Sogno di una notte di Halloween di Beverly Rose (/viewuser.php?uid=23815)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- I posti auto ***
Capitolo 2: *** Il primo drink è gratis ***
Capitolo 3: *** I fiori di arancio ***
Capitolo 4: *** Le chiavi di casa ***
Capitolo 5: *** Le quattro e dodici ***
Capitolo 6: *** Il proprietario del giaccone ***
Capitolo 1 *** Prologo- I posti auto ***
-Per fortuna non ho sbagliato indirizzo-
pensò Kagome mentre entrava timidamente dalla porta che
Sango teneva aperta per lei.
- Eccoti qui, Kagome!
- le diede il benvenuto, sorridendo: era ancora visibilmente in fase
preparatoria e vestita soltanto per metà ma anche
così, Kagome trovò che fosse bellissima.
Le sorrise di rimando pensando sconsolata a quello che avrebbe
indossato lei invece, quell’accozzaglia di vestiti che aveva
rimediato all’ultimo minuto e che ora giacevano nella sua
borsa a tracolla, assieme al pigiama.
Come al solito per la festa di Halloween si era trovata a terra ma la
sua amica le aveva caritatevolmente offerto un invito
all’ultimo minuto ad una festa per l’ultimo giorno
di Ottobre.
Festa, nota bene, alla quale perfino lei poteva risultare imbucata,
visto che l’invitato ufficiale era suo fratello maggior ma
quando si rischia di restare da soli in casa la Notte delle Streghe,
tutto ciò che può assomigliare anche solo
vagamente ad un incontro fra coetanei diventava appetibile.
Sango poi era talmente adorabile che Kagome amava trascorrere il tempo
con lei: non si conoscevano da molto, appena dal primo giorno di liceo,
ma si erano subito trovate.
- Puoi mettere la borsa
lì- indicò la sua amica a caso,
correndo verso il bagno, dal quale era evidentemente appena uscita;
Kagome eseguì e prese goffamente posto su una sedia,
guardandosi attorno curiosamente.
L’ingresso della casa di Sango era piuttosto ampio, tanto che
dentro stavano comodamente sia due divani che quel tavolo al
quale era seduta; da lì poteva vedere la cucina, dove
campeggiava un secondo tavolo, e il bagno, dove la sua amica era
intenta a truccarsi con cura; infine, c’era in vista la prima
serie di gradini di una rampa di scale, che spariva poi dietro
l’angolo del muro.
Si chiese vagamente quanti piani potesse avere quella casa quando Sango
le si materializzò davanti, degli stivali dal tacco basso in
una mano e un gigantesco qualcosa
di cartapesta nell’altra.
- Vuoi che ti trucchi?-
si offrì - da
cosa ti mascheri?
Kagome le sorrise, vagamente sconsolata.
- Non sapevo cosa
mettermi!- esclamò, alzando in piedi e frugando
nella borsa - ho
rimediato questi.
Estrasse una gonna a pieghe a quadrati bianchi e neri e un
semplicissimo maglioncino altrettanto nero. Tutto qui. Ma Sango
spalancò gli occhi apparentemente deliziata.
- Ho capito!-
esclamò.
Si sporse verso il portapenne al centro del tavolo ed estrasse un
bastoncino con dei fili rosa che spuntavano dalla punta, che aveva
tutta l’aria di essere stato sottratto da una coppa di gelato.
- Questo fa da pon pon!
Sei una cheerleader! -decise.
Kagome non pensò nemmeno a puntualizzare che nessuna
cheerleader si aggirava vestita di nero come ad un funerale, piuttosto
si informò quale fosse invece la maschera di Sango.
- Oh, io sono una
tarantola- spiegò con noncuranza, agitando il qualcosa di cartapesta,
che in effetti era una massa centrale con quattro protuberanze per lato
che potevano essere zampe- anzi,
mi aiuti a fissarla alla schiena? Ho anche la ragnatela in macchina, ma
la metto quando arriviamo, si rovina se mi appoggio al sedile.
Ah, giusto. Perché dopo essersi preparate per
bene, avrebbero dovuto mettersi in macchina e raggiungere quella che
Kohaku (il fratello di Sango e unico autentico invitato) aveva il
coraggio di chiamare discoteca, ma che tutto il resto della popolazione
mondiale definiva
buco-di-posto-in-mezzo-alle-montagne-dimenticato-da-Dio. Nonostante
ciò, Kagome era piuttosto contenta di andarci,
nonché rassicurata dal fatto che Kohaku e i suoi amici
avessero addirittura affittato il posto, così il locale
sarebbe stato solo per loro e (in teoria) non ci sarebbe stato nessuno
di poco raccomandabile.
Quindi non avrebbero incontrato casi umani come Koga, il narcisista
senza frontiere.
O come Naraku, il calcolatore da brividi.
O come Miroku, il cascamorto senza tregua.
Miroku, che per l’appunto, stava entrando in casa proprio in
quel momento, accompagnato proprio dal fratello maggiore di Sango.
- Te l’avevo
detto che veniva?- le chiese lei, spolverandole una nuvola
di cipria sul viso.
- No che non
l’hai detto!- insorse Kagome. Oh, cielo. Miroku
si sarebbe incollato a lei oppure a Sango o a qualche altra ragazza e
avrebbe messo in scena qualche teatrino estremamente imbarazzante.
Ricontò mentalmente gli spiccioli nel suo portafogli e
calcolò quanti drink avrebbe potuto scolarsi.
- Non ti preoccupare,
vado io in macchina con lui - la rassicurò
Sango- tu vieni su con
Kohaku più tardi.
- Ma
… come? Non andiamo insieme? -
balbettò Kagome.
Sango le piantò la matita nell’occhio, come per
risposta.
- Scusami!-
strillò, mentre l’altra si piegava in avanti,
tenendo una mano sulla parte offesa.
- Comunque-
proseguì a mo di scusa - ci sono stati dei problemi con i
passaggi, non ci sono due posti liberi nella stessa macchina.
L’ho chiesto a lui per questo- aggiunse
accennando a Miroku, che ammiccava nella loro direzione, tutto gaio,
sventolando le chiavi della sua macchina come se fossero state un
trofeo.
- Buonasera, fanciulle!
Per questa notte guiderò io il vostro cocchio!
- E’ proprio fesso, accidenti- scosse la testa
Kagome, mentre Sango sbuffava disgustata dall’idiozia della
frase.
- Sango-
chiamò Kohaku, avvicinandosi alle ragazze - sei pronta? Tu e Miroku dovreste
andare.
- Arrivo!
Sango raddrizzò la schiena e guardò
critica la sua amica, sollevando il mascara dal suo viso.
- Non faccio in tempo a
metterti l’ombretto. Stai bene lo stesso.
Kagome non riuscì a trovare una risposta
adeguata, prima che la sua amica schizzasse a recuperare il ragno di
cartapesta e ad infilare gli stivali, prima di caracollare verso
Miroku, il cui sorriso si allargava ogni secondo che passava.
- Ho la ragnatela che mi
hai chiesto, in macchina- informò con orgoglio.
- Sì
… Ci vediamo dopo!
