Hurt

di Ale_kiss_
(/viewuser.php?uid=236572)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oppressioni ***
Capitolo 2: *** Soren ***
Capitolo 3: *** Rifiuto ***
Capitolo 4: *** Inganno ***
Capitolo 5: *** Amelia ***
Capitolo 6: *** INEDITO 1 ***
Capitolo 7: *** Ricordi ***
Capitolo 8: *** So I put my arms around you ***
Capitolo 9: *** Lettera ***
Capitolo 10: *** Cacciati ***
Capitolo 11: *** INEDITO 2 ***
Capitolo 12: *** Scontro ***
Capitolo 13: *** Kalà Nàe ***
Capitolo 14: *** Le sette meraviglie ***
Capitolo 15: *** Inaspettatamente ***
Capitolo 16: *** Meta ***
Capitolo 17: *** INEDITO 3 ***
Capitolo 18: *** Viktor ***
Capitolo 19: *** Veleno ***
Capitolo 20: *** La fine di un mito ***
Capitolo 21: *** Sola ***
Capitolo 22: *** Ci sarà sempre il mio passato nel futuro ***
Capitolo 23: *** INEDITO 4 ***
Capitolo 24: *** Quattordici anni nel passato ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Oppressioni ***



- ... Ti prego … posso darti il mio aiuto …-
- Non importa, l’hai già fatto!-




Lanciai un grido e mi svegliai tutta sudata. Di nuovo quell’incubo. Da troppo continuava. Dal giorno stesso in cui quella scena si era mostrata ai miei occhi. Immediatamente ero fuggita impaurita, come una codarda, senza distruggere quell’essere che per un attimo mi aveva guardata negli occhi. Forse era solo una mia impressione, forse non mi aveva notata. Avevo rimesso piede in quel posto solo qualche settimana prima, finita la lunga agonia che mi aveva accompagnata quegli anni.                                                                                                                                                                                 
Mi guardai attorno. La camera era vuota, c’ero solo io. La finestra era aperta e il vento scuoteva le tende con delicatezza. Mi alzai e indossai le ciabatte. Presi una giacca e l’infilai. Mi strinsi ad essa ed uscii in terrazza. Il giardino era tranquillo, i cani dormivano e le guardie sorvegliavano il cancello, tutto uguale a sempre, troppo uguale. Da quattordici anni, tre settimane, due giorni, nove ore e ventisette minuti era tutto sempre uguale. Mezzanotte in punto, mi svegliavo sempre a quell’ora, minuto più minuto meno. Ero sempre più pallida, mi cibavo poco e non uscivo quasi mai, a parte la notte quando ero fatta alzare da quelle terribili angosce.  Era l’unico momento, da quando ero tornata, in cui mettevo il naso fuori di casa. Tutto poteva ricordare lui e non avevo alcuna intenzione di volerlo ricordare, mi mancava già troppo. Volevo solo rivederlo, volevo riaverlo al mio fianco, volevo che mi mordesse e succhiasse il sangue e dopo poco essere chiamato a rapporto e lasciarmi sola mentre correva dietro come un cagnolino a “lei”. La porta della mia camera scricchiolò. Ecco, parli di “lei”...
Non mi girai. Sapevo chi era e sapevo che mi avrebbe raggiunta senza che glielo dicessi. Così fece: chiuse la porta e mi raggiunse alla terrazza. Si appoggiò alla ringhiera. Continuai a guardare la fontana in centro al giardino. Era nuova, prima non c’era. Una volta c’era la statua di lui … ma l’avevo distrutto dopo una litigata. Quando ero tornata, tutto era in ristrutturazione. Erano a buon punto ma ci sarebbe voluto molto tempo. Marcus aveva bruciato tutto dopo averlo ucciso … Selene e Michael erano riusciti a resuscitare moltissima gente con l’aiuto di Viktor.
- Dovresti smettere di pensare a lui- iniziò Selene.
- Sarebbe come smettere di respirare-, la guardai scettica e lei sospirò. Iniziò anch’essa a guardare il giardino. Sapevo che voleva sicuramente dirmi qualcosa e fremevo di curiosità ma non dovevo farglielo capire, si divertiva a tormentarmi.
- Per quanto ancora pensi di usare i suoi indumenti? Sono quattordici anni che ne usufruisci quasi fossero tuoi- disse rivolgendosi alla giacca che avevo addosso. Nonostante l’avessi lavata milioni di volte, percepivo ancora il suo profumo o forse, era solo una mia impressione. Stava di fatto che mi ostinavo a pensare che lui fosse ancora vivo.
- Oh, non è un tuo problema, infine non ne faccio nulla di male!- mi strinsi nelle spalle con aria offesa. Lei scosse la testa facendo una flebile risata e si rigirò verso il panorama. Poi diede le spalle al giardino, appoggiandosi con i gomiti alla ringhiera. Io la guardai a braccia conserte.
- Ti va di andare a passeggiare in giardino?-
***
Avevo accettato la proposta ed ora eravamo lì a girare attorno alla fontana. Con i cani che ci stavano affianco stando attenti che non ci facessimo male. Tutto era tranquillo, sin che Selene non interloquì.
- Non hai proprio intenzione di rifarti una vita Erika? Sono tanti quattordici anni, e ancor di più l’immortalità che ti sta di fronte. Vuoi sprecarla in questo modo?- la fissai un po’ confusa. Non capivo cos’importasse a lei della mia vita. Non poteva pensare alla sua? Io ero felice così, o almeno credevo …
- Se amare vuol dire sprecare la vita allora sì, la voglio sprecare- sbuffò e mi guardò incrociando le braccia. La sua espressione era strana, le labbra leggermente inclinate in una piccola smorfia. I capelli un po’ scompigliati ma illuminati delicatamente dalla luce della luna quasi fosse una bellissima dea della guerra.
- Erika, amare una persona che sia ancora tra noi. Lui ormai non c’è più, devi fartene una ragione!- a quelle parole le lacrime affiorarono. Iniziai a tremare.
- No! No! No! Non è vero!-
- Erika!-
- No! Kraven è vivo! È vivo!-
- Erika ti prego!- provò a prendere la mia mano ma gliela schiaffeggiai via e iniziai a gridare ancora più forte.
- Lui tornerà! Tornerà! È vivo! Lo so! È vivo!-
- Erika! L’hai visto tu stessa morire!-
- No! Lui è vivo!- e corsi via in camera piangendo disperatamente mentre Selene gridava il mio nome supplicando di calmarmi ma le chiusi le porte in faccia e la sua voce scomparve.
Mi buttai sul letto e iniziai a gridare di gola battendo i pugni sul cuscino. È vero, l’avevo visto io stessa morto. Avevo visto la sua testa a terra e il corpo inanime ancora al muro. Ero scappata via, impaurita dal mostro che lo aveva ucciso. Non mi aveva vista ma avevo rischiato. Nonostante ciò mi ostinavo ad ascoltare il mio cuore dire che Kraven era vivo e a dispetto del sapere che non era la verità io, ci credevo. Sentivo che era da qualche parte vivo e cercava di tornare a casa. Perché Selene doveva dire che era morto? Non poteva credere con almeno un briciolo di lei che fosse ancora vivo? Già, lei detestava Kraven e poi era felice, aveva Michael al suo fianco. Governavano affiancando Viktor che era tornato in vita dopo aver ricomposto la sua testa al suo corpo.  Sapendo che nessuno più lo voleva uccidere si era riappacificato con Selene ed evviva la bella famiglia. Io, intanto, ero rimasta sola, non avevo più nessuna ragione di vita, se non la flebile aspettativa che lui tornasse ma era solo un pensiero, un sogno, nulla più. Mi alzai e mi sedetti alla scrivania. Aprii il cassetto ed estrassi un album di fotografie. Lo aprii. La prima era in bianco e nero, sfocata e pure scattata male: era Selene, quella volta che la costrinsi a mettersi un abito elegante. Era impacciata e il suo sguardo pareva volesse bruciare l’obiettivo. La seconda era sempre in bianco e nero. Ritraeva sempre Selene con una pistola in mano. Era all’allenamento al poligono, pronta in posizione. Selene era la mia migliore amica e anche l’unica a dirla tutta. Non so se lei mi considerasse come un’amica, forse per lei ero solo una compagna di squadra, o forse non ero niente, solo una persona con la quale viveva. Selene non era solo la mia migliore amica, era anche la mia avversaria: Kraven era innamorato di lei. Non capivo se fosse vero amore, probabilmente era solo una sorta di attrazione e desiderio di potere, dato che lei era la figlia adottiva del capo. Sapevo solo che di me non gli interessava niente, se non quelle rare volte che aveva bisogno di sfogarsi e allora usufruiva di me. Senza andare nei particolari mi risvegliavo la mattina nel suo divano sfinita e drenata a causa dei suoi continui morsi ma per me era il paradiso fattosi attimo.                                                                                                                                                                   
Innumerevoli foto erano in bianco e nero e ritraevano per la maggior parte me e Selene. Ce n’era una che mi aveva scattato lei, dove ero in mezzo alla gente nel grande salone, vestita da festa. Ero rimasta un po’ stupita a vederla con la macchina fotografica e la mia faccia era uscita alquanto strana. Dopo un po’ iniziarono quelle a colori e la prima di esse ritraeva Kraven seduto ad un tavolo, se ben ricordavo. Stava pensando se il giovedì avrebbe potuto insegnarmi ad usare una pistola. Era solo un modo per stare con lui ma aveva accettato alla fine ed ero riuscita a rubargli un bacio dall’angolo destro delle labbra. Se n’era andato senza dire niente ma sapevo che da quel giorno aveva capito che mi ero invaghita di lui. “Mossa falsa Erika ma cerca di rubargliene un altro!” mi ero detta. Poi ero andata in camera e l’avevo trovato seduto sulla mia poltrona, senza la giacca e la camicia aveva tre bottoni mollati. Credevo che anche lui ricambiasse. Non era così. 
Chiusi l’album con un colpo e lo rinfilai nel cassetto ma quando toccai il pomello, ritirai la mano e riaprii il libro. Sfogliai velocemente le pagine e arrivai ad una foto. Mi scese una lacrima. Non sapevo chi l’avesse scattata. L’avevo trovata una mattina, guardando tra le foto della macchinetta digitale vent’anni prima dopo una notte passata con Kraven.  La mano di lui stesa sopra la mia. L’avevo stampata e inserita tra quelle pagine. La estrassi e rimisi al suo posto l’album. Asciugai la lacrima con la manica della giacca di Kraven e m’alzai. Andai verso gli scaffali sopra il mio letto e senza vedere cosa toccavo iniziai a cercare lo scotch. Trovato lo presi e dopo averne staccato un pezzo lo lasciai cadere a terra buttandolo sotto al letto con un leggero calcio. Attaccai la foto alla testiera del letto. Poi mi guardai allo specchio. Ero sciupata. Il mi viso era magro e pallido. Decisi che sarei andata a bere. Di sicuro tutti stavano dormendo a quell’ora così avrei potuto fare tutto con calma. Aprii la porta e la richiusi con estrema delicatezza. Scesi le scale. Era tutto buio. Dalle finestre entrava solo una sottile luce. Doveva essere quella del cielo. Continuai lungo il tappeto rosso che invadeva la stanza. Girai poi attorno alla seconda rampa di scale. La porta della cucina era chiusa ma da sotto si vedeva chiaramente che la luce era accesa. Forse Selene era ancora sveglia. Non avevo alcuna intenzione di parlarle! Si era comportata in maniera ignobile e non meritava il mio ascolto e men che meno le mie scuse! Era lei che doveva scusarsi e sarebbe venuta di sua spontanea volontà. Forse però … non dovevo comportarmi così con lei. Era l’unica persona che veramente mi ascoltava … Così scelsi di entrare. Appena aprii la porta, però non mi sarei mai aspettata di incontrare …
- Che ci fai ancora sveglia?- sbottò Viktor asciugandosi una goccia di sangue che gli scendeva dalle labbra. Io aprii la bocca ma nessun suono volle uscire. Lui mi guardava con la fronte corrugata e con le labbra contorte. 
- Avevo sete …- ammisi guardandolo negli occhi con sguardo tremante. Mi si avvicinò. Il rumore della suola sul pavimento mi faceva tremare. Mi prese un polso e alzò la manica.
- No! No! Ti prego non farlo!- gridai. Lui non mi ascoltò. Voleva sapere la verità e in questo modo mi morse con violenza il polso. Iniziai ad urlare. Sentivo i suoi canini freddi nella pelle e il sangue risucchiato. C’erte gocce abbondanti cadevano a terra e il suono era roco e scrosciante.  D’un tratto non udii più i suoni che mi circondavano. Gli occhi smisero di vedere. Solo la figura sfocata di Viktor rimase. Non differenziavo più l’azzurro pallido dei suoi occhi dal rosa-bianco del suo viso. Lui si staccò ed emanò una risata forzata. Strinsi il polso al petto sporcandomi completamente. Mi riprese il polso e lo strinse forte solo per farmi provare dolore. Iniziai a dimenarmi ma perdevo lucidità di attimo in attimo. 
- Ah e così è successo un'altra volta? Un’altra volta Kraven e la sua MORTE hanno invaso le tue notti?- guardai la pozza di sangue sottostante e mi rispecchiai. Di nuovo vidi il viso magro e sciupato. Buio. 














 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Soren ***


Sangue
Morte
Vuoto

Di nuovo gridai e mi svegliai di soprassalto, impaurita. Guardai in aria. Ero in camera mia. Doveva essere mattina, molto tardi. Mi girai lentamente nel lato sinistro, verso il comodino. Premetti il tasto centrale del cellulare e guardai l’orario. Erano quasi le undici. Mi stiracchiai e scesi dal letto. Appoggiando le mani al lato del materasso, mettendomi seduta sentii il polso destro bruciare.  Lo guardai. Un’enorme ferita era aperta. Il sangue non colava più ma si vedeva il rosso all’interno.  Cos’era successo? Velocemente mi alzai e aprii un cassetto con la mano sana. Presi una garza e l’arrotolai attorno al polso. L’annodai. Bruciava notevolmente. Come mi ero procurata quella ferita? Più ci pensavo e più la testa doleva. Cos’era successo quella notte? Avevano organizzato una festa ed io mi ero ubriacata e data alla pazza gioia? Certo, tagliandomi le vene. Provai a ricordare ancora ma non mi veniva in mente nulla. Guardai la testiera del letto. La foto! Da quel punto provai a tornare indietro: sì, sì, la litigata con Selene, quella la ricordavo.  Ma poi? Ci pensai. Non ricordavo nulla che potesse spiegarmi la ferita. Avevo battuto la testa? No, era impossibile! Non ero così goffa o stupida da sbattere la testa. Inciampavo solo quando cercavo di farmi notare da Kraven, anche se poi andava tutto a monte a causa della mia sbadataggine in sua presenza. Oh accidenti! Forse avrei dovuto chiedere consiglio a …

                                                                                                                                                                  Viktor!

Velocemente mi vestii e pettinai. Lasciai scivolare la treccia sulla spalla destra. Il pullover sopra la polo teneva molto caldo ed io mi sentivo al sicuro. Era una sensazione strana, era come stare tra le possenti braccia di Kraven. Oh no, no, no! Basta pensare a lui. Uscii dalla camera e la chiusi a chiave. Infilai la chiave nella tasca dal pullover e mi avviai giù per le scale. Mi guardai a destra e sinistra. Il salone era pieno. Tutti bevevano e ridevano in allegria. Vidi Zsuzsa, mia sorella, seduta su un divano che fumava accanto ad una delle sue amiche. Mi guardò e rise.
- Erika, dove stai andando?- domandò. Io mi girai lentamente verso di lei. Alzai gli occhi al cielo e le sorrisi sforzatamente. Ricominciai a camminare. Lei si alzò e mi raggiunse. Mi prese per una spalla e mi girò verso di lei. Era impeccabile come al solito: i capelli legati in uno chignon, l’ombretto rosso molto accentuato sopra le palpebre, il rossetto, l’abito di pailette …
- Erika, Erika! Calmati, ehi, che cos’hai?- domandò sempre con l’aria da sbruffona e quel falso sorriso sulle labbra. Le tolsi la mano con pollice e indice come se non volessi sporcarmi a toccarla. Sbuffò e mi fissò negli occhi.
- È a causa di lui vero? Erika, ti sento gridare la notte e poi non riesci più a dormire.  Passeggi per la casa come una dannata, non puoi più vivere in questo panico, non a causa di una persona che non ti ha mai amata!- nuovamente alzai gli occhi al cielo.
- Zsuzsa, passamene una!- feci un segno con il mento a ciò che aveva in mano. Poi mi levai il pullover. Lo lanciai di là del divano e mi slegai i capelli dalla treccia. Mi spettinai e distesi nel divano. Lei rise e mi passò una sigaretta dopo avermela accesa. Lasciai uscire una nuvola di fumo dalla mia bocca.
- SOREN!- gridai. Era l’unico con me che condivideva il dolore per la morte di Kraven. Era il suo migliore amico. Lui si avvicinò. Si tolse i guanti e li appoggiò sul divano. Mi fece un cenno col mento di parlare.
- Portami un bicchiere e poi vieni qui con me!- gli ordinai. Sorrise beffardo e dopo poco ritornò con due bicchieri colmi e di un bel rosso scuro.  Ne bevvi un sorso e lo appoggiai per terra. Soren si sedette in parte a me ed io gli salii in braccio. Mi avvinghiai a lui e appoggiai la testa alla sua spalla. Lui s’irrigidì ma rimase calmo. Mia sorella rise e se ne andò dal rispettivo fidanzato pensando che io e Soren avessimo una storia. Bene, era ciò che volevo. Lei mi lasciava stare vedendo che mi divertivo ed io potevo essere libera.
- Tranquillo Soren- sussurrai al suo orecchio con fare diplomatico. Lui annuì e provo a seguire il mio gioco avvolgendomi i fianchi con un braccio. Iniziò ad accarezzarmi tutto il lato sinistro con estrema dolcezza. Bene, nessuno ci stava guardando, facevamo qualcosa che per gli altri era normale e quindi non davamo nell’occhio. Decisi di dirgli ciò che pensavo.
- Soren, ti devo parlare di Kraven …- sussurrai. Lui smise di respirare e di fare qualsiasi altra azione. Il calice nella sua mano cadde e si ruppe in tanti piccoli pezzi lasciando uscire il sangue e facendolo spandere per il pavimento sin sotto il divano. Tutti ci guardarono. Feci un segno che andava tutto bene ed assieme ricominciarono a fare ciò che stavano facendo. Sospirai guardai Soren ancora impietrito. Non so che legame avessero lui e Kraven ma era forte se aveva scatenato quella reazione. Mi alzai e buttai i pezzi di calice sotto il divano. Tesi una mano a Soren il quale accettò e stringendola forte si alzò.  Corremmo nella sua camera e appena entrati lui si buttò sulla poltrona quasi stesse per svenire. Si prese il viso tra le mani e scosse il capo con fare drammatico. Presi la bottiglia da sopra un tavolo e gli riempii un calice che era lì in parte. Glielo tesi. Con un mezzo sorriso forzato accettò e bevve tutto d’un sorso. Mi ridiede il bicchiere. Lo strinsi tra le mani.
- Che cosa sai di Kraven?- chiese dopo vari sospiri. Mi guardava come un cane bastonato. Mi sedetti sul tavolo e appoggiai il bicchiere dietro me.
- Eh, niente in realtà. Volevo solo sapere … se sai se c’è qualche modo per farlo tornare …- non riuscii a finire la frase. Lui era morto! Lo sapevo, l’avevo visto! Ma non volevo ammetterlo.
- In vita?- terminò lui il discorso. C’era un po’ di difficoltà nel suo viso per pronunciare quelle parole. Anche lui provava ciò che provavo io? Anche lui soffriva per la perdita di un amico?
- Sì …- s’alzò quasi buttando la poltrona a terra.
- No! No Erika, no! Nessuno lo sa! Non si può far tornare in vita una persona!- in quel momento tutta la rabbia si concentrò nel mio corpo ed esplosi arrabbiata con il mondo.
- MA LUI ERA IMMORTALE! NON POTEVA morire …- con voce flebile pronunciai l’ultima parola, poi mi appoggiai al muro con la fronte e versai qualche lacrima. Lui mi venne dietro. Sentii i suoi passi forti sul pavimento.
- Erika! Lui non vuole vederti piangere!- esclamò scontroso.
- Lui è morto! Non può vedermi! Non è qui in parte a me!- mi girai verso lui. Mi guardò con gli occhi fissi e non tremanti come forse lo erano i miei. Mi prese i polsi e li strinse.
- Erika! Erika! Ragiona e ripeti con me: lui non è morto! Forza, lui non è morto!- chiusi gli occhi e provai a ripetere assieme a lui, all’unisono.
- Lui non è morto, lui non è … ma che cosa stai dicendo?!-  sbraitai d’un tratto. Lui abbassò lo sguardo. Mollò i miei polsi e si girò. Andò sino alla poltrona e si sedette. Io mi avvicinai e gli andai dinanzi. Gli guardai i capelli. Alzò lo sguardo. Era penetrante. Gli occhi, non avevano colore.
***
- Di notte sogno la sua morte, vivida, sino ai più piccoli particolari. Poi mi sveglio gridando. Mi ripeto che era solo un incubo ma non riesco più a dormire perché ogni attimo si ripete. Vedo Marcus che lo perfora con le sue ali, vedo lui che lo implora di lasciarlo e poi …- sentii una goccia scendere per la guancia sinistra. Soren mi accarezzò la fronte. Gli sorrisi dolcemente. Forse era l’unico che poteva capirmi, me lo dovevo tenere stretto.
- Erika, anch’io ho degli incubi, molto spesso! Il fatto è che … io non ho visto la scena della sua morte quindi … ogni notte è una cosa diversa. Una notte muore bruciato, un’altra ucciso dai Lycan … e questa è la peggiore. Amelia è stata uccisa dai Lycan comandati da me e Kraven ed ora vederlo morire sotto queste bestie … pare quasi una vendetta, come se Amelia si volesse vendicare- quell’ipotesi mi fece venire i brividi e mi strinsi nella coperta che avevo sulle spalle e bevvi un altro sorso del sangue che conteneva la tazza tra le mie mani.
- Soren … dici che c’è un modo per riavere Kraven?- si guardò attorno. Si alzò e s’affacciò alla finestra. Tirai su le gambe sul divano e le strinsi al petto. Si girò con sguardo serio e solenne.
- Sì, c’è!- la tazza cadde a terra e ancora una volta il sangue si sparse. Vidi Soren correre ai miei piedi.
- Ah! Erika! No! ‘sto tappeto è nuovo! Accidenti- prese velocemente uno straccio e provò a pulire. Poi guardò la mia espressione. Appoggiò lo straccio al tavolo e si alzò. Si grattò la testa.
- Davvero c’è … una speranza?- chiesi quasi non credendoci. Lui annuì con un mezzo sorriso.  Mi alzai ed iniziai a saltellare per la stanza euforica e con le lacrime agli occhi per la commozione sino a che Soren spense il mio entusiasmo.
- Ma me ne occuperò io! Non sono lavori da femminucce!-
- Senza di me non ti sarebbe mai venuto in mente di provare a resuscitare Kraven e quindi parteciperò a mia volta!- scosse il capo.
- No Erika! Kraven l’ha sempre detto, sei capace solo di fare la guastafeste e quindi è meglio che tu te ne stia a casa ad aspettare!- mi buttai nella poltrona.
- Kraven ha detto ciò?- domandai non credendo a nessuna di quelle parole. Servivo a Kraven, non mi avrebbe mai trattata in quel modo se gli interessavano i miei servizi.
- Sì mia cara, ed io gli credo. In effetti, fai troppo cine per essere così decisa a combattere questa guerra!- alzai il capo e lo fissai.
- Questa … guerra?-
- Sì Erika, se Viktor, Marcus o Amelia non ci volessero aiutare … si tramuterà in una guerra, dove molto probabilmente tutta la casata e le altre due saranno schierate contro me e te-
- Noi … contro tutti?-
-  Sì e se perderemo, sarà anche a causa tua, se non soprattutto- a quelle parole m’infuriai. Certo, non avevo mai usato una pistola prima, nemmeno quelle ad acqua … ma non ero incapace!
- So seguire gli ordini e saprò combattere se ce ne sarà bisogno!- mi prese un polso e alzò la manica. Abbassai lo sguardo quando lui vide i morsi di Viktor.
- Ah! Vedo come ti sai difendere! – mi buttò il braccio accanto ai fianchi. Mi riabbassai la manica.
- Beh … non ero pronta- rise forzatamente alzando gli occhi al cielo.
- Erika! Non ti avvertiranno quando staranno per ucciderti!-
- Senti … come si fa a rianimare Kraven?- cercai di tagliare corto e cambiare discorso. Lui mi prese nuovamente il polso mettendomelo dinanzi agli occhi.
- Non parlerò sin che non mi dimostrerai che vali più di quegli schifosi Lycan!- mi riteneva … lanciai un grido.
- Questo è troppo!- gli tirai un pugno in pieno viso e lui cadde sul divano. Mi ci gettai contro e iniziai e tirargli pugni sulle spalle e sul collo. Gridava e mi ordinava di smetterla ma non mi fermai e continuai a picchiarlo sino a che non estrasse una pistola dalla tasca e me la puntò alla tempia.
- Smettila Erika!- scandì  bene le parole ed io mi fermai all’istante quasi immobilizzata dalla paura che sparasse. Mi fece scivolare nell’altro lato del divano, si alzò sempre tenendomi puntata la pistola contro.
- Tu non mi seguirai in questa missione-
- Perché vuoi riavere Kraven? A che ti serve? Ti ha sempre comandato, non hai mai avuto la tua libertà mentre c’era lui, perché lo rivuoi qui? – abbassò l’arma e fece due passi indietro. S’appoggiò all’armadio. Sospirò. Sapevo che Soren e Kraven nascondevano qualcosa, non erano tipi da affezionarsi, ciò voleva dire che erano legati da un fatto ignoto. 
- Non dovrei raccontarlo a nessuno … Kraven non vorrebbe …-
- Beh io sì!- lo fulminai con lo sguardo. Lui però mi guardò molto più minaccioso e abbassai gli occhi.
- Senti …- provò ad iniziare ma lo bloccai.
- No, Soren, ascolta tu! Va bene, sarò anche maldestra e … è vero non so adoperare un’arma, nessun’arma. Ma sono qui con te perché rivoglio Kraven. Qui è cambiato tutto da quando se n’è andato! Le regole sono un optional e … è vuoto senza le sue grida, i suoi ordini e le sue raccomandazioni, non credi anche tu?- fece un sorriso forzato ma sentiva di doverlo fare, anche per mostrare di essere vicino a Kraven.
- Sì, è vero- rise un po’ più spontaneamente. Fece qualche passo avanti e mi tese le mani. Accettai e mi alzai. Lo guardai negli occhi dolcemente. Forse mi avrebbe aiutata, forse non mi avrebbe esclusa. Sentii di doverlo abbracciare e lo feci. Inizialmente lui non si mosse, era immobile, pareva pietra. Aveva avuto per un attimo l’intenzione di abbracciarmi ma si era fermato. Non voleva esporre il suo lato sentimentale, ben sapendo che tra lui e Kraven molto probabilmente il più duro era proprio Soren. Dopo poco però, le sue braccia si strinsero attorno a me. Mi staccai e senza salutarlo me ne andai dalla stanza. Non avevo un piano poiché Soren non mi aveva rivelato nulla di ciò che aveva in mente. Non sapevo dove dovevamo andare, non sapevo cosa dovevamo fare e non sapevo chi era il nostro obbiettivo. Aveva nominato i tre anziani ma non sapevo loro a cosa ci sarebbero potuti servire!










Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Rifiuto ***


- Ti voglio alle nove puntuali dinanzi alla Stanza Madre-
- Non mancherò-
- Lo spero, lo spero-

Sera tarda:                                                                                                                                                                                                       
aspettavo Soren dinanzi alla sala di Viktor da più di quindici minuti. Guardavo imperterrita l’orologio. Mi guardavo attorno. Non sapevo la password per accedere alla Stanza Madre, solo Soren, Kraven, Selene e i tre anziani la conoscevano e avevano giurato di non rivelarla a nessuno. Ma dove si era perso Soren? Mi sedetti sulla panchina di marmo attaccata alla parete trasparente dove, al lato opposto, c’erano i computer o tutti quegli aggeggi per controllare ogni parte del castello, per vedere chi arrivava al cancello (poiché uno di essi era collegato alla telecamera del campanello) o per accedere alla Stanza Madre. Appoggiai il mento alla mano il quale gomito era a sua volta appoggiato alla gamba accavallata all’altra. E se Viktor avesse rifiutato? Se non fossimo riusciti a riavere …
- Eccoti finalmente!- mi alzai indignata. Lui mi guardò sbuffando e fece il giro della parete arrivando al computer di comando e cliccando qualche tasto aprì le porte della Stanza Madre. Viktor era lì. Sul suo trono. Io e Soren procedemmo assieme nella sala. Scendemmo i gradini e ci inginocchiammo quando mancavano sette passi al trono. Lui ci guardò distaccato e ci fece segno d’alzarci. Seguimmo l’ordine.
- Qual è la motivazione di tale disturbo?- chiese Viktor con la sua voce roca e stagnante. Guardai Soren non sapendo cosa avrebbe risposto. Lui fissava Viktor negli occhi e sapevo che non li avrebbe abbassati. Ricominciai anch’io a guardare il padrone.
- Ci dispiace averti disturbato sire ma vedi … abbiamo bisogno di te- lui storse il naso e, alzato dal suo trono, scese lentamente le scale che lo conducevano a noi.  Iniziò a girarci attorno tenendo le mani dietro la schiena. Pareva ci volesse perquisire e ammetto che iniziai a sudare freddo.  Improvvisamente ci fu dinanzi. Prese il braccio sinistro di Soren e dopo avergli tirato su la manica, lo morse con violenza. Iniziò ad ansimare e boccheggiava senza fiato. Feci un passo veloce avanti con l’intento di staccarlo ma Soren mi guardò e scosse come poteva il capo. Il sangue che colava gli invase la mano, poi iniziò a scendere e macchie di sangue andarono formandosi sul pavimento. Improvvisamente Viktor si staccò e buttò Soren a terra. Rimasi immobile. Soren provò a rialzarsi e in quel momento m’inginocchiai e provai ad aiutarlo. Viktor iniziò a girare agitatamente per la sala torturando mani e braccia muovendole in alto e in basso. Faceva strane grida e borbottava qualcosa infuriato. Abbassai la manica a Soren e gli feci stringere il braccio al petto. Provai a calmarlo. I suoi occhi erano completamente rossi come del resto lo sono quelli dei vampiri quando vengono feriti. Ricordai gli occhi di Kraven quando Marcus lo morse al collo per scoprire tutto ciò che aveva combinato … e dopo …                                                                                                    Si girò di scatto verso noi due.
- NON POSSO CREDERE CHE VOGLIATE COMPIERE TALE SACRILEGIO!- gridò. Ci alzammo. Tenevo Soren per il gomito del braccio sano. Quanto sangue gli aveva succhiato? Oh, quasi dimenticavo … Ogni vampiro che succhia il sangue ad un altro può leggere i suoi pensieri, i ricordi e le emozioni quindi ora Viktor, sapeva tutto, anche senza che avessimo parlato.
- Kraven è sempre stato come un punto di riferimento e lo rivorremmo- proferì Soren.
- Un punto di riferimento? UN PUNTO DI RIFERIMENTO? Soren tu eri il suo cane personale e tu Erika eri il suo giocattolino preferito!- sentenziò Viktor. Abbassai lo sguardo ma Soren non lo fece.  Tra il padrone e lui c’erano intensi sguardi d’odio. Poi Viktor ricominciò a camminare dandoci le spalle.
- Kraven è sempre stato un buon amico!- disse Soren. Non voleva arrendersi, era determinato ad avere ciò che voleva. Si girò con un’espressione di ribrezzo.
- È cambiato! Ora ciò che nutre dentro sé è solo la brama di potere!- guardai colui che avevo accanto sicura che avrebbe ribattuto.
- Non ha mai tradito la mia fiducia!- poi guardai Viktor. Parlavano al presente … ma Kraven non era lì … e non ci sarebbe più stato.
- Perché la fiducia nei suoi confronti ti aveva accecato!- di nuovo girai lo sguardo verso Soren.
- HA SALVATO LA MIA FAMIGLIA!- a quelle parole il silenzio calò nella sala e nulla più si sentì se non il lieve respiro di ognuno di noi. I miei occhi erano tremanti nell’aver sentito quelle parole e non avevo il coraggio di muovere un muscolo. Per un attimo smisi di respirare. Kraven … aveva salvato la famiglia di … Soren? Non era possibile, Kraven non l’avrebbe mai fatto! Mai! Non avrebbe mai salvato la vita di nessuno se non la propria. I rumori che ruppero quell’attimo furono i passi di Viktor che salì al proprio trono. Si sedette e dopo qualche attimo per accomodarsi dignitosamente, ci disse:
- Andatevene- Soren con il viso contorto dall’ira, mi prese per il polso destro e mi trascinò via. Salimmo i tre gradini e uscimmo dalla stanza con le porte scorrevoli che si chiudevano alle nostre spalle. Soren improvvisamente mollò il mio polso e corse via. Lo vidi salire le scale sotto gli sguardi increduli di tutti coloro nel salone. Abbassai lo sguardo e congiunsi le mani in grembo. Sentii la porta della sua camera chiudersi con un colpo. Scossi il capo e mi diressi anch’io in camera mia. Salii le scale. Arrivata alla porta appoggiai la mano alla maniglia ma la tolsi. Girai la testa verso destra.
***
- A che ti servono?- chiese Selene a computer mentre velocemente muoveva le dita sui tasti.
- È importante, ti prego!- feci uno sguardo supplicante ma la voce rimase ferma. Non avevo paura di chiedere qualcosa a Selene, da lei ottenevo sempre tutto … anche se con un po’ di difficoltà.
- Beh, dimmi a cosa ti servono le chiavi!- alzai gli occhi al cielo e mi avvicinai al monitor. Guardai cosa stava facendo. Ah, le sue solite e noiosissime ricerche sul passato dei vampiri.
- Devo fare … delle cose …- lei chiuse con violenza il computer e si girò verso me che intanto mi ero allontanata di due passi.
- Che cosa nascondete tu e Soren?  Si sentono strane voci su voi due!- oh, certo, Zsuzsa doveva già aver sparso notizie. Ed erano passate meno di dodici ore! Sospirai.
- Non nascondiamo nulla- Selene mi guardò dal basso all’altro con sguardo interrogativo.
- Ah no? Cosa mi nascondi Erika? Mi hai sempre detto tutto!- si alzò e mi venne dinanzi fissandomi negli occhi. Io abbassai lo sguardo.
- Non posso dirti niente … non lo accetteresti … mi dispiace …- mi prese per le spalle ed iniziò a scuotermi. Non alzai lo sguardo.
- Erika! Sai che non mi farei mai gli affari tuoi ma non voglio che ti cacci nei guai!- la fulminai e infuriata la spinsi.
- Perché per te sono solo questo? Come per tutti gli altri sono solo una combina guai! Non so fare altro, sono una stupida che non sa difendersi!- gridai con più voce potevo.
- No Erika! Non è questo!-
- Invece sì Selene! Tu sei sempre la migliore, la prima donna, la più bella, la più forte, la più attiva, la … la preferita di Kraven! Sei sempre stata la numero uno, ora voglio poter fare anch’io ciò che non ho mai fatto, e tu non me lo impedirai!-
- Erika! Non intendevo questo!-
- Selene! TU NON DEVI PENSARE CHE IO NON SIA CAPACE DI FARE CIÒ CHE FAI TU!- la spinsi nuovamente e cadde sul proprio divano. Si rialzò immediatamente e mi gettò a terra. Estrasse una pistola dal cassetto che aveva in parte e me la puntò. Prontamente alzai la gamba e con violenza gliela scaraventai via. Cadde a terra. Entrambe la guardammo e dopo esserci scambiate un’occhiata, ci gettammo sull’arma. Ci arrivai ma Selene si buttò su di me e provò a strapparmela dalle mani ma io mi dimenavo nonostante lei provasse a tenermi ferma e ci riuscisse dignitosamente.
- Molla quella pistola Erika … non è … un gioco!- esclamò a scatti intenta a rimpadronirsi dell’arma.
- Non sono … una … bambina!- le sferrai una gomitata nello stomaco. Lei mollò la pistola ed iniziò a rantolare mentre si teneva lo stomaco. Mi alzai ma riuscì a farmi lo sgambetto e caddi. La pistola scivolò e subito ci ributtammo sopra ad essa.
- Molla, Erika!- gridò spingendomi dalla parte opposta.
- Lasciala tu!-gridai e strinsi più forte l’arma. Improvvisamente si sentì uno sparo. Io e lei ci guardammo alzando molto lentamente il viso senza il coraggio di scoprire chi la pallottola avesse colpito. La mollammo. E ci guardammo il petto e le spalle. Nessuna di noi due aveva un graffio. Girammo le teste verso la porta. Lì c’era Soren con una pistola in mano puntata verso il pavimento, infatti c’era un buco ancora fumante.
- Che state facendo razza DI STUPIDE?- mi alzai velocemente e Selene fece lo stesso.
- Niente Soren …- disse Selene e andò dietro la scrivania. Aprì un cassetto e prese un mazzo di chiavi. Me le lanciò. Le guardai e poi mi resi conto che era ceduta.
- Rammenta solo ciò che ti ho detto- me ne stavo già per andare ma mi fermai per un secondo sulla porta e senza guardarla le risposi.
- Sì certo, come no!- e me ne andai. Scesi le scale ed arrivai alla biblioteca. Infilai le chiavi e le girai ma quando provai ad aprire la porta era chiusa. Questo vuol dire che la porta era già aperta? Rigirai la chiave e potei entrare. Sentii immediatamente una pagina girare. Mi allarmai. La porta si chiuse alle mie spalle. Oh, oh, non poteva andare peggio! Chi c’era nella biblioteca. Decisi di stare in silenzio e cercare il mio obiettivo. Un’altra pagina girò. Dovevo tranquillizzarmi tutto sarebbe andato bene. Iniziai a cercare tra gli scaffali. Il libro che avevo in mente doveva essere molto antico … non sarebbe stato facile trovarlo in mezzo a tutti gli altri. Erano tutti identici a parte qualche lieve sfumatura diversa. Dove avrei trovato quello che mi serviva? Ero sicura di averlo visto qualche anno prima, in mano a Selene … non ricordo per quale assurdo motivo ma ora il motivo non era più assurdo, ora era una questione alla quale tenevo quasi più della mia stessa vita: rivolevo Kraven! Iniziai ad estrarre i libri dagli scaffali e cercare uno ad uno tra le pagine le informazioni  che cercavo. Sentii dei passi di fronte a me, due armadi di scaffalature più distanti. Smisi per un attimo di respirare. Strinsi forte il libro che avevo in mano. I passi si fermarono. Qualcuno batté due leggeri colpetti su una scaffalatura. Mi voltai molto lentamente. Notai un piccolo foglietto a terra. Lo raccolsi.  Il foglietto era stropicciato, la scrittura era maschile ma comunque aveva un qualcosa di aggraziato.                                                                             
“Questo amore spezzato,
fatto di baci rubati, di carezze incompiute.
Questo amore maledetto,
costretto a dimorare in un letto disfatto,
solitudine completa
mai confortata da mani amate,
abisso profondo da cui non uscire.
Ma una luce alla fine
è venuta ad accogliermi,
luce accecante che mi ha consolato,
nuovo amore che mi ha accolto,
anelito di vita, annuncio di rinascita”
La conoscevo, era da anni che la scrivevo in ogni angolo libero di tutti i miei libri, certo, ero masochista a ripetermela, ma la adoravo. Ma chi poteva mai avermela scritta? Girai il foglietto per rispondere ma non avevo una penna, così decisi di dirlo a voce.
- Emh … grazie … chi ... chi siete?- domandai un po’ esitante. Aspettai qualche attimo e intanto mi sedetti a terra. Avevo il presentimento che non me ne sarei andata presto. Un altro bigliettino arrivò al mio fianco. Lo raccolsi.
“Oh, non diamoci pensiero dei nomi, sono solo parole senza senso. Non ci sarebbe una motivazione a chiamare la persona che si ama con un nome diverso da amore. E comunque … la mia mente mi spinge a pensare che dopo oggi non verrai nuovamente qui se non al passare di una decina di lune”
Mi stupii per un momento della risposta, non era da tutti scrivermi ciò poiché non a molti interessavo …
- Ergo … v’interesso signore?- sentii una piccola risata e un altro foglietto sbucò dal nulla. 
“Supponiamo che la mia risposta sia un leggiadro e alquanto semplice sì, come reagirebbe l’animo della ragazza con la quale ho il piacere di passare questi piccoli e fragili attimi?”
Ammetto che era difficile capire ciò che intendeva … ma stava di fatto che gli interessavo e non era facile ammetterlo, neanche scrivendolo con metafore. Inizialmente speravo che dietro quegli scaffali ci fosse l’anima di Kraven ma poi appena mi disse che gli piacevo … no, non era lui.
- Non credo sia un problema signore anzi, apprezzerei se qualcuno fosse almeno in parte attratto da me, se è questo che voi intendete. Anche se non sarà ricambiato, è un gesto molto gradito- sorrisi nonostante lui non potesse vederlo. Lo sentii alzare, era forse anche lui seduto a terra? Fece una risatina sommessa. Un ultimo bigliettino mi volò in parte.                                                                                                        
“È stato un piacere incommensurabile dialogare con te, mia piccola Erika, la mia speranza è quella di passare prima della prossima luna un altro momento come questo, i miei più cordiali saluti”
- Arrivederci signore, è stato un piacere anche per me- sentii una porta dall’altra parte della biblioteca chiudersi prima che terminassi il discorso. Alzai le spalle ed uscii dalla stanza, quel libro mi era uscito dalla testa.  Uscii dalla biblioteca e la chiusi a chiave. Decisi di andare nella stanza di Soren, avevo qualcosa da chiedergli …











Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Inganno ***


- Ti vengo a chiamare io tranquilla, non mettere la sveglia-
- Sicuro? Alle 7.00 puntuali?-
- Stai tranquilla, tu prepara le borse, alle 7.00 sarò da te-


