..Renoir..

di acalicad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chiacchiere notturne ***
Capitolo 3: *** Legami ***
Capitolo 4: *** Sunrise ***
Capitolo 5: *** Incomprensioni ***
Capitolo 6: *** Scintille ***
Capitolo 7: *** Vicini ma lontani nella verità ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti ***
Capitolo 9: *** Chi più ama meno può ***
Capitolo 10: *** Can't take my eyes of you ***
Capitolo 11: *** Calore umano ***
Capitolo 12: *** Il tarlo della gelosia ***
Capitolo 13: *** Ad un passo dalla felicità ***
Capitolo 14: *** La sbandata colossale ***
Capitolo 15: *** The only exception ***
Capitolo 16: *** Promesse d'amore ***
Capitolo 17: *** Vieni via con me ***
Capitolo 18: *** avviso ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





MERITO DELLA COVER MERAVIGLIOSA DI LALAYASHA!
*******
 Avevo il respiro affannato, il cuore batteva all’impazzata e sentivo la nausea. Dovevo farcela, avevo combattuto tanto per riuscire ad arrivare a quel punto. Non potevo e non volevo tornare indietro. L’avevo trovata e avrei dovuto affrontare le conseguenze delle mie scelte passate. 
Chiusi gli occhi per reprimere le lacrime che rischiavano di uscire.Sii forte. 
E poi lo vidi. 
Era un uomo sui trent’anni in giacca e cravatta, alto, slanciato, con i capelli di un castano chiaro con qualche ciocca biondiccia, gli occhi non riuscivo a vederli. 
Era tutto il giorno che ero appostata sotto quell’edificio. Erano le dieci di sera, pioveva a dirotto e io tremavo come una foglia, non per il freddo ma per ciò che avrei dovuto dirgli. 
Presi un respiro profondo e ancora tanti altri. Se non mi fossi data una mossa, se ne sarebbe andato: c’era un’auto che lo aspettava. Presi coraggio e avanzai verso lui << Buonasera, signor Cullen >> la voce si spezzò. Nello stesso istante in cui parlai vidi i suoi occhi. Erano di un nocciola intenso, quasi ambrati. Mi studiò per qualche istante, poi parlò: << Posso esserle d’aiuto? >> la sua voce era calda, mascolina. Era un bell’uomo e sembrava infastidito dalla mia comparsa. Strinsi le mani attorno all’ombrello << Sono.. sono Isabella Swan >> mi presentai, con il respiro pesante << Se è per i colloqui di lavoro, deve chiedere un appuntamento >> precisò, cercando di superarmi. Lo seguii << No, non è per il lavoro. Io.. io.. le devo parlare di una cosa importante >> balbettai, intimorita. Inarcò un sopracciglio << Non vedo di cosa debba parlare con lei, neanche la conosco >> constatò. Le mani cominciarono a sudarmi << Io.. io.. >> non riuscivo a continuare, avevo paura << Senta, signorina… non ho tempo da perdere. Quindi si sbrighi >> sbottò irritato << Signor Cullen.. io >> deglutii a vuoto << Lei cosa? >> mi spronò. Sii forte. Chiusi gli occhi per un istante per poi riaprirli << Sono la madre naturale di sua figlia >> sussurrai. 
****
Salve.. sono subito ritornata! Avevo detto che lo avrei fatto tra qualche giorno e invece eccomi qui, di nuovo scattante. Avevo detto che avrei messo da parte la nota drammatica e invece non ci sono riuscita. Questa storia è già nel mio cervellino da un po’ di tempo, affronta un argomento molto delicato e come tale spero di riuscire a parlarne nella maniera più delicata possibile. Un bacione acalicad.

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Capitolo 2
*** Chiacchiere notturne ***





Mi guardò come fossi un mostro. Come se avessi ammesso un omicidio, una colpa. Il silenzio assordante era spezzato solo dalla pioggia e dal rumore del motore dell’auto accesa. La mano che aveva attorno all’ombrello, si aprì facendo volare via la sua protezione contro la pioggia. Io ero lì, ferma, sperando che mi desse la possibilità di spiegare. Il viso rigato dalle lacrime e impaurita da ciò che avrebbe potuto fare. In fin dei conti non avrebbe mai reagito bene. Lo sapevo e lo avevo messo in conto. Per quel che ne sapeva, avrebbe potuto pensare che avevo abbandonato mia figlia. E forse era così.. se fossi stata più forte, meno fragile.
Mia figlia. Una parte di me.
L’avevo vista solo una volta, appena nata, per pochi istanti. Se non fosse stato per l’unica foto che avevo di lei.. << Signor.. >> ma il suo sguardo mi fece desistere dal continuare << No.. non.. può.. essere >> fu lui a parlare, con tono di chi gli era appena crollato il mondo addosso << La supplico signor Cullen.. so che non mi crede ma.. ma non ho fatto altro che cercarla.. se non.. non mi crede.. >> presi dalla borsa un fascicolo e glielo diedi << Qua c’è tutto. Gli esami, le ecografie, tutto ciò che attesta ciò che dico >> cosa mi rimaneva da fare se non implorarlo << La prego, lo legga. Ci sono anche i miei recapiti, per favore.. io.. >> non sapevo più che dire.
Abbassai lo sguardo, finché non lo vidi afferrare la documentazione. Era rigido, sembrava assente. Non disse nulla, entrò in auto e andò via.
*****
<< Mamma, papà.. >> ansimai, disperata << Ti rendi conto Isabella? >> sbraitò, Charlie, mio padre << Hai quindici anni, dannazione! Come hai potuto farci questo, ci odi a tal punto? >> urlò disperato << Io.. >> mi coprii il viso con le mani << Tu cosa? Tu cosa? Io lo sapevo, io lo sapevo quando ti dicevo che non dovevamo darle tutta questa libertà >> accusò Renee, mia madre << Charlie! >> lo riprese, anche lei con le lacrime agli occhi << Non dirlo Renee, non osare dire che non è colpa tua! Lo è. Se tu fossi stata di più dietro figlia lei non si ritroverebbe incinta a quindici anni >> strillò, lanciando un vaso contro la parete << Ma adesso, basta. Appena risolveremo il problema, tu non uscirai più da questa cosa. Non vedrai la luce del sole finché non sarai maggiorenne >> continuò rosso di rabbia. Risolvere il problema << Che.. che vuol.. dire? >> singhiozzai. Mi guardò truce << Cosa credi significhi, ragazzina? >> mi rannicchiai su me stessa, spaventata << Non puoi.. >> cercai di obbiettare << Non posso, cosa, Isabella? Sei minorenne e sei mia figlia, decido io per te >> tuonò << Mamma.. >> implorai << Isabella, tuo padre a ragione. E’ solo per il tuo Bella >> sussurrò, accarezzandomi il volto ma mi scostai.
*****
<< Bella, ti muovi o no? Che fai impalata lì? Porta questo al tavolo cinque >> mi riscosse Tanya. Annui stanca e ripresi a fare la cameriera. In realtà fare la cameriera era solo uno dei tanti lavori che avevo.
Vivere a New York non era propriamente economico. Tra spese universitarie, debiti, affitto, bollette e viveri era quasi d’obbligo fare in modo di avere più entrate. Anche se certe volte era difficile alzarsi dal letto.
<< Okay, vi prego voglio un letto >> era l’una di notte e Tanya si buttò su una sedia.
Era la proprietaria del ristorante, l’avevo conosciuta tre anni prima. Mi aveva aiutato parecchio, ospitandomi a casa sua, offrendomi un lavoro. Lei era una forza della natura: bellissima, bionda, istintiva, la cosiddetta donna con le palle. Si, eravamo amiche ma mi ero limitata con le confidenze. Sapeva solo che il rapporto conflittuale con i miei mi aveva spinto ad andarmene di casa, sentiva che le nascondevo qualcosa. Certe volte mi estraniavo del tutto o diventavo malinconica, invece altre volte per pochi istanti dimenticavo e così il senso di colpa non mi lasciava respirare. Erano tre anni che la cercavo, da quando ero andata via di casa. E ora l’avevo trovata e mi sentivo un po’ più vicina alla meta. Immaginavo spesso cosa le avrei detto, com’era il suo viso ma poi ricordavo che non ero una madre. L’avevo abbandonata e una vera madre non abbandonava mai il suo bambino, una brava madre combatteva con le unghie e con i denti e io non l’avevo fatto. Non ero una madre.
<< Abbiamo finito e il tuo appartamento è a pochi passi. Non dovrei essere io a lamentarmi? >> le ricordai divertita << Bè.. non mi importa. Dannata me e la mia idea di far mettere i tacchi alle cameriere >> di lei mi piaceva la sua umiltà, nonostante fosse proprietaria di un ristorante parecchio in voga tra la New York altolocata, non si limitava a dirigerlo ma anche a servire ai tavoli. Sbadigliò ancora una volta << Tu, invece? Come stai? Ultimamente sembri più assente del solito. Bellalandia sembra averti rapito. E’ successo qualcosa? >> scattai in piedi, punta nel vivo. Definiva Bellalandia, lo stato di trans in cui spesso entravo << Sai com’è.. lavoro, studio, lavoro, lavoro, studio. La solita routine >> scrollai le spalle distaccata << Sarà.. ma così non fai altro che distruggerti. Hai solo ventuno anni e quanti lavori hai? Ho perso il conto, mi sorprendo di come tu possa riuscire a trovare il tempo per lo studio >> sorrisi forzatamente << Tutta questione di intelligenza >> sussurrai scherzosa, prendendo dalla borsa le chiavi dell’auto. In tutta risposta scoppiò a ridere << Ora dove sei diretta? >> chiese, sciogliendo i capelli dallo chignon che aveva. Subito dopo i suoi ricci biondi scesero lungo il viso << Al pub >> il lavoro del weekend << Cavoli Bella, avevo voglia di film e popcorn >> si lamentò << Che fine ha fatto Jason? >> la sua ultima conquista. Sbuffò sonoramente << Bella, io c’ho provato davvero. Ho tentato sul serio ma ogni volta che apre la bocca per fare un discorso di sesso compiuto mi fa cadere le braccia a terra. E io che pensavo che bastasse essere un dio del sesso. Le ultime parole famose.. >> si mise una mano sul viso, esasperata << Allora sarà per un'altra volta… forse la prossima volta dovresti sentirlo parlare prima >> trattenni una risata << Divertente.. >> bofonchiò << Bè.. ne riparleremo. Devo scappare.. >> conclusi.
<< Come on baby light my fire. Come on baby light my fire. Try to set the night on fire.. >> canticchiai mentre mi dirigevo verso la mia auto: un maggiolino color panna. Cercavo di affrettarmi, il parcheggio del Bon Apetit, non era quel che si diceva un luogo rassicurante soprattutto a quell’ora di notte. Il buio non mi era mai piaciuto, neanche da bambina. Lo trovavo raccapricciante e l’idea di aver avuto sotto il letto, l’uomo nero non mi aiutava affatto << The time to hesitate is through, there’s no time to wallow... >> mi fermai non appena sentii un rumore alle mie spalle. Calmati è solo un’impressione. Impressione o meno, accelerai il passo. A sua volta il rumore aumentò. Merda! Cominciai a spaventarmi << Conosco il ju jitsu >> urlai per farmi sentire. Ed era vero. Charlie, quando ero nata aveva una fissa con la mia incolumità così mi aveva fatto prendere delle lezioni.
Arrivai di fronte alla mia auto trafelata, con le mani che tremavano e che non riuscivano a infilare le chiavi nella serratura.
Bastarde.

Sentivo i passi sempre più vicini. Stavo per avere un infarto << Isabella Swan? >> le chiavi caddero per terra. E il proprietario della voce, si abbassò per poterle prendere. Grazie alla flebile luce di un lampione lo vidi. Edward Cullen. Colui che aveva adottato mia figlia. Erano passati precisamente tre giorni e quattro ore quando mi ero presentata da lui, dicendo di essere la madre naturale della bambina che aveva adottato. Impietrii, quale altra alternativa avevo. Per quel che ne sapevo poteva volermi uccidere e con i soldi che aveva, avrebbe potuto far sparire il mio cadavere senza destare sospetti, nessuno sapeva che eravamo legati. Nessuno. Mi schiacciai contro la portiera dell’auto << Mi dispiace, non volevo spaventarla >> forse aveva notato il mio viso paonazzo, infatti usò un tono di voce delicato.
Vuole ucciderti, vuole ucciderti!
Ero nei guai << Non vuole uccidermi? >> chiesi senza voce. Mi guardò a metà tra l’irritato e la sorpresa. Probabilmente se la situazione non fosse stata così delicata, avrebbe riso << No >> rispose lentamente affinché recepissi bene il messaggio. Sì, non voleva uccidermi. Così presi coraggio e mi staccai dal mio appoggio, tuttavia continuavo ad essere agitata. Lui era lui ed era davanti a me. Era qui e avevo paura di ciò che avrebbe detto << Volevo solo parlarle.. >> continuò. Annuii con vigore << Signor Cullen.. >> perché diamine mi fissava in quel modo? << .. stavo andando a lavoro. Posso.. posso chiederle come ha fatto a trovarmi? >> mi sentivo a disagio, in quel luogo, al buio e di fronte a lui << Tra i recapiti ha lasciato anche quello di questo ristorante >> si, giusto << Se deve andare a lavoro, posso accompagnarla e aspettare.. >> mi stava porgendo un ramoscello d’ulivo? Ma lui non sarebbe dovuto ritornare a casa? Se non mi fossi presentata mi avrebbero licenziata. Merda! Forse domani mattina avrei potuto risolvere << No, non si preoccupi, non sono così indispensabile >> che razza di situazione.. continuavamo a studiarci, ogni gesto, ogni movimento veniva recepito dagli occhi dell’altro << Credo dovremmo spostarci >> consigliò. Deglutii a vuoto << Che ne dice di andare in una caffetteria? >> propose.
I dieci minuti più silenziosi di tutta la mia vita. Eravamo in un strarbucks e io tenevo gli occhi puntati sul mio bicchiere d’acqua con ghiaccio, lui invece aveva un’altra filosofia: fissarmi. Forse cercava qualche somiglianza. L’idea che lui, l’avesse vista nelle ultime ore mi faceva pungere gli occhi. Lui la toccava. Lui la vedeva. Lui la baciava. E io? Nulla. Cosa mi aspettavo?
<< Ho letto il fascicolo >> esordii. Tenevo lo sguardo basso << Quanto vuole? >> alzai il viso di scatto. Aveva un libretto degli assegni in una mano e nell’altra una penna. Mi si bloccò il respiro.
<< Il gatto le ha mangiato la lingua? Mi dica quanto vuole >> ribadì. Ero pietrificata. Voleva offrirmi del denaro.
Si sente minacciato.
E se si sentiva minacciato, significava solo una cosa. L’hai trovata.
Mi riscossi dal torpore in cui mi trovavo << Non.. >> ma lui mi interruppe: << Venticinque mila? Cinquantamila? >> m’incitò. Stava scherzando? Perché cominciava a infastidirmi << Sa che le dico, lo lascio in bianco. Deciderà da sola ma non si azzardi mai più a ripresentarsi >> e la mia mano reagì a quelle parole, afferrando il bicchier d’acqua e facendogli la doccia.
Mi guardò sgomento e anche io ero scioccata dalla mia reazione. Una parte di me avrebbe voluto fargli le scuse ma l’altra parte di me, di gran lunga molto più arrabbiata, fece di testa sua.
Mi alzai senza dire una parola, uscii dal locale. Se prima avevo una possibilità su un milione, adesso mi avrebbe chiuso la porta in faccia. Strinsi i pugni e li misi sugli occhi, camminavo avanti e indietro.
Cazzo! Non piangere, non piangere.
Il respiro si fece affannato. Avevo l’insana voglia di distruggere qualsiasi cosa avessi davanti.
Poco dopo sentii la porta della caffetteria aprirsi e dovetti ritornare alla realtà. Tolsi i pugni dagli occhi e lo guardai, sembrava un pulcino mezzo affogato e anche incazzato. Senza pensarci un attimo mi avvicinai a lui. Mi sarebbe piaciuto potergliene dire talmente tante da farlo sotterrare dall’imbarazzo ma da come mi guardò mi fece morire le parole in gola. Così presi un fazzoletto di stoffa che avevo in borsa e glielo porsi.
Il punto fu che non lo prese, forse troppo impegnato a maledirmi in tutte le lingue del mondo. Ero io dalla parte del torto, in fin dei conti.
Inspirai profondamente e poggiai il pezzo di stoffa sul suo viso. Se Maometto non va dalla montagna, la montagna va da Maometto.
Solitamente non ero una persona del genere, che scattava alla prima provocazione. Si lasciò asciugare il volto, ancora con la faccia da schiaffi che si ritrovava condita da una nota di stupore. Gli asciugai la mandibola, passai al mento << Mi dispiace >> sussurrai con gli occhi lucidi << Non voglio i suoi soldi.. voglio solo… >> cosa volevo veramente? Come potevo dirglielo senza farlo reagire male << Non ha nessun diritto su di lei >> passai ad asciugargli la fronte. Ormai le lacrime scendevano e non volevo fermarle, le avevo represse per molto tempo << Crede che non lo sappia? So cosa pensa di me. Che razza di madre è colei che abbandona sua figlia? Io.. >> gli asciugai l’altra guancia << Sono tre anni che la cerco, signor Cullen. Ho assunto un investigatore privato, mi sono indebitata fino al collo.. io non voglio i suoi soldi >> ansimai << Giuro che mi accontenterò di poco. Voglio solo sapere se è felice, il suo nome, avere una sua foto.. so di non essere una madre.. >> abbassai il braccio, portandolo lungo il corpo come l’altro, mi sentivo sola << Io non voglio i suoi soldi >> ripetei.
Abbassai il capo << Come ha fatto a trovarci? >> domandò, con tono calmo come il mio << Elizabeth Mitchell.. >> sgranò gli occhi, sapeva chi era << Era l’assistente sociale che si occupò di tutto >> dichiarò << Si, lei c’era quando la mia bambina è nata. Era un’amica di mia madre. L’ho tartassata per così tanto tempo ma lei non disse mai nulla fino a un mese fa.. >> mi fece un cenno del capo affinché continuassi << Era malata di SLA e poco prima che morisse, mi disse il suo nome: Edward Anthony Masen Cullen >> ammisi.
Il silenzio che c’era attorno a noi, nonostante fossimo per strada era lacerante.
Tornammo a sederci dentro la caffetteria, ognuno perso nei propri pensieri. Probabilmente lui stava soffrendo. Era un genitore. Il padre di mia figlia.
<< Quando.. quando è accaduto tutto ciò, io.. io le avevo messo al collo un ciondolo.. >> blaterai. Forse era sbagliato ma avevo voluto che lei avesse qualcosa di me, che sapesse che se avessi potuto scegliere l’avrei tenuta con me << Da quel che so.. la bambina è stata adottata, qualche giorno dopo. Quindi lei deve averlo visto.. >> presi un respiro profondo. Se dimenticavo soffrivo, se ricordavo faceva male << Continui >> mormorò. Non osavo guardarlo << Le avevo dato una bambola di pezza e una medaglietta in oro. Liz disse che non si staccava mai dalla bambolina e nella medaglietta c’era scritto: “più della mia stessa vita” e un nome... >> il nome che le avrei voluto darle se non l’avessi fatta adottare << C’è un nome ricamato sulla bambolina. Qual è? >> chiese. Era logico che si volesse assicurare che dicessi la verità << Elle >> sospirai.
L’unico giocattolo che avevo voluto in tutta la mia infanzia. La mia migliore amica.
Annuì quasi privo di forze, sembrava distrutto, che un treno gli fosse passato sopra. Non ci trovavamo in situazione semplice << Renoir >> affermò. Smisi di respirare << Lei, mia figlia, si chiama Renoir, l’ho chiamata così per quella medaglietta. Ho pensato fosse fuori dal comune come lei >> sussurrò. Non potei fare a meno di sorridere e sentire gli occhi pizzicare. Renoir. Sapevo il suo nome. Anche io pensavo che il nome Renoir fosse fuori dal comune, speciale come lei. Si chiamava Renoir << Ha i suoi stessi occhi >> continuo. Lo guardai cercando di calmare le mie emozioni << Davvero? >> mi stava parlando di lei. In qualche modo si stava fidando di me << Si, ha gli occhi azzurri come i suoi, anche il naso all’insù e il colore del suo incarnato >> il cuore sembrò volesse scoppiarmi nella cassa toracica. Aveva i miei occhi, il mio naso.. lei aveva qualcosa di me. Qualcosa che testimoniava che era uscita da me, che aveva passato nove mesi dentro me. Era sbagliato provare un’emozione positiva?
<< Signorina Swan, sebbene io non creda nelle coincidenze, ho bisogno di avere una prova tangibile di quanto afferma. Ne è della vita di mia figlia. Quindi vorrei poter fare il test del DNA >> l’amava, lo vedevo dai suoi occhi, da come ne parlava. Tra noi due, non ero io il vero genitore e l’idea che fosse cresciuta con un padre come lui, mi diede sollievo. Era un brav’uomo.
<< Si, certo. Mi dica quando e ci sarò >> risposi scattante. Repressi un sorriso, lui sembrava tutto fuorché euforico. Poi guardò l’orologio che aveva al polso << Si è fatto tardi, devo andare >> si alzò in piedi e prese la giacca poggiata su un angolo del tavolo. Lo imitai, alzandomi. Eravamo, fermi, l’uno di fronte all’altro. Mi sovrastava con la sua altezza << Mi dispiace per.. >> per essermi presentata nella sua vita, avergliela distrutta insieme alle sue certezze. Non aggiunsi quel che pensavo, eppure lui sembrò leggermi dentro: << Ormai è troppo tardi >> troppo tardi.
Un’intera settimana e non si era fatto sentire. Aveva detto che mi avrebbe chiamato ma così non era stato. E io stavo morendo dalla voglia di piazzarmi, di nuovo, sotto la sede del suo lavoro ma non potevo farlo. Se mi aveva detto che lo avrebbe fatto, allora dovevo fidarmi. Però a tutto c’era un limite, no? Io non potevo starmene con le mani in mano con il nervoso che mi rodeva lo stomaco. In quel momento ero al pub, alla fine e per fortuna, non mi avevano licenziato. Avevo inventato un’intossicazione alimentare delle più gravi. Mi aveva aiutato Tanya con tanto trucco da poter sembrare un moribonda fuggita da un ospedale. Ero una barman, grazie ancora all’aiuto della mia amica. Mi aveva istruito a dovere facendomi fare un apprendistato nel bar del suo locale. In realtà negli ultimi tre anni avevo dovuto imparare a far molte cose. Ero stata cresciuta sotto una campana di vetro. Quindi quando mi ero ritrovata fuori casa, senza sapere che fare dovetti rimboccarmi le maniche.
Il locale dove lavoravo, richiedeva esperienza e una bella presenza. Con bella presenza, si includeva un determinato tipo di abbigliamento. Non che vestissi con abiti striminziti o inguinali. Vestivo come qualsiasi altra ragazza che dovesse uscire la sera per la movida newyorkese; secondo Samantha proprietaria del locale, somigliante in maniera assurda a Samantha di Sex and the city, i clienti consumavano più per la bella presenza di una donna o uomo dietro il bancone che per vera voglia. Di conseguenza lavoravo affianco di Jack, figo da paura e gay fino al midollo ma questo le clienti non lo sapevano.
In realtà negli ultimi anni mi ero limitata a guardare e a non toccare, non ero tipo da ragazzo e tantomeno da una botta e via. Ero troppo impegnata per essere sentimentalmente intrappolata.
Secondo Tanya il mio era un comportamento da zitella inacidita. Quando glielo sentivo dire, scoppiavo a ridere. In fin dei conti lei non sapeva e pensava fossi uscita da una relazione amorosa che mi aveva distrutta. In parte era così, la prima e ultima volta che avevo fatto sesso, ero rimasta incinta. E non era stato neanche bello e con amore, c’era solo stato solo tanto fastidio. Era stata più che un’esperienza traumatica. Al solo ricordo mi veniva il ribrezzo.
<< Sei bellissima, avresti potuto limitarti con quel corpetto >> sussurrò al mio orecchio.
Il punto era che non sembrava neanche gay, come quelli di alcuni film, per questo inizialmente Tanya non poté evitare di prendersi una brutta cotta per lui. Come poteva non averla: era bello fuori e dentro. Aveva i capelli neri, gli occhi quasi grigi, il fisico formato perché faceva il ballerino. E poi era dolce, gentile, sexy.
Quando lo scoprì, non contenta, le provò tutte per fargli cambiare sponda. Tuttavia i suoi tentativi finirono con un buco nell’acqua. Poco dopo riuscì a farsene una ragione uscendo con tanti ragazzi. Il classico chiodo schiaccia chiodo.
Sorrisi a ringraziarlo << Dopo vieni a ballare con me? >> chiese implorante. Per ballare non intendeva una normale discoteca ma un club di balli latini. Una sera di circa due anni prima, quando ormai il pub era chiuso, mi aveva invitato al centro del locale e mi aveva insegnato a ballare la salsa << Ci devo pensare.. sono stanca oggi ho avuto un esame >> bofonchiai, servendo un Manhattan a un cliente.
Di colpo mi sentii osservata e me lo ritrovai davanti. Lui. Per me non aveva un nome. Per me era lui. Mi sentii in imbarazzo e non ne capii il motivo. Perché diamine si doveva presentare dove lavoravo? Esistevano i telefoni cellulare. Non aveva una fidanzata da cui tornare? Lei con chi stava quando lui non era in casa? A meno che fosse una cosa troppo importante per poter aspettare e se...
<< Un Whisky liscio >> disse ad alta voce per sovrastare la musica.
Con la coda dell’occhio vidi Jack ammiccare in mia direzione. Figo da paura, bisbigliò sgranando gli occhi. Se avesse saputo...
Lo fissai spaventata << Le è successo qualcosa? >> chiesi, fingendo una tranquillità che non avevo affinché il mio compagno di lavoro non potesse capir nulla.
Poggiai il suo drink con le mani tremanti.
Scosse il capo in segno negativo ma non ne ero tanto convinta.
Quattro e trenta del mattino, io stavo staccando e lui non si era mosso di un centimetro. Mi aspettava. Stavo finendo di pulire il bancone, la tensione mi stava stremando e Jack non faceva altro che guardare lui insistentemente. Credeva potesse darmi fastidio << Dovrebbe andarsene >> disse serio << Aspetto la signorina >> rispose. Jack saettò lo sguardo su di me << Ci penso io, non preoccuparti. Lo conosco >> rassicurai, con un sorriso tirato << Buonanotte >> terminai sulle spine.
<< Non le è successo niente vero? Perché.. se.. se sta male.. >> la voce tremò e si spense subito dopo. Lei stava male e io non ero con lei. Cominciai a torturarmi le mani << No, sta bene >> sorrise gentile. Allora perché era venuto se lei stava bene?
Camminammo fino alla mia auto, io più confusa che mai << Possiamo andare da qualche parte a parlare? >> ruppe il silenzio. Voleva fare conversazione o era un altro modo di offrirmi denaro? << Ehm.. si >> a disagio, forte disagio.
Di nuovo lì, alla stessa caffetteria. Stavolta avevo preso un caffè come lui << Possiamo passare al tu? >> chiese. Annuii cauta << Io sono Edward >> porse una mano in mia direzione << Isabella ma se vuole... se vuoi puoi chiamarmi Bella >> gli strinsi la mano. In confronto alla mia era molto grande.
Era calda.
Calda in modo strano, non letteralmente calda.
Stai impazzendo.
Le mie erano solitamente ghiacciate, la sua era accogliente.
Sorrise affidabile << Ho visto che hai tanti lavori >> dovevo calmarmi, era normale che cercasse di capire se fossi sincera o meno << Quattro. Cameriera, barman, fotografa di eventi e poso per un pittore >> m’imbarazzai << Studi? >> continuò << Si. Ingegneria aerospaziale. Vorrei diventare ingegnere aerospaziale specializzato in aerodinamica >> dichiarai.
Non era proprio l’ideale fingere di essere due conoscenti che andavano di amore e d’accordo ma se gli serviva a qualcosa dovevo accettarlo, anche se il mio unico pensiero era quando avremmo fatto il test del DNA.
Lo guardai in viso, sembrava stupito << Complimenti. Quanto ti manca alla laurea? >> feci due calcoli a mente << Per la fine dell’anno dovrei farcela >> mancavano circa nove mesi e due esami. Ero in dirittura d’arrivo per questo ero più stressata del solito. Tuttavia mi piaceva ciò che studiavo.
Sin da piccola guardavo gli aerei in cielo e mi facevo un sacco di domande su come potessero volare. Nel mio cervello si era creata una versione parecchio sdolcinata, poi crescendo e scoprendo la verità il mio interesse era rimasto.
<< Tu, che lavoro fai? >> non potevo continuare a rispondere alle sue domande come fossi in un interrogatorio. Mi sarebbe piaciuto, sì, perché non trovavo perché volesse sapere gli affari miei.
Sei la madre di sua figlia, cazzona.
Sì, giusto, doveva capire se fossi affidabile o una squallida donna che voleva usare sua figlia per interesse << Hai fatto delle ricerche. Dovresti saperlo >> frecciatina pungente per ricordarmi che lo avevo controllato?
Smettila con la paranoia.
Risi isterica, scostando i capelli da una parte all’altra << In realtà so solo che è un’industriale, non so di cosa si occupa di preciso >> ciò che mi premeva era sapere dove si trovava, non ciò che faceva << Le mie industrie si occupano di costruire attrezzature ospedaliere >> wow! << Scusi.. cioè scusa, quanti anni hai? >> cavolo, non sembrava così tanto vecchio << Trenta. Tu? >> si era costruito un impero a soli trent’anni.
Di certo averlo davanti non aiutava la mia la mia autostima, per quanto riguardava il lavoro.
Forse lo guardai imbambolata, non me ne resi conto << Ventuno >> feci finta di nulla e bevvi un sorso di caffè.
Il suoi occhi si scurirono << Quindi quando.. >> sapeva a cosa si riferiva << Quindici anni, si >> non mi piaceva parlarle << Posso chiederti perché hai deciso.. >> mi strinsi nelle spalle << Forse è meglio se ti racconto la mia vita in grandi linee >> annunciai.
Chiusi gli occhi per pochi istanti, giusto per racimolare le parole adatte. Presi un respiro profondi e li riaprii << Sono nata e cresciuta a Chicago. Figlia di genitori abbienti e fortemente tradizionalisti e cattolici. Ero la classica figlia che tutti vorrebbero avere: ottima educazione, ottima carriera scolastica, riservata ma con carattere. Ero figlia unica e loro pupilla. Per questo decisero di darmi più libertà, acconsentendo a partecipare alle feste. In una di queste feste conobbi un ragazzo e bè.. rimasi incinta. Quando glielo dissi, probabilmente li uccisi. Non fecero altro che dirmi quanto erano delusi dal mio comportamento, della vergogna di avere una figlia come me. Così decisero di trasferirsi a New York. Da quel momento in poi diventai la pecora nera e io ero incinta.. mia madre mi ignorava e non sapevo che fare. Ero solo una ragazzina impaurita. Loro presero la decisione per me. Dissero che avrei dovuto darlo in adozione, che era la scelta giusta, che ero troppo giovane.. dicendo che non sarei stata una brava madre. Ero fragile, non è una giustificazione ma lo ero. Inizialmente mi ero fatta convincere, poi quella notte me la misero in braccio. Subito dopo il parto. Ricordo che era ancora un po’ violacea e gli occhi non erano aperti. Profumava di rose.. di me. Poi lei mi prese un dito tra le sue manine, come se avesse la certezza di essere piccola ma forte. Pensai che fosse la cosa più bella che avessi mai visto. Implorai, scalciai affinché me la facessero tenere ma non me lo permisero ed io non ero abbastanza forte per oppormi. Ricordo solo che hanno dovuto sedarmi >> il mio sguardo era perso nel vuoto, il tono di voce distaccato.
Ripensare a loro non faceva male, non faceva bene. Non faceva nulla. Provavo indifferenza. Non li amavo né li odiavo. Indifferenza. Uscii dal mio mondo, ricordandomi di non essere sola.
Era lì, mi fissava. Speravo che avesse compreso la mia sincerità. Gli avevo raccontato la mia vita. Oltre ad essere il padre adottivo di mia, era uno sconosciuto. Cos’altro dovevo dimostrare? E soprattutto come?
<< Che fine ha fatto il padre naturale? >> s’informò. Alzai le spalle << Loro, i miei genitori intendo, mi hanno convita a non dirgli niente. Rovineresti anche la sua vita, dissero >> in realtà avevano paura che potesse farmi cambiare idea. Ancora dovevo capire come potevano definirsi cattolici, essendo degli ipocriti patentati.
<< Non cerco la tua compassione o altro. E’ già tanto che tu sia qui ad ascoltarmi. Probabilmente al tuo posto, avrei avuto una reazione del tutto diversa. Ti capisco cerchi di proteggerla ed è una cosa molto bella >> poggiai un gomito sul tavolo e con la mano mi massaggiai le tempie. Sentivo la testa sul punto di scoppiare. Ero distrutta tra università, lavoro e confessioni << Ti senti bene? >> annuii stanca << Posso chiederti cosa accadrà dopo il test. Non offenderti ma anche tu hai detto che non credi alle coincidenze. La madre adottiva cosa ne pensa? >> era inutile rimandare << Renoir non ha una madre >> tolsi la mano dagli occhi, sgomenta << Come scusa? >> probabilmente avevo capito male. Speravo di aver capito male << Bè.. avevo una compagna che non voleva avere figli, così le ho proposto di adottarne uno e lei inizialmente è stata disponibile. Poi quando Renoir è entrata nella nostra vita, lei si è tirata indietro e io.. dovresti conoscerla.. >> i suoi occhi brillarono. Dovresti conoscerla. Io volevo conoscerla con tutta me stessa << Renoir è una forza della natura. I suoi sorrisi.. illuminano il mondo e i suoi occhi come il cielo. Mi sono innamorato sin dalla prima volta che l’ho presa in braccio e così ho preso una scelta. Mi sono reso conto di amarla più di quanto avessi mai amato Carmen, così si chiama, e che probabilmente non l’ho mai amata. Così le ho chiesto di fingere per qualche tempo finché gli assistenti sociali non avessero smesso di controllarci. Avevamo una relazione fittizia, lei si era trasferita in un’altra casa e io avevo degli agganci che mi informavano ogni qualvolta che dovevano venire a fare dei controlli. Non volevo e non potevo allontanarmene >> nello stesso istante in cui si zittì, compresi che lei non poteva capitare in mani migliori. Però d’altra parte mi sentii male all’idea che fosse cresciuta senza una madre << Quindi siete solo voi due? >> per quel che ne sapevo poteva avere una ragazza o un ragazzo. Jack era gay e non si vedeva. Anche lui poteva essere gay << Si, a parte la mia famiglia. Ha degli zii pazzi e due nonni che la viziano. E’ la piccola di casa e certe volte se ne approfitta facendo la boccuccia tremolante, dovresti vedere com’è teatrale.. >> parlava troppo gasato.
Sorrisi con un sorrisi tirato. Se da una parte mi piaceva sentirlo parlare di lui, dall’altra mi rattristava. Io non la conoscevo. Probabilmente lui notò il mio cambio d’umore e si bloccò << Cosa vorresti fare se il test fosse positivo? >> chiese a sua volta.
Mi torturai le mani, in ansia << Non importa cosa voglio io, cioè importa ma sei tu suo padre. Prima ancora di pensare cos’è che voglio io, bisogno considerare il meglio per lei. Per non traumatizzarla.. >> e se avesse detto che non potevo vederla? Mi fissò in modo strano. Come se gli avessi detto qualcosa di illuminante << E’ una bambina felice Isabella. Davvero! Sorride anche quando dorme. Lei sa di essere stata adottata e l’ha presa bene, lo dico perché me ne sono assicurato grazie all’aiuto di uno psicologo. Lei è una bambina serena e piena di vita.. >> era serena. E’ felice. Mi morsi le labbra con ferocia, sentivo gli occhi lucidi.
Lui sorrise come a darmi coraggio. Apprezzai il suo gesto << Probabilmente non vorrà vedermi.. io.. >> gracchiai insicura << Le spiegheremo tutto. Stai tranquilla. Prima pensiamo al test. Se non ti dispiace, domani possiamo incontrarci alla clinica privata sulla 52esima >> ricambiai il sorriso poi mi ricordai dell’ora << Domani o tra poche ore? >> chiesi confusa. Effettivamente tutte le nostre chiacchiere le avevamo affrontate ad orari simili. Scoppiò a ridere. Mi stupì. Il fatto che non fosse poi così rigido, dopo solo pochi giorni significava che mi credeva. Che aveva abbassato l’ascia di guerra << Tra poche ore. Anzi, devo tornare a casa. Alle otto e trenta, alla clinica, va bene? >> si, certo che andava bene. Fosse stato per me, anche adesso potevamo andarci.
Rientrai nel mio appartamento distrutta. Era poco lontano dal ristorante di Tanya ed era essenziale. Una cucina, un bagno, un salotto e due camere da letto. Lo avevo arredato usando colori tenui. Per le pareti avevo scelto il bianco e l’arredamento era classico. Non troppo ricercato ne troppo misero.
Il mio unico pensiero fu togliermi quelle dannate scarpe alte. Erano asfissianti dopo sei ore.
Mi buttai sul divanetto color panna, al centro del salotto. Ero così stanca ma sapevo anche che non potevo addormentarmi altrimenti non mi sarei più svegliata. Quindi dovevo alzarmi, farmi una doccia calda e bere un litro di caffè. Dopo la clinica, alle undici avevo un matrimonio per cui dovevo lavorare come fotografa. In poche parole, se fossi stata fortunata avrei dormito per un’ora prima di andare al ristorante. Prima o poi sarei impazzita.
Trascinai i piedi fino al bagno, mi spogliai, regolai l’acqua e infine mi misi sotto il getto dell’acqua. La doccia era un ottimo momento per farmi riflettere. Riepilogando:
*Avevo trovato mia figlia.
* Suo padre l’adorava.
* Non aveva reagito male, a parte un primo attacco di stronzaggine quando mi aveva offerto soldi ma comunque la consideravo una reazione giustificata.
* Tra poche ore avrei fatto un test di DNA, superfluo ma avrebbe verificato quando dicevo.
* Forse mi avrebbe dato la possibilità di conoscerla.
Si, erano i giorni più belli di tutta la mia vita. O
ra che l’avevo trovata, dovevo concentrarmi su cosa le avrei detto se l’avessi incontrata. Forse mi somigliava anche caratterialmente, oppure aveva le mie stesse dita dei piedi o le mie orecchie un po’ a sventola. Lui diceva che era felice, che era teatrale. Anche io le ero molto: per evitare di andare a scuola fingevo di avere chissà cosa. Aveva i miei occhi, il mio naso e il mio incarnato. Mi piaceva più del lecito saperlo. Mi rivitalizzava. Forse non mi avrebbe odiato se le avessi detto della mia identità. E poi cosa sarebbe successo?
Mi sarei dovuta licenziare da almeno un lavoro. Non ero libera quasi mai e dovevo trovare una soluzione. Il problema era scegliere quale. Tutti e quattro avevano pro e contro. Del lavorare come cameriera, c’era di positivo che Tanya non era una datrice stronza. Il pub era ben retribuito nonostante fosse part-time. Posare per un pittore era la cosa più facile e allo stesso tempo più difficile. Il pittore in questione era Jean Lewis: professore di storia dell’arte, e pittore che faceva molte mostre, sui quarant’anni. Lo avevo incontrato per la prima volta un anno prima. Un bell’uomo. Molto più che bell’uomo. Uno dei pochi casi in cui vecchio è buono. Molto somigliante a Patrick Dempsey, almeno questo era ciò che mi aveva detto la mia amica. Lei aveva un’ossessione per Patrick Dempsey, quindi doveva somigliargli davvero tanto.
Comunque.. ritornando a noi, mi vide al campus. Mi si parò davanti e disse che aveva il bisogno fisico di riprendere la mia anima attraverso gli occhi. Non nascondo che lo guardai come se fosse folle e così si affrettò a presentarsi. Mi elesse sua musa, chiedendomi di posare per lui. Inizialmente rifiutai dato che poteva anche chiedermi di posare nuda. Poi disse che pagava mille dollari e accettai. Non facevo mica film per adulti. Fallo in nome dell'arte, aveva implorato platealmente.
La prima volta che andai nel suo studio, portai Tanya con me, fu imbarazzante. Mi feci addirittura delle paranoie pensando chissà cosa, però notai il suo sguardo privo di malizia nonostante fossi semiscoperta e mi acquietai. Inoltre i suoi non erano nudi espliciti. Certe volte mi chiedeva di tener fermo il viso perché gli interessava riprendere solo il mio profilo, altre mi chiedeva di spogliarmi e coprirmi con le mani il seno. Il suo era un effetto vedo- non vedo. Non era mai volgare, né lui né i suoi quadri.
Invece la fotografia mia era sempre piaciuta, sin da bambina. Giravo sempre con una polaroid per casa e fotografavo ogni cosa mi attirasse. Mi piaceva poter immortalare degli istanti nel tempo. Le fotografie c’erano quando i ricordi sbiadivano. Erano come un sostegno per non essere tristi ulteriormente, pensando al passato. Iniziai col fare da assistente a un fotografo. Poi lui mi chiese di sostituirlo per un’intera giornata e i clienti si erano complimentati con lui per le fotografie scattate con le mie mani.
Ed ora era necessario scartare uno di questi lavori. C’era anche da dire che avevo avuto una botta di culo micidiale. Chi era tanto fortunato da poter trovare quattro lavori, tutti ben retribuiti, che non cozzano l’uno con l’altro? All’università mi presentavo solo quando c’erano gli esami. Facevo la fotografa solitamente al mattino o al pomeriggio, solitamente per matrimoni. Da Tanya avevo i turni serali fino all’una di notte. Al pub lavoravo solo nei weekend e attaccavo all’una e trenta. E per Patrick Dempsey, si fa per dire, solo quando ero libera. Il fatto era che lavoravo così tanto solo per capriccio. Dovevo ancora finire di pagare il prestito universitario, le rate dell’auto e gran parte dei miei risparmi erano andati per pagare l’investigatore privato che avevo assunto e ancora dovevo finire di pagarlo. Ero indebitata fino alla punta dei capelli.
Uscii dalla doccia e mi misi di fronte all’armadio non sapendo che indossare. Alcune spose, richiedevano espressamente che anche il fotografo fosse en pendant con il matrimonio. La sposa in questione, mi aveva chiesto l’abito lungo. Che non sia mai che indossi un semplice abito al ginocchio. Avevo già parlato di Tanya? Bé lei anche in determinate situazioni mi salvava, prestandomi i suoi abiti. Quello che avevo tra le mani era di uno strano colore.. prugna: né blu né viola. Era adatto al clima primaverile. Anche se in verità lo trovavo un po’ strano. Non ci badai.
Sistemai i capelli con qualche forcina per dare un effetto naturale, mi truccai leggermente e mi misi le assassine. Tacco dodici.
Otto scoccate. Dovevo darmi una mossa. E alla fine ci riuscii! Dopo aver rischiato l’osso del collo a causa della cicca di una sigaretta, dopo aver caricato l’attrezzatura in macchina, dopo esser volata in un traffico opprimente.. arrivai alla meta alle otto e venticinque minuti. Okay, forse non ero in anticipo di molto ma almeno non ero in ritardo.
Ero così persa nei miei sogni di gloria, che la fitta che arrivò al mio stomaco quando mi ricordai per cosa c’ero venuto, mi colpì. Test del DNA. Ansiosa mi misi a camminare avanti e indietro, di fronte all’edificio, ignorando gli sguardi delle persone a causa del mio abbigliamento. Dovevo calmarmi, aspettavo da una vita questo momento. Io lo volevo con tutta me stessa quel momento. E se fossero state solo coincidenze?
Che motivo avrebbe avuto Liz di dirti un nome falso. Giusto, Liz! Dovevo smetterla di dimenticare particolari importanti. Per una volta dovevo mettere da parte la mia sbadataggine << Isabella? >> saltai in aria, completamente persa in Bellalandia.
<< Buongiorno >> sussurrò. Mi colpì in pieno quando lo vidi. Era la prima volta che lo vedevo con la luce del sole. Ed era davvero un bel ragazzo. Di giorno i suoi occhi sembravano più chiari << Si, buongiorno >> mi sentivo confusa. Stranita da me stessa e dai miei pensieri. Entrammo in ascensore e non fiatammo. C’era tensione per ciò che sarebbe avvenuto. Però non potei evitare di notare che fissasse il mio abbigliamento << Devo andare a un matrimonio >> sussurrai ma suonò come una giustificazione << Si sposa qualcuno a te vicino? >> cercava solo di smorzare la tensione << No, faccio la fotografa >> te lo avevo detto ieri. Aggrottò la fronte << Non è troppo.. >> non riuscì a continuare temendo di offendermi << Elegante? Si! Ma sono gli ordini della sposa >> rise leggermente. Si, mi piace la sua risata. Trattenni un sorriso << Come faremo per la questione? Qualcuno sa della mia esistenza? >> ritornai seria << No. E’ mia figlia, non devo dare spiegazioni a nessuno per quello che faccio. Comunque le ho preso un capello >> potevo fidarmi di lui? << Posso.. posso chiederti come ha i capelli? >> sapevo solo dei suoi occhi. Sorrise << Un po’ più chiari dei tuoi ma sempre castani e ha i boccoli >> sospirai estasiata << E’ bellissima.. >> mormorai, cercando di immaginarla << Si lo è. Anche brillante, spiritosa, estroversa.. >> sentivo le farfalle nello stomaco, all’idea di poterla vedere.
Il plin dell’ascensore, segnalò il nostro arrivo.
Il respiro affannato, il cuore batteva inesorabile, le mani sudate. Mi sentivo sul punto di perdere i sensi << Isabella, ti senti bene? >> la sua voce arrivò ovattata. Sentii la nuca imperlarsi da un leggero velo di sudore << Isabella? >> mi si offuscò la vista e per un breve istante traballai, finché qualcuno non mi afferrò per un gomito per riportarmi alla realtà. Presi cognizione di me stessa, di essere nel laboratorio, che lui mi guardava con una punta di preoccupazione negli occhi e che probabilmente la nostra vicinanza era inappropriata << Sto bene. Un po’ d’ansia >> mi difesi, cercando di allontanare la presa su di me. Eravamo l’uno di fronte all’altro, c’era una strana cosa attorno a noi. Se mi avesse guardato ancora come se volesse leggermi dentro, mi sarei messa ad urlare. Le somigliavo, ora che lo sapevo poteva anche smettere. E poi i suoi occhi: dritti nei miei. Erano di un bel colore.
Improvvisamente qualcuno si schiarì la voce e io ritrovai me stessa. Era stata la dottoressa << Sei sicura? >> chiese, liberandomi << Si, certo >> mentii.
E per qualche strano motivo non fui credibile, perché mentre il medico metteva in una provetta sia il mio capello che quello della sua bambina, sentii la sua mano stringere la mia e il mio affanno si calmò. Mi fece sentire il suo calore.
Mi sarebbe piaciuto ringraziarlo, dirgli che qualcun altro non si sarebbe mai comportato come lui. Tuttavia non ci riuscii e compresi che eravamo sulla stessa barca.
Dopo il piccolo momento di defaillance. Cercai il distacco. Non era opportuno che ci tenessimo per mano, neanche se la situazione era delicata. Eravamo solo degli sconosciuti. Sconosciuti ma genitori di una bambina. Uscimmo dall’edificio e ci dirigemmo verso il parcheggio << Quando arriveranno i risultati? >> domandai << Tra qualche giorno >> rispose. Infilai le chiavi nella serratura dell’auto. Ero.. indecisa forse << Arriveranno sia da me che da te >> aggiunse << Bè.. ci vediamo Isabella >> in quel caso, la mia boccaccia avrebbe dovuto starsene zitta e il mio cervello non avrebbe dovuto mandare nessun impulso ma purtroppo il mio cervello era un bastardo: << Edward.. vuoi.. vuoi venire con me? >>.
******

Ciao ragazze. Vorrei chiarire un punto: in questa storia non sarò così drammatica come nella precedente. Si potrebbe definire anche una commedia. Comunque ecco il primo capitolo della mia nuova avventura. Sono tutta gasata! Okay, smetto di fare l’esagerata. Spero vi possa piacere e se vi va recensite altrimenti grazie di averlo letto. Un bacione acalicad.

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Capitolo 3
*** Legami ***





Perché? Perché? Perché gliel’avevo chiesto. Mi sarei voluta amputare la lingua in un colpo secco così che soffrissi dolorosamente.

Calmati, più tempo passerai con lui più ti parlerà di lei.

Ero una cretina, perché avrebbe dovuto accettare? Aveva un lavoro, una vita.  E io gli chiedevo se voleva venire con me? Pazza. Ero una squilibrata. Una cogliona con qualche problema psichico.                                                                                                            

Continuava a guardarmi come se gli avessi detto chissà cosa. Con un leggero sorriso sulle labbra.

Ammettiamolo, un bel sorriso.

Avrei tanto voluto sprofondare. Non lo conoscevo neanche.

Smettila non gli hai fatto mica una proposta indecente

<< Sei in giacca e cravatta e potrei dire che sei il mio assistente >> ancora!

Boccaccia del piffero, traditrice.

Ecco ora stavo colando a picco.

Brava Bella, ottimo lavoro.

Se non ci fosse stato lui di fronte a me, mi sarei messa a puntare i piedi come una bambina. Perché a me? Okay dovevo fingere nonchalance e ritrattare. Dovevo farlo prima che fosse tardi << Scusami, avrai il tuo lavoro. Non voglio disturbarti ulteriormente >> ecco, si, stavo riprendendo il controllo delle mie facoltà mentali << Si, mi piacerebbe venire. E poi il bello di essere il capo è che posso delegare >> dichiarò.

Fregata!

Avrei tanto voluto chiedergli se ne era sicuro ma poi avrei fatto capire ciò che pensavo e non era l’ideale. Cavolo! Cavolo! Cavolo! Mi imposi di sorridere << Bè.. okay. Allora non ti rimane che seguirmi con l’auto >> forse suonai un tantino stridula. Non potevo certo di dirgli che era stata la mia boccaccia a parlare. Oddio.. dov’era Tanya quando serviva.

Arrivammo a una villa nella periferia di New York. Il quartiere era molto lussuoso. Per fortuna sia la cerimonia che il ricevimento si sarebbero svolti in un unico luogo. Questo avrebbe evitato di farmi impazzire spostandomi da una parte all’altra.                                        
Scesi dall’auto e aprii il cofano << Vuoi una mano? >> spuntò alle mie spalle. Cavolo, mi sorprendeva sempre << No, non preoccuparti.. >> sembrava un controsenso la mia voce tranquilla e la mia espressione insicura a causa del borsone con le macchine fotografiche << Goditi tutto.. e spero di non averti costretto.. >> mi sentii in colpa. Lui aveva da dirigere un’azienda e forse si era sentito in dovere << No, volevo venire davvero >> si, era sincero << E poi sono il tuo assistente, devo aiutarti >> era gentile, molto, forse troppo. Perché si stava comportando così? Era strano. Le sue reazioni non erano normali. Mi confondeva.                                                                                                           

Se è stronzo perché è stronzo. Se è gentile perché è gentile. Non credi dovresti deciderti?

La cerimonia fu veloce ma le foto erano d’obbligo. Alla fine riuscii a fare un ottimo lavoro anche nel momento del servizio in posa. Così arrivammo al ricevimento e conclusi il mio lavoro con le ultime fotografie di rito del ballo.                                                  
Durante l’arco di tutta la giornata sentii spesso, i suoi occhi su di me. Ancora non capivo cos’altro aveva da fissarmi. M’innervosiva.                                                                                       
Feci finta di nulla e lo raggiunsi, era seduto in un tavolo in disparte << Ciao. Scusami per essere sparita >> mi sedetti al suo fianco, con un flute di champagne tra le mani. Anche lui ne aveva uno tra le mani << Sapevo che avresti lavorato, non preoccuparti >> era un uomo molto elegante e carismatico. Okay, anche  molto bello. Me n’ero resa veramente conto durante la giornata: molte donne non avevano fatto altre che fissarlo.                                                             
Bevve un sorso dal suo bicchiere e sorrise << Dato che siamo qui dovremmo parlare >> propose. Si aveva ragione e io sapevo bene di cosa volevo parlare << Posso farti una domanda? >> chiesi ansiosa << Dimmi >> m’incitò. Presi un respiro profondo per darmi coraggio e parlai: << Perché ti comporti così con me? Cioè.. io sono io e tu.. >> non seppi come continuare << Ho avuto una reazione anormale? >> me lo domandò divertito. E in qualche modo mi ritrovai a sorridere per la sua espressione << Tante volte mi sono chiesto se quando fosse cresciuta, avrebbe voluto incontrare i suoi genitori naturali. Poi sei apparsa tu. La mia idea istintiva è stata quella di proporti dei soldi e mi dispiace, pensavo solo a proteggere lei. Sono suo padre e non mi importa se non abbiamo lo stesso sangue, Renoir è la mia vita. Però  tu mi hai inzuppato per poi pulirmi. E ho visto lei nei tuoi gesti. Anche lei un minuto prima è un uragano e quello dopo si addolcisce. E mi hai confuso.. >> ebbi una fitta allo stomaco << E’ lunatica come me >> constatai euforica << Già. Ho passato una settimana a ripensarci e alla fine sono arrivato alla conclusione che non voglio che mia figlia possa pensare che è stata abbandonata senza conoscere la verità. Ti credo Isabella >> mi aprii in un sorriso raggiante << Sei il padre migliore che lei potesse avere. Davvero, Edward >> quelle parole uscirono spontanee << Ti ringrazio. Allora, cos’altro vuoi sapere? >> era un po’ in imbarazzo << Qualche allergia? Favola preferita? Colore preferito? Dolce preferito? Piatto preferito? Frutta preferita? >> parlai talmente in fretta che rimasi senza fiato << Ti dirò solo le allergie: è allergica alle arachidi e alla penicillina >> un'altra prova! << Anch’io sono allergica alle arachidi! >> esultai scatenando una sua risata. Poi ci pensai attentamente << Perché non vuoi dirmi le altre cose? >> suonai stridula e spaventata. E mi fece arrabbiare che continuasse a sorridere << Ormai sappiamo entrambi che il test è una formalità. Quindi penso che potresti conoscerla e sarà lei a raccontarti della sua vita >> rimasi immobile, colpita come un pugno in faccia da quella affermazione.                          

Inspira ed espira. Inspira ed espira. Non farti prendere dal panico.

L’istinto mi disse di strangolarlo in un abbraccio ma, per fortuna, riuscii a trattenermi. Mi limitai a guardarlo con gli occhi lucidi e pieni di ringraziamenti << Dovresti dir qualcosa >> consigliò sottovoce. Rilasciai un sospiro e mi resi conto di aver trattenuto il fiato << E se.. >> dovetti interrompermi a causa della presenza di un uomo di fronte a noi. Per un breve istante, fu estremamente difficoltoso dover staccare gli occhi dai suoi per puntarli su qualcun altro.                                                                                                                                 

Entrambi lo fissammo con aria interrogativa. Poteva avere circa settant’anni e un sorriso dolce gli distendeva le labbra << Dovrebbe invitare a ballare la sua compagna, sarebbe un sacrilegio non farlo con un fiore tanto raro >> se da una parte mi scioccò dall’altra mi costrinse a trattenere una risata. Stavo per dire che io e lui non eravamo.. bé avete capito ma sempre lui mi anticipò: << Ha ragione >> poi si rivolse a me << Perdona la mia mancanza >> quattro parole e un atroce brivido lungo la schiena. Mi si seccò la gola. E senza capir nulla, mi prese la mano e sentii una.. non sapevo come definirla.

Ma che cavolo..

<< Fa nulla. Con la vostra generazione bisogna essere espliciti. L’amore non aspetta, si dia una mossa >> mi sentii le guancie andare a fuoco.

Situazione del piffero!

Mi portò al centro della pista da ballo, sembrava che per lui fosse normale. Io avrei voluto eclissarmi << Non devi sentirti in dovere >> in realtà era una supplica. Non volevo ballare. Volevo scappare.                                                                                               
Con grande grazia mi avvicinò a se, mise una mano alla base della mia schiena e con l’altra prese la mia e l’appoggiò sul suo cuore. Infine mi strinse a se, poggiando una guancia sulla mia tempia. Le mie vie respiratorie entrarono totalmente in sciopero quando sentii l’odore della sua pelle. Sapeva di uomo, un odore fruttato e frizzante con un pizzico di dopobarba << Non è affatto un dovere >> il colpo di grazia.

Perdindirindina..

Ero talmente scioccata che mi scappò una risata isterica << Perché ridi? >> era un’impressione  o la sua voce era cambiata. Stavo dando i numeri. Era l’effetto dello champagne oltre al fatto che ero a stomaco pressoché vuoto. Quindi dovevo rilassarmi << Poco prima è stato imbarazzante. La classica scena da film di serie B in cui i protagonisti non sanno di amarsi, se ne rendono conto quando qualcuno li costringe a ballare insieme a finiscono col passare tutta la vita insieme >> anche lui si unì alla mia risata << Si ma aveva ragione, sono stato maleducato a non chiederti prima di ballare >> sbaglio o si era alzata la temperatura?                                                                                   
L’unica alternativa era zittirmi. Era una situazione altamente fuori dal comune. Stavo ballando con il padre di mia figlia. Renoir.. era bello sapere che lei era reale << Cosa stavi per dire prima che ci interrompesse? >> domandò. Mi mordicchiai le labbra << E se non dovessi piacerle? Se dovesse odiarmi? Forse è sbagliato che tu voglia farmela conoscere.. >> non potevo credere che lo avessi detto per davvero.                                               
 Improvvisamente, mentre continuavo a rodermi il fegato per la mia stupida, mi fece fare un giro su me stessa. Per fortuna non mi fece cadere e apprezzai molto il suo gesto di distrarmi << Ammetto che è un peperino. E certe volte parla e agisce senza pensare.. che ne dici di prima di dirglielo, di conoscerla e farti conoscere? >> stava facendo di tutto per venirmi incontro. Decisi di guardarlo negli occhi, per farlo dovetti alzare il capo. Forse era alto un metro e novanta o poco più.                                                                       

I suoi lineamenti, i suoi occhi perfino il loro colore esprimevano un’onestà disarmante << Non si sentirà presa in giro? >> mormorai preoccupata. Sorrise << No.. è troppo buona per pensarlo >> tornai ad appoggiare il capo sulla sua guancia.                                 
La melodia stava esalando le sue ultimi note, pensavo tornassimo a sederci ma lui mi stupì facendo finta di nulla e continuando a parlare, facendo si che la nuova canzone iniziasse << Perché ti è piaciuto il nome Renoir? >> chiese. Sorrisi al ricordo << Bè.. quando stavo aspettando che il test mi facesse vedere se fossi incinta o meno. Ero ansiosa e sembrava che il tempo non passare mai, così presi un libro sperando di distrarmi. Quando trovai la vita di Pierre Auguste Renoir, con la coda dell’occhio vidi la linea rosa del test ed ero talmente scioccata che urlai: “Renoir” >> ridacchiò insieme a me << Poi pensandoci bene ho trovato che fosse un nome atipico, anche un po’ romantico, delicato. E’ un nome unico come lei. Quale altra bambina al mondo si chiama Renoir se non Pierre Auguste Renoir. E se dobbiamo essere proprio pignoli non è una donna e non è il suo nome ma il suo cognome? >> un’altra giravolta, un altro sorriso e mi riportò stretta a lui << Il punto non è perché mi piaceva il nome Renoir, il punto è perché l’hai scelto tu >> dichiarai. Fu il suo momento di fissarmi negli occhi. Aveva qualcosa che non riuscivo a decifrare negli occhi << Come hai detto tu è un nome unico. Speciale e raffinato >> unico come lei.                                                                                 
Sospirai pesantemente << Credo si sia fatto tardi, tu devi tornare a lavoro e io a fare qualcosa >> tra cui dormire. Ero sveglia da due giorni e se non avessi incontrato la morbidezza di un letto sarei impazzita. Sbadigliai apertamente << Sembri stanca >> notò. Scossi il capo << No >> mentii << Un caffè mi sveglierà >> rassicurai.

Mi caricò sino all’ultimo borsone in auto << Grazie ma io non intendevo che dovessi farmi da assistente letteralmente >> scrollò le spalle << E’ stato un piacere >> disse. Poi prese il portafogli, lo aprì e ne estrasse un biglietto << Questo è il mio numero. Chiamami per qualsiasi evenienza >> affermò. Aggrottai il fronte. Perché avrei dovuto chiamarlo? Non potevo fargli pressioni. Era lui che doveva farlo.                                                 
Tuttavia presi il suo biglietto da visita << E’ meglio che anch’io ti dia il mio >> a differenza sua io non avevo un biglietto da visita. Mi diede il suo Iphone e così semplificai ogni eventuale operazione << Finora sei venuto a ogni mio lavoro ne manca uno e vorrei evitare che tu mi vedessi svestita >> non era un modo per dirgli che era stato una scocciatura e lui lo capì << Si, hai ragione >> rise.                                                                                                                          

Poi assurdamente, scese un silenzio fatto di imbarazzo. Sentii nuovamente la temperatura aumentare << Io.. io vado >> borbottai confusa. Gli diedi le spalle ma poi lo richiamai << Edward? >> anche lui mi dava le spalle << Si? >> ci pensai su prima di parlare << Potresti darle un bacio per me? Non devi dirle che glielo mando io.. >> mi stavo incartando << Si, lo farò Isabella >> mi tranquillizzò.

Bastò un istante: non appena entrai in casa, mi fiondai in camera da letto, tolsi il vestito in un gesto secco e cominciai a saltare sul letto come una bambina.                                                                  
Mi sarebbe piaciuto chiedergli una foto ma non volevo tirare troppo la corda. Mia figlia. Non vedevo l’ora di vederla. Dovevo solo essere paziente. Prima mi sarei fatta conoscere. Speravo che ci fosse feeling. Non mi illudevo che solo perché ero sua madre, mi sarebbe saltata al collo. E se davvero non le fossi piaciuta? Doveva essere una bambina particolare..

<< Che stai facendo? >> appena sentii la voce di qualcuno, il piede prese una storta e caddi come una stupida, per fortuna, sul letto. La guardai inferocita << Mi hai fatto prendere un infarto! >> strillai, massaggiandomi la caviglia. Era Tanya, aveva le chiavi del mio appartamento perché mi fidavo di lei << Si, come sempre ma perché saltavi come una cavalletta? >> si sedette sul letto, accavallando le gambe, molto curiosa << Non c’è un motivo >> mentii. Mi fissò attentamente, poi mise l’indice su una guancia come se stesse riflettendo << Vediamo.. >> iniziò. Il suo sguardo si accese di malizia << Al matrimonio hai ballato con l’uomo della tua vita >> trillò. Come diamine a sapere che avevo ballato con un uomo? << Tranquillizzati. Non sono una veggente. Solo che profumi di uomo e a meno che tu non ti sia strusciata su qualcuno, comportamento non da te, vuol dire che hai ballato >> mi annusò come a dare atto alle sue parole. Ero sconcertata << Deve essere ricco, bello, buono e affascinante >> mi spaventò il suo fiuto << Come fai a dirlo? >> chiesi stranita. Alzò le spalle come se niente fosse << Dal profumo si capiscono tante cose >> forse solo lei lo capiva.                                                           
Mi alzai e indossai il un vestito che usavo per dormire << Che ci fai qui? Di solito a quest’ora sei al locale >> constatai, accoccolandomi sotto le coperte. Mi sentivo distrutta, volevo dormire << Si ma siccome tu non ti fai vedere da ieri.. ho pensato di venirti a farti una visita, tuttavia credo che dovresti parlarmi del super figo con cui hai ballato >> non si lasciava sfuggire la possibilità di parlare di ragazzi << Non era un super figo >> scimmiottai.

Bugia.

<< Neanche così affascinante >> aggiunsi.

Cazzata del secolo.

<< Né profumato come dici tu >> dichiarai.

Perché non ti specchi per vedere se ti è cresciuto il naso?

<< Non lo conoscevo neanche, mi ha semplicemente invitato a ballare e non abbiamo parlato. Un solo ballo al cui termine sono andata via >> mi giustificai << Bello o meno d’ora in poi, per me, diventerà l’uomo profumato >> affermò maliziosa.                                      
Dati i recenti sviluppi, presto o tardi avrei dovuto dirle la verità. Speravo solo che non si arrabbiasse, che capisse, che non mi giudicasse per ciò che avevo fatto a Renoir.                                                                   

Tanya aveva ventotto anni. Era una delle poche persone a cui volevo veramente bene, che c’era stata sempre. Ci eravamo conosciute su un treno, io piangevo come una fontana e lei mi offrì un kleenex. Mi disse che non bisognava mai abbattersi, che c’era sempre una soluzione e me lo dimostrò offrendomi un posto al suo ristorante oltre che un letto su cui dormire. In un certo senso fu il mio angelo custode.                                            
Certe volte mi sentivo in colpa a nasconderle una fetta importantissima del mio passato, lei si era fidata di me cecamente ma non ci ero mai riuscita così promisi a me stessa che appena avrei trovato Renoir le avrei raccontato tutto.

<< Sconosciuto o meno, profumato o meno ti ha fatto un bell’effetto. Sei raggiante, i tuoi occhi luccicano >> se luccicavano, ero per tutt’altro motivo. Sorrisi << Grazie, tesoro. Ora non vorrei essere inospitale ma se vuoi che stasera faccia un ottimo servizio devi lasciarmi dormire. Se vuoi resta ma io dormo >> mi coprii il viso con il piumone mentre la sentivo ridacchiare.


Passarono altri giorni, nell’attesa di quel test.                                                                            
Tra poche ore avrei dovuto partecipare a un altro matrimonio. Però a differenza della volta precedente non sarei stata costretta a indossare qualche vestito assurdo e avrei fatto solo qualche foto a Central Park per poi essere sostituita.                                                                                                          
Ero un po’ stanca poiché la sera prima Jack mi aveva convinta ad andare a ballare. Era molto empatico ed aveva capito che aveva capito quanto avessi bisogno di distrarmi.                                                                                                    

Erano le nove del mattino, ero appena uscita dalla doccia. Con ancora i capelli bagnati, avevo indossato un semplice prendisole.                                                                                                
Odiavo il phone, dopo i capelli sembravano elettrizzati. Preferivo di gran lunga l’asciugatura naturale.                                                                                                                         
Ormai ballavo e cantavo da circa dieci minuti sulle note di “Walking on sunshine”. Ecco perché adoravo vivere da sola. Potevo far quel che volevo, senza che nessuno protestasse << I’m walking on sunshine wooah! I’m walking on sunshine woooah! >>m’interruppi a causa del suono del campanello di casa. Era sicuramente Tanya, doveva raccontarmi del suo appuntamento con un tipo da urlo, secondo lei << I’m walking on sushine woooah.. >> corsi ad aprire << And don’t it feel good.. >> le parole morirono i gola appena vidi chi era << Oh.. cazzo! >> strillai per poi chiudere la porta.

Merda! Merda! Merda! E il premio per la figura di cacca dell’anno va a.. Isabella Swan!

Presi un respiro e riaprii la porta, rossa di vergogna. Lo vedevo: si stava trattenendo dal ridere. Perché diavolo non usava il cellulare, diamine! Lo feci entrare in casa, intimidita << Buongiorno >> avevo la nausea. Speravo solo che prima di vomitare, andasse via << Giorno >> gracchiai << Scusami se sono venuto ma è arrivata la busta della clinica e mi chiedevo se anche a te fosse arrivata >> non sembrava a disagio, bene.. un attimo! Cosa aveva detto? La busta << Non ho ancora controllato la posta, resta qui io vado.. >> corsi fuori di casa.                                                                                                                              

Era arrivata.                                                                                                                                      

Rientrai leggermente paonazza in viso. Sentivo il respiro affannato << E se fosse un errore? >> chiesi << Credo che ormai sia troppo tardi per poterlo dire >> disse con voce dura << Lei ha una vita.. io potrei rovinargliela.. io non ho nessun diritto.. >>  ansimai << No, non le rovinerai la vita ma io non posso costringerti a fare nulla che tu non voglia. Qualora volessi tirarti indietro, allora ti chiedo di non presentarti mai più. Se entri nella sua vita, dovrai esserci sempre e non solo quando ti fa comodo. Ci siamo capiti, Isabella? >> era più che serio. Annuii, punta nel vivo da quelle parole. Si, sapevo che il suo obbiettivo era proteggerla e gli’ero grata ma se avessi voluto scappare non avrei passato gli ultimi anni a rintracciarla << Certo che lo so. Cosa credi? Che scapperò via? Io non voglio deluderla ma il punto è che già l’ho fatto >> mi scaldai più del dovuto. Con la stessa rabbia, aprii la busta e lo trucidai con gli occhi << Isabella… >> il suo tono si addolcì << Senta signor Cullen.. volevo dire Edward, so che non sono stata io a crescerla e so anche che prima di essere io sua madre, sei tu suo padre. So che non sono stata un genitore ma vorrei tanto esserlo e non accetto che mi si dica ciò che già so. Non voglio un giocattolo con cui passare il mio tempo. Ci siamo capiti, Edward? >> sospirai frustrata << Si, mi dispiace >> lo sentii dire poco dopo << Dispiace anche a me >> risposi.                                                                                                                                                      
Presi un respiro profondo e lo vidi.

Compatibilità  del 99.7%.

Sentii il cuore esplodermi dentro, come se ogni cosa dentro me trovasse il suo posto. Una lacrima sfuggì al mio controllo << L’ho trovata >> mormorai emozionata. Sorrisi << L’ho trovata >> ripetei. Il silenzio che ne seguì a quell’affermazione, lo ignorai. Non importava nulla in quel momento che parlasse o meno. Ciò che contava era che sentivo che sarebbe andato tutto bene. Che nonostante le difficoltà, sarei riuscita a farmi amare da lei.                                                                                                                                       
Dopo un tempo che a me parve infinito, decisi di rivolgermi a lui. Non riuscii a capire se fosse contento o meno. In fin dei conti per quale motivo avrebbe dovuto essere felice? Stavo per scombussolare la vita di Renoir e avevo già scombussolato la sua << Non farò mai qualcosa che tu non voglia >> sperai che mi credesse. Asserì col capo, probabilmente più per farmi vedere che aveva capito che per vera convinzione << Io ora devo andare.. >> vedere nero su bianco ciò che sapevamo entrambi lo aveva destabilizzato << Si, certo >> morivo dalla voglia di chiedergli quando avrei potuto conoscerla ma tacqui per non scombussolarlo oltre.                                                                                           

Indossai dei semplici jeans e una t-shirt. Non presi neanche l’auto. Era una bella giornata e poi non abitavo tanto lontano da Central Park. Presi solo una macchina fotografica e uscii di casa.
 


Okay, se non l’ammazzi tu, lo faccio io!

Erano esattamente tre ore, quaranta minuti e sei secondi che una sposa stava stuzzicando il mostro che albergava in me. Secondo lei la luce non era perfetta, l’obbiettivo della mia macchina fotografica non era perfetto, c’era troppa gente attorno a noi, troppi bambini, troppi piccioni, troppe foglie. Una parte di me si astenne dall’urlarle contro che era lei di troppo. Però pensai che era una sposa, era agitata.

Sposa, un corno!

Ancora un po’ di pazienza e mi sarei liberata di lei. Solo un po’ di pazienza.                                   
Trovai pace quando arrivò il sostituto.

Mi stesi sull’erba a godermi la sensazione di calore sul viso data dal sole. Poi c’era il venticello che mi solleticava le guancie e l’odore di primavera che mi rendeva più euforica.
Poi lo squillo del mio cellulare, mi riscosse dal mio torpore << Chi mi rompe le palle? >> risposi divertita << Ehm.. Isabella, sono Edward >> ecco seconda figura di merda del giorno. Mi misi eretta con la schiena e incrociai le gambe << Scusami, Edward, credevo fossi qualcun altro >> dato che non mi chiami mai. Ridacchiò forse agitato << Non, preoccuparti è che.. >> si, sembrava davvero agitato << Dimmi >> tesi le orecchie, curiosa << A quanto sembra.. ci troviamo nello stesso posto e io non sono solo >> sgranai gli occhi e mi guardai attorno. Non sono solo. Poteva significare solo una cosa << Davvero? Lei è con te? >> chiesi apprensiva. Lei era qui! Era a pochi passi da me << Si. Non credo ci sia più alcun senso rimandare. A meno che tu non sia d’accordo >> trattenni il respiro << Davvero? Si! Se per te va bene certo. Dove siete? >> trillai << Io sono dietro di te >> affermò.                                                                                                                    

Mi voltai e lo vidi. Era.. sembrava cambiato da quel mattino. Il suo abbigliamento non era più formale ma indossava un jeans scuro e una felpa grigia. Era la prima volta che lo vedevo in quel modo. Stava bene. Sul suo volto c’era anche un sorriso. Non tirato ma dolce e gentile.                                                                                                                                                            

Chiuse la chiamata e mi salutò con un cenno della mano. Decisamente dimostrava molto meno dei suoi trent’anni.                                                                                                      
Ricambiai il suo gesto mentre lui si avvicinava a me << Ciao >> mi salutò. Mi alzai in piedi << Ciao.. >> mi morsi le labbra, impaziente. Anche se sentivo gli occhi lucidi dall’agitazione e il respiro pesante << Sei pallida >> sentirmelo dire non mi aiutava affatto << Ne.. ne sei sicuro vero? Perché io ho paura. Pensavo che sarebbe successo tra molto e mi hai colto di sorpresa >> la mia voce tremò << Prima o poi sarebbe avvenuto, no? >> tentò di confortarmi << Si ma.. >> sentivo le gambe tremarmi << Isabella, sono sicuro di quel che faccio. E’ stata una casualità quindi dovremmo approfittarne >> no, la sua tranquillità non mi aiutava affatto.                                                                   
Mi torturai le mani. Dovevo essere felice delle sue parole << Posso chiederti dov’è? >> domandai. Indicò con l’indice un punto di fronte a noi. Lentamente alzai lo sguardo e la vidi. Qualche metro lontano da noi, c’era una bambina che ci dava le spalle. Aveva i capelli castani, come aveva detto lui, ed era seduta sull’erba.                                                         
Mi scappò un gemito e mi appoggiai alla prima cosa che trovai: la sua mano. E la strinsi così forte che mi stupii che non gli stessi facendo male << Mi serve solo un attimo >> bisbigliai << Tutto il tempo che vuoi >> rispose.                                                                           
Potevo trovarla bellissima ed essere felice come mai prima d’ora, vedendola solo di spalle?  Mi sentii un groppo in gola << Da quando ho dovuto darla via.. non ho provato più niente. Né dolore né tristezza ma neanche felicità o gioia. Niente. E ora è come se tutte le emozioni bloccate negli anni fossero riemerse. Fanno male ma fanno anche bene.. >> mi asciugai le lacrime, non lasciando la sua mano che nel frattempo si era intrecciata alla mia. Mi stava dando sostegno, protezione e sicurezza.                              
Mi sentivo tramortita. Dolore e gioia, felicità e tristezza, odio e amore si stavano scatenando dentro me. Si stavano combattendo a vicenda << Tutto il tempo che ti serve, Isabella >> ribadì.                                                                                                                          

Infine decisi di abbandonare la sua presa: non potevo perdere altro tempo. Tutta la mia vita, le mie fatiche, il mio amore.. era tutto condensato nel corpicino della bambina poco distante da noi. Ero la madre di quella creatura.                                                                    
Lo guardai affinché mi dicesse cosa fare << Vai a presentarti >> suggerì << Tu non vieni? >> fece di no con il capo << Resto qui per un po’. Lei non è molto diffidente, dille che sei una mia amica. Se hai bisogno di me, alza lo sguardo e io arrivo >> se non fossi stata troppo impegnata con la mente, avrei eretto una statua in suo onore.                                    
Mi allontanai di qualche passo, per poi tornare indietro e abbracciarlo di slancio.

Diciamo pure che gli sei saltata al collo.

Bè.. i miei piedi non toccavano il terreno ma non mi importava. Rimase rigido per qualche minuto finché non ricambiò l’abbraccio << Grazie, grazie, grazie. Non basterà una vita per ringraziarti >> mormorai al suo orecchio con voce commossa.                           
Ritornai con i piedi per terra << Grazie Edward. Davvero >> imposi a me stessa di non piangere e mi diressi verso lei.                                                                                                             
Il tempo sembrò fermarsi.                                                                                                                   

I tratti delicati. Due grandi occhi azzurri come il cielo e pieni di vita. I lunghi capelli castano chiaro che le arrivavano alla vita e terminavano in dei delicati boccoli. L’incarnato come l’avorio. Il naso all’insù che le dava una nota sbarazzina e elegante. Le guancie leggermente arrossate.            
Era un angelo.                                                                                                                                    

La bambina più bella che avessi mai visto.                                                                                                  

Era una parte di me e lo sentivo con ogni molecola del mio corpo.                                                           

Di colpo alzò gli occhi e li puntò su di me. Era incuriosita. E aggrottò la fronte. Un gesto tipico di Edward.                                                                                                                             
Con il cuore galoppante, mi sedetti al suo fianco. La fissai a lungo. Notai come le stesse bene il vestito bianco che indossava. Come fosse gentile ogni suo movimento. Poi qualcosa sul suo collo luccicò
Il medaglione.
Ero sempre stata con lei in un modo o nell’altro. Ero sempre stata al suo fianco << Ciao >> sorrisi, sperando di rassicurarla. Ricambiò il sorriso. Il suo accecante sorriso era il più bello del mondo. Aveva le fossette e la trovai ancora più bella << Scusi ma il mio papà non vuole che parli con gli sconosciuti >> forse stavo impazzendo ma mi sembrò che la sua voce fosse un tintinnio di campanellini << Io sono un’amica del tuo papà. Conosco Edward >> affermai.                                                                                                                                                        Assottigliò lo sguardo << Allora piaci al mio papà, lui non mi presenta mai le sue amiche >> il sorriso non volle abbandonare le mie labbra << No. Sono solo un’amica >> sottolineai divertita << Io sono Bella Swan >> tesi una mano verso di lei. L’afferrò dopo qualche istante << Renoir Masen Cullen >> sorrise << Piacere di conoscerti Renoir. Hai un nome bellissimo >> avrei tanto voluto abbracciarla. Dirle che l’amavo con tutta me stessa << Grazie, anche il tuo non è male >> ritornò a giocare con i fili d’erba << Sei molto bella >> mi scappò. Arrossì leggermente << Sei molto gentile, Bella. Anche tu sei molto bella e hai gli occhi più belli che abbia visto >> avrei tanto voluto piangere << Posso chiederti una cosa? >> chiese timida << Certo, tutto quello che vuoi >> acconsentii << Ti piace il mio papà? >> cavolo se era diritta << No, perché? >> scrollò le spalle << Se sei venuta a presentarti da me vuol dire che ti piace e vuoi starmi simpatica così piacerai anche a lui >> non seppi che dire di fronte a quel ragionamento << Sai.. molte mamme della mia scuola fanno le carine con me per poi andare a presentarsi a papà >> sgualdrine << No, lo giuro, non mi piace il tuo papà. Volevo solo conoscere te senza alcun scopo. Edward mi ha parlato molto di te >> volevo con tutta me stessa che mi credesse. Avrei tanto voluto parlare con quelle donne << Quanti anni hai? >> cambiò argomento << Ventuno. Tu? >> anche se lo sapevo dovevo fare in modo affinché tutto sembrasse il più naturale possibile << Sei >> dichiarò pensierosa << A cosa pensi? >> chiesi come se fosse un bisogno fisico << Forse sei troppo giovane per il mio papà.. >> si fermò per poter contare con le dita << Nove anni sono tanti, non trovi anche tu? >> ero totalmente innamorata di lei << Conosco molte coppie che hanno molti anni di differenza >> uno su tutti i miei genitori ma non avrei rovinato quel momento, parlando di loro << Quindi stai dicendo che non ci sarebbe nulla di male a stare con papà? >> mi stava mettendo alle strette << No, tesoro, sto solo dicendo che se tuo padre dovesse stare con una ragazza un po’ più giovane di lui, non sarebbe anormale >> dare quella risposta mi aveva fatta sudare << Perché non ti piace? Lui è molto bello >> oh santo cielo.. << Renoir, il tuo papà è molto bello ma siamo solo amici. Mi piace solo come amico >> mi sentivo accaldata.                                                                                                                          
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, non un silenzio imbarazzante o pesante. Un bel silenzio, fatto di complicità << Qual è il tuo colore preferito? >> lo ruppi, curiosa di sapere quanto più possibile << Il blu. Il tuo? >> neanche per un istante di tutta quella discussione che non mi avesse guardato negli occhi << Non lo so.. non sono mai stata decisa su queste cose >> risi.                                                                                                               

Sembrava tutto così naturale, come se l’avessi sempre conosciuta << La tua favola preferita? >> continuai << Preferisco Geronimo Stilton. Dopo un po’ le favole sono noiose >> arricciò il naso infastidita. Si, effettivamente.. << Torta preferita? >> forse sembrava un interrogatorio << Perché c’è una che fa schifo? Basta che si chiama torta e io mangio >> fu una frazione di secondo: ci guardammo negli occhi, ci capimmo e scoppiammo in una fragorosa risata << Anch’io sono golosa >> dissi con le lacrime agli occhi << Invece qual è il tuo gelato preferito? >> lei mi porse quella domanda. Non potei far altro che sorridere. Si stava fidando di me << Menta. Il tuo? >> senza rendermene conto mi avvicinai a lei << Vaniglia e cioccolato >> i suoi occhi brillarono << Ti.. ti va se andiamo a prendere un gelato? >> proposi. Scattò in piedi << Che aspettiamo? >> m’incitò.                                                                                                                   

Andammo verso Edward. Camminavamo fianco a fianco, finché non sentii la sua manina stringere la mia. Nel mio cervello ci fu il blackout. La guardai allucinata e arrossì delicatamente << Noi siamo amiche, no? Perché tu mi stai simpatica Bella >> annuii come un’ebete << Certo, siamo amiche e anche tu mi stai simpatica >> balbettai confusa. Sorrise come se le avessi dato una grande notizia << Un’altra cosa! Se ti piace papà, non solo come amico, per me non ci sono problemi. Come ti ho detto prima se ti ha permesso di conoscermi, vuol dire che gli piaci! >> mi fece l’occhiolino.                         
Lui  era seduto su una panchina, con gli occhi fissi su di noi e un sorriso sulle labbra << Ehi! >> la prese in braccio. Sentii una stretta al cuore. Non fu una sensazione negativa, anzi. Erano bellissimi insieme << Papà, possiamo andare a prendere un gelato? >> mi piacque come disse la parola papà. Mi piacque che gli occhi di lui si accendessero << Certo scricciolo! >> lei gli baciò la guancia, estasiata.

Ci sedemmo in un piccolo chiosco << Posso offrire io? >> implorai. Era una richiesta stupida ma volevo essere io a comprarle quel gelato. Si limitò ad annuire, sempre sorridente.

Li guardavo battibeccare ed era la cosa più bella del mondo. Erano padre e figlia, indipendentemente dai legami di sangue. Lo dimostrava il rapporto con Charlie e Renee. Erano i miei genitori, eravamo legati da un vincolo di sangue ma quanto erano stati genitori a strapparmi via mia figlia?.                                                                                                                                                                                                                                        

Vidi la punta del suo naso, sporca di gelato alla vaniglia. Sorrisi e glielo ripulii con un polpastrello e lo misi in bocca << Si, la vaniglia è proprio buona! >> scoppiammo a ridere e con la coda dell’occhio vidi Edward fissarci in modo strano << Bella, posso chiederti cosa c’è in quella borsa grande? >> chiese << Renoir non essere impertinente >> la riprese << Penso che l’impertinenza e la curiosità siano due cose differenti >> mormorai, sperando che non se la prendesse per essergli andata contro. Invece ridacchiò alzando le mani in segno di resa.                                                                                        
Presi il borsone ed estrassi la macchina fotografica e lei aprì la bocca dallo stupore << Dopo possiamo fare una fotografia? >> domandò agitata. Mi sarebbe piaciuto dire di si ma non avevo io l’ultima parola << Dovremmo chiederlo al tuo papà >> la informai << Edward, dovresti chiamarlo Edward. Sai non è solo mio padre >> consigliò, facendomi arrossire. Risi isterica << Allora Bella.. hai un fidanzato? >> era davvero una bambina precoce! << Ehm.. no >> deglutii a vuoto, imbarazzata << Oh.. >> annuì furba.

