How will I know?

di Jane Ale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lontano, ma non abbastanza ***
Capitolo 3: *** Anime fragili, stupide ed egocentriche ***
Capitolo 4: *** Come tutti gli altri ***
Capitolo 5: *** Umanità ***
Capitolo 6: *** Verità ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Se pensavano che sarebbe bastato mandarmi via per un po', si sbagliavano di grosso.

Non ero pazza, non ero malata, non avevo bisogno di "staccare", ma evidentemente loro non la pensavano così.
Era il quattro aprile quando i miei genitori mi annunciarono che avrei passato qualche mese all'estero: avrei studiato, imparato una lingua e sarei tornata a casa "come nuova".
Ma ciò che non avrebbero mai capito è che i problemi non scompaiono se te ne vai, ma restano lì ad attendere il tuo ritorno.
Non persi di certo tempo a spiegarglielo.
Feci le valigie, come mi era stato richiesto, e alla fine di maggio partii, senza salutare nessuno, senza aver atteso la fine della scuola.
Partii da sola, con il cuore atrofizzato, alla volta di New York.

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Capitolo 2
*** Lontano, ma non abbastanza ***


Capitolo 1
Lontano, ma non abbastanza



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E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani
ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire,
perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.

-Colazione da Tiffany


Ero in aereo solo da due ore e già volevo scendere. Il problema non era l'aereo in sé, ma il fatto di essere sola, senza qualcuno con cui parlare, costretta a stare seduta su un seggiolino che, a dirla tutta, era piuttosto scomodo.
Fortunatamente mi era stato assegnato il posto accanto al finestrino. Contemplai il paesaggio sotto di me: città, colline, montagne, laghi, tutti di dimensioni ridotti da quell'altezza. Ma anche il momento contemplativo non durò molto, perché mi stancai quasi subito. Non avevo voglia di mangiare, non avevo voglia di scrivere, non avevo voglia neppure di leggere. Decisi di provare a dormire. Mi distesi come meglio potevo, cercando di non urtare contro il ginocchio del passeggero seduto alla mia sinistra e chiusi gli occhi. In men che non si dica presi sonno.
Mi svegliai di colpo dopo aver picchiato la testa nel finestrino. Guardai l'ora sull'orologio che avevo al polso: secondo i miei calcoli doveva mancare poco all'arrivo. Qualche minuto dopo, infatti, una voce metallica annunciò che sarebbe iniziato l'atterraggio. Lo sguardo mi cadde sulle mie mani: erano sudate.
"Non ci credo, -pensai- sono agitata! Forza Greta, datti un contegno!"
Presi a respirare profondamente e ceraci di far rallentare i frenetici battiti del mio cuore, ma poi ci rinunciai.
Era totalmente inutile. Non si può chiedere a una ragazza che viene spedita a chilometri da casa sua, ignara di ciò che si troverà di fronte, di stare tranquilla.
Non appena l'aereo toccò la terreferma, mi resi conto di non sapere chi avrei  trovato ad aspettarmi. Sulla lettera che avevo ricevuto settimane prima dal college, era scritto che un accompagnatore, scelto personalmente dal direttore dell'istituto, sarebbe venuto a prendermi per poi accompagnarmi fino al luogo che, per i mesi successivi, sarebbe stato la mia casa.
Aspettai qualche minuto prima di prendere il mio bagaglio a mano, poi scesi dall'aereo con lentezza assoluta. Ritirai la mia valigia, che fu tra le prime ad arrivare, e mi diressi, inevitabilmente, verso l'uscita.
Inutile dirlo, mi ritrovai davanti a una massa informe in movimento, costituita da perfetti estranei; mi guardai intorno cercando di individuare una persona che avesse in mano un cartello, una bandierina o un qualsiasi segno distintivo che potesse farmi capire che era stata mandata dal college, ma non vidi nessuno. Mi avviai verso alcune poltroncine e mi sedetti, aspettando che questo qualcuno si facesse vivo.
I minuti passavano e la mia pazienza stava svanendo. Stavo cercando il mio cellulare per chiamare il college, quando un ragazzo mi si avvicinò. Lo squadrai per qualche secondo: alto, castano, capelli perfettamente pettinati, occhi neri.
"Carino, - pensai- ma speriamo che non voglia informazioni!"
Mi sorrise, prima di dire con un perfetto accento britannico che stonava terribilmente con il posto in cui ci trovavamo: « Sei Greta?»
«Si. Sei l'accompagnatore mandato dal college?» chiesi.
Rise.
«Diciamo di sì. Sono uno studente del college e sono stato mandato a prenderti in quanto rappresentante degli studenti del tuo anno.»
Sorrisi e risposi con un flebile "ok". Presa il mio bagaglio più grande e mi fece strada fuori da quell'enorme aeroporto. Mi trovai davanti ad un parcheggio immenso, pieno di auto di tutti i tipi e colori; mi pareva impossibile che si ricordasse dove avesse parcheggiato. E invece si diresse a colpo sicuro verso un piccolo bus parcheggiato a qualche metro di distanza da noi. Guardai il mezzo stranita: era grigio metallizzato e sulla fiancata recava la scritta "NEW YORK CITY COLLEGE".
«È uno dei mezzi ufficiali della scuola.» mi spiegò, notando il mio sguardo.
«Solitamente gli alunni non sono autorizzati a guidarlo, anche se possiedono la patente, ma per oggi hanno fatto un'eccezione, visto che nessun insegnante era disponibile per venirti a prendere». Mi strizzò l'occhio e mi fece segno di salire.
Aprii lo sportello e mi sedetti sul sedile del passeggiero, poi mi voltai a fissare il ragazzo.
«Così tu sei una nuova studentessa. Greta, giusto?» mi domandò con naturalezza.
«Esatto. E tu sei?»
Sembrò accorgersi solo in quel momento di non essersi presentato. «Scusami, sono davvero imperdonabile. Sono Josh Anderson, rappresentante del terzo anno, giocatore di basket e tuo nuovo compagno di studi.»
Scoppiai a ridere di fronte a quella presentazione, probabilmente se l'era preparata prima del mio arrivo. Josh mi fissava, attendendo una mia presentazione.
«Oh giusto! Io sono Greta Sani, nuova studentessa della tua scuola, ex ballerina di danza classica e, ovviamente, italiana.»
«Perché ovviamente?» mi chiese lui, quasi contrariato.
«La pronuncia, no? Si sente che non sono amricana, ma neppure inglese.» gli dissi, riferendomi al suo accento.
«Si nota così tanto?» mi chiese ridendo.
«Un po'.» ammisi, «ma è carino.»

Per il resto del viaggio, durato poco più di mezz'ora, Josh mi raccontò che era venuto a New York tre anni primi, quando aveva diciotto anni, per studiare. Prima abitava a Bristol, in Inghilterra, ma, grazie all'aiuto dei suoi genitori, aveva potuto realizzare il suo sogno di studiare negli Stati Uniti.
Avevo avuto fin da subito un'impressione positiva del ragazzo, ma più ci parlavo, più la mia simpatia nei suoi confronti cresceva: non solo era vivace e divertente, ma sapeva anche come mantenere una conversazione e non stava mai zitto.
Quando arrivammo al college, restai a bocca aperta: al di là dei cancelli si estendeva un enorme giardino verde pieno di ragazzi che camminavano, leggevano e si divertivano; in fondo al giardino si trovava un edificio di dimensioni pazzesche che, come Josh mi spiegò, costituiva l'edificio principale, quello contente le aule. Dietro a questo si trovavano altri edifici: quello sportivo, il dormitorio, la mensa e una piccola chiesa. Non avevo mai visto un campus prima di allora, se non in alcuni film, ma nella realtà era davvero tutta un'altra cosa. Dopo aver parcheggiato, Josh mi accompagnò in segreteria per avvertire del mio arrivo. La stanza adibita alla segreteria era molto grande e luminosa, dipinta di arancione, colore che la rendeva ancora più solare. La segretaria era una signora un po' robusta sulla cinquantina; quando mi vide mi sorrise amabilemente.
«Tu devi essere Greta, giusto? Fortunatamente Josh ti ha portata sana e salva.» disse divertita.
«Ehi Mary!» protestò Josh sorridendo. Poi si rivolse a me: «Mary è la nostra segretaria, ti lascio nelle sue mani. Adesso devo scappare, ma ci vediamo a lezione Greta.» Mi sorrise prima di andarsene.
«Allora cara, questa è la mappa del campus, nel caso in cui tu dovessi averne bisogno» disse Mary porgendomi un foglio «e questi sono il tuo orario e la chiave della tua stanza. Spero che non ti dispiaccia doverla condividere con un'altra ragazza, ma al momento non avevamo più singole.»
«Non si preoccupi, andrà benissimo.» le dissi sorridendo.
«Bene cara, qualsiasi problema io sono qui.»
«Grazie.» le risposi. Presi le mie valige e mi diressi verso quello che, secondo la mappa, era il dormitorio.
Fortunatamente non era distante, perché senza l'aiuto di Josh le valigie erano terribilmente pesanti. Guardai la chiave della mia stanza: numero 112. Camminai ancora un po', finché non mi trovai davanti alla porta con il numero esatto.
Infilai la chiave nella serratura e girai; la porta si aprì: la stanza era abbastanza grande e luminosa, al centro si trovavano due letti da una piazza e mezzo, uno dei quali era cosparso di vestiti. Mi avvicinai a quello libero e ci posai la mia borsa. Poi trascinai dentro i miei bagagli e chiusi la porta. In quel momento, alla mie spalle una seconda porta, probabilmente quella del bagno, si spalancò e ne uscì una ragazza in accappatoio. Era non molto alta, abbronzata, occhi marroni e capelli biondi, quasi platino.

