Merletto di Mezzanotte di Alexandra_ph (/viewuser.php?uid=165023)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** MAC ***
Capitolo 3: *** Solo per una notte ***
Capitolo 4: *** HARM ***
Capitolo 5: *** I say love it is a flower... ***
Capitolo 6: *** HARM ***
Capitolo 7: *** MAC ***
Capitolo 8: *** Some say love it is a hunger... ***
Capitolo 9: *** HARM ***
Capitolo 10: *** MAC ***
Capitolo 11: *** Just remember in the winter... ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
Disclaimers
: Il marchio Jag
e tutti i suoi personaggi appartengono alla
Bellisarius Production.
In
questo racconto sono stati usati senza
alcuno scopo di lucro.
Merletto
di Mezzanotte
Nota dell’autrice:
La nostalgia
gioca spesso
brutti scherzi: “costringe” a rivedere, e a rivedere ancora, puntate su
puntate
per sopperire alla mancanza del proprio telefilm preferito.
Anche
l’immaginazione gioca
spesso brutti scherzi: ad ogni replica nuovi scenari si aprono, nuove
domande
affollano la mente, e tutto ad un tratto ecco che prevale la rabbia nel
vedere,
per l’ennesima volta, sguardi che si parlano ma parole che non sono
pronunciate, cuori che si amano ma menti e corpi che si respingono.
“E se…?”.
Quante volte
me lo sono
domandato, ogni volta in cui sembra stia per accadere qualcosa e poi
quel
qualcosa non accade, rimandato ancora, per l’ennesima volta, ad un
finale che,
personalmente, non mi ha soddisfatto per niente.
E così anche
la fantasia comincia
a giocare brutti scherzi: alla mente giungono delle immagini e, da
queste
immagini, ecco che scaturiscono anche delle parole, e con le parole una
storia,
che non è quella raccontata dal telefilm, ma neppure un’altra.
E’ un
“qualcosa” di diverso,
ma al tempo stesso una vicenda conosciuta.
E’ un
racconto che parte da
un inizio “alternativo” (ma chi dice che sia solo fantasia? Chi dice
che la
trama non avrebbe potuto essere proprio questa?), procede attraverso il
tentativo di dare una spiegazione a certe scelte e a tutti quei silenzi
che
hanno costellato la storia d’amore tra Harm e Mac, ed infine propone un
finale,
che forse non risulta essere neppure questo ciò che ognuno di noi ha
sognato,
ma di sicuro piace all’autrice molto di più dell’originale.
Quest’anno ho
voluto cambiare
(del resto dovevo ben far passare il tempo mentre ero chiusa in casa,
ammalata,
per quasi tre settimane!): non solo un racconto di Natale, ma anche un
piccolo “regalo”
per il nuovo anno, una storia che sa di “vecchio”, ma anche di “nuovo”.
Il mio
personale augurio a
tutti voi di un Buon 2008!
Alexandra
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Capitolo 2 *** MAC ***
Era nervosa e lo sapeva.
Troppo nervosa.
Si infilò le calze velate,
nere, che avrebbero reso la sua mise
ancora più seducente. Fortunatamente ne aveva acquistate due paia: il
primo era
già riuscita a smagliarlo.
La sottoveste in seta, nera
come l’abito che avrebbe indossato, si
tendeva sul petto, rivelando l’assenza del reggiseno. Era un azzardo,
lo
sapeva: con le misure che portava, non avrebbe potuto permettersi di
indossare
alcunché senza reggiseno, ma quella serata sarebbe stata un azzardo in
tutto e
per tutto… uno in più non avrebbe fatto la differenza.
O forse l’avrebbe fatta,
finalmente.
Si guardò allo specchio e
ritoccò leggermente il trucco. Il livido
sulla fronte stava scomparendo, ma per quella sera era meglio farlo
sparire
artificialmente del tutto. Già così era nervosa a sufficienza… sapere
di non
essere al meglio, l’avrebbe fatta sentire ancora più impacciata e non
ne aveva
proprio bisogno.
Fortunatamente si era ripresa
rapidamente dall’incidente e anche il
dolore alle costole era finalmente scomparso; proprio quel mattino il
medico
che l’aveva visitata le aveva detto, sorridendo, che non sembrava
neppure che
soltanto una settimana prima aveva quasi visto la morte in faccia.
Forse era stato proprio quello
a farle prendere la decisione che la
stava rendendo tanto nervosa.
Accertato che si era
completamente ristabilita, uscita dall’ospedale
si era diretta in centro, nella sua boutique preferita, quella per le
occasioni
importanti, e si era fatta consigliare dalla commessa per una serata
speciale.
Più tardi, in ufficio,
vedendola arrivare con due borse dell’elegante
negozio, Jennifer le aveva domandato cosa avesse comperato.
“La mia mise
sexy per questa sera” aveva risposto, sorridente.
“Una serata speciale?” si era
sentita chiedere da Harm, che aveva
ascoltato lo scambio di battute tra lei e il sottufficiale.
“Harm, è l’ultimo dell’anno e
ho voglia di festeggiare… Nessuna bionda
da accompagnare alla festa?” gli aveva domandato, sarcastica.
“Né bionda, né rossa, né…
bruna” aveva risposto lui, soffermandosi un
attimo in più sulla parola “bruna” e rivolgendole un lungo sguardo
mentre la
pronunciava.
Lei si era sentita il cuore in
gola.
“Ti vedremo arrivare tutto
solo, quindi?”
“Già… A quanto pare, invece,
tu hai dei programmi con qualcuno…”.
“Già… dei programmi… con
qualcuno”.
“Qualcuno che conosco?”.
“Può darsi…”.
“Non mi dirai che hai ripreso
a frequentare Webb? Dopo come ti ha
mentito, ha avuto il coraggio di rifarsi vivo? E tu…”.
“Harm!”
“Ok, ok… non sono affari miei,
come non detto. Divertiti”.
E con quell’augurio sarcastico
e secco, s’era voltato e se n’era
andato dall’ufficio, senza neanche darle il tempo di aggiungere una
parola.
Ma non si sarebbe fatta
rovinare la serata dal suo malumore e dalla
sua gelosia.
Aveva deciso che quella
sarebbe stata una serata memorabile, molto,
molto speciale.
Voleva tornare a sorridere,
finalmente. A sentirsi felice, viva, come
una sola volta in vita sua si era davvero sentita così.
Ne aveva abbastanza di
congelare la propria vita, di sbagliare un uomo
dopo l’altro, di farsi mille problemi e domande.
Rivoleva ciò che aveva provato
una notte, una sola notte di tanti,
troppi anni prima.
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Capitolo 3 *** Solo per una notte ***
Capitolo
1
Solo
per una notte
Il locale, un
pub che le
aveva consigliato l’albergatore, era molto caratteristico, in tono con
la
piccola cittadina sulla costa che aveva scelto come meta per
trascorrere il
week-end. Erano appena le nove di sera e non era ancora affollato,
tuttavia vi
era già della musica di sottofondo e le luci erano soffuse.
L’arredamento,
completamente in legno e ottone, ricordava l’interno di una nave da
crociera.
Si stava
guardando attorno,
meditando nel frattempo se ordinare un bicchiere di vodka ghiacciata.
Aveva una
disperata voglia di un sorso di liquore; avrebbe attenuato l’ansia che
si stava
lentamente impadronendo di lei. L’idea del nuovo incarico, che
l’attendeva a
Washington il lunedì successivo, la stava agitando più del dovuto.
Inspiegabilmente
era come se si sentisse che, in un modo o nell’altro, quel nuovo
incarico le
avrebbe cambiato la vita.
Certe
sensazioni la
turbavano… faticava ancora a gestirle, sebbene fosse ormai abituata ad
averle
ogni tanto e nei momenti più impensati. Questa volta, però, era
diverso: non
una sensazione di pericolo imminente, semplicemente una sorta di
aspettativa,
come se a breve tutte le sue sicurezze (quelle poche che faticosamente
aveva
conquistato negli anni) sarebbero state messe a dura prova da qualcosa.
O da qualcuno.
Era stata
cambiata di
assegnazione, cosa normalissima nel suo ambiente. Le avevano detto che
avrebbe
lavorato in un’ottima squadra. E le poche informazioni che era riuscita
a
recuperare prima di partire, l’avevano rassicurata. La sua esperienza
ne
avrebbe tratto giovamento e la sua carriera, probabilmente, altrettanto.
Allora perché
queste strane
sensazioni?
Forse perché,
da tempo, si
sentiva troppo sola.
Erano mesi
che non godeva del
contatto con un uomo. Di quella sensazione di intimità fisica ed
emotiva che
annebbia i sensi e fa vibrare il cuore. Ma non c’era tempo per una
storia
importante. Non c’era tempo per nulla, da parecchie, troppe settimane.
Neppure per
una notte di solo
piacere, senza alcun impegno.
Ma
cosa andava a pensare? Doveva essere proprio arrivata al limite…
Cercò di
superare, con la
solita forza di volontà, il desiderio di vodka e ordinò dell’acqua
tonica.
Si portò il
bicchiere alle
labbra, aspirando il profumo della fettina di limone che
l’accompagnava… con un
po’ di fantasia poteva immaginare che vi fosse il liquore trasparente,
grazie
al sentore dell’agrume.
Individuò in
un angolo un
tavolino particolarmente appartato e decise di trasferirsi lì, per
abbandonarsi
alla musica e ai pensieri.
Si era appena
seduta quando
nel locale entrò un uomo. Dopo che si fu avvicinato al bancone lo sentì
chiedere
una birra; poi lo vide sedersi ad uno degli sgabelli, mentre attendeva
che gli
servissero l’ordinazione.
Poteva
osservarlo di spalle e
notò immediatamente che aveva un bel fisico. Era molto alto, il torace
ampio e
i fianchi stretti.
Non appena
gli fu servito il
boccale di birra alla spina, egli si voltò, appoggiando la schiena al
bancone e
allungando pigramente davanti a sé le gambe lunghe e muscolose.
Portandosi il
bicchiere alle labbra sorseggiò il liquido biondo, mentre con gli occhi
si
guardava attorno. Quando posò lo sguardo su di lei e si accorse che lo
stava
fissando, smise per un attimo di bere e le rivolse un sorriso.
Lei si sentì
improvvisamente
mancare il fiato: il sorriso di quell’uomo era incredibilmente sexy e
rendeva
ancor più affascinante il bel volto maschio che la stava osservando.
Senza
distogliere lo sguardo,
continuò a fissarlo, portando a sua volta il bicchiere alle labbra.
Egli fece
altrettanto e per alcuni secondi rimasero a guardarsi.
Il momento
magico fu spezzato
dall’ingresso di un gruppetto di quattro uomini che ordinarono da bere
e poi si
diressero ad un tavolo dal lato opposto al suo; osservò anche gli
ultimi
arrivati, ma nessuno reggeva il confronto con l’avventore alto e bruno,
dal
sorriso speciale.
Poco dopo
entrarono altre
persone, qualche uomo e alcune donne… il locale si stava lentamente
riempiendo.
L’affascinante
sconosciuto
era ancora al bancone, ma ora le dava la schiena e poté osservarlo con
calma.
Indossava una camicia bianca, ampia, dal taglio sportivo, e un paio di
jeans
sbiaditi. Ai piedi portava scarpe da jogging e una felpa blu era posata
in
grembo.
Due donne,
appena entrate, lo
puntarono immediatamente. Gli si affiancarono, cercando di farsi
notare; egli
rivolse loro un sorriso e scambiò qualche breve battuta, senza tuttavia
prestar
loro troppa attenzione.
Continuava a
guardarsi
attorno e, ritornando a posare pigramente lo sguardo su di lei, le fece
un
breve cenno col bicchiere. Le due donne se ne accorsero e seguirono il
suo
sguardo, individuandola. Le vide irrigidirsi per un attimo, ma poi
ripresero a
parlare e a flirtare con lui.