Dopo il gelato, facemmo una passeggiata per il centro di New York. Io ero affascinata da lei. Dalla sua testa, i suoi gesti, le sue parole. Era sicura, determinata ma certe volte anche timida, estroversa, gentile, divertente, spiritosa, carismatica, intelligente. Avrei potuto riempire fogli e fogli per giorni senza mai fermarmi.                                                          
Continuava  a farmi domande come me d’altronde. Sapeva dei miei studi, delle mie passioni, tutto.                                                                                                                                      

E lui non smetteva di guardarla, guardarmi, guardarci.                                                                      

Lei mi considerava sua amica e per ora mi bastava. Era sbagliato che la considerassi mia figlia? Che sentissi una connessione con lei? Era così facile interagire.                                    
Camminavamo tutte e tre insieme. Entrambi tenevamo lei per mano. Lei voleva tenermi per mano e la sola consapevolezza mi stordiva, mi faceva vedere il mondo con occhi diversi, come se fosse migliore. Era questo quel che si provava ad avere un figlio? << Bella, un giorno ti piacerebbe venire al Luna Park con noi? >> guardai Edward, per essere sicura che fosse d’accordo: annuì << Certo che vengo ma non sarò granché di compagnia. Ho lo stomaco debole >> ammisi << Ti basterà una sola settimana con noi e ti rafforzeremo >> mai parole furono più veritiere << Perché noi ci rivedremo, vero papà? >> si rivolse a lui << Certo! Tutte le volte che vuoi scricciolo >> confermò << Perfetto! >> esultò. Si, era molto gasata << E può venire anche a casa, no? Se non ha un ragazzo.. >> ridacchiai << Si, se vuole può venire >> non capivo da dove venisse tutta la sua fiducia << E potremmo organizzare un pigiama party con zia Alice e zia Rose. Secondo me impazzirebbero per te >> mi piaceva sentirla progettare i nostri futuri incontri anche se non conoscevo le sue zie << Tesoro, Isabella ha tante cose da fare. La scuola, il lavoro.. >> le ricordò lui << No! >> obbiettai << Cioè.. se per te non è un problema.. >> precisai << Possiamo vederci quando vuoi. Lavoro solo di sera, quindi se tu vuoi e il tuo papà.. Edward vuole, ci possiamo vedere ogni volta che lo desideri >> perché io lo desideravo ardentemente. Sorrise raggiante << Sai papà.. Bella mi piace molto. A te piace? >> ma che.. << Scricciolo stai somigliando sempre di più a zia Alice >> deviò la risposta, per fortuna. Su certi aspetti era molto insistente << Okay la smetto ma solo se andiamo a mangiare. Ho fame! >> annunciò.

Eravamo seduti al tavolo di una pizzeria << Come.. come va la scuola? >> domandai, mentre lei addentava un trancio di pizza << Si, bene.. >> si tenne sul vago << In realtà è molto brava in quasi tutte le materie >> si intromise lui. Renoir sbuffò << Indovina perché vado bene in quasi tutte le materie? >> mi domandò retorica << Ho quasi tutte le maestre donne. Che per me hanno qualcosa che non va.. ogni volta che vedono papà si rincretiniscono del tutto e iniziano con le vocine svenevoli >> rovesciò gli occhi irritata mentre io stentavo a trattenere le risa. Edward, dal canto suo sembrava in imbarazzo << Renoir, non è vero! >> la rimproverò divertito << Oh certo.. allora perché nelle materie in cui ci sono insegnanti maschi ho dei voti normali? E se non mi sbaglio all’ultimo colloquio la strega di storia, ti ha chiesto se avevi una fidanzata. Sottolineo che ha qualche capello bianco! >> quel battibecco mi stava divertendo più del dovuto << Ha la mia stessa età >> replicò << A me sembra più vecchia! >> terminò con una punta di gelosia nella voce. Era così tenera. Avrei tanto voluta riempirla di baci, abbracciarla fino allo sfinimento. Le guancie un po’ mi dolevano a causa del mio sorriso costante.

Però come tutte le cose belle, prima o poi doveva finire. Mi accompagnarono a casa in auto. Quando scesi dall’auto, entrambi mi imitarono.                                                                      
Mi inginocchiai all’altezza della piccola. Ora che l’avevo conosciuta, che le avevo parlato, doverla lasciarla andare mi causava una stretta al cuore << Posso abbracciarti? >> chiesi con voce tremante e gli occhi lucidi. Non rispose ma prese l’iniziativa e lo fece. L’abbracciai. Lei mi stritolò e mi commossi. Per la prima volta potei sentire la consistenza della sua pelle. Nonostante gli anni continuava a profumare di rose e di me. Avrei tanto voluto dirle che l’amavo più della mia stessa vita ma si sarebbe stranita << Mi è piaciuto tanto conoscerti >> soffiai, non potendomi permettere di alzare la voce << Anche a me >> tenendola ancora stretta a me, mi asciugai il volto per non turbarla. Però quella sensazione di calore che mi stava trasmettendo era così piacevole.                  
Chiusi gli occhi. E sorrisi estasiata.                                                                                                                               

Ognuno nasceva per qualche motivo. O almeno era quello che nonna Marie, madre di Charlie, mi ripeteva sempre. Il mio scopo, il motivo della mia esistenza era lei. E mi faceva sentire così forte, potente, averla tra le braccia.                                                                   
Poi sciolse l’abbraccio e mi baciò una guancia mentre io le posai un bacio sulla fronte << Io vado in macchina, così vi salutate meglio >> affermò, regalandomi un ultimo sorriso. Ma io non volevo che andasse via.                                                                                                                                         
Non volevo che andasse via! Non ora che l’avevo ritrovata.                                                                
Edward si avvicinò a me << Stai bene? >> chiese gentile. Tirai su col naso << Si è che.. buona giornata Edward >> non avevo voglia di parlare. Per quanto fosse un controsenso, sentivo il cuore spezzarsi a vederla così lontana da me << Isabella, sei sicura che non vuoi parlarne? >> che diavolo voleva sentirsi dire? Quanto mi sentissi uno schifo? << Si. Ti ringrazio per quello che hai fatto >> in qualche modo trovai la forza per dargli le spalle, di allontanarmi da lei.

Chiamai Tanya e finsi di avere l’influenza. Ero pazza probabilmente. L’avevo conosciuta, avrei dovuto sentirmi euforica. In realtà lo ero. D’altra parte, però, ero distrutta. Vederla, il riaffiorare di tutte quelle emozioni.. la consapevolezza di essermi persa gran parte della sua infanzia mi lacerava.                                                                                                       
Piansi per chissà quante ore. Stretta al mio cuscino, con la testa sotto le coperte.                  
Piansi finché non sentii gli occhi gonfi e brucianti. Forse piansi così tanto da finire la mia riserva di lacrime.                                                                                                                                                                 
Poi qualcuno bussò al campanello. Andai ad aprire solo perché il suono stridulo contribuiva a farmi aumentare l’emicrania. Appena vidi chi era, mi buttai tra le sue braccia singhiozzante.


Tadadada… sulle braccia di chi si è buttata?? Spero che un po’ di suspance vi piaccia! Che dire di questo capito? Vediamo.. accadono tante cose. Alcune belle, altre brutte. Bè se vi è piaciuto e volete recensire fatelo altrimenti grazie di aver letto. Un bacio immenso acalicad.

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Capitolo 4
*** Sunrise ***





Tanya continuava ad abbracciarmi mentre io mi disperavo.                                                  

Qualcosa si era spezzato.                                                                                                                                 

Il muro era caduto.                                                                                                                                      

Le barriere avevano ceduto.                                                                                                             

Per tutti quegl’anni mi ero imposta di essere forte. Se lo fossi stata poi sarei stata anche più ragionevole nella mia ricerca. E infatti lo ero stata: ragionevole, senza permettere a qualcuno di sapere, in un certo senso rigorosa. Però ora ero stanca. Ero stata rigorosa per troppo tempo. Dopo averla stretta a me, non avevo più voglia di essere rigorosa. Io volevo abbracciarla, stringerla a me, volevo farle altre cento domande. Volevo lei.

<< Sapevo che c’era qualcosa che non andava. L’ho sentito dalla tua voce >> mi abbracciò materna. Mi fece sedere sul divano e si allontanò. Istintivamente mi portai le gambe al petto. Imposi a me stessa di non piangere. Di calmarmi, di non preoccuparla ulteriormente.                                                                                                                                                                

Poco dopo ritornò con una tazza tra le mani e me la consegnò. Era camomilla. Al primo sorso rabbrividii dal disgusto. Odiavo ogni cosa si associasse alla parola tisana, o altro di simile. Le consideravo brodaglie insapore chedavano l’impressione di malaticcio. Io camminavo, agivo, mi addormentavo, perfino, grazie al caffè.                                       
Per questo senza fare troppi complimenti, feci un’espressione schifata e appoggiai la tazza sul tavolino di fronte al sofà << Se ti dessi del caffè, finiresti con l’agitarti ancor di più >> bugia. Mi sarei calmata, avrei razionalizzato, avrei chiuso i rubinetti dei miei occhi e mi avrebbe permesso di inventare qualche scusa per non dirle la verità. Perché io non voglio dirtelo Tanya, fa troppo male di per sé. Ora che l’ho vista, fa male anche respirare. Sarebbe doloroso anche dirti che non ho nulla.

Rimasi in silenzio, con gli occhi riversi nel vuoto << Perché non vuoi dirmi mai niente? >> perché è difficile. Perché non so che parole usare. Perché ormai sono abituata a prendermi cura di me, da sola << Okay, smetto di essere petulante. Un giorno me lo dirai cosa ti porta a Bellalandia >> continuò di fronte al mio mutismo. Bellalandia non se ne andrà mai via. Mi tormenterà per sempre. E’ parte di me come lo è mia figlia. Nonostante il tempo, gli anni, Bellalandia mi ricorderà sempre quello che ho fatto.
 
Dormire, mi servì molto. Mi acquietai e mi fece sparire i brutti pensieri. Essere lunatica non mi dispiaceva così tanto. Una bella dormita, una doccia fresca e i brutti pensieri sparivano.                                                                                                                                                                 

Mi svegliai sul divano, trovando Tanya avvinghiata al mio corpo con braccia e gambe. Risi leggermente. Era una brava amica. Un tesoro.                                                                               

Inavvertitamente puntai gli occhi sull’orologio sopra il televisore e urlai a squarciagola. Senza volere, la staccai da me bruscamente e cominciai a correre per casa senza sapere cosa dovessi fare << Che succede? >> mugugno assonnata. La guardai assonnata << Sono in ritardo! >> strillai, fiondandomi in bagno.                                                                                    
Ci misi esattamente tre minuti a fare la doccia. Scappai in camera scelsi dei jeans e una camicia che per la troppa fretta lasciai sbottonata << Cazzo, cazzo! Mi devo muovere, mi devo muovere >> sistemai i capelli alla bell’è meglio << Mi vuoi dire per cosa sei in ritardo? >> chiese porgendomi una tazza di caffè. La bevvi tutta d’un sorso, ustionandomi il palato e la gola. Quasi rimasi senza voce << Sono in ritardo per le dispense che il professore consegnerà >> strillai rauca.                                                                                                                                                                                            

Il campanello di casa suonò << Apri tu! Devo prendere la borsa >> corsi in camera, presi ciò che mi serviva pronta ad uscire di casa.

Se non fosse per un piccolo particolare!

C’era Edward e Tanya mi fissava maliziosa e anche con le guancie rosse << Ehm.. buongiorno Edward. Io sono in super ritardo, devo scappare >> dissi agitata << Piacere Edward, io sono Tanya >> si presentò, porgendogli la mano. Lui l’afferrò e sorrise leggermente. Vidi distintamente, la mia amica fremere.                                                         

Io le esponevo il mio ritardo e lei si presentava? << Devo scappare! >> sottolineai << Allora Bella.. >> iniziò, ignorando le mie parole e annusando l’aria << Quindi è lui l’uomo profumato! >> stronza di un’amica che gode nel vedermi in imbarazzo. Poche ore e ti uccido. Ti spennerò dalle tue piume!.                                                                                
La trucidai con gli occhi << Edward, saluta Tanya. Noi dobbiamo scappare >> tanto è l’ultima volta che la vedrai <amica mia >>anzi addio!                                                         

Uscimmo fuori casa e sgranai gli occhi appena vidi un cartello con scritto: “Guasto” sulle porte dell’ascensore. Digrignai i denti e senza pensarci troppo mi accanì sul suddetto cartello, strappandolo e pestandolo sotto i piedi << Ti odio, ti odio! >> borbottai. Guardai Edward che a sua volta sembrava divertito dalla mia reazione << Se devi dire qualcosa devi correre. Dobbiamo fare cinque piani di scale e in meno di dieci minuti devo essere all’università >> prima ancora che finissi di parlare,  correvo come una matta.                                                                                                                                             

Mi parve di correre la maratona di New York. Arrivai all’entrata del palazzo sfiancata, con un fianco sinistro che mi doleva a causa del parecchio movimento e senza aria. Non riuscii a continuare che dovetti fermarmi. Mi piegai su me stessa, poggiando le mani sulle ginocchia. Ancora dovevo capire perché diavolo non era suonata la sveglia!

Perché la sveglia è in camera tua e tu hai dormito sul divano.

Mai più avrei corso così tanto. Che fine aveva fatto Edward? Mi guardai alle spalle. Come se niente fosse, con nonchalance, uscì dall’ascensore. Tranquillò, asciutto e fresco come una rosa. Mi prendeva per il culo? Stavo collassando a furia di fare quelle scale e lui aveva usato l’ascensore << Le porte dell’ascensore del tuo piano erano guaste, non l’ascensore. Al quarto piano ho controllato ed era agibile >> non mi sarei offesa se me l’avessi detto prima << Ah.. >> mi misi eretta. Nel frattempo mi squadrò da capo a piedi e sgranò gli occhi per poi trattenere il respiro. Forse anche lui era stanco << Isabella.. >> tentò di dire. Saltai in aria, ricordandomi del ritardo << Devo scappare, devo scappare >> trillai come un’ossessa. Gli diedi le spalle pronta a scappare ma la presa sul mio braccio mi fermò << Edward, davvero sono in super ritardo. Se non corro il mio prossimo esame scritto andrà uno schifo e non posso permettermelo >> supplicai. Sorrise ma non in modo dolce, aveva qualcosa negli occhi. Sembravano più scuri << Isabella, dovresti abbottonare la camicia >> sussurrò con voce strana. Sbuffai: ero in ritardo << Poi ci pensiamo alla camicia. Sono. In. Ritardo >> sembravo leggermente isterica.                                                                                                                                                    

Inarcò un sopracciglio e puntò gli occhi, per una frazione di secondo, sul mio busto. Seguii il suo sguardo e impietrii. La mia camicia era aperta e il mio reggiseno blu con le pecorelle bianche faceva bella mostra di se.                                                                                           
Mi si seccò la gola. E nonostante le mie guancie fossero di già arrossate, mi comportai con superiorità. Non gli avrei permesso di mettermi i piedi in testa con quegl’occhi e il suo tono.                                                                                                                                                                Mi schiarì la gola, posai la borsa per terra e fissandolo con un sorriso angelico, ma anche sfacciato..

Più sfacciato che angelico..

Aldilà di come diavolo fosse il mio sorriso, non distolsi gli occhi dai suoi mentre mi abbottonavo l’indumento incriminato.                                                                                            
Non so quale forza mi permise di fare quell’operazione con tanta determinazione.                                      

Presi un respiro profondo, infilando la mano nei capelli << Ti ho detto che avremmo risolto. Scusami ma appena finisco ti chiamo. Dai un bacio a Renoir da parte mia >> conclusi.
Tuttavia la sfortuna decise di non abbandonarmi. Scesi dall’auto inferocita e sbattendo la portiera con tutta la forza che avevo in corpo << Brutta bastarda! >> presi a calci una ruota. Anzi infierì pesantemente << Ti smembrerò pezzo per pezzo e farò un falò anzi ti butterò un qualche discarica ma prima ti ammaccherò con una spranga di ferro >> sbraitai contro l’oggetto inanimato.                                                                                                      
Qualcuno si schiarì la voce. Ridussi gli occhi a due fessure. Era palese che fossi irritata << Ti serve un passaggio? >> che faccia da schiaffi! Repressi un urlo di frustrazione. Inspirai ed espirai profondamente << Si grazie >> sorrisi falsamente.                                          
Lo guardai accigliata quando aprì la portiera della sua BMW per farmi accomodare. Si immise nel traffico e io continuavo a battere il piede agitata << Potresti.. velocizzare? >> muoviti, premi quel piede in quell’acceleratore e vai!.                                                                

Ridacchiò. Tanto valeva far passare il tempo e poi avevo così tanta voglia di parlare di lei, nonostante la crisi isterica della sera precedente che decisi di accantonare << Mi volevi parlare di ieri? Perché per me è stato il giorno più bello della mia vita. E’ così intelligente e bella.. e i suoi occhi.. >> l’incazzatura volò via e al suo posto era subentrò un’espressione sognante << Si, anche lei è stata molto bene. Non ha fatto che parlare di te >> sorrisi elettrizzata << Quindi le piaccio davvero.. quando me l’ha detto.. >> altro sospiro sognante << Si, l’hai colpita molto. Di solito è più diffidente, figurati che a stento parla con la mia segretaria che l’ha vista crescere >> ne ero entusiasta << E poi è così gelosa >> dissi io << Si è parecchio protettiva >> constatò << Ci mancherebbe altro, sei suo padre! >> esclamai ovvia. Non so cosa vide nella mia risposta ma i suoi occhi brillarono << Si.. >> lasciò la frase in sospeso, come se avesse voluto dire altro << Io.. ancora non riesco a crederci >> bisbigliai << Anche per me è stato strano >> rispose con il mio stesso tono ma non mi guardò << Cosa? >> chiesi, un po’ più calma << Vedervi insieme.. è stato strano. Pensavo che sarebbe servito molto tempo prima che tra voi due si creasse un determinato rapporto. Invece sembrava che vi conosceste da molto tempo >> si, avevo notato i suoi sguardi << Come ho detto già ti adora ed è per questo che vorrei chiederti se ti andrebbe di farle una sorpresa >> m’illuminai come una lampadina << Si, certo! >> avrei fatto di tutto pur di incontrarla.                                                      

Il mio cellulare squillò: Tanya. Chissà quella pazza cosa aveva da dirmi << Scusami >> sussurrai per poter rispondere.

<< Devi dirmi chi diavolo era! Bella.. voglio sapere dove l’hai trovato così me ne trovo uno uguale anch’io >> non mi lasciò tempo di rispondere. Risi imbarazzata << Non è come pensi >> ammisi << Non importa cosa penso. L’hai visto? Sei una cazzara. Che fine ha fatto non è bello, non è affascinante e non lo conosco? Sembra ritoccato con Photoshop! Ho avuto un orgasmo appena l’ho visto >> mi lasciò a bocca aperta << Un orgasmo sei impazzita? >> strillai.

L’auto sbandò leggermente e capii di aver gridato.

Ops..

<< Senti ne parliamo dopo >> che già ne hai combinate troppe per oggi. Non le diedi il tempo di rispondere che riagganciai.
Ormai dovevo fingere che nulla fosse << Stavi dicendo? >> sperai che mi assecondasse. Si schiarì la voce << La tua amica? >> speranza vana << Ehm.. si >> una povera alcolizzata che presto diventerà morta << Potresti spiegarmi la storia dell’uomo profumato? >> colta in flagrante. Tanya avrebbe fatto la stessa fine della mia auto bastarda << Sciocchezze.. >> sussurrai fingendo tranquillità.                                                            
Ora o mai più! Dovevo cambiare argomento << Senti.. >> iniziai ma lui mi interruppe: << Okay ma prima posso chiederti una cosa? >> annuii cauta, di fronte al suo cambio d’umore. Il tono che aveva usato era serio e deciso << Ieri, a fine serata sembravi non in te. Volevo saperne il motivo >> chiese. Mi rabbuiai per qualche istante, insicura se dargli una risposta o meno. Che male avrebbe fatto un’altra verità? << Stringerla tra le braccia per poi vederla andare via, mi ha fatto più male di quanto pensassi. E ho pensato a quante cose mi sono persa.. >> la mia voce si ruppe. Respirai profondamente per darmi un contegno << Volevo implorarti di portarmi con lei, farmi dormire al suo fianco. Ma mi rendo conto che non posso avere determinare pretese >> spiegai cupa.
Il silenzio calò finché non arrivammo di fronte all’università << Vuoi cambiare idea per quanto riguarda la sorpresa, vero? >> ci rimasi male.                                                                    
Cercai di scendere dall’auto ma mi trattenne per un polso << No, non ho cambiato idea. Che ne dici di venire nel mio ufficio per le tredici? >> sorrisi delicata << Okay ma non c’è bisogno di un appuntamento? >> infatti avevo cercato in tutti i modi di ottenere un appuntamento ma la sua segreteria ma mi disse che era troppo impegnato; una parte di me suggerì che Renoir facesse bene a ignorarla. Per tal ragione mi appostai sotto il suo ufficio e sotto la pioggia << No, non preoccuparti. Comunica il tuo nome e ti faranno passare >> rassicurò << Devo usare un abbigliamento particolare? >> chiesi, non a conoscenza della sua sorpresa << Indossa quello che vuoi >> mi lasciò carta bianca.

A furia di pensare a ciò che mi avrebbe proposto Edward, il tempo non passò più. Però d’altra parte non vedevo l’ora di vederla. Mi tremavano le gambe al solo pensiero.      
Il professore parlò a lungo, tanto, troppo. Più continuava, più mi stressava. Volevo solamente che si sbrigasse. Chiedevo tanto? Santo cielo erano sono delle dispense, io avevo da fare. Avevo una vita! Non appena lo vidi poggiare un plico di fronte a me, lo presi, ignorando che stesse ancora parlando e andai via.

Inizialmente non avevo intenzione di cambiare abbigliamento. Mi aveva detto che potevo indossare ciò che desideravo. Una parte di me avrebbe voluto indossare un vestito per l’incontro con lei ma poi pensai che fosse stupido. Tuttavia mi cambiai. Indossai dei jeans sbiaditi e una t-shirt bianca e poi delle semplici converse dello stesso colore. Forse ero.. infantile? Vidi il mio riflesso allo specchio. Dio! Non dimostravo nemmeno vent’anni. Mi avrebbero potuto scambiare per sua sorella. Io non volevo sembrare una sorella ma una madre. Ero troppo infantile, c’era poco da fare ma che diavolo avrei potuto fare per apparire più adulta?

Pettinati i capelli!

Giusto i capelli in ordine sono sintomo di.. di cosa? Maturità? Non che non mi pettinassi i capelli ma al mattino non erano la mia priorità con tutto quello che avevo da fare. Azzardavo uno chignon solo quando lavoravo da Tanya. Poi ritornavano ad essere ribelli. Se mi fossi fatta una treccia?

Nah!

La treccia era altamente infantile. Coda alta?

Mm.. una bella coda alta e ordinata. Puoi tentare. E potresti anche cambiare le scarpe.

Guardai le mie converse di tela bianche. Erano pratiche, non potevo mettere le scarpe con i tacchi. E se avesse voluto giocare? No, le scarpe non le avrei cambiate. Per ora avrei accantonato il pensiero di non apparire abbastanza adulta, in seguito avrei chiesto aiuto a Tanya. Si, saremmo andate a fare shopping e se Edward fosse stato d’accordo sarebbe venuta anche lei.                                                                                                            
Attaccai i capelli in una coda alta ma ricordai il mio piccolo difetto alle orecchie. Le avevo a sventola, sembravo imparentata con dumbo. Così dopo varie peripezie, li lasciai sciolti e liberi.                                                                                                                                 
Presi la tracolla, un golfino e uscii di casa.

L’edificio della Masen Cullen Industry era così imponente, grande e lussuoso al suo interno che mi sentivo intimidita. C’erano parecchie persone che lavoravano senza sosta e che nell’esatto momento in cui entrai, fissarono i loro occhi su di me. Avevo un abbigliamento troppo casual. Le donne indossavano tailleur e gli uomini completi gessati. Decisamente il jeans non era stato un’ottima scelta.                                                                         
Mi avvicinai a un’agente della sicurezza. Un grosso, grasso agente della sicurezza che aveva sicuramente cento chili più di me e faceva venire la pelle d’oca << Scusi >> la mia voce uscì flebile. Mi squadrò dalla testa ai piedi.

Ha addirittura l’auricolare all’orecchio.

Non sembrava tanto amichevole << Dica >> tuonò. Istintivamente feci un piccolo passo indietro << Sono Isabella Swan, devo incontrare il signor Edward Cullen >> spiegai, non del tutto convinta. Mi studiò forse riflettendo se potessi essere un pericolo o meno per il suo capo. Poi sembrò ascoltare qualcosa: probabilmente una voce che l’auricolare trasmetteva << Sessantesimo piano >> se sorridessi, faresti meno paura.                                         

Trattenni i miei pensieri per me e guardai di fronte a me. C’erano cinque ascensori! Portavano tutti allo stesso luogo?.                                                                                                   

Buttati male che vada.. ti perderai.

Presi un respiro profondo e mi avviai verso l’ascensore di centro. Né a destra né a sinistra. Il giusto compromesso. Vi entrai con la massima calma, ovviamente era tutta apparenza. Premetti il numero sessanta e l’ascensore iniziò la sua lunga salita. C’era addirittura una musichetta snervante a rimbombare tra quelle pareti di acciaio e una telecamera nell’angolo in alto alla mia destra. Mi sentivo giusto un po’.. sorvegliata. E mi irritava.                                                                                                                                              

Giocai con la cinghia della mia tracolla per distrarmi, finché non sentii un plin. Guardai il display e indicava il cinquantaduesimo piano. Più tempo passava e più m’innervosivo.                         
Le porte si aprirono e vidi una signora con un tailleur rosso cremisi e un topo tra le mani. Ops.. volevo dire chihuahua. Lei era carina, forse troppo agghindata ma pur sempre con un sorriso gentile sulle labbra che mi aveva mostrato non appena entrò. Non potevo dire lo stesso del suo topo. Di solito i cani piccoli erano graziosi, con gli occhi grandi che ti intenerivano. Da quando mi aveva visto, il topo, non aveva fatto che trucidarmi con quegli occhi a palla. Per rimanere in termini canini.. mi guardò in cagnesco. Tuttavia non ringhiava, né mostrava i denti.                                                                        
Non ero impazzita! Quel cane mi guardava male. Feci un piccolo passo laterale per allontanarmi dalla bestia color cacca.                                                                                            

Non ero il tipo di persona che non amava i cani. Se dovevo essere sincera preferivo quelli di stazza più grande ma mi piacevano anche i cagnolini piccoli. Quel cane in particolare non mi piaceva. Era raccapricciante.                                                                                 
Mi rilassai appena le porte si aprirono al sessantesimo piano.

A quanto sembrava, cantai vittoria troppo in fretta: mentre uscivo dal piccolo spazio la donna cominciò ad urlare: << Cherry dove vai? Torna qui! >> mi voltai per osservare cosa stesse accadendo e vidi il topo color cacca correre verso di me con un’espressione assassina.                                                                                                                                                                  

Non ci pensai un attimo che cominciai a correre e ad urlare a squarciagola. Corsi finché non mi trovai di fronte a una scrivania in cui vi era una signora. Ignorai il suo sguardo: “cosa ci fa una pazza in questo posto?” e in un sol balzo vi salì sopra.                                  
Cominciò ad urlare, così come la padrona del cane che ci raggiunse poco dopo ma io ero troppo impegnata per ascoltare la segretaria che presto o tardi avrebbe chiamato la vigilanza. Il topo mi stava accerchiando. E nonostante fosse una cosetta di pochi centimetri i suoi salti erano spaventosi, per non parlare di come abbaiava. Se avesse potuto mi avrebbe sbranata << Cherry, piccola.. >> disse la signora ma Cherry non se la filò.

<< Cosa sono queste urla? >> Edward. Santo subito. Uscì dal suo studio, insieme a un ragazzo. Suo coetaneo, probabilmente. Appena vide la scena che gli si prospettava davanti agli occhi rimase di sasso << Ciao >> sussurrai. Il segreto era far finta sempre di nulla. I suoi occhi saettarono tra me, il topo, la proprietaria di quest’ultimo e la sua segretaria. Infine li riportò su di me << Scenda da qui! >> esclamò la sua segretaria. Ora ebbi la conferma di perché mia figlia non le parlasse << Se lo scordi! Ci tengo alle caviglie e ai polpacci >> ribattei. Guardò esasperata il suo capo << Signor Cullen, dica qualcosa! >> frignò. Effettivamente non aveva tutti i torti ma almeno avrebbe potuto capire. Dal canto suo lui, non sapeva se ridere o rimanere serio << Edward, raccogli la docile bestiola >> si, ero sarcastica << Signora Thompson, per favore potrebbe tenere a bada il suo cane? >> topo sarebbe più indicato << Mi scusi signor Cullen ma sembra impazzita >> oh certo.. aveva visto me e da docile si era trasformata in sadica.               

Edward, decise di prendere la situazione in pugno. Almeno tentò perché appena avvicinò una mano Cherry se la prese con lui << Visto, non è colpa mia >> affermai, rivolta soprattutto alla proprietaria della scrivania << Anzi sa che facciamo. Lei si mette di fronte al cane e io e Edward.. >> marcai bene il suo nome per farle capire che non ero una sconosciuta qualunque << Andiamo nel suo studio >> conclusi compiaciuta.   
Tuttavia il topo ci prese in contropiede. Senza che me l’aspettassi, riuscii a salire sulla scrivania. Io.. a furia di indietreggiare, non sentii più nessun appigliò sotto i piedi e chiusi gli occhi aspettando di sbattere nella maniera più dolorosa possibile il sedere per terra.                                                                                                                                                

Passarono i secondi ma non sentii niente o meglio, sentii qualcosa ma non fu il pavimento. Sentivo calore e... uomo profumato. Azzardai ad aprire un occhio, giusto per esserne certa. L’eccessiva vicinanza con il mio salvatore mi colpì. Con eccessiva, intendevo che il suo viso era distante dal mio solo pochi centimetri << Di nuovo ciao >> dissi, un po’ stordita. Accidenti! Mi aveva presa al volo, avvolgendo un braccio attorno la schiena e l’altro nella piega delle ginocchia. Aveva i riflessi pronti.                                                               

Perché solo in quel momento realizzai che le parole di Tanya fossero vere? Che sembrava ritoccato con Photoshop ed era tanto profumato << Ciao >> mormorò divertito. Non smettevo di fissarlo.                                                                                                      
Gli occhi che sembravano miele, le sopracciglia virili, il naso perfetto, lo strato di barba che gli ricopriva le guancie e le labbra.. << Isabella ti senti bene? >> un sussurro. Un sussurro sensuale al mio orecchio.

Stai bene?

No, non stavo per niente bene! Non era che in tutti quegli anni i miei ormoni non avessero cercato di abbattere la mia volontà ma ero sempre riuscita a fermarmi per pensare. In quel momento non riuscivo a pensare qualcosa di coerente da dire o da fare. I miei ormoni per la prima volta avevano deciso di reagire e questa volta non sapevo chi avrebbe vinto. Ormoni o volontà?.

<< Ehm.. scusate >> qualcuno ci risvegliò da quel torpore. Sbattei gli occhi un paio di volte e vidi materializzarsi un il suo collega al nostro fianco.                                                 
M’irrigidii o forse lo facemmo entrambi. Fatto sta che mi ritrovai con i piedi per terra in un battito di ciglia.                                                                                                                                
Il suo collega mi fissò con insistenza e prima di poter fare o dire qualcosa, rindossai la mia patina di serenità << Salve >> il mio tono non tradiva nessuna emozione.                        
Anche lui era un ragazzo dall’aspetto piacevole. Aveva l’incarnato olivastro, i capelli castani, gli occhi grandi e neri e un sorriso giocoso sulle labbra << Benjamin.. Isabella, Isabella.. Benjamin >> ci presentò. Gli strinsi la mano << Isabella! >> esclamò. Vidi Edward lanciargli un’occhiata di ammonimento e compresi. Lui sapeva chi ero.                                
Sorrisi << Credo tu abbia sentito parlare di me >> non ero arrabbiata. Il fatto che Edward avesse parlato con lui di un argomento così delicato significava che non era solo un collega ma anche un amico.                                                                                                
Ricambiò il sorriso << Già.. >> mi parve di scorgere una nota maliziosa nel suo tono. Continuò a guardarmi << Allora spero bene >> anche se un piccola parte di me pensava che almeno inizialmente, Edward, avesse detto peste e corna di me << Certo, come potrebbe essere altrimenti >> stava flirtando con me? Io ero una schiappa in certe cose << Puoi chiamarmi Bella >> non volevo assecondarlo ma era una questione di gentilezza << Bella di nome e di fatto >> addirittura.. peccato che me la propinassero sempre.                                                                                                                                               

Okay, era meglio terminare questa discussione << Ben perché non vai a lavorare? >> ci interruppe Edward e gliene fui grata << Certo! >> si riprese l’altro << Bella è stato un piacere conoscerti. E chiamami Ben >> ridacchiai. Quando si allontanò di qualche passo, parlai: << Ehi Ben.. >> reclamai la sua attenzione << Bella di nome e di fatto, l’ho già sentita un centinaio di volte >> gli feci sapere.

Il suo ufficio era il classico ufficio di un uomo d’affari, se non fosse stato per la vista mozzafiato. Si vedeva l’intera città ed era bellissimo << Isabella? >> mi risvegliò. Lo guardai un po’ spaesata << Scusami per prima e per adesso ma è.. non ci sono parole.. >> indicai l’ampia vetrata << Si, credo che sia la prima volta che quel cane attacca qualcuno >> misi le braccia conserte << Quel cane sembra stato addestrato da satana e la colpa è mia? >> replicai indispettita. Per un attimo mi fissò confuso << Sei disarmante >> borbottò sedendosi << Accomodati >> indicò una poltrona di fronte a lui. Ancora pensavo al:sei disarmante. Non capivo se fosse un complimento o meno. Nel dubbio decisi di fingere << Dovresti.. controllare se la tua segretaria è ancora viva, credo che si sia fatta prendere da una crisi isterica quando sono salita sulla scrivania >> affermai divertita. Sorrise << Se la caverà.. è stato molto divertente >> scoppiammo a ridere << Ti ricordo che il topo ti stava staccando la mano >> rise ancor di più alla parola topo.

<< Posso chiederti di che tipo di sorpresa ti riferivi? >> chiesi << Ti piacerebbe venire a prenderla a scuola? >> sai, fai delle domande stupide << Si, certo >> secondo lui avrei risposto di no?.

Renoir frequentava una scuola alquanto prestigiosa. La Lincoln School era un edificio imponente. In quel momento, io e Edward eravamo sulla soglia del cancello da cui si accedeva alla struttura. Ero un po’ nervosa. E sentivo chiaramente gli sguardi di alcune donne addosso << Sei sicuro che ne sarà felice? >> mormorai, mordicchiandomi le labbra << Si, non preoccuparti >> sorrise affabile.                                                                      
Di colpo il suono di una campanella si fece sentire e i bambini iniziarono ad uscire. Mi misi in punta di piedi per poterla vedere, non ero quel che si diceva una ragazza alta. Giungevo al metro e sessantotto.                                                                                                          

Poi vidi una chioma scura << Bella! Bella! >> urlò, cominciando a correre. Mi abbassai per poter essere alla sua altezza. Le farfalle mi riempirono lo stomaco appena mi abbracciò di slancio. Quanto mi era mancata.. fu come tornare a respirare. Le baciai il capo << Come stai? >> chiesi, tornando a guardarla in quegl’occhi. Mi baciò una guancia << Bene. Che ci fai qui? >> concessi a me stessa di stringerle la mano << L’idea è stata di Edward, secondo lui ti ha avrebbe fatto piacere >> dissi. Sorrise << Aveva ragione >> dichiarò euforica. Le accarezzai il viso << Anche io sono felice di vederti >> solo con te sono felice. Mi guardò per un po’ finché non guardò lui << Ora che facciamo? >> domandò. Bè.. neanche io lo sapevo << Andiamo a casa a mangiare, tesoro >> a casa? << Viene anche Bella? >> giusta domanda << Certo! >> esclamò. Mi avrebbe portato a casa! Quindi avremmo pranzato insieme. Perché era una cosa che mi agitava?.                                                                                                                                                  

Mi misi in piedi e lei mi prese per mano. Se fosse stato per me l’avrei presa in braccio << Dopo possiamo giocare a nascondino! O a twister? E’ il mio gioco preferito, ci divertiremo! >> si, mi piaceva l’idea.

Casa loro era una villa. Forse un po’ grande per due persone ma il giardino.. non c’erano parole. Era grande e rigoglioso. Uno spettacolo. L’arredamento era classico ed elegante << Ti piace casa nostra? >> chiese la piccola << Si, è molto bella >> concessi.                  
Si guardò attorno stranita << Papà dove Madeleine? >> aggrottai la fronte. Chi era Madeleine? Lei parve leggermi nel pensiero, infatti proseguì: << Madeleine è la governante, la cuoca, la tata.. in pratica fa tutto >> e perché non era in casa? A meno che.. << Le ho dato la giornata libera tesoro >> potevo biasimarlo? Finché lei non sapeva la mia vera identità, dovevamo far in modo che questa faccenda non trapelasse all’esterno << E allora cosa mangiamo? >> continuò << Non moriremo di fame, Renoir >> le fece sapere.                                                                                                                                         

Risi della sua espressione. Da quanto avevo capito era molto golosa << Sai, piccola, sono un’ottima cuoca. Dimmi quello che vuoi mangiare e lo faccio >> dissi << Isabella, non c’è bisogno >> rispose lui << Si, invece. Non preoccuparti, sono davvero brava a cucinare e lo faccio con piacere >> replicai intestardita. Non volevo mica avvelenarli, volevo solo cucinare per lei. Forse lo implorai con gli occhi ma non importò perché sorrise accettando. Si, si, si! << Quindi.. tesoro.. >> guardai la piccola << Cosa vuoi mangiare, anzi cosa volete mangiare? >> chiesi.                                                                                          
Renoir, sempre con la mano legata alla mia, mi portò in cucina mentre lui ci seguiva. Era davvero grande. Cosa non lo era in quella casa?.                                                                       

Lei si sedette su uno sgabello attorno al piano cottura e Edward la imitò << Devo un attimo ambientarmi >> non volevo che mi vedesse come un’impicciona o come se stessi invadendo i suoi spazi << Fa come se fossi a casa tua >> mi rassicurò. Dopo quelle parole mi rilassai.                                                                                                                                     

Aprii le due ante del frigorifero. Non si poteva dire che fosse vuoto. Avevo l’imbarazzo della scelta. Piatto unico o primo, secondo e dolce? Era una bambina, quindi aveva bisogno di mangiare di più, giusto? Cavolo non sapevo che fare! << Ci avete pensato? >> chiesi speranzosa << Carne e patatine! >> rispose Renoir << Che ne dici di scaloppine ai funghi? >> proposi << Si ma anche le patatine. Tante patatine, una montagna di patatine fritte e untuose >> risi << Si, scricciolo, sogna! >> la prese in giro il padre << Isabella, patatine fritte si ma non una montagna >> aggiunse. La piccola sbuffò, portando le braccia al petto << Non capisco cosa tu abbia contro i cibi fritti. Non dovresti essere così schizzinoso papà! >> era assurdo come girasse il coltello dalla parte del manico.

Presi qualche mela << Ti piace lo strudel? >> i suoi occhi si illuminarono << Io ti adoro, Bella, sei entrata di diritto nella mie grazie >> affermò.                                                              
Incoraggiata presi a fare l’impasto. Subito dopo cominciai a sbucciare le mele. In pochi minuti infornai il tutto e rivolsi la mia attenzione alla carne.

<< Tesoro dovresti andare a togliere la divisa >> solo in quel momento mi accorsi che ne indossava una: gonnellina scozzese rossa, camicia bianca con cravattino nero e giacca dello stesso colore della gonna. Il rosso le donava particolarmente, si intonava con il velo rosato che aveva sulle gote << Già.. >> scese scattante dallo sgabello << Ah.. Bella, poi devi venire a vedere la mia cameretta >> sorrisi di rimando mentre lei correva via.

<< Come fa ad essere così perfetta? >> parlai tra me e me, pulendo i funghi << Parte del merito è tuo >> sussurrò << E parte del merito è tuo >> io l’avevo messa al mondo, io l’avevo tenuta dentro me per nove mesi ma lui.. lui le aveva insegnato cos’era l’onesta, i sani principi, l’educazione e tant’altro. Lo vedevo dagli occhi di mia figlia, dagl’occhi di lui in cui vi leggevo un amore sconfinato per lei. Edward Cullen era una persona.. non credo ne esistessero molte come lui: aveva cresciuto una bambina da solo e aveva fatto un ottimo lavoro.

<< Ma è buonissimo! >> borbottò a bocca piena. Cominciai a esultare internamente << Come hai imparato a cucinare? >> continuò << Passavo molto tempo con mia nonna, lei cucinava sempre per me e io la guardavo. E quando sono andata a vivere da sola sono diventata più pratica >> nonna Marie era il ricordo più bello della mia infanzia. Non che con i miei genitori non avessi avuto un bel rapporto, nonostante fossero presenti, avevamo sempre avuto delle divergenze di pensiero. Non appoggiavo il loro forte tradizionalismo e com’erano bigotti; come fosse semplice per loro dire chi aveva peccato. Per loro ero stata una peccatrice perché non ero arrivata illibata alle nozze. Però a differenza loro avevo accettato le loro idee, pur non condividendole. Sarebbe stato tanto difficile per loro, mettere da parte le loro convinzioni per me? Ero loro figlia.

Tutt’ora cercavo di evitarli. Non che avessero provato a rintracciarmi però se potevo, cambiavo strada quando li incontravo. Non a caso avevo scelto di abitare in una casa dall’altra parte della città rispetto alla loro.                                                                                   

Era capitavo un paio di volte che li incrociassi per strada ma facevamo finta di non conoscerci.


<< Non vivi con i tuoi genitori? >> m’irrigidii. Non le avrei fatto un torto parlandole delle persone che avevano deciso per noi due? << No >> dichiarai ermetica << Perché? Hai solo ventuno anni >> come gliel’avrei spiegato? << Volevo essere indipendente >> si, questa era una risposta neutrale << Ah.. e loro come sono? >> continuò << Renoir, sai che Isabella ha paura dei chihuahua >> s’intromise Edward. Lo ringraziai con lo sguardo. La piccola scoppiò in una fragorosa risata << Davvero? >> mangiò una patatina << Avresti dovuto vederla. Oggi nel mio ufficio, l’ho trovata sulla scrivania di Caroline e una chihuahua che l’accerchiava >> risero << Voleva mangiarmi una caviglia! >> protestai << E poi non ho paura dei cani. Era quel cane a starmi antipatico. Renoir, somigliava a un topo e mi guardava male >> aggiunsi. Continuò a ridere << Caroline, sarà impazzita! Perché mi perdo sempre eventi del genere.. >> si lagnò. Per un istante ci pensò su << Ma com’è entrato un cagnolino nel tuo ufficio? >> questa si che era una domanda logica! << Era il cane di una signora che è entrata in affari con noi >> avevo comunque rischiato l’infarto.

Solo al tuo presunto infarto riesci a pensare? Al fatto che ti sei sentita attratta da lui, non ci hai pensato?

Una piccola distrazione momentanea! Non ero attratta da lui. La causa di quella piccola scintilla era tutta l’adrenalina che avevo in corpo. Ero confusa, stordita ma non ero in me. Non ero attratta da lui! Era impossibile!

E perché mai?

Lui era il padre di mia figlia.

Sempre uomo è.

 La colpa era di quel topo di nome Cherry. Che, tra l’altro, dovevo capire perché lo avesse chiamato in quel modo. Cherry. Lo Cherry, il liquore, era di colore rosso. Forse lo aveva chiamato in quel modo perché i suoi occhi erano iniettati di rosso.

Non scappare! Perché eri attratta da lui?

<< Bella, stai bene? >> per la sorpresa, la forchetta che avevo tra le mani cadde << Si, scusa. Stavo pensando >> sentii lo sguardo di lui addosso << A cosa? >> s’incuriosì. Deglutii a vuoto << Se tu avessi mai avuto un cagnolino o un gatto >> mentii << In realtà non ho un bel rapporto con gli animali.. >> bisbigliò come fosse un segreto << Ho avuto sei pesci rossi, tre criceti, un porcellino d’india e due canarini ma.. >> ridacchiò tra sé e sé << A quanto pare non mangiano come mangio io.. ho dovuto fare dodici funerali. Anche se effettivamente i pesci rossi li ho scaricati nel water. Così ho deciso di salvare la vita a qualsiasi animale tenendolo lontano da me. Generosa, no? >> risi divertita dal suo tono e Edward alzò gli occhi al cielo << In che senso non mangiano come te? >> rovesciò gli occhi << Bella io mangio tanto, troppo. Cibodipendente, così mi chiama zio Emmett. E pensavo che i miei animaletti avessero preso da me, così gli davo sempre troppo mangime. Almeno sono morti a pancia piena.. >> scrollò le spalle, addentando un pezzo di carne.

Dopo pranzo mi portò in salotto. Si mise a sedere tra me e Edward, dopo averci assegnato i posti << Bella, che film vuoi vedere? >> domandò, impugnando il telecomando << Da quando lo chiedi, piccola dittatrice? >> la canzonò il padre. Rispose dandogli un buffetto sul braccio << Papà non credi che dovresti evitare di dipingermi come un mostro? >> chiese impettita.                                                                                                

Improvvisamente lo squillò di un cellulare si fece sentire, era di Edward << Scusatemi ma è il lavoro. Devo rispondere >> baciò Renoir sulla fronte e andò via. Guardai ogni suo gesto: come la baciò, come sorrise amorevole, come si alzò, come mi mandò un ultimo sguardo, come ci diede le spalle e la sua camminata << Bella, forse sono insistente ma tu e papà state insieme? >> rieccoci! Per lei doveva essere strano che una sconosciuta, fino al giorno precedente, passasse la giornata con loro << No, davvero. Te l’ho detto ieri. E se anche avessi voluto, ti avrei chiesto prima il permesso. Sei tu l’unica donna che amerà per sempre >> le diedi un buffetto sul naso. Inaspettatamente si avvicinò a me e mi abbracciò, nascondendo il capo sul mio petto. Mi piacevano i suoi abbracci, già n’ero dipendente. Ricambiai, cercando di trasmettere tutto quello che provavo per lei << Allora perché.. perché vi guardate in modo strano? >> il suonò della sua voce uscì nasale, tanto era stretta a me. Rimasi interdetta da quelle parole << Non so di cosa parli.. >> ammisi sottovoce. Si strinse ancora di più a me << Tu che guardi lui, lui che guarda te e poi vi guardate insieme. Sembrate complici.. >> mugugnò. Davvero? No, certo che no! Noi non ci guardavamo e se lo facevamo.. nah.. neanche per sogno. Si, forse eravamo complici ma solo perché c’era lei ad unirci. Mia figlia, sua figlia. Lì si fermava la nostra complicità. Punto e basta!.                                                                              

Ero persa nei meandri della mia mente contorta, quando la sentii sbadigliare << Sei stanca? >> chiesi apprensiva. Annuì << Oggi, a scuola, abbiamo fatto educazione fisica. La signorina O’Connell è una pazza, maniaca della forma fisica >> brontolò. Soffocai una risata, la signorina O’Connell doveva essere l’insegnante di educazione.                                                           

Cominciai a sfiorarle i capelli, solitamente era il mio punto debole per portarmi all’intontimento. Volevo che si rilassasse.                                                                                                 

Sospirò pesantemente << Che c’è? >> chiesi << Hai un buon profumo, Bella. Sai di buono. Nessuno ha un profumo come il tuo, però mi sembra di averlo già sentito.. è familiare >> una fitta mi colpì lo stomaco. Familiare. Trattenni il respiro e le baciai il capo << Vuoi che ti canti una canzone? >> la mia voce tremò mentre mi affrettavo ad asciugare l’angolo dell’occhio, affinché una lacrima impazzita non mi rigasse il volto << Mm.. mm.. >> mugolò. La tirai su e la misi sulle mie gambe, facendole appoggiare il capo nell’incavo del mio collo. Il senso di completezza mi riempii  e iniziai a canticchiare anche flebile: << Sunrise, sunrise, looks like mornin’ in your eyes.. >> alba, alba, assomiglia al mattino nei tuoi occhi << But the clocks held 9:15 for hours.. >>ma le lancette segnano le 9:15 da ore << Sunrise, sunrise.. couldn’t tempt usi f it tried.. cause the afternoon’s already  come and gone.. >> alba, alba, non ha potuto tentarci anche se ci ha provato perché il pomeriggio è già arrivato e andato << And I said hoo.. to you.. >> ed io ho detto hoo.. a te << Surprise, surprise couldn’t find it in your eyes.. but I’m sure it’s written all over my face.. >> sorpresa, sorpresa, non riesco a trovarla nei tuoi occhi ma sono sicura che è scritta sul mio viso << And I said hoo.. to you.. >>e io ho detto hoo.. a te << Now good night throw it’s cover down on me again.. oh and if I’m right it’s the only way to bring me back.. >> ora la notte abbassa il suo manto su di me.. oh.. e se ho ragione è l’unico modo per portarmi indietro << Hoo.. to you >>hoo.. per te.

Sentii il suo respiro pesante solleticarmi la pelle. Si era addormentata. Mi piacque perché nonostante fosse incosciente, continuava a stringersi a me << Ti amo più della mia stessa vita >> mormorai.                                                                                                        

La strana di essere osservata, mi percosse. Come se i miei occhi sapessero già dove guardare, guizzarono sulla porta dietro la cui Edward scomparve.                                             

Lo trovai a scrutarmi, immobile, poggiato allo stipite della porta. La sua espressione enigmatica mi confuse, eppure mi fece sorridere << Ciao >> ormai avevo detto così tante volte la parola ciao che non ci facevo più caso << Da quanto tempo sei lì? >> sperai che mi capisse nonostante le mie parole fossero più mimate. Non volevo svegliarla << Da un po’.. >> non mi stupirei se avessi quella faccia perché mi hai sentita  cantare << Si è addormentata >> puntualizzai stupidamente.                                               
Finalmente si destò e avanzò verso noi << Vuoi che ti dia una mano? >> mi fece piacere il fatto che me lo domandasse. Scossi il capo in segno negativo << Se non ti dispiace vorrei farlo io. Puoi condurmi alla sua stanza? >> pregai.                                                  

Renoir, si avvinghiò a me. Salimmo le scale, per raggiungere il primo piano della villa. Poi si fermò davanti a una porta e l’aprii. La sua stanza era bellissima. Le pareti erano di un delicato lavanda a pois color crema così come il mobili. Il letto era grande, a baldacchino e i drappeggi che scendevano dal telaio erano trasparenti; sulla testata c’era dipinto il suo nome en pendant con il colore base delle pareti.                                         
La sua personalità trapelava da ogni singolo arredo.                                                                        

Posai il suo corpo sul materasso ed ispezionai ogni punto del suo viso. Infine poggiai le labbra sulla sua fronte << Sogni d’oro >> sussurrai al suo orecchio.                                     

<< Aspetta! >> esclamò lui. Si diresse verso la sedia a dondolo e afferrò qualcosa. Quando vidi cos’era m’illuminai << Elle! >> trillai << Posso? >> domandai allungando una mano. Senza pensarci me la consegnò.                                                                                    

Sorrisi. Era una bambolina di pezza logorata dal tempo. Aveva i capelli rossi composti da fili di lana e un vestito azzurro.                                                                                              
Me l’aveva regalata la nonna al mio tredicesimo compleanno. A dir la verità, inizialmente, lo trovai un regalo stupido. Credevo di esser ormai grande per le bambole e la rilegai in un angolo dell’armadio.                                                                                                        
Da adolescente, prima di Renoir, fui un po’ superficiale. Essere una ragazzina ricca, popolare e con una vita rosa e fiori mi aveva deviato. Di conseguenza anche le mie amicizie, se così si potevano chiamare, non erano mai state sincere. Non avevo mai avuto un’amica che mi sorridesse perché volesse farlo e non per assecondarmi, così evitavo anche di raccontare e di parlare della vera Bella.                                                    
Un giorno per qualche motivo piansi e l’unica con cui potermi sfogare fu Elle. Una bambola di pezza! Assurdo, no? Non potevo di certo raccontare ai miei ciò che mi affliggeva. Mi avrebbero riso in faccia, il loro scopo era sempre stato quello di formarmi come donna, si, ma in primo luogo come credente e persona forte.                                                                   
Sicché cominciai a vedere Elle come la mia migliore amica, nella mia mente -probabilmente contorta- era qualcuno a cui potevo raccontare di tutto. Assistette ai miei drammi adolescenziali per quale fosse l’abbigliamento giusto o meno, alla mia confusione perché non sapevo mai quale ragazzo mi piaceva di più, alle mie lacrime quando parlai di Renoir, al test di gravidanza che si colorava di rosa. Elle fu per me un’amica fidata e in un certo senso le volevo bene.                                                           

Quando quella sera la diedi all’assistente sociale, sperai che accompagnasse anche la vita di mia figlia. Che le fosse d’aiuto come lo fu per me e che fosse di buon’auspicio per la vita che si apprestava a iniziare.

<< Non riesce a dormire senza >> affermò. Sorrisi mentre lui gliela metteva affianco << Ti va di vedere qualche foto? >> annuì. Non sapevo come dimostrargli la mia gratitudine.

<< Qui era il suo primo compleanno >> disse. Nella foto c’era lei, con gli occhi adoranti verso la torta e una mano impiastricciata di dolce in bocca. Risi. Mi fece vedere un’altra foto: Renoir spaparanzata sul divano tra quattro persone. Due uomini e due donne << Loro sono i suoi zii. Jasper e Rose.. >> indicò due ragazzi molto somiglianti, probabilmente erano gemelli. Entrambi avevano i capelli biondi e gli occhi verdi, erano molto belli << .. sono i miei fratelli. Sono gemelli >> precisò. Indicò un’altra figura << Lui è Emmett. Il marito di Rose >> dalla foto si capiva che aveva una stazza imponente. Aveva i capelli castani e gli occhi scuri << Invece lei è Alice. La moglie di Jasper >> era un ragazza minuta, almeno mi sembrava, con lunghi capelli neri e gli occhi grandi e castani. La foto a seguire la raffigurava in braccio a un uomo sui cinquant’anni, biondo e di bella presenza. Al suo fianco c’era una donna con i capelli castani e gli occhi nocciola, come quelli di Edward << Loro sono i miei genitori: Esme e Carlisle >> affermò.                                      
Continuai a vedere le foto: il suo primo bagnetto, perfino la prima volta in cui si era seduta sul vasino, tutti i compleanni, le feste con i suoi compagnetti di scuola, le recite, nella maggior parte c’era lei che mangiava e i suoi familiari che ridevano divertiti. Si vedeva dai loro sguardi che l’amavano << Avete una bella famiglia. Sembrate affiatati >> dissi << Bè si.. è così >> alzai lo sguardo e osservai il suo profilo. Poi anche lui mi guardò. Restammo in silenzio. Un silenzio stranamente piacevole. Forse.. eravamo troppo vicini. E io troppo confusa da quella giornata che mi aveva fatto provare così tante emozioni contrastanti. Chissà se lui poteva capirmi? << Pensi che un giorno mi perdonerà? >> domandai sottovoce << Sai.. lei è troppo orgogliosa. Un difetto che le ho trasmesso io.. non so come reagirà quando glielo diremo però con il tempo.. capirà. Quando crescerà soprattutto >> lo speravo << Secondo te tra quanto si sveglierà? >> cambiai argomento, dato che si respirava un’aria pesante << Tra mezz’ora, sarò io a farlo. E’ capace di dormire tutto il giorno! E’ una pigrona, non sentirebbe neanche una bomba se ha un letto sotto. Non sai al mattino che fatica doverla svegliare. Le ho provate tutte: il tono duro, le punizioni, finché non ho capito che devo prenderla in braccio, portarla in cucina e metterle davanti una ciotola di cereali al cioccolato >> riuscivo ad immaginarmi la scena e mi veniva da ridere << Allora le farà piacere lo strudel >> gracchiai divertita << Si. Lei lo chiama risveglio dolce >> in realtà era lei dolce.

In un vassoio avevo preparato la sua merenda. Una fetta di strudel e un bicchiere di latte. Edward mi aveva concesso di poterla svegliare e io volevo darle il suo risveglio dolce << Isabella, non preoccuparti >> mi prese alla sprovvista << Si.. non reagirà male se non la svegli tu? >> ero un po’ ansiosa << Reagirà male se non le porti quel dolce >> cercò di stemperare la tensione << Io vado nel mio studio.. >> stava per lasciarmi sola? << Non preoccuparti, l’ufficio che ho a casa. Per qualsiasi evenienza.. tu urla e io ti sento >> ah.ah.ah spiritoso. Ignorai la sua frecciatina << Okay >> mormorai come a darmi coraggio.

Dovevo avvicinarle il piatto al e naso e si sarebbe svegliata? O dovevo dire che c’era un dolce? Oppure dovevo smuoverla? Non lo avevo chiesto a Edward. Perché?.                                                                                                                                 

Avrei tentato la seconda e terza opzione!

Con la massima delicatezza entrai in camera sua, lasciando la porta aperta e mi sedetti sul letto << Tesoro.. >> provai << Renoir, svegliati.. >> ti prego, ti prego, ti prego non reagire male.                                                                                                                                   
Mugugnò qualcosa per poi sotterrare il capo in un cuscino << Renoir, c’è una cosa molto buona per te >> ritentai << Dop-o >> brontolò << Neanche se ti dicessi che è lo strudel? >> il suo corpo, non appena registrò quelle parole, si irrigidì. Dopo qualche secondo, si decise ad alzare i capo. Aveva gli occhi socchiusi, i capelli scompigliati e la bocca semiaperti << Sei ancora qui? >> deglutii a vuoto << Vuoi che me ne vada? >> balbettai stridula << NO! >> esclamò del tutto sveglia << Voglio che rimani. Mi piace.. >> sorrise imbarazzata. Dilatò gli occhi guardando il dolce << E’ per me? >> per chi altri? << Certo! L’ho preparato per te, ci tengo a sapere se è venuto bene o male >> poggiai il vassoio sul letto. Prese la forchetta << Di solito è papà che mi sveglia. Anche se c’è Madeleine, lui mi sveglia a furia di dolci. Ma.. mi piace.. che ora.. tu.. mi hai capito, no? >> che le piaceva che ci fossi io? << Si, non preoccuparti! Quando vuoi io ci sono, puoi dirlo al tuo papà e io arrivo subito. Più veloce della luce.. >> annuì << So fare anche altri dolci. E se vuoi puoi anche aiutarmi.. >> sorrise. Infine addentò lo strudel, chiuse gli occhi come se volesse assaporarlo meglio << Buo-f-nisf-simo >> disse, bevendo un lungo sorso di latte << E fidati, io me ne intendo >> aggiunse saputella << Okay, allora mi fido! >> esclamai contenta.                                                                                                       

Pulì il piatto, con un’espressione di gusto sul volto << Che ne dici di giocare, ora? Twister, con la Wii o andiamo in giardino? >> chiese. Pensai attentamente. Cosa avrebbe fatto una vera madre? << Che ne dici se ti aiuto a fare i compiti. Potremmo andare in giardino e se finiamo presto giochiamo come vuoi? >> prima di tutto dovevo essere responsabile << Va bene ma non mi piace tanto fare i compiti >> borbottò. M’intenerii.                                                                                                 

Prese i libri e scendemmo al piano inferiore. Dovetti fermarmi quando sentii delle voci: << E’ una poco di buono! >> sgranai gli occhi, spiazzata.      


http://www.youtube.com/watch?v=PHhcCrDpJF8 

*La canzone che canta è Sunrise di Norah Jones. Penso sia una canzone intramontabile. Ho messo anche il video.

Ciaooo! Allora… non era Edward! Che dire di questo capitolo.. non saprei. Chi avrà detto la frase poco gentile? Per scoprirlo non vi rimane che leggere il prossimo capitolo. Se vi va recensite. Un bacio acalicad     

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Capitolo 5
*** Incomprensioni ***





La voce che aveva parlato era femminile << E’ la nonna! E’ la nonna! >> saltellò Renoir euforica. Ero così paralizzata da quelle parole, che la presa dalla sua mano si allentò. Senza che potessi fermarla, corse di fronte a quella porta da cui proveniva la voce e l’aprì.

Rimasi immobile. Al suo interno c’era una donna. Era la donna delle foto: la madre di Edward. Erano entrambi in piedi, con delle espressioni stravolte sul viso e mi fissarono. Lei come se fosse disgustata dalla mia presenza, lui forse era dispiaciuto.

<< Nonna, nonna! >> la piccola le corse incontro e prontamente fu presa in braccio. La sua espressione si addolcì << Amore della nonna... >> la baciò con aria amorevole << Che ne dici di andare un attimo nella tua stanza? Vorrei tanto conoscere l’amica di papà >> le ultime parole le sputò con disprezzo << Bella? E’ anche mia amica. E’ così simpatica. Perché non posso rimanere? >> mi trucidò con gli occhi << Devi andare a fare i compiti, tesoro >> chiarì tesa << Oh… ma Bella mi ha detto che mi aiuterà >> obbiettò << Scricciolo >> Edward gliela strappò dalle braccia << Fa come dice la nonna, Isabella non va da nessuna parte >> la tranquillizzò, mettendola giù. Renoir sbuffò << Okay >> si avvicinò a me ed io mi misi alla sua altezza. Mi abbracciò << Non andartene prima di salutarmi >> ricambiai l’abbraccio in ansia. Sperai con tutta me stessa che quella non fosse l’ultima volta in cui l’avrei vista << Ti voglio bene >> mormorai.

Non avevo spiccicato una parola. Lei mi fissava come volesse incenerirmi << Mamma, dovresti andartene. Adesso! >> ordinò lui << Non vado da nessuna parte. Chiariremo questa storia definitivamente >> prese il cellulare << Che stai facendo? >> chiese cupo << Chiamo tuo padre e i tuoi fratelli >> affermò << Non è affar tuo! >> urlò << E’ mia nipote. Tutto quello che la riguarda, è affar mio! >> strillò << E lei è sua madre! >> ripeté << Sua madre? Sua madre? E sei anni fa non lo era? Perché diavolo si sta presentando ora. Non è così che funziona, l’ha abbandonata e ora che è a conoscenza delle sue possibilità economiche, esce dal nulla >> sbraitò.

Colpita e affondata.

Non avevo la forza di riuscire a oppormi a quelle parole. Era come se la mia lingua fosse impietrita. Però il respiro era affannato, gli occhi lucidi colpi di lacrime inespresse << Smettila! Non sai quello che so io >> lui. Stava difendendo una sconosciuta dalle insinuazioni di sua madre << Per questo sto chiamando gli altri. Dobbiamo parlarne >> dichiarò << Parlarne come stai facendo tu? Parlarne costringendomi, costringendoci, a un’agorà? >> urlò.

Il momento critico arrivo quando tutti i suoi familiari, almeno quelli che avevo visto in foto, arrivarono. C’eravamo spostati in salotto. Io ero seduta nell’angolo più remoto del divano, mentre sentivo gli sguardi di odio che mi mandava la nonna di Renoir, invece Edward era in piedi fermo. Tutti mi fissavano confusi, nell’attesa che madre e figlio spiegassero. Io non avevo la forza di emetter un sol suono << Edward ci vuoi dire che succede? >> suo padre parlò.                                                                                                         

Edward mi lanciò un’occhiata, come se stesse cercando di trovare conforto in me o di darmi forza per affrontare quella situazione << Questa ragazza, Isabella Swan, è la madre naturale di Renoir >> gli sguardi sulla mia figura s’intensificarono. Sentivo sulla pelle, quell’alito misto di stupore e choc che aveva pervaso l’aria << Come... come è possibile? >> incespicò la ragazza dai capelli scuri. Alice doveva chiamarsi << Come pensi sia possibile? >> chiese irritato, ma sapevo che la sua irritazione non era a causa mia << Edward come fai a esserne certo? >> fu la volta del fratello << C’è un test del dna che lo afferma >> spiegò << Perché non ci hai detto niente? >> s’intromise con arroganza la ragazza bionda << Ha voluto fare di testa sua. Ha fatto venire a contatto Renoir con una sconosciuta arrivista >> rispose, Esme, infervorata.

Dio, reagisci!

No, non potevo reagire. Non potevo dir niente perché quel momento e la sua reazione dovevano essere la ciò che, per fortuna, lui non aveva avuto. Mia figlia era sua nipote. Io la madre naturale che secondo lei, non conoscendo la verità, avevo abbandonato. Era una reazione giustificata.

 << Ti ho già detto che non è una sconosciuta. Hai visto anche tu che mia figlia le è molto legata. Si conoscono da soli due giorni e se ben ricordi con Alice non è stata così socievole nonostante fosse la compagna di suo zio. Non starò qui a giustificare le mie scelte, le mie ragioni o a spiegare ciò che Isabella ed io ci siamo detti in privato. Sono io il padre di Renoir, sono io a decidere il meglio per lei finché non ne sarà capace e il meglio per lei e per il suo futuro è sapere che non è mai stata abbandonata. Ho preso i giusti accorgimenti e so per certo che non è un’arrivista. Se qualcuno non è d’accordo, è libero di andarsene seduta stante >> come poteva dirlo? Perché mi stava difendendo in quel modo contro la sua famiglia? E che significava giusti accorgimenti? << Se non siamo d’accordo? Ti rendi conto di quel che dici, Edward? >> riprese il fratello << Jasper, lascialo parlare... credevamo fossi cresciuto Edward, non che ti lasciassi abbindolare dagli occhi grandi di una vent’enne >> strillò quella che doveva essere Rosalie.

Oh mio Dio!Non riuscivo a credere che avesse detto una cosa del genere<< Ritira subito quello che hai detto! >> le inveì contro << Perché dovrei farlo? >> ero spiazzata da lei e dalle sue parole << Dannazione! >> batté una mano contro un muro. Sobbalzai spaventata << Stai parlando della vita di mia figlia. Non puoi dire che preferisco la mia attività sessuale a lei >> la donna sgranò gli occhi, forse consapevole di ciò che aveva detto << Non permettermi mai più di dire una cosa del genere se vuoi ancora entrare in questa casa! >> il tono in cui lo disse, spaventò anche me << Dovevi parlarcene, Edward. Non escluderci come hai fatto tu. E’ mia nipote, l’amo con tutta me stessa >> si calmò << Hai pensato a tua nipote mentre stavi urlando come un’ossessa? Hai pensato che lei potesse sentirti? >> i suoi occhi erano iniettati di rabbia. Era furente << Ed- ward... >> fu un sospiro e uscì proprio a me. Sperai che si calmasse, anche se obbiettivamente non ero la persona indicata per farlo.                                                                                                                                               

Però inaspettatamente, si rilassò quando mi guardò. I suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi << Come ti aspettavi che reagissimo Edward? Che facessimo una festa. Questa ragazzina si è presentata dopo sei dannati anni! Dov’era quando le cambiavi il pannolino e le riscaldavi il biberon, quando le cantavi una ninna nanna per farla addormentare o piangeva a causa delle coliche? >> altro colpo al cuore, parlavano come se io non fossi presente << Come ti ho detto, non parlerò delle ragioni che l’hanno spinta a scegliere l’adozione. Anche se volessi, non potrei tornare indietro. E’ la madre naturale e che lo vogliate o no, Renoir continuerà a vederla anche perché si è affezionata a lei. Se siete così contrari, vi prego di non farlo trapelare di fronte alla piccola >> sussurrò glaciale << Tu pensi che te lo lascerò fare? >> ripartii all’attacco la madre << Non permetterò che una sgualdrinella da quattro soldi stia con mia nipote >> m’irrigidii << Esme! >> la riprese il marito << E come pensi di potermelo dire mamma? Dovresti vergognarti di quello che hai detto. Senza Isabella, non avresti neanche una nipote >> concluse.

Nessuno di loro mi parlò o si presentò a me, non che me lo aspettassi, però...

Non è tutto oro quel che luccica.

Il silenzio che sopraggiunse quando restammo soli fu opprimente. Mi alzai in piedi. Volevo tornare a casa mia << Posso salutare Renoir? >> avrei tanto voluto dire qualcosa. Scusarmi per averlo costretto a litigare con i suoi cari, urlare perché neanche i miei genitori erano mai riusciti a umiliarmi come quando sua madre mi aveva definito sgualdrinella da quattro soldi. Alla faccia della compostezza nelle foto! L’abito non fa il monaco.

<< Vai via? >> che possibilità avevo? Volevo piangere, stringere a me mia figlia << Sei stanco come me. Saluto Renoir e vado a casa, tra un’ora inizierà il mio turno.. quindi vado a casa >> forse.. suonai brusca ma non avrei voluto << Va bene >> cedette << Edward, posso farti una domanda? >> non osai guardarlo negli occhi << Dimmi >> sussurrò. Mi torturai le mani, non sapendo che parole usare << Che vuol dire giusti accorgimenti? >> sentii il suo stupore. Non si aspettava che notassi quel particolare nel suo discorso. Non rispose così lo guardai, lo fissai a lungo e compresi << Mi hai fatta pedinare non è così? >> risi forse un po’ amareggiata. Aveva detto di fidarsi di me solo perché mi aveva pedinato << Nel fascicolo che ti ho dato non c’era scritto quale università frequentassi e tantomeno in quale appartamento abitassi nel mio palazzo. Probabilmente hai tenuto d’occhio anche i miei genitori, non è così? >> ricollegai tutti gli avvenimenti << Isabella... >> tentò di dire ma lo fermai << E’ giusto. In fin dei conti l’ho fatto anch’io e si parla del bene per Renoir ma avrei preferito che me l’avessi detto come ho fatto io. Buona serata, Edward >> conclusi.

Bussai lievemente alla porta della sua stanza e l’aprii. Lei era seduta, nel piccolo divanetto a ridosso della finestra che c’era, e stava leggendo un libro. Geronimo Stilton. << Ciao >> proruppi un po’ in imbarazzo << Sei triste? >> chiese, chiudendo il libro. Andai a sedermi al suo fianco e la misi cavalcioni sulle mie gambe. Aveva una piccola rughetta tra le sopracciglia increspate. La distesi con l’indice << Perché lo dici? >> la interrogai. Scrollò le spalle << Non lo so. nonna è arrabbiata con me? >> abbassò il capo e il suo labbruccio cominciò a tremare. Sentii una stretta asfissiante al cuore. Ti prego, no, non piangere! Ti supplico! << No, perché dovrebbe esserlo. Ti giuro che non è arrabbiata con te >>è inferocita con me. Se potesse, mi lapiderebbe ma ti prego non piangere << Allora sei tu arrabbiata con me? >> le rialzai il capo con un dito sotto il suo mento. I suoi occhi erano lucidi, per poco non mi strozzai con la mia saliva << No, Renoir davvero io non sono arrabbiata con te, non potrei mai essere arrabbiata con te >> le scostai una ciocca di capelli dal viso << Mi credi, vero? >> annuì, giocherellando con le sue mani << Ti posso dire una cosa? >> continuai << Sì, certo >> acconsentì. Presi le sue mani tra le mie per placare il suo nervosismo << Qualunque cosa accada nella tua vita, devi sapere che ci sono due facce per ogni medaglia >> mi guardò confusa << Che significa? >> non sapevo come spiegarmi << Che l’apparenza inganna. Che non ci sono scelte giuste o sbagliate ma ci sono scelte che contengono verità >> sperai di essere chiara << Scusami Bella ma puoi farmi un esempio... >> implorò << Okay, non preoccuparti. Se hai un biscotto tra le mani e c’è qualcuno che ti dice perché non dovresti mangiarlo, dovresti ascoltare anche i motivi di chi ti dice di mangiarlo >> con il cibo andavo a colpo sicuro << Prima di mangiare il biscotto devo sentire tutte e due le parti? >> tentò << Si >> confermai << Ma alla fine lo mangio, no? >> scoppiai a ridere << Sì, lo mangi >> anche lei sorrise << Ti ho fatto ridere >> mi bloccai a quelle parole. Ti ho fatto ridere. Lei voleva farmi ridere. L’abbracciai grata << Sei una bambina speciale, Renoir >> mormorai << Grazie ma tu.. la zia Alice dice che ogni volta che non sorridiamo, perché siamo tristi, una fatina si spegne >> oddio stavo uccidendo una fatina! << Prometto che sorriderò sempre! >> con lei era difficile non sorridere << Giurin giurello e mano sul cuore? >> ridemmo << Giurin giurello e mano sul cuore >> promisi.                                                                                                                                

Restammo abbracciate per un po’ << Bella, mi piace la canzone che hai cantato prima >> te la cantavo sempre quando eri nella mia pancia. E’ la nostra canzone << Si è molto bella >> la sentii annusarmi << Sei venuta per dirmi che te ne stai andando? >> il suo tono sembrava spento << Bella... rimani per favore. Dobbiamo ancora fare i compiti e voglio giocare con te a twister... e... mi piace stare con te... >> come potevo andarmene? D’altra parte c’era il lavoro e seppur Tanya fosse mia amica, non potevo approfittarmene << Tesoro, io vorrei tanto restare ma ho il lavoro e se faccio tardi poi sono nei guai >> mi sentivo così... uno schifo in quel momento, come se tra il lavoro e lei scegliessi il primo << Va bene, ma domani verrai? >> insistette << Devi chiederlo a Edward >> però voglio venire, se lui fosse d’accordo, verrei ogni giorno << Se papà è d’accordo verrai a prendermi a scuola e mangeremo di nuovo insieme? >> sospirai pesantemente << Sì, tesoro e dovrai pensare a cosa vuoi che io cucini >> la sentii ridacchiare << Hamburger e patatine fritte? >> ecco! Andava matta per la carne e le patatine fritte << E contorno di verdure grigliate >> corressi << Bleah... >> rabbrividì disgustata << Sono buone... >> bugia. Io odiavo le verdure << Se lo dici tu... >> lasciò la frase in sospeso.

Mi accompagnò fino alla porta d’ingresso della villa, al suo fianco c’era Edward << Ciao farfallina >> le baciai la fronte << Ciao Bella, ci vedremo domani >> ricambiò il bacio << Sì, dormi bene e sogna tante fatine >> risposi. Salutai suo padre con un cenno del capo.
 
Se c’era una cosa che non si poteva dire di Tanya era che non fosse tenace. La trovai nel mio appartamento. Perfettamente seduta sul divano con le gambe accavallate, un bicchiere di limonata tra le mani e un sorriso malizioso, a contornarle le labbra << Sei una stronza >> dissi senza salutarla, non ero propriamente di buon umore e tantomeno volevo parlare << Bè... che ne dici di farmi diventare meno stronza raccontandomi un po’ di cosette? >> batté una mano sul divano: chiaro invito a sedermi al suo fianco << Tanya, devo prepararmi. Ricordi? Lavoro da te >> buttai la mia borsa sul divano e andai in camera mia. Tuttavia lei aveva altri progetti per me: farmi parlare. Infatti, mi seguì << Dai Bella... >> brontolò come una bambina << Tanya per favore... >> presi un respiro profondo per calmarmi. Non volevo prendermela con lei, non era giusto << Ti prego, ti prego, ti prego... >> cinguettò << Tanya! >> sbuffai esasperata. Mi tolsi i vestiti e indossai dei pantaloni palazzo neri, una camicia bianca e un gilet come i pantaloni << Uffa. Voglio saperlo! >> la fissai truce mentre mi mettevo di fronte allo specchio << Oddio Bella! Lo hai visto? E’ assurdo che possa esistere un tipo del genere. Nessuno ha un profumo come il suo e sembra ben dotato... dovresti condividere queste informazioni con la tua migliore amica... >> sbatté le ciglia velocemente, come a dare più enfasi alle sue parole << Non lo so se è bene dotato! >> strillai, alzando le braccia al cielo e facendo cadere sulle spalle i capelli che avevo raccolto per fare uno chignon << Sì, certo... >> rovesciò gli occhi << Anch’io voglio uno scopamico come lui. Perché sono così sfigata... io non riesco a crederci! In un sol colpo lo trovi bello, ricco, intelligente, con un bel nome, affascinante, profumato, senza fede al dito, galante e con un sorriso così bello da fare venire un orgasmo senza che ti sfiori... dimmi il tuo segreto! Per favore, ti supplico anzi t’imploro e chiedigli se ha un gemello possibilmente omozigoto... >> m’innervosii e scattai << Cazzo Tanya! E’ il padre di mia figlia >> urlai a squarciagola.
Tramite lo specchio, la vidi dilatare gli occhi e tacque. Aprì più volte la bocca nell’intento di parlare ma non emise alcun suono. L’avevo sbalordita! Ed io non sapevo che dire... di certo non mi aspettavo di dirglielo in quel modo.                                               

Dovette appoggiarsi allo stipite della porta perché traballò. Mi avvicinai a lei, mettendole un braccio attorno alla vita e la feci sedere sul letto << Stai bene? >> chiesi flebile << Com’è possibile... >> balbettò.

<<... e ora mi trovo in questa situazione! >> conclusi. Le avevo raccontato tutto. Dei miei genitori, della mia infanzia, dell’adolescenza, di come rimasi incinta di Renoir, di come fui costretta a farla adottare; di come feci le ricerche su Edward, come mi appostai sotto il suo studio, delle ultime settimane. Tutto.                                                            

C’eravamo spostate sul divano. Le avevo offerto una tazza di caffè ma lei aveva preferito una tazza colma di martini << Erano i tuoi genitori, avrebbero dovuto proteggerti e non mandarti al macello. Perché... perché non mi hai mai detto niente? >> le strinsi la mano << Non è facile da dire. Io non ci riuscivo, volevo prima trovarla... >> chiosai sottovoce. Il suo sguardo poco prima perso nel vuoto, fu puntato su di me. Un dolce sorriso disegnò le sue labbra piene << Ho una nipotina... >> ricambiai il sorriso. Mi aveva compreso. L’abbracciai con gli occhi pieni di lacrime << Dimmi com’è? >> disse allontanandosi. Sospirai trasognata << E’ perfetta. Ha i miei occhi Tanya. E’ sagace, spiritosa... è incantevole >> mi asciugai le lacrime << E poi... c’è una connessione speciale tra di noi due... >> esultai raggiante. Liberarmi del mio segreto, parlarne con la mia migliore amica mi rese più tranquilla. Tanya era la mia famiglia. La mia amica di abbuffate e di risate. La prima persona rassicurante che avevo incontrato dopo la morte di nonna Marie. Mi piaceva che considerasse Renoir sua nipote.                         
Magicamente il buon umore ritornò. Non m’importava che lui mi avesse pedinato, non m’importava della sua famiglia. Renoir era l’inizio e la fine di tutto << Quando le cose saranno più stabili voglio conoscerla. Oddio... >> scattò in piedi e cominciò a girare per la stanza << E andremo a fare shopping tutti insieme... e la vizierò... posso viziarla vero? >> risi << Ne dovrò parlare con Edward, ha lui l’ultima parola. E poi crede sia un’amica di suo padre... >> aggrottò la fronte << Non sa che sei sua madre? >> chiese conferma << Già. Edward ha detto che... è meglio che prima mi conosca per non traumatizzarla... >> scrollai le spalle << Cioè mi vuoi dire che quell’uomo non ti sta tenendo alla larga, ti ha difeso dalla sua famiglia- che tra l’altro vorrei chiarire con quella donna alcuni punti sulle parolesgualdrina da quattro soldi-  e sta assecondando la vostra conoscenza? Sai che è... wow! >> sì, certo che lo sapevo << Tanya, Edward è un padre esemplare. Unico quasi quanto Renoir >> mi sentivo una mentina in una bottiglia di cola. Effervescente. Ridacchiai tra me e me.                                                                                                                      

La mia amica, ridusse gli occhi a due fessure e si venne a sedere al mio fianco << Sei arrossita >> il suo tono sembrava cospiratorio << Cosa? Bè sì... parlare di Renoir mi fa accaldare... >> chiarii << No, hai detto il nome di signor Bollore e ti sei illuminata... amica c’è qualcosa che dovresti dirmi? >> sì, aveva le allucinazioni. Ha bevuto troppo martini << Signor Bollore? >> mi trattenni dal ridere << Senti Bella... è proprio un signor Bollore! >> sbottò << E tu ti senti tutto un bollore... e non provare a fare la verginella frigida >> le diedi un ceffone sulla coscia << Smettila di chiamarmi così >> dissi seria. Sì, era un bell’uomo ma tutto si fermava lì. Non c’era e non ci sarebbe mai stato niente. Non potevo e non volevo in primis. Ciò che era fondamentale era Renoir. Mia figlia. Ora che l’avevo trovata, il mio unico scopo era creare un legame con lei e, quando avrebbe conosciuto la verità, un rapporto madre- figlia. Di certo non avrei mandato al fumo tutti i miei progressi per i miei stupidi ormoni mummificati. Erano atrofizzati e lo sarebbero stati ancora molto tempo, mi sarei concentrata solo su di lei, finché tutto non si sarebbe risolto. E se c’era una cosa certa, era che non si sarebbe districata per il momento.

<< Okay. Ora è certo che non sei più vergine... >> sebbene sapessi che Tanya avesse la battuta facile soprattutto sul sesso, dovevo ancora sciogliermi sullo scherzare su Renoir. Era pur sempre un argomento difficile << Tanya! E poi se hai intenzione di incontrarla quando sarà, ti devi, anzi ci dobbiamo, disintossicare dalle parolacce. E argomenti come il sesso e ragazzi sono esclusi così come le insinuazioni. Lei è attenta a tutto. Ci siamo capiti? >> le puntai un dito contro. Alzò le mani in segno di difesa << Adesso somigli a una mamma >> somigli a una mamma. Mi piaceva sentirmelo dire. Sorrisi << Grazie e ora che ne dici di andare a gestire il tuo locale? >> proposi. Alzò gli occhi al cielo << Oddio! Sempre al lavoro pensi >> si lamentò.

Passarono i giorni e Tanya prese a fare ricerche su signor Bollore. Mi disse che secondo Forbes era al trentaquattresimo posto nella classifica dei cento uomini più importanti al mondo. Che i suoi macchinari medici erano portati in tutto il mondo: in ogni continente. Questo lo rendeva anche uno tra gli uomini più ricchi al mondo. E il fatto che donasse molti dei suoi macchinari, che le sue aziende producevano, a molti paesi del Terzo Mondo lo rendeva, ai suoi occhi, l’uomo più generoso al mondo.

Effettivamente... pochi uomini sono come lui.

Poi si era esasperata perché secondo lei doveva essere nella classifica di People perché non era tra i cento uomini più sexy del mondo. In poche parole parlò di classifiche per molto tempo. Perché diamine esistevano tutte queste classifiche?
 

Così volarono tre mesi, eravamo in pieno giugno. Era il periodo più felice della mia vita. Renoir mi considerava la sua migliore amica, certe volte mi feriva sentirmelo dire. Io... volevo essere sua madre. Però la parte di me razionale mi diceva che serviva del tempo.                                                                                                                                                                                  
Non avevo più visto né sentito i suoi familiari e tantomeno lo volevo. E Edward mi aveva concesso più libertà. Ad esempio potevo andare a prenderla a scuola da sola, prima che terminasse e avevo conosciuto le sue insegnanti, Renoir aveva ragione: erano delle gatte morte che guardavano come ninfomani suo padre.                                                                                                     

Il rapporto con lui era un po’ strano. Da quando avevo sentito le parole di Tanya sulla questione “bollore”, avevo cercato di frenarmi. Tra noi c’era il solito feeling, quello che c’era sempre stato fin dalla nostra prima chiacchierata ma io imponevo a me stessa di mantenere un certo distacco mentale.                                                                                   

In quel momento eravamo al parco, le avevo comprato il suo gelato preferito ed eravamo sedute su una panchina << Bella, hai una foto tua da piccola? >> chiese dal nulla. Era un po’ di settimane mi faceva delle domande strane. Su dove fossi cresciuta, come fosse stata la mia infanzia, se avessi avuto dei fidanzati da adolescente, a cosa fossi allergica << Certo, amore >> sorrisi, leccando il mio di gelato << Me ne dai una? >> continuò << Perché? >> curiosai << Così... mi serve... >> la guardai confusa << A cosa? >> rispose scrollando le spalle. Sembrava pensierosa << Così. Voglio avere una tua foto... siamo amiche, no? >> annuii sempre più confusa << E poi posso venire a casa tua? Non ci sono mai stata >> era la prima volta che me lo chiedeva << Se il tuo papà è d’accordo, va bene >> cominciava a stranirmi il suo atteggiamento.

<< Che bella bambina... >> una signora anziana si sedette al nostro fianco ed io non potei domandarle nulla << Grazie >> rispose la piccola, arrossendo leggermente << Siete sorelle? >> m’irrigidii << Perché? >> fu Renoir a parlare. Mi stupì il suo tono, di solito era calmo e quieto. Invece fece quella domanda come fosse un’accusa << Vi somigliate tanto >> si difese la donna << Ha detto sorella! >> esclamò infervorata la bimba << Poteva dire amica, cugina, perché sorella? >> continuò decisa. Le strinsi la mano, sperando che si calmasse. Non capivo perché fosse tanto arrabbiata.                                    

La donna si stupì << Io... >> ma non parlò << Perché non ha detto se era la mia mamma? >> sgranai gli occhi << Perché è piccola? >> aggiunse, rossa di rabbia << Renoir! >> la ripresi. La signora, senza dir nulla, andò via con un’espressione offesa sul volto.

Perché aveva reagito in quel modo? In fin dei conti la signora era stata gentile << Che ti è preso? >> chiesi turbata << Niente! >> si giustificò << Tu... tu mi hai detto che il biscotto inganna... che il biscotto è buono ma devo sapere perché è cattivo... che la medaglia è apparenza... >> si batté una mano sulla fronte. Che cosa aveva? << Quella cosa… >> brontolò << Che l’apparenza inganna? >> dedussi. Annuì con vigore << Si! E’ la signora... ha... detto che ci assomigliamo... e allora perché... perché non ha chiesto se sei la mia mamma? Solo perché tu sei piccola ed è stata cattiva, cattiva. Non è giusto! >> la sua voce tremò e mi si strinse il cuore.     

Finalmente mi guardò negli occhi << Perché stai piangendo? > domandò. Si avvicinò a me e mise una mano sulla mia guancia. Era umida, non mi ero accorta delle lacrime << Io... io volevo difenderti… per favore, non piangere... >> sussurrò << Sì ma... >> pose un dito sulle mie labbra per zittirmi << Sono stata cattiva? >> cosa avrei dovuto rispondere? No che non era stata cattiva. Presi le sue mani tra le mie << Tesoro è una cosa molto bella ma ci sono modi e modi. Certe volte anche se abbiamo ragione, se ci comportiamo in un determinato modo passiamo dalla parte del torto >> precisai << Sei arrabbiata con me? >> l’abbracciai << No, farfallina... ma la prossima volta non fare così... devi spiegare tutto con la calma... >> sospirò pesantemente << Sì, scusa... >> borbottò.

