Every rose has its thorn.

di teachmehowtofly
(/viewuser.php?uid=291540)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (8) Lies can hurt. ***
Capitolo 2: *** (9) Let me know your good sides. ***
Capitolo 3: *** (10) You suck. ***
Capitolo 4: *** (11). 'Cassie, love is easy' ***
Capitolo 5: *** (12) Dance with me tonight. ***
Capitolo 6: *** (13) Do you know that you can't live without a heart? ***
Capitolo 7: *** (14) Are you really stronger than my fears? ***
Capitolo 8: *** (15) Heaven and hell. ***
Capitolo 9: *** (16) Red. ***



Capitolo 1
*** (8) Lies can hurt. ***


Dato che non riesco più ad entrare nel mio vecchio account (ero turnright) ne ho fatto un altro per continuare a pubblicare la fanfiction che avevo lasciato in sospeso in quell'account. Quindi questo capitolo è il continuo di questa fanfiction www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=920736&i=1 scusate il ritardo immenso e spero che vi piaccia :)

Nelle settimane seguenti Nick si prese cura di Cassie nonostante i suoi continui "sto bene", "non occorre che lo fai" e "puoi anche smetterla adesso". Mangiavano quasi sempre insieme, Nick si presentava a casa sua con la colazione, il pranzo o la cena e restavano nelle scale del palazzo a parlare finché lui non era costretto a tornare a lavoro o lei a scuola. Diverse volte Nick le aveva chiesto di entrare in casa invece di mangiare sulle scale ma Cassie aveva rifiutato ogni volta con una scusa diversa finché Nick si stancò di chiedere una risposta che non sarebbe mai arrivata. Si dice che la casa rispecchia chi ci abita e Cassie non voleva far trasparire più niente della sua vita, non voleva mostrargli il casino in cui viveva. Durante i pasti parlavano del più e del meno, di ciò che avevano fatto nel tempo in cui non erano stati insieme. Pian piano il ragazzo con gli occhi color nocciola scioglieva la corazza della ragazza con gli occhi color ghiaccio. Giorno per giorno Nick entrava dentro Cassie e più penetrava all'interno più era difficile da respingere. Con tutte le armi in suo possesso Cassie cercava un modo per respingerlo, per fare in modo che anni di difesa non andassero vani ma ad ogni sguardo, ad ogni tocco, ad ogni parola gentile i suoi sforzi scomparivano ancora una volta nel nulla. Spesso litigavano, si urlavano l'un l'altro disturbando l'intero condominio, litigavano per i modi scontrosi che Cassie aveva nonostante tutto o per le continue attenzioni che Nick le dava trattandola come una creatura bisognosa. Si dissero "addio" ripetute volte ma il giorno seguente Nick tornava a bussare alla sua porta, lei sussurrava uno "scusa" e i due si risedevano a mangiare tra quei gradini. Dentro Cassie la voce che le diceva di cambiare, di dover dimagrire continuava ad esistere ma se prima le bastava sussurrare per farsi sentire forte e chiaro adesso doveva alzare un po' il volume e per lei era un gran passo avanti.
«A cosa pensi?» chiese Nick prima di dare un altro morso al suo hamburger una domenica a pranzo.
«Al fatto che nessuno ha mai fatto una cosa così per me» rispose lei. Era la prima volta che lasciava scivolare un pensiero fuori dalla sua mente condividendolo con qualcuno. Lo aveva lasciato andare dal cervello alla bocca che lo aveva liberato come un uccello da una gabbia lasciandolo volare nelle orecchie altrui. Nick guardò la ragazza porgendole un sorriso a base di carne e insalata. «Idiota» Cassie accompagnò l'insulto da una sonora risata e una spinta amichevole, proprio come si faceva tra amici di vecchia data.
«Dovrei passare meno tempo con Joe» disse lui dopo aver mandato giù il boccone di cibo.
«Dovresti sicuramente» rispose lei regalandogli un altro sorriso. Finirono di mangiare tra scherzi e risate come erano soliti fare nelle giornate in cui tutto sembrava andare bene, in cui Cassie si lasciava andare e Nick accoglieva l'occasione a braccia aperte.
«Ti voglio bene» le disse infine prima di ritornare a teatro, le diede un bacio sulla fronte scostando il ciuffo di capelli biondi che la copriva e scese le scale di fretta portando i rifiuti del pranzo con se. Cassie rientrò in casa attenta a non farsi sentire, mise i compiti per l'indomani in uno zaino e mettendosi davanti allo specchio legò i lunghi capelli biondi in una coda da cavallo e si soffermò di nuovo ad esaminare il suo corpo imperfetto. Da quando era uscita dall'ospedale aveva messo su diversi chili che nel suo corpo arrivato a pesare solo quasi il peso delle ossa non facevano altro che farle bene. La pancia piatta che lei continuava a vedere troppo piena di grasso era coperta da una maglia nera a maniche corte con su scritto "i will hide myself away, save all of these people for another day" con inchiostro rosso e una calligrafia corsiva. Le gambe lunghe erano coperte dai soliti jeans chiari, non sarebbe mai riuscita a mettere dei pantaloni più corti. Ai piedi continuava a portare le converse che l'accompagnavano ovunque. I suoi occhi azzurri continuavano a scrutare la figura allo specchio dall'alto verso il basso e viceversa trovando bella solo la maglietta che portava addosso. Tutti criticano le persone che si vedono belle, quelle che non hanno paura di pesarsi per vedere la bilancia segnare i chili di troppo, quelle che sanno di essere belle e se ne vantano, Cassie semplicemente le invidiava. Invidiava la loro sicurezza nell'approcciarsi con le persone, il loro vedersi sempre belle e al loro posto nel mondo, le invidiava sapendo che lei non sarebbe mai riuscita ad essere così anche con accanto tutti i Nick Jonas del mondo. Prima di tirare un calcio allo specchio portandosi con se altri sette buoni anni di sfiga si mise lo zaino in spalla e uscì di casa. Non molto lontano da casa sua si trovava un parco non tanto grande in cui spesso era andata in questi anni per allontanarsi da tutto quello che le occupava la mente, o almeno per provare a farlo. Più la vita in casa si faceva dura più lei si rifugiava in quel posto, era privo di ricordi di qualsiasi genere, solo alberi, panchine, erba e qualche grattacielo in lontananza la circondavano. Si sedette sotto l'ombra di un albero, la schiena poggiata contro la corteggia di quest'ultimo e iniziò a studiare. Liberò il cervello da tutto lasciando che i pensieri le scivolassero via e si poggiassero come rugiada sull'erba. Passò quasi tutto il pomeriggio lì, tra i libri di scuola e il rumore del vento fresco che attraversava le foglie finché quando, fattasi quasi sera, non decise di rimettersi sui suoi passi e ritornare a casa.
«Cassie» sentì urlare la ragazza da una voce non troppo lontana quando era ormai sulla soglia di casa. Si guardò intorno e vide dall'altro lato del marciapiede un ragazzo farle cenno di saluto con la mano, doveva essere stato lui a chiamarla. Non capì chi fosse finché non attraversò la strada per raggiungerla e Cassie riuscì ad accorgersi dei suoi meravigliosi occhi verdi che ricordava alla perfezione.
«Kevin giusto?» chiese lei insicura sul nome. Lui fece un segno di consenso con la testa e cambiò discorso con domande generali sulla vita e su come stava adesso.
«Sono sempre stata bene» rispose dipingendosi un sorriso sul volto.
«Nick mi aveva detto che avresti risposto così» accompagnò la risposta con una risata in modo da non trasformare una discussione di "cortesia" in una lite come quasi accadeva con Nick.
«Io direi che Nick parla anche troppo» rise anche lei stando al gioco. Kevin le aveva subito fatto un'ottima impressione nonostante il suo riluttante modo di porsi nelle relazioni personali.
«Forse» fece una piccola risata e poi aggiunse senza spegnere quel sorriso brillante
«Io sto andando a casa di Nick a cenare insieme a lui e a Joe, ti andrebbe di venire?» Cassie prima di rispondere guardò in alto verso la finestra di casa sua e poi di nuovo gli occhi del ragazzo davanti a lei. Valutò le opzioni che aveva: salire a casa, non cenare e rinchiudersi in camera sperando in un aiuto che non sarebbe mai arrivato o andare a piedi fino a casa di Nicholas, cenare e parlare con qualcuno. Non avrebbe mai detto che avrebbe optato per un'opzione che comprendeva mangiare e socializzare ma così fece.
«Va bene» rispose infine e seguì Kevin facendosi fare strada. Pochi isolati dopo il fratello maggiore si fermò nel portone d'ingresso di un condominio, prese le chiavi che aveva in tasca e lo aprì. I due entrarono nel grande ingresso, Kevin sempre in vantaggio di qualche passo, e si diressero verso l'ascensore posizionato a destra. L'appartamento si trovava al settimo piano.
«Kevin spero sia tu o potrei anche iniziare a mangiare i tavoli e le sedie per la fame» Cassie riconobbe subito la voce del ragazzo che l'aveva fatta ridere durante l'insopportabile cena con il cast del musical. Sembrava tutto avvenuto secoli fa ma in realtà erano passati solo un paio di mesi, strano il tempo come riesca ad assumere per la maggior parte delle volte una concezione più soggettiva che oggettiva. Ci sono momenti che vorresti non finissero mai che, invece, sembrano durare solo pochi secondi e momenti che vorresti passassero tanto in fretta da poterli subito cancellare che finiscono per durare mesi se non addirittura anni. L'uomo crede di poter controllare tutto, di poter agire e cambiare l'incambiabile ma alla fine ci sono cose che lo fregheranno sempre, il tempo è una di questa. Il tempo per quanto possa sembrare regolabile e gestibile in realtà è talmente furbo da ingannare l'uomo senza che questo se ne accorga, se ne burla felice senza difficoltà. 
«Direi che ti ho evitato una bella indigestione!» replicò Kevin al fratello minore. Joe finse una falsa risata lasciando cadere il discorso al profumo del cibo cinese portato da Kevin appena entrato in cucina seguito da Cassie.
«Perché non mi hai detto che c'era qualcuno con te?» disse rivolgendosi al fratello e senza dargli il tempo di rispondere si voltò verso la ragazza «Cassie, l'amica di Nick, giusto?» fece cenno di si e pose la stessa domanda «Joe, giusto?» Questo annuì con un sorriso e prese a chiamare il fratello minore che armeggiava con qualcosa nella stanza adiacente alla cucina. «Nicholas Jerry Jonas ho fame!» urlò infine quando il fratello non si decideva ancora a venire. «Non è educato fare aspettare gli ospiti»
«Tu non sei un ospite, sei mio fratello» rispose entrando in cucina e fermatosi alla vista di Cassie.
«Io no, ma lei si» rispose Joe a tono, sapendo di avere la vittoria in mano per quella piccola discussione tra fratelli.
«Ho incontrato Kevin per strada e mi ha chiesto di venire» disse leggendo l'espressione interrogativa sul volto di Nick che le stava di fronte. «Se vuoi vado via, ci sto due minuti» aggiunse lei, poi. Fece un respiro profondo e rispose «No, resta». I quattro si sedettero a tavola, ognuno prese una porzione di cibo e iniziarono a mangiare. Kevin, Joe e successivamente anche Nick parlarono di alcune "divergenze" sulle canzoni in fase di elaborazione, Cassie si limitò ad ascoltare tentando di comprendere qualcosa ma durante la discussione tutto ciò che riuscì a capire fu soltanto che avevano in progetto di registrare un nuovo album come band. Girava le bacchette cinesi nel piatto ancora metà pieno e si perse per un paio di minuti nelle voci contorte che la sua mente elaborava per lei nei momenti meno opportuni. Ripensò allo sguardo di Nick con cui le aveva quasi sputato in faccia quel "resta", lo sguardo che si rivolge solo ad una persona che non dovrebbe stare lì in quel momento.
«Cassie?» la chiamò Joe riportandola indietro sul pianeta terra.
«Si, dicevate?»
«Che pensavamo fossi entrata in una sorta di trans» disse ridendo e aspettando che qualcun altro ridesse insieme a lui.
«Ridere alle tue stesse battute non le renderà divertenti» rispose Cassie accompagnata dal suono della risata di Nick e Kevin che manifestò una particolare approvazione battendole il cinque. Rivolse il suo sguardo verso Nick e riuscì ad intravedere il sorriso sulle sue labbra mentre gli occhi erano abbassati verso il cibo. Odiava così tanto il fatto di non riuscire più a prendere le distanze da quel sorriso. Odiava avere la consapevolezza di quello che stava succedendo dentro di lei. Ricordò che un giorno una bambina arrivata in città da poco si avvicinò a lei provando a stringere amicizia. Erano ormai due anni che suo padre se n’era andato, due anni che aveva conosciuto in fondo quanto i bambini nella loro ingenuità possano essere cattivi, imbottiti di pregiudizi dai genitori stessi, avevano iniziato a chiamarla “scarto” a urlarle dietro che neanche suo padre voleva più vederla di quanto fosse brutta. Fu in quel periodo che iniziò a costruire la sua corazza per dimostrare a tutti che lei era la più forte e non la più debole. Quel giorno la bambina si sedette vicino a Cassie e cercò di parlare, lei non rispose e per mandarla via le urlò bruscamente di andarsene, lei prima di alzarsi rispose con una frase che non si sarebbe mai aspettata “anche il ghiaccio si scioglie prima o poi”. Era come se quella bambina a nove anni sapesse cosa stesse succedendo dentro di lei e cosa sarebbe successo poi. Quella frase le tornò in mente proprio perché era esattamente quello che stava succedendo, tutta la parte fredda dentro di lei si scioglieva e ritornava così ad essere vulnerabile, con un’incredibile paura di essere ferita, la stessa che poteva avere un soldato in guerra senza protezioni, armi e munizioni. La voce di Joe che la chiamava la riportò alla realtà, aveva una strana capacità di perdersi nei suoi pensieri quella sera. «Cassie vieni in salone con noi o resti lì a contemplare il cibo?» La ragazza si alzò dal tavolo e seguì i tre sul divano lasciandosi alle spalle la porzione di cibo non del tutto finita.
«E adesso che siamo tutti qui che volete fare? Mettervi a cantare e a suonare come nei film?» disse Cassie sforzandosi di ingoiare tutti i pensieri e sembrare il più normale possibile per una volta.
«Non sarebbe poi una così cattiva idea» rispose Joe porgendo a Nick la chitarra che si trovava appoggiata sul piedistallo vicino la parete. «Facciamo una gara, inizia Nick e il giudice è Cassie» continuò poi sedendosi di nuovo sul divano.
«Solo tu puoi proporre una cosa del genere» rispose Kevin ridendo.
«Io ci sto» esordì Nick iniziando ad accordare la chitarra.
«Kevin vuoi fare la parte del fifone?» disse Joe provocando l’orgoglio del fratello che accettò solo per farlo stare zitto.
«Facciamolo» disse infine Cassie dando il via alla competizione. Nick si spostò nel posto libero accanto a Cassie e iniziò a cantare «white lips, pale facebreathing in snowflakes, burnt lungs, sour taste, light’s gone, day’s end..» conosceva quella canzone, “the A team” di Ed Sheeran, le era capitato di ascoltarla la sera alla radio e l’aveva sempre colpita, ci si ritrovava in alcuni passi e trovava quasi assurdo che di tutte le canzoni esistenti al mondo avesse deciso di cantare quella. Le sue mani scorrevano nella chitarra suonando ogni nota e la sua voce riempiva l’aria della stanza come una dolce melodia, strofa dopo strofa cantava e suonava quella canzone imprimendola di emozioni. I suoi occhi erano fissi in quelli di Cassie e a sua volta la ragazza non riusciva a distogliere lo sguardo da lui. In quel momento aveva capito perché miliardi di ragazzine le andavano dietro senza neanche conoscerlo, era capace di infondere magia nell’aria. «It’s too coldfor angels to fly, angels to fly, angels to die» pronunciò le ultime parole della canzone e le sorrise rivolgendole uno sguardo carico di significato. Il suono del citofono spezzò l’atmosfera come la sveglia spezza i sogni al mattino. Nick si alzò lasciando la chitarra sul divano e andò ad aprire la porta, la ragazza fuori dalla porta urlò “amore” e gli si buttò al collo come una piovra fa con la sua preda o come Winnie The Pooh si potrebbe attaccare al suo barattolo di miele. Era la ragazza dall’aspetto perfetto che Cassie aveva visto baciarsi con Nick da Starbucks prima di svenire. Dopo averlo strizzato come si fa con un panno bagnato lo lasciò andare, Cassie si chiese da quanto tempo non si vedessero per giustificare quel saluto esagerato anche tra fidanzati. «Si sono visti sta mattina» le sussurrò Kevin all’orecchio intuendo la sua domanda. Cassie rispose guardandolo stranita e Kevin fece un segno con la testa di tutta risposta.
«E lei chi sarebbe?» chiese con la stessa espressione di un ricco snob che guarda un povero mendicante.
Stava per rispondere ma Nick la precedette «La fidanzata di Joe». I due si scambiarono uno sguardo stupiti e rivolsero poi la loro attenzione a Nick riuscendo a stento a trattenere una sonora esclamazione di stupore. Cassie si maledì tra sé e sé un ultima volta prima di afferrare il suo cappotto e uscire da quella casa il più in fretta che poté.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** (9) Let me know your good sides. ***


Scese i sette piani di scale di corsa e senza neanche accorgersene si ritrovò in strada, pioveva.
Non aveva voglia di tornare a casa così si sedette su una panchina lì vicino sotto la pioggia ad osservare i passanti che cercavano di ripararsi sotto i portici dei palazzi o che sotto l’ombrello camminavano per tornare a casa. La pioggia le era sempre piaciuta, pensava che avesse il potere di nascondere i sentimenti, ovvero di fare quello che lei aveva sempre voluto. Tutti sono indaffarati a coprirsi il volto durante la pioggia così se tu lo fai per qualche altro motivo nessuno se ne accorge, se piangi quelle che ti rigano il volto non sembrano lacrime ma gocce di pioggia venutasi a poggiare sul tuo volto scoperto. Era questo che l’affascinava della pioggia, il potere di mimetizzarsi in essa.
«Cassie» sentì la voce di Joe che la chiamava dal portone, non rispose. Si sentì chiamare un’ultima volta prima di sentire il rumore del portone chiudersi. La pioggia continuava ad aumentare, si mise il cappuccio in testa e decise di tornare a casa. La luce dei lampioni le fece compagnia durante tutto il cammino evitandole di cadere in qualche pozzanghera o di sbattere contro altri sconosciuti da cui sarebbe scaturito un altro idilliaco rapporto di odio e amicizia, per quella sera ne aveva avuto abbastanza. Le ritornò in mente quel “è la fidanzata di Joe” che aveva sentito dire pochi minuti prima, Cassie si chiese se era davvero così senza speranza da non poter essere presentata come una sua amica ma come la ragazza di qualcun altro tanto per far capire che lui con lei non aveva nessun tipo di rapporto. Si disse che evidentemente la risposta a quella domanda era si e non capiva perché se ne stupisse così tanto. Con quei pensieri in testa arrivò di fronte al portone di casa sua, prese le chiavi dalla tasca dei jeans e lo aprì, salite le scale prima di entrare in casa poggiò un orecchio alla porta assicurandosi che fosse tutto tranquillo, silenzio totale. Aprì la porta di casa e camminò fino alla camera di sua madre lasciando ad ogni passo l’impronta delle scarpe bagnate sul pavimento che si sarebbe ritrovata a pulire pochi minuti dopo. La porta della camera era semi aperta, la luce spenta, guardò all’interno sfruttando la luce che proveniva dal corridoio e vide sua madre avvinghiata a John, entrambi coperti solo dal lenzuolo, trattenne a stento un esclamazione di disgusto. Sotto quella fosca luce intravide anche il sorriso stampato sul volto di sua madre, doveva ancora comprendere come un uomo del genere potesse renderla felice. Si era sempre detta che era quello che provocava il bisogno d’amore e di non sentirsi soli, probabilmente se fosse stata in grado di avvicinarsi di più a lei quando suo padre se n’era andato non avrebbe reagito così. La vedeva ormai distrutta, agli ordini di un uomo incapace di amare qualcosa al di fuori di se stesso e delle partite di football e per quanta indifferenza e odio corresse tra le due ormai, a Cassie dispiaceva vedere le condizioni in cui si era ridotta sua madre. A volte le capitava di immaginare come sarebbe stata la sua vita se suo padre non se ne fosse andato dieci anni fa, credeva che sarebbe stata una vita perfetta ma probabilmente non sarebbe stato davvero così. Si ritrovava ancora una volta a pensare ai primi sette anni della sua vita e non poteva che ricordarli come i migliori, ricordava suo padre come un buon uomo che trovava il tempo di portarla al parco e di farle girare New York e sua madre come una buona donna che ogni sera si prendeva un momento per raccontarle una storia per farla addormentare col sorriso. Forse niente di quello che ricordava era vero e la sua mente si era inventata tutto solo per darle un po’ di pace ogni tanto o ancora più tormento, quello doveva ancora deciderlo. Si allontanò dalla camera di sua madre e andò spogliarsi dei vestiti bagnati in bagno approfittando dell’insolita pace in cui quella sera era immersa la casa per farsi una doccia. Lasciò che i suoi pensieri le scivolassero addosso come l’acqua scivolava sulla sua pelle nuda e lasciò che finissero nello scarico della doccia esattamente come quest’ultima. Si avvolse nell’accappatoio, si guardò allo specchio del bagno e cominciò a pettinare i lunghi capelli biondi bagnati. Finita quell’ardua impresa abbandonò l’accappatoio per mettersi il pigiama e portando con sé il piccolo fono si rintanò in camera ad asciugarsi i capelli pregando che il rumore non svegliasse nessuno. Poco dopo crollò sul letto con i capelli non del tutto asciutti.
La mattina seguente si svegliò con un forte mal di testa provocato dall’aver dormito sul cuscino bagnato dai capelli, la sveglia segnava le sette e mezza, era ancora una volta in ritardo. Si alzò e si vestì più in fretta che poté per non perdere lo scuolabus che sarebbe passato da lì a poco alla fermata vicino casa sua. Stava per uscire quando si ricordò di aver scordato lo zaino con tutti i libri all’appartamento di Nick la scorsa sera, si maledì di nuovo per essere stata tanto idiota. Scese comunque le scale con l’intenzione di andare a scuola senza libri, sempre meglio di stare a casa. Quando chiuse alle sue spalle il portone di casa si accorse subito della macchina, che aveva ormai imparato a riconoscere, parcheggiata lì di fronte, la macchina del celebre e adorato Nick Jonas. La ignorò e proseguì velocemente verso la fermata dello scuolabus.
«Vai a scuola senza libri?» disse Nick uscendo la testa e il braccio per sventolare lo zaino fuori dal finestrino. Cassie si avvicinò per strapparglielo dalle mani ma lui lo gettò prontamente nel sedile posteriore. 
«Ti accompagno a scuola, sali in macchina» continuò.
«Rifiuto l’offerta e vado avanti, dammi lo zaino e basta» rispose Cassie sfoderando uno dei suoi sorrisi acidi migliori.
«Lo scuolabus è già passato, non ti conviene fare la strada a piedi considerando che sei già in grosso ritardo»
«Non sono affari tuoi» rispose cercando un modo per riprendersi lo zaino.
«Entra in macchina Cassie» le disse infine afferrandole il braccio. Si scrollò velocemente dalla sua presa e non avendo altro modo per riprendersi lo zaino fece come gli aveva detto.
«Perché sei scappata via ieri?» disse aprendo la discussione che Cassie avrebbe volentieri evitato dopo aver messo in moto.
«Stai sbagliando strada, la mia scuola non è da quel lato» rispose ignorando totalmente la domanda di Nick.
«Rispondimi» disse spostando lo sguardo dalla strada al volto della ragazza che guardava fuori dal finestrino.
Cassie si voltò e sbuffando rispose con una comica imitazione degli eventi della sera precedente «”Amore chi è questa?” “La fidanzata di Joe”» continuò poi riportando la sua voce dal tono alterato dell’imitazione a quello normale «Mi perdonerai se non avevo voglia di rimanere lì ad essere presa per il culo».
«Non capisci»
«Oh Nicholas ci fosse una volta che capisco qualcosa per te» disse alzando il volume della voce «Ti prego tu che sai tutto spiegami come va il mondo» continuò con un accento fortemente ironico nella sua voce.
«Cosa avrei dovuto dire secondo te?» rispose alzando anche lui il tono della voce. Odiava ogni volta che Cassie si comportava così, vedendo solo ciò che voleva e cogliendo ogni piccola occasione per litigare e alzare la voce.
«La verità?»
«Tipo?»
«Tipo lei è Cassie ed è una mia amica con cui rido e scherzo ogni giorno da quasi un mese o faccio troppo schifo per essere presentata alla tua amata come un’amica?»
«Cassie..» rispose lasciando la frase in sospeso.
«Okay, ferma la macchina, abbiamo chiuso» disse afferrando lo zaino e mettendo la mano nella maniglia dello sportello pronta ad uscire appena la macchina si sarebbe fermata. «Fermala!» urlò poi quando vide che Nick non aveva intenzione di farlo. Accostò vicino al marciapiede e prima che uscisse l’afferrò per il braccio, la ragazza si voltò verso di lui e Nick prese a parlare «Ragiona Cassie, se facevi troppo schifo per essere presentata come mia amica quel giorno non ti avrei portato alla cena con il cast del teatro e non ti avrei presentato ai miei fratelli» si fermò in cerca di una risposta anche solo dai suoi occhi, non arrivò nulla e riprese a parlare «Hai un miliardo di difetti, è vero, ma sento che i tuoi pregi li compensano tutti, lasciami il privilegio di conoscerli».
I due si guardarono negli occhi in silenzio come se comunicassero solo con lo sguardo.
«Non puoi pretendere di imbonirmi ogni volta con le belle parole e credere che tutto vada bene» rispose Cassie esausta di quella litigata che risultava quasi più faticosa di una maratona.
«Funzionerebbe di più se li mettessi in musica?» accompagnò la domanda con un sorriso che rischiarò la giornata nuvolosa di New York. Cassie si lasciò sfuggire un piccolo sorriso che tentò di nascondere all’istante. «Ti voglio bene» le disse portandole il ciuffo biondo dietro l’orecchio, le accarezzò il volto e le  diede un bacio sulla guancia. Cassie avrebbe tanto voluto dire che non era felice di tutto ciò ma non poteva, dentro di sé riusciva a sentire un fuoco caldo appena acceso che la riscaldava come aveva sempre immaginato che l’amore riscaldasse le persone.
«Si è fatto troppo tardi per la scuola» disse rivolgendo lo sguardo all’orologio della macchina.
«E allora dove mi porti?» chiese guardandolo in tono di sfida.
«Lei dove vuole essere portata, signorina?» le rivolse un dolce sorriso, uno di quelli che faceva morire tutte le ragazzine urlanti.
Ci pensò su per un paio di secondi e poi rispose «Su una stella».
«E su una stella sia» disse girando le chiavi nel cruscotto mettendo in moto la macchina. Parcheggiò l’auto pochi minuti dopo all’ingresso di un parco. Scese e prima che Cassie facesse lo stesso andò ad aprirle la portiera, fece una riverenza e disse «Eccoci arrivati a destinazione».
«Certo che hai una strana concezione di stella eh» disse Cassie scoppiando a ridergli in faccia. Chiusa l’auto Nick la prese per mano e la trascinò all’interno del parco tra l’ombra degli alberi e la pace che il cinguettio degli uccelli trasmetteva. Lì persero la concezione del tempo, le ore passavano ma nessuno dei due se ne accorgeva. Restarono in quel posto a rotolarsi e a rincorrersi tra l’erba fresca ancora bagnata per la pioggia della scorsa sera per ore. Come dei bambini passavano da momenti in cui si insultavano a momenti in cui non potevano fare altro che ridere insieme, anche solo guardandosi. Come era sempre stato nel loro rapporto momenti di odio e di amore si alternavano pacificamente in un ciclo continuo senza fine. Si abbracciarono stringendosi forte l’uno all’altro come se tutto quello che li teneva aggrappati a quell’universo fossero loro stessi, si saltavano addosso amichevolmente lasciando che tra i loro volti rimanessero solo pochi millimetri.
Non esiste un momento preciso in cui da conoscenti si diventa amici, in cui da amici si diventa migliori amici né esiste un momento preciso in cui l’amicizia si trasforma in amore ma forse quello fu esattamente il momento in cui tutto si fermò per un istante lasciando che i sentimenti, quelli veri, sbocciassero come i fiori sbocciano in primavera. Lì iniziò la manifestazione di un amore che nessuno dei due aveva intenzione di ammettere principalmente per paura, un amore che entrambi sentivano crescere di più ad ogni sorriso, ad ogni sguardo e ad ogni parola. Non c’è un momento esatto in cui un “ti voglio bene” cessa di essere tale per significare qualcosa di più grande ma quello probabilmente fu il momento in cui quell’amore segreto e per un certo verso illegale si manifestò per la prima volta riscaldando dentro entrambi e rendendo quell’aria di maggio un po’ più magica