Ad un tratto
una delle due,
la rossa, lo invitò a ballare: gli aveva preso la mano e faceva cenno
col capo
alla piccola pista dal lato opposto, dove alcune coppie già danzavano.
Egli,
tuttavia, rifiutò. Lo
vide scuotere leggermente la testa e dire qualche parola alla donna;
lei sembrò
delusa, ma poco dopo entrambe si avvicinarono al gruppetto dei quattro
uomini
che erano entrati dopo di lui, e fu lasciato solo. Per nulla turbato,
ordinò
una nuova birra e
poi si alzò,
dirigendosi dalla sua parte.
Fece solo
pochi passi per
raggiungerla, tuttavia furono sufficienti perché lei potesse osservare
l’eleganza
dei suoi movimenti.
Non le chiese
il permesso di
sedersi. Lo fece e basta. E continuò a guardarla con lo stesso sguardo
di
fuoco, mentre sorseggiava pigramente la birra ghiacciata. Lei si sentì
turbata
da quello sguardo, ma continuò ad osservarlo a sua volta, come
incatenata da
quegli occhi magnetici dei quali ora, che erano più vicini, poteva
scorgerne il
colore: grigi, con una lieve sfumatura verde. Ma da quanto erano
profondi era
certa che, in momenti di particolare coinvolgimento emotivo, avrebbero
potuto
assumere la cupa tonalità del blu della notte.
Si accorse di
desiderare di
poter assistere ad uno di quegli attimi, per leggere in quegli occhi
l’intensità del desiderio… pur non conoscendolo affatto, qualcosa in
lui le
faceva supporre che potesse essere un uomo animato da forti passioni.
Era davvero
bello. E aveva
mani grandi, lunghe, dalle dita perfettamente curate.
Ad un tratto
lui parlò, e lei
poté osservare compiaciuta che anche la sua voce era piacevole,
profonda, quasi
sexy.
“Vuoi
ballare?”
Si rivolse a
lei fin
dall’inizio come se la conoscesse da tempo.
“Credevo che
non ne avessi
voglia…” rispose, alludendo al suo rifiuto di poco prima.
“Ho voglia di
farlo con te,
non con lei” precisò lui, subito pronto.
Esitò un
attimo. Ballare con
lui… essere tra le sue braccia… avrebbe potuto condurla altrove. Ma in
fondo
non era ciò che aveva desiderato, quando lui non era ancora entrato nel
locale?
Nel frattempo
si era alzato e
le stava porgendo la mano, per nulla preoccupato dalla sua esitazione.
Sembrava
fin troppo sicuro di sé. Invece che infastidirla, come sarebbe accaduto
con
qualunque altro uomo, una volta tanto quella sicurezza le piacque. La
trovò intrigante.
Si alzò anche
lei e mise la
mano nella sua. Il contatto con la sua pelle le procurò un senso di
calore in
tutto il corpo, piacevole e conturbante. Lo seguì sulla pista e si
lasciò
prendere tra le braccia, mentre la musica improvvisamente diventava
lenta e
sensuale.
Lui la
strinse forte a sé,
forse più di quanto il ritmo stesso richiedeva. Le sue mani grandi,
calde,
erano fin troppo intime sulla sua schiena, una premuta in centro, tra
le sue
scapole, l’altra decisamente più in basso, a farla aderire maggiormente
ai suoi
fianchi.
Lei sollevò
lo sguardo, quasi
a cercare nei suoi occhi una risposta a quel comportamento un po’
sfacciato… ma
in fondo non le importava granché sapere perché la stava stringendo
come se
volesse farla sua proprio lì, in quel locale. Le piaceva la sensazione
che le
stava trasmettendo quel suo abbraccio possessivo; in pochi secondi
aveva fugato
tutte le sue preoccupazioni e le aveva trasmesso una sensualità erotica
che mai
nessuno, prima di allora, le aveva fatto provare tanto rapidamente.
Permise a
quell’emozione di
scorrere in lei come liquido caldo e si lasciò andare al suo abbraccio,
stringendosi a lui maggiormente, mentre a sua volta gli posava le mani
sulle
spalle, a sfiorargli delicatamente la pelle alla base della nuca.
Lui la
sovrastava di circa
quindici centimetri e il suo corpo, che le era sembrato aitante e bello
al solo
osservarlo, rispondeva perfettamente alle aspettative anche al contatto.
Si lasciò
guidare dalla
musica e dai movimenti invitanti di quel corpo vigoroso stretto al suo,
in una
danza sensuale che andava ben oltre la stessa melodia.
***
Aveva ballato
con lei per
circa mezz’ora, finché il ritmo non era cambiato, su richiesta degli
altri
avventori del locale che ad una certa ora esigevano sempre danze più
scatenate.
Quando le
note di un pezzo
rock li avevano costretti ad allontanarsi, lo avevano fatto a fatica:
il filo
invisibile che li aveva uniti fin dal primo sguardo, durante tutto il
tempo in
cui avevano danzato l’una nelle braccia dell’altro si era trasformato
in un
contatto di sensazioni fisiche ed emotive che aveva turbato entrambi.
Lui era parso
restio a
rinunciare a quel contatto e aveva proposto una passeggiata lungo il
piccolo
molo; poi, ad un certo punto, le aveva proposto di scendere e camminare
lungo
la spiaggia.
L’aveva presa
per mano, e, da
perfetto cavaliere, con l’altra aveva preso le sue scarpe, che si era
tolta
perché amava sentire la sabbia umida sotto i piedi.
Lentamente si
incamminarono
verso il piccolo gruppo di scogli oltre ai quali la spiaggia diventava
più
selvaggia e dove, più in là ancora, vi erano alcuni cottage utilizzati
in
estate dai villeggianti. In quel periodo dell’anno probabilmente erano
ancora
chiusi.
La serata si
era fatta più
fresca mentre qualche goccia sporadica cominciava a farsi sentire; la
sola
camicia non le bastava più. Non aveva previsto un fuori programma
all’aperto;
dopo un po’ di musica al pub, aveva pensato che sarebbe rientrata
subito in
albergo.
Sentiva caldo
solo alla mano
che lui tratteneva nella propria; quel contatto le bruciava la pelle.
Quasi le
avesse letto nel pensiero, ad un tratto lui abbandonò la presa e le
mise il
braccio attorno alle spalle, stringendola impercettibilmente a sé.
“Va meglio?”
domandò,
piegandosi verso il suo orecchio.
Fu il soffio
del suo alito
tra i capelli o il calore che sprigionava il suo corpo a farle battere
all’improvviso
più rapidamente il cuore?
“Ho un po’
freddo…” riuscì
solo a rispondere.
“Allora
occorre far qualcosa”
disse lui, il tono sorridente e allusivo.
E, senza
darle il tempo di
riflettere su quelle parole, la fermò, trattenendola alla vita con
l’altra mano,
che rapida si era liberata delle scarpe, lasciandole cadere a terra.
L’avvolse di
nuovo tra le
braccia, come quando stavano ballando.
Lei non
ricordava di aver mai
provato una sensazione di così intensa intimità col semplice trovarsi
nell’abbraccio di un uomo. Con lui era come se il mondo intero fosse
rinchiuso
in quell’abbraccio e, al tempo stesso, tutto ciò che non contava
venisse
lasciato fuori.
Poi, quasi
impercettibile,
avvertì la sua mano che le scorreva sulla guancia, in una lenta e
tenera carezza.
Le sue dita si avvicinarono alla bocca e gliela sfiorarono dolcemente,
come se
stessero toccando i fragili petali di un fiore.
La sua
reazione istintiva fu
immediata: al suo tocco, schiuse leggermente le labbra; non appena lo
fece, lui
la baciò.
Quando sentì
la sua bocca
posarsi su di lei, un intenso calore la invase ovunque. Ogni punto in
cui il
suo corpo incontrava quello di lui sembrava incendiarsi. E il freddo la
stava
abbandonando rapidamente, nonostante la pioggia fosse aumentata.
“Vieni con
me…” mormorò lui
sulle sue labbra, la voce un sussurro roco e appassionato.
”Dove?”.
“Laggiù, in
quel cottage…”
disse, sollevando lentamente la testa e indicando con lo sguardo.
Lei si sentì
cogliere dal
panico: dopotutto lo conosceva da meno di tre ore. Ma comprese anche
che poteva
fidarsi e gli credette, quando lo sentì dire:
“Non accadrà
nulla, se non lo
vorrai.”.
Gli credette,
anche se
percepì con l’istinto, poiché il buio le impediva di scorgere il suo
viso, che
mantener fede a quella promessa gli sarebbe costato parecchio.
La tentazione
di scoprire
quanta passione era in grado di suscitare in lui, s’impadronì di lei.
“D’accordo”,
rispose. Ma
comprese immediatamente che quella risposta altro non era che la
propria
capitolazione: quell’uomo l’aveva sedotta senza neppure tentar nulla
per
riuscirci. Era stato sufficiente che fosse semplicemente se stesso.
Si accorse
che sorrideva dal
lieve incresparsi delle labbra, ancora troppo vicine alle sue. Poi
sussurrò:
“Dammi la mano...”.
Raccolse le
scarpe da terra e
insieme iniziarono a correre lungo la spiaggia, sulla sabbia ormai
bagnata.
***
Prima di
entrare nel cottage
lui si fermò sotto il portico e l’abbracciò nuovamente.
“Voglio fare
l’amore con te.”
Pronunciò queste parole mentre le scostava una ciocca di capelli
bagnati dalla
guancia, ugualmente bagnata.
Sapeva che
sarebbe accaduto;
tuttavia sentirglielo dire dalla sua voce profonda la eccitò, se
possibile,
ancora di più.
“Lo so…”,
rispose,
semplicemente. Poi si spinse oltre e aggiunse: “Anch’io.”.
Per un attimo
pensò che
l’avrebbe baciata ancora. Ma lui era diverso dagli altri uomini: si
limitò ad
assorbire l’informazione, quasi come se stesse valutando i pro e i
contro. O
come se stesse assaporando ogni singolo moto dell’animo celato dietro a
quel
consenso, un preludio di emozioni, anticipo del preludio dei sensi.
“Solo per una
notte?” domandò
infine.
Lei apprezzò
la sua sincerità
e il suo coraggio: con quella domanda avrebbe potuto giocarsi ogni
possibilità
di averla.
Decise che
valeva la pena
accontentarsi, dopotutto.
Un’occasione
simile, e per di
più con un uomo simile, non le sarebbe capitata un’altra volta e
sarebbe stato
un vero peccato sprecarla inseguendo sogni romantici e irrealizzabili.
Non lo
conosceva che da tre ore, eppure avrebbe dato qualunque cosa per avere
quell’uomo, o uno come lui, nella propria vita.
Ma quello,
appunto, era
solamente un sogno.
La realtà era
ciò che lui le
stava offrendo in quel momento.
“Solo per una
notte” rispose
convinta.
L’interno del
cottage era
anonimo eppure, non appena la porta fu chiusa e si trovarono uno di
fronte
all’altra, completamente fradici, l’atmosfera cambiò all’improvviso e
si caricò
dell’elettricità che scorreva intensa tra loro.
In silenzio
lui accese una
lampada, la cui luce pallida rischiarò appena la stanza; poi sparì per
pochi
attimi e tornò con due asciugamani, uno dei quali lo porse a lei che,
come lui,
iniziò a frizionarsi i capelli.
Mentre si
asciugavano, si
accorse che il suo sguardo non l’aveva lasciata nemmeno per un secondo.
Era uno
sguardo profondo, che la turbava, poiché da solo riusciva a
trasmetterle tutto
il desiderio che stava bruciando in lui. Gli occhi di quell’uomo erano
talmente
belli ed espressivi che, ne era certa, avrebbe potuto imparare a
leggervi ogni
sua emozione, se solo ne avesse avuto l’opportunità. E come aveva
immaginato
soltanto poche ore prima, il colore dei suoi occhi, accesi di
desiderio, aveva
assunto l’intensa sfumatura blu della notte.
“Come ti
chiami?” domandò
lui, ad un tratto, rompendo il silenzio.