Soren non era ancora venuto a chiamarmi così continuai a dormire beatamente. Quella notte gli incubi non mi avevano svegliata, era stata una notte piuttosto tranquilla. Mi girai dall’altro lato e sbadigliai. Presi il cellulare e lo accesi. Guardai l’orario.
- Bastardo!- esclamai. Mi alzai e velocemente mi vestii. Mi rinfrescai il viso e senza esitazioni presi la borsa. Erano già le 7.48. Soren mi aveva ingannata! Scesi le scale in velocità tra gli sguardi increduli della gente nel salone ma non badai a nessuno di loro. Cercai di correre più velocemente. Uscii dal palazzo. La sua macchina era lì, fuori dal cancello ancora aperto. Corsi e quando lui mi vide, sbuffò. Inserì la chiave e accese la macchina.
- Fermo!- gridai. Fui in parte alla porta del guidatore e lui abbassò il finestrino. Si tolse gli occhiali da sole e sbuffò più accentuatamente di poco prima.
- Perché non mi hai chiamata? Avevi detto le 7.00 e invece …-
- LO SO COS’HO DETTO ERIKA!- alzò la voce. Abbassai lo sguardo. Lo rialzai poco dopo più agguerrita.
- E allora perché non mi hai chiamata?- insistetti imperterrita.
- Mi dispiace Erika, non volevo impiastri tra i piedi!- indignata gli tirai uno schiaffo e mentre lui si riprendeva feci il giro della macchina e provai a salire nel posto del passeggero. Nel momento in cui aprii la porta Soren prese la maniglia e la richiuse. In un attimo un lungo flashback si face spazio nella mia mente e le forze mi vennero a mancare. Mi feci coraggio e corsi nuovamente dall’altro lato. Lui guardava dritto dinanzi a sé.
- Anche Kraven … anni orsono, mi chiuse la porta in faccia, impedendomi di andarmene con lui- non mi guardò ma rispose freddo.
- Avrà avuto i suoi buoni motivi- abbassai lo sguardo e annuii, mi girai e tornai dentro il castello. Va bene, mi ero arresa, non c’era nulla da fare. Forse non lo amavo abbastanza ma comunque Soren non mi avrebbe lasciato andare con lui. Arrivata in camera, gettai la borsa a terra e mi buttai sul letto. Chiusi gli occhi. Una lacrima scese e la vista offuscata fu l’unica cosa che ricordai al risveglio.
- .. pss! Erika, ehi! Erika!- era un leggero sussurro. Doveva continuare da molto dato che nel sonno lo ricordavo molto vicino. Iniziai a riprendere la percezione dello spazio e del tempo. Aprii lentamente gli occhi. Le figure erano ancora sfocate ma non era un problema, pochi attimi e avrei visto tutto normalmente. Ma quando la vista sfocata scomparve, fui sul punto di gridare ma lui mi mise una mano sulle labbra.
- Shh! Ti prego taci! Nessuno sa che sono qui! Non vorrei che tua sorella lo spifferasse a tutti o che Viktor mi facesse arrestare!- annuii, però, non capendo cosa volesse intendere. Perché avrebbero dovuto arrestarlo? Lui lentamente levò la mano. Proprio in quel momento gli tirai uno schiaffo.
- Ahia! Perché l’hai …-
- Sei uno stupido Soren! Avevamo detto che avremmo resuscitato assieme Kraven!  E non uscire con il discorso del “non mi so difendere” perché ieri Viktor ha morso anche te! E ora perché sei venuto a riprendermi?- esplosi con tutti il discorso. Mi misi a sedere asciugandomi gli occhi dalle lacrime che stavano per scendere.  E fu in quel momento che entrò Selene.
- Che ci fai tu qui?- chiesi. Pareva che Soren non fosse affatto stupito di vederla.
- Ho trascinato quel vile fino in camera tua, ho visto ciò che è successo fuori e non voglio che ti accada niente così verrò anch’io in viaggio!- le luci si spensero.
***
- … forse è meglio che vada so … va bene, va bene, metti giù quella pistola!- aprii gli occhi e vidi Selene che teneva la pistola puntata alla tempia di Soren. Mi ripresi. Avevo un senso di nausea nella gola e nella pancia. Richiusi gli occhi e provai a concentrarmi su ciò che stava succedendo. Non sentii nessun movimento, Selene si ostinava a minacciarlo.
- La … lascialo stare, va tutto bene …- dissi. Schiusi le palpebre. Lei mi guardò un po’ sorpresa, forse non si era accorta che mi ero ripresa. Abbassò l’arma e Soren sospirò di sollievo. Mi si avvicinò e si sedette in parte alla mia testa, sopra al cuscino. Mi spostò un ciuffo dal viso.
- Come stai Erika? Tutto bene?- sorrisi dolcemente e annuii. Le presi la mano e la strinsi. Poi mi stiracchiai e con un lieve sbadiglio mi ripresi completamente.
- Quindi … vieni … anche tu?- domandai sperando di aver capito male poco prima, a proposito, quanto ero rimasta svenuta, per la seconda volta? Lei sospirò profondamente.
- Erika … ascolta … ti ho chiesto in tutte le lingue di rimanere qui ma tu non mi hai ascoltata … a questo punto … sarò io a seguirti, voglio solo essere sicura che non ti succeda niente! E non perché sei una che non sa usare un’arma o cose del genere che ti sei messa in testa, no! Non è affatto per questo, è perché tengo a te, infine … siamo amiche, no?- fece un lieve sorriso. Io mi alzai e l’abbracciai forte commossa. Selene … testimoniava … di essere … mia amica? Non me lo sarei mai aspettato!
- Grazie Selene- lei mi appoggiò le mani sulle scapole e mi accarezzò dolcemente. Soren sbuffò e si alzò lentamente.
- Possiamo interrompere questo dolce momento? E poi … Selene non vorrà più venire quando scoprirà il motivo della nostra missione!- disse Soren. È vero … Selene non sapeva di Kraven, e forse avrebbe preferito non saperlo! Deglutii.
- Giusto Erika, che cosa avete in mente voi due?- ci guardammo. Chi glielo avrebbe detto? Quella era capace di spararci in bocca alla scoperta del nostro desiderio di voler resuscitare Kraven. Era felice perché non ce l’aveva più che le ronzava attorno, nessuno voleva uccidere suo “padre” Viktor e nessuno la comandava. Come poteva andarle meglio? Beh, non c’era solo lei! Se avessimo fatto una votazione però … avrebbe sempre vinto la parte che non lo voleva … era vero. Presi un respiro profondo ed inspirai. Guardai Selene.
- Noi … volevamo …- in quel momento nella camera irruppe Michael con degli zaini in spalla e nelle mani. Lo guardai dall’altro al basso. I capelli biondi erano come al solito scompigliati e ribelli, come del resto quelli di Selene. In mente mi balenò l’assurda idea che la sua compagna l’avesse invitato a venire con noi. Soffocai un risolino. Almeno mi aveva salvata con la sua entrata trionfale dalla dichiarazione spaccante che stavo per proclamare.
- Selene, i bagagli sono pronti, intanto vado a metterli in macchina. Quando siete pronti, partiamo- stava per andarsene che sgranai gli occhi. Aveva detto “partiamo” non “partite”.
- Emh … Selene! Hai intenzione di portarti dietro anche tua figlia Eve? Insomma! Non dovevi venire tu e MICHAEL NON VERRÀ- gridai alla fine. Lei mi squadrò poi si alzò.
- Se tu ne avessi la possibilità (dato che ora non ce l’hai più), ti muoveresti sempre attaccata a Kraven o andreste separati?-  mi diede le spalle ed estrasse la pistola dalla tasca. La pulì con il gomito.
- In effetti è proprio questo il punto … noi andiamo a resuscitare Kraven …- la pistola cadde, sparò un colpo e Soren gridò. Mi alzai velocemente e prima che sbattesse la testa a terra lo presi per la giacca. Mi ci sedetti accanto e gli appoggiai la testa al mio petto. Cercai di farlo sedere ma appena gli appoggiai la mano al fianco mi scivolò via, unta. La guardai. Poi guardai il fianco di Soren.
- SELENE! MA NON SAI TENERE IN MANO UN’ARMA?- gridai. Lo distesi. Respirai profondamente.
- Da che pulpito! Parla quella che non sa mirare nemmeno ad un bersaglio dinanzi a sé!-
- Dipende a che distanza!- gli aprii la giacca e gli levai la canotta. Come facevamo solitamente gli immersi le dita là dove la pallottola aveva perforato e cercai di estrargliela. Iniziò ad imprecare contro chi sa chi! Fulminai Selene che se ne stava lì impalata a non fare nulla, guardandomi in difficoltà e vedendo Soren soffrire. Feci un altro respiro profondo. “Forza Erika, ce la puoi fare. Infine … hai studiato medicina, no? Queste sono cose che accadono sempre!”. Estrassi la pallottola con la mano insanguinata e Soren lanciò un ultimo grido. Sospirai. Beh, il nostro metabolismo avrebbe fatto tutto da solo, bastava estrarre la pallottola prima che lo uccidesse. L’avevo fatto. Avrei disinfettato un po’ il contorno e si sarebbe chiusa da sola. Mi alzai ed aprii l’armadietto dei medicinali nella mia camera. Strappai la chiusura del pacco del cotone e ne imbevetti un batuffolo nel disinfettante. Avvicinatomi a Soren vidi che la pelle si stava già ricomponendo. Gli lavai via con il cotone il sangue attorno alla ferita e qualche goccia sul petto. Si mise a sedere appena ebbi terminato.
- Grazie Erika- gli sorrisi dolcemente. Mi alzai. Fulminai l’altra persona che c’era in quella stanza. Ma lei non abbassò lo sguardo intimorita, anzi, continuò a fissarmi come se nulla fosse.
- Ringrazia Selene!- poi rivolgendomi a lei gridai
- Stai rovinando tutto! Io e Soren dovevamo riavere Kraven e invece tu ci stai facendo perdere tempo! Con le tue idee dell’ultimo secondo ci sei solo d’impiccio!- mi prese per le spalle e mi sbatté al muro.
- TU NON FARAI TORNARE QUEL BASTARDO!- gridò e mi tirò uno schiaffo. Soren si alzò e l’afferrò per un braccio. La scaraventò a terra. Mi massaggiai la guancia ed in velocità presi le valige.
- Che cosa succede lì?- sentimmo gridare dalle scale. Era la voce di Viktor. I suoi passi si fecero sempre più vicini ma non era solo. Selene si alzò. Mi prese per la felpa nella parte sulla schiena e dopo aver fatto qualche passo indietro si buttò dalla finestra con me stretta al petto. Gli zaini caddero a terra e appena fummo anche noi accanto ai bagagli Soren ci raggiunse nello stesso metodo. Prendemmo tutto e corremmo velocemente alla macchina accesa.
- Ti giuro che t’impedirò con tutte le mie forze di riportarlo in vita!- esclamò Selene nella corsa alla macchina. Io risi ma poi mi bloccai.
- Che cosa fai stupida?- gridò Soren. Mi girai e lasciando tutti i bagagli a terra iniziai a correre più velocemente possibile verso il palazzo.
- No! Erika no!- urlarono entrambi. Io però non li ascoltai. Sentii la porta della macchina aprirsi e Michael uscire.
- Michael! Fermala! Fa qualcosa!- poi saltai sull’albero dinanzi alla finestra della mia camera ed entrai da quella finestra che poco prima avevamo rotto. Corsi sul letto, staccai lo scotch dalla testiera e piegai il foglio. Lo misi in tasca. Poi mi posizionai alla finestra e mi preparai a saltare. Sin che Viktor accompagnato da quattro Agenti di Morte non irruppe nella stanza. Non esitai più e mi buttai. Appena a terra iniziai a correre a perdifiato ma felice, felice perché sarei andata a salvare Kraven, felice perché lui mi avrebbe nuovamente presa in considerazione, felice perché una parte di lui era con me in quel momento ma a risvegliarmi da quei sogni fu Viktor. Sentii il suo grido. Una parola senza significato.
- EEERIIIKAAA!- ed il suo tono disperato. Erano tutti già nell’auto. Soren aprì velocemente la porta posteriore in parte a lui e mi tese una mano. L’afferrai ed entrai in macchina. Finii sopra le sue gambe. Chiuse velocemente ed io aprii gli occhi che avevo chiuso all’impatto. Avevo il fiatone e le lacrime di paura all’aver visto Viktor alla finestra gridare il mio nome. Quasi in Jane Eyre quando messer Rochester al balcone aveva gridato il nome della ragazza. L’unica differenza è quella che lui amava Jane, per quanto strano potesse sembrare.  Mi alzai e mi misi a sedere sussurrando un leggero ringraziamento a colui che avevo in parte.
- Sei una stupida Erika! Perché sei tornata in camera?- chiese Selene girando leggermente il capo all’indietro dal sedile del passeggero. Sorrisi ed infilai una mano in tasca per esser sicura che la stampa fosse lì, nonostante lo sapessi con tutta me stessa.
- Avevo dimenticato una parte di me …- Selene alzò gli occhi al cielo. Odiava quando parlavo in modo filosofale, con la testa tra le nuvole ascoltando cuore e anima e sentimenti astratti senza procurarle nulla di concreto. Michael mi distolse da pensieri strani arrivando al dunque.
- Dove siamo diretti?- domandò.
- Al castello di Amelia, non vorrà sicuramente aiutarci ma vorrei poterne avere la certezza quindi proviamo a convincerla- rispose Soren sporgendosi leggermente verso Michael e appoggiando una mano al suo sedile.
- La pagherò oro purché non vi aiuti …- borbottò Selene. Michael le tirò una leggera gomitata ridendo. Facendo mente locale, erano resuscitati tutti a parte Kraven. Viktor aveva deciso che da solo non poteva governare così come spalle aveva sua figlia adottiva e l’ibrido del suo fidanzatino e come soci aveva Amelia e Marcus. Erano morti svariati anni prima, una da Kraven e Lucian e l’altro da Selene ma con qualche strano rito (a me ancora ignoto) Viktor gli aveva ridato la vita, l’immortalità se non dovesse bastare il termine usato poco prima. E Kraven … nessuno si ricordava nemmeno più che era esistito. Io sì e l’avrei riavuto!
- La strada è lunga, trovate qualcosa da fare- disse Michael che con il suo navigatore collegato alla macchina, direttamente alla destra del volante sapeva persino dove dimorava il Fantasma dell’Opera. Mai capiti quegli aggeggi elettronici. Ditemi che sono all’antica ma usavo il cellulare con immensa destrezza e un po’ avevo imparato ad utilizzare anche il computer. Guardai Soren e lui girò leggermente il viso verso di me. Fece un sorrisino.  
***
- Scacco matto, terza volta! Siamo tre a uno, mio caro!- festeggiai mentre sorseggiavo dalla bottiglia di plastica quel liquido rosso.
- Voglio giocare anche io!- protestò Selene. Soren rise.
- E come fai scusa?-
***

- No! Non lì! Nella casella lì in parte Soren! Quella ecco bravo!- poi rivolgendosi a me.
- Uh! Scacco matto Erika!- rise ed alzò la bottiglia che aveva in mano facendola toccare con la mia come per brindare. Ormai era da ore che giocavamo e la radio non era più di molto intrattenimento. La notte si stava avvicinando e gli occhi mi si chiudevano. Chiusi la scacchiera dopo esser stata aiutata da Soren a riordinare le pedine. Selene si rigirò verso la strada. Passò a Michael una bottiglia di sangue presa dal vano oggetti. Lui la bevve senza girare lo sguardo dalla strada ma le fece un sorriso. In quel sorriso vidi molto. Era un grazie, certo, ma non solo quello, aveva un qualcosa di dolce in sé, era rincuorante se lo vedevi, era caldo se lo ricevevi e forse … era una gioia immensa se le labbra che avevano fatto quel sorriso avessero anche solo sfiorato le tue. Selene lo sapeva, Selene sapeva quanto Michael l’amasse nonostante non lo esprimesse in maniera eclatante e Selene sapeva quanto io fossi gelosa di tutto ciò. Risvegliata dai miei pensieri guardai l’orario dal cellulare. Erano quasi le 23.00 ed ero abituata ad andare a letto un po’ prima, in quei giorni stavo facendo dei record.
- Scusate ragazzi, io mi appisolo un po’- Selene si girò verso me.
- Sì, sì è un bene, dobbiamo essere tutti svegli per domani, sarà una giornata molto impegnativa! Dormi pure Erika, buona notte- le sorrisi dolcemente.
- Grazie Selene,’notte- detto ciò mi tolsi le scarpe e appoggiai i piedi al sedile in parte al mio. Chiusi gli occhi con la testa sul finestrino dopo aver per un attimo guardato il paesaggio notturno. Eravamo usciti dall’Ungheria, abbandonando Budapest, dove noi abitavamo. Eravamo diretti in Russia, dove risiedeva Amelia. Ci sarebbero volute parecchie ore. La luna piena risplendeva nel cielo. Era bellissima, così dolce quanto malvagia. Per nostra fortuna Michael non era comandato dalla luna e poteva trasformarsi a suo piacimento, eravamo fuori pericolo. Chiusi gli occhi e provai a riposare.                                                                                                                                                        
Un braccio mi cinse le spalle. Il mio inconscio mi fece attaccare ad esso che mi tirò dolcemente verso sé. Appoggiai la testa alla sua spalla e mi avvinghiai a lui. Il suo fiato caldo mi fece tremare. Era rassicurante. Immaginai Kraven. Una coperta di pile mi si appoggiò al corpo e il sonno mi colse all’attimo esatto nel quale la coltre fu completamente distesa su di me.









Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Amelia ***


- Erika, Erika!-
- Eccomi, arrivo … Kraven, aspettami! Kraven! Non lasciarmi!-
- Erika! Aiutami!-
 

- Kraven!- mi svegliai di soprassalto. Era la prima volta che facevo un incubo del genere, era una cosa strana. Mi guardai attorno. Faceva freddo, molto freddo. La macchina era vuota, c’ero solo io distesa sui tre sedili posteriori. Mi sedetti lentamente ancora assonnata. Fuori la neve era alta. Guardai l’orologio dell’auto. Le 10.23. Bene, eravamo arrivati a Mosca. Il fatto è che quei tre idioti mi avevano lasciata in macchina, chiudendola ovviamente e siccome non c’erano le chiavi non sapevo come aprirla se non distruggendola. Guardai fuori dal finestrino. Il paesaggio era incantevole, candido e quasi spettrale. Non c’era anima viva. A parte quei tre in nero che si giravano una mappa tra le mani. Iniziai a battere pugni sul finestrino. Michael senza distogliere lo sguardo di un millimetro dalla mappa prese le chiavi dalla tasca e in modo automatico premette un bottone che aprì l’auto. Uscii con la coperta sulle spalle, ben stretta in essa. Michael mi guardò con un sorriso solare.
- Buon giorno Erika!- esclamò venendomi incontro. Aprì il bagagliaio ed estrasse un cappotto di pelliccia bianca. Me la porse.
- Fa molto freddo qui, è meglio che ti metti questa!- sorrisi. La indossai dopo aver ripiegato la coperta. La misi nel portabagagli e mi avviai verso i due che erano tornati tre. Si rigiravano quella cartina tra le mani come fosse un mappamondo. La osservai: in effetti … era la rappresentazione dell’intero globo. C’erano delle croci sopra qualche continente e dei cerchi attorno ad altri. La croce era sopra Spagna, Brasile, Venezuela, Africa, America, tutta l’Italia salvo il nord ed altri che non sto qui ad elencare. Erano invece cerchiati la Germania, il nord Italia, la Francia, la Grecia, Alaska, Groenlandia, la Siberia e un mezzo cerchio sul Canada.
- Che cos’è?- domandai. Selene mi diede la cartina.
- Nessuno sa dove risiede Marcus e noi stiamo provando a rintracciarlo. Abbiamo eliminato i luoghi più caldi o soleggiati, dove lui non potrebbe nemmeno avvicinarsi, si brucerebbe. Stavamo valutando se tenere o levare il Canada-
- Marcus non andrebbe mai in Canada- la interruppi. Tutti mi guardarono. Persino Selene pareva un po’ stupita della mia affermazione.
- E perché non ci andrebbe?- chiese scettica. Avevo la risposta pronta, dovevo solo convincerli, non ero un Agente di Morte, non ero una guerriera, non ero nemmeno nelle ultime file di formazione, non ero nessuna dalla quale si potesse ricevere un’informazione giusta. Ma studiavo, era l’unica cosa che mi era permessa fare senza essere criticata. Da quando non c’era Kraven, passavo giornate in camera sua a leggere tutti i suoi libri. Molti li avevo letti più di una volta. La ragazza con l’orecchino di perla, Il codice Da Vinci, Jane Eyre, Orgoglio e Pregiudizio, Se questo è un uomo, Il nome della rosa, La Divina Commedia (come dimenticarla), Dracula (ovvio), tutti i libri di Shakespeare ma Giulietta e Romeo assieme a Tristano e Isotta e Orfeo ed Euridice erano i miei preferiti. In realtà … quello che avevo letto più di tutti era Il ritratto di Dorian Gray. Era il preferito di Kraven. Lui amava leggere ma non lo sapeva nessuno. L’avevo scoperto molto probabilmente per una fortuna immensa. Quando passavamo il pomeriggio assieme, la sera solitamente mi faceva dormire da lui e prima di dormire mi leggeva ad alta voce qualche frase di un libro che aveva letto di recente. Ricordavo una frase del suo libro preferito che mi rileggeva sempre. La adorava e l’amavo anche io. Diceva “Parole! Soltanto parole! Com’erano tremende! Com’erano chiare, nette, crudeli! Non si potevano evitare. E che sottile magia racchiudevano! Pareva avessero la virtù di plasmare le cose informi, e racchiudessero una musica, dolce come quella della viola o del liuto. Semplici parole! Esistevano cose reali quanto le parole?”. Adoravo quelle frasi, forse perché Kraven le leggeva con una passione e un sentimento unico che me le aveva fatte amare. C’era però un tassello che scomponeva tutto: quando leggeva ciò, lui pensava a Selene. L’ultima volta che era successo risaliva a quasi diciassette anni prima. Ero distesa sopra di lui e gli accarezzavo i capelli setosi arrivando sino alla fine. Lui con una mano teneva il libro di Oscar Wilde e con l’altra mi accarezzava la schiena. La porta era chiusa a chiave e il camino era acceso. Kraven aveva spostato il divano fin dinanzi ad esso per rimanere più caldi. Era quasi mezzanotte. I calici dai quali avevamo bevuto sino a poco prima erano a terra rovesciati ma già erano vuoti. La coperta viola di pile mi copriva sin sotto le scapole. Leggeva quelle righe con una passione inimmaginabile ed io lo guardavo negli occhi ammaliata, quasi ipnotizzata. Poi aveva distolto lo sguardo dal libro a me. Avevo smesso di accarezzargli i capelli ma avevo sempre quel lieve sorriso da svampita sulle labbra.
- Abbiamo tutti un libro che ci descrive, basta anche una frase e ci sentiamo intrappolati in essa, perché quell’attimo l’abbiamo vissuto! Ci colpiscono molto di più le frasi a cui possiamo associare qualcosa. Come questa. Non pare che stia narrando di come parla Selene? Non sembra proprio la descrizione del suo linguaggio?- abbassai gli occhi. Mi alzai e dopo aver indossato i leggings e la maglia di pizzo nero avevo preso il mio cellulare e me ne ero andata sbattendo la porta. Non mi aveva seguita. Ero solo il suo gioco. Comunque, conoscevo la storia di tutti i vampiri grazie allo studio. Ero avvantaggiata rispetto ai guerrieri.
- Pensate che Marcus andrebbe mai in un luogo così ovvio? Non è stupido. Non eliminate nessuna città. Potrebbe proprio per confonderci, essere nel luogo più soleggiato del Pianeta- esclamai e piegai la carta. Tutti mi guardarono.
- Marcus non andrà sicuramente in uno stato nel quale la lingua è l’inglese o l’americano, poiché suo padre era proprio di questa etnia. Per una questione d’orgoglio non ci si avvicinerà. Detesta suo padre e tu e Michael lo sapete meglio degli altri!- avevano visto Marcus uccidere Alexander, suo padre. No, Michael no. Marcus l’aveva ucciso, stranamente però l’ibrido era resuscitato! E senza strani incantesimi, maledizione!
- Vuoi dire … che … Marcus ci sta beffando?- domandò Soren.
- Sta beffando tutti, non sa che lo stiamo cercando! Quindi sta facendo credere a tutti di essere in qualsiasi parte del mondo!- esclamò Selene. Michael mi rubò la mappa e stappò il pennarello rosso.
- Quindi eliminiamo comunque America, Africa, Canada, Isole britanniche, Galles, Inghilterra … - parlai sopra di lui.
- Ora, cortesemente, potremmo andare da Amelia?- Soren e Selene annuirono e ci incamminammo vero il portone del palazzo al quale eravamo dinanzi. Era immenso e pieno di neve. Fatto di pietra con qualche finestra oscurata, nei piani più alti.
- … Tanzania, Uganda, Vanuatu, Zambia e Zimbabwe- continuava Michael. Ammetto che era davvero insopportabile. La sua compagna lo prese per un braccio e lo trascinò affianco a noi. Soren aprì le porte con fatica data la loro imponenza. Entrammo. Tutto era buio, solo illuminato da qualche fiaccola alle pareti. Nel terreno era steso un tappeto rosso che continuava per ogni corridoio. Il castello era impeccabile. Tutti i vampiri si muovevano con eleganza ed ognuno di loro aveva un compito ben preciso da svolgere. Uno di loro ci venne incontro. Disse qualcosa in una strana lingua che sicuramente era russo. Selene rispose. Il vampiro disse qualcos’altro e anche Soren partecipò. Io e Michael ci scambiavamo strane occhiate. Improvvisamente l’uomo se ne andò. Selene ci fece segno di seguirlo. Ci condusse ad una grande porta ma meno imponente dell’entrata. La aprì. Ci ritrovammo al cospetto di Amelia. Seduta sul suo trono, impeccabile: i capelli legati ben stretti nello chinone. Come nastro aveva un filo con attaccata una rosa sintetica grigia ornata da brillantini. Il vestito era d’un grigio laccato, attillato che le delimitava i contorni. Aveva una grossa pelliccia attorno alle braccia e le scarpe erano stivali con tacco. Ci inchinammo.
- Oh, alzatevi!- disse in ungherese, nostra lingua, ma sempre con un accento russo. Facemmo come ci aveva detto. Selene fece qualche passo avanti. Amelia si alzò dal trono e scese i gradini sino a noi. Appena fu dinanzi a Selene, le appoggiò una mano sulla spalla.
- Mia cara, come sta tuo padre? È stato così gentile con me a ridarmi la vita. Vorrei avere sue notizie- Selene rimase con lo sguardo fisso negli occhi gelidi di Amelia.
- Oh, sta come sempre. È felice sul suo trono. Da quando tutti e tre gli anziani governano assieme, è molto più tranquillo ma è sempre abbastanza nervoso. Comunque gli farebbe piacere che gli facessi visita un giorno- Amelia contorse le sue labbra in una specie di sorriso. Poi si girò e risalì sul suo trono. Si sedette e ci guardò con aria neutrale.
- E sempre a proposito di visite … a cosa devo la vostra?- Soren si fece avanti ma lo presi per il cappotto e procedetti io. Avanzai di un passo Selene e guardai Amelia. Non sapevo cosa dire in quel preciso istante. Mi girava la testa e non capivo bene cosa stavo facendo. Affiorò poi alla mente il pensiero di Kraven, i suoi occhi che fissavano i miei. Tutto si fece chiaro.
- Siamo qui per chiedere un grande favore, Amelia. Forse uno tra i più grandi che ti siano stati chiesti …- esclamai, ancora però, un po’ esitante. Lei sorrise per un lungo attimo ed incrociò le gambe. Strinse le mani in grembo.
- Tu … devi essere Erika; ho sentito qualcosa su di te. Ti deve aver menzionata Viktor qualche volta- abbassai lo sguardo un po’ in imbarazzo.
- Sì … sì sono io …- rialzai lo sguardo dopo aver riacquistato la fiducia in me e nelle mie parole e essere sicura di ciò che volevo dire.
- Forza, qual è questo favore che mi volete chiedere?-
- Si tratta di ...- ma le porte si aprirono e il mio discorso si interruppe. Una ragazza con un vestito grigio e un grembiule bianco, pronunciò una frase in russo, lingua per me sconosciuta purtroppo.  Amelia si alzò e dopo essersi sistemata l’abito ci guardò.
- Ovviamente Kathusha, i nostri ospiti si vogliono unire?- non avendo capito nulla di ciò che aveva detto stavo già per rifiutare.
- Oh, noi veramente …- ma Selene mi mise una mano sulla spalla e parlò sopra la mia voce.
- Ne saremmo veramente onorati Amelia- lei sorrise quasi le venisse spontaneo e scese la gradinata. Cinse le spalle a Selene e la portò via da me. Le seguimmo. Arrivammo ad un salone. Era vuoto diversamente dal nostro di Budapest, sempre sovraffollato.  Salimmo una scalinata a chiocciola. Appoggiai la mano alla ringhiera.  Pensai all’ultima volta che ero scesa da quella scalinata. Avevo un abito bellissimo: il corpetto era di un rosato sporco contornato da pailette e la gonna nera aveva un lungo strascico. Avevo seguito Kraven per fare il suo discorso quando eravamo venuti a svegliare Amelia, quando mancavano solo due giorni al risveglio e Viktor sarebbe potuto andare al suo riposo di duecento anni. Scendevo dietro di lui. Aveva uno splendido abito blu con i polsini in seta oro e i pantaloni di cotone abbinai alla giacca. I capelli laccati tirati indietro e legati in un codino. Mi ci erano volute ore per esaudire i suoi voleri ma alla fine ne era rimasto molto soddisfatto. Ci condusse ad una stanza. La porta era chiusa.
- Preparatevi, la festa sarà tra due ore. Se volete, potete passare la notte da noi. Questa stanza è per voi due, Selene, nell’altra porterò i vostri compagni. Ci sono dei vestiti nell’armadio. Prendete quelli che più vi piacciono. A questa sera- e così detto se ne andò con Soren e Michael. Entrammo. Il colore dominante in quella stanza era il grigio. Nella parte sinistra della camera c’era un letto matrimoniale a baldacchino di grande imponenza. Il profumo di legno che ne derivava era piacevole. Dalla parte opposta l’armadio incombeva su tutta la camera. C’era una porta aperta che collegava (come poco dopo scoprii) alla parte del bagno, con lavandino e doccia di marmo raffinato e le ante della doccia di puro vetro dall’Italia.         
***
Uscii dal bagno legandomi l’ultimo giro della treccia. L’accappatoio mi era grande ma mi asciugava meglio. Il freddo era quasi glaciale giacché non ero abituata a quelle temperature. Selene sbuffava dinanzi ad ogni vestito. Nessuno era abbastanza comodo per i suoi gusti. Anche lei era solo con un asciugamano attorno al corpo. Venne dinanzi a me e si appoggiò alla porta.
- Io vengo vestita così!- indicò la sua tuta nera. Non so quante copie avesse di quella maledettissima tuta che le delimitava i contorni in una maniera che faceva cadere gli occhi a Kraven. Lei si arrabbiava pure perché quando parlavano (litigavano) non la guardava mai in faccia. Scossi il capo e appesi l’accappatoio. Iniziai a girare per la camera alla ricerca della mia valigia che Michael aveva portato disopra. La trovai sotto al letto. La aprii ed iniziai a cercare il mio intimo. Dopo aver trovato ciò che mi convinceva iniziai a cercare, sempre nei miei bagagli, un abito che mi colpisse. Trovai un abito bianco lungo con le maniche molto larghe bordate da pelliccia perlata. Andai da Selene e me lo feci legare in vita. Lei era molto utile per quei compiti. Poi indossai una collana di pure perle. Le scarpe con il tacco abbinate all’abito, con un filo di pellicciotto attorno all’apertura.  Selene indossò come aveva detto, la sua tuta. Alzai gli occhi al cielo.
- Mi chiedo perché, Erika, ti sei portata tutti questi abiti!- risi sonoramente.
- Vedi che servono? Se non li avessi avuti sarei dovuta sprofondare in quelli di Amelia- lei scosse il capo con un sorriso. Bussarono. Selene andò ad aprire la porta. Ci si presentarono Soren e Michael in abiti eleganti. Soren aveva una bellissima giacca nera con sotto una camicia bianca e una cravatta abbinata alla giacca; i pantaloni di tela scura con una cintura dalla chiusura imponente e argentata; le scarpe laccate sempre nere e i capelli tirati indietro dal gel. Michael aveva una giacca beige chiusa da bottoni dello stesso colore più splendente e un paio di jeans a sigaretta. I suoi capelli erano come al solito spettinati.
- Andiamo- concluse Selene e tutti uscimmo.        












Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** INEDITO 1 ***


(Inedito 1) parte 1

 -Ti prego … lasciami … s .. sta … re …-
- Ti ho detto che puoi parlare?-
- … io …-

- STA ZITTO!- e gli tirai un altro calcio. Si opponeva eh? Beh non l’avrebbe più fatto! Avrebbe dovuto imparare la lezione da un po’ di tempo, ma a quanto pare non aveva la buona volontà. L’avrebbe acquisita, con le buone o con le cattive! Preferivo la seconda onestamente. Il sangue iniziò a colargli dalla tempia destra. Lo presi per i capelli e lo scaraventai addosso al muro. Iniziò a gridai e ansimare. Era capace di fare solo ciò.
- HAI ALTRO DA DIRE, VERME?- lui non fiatò. E avrebbe continuato a farlo altrimenti … a quel pensiero iniziai a ridere. Gli tirai un calcio leggero per vedere se rispondeva. Non si mosse. Era svenuto, di nuovo. William gli ringhiò contro. Gli graffiò la schiena e lui, risvegliatosi, lanciò un grido.
- William!- lo chiamai. Lui ululò e mi venne accanto. Gli accarezzai la testa. Il suo pelo era freddo, come del resto lo erano le prigioni.
- E se proverai nuovamente a contestarmi, non credo che ti lascerò ancora vivere-
- Sempre che questa sia vita …- sussurrò.
- COSA?!-  gridai. William iniziò a ringhiare e ad avvicinarsi a lui. Il codardo si strinse contro il muro.
- N … niente padrone …-
- Bene brutto idiota! Taci! Andiamo William- mio fratello mi seguì e nuovamente gli accarezzai il pelo. Uscimmo da quella gabbia e la chiusi a chiave. Il prigioniero si attaccò alle sbarre appoggiandoci anche la testa contro.
- Mi vendicherò Marcus! Mi vendicherò! Vedrai!- gridò. Mi girai e feci qualche passo verso di lui. Lo guardai dall’alto al basso. Era impestato di sangue, bleah, da quanto non si lavava?
- Ah, ma davvero?- poi aprii la cella.
- William, pensaci tu, forza- me ne andai. Si levò un grido. Strano che non lo avessi fatto uccidere da subito. Era un’idiota quel verme a pensare di potermi sfidare. Iniziai a ghignare. Salii le scale sino al piano superiore. Andai verso il mio trono e mi sedetti. Il tappeto rosso con il bordo oro era giustamente sistemato per tutto il centro della sala. Anche le tende rosso trasparente attorno al trono erano al loro posto. La sera precedente William aveva combinato un disastro a causa di un malinteso con una serva. Notai come avevano sistemato nuovamente tutto. I fiori erano ai loro posti nei tavoli nella sala. Presi un calice di sangue dal tavolino accanto al trono e lo bevvi. Una goccia mi scese giù per il mento. Non l’asciugai. Adoravo sentire il fresco di quelle gocce scendere sino alla camicia con i primi due bottoni mollati. Vidi arrivare le mie due serve predilette. M’alzai e mi tirai i capelli all’indietro. Quant’erano belle con quel top che lasciava scoperti i loro ventri magri e allenati. Mi vennero accanto. Erano greche e, infatti, non capivano l’ungherese. Cinsi i fianchi ad entrambe e mi preparai a cambiare lingua. Baciai Clio. Lei non vedeva l’ora e si strinse a me con un sorriso.
- Tranquilla Agathe- dissi all’altra che aveva già abbassato lo sguardo. Le accarezzai il viso e i capelli ricci. Subito riacquistò il sorriso. Ah, che soddisfazione. Poi mi guardò dolcemente pronta a parlare.
- Abbiamo riscaldato la piscina, mio re. Vuole andarci?- risi baciandola.
- Solo se voi due venite con me- ridacchiarono mostrando i canini appuntiti. Mi accarezzarono il petto. Presi Clio in braccio e l’altra la feci salire sulla mia schiena. Agathe mi baciò il collo, poi lo morse e succhiò leggermente il sangue che ne fuoriusciva.
- Dopo lo faccio anche io a te, mia cara- ansimai immerso nei suoi morsi. Sogghignò di felicità. Corsi sino alla piscina al di fuori del palazzo. Mi tuffai con le due ragazze. Loro fecero un gridolino. Appena sotto le ripresi, dato che mi erano scivolate all’impatto con l’acqua. Le strinsi forte al mio petto. Com’era bello stare con loro due. Clio mi abbracciò da dietro.
- La amo tanto padrone- mi girai e le misi le mani sulle spalle. La guardai dolcemente e le baciai la fronte.
- Anch’io piccola- poi mi girai verso l’altra.
- Amo anche te mia cara- e la presi un polso. La strinsi a me e m’immersi con loro.

(Inedito 1) parte 2

- Ah, ma davvero? William, pensaci tu, forza-
- No! No! William! No! Marcus!-

Ero vivo, per un soffio, ma ero vivo, ancora. Presumo che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei passata liscia. Ero uno stupido ma non ne potevo più di stare sotto il dominio di Marcus. Era lui il lurido verme, era lui il vigliacco, quello che stava sempre dietro a quel cane di suo fratello, con la coda in mezzo alle gambe. Non capivo come riuscissi ancora a pensare. Era una cosa assurda. Stavo disteso in una marea di sangue, del mio sangue. Con estrema difficoltà alzai la testa tremante. Intinsi un dito nella pozza e misi il liquido sulla mia lingua. Da quattro settimane non ne bevevo. Mi guardai attorno. Tutti i vampiri in suo possesso erano a terra o seduti. Vedevano il tempo passare dinanzi ai loro occhi e sapevano che presto sarebbero morti. Beh, meglio morti che nelle mani di Marcus. Ero lì da tempo, ventenni forse, e data la mia ormai veneranda età sapevo come si finiva un giorno o l’altro. Fissai colui che era dinanzi a me. Ai miei occhi era un bambino, i capelli neri impregnati di sangue, gli occhi azzurri, quasi grigi, vitrei, quasi quelli di Viktor, ma più giovanili. Il muro della sua cella era pieno di scritte nella sua lingua, lingua che non sapevo. Non sapevo ne leggere ne scrivere. Intingeva le dita nel sangue che Marcus e William gli facevano perdere e scriveva, passava le giornate così. Poi chiedeva stracci e alcool e dopo una settimana ripartiva a scrivere, era ammirevole. Non aveva mai voluto dirmi il suo nome. Però parlavamo di tanto in tanto, erano svariati anni che era lì anche lui. Non si lamentava, diceva che a casa sua avrebbe trovato torture peggiori. Non mi aveva detto nemmeno quali. Era misterioso. Non mi aveva mai raccontato nulla della sua vita, né di dove veniva, né della sua famiglia. Parlavo sempre io. Ma quel giorno le cose cambiarono.
- Ehi! Ragazzo!- si girò appena udì il mio sussurro.