Sciolsi l’abbraccio, non volevo che fosse triste. Mi faceva sentire male vederla con il broncio << Adesso che vuoi fare? >> chiesi. Sorrise << Andiamo da papà! >> urlò eccitata << Tesoro, papà è a lavoro >> le feci notare << E con questo? Papà mi ha detto che quando voglio ci posso andare. Compriamo una fetta di torta di mele: è la sua torta preferita. Ti prego... ti prego.. ti prego.. Bella! >> era partita in quarta << Amore, non sono vestita bene... >> indossavo degli shorts bianchi, una canotta dello stesso colore e dei sandali. Non era l’abbigliamento adatto per quel luogo, ricordavo ancora la volta in cui mi ero presentata da lui con un semplice jeans, tra l’altro era stata la prima e ultima << Perché? Sei bellissima... >> dichiarò << Grazie ma... >> non mi lasciò finire che cominciò a saltellare << Che bello! Che bello! Che bello! >> era una partita persa tentare di protestare. Sapevo che avrei dovuto essere più forte ma non ci riuscivo se faceva il labbruccio e mi guardava con gli occhi dolci. Erano il mio punto debole << Renoir per favore... >> implorai << Papà sarà felice! >> mi rassicurò felice.

<< Caroline, il mio papà dice che è sempre libero per me >> ripeté Renoir per l’ennesima volta << Piccolina... >> provò ma ricevette un’occhiata truce << Il signor Cullen è a un meeting importante. Mi ha detto che per nessuna ragione, voleva essere interrotto >> spiegò a me. Renoir assottigliò lo sguardo << Caroline, facciamo un patto! >> dichiarò combattiva << Io e Bella entriamo e tu non ci hai visto. Così non dirò a papà che io stavo male e tu non ci hai fatto entrare... >> l’aveva minacciata! Le aveva fatto intendere che l’avrebbe fatta licenziare << Renoir... >> sussurrai con una nota leggera di rimprovero. Non ero ancora pratica. Non riuscivo minimamente a rimproverarla, sapevo che era sbagliato ma non ci riuscivo. Era più forte di me << Signora Philips, non si preoccupi, lo aspetteremo e lei non avrà nessun tipo di problema >> per quanto mi stesse antipatica, dovevo essere obiettiva << Dai Bella! >> mi lanciò un’occhiata e rilassò le spalle: segno che aveva cambiato idea.

Mai lasciarsi abbindolare!

In uno scatto repentino staccò la mano dalla mia, superò Caroline e si mise a correre verso la sala conferenza. Aprì la porta << Papà! >> urlò. Non potei far altro che rincorrerla. Perché dovevo mettermi in situazioni così imbarazzanti?

La sala era piena di uomini di mezz’età, seduti attorno a un enorme tavolo. Edward invece era in piedi e probabilmente stava dando delle delucidazioni. Abbassai il capo imbarazzata << Papà, papà, ti abbiamo portato la tua torta preferita >> disse, correndogli incontro. Ci fu qualche risata per tanta tenerezza. La nostra presenza lo spiazzò << Scusate signori >> si scusò un po’ rigido. Gli occhi si spostavano tra me e la bambina.                                                                                                                                                         

Sorrise a Renoir << Già che sei qui che ne dici di presentarti? >> le chiese. La bimba, in imbarazzo arrossì << Sì... io sono sua figlia... >> balbettò.                                                                    

A capo chino, andai a riprenderla << Mi dispiace >> sussurrai a lui. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi. Probabilmente dopo mi sarebbe spettata la mia prima sfuriata. Le presi la mano << Renoir che ne dici di salutare? >> volevo fuggire il prima possibile. Tuttavia mi guardò confusa << Papà perché Bella non si presenta? >> lo fissai agitata. Dovevo presentarmi, perché? Non vi era ragione << Sì, hai ragione piccola >> l’assecondò. Mi parve di vivere il primo giorno di scuola delle superiori. Solo che al posto di adolescenti, c’erano una trentina di uomini. E il fatto che non fossi vestita o meglio che fossi poco vestita mi fece venire il voltastomaco. Mi sentivo a disagio. Se stavo ricevendo delle occhiate, non erano per niente piacevoli. Alcuni di loro erano una marmaglia di depravati che mi fissavano gambe e seno. Non era una situazione ideale.                                                                                                                             

Lo guardai tesa, con la mascella serrata e anche un po’ innervosita. Lui parve notarlo, come parve notare quelle occhiate che tanto mi infastidivano << Puoi andare Isabella >> il suo tono fu duro. Non risposi, mi limitai ad andar via seguita da Renoir.

<< Piccola... sai quanto tengo a te ma non puoi fare sempre di testa tua >> affermai sicura delle mie parole. Ero alla mia sesta tazza di caffè che sorseggiavo in due ore. Eravamo ancora nell’edificio della Masen Cullen Industry, precisamente nell’ufficio di Edward << Io... >> cercò di difendersi << Tesoro, io capisco che ti manca il tuo papà ma avresti potuto metterlo nei guai, se avessi ascoltato le parole di Caroline, lui avrebbe mangiato ugualmente la torta... >>ed io non starei per ricevere una sfuriata su quanto fossi poco responsabile. E aveva ragione, ero stata un’irresponsabile. Avrei dovuto impormi. Saper dir di no << Il tuo papà stava lavorando >> mi sentivo persa << Scusami Bella >> mi strinse la mano << Non è con me che devi scusarti >> risposi vacua. E se non me l’avesse più fatta tenere? Se reputasse che fossi troppo infantile? Che cosa avrei fatto.

<< Signorina Swan, il signor Cullen vuole vederla nella sala meeting >> la gogna mi aspettava. Guardai la piccola << Tesoro, rimani un attimo con la signora Philips >> consigliai.
Entrai agitata, con il cuore in gola. Lui era seduto nella seduta centrale, quella più imponente << Edward... >> ti prego non impedirmi di non vederla mai più.                         

Mi avvicinai a lui, non sembrava molto amichevole << Ti rendi conto che ero a un’importante riunione >> proruppe con tono duro << Sì... >> cosa avrei potuto dire per difendermi. Di certo non avrei incolpato la piccola, tra le due ero io l’adulta << Si? Solo questo hai da dire? >> mi sentivo come se fossi una bambina e lui mio padre. Mi stava rimproverando come fossi una lattante! << Che cosa dovrei dirti? Ho sbagliato, mi dispiace >> suonai, purtroppo, leggermente strafottente. Avrei voluto picchiarmi per il mio tono << Isabella! >> tuonò, alzandosi in piedi << Smettila di essere così infantile >> quel commento mi ferì. Erano mesi e mesi che mi colpevolizzavo per il mio aspetto. Per non sembrare una madre, per il mio carattere << Perché sono una bambina? Perché sono distratta? Perché sono disordinata? Perché faccio di tutto per far ridere mia figlia? Perché canto a squarciagola? Bè... allora sono fiera di essere infantile. Se ti riferisci ad altro... ho sbagliato a lasciarmi convincere a portarla qui, sono stata un’irresponsabile ma non le farei mai correre un pericolo, preferirei fare del male a me stessa. Mi butterei nel fuoco per lei >> dissi alterata ma con una tale determinazione da farlo tacere.  Forse lo colsi alla sprovvista ma m’importò ben poco << Io ora vado da Renoir. Le ho detto... ti dirà lei cosa le ho detto, non importa. Buona giornata Edward >> impettita più che mai, senza dargli il tempo di rispondere, gli diedi le spalle e andai via.    

Salutai Renoir, promettendole di sentirci presto. Non specificai quando, non lo sapevo neanche io data la situazione in cui mi trovavo. Probabilmente il mio discorsetto infantile non aveva fatto altro che inferocirlo, convincerlo delle sue parole. Secondo lui ero infantile. Come se non lo sapessi da me, come se non avessi pensato di cambiare me stessa e il mio carattere per sembrar più matura. Lui che diamine ne sapeva di ciò che mi tormentava nel cuore della notte?

Prima di entrare in ascensore, decisi di fermarmi a una macchinetta del caffè. Più ero nervosa, più bevevo caffè. Probabilmente nelle mie vene scorreva più caffeina che sangue.                                                                                                                                             Di colpo qualcuno mi affiancò. Sentii il suo sguardo addosso ma feci finta di nulla << Isabella, giusto? >> dovetti puntare gli occhi su di lui, anche se il suo tono viscido non mi piacque per nulla. Era un uomo di mezz’età, con un sorriso disgustoso e gli occhi piccoli << Com’è fa a sapere il mio nome? >> chiesi sulla difensiva. Ero ancora scossa dalla discussione con Edward.                                                                            

Rise come se avessi fatto chissà quale battuta divertente, il ché m’irritò ancor di più << Ero al meeting. Sono un azionista >> dichiarò come se volesse stupirmi.                                            

Rimasi in silenzio, sperando che l’erogazione del caffè giungesse al termine << Isabella... >> ripeté cercando di essere... lascivo? << Signorina Swan! >> rilevai formale. Di certo non avrei permesso a quell’uomo tali libertà. Non si era neanche presentato << Su, Isabella non fare così! >> mi parlò come se ci conoscessimo da tutta la vita. Inarcai le sopracciglia, soppesando le parole da dirgli per non apparire maleducata più del dovuto. Invece, lui continuò: << Che ne dici, una sera di queste, di andare a cena insieme? >> con una mano, la sinistra in cui spiccava una fede, cominciò a lisciarmi il braccio. Mi scostai bruscamente << La ringrazio ma non credo di poter di poter accettare >> fu uno sforzo fisico trattenermi dall’inveirgli contro.                                           

Più tempo trascorrevo in quel dannato edificio, più mi sentivo lesa << Perché mai? >> fece un passo in mia direzione ed io indietreggiai. Se avesse cercato di mettermi ancora una volta le mani addosso, gliel’avrei spezzate. Di certo non mi mancavano le nozioni.
Il suo sguardo era rivoltante, mi guardava come fossi un pezzo di carne. Un corpo. Mi fece rabbrividire << Non sarà solo il signor Cullen ad avere l’esclusiva. Siamo amici, non sarà un problema per lui dover condividere >> sgranai gli occhi. Aveva detto quel che pensavo? << Come scusi? >> domandai arrabbiata. Fuori di me. Ai suoi occhi ero proprietà di Edward. Come un oggetto senz’anima. Come se non fossi una donna << Io potrei fare delle cose a te e viceversa... >> fu un attimo: appena tentò di toccarmi ancora, gli presi il braccio e glielo rigirai dietro la schiena. Gli feci molto male << Non si permetta mai più a parlarmi in questo modo se non vuole che la denunci per molestie. Ritiri subito quello che hai detto! >> ordinai, storcendogli ancora un po’ la mano << Basta! >> urlò, provando a liberarsi ma non ci riuscì. L’essere trattata come se fossi una merce di scambio fu la goccia che fece traboccare il vaso pieno di frustrazione che mi portavo dentro << Ritiri quello che ha detto! >> strillai. Era solo uno schifoso che non voleva ritrattare.

Di colpo qualcuno mi costrinse ad allontanarmi. Forse la vigilanza, forse un altro depravato ma ero troppo accecata. Ero incazzata per capire qualcosa. E senza rendermene conto, venni portata dentro l’ascensore con Edward che fulminava con ogni parte del suo corpo << Mi vuoi dire che diamine succede? Ti rendi conto di quello che hai fatto, Isabella? Si chiama violenza fisica >> urlò. Sentii l’ascensore partire per chissà quale piano ma lo ignorai. Ero furente << Smettila di attaccarmi >> ribattei << Non mi lasci mai spiegare. Perché dai la colpa a me a priori >> continuai frustrata.                                  

Ridusse gli occhi in due fessure e premette un pulsante rosso. L’ascensore si bloccò bruscamente facendoci traballare << Che diavolo pensi di fare? >> strillai. Probabilmente avevo le guancie roventi così come gli occhi << Dobbiamo fare due chiacchiere ragazzina >> annunciò. Ragazzina. Tentava deliberatamente di farmi partire un embolo? << Non chiamarmi così! >> perché doveva comportarsi in quel modo? << Sono stufo di te che continui a stravolgermi l’esistenza. Prima me, poi lei e ora anche il lavoro. Cresci Isabella, non essere così egocentrica da pensare che l’intero mondo sia incazzato con te >> io ero egocentrica? << Ecco! E’ per Renoir! Tu odi l’idea che io sia sua madre naturale. Cosa c’è di tanto male in me? Sai che ti dico signor Cullen... fanculizzati il più lontano possibile da me. Credevo avessimo chiarito, credevo fossi una persona diversa, invece non hai fatto che covare odio per tutto questo tempo. Che cosa credi? Che abbia voluto romperti le palle intenzionalmente? Che voglia rovinarti la tua carriera o che attacchi le persone solo per il gusto di farlo? Sai cosa mi ha chiesto quell’uomo? Se ero esclusivamente di tua proprietà o fossi disponibile nel dividermi tra te e lui. Ha allungato le mani, nonostante gli avessi detto di allontanarmi. Ed io mi sono difesa. Ma tu hai preferito puntarmi il dito contro che chiedere >> la voce si ridusse per quanto avevo strillato. Era lì davanti a me, con gli occhi dilatati << Mi ha fatto sentire una sgualdrinella da quattro soldi, come direbbe tua madre, umiliata come solo lei è riuscita a fare. Credo ormai di dovermi abituarmi, no? Ti sei reso conto come mi hanno fissato i tuoi collaboratori? Non sono così egocentrica ma sono adulta abbastanza da capire che ci sono sguardi e sguardi. Io non sono un’animale da sottomettere, ci siamo capiti? E se non te ne fossi reso conto, nell’esatto momento in cui sono entrata in quell’ufficio, tu sei diventato colui che si scopa la babysitter di sua figlia. Ora premi quel cazzo di pulsante e fammi uscire da qui >> rimasi senz’aria per quanto parlai. Le lacrime mi rigavano il viso.
Lo superai in malo modo e premetti quel pulsante.

Appena arrivai a casa, troppo distrutta per far qualcosa, mi addormentai.

 
Mi svegliai di soprassalto, quando sentii lo squillo del campanello di casa. Guardai l’ora confusa. Erano le otto di sera. Avevo dormito tutto il pomeriggio.

Un po’ traballante, andai ad aprire. Rimasi a bocca aperta. C’erano Renoir e Edward di fronte a me. La prima aveva tra le braccia un grosso peluche a forma di cane che la sovrastava, il secondo teneva una busta di carta. Soprattutto la piccola aveva un’espressione talmente dolce sul volto che m’intenerì << Ci perdoni Bella? >> chiese implorante. Non sapevo che dire. Ero così felice, estasiata, allegra, la sua presenza mi stava tirando su il morale << Tu non hai fatto nulla tesoro >> feci spazio per farli entrare. Renoir, entrò guardandosi attorno con attenzione. Chiusi la porta e ritornai a concedere la mia attenzione << Questo l’abbiamo comprato per te... >> disse. Sorrisi come una bambina, effettivamente non andavo matta per i peluche ma ero felice che quello fosse un regalo di mia figlia.

E anche di Edward.

Molto probabilmente lo aveva scelto lei << E’ bellissimo grazie! >> esultai. Lo presi e lo misi sul divano << Renoir voleva vedere casa tua e così abbiamo pensato di venire. Ti piace il cibo italiano? >> annuì fredda << Sono felice, che siate venuti. Tesoro vuoi vedere il resto della casa? >> mi rivolsi a lei. Non m’importava che apparissi infantile ma con lui non volevo parlare. Sì, il suo gesto era stato molto rilevante ma non cambiava che avesse sbagliato e che stesse facendo finta di nulla.

Non c’era granché da vedere a casa mia, di certo non era grande come la loro. Tuttavia a lei piacque. Mi aiutò ad apparecchiare la tavola e mangiammo tra i discorsi di Renoir. Edward era stranamente silenzioso. Non m’interessò. Finché c’era Renoir, poteva stare pure in silenzio << Tesoro vuoi il gelato per dolce? >> chiesi quando finimmo. Annuì raggiante. Anche se non era mai venuta, avevo comprato tutto ciò che le piaceva. Stavo perfino pensando di trasformare la camera degli ospiti per farla diventare una stanza per lei. Avrei iniziato tutto quando avrebbe saputo della mia identità, ovviamente avrei dovuto parlarne con Edward per esser certa del suo benestare. Avrebbe scelto tutto lei, volevo che si sentisse in casa << Edward, vuoi una fetta di torta di mele? >> chiesi distacco << Perché hai la torta preferita di papà? >> rispose Renoir. Sorrisi imbarazzata << E’ anche la mia torta preferita >> dissi in un sussurro << Oh... avete una cosa in comune! >> trillò. Io non ci trovavo nulla di divertente ma sorrisi per circostanza.

Era così sbagliato che fossi arrabbiata? Mi aveva detto che ero infantile. Mi aveva chiamato ragazzina. Anche se non apertamente aveva detto che ero sbagliata e che gli stavo rovinando la vita, sua e di mia figlia. Non mi aveva lasciato spiegare. Per un attimo mi ero sentita di fronte a Charlie. Mi ero sentita la peccatrice. Non era così che si faceva! Aveva dato per scontato che avessi sbagliato con quell’uomo.

Ci spostammo sul divano. Lei guardava la tv ma noi, adulti, sembravamo persi tra i nostri pensieri. Chissà a cosa pensava? Aveva detto di essere troppo orgoglioso, per esperienza personale sapevo bene che chi era molto orgoglioso raramente faceva le sue scuse.
Una volta, Renee indossò un vestito attillato. Charlie senza troppi giri di parole le aveva detto di essere ridicola. La ferì molto eppure non si azzardò a farle le sue scuse. Renee dovette fingere, dovette fargli le sue scuse per aver indossato un vestito che le stava anche molto bene. Forse era per questo, a differenza di Charlie, che per me era facile scusarmi. Non che mi scusassi anche per colpe che non avevo, ma non avevo problemi ad ammettere di aver sbagliato. Non volevo essere come loro.

<< Bella, posso vedere le tue foto di piccola? >> mi riscosse mia figlia. Non riuscivo a capire perché fosse così insistente. Se non l’avessi conosciuta, avrei detto che la sua era semplice curiosità ma sapevo bene che dietro a quella richiesta c’era qualcosa anche se non sapevo cosa << Si, un attimo vado a cercarle. Non so neanche dove le ho messe >> spiegai, alzandomi in piedi << Vengo pure io >> affermò.

Non fu difficile trovare quel che cercavo, tutte le foto importanti le tenevo dentro a una gigantesca scatola. La presi e la portai in salotto, dove c’era anche Edward. Presi un respiro profondo e l’aprii. Poi mi resi conto dell’errore che feci. Se non per qualche lineamento che Renoir aveva preso dal padre naturale, era la mia copia. La bambina nelle foto che non era altri che me e Renoir potevano essere scambiate per sorelle. Lei le studiò con attenzione e per qualche motivo anche Edward << Sei bellissima... >> mugugnò come se non fosse in sé. Era pensierosa, forse troppo << Vero, papà? >> chiese conferma << Sì, scricciolo >> le sorrise affabile. Poi afferrò una in cui c’era il mio primo piano, nella foto avevo circa la sua stessa età << Posso prenderla? >> domandò seria << Ehm... non lo so, se ti piace tanto sì... >> scrollai le spalle noncurante. Di certo non era una questione su cui chiedere il permesso a lui << Grazie >> mi baciò la guancia. Forse fu un’impressione ma mi sembrò che in quel semplice bacio nella guancia ci fosse altro.

Ero sul punto di rimettere tutto a posto, quando ai miei occhi risaltò una busta bianca, anch’essa con delle foto al suo interno. Sapevo che tipo di foto aveva al suo interno e m’irrigidii. Il problema era che avevo dimenticato che fossero proprio in quella scatola. Se lo avessi saputo, neanche l’avrei presa.

 Anche Renoir la noto perché prontamente la prese tra le mani << No, non aprirla! >> quasi urlai. Fu troppo tardi perché quando aprì la busta, una foto di me con il pancione di otto mesi  si spiattellò di fronte a nostri occhi.

Quando ero incinta, immortalai ogni mese della gravidanza. Dal primo all’ultimo. Al nono mese, sembrava aspettassi tre gemelli, tanto ero gonfia.

Diventai paonazza, sentii lui irrigidirsi come me << Bella? >> mi domandò confusa. Non sapevo che dire << Tu... tu perché eri intinta? >> mi si mozzò il respiro. Chiesi aiuto con lo sguardo a suo padre ma neanche lui sapeva come rispondere << Io... non.. >> gli occhi mi si inumidirono << Papà mi ha detto che quando la pancia di una femmina è così vuol dire che la cicogna sta per portare un bambino >> merda! Non è così che deve andare. Non può succedere così. Sarebbe dovuto passare ancora molto tempo. Volevo spiegarti tutto. I miei motivi. Tutto affinché non mi odiassi. Non voglio che tu lo sappia così. Non voglio che tu smetta di volermi bene.

<< Tesoro, si dice incinta non intinta >> esordì lui cupo, eppure non smetteva di fissare quelle nove foto. Forse fu un tentativo di distrarla ma non ci riuscì: << Bella... la cicogna ti ha portato un bambino? >> l’innocenza che mise in quella domanda mi fece venire una fitta allo stomaco << Io... >> che potevo dire << Scricciolo, queste sono cose private. Quando Isabella vorrà parlarne, lo farà >> assicurò << Quanti anni avevi? >> sbottò agitata, ignorando il padre << Quindici anni, piccola >> le tolsi le foto dalle mani e le riposi in fretta e furia nella scatola.
Il silenzio che seguì a quel momento fu imbarazzante. Renoir smise di parlare ma rimase a fissarmi intensamente insieme a suo padre. Io volevo solo piangere. Sentivo come se tutto stesse crollando.

Quando iniziò il film Geronimo Stilton, lei si alzò dal suo posto che era tra me e lui e si mise sulle mie gambe. Era la prima volta che faceva una cosa del genere. Di solito non voleva essere disturbata durante Geronimo Stilton, voleva l’assoluto silenzio. Non riuscii a spiegare quel comportamento, soprattutto quando intrecciò la mano alla mia così tanto forte da farmi anche un po’ male. Non potei fare altro che stringerla a me. Affogare il viso tra i suoi capelli. Il suo buon profumo riusciva a rilassarmi, a farmi sentir meglio, a liberarmi dal peso che mi opprimeva il cuore << Ti voglio tanto bene >> mormorai ma lei mi sentì.

Si addormentò sulle mie braccia. Quando fui certa che non potesse più svegliarsi, l’appoggiai sul sofà e mi alzai per poter spegnere il dvd.

Feci finta che lui non ci fosse. Portai i piatti sporchi in cucina. Lui mi seguì << Ti chiedo scusa, non sapevo che fossero lì. Io... mi dispiace Edward >> tenevo lo sguardo basso. Per distrarmi iniziai a lavare i piatti. Sentivo il suo sguardo perforarmi la schiena << Sì, me ne sono reso conto, non preoccuparti >> sospirai affranta. Mi sentivo sfiancata. Erano accadute fin troppe cose in quella giornata << Isabella >> reclamò la mia attenzione << Dimmi >> lo incitai << Per quello che è successo oggi... >> si bloccò. Non sapeva dire la parolina magica << Non preoccuparti, ho capito >> anche se non lo vuoi dire << Nella mia vita non ho mai avuto bisogno di fare delle scuse >> si giustificò. Come non detto! << Sì... >> me ne sono resa conto << Io ci ho pensato bene e per alcuni versi hai ragione >> continuai << Io sono sua madre >> lo bisbigliai << Non posso comportarmi come un’amica.. >> mi asciugai le mani, mi sedetti sul ripiano della cucina e decisi di guardarlo negli occhi << Mi hai detto che l’hai ripresa, che le hai detto che doveva cercare di ascoltare certe volte >> non sembrò arrabbiato << Comunque sia cercherò di cambiare. Mi vestirò in maniera più adeguata, di smussare certi lati così espansivi del mio carattere, non posso fare la ragazzina... >> solo su questo punto aveva ragione lui, non per il resto. Riuscivo ad ammettere i miei limiti ma lui? Non sapeva fare neanche delle scuse << Sei perfetta così come sei... >> sgranai gli occhi a quell’affermazione. Sei perfetta così come sei << Per Renoir, intendo. Per lei sei perfetta così >> precisò. Non seppi spiegare la fitta che mi colpì al cuore << E Isabella, io non ti odio. Non pensavo quello che ho detto.. farò in modo che quell’uomo paghi le conseguenze dei suoi gesti, che tu non debba mai più sentirti umiliata! >> esclamò sicuro. Scrollai le spalle << Edward con tutto il rispetto ma non m’importa se mi odi o no, a me importa di stare con Renoir. Che lei non mi odi. Tu puoi provare per me quello che più ti aggrada. E per quell’uomo... bè... io non verrò mai più nel tuo ufficio. Se non è lui, la prossima volta sarà qualcun altro e di certo tu non sei il mio difensore. So difendermi da sola, non ho bisogno del tuo aiuto. Ti chiedo solo di ascoltarmi in futuro. >> non mentii in alcun modo. Pensavo davvero quello che avevo detto. Il nostro unico legame era Renoir.
 
Mi dispiace per il leggero ritardo ma la mia migliore amica ha deciso di sequestrarmi per un weekend tra donne ( si, a voi probabilmente non importa nulla) comunque.. vi ringrazio moltissimo per le recensioni.. se volete recensire sapete quel che fare un bacio acalicad.

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Capitolo 6
*** Scintille ***


Ciao, eccomi qui con un nuovo capitolo. Innanzitutto vorrei chiarire una cosa. Forse è un po’ insolito trovare in una storia, un’Esme stronza. E sebbene nella mia storia sarà stronza, c’è anche da capire la sua reazione, eccetto che per alcune sue parole. Lei è una nonna. Renoir è la sua unica nipotina. Non conosce la verità. Quante persone al suo posto avrebbero fatto i salti di gioia? Ed è anche logico che pensi che Bella sia interessata solo all’aspetto economico. Chiarito questo punto passo a un altro (che probabilmente v’importerà ben poco) ringrazio la mia migliore amica per essere la mia Tanya, precisa e spiccicata (anche se certe volte m’imbarazza da morire con i suoi commenti). L’unica differenza è che non si chiama Tanya ma Martina. Ti voglio tanto bene tesoro e grazie per il tuo costante appoggio per non parlare delle tue recensioni.  Ora vi lascio al capitolo.
 
 



Passò una settimana da quella parentesi poco piacevole. Non mettevo in dubbio che Edward fosse una brava persona e un ottimo padre ma… cavolo! Avevo avuto fin troppe esperienze con persone troppo piene di sé. Lui non aveva mai avuto bisogno di scusarsi... pff! La cazzata del secolo. Probabilmente non aveva mai voluto scusarsi. Ci si scusa quando tieni a una persona, quando sei disposta a tutto per lei. Probabilmente lui, se non a Renoir, teneva a poche persone.

Renoir, il giorno prima mi aveva detto che saremmo andati al mare per tutto il giorno. Anche lui sarebbe venuto. Aveva passato solo la mattinata con me giacché poi dovevo andare a lavorare e addirittura scelse il mio abbigliamento e il bikini: degli shorts di jeans magistralmente tagliati dalle mie mani e una canotta rossa. Mi aveva detto che le sue zie l'avevano torturata a lungo con gli abbinamenti, di conseguenza preferì un costume rosso formato da una brasiliana e la parte superiore simile a un reggiseno push-up. Per finire dei sandali. Ci sapeva proprio fare.

Erano le dieci del mattino. Avevo pensato io al cibo.  E li stavo aspettando proprio sotto casa. Furono puntuali.

Scese dall’auto e mi corse incontro per poi abbracciarmi per una gamba << Sei bellissima >> trillò entusiasta. Inizialmente avevo pensato di indossare qualcosa di più sobrio ma poi avevo ricordato le parole di Edward: a Renoir piacevo così com’ero, era ingiusto farle conoscere una persona che non ero. Non avrebbe avuto alcun senso.

Quel giorno aveva i capelli raccolti in una coda alta e un vestito azzurro addosso. Era bellissima. Per me era sempre bellissima. Mi sentivo innamorata con lei, di lei << Com'hai dormito? >> chiese interessata. Certe volte sembrava che fosse lei la madre e io la figlia. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che chiedermi come avevo dormito, cosa pensavo, il motivo di determinati atteggiamenti. Mi faceva le domande più disparate. Il nostro attaccamento era diventato ancora più forte. Alla fine della giornata era diventato dura anche per lei dovermi salutare. In quei momenti non sapevo che pensare. Se da una parte mi faceva piacere dall’altra vederla con i lacrimoni mi faceva star male << Benissimo. Tu? >> annuì sorridente e alzò le braccia affinché la tirassi su. Altra cosa che era cambiata: odiava profondamente essere presa in braccio. Diceva che era grande per una cosa del genere, invece adesso si attaccava a me come una scimmietta. Non mi dispiaceva per nulla, soprattutto perché mi annusava, mi raccontava di tutto ciò che aveva fatto quando era più piccola. Era meraviglioso.

<< Bene però... quando tu non ci sei... >> arricciò le labbra, infastidita << Ma io ci sono sempre, farfallina... >> le ricordai scoccandole un bacio sulla guancia.

Avrei dovuto fare l’adulta ma non ci riuscii. Renoir non mi aiutava per nulla. Eravamo da dieci minuti in macchina. Edward guidava tranquillo, qualche volta intervallava lo sguardo tra lo specchietto retrovisore e me, io ero seduta nel sedile anteriore e Renoir in quello posteriore. Non smetteva di canticchiare canzoncine di chissà quale cartone animato e mi faceva ridere. Decisi di accendere lo radio, feci zapping tra le varie stazioni e alla fine riuscii a trovare una canzone che non sentivo da anni << Oddio! >> strillai << Che succede? >> domandò lui serio << Britney Spears. Baby one more time >> esultai << Renoir, sono cresciuta con questa canzone. Mia madre e mio padre la odiavano a morte ed io non facevo altro che canticchiarla >> ridacchiai tra me e me. Impugnai una penna che trovai sul cruscotto e la portai vicino alla bocca a mo’ di microfono << Oh baby, baby, how was I supposed to know that something wasn’t right here… >> oh baby, baby, come potevo sapere che qui qualcosa non andava bene.       

Iniziai cantare con voce svenevole. Scimmiottando un po’ Britney Spears. Renoir scoppiò a ridere come Edward del resto. Non m’importava di fare il pagliaccio per farla sorridere << Oh baby, baby, I shouldn’t have let you go and now you’re out of sight yeah… >> oh baby, baby, non avrei dovuto lasciarti andare ed ora ti ho perso di vista.

Mi misi con le ginocchia sul sedile, dando le spalle al parabrezza << Ti prego, continua Bella >> implorò la piccola << Show me how you want it to be tell me baby, cuz I need to know now, oh, because… >> mostrami come vuoi che io sia, dimmelo in modo che possa capire oh perché…

La assecondai fingendo una sensualità che non mi apparteneva. Continuai così finché non giunse al termine: agitando i capelli a destra e a manca e ricevetti perfino un applauso mentre Edward rideva divertito. Com’è che adesso non ti sembro una ragazzina? O stai fingendo. Non riesco a capirti Edward, un giorno ti comporti in un modo e l’altro adotti un atteggiamento opposto. Mi dici di non odiarmi ma certe volte mi guardi male. Mi chiami ragazzina e poi sorridi per il mio comportamento infantile. Se solo me lo spiegassi, io mi saprei regolare.

Il mare quel giorno era limpido, il sole era alto, il cielo azzurro come gli occhi di Renoir, il vento caldo e la spiaggia era colma di persone << Che bello! Che bello! Bella vieni con me a toccare l’acqua? >> strepitò. Mi tolsi i sandali e afferrai la mano che mi aveva teso. Corremmo a causa della sabbia rovente e fu un piacere poter toccare la riva. Di solito preferivo l’acqua un po’ fredda, mi piaceva di più. In estate si andava al mare per rinfrescarsi dal caldo torrido, non aveva senso sperare che l’acqua fosse calda.

Sentii Renoir rabbrividire << E’ troppo fredda per te? >> chiesi ansiosa << No, no >> disse sicura. Ritornammo da Edward che nel frattempo aveva piantato l’ombrellone sulla sabbia << Papi l’acqua è bellissima >> saltellò Renoir << Andiamo a fare il bagno, ti prego, ti prego, ti prego... >> come se qualcuno potesse dirti di no << Tra un po’, tesoro >> confermò.

Nell’esatto momento in cui compresi che per tuffarsi in mare avrebbe dovuto spogliarsi, mi rincretinii perché lentamente vidi la sua t-shirt alzarsi grazie all’aiuto delle mani. Rimase in bermuda beige. Né troppo larghi né troppo attillati. Oh porca vacca! Ti stanno da Dio! Imposi a me stessa di distogliere lo sguardo e riuscii a farlo.

Ritoccato con Photoshop!

Sentivo troppo caldo, stavo per abbrustolirmi << Bella, tu vieni con me? >> la guardai allucinata. Oh merda, devo spogliarmi! Perché l’idea a un tratto non mi piaceva più? Non voglio spogliarmi. No, no, no! Uffa! << Bella? Ci sei? >> riprese confusa. Deglutii a vuoto << Sì, certo tesoro. Io... forse per ora c’è troppo caldo per te. Rischi un’insolazione. Dovresti mettere sotto l’ombrellone così ti spalmo la crema protettiva >> Renoir era l’unica che poteva ricevere la mia attenzione.

La portai personalmente sotto l’ombrellone, la spogliai dal suo vestitino e presi dalla borsa il tubetto di crema solare << Questa cosa fa puzza… >> borbottò schifata << Puzza di pupù… >> aggiunse << Esagerata >> risposi, passando alla schiena << Bella, sicura che questa non sia pupù? >> riprese convinta delle sue parole << Secondo te io ti spalmerei addosso della pupù? >> chiesi divertita << No… però a me sembra pupù >> affermò << Tesoro se la tua pupù odora come questa crema allora dovresti ritenerti fortunata >> scherzai, facendola ridere.

Mi guardava battendo un piede contro la sabbia << Che aspetti? >> chiese impaziente. In fin dei conti il mare è sopravvalutato, molti ne parlano bene ma va a finire che non sopportano l’acqua troppo salata, il gusto di salsedine sulle labbra, il vento che spiattellava la sabbia sugli occhi.

Non potevo e non volevo perdermi quel momento. Se non ora, poi mi avrebbe chiesto di fare il bagno con lei e se così fosse stato, preferivo che ci fosse anche Edward. Quattr’occhi erano meglio di due ma che potevo dire a lui?

Presi un respiro profondo. Ero tra Edward e Renoir. Davo le spalle al primo mentre lei continuava a incitarmi con gli occhi. Cavolo, ho il costume, non sono mica nuda. E’ facile: via il dente, via il dolore.

Prima gli shorts e poi la canotta e finalmente aprii gli occhi. Perché avevo l’impressione di essere osservata? Che qualcuno alle mie spalle mi stesse fissando << Andiamo? >> domandò << Sì, tesoro… >> sorrisi un po’ rigida.

Facemmo una corsa assurda e ci buttammo in acqua. Era talmente fredda che mi si mozzò il respiro << Uh... è freddissima! >> esclamò appena uscimmo dall’acqua. La tenevo in braccio, forse ero ossessiva ma non volevo perderla d’occhio o che l’acqua fosse d’improvviso profonda. Le pulii il viso dalle gocce salate. Sembrava felice, serena. I suoi occhi erano specchio dei miei << Bella, posso confidarti un segreto >> disse mentre cercavo di togliermi i capelli dal viso << Certo, farfallina >> acconsentii. Il suo sguardo diventò triste tanto che contagiò anche me << Io... io non ho la mamma >> affermò. Quelle parole mi stupirono. Non mi aspettavo che mi dicesse una cosa del genere << Forse papà te l’ha detto… io ho fatto finta di niente perché ci sono la nonna e le zie ma… ma mi piacerebbe se la mia mamma fosse come te… >> l’abbracciai come se volessi soffocarla. Non dissi nulla, mi sentivo sopraffatta da quelle parole. Volevo piangere, ridere, ero felice. Mi piacerebbe che la mia mamma fosse come te. Come riusciva a emozionarmi così? Certe volte volevo con tutta me stessa poterle dire la verità, poi pensavo cosa tutto ciò avrebbe comportato e tacevo.

Ci mettemmo sulla battigia a giocare. Precisamente come due bambine. Ci rincorrevamo per poi buttarci nella sabbia. Ridevamo come pazze. Forse stavamo creando qualche disturbo anche alle persone intorno a noi ma non m’importava granché. Io mi stavo divertendo con mia figlia. Infine stanche, cominciammo a fare castelli di sabbia. O almeno io ci provavo, finché Renoir non lo distruggeva con i piedi << Amore, non ti piacciono le principesse? >> chiesi mentre lei rideva a crepapelle << Le principesse non sono mai felici >> rispose incrociando le gambe << Ad esempio Raperonzolo... secondo te come fa a non rimanere senza capelli? Oppure Biancaneve? Mah… >> risi per il suo tono. Quando si è bambini, sono questi i dilemmi della vita: come fa una principessa a non rimanere pelata, come fa Biancaneve a vivere con sette nani.
Però lei, mia figlia, sembrava più matura. Lo dimostrava che le era sempre mancata una figura materna ma non aveva detto niente al suo papà per non farlo preoccupare. Per lei doveva essere difficile, uscire da scuola e vedere i suoi compagnetti correre verso le loro madri, sentire la parola “mamma” e fingere indifferenza. Era una bambina forte, nonostante fosse sempre cresciuta in una campana di vetro. Era altruista e innamorata di Edward. Quanti piccoli all’età di sei anni sarebbero riusciti a capire cosa significava adottare un bambino? Renoir era forse un po’ pretenziosa ma forse potevo capire Edward e la sua famiglia se non le avevano mai detto di no. Avevano voluto che non si sentisse mai fuori posto. La mia piccola grande donna. L’amore per un figlio non si capiva finché non se ne aveva uno. Vedere crescere una vita dentro di te è l’esperienza più emozionante per una donna. Anche se non lo vedi, occupa un posto nel tuo cuore che non lascerà mai. Aldilà dell’innamorarsi, del conoscere la persona che ci starà affianco per il resto della vita, la vera traccia del nostro passaggio sulla terra erano i figli. L’unica certezza di aver fatto qualcosa di buono.

<< Ciao >> sentii una voce maschile. Sia io che Renoir alzammo gli occhi per vedere chi fosse lo scocciatore. Era un ragazzo sui vent’anni, con capelli castani come gli occhi, abbronzato e con un fisico abbastanza atletico. Sì, molto carino ma non cambiava che mi avesse disturbato. Con Renoir odiavo le intromissioni che non fossero di Edward << Hai bisogno di qualcosa? >> mi permisi di dargli del tu poiché la nostra differenza d’età era minima << Che ne dite se vi offro un gelato? >> ci stava provando con me, di fronte a una bambina? Dal sorriso che fece, intuii di sì << Grazie ma non ci piace il gelato >> mentì la bambina. La guardai sorpresa. Il gelato vaniglia e cioccolato era nella sua top ten delle cose che più preferiva al mondo << E poi lei non è uno sconosciuto? >> continuò scocciata << Bè... si! >> ecco un’altra persona che aveva messo alle strette << Grazie ma siamo impegnate >> aggiunsi sincera. Sorrise forse un po’ imbarazzato: lo avevo messo in difficoltà << Io sono Jess... >> si presentò tenendomi la mano << E lui è il mio papà >> disse, alzandosi e correndogli incontro. Ovviamente si riferiva a Edward.

Vederlo in tutta la sua bellezza, sotto il sole, m’incantò. M’imbarazzai: a occhio esterno sembrava che io, lui e Renoir fossimo una famiglia. Che noi stessimo insieme << Qualche problema? >> chiese. Perché il suo tono sembrò minaccioso?

Stupida crede che il ragazzo importuni Renoir.

Jess, così si chiamava, sgranò gli occhi. Credeva davvero che Edward fosse il mio compagno << No, voleva solo complimentarsi per quanto siamo state brave a fare questo castello >> lo difesi << Papà andiamo a prendere un gelato? >> domandò provocatoria. Avevano la stessa espressione, stesso tono.

Non è che lui è… nah! Impossibile.

<< Ehm... è stato un piacere conoscerti Jess… >> conclusi, sperando che si dileguasse.
Mi alzai, quando andò via e mi sfregai le mani contro le gambe affinché mi liberassi della sabbia << Andiamo a prendere il gelato? >> proposi tranquilla.

Il piccolo chiosco era una costruzione di legno proprio sulla spiaggia. Tuttavia decisi di indossare almeno gli shorts. C’era musica, tante persone e tanto divertimento. Si occupò Edward di tutto. A me portò una coca, a Renoir il suo solito gelato e lui una bottiglietta d’acqua tonica << Bella, tu non vai mai in vacanza? >> esordì lei. Come potevo spiegarle che non tutti avevano un lavoro stabile come il suo papà. Eppure ultimamente stavo prendendo in considerazione l’idea di licenziarmi dal pub oppure da Tanya o prendermi delle ferie. Era piena estate e volevo passare ogni tempo a mia disposizione con Renoir. Di sicuro non mi sarei licenziata da Jean. Era brutto da dire ma pagava troppo bene per star ferma. Okay ero un po’ nature ma non era mai stato un problema per me.

<< Non siamo già in vacanza? >> scherzai << No! Ogni anno io e papà andiamo nella casa delle vacanze >> m’informò.

Sbiancai. Vanno in vacanza. Non l’avrei più vista << Ah... che bello! >> esultai falsamente. Con un polpastrello cominciai a disegnare il bordo del bicchiere di cola << E… e dove andate? >> finsi indifferenza. Dentro di me, il nervosismo mi stava divorando le membra. Non volevo che andasse in vacanza lontano da me << Negli… come si dice papà? >> chiese confusa << Negli Hampton >> wow! << Sono felice per te, tesoro. Spero che tu ti diverta >> ciò che contava era la sua felicità.

Aggrottò la fronte confusa e guardò me e suo padre << Tu non vieni? >> quasi strillò. Che cosa stava dicendo? << No, non… >> sapeva qualcosa di cui non ero a conoscenza? << Papà! Bella non viene con noi? >> si alterò sulla sua seduta << Scricciolo, ne riparleremo. Manca ancora molto tempo >> la rassicurò, sfiorandole una guancia.

<< Bella! >> esclamò una voce. Cercai con gli occhi il suo proprietario e lo trovai alle mie spalle << Jack! >> mi alzai ad abbracciarlo << Che ci fai qui? >> domandò per poi guardare i miei accompagnatori << Ehm... Jack, loro sono Renoir e Edward. Edward e Renoir, lui è Jack: un mio collega di lavoro >> li presentai l’un l’altro. I due uomini si limitarono a stringersi la mano, molto freddamente << Siete solo amici? >> Renoir partì all’attacco. Non mi sarei sorpresa se un giorno o l’altro avrebbe preso a organizzare appuntamenti al buio << Si piccola. Amici molto speciali >> sgranai gli occhi e gli pestai un piede con tutta la forza che avevo in corpo. Jack era così snervante da far venire l’orticaria. In poche parole disse velatamente che andavamo a letto insieme. Cosa assolutamente non vera. Stava cercando di stuzzicare Edward, poiché lo aveva visto al locale molto spesso, non sapeva però che non mi stava aiutando per niente << Che vuol dire molto speciali? >> riprese, assottigliando lo sguardo. Avevo l’impressione che le stesse antipatico ogni ragazzo che mi si avvicinasse. Era gelosa. Ridacchiai, mi piaceva che fosse gelosa << Renoir non sono domande opportune >> dichiarò Edward serio. Mi diede fastidio il modo in cui rispose << Vuol dire che ci vogliamo molto bene, nulla di che >> ribattei. Certe volte m’infastidiva il tono che usava << Tu e papà siete amici molto speciali? >> domandò innocentemente. Mi zittì e ci guardammo. Era una domanda trabocchetto? Racimolai le idee per dire qualcosa di sensato e alla fine parlai: << Sì, siamo amici speciali perché entrambi ti amiamo tanto, tanto >> le strinsi la mano. Sorrise euforica << Quindi anche voi vi volete bene >> non risposi a quell’affermazione. E anche lui lasciò correre.

Improvvisamente sentii una canzone che conoscevo bene. Era la preferita di Jack. Infatti, s’illuminò << Vi dispiace se vi rubo Bella per qualche minuto? >> chiese eccitato. Inarcai un sopracciglio, scettica: sapevo bene cosa aveva in mente << Te lo scordi! >> esclamai decisa << Dai Bella! >> supplicò << Perché vuoi rubarcela? >> domandò Renoir << Voglio invitarla a ballare. Dovresti vederla ballare è bravissima! >> squillò euforico. Infatti, riuscì a contagiare anche lei << Bella, perché non mi hai detto che sai ballare? >> sembrò offesa << Non so ballare! >> mentii << Ti prego fammi vedere! >> ci si mise anche lei << Renoir... >> protestai ma non fui molto convincente << Per favore! >> e così cedetti.

<< Ti odio... >> bofonchiai mentre il mio partner mi accompagnava al centro del locale. Non vi era neanche la pista da ballo ma Jack conosceva il proprietario del locale. C’era da precisare che lui conosceva tutti << Ora vediamo come stanno le cose! >> esclamò furbo, stringendomi a se. Aveva intenzione di ballare una salsa << Pronta? >> chiese malizioso << Che hai in mente? >> mi preoccupai << Saluta Jack il gay e dai il benvenuto a Jack l’etero >> ghignò. Quando faceva così, mi terrorizzava.

Che cosa aveva in mente lo capii poco dopo. Quando iniziò a fare l’etero. Mi divertiva sempre ballare con lui. Dopo qualche passo di circostanza, iniziò il vero ballo: mi portò una gamba all’altezza della sua anca e la lisciò lascivamente per poi farmi piegare all’indietro e baciarmi il collo << Ti sta guardando... >> bisbigliò, alzandomi dal pavimento << Chi mi sta guardando? >> legai una gamba al suo bacino. Mi fece poggiare i piedi per terra e si portò alla mia schiena << Lui… non devo stargli molto simpatico in questo momento >> chiarii. Mi scostò i capelli da un lato << Non è possibile! >> dichiarai sincera << E perché mai? >> mi mise le mani sul grembo. Risi << Fidati di me. Non è possibile Jack >> risposi seria << Il fatto che io sia gay, non significa che non sia uomo. E’ geloso marcio >> ripeté testardo.

Sbuffai << So che sei un uomo, ma lui è molto particolare. Devo capire ancora se in senso positivo o negativo >> borbottai << Il fatto che tu lo definisca particolare è rilevante di per sé >> cantilenò malizioso << Sì certo... >> rovesciai gli occhi << Significa che finora non hai trovato nessun altro come lui >> lui e Renoir sembravano essere complici << Jack, facciamo il gran finale e smettila di parlare! >> ordinai. In qualche modo mi ritrovai avvinghiata alla sua vita con le gambe e la testa sottosopra. Oltre al danno anche la beffa: mi costrinse a inchinarmi di fronte agli applausi delle persone che ci circondavano.

<< Oddio! >> un piccolo uragano mi travolse << Sei stata bravissima >> dichiarò sognante. Mi afferrò per mano e mi condusse al nostro tavolo. L’aria attorno a noi era tesa << Bè… ragazzi io devo andare. E’ stato un piacere conoscerti Edward… >> gli strinse la mano << Anche te piccolina >> le scompigliò i capelli. Concluse baciandomi una guancia.

Al tramonto ci concedemmo un ultimo. Questa volta Edward non poté rifiutare. Così per un’ora buona non facemmo altro che cercare di farla divertire << Oddio! >> gridò quando Edward la fece uscire dall’acqua << Bella avvicinati! >> bisbigliò stropicciandosi gli occhi. Feci come chiese << Cosa c’è? >> domandai sorridente << Ti sei abbronzata >> notò << Sì, bé... ho dimenticato la crema solare. Tra un po’ diventerò rossa come un’aragosta >> mi corrucciai. Nonostante la guardassi, sapevo che lui fissava me. Io mi sforzavo di ignorarlo. Avevo accennato a un’occhiata poco prima. Il problema era che non mi aspettavo che tutto di lui fosse risaltato dal sole che stava tramontando. Non sapevo spiegarmelo. Era assurdo come il mio corpo sentisse la presenza del suo e ne fosse elettrizzato. Era una sensazione strana quanto nuova. Un uomo particolare. Significa che finora non hai trovato nessun altro come lui.
 

Eravamo di ritorno. Ero così stanca che a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti. Probabilmente ero in uno stato di dormiveglia << Papi? Non voglio che Bella vada a casa sua... può dormire da noi, per favore >> avrei voluto obbiettare a quella richiesta ma non ne avevo la forza di obbiettare << Dovremmo chiederglielo. Credo si sia addormentata >> rispose lui << Ti prego papà. Non mi piace stare lontano da lei… >> ribatté lei. Non so se lo feci, anche fisicamente ma dentro di me sorrisi euforica << Le vuoi bene? >> domandò il padre << Si papà, troppissimissimo >> troppissimissimo. Era una parola che ripeteva frequentemente. Anch’io ti voglio bene troppissimissimo << Lei… Bella è Bella >> continuò << Già... >> finì lui.

Mi sentii sollevare in aria, istintivamente mi strinsi alla mia ancora. L’odore di salsedine mi stuzzicò le narici. Non c’era solo salsedine. Sorrisi << Uomo profumato >> mugugnai. Ignorai il leggero ridacchiare << Papà, forse dovremmo svegliarla. A nessuno piace dormire con la sabbia addosso >> io odio la sabbia. Ho la sabbia in posti in cui non dovrebbe mai trovarsi << Oggi l’hai sfiancata. Credo sia stata l’unica a resistere così a lungo >> sembrò un rimprovero << A Bella piace giocare con me >> si è vero!
La morbidezza con un letto fu il colpo di grazia << Papà… non è bellissima? >> mi sentii sfiorare il volto. Renoir << Scricciolo lasciamola dormire >> suggerì << Papi, io ti conosco, quando c’è Bella sei felice. Noi siamo felici e anche se non lo vuoi dire anche per te, è bellissima >> dichiarò seria. Mi schioccò un bacio sulla fronte << Io lo so! >> terminò.
 

Sbadigliai un paio di volte, infine mi decisi di aprire gli occhi. Dove sono? Di sicuro non a casa mia. Erano le otto di sera e l’ultima cosa che mi ricordavo era di essere sulla spiaggia.

Sei a casa di Edward.

 Mi alzai e accesi l’abat-jour. Sul letto c’erano dei vestiti. Una t-shirt e dei boxer. Sono di Edward. Per qualche strano motivo sorrisi come un’ebete, li afferrai e li annusai. Avevano un buon odore.

Mi feci una doccia veloce, indossai quei vestiti e uscii dalla stanza alla ricerca di qualche essere umano. Possibilmente mia figlia. Li trovai in salotto a guardare la televisione << Ti sei svegliata! >> Renoir notò la mia presenza. Sorrisi imbarazzata, a causa del mio abbigliamento << Mi dispiace per essermi addormentata e grazie per i vestiti >> mi rivolsi a lui << Non preoccuparti. Ti aspettavamo per mangiare >> rispose. Ti aspettavamo. Aspettavano me per mangiare. Mi piacque molto << Non c’era bisogno, io… mi sarei arrangiata. Anzi, credo di dover tornare a casa >> mi mordicchiai le labbra sempre più rossa nelle guancie << No! Dormi qua! Io e papà siamo d’accordo >> disse la bambina << Non c’è bisogno davvero! Vi ringrazio >> le ultime parole famose. Mi raggiunse con aria affranta << Per favore… puoi rimanere? >> sospirai pesantemente per poi annuire.

Andammo in cucina. C’era Madeline. Era una donna sulla sessantina dai tratti mediterranei. I primi tempi non le ero stata molto simpatica. Innanzitutto perché mi aveva trovato a cucinare nella sua cucina. E poi avevo occupato il suo posto come tata. Lei non sapeva la verità ed era molto affezionata a mia figlia. Poi c’eravamo chiarite e pian piano tutto si appianò.

Dopo cena, di fronte alla televisione, Renoir si addormentò. Si era stancata. Le diedi un bacio sul capo e Edward la portò nella sua stanza.

Ero in cucina e stavo bevendo un bicchiere d’acqua fresca << Dorme come un sasso >> la sua voce provenne dalle mie spalle. Sorrisi e mi sedetti sull’isola della cucina << Credi che io l’abbia stancata troppo? >> domandai timorosa << No, si è divertita molto. Soprattutto quando hai ballato con il tuo amico. A questo proposito vorrei chiederti una cortesia >> perché sentivo aria di guai << Vorrei che Renoir non conoscesse certi tuoi amici >> affermò.

Purtroppo, non riuscii a trattenermi dal non ridere. E risi di gusto. Risi finché non ebbi le lacrime agli occhi << Jack… >> ansimai << Lui… >> e giù con altre risate. Dovetti mettermi una mano sullo stomaco come a trattenermi.

La sua faccia scocciata mi fece desistere dal continuare. Mi schiarì la voce per darmi un contegno << Non presenterei mai una persona con cui sto sporadicamente a mia figlia e poi neanche è l’amico speciale che intendi tu. Lui è solo un amico e le possibilità che io abbia un amico intimo sono nulle >> spiegai divertita.
Ridusse gli occhi a due fessure, anche lui divertito.

Notai il suo abbigliamento: jeans e t-shirt. Stava bene.

Troppo bene.

Per distrarmi presi un grappolo d’uva e cominciai a mangiare.

<< Perché è impossibile? >> s’incuriosì. Scrollai le spalle << Odio fare sesso! >> esclamai rabbrividendo. Mi guardò come fossi una pazza da rinchiudere. Forse ho esagerato.

Si venne a sedere al mio fianco, sull’isolotto << In che senso odi fare sesso? >> riprese cauto.

Probabilmente non riusciva a crederci. Era tanto assurdo? Io non ci vedevo nulla di strano. C’era chi odiava fare jogging e io odiavo fare sesso. Semplice! Oddio stiamo parlando di sesso. Questo sì che non mi aspettavo che accadesse << La prima e l’ultima volta che ho fatto sesso è stato disgustoso e sono rimasta incinta… non mi piace. Anche perché non ho il tempo di avere una relazione. Ho troppo da fare >> specificai. Per qualche ragione, non mi sentii in imbarazzo. Di solito parlare di argomenti così intimi mi metteva a disagio. Invece con lui sembrò naturale.

La sua espressione mi fece sorridere << Tu non stai con una persona da sei anni? >> sussurrò << Già... >> ridacchiai << Non ne hai mai sentito il bisogno? >> continuò scettico << No. Perché avrei dovuto? >> chiesi retorica.

Qualcosa nei suoi occhi si accese e anche lui rise. Approfittai del silenzio per addentare un altro chicco d’uva << Aspetta! >> asserì. Lo fissai confusa finché, lentamente, non vidi la sua mano alzarsi per poi poggiare un polpastrello sull’angolo della mia bocca. Impietrii, tanto sbalordita quanto ammaliata da quel gesto così… non sapevo spiegarlo. Perché lo aveva fatto?

Infine prelevò la goccia del succo del frutto e se lo leccò. Non smise neanche per un attimo di guardarmi la bocca. Il divertimento lasciò spazio alla serietà. A un’aria carica di tensione ed elettricità.

Ha assaporato le tue labbra!

<< Sei la prima persona che riesce a sorprendermi qualsiasi cosa tu faccia >> affermò dolce. Io lo sorprendevo. Sentii qualcosa allo stomaco che non seppi decifrare.

Perché sembrava che ci fossimo avvicinati più del dovuto? Perché non mi dispiaceva che il suo alito fresco se infrangesse contro le mie labbra? Da quanto tempo non baciavo un ragazzo? Perché non avevo mai sentito questa esigenza, nonostante le occasioni non mi fossero mancate? Non riuscivo più a pensare a qualcosa di sensato.

Tanya l’avrebbe chiamata attrazione fisica. Il punto era che neanche sapevo cosa fosse. Neanche del padre naturale di Renoir ero mai stata attratta fisicamente. Ormai era stupido girarci attorno: quello che provavo era attrazione fisica. Lui era attraente. Tanto. Troppo. Nonostante tu abbia il carattere più indisponente che mi sia mai capitato di conoscere, superi addirittura Charlie: neanche lui era capace di farmi saltare i nervi, io sono attratta da te Edward Cullen. E mi odio perché tu sei tu ed io sono io. Non posso permettermelo. Per fortuna hai un carattere così odioso da farmi fermare al tuo aspetto fisico.

Prima che donna, ero madre. O almeno così mi sentivo. Prima Renoir e poi io con i miei ormoni traditori. E se avessero continuato a scalpitare per quell’uomo che si distanziava da me pochi centimetri, sarebbero rimasti a secco ancora per molto tempo. La vita è ingiusta. L’unico uomo di cui fossi mai stata attratta, è anche il padre adottivo di mia figlia. Tutti ma non lui! Non lo avrei mai accettato. Cascasse il mondo, io ti starò lontana.

Ricordati che lui è signor Bollore.

Era stata Tanya a mettermi la pulce nell’orecchio.

Decisa più che mai, abbassai il capo per interrompere i nostri giochi di silenzio e di sguardi << E’ meglio che vada a dormire. Grazie per tutto >> nonostante stessi cercando di apparire tranquilla, il mio volto era sicuramente infuocato << Sì, certo. Buonanotte >> lui era più bravo nel fingere oppure credeva davvero che non fosse successo niente.

Gli diedi le spalle, pronta ad andarmene ma decisi di spiattellare un pensiero che mi tormentava da molto tempo << Edward posso dirti una cosa? >> domandai incerta. Annuì << Si tratta di Renoir… >> e ho paura che tu possa reagire male << Dimmi! >> m’incitò incuriosito. Presi un respiro profondo << So che non dovrei avere nessuna pretesa, ma in questi mesi ho imparato a conoscerla, anch’io voglio il meglio per lei e penso molto al suo futuro >> forse parlai troppo velocemente. Avevo un po’ paura << Non capisco >> ammise. Mi torturai le mani << Hai fatto un ottimo lavoro con lei, ti comporti da padre irreprensibile ma… >> chiusi gli occhi << … ho notato che… che non le viene mai detto di no e… >> ora mi butta fuori casa << Spiegati meglio >> pregò << Che certe volte non conosce la parola no. Io so che non dovrei dirtelo ma… >> io sono sua madre, voglio il meglio per lei e accettare ogni sua richiesta non è un bene per il suo futuro. Ti prego, ti prego, non reagire male.

Parve riflettere sulle mie parole << Bè… ho sempre voluto che non le mancasse nulla e probabilmente mi sono lasciato prendere la mano >> dichiarò. Tirai un sospiro di sollievo: almeno non l’aveva presa male. Anche se ogni volta faceva ciò che non mi aspettavo. Prima si comportava da stronzo, poi anziché continuare su questa strada si trasformava nel comprensibile Edward. Era imprevedibile.
<< Quindi non ti dispiace se… se facessi qualcosa per… >> rimediare. Tuttavia non osai dire quella parola << Cosa intendi con fare qualcosa? >> chiese, increspando la fronte. Sorrisi sollevata << Io non credo che il mattino dovresti svegliarla, prendendola in braccio. Ha sei anni, non due… io penso che dovrebbe essere autosufficiente… >> se non mi uccide ora, non lo fa più << Edward… io la trovo una cosa bellissima soprattutto la storia del dolce risveglio, non dico di rinunciare a queste parentesi ma al mattino… oppure nel modo in cui parla con determinate persone, dovrebbe essere un po’ frenata. Io l’amo e se te lo sto dicendo è solo per questo. Voglio il meglio per lei >> chiarii sicura. Sospirò pesantemente << Cos’hai in mente? >> domandò << Non so… di svegliarla normalmente ad esempio e dirle che se vuole la colazione deve usare le gambe >> mi sentivo tanto cattiva. E se mi avesse odiato?

No, alla fine capirà.

Sbuffai esasperata da me stessa. Era frustrante tutto quello che mi passava dalla mente.Forse non ho alcun diritto di parlare della sua educazione. Non posso permettermi di recriminare su nulla << Lascia stare… io… buonanotte Edward >> soffiai cupa.

Ancora una volta con il suo bel sorriso << Ti stai comportando da madre Isabella. Credo sia normale, come credo che debba iniziare a vederti come tale prima ancora che sappia la verità >> ricambiai il sorriso. Gli ero grata << Quindi? >> ridacchiai imbarazzata << Puoi fare ciò che ritieni opportuno, basta che sia sensato >> affermò. Mi morsi le labbra << Grazie >> quando non fai lo stronzo sei molto dolce.


Stranamente mi sentivo osservata per non parlare della sensazione di calore. Stavo per risvegliarmi. La luce del giorno mi stava stuzzicando gli occhi. Li aprii leggermente. Sgranai gli occhi quando vidi il mio braccio stretto attorno al corpo di Renoir. Era bellissima. Anche lei a sua volta aveva un braccio attorno alla mia vita. Dormiva beatamente. Che ci faceva nel mio letto?

Notai una figura di fronte a me. C’era Edward poggiato allo stipite della porta e ci guardava con un leggero sorriso sulle labbra. Perché anche lui era lì? << Stamattina non l’ho trovata nel suo letto. Credo che questa notte si sia svegliata per venire da te >> sorrisi raggiante. Il mio piccolo angelo << E’ così bella >> grugnii imbarazzata << Già.. >> rispose << Che ore sono? >> domandai felice << Le nove >> mi fece presente. Si dovevo svegliarla.

<< Credo le farà piacere se ci sei anche tu >> sussurrai mettendomi sulle ginocchia e sistemando la t-shirt che avevo addosso. Annuì e si venne a sedere ai piedi del letto << Farfallina… dovresti intrufolarti nel mio letto come un topino >> esclamai divertita. Si limitò a grugnire qualcosa d’incomprensibile << Sai che potrei fartela pagare >> le pizzicai un fianco e finalmente aprì gli occhi. Guardò me poi suo padre e sorrise felice << Ci siete tutti e due! >> trillò. Si alzò scattante e ci abbracciò insieme. Ero confusa dalla sua reazione << Credevi scappassimo? >> la presi in giro. Sciolse l’abbraccio e mi fece la linguaccia << No! Ma è la prima volta che c’è il mio papà e la mia m… >> mi si mozzò il respiro << E tu Bella >> si corresse, rossa di vergogna.

Stava per dire “mamma”.

Avevo perso ogni contatto con la realtà. Mi sentivo privata di ogni forza. Stava per chiamarmi mamma. Ero la sua mamma << Isabella ti senti bene? >> domandò Edward. I miei occhi erano persi in quelli di mia figlia << Mai stata meglio >> ansimai commossa. Accarezzai il suo viso e le baciai la fronte << Io… ho bisogno di… >> mi serve aria fresca. Cercai di alzarmi in piedi, tuttavia il mio piede s’incastro in una delle coperte e caddi come una pera cotta. La piccola scoppiò a ridere e contagiò il padre mentre una smorfia tra il divertito e il dolorante si dipingeva sul mio viso << Ahi! >> bofonchiai, massaggiandomi la base della schiena << Io… >> Dio che dolore! Trattenni un urlo di dolore.

Mi grattai il capo, confusa << Vado in bagno. Devo fare una doccia. Tesoro che ne dici di scendere a fare colazione senza l’aiuto del tuo papà. Cinque minuti e arrivo >> mi sentivo il viso in fiamme. Tanto ero in Bellalandia che non mi sprecai ad alzarmi e raggiunsi la meta gattonando. Sì proprio come cerebrolesa. Una marmocchia cerebrolesa ma non era colpa mia.

Appena chiusi la porta alle mie spalle e iniziai a saltellare. Stava per dirlo! Stava per dirlo!

In realtà non mi feci la doccia. Mi limitai a sciacquarmi il viso. Mi sentivo troppo gasata e volevo tornare da lei prima possibile. Indossai il costume e i vestiti del giorno prima che Madeline aveva badato a lavare, nonostante le avessi detto che avrei fatto da me.
 

<< Credo sia la prima volta che si sia alzata di sua spontanea volontà >> mi fece sapere Edward mentre sorseggiava il suo caffè. Risi << No-f-n è-f v-f-ero >> rispose la diretta interessata con un grosso pezzo di pancake in bocca. Risi << La mia bambina è grande ormai >> mi bloccai appena mi resi conto delle mie parole. La mia bambina. Solo Edward parve notare le mie parole, Renoir sorrise. Un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Forse le aveva apprese ma faceva finta di nulla come avevo fatto io poco prima.
<< Oggi che facciamo? Papi, tu non vai a lavoro, giusto? >> sì, da suo abbigliamento casual avevo intuito che non andasse a lavoro. Ciò che non sapevo era che io fossi stata invitata << In realtà oggi sarà il lavoro a venire da me >> precisò << Uff! Va bene, fa niente, Bella può rimanere? >> sì, sì, dille di sì! << Non dovresti chiederlo a me scricciolo >> mi fissò in modo talmente strano che mi spezzò il respiro. Era possibile? No, devo calmarmi, è solo frutto della mia immaginazione. Perché dovrebbe fissarmi in modo strano?

Tu. Lui. In cucina. Tensione sessuale!

<< Bella, perché sei arrossita? >> Renoir mi risvegliò. Anziché portarmi una mano sul viso, la misi sul cuore: sembrava volesse uscirmi dallo sterno << Io… che… no… >> balbettai. Edward inarcò un sopracciglio, divertito. Brutto bastardo! E non potei evitare di arrossire ulteriormente.

No, non è stata la tua immaginazione. Sa quel che fa! E’ un brutto megalomane!
 

Mia figlia dopo la colazione, mi aveva portato in giardino e in un modo o nell’altro mi aveva dichiarato guerra facendomi il bagno con la pompa dell’acqua. Così mi ero ritrovata bagnata fradicia, mi ero liberata dalla canotta ed ero rimasta con la parte superiore del costume e gli shorts.

Il giardino era davvero immenso, forse più grande della casa stessa. Non c’era un giardiniere professionista che se ne occupava almeno due volte a settimana.

In mano avevo un secchio colmo d’acqua. Era tutto ciò che ero riuscita a racimolare. Erano circa dieci minuti che giravo attorno alla proprietà come una cretina. Volevo scovarla! Sì, mi stavo divertendo da matti. Non avevo avuto un’infanzia molto da bambina e stavo recuperando con Renoir. Forse Edward non aveva tutti i torti a dire che ero infantile. Tuttavia che importava?

Non ero ossessionata dai pensieri della gente. Avevo affrontato una gravidanza  alla luce del sole di New York. Avevo sentito dei commenti poco carini e me n’ero fatta una ragione. Le persone parlano a sproposito perché non hanno nient’altro da fare. Reputano la tua vita più movimentata della loro e non lo accettano.
Mi bloccai, quando sentii la voce di Renoir. Non capii bene ciò che disse ma sapevo che se avessi svoltato l’angolo l’avrei trovata. Risi furba. Feci un passo avanti e buttai l’annaffiai con l’acqua.

Ops!

Merda, merda, merda! Non avevo fatto la doccia a lei ma a Edward. Renoir era poco distante da noi tra le braccia di Benjamin, l’amico di Edward. Scoppiarono a ridere. Sapevo che non avrei dovuto ridere ma la faccia di Edward allibita, non aveva prezzo. Così dopo tanti tentativi di trattenermi, fui contagiata dai nostri spettatori << Mi dispiace, non credevo fossi tu >> mi difesi. Istintivamente indietreggiai. Qualcosa nel suo sguardo mi mise in allerta << Papà non puoi farla vincere >> lo provocò Renoir.

In qualche modo mi ritrovai a correre intorno come una matta con Edward alle calcagna << Ti prego, tregua! >> urlai affinché mi sentisse. Mi voltai giusto per vedere dove diavolo fosse, ma inaspettatamente, non lo trovai. Tornai a guardare di fronte a me e la sua figura che mi bloccava la strada, mi fece fermare.
<< Non dovevi farlo >> cantilenò divertito. Continuai a indietreggiare finché in uno scatto non mi caricò su una spalla come fossi un sacco di patate. Mi misi a gridare a squarciagola << Mettimi giù! Aiuto… >> strillai dimenandomi come un serpente << Scordatelo >> disse calmo mentre camminava verso una meta a me sconosciuta.

Avevo la sua schiena proprio sotto il naso e la voglia di morderlo non era poco << Da piccola mi chiamavano vampira. Ho i denti affilati >> gli feci sapere.

Ammetti di essere divertita anche tu!

No che non mi divertivo! Mi stava facendo venire il mal di mare.

Bugiarda. Questa confidenza con lui ti piace. Per quanto tu non voglia ammetterlo, voi vi capite. Lui è l’unico adulto in grado di capire ciò che provi tu.

<< Sono felice per te e per coloro che ti hanno baciato >> mi prese in giro. Alzai lo sguardo e vidi Ben e Renoir. Costava molto aiutarmi? Sbuffai esasperata << Non so cosa tu abbia in mente ma sappi che non l’ho fatto intenzionalmente >> conclusi.

Quando mi mise giù pensai che mi avrebbe lasciata libere, invece fece qualcosa che non mi aspettavo.

Come sempre d’altronde.

Con un braccio mi tenne ferma per la vita, mentre con la mano dell’altro afferrò la pompa dell’acqua e cominciò a bagnarmi.

Annaspai in cerca d’aria. Stavo per affogare << Aspf-etta! >> gracchiai. Ancora una volta mi dimenai. Riuscii nell’impresa di liberarmi ma poco dopo scivolai a causa dell’acqua che aveva trasformato la terra in fango. Il mio unico appiglio fu Edward e lo tirai con me.

Ci ritrovammo sdraiati, l’uno sull’altro. Precisamente lui su di me.

Avevamo il respiro accelerato, i nostri toraci si abbassavano e si alzavano velocemente e non smettevamo di guardarci. Ero persa nei suoi occhi color miele. Erano bellissimi << Non è stato divertente Isabella? >> chiese sfacciato. Risi senz’aria << Io che bagnavo te è stato molto più divertente! >> obbiettai saputella. Cercai nuovamente di tirarmi fuori da quella situazione imbarazzante ma- dannazione prima o poi mi avrebbe fatto impazzire- mi prese i polsi e li portò sopra la mia testa << Dicevi? >> mi esortò. Perché sembri così malizioso?

Sorrisi. Guardai il suo viso, le labbra carnose, la barba incolta, la fronte con i suoi capelli appiccicati. Mi morsi le labbra << Potresti per cortesia lasciarmi almeno una mano? >> domandai. Mi fissò cauto: pensava avessi qualcosa in mente. Il che significava che mi conosceva perché in un’altra situazione sarebbe stato così.

Mi liberò il polso e portai le dita sulla sua fronte. Volevo che si scoprisse da tutti quei capelli. Sorrise di rimando al mio gesto. C’era sempre quel qualcosa che non riuscivo a identificare. Era quasi snervante provarci.

Forse mi soffermai più del dovuto. Dopo la fronte, gli sfiorai la tempia, una guancia, il profilo del naso, la mandibola. Non sapevo il perché di determinate dimostrazioni. Mi attardai sulle sue labbra schiuse. Il suo respiro si scontrava contro il mio polpastrello. Sei bellissimo. Sei come una pompa dell’acqua in piena estate ma non posso dirtelo. Poi che farei?

<< Grazie >> soffiò mentre le mie guancie si coloravano di rosso. E poi la combinai: mi leccai le labbra! Tanya diceva che quando ci s’inumidiva le labbra con la lingua, consciamente o meno, e a breve distanza vi era un ragazzo - come nel mio caso- significava che si aveva la voglia di baciarlo.

Seguì ogni mio gesto e mi guardò con uno sguardo così bruciante che mi fece deglutire a vuoto. Dovresti alzarti ma io, devo ancora capire se voglio o no. Perché si era avvicinato? << Grazie per avermi lasciato rimanere >> biascicai stordita << Non preoccuparti… >> oddio vado a fuoco << Sei sua madre… >> altra fitta allo stomaco << E per prima… mi dispiace che ti abbia scosso. Sei l’unica donna che non è sua zia o sua nonna che le è stata molto vicina. Credo sia normale che per poco non ti ha chiamato in quel modo >> spiegò e io sorrisi << Sì, mi ha sorpresa ma è stato bellissimo anche se si è fermata in tempo >> risposi sottovoce. Sorrise di rimando. Era così…

Bella smettila! Ricordati del suo carattere odioso!

<< Edward… forse… forse… sei un po’ troppo vicino >> dissi in imbarazzo. Non puoi farlo, siamo i genitori di una splendida bambina. Per favore allontanati. Non rovinare tutto. Non voglio.

<< Perché non vi alzate? >> all’unisono guardammo colei che parlò: Renoir. Aveva un’espressione furba sul volto << Ehm… il tuo papà mi stava aiutando >> mentii.
 
 
Non si può dire che questo capitolo manchi di momenti caldi. Si è ovvio che si piacciono. Lei stessa ammette di esserne attratta ma non dimentichiamo molto spesso un genitore mette se stesso da parte per il figlio. Se vi va recensite altrimenti vi ringrazio per aver letto. Un grande bacio acalicad.

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Capitolo 7
*** Vicini ma lontani nella verità ***





Ero agitata, molto agitata. Stavo per far conoscere mia figlia alla mia migliore amica. Non avevo motivo di essere così in ansia << Bella, secondo te piacerò a Tina? >> Renoir mi risvegliò. Eravamo nella fifth avenue ad aspettare Tina. La mia migliore amica aveva deciso, come primo incontro, di portarci a fare spese. Non sarebbe mai cambiata.
 
<< Tanya, tesoro, non Tina >> ridacchiai divertita. Rovesciò gli occhi << Comunque le piacerai. Davvero. Ti adorerà >> la rassicurai << Sì ma… >> non capivo il motivo della sua inquietudine << Tesoro, Tanya non vede l’ora di conoscerti ma se tu non vuoi, fa niente. Non voglio costringerti a fare nulla che tu non voglia >> affermai sicura. Scosse il capo in segno negativo << No. Io voglio… voglio conoscere i tuoi amici. Sei… tu >> mi sembrò che si trattenne dal dire altro << Sei sicura che non c’è niente che vuoi dirmi? >> ripresi seria. Aggrottò la fronte << E tu Bella, c’è qualcosa che vuoi dirmi? >> sgranai gli occhi, sorpresa dal tono che aveva usato. Maledettamente serio. Deglutii a vuoto. Perché mi sentivo messa alle strette? << N-no… perché… >> non potei continuare a causa dell’arrivo di Tanya.
 
Sembrò come se fosse stata colpita da un fulmine. Mi schiarì la voce per riscuoterla. Tuttavia il suo risveglio non avvenne. Guardava me, la bimba, me, di nuovo Renoir e le nostre mani legate. Sì, ora sapevo perché eravamo amiche. Due cretine non potevano non trovarsi.
 
Per l’ennesima volta mi schiarii la voce << Tanya >> borbottai. Renoir aveva la faccia di chi si chiedeva se fosse normale o meno << Tu devi essere Renoir >> trillò, abbassandosi alla sua altezza. La piccola continuava ad avere una scintilla di paura negli occhi. Ti ho detto di mantenere un profilo basso! Questo lo chiami normale? Se non ci fosse stata Renoir, l’avrei picchiata a sangue! Ti uccido!
 
<< Bella mi ha parlato tanto di te. Sei bellissima! >> affermò con gli occhi luccicanti. Giuro che se non la smetti ti ammazzo! << Grazie >> rispose intimidita << Io sono Tanya >> le porse la mano. La mia bambina mi guardò come ad aver conferma ed io annuii. Tanya continuò a fissarmi sorridente << Io sono Renoir ma già lo sai… >> borbottò timida.
 
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, in cui pensai seriamente che a Renoir non stesse simpatica Tanya, tutto andò per il meglio. Si misero a parlare di me come se io non ci fossi. E mia figlia le fece varie domande sempre su di me. Nonostante le avessi detto tutto della mia vita, continuava a indagare. Sì, era il termine giusto! Lei indagava.  Il punto era che non ne capivo il motivo.
 
<< E’ un amore! >> sussurrò la mia amica mentre Renoir era dentro a un camerino a provare un vestito. Sorrisi come un’ebete << Lo so Tanya. Lo so! >> esclamai euforica << Hai visto come ti guarda? Come se sapesse chi tu sia, come una figlia guarda sua madre >> continuò. Sorrisi estasiata << Se lo fa è perché si è abituata alla mia presenza. Ci vogliamo bene Tanya. Io l’amo e per qualche strano motivo lei ricambia >> cinguettai << Sei sua madre, non è poi così strano >> obbiettò << Ma lei non… >> dovetti fermarmi perché la piccola uscì dal camerino.                                                                                                       

Trattenni il fiato per quanto era bella. Indossava un vestito blu zaffiro. Elegante e con la gonna in tulle. Era meravigliosa, s’intonava perfettamente al colore dei suoi occhi nonostante fossero azzurri e non blu.                                                                                                    

Aveva le guancie arrossate, forse per come la stavo guardando << Sei stupenda >> mormorai. La afferrai per mano e le feci fare un giro su se stessa << Ti piace a te? >> chiesi. Annuì sorridente << Allora ti va se lo compriamo? >> continuai. Ero consapevole che aveva un armadio pieno di vestiti però nessuno dei suoi abiti era stato comprato da me << Sì, se per te va bene >> sussurrò. Sì, sì, si! << Questo lo prendiamo! >> confermai << C’è qualcos’altro che ti piace? >> chiesi. Avevo la leggera smania di comprarle molte cose.                                                                                                                                                    

Forse mi comportai da snaturata ma le comprai altri vestiti. Non tanti, ma glieli comprai.                                                                                                                                                    
 
 
Ridemmo, scherzammo, continuammo a girare per negozi finché Tanya non decise di entrare in una profumeria. Fu divertente come io e Renoir cominciammo a starnutire per le troppe fragranze. Dovemmo allontanarci, tanto ci sentivamo stordite << Bella? >> tirò su col naso e se lo stropicciò << Dimmi tesoro >> la spronai curiosando qua e là << Tu che profumo usi? >> chiese. Mi stupì << Perché vuoi saperlo? >> domandai. Scrollò le spalle << Mi piace il tuo profumo così… >> mi piaceva tanto sentirglielo dire. Non sono egocentrica, no? << Ehm… di solito uso il deodorante >> non che non usassi il profumo ma il mattino, essendo una dormigliona cronica, il deodorante era l’unico che riuscivo a trovare.                                                                                                                                 

Mi misi in punta di piedi e allungai il collo per vedere dov’era il reparto dei deodoranti.                                                                                                                                          Appena lo trovai mi mossi con Renoir. Spulciai a lungo finché non trovai ciò che cercavo << Ecco! >> glielo feci annusare. Era una fragranza molto delicata, fruttata ma non troppo. S’illuminò come un albero di natale << Puoi… puoi comprarmelo? Così quando non dormi con me, ci sei… >> trattenni il respiro. La sua dolcezza non avrebbe mai smesso di sorprendermi. Mi limitai ad annuire confusa e anche commossa.
 
Alla fine della giornata, dopo aver pranzato, salutammo Tanya. La mia amica stritolò Renoir << Dobbiamo assolutamente rivederci >> le disse sorridente << Sì, va bene, grazie Tanya >> rispose la piccola. Tanya le stampò un bacio sulla guancia << E puoi anche chiamarmi zi… >> le schiacciai un piede prima potesse finire di parlare. Ho un’amica cogliona! Davvero stava per dire che voleva essere chiamata “zia” ?                                                                                         

Renoir la guardò accigliata ma sempre con quell’espressione di chi sapeva tutto << Zi.. cosa? >> chiese << Zitella >> strillai non sapendo che altro dire << Che vuol dire zitella? >> domandò mentre Tanya mi guardava come volesse scusarsi << Nulla tesoro >> mentii << E’ solo un nomignolo Tanya, la zitella >> risi isterica << Okay.. >> borbottò poco convinta.
 
 
Continuammo nel nostro giro per negozi << Bella, Bella, ho un’idea! >> trillò Renoir << Dimmi >> la incitai. Corse verso uno stand e cominciò a scandagliarlo << Tieni! >> mi passò una t-shirt blu con una scritta bianca e dei leggins bianchi, stessa mise che aveva lei tra le braccia << Dopo dobbiamo cercare le scarpe porti il trentanove giusto? >> continuò assorta nel suo mondo. Non ero più così sicura che avesse sei anni.                               

La guardai confusa << Che cosa hai in mente? >> chiesi cauta. Per tutta risposta ridacchiò divertita << Facciamo uno scherzo a papà! >> esclamò furba. Certe volte mi ricordi me, quando cercavo di esasperare Charlie e Renee. Inarcai un sopracciglio << Spiegati meglio >> continuai. Sorrise diabolica << Puoi chiamare a papà e gli chiediamo se vuole venire? > non stavo capendo nulla << Sì, possiamo provare >> acconsentii. Finché non mi trascinava nella sua sede lavorativa a me, stava bene. E poi aveva usato il verbo potere e non volere.
 
Feci partire la chiamata e misi in vivavoce.
<< Pronto Isabella, è successo qualcosa? >> rispose con voce ansante.                                             Aggrottai la fronte << Papà sono io, sono con Bella, volevamo chiederti se volevi venire >> disse Renoir. Avevo la strana sensazione che lo avessimo disturbato << Ehm… si! Sono libero, datemi… datemi dieci minuti. Renoir, puoi passarmi Isabella? >> continuai a insospettirmi.                                                                                                                                          Presi il cellulare, tolsi il vivavoce e lo accostai all’orecchio << Edward, non sapevo ti avessimo disturbato. Mi hai detto che oggi non saresti andato a lavorare >> lo anticipai. Si schiarì la gola << No, infatti, non mi avete disturbato >> mi tranquillizzò << Ne sei sicuro? >> continuai indecisa << Si certo! >> esclamò deciso.                                                                                

Non potei più obiettare così gli dissi dov’eravamo.
 
In quel momento all’ingresso del centro commerciale, con la coda dell’occhio stavo attenta a Renoir che guardava i vestiti qualche metro lontana da me. Poi lo vidi e quando si avvicinò, ebbi la certezza che fosse scombussolato << Ciao >> sorrise. Aveva i capelli scompigliati, la cravatta scomposta e… impietrii appena vidi cosa aveva sul collo e sul colletto della camicia. Non seppi spiegare cosa, ma qualcosa mi colpì allo stomaco. E non era piacevole.
 
Uno sbaffo di rossetto!
 
Cacciai via quella stupida sensazione e sorrisi divertita << Sta fermo >> sussurrai mentre mi avvicinavo a lui. Increspò le labbra confuso, finché non misi una mano sul suo collo. Sgranò gli occhi come se non se lo aspettasse e mi fissò come se volesse leggermi nel pensiero. Gli accarezzai la porzione di pelle sporca con il pollice. Lo sentii rabbrividire e lo feci anch’io come se fossi stata contagiata << Mi dispiace >> aggiunsi sottovoce << Ho le mani fredde >> spiegai imbarazzata continuando nella mia operazione. Riuscii a ripulirlo << Avevi del rossetto >> specificai, portando poi le mani sulla sua cravatta. Avvertii chiaramente il suo corpo irrigidirsi << Non preoccuparti >> dissi sincera << Adesso sei perfetto! >> sorrisi. Non smise di guardarmi.Porca vacca, dì qualcosa! << Se avessi saputo, non mi sarei mai permessa >> mi sembrava di fare un monologo e cominciavo a innervosirmi.                                                                                       Sembrava a disagio, forse non gli piaceva essere colto in flagrante. Sinceramente non ci trovavo nulla di strano. Era padre ma era anche uomo. Era normale, no?
 
Potrebbe darsi anche una sistemata dopo!
 
Non se n’era reso conto. Non aveva fatto nulla di grave.
 
<< Che cosa state facendo? >> di nuovo Renoir. Avevo dimenticato di togliere la mano dal suo corpo << Niente piccola >> rispose lui, abbassandosi alla sua altezza. Renoir lo abbracciò << Ciao papi >> lo saluto. Appena si abbracciarono, vidi distintamente mia figlia arricciare il naso << Papi, fai puzza di fragole >> affermò disgustata. Aveva ragione! Lo avevo sentito anch’io. Almeno non si era accorta del rossetto sulla camicia << No, tesoro, ti sbagli >> obbiettò in difficoltà. Ecco la cazzata dell’anno << No! Fai puzza! >> dichiarò decisa. Il profumo che aveva addosso era troppo stucchevole.
 
Profumo da donna. E a te da molto fastidio!
 
Non mi dava fastidio semplicemente l’odore della sua pelle era più buono.
 
<< Renoir, non è carino da parte tua >> la informai << Aspetta, ho un’idea! >> esclamò astuta. Da una delle buste che aveva tra le mani, estrasse il mio deodorante. E senza dargli alcun preavviso cominciò a spruzzarglielo addosso, non eccessivamente << Il profumo di Bella è più buono >> costatò sorridente. Quell’affermazione mi fece imbarazzare a morte e abbassai lo sguardo mentre percepivo i suoi occhi addosso.
 
<< Tesoro non credo sia il caso >> implorai, rossa in viso << Bella, ricordi lo scherzo a papà >> sottolineò. Ridacchiai, lei mi diede il cinque ed entrammo in due camerini diversi.
 