Lei scosse la
testa.
“Non vuoi
dirmelo?”.
“No.”.
“Perché?”
“Preferisco
così.”.
Le si
avvicinò; prese dalle
sue mani la salvietta e la gettò, assieme alla propria, in un angolo, a
terra.
“Voglio un
nome, uno
qualunque. Anche inventato, se preferisci, ma devi essere tu a
dirmelo…”.
“Per
identificare il mio
volto tra le tue numerose conquiste?” volle provocarlo lei.
“No. Lo
voglio per avere un
nome con cui pensarti, col quale chiamarti mentre faccio l’amore con
te… un
nome per dirti quanto sei bella…”.
Non riuscì
più a ribattere
nulla. Quelle parole la spiazzarono.
Rapita dal
suo sguardo,
mormorò semplicemente: “Sarah…”.
Continuando a
guardarla negli
occhi, lentamente iniziò a slacciarle i bottoni della camicia e gliela
fece
scivolare dalle spalle… rimase di fronte a lui in jeans e reggiseno di
pizzo
blu.
Lo vide
deglutire e subito
dopo inspirare profondamente, quasi a trattenersi. Oppure per prendere
coraggio, prima di toccarla.
Mentre la sua
mano sfiorava
il punto esatto in cui il pizzo incontrava la pelle, le disse con un
sussurro e
gli occhi velati dal desiderio:
“Sei
bellissima, Sarah…”.
Lei si sentì
sciogliere.
Sollevò la
mano verso di
lui e incominciò a
slacciargli a sua
volta la camicia.
“Io mi
chiamo…” iniziò a dire
lui. Ma lei, rapida, gli posò l’altra mano sulle labbra, impedendogli
di
continuare.
Scosse la
testa mentre lui le
baciava dolcemente le dita.
“Non vuoi
sapere il mio
nome?” chiese lui.
“No.”.
“Sicura?”.
“Sicurissima.
Non voglio
essere tentata dalla possibilità di rintracciarti… e poi non ne ho
bisogno.”.
“Neppure per
dirmi quanto
sono bello?” la stuzzicò lui, rivolgendole un sorriso stupendo.
Sorrise anche
lei, mentre gli
faceva scivolare l’indumento a terra, scoprendo due spalle favolose, un
torace
ampio, braccia forti e il ventre piatto.
Lo divorò con
gli occhi e poi
glielo disse, in un sussurro:
“Sei
bellissimo… TU sei
bellissimo.”.
Sorrise di
nuovo e lei si
rese conto che avrebbe potuto regalare il suo cuore a quel sorriso. Con
dita
tremanti gli sfiorò dolcemente il volto e lui non riuscì più a
trattenersi: la
prese tra le braccia e
la sollevò da
terra, come se non pesasse nulla; la portò in camera e la depose sul
letto. Si
liberò delle scarpe e si stese accanto a lei.
Lentamente le
tolse il
reggiseno, soffermandosi a guardarla, affascinato dal suo petto nudo.
Le sue
mani si colmarono di lei, della sua parte più morbida.
E lei si
sentì sciogliere a
quel contatto.
Lui ricercò
quella morbidezza
anche con le labbra e a lei parve di morire dal piacere.
Ma quando le
tolse i jeans e
cominciò a toccarla, fu certa che con lui, anche solo per una notte,
sarebbe
volata in alto, forse fino in paradiso.
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Capitolo 4 *** HARM ***
Allacciò l’ultimo bottone
della camicia e si
accinse ad annodare il cravattino da sera. Quando riuscì ad ottenere un
risultato decente, s’infilò la giacca, si osservò allo specchio e,
malgrado
tutto, sorrise: non era più un giovincello, ma faceva ancora la sua
discreta
figura in uniforme di gala.
Sarebbe stato perfetto,
accanto a lei. Avrebbero
fatto, come sempre, una bella coppia. Peccato che lei non sarebbe stata
la sua
dama, alla festa.
Quel giorno si era deciso ad
invitarla; ci aveva
pensato più volte dal suo incidente la notte della vigilia di Natale,
ma non
era certo che lei se la sarebbe sentita di partecipare al cenone
dell’ultimo
dell’anno organizzato dalla Marina e alla serata danzante che sarebbe
seguita,
e quindi aveva tergiversato… facendosi così fregare un’altra volta da
Webb.
Non era certo che fosse lui il
suo cavaliere… ma
chi altri poteva esserlo? Mac aveva detto che lo conosceva. E comunque,
Webb o
non Webb, qualcuno l’aveva preceduto.
Si era arrabbiato, moltissimo,
quando aveva
saputo che era già impegnata. La gelosia lo aveva sopraffatto, ma non
solo:
mesi prima le aveva fatto chiaramente capire di desiderarla, di voler
iniziare
qualcosa con lei.
E lei lo aveva respinto.
Aveva deciso d’aspettare, di
attendere che,
questa volta, lei fosse pronta.
In fondo, per certi versi
glielo doveva.
Non tanto per quella volta in
cui, in Australia,
era stato lui a dirle di non essere ancora pronto per una relazione,
quanto
piuttosto per ciò che era accaduto tra loro molto tempo prima.
Il fatto che lei avesse deciso
di partecipare
alla serata, accettando l’invito di un altro uomo ad accompagnarla, era
la
prova che non aveva più intenzione di tornare sui suoi passi. E questo
lo aveva
fatto sentire definitivamente respinto. E tanto amareggiato.
Probabilmente se lo meritava…
in fondo aveva
tergiversato per anni, sempre con la motivazione di non voler rovinare
la loro
amicizia, il fatto che erano colleghi, la sua paura ad avere un
legame...
Eppure fin dal loro primo
incontro, quasi un
gioco del destino, lei gli aveva cambiato la vita.
Ricordava come se fosse ieri
l’attimo in cui
l’aveva vista per la prima volta: una sconosciuta, bellissima, sola in
un pub.
La reazione del proprio corpo
era stata immediata
e neppure ora, dopo anni, sapeva spiegarsene il motivo. Certo, aveva
sempre
apprezzato una bella donna, e lei indubbiamente lo era. Allora come
adesso;
anzi, forse adesso ancora più di allora. Tuttavia non era solito
lasciarsi
coinvolgere tanto, eppure con lei gli era accaduto, fin da subito.
Ricordava ancora di aver
pensato, non appena
aveva posato gli occhi su di lei, che avrebbe voluto conoscerla,
scoprirla
lentamente… e non era neppure sicuro che fosse stata solo l’attrazione
fisica a
confonderlo tanto, a fargli provare quel forte desiderio d’intimità che
aveva
immediatamente sentito per lei: mai, infatti, aveva provato un
desiderio tanto
intenso di far l’amore con una donna.
Era innegabile che
l’attrazione, tra loro, fosse
esplosa immediatamente, fin dalla prima occhiata che si erano rivolti.
Tuttavia
non si era riconosciuto in ciò che era successo: solitamente preferiva
sondare
prima il terreno; come un animale cacciatore, valutava attentamente la
sua
preda. La quale doveva sì attrarlo, ma al tempo stesso doveva
riconoscere in
lei anche la medesima lunghezza d’onda, che gli faceva desiderare
incontri
intensi e appassionati, ma senza legami.
Solo divertimento, per
entrambi. E comunque più
spesso era solito attendere che fosse la donna a palesargli il suo
interesse.
Lui, al massimo, si spingeva a flirtare con garbo e ironia.
Con quella sconosciuta,
invece, tutto era stato
diverso fin dal principio. L’aveva desiderata subito, non appena aveva
posato
gli occhi su di lei.
C’era stato un qualcosa di
indefinito e
particolare che lo aveva smosso nel profondo. Un desiderio intenso,
selvaggio.
Che si sarebbe certamente imposto di controllare, se lei non fosse
stata una
sconosciuta.
Una donna che non avrebbe mai
più rivisto.
Troppo pericoloso, altrimenti.
Troppo rischioso
per la sua libertà. E, forse, addirittura per il suo cuore.
Invece, si era detto, dopo
quella notte non
l’avrebbe più rivista: sarebbe stata soltanto poche ore di passione; un
incontro intenso e sfrenato… un ricordo ardito e sensuale.
Perché negarselo?
Aveva sperimentato da poco,
con la morte di
Diane, quanto la vita fosse troppo breve, per non godersela.
La sua dolce e cara amica
Diane… la rossa tutta
riccioli e lentiggini con cui aveva diviso ansie e gioie durante gli
anni in
Accademia; a parte Sturgis, l’amica più fidata.
L’uccisione di Diane lo aveva
scosso
profondamente. Le aveva voluto bene, come ad una sorella. Non aveva mai
pensato
a lei come ad una potenziale conquista, ma l’aveva amata. Li aveva
uniti un
legame intenso, fatto di affetto e confidenza, come dovrebbe essere tra
fratelli.
E in quel momento Diane non
c’era più.
Quella sconosciuta era
completamente diversa da
Diane: più alta, bruna, occhi scuri e profondi, anziché verdi e limpidi
come quelli
di Diane… Non si assomigliavano in nulla.
Eppure, dentro di sé, aveva
sentito che quella
donna, se solo non lo avesse attratto tanto e se si fossero conosciuti
in altre
circostanze, come Diane sarebbe potuta diventare sua amica.
C’era stato un unico problema:
lui l’aveva desiderava
immediatamente come si desidera una donna.
E, soltanto per una notte,
aveva voluto che fosse
sua.
|
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Capitolo 5 *** I say love it is a flower... ***
Capitolo
2
“…I say love it is a flower,
and you
its only seed...”
Fu il profumo
della sua pelle
a risvegliarlo. Il profumo della sua pelle e i ricordi della notte
appena
trascorsa. Rimase ad occhi chiusi, ad attendere di riprendere
lentamente
coscienza, mentre un pigro sorriso gli distendeva le labbra.
Sarah…
Il ricordo di
ogni singolo
momento in cui l’aveva chiamata per nome gli procurò un piacere
intenso: lo
aveva pronunciato guardandola negli occhi mentre la spogliava; lo aveva
sussurrato al suo orecchio toccandola… lo aveva mormorato col respiro
affannato
mentre entrava in lei. E ogni volta che lo aveva pronunciato, gli era
sembrato
che fosse un suono sempre più dolce.
Un suono
dolce che,
inspiegabilmente, lo turbava.
La pioggia,
fuori, cadeva
ancora. Più lenta, ma costante. Lo percepiva dal sommesso ticchettio
che faceva
da sottofondo al silenzio della stanza. Indugiò ancora per qualche
istante con
gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dai pensieri.
Aveva fama di
riscuotere un
discreto successo con le donne; gli incontri intensi e senza legami,
quelli che
lui preferiva, non erano un problema.
Kate, ad
esempio.
In genere
evitava di avere
storie con le sue partner, ma Kate Pike era diversa dalle altre, per
questo era
l’unica eccezione. Era disinibita e spiritosa, pronta come lui a
godersi una
notte di piacere senza complicazioni. Inoltre era tenera e
appassionata, quel
tanto che bastava per farlo sentire speciale. Aveva un unico difetto:
Kate
adorava ancora più di lui di sentirsi libera e non dava mai ad un uomo
la
sensazione di essere importante, se non tra le lenzuola. Con lei si
aveva
sempre la sensazione, non appena terminato l’amplesso, di poter essere
immediatamente sostituito da un altro uomo, che lei avrebbe amato con
lo stesso
entusiasmo e trasporto.
Kate era
fatta così, prendere
o lasciare. E a lui, nonostante tutto, andava bene: nessun impegno,
puro e
semplice divertimento, quando entrambi ne avevano voglia.
Con Sarah,
invece, era stato
tutto diverso.
Anche lei,
come Kate, era
tenera e appassionata; un’amante perfetta, che lo aveva seguito senza
indugi né
inibizioni nell’intimo viaggio alla ricerca del piacere. Ma a
differenza di
Kate, con Sarah si era sentito completamente coinvolto, corpo e mente,
poiché
in lei aveva percepito il medesimo coinvolgimento di sensi ed emozioni.