Sango agitò il braccio per salutare Kohaku e
Kagome e infilò con decisone la porta, lasciando la sua
amica in una casa che vedeva per la prima volta quella sera e con un
ragazzo che conosceva appena.
Nel silenzio che seguì dopo che la porta
d’ingresso si fu richiusa, Kagome maledisse Sango in tutte le
lingue che conosceva e rivolse timidamente lo sguardo verso il ragazzo,
che sembrava altrettanto indeciso sul da farsi.
- Vuoi cambiarti?-
offrì infine- puoi
andare di sopra.
Kagome infilò risoluta le scale, stringendo al
petto la propria borsa; in cima alla rampa, si rifugiò nella
prima stanza che trovò e indossò in un crescendo
di depressione quegli inutili vestiti che non c’entravano
nulla con la festa.
Scrutò scontenta la propria immagine nel vetro scuro della
finestra, notando come prima cosa il segno leggermente livido
nell’occhio, dove Sango le aveva conficcato la matita, che
sarebbe diventato rosso vivo prima che fossero arrivati alla festa.
- Appena saliamo mi sente-
giurò alla stanza vuota: voleva andare a casa e basta.
Infilò gonna e maglioncino e valutò poco convinta
il suo riflesso: non indossava tacchi (Sango l’aveva
informata che il terreno dal parcheggio fino alla discoteca era quanto
di più sassoso potesse esistere) ma un paio di ballerine
dalla suola piatta che non facevano proprio nulla per slanciare la sua
figura; la gonna a pieghe dava il colpo di grazia, troncando le sue
gambe a metà e facendola apparire ancora più
irrimediabilmente bassa del solito.
Fu un discreto trambusto al piano di sotto a distoglierla dai propri
cupi pensieri. In men che non si dica, Sango fece irruzione della
stanza, rossa in volto e decisamente contrariata.
- Salgo con mio fratello-
annunciò cupa.
- Allora andiamo insieme?-domandò
Kagome sollevata.
La sua amica non celò il senso di colpa.
- Ti prego, vai tu con
Miroku- la supplicò -non ti conosce bene, mi ha
promesso che ti farà sedere sul sedile posteriore. Continua
a dire cose inopportune, mi mette in imbarazzo!
L’altra scosse la testa. Ora doveva pure andare
in macchina con Miroku!
Ma come poteva rifiutare? Sango appariva d’un tratto
decisamente abbattuta.
- Dovrei andare subito
… - le fece poi presente, mortificata.
Kagome decise che avrebbe compiuto questa buona azione,
perché tanto già dall’inizio la serata
non appariva promettente e una batosta in più non avrebbe
cambiato nulla. In effetti, non conosceva Kohaku più di
Miroku. Che differenza poteva fare?
- Va bene-
sospirò.
- Grazie!-
esultò Sango - vado
subito, allora. Ci vediamo alla festa. Miroku è qui
giù, penso si debba riprendere un attimo. Gli ho
… Ehm … Tirato una gomitata in un occhio.
Sango guizzò di nuovo via, in un misto di
imbarazzo e sollievo, lasciando Kagome sola.
La ragazza lasciò un’ultima occhiata insoddisfatta
al proprio riflesso, poi voltò definitivamente le spalle
alla finestra scura, sperando che quel trentuno di Ottobre terminasse
presto.
Spunto come un
fungo! :)
Allora, questo prologo ha una storia lunga e travagliata che spiega
anche perchè a Gennaio carico una fan fiction ambientata in
Ottobre!
L'ho scritto circa due anni fa pochi giorni prima di Halloween,
ricalcando pure alcuni fatti relalmente accaduti a me medesima nel
2008. Poi l'ho lasciata lì per proseguirla di poche righe
ogni qualche mese. Ora, forse, potrei addirittura riuscire
a terminarla!
Temo che sarà leggermente OOC ma quando sposto i personaggi
in un universo che non appartiene loro ho notato che ho qualche
difficoltà a mantenere i caratteri D:
Dopo tutta questa pappardella, saluti, sperando in recensioni! :)
Ciao!
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Capitolo 2 *** Il primo drink è gratis ***
Kagome cercò di ritirarsi quanto più possibile
nel suo angolo di sedile, quando altri due perfetti sconosciuti
salirono ad occupare gli ultimi posti sull’auto di Miroku.
Li riconobbe vagamente come due studenti della sua stessa scuola ma non
avrebbe saputo dire i loro nomi e loro non si preoccuparono di
presentarsi.
- Quanto ci si mette ad
arrivare?- fu la prima battuta del tizio che le sedeva
accanto.
Poteva essere mascherato da punk ma forse quello era il suo look di
tutti i giorni. In ogni modo, quei suoi capelli neri sparati in aria
sembravano pronti per bucare il tettuccio della macchina.
- Una mezz’ora!-
rispose Miroku giulivo.
- Che palle-
sbuffò il ragazzo che aveva preso posto sul sedile accanto
al guidatore.
- Solare come sempre!-
vociò l’ultimo sconosciuto.
Il ragazzo, del quale Kagome vedeva solo i capelli, di un assurdo
colore bianco argenteo (una parrucca?) non si scomodò a
rispondergli.
- Va bene-
intervenne Miroku -Comunque
ho adocchiato una, eh, ve lo dico così ci state alla larga.
- Ma cosa
vuoi aver adocchiato!- lo prese in giro quello dal capello
assassino -nessuno ti
calcola.
- Lei mi calcola-
lo contraddisse l’altro -mi
ha scritto per vedere se andavamo alla stessa festa.
- Voleva solo che le scarrozzassi l’amica, Miroku
- lo smontò senza complimenti quello con la parrucca.
Kagome ascoltò ammutolita.
Davvero stavano parlando proprio di Sango?
E davvero avevano intenzione di comportarsi come se lei non fosse stata
lì?
Evidentemente sì.
- Sango non manderebbe
le sue amiche in macchina con qualcuno di cui non si fida! -
insorse Miroku offeso.
- E allora? Se si fida
ad usarti come autista mica vuol dire che ci sta!
-
E’ già un punto a mio favore!
L’unica ragazza a bordo non osò
puntualizzare che Sango aveva percosso il ragazzo e deciso di scambiare
posto con lei probabilmente due secondi dopo aver preso posto accanto a
lui.
Miroku strattonò malamente il cambio, prima di sbirciarlo
dubbioso, come a controllare quale marcia avesse mai ingranato.
Kagome decise che quello era il momento perfetto per dissociarsi dalla
conversazione e tentò di distrarsi contando i tornanti, che
si erano fatti numerosi man mano che si avventuravano verso il luogo
della festa.
Quando il conteggio arrivò a quarantotto, lo stridere degli
pneumatici sulla ghiaia le suggerirono che erano giunti a destinazione.
Dato che nessuno l’aveva calcolata per l’intero il
viaggio si disse che poteva evitare di ringraziare per il passaggio;
volò fuori dall’auto non appena il motore fu
spento e incespicò sui sassi bianco gesso senza guardarsi
indietro.
Sango, benedetta ragazza, se ne stava seduta su uno sgabello altro
proprio accanto all’ingresso del locale. Ayame, una loro
amica e compagna di scuola, stava in piedi accanto a lei.