(Inedito 1) parte 3


Libertà
Voglia di vivere
Sentimenti morti
 

- Oh, buona sera- feci un leggero segno con la testa. Il collo doleva maledizione, ancora! La ferita non si voleva chiudere. Mi pulii il dito in bocca, sporco di sangue e di polvere del muro.
- Cosa scrivi?- chiese il signore della parte avversa alla mia.
- Oh, dei versi di una poesia italiana- già, una delle tante fantastiche opere di quella penisola. Sarei voluto andarci un giorno o l’altro, appena fossi stato libero, assieme a lei … com’era strano non sentire più la sua voce squillante, i dolci capelli, la sua pelle … troppi ricordi. Avevo riflettuto, ah, quanto l’amavo, ancora … dopo tutti quei secoli …
- Di chi figliuolo?- chiese il vecchietto. Era strano, era l’unica persona che mi rivolgeva la parola, tutti gli altri non mi avevano mai nemmeno guardato.
- Giovanni Pascoli, Mai più …. Mai più – sussurrai. Era una delle poche cose che mi ricordavano lei. A fatica ricordavo il suo viso, se non gli occhi grandi e profondi che mi avevano guardato supplicante e dispersi nel vuoto, prima che scappassi come un codardo da tutto e da tutti. Perché mi ricordava lei? Perché aveva tutto il libro delle raccolte di poesie di Giovanni Pascoli, scritte a mano da lei. Dannazione, che sentimentale che ero divenuto, non me lo potevo permettere! L’amore corrodeva il cervello facendolo diventare melma.
- Ah, già, devo averne sentito parlare- mentiva sicuramente, dopo tutti quegli anni per rincretinirsi non si ricordava neanche più come si faceva a mentire, beh, io sì, era il mio lavoro.
- Sì, immagino … ho visto ciò che ha fatto prima William, assieme a Marcus ovvio. È terribile! Mentre lui se la spassa con le sue prostitute, noi siamo chiusi qui senza sangue. Maltrattati, picchiati, dannazione!- tirai un pugno al muro.
- He he mio caro, non dovresti perdere la tua vita in questo modo, ribellati! Quanti anni hai?- strinsi le gambe al petto. Perché quel vecchietto s’interessava a me? Non sapeva chi ero? Non temeva di essere punito poiché mi parlava? Inzuppai nuovamente le dita nel sangue e scrissi un’altra riga “Sei forse qualcuno che amai? Che perdei?”.
- Trentadue …- risposi continuando a scrivere. “Vederti soltanto! Sentire al tuo pianto che m'ami anche tu!”. Era la prima volta che dicevo qualcosa di mio a quell’uomo. Non volevo perdere anche solo l’unica persona con cui potevo parlare.
- Hai famiglia? Moglie? Figli?- staccai per un attimo il dito dal muro. Feci segno di dissenso con la testa. Come sarebbe stato avere un bimbo con lei? Magari avrebbe gridato tanto che sarei scappato, sì era possibile. Mi aveva mai pensato anche solo per un attimo? L’avevo trattata come un animale. Aveva famiglia? Marito? Figli? E mio fratello? Come stava? Non avevo mai avuto l’opportunità di dirgli la verità su tutto … sulla nostra famiglia e su tutto il resto, maledizione!
- Sei affascinato da qualcuna?- ma perché si faceva gli affari miei? Che cosa gliene importava? Insomma, era la mia vita privata! Non gli avevo mai chiesto niente di lui! E se il mio passato fosse stato doloroso? Non se lo era mai chiesto?
- Lo ero … ma in questi anni ho avuto il tempo di capire quanto stupido sono stato a non accorgermi subito di chi davvero mi meritava, nonostante … molti secoli prima mi avesse spezzato il cuore … forse ero io che non meritavo lei, l’avevo fatta soffrire, l’avevo beffata, avevo abusato di lei, le avevo mentito- ma subito dopo aver detto quelle frasi, me ne pentii. Beh, se lo meritava, avevo fatto bene!
- Perché preferisci stare qui, invece che tornare a casa?- ma ce l’aveva su con me? Non lo sopportavo proprio. Avrei voluto poter cambiare cella in modo di non dovermelo subire!
- E perché non ti fai una dannatissima manciata di affari tuoi?- sbraitai guardandolo con la fronte corrugata. Lui abbassò lo sguardo. Ah, era l’unico con cui potevo parlare e già me lo perdevo? Avessi avuto una pistola, avrei fatto altro ma non potevo resistere senza sentire i suoni, men che meno quello della mia voce, altrimenti sarei impazzito. E poi … quel vecchietto meritava compassione, io non ne avevo per nessuno ma … eravamo nella stessa situazione accidenti!
- Perché rivedrei il suo viso … come mi guarderebbe dopo l’ultima volta che mi ha visto? Le ho chiesto un favore e … appena l’ho ottenuto l’ho lasciata lì, a bocc’aperta. Credeva che l’avrei portata con me. Sognava un destino con noi due come protagonisti. Io la odiavo, mi serviva a ben poco, dopo ciò che aveva combinato. Non ho mai capito quanto invece potesse essere mia, ma veramente mia- abbassai gli occhi e mi guardai le mani sporche e ruvide, non più morbide e rosee come una volta.
- È bella?- domandò. Feci un risolino sommesso inarcando un sopracciglio.
- Oh, altroché!- poi mi avvicinai alle sbarre. Guardai il vecchietto negli occhi. Aveva pochissimi capelli bianchi dietro la nuca, le sopracciglia folte e grigiastre. Gli occhi piccoli e lucenti, di colore giallo. Sporco di sangue e residui del tempo. Anch’io avevo quell’aspetto disgustoso? Mi salì un brivido lungo la schiena. Ma perché Xeni non arrivava? Tre settimane prima aveva detto che sarebbe tornata quello stesso giorno! Perché non arrivava? Ma eccola da infondo al corridoio venire avanti i suoi piedini. Era coperta da un mantello e un cappuccio. Mi venne dinanzi. Aprì la prigione.
- Eccomi qui- disse. Estrasse da sotto il mantello, un’anfora che teneva tra le mani ben nascosta. Si tolse il telo e lo bagnò dentro il vaso. Iniziò a lavarmi il viso e i capelli. Poi mi tolse la camicia e la mise dentro l’anfora. Cominciò a lavarmi il petto. L’acqua era gelida ma profumata e soprattutto pulita. Poi mi lavò i piedi e le gambe sino alle ginocchia. Tirò fuori la giacca. Era più pulita di prima. Tutto era iniziato da quando mi aveva visto scrivere. Mi aveva chiesto di insegnarglielo e avevamo fatto il patto che lei mi avesse lavato e nutrito almeno una volta al mese. Lei non aspettava altro.
- Grazie Xeni- le dissi in greco. Lei sorrise dolcemente e mi accarezzo i capelli, cercando con le dita di districarli.
- Ma ora ti devo chiedere un altro favore- ed indicai il vecchietto.
- Puoi fare qualcosa anche per lui?- lei annuì senza opposizioni e subito si mise all’opera. L’ometto mi guardava come se fossi stato una manna dal cielo. Iniziò a ringraziarmi ripetutamente e commosso. Odiavo quelle scenate così mi limitai ad un sorriso forzato. La ragazza tornò dopo aver chiuso la prigione. Entrò nella mia e da una tasca della mantella estrasse dei fogli accartocciati e una penna.
***
- Esatto, questa frase è proprio “il mio nome è Xeni”. Si scrive in questo modo. Lo sai leggere. Dovevi solo imparare a scriverlo- lei sorrise e si sistemò un po’ meglio appoggiando la testa al mio petto e con un braccio mi cinse i fianchi. Poi con la mano libera prese il mio braccio sinistro e me lo mise attorno alle sue spalle. Lo tolsi subito.
- Ma cosa stai facendo?- esclamai accigliato. Lei si alzò arrossendo.
- È meglio che torno da Marcus …- e scappò via dopo aver chiuso la cella. Se lei mi amava non potevo ricambiare. Era bellissima, troppo. E troppo dolce. Dovevo scontare tutti gli anni che avevo fatto soffrire la mia piccola, in quel momento magari sola, triste e ancora pensosa. Già … solo e pensoso. Opera del grande Petrarca. Dannazione! Quando avrei potuto accarezzarle nuovamente la schiena dinanzi al focolare … sta volta però, nuovamente innamorato di lei?



Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ricordi ***



- Cos’aveva detto quella serva ad Amelia?-
- Di prepararsi per una festa, a quanto pare festeggiano ogni sera-
- Noi ogni attimo della giornata …-
 

Arrivammo sino ad un gran salone. In centro c’era una tavola e tutti i commensali stavano seduti attorno ad essa. La tavola aveva una tovaglia di un viola verso il bordò, ornata di pizzo dorato. C’erano una cinquantina di calici ben lavorati e tutti colmi di sangue.
- Prego, accomodatevi miei cari ospiti!- ci invitò Amelia venendoci incontro. Ci condusse sino ai quattro posti accanto a quello a capo tavola. A due a due ci sedemmo ai lati opposti. Tutti ci guardarono per un attimo continuando a parlare e poi si rigirarono. Non capivo niente di ciò che dicevano e lo trovai un gran peccato dato che mi piaceva ascoltare le conversazioni altrui. Selene detestava quest’aspetto di me. Diceva che assomigliavo a mia sorella. Beh, qualcosa di simile dovevamo pure averlo! Amelia assaporò un po’ del contenuto del suo calice chiudendo gli occhi per sentirne meglio il gusto. Poi lo riappoggiò dinanzi a sé e mi guardò.
- Il tuo abito, Erika, è davvero uno splendore. Mi dovrai consigliare la sarta che te l’ha creato- sorrisi fiera di quel complimento. Tutti ammiravano i miei abiti. Me li cuciva la stessa di Kraven, non per niente eravamo coloro con gli abiti più sfarzosi di tutto il castello di Budapest.
- Certamente Amelia, sarà un vero onore. Ci sono dei modelli che di sicuro ti colpiranno. Ha molto talento e non per niente l’ho scelta- fece una risata sommessa mentre non smetteva di guardare il mio corpetto ricamato d’argento. Poi girò lo sguardo sui miei occhi e cambiò discorso.
- Mi farebbe onore se rimaneste qui qualche giorno. Le camere spero siano di vostro gradimento- fece un sorriso cordiale.
- Oh, sono splendide. Lo stile è incredibile, tutto il castello ha un arredamento magnifico- non avrei mai creduto di poter tenere un discorso con Amelia. Lei era così fine, così perfetta e così di classe che pensavo non mi avrebbe mai nemmeno guardata ed invece anche gli argomenti più basilari parevano essere perfetti per parlare.
- Ti ringrazio, ho scelto tutto con infinita cura ma Viktor ha dato il suo contributo. A proposito, sapete se lui ha più avuto notizie di Marcus o William?- a quelle parole, persino Selene, Michael e Soren che non stavano seguendo la conversazione, si girarono verso noi due. Io trasalii e un nodo mi si formò in gola e sentii lo stomaco vuoto.
- No, in realtà non credo che Viktor abbia più visto Marcus. È molto bravo, non ha fatto scoprire a nessuno la sua postazione. Ma anche molto ingenuo, non per sempre William lo proteggerà. Ha anche lui i suoi punti deboli- intervenne Selene. Amelia annuì.
- Ma anche Marcus sa difendersi. Selene, abbiamo avuto enormi difficoltà a sconfiggerlo prima della sua rinascita! Ha ucciso suo padre con immensa facilità e poco prima Tanis e ancora prima …- Selene fermò Michael tirandogli uno schiaffo sulla coscia e fingendo di non aver fatto apposta. Io avevo già abbassato lo sguardo oscurano i miei occhi. Il nodo alla gola si strinse.
- Sappiamo, Michael, cos’ha combinato ma se tutte le sue vittime fossero state unite, non avrebbe avuto tutta questa semplicità nell’ucciderle. Un grande gruppo di vampiri lo sterminerebbe in un batter d’occhio- poi distolse lo sguardo da Amelia e con una mano mi prese il mento e mi alzò il viso. Vide l’ombra nei miei occhi fondi.
- Odio ammetterlo ma anche Kraven se solo si fosse organizzato meglio, ci sarebbe riuscito. Non sapeva con chi aveva a che fare, tutto qui. Nessuno lo sapeva nessuno. Io e Michael abbiamo avuto solo fortuna- sapevo che lo diceva solo per non farmi soffrire però almeno ci provava, nonostante i risultati non fossero dei migliori.
- Beh- interloquì Amelia sorseggiando un po’ di sangue.
- Kraven è morto grazie a Marcus e solo per questo sono in debito con lui. Non l’ho mai visto di buon occhio nonostante Viktor lo portasse in palmo di mano. Poi è stato lui a dare ordine di uccidermi quindi non posso fare altro che ringraziare Marcus per avermi vendicata, nonostante sicuramente non pensasse a me mentre lo sterminava- terminò il suo bicchiere e se ne versò dell’altro. Intervenni indignata.
- Se Viktor lo considerava un buon vice, ci sarà stato un motivo- Selene mi tirò un leggero calcio sotto alla tavola ma non la badai. Avrei esposto la mia versione dei fatti. Guardai con la coda dell’occhio Soren. Pareva dalla mia parte, assorto nella conversazione.
- Lo credeva ciò che non era! Anch’io l’avrei nominato vice se mi avesse mostrato la pelle del braccio di Lucian! Ma a quanto pare anche questo era in complotto con lui, in fin dei conti sono stati i Lycan di Lucian ad uccidermi!-
- Era una brava persona!- s’intromise Soren. Selene che stava bevendo sputò nel bicchiere ed iniziò a tossire. Le tirai un calcio sulla caviglia. Michael soffocò una risata.
- Certo! Certo che era bravo! A mentire alla gente e abbindolarseli come più gli piaceva e pareva nessuno era più bravo di lui!- Amelia batté una mano sul tavolo. Mi alzai appoggiandomi con le mani alla tavola.
- Scusatemi, vado in camera mia- Soren mi prese per un gomito e mi fece sedere. Si sporse lentamente verso Amelia.
- Kraven ha salvato la mia famiglia! Non l’avrebbe mai fatto se non avesse almeno una parte di animo buono- lei rise sforzatamente con un tono acuto.
- Buono? Sei sicuro che Kraven non avesse strappato la parte del dizionario dov’era quella parola?- presi il bicchiere ed iniziai a bere per cercare di distrarmi. Soren rise quasi spensierato, o forse voleva solo farlo credere. Poi guardò Selene con occhi furbi. Lei trasalì.
- Kraven era innamorato di lei! Questo vuol dire che aveva un cuore- sentii le dita di Michael schioccare. Amelia gli mise una mano sul petto allungandosi verso di lui.
- Tranquillo, è morto! Comunque … anche Marcus amava suo fratello. Quindi anche lui aveva un cuore, se la vogliamo mettere in questo modo!- senza che me ne accorgessi mi scese una lacrima. Amelia la notò. Nessuno. Nessuno mi disse nulla, forse per non farmi sentire in imbarazzo o forse perché non l’avevano vista, ma Amelia sì. Lei continuò a guardarla scendere limpida e densa giù per il mio viso, poi per il collo fino allo scollo del vestito e assorbirsi in esso fino a scomparire.
- Quella era una lacrima?- chiese con un tono pieno di stupore ma allo stesso tempo vuoto, assorto nelle parole ma anche distaccato. Annuii amareggiata che l’avesse notata.
- Aspetta aspetta. A te lui … piaceva! Adesso ho capito! Tu avevi una cotta per lui!- impallidii di colpo quando l’anziana (che a guardarla non lo era mica tanto) proferì quelle parole. Mi strinsi nel vestito stringendo forte le mani l’una nell’altra in imbarazzo. Feci un leggero segno di assenso con il capo. Soren mi cinse le spalle con un braccio e mi strinse al suo petto sussurrandomi, senza che gli atri lo sentissero, “tranquilla, va tutto bene, non volevano offenderci, non sapevano da che parte eravamo”. Amelia si alzò con uno sguardo più fragile. Mi si avvicinò e mi accarezzò i capelli.
- È tutto a posto- le disse Soren con estrema dolcezza mischiata ad una punta di fermezza.
- Erika, Viktor mi aveva parlato molto dispiaciuto di questa tua passione verso Kraven, pensavo fosse passata, mi dispiace.-
- Perché dispiaciuto?- domandai riprendendo coscienza di me. Lei alzò lo sguardo.
- Ah, non ha importanza- poi si risedette ed incrociò le gambe. Ringraziai Soren con un sorriso per avermi sostenuta tra le sue braccia. Mi ricomposi sulla sedia.
- Sta di fatto che non darei mai e poi mai il mio voto per far resuscitare Kraven!- a quelle parole le lacrime affiorarono come una marea in un giorno di tempesta e le mie pupille si dilatarono notevolmente. Selene provò a bloccare tutto.
- Ma è proprio di questo che dovevamo parlare!- improvvisamente però una musica dolce iniziò ad espandersi nell’aria. Pareva un valzer. Mi guardai attorno e vidi dei numerosi musicisti. Amelia si alzò e tutti gli altri la imitarono. Lo facemmo anche noi.
- Forza, inizia la festa. Divertitevi!- ed in questo modo lei ci lasciò andando da un gruppo di suoi conviventi. Michael ci guardò uno per volta. Poi prese una mano a Selene e se la mise al petto.
- Siamo qui per una missione ben precisa e non voglio assolutamente tralasciarla, come mi ha insegnato Selene non bisogna mai distrarsi. Ma io non sono Selene e quindi lei ora mi concede questo ballo!- iniziò a trascinarla prima ancora che lei potesse mettersi a gridare e protestare come però fece appena si rese conto di cosa stava accadendo. Risi.  Soren mi guardò e i nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi erano brillanti alla luce delle candele che circondavano la stanza. In quell’attimo vidi una parte di Soren che mai avrei pensato di vedere. Una parte fragile, quasi dolce o almeno meno rigida del solito. Prese una rosa da un vaso in centro alla tavola e me la porse. L’accettai con un sorriso che vidi dipinto anche sul suo viso mentre me la tendeva. Fu una sensazione strana, pareva quasi che stesse cercando di essere gentile con me. Eppure era sempre stato d’accordo in tutto con Kraven. Se uno mi odiava, lo faceva anche l’altro. Eppure in quel momento non era così. Poi riacquistò la sua espressione rigida.
- Dopo la dichiarazione di poco fa, non credo che Amelia ci guarderà ancora di buon occhio- abbassai il viso ridendo e accarezzando la rosa che avevo nelle mani.
- Oh, non l’avevo capito, sai Soren? Mi sa che ci detesta già da adesso- poi guardai Selene e Michael che ridevano e scherzavano ballando sul ritmo delle canzoni tipiche di Mosca. Ovviamente non riuscivo a decifrarne nemmeno mezza sillaba. Poi fissai Soren. Anche lui li stava guardando. Era una coppia fantastica. Perché non c’era mai stato quell’affiatamento tra me e Kraven?
- Vuoi ballare?- gli chiesi. Un po’ stupito corrugò la fronte.
- Non dovrei essere io ad invitarti?- risi sonoramente e mi risedetti. Mi strinsi più forte nella pelliccia. Soren si accomodò accanto a me.
- Io non volevo invitarvi signore, pareva che voleste ballare- lo guardai scherzosa e anche lui fece una risata sommessa. Versò del sangue nel mio bicchiere e me lo porse.
- Grazie …- sussurrai con un sorriso timido, arrossendo.
- Se con voi milady, sarebbe un onore- si alzò e mi porse la mano.
- No, no scusa Soren … non ho voglia ...- lui mi prese per una mano e mi alzò di forza. Mi strinse i fianchi e poi mi appoggiò a sé. Il sangue iniziò a pulsare sulle tempie. Lui mi fissava con sguardo assente, come forse lo era il mio. Entrambi però eravamo spaventati nello stare così vicini.
- Tu hai paura di ballare, tutto qui. Ti riporterebbe alla mente troppi ricordi- sussurrò con le labbra dinanzi alle mie. Sentivo il suo fiato caldo. Sospirai profondamente ad occhi chiusi. Mi lasciò sedere.
- Come lo sai?- gli chiesi stringendo le mani sulle gambe. Mi venne dietro e mi appoggiò le mani sulle spalle. Scostò la pelliccia e sentii il freddo della sua pelle sulla mia. Trattenni un brivido quando iniziò a massaggiarmi il collo con delicatezza e sensualità.
- Vedevo quando ballavi con lui, come gli stringevi le mani, i fianchi, le spalle. I tuoi occhi erano così passionali. Brillavano. Parevano stelle, anzi, erano più luminosi. Avevi un sorriso indimenticabile. Anche Kraven di tanto in tanto parlava del tuo sorriso!- mi girai velocemente verso di lui.
- Davvero?- annuì. Saltai in piedi e mi versai un bicchiere di sangue. Lo versai anche a Soren. Glielo tesi con un sorriso che andava da una parte all’altra del viso.
- Allora brindiamo a questo, ti prego!- lui sorrise e fece toccare il suo bicchiere con il mio. Bevemmo d’un sorso. Iniziò a girarmi la testa. Quel sangue era molto più forte di quello che ero abituata a bere e ne stavo bevendo troppo. Dovevo cercare di fermarmi ma ero troppo felice! Riappoggiai il calice al tavolo e mi ci dovetti attaccare anch’io perché stavo perdendo stabilità. Soren mi prese da sotto lo braccia per non farmi cadere.
- Tutto bene?- mi domandò. Pareva preoccupato.
- Sì … sì tutto bene- quando guardai i suoi occhi non riuscii più a staccarmi da essi.
- Basta bere- mi disse. Senza ascoltarlo mi riempii un altro bicchiere. Quando lo stavo per appoggiare alle labbra lui ci mise una mano sopra. La scostai e bevetti. Sentivo la gola asciutta e avevo bisogno anche di quel bicchiere nonostante sentissi di non dover fare quella stupidaggine.








Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** So I put my arms around you ***



La musica era sempre più calma,
la testa mi girava,
tutto però sembrava particolarmente idilliaco.
 

Erano le due passate. D’un tratto vidi tutto sfocato. Era strano, pareva che ciò che avevo attorno mi stesse avvolgendo, come le mani che poco dopo lo fecero sul serio. Sentii Soren che mi stringeva i fianchi e con estrema delicatezza mi fece sedere.
- Sei sicura di stare bene Erika? Ondeggi, i tuoi occhi cedono …- mi accarezzò il viso.
- Sì … sì sto bene, te l’ho già detto- mentii. Il sangue che avevo bevuto doveva essere stato unito a qualche altra sostanza. Accidenti … era terribile come mi sentivo …
- Pari stanca-
- Non lo sono!- esclamai non convinta. Improvvisamente un dolce ritmo di pianoforte inondò la stanza. Era ripetuto di volta in volta come introduzione delle parole che stavano per iniziare. Conoscevo bene quella canzone. Era in inglese però, non in russo. L’aveva scritta una cantante italiana. Era così dolce … sperai fosse quella. Avevo la mente talmente annebbiata che potevo sbagliarmi. Incominciò con “ time is gonna take my mind and carry it far away where I can fly …” oh sì, era quella! Com’era bella. Sentii il desiderio di cantarla.
- The depth of life will dim the temptation to live for you If I were to be alone silence would rock my tears …- quanto la adoravo. Ma successe una cosa fantastica e alquanto strana quando per un attimo ripresi fiato. Soren continuò a cantarla.
- 'cause it's all about love and I know better how life is a waving feather…- mi prese per una mano e mi tirò a sé. Mi mise le mani ai fianchi ed io le mie sulle sue spalle. Attaccammo i nostri petti ed iniziammo ad ondeggiare lentamente. “So I put my arms around you around you. And I know that I'll be living soon My eyes are on you they're on you And you see that I can't stop shaking …”. La sua mano iniziò a salire per la mia spina dorsale arrivando sino al collo. Iniziò a farmi abbassare all’indietro. Lui si abbassava in avanti sopra di me sino a che le sue labbra non raggiunsero le mie. Mi baciò. Dentro di me sentii un brivido. Il cuore mi balzò in gola e lo stomaco andò in subbuglio. Quando baciavo Kraven, non era mai successa una cosa del genere. Con Soren era tutta una cosa diversa. Quello al contrario dei baci freddi e rigidi di Kraven, era dolce, passionale, cercava di farti sentire ciò che provava chi lo stava dando. Le mie braccia si scioglievano più lui mi stava attaccato. Le sue labbra bagnate, bagnarono le mie. La sua lingua tracciò il contorno del labbro superiore. Gli morsi delicatamente quello inferiore. Non capivo perché lo stavo facendo. Non amavo Soren, non era nemmeno un amico. In quel momento però, nulla importava. C’eravamo solo io e lui. Nessun altro. Era stata la canzone forse? Era già un segnale, entrambi la conoscevamo così perfettamente che pareva destino. Era la voglia di rivedere Kraven? Era che forse dovevamo mandare tutti a quel paese e rimanere solo io e lui. Continuò a baciarmi e mi prese per i fianchi non smettendo di mordermi le labbra. Con lenti passi, mi portò sino alle scale. Da lì mi prese in braccio facendomi avvinghiare a lui attorno ai fianchi con le gambe. Iniziò a camminare su per la gradinata senza smettere neanche per un momento ciò che stavamo facendo. Aprì la camera “mia e di Selene” e mi distese sul letto. Da lì iniziai un po’ a pensare che il suo obbiettivo fosse un altro e mi irrigidii. Ma lui continuò a baciarmi con la dolcezza che aveva da prima. Dopo qualche attimo si staccò e mi accarezzò il viso. Aveva degli occhi bellissimi che solo in quel momento notavo. Ci coglievo tutta la loro essenza e parevano l’unica cosa al mondo ad interessarmi.
- Fammi dormire con te questa notte, ti prego! Non sopporterei di starti lontano! Non più- non riuscii a rifiutare. Pareva che anch’io non aspettassi altro che stare accanto a lui. Annuii. Sorrise. Stava per baciarmi un’altra volta ma gli misi un dito sulle labbra con un dolce sorriso dipinto in volto. Stanco ma sereno.
- Aspettami qui- gli sussurrai e lo baciai in fronte. Mi alzai e senza smettere di guardarlo aprii la mia valigia. Ne estrassi la camicia da notte. Andai in bagno. Mi attaccai al lavandino e mi guardai allo specchio. Ero ancora bellissima, a parte le occhiaie non molto vivide. Mi slegai i capelli già un po’ scompigliati e mi spogliai. Misi tutti su una sedia che era in parte alla doccia e indossai la camicia. Era nera con lo scollo ornato di pizzo. Le maniche divenivano larghe dal gomito in giù. Arrivava sin sotto i piedi. Rimasi ancora un attimo in bagno. Mi lavai i denti e intinsi le dita nella crema da viso. La spalmai sul mio volto. Poi uscii. Lui non c’era. Avevo sognato tutto? O l’avevo fatto aspettare troppo? Ma la porta si aprì. Era in canotta e un paio di boxer blu con al bordo strisce rosse. Sorrisi rincuorata. Mi venne dinanzi e mi strinse. Lo abbracciai a mia volta.
- Sei la persona che aspettavo da un sacco di tempo, piccola- gli baciai la spalla. Mi prese in braccio e mi condusse sino al letto. Tolse le coperte e mi ci infilò sotto. Mi venne in parte. Le rialzò fino al nostro collo. Mi avvicinai a lui, il quale mi prese per un braccio e fece sì che paressimo un'unica cosa così vicini. Avevo entrambe le braccia sul suo petto e lui uno teso sotto il mio collo e con l’altro mi accarezzava la schiena.
- Buona notte Soren- sussurrai dopo aver chiuso gli occhi.
- Buona notte stella- sorrisi delicatamente. Prima di addormentarmi mi concessi qualche ultimo pensiero: come stava Kraven? Dov’era? A cosa stava pensando in quel momento?








Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Lettera ***


- CHE CI FAI NEL MIO LETTO?!-
- E TU ABBRACCIATA A ME?!-
Iniziarono le grida



- Erika! Lo sai che non tolleri gli alcolici!- mi sgridò Selene mentre con le occhiaie bevevo una tazza di sangue fumante nel salone del palazzo di Amelia.
- E io cosa ne potevo sapere che era mischiato a sostanze stupefacenti che nel mondo vampiro chiamiamo alcolici? Non sapevo nemmeno che esistessero!- sbuffai. Lei alzò gli occhi al cielo e lasciò la tazza ancora mezza piena sul tavolo. Si alzò e guardò fuori da una finestra.
- Hai sentito Amelia ieri sera? Ha detto che non avrebbe mai fatto …- Selene mi interruppe sul colpo girandosi verso di me.
- Lo so cos’ha detto, e secondo me dovremmo intervenire subito, se tieni tanto a lui. E non aspettare l’ultimo secondo, perdendo  tempo a flirtare con Soren!- con forza misi la tazza sul tavolo. Mi alzai indignata. Le andai dinanzi.
- Io e lui ci siamo solo baciati! Non abbiamo combinato niente! E poi … parli proprio tu! Vorrei sapere se con Michael vi limitate ancora al saluto cinque metri di distanza uno dall’altro!-
- Lui è mio marito!-
- Bene! E se io trovassi un’altra persona e volessi dimenticare Kraven?- il mio tono della voce si alzava.
- Oh! Non sapresti che sollievo! Ma se tu ci avessi pensato prima non saremmo qui al freddo e al gelo con neanche una traccia! E poi, non ti piace Soren!-
- Ma … io ho per caso mai criticato la tua scelta? È pure un ibrido! Neanche uno di noi! UN IBRIDO!- gridai. Mi tirò uno schiaffo. A bocca aperta aspettai che il dolore si dissolvesse. La fulminai e le sferrai un pugno in pieno stomaco. Un’altra volta ci ritrovammo a litigare.
- Perché non sei rimasta a casa con Eve?- urlai.
- Perché non voglio che tu faccia ca ...- ma tutto fu interrotto da Michael e Soren che scendevano le scale.
- Dateci un taglio voi due!- sbottò Soren prendendomi per un gomito. Mi liberai e lo guardai male. Corsi verso le scale e iniziai a correre per arrivare il più presto possibile alla mia camera. Ero indignata e … sì, imbarazzata. Soren aveva dormito abbracciato a me … mentre io ero ubriaca.
- Erika!- mi girai a guardarlo tenendo una mano sulla ringhiera. Lui fece un sorriso beffardo e mi guardò dalle pantofole al viso.
- Comunque baci bene!- Michael sputò una risata assieme a Selene. Lanciai un ringhio e corsi più veloce, gridando:
- Ti odio Soren!-. Mi chiusi in camera e mi appoggiai con la schiena alla porta. I cuscini erano ancora a terra e le piume tutte sparse per la camera. Le coperte da tutte le parti e la sedia con una gamba rotta, a terra. Andai in bagno e aprii l’acqua. Che bastardi! Tutti quanti! Mi guardai allo specchio e con la mano tirai i capelli all’indietro. Lasciai cadere a terra la camicia da notte assieme alla biancheria intima e dopo aver legato i capelli con una fascia, entrai nella vasca. L’impatto con l’acqua ancora fredda mi fece tremare. Perché pure Selene, in quegli ultimi anni, mi faceva saltare i nervi, già tesi di loro? Vidi un barattolo di bagnoschiuma sull’angolo della doccia. Lo presi e ne svuotai un’abbondante quantità nell’acqua. Mi divertivo a sguazzare nella schiuma. Di solito Kraven si faceva riempire la vasca e poi mi chiamava per lavargli i capelli. E a volte entravo nella vasca con lui. Non succedeva nulla. Rimanevamo a parlare di lui, della sua politica e tutto il resto. Sarebbe stato noioso se fosse stato qualcun altro a parlare ma … era lui. Feci scivolare le mani giù per la gamba destra, sino al piede. Appoggiai il mento al ginocchio ed iniziai a riflettere. Amelia aveva rifiutato. L’ultima speranza era Marcus … se avessimo solo saputo dove si trovava. Sbattei una mano sulla superficie dell’acqua e partirono schizzi. Avrei avuto il coraggio di guardare Marcus in faccia? Dopo che lo avevo visto decapitare Kraven? Un brivido mi salì lungo la schiena. Una lacrima cadde nell’acqua. Non avevo mai ripensato veramente a com’era morto, pezzo per pezzo, scena per scena, attimo per attimo … grido per grido … chiusi un pugno e lo appoggiai sulle mie labbra. Iniziai a singhiozzare senza trattenermi. Perché non riuscivo a farmi coraggio? A pensare ad ogni passaggio? Era da troppi secoli che lo amavo e non ero mai riuscita a levarmelo dalla testa. Era davvero un amore vero? A quanto pareva sì … ma non ricambiato. C’era Selene prima di me, e ci sarebbe sempre stata. Ovvio, non ero lei, ma se qualcuno mi apprezzava, doveva farlo per ciò che ero!
- Senti Erika! Tu non puoi … accidenti!- Selene era entrata di sobbalzo nel bagno ma era inciampata nei miei vestiti. Caduta a terra di faccia aveva tirato un pugno al pavimento. Io stavo ridendo sonoramente non riuscendomi a fermare. Non avevo mai visto Selene cadere e forse quella era la prima volta. Si rialzò crucciata e con gli occhi che lanciavano scintille ma vedendo me ridere si lasciò prendere ed iniziò anche lei con un alto tono. Si sedette con la schiena appoggiata alla vasca cercando di smettere di ridere.
- Tu non puoi lasciare i tuoi vestiti in mezzo al bagno!- esclamò continuando a ridacchiare. Io che non riuscivo a fermarmi le spruzzai acqua addosso e mi appoggiai con i gomiti alla vasca.
- E tu dovresti bussare!- mi fulminò con lo sguardo, ben sapendo che avevo ragione. Odiavo litigare con Selene, avevo paura di perderla, un giorno o l’altro. Lei non lo sapeva, e non lo avrebbe saputo. Mi affacciai verso di lei e le bagnai i capelli gocciolando con le mani. Mi fulminò ed iniziai a ridere.
- Non volevo insultarti prima, scusa- disse appoggiando il gomito sul ginocchio della gamba piegata. Alzai le spalle.
- Tranquilla, nemmeno io volevo litigare!- lei sorrise e mi porse la mano. La strinsi. Onestamente non sapevo se volesse davvero riappacificare con me … presumevo di sì.                                                                                                                                        
Dopo qualche ora qualcuno bussò. Selene guardò la porta, poi si alzò. Mi porse l’accappatoio ed aspettò che lo prendessi dalla sua mano. Alzatami a mia volta, uscii dalla vasca, ancora piena di schiuma, ed indossai ciò che lei mi aveva teso.  Bussarono nuovamente. Oh, accidenti, non potevano aspettare, almeno per un attimo?
- Arrivo!- gridai. Ma imperterrito continuò a bussare. Velocemente feci scivolare l’acqua giù per lo scarico, alzando il tappo della vasca. Aprii la porta. Soren. La richiusi di fretta e mi ci appoggiai contro di schiena. Accidenti! Che cosa ci faceva lì? Mentre ero in bagno per di più! Selene soffocò una risata. La fulminai. Mi venne dinanzi e mi spostò da davanti la porta. Uscì. Li sentii parlare ma non riuscii a capire cosa dicevano. Alzai le spalle e lasciai l’accappatoio attaccato al muro. Presi la biancheria intima di ricambio che il giorno prima avevo sistemato nei cassetti del bagno. Uscii solo dopo essermi asciugata i capelli. Loro due non c’erano più. Indossai le pantofole in parte al letto e presi dei vestiti comodi dentro la valigia. Prima di abbassarmi, però, per prenderla, notai un quadratino bianco sopra il copriletto. Dopo essermi vestita, lo presi. Era un foglietto, la calligrafia era alquanto maschile, e se non fosse per l’esperienza non l’avrei decifrata, neanche fosse greco antico.
ti devo parlare, ti aspetto in giardino alle 15.00, non tardare. Vestiti bene.”
Soren, era sicuramente lui. Alle 15.00? Guardai l’orologio. Erano le 13.17. Accidenti, vestiti bene, ovvio. Avevo visto che tempo c’era! Fuori c’era una bufera con una ciliegina di -37° e lui voleva che uscissi? Ma stava scherzando? Non poteva chiamarmi ... in salone? In camera? Anche in bagno se proprio mi voleva parlare! Ma fuori? Assolutamente no! Non ci sarei minimamente andata! Era una cosa assurda! Forse però … se mi chiamava fuori, voleva significare che era qualcosa di estremamente privato, che proprio nessuno avrebbe dovuto sentire. Sospirai profondamente e mi affacciai alla finestra. Fuori tutto era bianco e la neve agiva impetuosa sul terreno, spinta dal vento, quasi si abbracciassero. Chiusi le tende. Non volevo pensare di dover andare fuori con quel tempo. Uscii dalla camera a lenti passi e mi avviai per il corridoio. Iniziai a camminare senza meta, solo per il gusto di passare il tempo e magari senza accorgermi dell’arrivare delle 15.00. Mi guardavo attorno. Non c’era più senso di stare lì, Amelia aveva già rifiutato senza sapere ciò che stava facendo. Ma pareva fosse già al corrente di tutto. Impossibile! Chi mai avrebbe potuto sapere del nostro piano? Sospirai. Abbassai lo sguardo ed iniziai ad osservare il tappeto rosso. Era un po’ sporco del tempo che aveva camminato su di lui. Chissà dove Amelia si era procurata uno splendore del genere. Tutto il palazzo era magnifico. Improvvisamente sentii dei passettini veloci venire verso di me. Alzai lo sguardo e vidi una cameriera con un grembiule bianco addosso sopra un abito nero sciupato e una retina sui capelli venire in mia direzione. Teneva in mano un vassoio. Appena mi fu dinanzi abbassò il capo e mi porse il vassoio. Sopra c’era una lettera sigillata con un timbro di cera rossa. La presi delicatamente.
- È per me?- domandai esitante. Lei annuì timidamente ad occhi chiusi ben stretti.
- Signora Amelia avere detto di dare questo a signorina Erika- provò a dire in ungherese. Beh, almeno in un qualche modo riusciva a parlare con me.
- Grazie- mormorai senza sfumature di voce mentre iniziavo già a staccare il sigillo. Ritornai nella mia stanza. Mi sedetti sul letto. Lasciai cadere la busta a terra. Il foglio che conteneva era color crema. Il colore della penna era il nero. Pareva scritto con una piuma. C’era qualche leggera e quasi invisibile sbavatura ogni tanto. Chi mi poteva scrivere mentre ero lontana da casa? Nessuno, immagino, poteva sapere dov’ero. Incuriosita, cominciai a leggere.
 

Cara Erika,                                                                                                                                                                                                 
è strano non vederti ogni giorno. Te ne sei andata senza dire niente a nessuno e senza lasciare indizi. Li ho cercati ma nulla mi ha portato a te. Per mia fortuna però, conosco ottime fonti d’informazione, grazie alle quali ho scoperto dove sei. Non ti chiederò di tornare a casa, nemmeno t’impedirò di portare a termine la tua missione, se questo ti rende felice, spero solo tu non ti metta nei guai. Scusa, so che detesti quando qualcuno ti dice ciò. Conosco le tue capacità e so bene che saresti capace di fare molto anche senza Selene, Michael e Soren, ma sono preoccupato per te, piccolo fiore, e vorrei solo riaverti qui e vederti sana e salva. Spero perdonerai questa mia mania d egoismo nel rivolerti qui ma quest’amore mi sta esplodendo nel petto. So di non essere ricambiato, è proprio per questo che non ti rivelerò chi sono. Vorrei poterti aiutare, se ci fosse un modo, ma nemmeno io so dov’è Marcus, altrimenti non dovresti chiedere due volte il mio appoggio, mia cara. Detto ciò spero solo di riaverti qui il prima possibile, questa volta però, con un sorriso di trionfo sulle labbra. Appena tornerai Erika, fammi una promessa: recati immediatamente nella biblioteca. Io sarò lì ad aspettarti. Sei la mia musa ispiratrice, ma non una qualsiasi musa come quelle di Omero, nemmeno come Christine Daae per il fantasma dell’opera, tu sei la musa che mi fa dormire sonni tranquilli, la musa che mi fa sperare in un amore, un giorno o l’altro. Ti aspetterò per sempre, se dovesse servire. Ti prego di scrivermi al più presto, indirizzala al nostro palazzo di Budapest, mettici un timbro rosso come questo, saprò che è per me. Spero tornerai vittoriosa. A presto mia rosa.                                                                                                                    
P,S. Sono sicuro però che non dovrai fare molta fatica per riavere il tuo amato.                                                                                     
Kraven è vivo.

In un attimo tutto mi passò davanti. Rividi ogni attimo della mia esistenza come fosse quel momento. Kraven … era vivo … pareva uno scherzo. Qualcosa però mi diceva che quella persona non mi stava prendendo in giro. Pareva volesse veramente aiutarmi. Mi alzai velocemente dal letto, troppo velocemente. Caddi a terra. Svenni, sì, ma con un sorriso sulle labbra, un sorriso che sarebbe rimasto stampato nella mia mente anche durante quel sonno senza sogni. Il mio Kraven stava bene. Non vedevo l’ora di dirlo a Soren, ma la notizia avrebbe dovuto aspettare.







Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cacciati ***


Spero solo tu non ti metta nei guai.
Scusa, so che detesti quando qualcuno ti dice ciò.
Kraven è vivo.
 

Feci un piccolo mugugno quando ricominciai a sentire la terra sotto la schiena. Provai a riaprire gli occhi ma tutto era ancora sfocato. Riuscivo a vedere a malapena il grigio delle pareti e del soffitto. Provai a stringere lentamente i pugni per riacquistare il tatto con il mio corpo. Sì, le mani rispondevano e ricominciai a sentire la mia pelle fredda. La gola era secca e provavo il bisogno di bere, non sentivo nemmeno la saliva. Mi attaccai al letto e provai ad alzarmi molto lentamente per essere sicura di non cedere di nuovo. Ce la feci a reggermi in piedi e mi sedetti sulla cassa di legno ai piedi del letto. Chiusi gli occhi e abbassai il capo per fare mente locale di ciò che era successo. Non ricordavo nulla tranne tre parole “Kraven è vivo”. Kraven è vivo, Kraven è vivo, Kraven è vivo. Continuavo a ripetermi solo ciò. Non c’era altro che importava in quella lettera … o almeno … accidenti che egoista che ero. Quella persona (che non sapevo nemmeno chi era) stava cercando di aiutarmi ed io mi comportavo in quel modo? Non me lo potevo permettere, era a dir poco ignobile! Gli avrei risposto e lo avrei ringraziato di tutto ciò che aveva fatto. Lui … mi amava … mi rispettava … non capivo chi fosse … nessuno a Budapest mi aveva mai dimostrato segni d’amicizia o di affetto. E … diceva che non l’avrei ricambiato? Nessuno poteva dire ciò. Avrei ricambiato chiunque mi avesse davvero meritata. Beh … nonostante in quel momento nessuno avesse davvero questi requisiti. Mi alzai nuovamente e presi un foglio da un cassetto. Mi sedetti davanti alla scrivania ed intinsi la penna nel calamaio. Iniziai a scrivere.
 

Signore,
Vi ringrazio per ciò che avete fatto per me. Apprezzo infinitamente quello che mi avete detto. Mai avrei sperato in parole più belle. Non ho sospetti per sapere chi siete ma provo piacere in quest’alone di mistero. Nonostante ciò, la lettera che mi avete mandato mi ha riempita di gioia. Le parole parevano mandate da un angelo. Siete per caso voi il mio angelo custode? Colui che mi aiuterà ad affrontare questi ostacoli così pericolosi? Le vostre frasi sono state così dolci e affettuose che vorrei poterla ringraziare in un modo più meritevole di questa lettera. Mi piacerebbe molto sapere chi siete per potervi chiamare per nome ma se non volete ciò non vi chiederò altro. Vi prometto che al mio arrivo a palazzo andrò immediatamente in biblioteca e lì ci incontreremo un’altra volta. Spero questa volta di poter vedere il vostro volto, mi auguro me lo permetterete. La notizia di Kraven mi ha allietata in un modo inimmaginabile da mente di essere mortale o immortale. Credo che solo le persone che provano quest’emozione la possano davvero capire. La mia reazione è stata svenire all’istante, come al solito, che sciocca sono. Non capisco come qualcuno potrebbe innamorarsi di me, ciò però mi rende felice, so di non essere proprio così mediocre come credevo.  Detto ciò non saprei proprio come potrei ringraziarvi, se c’è anche un solo modo sarò fiera di esaudire i vostri voleri, signore. Dopo questo credo di non dover dire altro, solo che sono molto lusingata da tutte le vostre adulazioni, che mi fanno molto piacere e se io sono oggetto di vostra felicità, vorrei continuare ad esserlo. Vorrei solo permettermi di chiedervi un ultimo favore, se scoprite dove si nasconde Marcus, me lo potete rivelare? Penso sia tutto. Spero di potervi scrivere nuovamente al più presto. I miei più sinceri ringraziamenti.
Erika.