«Ahhh! Chi sei?» Mi domandò spaventata.
«Ehm..sono Greta, la tua compagna di stanza» le risposi incerta.
«Compagna di stanza? Non mi avevano detto che ne avrei avuta una. Beh, c'era da aspettarselo, sarebbe stato troppo avere una camera doppia tutta per me. Vabbè, non fa niente. Comunque io sono Mandy Sommer!» disse porgendomi una mano.
Capii subito che era un tipo abbastanza loquace: nei venti minuti successivi mi aveva già raccontato che anche lei non era americana, ma era arrivata da Berlino due anni prima, dopo aver vinto una borsa di studio, ma che era il primo anno che alloggiava al campus perché prima aveva abitato da sola in un appartamento; mi chiese se avevo già conosciuto qualcuno e quando le dissi di Josh, si mise a ridere, ma non capii il perché.
Erano soltato le sette quando guardai l'orologio, ma ero stanchissima. Il fuso orario mi aveva fatto perdere la cognizione del tempo e avrei fatto volentieri una dormita, ma proprio mentre stavo per distendermi sul letto, Mandy mi disse:
«Non vieni a cena? Così ti faccio conoscere un po' di gente.»
Decisi di seguirla, non volevo fare la figura dell'asociale. La mensa era nell'edificio di fronte al nostro dormitorio e, come tutte le cose che avevo visto fino ad allora in quel campus, era enorme: era in grado di ospitare migliaia di ragazzi, secondo ciò che mi disse Mandy, ma non tutti mangiavano insieme, perché a quell'ora alcune classi avevano ancora lezione. Mi misi in fila dietro alla biondina e presi un'insalata e una fetta di pollo arrosto, poi la seguii ad un tavolo dove erano sedute già sei persone. Erano quattro maschi e due femmine: le ragazze si chiamavano Santana e Fleur, la prima alta, mora, con un fisico perfetto, la seconda alta, magra e castana, ma non bella quanto la prima ragazza. Santana era molto amica di Mandy, mentre l'altra era una ragazza francese arrivata da poco, ma che avevano cercato di far integrare nel gruppo. Dei quattro ragazzi uno era Josh, il mio accompagnatore, mentre gli altri tre mi vennero presentati come Adam, Max e David: Adam era molto alto, con una chioma di capelli neri e riccioluti, magro e pallido; Josh mi disse che era un suo compagno di squadra e che erano molto amici; Max, invece era il migliore amico di Adam, compagno di classe di Josh: muscoloso, abbronzato, con i capelli castani e spettinati, aveva l'aria del tipico ragazzo playboy; l'ultimo ragazzo, David, era il più silenzioso di tutti e non prestò attenzione alle presentazioni: era magro, ma le sue spalle lasciavano capire che praticasse sport, capelli biondo-cenere, occhi marroni ed espressione indecifrabile sul volto. Di lui non mi venne detto molto, se non che era amico di Max ed Adam. "E di Josh?", pensai, ma non ebbi modo di porre la mia domanda, perché fui assediata da quelle dei miei nuovi compagni, curiosi di sapere qualcosa su di me.

Erano le otto e mezzo quando mi alzai; ormai eravamo rimasti soltanto io, Mandy, Santana e Josh al nostro tavolo, ma avevo bisogno di andare a riposare. Così mi scusai e, spiegandogli la situazione, gli dissi che avrei voluto dormire un po'. Mi salutarono, dicendomi che ci saremmo incontrati il giorno successivo, mentre Mandy, mi disse che mi avrebbe raggiunta poco dopo nella nostra stanza. Non mi ero portata la mappa del campus con me, ma credevo che avrei potuto ritrovare facilmente la strada per i dormitori, anche se, di buio, avrei avuto qualche difficoltà in più.
Infatti dieci minuti dopo stavo ancora vagando per i corridoi: sembravano tutti uguali e dove credevo fosse situata la mia stanza c'era la numero 175. Dovevo aver sbagliato qualcosa. Continuai a camminare, controllando i numeri sulle porte finché non andai a sbattare contro qualcosa o meglio, qualcuno.
«Mi dispiace, ero distratta, stavo guardando..mi sono persa..» dissi dispiaciuta prima di alzare la testa e notare che la persona contro cui ero andata a sbattere era David. «Oh, David sei tu.» mi uscì.
«Nemmeno mi conoscessi da una vita!» mi rispose quello sprezzante. «Stai più attenta quando cammini, bambina del cazzo.» Ma che problemi aveva il ragazzo?
«Ehi!!» lo richiamai, facendolo voltare. «Se hai qualche problema vedi di risolverlo. Ti sono venuta addosso e mi sono scusata, ho pensato che tu fossi più estroverso, ma mi sono sbagliata. Datti una calmata!»
Non avevo respirato per tutto il discorso e seppi quasi subito di aver assunto un colore che si avvicinava molto al viola livido.
«Ascoltami bene, perché chiarirò subito la questione» mi disse abbassando il tono della voce, che rimaneva pur sempre piena di rabbia «non so cosa ti abbiano detto gli altri, ma qui dentro non siamo tutti amici, che ti piaccia o no. E sicuramente io non sono il tipo che vuole fare amicizia, quindi se avessi voluto parlarti, presentarmi o qualsiasi altra cosa che presentasse un contatto con te, l'avrei fatto. Quindi non cercare di essere gentile con me, non me ne frega niente e a te non riesce!» Detto questo se ne andò. Rimasi imbambolata, come se mi avessero appena dato uno schiaffo, come se fossi appena tornata a casa. "Che vi avevo detto, cari i miei genitori,  per quanto uno possa andare lontano, i problemi non scompaiono!"
Potevo aver cambiato città, stato, persino continente, ma nessun posto sarebbe mai stato abbastanza lontano per non farmi ricordare, per non farmi rivivere.
Quello che sei, quello che gli altri credono che tu sia, resta per sempre con te.

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Capitolo 3
*** Anime fragili, stupide ed egocentriche ***


Capitolo 2
Anime fragili, stupide ed egocentriche



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Elena: Why don't you ever let anyone see the good in you?

Damon: When people see good they expect good. And I don't wanna live up to anyone's expectations.
- The Vampire Diaries,  3x19 "Heart of Darkness"
_______________

Elena: Perché non lasci mai che qualcuno veda il bene che c'è in te?
Damon: Quando le persone vedono del bene, si aspettano del bene. E io non voglio essere all'altezza delle aspettative di qualcuno.



Quando il mattino dopo mi svegliai, mi sentivo terribilmente stanca. Non avevo dormito molto bene e in più la sere precedente avevo fatto un'emorme figuraccia con la mia compagna di stanza: infatti Mandy mi aveva trovata a giro per i corridoi dopo il mio incontro con David, ma non le avevo rivolto parola; arrivata in camera mi ero chiusa in bagno e poi subito a letto. La discussione con il ragazzo mi aveva provocato un forte dolore all'altezza dello stomaco: le sue parole mi avevano colpita, anche se lui non avrebbe potuto sapere il significato che avevano per me.
Non cercare di essere gentile con me, non me ne frega niente e a te non riesce, aveva detto.
Aveva colto il punto: non ero capace di essere gentile, né riuscivo a fingere di esserlo; non riuscivo a provare sentimenti nei confronti delle persone, non avevo amici, non avevo relazioni sociali di nessun tipo. E David aveva colto il punto.
Mi alzai dal letto controvoglia e notai che Mandy era distesa sul suo letto intenta a fissare lo schermo del suo cellulare.
«Buongiorno» mi salutò sorridendo.
«Buongiorno. Mandy volevo scusarmi per ieri sera, sono stata maleducata, ma non mi sentivo molto bene..» le dissi dispiaciuta del mio comportamento.
«Tranquilla» mi disse. Rimase in silenzio per qualche secondo e poi aggiunse: «Se vuoi parlarne, insomma non so, però non devi prendertela per quello che ti dice David. Non lo conosco benissimo, ma..»
La guardai, spalancando gli occhi: come era arrivata a David?
«David?» le domandai, sperando di riuscire a non entrare nel discorso. Non volevo parlare male di persone che conoscevo da appena qualche ora, ma soprattutto non volevo che Mandy pensasse di avere una petulante ragazzina con spirito critico come compagna di stanza.
«Ho tirato ad indovinare. L'ho incontrato poco prima di trovare te ieri sera, quindi ho pensato che aveste parlato e insomma, conoscendolo non mi sorprenderei se fosse stato sgarbato.» mi spiegò.
«Già.» le risposi, confermando la sua tesi. «Diciamo che mi ha fatto capire di non apprezzare la mia presenza.»
«Non te la prendere, lui è fatto così. te l'ho detto, non lo conosco molto bene: è un ragazzo chiuso, non parla quasi con nessuno, viene al college solo per studiare, poi la sera se ne va. Max è quello con cui ha stretto di più, probabilmente perché vanno molto d'accordo in fatto di ragazze, ma credo che neppure lui sia riuscito a portare a termine una vera conversazione con David.»
Sorrisi meccanicamente, come se quelle informazioni potessero farmi stare meglio. Non mi importava niente del fatto che fosse un asociale, timido, playboy, o qualsiasi altra cosa. Non mi importava che mi avesse chiamata bambina del cazzo. Non mi importava se mi avrebbe ignorata per tutta la sua vita. Non aveva il diritto di giudicarmi, di pensare di conoscermi, di credere di aver capito tutto di me, perché in verità non ci aveva capito assolutamente niente.