- Eccoti!- la
accolse la bruna -sto
controllando la lista degli invitati. Sai, nel caso qualcuno cerchi di
imbucarsi.
Segnò una V accanto al nome di Kagome, su un
quaderno che reggeva in mano.
- Ma chi vuoi che si
imbuchi?- fece Ayame, non a torto.
- Ma devi stare qui
fuori tutto il tempo? - si informò Kagome
allarmata.
Ci mancava solo che la festa fosse in realtà la mansione non
retribuita di controllare che nessuno entrasse di straforo a quella
sottospecie di evento.
- No- la
rassicurò l’altra- mi tenevo occupata mentre ti
aspettavo.
Sango salto giù dallo sgabello, abbandonandovi
sopra quaderno e matita.
Kagome si sentì così commossa che Sango e pure
Ayame avessero aspettato il suo arrivo prima di varcare la soglia, che
le sue lamentele circa l’abbandono ed il disastroso viaggio
nella macchina di Miroku le morirono in gola.
Prese atto solo allora dell’aspetto del luogo nel quale
avrebbero trascorso Halloween.
Il locale era buio, illuminato solo dalle classiche luci da discoteca.
Piuttosto piccolo, presentava una fila di tavolini lungo una parete e
uno spazio libero, probabilmente per ballare. Buttati lì a
caso si trovavano dei solidi neri alti forse mezzo metro, che
sembravano fatti di cartapesta quanto la tarantola che Sango si era
finalmente fissata alla schiena.
- Sono cubi?-
strillò per contrastare la musica.
- Sì!
- rispose Ayame.
- Nel senso …
Che qualcuno ci salirà sopra per ballare?
- Se ha bevuto
abbastanza sì!
Bene, quello chiudeva l’affare, per Kagome.
Sarebbe stato più decente se l’arredamento di quel
locale non avesse cercato di emulare quello di una vera discoteca, non
quando i piatti di plastica pieni di patatine sui tavoli sembravano
recuperati dall’ultima festa di compleanno delle elementari.
Sospirando, Kagome si diresse infine verso l’unica porzione
di arredamento che trovava la sua approvazione: il bancone del bar.
Kagome non era una fan degli alcolici. In effetti aveva alzato il
gomito solo altre due volte prima, entrambe ad una festa come quella.
Alla fine l’unico motivo per il quale non aveva considerato
fallimentari le serate era stato perché l’alcol
ingollato le aveva fatto trovare tutto dieci volte più
divertente.
Perché, quindi, non contare su un cocktail forte anche
questa volta?
“Vai
così, Kagome” si
complimentò con se stessa
“inizi ad ubriacarti per divertirti e finisci ad una riunione
di alcolisti anonimi in cerca di uno sponsor”
Nondimeno, la ragazza ordinò un drink forte,
scegliendolo a caso dal listino appeso alla parete.
- Ti piace il pesquito?
Bleah- disapprovò Ayame all’istante.
- Mai provato-
rivelò lei.
- Neanch’io!-
si aggiunse Sango - ne
prendo uno pure io!
Lasciò scivolare sul bancone due cartoncini con la scritta
“free drink” ed il barista li fece sparire.
- Erano compresi con
l’ingresso, l’avevo scordato- si
scusò poi, passandone uno anche ad Ayame.
Quest’ultima scosse i codini rosso fuoco rallegrata e si
decise ad ordinare a sua volta.
***
Con l’alcol che lentamente le dava alla testa, Kagome
meditò se fosse il caso di mettersi a ballare.
Ayame l’aveva già preceduta e si era avvinghiata
ad un loro compagno di scuola, Koga, che Kagome era pure convinta non
ci sarebbe stato.
I due erano entrambi demoni lupo dalle orecchie appuntite e parevano
abbastanza bene assortiti.
Koga pareva in effetti un filo imbarazzato dalla danza scatenata di
Ayame ma poteva anche essere che non fosse a proprio agio
perché si era presentato senza maglietta.
Chissà da cosa era mascherato …
- Mi tieni questo?-
domandò Sango porgendole il proprio bicchiere mezzo pieno.
- Perché?-
domandò Kagome prendendolo.
- Miroku mi punta da
un’ora, meglio che rimanga sobria. Finiscilo tu, se vuoi.
Kagome sbirciò sospettosa e notò
che, in effetti, il suo autista improvvisato stava lanciando occhiate
focose alla sua amica, senza preoccuparsi di essere furtivo.
Non c’era traccia dei due che erano in macchina, salvo il
tizio scorbutico con la parrucca bianca.
- Ha già
deciso che ci vuole provare con te- comunicò - l’ha detto mentre
salivamo.
- Cosa? Ma
perché non l’hai detto subito?
- Non
credevo che fosse necessario!
Ora Miroku stava praticamente spogliando Sango con lo
sguardo ed in maniera così palese che se ne sarebbe accorto
chiunque.
Il suo amico con la parrucca invece colse lo sguardo di Kagome nella
sua direzione e la fulminò.
Ma che problemi aveva?
Lei gli restituì l’occhiata velenosa e
registrò per riflesso le sue orecchie da animale che gli
spuntavano dalla zazzera di capelli.
Allora era mezzo umano e mezzo demone, realizzò, e quello
che aveva in testa non era una parrucca, ma i suoi capelli.
Cielo! Ma perché non si dava una spuntatina?
- Vado in bagno-
si congedò Sango.
Kagome rimase come un’idiota in mezzo al locale, da sola con
un bicchiere per mano.
Si voltò di nuovo verso Miroku e quell’altro; il
tizio mezzo demone non era più voltato nella sua direzione,
ma forse si sentì osservato perché si
girò di nuovo verso di lei per lanciarle un’altra
occhiataccia.
Così ora avrebbe pensato che lo stava fissando. Veramente
grandioso.
Non sapendo che altro fare, assaggiò il drink di Sango e poi
svuotò il bicchiere; si scolò anche
l’altro in meno di un minuto e solo allora poté
dirsi ufficialmente alticcia.
Sango tornò giusto in tempo per farsi trascinare in pista
vicino ai due demoni lupi.
- Ma da cosa saresti
mascherato?- domandò a Koga, che appariva
estasiato di avere ben tre donne per le mani.
- Da Jacob.
Si guadagnò solo occhiate perplesse.
- Di Twilight, capito?
- Oh, Signore …- commentò Sango
nauseata.
Senza tanti complimenti afferrò Kagome per il retro del
maglioncino e la trascinò nuovamente verso il bancone.
- Oh, ma come,
così presto?- si lamentò lei.
- Ammettiamolo, Kagome,
questa festa è un fallimento.
- Non importa. Bevi
qualcosa- fu la risposta - io devo andare in bagno.
- Ti accompagno- si offrì la sua amica.
Kagome fece spallucce e si affrettò verso la toilette;
peccato che la strada fosse sbarrata.
Il tizio mezzo demone le si era parato davanti, bloccandole il passo.
Fine dei capitoli "introduttivi", se Dio vuole.
Qualcosa di più concreto succederà a breve!
Ciao! :)
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Capitolo 3 *** I fiori di arancio ***
Kagome contò fino a dieci prima di profferire parola.
Primo, perché l’alcol le stava confondendo le idee
e lei ci mise più tempo del previsto a formulare una frase
di senso compiuto.