La imbustai e cercai dove Amelia tenesse lo stampo da intingere nella cera. Poi lo scorsi in un angolo della scrivania. Timbrai la busta. Guardai l’orario. Le 15.12. Quasi gridando indossai il primo pellicciotto che trovai nell’armadio e corsi in corridoio. Iniziai a cercare una serva e appena trovata le porsi la lettera.
- Devi immediatamente portarla a Budapest, è molto urgente!- lei doveva aver capito. Annuì e corse via. Anch’io mi affrettai verso il giardino. Attraversai innumerevoli corridoi pieni di camerieri e serve che andavano da una parte all’altra. Il tempo passava e Soren forse se n’era già andato. Accidenti! Dovevo correre. Così feci. Arrivata al giardino vidi che nevicava impetuoso. La neve mi arrivava alle ginocchia e i fiocchi mi riempivano i capelli. Vidi Soren con le braccia conserte, la fronte corrugata quando mi vide. Mi venne incontro digrignando i denti. Mi prese per un polso ed iniziò a trascinarmi verso la macchina. Non mi avrebbe forse voluta portare a casa?
- No! No Soren! Tu non sai cos’è successo!- ma lui non mi ascoltava. Aprì la macchina e mi fece salire. Entrò a sua volta e chiuse a chiave.
- Soren! Non puoi immaginare …- provai a cominciare ma mi bloccò iniziando a gridare.
- Quanto ti dispiaccia per avermi fatto aspettare sotto la neve? Con questo gelo? Aspettando che tu con calma ti pettinassi e preparassi mentre io ti dovevo urgentement …- ma questa volta lo bloccai io. Prima he finisse la parola chiusi gli occhi e velocemente dissi:
- Kraven è vivo-
- … parlar … cosa?-
- Ho ricevuto una lettera oggi, dove il mittente diceva che Kraven è vivo ma non sa dove si trovi Marcus- i suoi occhi si illuminarono e dopo avermi guardata per un lungo istante mi abbracciò. Io lo feci a mia volta ancora più forte. Il nostro punto di riferimento era vivo! Potevamo benissimo andarcene, non c’era più ragione di rimanere, ora il compito era ritrovare Marcus e Kraven, nessun incantesimo più importava. Soren singhiozzava ed io facevo lo stesso ridendo, senza rendermene conto. Ma improvvisamente s’alzò. Mi guardò sospettoso.
- È una fonte affidabile?- domandò. Non sapevo cosa rispondergli, aveva ragione. Non sapevo nemmeno chi era. Decisi di mostrargli la lettera. La estrassi dalla tasca e gliela porsi. Avrebbe tratto le conclusioni da sé. La lesse velocemente spostando gli occhi da una parte all’altra del foglio, a volte corrugando la fronte forse non riuscendo ad interpretare bene qualche parola. Beh, la sua scrittura a confronto era a dir poco mostruosa. Dopo qualche minuto mi restituì la lettera. Abbassò lo sguardo. Non sapevo cosa stesse pensando e se devo essere sincera, non volevo saperlo. Mi faceva paura. Mi prese una mano e la strinse. Mi guardò.
- Sai chi può averla scritta?- domandai. Deglutì. Quel suo gesto gli intinse un’aria sospetta nel volto. C’era forse qualcosa che Soren mi nascondeva? Lo guardai con gli occhi leggermente chiusi. Lui continuava a fissare la lettera che mi aveva restituito.
- No, no non lo so. Sicuramente qualcuno del palazzo che ti sbava dietro!- e mi fece l’occhiolino ridendo. Gli tirai un pugno sulla spalla senza provocargli dolore, solo per farlo tacere. Poi ci ricomponemmo.
- Io credo che le sue parole siano vere …- sussurrai abbassando lo sguardo. Lui ci pensò per qualche attimo. Dopodiché annuì ad occhi chiusi ma pareva sicuro.
- Sì, io credo di potermi fidare di questo … essere invisibile … ma non diamogli molta corda, lasciamogli intanto solo l’inizio. Non posso ancora essere sicuro di chi sia e non so nemmeno se sia un’Agente di Morte o un normale vampiro-
- Sì, sì hai ragione. Ora però dobbiamo partire. Facciamo i bagagli. Non c’è tempo da perdere. Prendiamo anche quelli di Selene e Michael, non so dove possano essere in questo momento e non voglio che ci rallentino come hanno fatto sino ad ora- così detto aprii la porta e misi un piede fuori ma Soren mi prese per un polso e mi ritirò dentro. Le neve si era già appoggiata al mio stivale.
- Erika … io ti avevo chiamata qui per parlare di …- ma lo fermai dolcemente mettendogli un dito sulle labbra fredde e sottili.
- Non c’è tempo Soren, mi dirai ciò che devi quando saremo partiti- e così detto uscii. Rientrai a palazzo e sentii i suoi passi seguirmi. Entrai nella mia camera ed iniziai a riempire le valige. Non avrei mai pensato ti partire così presto. E per di più sapendo che Kraven era vivo. Mai e mai avrei fatto sogno più bello. Solo incubi e tormentata da essi non riuscivo a vedere il contorno del suo bellissimo viso quasi di ceramica. Mentre facevo la mia valigia, trovai un paio di miei jeans ormai vecchi. A vederli però mi balenò un ricordo nella testa. Era tutto sfocato ma quel paio di jeans mi ricordavano qualcosa, forse di importante, anzi, sicuramente era qualcosa di importante, eppure non ricordavo affatto cosa. Li piegai ed infilai sotto un pile, senza sforzarmi troppo a pensare. Finii di sistemare i bagagli e feci anche quelli di Selene. Peccato (ma anche fortuna) che i suoi fossero già perfettamente in ordine giacché lei non aveva sparpagliato biancheria intima, accappatoi e vesti per tutto il castello, come invece avevo fatto io. Bussarono. Poi senza che dicessi niente Soren entro chiudendosi la porta alle spalle. Prese le valige ed uscì.
- Soren!- lo chiamai. Lui si voltò prima di toccare la porta con il piede. Fece qualche passo indietro e mi venne dinanzi. Pareva serio. Forse in macchina non avrei dovuto rispondergli in quel modo. Avrei dovuto lasciarlo parlare. Insomma, ero troppo su di giri per la lettera che avevo tralasciato l’importanza dell’aiuto datomi da Soren. Inizialmente avevamo avuto molti disguidi e le sue frasi mi ferivano. Specialmente quando mi stava per lasciare chiudendomi la porta in faccia. Era stata una cosa orribile e non me la sarei mai aspettata da parte sua poiché eravamo gli unici che stavano ancora dalla parte di Kraven. Ma poi dopo quella sera … quando lui aveva ballato con me … la canzone … non capivo se fosse solo Kraven a legare me e Soren, o se ci fosse qualcosa di più, qualcosa oltre il concreto. Qualcosa senza descrizione ne nome, qualcosa senza un aggettivo o una preposizione. Senza articolo e senza data, luogo o qualsiasi altra cosa che potesse togliere quell’aura di fantastico che stava attorno a quella stranissima emozione. Era qualcosa più dell’amicizia ma meno dell’amore … non sapevo proprio dire cos’era.
- Mi dispiace per prima …- gli dissi prendendogli una mano e lasciando cadere a terra una valigia che stringeva. Lui fece cadere anche l’altra. Mi lasciò la mano ed appoggiò le sue alle mie spalle. Le strinse tirandomi leggermente verso sé.
- So che non volevi ferirmi Erika, ed infatti non mi hai ferito, non ci riusciresti. Un’Agente di Morte non fa mai scalfire la propria armatura. Hai anche Selene come esempio. E comunque avevi ragione, dobbiamo parlare con un po’ più di tranquillità. Ora non è proprio momento. Siamo tutti sottotensione e ciò che ho da dirti non è di vitale importanza. Te ne parlerò più avanti- così detto si chinò leggermente e mi diede un piccolo bacio sulla punta del naso. Poi riprese le valige e mi lasciò impietrita, ferma immobile. Iniziai a sospettare di Soren. Non in senso negativo. Pensavo solo che potesse essere lui l’autore di quelle lettere ma sicuramente non sapeva di Kraven quindi già lo esclusi. Ciò non escludeva che anche lui potesse provare una qualche attrazione per me. Sperai seriamente di no. Non volevo fargli del male. Era il mio unico vero amico. Uscii dopo qualche minuto e vidi lui già intento a mettere i bagagli in auto. La neve aveva smesso di scendere e stava uscendo il sole. Istintivamente aprii la borsa ed estrassi gli occhiali. Li indossai e con una mano mi sistemai i capelli sulla cute. Mi avvicinai a lui. Appena mi vide fece un sorriso cordiale e chiuse il bagagliaio.
- Stai attenta al sole, per adesso siamo ancora all’ombra, non so però ancora per quanto- si mise ritto davanti a me e senza smettere di sorridere staccò gli occhiali dall’allacciatura dei bottoni, dove li aveva appesi. Li indossò. Mi venne da ridere vedendo come cercava apposta di imitarmi per farmi sorridere. Sapeva che per me come per lui era una situazione difficile poiché la notizia era stata molto chiara e troppo nitida per capirla alla prima letta. Chissà anche lui quante volte ci aveva passato gli occhi sopra senza smettere di credere di sognare. Quando poi aveva capito che era la realtà l’avrà sentita troppo lontano per poterla veramente chiamare realtà. Mi appoggiò una mano sul collo e poi la fece salire sino alla guancia. Me la accarezzò e dolcemente piegai il viso per far toccare il suo arto anche dalla spalla. Chiusi gli occhi cercando di sentire tutto ciò di positivo che c’era in quel gesto affettuoso che da tanto non ricevevo.
- Ora bisogna solo chiamare Selene e Michael, e poi possiamo partire- dissi quasi senza sapere che stavo parlando. Ma quando riaprii gli occhi, quelli di lui erano chiusi ed il suo viso era troppo vicino al mio per poter vedere i suoi contorni, ormai sfocati. La sua mano aveva iniziato a stringere il mio viso forse per non farmi scansare ma purtroppo era proprio ciò che volevo fare! Improvvisamente sentimmo uno sparo. Soren fece un balzo, preso di soprassalto. Lasciò il mio viso e mi prese per un polso.
- Che cos’è stato?- chiese agitato. Ne sentimmo un altro. Io mi guardai attorno. Con uno strattone feci staccare Soren da me ed iniziai a correre verso un’altra macchina poco lontana da lì.
- No! Erika! Non fare la stupida! Torna qui!- m’inseguì e mi giunse alle spalle. Mi riprese il polso nonostante mi dimenassi imperterrita. In quel momento vedemmo correre fuori dal palazzo Selene e Michael con una faccia da terrore e con cinque Agenty Smerti, come si dice in russo Agenti di Morte. Sparavano ai nostri due compagni. Subito una pallottola ci arrivò contro. Soren lanciò un grido e mi gettò a terra facendomi scudo con il suo corpo e atterrando sopra di me cercando di non schiacciarmi.
- Soren! Erika! In macchina! Svelti! Scappiamo!- urlò Selene salendo sull’automobile nel posto del passeggero. Michael l’aveva già accesa. Partirono e ci vennero in parte. Poco prima però uno degli scagnozzi di Amelia sparò al finestrino della macchina che avevamo in parte ed il vetro si frantumò. Ci cadde completamente addosso. Singhiozzai. Soren si alzò ed in un lampo mi prese in braccio. Aprì una porta del nostro mezzo e salì. Mi distese sulle sue gambe. Mi prese la mano. Sanguinava. Partimmo.
- Tranquillo, non è niente, mi taglio sempre le dita, non è niente ti ripeto- gli dissi mentre cercavo di riprendere la mia mano ma lui con un fazzoletto estratto dalla tasca cercava di medicarlo.
- Piuttosto … cos’avete combinato voi due?- domandai. Selene sopirò e girò leggermente lo sguardo verso noi.
- Siamo andati da Amelia a chiederle di aiutarci a resuscitare Kraven, non l’ha presa bene e ci ha sguinzagliato i suoi guerrieri-
- Oh, abbiamo solo perso Amelia come alleata, ma di sicuro non Kraven, non ancora!- disse Soren mentre legava il fazzoletto.
- Che vuoi dire?- Selene ci fulminò.











Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** INEDITO 2 ***


Inedito 2: parte 1

- Clio, Agathe, lasciatemi-
- Ma … signore …-
- Fatelo!-

Era da moltissimo tempo che non rifiutavo la compagnia di Agathe e Clio. Era un brutto momento, terribile potrei dire. Mi alzai dal letto e guardai fuori dalla finestra. Le stelle splendevano. Lei era una di quelle. Una piccola stella sola.
Chiusi le tende e mi sedetti alla scrivania. Da giorni quella lettera era sulla scrivania. Non sapevo se inviarla o strapparla. Non potevo permettermi di provare sentimenti per una persona così sotto la media. Non aveva nulla di speciale eppure, lo sguardo che le avevo rubato era bastato a scatenare un forte desiderio di lei nel mio petto. Purtroppo la pensavo spesso. Era assurdo che io mi potessi innamorare. Non sapevo nemmeno cos’era l’amore. Tutte le mie serve erano lì solo per compiacermi. Nessuna di loro però era mai arrivata all’apice della mia felicità.
E se lei me l’avesse potuta donare quella felicità che mi ero ripromesso di dimenticare? Qual era il problema? Che la felicità fa soffrire. Nonostante io non potessi soffrire non volevo un suo rinnego, un suo rifiuto. Non volevo scappasse e se fosse successo avrei dovuto punirla e per la prima volta mi rifiutavo di pensare a punire una persona. Pensarla era come pensare ad un angelo.
Nemmeno potevo immaginare quanta gioia mi avrebbe regalato. Quando mi risvegliai, non appena uccisi quel traditore, non appena la sua testa rotolò altrove … girai lo sguardo e lei era lì. Gli occhi lucenti, grandi, d’un azzurro quasi indaco. Era scappata ma avevo visto i suoi occhi e per nessun motivo al mondo l’avrei scordata. La volevo! La volevo a tutti i costi.
Ma era vero amore? Valeva davvero la pena di cercarla se non era ciò che veramente provavo? Era la più piccola vampira che avessi mai visto. Doveva essere la più giovane! E a cosa mi serviva una bambinella? A niente! Solo a perdere tempo.
Cos’era l’amore. Questa era la domanda. Io non lo sapevo. Mi alzai e corsi per le scale. Andai nelle prigioni. Quasi tutti dormivano.  Quelli che non dormivano s’inchinarono. Chi non lo fece fu solo uno: lui. Quello con il quale dovevo parlare. Gli andai davanti.
- Servo!- urlai. Lui si voltò lentamente. Stava nuovamente scrivendo sul muro con il proprio sangue. Assurdo.
- Che vuoi Marcus?- domandò sgarbatamente con un’aria da superiore. Corrugai la fronte ed aprii la cella. Gli tirai un calcio sul fianco. Cadde a terra senza emettere suoni. Che peccato.
- Porta rispetto, schiavo!- lui si asciugò il sangue che gli colava dalla mascella. Abbassò lo sguardo.
- Sono ai tuoi ordini … mio signore …- sussurrò non convinto. Era già un primo passo, decisi di essere clemente.  Risi sguaiatamente e lo presi per il colletto della giacca.
- Bene, servo! Vieni con me! William!- mio fratello arrivò. Gli gettai dinanzi agli occhi il corpo del detenuto. Lui lo addentò per un braccio ed il mio schiavo lanciò un grido. Il sangue cominciò a colare.
- Seguimi!- ordinai al cadavere come se fosse lui a camminare e non William che lo aiutava a venire. Salimmo le scale sino ad arrivare alla mia camera. Sapevo di poter parlare con lui. Era letterato, sapeva cosa stava succedendo ed era specialmente della stessa casata del mio angelo. Con lui non avrei impiegato molto ad averla tra le mie mani. Qualcosa però mi sfuggiva. Lo guardai per un lungo momento. Cosa potevo aver dimenticato? Bah! Non pareva importante! Così feci un cenno a William che lo lasciò a terra e se ne andò. Chiusi la porta e poi girai la chiave nella serratura. Lui si massaggiò il braccio sanguinante. Decisi di essere cortese per abbindolarlo e ottenere le informazioni necessarie. Gli porsi un fazzoletto di stoffa bianca. In un primo momento mi guardò in un modo strano. Non si fidava sicuramente, non pareva stupido. Era solo stato stupido a sfidarmi al mio risveglio! Poi accettò la pezzuola ed iniziò ad asciugarsi.
- Perché mi aiuti? Che vuoi da me? Non mi odi più degli altri?- domandò crucciato mentre si toglieva la camicia.
- Taci, guarda che so che te la fai con Xeni! È già tanto se non la fermo ogni volta. L’avrei già uccisa!- i suoi occhi si spalancarono. Risi sommessamente. Non poteva immaginare che sapessi di Xeni, era ovvio. A questo pensiero un ghigno si fece strada sul mio volto. Abbassò lo sguardo.
- E comunque … non ti sto aiutando! Voglio da te un aiuto! Stiamo parlando di cose importanti- incrociai le braccia al petto. Lui strinse i pugni.
- Tanto ormai, sono condannato, sono ai tuoi ordini Marcus. Che cosa vuoi?-beh, era schiavo da un po’ di tempo, strano che non si fosse arreso prima! Era stato semplice, il resto lo sarebbe stato di più! Era solo un oggetto, ma quell’oggetto aveva un cervello migliore degli altri. Mi avrebbe aiutato! Con le buone o con le cattive!
- Che cos’è l’amore?-




        Inedito 2: parte 2          

              
Che cos’è l’amore?
Facile.
Sofferenza.

Che risposta avrei dato? Non avrebbe mai accettato un “non lo so”. Conoscevo sin troppo bene Marcus. Era stato uno dei miei maggiori argomenti di studio.
- L’amore è tante cose. Non puoi farne a meno. Ti batte il cuore, le mani iniziano a sudare. Pensi solo a lei, in qualsiasi momento della giornata. Ti fa male pensarla ma se non lo fai stai peggio. In ogni cosa vedi lei, ogni cosa che ti circonda te la può far ricordare … è una sensazione terribile, straziante ma allo stesso tempo bellissima. Non hai più la percezione di quello che ti circonda. C’è solo lei …- terminai. Ma c’erano così tante cose da dire … non avrei mai finito!
- Pare che tu l’abbia provato …- disse appoggiato al muro con le braccia incrociate. Pareva buono rispetto a prima. Stava di fatto, però che non mi fidavo e non mi sarei mai fidato di lui! Ed era proprio per questo che mi trovavo lì! Beh, se avessi dovuto scontare le mie pene in eterno l’avrei fatto per l’orgoglio! Feci un sorriso flebile ed abbassai la testa lateralmente.
- Lo sto provando …- ammisi senza rimpianti ne vergogna.
- E chi? Xeni?- rise quasi per prendermi in giro. Non mi importava, poteva farlo sin che voleva. Non avevo paura dell’amore! Era l’unica cosa per cui ancora valeva la pena di lottare, se non per la libertà. Risi per non dargli soddisfazione.
- No! È molto lontana da qui!- forse nemmeno mi ascoltò perché si girò verso la finestra ed iniziò a guardare le stelle. C’era un bellissimo cielo, da tanto non lo vedevo. Dalla mia ex finestra godevo di una vista bellissima. Non ne avevo mai fatto caso ma in quel momento avrei voluto essere proprio lì e guardare quel panorama che non avrei mai più rivisto … Lui incrociò le braccia al petto. Senza voltarsi mi pose una domanda che non credevo potesse essere capace di formulare con quel tono. Stava recitando, non ero stupido, ma provai a stare al gioco.
- E ti manca ?- iniziai ad alzarmi per provare a reggermi in piedi. Le gambe traballavano. Lui udì i miei movimenti e mi venne immediatamente in parte. Mi fece segno di sedermi sul letto. Inizialmente non ci credetti ma poi cominciai a convincermi ed ubbidii. Lui si sedette affianco a me.
- Allora?- mi massaggiai la nuca e sorrisi retoricamente.
- Non posso permettermi di desiderarla, lo farò quando saprò che anche lei mi vuole. Le sono sottomesso. Sono agli ordini del mio cuore, che è legato al suo …-
- Sono belle parole, ma senza senso per un uomo, perché fai questo?- scossi la testa.
- Non c’è uomo e donna, c’è solo ciò che provano ed io l’ho amata, mi ha ferito ed io per vendetta ho ferito lei, non dovevo … mi ha amato molto a sua volta. È giunto il momento di pagarne le conseguenze e non potevo chiedere di meglio, credo che essere qui sia quello che merito!- lui guardò la porta.
- MONIKE!- gridò. Una ragazza in pochi secondo arrivò. Bussò e senza aspettare segnale entrò. Aveva i lunghi capelli biondi lisci sciolti che le contornavano il viso. Magra e alta. Aggraziata.
- Sì, mio signore?- rispose dolcemente con un lieve inchino.
- Porta due tazze di sangue belle fresche!- lei annuì e se ne andò. Poi Marcus girò nuovamente lo sguardo su di me.
- Perdonami se non ti ho dato subito risposta ma ti stavo ascoltano. Beh, straziante questa storia. Le femmine sono fatte per soffrire!- lui sbatté le mani sul letto e si alzò.
- Parli di loro con disprezzo, che ti hanno fatto?- lo guardai mentre si allontanava.
- Ti rubano il cuore! Con uno sguardo! Sono demoni, non esseri viventi o ciò che sono all’apparenza! Demoni! Niente più!- tornò alla finestra.
- Dipende se te lo fai rubare …- ci furono lunghi attimi di silenzio. Quelle sue parole erano crudeli. Doveva aver subito molto. Beh, non m’imprimeva compassione, anzi! Ero fiero che soffrisse! Dopo come ci trattava, non meritava niente! Ma improvvisamente si girò con gli occhi bassi e un sorriso di dolore sulle labbra. Che gli era successo? Sospirò.
- L’ho vista una sola volta … di sfuggita. Ho visto i suoi occhi … ah che occhi, blu come lo stupendo mare che si trova qui, l’hai mai visto di sera? Comunque … sì, i suoi occhi …- lo interruppi pensando alla mia bimba.
- I suoi occhi sono come quel mare illuminato dalla luna e da migliaia di stelle!-
- Sì! Sì esatto! Non te li togli dalla testa! Mi tolgono l’anima! Sono un supplizio per me! La vorrei tra le mie braccia ma è lontano e non so come averla! Sto muovendo regni per trovarla! Eppure mi sfugge!-
- Di dov’è?- domandai, curioso di chi stesse parlando. Marcus non si poteva innamorare, sarebbe passato a breve!
- Della tua stessa terra!- oh, magari la conoscevo, cioè, era ovvio che la conoscessi però forse era proprio una del mio gruppo.
- Oh, umana o vampira? O magari Lycan!- dato che aveva un fratello animale poteva benissimo innamorarsi (fissarsi) di uno di quegli abomini!
- Vampira! È del tuo palazzo!- fantastico, avrebbe contaminato il mio popolo.
- Sai il suo nome?- annuì.
- Sì, ne ho sentito parlare …- in quel momento entrò Monike con un vassoio d’oro e due tazze di vetro azzurro piene di gustosissimo sangue. Gliele porse.
- Ora vattene!- lei seguì gli ordini. Marcus prese una tazza.
- Prendila, forza!- me la porse.
- Cosa?- credevo di aver sentito male, il mio stupore era così smisurato che speravo ripetesse ciò che avevo sentito.
- Oh eddai, oggi mi sento buono, approfittane!- la presi velocemente ed iniziai a bere. Lui fece lo stesso con l’altra. Non appena il sangue mi toccò la lingua mi sentii in estasi, era da così tanto che non sentivo quel sapore così dolce e saziante. In un attimo riuscii a riacquistare tutte le forze, non ce la facevo più a nutrirmi solo del mio sangue! Poi staccai un attimo le labbra.
- Allora? Chi è?- domandai impaziente nonostante il gusto nella mia gola fosse più succulento di qualsiasi altra cosa io potessi immaginare. Lui sorrise mentre beveva e abbassò la tazza tenendola in mano a mezz’aria.  Abbassò lo sguardo e dopo poco lo rialzò con un fare che mi ricordò moltissimo quello di Lucian. Io alzai le sopracciglia aspettando la risposta. Poi lui parlò.
- Si chiama Erika-                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Erika?

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Scontro ***


- È vivo?-
- Sì …-
- E tu credi sia la verità?-



- Quindi, se ho capito bene, ora ci dovremmo recare in ogni parte del mondo, ispezionarne ogni millimetro e cercare qualcuno che non sappiamo nemmeno dove sia?- chiese Selene tra uno sguardo malefico e un altro.
- Beh, è proprio perché non sappiamo dove sia che dobbiamo cercarlo …- dissi sorridendo a Soren per ringraziarlo di avermi medicato la mano.
- E quindi Marcus non rientra più nelle nostre ricerche?- domandò Michael non togliendo (ovviamente) gli occhi dalla strada.
- Esatto, non è più un nostro problema. Dobbiamo solo cercare Kraven. Mi chiedo unicamente … perché non sia tornato a palazzo …- borbottai sotto voce torturandomi una ciocca di capelli.
- Perché l’avrei fatto a pezzi e cucinate le carni su un barbecue con tanto di origano, pepe e sale- esclamò Selene guardandomi gioendo. Iniziai a ridere animatamente. Lei sapeva di non offendermi con quelle frasi. Erano molto simpatiche e a volte facevano proprio ridere.  Soren però non aveva ancora parlato.  Iniziavo a preoccuparmi, strano che lui non interloquisse. Lo guardai. Lo spettacolo fu orribile: aveva gli occhi socchiusi, d’un azzurro chiaro. La pelle bianca più del solito ed in quel momento anche le labbra. Il sangue gli colava dal collo e dalle braccia. Notai dei piccoli vetri appoggiati alle sue gambe, quelli che forse si era tolto. Immediatamente iniziai a togliere i rimanenti e ad asciugare il sangue che colava con il fazzoletto che sino a poco prima era legato alla mia mano. Lui provava a parlare ma gli tappai la bocca. Non doveva parlare, si sarebbe sforzato troppo e non potevo permetterglielo. Continuai a tamponarlo. Selene probabilmente mi stava parlando ma non sentivo niente, troppo presa da ciò che stavo facendo. Gli levai il giubbotto e la giacca, poi anche la camicia. Era tutta macchiata di sangue. Soren probabilmente era già svenuto perché gli occhi si erano completamente chiusi. Selene ora stava gridando qualcosa che non ascoltai. Il petto era tutto tagliato. Grossi pezzi di vetro gli erano entrati nella pelle trapassando le vesti giacché aveva la giubba aperta. Non temeva il freddo. Provai a chiamarlo dolcemente ma un po’ agitata, senza farglielo notare se si fosse svegliato. Gli scossi un po’ il viso ma niente. Una lacrima mi scese attraverso la guancia cadendo poi sul collo. Selene scavalcò il sedile e mi venne in parte. La macchina si fermò ma la ragazza ordinò a Michael di guidare senza fermarsi. Infine gli Agenty Smerti potevano sempre esserci alle calcagna. L’auto ripartì. Lei andò dietro a Soren e se lo portò al petto. Gli tolse i vetri dalla schiena mentre con una stoffa che aveva bagnato, lo puliva e disinfettava. Io continuavo a fare lo stesso sul suo torace. Tremavo ad ogni movimento. Al corso di medicazione che avevo frequentato svariati decenni prima non avevo mai tremato, perché in quel momento sì? Era successo di peggio al corso! Ma chi stava male in quel momento era Soren … era lui in pericolo, nessun estraneo, nessun manichino. Feci un sospiro profondo. Gli slacciai la cintura e lasciai scoperto il ventre. Lo curai anche in quel punto. Era meno lesionato ma sempre ferito. Selene mi diceva di stare tranquilla ed in un certo senso aveva ragione. Avrei senz’altro peggiorato la situazione se mi fossi agitata. Respiravo molto profondamente per calmarmi ma non funzionava molto bene. Sentii un suo mugugno. Alzai lo sguardo e vidi che aveva appena emesso un respiro profondo. Le labbra leggermente aperte avevano ripreso colore.  Gli accarezzai il collo pulito. Aprì lentamente gli occhi. Gli sorrisi dolcemente riallacciandogli la cintura. Selene ritornò al suo posto con un sospiro.
- Come stai?- gli domandai accarezzandogli anche una guancia ripetutamente. Lui cercò di sedersi un po’ meglio poiché era quasi disteso. Gli porsi le vesti. Le prese.
- Sto bene … grazie …-
- Perché non mi hai detto che sanguinavi?- lo rimproverai.
- Perché … non me ne ero reso conto … stavo male ma credevo fosse solo stanchezza …- abbassò lo sguardo. Si rivestì.
- Mi hai fatto prendere paura! Ero molto preoccupata! Non ti riprendevi! Finalmente le ferite si stanno richiudendo. Eri molto pallido. Avrai sicuramente sete, ti prendo una bottiglia, va bene?- lui annuì poco prima che terminassi di parlare. E comunque non si sarebbe opposto. L’avrei obbligato a bere, con le buone o con le cattive. Presi dalla borsa la borraccia e gliela porsi. L’aprì e la bevve quasi d’un sorso. Mi sorrise e la mise nello sportello della porta.
- Come va Soren?- domandò Michael. Soren gli appoggiò una mano sulla spalla per fargli capire che tutto andava bene.  L’altro annuì. Aveva ricevuto il messaggio.
- Dove siamo diretti?- chiese Selene. Ci pensai. Beh, potevamo … iniziare dalla Romania. Ci avremmo messo massimo ventiquattro ore. Non era moltissimo tempo. Per lui quelle ore erano pochi secondi. Per Kraven sarei andata in capo al mondo. Sì, decisi che la Romania era una tappa perfetta. Non era nemmeno molto lontano. Ma dove mai sarebbe potuto andare Kraven? Magari era proprio in Ungheria, e noi eravamo appena fuggiti anche da lì.
- Andiamo in Romania, sì credo sia perfetta- lei annuì ed aprì il vano oggetti. Estrasse un IPad. Lo accese ed entrò in internet. Accese maps e cercò la strada più corta per la Romania. Appena trovata vidi che la durata del viaggio che avevo pensato era pari a quella del navigatore. Sorrisi gioiosa. Guardai Soren. Era pallido. Gli presi una mano. La sentii fredda quasi quanto prima. Stava nuovamente male. Notai un po’ di sangue scendergli dal collo. Presi il fazzoletto e ricominciai a tamponarlo. Lui faceva qualche leggero lamento dolorante a causa delle ferite. Risi dolcemente pensando a quando diceva che gli Agenti di Morte non scalfiscono mai la loro corazza. Lui forse capì i miei pensieri e rise a sua volta. Ancora dolente provò a rimettersi dritto ma scivolava sempre.
- Non sforzarti Soren- gli sussurrai. Lui mi fulminò facendo il gradasso tanto per mostrarsi forte e … sì, di livello più alto del mio. Gli diedi un leggero pugno sulla spalla senza fargli male. Lui mi prese per i fianchi e mi strinse a sé sempre tenendomi per il ventre.
- Non credo ti convenga sfidarmi bimbetta, Kraven non vorrebbe vederti morta- mi sussurrò all’orecchio. Selene si voltò verso noi due e dopo aver sogghignato, qualcosa disse:
- Almeno sareste in due, ah no! È vivo … purtroppo! Oh Erika ti prego, non riportiamolo a casa, stiamo bene anche senza di lui! Scombinerebbe tutto! Ti prego, lasciamolo dov’è!- Soren smise per un momento di respirare. Allentò la presa attorno a me. Guardò Selene. Il suo sguardo si corrugò come la sua fronte. Contorse le labbra in una smorfia di rabbia. Io strinsi i pugni. Poi mi rivolsi a Michael.
- Ferma la macchina- dissi seria ma calma, ad occhi chiusi, cercando di non perdere le staffe. Respirai profondamente. Michael girò verso una stazione di servizio. Si stava dirigendo verso questa quando Selene prese un suo braccio e lo comandò in modo che girasse il volante dalla parte opposta.
- Non lo fare Michael! Non ascoltarla!- gridò Selene. Io non mi arresi e stringendo sempre più i pugni ripetei
- Ferma la macchina Michael- sempre con voce calma e seria, sta volta però scandii meglio le parole.
- NON FARLO!- urlò nuovamente la ragazza. Allora mi staccai da Soren, mi attaccai al sedile di Michael e gridai a mia volta
- FERMA LA MACCHINA!- Selene mi tirò uno schiaffo. Sentii la guancia bruciare. Digrignai i denti, ma prima che potessi agire Soren si fece avanti e le storse il braccio. Ripetei nuovamente la frase, molto più forte di poco prima, tra le urla dei due combattenti mentre ancora si picchiavano.
- Non posso farlo! Selene mi ha dato l’ordine di non fermarmi!-
- E TU SEGUI CIÒ CHE TI DICE SELENE COME UN CANE? Oh già, per metà lo sei!- Michael lanciò un grido di rabbia, inchiodò di colpo e tutti fummo scaraventati addosso alla radio e al vetro anteriore. Si girò ed andò sino alla stazione di servizio che avevamo passato poco prima. Ci entrò e si fermò accanto ad un distributore di benzina. Scese. Aprì le porte anteriori con violenza e mi prese per la maglia. Mi gettò fuori. Poi prese Soren e fece lo stesso. Selene aprì la sua porta ed andò in parte al suo compagno.
- Adesso? Cosa volete fare? Andare sino in Romania a piedi?- gridò lui. Io mi alzai da terra con un po’ di fatica. Gli diedi una spinta indietro.
- Sempre meglio che viaggiare con due come voi! Nessuno vi aveva chiesto di venire!- urlai.
- Se non fossimo venuti a questo punto voi sareste morti sotto le mani di Amelia!- sbraitò Selene spingendomi per vendicare il fidanzato.
- Non te n’è mai fregato nulla di lui ed ora perché l’ho toccato, sì perché non ho fatto altro, tu mi spingi?! Innanzi tutto siete stati voi ad andare da Amelia a combinare quel disastro perché io e Soren sapevamo benissimo che Kraven era vivo!-
- E cosa aspettavi a dircelo? Un invito ricamato d’oro? Sì perché tu pensi solo a ciò! Non sei un’Agente di Morte Erika! Non lo sei mai stata! Non hai mai nemmeno aspirato ad esserlo! Questo non è un gioco, tu invece credi di essere in un mondo di cuscini, ma non sarai sempre protetta! Verrà un giorno nel quale tu non avrai nessuno che potrà difenderti! E tu che farai? Ti metterai a piangere, come tuo solito!- appena la mora chiuse la bocca le saltai addosso e le tirai un calcio in pieno ventre. Lei mi prese per i capelli ed iniziai ad urlare. Le presi un braccio ed iniziai a girarglielo. Gridò. Premetti ancora il ginocchio nello stomaco. Sputò sangue. Udii un ruggito. Mi girai. Michael gettò a terra le sue vesti superiori. Lanciò un grido, poi un altro. Pian piano quelle grida si tramutavano in ululati e da ululati a ringhi. Vidi il suo corpo diventare grigio, squamoso e bagnato. I denti affilati spuntarono dalle labbra. Emersero gli artigli dalle zampe anteriori e posteriori. Spaventata mi staccai da Selene ed indietreggiai a terra. Sbattei la schiena contro un distributore. Lui lanciò un altro grido. Tremai. Questo era tremendamente animale. Le corde vocali tremavano di paura quando emettevano quel suono feroce e terrificante. Lui iniziò a correre e mi saltò addosso provocandomi un’enorme lesione alla gamba sinistra. Il sangue iniziò a colare. Alzò una zampa anteriore e con forza mi conficcò gli artigli nella pelle del braccio. Lanciai un urlo e mi ripiegai su me stessa. Perché Soren non faceva niente? Le forze mi vennero a mancare. Iniziai a vedere le forme sfocate. Girai leggermente lo sguardo. Notai un corpo inanime a terra, circondato da liquido rosso bordò. Non riuscii più a sentirmi il braccio ferito, dopo un po’ nemmeno la gamba, un attimo dopo non ricordavo se avessi mai sentito nulla del mio corpo nella vita.  Udii qualche suono: i passi dell’ibrido che si allontanava, i lamenti di Selene ed il dialogò con quel mostro che le faceva da marito … ma di Soren non udii nemmeno il respiro.
***
- Erika? Ehi, Erika? Tutto bene?- una voce si fece spazio nel silenzio tormentato di un vuoto da troppo tempo aperto. Schiusi leggermente gli occhi. Vidi il volto di Selene, capii che era lei grazie ai capelli neri che le contornavano il viso. Abbassai lo sguardo. Le lacrime affiorarono.
- Perdonami …- sussurrai con voce smorzata dal dolore di averle fatto del male. Non avrei mai dovuto. Aveva ragione, non ero un’Agente di Morte, non lo sarei mai stato. Loro non si sentivano in colpa dopo aver ucciso qualcuno, nemmeno se era la persona che più amavano. Lei mi prese le mani e le strinse. Mi appoggiò la testa in grembo.
- È anche colpa mia Erika, non importa, è passato. Anche le lacerazioni che t’ha creato Michael sono passate. Guarda! Non hai più nulla! Non me lo sarei mai perdonato, altrimenti- mi disse indicando la gamba e il braccio.  Mi guardai attorno. Eravamo ancora alla stazione. Saranno state circa le due. Mi strofinai gli occhi.
- Soren dov’è?- domandai un po’ assente. Lei abbassò lo sguardo. Iniziai a preoccuparmi. Cosa gli era successo? Inizia a tremare, ci mancava solo il terreno innevato!
- Ha avuto un’altra emorragia a causa di Michael che l’ha scaraventato con violenza sul terreno. Ora è in macchina, sta dormendo. Solo tu puoi curarlo, appena a tua volta starai meglio- annuii e appoggiandomi al suo ginocchio provai ad alzarmi. Mi aiutò prendendomi e alzandomi per i fianchi. Appena in piedi corsi verso l’auto. Vidi Soren appoggiato con la testa al finestrino. Gli occhi chiusi. Era pallido e aveva le occhiaie marcate. Poi notai Michael. Il suo volto era coperto dalle mani poiché lo teneva tra esse. Appoggiato al volante, non capivo se stesse dormendo o fosse solo appoggiato nell’attesa. Feci il giro della macchina. Aprii il bagagliaio e cercai tra le valige il mio borsone nero di camoscio. Dopo averlo trovato, lo aprii ed estrassi una coperta di pile violaceo. Era quella che usava Kraven quando dormivo da lui. Tutti i suoi oggetti erano diventati miei. Richiusi il bagagliaio ed andai in parte a Soren. Respirava profondamente nel sonno. Gli misi la coperta sulle gambe e gli accarezzai il viso lentamente. Appena mi sentì, Michael si girò e schiuse la bocca. Voleva sicuramente dire qualcosa ma non ne aveva il coraggio. Troppo orgoglioso di sé. Lo guardai per un solo piccolo attimo. Poi rigirai lo sguardo e sbuffai scuotendo il capo.
- Erika …- mi chiamò. Non mi girai verso di lui, non meritava di guardarmi negli occhi. La questione era tra me e Selene. Lui non ci doveva entrare!
- Che cosa vuoi ibrido?- risposi scocciata mentre, con un fazzoletto che avevo inumidito, tamponavo il viso a Soren che lentamente riprendeva il suo colorito.
- Non … non era mia intenzione ferirti- risi sommessamente. 
- Però l’hai fatto!- lui attaccò una mano al volante e girò la testa alzando gli occhi al cielo. Poi riprese controllo di sé.
- Erika, hai attaccato mia moglie! Non ci ho più visto!-
- Lei ha insultato Kraven!-
- Stava scherzando! Non diceva sul serio stupida!- strinsi gli occhi e provai a trattenermi nonostante l’istinto m’inducesse ad azzannarlo ed ucciderlo. In quel momento sentii Selene entrare. Riaprii gli occhi e la guardai. Lei era piuttosto tranquilla con quel suo sguardo sempre serio e neutrale. Pareva non avesse un cuore e non le importasse nulla di nessuno, ma non era così ed io lo sapevo bene. A volte però mi sarebbe piaciuto quando aveva quello sguardo provare a prenderla a schiaffi e vedere se reagiva. O mi avrebbe scaraventata a terra e sparato in testa o sarebbe rimasta ferma. Cose assurde …
- Possiamo smetterla con questa recita o vi devo fermare io?- sbottò d’un momento all’altro la ragazza. Io mi lasciai cadere sullo schienale e Michael girò le chiavi. Nessuno le si poteva opporre, i suoi rimproveri sarebbero stati troppo taglienti. Partimmo. I lampioni posti ai lati della strada passavano veloci uno ad uno tanto che ne perdevi il conto nonostante quella non fosse una mia priorità. Sentii Soren mugugnare. Mi girai di scatto. Vidi la sua bocca aprirsi lentamente. Il suo respiro si fece più regolare e con calma aprì gli occhi. Sorrisi dolcemente e gli accarezzai il viso.
- Ciao Soren …- lui cercò di reggersi con la schiena nonostante fosse senza forze. Mi faceva pena, anche se era un Agente di Morte non aveva l’aria di essere molto … perfido. Non duro quanto Kraven o serio come Selene! Gli porsi una bottiglia di sangue.
- Grazie …- sussurrò prendendola e bevendo avidamente. Poi la buttò sul tappetino. Guardai fuori. La notte era scesa. Alzai la coperta di Soren e mi ci infilai sotto. Mi accoccolai a Soren. Lui s’irrigidì. Michael rise ed io lo fulminai. Poi Soren si rilassò e mi appoggiò una mano sulla schiena. Mi baciò la testa e non mi resi più conto di dove mi trovavo, che ora era, in che luogo e nemmeno chi ero …
____________________________________________________
ciao a tutti, allora, ho deciso di iniziare a fare il mio spazietto autrice .... ok, sono al 10° capitolo e devo ancora fare un ringraziamento! Mi vergogno di me! perdonatemi!
allora, ringrazio tutti quelli che stanno seguendo la mia fic, davvero un grazie di cuore, spero vi piaccia
poi volevo scusarmi per il capitolo precedente che non so il perchè sia venuto con un'impostazione un po' strana ... o forse è solo il mio computer un po' strano e rileva la pagina più grande, fatemi sapere comunque e mi dispiace per quest'inconveniente, spero siate riusciti a leggere comunque.
poi, assolutamente grazie, grazie, grazie a quelli che hanno continuato a leggere anche se non ho mai fatto uno spazietto autore per dire già grazie in precedenza. Vi assicuro che non succederà più e non voglio mostrarmi antipatica! <3
Spero che il capitolo vi piaccia, un bacione a tutti e commentate eh! che per adesso ho ricevuto un solo commento
Ale_kiss ;-)