Tutto questo
era pericoloso,
lo sapeva. Molto pericoloso.
Tuttavia il
piacere, non solo
fisico, provato con lei, lo tentava molto e lo stava spingendo su un
terreno
fragile, rischioso; ma gli era impossibile resistere.
Voleva averla
ancora, una
sola notte non gli bastava.
Sarebbe
rimasto lì fino alla
mattina successiva, poi doveva rientrare a Washington. E lei gli aveva
detto,
proprio poche ore prima, che avrebbe lasciato l’albergo solo l’indomani.
Mentre
facevano l’amore,
inspiegabilmente si era trovato a dirle che era meravigliosa e che
voleva
trascorrere dell’altro tempo con lei…
Era sembrata
sorpresa: “Avevi
detto solo per una notte…”.
“Hai ragione.
Allora sarà
solo per due notti…” aveva ribattuto pronto lui, cercando di
sdrammatizzare ciò
che temeva d’averle trasmesso poco prima, facendole quella proposta con
più
passione di quanta avrebbe mai immaginato lui stesso di sentire nella
propria
voce.
Lei lo aveva
guardato negli
occhi, turbata. Poi gli aveva detto, prendendolo in giro e tentando a
sua volta
di sdrammatizzare:
“Non sei così
irresistibile,
sai?”.
Eppure aveva
colto
un’emozione strana nel suo sguardo. Un’emozione pericolosa. Che
tuttavia lo
intrigava moltissimo.
Pigramente
allungò il
braccio, alla ricerca del suo corpo morbido, dalla pelle profumata e
vellutata.
Quel corpo morbido e invitante che aveva amato per tutta la notte e che
desiderava ancora.
Incontrò
solamente il
lenzuolo.
Aprì
finalmente gli occhi e
si guardò attorno, confuso. Il profumo della sua pelle, che ancora
aleggiava
nella stanza, era soltanto un ricordo.
Lei se n’era
andata.
***
Fiori. Tutti
quei dannati fiori.
L’Ammiraglio
gli stava
parlando e lui non riusciva a concentrarsi sulle parole del suo
superiore.
Riusciva solo a pensare a quel dolce profumo di fiori.
La pelle di
Sarah profumava
allo stesso modo… Ed era liscia e vellutata al tatto, esattamente come
lo
sarebbero stati i petali delle rose bianche che riempivano quel
giardino, se
solo li avesse sfiorati. Ne era certo.
Aveva appena
ricevuto una
medaglia al valore, eppure l’unico ricordo che aveva di quel momento
era
l’attimo in cui aveva riportato l’attenzione sul presidente Clinton per
ringraziarlo. Per tutto il resto del tempo la sua mente era stata
invasa
unicamente dal ricordo di lei.
Tutta colpa
di quei dannati
fiori.
L’Ammiraglio
Chegwidden gli
stava dicendo qualcosa riguardo al fatto che il guardiamarina Roberts
avrebbe
fatto parte del suo team, su consiglio del tenente Austen.
Qualcuno
avrebbe dovuto
sostituire Meg… il guardiamarina Roberts, pur volonteroso, era ancora
troppo
inesperto per diventare suo partner nelle indagini cui era solitamente
assegnato.
Doveva ancora farsi le ossa. Tuttavia sarebbe stato un valido supporto
e
avrebbe avuto modo di imparare.
Si stavano
avvicinando
all’uscita di quel giardino… forse, finalmente, sarebbe stato in grado
di
concentrarsi meglio. Invece, proprio in quel punto, sembrava quasi che
il
profumo di quelle dannate rose fosse ancora più intenso.
Era voltato
verso Bud; gli
aveva appena rivolto un sorriso d’incoraggiamento, per fargli capire
che era
felice d’averlo in squadra.
All’improvviso
una voce gli
fece esplodere il cuore nel petto.
Non
era possibile…
Si voltò e si
sentì mancare:
in piedi, sull’attenti, c’era lei, che aveva appena salutato
Chegwidden.
Indossava l’uniforme verde militare dei Marine ed era bellissima.
Ancora più
bella di come la
ricordava.
“Capitano di
Corvetta Harmon
Rabb, Maggiore Sarah Mackenzie.”.
La voce
dell’Ammiraglio che
faceva le presentazioni gli arrivò lontana, come se giungesse da un
altro
pianeta: si sentiva come se gli avessero improvvisamente scollegato
tutti i
circuiti cerebrali. L’unico pensiero che riuscì ad attraversargli la
mente fu
che lei, poco prima di fare l’amore, non si era inventata un nome per
accontentarlo, ma gli aveva rivelato il proprio.
Gli sembrò
che fosse
impassibile, per nulla turbata dalla scoperta di trovarsi di fronte
allo
sconosciuto che l’aveva amata per un’intera notte.
“Mac…”.
Rivolgendogli un
lieve sorriso, tese la mano verso di lui.
Che stava
dicendo?
Mac?
Gli si stava
presentando come
Mac… già, forse l’abbreviativo di Mackenzie.
Un Maggiore
dei Marine.
Non l’avrebbe
mai detto.
Un Maggiore
dei Marine non
aveva il diritto di avere una pelle tanto morbida, di essere tanto
bella e di
profumare di fiori…
Doveva aver
fatto qualcosa
che non andava, perché improvvisamente si rese conto che tre paia di
occhi
erano puntati su di lui: quelli dell’Ammiraglio, sorpresi e indagatori;
quelli
di Bud, incuriositi, e poi i suoi… non riuscì a capire… sembravano…
delusi?
Finalmente
notò che lei gli
aveva porto la mano, a mo’ di saluto, e lui non gliel’aveva neppure
stretta.
Imperdonabile.
Ecco perché
lo stavano
osservando così.
Vide che
stava per ritrarla e
si affrettò a prendergliela, mormorando:
“Harm.”.
Il contatto
tra le loro mani
durò solo una frazione di secondo, ma per lui fu un tormento
indescrivibile.
Nel frattempo
l’Ammiraglio
stava domandando, probabilmente sorpreso dal suo insolito
comportamento, se già
si conoscessero.
“Sissignore…”
gli sfuggì
dalle labbra.
Certo che si
conoscevano.
Eccome se si conoscevano!
“Nossignore.”.
No.
Contemporaneamente
a lui, lei
aveva detto no.
Saggia donna.
In fondo non
si conoscevano
affatto. Ricordava a memoria il suo corpo, ma non la conosceva. Sapeva
come
farla gemere tra le sue braccia, ma non sapeva altro di lei.
L’Ammiraglio
lo stava
guardando, ancora più sorpreso.
Si affrettò a
bofonchiare
qualcosa, inventandosi un’assurda storia che lei gli ricordava una
donna
conosciuta all’Accademia. Dopodiché seguì il gruppetto che si stava
avviando
all’auto. A quanto sembrava Sarah Mackenzie avrebbe preso il posto di
Meg
Austen come sua partner.
Nella mente
gli transitò un
solo pensiero: come avrebbe fatto a lavorare con lei?
***
Era tesa.
Diffidente. Guidava
concentrata, ma non smetteva un attimo di lanciargli occhiate.
Temeva
che l’avrebbe tradita per la faccenda di suo zio oppure…
Oppure cosa?
Oppure stava
disperatamente
cercando di tenere a bada le sue emozioni, proprio come stava tentando
di fare
lui?
Dio, com’era
bella.
Ogni fibra
del suo essere
stava fremendo dal desiderio… in quel preciso istante avrebbe voluto
fermare
l’auto e gettarsi su di lei come un selvaggio.
“Perché mi
guardi così?”.
Santo Cielo.
Cosa le saltava
in mente di fargli una domanda simile proprio in quel momento?
“Perché sei
bella…
bellissima”.
“Dobbiamo
parlare.”.
“Di che
cosa?”.
“Di noi due.
Di te e di me.”.
“Sarah…”.
“Mac. Io, per
te, sono Mac.”.
“Cosa vuoi
dire?”.
“Che Sarah
non esiste. Non è
mai esistita, tra noi.” La sua voce era fredda, determinata.
“E’ questo
che vuoi?”.
“Tu che cosa
vorresti?”
“Non lo so…”
“Ecco,
appunto. Quindi io
sono Mac.”.
“Ma…”
“Smettila,
Capitano. Dovremo
lavorare assieme. Non possiamo farlo se non scordiamo tutto quanto”.
“Tu ci
riesci? Riesci a
dimenticare?”.
“L’ho già
fatto”, disse
risoluta.
“Davvero?
Tutto quanto?”.
“Tutto
quanto”.
“Anche come
ti sentivi tra le
mie braccia? O come imploravi che ti facessi mia?”
Lo sguardo
che gli rivolse lo
fece sentire dannatamente sleale… ma non era riuscito a trattenersi. La
vide
arrossire ed inspirare profondamente.
No, non aveva
scordato tutto
quanto.
Le rivolse
uno dei suoi
sorrisi favolosi, sperando… sperando in che cosa?
Aveva ragione
lei. Non
c’erano possibilità per loro: lui non voleva complicazioni. Non le
aveva mai
volute, non avrebbe cominciato a volerne ora. Neanche se lei era la
donna più
sensuale e desiderabile con cui avesse fatto l’amore.
“Il tuo è un
sorriso
affascinante, Capitano. E di certo ti fa ottenere ciò che vuoi. Ma io
non ti
conosco e non ho intenzione di giocarmi la carriera per un’unica notte…
“.
“Che cosa
proponi, allora?”
“Cominciamo
come colleghi, e
poi chissà? Magari potremmo diventare persino amici.”.
Amici?
Grandioso.
***
Una pistola
puntata alla
schiena non era proprio quello che lui intendeva per “AMICI”.
Come aveva
fatto a fregarlo
così?
Che domanda
idiota! Ovvio
come c’era riuscita: gli aveva sorriso, lo aveva involontariamente
sfiorato, lo
aveva guardato…
E lo aveva
fatto impazzire,
per tutto quel dannato viaggio, facendogli desiderare di baciarla fino
a farla
implorare di prenderla, esattamente come aveva fatto l’altra notte,
ogni volta
che l’aveva baciata.
Poi lo aveva
incuriosito con
pochi sprazzi della propria vita e lui aveva desiderato prenderla di
nuovo tra
le braccia, ma per confortarla. Quella storia sul suo alcolismo l’aveva
turbato.
Quindi
l’aveva spiazzato,
consegnandolo allo zio come suo prigioniero, dopo che era riuscita ad
averlo
sotto tiro.
Ed ora aveva
di nuovo voglia
di lei.
Suo zio, il
Colonnello
O’Hara, dopo che lo aveva convinto
a
costituirsi con un discorso appassionato, promettendogli di difenderlo
in
tribunale, aveva appena domandato alla nipote dove lo aveva conosciuto.
Prima di
rispondere, lei gli
aveva rivolto una lunga occhiata. In quello sguardo, lui aveva potuto
leggere
tutto il suo desiderio. E scoprirlo, lo aveva nuovamente infiammato.
“In un
giardino di rose, zio
Matt”, aveva risposto alla fine, dolcemente, riferendosi al loro
incontro
ufficiale; ma in fondo la risposta poteva valere anche per il loro
incontro
“ufficioso”: la sua pelle profumava di fiori, e per lui era meglio di
un
giardino.
Il Colonnello
si allontanò da
loro, per andare a definire gli ultimi dettagli prima di consegnarsi
alla
giustizia.
Lei fece per
seguirlo, ma lui
la fermò, prendendola per una mano. Non appena la toccò, si pentì
d’averlo
fatto. Doveva mantenere le distanze, altrimenti non avrebbe resistito.
Era
troppo pericolosa…
“Credevo
avessimo detto di
diventare amici… è puntandomi un’arma alla schiena che avevi in mente
di
provarci?”.
Lei non
rispose.
“Ok, Mac.