Secondo, perché forse questo tizio bizzarro aveva
un’ottima motivazione per impedirle di raggiungere i sevizi.
Decise di dargli il beneficio del dubbio.
- Posso esserti utile?-
domandò, al pieno della sua diplomazia.
Lui storse prima la bocca, poi si decisa a parlare.
- Che profumo porti?-
berciò.
La ragazza rimase interdetta.
- E’ ai fiori
di arancio- rispose circospetta.
- Beh, è
nauseante- accusò l’altro -mi fa venire il mal di testa.
La ragazza lo fissò sbigottita.
- Scusa, ma tu non hai
niente di meglio da fare che tagliare la strada alle persone per dire
loro che non ti piace il profumo che usano? - con
costernazione, si rese conto di avere la bocca impastata.
Il ragazzo arricciò il naso ma poi, inaspettatamente, scosse
la testa.
- No-
confessò.
Con un gesto fin troppo confidenziale, le circondò le spalle
con un braccio e le avvicinò le labbra
all’orecchio.
- Ti spiego-
iniziò con fare discorsivo.
Kagome ascoltò con interesse molto maggiore di quello che
gli avrebbe dedicato se fosse stata sobria.
Il giovane prese fiato e cominciò a parlare:
- Il mio amico Miroku
andrà in vacanza con i suoi fra due week end; staranno via
una settimana.. Ci sei?
Kagome annuì, concentratissima.
- I suoi hanno invitato
anche me.
Kagome annuì di nuovo. Di certo non aveva intenzione di
invitarla fuori città per una settimana, vero? Non si
conoscevano neppure!
Lo osservò di soppiatto: certo, il suo aspetto era
particolare, ma ciò non significava che fosse sgradevole.
- Ho detto ai miei
genitori di aver accettato l’invito. Ma non l’ho
fatto, capito? Invece mi installerò nella casa vuota di
Miroku all’insaputa di tutti.
Kagome annuì per la terza volta, in attesa di comprendere a
che punto della faccenda sarebbe entrata in gioco lei.
Purtroppo il suo interlocutore non sembrava intenzionato ad aggiungere
altro, così si azzardò a domandare:
- E io in tutto questo
cosa c’entro?
Gli occhi del mezzo demone guizzarono pigramente su di lei. Kagome
notò che erano decisamente grandi per gli standard del
Giappone e di un peculiare colore giallo dorato
- Tu?- fece
con noncuranza -Miroku
ha detto che mi avrebbe lasciato le chiavi di casa sua solo se ti
avessi distratta abbastanza a lungo da non impedirgli di abbordare la
tua amica.
Kagome spalancò la bocca, inorridita.
Poi, corse verso la toilette per trovare il misero cubicolo pieno solo
di bicchieri vuoti abbandonati e rotoli di carta igienica rudemente
gettati a terra. Sango non era più lì.
La ragazza si precipitò di nuovo fuori, scagliandosi contro
il ragazzo come una furia.
- Tu…
Tu… - balbettò.
- Inuyasha.
- Che?
- Il mio nome. Inuyasha.
- Ma cosa me ne frega?-
strillò Kagome accalorata - dov’è che
Miroku ha portato Sango?
- Boh-
Inuyasha incrociò le braccia - non ti agitare tanto, vuole
solo confessarle il suo amore. Niente di sconveniente.
- E io cosa faccio qui
da sola?
- Per quello ti ho
distratta! Altrimenti ti saresti incollata alla tua amica e Miroku non
si sarebbe più potuto appartare con lei. Tu pensa solo a
cambiare profumo!
Detto questo, il ragazzo le voltò le spalle e si
allontanò di gran carriera.
All’apice della disperazione, Kagome barcollò
verso la pista da ballo, solo per rendersi conto che là non
c’era più traccia neanche di Ayame e di quel
pagliaccio che era Koga.
Riconobbe Kohaku circondato da una marea di sconosciuti e nessun altro.
Si appoggiò al bancone, disperata.
- Vuoi un altro pesquito?-
offrì il barista, ma lei scosse la testa in segno di diniego.
Peggio di aggirarsi ad un aborto di festa dove non si conosce nessuno e
per di più brilli, c’era solo aggirarsi ad un
aborto di festa dove non si conosce nessuno e per di più
completamente ubriachi
***
Sango spuntò solo molto più tardi, quando la
festa era ormai agli sgoccioli.
Kagome aveva passato il resto della serata seduto ad un tavolo a
sgranocchiare patatine in perfetto isolamento; era tornata sobria e
potè notare con orrore che la sua amica e Miroku si tenevano
per mano.
- Sango!-
scattò, allontanandola senza troppo complimenti dal ladro di
accompagnatrici -ma
dov’eri finita?
- Kagome?-
la ragazza la fissò sbalordita - che ci facevi lì da
sola? Miroku ha detto che Inuyasha ti avrebbe fatto compagnia!
- Inuyasha mi ha parlato
il tempo sufficiente per permettere a Miroku di trascinarti via
indisturbato!- rispose Kagome, sentendosi pericolosamente
vicina alle lacrime.
La situazione era assurda: solo poche ore prima Sango aveva preso
Miroku a gomitate in bocca per la sua imbecillità ed ora
abbandonava lei per
trascorrere del tempo a tu per tu con lui!
- Mi dispiace!-
gemette Sango - non
sarei andata se avessi saputo che saresti rimasta da sola! Ma
dov’è Ayame?
- Eclissata anche lei-
borbottò Kagome.
La sua amica appariva così mortificata che si
sentì molto insensibile a tenerle il broncio. Ancora peggio
fu quando le gettò le braccia al collo chiedendole perdono
con occhi lucidi e voce tremante.
Ma Kagome non fece in tempo a comunicarle che l’arrabbiatura
stava velocemente passando, che Sango, forse nella convinzione di agire
nel migliore dei modi, sprecò la sua situazione di vantaggio.
- Questa volta scendo
io in macchina con Miroku, ok? E gli dirò di farla pagare ad
Inuyasha! Tu scendi con mio fratello, cosa ne dici?
La proposta sarebbe anche stata allettante … Non fosse stato
per il fatto che Kohaku, al pari di sua sorella poco prima, si era
volatilizzato.
Kagome sospirò. Quando sarebbe terminata quella serata da
incubo?
- Non so dove sia,
Sango, non puoi chiamarlo?- domandò.
La sala si andava velocemente svuotando e la ragazza aveva paura che il
suo passaggio fosse già partito senza di lei.
A tale proposito, Sango sfoderò il cellulare.
- Non se
n’è andato- la rassicurò
mentre entrambe uscivano dal locale nella gelida notte autunnale -pensa di dover portare a casa
me: non mi lascerebbe mai qui. Chiamalo - le porse il
telefonino - digli di
venire a recuperarti qui fuori, ok?
- … Ok-
fece lentamente Kagome.
- Meglio che vada, ora.
Uno degli amici di Miroku ha bevuto troppo e lui lo vuole portare a
casa alla svelta. Ci vediamo più tardi da me, allora?
Kagome si limitò ad annuire, stringendo in mano in telefono
di Sango mentre la sua proprietaria si allontanava.