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Kalà Nàe ***


- Lasceremo le cose in macchina …-
- Perché?-
- Torneremo più tardi-



Vagavamo da qualche ora nella neve alta. I cappotti ci coprivano poco e lasciavano scorci velati della nostra pelle. Tutti avevamo il naso arrossato e le mani fredde, anche più del solito. Selene sbuffava in continuazione borbottando parole incomprensibili. Riguardavano sicuramente l’essere venuta con noi in un’impresa così folle e fuori dalle regole. Avevamo deciso di trovare un Bed & Breakfast dove stabilirci per vari giorni, anche mesi. Il tempo necessario, insomma, per setacciare la Romania. Freddi brividi mi pervadevano la schiena. Soren mi venne in parte e mi cinse le spalle con un braccio, per provare a scaldarmi.
- Tutto bene?- domandò con voce flebile, bloccata dalla neve. Annuii esitante. A lunghi passi Michael cercava di seguire la compagna, più veloce di noi. Abituata già da tempo a quelle situazioni. Ecco i lati negativi di non esser mai uscita dal palazzo se non per piacere proprio. Vedemmo il villaggio. Non c’era nessuno per strada in quel momento, se non qualcuno che tornava da scuola e percorreva il tragitto di casa.  I negozi erano vuoti, eccetto qualche supermercato ed i panettieri. Dopo qualche mezz’oretta vedemmo l’insegna di un Bed & Breakfast. Aumentammo il passo. Mancavano poche decine di metri all’arrivo. Improvvisamente udimmo uno sparo. Michael lanciò un grido e si piegò a terra. Gocce di sangue macchiarono la neve. Selene si girò velocemente assieme a noi. Un servo di Amelia aveva ancora l’occhio nel mirino di un tiratore. La mora lasciò cadere il cappotto e estrasse le pistole dalle tasche. Iniziò a sparare senza una mira precisa. Gli Agenti di Morte erano circa quindici. Soren velocemente prese le armi a sua volta e seguì Selene. L’affiancò ed iniziò a sparare.
- Erika!- gridò Selene. Io la guardai. Mi dava le spalle procedendo a passi veloci. Senza risponderle aspettai che continuasse.
- Pensa a Michael!- in quel momento girò la testa. Incrociai i suoi occhi blu. Erano seri, intenti nella sparatoria ma intravidi una luce mai vista prima, una luce strana. Un luccichio che li attraversò per un lungo momento: preoccupazione. Senza esitazione annuii e lei rigirò la testa. Corsi fino da Michael. La ferita sanguinava ma non era grave. Gli levai il cappotto e gli alzai la manica.
- Tranquillo Michael, sta’ rilassato- lui strinse i denti, come se non mi avesse sentita. Lentamente con le dita provai ad estrargli la pallottola. Appena sentii il metallo, lo presi ed iniziai a tirarlo fuori dalla pelle. Il sangue m’invase la mano e anche la neve. La gettai a terra e lui mi sorrise forzatamente, ancora dolorante. Estrassi da un marsupio che avevo preso una benda e gliela avvolsi attorno alla ferita. Poi mi alzai aiutando anche lui. Indossò nuovamente il cappotto giacché il freddo era poco sopportabile. Guardammo gli altri due. Pareva non avessero problemi. Schivavano perfettamente le pallottole e riuscivano a colpire gli avversari con immensa facilità. Non erano sicuramente allenati come i nostri. Improvvisamente qualcuno mi prese un braccio ed iniziò a stringerlo. Me lo tirò dietro la schiena. Un altro prese Michael per il collo. Lo sbatté a terra e gli puntò una pistola alla tempia. Al minimo suono Soren si voltò. Corse verso di me.
- Fai altro passo e lei muore!- gridò il seguace di Amelia alle mie spalle. Il suo ungherese era stentato ma l’intenzione era perfettamente comprensibile. Subito Soren si bloccò senza muoversi. Colui che mi teneva mi puntò una pistola sulla schiena. Al contatto trasalii.  Soren alzò le mani molto lentamente.
- Bravo, vedo che capire. Ora lasciare a terra arma …- continuava a sogghignare il nemico.
- NO SOREN NON FARLO!- urlò Selene mentre tirava una gomitata nel petto ad un agente avversario. Lui abbassò lo sguardo con lentezza. Pian piano lasciò cadere la pistola. Selene non voleva sicuramente compromettere la mia vita ma non aveva la minima idea di perdere Soren come alleato. L’arma non emise suoni nella neve.
- Bravo, tu eseguire ordini. Ma essere nemici, io seguire Amelia- detto ciò sentii il grilletto caricare. La mia pelle prese la forma del tiratore. Soren si gettò addosso a me. Udii uno sparo. La neve si colorò di rosso. Soren era a terra. I suoi occhi erano aperti. Pian piano mi piegai sulle ginocchia. Non riuscii a gridare, né a piangere né ad emettere alcun suono. Tutto si era svolto in pochi secondi e tutto in pochi secondi era finito. Selene era immobile, a bocc aperta, le sue mani erano comunque attaccate all’arma. Sentii la neve fredda sul viso. Sotto di me la neve si colorava di rosso. Non era Soren ad esser stato colpito, ero io. Non mi rendevo conto del dolore, essendo sottopressione ma pian piano tutto si dissolveva. Le figure divennero stereotipi, gli stereotipi ombre e le ombre buio. L’unica cosa che ancora riuscivo a distinguere erano le voci ma tutto il resto non era più riconoscibile. La neve atrofizzava la mia pelle al suo contatto.
- ERIKA!- urlò Soren. Davvero sarebbe finito tutto così? E Kraven? Chi lo avrebbe salvato? Chi avrebbe comandato quella missione? A chi sarebbe ancora importato di lui? Soren … ce l’avrebbe fatta da solo? Per la terza volta morivo: la prima, al morso di Kraven, un’emozione indescrivibile, una passione inimmaginabile quando i suoi canini perforarono la mia pelle in quella stanza buia del night club di Piccadilly. Caddi sul letto spoglio senza sensi. Sentii le sue mani possenti prendermi per i fianchi e stringermi al suo petto. Ero morta per sorgere e risplendere, speravo al suo fianco. La seconda volta quando era morto lui. Una parte di me già gli giaceva affianco. Ed ora, per la terza volta mi ritrovavo con una lapide al capezzale. Sentii una lacrima rigarmi il viso.
- Addio amore mio …- sussurrai. Improvvisamente un dolore lacerante mi pervase il corpo. Una mano mi afferrò per un braccio e cercò di alzarmi.
- Erika! Erika! Ti prego riprendi i sensi!- le gambe cedevano ma la voce di Soren era chiara e limpida, anche se non lo sarebbe stato ancora per molto … cercai di aprire gli occhi e non capivo se erano chiusi o se vedevo tutto offuscato. Udii degli spari. Soren si buttò a terra sopra di me.
- SELENE! HA UN’EMORRAGIA!- gridò improvvisamente Soren.
- Portala via Soren! Non posso aiutarti ora!- disse la ragazza senza perdere la calma. Poi sentii Michael trasformarsi. I suoi ringhi invasero l’aria. Soren mi trascinò da qualche parte. Un dolore atroce alla schiena m’impediva di rendermi conto di tutto. Mugugnavo qualcosa d’incomprensibile che nemmeno io decifravo. Sentii il mio petto appoggiarsi al suo. Mi prese il viso e lo scosse lentamente. Aprii pian piano gli occhi. Soren era moltiplicato tante volte attorno a me, poi, però riconobbi quello vero e le allucinazioni iniziarono a svanire.
- Erika! Erika! Ti prego, resisti! Posso riuscire a curarti! Ma tu aiutami ti prego!- provai ad annuire con le poche forze che mi erano rimaste. Lui fece un lieve sorriso. Iniziò col togliermi il cappotto e poi le due felpe. Arrivato alla maglietta, la alzò. Mi girò e mi guardò la schiena. Sentii le sue dita entrare lentamente nella mia pelle. Prese della neve e me la mise sul punto che la pallottola aveva perforato. Non sentivo più dolore, era tutto atrofizzato. Pian piano estrasse la pallottola e la gettò a terra. Si tolse lo zaino dalle spalle ed iniziò a frugare cercando delle bende. Lo guardavo girando leggermente la testa indietro. Vedevo il suo viso preoccupato. Perché teneva tanto a me? Gli piacevo davvero? Perché? Ma anche io provavo un certo affetto nei suoi confronti. Da quella notte in Russia era successo qualcosa. Quei baci avevano scatenato qualcosa dentro di noi. Per me era semplice affezionarmi, nonostante cercassi di trattenermi, per paura di ricevere nuove delusioni … Non appena trovò le bende iniziò ad avvolgermele. Sapevamo entrambi che la ferita sarebbe guarita a momenti, ma era meglio non rischiare. Nel sentire le sue mani che mi avvolgevano le fasce con delicatezza, al contatto con la sua pelle e il suo respiro caldo sul collo, nasceva una strana sensazione nel mio corpo. Rimasi a guardarlo per lunghi attimi. Lui alzò di poco lo sguardo ed i nostri occhi si incontrarono. Per un momento che parve un’infinità, continuammo a guardarci. Tutto il paesaggio si dissolse. Rimase solo lui. Con calma fece scivolare le mani giù per il mio busto sino a toglierle. Sospirai dolcemente in quel momento, amareggiata di non avere più un contatto con lui. Ma quegli sguardi erano più di un contatto … erano …
- Cos’è stato?- esclamai riprendendomi dalla trance. Uno sparo aveva dissolto tutto. Soren mi abbassò velocemente la maglia e mi aiutò ad infilare tutto il resto. Mi porse una mano e ci alzammo. Con passo lesto arrivammo sino al capo di battaglia. Selene non aveva nemmeno un graffio ma attorno a lei stavano distese di corpi ed immaginai che i quindici Agenti di Morte non fossero stati soli … dovevano per forza esserne arrivati altri!
- Oh, Erika!- esclamò Selene sferrando un calcio al nemico che le andava contro e colpendo con la pistola un altro alla testa.
- Spero ti sia ripresa! Come stai? Ok, non è momento!- si girò velocemente ed iniziò a sparare contro tutti quelli che le andavano contro. D’un tratto non si udì più il suono della pistola.
- Dannazione! Soren! Sono finite le munizioni!- poi un agente avversario si gettò su Selene. Lei lo schivò velocemente. Io mi allontanai. Soren iniziò a cercare nello zaino ma le munizioni erano rimaste in macchina. Sicuramente la mora aveva già usato le armi di Soren ed erano scariche anche quelle. Eravamo spacciati. Guardammo Michael dimenarsi tra cinque avversari che provavano a fermarlo. L’amico di Kraven mi si accostò. Lentamente le sue labbra si avvicinarono al mio orecchio.
- Qualsiasi cosa succeda tu devi scappare. Non fare domande! Fallo e basta, fallo per noi, fallo per Kraven!- poi si allontanò ed afferrò un tubo di ferro. Con quello iniziò a combattere contro un seguace di Amelia. Mi guardavo attorno e vedevo solo sangue e morte. Non potevo fare niente. Improvvisamente vidi una ragazza avvicinarsi da lontano. Aveva dei lunghissimi capelli neri. Gli occhi dello stesso colore e la carnagione scura. Magra e vestita di bianco. Aveva molti gioielli. Portava solo un abito senza maniche, lungo e attillato. Mi chiedessi come facesse a non soffrire il freddo. Guardando lei non mi accorsi di niente altro. D’un tratto da dietro la schiena estrasse una pistola ed iniziò a sparare una volta sola ad ogni russo. Uno alla volta caddero a terra, morti. Tutti lentamente ci voltammo verso di lei. Teneva lo sguardo basso. Ci avvicinammo a lei. Era impacciata, infatti fece un passo indietro con le labbra leggermente aperte.
- Tranquilla, non ti vogliamo fare niente di male- le dissi con il tono più pacato che potessi assumere. Lei mi guardò in un modo strano, quasi non avesse capito ciò che le avevo detto. A prova dei miei dubbi fu proprio una sua frase, in greco. Non era della nostra terra.
- Mi chiamo Kalá Néa …- lieta notizia … in greco. Che bello, detto ironicamente, ma sperai veramente che ce ne portasse!
-  Cerco i fuggitivi del clan di Budapest …- sussurrò nella sua lingua. Ci scambiammo uno sguardo. Io ero l’unica che parlava greco, escluso Viktor e …
- Siamo noi …- le dissi parlando in greco in modo che mi potesse capire.
- Sono qui per ordine del mio padrone. Devo parlare con Erika- mi stupii.
- Sono io- d’un tratto il mio sguardo ricadde sul suo braccio. Aveva un cerchio grigio tatuato con qualcosa all’interno. Feci qualche passo avanti per vederlo meglio. Le appoggiai una mano sul braccio e lo sporsi verso di me con fare istintivo. Da lontano ero sicura di averlo già visto. Appena notai la M all’interno in stile gotico ritrassi la mano e mi allontanai. Un lungo flashback mi attraversò la mente. Mi attaccai a Soren.
- È UNA SEGUACE DI MARCUS!- urlai con gli occhi lucidi in ungherese. Nonostante lei non avesse capito perfettamente intese la mia frase. Provò ad avvicinarsi.
- Sono qui per ordine suo!- disse in greco. Le risposi nella sua stessa lingua anche perché mi pareva che non capisse la nostra.
- NON M’IMPORTA!- mi ostinavo a gridare. La morte di Kraven mi invadeva la mente. Non avevo mai pensato di rivedere Marcus, non l’avevo mai pensato veramente. Ero terrorizzata. Che voleva lei da me? Che cosa voleva “Lui” da me?!
-  Ti vuole parlare!-
- Sono io che non voglio parlare con lui!- due lacrime mi scesero per le guance. Soren provava a calmarmi e con il pollice me le asciugò. Sicuramente non avevano capito ma sentivano che stava per succedere qualcosa.
- Si tratta di Kraven!- a quelle parole mi gettai carponi a terra. Anche i pugni caddero nella neve e rimasero le impronte. Kraven? Cosa centrava Marcus con lui? L’aveva ucciso, anche se per qualche strano motivo era ancora vivo, cosa voleva fargli ancora? Non aveva già sofferto abbastanza?
- Che vuole da me …?- domandai tremante. Fece un passo avanti e si rivolse a tutti nonostante solo io la capissi.
- Lo tiene lui. È suo prigioniero da quasi sempre. Ha portato il suo corpo nella propria dimora dopo aver bruciato il vostro palazzo. Vuole parlarti Erika, si tratta proprio di questo!- mi guardai attorno. Soren mi aiutò ad alzare.
- Che cos’ha detto?- domandò. Abbassai lo sguardo e gli strinsi una mano.
- Kraven è sotto il dominio di Marcus … lo detiene … da sempre …- dissi con voce flebile e tremante. Non riuscivo a credere a nulla di tutto ciò.
- Perché ha mandato te, e non è venuto lui?- chiesi.
- Non sono tenuta a rispondere … dovete trovarlo, non vi possiamo aiutare- corrugai la fronte. Quel giochetto mi irritava, soprattutto perché si trattava di Kraven!
- Voi … chi?- usai un tono un po’ troppo acido.
- Io e le altre serve. Ne troverete una ovunque andrete e tutte proveremo a condurvi con degli indizi da lui- ci guardammo. Selene alzò il mento.
- Che dice? Eh, che dice?- sospirai. Non piaceva a me quel gioco, figuriamoci a Selene! Presi un respiro. Chissà cos’avrebbe detto …
- Non ci dirà dov’è Marcus … dobbiamo girare il Mondo con degli indizi e trovarlo …- vidi la sua fronte corrugarsi a poco a poco e le guance arrossarsi. Gli occhi diventare azzurri e poi … prese Kalá Néa per la tunica ed iniziò a scuoterla.
- Scherzi vero? Noi non siamo qui per perdere tempo!- ma la ragazza non capiva. Michael provò a staccare la moglie dalla preda e alla fine ci riuscì.
- Vi prego! Vi prego! Io sto solo seguendo degli ordini! Ecco …- mi porse una pergamena. Iniziai a sfilare il fiocco rosso che la teneva arrotolata.
- NO! Non farlo! Non … non ora! Aspettate di essere al sicuro! Ora devo andare … spero … di esservi stata d’aiuto … a presto- così detto si girò e si allontanò in mezzo alla distesa candida mimetizzandosi grazie all’abito ma ancora in lontananza si scorgevano i suoi capelli corvini. Tutti ci guardammo ed istintivamente iniziammo a camminare. Nel bel mezzo del cammino guardai Soren. Mi scambiò un sorriso e mi strinsi a lui felice. Lui entusiasta mi abbracciò più forte e mi diede un bacio in fronte. La felicità che avevo nel corpo aveva cancellato il nervosismo. Era una cosa magnifica. Se avessimo compreso bene gli indizi presto avremmo ritrovato Kraven! Vivo! Poi guardammo gli altri due. Michael si avvicinò a Selene e si fermò. Lei fece lo stesso. Noi facemmo ancora qualche passo poi li imitammo. Si scambiarono una lunga occhiata. Poi lui le appoggiò una mano alla guancia. Gliela accarezzo. Lei gli strinse la mani non togliendola dal volto. Improvvisamente Selene gli butto le braccia sulle spalle e li vedemmo scambiarsi un bacio ad occhi chiusi. Fu uno spettacolo speciale. Ci stavamo affiatando uno all’altro ed il nostro rapporto si intensificava. Sentivamo l’amore dell’ibrido e della vampira scorrere anche nelle nostre vene. Loro continuavano a baciarsi come se niente fosse, come se esistessero solo loro due ed intorno il paesaggio fosse invisibile. Un bacio che molto probabilmente da molto non si davano. I loro sentimenti si mischiarono e diventarono un tutt’uno. Nulla li avrebbe divisi. Per la prima volta erano una coppia, la coppia che avevano sempre desiderato essere.

___________________________________________________
ciao a tutti i miei cari lettori! grazie di esserci! però ... non ho ancora ricevuto nessun commentino ... dai ragazzi! ne basta anche solo uno! vi preeego! vorrei davvero sapere cosa ne pensate! se no come faccio a migliorare? Voglio comunque dare un bacione a tutti! Ale_kiss
_







Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Le sette meraviglie ***


- Una stanza per quattro-
- La 327 può andare bene, signore?-
- Benissimo, grazie-



Non appena arrivai nella camera del Bed & Breakfast (condivisa anche con tutti gli altri tre) aprii la pergamena. Approfittai che Soren e Michael fossero andati a prendere i bagagli mentre Selene telefonava a Eve, nella reception. Sfilai il nastro rosso di seta. Era così liscio, morbido. Per un attimo sfregai le dita su di esso. Poi lo lasciai cadere a terra. Aprii la pergamena. Un foglietto cadde a terra. Lo raccolsi. C’erano poche righe scritte con una grafia orribile ma abbastanza leggibile.

La più antica fra le sette meraviglie e l'unica che sopravvive ancora oggi. Immensa dimora di riposo eterno.

Oh! Fantastico! E questo cos’era? Uno scherzo? Non avevamo un computer né un’enciclopedia! Qual era la più antica meraviglia del Mondo? Accidenti! L’appoggiai al letto. Il foglio che c’era dietro era una lettera. La grafia era diversa. Il cuore mi si aprì. Sì, era lui! L’uomo della libreria! Sorrisi rincuorata. Iniziai a leggere.
 

Cara Erika,
Sono sicuro di riuscire a farti avere anche questa lettera senza intralci e sono fiero di ciò. Ho adottato un metodo davvero eccelso, grazie a mie conoscenze. Ho saputo di cos’è accaduto tra Selene e Amelia e devo dire che ve la siete cavata in maniera assolutamente magnifica. Spero nella ripresa immediata di Soren che forse, all’arrivo della mia lettera, sarà già avvenuta. E tu? Come stai, mia cara? Sei in buona salute? Non importa se non riuscirai a scrivermi immediatamente. Aspetterò tutta l’eternità se necessario, per te. Immagino tu sia molto impegnata in questo momento nella ricerca del tuo amato. Oh, a proposito di questo, sono lieto che la mia scorsa lettera di abbia fatto sorridere. Tutto ciò che verrò a sapere, stai sicura che te lo riferirò! Qualsiasi cosa tu avrai bisogno non esitare a chiedere, piccolo fiore. Forse però ho sbagliato a non dirti subito che si trova sotto la schiavitù di Marcus. Mi dispiace dirti questo così tardi. Forse lo sarai già venuta a scoprire. Questo fatto mi fa soffrire, avrai sicuramente perso fiducia in me … perdonami! Spero tu lo possa fare. Voglio però provare a riscattarmi dandoti qualche informazione su Kraven: pare che in questo momento stia bene e che Marcus e lui stiano edificando un legame di pace. Non posso sapere però se duraturo o no, ti chiedo scusa.
Ora che non ti trovi più in vicinanze conosciute non so come fare per avere tue risposte. Manderò delle guardie che verranno a prendere la lettera fra qualche settimana. Come ben sai sono informato di tutti i tuoi spostamenti ma spero che questo non ti causi disagio. Volevo solo darti le nuove notizie che sono giunte qui a Budapest grazie anche a tua sorella. È molto preoccupata per te ma non credo che ti dia peso. Spero di poter rivedere presto i tuoi occhi ed il tuo sorriso, questa volta non forzato. Ti mando un bacio Erika, sappi che qui si sente il gelo della tua mancanza.

Pian piano quell’uomo iniziava a spaventarmi. Sapeva di ogni mio spostamento, in qualsiasi luogo io fossi! Chi lo informava? E che cosa centrava anche mia sorella? E poi … sapeva che Kraven era detenuto da Marcus e non me l’aveva riferito? C’era qualcosa di strano sotto tutto ciò.  E se quest’uomo che sembrava dalla mia parte si rivelasse invece mio nemico? Se cercasse di impedire il compimento della mia missione? No! No! No! Era impossibile! Mi aveva aiutata molto in quel giorno, e teneva a me! Guardai la mia valigia sopra quella di Selene. Soren e Michael l’avevano portata e poi avevano dovuto fare un altro giro per prendere le altre. Per un attimo un pensiero mi balenò nella mente. Quel vecchio paio di jeans che avevo rivisto nei miei bagagli in Russia. Centravano qualcosa oppure erano un qualcosa d’importante per un ricordo che mi sfuggiva? Mi alzai e lentamente mi avvicinai alla valigia. Dopo essermi inginocchiata, la aprii. Con delicatezza iniziai a svuotarla da tutto sino a che non li vidi, sotto tutto quanto. Li spiegai. Erano abbastanza sbiaditi, specialmente sulle ginocchia. Li guardai. Non ricordavo nulla ma sentivo una strana sensazione nella mente, quasi un mal di testa. Li distesi a terra. No, non riuscivo a ricordare nulla.  Sbuffai e li ripiegai. Sistemai le valige. In quel momento entrò Selene. Aveva i suoi bagagli in mano e li buttò con noncuranza nella stanza.
- Che delicatezza!- la beffai. Lei non sorrise. Chiuse la porta e si buttò sul letto. La guardai per un attimo. Estrasse dalla tasca un piccolo ritaglio di carta un po’ stropicciato. Mi avvicinai a lei. Era una foto di sua figlia Eve. Accarezzai il viso di Selene.
- Ti manca?- le domandai. Lei mi guardò per un lungo attimo. Annuì tremante ed i suoi occhi iniziarono a luccicare.
- Rivoglio la mia piccola- a quelle parole mi commossi ed abbracciai la mia amica. L’avevo trascinata in una missione che non era la sua. Sentii anche le sue braccia stringermi. Una goccia mi bagnò il collo. Selene piangeva. Sua figlia era distante e le mancava, tanto. Mi staccai e le asciugai una lacrima che le scendeva per la guancia.
- Perdonami …- le dissi. Lei non mi ascoltò e si distese nuovamente. Non ringraziava mai ma avermi abbracciata era uno tra i più grandi gesti che avesse mai fatto. Scossi il capo con un mezzo sorriso e ripresi il foglietto con l’indizio in mano. 
- Cos’è?- sbottò rimettendo la foto in tasca. Io esitai nel dirglielo, si sarebbe infuriata perché non l’avevo avvisata subito. Poi però pensai che anche lei faceva parte della squadra ed il suo aiuto era quasi vitale.
- È il nostro primo indizio- dissi non distogliendo lo sguardo dal foglietto. Lei spalancò gli occhi come per chiedermi cosa ci fosse scritto. Il quel momento però entrarono anche Michael e Soren con il resto di valige. Le appoggiarono sul pavimento in disordine e stanchi si buttarono uno in parte a me e l’altro a Selene.
- Erika ha già letto il primo indizio- disse Selene con tono monotono. Michael rise della sua espressione quasi scocciata e le scompigliò i capelli. Lei lo respinse un po’ bruscamente ma tutti ne eravamo abituati: quella era Selene.
- E quindi? Cosa c’è scritto?- domandò Soren mettendosi seduto con la schiena sulla testiera. Gli porsi il biglietto. Lui lo lesse velocemente e poi sgranò gli occhi.
- Qualcuno di voi ricorda tutte e sette le …- Selene lo interruppe con una faccia quasi avesse visto un fantasma, ma in quel caso non si sarebbe spaventata.
- Le … sette … meraviglie?- si buttò tra le braccia di Michael, il quale guardava il soffitto con aria dispersa. Affondai la faccia nella spalla di Soren il quale appoggiò il mento alla mia testa. Ebbi la sensazione che sorridesse. No, non poteva essere!
- No, è impossibile! Non ho mai aperto neanche un libro riguardante ciò!- sbraitò Selene.
- Se solo ci fosse Krav …- provò a dire Soren ma l’altra lo fermò.
- Non nominarlo! Lui non c’è! Non facciamo allusioni!- sbuffai e mi alzai. Iniziai a girovagare per la camera.
- Sa che è un nostro punto debole, non abbiamo molta cultura su di questi argomenti!- dissi a testa bassa con le mani dietro la schiena. Girammo lo sguardo su di Michael. Lui poteva averle studiate quelle cose! Deglutì. Feci qualche passo avanti, verso di lui. L’ibrido strisciava all’indietro quasi avesse paura di noi.
- Beh … io mi ricordo dei giardini di Babilonia, il colosso di Rodi … emh …- disse Michael anche se non molto convinto. Dopo aver nominato quei due ricordai il tempio in Turchia.
- Io conosco solo il tempio di Artemide ed Efeso … non ne ricordo altre- ammisi a testa bassa, buttandomi sul petto di Soren.
- Oh, ma che grande aiuto Erika!- sbottò Selene. Michael le toccò la testa per calmarla. Notai che le accarezzava un fianco con dolcezza e che lei teneva la mano sopra la sua. Quella scena mi aprì il cuore. Mi alzai velocemente dal letto e mi affacciai alla finestra.
- Beh, andiamo in una libreria, una cartoleria o un qualsiasi posto, dove possiamo trovare un libro che ci possa aiutare! Quanto ci vorrà?- esclamò Soren gesticolando con le braccia. Annuii.
- Sì, è un’ottima idea, andiamo!- presi la giacca dall’attaccapanni in parte alla porta. La indossai. Anche gli altri si alzarono. Presero i giubbotti ed uscimmo. Chiudemmo la stanza a chiave. Non appena fuori dal Bed & Breakfast ci guardammo attorno. Avevamo per un attimo perso l’orientamento della zona. Aveva ricominciato a nevicare ed il cielo era cupo. Indossai il cappuccio di pelo e mi attaccai a Soren. Lui mi cinse le spalle ed iniziammo a camminare velocemente. Arrivammo alla macchina e tirai un sospiro di sollievo, stavo gelando.
___________________________________________
ciao a tutti, ecco qui il capitolo nuovo. Lo so, è un po' corto, ma volevo postarlo subito per ringraziare Mathily, che mi ha lasciato un commentino! GRAZIEEE!
Ringrazio anche tutti gli altri che stanno leggendo e vi mando un bacione, promettendo il prossimo capitolo al più presto!
Ale_kiss_













 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Inaspettatamente ***


- Sono le sette …-
- E adesso? Tutti chiudono, dove andiamo?-
- Divertiamoci-



Tornammo a casa verso sera tardi. Avevamo girato quasi tutte le cartolerie e tutti i giornalai. Nessuno teneva un libro o una rivista parlante delle sette meraviglie del mondo. O forse nessuno capiva il rumeno stentato di Selene, poteva essere un’ottima spiegazione anche quella. Poi, non appena i negozi chiusero decidemmo di andare a passeggiare per la città. La neve ci solleticava le gambe e ridevamo spensierati parlando del più e del meno. Poteva sembrare strano ma vedevo Selene cambiata da quando eravamo partiti. Era una cosa molto positiva, la vedevo più armoniosa anche nei rapporti tra lei e Michael e mi pareva che lui apprezzasse questo cambiamento. Forse anche Eve ne sarebbe stata allietata. Rideva e faceva battute più spesso rispetto al solito, che era sempre fredda e impostata, con l’unico obbiettivo di combattere e seguire gli ordini. Pure io cominciavo ad accettare l’idea di averla in squadra ma presumo di non averla mai veramente rifiutata. Michael ad un certo punto le aveva riempito i capelli di neve e lei si era vendicata buttandolo in un cumulo a terra. Lui inizialmente era rimasto stordito dalla reazione della moglie che in altre circostanze avrebbe sbraitato a tutto volume, senza preoccuparsi di luogo o persone che la circondavano. Anch’io e Soren avevamo partecipato a quella battaglia amichevole. Tornati a casa, ci accorgemmo che gli abiti erano completamente fradici. Ci chiudemmo in bagno prima di tutti io e Selene. I due ragazzi dovettero aspettare un bel po’ prima di cambiarsi perché ci mettemmo abbastanza tra risate e scherzi. Io ero scivolata sui miei stessi calzini! Non riuscivamo a smettere di ridere ed eravamo cadute entrambe dentro la vasca e anche lì avevamo continuato senza sosta.  Pareva così strano poter stare con lei senza litigare, l’avevo sempre desiderato ma non avevo mai avuto l’opportunità di stare davvero con lei, come due vere amiche, a parlare di tutto, partendo dal presente e arrivare al vestito che avevo usato al ballo del mio primo giorno nella casata. Ma quella era Selene e sapevo che sebbene fosse cambiata era pur sempre lei. Mi buttai a letto sfinita con il mio caldo pigiama di lana. Soren mi dava le spalle e probabilmente già dormiva. Lo guardai girando leggermente la testa. Sì, i suoi respiri erano profondi, era già nel mondo dei sogni. Feci un sospiro che in quel momento mi venne spontaneo e rigirai la testa. Chiusi gli occhi.
- Erika?- sentii sussurrare a voce bassissima. Mi girai verso Soren. Pian piano anche lui si voltò verso di me.
- Ti ho svegliato? Scusa …- sussurrai a mia volta. Lui dissentì e fece un sorriso. Mi prese una mano e la strinse. A quella presa sentii una strana sensazione percorrermi le dita e lo stesso braccio.
- Volevo parlarti di … quello che non siamo riusciti a dirci in Russia …- sussultai. Me ne ero scordata! Comunque lo trovavo il momento migliore, Selene e Michael dormivano e noi potevamo tranquillamente parlare senza problemi! Annuii.
- Beh … io credo che sia successo qualcosa quella notte. Non credi? Cioè … non fraintendere. Qualcosa in noi … siamo … diversi uno con l’altro-
- Sì, hai ragione, l’ho notato pure io-
-  Forse … non ero solo inebriato … nel senso … mica tutte le persone ubriache si baciano con quella che hanno in parte …-
- Sì esatto! L’ho pensato anch’io-
- Quindi … potrebbe essere successo qualcosa di diverso, quell’alcolico … può aver solo dato una … spinta a me e …- gli misi un dito sulle labbra.
- Aspetta! Scusa Soren ma forse ho capito dove vuoi arrivare e …- lui abbassò lo sguardo.
- No! No! No! Soren ti prego non offenderti! Voglio solo dire … non è il momento- iniziai a sentire la gola secca. Mi stavo annodando nei miei stessi discorsi. E quando sarebbe stato il momento? Non lo sapevo nemmeno io! Lui sospirò.
- Forse hai ragione Erika …- pareva così triste. Io non volevo che lui soffrisse, poverino! Gli volevo così bene, mi ero così affezionata a lui … ma era solo un’amicizia? Era veramente solo un’amicizia?
- Soren …-
- Sta’ tranquilla, sto bene-
- Anche io provo qualcosa per te- in quel momento il suo sguardo si alzò verso di me e sgranò gli occhi.
- E … e … e Kraven?- non sapevo cosa rispondergli. Decisi di interrompere il discorso. Mi avvicinai a lui, chiusi gli occhi e lo baciai sulla guancia destra. Poi mi rigirai e decisi che era il momento giusto per dormire.
***
-  Erika! Erika! Soren! Svegliatevi, presto!- una voce irruppe nel mio sonno idilliaco. Pian piano aprii gli occhi ma non capivo ancora chi mi chiamava. Sentivo solo molti rumori che si mischiavano ad urla ed incitamenti quasi di guerra. Che cosa stava succedendo? Non appena la vista si sfumò in colori nitidi e realistici, vidi Michael dinanzi ai miei occhi. Era ancora in pigiama. Selene correva affannata per la stanza prendendo le valige. Era già con la sua tuta nera addosso. Soren si strofinò gli occhi.
- Che succede?- chiese sbadigliando.
- I seguaci di Amelia sono qui!- gridò. 
- Dannazione!- esclamò Soren alzandosi e correndo ad indossare i suoi vestiti. Io alzandomi caddi dal letto e scivolai nelle coperte. Michael mi fece alzare in modo frettoloso. Mi vestii velocemente a mia volta mentre Selene era già andata a parlare con il cassiere nella reception. Prendemmo le valige e corremmo per le scale. Vedemmo Selene che restituiva le chiavi. Il cuore mi batteva all’impazzata e quasi gli occhi mi bruciavano per le lacrime di terrore che affioravano. Ci avevano colto di sorpresa, non saremmo dovuti rimanere in un unico posto a lungo, certi di loro erano sicuramente riusciti a scappare nella battaglia precedente e avevano avvisato Amelia! Non ci avevamo pensato ed avevamo fatto molto male.
- Quanto dista la macchina?- domandò la mora venendoci in contro.
- Saranno cinquecento metri, se corriamo dovremmo farcela- rispose Soren. Lei scosse il capo. Anch’io non credevo nella riuscita di quel folle piano. Tutti mi guardarono. Deglutii. Che avevano in mente? Mi facevano paura! Mi guardavano quasi supplicanti ma i loro occhi erano anche abbastanza … malefici! Sapevano che non mi sarebbe piaciuta la loro idea.
-  Vai a prendere la macchina- sospirò Michael con tono spensierato buttandomi le chiavi dalla tasca. Le presi al volo e le guardai stupita.
- State scherzando spero! Ho capito che mi detestate e che non sarà una grande perdita ma … io voglio rivedere Krav …-
- Taci e vai, non è questo il piano- sbottò Selene a braccia conserte. Non lo capivo ancora, quelli veramente mi volevano morta!
- Erika, non esitare, vai! Ti credono inoffensiva, magari nemmeno si ricordano di te! Noi invece ci riconosceranno all’istante!- mi rassicurò Soren. Abbassai lo sguardo. Annuii a testa bassa e mi avviai alla porta. Sentii dei passi alle mie spalle. Mi girai lentamente. Soren mi guardava. I suoi occhi parevano preoccupati. Feci qualche passo indietro. Ci fissavamo con fermezza. Improvvisamente mi prese una mano. Estrasse un fagotto dalla tasca e me lo diede. Mi fece stringere la presa attorno ad esso.
- Promettimi che se ci sarà bisogno la userai- mi disse non lasciando la mia mano, quasi non volesse che mi allontanassi, che avesse paura di quel piano. Aprii l’involucro e mi ritrovai tra le mani una pistola. Immaginavo che avrei trovato quell’arma ma mai avrei immaginato che sarebbe stata proprio USP Match di Kraven, la sua pistola preferita. Sorrisi dolcemente accarezzandone la parte superiore. La misi in tasca. Guardai Soren ed annuii con convinzione. Lui fece un sorriso dei suoi che mi mise coraggio. All’improvviso mi prese le spalle. Sentii uno strano brivido corrermi lungo la schiena. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Soren mi fissò ancora per un istante che parve durare millenni. Poi vidi le sue labbra schiudersi e come in sintonia con il mio respiro ed il suo lo baciai. Solo in quel momento mi domandai perché lo stavo facendo ma soprattutto cosa mi aveva spinto a farlo. Perché baciavo Soren? Kraven … lui era … vivo, da qualche parte! Magari aspettava che lo venissimo a salvare, nonostante lui non avesse mai aiutato nessuno se non sé stesso. Ma forse, solo in quel momento mi rendevo conto di chi veramente mi meritava … anche se, non l’avrei mai ammesso. Selene mi avrebbe ucciso poiché avevo coinvolto tutti in quella storia. Eppure non mi vergognavo ed essere lì, unita con Soren da un gesto apparentemente innocuo … ma in realtà quello sarebbe stato il segno d’inizio di una lunga vicenda. Strinsi le sue mani nelle mie come se tutto dipendesse da quello. I miei occhi erano chiusi strettamente come se avessi paura di risvegliarmi da un sogno, perché quello lo sentii veramente come un sogno, quello che non avevo mai realizzato in tutta la mia esistenza, che nessuno mi aveva fatto realizzare perché ero sempre l’ultimo pensiero di tutti, io non ero niente, una ragazzina ingenua che nessuno avrebbe mai guardato, ma quando qualcuno come Soren aveva posato gli occhi su di me avevano intuito tutti che qualcosa stava cambiando, ma già era cambiato dal nostro primo bacio, certo, nessuno dei due se ne era reso conto mentre lo dava all’altro ma tutto era successo e nulla si poteva cancellare. 
Sentii le sue mani sciogliersi dalla mia presa e appoggiarsi sulla mia nuca accarezzandola e arricciolandomi i capelli. Nulla più importava, neanche Kraven. Chi erano gli altri per proibirmi di amare qualcuno? Quella missione era stata la cosa più sensata che mai avessi fatto nella mia vita. Avevo conosciuto Soren come chi veramente era e non solo il nuovo insegnate delle matricole. Nemmeno il traditore, l’alleato del vigliacco o qualsiasi altra cosa lui potesse essere. Solo Soren, il mio Soren. Mi aggrappai al suo giubbotto sui fianchi e lo strinsi forte, fino a farmi male.
- Oh! Ma che dolci! Erika! Siamo in pericolo di vita!- le parole di Selene mi risultavano lontane, quasi incomprensibili ma il mio subconscio le aveva capite e mi fece staccare da Soren, ma lentamente perché sapeva quanto io tenessi a quel bacio e quanto mi facesse male rinunciarci così presto. A poco a poco riaprii gli occhi e vidi quelli di Soren socchiusi che mi guardavano. Le sue mani caddero senza forze giù per le mie braccia ed anche le mie mani lasciarono la sua giacca già con rimorso per non averla stretta ancora.
- Va’, corri Erika!- mi disse dopo qualche attimo dopo avermi dato un leggero colpo sul fianco destro. Io corsi fuori non smettendo di guardarlo. Avevo ancora il suo profumo impresso nei miei sensi. Poi mi resi conto che dovevo sbrigarmi. Mi guardai attorno nonostante fossi ancora inebriata. Non vedevo le guardie intorno a me. Decisi di dirigermi alla macchina con calma altrimenti si sarebbero insospettiti se mi avessero vista. Con calma iniziai a camminare osservando ciò che avevo attorno. Ripensavo a Soren e non riuscivo a smettere di pensare a quelle sensazioni che avevo provato poco prima. Perché sentivo ancora tutto il mio corpo senza forze, quasi non avesse sostegno? Ma era piacevole, diversamente da come lo si potesse immaginare. E veramente mi piaceva Soren quanto Kraven? E Kraven? A proposito, mi piaceva davvero? Mi vennero i brividi a quel pensiero!  Vidi la macchina. Accelerai il passo. Presto ci arrivai ed entrai. Feci un sospiro. Misi le mani al volante dopo aver inserito la chiave e poi il piede sull’acceleratore.  Mi passò però un pensiero per la mente: da quanti decenni non guidavo?