Dopo aver fatto colazione velocemente al bar del campus insieme alla mia compagna di stanza, ci avviammo verso l'aula in cui avremmo svolto la prima ora di lezione. Materia: letteratura inglese. Non pensavo di avere problemi, in fondo avevo sempre amato l'inglese, ma ero comunque preoccupata di affrontare la materia al di fuori della mia scuola. Fino ad allora avevo sempre avuto la possibilità di chiedere chiarimenti ai miei insegnanti anche utilizzando la mia lingua, l'italiano; adesso avrei potuto parlare soltanto in inglese.
Mi sedetti accanto a Mandy e cominciai a guardarmi intorno: tra le numerose facce nuove riconobbi, però, Josh, che mi salutò sorridendo, Max e David. Se Max ci rivolse un "ciao" frettoloso, David non diede segno di essersi accorto della nostra presenza.
«Allora, com'è l'insegnante di letteratura?» chiesi a Mandy, sperando che la sua risposta mi avrebbe tranquillizzata.
«Non male: è una donna simpatica, ma a volte sembra che abbia la testa da un'altra parte, si dimentica ciò che sta dicendo, lascia i discorsi a metà. È difficile seguire interamente una sua lezione.» mi rispose ridendo.
"Perfetto!" pensai ironicamente.
Qualche minuto più tardi la professoressa entrò in classe: era bassa, non più giovanissima, ma sul suo volto c'erano ancora i segni di una bellezza particolare. Non appena notò la mia presenza, si presentò come "Mrs. Bright" e mi fece alcune domande su di me, sulla mia vita in Italia, sulla mia vecchia scuola, sul programma che avevo svolto.
Alla fine della lezione avevo già intuito che Mrs. Bright sarebbe diventata una delle mie insegnanti preferite, non tanto perché la sua materia mi piaceva, ma perché i suoi modi di fare gentili e premurosi avrebbero invogliato chiunque a studiare con passione.
Quando uscimmo dall'aula e controllai il mio orario, mi accorsi di non avere più lezioni fino al pomeriggio. Ero sorpresa da questo vuoto nel mio orario, ma poi ricordai che il giorno dell'iscrizione avevo scelto di frequentare il minor numero possibile di corsi, ovvero tre: letteratura inglese, comunicazione e matematica. Naturalmente l'ultima materia mi era stata imposta dai miei genitori, convinti che sarebbe stata "essenziale ai fini della mia maturazione psicologica".
«Greta, io adesso ho psicologia, tu invece?» mi chiese Mandy interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Ora libera!» le risposi nascondendo il mio orario. Stavo iniziando a vergognarmi di aver scelto così pochi corsi.
«Allora a dopo!» mi disse mentre si allontanava sorridendo.
Mi voltai, pensando si andare a fare un giro per il campus, quando andai a sbattere contro qualcuno.
«Ahi! Mi dispiace, ero distratta..» cominciai a dire. Ma non appena alzai la testa, ebbi una strana sensazione, come se avessi già vissuto quel momento. Déjà vu, pensai.
«Sempre tra i piedi!» esclamò David sprezzante.  «Mi pareva di avertelo già detto ieri: devi stare più attenta, chiaro?»
«Cristallino!» gli risposi con aria di sfida, guardandolo dritto negli occhi.
Restammo qualche secondo a fissarci, inespressivi, poi, senza neppure accorgermene, parlai:
«Caffé?»
Lui rimase stupito dalla mia domanda, poi si riprese:
«Te l'ho spiegato, bambina, io non voglio essere tuo amico.»
«Nemmeno io.» gli risposi convinta. «Ho solo bisogno di qualcuno che sappia accompagnarmi al bar, perché non ricordo la strada.»
«Non hai una mappa?» mi chiese quasi annoiato.
«Certo! È in bagno.» gli risposi tranquillamente, ricordando di aver appoggiato la mappa sul lavandino quella mattina.
Lui si limitò a fissarmi, poi annuì.

Dieci minuti più tardi ero seduta su una panchina vicino alla mensa in compagnia di un David silenzioso, ma con il volto rilassato come mai lo avevo visto prima.
«Allora..» cominciai, sperando che fosse disposto a far conversazione. «Com'è la vita qui?»
Vidi i suoi occhi ridursi a fessure, poi si alzò.
«Ti ho detto di no!»
«Tu sei tutto scemo!» gli dissi alzando il tono della voce.
«Mi pareva di averti detto di non voler essere tuo amico, ma non mi hai ascoltato; ti avevo anche detto di non fingere di essere gentile, perché non sei una persona che riesce a fingere con successo, ma, evidentemente, sei sorda!»
Mi stavo per arrabbiare, lo sentivo. «Io non voglio essere tua amica, quante volte te lo devo ripetere? Sto solo cercando di parlare con qualcuno in questo stramaledettissimo posto. Sai, il mondo è pieno di gente, per vivere devi relazionartici, che tu lo voglia o no. E non importa se non riesco a nascondere il fatto che anche scambiare due parole con una persona mi irrita, perché almeno io ci provo!» Feci per andarmene, ma poi mi costrinsi a guardarlo in faccia per dirgli un'ultima cosa.«Non credere che sia orgogliosa di non saper essere gentile. E non credere che sia un caso che sia qui a parlare con te.»
«Mi stai implicitamente dicendo che nemmeno io sono gentile?» mi chiese alzando un sopracciglio.
«No. Ti sto esplicitamente dicendo che per quanto tu possa essere bastardo, io lo sono sempre più di te. Per questo potresti andarmi a genio, perché non sei meglio di me.» Sorrisi amaramente.
«Dovrebbe essere un complimento?» domandò.
«Forse.»
Poi me ne andai, lasciandolo in piedi accanto a quella panchina.
Sapevo di aver fatto un discorso da esibizionista, eppure non avevo detto altro che la verità: lui era una di quelle persone che se la prendono con il mondo intero solo perché non riescono ad accettarsi e sentirsi accettate. David si era costruito un muro invalicabile perché nessuno gli si avvicinasse o provasse a farlo.
Ma io conoscevo quel tipo di persone all'apparenza rocce indistruttibili, ma dentro anime fragili, stupide ed egocentriche.
Io ero fatta così, da sempre. Non avevo mai trovato il mio posto nel mondo, come viene chiamato nei libri, ed ero cresciuta da sola, giudicando i sentimenti come qualcosa di inutile.
Eppure guardando David e vedendo quanto eravamo simili, avevo capito che forse, nel profondo, c'era ancora qualcosa di buono in lui, qualcosa che io ritenevo aver perso da tempo.
Per questo non ero riuscita a non parlargli.
Per questo non avrei smesso.
Se fossi riuscita a tirar fuori quel qualcosa da David, probabilmente, alla fine, ci sarei potuta riuscire anch'io.


 

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Capitolo 4
*** Come tutti gli altri ***


Capitolo 4
Come tutti gli altri



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L'ho imparato da mia madre che lo
diceva sempre a mio padre che
tutti gli uomini sono bugiardi,
bevono, giocano e tornano tardi.
Tutti uguali, tutti uguali.

-Tutti uguali, Mia Martini





"Inspira, espira. Inspira, espira."
Andavo avanti così da cinque minuti buoni. Era impossibile tentare di respirare lì dentro.
«Mandy, ti prego, non posso farcela!» esclamai irritata. Perché continuava ad insistere? Era più forte di me, non avrei potuto sopportarlo.
«Non pregarmi, cara! Ti sto facendo un favore, presto mi ringrazierai.» mi disse dirigendosi verso l'armadio per l'ennesima volta.
«Hai idea di quanto sia stretto questo vestito?! Non respiro, soffocherò!» Mi guardai allo specchio: certo, il vestitino che Mandy mi aveva prestato era carino, rosso, non troppo corto e con una giusta scollatura, perfetto per uscire, se non per il piccolo particolare che mi stava togliendo il respiro!
«Assolutamente no! Tu vuoi toglierlo perché ti vergogni, è questa la verità!» mi disse continuando a rovistare tra i mille vestiti che aveva nell'armadio. «Eccolo!» esclamò dopo qualche secondo.
«Prova questo, è fantastico!» disse porgendomi un altro vestito.
Sbuffai, ma poi mi tolsi l'abito rosso che indossavo per provarlo. Non mi dispiaceva affatto: era nero, con due spalline sottili, lungo fin sopra il ginocchio e aveva una fascia piena di piccoli brillantini sotto il seno.
Era molto carino, ma soprattutto permetteva all'ossigeno di passare dai miei polmoni.
«Questo mi piace.» le dissi guardando il mio riflesso allo specchio.
«Aggiudicato!» Mi strizzò l'occhio.
Continuai a guardarmi allo specchio per qualche altro secondo, ma poi distolsi lo sguardo. Avevo imparato a convivere con il mio corpo, con la mia anima, ad accettare i miei difetti e ad essere orgogliosa dei miei pregi, ma, a volte, sentivo ancora quella sensazione, quel maledettisimo peso all'altezza dello stomaco che mi faceva distogliere lo sguardo ed abbassare la testa. C'è chi l'avrebbe chiamata vergogna, chi umiliazione, altri avrebbero detto che si trattava di senso di colpa, ma a me avevano insegnato a chiamarlo errore. Quando uno sbaglia, mi avevano detto, porterà per sempre con sé un segno interiore che gli ricordi ciò che ha fatto. Non è una punizione, ma una semplice traccia, una segnalazione di passaggio che non si può cancellare. E non avranno nessuna azione il pentimento, le scuse o i rimorsi della coscienza, perché non si cancellano le azioni, esse sono indelebili.
Preso atto di ciò, però, si può decidere se lasciarsi andare, chiudersi in casa e vivere tra i "se" e i "ma" di un passato che ormai non può più essere cambiato, oppure assumersi le proprie responsabilità, superare il dolore e continuare il proprio percorso.
Questo è quello che mi avevano detto. Naturalmente io non avevo mai ascoltato, non avevo mai voluto ascoltare, ma almeno adesso stavo cominciando a capire il significato di quel tragico discorso.
In quel momento ricordai le parole che mi erano state dette pochi mesi prima. Non è mai troppo tardi.. Sbuffai.
«Invece lo sarà se non finisci di prepararti velocemente!» mi intimò Mandy, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Non mi ero accorta di aver parlato ad alta voce. Sperai che non facesse domande.
«Tutto bene Greta?» mi chiese lei, quasi leggendomi nel pensiero.
«Certo, stavo solo riflettendo.» le risposi sorridendo. Poi mi diressi verso il bagno per truccarmi.
Ma Mandy mi seguì. Sapevo che avrebbe provato a chiedermi qualcosa.
«Cosa significa "non è mai troppo tardi"? A cosa ti riferivi, Greta?» mi chiese fissandomi.
«Niente, te l'ho detto ero assorta nei miei pensieri.» le risposi passandomi il mascara sulle ciglia.
«Avevi un'espressione così triste. C'è qualcosa che non va?»
«No, è tutto okay. Non preoccuparti.» Le sorrisi e sperai che mi credesse e non cercasse di fare altre domande. E così fu.
«Okay.» mormorò prima di tornare nell'altra stanza.
Chiusi il mascara e presi il lucidalabbra, dando una passata veloce. Premetti le labbra insieme e guardai l'effetto finale. Poteva andare. Come ultima cosa spazzolai i capelli, poi uscii dal bagno, trovando Mandy intenta a riordinare il suo armadio. Sapevo di doverle dire qualcosa prima che arivasse Josh, ma non ero mai stata brava ad uscire da queste situazioni.
«Mandy..»
«Si?» mi risponse voltandosi verso di me.
«Mi dispiace, non volevo essere sgarbata prima.» "Veramente patetica, Greta, veramente.", pensai.
«Non preoccuparti, sono stata troppo invadente. Non avrei dovuto intromettermi, scusa.» mi disse lei.
«No Mandy, non devi scusarti, assolutamente! È che non sono abituata a parlare di me, o a parlare in generale, credo, il che mi rende tutto più complicato, capisci?»
Mi sorrise. «Se mai vorrai, sai dove trovarmi.»
«Grazie.»
In quel momento qualcuno bussò alla porta. Mi girai di scatto verso la sveglia che avevo sul comodino. Le otto e tre minuti. Impossibile! Il tempo era passato troppo velocemente, non poteva essere già Josh.
Aprii la porta e, come non detto, la figura di Josh si materializzò davanti ai miei occhi.
«Ciao, pronta?» mi salutò allegro.
«Pronta!» gli risposi, ma dentro di me ero tutt'altro che pronta!

