto, far sembrare che a me dispiacesse non
uscire con lui, utilizzare frasi del tipo "il problema sono io, non sei
tu" non avrebbe fatto altro che peggiorare la cosa. Via il dente, via il dolore.
Me lo avevano sempre ripetuto quando ero piccola e, crescendo, avevo
capito quanto le bugie e le illusioni non facessero altro che
ingigantire i problemi. Solo la verità, brutta o bella che
fosse, poteva rappresentare la soluzione.
Ma non avevo fatto i conti con il lato ironico del mondo: ho
già detto che la mia vita somigliava molto ad un film?
Non avevo previsto che Josh mi afferrasse saldamente per le spalle e
premesse le sue labbra contro le mie. Provai a liberarmi, ma la sua
stretta si fece più stretta e sentii la sua lingua
accarezzare le mie labbra per farle schiudere.
"Permesso negato!", pensai. Ma, ancora una volta, il regista di quel
film che era la mia vita, mi sorprese.
«Brutta puttana,
allora non sono stata chiara!»
L'urlo di Santana mi giunse chiaro e forte nelle orecchie. Josh
sobbalzò e si staccò da me, lasciandomi
finalmente libera.
«Santana,
calmati!» le intimò Josh.
«Calmati un cazzo,
Josh!! Non osare dirmi di stare calma, perché è
l'ultima cosa che farò!»
«Non credo tu abbia
il diritto di intervenire nella mia vita!» rispose Josh
alzando la voce.
«Ma nella sua
sì, l'avevo avvertita!» urlò Santana
indicandomi con una mano.
«Che vuol dire che
l'avevi avvertita? Tu sei pazza!» disse Josh passandosi una
mano tra i capelli.
«Sì, io
sono pazza, ma lei è una puttana!»
E ancora una volta non fui in grado di prevedere quello che sarebbe
successo: Santana si mosse veloce e, senza permettermi di realizzare,
mi afferrò per i capelli. Non ebbi la velocità di
spostarmi, né la forza di reagire. Mi tirava per i capelli
facendomi inarcare la schiena, mentre sentivo le lacrime affiorare.
«Non mi hai dato
ascolto? Bene, ecco quello che ti meriti! Sei una puttana, una di
quelle che cercano di apparire dolci ed indifese, mentre non vedono
l'ora di portarsi a letto i ragazzi delle altre. Ma qui non funziona
così, cara, io so difendere ciò che è
mio e riprendermi quello che voglio!» mi urlò in
un orecchio.
«Basta!
Smettila!» gridai, sperando che allentasse la presa, ma
ancora una volta mi sbagliai: infatti tirò ancora
più forte, facendomi cadere per terra. Stava per tirare di
nuovo i capelli, quando qualcuno parlò.
«Lasciala andare.
Ora.»
Non riconobbi chi aveva pronunciato quelle parole, ma lei fece come
aveva detto. Sentii i miei capelli tornare liberi e, asciugandomi le
lacrime che erano sfuggite ai miei occhi, mi alzai per vedere chi fosse
colui che mi aveva "salvata".
«Cosa fai, David,
adesso la difendi anche? Non eri tu quello che la odiava?»
gli chiese Santana con un sorriso strafottente sulla faccia.
«Cosa fai tu,
piuttosto! Sei andata fuori di testa?» tuonò David.
«Le avevo detto di
stare lontana da Josh, ma lei ha fatto di testa sua e li ho trovati
avvolti in un romantico bacio poco fa.» disse lei facendo una
smorfia.
Alle parole di Santana, David
si girò verso Josh e, solo in quel momento, mi accorsi che
lui era stato lì tutto il tempo, ma non era intervenuto.
«Cosa cazzo
aspettavi, idiota? Volevi forse che le strappasse tutti i
capelli?» chiese David a Josh, dando voce ai miei pensieri. «Che ti cagassi in
mano anche a vedere Harry Potter lo sapevo, ma non credevo potessi
arrivare a questo punto.»
Josh alzò il capo e lo guardò irato. «E tu? Arrivi qui,
mi giudichi, fai il supereroe, ma glielo hai detto a Greta? Glielo hai
detto il perché di tutto questo casino?»
Guardavo Josh e lo vedevo per la prima volta: parlava con odio e
rancore e si rivolgeva a David con disprezzo, come se volesse annientarlo.
«Che casino?
C..cosa?» chiesi confusa.
«Come David, non
glielo hai detto alla nostra Greta che mentre io e Santana stavamo
insieme, te la sbattevi alle mie spalle?»
Poi il buio calò.
Per la prima volta capii che, per quanto fosse giusto dire la
verità, non sempre si può dirla senza danneggiare
qualcuno.
-Note dell'autrice-
Salve! :)
Eccomi di nuovo, anche se dopo mesi. So di averci impiegato una vita e
mi scuso tanto, ma ho davvero avuto problemi a scrivere questo
capitolo: ci sono stati giorni in cui non voleva saperne di uscire,
altri in cui le idee erano fin troppe, ma alla fine ce l'ho fatta!
Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate..:)
Ci tengo a ringraziare coloro che hanno inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate, ovvero:
Afeffa
juliet327
Lucia92
ventisette_
AlexDavis
Lollizzata
AllyCoffey
Carrie L
CiUffEttA
GoodbyeCalm
HopeCrazy
kikathefly
kitty0890
leonedifuoco
maryfrance90
maya tabitha
shana_musi
_maddy_25
Grazie per aver atteso tutto questo tempo ed essere ancora qui! :)
A presto (prometto!).
Baci,
Jane Ale
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