Attorno a lei tutti si dirigevano verso le proprie automobili; alle sue
spalle, il battente del locale con un tonfo che sapeva di definitivo.
Tremando per il freddo, Kagome scorse la rubrica ed avviò la
chiamata.
Quando lui rispose, la voce di Kohaku era appena udibile attraverso la
linea disturbata.
- P … to?
- Pronto, Kohaku? Mi
senti?
- Sango? Do ..e sei?
- Sono Kagome!
- Non … ento
u.. t … bo!
- Sono Kagome! Puoi
venire a prendermi?
- S … ngo?
-No! Kagome!
Nell’unico momento in cui la linea fu caritatevole, Kohaku
riuscì a portare a termine una singola frase:
- Sango, ho sentito che
scendi con Miroku! Allora ci vediamo a casa!
Dopodichè, la comunicazione si interruppe, lasciando Kagome
al freddo in un parcheggio deserto, con in mano un telefono inservibile
Tentò di contattare il fratello di Sango numerose altre
volte ma non riuscì neppure ad avviare una chiamata.
Dopo dieci minuti di totale solitudine, Kagome potè dirsi
ufficialmente terrorizzata.
Si stava guardando attorno smarrita, incapace di decidersi sul da farsi
quando una voce maschile la raggiunse:
- Ehi! Ehi, fiori di
arancio!
Con un tuffo al cuore, la ragazza si voltò e vide Inuyasha
in mezzo demone affrettarsi nella sua direzione.
- Quell’idiota
di Miroku mi ha lasciato a piedi perché non ti ho tenuto
compagnia durante la festa - berciò indignato
una volta che l’ebbe raggiunta - Ti rendi conto?
L’altra non rispose: il freddo le aveva bloccato la mascella.
Il mezzo demone si tolse il giaccone e glielo mise sulle spalle senza
una parola.
Quando si fu riscaldata un poco, Kagome rivolse uno sguardo irrequieto
verso il suo inaspettato compagni di sventure e formulò una
domanda:
- E adesso?
Non ottenne risposta.
Ammetto che questo
capitolo mi sa un po' di sbrigativo. Attendo opinioni/conferme/smentite
ecc...
Ciao!
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Capitolo 4 *** Le chiavi di casa ***
Non c’era silenzio: la strada principale era troppo vicina ed
il rumore delle auto che vi transitavano nonostante l’ora si
udiva distintamente nel parcheggio deserto.
Kagome incrociò le braccia sotto il giaccone di Inuyasha che
la avvolgeva come un sacco a pelo.
- Io lo uccido Miroku-
ringhiò il mezzo demone -lasciarmi
a piedi solo per fare il bello con la sua donna…
- Bell’amico-
commentò l’altra.
- Non che lei sia
meglio: ha abbandonato qui anche te da quel che mi risulta!
- E’
diverso! - puntualizzò Kagome, offesa -pensava che sarei scesa con suo
fratello!
Inuyasha roteò gli occhi e si allontanò da lei di
qualche passo; Kagome sospettò che fosse ancora tutto preso
a disprezzare il suo profumo.
Con le punte delle dita che lentamente riacquistavano
sensibilità e la consapevolezza di non essere
l’unica persona abbandonata in mezzo al nulla, la ragazza
avvertì un minimo di intraprendenza farsi strada attraverso
i vari strati di panico.
- Senti, Inuyasha,
andiamo almeno sulla strada, magari lì
c’è campo e riesco a telefonare.
Lui la guardò accigliato; poi, d’un tratto,
assunse un’espressione che poteva essere quasi sorridente. Ma
forse stava solo ghignando.
- Miroku non
è un amico così pessimo-
affermò, senza nessuna apparente logica - sapeva che sarei potuto tornare
a casa comunque. E’ solo … - scosse
la testa -è
solo che non le sopporto, tutte queste pagliacciate medievali. Se abbiamo le auto usiamole, e
che cavolo!
Kagome non capì proprio nulla di quel curioso
monologò né riuscì a comprendere
perché ora Inuyasha le si fosse parato davanti per poi
voltarle le spalle e piegare le ginocchia, come a domandarle di
salirgli in spalla.
A conferma delle sue azioni, il mezzo demone ordinò:
- Sali, che aspetti? Ed
è meglio che ti abbottoni la giacca per bene o domani ti
ritroverai con un febbrone da cavallo.
Kagome eseguì ma quando si fu arrampicata sulle spalle del
ragazzo non poté far altro che sentirsi molto stupida.
Cercò di toccarlo il meno possibile, sentendosi piuttosto in
imbarazzo per quella vicinanza inaspettata.
Dal canto suo, Inuyasha l’afferrò saldamente
dall’incavo delle ginocchia e se la accomodò senza
tanti complimenti contro la propria schiena.
Poi balzò.
Non un balzo di pochi centimetri, come quello che avrebbe potuto
spiccare lei a scuola, durante le esercitazioni di salto in alto.
Inuyasha si catapultò letteralmente verso il cielo nero e
denso di nuvole, in uno slancio quasi verticale e di innumerevoli metri.
Dalla bocca di Kagome uscì un singolo “Oh!”
di sbigottimento quando riconobbe Tokyo a pochi chilometri da dove si
trovavano: un agglomerato di palazzi altissimi e lunghe strade scure
punteggiate da luci gialle e bianche che erano finestre e fari di
vetture.
- Ci sei ancora
lì dietro?- domandò Inuyasha a voce
alta per contrastare l’aria gelida che gli schiaffeggiava il
viso.
L’unica risposta che venne in mente a Kagome fu
un’altra domanda:
- Ma
com’è possibile?
L’altro sbuffò.
- Credi che essere un
mezzo demone significhi solo avere queste stupide orecchie da animale?
Andiamo, sarebbe una totale fregatura!
La ragazza non poté far altro che convenire in silenzio,
mentre cominciavano la discesa.
Si accorse con preoccupazione che stavano infatti perdendo quota e,
buttando l’occhio sotto di loro, constatò che
tutto suggeriva che si sarebbero schiantati contro il grigio
asfalto.
- Inuyasha?-
chiamò incerta.
Lui la ignorò o forse non la sentì proprio, con
tutto il vento che gli si infilava a forza nelle orecchie.
Man mano che si avvicinavano al terreno, la presa di Kagome sulle
spalle del suo accompagnatore si fece sempre più serrata-
Avrebbe voluto strillare di paura e chiudere gli occhi ma non fu
abbastanza veloce: così poté vedere Inuyasha
flettere le ginocchia con prontezza, quasi con eleganza ed
attutire quasi del tutto il colpo, prima di saltare una seconda volta.
- Ehi, mi hai chiamato?-
domandò il mezzo demone, come se nulla fosse.
Kagome si accorse dal freddo sulla lingua che la sua bocca si era
spalancata per lo stupore.
- No-
rispose.
Su strinse alla sua schiena, sentendo i muscoli snelli guizzare sotto
la maglietta e trovò la postazione perfetta per non
congelarsi il naso, nascondendolo dietro il collo di Inuyasha.
- Beh-
commentò questi- con
tutta questa aria non si sente più il tuo profumo. Per
fortuna.
A sentir questo, Kagome si raddrizzò indispettita.