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** (10) You suck. ***


C'è l’abitudine di chiamare alcune cose “necessarie”, necessarie per il benessere fisico o morale dell’essere umano. Si pensa che l’amore in tutte le sue forme sia necessario, si pensa che ognuno abbia bisogno di una persona al proprio fianco, di qualcuno che ti apprezzi per quello che sei e che sia pronto a scegliere sempre te in qualsiasi situazione, qualcuno che ti faccia sentire a posto nel mondo. Per alcune persone questo è talmente scontato che hanno la persona giusta accanto e neanche sono in grado di accorgersene. Alcuni danno per scontato che la parola “amicizia” tenga in se intrinseco il concetto di aiutarsi a vicenda, io aiuto te e tu aiuti me. Altri invece sanno che non è poi così ovvio aiutarsi a vicenda, che non è ovvio contare l’uno sull’altro ciecamente, che non è ovvio proprio niente in questo mondo. Neanche respirare o camminare sono cose ovvie, perché allora dare per scontato cose che sembrerebbero esserlo molto di meno rispetto alle funzioni principali di cui l’essere umano è di norma fornito alla nascita? Probabilmente non c’è una vera risposta a questa domanda, si potrebbe pensare che si è semplicemente fatti così. Si pensa che l’essere umano in quanto tale abbia maggiore ragione, maggiore intelletto ma nella maggior parte dei casi ci si sbaglia. L’uomo è stato in grado di costruire miliardi di congegni per porre fine ad una vita umana, un topo non avrebbe mai pensato di costruire una trappola per topi. Si potrebbe dire che l’uomo avendo maggiori qualità intellettive è in grado di fare cose maggiori e di più grande ingegno rispetto ai topi ma la verità è che l’uomo sa usare il suo “grande intelletto” solo per distruggersi da solo, prima si crea le malattie e poi cerca la cura. Ciò si ripercuote su tutto, probabilmente l’essere umano è l’animale più masochista al mondo. L’essere umano è in balia delle sue emozioni, ogni sua azione è condizionata da un emozione, da qualcosa che avvolge dentro tutto il corpo e spinge il cervello a pensare, a compiere azioni stupide o meno. L’uomo ha l’abitudine di non mettere nessuno sopra di sé, di credere di non essere condizionato da niente e da nessuno ma basterebbe pensarci un attimo per rendersi conto che sono solo congetture utilizzate per non sentirsi tanto insignificanti. Esso è condizionato dalle emozioni, dal tempo, dallo spazio, dalla distanza e da altri miliardi di cose che semplicemente non è in grado di controllare. Negli esseri più fragili spesso si vanno a creare delle barriere, esattamente come i porcospini quando hanno paura di essere sopraffatti fanno uscire fuori gli aculei così loro mettono su una barriera attorno a loro. E’ una barriera invisibile agli occhi altrui ma percepibile al tatto. Quando una persona ha messo su uno scudo tra lei e il mondo esterno lo si può percepire chiaramente al contatto, non un contatto fisico ma “spirituale”. Ed è esattamente così che le persone più forti agli occhi del mondo risultano essere le più deboli. E’ talmente difficile trovare quella persona che si accorga e si interessi a scoprire quello che c’è dentro oltre che fuori che la barriera funziona al 99,9%. Continua a funzionare alla perfezione finché non trovi quella persona in grado di aprirsi un varco senza che tu te ne accorga, in silenzio, sorrisi dopo sorrisi e parole dopo parole riesce ad arrivare alla piccola persona nascosta dentro quelle grosse e spesse mura, un po’ come il principe salva la principessa dalle grinfie del drago. Spesso ci si abitua così tanto ad essere soli con se stessi, a tenersi tutto dentro nascondendo anche la minima cosa che quello che per altri potrebbe essere considerato “salvezza” e “liberazione” altri lo considerano come un danno, un danno a tutto ciò che hanno costruito fin a quel momento per proteggersi. Cassie vedeva così il suo rapporto con Nick, come una salvezza alla quale non avrebbe dovuto aggrapparsi ma piuttosto si sarebbe dovuta allontanare. Era tutto un gioco di molle tra loro due, ogni volta che lasciava uno spazio scoperto di lei ai suoi occhi tentava di ricoprirlo subito dopo sperando che quel magnifico ragazzo dimenticasse tutto solo che lui non lo faceva mai. Non scordava nessun pezzo di lei, sembrava li tenesse nel suo cuore come pezzi di un puzzle prezioso e ogni giorno cercava di recuperarne un altro. Ed era per il suo modo di dimostrare che ci teneva e per la sensazione di avere finalmente qualcuno accanto che Cassie spesso si lasciava andare credendo che per la prima volta non si sarebbe pentita di tutto ciò anche se, una volta sola, si ripeteva tassativamente di non farlo più, di non lasciarsi andare perché ricostruire tutto sarebbe stato più faticoso di tenerlo in piedi adesso. Aveva passato così l’estate, giocando, scherzando e litigando con Nick come due bambini mentre quei pensieri prendevano sempre più spazio nella sua testa. Ogni volta si ripeteva “è l’ultima volta che ti lasci andare” ma quella sua ultima volta era uguale a quella di un fumatore incallito che ripeteva agli amici “è l’ultima sigaretta”, ovvero durava solo finché non rivedeva un pacco di sigarette o per meglio dire finché non rivedeva il suo sorriso.
«Ti porto a Los Angeles» disse un giorno presentandosi alla porta di casa sua.
«Nicholas lo sai che non dovresti bere troppo» rispose Cassie chiudendosi la porta di casa alle spalle.
«Non sto scherzando, partiamo questa sera»
«Tu sei pazzo, davvero» disse ridendo.
«Dai Cassie, vieni con noi» rispose sedendosi accanto a lei sulle scale che erano state scenario di tanti pranzi e colazioni insieme.
«Tu sei fuori di testa» continuò a ridere non prendendo quelle parole neanche lontanamente seriamente.
«Cassie» disse afferrando le sue mani e stringendole tra le sue «Vieni con me a Los Angeles» guardò intensamente i suoi occhi azzurri attendendo una risposta che non comprendesse un “sei pazzo” o “sei fuori di testa”, lì Cassie capì che Nick faceva sul serio. «Anche se volessi non ho i soldi per partire»
«Fregatene» rispose non curante «Dimmi solo se vuoi partire o no».
C’erano miliardi di motivi per cui avrebbe dovuto rifiutare quella proposta e svolazzavano tutti dentro il suo cervello come uccelli a primavera, ma ce n’erano altrettanti per cui la sua bocca la spingeva a dire di si. Adesso bisognava solo decidere quali era più opportuno seguire, era iniziata un’altra battaglia mentale e mentre si combatte è sempre difficile decidere chi ha torto o ragione.
«E se ti dicessi di no?»
«Lo prenderei come un si» rispose accompagnando quelle parole con uno dei suoi rari sorrisi.
«Quindi se ti dico di si lo prendi come un no?»
«No, lo prendo come un si»
«E allora cosa devo dire per dirti di no?» chiese mostrandosi confusa.
«Niente, non puoi scappare» fece una pausa alzandosi dalle scale «Fatti trovare pronta alle otto» rispose stampando le sue labbra sulla sua fronte prima di scendere le scale e chiudersi il portone alle spalle, non le aveva neanche lasciato il tempo di replicare. Entrò di nuovo in casa e guardò l’orologio affisso sulla parete, aveva circa cinque ore per preparare il tutto. Si strinse i capelli in una lunga coda e iniziò a farsi una piccola lista mentale di ciò che doveva prendere. “Una valigia, Cassie, ti serve una valigia” si disse tra sé e sé, non era neanche sicura di averla una valigia dato che non si era mai allontanata da New York tranne quando qualche volta durante le feste natalizie suo padre la lasciava a dormire dai nonni che abitavano in New Jersey, ma quello non poteva esattamente chiamarsi un viaggio. Ricordò che quando doveva fare le valigie suo padre prendeva sempre la valigia dall’armadio, scavò al suo interno sperando di trovarla e di non esserselo solo immaginato. La trovò, era rosa e con su scritto sopra con un pennarello il suo nome per intero, “Cassandra”, odiava quel nome con tutta se stessa. Non era capientissima ma se la sarebbe fatta bastare. Stava per iniziare a riempirla quando si accorse che non aveva la più pallida idea di cosa doverci mettere dentro, non sapeva che tempo facesse a Los Angeles in quel periodo né quanto sarebbero rimasti, non sapeva niente di niente di quel viaggio eppure era lì con la valigia sul letto pronta a fuggire da quella casa. Mise a soqquadro l’armadio gettando i vestiti un po’ ovunque nella camera e selezionando quello che secondo lei sarebbe potuto andare meglio, chiuse la valigia pressando con forza e andò in bagno a farsi una doccia, aveva ancora due ore prima delle otto.
Aprì l’acqua della doccia lasciandola riscaldare mentre si toglieva i vestiti e li poggiava sul mobiluccio accanto al lavandino, si sciolse la coda e lasciò che i lunghi capelli le cadessero di nuovo sulla schiena. Dopo essersi assicurata che l’acqua fosse abbastanza calda si infilò sotto di essa lasciando che questa lavasse via dal suo corpo ogni granello di sporcizia. Uscì dalla doccia dopo mezz’ora e avvolgendosi con un asciugamano si asciugò velocemente prima di passare a sistemare i suoi capelli. Prese il pettine e iniziò a pettinarli cercando di togliere tutti i nodi nel minor tempo possibile attuando una sorta di lotta contro i suoi capelli. Mentre le sue mani facevano ciò la sua mente divagava tra milioni di pensieri che per il 99% riguardavano il viaggio a Los Angeles. Si chiese se fosse il caso di domandare il permesso a sua madre o quanto meno di avvertirla quando si ricordò che non gliene sarebbe importato nulla. Che lei ci fosse o meno in quella casa non faceva nessuna differenza, anzi se era fuori era meglio così John avrebbe potuto approfittare di sua madre soddisfando i suoi animaleschi bisogni; non che non lo facesse normalmente anche quando lei fosse presente. Quasi tirò un sospiro di sollievo al pensiero che per un po' sarebbe stata lontana da tutto quello. Lasciò che i capelli bagnati e ormai del tutto pettinati gocciolassero ancora un po' sul tappetino del bagno prima di tornare in camera a vestirsi portando con sé i vestiti che si era tolta poco prima. Si tolse l'asciugamano che l'avvolgeva lasciando che cadesse sul pavimento e si vestì. Mise un paio di jeans e una maglia a maniche corte che aveva apposta lasciato fuori dalla valigia, si allacciò le converse ai piedi prima di ritornare in bagno a prendere alcuni trucchi e un pettine, da mettere in uno zaino che aveva preparato a parte, e il fono per asciugarsi i capelli ancora bagnati. Si sedette sul letto e iniziò ad asciugarli agitando il phon di qua e di là, aveva ancora tre quarti d'ora prima che Nick venisse a prenderla. 
Era passato circa un quarto d'ora quando sentì la porta di casa aprirsi e sbattere violentemente, John era tornato. «Alicia» urlò con la sua solita voce da camionista, sua madre non rispose ed effettivamente Cassie non sapeva neanche se in quel momento fosse in casa. Continuò ad asciugarsi le punte dei capelli abbassando la potenza del fono in modo che lui non lo sentisse. «Alicia dove cazzo sei?» urlò alzando ancora di più la voce e colpendo il muro del corridoio così forte da provocare un boato in tutta la casa, Cassie sperò vivamente che si fosse fatto male. «Puttana» urlò ancora una volta alzando la voce, se era possibile, più di prima. Diede un altro colpo al muro. Non ricevendo nessuna risposta entrò con prepotenza nella camera di Cassie. «Dove hai intenzione di andare con quelle valigie?» chiese indicando la valigia e lo zaino poggiati per terra. 
«Non sono affari tuoi» rispose dopo aver spento il fono. 
«Sono tuo padre certo che sono affari miei bambina» disse tutto ciò impregnando le parole di odio, esattamente il tono che poteva avere un sadico assassino parlando con la sua vittima prima di ucciderla. 
«Vai a farti fottere» scandì bene ogni singola parola assicurandosi che giungesse alle sue orecchie. 
«Stavo aspettando tua madre per quello ma se proprio insisti potresti farlo tu, tanto siete della stessa specie, due puttane» rispose avvicinandosi talmente tanto a Cassie che lei poté sentire il suo alito puzzare di droga e alcool. 
«Sarò anche una puttana ma non sarò mai tanto disperata da scopare con uno come te come lo è mia madre» si trattenne a malapena da sputargli in faccia. 
«Non imparerai mai» disse con un tono irritantemente tranquillo tirando fuori dalla tasca dei jeans un coltellino. Pose la lama vicino all'occhio destro di Cassie e premette forte tanto da far sussultare la ragazza mentre le prime gocce di sangue scendevano giù per la guancia. Cercò di allontanarlo ma ogni suo sforzo era inutile. «Quante volte devo ancora farti del male prima che impari a portarmi rispetto?» continuò facendo scendere la lama ancora un po' sul volto allungando il taglio. Cassie sussultò di nuovo. «Adesso non facciamo più le ribelli eh?» spinse la lama più in profondità lasciando che il sangue continuasse a colare sul suo volto sporcando di rosso la lama del coltellino. «Rispondi prima che ti rovini definitivamente questo tuo bel faccino» urlò John. «No» fu l'unica cosa che Cassie riuscì a pronunciare cercando di non lasciare intravedere la paura che le avvolgeva tutto il corpo. «No cosa?» urlò ancora più forte. «No, non faccio più la ribelle»
«Mi sembri poco convinta» disse allungando il taglio ancora di qualche millimetro. 
«No, non lo faccio più» rispose impregnando quelle parole di tutta la convinzione che possedeva. 
John stava per aprire bocca e dire qualcosa quando il rumore della porta sbattere e una voce che chiamava il suo nome lo interruppe. «Salvata in calcio d'angolo tesoro» disse allontanando la lama sporca di sangue dal volto di Cassie rimettendosela in tasca «Proprio quando stavo iniziando a divertirmi, che peccato» pronunciò queste parole accompagnandole con un sorriso che mostrava tutti i suoi denti ingialliti dal fumo e scomparve chiudendosi la porta alle spalle. Cassie si avvicinò allo specchio e portò la mano destra a toccare il grosso ed evidente taglio sul suo viso, sanguinava ancora e bruciava. Sarebbe dovuta andare in bagno per farlo smettere di sanguinare e disinfettarlo ma non osò uscire dalla camera sentendo ancora la grossa voce di John urlare contro sua madre. Si guardò intorno e visto il pacco di fazzoletti sulla scrivania ne prese uno e iniziò a pressare sulla ferita sporcandolo sempre più di sangue. Aspettò così davanti allo specchio finché il sangue non smise di scorrere fuori dal taglio e poté togliere il fazzoletto. Cercò poi di coprire la ferita con il trucco ottenendo solo dei scarsi risultati. Non era la prima volta che rispondeva male a John né la prima volta che le faceva del male ma non aveva mai usato armi prima d'ora, solo le sue mani. Continuava ad osservare il taglio e pregava che nessuno, men che meno Nick che sarebbe arrivato di lì a poco, lo notasse. Il vibrare del suo cellulare interruppe i suoi pensieri, era Nick. Lesse il messaggio che diceva "scendi, sono qui sotto", prese le valigie e attenta a non far nessun tipo di rumore uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle proprio mentre i soliti gemiti erano cominciati. Non lasciò nessun tipo di biglietto o di avvertimento, sua madre non si sarebbe accorta della sua assenza e se mai l'avesse fatto ne sarebbe stata sollevata, si era finalmente tolta di dosso il peso che suo padre le aveva scaricato. Nick l'aspettava appoggiato allo sportello dell'auto, le prese le valigie di mano e le mise nei sedili posteriori ritornando poi a sedersi al posto del guidatore. Cassie lo seguì entrando al posto del passeggero. «È stato facile convincere i tuoi genitori?» chiese una volta messa in moto l'auto. Fece solamente un cenno con la testa a significare un sì, attenta a non mostrare il lato graffiato. «Né tuo padre né tua madre hanno fatto storie?» in quel momento Cassie si sentiva come una bambina a cui era appena morta la nonna, che era il suo punto di riferimento, a cui le persone non smettevano di fare domande su di lei. Avrebbe voluto urlargli in faccia di smettere, avrebbe voluto prenderlo a pugni ad ogni parola che pronunciava ma si trattenne solo per evitare le milioni di domande che sarebbero state poste dopo una simile reazione. Fece un grandi respiro e rispose con il tono più tranquillo e naturale che potesse assumere «No, mi lasciano libera di prendere le mie scelte».
«Vuol dire che si fidano di te» disse spostando per un attimo lo sguardo dalla strada al suo volto. Era impossibile non notare la rigidezza del suo viso che si propagava in tutto il corpo, lo sguardo fisso sulla strada mentre pronunciava la sua risposta «Per fortuna si».
«Cassie?»
«Si?» disse con lo sguardo fisso sulla strada che continuava a muoversi sotto le ruote della macchina.
«Stai bene?» allontanò un’altra volta lo sguardo dalla strada per posarlo di nuovo su di lei e per notare ancora quella rigidezza mista alla preoccupazione che le attraversava tutto il corpo. Pronunciò un convinto “si” sperando che lui tornasse a guidare e lasciasse perdere le domande.
«Cassie..» lasciò la frase in sospeso sottintendendo il resto che Cassie colse alla perfezione.
«Sto bene Nick» per sbaglio alzò la voce non facendo che confermare la teoria che cresceva nelle mente del ragazzo.
«Cassie» pronunciò il suo nome in tono severo, quasi a rimproverarla perché le stava nascondendo qualcosa.
«Che vuoi Nicholas? Non riesci proprio a smettere di fare domande per due secondi? Guida e basta» sbottò alzando la voce ancora una volta.
«Ti sembro un tassista per caso?» rispose una volta accostata la macchina al marciapiede. Cassie non rispose, sapeva di essersi rivolta a lui in modo sgarbato e sbagliato ma tutte quelle domande e il bruciore provocato dal taglio non facevano altro che annebbiarle la parte razione del suo cervello. Voleva solo che smettesse di parlare dei suoi genitori o semplicemente smettesse di comportarsi in quel modo facendole credere che lei valesse qualcosa di più di quanto pensasse. Poggiò la mano sulla maniglia dello sportello ma non fece in tempo ad aprirlo e ad uscire che Nick afferrò il suo polso facendola voltare finalmente verso di lui. Fu in quel momento che si accorse del taglio che le attraversava la parte destra del volto. Delicatamente ci passò una mano come se magicamente potesse curarlo e farlo scomparire. Cassie sussultò «Fa male».
«Come te lo sei fatto?» chiese spostando lo sguardo dal taglio ai suoi occhi e poi di nuovo al taglio.
Esitò qualche secondo prima di rispondere «Ho sbattuto contro lo spigolo della porta», dopo averlo detto si complimentò con se stessa per aver trovato la scusa più idiota e inverosimile al mondo.
«A quest’ora avresti un livido non un taglio del genere» rispose, per una volta voleva la verità.
«Lo spigolo era tagliente» in quel momento si sentiva un arrampicatrice di specchi professionista.
«Per l’amor del cielo Cassie smetti di mentire e di aggiungere bugie su bugie, smettila» fece una pausa prima di continuare con voce ancora più severa «Dimmi la verità o puoi anche scendere all’istante da questa macchina e tornartene a casa a piedi». Cassie aprì lo sportello della macchina e scese facendo come le era stato detto. La guardò iniziare a camminare in direzione di casa sua per qualche secondo. “Idiota” si disse prima di uscire dall’auto sbattendo con forza la portiera e rincorrerla. Le afferrò il braccio e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Cosa vuoi Nicholas?» gli urlò in faccia cercando di fuggire alla sua presa. La gente per strada si voltò nella loro direzione per poi ritornare alle loro faccende. «Ho fatto quello che volevi, sono scesa dall’auto adesso lasciami in pace»
«Ho detto quello solo per spingerti a dire la verità, non credevo saresti scesa dall’auto»
«Non mi conosci abbastanza allora»
«Ti conosco abbastanza per sapere che non dici mai la verità su quello che ti succede» la guardò intensamente negli occhi sperando di riuscire a carpire qualcosa dal suo sguardo.
«Non vuoi sapere la verità» Cassie distolse lo sguardo spingendo Nick ad alzarle il mento con una mano in modo da ripristinare il contatto.
«Ti sbagli»
Cassie sbuffò, «Non sei il mio ragazzo né uno dei miei genitori, non sono tenuta a dirti nulla» erano delle parole talmente banali che conoscendolo dubitava avrebbe desistito nel suo intento solo per quello. Nick le prese il volto tra le mani e lasciò che le sue labbra si avvicinassero pericolosamente a quelle della ragazza come tante volte era successo quell’estate, solo un millimetro li divideva adesso. Attraversò quel millimetro con tutta la volontà e la forza che aveva in corpo facendo in modo che le loro labbra si toccassero. La tensione che attraversava il corpo di Cassie al primo impatto scomparì dopo poco lasciando che Nick la baciasse. In ogni storia d’amore la cosa più banale da pensare o da dire dopo un bacio è “le nostre labbra si completano” ma lì, per quanto fosse un bacio inaspettato e non programmato, sarebbe stata un’eresia non dirlo o quanto meno non pensarlo. Entrambi in quel preciso istante si accorsero di come quelle labbra fossero state create per completarsi in un bacio che sarebbe potuto durare all’infinito se l’infinito fosse esistito. Mentre le loro lingue si sfidavano in una sorta di danza era come se non ci fosse niente attorno a loro, come se non fossero in una strada popolata, come se lui non fosse un personaggio famoso e come se lui non avesse una ragazza bella quanto oca. Quando Cassie si rese conto di tutto tolse le mani dal collo di Nick e le poggiò sul suo petto allontanandolo violentemente.
«Perché?» chiese Nick cercando di riportarla vicino a sé.
«Fai schifo Nicholas» gli sputò quelle parole in faccia come se volesse infilargli milioni di aghi nel cuore.
«Non capisco» la guardò con aria confusa, un minuto prima lo baciava e il minuto dopo gli urlava che faceva schifo.
«Non capisci eh? Dio mio, mi hai baciato solo per sapere cosa ho fatto alla faccia e ti chiedi anche perché ti dico che fai schifo. Ti sembro un commerciante di droga con cui venire a patti? Tu mi baci e io ti racconto la mia vita in men che non si dica soddisfando tutta la tua immensa curiosità così puoi finalmente metterti l’anima in pace» disse tutto d’un fiato alzando la voce ad ogni parola «Mi fai schifo» accentuò l’ultimo termine cercando di imprimergli bene quella parola nel cervello.
«Cassie non è come pen..» non fece in tempo a finire la frase che la ragazza lo interruppe volgarmente «Cazzo, che fantasia. Non è come penso vero? Ovvio, come ho fatto a non considerare l’opzione che tu mi abbia baciato perché sei follemente innamorato di me mentre sei fidanzato?» Quelle ultime due parole colpirono la memoria di Nick ricordandogli che aveva una ragazza e che Cassie non aveva tutti i torti ad urlargli che faceva schifo. Quando le aveva preso il volto tra le mani era come se dentro di lui fosse scattato qualcosa, avrebbe voluto parlare ma in quel preciso istante fare in modo che le loro labbra si incontrassero gli era sembrata la cosa più giusta al mondo.
«Mi dispiace» a queste parole Cassie svincolò definitivamente dalla presa di Nick e iniziò a camminare velocemente dal lato opposto in cui lui si trovava, l’unica cosa che voleva era allontanarsi da quel posto, dagli occhi dei passanti che la guardavano scioccati e preoccupati. Si sentiva gli occhi pieni di lacrime che pregavano di uscire mentre lei da buona bodyguard dei suoi occhi le tratteneva dentro sussurrandosi “non ora”, in quel momento avrebbe voluto che la calda giornata d’agosto si fosse trasformata in una piovosa giornata di ottobre così che la pioggia avrebbe potuto lavare via o per lo meno nascondere al resto del mondo tutte le sue emozioni. Sentì chiamarsi ripetute volte ma non si girò mai finché una mano non strinse forte il suo braccio costringendola a girarsi. Vedere di nuovo quel viso a pochi centimetri dal suo volto non fece altro che far crollare tutte le sue difese e farla scoppiare a piangere. Nick si maledì per essere la ragione di quel pianto e avvicinò la mano libera al volto della ragazza per asciugarle le lacrime.
«Non toccarmi» disse divincolandosi per allontanarsi il più possibile da lui. Nick non l’ascoltò e la avvolse in un forte abbraccio mentre all’orecchio non faceva che sussurrarle “scusami”. Continuò a ripeterglielo finché non sentì i singhiozzi cessare, la allontanò da sé quanto necessario per guardarla in faccia e asciugarle l’ultima lacrima che scendeva dal suo occhio sinistro. Si guardarono negli occhi e senza dire niente Cassie lasciò che lui la riportasse in auto. Non l’aveva esattamente perdonato ma i suoi abbracci, i suoi occhi, la sua voce erano come una droga di cui non poteva fare a meno anche volendolo e inoltre, pur nascondendolo persino a se stessa, aveva paura di ritornare a casa ed era consapevole di non poterlo più fare, almeno per adesso. 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