Passerò sopra a
questo insignificante dettaglio. E hai ragione tu: l’unico modo per
riuscire a
lavorare assieme è cercare di diventare amici… Posso avere il permesso
di
provarci? E senza trovarmi di nuovo con una pistola puntata contro?”.
Lei non
rispose. Sorrise e
s’incamminò per raggiungere suo zio.
Per un po’
lui rimase a
guardarla allontanarsi.
Indossava un
prendisole a
fiori, che le accarezzava dolcemente fianchi e gambe, ondeggiando ad
ogni suo
passo. Aveva un modo così sensuale di muoversi che sembrava stesse
danzando...
Quell’immagine
gli riportò
alla mente il suo corpo stretto al proprio mentre ballavano al pub… e
una
strofa della canzone, l’ultimo lento prima che la musica cambiasse:
“…
I say Love it
is a flower, and you its only seed…”
Ricordava
d’aver pensato per
un attimo che quelle parole potessero adattarsi a lei…
E anche ora,
nel ricordarle,
quel pensiero insidioso tentava di farsi nuovamente strada nella sua
mente:
l’amore è un fiore… e tu il suo unico seme…
Si impose di
scacciare
quell’idea al più presto, rapidamente, così come era venuta. Già
lavorare con
lei sarebbe stato un tormento, ma non aveva alternative… altri pensieri
su di
lei erano fuori discussione.
Aveva deciso:
niente
complicazioni.
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Capitolo 6 *** HARM ***
(… It's the heart, afraid of breaking,
that
never learns to
dance…)
Era iniziato tutto così.
Un incontro per caso, quasi un
appuntamento voluto dal destino. Una
notte di passione tra due sconosciuti, per poi scoprire che sconosciuti
non lo
sarebbero rimasti a lungo. L’imbarazzo di dover lavorare assieme,
fingendo che
nulla ci fosse stato fra loro, e la decisione di essere solamente
amici, di
evitare qualunque complicazione.
Erano anni, ormai, che viveva
in quell’assurda contraddizione… e non
era più sicuro di riuscire a farcela ancora.
Anni e anni a lavorare al suo
fianco, ad essere solamente amici
nonostante ciò che li aveva attratti e uniti quella lontana notte; ad
osservare
se stesso e lei con i rispettivi partner del momento, consapevole di
avere
accanto sempre la donna sbagliata e al tempo stesso provare gelosia per
chi,
nello stesso istante, poteva baciare, toccare ed amare le labbra, il
corpo e il
cuore di colei che desiderava davvero. E, come una musica in
sottofondo, quella
tensione tra loro sempre presente; quel desiderio faticosamente
trattenuto, che
aveva portato sì ad un’amicizia e ad una complicità senza eguali, ma
anche ad
un rapporto spesso teso, pieno di silenzi e di parole non dette.
Era pronto, ma esitava ad
uscire di casa. Non aveva più voglia di
partecipare alla festa. Non senza di lei.
Mac sarebbe stata accompagnata
da un altro uomo e lui non sarebbe
riuscito a sopportarlo, ne era convinto. In ufficio l’aveva vista
radiosa;
sarebbe stata certamente bellissima… gli era già successo di non
riuscire a
trattenersi…
L’immagine di un molo, in una
mattinata umida di
nebbia, gli ritornò alla mente: Holbart aveva appena trovato la morte,
restando
schiacciato tra lo scafo della nave e la banchina; aveva tentato la
fuga quando
aveva sentito la voce di Mac che gridava il suo nome per fermarlo,
perché stava
tenendo sotto tiro l’assassino di Diane, e lei aveva pensato che stesse
per
ucciderlo. O forse Holbart, da lontano, l’aveva confusa con il fantasma
di
Diane: Mac aveva indossato l’uniforme da guardiamarina di Harriett
perché si
era bagnata, così gli aveva detto…
“Lo avresti ucciso
davvero?”
La domanda che gli aveva
rivolto Mac risuonava
ancora nella sua testa, a quasi sette anni di distanza.
Si era sorpreso a quella
domanda. Lo avrebbe
ucciso? Forse. Ma non ne era certo. Voleva vendetta, ma gli sarebbe
bastato che
confessasse e Holbart aveva iniziato a farlo. La sua fuga era stata
un’ulteriore conferma.
“Non lo sapremo mai…”
ricordava d’aver
risposto, con un sussurro, continuando a fissarla.
Non riusciva a
staccare gli occhi da lei… era così bella…
Aveva i capelli ancora umidi,
come quella notte
di due anni prima nel cottage sulla spiaggia… e lui la desiderava
sempre, forse
ancora più di quella notte.
Fino a quel momento era sempre
riuscito a
trattenersi, a reprimere il desiderio intenso che provava per lei… ma
lì, in
quel preciso istante era stato così difficile… troppe emozioni da
tenere sotto
controllo.
E lei era così bella… non
riusciva a smettere di
guardarla.
Ricordò che nella sua mente
erano transitati un
ricordo dopo l’altro… le sue labbra piene e così invitanti… il suo
corpo
premuto contro il proprio… il profumo intenso della sua pelle…
Lentamente aveva piegato il
capo, avvicinandosi
alla sua bocca. Era rimasto sorpreso che lei non avesse neanche provato
a
spostarsi… Senza neppure toccarla, senza neanche abbracciarla, l’aveva
baciata…
Ancora ora ricordava d’aver pensato che se l’avesse stretta tra le
braccia non
sarebbe stato più in grado di lasciarla andare.
Si era appropriato delle sue
labbra, dolci e
arrendevoli per lui. Com’erano sempre state. Anche allora…
L’aveva baciata lentamente e,
altrettanto lentamente,
si era staccato da lei con fatica. Era rimasto a guardarla negli occhi,
per
leggervi le sue emozioni.
Ma ciò che Mac gli aveva detto
dopo quel bacio,
lo aveva sconcertato.
“Lo so, stavi baciando lei…”.
Lei?
Lei chi? Diane? Si era reso
conto che lei aveva
pensato che stesse immaginando di baciare Diane…
Ma come le era venuto in mente
un pensiero
simile?
“L’amavi tanto?”
“Ho capito quanto l’amavo
soltanto quando è
morta…”.
All’improvviso aveva ricordato
ciò che gli aveva
domandato ore prima, e la risposta che le aveva dato. Lui si stava
riferendo
all’amore fraterno che aveva provato per la sua amica assassinata; Mac
doveva
aver capito tutt’altro.
Per un secondo aveva avuto
l’impulso di dirle la
verità: no, non stavo baciando lei. Stavo baciando te. Desideravo farlo
di
nuovo da tanto, troppo tempo…
Invece l’aveva guardata ancora
per un attimo, ma
non aveva detto nulla. Si era voltato e si era incamminato verso
l’auto.
Erano soltanto amici… A cosa
sarebbe servito
dirle che era proprio lei che stava baciando?
|
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Capitolo 7 *** MAC ***
(…It's the dream, afraid of waking,
that never takes a chance…)
Si infilò l’abito, uno
splendido modello da sera in pizzo nero, lungo
sul dietro ma che scopriva le gambe accorciandosi sul davanti in un
drappeggio
stile danzatrice di flamenco; era un abito che la fasciava come una
seconda
pelle e la faceva sentire misteriosa ed affascinante. Ne aveva bisogno,
per
affrontare quella serata.
Con lui ne avrebbe sempre
avuto bisogno.
Ricordava ancora, come se
fossero trascorse solo
poche settimane e non anni, ciò che aveva pensato la prima volta che
era stata
in casa sua, poche ore dopo il loro incontro “ufficiale”: il suo
appartamento
era intrigante esattamente come lui. La dannazione, per una donna, ma
assolutamente affascinante. Stava aspettando che si cambiasse e intanto
si
guardava attorno: Capitano di Corvetta Harmon Rabb, pilota di Marina
recentemente decorato e avvocato del Jag.
Cervello e istinto. Coraggio e
determinazione.
Tutto in un solo uomo.
Quel fatidico giorno di nove
anni prima era
arrivata in anticipo all’appuntamento con l’Ammiraglio: aveva scoperto
che il
suo nuovo partner avrebbe ricevuto, proprio in quella giornata, una
medaglia al
valore e non aveva resistito alla curiosità. Voleva osservare da
lontano l’uomo
con cui avrebbe dovuto lavorare, per essere in vantaggio al momento
della
presentazione.
Non immaginava di averne
realmente bisogno.
Per un attimo, quando aveva
visto la sua
espressione stupita mentre l’Ammiraglio li presentava, aveva provato
pena e un
misto di tenerezza per lui. Lei stessa si sarebbe sentita altrettanto
sconvolta
nel ritrovarselo davanti, senza sapere nulla.
A dire il vero, non appena lo
aveva scorto
accanto al presidente e aveva capito che lo sconosciuto che l’aveva
amata come
nessun altro e il suo nuovo collega erano la stessa persona, per un
attimo si
era sentita morire.
Era così bello nell’uniforme
blu della Marina… Il
cuore aveva preso a batterle furioso nel petto e tutti i ricordi della
loro
notte assieme erano tornati prepotenti alla memoria. Per due giorni,
due lunghi
e interminabili giorni, aveva continuato a domandarsi se aveva fatto
bene o
male ad andarsene, soprattutto dopo che lui le aveva fatto quella
proposta
sconvolgente. Una proposta che non aveva potuto accettare per un
semplice motivo:
se fosse rimasta con lui per un giorno intero e un’altra notte ancora,
ne
sarebbe uscita col cuore spezzato.
Harmon Rabb era più maschio di
tutti gli uomini
che aveva conosciuto, ma al tempo stesso era dolce e appassionato. Una
combinazione
deleteria per qualunque donna.
Bellezza e sensualità…
tenerezza e passione.
Tutto in un solo uomo.
E quell’uomo sarebbe
diventato il suo partner nel lavoro.
Mentre lo aspettava, un
movimento alle sue spalle
l’aveva fatta voltare e, non appena lo aveva visto, aveva
immediatamente
rimpianto di non essere ancora in quel letto, dove lo aveva lasciato
addormentato, il corpo meraviglioso appena coperto dal lenzuolo: si era
tolto
la divisa blu ed era in t-shirt bianca, pantaloni cachi e a piedi
scalzi. Lei
aveva sempre avuto un debole per un uomo in pantaloni lunghi e a piedi
nudi…
non aveva mai saputo spiegarsene il perché. Stava avvolgendo con uno
straccio
bagnato una scatola di sigari, e le sorrideva pericolosamente, mentre
le spiegava
che erano cubani. Non le importava un accidente dei sigari, ma non
aveva potuto
fare a meno di immaginarselo con uno tra le labbra. Tra quelle labbra
sensuali
e morbide che l’avevano esplorata ovunque.
Ricordava d’aver pensato a
come avrebbe fatto a
tenere a bada quel turbinio di emozioni ogni giorno.
Come avrebbero fatto a
lavorare come semplici
colleghi, senza desiderare in continuazione di essere tra le sue
braccia o in
un letto con lui? Eppure doveva riuscirci, perché quell’incarico era
troppo
importante per la sua carriera e quella missione in particolare lo era
per
altri motivi, più personali. Si era detta che doveva smettere di
distrarsi con
pensieri che la stavano turbando troppo e pensare piuttosto a come fare
per
seminarlo, affinché non la seguisse mentre tentava di raggiungere suo
zio per
convincerlo a restituire la Dichiarazione d’Indipendenza prima di
essere
catturato, e al tempo stesso senza che la propria carriera ne uscisse
compromessa.
Invece non era riuscita ad
ingannarlo e lui
l’aveva seguita… In quella che in seguito si rivelò essere la loro
prima
missione insieme aveva capito alcune cose: in primo luogo che il suo
nuovo
collega era spericolato ed irresistibilmente pazzo! In una situazione
così
assurda e pericolosa come essersi appeso ad un elicottero, lui riusciva
persino
a scherzare chiedendole il permesso di salire a bordo… e lei si era
resa conto
di apprezzare anche quel lato del suo carattere, oltre ad altri che
aveva
scoperto in quei giorni.