«Se non vuoi rivelarmi dove andiamo, vuoi almeno dirmi quanto manca?» supplicai Josh ancora una volta.
Eravamo in viaggio da quarantacinque minuti, ma ancora non ero riuscita a far parlare Josh.
«Te l'ho già detto, è una sorpresa e manca poco.» mi rispose pazientemente sorridendo.
«È la decima volta che lo ripeti!» brontolo.
«Perché è la decima volta che me lo chiedi. Non ti facevo così impaziente, piccola Greta.» Rise.
Non credevo di essere impaziente. O forse sì? Non mi erano mai piaciute le soprese, le attese e gli imprevisti, figuriamoci essere portata in un posto sconosciuto dovendo sopportare un'ora di viaggio prima in autobus e poi in metropolitana. Un incubo! Ok, forse stavo esagerando. La mia parte infantile stava avendo la meglio, ma odiavo essere all'oscuro della nostra destinazione.
«Ti sei offesa?» mi chiese Josh. Si era seduto accanto a me e mi fissava in attesa di una mia risposta.
Provai a restare seria, ma, notando la sua espressione preoccupata, scoppiai a ridere. «Josh, scusa se te lo dico, ma sei buffissimo quando sei preoccupato.»
Vidi i suoi muscoli rilassarsi e il suo volto stendersi in un sorriso.
«Grazie, nessuno mi aveva ancora detto quanto fossi buffo
Restammo qualche secondo in silenzio, poi chinai il viso, fissando il pavimento sporco di quella metropolitana. Ero così assorta nell'osservare involucri di caramelle e giornali vecchi lanciati a terra, che mi accorsi a malapena che Josh stava avvicinando una mano al mio volto. "Cosa sta facendo?" mi domandai mentalmente. "Oddio cosa vuole fare? Perché non allontana quella mano?"
Le sue dita afferrarono una ciocca di capelli che mi era scivolata sul volto per portarla dietro l'orecchio.
«Hai dei bei capelli.» mi disse tranquillo.
«Gr-grazie.» gli risposi incerta.
"Che stupida", pensai. "Mi ha gentilmente una ciocca di capelli e io mi impaurisco nel vedere la sua mano. Non c'è male. E mi metto pure a balbettare, cavolo!" Sbuffai.
"Sei rimasta fuori dal mondo per troppo tempo!" sussurrò quell'assurda vocina nella mia testa. "Non è vero!", risposi pronta.
«Ci siamo!» mi disse Josh. «Scendiamo.»
Finalmente! Appena le porte della metro si aprirono, sentii la mano di Josh scivolare nella mia. Lo guardai in viso, stupita.
«Così non ti perdo!» mi disse ammiccando.
Annuii, ma senza fare a meno di pensare che, forse, quella vocina aveva ragione.
Ero rimasta fuori dal mondo per troppo tempo.

«Come hai detto che si chiama questo..coso?»  chiesi per la terza volta.
Josh rise.
«È un burrito con riso, pollo, formaggio e pomodori.»
«Burrito, giusto!» Non riuscivo a ricordare quella parola. Josh mi aveva portata in un ristorante messicano proprio sotto l'Empire State Building. Era la prima volta che mettevo piede nella città, ma l'impatto era stato qualcosa di sensazionale, davvero inspiegabile. Appena avevo messo piede sull'asfalto, avevo chiuso gli occhi e inspirato profondamente; quando finalmente avevo guardato cosa mi circondava, avevo provato una sensazione stranissima all'altezza dell'addome. Emozione era la parola che avrei usato per descriverla. Mi ero emozionata. Le strade, i negozi, le luci, i grattacieli erano veramente davanti ai miei occhi, non si trattava di un film! Poi vidi la cosa più strabiliante: l'Empire State Building si stagliava in tutti i suoi  quattrocentoquaranta metri davanti ai miei occhi, reso ancora più appariscente dalle migliaia di luci dalle quali era illuminato. Ero stata immobile su quel marciapiede per più di cinque minuti a fissare l'edificio come rapita, finché Josh mi aveva risvegliata dicendomi che dovevamo andare, eppure distogliere lo sguardo era stato davvero difficile.
«A cosa stai pensando?» mi chiese Josh, distogliendomi da quei pensieri.
«All'Empire.» ammisi.
«Fa un certo effetto la prima volta, vero?»
«Eh già.» risposi sorridendo.
«Se vuoi una volta andiamo a Top of the Rock, da lì puoi vedere tutta la città. È veramente bellissimo!» mi disse.
«Ci sto!» accettai senza pensarci due volte, senza accorgermi di aver appena accettato un secondo appuntamento con lui.
Dopo che ebbi finito il mio burrito, uscimmo dal locale e ci dirigemmo verso la metropolitana. Guardai l'orologio. Erano già le undici. Il tempo era volato!
«Ti è piaciuto?» mi chiese Josh appena salimmo sul vagone. «So che non abbiamo avuto molto tempo, ma spero di poter rimediare.»
«No, è stato bello invece. Ho visto New York per la prima volta nella mia vita e ho assaggiato il cibo messicano, non potrei volere di più!» dissi sincera.
Mi sorrise soddisfatto. Passarono alcuni secondi prima che Josh parlasse di nuovo, e, quando lo fece, il suo tono era mutato, sembrava più agitato.
«Sono felice che tu abbia accettato di venire stasera, Greta.» cominciò. «All'inizio ero convinto che mi avresti detto di no, un po' perché ci conosciamo appena e un po' perché non pensavo che una come te avrebbe accettato.»
«Una come me?» chiesi meravigliata. Non capivo cosa volesse dire con quell'espressione.
«Riservata, seria, chiusa..non so come spiegarmi, ma tu non sembri una di quelle persone che si lasciano convincere subito e facilmente.» mi spiegò.
«Infatti non lo sono. Ho accettato semplicemente perché pensavo che sarebbe stata un'occasione per imparare a conoscere la città in compagnia di qualcuno che ne sa qualcosa, tutto qui.» Ero io oppure quel discorso stava diventando strano? Perché avevo la sensazione di essere sotto giudizio?
Assunse un'espressione diversa. Era forse delusione quella che vedevo sul suo volto? «Ah, sì, giusto. Beh sì, la città..» affermò poco convinto.  
Non capivo cosa fosse successo. Perché Josh si era ammutolito? Cosa avevo detto?
"La città.." suggerì quell'estenuante vocina nella mia testa.
Poi afferrai: gli avevo appena detto che ero uscita con lui per usarlo come guida. Che genio!
"Si può essere più scemi?" mi chiesi.
«Ehi Josh» lo chiamai per attirare la sua attenzione.  «Allora, quand'è che usciamo di nuovo?» chiesi sorridendo.
Vidi i suoi occhi illuminarsi prima di rispondere al mio sorriso.
Per quella volta ero riuscita a salvarmi. Forse stavo imparando.

Il resto del viaggio trascorse tranquillamente tra chiacchiere e risate. Quando arrivammo al campus, Josh insistette per accompagnarmi fino alla porta della mia stanza ed io non rifiutai, ricordavo fin troppo bene come mi ero persa facilmente per i meandri di quell'edificio.
«Grazie Josh.» gli dissi quando arrivammo di fronte alla mia stanza. «Mi sono divertita.»
Potevo sembrare banale, ma era la verità.
«Grazie a te.» mi rispose lui abbassando la voce.
Poi vidi il suo volto avvicinarsi pericolosamente al mio. "Vuole solo darti un bacio sulla guancia per ringraziarti.", mi dissi.
Così girai la testa, pogendogli la gota. Ma quello che non riuscii a prevedere fu la velocità con la quale si abbassò ancora di più e sfiorò le mie labbra con le sue.
Cosa cavolo stava succedendo? Perché mi stava baciando? Mi sembrava di essere finita di una soap opera: ragazzi che invitano le ragazze ad uscire dopo due giorni che si conoscono e provano a baciarle al primo appuntamento. Sì, ero stata catapultata in una di quelle serie televisive che vengono trasmesse durante l'estate, ne ero quasi sicura!
«Josh, cosa fai?» Il mio tono di voce si era alzato di qualche ottava.
«Ehm..scusa, mi dispiace.» Posso assicurarvi che in quel momento era tutto fuorché dispiaciuto.
«Sì, anche a me, che tu sia un cretino.» gli dissi. Non so perché lo feci o come mi fosse venuto in mente, ma non credevo possibile che avesse davvero tentato di baciarmi. Ci conoscevamo soltanto da qualche giorno!
"Perché i maschi devono sempre rovinare tutto?" mi chiesi.
«Greta scusami davvero, ho sbagliato.» si scusò lui, questa volta con più convinzione.
«Lasciamo perdere. Buonanotte Josh!» lo salutai.
«Aspetta, davvero, mi dispiace. Greta non pensare che io sia quel genere di ragazzo. Anche prima, quando ho detto che pensavo che non ti saresti lasciata convincere così facilmente, non intendevo dire che tu fossi poco seria. Scusa.» Adesso era veramente pentito, potevo leggerlo nei suoi occhi.
«Sì, okay. Scuse accettate. Buonanotte.» Non aspettai che mi rispondesse, ma entrai in camera. Mandy dormiva già, potevo sentire il suo respiro calmo e rilassato provenire da sotto le coperte. Almeno non avrei dovuto farle subito il resoconto della serata.
Continuai a pensare a Josh. Cosa gli era preso? Mi rendevo conto di aver avuto una reazione eccessiva per un semplice sfioramento di labbra, ma la cosa che mi aveva disturbata era stato il suo comportamento: credeva davvero che avrei risposto al bacio? "Devo dare l'impressione di essere una ragazza seria.", pensai ironicamente.
Eppure non riuscivo a credere che Josh ci avesse realmente provato. Mi era sembrato così dolce e carino, invece..
"Invece è esattamente come tutti gli altri!" concluse al posto mio la vocina.
Sì, come tutti gli altri.