ho scritto e riscritto, immaginato e rimmaginato la scena del primo bacio milioni di volte,
in qualità di autrice credevo di poter scegliere io il momento più adatto,
mentre scrivevo questo capitolo ho capito che mi sbagliavo.
(twitter: @spreadthewingss)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** (11). 'Cassie, love is easy' ***


 
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. Erano passati altri dieci secondi di assoluto silenzio, le ruote della macchina continuavano a correre sulla strada ben asfaltata e il silenzio di ghiaccio continuava a riempire le orecchie dei due. Da quando era rientrata in macchina Cassie non faceva altro che contare i secondi, le macchine che passavano, gli uccelli che volavano, i ticchettii delle dita di Nick sul volante, contava di tutto cercando di distrarsi in qualche modo. Purtroppo erano tutti tentativi insufficienti. Si accucciò nel sedile dell’auto appoggiando la testa sul finestrino e si leccò le labbra secche, poteva ancora sentire il sapore di quelle di Nick. “Sono un’idiota” pensò mentre riprendeva a contare le macchine che sorpassavano la loro. Inspirò a fondo, trattenne l’aria nei suoi polmoni per un po’ e poi la buttò fuori tutta in una volta. Chiuse gli occhi e ripensò a ciò che poco prima era successo. John, il taglio sul viso, Nick, il bacio, il pianto, tutto le si proiettò nella mente con gran forza sfruttando il buio dei suoi occhi chiusi. Se c’era una cosa al mondo che letteralmente odiava fare era piangere, soprattutto davanti a qualcuno. Era un segno di debolezza e lei non poteva permettersi di essere debole, non poteva permettersi di venire sopraffatta dalle sue emozioni, dagli avvenimenti. Semplicemente non poteva permettersi di perdere il controllo, di mostrarsi umana. La sua era una lotta continua contro se stessa, una lotta che mai avrebbe avuto fine. Era una guerra che impiegava tutte le sue forze, una guerra che l’aveva portata a chiudersi, a sbarrarsi dentro delle mura fatte di cemento che nessuno doveva riuscire a superare. Era una guerra aperta, lei contro il resto del mondo. Non aveva nessun alleato e aveva imparato ad accettarlo, aveva imparato a difendersi da sola. Adesso le sue mura difensive e la sua città in pietra erano distrutte, piccoli omini con scritto in fronte “emozioni” la dominavano e lei esausta, nascosta da qualche parte per non farsi trovare, non poteva fare più niente per mandarli via. Avrebbe voluto così tanto scacciarli, annientarli uno ad uno e vederli andare via. Avrebbe voluto un bottone magico per spegnere tutto e non sentire più nulla, per far smettere tutti quei pensieri nella sua testa di tormentarla. Avrebbe voluto essere libera. Libera dalle ossessioni, libera dalle paure, libera dalle emozioni, libera da ogni cosa. Ma, in effetti, sapeva di star chiedendo troppo per una che era stata abbandonata anche da chi per natura è propenso a non farlo mai.
Nick posteggiò la macchina in uno dei posti liberi all’interno del parcheggio dell’aeroporto e spense l’auto.
«Cassie» pronunciò il suo nome poggiando delicatamente una mano sulla sua spalla. Lei si girò di scatto e lo guardò qualche secondo negli occhi prima di rimettersi composta sul sedile. Aprì lo sportello dell’auto e scese per andare a recuperare la sua valigia nei sedili posteriori, Nick la seguì uscendo le sue dal cofano.
«Possiamo parlare?» le chiese afferrandole il polso.
«Di cosa vuoi parlare? Non abbiamo niente da dirci» rispose secca tentando di far scivolare il suo polso via dalla sua stretta.
«Pensi di comportarti così per tutto il viaggio?» Cassie non rispose, rimase in silenzio a guardarlo negli occhi. Nick prese quel silenzio come delle scuse e continuò quello che aveva iniziato «Mi dispiace averti baciato in quel momento, mi dispiace di essermi comportato in quel modo ma, Cassie, entri nella mia macchina con un taglio sul volto, ti chiedo spiegazioni e mi dici che hai “sbattuto contro lo spigolo della porta” quando so perfettamente che non è così. Mi prendi per un idiota forse?» nella sua voce c’erano tracce di rabbia ma si poteva sentire chiaramente la volontà di chiarire, non era la voce di qualcuno che voleva litigare per troncare un rapporto ma quella di una persona che ci tiene, che non può lasciare correre ma che non è disposta neanche a perdere la persona con cui sta litigando.
«Non devi preoccuparti di me, te l’ho già detto»
«Proprio non capisci allora» lasciò cadere la presa e si appoggiò con la schiena al cofano dell’auto. La gente attorno si muoveva di fretta per non perdere il volo, i bambini salutavano i padri che andavano in viaggio di lavoro e la gente stata per troppo tempo lontana finalmente si ritrovava proprio a pochi metri da loro che litigavano sempre sulle stesse cose, all’entrata dell’aeroporto di New York.
«No, Nicholas, non capisco» fece una pausa prima di continuare «Non capisco perché tutto questo, non capisco perché mi porti a Los Angeles con te, non capisco perché sembra importarti tanto, non capisco perché stavi con me in ospedale, non capisco perché mi porti il pranzo o la colazione o la cena ogni giorno, non capisco perché mi hai baciato. Hai ragione, io non ho capito proprio niente» disse tutto d’un fiato per non avere il tempo di pentirsi delle parole dette.
«Io tengo a te» la sua voce era impregnata di sincerità, neanche il più scettico tra gli uomini avrebbe pensato che stesse mentendo.
«Non dirmelo, non dirmi cazzate»
«E’ la verità Cassie» dicendo ciò si allungo prendendole la mano e spingendola a fare un passo verso di lui e poi un altro finché le loro gambe non si sfiorarono. Cassie scosse la testa. «Perché sei così riluttante nei miei confronti?» chiese intrecciando, quasi di nascosto agli occhi altrui, le sue dita con quelle della ragazza, era come se quel contatto mettesse in comunicazione due anime in continuo contrasto, quel gioco di dita le faceva danzare insieme alla stessa frequenza, la musica bassa tanto da potersi capire ma abbastanza alta da doversi sussurrare all’orecchio ogni parola.
«Perché se ti credo e poi mi stai solo dicendo un’altra cazzata sperando che io soddisfi la tua curiosità? Che succede in quel momento allora? E’ meglio se non ti credo fin da subito»
«Allora non amerai mai» disse quelle parole come se volesse farle capire quanto si stesse perdendo della vita non amando, stando chiusa nella sua piccola città fortificata. Cassie fece spallucce e distolse lo sguardo dai suoi occhi per posarlo in qualche altra parte più lontana. Aveva sempre vissuto così, con questa idea di essere lei contro il mondo e ai suoi occhi era una cosa che ogni persona avrebbe dovuto imparare. Nel momento in cui stai bene con te stessa vivi meglio, tutto sta nel fabbricarti la migliore amica/compagno per la vita che tanto desideri. Devi fabbricarla dentro di te perché l’unica certezza è che per quanto male ti farai, per quanto dolore tu stessa ti procurerai, per quanto ti odierai, l’unica persona che resterà con te fino alla fine dei tempi è te stessa. Il punto per Cassie era instaurare un’amicizia con quella che sembrava la persona più terribile sulla faccia della terra. Per anni aveva cercato di distruggersi per poi ricostruirsi e proteggersi dietro mura e mura impenetrabili, o almeno credeva lo fossero. Dopo tutti questi tentativi, tuttavia, non era mai riuscita a raggiungere il suo obiettivo, quello di trovare un’amica in se stessa. Come poteva fidarsi delle altre persone se non si fidava neanche della persona che conosceva meglio al mondo? Epicuro diceva che la felicità consiste nell’imperturbabilità dell’anima, diceva che la felicità è assenza di dolore ed è raggiungibile da tutti. Per il filosofo il dolore, inteso in senso lato, lo si annullava non avendo paura degli dei né della morte né dei mali. Cassie non aveva paura degli dei, non sapeva neanche se ci fosse davvero qualcuno lì sopra a guardarla. Non aveva neanche paura della morte, anzi era la cosa che la spaventava meno. Coi mali che la ossessionavano aveva imparato a convivere, almeno credeva. Epicuro sosteneva che c’erano due tipi diversi di mali, quelli brevi e quelli e a lunga durata, quelli brevi si concludevano o con la guarigione o con la morte, quelli a lunga durata diventavano come una seconda natura. Su questo non c’era dubbio, Cassie aveva fatto dei suoi mali una seconda natura, l’avevano trasformata e forse era stato proprio questo il suo sbaglio, essersi lasciata trasformare. Non doveva permettere che la schiacciassero, che la opprimessero, che la divorassero giorno dopo giorno. Aveva vantato di essere tanto forte ma era sempre stata una debole, qualcuno che crede alle parole che gli si dicono, qualcuno con dei sentimenti anche se odiava mostrarli al mondo. Se avrebbe potuto li avrebbe rinchiusi tutti in una scatola e gettati in fondo all’oceano sperando che qualche balena gigante li inghiottisse e non li facesse più uscire. La maggior parte degli uomini passa la vita in cerca di emozioni, l’amore, l’adrenalina, l’eccitazione, e poi c’era Cassie che per sbarazzarsi di tutto questo avrebbe anche venduto l’anima al diavolo. Neanche il diavolo, smanioso di anime da catturare, belle e brutte, però si sarebbe mai interessato alla sua di com’era mal ridotta. Assomigliava un po’ al corpo di Spongebob, pieno di buchi ovunque che aveva cercato di ricucire con ago e filo improvvisandosi un po’ un chirurgo plastico con scarsi risultati.
«Amare è facile, Cassie, è bello» disse facendola voltare di nuovo nella sua direzione, i suoi occhi azzurri guardavano di nuovo dentro gli occhi marroni di Nick.
«No, non lo è. Amare significa mettere il tuo cuore in mano a qualcuno e sai che senza cuore non si vive?» Nicholas non rispose, le dedicò un dolce sorriso per poi metterle dietro l’orecchio una ciocca di capelli che svolazzava al vento fuori posto. Le diede un bacio sulla fronte, come faceva ogni volta prima di lasciarla sola sulle scale di casa sua dopo aver mangiato perché doveva scappare a lavoro, e trascinò per mano lei e le sue valigie verso l’entrata dell’aeroporto dove da tempo li aspettavano Joe, Kevin e sua moglie Danielle.
«Un altro minuto di ritardo e avremmo perso definitivamente l’aereo!» esclamò Joe a vedere i due.
«Beh, avremmo potuto prendere quello dopo» disse facendo spallucce con un sorriso stampato in faccia ignorando la gravità dell’affermazione di Joe con il risultato di farlo innervosire ancora di più.
«Tu avresti preso il volo successivo» rispose enfatizzando il “tu” come per fargli capire che se avesse ritardato ancora, loro sarebbero saliti sull’aereo lasciandolo qui senza problemi.
«Ehi ma perché te la prendi solo con me? È anche colpa sua se siamo arrivati tardi» disse indicando Cassie che stava esattamente qualche centimetro dietro di lui riuscendo ad ottenere da lei uno sguardo in cagnesco.
«Perché so che Cassie non c’entra niente, neanche la scusa delle valigie funziona con lei. Guarda, hai portato più roba tu di lei!» a queste parole sia Kevin che Danielle che Cassie scoppiarono a ridere.
«Sono una popstar di fama mondiale, ho i miei bisogni» rispose atteggiandosi a prima donna. Prima che Joe potesse controbattere e continuare quella divertente discussione tra fratelli Kevin si avvicinò ai due e mettendo le braccia attorno ai loro colli disse «Per quanto sia divertente vedervi scannare come cane e gatto se non ci muoviamo adesso rischiamo davvero di perdere l’aereo»
«Okay, okay, hai ragione» rispose Joe svincolandosi dalla presa del fratello e conducendo tutti verso il check-in.
Superati tutti i convenevoli pre-imbarco i cinque riuscirono appena in tempo a salire sull’aereo.
«Hai mai preso un aereo?» chiese Nick a Cassie poggiando il suo bagaglio a mano nello scompartimento apposito sopra i sedili, la ragazza rispose con un “no”. «Allora devi sederti accanto al finestrino» continuò spostandosi in modo da farla sedere, lei seguì il consiglio e subito dopo anche Nick si sedette nel sedile accanto. Joe prese posto nel sedile più esterno e Kevin e Danielle avevano i posti nella fila accanto a quella dei tre. Pochi minuti dopo l’aereo iniziò a muoversi sulla pista prendendo sempre più velocità fino a spiccare il volo e attraversare le nuvole. Dal finestrino si poteva vedere la città rimpicciolirsi sempre di più man mano che si saliva più in alto, New York, che Cassie aveva visto sempre come grandissima, adesso non era più grande del palmo della sua mano. I grattacieli imponenti a terra adesso non erano che briciole di pane. Le mille luci che illuminavano New York di notte sfumavano pian piano sotto di lei mentre le stelle in cielo cominciavano a vedersi meglio decorandolo di luce. Cassie poggiò la testa sulla spalla di Nick guardando sempre verso il finestrino.
«Puoi dormire se vuoi, ti sveglio all’atterraggio» le sussurrò piano all’orecchio, Cassie rivolse un sorriso al ragazzo che gli offriva la spalla come cuscino e poi chiuse gli occhi addormentandosi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** (12) Dance with me tonight. ***