<< Papi sei pronto? >> urlò Renoir da un camerino. Edward ci stava aspettando << Sì, tesoro! >> lo sentii dire << E tu Bella? Sei pronta? >> si rivolse a me << Affermativo! >> urlai << Okay Bella! Al mio tre esci fuori >> continuò. Oh santo cielo! Non posso più scappare! << Uno… >> iniziò. Inevitabilmente deglutii a vuoto << Due… >> mi sentii le mani sudare << Tre… >> strillò. Chiusi gli occhi e saltai fuori.                                                         

Mi sentivo in imbarazzo poi sentii ridere. Edward stava ridendo! Azzardai ad aprire un occhio. Non potei evitare di ridere anch’io. Io e Renoir eravamo vestite allo stesso modo: t-shirt, leggins e converse.                                                                                                  

A causa delle nostre risate, attirammo molti sguardi su di noi << Papi, non siamo bellissime? >> domandò fintamente vanitosa. Lui continuò sghignazzare << Si molto >> sussurrò sorridente. Poi prese il suo Iphone e ci fece una foto << Così non dimentico >> chiarii divertito.                                                                                                                

Improvvisamente Renoir mi prese per mano e ci portò di fronte a uno specchiò. Si mise a fissare intensamente i nostri riflessi. Era pensierosa << Piccola che stai facendo? >> chiese suo padre. Non rispose ma ridusse gli occhi a due fessure << Niente… >> gracchiò seria.
 
Alla fine comprammo altri vestiti. Quando fummo di fronte alla cassa, notai lo sguardo della cassiera su Edward. E’ un bell’uomo, cosa mi aspetto?                                                                   

E non solo io me ne accorsi, anche la bambina. Ma non credevo che sarebbe arrivata a tanto. Infatti, prese la mia mano, quella del padre, le mise sul bancone per poi unirle. E senza che me ne rendessi conto mi ritrovai mano nella mano con lui. Una scarica si propagò lungo la spina dorsale e per poco non iniziai ad annaspare in cerca d’aria.  Scostai la mano come scottata mentre sentivo il famigliare rossore invadermi le guancie. Piccola, ti adoro ma hai troppa iniziativa.
 

Andammo in un ristorante italiano all’ora di cena, Renoir aveva fame. Ordinai spaghetti con gamberetti, padre e figlia la solita bistecca. Il primo con verdure grigliate, la seconda con le patatine.                                                                                                                 

Afferrai la forchetta e addentai un gamberetto, vidi Edward storcere il naso. Renoir scoppiò a ridere << Che succede? >> domandai << Papà odia i gamberetti >> spiegò. Sorrisi << Davvero? >> continuai perfida, guardando il diretto interessato << Si >> disse ermetico. Il mio sorriso diabolico si ampliò << Tesoro, vorresti vedere il tuo papà mangiare un gamberetto? >> la interpellai << Si! >> squillò << Scordatevelo! >> s’intromise lui. Proseguii a ridere, prendendo un gamberetto tra l’indice e il pollice. Mi avvicinai a lui << Dai Edward… >> implorai sottovoce << No! >> ribatté << Ti prego… >> sbattei le ciglia velocemente come fossi innocente << Papi, non puoi tirarti indietro >> gli fece presente la bambina << Renoir… >> tentò << Papi, hai paura di mangiare un gamberetto? >> lo provocò. Trattenni una risata << Edward, hai paura di un gamberetto? >> ripresi con lo stesso tono di mia figlia. Aguzzò lo sguardo << Io non ho paura >> affermò sicuro. Sì, come no! << Bene, neanche questo gamberetto ne ha >> sventolai ciò che odiava di fronte alla sua bocca << Bene! Perché anche le mie verdure vorrebbero fare un giro nel tuo palato >> sbiancai alle sue parole. Rabbrividii: odiavo le verdure. Non mangiavo mai le verdure. Mi facevano schifo. E lui lo sapeva, aveva notato come lasciassi sempre le verdure quando mangiavamo << Isabella, che ne dici di dare il buon esempio? >> mi rimbeccò. Brutto manipolatore che riesce a rigirare la frittata!
 
Chi la fa l’aspetti!
 
<< Le verdure faranno un giro nel mio palato se questo bellissimo gamberetto conoscerà il tuo >> speravo con tutta me se stessa che si arrendesse. Purtroppo non successe poiché anche le sue dita afferrarono un cavoletto di Bruxelles. Sentii la gola farsi secca << Isabella non vorrai tirarti indietro? >> stesse parole di Renoir << Bella non ti piacciono le verdure? >> domandò lei.
 
Perché quando è provocatorio è ancora più bello?
 
Mi morsi le labbra. Stupidi ormoni da ventunenne!
 
D’altra parte non potevo tirarmi indietro. Negli ultimi mesi avevo tartassato Renoir con l’idea che le verdure fossero buone. Bugiarda al massimo.
 
Sorrisi sardonica << Le verdure sono buone quanto i gamberetti >> affermai poco convinta. Edward avvicinò quella schifezza alla mia bocca, io lo imitai. Avevamo l’espressione di chi stava andando al patibolo. Prendemmo un respiro profondo, a me scappò una risata << Sei pronto? >> chiesi in un sussurro. Nonostante non fossimo felici di mangiare i nostri nemici, la situazione non ci dispiaceva affatto anche Renoir era divertita << Sono sempre pronto. Tu Isabella? >> rivoltò la mia domanda. No, no, no! << Sono nata pronta! >> finsi.                                                                                                                

Qualcosa nei suoi occhi mi fece ribollire. I tuoi occhi non sono normali, sappilo. Perché certe volte mi guardi come un uomo guarda una donna e io non so che fare. Perché sembri così malizioso in questo momento?
 
Una morsa mi strinse il cuore quando mi leccò le dita, appena il gamberetto entrò a contatto con la sua bocca. E rimasi a osservarlo come in trans. Perché ho il respiro affannato? Oh santissimi numi.
 
Stupida, togli le dita da quelle labbra tentatrici!
 
Facile a dirsi…
 
Dovresti essere odioso ventiquattro ore su ventiquattro. E vorrei che fossi anche brutto, grasso e basso! Perché non sei brutto e odioso, Edward?
 
<< Edward… >> sentii sussurrare. Spostai lo sguardo in direzione della voce e mi pietrificai. C’erano sua cognata e il fratello. Alice e Jasper dovevano chiamarsi. Sembravano disorientati. Abbiamo avuto un atteggiamento troppo intimo!
 
Tolsi subito la mano e tornai a fissare il mio piatto. Renoir corse ad abbracciarli. Mi sentivo dannatamente fuori posto, se fosse stato per me, sarei scappata ma come aveva detto Edward, dovevo fare in modo che Renoir non si accorgesse di nulla << Jasper, Alice… >> sorrise cordiale << Salve >> mi limitai. Se loro erano dei maleducati io di certo, non li avrei imitati. La ragazza mi sorrise e quella consapevolezza mi lasciò stupita. Perché mi stava sorridendo? << Scusa se non mi sono presentata la scorsa volta. Renoir non fa che parlare di te. Io sono Alice >> tese una mano in mia direzione. Ero allibita, forse la stavo guardando come fosse un cane a tre teste. Mi riscossi dal torpore e afferrai la sua mano << Isabella, piacere di conoscerti >> ricambiai gentile. In fin dei conti lei non si stava comportando male. Non sembrava mentire dato il suo sorriso onesto. Il marito non si presentò ed io non seppi che fare se non tacere.                          

Non ero un’appestata in fin dei conti << Zia… zia… oggi io e Bella siamo andati a fare spese >> squittì Renoir. Alice continuò a sorridere << Spero vi siate divertite. Avete comprato qualcosa di bello? >> chiese sinceramente. In fratello di Edward non sembrava altrettanto ben disposto. Guardai il padre di mia figlia di soppiatto. Fa qualcosa ti prego! << Che ne dite di sedervi con noi? >> devo stare calma, devo cercare di capire le sue ragioni…
 
Ma quali ragioni deficiente! Loro ti odiano!
 
<< Sì, ne saremmo felici >> rispose sempre lei. Se suo marito avesse parlato, di sicuro non avrebbe dato una risposta positiva << Allora tesoro cosa hai fatto? >> continuò interessata << Bella mi ha fatto conoscere una sua amica. Dovresti conoscerla zia, andreste d’accordo. Poi mi ha comprato tanti vestiti, tutto quello che mi piaceva e poi abbiamo chiamato papà e puzzava di fragole ma io gli ho messo il profumo che usa Bella e ora è profumato. Poi Bella ha fatto mangiare un gamberetto a papà e lui è diventato tutto bianco… >> scoppiò in una fragorosa risata che contaminò tutti, ma c’era un uomo che rideva forzatamente e non era Edward. Jasper guardava Edward in modo strano << Edward che mangia un gamberetto! >> la ragazza dai capelli neri singhiozzava tante erano le risate << Avrei voluto esserci! >> si lamentò. Lo sguardo di Renoir s’illuminò << Possiamo rifarlo? Dai papi, se l’hai fatto una volta… >> perché si comportano come se tutto sia normale? Non è nulla normale! Ed io voglio andare a casa mia, nonostante Alice si sia dimostrata affabile.
 
<< Tesoro, non credo sia il caso >> mormorò lui << Perché no? >> mise subito il broncio << Amore, saresti disposta a mangiare un cavoletto per ben due volte >> la sfidai << Bleah… neanche per sogno! >> inorridì. Ridacchiai, accarezzandole una guancia << Bene, allora credo che per questa volta possiamo graziarlo >> affermai facendole l’occhiolino, mentre sentivo gli occhi penetranti dei due coniugi addosso. Ma prego… sbranatemi se vi fa più comodo! << Uff! Okay… >> brontolò.
 
Restammo in un silenzio assurdo per qualche minuto finché non lo ruppe proprio la donna: << Allora Isabella di cosa ti occupi nella vita? >> oddio no! << Ehm studiò ingegneria aerospaziale >> ormai la fame era passata e stavo torturando il tovagliolo che stavo sulle gambe. Odiavo gli interrogatori << Ma dai! Anche Jasper è un ingegnere! >> come non detto. Un po’ mi dispiaceva per lei poiché tentava di farci interagire << Jasper si occupa d’ingegneria nucleare >> fu Edward a parlare. Annuii meccanicamente << Però Bella disegna gli aerei >> disse Renoir. Era la spiegazione più semplice che ero riuscita a darle.                                                                                                          

Con la coda dell’occhio vidi Alice dare una gomitata a Jasper, non era felice di trovarsi con me << Zio, sei triste? >> domandò la piccola. Sembrò riscuotersi << No, tesoro >> bugiardo! << Allora perché non dici niente? >> riprese. Perché se potesse, mi seppellirebbe viva! << No, stavo solo pensando. Ti piace la tua nuova amica? >> per la prima volta non sembrava un nemico eccetto che per un piccolo particolare: perché la famiglia Cullen aveva lo schifoso vizio di parlare di me cose se io non ci fossi? << Bella? >> chiese conferma << Bella non è anche amica vostra? >> domandò innocentemente. Mi si strinse il cuore << Certo che sono amici, amore mio >> si affrettò a precisare Edward. Renoir aggrottò le sopracciglia, non era del tutto convinta << Okay… >> bisbigliò.
 
Quella fu la conversazione più lunga che ebbi con un familiare di Edward. Bene, anzi benissimo. Probabilmente nelle loro menti contorte ero diventata una mangia uomini.
 

Fui svegliata nel cuore della notte da una chiamata di Edward << Pronto? >> bofonchiai con voce impastata << Isabella, sono Edward! >> tre parole bastarono a spaventarmi. Lui non chiamava mai nel cuore della notte << Che è successo? >> quasi urlai << Stai calma! Renoir si è sentita male, la sto portando in ospedale. Volevo avvisarti >> non finì di parlare che già avevo indossato degli shorts e le scarpe.                                                         

Non mi sentivo bene. Non mi sentivo, punto. Ero sul punto di avere un infarto e le lacrime solcavano già il mio il mio viso << Sto arrivando. Dammi cinque minuti >> chiusi la chiamata in fretta e furia. Afferrai una t-shirt che indossai in auto e un giacchetto.
 
Sfrecciavo per le vie di New York con il mio maggiolino come un indemoniata. Oltretutto il fatto che fossero le due del mattino mi aiutava con il traffico che c’era, ma almeno era scorrevole.
 
Stesso comportamento ebbi quando entrai in ospedale. Edward mi aveva mandato un sms con scritto che si trovavano in reparto pediatria. Non ebbi neanche l’accortezza di fermarmi e chiedere a un’infermiera. Ero un fiume in piena, se non avessi visto mia figlia da un minuto all’altro, mi sarei spezzata.
 
E poi come la solita sfortuna, ma dovevo anche aspettarmelo, li trovai tutti lì. I suoi familiari. Dai genitori, ai fratelli, ai cognati. Erano tutti agitati, camminavano avanti e indietro per i corridori. E quando mi videro la situazione, non migliorò di molto. Tuttavia non tutti reagirono male, almeno padre, figlio e cognati si dimostrarono indifferenti. Anche se Alice mi guardava dispiaciuta. Furono Esme e Rosalie a osservarmi come se fossi il diavolo. Dove cazzo sei, Edward?
Chiusi gli occhi, presi un respiro profondo, li riaprii e camminai in loro direzione. Decisi di rivolgermi ad Alice: lei non sembrava così ostile << Scusami, puoi dirmi dov’è Edward? >> domandai flebile, con la voce che tremava, ma il cuore non batteva. Si era fermato nell’esatto istante in cui avevo appreso la notizia. Tentò di parlare ma qualcuno la interruppe: << Che cosa hai intenzione di fare? >> la madre di lui e si era posta di fronte a me. Come volesse bloccarmi la strada << Vorrei vedere Renoir >> continuai pacata. Non potevo permettermi altro << E perché mai? Tu chi saresti? >> chiese arrabbiata, come se da un momento all’altro fosse pronta ad assalirmi. Sono sua madre, questo avrei voluto dirle ma mi rendevo conto che una risposta del genere non avrebbe fatto altro che inferocirla << Per legge non sei nessuno! Sei solo una sconosciuta. Quindi vattene. Ora! >> intervenne la figlia. Sconosciuta, ecco cosa sono secondo la legge! Trattenni le lacrime. Esme per quanto perfida fosse era madre, poteva capire eppure chiudeva gli occhi di fronte all’evidenza << Esme, Rose smettetela! >> ordinò il padre.
 
Non m’importava se anche lui mi fosse contro ma mi ritrovai a ringraziarlo con gli occhi. Ho bisogno di vedere mia figlia, dove sei Edward? << Per favore signora Cullen, mi faccia passare >> non m’importava di implorarla, per Renoir sarei arrivata a baciarle i piedi << Vada subito a casa sua! >> disse dura. No che non me ne vado! Non sei tu a dover decidere.
 
<< Esme, la bambina chiede di lei >> sussurrò il marito. Mi si spezzò il respiro e invano cercai di superarla << Mi faccia passare, almeno per parlare con Edward >> cominciai a innervosirmi. Cominciai a fremere. Ero espansiva ma mai ero stata aggressiva e lei non poteva permettersi di allontanarmi da mia figlia, nonostante mi volesse al suo fianco. M’ignorò bellamente, come se non avesse sentito nessuno parlare << Non importa! Deve andarsene subito da qui >> replicò acida << Esme… >> provò << No, Carl! Questa non si avvicinerà a lei. Non è sua madre >> sì, sono sua madre! E non perché abbiamo lo stesso sangue ma perché l’amo come solo una madre potrebbe fare! << Signora, mi faccia passare >> ripetei tesa << Esme non fai un torto a lei se non la fai passare ma anche a Renoir! Lei vuole la signorina al suo fianco >> finalmente qualcuno che cerca di rinsavire.                                                                                                                                               Ormai avevo lasciato le belle maniere a qualcun altro, dovevo trovare Edward e lui mi avrebbe permesso di vederla. Questa volta la superai senza troppe moine ma lei mi fermò per un polso. E me lo strinse, lo stritolo tra le dita talmente tanto che iniziai a sentire dolore e pian piano la mano intorpidirsi. Mi fulminò << So che cerchi di fare! Stai lontana da mio figlio e da mia nipote >> bisbigliò così che solo il marito potesse sentirla. Bastarda. E mi ribellai! Quand’è troppo è troppo. La strattonai affinché non mi liberò e addirittura traballò.                                                                                                                      

Avrei voluto dirle qualche frase d’effetto ma non riuscii a pensare a nulla.
 
<< Isabella >> la comparsa di Edward interruppe la conversazione fatta di sguardi omicidi tra me e la madre. Finalmente!
 
Diedi solo una rapida occhiata al polso. Stronza. La parte offesa dalle sue dita era arrossata e lentamente stava prendendo una nota violacea. Stronza fino al midollo.
 
Insieme con lui c’era il medico. Ti prego fa che non sia grave. Deglutii a vuoto << Stai tranquilla >> esordii mettendosi al mio fianco << Voi siete i genitori? >> domandò il dott. Roth, così c’era scritto nella targhetta identificativa << Sì, siamo i genitori >> i miei occhi scattarono verso lui, verso quella bocca che aveva pronunciato quelle parole. Spontaneamente, mentre delle gocce salate percorrevano tracciati immaginari sul mio volto, sfiorai la sua mano con la mia per poi stringerla. Mi diede forza quel contatto << Signora Cullen, capisco il suo stato d’animo… >>no, non capisci un emerito cazzo! Non è tuo figlio che è in un letto d’ospedale a soffrire << Vostra figlia ha l’appendice infiammata. Dovrà fare un intervento di rimozione >> a quel punto scoppiai in un pianto disperato, tanto che Edward dovette stringermi a se << Stai calma >> mi accarezzò la schiena per farmi rilassare.
 
Non importava che loro ci stessero guardando.
 
<< Ha sei anni, non potete operarla >> singhiozzai << Signora è pur sempre un’operazione ma è di routine >> fanculo tu e la tua routine. La mia bambina<< No… >> piagnucolai. Chiusi gli occhi e strizzai i pugni attorno alla camicia di Edward. Non potevo fare io l’intervento nuovamente? Non potevo prendermi io i dolori? Non potevo stare io in ospedale << Voglio vederla >> frignai debolmente << Ti accompagno. E’ da quando è qui che non ha smesso di chiamarti >> mi mise un braccio sulle spalle.
 
Davanti alla porta della sua stanza, mi fermai per cancellare le prove del mio pianto << Sei perfetta >> disse lui dopo qualche minuto. La sua mano mi sfiorò una guancia ed io la trattenni con la mia intrecciando le dita alle sue. Tutto sembra così intimo quando sono con te. Mi morsi il labbro inferiore quasi con ferocia. Senza capire nulla mi misi in punta di piedi. Piedi bastardi. Il mio viso cercò di accostarsi al suo. Viso bastardo. Lui si stava avvicinando ed io lo volevo. Volevo ma non potevo, era questa la storia della mia vita. Con il respiro affannato e con il cuore che tentava di uscirmi dalla gabbia toracica, mi limitai a poggiare la fronte alla sua, evitando di fissare quelle labbra tentatrici << Grazie >> ansimai << Che hai fatto al polso? >> domandò mentre la sua mano cominciava a disegnare ghirigori sul mio zigomo << Nulla d’importante >>tua madre è solo una stronza manesca. Ma sai cosa c’è… io ti voglio bene, Edward. Ti voglio bene davvero ma c’è qualcun altro più importante di me e te messi insieme.                                                                                                                                      

Inspirai profondamente, abbandonai la sua mano e infine mi decisi ad aprire la porta.
 
Era lì: gambe incrociate, occhi arrossati, capelli arruffati e una smorfia a contornare il tutto. Sembrava un po’ stordita, forse a causa degli analgesici che le avevano dato. Appena mi vide, saltò in piedi incurante della sua situazione << Mammina! >> urlò con i lacrimoni. E il mio cuore riprese a battere come i miei occhi che ricominciarono a lacrimare. Ci avremmo pensato in seguito a come mi aveva chiamata, anche se non potevo evitare al mio cuore di togliermi il respiro. Mammina.
 
L’abbracciai forte, molto forte << Amore della mamma >> sussurrai, baciandole il viso dappertutto. Mi fece sedere e lei a sua volta sulle mie gambe << Ho la bua! Mi fa tanto male, mamma >> altro tuffo al cuore << Mi dispiace tantissimo, tesoro >> continuai ad abbracciarla, disinteressata allo sguardo di lui che ci stava trapassando << Ho paura >> mimò << Amore è normale. Ora il dottore farà qualcosa e il dolore andrà via subito >> spiegai confusa. Tirò su col naso mentre annuiva. Le asciugai il viso e stesso trattamento venne riservato al mio << Ti voglio bene mamma >> altro colpo al cuore. Infine sbadigliò << Ti voglio bene anch’io, più della vita stessa. Ma ora che ne dici di dormire. Io e il tuo papà veglieremo su di te >> la feci sdraiare con me al suo fianco. Le accarezzai i capelli << Domani continuerai ad essere la mia mamma, vero? >> la stritolai, baciandole la nuca << Sempre, amore mio >> promisi << Mamma, mi puoi cantarmi la ninna nanna? >> era bellissimo essere chiamata mamma << Sunrise, sunrise, look like mornin’ in your eyes but the ckocks held… >> mentalmente diedi un bacio sulla guancia a Edward, che ci lasciò il nostro momento.
 
<< Isabella, dovresti riposare >> Edward. Erano circa le otto del mattino. Non ero riuscita ad addormentarmi. Ero ancora sdraiata con mia figlia, dormiva beatamente. L’operazione sarebbe avvenuta tra poche ore e avevo paura << No. Sto bene! >> dissi sicura << Isabella, la mia famiglia vorrebbe vedere Renoir >> m’informò.                                     

 Annuii distratta e mi alzai. Era ovvio che volessero vederla senza la mia presenza. Le baciai la fronte un ultima volta e uscii dalla stanza.                                                               

Avevo bisogno di prendere un caffè, anzi due. Lui mi seguì << Ho paura >> balbettai. Avevo bisogno di parlare, di sfogarmi << Andrà bene >> vallo a dire a tutti quelle vittime della malasanità << Ho paura >> ripetei, bevendo un sorso di caffè << E’ la mia vita, Edward. Odio che lei soffra. Lei mi ha chiamata mamma… non pensavo che mi sarei sentita così. E’ la parola più bella che possa esistere >> continuai commossa.                        

Mi persi a guardare la brodaglia marrone nel bicchiere, non volevo fargli vedere i miei occhi << Anche lei ti ama >> rispose. Emisi un sospiro strozzato << E’ orribile non poter fare niente >> soffiai << Già… >> sospirò anche lui. Mi piacerebbe tanto che mi abbracciassi. Sai… sono belli i tuoi abbracci, sono caldi, sono accoglienti << Starà bene, vero? >> dimmi qualsiasi cosa, dammi un segno. Stritolò la mia mano tra la sua. Il segno << Andrà benissimo, lo prometto Isabella >> mormorò al mio orecchio.
 
Ore 10:28. Sguardo lucido specchio di quello di mia figlia. Stava per entrare in sala operatoria. E’ solo un’appendicectomia. E’ solo un’appendicectomia. Era normale che mi preoccupassi, no? Che mandassi al diavolo la mia razionalità? << Ho paura >> sussurrò. Sospirai frustrata. Anch’io ho paura << Scricciolo è solo un piccolo taglietto. Non sentirai nulla > annuii alle parole di suo padre. Feci l’unica cosa che mi passò per la mente. Mi alzai la t-shirt e gli feci vedere la mia ferita di guerra << Dieci anni, appendice infiammata a causa di troppo caramelle gommose. Tutti i miei amici quando la videro volevano farsi togliere l’appendice >> spiegai fintamente orgogliosa, sperando di smorzare la tensione. Ridacchiò leggermente << Fa schifo! >> esclamò divertita << Lo so… ma pensaci bene… i supereroi hanno sempre delle cicatrici. E’ un circolo molto privato. Diventeresti super- Renoir… >> mossi le sopracciglia velocemente e scoppiammo a ridere tutti e tre per la mia stupidità << Non farà male? >> un po’ faceva male, era pur sempre una ferita chiusa da punti di sutura << Un po’ si >> ammisi. Per un po’ di tempo dovrai evitare alcuni giochi come saltare la corda << Però poi avrai qualcosa come me >> puntai sull’ascendente che avevo su di lei per tranquillizzarla.
 
<< Allora siamo pronti? >> il medico entrò nella stanza e la piccola ci strinse le mani << Stai tranquilla… >> supplicai. So che dovrei fare l’adulta ma se tu non stai calma, io impazzirò.
 
Salutammo nostra figlia mentre stava per entrare in sala operatoria << Mamma? >> mi chiamò lei, fermando l’infermiera. La guardai mano nella mano con Edward. La incitai con gli occhi << Ho gli occhi come i tuoi, il naso e il sorriso >> ci irrigidimmo, spiazzati. Sorrise e andò via scortata dall’infermiera.                                                                                                  

Rimasi a fissare il vuoto scossa. Sapeva? Non riuscivo a comprendere. Ero confusa. Lei come poteva sapere? Era impossibile!                                                                                         
 
Ignorai Edward, non sentii neppure ciò che mi disse. Ero fuori di me… non che da un momento all’altro avrei cominciato a dare di matto ma avevo bisogno di silenzio di stare sola.
 
Mi misi a passeggiare per l’ospedale. Come una cretina e forse lo ero. Dovevo ancora capire tante cose. Avevo mezz’ora per farlo, data la durata dell’intervento. Mi sentivo uno schifo. Mia figlia era in una sala operatoria ed io mi mettevo a vagabondare per l’ospedale.                                                                                                                                                  

Sospirai frustrata. Dovrei essere attaccata alla porta di quella sala operatoria. Quanto sono stupida? Mi riscossi appena sentii un vagito provenire dalla mia sinistra. Guardai in direzione del suono. Proveniva da una stanza la cui porta era stata lasciata aperta. Al suo interno c’era una ragazza, un’adolescente, sdraiata sul letto e con il camice addosso. Aveva lunghi capelli rossi e ricci. Sorrideva estasiata. Tra le braccia aveva un piccolo fagottino. Una neomamma.                                                                                                                                               

Sentii lo stomaco sconquassarsi a quella visione. E sorrisi. Rimasi a fissarla o meglio fissavo il suo bambino, finché anche lei non mi notò << Ciao >> mi salutò, qualcosa nella sua espressione accentuò ancor di più il suo essere adolescente. Era molto carina << Ciao >> ricambiai in leggero disagio << Vuoi… vuoi vederlo? >> chiese orgogliosa. Deglutii a vuoto e i miei piedi si mossero senza che potessi comandarli. Sentii gli occhi pungere, segno che le lacrime stavano per arrivare.
 
<< Io sono Victoria >> si presentò << Bella >> ero stregata dal piccolo esserino che aveva tra le braccia. Renoir era stata l’unica neonata che avessi mai tenuto stretta a me. Avevo sempre evitato i bebè. Mi ricordavano mia figlia, ciò che avevo perso. Era la prima volta che mi avvicinavo tanto a una creaturina tanto piccola, dopo il parto. Adesso era così facile forse perché l’avevo ritrovata. Perché tutto era ritornato a posto. Perché lei mi chiamava mamma. Però non cambia che non l’ho vista crescere, che ho perso molto << E’ bellissimo >> mi complimentai. Il neonato aveva i capelli biondicci e piccole lentiggini sul nasino. Si dimenava birichino << Lo so >> ridacchiò imbarazzata << Come si chi chiama? >> domandai sottovoce << James >> sospirò trasognata. Era un nome adatto al suo bel viso << Tu hai figli? >> chiese lei. Annuii, scrutandola nei suoi occhi verdi << Una bambina. Ha sei anni >> le feci sapere, anch’io con una nota orgogliosa nella voce << E lei dov’è? >> continuò. Mi rabbuiai << Le stanno asportando l’appendice e… >> non seppi come continuare. Faccio schifo << Mi dispiace >> mugugnò << Vuoi… vuoi stringerlo tra le braccia? >> sgranai gli occhi stupita. Mi aveva preso in contropiede << Io… non lo so >> non avevo coraggio di dirle che non sapevo come fare, che avevo paura. Tuttavia lei mi spronò, sorridendomi raggiante. Così un po’ tremante e insicura lo presi tra le braccia. Mi scappò un respiro strozzato. L’odore di un bambino appena nato non aveva pari e la sensazione di calore m’invase. Aveva dei vispi occhietti neri e un sorrisetto furbo a contornargli le piccole labbra carnose. Mi contagiò e mi ritrovai a sorridere << Ciao… >> bisbigliai, stringendo la sua manina paffuta. Si agitò e per un attimo ebbi paura di averlo infastidito << Ha preso tutto da suo padre >> sbuffò divertita. Nonostante sembrasse ancora una bambina, si vedeva il profondo amore per la creaturina che avevo in braccio. Era una madre e lui suo figlio.
 
<< Isabella, quando parlo, desidero ricevere una risposta >> la voce di Edward che arrivò dalle mie spalle. Ignorai il suo tono infastidito e il mio corpo si orientò verso il suo con un sorriso smagliante << Guarda! >> squittii intenerita. Strabuzzò gli occhi sorpreso. Che ho fatto di male? Si fermò, forse stordito, a fissarmi. Fissarmi in modo strano. Non sto ammazzando nessuno, perché mi guardi così? Poi finalmente si avvicinò con lentezza e si mise al mio fianco, troppo vicino.
 
A te non dispiace.
 
<< Lui è James >> incespicai entusiasta. Ancora intimità. Ti rendi conto Edward, che noi condividiamo molte più cose di alcune coppie sposate? La sua perplessità si trasformò in un leggero sorriso e sembrava proprio che fosse dedicato a me << Ciao James >> per la prima volta mi trovai a tremare. No, non è la prima volta. Era così bello e i suoi occhi luminosi. Mi mordicchiai le labbra nell’impresa di trattenere un sorriso << Edward lei è Victoria, la madre di quest’angioletto >> precisai l’ovvio << Piacere di conoscerti Victoria >> e così si presentarono.                                                                                                            

Dovevo ritornare da Renoir e stavo per restituirle il suo bambino << Siete sposati? >> domandò ma io scossi il capo << Giusto non avete le fedi! >> rovesciò gli occhi, battendo un palmo della mano. Mi scappò una risata << Compagni? >> provò. Continuai a negare << Siete genitori della stessa bambina, no?>> aggiunse imperterrita. Annuii << Ex? >> non volevo di dirle la storia della mia vita ma d’altra parte c’era Edward coinvolto con me. Non potevo certo mentire anche per lui << Si >> mi stupì che quella risposta provenisse da lui e mentalmente lo ringraziai << Cioè… fatemi capire… >> sembrava piuttosto scioccata, noi invece eravamo divertiti. Chi da adolescente non era stato impertinente? << … chi dei due ha lasciato chi? >> si portò le braccia al petto, riducendo gli occhi a due fessure. Oddio! << E’ stata una decisione in comune >> la neutralità era una gran bella cosa che usavo raramente, avrei dovuto imparare a esserlo più spesso ma per fortuna la mia testolina non si era completamente fottuta << C’è… tu hai deciso tranquillamente di lasciare lui? >> mi accusò. Mi ritrovai ad arrossire. Non è il Padre Eterno e se anche fosse stato vero, non sarebbe stato un sacrilegio << Sì, mi ha spezzato il cuore >> brutto str… lo guardai spiazzata. Che fine ha fatto il comune accordo? << Oh mio Dio! L’hai lasciato tu! >> mi puntò un dito contro. Indietreggiai intimorita mentre sentivo, il ghigno di Edward. Ha appena partorito, non è colpa sua è piena di ormoni ma se tu Edward vuoi la guerra, l’avrai! << Mi ha tradito! >> esclamai, vendicandomi << Perché l’hai tradita? >> Victoria ci stava guardando come se avesse dovuto risolvere un grattacapo << Che dici? Hai frainteso tutto >> attore da strapazzo. Chissà per quale motivo ma passai il bambino a Victoria << Cosa c’era da fraintendere avevi il profumo di un’altra donna addosso >> impietrii e la sua bocca si aprì dallo stupore. Perché non sembrava arrabbiato? Oh cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo! Perché l’ho detto?
 
Sei gelosa…
 
<< Io… >> mi misi a boccheggiare in cerca d’aria. Vi prego qualcuno mi seppellisca. O almeno datemi una vanga così mi scavo la buca da sola << Un bel visino ma anche stupidino >> ci riscosse Victoria << Ho pure fatto la rima >> e scoppiò in una fragorosa risata. Okay è ancora sotto l’effetto di qualche farmaco.
 
Cogliona perché ridi allora?
 
La mia non era una risata vera e propria, più che altro era un suono stridulo uscito fuori dall’ansia che sentivo. La mia boccaccia del piffero anche questa volta aveva deciso di tradirmi.
 
Simula! Fingi! Fa qualcosa ma scappa!
 
Mi stampai un sorriso sulle labbra, anche perché non potevamo continuare a stare lì. Renoir avrebbe voluto vederci appena si sarebbe svegliata << Victoria, è stato un piacere conoscerti. Ti auguro ogni bene a te e a James >> dissi sinceramente, baciando la testolina di quest’ultimo. Lei sorrise commossa << Mi puoi lasciare il tuo numero? >> domandò.                                                                                                                                                  Mi abbracciò << Non permettere mai a nessuno di screditare il tuo essere madre solo per l’età >> mormorai al suo orecchio.
 
Dopodiché non aspettai neanche che Edward la salutasse. Partii verso pediatria incurante che lui mi fosse alle calcagna o meno. Dovevo ancora riprendermi da quelle parole. E fuori da quella stanza ricordai che mia figlia mi aveva fatto capire che sapeva! Oh santo cielo! Di sicuro, in confronto a quest’ultima informazione ricordata, la situazione con Edward non sembrava tanto tragica.
 
Come aveva fatto a saperlo.
 
<< M’irrita a morte che trovi sempre un modo per scappare >> di nuovo lui. Di nuovo alle mie spalle << E a me irrita a morte che cerchi sempre di stanarmi >> replicai combattiva. Alzai le braccia al cielo esasperata, accelerando il passo << Credi sia semplice stanarti? >> sappi che io non cedo! Sono nata testarda e morirò testarda! << Allora mi congratulo con me stessa! >> lo presi in giro, giusto un po’, menefreghista << Non dovresti esserne così orgogliosa? >> mi rimbeccò. Il solito guastafeste << Non m’importa quel che dici. Prima neanche ti ascoltavo effettivamente, quindi che ne dici di lasciarmi in pace per i prossimi quindici minuti Edward? >> mi voltai in sua direzione e lui si bloccò a meno di mezzo metro da me. La stanchezza cominciava a farsi sentire, gli occhi erano più pesanti e le ginocchia erano deboli.                                                                                        

Smetti di guardarmi con quella faccia di schiaffi!
 
Edward, smettila! La ecciti da morire e se non te ne fossi reso conto è indispettita per questo.
 
Dannata coscienza!
 
<< Se m’importasse qualcosa di farmi stanare da te o meno, non riusciresti neanche a trovarmi >> affermai sicura.
 
Ma solo in apparenza.
 
Poi un capogiro mi travolse, traballai, e se non fosse stato per Edward, sarei caduta rovinosamente a culo in aria. Dovetti chiudere gli occhi e inspirai per riprendere coscienza del mio corpo << Isabella, stai bene? >> domandò vicino al mio viso. Continuai a traballare << Devo prendere qualcosa di zuccherato e passerà >> borbottai, costringendomi a non schiudere gli occhi. Ho paura che tu possa essere a pochi centimetri da me << No, non è vero! Sei stanca. Non hai dormito! >> sbottò << Dio! Perché sei sempre convinto di sapere tutto! >> strinsi la mascella incazzata. Se aveva intenzione di comandarmi come fossi una sua dipendente, si sbagliava di grosso. Ti prego, se qualcuno sopra di noi c’è, dammi la forza di rimanere ragionevole.
 
Lo sentii ridacchiare.
 
Adesso lo uccido!
 
Dischiusi gli occhi e li ridussi in fessure << Potresti evitare di contraddirmi qualsiasi cosa io dica ed essere così testarda >> nonostante opponessi resistenza, mi portò in direzione delle sedute che c’erano solitamente nel corridoio di un ospedale << Con tutto il rispetto ma non m’importa di compiacerti >> riproposi. Sorrise malizioso e si accomodò in una delle sedute << Che stai facendo? >> chiesi cupa. Sapevo che il mio umore era dettato da una serie di fattori tra cui il non aver dormito ma che potevo farci. Io vivevo in simbiosi con il mio letto, mia figlia non era con me e suo padre cercava di farmi incazzare a morte.
 
Gettai un urlo quando mi tirò a sé, facendomi sedere sulle sue gambe. Mi strozzai con la mia stessa saliva.
 
Ora non sei così incazzata!
 
<< Che diavolo… >> improvvisamente non ero più stanca. Oh santo Dio! Ti prego, privami dell’olfatto, della vista e dell’udito. Ti supplico! << Isabella, sei stanca. Queste sedie fanno schifo ed io dando una mano >> spiegò. Davvero pensi che ti creda? Che cosa vuoi veramente? << In realtà mi stai dando le gambe >> e sono molto comode. Ridemmo entrambi.
 
Che ne dici di abbassare l’ascia di guerra?
 
Come se non fosse facile…
 
Lo guardai per un attimo che mi parve interminabile. Vicini ma maledettamente lontani e soprattutto diversi. Diversi come il colore dei nostri occhi. Diversi come i nostri caratteri. Diversi come i nostri modi di affrontare la vita. Dio! Mi sembra di essere entrata in uno stupido romanzetto rosa! Argh!
 
<< Isabella, non mordo, rilassati >> cercò di tranquillizzarmi. Tentai di avvicinarmi ma mi tirai indietro e avvenne per ben tre volte questo tira e molla. Tu mordi! Non mentire, ti mordi! Mi sorrise beffardo << Cos’è che ti spaventa? >> chiese, sicurissimo che avessi paura di qualcosa << Non. Ho. Paura. >> anche se il mio tono era duro, poggiai il capo sul suo torace. L’orecchio sulla sua trachea. Il suo buon odore m’inebriò. Era troppo buono. Forse lo sniffai apertamente perché ghignò. Lo ignorai, aveva un buon profumo, avrei mentito se avessi detto l’opposto.                                                                                                                

Mi stupì quando afferrò il mio viso tra le mani. Occhi negli occhi. Poi lentamente con la punta del naso, disegnò il profilo del mio viso. A partire della tempia, allo zigomo, alla mandibola, il contorno delle labbra - in cui fremetti e le dischiusi- il mento e infine la giugulare, finché non fece la strada all’inverso e accostò la bocca al mio orecchio << Anche tu hai un buon odore Isabella >> da piccolo non ti hanno mai detto che bisogna mai stuzzicare il cane che dormono? Non devi stuzzicare i miei ormoni.
 
Probabilmente avevo sul volto un’espressione da pesce lesso << Isabella, respira >> oh Gesù! Avevo trattenuto il respiro da quando aveva iniziato quella lunga tortura. Mi sentivo le guancie in fiamme.
 
Sei eccitata da morire!
 
Mi aveva fatto eccitare! Non dissi nulla e tornai a poggiare il capo dov’era in origine << Renoir >> soffiai << Sono in contatto con Alice. Ci avviserà appena sapranno qualcosa. Non ho voglia di rimanere lì, con loro >> potremmo darci la mano << Smetti di pensare che siamo delle persone orribili… qua o là non cambierebbe molto la situazione. Almeno qui siamo insieme senza che nessuno possa storcere il naso >> diventai rigida << Non vuoi che la tua famiglia ci veda… >> notai << No! In un’altra situazione avrei fatto finta di nulla ma non sono in vena di sentire le urla >> chiarii, cominciando ad accarezzarmi le braccia e la schiena. Ero al caldo. Era bello, familiare, intimo. Ancora, ancora e ancora << Grazie >> mormorai, beandomi di quelle carezze << Di nulla Isabella >> mugugnò, facendomi rabbrividire.
 
Era addormentata a causa dell’anestesia. Tutto era andato bene ed eravamo felici. Le accarezzai i capelli, estasiata. Con me c’era solo Edward. Poi, lentamente, le sue palpebre tremarono. Si stava svegliando. Vidi i suoi occhi azzurri colmi di sonno. Sorrisi << Ciao… >> ansimai << Ciao scricciolo >> disse il padre. Sogghignò priva di forze ma sembrava luminosa << Sei la mia vera mamma, non è così? >>
 
Come vi sembra il capitolo? Io credo sia bello corposo. Renoir ha già capito tutto e bè… se vi è piaciuto e volete recensire fatelo. Mi piacerebbe sapere ciò che pensate. un bacione acalicad.

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Capitolo 8
*** Cambiamenti ***





Lei si era appena addormentata dopo avermi scagliato la bomba. Si era addormentata, senza darmi modo di rispondere, colpa di quella dannata anestesia. E mi aveva lasciato così, con la mano sospesa in aria, la bocca spalancata e il cuore in tanti piccoli frammenti che cercavano di non rompersi ulteriormente cadendo per terra.
 
E da perfetta codarda cosa avevo fatto? Ero andata via, o meglio ero scappata dalla sua stanza per andarmi a rifugiare in chissà quale posto. Codarda fino all’ultimo. Tuttavia il mio piano sfumò accorgendomi che lui mi era alle spalle. Sai cosa vuol dire che voglio rimanere sola? Lasciami in pace!  << Isabella >>.  Un minuto prima mi trattava come un’adulta e quello dopo come fossi una bambina << Quando usi questo tono m’infastidisci >> ammisi apatica << Che tono vuoi che usi? >> non quello che usi con Renoir. Non sono una bambina, Edward. Lo so io, lo sai tu!                                                                                                                                              
 
Sbuffai esasperata, tentando di trattenere le lacrime ma ormai sentivo gli occhi lucidi << Come ha fatto a saperlo? Dovevamo essere noi a dirglielo, dovevo spiegarle tutto e invece… >> deglutii a vuoto mentre lui si avvicinava a me. Stammi lontano, dannazione! << Mi odierà Edward, lei… ha sei anni… può capire fino a un certo punto. Se ha capito che sono sua madre, non passerà molto che mi domandi il perché ed io cosa le risponderò? Come farà a capire? >> esalai stanca per poi abbassare gli occhi. Non capisci << Ti ha chiamato mamma, nonostante sapesse e non perché si è abituata a te? Davvero credi ti odierà? >> a differenza mia, lui sembrava calmo e quieto. D’altra parte non aveva tutti i torti eppure i bambini non erano mai coerenti. Appena avesse sentito la mia spiegazione, avrebbe potuto cambiare idea. Tu non rischi di perdere il suo affetto e la sua stima.
 
Lo vidi avvicinarsi ulteriormente, ci dividevano pochi centimetri e mi specchiai nei suoi occhi. Come fai ad avere tutta questa sicurezza? Perché non trovi un modo per un infondermene un po’? Mi portai i palmi delle mani sugli occhi. Non volevo affrontare la realtà. Sospirò pesantemente << Isabella >> pff… si lo so, sono infantile. Non c’è bisogno che me lo ricordi! << Mi stai dando fastidio di nuovo >> bofonchiai.
 
Hai addirittura il broncio.
 
<< Isabella! >> ripeté scostandomi le mani dal viso. Mi scappò una risata cupa. Ecco! Mi stai facendo sentire una bambina << Perché stai ridendo? >> domandò, anche lui divertito << Niente >> sono solo impazzita, lascia stare << Sei agitata? >> ti prego, non cercare di psicanalizzarmi.
 
Scostai le sue mani dalle mie e tornai seria << Dovremmo metterci d’accordo su quello che dobbiamo dirle. Dovremmo essere coerenti per non confonderla ulteriormente >> dichiarai seria. Sono diventata Bella l’adulta.
 
Rimase confuso dal mio cambio d’umore, ma non disse nulla << Che cosa vorresti dirle? >> chiese. Mi mangiucchiai le labbra screpolate e mi mossi agitata. E’ solo una bambina << Non sono sicura che sia il caso che conosca di che cosa sono state capaci determinate persone. Che idea potrà farsi del mondo se scopre che i suoi nonni biologici ci hanno allontanato? E’ una bambina, ha sei anni e vorrei proteggerla. Quando crescerà, potremmo dirle tutto >> spiegai. Adesso perché i tuoi occhi sono luminosi? Che ho detto? << Hai ragione >> costatò e ne fui felice.
 
Mi spostai per potermi sedere << Quindi cosa le diremo? >> mi spronò. Non lo sapevo neanche io << Che lo amavo… ma che ero una bambina, che avevo paura e volevo un futuro migliore per lei >> affermai insicura. Furono le prime parole che mi passarono dalla mente << E se non dovesse capire? >> continuai sempre io.
 
Si chinò di fronte a me. Dovresti limitarti anche tu con le dimostrazioni, Edward << Capirà anche se ti farà tante domande >> disse sicuro. Vidi la sua mano che poggiava sul mio ginocchio, senza pensarci un attimo la afferrai e intrecciai le dita alle mie. Scusami ma per qualche motivo ho bisogno della tua sicurezza.
 
O molto semplicemente hai bisogno di lui.
 
Sulle sue labbra si disegnò un bellissimo sorriso. Voleva incoraggiarmi. Sei così fiducioso. E mi guardi in modo sempre più strano. Pensi che sia una bambina? O altro? Perché non mi dici direttamente cosa pensi? Così evito di farmi venire il mal di testa?
 
Sorrisi, contagiata da lui. Perché sto sorridendo? Sto ammattendo! << Dovresti smettere di morderti le labbra, >> da dolce a sig. bollore il passo è breve. Oh Santo Dio! Sentii le guancie ardere << Altrimenti dovrò pensare a come impiegarle in altro modo >> soffiò scherzoso. Mi mozzò il respiro e la mia salivazione andò a farsi friggere. No, no, no! Non è un doppio senso. E’ solo la mia immaginazione!
 
Un corno la tua immaginazione!
 
Stavamo parlando di Renoir! Non poteva passare da un discorso a un altro con tanta facilità. Che diavolo pensava di fare?
 
Risucchiai le labbra tra di loro nel tentativo di uccidere una risata. Quand’ero nervosa mi veniva da ridere e alla fine non riuscii a trattenermi. Tuttavia a differenza di tutte le altre risate nervose fatte nella mia vita, questa mi sembrò accondiscendente. Oh cazzo! Gli sto dando corda! Stupida Bella. Stupida Bella!
 
 Probabilmente mi stava stuzzicando per distrarmi e gli fui grata. Così decisi di essere avventata. Stiamo solo scherzando, non è niente di serio.
 
L’ultima volta che l’hai detto sei rimasta incinta.
 
Ridussi gli occhi a due fessure, avvicinai il volto al suo finché i nostri nasi non si sfiorarono. Il suo respiro moriva nelle mie labbra. Il mio respiro nelle sue. Sgranò gli occhi a causa della mia intraprendenza. Finalmente, ero stata io a prenderlo in contropiede! D’altra parte il mio istinto aveva dimenticato quando fosse difficile per me dover resistere alla bocca più bella che avessi mai visto. Il fatto che fossi sessualmente congelata, non significava che non provassi determinate sensazioni. Non ne hai mai sentito l’esigenza. Le parole di Edward, quando avemmo quella discussione sul sesso, mi ritornarono alla mente. No, non ne ho mai avuto l’esigenza, almeno finché non ho incontrato te. E questa cosa mi faceva paura. Il sesso e Edward mi facevano paura distintamente l’uno dall’altro, se poi li mettevo insieme… ero in un grosso grasso casino!
 
Riuscii a imporre a me stessa di deviare direzione e chissà per quale miracolo divino ce la feci. Addossai le labbra al suo orecchio, ne sfiorai il lobo forse intenzionalmente o forse no. Lo sentii fremere. Almeno non sono l’unica pazza in questo strano rapporto. Avvertii il suo respiro affannato e la sua mano stringere la mia ancor di più << Non sono una bambina, Edward. Ho ventuno anni e pensi che rispetto a tuoi trenta sia una bambina. Ma secondo la tua logica io dovrei pensare che tu sei un vecchietto. In tal caso dovresti disgustarmi ma il punto è che non mi disgusti, per me sei tutto tranne che un vecchietto. Quindi smetti di comportarti come se io non potessi avere reazioni come qualsiasi donna. Non sono una bambina >> frusciai, sentendo le gambe molli. Per fortuna ero seduta, diversamente sarei caduta come una pera cotta. Però non mi sentii in imbarazzo. Forse ero stata troppo avventata. Avevo usato la malizia, cosa che lui faceva sempre, per dirgli la verità. Doveva smetterla di… tirare la corda. Era pericoloso, soprattutto per me. Lo avrei visto per il resto della mia vita e non era un bene che avessi qualche stupida infatuazione.  Anche se a me piace da morire. Anche se c’era un altro pensiero che mi tormentava. Baciami, ti prego, perché io non avrò mai il coraggio di farlo. Volevo che ponesse fine alle sue provocazioni ma allo stesso tempo che mi baciasse. Potevo essere più contraddittoria? No, ritratto, non baciarmi! Quanto potevo essere importante io e le mie esigenze, se c’era Renoir?
 
Tornai a guardarlo. I suoi occhi sembravano ardere. Dì qualcosa, qualsiasi cosa, ma parla per favore. Poi spostò lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. Perché non mi liberi la mano? Perché quando mi tocchi, sembra quasi che io sia l’unica? Quanto vorrei poter leggerti nel pensiero.
 
Oh mio Dio ma che…
 
In fin dei conti vuoi essere baciata, no? Lui ti sta accontentando!
 
Era vicino, troppo vicino, sentivo le guancie ardere e il cuore scalpitare. No, scherzavo prima, non baciarmi! Credo di aver dimenticato come si bacia!
 
Cretina è come andare in bicicletta!
 
Il punto era che ero negata ad andare in bici.
 
Boccheggiai nel tentativo di trovare una via di fuga. Cos’altro sono se non una cogliona con un solo neurone? Ho tirato il sasso e nascosto la mano!
 
Non rovinare tutto! Non farlo! Sarebbe sbagliato e stupido oltre che infantile. Allontanati! 
 
<< Bella >> mi scostai bruscamente. Mi girava la testa ero giusto un po’ stordita. Stavo per avere un calo di pressione. Ti rendi conto che mi fai quasi svenire?
 
Tanya ci guardava spiazzata, imbarazzata e seria allo stesso tempo, credeva di aver interrotto qualcosa.
 
Cosa che effettivamente ha fatto!
 
No! Non ha interrotto niente!
 
Mi schiarii la voce e mi alzai in piedi. La mano, Edward, mi serve! Lasciamela. Ti prego lasciami andare. Finalmente comprese il messaggio che gli mandai poco velatamente con gli occhi e mi liberò la mano.
 
Ero stata io a chiamarla per dirle di portarmi un cambio e un paio di cose che avrebbero potuto servirmi con Renoir. La mia amica mi guardava con un accenno di malizia negli occhi. Stronza << Ciao Edward >> lo salutò educatamente. Lui ricambiò con un leggero sorriso << Come sta la piccola? >> domandò << Ehm… bene, un po’ stordita ma bene >> risposi rincuorata. Presi il borsone che mi passò << Grazie >> sussurrai. Sorrise intenerita e mi abbracciò di slancio. Apprezzai il suo gesto << Ti voglio bene >> mugugnai con la faccia schiacciata contro la sua spalla. Era un po’ troppo alta per me. Mi accarezzò i capelli << Fammi sapere, okay? E se hai bisogno di me, non farti problemi ad avvisarmi, anche se vedo che sei in buona compagnia >> per fortuna lo disse bisbigliando. Tuttavia quando pronunciò “buona compagnia” mi parve di scorgere uno strato di preoccupazione. Decisi di far finta di nulla << Stronza! >> farfugliai divertita, sciogliendo l’abbraccio. Le diedi un bacio sulla guancia e lei bonariamente mi sculacciò il sedere. Ridacchiai e dopo esserci salutate per l’ennesima volta, andò via.
 
Durante la telefonata le avevo detto che mi sarei licenziata. Che avevo bisogno del tempo per stare con Renoir, che non potevo perderne dell’altro. Per fortuna non si era arrabbiata. Mi aveva capito! Era questo che facevano gli amici, no? Capivano e accettavano le nostre scelte. Ci appoggiavano in tutto e per tutto. Tanya era una sorella per me. Sapevamo che ci saremmo sempre state l’una per l’altra. Le volevo molto più che bene.
 
Scoppiai a ridere quando vidi che tipo di cambio che mi aveva portato: un maxi dress dalle fantasie orientaleggianti. Sei sempre la solita. Indossai i sandali e mi sciacquai il viso con dell’acqua fresca.
 
Non avevo mai amato particolarmente gli ospedali. In fin dei conti chi li amava se non il personale specializzato. C’era troppa puzza di disinfettante e poi c’erano colori così smorti. Anche se il reparto pediatria era molto colorato. Alcune pareti erano azzurre, altre verdi e vi erano dipinti animali come rane o api, oppure qualche fiore. Almeno era accogliente, anche se non era mai piacevole dover andare in un ospedale. 
 
Mi guardai allo specchio. C’era una luce nel mio sguardo, la felicità dei mesi precedenti si era accentuata. Mi sentivo bene dentro e fuori. I miei occhi azzurri erano davvero azzurri. Quando non sei con loro due, i tuoi occhi sono grigi. Questo mi aveva detto un giorno Tanya. Pensa che io avevo pensato che i tuoi occhi fossero grigi. Aveva continuato, facendomi ridere. Era sempre stato così anche da bambina, quando c’era qualcosa che mi rattristava anche i miei occhi, si spegnevano. Anche Renee qualche volta mi aveva detto che i miei occhi erano grigi se ero triste. Tuttavia erano state le parole di Tanya a stupirmi: non aveva detto che quando non ero con Renoir, i miei occhi diventavano grigi. Aveva detto “loro due” ciò includeva anche Edward. Probabilmente avrà sbagliato a parlare.
 
Attaccai i capelli in una treccia francese, lasciando qualche ciocca ricadere sul viso. Con il caldo newyorkese era difficile lasciare i capelli sciolti, specie se erano lunghi come i miei.
 
Dopodiché decisi di andare da Renoir. Dovetti sorbirmi le occhiatacce della signora Masen Cullen e di figlia al seguito ma le ignorai. Avevo altro cui pensare che a delle prime donne con la paura di essere spodestate da chissà quale trono. Probabilmente pensavano che la mia presenza escludeva la loro ma non era affatto così. Non mi sarei mai permessa di allontanarle e poi con quale diritto? Nonostante il comportamento che avevano avuto con me, con Renoir si comportavano alla perfezione. Tuttavia, non potevo fingere che al mio polso stessero bene i loro modi. Mi faceva male, ormai era violaceo. La signora Cullen mi aveva lasciato il segno delle sue dita. Delicata come un cactus nel deretano.
 
Ricambiai il leggero sorriso di Alice e notai che il marito non sembrava ostile come il solito.
 
Edward doveva essere con Renoir.
 
Presi un respiro ed entrai nella stanza. Trattenni il respiro quando vidi che era sveglia. Edward era al suo fianco e la teneva stretta a se. Non sapevo che fare. Tuttavia lei stupendomi si aprì in un sorriso raggiante << Mammina! Sei bellissima >> sentii il cuore gonfiarsi e contemporaneamente riscaldarsi. Mammina. Sorrisi probabilmente come un’ebete. Cauta mi avvicinai a lei e sempre delicatamente l’abbracciai << Ciao >> ansimai al suo orecchio emozionata. Mi sedetti al suo fianco. Quando avremmo parlato? Che domande mi avrebbe posto? Forse non si ricordava di avermi chiesto se ero la sua mamma o meno. Forse era stato l’effetto dell’anestesia.
 
Smettila con i forse. Quando si sentirà pronta, ne parlerà.
 
<< Come stai? >> domandai accarezzandole il viso. Fece spallucce << Ho sonno, forse… >> squittì per poi arricciare il naso << Mamma? >> mi richiamò timida << Dimmi amore >> la incitai. Arrossì e la sua mano strinse la mia << Sei la mia vera mamma? >> non si poteva dire che perdesse tempo. Il cuore cominciò a pompare. Stavo annaspando. Sii decisa! Ricambiai la stretta alla sua mano e guardai Edward. Brancolavo nel buio. Sii forte! Lui annuì, segno che dovevo dire la verità. E’ facile! Era arrivato il momento che aspettavo. Dovevo esserne felice. Potevo dirle la verità senza paure.
 
Inspirai dal naso ed espirai dalla bocca << Sì, >> e mi liberai da un peso che mi opprimeva il petto. Così come le lacrime si liberavano e scorsero sul mio viso << sono la tua mamma >> continuai orgogliosa di aver contribuito alla sua esistenza. Annuì a se stessa come se stesse soppesando le mie parole. Avevo paura di ciò che potesse dire o pensare << Quindi… quindi ero la bambina che ti ha portato la cicogna? >> ruppe il silenzio dopo chissà quanti minuti. Asserii col capo sempre in allerta << Sei la mia mamma >> costatò come se, se ne fosse resa conto solo in quel momento << Si amore >> chiosai. I suoi occhi si accesero << Sei la mia mamma >> ripeté trasognata << Si! >> esclamai decisa. Sorrise e mi riempì il cuore.
 
<< Sai tesoro… >> s’introdusse Edward. Dal mobiletto vicino al letto, prese il ciondolo che avevo fatto per lei << Questo l’ha fatto Isabella per te quando sei nata. E’ stata lei a scegliere il tuo nome ed Elle è appartenuta a lei>> ci guardò sbalordita e aggrottò la fronte << Come… come hai fatto? >> domandò inclinando la testa di lato << Quando sei nata, ho fatto scrivere il tuo nome qui. Volevo essere sempre vicino a te e quando Edward, ti ha preso con sé, ha capito che è un nome perfetto per te >> spiegai << E Elle è stata la mia migliore amica, volevo che fosse anche la tua >> aggiunsi. In un gesto disperato, presi le nove foto che la ritraevano dentro di me e gliele posi sulle sue gambe. Non riuscivo a smettere di piangere << Amore mio… >> presi un respiro profondo << Sei stata qui… >> indicai il mio grembo << Ma… sei stata, sei e sempre sarai nel mio cuore. Ti ho amato sempre. Sei il mio orgoglio più grande >> la mia voce tremava. Volevo con ogni fibra del mio corpo che non avesse dubbi sul mio amore per lei. Mi abbracciò priva di forze, a causa delle sue condizioni ma mi trasmise tutto ciò che provava. Era felice, lo sentivo << Lo sapevo, lo sapevo >> dichiarò flebile << Ti voglio tanto bene mamma >> continuò. Ritornai a respirare << Anch’io, tanto >> sussurrai. Le asciugai le lacrime e sorridemmo all’unisono.
 
<< Scricciolo, come hai fatto a capire che Isabella è la tua mamma? >> chiese curioso. Anch’io ero interessata a sapere. Ci guardò come se fossimo due stupidi, inarcando un sopracciglio << Papi, mami ho sei anni ma non sono cretina! >> esclamò. Ridemmo un po’ rigidi << Io e la mamma, siamo uguali. Abbiamo gli stessi occhi; siamo entrambe allergiche alle arachidi; odiamo le verdure; nel ciondolo c’è scritto “più della mia stessa vita” e tu me lo ripeti sempre; poi ci sono state le foto: se la mamma aveva quindici anni, vuol dire che sono passati sei anni ed io ho sei anni! >> disse come fosse un’arringa. L’ho sottovalutata. Assurdo! << Dovrò discutere con lo zio Emmett per fatto diventare una piccola investigatrice >> affermò lui e noi ridemmo.
 
<< Ora posso fare io una domanda? Se tu sei la mia mamma e tu il mio papà… vuol dire che state insieme, giusto? >> domandò di punto in bianco. Mi sarei aspettata che mi domandasse il perché avessi deciso di darla in affidamento, data la sua intelligenza nel capire da sé chi fossi ma non che ci chiedesse se fossimo una coppia o meno. Tuttavia non potevo darle torto. Tutti i genitori dei suoi amici stavano insieme, nella sua ottica da bambina di sei anni credeva che se eravamo i suoi genitori dovessimo essere fidanzati. Non ci diede tempo di formulare una risposta coerente che riprese a parlare: << Papi, tu mi avevi detto che quando avrei avuto la mia mamma avremmo vissuto tutte e tre insieme. Se la mamma è la mia mamma, significa che verrà a vivere a casa nostra, no? >> oh porca… che dovevo dire? Come si poteva spiegare una cosa del genere? Che era una bambina speciale?
 
Ci aveva lasciati a bocca ma lui si riprese velocemente << Amore, Isabella ed io non stiamo insieme. Siamo i tuoi genitori ma non stiamo insieme, però questo non vuol dire che non ti amiamo. Sei la nostra vita Renoir >> stava affrontando una domanda alla volta, avevo paura di ascoltare cosa avrebbe detto in seguito << Voi… voi non vi amate? >> continuò. Osservai Edward e lo trovai a guardarmi. No, non potremmo mai amarci. E’ impossibile amore mio << Amiamo te >> glissai l’argomento << Ma perché non state insieme? >> rimarcò cocciuta << Tesoro io e il tuo papà siamo diversi e… >> non riuscii a continuare << Ma tu mi hai detto che nove anni di differenza non sono tanti >> obbiettò decisa. Grazie per averlo detto di fronte a lui. Ero sicura che mi stesse fissando, lo sentivo! << Tesoro non sono tanti se c’è l’amore… >> se io non fossi così infantile e lui così odioso << Ma se amate me vuol dire che voi vi amate >> senza rendersene conto aveva espresso una proprietà matematica. Se A ama B e B ama C, vuol dire che A e C si amano. Presto o tardi sarei ammattita con la sua perspicacia tagliente << L’amore non si comanda… >> almeno credo, non sono mai stata innamorata << Ma… >> tentò di ribattere ma Edward la interruppe: << Non preoccuparti tesoro, Isabella verrà a vivere con noi >> gli fui grata finché il mio cervello non registrò le sue parole. Isabella verrà a vivere con noi. E alla sorpresa subentrò un altro sentimento: la rabbia. Lui non mi aveva interpellato.
 
Tacqui mentre sentivo i gridolini di gioia di Renoir. E lo fissai talmente male che lui se ne accorse.
 
Poi il lieve bussare alla porta ci destò e il viso di Alice spuntò << Ciao piccolina >> trillò. In qualche modo ricevetti un messaggio, cioè che i suoi familiari volevano vederla ovviamente senza di me. Mi stampai un sorriso falso sulle labbra baciandola però con amore << Ritornerò tra qualche minuto. Vado a comprare una bottiglietta d’acqua >> l’avvisai. Mise il broncio << No! >> borbottò stringendosi a me. Ridacchiai. La sua esclamazione mi aveva tirato su il morale << Farfallina… tornerò prima che tu posso dire supercalifragilistichespiralidoso >> promisi << Eh? >> domandò. Risi ancor di più << Presto ti faro conoscere Mrs. Poppins >> sfregai il naso contro il suo. Il bacio all’eschimese. Sghignazzò << Okay ma ritorna subito, non lo so dire super… >> le baciai il naso << Ti voglio bene farfallina >> gracchiai euforica << Anch’io mammina >> e fremetti elettrizzata.
 
Appena lasciai la sua camera, e Edward mi seguì, la mia rabbia emerse. Fummo soli in corridoio e Dio che rabbia! Sbuffai esasperata da lui, da me, da noi. Da tutto << Isabella >> mi richiamò << Non azzardarti a dire nulla >> sussurrai trattenendomi. Non potevo certo urlare anche se una parte di me avrebbe voluto << Isabella >> digrignai i denti e mi voltai verso di lui << Smettila! >> esclamai sempre sottovoce << Tu sei così… così… >> strinsi i pugni frustrata << Possiamo parlarne da un’altra parte? >> non era una domanda ma un ordine e mi diede fastidio. Mio Dio ti prego, dammi la forza di non diventare una bestia << Dove vorresti parlarne? >> chiesi ironica. Lentamente mi raggiunse, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Mi mise una mano alla base della schiena e mi accompagnò in una stanza vuota, stando in silenzio. Doveva essere inutilizzata da qualche tempo, lo sentivo dall’aria viziata. C’erano due letti e poca luce a causa delle tende chiuse.
 
Il fatto che nessuno potesse sentirci mi sollevò solo in parte perché l’altra parte di me era  indispettita dal suo comportamento << Tu… >> gli puntai un dito contro. Mi sentivo così… così… ero talmente incazzata che non riuscivo a trovare un termine adatto << Io cosa? >> e il suo comportamento noncurante mi faceva ribollire ancor di più << Tu… tu… dici che sono la madre di Renoir, che è giusto che mi comporti da madre e poi non m’interpelli mai! Come ti sei permesso di dirle che sarei venuta a vivere da voi? Con quale diritto mi hai messo di fronte al fatto compiuto. Cavoli! Non sai neanche cosa vuol dire dialogare. Ordini e basta e questo mi fa arrabbiare. Ed io che credevo che… >> che la tua stronzaggine non prevalesse sulla tua dolcezza, che mi ero sbagliata << Che io cosa Isabella? >> il suo tono divenne duro. Edward lo stronzo era ritornato. E sembrava quasi volesse beffeggiarmi per la mia ingenuità, per aver creduto chissà cosa, per essermi illusa.
 
Mentre tu cercavi di tenerlo lontano, lui ti considerava una ragazzina.
 
Mi acquietai. Mi sentii ferita. Le forze mi abbandonarono, non volevo reagire << Avresti dovuto interpellarmi. Io pretendo di essere interpellata per le decisioni che riguardano me e la mia privacy! Per non parlare del fatto che con il vederci nella stessa casa potrebbe illudersi. Hai ragione, deve averci entrambi affianco ma non voglio assolutamente che si faccia strane idee su noi due! >> fui lapidaria. Fredda e distaccata. Adesso è più che ufficiale: è impossibile che possa avere una cotta per te.
 
<< Non è stato intenzionale >> sbagli e non chiedi scusa. Ancora! << Renoir ti vuole nella sua vita! E se è della privacy che ti preoccupi, potrai vivere nella dependance. E’ a tutti gli effetti un monolocale. Dista da casa cinque metri o forse meno, così risolveremo sul fronte delle strane idee >> ma ti senti quando parli? Come se fosse questo il problema. Avrei dovuto lasciare casa mia ma non era questo il punto, per Renoir avrei fatto tutto. Non mi aveva consultato e questo bastava per farmi male. Mi sedetti sul letto poco interessata che  il materasso emanasse un forte odore di chiuso e mi guardai i piedi avvolti dai sandali infradito con dei piccoli ciondoli che tintinnavano fra di loro. << Che cosa hai intenzione di fare? >> chiese formale anche lui. Se vuoi, posso ritornare a chiamarti Sig. Cullen, non è un problema per me.
 
<< Ho una condizione se non ti dispiace >> esclamai decisa. Un suo sopracciglio svettò in alto, era scettico. A quanto sembrava non nessuno gli aveva mai posto delle condizioni << E sarebbe? >> chiese quasi divertito. Non ci trovavo nulla da ridere << Ti pagherò l’affitto! >> imposi. Strabuzzò gli occhi << Come prego? >> proruppe con una risata. La sensazione di essere presa in giro non era per nulla piacevole << Hai capito bene ! >> perché devi prendere tutto quello che dico come fosse una sciocchezza! Prendimi sul serio! << E che dovrei farci con i tuoi soldi? >> disse con una punta di arroganza nella voce. Sentii repulsione per il suo atteggiamento. Ma solo per un istante perché ricordai che quando anch’io avevo una famiglia alle spalle, piena di soldi mi comportavo come lui << Non sono la tua commercialista >> gracchiai infastidita << Isabella con tutto il rispetto ma non ho bisogno di soldi >> rispose. Ridussi gli occhi a due fessure << Non m’importa di cosa farai con i soldi dell’affitto che ti pagherò… >> l’occhiataccia che mi riservò mi fece desistere dal continuare << Fatto sta che io ti pagherò un affitto mensile. Che tu lo voglia o no, non ho intenzione di vivere a sbafo a casa tua. Hai capito? >> che tipo di persone aveva incontrato nella sua vita? Sicuramente dei leccaculo patentati. Che nervoso! << Cosa ti fa credere che accetterò? >> mi sfidò.Ho tanta voglia di sangue Edward Cullen, non sfidare la mia pazienza << Cederai per lo stesso motivo per cui mi trasferirò nella tua dependance >> mormorai molto più gentile. Non c’era bisogno che dicessi che quella ragione fosse nostra figlia. Sbuffò apertamente << Per qualche motivo so che imporrai tu il prezzo dell’affitto >> affermò sarcastico << Prima dovrò vedere il posto e voglio un contratto. In caso di sfratto dovrò avere un mese di tempo per cercare un nuovo appartamento >> imposi.
 
Stronza al massimo!
 
Essendo stata figlia di un uomo d’affari, una certa indole l’avevo ereditata anch’io. Ero cresciuta a pane e contratti. Almeno qualcosa di utile era stato capace di insegnarmela. Tieni accanto gli amici e i nemici ancora più vicino. Non che Edward fosse un nemico, nonostante il momento, tutt’altro ma prevenire era meglio che curare << Un contratto e per quale motivo dovrei sfrattarti? >> chiese allibito, molto probabilmente offeso e non aveva tutti i torti. Lui mi aveva dato fiducia e io lo ricompensavo con la diffidenza. A mia discolpa potevo dire che nella mia vita la fiducia che avevo riposto in determinate persone era stata spesso tradita << Edward non credo che quando e se avrai una compagna, lei sarà felice di saperti sotto lo stesso tetto con un’altra donna e madre di tua figlia >> sottolineai l’ovvio. Dato lo sbaffo di rossetto, di una tonalità alquanto volgare, non ci metterai molto a trovare una fidanzata. Anche se, sinceramente, a una parte di me avrebbe dato fastidio e non per Edward…
 
Bugiarda! Com’è che hai notato la tonalità volgare di rossetto?
 
Prima di trovare Renoir, avevo pensato che avesse una madre adottiva quindi mi ero preparata all’idea di dover fare i conti con una donna molto più importante per lei. Sapere che non aveva avuto una madre se da una parte mi aveva afflitto dall’altro mi aveva fatto diventare più possessiva nei suoi confronti. Non mi piaceva l’idea che dovesse stare con un’altra donna che non fosse sua nonna o una delle sue zie. Okay forse stavo ammattendo ma era normale, no? Renoir presto o tardi avrebbe avuto una matrigna… gli avrei cambiato i connotati se solo si fosse permessa di dire qualcosa a mia figlia. No, stronzo- Edward non avrà mai al suo fianco una donna che non ami Renoir almeno un quarto di quanto, l’amiamo noi.
 
<< Devo aggiungere risoluta alla lista >> sussurrò divertito, perso nei suoi pensieri << Quale lista? >> chiesi confusa. E poi ero io quella volubile? Ero confusa. << Lascia stare… va bene. Tuttavia non ti sfratterei mai. Non ferirei mai mia figlia per nessuna donna al mondo >> bofonchiò carino. Lui e i suoi cambi d’umore. Il modo in cui parlava di Renoir mi emozionava sempre. Sebbene i suoi modi non mi andavano a genio, sarebbe potuto entrarmi nel cuore solo per il modo in cui guardava nostra figlia.
 
Ancora non ha risposto alla domanda. Quale lista?
 
Non avevamo abbastanza confidenza da costringerlo a parlare. Di solito con Tanya e Jack mi bastava saltargli addosso e fargli il solletico.  Ne soffrivano terribilmente a differenza mia.
 
L’idea di saltargli addosso non è tanto male.
 
Ridacchiai umettandomi le labbra. Ormai era palese che il nostro rapporto fosse odio e am… no, no, no! Quale amore e amore? Non esiste nessun amore. Edward ed io siamo incompatibili e ci stiamo sulle palle reciprocamente.
 
<< Quando hai intenzione di traslocare? >> domandò sorvolando sull’argomento lista. Roteai gli occhi, leggermente irritata << Non so, devo parlare con i proprietari dell’appartamento. Probabilmente dovrò pagare una penale >> spiegai impensierita << Non preoccuparti, ci penserò io >> affermò tranquillò. Decidi o stronzo o affabile! Portai le braccia al petto in un gesto di stizza << Isabella >> provò << Non sono tua figlia! Risolvo da me i miei problemi e non voglio debiti con nessuno >>  tantomeno con te  << Sono adulta e vaccinata però ti ringrazio per la tua offerta >> continuai<< Sei esasperante >> dichiarò << Da che pulpito parte la predica >> gracchiai. Sospirai pesantemente e mi sfregai le mani contro il viso << Le tue manie di controllo sono… pff! >> feci schioccare la lingua sul palato << Io ritorno da Renoir >> terminai incoerente.
 
La coppia di coniugi anziani, proprietari del mio ormai vecchio appartamento non mi fecero pagare nessuna penale per aver recesso il contratto d’affitto. Mi conoscevano da tre anni ed eravamo in buoni rapporti.
 
Edward ed io avevamo deciso di fare una sorpresa a Renoir. Sarebbe uscita il giorno dopo dall’ospedale ed io mi sarei fatta trovare a casa loro. Erano passati solo quattro giorni da quella discussione e ogni notte avevo dormito nel letto con lei. Era stata una sua richiesta. La sera precedente le avevo detto che sarei mancata per qualche e dopo qualche lamentela si era vista costretta a cedere.
 
 Già da subito avevo deciso di chiamare una ditta di traslochi. Avrei portato tutto con me. Avevo un attaccamento quasi morboso per le mie cose. I miei mobili, i miei vestiti, tutto quello che avevo comprato da tre anni a questa parte era ciò che la prima volta mi era appartenuto nella vita. Ciò per cui avevo sudato e guadagnato da me, senza l’aiuto di nessuno.
 
Erano le otto del mattino e oltre ai due uomini addetti al trasloco, c’erano Tanya e Jack. Avevo fatto tutto alla velocità della luce, il salotto era pieno di scatoloni. Vedere la mia casa vuota mi portava a un senso di angoscia.
 
Avevamo rimandato il trasloco di mezz’ora, avevo invitato i due lavoratori a fare colazione comprando qualche croissant.
 
<< Ma sei davvero sicura? >> domandò Tanya. Quando le avevo detto dell’imminente cambio di dimora, si era rattristata. Ovviamente avevo sottolineato che ogni qualvolta che sarebbe voluta venire a trovarmi non doveva farsi problemi. Con Edward avevo chiarito qualche punto: dal momento in cui avremmo firmato il contratto, la dependance sarebbe diventata mia e avrei potuto fare qualsiasi cosa come invitare i miei amici, nei limiti della civile convivenza. Più che altro avrei usato la dependance per dormire e studiare
 
<< Sì, Tanya. Per lei farei qualsiasi cosa e mentirei se dicessi che è un sacrificio. Lei mi vuole al suo fianco ed è ciò che voglio >> affermai decisa. Guardai Jason e Micheal, erano due uomini sulla cinquantina davvero molto simpatici << Volete altro caffè? >> domandai. Non vi fu bisogno che confermassero.
 
Il miei occhi scattarono verso la porta d’ingresso, lasciata aperta per ovvi motivi. C’era Edward, in jeans e t-shirt bianca. Indiscutibilmente bello! << Buongiorno. Entra pure >> lo invitai. I miei amici stavano sbavando nel frattempo. Un giorno con lui e scappereste a gambe levate.
 
<< Stai conquistando lo scapolo d’oro di New York >> mimò Tanya, tuttavia non aveva usato un tono divertito. Sembrava terribilmente preoccupata. Mi chiedevo quando avrebbe smesso di fare le sue ricerche su Edward. Sbuffai. Non ero ancora riuscita a farle capire che non avevo intenzione di conquistare nessuno. Io e Edward avevamo un rapporto del tutto improntato su Renoir.
 
Guardò i due ragazzi con un cipiglio tra le sopracciglia << Isabella posso parlarti? >> domandò gentile. Annuii e gli feci cenno di seguirmi nella stanza da letto ormai scarna << E’ successo qualcosa a Renoir? Le avevo detto che avrei ritardato qualche ora >> sussurrai con un pizzico di apprensione nella voce << Non preoccuparti, sta bene. Volevo semplicemente sapere per quale ragione il trasloco non è iniziato data la presenza di quei due? >> ho mai parlato delle sue manie di controllo?  << Non hai risposto alla domanda? Perché sei venuto? >> ribadii. Si mosse agitato: lo stavo mettendo in difficoltà! << Credevo avessi bisogno d’aiuto >> si mise sulla difensiva << E comunque neanche tu hai risposto alla mia domanda >> ricordò attaccando << Siccome è molto presto ho deciso di offrirgli la colazione >> precisai. Increspò la fronte << Loro sono qui per fare un lavoro che retribuirai e gli offri pure la colazione? >> domandò scettico << Si, perché? >> non vi trovavo nulla di strano. Mi fissò come se fossi anormale. Decisi di ignorarlo e cambiai argomento: << Hai fame? Ci sono delle brioche, alcune c’è la marmellata di mele >> non le avevo comprate perché sapevo che a lui piacevano, le ho comprate principalmente per me. Avevo deciso di mettere da parte il cibo poco sano che solitamente ingurgitavo, come la cioccolata, poiché la dieta di Renoir dopo l’intervento era diventata ricca di liquidi e verdure. Già pensavo a come sarebbe stato difficile farle accettare la nuova dieta per il momento era andata avanti a via di succhi di frutta e riso in bianco, malamente accettato.
 
<< No, ti ringrazio. Se vuoi ti aiuto a portare qualche scatolone >> propose. Sarebbe buona creanza dire di sì tanto in tanto.
 
Avevo accettato l’aiuto di Edward. Avevo detto ai miei amici di vederci a casa Cullen, avevo bisogno di un istante per me. Per salutare come si deve la mia casa. Ero seduta sul parquet, al centro del salotto, dove un tempo c’era il mio sofà color panna. Era come se la mia presenza in quella casa non ci fosse mai stata, nonostante le pareti dipinte da me.
 
Sentii gli occhi carichi d’acqua salata. Ero sola, potevo anche non mostrarmi forte. Potevo fare tante cose ma mi limitavo a piangere. Dimostravo al mondo una sicurezza che non mi apparteneva. Nella casa che stavo abbandonando, avevo immaginato Renoir svegliarsi nella stanza che avrei fatto per lei; di prepararle la colazione; di vederla giocare o leggere. Avevo sperato in tante cose a cui dovevo dire addio.
 
<< Isabella… >> la porta del mio appartamento si aprì e comparve Edward. In fretta mi asciugai il volto << Che ci fai qui? >> domandai senza guardarlo negli occhi. Sapevo che lui aveva capito cosa stessi facendo prima del suo arrivo ma era una questione personale. Non ho pianto abbastanza di fronte a te?
 
Si avvicinò a piccoli passi << Stai bene? >> ed ecco che sei di nuovo dolce. Con la coda dell’occhio notai che si stava sedendo al mio fianco << Non rovinarti i vestiti… >> in quel momento non lo volevo con me. Volevo la mia solitudine << Sono solo dei pantaloni, Isabella >> minimizzò << Dovresti essere già a casa tua >> sibilai mangiucchiandomi le unghia. Per favore, vai via! << Ti ho vista un po’ giù di morale >> costatò in un sussurro, ignorando bellamente le mie parole << Cosa vuoi che ti dica? >> chiesi retorica, forse anche amareggiata << E’ il primo posto in cui mi sono sentita veramente a casa, Edward. Nel ripiano della cucina è dove mi sono quasi mozzata un dito, nella vasca da bagno mi sono lussata una caviglia; in questo stesso punto ho dormito solo con un materasso; la macchia che c’è sul parquet, vicino all’isola, è vernice. Ho ricostruito le mie fondamenta in questa casa e un po’ mi scombussola dovermene andare  ma è per Renoir… >> m’interruppi appena sentii la sua mano poggiarsi sulla mia. Smettiamola di essere ambigui! Avrei potuto colpevolizzare lui. Avrei potuto dire che era lui il più adulto. Tuttavia non era così e poco importava se fossi succube dei miei ormoni impazziti. Potevo giustificare la mia giovane età fino a un certo punto. In qualche modo ci cercavamo. Ed è sbagliato, Edward. Eravamo un appiglio l’uno per l’altro << Grazie >> mi ritrovai a dire. Stupida io e la mia incoerenza! << Non c’è di che >> rispose e mi scappò un sorriso. Lui e nostra figlia, hanno lo strano dono di farmi sorridere sempre << Aldilà dei miei condotti lacrimali, sono felice >> sostenni << Davvero? >> domandò. Annuii decisa << Questo appartamento, nonostante cosa significhi per me, non regge minimamente il confronto con l’idea di preparare la colazione a Renoir. Posso prepararle io la colazione, giusto? >> per qualche motivo mi sentii in imbarazzo << Si >> soffiò << Edward? >> continuai, giocando con le pieghe del jeans << Dimmi >> lo sentii sorridere << Se sono così… esagerata mi dispiace, non c’è bisogno di nessun contratto. Volevo indispettirti perché non mi hai chiesto nulla ma non mi piace… >> confessai piena di vergogna << Non preoccuparti. Li ho avuti anch’io vent’anni. Non sono nato in giacca e cravatta e già trentenne >> ridacchiammo << Cos’è che non ti piace? >> aggiunse interessato. Sbirciai in sua direzione. Il tuo sorriso mi aspetta sempre << Non mi piace litigare con te >> non sapevo a cosa mi avrebbero portato tutte le mie confessioni << Dimmi perché? >> anche se poteva sembrare un ordine non lo fu.
 
Avrei potuto dare tante risposte. Quella più semplice e meno razionale era che non mi piaceva punto e basta. Ma c’era una risposta più giusta, più razionale e più veritiera << Perché sei il padre di nostra figlia >> mi piaceva dire nostra. Mi piaceva che lui dicesse nostra. Mi piaceva che Renoir fossenostra.
 
Ed eccomi qui con un altro capitolo. Ringrazio per il sostegno, per le recensioni ricevute, ringrazio chi mi sta aiutando ad ampliare le mie vedute. Con affetto A.
 
 

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Capitolo 9
*** Chi più ama meno può ***


 
Ciao! Sono ancora viva. Il ritardo è mostruoso e mi dispiace tanto L. Se vi dicessi che ho compiuto gli anni e che poi mi sono influenzata mi perdonereste? Spero proprio di si! Questo capitolo ha qualcosa di nuovo per me. Diciamo che una persona, conosciuta proprio in questo fandom, mi ha dato tantissimi consigli sia per migliorare il mio modo di scrivere che per guardare gli avvenimenti a 360°! Cloe J. Da questo capitolo fin quando mi sopporterà (ahhahah… e spero per molto tempo ancora ) sarò guidata dai suoi suggerimenti. Inutile dirvi quanto ne sono felice J. Quindi grazie a Cloe Je a tutti voi con le vostre fantastiche recensioni! Un bacione.
 
 



 

In amore chi più ama meno può. Roberto Gervaso.             

 
La piccola dependance era una casetta a tutti gli effetti. Una costruzione nel retro della casa principale e come aveva detto Edward, distava solo pochi metri da essa. Era grande poco più di cinquanta metri quadrati. Aveva ampie vetrate, i colori predominanti erano sui toni del beige e trasmetteva quel calore tipico delle piccole abitazioni.                                                                                                                                                 

All’ora di pranzo ogni mia cosa fu nell’appartamento, anche se non sistemata. Era un po’ strano trovarmi scaraventata in un’altra realtà tuttavia non mi sentivo fuori posto. In qualche modo sentivo di appartenervi.                                                                                         

Il comportamento di Tanya con il passare delle ore era diventato sempre più bizzarro. Era palesemente preoccupata ma non ne capivo la ragione. Molte volte l’avevo sorpresa a fissare me e Edward con un cipiglio. Eravamo sempre state un punto di riferimento l’una per l’altra, anche se possedevamo dei caratteri differenti. Lei aveva cercato di spronarmi nel diventare più socievole. Non che mi avesse buttato nelle braccia di sconosciuti, anzi spesso e volentieri mi aveva consigliato di non accettare gli inviti di determinate tipologie di uomini. Anche se io li scartavo a priori. Una sua perla di saggezza? Se un uomo t’invita dopo le undici di sera per un drink, non cerca la tua compagnia intellettuale.                                                                                                                

Sebbene spesso e volentieri proprio lei facesse il contrario di ciò che suggeriva a me. Una volta aveva rivelato che fosse stato l’amore a farla cambiare. Tanya veniva fuori da una relazione opprimente, da un uomo che le aveva vietato di fare qualunque cosa e in qualche modo voleva riprendersi la libertà negata con la sua condotta spumeggiante. Per il momento aspirava a tutto fuorché a una relazione stabile.                                                                                                                                

Voleva semplicemente che vivessi appieno la mia età. Però non l’avevo mai vista in quegli atteggiamenti. Era sempre stata protettiva ma adesso questo suo tratto sembrava molto più marcato. La prova del nove me la diede quando, prima di andar via, mi stritolò nel suo abbraccio << Promettimi che starai attenta >> aveva detto lasciandomi nel totale scompiglio.
 

<< Isabella, stai bene? >> la voce di Edward mi ravvivò dal mio momentaneo stato di blackout. Lo guardai un po’ ottenebrata << Sì, scusami stavo solo pensando >> mi giustificai.                                                                                                                                                   

Solo in quel momento mi resi conto che eravamo di fronte ai due uomini della ditta di traslochi.Giusto! Li devo pagare. In qualche modo ero entrata nel pallone. Riuscii semplicemente a prendere alcune banconote dalla tasca posteriore dei jeans, che lo vidi impugnare il suo portafogli.                                                                                                         

Si sentiva profumo di cambiamenti per aria. Lo dimostrava il fatto che mi fossi trasferita nella casa di mia figlia. E ora avevo imposto una nuova sfida a me stessa. Cercare di essere gentile con Edward, cercare di capire i suoi comportamenti, aldilà del suo gesto di non interpellarmi in tutta questa storia. Ormai era acqua passata quindi avevo deciso di usare un altro registro: accortezza e garbo. Edward era un uomo abituato a badare a tutto. E benché certe volte storcessi il naso, ero entrata a far parte di quel tutto. Non era l’orco cattivo, indisponente sì ma non malvagio. Lo dimostrava la delicatezza con cui aveva trattato la nostra faccenda e tanti altri piccoli gesti. Lui aveva fatto tanto, troppo, ed io non potevo essergli che grata ricambiando la sua cortesia. Smussando il mio caratteraccio. So di avere un caratteraccio, Edward.                                                                         

Le mie nuove riflessioni mi portarono a sorridere e a reprimere la voglia di impormi ad ogni costo << Grazie Edward, >> sì, così non è tanto difficile << ma non credo sia il caso >>.