Il mattino seguente fui svegliata da qualcuno che bussava alla porta. All'inizio ignorai il rumore, sperando che Mandy andasse ad aprire al posto mio, ma, considerato che non accennava a smettere, mi decisi ad alzarmi. Vidi che il letto della mia compagna era vuoto, così guardai l'orologio. Le 12.22. Quanto avevo dormito?
Aprii la porta e mi ritrovai davanti un Josh un po' imbarazzato.
«Ti ho svegliata?» mi chiese come se non fosse stato ovvio.
Annui. Non ero ancora abbastanza sveglia per proferire parola.
«Volevo scusarmi per ieri sera.» disse tenendo lo sguardo basso. «Sono stato imperdonabile.»
«Sì, vabbé, è andata così.» gli risposi con la voce ancora un po' impastata dal sonno.
«Greta, non pensare male di me, è stato un attimo di..non so, forse pazzia, debolezza. Chiamala come vuoi, ma non volevo rovinare tutto. Mi dispiace!»
«Okay, Josh. Tranquillo, farò come se non fosse mai successo.»
Cercò di sorridere.
«Grazie.»
«Adesso, se non ti dispiace, vorrei farmi una doccia. Ieri sera mi sono addormentata di colpo.» gli dissi.
«Oh scusa, hai ragione. Allora, ci vediamo.»
«Sì, ci vediamo. Ciao Josh!» lo salutai chiudendo la porta.
Tornai verso il letto, lasciandomici cadere a peso morto. "Mi ha svegliata, ma almeno si è scusato.", pensai.
Non ebbi il tempo di chiudere di nuovo gli occhi che bussarono di nuovo alla porta. "Ancora?"
Mi alzai di malavoglia dal letto per la seconda volta nel giro di cinque minuti ed andai ad aprire.
Non avrei voluto essere sgarbata, ma la stanchezza dominava sul mio lato gentile in quel momento.

«Josh, cosa c'è adesso?» dissi un po' troppo acida mentre aprivo la porta.
Poi mi resi conto dell'errore. Non era Josh, bensì David.
«Oh David, non sei.. Beh, scusa, ho sbagliato persona.» mi scusai, mentre lo fissavo stupita di trovarmelo davanti.
«Ho notato.»
«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiesi ignorando il suo commento.
Non mi rispose subito. Prese fiato e poi chiese: «Hai detto che non mi vuoi aiutare, giusto?»
Non riuscivo a capire dove volesse arrivare, così annuii.
«Però dici di capirmi.» continuò lui.
Annuii ancora, sempre più stupita dalle sue parole.
«Bene, allora credo di aver bisogno del tuo non-aiuto.» concluse serio.
Sentii i miei occhi spalancarsi. Non sapevo cosa rispondere, così aprii tutta la porta facendo segno di accomodarsi.
Lui entrò. Solo dopo aver chiuso la porta e averlo visto fermo in mezzo alla mia stanza capii che, forse, c'era ancora una speranza. Forse.
Sorrisi.

 



-Note dell'autrice-

Salve a tutte!
Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo. So di aver parlato quasi sempre dell'appuntamento tra Josh e Greta e probabilmente è risultato noioso, ma era necessario, ai fini della narrazione, che lo descrivessi. Mi scuso per questo. :)

Come avrete notato, questa volta la citazione all'inizio del capitolo è tratta da una canzone di Mia Martini. Pur non rientrando contestualmente con ciò che è narrato nel capitolo, ho voluto inserirla, quasi ironicamente, per collegarla al titolo: infatti sono entrambi stereotipi riferiti agli uomini. So che può sembrare stupido, ma mi è sembrata un'idea carina. :)

Ringrazio di cuore tutte coloro che sono arrivate in fondo anche a questo capitolo e continuano a leggere la storia. Grazie!

Volevo ringraziare anche Mary_TVD che ha inserito "How will I know?" tra le storie preferite, e Carrie L, 5HuNtEr5, GoodbyeCalm, che l'hanno inserita tra le seguite. Siete fantastiche!

Vi ricordo che resto a disposizione per qualsiasi informazione o dubbio voi abbiate, e che le recensioni sono sempre bene accette. ;)

A presto!

Baci,
Jane Ale



 

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Capitolo 5
*** Umanità ***


Capitolo 3
Umanità



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Questo era senza dubbio il più eccelso e infimo di tutti i mondi:
i sensi migliori, le emozioni più squisite, i desideri più maligni, le imprese più cattive.
Forse doveva essere così.  Forse senza l'abisso non potevano esserci le vette.
- The Host,  Stephenie Meyer





Fino al giorno successivo non incontrai più David, che non si era presentato nemmeno a cena.
Il mattino seguente, non appena uscii dalla mia stanza, incontrai Josh.
«Buongiorno piccola Greta!» mi salutò con un grande sorriso stampato sul volto.
«Ehi Josh!» ricambiai, sorpresa dalla confidenza.
«Tutto bene?» mi chiese.
«Certo.»
«Senti Greta, volevo chiederti una cosa..» iniziò incerto. «Potrà sembrarti strano, in fondo sono soltanto due giorni che sei qui, però.. Insomma, vuoi uscire con me? Perché credo che tu mi piaccia.»
Rimasi completamente pietrificata. La mia mente non sarebbe riuscita a produrre un discorso sensato nemmeno sotto tortura. In quale mondo parallelo un ragazzo chiedeva ad una ragazza di uscire solo dopo due giorni?
"Non ti ha mica fatto una proposta di matrimonio!" rispose una voce malefica dentro la mia testa.
In effetti aveva ragione, si trattava solo di un appuntamento. Quel termine mi fece rabbrividire. Non che non avessi mai provato ad uscire con un ragazzo, ma ogni volta era finita male e dopo un po' avevo smesso di accettare appuntamenti.
Pensandoci bene, io non avevo mai avuto un vero ragazzo, uno che fosse durato più di qualche settimana almeno.
Ma Josh..
Lo guardai attentamente: certo, era carino, lo avevo notato fin da subito, ma non avevo mai pensato a lui in quei termini. Anzi, non mi ero neppure accorta di piacergli!
"Come avrei potuto?" pensai.
Ma la voce nella mia testa parlò ancora: "Avresti potuto, se per tutti questi anni non ti fossi chiusa in una bolla. Sai, il mondo va avanti!"
Non le diedi ascolto, ma guardai Josh in faccia. Stava sorridendo, ma capivo lo sforzo che stava facendo per non mostrarmi quanto realmente fosse agitato. I suoi occhi erano colmi di..speranza.
«Sì.» risposi senza neppure sapere cosa volessi dire con quel "sì".
Le sue pupille si dilatarono. «Sì nel senso che uscirai con me? Cioè davvero?»
«Sì!» confermai con un sorriso tirato.
Avevo accettato un appuntamento. Come diavolo mi era venuto in mente? Neppure un minuto prima avevo provato l'impulso di scappare per non dover rispondere al suo invito e poi, senza neppure pensarci, avevo accettato? C'era sicuramente qualcosa di  sbagliato in me.
«Che ne dici se andiamo al cinema? Oppure preferisci un ristorante? Insomma, non lo so..»
«Josh!» lo richiamai. «Perfavore, calmati, non c'è bisogno che tu ti affanni così. Qualsiasi cosa andrà bene, davvero.» gli dissi sorridendo, questa volta sinceramente.
«Cena e passeggiata?» chiese.
«Perfetto.»
«Sabato sera?»
«Okay.»
«Allora alle otto?» mi chiese ancora.
«Sì, va bene.»
«Okay, bene. Allora, ci vediamo..» mi salutò sorridendo prima di andarsene.
Non feci in tempo a rispondere al suo saluto che la porta alle mie spalle si aprì.
«Esci con Josh??» mi domandò Mandy, incredula.
«Sì, credo.. Ehi, ma cosa stavi facendo? Ascoltavi?» le chiesi, corrugando la fronte.
«Ero impossibilitata ad uscire, stavo aspettando che aveste finito. Non stavo ascoltando!» disse, fingendosi offesa.
«Mandy, posso farti una domanda?» le chiesi con poca sicurezza.
«Se non mi accusi di spiarti da dietro una porta..» mi rispose ridendo.
«No, assolutamente.. Si tratta di un'altra cosa.»
«Spara!» mi disse facendomi l'occhiolino.
«A te piace Josh?» Non avrei mai posto una domanda del genere, ma Mandy era la mia compagna di stanza e non mi era sfuggita la sua reazione la prima volta che avevo fatto il nome di Josh. Insomma, non volevo problemi.
«Dritta al punto, eh?» disse ironica.
«No, scusa, non volevo. Ma la prima volta che ho nomita Josh..insomma, hai riso e il tuo sguardo.. Scusa, non avrei dovut chiederlo.» Ero una deficiente: conoscevo la mia compagna di stanza da quanto, qualche giorno?, e già avrei potuto compromettere il nostro rapporto. Un record persino per me!
«Greta rilassati! Non è successo nulla, davvero.» cercò di tranquillizzarmi. «Mi hai solo colta alla sprovvista, tutto qua. Non posso dirti che non sia mai stata attratta da Josh, ma lui stava con Santana e lei è diventata subito la mia migliore amica, capisci? E anche adesso che non stanno più insieme, Josh rimane un' "intoccabile" per me, se sai cosa voglio dire.»
«Già, la regola dell'amica..» mormorai, convinta che non mi  avesse sentita.
Invece mi sorrise, annuendo. Poi aggiunse:
«Ma non ti devi preoccupare, per me è okay se esci con Josh.»
«E per Santana, invece?» le chiesi, tenendo lo sguardo basso.
Fece un risolino, quasi nervoso.
«Probabilmente si arrabbierà, non ti parlerà, ma sa meglio di chiunque altro che la sua storia con Josh è chiusa. In fondo è stata lei a voler mettere tutto in discussione, ma questo è un altro discorso. Quindi tranquilla, permesso accordato.» Mi sorrise ancora, come a volermi confermare di nuovo il suo permesso.
«Grazie Mandy. Non so se questa cosa avrà un esito positivo, ma ti ringrazio.»
Non seppi come, ma, per la prima volta dopo anni, mi ritrovai ad abbracciare qualcuno, ad abbracciarlo veramente: non si trattava di uno di quei convenevoli delle feste ordinate, né di un falso gesto di amicizia, era più un gesto di solidarietà e comprensione per trasmetterle tutta la gratitudine che a parole non sarei mai riuscita a comunicare.
Non si trattava dell'appuntamento che Josh, il quale non occupava la mia mente più del dovuto, quanto del fatto che Mandy era riuscita a tirare fuori una parte di me che da tanto tempo era sepolta.
Un abbraccio, un semplice gesto che aveva scoperto una Greta diversa, quasi umana.