«Cassie» il suo nome risuonò piano nelle sue orecchie ma non le andava ancora di aprire gli occhi. Durante quelle poche e scomode ore di sonno era riuscita un attimo ad azzerarsi, fermando il turbinio di pensieri che costantemente le avvolgeva la mente. Non voleva riaprire gli occhi per ritornare a quel mondo che ancora non riusciva a capire. La voce di Nick pronunciò di nuovo il suo nome scuotendola dolcemente per spronarla ad aprire gli occhi, stavolta obbedì se pur contro voglia.
«Guarda Los Angeles» disse il ragazzo vedendo gli occhi di Cassie aprirsi, lei si girò verso il finestrino e guardò fuori con attenzione. Sotto di lei una distesa di luci si faceva spazio mostrandosi sempre più grande a mano a mano che l’aereo perdeva quota e si avvicinava al terreno. Era uno spettacolo eccezionale. Probabilmente la prima cosa che Cassie imparò con quel viaggio in aereo era che non ti rendi conto di quanto grande sia una città finché non la guardi dall’alto. Solo allora capisci quanto davvero sei piccolo in confronto a quell’immensa distesa di luci e di case abitate da milioni di cittadini. Sotto di lei milioni di persone svolgevano le attività più disparate, c’era chi dormiva, chi litigava, chi si amava ad alta voce e chi invece lo faceva in silenzio tra le lenzuola di un letto, chi nasceva, chi moriva. In realtà lei non vedeva nessuna di queste azioni ma le immaginava, immaginava che ad ognuna di quelle piccoli luci accese corrispondesse un’azione diversa e una persona diversa che la compiva. Poteva immaginare come un ipotetico Dio dall’alto dei suoi cieli guardasse tutto il mondo, una piccola sfera fatta di terra e acqua abitata da esseri più piccoli della sua stessa mano, un po’ come gli umani potrebbero guardare dall’alto un formicaio. Continuò a guardare fuori dal finestrino finché l’aereo non toccò la pista d’atterraggio rallentando sempre di più la sua velocità. Una volta che l’aereo si fermò e il comandante congedò i passeggeri con il solito copione, si alzarono tutti in piedi e ad uno ad uno scivolarono fuori dall’aereo imboccando le due uscite, all’inizio e alla fine, a seconda dei posti che erano stati assegnati loro. Man mano che passavano salutavano le hostess che con la loro divisa stavano in piedi alle uscite distribuendo sorrisi gratuiti per lo più imposti da quella parte del loro lavoro che obbliga alla gentilezza.
«Adesso dove andiamo?» chiese Cassie guardandosi intorno al centro dell’aeroporto. Erano usciti dall’aereo tra gli ultimi e ad aspettare i tre fratelli c’era qualche fan che con i loro sorrisi estasiati e le lacrime agli occhi chiedevano per una foto e un abbraccio. In quel momento Cassie si allontanò un po’ da loro affinché nessuna delle fan si accorgesse della sua presenza, con quel taglio in faccia, la valigia rosa di quando era piccola e i vestiti un po’ trasandati sembrava più una profuga malandata o una ragazza appena fuggita da casa che l’amica di una delle più famose pop star del mondo. Lei non c’entrava niente con quel mondo, non c’entrava niente con quelle persone, con le telecamere, con i fans e le foto. Si mise in un angolo e restò a guardare la scena in silenzio, pensò che quella sul volto delle ragazze dovesse essere l’espressione della felicità. Alcune avevano il trucco sbavato dalle lacrime, altre portavano una mano alla bocca continuando a ripetere tra loro stesse “oh my gosh” mentre aspettavano il loro turno per un abbraccio e una foto. Diedero ascolto a tutte, risposero a chi poneva loro delle domande, abbracciarono ancora una volta chi non riusciva a fermare le lacrime per la troppa felicità e ringraziarono tutti con un “vi amiamo” finale che tutti i presenti conserveranno per sempre nel cuore come la perla più preziosa dell’universo. Raccontata così sembra tanto una di quelle piccole fiabe a lieto fine che le mamme raccontano alle figlie per farle addormentare serene e, infondo, un po’ lo era. Era un sogno diventato realtà e come tale assomigliava molto alle fiabe dei bimbi che sei convinta non esistano finché non ti ci ritrovi dentro e allora inizi a capire che forse i bambini ci vedono meglio degli adulti anche se ci ostiniamo a dire il contrario. Nick guardò Cassie e le fece segno di seguirlo, in altre occasioni probabilmente si sarebbe avvicinato e le avrebbe preso la mano portandola a destinazione ma non ora, non in pubblico. Lui era fidanzato e le fan parlano, fanno foto, le mettono su internet quindi “stava a distanza di sicurezza” almeno per quel frangente di tempo in cui erano sotto i riflettori. Si chiese perché si era imbarcata in quell’avventura, in quella barca senza posto per lei. Trovò due risposte a questa domanda, la prima la soppresse immediatamente col pensiero prendendo mentalmente a schiaffi il suo cervello per quello che aveva appena pensato, la seconda era chiara ed evidente a tutti: era meglio stare lì e passare per la stalker di tre dei tre fratelli più famosi del mondo che stare a casa sua. Joe le si avvicinò «Guarda che non abbiamo mica la lebbra, puoi camminare con noi» disse facendole un sorriso prima di soffermare il suo sguardo sulla ferita, Cassie lo notò e si voltò dall’altra parte.
«Mi è sembrato che non fosse il caso» disse continuando a camminare.
«E perché?» tentò di guardarla negli occhi ma Cassie continuava a girarsi dal verso opposto tentando di coprire la ferita con i capelli o portandosi una mano sul volto. Si era accorta che l’aveva già vista ma non voleva qualcun altro che la guardasse nello stesso modo in cui si guarda un cucciolo di cane lasciato ferito per la strada. Non era un cucciolo di cane e non era ferita, o meglio, si, lo era ma quella non assomigliava più ad una ferita, era la sua realtà.
«Perché conosco quello sguardo di Nick ed era uguale a quando mi ha visto sbucare a casa sua quella sera»
«Non vuole che escano stupide voci»
«Non c’è bisogno che lo giustifichi, non ho nessuno interesse a finire sulla copertina dei megazine creando il nuovo triangolo amoroso di cui tutti potranno parlare fino alla morte»
«Stai vicino a me, tanto anche se ci fotografano insieme non succede niente» le disse facendole l’occhiolino e un sorriso, cercava di metterla a suo agio, Joe faceva sempre così. Amava far ridere la gente e faceva quello che poteva per metterle a suo agio, Cassie l’aveva notato fin dalla prima sera. Gli sorrise evitando di continuare la discussione inutilmente e si riavvicinarono agli altri che erano ormai arrivati all’uscita principale. Los Angeles si spalancava davanti ai loro occhi. Era solo l’uscita dell’aeroporto ma si poteva già sentire l’aria della città di Hollywood. Kevin fermò il primo taxi che trovò libero e con l’aiuto del tassista caricò nel cofano i bagagli suoi e di sua moglie Danielle, Nick fece lo stesso con il tassista successivo caricando i bagagli di Joe e Cassie. Una volta entrati in macchina Nick diede al tassista l’indirizzo della destinazione e la macchina gialla partì subito dopo quella in cui si trovavano Kevin e Danielle. Cassie guardava in silenzio fuori dal finestrino, era notte e le strade venivano illuminate da vari lampioni e alcune luci di case ancora accese. Nel buio della notte iniziava ad individuare i caratteri di Los Angeles, non era mai andata così lontana da New York, lì sapeva come muoversi, dove nascondersi, conosceva quella città come le sue tasche. A Los Angeles invece era tutto nuovo e forse, si disse, non era una cosa poi così cattiva. Aveva sempre pensato che il concetto di nuovo contenesse quello della rinascita, del cambiamento, di una svolta e non sarebbe stato male averle nella sua vita, forse l’avrebbero migliorata o forse, dato la sua immensa fortuna, avrebbero solo peggiorato le cose. Le chiacchiere dei due fratelli le passavano da un orecchio all’altro mentre i suoi occhi scrutavano l’esterno e la sua mente si affollava di pensieri. Si toccò la ferita con la mano, sussultò, le faceva ancora male. Non sapeva esattamente perché l’aveva fatto, forse per vedere se era ancora lì, se era successo davvero o se era solo un incubo. Si diede della stupida da sola, per lei gli “incubi” erano reali, non le era concesso svegliarsi. La maggior parte delle persone vive nella luce del giorno, si gode la vita e poi qualche notte ha gli incubi, ma durano poco, il tempo di una dormita e poi svaniscono, puf, sono andati. Per lei era il contrario, viveva nel buio costante di quello che aveva dentro, nel buio delle sue paure, delle sue ossessioni e delle sue mancanze e poi la sera, quando chiudeva gli occhi si sentiva un po’ meglio perché dopo una giornata aveva la sua meritata pausa. A molti la notte piace sognare, vivere grandi avventure che forse nella realtà non vivranno mai a Cassie piaceva di più non farlo, del dormire amava la sensazione di annullamento delle emozioni, dei sensi, il mondo svanisce e tu entri magicamente in un altro ambiente in cui tutto è possibile, anche combattere coi draghi. Lei però combatteva coi draghi ogni giorno e la notte, stesa sul letto, preferiva annullarsi completamente. Qualche volta immaginava che quel tipo di sonno fosse a metà tra la vita e la morte perché era così che immaginava la morte, come un annullamento di se stessi e per questo non la spaventava, anzi le dava conforto. L’unica persona al mondo che aveva conforto dal pensiero di morire era lei. Sembrava quasi assurdo, da pazzi, e forse lei lo era ma non importava, sarebbe stato solo un’altra “caratteristica” da aggiungere alla lista. La strada nera continuava a scorrere sotto le ruote del taxi, per un momento la voglia di aprire la portiera e buttarsi dalla macchina in corsa le invase il cervello, chissà se avrebbe funzionato. Aveva la mano sulla maniglia della sportello e i suoi occhi continuavano a fissarla intensamente senza fare nulla. Distolse lo sguardo, distolse il pensiero, la sua mano continuava a rimanere lì ma non si mosse finché la macchina si fermò davanti la casa dei tre fratelli. Il cemento aveva smesso di scorrere veloce sotto di loro e il “pericolo” era svanito. Kevin aprì il cancello principale e i cinque entrarono nel grande giardino della casa trascinando ognuno i propri bagagli, una volta entrati in casa ciascuno si diresse verso la sua camera.
«Ti mostro la tua stanza» le disse Nick facendole segno di seguirlo. Salirono una rampa delle scale e abbandonando il piano giorno che conteneva l’enorme salone e l’altrettanto enorme cucina arrivarono al piano delle camere da letto che erano disposte lungo un ampio ed esteso corridoio. In fondo a destra si trovava il bagno, era sempre lì, incredibile come la maggior parte delle case americane avesse il bagno “in fondo a destra”, neanche se al momento della costruzione si fossero tutti messi d’accordo. La sua camera era, contando dall’entrata delle scale, la terza porta a sinistra. Nick le aprì la porta e dopo essere andato a posare il bagaglio nella sua stanza, che era quella accanto, ritornò a controllare come stesse. Aveva lasciato il bagaglio in un angolo e adesso girava per la camera esaminando gli oggetti su una delle mensole di legno.
«Mia madre ama riempire la casa di oggetti come quelli, alcuni sono regali di parenti, altri sono souvenir di viaggi» disse spostando l’attenzione della ragazza dal piccolo oggetto nelle sue mani al volto del ragazzo che aveva appena chiuso la porta dietro le sue spalle. Gli fece un piccolo sorriso e poi ritornò ad ammirare gli oggettini posti in ordine casuale sulle mensole. Non aveva voglia di parlare, soprattutto se si trattava di intraprendere un discorso sulle abitudini familiari, lei di certo avrebbe potuto raccontare della straordinaria abitudine che sua madre aveva di bere birra come fosse acqua con il risultato che la sua capacità di ragionare somigliava ad un biscotto lasciato troppo tempo nel latte. O avrebbe potuto raccontare la splendida serata di famiglia in cui suo padre era scappato o ancora meglio raccontare di John. Si, sarebbe stata una conversazione divertente. Nick si avvicinò a lei e con delicatezza le spostò il volto verso di lui in modo che gli occhi di Cassie guardassero dritti nei suoi.
«Come stai?» le chiese.
«Bene»
Nick non insisté sulla risposta, sapeva che era come parlare ad un muro di cemento. «Vuoi mettere qualcosa sul taglio?» chiese guardando ancora una volta il taglio sulla sua guancia, avrebbe voluto sapere cosa realmente fosse successo e cosa ci fosse sotto. Era preoccupato per quella ragazza anche se forse avrebbe fatto meglio a non esserlo, avrebbe reso le cose più facili. Probabilmente se quel giorno di gennaio lei non avesse avuto quell’atteggiamento, se i suoi occhi dal colore del mare ghiacciato non l’avessero conquistato fin dal primo sguardo, se la sua anima non gli avesse gridato aiuto, ora non starebbe cercando invano di capire una ragazza che faceva di tutto per non essere capita. Cassie era misteriosa, enigmatica, non capivi mai quello che davvero aveva dentro perché aveva imparato bene a nasconderlo. A volte, involontariamente, si lasciava scappare qualche pezzo del puzzle e lui li raccoglieva accuratamente cercando di riunire il tutto. Amava quando si lasciava andare, quando i suoi occhi assumevano la dolce piega del sorriso e sulla sua guancia destra compariva una piccola, quasi invisibile, fossetta dovuta al sorriso. Amava vederla vivere anche se poi, si accorgeva lui stesso, che i mostri che aveva dentro ritornavano a divorarla e i suoi occhi azzurri ritornavano ad assumere l’espressione di chi volesse piangere ma fosse consapevole di non poterselo permettere. Cassie era forte e debole allo stesso momento. Non voleva aiuto, doveva farcela da sola, era come quei bambini che, senza saperlo fare, si ostinavano a voler camminare senza ricevere aiuto dai genitori cadendo talmente tante volte che era impossibile contarle. Lo faceva come se fosse già consapevole di doversela cavare da solo per tutto il resto della vita, non ci sarebbero stati sempre i genitori ad aiutarlo a camminare, doveva farlo da solo e così la pensava Cassie. Aveva così paura di essere abbandonata ancora che preferiva non avvicinarsi alle persone, sapeva già che se ne sarebbero andate causando solo altri danni dentro di lei, doveva imparare fin da adesso a cavarsela da sola, a bastare a se stessa.
Cassie fece cenno di no con la testa «Passerà» disse e distolse di nuovo lo sguardo dal ragazzo.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
Fece segno di no e si avvicinò al divanetto attaccato alla finestra, si sedette lì con le spalle attaccate al muro che lo incastonava. Si vedevano le stelle. Nick la guardò stare seduta lì prima di uscire dalla camera e scendere sotto per prepararle qualcosa da mangiare anche se lei aveva detto di no. Al suo ritorno la trovò sdraiata nel punto in cui l’aveva lasciata prima, si era addormentata senza neanche accorgersene. Posò il piatto con i due sandwich appena preparati sul comò, prese in braccio la ragazza e la posò sul letto comodo facendo attenzione a non svegliarla. Subito dopo prese i sandwich con sé e si diresse in camera sua. Ne mangiò uno lasciando l’altro sul comodino coperto da un tovagliolo. Si mise la solita maglia bianca a maniche corte che usava per dormire e un paio di pantaloncini da basket e si sdraiò a letto addormentandosi in pochi minuti. Poco dopo il resto delle luci rimaste accese si spensero e la casa piombò nel buio esattamente come tutti i residenti si rifugiarono nel mondo dei sogni, chi abbracciato alla persona che amava, chi stanco dalla solita pessima giornata e chi con mani e piedi occupava tutto il letto matrimoniale dormendo con un sorriso sulle labbra.
 


-----

 
 
Cassie si svegliò con la luce del giorno che entrava dalla finestra, si guardò intorno e non riconobbe il posto finché fece mente locale e ricordò di essere a Los Angeles a casa di una delle più famose pop star del mondo, tutto questo era assurdo. A volte si scordava della fama che avevano Nick e i suoi fratelli, era come se fossero gente comune per lei. Nick aveva imparato a farsi conoscere tralasciando la sua fama, non lo aveva mai elogiato o trattato diversamente solo perché era famoso e mai le era passato per la mente di farlo. L’aveva trattato come tutti, l’aveva allontanato ma per qualche motivo che ancora non riusciva a capire riappariva sempre anche quando sembrava che si fossero detti “addio”. Era strano per lei avere delle persone fisse nella sua vita, aveva sua madre ma spesso non la considerava neanche parte della sua vita. Cassie aveva sempre visto le persone andare e venire come se fosse un hotel o meglio un bed&breakfast, uno di quelli diroccati che hanno tubature rotte in quasi tutti i piani, brutte riparazioni in tutte le stanze, lampade oscene, tende inguardabili di un verde pisello che fanno a pugni con il marrone triste della carta da parati e letti scomodi. Qualcuno per sbaglio si imbatteva in quel posto, si imbatteva in lei, e ci passava la notte perché non aveva altro posto dove andare e poi la mattina scompariva senza neanche pagare il conto, ma dopotutto era scandaloso chiedere il conto per un posto del genere. Così le persone facevano con lei, si avvicinavano, restavano per un po’, giusto il tempo di trovare qualcosa di migliore dello schifo che era lei, e poi se ne andavano come se non fosse mai accaduto niente. Cassie ci aveva fatto l’abitudine per questo allontanava le persone prima che le persone potessero allontanare lei, così era lei ad avere in mano la situazione, era lei a non volere nessuno e non nessuno a volere lei. Si alzò dal letto e si andò a specchiare nello specchio in fondo alla stanza, aveva gli stessi vestiti di ieri, doveva essersi addormentata così senza neanche accorgersene. Era sicura però di non aver toccato il letto eppure si era risvegliata lì, forse era semplicemente troppo stanca anche solo per ricordare dove effettivamente si era addormentata. Si passò una mano tra i capelli cercando di aggiustarli senza riuscirci, avrebbe voluto farsi una doccia ma non aveva idea di dove fosse il bagno e non aveva intenzione di svegliare nessuno quindi avrebbe ricoperto il ruolo di Dora l’esploratrice e si sarebbe data all’avventura. Prese i vestiti che avrebbe dovuto indossare dopo essersi lavata e uscì dalla camera, si guardò intorno vedendo solo le stesse porte bianche chiuse per tutto il corridoio. C’erano almeno dieci stanze lì, tre erano occupate, le restanti libere, o almeno credeva, e una era il bagno. Le sembrava di giocare ad un gioco a quiz, una specie di “chi vuol essere milionario?” solo che qui il premio era trovare il bagno invece di un milione di dollari. Sapeva per certo che la porta accanto a quella della sua camera era la camera di Nick quindi la escluse, in quel momento stava usando l’aiuto del “50:50” anche se gli sarebbe servito un aiuto del pubblico o meglio da casa, ma non da casa sua, da quella stessa casa. Guardò le stanze avanti alla sua escludendo quelle dall’altra parte del corridoio, con la sua fortuna la prima stanza che avrebbe aperto sarebbe stata occupata e avrebbe trovato anche gente nuda, giusto per rendere ancora più imbarazzante la cosa. “Dove puoi trovare un bagno in una casa Cassie?” “ovunque” si rispose da sola dopo essersi porsa la domanda. Guardò un ultima volta le porte chiuse e decise di aprirne una. Alla sua vista si spalancò Joe mezzo nudo intento a cambiarsi,“ottimo tempismo Cassie”. Si mise istintivamente una mano sugli occhi come le mamme fanno con i bambini quando non devono vedere qualcosa e riuscì solo a dire «Oddio scusami cercavo il bagno». Joe che non si era accorto di niente finché non sentì la voce di Cassie si girò verso di lei e non poté che scoppiare a ridere alla vista della ragazza con le mani sul viso per paura di vederlo nudo. Si infilò i pantaloni e poi si avvicinò a lei togliendole le mani dagli occhi, teneva ancora gli occhi chiusi. «Okay, pericolo scampato, il mostro è andato via ed è stato ben conservato» disse ridendo aspettando che Cassie riaprisse di nuovo gli occhi.
«Per il tuo bene faccio finta di non aver capito la battuta» dopo aver parlato abbassò per un attimo lo sguardo notando il suo petto ancora nudo.
«Quindi cercavi il bagno o era solo un pretesto per trovarmi nudo e restare a guardarmi?» chiese Joe riportando lo sguardo di Cassie ai suoi occhi.
«Non sei divertente» fece una pausa regalandogli un piccolo sorriso come “premio di consolazione” e poi continuò «Mi dispiace per te ma cercavo il bagno»
«Oh, che peccato!» schioccò le dita e sorrise «Il bagno è l’ultima porta a destra» prese una maglia a maniche corte da una sedia e la indossò.
«Grazie» rispose lei prima di chiudersi la porta alle spalle e dirigersi verso il bagno. “In fondo a destra”, la cosa più semplice del mondo, perché non ci aveva pensato lei? Bussò alla porta prima di entrare, beccare due ragazzi nudi il primo giorno in meno di cinque minuti era decisamente da evitare. Posò i vestiti puliti su uno sgabello e aprì l’acqua della doccia lasciando che raggiungesse la temperatura ideale. Si tolse i vestiti gettandoli per terra con l’intenzione di raccoglierli prima di uscire dal bagno e raccolse i lunghi capelli biondi in uno chignon per impedire che si bagnassero sotto la doccia. Li aveva lavati ieri e nonostante il viaggio erano ancora puliti, andavano solo pettinati. L’acqua tiepida le accarezzava la pelle togliendo via ogni grammo di sporcizia, le piaceva la sensazione del sapone e dell’acqua sul suo corpo, era come se si pulisse di tutte le sue imperfezioni anche se alla fine rimanevano sempre lì, dentro di lei. Lei era sporca dentro e per questo non c’era nessun sapone, neanche mastro Lindo con i suoi super muscoli pulenti avrebbe potuto fare qualcosa per togliere la sporcizia che risiedeva nelle sue vene, nei suoi muscoli, nella sua carne. Doveva solo sciacquarsi ma finì col passare una buona mezz’ora sotto l’acqua tiepida che delicatamente disegnava i contorni del suo corpo. Quando uscì dalla doccia prese il primo asciugamano che trovò e se lo avvolse attorno uccidendo tutte le piccole goccioline d’acqua che le invadevano ancora il corpo. Dopo essersi asciugata del tutto si infilò i vestiti puliti e sciolse i capelli lasciandoli cadere lungo le spalle, rovistò nei cassetti del mobile sperando di trovare un pettine o una spazzola e per questa volta la fortuna la assistette. Si pettinò i capelli facendoli assumere una forma pressoché normale, lasciò che un ciuffo le cadesse sul volto andando a sfiorare il graffio che le rovinava il viso, non c’era modo di coprirlo. Odiava quando le sue ferite erano visibili al resto del mondo, dovevano rimanere solo sue. Al mondo lei doveva apparire indistruttibile, più forte di Hulk, più potente di Superman. Era meglio passare per la stronza che nessuno riesce a ferire che per la ragazza con così tante cicatrici in corpo che ormai ne aveva perso pure il numero. Raccolse i vestiti da terra e ritornò nella sua camera ricordandosi magicamente quale fosse. Poco dopo qualcuno bussò alla porta e prima che lei potesse dire “avanti” la porta si aprì rivelando il viso di Nick.
«Non credevo di trovarti già sveglia e sistemata» disse allontanandosi dalla porta e avvicinandosi alla ragazza.
«Credevi male» si allontanò da lui come se avesse paura di vedere ancora una volta i loro volti troppo vicini l’uno all’altro, così vicini da attirarsi ancora in quel vortice che annullava completamente ogni distanza fisica.
Nick fece finta di niente e continuò il suo discorso sedendosi sul divanetto accanto alla finestra, quello su cui il giorno prima Cassie si era addormentata. «Voglio farti vedere Los Angeles oggi, sei pronta?»
«C’è qualcosa in particolare a cui dovrei essere pronta?»
«Solo a divertiti nella città più bella della California» rispose sorridendo.
«Allora non sono proprio pronta, mi dispiace» rise sdraiandosi sul letto e continuò a parlare «Preferisco condividere la mia giornata con questo comodo letto»
«Mi vuoi costringere a prenderti con la forza?» si alzò dal divanetto e imitando lo sguardo di un pericoloso serial killer si avvicinò al letto.
«Non provarci neanche» rispose fulminandolo con lo sguardo e facendo finta di leggere una rivista che aveva trovato sul comodino. Nick ignorò le sue parole e si scaraventò su di lei facendole il solletico sui fianchi, sembravano due bambini troppo cresciuti che giocavano a darsi fastidio. Lei si dimenò sotto di lui senza alcun risultato non riuscendo a smettere di ridere. Le mani di Nick continuavano a solleticare i suoi fianchi sopra la maglietta finché questa non le si alzò scoprendole la pancia. Cassie bloccò immediatamente le mani di Nick «Basta» disse con una tale serietà in voce che il ragazzo si allontanò subito da lei. Una volta libera si risistemò la maglietta e si alzò dal letto avvicinandosi alla porta. «Ti aspetto di sotto» disse prima di uscire e abbandonare la camera. Agli occhi di qualunque esterno non era successo niente che spiegasse quella reazione ma per Cassie era successo qualcosa. Sentire la sua pancia nuda sotto le mani di Nick l’aveva fatta scattare, non doveva toccarla né guardarla, non poteva. Odiava il suo corpo e lo nascondeva come meglio poteva, jeans lunghi anche d’estate, maglie semplici e larghe, faceva di tutto per coprire lo schifo che lei non riusciva neanche a vedere allo specchio. Non era riuscita a sopportare il fatto che lui avesse visto la sua pancia, avesse toccato i suoi fianchi, lei si faceva schifo perché sarebbe dovuta piacere a qualcun altro? Era scappata come se fosse stata nuda di fronte ad un intera classe di studenti o come se Nick fosse davvero un assassino intenzionato ad ucciderla. Non si sarebbe mai spogliata davanti a nessuno, non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Lei era una di quelle persone che amava stare coperta, che amava coprirsi, interiormente ed esteriormente, anche solo aver avuto per un millesimo di secondo le sue mani sulla sua pancia scoperta era stato un colpo. Non le aveva fatto schifo, il suo tocco era morbido, quasi piacevole, ma la spaventava da morire. Aveva avuto più paura lì al contatto con lui che con John che le spingeva il coltello sulla guancia. Scosse la testa per allontanare via quel pensiero, si sedette sul divano bianco del salotto e aspettò che Nick scendesse dalle scale sperando di evitare ogni discussione su ciò che era accaduto poco prima. Pochi minuti dopo lo vide spuntare dalla cima delle scale, prese il sacchetto coi cornetti dalla cucina e si sedette nel divano di fronte a quello in cui era seduta Cassie.
«Ho fatto qualcosa di male prima?» chiese cercando di guardarla negli occhi mentre il suo sguardo ero fisso a terra, ammirava il pavimento di legno come se fosse un quadro di Picasso.
«No» rispose secca senza aggiungere niente né facendo trapelare qualche emozione che lasciasse capire a Nick che cosa era successo nella camera da letto.
«Sei scappata di colpo e..»
«Smettila» lo bloccò prima che potesse finire di parlare, aprì di nuovo bocca come se stesse per aggiungere qualcosa ma il fiato le si spezzò in bocca.
«Cassie» pronunciò il suo nome con il solito tono che stava a significare “dimmi cos’è successo”, al confine tra l’autoritario e il compassionevole.
«Non pronunciare il mio nome con quel tono» disse accentuando la voce sul “quel”.
«Quale to-»
«Basta Nicholas» lo interruppe di nuovo «Non mi hai fatto nulla, ora lascia stare, mi hai fatto ridere tanto che sono scappata in bagno, okay? Mettiti l’anima in pace» disse ciò con un tono del tutto diverso da chi aveva riso tanto da non trattenersi più dall’andare in bagno, era più forte di lei rispondere male quando le persone insistevano a scoprire cosa c’era dentro di lei. Si comportava come si sarebbero potuti comportare dei soldati di guardia alle mura della propria città durante un assalto, attaccavano chiunque provasse solo ad avvicinarsi, dovevano allontanare, annientare i nemici che mettevano a rischio la sicurezza della città. 
«Che scuse pessime che trovi» Nick rise e con un tovagliolo di carta che trovò già dentro il sacchetto le porse un cornetto, era il suo preferito. Cassie lo prese e ignorando le parole di Nick iniziò a mangiare mentre il ragazzo faceva lo stesso davanti a lei. Nick era l’unica persona con cui aveva imparato a mangiare senza che i sensi di colpa le divorassero l’intestino, le sembrava che con la sua presenza e il suo sguardo le dicesse “puoi permetterti di mangiare” nonostante il suo organismo o il suo cervello dicesse tutto l’opposto. Anche se continuava a nasconderlo con lui si sentiva al sicuro ed era questo a spaventarla davvero. Si ripeteva sempre “non affezionarti” perché sapeva già come sarebbe andata a finire quando lui si sarebbe stancato di lei e di tutto ciò che le ricordava. Le emozioni controllano le persone, lei voleva controllare le emozioni e si sentiva come se lei, peso piuma, stesse combattendo con un lottatore di sumo di duecento kili.
Dopo aver finito di mangiare e aver ripulito tutto Nick prese le chiavi di una macchina dal portachiavi vicino la porta di casa e condusse Cassie nel garage. Al suo interno si trovavano quattro auto, tre di queste lasciavano intendere anche solo al primo sguardo che costavano più della metà dei palazzi che si trovavano nella zona di casa sua a New York, la quarta invece era una macchina normale, una di quelle che passa inosservato e che nessuno si preoccupa di osservare perché troppo banale per qualcuno di famoso. Nick si avvicinò a quest’ultima e la aprì facendo cenno a Cassie di entrare nella parte del passeggero sul sedile anteriore.
«Con questa possiamo passare inosservati, almeno quanto basta» disse allacciandosi la cintura di sicurezza.
«Mi sento una spia in incognito adesso, peccato che non abbia portato il mio passamontagna nero» rispose imitando ciò che il ragazzo aveva fatto poco prima.
«Battuta alla Joe» Nick rise e dopo aver aperto la porta del garage con il telecomando automatico uscì alla volta di Los Angeles. Abbassò i finestrini per lasciare che l’aria estiva entrasse dentro la macchina scompigliando i capelli di entrambi. Mentre con una mano teneva stretto il volante con l’altra aprì il piccolo scompartimento nel cruscotto e prese un paio di occhiali da sole e un cappello che mise in testa, una pop star in incognito. Le sembrava di vivere in una di quelle scene dei film per ragazzine dove la grande stella dello spettacolo, dopo aver incontrato per caso una ragazza comune inizialmente scontrosa, la portava a fare un giro in macchina mostrandogli la sua città preferita cercando di non farsi riconoscere da nessuno. Stava ufficialmente vivendo in un film per ragazzine, adesso mancava solo la bellissima storia d’amore tra la star e la ragazza normale piena dei soliti banali problemi che si concludono naturalmente con un “e vissero felici e contenti” o simili. Aveva sempre evitato questi generi di film e adesso ci si trovava dentro, probabilmente se, come tante altre ragazzine, avrebbe sognato con tutte le sue forze che una cosa del genere accadesse non sarebbe mai capitata. Nick la portò in giro per i posti più belli e anche turistici di Los Angeles. Le fece vedere la scritta di Hollywood e la convinse a fare una foto come tutti gli altri facevano di solito, la portò sulla Hollywood Boulevard e camminarono sulla walk of fame mentre Nick le indicava le stelle degli artisti che più apprezzava, le mostrò le impronte di Marilyn Monroe insieme a quelli di tanti altri grandi artisti che avevano avuto l’onore di lasciare lì la traccia del loro successo. Camminarono per la strada imbattendosi in gente di tutti i tipi, “è il bello di Los Angeles” le aveva spiegato Nick. Scherzarono in giro per la città, si guardarono negli occhi e si abbracciarono come se al mondo esistesse solo quella giornata insieme. Salivano e scendevano dalla macchina nei posti più belli, si fermavano lì ad ammirare quanto varia e bella quella città fosse e poi ripartivano di nuovo con la musica alto nello stereo della macchina e Nick che cantava. Cassie si limitava a poggiare i piedi sul cruscotto e ad ascoltare la sua voce che riempiva la piccola macchina. Sorrisero e risero, era uno di quei momenti che bisognava immortalare per sempre per ricordare quanto fossero belli i loro sorrisi spontanei e le loro risate sonore mentre erano insieme. Comprarono una porzione grande di pasta da dividere in due ad un take away per la strada e si fermarono a mangiare sotto gli alberi di un parco della “città dove ogni sogno si avvera”. Si sdraiarono lì per un po’, guardarono il cielo attraverso le foglie degli alberi parlando di quello che capitava o anche solo stando in silenzio prima di ritornare al loro folle tour. Passarono la giornata così, tra risate, sguardi, affetti rubati e non, come una coppia di amici o anche solo una coppia.
Tornarono a casa giusto il tempo per cambiarsi i vestiti e rimettersi in macchina, Cassie non aveva idea di dove stessero andando. “Vestiti, ti porto a cena fuori” le aveva detto senza specificare nessun luogo nonostante lei l’avesse ripetutamente chiesto. Era irremovibile, doveva essere una sorpresa.
«Anche se mi dici dove stiamo andando non capirò che posto è quindi sarebbe comunque una sorpresa» disse mentre erano in macchina sperando di convincerlo a parlare.
«E allora non cambia nulla se te lo dico, l’hai detto tu stessa» rispose voltandosi un attimo a guardarla prima di riposizionare lo sguardo sulla strada. Fregata dalle sue stesse parole, da quel momento in poi non chiese più niente e semplicemente si rassegnò ad aspettarsi ogni cosa. Guardò fuori dal finestrino aperto e lasciò che il vento le invadesse il volto rinfrescandolo e si infiltrasse tra i suoi capelli sciolti.
Era passata circa mezz’ora quando Nick posteggiò l’auto e la condusse all’interno della piccola cittadina in cui l’aveva portata. La musica riempiva la piccola piazzetta del paesino in campagna vicino Los Angeles. Un cantante con la sua band si esibiva sul palco montato apposta per l'occasione. Cassie non aveva mai sentito nessuna di quelle canzoni ma non le dispiacevano. Presero due hot dog al furgoncino posizionato vicino ad una serie di tavoli e si sedettero a mangiare in uno di quelli. Parlarono poco, solo alcune parole tra un boccone e l'altro per il resto gli occhi si dicevano tutto quello che rimaneva nascosto.
«Sei tutta sporca» disse ridendo. Prese un tovagliolo e avvicinandosi tanto da sentire l’odore di ketchup sulle sue labbra le pulì gli angoli della bocca, un po’ come fa una mamma con un bambino piccolo. Cassie rimase immobile mentre le sue guancie si surriscaldavano per quel tocco, per quella vicinanza azzardata, finché lui non disse «Ecco fatto» e le sorrise ancora ad un centimetro dalla sua bocca. Avrebbe dovuto nascondere alla sua mente il pensiero di voler baciare quel sorriso ma non ci riuscì.
«Potevo pulirmi anche da sola» lo guardò negli occhi sperando che si allontanasse per farla tornare a respirare.
«Lo so ma volevo farlo io» sorrise di nuovo e nonostante la voglia che avesse di baciarla ritornò al suo posto buttando il tovagliolo sporco sul suo piatto ormai vuoto. Per Cassie fu come prendere una boccata d’aria fresca dopo quattro ore dentro una sauna.
Man mano che la gente finiva di mangiare si avvicinava sempre di più al palco e iniziava a ballare, qualunque fosse il ritmo della canzone cantata. Ballavano e si divertivano nella loro piccola festa annuale che non prevedeva troppi sforzi, alcune bancarelle di giochi per i bambini sparsi qui e lì attorno alla piazza, un furgoncino di hot dog e della musica live. Avevano appena finito di mangiare quando si sentì l'intro di una nuova canzone
 