__________________________________________________
ciao a tutti. sono proprio contenta perchè ho già visto tante visualizzazioni! Che bello! forse, non faccio così schifo come credevo *me tutta contenta che salta per la casa commossa e il suo coniglietto naviga nel mare di lacrime di felicità con una piccola zattera a forma di pantofola, aspetta ... quella è una pantofola!* emh, chiudiamo i teatrini mentali! Comunque, grazie mille a tuttied ecco come promesso il nuovo capitolo, più lungo del precedente! Un bacione!
Ale_kiss_




Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Meta ***


- Eccola! Arriva!-
- Ma che cosa sta’ …-
- Da quanto non guida?-



Velocemente premetti il freno inchiodando dinanzi a tutti. Scesi quasi con le mani ancora incollate al volante e feci salire Michael. Selene stava perdendo la pazienza e con furia salì in macchina. Soren non perse tempo e dopo avermi guardata negli occhi con aria quasi assente, salì nei sedili posteriori. Lo imitai.
- Ma chi ti ha insegnato a guidare?- domandò la mora quasi gridando. Avevo perso tempo e lei non evitò di fulminarmi.
- In realtà tu …- lei mi guardava ma a quelle parole rigirò la testa e cominciò a guardare la strada.
- Sei stata coraggiosa- Soren mi prese una mano e la strinse. Cosa stava succedendo? Perché mi ero innamorata di lui? Perché? Stavo complicando le cose … ma comunque … prima o poi Kraven l’avrei dimenticato perché non mi avrebbe mai ricambiata e volevo vivere la mia esistenza con un sorriso. Desideravo una famiglia e presto o tardi avrei provato anche il bisogno di un figlio, quella era la verità. Come sarebbe stato il mio bambino? Una stretta al cuore mi fece girare la testa. I miei occhi si socchiusero.
- Erika!- mi chiamò Soren. Pareva preoccupato. Mi risvegliai dai miei pensieri, ma non del tutto perché dissi la cosa sbagliata nel peggior momento possibile!
- Hai mai desiderato avere dei figli?- Michael inchiodò in quel preciso istante e tutti venimmo fatti chinare con violenza in avanti. Per fortuna che le cinture di sicurezza esistono. Ritornammo con la schiena ai sedili.
- Dannato semaforo!- borbottò Michael tirando un pugno al volante. Selene si girò velocemente verso di me.
- Che cosa vuoi dire Erika?- mi domandò con le mani che tremavano. Io non l’ascoltai. Non era affare suo, nulla di ciò che mi riguardava era affar suo e non lo sarebbe mai stato!
- Emh … figli … Erika?- Soren era un po’ stordito da quella domanda. Sì, in effetti era uscita in un momento un po’ delicato e non molto adatto. Ma comunque io annuii senza esitazioni.
- Beh … no, onestamente no …- pareva un po’ in imbarazzo, forse dovevo imparare a non dar sfogo a tutti i miei pensieri.
- Perché? Tu sì Erika?- domandò Michael non togliendo gli occhi dalla strada. Deglutii. Non potevo dire la verità! Come l’avrebbero presa tutti? Io … non ero in grado di badare neanche a me stessa, figuriamoci ad una creatura appena nata e affamata di sangue!
- No! Certo che no!- tagliai corto. Selene, vidi, fece una faccia strana alzando gli occhi al cielo. Mi appoggiai con la testa al finestrino ed iniziai a guardare il paesaggio. Scendevano tenui fiocchi di neve che si attaccavano alla macchina. Anche Selene girò lo sguardo verso l’esterno. Guardavo il cielo, grigio, cupo, e più lo guardavo, più gli occhi di Kraven ritornavano vivi nella mia testa. Il suo viso con i lineamenti più perfetti di un dio greco e … strinsi un pugno fino a farmi male. Sentii la mano di Soren cercare di rilassare la mia, accarezzandola. Lo guardai e lui mi porse un dolce sorriso.
- Stai pensando a lui, vero?- domandò con voce pacata, senza rancore. Annuii ad occhi bassi. Mi dispiaceva confessargli che pensavo ancora ad un altro dopo averlo baciato e, in un certo senso, avergli detto che lo amavo. Accidenti! L’ho pensato! È vero, lo amavo, ma presumo che in un qual modo si fosse già capito.
- Avete sete?- Selene mi svegliò dai miei pensieri. Soren dissentì ed io feci lo stesso. Iniziai a giocherellare con la collana che portavo al collo. Era un rettangolo nero con una bilancia di brillantini, simbolo del consiglio della giustizia, del quale io avevo fatto parte, sin che Kraven era stato in vita. Io, lui, Soren, Logan e Nikola accompagnavamo Viktor in Russia a risvegliare Amelia ogni duecento anni. In realtà il ciondolo della mia collana apparteneva proprio al capo del consiglio della giustizia, Kraven. Me l’aveva regalato, io mi illudevo che fosse per amore, ma forse era solo per liberarsene. 
Una volta, di ritorno dalla Russia, mi ero addormentata nella limousine. Non se ne era accorto nessuno, assurdo! Kraven era andato a ibernare Viktor ed al ritorno era andato in camera. Non ho la minima idea di come gli fossi salita alla mente ma era venuto a cercarmi in macchina, poiché nel castello non mi aveva trovata. Mi ero risvegliata nel suo divano a causa di certe voci che udivo. Erano basse ma le sentivo comunque. Mi alzai lentamente, mettendomi seduta, con la testa sullo schienale. Provai a guardarmi attorno per capire da dove le voci provenivano e notai Kraven seduto alla scrivania con una sigaretta tra le dita. La stanza era invasa dal fumo. Dinanzi alla scrivania c’era Nikola. Parlavano a voce bassa e dicevano cose strane delle quali non capivo bene il significato. Improvvisamente Kraven iniziò a scrivere qualcosa su un foglio di block notes che aveva appena preso da un cassetto. Iniziai ad osservarli un po’ distante però dai loro argomenti. Notai una coperta leggera sulle mie gambe. La presi e la strinsi attorno alle spalle. In quel castello il freddo si faceva sentire notevolmente, anche a causa della gelida pioggia scrosciante. Ricominciai a fissarli. Kraven alzò lo sguardo dal foglio e con l’indice fece segno a Nikola di avvicinarsi. Il servo si piegò in avanti sino a che il suo orecchio non fu abbastanza vicino alla bocca di Kraven.
- Spero … che il vecchio non …- sussurrò.
- Assolutamente niente, mio signore- si rimise ritto e Kraven sorrise compiaciuto chiudendo un pugno a mezz’aria (come solitamente faceva) e, dopo essersi guardato unghie e anelli lo appoggiò sul tavolo.
- Bene, credo che è tempo di agire …- poi il suo sguardo incrociò il mio. Lo abbassai subito ma feci in tempo a scorgere un’espressione leggermente contorta nel suo volto perfetto, la quale rovinava la sua pelle e i suoi occhi da ritratto.
- Vattene Nikola- ordinò e dopo un leggero cenno di saluto col capo, Nikola se ne andò. Kraven si alzò e mi venne accanto.
- Nulla di ciò che hai sentito deve uscire da …-
- Non ho sentito nulla, mio signore- lo interruppi con voce suadente, tanto da calmare il suo viso ancora torvo. Le pieghe si rilassarono e tornò ad essere stupendo come qualche attimo prima. Fece un sorriso d’orgoglio e mi appoggiò una mano sulla testa.
- Credo che non rimarrai immune dai miei pensieri, Erika- quelle parole fecero breccia nel mio cuore come i suoi occhi la prima volta che lo vidi. Mi prese una mano e mi fece alzare con dolcezza. La coperta scivolò giù dalle mie spalle e cadde leggiadra accanto ai miei piedi nudi.
- Avrai freddo, con questo vestito. Non nego che è splendido come del resto tu, ma credo che tu abbia bisogno di abiti più consoni- feci un dolce sorriso, ammaliata da lui e dalla sua sensualità.
- Giusto un po’, mio sire- mi cinse le spalle e mi condusse al bagno, dove trovai la mia camicia da notte.
- Se ti occorre il mio aiuto, sono alla scrivania- disse appoggiandomi una mano sulla spalla destra nuda. Con un innato senso provocatorio, la lasciò scivolare per il braccio, sino alla mia mano. 
- Non esiterò a farlo …- gli dissi con voce bassa, ammaliata; e quando uscì dal bagno, chiudendo la porta, non smisi di sentire ancora il suo profumo che inebriava il mio corpo. Mi lasciai andare ad un sospiro di piacere e mi sedetti sul bordo della vasca. Dopo qualche attimo mi rialzai e lasciai cadere la veste a terra.
- Riposa Erika- mi svegliò dai miei ricordi Soren. Accidenti … aveva fatto bene … quanto sarei ancora resistita a pensare al passato?
- Che ore sono?- domandai un po’ intontita dopo essermi passata una mano tra i capelli.
- Tardi ormai, è da ore che viaggiamo- rispose Selene porgendomi una bottiglia di sangue.
- Dove siamo diretti?- chiesi dopo averla accettata e aperta. Iniziai a sorseggiare.
- In Iraq, dove una volta si credeva ci fossero i giardini pensili- rispose Michael. Ce l’aveva su con quei giardini! Però … non avevamo altra meta … sì, forse era meglio darsi da fare iniziando dal primo che ci potesse venire in mente! Richiusi la bottiglia e l’appoggiai nella portiera. Chiusi gli occhi.
***
Uscii dal bagno con addosso la camicia da notte che notai era più scollata di quel che ricordavo. Kraven era dinanzi ad un armadio con le ante di vetro contornate da legno d’acero. All’interno c’erano decine di scaffalature, riempite tutte da libri di ogni genere. Mi avvicinai a lui camminando piano per non distrarlo. Stava continuando a fumare. Una mano era dietro la schiena, il pugno stretto. Gli appoggiai una mano sulla spalla destra. Lui voltò il viso verso di me per un secondo, poi ricominciò a fissare i libri. Tolsi la mano un po’ delusa. Abbassai lo sguardo e mi sedetti sul divano. Mi chinai leggermente in avanti e congiunsi le mani. Lui girò i tacchi e si sedette sulla poltrona dinanzi al divano. Alzai lo sguardo ed iniziai ad ammirarlo in tutta la sua natura. Non riuscivo a smettere di guardarlo.
- Hai voglia di leggere qualcosa?- domandò. Sapevo bene che sarebbe stato lui a leggere, e fu proprio per quello che accettai. Lui si alzò nuovamente poi mi guardò per un lungo momento che per me però fu troppo poco. E disse
- Sei splendida, Erika- sgranai gli occhi. Ma per lui non ero solo una servetta? Aveva di certo qualcosa in mente! Beh, non mi importava, mi bastava stare con lui! Poi andò nuovamente verso l’armadio. Estrasse una chiave dalla tasca e la infilò nella serratura di un’anta. Le fece fare diversi giri, quasi, quando l’aveva chiusa in precedenza, avesse paura che qualcuno potesse rubargli un libro. Chi lo biasimava? Quando si ama qualcosa, si fa di tutto per non perderlo. La aprì finalmente. Con il dito toccò ogni libro e bofonchiava qualcosa, forse i loro titoli. Poi si soffermò su uno e fece un sorriso.
- Questo è perfetto!- lo estrasse e richiuse l’armadio. Fiero della scelta si avvicinò a me e si sedette sul divano. Appoggiò il libro al tavolo che c’era lì in parte e prese il pacchetto di sigarette. Se ne accese un’altra.
- Desideri?- me lo porse. Accettai. Improvvisamente, poco prima di riprendere il libro, corrugò la fronte pensoso. Si mise una mano in tasca con la sigaretta in equilibrio tra le labbra. Estrasse una catenella con un ciondolo.
- Alzati i capelli- mi disse. Io ubbidii senza esitazioni. Me la fece passare tra le braccia e l’agganciò.
- Ecco, ti è perfetta, fa pendant ai tuoi occhi- sorrise. La presi tra le mani. Stupita, lo guardai.
- Ma … è il simbolo del consiglio, mio sire! Io … non posso accettarlo …- feci per slegarlo ma lui mi mise una mano sulla coscia destra.
- Non ho il diritto di farti un regalo?- domandò così suadente che rimasi incantata. Abbassai lo sguardo con un sorriso e annuii nelle favole. Mi cinse le spalle ed aprì il libro.
- L’ho comprato da poco: La piramide d'Egitto fu fatta per prima; Poi gli ameni giardini costruiti in Babilonia; e la tomba di Mausolo, di affetto e rimorso; sorge a Efeso la quarta, il tempio di Diana; brilla a Rodi nel sole il Colosso dorato; la sesta è Giove Padre scolpito da Fidia; il faro d'Egitto si dice sia l'ultima. O il palazzo di Ciro, cementato con l'oro-
Improvvisamente mi svegliai.
- Erika? Cosa c’è? Riposa, è ancora notte- mi disse dolcemente Selene. Rimasi ferma con gli occhi sul poggiatesta di Michael e pronunciai d’un fiato
- So dove andare-
***
- Se ciò che dici è vero, e facendo quattro calcoli lo è, perché non ci hai dato prima questa brillante idea, Erika?- domandò Selene non perdendo di vista Michael che era dentro ad una stazione di servizio.
- Me l’ha fatto ricordare Kraven- risposi.  Loro due smisero per un attimo di respirare e mi guardarono sgranando gli occhi. Poi sputarono una stupidissima risata e si piegarono tenendosi la pancia. Alzai gli occhi al cielo e mi appoggiai con il gomito alla porta.
- Oh eddai Erika, raccontane un’altra! Magari vi sentite per telefono!- esclamò Soren smettendo pian piano di ridere.
- Prendetemi in giro pure, voi due, ma non siete stati voi sicuramente a passare le serate con lui mentre vi leggeva libri prima di fare l’amore e dormire abbracciati dopo aver per ore commentato le parole da poco lette- risposi indispettita. Li zittii. Ammetto che era molto ardua l’impresa di zittire Selene ma ci ero riuscita, strano ma vero!
- No, non c’è modo di avere i biglietti per l’aereo in così poco tempo- sbuffò Michael rientrando in macchina.
- Ci impiegheremo 4,5 giorni per arrivare a Giza se andassimo via terra, ed è troppo rischioso!- sentenziò Soren.
- Conosco … una persona … che potrebbe farceli avere illegalmente, in poche ore, non l’hanno mai scoperta in tanti secoli- Selene si volse verso me e Soren.
- Parli di Aurél, non è vero?- domandò retoricamente Soren. Lei annuì.
- Aurél?- domandai sbigottita.
- Sì, perché? Hai avuto una storia anche con lui, Erika?- chiese Soren con aria beffarda. Gli tirai una gomitata notevolmente irritata.
- No scemo! Ma è in Ungheria! Dovremo tornare indietro! E non c’è tempo!- poi mi balenò in mente un’idea.
- Avete carta e penna?- domandai pensando già alle parole della lettera che avrei scritto.
- Beh … le possiamo comprare anche alla stazione qui presente ma … perché Erika?- Selene pareva confusa, non capiva cos’avessi in mente, due a zero. Anche quello era raro che succedesse, lei sapeva sempre tutto!
- Una persona che conosco ci potrebbe aiutare!- sorrisi pronta ad uscire dalla macchina per procurarmi ciò di cui avevo bisogno. Riguardo al timbro … questa volta “lui” ne avrebbe dovuto fare a meno.







Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** INEDITO 3 ***


(Inedito 3) parte 1



- Maledetto! Rimarrai chiuso qui per l’eternità!-
- Come se già non fosse chiaro!-
- William! Uccidilo! Non avere pietà questa volta!-

 

 

Ne aveva approfittato! L’avevo tolto dalle celle, non l’avevo picchiato per un troppo lungo periodo, l’avevo nutrito, non l’avevo mai punito per la questione di Xeni, eppure lui ne aveva approfittato! Come se non sapesse che in ogni caso avrei vinto io! Ma comunque mi aveva umiliato dinanzi alle mie serve. Non meritava niente, neanche la morte istantanea. Avrebbe sofferto fino a che non fosse più riuscito a respirare. Entrai nella mia stanza. Sbattei con forza la porta e tirai un pugno al muro. Mi ci appoggiai con la fronte contro e continuai ritmicamente a sbattere il pugno, innervosito. Come aveva osato? COME AVEVA OSATO? Chi si credeva di essere? Era sotto il mio potere! Non doveva nemmeno immaginare di commettere una simile scena! Portai le mani al viso e mi asciugai il sudore dalla fronte. Rimasi ad occhi chiusi per lunghi istanti. Poi feci un respiro profondo e mi allontanai verso il letto. Mi ci distesi. Iniziai a fissare il soffitto. Avevo caldo. Poco prima, quando quella … cosa … aveva pronunciato testuale che Erika era solo sua, non ci avevo più visto. L’avevo picchiato dinanzi a tutte quante, lo stavo per far morire dissanguato, dopo averlo colpito ripetutamente all’addome e alla bocca. Ora molto probabilmente Aphia, Eirene, Iris e Margarita stavano pulendo il salone invaso dal sangue. Non ero riuscito a calmarmi, più lo picchiavo e più ero furioso. Era stato una settimana fuori dalla cella e l’avevo trattato proprio come un vero ospite, e per un attimo mi era balenata l’idea di rimandarlo alla sua casata, ma dopo quell’affronto … nemmeno sua madre avrebbe riconosciuto il suo corpo dopo che William se ne sarebbe occupato. E riguardo a Xeni … sarebbe morta ancor prima di lui! Presi la bottiglia di sangue alcolico che avevo sul comodino ed iniziai a bere tutto d’un sorso, senza neanche facendo toccare alla lingua il liquido. Immagini strane iniziavano a passarmi per la testa, caotiche, piene di colori, musica, non capivo cosa accadeva. Il frastuono era sempre più insostenibile ed anche il più flebile colpo di vento si rivelava insopportabile. Finii la bottiglia e la lanciai a terra. Il suono provocato mi fece lanciare un grido e mi tappai le orecchie. Sudavo. Mi strappai la camicia. Sentii la testa esplodere. Improvvisamente iniziarono a spuntarmi gli artigli acuminati. “No!” pensai “Non adesso!”. Le orecchie si allungarono fino a divenire a punta. Le membra si colorarono di grigiastro. Iniziarono a bruciarmi le scapole. Le ali volevano uscire. Provai a trattenermi. Gridavo, mi strappavo le vesti. Il cranio iniziò ad ingrandirsi e la pelle tirava quasi volesse strapparsi. Mi alzai e aprii la finestra velocemente. Respiravo affannosamente e sperai che il vento mi facesse sentire un po’ di sollievo. Il buio fuori incombeva. C’erano però tante stelle che illuminavano il cielo. Improvvisamente le ali iniziarono a lacerarmi la pelle e le dovetti liberare di mia volontà, per non gridare dal dolore. Mi lanciai dalla finestra. Iniziai a volare sui tetti delle case, sopra le campagne e sopra il mare.  In quel momento i rumori diventarono suono e i suoni pian piano silenzio. Sì, silenzio, un maestoso silenzio accompagnato solo dalle onde del mare che si andavano a increspare sulla riva. Rimasi per svariati secondi sospeso nell’aria, sopra al mare, immobile, a pensare, pensare a cosa fare. Non volevo tornare nella mia dimora, sarei uscito di testa. Poi un’idea mi balenò nella testa. Iniziai a volare più velocemente possibile. L’avrei trovata, avessi impiegato la mia vita a cercarla! La sua postazione la sapevano tutti, ma si spostava velocemente, e a causa di quei tre che le stavano appresso sarebbe stato difficile portarla via. Mi sarei accontentato di guardarla, vedere com’era, osservare quei suoi occhi blu. I brividi mi salirono lungo la schiena. Sarebbe stata mia! Il vento proveniente dall’orizzonte mi veniva contro e ciò mi fece saltare i nervi. Accelerai ed il vento divenni io. 


( Inedito 3) parte 2

Ovunque io guardassi vedevo sangue
Il mio ….
Stavo morendo.



Stavo morendo, ne ero certo. Ero a terra, il cuore pian piano stava smettendo di battere. Provai a stringere un pugno e a farmi forza per alzarmi. Non ce la feci. La mano non rispondeva più ai miei comandi e nemmeno le altre parti del corpo. Sputai un coagulo di sangue. Il gusto acre che avevo in bocca mi strinse lo stomaco e la sensazione fu a dir poco esasperante. A stento respiravo. Uno, due, tre … perdevo battiti. “No …” supplicai a me stesso. Provai a strisciare ma neanche quello mi riusciva. “Ti prego, resisti” mi ripetevo. Con tutta la forza di volontà che possedevo iniziai a strisciare verso le sbarre. Ci arrivai e mi attaccai ad una di esse. Pian piano mi ci ressi e mi sedetti perdendo quasi tutte le mie forze. Altri due battiti persi. La testa scivolava, non stava dritta. Il mio corpo ciondolava. Provai a stringermi ad una sbarra ma persi la presa e caddi. Sentii la testa sbattere contro il muro. Perche del sangue si espandeva davanti ai miei occhi?
***
Acqua, tanta acqua mi invadeva il viso. Aprii pian piano gli occhi. Vedevo tutto sfocato. Una figura nera mi stava sopra e mi tamponava la fronte e il collo. Richiusi gli occhi, non avevo forze. Avevo ancora il gusto acre in bocca. L’acqua mi scorreva sul viso, dentro la bocca, mi bagnava i capelli. Poi sentii anche il petto iniziare a rinfrescarsi, le braccia, le mani. Mi perdevo in quelle sensazioni mischiate alla straziante morte cui ero fuggito un’altra volta. Una mano mi accarezzò il viso. Era morbida, liscia. Le dita sottili, affusolate. Dei bracciali mi solleticarono il viso. Provai a riaprire gli occhi. Dei grandi occhi verdi mi guardavano apprensivi. Il viso di una forma dolce, i capelli neri, lunghi e ricci, le guance lievemente rosate e le labbra rosse carnose. Era vestita leggera , con un top bianco ornato d’oro e dei pantaloni di velo sborsati. Non riuscii a non guardarla in ogni particolare nonostante la mia vita stesse lentamente scappando dal mio corpo.
- X … Xen … Xeni …- fu l’unica parola che riuscii a sussurrare.
- Oh, perché? Perché l’hai fatto? Sei uno sciocco! Avrebbe potuto ucciderti!- disse arrabbiata, nella sua lingua, rimproverandomi. Ma non c’era amarezza nella sua voce, era preoccupata. Le tolsi la mano dal mio viso e con delicatezza gliela appoggiai in grembo.
- L’ha già fatto …- le dissi con un mezzo sorriso e gli occhi socchiusi. I suoi iniziarono a luccicare. Si distese al mio fianco riempiendosi di sangue, ma non pareva le importasse. Anzi, si attaccò a me e appoggiò la testa al mio petto. 
- Marcus … te la farà pagare … vattene …- le dissi. Sapevo che l’avrebbe uccisa se l’avesse trovata con me. Non potevo farla morire. Sarebbe stata la prima volta che pensavo alla vita di qualcun altro e non alla mia. Anzi … la seconda. Lei scosse la testa.
- No, è uscito. Gira voce che sia andato a cercare la tua ragazza …- pronunciò le ultime parole con tono triste, con voce bassa. Corrugai la fronte.
- Erika? Lei non è la mia ragazza …- le dissi appoggiandole una mano sulla testa e immergendola nei capelli morbidi e profumati. Improvvisamente sentii il braccio dolere e il dolore arrivò sino al cuore. Feci un gemito. Lei si alzò velocemente.
- No! No! Non mi lasciare!- le lacrime iniziarono a scorrerle per il viso. Si butto sul mio petto singhiozzando disperatamente. Non riuscii a reagire. Sentivo il sangue in gola e non riuscivo a sputarlo. Lei rialzò la testa. Aveva gli occhi rossi.
- Scappiamo assieme! Scappiamo! Non ci troveranno, ci nasconderemo, torneremo alla tua casa!- pareva pazza. Abitavo troppo distante da lì … e con tutte le conoscenze di Marcus ci avrebbero trovato subito! Ci mancavano solo le mie condizioni disastrose.
- No, non ce la faremo mai …- ansimai. Lei ricominciò a piangere. Mi scosse per le spalle.
- Non morire! Non morire! Io ti amo!- detto ciò mi baciò. Successe tutto nello stesso attimo! Non mi resi neanche conto che lo stesse facendo. Poiché non riuscivo a reagire, chiusi gli occhi e la baciai anch’io. Sarebbe stato l’ultimo bacio della mia vita, della mia travagliata vita, che non riuscivo a credere stesse finendo. Il petto mi si riempì di sangue e le labbra di Xeni si staccarono. Riaprii gli occhi per vederla un ultima volta. Quando li riaprii però, lo spettacolo fu orribile. Vidi lei, leggermente sollevata da me, pallida, aveva perso tutto il suo colore, gli occhi bianchi e le labbra quasi incolore. Un’ala le trafiggeva la schiena e quel sangue che mi aveva appena riempito il petto, era suo. Marcus se la staccò dall’ala scaraventandola addosso al muro. Mi alzai in velocità e corsi da Xeni. La presi in braccio e le appoggiai la testa al mio petto mentre chinavo la mia sulla sua.
- Xeni … no …- sussurrai. Sentii gli occhi inumidirsi. Fu una sensazione stranissima. Le guance mi si bagnarono. Perché piangevo?
- Ti vendicherò, te lo giuro …- le bisbigliai nonostante non potesse sentirmi. La distesi in quell’angolo ma rimasi per qualche attimo con le mani sulla sua pelle. Non riuscivo a staccarle. Sentivo il senso di colpa per la sua morte. Poi la lasciai lì, inanime, senza colore. Il suo cuore che fino a pochi secondi prima aveva battuto pieno di vita ora pareva non esistere. Mi alzai pieno d’ira, vendetta. Volevo uccidere quel mostro! Ma appena mi girai la prigione era chiusa e lui non c’era.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Viktor ***


- Chi è quello?-
- Ehi! È Rash!-
- Chi?-



Un uomo vestito di nero, con gli occhiali da sole e un cappotto pesante ci veniva incontro. Erano quasi due giorni che eravamo dentro la macchina, in un luogo appartato della periferia. Selene uscì e andò verso quest’uomo che doveva chiamarsi Rash.
- Chi è scusa?- chiesi a Soren alzando la testa dalla sua spalla, dove fino a poco prima ero appoggiata.
- Rash, è la guardia del corpo di Viktor. Strano che si siano allontanati. Devono aver ricevuto la tua lettera!- mi rispose. Aprì la porta della macchina e uscì a sua volta.
- Michael? Tu lo conosci?- gli domandai, sporgendomi leggermente verso di lui. Girò lo sguardo.
- È uno della casata?- mi guardò con gli occhi che sorridevano. Risi e mi riappoggiai al sedile. Poi però ci pensai e decisi di raggiungere Rash. Magari aveva una lettera di risposta per me. Così, dopo averlo pensato, uscii anch’io. Li raggiunsi.                                                                                                                                                
Non appena arrivai, tutti si girarono lentamente a guardarmi con una strana ombra negli occhi. Non sorridevano. Eppure Selene aveva i biglietti dell’aereo in mano! Cosa stava succedendo?
- Sei Erika?-mi domandò Rash. La sua voce era baritonale ed il suo tono cupo. Annuii esitante.
- Sì … sono io …- dissi con tono flebile. Lui si girò e mi diede le spalle. Senza guardarci disse
- Vorrei dirti che mi dispiace ma te lo dirà qualcun altro …- corrugai la fronte non capendo. Tre ombre si fecero avanti dall’orizzonte. Erano in contrasto con la neve poiché tutti vestiti di nero. Provai a guardare meglio ma non capii chi erano. Quando poi mancavano pochi metri a noi quasi svenni. Iniziai a dondolare e Soren mi tenne per un braccio. Era anche lui a bocc aperta. Stava per arrivare il peggio. E cos’intendeva Rash con quelle parole?
- Non può essere …- sussurrai. Dalla foschia si fecero avanti due Agenti di Morte ma non erano loro a preoccuparmi. Era chi stava tra loro, era il suo sguardo vitreo, era la sua postura fiera e severa, era Viktor a farmi tremare. Non appena ci fu davanti ci inchinammo tutti e tre.
- Alzatevi- disse. Noi obbedimmo. Soren e Selene lo guardavano negli occhi, io non ci riuscivo. Avevo paura della reazione che avrebbe potuto avere. E poi … mi rimbombava nelle orecchie il mio nome, quando lo aveva urlato alla finestra.
- Erika?- mi chiamò con il suo tono roco e terrificante. Io deglutii.
- Sì, mio signore?- sentii le sue dita sotto il mio mento alzarlo. Incrociai i suoi occhi e li vidi grandi e apprensivi, ma anche addolorati. Non riuscii più a staccare il mio sguardo dal suo.
- Ti devo parlare …- a quelle parole il sangue mi si gelò nelle vene. L’avevo combinata grossa, sicuramente Viktor era venuto a sapere anche di Amelia. Sì, avevo paura, un’enorme paura! Le mani iniziarono a tremare. Viktor tolse le dita dal mio mento.
- Lasciateci- ordinò a tutti quanti. Coloro che ci circondavano si allontanarono. Soren e Selene risalirono in macchina e i tre agenti li seguirono ma solo Rash entrò, gli altri due rimasero fuori. Mi guardai per un attimo attorno, pronta a ricevere la mia punizione. Poi mi voltai verso Viktor. Lui mi continuava a guardare con i suoi occhi azzurri e tetri. Non sapevo cos’aspettarmi. Improvvisamente lo vidi immergere la mano nella tasca del cappotto. Strinsi gli occhi ed i pugni aspettando il peggio. Per molti attimi ci fu il silenzio più totale, non mi successe niente! Oppure era stato talmente rapido che non mi ero accorta di cos’era successo. Decisi di riaprire gli occhi, ma con calma, senza fretta. All’impatto con la flebile luce che ci circondava, dovetti sbattere le palpebre varie volte. Viktor mi tendeva una mano, nella quale teneva per un angolo una busta rettangolare.

- Ti sarebbe dovuta arrivare ma ho preferito dartela di persona- mi disse. Lo guardai un po’ assente: avevo un sospetto ma pareva così assurdo che lo scartai a priori. La presi. La osservai per un lungo momento, guardai la carta e la consistenza. Persino il peso nonostante la carta praticamente non ne avesse. Mi decisi ad aprirla. Lasciai cadere la busta a terra. Aprii il foglio che vi era ripiegato all’interno ed iniziai a leggere. Già dalle prime righe riconobbi la scrittura:                                                                                                                                          
 


Cara Erika,                                                                                                                      
capisco che le circostanze non sono delle migliori e che una lettera non allevierà il tuo dolore. Queste prime righe potranno sembrarti insensate poiché non ne conosci ancora l’origine, sicuramente. Vorrei non dovertelo dire io ma credo di essere l’unica persona al corrente di ciò, tuttavia incaricherei qualcun altro con immenso piacere di comunicarti questa notizia. Due giorni fa Marcus e Kraven hanno avuto una terribile divergenza ed è finita con il versamento del sangue di Kraven. È resistito un giorno, attaccandosi a tutte le sue forze, provando a resistere e a sopravvivere. Nel momento in cui tu leggerai queste parole, potrei esserti accanto, ma forse non ci sarò. Se fossi lì con te, posso immaginare sin da ora, il tuo volto sarà ricoperto di lacrime ed è per questo che vorrei esserci, spero solo sarà possibile. Devi aver intuito ciò che voglio dirti ma speri con tutta te stessa che non sia così, che ce l’abbia fatta, che per lo meno sia fuggito o che si sia nascosto, anche se in preda alla morte che lo richiamava. Erika, credimi se ti dico che per te vorrei anche io che fosse successo ciò … ma Kraven non ce l’ha fatta ed è giusto che  tu lo sappia senza prolungare troppo a lungo le spiegazioni. Non ti dico di fartene una ragione, solo di non fare pazzie. Credo che queste parole bastino, credo che non sia giusto distrarti in questo momento. Hai il diritto di essere infuriata con il mondo, hai il diritto di voler uccidere Marcus e anche me, poiché ti ho dato questa al dir poco agghiacciante notizia. Spero solo capirai che ho dovuto farlo per il tuo bene. Non voglio estendere questo futile gioco di corrispondenza perché non credo sia il caso. Vorrei solo esserti accanto in questo momento …
Viktor 


La lettera cadde dalle mie mani ed arrivò in parte alla busta nella neve. Tanti tasselli andavano al loro posto ma altrettanti si scomponevano. Iniziai a tremare, le lacrime come un fiume in piena cominciarono a scorrere. Strinsi le mani alla collana che avevo al collo provando a ricordare qualcosa, qualunque cosa avesse potuto portarmi lui alla mente ma in quel momento nella mia mente risuonavano solo le ultime parole che avevo letto. L’ultimo barlume di speranza si era spento come una candela sulla finestra aperta di una giornata burrascosa. Era così che il mio animo si sentiva. La collana non era calda come la prima volta che l’avevo toccata, era gelida proprio come lo era il cuore di Kraven in quel momento, come le sue mani, la sua pelle … Portai una mano alle mie labbra ed iniziai a scuotere la testa senza parole.
-  Erika … mi dispiace …- sussurrò Viktor togliendomi la mano dalle labbra e stringendola nella sua. Mi appoggiai con la fronte alla sua spalla: ora che sapevo la verità non lo temevo più, ma non riuscivo a credere a nulla di ciò che era successo. Sentii le sue braccia stringersi attorno a me e le sue dita affusolate si immersero nei miei capelli. Piangevo, singhiozzavo, ero spaesata, impaurita dall’idea che non l’avrei più rivisto, mai più. Ma ero anche confusa: era davvero Viktor l’autore di quelle lettere? Lui era preso seriamente da me? L’avevo sempre trattato come uno del mio livello quando scrivevo … e non come il mio padrone! Mi sentivo una stupida! Ma perché mi aiutava sebbene odiasse Kraven?
- Erika … andiamo in macchina, stai gelando- mi disse sfregandomi le mani sulle braccia per scaldarmi.
- Voglio morire! VOGLIO MORIRE!- gridai piangendo disperatamente, in preda ad attacchi d’ira. Viktor mi staccò da sé ed iniziò a scuotermi. Vedendo che non smettevo mi tirò uno schiaffo talmente forte che caddi in mezzo alla neve. Mi prese per una spalla e con violenza mi fece alzare.
- Erika! Non serve a nulla piagnucolare! Smettila! È morto! Tu dovevi già esserti abituata a quest’idea! D’ora in poi sarai mia regina, vivrai con me, hai una nuova vita che ti si presenta!- mi gridò. Lo fissai a bocca leggermente aperta, spaventata da quelle parole. Era pazzo! Non sarei mai stata al suo fianco! Mi scossi dalla sua presa. Iniziai ad indietreggiare ma inciampai e caddi nella neve, di nuovo. Strisciai lentamente in direzione della macchina. Il problema fu quando Viktor mi prese per i capelli e chiamò le sue guardie. Loro corsero e Rash fece lo stesso uscendo dalla macchina ed interrompendo il discorso che stava tenendo con Selene. Le due che non conoscevo mi tolsero dalle mani di Viktor prendendomi per sotto le braccia e Rash mi alzò per i piedi iniziando a trascinarmi verso la limousine con la quale erano venuti. Iniziai a gridare e a scalciare. Uno degli agenti mi lasciò nelle mani dell’altro ed iniziò a frugarsi nelle tasche. Improvvisamente estrasse dalla tasca una siringa dal lungo ago contenente una sostanza fluida e violacea. Alla vista di quell’oggetto impazzii e le mie grida divennero insopportabili. Rash cercava di tenere ben saldi i miei piedi nella sua presa ma iniziavo a scivolargli. In quel momento notai Soren, Selene e Michael correre in mia direzione. Michael era già trasformato.
- SOREN!- urlai più forte che potevo. Dimenai le braccia ma mi buttarono nella neve e quello con la siringa mi salii sopra. L’altro mi strappò una manica e mi tenne il braccio fermo.
***
Riaprii lentamente gli occhi. Ondeggiavo ma ero seduta. Forse ero solo stordita, anche se il peggio doveva ancora arrivare: ero tra le mani di Viktor! Non vedevo nulla di ciò che avevo attorno. Avevo un ronzio nelle orecchie ed era insopportabile! Il braccio che avevano bucato bruciava terribilmente ma lo sentivo fasciato, forse per assicurarsi che il liquido non uscisse. Mi si rivoltava lo stomaco al sol pensare quella scena! Una mano si appoggiò sulla mia. La ritrassi subito senza pensarci due volte. Avevo da riordinare molto nella mia testa, ora che eravamo nuovamente a Budapest, sarebbe stato difficile riprendere la mia normale vita, affianco a Viktor … a quel pensiero tremai. Non l’avrei mai fatto! Avevo una vita da vivere! Non volevo sprecarla in quel modo!
- Erika? Erika? Ehi! Perché ti comporti così?- ma quelle parole, quel tono … quello non era Viktor! Trovai il coraggio di aprire per bene gli occhi e lo vidi, vidi Soren. Il mio cuore si riempì di gioia: erano riusciti a salvarmi! Lo abbracciai forte nonostante il braccio bruciasse.
- Oh Soren! Soren! Sei tu! Mi avete salvata!- esaltai commossa. Mai in quel momento avrei desiderato cosa più bella. Lui mi abbracciò a sua volta.
- Non ti avrei mai lasciata nelle sue mani, io ti voglio mia!- mi sussurrò con le labbra sul mio collo. Mi vennero i brividi e mi staccai immediatamente.
- Do … dove sono Selene e …- mi mise un dito sulle labbra.
- E Michael? Nei sedili dietro i nostri, stanno riposando. Come va il braccio?- mi chiese guardando l’ematoma viola che era rimasto attorno al buco.
- Oh … meglio, molto meglio anche se brucia ancora un po’ … ma …- mi guardai attorno: eravamo in un aereo! Stavamo andando a Giza! Anche se …
- Soren … perché siamo ancora in viaggio?- domandai a sguardo basso. Lui rise dolcemente e mi accarezzò il viso.
- Tesoro, siamo partiti da solo qualche ora!- gli tolsi la mano con noncuranza.
- Non parlavo di questo!  A che serve andare a Giza se Kraven è morto?- a quelle amare parole, Soren rimase immobile, a bocca aperta con gli occhi sgranati.
- Oh mio Dio … non … non lo sapevi …?- si lasciò cadere sul sedile e si coprì il viso con le mani. Io esitante gli appoggiai una mano sulla spalla. Poi anche la testa e lo strinsi a me.
- Soren ... Soren … io … scusa … non te lo avrei mai detto così se avessi saputo che … non ne eri ancora al corrente … perdonami ti prego …- sussurrai addolorata di averlo fatto soffrire.
- Ssh … ssh … va … va bene, non lo sapevi, sto bene …- sapevo che mentiva ma non volevo continuare e così annuii. Lui chiuse gli occhi e credo si addormentò solo per non piangere. Gli passai una mano tra i capelli e chiusi anch’io gli occhi sul suo petto. Nonostante Kraven fosse morto, avevo il presentimento che non fosse vero, che fossero solo balle! La prima volta avevo ragione … ero certa che per un’altra volta la ragione fosse stata dalla mia.






Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Veleno ***


- Prendete le felpe dalle valige-
- Oh ma dai è assurdo!-
- Scommettiamo?-



Scendemmo dall’aereo verso le undici di sera. Ammetto che un freddo del genere non me lo aspettavo.  Michael aveva detto che nel deserto di notte faceva freddo ma … non è che gli avessi creduto molto, la credevo un’esagerazione, in fin dei conti dovrebbe far caldo nel deserto ma imparai che lo era solo di giorno! Trovammo molto presto un motel grazie a Selene e alla sua vista che intercetta anche un ago in un pagliaio. Portammo le valige in camera e partimmo immediatamente per la piramide di Cheope.
- Erika … tu stai tremando …- notò Soren mentre gli tenevo la mano. Mentendo, scossi il capo. Ma proprio in quel momento lasciai la mano di Soren e caddi a terra.
- ERIKA!- esclamò Selene e mi corse accanto. Sentivo il sudore scendere dalla fronte. Avevo freddo ma anche caldo. Il braccio bruciava all’interno, ed il dolore si espandeva per tutto il corpo. Pian piano iniziai a non sentirmi più le dita dei piedi, poi nemmeno quelli e neanche le gambe.
- CHE MI SUCCEDE?- gridai stringendo i pugni.  Nella testa iniziarono a passare tante immagini orribili. Mi facevano paura, forse erano incubi, forse era il fluido della siringa che fava quell’effetto … io … pensavo fosse solo un sonnifero ed invece … cos’era?
- Michael! Che le succede?- Soren era agitato. Sentivo le sue mani sudate sulle mie braccia. Avevo paura, quegli incubi erano orribili! C’erano figure orribili che si ripetevano. Iniziai a dimenarmi ed a gridare. L’ibrido mi mise una mano sulla bocca.
- Taci! O verranno a vedere che succede!- sbottò. Soren gli schiaffò via la mano e mi allontanò da lui.
- Non vedi che sta male? Idiota!- esplose. La gola secca iniziava a bruciare, la testa mi girava, la vista stava diventando blu, poi azzurra. Tutto aveva colori strani.
- Erika! Ti prego!- supplicava Soren. Volevo rispondergli, dovevo, ma non ci riuscivo. Mi mancavano le forze.
- Chiamo Viktor!- disse Selene. Sentii che iniziava a digitare i numeri, sentivo il loro suono. Soren mi ripeteva di stare calma mentre mi accarezzava il viso e mi stringeva una mano.
- Non c’è campo!- esclamò scocciata più che mai.
- Fate qualcosa!- iniziai ad urlare e a dimenarmi. Quelle scene mi spaventavano, mi inghiottivano, mi volevano morta.
- Amore! Erika ti prego! Resisti ancora un po’!- m’incitava Soren non mollando la mia mano. Iniziai a piangere dal terrore. Non riuscivo più a sopportare nulla di tutto quello. Improvvisamente estrassi dalla mia tasca la USP Match. Iniziai lentamente ad avvicinarmela alla tempia destra.
- COSA FAI ERIKA?!- urlò forsennatamente Soren. Me la gettò lontano dalla mano e mi tirò un forte schiaffo in faccia.
- Ho trovato campo!- esclamò Selene, esultando. La sentii borbottare qualcosa incomprensibile a telefono.  Soren sbuffava, con il gesto di prima l’avevo deluso. Non era mio intento, volevo solo mettere fine a quelle sofferenze inutili, ma sapevo che sarebbe stato vano. Nonostante questo ci avevo provato e tutto era andato a rotoli. Ma dovevo resistere, ancora poco, sarebbe finito prima o poi, o il dolore si sarebbe dissolto oppure … no! Se ne sarebbe andato pian piano, ero sicura! Iniziai a respirare profondamente per calmarmi. Pareva dovessi partorire da un momento all’altro! No, faceva molto più male. Le tempie iniziarono a bruciare dal dolore. Smisi di sudare ed il freddo si impossessò del mio corpo. Improvvisamente iniziai a non sentirmi più nemmeno il busto, poi nemmeno le spalle e pian piano le braccia. Sentii i passi leggiadri e lesti di Selene venirmi accanto.
- Che cos’ha detto?- domandò impaziente Soren. La mia bocca era tutta impastata e non riuscivo a parlare, ad intervenire.
- Sta per arrivare Iris, dev’essere una serva di Marcus, pare abbia un rimedio con sé. Dovrebbe riuscire a guarire Erika- disse con un tono che pareva speranzoso, sempre calmo, ma c’era un velo di preoccupazione che sfocava la sua sicurezza. Iris? Un’altra serva di Marcus? Ma io come avrei fatto a tradurre la sua lingua? Insomma … nessuno di loro sapeva il greco, tranne io! Un momento … il greco? Marcus aveva delle serve greche? La sua postazione … era stata davanti ai nostri occhi sin dal primo momento! E noi stavamo vagando da giorni con qualche idea confusa nella testa? Avevo parlato per quindici minuti con una ragazza nativa di quel luogo e non mi ero accorta che poteva essere la chiave di tutto? Avevo solo gli occhi oscurati dalla paura, dall’ingenuità … non capivo che dovevo fare molto di più per salvare Kraven! E invece, avrei dovuto iniziare! Non sarebbe più stata una passeggiata presa sotto gamba, tutto iniziava a complicarsi ed io dovevo alzarmi e combattere quel liquido! Improvvisamente aprii gli occhi. Sentii l’impatto con il vento freddo e le pupille.
- Erika … i tuoi occhi …- disse quasi spaventata Selene. In quel momento i nervi delle mie braccia schizzarono e le mie mani si strinsero attorno al collo di Selene. Non mi resi nemmeno conto di quello che stavo facendo ma lo dovetti fare, altrimenti sarei impazzita.
- PORTAMI DA IRIS! MUOVITI!- gridai. Michael e Soren provarono a togliermi da lei. La cosa strana, che oggi penso è, perché non si difese da sola? Cosa la bloccava? Aveva combattuto contro tutti i nemici del pianeta e non sapeva staccarsi una ragazzina che non aveva mai preso una pistola tra le mani, e l’unica volta che l’aveva fatto era per puntarsela alla tempia?
- Erika! Erika! Calmati! Iris arriverà da un momento all’altro! Calmati!- mi intimò ma io non l’ascoltai e continuai a stringerle le mani attorno alla gola. Iniziai a sentire Michael ringhiare. Girai leggermente lo sguardo e lo vidi iniziare a mutare. Prima di prendere del tutto le sembianze di un ibrido mi disse per l’ultima volta di mollare Selene ma non l’ascoltai e mi ritrovai presto stesa a terra piena di lividi e sangue. Soren era stato fermo, immobile. Non aveva fatto nulla per aiutarmi! Era assurdo! Se veramente mi amava avrebbe dovuto fermare Michael o perlomeno salvarmi dalle grinfie di quel mostro mezzo vampiro e mezzo … Lycan. Solo a pensarci mi si rivolta la pancia!
Iniziai a guardarmi attorno per capire il motivo di Soren che l’aveva spinto a non intervenire. La cosa aberrante fu quando, pur guardando in ogni angolo, seppure non fossi del tutto in me, non lo vidi. Insomma, lui non c’era! Sentii Selene avvicinarsi a me e poi accucciarsi.
- Erika? Tutto bene?- mi domandò tendendomi una mano. Mentre la guardavo nei suoi piccoli occhi scuri sentivo un forte desiderio di piangere provenire dal petto. Le vidi i lividi segni delle mie mani sul collo.
- Oh Selene … mi dispiace …- gli occhi mi si inumidirono. Non volevo farle del male, non era assolutamente mia intenzione. Cosa mi aveva spinta a farlo? Provai ad alzare una mano per accarezzarle il viso ma improvvisamente mi resi conto che non avevo più un contatto con tutto ciò che mi circondava. Spaventata provai a dimenarmi ma non ci riuscivo.
- Erika! Erika! Che ti succede?- esclamò capendo che qualcosa non andava. Non rispondendole continuai a cercare un contatto con il mio corpo ma non ci riuscii.
- Selene, cosa le sta accadendo?- Michael ci raggiunse in stato umano, mentre si infilava una giacca.
- Non lo so … pare … spaventata! Erika, tranquilla, va tutto bene- provò a tranquillizzarmi ma non ottenne buoni risultati. Avevo tutta la bocca impastata e avevo sete. Ma quelli erano i problemi minori, non sapevo come mi sarei ripresa, come sarei riuscita nuovamente a camminare, a toccare ciò che avevo attorno, ad abbracciare le persone a me care.
- Selene! Non … non riesco a sentire nulla ... non riesco più a toccare niente!- gridai con un filo di voce più spaventata che mai.
- Tranquilla, si risolverà tutto tra pochi attimi, Soren è andato a cercare Iris, staranno arrivando!- cercò di calmarmi. Scossi il capo.
- Non ce a faccio più … non credo resisterò ancora a molto …- mi scesero due lacrime. Quante volte avevo già rischiato la vita? Non ero mica un gatto … ero immortale ma c’erano i pro e i contro, e l’immortalità è una sola, non sette!
- No! Non dire così! Resisti ancora pochi minuti Erika! Saranno qui nei paraggi!-
- Selene! Non ce a faccio! Smettila di insistere! È tutto inutile!- vidi che mi strinse forte una mano ma non sentii alcun contatto con lei … eppure lo avrei tanto desiderato … non mi aveva mai toccato con gli occhi lucidi.
- Ci mancava così poco per giungere al termine della missione, ne abbiamo superate così tante assieme … io … ti ordino di resistere Erika!- mi disse mentre una lacrima le scendeva sulla guancia. Mi sforzai di ridere e lei fece lo stesso. La sua lacrima cadde sul mio collo ma non sentii nulla. Michael si alzò.
- Dove vai?- sussurrò Selene. Lui la guardò con occhi riprovevoli che dicevano anche senza dire nulla che le voleva parlare, lontano da me. La ragazza mi guardò dolcemente.
- Erika …-
- Vai- le dissi con un piccolo sorriso. Mi lasciò la mano e si alzò. Mi sentii sola. Nel dirle quella parola mi si era stretto il cuore, avevo bisogno di lei in quel momento e fu un duro colpo vedere che si allontanava. Andarono a diversi metri di distanza, ma, nonostante fossero molto lontani, non lo erano abbastanza perché li udii lo stesso.
- Che vuoi fare?- domandò lei. Me la immaginai a braccia incrociate che guardava Michael apprensiva e severa.
- Sai bene che non ha più speranze!- esclamò lui. A quelle parole strinsi gli occhi, odiavo la verità, ma era da troppi anni che la nascondevo ai miei occhi, era il momento di aprire le palpebre e guardare il mondo per gli ultimi minuti.
- E cosa pensi di fare! Lasciarla qui? No Michael, mi dispiace, questa volta mi sento costretta a non seguirti! Prendi la strada che vuoi, io non abbandonerò Erika!- non potevo crederci! Quella era Selene! Lei aveva detto quelle cose? Lei … allora realmente teneva a me! Era incredibile, eppure era la realtà!
- Allora … vado a cercare Soren, li porto qui!-
- È la cosa migliore che puoi fare e non so come ti possa essere venuta in mente quell’idea così assurda!- poi lei tornò indietro. Si sedette in parte a me e mi tolse i capelli dal viso sudato per la paura che provavo.
- Eccomi- mi disse ed io le sorrisi. Mi sentivo così tranquilla con lei affianco.
- Selene …-
- Erika, non sforzarti, chiudi gli occhi e rilassati più che puoi, devi tenerti in forze per ancora qualche attimo, Michael è già partito a cercarli! Saranno qui in un baleno!-
- Oh, lo spero … ma … se non dovessi farcela, e ti prego lasciami finire, mi prometti che porterai comunque a termine la missione?- la supplicai. Lei rimase per qualche attimo con lo sguardo assente, sapevo che non mi avrebbe mai risposto come io avrei voluto.
- Erika …-
- Ti prego Selene …- sussurrai mentre una goccia mi scendeva per la guancia sinistra. Lei sospirò profondamente e poi mi guardò un po’ seria.
- Va bene … va bene … ma tu ce la farai Erika! Te …- il continuo della frase non arrivò mai alle mie orecchie, i sensi mi abbandonarono prima.








Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** La fine di un mito ***


- Erika? Erika? Tesoro?-
- Sta riaprendo gli occhi …-
- Pobre niña … me siento …-



Riaprii lentamente gli occhi tremante. Quattro volti mi stavano osservando, tre conosciuti e uno no. La ragazza aveva la pelle scura, gli occhi verdi ed i capelli mori lisci con un fiore dietro l’orecchio destro. Era vestita di uno sgargiante rosso ed era tra Soren e Selene.
- Erika, amore, tutto bene?- Soren mi accarezzò il viso. Io ero un po’ disorientata e molto assetata e la sua mano mi parve scottare al contatto con la mia pelle.
- Sangue … sangue …- ansimai. Tutti guardarono la ragazza che mi porse una bottiglia. Iniziai a bere avidamente, come se non avessi mai bevuto in tutta la mia vita.
- Come stai?- domandò Selene. Le diedi la bottiglia vuota ed annuii. Michael e Soren mi diedero una mano a mettermi seduta. Io non smettevo di guardare la ragazza spagnola negli occhi. Lei guardava me, i nostri sguardi erano pieni di domande ma i suoi erano anche pieni di dolore, le leggevo una scaglia di sofferenza in quel verde smeraldo pieno di gioia e voglia di vivere. Selene mi scostò i capelli da un orecchio e si avvicinò con le labbra.
- Lei è Iris, Erika- a quelle parole tutte le mie sicurezze caddero: Iris era spagnola … non greca … tutto non aveva più un senso e dovevo ricominciare ogni mio ragionamento da zero … ed io che speravo di essere finalmente arrivata alla fine! Sospirai profondamente, non volevo perdere altro tempo, ero stata inerme sin troppo. Ora che mi era stato iniettato l’antidoto era il momento di rimettersi in cammino.
- Hai l’indizio?- sbottai tendendole una mano per farmelo dare. Lei mi guardò un po’ impaurita. Poi annuì ed infilò la mano in una pochette che aveva affianco. Ne estrasse un foglietto sporco di terra e me lo diede. Lo afferrai con violenza e subito lo aprii.


Un'enorme statua bronzea situata nell'omonima isola.

- Ecco, perfetto, Erika, qual è questa?- domandò Michael. Iniziai a pensare più intensamente che potevo ma la testa doleva ancora e non riuscivo a riflettere. Li guardai a testa bassa, stanca della mia nullità.
- Io … non ricordo …-
- COSA?- gridarono tutti all’unisono. Era assolutamente terribile non riuscire a ricordare dopo tutta la fatica che avevamo fatto per arrivare sin lì. Mi disperai e mi strinsi a Soren per non piangere.
- Baciami!- gli ordinai. Lui obbedì ma nemmeno quello mi fece sentire meglio. Michael si infilò una mano tra i capelli ed iniziò a massaggiarsi la testa, mentre Selene si lucidava la tuta di latex che io odiavo tanto per il fatto che Kraven non aveva occhi che per lei quando la indossava, cioè sempre.
- Ed ora, come pensiamo di fare?- sbottò l’ibrido. Già, non ne avevo la più pallida idea! Ci alzammo tutti dal terreno e ci strofinammo via la sabbia dalle vesti. Stava per sorgere il sole, avremmo dovuto trovare un rifugio al più presto, altrimenti sarebbe stata la fine non solo della nostra missione. Ci guardammo attorno e notammo una grotta a circa trecento metri distante, non ci avremmo messo molto. Iris era seduta dietro di noi, che stringeva le ginocchia al petto con il mento appoggiato su di esse. Mi voltai verso di lei e mi ci accucciai vicino.
- Tutto … bene …?- le domandai guardandola negli occhi. Mi faceva tenerezza e prima l’avevo trattata sin troppo male, non era colpa sua se ci trovavamo in quella situazione! Lei seguiva solo gli ordini del suo padrone, non poteva fare niente. Scosse il capo e notai che le luccicavano gli occhi.
- No, non va per niente bene! Me mejor amiga è stata uccisa dal nuestro padrone!- mi disse tutto d’un fiato. Provai ad aprir bocca per consolarla ma lei fu più rapida e riuscì a parlare prima di me.
- Porque ella … ha aiutato … il tuo ragazzo- Selene, Michael e Soren si girarono di scatto. Corsero al mio fianco e mi fecero alzare mentre le mie mani tremavano. Avevano avuto quella reazione perché ormai mi conoscevano, e sapevano che se non mi avessero alzata subito a tenuta tra loro, sarei potuta esplodere.
- Parla Iris! Dicci immediatamente quello che sai!- le gridò Selene mettendomi una mano fresca sulla fronte. A quel contatto feci un lieve sorriso di piacere.
- Sì! Io voglio che voi mi vendichiate! Voglio che vendichiate Xeni! Marcus vuole solo arrivare ad Erika, questo indizio riguarda il colosso di Rodi! Vuole farvi arrivare a Rodi, in Grecia, per poi farvi fare il giro di tutte le altre meraviglie e dirvi solo alla fine la sua vera postazione! Ma è proprio lì che vi dirigereste ora! Lui si trova a Sparta!- spalancai gli occhi. Lo sapevo, l’avevo sempre saputo! Le mie teorie erano tutte completamente giuste, e ora ci mandava una spagnola solo per farci sbagliare strada, se fossimo già arrivati alla conclusione finale. Quella ragazza era stata un tesoro pieno d’oro! Mi gettai su di lei e l’abbracciai forte con le lacrime che scorrevano. Ancora poco e presto sarei arrivata a Kraven, vivo o morto, ma almeno gli avrei detto addio.
- Grazie! Grazie grazie grazie Iris!- le dissi.
- Ora io devo scappare, o Marcus ucciderà anche me, è stata una liberazione e un piacere affidare a voi ciò che so, spero vendicherete Xeni. Ecco, tenete- ci supplicò, eravamo la sua ultima speranza. Poi ci diede un sottile fagotto. Io lo scartai a ci trovai quattro biglietti aerei per la Grecia, per Sparta.
- Lo faremo- disse Selene dopo averli osservati. Annuì e corse via. Quando fu abbastanza lontana, ci girammo ed iniziammo a correre verso la grotta. Ma all’improvviso Selene lanciò un grido. E dal suo petto, dritto dal cuore, uscì una pallottola e un lungo fiotto di sangue. Ci girammo di scatto e vedemmo le guardie di Amelia, unite a una decina del nostro clan di Budapest.
- NOOO!- gridammo tutti. Selene cadde a terra e Michael, senza trattenersi, si trasformò. Cominciarono a sparargli contro, ma lui più rapido evitò ogni pallottola e conficcò la mano artigliata nel cuore a più nemici gli era possibile. Guardai Selene: per la prima volta la vidi inanime, con gli occhi azzurri divorati dalla morte e lei in respiri ansimanti. Quello era un avvertimento: se moriva lei, noi, non avevamo speranze.
- ERIKA! PENSA A SELENE!- mi gridò Soren. Io le ero già accanto e le stavo aprendo la tuta per provare a fasciarle la ferita, ma non sarebbe bastato. A Budapest c’erano dei rimedi speciali per certe evenienze come quello, speravo solo che riuscisse a resistere.
- Soren!- lo chiamai. Lui si girò per un attimo ed io, impugnata la pistola che avevo in tasca, feci per lanciargliela. Ma la guardai ancora per qualche attimo, poi, ne baciai la parte centrale e la gettai a Soren. Lui la prese al volo e si diresse verso gli aggressori. C’era ancora una speranza: loro erano tanti ma noi avevamo l’esperienza che nessun altro poteva avere.
- Selene, Selene, respira lentamente oppure ti sforzerai troppo. So che puoi farlo, tu puoi fare tutto- la incitai ed iniziai a cercare nel marsupio delle fasce.
- I ruoli si invertono Erika …- mi sussurrò mentre mi guardava negli occhi. Aveva un lieve sorriso beffardo sul volto.  Come faceva ad essere così tranquilla anche in quel momento? Presi le fasce.
- Non continuo questa missione senza di te! Devi vivere!- le dissi avvolgendole le bende attorno al busto.
- No Erika, io ho fatto sempre tutto da sola, ora devi iniziare a farlo anche tu!- scossi violentemente il capo.
- Io non sono te …-
- E devi essere fiera di questo! Oh Erika! Dici sempre che sono gli altri a sottovalutarti ed invece sei solo tu quella che si sottovaluta! Non ti pare di aver dimostrato quanto vali in questa missione? Anche solo aver avuto la determinazione di decidere di salvare Kraven dopo decenni che era stato dato per morto …-
- È da pazzi- la interruppi io.
- No Erika, è da Agente di Morte- e nei suoi occhi vidi che non lo diceva solo per consolarmi, sapevo che era ciò che pensava eppure stentavo a crederci. Io … agente di morte? Mai mi sarei immaginata in quei panni … eppure … lei aveva ragione, ero io che mi sottovalutavo. Dovevo crederle, dovevo farlo per lei!
- E fidati se ti dico che sarebbe un onore per il nostro gruppo a Budapest, se tu ti unissi a noi – l’abbracciai forte.
- Voglio però che tu sia al nostro fianco, al mio- le sussurrai commossa. Poi mi rialzai. Corsi verso Soren che si stava nascondendo dietro una roccia aspettando un buon momento per sparare.
- Soren- gli sussurrai chiamandolo. Lui girò a testa verso di me e si tolse una sigaretta dalla bocca, questo voleva dire che erano in vantaggio rispetto al nemico. Mi venne da sorridere. Mi porse la sigaretta e la misi in bocca.
- Dovete portare Selene a Budapest, nel mio armadietto ci dovrebbero essere dei sidri di sangue capaci di guarirla- feci uscire una boccata di fumo.
- E tu, Erika?-
- Io vado da sola fino a Sparta- a quelle parole Soren sparò un colpo verso il terreno senza rendersene conto.
- Sei pazza?- mi gridò a bassa voce. Già, allora non ero l’unica a sottovalutarmi.
- No! Prendo l’aereo e parto per la Grecia. Iris ha detto che Marcus vuole me, e mi avrà. Ma voi dovete portare Selene a casa, non è utile in quello stato! E Michael non la lascerà mai da sola. Trovate una soluzione per i biglietti ma dovete assolutamente tornare a casa!- Soren sospirò profondamente. Sapevo che la mia idea era l’unica ammissibile.
- E tu?-
- Io … io vado a riprendermi Kraven-








Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Sola ***


- Penso sia il momento giusto per andare-
- Selene?-
- Ce la farà-



Arrivammo alla fermata dei Taxi dopo il tramonto, mentre stavamo nascosti nel motel. Selene peggiorava, pareva sempre in fil di vita ma riusciva sempre a resistere, retta da noi che la facevamo bere e le cambiavamo le bende ogni qual volta ci sembrava opportuno. Soren mi aprì la portiera del taxi ed io ci entrai. Poi la richiuse. Abbassai il finestrino.
- Spero ci rivedremo presto …- dissi mentre lo guardavo negli occhi con le mani che tremavano. Stavo per partire per una missione più grande di me, ma dovevo farlo. Michael e Soren si dovevano occupare di Selene, non potevo permettermi il lusso di viaggiare anche assieme a qualcuno, la mia amica aveva bisogno d’aiuto!
- Non è un addio, Erika. Sta’ tranquilla, il prima possibile ti raggiungerò- provò a rassicurarmi. Scossi il capo.
- No, tornerò prima io. Riuscirò a compiere la mia missione-
- È grande il traguardo che ti sei prefissata … ed anche molto lontano- mi riprese, nonostante la sua voce tradisse la preoccupazione che provava. Sorrisi dolcemente ed abbassai lo sguardo.
- Soren … io … so che ci posso riuscire- gli risposi convinta alzando la testa verso di lui e giocando nervosamente con il vestito.
- Ne sono certo- mi disse. Gli accarezzai il viso.
- Sei il migliore amico che una ragazza possa avere ma …-
- Lo so, tranquilla. Me ne sono reso conto. Spero solo tu lo possa ritrovare, te lo auguro. Ma … se non fosse così …-
- Qualsiasi cosa accada, Soren, tu avrai sempre una parte del mio cuore, ti voglio bene-
- Anche io, Erika- mi baciò la fronte e si ritrasse. L’autista alzò il finestrino. Guardai per l’ultima volta Soren e poi appoggiai la mano sinistra al vetro. Lui la mise sulla mia, e nonostante ci fosse una lastra a separarci, potevamo sentire uno il calore dell’altro. Poi, il taxi partì. Sospirai profondamente guardandomi alle spalle. Lui era ancora fermo nello stesso punto che non distoglieva lo sguardo dal taxi. Poi rigirai la testa e decisi di guardare avanti. Presi lo zainetto che avevo preparato e me lo misi sulle ginocchia. Lo aprii. Ci avevo messo qualche bottiglia, il biglietto, il portafoglio, una T-shirt e un paio di jeans, quei jeans che mi destavano una strana sensazione. Li osservai per qualche istante. Poi, prendendoli, vidi cadere un foglietto sul fondo dello zaino. Lo presi incuriosita. Era ingiallito e spiegazzato in molti lati. Lo aprii. Improvvisamente il cuore mi balzò in gola e a stento non svenni.

13 febbraio  1704
Amore mio,
sta notte è stato bellissimo. Tu sei una dea per me, spero di non dover tenere nascosto ancora per molto il nostro amore. Da quando ti ho conosciuta è cambiato tutto e la prima volta che t’ho vista …


Alzai lo sguardo da quel biglietto, la mia mente, senza che io lo volessi, tornò indietro nel tempo, al 1701, tre giorni prima di Natale. Forse fu il mio inconscio ad ordinarglielo, sta di fatto che d’un tratto tutto divenne chiaro ed io capii la causa di tutta la mia sofferenza, capii da chi era stata causata, capii che tutto poteva non accadere, se io avessi solo per un attimo, posato i piedi per terra invece che pensare solo a me stessa e alla mia felicità. Sta di fatto che ritornai all’inizio, al principio di quella che sarebbe diventata la mia seconda vita, una vita che avevo completamente sbagliato.

23 dicembre 1701
Pulivo distrattamente un tavolo di legno sporco di vino. Quei maledetti ubriaconi facevano sgobbare me e mia sorella ogni sera come schiave. Lavoravo in quella locanda da ormai quindici anni, da quando mio padre aveva ucciso mia madre dinanzi ai miei occhi, e poi si era suicidato. Lui era un alcolizzato e avevamo dei grossi debiti con il padrone del pub. Zsuzsa lavorava lì già da un po’. Il padrone mi aveva assunta con un sospiro, poiché mia sorella l’aveva pregato di farmi svolgere il lavoro solo di cameriera, diversamente da lei. Avevo compiuto i ventisette anni da ormai due mesi ed ormai Finn non aveva più intenzione di tenermi lì se non avessi cambiato i miei standard. Avevo l’ultimatum di Natale. Ero spaventata ed ogni tanto piangevo asciugandomi le lacrime con gli stracci sporchi di alcool. Stava per iniziare il turno della notte. Non vedevo Zsuzsa da qualche ora, dopo che era andata a prendere una botte dal nostro fornitore. Dopo essermi guardata attorno per essere sicura che non ci fosse nessuno, mi concessi di mettermi a cavalcioni di una sedia. Appoggiai la testa allo schienale e la avvolsi con le braccia. Chiusi gli occhi e mi scese una lacrima. Non volevo che la mia prima volta fosse così, non era ciò che desideravo. Volevo solo farmi una vita, una famiglia. Senza rendermene conto scivolai nel sonno.
Improvvisamente un forte ceffone mi colpì il viso. Caddi dalla sedia e sbattei la testa sul pavimento. Lanciai un guaito.
- Non ti pago per dormire, sgualdrina!- mi appoggiai una mano alla guancia. Bruciava ed il solo appoggiare la mano mi provocava un dolore indescrivibile. Vidi la porta del locale aprirsi ed entrarono cinque uomini vestiti di scuro, dietro ad uno molto imponente, ma non riuscivo a vederli bene. Senza notarmi presero posto ad un tavolo. Finn si accucciò e mi guardò negli occhi digrignando i denti e corrugando la fronte.
- Che cosa stavi facendo, Erika?!- domandò tra i denti. Tremavo di paura, sapevo cos’era capace di fare. Mi appiattii contro il bancone e misi un braccio davanti al viso impaurita.
- Perdonami … non succederà più …-
- Ne sono sicuro!- alzò un braccio stringendo il pugno. Mi rannicchiai tra le mie braccia, terrorizzata e strinsi gli occhi. Aspettavo da un momento all’altro sentire il suo pugno sferrarsi sul mio viso ma non successe nulla. Riaprii lentamente un occhio.
- Ehi, buono vecchio- disse una voce. Era così calda, e nonostante avesse usato quella parola come offesa, il suo tono pareva comunque pacato e cortese. Può sembrare assurdo ma così la sentivo. Riaprii anche l’altro. Vidi l’uomo che prima stava a capo del gruppo che era entrato, tenere per il polso il braccio di Finn. Si mise una mano in tasca e ne estrasse un piccolo sacchetto che pareva contenesse monete.
- Questi bastano perché tu la possa perdonare?- gli occhi di Finn si illuminarono. Pareva fosse la prima volta che vedesse del danaro, e nonostante non fosse la prima volta, era la prima che ne vedeva così tanto in un sol colpo. Ma poi si ricompose. Fece sì che l’uomo lasciasse la presa e si massaggiò il polso.
- Questa femmina non rispetta i miei ordini! E quei pochi compiti che ha, li svolge male o svogliatamente! Se non vuole che la cacci deve rispettare l’ultimatum!- borbottò ad alta voce puntandomi il dito contro.
- Che ultimatum? Si tratta di soldi?- chiese il ragazzo. Aveva i capelli di nero corvino, leggermente ricci, lunghi sino alle spalle, limpidi. I suoi occhi erano grigi con varie screziature d’indaco. Era l’uomo più bello che io avessi mai visto. Il suo viso aveva una strana luce, quasi … irreale. Pareva un dio greco.
- No!- rispose sgarbatamente il mio padrone. L’uomo mi guardò e nei miei occhi intuì di cosa veramente trattava quell’ultimatum.
- Accetta i soldi, vecchio! A lei ci penso io. Andiamo- mi porse una mano. Non volevo accettarla, ma mi sentii obbligata, come se qualcosa mi spingesse a toccarlo. Ero eccitata all’idea di poter sentire l’entità della sua pelle. Così, tremante, misi la mia nella sua. La sentii liscia, morbida e per un attimo mi parve pure di sentirne l’essenza. La sua presa era ferrea e possente e mi alzò quasi con violenza. Mi sentii tradita da quel gesto.
- Quanto vale lei?-
- Bah, non più di quindici ghinee- rispose alzando le spalle. Rimasi a bocc aperta, ero una persona! Non un oggetto! Quindici ghinee … ma scherziamo!
- Bene!- gli lanciò un altro sacchetto e poi mi guardò. Quello sguardo mi fece tornare alla realtà e una lacrima mi rigò il viso.  No! Mancavano ancora tre giorni! Era troppo presto per me! Strinsi i pugni e trattenni le lacrime che già mi inumidivano gli occhi. Nello stesso momento vidi entrare mia sorella dalla porta del locale. Girai il viso verso di lei con gli occhi arrossati. Scossi leggermente il capo spaventata e spaesata.
- ERIKA!- gridò con voce straziata. Lasciò la botte di vino ed inizio a correre verso di me. Aveva capito cosa stava succedendo.
- Ferma! FERMA! Se non è oggi è domani!- esclamò il padrone bloccandole le braccia e impedendole di venire da me.
- No! Sorellina ti prego! Rifiuta! Questa non è la tua strada! Ribellati! Fa qualcosa! Scappa!- mi gridò sgraziatamente sino a che il sangue non le affluì alla faccia ed i suoi occhi iniziarono a lacrimare.
- Andiamo, ho perso già abbastanza tempo- mi disse l’uomo. Sospirai profondamente, non c’era altra strada …
- Seguitemi …- gli sussurrai a testa bassa e tenendomi il vestito leggermente alzato per non calpestarlo, salii le scale ed arrivai ad una stanza. Lui entrò a sua volta ed io chiusi la porta a chiave. L’uomo si distese sul letto ed estrasse dalla tasca una sigaretta ed un pacchetto di fiammiferi. Ne accese uno e poi anche la sigaretta che già teneva in bocca. Lo guardai per qualche attimo, poi mi tolsi il grembiule e lo lasciai cadere a terra. Mi levai anche le scarpe col tacco. Diedi le spalle all’uomo e cominciai a slacciare l’abito singhiozzando.
- Scusa … che cosa stai facendo?- mi domandò fingendosi stupito. Sospirai e mi asciugai una lacrima.
- Quello per cui sono qui …- dissi con la voce smorzata. Lo sentii alzare dal letto e strinsi gli occhi. Mi venne dietro e cominciò a riallacciarmi il vestito.
- Non voglio farti assolutamente nulla, non volevo vederti picchiata da quel rozzo barista- mi girai verso di lui.
- Nessuno ha mai portato rispetto per me, signore-
- Chiamami Kraven, Kraven da Leicester, milady- mi baciò una mano e trattenne le labbra sul dorso per altri secondi.
- Io sono Erika, sign … Kraven …-
- Il tuo nome ha un significato magnifico, e non sarò certo io ad infangarlo- gli sorrisi dolcemente.
- Cosa significa?- domandai con uno sguardo sognante.
- Ricca d’onore-
- Non penso mi rispecchi …- abbassai la testa. Lui mi prese il mento dolcemente con pollice ed indice, mi fissò negli occhi e mi sussurrò
- Io penso di sì-

24 dicembre 1701
Erano ore che lo aspettavo. Guardavo l’ora in continuazione, erano le undici e un quarto. Dov’era? Mi aveva promesso che sarebbe venuto … la sera prima non era venuto ma in compenso era arrivato la mattina presto, però aveva avuto solo il tempo di salutarmi. Mi aveva svegliata poco prima dell’alba e poi era dovuto scappare. Diceva che era tardi e che non aveva tempo ma aveva mantenuto la parola ed era passato. Due sere prima eravamo stati assieme per ore ed ore a parlare delle nostre vite. Aveva voluto che gli raccontassi la mia più di tre volte. Non voleva parlare di lui, aveva detto solo di essere un nobile di una grande casata, e che mentre il suo padrone era presente e lui non aveva compiti da svolgere, poteva girare il mondo, ed era capitato per caso in quel pub. Pulivo nervosamente il pavimento prima dell’arrivo della baraonda di gente per Natale. Kraven aveva detto che quella notte mi avrebbe fatto un regalo. Io … mi ero innamorata di lui, e non mi importava di nulla di materiale se non del suo amore. Sapevo che non poteva ricambiare: io ero solo una serva e lui un nobile … non avrebbe mai potuto esserci nulla. Le undici e cinquanta, non sarebbe venuto … mi ero solo illusa! Dalla rabbia battei un pugno sul tavolo. Improvvisamente vidi entrare Kraven e Finn. Il mio padrone era tutto orgoglioso. Strinse la mano a Kraven e si diresse verso il bancone. I miei occhi si illuminarono e sul mio viso nacque il sorriso più grande che avessi mai fatto.
- Vai da lui, sta sera niente lavoro per te- mi disse. Io girai la testa e lo guardai con le sopracciglia alzate.
- Quanto t’ha pagato?- gi domandai con voce atona.  Lui fece uscire una risata sguaiata facendomi capire che ci avevo azzeccato e poi si mise a pulire un calice senza smettere di ridere. Mi tolsi il grembiule e lo ripiegai sopra il bancone di Finn.
- Buona serata capo- gli dissi tutta orgogliosa ed andai da Kraven. Lui era appoggiato con una spalla alla porta del locale e mi aspettava con un sorriso.
- Ciao …- gli sussurrai arrossendo. Lui mi aprì la porta e mi tese una mano facendo un inchino.
- Buona sera milady, posso essere il suo cavaliere per questa sera?- domandò con un tono quasi ridicolo. Io risi e misi la mia mano sulla sua.
- Oh, ne sarei onorata, milord- si rialzò da quella strana postura che aveva assunto e mi strinse un braccio attorno ai fianchi. Io trasalii e rimasi rigida, non si era mai lasciato andare a tanto. Lui lo notò e mi diede un bacio sulla guancia.
- Ehi, stai tranquilla- mi sussurrò piano all’orecchio. Io annuii ed appoggiai la mia mano su quella che lui teneva sul mio fianco.
- È solo … strano per me …- sorrise e mi portò fuori. C’era la neve alta. Non la vedevo da quasi tre anni, era bellissima. Non nevicava più ma faceva molto freddo. Istintivamente mi strinsi a Kraven ma non appena mi resi conto del gesto che avevo compiuto, mi staccai. Lui però più rapido mi mise una mano sulla spalla e mi tenne dov’ero. Alzai lo sguardo ed incrociai i suoi occhi. Erano così dolci, passionali. Quelle screziature d’indaco erano così irreali, tutto di lui era irreale.
***
- Grazie … per ciò che hai fatto …- gli dissi mentre passeggiavamo tra le stradine ricoperte di neve. Lui sorrise beffardamente.
- Cosa?- finse di non capire. Nello stesso momento sentii la sua mano fredda entrare dall’apertura sul collo nel mio vestito ed iniziare ad accarezzarmi la schiena. Non mi sentii per niente in imbarazzo, anzi, fu piacevole e mi strinsi a lui.
- Eddai, lo sai cosa Kraven … grazie- gli sussurrai con voce angelica, ammaliata da lui e da tutto ciò che lo circondava, come se la sua aurea rendesse piacevole ogni cosa.
- Che ore sono?- domandò guardandosi attorno in cerca di un campanile che segnasse l’ora.
- Penso quasi mezzano …- ad interrompere le mie parole fu il suono delle campane della chiesa.
- Buon Natale Erika- mi disse fermandosi e accarezzandomi il viso. Appoggiai la mia mano sulla sua e gliela feci tenere sul mio viso.
- Buona Natale Kra …- mi baciò. Sentii le sue labbra sulle mie. Poi lui iniziò a mordermele ed io feci lo stesso con le sue, strinsi le mie braccia attorno alle sue spalle e lui le sue sui miei fianchi. La sua lingua trovò la mia e s’intrecciarono sino a formare un’unica cosa. Senza smettere di baciarmi mi portò dietro il pub e mi fece sedere sopra degli scatoloni di legno che andavano a formare una pila abbastanza alta. Mi circondò il corpo con le sue braccia possenti mentre io gli avvinghiavo i fianchi con le gambe e cercavo di tenere la gonna alta perché non andasse a dividere il mio ventre dal suo. Prima di fondermi completamente a lui sentii le sue mani che salivano per la mia schiena nuda.
***
- Sai che ti ho promesso un regalo?- mi guardò con un sorriso sghembo. Annuii timidamente, non facendogli capire che ero un po’ ansiosa anche per quello come se fossi una bambina. Mi stavo riordinando le ciocche di capelli in una coda e finivo di riallacciarmi il vestito. Fino a cinque minuti prima pareva che il mondo fosse stato solo un Paradiso dove nessuno era infelice, ed io, men che meno. Lui era entrato in me come un angelo ed io lo avevo accolto a braccia aperte. Non avevo avuto paura, non ero stata esitante, non avevo provato dolore … era lui l’uomo della mia vita.
- Ho pagato il debito della tua famiglia, non devi più lavorare lì, e nemmeno tua sorella! Siete libere- smisi immediatamente di fare tutto ciò che stavo facendo e lo fissai negli occhi.
- Stai scherzando?-
- No Erika, puoi finalmente avere una vita-
- Ti rendi conto di quanto alto era il debito?- lo guardai rimproverandolo – sei un pazzo! Non puoi aver pagato tutto quel denaro! Sarai in bancarotta adesso!- rise di gusto e mi accarezzò il viso.
- No amore mio, no! Per niente! Anzi! Io voglio solo che tu sia felice-
- La mia felicità sei tu …- gli sussurrai con gli occhi lucidi – non voglio che tu faccia sacrifici per me, a me basta starti accanto per sempre-
- I sacrifici per te non esistono, esistono solo i piaceri- mi gettai tra le sue braccia e lo strinsi forte a me.
- Grazie, grazie, grazie- mi baciò la testa mentre io piangevo di felicità sul suo petto e la neve scendeva dal cielo.
- Voglio che tu venga con me in Ungheria, Erika, voglio che tu diventi una della mia casata, mia moglie-

14 gennaio 1702
Soren, uno del gruppo di Kraven, comandava i cavalli sulla carrozza. Io dormivo dolcemente tra le braccia di Kraven, mentre mia sorella stava seduta dalla parte opposta. Non appena arrivammo mi spaventai di fronte all’imponenza di quel palazzo oscuro nel quale avrei vissuto. Era inquietante e mi spaventava. Soren e un altro uomo presero le nostre valige ed entrarono nel palazzo. Kraven scese e mi tese la mano per aiutarmi. Non appena all’entrata lo aspettai esitante. Ammetto che avevo un po’ di paura. Quando entrai tutti mi fissavano come se volessero mangiare me e mia sorella. Kraven mi condusse alla sua camera, dove sarei stata. Era completamente viola e nera, con un grande quadro sopra un caminetto, una grande vetrata dietro ad una scrivania. C’era un divano, un tavolino lì in parte, due poltrone, un tavolo in un angolo con quattro sedie e molte lampade attaccate alle pareti, a forma di fiamma di vetro. Lì ci trovai anche una ragazza mora, alta e magra, in una tuta di latex nera. Frugava tra i fogli della scrivania di Kraven con aria furiosa.
- Selene! Che cosa cerchi?- domandò sbuffando Kraven, entrando nella camera e buttando la sua giacca sul divano. Non vedevo letti, probabilmente dormiva proprio su quel sofà.
- Che cosa t’importa?- borbottò lei.
- Beh, sai, fino a prova contraria, è camera mia!- si distese sul divano e mi fece segno di stendermi su di lui. Io mi levai il cappellino ed i guanti e li misi su un attaccapanni di legno d’acero. Poi mi stesi su di lui che iniziò ad accarezzarmi la testa e la schiena.
- Sto cercando quella dannata relazione di Nathaniel riguardo i Lyca …- si girò proprio in quel momento.
- Chi è questa?- sbottò quasi scocciata incrociando le braccia al petto.
- Erika- rispose dandomi un bacio sui capelli.
- Le sai le regole Kraven, non è una di noi! Deve prima diventarlo per entrare dentro la casa di Viktor-
- Taci Selene! Questi non sono affari tuoi-
- No appunto, lo sono di tutti!- e così detto, prese un blocco di fogli ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Io lo guardai quasi sentendomi colpevole ma lui mi guardò togliendo ogni mio pensiero e mi baciò.
- Lasciala perdere, sono io che decido la mia vita, lei non è nessuno-
***
La notte mi svegliai nel silenzio e nel buio del palazzo. Kraven non c’era. Mi alzai lentamente, senza fare rumore, ed iniziai a cercare le mie valige, poiché essendo buio, non avrei mai trovato la mia camicia da notte nera ma per ironia della sorte ci inciampai sopra così risolsi il problema. La infilai velocemente e mi diressi verso la porta. Provai ad aprirla ma era chiusa a chiave. Perché mai Kraven avrebbe dovuto chiudermi dentro? Istintivamente provai a muovere più forte la maniglia e a tirarla ma ovviamente non la smossi di un millimetro. Le diedi un altro tiro e mi ritrovai addosso al muro. Ce l’avevo fatta!
- La smetti di fare tutto questo baccano?- irruppe una voce monotona che avevo già sentito. Riaprii gli occhi che avevo chiuso all’impatto. Vidi Selene sull’uscio con una chiave in mano. No, non ero stata io ad aprirla.
- Come … come fai ad avere la chiave di …?-
- Kraven? Beh … ci conosciamo da secoli, e lui si fida di me, diversamente da come io lo vedo- alzò gli occhi al cielo ed incrociò le braccia al petto dopo aver inserito la chiave nella serratura.
- Non ti piace?- le domandai tirando su una manica dalla spalla, che continuava a scendere. Kraven prima ne aveva rotto qualche filo per sfilarmela.
- Non lo tollero nemmeno, se ti interessa, quindi tienitelo pure. Tornando a prima, perché cercavi di uscire? Non è sicuro per te vagare per i corridoi di Ordoghaz senza di lui-
- Perché?-
- Ah, non te l’ha detto?- mi guardò sgranando gli occhi, ma non troppo sorpresa. Scossi il capo.
- Beh, buon per te, se lui lo ritiene prudente …- rise forzatamente. Poi mi fece segno di seguirla.
- Ti porto da lui- iniziammo a camminare per dei lunghissimi corridoi ricoperti di tappeti color porpora. Scendemmo una scala d’argento ed arrivammo al salone, la prima stanza che avevo visto. C’erano tavoli rotondi d’argento e divanetti di taffetà fucsia scuro, quasi sporco. Facemmo il giro della scala e scendemmo altre scale, sino a dei corridoi con piastrelle di marmo azzurre e grigie sul pavimento. Faceva freddo e mi strinsi tra le braccia. Camminammo per svariati minuti. Poi arrivammo ad una porta. Selene l’aprì e mi fece entrare.
- Questo è il corridoio d’accesso all’Elder. Kraven sta parlando con Viktor, il nostro padrone. Aspettalo qui- e mi indicò una panca di marmo. Annuii un po’ inquietata da tutto quello che mi circondava. Lei se ne andò e la porta si chiuse con un tonfo. Il corridoio era lungo poco più di cinque metri e c’era un enorme portone a metà corridoio. Mi sedetti sulla panca di marmo ed iniziai ad aspettare. Sentii Kraven parlare.
- Non è una minaccia, mio signore, ti prego, non sa ancora nulla di noi, la informerò io stesso non appena sarà sveglia-
- Porti gli umani nella nostra casata per turbarne il naturale equilibrio? Che cosa ti salta in mente! Sei un incosciente!- la voce di quello che doveva essere Viktor era baritonale e severa. Gridava ed era infuriato. Io non capivo, che segreti c’erano? Perché mi chiamava “umana”?
- Provvederò … al più presto … mio signore- balbettò Kraven.
- Bada a te, Kraven, se non la tramuterai al più presto, lo farò io, se non l’avranno già sbranata prima o l’avrò uccisa da me stesso- rabbrividii e non solo per quelle parole. Viktor, senza averlo visto, già m’incuteva timore. Sentii Kraven balbettare qualcos’altro e poi uscire. Aprì le porte. Mi alzai rapidamente dalla panchina e ci fissammo negli occhi. Lui pareva preoccupato. Mi appoggiò una mano sul collo, proprio sulla giugulare che pulsava terribilmente. Avevo tutto il sangue che affluiva alla testa e mille immagini mi balenavano in mente. Sospirò.
- Hai sentito tutto?- mi domandò con un filo di voce. Annuii.
- Forse mi devi delle spiegazioni-

16 gennaio 1702
- Ti piacerebbe restare con me per sempre?- mi chiese quella notte dopo aver fatto l’amore. Io in realtà avevo le idee già abbastanza chiare, sapevo che volevo diventare come lui. Certo, avevo paura, ma non mi importava. Se era l’unica strada per non separarci mai, va bene! Avevo fatto la mia scelta. Mi accarezzava la spalla destra andando su e giù per il braccio con le punte delle dita e facendomi provare piccoli brividi.
- Io voglio restare con te per sempre, Kraven- gli dissi dando un tono di voce più deciso alla seconda parola.
- Hai paura?-
- Tu ne avevi?-
- Non ricordo … ero in punto di morte quando mi trasformò Viktor. Era il 1303. Stavo combattendo una guerra che non ricordo nemmeno qual era, ero in fil di vita quando Viktor passò e mi morse-
- Devo averne?-
- No, tranquilla, non voglio farti male, dura solo pochi attimi, tu pensa sempre che dopo quel morso staremo assieme per tutta la vita-
- Me lo giuri?- gli chiesi voltandomi verso di lui. Annuì. Sospirai profondamente e mi scostai i capelli dal collo.
- Allora vai, forza-
- Ora Erika? Sei sicura?- mi accarezzò la giugulare. Io annuii mordendomi il labbro inferiore. Lo vidi schiudere la bocca. I suoi canini si allungarono e gli occhi grigi divennero di un azzurro pallido. Fuori vibrò un tuono e nello stesso attimo affondò i suoi denti nel mio collo. Provai inizialmente un forte dolore, poi solo passione, una passione forte che si espandeva per tutto il corpo, mi stavo fondendo con lui.