Quella mattina avevo avuto tre ore di lezione consecutive, la più lunga da quando ero arrivata. Mi faceva un po' male la testa, non ero più abituata a restare concentrata troppo a lungo, non da quando.. Cambiai subito la rotta dei miei pensieri. Avevo assolutamente bisogno di un caffè, sì assolutamente.
Arrivata al bar ordinai il mio caffè, poi mi misi alla ricerca di un tavolino libero: possibile che fossero tutti al bar in quel momento? Dopo qualche attimo di ricerca, riuscii ad individuare un tavolo libero vicino alla siepe. Meglio che niente! Mi avviai con passo svelto verso il mio obiettivo, ma proprio mentre appoggiavo il mio caffè sulla superficie del tavolo, un'altra persona ci appoggiò i suoi libri. "Col cavolo che ti lascio il tavolo!", pensai.
Quando alzai la testa, avrei voluto sprofondare. O l'universo era privo di una qualsiasi logica o aveva uno strano, se non perverso, senso dell'umorismo: David stava di fronte a me con le braccia incrociate e un'espressione scocciata sul volto.
«Non è possibile!» esclamai irritata.
«Non avrei saputo dirlo meglio!» mi rispose con il suo solito tono scocciato.
«Okay, bene..prima che tu ti metta ad urlare e a dirmi che ti seguo e roba varia, ti dico che sono una donna, sono stanca e che quindi il tavolo lo prendo io. Mi dispiace, ma se fossi stato qualcun altro, probabilmente, non mi sarei fatta problemi a chiedergli di sedersi, ma visto i precedenti..»
«Dovresti lasciarmi il posto soltanto per la stupidtà del tuo discorso!» mi disse, scuotendo impercettibilmente il capo.
«Mai!» esclamai sedendomi.
«Bene, caso chiuso!» disse lui, sedendosi di fronte a me.
«Ma che cos..?»
«Non mi hai dato scelta.» disse con tono serio. «Ho bisogno di sedermi e stare in pace, se non te ne vuoi andare allora condivideremo il tavolo.»
«Stai parlando come se fossi io quella che si è messa a urlare perché gli è stata rivolta parola.» dissi acida.
«Non ho reagito così perché mi hai parlato..»
«Ah no, e allora perché?» Sentivo la rabbia crescere dentro di me.
«Dimmelo tu il perché, scommetto che ci arrivi.» E per la prima volta da quando ero arrivata a New York, fece una cosa che mi fece rimanere a bocca aperta: sorrise. Non era un sorriso di felicità, ma neppure un sorriso derisorio. Era un misto di consapevolezza e sfida, come se volesse vedere fino a che punto sarei riuscita a capirlo. "Bello", pensai. Sì, il suo era un sorriso che si definisce bello, non tanto perché era il primo sorriso che vedevo sul suo volto, o perché lui stesso fosse un bel ragazzo in sé, ma perché era un sorriso genuino, vero, uno di quelli che vedi e pensi "Questo è il sorriso che cercavo", anche quando non stai cercando niente.
Presi una boccata d'aria e risposi, sentendomi sotto esame.
«Tu hai alzato un muro, giusto? Non volevi che ti parlassi perché relazionarsi con le persone è più difficile che essere scontrosi e mandare tutto a quel paese. Hai pensato che non fosse giusto stravolgere il tuo status quo, o meglio che fosse troppo..faticoso, sbaglio?»
Fece un cenno con il capo, invitandomi ad andare avanti. Proseguii.

«Però hai visto quanto siamo simili, o meglio, quanto, nonostante i nostri caratteri siano simili, io mi sforzassi di cercare un contatto con il mondo intorno a me, un appiglio per scavalcare il muro. Perché stare al di là del muro, da soli, è brutto, no? Ma il cambiamento richiede forza e fatica, lo so. Ma correggimi se sbaglio.» Gli sorrisi, quasi sfidandolo.
«Sveglia, ma non abbastanza.» mi disse, riducendo gli occhi a due fessure. «Genitore psichiatra?» mi chiese all'improvviso.
«Cosa?» domandai stupita. «Pensi che la mia analisi sia dovuta al fatto che ho un genitore psichiatra?» Per un attimo non seppi chi fosse il vero pazzo tra noi due. «Te l'ho detto, David, io ti capisco, ma tu non accetti di essere capito.»
«Dicono tutti così e poi ti spediscono in terapia. Ci sono passato, grazie, ma non ho bisogno del tuo aiuto.»
«Ehi, ma che stai dicendo? Senti, questo discorso sta diventando abbastanza strano. Io non ho genitori psichiatri, né voglio aiutarti.» gli dissi seria.
«E allora? Perché sei qui?» domandò con una punta di curiosità che cercò di nascondere con una smorfia di rabbia.
«Sei stato in terapia, vero?» ignorai la sua domanda.
«Cosa te lo fa pensare?»
Risi. «Touché. Te lo ripeto, io ti capisco.»
«Va bene, ammettiamo che tu mi "capisca"» mimò le virgolette con le mani, «allora dimmi, perché tu non fai come me e ti fai gli affari tuoi? Cosa vuoi da me? La verità.»
«Io non posso fare come te, David. Ho già passato quello che stai passando tu, il rifiuto, il silenzio, quel cavolo di muro. Questa è la mia ultima possibilità, devo provarci. E cavolo, non riesco a vedere qualcuno che fa ciò che ho già fatto io, sbagliando. Sai quanto darei per tornare indietro, per essere al tuo posto?» Lo vidi sgranare gli occhi. «Si, hai capito, vorrei essere al tuo posto.» gli ripetei con più convinzione.
«Non sai cosa stai dicendo.» mi disse sprezzante.
«Proprio perché lo so, te ne sto parlando.» Abbassai lo sguardo.
Non sapevo perché mi ero aperta così con un ragazzo che per me era uno sconosciuto, non riuscivo a capirlo. Ma sapevo di non essermi sbagliata. "Lo sguardo", pensai "i suoi occhi". Già, erano stati quelli a convincermi. Conoscevo quella piega triste che avevano assunto, quante volte me l'ero ritrovata davanti allo specchio, ma non avevo potuto far nulla. Questa volta era diverso. Avrei potuto aiutarlo, forse non sarebbe arrivato al limite, quel limite maledetto che io avevo superato.
Volevo proteggerlo. Non come una mamma che vuole proteggere il figlio, o la fidanzata che teme per il fidanzato. No, si trattava di qualcosa di diverso, di più grande. Mi venne in mente la parola umanità.
Esatto, era umanità.
Finalmente anche a Greta importava di qualcosa.
«Greta?» mi sentii chiamare. Non mi ero resa conto di essermi alzata in piedi.
«Sì?»
«Quanti anni?» mi chiese.
«Cosa?» Non avevo capito cosa mi stesse chiedendo.
«Quanti anni sei stata in terapia?»
Gli sorrisi, di uno di quei sorrisi che riservavo solo a chi poteva capire.
«Tanti David, tanti.» Poi me ne andai.
Non vidi il suo volto, ma seppi con certezza che stesse sorridendo.
Non chiedetemi come.
Lo sapevo, e basta.

Ero così confusa quando arrivai in camera, che non mi resi conto di aver saltato il pranzo. La conversazione con David mi aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Controllai l'orologio. Cavolo! La mensa aveva chiuso da dieci minuti.
Lasciai la borsa sulla scrivania, presi qualche dollaro e uscii con la speranza di trovare la mensa ancora aperta per non so quale miracolo.
Ma tutte le mie speranze furono inutili: la porta era chiusa, segnale chiaro. Sbuffai e mi diressi di nuovo verso il bar, con l'intenzione di prendere un panino. Sentii la porta della mensa aprirsi, così mi girai a controllare. Max, Fleur e Santana stavano uscendo dalla sala chiaccherando tra loro. O meglio, Santana e Max chiaccheravano, mentre Fleur ascoltava svogliatamente toccandosi i capelli. Dovettero fare qualche passo prima di vedermi, ma quando lo sguardo di Santana si posò su di me, non ebbi bisogno di conferme, lei sapeva. E la mia teoria fu confermata subito dopo.
«Ciao Greta!» mi salutò Max, sforzandosi nel fare un sorriso.
«Ciao ragazzi» li salutai, ma prima che potessi dire altro, Santana parlò.
«Greta posso parlarti?»
«Si, certo.» cercai di apparire il più disinvolta possibile, ma sapevo di poter balbettare da un momento all'altro.
Max e Fleur, come se gli fosse stato ordinato, si allontanarono senza neppure salutarmi.
«Dimmi tutto.» dissi, cercando di sorridere.
«Non fingere, sai esattamente di cosa voglio parlare.» Teoria confermata!
«Santana..» provai a parlare, ma lei mi interruppe.
«No, parlo io. Non mi importa se è stato lui a chiederti di uscire, non mi importa se ti piace davvero o se te lo vuoi semplicemente portare a letto, ma io non posso, e ti ripeto, non posso permettermi di perderlo. Josh è tutta la mia vita e so di aver fatto tante cazzate, ma le cose stavano andando meglio prima che tu arrivassi. Non mi stai antipatica Greta, ho capito subito che sei una ragazza sveglia e simpatica, ma Josh è mio e io lotterò per lui!»
Notai che aveva gli occhi lucidi e per un attimo mi sentii in colpa: volevo davvero rubarle il ragazzo? Si vedeva che soffriva e che l'amava. In fondo a me Josh neppure piaceva. Non che fosse brutto, assolutamente no, ma non mi sentivo attratta da lui. "Però vuoi uscirci", disse la vocina nella mia testa. Quella volta non dissentii. Sì, volevo uscirci. Era una grande occasione per me, la prima volta dopo tanto tempo che riuscivo a parlare con qualcuno. E non si trattava di rubare il ragazzo di qualcuno, perché sapevo che non era quello. Volevo, semplicemente, tornare ad essere una ragazza normale e quella era la mia occasione. Potevo lasciarmela sfuggire perché Santana aveva commesso un errore?
Non ebbi modo di pensarci, perché la mia bocca pronunciò la sentenza prima che riuscissi a fermarla.
«Santana, mi dispiace, ma è stato un tuo errore, non mio.»
La ragazza mi fissò qualche secondo, il suo sguardo era dispiaciuto. Poi, ad un tratto, la sua espressione mutò. Si ricompose e mi sorrise.
«Bene, vedremo chi vincerà. Te l'ho detto, io non mollo».
Mi ci volle qualche istante per capire fino in fondo le sue parole.
Chi vincerà? Non si trattava di un gioco.
Poi pensai a cosa mi aveva detto qualche minuto prima. "Josh è mio e io lotterò per lui!"
"Brava Greta", pensai "questo non è un gioco, è una guerra!"
E, senza un perché logico, ebbi la sensazione che avrei perso quella guerra.