"Ladies and Gentlemen we’ve got a special treat for you tonight, I’m gonna call my friend Olly up here to sing to you ladies
Olly!
Let’s go man"

Il ragazzo salì sul palco e, acclamato, prese il posto del precedente cantante iniziando a cantare la canzone. Nick si alzò dal suo posto e chinandosi porse la mano a Cassie nello stesso modo in cui i principi delle favole invitano le principesse a ballare. La guardò negli occhi e tenendo sempre la mano tesa verso di lei le cantava con il labiale ogni singola parola di quella canzone.
 
"Look around there’s a whole lot of pretty ladies but none like you, you shine so bright, yeah. I was wondering if you and me could spend a minute on the floor up and close getting lost in it"
 
Cassie di tutta risposta a queste parole fece un no con la testa. Era una pessima ballerina, non sapeva neanche dove mettere i piedi.
 
"I won’t give up without a fight"
 
rispose continuando a cantare le parole della canzone. Vedendo che continuava a rifiutare le prese la mano che era rimasta inerte poggiata sulla sua gamba e la trascinò, contro la sua volontà, in mezzo alla folla che si faceva sempre più massiccia. Le mise una mano sul fianco e lasciò che l'altra si intrecciasse con quella della ragazza e cominciarono a muoversi a tempo, come il ritmo della canzone richiedeva. Facevano alcuni passi di danza e a Cassie sembrava di essere ritornata negli anni di Grease o di essersi magicamente immersa in uno di quei musical di Broadway, d'altronde stava ballando proprio con uno che vi ci aveva recitato. La strinse più vicino a sé soffocando l'aria che aleggiava ancora nella piccola distanza che c'era tra i loro corpi, ormai del tutto azzerata.
 
"When I saw you there, sitting all alone in the dark acting like you didn’t have a care. I knew right then, that you’d be mine, and we’d be dancing the whole damn night right"
 
le cantò queste parole all'orecchio sovrapponendo la sua voce a quella del cantante che ripeteva esattamente le stesse parole. Sentì qualcosa allo stomaco, forse era quella la sensazione che si provava quando si aveva un centinaio di farfalle che svolazzavano nel proprio intestino. Avrebbe voluto con tutta se stessa che quella vicinanza, che quella voce e quel suo modo di fare non le provocassero quella reazione ma ormai era andata, fritta, cotta, arrostita, bruciata. Continuarono a ballare la canzone immedesimandosi nella folla, nessuno li notava e loro era come se fossero in una sorta di spazio a parte. Ballavano seguendo il proprio istinto, inventando mosse, piroette e caschè senza che ce ne fosse un eccessivo bisogno. Semplicemente si divertivano a seguire le parole della canzone che risuonava ad alto volume in tutta la piazza e in un tono più basso e dolce nelle sue orecchie tramite la voce di Nick. In quel momento si accorse che avrebbe voluto davvero che le parole della canzone continuassero all'infinito così da non porre mai fine a quel gioco di mani, di sguardi e di mosse che animava la loro danza.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** (13) Do you know that you can't live without a heart? ***


Le giornate seguenti passarono più o meno nello stesso modo, tra risate e tour per la città e dintorni. Non andavano tutti i giorni a ballare nelle feste di paese né ogni giorno si mettevano a girare gli stessi posti, semplicemente stavano bene insieme. Spesso Joe, Kevin e Danielle si aggregavano a loro e andavano in giro per le strade di Los Angeles, a volte riuscendo a passare inosservati, altre invece fermandosi ad ogni passo per una foto. Cassie stava attenta a farsi vedere il meno possibile anche se non poteva scomparire del tutto. A volte si sentiva come l’amante di un uomo sposato la cui moglie aveva ingaggiato un investigatore segreto per farlo seguire con la sola differenza che Nick non era il suo ragazzo, lui non era sposato ma solo fidanzato e a scattare le foto non era un investigatore segreto ma paparazzi. Le due situazioni, comunque, erano molto simili. Una domanda che si era sempre posta era se l’amante venisse prima della moglie o la moglie venisse prima dell’amante, nella graduatoria delle preferenze chi era la prima scelta e chi la seconda? In teoria si pensa che la moglie sia la prima scelta, lei è ufficialmente legata davanti a Dio e alla legge “finché morte non li separi” con suo marito e di conseguenza anche lui è legato a lei. Lei è la ragazza “pubblica”. L’amante viene dopo il matrimonio, è nascosta, clandestina, lei dovrebbe essere la seconda scelta. Quest’ultima, però, nasce dal fatto che la moglie non basta più al marito, come se quella passione iniziale che lo legava a colei che ha deciso di far diventare la donna della sua vita sia sparita o per lo meno si sia attenuata. È come se quella nuova ragazza riuscisse a scatenare di nuovo quelle emozioni che si erano perdute, questo non potrebbe far si che l’amante diventi la prima scelta e la moglie la seconda? In fondo non si tratta di chi è venuto prima di chi, si tratta di importanza sentimentale, di ciò che quella persona provoca nell’altra. È tutto un gioco di sentimenti e forse proprio per questo non esiste una regola per dire chi sia la prima scelta e forse nessuno si è neanche mai posto la domanda. Ognuno ha la sua situazione, i suoi sentimenti e le sue scelte. Ci sono casi in cui la moglie resta sempre la prima scelta, con l’amante si gioca giusto per ritornare bambini per un po’, e ci sono casi in cui l’amante prende il posto della moglie ottenendo il ruolo più ambito all’interno del cuore del ragazzo. Cassie preferiva la seconda versione e non per motivi strettamente personali ma tra i due mali considerava il primo peggiore del secondo. Il primo significa che non riesci a dare a tuo marito quello di cui ha bisogno per stare bene, significa che ti ama ma non abbastanza, significa che ha bisogno di giocare con le altre per sentirsi bene, significa dolore su dolore, ferite su ferite, pugnalate su pugnalate al cuore che è fatto per pompare il sangue nelle vene e non per reggere tutto questo. Il secondo male implica la fine della storia, la fine di un amore che in teoria solo la morte avrebbe dovuto separare e per alcuni sarebbe potuto essere peggio ma per Cassie no. Sopportare un dolore unico, un’unica pugnalata al cuore è sempre meglio di sopportarne dieci o cento. La fine di qualcosa di importante è sempre dolorosa ma ad ogni fine corrisponde un nuovo inizio ed è per questo che è meglio finire che continuare nel dolore eterno di una relazione che ormai dà solo frutti ammuffiti. In conclusione quella domanda non aveva una risposta o meglio ce l’ha ma è soggettiva come quasi tutto il resto delle domande, ricordava un po’ la famosa domanda dell’uovo e della gallina. “È nato prima l’uovo o la gallina?” e chi poteva saperlo? L’uovo non esiste senza la gallina e la gallina non esiste senza uovo, ognuno può dire la sua a proposito ma una risposta oggettiva non la si troverà mai, a meno che non si torni indietro nel tempo alla creazione del mondo e si veda quale dei due è apparso per primo.
«Ti devo portare in spiaggia uno di questi giorni» le disse Nick continuando ad accarezzarle i capelli. Quella sera Joe era andato a prendere le pizze, dopo aver cercato di cucinare la cena e aver bruciato tutto, mentre Kevin e Danielle apparecchiavano la tavola tra un bacio e l’altro e Cassie e Nick erano sul divano bianco del grande soggiorno. Non sapevano esattamente come erano finiti lì insieme in quella posizione ma ci stavano bene. Cassie era sdraiata con la testa poggiata sulle gambe del ragazzo e lui semplicemente la guardava passandole una mano tra i capelli biondi. Spesso Cassie distoglieva lo sguardo per posarlo su qualche mobile lontano o anche solo sul soffitto che copriva le loro teste, Nick le accarezzava il viso e lei ritornava a guardarlo per un po’ finché non riusciva più a sostenere lo sguardo e con un sorriso si voltava dalla parte opposta. Aveva un bel sorriso, le illuminava il volto e lui amava vederlo pieno di luce. La sentiva calma al suo tocco, imbarazzata di non essere all’altezza del suo sguardo ma tranquillizzata dalle sue carezze. Gli piaceva questa sensazione, e sentì che quella pace, quei piccoli gesti calmavano anche lui. Era come se i loro cuori si aprissero e si infondessero gioia e pace a vicenda riempiendoli fino all’orlo di bei sentimenti. Nick avrebbe voluto sapere che cosa avrebbero fatto i loro cuori se le loro labbra si fossero incontrate di nuovo in quel momento, si sarebbero forse fusi in uno solo? La voglia di tentare di nuovo lo invadeva dentro ma non poteva farlo, la piccola vocina nel suo cervello che non era ancora stata annebbiata dal suo dolce profumo glielo ricordava bene. Le accarezzò le labbra con un dito, era rigida al primo tocco ma al secondo non più, come se anche lei si fosse arresa all’idea di quel bacio. Non era quello il momento però.
«Allora, ti piace l’idea?» disse riprendendo il discorso lasciato in sospeso pochi minuti prima.
«Quale idea?» chiese come se solo in quel momento fosse atterrata sulla Terra di ritorno da non so quale altro pianeta.
«Quella di andare in spiaggia uno di questi giorni» sentì i muscoli di Cassie irrigidirsi sotto le sue mani, si sarebbe aspettato che si alzasse e cambiasse discorso velocemente come aveva fatto l’ultima volta sul letto mentre le faceva il solletico ma non lo fece, restò sdraiata lì e stette in silenzio, pensava a come rispondere alla domanda che appariva semplice all’estero ma dentro Cassie non lo era. Lei non aveva nessuna intenzione di andare in spiaggia, di mettersi un costume e spogliarsi davanti a tutti ma non poteva dire di no senza rivelare le sue paure. Questa era la difficoltà nel rispondere, se avesse detto “si” si sarebbe ritrovata a doversi spogliare davanti a tutta la spiaggia quando aveva già difficoltà a spogliarsi davanti allo specchio, se avesse detto “no” avrebbe dovuto spiegare tutte le motivazioni che la inducevano a dare quella risposta e non aveva nessuna intenzione di farlo. Stava in silenzio cercando di trovare un’alternativa a quelle due opzioni ma non ce n’era nessuna.
«Non ho il costume» disse infine sapendo comunque che non sarebbe bastato a distoglierlo da quell’idea.
«Danielle può prestartene uno dei suoi» rispose dando una soluzione al problema.
«Nick..» pronunciò solo il suo nome non sapendo in che modo continuare la frase.
«Cosa?» la guardò con occhi interrogativi come a cercare di comprendere cosa avesse in mente.
«Niente, non mi staranno i costumi di Danielle, portiamo taglie diverse»
«Allora possiamo andarne a comprare uno»
«Non ho i soldi» mentì, non era ricca ma qualche soldo se l’era portato, cercava solamente qualsiasi pretesto per rendere impossibile quell’andata al mare.
«Pago io» rispose contraddicendola di nuovo.
«Nick..» lasciò un’altra volta la frase in sospeso, avrebbe voluto che capisse e smettesse di parlarne o ancora meglio che non capisse ma smettesse di parlarne lo stesso.
«Non sono un problema i soldi Cassie» ribatté pensando che il problema si basasse su quello.
«Io» fece una pausa come a riordinare le parole sparse che le volavano nella mente «Non posso» concluse alzandosi dalle sue gambe e allontanandosi leggermente da lui.
«Perché non vuoi venire a mare con me?»
«Perché no» rispose fredda e distaccata, come se quella porta del suo mondo che prima si era aperta adesso si fosse richiusa con un grosso tonfo.
«Fai sempre così»
«Così come Nicholas?» si trattenne dall’alzare la voce, non voleva che Kevin e Danielle li sentissero discutere nell’altra camera.
«Ti metti sulla difensiva come se ti avessi detto qualcosa di brutto ma ti ho solo chiesto di andare a mare»
«Sono fatta così, pazienza» rispose cercando di concludere quella discussione lì anche se sapeva già come sarebbe finita: lui avrebbe insistito, lei sarebbe rimasta sulle sue e avrebbero concluso urlandosi addosso a vicenda.
«Perché fai così?»
«Non sono affari tuoi» ad ogni sua domanda diventava più scontrosa, per Nick diventava quasi come prendere a testate un muro d’acciaio.
«Sono affari miei invece dato che questo tuo atteggiamento si ripercuote su di me» disse abbandonando del tutto la facciata gentile e comprensiva come faceva ogni volta che nascevano quelle discussioni.
«Vuoi davvero continuare questa discussione? Sarà la millesima volta che la facciamo, non ti sei ancora stancato di chiedere cose che non puoi sapere?»
«Non sono io che non posso saperle, sei tu che non vuoi dirmele»
«Credimi tu non vorresti saperle»
Finse una risata prima di rispondere «Non cambi mai», si alzò dal divano e si incamminò verso la porta ma prima di attraversala per andare nella sala da pranzo si voltò di nuovo verso la ragazza ancora seduta e aggiunse «E visto che me l’hai chiesto si, mi sono stancato di fare domande e non ricevere risposte e mi sono stancato dei tuoi atteggiamenti». Nick si chiuse la porta alle spalle e Cassie rimase lì sul divano, anche questo litigio si era concluso come tutto gli altri in precedenza o anche peggio.
«Le pizze sono arrivate, spero siate pronti perché ho una fame da lupi» urlò Joe entrando dalla porta di ingresso con in mano i cartoni delle pizze. «Cassie che fai qui? Andiamo a mangiare» disse vedendola seduta sul divano.
«Joe io passo oggi» rispose smorzando la solita allegria del ragazzo e dirigendosi verso le scale che portavano al piano delle camere da letto.
«Le pizze sono buonissime, non puoi non mangiarle» rispose provando a convincerla, lei fece cenno di no e salì le scale diretta in camera sua. L’ultima cosa che voleva in quel momento era sedersi al tavolo e fingere che tutto andasse bene mentre lo sguardo di Nick la incolpava di essere troppo complicata e chiusa per i suoi gusti. Lei era il motivo per cui la loro relazione aveva alti e bassi, per cui da un momento di assoluta felicità e calma si passava ad uno di rabbia, lei era la causa dei loro litigi e ogni volta lui non perdeva occasione di rinfacciarglielo. Cassie non sapeva più come comportarsi, amava i momenti di gioia con lui, erano gli unici momenti in cui si sentiva davvero bene ma lasciarsi andare del tutto era troppo pericoloso, era un lancio nel vuoto senza paracadute e lei non avrebbe potuto sopportare di cadere di nuovo con la faccia sul cemento duro o, ancora peggio, su aghi che l’avrebbero ferita ovunque. L’avrebbe perso comunque prima o poi, la scelta stava nel perderlo ora continuando a comportarsi così o perderlo più tardi rischiando di farsi ancora più male. In altre occasioni avrebbe scelto ad occhi chiusi la prima opzione, lei allontanava tutti ma con lui non aveva funzionato, lui tornava sempre e questo l’aveva confusa. Vederlo tornare anche dopo le urla, anche dopo i “vaffanculo”, anche dopo i brutti comportamenti le faceva credere che forse lui fosse diverso. La speranza le invadeva il cuore perché anche se diceva a tutti di no, anche se si comportava come “il lupo solitario” non le sarebbe dispiaciuto per una volta essere amata. Stava seduta nel letto e quei pensieri le invadevano il cervello, era un continuo “no perché…” “si perché…” “ma” “forse”, i due pareri si scontravano tra di loro come se si trovassero in un ring di wrestling. Aveva sempre avuto un solo parere, un solo punto di vista, una sola scelta e adesso non più, era arrivata al punto di considerare la scelta opposta e sapeva benissimo che non sarebbe dovuto succedere. Fece un grande respiro e si lasciò cadere sul letto mentre i “si” e i “no” svolazzavano confusi e rumorosi nella sua testa come le chiavi volanti di Harry Potter e la pietra filosofale.
Al piano di sotto, in sala da pranzo, Kevin accoglieva con gioia Joe o meglio le pizze che portava in mano. «Fratello iniziavo a pensare che ti fossi perso per strada, ci hai messo più di un ora» disse prendendo le pizze dalle mani del fratello. Aprì tutti i cartoni sul tavolo in modo che ciascuno potesse prendere una fetta di ciascun tipo di pizza e mangiare quello che voleva.
«Ringrazia che le ho prese, sono pure uscito da solo» rispose Joe prendendo posto a tavola.
«Tu hai bruciato la cena, tu vai a comprare la pizza» continuò Kevin sedendosi a tavola mentre Nick e Danielle facevano lo stesso. «Dov’è Cassie?» chiese accorgendosi del posto vuoto e voltandosi verso di Nick.
«Non guardare me, non lo so» rispose secco prendendo una fetta di pizza e iniziando a mangiare.
«E’ salita di sopra, ha detto che non le andava di mangiare» disse Joe imitando il fratello minore.
«Nick è successo qualcosa?» di sicuro l’insistenza era un tratto che Kevin e Nick avevano in comune.
«No» in quel momento a Nick sembrò di star interpretando la parte di Cassie nelle loro discussioni mentre Kevin interpretava il suo ruolo. Adesso capiva che poteva essere snervante la sua insistenza ma se lo faceva, lo faceva solo per il suo bene, sapeva che parlare di quello che aveva dentro l’avrebbe fatta sentire meglio anche se lei era convinta del contrario.
«Nich-»
«Abbiamo litigato, non chiedere perché, sono affari nostri» disse interrompendo la frase de fratello, sapeva che non avrebbe smesso finché lui non avesse detto la verità «Credo non sia venuta a cena per non stare nella stessa stanza con me» aggiunse infine prima che il fratello maggiore potesse replicare.
«Dovresti andare a chiamarla»
«Non dirmi cosa devo e non devo fare» ribatté scontroso e freddo, prese un’altra fetta di pizza e continuò a mangiare sperando che Kevin capisse che non era il momento di spargere la sua saggezza da fratello maggiore e sposato. Il fratello si zittì e il resto della cena fu silenziosa, fatta eccezione per quei pochi tentativi di conversazione fatti da Joe e Danielle. Finita la pizza non si alzò subito dalla sedia, rimase a guardare il piatto vuoto pensando a cosa avrebbe dovuto fare, andare da lei o no. Con lei era come sbattere la testa contro un muro di cemento o scavare un tunnel sotterraneo con un cucchiaio di plastica, era sicuro però che dietro tutto quello ci fosse un bellissimo mondo che doveva solo essere tirato fuori da qualcuno. Non voleva perderla ma era stanco di sbattere la testa contro un muro che non voleva crollare. Si alzò di scatto e uscì dalla cucina come se avesse magicamente capito cosa dovesse fare, se fosse stato uno scienziato pazzo nel suo laboratorio probabilmente si sarebbe messo ad urlare “EUREKA”. Salì al piano di sopra e senza neanche bussare aprì la porta della camera di Cassie, la trovò stesa sul letto con lo sguardo perso nel soffitto bianco.
«Ora non si bussa neanche più? Cosa vuoi?» disse risultando più fredda, se si poteva, del solito. 
«Ti ricordo che è casa mia» rispose chiudendosi la porta alle spalle, Cassie si mise a sedere nel letto in modo da poterlo guardare negli occhi mentre stava ai piedi del letto.
«Vuoi sbattermi fuori di casa?»
«Basta Cassie» non riuscì a trattenersi e alzò la voce, sperò che nessuno al piano di sotto lo avesse sentito. «Basta con queste discussioni da bambini per una buona volta» a quelle parole il silenzio si impossessò della camera e la avvolse tutta in una morsa fatale. Rimasero a guardarsi aspettando che qualcuno dicesse qualcosa ma per un po’ nessuno lo fece, stavano lì in quella camera indecisi se valesse la pena continuare o meno.
«Volevi dirmi qualcosa?» fu la voce di Cassie a stracciare il velo del silenzio, non urlò né si comportò come se volesse sputargli addosso ogni singola lettera ma mantenne un tono di voce semicordiale.
«Cassie, cosa siamo noi due?» chiese rimanendo lì in piedi ad aspettare una risposta.
«Che significa “cosa siamo”?» ribatté la ragazza confusa, quella domanda non aveva nessun senso per lei, soprattutto in quella situazione.
«Significa quello che ho detto, cosa siamo noi due per te?» voleva una risposta, una di quelle sincere, voleva una conferma.
«Siamo due persone» fece una pausa prima di aggiungere il resto «Una coppia di amici, credo». Si sentiva come un criminale circondato da poliziotti, nessuna via di scampo e domande spiacevoli a cui dover rispondere. Cos’erano loro due? Due persone, due conoscenti, due amici, due che si divertivano a comportarsi da amanti ma non lo erano. Ecco cos’erano, due amanti fasulli, nascosti, clandestini, assomigliavano ai giocattoli “made in china”.
«Amici» ripeté la parola che Cassie aveva usato poco prima accompagnandolo da un piccolo “wow”.
«Che c’è? Che avrei dovuto dirti?» tutta quella situazione la innervosiva, come ogni singolo aspetto delle conversazioni riguardanti i “sentimenti”. I sentimenti per lei erano personali, andavano nascosti e non rivelati a nessuno, non fare discorsi lunghi ore su ciò che si provava. Ci sono persone che se sentono qualcosa nei confronti di un’altra si buttano, ci provano, rischiano sperando che quella persona ricambi, lei era tutto l’opposto. Non si esprimeva mai per prima, se provava qualcosa tentava di reprimerlo prima che diventasse troppo forte. Quella paura, che agli esterni risultava come segno di un cuore freddo incapace di provare amore, ormai la divorava viva da dieci anni e più.
«Ci siamo tenuti per mano, siamo stati abbracciati per ore, ci siamo baciati, abbiamo ballato insieme, due ore fa eri sdraiata sulle mie gambe»
«Tu mi hai baciata, tu mi hai preso per mano, tu mi hai abbracciato» rispose accentuando il “tu” come a dare a lui la colpa di tutto.
«Vuoi dirmi che ti ho per caso costretto a fare qualcosa? Ti ho costretto a ricambiare il mio bacio?» Cassie non rispose, rimase in silenzio a fissare il ragazzo che attendeva una risposta in piedi davanti a lei. Nick si avvicinò e le si si sedette di fronte sul letto poggiandole una mano sul cuore. Lo sentì battere sotto il suo tocco. «Dimmi la verità per una volta, parlami col cuore»
«Non posso farlo» rispose togliendo la mano del ragazzo dal suo cuore.
«Tu non vuoi farlo, è diverso»
«E’ la stessa cosa» dopo che Cassie pronunciò queste parole Nick prese il suo viso tra le mani e lasciò che le sue labbra si poggiassero di nuovo su quelle della ragazza, erano morbide. Cassie ricambiò il bacio, era uno di quei momenti in cui smetteva di pensare e si lanciava nel vuoto, amava troppo il sapore delle sue labbra per respingerlo via. Aprì leggermente la bocca e lasciò che la lingua del ragazzo venisse a contatto con la sua una seconda volta. Si continuarono a baciare come se le loro labbra non desiderassero che toccarsi e le loro lingue rincorrersi in quel gioco che le rendeva splendentemente complici.
«Non dirmi che non ti è piaciuto» disse Nicholas allontanando di poco le sue labbra da quelle della ragazza.
«Io.. io..» balbettò cercando di prendere tempo per decidere cosa fare, cosa dire. «Non posso» disse infine.
«Di cosa hai paura Cassie?» le chiese Nick leggendole negli occhi la paura che l’aveva sempre assalita. Le accarezzò il graffio sulla guancia che cominciava a guarire.
«Di tutto, di te, di me, di questo, Nicholas tu non hai idea di cosa significa stare con me» le parole erano uscite da sole, senza chiedere il permesso al cervello. Era sull’orlo del precipizio, in bilico tra il cadere giù dal dirupo e il restare lì a guardare il vuoto.
«Quante volte abbiamo litigato?»
«Cosa c’entra questo adesso?» lei per la prima volta premeva per non cambiare discorso, non avrebbe mai pensato che sarebbe successo.
«Rispondi alla domanda» disse sicuro di quello che stava facendo.
«Non lo so, parecchie» rispose cercando di capire dove Nick volesse andare a parare con quel discorso.
«Ecco, se avessi voluto sarei potuto andarmene mesi fa, litigate fa, ma sono ancora qui» Cassie restò in silenzio, il suo cuore raccolse quelle parole e le tramutò in speranza, speranza di essere amata per una volta.
«Perché? Perché non te ne sei andato come tutti gli altri quando ho cercato di buttarti fuori dalla mia vita?» pronunciò finalmente la domanda a cui spesso cercava di dare una risposta senza mai giungere ad una conclusione.
«Perché mi importa di te, mi importa conoscere quello che hai dentro»
«Sei solo curioso di sapere quello che nascondo, te ne andrai via non appena otterrai quello che vuoi»
«Io voglio solo te, con i tuoi problemi, i tuoi difetti che utilizzi per cacciare tutti e i tuoi pregi che tieni nascosti finché non riesco a tirarli fuori» la guardò negli occhi sperando che leggesse la sincerità nel suo sguardo.
«Non posso darti il mio cuore» rispose, si mise una mano sul petto e continuò «Non sai che senza cuore non si vive Nicholas?»
«Lasciati andare per una volta, lascia che io ti ami» poggiò la sua mano su quella che la ragazza teneva sul suo petto e gliela strinse. Cassie non poteva permetterlo, non poteva ammettere che il suo cuore stava amando di nuovo, avrebbe solo peggiorato tutto. Il suo cuore, però, urlava, batteva forte contro la sua gabbia toracica e il suo cervello non riusciva più a controllarlo. Il suo cuore si era trasformato in un leone e il suo cervello era un domatore troppo poco esperto per controllarlo, nonostante tutti gli anni di pratica e di esercizio. Le labbra di Cassie erano chiuse, rigide, i suoi occhi fissavano il ragazzo di fronte a lei spaventati, respirava piano combattendo con se stessa. Era dura non lasciare trasparire all’esterno nessuna emozione quando dentro senti una guerra in corso. Nick le strinse ancora una volta la mano.
«Lasciami sciogliere il ghiaccio che hai dentro, lasciami abbattere le tue mura» fece una piccola pausa perdendosi nei suoi occhi blu e continuò «Non ti farò del male»
Cassie sospirò e sentì qualcosa rompersi dentro di sé, come se fosse sempre stata intrappolata in una prigione e adesso le catene si fossero rotte liberandola. Accarezzò il volto del ragazzo, sentì la leggera barba sotto il suo tocco, e poggiò piano le sue labbra sulle sue. Lasciò che si toccassero dolcemente, come potevano fare ingenuamente quelle di due bambini. Assaporò di nuovo il sapore che poco prima l’aveva conquistata e poi si allontanò da lui giusto il necessario per parlare.
«Portami al mare domani» disse sorridendogli, Nick la baciò di nuovo regalandole uno dei suoi più belli sorrisi. Cassie si era buttata, non aveva idea di dove avesse trovato la forza e il coraggio per farlo ma l’aveva fatto. Non era più in bilico nel burrone, adesso stava cadendo sempre più veloce senza sapere se sarebbe atterrata su cuscini imbottiti di morbide piume o aghi pronti ad ucciderla. Si era buttata nel buio più totale, era spaventata, dentro di sé sapeva che si sarebbe fatta male ma per la prima volta le importava più vivere il presente. I suoi soldati erano stati annientati, le sue mura abbattute, la sua città conquistata, lei catturata. Era bastata un’unica persona a fare quello e non sapeva se ciò significasse che lei era ancora troppo debole o lui troppo forte. Nick si sdraiò sul letto avvolgendo Cassie tra le sue braccia, gli piaceva accarezzarle i capelli mentre annegava nel mare dei suoi occhi, lei sorrideva e non distoglieva più lo sguardo. Si era buttata e aveva deciso di tenere aperti gli occhi durante tutto il volo per godersi il panorama che la natura le presentava davanti agli occhi. A volte Nick si avvicinava ancora di più e la baciava e continuarono così, tra carezze, baci e risate finché la ragazza, senza accorgersene, si addormentò tra le sue braccia. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** (14) Are you really stronger than my fears? ***