Allora riesci a essere civile!

Incurvò un sopracciglio. Già… un gran cambiamento. Sorrisi intimidita. Ti prego, non dire nulla!                                                                                                                                                              

Per un istante ponderò se accettare o no, ma alla fine, per fortuna, fece anche lui un passo nella direzione giusta e mi lasciò pagare.

Dopo una doccia veloce decidemmo di andare da Renoir. Era troppo tempo che non la vedevo e sentivo le vie respiratorie occluse.

<< Mamma, papà! >> cercò di muoversi ma fece una smorfia, la fitta al fianco era stata forte << Sta ferma >> implorai soccorrendola. Sedetti al suo fianco e la misi sulle mie gambe. Senza dire una parola mi strinse a se per poi sfregare il naso contro la mia clavicola. La cullai per un po’ accarezzandole i capelli << Come stai? >> chiesi inquieta << Voglio il gelato >> si lamentò triste. Mi sentii perforata. Come se la sua tristezza fosse passata a me << Scricciolo per il momento non potrai mangiarlo. Forse tra qualche mese >> la consolò Edward sedendosi dall’altra parte del letto.                                                                                                                                  

Allungò un braccio come a comunicargli che lo voleva al suo fianco. In pochi istanti si ritrovò stretta tra noi due << Voglio andare a casa >> continuò imbronciata << Domani andremo a casa >> sussurrai << Solo che per un po’ di tempo dovrai stare attenta ma non devi essere triste. Ti ricordi cosa mi hai detto sulle fatine? Me lo fai un sorriso? >> la spronai. Finalmente mi guardò negli occhi e dopo aver corrugato il naso, s’illuminò << Tra qualche mese potrai fare qualsiasi cosa. Possiamo andare a caccia di lucciole. Sai cosa diceva nostra nonna Marie? Ogni volta che nasce un bambino, viene al mondo una lucciola a illuminare il suo cammino >> rivelai come se fosse il più importante dei segreti. Unì le labbra e le sporse << Che cosa sono le lucciole? >> chiese un po’ contrariata dal non sapere la risposta. Meditai su come darle la risposta più semplice e allo stesso tempo più fantasiosa << Sono delle api piccolissime che di notte hanno il sederino che s’illumina. Leggenda vuole che sia stata proprio la luna a spargere su di loro della polvere d’oro >> spiegai << Davvero? E la mia lucciola come si chiama. E tua nonna è anche la mia nonna, giusto? Posso conoscerla? >> partì con la sua solita sfilza di domande e soprattutto l’ultima mi ferì.                                                                                                                                                              

Nonna Marie mi mancava sempre. Ero certa che se fosse stata viva durante la gravidanza, avrebbe fatto in modo che Renoir crescesse con me << Nessuno sa come si chiama la lucciola che lo accompagna. Spesso appaiono nei sogni ma noi non riusciamo a ricordarlo >> spiegai dando una parvenza di serenità.                                                                  

Le accarezzai i capelli sperando che il discorso cadesse lì << Ma se lo chiediamo alla nonna forse, lei sa come fare >> azzardò fiduciosa. C’era un bellissimo risolino a incorniciarle il volto un po’ pallido.                                                                                           

Non sapevo che fare. Ero certa che Edward non le avesse parlato del concetto di morte. Probabilmente non ero la persona più adatta per iniziare una conversazione del genere. Che cosa potevo dire a una bambina di sei anni?

Spiegaglielo attraverso le lucciole.

<< Sì tesoro, mia nonna è anche tua nonna ma non puoi conoscerla. Sai… lei amava talmente tanto le lucciole che un giorno ha deciso di volare via e trasformarsi in una di loro >> lo stupore di mia figlia fu specchio del mio. Non sapevo neanche io da dove fosse uscita la mia risposta.                                                                                                                                                                    

La sua reazione mi fece ridere: dilatò gli occhi come se avesse visto qualcosa di magico. Era così bella << Quindi… quindi la nonna è diventata la mia lucciola! >> questa volta fui io a rimanere sbalordita. La nonna è la mia lucciola. Mi piaceva quel pensiero, che nonna Marie fosse al suo fianco e la proteggesse. Sorrisi raggiante << Sì, la nonna è la tua lucciola >> concordai sottovoce e guardando Edward di sottecchi.
 
L’incredulità di Renoir nel scoprire che tutte le mie cose fossero a casa loro, ci fece sorridere. Storse il naso sapendo che avrei vissuto nella dependance ma le spiegammo che la mia sistemazione non avrebbe intaccato il nostro rapporto. Avrei fatto la mamma e la sola idea mi esaltava.                                                                                                                                        

Edward mi aveva dato ancora una volta la massima libertà. E ancora una volta ti sei dimostrato dolce. E poi le parole che aveva usato: “comportati come fosse casa tua”. Ed io ero sempre più trattenuta. Mi confondeva. Non riuscivo mai a prevedere le sue mosse!
 
La cosa più difficile del coabitare? Non poter girar per casa nuda! Io solitamente dormivo in intimo, mi svegliavo e facevo i fatti miei nuda. Ora dovevo imparare ad essere più elegante. Il problema era che odiavo le restrizioni come i vestiti soprattutto d’estate. Erano asfissianti all’inverosimile! Dovevo imparare a essere più decente dato che non era casa mia e che persone che non conoscevo  potevano venir a far visita a Edward.
 
Ore: sei del mattino. Cucina casa Cullen. Occhi su un tomo di cinquecento pagine e mani impegnate nel fare dei muffin di zucca.                                                                               

Avevo passato la prima notte nella dependance a rigirarmi nel letto. Non riuscendo a dormire mi ero messa a spulciare tra i libri dell’università cercando di far passare il tempo. Ed ero riuscita a studiare davvero. Non che fossi un genio ma quando c’era una passione di base, tutto era facile. Alle cinque del mattino, stanca, cercai online ricette culinarie sane e gustose. I muffin di zucca sembrarono un’ottima idea. Per quel che ne sapevo di verdure, ed era davvero poco, la zucca era qualcosa di sano. Perciò mi ero alzata, percorso i pochi metri di giardino che mi dividevano dalla cosa principale e ancora con il pensiero dello studio avevo iniziato a preparare i dolci per mia figlia.                                                                          

Una parte di me, chissà quale, aveva pensato anche a Edward. Avevo preparato la torta di mele e mi sentivo un po’ in imbarazzo. Mi sembrava qualcosa di stranamente intimo. Era normale che mi preoccupassi della colazione, no? In fin dei conti era il pasto più importante della giornata. Aveva un’azienda da dirigere, era il capo. Forse sono invadente, forse sto diventando appiccicosa.                                                                                                     

Lanciai un’occhiata al forno.

Sei ancora in tempo per gettarla via!

Sbuffai inviperita con me stessa. Che diamine dovevo fare?

<< Che buon profumo! >> la sua voce mi fece saltare in aria. Ecco adesso non posso fare più niente!

Sii gentile!

Mi stampai un sorriso, sebbene timido, sul viso << Buongiorno >> mugugnai incoerente << Ho preparato una torta e il caffè è ancora caldo. Spero non ti dispiaccia che mi sia lasciata prendere la mano >> evitai di guardarlo negli occhi. Certe volte, quando ero al suo fianco, c’era una scintilla d’inadeguatezza che s’infiltrava tra le pieghe del mio corpo giungendo alle ossa. Difatti così non era eppure non potevo evitare di respingere questa sensazione. Era più forte di me. Vederlo così… non c’erano parole per descrivere il padre di mia figlia. E pensare a lui come padre e non come Edward stava diventando il mio nuovo mantra.                                                                                                                                     

Scossi leggermente il capo come a scacciare i pensieri stupidi << Ehm... è una torta di mele visto che è la nostra preferita. Ho pensato… non so cosa ho pensato… >> aggiunsi ancor più imbarazzata.

Davvero Isabella? Vuoi metterti a fare la mogliettina? Smettila!

<< Perdonami Isabella. Buongiorno anche a te >> ricambiò il sorriso << Al mattino non faccio colazione, bevo solo del caffè ma ti prometto che dopo la assaggerò di sicuro. Anche perché oggi sono un po’ nervoso: ho un meeting >> rispose. Lui nervoso? Certe volte sembrava un uomo tutto di un pezzo. Lo vidi avvicinarsi e guardare attentamente il mio libro. Ne lesse il contenuto per poi ridere << Che c’è? >> chiesi un po’ irritata. Mi sarebbe piaciuto vedere cosa avesse fatto se mi fossi messa a ridere del suo lavoro.                                                              

Alzò le mani in segno di resa << Non ho capito una parola >> ammise in imbarazzo. Era sbagliato che ne fossi compiaciuta? In fin dei conti se mi avesse chiesto di decifrare i conti della sua azienda avrei fatto scena muta << Bè… ognuno ha le proprie competenze >> borbottai << Dovrei finire di studiarlo entro novembre >> precisai preoccupata.                                                                                                                                       

Prese una tazza e vi versò del caffè << Oh bé… ci riuscirai >> mi tranquillizzò. Non ne ero tanto sicura. Tuttavia sorrisi.
 
<< Mamma? >> alzai lo sguardo dal libro che avevo in mano. Io e Renoir eravamo sul divano, lei sulle mie gambe. Giocava con i miei capelli e alternava lo sguardo tra me e la televisione. Stava guardando il film de “I puffi”. Non le piaceva granché ma lo preferiva a “Dora l’esploratrice” e ai “Teletubbies”. Usando parole di una bambina, aveva definito la protagonista del primo cartone animato, una cerebrolesa. E come potevo darle torto.                                                                                                                                               

<< Dimmi tesoro! >> la spronai. Aveva la boccuccia che si storceva prima a destra e poi a sinistra << Dopo che finisci di studiare… te ne andrai sugli aerei? >>> domandò triste << No! Certo che no! >> quasi urlai << Non andrò da nessuna parte. Lavorerò molto di più ma ci sarò sempre a darti il buongiorno e la buonanotte >> dichiarai sicura. Non sembrò convinta << Davvero, davvero? >> chiese. Le scompigliai i capelli << Lo sai che ti amo tanto? >> la interrogai a mia volta. Annuì sorridente << Ti amo è molto di più di ti voglio bene, giusto? >> asserii col capo. Mi baciò una guancia << Allora anch’io ti amo tanto mammina! >> sostenne sfavillante. Trattenni le lacrime. L’emozione fu forte, era la prima volta che diceva di amarmi.
 
Edward mi trovò intenta a farle il solletico. Renoir rideva e singhiozzava esausta << C’è papà! >> squittii. Gli lanciai un sorriso << Che succede qui? >> disse autoritario. Tolsi le mani spaventata. Che ho fatto? Non ha sentito dolore! Non le farei del male << Io… io… >> balbettai spaventata. Inghiottii un fiotto di saliva << La… la… mamma mi stava facendo il solletico >> boccheggiò la piccola. Lentamente l’espressione di Edward si addolcì, buttò la sua ventiquattrore sul divano e allentò il nodo alla cravatta.                                                                                               

<< Quindi ti sei comportata male! >> si rivolse alla figlia con aria divertita. In un battito di ciglia si avventò su di lei e prese a farle il solletico << No, no! >> strillò allegra << Mamma, mamma! >> continuo dimenandosi come una biscia. Ridevamo senza fiato << Mangerai si o no il riso con le verdure di Madeline? >> domandai vittoriosa.                                                                   

Lo sguardo di Edward sfrecciò su di me << Scricciolo, vuole farti mangiare le verdure? Ma che cattiva! Attacchiamola! >> annunciò.                                                                                                                    

In un modo o nell’altro Edward mi prese in braccio. Aveva un suo braccio sulla schiena e l’altro sulla piega delle ginocchia << Io non soffro il solletico! >> protestai con il broncio sulle labbra << Non vogliamo farti il solletico! >> m’informò con fare cospiratorio.                                                                                                                               

Continuai ad agitarmi finché il padre di mia figlia e mia figlia non mi portarono fuori di casa. Sgranai gli occhi << No! >> scalciai << In piscina no! In piscina no! >> implorai << Si! Si! >> trillò Renoir << Il riso lo mangi lo stesso! >> sia io che Edward rispondemmo all’unisono. Fu un istante: ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere mentre sul volto di nostra figlia si faceva largo la stizza.                                                                                                                         

Seguitava a camminare verso il bordo piscina << Ti prego Edward! >> strinsi le mani sul bavero della sua giacca. Continuava ad avere un sorriso sfacciato sul viso << E’ estate Isabella dovresti rinf- >> non concluse che mi gettò via come un sacco di patate. Chiusi gli occhi e poco dopo sentii l’impatto dell’acqua contro la mia schiena. Fece male ma fu anche divertente.                                                                                                                             

Qualche minuto più tardi fui in grado di riemergere. Sentivo le orecchie piene d’acqua e in sottofondo le risate del mio pubblico << Adesso sono fresca come una rosa >> stetti al gioco. Rimossi alcune ciocche di capelli dal viso umido << Bè… bagnata come un pulcino rende di più l’idea >> mi sfotté. Increspai le labbra: meditavo su come vendicarmi << Bene! Sappi che sei ripetitivo >> esclamai nuotando verso il margine della piscina << A me è piaciuto lo stesso >> obbiettò. Sorrisi ostile e tesi un braccio in sua direzione << Potresti, per cortesia, aiutarmi >> il mio tono angelico cozzava con il mio pensiero di rappresaglia. Mi guardò accuratamente, seguendo ogni mio gesto. Ormai stavamo imparando a conoscerci. Riuscivamo a decifrarci. Soprattutto lui ci riusciva. Di conseguenza sapeva che nascondevo qualcosa << Papi perché non aiuti la mamma? >> non appena Renoir parlò, Edward si distrasse ed io ne approfittai per afferrarlo per un polso e tirarlo in acqua con me.                                                                         

Esplosi in una risata fragorosa appena riemerse. Lo scrutai portando le braccia conserte << Ride bene chi ride ultimo! >> esclamai quando emerse.                                                 

Renoir sghignazzava con una mano premuta sullo stomaco.                                                              

Non sapevo che reazione avrebbe avuto Edward << Scricciolo va a chiedere a Madeline se può portarci degli asciugamano >> si concentrò sulla piccola. No, no, no! Ti prego non lasciarci soli. Vedere la camicia azzurrina di Edward completamente appiccicata sul suo torace e quasi trasparante, era quasi più eccitante del vederlo nudo. Solo quasi.             

Edward era sempre eccitante!

Indietreggiai intimidita. Non dovremmo mai trovarci in queste situazioni. E non dovresti mai guardarmi così. Smettiamola! Cominciai a schizzarlo con l’acqua nel vano tentativo di farlo desistere << Edward! >> mi lagnai. Strinsi le labbra per evitare che un sorriso mi scappasse finché non mi bloccò tra il suo corpo e la piscina stessa << Smettila! >> ma non fui molto convincente. Mi stropicciai il naso per il del cloro che iniziava a infastidirmi. Rimase in silenzio. Occhi negli occhi. Era così strano che i suoi mi attirassero tanto? 

E’ sbagliato Bella!

Lui non era altri che il padre di mia figlia! Repressi il riso sulle mie labbra e trasformai la mia espressione in greve. Ti prego comprendimi. Probabilmente lui non trovava nulla di strano in questa situazione. Era un uomo, di certo se voleva una donna, usava determinate tattiche. Invece io scorgevo troppa intimità. E non mi piaceva.

Sì ti piace!

L’intimità con lui mi faceva uno strano effetto. Era la sensazione di far qualcosa di sbagliato che mi tormentava. Si avvicinò ulteriormente. Con un polpastrello tratteggiò il contorno di un neo che avevo sulla spalla sinistra << Non guardarmi così Isabella >> la sua sembrò una supplica tormentata. Brutto infame sei tu a guardarmi in modo strano!

Edward, perché non smetti di chiamarla Isabella? La attizzi ancor di più.

<< Dovresti allontanarti! >> borbottai turbata << Lo so Isabella. Lo so… >> sospirò frustrato.                                                                                                                                              

Un movimento alla mia destra ci costrinse a distogliere lo sguardo. Era Madeline << Edward, ci sono i tuoi fratelli >> riferì. Impietrii all’istante. Sapevano? Dovevo andare in dependance?                                                                                                                                                                           

Mi allontanai spaventata << Vado a vestirmi >> mi limitai a dire.                                                                        

Feci una doccia veloce e mi vestii mentre Renoir mi aspettava in camera << Mamma, andiamo dagli zii? >> la sentii urlare. Bella domanda! Di certo non potevo dirle di no << Sì amore >> risposi finendo di indossare la t-shirt.                                                                                                 

Uscii dal bagno con i capelli ancora umidi. Sorrisi falsamente << Allora, andiamo a salutare gli zii? >> proposi tendendo la mano in sua direzione.                                                          

La vidi distintamente irrigidirsi appena posò gli occhi su di me. Erano tutti in salotto, anche Edward aveva i capelli umidi e si era cambiato. La bionda mi squadrò soffermandosi sui miei capelli e stesso trattamento lo ricevette il fratello. Chissà quali film proiettava la sua testolina. Se gli sguardi potessero uccidere io sarei morta da molto tempo.                                                                                                                                                 

<< Salve >> dissi educata. Mi accomodai sul sofà e subito mia figlia si sedette sulle mie gambe. Sentii l’occhiata truce della biondona ma la ignorai.                                                                

<< Salve Isabella >> ho sentito bene? Jasper Masen Cullen, aveva ricambiato il mio saluto senza digrignare i denti? In quale universo parallelo ero finita? Non dovrebbe farmi così piacere.                                                                                                                                   

<< Edward devi fare i complimenti a Madeline. Questa torta è buonissima >> notò Rosalie. Peccato che la torta in questione fosse mia. E forse era colpa dei miei ventuno anni ma ne fui profondamente compiaciuta. Nella mia mente c’era un’Isabella versione mignon che rideva malignamente << Puoi fare i tuoi complimenti all’artefice tu stessa. E’ merito di Isabella >> Edward così mi stupisci! Non dovresti essere anche tu soddisfatto!                                                                                                                                       

Repressi una risata a differenza di mia figlia << La mamma è bravissima con i dolci! >> cinguettò quest’ultima.Uno a zero.

Continuerai a essere stupidamente infantile!

<< Spero ti piaccia la nuova sistemazione >> proruppe Jasper. Non sembrava per niente intimidatorio. Questa volta sorrisi perché avevo voglia di farlo << Sì. Questa casa è meravigliosa ma mai quanto le persone che vi abitano >> era ovvio che mi riferissi a mia figlia.

E forse un po’ -anche troppo- a suo padre.
 
Così volarono molti giorni. Tra studio, lavoro, momenti meravigliosi con mia figlia e con suo padre. Il più delle volte ci comportavamo  come una famiglia. Ci ritrovavamo ad andare al mare; uscivamo in giro per la città; guardavamo ridendo un film comico; andavamo nel suo ufficio a portargli la sua torta preferita; scattavamo fotografie volute da nostra figlia; giocavamo al solletico; rincorrevamo Renoir che non voleva saperne di andare a dormire per poi darle il bacio della buonanotte.                                                                                                                                     

Sapevo che non eravamo una famiglia, almeno non una famiglia convenzionale. Spesso però testa e cuore non andavano nella stessa direzione. Dolce Edward si era rifatto vivo. Ogni decisione per Renoir la prendevamo insieme, non mi metteva di fronte al fatto compiuto. La parola chiave in tutto questo era: sguardi. Ci guardavamo sempre. La nostra complicità era palpabile. Al mattino ci davamo il buongiorno con gli occhi, ci sorridevamo con gli occhi, ci sfioravamo con gli occhi. E qualcosa dentro di me, che non sapevo come spiegare, cominciava a smuoversi.



<< Scusate! >> sussurrai quando il mio cellulare cominciò a squillare. Stavamo pranzando ma non potevo deviare la chiamata. Jean – Patrick Dempsey per Tanya- in uno dei suoi momenti di ispirazione. Non potevo certo rifiutare di andare a posare per lui               


<< Isabelle, >> già odiavo il mio nome per intero. Lui peggiorava la cosa trasformandolo in francese.

Quando una persona di nostra conoscenza ti chiama Isabella non t’infastidisce tanto!

<< ti trovo bene >> continuò marcando le t con il suo tipicoaccento parigino. Nonostante Tanya e Jack più volte mi avessero fatto notare quanto fosse affascinante, solo in quel momento me ne accorsi realmente. E sapevo di chi era la colpa. Il padre di mia figlia. Aveva attivato un meccanismo difficile da fermare o meglio aveva risvegliato i miei ormoni del piffero! Ti odio. Ricambiai il suo abbraccio affettuoso << Grazie anche tu stai bene >> considerai sorridente.                                                                                                                                           

Mi fece accomodare nel suo studio. Più che uno studio era una mansarda piena di tele e dall’aspetto rustico con delle travi qua è là sporche di colore.                                                  

Mi chiese di spogliarmi, come sempre senza nessuna malizia ma per la prima volta mi sentii a disagio e non me ne spiegai il motivo.                                                                                

Stavo ferma con le spalle nude, la curva del seno che faceva bella mostra di sé così come il resto del mio busto e un braccio a coprirmi il petto. Ero seduta su un divano, con le gambe sotto il corpo e avvolte da un lenzuolo candido. Sotto il lenzuolo vi era solo uno slip. Invece i miei occhi erano persi nel vuoto, così come mi aveva chiesto lui, mentre il sole che stava calando s’infrangeva su di me e i miei capelli scompigliati ad arte.                                                                                                                                                               

<< Quanti anni ha? >> domandò di punto in bianco. Volsi lo sguardo su di lui << Non guardarmi! >> mi rimproverò. Così tornai a guardare il nulla << Non ti ho capito >> frusciai confusa << La mia ex moglie ha una cicatrice come la tua. La sua è dovuta al parto di nostro figlio >> spiegò. E compresi. La cicatrice del cesareo. Per molti anni vedere questa cicatrice mi aveva allettato. Aveva reso tutto più reale. Il fatto che l’avesse notata solo in quel momento non era strano. Di solito usavo mutandine a vita alta. In quel momento sedendomi in modo scorretto si erano abbassate lasciando spoglia la mia ferita di guerra. Non che usassi i mutandoni della nonna ma la mia biancheria intima lasciava a desiderare, pizzi e merletti non facevano per me. Non che li trovassi ridicoli ma non ne avevo mai sentito l’esigenza.                                                 

Sorrisi sfoderando la miglior espressione da tonta << Sei anni. E’ una bambina >> in passato, prima di conoscerla, non avrei risposto alla sua domanda ma ora mi sentivo così fiera << E’ deliziosa come la madre? >> aggiunse curioso e con la cosa dell’occhio vidi un sorriso dolce: non mi aveva mai parlato di suo figlio, probabilmente pensava a lui << Non v’è confronto >> mimai euforica << Tuo figlio quanti anni ha? >> lo interpellai di rimando << Otto. Si chiama Maxime >> cantilenò sognante << Renoir >> adoperai il suo stesso tono << Come prego? >> sembrò riscuotersi << Lei, mia figlia, si chiama Renoir >> mormorai << Delizioso >> dichiarò. Lo so.                                                           

Mi fece rivestire lasciandomi la mia privacy << Promettimi che domani verrai >> disse fermandomi << Dove? >> afferrai la mia tracolla << Alla mia mostra. Gran parte della sua creazione è merito tuo >> chiarì entusiasta << Mio e perché? >> il mio sopracciglio svettò in alto esprimendo tutto il mio disorientamento << Mi hai ispirato con la tua purezza Isabelle >> confessò infilandosi una mano tra la folta capigliatura color pece con qualche accenno di grigio. I suoi occhi erano azzurri ma non come i miei, forse un po’ tendenti al blu ma con quel brio che li aveva sempre contraddistinti.                                  

Sorrisi imbarazzata << Ehm… ci saranno anche i miei… >> nudi << Sei la mia musa è logico >> perché in quell’istante mi sentivo così piccina.

Perché non sapevi che avrebbe fatto un’esposizione mostrando le tue tette!

Fare sempre buon viso a cattivo gioco! << Che bello! >> ma sembravo aver subito un lutto << Ci verrò sicuramente! >> e ci sarei andata, forse incappucciata, ma mi sarei fatta viva << Parfait! >> doveva essere un perfetto. Ma è proprio carino quando parla in francese! Allontanai i miei stupidi pensieri da adolescente sessualmente repressa e gli dedicai la mia attenzione. Estrasse qualcosa dalla tasca posteriore dei jeans. Che gli stanno benissimo << Tieni! Sono due biglietti. Ovviamente sentiti libera di venire accompagnata >> mi rassicurò << Grazie Jean >>.



Entrai in casa trafelata. Ero mancata ben tre ore.Renoir quando mi vide corse a prendermi per mano << Mamma, lo bevi con me il succo di carota? >> mi portò in cucina, dove c’era Edward. Madeline non c’era e lui era di fronte alla centrifuga cercando di riempire un bicchiere di liquido arancione. Sembrava negato. Mi avvicinai a lui << Lascia fare a me >> consigliai facendomi dare il bicchiere. Mi squadrò da capo a piedi prima con un leggero sorriso a contornargli le labbra poi d’improvviso scomparve lasciando spazio a un’occhiata truce. Che ho fatto? Seguii la traiettoria del suo sguardo e trovai il reale motivo della sua espressione. L’etichetta interna della mia canotta era ben visibile. Significava solo una cosa: avevo indossato la maglietta la contrario. E tu potresti pensare qualcosa che non è avvenuto!                                  

Non mi piacque! Non mi piaceva il suo sguardo, che fossi stata così deficiente da infilarmi gli indumenti al contrario, la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Isabelle davvero? Ti senti una traditrice?

<< Edward! >> borbottai trattenendolo per l’avambraccio << Aspetta… >> lo scongiurai. Schifosa sensazione alla bocca dello stomaco! << Isabella, >> avrebbe voluto essere un richiamo ma non lo fu << non c’è niente che tu debba spiegarmi >> no, no, no! Fissai Renoir che nel frattempo ci guardava incuriosita. Il mio cuore - bastardo per giunta- mi chiedeva di trovare un modo per rimanere da sola con il padre di mia figlia. E il problema era proprio qui! Non era una richiesta della mia mente ma del mio cuore. E la cosa era preoccupante!                                                                                                                  

Repressi la voglia di sbuffare acidamente. Abbassai gli occhi e riservai il mio interesse nel riempire i bicchieri di succo.                                                                                                   

Il silenzio fu atroce. Come un’unghia che continuava a graffiare un lembo di pelle fino a lacerarlo.                                                                                                                                                      

Solo Renoir bevve il concentrato di carote e pomodoro. Io lo rigirai nel bicchiere come se si trattasse di vino. E non perché odiavo le verdure ma perché la mia testa era affollata di pensieri.                                                                                                              

Continuo tutto così finché Edward non decise di rintanarsi nel suo studio. Ed io non volli accettarlo.

E’ così brutto vederlo andare via Isabella?

Lasciai Renoir a giocare con la Wii e pochi minuti dopo lo seguii. Volevo ardentemente spiegarmi. Anche se so che non c’è nessuna esigenza. Potrei anche aver fatto quello che tu pensi senza sentirmi in colpa. In ogni caso non volevo che mi considerasse una bugiarda. E forse era la prima volta che concepivo un concetto del genere. Non mi era mai importato granché di come le persone mi vedessero. Ma lui è Edward, non qualcuno. Era il padre di mia figlia.

Sii realista! Solo perché è il padre di tua figlia?

Bussai leggermente alla porta del suo studio. Dopo aver sentito il suo consenso, entrai << Ciao >>.

Potresti dire qualcosa di più stupido?

<< Isabella sono impegnato! >> sbottò. Non mandarmi via ti prego << Okay. Volevo solo dirti che non ti ho mai mentito… >> l’altimetro della mia stupidità si stava innalzando esponenzialmente.                                                                                                                                

Lo sguardo di sufficienza che mi rivolse, mi colpì dritto al petto. Produsse un dolore sordo al cuore. Mi fece quasi annaspare in cerca d’aria. Mi hai ferito! Complimenti Edward.                                                                                                                                                

Cercai di ricordare i miei buoni propositi, il fatto che fosse un uomo particolare e razionalmente il mio piede fece un passo in sua direzione. Poi subentrò il mio orgoglio ferito. E non mi consideravo madre ferita dal padre di mia figlia, in quel momento ero solo una donna ferita da un uomo. Edward e Isabella senza etichette.                                     

<< Volevo solo dirti che hai dimenticato di darmi le chiavi di casa. Stasera andrò da Tanya… >> il giovedì è la nostra serata dedicata ai film tagliavene ma a te non interessa. Sono tradizioni infantili, no?  << Provvederò domani mattina. Puoi uscire tranquilla, io lavorerò tutta la notte >> cercai di rispondere ma mi ritrovai a brancolare nel buio nel tentativo di parlare. E la strana sensazione che fosse un modo per controllarmi mi fece venire l’orticaria. Infatti, poco dopo, iniziai a grattarmi il collo come piena di pulci. Era una mia abitudine. Devo calmarmi. E’ solo un’impressione.                                                         

Peccato che il mio livello di sopportazione stesse giungendo al limite.                             

Quando mi guardò come solo dolce Edward poteva fare, sentii una strana sensazione di calore invadermi il colpo. Sei tornato. Si alzò dalla sua seduta e mi raggiunse. Sorrideva forse perché la parte scorticata dalle mie unghie cominciava ad arrossarsi. Poggiò la mano sulla mia affinché smettessi di farmi male e rabbrividimmo. Sorrisi come una cretina << Isabella, non perdere le staffe. Non voglio controllarti, >> sono così scontata? << lavorerò davvero tutta la notte >> ribadì. Grugnii infastidita. Potrei anche evitare di parlare.                                                                                                                                                           

La sua mano continuava a stare sul mio collo, sopra la mia. Era un dolce contatto che mi dava sicurezza. E se da una parte mi piaceva dall’altra volevo non provare sensazioni simili. Per tal ragione mi tirai indietro mostrandomi distaccata << Okay >>.



<< La faccenda si sta complicando >> proruppe Tanya dopo averle raccontato tutto il mio soggiorno a casa Cullen. Il suo tono era grave << Che vuol dire? >> chiesi aggrottando la fronte. Sgranocchiò dei popcorn sistemandosi meglio sul divano << Bella, voi… voi vi cercate. E lui non è un uomo normale. E’ il padre di Renoir, tesoro >> chiarii << Grazie per l’ovvietà Tanya. Tuttavia noi non ci cerchiamo! >> mi guardò come se avessi mentito << Oh certo! Voi provate delle sensazioni quando vi avvicinate, da una parte è normale perché siete genitori di una splendida bambina ma dall’altra se è come dici tu non dovreste provare emozioni in quanto uomo-donna che vengono a contatto >> sputò schietta. E una parte di me sapeva che aveva ragione così non risposi << Sai che ti voglio bene e voglio proteggerti. Non voglio che tu rimanga ferita >> certo che lo sapevo << Io non penso a lui in quel senso. Sto cercando un equilibrio. Sono felice Tanya e non rovinerò tutto infatuandomi del padre di mia figlia >> dichiarai sicura << Amore… ti conosco bene. C’è feeling tra voi. L’ho visto io così come Jack e perché credi sua madre ti abbia minacciata? Oltre a Renoir, vede anche in suo figlio qualcosa di diverso. Se poi aggiungi a tutto questo la sua volubilità… >> scosse il capo come fosse confusa << …io credo che tu ti sia già infatuata… >> aggiunse. Mi strinse la mano come a confortarmi. Dentro di me si stava svolgendo un tumulto. Io non sono infatuata! Ne sono sicura << Bella non voglio essere brutale ma siete due persone diverse aldilà della differenza d’età. E in un’altra situazione ti avrei detto di provarci ma avete una figlia. Non innamorarti di lui >> fu come ricevere uno schiaffo, ma non mi diede fastidio. Aveva ragione, ne ero consapevole << Tanya, non m’innamorerò mai di lui. Io non voglio >> sostenni. Ridacchiò un po’ triste << Sai quante rogne mi sarei evitata se il mio cuore avesse seguito la mia volontà >> sussurrò. Sospirai stanca << No, Tanya. Io sono felice così. Io non rovinerò tutto per delle stupidaggini >> confermai tranquilla. No, non sono innamorata di Edward e mai lo sarò!                                                         

<< Senti che ne dici di guardare semplicemente il film >> chiesi facendo il labbro tremulo. Arricciò il naso << Che ne dici di un abbraccio? >> propose. E ne fui felice.



Mi stupii nel trovare il grande cancello nero di villa Masen Cullen aperto. Di solito era sempre chiuso, perfino di giorno. Percorsi il viottolo meravigliandomi ancora una volta della bellezza di quel posto. I lampioni illuminavano l’intero giardino creando un’atmosfera fatata. E ad accentuare tutto ciò c’era la luna piena d’estate seguita da tante piccole stelle splendenti. Se fossi romantica, mi commuoverei.                                                     

Continuai a camminare verso il portico finché grazie alla luce di un lampione intravidi una figura. Alta, slanciata, camicia bianca arrotolata sugli avambracci così come i pantaloni neri sui polpacci, i piedi nudi sull’erba umida, il capo piegato all’indietro a contemplare il cielo.Edward Masen Cullen. Quella visione così tenera e bella mi fece sorridere istintivamente.Non innamorarti di lui. E i miei piedi partirono come se possedessero una razionalità propria. Mi piazzai al suo fianco, vedevo il suo profilo.

Un bel profilo.

<< Ciao >> bisbigliò come se avesse paura di rovinare quella situazione. Accentuai il mio sorriso << Che fai? >> usai il suo stesso tono << Mi piace camminare a piedi nudi sull’erba appena annaffiata >> dichiarò. Non innamorarti di lui. << Dovresti provare >> consigliò. E lo feci. Mi tolsi prima una scarpa e poi l’altra senza mai distogliere gli occhi dai suoi. Sentii quasi i piedi formicolare e la freschezza invadermi << Non è bello? >> domandò come un bambino << Sì >> mugugnai << Stavi riflettendo? >> aggiunsi curiosa. Storse il naso << Più che altro mi stavo rilassando >> sembrava sempre che dicesse ciò che la sua diplomazia gli permetteva << Bene… >> lanciai un’occhiata alla dependance. Forse vuoi che ti lasci solo << Io vado. Buonanotte >> terminai.

Codarda!

<< Edward... >>.                                                                                                                                                                      

<< Isabella… >>.                                                                                                                                                                                                                                 

Scoppiammo a ridere per aver parlato nello stesso istante << Prima le signore >> mi concesse galantemente. Cominciai a torturarmi le mani << Per quello che è successo questo pomeriggio… >> iniziai << Sai che non devi darmi spiegazioni >> dalla sua rigidità, dal suo tono, capii che non erano le parole che avrebbe voluto dire. Forse era intuito o forse pazzia.                                                                                                                                                     

Mi mossi sul posto agita << Io non mi sto giustificando! >> ed era la verità << Anche se avessi fatto quello che pensi non ci sarebbe nulla di male. Potrei farlo senza sentirmi in colpa ma il punto è che non ti avrei mai mentito. Non ti direi mai qualcosa che non sia la verità. Questo pomeriggio sono andata da Jean. Ti ho detto che posavo per un pittore e mi sono vestita male >> dalla borsa presi i due biglietti per la mostra << Mi ha dato questi. Terrà una mostra a Manhattan. Puoi andarci tu con chi vuoi >> volevo dimostrargli la mia buona fede.

Oppure vuoi dimostrare a te stessa che non t’importa con quale donna lui esca.

 Li prese senza troppa convinzione << Sai che non c’è bisogno >> rispose. Scrollai le spalle << Lo so! Ho visto i quadri nel tuo ufficio e in casa e ho pensato che l’arte ti piacesse. Quindi accettali per favore è davvero un bravo artista >> lo rasserenai. Increspò le labbra << E tu come farai? >> chiese << Bè… dice che sono la sua musa. Troverà un posto per me >> scherzai ma a quanto sembrava non fui divertente. Ho sempre creduto di essere almeno simpatica.



Per tutta la giornata successiva non lo vidi. Neanche il mattino e mi svegliai alle sei. La parte egocentrica di me, per un solo istante, pensò che volesse evitarmi. Poi mi diedi della stupida e ritornai a concentrarmi sulla mia giornata.                                                                       

 Fu la prima sera in cui Edward non fu con me a darle la buonanotte. E mi costava doverlo ammettere ma non mi piacque.

Stupida reazione da ragazzina.                                    

In casa con Renoir rimase Alice. Mi disse che era stato Edward a chiederglielo perché io sarei uscita per andare alla mostra. Comunque avresti potuto avvisarmi.                             

Alice era una brava donna. Dolce e affidabile con i suoi grandi occhi marroni che trasmettevano protezione. Lei e il marito furono gli unici a non reagire male di fronte al mio trasferimento. Aveva addirittura proposto di fare una grigliata per darmi il benvenuto. Ovviamente non ci sarebbe stata tutta la famiglia Cullen ma mi disse che potevo invitare i miei amici, il che mi sarebbe servito molto per sentirmi meno a disagio.                                                                                                                                                  
 
A Manhattan si svolgevano la maggior parte delle mostre che fosse fotografiche o di quadri.                                                                                                                                                          

Jean aveva un gran seguito e un po’ lo invidiavo. In fin dei conti in pochi riuscivano a vivere di ciò che più amano fare.                                                                                                           

 La sala era gremita di persone. C’erano dei camerieri che servivano vini e antipasti. Era tutto perfetto. Forse troppo formale ma comunque accogliente.                                                              

C’erano molti dipinti, cosa assai normale il punto era che solo pochi raffiguravano un paesaggio o altri soggetti come bambini che giocavano. I restanti ritraevano una donna. Quella ragazza ero io. Mi riconoscevo come se fossi stata di fronte a uno specchio. Ero imbarazzata a morte! Non quel tipo di vergogna che mi avrebbe spinto a strappare quadro per quadro dalla parete, ma quel tipo di imbarazzo nel vedere il mio corpo nudo esposto agli occhi delle persone. Quante possibilità c’erano che m’identificassero? Okay, gli occhi azzurri erano evidenti, così come il colore dei capelli ma nessuno aveva visto il mio corpo. Nessuno sapeva della macchia di caffè che avevo sul seno destro o il neo, forse più visibile, sulla spalla sinistra. Il neo sulla natica poteva evitarlo!                                                                                                                                                      

In quel momento ero con la bocca spalancata di fronte a un mio ritratto. Spiccava il collo e la schiena nuda di un candido color crema. S’intravedeva il profilo del mio viso e un sorriso timido a incurvare le mie labbra.                                                                                          

Non ero una persona che si nascondeva dietro alla falsa modestia. Sapevo di essere una bella ragazza, non con una bellezza prorompente con quella di Tanya ma non ero da buttare. Tuttavia come mi aveva raffigurato Jean, era quasi surreale. La donna nei suoi dipinti era meravigliosa, eterea, luminosa e pura. Come se Jean avesse visto qualcosa più grande di me, in me. Era una bella sensazione.                                                                                                     

<< Qualcosa non ti piace? >> la domanda provenne dalle mie spalle. Sorrisi e mi voltai a guardare colui che aveva parlato come se avesse detto una sciocchezza << E’ meraviglioso Jean >> lo abbracciai a mo’ di saluto. Appena ci allontanammo mi offrì un bicchiere di vino << Allora emozionato? >> chiesi per stemperare la tensione. Sorrise << Sì, ma molti non fanno altro che chiedermi chi sia la magnifica creatura da me ritratta >> lo guardai allarmata. Ti picchio se ti sei azzardato a risolvere il quesito. Scoppiò a ridere << Non preoccuparti. So quanto sei riservata >> per fortuna. No, essere presentata come fonte d’ispirazione di Jean non sarebbe stato per me. Preferivo rimanere una spettatrice esterna.                                                                                                                                           

Guardo alle mie spalle << Scusami Isabelle ma mi reclamano. Dopo ritorno e parliamo >> mi baciò la guancia e scappò via.                                                                                                     

Proseguii nel mio giro. Mi soffermai di fronte a un altro mio ritratto. Ero in piedi e di profilo. Ogni curva del mio corpo era visibile. Dal tallone al polpaccio, dalla linea morbida della gamba a quella del sedere e così via.                                                                            

Ricordai l’occasione in cui fu iniziato lo schizzo. Ero rimasta con una sola mutandina, molto sgambata, addosso.                                                                                                             

Non lo trovai volgare. Forse perché ero io il soggetto o forse perché Jean non metteva nessun doppio fine in ciò che faceva.                                                                                                    

Senza volerlo -riflesso incondizionato della mia età- mi portai una mano sulla coscia. Non sembro grassa, vero? Ma quanto ero stupida!                                                                 

D’un tratto vidi una persona affiancarmi. Riconobbi il suo profumo e arrossii come una cerebrolesa << Non credevo posassi in questo modo >> esordii. Non lo guardai. L’idea che lui fissasse il mio corpo mi rendeva inquieta << Non mi hai mai domandato che tipo di modella fossi >> gli ricordai << Non ti sei mai sentita a disagio? >> sembrò un’accusa tanto che fui costretta a orientare gli occhi su di lui.                                                                             

Strinsi le labbra per evitare di freddarlo << Credevo non venissi >> cambiai discorso << Era da tanto che non partecipavo a una mostra. Quindi fai nudi artistici >> l’ultima parola la sputò quasi con ironia.                                                                                                                

Io tentavo di cambiare argomento e lui mi aveva ignorato! Ero quasi divertita << Vuoi dirmi qualcosa Edward? >> scattai come una molla. Sorrise come fosse divertito dalla mia reazione << Trovo che tu sia molto bella >> asserì con la massima semplicità lasciandomi stupefatta. Non innamorarti di lui. Respirai a fatica. Era la prima volta che mi dicevano di essere bella come fosse normale << Sì, i quadri sono molto belli. Ti ho detto che Jean è molto bravo >> fu l’unica replica capace di esprimere. L’allegria sul suo viso si espanse << Non mi riferisco ai quadri, anche se li trovo abbastanza interessanti >> la gola mi si seccò quando percorse tutta la lunghezza della tela che avevamo di fronte. Deciditi! Mi confondi così. Annuii e bevvi un sorso di vino.                                                 

<< Jean… Edward. Edward… Jean. >> feci saettare una mano tra i due uomini << Edward è… >> mi fermai non sapendo che ruolo dargli << Un amico >> subentrò il diretto interessato salvandomi. Jean fissò il mio amico in modo strano << Hanno comprato ogni tela raffigurante te >> m’informò il pittore con aria sospettosa << Davvero? >> mi sentivo a disagio << Sembri sorpreso >> costatai accigliata << No, non sono stupito. A quanto sembra hai avuto successo >> ridacchiò.


Alla fine della serata, Edward m’invitò ad andare a casa usando la sua auto ed io accettai giacché ero arrivata in taxi.                                                                                              

L’aria in macchina sembrava tesa. Lui sembrava teso e non me ne spiegavo la ragione << Ti sei divertito? >> domandai giusto per conversare << Sei sicura che vuoi continuare a posare per lui? >> disse serio << Come scusa? Perché mai dovrei smettere? >> non riuscivo a capirlo. Alzò le spalle << Isabella, devo ammettere che il tuo è uno dei lavori più atipici con cui sono venuto a contatto >> dove voleva arrivare? Rimasi in silenzio cercando di riflettere << Io mi pago gli studi con il lavoro che tu definisci “atipico” >> rilevai un po’ infastidita << Ci sono altri lavori >> strinsi le mani in pugni << Stai descrivendo il mio lavoro come qualcosa di squallido >> brontolai frustrata << Io e te sappiamo che non fai nulla di squallido. Tuttavia io provengo da un mondo in cui anche il singolo gesto fatto con la massima rettitudine, diviene una colpa. E che tu lo voglia o no, come madre di Renoir, sei entrata a far parte di questo mondo >> chiarì quieto. Mi portai le braccia al petto stizzita << Si chiama bigottismo. Lavoro onestamente. Ha una colpa colui che ruba i soldi da una società mandando allo sbando famiglie di lavoratori. Ha una colpa chi uccide. Non chi va avanti lavorando con integrità. Io non faccio parte di questo mondo e farò di tutto affinché mia figlia - nostra figlia- non faccia parte di un mondo di cui parli >> m’infervorai. Sospirò pesantemente << Sei idealista Isabella >> sibilò. Feci schioccare la lingua sul palato << Secondo la tua logica dovrei lasciare anche il lavoro al pub e allora come continuerei a pagarmi gli studi? >> lo sfidai << Sai che per me i soldi non sono un problema >> va tutto bene finché non dici qualcosa e rovini tutto! << Cosa ti aspetti Edward? Che viva della tua paghetta come nulla fosse o che ti lasci decidere per me? Mi conosci abbastanza da sapere che non accetterò mai! >> m’impuntai facendo capire che non volevo continuare la discussione.                                                                                                                    

Mi chiusi nel mutismo, guardando fuori dal finestrino. La città scorreva davanti ai miei occhi. In altre occasioni forse mi sarei messa a urlare ma capivo bene che Edward aveva già a che fare con una bambina e non ero io.                                                                                                 

Poi per qualche strano motivo nel mio cervello si accese una lampadina << Hai comprato tu i dipinti! >> esplosi ma con un certa calma << Sì >> fa niente, non sforzarti di darti una spiegazione << Non ha senso! >> grugnii tra me e me.                              

Avevo l’impressione che oltre alla spiegazione che mi aveva dato, in parte fondata anche se non condividevo, ci fosse dell’altro. Altro che lui non voleva dirmi << E’ una stronzata! A che pro li hai comprati? Avresti potuto spiegarti senza spendere un patrimonio >> costatai ovvia. E’ strano che ora sia così tranquilla, qualche settimana fa non sarebbe stato così. Smussando i miei modi ho imparato a capirti.                                                 

La mia supposizione lo agitò. Mi stai nascondendo qualcosa! << Per favore dimmi cosa pensi. E’ snervante cercare di leggerti dentro >> mi sfogai << Cerchi di comprendermi Isabella? >> che razza di domanda era? << Non è questo il punto Edward. Non sviare il discorso. Rispondi! >> lo esortai << Che cosa vuoi che ti dica? >> bisbigliò incurante. Che palle! Devo ragionare.                                                                                                                                                  

Aveva appena detto che nel suo mondo erano presenti le malelingue, che trovavano un modo o un altro per screditare… << Vuoi proteggermi! >> strillai << Tu vuoi proteggermi! >> ripetei. Sbuffò punto nel vivo. Non gli piaceva che fossi arrivata alla conclusione del rebus però io la trovai una cosa molto bella. Sorrisi troppo apertamente. Non innamorarti di lui. Voleva proteggermi! Il mio cuore perse il controllo << Ammettilo! >> ordinai giocosa << Isabella… >> mi riprese << Edward ammettilo! >> suggerii << No! >> esclamò << Edward diventerò tediosa, odio esserlo quindi confessa >> gli pizzicai un fianco. Sghignazzò buffo << Edward sono infantile! Non farmi inventare canzoncine che ti perseguiteranno anche nel sonno >> continuai agitando le sopracciglia << Okay Isabella. Lo ammetto! Volevo proteggerti >> si arrese. Abbassai gli occhi per poi scompigliargli i capelli. Non innamorarti di lui. << E’ una cosa nobile da parte tua. Grazie >>.
 


<< Edward Anthony Masen Cullen, proprietario delle omonime industrie si appresta a diventare l’uomo dell’anno. La sua nuova collaborazione con l’associazione no-profit Lindsay Harley… >>.

Portai gli occhi sulla televisione. C’era la donna dal chihuahua assassino.

<< infatti, Edward Cullen ha impiegato le sue risorse affinché molti dei macchinari medici, che le sue industrie producono, siano inviati nei paesi devastati dalla povertà. Non è la prima volta che… >>.

La sua generosità mi stupiva ogni giorno di più.

<< Sebbene la sua carriera stia subendo una forte ascesa, non si esclude che si sia deciso a metter su famiglia. Infatti, fonti attendibili hanno testimoniato come negli ultimi mesi sia stato avvistato con la stessa donna in più occasioni. Non si sa molto di lei. Sembrerebbe essere molto più giovane del magnate. Tuttavia i suoi rapporti anche con la figlia di quest’ultimo rivelano la solidità di questa nuova coppia >>.

Potevo rimanere basita sentendo una baggianata simile? Rimasi interdetta finché non scoppiai a ridere come una matta. Risi fino ad avere le lacrime agli occhi. Per fortuna Renoir era da sua nonna, altrimenti mi avrebbe scambiata per una squilibrata.                 

Riacquistai un po’ di contegno e mi alzai per andare a raccontare a Edward la stupidaggine appena udita.                                                                                                                               

Andai nel suo ufficio ma la sua voce fece bloccare la mia mano chiusa in pugno sospesa in aria. Stava parlando a telefono. Il buonsenso mi consigliò di andarmene e stavo per farlo finché non sentii una frase: << Sandy non puoi dire sul serio. Non è una donna come la definisci tu ma una ragazzina di vent’anni >>.

Il nodo alla gola che occupò il posto della mia allegria mi lasciò senza fiato. Sentii gli occhi pungere. Per lui ero una ragazzina, lo sapevo. Ciò che mi diede fastidio fu il tono in cui lo disse. Per lui non ero una donna. No, non mi sarei mai innamorata di lui!
 
Che ne pensate? Spero vi sia piaciuto. E’ un capitolo di passaggio. Ciao acalicad.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Can't take my eyes of you ***


Ed eccomi qui! Ritardo molto più che mostruoso ma questa volta non è stata colpa mia: la mia connessione internet è snervante e mi ha abbandonato. Sono ritornata e cercherò di essere più costante. Che dire… anche in questo capitolo mi ha aiutato CloeJ. Non posso fare altro che ringraziarla ancora!
***


 
Vi lascio al capitolo! 
Ero ferma. 
Rigida come un pezzo di legno. 
I miei dannati piedi non si decidevano a muoversi. Avrei tanto voluto andarmene, ma il mio cervello non inviava impulsi al mio corpo. 
Continuava a parlare ma sinceramente non riuscivo a capire. 
Mi sentivo ferita. 
Che cosa avevo che non andava? Perché per lui non ero una donna? Che definizione dava al termine donna? Okay avevo vent’anni, ero immatura ma addirittura dire che non ero donna? 
Andai avanti nelle mie riflessioni finché la porta dello studio si aprì e la figura di Edward apparve. 
Aveva ancora il telefono cellulare contro un orecchio e la sua bocca era spalancata. Probabilmente si era fermato dal rispondere al suo interlocutore per la mia presenza che lo aveva spiazzato. 
Ero imbarazzata, anche infastidita e avrei voluto fuggire. 
Mimai delle scuse in fretta e furia ma la sua voce mi bloccò: << Sandy ti richiamo! No, smettila… >> e in un gesto secco ripose il palmare in tasca. 
Cercai di defilarmi ma lui, ormai avrei dovuto saperlo da me che non potevo fuggire, mi rincorse. Non ero arrabbiata, ero semplicemente seccata << Isabella! >> mi richiamò. 
Presi un respiro profondo e volsi lo sguardo su di lui << Mi dispiace, non volevo origliare. Volevo dirti una cosa e casualmente ho sentito cosa hai detto >> mi giustificai. 
Finimmo in cucina. 
Tra noi due c’erano due tipi di silenzio, quello fatto di complicità: dolce e piacevole; poi c’era quel silenzio quasi asfissiante, formato da tutte le parole che non dicevamo quasi per paura. E le parole trattenute mi creavano una voragine dentro. Con lui, solo con lui, sentivo di poter parlare di tutto indipendentemente dalla differenza d’età che sembrava dar origine a un solco tra di noi. 
<< Che cosa hai sentito? >> iniziò cauto. 
Io fingevo di possedere una tranquillità a dir poco singolare. Scrollai le spalle e presi dal frigorifero una bottiglietta d’acqua << Che secondo te non sono una donna >> balbettai evitando i suoi occhi 
<< Isabella… >> dal suo tono di voce trasparì un velo di vergogna. 
Vorrei vedere se dicessi che lui non è un uomo. 
<< Non preoccuparti. Ammetto di essere un po’ scocciata ma so cosa intendevi! Cioè… ho imparato a conoscerti e credo che tu non lo abbia detto con cattiveria. Non credo che con: “non è una donna” tu abbia voluto denigrarmi o intendessi un essere umano privo di organi sessuali femminili. Penso ti riferissi al mio ruolo nella tua vita: sarò sempre la madre di tua figlia e non una donna per la quale tu potresti provare una qualche attrazione >> fu una delle poche volte in cui assecondai la mia mente ed ero un po’ sorpresa da me stessa. Se avessi dovuto seguire il mio orgoglio ferito, stoviglie volanti l’avrebbero fatta da padrone. Cos’è la storia della mancanza di attrazione? 
Okay, effettivamente mi sentivo punta o più che altro la mia vanità irragionevole era lesa, ma lui non doveva saperlo. Non era un suo problema. 
Tutta la mia razionalità lo lasciò di stucco. Lo ignorai e decisi di continuare << Ovviamente ai tuoi occhi non potrò mai essere una donna. Sono una ragazzina, ne sono consapevole ma spero di poter diventare una buona madre >> terminai bevendo un sorso d’acqua. Risi leggermente << Puoi anche parlare… >> lo presi in giro. 
Nel frattempo mi sedetti sul ripiano della cucina. 
Non si poteva dire che non fosse attraente. 
Non si può dire che tu non ne sia attratta! 
Si avvicinò a me tanto che poggiò le mani sull’isola della cucina, ai lati del mio corpo. 
Mi piaceva pensare che la nostra eccessiva vicinanza fisica fosse giustificata. 
Ma in realtà non è affatto motivata. 
Alcune volte capitava che dimenticassi perché dovevo stargli lontana. In questi casi la voglia di perdermi nei suoi occhi e nelle sue labbra era tanta. L’odore della sua pelle era come se mi richiamasse. 
A una spanna dal suo viso, tentavo di convincermi che fosse normale che volessi individuare la nota fruttata del suo alito << Sinceramente non so se sei una brava madre, non so neanche se io sono un bravo padre ma tu… tu rendi felice Renoir. Non osserva nessuno come guarda te, non sorride a nessuno come ride a te. Solo per te ha inventato nuovi sguardi ed espressioni. Per me questo basta >> sorrisi commossa. Vorrei tanto abbracciarti! Mi rendi più volubile del solito. 
<< Grazie >> risposi semplicemente. 
Restammo in silenzio. Vicini con il corpo ma lontani con la mente << Per quanto riguarda la donna con cui stavo parlando… >> puntai subito gli occhi su di lui. Mi ero irrigidita per la fitta che mi aveva colpito al cuore. Perché poi? Non riuscivo a decifrare la sensazione: non l’avevo mai provata prima. Probabilmente stavo delirando così repressi il mio cuore impazzito e diedi ascolto alla mente. 
<< Edward con tutto il rispetto ma m’importa di chi frequenti >>mentii. Infatti, le mie mani cominciarono a sudare. Mi capitava quando raccontavo bugie, ma non potevo fare altrimenti: mostrarmi scostante era la scelta migliore. 
<< Se senti che con questa persona ci possa essere un legame solido e la vuoi far conoscere a Renoir per me va bene. Mi fido di te! >> fu strano anche per me fare l’ultima affermazione. Raramente mi fidavo delle persone. 
<< Ti fidi di me? >> chiese come se non fosse possibile. Sorrisi imbarazzata << Sei il padre di mia figlia. Se non mi fido di te di chi dovrei farlo? >> sussurrai divertita. Annuì convinto << Grazie, >> sembrava davvero stupito << tuttavia non è come pensi… >> continuò. Alzai le spalle << Edward, io credo sia più importante che tu sappia che circolano determinate voci su noi due >> lo interruppi seria. Mi guardò come se ne fosse a conoscenza << Lo so. Spero a te non crei nessun problema. L’unica strada che possiamo intraprendere è quella del non dare né conferme né smentite. Vorrei evitare che Renoir abbia dei problemi >> spiegò. Aggrottai le sopracciglia << Non creerà qualche problema a te? >> chiesi incerta. Dio! Lui aveva una… come potevo definirla? Una compagna? Una ragazza? E ora cosa sarebbe successo? Come lo avremmo detto a Renoir? E perché m’irritava a morte che non me lo avesse detto prima? Se non avessi sentito la sua conversazione quando si sarebbe degnato a informarmi? 
<< No. Non permetto a nessuno di aver da ridire sulla mia famiglia >> dichiarò. Strabuzzai gli occhi sorpresa. Sbaglio o hai appena detto che faccio parte della tua famiglia? 
Non resistetti più che la mia mano partì e si posò sul suo viso. Perché mi piaceva tanto poterlo toccare? Era quasi come se fosse naturale, come se la sua pelle sulla mia fosse familiare. 
Chiuse gli occhi, ne baciò il polso e le andò incontro con il capo. Sei così bello e non solo fuori. Dentro lo sei ancor di più. 
<< Non credo esistano uomini come te >> gracchiai quasi con paura << Lo devo prendere come un complimento? >> scherzò. Il suo sorriso mi avrebbe fatto impazzire. Era possibile che Renoir gli somigliasse? Che rivedessi in lui, mia figlia? << Sei speciale, Edward. Un po’ irritante ma tutti abbiamo dei difetti… però in pochi hanno il pregio di essere speciali >> ammisi. 
Ero certa che se mi fossi riflessa su uno specchio avrei scoperto i miei occhi a brillare. Solo con lui e mia figlia gli occhi mi brillavano. 
Riaprì gli occhi << E’ la seconda cosa più bella che mi abbiano mai detto >> rivelò dolcemente. Mi venne la pelle d’oca. Era l’effetto che mi faceva sentire la sua voce << Qual è la prima? >> domandai curiosa << Sentire chiamarmi da Renoir “papà” >> tremai. Ogni parte del mio corpo lo fece. Il mio cuore sussultò emozionato. 
Ancora una volta non potei trattenermi. Lo abbracciai. Forse lo stritolai eccessivamente ma me ne curai. 
Tenevo le braccia attorno al suo collo e le ginocchia a contatto con i suoi fianchi. Ricambiò la stretta attorno al mio corpo e per un istante mi parve che non volesse più lasciarmi andare << Sai penso… credo di volerti bene >> squittii intimorita. << Anzi… sono certa di volerti bene! >> esclamai più sicura. 
Si scostò leggermente per poggiare la fronte sulla mia. Sospirò pesantemente come se si stesse frenando, poi… 
Ti ha appena guardato le labbra! 
La cosa era reciproca. La sua bocca concentrava su di sé tutta la mia attenzione << Te ne voglio anch’io Isabella >> confermò. 
Perché mi sembrava che si fosse avvicinato? Perché la presa su di lui si era intensificata? 
Il nostri corpi sembravano volessero fondersi << Tu e Renoir avete gli occhi più belli che abbia mai visto, >> il rossore sul mio viso si ripresentò << prima quando guardavo nostra figlia, vedevo solo lei. Adesso ritrovo anche te >> continuò. 
Era la seconda cosa più bella che mi avessero mai detto. 
Cercavo con tutte le mie forze di razionalizzare l’intera situazione. Non ci stavo capendo nulla. E lui doveva iniziare a porre una certa coerenza tra gesti e parole. Almeno uno dei due doveva essere logico. Non poteva dirmi che non ero una donna e di conseguenza che non avrebbe mai provato nessuna attrazione nei miei confronti per poi avvicinarsi così. Mi confondeva! Oltre a farmi venire l’emicrania. 
<< Siamo amici >> costatai provando a salvarmi. Però non ti stai allontanando. Fatti una domanda Bella! 
Asserimmo col capo come se volessimo dare maggior veridicità alla mia esclamazione. E tu non sarai mai attratto da me! 
Perché la consapevolezza mi rattristava? Faceva male. Bruciava. 
La sua mano andò a finire sul mio capo quando mi scostò capelli dal volto. Lo trovai un atto fortemente intimo ma mi piacque proprio per questo. 
Poi sempre impertinente, la sua mano, si addentrò tra i miei capelli. Se avessi dovuto rappresentarlo con un aggettivo, avrei detto dolce eppure in quel gesto c’era un pizzico di… come potevo definirlo? Rude forse. Ormai la mia salivazione era andata a farsi benedire così come il mio cuore, che non smetteva di singhiozzare furioso, e le mie gambe che nonostante le sentissi poco e niente continuavano ad arpionare il suo corpo. Era sbagliato che volessi che facesse qualcosa. Puoi anche mandarmi a quel paese ma ti prego! L’ansia mi uccide! << Mi piace l’odore della tua pelle >> confessò. Non sai quante cose io adori di te. << Grazie >> balbettai lusingata. Continuò a sospirare e con l’altra mano libera disegnò il contorno della mia bocca. Si soffermò sul labbro superiore: quello più sottile e meno perfetto e lo strinse tra le dite << Che stai facendo? >> frusciai. Rise come fosse frustrato << Non lo so! >> mi confidò forse in imbarazzo << E’ sbagliato >> appurai intristita << Lo so! >> disse lui. Allora perché continui a farlo? Perché vorrebbe tanto non sentire attrazione per te, come tu non vorresti sentirla per lui! 
<< Edward… tu sei tu ed io… forse… siamo legati da Renoir ed è meglio se continuiamo a considerarci uniti da quest’unico vincolo >> sentii le lacrime affiorare. Voglio un equilibrio per me e per mia figlia e tu incasineresti tutto! << Sì, hai ragione! >> per la prima volta in tutta la mia vita non volevo aver ragione. 
Contrariamente ciò che disse, mi baciò una guancia. Io direi che ti ha baciato in modo ambiguo. << Se ti dicessi che mi hai scombussolato la vita mi crederesti? >> bisbigliò a un mio orecchio << Sì perché tu hai fatto la stessa cosa con la mia >> rivelai colpita. 
Avrei voluto piangere. Sentivo come se fossimo stati perfetti e sbagliati allo stesso tempo. Perfetti e sbagliati per stare insieme. La vita era ingiusta. Non mi ero mai innamorata. Non ero innamorata di Edward. Ne ero certa eppure sapevo che lui avrebbe potuto essere quell’uomo. E chi mai avrebbe potuto reggere il confronto con lui. Non mi riferivo al fatto che fosse maledettamente bello. Edward era perfetto ai miei occhi – tranne che per la sua dote di farmi perdere le staffe- per il semplice fatto che era il padre di mia figlia. Renoir era il mio tallone d’Achille ed era così innamorata di Edward… nessuno avrebbe mai potuto essere paragonato a lui. 
Ritornò a guardarmi negli occhi con una scintilla di fermezza. 
Avevo l’impressione che si fosse avvicinato ulteriormente. Ormai il nostro quasi contatto lo sentivano anche gli impulsi nervosi sulle mie labbra. Stammi lontano! Fermati! Perché io non ne sarò capace! 
<< Vorrei vederti come una bambina >> sussurrò. Io vorrei soltanto vederti come il padre di mia figlia. Increspai il naso un po’ avvilita << Non sono una bambina e non sono una donna Edward. Mi basta essere Bella… Isabella per te. >> sorrisi rassicurante << Sono questa Edward e per quanto mi ostini a limare certi miei tratti, per quanto possa cercare di vestirmi da adulta… rimarrò sempre, almeno ai tuoi occhi, una vent’enne >> asserii decisa. 
Avere vent’anni non la reputavo una colpa. Una parte di me si sentiva matura, donna, rispetto ai miei coetanei. Sulle spalle avevo molte responsabilità. Università. Lavori a destra e a manca. E cosa ancor più importante ero madre. Ma non lo consideravo un peso. 
Renee diceva sempre che fare la mamma era l’occupazione più difficile al mondo. Diverse volte, solo quando ero offuscata da chissà cosa, mi mancava. Essere madre faceva diventare in un sol colpo: medico, psicologo, cuoco, confidente e tanto altro che non riuscivo a rammentare. 
Non ero coerente. Vero. Ma ero un essere umano con emozioni e sentimenti. Avevo bisogno ancora di tempo per crescere e capire. Forse un giorno avrei riso del mio carattere così passionale nel difendere le mie idee e non avrei dato nessun biasimo a Edward per le sue scelte. Forse. 
Il futuro era una grossa incognita che incombeva sui noi tre. E probabilmente colei che avrebbe dovuto essere più forte sarebbe stata proprio Renoir. La sua situazione era diversa da qualsiasi altro bambino << Non farlo! >> non mi ero ammattita! Era palese che stesse per baciarmi. Avrei potuto compilare una lista per quanto fosse sbagliato: 
- Avremmo incasinato tutto! 
- Vivevamo nello stesso luogo! 
- Aveva un qualche tipo di relazione con una donna di nome Sandy! 
E se proprio dovevo essere frivola… non ricordavo più come si baciava. Okay sebbene avessi fatto sesso una sola volta, durante l’adolescenza mi ero comportata come una qualsiasi ragazza piena d’ormoni. Non ero proprio innocente o almeno la mia lingua non lo era. In ogni caso erano passati sei anni dall’ultimo bacio che avevo dato. Sei anni. Sembrava ridicolo anche a me. In verità non lo avevo fatto per chissà quale motivo. Non avevo mai avuto tempo; nessuno aveva attratto la mia attenzione o probabilmente lo scopo di trovare Renoir non mi aveva permesso di dare la possibilità di conoscermi a qualcuno. 
Proprio quando pensai che mi avrebbe baciato, il suo cellulare si mise a squillare. 
Sfacciatamente non si spostò. Guardandomi negli occhi infilò una mano nella tasca anteriore dei suoi pantaloni, lo estrasse e rispose. 
Ero spiazzata. Perché non mi lasci andare, perché continui a fissarmi? 
L’espressione che fece mi stranì. Sulle sue labbra c’era una smorfia astiosa << Che vuol dire… >> quasi urlò << ma come… >> annuì un paio di volte << non dovevi permetterti! Stiamo arrivando! >> ordinò << Sì, verrà anche Isabella. E’ sua madre dannazione! >> sbraitò facendomi indietreggiare, anche se la sua mano non si era spostata dalla mia nuca << Esme! >> esclamò furente. Non aspettò una risposta che chiuse la chiamata e riportò il cellulare in tasca. 
<< Dobbiamo andare! >> m’informò serio sciogliendo l’intreccio dei nostri corpi << Dove? >> chiesi preoccupata << A casa dei miei. Renoir si è chiusa in bagno e non vuole saperne di uscire. Hanno chiamato perfino un fabbro. Lo stanno aspettando >> spiegò. 
Mi stupì quando mi afferrò per mano, ma non gli diedi troppa importanza, impegnata com’ero a sapere di più << Ma perché? >> strepitai in ansia. 
Non parlò finché non salimmo nella sua auto e partì. Mi osservò indeciso ma anche arrabbiato. Sapevo che non lo era con me eppure era sgradevole vederlo in quelle condizioni. Sbuffò stringendo le mani attorno al volante << Ha sentito dire a Esme che tu… >> s’interruppe. La sua voce aveva assunto una nota così amareggiata da addolorarmi << Per favore continua! >> supplicai tremante << Ha sentito dire che tu l’hai abbandonata. E’ corsa a chiudersi in bagno e l’hanno sentita piangere >> contemporaneamente a quelle parole, premette il piede sull’acceleratore. L’alta velocità mi aveva sempre spaventato ma in quel momento era necessario che corresse. La faccia che feci doveva essere un misto tra choc e l’incazzatura. Non riuscivo a credere che avesse parlato di me in quei termini con Renoir nelle vicinanze. 
Strinsi le labbra fra loro per evitare di dir qualcosa di offensivo << Isabella… >> mi chiamò << Posso parlare con tua madre giusto? >> risposi come se non lo avessi sentito. Di certo non volevo usarle violenza, il mio scopo era parlarle semplicemente << Si certo! >> sostenne << Se sarò fin ad ora molto educata, anche se non vorrei esserlo, è perché porto troppo rispetto a te e a Renoir oltre al non voler essere come lei >> ma dentro ero arrabbiatissima. 
In un primo momento avevo perfino pensato di afferrarla per i capelli non appena l’avessi vista. Il pensiero di Renoir chiusa in un bagno a piangere metteva in secondo piano anche una denuncia per percosse << Isabella… >> ripeté. 
Lo ignorai e continuai a parlare: << Sappi che non ho mai odiato tua madre, nonostante gli epiteti poco signorili con cui mi ha apostrofato ho sempre provato indifferenza nei suoi confronti. Ma adesso... adesso la disprezzo con tutta me stessa e come non potrei mai detestare qualcun altro. La considero l’essere più abominevole che possa esistere. Non aveva nulla da fare se non odiarmi a suo piacimento ed evitare di parlare a sproposito con Renoir >> aggiunsi apatica solo in apparenza. 
Arrivammo a casa Cullen. 
Esme sembrava davvero afflitta, anche se mi riservò un’occhiataccia. 
Gran faccia di bronzo! Vuole avere anche ragione! Non c’è mai fine al peggio. Carlisle Cullen fu molto più gentile << Mi dispiace tanto Isabella >> mormorò sofferente. Che potevo rispondere? Almeno lui mi aveva ignorato sin da subito. 
Mi accovacciai di fronte alla porta del bagno con Edward al mio fianco << Farfallina… >> balbettai in ansia e con le lacrime agli occhi. Riuscivo a sentire i suoi singulti << Mammina? >> rispose pianissimo. Cominciai ad avere l’affanno << Sì amore, sono la mamma >> confermai << Mammina… >> frignò. Mi si strinse il cuore << Renoir, ti prego apri la porta. Voglio parlarti, spiegarti cosa hai sentito dire alla nonna >> ancora non sapevo come avrei fatto. Sentii il rumore dei suoi passi << C’è… c’è anche papà? >> domandò << Sì, scricciolo, ci sono. >> s’introdusse lui << Tesoro che ne dici di farci entrare? >> continuò sulle spine << Voglio solo la mamma! >> piagnucolò. 
Sgranai gli occhi sentendomi in colpa << Va bene. Entrerà solo la mamma >> propose. Non ci fu risposta. 
Qualche secondo dopo la serratura si sbloccò. Guardai Edward un po’ impaurita. Sorrise come a darmi coraggio, prese il mio volto tra le mani e poggio le labbra sulla mia fronte << Andrà bene, okay? >> mi rassicurò << Grazie >> ricambiai. 
Il bagno in cui Renoir si era rifugiata, era enorme. Sulle tonalità della terra cotta. 
Inizialmente rimasi confusa quando non la vidi finché non udii un lamento provenire dalla vasca da bagno. Cauta mi avvicinai e la trovai. Era rannicchiata su se stessa con Elle stretta al petto << Mammina! >> biascicò con gli occhi rossi. Mi si bloccò il respiro. Non aspettai un attimo che entrai nella vasca e la attirai a me << Amore mio >> non potei evitare di piangere. Mi abbracciò infilando il viso nell’incavo del mio collo << Non la voglio più vedere! >> ordinò adirata << Di chi stai parlando? >> cominciai ad accarezzarle i capelli per farla rilassare << Della nonna! >> strillò << Lei… ha detto che tu non mi vuoi bene… >> tirò su col naso mentre sentivo la pelle bagnata dalle sue lacrime << Non è vero! Lo giuro farfallina. Io ti amo tanto. Più della mia stessa vita! >> obbiettai << Lo so mammina! La nonna ha detto una bugia. Papi dice che non si devono dire le bugie >> replicò. 
Non sapevo cosa dire. Non ero così perfetta da poterle dire qualcosa a favore di quella donna. Almeno non per il momento. Lei aveva fatto piangere mia figlia. Ci avrebbe pensato Edward. 
Le baciai una spalla << Cos’altro hai sentito? >> continuai risoluta << Mamma che… che vuol dire abbandonare? >> mi pietrificai << Io… >> incespicai senza voce << La nonna ha detto che tu mi hai abbandonato >> mi diede il colpo di grazia << Abbandonare significa andar via >> forse era il significato meno doloroso che potessi dare a questo termine. 
Stette in silenzio aspettando che continuassi << Renoir… io non ho mai voluto andar via >> ma ho dovuto << E… >> cosa c’era da dire per non ferirla << Sono cose da grandi non è vero? >> mi scappò una risata isterica << Già… >> borbottai sperando che capisse << Lo zio Jasper me lo dice sempre >> precisò. 
Dopo vari minuti si staccò per potermi guardare negli occhi. 
Era orribile vederla piangere. 
Passai le dita sulle sue guancie per far sparire le lacrime che le rigavano << Non piangere! >> la pregai. Mi accarezzò raccogliendo anche lei le mie lacrime << Neanche tu! >> replicò imbronciata << Se… se sei triste, sono triste anch’io… poi tante fatine stanno male >> chiarì a sguardo basso << Ti voglio bene farfallina! >> esclamai sincera. Intravidi il suo sorriso e fu bellissimo. 
Se la vita avesse avuto un volto, sarebbe stato quello di Renoir << Anch’io ti voglio bene mammina >>. Edward ci trovò strette l’una all’altra mentre le raccontavo una favola inventata sul momento << Dovresti entrare anche tu nella nostra scialuppa >> consigliai per alleggerire l’atmosfera << Ci sono dei pirati all’orizzonte? >> mi supportò. Tuttavia il suo volto angelico era segnato da una ruga sulla fronte, un miscuglio di rabbia e tristezza << Oh no! Un bellissimo gentiluomo ci sta parlando >> lo beffeggiai. Peccato che non mi resi conto della gaffe. Lo avevo definito bellissimo. L’imbarazzo durò poco. Era un dato di fatto che fosse particolarmente bello, non c’era nessun motivo per vergognarmi di ciò che avevo detto. 
Brava Bella! Già che ci sei perché non gli dici esplicitamente di esserne attratta? 
Sorrise tra il sorpreso e il compiaciuto. Non lo capivo. Sapeva di essere bello, che cosa cambiava se glielo dicevo io o qualcun altro? 
Non entrò nella vasca o meglio si sedette sul bordo. Renoir gli andò incontro e lui dolcemente la issò sulle sue gambe. Era un’immagine così tenera e trasmetteva un pizzico di speranza che non guastava << Ne vuoi parlare? >> le chiese baciandole una tempia. Amavo che le desse la possibilità di scelta. Lei scosse il capo con un velo di cocciutaggine a contornarle i lineamenti << Sono arrabbiata con la nonna! >> squittii. 
Evitai il suo sguardo palesemente colmo di sorpresa. 
Ciononostante con le sue parole rammentai di ciò che dovevo fare con la nonna. Avrei colto due piccioni con una fava perché volevo lasciare spazio a Edward di parlarle Esme. 
<< Farfallina, vado a bere un bicchier d’acqua >> mentii alzandomi in piedi. 
Con gli occhi feci capire a lui le mie intenzioni e sperai che percepisse anche la mia promessa di non fare niente di sciocco. 
Data la situazione, non avevo neanche notato l’abitazione. 
Sembrava pronta per essere fotografata da una rivista di case moderne. Nonostante i suoi residenti dalle personalità abbastanza discutibili –almeno per ciò che avevano dimostrato a me- si respirava un’aria di calore. Si sentiva che era vissuta. 
Tanto era grande che a stento seppi orientarmi, ma alla fine riuscii a trovare la causa del mio rancore. Esme Cullen era seduta nel dondolo sul portico. Aveva lo sguardo perso nell’orizzonte. Appariva assai angosciata però manteneva quell’aria di finta superiorità che l’aveva sempre caratterizzata. 
Con la coda dell’occhio si accorse della mia presenza << Che cosa vuoi? >> sbottò da vera maleducata. Non mi lasciai scalfire << Le devo parlare >> sostenni con un tono apposto al suo << Io non ho niente da dirti! >> mi contestò. Voleva essere dura? L’avrei imitata con la sola eccezione che io sarei stata anche educata << Infatti, lei non deve parlare. Deve solo ascoltare >> ribattei. 
Mi fulminò con gli occhi. 
Lo presi come un incitamento. 
Non mi preoccupai neanche di accomodarmi. 
Volevo essere diretta e quanto più concisa possibile << Sono io la madre di Renoir. Non discuto le mie scelte passate ma adesso ci sono. Edward, suo padre, me l’ha permesso. Non voglio cambiare la sua opinione nei miei riguardi e francamente non me ne importa. Se vuole continuare a odiarmi faccia pure ma così mi da solo importanza. Voglio anzi pretendo che lei eviti determinati commenti con Renoir. Se non se ne fosse resa conto è una faccenda delicatissima. Non le chiedo di farlo per me ma per sua nipote. La sua leggerezza le ha dato solo un enorme dispiacere. Lei è madre! >>. 
In macchina non volava una mosca. Renoir si mise sul sedile anteriore con me, sulle mie gambe. Non sapevo cosa le avesse detto suo padre e non volevo chiederglielo. Il suo morale sembrava essere migliorato un pochino, ma in fondo era ancora triste. Mi dispiacque un po’ che non avesse salutato la nonna e rimase avvinghiata a me, ma Esme se l’era cercata. Edward le disse di darle un po’ di tempo. 
Esme era fondamentale nella vita di Renoir. Lei me ne parlava sempre come una donna eccezionale e amorevole. La piccola amava Esme e la cosa era reciproca. Una nonna era pur sempre una nonna, una figura importante nella vita di un bambino. Mia nonna Marie era il primo ricordo che associavo alla parola "famiglia"
Aveva solo bisogno di metabolizzare l’accaduto ma tra qualche ora o giorno le avrei parlato. Non lo avrei fatto per Esme ma per mia figlia. 
Perfino quando entrammo in casa, volle che la tenessi fra le braccia. Aveva le gambe attorno al mio bacino e il viso su una mia spalla << Cosa vi va di fare? >> ci domandò Edward alle mie spalle per poi circondarmi la vita con un braccio. Vibrai come sempre ma rimasi scossa perché non era un gesto che faceva abitualmente. 
<< Credo che si possa fare un piccolo strappo alla regola e mangiare un po’ di torta con una pallina di gelato alla vaniglia >> suggerii sottovoce << Ottima idea! Allora scricciolo, a te va? >> continuò per invogliarla a essere più reattiva << Sì >> borbottò. 
Io e suo padre ci guardammo apprensivi ma non dicemmo nulla. 
L’idea di parlarle si ripresentò e colsi la palla al balzo quando Edward ci lasciò sole, in cucina, per cambiarsi. 
<< Farfallina… ti va di fare un discorso da adulti >> esordii cauta con la paura di aver fatto un passo più lungo della gamba. 
Nel frattempo uscii la torta al limone e il gelato dal frigorifero. 
<< Sì >> gracchiò tentennante << Se parliamo della nonna ti dispiace? >> dichiarai disponendo tre piattini sul bancone dell’isola. 
Fingendo di essere impegnata in qualcos’altro, avrei evitato di farla sentire in obbligo o almeno era questo il mio piano. 
Di sottecchi notai la sua espressione imbronciata << Io non voglio parlare della nonna >> si oppose << Okay, non parliamo della nonna >> speravo che la tanto decantata psicologia inversa mi fosse d’aiuto. Dopo un attimo di silenzio si decise a parlare << Ma cosa volevi dirmi? >> s’interessò. Bingo! Lasciai le mie faccende e mi sedetti sullo sgabello adiacente al suo << Piccola… sai cosa vuol dire essere umani? Che spesso sbagliamo. Nella vita si sbaglia spesso, anche se non si dovrebbe. Tutti ogni giorno sbagliamo. Non sai quanti errori ho fatto io e quando sarai più grande, sbaglierai anche tu senza volerlo. E’ così che si cresce: rimediando ai propri errori. Oggi la nonna ha sbagliato ma questo non vuol dire che sia una persona cattiva. Ha avuto una piccola svista ma ti vuole bene come gliene vuoi tu. E noi come esseri umani abbiamo il grande dono di saper perdonare. Di tendere la mano alla persona che ha sbagliato e dirle che le diamo un’altra possibilità. >> mi torturai le labbra con i denti nella speranza che la mia esposizione fosse stata chiara. 
La sua mimica facciale mi comunicò che l’avevo confusa << Mami… non ho capito quasi niente >> mi confidò imbarazzata. Le strinsi la mano addolcita << Cos’è che hai capito? >> chiesi. Corrugò le labbra sporgendole in avanti. Un suo tratto tipico. 
<< Che la nonna ha sbagliato… e che non è cattiva, che mi vuole bene e che la devo perdonare? >> parlò incerta. Sorrisi ammirata << Giusto tesoro mio! >> mi congratulai << Ma la nonna perché ha detto che non mi vuoi bene? >> piagnucolò. Alzai le spalle << Ha fatto uno sbaglio cucciola >> non ci avrei mai creduto se mi avessero detto che prima o poi avrei difeso Esme Cullen. Colei che mi aveva definito sgualdrinella da quattro soldi. Assurdo! 
Sbuffò scostandosi i capelli dal volto << Sono stata cattiva con la nonna? >> m’interrogò << No, amore! Hai avuto bisogno di pensare. Non ti sei comportata male! >> si era limitata a chiudersi in bagno senza urlare o altro e quando eravamo andati via era rimasta in silenzio. Era stata molto matura! E mi aveva stupito molto. 
Dopo qualche ora ci trovammo in bagno per Renoir. Era uno dei momenti che preferivo in assoluto. Ed era la prima volta che Edward ed io condividevamo questo frangente. Era così carina tutta bagnata e coperta qua e là di schiuma. 
Io e lui eravamo seduti su degli sgabelli mentre nostra figlia giocava con una paperella. 
<< Ehi! >> si lamentò divertito quando Renoir lo schizzò intenzionalmente. Quanto mi piaceva nei panni di padre! Lo adoravo! Faceva facce buffe per divertirci e… l’avrei mangiato di baci. 
Ridacchiai beffeggiandolo. Indispettito, raccolse della schiuma e me la spiaccicò sui capelli. Scoppiammo a ridere << Antipatico! >> finsi di essere offesa << Oh bé… se me lo dici con quella faccia >> mi canzonò. Gli feci una linguaccia e continuai a insaponare i capelli di Renoir. In tutta risposta si portò una mano sul cuore << Così mi ferisci Isabella! >> affermò con gli occhi da cane bastonato << Ma smettila! >> trillai dandogli una spallata, contemporaneamente Renoir lo bagnò ancora. Alzò le mani in segno di resa << Okay, okay! Sbrighiamoci se non vogliamo che qualcuno si raffreddi >> decise. 
Fu la volta di asciugarle i capelli. Ancora una volta Edward rimase con noi. Tutti e tre sul letto della piccola << Mami… papi… dormiamo insieme? >> mi bloccai spiazzata e il mio sguardo corse a Edward. Aveva avuto la mia stessa reazione << Amore non è possibile >> fui io a parlare << Perché? Ti prego mamma! Per favore… >> sporse il labbro come se fosse sul punto di piangere. Ormai avevo imparato che era una piccola tattica di una bambina che non accettava i rifiuti << Scricciolo, >> tentò Edward << facciamo una cosa! Adesso mettiti sotto le coperte ed io e la mamma andiamo a prendere Elle che è rimasta al piano di sotto >> annunciò << Perché non possiamo dormire insieme? >> non si lasciò sviare. Era una situazione alquanto imbarazzante << Ne riparliamo. Ora fila a letto >> mi salvò suo padre. 
<< Cosa c’è da discutere? >> bisbigliai quando fummo in corridoio << Isabella… so che non dovremmo farlo ma almeno per questa sera ha bisogno di sentirsi protetta. Questo pomeriggio Esme per poco non ha demolito le sue certezze >> eh? Vuole davvero assecondarla? << Edward non dirmi che non hai compreso che il suo desiderio è vederci insieme come coppia. >> persi la pazienza << Nostra figlia è machiavellica. Il suo cervello lavora il doppio di un normale cervello di una bimba di sei anni. E mi dispiace dirtelo ma anche di tutto ciò che è accaduto questo pomeriggio non hai capito niente! Esme non ha minimamente scalfito le sue convinzioni, se così fosse stato, non sarebbe stata arrabbiata con lei ma con me. Renoir è rimasta ferita perché non si aspettava che sua dolcenonna fosse capace di dire una cosa del genere >> gli feci notare forse con aria da saccente. Ti prego non guardarmi come se fossi caduto dal pero. << Sono un cretino! >> affermò sconcertato. Sghignazzai in parte disorientata dalla sua capacità di farmi cambiare umore << No, non lo sei. Sei solo un maschio >> scherzai per stemperare la tensione. Per comprendere le mie parole ci mise un minuto intero << Ehi! >> brontolò scompigliandomi i capelli << La tua ironia è più vispa del solito >> notò arcuando un sopracciglio. 
Mi sistemai i capelli << Edward, seriamente, se noi dormissimo insieme Renoir potrebbe illudersi. E’ normale che voglia che la sua mamma e il suo papà stiano insieme >> ritornai coscienziosa << Hai ragione… che ne dici di sdraiarci al suo fianco finché non si addormenterà e spiegandole che non rimarremo con lei >> trovai la sua soluzione, la giusta via di mezzo. 
Renoir dovette accontentarsi della nostra scelta. La nostra scusa fu che il letto era troppo piccolo per ospitarci tutti e tre, tra l’altro cosa non vera, e grazie alla stanchezza che provava non cercò delle soluzione. Pochi istanti tra il calore dei nostri corpo e si addormentò. La sua giornata era stata davvero pesante. Tuttavia non smisi di massaggiarle i capelli, anche Edward di tanto in tanto le baciava qualche parte del corpo << Isabella >> bisbigliò per non disturbare il sonno della bambina. Riuscivo a scorgere i suoi lineamenti grazie alla piccola lucina sul comodino << Dimmi! >> lo incitai << Ho ascoltato cosa le hai detto in cucina >> ops! << Abbiamo entrambi il terribile difetto di origliare >> sdrammatizzai. Rise e me lo immaginai ad alzare gli occhi al cielo << Ho sbagliato in qualcosa? >> continuai intimorita << No… è che mi hai preso in contropiede. Non mi aspettavo che difendessi mia madre >> mi scappò un sorriso << Non ho difeso tua madre. L’ho fatto per lei. E’ una bimba speciale. Io alla sua età non mi sarei mai comportata come ha fatto lei >> sogghignai << Che bambina eri? >> perché vuoi saperlo? Mi aveva colto alla sprovvista << Ehm… come una qualsiasi bambina >> tagliai corto << Non credi di generalizzare? >> mi schernì. Non mi aspettavo che mi domandassi che persona ero! << Bè… ero una sperimentatrice. Le mie azioni e reazioni erano spropositate. Sono sempre stata esagerata soprattutto quando non ero consapevole dei miei atteggiamenti, poi con l’età sono riuscita a frenarmi almeno in apparenza. Sono sempre stata un fiume in piena. Semplicemente non mi dimostravo tale di fronte agli adulti. Con i miei genitori ero composta e sapevo elencare quale posata serviva per ogni portata, con i miei amici ero quella che si metteva a ballare sul tettuccio di un'auto >> avevo dei bei ricordi della mia adolescenza, almeno prima che rimanessi incinta << Ballavi sulle auto? >> domandò incredulo << Sì ovviamente non erano in movimento, ma non sono mai stato tipo da droghe o alcool. Io mi ubriacavo con le mie pazzie. Uhm… credo sia stata mia nonna a trasmettermi questa esuberanza. Tu che ragazzo eri? >> rigirai la domanda << Normale. Anche la mia famiglia ha voluto che avessi un’istruzione solida così come l’educazione. Ero diviso tra sport, studio e ragazze. Non sono mai stato snob e neanche cambiavo ragazza con la stessa facilità con cui si toglie la biancheria intima. Un comune ragazzo. >> mi sembrava la notte delle rivelazioni << Sai… ho pensato che fossi stato un casanova >> confessai << Ho sempre fatto sesso come un qualsiasi altro ragazzo né più né meno. Ho avuto anche un paio di ragazze >> precisò << Io non ho mai avuto un ragazzo. Ne eri innamorato? >>. 
<< No, non credo di aver amato una donna almeno non come mio padre ama mia madre o Jasper ama Alice. Credevo fossi stata fidanzata con il padre naturale di Renoir >>. 
<< No. Lucas era un caro amico, un compagno d’esperienze ma non lo amavo. Non mi sono mai innamorata. Sai… Renoir ha il suo stesso colore di capelli. Quella notte, quando ho deciso di fare sesso con lui sapevo quel che facevo. Non ero ubriaca e tantomeno mi ha costretto a far qualcosa che non volevo. Era la prima volta di entrambi ma… non appena superammo i baci qualcosa tra noi due, si spezzò. Edward… è stato davvero orribile! Non tanto perché fu in uno sgabuzzino o il dolore, non sono mai stata una persona eccessivamente romantica. Mi piacciono le carinerie ma il troppo storpia. Sono dell’idea che importa con chi fai l’amore e non da quanti petali di rosa sei circondata. Tuttavia mi sono sentita fuori posto >> rivissi quella sera e tremai << Adesso penserai: “Perché hai fatto se non lo amavi?”. >> lo scimmiottai << Innanzitutto perché volevo farlo. Lucas non era uno sconosciuto e mi fidavo di lui per compiere questo passo. Quella notte non fu niente paragonata a ciò che patii dopo il parto. Edward, quando ti privano del diritto di scegliere della tua vita e di quella di tua figlia è come se ti annullassero come persona… >> dovetti fermarmi per schiarirmi la voce, avevo un grosso nodo in gola << Continua per favore >> m’incoraggiò. 
Presi un respiro profondo << Era come se fossi a lutto. Sentivo lo stesso dolore. Non per Renoir, nonostante non fossi in me, pregavo ogni notte affinché fosse felice ed ero rincuorata dal sapere dall’assistente sociale che stava bene. Ero io a sentirmi morta. Probabilmente sentirsi estinti è ben peggiore che esserlo per davvero. Se il tuo cuore smette di battere, non avverti nulla. Invece se ti senti morto, dentro, nell’animo è come se vivessi in bilico. Respiri perché è un dovere e non un diritto. Alcune notti mi svegliavo e mi portavo una mano sul petto per ascoltarne il battito. So che è insensato ma per me le palpitazioni cardiache cozzavano con il vuoto che avevo dentro >> un singulto mi scappò dalla bocca. 
I fantasmi del mio passato nel giro di pochi minuti si erano ripresentati << Mi dispiace tanto Isabella. Non ho idea di quel che hai passato ma ti sono vicino >> cercò di confortarmi. 
Poco dopo, nel buio della notte, riconobbi il suo tocco rovente della sua mano sul mio viso. Asciugò le piccole lacrime sfuggite al mio controllo << Odio frignare! >> boccheggiai. Non credi che sia il momento di rivelare il piccolo segreto? << C’è una cosa che devo dirti! >> dissi tormentata e riacquistando un po’ di selfcontrol << Non credo che tu ne sia a conoscenza. Charlie ha sborsato una fortuna affinché la faccenda non trapelasse >> la sua carezza s’interruppe ma non spostò la mano << Di che stai parlando? >> il suo tono divenne grave. Rilasciai uno sbuffo << Circa un anno dopo il parto. All’approssimarsi del suo compleanno… >>ho paura che tu possa odiarmi perché non te l’ho detto prima! << ho avuto una gravidanza isterica con il conseguente crollo nervoso. >> attesi con panico la sua sfuriata. 
Trascorse fin troppo tempo e non esalò nessun suono. Percepivo la rigidità del suo corpo e avevo paura << Dì qualcosa >> supplicai. 
Qualche istante e il movimento della sua mano sui miei capelli riprese << Puoi… puoi spiegarmi tutto per filo e per segno? >> mi parve angosciato << Edward, ho fatto i giusti controlli. Se fossi stata sicura di avere qualche problema di salute trasmettibile a Renoir, te lo avrei detto. Non volevo nascondertelo è che la considero una cosa mia e non ero pronta a farne parola con qualcuno >> mi discolpai. Spero che tu possa capirmi! 
<< Isabella per cortesia, dimmi che cosa è accaduto! >> richiese. << Dopo il parto mi sono rifiutata di andare da uno psicologo per elaborare l’evento. Ho cominciato a covare tanti di quei pensieri ma Charlie e Renee credevano che stessi bene. Io fingevo di star bene. A ridosso del primo compleanno di Renoir, probabilmente per lo stress, il mio corpo mi ha tradito. Il mio ciclo mestruale si era bloccato, avevo le nausee e, anche se non avevo avuto dei rapporti sessuali, la mia mente partorì l’idea che fossi incinta. Ero in pieno esaurimento nervoso. Toccai il fondo quando Renee - accortasi delle mie stranezze- mi disse chiaramente che non ero incinta. Reagii male. Mi misi a urlare, a dirle che era una bugiarda e che la odiavo >> era la prima volta che ne parlavo ad alta voce e soprattutto con qualcuno cui tenevo << Mi portarono in un clinica psichiatrica. Francamente ricordo solo che distava da New York quattro ore. Loro fecero tutto affinché nessuno sapesse. Il mio soggiorno durò un mese. Certamente mi è servito ma non è stato bello essere imbottita di farmaci né parlare con uno sconosciuto di tutta la mia vita compresa di Renoir. Non ho dei bei ricordi di quei trenta giorni. >> conclusi sollevata che non avessi più scheletri nell’armadio da occultare. 
<< Mi odi? >> domandai in ansia << No, Isabella. Non ne ero a conoscenza, sebbene abbia fatto delle ricerche su di te. >> sapere che non era arrabbiato mi tranquillizzò ulteriormente << Come ti ho detto, Charlie ha pagato profumatamente il direttore del centro per cancellare ogni traccia del mio passaggio in quel posto. Cartelle cliniche e prescrizioni mediche sono divenute carta straccia. >> forse lo fece per proteggermi o come sospettavo, per tutelare se stesso. << Se può sollevarti, farò dei controlli. E’ stato solo crollo nervoso. Qualche volta prendo degli ansiolitici ma il problema non si è più ripresentato. Non avrei mai permesso a me stessa di entrare nella vita di Renoir se fossi stata squilibrata >> chiarii << Sì Isabella, non preoccuparti. Ho capito le tue ragioni >>. Grazie Edward. 
<< Se non ti dispiace, possiamo cambiare argomento? >> mi aspettavo di non riparlare mai più di quel capito della mia vita, almeno fin quando Renoir non fosse stata abbastanza adulta da apprendere la verità. << La mia prima volta è stata in campeggio. Avevo quindici anni e un rametto mi si piantò in una caviglia >> sembrò imbarazzato ma apprezzai il suo gesto << Te lo ricorderai per sempre! >> osservai a disagio. Non sarei mai arrivata a chiedergli della sua prima volta << Già. Anche tu! >> rispose << Già… >> e ridacchiammo come stupidi. 
<< Edward, posso permettermi di essere invadente? >> sì, avevo fatto una domanda stupida! Chi non odiava l’invadenza? << Te lo concedo. >> mormorò << Mi hai detto che non sei mai stato innamorato. Perciò anche della tua attuale ragazza non lo sei? >> per qualche strano motivo volevo saperlo. Che razza di domande faccio? Non sono affari miei! << Non rispondere! >> imposi prima che potesse emettere un sol fiato << Io non conosco questa donna. E sono la persona meno indicata per parlar d’amore. Però… spero che tu sia felice con lei. Te lo meriti. E quando avrai voglia di parlarne con Renoir, io ti aiuterò a farle capire che non c’è nulla da temere… >> presi un respiro profondo << Isabella… >> s’intromise << Lasciami finire per cortesia. Ovviamente, se vuoi, le parlerò io stessa sul fatto che non ha nessun motivo di essere gelosa. Anche se penso che, non appena ci vedrà, si renderà conto da sé che tra noi non potrà mai esserci niente. Anche un cieco lo capirebbe! >> non seppi spiegare da dove uscì quella precisazione strampalata. In parte era un tentativo di attaccarmi a degli specchi inesistenti. E… volevo dimostrare a me stessa che i crampi allo stomaco non c’entravano nulla con questo nuovo discorso. 
Ero certa che avesse scorto il rossore sul mio viso << Non ho una relazione con questa donna! >> eh? << Come prego? >> non capivo << E’ una donna che conosco da molti anni. Al college ci siamo frequentati ma non ha funzionato e ora siamo solo amici, non ho la minima intenzione di avere una storia con lei >> oh… perché l’idea che fosse solo sesso mi sollevava? << Scusa ma lei sa che tu la consideri solo un tenervi compagnia? >> come si poteva avere una relazione di solo sesso? << Sì perché? >> s’incuriosì << Bè… se avete una relazione prettamente sessuale, non capisco perché sia gelosa di me. >> convenni << Ehm… credo sia nella sua indole. >> rispose incoerente << E hai delle altre donne con cui farti compagnia? >> ormai si era sbottonato, tanto valeva raccontarmi tutto << No >> sibilò << Mi auguro che Renoir non abbia mai conosciuto questa donna e che non lo farà fintanto che le cose fra voi due non siano più solide! >> su questo punto non avrei discusso a meno che non fosse stato pronto ad affrontare una guerra. 
<< Renoir non conoscerà mai questa donna >> mi calmai. 
<< Va bene… ora non ti dispiace se ti dico il mio parere, no? >> proposi pacifica << Vai pure >> concesse << Okay! Che sia sesso o altro il fatto che non abbiate rapporti con terze persone dimostra che avete una relazione. Di conseguenza non ha poi tutti i torti a risentirsi della mia presenza, soprattutto dalle voci che circolano, salvo che tu non le abbia chiarito i punti di questa frequentazione. Io credo che quando si fa sesso o l’amore, in qualsiasi modo si voglia definire, il nostro corpo si impegni in una tacita promessa con il corpo dell’altro individuo >> mi sentivo così sciocca a parlare di un argomento così sconosciuto a me << Che promessa? >> volle sapere << Che non sarà di nessun altro almeno per quel momento >> chiarii. 
Calò il silenzio in attesa del suo responso finché non sentii la mia mano - poggiata sul cuscino di Renoir – venir sfiorata. Era lui! Sempre che non ci siano i fantasmi. Continuò a lambirla fino a che non prese coraggio e la intrecciò alla sua. Ero rimasta di sasso in tutto quel lasso di tempo. C’erano anche i brividi che serpeggiavano lungo la schiena che mi privavano di qualsiasi logicità. Che vuol dire? 
Inghiottii la saliva con difficoltà << La tua capacità di osservazione è stupefacente >> grazie << Isabella… dire che sei una ragazzina non è mai voluta essere un’offesa. Diciamo che sei diversa da ogni esponente di sesso femminile che abbia mai incontrato >> era un complimento? E perché aveva cambiato argomento? << Diversa? >> probabilmente il mio leggero fastidio trapelò << In senso positivo, Isabella. Sei così… strana; divertente; intelligente; pragmatica; folle; pura e priva di malizia che mi sorprendi sempre. E credo che tu sia la prima ragazza in assoluto che riesce a farlo. Poco importa quanto tu possa essere donna o ragazzina. Sei straordinaria! >> il mio respiro corto era enfatizzato dal buio e dal silenzio che ci circondava. 
Stritolai la sua mano. 
Sappiamo che sei una ragazzina. Ma a quanto pare potresti essere la ragazzina che lui desidera. 
Sei misterioso! Ti sei reso conto che dai sempre delle risposte che fanno sorgere altre domande? << Perché mi dici queste cose? >> ho bisogno di risposte! << Forse perché sono stato contagiato dalla tua schiettezza >> sì, questo era un complimento. Sbuffai << Hai questo modo di fare… che se da una parte mi fa esasperare dall’altra… >> farfugliai << ti attrae. So di cosa parli. Anche tu mi esasperi ma poi mi attrai>> proseguì per me. Ecco! << E il fatto che tu sappia cosa penso o che finisci le frasi per me… >> come posso spiegarti cosa penso? << E’ come se ci conoscessimo da sempre >> ancora una volta mi lesse nel pensiero. E’ anche snervante! << Già… pensi sia normale? >> per favore dimmi che non sono matta! << Non lo so >> sospirò. 
La voglia di abbracciarlo era notevole << Siamo così diversi Edward… >> ormai lui e Renoir si contendevano i miei pensieri. << Sì, lo so! Ma vorrei tanto chiarirti un punto. Il fatto che io ti consideri una ragazzina, non significa che per te non potrei mai provare un qualche tipo di attrazione. Anzi se mai lo fossi sarebbe per i giusti motivi >> mi sentivo con le spalle al muro. Hai appena ammesso di essere attratto da me? 
Ero come una bambina che aveva appena perso a un gioco. Erano passate poche ore da quando avevo promesso a me stessa, con serenità, che non mi sarei mai innamorata di lui. Ora ero sicura che avrei dovuto combattere contro il mio cuore appoggiando la mia ragionevolezza per non infatuarmi ulteriormente. E’ facile volerti bene. 
Edward fu il primo ad addormentarsi. Non lasciò la mia mano e non volli svegliarlo. Sgusciai via dalla sua presa e da quel letto. Baciai la fronte a entrambi prima di andar via. 
E nel cuore della notte attraversai quella porzione di giardino che portava alla dependance e ritrovai il mio letto. 
Feci una doccia e dopodiché fu facile prendere sonno. Mi svegliai alle prime luci dell’alba. Mi sentivo riposata. E tutta la leggerezza che mi aveva invaso il corpo e soprattutto la mente, mi permise di elaborare un’idea geniale. Il morale di Renoir non era dei migliori così avrei fatto di tutto per farla sorridere. Avremmo passato la giornata a giocare a twister. Andai nella villa e mi misi a cucinare tanto di quel cibo da sfamare un esercito. Ovviamente molti alimenti erano conformi alla nuova dieta di Renoir. Mi ero permessa di preparare le frittelle per Edward. Accesi la radio e mentre ballavo agitando il capo qua e là, imbandii la tavola. 
<< Presa! >> balzai in aria e ugual fine fecero le due mele che avevo tra le mani. Edward mi aveva afferrato dalla vita! << Mi hai spaventata. Credevo dormissi… >> ansimai. 
Arrossii vedendo le sue braccia attorno alla mia figura che ancora non mi avevano mollato. E il mio cuore svolazzò esaltato. Perché non mi lasci andare? 
<< Mi dispiace ma è stato divertente >> si difese. Anche lui era cambiato molto dall’uomo che avevo conosciuto. Adesso sembrava più… giovanile. Non che prima non lo fosse ma si comportava come un cinquantenne che come un ragazzo di trent’anni! Sempre rigido e le parole gli dovevano essere cavate di bocca. Ora invece era più fresco! 
Feci l’insana scelta di rigirarmi nella sua morsa per vedere il suo volto. Si era fatto la doccia, lo notavo dalla sua capigliatura umida sulle punte e il forte odore di bagnoschiuma al muschio. E poi c’erano i suoi occhi: sembravano ardere tanto erano luminosi << Buongiorno >> dichiarò baciandomi una tempia. Sorrisi senza volerlo << Buongiorno a te >> ricambiai. Sembrava euforico << Che c’è? >> chiesi contagiata dal suo umore << Niente… >> e sistemò la sua presa su di me. Ancora non ho capito perché non ti allontani, non che a me dispiaccia. 
Perché sembrava cambiato? Più aperto e meno frenato. Mi sorrise e per poco non mi fecero male gli occhi per quanto mi accecò. 
Qualche secondo dopo si diffuse una melodia. La conoscevo molto bene, era una delle mie canzoni preferite. 
***
And so it is/ Ed è così 
Just like you said it would be/ Proprio come tu hai detto che sarebbe stato 
Life goes easy on me/ La vita è facile per me 
Most of the time/ La maggior parte del tempo 
And so it is/ Ed è così 
The shorter story/ La storia più corta 
No love, no glory/ Né amore né gloria 
No hero in her skies/ Nessun eroe nei suoi cieli 
I can’t take my eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso 
I can’t take my eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso 
And so it is/ Ed è così 
Just like you said it should be/ Proprio come tu hai detto che sarebbe stato 
We’ll both forget the breeze/ Dimentichiamo entrambi la brezza 
Most of the time/ La maggior parte del tempo 
And so it is/ Ed è così 
The colder water/ L’acqua più fredda 
The blower’s daughter/ La figlia del vento 
The pupil in denial/ L’alunna del rifiuto 
I can’t take my eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso 
I can’t take my eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso 
Did I say that I loathe you?/ Ti ho detto che ti disprezzo? 
Did I say that I want to/ Ti ho detto che voglio 
Leave it all behind/ lasciarmi tutto alle spalle 
I can’t take my mind of you/ Non posso smettere di pensarti 
I can’t take my mind of you/ Non posso smettere di pensarti. 
***
Senza darmi nessun preavviso iniziò a muovermi come fossi una bambola di pezza << Che stiamo facendo? >> domandai sorpresa, anche se portai le mani sulle sue spalle << Si chiama ballare Isabella >> mi punzecchiò << Divertente… perché lo stiamo facendo? >> riprovai. Girammo su noi stessi << Perché ci va! >> scoppiai a ridere. Aveva parlato al plurale come se fosse certo che io volessi danzare. Scossi il capo imbarazzata << Sappi che mi stai facendo sentire una nana >> brontolai. Con la fronte toccavo a malapena la sua trachea. 
Rise anche lui e d’improvviso mi alzò dal pavimento pareggiando le nostre altezze. 
Ero molto più che stupita oltre che imbarazzata. Ogni suo gesto mi lasciava a bocca aperta << Grazie, >> gli baciai la guancia << hai innalzato la mia autostima… >> affermai giocosa << E’ stato un piacere >> sussurrò dolce. Perché mi fai quest’effetto? Lentamente mi fece scendere. Mi piacque così come la scossa che avvertii. E fece poggiare i miei piedi sui suoi << Ecco! Ora mi sento una bambina! >> cinguettai << Sai l’ultima persona che mi ha fatto ballare in questo modo è stato mio nonno. Avevo otto anni >> dissi. 
Ridemmo ancora. 
Mi sentivo così felice… come se potessi scoppiare da un momento all’altro << Spero che tuo nonno sia stato un uomo affascinante >> trattenni una risata comprimendo il viso sul suo torace << Sì… tu me lo ricordi. Era un vecchietto come te >> lo provocai facendolo ridere << Oh no… Miss Swan, io non sono un vecchietto ma un uomo maturo >> precisò reggendomi il gioco. Arcuai un sopracciglio << Mr. Cullen, com’è che una donna dopo i cinquanta diventa vecchia e un uomo è definito maturo? >> domandai appena stizzita << Questione di punti di vista ma le posso assicurare che per me una donna non sarà mai vecchia >> disse l’ultima parola quasi con disprezzo. Mi piaceva che fosse molto signorile. Però io posso essere una bambina! << Ne sono lieta >> ammisi. 
Mi fece fare un giro su me stessa, mi riportò a sé e ancora mi issò con il braccio che circondava la mia schiena. Mi guardò come se volesse ammirare la mia anima << Questa mattina sei particolarmente bella. Non che gli altri giorni tu non lo sia, il blu ti dona notevolmente >> si riferiva al vestitino che indossavo. Poco importava il mio abbigliamento, non riuscivo a smettere di pensare alle sue parole. Davvero per te sono bellissima? << Ti ringrazio >> mimai senza fiato << Prego Bella >> sgranai gli occhi << Mi hai chiamato… >> era la prima volta! Ero sempre stata Isabella per lui. 
Ignorò la mia reazione e addossò le sue labbra al mio orecchio << I can’t take my eyes of you… can’t take my mind of you… >> canticchiò la canzone che stavamo ballando. Poggiai la fronte sulla sua spalla. La quantità sterminata di emozioni che mi stava investendo era asfissiante ma non in senso negativo. Sentivo come se tanti spilli mi stessero lacerando l’epidermide. Non capivo se mi facesse bene o male. Era una sensazione inconsueta. Nessun uomo prima era riuscito a produrre in me la metà delle sensazioni che lui mi provocava. Edward, a differenza mia, era entrato nella mia vita in punta di piedi. Con la stessa accortezza aveva lambito il mio cuore accedendovi. E ora mi rendevo conto che era diventato l’uomo più importante della mia vita << Ti voglio bene >> dissi spontaneamente. Sentii le sue labbra stendersi sulla mia pelle. Il suo fiato mi solleticò. 
Lo annusai << Hai un profumo così buono… >> sfregai il naso sulla sua mandibola poi non mi contenni e gli posai un bacio sul collo. Non c’era malizia nei nostri gesti forse per questo motivo mi stavo lasciando andare << Uomo profumato se non sbaglio >> mi ricordò. 
Soffocai una risata << Nessuno ha un profumo come il tuo >> lo informai maledicendo tutta la mia spontaneità. 
Ero sull’orlo di un precipizio e anziché indietreggiare, continuavo a stuzzicare il margine frastagliato come se non aspettassi altro che cascare. 
Il nostro pseudo ballo terminò in pochi istanti. Sentivo una tale armonia scorrere tra di non ci fu bisogno di parlare. Anche perché non smettevo di pensare alle sue parole.Non posso levarti gli occhi di dosso. Non posso smettere di pensarti. 
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Spero vi sia piaciuto. Io trovo la canzone di Damien Rice meravigliosa: è una delle mie preferite. Vi consiglio di ascoltarla. Il titolo è Blower’s daughter! Se vi è piaciuto mi piacerebbe sentire cosa ne pensate. Un bacio. Acalicad.