Avrebbe mai trovato qualcosa
in lui che non le
sarebbe piaciuto? Forse, col tempo. Ma era certa che avrebbe amato
anche i suoi
difetti.
E, purtroppo per lei, così era
stato.
Si era innamorata di Harm fin
dall’inizio, fin da
quella lontana notte in cui aveva fatto l’amore con un affascinante
sconosciuto
e benché avesse deciso di essere per lui semplicemente una collega, non
aveva
potuto impedirsi di amarlo.
Non era cambiato nulla nei
suoi sentimenti,
neppure quando aveva saputo che lui attendeva da due anni di trovare ed
uccidere l’assassino della donna che, come lui stesso le aveva detto,
aveva
amato.
“L’amavi tanto?”
“Ho capito quanto l’amavo
soltanto quando è
morta. Succede sempre così, non credi?”
Quando lui glielo aveva
confermato, si era
sentita come se qualcuno le avesse stretto lo stomaco in un nodo
impossibile da
sciogliere.
“Stavi cercando un assassino
da due anni e non mi
hai mai detto niente?”.
Aveva fatto due rapidi conti e
si era accorta
che, quando lo aveva conosciuto per la prima volta in quel pub… quando
ancora
non sapeva chi fosse e, nonostante tutto, aveva trascorso con lui la
notte più
appassionata della sua vita, lui aveva sepolto da pochi giorni la donna
che
amava.
Quella consapevolezza per poco
non l’aveva
distrutta. Cos’era stata, per lui, durante tutta quella notte? Solo un
corpo
caldo per scacciare il dolore e la nostalgia? Mentre faceva l’amore con
lei era
a Diane che stava pensando? Era per quel motivo che aveva voluto un
nome con
cui chiamarla? Per non confonderla con lei?
Erano domande che sarebbero
rimaste per sempre
senza risposta.
Si aggiustò il vestito e si
guardò allo specchio,
immaginando di vedersi con gli occhi di Harm: cosa avrebbe visto? Una
donna
disperata? O, più semplicemente, una donna innamorata?
Avevano continuato a recitare
la storiella dei
colleghi-amici per altri anni.
La prima a cedere era stata
lei; in Australia, quando temeva la
dichiarazione di un uomo mentre voleva l’amore e la passione di un
altro. Forse
era stato proprio quello a spingerla a fargli quell’accenno di
proposta. Da
tempo non reggeva più la tensione sessuale presente ad ogni incontro,
in aula e
fuori dai tribunali, in ufficio o nei momenti liberi. Credeva fosse
giunto il
momento anche per lui. Credeva d’aver colto gelosia nel suo sguardo,
quando la
vedeva con Mic. Aveva sperato che quei segnali stessero ad indicare che
lui era
pronto ad accettare e a vivere ciò che era esistito tra loro fin dal
primo
sguardo.
Si era sbagliata.
Lui non era ancora pronto. O
non voleva ancora esserlo. Ma si trattava
di una differenza sottile, che a lei non cambiava nulla. C’era un altro
uomo
che la desiderava, che la voleva con tutto se stesso.
E lei avrebbe detto sì a
quell’uomo.
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Capitolo 8 *** Some say love it is a hunger... ***
Capitolo
3
“… Some say love it is a
hunger,
an
endless aching need…”
Il cottage
dell’Ammiraglio
Chegwidden era illuminato a giorno e dall’interno della casa proveniva
un
vociare allegro, accompagnato da un sottofondo musicale soft adatto
all’occasione.
La festa era
in pieno
svolgimento.
L’aria della
sera si stava
rinfrescando, eppure nessuno dei due sembrava accorgersene, presi
com’erano
dalla conversazione.
“Aveva
ragione”.
“Dicendo che
ero colpevole?”.
Harm esitò un
attimo. Sapeva
che ciò che stava per dirle avrebbe suscitato altre domande alle quali
non era
certo di voler rispondere. Tuttavia non riuscì ad evitare di dire
quello che
faticava ad ammettere anche con se stesso e di cui, soprattutto, si era
reso
conto solo da poco, in quell’ultima mezz’ora trascorsa a parlare con
lei,
rivangando numerosi momenti degli anni trascorsi insieme come amici e
colleghi.
Alla fine,
nonostante tutto,
amici lo erano diventati davvero.
“Dicendo… che
qualcuno era
innamorato di te”.
La osservò
trattenere per un
attimo il respiro, come se le sue parole avessero, per un interminabile
momento
sospeso nel tempo, bloccato le sue funzioni vitali.
Forse era
giunta l’ora di
rientrare, approfittando del momentaneo silenzio di Mac.
“Scusa, che
hai detto?”
La voce di
lei lo bloccò
mentre aveva già la mano sulla maniglia della porta d’ingresso.
Rassegnato si
voltò ad
affrontare l’incendio
che le sue stesse
parole avevano provveduto ad alimentare.
“Che Brumby
aveva ragione…”
“Sul fatto
che qualcuno era
innamorato di me?”
“Già…”
“Ma… qualcuno
chi?”
Non rispose.
Non poteva
risponderle che quel qualcuno era lui. Sarah si stava per sposare e
quella era
la sua festa di fidanzamento. Non poteva sconvolgerle così la vita.
“Qualcuno chi?” insistette
lei.
Si voltò a
guardarla,
rimpiangendo la propria stupidità. Avrebbe voluto baciarla… voleva di
nuovo
poterla avere tra le braccia, come in quella lontana notte che oramai
apparteneva solo ai ricordi… ma era troppo tardi. Sarebbe rimasto
soltanto un
suo sogno.
“Quando mi
guardi in quel
modo cosa vedi?”.
La voce di
Mac era un
sussurro e anche lei sembrava guardarlo con lo stesso rimpianto negli
occhi.
“Una donna
molto
desiderabile…” gli sfuggì dalle labbra.
“E io vedo un
uomo che non
vuole mai perdere il controllo.”.
“Ho
imparato che chi perde il controllo muore…”
“Non stai
pilotando un
caccia, ora. Non puoi vivere sempre così… lasciati andare, o ti
distruggerai…”
Lasciarsi
andare… Come poteva
farlo, ormai?
“Hai un’aria
triste…”
“Non ho
bisogno di
compassione”
“Vivresti
meglio se ti
rilassassi, ogni tanto”
“Tu, invece,
ti rilassi
troppo facilmente”
“Non stiamo
parlando di me…”
“E io ho
voglia di parlarne…
appena qualcuno ti fa gli occhi dolci tu cedi”
“Che fai?
Provi a cambiare
argomento? Guarda che conosco la tattica, faccio il tuo mestiere…”
“Non sto
usando nessuna
tattica, Mac… Ero presente quando Brumby ti ha chiesto il primo
appuntamento.
Te lo ricordi?”
Aveva odiato
quel momento.
Aveva odiato quell’uomo. E lo odiava tuttora, soprattutto quando la
immaginava
tra le sue braccia.
“Si è fatto
avanti. Sapeva
cosa voleva…”
“… e l’ha
ottenuta”
“Già…
comunque è riuscito a
scusarsi in una maniera deliziosa. Il tuo problema è che riesci a
rendere
complicate anche le cose più semplici”
“E tu,
invece, rendi troppo
semplici le cose complicate”.
Lo sapeva: si
stava
arrampicando sui vetri. Ma con lei era sempre stato come essere nel
mezzo di un
ciclone… le emozioni che provava, e che aveva sempre provato, fin dalla
prima
volta, lo rendevano una contraddizione unica.
“Tu, che cosa
vuoi?”
“Tante cose…”
In realtà era
solo una la
cosa che voleva: lei. Soltanto lei. Lei e tutto il milione di
sensazioni che
lei sola gli aveva sempre fatto provare.
“Ma quale di
più?”
Ecco la
risposta più
difficile.
“La cosa che
voglio di più è…
è non doverti perdere”
“Ti assicuro
che qualunque
cosa accada non mi perderai mai…”
Non era vero:
l’aveva già
perduta. Per sempre.
La guardò e
non riuscì a fare
a meno di domandarglielo.
“Perché ti
sei messa subito
con lui?”
“Mi avevi
respinta… che cosa
avrei dovuto fare?”
“Aspettare…”
“Aspettare
quanto?”
“Il tempo
necessario…”
Vide gli
occhi di Mac
riempirsi di lacrime e non riuscì a trattenere quel gesto che altre
volte aveva
fatto: con il pollice le sfiorò dolcemente il viso, asciugando una
lacrima che
le stava scivolando sulla guancia. Lei assecondò la carezza, con un
movimento
impercettibile del capo.
“Dovremmo
tornare dentro…” si
costrinse a dirle, benché fosse l’ultima cosa che desiderasse fare. In
quel
momento ciò che desiderava era prenderla tra le braccia e fuggire con
lei,
lontano da tutti…
“Lo
so…”
Se soltanto
lei gli avesse
fatto un piccolissimo cenno… un segno qualunque, per fargli capire che
lo
desiderava ancora.
“Mac,
ricordati che ti vorrò
sempre bene…”
“Anch’io ti
vorrò sempre
bene”.
E
all’improvviso,
inaspettato, quel piccolissimo segno.
La vide
avvicinarsi e
sfiorargli le labbra con un bacio leggero, appena accennato. Durò un
solo
istante e poi si ritrasse; ma per lui, a quel punto, fu assolutamente
impossibile resistere.
Le impedì di
allontanarsi,
trattenendola tra le braccia e catturandole le labbra in un bacio
disperato. La
baciò con tutto l’amore che sentiva per lei, nella mente le parole di
una
canzone… sempre quella canzone, il brano che avevano ballato una notte
di tanti
anni prima: “… Some
say love, it
is a hunger, an endless aching need.…
Alcuni
dicono che l’amore sia una brama, un bisogno doloroso e senza fine…”
Non ricordava
neppure il
titolo di quel pezzo, ma continuavano a tornargli alla mente, anche a
distanza
di anni, alcune parole, quasi che quel brano fosse destinato ad essere
la colonna
sonora della loro “non” storia. Ma era proprio un bisogno doloroso e
senza fine
quello che provava per lei, mentre la stringeva in un abbraccio
appassionato.
Il tempo
sembrò restare
sospeso in quell’interminabile, e al tempo stesso rapidissimo, attimo
in cui le
loro labbra furono unite. Finché lei non si ritrasse. Lo guardò, senza
dir
nulla, negli occhi una muta domanda che non gli avrebbe mai rivolto.
Si scostò da
lui, turbata.
Lentamente si tolse la sua giacca, che aveva ancora sulle spalle, e
gliela
diede, mentre sussurrava:
“Stiamo
diventando bravi a dirci addio…”
Quando si era
allontanata
dalle sue braccia, era rimasto immobile, voltandole le spalle, col
rimpianto
d’averla turbata col proprio comportamento. Ma sentirle dire quelle
parole fu
come se lei gli avesse sferrato un pugno dritto allo stomaco: non voleva affatto dirle
addio.
“No” disse,
all’improvviso.
Rapido si
voltò e le bloccò
un polso, mentre lei aveva già l’altra mano sulla maniglia della porta,
pronta
ad entrare.
Sorpresa dal
suo brusco
scatto tornò a guardarlo, proprio mentre Harm la tirava di nuovo a sé.
“Non voglio
dirti addio…”
sussurrò lui, cercandole di nuovo le labbra.
Il bacio fu,
se possibile,
ancora più disperato e, al tempo stesso, più intimo del precedente. Non
si
limitò a stringerla tra le braccia; le sue mani scivolarono su di lei,
lente e
possessive, quasi un dolce preliminare che precede il far l’amore. Le
sfiorarono il seno e la pelle nuda della schiena, per insinuarsi
dolcemente tra
i suoi capelli, in una carezza sensuale, che riportò alla mente ad
entrambi una
lontana notte in cui si erano amati senza riserve.
“Harm…” tentò
di fermarlo con
un sussurro, o forse era semplicemente un mormorio di desiderio.
La sentì
abbandonarsi al suo
abbraccio appassionato e si rese conto di volerla di nuovo, allo stesso
modo…
forse, se possibile, ancora più di allora.