La luce del mattino entrò dalla finestra con le tende aperte e inondò la camera, quando Cassie aprì gli occhi si ritrovò nella stessa posizione in cui si era addormentata, abbracciata a lui. Si alzò di scatto, quasi come se stesse commettendo un reato restando in quella posizione. Nonostante avesse deciso di “lasciarsi andare” ieri sera, per la sua mente tutto quello restava il peggiore dei delitti. Fece un respiro profondo, prese i vestiti e andò in bagno a sistemarsi. Si sciacquò sotto il getto fresco della doccia facendo in modo che le sue guancie rosse e accaldate ritornassero al loro colore naturale. Si vestì velocemente e, infine, slegò i capelli che aveva legato prima di entrare in doccia per non bagnarli. Li pettinò per togliere i vari nodi che si erano creati e poi lasciò che cadessero lunghi sulla sua schiena. Tornò in camera attenta a fare silenzio, posò i vestiti della sera precedente al loro posto e poi si voltò verso Nick, dormiva ancora. La luce che entrava gli illuminava il viso e faceva risaltare il piccolo sorriso che aveva sul volto, il sorriso di qualcuno che dormiva sereno. Era come se il sole fosse attratto dalla sua bellezza e allora restasse lì ad accarezzargli il viso per dirgli "buongiorno meraviglia" ma lui dormiva ancora, immerso nei suoi sogni accucciato nel letto con i vestiti del giorno precedente. Non si era cambiato, quella sera non aveva voluto lasciarla come se avesse avuto paura che una volta alzato da quel letto non avrebbe più potuto ritornarci.
Cassie si sedette nel divanetto accanto alla finestra, portò le ginocchia al petto e restò a guardarlo dormire per un po'. Il bacio, o meglio i baci, di ieri sera le invasero la mente e le ritornarono sulle labbra, sentì il suo sapore come se si stessero baciando ancora in quel momento. "Hai fatto bene" "no, non avresti dovuto" "si invece" "ti dico di no, ti stai solo rovinando" "bisogna rischiare" "ti farai male, andrà via" "e se invece restasse?" "Non lo farà, lo sai" doveva ancora capire perché la sua testa era un campo di battaglia per opinioni in forte contrasto, esistevano luoghi appositi in cui svolgere i dibattiti, perché proprio la sua testa era diventato uno di questi? Avrebbe voluto entrare in sala come un giudice, sbattere il martelletto sul tavolo e urlare "basta" facendo finalmente stare tutti in silenzio ma invece era come bloccata dietro delle sbarre, imprigionata e condannata ad ascoltare quelle voci discutere della sua vita senza che lei potesse fare niente per fermarle. Forse avrebbe potuto fare qualcosa ma non ci era ancora riuscita. Rubare le chiavi della cella alla guardia addormentata e scappare era una buona soluzione, ma davvero pretendeva di scappare da se stessa?
«Ehi» disse Nick strofinandosi gli occhi come un bimbo assonnato.
Passarono un paio di secondi prima che Cassie rispondesse «Buongiorno»
«Da quanto sei sveglia?»
«Un'ora o mezz'ora, non lo so» rispose stringendo di più le ginocchia al petto come una bambina che cercava di proteggersi dai mostri di cui aveva paura.
Nick si alzò dal letto e si sedette di fronte a lei sul divano, le prese la mano e la strinse colmando gli spazi vuoti tra le sue dita sperando di colmare anche quelli che si trovavano dentro di lei. La guardò negli occhi e con la mano libera le accarezzò il viso, sentendo al tocco ancora i segni di quel brutto taglio che man mano stava scomparendo. Cassie abbassò lo sguardo imbarazzata, la guardava da troppo vicino e avrebbe voluto che smettesse di scrutare il suo volto imperfetto.
«Guardami» le disse tentando di riportare il suo sguardo su di lui.
Cassie fissò un attimo le loro mani intrecciate e pensò che erano più belle insieme che separate, poi riportò il suo sguardo sul ragazzo di fronte a lei.
«Hai dei bei occhi» disse, era la prima cosa che aveva notato di lei, fin dal primo giorno. Erano occhi che nascondevano un mondo segreto, più segreto di Narnia, e aveva voglia di entrarci, di perdersi in quel mondo provando a renderlo un po' più luminoso perché per quanto fossero belli era la luce che mancava in quegli occhi per renderli perfetti. Sembravano inondati dal buio e da un dolore che era durato talmente tanto da diventare una seconda pelle. Adesso voleva mostrare a quegli occhi che potevano ritornare a splendere di luce propria, illuminando il mondo, voleva ritornarle la luce che qualcuno le aveva rubato. «Grazie» rispose con un sorriso. Lui ricambiò il sorriso, le spostò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e poggiò le sue labbra sulle sue. Lo fece piano e dolcemente come se avesse paura di farle del male senza sapere che in realtà con quel gesto sciolse tutte le sue paure. Quel bacio innocente assomigliava un po' al paradiso, alla pace dei sensi. Cassie aveva paura di lui ma allo stesso tempo lui era la cura a tutte le sue paure.
«Vado a prepararmi così poi usciamo, va bene?» disse allontanandosi dalle sue labbra giusto il necessario per parlare, lei annuì e lui andò nella sua stanza.
Passarono un paio di minuti prima che lui tornasse «Hai una tua tovaglia o ne porto due?» chiese indossando già il suo costume a pantaloncino blu e una maglia a maniche corte.
«Tovaglia per cosa?»
«Il mare, ti sei scordata?»
«Ah, emh, si» balbettò «Portane due, io non ho la mia» continuò dopo averci pensato su.
«Okay» le sorrise.
«Nick?» lo chiamò prima che si chiudesse la porta alle spalle.
«Si?»
«Io non ho il costume»
«Non preoccuparti, lo andiamo a comprare prima di andare in spiaggia» le sorrise ancora e poi uscì dalla stanza per mettere le ultime cose nello zaino.
Ricordò che era stata lei stessa a dargli il consenso per il mare ma il pensiero di mettersi in bikini e spogliarsi le faceva venire il mal di testa e il mal di stomaco. Quel giorno il suo corpo sempre accuratamente coperto da vestiti per lasciar vedere il meno possibile sarebbe stato quasi nudo di fronte ad altre mille persone. Magari a nessuno di quelle mille persone sarebbe importato qualcosa di lei ma il solo pensare di stare lì in quelle condizioni le faceva venir voglia di scappare. Lui l'avrebbe vista e per quanto volesse provare a stare calma, a cercare di superare quella sua paura, non ci riusciva. L'odio per quello che vedeva allo specchio ogni giorno, per quello che lei e il suo corpo rappresentavano era tanto forte da spingerla sempre più giù senza che le sue forze riuscissero a mantenerla a galla. Lei affogava nelle sue paure e ci era talmente abituata che ormai si era rassegnata a stare nel fondo dell'oceano insieme alla barche affondate, i tesori perduti e le cause perse come lei. Si era sempre chiesta se sarebbe rimasta così, in fondo all'oceano, per tutto il tempo della sua vita o se prima o poi sarebbe riuscita a slacciarsi da quel peso che la tirava giù, risalire in superficie e ricominciare a respirare. Adesso per la prima volta stava provando a farlo, sentiva qualcuno che provava a tirarla di nuovo su nonostante il grosso peso che si portava addosso. Le aveva dato la mano, spaventata e insicura, consapevole che se lui avesse mollato la presa lei sarebbe caduta ancora più in basso.
«Sono pronto, andiamo?» disse Nick aprendo la porta e spazzando via i suoi pensieri come il vento spazzava via un castello di carte.
Cassie si alzò dal divano e seguì Nick al piano di sotto. Accanto alla porta c'erano tre zaini da mare pieni di tutto ciò che occorreva per quella giornata, quello più grande era di Kevin e Danielle e i due più piccoli di Joe e Nick. Si potevano distinguere dal fatto che quello del fratello minore era all'aspetto più gonfio a causa della tovaglia in più che aveva portato per Cassie mentre quello di Joe sembrava quasi vuoto.
«Joe metto i panini del pranzo nel tuo zaino» disse Danielle mentre apriva lo zaino e vi infilava il pranzo senza aspettare una conferma dal ragazzo che si limitò ad annuire qualche secondo dopo.
«Io e Cassie usciamo adesso perché dobbiamo prima passare a comprare il suo costume, ci vediamo al solito posto?» chiese Nick dopo aver preso il suo zaino e aver aperto la porta di casa. Una volta ricevuta una risposta affermativa dal fratello maggiore prese Cassie per mano e la condusse all'auto parcheggiata davanti casa. I due salirono nel veicolo e si diressero verso il centro commerciale più vicino. Girarono un po' prima di trovare un negozio di costumi, non era grandissimo ma ispirava fiducia dalla vetrina. Aveva due manichini con addosso due bikini differenti, uno era blu scuro, come il colore del mare profondo e l'altro aveva una strana fantasia geometrica che confondeva il bianco e il rosso. Dopo aver guardato il resto dei costumi che erano esposti negli scaffali all'interno della bottega senza trovarne uno che particolarmente la soddisfacesse si ricordò di quello blu visto in vetrina, era semplice e di un bel colore. «Voglio provare quello in vetrina» disse voltandosi verso di Nick che continuava a guardare i costumi.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei e chiese «Quello blu?»
Cassie annuì.
«Lo sapevo che ti piaceva» accompagnò questa frase con un sorriso e andò a chiedere alla commessa il costume.
«Tieni, provalo» le disse porgendole il costume della sua taglia.
Cassie si infilò nel piccolo camerino, chiuse la tenda e iniziò a spogliarsi davanti allo specchio che ricopriva la parete. Sentiva già le voci mormorare nel suo cervello quanto tutto quello "spettacolo" facesse schifo. Chiuse gli occhi come a voler cancellare l'immagine di se stessa prima che la sua testa iniziasse a scoppiare. Contò fino a dieci poi riaprì gli occhi, prese il costume dallo sgabello su cui l'aveva poggiato e se lo provò. Doveva guardarsi di nuovo allo specchio per capire come le stava quindi si prese di coraggio e con un grosso respirò guardò ancora una volta il suo riflesso. Uno schifo, non c'era soluzione a quel disastro che lei impersonificava.
«Mi fai vedere come ti sta?» chiese Nick dall'altro lato della tenda.
Cassie non sapeva come rispondere, nella sua testa quella domanda risuonava simile a quella di un assassino che chiedeva alla sua vittima se poteva ucciderla. Sentì il battito del suo cuore accelerare. Le persone normali avrebbero semplicemente aperto la tenda e chiesto "come mi sta?" ma lei non era normale, lei aveva paura, o meglio era terrorizzata. Il terrore che aveva la mangiava viva e non poteva farci niente, era troppo forte per combatterlo. Iniziava a sentire che quella in cui si era imbarcata era una situazione più grande di lei, più difficile di quanto avesse mai creduto. Odiava essere in quel modo ed era proprio in quelle situazioni che l'odio che provava verso se stessa aumentava a dismisura fino a farla scoppiare. Era come se la sua mente la istigasse ad arrabbiarsi a morte contro la persona che vedeva allo specchio, doveva distruggere quell'immagine e ciò implicava distruggere se stessa e lei non aveva mai avuto problemi a farlo. Si era distrutta in tutti i modi in cui le era possibile farlo, non ne aveva saltato uno, senza mai arrivare alla fine. Si era rotta, frantumata, schiacciata in mille pezzi ma era ancora in piedi, non sapeva bene per quale motivo. La verità è che aspettava solo quel grande momento in cui tutto sarebbe finito e i suoi occhi avrebbero visto solo il buio, ma non aveva il coraggio di infliggersi quella morte da sola. Era codarda perciò rimaneva in questo mondo, morta dentro ma viva agli occhi di tutti.
«Cassie? Allora posso aprire?» le domande del ragazzo la riportarono a quella imminente realtà per cui non aveva ancora preso una decisione. La scorsa sera aveva deciso di buttarsi ma adesso ciò che inizialmente le era sembrato alla sua portata, come se davvero fosse in grado di liberarsi dalle sue catene, le sembrava troppo difficile. Aveva provato a ingannare le proprie paure, ad affogarle nel loro stesso mare ma si era scordata che loro erano più brave di lei a nuotare. Si levò velocemente il costume e si rivestì evitando di proposito lo sguardo dello specchio. Sentire la stoffa che di nuovo proteggeva il suo corpo la tranquillizzava leggermente. Uscì dal camerino lasciando il costume lì dentro e rivolse un "scusa, non ce la faccio" a Nick che la guardava chiedendo una spiegazione. Una volta uscita dal negozio il più velocemente possibile camminò lungo il marciapiede e si appoggiò al primo muro libero che trovò. Cominciò a respirare profondamente, nello stesso modo in cui un atleta riprende fiato dopo una grande corsa. Pochi secondi e fu raggiunta da Nick.
«Che è successo?» chiese con sguardo preoccupato.
«Niente» a sentire la solita risposta Nick sbuffò mettendosi una mano tra i capelli e voltandosi dal lato opposto come per controllare la rabbia che quell'atteggiamento scaturiva in lui.
«Possiamo evitare almeno questa volta la parte della discussione inutile?» chiese guardandola di nuovo negli occhi.
«Io non ci riesco, scusami ma non ci riesco» rispose abbassando lo sguardo.
«A fare cosa?» voleva sapere, voleva aiutarla ma ogni volta che ci provava si trovava muri in cemento armato davanti, anche adesso che credeva di averli distrutti tutti.
«Ad aprirmi, a mostrarti quella parte di me, io non posso farlo. Io sono un puzzle rotto e già non so come ricompormi, come faccio se in più lascio che tu ti prenda i pezzi di me?»
«E se lo ricostruissimo insieme questo puzzle?» si avvicinò a lei, che stava ancora appoggiata al muro come per aggrapparsi a qualcosa di solido per non cadere di nuovo, e le prese la mano. La guardò negli occhi pregandola di accogliere il suo aiuto.
«È un puzzle da 100.000 e più pezzi, lascia perdere» cercò di far scivolare via la sua mano da quella del ragazzo ma Nick gliela strinse più forte non lasciando che andasse via.
«Fammi provare, mi sono sempre piaciuti i puzzle complicati» disse sorridendole.
Cassie prese un grosso respiro buttando fuori tutta l'aria che aveva in corpo. I pensieri erano sempre quelli, le domande sempre le stesse, le ossessioni continuavano a girarle per la mente identiche. Si sentiva come in un vicolo cieco, aveva un muro davanti e l'unico modo che aveva per farsi strada era superarlo, romperlo, frantumarlo. Lei era già andata in pezzi da tempo, adesso doveva mandare in pezzi ciò che continuava a distruggerla. Distruggere un muro in cemento armato, però, richiedeva più forza di quanta lei potesse mai averne.
«Perché vuoi perdere tempo nel cercare di ricostruirmi? Perché sei qui a tenermi la mano con tutti i miliardi di posti più belli in cui potresti essere?»
«Perché di tutto il tempo che ho perso, tu resti ancora la perdita di tempo più bella che abbia mai fatto» era come se ad ogni parola le riscaldasse il cuore gelido, era come il sole caldo dopo la tempesta di neve. In lei c'erano stati dieci anni di inverno e adesso sentiva finalmente arrivare di nuovo la primavera. Lui era il sole che caldo scioglieva tutto il ghiaccio e la neve sulle montagne e le città, lui era la sua primavera interiore.
«Io ho paura» mormorò cassie abbassando lo sguardo sulle loro mani ancora intrecciate.
«Di cosa?»
Cassie alzò lo sguardo e pronunciò davanti a lui quelle parole che mai avrebbe pensato di pronunciare davanti a qualcuno «Ho paura di me stessa».