-Note dell'autrice-

Salve a tutte!
Intanto mi scuso per il ritardo, ma sono stata in vacanza e, non avendo il pc con me, non ho potuto aggiornare. Scusate! :)

Poi volevo ringraziare le otto fantastiche persone che hanno messo la mia storia tra le seguite, ovvero CiUffEttA, HopeCrazy, kikathefly, kitty0890, maryfrance90, shana_musi, Shoahib, _maddy_25; e, naturalmente, anche le stupende tre che l'hanno inserita tra le preferite: juliet327, Lucia92, ventisette_ .
Grazie di cuore, davvero.

Per adesso credo sia tutto. Per qualsiasi cosa, informazione, curiosità, non esitate a contattarmi, e, se avete voglia, recensite. :)

Spero di aggiornare il più presto possibile.

Baci.





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Capitolo 6
*** Verità ***


Capitolo 5
Verità



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«Bene, allora credo di aver bisogno del tuo non-aiuto.» concluse serio.

Erano già passati cinque minuti, ma David non aveva accennato a parlare. Si era seduto sul mio letto e, sempre chiuso nel suo mutismo esasperante, si era preso la testa tra le mani. Guardai la lancetta dell'orologio compiere il suo sesto giro, poi mi decisi a rompere quel silenzio.
«David, va tutto bene?» chiesi incerta.
Non mi rispose, così feci un passo avanti. Contai fino a dieci, poi mi decisi ad avvicinarmi ancora a lui. Stavo per sedermi in fondo al letto di Mandy, quando parlò, facendomi sobbalzare.
«Perché dovrei fidarmi? Spiegamelo Greta, per quale fottutissimo motivo dovrei fidarmi di te, eh?»
Il suo tono era colmo di rabbia, amarezza e delusione. Non risposi, fu lui a continuare.
«La fiducia è una bastarda, comunque vada ti lascia sempre a terra, lo sai? Non c'è ragione per cui io dovrei riuscire ad aprirmi con te, sarebbe soltanto l'ennesima condanna. Eppure, cazzo..!»
Lo stavo ascoltando in silenzio. Se avessi proferito parola, probabilmente, avrei prodotto un suono sconosciuto.
Sapevo quale fosse il suo stato d'animo in quel momento: frustrazione e debolezza insieme, un mix che, il più delle volte, è letale per l'anima. Continuai ad aspettare, non c'era cosa migliore da fare, nonostante quell'eppure mi stesse logorando dentro. Poco dopo parlò ancora.
«Io sento il bisogno di fidarmi di te, non come una necessità, ma come unica via possibile. Comprendi? Non so spiegarlo, ma io devo parlarti, non solo perché mi capisci, ma perché quando parli vai dritta al punto, mi colpisci dietro le barriere. È come se tu sapessi quello che penso! Fa paura, ma non saprei dirlo diversamente.»
Era, senza dubbio, il discorso più lungo che gli avessi mai sentito pronunciare e, nonostante tutto, anche il più sofferto. Vedevo la fatica sul suo volto: aveva tirato fuori quelle parole contro la sua volontà, aveva ammesso di aver bisogno di aiuto e adesso, raggiunta la consapevolezza, era a pezzi. Mi decisi a muovermi. Mi alzai lentamente e andai a sedermi al suo fianco.
«David..» sussurrai il suo nome. Alzò la testa e puntò i suoi occhi dritti nei miei. Erano belli, grandi e sofferenti.
«Non posso farti promesse, non sarei in grado di rispettarle, non lo sono mai stata; posso, però, assicurarti che non ti farei mai del male. So quello che si prova, te lo assicuro.»
Erano parole banali, stupide, le più inadatte che avessi mai pronunciato, ma lui non disse niente, continuò a fissarmi e poi annuì, come per confermarmi che mi credeva.
Ci ritrovammo nuovamente avvolti in un silenzio pressante, uno di quelli durante il quale riesci persino a sentire il rumore dei pensieri della persona che ti sta accanto. Non parlavamo, ma sapevamo che ci sarebbero state parecchie cose da dire.
Presi coraggio e appoggiai una mano sulla spalla. Stavo cercando un contatto di qualche tipo con lui, qualcosa che gli impedisse di richiudersi nuovamente su se stesso, una conferma al fatto che lui era lì e voleva davvero il mio aiuto.
«David..» pronunciai il suo nome per la terza volta in quella mattina. «Posso farti una domanda?» gli chiesi titubante.
«Sì.» rispose lui flebilmente.
«Quando hai deciso di fidarti? Voglio dire, cosa ti ha convinto?». Mi sentivo ipocrita nel rivolgergli una domanda del genere in quel momento, come se volessi sentirmi adulata, ma volevo sapere cosa poteva averlo spinto a venire da me, ci doveva pur essere una ragione valida.
«Non ti piacerebbe saperlo.» mi disse, storgendo la bocca in una strana smorfia.
«Te l'ho chiesto, voglio saperlo; non sempre le domande che facciamo hanno risposte che ci piacciono, ma non per questo non dobbiamo ascoltarle, no?» chiesi retorica.
Sorrise debolmente.
«Saggia.»
«Allora?» insistetti.
Sbuffò, quasi scocciato.
«Ehi, cosa ti aspettavi?» gli dissi scherzando.
«Hai ragione.» Rispose sorridendo, questa volta sul serio. «Ricordi la prima volta che ci siamo scontrati nel corridoio? Io sono stato sgarbato nei tuoi confronti, e anche le volte dopo.»
Ovvio che me lo ricordassi. Erano passati pochi giorni, ma non si dimentica facilmente uno scorbutico che si infiamma per niente in mezzo a un corridoio vuoto. Ma non dissi nulla, lasciandolo proseguire.
«Poi tu mi hai detto quelle cose sul muro, sul fatto di capirmi, sulla..terapia e ho pensato che non importava se quello che dicevi era vero, tu mi stavi sulle palle. Non riuscivo a sopportarti, eri sempre nel mezzo. Poi, però, ho pensato che se mi davi così noia, forse, non eri tanto sbagliata. Solitamente le persone ti colpiscono in due modi: o ti innamori di loro, o le odi. Altrimenti non contano niente, capisci?»
Annuii.
Non si agisce mai perché qualcuno ci è indifferente, mi avevano detto, si agisce perché ci si sente toccati, smossi, persino attaccati. Ci si protegge, o ci si apre completamente.
Me l'avevano insegnato quando ancora non sapevo chi fossi, quando ancora mi guardavo allo specchio e vedevo il vuoto di fronte a me. La maggior parte delle volte le persone cambiano perché qualcosa le ha spinte una direzione nuova, diversa, sia che questo qualcosa rappresenti l'amore, il bene, la positività, sia che rappresenti la paura, l'odio, il conflitto. Se non ci fossero le persone che amiamo, non svilupperemmo mai quel senso di protezione nei loro confronti, quello che ci fa tentare di tutto pur di non vedere la sofferenza sui loro volti. Se non ci fossero i conflitti, non saremmo mai spinti a difenderci, a guardarci dentro per costruire nuovi sistemi di fortificazione e, nel peggiore dei casi, di rinascita.
Le cose più sublimi e quelle più infime coesistono e sono essenziali nel cammino di ogni individuo.
Io avevo rappresentato il conflitto, il tentativo di difesa, la voglia di lottare di David.
E, probabilmente, lo rappresentavo anche in quel momento.
«E adesso?» gli chiesi.
«Adesso cosa?»
«Mi odi?»
«No.»
Sentii una fitta all'altezza dello stomaco, ma non riuscii a classificarla.
Sarà fame, pensai.
Non feci più domande.
Avrei dovuto capire che la fame non si percepisce con l'anima.