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Capitolo 11
*** Calore umano ***


Calore umano
Ciao ragazze! Sono tornata in fretta! Inanzitutto vi dico una piccola novita: ogni MERCOLEDI sarò qui con un nuovo capitolo. Aspettatemi e io sarò costante! 
Per chi ha letto il precedente capitolo con quell'inpaginazione oscena, l'ho sistemato. Quindi, se volete, potete rileggerlo con più calma e senza stress!
Allora... come sempre un ringraziamento speciale a CloeJ.
E adesso non vi rimane che leggere, spero vi piaccia.
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In questi primi giorni di agosto - in cui il caldo toccò dei picchi quasi asfissianti- Alice, si mise in contatto con me per accordarci su quando avremmo fatto la grigliata. La grigliata di benvenuto
Contemporaneamente Renoir volle fare pace con Esme. La resistenza di mia figlia era stata stupefacente. Fu una vera prova d’orgoglio far penare sua nonna. Così cogliemmo due piccioni con una fava: mentre mia figlia avrebbe trascorso il weekend al mare con i nonni, noi avremmo fatto la grigliata. 
Il pomeriggio prima del barbecue, Esme e Carlisle vennero a prenderla. Nel periodo del distacco, Renoir, non rinunciò a vedere suo nonno e le feste che gli fece cozzarono con il timido sorriso che rivolse a lei. Non era più arrabbiata, lo sapevo, però voleva farla penare un altro po’. 
Prima che andasse Edward ed io la abbracciammo baciandola dappertutto << Questa sera prima di andare a dormire chiamaci che ti auguriamo la buona notte >> imposi. Annuì sorridente << Non dimenticare di lavarti i denti bene e non fare i capricci per mangiare i dolci, okay? >> continuai << E in spiaggia non fare esasperare i nonni >> s’introdusse Edward << Sì va bene >> disse alzando gli occhi al cielo. 
Carlisle attirò la nostra attenzione ridacchiando a differenza della moglie che mi fulminò << Non preoccupatevi ragazzi! Non siamo così vecchi da non poter star attenti al nostro mostriciattolo preferito >> le pizzicò un fianco facendola urlare. 
<< Tesoro, che ne dici di andare in macchina? >> propose alla piccola. Il suo era un modo per lasciarci soli con Esme << Ciao… >> sventolò la mano in aria per poi mandaci dei baci. 
Prima di portare la bimba in auto, fece qualcosa di sorprendente: mi abbracciò. Non in modo formale e legnoso, ma con calore quasi soffocandomi << Ti ringrazio Isabella. Grazie, grazie, grazie! >> mormorò emozionato. Ero sgomenta. Anche se fu un comportamento che mi fece piacere, non riuscii a ricambiare la sua affettuosità nello stesso modo. Mi limitai a dargli goffamente qualche pacca sulla spalla << Prego… >> blaterai.
 Di certo Esme non fu per niente felice dell’espansività del marito. Me lo fece capire da come lo guardò << Mamma, stai attenta a quel che dici! Esigo che non ci sia una prossima volta! >> dichiarò duro, quasi mi spaventò eppure non potei evitare di appoggiarlo. Sospirò angosciata << Va bene. Non si ripeterà mai più >> assicurò algida. 
Bussai alla porta del suo studio ed entrai. Lo trovai a capo chino su dei documenti << Ciao >> fu la prima cosa che mi passò dalla mente << Sembri una francesina. Non sapevo ti piacessero cappelli del genere>> rispose facendomi ridere. Alzai le spalle << Non mi piacciono i cappelli ma questo cappello! E’ un Borsalino. Credo abbia un suo fascino. >> spiegai poggiandomi allo stipite della porta << Sì hai ragione!>> sorrise e il mio cuore partì. Mi morsi le labbra sperando di non avere un’espressione sognante sul volto << Mi stavo chiedendo se volessi venire a fare la spesa per domani o altrimenti possiamo passare la giornata a parlare di cappelli >> proposi. Aggrottò la fronte divertito << A fare la spesa? Potresti chiedere a Madeline >> quanto sei noioso! << Senti… perché non lasciamo in pace quella povera donna e usiamo le nostre gambe? Salvo che non tu voglia venire, ovvio. >> precisai. 
Si alzò in piedi a disagio << In realtà non ricordo quand’è stata l’ultima volta che sono entrato in un supermercato. Saranno passati più di dieci anni >> lo guardai sconcertata << Oh mio Dio! Dobbiamo porre subito rimedio! >> esclamai con enfasi << Su Mr. Cullen muova il suo fondoschiena e scopriamo come si sono evoluti i supermercati in questo decennio >> lo incitai gasata. Scoppiò in una fragorosa risata << Va bene Miss Swan, ma mi permette di andare a cambiarmi? >> feci una radiografia al suo aspetto. Come sempre indossava dei pantaloni e una camicia e la cravatta era allentata. Non ti rendi conti di quanto tu sia ammaliante, vero? Se vuoi, posso aiutarti a toglierti i vestiti
A lungo andare era difficile resistere al suo fascino! << Isabella? Isabella? >> me lo ritrovai davanti che mi sventolava una mano sul volto. Devo essermi rincretinita. Scossi il capo come a riscuotermi << Sì certo. Va pure. Io ti aspetto in salotto >>. 
Forse il caldo eccessivo stava agendo sui miei ormoni da vent’enne ma dovetti trattenermi dal sbavare quando lo vidi in jeans e t-shirt. Dio! Esme e Carlisle hanno fatto un ottimo lavoro! 
Smettila depravata! Vuoi anche congratularti con loro? 
<< Sicura di star bene? >> chiese quando m’incantai per l’ennesima volta ad ammirarlo << Sì è colpa della calura estiva >> mormorai << Sì, in questi giorni la temperatura si è alzata notevolmente >> ecco! Allora non è colpa tua se sento caldo! 
<< Non vedo l’ora di arrivare al supermercato, il climatizzatore della dependance si è rotto… o almeno credo, non sono pratica di queste cose. So solo sturare i lavandini e occuparmi di elettricità >> asserii mentre entravo in auto << Perché non me lo hai detto? >> mi rimproverò. Accesi l’aria condizionata e lui partì << E’ successo questa notte! E poi me ne occuperò io, è colpa mia se si è guastato >>. 
Iniziai una lunga battaglia con i sedili di pelle, che sembravano volessero farmi diventare parte integrante di essi. 
<< Ti posso aiutare in qualche modo? >> mi canzonò. Sbuffai inacidita << Ho l’insana voglia di spogliarmi. L’estate non è tra le mie stagioni preferite >> sbottai prendendomela con la cintura << Quali sono le tue stagioni preferite? >> domandò curioso << Primavera e autunno >> sospirai agonizzante << Da un estremo a un altro! >> costatò stranito << Non preoccuparti, non trovo nulla di poetico in un fiore che sboccia o in un albero che perde le sue foglie, sono le due stagioni in cui non c’è né troppo caldo né troppo freddo. Qual è la tua stagione preferita? >> chiesi a mia volta. 
Ultimamente mi tempestava di domande ed io non potevo far altro che rigirarle a lui. 
Così avevo scoperto tante cose. Aveva frequentato economia a Yale laureandosi con il massimo dei voti. La sua società era stata creata senza l’aiuto della sua famiglia facoltosa. Odiava la birra scura ma amava quella alla spina e preferiva il vino allo champagne. Le ostriche lo repellevano così come i gamberetti e adorava la torta alle mele perché era il primo dolce che gli aveva fatto assaggiare la sua tata da bambino. 
<< Non ho una stagione prediletta. Le mie favorite sono le vacanze in generale, non che il mio lavoro non mi soddisfi, ma ho più tempo da passare con Renoir >> ogni bambino del mondo avrebbe fatto i salti mortali per avere un padre come Edward. 
Non appena entrammo al Wallmart, rilasciai un sospiro di gioia. Dalla sua espressione capii che si sentiva a disagio << Tutto okay? >> m’informai andando a prendere un carrello << Sì. Che dobbiamo fare? >> mi trattenni dal ridere. Secondo te in un supermercato cosa si fa? << Devi dirmi quali carni, salse e dessert preferiscono Jasper e Alice e se mangiano molto >> nel frattempo estrassi dalla tasca del vestitino la lista della spesa << Addirittura il dessert? >> gli diedi una gomitata << Anche se è casa tua, io ci abito e non vorrei fare bella figura >> asserii. Mi guardò meravigliato per poi afferrarmi per le spalle e abbracciarmi affettuosamente << Specialmente durante i barbecue mangiamo molto. Alice è impressionante! Forse ingurgita più cibo di me e Jasper messi insieme >> sorrisi alla sua spiegazione << Ne sono felice, anch’io non mi nascondo dietro a porzioni striminzite. Siccome anche Jack e Tanya mangiano molto, dovremmo fare una signora spesa! >>. 
Riempimmo metà carrello solo al reparto macelleria. Per il dessert decisi di fare dei sorbetti al limone. Dopo la grigliata dalle quantità mastodontiche sarebbe stato utile. 
<< Isabella ti farai male! >> mi riprese cercando di essere serio. Mi ero arrampicata su uno scaffale per raggiungere la salsa barbecue << Tienimi per cortesia e non accadrà niente. Mia nonna era molto più liberale di te >> strepitai. Di punto in bianco mi sollevò prendendomi per la vita << Presa! >> esultai agitando le braccia. 
Non mi lasciò andare che sentii degli schiamazzi alle nostre spalle. C’era un gruppo di ragazzi che mi stavano squadrando le gambe << Edward mettimi giù! >> supplicai rossa di vergogna. 
Lo fece e mi ritrovai al suo fianco. 
Ciò che mi stupì fu la durezza del suo sguardo << Che succede? >> chiesi non permettendogli di andare da nessuna parte << Niente! >> sbuffò acido. Mi superò e fece male. Per questo lo abbracciai impacciata. Non sapevo neanche il motivo di una reazione così concitata. 
Poggiai il viso al centro della sua schiena e vi posai un bacio. Lo colsi alla sprovvista, lo sentii chiaramente << Sono fatta così Ed! Io mi arrampico sugli scaffali e ballo sotto la pioggia. Sono fatta così. Non arrabbiarti… sii più tollerante! >> balbettai malinconica. 
Restò in silenzio finché le sue mani non andarono incontro alle mie strette sul suo stomaco << Non sono arrabbiato >> bisbigliò dolcemente. Sono triste quando tu non sei felice! 
<< Cos’era quel nomignolo che mi hai affibbiato? >> domandò appena lo liberai dalla mia presa e tornò a guardarmi negli occhi. Scrollai le spalle << Non so… certe volte il tuo nome trasmette la stessa formalità del mio. Così ho pensato a questa piccola variante. Se tu non vuoi chiamarmi Bella, affari tuoi. Per me, nelle occasioni consone, sarai Eddie! >> annunciai facendogli l’occhiolino. Mi augurai che non credesse che fossi poco lucida. A parer mio Ed gli calzava alla perfezione. Edward era perfetto per il suo ufficio ma per le quattro mura di casa nostr… cioè sua, Ed era più familiare. 
Mi fissò strabiliato << Non fare quella faccia >> lo rabbonii allegra << Non mi piace! >> esclamò << Per il momento suona sgradevole perché non sei abituato a sentirti chiamare così. Tuttavia io penso che sia rassicurante… io sono l’unica persona per cui non sarai mai Edward il magnate ma Eddie il ragazzo normale >> sorrisi euforica e lo contagiai però non disse nulla. 
<< E cos’è questa storia del ballare sotto la pioggia? >> mi prese per mano e non lo allontanai, mi piacevano le nostre mani intrecciate << Bè… io ballo sotto la pioggerellina primaverile o estiva. D’inverno non l’ho mai fatto perché c’è troppo freddo. Quando piove porto il naso all’insù, chiudo gli occhi e ballo sul rumore delle goccioline d’acqua che mi colpiscono. E’ una cosa molto rilassante. Dovresti provare, anzi alla prossima pioggia balleremo insieme giacché ci piace farlo. Terremo Renoir allo scuro, se lo sapesse vorrebbe farlo e non voglio che si raffreddi >> ballare sotto la pioggia era sempre stato liberatorio, spazzava via tutto e ripuliva. In passato mi ero sentita così sporca che mi mettevo sotto la pioggia con l’illusione di potermi purificare. 
<< La tua eccentricità è sbalorditiva >> mormorò. Deviai il suo sguardo. La mia autostima, grazie a lui, stava facendo passi da giganti. 
<< Ti ringrazio. Sai quand’ero bambina adoravo andare a fare la spesa con i nonni >> rivelai perdendomi nei ricordi << Mi mettevo dentro il carrello, mi spingevano ed io urlavo di gioia. Vorrei che prima dei dieci anni, Renoir conoscesse l’attrattiva di un grande magazzino >> boccheggiai come un’invasata << Quando parli dei tuoi nonni, ti accendi come un albero di natale >> notò. 
<< Marie Cornelia Black e Jacob Arthur Swan. La coppia più squinternata che sia mai esistita. Sai dovevo chiamarmi Cornelia, lo avrei preferito a Isabella. Ha un non so che di… raffinatezza e classicità davvero singolare, ma il nonno ha scelto il mio nome e mi piace proprio per questo. >> affermai << Che persone erano? >> domandò. Guardai le nostre mani con un senso di pace dentro << Avevano circa dodici anni di differenza. Non erano due persone che si amavano, erano l’amore stesso. E’ stata quell’esempio di relazione che raramente si vede nella vita reale. Non so se rendo l’idea… >> un enorme sorriso mi contornava le labbra << nonno Jake, come lo chiamava la nonna, era un amico del fratello di nonna Marie. Lei era stata sempre innamorata di lui. Così durante una festa gli dichiarò il suo amore >> dissi sognante << Lei si dichiarò a lui? >> chiese impressionato. Annuii << Nonna Marie era una donna di polso e coraggiosa. Bellissima: bionda, alta, con gli occhi come i miei e benché avesse quindici anni, ne dimostrava venti. La sua fisicità era prorompente ma non volgare. Il nonno era un uomo bellissimo, dall’aspetto esteriore opposto a quello della nonna. I suoi tratti erano mediterranei ed era alto due metri o poco più. Era un uomo che incuteva riverenza, ma in realtà era un giocherellone. Sai, tengo tanto a questo cappello perché è suo. Lui lo regalò alla nonna che a sua volta lo diede a me. Un giorno mi piacerebbe che giungesse nelle mani di Renoir. La mia famiglia o almeno i miei genitori non sono stati un modello di magnanimità, i miei nonni non erano come loro. >> chiarii << E cosa gli disse? >> s’interessò. 
Gli lanciai un’occhiata di sottecchi << Sicuro di volerlo sapere? >> lo sfidai << Sì >> rispose confuso << Sicuro, sicuro? >> riprovai dando una parvenza di serietà << Sì Isabella, voglio saperlo! >> sbottò esasperato. Repressi un risolino << Poi non dirmi che non ti avevo avvisato! >> gli puntai un dito contro << Okay! >> brontolò sbuffando. 
In uno scatto lo presi per la t-shirt, lo scaraventai contro uno scaffale per quanto la mia forza fisica me lo permettesse e addossai il mio corpo al suo, non fui brusca e tantomeno gli feci male. 
Sgranò gli occhi allibito << Ti ho detto che mia nonna era una donna con carattere. Immagina che al posto mio ci sia una bionda piena di charme. Non ti dispiace se parlo come se mi rivolgessi a te, vero? Mi farebbe uno strano effetto dire determinate cose e usare il nome di mio nonno >> si limitò a dir di sì col capo come se non sapesse cosa altro fare. Non ti violento, non ti preoccupare! << Lo prese in dispare, lo schiacciò contro una parete e gli disse: “Edward, io ti desidero come non ho mai desiderato nessun uomo. Ti prego…”. >> tentai di camuffare una risata con un tono languido. 
Mi parve che fosse entrato in trance. Mi guardava in modo strano forse per l’esigua distanza che separava le nostre labbra. Si schiarì la voce e il suo pomo d’Adamo fece su e giù << Vuoi dirmi che tua nonna si è dichiarata in questo modo? >> effettivamente lo stavo prendendo in giro << Oh… no! Devo essermi confusa con una soap opera che Jack mi obbliga a seguire >> mi gustai ogni istante della sua espressione che cambiava nella consapevolezza del mio scherzo. Scoppiai in una fragorosa risata << Piccola bugiarda che non sei altro! >> provai a scappare ma alla fine mi acchiappò per il bacino e mi scosse come fossi una piuma << Scusa. Scusa. Non lo faccio più! >> strillai << Se mi lasci andare ti dico ciò che è avvenuto! >> promisi con l’affanno. Lo sentii sorridere e mi lasciò andare. 
Ritornai in me << Okay… pensa a una donna completamente differente da me! >> ribadii. Mi avvicinai nuovamente a lui << Lei gli mise una mano sul suo cuore… >> seguii le mie parole << e una mano sul collo… >> mormorai << lo guardò intensamente… >> feci ancora un passo in sua direzione e mi misi in punta di piedi, anche se il divario tra le nostre altezze continuava a essere immenso. 
Deglutii a vuoto, il mio battito cardiaco che diventò frenetico. 
Scattò l’elettricità fra i nostri corpi. 
Sorrisi involontariamente << Edward… so di essere giovane in confronto a te. So di essere volubile. So che il mio cuore non è una garanzia. Non ti chiedo di amarmi così dal nulla, ma di darmi la possibilità di dimostrarti che sono in grado di essere la donna che può starti affianco, di avere la capacità di maturare con te vicino… >> sentii la mia pelle incresparsi. 
Per un millesimo di secondo dimenticai che fossero le parole della nonna al nonno. 
Fui travolta dalla cupidigia. La smania di baciarlo mi colpì dritto al petto. Le sue labbra schiuse non mi aiutavano per nulla << Poi cosa accadde? >> mi destò. Il mio sguardo saettò dalla sua bocca ai suoi occhi. Mi sembrò che si fossero inscuriti. 
Sveglia cretina! 
<< Sarebbe idilliaco dirti che si baciarono, ma non fu così. Il nonno la allontanò, aveva ventisette anni… non poteva invaghirsi di una quindicenne, per lui era troppo giovane. Nonna Marie soffrì molto. Si rincontrarono qualche anno più tardi. Nonna era cresciuta e lui se ne innamorò. Il mio bisnonno accettò la loro unione non perché si amavano ma perché la famiglia Swan era molto benestante e un anno dopo Charlie era in cantiere. >> non mi mossi di un centimetro.
 
Forse per questo che ti ricorda tanto nonno Jake. Si ostina a respingere ciò che c’è tra voi due per il dislivello anagrafico. 
<< Ehm… scusate! >> qualcuno tossì per palesare la sua presenza. Era una donna e sembrava in imbarazzo forse per il nostro sguardo stralunato << Ho bisogno dei sottaceti dietro di voi >> squittì. Mi schiarì la voce e mi discostai da lui << Sì, ci dispiace >> mi scusai timida. 
<< Ci avrà scambiato per dei matti >> sottolineai divertita << Ultimamente mi sto comportando come un ventenne. Era da molto che non mi sentivo così… >> presi l’iniziativa e sfiorai la sua mano con la mia finché non accolse la mia richiesta muta. Io che tento di essere adulta, tu che sei risucchiato dalla stravaganza dovuta alla mia età. Sono ottusa se penso che ci stiamo compensando? 
<< Ed è una cosa brutta? >> chiesi curiosa << No è solo strano! >> ammise << Strano bello o strano brutto? >> continuai sorridente. Arricciò il naso indeciso << Strano bello. >> specificò spensierato. 
<< Da quanto tempo non partecipi a una sana partita con i videogiochi? >> chiesi appena passammo il reparto elettronica << Perché? >> se non ti conoscessi, crederei che non ti fidi di me! << Ti sfido a “Guitar hero” >> trillai. Arcuò le sopracciglia << Edward su! Non farti pregare. Sii più aperto. Cogli l’attimo. >> lo incoraggiai << No! >> disse categorico. Feci il muso << Dai… non fare il prezioso! Facciamo una scommessa: se vinci tu, t’insegnerò a ballare la salsa, se vinco io, mi porterai fino alla macchina cavalcioni sulla tua schiena! >> proposi << Cavalcioni? E chi ti dice che io voglia imparare a ballare la salsa? >> mi beffeggiò. Gli pizzicai un fianco << Ti ho detto che mi ricordi mio nonno, no? Lui mi portava cavalcioni sulla schiena! Per quanto riguarda la salsa… quando una bella donna ti dirà che sei troppo rigido, tu le farai cambiare idea mostrandole quanto sei passionale >> ammiccai sfacciatamente << Come fai a sapere che potrei essere passionale solo ballando? >> continuò << Sai Edward… per una donna il contatto è fondamentale. Quando due corpi si sfiorano, si capiscono molte cose. E cosa c’è di più sensuale di una danza in cui sono i corpi e gli occhi a parlare? >> chiarii saccente << Tu sei folle! >> convenne << E allora sii folle con me! Hai detto che ti piace questo lato del mio carattere… se non si fa male a nessuno, è bello essere pazzi di tanto in tanto! Sii sconsiderato con me, Edward >> lo spronai tendendo una mano in sua direzione. Prendi la mia mano e basta, per favore. E lo fece. 
<< Ma non dovrei decidere io il mio premio qualora vincessi? >> mi fece presente << Ehm… si hai ragione… ho peccato di superbia >> confessai << Allora Edward, che premio vorresti? >> domandai veramente curiosa << Una cena! >> proruppe. Non riuscivo a capire << Una cena? Ieri ho cucinato il tuo piatto preferito, non sarebbe un vero premio! >> obbiettai << No Isabella. Ti sto chiedendo di cenare con me stasera, a casa e per una volta sarò io a cucinare per te >> mi lasciò letteralmente a bocca aperta. 
Perché? Che senso avrebbe avuto cucinare per me? L’idea di cenare senza Renoir e che lui mi avesse fatto quella proposta mi metteva l’ansia. Sembra quasi un appuntamento
Lo squadrai titubante. Di cosa ho paura? << Ci sto! >> accettai. 
Lo portai di fronte alla tv a schermo gigante, dove c’era la console del videogioco. Afferrai una chitarra dei comandi e gliela passai << E’ una delle cose più imbarazzanti che abbia mai fatto >> borbottò. 
Le persone ci guardavano accigliate. Non siamo troppo adulti per giocare in un supermercato! << Non sai quante cose tremende farai, con me al tuo fianco >> dichiarai con una nota sadica nella voce << Mi spaventi! >> gracchiò sarcastico. Alzai gli occhi al cielo << Pff! Melodrammatico. Lasciati andare e ignora i pensieri della gente >> consigliai serena. 
La scelta delle canzoni da riprodurre le lasciai a lui. Mi meravigliò che seppe tenermi testa. 
Una partita non ci bastò e dopo ben quattro sfide in cui pareggiammo, la quinta fu decisiva << Si! >> urlai saltellando << Ho vinto! Ho vinto! >> come una bambina cominciai a battere le mani << Hai perso, hai perso… >> cantilenai additandolo. 
Scoppiò a ridere << Era un gioco Isabella! >> mi rammentò. Malgrado amassi vincere, a una parte di me dispiacque di non assaggiare la sua cucina << Ora dovrai pagar pegno! >> dissi euforica. 
Lo stavo mettendo alle strette << Non potremmo cambiare i termini della scommessa? >> se pensi di poterti salvare ti sbagli di grosso! << No! >> gongolai << Su Eddie! Così mi dimostrerai quanto sei forte! >>. 
Appena uscimmo dai grandi magazzini, senza dargli nessun preavviso, gli saltai sulla schiena << Secondo te sono ingrassata? >> chiesi aprendomi in una risata << Ehm… giusto un po’…. >> mi schernì << Cattivo! >> gli morsi una spalla << Sei una vampira! >> gridò dolorante << Te lo avevo detto. Se una donna ti chiede se è grassa, non vuole sapere la verità. Anche se, in effetti, hai ragione. Prima passavo le giornate fuori di casa, più impegnata a lavorare che a mangiare. Ora mangio sempre, anche se non mi dispiace >> notavo di aver messo peso dal mio viso più pieno << Hai messo qualche chilo, non sei grassa. Io penso che tu stia bene >> gli scompigliai i capelli in un gesto affettuoso << Stavo pensando… >> iniziai << Ti ho mai detto che ho timore quando compi quest’azione? >> quanto sei simpatico! << Non mi far tornare una vampira e ascoltami! Che ne dici se decretiamo un pari merito e stasera mi delizi con la tua cucina ancora da scoprire? >> sussurrai al suo orecchio << Non hai paura che ti voglia avvelenare? >> quanto la faceva lunga, non era capace di dire sì o no << Nah… sono ingombrante da viva, pensa da morta! >> scherzai << Okay. Almeno questa fatica è valsa a qualcosa >> replicò << Divertente… dimmi dove ed io ci sarò >> affermai << In veranda alle otto >> arrivammo all’auto e mi fece scendere per caricare la spesa nel portabagagli, nel frattempo io mi misi comoda ad aspettarlo. 
Finimmo di sistemare la spesa in frigorifero e mi cacciò dalla cucina: aveva bisogno di concentrazione e solitudine. 
Così passai il tempo che mancava alla famosa cena, a capo chino sui libri. Bè… non studiai al meglio delle mie possibilità, ogni tre parole che leggevo un pensiero volava o alla cena o a Renoir. 
Non era un appuntamento, no? No. E allora perché a me sembrava così. Mi sentivo tanto ansiosa che le gambe mi tremavano. Edward ed io siamo amici, ceneremo come due amici. Non come un uomo e una donna! Dovevo smettere di essere paranoica. 
Alle sette corsi in bagno per una doccia lampo. Dopodiché mi misi di fronte all’armadio non sapendo che cosa indossare. Tutti i miei vestiti mi sembravano inadeguati. 
Mettiti l’anima in pace! Non è un appuntamento. Giusto, non è un appuntamento. Mossa dai miei pensieri acchiappai a caso un vestito nero. Comunque dimenticai le mie intenzioni quando non seppi come acconciare i capelli o che orecchini mettere. 
Alla fine, anche per la paura di apparire troppo imbellettata, legai i capelli in una coda alta e uscii dalla dependance. 
Spalancai gli occhi di fronte alla scena che mi si presentò. 
Un tavolo ricoperto da una tovaglia bianchissima, due candele su di essa e Edward -vestito con un jeans e una camicia bianca arrotolata sugli avambracci – che sistemava le stoviglie. 
Il buio della sera e le fiammelle delle candele rendevano l’atmosfera suggestiva. 
La sensazione d’inadeguatezza si ripresentò. 
Restai ferma sul mio posto finché non mi notò. Mi abbacinò col suo sorriso << Ciao >> parlò lui. Mi scollai dal mio torpore e avanzai verso lui << Questo posto è magnifico >> tu sei magnifico
<< Sei… bella…>> aggiunse come se non se ne fosse mai reso conto. Stavo andando a fuoco! << Grazie, anche tu stai molto bene >> farfugliai. Continuò a sorridere << Grazie. Che ne dici di accomodarti? >> con una mano poggiata sulla mia schiena, mi condusse al tavolo << Almeno lascia che ti aiuti! >> lo pregai << Isabella, siediti… >> scostò una sedia come chiaro invito. Mi sentivo le guancie in fiamme, speravo che attribuisse questa mia tonalità alla temperatura estiva. Mi sedetti a disagio. Non riuscivo a stare con le mani in mano soprattutto quand’ero in imbarazzo << Sicuro che non c’è niente che possa fare? >> ti prego farò qualsiasi cosa. << In realtà sì! >> m’illuminai ottimista << Vino, birra o altro? > domandò. Sospirai pesantemente << Va bene quello che bevi tu >> dissi indifferente. Aggrottò la fronte << Stai bene? >> domandò serioso, umore opposto a quello di poco prima << Sì perché? >> ansimai incoerente. Ero certa di essere prossima al collasso! << Ti stai grattando il collo! >> notò. Non ne ero neanche consapevole. Fermai la mia mano << Sai… è colpa delle zanzare. Adorano il mio sangue >> mentii sorridendo istericamente. 
Non era colpa sua se mi stavo trasformando in un’invasata. 
Mia cara, lui ti condurrà alla pazzia. E a quanto pare non sei molto lontana… 
<< Eccomi! >> sbucò dalla portafinestra con un enorme piatto tra le mani << A quanto ricordo, ti piace il sushi >> disse disponendolo sul tavolo << Ho pensato che con questo clima sarebbe stata una follia qualcosa di caldo >> continuò sedendosi. Era l’uomo dalle mille risorse << Tu hai fatto il sushi a casa? >> è da sposare! << Già… >> ridacchiò << Ma come... >> cavoli! Sapeva preparare il sushi. 
<< Ho passato un anno in Giappone per uno stage, durante l’università, così ho imparato >> minimizzò << Wow! Deve essere un bel posto e ci sono molte possibilità lavorative…>> sussurrai prendendo del sashimi << Vuoi andare in Giappone? >> chiese confuso. 
Alzai gli occhi dal mio piatto << Cosa? No! Perché dovrei andare in Giappone? Mia figlia è qui! >> tu sei qui! << Non so cosa farò dopo la laurea… >> m’incuteva timore programmare il futuro, una piccola variante e tutto cambiava. << Non sai che fare? >> continuò. 
Giocai con le bacchette ponderando sulla risposta da dargli << Già. Sarò un ingegnere aerospaziale e un po’ sono irrequieta. Spesso mi chiedo se sarò in grado di progettare un aereo ma d’altra parte non vedo l’ora. Dopo la laurea non so per quale società lavorerò o se qualcuno mi accetterà. La speranza è di trovare lavoro a New York o nelle vicinanze altrimenti credo che continuerò a fare la fotografa e, la barista part-time >> lo sconforto m’invase. Come rovinare una cena. << Perché dovresti continuare a fare la barista? >> davvero non ci arrivi? << L’ingegnere aerospaziale è la professione che ho sempre desiderato svolgere, ma credi che potrei accettare di lavorare in un altro paese? >> domandai retorica << Renoir >> bisbigliò << Già… non sarei in grado di allontanarmi da lei, neanche per il lavoro che più amo al mondo. La mia unica speranza è incrociare le dita >> terminai ottimista solo in apparenza << Isabella, com’è possibile che tu non riesca a trovare un lavoro in America e soprattutto a New York se sei tra le prime del tuo corso di laurea. Da quel che ho appreso i tuoi docenti nutrono grosse speranze su di te. >> la sua ostinazione mi colpì << Da quel che hai appreso? >> ah… << Le ricerche giusto? E’ imbarazzante dover parlare con una persona che sa tutto di te! >> sostenni per alleggerire la conversazione. 
Bevvi un sorso d’acqua e mi pulii la bocca con un tovagliolo << In verità io so poco e niente di te >> parli come se volessi conoscermi. << Sai quel che basta. Non ho mai ucciso una persona. Non sono affetta o portatrice sana di malattie geneticamente trasmettibili. Il mio gruppo sanguigno è A positivo. Non organizzo bische clandesti- >> non mi lasciò finire che m’interruppe: << Isabella, a me non basta sapere se sei ricercata dalla polizia… >> bevve del vino << E cos’altro vorresti sapere? >> mi portai le braccia al petto in segno di protezione << Non lo so… i luoghi che vorresti visitare o il tuo autore preferito… >> come posso far finta che sia normale che tu voglia sapere queste cose? 
<< Certe volte vorrei tornare a Chicago. Le tombe dei miei nonni sono lì. Sono sei anni che non vado a trovarli però ho paura di chi potrei incontrare. Mi piacerebbe andare nei luoghi storici come Germania, Vietnam, Italia, Inghilterra, però poco per volta. Non vorrei mai essere un giorno in Perù e quello dopo a Londra. Sono folle ma non così avventurosa. Per essere vitale ho bisogno delle mie consuetudini, del mio letto e di affacciarmi dalla finestra e vedere New York. Amo questa città. L’architettura, gli spazi verdi, il caos dovuto al traffico, che a ogni isolato ci sia un uomo degli hot dog, dare da mangiare ai piccioni e alle anatre >> mi ascoltava come se stessi parlando di qualcosa di veramente importante. 
<< Vuoi sapere cosa leggo? Un po’ tutto. Non ho un libro preferito, però l’opera che più preferisco è una tragedia di Shakespeare “Il mercante di Venezia”. L’arguzia e la maestria di Porzia nel rigirare i fatti a suo piacimento soprattutto durante la scena del processo sono davvero straordinarie. >> parlare dei miei interessi non era un’attività che amavo << Femminista? >> feci schioccare la lingua sul palato << Non puoi dire che sono una femminista solo perché ho trovato Porzia interessante e soprattutto più intelligente di qualsiasi uomo in questa tragedia >> mi lamentai sconcertata << Era giusto per sapere… >> si giustificò << Tuttavia… non si può negare che il sesso femminile sia più pensante di quello maschile… >> lo provocai con un’espressione innocente sul volto << Come prego? >> chiese divertito << Edward… forse una volta eravamo il sesso debole, anzi non lo siamo mai state ma il genere maschile ha preferito trastullarsi in questa credenza. Adesso lo siete voi ma non lo accettate. Una ricerca scientifica del duemilaundici, ha dimostrato che in ambito lavorativo il tasso di realizzazione femminile è maggiore di quella maschile >> dissi decisa. 
Alzò gli occhi al cielo ridacchiando << Che ne dici di mettere da parte questi discorsi e chiacchierare d’altro? Tu che libri preferisci? >> deviai il discorso << La prima cosa che farò domani mattina è reperire la ricerca di cui parli. Tuttavia sono conscio che non c’è niente che possa dire senza apparire maschilista! >> decise << Il femminismo è una conseguenza logica al maschilismo è anche vero che ci sono stati picchi di estremismo nella prima fazione tuttavia noi siamo state costrette, altrimenti non avremmo il diritto al voto o all’istruzione >> conclusi << D’altra parte è pur vero che potremmo fare a meno di voi in qualsiasi campo: lavorativo, sociale, perfino sessuale. La fecondazione in vitro è un lampante esempio! >> sentenziai sicura ma non saccente. 
Non rispose. 
Lo fecero i suoi gesti: le sue dita sfiorarono la mia mano << Calore. Ogni essere umano, indipendentemente dal genere sessuale, ha bisogno di calore e di sentirsi amato. >> ribatté dolcemente. Qualcosa nel mio stomaco si smosse. Distolsi gli occhi dai suoi << Forse hai ragione… >> tagliai corto. 
<< Ti piaceva Chicago? >> chiese. Annuii con vigore << Chicago è spettacolare. E’ diversa da New York. Se vai a visitarla ti senti subito a casa, invece qui devi ambientarti. Io vivevo in un’enorme casa i cui i due terzi delle sue mura era rivestito da rampicanti e avevo una casa sull’albero che era stato Charlie a costruire e c’era un tunnel in cantina risalente alla guerra d’indipendenza che portava in giardino. La cosa buffa era che i miei genitori neanche sapevano che esistesse perché non appariva in nessuna documentazione della casa. Bé… ti ho detto che era una sperimentatrice, l’ho scovato all’età di dieci anni e durante l’adolescenza l’ho usato come via di fuga >> la mia città natale mi mancava molto così come la mia casa. 
<< Il rapporto con i tuoi genitori è deteriorato quando sei rimasta incinta o vi eravate allontanati da tempo? >> non si poteva dire che non fosse diretto però non pensai che fosse invadente << Sebbene fossero molto cattolici, ci sono dei ricordi che porterò sempre nel cuore. Come quando aiutai Charlie a costruire la casa sull’albero o quando aiutavo Renee a fare i biscotti per una raccolta di beneficenza. A sei anni mio padre decise di iscrivermi a jujitsu e non sai quanto Renee si disperò. Aveva paura che diventassi un maschiaccio però lui le spiegò che sapere come difendermi mi sarebbe servito. Mi hanno sempre dato fiducia e con Renoir li ho delusi e loro sono stati talmente accecati sia da ciò che avrebbero potuto pensare le persone che dall’eccessiva religiosità che mi hanno ferito >> non li giustificavo tuttavia, a onor del vero, prima di rimanere incinta erano stati degli ottimi genitori. Continuammo a parlare di tante cose. 
<< Fammi capire! Tu hai messo una fava dentro il naso di Jasper mentre dormiva e dopo qualche tempo, grazie al clima umido, ha germogliato? >> non riuscivo a crederci << Sì >> asserì come fosse normale << Tu sei pazzo! >> sbraitai << Eravamo bambini! >> si difese << Hanno dovuto operarlo per la tua puerilità >> lo accusai cercando di non ridere. Aveva una faccia di schiaffi incredibile! << Ma tu immagina la faccia di Esme che sbiancava vedendo una fogliolina spuntare dal naso di mio fratello… >> fu la goccia che fece traboccare il vaso. Scoppiammo a ridere << Povera donna! Devi essere stato una peste.  >> sbuffai sconcertata << Tutti abbiamo fatto almeno una cosa grave da bambini! >> mi morsi il labbro inferiore << Sì… forse hai ragione! >> dissi vaga << Allora è vero! >> disse concitato << Non so di cosa stai parlando >> replicai << Dimmi cosa hai fatto! >> ordinò << No! >> frignai << Isabella… >> si alzò dalla sua seduta e si accostò a me. 
Indietreggiai facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento di terracotta << svelami l’arcano! >> implorò << E’ imbarazzante! >> piagnucolai << Non preoccuparti, non lo saprà anima viva >> m’incalzò. Continuò ad avanzare << Prometti di non ridere! >> intimai << Non faccio promesse che non sono in grado di mantenere >> annunciò. 
Boccheggiai nel tentativo di trovare una via di fuga << Okay… come ti ho detto, i miei comportamenti erano stravaganti quando non ero consapevole… >> cominciai con l’affanno << Continua pure! >> esclamò sorridente << di conseguenza ho fatto molte cose gravi ma soprattutto due azioni furono scriteriate >> esalai affranta << Ho tutta la notte! >>. 
<< Portavo ancora il pannolino. La nostra vicina di casa, una vecchietta davvero terrificante, non faceva altro che acchiapparmi le guancie e strizzarmele quasi a farmi piangere. Se avesse continuato, sono certa che avrei avuto il viso cadente. Così mossa dall’istinto di rivalsa ho… fattolapupùsullozerbinodicasasua >> dissi in un sol fiato << Non ho capito >> mi torturai le mani << Ti prego non farmelo ripetere! >> supplicai << Non farti pregare >> borbottò.
 Rovesciai gli occhi << L’ho fatta sul suo zerbino. Cioè… non letteralmente, mi sono tolta il pannolino e l’ho lasciato lì. Così quando ha messo un piede fuori di casa, era estate perciò indossava delle infradito, l’ha pestata >> gli tappai la bocca con una mano, per poco non lo soffocai. << Non ridere! >> sussurrai rossa di vergogna. Quando fui certa che non mi deridesse lo liberai. Purtroppo subito dopo aver respirato a pieni polmoni, esplose tanto che non a stento aveva fiato << Uffa! >> mi lagnai. 
<< Ma… ma come… >> ansimò tra le risate << Ero vendicativa e non sapevo quel che facevo >> mi discolpai << Non riesco a crederci! >> aggiunse << E i tuoi genitori cosa hanno fatto? >> domandò. Sorrisi al ricordo << Si misero a ridere come te. Da quel giorno diventai “Isabella dalla pupù facile” oppure dicevano: “Non facciamo arrabbiare la piccola Isabella altrimenti…” >> vederlo ridere mi mise allegria. 
<< Okay…. >> prese un respiro profondo << mi spiace, sono pronto a ritornare adulto >> finalmente! 
Parlammo ancora e se da una parte mi divertivo dall’altra, ricevevo altre prove della nostra diversità. Per lui spesso e volentieri esisteva o il bianco o il nero, per me c’era il grigio. 
<< Perché non hai mai avuto una relazione? Possibile che non ci sia stato nessuno che ti abbia attratto minimamente? >>. 
La cena era finita da un bel pezzo. Lui si godeva la sua birra gelata mentre io avevo le mani sul grembo, il capo all’indietro e gli occhi chiusi lasciandomi cullare dalla brezza estiva. 
<< Io non credo nel colpo di fulmine di conseguenza essendo stata troppo impegnata a rintracciare Renoir, non ho dato alcuna importanza a nessuno. Se sei sicuro di essere innamorato di una persona senza averle mai parlato come puoi essere certo di non amare solo il suo aspetto fisico? Con quale criterio stabilisci che ne sei innamorato? Non è un po’ superficiale? Penso che per amare davvero bisogna conoscere l’interiorità di un individuo. >> spiegai sottovoce << Devi considerare che parlo per congetture. Non ho mai amato un uomo… quindi non si sa mai. Domani potrei incontrare l’uomo della mia vita e innamorarmene senza avergli mai rivolto parola… >> scrollai le spalle ridacchiando << Alcune volte appari così… svampita… e altre ancora molto matura. Non riesco mai a inquadrarti bene >> rispose divertito. Non suonò come un’accusa per cui non mi arrabbiai << Essere svampite non è una cosa brutta! >> obbiettai spensierata. 
<< Adesso ti faccio una domanda io! Hai mai pensato di sposarti? >> potevo chiederglielo, no? In fin dei conti lui non aveva fatto altro che bombardarmi di domande. 
<< Non lo so… forse un giorno >> bofonchiò come se si trattasse di un argomento scottante. Perché l’idea che si sposasse era così sgradevole? Di certo avrebbe scelto una donna e non una ragazzina. Una donna concreta che non aveva tempo di ballare sotto la pioggia. Lo avrebbe reso felice e lui l’avrebbe amata. I miei capelli cominciarono a patire la morsa cui era costretti così li slegai lasciandoli ricadere sulle spalle << Ho delle ottime doti organizzative. Potrei organizzare le tue nozze se alla tua futura compagna va bene. >> fu la prima cosa che mi passò dalla mente, ma non lo avrei mai fatto! E poi avrebbero scelto un wedding planner di prestigio. 
<< Renoir sarebbe bellissima vestita di bianco a percorrere la navata spargendo petali di rosa >> continuai incantata << Tu hai mai pensato al matrimonio, non è così? >> non capii se fosse una domanda o un’affermazione. 
<< Charlie e Renee volevano che mi sposassi in Chiesa con tanto di abito bianco e pomposo. Non ho mai pensato alle nozze… >> ridacchiai isterica. 
<< Pensi mai ad avere altri figli? >> chiese cambiando ancora una volta il tema delle nostre conversazioni << Da figlia unica ho sempre desiderato avere tanti bambini, poi ho vissuto il parto. Sapere cosa sarebbe avvenuto, non mi ha permesso di vivermi l’esperienza nel migliore dei modi. E’ stato un cesareo con anestesia spinale. C’erano solo le infermiere a incoraggiarmi. Mi sentivo sola finché non ho ascoltato il suo pianto. Tre chili e ottocento. Da quel giorno sono diventati i miei numeri preferiti. Nonostante io la ami con tutta me stessa, ho bruciato le tappe rimanendo incinta a quindici anni. Ero giovane e… a quindici anni si è davvero immaturi per avere un figlio. Non ero donna ma era ed è mia figlia e il dolore di doverla lasciare è stato lancinante. Ora… forse darò un fratellino a Renoir tra quindici anni. Non ne sono sicura. Ho solo vent’anni. Un po’ ho paura di rientrare in un ospedale per partorire. Sono rimasta scossa e ho bisogno di tempo. Tu vuoi altri figli? >>. 
Avere altri figli… era una cosa cui non avevo mai pensato. E non capivo perché stessimo parlando di questi argomenti così intimi. 
Aprii gli occhi scoprendomi assonnata e il suo sguardo su di me, ma non una normale espressione. Sembrava che mi stesse guardando da molto tempo, come se mi vedesse per la prima volta. Sto impazzendo davvero! << Sì. >> asserì sognante. 
<< Sento caldo! >> squittii << Vuoi entrare in casa? >> domandò alzandosi in piedi, lo imitai << Ehm… forse è meglio di no >>. 
Doveva essere tardi e la testa mi girava a causa dei pochi sorsi di vino che avevo bevuto. << Ma non hai il condizionatore >> ribatté. Scrollai le spalle << Male che vada dormirò nella vasca con del ghiaccio. Sono brava nell’arte dell’arrangiarsi >> strepitai << Se non hai sonno potremmo vedere un film >> proposi impacciata << Vada per il film! >> accettò. 
Cercai di muovermi ma traballai e lui mi trattenne per un braccio << Ora spiegami come una barman possa ubriacarsi con due sorsi di vino? >> mi beffeggiò << E’ come se chiedessi a un pasticcere perché non mangia dolci! Fare la barista non è il massimo delle mie aspirazione e poi ci tengo al mio fegato. Se dovessi bere ogni drink o liquore che servo, morirei prima dei trent’anni. Mi piace il vino rispetto alla birra ma non arriverei mai a berne più di un bicchiere. Una volta mi sono sbronzata, le solite cavolate che si fanno da adolescenti… non voglio mai più riprovare la sensazione del mattino successivo… >> dichiarai. Lo feci ridere e io con lui. 
Aprì la porta della piccola casetta e mi accompagnò al suo interno << Dio! Sembra quasi che sia in funzione il termosifone >> costatai. In pochi secondi si era formata una patina di sudore in tutto il mio corpo. Mi staccai da lui, andai in direzione del frigorifero e presi una busta di ghiaccio << Oh… >> provai un grosso sollievo quando poggiai il ghiaccio sul collo << Tu accendi la tv e scegli tra i dvd quale film vuoi vedere >> gli diedi carta bianca. 
Come pigiama indossai una t-shirt extralarge per il caldo << Eccomi! Che film hai scelto? >> dissi fin troppo entusiasta << Ti piacciono i film muti? >> m’interrogò << Non è il mio genere preferito, adoro inventare le battute mentre gli attori fanno i mimi >> mormorai euforica << Non sai quanto è divertente! >> aggiunsi sistemandomi sul letto con la mia fedele busta refrigerata. 
Mi osservò titubante << C’è qualcosa che non va? >> m’informai confusa << Ehm… no >> ma non mi convinse << Allora che aspetti a raggiungermi? >> incrociai le gambe e battei la mano sulla parte del letto vacante. 
Per l’ennesima volta mi rigirai nel letto << Edward? >> lo disturbai << Dimmi >> m’incitò staccando gli occhi dal televisore << C’è una cosa che vorrei chiederti, ma non ho il coraggio di farlo… >> non seppi come continuare << Con me puoi parlare liberamente >> mi ricordò. 
Guardai il suo profilo mascolino e portai la mia mano a stringere la sua che era posata sullo sterno << Sei sbiancata… >> notò << Carmen, la tua ex, per legge è ancora la madre di Renoir? >> la mia voce tremò. Da supino si mise su un fianco << No. >> mi rassicurò << E se… se dovesse succederti qualcosa, a chi sarà affidata la piccola? >> continuai spaventata. Rimase di sasso non aspettandosi una domanda del genere << Io… >> non ci fu bisogno che aggiungesse altro. Sarebbe stata affidata ai suoi genitori. Nelle peggiori delle ipotesi, Esme non mi avrebbe permesso di vederla. << Ah… >> conclusione stupida a un discorso triste.  
Mi svegliai di soprassalto che quasi cascai giù dal letto. La radiosveglia segnava le undici del mattino << Oddio! >> strillai saltando in aria. Mi misi eretta per poi stropicciarmi gli occhi.
Poco dopo notai un foglio di carta. 
“Buongiorno. Probabilmente ti sveglierai tardi. Mi dispiace di averti sfinito ieri. E’ stata una serata piacevole e rivelatrice. Ti aspettiamo in giardino. E”. 
Sorrisi vedendo la sua calligrafia raffinata. Rivelatrice. Che voleva dire? 
Presi il biglietto e lo riposi dentro il comodino. 
Feci una doccia veloce e mi precipitai in giardino. 
Mi vergognai profondamente. Erano arrivati tutti e si muovevano a destra e manca indaffarati. La grande tavolata era stata preparata così come le stoviglie, il barbecue era già in funzione e a occuparsene c’erano Jasper e Jack. 
<< Finalmente dormigliona! >> urlò Tanya attirando l’attenzione su di me << Ehm… scusate! >> esordii. Salutai i miei amici che mi stritolarono nei loro abbracci. 
<< Buongiorno Bella! >> Alice mi venne incontro e mi gettò le braccia al collo prendendomi in contropiede << Come stai? Ti trovo bene >> è proprio amichevole! << Buongiorno a te. Sto bene. Tu? >> chiesi cordiale << Non c’è male. Quando c’è il sole, sto sempre bene >> dichiarò sorridente. 
<< Ciao Isabella >> fu la volta di Jasper. Era una continua fonte di sorprese << Ciao… >> incespicai << Sembri fuori fase >> rilevò arguto << Bé… mi dispiace di essermi svegliata a quest’ora >> spiegai impacciata << Non preoccuparti, più conoscerai Alice e più ti renderai conto che lei sta un passo avanti a tutti. Se ti fossi svegliata all’alba, l’avresti trovata scattante ad aspettarti >> scoppiai a ridere. Perché questo cambio di atteggiamento? << Avevo intuito qualcosa… >>. 
Mi guardai attorno. 
La smetti di cercarlo con gli occhi. Non fai altro da quando sei in giardino! 
<< E’ in cucina! >> mimò Tanya. 
Aveva capito tutto e sarebbe stato da stupidi se avessi negato. La ringraziai e corsi a trovarlo. 
Ci scontrammo sulla soglia della portafinestra. Prontamente mi afferrò dalla vita. Poteva essere così splendido il mattino? Un suo sorriso poteva avere il potere di cambiare la mia giornata? << Giorno >> sussurrò a pochi dal mio volto. Io direi che è un buongiorno << Mi dispiace se ieri non sono stata di buona compagnia addormentandomi >> mi corrucciai << No. E’stata una bella serata >> obbiettò << Anche per me. Molto! >> troppo! E non va bene. 
<< Isabella noi… >> la sua mano si posò sulla mia guancia. Ebbe il potere di ravvivarmi e il respiro mi si fece accelerato << Sì? >> le mie vie respiratorie stavano per dare forfait. 
<< Ehi che fine avete fatto? >> Jack spuntò dal nulla e maledii il suo tempismo. 
Io, Tanya e Alice mangiammo tanto di quella carne da farci prendere in giro. << Alice, tu di cosa ti occupi? >> domandò la mia migliore amica << Ho un maneggio di cui mi occupo a tempo pieno. I cavalli sono la mia vita >> trillò << Grazie amore… >> borbottò Jasper con tono sarcastico. 
Lei lo guardò sorridente per poi stringergli la mano << Insieme con te amore >> lo confortò come se gli stesse dando il contentino. Ridemmo di quella scena. 
<< No! Davvero sei un ballerino? >> chiese Alice rivolgendosi a Jack << Sì. Purtroppo non è il lavoro di cui vivo ma è la mia passione >> disse il mio amico << Non mi dire che non hai una fidanzata! >> continuò disperata. Repressi una smorfia divertita così come Tanya << Ehm no… ho avuto una sola volta una ragazza e non voglio mai più ripetere l’esperienza >> camuffai una risata con un colpo di tosse << Sei felicemente single? >>. Jack non aveva mai avuto problemi nel parlare del suo orientamento sessuale per questo non si sentiva a disagio per la curiosità di Alice. << No, sono felicemente gay! >> esclamò tranquillò. 
La faccia che fece la sua interlocutrice fu uno spasso << Oh… bè… com’è fare l’amore con una persona del proprio sesso? >> wow! 
<< Alice! >> la rimproverò il marito. 
<< Jasper, se fossi in te, mi farei qualche domanda >> lo canzonò Edward. Ricevette una mia gomitata. 
<< Com’è per te fare l’amore? >> domandò di rimando Jack. Alice ci pensò su come se si stesse sforzando di trovare le parole giuste << Appagante! >> strepitò con una nota di lussuria nello sguardo che rivolse a Jasper. Lo fece arrossire! 
<< Anche per me è così >> decretò Jack.
 Dopo aver mangiato, Alice entrò in casa ritornando con una radio << M’insegneresti a ballare? >> implorò Jack con gli occhi da cucciolo. Fu talmente convincente che non se la sentì di rifiutare << Ovviamente tu… >> mi puntò un dito contro << insegnerai a Jasper >> ordinò << Amore… non vedo l’ora di ballare con te! >> gli disse ammiccante. 
Ero in imbarazzo a ballare con Jasper. Non smetteva di guardare la moglie che a sua volta volteggiava tra le braccia di Jack << Sei sicura che sia gay? >> mi chiese di punto in bianco. Sorrisi intenerita dalla sua gelosia << Ha resistito ai colpi bassi di Tanya. Credo che sia una prova inattaccabile >> bisbigliai. Mi fissò indeciso << Mi posso fidare? >> riprovò << Al cento per cento! >> affermai. 
<< Sai già cosa farai dopo la laurea >> chiese per impegnare il tempo tra un passo e un altro. Non era propriamente coordinato, da dieci minuti mi pestava i piedi ed io reprimevo le urla che avrei voluto emettere. << Non lo so! Tu… tu come hai iniziato? >> anche se in campi diversi anche lui aveva studiato ingegneria << Come ricercatore. Sono passati sei anni e adesso ho fatto richiesta per la cattedra di docente alla New York University >> iniziare da ricercatrice era un’opzione che avevo vagliato anch’io << Sto vagliando tutte le possibilità… ho le idee confuse… >> sussurrai irritata << Se può esserti utile ho alcune conoscenze nel campo in cui vuoi inserirti. Edward mi hai detto che preferiresti trovare un lavoro in questa città, come giusto che sia, e che sei molto dotata >> Edward ti ha parlato di me? Che cosa dovevo fare? Da una parte c’era il mio orgoglio che premeva affinché rifiutassi il suo aiuto, ma dall’altra la mia ragione sapeva che se avessi accettato sarei rimasta al fianco di Renoir. 
<< Perché vorresti aiutarmi? >> forse avrei dovuto tacere ma com’era possibile che fosse un’altra persona? Sorrise affabile << Riconosco quando sbaglio. Sono stato prevenuto nei tuoi confronti. A me basta che mia nipote sia felice, con te lo è. Renoir è sempre stata un’ottima osservatrice, sente a pelle se una persona le buona o meno e tu le sei piaciuta fin dal primo istante ancor prima che sapesse chi fossi. Mi fido di mio fratello, anche se non ha voluto rivelarmi le informazioni private che vi legano. E’ un uomo molto attento soprattutto per tutto ciò che riguarda Renoir e se ti ha lasciato entrare nella sua vita significa che è sicuro della tua buona fede. >> gli uomini della famiglia Cullen non avevano niente a che fare con le donne del medesimo nucleo << Jasper io- >>. 
<< Posso rubarti mio marito >> Alice m’interruppe << Sì certo. Divertitevi >> sorrisi e raggiunsi il tavolo. 
Sorrisi nel vedere i miei amici ballare così come Alice e Jasper. 
<< A cosa pensi? >> la voce di Edward mi ridestò. Si sedette al mio fianco << Niente d’importante. E’ una bella giornata >> spiegai. 
Il modo in cui mi osservava mi metteva a disagio << Smetti di guardarmi così… >> come se mi desiderassi. Stavo gradualmente acquistando il benestare dei suoi familiari, non volevo rovinare i progressi raggiunti trasmettendo ulteriori idee sbagliate << Come ti guardo? >> ho paura che ciò che mi fai provare possa arrivare a loro. 
Per la prima volta posai gli occhi su di lui << Mi imbarazzi! >> confessai << Lo vedo. Le tue guancie si arrossano di frequente >> per caso ne era compiaciuto? << E’ colpa del caldo! >> mi difesi << Solo del caldo? >> ribatté. Sospirai trattenendo un sorriso. 
<< Mio fratello ha cambiato le tue opinioni? >> chiese cambiando argomento << Credo sia un pregio degli uomini Cullen >> ammisi indifferente. 
Mi studiò finché non decise di sistemarmi i capelli dietro a un orecchio. Non vi trovai nulla di innocente, mi sembrò quasi che la mia pelle scottasse dopo il passaggio della sua mano. Davvero non stiamo facendo nulla di male? << Edward… >> lo ammonii. Non poteva comportarsi in quel modo di fronte ai suoi familiari. 
Non tenevo gli occhi su di lui ma lo sentii sorridere probabilmente perché una nuova vampata di rossore mi aveva invaso le gote << Non sto facendo nulla di male. Ci credi se ti dico che non me ne sono mai accorto? >> doveva riferirsi al mio modo cerebroleso di mostrare al mondo la vergogna che provavo << Perché non dovrei crederti? >> scrollai le spalle con nonchalance, era tutto ciò che potevo permettermi. 
In un movimento fulmineo afferrò il mio viso dal mento e lo volse in sua direzione. 
Sgranai gli occhi stupita << Sai da cosa traspare la tua finta calma? Da questa piccola ruga! >> simultaneamente il suo dito indice pose tra le mie sopracciglia e distese l’increspatura traditrice << Sei giovane… >> continuò << E tu sei vecchio! >> lo contestai sarcastica. Aggrottò la fronte evidentemente divertito << Stavo dicendo che a vent’anni non dovresti avere un’espressione così grave>> consigliò. Che palle! 
<< C’è qualcos’altro che vorresti dirmi oltre al fatto che potrebbero venirmi le rughe? >> sdrammatizzai << Sì. Mi piace molto il modo in cui mi sorridi >> il candore con cui lo disse mi travolse. Non gli piaceva il modo in cui sorridevo ma il sorriso che rivolgevo a lui. Leggevo nei suoi occhi il desiderio di fare qualcosa di più ma eravamo consapevoli di non essere soli. 
<< Alcuni tuoi discorsi enigmatici mi stizziscono >> mormorai scostandomi dalla sua morsa. 
Non rinunciò al contatto fisico prendendomi la mano in un gesto quasi toccante e ne baciò il polso. Tenni gli occhi fissi su di lui come ammaliata << Sono rigido, irritante, enigmatico, poco passionale… >> annusò la porzione di pelle in cui poco prima aveva posato le labbra. Mi mozzò il respiro << dubito che per te io possa essere una persona gradevole >> dovevo capire se fosse conscio che il suo modo di parlare mi attirasse << Edward, è poco rilevante la mia considerazione di te >> perché ti interessa? << Non sono d’accordo >> aspettai che continuasse ma non lo fece. 
Il problema era proprio questo: non spiegava le sue affermazioni << Giriamo come trottole cercando di comprenderci… >> farfugliai demoralizzata << Non ti seguo >> asserì << Io che dico una cosa, tu un’altra e non ci veniamo mai incontro… >> ed è sconfortante. 
<< Per questo dobbiamo parlare >> esclamò << Non lo stiamo già facendo? >> lo presi in giro << Sono serio, Isabella. Abbiamo delle responsabilità e dobbiamo comprendere le dinamiche di questa situazione >> aveva ragione << Edward… >> le sue parole mi fecero riacquistare la lucidità necessaria per capire quanto fossi stata stupida a lasciarmi andare fino a questo punto. Io non potevo vederlo e chiedermi se fosse reale o meno. 
<< Abbiamo tenuto una linea di comportamento sconsiderato, ambiguo. Non sono un’esperta di rapporti umani ma sono certa che i canoni di un normale rapporto d’amicizia tra uomo e donna non prevede alcuni nostri modi di interagire. E’ anche vero che la questione che ci ha spinto ad avvicinarci è tutto fuorché normale. Ritengo che il nostro legame sia intimo appunto perché è Renoir a fare da collante, così di giorno in giorno abbiamo superato un limite che non si dovrebbe varcare. Non ce ne siamo resi conto e abbiamo sbagliato >> dissi cupa. 
Il suo pollice disegnò dei ghirigori sul mio braccio << Hai spiegato chiaramente la situazione. Il nocciolo della faccenda è che dobbiamo capire perché abbiamo sormontato questo limite >> rispose. 
Mi ritrassi dal suo tocco << Ci siamo comportati da irresponsabili dimenticando che avremmo potuto illudere nostra figlia >> lo lapidai << Adesso abbiamo parlato. Propongo un tagliare ogni contatto fisico… >> decisi ritraendomi dalle sue lusinghe. 
Lo sconcerto fu sentirlo ridacchiare come se avessi raccontato qualcosa di buffo << Sei indisponente… >> ghignò per poi riprendere possesso del mio braccio. Ma prego, fai con comodo! << Sono esasperante, svampita, immatura, giovane… dubito che per te io possa essere una persona gradevole >> lo scimmiottai nel tentativo di stemperare la tensione. Sorrise facendosi più vicino << Se prima detestavo il tuo essere irritante, adesso lo trovo molto diverte >> proruppe << Non sono un pagliaccio pagato per allietare le tue giornate >> pigolai tediosa << Di grazia mi lasceresti fare un discorso di senso compiuto! >> pregò allegro << Per svampita io intendo sbadata, vedi il mondo in un modo tutto tuo ed è assai piacevole. Sei immatura quando ti rapporti con l’esterno, ma ci sono dei momenti in cui rimango colpito dai tuoi discorsi e apprezzo i tuoi sforzi di ridimensionarti. In ogni caso non ti ho mai fatto una colpa per la tua giovane età. Ritornando a prima, io non ho finito di parlare con te. Non sono abituato a scappare e non lo farò ora. Siamo abbastanza adulti da capire che ci piace superare i confini. Di certo non farò finta di nulla. Ho bisogno di capire le situazioni in cui mi trovo per prendere le giuste decisioni >> mi sentii a disagio e allo stesso tempo lo ammirai, una parte di me era ancora spiazzata che avesse ammesso che gli piaceva il nostro modo di rapportarci. 
Mi lasciai andare in un sorriso e strinsi la sua mano che sfiorava il mio braccio << Okay, quando parleremo? >> domandai ansiosa << Questa sera per te va bene? >> annuii sicura ed euforica. Mi mangiucchiai le labbra << Puoi darmi qualche anticipazione >> supplicai. 
Rise << Devo dirti talmente tante cose che non so da dove iniziare >> l’altra mano ritornò sul mio viso << Comincia da ciò che vuoi… >> suggerii sottovoce. Delineò il contorno delle mie labbra << La tua energia impetuosa dovuta alla tua età è una boccata d’aria fresca. So di avere solo trent’anni ma per molto tempo sono stato diviso tra lavoro e Renoir che ho dimenticato la mia vera età. Tu con la tua vivacità e con l’obbligarmi a compiere azioni discutibili , me l’hai fatto ricordare >> era consapevole di quanto fossero forti le sue parole? 
<< Ma… >> ero sbigottita << Non hai rivoluzionato solo la vita di Renoir… >> mi sentivo al centro di un tornado << Che… che vuol dire? >> balbettai << Isabella… >> il suo tono carezzevole mi colpì << tra noi due… >> s’interruppe. 
Sentii il suo corpo irrigidirsi e mi stranì << Ma che… >> i suoi occhi erano fissi su un punto alle mie spalle. Seguii la traiettoria e le vidi: Rosalie Cullen e un’altra donna. 
Era snella e alta forse quanto Edward, capelli neri che le sfioravano le spalle, gli occhi del medesimo colore e la carnagione leggermente ambrata. Trasudava raffinatezza e avvenenza da tutti i pori. Attorno a noi era calato un silenzio quasi agghiacciante. Perché il mio intuito mi suggeriva che il nome di quella donna era Sandy?
********************
Spero mi facciate sapere cosa ne pensate. Un grande bacio. Acalicad.