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** (15) Heaven and hell. ***


Ricomporre i pezzi di una persona implica avere pazienza, starle accanto nonostante tutte le volte lei possa respingerti per paura di un tuo tocco. L'uomo si crede l'essere più forte al mondo ma in realtà è più fragile di un castello di carte, si distrugge con il soffio d'aria di un'emozione sbagliata. Le carte volano via e bisogna raccoglierle tutte mentre il vento continua imperterrito a spazzarle vie. Alcune carte si perdono ed è come avere un puzzle senza tutti i pezzi o un disegno colorato con gli spazi bianchi. È in quel momento che inizi a sentire un vuoto come se qualcuno si fosse avvicinato a te e conficcando la mano nel tuo petto o nel tuo stomaco ti rubasse un polmone, il cuore o un pezzo di intestino. Le persone a cui ti affezioni sono quelle in grado di distruggerti maggiormente. A loro dai i tuoi pezzi migliori senza neanche accorgertene con il rischio che te li portino via uno ad uno. Per Cassie l'iniziare a sentire il bisogno di una persona era pericoloso quanto un codice rosso in ospedale, significava pericolo di morte. Iniziavi a ragionare così dopo aver visto le tue carte volare ovunque e sparire insieme alle persone, come si fa a costruire un castello da quaranta carte quando a stento te ne rimangono dieci? 
Si sentiva scoperta, nuda davanti alle telecamere, terrorizzata da qualcosa che stava nella sua mente e che nessuno al di fuori di lei poteva vedere. Aveva pensato di essere pazza a volte, aveva qualcosa radicato nel suo cervello che non andava bene e lo aveva lì fin da piccola, era cresciuto con lei e dentro di lei come un parassita gigante. Immaginava tutte queste gran cose, queste grosse metafore che usava per spiegare a se stessa cosa sentiva e pensava, pensava, pensava, pensava troppo e ad ogni pensiero si distruggeva. Sentiva un bisogno innaturale e insano di distruggersi, dentro e fuori. Era pazza, continuava a pensarlo senza dirlo mai a voce alta perché quello sarebbe significato ammetterlo e lei non voleva farlo, era già abbastanza complicato così. 
Guardò Nick di nuovo, quelle parole erano uscite dalla sua bocca troppo in fretta perché si rendesse conto di quello che aveva appena confessato. Gli aveva dato una delle sue dieci carte rimaste per cominciare a costruire quello che lui si era offerto di riparare. Era cosciente però che nel momento in cui se ne sarebbe andato allora sarebbe rimasta con nove carte e il castello sarebbe stato ancora più povero e fragile di prima. Nick lo sapeva, sapeva cosa quel gesto significava per lei ed era come se si sentisse davvero la decima carta tra le mani, la carta più pesante che avesse mai preso. Si avvicinò piano di più a lei, continuava a tenerle la mano, la guardò negli occhi e vide ancora una volta quel meraviglioso mondo a cui era stata tolta ogni luce, come una casa a cui era andata via l'elettricità senza mai più tornare. I suoi occhi erano una di quelle case antiche e maestose ma che col tempo venivano ricoperte da erbacce e i muri si riempivano di muffa. Cassie era una maestosa villa antica che aveva solo bisogno di qualcuno che se ne accorgesse e la restaurasse facendo capire a tutti, e a lei stessa in primis, il suo valore. Con un gesto improvviso Nick la tirò a se e la strinse fra le sue braccia, lasciò che la ragazza nascondesse il volto, insieme a tutte le paure, nel suo petto. I loro cuori battevano l'uno accanto all'altro dandosi il ritmo a vicenda, come se quello di Nick insegnasse di nuovo il modo di battere regolarmente al cuore di Cassie. Poteva una persona avere così tanto potere su un'altra? Poteva davvero un cuore insegnare a battere di nuovo ad un cuore malato? Fino a quel momento Cassie avrebbe riso in faccia a chiunque le avrebbe detto una cosa del genere ma adesso riusciva davvero a sentire quel calore terapeutico. Lui le stava guarendo il suo cuore marcio. Come? Non ne aveva idea, era pura magia. 
«Rimettiamo insieme i pezzi Cassie, uno alla volta» le sussurrò all'orecchio mentre continuava a stringerla a sé. 
La ragazza si staccò dal lungo abbraccio e riuscì solo a pronunciare balbettando «Io... io». La paura era percepibile ad ogni sua parola, ad ogni suo gesto. 
Nick le prese nuovamente la mano, entrambe le mani, e le strinse forti, talmente forte che sembrava volesse imprimerci dentro il suo segno. «Ho legato la mia vita alla tua, non vado da nessuna parte». 
Tutte le parole che le ronzavano in mente si affollavano ad uscire dalla bocca ma questa rimaneva sigillata non sapendo quale parola far uscire per prima. Voleva allontanarlo, tornare ad autodistruggersi da sola ma il suo cuore aveva bisogno di lui e le implorava di farlo rimanere. Nicholas era come uno di quei incantesimi di Harry Potter che servivano ad aggiustare le cose rotte, Cassie era la cosa rotta e per la prima volta sentiva a poco a poco ritornare i cocci della sua anima a proprio posto. I suoi occhi azzurri da terrorizzati si calmarono un po', aveva lasciato che le sue parole e i suoi tocchi le facessero da colla. Quella speranza e quel sentimento che sentiva nascere nel petto, l'avrebbero uccisa, lo sapeva, ma come buttarlo fuori? Era come un cancro che cresceva ogni giorno senza più possibilità di sradicarlo ma lei era tanto marcia dentro che il cancro aveva cominciato a guarirla. Si lasciò andare tra le sue braccia e lui la strinse di nuovo a sé, le accarezzava i capelli e la schiena mentre lei affondava sempre più il volto nel suo petto. Cassie si disse che non c'è motivo di estirpare i cancri benigni anche se in realtà c'era: tutti i cancri benigni rischiano di diventare maligni senza neanche che tu te ne accorga. 
«Vuoi tornare a casa?»
Cassie annuì e lui staccandosi dall'abbraccio le prese il volto tra le mani, le diede un bacio sulla fronte come era sempre solito fare e la prese per mano conducendola verso la macchina a pochi metri da lì. Durante il tragitto nessuno dei due disse niente, rimasero immersi nei propri pensieri finché poco prima di arrivare a casa Cassie disse «Mi dispiace». 
«Per cosa?» rispose Nick continuando a guardare la strada attento a dove andava. 
«Per aver fatto saltare la gita al mare» lo disse piano come se si vergognasse di quelle parole, si vergognava di essere se stessa, si vergognava anche a chiedere scusa. 
«Non fa niente» rispose scendendo dall'auto dopo averla parcheggiata. Cassie fece lo stesso e lo seguì fin dentro casa senza aggiungere parola. Nick posò lo zaino nello stesso punto in cui l'aveva preso quella mattina e si voltò verso Cassie. Stava ferma accanto al divano, si torturava le labbra come era solita fare quando si trovava in imbarazzo o semplicemente quando pensava, a volte le torturava tanto da far uscire il sangue. Avrebbe voluto mostrare sicurezza, decisione, forza ma era confusa, combattuta, stanca. Nick la osservò per un po' stare in quella posizione, con gli occhi bassi verso il pavimento mentre cercava di scacciare i pensieri distruggendosi le labbra. Le si avvicinò piano e le alzò il volto in modo che i suoi occhi entrassero dritti nei suoi. Le diede un piccolo bacio sulle labbra e sentì il sapore del sangue, quel bacio voleva guarirla, era come uno di quei baci che la madre dà al proprio figlio sul punto in cui si è fatto male per alleviare il dolore. Cassie si era sempre chiesta il perché di questa "tradizione" che vedeva i baci come una medicina, una sorta di antidolorifico, quasi la sostituta della morfina. Ma i baci non guariscono, quando la madre bacia il figlio sulla ferita questa non guarisce più velocemente né fa meno male eppure i bambini hanno bisogno di quel bacio come se li guarisse davvero. Il bacio è il simbolo dell'amore e l'amore spesso è visto come guaritore per eccellenza, il medico di tutti i medici, ed è forse per questo che si è iniziato a pensare che i baci potessero guarire, lenire le ferite. E se l'amore facesse male? Se i baci non facessero altro che aggiungere batteri a ferite già troppo esposte al mondo? 
Gli esseri umani pensano troppo. 
Le accarezzo le labbra con un dito e disse «Vieni con me, ti faccio vedere il mio mondo in questa casa» le sorrise e la condusse in una saletta, non troppo grande né troppo piccola, al centro c'era un grande pianoforte bianco filmato "Baldwin" e nella parete infondo vi erano esposte una serie di chitarre di tutti i tipi e maniere. Il suo mondo era la musica. 
«Quelle sono solo una minima parte delle chitarre che ho» fece una piccola risata indicando la parete infondo poi concentrò il suo sguardo sul pianoforte. «È il mio strumento preferito, sai?» disse sedendosi sullo sgabello del piano, Cassie fece lo stesso e si sedette accanto a lui. Con delicatezza tolse il tessuto che ricopriva i tasti proteggendoli dalla polvere e iniziò a posare le mani sui tasti bianchi e poi anche su quelli neri. Iniziò a suonare una melodia dolce che ti entrava nelle orecchie e ti arrivava fino al cuore che la pompava nelle vene riempiendo tutto il corpo. Un po' come il grande amore stilnovistico che attraverso gli occhi ti arriva fino al cuore, alla mente e a tutti gli altri organi. Questo, però, era più bello perché passava attraverso l'udito e la bellezza percepita non era fisica ma interiore e tutto dentro l'organismo risultava migliore. Non cantò, lasciò che le sue mani parlassero per lui e Cassie sarebbe anche potuta restare lì ad ascoltarlo per l'eternità, era certa che non si sarebbe stancata. Dopo aver suonato l'ultima nota si girò verso di lei che lo guardava attento e disse «Era per te». 
I suoi occhi si illuminarono di una leggera luce e sorrise, Nick pensò che era così bella quando sorrideva e neanche lo sapeva. 
«Grazie sul serio» rispose.
Nick le sorrise e continuò a guardarla mentre lei abbassò lo sguardo tornando a mordersi le labbra. 
«Smettila, te le rovini tutte, sono così belle» disse alzandole il volto verso di lui. 
«Sono le mie labbra» rispose secca.
«Si ma poi le bacio io ed è più bello se non sanguinano» 
La freddezza di Cassie scomparse in un istante e ciò che dentro di lei era freddo divenne caldo, le faceva sempre quest'effetto. C'entravano sempre i baci e gli abbracci e l'amore, quelli mancati l'avevano raffreddata e quelli ricevuti ora la riscaldavano. Era tutto un gioco di contrari, di assenze e di presenze, di fuochi e di ghiacci e tutto sembrava girare intorno all'elemento senza il quale l'uomo sembra non poter vivere: l'amore. La verità è che senza amore si può vivere, o meglio, l'unico amore che serve è quello per se stessi ed è quando questo manca che l'amore degli altri diventa quasi vita per te. Se qualcuno ti ama vuol dire che forse, ma solo forse, un po' di amore lo meriti anche tu e la tua mente sbaglia a pensare il contrario, se nessuno ti ama allora è proprio come pensi tu e ti odi a tal punto da autodistruggerti più di quanto le persone ti distruggano già. 
Cassie sorrise, mise una mano sul volto del ragazzo di fronte a lei e per la prima volta fu lei ad avvicinare le sue labbra alle sue. Quel bacio significava "grazie di esserci", "grazie di aver alleviato i miei mostri", "grazie di preoccuparti se sanguino perché nessuno l'ha mai fatto". Ogni loro bacio non era un semplice bacio, era uno di quelli lottati, guadagnati, emblematici in quello che significavano. Era un bacio d'amore ma il loro amore ancora nessuno lo conosceva realmente, neanche loro. Nick era fidanzato e baciava lei, Cassie credeva che l'amore fosse solo un sogno delle bambine che volevano essere principesse eppure sapeva che non era normale sentirsi il cuore scoppiare nel petto. Non si erano detti di amarsi, non si erano promessi nulla, lasciavano solo che le loro labbra si incontrassero durante la giornata perché erano un po' come due calamite, puoi provare a tenerli lontani ma torneranno sempre ad unirsi. Nonostante ciò i loro baci valevano più di miliardi di "ti amo", più di miliardi di parole buttate al vento senza meta. 
Passarono il resto della giornata a casa, Nick per quel giorno aveva smesso di provare ad entrare nel mondo di Cassie e provava adesso a far entrare lei nel suo. Le mostrò la musica, il suo giocare coi videogiochi sportivi quando era a casa senza far nulla, i suoi fumetti di barzellette sceme che propugnava ai suoi amici e le sue scarse abilità in cucina. 
«Dai Cassie vieni qui a giocare» la invitò Nick mentre sdraiato sul letto continuava a giocare al x-box. 
«Ma non sono capace, mi hai già fatto milioni di goal» rispose lei voltandosi verso di lui per un momento e ritornando poi a curiosare tra le mensole della stanza. Un vecchio libro rosso le catturò la vista così lo prese e si accorse che era un vecchio album di fotografie. 
«Nick guarda che ho trovato» disse saltando sul letto e scuotendo il ragazzo che vi era comodamente sdraiato. 
«Ma no, mi hai fatto perdere!» esclamò indicando il televisore che segnava un punto per l'avversario. 
«Dai guarda un attimo qui, poi hai tutto il tempo di stracciarmi a quel gioco» disse Cassie ridendo e mostrandogli la sua nuova scoperta. 
«Dove l'hai trovato?» 
«Lì» rispose indicando la mensola da dove l'aveva preso «Possiamo guardarlo?» 
Nick annuì alzandosi a sedere sul letto e accogliendo Cassie tra le sue braccia, lei si mise l'album di foto sulle ginocchia cominciando a sfogliarlo, c'erano foto di tutti i tipi, da feste eleganti a foto di halloween a foto di bambini nudi durante i loro primi bagnetti. 
«Sei tu questo?» chiese Cassie ridendo indicando una foto dell'ultima tipologia. 
«Si, non mi guardare» rispose comprendo con una mano la foto. 
«Perché?» 
«Perché sono nudo, no?» rispose con un tono di ovvietà e ironia nella voce. 
Cassie scoppiò a ridere e spintonò leggermente il ragazzo «Ti sembra che mi eccito a vederti nudo da piccolo? Mi hai preso per una maniaca?» disse provando a fare la seria ma non riuscendo a smettere di ridere. 
La osservò un po' prima di rispondere perché vederla ridere in quel modo gli donava gioia al cuore «Devo pur sempre preservare il mio corpo da occhi indiscreti no?» 
«Pagheresti perché ti guardassi realmente nel modo in cui stai pensando» disse lei mettendosi di fronte a lui così da poterlo guardare in faccia. 
Nick la avvicinò a sé e piano all'orecchio le sussurrò «Perché non mi stai già spogliando con gli occhi?» 
Cassie si avvicinò tanto da baciarlo ma si fermo un attimo prima per rispondere alla sua domanda «Neanche nei tuoi sogni». 
Nick prese a farle il solletico e come due bimbi si ritrovarono a rotolare nel letto a due piazze in una battaglia senza fine. 
«Ti arrendi?» chiese Nick che sopra Cassie continuava a farle il solletico.
«Mai» rispose dimenandosi per provare a liberarsi dalla presa del ragazzo molto più forte di lei. 
«Sei sicura?» chiese di nuovo con tono minaccioso. 
«No, hai vinto, mi arrendo, non ce la faccio più» rispose infine ridendo ancora per il troppo solletico. 
«Brava bimba» disse togliendosi da sopra di lei per sdraiarsi accanto. Le mise un braccio attorno al collo e la strinse a sé tanto da farle poggiare il volto sul suo petto. 
«Com'è che mi hai chiamato?» 
«Bimba» Cassie rise automaticamente al suono di quelle parole. «Che c'è di male in come ti ho chiamato?» continuò lui vedendola ridere. 
«Niente, bimbo» rispose dandogli un bacio sulla guancia ancora ridendo.
«Mi prendi in giro?» chiese fingendosi serio.
«Io? Mai al mondo, giuro» disse e guardandolo negli occhi fece giurin giurello con le dita. 
«Sei una stupida» disse sorridendole e stringendola ancora più a sé.
Restarono in quella posizione per un po', ripresero l'album di fotografie e continuarono a guardarlo. Cassie sentiva il cuore di Nick battere sotto di lei e annuiva e commentava attenta alle spiegazioni del ragazzo riguardo ogni foto. Cassie amava le foto, non quelle fatte a lei perché della sua vita ne sapeva già abbastanza, le piacevano quelle degli altri per scoprire come avevano vissuto. Dietro ogni singola foto c'è una storia e le piaceva ascoltarle mentre guardava l'istante catturato e si immaginava tutto quello che gli stava intorno e che magari poteva essere nascosto. Non importava che l'immagine fosse bella o brutta, sfocata o messa a fuoco, a colori o in bianco e nero, era un pezzo di vita, uno di quei tanti che aiutano a comporre il puzzle di una persona, ed era bello osservarli e riportarli alla memoria come se fossero ancora il nostro presente. 
Quando girarono anche l'ultima pagina dell'album Nick si alzò, lo posò nella mensola e prese qualcosa dal cassetto più basso della scrivania. 
«Che hai preso?» chiese curiosa. 
«È la polaroid di Joe» rispose mostrandogliela e sedendosi di nuovo accanto a lei sul letto «Dammi un bacio» 
«Perché?» 
«Voglio farci una foto» 
«Non mi faccio fare foto io» 
«Per favore» la pregò assumendo l'espressione da cucciolo. Cassie si avvicinò a lui e senza rispondere lo baciò, lui scattò la prima foto e poi una seconda. Le scosse entrambe per farle asciugare e poi le guardarono insieme. 
«Quale vuoi tu?» Cassie ne indicò una e Nick gliela diede mentre l'altra la poggiò sul suo comodino. «Così abbiamo il nostro primo ricordo insieme» disse infine sorridendole.
«Sembriamo due fidanzati» disse Cassie osservando la foto che teneva ancora in mano. Quella era l’unica foto di lei che realmente le piacesse, probabilmente perché non si soffermava sulle sue imperfezioni ma solo su quanto amasse vedere le loro labbra toccarsi.
«Non lo siamo?» chiese Nick accarezzandole i capelli.
«Sono contraria alla poligamia quindi no, non lo siamo» rispose Cassie con quel tono di acidità che caratterizzava le sue risposte quando doveva difendersi dai sentimenti troppo invadenti, allontanandosi dal tocco del ragazzo.
«Che vuoi dire?»
«Ti fingi stupido o lo sei davvero? Tu hai già una ragazza e ti aspetta a New York» non sapeva esattamente con quale forza aveva pronunciato quelle parole perché ogni lettera era una pugnalata al cuore.
«Ah..» fu questo l’unica cosa che riuscì a dire.
Cassie prese un grande respiro cercando di calmarsi, se erano arrivati a quella situazione era anche colpa sua che non era stata capace di dire no quando era l’unica risposta plausibile. Posò la foto sul letto, disse «Tienila tu questa e mi raccomando, attento a non farla vedere alla tua ragazza» e aprì la porta della camera per andare via. Era incredibile come con lui si passasse dal paradiso all’inferno in meno di due secondi, pensò Cassie.
Nick la afferrò per un braccio prima che uscisse dalla stanza, la ragazza si staccò dalla sua presa e a denti serrati disse «Non toccarmi». Alzò la mano per sfiorarle il volto ma si fermò per paura di peggiorare la situazione, la guardò negli occhi e piano pronunciò queste parole «Io voglio solo te nella mia vita».
Cassie abbassò lo sguardo, quelle parole erano troppo da sopportare, voleva crederci ma come faceva a farlo se i fatti le dimostravano tutto l’opposto? «Non» prese un grosso respiro e riprese a parlare «mentirmi».
«Guardami negli occhi, ti sembra che io stia mentendo?» Cassie non riusciva ad alzare lo sguardo da terra, lui provò ad accarezzarle il volto e mettendogli una mano sotto il mento cercò di riportare i suoi occhi nei suoi ma ottenne solo di farla allontanare nuovamente.
«Come faccio a crederti? Probabilmente queste moine le fai giornalmente alla tua ragazza e a tutte le altre che hai avuto. Io non sono nessuno» sentiva gli occhi gonfiarsi di lacrime e in mente continuava a ripetersi “non ora, chiudi quel cazzo di rubinetto Cassie”.
«Ti sei chiesta perché ho portato te qui e non lei?»
«Perché sono una povera pazza bisognosa di aiuto che non può essere lasciata sola e tu hai l’incessante bisogno di fare volontariato»
«Sbagliato. L’ho fatto perché lei non significa neanche un quarto di quanto significhi tu, perché mi piace guardarti sorridere e formare quella leggera fossetta sulla guancia, perché mi piace stringerti a me, perché ho scoperto che il sapore delle tue labbra è il mio preferito, perché ti fingi forte ma in realtà crolli al primo tocco, perché voglio poterti proteggere, perché io voglio te».
Cassie rimase immobile, alzò gli occhi e lo guardò, avrebbe voluto credere a quelle parole e in realtà lo stava già facendo ma la piccola parte razionale che ancora rimaneva in lei le ricordava che era un bravo attore. «Se tutto questo è vero perché continui a stare con lei?».
«È complicato..»
«Avrei dovuto immaginarmelo» si voltò di nuovo verso l’uscita ma Nick la fermò un’altra volta.
«Credimi, ti prego» Cassie rimase in silenzio a guardarlo, non sapeva cosa dire. «Sistemerò le cose, promesso».
Cassie continuò a guardarlo per qualche secondò e poi cedette di nuovo ai suoi occhi, alle sue labbra, alle sue parole «Promesso?»
«Promesso» Nick le sorrise e la bacio dolcemente come solo lui era capace di fare. «Ci rimettiamo sul letto?» Cassie annuì e rientrò in camera accompagnata dal ragazzo, si sedettero sul letto e lui le mise un braccio intorno al collo. Le prese una mano, la accarezzò e la riempì di baci come a voler trasmettere il suo amore a lei che ancora, giustamente, non ci credeva.
«Scusami» disse richiamando la sua attenzione che sembrava vagare tra pensieri immensi.
«Per cosa?» chiese voltandosi verso di lui con l’espressione confusa di chi torna sulla terra dopo un viaggio su Marte.
«Per farti credere che tutto questo sia solo una farsa, per me sei tu la mia ragazza»
«Io..» passarono alcuni secondi e poi continuò a parlare «Non lo so Nick, non so cosa hai in mente, perché lo fai, so solo che hai già una ragazza ma poi con me ti comporti in questo modo.. e spiegami, a chi dovrei credere io?»
Le pose la mano sul suo cuore e lasciò che sentisse il suo battito «Credi a me».
Cassie sospirò e chiuse gli occhi cercando di azzerare tutto, la soluzione giusta sarebbe stata andare via ma lei non poteva farlo, non più ormai. Decise di mandare via l’inferno e ritornare nel suo piccolo angolo di paradiso, dove al mondo esistevano solo loro due e a circondarli c’erano prati fioriti, arcobaleni e unicorni volanti. Era da stupidi rinchiudersi in quel mondo. Continuava a perseguire un amore che sapeva benissimo alla fine l’avrebbe distrutta ma come fermarlo adesso? Aveva visto il mare nei suoi occhi castani e questo l’aveva rovinata perché ormai in quei occhi lei ci annegava ogni volta che li guardava.
Gli accarezzò il volto e poi con le dita disegnò il contorno delle sue labbra, formavano un cuore. Lo avvicinò a sé e lo bacio, i suoi baci erano diventati una droga di cui non poteva fare a meno, erano due calamite che non potevano fare a meno di attrarsi. Nick la fece sdraiare, si mise sopra di lei e continuò a baciarla accarezzandole i fianchi. Cassie lo lasciò fare e lui si tolse la maglia, migliaia di pensieri su ciò che stava accadendo le invasero la mente ma erano talmente confusionari che non riuscì a capirne neanche uno.
«Posso?» chiese provando ad alzarle la maglia per toglierla, lei chiuse gli occhi e annuì. Nick le tolse la maglia e poi il reggiseno, le baciò il ventre scoperto e continuò a salire fino a baciarle i seni e il collo. La sentiva tremare sotto il suo tocco e l’unica cosa che voleva era farla sentire al sicuro, le strinse le mani e all’orecchio le sussurrò «Sei bellissima». Lei sorrise e con un grosso respirò cercò di tranquillizzarsi. «Non ti farò del male, sei al sicuro con me» continuò lui a dire. Riprese a baciarla quando sentì il campanello suonare, lo ignorò sperando che se ne andasse ma la persona fuori dalla porta continuò insistentemente a suonare.
«Vai a vedere chi è, non credo smetterà a meno che tu non apra» disse Cassie coprendosi con il lembo del lenzuolo.
«Sarà Joe che ha scordato le chiavi di casa, scusami, torno subito» le diede un bacio veloce e scese giù ad aprire la porta alla persona meno opportuna del mondo.
«Amore miooo» la sua “ragazza ufficiale” le si catapultò addosso stampandogli un bacio sulle labbra e l’unica cosa che riuscì a pensare fu “merda”.
Cassie dal piano di sopra sentì la voce stridula che ben conosceva e vide l’immagine della labbra di Nick baciare quella di un’altra, le veniva da prendersi a pugni. Si rivestì velocemente ed uscì dalla camera. Paradiso e inferno, inferno e paradiso e poi di nuovo inferno ma sta volta il paradiso sarebbe stato difficile da raggiungere di nuovo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** (16) Red. ***