- Ti ha mai detto
nessuno che sei un cafone?- vociò.
- Perché?
Perché ti ho sconsigliato di usare un profumo cattivo?
- Se non piace a te non
significa che sia cattivo!
Il ragazzo aumentò la stretta sulle sue ginocchia, mentre si
preparavano ad una nuova picchiata.
- L’olfatto
umano è così scadente-
accusò- un
profumo troppo aspro non c’entra nulla con la tua pelle; il
tuo odore naturale è piuttosto dolce. Ci sta come i cavoli a
merenda!
Presa in contropiede, Kagome non trovò nessun argomento con
il quale ribattere.
Si limitò a confermare mentalmente la propria tesi iniziale:
questo tizio, questo Inuyasha, era davvero un personaggio improbabile.
Poche ore prima la squadrava con il più velenoso degli
sguardi e la prendeva in giro per guadagnarsi una settimana clandestina
in casa dei genitori del suo amico.
Ed ora… Quello sull’odore della sua pelle non
poteva forse considerarsi quasi un complimento?
Dopo non ci fu altro da dire.
Calò il silenzio, ma non fu imbarazzante, forse per via di
tutta quell’aria fredda che riempiva loro le orecchie.
Alla lunga, neppure la vicinanza forzata fu più una fonte di
imbarazzo.
Kagome tornò a nascondere il viso arrossato dietro il collo
di Inuyasha e si accomodò alla meglio contro la sua schiena
magra; dal canto suo, il mezzo demone si limitò a mantenere
salda la sua presa sulle gambe della ragazza, per essere sicuro che non
cadesse.
***
Salvo riferire ad Inuyasha l’indirizzo di Sango, Kagome non
aprì bocca per il resto del viaggio, che durò
forse quindici minuti.
Quando mise di nuovo piede a terra, aveva le gambe intirizzite ed il
freddo le era penetrato fin nelle ossa.
- Beh, grazie, Inuyasha-
fece, mentre si appoggiava ad un albero nel tentativo di recuperare
l’equilibrio - mi
accompagneresti fino alla porta? Così ti rendo la giacca
quando sono già in casa.
Alzò lo sguardo sul suo accompagnatore e notò che
lui non le stava dando affatto bado.
- Inuya ….?
- Guarda-
la interruppe lui -è
la macchina di Miroku.
Kagome guardò dove lui le indicava e constatò che
parcheggiata proprio davanti alla casa di Sango (ed in pieno passo
carrabile) c’era proprio l’auto di Miroku
… Con Miroku e Sango a bordo.
- Oh …
- la ragazza arrossì, come se stesse guardando qualcosa di
privato, di intimo - non
disturbiamoli, dai …
- E’ palese
che non stanno facendo niente- affermò invece
in mezzo demone, imbastendo un irritante atteggiamento di
superiorità.
Senza preoccuparsi di essere garbato, la afferrò per il
gomito e la trascinò con lui verso i loro amici.
Fu Sango ad accorgersi di loro per prima: smontò dalla
vettura in tutta fretta e gettò le braccia al collo di
Kagome.
- Eccoti!-
esclamò con evidente sollievo -non so dove sia Kohaku, ma credo
che abbia abbordato una ragazza su alla festa. L’ho chiamato
con il telefono di Miroku e mi ha detto che non ti ha vista -
riprese fiato, liberando l’amica dalla sua stretta - per fortuna che c’era
Inuyasha con te! - concluse.
- Decisamente!-
confermò lo stesso Inuyasha, immusonito - ma che ci fate qui fuori,
comunque?
Anche Miroku si unì al gruppetto e si scambiò uno
sguardo desolato con Sango prima che questa rispondesse:
- Solo Kohaku ha le
chiavi di casa. Non posso suonare il campanello a quest’ora,
i miei mi ucciderebbero. In pratica - rivelò,
spalancando le braccia in un gesto di impotenza - siamo chiuse fuori
finché mio fratello non torna.
- Ed io ho offerto la
mia macchina come riparo- aggiunse Miroku - a proposito, saliamo, che ne
dite?
Kagome guardò i due prendere posto sui sedili anteriori,
sentendo il proprio umore precipitare nuovamente: sembrava proprio che
quella serata infernale non sarebbe finita mai.
Rassegnata all’idea di passare la notte su un sedile di
automobile,montò sulla vettura, seguita con sua sorpresa da
Inuyasha.
- Scusate tanto ma dove
va la mia giacca vado anch’io-disse con
noncuranza, accomodandosi.
Nel silenzio che seguì, il mezzo demone scrutò
con occhio critico la ragazza che gli sedeva accanto.
Senza preavviso, allungò una mano per sistemarle il colletto
del giaccone, che era tutto piegato verso l’interno.
- Scusa-
fece, non senza una certa disinvoltura - com’è che
ti chiami?
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Capitolo 5 *** Le quattro e dodici ***
Quando
Kohaku tornò finalmente a casa, l’orologio della
sua auto segnava le quattro e dodici esatte.
Non aveva la minima idea di dove fossero le persone che aveva
accompagnato alla festa né se fossero riusciti a rimediare
un passaggio quando non l’avevano più trovato; sua
sorella Sango gli aveva telefonato per avvertirlo di essere senza
chiavi e l’aveva fatto usando il cellulare di Miroku.
Kohaku si era fatto una precisa idea su cosa avrebbe suggerito il suo
malizioso amico per scaldarsi in quel clima rigido di fine ottobre.
Eppure neanche questo era riuscito a convincerlo a tornare alla base
prima di quell’ora indecente.
Perché con lui c’era Rin.
Rin, che era più giovane di sua sorella e lo sembrava ancora
di più, con quel codino al lato della testa.
Rin, che sembrava sempre fremere di più energia di quanta
potesse contenere quel suo corpo esile esile.
Rin, che quella sera aveva accettato di ballare con lui, di fare due
passi fuori dal locale e addirittura di fare un giro in macchina.
Quando non aveva neppure declinato l’offerta di bere qualcosa
con lui nell’unico bar della zona aperto tutta la notte,
Kohaku si era sentito ben oltre il settimo cielo.
E così era stato fino a quando non aveva accompagnato Rin a
casa, gioendo dei due baci su ogni guancia che lei gli aveva
generosamente elargito.
Man mano che si avvicinava alla sua, di casa, Kohaku iniziò
ad avvertire una nuova sensazione, la preoccupazione, come se il buon
senso avesse preso a tornargli a fiotti durante il tragitto.
Quando posteggiò, proprio accanto all’auto di
Miroku e scese dalla macchina, era il ritratto dell’ansia.
Spiò furtivamente attraverso il finestrino, pregando di non
vedere corpi nudi ed i vestiti di sua sorella sfilati in gran fretta.
Lo spettacolo che gli si parò davanti fu, grazie al cielo,
molto diverso.
La vettura di Miroku era piena, i sedili sia anteriori che posteriori
occupati.
All’interno non volava una mosca né si scorgeva il
minimo movimento.
Sua sorella sedeva sul sedile del passeggero accanto al guidatore,
illesa, vestita di tutto punto, addormentata con la guancia incollata
al finestrino.