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Capitolo 12
*** Il tarlo della gelosia ***


Allora ragazze. Eccomi qui puntuale...  La splendida immagine che troverete poco più sotto è stata creata da Lalayasha. Io la trovo meravigliosa! Bene... un bacio speciale a CloeJ. Buona lettura!



Se c’era una donna crudele, quella era Rosalie. La cara sorella di Edward aveva portato con sé Sandy, tra l’altro sua amica, approfittando dell’assenza di Renoir. Non ero egocentrica ma ero quasi certa che l’avesse fatto per indispettirmi. 
M’infastidii il suo comportamento così come la presenza di quella donna. Dopo la loro comparsa Edward si era allontanato e mi fece male. 
L’espressione di sua sorella era compiaciuta. Bastarda. 
I miei amici si presentarono a Sandy, io mi limitai a stringerle la mano e sussurrare il mio nome sotto il suo sguardo indagatore. La cosa che più mi stranì? Il suo sorriso! Dopo un attimo si aprì in un sorriso forse tirato per la situazione ma sembrò sincero. Mi aveva sorriso! Da matti! 
Decisi di scappare, di rintanarmi in cucina. Era una circostanza del tutto nuova e non sapevo come muovermi. Poggiai le mani contro il lavello tentando di far rallentare i battiti del mio cuore impazzito così come il respiro affannato, tremavo come una foglia. Non capivo il motivo della mia reazione. Ero stupida! Inspirai profondamente e alzai gli occhi verso la finestra che avevo di fronte. 
Arrivò il colpo di grazia. 
Lui e la donna con cui avevano una relazione erano in giardino. Non ebbi la forza di muovermi. Non sentivo le loro parole ma intuivo dal loro linguaggio corporeo che i toni fossero concitati. Lei si muoveva agitata puntandogli di tanto in tanto un dito contro; Edward, invece, era tranquillo, spiegava con garbo e manteneva le distanze il che mi rincuorava. 
Mi sentivo una guardona e, in effetti, lo ero. 
<< Sono una bella coppia non è vero? >> Alice sbucò all’improvviso. Sbiancai << Io… io… >> come potevo giustificarmi? 
Sorrise cauta << Non preoccuparti, volevo solo parlarti >> mi rassicurò << Rose l’ha fatta grossa. Prima che potesse accettarmi come moglie di suo fratello mi ha fatto vedere i sorci verdi >> ridacchiò << E’ una donna molto forte e combatte come una leonessa per i suoi cari, non capendo quando è ora di smettere >> continuò seria. 
Tornai a guardare la scena dinanzi a me << Sembra arrabbiata! >> costatai cupa << Sai Bella… Edward è sempre stato un uomo in vista per la sua attività e l’impegno nel sociale. In questo momento per gli affari andati in porto è tenuto sottotorchio dalla stampa in generale. E’ anche nel mirino delle testate scandalistiche e circolano molte voci su voi due >> rimasi di sasso << Non abbiamo mai fatto nulla di male! >> obbiettai << Lo so tesoro. Siete molto complici. Non te ne sto facendo una colpa, è logico che ci sia feeling tra voi due: vivete nella stessa casa e siete genitori di una bambina meravigliosa. Mi stupirei del contrario. Questo vostro affiatamento è percepito anche dal mondo che ci circonda e di conseguenza anche da Rose che, sbagliando, ha portato qui Sandy per farti capire ‘chi è che comanda’. Ti chiedo perdono a nome suo >>. Cominciavo a chiedermi se alla fine Rosalie mi avrebbe ignorato. 
Sospirai pesantemente << Non c’è nessuna malizia in ciò che facciamo… >> ripetei sottovoce << Credo che Sandy sia innamorata di Edward. Bella, da donna, ti piacerebbe vedere l’uomo che frequenti in atteggiamenti equivoci con un’altra? >> no, non si frequentano! 
<< Si sono conosciuti al college… >> m’informò poco dopo << … ma poi lei lo lasciò per inseguire la sua carriera da imprenditrice edile. Ho sempre preferito lei a Carmen, lei sì che era antipatica… >> sentii gli occhi inumidirsi: sono una bella coppia. << …li trovo davvero belli insieme! >> rincarò la dose. << E… e come si sono ravvicinati? >> ansimai evitando il suo sguardo << Circa sette mesi Sandy è tornata in città, a quanto pare non l’ha mai dimenticato e credo voglia un’altra chance… >> altro colpo al cuore. Avrei voluto dirle di smetterla, che Edward non voleva avere nessuna relazione con lei << Sì sono carini insieme >> mentii. 
Vidi Sandy posare la mano sul suo volto. 
Il mio stomaco protestò e la testa cominciò a pulsare. Dovevo rimanere sola. 
<< Edward ed io parliamo molto. Spesso si confida più con me che con suo fratello. >> mi ridestò << Non me l’ha mai detto chiaramente ma penso che presto o tardi si sarebbe impegnato seriamente con lei se… >> impietrii << Sii chiara! >> imposi << Si sarebbe impegnato con lei se tu non fossi comparsa nella vita di Renoir >> non c’era cattiveria nella sua voce o qualche altra intenzione di ferirmi, il suo non era un rimprovero ma una semplice affermazione. 
Bevvi un sorso d’acqua << Tesoro stai bene? Sei paonazza >> sostenne. Sorrisi forzatamente << Credo di aver mangiato troppo >> mi difesi. Mi accarezzò il volto << Ti ho scosso in qualche modo? >> non sai quanto. << No Alice, Rosalie mi ha preso in contropiede >> bisbigliai esausta << Credo che andrò a riposare >> aggiunsi. 
Non rimasi sola a lungo. Qualche secondo, dopo che Alice raggiunse il marito, varcò la soglia della cucina Rosalie in tutta la sua altezzosità. Voleva parlarmi? Perché? Non era bastato ciò che aveva fatto? Affrontai il suo sguardo << Vedo che ti sei ambientata… >> esordì con finto tono cordiale. Non risposi << …togliti dalla mente che questa casa sia tua! >> ordinò. Ormai era assodato che lei mi temesse, ma non comprendevo la motivazione << Smettila! >> la attaccai << Perché dovrei farlo? Non sono io una sciocca bambina arrampicatrice sociale che si è accaparrata il benestare di mio fratello entrando a casa sua e facendosi mantenere! >> l’astio che provava nei miei confronti la stava accecando. Dopo tutti quei mesi colmi delle sue angherie, scoppiai! 
Sbattei una mano contro la superficie di marmo dell’isola << Smettila! >> ordinai << Sarò anche giovane ma non sono di certo un’arrampicatrice. Ho avuto l’approvazione di tuo fratello con il tempo, io non mi faccio mantenere! Lavoro e pago un affitto per abitare in questa casa. Colei che si sta dimostrando una bambina viziata sei tu! Non sono entrata nella vita di mia figlia per avere qualche beneficio e non ho intenzione di parlarti del profondo amore che nutro per lei. Abbiamo fatto di tutto per essere più cauti possibili, sono passati mesi prima che apprendesse la verità. E tu mi odi tanto soltanto perché non sarai più il suo primo punto di riferimento femminile! Non dico che dovresti accogliermi a braccia aperte, ma se non fosse la tua vanità a essere ferita saresti felice nel vedere tua nipote contenta, anche se sono io la causa del suo buon umore. Questa è l’ultima volta che mi spiego, finisci di perseguitarmi con i tuoi atteggiamenti da piccolo bullo onnipotente! >> non urlai. Talvolta un tono distaccato era più efficace delle grida. 
Fu come liberarmi di un peso. 
Non potevo patire all’infinito i suoi soprusi senza obbiettare. Era una persona con cui non avrei mai potuto avere il benché minimo rapporto amichevole, di giorno in giorno la già poca stima che avevo nei suoi riguardi calava inesorabilmente sebbene con Renoir fosse fantastica. 
Rammentai tutte le situazioni in cui Rosalie si rapportò a Renoir ed ebbi un’illuminazione. 
Alice l’aveva definita leonessa, ero d’accordo ma lei non si comportava come un felino che difendeva i suoi cari ma come se proteggesse i suoi cuccioli, Renoir in questo caso. 
<< Sai Rosalie, provo compassione per te… >> le rivelai in parte sconcertata dalla mia scoperta. Spalancò gli occhi allibita e se possibile s’infuriò ancor di più, ma non le permisi di rispondere << … non hai mai visto Renoir come tua nipote ma come tua figlia. Ti comprendo, hai assistito alla sua crescita e spesso ci sei stata tu con Edward; io non posso fare altro che ringraziarti ma non è tua figlia. Per lei sei una zia! Edward è suo padre, io sono sua madre e lei vede me come tale e non te. Perciò metti da parte il tuo odio perché non ti considera la sua mamma, sospendi questa lotta contro di me perché non cambierà niente ed io non me ne andrò >>. 
Vidi il suo sguardo farsi lucido ma non disse nulla, mi diede le spalle e silenziosamente andò via. 
Appena uscii per prendere una boccata d’aria, trovai Tanya. Mi abbracciò << Sono orgogliosa di te! >> probabilmente aveva origliato. Apprezzai il suo gesto di non esser intervenuta. 
Con lei ero a casa e quando si era al sicuro, non si riuscivano a trattenere i pianti. La mia frustrazione fu visibile per le lacrime che solcarono il mio viso. Non piangevo per Rosalie, ma per le parole di Alice; perché Edward era a pochi metri da me con un’altra donna. 
Dieci minuti più tardi, come due sciocche, eravamo sdraiate sulla moquette della dependance. Guardavamo il soffitto che io stessa avevo rivestito di foto così come le pareti. 
<< Bella… >> riprovò a parlare per l’ennesima volta << Non dirmi che mi avevi avvisato! >> implorai << Non lo farei mai. >> obbiettò << Non parliamone se vuoi ma… per il tuo bene devi chiarire con te stessa sui tuoi sentimenti. >> consigliò amorevole. 
Sbuffai passandomi una mano sul viso << Dimentica tutto! Le mie parole, quelle dei suoi familiari, la pressione del contesto in cui ti trovi e sii sincera con te stessa! >> terminò stringendomi la mano. Come se fosse facile. << Non mi rintanerò dietro a nessuna scusa per evitare di ammetterlo! Gelosia. Ecco cosa sento. Provo possessione nei suoi confronti e odio l’idea che un’altra donna, lo stia toccando in questo momento. So che non ne ho nessun diritto ma è così e non posso farci niente. >> dirlo ad alta voce fece sgorgare altre lacrime. 
Percepivo ogni parte del mio corpo dolorante. Come se il tormento nel mio cuore fosse stato trasmesso al mio fisico. Non avevo la forza di piegare le gambe, alzarmi in piedi o rannicchiarmi in me stessa com’era mia consuetudine. Ogni vitalità mi aveva abbandonato. Vedevo solo il mio petto sollevarsi per poi abbassarsi e non ascoltavo nulla se non mio respiro cadenzato. 
Qualcosa dentro di me bruciava, mi stava logorando come un tarlo. 
<< E non ti sei chiesta perché sei gelosa? >> mi destò. Ti voglio bene ma odio qualsiasi forma di psicoanalisi. 
Avevo la vista appannata, guardavo sfocato la foto di un paesaggio. Era lo stesso modo in cui vedeva il mio cuore. Tutto era nebuloso, indefinito. 
<< So cosa stai pensando. E’ impossibile! Non posso amarlo e non lo amo. E’ semplice affetto per la sua persona e per il ruolo che ricopre nella vita di Renoir >> dissentii passiva << Perché non è possibile Bella? Cos’è che ha che rende assurdo che tu possa amarlo? >> mi sfidò. 
Con le mani tremanti cancellai i recenti residui di pianto << Anche tu mi hai detto di non innamorarmi di lui! >> le ricordai inacidita << Ti ho detto di stare attenta perché non è un uomo qualunque, penso ancora che siate molto “fuori dal comune”. Forse ho usato le parole sbagliate e io ti ho chiesto di non innamorarti di lui dimenticando che queste cose non si decidono, ma avevo paura che tu potessi soffrire se fossi stata l’unica a provare determinati sentimenti. Oggi l’ho osservato e… non so cosa lui senta ma sono certa che anche lui provi qualcosa. Quindi perché non potresti amarlo? >> ribadì. E’ semplice, no? << Perché… perché… è lui! >> balbettai. Ora, questa, sarebbe stata una risposta incomprensibile per uno sconosciuto ma non per Tanya. Lei mi conosceva, capiva quanto fosse contorta la mia mente. 
<< Spiegami per quale motivo, il fatto che sia il padre di tua figlia è un difetto e non un pregio >> replicò. Strinsi i denti, cominciavo a irritarmi << Tanya… >> ti prego non esasperarmi ulteriormente. << … vediamo come posso riassumerti la cosa. >> iniziai sarcastica << Non so neanche cosa vuol dire avere una relazione con un uomo, non ne ho mai amato uno e tantomeno notato e poi arriva Edward. Solo una mentecatta non potrebbe rimanerne affascinata: bello, maturo, affettuoso… >>. 
<< Prima o poi dovrai avere una relazione e approcciarti ad un uomo >> m’interruppe << E’ il primo uomo per cui io sento una qualche attrazione ed è il padre di Renoir. Non posso mettermi a far pratica con lui. Secondo te rovinerei tutto per una semplice sbandata? >>. 
Quello scambio di battute mi rinvigorì, infatti, poco dopo mi ritrovai seduta a gambe incrociate. Parlare delle mie ragioni mi permetteva di distrarmi. << Tesoro mio, gli ormoni in subbuglio non provocano gelosia acuta >> contestò con aria da saccente. 
Lei aveva cambiato postazione, adesso era sul letto con le gambe accavallate. 
Quando s’improvvisa figlia illegittima di Freud, è da prendere a testate! 
Mi aveva colto alla sprovvista << Io… te l’ho detto! Se solo cedessi all’istinto, nelle migliori delle ipotesi, calerebbe l’imbarazzo più assoluto tra di noi! >> spiegai << Perché dovrebbe esserci il gelo tra di voi? Potreste prendere consapevolezza delle emozioni che vi suscitate, conoscervi, stare insieme! >> replicò dolce << E finirebbe tutto! Hai pensato alle conseguenze con Renoir? >> costatai infastidita << Mi sono persa un passaggio. Come fai a sapere che non funzionerebbe? >> è così e basta! << Siamo diversi Tanya! Ci dividono nove anni! >> borbottai alzando le braccia al cielo in un gesto di esasperazione << Forse è anche questo che gli piace di te. La tua freschezza! Che tu sia differente dalle donne che ha sempre frequentato… >> intuì << Tanya “gli opposti che si attraggono” è una stupidaggine. Presto o tardi le discordanze separano, per stare insieme bisogna avere un punto d’incontro! >> protestai << Una bimba in carne ed ossa, ti sembra abbastanza come punto d’incontro? >> 
Ti ha messo con le spalle a muro! 
<< E’ proprio perché c’è Renoir che non posso prendere tutto alla leggera! >> deviai il discorso perché non avrei saputo come rispondere alla sua domanda << Non ti sto dicendo di prendere tutto alla leggera. Bella, se vuoi essere felice, devi rischiare! >> adesso anche poetessa! << Io sono già felice! >> dichiarai sicura. 
S’infilò una mano tra i capelli e li scompigliò << Vuoi sapere come la penso? Hai sempre diviso la tua vita in compartimenti stagni: passato, amicizie, Renoir e l’essere madre e così via. Non hai mai permesso a te stessa che si contaminassero a vicenda. Prima di trovarla hai pensato che saresti stata felice essendo madre però, conoscendo Edward la tua sfera sentimentale è emersa. Tu scappi perché non accetti che per stare davvero bene hai bisogno di lui al tuo fianco >> ha pranzato con bistecca e saggezza? << Tu sei pazza! La stai trasformando in una questione di stato. Non è così! Io sono felice. Non ho bisogno di lui. Non lo amo. E’ semplice attrazione fisica! >>. 
Mi sentii squallida nello sminuire tutto in quel modo. Preferisci ammettere di essere gelosa anziché i tuoi sentimenti. 
Appena conclusi il mio cellulare prese a squillare. 
Ci mancava anche questa! 
<< Chi era? >> chiese Tanya, appena riattaccai. Mossa dalla rabbia scaraventai Iphone contro il letto << Samantha. Stasera devo iniziare il turno in anticipo, a quanto pare la tizia che devo sostituire si è beccata un virus intestinale. Mi ha letteralmente implorato, cosa che non fa mai, oltre a dirmi che mi pagherà gli straordinari >> la informai. 
Hai dimenticato la chiacchierata con Edward? Sebbene fossi abbastanza infastidita, non sarei mai scappata ma dovevo lavorare e non potevo rifiutare. Avremmo rimandato, di certo non sarebbe cascato il mondo. Anche perché è molto occupato con la sua Sandy. << Vuoi andare al pub per lavorare o per allontanarti da lui? >> domandò alzandosi in piedi e andando in direzione del mio armadio. Voleva scegliermi i vestiti, era una cosa che la rilassava molto. Io ero un tipo da ultimo minuto, lei programmava tutto fino ai minimi dettagli. Se doveva uscire alle otto di sera, alle sette del mattino, i vestiti che avrebbe indossato erano pronti. E’ un po’ maniacale. 
<< No, Tanya! Non fuggo da nessuno >> affermai decisa. 
<< Se lo dici tu… che ne pensi di shorts di pelle e… >> spulciò ancora un po’ << … top in pizzo. Il total black è perfetto!>> prese l’indumento e lo squadrò << Ehi! Ma questo te li ho regalati io! >> sbraitò offesa << Perché non li hai mai messi? >> mi accusò imbronciata << Hai delle gambe così belle!>> mi prendi per i fondelli? Io sono alta come un tuo femore e dici che le mie gambe sono belle? 
E’ proprio vero: chi ha il pane non ha i denti! 
Non resistetti e si beccò una cuscinata. Andò a sbattere contro l’armadio e scoppiai a ridere << Grazie tesoro, adesso si che mi sento sveglia! >> sghignazzò. 
Mi abbracciò << Ora devo andare! Il ristorante non si gestisce da solo! >> boccheggiò << Bella e forte come sempre e spaccherai tutto! >> eccola in versione motive life. 
<< E tu ruggisci come una tigre che spaventerai tutti! >> ricambiai divertita. 
Dopo Tanya fu la volta di Jack e infine andarono via insieme. 
Rimasi sola e il malumore ritornò. 
Scaricai tutta la mia insoddisfazione contro ogni oggetto che mi capitò tra le mani. Iniziai con i sandali che lanciai contro una parete cui seguì il vestito di cui mi liberai. 
Al solo pensiero che potessero essere ancora insieme, il mio corpo diventava un fascio di nervi. 
Ormai il pomeriggio era trascorso e decisi di fare una doccia. Per poco non ne ruppi il bocchettone. Mi ero trasformata in un campo minato, tutto ciò che era sulla mia strada, rischiava di esplodere. Così come il phon quando tentai di asciugarmi i capelli. 
Dopo una lunga lotta in cui la dependance corse il serio rischio di uscirne distrutta, riuscii a indossare l’intimo. 
<< Oddio! Sono in ritardo! >> strillai uscendo dal bagno. Rimasi spiazzata trovando Edward << Ho bussato un paio di volte e credevo di averti sentito dire che potevo entrare >> si giustificò. 
Repressi la gelida occhiataccia che i miei occhi vollero mandargli. Ti sei liberato. Ciò che aveva ascoltato non era un invito ma piuttosto delle imprecazioni contro l’asciugacapelli “Avanti, altrimenti ti distruggo”
<< Fa niente! >> strepitai muovendomi come un’ossessa << E’ tardissimo! >> frignai. 
Durante il lungo pomeriggio, in cui un minuto sembrò infinito come un’ora, il mio cervello aveva cercato di razionalizzare l’accaduto. Edward era libero come l’aria, non mi aveva mai promesso nulla e sebbene fossi gelosa –sentimento che non potevo eliminare con uno schiocco di dita- non dovevo far trasparire che fossi seccata. Tutto ciò che potevo fare, era fingere di non provare emozioni, anche se, dentro, faceva male. Mi guardò da capo a piedi e mi parve a disagio << Forse è meglio se torno più tardi… >> mormorò. Ricordai di essere nuda. Se non fossi stata infastidita e in ritardo, sarei arrossita. Quando ero di malumore, non arrossivo, mi trasformavo nella persona più sfrontata del mondo. 
<< Mi hai già visto in costume da bagno, non credo che cambi molto. L’unica differenza sono le stampe di conigli sul reggiseno. Puoi restare… >> concessi. Mi chiesi se indossare biancheria intima infantile mi facesse apparire ai suoi occhi più bambina. Sicuramente è così. 
Lo sentii scrutarmi. Probabilmente aveva capito qualcosa. Anche un cieco se ne sarebbe accorto. << E’ successo qualcosa? >> domandò accigliato. Lo sfidai con gli occhi << Non perché? >> dissi con nonchalance. 
<< Stai uscendo? >> chiese quando iniziai a vestirmi << Sì. Devo iniziare il turno al pub in anticipo >> spiegai. 
Anche il t-shirt tentava di farmi perdere la pazienza << Bé… parleremo… quando sarà! >> continuai indifferente. Oggi hai parlato abbastanza. << Dannazione! Chiuditi! Giuro che rompo anche te >> inveii contro la chiusura lampo sulla schiena. 
Sbuffai spostando col fiato una ciocca di capelli dal viso. Poco dopo nello specchio apparve il riflesso di Edward. 
Non smetteva di studiarmi. 
Con una tenerezza quasi irreale, scostò le mie mani. Le sue dita roventi mi sfiorarono la pelle. Fremetti. Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. 
<< Sicura di star bene? >> bisbigliò talmente piano che a stento lo sentii nonostante la vicinanza fisica << Tu come stai? >> rigirai la domanda e non perché non volessi rispondere ma per la necessità di sapere che nulla lo angosciasse. 
Stupida! 
Pensò attentamente e mi regalò un sorriso mozzafiato << Mai stato meglio! >> confermò. Evidentemente stare con lei ti ha fatto bene. Schifosa gelosia! Prima di chiudere la zip percorse la lunghezza della mia spina dorsale con i polpastrelli. Ti prego smettila! Punto gli occhi sul mio riflesso, ancora una volta mi osservò attentamente << Ti preferisco con uno dei tuoi vestiti svolazzanti >> ammise. 
Lo guardai allibita. Dovevo prenderlo come un complimento? 
Sfuggii dalla sua presa e mi misi a cercare le scarpe << Mi stai dicendo che sto male? >> chiesi incurante ma dentro stavo impazzendo. 
<< No. Stai bene anche così… >> mi rassicuro. Arriva un momento nella vita di ogni donna in cui prende largo la stupidità e di conseguenza inizia a paragonarsi con qualsiasi essere umano di sesso femminile. In questo momento l’idiozia mi stava dominando, costringendomi a fare un confronto tra me e Sandy
Lei alta io bassa. 
Lei suoi occhi neri come i capelli e io castana con gli occhi chiari. 
Lei maledettamente femminile e io schifosamente infantile. 
E la lista era ancora lunga! Avrei potuto scrivere un libro. 
Come potevamo piacergli entrambe –sempre ammesso che io lo attraessi- se eravamo agli antipodi. Non aveva senso! 
<< Stai cercando queste? >> tra le mani aveva le famose scarpe. Alzai gli occhi al cielo << Sì grazie >> mi limitai a dire indossandole. 
Presi le chiavi dell’auto e fui pronta a uscire << Bè… io vado! >> sussurrai evitando di guardarlo. Appena lo superai mi fermò per un polso. 
Non disse nulla << Che c’è? >> domandai confusa. Mi liberò e avvolse il mio viso con le mani << Stai attenta! >> ordinò cupo. Aggrottai le sopracciglia << Non mi è mai successo niente! >> esclamai. 
Mi baciò la fronte << Sta attenta lo stesso >> e questa volta mi parve una supplica. 
Che voleva? Perché doveva essere tenero se poco fa era con un’altra? La domanda che più mi premeva era un’altra: che cosa si erano detti. 
Alle quattro e trenta del mattino finii di lavorare. Ero veramente distrutta. Salutai i miei colleghi e salii in auto. 
Non mi è mai successo niente. Neanche l’avessi detto apposta! 
Provai un’altra volta << Vai al diavolo! Se non ti accendi, ti porto sul Grand Canyon e ti spingo giù! >> bofonchiai. Non volle saperne neanche sotto minaccia. La mia auto bastarda mi aveva abbandonato. 
Mi guardai attorno: la strada era a dir poco deserta. Dovevo calmarmi. 
Presi un respiro profondo.
Afferrai il cellulare e… no, no, no! Questa è sfiga! << Ti prego, ti prego, ti prego! >> implorai. Era scarico! << Va al diavolo anche tu! >> mi sgolai sbattendolo contro i sedili posteriori. 
Per fortuna in auto avevo un paio di scarpe ginniche così potei togliere i tacchi. Non mi rimaneva altro che camminare finché non avrei trovato un locale o una cabina telefonica che mi permettesse di chiamare un taxi. 
La mia pazienza già agli sgoccioli stava per finire. Percorsi un isolato finché non trovai uno Starbucks. Grazie, grazie, grazie! Dovevo solo attraversare la strada, entrare in quella caffetteria e sarei tornata a casa mia, dentro il mio letto. 
Scesi dal marciapiede ma dovetti fermarmi per un’auto che sfrecciava ad alta velocità. Feci un passo indietro. Troppo tardi. 
Due secondi dopo mi ritrovai bagnata fradicia. E’ un incubo! Rimasi rigida come una statua. Sfortuna, non ti stavo sfidando! Mi portai le mani sul viso. Dovevo cercare di riprendermi altrimenti mi sarei messa a urlare come un’isterica. 
Ridacchiai come una pazza. Sembrava avessi addosso un bersaglio e la sfiga si stesse accanendo su di me senza esclusione di colpi. 
Le mie risa aumentarono quando mi annusai. Puzzavo di smog e qualcos’altro di terribile tanto che mi fece salire un conato. 
Erano state davvero due giornate stressanti. 
In qualche modo convinsi il gestore della caffetteria a farmi usare il telefono. Il difficile fu persuadere il tassista a farmi salire con il mio tanfo << Le do cento dollari! >> esclamai con le mani unite a mo’ di preghiera << La supplico. Sono le sei del mattino e devo essere a casa. Per favore… >> usai la tattica “cane bastonato”. Mi feci venire i lacrimoni e sporsi il labbro inferiore << … la prego… lei sembra un uomo così gentile… oltre che molto bello… >> l’adulazione fu il prossimo passo. 
Da adolescente, con i miei, funzionava. Bastava che dicessi a Renee che fosse dimagrita o a Charlie che sembrava più giovane. 
Vidi la sua tenacia tentennare << … la mia prozia sta malissimo, mi ha cresciuto è come una mamma per me e devo andare da lei! >> finsi un singhiozzo e tirai su col naso. Il senso di colpa funzionava sempre << Okay. Salga >> cedette. 
<< Grazie davvero! >> esclamai quando parcheggiò di fronte casa Cullen << E’ stato un tesoro! >> arrossì e bofonchiò qualcosa che non compresi. Non si prese cento dollari ma il prezzo giusto della corsa. 
Tirai un sospiro di sollievo appena sospinsi il cancello. 
La stanchezza ritornò a farsi sentire. Non vedevo l’ora di farmi una doccia rilassante e buttarmi sul letto. Restai perplessa quando vidi Edward camminare avanti e indietro sul bordo piscina, vicino alla dependance. Appariva angosciato. Dopo, accortosi della mia presenza, mi guardò e tirò un sospirò. 
<< Ti rendi conto di che ore sono? >> mi rimproverò ad alta voce. Ti prego Edward, non è giornata! << Perché? >> ribattei stizzita << Non sapevo di avere un coprifuoco! >> sputai acida. Lo feci arrabbiare << Non hai un coprifuoco. Avresti potuto avvisare! >> rispose. Mi massaggiai le tempie. Stavo per scoppiare << Edward, per cortesia! Sono stanca e ho bisogno di fare una doccia. Parleremo dopo delle tue manie di controllo! >> piccola frecciatina che non potei trattenere per me << Isabella! >>. 
Mi portai le braccia al petto << Sono uscita alle quattro e trenta dal lavoro. Alle cinque mi sono resa conto che la mia auto non sarebbe partita e subito dopo che il mio cellulare era scarico. C’è voluta mezz’ora per trovare uno starbucks e un imbecille mi ha schizzato con una pozzanghera, puzzo di qualcosa di nauseabondo e per questo ho dovuto convincere il tassista a farmi entrare nel suo taxi! Sono distrutta, il mio odore non è dei migliori e ho solo voglia di dormire. Per cui smettila se devi dirmi che sono un’irresponsabile! >> dissi esasperata. 
<< Ero preoccupato! >> ammise. Mi acquietai << Non so quante telefonate ti ho fatto. Stavo per andare dalla polizia… >> continuò. Addirittura. 
Cretina! Lui era in pensiero per te! 
Feci qualche passo verso di lui, poi mi fermai per le mie condizioni. Volevo chiamarti ma ho pensato che dormissi. Il tuo numero è l’unico che ricordo di tutta la rubrica. << Non hai motivo di preoccuparti. Ti ho detto che non mi è mai successo niente! >> affermai flebile. A farmi parlare così fu il ricordo di lui con lei. << Mi vuoi dire che ti è preso? >> domandò avanzando in mia direzione. Scrollai le spalle << Sono stanca… >> e voglio dormire. << Non mi riferisco a ora. E’ da ieri sera che sembri distante… >> colpa tua! << Ho qualche motivo per essere distante? >> lo punzecchiai strafottente << Isabella parla! >>. 
<< Non ordinarmi di fare qualcosa. Odio le imposizioni! >> gracchiai << Fa come credi… >> sbuffò. Ecco bravo! 
<< Perché non mi hai detto che se non fossi entrata nella vostra vita, ti saresti impegnato seriamente con Sandy? >> domandai appena cercò di andar via. S’irrigidì << Che stai dicendo? >> perché non rispondi? << Hai capito! Io sono sempre stata sincera con te e credevo che anche tu lo fossi stato ma evidentemente mi sbagliavo! Come ti aspettavi che reagissi se me lo avessi detto? Che mi sarei messa a urlare come una matta? >> lo accusai. << Non ti ho mai nascosto niente! >> si difese << Vuoi sapere se la amo? No. Le voglio bene e forse con il tempo avrei ceduto alle sue pressioni. Pensavo che se mai fosse entrata a contatto con Renoir, sarebbe stata un ottimo esempio. Poi sei comparsa tu! Isabella, io ho pensato accuratamente alla situazione. Da una parte c’eri tu la sua vera madre e dall’altra lei che poteva esserlo. Non potevo farvi entrare entrambe nella sua vita, l’avremmo confusa ulteriormente. Ho preso la decisione il giorno del vostro primo incontro. Non è stata una scelta sofferta, se avessi provato qualcosa di forte per Sandy, non mi sarei tirato indietro. Non sto e non ho mai avuto una relazione con lei! Non l’ho mai illusa! >> non si poteva dire che non fosse convincente. 
Mi sedetti su una sedia sdraio. Mi aveva scombussolato. 
Sentii gli occhi pizzicare << Isabella per favore non piangere… >> cercò di avvicinarsi ma gli feci segno di fermarsi << Non sono nelle condizioni migliori… >> mi scusai << Non essere sciocca! >> mi rimbeccò sfiorandomi il viso. 
<< Credo sia stupido rimandare… dobbiamo parlare, no? >> lo incitai << Hai ragione! >> concordò << Che ne dici se mi faccio una doccia e poi parliamo? >> proposi. 
Ridacchiò << In effetti puzzi! >> viva la sincerità << Ti ringrazio… >> brontolai. 
Stetti sotto la doccia un po’ più del dovuto, volevo essere certa di non continuare ad emanare uno sgradevole odore non appena fossi uscita. Indossai l’intimo e il bussare alla porta mi destò. Entrò mentre io indossavo la mia t-shirt per dormire. 
Che imbarazzo! 
Adesso che avevamo la possibilità di parlare senza essere interrotti, non sapevamo che dire. Sapere che non stava con Sandy mi aveva sollevato. In effetti, ero stata anche felice che avesse fatto entrare me nella vita di Renoir e non lei. 
<< Giacché hai proposto tu di parlare, che ne dici di essere tu a cominciare a parlare? >> io non avrei saputo cosa dire. 
Sbuffò passandosi una mano tra i capelli. Era molto agitato. Risi della sua espressione, era sbiancato un pochino. Continuava a muoversi senza dir niente. Non lo avevo mai visto in quelle condizioni << Stai bene? >> gli chiesi sedendomi sul letto e portando le gambe sotto il mio corpo. Sembrava stressato quanto me. Mi spiacque vederlo così. 
<< Ehi! Uomo tutto di un pezzo, che ne dici di sederti al mio fianco… >> a causa mia indossava ancora i vestiti del giorno precedente. 
Dovevo capire perché ogni volta che mi trovavo su un letto, mi guardava indeciso! Come se fossi stata capace di mangiarlo. Effettivamente non sarebbe una cattiva idea! Alla fine si sedette sul bordo. Non mi dire che puzzo ancora! Facendo finta di nulla, mi odorai. Profumavo! 
<< Edward sembri sulle spine! >> notai << Sdraiati! >> suggerii. Arcuò un sopracciglio. 
Stesi le gambe e gli feci cenno di appoggiare il capo su di esse << Ascoltami e basta! >> imposi. 
Poco dopo, sempre un po’ scettico lo fece. 
<< Chiudi gli occhi! >> aggiunsi rassicurante. 
Gli massaggiai i capelli dolcemente << Immagina di essere al mare… >> mormorai << Hai fatto qualche corso yoga? >> disse divertito << No. Renoir era una bambina scattante anche quando era dentro di me. Non smetteva di darmi calci e talvolta mi svegliava nel cuore della notte, così un giorno comprai un cd che aveva lo scopo di rilassare madri in dolce attesa e il loro piccolo. >> spiegai << Quindi fidati! >>. 
Mi guardò con una luce negli occhi e li richiuse << Pensa di essere al mare… le onde che si infrangono sulla battigia… il mare azzurro come il cielo da dare l’impressione di essere un tutt’uno. E il rumore dei gabbiani. C’è anche Renoir… gioca con la sabbia, a costruire castelli. E tu felice… >>. 
<< Mi piace sentirti parlare di lei quando era dentro di te… >> confessò per nulla imbarazzato, come se fosse normale << Ne sono felice! >>. 
Rimase in silenzio. C’era una domanda che mi premeva e non riuscii a trattenerla: << Hai ancora una relazione sessuale con lei? >> avevo il bisogno fisico di sapere. Non potevo essere me stessa finché non avessi compreso. 
Che senso avrebbe avuto parlare della cosa che c’era tra noi se andava a letto con un'altra? 
<< Odio l’invadenza! >> disse non riferendosi alla mia domanda ma alla donna << Ehi! Io sono quasi sempre invadente! >> strillai. Sghignazzò << Accetto solo la tua indiscrezione >> si corresse. Sorrisi come un’ebete. << Sandy si è fatta manipolare da Rose. Ha invaso i miei spazi presentandosi qui e non ho gradito. Le ho detto di smettere di vederci… >> dichiarò. Avrei dovuto uccidere la parte infantile di me che mi spingeva a mettermi a saltare sul letto ma non la seguii e repressi un sorriso, per fortuna non poteva vedermi. Perché il fatto che fosse libero mi elettrizzava? Appena aprì gli occhi, serrai le labbra in una linea retta. Perché sorridi? << E’ rilassante parlare con te! >> io non mi sentivo affatto tranquilla << Buono a sapersi… >> mugolai. 
Allungò una mano sul mio viso e lo fece imporporare. << Questa cosa tra noi due… >> biascicai quando mi ripresi e feci saettare l’indice prima su di me e poi su di lui << … non riesco a gestirla… Edward… >> il mio cuore prese a scalpitare alle confessioni che mi accingevo a fare << Continua Isabella >> mi esortò. Sospirai pesantemente spostando la mano tra i suoi capelli –che aveva cominciato a tremare- sul suo viso; ne tracciai il profilo. Sei bellissimo. << Edward, c’è qualcosa d’indefinito che mi spinge a cercarti sempre… in Renoir, con gli occhi, col corpo e con le parole. >> anche col cuore << E ne ho terrore e mi dispiace perché non dovrei provare queste cose, almeno non per te. >> aggiunsi con un fil di voce. Era più facile dire “cose” che “sentimenti”. Mi ero esposta. Ora sapeva. Non potevo scappare. 
<< Capisco di cosa parli… >> lo guardai scettica << Ah si? E cos’è che ti spaventa? >> dissi con tono di sfida << Più che impaurito, sono disorientato >> ma non hai risposto! << E da cosa? >> ribadii << Dall’attrazione che mi spinge a te e… >> la mia mano si era paralizzata. Ma io dico… questo sono sparate da fare? Così… come se niente fosse? << E…? >> voleva lasciarmi sulle spine? << Mi rende ansioso non averti nel mio campo visivo o saperti fuori da questa casa… >> perdindirindina. 
<< Se lo volessi, potrei stenderti senza fare un grande sforzo, sono capace di difendermi! >> in verità cercavo di cambiare argomento. 
Improvvisamente mi afferrò un polso << Ma davvero? >> chiese aggrottando la fronte. 
<< Si Eddie! >> feci l’occhiolino. 
<< Sei molto bella… >> rispose. 
<< Punti di vista! Tu lo sei di più >> non riuscii a frenare la lingua. Ecco! Ecco di cosa avevo paura! Della strana sensazione di non poter trattenere niente per me e dall’esigenza di condividere qualcosa con lui. 
<< Adesso che si fa? >> chiesi ansiosa ma con il sorriso sulle labbra. 
<< Isabella, siamo con le spalle a muro. Dobbiamo prenderci un po’ di tempo per valutare se c’è di più del… >> mi guardò come se non sapesse come continuare << Desiderio fisico! >> parlai per lui. Mi desideri. 
Chissà se si sente un maniaco perché sei una ragazzina. 
Mi scappò una risata per quel pensiero. 
<< Perché sorridi? >> domandò. 
<< Niente d’importante. Perciò questo tempo include che non dobbiamo trovarci in circostanze simili? >> mi riferivo ai nostri modi di interagire << E se dovesse essere solo frenesia tra uomo e donna? Non potrei continuare a vivere qui. Al contrario, tu dici “di più”. Cosa dovrebbe esserci? Hai dimenticato che abbiamo delle responsabilità! C’è Renoir ed io non sono in grado di… >>. 
<< Isabella, non fasciamoci la testa prima di cadere… >> certo per lui era facile. Era ovvio che se fosse stata semplice smania non ci saremmo lasciati andare ma se fosse stato di più cosa avrei fatto? Sarei stata brava nel… rapportarmi con lui? << E in questo tempo cosa faremo? >> almeno una risposta logica me la doveva. Ridacchiò malizioso. Doppiamente stronzo! Io sto perdendo dieci anni di vita e tu diverti. << Non lo so… capire, no? >> sembrava avere la mia stessa età, non in senso dispregiativo, era la prima volta che non rispondeva con una delle sue frasi ragionevoli. Aveva una scintilla nello sguardo che lo faceva apparire ancora più mozzafiato. 
Fui contagiata da suo buonumore << E questo capire… comprende anche che tu mi tocchi così? >> indicai il mio polso che, stretto nella sua mano, continuava a essere massaggiato in modo tutt’altro che innocente << Oh… non me n’ero accorto… >> di questo passo non sarei arrivata alla vecchiaia << E la mia età? >>. 
Facendo una lieve pressione sul materasso con l’avambraccio riuscì ad alzare il busto e ad avvicinarsi a me << Tu non mi hai mai discriminato per la mia età perché dovrei farlo io? >> sentii il suo respiro sulle labbra. Da dove gli esce questa? 
<< Stai dicendo che nonostante non rientri nella categoria di donne che solitamente frequenti, ti piaccio? >> lo pungolai << Tu cosa dici? >> mi provocò << Che io ti discrimino sempre vecchietto… >> ansimai. 
Portai anche l’altra mano sul suo viso, accarezzai la mascella squadrata ricoperta da un leggero strato di barba. Sì, sei proprio bellissimo. Si mise seduto non rinunciando alla vicinanza fisica. 
<< Non ho mai dovuto “capire” >> incespicai poggiando la fronte sulla sua << Neanche io! >> concordò con me << Che ne dici se il periodo del “comprendere” parte da domani? >> scherzò o almeno mi sembrò. Scoppiai a ridere << Sei simpatico! >> costatai. 
Mi sfiorò il viso << Io sono sempre simpatico! >> mi contestò << Ma non lo fai vedere spesso >> replicai. Edward… 
Era così tante cose per me. 
Era quella persona inaspettata che la vita poneva sul tuo cammino. 
Che ti coglieva impreparata e scombinava i tuoi progetti. 
Era scoperta; mi aveva denudato da tutte le mie certezze. 
Era vita; aveva fatto rinascere la Bella adolescente, sempre matta e con la voglia di sperimentare. 
Era necessità come quella di averlo sempre con me. Era protezione; con lui ero al sicuro. 
Era sentimento; il mio cuore non ne voleva sapere di battere normalmente. 
Era desiderio ma non solo. 
Era tutto e niente. 
<< Meglio che vada altrimenti… >> ma non terminò la frase. Lo trattenni per un braccio << Aspetta un minuto! >> esclamai non sapendo che fare << Cosa? >> domandò con il sorriso a contargli le labbra. Il suo sorriso. << Aspetta e basta… >> sussurrai. Aspettami Edward perché io sarò sempre in ritardo e avrò paura ma ci sono. 
Mossa da chissà quale coraggio gli baciai la mandibola; lo zigomo; la tempia; più punti della fronte; scesi lungo il naso e ne vezzeggiai la punta per poi passare all’altra guancia; continuai con il collo, dove mi attardai più del lecito. 
Sapevo di sbagliare ma era così liberatorio seguire l’istinto. Da quanto non seguivo la mia indole? Mi piaceva tanto. Da domani inizieremo a capire. 
<< Isabella… >> mi riprese tentando di camuffare il lieve affanno specchio del mio. 
Il mio cellulare- che avevo messo in carica- squillò. Ridacchiai quando Edward borbottò qualcosa in segno di disapprovazione. 
<< Non muoverti! Rispondo e torno! >> lo tranquillizzai ammiccante. Aveva gli occhi lucidi, erano così belli. 
Mi allungai in direzione del comodino vicino a letto e afferrai l’oggetto che mi aveva distolto dalle mie faccende. 
<< Pronto? >> risposi irritata. 
<< Isabelle! >> io ti picchio a sangue brutto cretino! << Jean… >> mi trattenni dall’inveirgli qualcosa contro << … ti serve qualcosa? >> aggiunsi. 
Edward, inspiegabilmente, si scostò. Cercò di andar via ma strinsi un pugno attorno alla sua t-shirt << Non andare! >> mimai decisa. 
<< Cherie, questo pomeriggio puoi venire nel mio studio? >> chiese speranzoso. 
L’eccessiva prossimità dei nostri corpi permise a Edward di sentire le parole del mio interlocutore. Mi mandò un’occhiata gelida. Alla faccia dei cambi d’umore. 
<< No. Non posso, sono piacevolmente impegnata e non voglio muovermi. Sarà per un’altra volta >> chiusi la chiamata ancor prima che potesse dir qualcosa. 
Concentrai la mia attenzione su Edward che sembrava facesse il vago. 
<< Devo andare, ho parecchio lavoro arretrato! >> decise. Si alzò e non mi diede il tempo di fermarlo che andò via. 
Il lavoro tutto a un tratto? No. Non gli credevo per niente. Adesso è lui a scappare. 
Saltai giù dal letto e lo seguii determinata a non lasciar correre. 
Ignorai che fossi scalza e corsi fino a troncargli la strada << Che succede? >> lo interrogai << Nulla. Devo andare a lavorare >> ripeté. 
Ripensai al suo comportamento a dir poco antipatico dopo la telefonata di Jean. 
<< Oh porca p… >>. 
<< Isabella! >> mi rimproverò. 
Sebbene avessi lottato duramente contro il mio linguaggio scurrile, quando era troppo, non riuscivo a contenermi << Paletta. Porca paletta, stavo per dire! >> mentii. 
<< Tu sei geloso! >> affermai sbalordita. Presi il toro per le corna e fui certa di avere ragione quando spalancò gli occhi. 
Ero sorpresa, compiaciuta e provavo qualcos’altro che non riuscivo a decifrare << Sei geloso marcio! >> lo additai << Non so di cosa tu stia parlando… >> si tirò indietro. Bugiardo! << Perché t’infastidisce tanto Jean? >> continuai diabolica << Isabella sei libera di parlare con chi credi… >> non era convincente. Era palesemente geloso! Perché non ammetterlo? Non ci trovavo nulla di male. E poi lo aveva detto come se fosse impossibile. Mi scocciò. 
<< Sai cosa c’è Edward. Sei così orgoglioso da trasformarti in un bambino. Vuoi sapere la verità? Se ieri ero scostante, è perché sono schifosamente gelosa. Ti ho visto con Sandy e so di non avere giustificazioni ma mi ha disturbato che lei si presentasse qui, che ti sfiorasse, che ti parlasse e che Alice abbia detto che siete una bella coppia. Mi manda in bestia che lei si avvicini a te… >> rimanemmo entrambi di sasso. Oh mio Dio! L’ho detto ad alta voce. 
Mi vergognai di me stessa. Sono un’idiota! 
Cominciai a sudare freddo << Bene… ora che mi sono scavata la fossa… andrò da Jean visto che sono libera e forse rifletterò anche sul perché non penso prima di parlare… >> conclusi scappando via. 
Entrai nella dependance e sbattei la porta con troppa forza. Mi buttai sul letto. 
Vulnerabile. Ecco come mi sentivo. Sotterrai il capo con un cuscino mentre il mio fegato cominciava a rodersi. 
Stupida. Pazza. Masochista. Che non riesce a tenere la bocca chiusa. 
Non sapevo come sarei riuscita a guardarlo negli occhi d’ora in poi. Volevo svegliarmi e scoprire che era solo un incubo. Solo un brutto sogno. No, non poteva essere reale. Sentivo la nausea montare. Dovevo fare finta di niente e invece avevo spiattellato tutto. Una suicida. Ero un’autolesionista. Andava tutto bene, meravigliosamente bene e avevo rovinato tutto. Doveva esserci qualcosa che non andava in me. Questo è poco ma sicuro. 
<< Uffa! >> sbattei i piedi contro il materasso. 
Mi bloccai e mi zittii. Qualcosa era entrato a contatto con il mio corpo e ne era scaturita una scossa. Sbaglio o c’è qualcosa che mi sta abbracciando? Spostai di poco il cuscino: un occhio poté tornare a vedere la luce del giorno. Oh cavolo! Il braccio di Edward era attorno alla mia vita con il palmo della mano poggiato sul mio stomaco. 
Come avevo fatto a non sentirlo? Perché era tornato? E perché diavolo mi stava abbracciando? << Sì Isabella, sono io. Respira! >> avevo trattenuto il fiato e se n’era accorto. Dannazione! 
Scelsi di avere una parvenza di contegno. Mi tolsi il cuscino dal viso << Potresti rilassarti per cortesia >> come facevo a calmarmi se avevo il suo torace contro la mia schiena? Se sei qui, qualcosa vorrà pur dire, no? 
<< Il tuo amico mi infastidisce, Bella. Ora sei contenta? >> non sai quanto. Aveva usato “infastidisce” anziché “geloso”, non voleva mai darmela vinta! Soffocai un sorriso << Hai il tono di chi lo ammette per la prima volta… >>. 
Silenzio. 
<< Oh porca tr… >>. 
<< Isabella! >> esclamò. 
<< Trottola. Porca trottola, stavo per dire! >> altra bugia malcelata. 
<< Potrei chiederti perché sei geloso di Jean? >>. 
<< Ormai l’hai fatto! >> dichiarò sulle sue << Potresti rispondere? >> lo incoraggiai << Non mi piace come ti guarda! >> disse acido << E come mi guarda? >> era uno sforzo immane non voltarmi in sua direzione, il suo fiato sul collo non mi aiutava per nulla. 
<< Come un uomo interessato. E’ troppo maturo per te! >> se mi concentravo, riuscivo a sentire il campanello della gelosia nella sua mente. La mia soddisfazione stava giungendo a livelli astronomici << Ti ricordo che ha solo dieci anni più di te… se non discrimino te perché dovrei farlo con lui >> lo stuzzicai. In tutta risposta mi strinse maggiormente a sé. Dentro di me ridevo sguaiatamente dalla felicità << E poi, ti ricordo, che non ero io a sc… >>. 
<< Isabella! >> m’interruppe ancora una volta. Alla faccia della democrazia! 
<< Scuotere. Non ero io a scuotere Sandy, stavo per dire! >> sghignazzai. 
<< Mi domando se conosci qualche francesismo… >> ironizzai. Lo sentii ridere << Non sono solito farne uso >> quanto sei diplomatico! 
<< Perciò lo ammetti! >> dissi cambiando discorso. << Cosa di preciso? >>. 
Oramai la stanchezza della notte insonne ci spingeva a biascicare. 
<< Che ti piaccio! Che una ragazza e non una donna tutta d'un pezzo ti piace! >> il suo corpo divenne teso. Quanto la faceva lunga. Aveva ammesso di essere geloso, dire che gli piacevo non cambiava molto la situazione. 
Invece sì che la cambia! 
<< Isabella! >>. 
<< Ti piace molto il mio nome se continui a ripeterlo… >> lo rabbonii. Mi rigirai nella sua morsa. Ero inconsapevole che fosse così vicino. Tentava di rimanere serio ma nascondeva un sorriso divertito << Su Eddie. Mi accontento di poco. I fiori neanche mi piacciono se non sono in un cespuglio, in casa mi ricordano il cimitero e tantomeno le dichiarazioni stucchevoli… >> lo informai sarcastica << Ti basta dire: I-sa-bel-la- mi pia-ci ! >> sillabai come se non fosse in grado di capire. 
Aggrottò la fronte << No! >> affermò giusto per gusto non di cedere. Era un giochetto che mi piaceva. Non lo avrebbe mai ammesso. Per quale grazia divina aveva confessato di essere geloso e già era tanto! << Edward è facile. >> gli pizzicai un fianco << No! >> continuò imperterrito << Dillo! Muovi la splendida boccuccia che ti ritrovi e parla! >> sussurrai. 
<< Ti piace la mia bocca? >> rigirò la frittata. 
<< Non è brutta… >> scrollai le spalle vaga << Ora che ne dici di ritornare all’argomento principale… >> lo esortai. 
Il suo sguardo si addolcì, per quanto possibile si fece più vicino e arpionò il mio collo con una mano << Va bene… >> Oh Santo cielo! 
Si umettò le labbra in un gesto fortemente sensuale << Isabella… >> Oh Gesù, se ne esco illesa non farò la pazza per un giorno! 
<< Sì… Edward… >> balbettai. 
Volontariamente sfregò i nostri nasi. Ne esco morta! Ne esco morta! 
Non sarebbe male morire in questo modo! 
<< scor-da-te-lo! >> esclamò allontanandosi. 
Mi aveva fregata oltre che abbacinata. Cercai di respingerlo fintamente offesa. 
<< Quanto sei str… >>. << Isabella! >>. 
<< Stravagante. Quanto sei stravagante, Edward! Uomo di poca fede >>. 
Alzò gli occhi al cielo e non mi permise di allontanarmi. Despota. 
Io la chiamo dolce resa. 
E passammo la giornata sul letto. Vicini a parlare ma non di Jean o di Sandy. E non capii chi dei due si assopì per primo ma quando la notte mi svegliai, lo trovai al mio fianco. Non eravamo propriamente avviluppati l’uno all’altra, anche perché io non riuscivo a dormire con qualcuno che mi soffocava: ero amante dei miei spazi in toto; eravamo lontani ma c’era qualcosa che ci teneva legati: le nostre mani intrecciate. Fu la prima volta che dormii con un uomo.
***************
Quante di voi hanno avuto delle giornate contornate dalla sfiga? Io sempre! Un giorno sì e l'altro pure. La scenettta della pozzanghera mi è capitato. Non è stato affatto piacevole ma è stato uno dei giorni più divertenti della mia vita! Quindi, forse, non era del tutto sfiga. 
Che dire.... recensite, recensite, recensite. Acalicad.

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Capitolo 13
*** Ad un passo dalla felicità ***


Salve ragazze! Allora vi lascio al capitolo. Vi ricordo che la cover è stata fatta da Lalayasha e la revisione è a cura di CloeJ. Mai come in questo capitolo sono stata in difficoltà e se non fosse stato per te adesso avrei pubblicato una COSA OSCENA. Grazie, grazie di cuore. Un bacione. Buona lettura!



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Dove c’è il desiderio
ci sarà una fiamma, 
dove c’ una fiamma, 
qualcuno è destinato a bruciarsi 
ma proprio perché brucia 
non vuol dire che morirai. 
Dormire con Edward:l’esperienza più strana di tutta la mia vita. Quando mi svegliai –alle tre del mattino- rimasi a fissarlo come una cerebrolesa. 
Sembrava quasi irreale. 
Non sono capace di starti lontano. Era un bisogno. Avevo paura di questa nuova necessità. Non sapevo come e se muovermi. E più ci ripensavo più ricordavo la storia del capire. Il punto era che non ci riuscivo.
Da una parte sapevo che non provavo semplice attrazione fisica ma dall’altra non sapevo se valesse la pena lasciarmi andare. 
In relazioni di cuore o come diavolo si diceva, non c’erano certezze o almeno questa era opinione comune. Non ero il tipo di persona che si crogiolava nel dubbio o che voleva delle sicurezze costanti per andare avanti ma questa volta era diverso. Questa volta sono indispensabili. Ne andava della vita di tre persone: mia, di Edward e soprattutto di Renoir. Non potevamo permetterci di andare alla cieca.
 Forse non sarei mai stata pronta, forse non poteva aspettarmi, forse il nostro attaccamento era insensato. Era così snervante. Mi sarebbe piaciuto urlare dalla frustrazione. 
Perché proprio noi? Perché non potevo essere diversa? 
Perché sebbene avessi ritrovato Renoir, nonostante fossi felice, non sarei mai tornata la persona di un tempo. C’era una scheggia conficcata nel mio cuore. Era così ben radicata da non poter essere estratta e la ferita sanguinava inesorabilmente, non sarebbe mai guarita. Ogni pugnalata, ogni livido invisibile sul mio corpo che solo io potevo vedere, a cosa serviva se non a permettere ai ricordi di non andarsene, al passato di rammentarti perché sei ciò che sei. E le cicatrici, dopo la bufera, ti facevano sentire più forte o almeno te ne davano l’illusione. 
Il dolore per quanto forte e straziante non uccideva. Ti faceva desiderare di morire ma paradossalmente ti puniva lasciandoti viva. Però ti cambiava come era successo a me. La Bella solare e forte si era trasformata in una smidollata impaurita che non era riuscita a imporsi con i suoi genitori. 
A volte pensavo che mi sarebbe piaciuto incontrarlo in un bar, in un parco e lui mi avrebbe ignorato. 
Ero una vent’enne che adesso lo attraeva perché aveva avuto modo di conoscere per via di Renoir. E non gliene facevo una colpa. Quello che c’era tra noi, il nostro legame, era merito di Renoir. E non sapevo se esserne felice o triste, perché in alcune notti, il senso di colpa per essermi lasciata trasportare in questa situazione mi attanagliava e i mille se non mi davano pace; però io ci stavo provando. Io volevo sconfiggere i miei demoni. Io volevo davvero fidarmi, anche se era difficile, essere ottimisti. 
Se non rischi non puoi essere felice. C’erano tanti tipi di felicità. Ero una madre felice. Una studentessa felice. Una lavoratrice felice. Un’amica felice. Ma ero una donna felice? 
Non conoscevo molto i drammi amorosi, in verità. Okay a dirla tutta pensavo definire dramma non essere ricambiati fosse stupido. Le vere disgrazie erano ben altre. 
Ad esempio… accadeva che, quando non avevo sonno, pensassi alla tragedia di Shakespeare “Romeo e Giulietta” e ci riflettevo davvero tanto! Arrivavo sempre a una conclusione: erano due teste di ca… ecco! Ci risiamo con le volgarità. 
Era fuori dubbio che Shakespeare fosse uno dei miei autori preferiti, ma che i due protagonisti in questione non potessero stare insieme per la faida tra le loro famiglie non era una tragedia di per sé? Addirittura il suicidio. Era anche vero che non mi ero mai innamorata. Oh mamma mia, sto facendo la paternale a Shakespeare… sto davvero ammattendo! Ritornai alla realtà e mi concentrai su chi mi stava mandando il cervello in brodo di giuggiole. 
Il viso dai tratti angelici ma anche decisi; la pelle leggermente dorata per via dell’estate; le spalle larghe; la t-shirt che si era alzata durante la notte e potevo vedergli lo stomaco: non aveva gli addominali scolpiti ma era bello lo stesso se non di più. Era in forma, magro, con le ossa delle anche in bella mostra –che avevano una grande attrattiva- e i peli dell’ombelico biondicci. 
I jeans si erano abbassati mostrando l’elastico dei boxer neri, con quell’indumento non indossava mai la cintura, anche se gli stavano un po’ larghi. 
E se da una parte era così composto a lavoro dall’altra, sembrava quasi trasandato a casa e mi piaceva da matti. E quando parlava, era dolce, carezzevole e con una traccia di sfrontatezza nella voce che non guastava. 
Lo osservai in tutta la sua bellezza ma per me lo era perché sapevo cosa si albergava nel suo animo. Non era il suo carattere gentile a essere un bonus al suo aspetto fisico ma il contrario. 
Istintivamente gli scostai i capelli dalla fronte. Solo una pazza non impazzirebbe al solo vederlo! Adesso mi cimentavo anche negli scioglilingua! 
<< Perché mi stai guardando? >> domandò con gli occhi ancora chiusi. Scostai la mano. Cavoli sei sveglio! << Sai… dovrebbero inventare una nuova parola per descriverti… >> sussurrai con voce roca per via del sonno. Sì, l’ho detto davvero! 
Finalmente aprì gli occhi e mi guardò sorridente << Lo prendo come un complimento. Allora… perché mi stavi fissando? >> ribadì. 
Osservai le nostre mani ancora intrecciate. Mi trasmetteva calore. << Sto cercando di capire cosa c’è che non va in te… >> risposi a sguardo basso. 
<< In che senso? >> m’interrogò giocando con le nostre dita << Sei così… indipendente, affettuoso… >> incespicai. 
<< E tu non sei così? >> che razza di domanda era? << Non so se sono indipendente, ma di sicuro non mi piace essere disturbata. Da adolescente ero un tipo intraprendente con i ragazzi e mi giravano le scatole se si avvicinavano loro… >> era stato un modo per dirgli che avevo bisogno di tempo. Lo aveva capito? << Se certe volte con te sono invadente… sono così con le persone che mi stanno a cuore… >> l’ultima parte della frase la sussurrai per timore ma lui comprese, capiva sempre. 
Con la coda dell’occhio vidi un leggero sorriso che tentava di camuffare.
<< Eri presuntuosa? >>. 
<< Uhm? >> chiesi confusa. 
<< Eri una ragazza con la puzza sotto il naso? >>. Non ero certamente orgogliosa di ciò che ero << No, però ero una stronza con i controfiocchi ma non cattiva, ero brava nel rigirare le situazioni a mio piacimento o a far tacere le galline arroganti. Ero quella tosta, credo… >> scrollai le spalle ritornando al presente. 
<< Eri una paladina? >> sembrava parecchio divertito. 
<< Una volta ho fatto a botte con una ragazza! >> ammisi a sguardo basso << Tu… cosa? >> il suo tono di voce si alzò << Già, non ne vado fiera… >> borbottai torturandomi le labbra << E l’onore di chi avresti difeso e perché? >> chiese colpito dalla mia confessione << Di Lucas, una ragazza sparava stupidaggini… >> lo vidi ritornare serio. 
<< Qualcosa non va? >> gli sfiorai un braccio per attirare la sua attenzione. 
<< No! >> mentì. 
<< Che io parli di Lucas t’infastidisce? >> riprovai cauta. 
<< No Isabella! >> e adesso mi tratti come un’estranea. 
<< Bugiardo! >> dichiarai impettita. 
<< Isabella! >>. 
<< Smettila di ripetere il mio nome quando dico qualcosa che non ti piace! >> implorai. Era sgradevole. Mi faceva sentire una bambina, la stessa età di Renoir. E lui di certo non era mio padre. Lo trovavo troppo attraente. 
<< Il ragazzo di cui parli ha a che fare con Renoir e con te >> era geloso e sentii il cuore gonfiarsi dalla tenerezza che provai. 
Misi anche l’altra mia mano sulle nostre intrecciate << Non è sua figlia, okay! Sei tu suo padre. Sei l’unico uomo per cui stravede e che chiama papà. Lucas per Renoir non è niente. Ed io ti ho detto che non l’ho mai amato! E poi che razza di discorsi fai? Da quando ti preoccupi di uno che neanche c’è nelle nostre vite? >> mi arrabbiai. Da quando Lucas era importante? 
<< Da quando tu sei entrata nelle nostre vite! >> non sapevo in come prendere quell’affermazione. Mi fece sentire a disagio << A… avresti voluto che… non entrassi nelle vostre vite? >> balbettai rigida << Non ho detto questo! >> obbiettò. 
Silenzio. 
Silenzio. 
Ancora silenzio. 
Non sapevo che pensare. Lucas non era neanche un fantasma. I fantasmi sono sempre dietro l’angolo o nei nostri pensieri pronti a sbucare e non ti lasciano respirare. Lui non rappresentava nessuna delle due possibilità. La nostra amicizia era stata inusuale per i molti baci scappati prima di quella notte. Lo avrei ricordato sempre per i bei ricordi dell’adolescenza e per aver contribuito nell’esistenza della persona più importante della mia vita, ma quando pensavo al papà di Renoir, non era la sua immagine ad apparire nella mia mente. Papà era uguale a Edward. Era perfetto. Lui e nessun altro. 
Potevo capire la sua gelosia. Quante volte lo ero stata di lui quando Renoir non sapeva chi ero? Ma la sua gelosia era immotivata. Lucas non esisteva nelle nostre vite! 
Tu potresti avere da me qualcosa che Lucas non ha mai avuto: il mio cuore. Non mi era sfuggito quando aveva infilato me nel suo discorso contorto. Ah, i miracoli della gelosia! 
Afferrai la sua mano e la portai sul mio cuore. Batteva troppo velocemente << Lo senti? Sei l’unico che mi provoca questo >> mormorai imbarazzata. Mi sembrava la battuta di un romanzetto rosa.
Lo vidi sorridere: gli avevo fatto tornare il buon umore. 
Restammo in silenzio per qualche secondo finché non lo ruppe lui: << Avvicinati! >> mi esortò dolcemente << Perché? >> aggrottai la fronte << Fallo e basta! >> esclamò deciso << No! Se vuoi, vieni tu! >> imposi facendo una linguaccia << Quanto sei infantile! >> mi rimbeccò giocoso << Sebbene tu non lo abbia ammesso, l’essere infantile di fronte a te piace! >> constatai compiaciuta. Non disse nulla ma mi fissò con una strana luce negli occhi che, sicuramente, mi avrebbero mandato al manicomio. 
Ci sfidavamo con lo sguardo, una tacita lotta su chi dovesse fare il primo passo. Dopo un paio di minuti ci muovemmo all’unisono per ritrovarci al centro del letto. 
<< Buongiorno… >> bisbigliò troppo vicino al mio viso. E’ bello e meraviglioso… bellaviglioso potrebbe essere la parola per descriverlo. 
Deficiente! 
Rise raggiante << Anche tu… >> disse come se avessi parlato ad alta voce. C’era questa cosa che ci portava a capirci con gli occhi. E mi piaceva parecchio! 
<< Senti… mi concederesti tre minuti? >> domandai impacciata. 
<< Tre minuti? >> chiese disorientato. 
<< Già… tempo di una doccia e ritorno. Puoi? >>. << Vado via? >>. 
<< Ti ho chiesto di andartene? >> ribattei. 
<< No… >> constatò. 
Con i polpastrelli tratteggiai i contorni delle sue labbra << Allora aspettami, okay. Tre minuti e ritorno e… poi facciamo qualcosa… >> non è una frase ambigua, vero? 
<< Qualcosa… >> bisbigliò malizioso. 
Sentii le guancie arrossarsi << Stupido! >> bofonchiai alzandomi in piedi. 
Fui veramente un fulmine. Infatti, uscii poco dopo dal bagno vestita e con i capelli bagnati che massaggiavo con un asciugamano. Lui era ancora sdraiato con gli occhi puntati sul soffitto; sembrava pensieroso. 
Per riscuoterlo mi buttai sul letto senza troppa grazia << A che pensi? >> chiesi ansiosa e con il sorriso sulle labbra. 
<< Hai i capelli bagnati… >> notò mettendosi seduto << Fa niente, cosa ti passa per la testa? >> ripetei. Rise della mia curiosità e mi tolse l’asciugamano dalle mani << Che fai? >> continuai confusa. Rimasi spiazzata quando cominciò a tamponarmi i capelli. Sbuffai gonfiando le guancie << Mi fai sentire una bambina! >> piagnucolai esasperata. 
La sua espressione contenta non sparì e in un gesto rapido mi acchiappò per i polpacci e mi tirò a sé facendo sì che le mie caviglie venissero a contatto con i suoi fianchi. Strabuzzai gli occhi e per un intero minuto annaspai in cerca d’aria. Caldo. Molto caldo. Tantissimo caldo. 
<< Non sei una bambina ma una ragazzina >> mi punzecchiò sfacciato ma scherzoso. Muoio. Muoio. Muoio. Quante volte mi aveva irritato che mi chiamasse ragazzina. Adesso mi piaceva pure! Quanto ero ipocrita! 
Come se niente fosse continuò ad occuparsi dei capelli << Mi… mi vuoi dire su cosa stavi rimuginando poco fa? >> balbettai cocciuta cercando di fingere che il suo viso poco distante dal mio mi procurasse un certo turbamento. 
Fa di me tutto ciò che vuoi, pensava la ragazzina sessualmente repressa dentro di me. 
I suoi occhi erano così dolci da provocarmi i crampi allo stomaco. Mi baciò una spalla << Mmm… >> le mie corde vocali mi tradirono. No, no, no! Cavolo! Dobbiamo capire, come facciamo da questa distanza? Le sue labbra si stesero sulla mia pelle. Continuò arrivando alla clavicola << Potrei credere che tu stia cercando di sedurmi… >> gracchiai con voce strozzata. Dio! Non lo capisce che non sono fatta di pietra? << Ottima constatazione. Ci sto riuscendo? >> domandò divertito e tornando a guardarmi negli occhi. Infame! 
C’era una tempesta dentro di me. Con Lucas ho provato tutto questo? Non lo ricordavo neanche. Sentivo solo tanti spilli e quasi mi girava la testa << Se rispondessi in un modo, mentirei altrimenti ci addentreremmo in un campo minato... non credo sia il caso >> l’applauso che sentii nella mia testolina mi diede la forza di rimanere lucida. 
<< Tu a cosa pensi? >> domandò a sua volta. 
Sorrisi << Che ho fame… >> ammisi imbarazzata << Allora andiamo a fare colazione! >> propose. 
Scossi il capo decisa << No, scemo. Quando sei vicino a me, ho fame… >> borbottai. 
Il suo volto si contornò di confusione << Come prego? >>. 
<< Sai… quando hai fame e lo stomaco si mette a protestare e ti fa veramente male. Poi… decidi di mangiare e non ti fai un piatto di pasta qualunque per soddisfare l’appetito ma le patatine fritte perché vuoi solo le patatine. Tu sei le patatine, Edward >> ed io voglio le patatine. 
Che discorso patetico! 
Profonda come una pozzanghera… 
Abbassai lo sguardo imbarazzato mentre lui mi osservava attentamente << Dì qualcosa! >> supplicai << Se non avessimo stabilito che dovevamo capire, ti bacerei… >>. 
Boom! Ogni parte del mio corpo era esplosa a quell’affermazione tenera e maliziosa allo stesso tempo. Era bello che mi facesse saltare la testa in aria. Non alzai il capo << Ehm… non sono capace di fare discorsi di un certo spessore, perciò aspettati sempre questi paragoni stupidi… >> farfugliai. 
Poco dopo mi alzò il viso << Mi hanno definito in tanti modi, patatine mi mancava… e quello che hai detto prima, la tua metafora, nessuno mi ha mai detto una cosa del genere… mi hai sorpreso >> non credo che ti stupirò mai come tu lo fai con me. << Bene! Ora, per quanto riguarda la cosa del baciare… un giorno quando e se sarà, verrò io. >> però tu aspettami! << Manie di controllo? >> scherzò per alleggerire la situazione << A quanto pare mi hai contagiato… >> ridacchiai. 
<< Posso farti una domanda sciocca? >> tentai impacciata. 
<< Dimmi >>. 
<< Quando dici ‘mi hanno definito in tanti modi’, ti riferisci alle altre donne? >> avrei voluto prendere a testate un muro chiodato. Non siamo niente ed io gli chiedo delle altre donne. Apparivo come una ragazzina di liceo pure mezza fumata. E dire che non mi sono mai drogata. 
Mi lanciò un’occhiata come se fosse consapevole del mio fastidio << Anche >>. 
Ebbi una fitta alla bocca dello stomaco. Gelosia. 
Già me le immaginavo. Alte, bellissime, raffinate e sulla trentina. Chissà quante Sandy c’erano state. Mi veniva la nausea al solo pensiero. Perché non potevo avere almeno cinque anni in più? 
<< Okay… sappi che non sono il tipo di ragazza che ti chiederà con quante donne sei stato, nonostante tu sappia tutto della mia unica pseudo relazione. Questo non vuol dire che tu debba stuzzicare la mia curiosità oltre che le mie paranoie… >> affermai. 
<< Paranoie? >> sembrava divertito. 
<< Già… ne riparleremo. C’è ancora tempo… >>. 
<< Perché non me lo chiederai? >>. 
Sorrisi compiaciuta << Posso permettermi di essere presuntuosa? >> domandai. 
Annuì << In questo momento sei in un letto con me e non con una di loro e chiamami pure pazza ma non credo che tu abbia mai asciugato i capelli a qualcuno se non a Renoir, anche se ammetto che la tua ex, Carmen, m’incute un po’ di paura… >> spiegai. 
<< Carmen? >>. 
<< La smetti di ripetere ciò che dico? Che tu l’abbia amata o no, avete deciso di adottare Renoir. E doveva essere davvero importante per te se l’hai vista come possibile madre di tua figlia. Perciò… credo sia logico… ma il passato è passato, no? >>. 
<< Carmen ha rinunciato ai suoi diritti. Non è sua madre. Tu sei sua madre! >>. 
<< Legalmente non sono nessuno, Edward. Dio non voglia che Renoir si senta male e debba andare in ospedale mentre tu sei fuori città, perché in quel caso io non potrei neanche avvicinarmi a lei; tua madre e tua sorella non me lo permetterebbero! >>. 
Passai le dita sulla sua fronte per distendere le rughe che la segnavano. 
Avevo un po’ paura di ciò che potesse pensare. 
<< Parla per favore! >> implorai addolorata. 
<< Stavo pensando che possiamo risolvere questa situazione, anche se dovremmo affrontare qualche bega burocratica >>. 
Spalancai gli occhi spiazzata. Lui voleva… 
<< Perché? >> ansimai commossa. 
<< Perché mi fido di te. Perché sei la madrei di mia figlia. Perché è facile stare con te, sei la prima donna con cui sto bene da… sempre >>. Boom! Seconda esplosione in poco tempo. 
Aspetta… aspetta… aspetta! Fermi tutti! Ha detto donna? 
Stomaco in subbuglio, mani sudate, cuore a tremila… sicuramente avevo un calo di pressione dovuto alla fame. 
<< E’ una dichiarazione? >> sdrammatizzai mentre il mio cuore era… volato via. 
Come quando sei bambino e per Natale desideri qualcosa che i tuoi genitori dicono che non puoi avere e poi quel giorno ti svegli con il muso e quando scarti il tuo regalo, rimani senza parole perché è ciò che volevi. 
Mi prese la mano e poggiò le labbra prima sui polpastrelli depositando poi dei piccoli baci su tutta la mano. Mi fece tremare. 
<< Era una constatazione… >> a me sembrava una dichiarazione.<< Bé… sappi che è la constatazione più bella che mi abbiano mai fatto. Tutto è sempre così complicato ed è carino che tu pensi che sia facile stare con me >> mormorai. 
<< Non è difficile semplificare le cose… >> replicò. << In questa cosa tra me e te niente sarà mai semplice o meglio lo sarà solo quando saremo soli in un letto a parlare. Qualsiasi cosa accadrà tra noi due, che sia un rapporto d’amicizia o qualcosa di più… >> sbuffai non sapendo che parole usare << … Edward è perfetto, Isabella anche, ma Edward e Isabella insieme non saranno mai visti di buon occhio. Tua cognata pensa che tu e quella donna sareste una bella coppia. La tua famiglia si aspetta una donna matura al tuo fianco… ed io sono stramba… sono sei anni che non mi rapporto con un uomo e per rapportare intendo che non ho più dato un bacio. E forse sto correndo perché solo poche ore fa abbiamo ammesso che tra noi c’è qualcosa, anche se d’indefinito, ma ormai ci siamo dentro. Tu… sei l’unico uomo che mi sia mai piaciuto da sempre, ciononostante… ho bisogno tu tempo. >>. 
Gli accarezzai il volto << Edward… il mio cuore sa cosa fare –desidera farlo- ma la mia mente sta ancora cercando di valutare la situazione in cui ci troviamo e il mio corpo deve abituarsi al bisogno di contatto con te… >> gli baciai una guancia nella speranza che capisse. 
<< Isabella… sono adulto abbastanza da non farmi plagiare dalla mia famiglia così come dall’ambiente in cui vivo. Mia madre non vuole che ci sia una donna matura al mio fianco ma una donna adeguata alla mia posizione sociale. Anche se tu avessi trent’anni… >>. << Non sarei all’altezza ugualmente; ma se fossi ancora in contatto con la mia famiglia altolocata e più avanti con l’età, quasi con certezza mi accetterebbe dopo una garantita sfilza di angherie >> conclusi per lui. 
<< Già… >>. 
<< Tua madre è… >> una stronza, frivola e snob. Non le andavo bene non per via di Renoir ma per la mia posizione economica e la mia età anagrafica. Era desolante la sua volontà di vedere Edward accanto a una donna in. Sarebbe andata d’amore e d’accordo con Charlie. Una piccola parte di me –quella ancora adolescente e che spesso dimenticava che ruolo ricopriva nella vita di Renoir - avrebbe voluto farle dispetto solo per il gusto di vederla inferocita. Poi c’era la Bella adulta e soprattutto madre che capiva che con Esme non ci sarebbe mai stata neanche una finta cordialità. Lei e la figlia mi avrebbero sempre odiato senza darmi la possibilità di farmi conoscere. Io continuavo a dormire tranquillamente con o senza la loro approvazione. 
<< Lo so… >> ridacchiai perché parlò come se sapesse con quali epiteti l’avevo apostrofata nel mio cervello. 
Restammo in silenzio riflettendo sul da farsi. Dovevamo preventivare che qualsiasi cosa sarebbe successa, ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe storto il naso, ma era anche vero che a noi non importava nulla. Eravamo giunti alla conclusione di chiarire i nostri sentimenti per noi stessi e soprattutto per Renoir, importava solo il suo bene. << Semplificare… è una bella parola. Non credo molto a chi dice che le cose complicate sono più belle. Se ci fai caso, sono proprio le cose semplici che ti fanno nascere un sorriso spontaneo. Perciò per non creare disguidi futuri, sappi che non mi piacciono neanche i nomignoli. Non chiamarmi mai biscottina, stellina o chissà cos’altro… >> lo avvertii scherzosa. 
<< Come posso chiamarti? >> le sue dita fecero su e giù lungo il braccio. 
<< Isabella, Bella, come vuoi tu ma non biscottina. E’ uno di quei nomignoli da film thriller. La ragazza che è rincorsa dal suo fidanzato con una mentalità stile psycho che prima di affettarla in striscioline le dice: “Biscottina vieni qui!” >> ridemmo sommessamente. << Eviterò di domandarti che tipo di film guardi >>. << Hai tante fissazioni strane… >> continuò. 
<< Lo so… >> fuggii lontano da lui e mi misi in piedi << Che ne dici di aspettare l’alba con dei soufflé al cioccolato? >> proposi per cambiare argomento. 
<< Alle quattro del mattino? >> sogghignò. 
<< Perché c’è un orario preciso per mettersi a cucinare? >> ribattei saccente. 
Mi raggiunse e mi scompigliò i capelli. 
Entrammo nella villa avvolta nel buio << Vado a fare una doccia se non voglio somigliare a un barbone… >> a me la barba piace. 
<< Okay, ti aspetto in cucina con i soufflé appena sfornati. Sbrigati se vuoi trovarne qualcuno, non guardo in faccia a nessuno se si tratta di dolci >> lo avvertii con il sorriso sulle labbra. 
Accesi tutte le luci della casa, spreco o meno il buio mi faceva accapponare la pelle. 
Entrai in cucina e presi l’occorrente con facilità, ormai conoscevo questo posto come le mie tasche. Non potei evitare di accendere la radio. 
<< Uova, cioccolato, latte… maizena… uhm che bella questa canzone… >>. 
<< Where there is desire… there is gonna be a flame… >> << Il cioccolato l’ho sciolto nel latte… >> continuai come se fosse una strofa della canzone di Pink << … where there is a flame… someone’s bound to get burned… >> strepitai usando due mestoli come bacchette da batteria e li feci scontrare contro il ripiano dell’isola << … but just because it burns… doesn’t mean you’re gonna die… >>. 
Per fortuna non sei una cantante. 
<< Ora devo montare gli albumi… e presto tutto sarà pronto… >> feci una giravolta su me stessa << … you’ve gotta get up and try try try… gotta get up and try try try… >>. 
Mi bloccai quando una mano si posò sulla mia spalla << Biscottina, vieni qua! >> disse qualcuno con voce camuffata, non potei fare altro che urlare a squarciagola, ma non un grido frivolo e finto ma uno di quelli pieni di terrore. 
Rimasi rigida con il cuore in gola e cercavo di respirare, poco dopo sentii una fragorosa risata. Edward. Avevo ancora gli occhi spalancati quando lo guardai. Era piegato in due e seguitava a ridere senza ritegno. Ho rischiato di farmela addosso. 
Odiavo i film horror e nonostante tutto ero così masochista da guardarne a palate, per poi dormire con i calzini e le coperte pesanti anche d’estate per paura che qualcuno potesse tirarmi sotto il letto. Alle quattro del mattino in una villa grande come casa di Edward e pressoché sola, perché lui era al piano superiore, era anche logico che avessi un infarto? 
<< Io ti ammazzo… >> ansimai. Pestai i piedi per terra come una poppante, mi avvicinai a lui e schiaffeggiai un braccio << Alzati trent’enne adulto! >> strillai isterica. 
Si drizzò cercando di reprimere il suo divertimento. Ti picchio! << Sei pallida come un lenzuolo… >> notò forse pentito. Istintivamente presi la frusta e gliela puntai contro mentre lui alzava le mani in segno di resa << Brutto cretino che non sei altro… >> cercai di colpirlo ma mi scansò << Ti ho spaventato tanto? >> mi canzonò. Cretino! Saresti andato in carcere per omicidio! 
Feci un passo avanti e lo afferrai per la t-shirt per cominciare a pizzicargli il torace << Sei… uno stupido che mi ha fatto invecchiare di vent’anni! Sei un bambino nel corpo di un uomo… >> piagnucolai. Rideva e rideva come se non gli stessi facendo male e probabilmente era così << Ti avevo detto che chiamarmi biscottina mi terrorizzava a morte! >>. 
Mi afferrò il viso << Mi… >> posò le labbra sulla mia mandibola << … dispiace… >> bacio sulla guancia << … per… >> altro bacio sulla tempia << … averti… >> sulla fronte << … fatto… >> sul naso << …paura… >> sul mento. 
Ridacchiai ormai rincretinita << Questi mezzucci con me non funzionano! >> dichiarai flebile. 
Bugiarda! 
<< Che peccato… >> rispose allegro << Ora spostati >> prima che faccia qualche cavolata << Non sono pronti i soufflé? >> non si allontanò da me. Dovevamo capire, lo comprendevo, ma se era così a contatto con il mio corpo mi costringeva a fare pensieri tutt’altro che casti. 
<< Se tu non mi avessi interrotto in modo così gentile, li avrei già infornati! >> protestai sarcastica << Posso fare qualcosa per spingerti a perdonarmi? >>. 
Sì, saltale addosso! 
<< Ehm… >> quello che vuoi << … no, aspettati il contrattacco in qualsiasi momento! >> lo avvisai maligna. 
Con nonchalance mi scostai da lui << Devo montare a neve gli albumi… >> spiegai mentre lui si sedeva di fronte a me e mi fissava. Non contento inzuppò un dito nell’impasto al cioccolato e se lo portò alla bocca per assaggiarlo. Sarebbe stato un gesto del tutto innocente per uno sconosciuto ma per me non era innocuo. Sembrava gridasse: “Che aspetti, sono qui!”
Deglutii a vuoto e mi concentrai sul mio lavoro << E’ buonissimo! >> chi? Se parli di te stesso, ci credo! << Grazie >> gracchiai con le guancie rosse. 
<< Se non ricordo male, è stata tua nonna a insegnarti… >>. 
<< Già… era il tipo di nonna che quando ti vedeva, diceva che eri troppo magra e quindi si metteva a preparare dolci… >> mi rabbuiai. 
<< Quand’è morta? >>. 
Chiusi gli occhi cercando di riacquistare un po’ di serenità << Un paio di anni prima che rimanessi incinta, d’ictus fulminante mentre dormiva… >> borbottai cupa. Non volevo parlare della nonna. Di solito non parlavo a nessuno della sua morte e molto spesso avevo mandato Tanya a quel paese quando aveva cercato di farmi qualche domanda. 
<< Mi dispiace… >> sussurrò. 
<< Sono stata arrabbiata con lei… >> ammisi vergognandomi. 
<< Come mai? >>. 
Sentii gli occhi farsi lucidi << Era l’unica persona che mi capiva e lei… ho visto la sua morte come un abbandono. Sono andata pochissime volte a trovarla al cimitero e ora non sai come me ne pento… >>. 
<< Mi… >> iniziò. 
<< Tu hai dei nonni? >> lo interruppi. 
Tuttora ero adirata con lei. Nonostante la mia razionalità sapesse che non era colpa sua se era morta, non riuscivo ad accettarlo. Non doveva morire! 
<< Ho una specie di nonna acquisita >> m’informò. << Acquisita? >> chiesi confusa. 
<< Quando la madre di Carlisle morì, mio nonno sposò un’altra donna… >> chiarì. 
<< Tuo nonno è morto? >>. 
<< Sì >> confermò. 
<< E lei, tua nonna, dov’è? >> continuai curiosa. 
<< Lilian, così si chiama, è in giro per il mondo; le piace viaggiare. E’ una donna eccentrica, secondo me le piaceresti >>. 
Renoir diceva che sarei piaciuta ad entrambe le sue zie. Non gli credevo molto. 
<< Sì, soprattutto se è adorabile come Esme! >> ironizzai sbattendo le ciglia con enfasi. 
Lo feci ridere e mi unii a lui. Era bello quand’era spensierato << In realtà non vanno molto d’accordo >> mi confidò. Se sono simili, è anche normale. << E neanche io sono andato sempre d’accordo con mia madre >> aggiunse. 
Mi lasciò stupita << Perché? >>. 
<< Negli anni del college ho fatto un po’ di testa mia, una volta mi sono perfino fatto arrestare >> la piccola cocotte che avevo tra le mani per poco non scappò come fosse una saponetta << Mi prendi in giro! >> strillai sconvolta. 
<< Non vedo il motivo per cui debba scherzare. Finire una notte in carcere non è una cosa di cui andare orgogliosi >>. 
Edward Masen Cullen industriale di successo impegnato anche nel sociale, uomo irreprensibile e padre perfetto era stato arrestato negli anni dell’università. Non ci avrei creduto neanche se l’avessi visto. 
<< Ma… ma perché? >> allora è un mortale. Quasi riuscivo a sentire il suono delle campane. 
Sogghignò per il mio sgomento << Una rissa in cui non c’entravo niente… >>. 
<< Dimmi che puoi smobilitare l’ufficio della polizia per procurarmi la tua foto segnaletica… >> supplicai << Non esiste più niente di quella nottata. Mi dispiace >> scrollò le spalle. 
Di punto in bianco scoppiai a ridere come una bambina, di gusto, fino ad avere le lacrime agli occhi << Che succede? >> domandò spaesato. Presi un respiro profondo per calmarmi << Ho immaginato Renoir adolescente, noi alle prese con qualche sua marachella e la riprendevamo… >> ansimai << … con quale faccia la rimprovereremo se io ballavo sulle auto e scappavo da casa e tu ti facevi arrestare… >> mi schiacciai una mano sul viso per cercare di smettere << Se all’età di sedici anni, sgattaiolasse fuori di casa tu credi che sarei capace di dirle che è sbagliato? Sarei un’ipocrita! >> poco dopo lo sentii ridere. 
<< Faremo in modo che non senta l’esigenza di nasconderci niente >> affermò. 
Forse merito della mia famiglia o forse era perché ero uscita da poco dalla fase adolescenziale, ma ero certa che qualcosa anche d’insignificante Renoir l’avrebbe tenuta per sé. Era insito in ogni ragazzino negli anni della pubertà. 
Appena infornai i soufflé, mi sedetti sull’isola mentre canticchiavo una canzoncina. 
<< E’ strano… >> esordii pensierosa << …qualche anno fa non avresti mai pensato di adottare una bimba e adesso sei padre e qui con me… >> mormorai pensierosa << Mia nonna diceva che quando una persona entra nella tua vita c’è sempre una ragione, che inconsciamente hai espresso un desiderio… e arriva per aiutarti >> affermai sorridente. << Credo che tu somigli a tua nonna più di quanto tu voglia ammettere >>. 
Abbozzai un sorriso << Perché ne sei così sicuro? >>. << Solo un’impressione, secondo me anche lei vedeva il mondo in modo tutto suo >> mi sarei presa a ceffoni per la sua sagacia << Sì è così. Se aveva ragione… aldilà di Renoir, uno di noi due ha espresso un desiderio… >> sussurrai poco convinta. 
<< Credi nel destino? >>. 
<< Siamo noi gli artefici del nostro destino >> ribattei. 
<< Da come parlavi prima, non sembrava fossi di questa idea >>. 
<< Non credi sia una cosa triste? Qualunque cosa tu faccia o voglia una qualche entità, farà a modo suo per portarti dove è scritto che tu stia. E’ più che infelice! E il libero arbitrio dove lo mettiamo? Se credi al destino, è perché infondo, t’illudi e sei indeciso su quale strada intraprendere. Così pensi: “Tanto se è destino…” >> mi scaldai eccessivamente. Mi fissò come fosse intenerito << T’inalberi sempre per questioni del genere… >> mi sfiorò la punta del naso con un polpastrello << Grazie… >> borbottai con il broncio. 
<< Se potessi, torneresti indietro? >> chiese di punto in bianco. Mi accigliai, non mi aspettavo una domanda del genere. 
<< Intendi se farei tutto quello che ho vissuto? >> chiesi. 
<< Sì >> affermò. 
<< In fin dei conti sapevo che prima o poi avrei deluso i miei. Loro volevano per me una vita perfetta, forse è ciò che desidera ogni genitore, ma quando tutto è perfetto non c’è nessun gusto nel fare qualcosa. Sono le imperfezioni che ti spingono a provare fino allo sfinimento. Edward la mia adolescenza è stata veramente speciale, non mi sono fatta mancare niente e non me ne pento. Se fossi rimasta con i miei genitori e non fossi rimasta incinta, in questo momento sarei laureata in economia e tra qualche ora mi sarei svegliata per indossare uno di quei tailleur da adulta… >> per non dire vecchia. << … e avrei i capelli sistemati in un elegante chignon. >> e forse ti sarei piaciuta di più. << Invece sono qui, ho ventuno anni, sono giovane lo so, ma Renoir è la cosa più bella di tutta la mia vita nonostante abbia impiegato un po’ di tempo per trovarla. Sono felice e no, non tornerei indietro. I rimorsi e i rimpianti sono il tarlo della vita. >>. 
<< Secondo me neanche tu cambieresti nulla se tornassi indietro >> osservai. 
Il timer del forno interruppe le mie riflessioni. 
Con un salto scesi dal bancone e mi affrettai a raggiungerlo. Lo aprii e da perfetta idiota quale ero, toccai la teglia rovente. Mi feci veramente male << Porca trota! Mai una volta che imparo >> gridai. Era un’abitudine malsana non usare le presine. Almeno i soufflé non si sono bruciati o sgonfiati. 
<< Aspetta! >> Edward mi sfilò i guantoni da forno prima che potessi usarli. Fece tutto lui e poi tornò da me. Senza darmi nessun preavviso mi afferrò dalla vita e –come fossi una piuma- mi fece sedere sul bancone della cucina per poi controllarmi le mani. 
<< Sto bene Edward! >> lo rassicurai. 
<< Non direi >> neanche stessi per morire. 
Le studiò. Sebbene fossi brava a cucinare ero sbadata, di conseguenza molto spesso avevo evitato l’amputazione di qualche dito e subito molte scottature << Credo di non avere una crema per le scottature >> si rammaricò << Dentifricio >> dichiarai. 
<< Come? >>. 
<< Con questo tipo di scottature si può usare il dentifricio >> chiarii. Mi guardò dubbioso << Metodo della nonna, Edward! Ascoltami e basta >> boccheggiai. E lo fece. 
Corse al piano superiore e ritornò col tubetto. Arricciò il naso quando me lo spalmò sui palmi. Era alla menta peperita e anche con un odore abbastanza forte, infatti, i miei occhi lacrimarono irritati. 
Era delicato e accurato. Il suo viso era poco distante dal mio e non mi curavo della bruciatura. Se mi faccio la doccia mi asciughi i capelli, se cado mi aiuti a rialzarmi, se mi faccio male curi le mie ferite. 
Infine me le bendò << Grazie >> gli baciai la guancia. Ah… se tutti i medici fossero così. 
<< Mi stai fissando >> notò. Avrei dovuto essere imbarazzata, distogliere lo sguardo e chissà cos’altro, invece continuai ad osservarlo << Come ti sei fatto la cicatrice sulla tempia? >> dissi incuriosita. In un gesto inconsapevole sfiorò quella parte del viso. 
<< Caduta dalla bici >> rispose << Mi dispiace… >> doveva essersi fatto male << Non è stata mica colpa tua >> scrollai le spalle << Mi dispiace lo stesso o hai qualcosa da ridire? >> mormorai. 
Scosse il capo con un’espressione ilare sul volto << Allora posso assaggiare… >> indicò i dolci << … o me lo proibisci? >>. 
<< Fai pure, tanto io sono impossibilitata >> agitai le mani. 
<< Troveremo una soluzione >> mi tranquillizzò. 
Con un canovaccio prese una piccola cocotte, vi affondò un cucchiaino e ne estrasse un po’ di dolce. Era ancora molto caldo così soffiò un po’ di volte per raffreddarlo. Infine decise di imboccarmi. 
Mancava solo che facesse l’aeroplano! 
Se non era Edward a farmi sentire piccola, c’era la mia coscienza. Lasciai qualche residuo di cioccolato sulla posata che prontamente portò alla bocca. 
<< Buono… >> Oh Santo Dio! Mi si seccò la gola e le mie gote avvamparono ma questa volta non d’imbarazzo. 
Sei sicura che parli del soufflé? 
Cosa diavolo dovevo rispondere? << Mmm… >> mugolai in difficoltà. Continuammo così: un boccone lui e uno io. Come due cretini. Non ero mai stata sdolcinata, ma mi piacevano tanto momenti del genere. Un po’ ci comportiamo da coppia. 
<< Che ti va di fare? >> chiese quando mi aiutò a rimettermi in piedi. 
<< Non devi lavorare? >>. 
<< Non ne ho voglia >> e hai voglia di rimanere con me. 
<< Potrei abituarmi >> mugugnai euforica. 
<< A cosa? >>. 
<< A tutte queste attenzioni >> precisai con un sorriso sulle labbra. Se da una parte fosse così… con le palle, dall’altra era restio a sbandierare le sue emozioni. Era introverso e mi piaceva proprio per questo. Infatti, non mi stupì quando non rispose e si limitò a fare uno sfacciato occhiolino. Mi manderai al manicomio, ne sono certa. 
<< Che ne dici di film, patatine, cola e popcorn? >> proposi in salotto. 
<< Cola e patatine adesso? >> disse scettico. 
<< Su Eddie! Sono le sei del mattino? Non ti è mai capitato di mangiare pasta al salmone alle quattro del mattino? >> obbiettai esasperata. 
<< In effetti, no >>. 
<< Devo insegnarti proprio tutto! >> esclamai con enfasi come fossi una martire. 
Aggrottò la fronte << Non sai quante cose potrei insegnarti io >> replicò malizioso. Cavolo! 
Chi la fa l’aspetti… 
<< Touché >> mi morsi le labbra impacciata. 
Dire che ci comportammo come due maiali era poco. Mangiammo tutta la mattinata sul divano accompagnati dai film. 
<< Sei cattiva! >> inveii contro il televisore tirando qualche popcorn. Edward -disteso con i piedi sul tavolino di fronte al divano- sghignazzò. 
<< Perché? >>. 
<< Ma la vedi? Ha detto di amarlo e poi… su quel pezzo di legno ci stanno altre due persone! Di certo non le sarebbe costato nulla spostarsi un po’ per fargli spazio! >> dichiarai << E lui che le aveva chiesto se si fidava… pff! Jack eri tu a non doverti fidare della tua Rose >> sbraitai. 
Scoppiò a ridere << Hai l’abitudine di commentare ogni film che vedi? >> domandò. 
<< Edward quando ci vuole… ci vuole! >> mi giustificai << Non l’ho mai vista da questa prospettiva… >> ammise << Da ragazzi Rosalie costringeva me e Jasper a sorbircelo. Non sai come piangeva. >> Rosalie sa piangere? Che notizia! << Prepotente fin da piccola! >> borbottai certa che non mi avesse capito. 
<< Che ne dici di fare qualcos’altro? >> proposi quando il film finì << Cosa? >> domandò. 
Scrollai le spalle << Un po’ di inventiva Eddie. Io ho proposto i film, ora tocca a te >> gli feci notare. Pensò a lungo e alla fine rispose: << Wii! >>. 
<< Ci sto! >> trillai. 
<< Che gioco? >> continuai euforica. 
Si avvicinò a un mobiletto sotto il televisore e due volanti. Sorrisi. << Tanto non vinci >> cantilenai furba << Vedremo >> replicò. Iniziammo a giocare. Dannazione era bravo! Risi e lo spintonai per fargli perdere la concentrazione << Non sei leale, Isabella >> m’informò tentando di restar fermo << Non ho mai detto di esserlo! >> esclamai. Continuai finché non mi ricambiò con la stessa moneta. Scoppiò a ridere quando rischiò di farmi cadere dal divano << Smettila! >> mi lagnai << Anche tu! >>. 
A quel punto mi stufai. Certa che vincesse, buttai via il mio sterzo e gli saltai addosso. 
Finimmo rovinosamente per terra esplodendo in una grassa risata. Ero cavalcioni su di lui e quasi non respiravamo << Ti… ti ho fatto male? >> boccheggiai poggiando la fronte sul suo torace << No… >>. 
Si udiva solo il nostro affanno << Dammi un minuto e mi alzo >> affermai stanca << Tutto il tempo che vuoi >>. 
Rimanemmo in quella posizione fino a quando i nostri respiri non si normalizzarono e il battito del suo cuore non si calmò. 
<< Hai fame? >> gli chiesi baciandogli il petto. Sorrise per poi accarezzarmi il viso << Tu hai fame? >> ci eravamo nutriti di schifezze dalle sei del mattino. 
Alzai le spalle << Bè… no ma quando resto a casa mangio troppo… che ne dici di una cioccolata calda. Ha cominciato a fare un po’ di freddo >> affermai alzandomi in piedi e tendendo una mano in sua direzione << Ci stai o no? >> aggiunsi. Rispose accettando il mio aiuto. 
Raccolsi le varie ciotole e lattine vuote << Aspetta, le mani… >> venne in mio soccorso << Non sono infortunata! >> esclamai dirigendomi in cucina e lui mi seguì. Odiavo essere trattata come un’impedita. Guardai il cielo dalla finestra. Era coperto e scuro ma le previsioni meteorologiche avevano detto che non ci sarebbe stata pioggia. 
<< Posso farti una domanda? >> esordì sedendosi su uno sgabello. 
<< Ti sei mai trattenuto? >> sorrisi spudorata. 
<< Perché ti piace la pioggia? >> sembrò che mi leggesse nel pensiero. Ponderai su che risposta dovessi dargli mentre mescolavo il cacao al latte. Ormai ti ho detto quasi tutto. Ormai mi sono esposta. E se si fosse tirato indietro scoprendo fino a che punto fossi dentro a questa storia? Io non ero abituata a queste cose. Non avevo mai avuto un ragazzo, un primo appuntamento, il mio primo bacio fu nei bagni femminili della scuola con Lucas, la mia prima volta nello sgabuzzino della casa di qualcuno, non avevo mai amato o dormito con un uomo se non Edward. Ora mi ritrovavo con lui e che senso avrebbe avuto negare a me stessa di provare delle cose per lui? Dovevo accettarlo e anche rassegnarmi. I miei occhi non avrebbero smesso di cercarlo e il mio corpo avrebbe continuato a fremere a ogni contatto con il suo. Dovevo nuovamente imparare. Salire in bicicletta e sperare di non cadere, ma alla fine sarei cascata tante volte. Il segreto è rialzarsi. 
<< Spesso mi sento sporca, la pioggia non mi fa sentire così… >>. 
Gli davo le spalle, non potevo vedere la sua reazione, sentivo il mio respiro affanno << E neanche tu… >> confessai. 
Lo sgabello su cui era seduto si mosse, lo capii dal suono stridulo che produsse contro il pavimento. Il rumore dei suoi passi si fece più vicino. Ero certa che, anche fossi stata sorda, avrei percepito la sua presenza così vicina a me. 
Il suo fiato sul collo mi bloccò la respirazione così come le sue braccia attorno alla mia figura. Posò le labbra sulla curva del mio collo. Chiusi gli occhi e dovetti aggrapparmi al ripiano della cucina. Voglio uccidervi dannate farfalle. Una a una e stapparvi le ali! << Non sei sporca ci siamo capiti. Non. Lo. Sei. Isabella. Sei la persona –che non abbia sei anni- più pulita che conosca… >> mi confortò. 
Rimase attaccato a me con un mento sulla mia spalla mentre la cioccolata diventava sempre più densa. 
<< Assaggia >> lo esortai portando il mestolo alla sua bocca. Appena cercò di leccarlo, lo spostai per sporcargli il naso. 
Fece una smorfia e scoppiai a ridere. 
Adesso hai la possibilità di pulirlo con la lingua… 
<< Cucciolo… >> lo rabbonii << Ti pregherei di togliermi questa roba di dosso >> se proprio insisti. Portai le mani sul suo volto << Allora in che modo vuoi che agisca? >> non sono stata maliziosa, vero? << Dai libero sfogo alla fantasia. >> mi assecondò. Se dovessi ascoltare l’immaginazione, tu saresti un gelato alla menta! 
Sebbene la piccola Bella assatanata dentro di me m’implorasse di impiegare la lingua, usai le cinque dita della mano destra e a loro volta le ripulii con la bocca. Troppo buona. Dovevo capire se la cioccolata fosse gustosa di per sé o perché fosse venuta a contatto con Edward. I misteri della vita. 
<< Ora è appurato che sono la regina della cioccolata e che tu stai bene, anche se hai il viso imbrattato >> dichiarai << Ehm… Edward mi serve la mano. Non essere avido, tu ne hai già due, non prenderti anche la mia! >> gli feci notare con aria da maestrina. 
Non disse nulla << Che c’è? >> domandai interessata << Mi piaci… >> repressi un sorriso. Era bello sentirglielo dire << Mi piaci anche tu, Edward >>. 
Il resto della giornata passò velocemente finché non sentii il rumore di un’auto. 
Senza pensarci un attimo mi fiondai fuori di casa. Appena vidi Renoir, quasi mi misi a saltellare dalla gioia. Senza di lei tutto era un po’ sottotono << Amore della mamma! >> strepitai emozionata prendendola in braccio. Le riempii il viso di baci << Mi sei mancata molto >> confessai continuando a soffocarla << Anche a me tantissimissimo >> mi sbaciucchiò anche lei. 
La misi su un fianco << Buonasera signori Cullen >> salutai cordiale << Isabella chiamami Carlisle e dammi del tu per favore >> tese una mano in mia direzione. Lanciai un’occhiata a Edward in cerca di un’ancora. Presi un respiro profondo e strinsi la mano di Carlisle << Con piacere, ma a patto che tu mi chiami Bella >> ignorai le saette che mi lanciava Esme << Va bene Bella >> sorrise affabile. 
Renoir non fece altro che parlarci del suo weekend quando le facemmo il bagno, le mettemmo il pigiama e le asciugammo i capelli. Si era divertita ed era anche molto stanca << Voi invece che avete fatto? >> chiese mentre le rimboccavamo le coperte. 
Abbiamo dormito insieme, confessato ciò che proviamo e quasi baciati. << Niente… io ho studiato… >> dissi vaga << E tu, papà, che hai fatto? >>. 
<< Niente scricciolo. Mi sei mancata tanto >> concluse baciandole la fronte e lanciandomi un’occhiata significativa.