Si sarebbe voluta chiudere in camera o ancora meglio uscire di casa e correre finché le gambe non l’avrebbero pregata di smettere e non smettere neanche in quel caso, voleva fuggire ma non poteva. Si mise una mano sul cuore ed era sicura di non riuscire a sentirlo più, era scappato anche lui perché non ce la faceva più ad essere maltrattato. Più pensava a quegli istanti più si pentiva di non averlo fermato, ingenua che tutto sarebbe andato bene come se al mondo esistessero solo ed esclusivamente loro due. Aveva lasciato che lui la vedesse semi nuda e ora si sentiva ancora più sporca di prima. Sentiva le loro voci dal piano di sotto e come la stupida che dimostrava sempre di essere si mise in un posto nascosto in cima alle scale, lei poteva vedere loro ma loro non potevano vederla. Osservò da quel punto tutto ciò che stava accadendo tra i due “felici innamorati”. Le mani della ragazza erano avvinghiate al suo collo mentre quelle di Nick poggiavano sui suoi fianchi stringendoli. Quelle mani che prima le avevano sfilato gentilmente la maglia, quelle mani che le avevano slacciato il reggiseno, quelle mani che ora accarezzavano il corpo di un’altra. Si sentiva male ma non poteva fare a meno di continuare a guardare, voleva e doveva sapere. Non smetteva mai di farsi del male, fisico o morale, anche quando le persone la prendevano già abbastanza a pugni. Infondo aveva capito che più di questo non si meritava, era sciocca a pensare il contrario. Il dolore era come una specie di migliore amico, non l’abbandonava mai e ci si era abituata finché non era sbucato lui con i suoi occhi, le sue labbra, le sue parole a darle la speranza di una felicità che per lei non sarebbe mai potuta esistere.
Vide i due baciarsi e i loro corpi avvicinarsi sempre di più mentre le loro lingue si scontravano violentemente all’interno delle loro bocche. Quelle labbra che pochi minuti fa baciavano le sue, quelle labbra che avevano sfiorato delicatamente il suo ventre scoperto, quelle labbra che avevano ricoperto di baci i suoi seni nudi, ora baciavano appassionatamente le labbra di un’altra. Non riusciva più a capire cosa stesse provando, era arrabbiata, delusa, ferita, triste. Erano troppe emozioni in una volta sola, troppe emozioni per una persona che già odiava provarne una alla volta. L’odio, eccone un’altra. L’odio nei confronti di se stessa, di ciò che aveva fatto, l’odio nei confronti di Nick che in realtà svaniva subito. Lo biasimava, perché scegliere una come lei quando aveva già una delle ragazze più belle al mondo con sé? Le belle vincono i disastri, lo sanno tutti. Quando vide la mano di Nick scendere più giù del dovuto fino a toccarle il sedere d’istinto tirò un pugno al muro causando un grosso tonfo che interruppe i due nei loro dolci affari.
«Cos’è stato?» chiese lei allontanandosi leggermente da lui.
«Forse è caduto qualcosa, resta qui che vado a controllare, torno subito» la ragazza annuì sedendosi sul divano e Nick corse di sopra sapendo benissimo che con quel rumore c’entrava Cassie. La trovò seduta alla fine delle scale, proprio nel punto da cui aveva assistito a tutta la scena. Nick si chinò verso di lei e notò che le nocche della sua mano destra sanguinavano.
«Che hai fatto?» chiese come se stesse urlando ma a bassa voce per non farsi sentire dal piano di sotto. Cassie si guardò la mano e vide il sangue, non si era accorta di sanguinare. «Niente» rispose nascondendo la mano dietro di sé.
«Smettila, fammi vedere» rispose tentando di prenderle la mano, lei lo scostò violentemente e si alzò da terra.
«Non mi toccare» scandì ogni parola con tutta la rabbia che aveva in corpo.
«Ti prego» tentò di avvicinarla ma lei si allontanò ancora di più. Non voleva toccarlo, non voleva guardarlo, non voleva parlargli. Era così arrabbiata che avrebbe potuto tirare altri cento pugni al muro e continuare a non sentire il dolore provocato dalle ferite.
«Ti prego un cazzo!» alzò troppo la voce facendosi sentire al piano di sotto.
«Nick tutto bene?» urlò lei.
«Si, non ti preoccupare, sto mettendo a posto alcune cose» urlò di risposta lui sperando che non salisse e rimanesse lì dov’era. La sua risposta sembrò calmarla tanto che non rispose più. Nick riprese a guardare Cassie cercando disperatamente le parole per farsi per donare, Cassie lo anticipò nel parlare.
«Non mi metterai a posto, non questa volta, non risolverai tutto con le tue belle parole»
«Ascoltami» avrebbe voluto avvicinarla e stringerla a sé ma ogni movimento in quel momento avrebbe solo peggiorato la situazione.
«Ti ho ascoltato per tanto tempo ma tu mi hai dimostrato che le tue erano solo parole» Nick non sapeva cosa dire e rimanendo in silenzio diede l’occasione a Cassie di continuare a parlare. «Stavamo per fare l’amore prima, ti rendi conto? Forse no perché per te era solo sesso».
«Non dirlo, non ti permetto di dire che per me era solo sesso perché non hai idea di quanto tu significhi per me».
«Te lo dico io quanto significo, zero» sottolineò l’ultima parola accentuando il tono di voce. Nick scosse la testa in segno di dissenso ma prima che potesse aprir bocca Cassie continuò a parlare «Hai davvero il coraggio di dire di no? Dopo aver baciato quella davanti ai miei occhi? Dopo averle palpato il culo?»
«Non avresti dovuto vederlo»
«Uh, notizia lampo: mi dispiace per te ma ho visto tutto» disse impregnando ogni parola del suo solito e tagliente sarcasmo. La verità è che voleva fargli del male, almeno un po’, giusto per fargli capire cosa lui stava facendo a lei. Nick si limitò a fissarla senza proferire parola e Cassie riprese a parlare, si stava sfogando di tutto quello che aveva dentro in quel momento. «Toglimi una curiosità, se io non avessi sentito nulla e fossi rimasta mezza nuda sul tuo letto, tu che avresti fatto? Avresti finito con lei e poi saresti tornato a scopare con me come se niente fosse?»
Nick abbassò lo sguardo e pronunciò un flebile “si”.
«Mi fai schifo» disse mollandogli uno schiaffo con la mano sana. Sentiva le lacrime premere per uscire fuori dai suoi occhi ma continuava a tirarsele dentro pregando se stessa di non piangere, non davanti a lui.
«Cassie..»
«Non pronunciare il mio nome con quel tono da cane bastonato, ritorna sotto dalla tua ragazza e non ti preoccupare di me, non vi interromperò più. Me ne starò buona in camera e quando avrete finito uscirò da quella porta e sparirò dalla tua vita»
«Non fare la stupida per favore, non uscirai dalla mia vita» rispose provandola a farla calmare con risultati opposti.
«Pensi che non ne abbia il coraggio?»
«No, penso che hai provato ad uscire dalla mia vita tante volte ma poi il destino ti ha ricondotto di nuovo tra le mie braccia»
«E fanculo il destino allora» si girò dalla parte opposta dandogli le spalle, Nick le si avvicinò da dietro e poggiò una mano sulla sua spalla. Cassie si voltò di scatto sottraendosi al suo tocco. «Avevi detto che avresti sistemato le cose ma se per te quello è “sistemare le cose” allora non ci siamo capiti».
«Le sistemerò, devi solo darmi del tempo» Cassie non rispose, era stanca di “urlare in silenzio” per non farsi sentire, era stanca di quella montagna russa e sarebbe voluta scendere all’istante ma i momenti in cima erano così belli che aveva paura a lasciare andare l’unica cosa bella che la vita le aveva offerto.
«Io esco, tu concludi pure quello che devi con lei, scopatela anche, il letto è ancora caldo» disse dirigendosi verso le scale e prima di fare il primo passo verso il piano inferiore si voltò verso di lui per dirgli le ultime parole «Ah e non ti preoccupare farò in modo di non essere vista e se anche mi vedesse dirò di essere la cameriera, buona serata». Nick la guardò scendere le scale, attraversare la porta d’ingresso e sentì il suo cuore mancare un battito quando sparì definitivamente alla sua vista. Prese un grosso respiro e scese di nuovo al piano di sotto.
«Eccoti finalmente, iniziavo a credere che la casa ti avesse inghiottito» disse Alexia facendogli segno di sedersi accanto a lei sul divano.
«No, sto bene per fortuna» rispose seguendo il suo consiglio e sfoderando uno dei suoi sorrisi finti migliori. La ragazza si avvicinò eliminando quella distanza che di proposito lui aveva posto tra i loro corpi.
«Alexia dobbiamo parlare» disse Nick non sapendo ancora esattamente cosa dire.
«Non ora dai, mi sei mancato così tanto» rispose avvicinandosi ancora di più. Con le mani dalle unghie affilate e super curate gli accarezzò il petto ancora nudo mordendosi le labbra. Il messaggio subliminale era chiarissimo ad entrambi: “voglio scoparti”. Nick però non riusciva a togliersi dalla mente la conversazione con Cassie e i loro baci e la sua reazione fu contraria a quella che la ragazza si aspettava. Si scostò dai suoi gesti e con tono serio le ripeté «Alexia, dobbiamo parlare».
«Che c’è di tanto importante?» rispose lei con tono scocciato.
«Perché sei venuta qui?»
«Vuoi dirmi che questa domanda è più importante di stare insieme come non stiamo da settimane?»
«Si, rispondi» disse Nick con tono freddo, stava girando intorno al discorso ma era l’unico modo che aveva per arrivare al punto.
«Per stare con te, no? Quale altre motivazioni potrebbero esserci?»
«Non era il caso»
«Non mi sembravi cosi scontento di vedermi prima mentre mi baciavi e mi toccavi» gli rispose rinfacciandogli le azioni che aveva fatto con tanto piacere proprio pochi minuti fa.
«Penso che sia il caso di finire questa storia qui» pronunciò queste parole con un tono secco come voleva essere il taglio che stava dando a quella relazione durata anche troppo.
«Non puoi dire davvero» la sua voce trapelava il senso di forte sorpresa che quelle parole le avevano appena provocato «Stai scherzando»
«No Alexia, mai stato più serio» disse alzandosi dal divano e avvicinandosi alla porta come per indicarle la via per uscire il prima possibile da quella casa.
«Ti sei per caso innamorato di quella troietta?» riempì ogni parola di disprezzo.
«Cassie non c’entra niente, voglio solo che te ne vai» pronunciando queste parole aprì la porta e le fece chiaro segno di uscire contemporaneamente da casa sua e dalla sua vita.
«Te ne pentirai, non troverai mai nessuno come me» rispose guardandolo un’ultima volta negli occhi prima di uscire dalla porta.
«Ne farò a meno» dopo che Nick disse ciò la ragazza si girò scuotendo i lunghi capelli neri e si allontanò velocemente mormorando fra sé e sé quanto tutto quello fosse assurdo. Nick chiuse la porta e pensò di andare a cercare Cassie ma non aveva idea di dove potesse essere andata così si sedette sul divano e aspettò che tornasse, perché doveva tornare, almeno per prendere la sua valigia.
 
Una volta uscita di casa Cassie iniziò a camminare senza meta mentre il sole era ormai quasi tramontato, aveva bisogno di dare sfogo a quello che sentiva dentro e al momento l’unico modo che aveva era quello di camminare e camminare senza fermarsi mai, nonostante non sapesse dove andare. Quando sentì di essere troppo stanca per continuare si fermò e si sedette sulla prima panchina che incontrò. Fermando le gambe però i pensieri ricominciarono a scorrere veloci e allo stesso modo le emozioni la investirono nuovamente con quella loro potenza devastante. Non sapeva esattamente cos’era peggio, se continuare a correre fino a svenire o lasciarsi travolgere dal treno dei suoi sentimenti interiori. Scelse la seconda, forse perché faceva più male, e si abbandonò su quella panchina di legno. Il ricordo dei suoi baci la colpì come un colpo allo stomaco e così il ricordo del suo tocco delicato tanto da spingerti a dargli il mondo.
«Vuoi un po’ di cioccolata?» la tenera voce di un bimbo sui tre anni interruppe i suoi pensieri. Lei rimase a guardarlo senza rispondere e il bambino rinnovò la sua offerta. «Sembri triste, prendine un po’» disse porgendole un pezzo della tavoletta di cioccolato che teneva tra le mani.
«Jake ma che stai facendo? Ti ho detto mille volte che non devi allontanarti» disse un ragazzo prendendolo in braccio e rivolgendo poi lo sguardo verso Cassie «Scusalo, non riesce proprio a stare fermo» le disse.
«Non preoccuparti, non ha fatto niente di male» rispose Cassie mostrando un sorriso ad entrambi sperando che andassero via, non era esattamente il momento giusto per fare nuove amicizie.
«Cody la signora è triste, dalle un po’ di cioccolata» disse Jake tirando la maglia di quello che probabilmente era il fratello maggiore. Cody si sedette accanto a lei con in braccio il fratellino e la guardò negli occhi, li aveva gonfi di chi aveva pianto o stava per farlo. Cassie notò che aveva gli occhi blu, come il mare, e poi abbassò lo sguardo.
«Come stai?» chiese sentendo che in realtà non avrebbe detto la verità ma tentare era meglio di non fare niente.
«Sto bene, non preoccuparti» la sua voce era diventata fredda, di chi voleva solo allontanare le persone.
«Vuoi un po’ di cioccolata?»
«Non mi fa bene mangiare certe cose» rispose sperando che smettessero con la cioccolata, i sorrisi troppo gentili e la preoccupazione inutile.
«Come ti chiami?»
«Senti non devi per forza stare qui a parlare con me, non ho bisogno della balia, sto benissimo» rispose coi suoi soliti modi di fare scortesi.
«Non sto qui per te, sto qui perché devo aspettare ancora un’ora prima di tornare a casa e volevo qualcuno che mi facesse compagnia»
«Parla con tuo fratello»
«Non si può parlare di molto con un bambino di tre anni, tu sembri interessante»
«Ehi, anche io sono intel.. intelessa.. intelessantevole» alla risposta di Jake Cassie rise e decise di rimanere lì, era una buona alternativa ai due mali precedenti. I tre rimasero seduti su quella panchina per più di un’ora a parlare o meglio più che altro a parlare erano Cassie e Cody mentre Jake ascoltava mentre mangiava la sua amata cioccolata. In questo tempo la ragazza si scordò un po’ del male che la perseguitava o comunque non la colpiva così forte come faceva prima, era come se fosse sotto l’effetto di morfina. Si presentarono e parlarono delle loro rispettive vite, Cody scoprì che Cassie in realtà abitava a New York e lei scoprì che lui si era trasferito lì da poco per motivi di lavoro di sua madre. Andarono avanti così per tutto il tempo, ad un’informazione sulla vita di lui, lei gliene dava una sulla sua e si stupì quando al suo “mio padre se n’è andato un paio di anni fa, Jake è il figlio del nuovo compagno di mia madre” lei rispose “mio padre se n’è andato quando avevo sette anni”. Non ne aveva mai parlato con nessuno e non credeva l’avrebbe mai fatto, specialmente con un estraneo. Lui la accarezzò e poi le diede un bacio sulla guancia, era come se volesse dirle “lo so che fa male ma andrà meglio” e stranamente lo apprezzò perché nessuno le aveva mai detto una parola di consolazione per l’abbandono di suo padre e forse era quello che cercava la sua anima dispersa nel nulla.
«Scusa ma devo proprio andare ora» disse Cassie alzandosi di scatto dalla panchina, quel gesto l’aveva disarmata, messa in imbarazzo e allontanarsi era l’unico modo che aveva per riprendere il controllo di se stessa.
«Ci si vede in giro magari» rispose Cody seguito dal “ciao” con la mano di Jake. Lei pronunciò un “grazie” sincero per averle fatto scordare il proprio male almeno per un po’ e si rimise sulla strada di casa sperando di ricordarla. Dopo venti minuti e un paio di traverse sbagliate si ritrovò nel vialetto di casa Jonas, suonò il campanello e non sapeva esattamente cosa aspettarsi, sperava solo che ad aprire non fosse Nick perché non aveva più voglia di litigare, almeno non per quella giornata, ma i suoi desideri non potevano mai essere avverati e ad aprire la porta fu proprio chi non voleva vedere.
«Dove sei stata?» gli chiese lui appena la vide, lei sbuffò, entrò in casa e si diresse velocemente verso le scale. «Non vuoi rispondermi?» continuò lui in maniera insistente.
«Non ho più le forze per urlarti contro Nick» disse voltandosi verso di lui.
«Perfetto, allora dimmi dove sei stata»
«Sono cazzi miei» Cassie sentì la rabbia riaffiorare di nuovo dentro di lei e lo odiava per farle quell’effetto.
«Dimmelo» ribatté con forza Nick.
«Con un ragazzo ad un paio di isolati da qui, contento?» rispose alzando la voce.
«Ah bene, quindi tu mi fai la scenata e poi te ne vai col primo che passa?»
«Mi hai rotto le palle Nicholas, sono libera di fare quello che voglio mentre tu ti scopi la tua ragazza super modella o no? Non sei il mio ragazzo quindi fatti i cazzi tuoi e scopati chi ti pare»
«Ah non sono il tuo ragazzo? Oggi pomeriggio quando ti sei fatta spogliare e baciare mi sembra proprio il contrario» il ragazzo pronunciò queste parole con un tono di disprezzo tale da far scattare Cassie in avanti, si avvicinò a lui e gli mollò un ceffone per la seconda volta nello stesso giorno.
«Stai tranquillo, una cosa del genere non accadrà più» detto questo Cassie salì le scale e si chiuse in camera, Nick rimase fermo davanti la porta per qualche minuto per poi decidere di chiudersi nella stanza della musica, era lì che andava quando aveva bisogno di liberare il cervello.
I due passarono la serata così, nella stessa casa ma lontani mille miglia l’uno dall’altro.
Probabilmente era per quello che all’amore si associa il colore rosso, colore del fuoco e dell’inferno, e non l’azzurro, colore della pace e del paradiso, perché l’amore è forza, è passione, è litigio, è prendersi a parole e fare pace con un bacio, è alti e bassi, è fuoco. E il loro amore era di un rosso accesso, di quello che non riesci a spegnere neanche se ci provi con tutta te stessa. Il loro amore era un fuoco ormai divampato in tutta la foresta e non poteva fare altro che crescere e crescere senza smettere mai. Erano rossi i loro cuori che, nonostante tutto, separati non ci sapevano stare. Era rossa la penna con cui quella sera Nick scrisse la sua canzone ed erano rossi gli occhi di Cassie che non erano più riusciti a trattenere le lacrime. E, infine, era rossa la rosa che la mattina seguente Nick le fece trovare sul comodino del suo letto con accanto la foto del loro bacio scattata lo scorso pomeriggio.
Una volta sveglia Cassie prese la rosa tra le mani e la odorò, profumava così tanto, poi esaminò la foto e vide che dietro c’era una dedica: “Ti va di rinchiuderti in paradiso con me e abbandonare l’inferno? Perdonami”. A Cassie scappò un sorriso.
«Ieri volevo dirti che ho lasciato Alexia» disse Nick dal divanetto vicino la finestra, lei non si era accorta che fosse lì prima che parlasse.
«Davvero?»
Nick si avvicinò sedendosi davanti a lei nel letto e disse «Davvero».
«Che significa questo?»
«Significa che, se vuoi ancora esserlo, potresti essere la mia ragazza, l’unica e sola» a queste parole Cassie sorrise e annuì, lui le accarezzò dolcemente il viso e poggiò le sue labbra su quelle della ragazza.
Dio era proprio vero che un momento di paradiso valeva i cento di inferno passati prima.
Nick si sdraiò accanto a lei, la strinse a s
é e riprese a baciarla come aveva sempre amato fare. Assaporò il sapore delle sue labbra e della sua lingua che appassionatamente si univa alla sua perché niente è più bello della pace dopo la guerra.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1491673