Quando uscii di camera per andare a mangiare qualcosa, David se ne era andato da poco. Ero ancora confusa dalla conversazione appena avuta, ma che ancora non era stata conclusa: certo, David  si era aperto, aveva deciso di venire a parlare con me, aveva tentato di abbattere gli ostacoli che gli permettevano di fidarsi, eppure non mi aveva detto niente. Eravamo pur sempre al punto di partenza, si teneva ancora tutto dentro.
Sbuffai. Era frustrante quella situazione, avrei voluto fare di più, saperne di più.
Ancora immersa nei pensieri, non mi accorsi della figura che camminava a passo svelto nella mia direzione, fino a quando non si fermò davanti a me.
«Greta.»
«Santana.»
Non era un buon segno il fatto che avesse pronunciato solo il mio nome: era arrabbiata, lo avevo capito ancora prima di guardarla negli occhi.
«Ti avevo detto di stare lontana da Josh. Perché hai fatto di testa tua?» Il suo tono era calmo, sembrava quasi un leggero rimprovero di una mamma alla figlia.
«Perché non credo che spettasse a te la decisione, né spettava a te impormi di rifiutare. Santana, parliamo chiaro: tu hai lasciato Josh. Josh adesso non vuole stare con te. Nessuno di questi due è un mio problema.» Era inutile girarci intorno: essere diretta, andare dritta al punto, quella era la soluzione.
«Sì, ma lo diventeranno se ti ostini ad uscire con lui. Mi pare di avertelo già detto, io rivoglio Josh indietro e nessuno potrà fermarmi. Perciò ti consiglio di farti da parte.»
L'occhiata che mi lanciò fu tutt'altro che rassicurante, ma la mia voglia di discutere era pari a zero. Perché dovevo finire sempre al centro di situazioni assurde e degne dei migliori telefilm? Quello era il mistero buffo della mia vita: facevo parte di una tragi-commedia, eppure la parte comica non faceva ridere come narravano i libri.
La guardai in faccia e le risposi: 
«Santana, lascia che te lo dia io un consiglio: la vita fa già abbastanza schifo, non peggiorarla!». Poi la superai e mi diressi verso il bar, avevo assolutamente bisogno di cibo.
Continuavo a chiedermi perché una ragazza come Santana, bella ed intelligente,
dovesse abbassarsi a certi livelli per un ragazzo. Non dubitavo del fatto che a lei piacesse Josh, ma sembrava che per lei fosse importante averlo. Se si fosse trattato solo di trovare un ragazzo con cui divertirsi, non avrebbe avuto nessun problema a sceglierne un altro, eppure lei voleva Josh. Perché? Cosa spinge una persona a decidere di volerne un'altra? Quale meccanismo si aziona nel cervello per permettere ad un essere umano di compiere una scelta così radicale? Ci doveva essere una risposta logica e razionale a quel quesito. Non riuscivo a trovare una ragione valida da giustificare la decisione di Santana, un perché che giustificasse la sua irrazionalità, la sua posizione, il suo volere.
Eppure non capivo. Non ancora.

Erano le dieci di sera quando sentii bussare alla porta della mia stanza. Ero sdraiata sul letto a leggere un libro, Mandy era ancora fuori dalla mattina, così non mi restava che alzarmi per andare ad aprire.
«Josh!» esclamai.
«Greta, senti devo parlarti.» mi disse sfregandosi le mani insieme e tenendo lo sguardo basso.
«Dimmi tutto.»
«Posso entrare?» mi chiese gentilmente, ma senza alzare il viso.
«No Josh, forse è meglio se mi dici qui quello che mi devi dire.» gli risposi cercando di non essere sgarbata.
«Sì, hai ragione, scusa. Greta, io non so come spiegartelo, ma tu mi piaci! Ma non solo per il fatto che sei bella e che io mi sento attratto da te..»
Lo interruppi subito.
«Frena, Josh, fermati un secondo!»
«No! Se non ti dico tutte queste cose adesso, non lo farò più. Mi piaci, Greta! Non riesco a fare altro che pensarti e poi quando ti parlo mi sento uno scemo, non riesco a trovare le parole, la lingua non si vuole muovere, capisci? Mi sento come uno di quei ragazzini nei film dal primo momento che ti ho vista!»
«Adesso basta, Josh!»
«Ho quasi finito. Voglio solo dirti che so di aver sbagliato ieri sera, sono stato troppo avventato, ma ti prego, dammi un'altra possibilità! Seguirò i tuoi tempi, le tue modalità, farò tutto quello che vuoi, ma non dirmi di no.» concluse.
Restai immobile, pietrificata. Non sapevo cosa dire.
Gli piacevo e fino a lì potevo arrivarci. Si sentiva attratto da me, poteva essere. Non faceva altro che pensarmi e non riusciva a trovare le parole giuste quando parlava con me. No, quello no, non avrei potuto accettarlo! Non avevo mai sopportato le dichiarazioni d'amore dei film, sembravano false e smielate e, la maggior parte delle volte, il protagonista maschile diceva quelle cose solo per portarsi a letto la ragazza. Non stavo accusando Josh di volermi portare a letto (o forse anche quello), ma non potevo credere che lui provasse davvero certe cose nei miei confronti dopo così poco tempo, era impossibile! I fatti della sera precedente, inoltre, non facevano altro che alimentare la mia teoria: lui ci provava con me per fare numero, come se fossi una delle tante. Mi dispiaceva pensare quelle cose, in fondo non lo reputavo un cretino, ma non volevo uscire con lui un'altra volta.
«Josh, potrei dirti che mi dispiace, ma non avrebbe senso, alimenterei solo le tue speranze. Non uscirò più con te, non voglio. E non dare la colpa a quello che è successo ieri sera, non è solo quello: non provo quello che tu provi per me e, per quanto tu possa essere un bel ragazzo, non sono attratta da te in quel senso. In altre parole, potrei dirti che non sei il mio tipo, che tra noi non potrebbe mai funzionare, ma sarebbe banale: non voglio uscire con te.»
Ero stata cattiva, non ne dubitavo, ma ero sicura che la sincerità sarebbe stata il miglior mezzo per chiudere la cosa: addolcire il concetto, far sembrare che a me dispiacesse non uscire con lui, utilizzare frasi del tipo "il problema sono io, non sei tu" non avrebbe fatto altro che peggiorare la cosa. Via il dente, via il dolore. Me lo avevano sempre ripetuto quando ero piccola e, crescendo, avevo capito quanto le bugie e le illusioni non facessero altro che ingigantire i problemi. Solo la verità, brutta o bella che fosse, poteva rappresentare la soluzione.
Ma non avevo fatto i conti con il lato ironico del mondo: ho già detto che la mia vita somigliava molto ad un film?
Non avevo previsto che Josh mi afferrasse saldamente per le spalle e premesse le sue labbra contro le mie. Provai a liberarmi, ma la sua stretta si fece più stretta e sentii la sua lingua accarezzare le mie labbra per farle schiudere.
"Permesso negato!", pensai. Ma, ancora una volta, il regista di quel film che era la mia vita, mi sorprese.
«Brutta puttana, allora non sono stata chiara!»
L'urlo di Santana mi giunse chiaro e forte nelle orecchie. Josh sobbalzò e si staccò da me, lasciandomi finalmente libera.
«Santana, calmati!» le intimò Josh.
«Calmati un cazzo, Josh!! Non osare dirmi di stare calma, perché è l'ultima cosa che farò!»
«Non credo tu abbia il diritto di intervenire nella mia vita!» rispose Josh alzando la voce.
«Ma nella sua sì, l'avevo avvertita!» urlò Santana indicandomi con una mano.
«Che vuol dire che l'avevi avvertita? Tu sei pazza!» disse Josh passandosi una mano tra i capelli.
«Sì, io sono pazza, ma lei è una puttana!»
E ancora una volta non fui in grado di prevedere quello che sarebbe successo: Santana si mosse veloce e, senza permettermi di realizzare, mi afferrò per i capelli. Non ebbi la velocità di spostarmi, né la forza di reagire. Mi tirava per i capelli facendomi inarcare la schiena, mentre sentivo le lacrime affiorare.
«Non mi hai dato ascolto? Bene, ecco quello che ti meriti! Sei una puttana, una di quelle che cercano di apparire dolci ed indifese, mentre non vedono l'ora di portarsi a letto i ragazzi delle altre. Ma qui non funziona così, cara, io so difendere ciò che è mio e riprendermi quello che voglio!» mi urlò in un orecchio.
«Basta! Smettila!» gridai, sperando che allentasse la presa, ma ancora una volta mi sbagliai: infatti tirò ancora più forte, facendomi cadere per terra. Stava per tirare di nuovo i capelli, quando qualcuno parlò.
«Lasciala andare. Ora.»
Non riconobbi chi aveva pronunciato quelle parole, ma lei fece come aveva detto. Sentii i miei capelli tornare liberi e, asciugandomi le lacrime che erano sfuggite ai miei occhi, mi alzai per vedere chi fosse colui che mi aveva "salvata".
«Cosa fai, David, adesso la difendi anche? Non eri tu quello che la odiava?» gli chiese Santana con un sorriso strafottente sulla faccia.
«Cosa fai tu, piuttosto! Sei andata fuori di testa?» tuonò David.
«Le avevo detto di stare lontana da Josh, ma lei ha fatto di testa sua e li ho trovati avvolti in un romantico bacio poco fa.» disse lei facendo una smorfia.
Alle parole di Santana, David si girò verso Josh e, solo in quel momento, mi accorsi che lui era stato lì tutto il tempo, ma non era intervenuto.
«Cosa cazzo aspettavi, idiota? Volevi forse che le strappasse tutti i capelli?» chiese David a Josh, dando voce ai miei pensieri. «Che ti cagassi in mano anche a vedere Harry Potter lo sapevo, ma non credevo potessi arrivare a questo punto.»
Josh alzò il capo e lo guardò irato.
«E tu? Arrivi qui, mi giudichi, fai il supereroe, ma glielo hai detto a Greta? Glielo hai detto il perché di tutto questo casino?»
Guardavo Josh e lo vedevo per la prima volta: parlava con odio e rancore e si rivolgeva a David con disprezzo, come se volesse annientarlo.
«Che casino? C..cosa?» chiesi confusa.
«Come David, non glielo hai detto alla nostra Greta che mentre io e Santana stavamo insieme, te la sbattevi alle mie spalle?»
Poi il buio calò.
Per la prima volta capii che, per quanto fosse giusto dire la verità, non sempre si può dirla senza danneggiare qualcuno.




-Note dell'autrice-

Salve! :)
Eccomi di nuovo, anche se dopo mesi. So di averci impiegato una vita e mi scuso tanto, ma ho davvero avuto problemi a scrivere questo capitolo: ci sono stati giorni in cui non voleva saperne di uscire, altri in cui le idee erano fin troppe, ma alla fine ce l'ho fatta!

Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate..:)

Ci tengo a ringraziare coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, ovvero:

Afeffa
juliet327
Lucia92
ventisette_
AlexDavis
Lollizzata
AllyCoffey
Carrie L
CiUffEttA
GoodbyeCalm
HopeCrazy
kikathefly
kitty0890
leonedifuoco
maryfrance90
maya tabitha
shana_musi
_maddy_25

Grazie per aver atteso tutto questo tempo ed essere ancora qui! :)

A presto (prometto!).

Baci,
Jane Ale

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