13 febbraio 1704
Ero seduta sulla staccionata di un gazebo dietro Ordoghaz mente Kraven giocava sulla mia schiena nuda con le sue mani. Eravamo scappati da una noiosa riunione tenuta da Viktor riguardante i Lycan. Mentre salivamo le scale fuori dall’Elder Kraven, mi teneva la mano correndo ed io ridevo divertita dalla sua imitazione di Viktor. Eravamo corsi dietro il palazzo, nel nostro posto segreto. Eravamo inciampati sull’erba bagnata poiché pioveva e mi si era strappato l’abito così avevamo cominciato a rotolare nudi sotto il temporale fino a riempirci di fango ma non ci importava. Noi volevamo solo stare uno nel corpo dell’altro. Cosa ci poteva importare che fossimo sporchi, sotto le intemperie, e che potessimo ricevere una strigliata da Viktor? Noi ci amavamo! Se eravamo assieme, anche solo con il pensiero, avremmo superato tutto! Non dormivo più con lui. Viktor mi aveva dato una stanza solo mia. Era bella, ospitante, comoda e con un enorme armadio ma non era la stanza di Kraven ed era fredda senza di lui. Mi mancava la notte non sentire più le sue mani accarezzarmi la pancia e le sue labbra sul mio collo. Oppure quando ci addormentavamo io seduta e lui con la testa sulle mie gambe mentre lo massaggiavo. Tutto ciò mi mancava. Viktor non sapeva nulla del nostro amore e probabilmente l’avrebbe proibito. Lui era un nobile ed io del livello più basso, essendo una tra le ultime arrivate. Presto o tardi, mi prometteva Kraven, lo avrebbe annunciato a tutti e mi avrebbe sposata. E se Viktor avesse rifiutato saremmo scappati, soli, io e lui, amanti maledetti, nella notte e contro la notte. Cosa potevamo volere di più?
- È meglio tornare, si sta facendo tardi- mi disse ad un certo punto riprendendo i suoi vestiti.
- Ed io come torno?- borbottai. Guardò il cielo.
- Ormai è l’alba amore mio, saranno tutti a letto. Vedrai che non ti vedrà nessuno-sbuffai. L’idea non mi piaceva ma accettai comunque, di lui mi fidavo. Entrò per primo nel palazzo e si guardò attorno.
- Vieni amore, non c’è nessuno- mi sussurrò. Io entrai. Corremmo su per le scale ed arrivammo alla sua camera. Avremmo fatto la doccia assieme. Sognavo già lui che mi cullava tra le sue braccia quando …
- CHE CI FAI IN CAMERA MIA?!- gridò Kraven dopo aver lanciato un’imprecazione. Selene frugava tra i suoi cassetti quando alzò lo sguardo. Kraven si parò davanti a me. Lei non mosse ciglio.
- Ti dispiacerebbe dirmi dove si trova quella maledetta pistola che t’ho dato l’altra notte?- borbottò. Lui sbuffò.
- È nel terzo cassetto, sotto la relazione che hai rimesso ieri- lei frugò per qualche attimo e poi la prese. Se ne andò.
- Ma è sempre stata così?- gli domandai. Lui annuì e mi baciò.
- Meglio che fai la doccia in camera tua-
- Sì, assolutamente. Buona notte-
***
Uscii dalla vasca ed indossai la camicia da notte. Uscii dal bagno ed andai verso il letto. Notai sotto la porta della camera una busta. Le presi, la osservai qualche attimo e poi l’appoggiai sulla scrivania. L’avrei letta l’indomani. Ero troppo stanca.















Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Ci sarà sempre il mio passato nel futuro ***


- Buona sera amore mio, ieri non ti ho mai …-
- Dov’è Selene?-
- Kraven … cosa vuoi dire?-



… domani sera terrò una riunione privata con Viktor prima dell’ibernazione, penserò sempre a te. Non vedo l’ora di rivederti. Ti aspetto domani notte nel nostro gazebo alle undici, Preparati a divenire mia moglie. Ti amo Erika
Kraven


Ricordavo tutto … era stata solo colpa mia. Io e lui non ci saremmo mai lasciati se non fosse stato per me …
Scesi dall’aereo. Era notte fonda. Stringevo in una mano la lettera e nell’altra lo zaino. Ero a Sparta finalmente. Ero terrorizzata dall’idea di non trovarlo ma anche dall’alternativa. Tutto mi pareva diverso. Avevo capito perché mi odiava … ma perché non me ne aveva mai parlato? Forse … credeva che l’avessi tradito. Camminai per una decina di metri senza meta, senza un’idea in testa, immersa nei miei pensieri. Guardavo il terreno e ripensavo a tutti i tasselli che avevo riordinato. Quei momenti nei quali mi trattava dolcemente anche dopo la nostra separazione … c’era una spiegazione.
- Oh Kraven … perdonami …- misi le mani in tasca con lo zaino in spalla stringendo forte la lettera. Mi scesero svariate lacrime. Non le asciugavo, non m’importava. Si era innamorato di Selene da un momento all’altro, invece era solo per ripicca verso di me. Chissà quanto mi avrà aspettata quella notte. Sarebbe stato San Valentino, il nostro giuramento d’amore e invece … non avevo letto quella lettera per tutti quei secoli. L’avevo cambiata di posto in posto, di abito in abito, fino a quel vecchio paio di jeans. Mi lasciai cadere seduta su una pietra e mi coprii il viso con le mani. Iniziai a piangere disperatamente. Anche io da stupida non gli avevo mai chiesto spiegazioni. La mia vita era diventata solo un intrigo, dove cercavo di conquistarlo. Non ricordavo nemmeno più quegli anni, nei quali ci amavamo, facevamo l’amore, che non era quello che facevamo quando lui voleva ed io per farlo felice ubbidivo, no! Era quello dove ci capivamo con uno sguardo, dove tra i baci appassionati nasceva qualcosa di più, quello dove volevamo una famiglia, una famiglia che non abbiamo mai avuto, e forse era troppo tardi per pensarci. Ci sarebbe sempre stato il mio passato nel futuro, ma se non avessi letto quella lettera non l’avrei mai capito.
Udii un grido. Non mi importava. Volevo stare sola con me stessa, a riflettere e a torturarmi per ciò che avevo fatto. Un altro grido. Poi uno ancora. Un ombra si materializzò dinanzi a me scendendo dal cielo. Non alzai lo sguardo.
- Erika!- mi chiamò con tono severo. Alzai la testa. Aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri. Era a petto nudo ed indossava un paio di jeans stracciati. Non l’avevo mai visto eppure lui mi conosceva. Ma all’improvviso notai delle enormi ali di pipistrello grigie che gli uscivano dall’incavo delle scapole. Mi alzai di scatto ed iniziai ad indietreggiare.
- Tu! Maledetto!- gli urlai.
- Ah! Calmati bambolina, vuoi che muoia qualcun altro per te?- mi intimò. Alzai leggermente il mento.
- È vero quello che dicono? Kraven è morto?- gli domandai con la voce tremante stringendo più forte che potevo la lettera nella mia tasca. Lui iniziò a guardare la punta di una sua ala.
- Sei l’unica che crede il contrario, eppure sei anche l’unica che crede il vero- mi guardò con un mezzo sorriso e le sopracciglia alzate. Avevo ragione, Kraven era vivo! – l’ho risparmiato per un soffio, solo perché … non volevo che tu soffrissi ancora mia cara-
- Che cosa vuoi da me? Mi è giunta notizia che ti interesso- cambiai subito argomento.
- Oh, io non voglio nulla da te, io voglio te- corsi verso di lui e gli tirai un pugno in pieno viso.
- DIMMI DOV’È KRAVEN LURIDO VERME!- gli gridai. Il sangue iniziò a scendergli dal naso. Si mise una mano per provare a bloccarne il flusso.  Improvvisamente i suoi occhi azzurri brillarono di maligno e mi prese per un polso con la mano insanguinata. Iniziai a dimenarmi ma la sua presa era brutale. Iniziò a trascinarmi mentre io mi piantai con i piedi per terra ma comunque non raggiunsi nessun risultato. Improvvisamente si fermò e mi scaraventò a terra. Lanciai un grido e strinsi gli occhi. Pian piano li riaprii. Lo spettacolo fu impressionante. Mi allontanai più velocemente possibile alzandomi. Marcus mi prese per i fianchi e mi strinse al suo petto dicendomi
- Ecco cosa succede ai traditori, spero che tu non voglia fare la fine della tua amica-. Iris era a terra, morta, con due buchi all’estremità della cassa toracica, immersa nel sangue con gli occhi sbarrati e bianchi.
- Ti prego … ti prego … portami da Kraven …- lo supplicai piangendo terrorizzata. Aprì le ali e mi fece stringere forte al suo petto. Chiusi gli occhi immaginando il momento dell’incontro con Kraven e ciò mi fece sorridere. Lui si alzò in volo e come un fulmine iniziò a volare nel vento. Ogni battito d’ali ci alzavamo di quindici metri. Avevo paura di cadere. Lui mi sussurrava di stare tranquilla e mi accarezzava a testa e la schiena ma io ero troppo impaurita per potermi calmare.
Improvvisamente iniziò a scendere ed io iniziai a congelare per il vento freddo che mi arrivava addosso.
- Non appena nella mia stanza troverai del buon sangue e un letto, mia cara- mi disse. Quelle parole mi fecero rabbrividire. Lui appoggiò i piedi a terra e mi aiutò a trovare stabilità sui miei. Lui era abituato a volare, io non mi sentivo più le gambe e le spalle. Nonostante fosse caldo, io sentivo freddo, forse per il volo. Marcus mi cinse le spalle con un braccio ed iniziammo a camminare dentro il suo palazzo. Era tutto in oro e c’erano numerosissime serve che mi ricordavano Iris. Aveva perso la vita per aiutarci … avremmo vendicato anche lei! Parola mia! Avevo iniziato a credere in me e ciò mi aveva portato a grossi risultati, speravo di riuscire ad averne altri.
- Vuoi qualcosa da bere, tesoro?- domandò girando il mio viso verso il suo. Io mi dimenai e riuscii a fuggire dalla sua presa.
- Voglio Kraven! Nient’altro!-. Lui alzò gli occhi al cielo. Si frugò in una tasca e ne estrasse una chiave. Non appena la vidi mi ci gettai contro ma lui alzò il braccio ed io scivolai.
- Io, te la do, ma tu … ti concedi a me!-
- Cosa?-
***
Scendevamo una distesa di scale di pietra fredde e umide. Arrivammo ad un luogo pieno di prigioni con vampiri morti, affamati o in fil di vita. Cercai di guardare solo dinanzi a me, per non vedere quegli orrori. Pareva un cimitero senza lapidi ma con sbarre di ferro contenenti sostanze ultraviolette in modo che se qualcuno avesse cercato di rompere le sbarre sarebbe morto. Ne passai più di cinquanta da ogni lato ma in nessuna c’era Kraven. Stavo già per perdere la speranza quando Marcus mi appoggiò una mano sulla spalla destra e mi fece voltare.
- Conosci qualcuno di loro? Sai, gli Agenti di Morte di Amelia me li hanno portati come fossero stati premi- guardai quella cella. C’erano quattro persone due delle quali erano stese a terra, forse svenute.
- No …- sussurrai a bocc aperta mentre scuotevo il capo sgranando gli occhi. Mi voltai verso Marcus ed iniziai a tirargli pugni sul petto. Sapevo che non gli stavo facendo nulla ma ero infuriata. Poteva farmi tutto quello che voleva ma la mia famiglia non la poteva toccare. Gli tirai uno schiaffo e poi ricominciai a tirargli pugni.
- Continua pure tesoro, ma ora andiamo!- mi prese per i fianchi e come un sacco mi buttò sulla sua spalla. Uscimmo da quell’inferno mentre io gridavo e mi dimenavo piangendo. Prima di uscire vidi uno dei quattro che si attaccò alle sbarre ed iniziò a gridare il mio nome.
- SOREN! TORNERÒ! TE LO GIURO!-
- Oh ma taci! Loro marciranno lì e tu potrai solo guardarli morire!- Marcus scrollò le spalle ed uscimmo da lì con le porte che si chiudevano davanti ai miei occhi. Marcus mi portò in camera sua. Mi lasciò cadere a terra e chiuse la porta a chiave. Iniziai a sbattere i pugni sul pavimento e a gridare straziatamente. Lui rientrò e mi tirò un calcio in pieno ventre.
- VEDI DI UBBIDIRE ERIKA! CON TE SONO STATO SIN TROPPO BUONO! Al mio ritorno ti voglio pronta!-
- Per cosa?- ansimai tenendomi le braccia attorno allo stomaco. Gli occhi mi bruciavano e mi veniva da vomitare. Soren era disperato mentre gridava il mio nome. Non volevo immaginare cosa Marcus o William gli avessero fatto.
- Per essere mia per sempre, o per vederli soffrire in eterno- capivo a chi alludeva e mi si annodò lo stomaco. Poi richiuse la porta ed io lanciai un fiume di imprecazioni contro di lui. C’era una finestra chiusa da delle sbarre, ma entrava l’aria calda della Grecia. Mi alzai lentamente, ancora dolorante e aggrappandomi alle poche forze che trovavo mi avvicinai alla finestra. Mi aggrappai alle spranghe di ferro arrugginite ed iniziai a guardare il cielo totalmente nero e con solo qualche stella. La luna non c’era. Mi guardai alle spalle, quella camera così spoglia, fredda, senza amore.  Beh … se quella era l’unica soluzione … va bene … ci avrei provato, l’avrei fatto per Michael, Soren, per Selene ma soprattutto per Kraven. Basta tradirlo, in amore o in fiducia! Lasciai cadere tutti i vestiti ai miei piedi.







Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** INEDITO 4 ***



Inedito 4 (parte 1)
- Era Erika! Era lei!-
- E perché non ci è venuta salvare?!-
- Marcus-



Soren diceva di aver visto Erika mentre ero svenuto, e che Marcus l’aveva portata via. Stava di fatto che la mia bimba stava crescendo, maturava di attimo in attimo e presto sarebbe riuscita a salvarci! Ma quanto presto? Perché Selene peggiorava ed il nostro sangue non la saziava più di tanto. Michael la cullava dicendole che presto tutto sarebbe finito ma lei era calma, ciò la aiutava molto ma sicuramente non per ancora troppo tempo. Ne approfittai di quel momento di intimità tra lei e Michael e presi Soren da parte.
- Come stai Kraven?- mi chiese. Non era di questo che gli volevo parlare. Dovevo dirgli la verità su tutto e dovevo farlo prima che succedesse qualcosa per impedircelo.
- Soren. Ricordi quella notte che ti trasformai?- lo guardai con occhi seri, come quando gli avevo proposto di essere morso.
- Si … come dimenticarla … è morta tutta la mia famiglia quella notte, poi sei arrivato tu e mi hai salvato dal mio destino. Mia madre, mio padre, mia sorella … tutti arsi vivi in quel dannato incendio-
- I tuoi genitori ti parlarono mai di quel fratello che scappò di casa quando tu nascesti?- mi guardò corrugando un po’ la fronte.
- Sì ma … tu che ne puoi sapere scusa?- lo presi per le spalle.
- Sono io tuo fratello Soren. Scappai di casa perché nostro padre mi picchiava ma sono venuto a riprenderti! Non volevo vedere la mamma morire senza di me  …-
- Aspetta aspetta aspetta … tu … il mio migliore amico sei …-
- Tuo fratello- gli dissi abbassando lo sguardo. Lui non poteva crederci ed appoggiò la testa alle sbarre chiudendo gli occhi e coprendosi il viso con le mani. Iniziò a scuotere la testa  incredulo e poi mi guardò togliendo le mani.
- Tu non ci hai mai abbandonati quindi …-
- No, mai, ho provato a salvarvi ma tu sei stato l’unico a sopravvivere anche con le ustioni- improvvisamente si strinse a me con forza ed iniziò a singhiozzare. Poi si calmò e mi batté la mano sulla schiena.
- Ed io che credevo di averti perso per sempre- mi disse con la voce che tradiva un po’ d’ironia. Io risi e mi staccai. Gli tirai un pugno su una spalla.
- Sai- cambiò discorso –mi sono baciato Erika durante il nostro viaggio, nel palazzo di Amelia. E abbiamo pure dormito assieme se ti interessa- a quelle parole avrei tanto voluto prenderlo a pugni ma purtroppo non volevo rompere l’idillio così trasformai la rabbia in una risata forzata. lo guardai senza però fulminarlo come avrei voluto ma comunque gli dissi
- Certo che anche mentre mi credete morto, rimani uno stronzo bastardo come sempre-
- Tuo fratello sono, che ti aspettavi?- gli misi un braccio attorno alle spalle e gli sfregai con forza un pugno sulla testa.
- Oh! Questa proprio non dovevi dirla! Appena fuori di qui vedi che ti faccio!-
- Sempre se uscirete di qui!-                    


Inedito 4 (parte 2) 
  
- Oh! Questa proprio non dovevi dirla! Appena fuori di qui vedi che ti faccio!-
- Sempre se uscirete di qui!-
- Marcus!-



Se credevano di riuscire a vivere anche solo un altro giorno quei quattro si sbagliavano di grosso. Avevo mentito a Erika, e quindi? Era il mio mestiere ormai! Avrei avuto lei e mi sarei liberato di loro. Guardavo Selene, ormai quella che era diventata l’eroina di tutti i vampiri avrebbe cambiato nome in leggenda! Perché non sarebbe più esistita. Una forte risata di piacere mi uscì dal petto.
- Cosa credete, di vivere ancora?-
- Che vuoi da Erika?!- sbottò quello che doveva essere il fratello di Kraven, Soren. Che volevo da Erika? Io volevo Erika, volevo tutto ciò che era di lei e volevo poterla toccare come se lei fosse mia, anzi, lei sarebbe stata mia!
- Lei sarà mia, che a voi piaccia o no, tanto domani  sarà il vostro ultimo giorno di vita-
- Sempre che questa sia vita!- gridò il primo di loro che varcò quelle sbarre. Attraverso le spranghe gli tirai un calcio nello sterno e lui cadde indietro iniziando a sputare sangue. Suo fratello si lanciò contro di me ma venne bloccato dalle barre. Io feci un passo indietro sorridendo.
- SEI SOLO UN VIGLIACCO! UN VIGLIACCO! NULLA PIÙ- mi urlò addosso. Lo presi per i capelli e gli feci sbattere forte la testa sulle sbarre. Guardai l’ibrido che stringeva forte la sua compagna tra le braccia.
- E tu? Hai qualcosa da dire?- scosse il capo accarezzando la testa di Selene.
- Bene! WILLIAM!- mio fratello giunse e mi venne accanto. Lo accarezzai e lui chiuse gli occhi.
- Guarda tu questi miserabili, io vado dalla mia principessa- e così detto lo lasciai a guardia della prigione e mi allontanai. Salii le scale. Clio mi si avvicinò con un vassoio con due calici di sangue.
- Hai fatto come ti ho detto?- le sussurrai spostandole le ciocche di capelli dal collo. Lei sorrise maliziosamente.
- Ma certo mio signore- rispose con una vocina suadente che purtroppo detestavo.
- Bene, dammi il vassoio- le ordinai. Lei me lo porse ed io, non appena lo presi, iniziai a dirigermi verso la mia stanza. Giunsi alla porta e tenni il vassoio sul ginocchio piegato con una mano. Con l’altra iniziai a cercare le chiavi nella tasca. Appena le trovai feci girare quella giusta nella serratura. Con le spalle entrai in camera.
- Ehi, principessa- sussurrai a bassa voce in modo sensuale, per non farla spaventare più di quanto già lo fosse. La mia piccola non doveva aver paura di me ma ancora non si fidava. Avrei dovuto fare molta strada ma intanto era mia succube, non aveva altra scelta poiché credeva alle mie menzogne. Ma quando  entrai in camera la trovai nuda sul mio letto, con una coperta dai fianchi in giù, che dormiva come un angelo. Rimasi a bocc aperta. Era così bella che non riuscivo a non pensare a strane immagini di lei. Senza rendermene conto il vassoio mi scivolò dalle mani ed i due calici andarono in frantumi. Lei si svegliò con un gridolino e si mise una mano sul cuore, spaventata.



Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Quattordici anni nel passato ***


Versai una lacrima
Mi stesi sotto le coperte
Aspettavo sperando che quel momento non arrivasse



Lanciai un grido e mi svegliai. Il cuore batteva forte per lo spavento. Mi ero appena calata nel sonno ma forse era stata una fortuna essere svegliata perché i sogni stavano diventando terrificanti incubi. Vidi Marcus che mi guardava ammaliato ed arrossii. Tirai un po’ più su le lenzuola per coprirmi interamente. Gli era caduto un vassoio con due calici e c’era il pavimento pieno di sangue.
- Scusa … io … io non volevo … svegliarti … eri così bella- provò a scusarsi mentre raccoglieva il vassoio ed i pezzi di vetro sparsi.
- Non importa, ci metto poco a riaddormentarmi …- abbassai lo sguardo su quella distesa di sangue e deglutii, avevo sete.
- Perché? Vuoi dormire ancora? Perdonami ma ora tu farai ciò che ti dico!- esclamò puntandomi un pezzo di vetro contro. Chiusi gli occhi.
- Perdonarti? Dopo tutto ciò che hai fatto, non credo lo farò- gli risposi con del risentimento nel tono di voce. Mi guardò fulminandomi e lanciò il pezzo di vetro a terra, frantumandolo più di quanto già non fosse.
- Ascoltami bene Erika, tu ora sei mia! Non c’è nulla che puoi fare! I tuoi amici sono spacciati e lo sarai anche tu se non seguirai i miei ordini!- mi gridò.
- Ma tu avevi detto che …-
- Oh andiamo! Davvero mi credevi?- rise forzatamente mettendo le mani ai fianchi con aria superiore. Venne sul letto e si distese in parte a me. Io mi buttai sul cuscino ed iniziai a piangere disperatamente. Mi aveva ingannata, non c’erano più speranze. Avrei preferito morire che vivere la mia esistenza con lui.
***
- Non hai proprio intenzione di rifarti una vita Erika? Sono tanti quattordici anni, e ancor di più l’immortalità che ti sta di fronte. Vuoi sprecarla in questo modo?-
- Se amare vuol dire sprecare la vita allora sì, la voglio sprecare-
- Erika, amare una persona che sia ancora tra noi. Lui ormai non c’è più, devi fartene una ragione!-

***
Ed invece lui c’era, lui era ancora vivo, ed arrivata ad un passo da lui l’avrei perso per sempre! Sarebbe morto davvero. Allora l’avrei raggiunto. Se ci fosse stata un’altra vita al di là della morte, l’avrei incontrato lì. A quei pensieri mi sentii fragile. Le mani mi tremavano e mi sentivo stanca. Volevo solo poter chiarire tutto con lui e se alla fine non fosse cambiato sapevo di averci almeno provato.
- Cosa c’è principessa? Ehi, non piangere- mi prese per sotto le braccia ed iniziò a cullarmi. Ero arrotolata nelle coperte e lui non aveva nemmeno provato a toglierle. E se invece fossi riuscita a ragionarci assieme, senza gridare o farmi uccidere? Se fossi riuscita a riportare tutti a casa? Con il pollice mi asciugò le lacrime.
- Erika, dimmi cosa c’è! Non voglio che tu soffra! Ti renderò felice, promesso- deglutii e ricacciai dentro le lacrime per non mostrarmi troppo fragile.
- Ci lasceresti mai tornare a casa nostra?- gli domandai con voce languida e tremante. La sua fronte si corrugò e notai che i muscoli delle sue braccia iniziarono a gonfiarsi. Mi buttò a terra ed io lanciai un grido dal dolore. Ero sempre rimasta attaccata alle lenzuola e quindi ero ancora coperta ma lui non ci avrebbe messo molto a svestirmi. Si alzò dal letto infuriato ed iniziò a tirare calci ad ogni cosa gli capitasse dinanzi.
- PERCHÉ AMI LUI E NON ME? COS’HA CHE IO NON HO? IO SONO PIÙ POTENTE! IO SONO PIÙ …- poi girò lo sguardo e mi guardò. I suoi occhi, da perfidi che erano, iniziarono a calmarsi fino a diventare del loro colore originale. Io singhiozzavo e mi asciugavo le lacrime con le lenzuola.
- Erika …- sussurrò lui. Mi si avvicinò. Si accucciò al mio fianco e mi accarezzò la testa.
- Rispondi per favore … perché lo ami?- il suo tono era calmo e non voleva spaventarmi. Io cercai di placare i singhiozzi ma non ci riuscivo. Dovevo avere gli occhi rossi dalla disperazione. Erano quei momenti che avrei fatto tutto pur di smettere di piangere perché sapevo che mai avrei risolto qualcosa.
- Io … non lo so! L’amore non si può spiegare! Io lo amo e basta! Ho fatto un errore e vorrei rimediare ma ormai tutto è finito!- gridai con la voce smorzata dal dolore. Marcus si alzò ed andò alla finestra. Non smettevo di guardarlo sapendo che presto o tardi sarebbe uscito da quella stanza e avrebbe ucciso tutte le persone alle quali io tenevo veramente. In quel viaggio avevo imparato molto. Il mio rapporto con Selene era vero e sapevo che saremo state amiche per sempre, qualsiasi cosa fosse successo. Michael era una persona splendida, bisognava solo saperla cogliere nel verso giusto e nonostante avessimo litigato per tutto il viaggio, mi aveva insegnato molte cose. Riguardo a Soren … non c’erano parole per descriverlo. Lui era come un diario per me, l’unico capace di capirmi e di ascoltarmi, quello che si può chiamare migliore amico. Ed io … avevo capito di non essere la persona che credevo, e l’avevo dimostrato e se anche tutto fosse finito ad attimi, qualcosa nel mio cuore sarebbe sempre rimasto. Abbassai lo sguardo e lasciai che una lacrima scendesse fino a terra, non avevo intenzione di asciugarla. Improvvisamente Marcus mi lanciò qualcosa addosso. Mi scansai ma capii che il suo intento non era colpirmi. Presi quell’oggetto marrone ramato e notai che erano un mazzo di chiavi. Le presi.
- Cosa vuoi dire con queste?- gli domandai con voce atona. Lui non si voltò e rimase a guardare fuori.
- Lo sai Erika, ho capito che se ti amo davvero … devo lasciarti andare- sospirai profondamente.
- Ciò che fai ti da’ onore-
- NON DRIMI COSA MI DA ONORE ERIKA! Per piacere! Vattene e basta!- seguii i suoi ordini. Non volevo più stare lì. Presi i miei vestiti, li indossai e mi diressi alla porta. Lo guardai un’ultima volta.
- Addio Marcus …- e così detto uscii. Mi appoggiai al muro con la schiena e sorrisi. Avevo vinto. Avevo vinto quella sfida! Avrei avuto nuovamente tutti quanti! Nessuno di noi sarebbe morto! Ma in quello stesso momento udii Marcus gridare di rabbia e distruggere qualcosa. Poi udii il vento. Aprii immediatamente la porta: la finestra prima sbarrata ora era aperta. Lo vidi, lontano nel cielo, volare lontano. Con la mia felicità qualcun altro soffriva. Non era ciò che volevo ma era l’unico modo per liberare la mia famiglia. Mi lasciai quella stanza alle spalle e scesi sino alle prigioni.
***
Camminavo in quel lungo corridoio buio e lugubre, freddo, mentre tutti i detenuti si attaccavano alle sbarre pregandomi di farli uscire. Io … avrei voluto ma non potevo.  Non sapevo se fossero tutti lì per i continui capricci di Marcus o se fossero veri criminali. Non mi potevo fidare. Andai dritta per la mia strada. Mi guardavo attorno cercando la “loro” cella ma non riuscivo a trovarla.
- Erika!- sentii gridare improvvisamente. Iniziai a correre seguendo il suono di quella voce. Soren, Soren, Soren! Era lui! Correvo cercandolo, cercando lui e tutti gli atri sino a che non scorsi la sua mano attaccata ad una sbarra della cella. William non c’era, Marcus doveva aver fatto qualcosa a mia insaputa. Senza perdere tempo infilai la chiave nella serratura e con le mani sudate e tremanti la girai. Un giro, due giri, tre giri, quattro, cinque, sei, sett … click, la apro. Mi gettai tra le braccia di Soren stringendolo più forte che potevo. Da quando eravamo partiti per dividerci parevano passati secoli e lui mi era mancato terribilmente. Poi Michael si fece avanti. Mi staccai da Soren e lo fissai per qualche attimo. Nessuno dei due voleva fare la prima mossa ma smisi di fare la bambina e lo strinsi forte.
- Oh Michael … sono così …- mi bloccai. Davvero lo stavo per dire?
- Anche io Erika- mi disse senza continuare quell’assurda pantomima. Lo strinsi per un’ultima volta e poi lo lasciai. Vidi Selene venire verso di me un po’ traballante ma pareva molto più in forze di quando l’avevo lasciata. Ci prendemmo le mani e ci abbracciammo. Poi lei si staccò. Mi fissò negli occhi.
- Credo, Erika, che tu stia fremendo e non per salutare noi- disse con un tono serio. Poi si scansò. Lo vidi. Lui, era lui. Misi una mano sulla bocca per non gridare. I capelli neri, ricci, il viso con il mento marcato, le labbra rosee, il suo corpo da dio greco ed i suoi occhi, i suoi occhi grigi screziati di indaco. Tutti gli altri si allontanarono. Lui invece si avvicinò ed anche io a lui. Facemmo tre passi a testa. Eravamo con la bocca schiusa, pronti a dire tutti e due qualcosa, lui molto probabilmente qualcosa di scortese come suo solito ma … lui recitava quella parte. Improvvisamente lui aprì le braccia, come se volesse abbracciarmi ma io più rapida estrassi la lettera. Gliela sventolai dinanzi agli occhi. Lui la guardò a bocca aperta e la prese con violenza, quasi strappandola. La rilesse. Vedevo le sue pupille che si muovevano frenetiche. Poi alzò lo sguardo su di me.
- Che vuoi dire con questa?- la sua voce, la sua voce che ricordavo ancora in ogni minima sfumatura. Intuivo tutti i suoi pensieri solo dal suo tono di voce, Kraven, quel Kraven che una volta era stato solo mio.
- Perché non me ne hai mai parlato?- gli domandai stupita, senza sapere che altro dire. Erano quattordici anni che non ci vedevamo e senza nemmeno salutarci gli chiedevo il perché di tutti quei secoli di odio e rimorso, rimpianto, dolore e gelosia, di un rapporto non basato sul dialogo che ci aveva portati alla rovina.
- Mai parlato Erika? MAI PARLATO? TU NON TI SEI PRESENTATA QUELLA NOTTE! COSA POTEVO CREDERE?- gridò tanto da farmi trasalire, come quando in passato gridava ed io tremavo di paura dinanzi alla sua espressione che si contorceva.
- Kraven, Erika! Sono quattordici anni che non vi …- Selene provò ad intervenire ma Kraven alzò una mano per dirle di tacere.
- Perché non mi hai chiesto spiegazioni, Kraven?- gli domandai con le lacrime agli occhi.
- Perché se tu mi avessi amato, l’avresti letta subito!- sbracciava come quando era infuriato ma non voleva esplodere.
- Non sapevo che era tua!- provai a salvarmi ma sapevo di aver sbagliato. Chiuse un pugno e alzò l’indice.
- No Erika, ora mi dici quando l’hai trovata quella lettera- a quelle parole gli occhi mi si riempirono di lacrime e mi voltai. Immaginai il suo viso che si distendeva e rimaneva a bocca aperta.
- Aspetta un momento, tu l’hai appena trovata!- mi accucciai a terra per non svenire e mi coprii il viso.
- Non ho nient’altro da dirti- sussurrò e lo sentii stropicciare la lettera. Me la buttò dinanzi agli occhi. I suoi passi si allontanarono. Soren e Selene provarono a fermarlo ma non ci riuscirono. Improvvisamente mi alzai. Lui era di spalle che camminava verso l’uscita. Presi fiato.
- Sai Kraven, ho resistito secoli sopportando ogni tuo capriccio, ogni tua voglia, e non mi spaventavano. Ho sopportato secoli te che correvi dietro a Selene e ho resistito, non avevo paura di perderti, tanto ti avevo già perso. C’è una cosa che mi spaventava più di tutte le altre! La morte è l'unica cosa che riesce a spaventarmi. La detesto perché oggi si può sopravvivere a tutto tranne che a lei. E tu eri morto, ed io sono partita da …- mi interruppe voltandosi con cattiveria.
- Non usare Dorian Gray per provare a calmarmi Erika! Conosco i tuoi tranelli e ormai ti conosco sin troppo bene! Fai sempre l’angioletto e la bambina innocente per provare a calmarmi o a farmi tornare da te, ma sai qual è il problema?- mi guardò aspettando la risposta che non arrivava così rispose da solo. –Il problema è che qualsiasi persona tu addotta è sempre ingenua. Ingenua sei ed ingenua resterai Erika, e se tu non lo fossi io e te saremo assieme, sposati con dei figli ed io forse non sarei il traditore che sono!-
- Oh! Quindi è colpa mia se lo sei?- gli gridai addosso.
- Sai, quando certe persone sono depresse si affogano nell’alcool e nel fumo. Noi non possiamo perché non ci fanno nulla quindi o ci suicidiamo o ci alleiamo con il nemico, sai io ho scelto la seconda e se non è totalmente colpa tua almeno una parte sì. Quella notte, quel 14 febbraio, ti ho aspettata per ore e ore e non sai quante cose mi sono passate per la testa! Ho pensato che ti fosse accaduto qualcosa, che Viktor ci avesse scoperti e che ti avesse chiusa in camera, che tu fossi con un altro e da lì ho pensato che non ti interessava nulla di me così sono rimasto un’altra ora, e poi? Cosa ci ho guadagnato? Nulla!- dopo aver pronunciato l’ultima parola con tutta l’amarezza che un’anima può contenere e se ne andò.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Epilogo ***


Un anno dopo …



Era passato un anno da quando ero partita da Budapest per andare a studiare all’università di Cambridge. Ero riuscita diplomarmi a pieni voti. Avevo pensato fosse l’unico modo per passare un po’ di tempo da sola e per rifarmi una vita. Avevo trovato molti nuovi amici ma non avevo ancora una famiglia. Non avevo mai smesso di pensare a come mi ero divisa da Kraven e questo mi aveva bloccata spesso negli studi ma ero riuscita ad andare avanti. Ero tornata da una settimana a Budapest e quella sera si sarebbe tenuta una festa delle nostre solite.
Cercavo un abito nel mio armadio mentre tenevo un asciugamano attorno al corpo poiché dovevo ancora svuotare le mie valige e quindi non avevo nessun accappatoio. Guardai in profondità del mio armadio ma non riuscivo a scegliere che vestito indossare. Sbuffai sonoramente e mi distesi sul letto scoraggiata. Ero appena tornata e già mi stavo stressando a trovare un abito! Era così ingiusto! Poi mi ributtai nel guardaroba e provai a guardare meglio. Quello rosso era troppo natalizio, quello bianco l’avevo usato da Amelia e non ricordavo dove averlo lasciato, quello nero con le pailette era troppo elegante ma quello blu brillanti nato con le balze ed il corpetto stretto con lo scollo ed i guanti abbinati … era perfetto! Velocemente corsi in bagno e mi levai l’asciugamano. Scelsi l’intimo accuratamente in modo che non fosse in contrasto con l’abito e poi indossai finalmente il vestito. Lasciai i capelli sciolti e ne tirai su una ciocca con una pinzetta a forma di rosa blu. Un filo di trucco e sarei stata perfetta.
***
Uscii dalla mia stanza. Traballavo un po’ sui tacchi troppo alti ai quali non ero più abituata. Mi tenni il vestito leggermente alzato con le mani in modo da vedermi i piedi, per paura di inciampare. Il tappeto rosso per tutto il corridoio mi complicava un po’ le cose. In parte a me passò qualcuno. Non ci feci caso e continuai a camminare.
- Almeno solitamente mi degnavi di uno sguardo, pur senza parlare- alzai la testa e lo guardai. Kraven … era lui … quella settimana ci guardavamo ma non ci eravamo più parlati.
- Tanto, a cosa serve guardarti se poi non ci parliamo?- gi domandai smettendo di camminare. Eravamo uno di fronte all’altro e fissarci senza saper cosa dire.
- È per questo che ci siamo lasciati, giusto?-
- Non voglio tornare su questo argomento, Kraven. L’ultima volta mi hai fatta rimanere sin troppo male-
- Ah beh Erika! Ed io? Ed io quella notte?- gli misi un dito sulle labbra. Al loro contatto … trasalii. Così morbide, bagnate. Chissà se in quell’anno aveva mai baciato qualcun’altra, se si era fatto una vita.
- Non voglio litigare Kraven, scusa. Diciamoci addio una volta per tutte- la voce mi si spezzò.
- So che non vuoi …- mi nascondeva qualcosa, come se nemmeno lui volesse. Eppure lui amava Selene. Beh non avrebbe più avuto i miei servigi quindi qualcosa ci avrebbe perso, ecco tutto.
- Kraven! Certo che non voglio! Come puoi pensare che ti voglia dimenticare? Sei sempre stato la mia vita e …-
- La festa sta per cominciare- mi interruppe. Abbassai lo sguardo. Sapevo che non gli interessava nulla di ciò che pensavo. L’unica cosa che gli sarebbe mancata sarebbe stato non avermi più a leccargli i piedi. – Ci vediamo giù- e così detto scese e scale e prese posto su un divano. Sospirai. Non volevo andare a quella dannata festa. Avevo il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio. Non mi andava di festeggiare. Scesi comunque e mi sedetti su un tavolo dalla parte opposta a Kraven, più lontana possibile da lui e dalla nostra travagliata storia. Si beveva, si rideva, si parlava. Selene e Michael erano in un angolo della sala, ovviamente vestiti lei in latex e lui con jeans e T-shirt. Che poteva importare a loro se stavano combattendo o se erano ad una festa? L’importante era stare assieme. Soren e mia sorella avevano una bellissima storia d’amore e Zsuzsa aspettava mio nipote da ormai tre mesi. Erano così felici e si scambiavano baci ed effusioni in continuazione. Sospirai, felice per loro e triste per me. Pareva che tutti fossero beatamente sistemati, tranne io. Viktor se l’era messa da parte ed ora frequentava un corso di scherma con Selene. Pareva si divertisse e lo distrasse dal suo dovere. Era tutto così perfetto. Ma a me ancora mancava quella storia d’amore che avevo avuto all’inizio della mia seconda vita. Tutti si alzavano pian piano e facevano i loro discorsi ma io ero distratta e non ne coglievo nemmeno una parola di tutto ciò. Non mi importava. Ma non ero l’unica a sembrare distratta, perché Kraven guardava altrove giocando nervosamente con una sigaretta. Pareva quasi che cercassimo di non incrociare i nostri sguardi. Presi un bicchiere di sangue ma ero nauseata e lo rimisi subito a posto. Improvvisamente Kraven si alzò con un gesto brusco ed uscì dal palazzo. Non aspettai un secondo, il mio istinto mi diceva di seguirlo ed anche il mio cuore e per una volta anche il cervello mi diceva di seguire il cuore. Così feci. Mi alzai provando a non dare nell’occhio e con delicatezza uscii. Pioveva. C’era un orribile temporale con lampi e tuoni. Lui dov’era? Non sapeva guidare quindi non poteva essersene andato se non a piedi ma non avrebbe comunque dovuto essere troppo lontano. Tutt’un tratto decisi di andare dietro ad Ordoghaz e lì lo trovai. Stava con la schiena curva tenendosi con le mani stretto alla recinzione del nostro vecchio gazebo arrugginito.
- Perché te ne sei andato?- gli gridai poiché la pioggia causava un rumore insopportabile. Lui non rispose. Gli andai accanto e gli appoggiai una mano sulla spalla. Lo sentii singhiozzare.
- Kraven …- sussurrai.
- Ho passato quattordici anni a ripensare ai miei errori, ai miei sbagli e mi ero ripromesso di non farne più, di non farti mai più soffrire, e poi, appena sei arrivata, abbiamo subito cominciato a litigare- si voltò verso di me. Non capivo se quelle sulle guance fossero lacrime o gocce di pioggia.
- Ho passato quattordici anni a pensare, Erika, a pensare a te! Perché io ti amo! E non ho mai smesso di amarti! E se ci siamo divisi e stata colpa anche mia! E non solo tua! Sono solo un’egoista e tutto ciò che ti ho detto … non era vero! Volevo difendermi da questo amore brutale! Ma ho capito che possiamo ricominciare, io e te, un rapporto basato sull’amore, su noi due, su un dialogo di fiducia- dopo quelle parole lo fermai, non doveva dire altro. Era come se il tempo non fosse mai passato, come se fossimo scappati da quella dannata riunione di Viktor per correre sotto la pioggia nel nostro posto e d’un tratto il gazebo non era arrugginito e Kraven … non mi aveva mai lasciata. Gli saltai addosso e lo baciai. Entrammo nel gazebo e continuammo a baciarci per colmare quel vuoto di secoli privi d’amore che pian piano era come se non fossero mai esistiti.
___________________
 va bene ragazzi, questa fic è finita, e sono qui per ringraziarvi, tutti! Grazie a chiunque abbia seguito, chiunque ci sia capitato anche solo per sbaglio, chiunque abbia gradito e chiunque voglia tirarmi pomodori! Grazie! E sopratutto grazie a mathily! Lei ha seguito ogni capitolo e la voglio ringraziare, un bacione kika! Spero vi sia piaciuta ... magari potete farmelo sapere con un commentino <3 un bacione, e spero a presto, la vostra Ale_kiss_



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1278765