Fra le sue braccia, la testa appoggiata nell’incavo del suo
gomito, pisolava beatamente Miroku, combinato in una posa da
contorsionista per rimanere sdraiato senza venire pungolato dal cambio.
Sul sedile posteriore sedevano, rannicchiati vicini, l’amica
di Sango, Kagome e quello che Kohaku riconobbe per Inuyasha.
Lei teneva la testa all’indietro, appoggiandosi con la nuca
alla spalla del ragazzo.
Dal canto suo, lui teneva il collo reclinato ed il viso appoggiato
contro i capelli di Kagome.
Le sue braccia la circondavano e Kohaku non capì se fosse
per galanteria o per non mollare la presa sulla giacca che Kagome
indossava, che era chiaramente del mezzo demone.
Da quel che vedeva, dunque, il ragazzo constatò che nessuno
era stato lasciato a piedi, nessuno era uscito di strada e,
soprattutto, nessuno di era trovato tutto a un tratto sprovvisto di
mutande.
Sollevato oltre ogni dire, Kohaku alzò il pugno e
bussò al finestrino.
***
Avevano parlottato, anche piuttosto volentieri.
Miroku, oltre ogni aspettativa, si era addirittura dimostrato capace di
portare a termine un discorso di senso compiuto che non comprendesse
vari “sei bellissima,
usciresti con me?”
Sango si era scusata più e più volte con Kagome,
seduta alla rovescia per guardarla in faccia.
Inuyasha aveva più che altro taciuto.
Quando si erano trovati davvero sfiniti dal freddo, Miroku aveva
avviato il motore e fatto il giro dell’isolato un paio di
volte con il riscaldamento al massimo per alzare la temperatura
all’interno dell’abitacolo.
Si erano addormentati tutti quanti, quasi in contemporanea.
- Vieni qui- aveva
intimato Inuyasha a Kagome -hai la mia giacca, almeno
coprimi un po’.
La ragazza aveva eseguito, troppo stanca anche solo per dargli del
maleducato.
Aveva però trovato il suo fianco piuttosto comodo per
appoggiarvi la schiena; aveva abbandonato con sollievo la testa
all’indietro, contro la sua spalla.
Le braccia di Inuyasha l’avevano circondata, come poco prima,
quando se l’era caricata sulle spalle e lei aveva avvertito
il suo fiato caldo, vagamente alcolico, sulla fronte.
Era sprofondata nel sonno serenamente, sentendosi tranquilla per la
prima volta di tutta la serata … E un sommesso ma insistente
bussare l’avevano disturbata fin troppo presto.
- Sango!-
sentì chiamare una voce che riconobbe - sono
tornato!
Sul sedile anteriore, la sua amica stava faticosamente riprendendo
conoscenza.
- Kohaku!-Berciò
-che ore sono? Hai
presente da quanto siamo qui ad aspettarti?
Si alzò e smontò dalla macchina come una furia,
del tutto dimentica di Miroku, che rotolò dolorosamente
verso il bordo estremo di entrambi i sedili.
- Chiedo venia!- si
scusò Kohaku, suonando fin troppo gioviale. Fece tintinnare
le chiavi di casa - guarda cosa ho portato!
- Bah!- sua sorella
sbuffò, piena di disgusto.
Si voltò, osservò con vago interesse Miroku che
si raddrizzava tutto dolorante; si chinò a baciarlo sulla
guancia, dando l’impressione di non sapere con certezza cosa
stesse facendo.
Kagome si separò a malincuore da Inuyasha.
Se fosse stato per lei, avrebbe dormito in quella macchina per tutta la
notte; si sorprese a pensare che farsi abbracciare da Inuyasha non era
un’esperienza così sgradevole.
Arrossì furiosamente e guadagnò la portiera,
uscendo al freddo.
- Andiamo, Kagome?-
domandò Sango all’istante -grazie per aver
aspettato con noi, ragazzi.
- Oh, di niente- gemette
Miroku.
Inuyasha tacque. Guardò Kagome con desiderio e lei
realizzò che stava aspettando che lei gli rendesse la
giacca; se la sfilò rabbrividendo ed il mezzo demone la
prese ed indossò in silenzio.
Dopo una serie di saluti affrettati, la ragazza si ritrovò
quasi senza accorgersene nella brandina che Sango aveva preparato per
lei nella propria stanza.
Non lo avrebbe mai confessato ad alta voce, ma aveva mezzo sperato che
Inuyasha le avrebbe offerto di tenere il giaccone, sì, forse
per restituirglielo a scuola; magari che le chiedesse il numero di
telefono, costringendola a comunicargli quello di casa,
perché lei non possedeva un cellulare.
Ma … Niente.
Quello strano tizio che l’aveva riaccompagnata a casa a
balzelloni e l’aveva stretta fra le braccia, si era
allontanato da lei senza rimpianti e quasi senza una parola.
Forse Kagome era davvero così poco desiderabile?
La ragazza cercò di non pensarci e, mentre sprofondava la
testa nel cuscino, si impegnò a tener presente che
quell’Inuyasha l’aveva per prima cosa presa in giro
e poi insultato il suo profumo.
Forse mantenere i rapporti con lui non era una buona mossa e, a
pensarci bene, le sue braccia non erano poi così
confortevoli.
Per la seconda volta quella notte, Kagome si addormentò,
delusa.
Sognò di essere di nuovo nella macchina di Miroku, con
Kohaku che tamburellava senza pietà contro il vetro.
Nel sogno cercava di sprofondare sempre di più nella spalla
di Inuyasha, che era innaturalmente soffice e cedevole.
Quando si sveglio, si rese conto con costernazione che il bussare non
era terminato assieme al sogno ma che si stava velocemente trasformando
in un sonoro martellare.
- Ma sei fuori di testa?-
sbottò Sango, che era già in piedi e parlava
rivolta alla finestra.
Oltre il doppio vetro, in bilico sul davanzale, stava nientedimeno che
Inuyasha in persona, l’espressione insolente ed il giaccone
in mano.
- Apri!- intimò.
Che fosse arrabbiato o solo molto imperioso, Kagome non seppe dirlo.
Quando Sango lo fece entrare con riluttanza nella camera, questi
gettò la propria giacca a terra, con estrema stizza.
-
C’è una macchia!- esclamò.
- Prego?-
domandò la padrona di casa.
- C’è
una macchia!-
scandì l’altro. Poi, rivoltò a Kagome:
- Non c’era
prima che te lo prestassi! Guarda cosa hai fatto!
L’interessata raccolse l’indumento e lo
esaminò: lì, sul tessuto color cammello vicino
alla manica destra, c’era un inequivocabile alone
più scuro.
- Come avrei fatto a
macchiarla secondo te?- reagì con veemenza.
- Non mi interessa. Devi
portarla in tintoria.
- Cosa ti sei fumato?
Per quel che ne so poteva esserci anche prima!
- Beh, non
c’era. E ti ho anche accompagnata a casa, lavarmi la giacca
mi pare il minimo che tu possa fare!
Kagome vide rosso.
- Se tu
non mi avessi presa in giro per passare una settimana a casa di Miroku,
non avrei avuto bisogno di essere accompagnata!
- Va bene, allora la
prossima volta ti lascerò là, se ci tieni!
- Non ci sarà
nessuna prossima volta!