“Vieni via
con me…” sussurrò
sulle sue labbra, senza lasciarla andare.
“Con
te?”domandò lei, il
respiro ancora affannato dopo il bacio, “dove?”
Non lo stava
respingendo…
“In quel
cottage… sulla
nostra spiaggia…”
“E’ molto
lontano…”
“Guiderò
tutta la notte e
arriveremo all’alba, per vedere assieme il sorgere del sole… voglio
fare
l’amore con te sulla sabbia…”
“Oh, Harm…”
“Ti voglio,
Mac…”
“Non posso…
lo sai che non
posso…”
“Vieni con
me…”
“Oh, ti
prego… non chiedermi
una cosa simile. Non posso… mi sposo fra pochi giorni…” ribadì lei,
scostandosi
dalle sue braccia.
“Ti prego,
Mac… vieni via con
me…” la supplicò di nuovo lui, senza tuttavia trattenerla. Era un
ultimo,
disperato tentativo… la sentiva ormai già lontana.
All’improvviso
la porta si
aprì e Tiner si affacciò sul portico.
“Scusate,
l’Ammiraglio ha chiesto di voi…”
Senza
staccare gli occhi da lei, fu
lui a rispondere:
“Grazie,
Tiner, veniamo
subito”
“Oh, si gela
qua fuori…”
“Sì, fa
piuttosto freddino…
rientriamo subito, grazie…”
Lei si mosse
e fece per
seguire Tiner che nel frattempo era rientrato.
“Mac?”
Non era
neppure riuscito a
dirle che la voleva per sempre e non soltanto per una notte.
Lei si voltò
un attimo verso
di lui prima di rientrare, lo sguardo pieno di rimpianto per un
qualcosa che
ancora desiderava, ma che sapeva non sarebbe mai più potuto essere.
E lui
comprese che non c’era
più nulla che avrebbe potuto dire o fare per fermarla.
***
Non era
neppure rientrato nel
suo appartamento; quando la festa era terminata e l’aveva vista
allontanarsi
con Brumby, era salito in macchina e, senza nemmeno accompagnare a casa
Renèe
che avrebbe voluto finire la serata nel suo letto, aveva guidato per
tutta la
notte, macinando miglia su miglia, finché non era giunto in quel
piccolo
paesino lungo la costa dove tutto era iniziato.
Era arrivato
che era quasi
l’alba; aveva posteggiato lungo la strada e si era incamminato lungo la
spiaggia, nella direzione del cottage che li aveva ospitati tempo
addietro. Un
passo dopo l’altro, mentre il sole lentamente sorgeva all’orizzonte.
Non era così
che aveva
immaginato di tornare in quel luogo; nel suo sogno lei sarebbe dovuta
essere
con lui.
Giunto
davanti alla piccola
costruzione, si stese sulla spiaggia, le braccia incrociate sotto la
testa e lo
sguardo al cielo.
Per tutti
quegli anni, da
quella notte, si era sforzato di dimenticare quello che c’era stato tra
loro,
per riuscire a mantenere il loro rapporto sul piano dell’amicizia e
poter
lavorare assieme a lei; in quel momento, invece, lasciò che ogni
ricordo, ogni
singola emozione vissuta allora, lo invadesse completamente.
Ricordò ogni
cosa: l’attimo
in cui i loro sguardi si erano incrociati al pub; la prima sensazione
del
contatto con la sua pelle, quando l’aveva stretta a sé, in maniera
forse fin
troppo audace, per ballare. Risentì il suo profumo, una delicata
essenza di
fiori, la stessa che aveva risentito in quegli anni ogni volta che lei
gli si
era avvicinata. Rivisse l’emozione del primo bacio, che le aveva dato
proprio
su quella spiaggia; riassaporò il sapore delle sue labbra, i vecchi
ricordi che
si mescolavano ai recenti…
E poi le ore
di passione
vissute tra le sue braccia, il suo corpo caldo premuto contro il
proprio, le
sensazioni che gli avevano procurato le sue mani sulla pelle; i gemiti,
i
sospiri, le parole appena sussurrate…
Lei, ora,
avrebbe vissuto tutte
quelle cose con un altro uomo e non
sarebbe mai stata più sua. Non l’avrebbe
più avuta tra le braccia.
Quella
consapevolezza fu come
una doccia ghiacciata e gli procurò una violenta stretta alla gola,
come se una
mano, dall’interno, cercasse di soffocarlo. Il cuore prese a battergli
rapido
nel petto e sentì gli occhi inumidirsi di lacrime.
Le emozioni
lo travolsero,
violente.
Si sentiva
infinitamente
solo. Come se la sua parte migliore se ne fosse andata assieme a lei e
all’amore che provava per quella donna che lo aveva conquistato fin dal
primo
sguardo.
“Solo
per una notte…”
le aveva detto quella volta.
In quel
momento avrebbe
barattato dieci anni di vita per almeno ancora una sola notte tra le
sue
braccia. Ma lei, ormai, era di un altro e a lui sarebbe rimasto sempre
e solo
il rimpianto e quel bisogno doloroso e senza fine.
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Capitolo 9 *** HARM ***
(…When the night has been too lonely,
and the road has been too long…)
Era sempre stato così, con
lei. Un lento e doloroso bisogno senza
fine.
Da quella loro prima notte in
cui credeva d’aver amato una
sconosciuta, fino a quel momento, poche ore prima, quando l’aveva vista
tornare
la donna di un tempo, splendida e col sorriso sulle labbra, dopo che
Webb, per
mesi, le aveva quasi tolto la gioia di vivere.
Perché mai Mac sceglieva
sempre uomini simili? Uomini che, in un modo
o nell’altro, sapevano distruggerla?
Forse era il suo destino… in
fondo lui stesso, per primo,
probabilmente secondo lei apparteneva a quella categoria di uomini.
Forse proprio per quello era
fuggita.
Dopo il suo incidente in mare,
che aveva messo la parola fine al
rapporto tra Mac e Brumby, lei era fuggita, da Washington e da lui.
E a quel punto le cose, tra
loro, erano cambiate: la tensione aveva
prevalso sulla complicità e sull’amicizia e l’unico momento in cui
l’aveva
sentita ancora veramente vicina era stato quando si erano trovati a
pregare per
la vita di Bud.
Il resto era stato un continuo
alternarsi di sguardi e parole non
dette, di momenti di tenerezza e di distacco, di battutine acide ed
ermetiche
frasi d’amore.
Aveva creduto che lasciare
addirittura la Marina per andare a salvarla
fosse sufficiente a farle capire quanto tenesse a lei… in Paraguay
aveva
davvero sperato che potessero finalmente lasciarsi andare ai sentimenti
che
provavano ed essere felici; invece lei voleva parole… inutili parole
che non
avrebbero aggiunto nulla al gesto che aveva compiuto per amore suo.
Quelle parole erano rimaste
ancora una volta racchiuse tra le sue
labbra, permettendo così che un altro uomo le dicesse al posto suo.
A quel punto era fuggito lui.
Per sei mesi se n’era andato
via, fisicamente; e poi, anche al suo
ritorno, se n’era andato lontano col cuore… che si era riempito di
Mattie.
Ma il legame che li univa, in
un modo o nell’altro, era indissolubile:
ne aveva avuto un’ulteriore conferma quando Mac si era presentata in
tribunale
per l’affidamento di Mattie. Nonostante tutto quello che era
recentemente
accaduto tra loro, nonostante il distacco fisico ed emotivo che si era
venuto a
creare, lei lo aveva sostenuto e lo aveva aiutato ad ottenere
l’affidamento
della ragazzina alla quale si era legato. E lui non era riuscito a
stare
lontano da lei quando aveva saputo del suo problema di salute o quando
Webb
l’aveva ingannata, fingendosi morto.
Era l’ultima sera dell’anno,
un anno che voleva
dimenticare.
Le aveva fatto capire più
volte che desiderava stare con lei… glielo
aveva persino detto:
“Non
voglio più essere un
estraneo, per te… voglio far parte della tua vita. Non ti metterò
fretta…
stiamo a vedere, lasciami scoprire se c’è una possibilità… “
Quando l’aveva raggiunta in
ospedale, dopo l’incidente in cui Mac,
solo una settimana prima, aveva rischiato la vita, le aveva ricordato
che per
lui non era cambiato nulla… non lo aveva mandato via, gli aveva persino
detto
che la cosa più bella era che lui fosse lì, accanto a lei.
L’espressione felice che le
aveva visto in volto soltanto poche ore
prima lo aveva reso furioso. Pensava… aveva sperato di riuscire ad
invitarla alla
festa… voleva trascorrere quella serata con lei; voleva iniziare l’anno
nuovo
guardandola negli occhi…
Mac, invece, sarebbe andata
alla festa con un altro.
Era innamorato di lei da
sempre, da quella prima notte che aveva
trascorso tra le sue braccia. Semplicemente lo aveva capito, o meglio
lo aveva
ammesso con se stesso, troppo tardi. E la sua vita si era complicata
all’inverosimile.
Aveva sperato fino all’ultimo
di essere ancora in tempo per cambiare
le cose… ma ormai non c’era più nulla da fare.
Indossò il cappotto e si
decise finalmente ad uscire di casa.
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Capitolo 10 *** MAC ***
(… And you think that love is only,
for
the lucky and the strong…)
Controllò un’ultima volta il
trucco e ripassò il gloss sulle labbra.
Non ne aveva bisogno, in realtà, era solo un modo per calmarsi.
Aveva trascorso le ultime ore
troppo immersa nel passato, ad
analizzare stati d’animo ed emozioni, frasi e ricordi, dimenticando che
ogni frammento
di vita proveniente dalla sua memoria era filtrato unicamente
attraverso la sua
mente, la sua esperienza, i suoi sentimenti.
Com’erano i ricordi di Harm?
Anche lui rammentava un senso
di calore nel ricordare le loro mani
unite, lo stesso calore che la mano di Harm aveva trasmesso a lei
quando aveva
preso e stretto la sua, mentre le domandava di dargli una possibilità?
O
quando, solamente pochi giorni prima, quella stessa mano le aveva
regalato
conforto e affetto in una stanza d’ospedale?
Ricordava anche lui, nel
rammentare d’averla accarezzata, le stesse
sensazioni che ricordava d’aver provato lei ogni volta che aveva
sentito le sue
dita sfiorarle dolcemente il volto, per asciugare le lacrime che stava
versando
proprio per lui?
E se chiudeva gli occhi e
ripensava ai pochi baci che in quegli anni
si erano scambiati, rimpiangeva anche lui la dolcezza delle sue labbra,
così
come lei provava nostalgia per le sue?
Rimpiangeva, al pari di lei,
quell’unica notte di amore e si
rammaricava di non averne mai avuta almeno un’altra?
Non riusciva a pensare a lui
senza riflettere sull’importanza che aveva
sempre avuto, per loro due, il contatto fisico, e senza ricordare le
sensazioni
che, ogni volta, da quel contatto scaturivano; fin dall’inizio erano
stati
attratti irresistibilmente l’uno dall’altra e quell’attrazione non si
era mai
esaurita, piuttosto si era trasformata e da puro e semplice desiderio,
era divenuta
l’espressione più profonda del legame che li avrebbe uniti per sempre.
Quando lui le prendeva la
mano, in un gesto quasi timido, ma al tempo
stesso forte, rassicurante, riusciva a trasportarla immediatamente in
un’altra
dimensione, dove tutto appariva più semplice per il solo fatto che Harm
era lì,
con lei.
Con le parole lo aveva
respinto, perché il loro rapporto era diventato
troppo complicato; ma nel profondo, quella mano stretta alla sua era
stata
determinante per comprendere, ed accettare, che non avrebbe mai potuto
fare a
meno di lui.