- Vi
prego … -
si intromise Sango supplichevole - sveglierete i miei. Mi
ammazzeranno.
Inuyasha scoccò ad entrambe uno sguardo di fuoco.
- Sarà meglio
che mi riporti la giacca pulita, Kagome-
intimò - o ti trascino di nuovo davanti
al locale … E stavolta ti lascio lì.
A minaccia ultimata, il mezzo demone voltò le spalle alla
camera e si lanciò verso l’esterno; Sango chiuse
prontamente la finestra.
- Credo che quello
lì abbia almeno quindici personalità diverse-
osservò con un certo distacco.
Kagome non rispose: era troppo sconcertata ed irata.
Mentre si sistemava lentamente di nuovo sotto le coperte, la
colpì il pensiero che in effetti era successa una parte di
quel che sperava: Inuyasha le aveva fatto tenere il giaccone,
suggerendole di riportarglielo a scuola.
Ritardo
estremo.
Gli esami mi uccidono :(
Saluti! :)
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Capitolo 6 *** Il proprietario del giaccone ***
Kagome non aveva nessuna intenzione di portare la giacca di quel
prepotente di Inuyasha in tintoria.
Non avrebbe potuto neanche se avesse voluto dal momento che il primo
novembre tutti i negozi erano chiusi e comunque non ci si poteva
aspettare che la pulitura venisse ultimata nel giro di un giorno.
Arrivò a scuola spavalda, pronta a trovare Inuyasha ad e
sbattergli in faccia il suo giaccone ancora macchiato …
Peccato che fu Inuyasha a trovare lei per primo.
- Ciao- la
salutò con voce incolore non appena ebbe messo piede
nell’edificio -non
l’hai lavata, vero?
- No!-
rispose lei, riprendendosi in fretta -e neanche ho intenzione di farlo.
- Ridammela-
consigliò il mezzo demone -non importa: mio fratello
starà via una settimana. La farò lavare da mia
madre.
Non per la prima volta quando parlava con lui, Kagome rimase interdetta.
- Che?-
fece.
- Questa giacca
è di mio fratello maggiore. L’ho presa senza
dirglielo.
- Oh. Pensavo fosse tua-
commentò Kagome inutilmente.
- Bah. Io che ho
qualcosa di così bello?- alzò il
capo color cammello perché la ragazza lo vedesse bene -io porto solo quello che mio
fratello non vuole più mettere. E’ il destino dei
fratelli minori.
Kagome si sentì d’un tratto intenerita.
- Io ho un fratello
minore- raccontò- ma di certo non gli lascio in
eredità le mie gonne.
- Il grembiulino della
scuola materna?- suggerì Inuyasha.
- Beh, quello in
effetti sì.
- E’ capitato
anche a me- lui si accigliò -e mio fratello è
più alto. Toccava terra con l’orlo quel dannato
grembiulino.
Kagome sorrise a bocca chiusa, non esattamente divertita ma sollevata
che il mezzo demone non fosse sul piede di guerra: non aveva proprio
voglia di mettere in scena una piazzata nei corridoi della scuola.
- Tutto qui?-
domandò -ti
sei arrampicato su per la finestra di Sango perché avevi
paura di quello che avrebbe detto tuo fratello della macchina?
- Non
paura- la corresse lui irritato -ma
mi sarebbe toccato litigarci ed è davvero palloso quando
sono io dalla parte del torto.
- Che scommetto succede
quasi sempre.
- Non succede quasi mai!
Inuyasha piegò a metà il giaccone e se lo
sistemò sul braccio; Kagome rimase in silenzio, senza sapere
bene come congedarsi.
- Beh-
tentò -grazie
ancora per il passaggio.
Il suo interlocutore alzò gli occhi al cielo ma forse era
perché non sapeva cosa rispondere; probabilmente “prego”
Kagome si stava già avviando quando lui prese finalmente
parola:
- Miroku non
andrà in vacanza con i suoi.
Lei si voltò a guardarlo.
- Improvvisamente ha
deciso preferisce rimanere in casa e lasciare che vadano da soli-
sbuffò -vado
da lui lo stesso ma non sarà la stessa cosa.
La ragazza non rispose, incerta di cosa c’entrasse lei in
tutta quanta la faccenda.
- Beh …-
tentò infine.
- Però daremo
una festa- l’altro la interruppe -e Miroku inviterà la
tua amica. Vieni anche tu.
Più che un invito suonava come un ordine o piuttosto come
una semplice constatazione.
Cos’era, pensava che Kagome non avrebbe avuto
l’ardire di rifiutare? Dopo quella di Halloween, di feste ne
aveva avuto abbastanza fino a Capodanno.
La ragazza si mordicchiò l’interno della guancia,
soppesando la proposta ancora per qualche secondo.
Inuyasha la scrutò sospettoso, i capelli d’argento
e la giacca beige che creavano un forte contrasto con la divisa
scolastica scura.
Prima ignorata, poi imbrogliata, poi aiutata e poi stretta, salutata e
presa a male parole da lui, Kagome cercò di valutare il
livello di bizzaria del ragazzo che le stava di fronte.
Troppo alto, decise.
Fu in quel mentre che un particolare che le era fino a quel momento
sfuggito si palesò nella sua mente, chiarendo un fatto che
aveva completamente ignorato: Inuyasha non aveva bisogno che Miroku lo
accompagnasse quella notte fra il trentuno di ottobre ed il primo di
novembre: così come aveva raggiunto la casa di Sango
semplicemente saltando, avrebbe potuto rincasare subito allo stesso
modo, prendendosi la giacca che le aveva prestato e dileguandosi
all’istante.
Però non lo aveva fatto.
Perché? Perché era gentile e non voleva che lei
patisse il freddo?
O perché nemmeno a lui dispiaceva la compagnia di Kagome?
La ragazza non trovò risposta ma entrambe avrebbero
contribuito a far guadagnare punti a quel mezzo demone
dall’atteggiamento incomprensibile.
Inutile prendersi in giro: tempo una nottata disastrosa e si era presa
una cotta per lui.
Ciò però non significava che avrebbe rinunciato a
fare la preziosa: lui si era comportato in maniera così
maleducata da meritarsi un po’ d’ansia.
- Non lo so, sai-
rispose finalmente - ci
penso e poi ti faccio sapere.
Sorrise alla sua espressione cocciutissima e lo salutò con
la mano prima di dargli nuovamente le spalle ed allontanarsi lungo il
corridoio.
Quando si girò per controllare, Inuyasha era ancora
lì dove lo aveva lasciato.
- Ci ho pensato-
disse - non figurava nel suo vocabolario. verrò.
Ecco la fine! :) Mi
dispiace averci messo tanto ho avuto dei giri da fare!
Comunqueeee, l’idea era proprio quella di lasciare un finale
aperto. Mi sembrava esagerato che i due si innamorassero follemente
dopo poche ore, così ho lasciato solo
“cotta” perché mi sembrava
più plausibile! Il seguito uno se lo può
immaginare come meglio crede… Se qualcuno è
interessato potrei mettermi a scrivere una nuova storia che riparta
dalla fine di questa ma si vedrà! :)
Grazie di aver letto e a presto (si spera!).
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