Nessun uomo le aveva mai
trasmesso la medesima fisicità, neppure
durante un amplesso; nessuno era mai riuscito a toccarla così
intimamente prendendole
semplicemente la mano. Era
come se con
quel gesto, così casto e naturale, lui l’avvolgesse nella stretta delle
sue
braccia, pronto a far l’amore se e quando lei lo avesse voluto, ma
capace anche
di tenerla soltanto lì, al sicuro, protetta dal resto del mondo.
Aveva un bisogno disperato di
sentirsi nuovamente al sicuro… per
sempre.
Indossò la lunga e calda
mantella in cachemire che accompagnava
l’abito, provando un immediato conforto che le rammentò le sue braccia
attorno
a sé, ma non era la stessa cosa.
Finalmente più tranquilla,
recuperò la pochette nera e i
guanti, chiuse la porta e raggiunse il taxi che
la stava aspettando.
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Capitolo 11 *** Just remember in the winter... ***
Capitolo
4
“…Just remember in the winter,
far beneath the bitter snow ,
lies a seed that with the sun's
love,
in the spring becomes the rose”
Si sentì
sfiorare il braccio
e, prima ancora di voltarsi, sapeva che era lei. Il suo profumo era
inconfondibile.
Era arrivato
alla festa da
circa un’ora e fino a quel momento si era sentito come sperduto in un
mare di
facce che conosceva, ma che non aveva voglia di vedere.
Non aveva
fatto altro che
pensare a lei.
Mancava poco
più di un’ora
alla mezzanotte e stava cominciando a temere che non arrivasse neppure,
trattenuta dall’uomo che avrebbe dovuto accompagnarla. Come biasimarlo,
del
resto? Anche lui avrebbe faticato ad uscire di casa, se fosse stato il
suo
cavaliere. Dopo diverse chiacchierate con se stesso, era giunto alla
conclusione che avrebbe preferito vederla accanto ad un altro,
piuttosto che
non vederla affatto. Per lo meno avrebbe potuto darle un bacio di buon
anno,
anche se molto fraterno.
“Ciao…”
La sua voce
lo fece decidere,
finalmente, di voltarsi.
“Mac…”
Quando la
vide, la frase che
stava per dirle gli morì sulle labbra e nella sua mente transitarono
solo tre
parole: Merletto di Mezzanotte.
Era il titolo
di un film
degli anni d’oro di Hollywood. Se non ricordava male si trattava di un
film
giallo, che aveva visto assieme ad una ragazza dei tempi
dell’Accademia, grande
appassionata di Doris Day; la trama gli si confondeva in testa (una
donna
perseguitata? Forse dal marito… lei era una ricca ereditiera, lui la
voleva
morta…) e soprattutto, in quel momento, gli sfuggiva perché mai
s’intitolasse
proprio in quel modo… non capiva neppure perché la mente umana facesse
certe
associazioni… ma non appena la vide fu quello che pensò: merletto di
mezzanotte.
Era
meravigliosa… al punto da
togliergli il fiato.
Il gioco di
trasparenze che
il pizzo dell’abito si divertiva a fare sul suo corpo sembrava quasi un
insulto… come poteva renderla ancora più bella e misteriosa?
La vide
sorridere alla sua espressione
sorpresa; probabilmente era soddisfatta dell’effetto che aveva avuto su
di lui.
Non le
avrebbe dato
soddisfazione.
“Mac…”
riprese a dire, anche
se la voce, se ne rese conto troppo tardi, sembrava faticare ancora ad
uscirgli
“… credevo... credevo che non arrivassi più. La festa è già iniziata da
un
po’…”.
“Hai ragione,
sono in
ritardo, ma conto di rifarmi e divertirmi molto… E tu? Ti stai
divertendo? Non
vedo nessuna donna al tuo fianco…”
Non le
avrebbe dato neppure quella,
di soddisfazione.
“E il tuo
cavaliere? Lo hai
già abbandonato?”
Lei lo
guardò, l’espressione
dei suoi occhi improvvisamente più intensa.
“Il mio
cavaliere… sì, giusto.
No, non l’ho abbandonato… è proprio qui, di fronte a me…”.
Registrò il
senso della sua
frase con un attimo di ritardo, perché fece in tempo a vederla
sorridere di
nuovo, alla sua espressione ancora una volta sorpresa.
“Credevo
avessi un
appuntamento…”
“Infatti. Con
te. In ufficio
non mi hai dato il tempo di dirtelo, o meglio, di domandartelo.”.
“Ti sei
divertita, vero?” le chiese,
più rilassato.
“A dire la
verità non proprio.
Ho temuto, per tutta sera, di trovarti abbracciato ad una bionda oppure
ad una
rossa…”.
“Cosa avresti
fatto, in quel
caso?” domandò provocante, avvicinandosi impercettibilmente. Lei fece
altrettanto,
e si sfiorarono.
“L’avrei
uccisa…” rispose in
un sussurro al suo orecchio, mentre lui la prendeva tra le braccia per
danzare.
Aveva atteso per tutta la sera di poterla stringere.
Era strano
come averla
semplicemente così, vicina, facesse cambiare prospettiva alle cose:
fino a
pochi minuti prima non desiderava altro che andarsene, mentre in quel
momento
non voleva trovarsi da nessun’altra parte.
“Mhm…
l’avresti uccisa… e
solo per ballare con un vecchio amico?”
“Tu non sei
vecchio… e non
stai ballando come ballerebbe un amico…” disse lei, sorridendogli,
mentre si
sentiva stringere più forte.
“Cosa sarei,
allora?”
Lo divertiva
flirtare con
lei.
“Mhm…
vediamo… un
affascinante sconosciuto?”.
Si stava
divertendo anche
lei, a quanto sembrava.
“Uno
sconosciuto… mi piace molto,
come idea…” disse, alludendo al loro primo incontro.
“Un
affascinante
sconosciuto”, sottolineò lei.
“Ah… e così
sarei
affascinante?”
“Sai bene di
esserlo”
“Quella
affascinante sei tu…”
“Ti piace il
mio vestito?”
domandò lei, sorridendo.
“Cosa te lo
fa pensare?”,
chiese a sua volta lui, scherzando con la sua abitudine di rispondere
ad una
domanda con un’altra domanda.
“Forse la tua
espressione
quando mi hai vista?”
“O forse il
fatto che ho
voglia di baciarti, da quando ti ho vista...” ammise lui,
sussurrandoglielo
all’orecchio. Poi aggiunse: “Mi piace moltissimo il tuo abito… Sei
bellissima,
Sarah…”.
Le
stesse parole che le aveva detto allora.
Lei
posò il capo sul suo petto e ballarono così, ignari di tutto e di
tutti, persi
in un mondo di vecchi ricordi e nuove sensazioni.
Ad
una decina di minuti dalla mezzanotte, la musica cambiò, per adeguarsi
allo
spirito festaiolo dei saluti al nuovo anno. I camerieri già da un po’
stavano
circolando con vassoi di flute per
il
brindisi.
Si
unirono al coro dell’immancabile conto alla rovescia, ma al momento
degli
auguri, furono separati da numerosi colleghi e amici che volevano
salutarli e
brindare. Infastidito dall’invadenza delle persone, rispose a tutti, ma
era
come frastornato, lo sguardo continuamente rivolto a cercarla. Lei
faceva
altrettanto con lui.
Finalmente
l’orda di barbari terminò l’assalto e si ritrovarono nuovamente vicini
e più o
meno soli.
Voleva
disperatamente baciarla, ma non lì, non davanti a tutti.
Si
avvicinò.
“Vieni
con me…” le disse, prendendole una mano.
“Dove?”
domandò lei, sorpresa.
Non
rispose, si limitò a trascinarla via, verso l’uscita. Lei lo seguì,
senza
aggiungere altro. Uscirono dal salone in cui si teneva la festa e si
diressero
verso il guardaroba; recuperò il cappotto e la sua mantella e poi l’aiutò ad
indossarla.
“Dove
vuoi andare?” chiese Mac.
“Via
da qui…” rispose, mentre la sospingeva dolcemente dentro l’ascensore.
Quando
le porte si furono chiuse, le si avvicinò.
“Ma
prima questo…”.
Cercò
le sue labbra e la baciò per tutto il percorso fino a terra.
“Buon
anno, Sarah… “ disse finalmente, quando furono arrivati.
“Buon
anno, Harm” rispose lei, ancora stordita dalla sua irruenza, prima di
seguirlo
all’uscita del palazzo che ospitava, all’ultimo piano, la festa ancora
in
corso.
“Dove
hai l’auto?” domandò lui, pronto a scortarla fino alla macchina. Non
voleva
lasciarla neppure un attimo.
“Non
è qui. Sono venuta in taxi”.
Sorrise,
comprendendo, senza più alcun dubbio, quale fosse stato il suo
obiettivo fin
dall’inizio: aveva deciso. Finalmente aveva deciso di dargli una
possibilità.
***
Guardò
dalla finestra: la neve aveva iniziato a cadere, probabilmente da
qualche ora,
perché le strade, gli alberi, i tetti delle case, tutto era già bianco.
L’alba
del primo giorno dell’anno era sorta da poco.
“…
Just
remember in the winter, far beneath the bitter snow…”
Ancora
quella canzone. Possibile che gli fosse rimasta così impressa, tanto da
ricordarne i versi a distanza di anni? Doveva averla sentita altre
volte, senza
rendersene conto, altrimenti non se lo spiegava; o forse tutto si
spiegava
perché tornando in macchina dalla festa aveva acceso la radio e scelto
un
canale di musica soft dove, guarda caso, pochi minuti dopo avevano
trasmesso
proprio quel brano.
S’incantò
ad osservare i fiocchi che scendevano lenti. Sembravano quasi petali di
rose
bianche.
“…
Lies
a seed that with the sun's love, in the spring becomes the rose.”
Stava
diventando troppo sentimentale.
Si
voltò verso il letto. Lei dormiva.
Era
così bella… ed era così bello starla a guardare.
Se
non fosse stato inverno, l’avrebbe portata sulla loro spiaggia, anziché
nel suo
appartamento. Avrebbe guidato per tutta la notte, come già una volta
aveva
fatto, pur di far l’amore con lei sulla sabbia, all’alba. Prima o poi
avrebbe
realizzato quel sogno che custodiva da anni.
Invece
aveva guidato per poche miglia, la testa di Mac appoggiata alla sua
spalla, ed
erano entrati in casa neanche mezz’ora dopo aver lasciato la festa.
Chissà
cos’avevano pensato colleghi e amici non trovandoli più.
Non
era riuscito neppure a chiudere la porta; l’aveva spinta col piede,
facendola
sbattere, mentre l’attirava a sé e la baciava di nuovo: sulle labbra,
sulle
spalle nude, lungo le braccia, percorrendo dolcemente il punto in cui
il
tessuto dell’abito incontrava la pelle morbida appena sopra il seno.
Era
eccitante con quel vestito in pizzo nero.
“Tu
mi togli il respiro...” aveva mormorato, sopraffatto dall’emozione.
Si
era preso tutto il tempo per guardarla, dopo averla immaginata troppe
volte
così, tra le sue braccia, fremente del suo stesso desiderio.
L’aveva
spogliata lentamente solo dopo averla baciata a lungo.
Lei,
invece, era stata più impaziente e gli aveva tolto giacca e camicia
prima
ancora che lui avesse deciso di abbassarle la cerniera dell’abito.
Nove
anni erano misteriosamente svaniti nel nulla, mentre si abbandonavano
ad una
passione incontenibile, la stessa che li aveva uniti fin dalla loro
prima notte
insieme.
Avevano
fatto l’amore per ore, mentre l’alba del nuovo anno portava con sé la
promessa
racchiusa nelle parole di una canzone, sulle note della quale il
destino aveva
voluto che ballassero in quella lontana sera di molti anni prima.
Quando la
notte si è fatta
troppo solitaria
E la strada
troppo lunga
E pensi che
l’amore sia
solamente
Per chi è
fortunato e forte
Ricorda che
in inverno
In
profondità, sotto la
rigida neve,
Riposa il
seme che, con
l’amore del sole,
In primavera
diventa una rosa
fine
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