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Ciao ragazze..... che dire di questo cap?? Mi sembra stupido sottolineare che la canzone è Try di Pink. La trovo meravigliosa! Spero vi sia pianciuto. E recensite. Baci acalicad.

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Capitolo 14
*** La sbandata colossale ***


Ciao ragazzi? Come state? Allora qui c'è un nuovo capitolo. E sono puntuale! Piccolo chiarimento: forse a qualcuno di voi sarà parso anomalo il comportamento di Edward. Mi riferisco alla sua affettuosità nei confronti di Bella. Fin dai primi capitoli, ve l'ho presentato come un uomo... rigido, maturo ecc... ma l'essere rigorosi non vuol dire che non si può essere dolci o aperti. Si può essere maturi e al tempo stesso carini. Non dico che bisogna arrivare ad essere stucchevoli, cioè non bisogna passare dal troppo al troppo poco. Forse sarà molto quotato l'uomo che non chiede, che prende e basta senza farsi qualche domanda. Sapete che palle! Ovviamente è un mio pensiero, non ho nulla in contrario con chi rappresenta questo personaggio con questa personalità, sono scelte, il mondo è bello perchè è vario ecc... e tante altre cose sulla libertà di pensiero. Bene ora che mi sono spiegata vi ricordo che la revisione dei capitoli è a cura di CloJ che ringrazio per le sue dritte e che seguirò nei prossimi cap. Infine la cover è stata fatta da Lalayasha e ringrazio anche lei.
Ora che ho finito il mio papiro vi lascio al cap. Spero sia una piacevole lettura.



Incontri migliaia di persone
 e nessuna ti colpisce veramente. 
E poi incontri una persona e 
la tua vita cambia per sempre. 
Gonna a tubino blu, camicia bianca, tacchi alti e nausea alla bocca dello stomaco. 
Oh Gesù! Perché avevo addosso questi vestiti? Shopping con Tanya. Dimostravo cinque anni in più e con il trucco somigliavo a una mamma. Una di quelle dei film che vedi dormire con uno strato di lucidalabbra e la messa in piega perfetta, che quando il suo compagno, la sveglia sorride raggiante con un alito all’essenza di rosa. 
La realtà non era cosi! 
Quando mi svegliavo, avevo le occhiaie talmente scure da sembrare un panda, i capelli come la criniera di un leone e se risvegliata da qualcuno che non fosse la sveglia, avevo le scatole così girate da essere capace di distruggere qualcosa a testate. 
Invece, ora, ero perfetta perché era il quindici settembre. Il primo giorno di scuola di Renoir e dovevo apparire quanto più adulta possibile. 
La sua scuola era alquanto prestigiosa e presentarmi in jeans e t-shirt non sarebbe stato l’ideale. 
La serata precedente dopo averle preparato lo zainetto e stirato la divisa che trovavo meravigliosa col colore del suo incarnato, ero ritornata nella dependance e per il nervosismo avevo passato la notte a dare di stomaco. 
Ero certa che tutti mi avrebbero fissato come se avessi addosso una grossa freccia lampeggiante. Sono qui, la madre degenere che ha abbandonato la sua bambina. 
Che bellezza. E avrebbero spettegolato. Chi è quella? La fidanzata di Edward Cullen? Ho sentito dire che convivono. E’ troppo giovane. Che vergogna! Sapevo già che avrei cominciato a grattarmi. 
Se non fosse che volevo essere lì, mi sarei seppellita sotto le coperte. 
Guardai per l’ennesima volta l’orologio che avevo al polso. Le sette e trenta. Dovevo sbrigarmi. Preparare la colazione, svegliarla e cercare di dimenticare l’ansia che mi stava incatenando la ragione. E le vere catene non erano quelle che costringevano il corpo. Presi un respiro profondo, cercai di darmi un po’ di contegno e uscii dalla casetta. Stavo per avere un attacco di panico. Neanche dovessi andare in guerra! Misi un grembiule da cucina e iniziai a fare la pastella per i pancake. 
Pure le mani mi tremavano. Okay, tra poco mi sarei messa a piangere. Ero troppo emozionata, avevo perfino preparato la macchina fotografica. Non potevo non immortalare il suo primo giorno di scuola! Sarebbe stata una pazzia. 
In realtà mi ero persa così tanti anni della sua vita, che adesso le facevo tante fotografie in momenti più inaspettati. Stavo collezionando album con le sue foto, ma non era un’ossessione. Almeno credo. 
<< Nuovo look? >> saltai in aria e per poco non mi sporcai. Evitai di guardarlo per fargli scorgere il mio turbamento, di certo non dovuto alla sua capacità di spuntare dal nulla. 
Dalle nostre famose confessioni erano passate poche settimane. Alcune volte, da cosa mi diceva e dalla strana luce con cui mi fissava, sembrava che sapesse già cosa fare. Da cosa lo avevo capito? Di giorno in giorno i nostri contatti non erano andati a scemare ma erano aumentati a dismisura, come i sorrisi talvolta maliziosi e pieni di significato. E la certezza che lui sapesse cosa fare, mi terrorizzava a morte. Negli ultimi tempi era diventato davvero una tentazione con le labbra che si ritrovava. 
<< Giorno… il caffè è pronto >> lo avvertii flebile. Perché avevo l’impressione che mi stesse rivoltando come un calzino con il suo sguardo? 
Sorrisi forzatamente e feci un giro su me stessa << Comunque non ti abituare. Queste cose non fanno per me. E’ solo per Renoir >> dichiarai. 
<< Stai bene >> se proprio insisti, mi vesto così ogni giorno. 
<< Grazie, ma non mi sento molto a mio agio. Questa gonna è un po’ asfissiante >> mi sentivo un’acciuga dentro a una scatoletta. 
<< Sei agitata >> notò come se lo avessi ammesso << No >> mentii. 
Disposi le frittelle sul piatto. Passai a tagliare la frutta e spremere le arance. Forse stavo preparando troppe cose? La colazione era il pasto più importante della giornata, no? E Renoir doveva andare a scuola. 
Avevo la tremarella per lei. 
Avevo sempre odiato il primo giorno di scuola per questo a liceo evitavo di andarci facendo credere ai miei il contrario. Okay, marinavo la scuola spesso e volentieri. Avevo già detto di essere la figlia perfetta solo in apparenza. 
<< Sei agitata! >> ripeté con più convinzione disponendosi alle mie spalle e afferrandomi per la vita << Buongiorno >> sussurrò al mio orecchio. Potevo liquefarmi? 
Gli infilai un cubetto di mela in bocca, non volevo sentire qualcosa che poi mi avrebbe fatto cadere. Portavo i tacchi, se fossi cascata, mi sarei fatta molto male. 
<< Vado a svegliare Renoir >> tentai di defilarmi. 
<< Sei ancora rigida >> precisò. 
Scoppiai ai ridere quando mi morse il lobo dell’orecchio e mi pizzicò i fianchi << Smettila! >> biascicai. Fece una pernacchia sul mio collo per poi baciarlo velocemente e più volte << Edward! >> strepitai divertita << Ti calmi o no? >> impose. Continuai a ridacchiare << Abbiamo trovato il punto debole! >> esclamò vittorioso. Cavolo! << Allora? >> continuò mentre mi muovevo come un’anguilla << Sì, sì, sì! >> strillai << Okay… >> si allontanò di poco << Ora sei libera >> mi lasciò andare. 
Gli diedi le spalle ma mi richiamò: << Bella? >> drizzai le orecchie e volsi lo sguardo su di lui. Sulle sue labbra c’è uno stupendo sorriso << Sei bellissima… >> ciao mondo ora posso morire! << Grazie Eddie >> ammiccai. 
Tolsi le scarpe e le abbandonai sulle scale, così potei avere più agilità. Salii velocemente ed entrai nella sua stanza. Sonnecchiava beata con le mani incastrate tra il cuscino e la sua guancia. 
Silenziosamente aprii le persiane e andai a sedermi sul ciglio del letto << Amore… >> le accarezzai i capelli << … devi svegliarti e andare a scuola >> aggiunsi scuotendola un pochino << Ho sonno! Non ci voglio andare! >> piagnucolò sotterrando il capo nel cuscino. 
Che ci vuoi fare… ha preso tutto dalla mamma! << Farfallina, la scuola è bella! >> a me era piaciuta solo perché facevo casino. No, questo non è il caso di dirglielo. << Pff! >> borbottò stiracchiandosi. Le sistemai il cravattino nero e non potei non notare quanto fosse bella. << Capelli sciolti o treccia? >> domandai con una spazzola in mano << Treccia. Sento caldo >> disse lasciandosi andare a uno sbadiglio. A differenza mia le due trecce le stavano una meraviglia << Sei perfetta! >> sussurrai incantata. La feci scendere dal letto e le baciai la fronte << Mami… perché sei vestita così? >> non capiresti farfallina << Non ti piace? >> ribattei << No. Sei bellissima… >> sorrise raggiante << … e perché non hai le scarpe? >> indicò i miei piedi con una mano << Così… >> scrollai le spalle. 
<< Scendiamo giù? >> afferrai la sua mano << Dimmi cucciola, cosa farebbe diventare questa giornata meravigliosa? >> le domandai << Una gigantesca torta alla vaniglia! >> disse sognante << Ehm… allora te la preparerò per merenda. In compenso ci sono i pancake con la frutta >>. 
Raccattai le mie scarpe e raggiungemmo Edward. Alzò gli occhi al cielo appena vide le scarpe che dondolavano sulle dita della mia mano. Era seduto e in una mano aveva il giornale e nell’altra una tazza di caffè. 
<< Papi! >> Renoir gli corse in braccio. 
<< Buongiorno amore. Da quando sei felice di andare a scuola? >> le baciò i capelli. Me li sarei mangiata a furia di baci! 
Avevo portato con me la mia vecchia polaroid, a passo felpato la presi dal bancone, non resistetti e scattai. Sarebbe stato da stupidi non riprendere quel momento! 
Mi guardarono appena il flash li abbagliò << Il primo giorno di scuola è il primo giorno di scuola… >> mi giustificai prendendo la fotografia e agitandola affinché diventasse nitida. Ecco perché amavo le polaroid! 
Scoppiarono a ridere. Probabilmente avevo l’espressione di una bambina appena colta con le mani nella marmellata. Ops! 
<< Ignoratemi! >> esclamai con il broncio << Mangia tesoro, oggi è una giornata importante! >> mi rivolsi a Renoir. 
<< Tu non fai colazione? >> chiese Edward. 
<< No, non ho fame >> negai. Come potevo dirgli che ero così nervosa che mi si era chiuso lo stomaco? La sua bocca si trasformò in una dura linea retta. Se vuoi obbligarmi, ti sbagli di grosso! << Edward… >> ammiccai per poi scuotere il capo. Ridacchio divertito. 
<< Voglio il gelato! >> brontolò la piccola quando salimmo in auto. 
<< Questo pomeriggio >> la rassicurai. 
Edward mise in moto mentre il mio stomaco si contorceva << No… >> continuò << Scricciolo, la scuola è importante! >> dichiarò suo padre << Sì… sì… >> rispose sbuffando << Renoir mi stai assecondando per farmi tacere? >> raramente la chiamava per nome e il suo tono era così severo. Non lo avevo mai sentito, non con lei. 
Lanciai un’occhiataccia a mia figlia e poi a lui. La prima se la rideva sotto i baffi mentre il secondo era accigliato << No papi… >> sì, lo stava accontentando. E se da una parte avrei voluto dirgli di smetterla di rimproverarla, dall’altra sapevo che era sbagliato << Renoir! >> la ripresi dolcemente. 
<< Chissà da chi avrà imparato… >> bofonchiò lui. Cavolo ha ragione! Non potei rispondere perche arrivammo a destinazione. No, no! Non volevo scendere. 
Deglutii a vuoto. Avevo paura. Di colpo sentii il rumore della mia portiera aprirsi. Edward, era stato lui e mi stava porgendo la mano << Pronta? >> domandò al mio orecchio appena lo affiancai << Sì, certo >> mentii. 
Renoir ci afferrò per mano e ci incamminammo verso il cancello. Era stupido e forse non era così, ma appena varcammo la soglia mi sembrò che ogni sguardo si posasse su di me e che con le occhiate si alzassero anche i bisbigli. 
Lui come riusciva a far finta di nulla? Era snervante. << Allora piccola… niente broncio e divertiti. Non litigare, non farti sgridare e non dare il contentino a nessuno >> raccomandai allegra << Sì mammina >>. Una donna al nostro fianco certa di non essere vista ci spiava e i suoi occhi si spalancarono appena mia figlia parlò. Mammina, nessuno sapeva chi fossi e tantomeno che Renoir fosse stata adottata. Edward aveva voluto proteggerla. 
<< Okay >> sorrisi e mi schioccò un bacio sulle labbra. 
Lo squillo della campanella ci destò << Buona giornata piccola >> disse Edward << Anche a te papi >> e lo baciò sulla bocca. 
Restammo a fissarla mentre agitava la mano a mo’ di saluto << Sono felice… >> ammisi. Avrei voluto stringergli la mano o poggiare il capo sulla sua spalla ma c’erano troppe persone attorno a noi << Ne sono lieto >> mormorò. 
<< Edward, potresti accompagnarmi all’università? >> chiesi in macchina. 
<< Come mai? >> rispose incuriosito. 
<< Devo parlare con un paio di professori e… incontrare Jean >> buttai la bomba. La sua reazione non tardò ad arrivare: strinse le mani sul volante e s’incupì. 
Mi affrettai a spiegare prima che dicesse qualcosa << Edward… >>. 
<< No! >> esclamò rigido. 
<< No? >> non capivo. 
<< Non voglio >> spiegò. E se da una parte ero piacevolmente stupita dall’altra, ero anche irritata << E’ un ordine? Non lo incontrerò punto e basta? >> sapeva che problemi avevo con le imposizioni. Non mi facevano pensare lucidamente. 
Mi fulminò << Non andarci >> riprovò deciso. Inspirai profondamente. Avrei dovuto trovare un compromesso tra i suoi ordini e i miei modi bruschi di reagire a questi ultimi. 
<< Non voglio che ti veda nuda >> se questa non è gelosia. 
<< Bene. Allora sappi che non lavoro più per lui. E lui mi ha chiesto di vederci per parlarne a quattr’occhi >> lo informai. 
Si rilassò, anche se la sua espressione diceva il contrario << Perché dovreste vedervi? >> cavolo era intrattabile! Posai una mano sulla sua sul cambio << Ti fidi di me? >> chiesi. 
<< Sì >> disse senza remore. 
<< Bene >>. 
<< Tu ti fidi di me? >> rigirò la domanda. 
<< Ciecamente >> confermai. 
<< Bene >> rispose. 
<< Vuoi accompagnarmi? >> tentai << Francamente, sì >> affermò << Ma hai appena detto che ti fidi >> obbiettai << E’ di lui che non mi fido, Isabella >> non sapevo che fare << Ma lui… >> non ha nessun interesse nei miei confronti << Sono un uomo e so riconoscere gli sguardi. Forse durante il suo lavoro sarà obiettivo ma durante la mostra non ti ha tolto gli occhi di dosso. Perciò credimi >> m’interruppe serio << Un’altra dimostrazione è che vuole incontrarti. Dannazione ha quarant’anni! >> sbottò. Era incazzato!
 << Vuole convincerti a cambiare idea oppure t’inviterà a uscire, Isabella! >> adesso se la prendeva con me! << Edward, per favore, cerca di ragionare. Io non cambierò idea. Non uscirò mai con lui e mi cercherò un lavoro più tipico >>. 
Il suo sopracciglio svettò in alto << Un lavoro? >> domandò. Annuii decisa << Ehm… Jean mi pagava bene. Darò qualche ripetizione e… poi si vedrà… >> scrollai le spalle. 
<< Isabella… >> sapevo cosa stava per dire. 
<< Scordatelo Edward! >> esclamai << Ma… >>. 
<< Edward, no! Non mettermi con le spalle a muro perché in quel caso, conoscendomi, scapperei ed io non voglio fuggire; non da te. Mi troverò un lavoro com’è giusto che sia. Ti ringrazio per la tua offerta di mantenermi, ma non accetto! >>. Strinsi la sua mano quando cercò di ribattere << Non voglio litigare con te. Non mi piace >> bisbigliai sincera << Neanche a me, Isabella >> terminò parcheggiando di fronte all’università. 
<< Adesso me lo fai un sorriso, sei così bello quando lo fai… in effetti, lo sei sempre, ma questa è un’altra storia >> dichiarai raccogliendo la mia borsa dal cruscotto. 
Si lasciò andare in uno splendido sorriso malizioso che tanto amav… mi piaceva << Visto! >> trillai. Gli baciai una guancia, forse troppo vicino all’angolo della bocca. 
Impiegai circa due ore per parlare con i professori che mi avrebbero aiutato con la tesi dopo gli ultimi due esami. 
Dopodiché incontrai Jean. Edward aveva ragione. Infatti, mi chiese di vederci qualche volta per un caffè. Ero libera come il vento eppure mi sentii una fedifraga. Balbettai qualche scusa incoerente, infilai dentro che avevo un ragazzo. Con Edward avevo una relazione platonica
E infine lo ringraziai per poi scappare via. La proprietà di Edward era così vuota. La guardai attentamente appena varcai il cancello. Il giardino era più grande della casa stessa e… senza Edward e mia figlia sembrava scarna. 
Sbuffai annoiata. Erano appena le undici del mattino. Più tardi avrei fatto la torta ma adesso? Mi guardai da capo a piedi. Sì, dovevo assolutamente cambiarmi. Mi sfilai l’ingombrante gonna cui seguì la camicetta e tirai un sospiro di sollievo. Indossai un prendisole e le ballerine. 
Mi misi di fronte allo specchio per struccarmi. Gettai un urlo lancinante quando la porta della dependance si aprì e una figura sconosciuta apparve nel riflesso dello specchio. 
Afferrai una stampella per abiti e gliela puntai contro. Era una donna matura. Indossava un abito verde menta e delle scarpe col tacco alto. Somigliava Meryl Streep ne “Il diavolo veste Prada”, soprattutto per quanto riguardava i capelli. 
<< E’ una ladra? >> domandai spaventata. Quale ladro sano di mente si vestirebbe come lei per andar a svaligiare case? 
<< Io una ladra? Ha visto come sono vestita?>> replicò con un tono di voce fra l’irritato e il divertito << L’abito non fa il monaco >> sussurrai. 
Come aveva fatto a entrare? Il cancello lo avevo chiuso e per entrare come niente fosse bisognava avere un telecomando. Cerco di fare un passo in mia direzione ma la fermai: << Chiamo la polizia! >> strepitai << Non si muova! E’ da sola o c’è qualcun altro? >> aggiunsi frugando nella borsa alla ricerca del cellulare. Di primo acchito composi il numero di Edward << Dio! Alla sua età! >> sbraitai << Credevo che anche in questo campo ci fosse il pensionamento! >> mi agitai. 
Spalancò gli occhi << Prego? >> domandò mettendo le braccia conserte. << Stia ferma! >> imposi << Quanti anni avrà? Ottanta? >> continuai << Sessantanove! >> s’infiammo. Che faccia tosta! << Allora sappia che il botox non le è servito a molto! >> obbiettai << Cosa… >>. 
<< Pronto Isabella? >> Edward finalmente rispose. Le feci cenno di tacere. 
<< Edward c’è una ladra in casa! >> urlai. 
<< Edward non sono una ladra, ma Lilian! >> disse la presunta ladra. E ora chi è questa? Se vengo a sapere che ha avuto una relazione con lei, spacco tutto! 
<< Nonna? >> rispose lui prima che la mia mano si aprisse facendo cadere il telefono per terra. Merda! Ero certa di esser paonazza in volto. Era sua nonna! << Lei… >> ansimai << Sì ragazzina! >> suonò come un’accusa << Ho mentito… il botox le dona parecchio >> incespicai senza fiato. No! Avrei voluto sprofondare. 
Un’altra donna Cullen che mi odiava. Bene. Abbandonai la mia arma –che non avrebbe potuto far male neanche a una mosca- e mi avvicinai a lei << Ehm… sono certa in questo momento le mie scuse non servirebbero a molto. Ormai l'ho detto, ma mi dispiace molto signora Cullen. >> aveva un’espressione così diffidente da farmi rabbrividire << Sono Isabella Swan… >> sapeva chi ero? Avevo paura di provocarle un infarto << Edward mi ha parlato di lei. Posso offrirle qualcosa? >> continuai gentile. 
<< Sei la cameriera per caso? O ti porti a letto mio nipote >> Oh Santo Cielo! Edward mi aveva detto che le sarei piaciuta! Perché non ha detto se ero la sua fidanzata? E’ impossibile che possa esserlo? Non sono abbastanza. 
Ti ricordo che le hai dato della ‘vecchia rifatta’. 
<< No, signora, non sono la cameriera e se mi portassi a letto Edward, non sarei in questa casa per via di Renoir. Vuole rimanere qui? Perché io sto andando nella casa principale a bere qualcosa… >> di forte. Uscii dalla dependance con i nervi a fior di pelle, frustrata da me stessa e dalla mia poca delicatezza! Entrai dalla portafinestra che mi condusse subito in cucina, la sentivo dietro di me e mi stava studiando. Aprii il frigorifero adocchiando una bottiglia di vino. Era ancora mattina e se fossi stata sola me la sarei scolata, ma presto o tardi avrebbe saputo la verità e non volevo che pensasse che oltre a essere una ragazzina sgualdrina per aver lasciato mia figlia, fossi anche ubriacona. 
Afferrai una bottiglia d’acqua ma prontamente la sua mano fermò la mia per poi prendere la bottiglia di vino. Non legge nel pensiero vero? 
Si muoveva con tranquillità. 
Poco dopo riempì due calici di vino bianco e me ne porse uno. In una piccola ciotola aveva disposto anche delle noccioline << Posso darti del tu, Isabella? >> annuii cauta << E li hai ventuno anni per poter bere? >> sembro davvero così giovane? Asserii col capo ancora una volta << Bene. Sei stata così sincera finora, non fingere di non aver bisogno di alcool in questo momento >> sembrava una minaccia. Tentennante strinsi lo stelo del bicchiere tra l’indice e il medio e lo avvicinai a me << Non ti piacciono le noccioline? >> ebbi paura di dirle che ero allergica alle arachidi << No, non ho fame >> per quel che ne so, può anche uccidere. 
<< Allora, Isabella, vuoi dirmi tu cosa fai in questa casa e perché conosci la mia bisnipote o aspettiamo l’uomo che non ti porti a letto? >> cavolo! Bevvi una sorsata di vino << Aspettiamo… Edward >> balbettai. 
<< Va bene. Sono una donna molto paziente. Hai un viso molto familiare… >> sono la madre biologica della tua bisnipote << Edward mi ha parlato di lei. Nutre molto affetto nei suoi confronti >> cambiai argomento << Chiamami Lilian, Isabella. Stai cercando di ammorbidirmi? >> una sfida costante, per certi versi mi ricordava Edward << Con tutto rispetto Lilian, ma non m’importa di addolcirti come non credo che tu debba avere spiegazioni della mia presenza in questa casa. Fino a prova contraria è l’uomo con cui non vado a letto il proprietario >> ormai mi odiava e non era da me essere falsamente accomodante. E poi ero così per via dell’alcool << Sei sfrontata >> affermò indispettita << Sincera >> rettificai bevendo altro vino << Sei tu che mi hai chiesto di esserlo >> mi giustificai. E ora come la mettiamo? 
<< Nonna? >> Edward spuntò dal nulla. Sorrisi più del dovuto e se fossi stata completamente ubriaca, lo avrei abbracciato. E’ così bellaviglioso. 
<< Tesoro, quante volte ti ho detto di chiamarmi Lilian e non nonna. Anche se sembro un’ottantenne, mi sento ancora giovane >> cavolo! Se l’era legata al dito. 
<< Lilian, Edward è meglio che io vada. Buona chiacchierata… >> saltai giù dallo sgabello << … e abbi cura di te… >> ridacchiai prima di superarlo. Due ore dopo, stesa sul letto detto della dependance, ero del tutto sobria. Nonna Serial Killer. Scoppiai a ridere. Non osavo immaginarla affianco a Genoveffa e Anastasia –madre e sorella di Edward – il trio malefico. Wow! A quel punto occorrerebbe la protezione civile. Diverrebbero Qui, Quo, Qua versione femminile. Oppure come le tre scimmie sagge solo che non erano sorde, cieche, mute e tantomeno assennate. Poveri uomini Cullen… risi ancora più forte. 
Guardai l’orologio sul polso. Avrei dovuto vestirmi per andare da Renoir. 
Sentii bussare e la porta della dependance si aprì. Per un attimo ebbi paura che fosse Lilian, per fortuna era Edward. 
Mi misi seduta << Sa? >> domandai reggendomi forte. Mi avrebbe tramortito, ero certa << Sì >> è ancora viva? << Come sta? >> continuai incerta << Mi ha chiesto di parlarti >> no! Vuole uccidermi. << Ah… >> come potevo avere paura? << Le ho detto che non era il caso >> spiegò. Mi alzai in piedi << Perché no? E’ giusto. Renoir è sua nipote e… >>. 
Era stata l’unica ad avanzare questa richiesta. Forse non era tanto male << Isabella… >> mi trattenne per una mano << Edward, salvo che non nasconda dietro la schiena una spranga, andrò a parlare con lei >> affermai. 
Mi diedi una rapida occhiata allo specchio. Dovevo cambiarmi, almeno per sembrare più adulta? Mi aveva chiesto se avevo ventuno anni. Ormai la brutta figura l’avevo fatta. Non avrebbe cambiato granché fingere di possedere un’età che non avevo. 
<< Bella… >> riprovò. 
Abbozzai un sorriso per poi scompigliargli i capelli << Ascoltami. Parlerò con tua nonna. Le dirò tutto quello che vuole sapere, perché lei vuole conoscere la verità prima di sparare giudizi insindacabili >> sentenziai. 
Mi afferrò per i fianchi e mi avvicinò a sé posizionandomi tra le sue gambe e poggiando la fronte sul mio stomaco. Mi sfuggì una risata quando sfregò il naso sull’ombelico << Che c’è? >> chiesi dolcemente accarezzandogli il collo << Poche donne affronterebbero Lilian >> bofonchiò rilassato. Gli piacevano i grattini sul collo. Dovevo tenerlo a mente << Bé… io sono una ragazzina >> scherzai << Possiedo l’incoscienza della mia età >> aggiunsi. Depositò un bacio sulla vita. Mi piacevano le sue labbra, i suoi capelli che sfidavano la gravità, la loro morbidezza e la mascella decisa ricoperta dalla barba. << Avevi ragione >> sussurrai impacciata. 
<< Io ho ragione sempre. A cosa ti riferisci in particolare? >>. 
<< Arrogante! Mi riferisco a Jean. Mi dispiace per averti dato poco credito >> lo sentii irrigidirsi << Che ha fatto? >> ecco questo era un ordine! 
<< Se sei arrabbiato con me, sei ingiusto! >> lo accusai cupa. 
<< Non sono arrabbiato con te Isabella! >> esclamò << Allora perché non cerchi di avere un tono più gentile? Avrei potuto non dirtelo e invece l’ho fatto come se ti dovessi qualcosa, quando invece sono libera come l’aria! >> sbottai. Alzò gli occhi per potermi guardare. Era molto compiaciuto. Adesso si metteva a fare il pallone gonfiato << Posso sapere cosa ti ha detto? >> così andava molto meglio. 
<< Siccome non lavoravo più per lui, potevamo prendere un caffè di tanto in tanto >> chiarii << E tu cosa hai risposto? >> quanto era stupido! << Che per me andava bene! >> cretino, secondo te cosa gli ho detto? << Bugiarda >> sogghignò. 
Sospirai pesantemente << Sì, sono bugiarda. Ho accumulato una scusa dietro l’altra e sono scappata via… mi ha messo in imbarazzo, non sono abituata a essere colta alla sprovvista da un uomo, a parte te ovviamente. Non mi ha mai fatto intendere nulla, se avessi saputo, non avrei mai lavorato per lui. Bisogna tenere una linea invalicabile tra lavoro e vita privata, altrimenti sai che casino >> sussurrai in mia difesa. Il punto era che non c’era bisogno che mi giustificassi, eppure mi sentivo in dovere. Da matti! < Giusta ottica >> si congratulò con fare giocoso. 
<< Tesoro… >> impietrii. Perché lo avevo chiamato in quel modo? Non vedevo i suoi lineamenti ma ero certa che sorridesse. Gli baciai i capelli << Edward… >> mi corressi << Mi piace >> disse << Cosa di preciso? >> chiesi vaga. Ero arrossita. 
<< Che mi chiami così… >> quant’era dolce! 
<< In teoria non potrei farlo… >>. 
<< In teoria noi due non dovremmo fare tante cose >> obbiettò. 
<< Ma a noi piace farlo >> lo assecondai << Ora, sebbene mi piaccia stare con te… >> tra le tue braccia. << …dovresti lasciarmi andare. Devo discutere con un’adorabile signora >> continuai << Cui ho dato dell’anziana ladra gonfia di botox >> cavolo! << Mi dispiace, sono stata presa dal panico >> mi difesi << Posso sapere cosa ci fa qui? >> chiesi curiosa << Era in Sudafrica, quando torna a New York, viene a stare da me. Sono il suo nipote preferito… >> spiegò con un sorrisetto intrigante sulle labbra. 
<< Le piaci… >> mi rassicurò. Lo guardai scettica << Mi domando cosa farebbe se fosse il contrario… >> non gli credevo << Non sto scherzando, Isabella >> mi riprese. 
<< Neanche io, Eddie… >> gli baciai il capo un’altra volta e mi lasciò andare. 
Edward mi disse che Lilian era in cucina. La trovai intenta a sorseggiare del vino. Avevo l’impressione che mi avrebbe rivoltato come un calzino a furia di indagare. Mi misi dietro il bancone per guardarla negli occhi << Le dispiace se cucino nel frattempo. Tra poco Renoir sarà a casa >> mi torturai le mani. In parte era per mia figlia e in parte perché dovevo far qualcosa mentre ero sotto interrogatorio. 
<< Non è compito di Madeline? >> e ancora una volta mi parve un’accusa. 
<< Madeline è fuori città da una cugina e a me piace cucinare per mia figlia >> stupido tentativo di marcare il territorio. 
<< Isabella… hai origini italiane? >> a che pro sapere le mie origini? 
<< No, Lilian. Sono americana, di Chicago >>. 
<< E quanti anni hai? >>. 
<< Ventuno >>. 
<< Somigli a mia nipote >>. 
<< Sono la madre biologica. E’ normale >> non sapevo che gioco stesse facendo. Tagliai il sedano e passai alle carote << Vedo che ti sei ambientata >> altra accusa << Non è stato difficile >> replicai distaccata << Mio nipote è sempre stato troppo generoso, anche con chi non lo meritava >> colpita e affondata. 
<< Sì, ha ragione. Suo nipote è molto cortese >>. 
<< E’ molto affezionato a te… >> rifletté come se fosse impossibile. Come potevo rispondere << Come ha detto lei è solo gentile >> mentii << Non fingere di essere adulta, Isabella >> mi rimbeccò << Non è presuntuoso da parte sua pensare di conoscermi dopo un paio di ore? >> la contestai infastidita << Cos’è che ti da fastidio? Che abiti in questa casa, che Edward sia disponibile nei miei riguardi o che sia in contatto con mia figlia? >> protestai. 
<< Tutto ciò che hai appena detto >>. 
<< Allora ti dirò ciò che ho detto sia a tua nuora che a tua nipote. Io non me ne vado, rimarrò qui con o senza la vostra approvazione e fareste bene a impiegare il vostro rancore in tutt’altra maniera >> forse ero stata troppo veemente ma ero anche stanca. << Quando Edward mi ha detto che voleva parlarmi, ho pensato che fosse diversa da Esme e Rosalie. Pensavo che mi desse il beneficio del dubbio prima di sentenziare, ma mi sbagliavo >>. 
<< Che succede? >> Edward ci raggiunse facendo saettare lo sguardo tra me e sua nonna. Mi sforzai di sorridere << Un piacevole scambio di opinioni >> disse lei. Perché aveva mentito? Di piacevole non c’era stato nulla. 
Fissai Edward. Teneva molto a Lilian. Come potevo dirgli che anche per lei ero… non sapevo cosa di preciso ma sicuramente non nutriva nessuna stima per me. Alla fine da codarda quale ero, mi arresi e tacqui. Distolsi gli occhi dai suoi. Come se avesse compreso, ci osservò ancora una volta mentre sua nonna faceva la stessa cosa con noi due. Ero confusa. 
<< Allora Edward, come sta l’allegra combriccola? >> parlò lei. 
Si sedette su uno sgabello tra me e lei come se fosse un campo neutrale << Tutti bene, Lilian >> scrollò le spalle << Ho pensato che stasera potremmo organizzare una cena per avvertire tutti della mia presenza. Mi conosci figliolo, non mi va di avvisarli uno per uno >> gli strinse la mano e i suoi occhi luccicarono. 
Finsi di ignorarli. Mi sentivo leggermente a disagio << Ehm… se a te fa piacere… >> perché era incerto? << Sì caro >> confermò. 
<< Bene. Ora andrò a disfare i bagagli. Dove posso sistemarmi? >> continuò. << Nella dependance c’è Isabella, ho portato le tue valigie nella stanza vicina a quella di Renoir. E’ la più spaziosa >> dichiarò. 
<< Cosa ti ha detto mia nonna? >> domandò appena ci lasciò soli << Qualche frecciatina nulla di che >> minimizzai indifferente << Cosa di preciso? >> ribadì. Scrollai le spalle << Che tu sei troppo disponibile con me e cose del genere… >>. 
<< Isabella… >>. 
<< Edward, non rammaricarti per delle parole che non sono uscite dalla tua bocca. Non è colpa tua. Smettila >> implorai << Ora per quanto riguarda la cena di famiglia, ho pensato di andare da Tanya. Sai già come ti muoverai per il cibo, perché se vuoi, posso aiutarti anziché chiamare un ristorante o tua nonna sa cucinare? >>. 
<< Potresti esserci… >> disse con tono distaccato << La mia presenza non farebbe altro che fomentare conflitti. E se posso, evito di venire a contatto… >>. << Con la mia famiglia >> finì per me. 
<< Già. Diremo a Renoir che Tanya ha bisogno di me. Per le nove sarò a casa e la metteremo a letto >> dissi risoluta. 
Renoir con Lilian fu un po’ fredda perché era da un paio d’anni che non la vedeva e non ricordava molto. Tuttavia le sorrise e scherzò con lei. 
E ora io ero nella dependance e le guardavo passeggiare nel giardino e parlare. Mi chiedevo di cosa parlassero. Mia figlia gesticolava, parlava concitata e sembrava euforica. Desideravo ardentemente sapere! Era Renoir, tutto ciò che veniva a contatto con lei, mi riguardava, no? 
Dovevo escludere che le dicesse che mi odiava. Probabilmente non parlavano di me, dovevo smettere di essere egocentrica! Forse Lilian voleva solo conoscerla. 
O le sta domandando di te. 
Chiusi gli occhi, inspirai ed espirai profondamente e mi rilassai. 
Andai a casa di Edward. Per distrarmi avrei cucinato una torta e qualche teglia di biscotti. 
Un’ora dopo sfornai i brownies e infornai la torta alla vaniglia. Mi sentivo fuori fase. 
<< Mammina, mammina… >> Renoir entrò come un fulmine in cui seguita da nonna killer. La presi in braccio e la feci sedere sull’isola << C’è un odore buonissimo! >> strepitò << Ho preparato i tuoi biscotti preferiti. Vuoi fare la merenda? >> dissi togliendole i capelli dal viso << Tra un po’… >> rispose. Lilian ci osservava come se dovesse risolvere un enigma << Farfallina, volevo dirti che tra un po’ esco >> la informai sulle spine. Increspò le labbra << Perché? >> chiese corrucciata << Tanya ha bisogno di me. E gli amici si aiutano sempre, amore mio >> spiegai << Ma quando ritorni? >> s’imbronciò << In tempo per guardare il cartone animato di “Geronimo Stilton” e darti il bacio della buonanotte >> la rassicurai << Io ci sono, tesoro mio. Solo qualche ora e la mamma è a casa >> aggiunsi serena << Okay… prima di dormire mangiamo la torta insieme? >> domandò. Sorrisi raggiante << Certo e giochiamo al solletico. Te lo prometto >> le stampai qualche bacio sul viso e la feci ridere. 
<< Nonna, visto, la mamma è forte! >> esclamò rivolgendosi alla donna. E quindi le ha chiesto di me. La piccola Isabella dentro di me rideva sguaiatamente compiaciuta. Visto nonna killer! << Sì, piccolina >> sussurrò flebile. 
*************************************************** << Allora la smetti di nasconderti dietro quel gelato e mi dici perché sei tanto giù di morale. E’ tre ore che sei qui e ancora non hai spiccicato una parola >> mi sgridò. Sbuffai << Sono una scema, Tanya >> sospirai << Potresti spiegarmi perché lo pensi? >>. 
Cedetti e svuotai il sacco. 
La guardai male mentre rideva a crepapelle sul divano << Potresti smetterla! >> brontolai arrabbiata << Come hai potuto dirle del botulino e che le donava? >> era incredula << Non lo so. Ora mi odia e la colpa è mia >> mormorai << Dio! L’hai accusata di essere una ladra ottantenne! >> affondai il cucchiaio nel barattolo di gelato alla mente e me lo portai in bocca << Grazie per il conforto… >> ironizzai stizzita. 
<< Avresti potuto trattenerti >> ecco la principessa delle ovvietà. 
<< Tanya, a casa di Edward c’è un sistema di sicurezza e me la sono trovata alle spalle. Per quel che sembrava, poteva essere una pazza… cosa vuoi che ti dica? Per fortuna ho chiamato lui e non la polizia. Non oso pensare se l’avessero arrestata, tutto per un banale disguido. E poi ha avuto dieci minuti per dirmi chi era. Non capisco perché non l’ha fatto. Mi sarei evitata la figura squallida che ho fatto >> sbraitai. 
<< Ha avuto il coraggio di chiedermi se Edward ed io eravamo amici di letto e me l’ha domandato non perché poteva essere una possibilità ma per prendermi in giro >> sbuffai << Dovresti capire la sua reazione, no? >>. 
Come avevo potuto essere così frettolosa? Così infantile? Perché non mi cucivo una volta per tutte la bocca e pensavo di più anziché reagire? Non sapevo quanto tempo sarebbe rimasta. Mi avrebbe reso la vita impossibile? Dannazione, non avrei potuto avvicinarmi a Edward. Aveva capito qualcosa? E’ molto affezionato a te. Sì, aveva compreso; ma cosa di preciso? Che palle. 
<< Ha detto che voleva parlarmi… sono rimasta sorpresa dopo il modo in cui l’ho trattata. E’ stata molto più delicata di Esme e Rosalie, però mi ha accusato comunque… ci sono rimasta male, credo, non so perché. Sembra una tipa tosta, diversa da loro. Dio, non so che pensare! >> mi presi la testa tra le mani. 
<< Tesoro, ormai è accaduto >> mi accarezzò la schiena per rilassarmi. 
<< Non capisci Tanya. Faccio due passi avanti e uno indietro. Rovino tutto. Avrei potuto essere più gentile, seguire la ragione. Quasi tutta la sua famiglia mi odia ed io sono stata tutto fuorché matura. Come posso pretendere di semplificare le cose se non faccio che aizzare le persone che ama? Certe volte penso che per quanto io possa migliorarmi, non sarà mai abbastanza. Sono questa, Tanya, e ho più difetti che pregi >>. 
<< Bella, ti prego, dimmi cosa posso fare per consolarti >> supplicò rammaricata. 
<< Dimmi che sono una cretina che non pensa mai alle conseguenze >>. 
<< Sei una cretina che non pensa mai alle conseguenze >>. 
<< Lo so, tu come fai a non essere stupida? >> domandai. 
<< Ehm… non saprei. Dai tempo al tempo. Non ti rendi conti di quanto tu sia cambiata in questi mesi? Prima eri fredda, scostante e a malapena mi chiedevi aiuto. Ora ti sei accesa Bella. Non guardare a te stessa come una continua sconfitta. Sei maturata, sei una madre amorevole. Mia madre mi ha avuto a diciotto anni e anziché preoccuparsi di me, andava a divertirsi con il ragazzo di turno e mi lasciava con mia zia. Avrei fatto carte false per avere una mamma come te. Poche persone reagirebbero così bene a un cambiamento tanto radicale. Ha vent’anni piccola. Si cresce gradualmente. Sosterrai Renoir nel diventare grande e lei lo farà con lei. Edward se non sapesse affrontare le avversità sarebbe scappato molto tempo fa, non ti avrebbe permesso di avvicinarti a vostra figlia. Dagli fiducia. E’ un grande uomo. Sei molto fortunata. Non si sta nascondendo dietro a un dito per respingere ciò che vi lega. E se gli fosse importato qualcosa dei pensieri delle arpie… a quest’ora tu lo odieresti e i tuoi occhioni non brillerebbero così. E’ vero, in passato la vita non ti è stata favorevole ma ora ti sta ripagando di tutti i tuoi sacrifici. Apri le porte del tuo cuore alla felicità che ti spetta. Smetti di pensare che non sei capace di… ancora non ho capito cosa. Mettiti in gioco >>. 
<< Non so come si fa… >> singhiozzai mentre le lacrime m’inondavano il viso. 
<< La vita è una giostra. O piangi di paura o ridi della paura. Se non fossi spaventata non saresti umana. Ficcati nella testolina che sei forte. Lo sei davvero. Sei sopravvissuta al dolore più grande che una donna possa affrontare. Non sono madre, ma sono certa che al posto tuo sarei finita in un ospedale psichiatrico >> la sua voce tremava. La mia Tanya. 
La abbracciai nascondendo il capo nell’incavo del suo collo. Non stavo avendo una crisi isterica, avevo bisogno di una roccia. 
<< Grazie >> bofonchiai tirando su col naso. 
<< E con tutta sincerità, tesoro mio, io a quest’ora sarei in quella casa a cenare con quelle vipere >>. 
<< Tanya, se fossi rimasta Renoir avrebbe avuto sentore dell’ostilità che scorre tra me e quelle donne. Non posso permetterlo >> sciolsi l’abbraccio. 
<< Ti sei resa conto che lui ti ha chiesto di esserci? >>. 
<< No, non è possibile… >>. 
<< Bella, non pensi sia difficile anche per lui questa situazione? Entrambi provenite da famiglie complicate. In qualche modo ha voluto dirti che sei il suo appiglio >>. 
<< Non appena Renoir sarebbe andata a dormire, mi avrebbero umiliato >>. 
<< E credi che lui glielo avrebbe permesso? >> disse retorica. 
<< Non lo avrebbero fatto di fronte a lui. Sono subdole, Tanya >>. 
<< E continuerai a subire vessazioni senza dirglielo? Se aprissi la tua boccuccia, le rimetterebbe a loro posto. Ti hanno minacciata, fatto male fisicamente… è anche ora! >> strillò. 
<< Abbassa la voce! >>. 
<< No che non lo faccio. Se non glielo dici tu, lo farò io >>. 
<< No, non sono questioni che ti riguardano. Lo farò, lo giuro, ma non ora >>. 
<< Okay, va bene. Ora, per cortesia, metti via quel gelato dall’odore rivoltante e mangiamo qualcosa di più sano >>. 
La sua idea di sano era hamburger e patatine. Anche lei sapeva essere contorta quando voleva. 
Raccolsi la mia tracolla pronta ad andarmene ma Tanya mi fermò << Saranno ancora lì. Non ritornerai a casa in shorts e t-shirt >> decretò con aria cospiratoria. Devo sembrare più adulta. Avrei voluto dirle che per qualche strano motivo a Edward piacevo così com’ero, ma c’era anche una parte di me voleva andargli incontro. Non mi stavo adeguando alla sua famiglia ma a lui. Finché si trattava di indossare un vestito da adulta, anziché degli shorts, non era un grande sacrificio. 
Per la seconda volta quando varcai la soglia di casa Cullen, dimostravo almeno cinque anni in più. Una parte di me era compiaciuta. Mi era sempre importato poco che apparissi più piccola della mia età, ora invece cominciava a pesare. Bè… almeno quando avrei avuto cinquantenni, mi sarebbe tornato utile. 
<< Ciao Bella >> mi salutò Alice alzandosi dalla tavola allestita in veranda. Prima che arrivassi, avevo sentito le loro chiacchiere agitate e ora era calato il silenzio agghiacciante. Tentennante nelle mie scarpe con tacco dodici, avanzai. Mi strinse nel suo abbraccio << Buonasera >> dissi a tutti. 
Fulmini e saette sembravano provenire da ogni direzione. No, non mi sarei mai abituata. 
<< Mami! >> Renoir si mise in piedi sulla sua sedia per pareggiare la mia altezza. 
<< Farfallina >> la abbracciai calorosamente << Allora, hai mangiato la torta? >> domandai interessata. Scosse il capo << Stavo aspettando te >> mi ricordò << Grazie cucciola. La vuoi mangiare qui o in camera? >> continuai << Qui. Stavo raccontando al nonno del disegno che ho fatto a scuola >> decise. Mi lasciò la sua seduta e si sedette sulle sue ginocchia. Ero tra Carlisle seduto alla mia sinistra e Edward a capo tavola. 
Stavo reprimendo l’impulso folle di buttare gli occhi su di lui che, ero certa, mi stesse fissando. 
Come il resto della famiglia. 
<< Ma davvero? E cosa hai disegnato? >> chiesi aiuto ad Alice affinché mi passasse una fetta di torta alla vaniglia << Ho disegnato te… >> affermò candidamente. 
La forchetta colma di dolce con cui stavo per imboccarla si fermò a mezz’aria. Okay, aveva sei anni, era capace di nutrirsi da sé ma a me piaceva lo stesso. << Hai disegnato me? >> sussurrai incredula. Aveva disegnato me. Era stupido avere voglia di piangere dalla commozione << Sì mammina >> confermò facendomi cenno di farla mangiare << E cosa hai raffigurato, scricciolo? >> disse suo padre. Sorrideva anche lui probabilmente per le mie labbra tese all’insù da un orecchio all’altro << La mamma con un mantello rosso. Super Mamma >> mi si strinse il cuore << E’ meraviglioso! >> la assecondò suo nonno << Super Mamma? >> domandò Lilian. 
Renoir annuì decisa << Sì! E’ bella come una torta al cioccolato, dolce come il gelato, intelligente come Geronimo Stilton… >> mi guardò intensamente << …ed è la mammina più mammina del mondo >> la stritolai nel mio abbraccio << Ti amo farfallina >> balbettai emozionata << Anch’io mamma! >> esultò << Domani mattina lo attacchiamo al frigorifero >> aggiunse Edward. 
Finì la torta e ci alzammo in piedi << Amore, dobbiamo andare a fare la nanna. Dai la buonanotte a tutti >> la incitai << Vi accompagno >> affermò Edward. 
<< Bene scricciolo. Ora dormi che domani dovrai andare a scuola >> disse Edward baciandole la fronte << Va bene papi >> mugugnò assonnata << Buonanotte piccola >> le rimboccai per bene le coperte. Le accendemmo la lucina sul comodino e uscimmo dalla stanza. 
<< Dio! Mi sorprende un giorno sì e pure l’altro >> esclamai << E’ di una dolcezza unica! >> continuai << Già… >> sorrise. Neanche lui scherzava in quanto a dolcezza << Bé… ora è meglio che io vada… >> bofonchiai incerta. 
<< Ti sei divertita? >> domandò quando gli diedi le spalle. 
Cominciammo a scendere le scale << Cena veloce e gelato con Tanya, niente di che >> minimizzai << Tu? >> chiesi a mia volta << Sì >>. 
Per la prima volta dopo tanto tempo non sapevamo che dire. Sembravamo impacciati << Posso farti una domanda? >>. 
Fece di sì col capo << Volevi che ci fossi? Alla cena intendo >>. 
Lo presi in contropiede, lo vidi dalla sua espressione. Alla fine sembrò arrendersi e rispose: << Sì >>. 
<< Hai capito perché non l’ho fatto, vero? >>. 
<< Sì >>. 
<< Hai intenzione di rispondere a monosillabi a ogni cosa che ti dico? >> scherzai. 
<< No >>. 
Scoppiammo a ridere << Okay. A domani >> conclusi. 
Mentre lui ritornava dalla sua famiglia, per andare alla dependance dovevo passare dalla veranda. Il mio piano era di andare a dormire ma Lilian mi fermò: << Isabella, che ne dici di sederti con noi >> tutto mi sarei aspettata tranne che quella richiesta provenisse da lei. Avrei voluto fuggire! 
<< Ehm… va bene >> ero a disagio. 
<< Tieni tesoro >> Alice mi diede una fetta di torta e una tazza di caffè sorridendo affabile come per incoraggiarmi. 
<< Edward, caro, non sai chi ho incontrato ieri >> proruppe sua madre << La figlia dei Miller. Dovresti vederla, si chiama Mia. E’ una ragazza adorabile… >> e ora chi è questa? M’irrigidii e bevvi del caffè fingendo noncuranza. Avevo l’impressione che il messaggio fosse rivolto a me. Stai lontana da mio figlio. << Mamma, non iniziare >> quindi è sua abitudine organizzargli appuntamenti. Era pazza! Aveva trent’anni, non aveva bisogno del suo aiuto << Ma Edward… >> frignò. 
<< Esmeralda… >> la interruppe Lilian. Esmeralda? Non sapevo che Esme fosse un diminutivo di Esmeralda. Dalla faccia di quest’ultima sospettai che non le piacesse il suo nome intero << … se i figli maschi ascoltassero le parole di noi povere madri, Carlisle non ti avrebbe sposato… >> rimasi di sasso e con la mandibola che sfiorava il terreno. Dovetti reprimere una grassa risata ma gli altri non lo fecero. Che imbarazzo! Ora capivo perché non si sopportavano: erano uguali! << Allora Isabella… >> si rivolse a me. 
<< Che cosa fai nella vita? >> fu gentile. 
<< A parte vivere nella casa di mio figlio? >> bofonchiò Esmeralda. Ecco che ricomincia. 
<< Mamma! >> la riprese Edward. 
<< Che io ricordi, quando Carlisle si accorse della tua esistenza, non avevi né arte né parte >> dichiarò nonna killer. Santo Dio che lingua biforcuta. Ne aveva per tutti << Mamma! >> fu la volta di Carlisle. Avrei fatto di tutto pur di uscire da questa situazione. << Comunque figliolo… >> continuò Esme come se niente fosse << … che fine ha fatto Sandy? Lei è così a modo, educata, adulta… >> secondo colpo basso. << L’ha scaricata! >> rispose la figlia arpia, fulminandomi. 
<< Smettetela! >> la voce di Edward si alzò << La mia vita privata non vi riguarda >> aggiunse infervorato << … perché Edward? Sarebbe un’ottima madre per Renoir >> mi si bloccò il fiato e la nausea salì lungo lo stomaco. L’ha detto davvero! 
<< Esme… >> mormorò il marito. 
<< Mamma, te lo dico ora e non te lo ripeterò più. Renoir ha già una madre! Isabella è sua madre >>. 
Mi alzai in piedi scossa << Complimenti Esmeralda. Hai appena dimostrato quanto tu sia poco signora nonostante l’età >> guardai Lilian con le lacrime agli occhi. 
<< Sei una persona tanto piccola da essere squallida >> ansimai. 
<< Bella… >> Edward mi trattenne per l’avambraccio. 
<< Lasciami stare… >> borbottai strattonandolo. 
<< Bene. Potete continuare la serata senza di noi >> si alzò anche lui in piedi. 
<< Edward… >> cercò di dire sua madre. 
<< Hai superato ogni limite! Vergognati >> gridò arrabbiato << Vieni >> bisbigliò afferrandomi la mano. 
Mi portò nel suo studio, mi fece accomodare su una poltrona e mi diede un bicchiere d’acqua << Isabella. Io… >> tacque non sapendo come continuare. 
Scattai in piedi. Non sapevo cosa pensare. Per l’ennesima volta mi aveva umiliato. 
<< E’ questa la tua famiglia >> sussurrai distaccata << Io sarò sempre la poco di buono che ha lasciato sua figlia… >> non stavo piangendo, ero abbastanza in me. << Bella non ascoltarli >> implorò. Cominciai a camminare avanti e indietro per lo studio << Sai che ti dico? Tre tra le quattro donne più importanti della tua vita mi odiano. Santo Dio! Tua madre ha percepito cosa c’è tra noi due e sta cercando di allontanarci. Io sono io… sembro perennemente ubriaca con le mie reazioni, sono svampita e ho vent’anni; invece tu sei così dispotico, irritante e sei adulto. Le nostre menti viaggiano su due binari paralleli… e lo so di non essere donna. Se a te non importa dei loro pensieri, allora non interessa neanche a me. E se te lo dico, è perché per me sei davvero importante! >> gesticolavo come una pazza cercando di spiegarmi. Ero in pieno delirio! << Io… lo so che siamo imperfetti, che litighiamo sempre, che sono ostinata fino alla nausea e ribelle, ma quando siamo insieme, ci completiamo, Edward. Io mi sento completa. Io… io… credo di essermi presa una sbandata colossale per te. Lo capisci? Io no, perché non ho mai sentito niente di simile. Ed è La sbandata più dolorosa, pazza, stramba e meravigliosa di tutta la mia vita. Ti assicuro che posso crescere ma devi aiutarmi perché non so come trattenere tutto quello che provo… perché tu… mi fai sentire bimba e desiderata come una donna allo stesso tempo… ed è così bello che quasi mi vengono le lacrime agli occhi… io… >> non potei più continuare perché mi ritrovai la sua bocca appiccicata alla mia. 
Edward mi stava baciando!
************************
Finalmente.... direte voi. E ci sarà anche qualche: awww, prima di rendevi conto che il cap è finito e a quel punto mi manderete a quel paese. Accetto tutto. Fa niente.
Bè... non voglio essere prolissa. Quindi spero che vi sia piaciuto e recensite, recensite, recensite. Un bacione. Acalicad.

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Capitolo 15
*** The only exception ***


Salve ragazze!Ommioddio sono riuscita a collegarmi per un pelo. E' da stamattina che sono attaccata al pc ma ci sono riuscita!!!!!!!!!! Allora vi lascio al cap. COme sempre vi ricordo che c'è CloeJ che mi aiuta molto e la cover è stata fatta da Lalayasha. Un bacio! 



Fino ad ora ho giurato a me stessa che sarei stata contenta con la solitudine perché non vale mai la pena rischiare per tutto questo, ma... tu, sei, l’unica eccezione.
_____ 
Ero paralizzata con gli occhi spalancati mentre le mani di Edward circondavano il mio viso. Per l’ennesima volta mi aveva fatto esplodere. Sentivo le labbra in fiamme! Mi sentivo scombussola, come se non stessi vivendo realmente quel momento. 
Era un contatto superficiale. Mi aveva colto alla sprovvista e le mie labbra erano pietrificate. Muovetevi, per favore! Volevo poter ricambiare ma non ci riuscivo. Il mio corpo non voleva seguire il mio cuore e la mia mente. Per favore, voglio baciarlo! Gli avevo detto più volte che avrebbe dovuto aspettarmi, che prima o poi lo avrei baciato io! E ora che era stato lui a prendere la decisione, il mio corpo non mi ascoltava! Ecco perché lo avevo implorato di darmi tempo. Dannazione! Non m’importava che non mi avesse sentito, baciarlo era meraviglioso. Volevo farlo. Mai una volta che le cose andassero per il verso giusto. Non è giusto! 
Qualcuno bussò alla porta e maledissi quella persona. No, non allontanarti, dammi un po’ più di tempo! 
Avevo ancora gli occhi spalancati fissi nei suoi. Avevamo il fiatone. Entrambi avevamo trattenuto il respiro. 
Con la coda dell’occhio vidi la figura di Lilian. Rimaneva in silenzio. Aveva capito qualcosa? Avevo le labbra incandescenti o era solo una mia impressione? 
Perché mi guardi così? Perché mi hai baciato? Perché vorrei tanto piangere per non averti ricambiato? 
<< Tutto bene ragazzi? >> la voce di Lilian ci costrinse a guardarla. Aveva un vassoio tra le mani << Vi ho portato una tisana >> io non voglio una camomilla! Voglio Edward! 
Deglutii rumorosamente non sapendo cosa fare << Grazie ma… ma è tardi… io devo andare a dormire… sono stanca… buonanotte >>. 
Le mie ginocchia tremavano! A stento riuscii a tornare nella dependance. Mi fiondai in bagno e mi specchiai. 
Avevo le guancie rosso pomodoro come le labbra o almeno così mi sembrava e gli occhi erano luccicanti. Erano azzurri. Davvero azzurri! E un sorriso da ebete tirava all’insù la mia bocca. Mi ha baciato! 
Non riuscivo a crederci! Aveva capito? Mi aveva baciato! 
Esplosi in un gridolino e cominciai a saltellare come una bambina. Presi una rincorsa e mi buttai sul letto soffocando sul cuscino un altro urlo. Da quanto tempo non mi sentivo così? Come un’adolescente alla prima cotta? In un certo senso avevo bypassato la mia adolescenza che si era fermata a quindici anni e ora… oddio! Mi aveva baciato! Mi misi seduta << E’ stato così passionale! Gli avevo chiesto di aspettare e lui non l’ha fatto. Oh… ma che mi frega, è stato elettrizzante. Ci si sente così di solito? Oddio… sto parlando da sola. Sono impazzita! >> mi portai le mani sul viso << Però è stato bello, anche se ho dato di matto. Come ho potuto dirgli della sbandata. Oh mamma! Se mi avesse preso per una bambina, non mi avrebbe baciato, no? >>. 
Crollai di nuovo sul letto << Sto parlando di nuovo da sola! >> piagnucolai << E’ colpa sua! Da quando lo conosco, non faccio altro. Mi scervello per capirlo e ora lui mi bacia! Ed io scappo… >> appena pronunciai l’ultima frase, caddi dal letto e sbattei dolorosamente il fondoschiena << Ahi! >> frignai. 
<< Non penserà che sia scappata… oh mio Dio! Sono fuggita, ma che potevo fare? Rimanermene lì a discutere con nonna killer? No, era fuori questione >> mi misi a pancia in giù e poggiai il viso su un braccio. Dovevo riflettere e prendere una decisione. 
Baciami Isabella. 
Baciami Isabella. 
Baciami Isabella. 
Aprii gli occhi di soprassalto << Ahi! >> strillai. Mi ero addormentata sulla moquette e svegliandomi avevo sbattuto la fronte contro il comò. Che dolore! Mi massaggiai il capo, mi sarebbe uscito un bernoccolo. Adesso avevo pure mal di testa. Al diavolo! 
Guardai la radiosveglia. Erano le cinque del mattino. 
Avevo l’impressione di dimenticare qualcosa. 
Avevo ancora indosso il vestito. 
No, non si trattava del pigiama. Mi mordicchiai le labbra tentando di capire… mi ha baciato. Mi mossi agita e… presi un’altra botta << Cavolo! >> strillai. 
Traballante mi misi in piedi. Infervorata, uscii in giardino. Non sarei riuscita più a prendere sonno se non avessi risolto l’inghippo. Silenziosamente entrai in casa di Edward. Andai in camera sua. E… boom! 
Lui… lui era sveglio. Si stava vestendo e aveva la camicia sbottonata. Ti odio, ti odio, io vengo qui per parlarti e tu ti fai trovare così? Uffa. La tremarella alle ginocchia si ripresentò. Perché sono venuta? Sono una mentecatta! Quant’è bello… 
<< Perché sei vestito? E’ l’alba… >> sussurrai confusa. 
<< Oggi ho una trattativa finanziaria. Devo andare alla sede molto presto. >> spiegò << Piuttosto tu? Che ci fai qui? >> questa era una bella domanda. Inspirai profondamente tentando di guardarlo negli occhi. Dov’era finita tutta la mia forza? << Bè… questo non è il punto! Devo parlarti. Per cortesia devi ascoltarmi >> implorai flebile << Ma… >> obbiettò << Per favore… >> ribadii. 
<< Ti rendi conto di quello che hai fatto? Mi hai baciato! Avevamo deciso che dovevamo capire, lo abbiamo fatto parlando. Pensavo che… che non appena avessimo compreso ne avremmo discusso nuovamente. Invece tu, ti ricordo che ero in pieno delirio, prendi e mi baci. Io ti confesso che ho una cotta per te e non ho mentito e tu… come hai potuto? Ti avevo detto che se fosse successo l’avrei fatto io. Ti sei comportato come me e ti faccio notare che tu odi i miei modi spumeggianti. E ora guardami. Mi sono addormentata sul pavimento, ho sbattuto il sedere e tra poco avrò due bernoccoli sulla fronte per… >>. 
<< Isabella, abbassa la voce… >> m’interruppe divertito. 
<< Non dire mai a una donna agitata di abbassare la voce! >> strepitai. 
<< Quindi deduco che tu… che per te non sono solo una semplice attrazione. Bene. Mi pare ovvio che per me è lo stesso. Prima quando tu… bé quando hai fatto quello che hai fatto e io… >>. 
<< Io ti ho baciato e tu ti sei dileguata >> disse per me. 
<< Ti ho detto di ascoltarmi in silenzio! >> esclamai imbarazzata. Presi un altro respiro profondo e mi avvicinai quanto più possibile a lui. Avresti almeno potuto coprirti! Sospirai un po’ più calma << Stavo dicendo… che prima, le mie labbra si sono rifiutate di collaborare. Credo che il mio corpo voglia avere il controllo… >> ansimai mentre lui era ritornato serio << Cosa vuoi dire? >> domandò in un sussurro. Non sto ammazzando nessuno. Rimasi in silenzio e per distrarmi iniziai ad abbottonargli la camicia. Lentamente perché dovevo ancora racimolare le parole giuste da dire. Sul letto c’erano due cravatte una azzurra e una verde. Presi la prima sotto il suo sguardo indagatore << Ti dona di più questo colore… >> bofonchiai passandola sotto il colletto << Sai fare il nodo alle cravatte? >> chiese per alleggerire la tensione si stava espandendo dai nostri corpi a tutta la stanza << Charlie… >> chiarii con voce strozzata << Il serpente gira una volta e mezza attorno all’albero, poi sale su e infine scende giù… >> recitai la filastrocca con la quale mio padre m’insegnò. Conclusi sistemando il nodo << Ora sei perfetto >> affermai. 
Posai una mano sul suo cuore e azzardai un’occhiata al suo volto. Anche lui mi stava osservando. La mia mano risalì lungo il suo corpo arrivando alla guancia. 
<< Facciamolo ora! >> proruppi ansiosa << Facciamolo? >> oddio, è una frase equivoca. << Sempre a fraintendere >> lo criticai isterica << Intendevo che sto per baciarti e non ricordo come si fa, ma si dice che è come andare in bicicletta. Tu devi stare fermo e venirmi incontro >> imposi con chissà quale coraggio. Arpionai la sua nuca per costringerlo ad abbassarsi. 
Sgranò gli occhi impercettibilmente << Non muoverti, okay? Voglio davvero baciarti e se tu farai qualcosa, io mi bloccherò… >> mormorai. Annuì con un leggero sorriso a contornargli quelle labbra assolutamente belle. 
E se non mi piacesse? No, impossibile. Vai Bella! 
Risi timidamente e sfregai il naso contro il suo. Il suo buon profumo era un incentivo ad avvicinarmi ulteriormente. 
Con un polpastrello delineai il profilo del suo volto. Ormai le farfalle nello stomaco erano talmente impazzite che erano uscite da me e le vedevo svolazzare dappertutto. 
Mi decisi e gli accarezzai le labbra per poi scostarmi. Altra scossa. Accarezzai la sua bocca ancora una volta e vi deposi qualche bacio superficiale, poi mi feci più audace e gli sfiorai con la lingua il labbro inferiore. 
Non so di preciso cosa feci in seguito ma mi ritrovai a baciarlo. Un vero bacio. Era delicato, probabilmente non voleva spaventarmi. Era un po’ rigido perché forse voleva fare di più, si limitava a tenermi ferma per il capo. Era un gesto che mi trasmetteva protezione. 
Dio mio aveva un buon sapore! Non ero molto pratica ma era bravo! Era così… non c’erano parole per spiegarlo. In effetti, era più semplice di quanto pensassi. Forse era lui a renderlo naturale, forse con un altro ragazzo mi sarebbe stato difficile lasciarmi andare. 
Era sempre stato così emozionante? Lo sarebbe stato sempre? Così giusto. 
Era come se mi fossi appena buttata dall’Empire State Building. Okay, non mi ero mai gettata da un grattacielo ma se mai l’avessi fatto, mi sarei sentita così. 
Edward ed io ci stavamo baciando! E chi l’avrebbe mai detto. 
Se ricordi bene io, l’ho ripetuto di continuo! 
Ci allontanammo per tornare a respirare. Perché non ero imbarazzata a morte? Ero certa di avere le gote arrossate ma non provavo vergogna. Ero smaniosa. Ora che lo avevo baciato volevo saltargli addosso e continuare a farlo per ancora tanto tempo. 
<< Bene, ora che abbiamo chiarito… ehm… ora vado… io… ciao… >> ero certa che la mia espressione fosse da liceale post primo bacio. Questo sarebbe dovuto esserlo. 
Cercai di fuggire ma mi afferrò per una mano << Te ne stai andando? >> chiese stupito << Sì… >> confermai incerta. Non volevo andarmene ma dovevamo fare tutto con calma. E ritornare nel mio lettino sarebbe stata la scelta migliore al momento. 
<< Sei… sei assurda… >> borbottò ridendo. 
<< Sì lo so, ora vado. Ehm… ci vediamo quando torni… e non so che dire >> gli schioccai bacio veloce. 
<< Isabella? >> mi richiamò quando aprii la porta della stanza. << Dimmi >> lo incitai. 
<< La sbandata… è reciproca… >>. 
Oddio! Potevo mettermi a saltare e battere le mani come una bimba? << Sono sfacciatamente fortunata. Buongiorno Eddie… >> ammiccai. << E’ stato decisamente un buon giorno >> lasciami andare perché se mi parli così non lo farò mai. Davvero sorrideva perché… bé per quello che era successo? Smettila, smettila! Di questo passo il mio cervello brucerà. Scossi il capo smarrita e andai via. 
Era impossibile addormentarmi dopo aver fatto… ancora non riuscivo a crederci! 
Tornai nella mia casetta e mi parve bellissima. Quasi vedevo rose e fiori ovunque, tra un po’ avrei immaginato gli uccellini cinguettare. 
Alle sette e trenta, dopo essermi vestita, andai a svegliare Renoir. Le feci indossare la sua divisa e la portai a fare colazione. 
Attaccato al frigorifero, c’era un biglietto di Edward: 
"Isabella, usa l’auto che c’è in garage. Non voglio che quella cosa che tu chiami macchina, vi lasci per strada. Mi auguro che il tuo inizio di giornata sia stato bello quanto il mio. E.” 
Oh… quanto era tenero! Sorvolando sul fatto che abbia criticato il mio maggiolino, avrei dovuto baciarlo più possibile. 
<< Mammina? Mammina? >> Renoir mi costrinse a tornare alla realtà << Dimmi farfallina >> la incitai << Avevi la bocca aperta >> notò ridacchiando. Arrossii << Stavo pensando. Allora hai finito di mangiare? >> velocemente raccolsi il suo zainetto dallo sgabello << Sì, sì… >>. 
Effettivamente l’auto di Edward sembrava molto più stabile della mia. Non sapevo che modello fosse, non ero molto pratica. Potevo solo dire che era nera e tirata a lucido. C’era l’odore di Edward nell’abitacolo e istintivamente sorrisi mettendo in moto. 
Mano nella mano la accompagnai fino all’entrata. Nuovamente c’erano state altre, occhiatacce, ma ero talmente su di giri che m’importava ben poco. 
<< Buongiorno Renoir >> a parlare fu una donna sulla trentina, molto carina e minuta << Buongiorno signorina Collins >> ricambiò mia figlia. 
<< Buongiorno >> sorrisi cordiale. << Mamma, la signorina Collins è la mia insegnante di storia e geografia >>. 
<< E’ un piacere conoscerla. Sono Isabella >> tesi una mano in sua direzione. 
Sembrava stupita, aveva gli occhi eccessivamente aperti << Ehm… Samantha Collins. Lei è la madre di Renoir? >> mia figlia mi ha chiamato mamma, secondo te sono l’uomo nero? 
Sorrisi fiera di esserlo << Sì. Sono la madre >> confermai gentile. 
<< Scusi se sembro sorpresa. Quindi lei e… e il signor Cullen… >> balbettò. 
Inevitabilmente il mio sopracciglio, come se avesse forza propria, svettò in alto. Cosa incideva se stessimo insieme o meno? Anche le educatrici sono pettegole. 
Appena vide la mia espressione, arrossì imbarazzata. 
Ricordai una delle prime conversazioni fatte con Renoir in cui mi parlava della sua insegnante di storia. E quindi ti piace Edward. Bè… se avessi seguito la ragazzina che c’era in me, avrei marcato il territorio. D’altra parte, tra Edward e me c’era stato solo un bacio. Non stavamo insieme e da quanto avevo capito lei, gli faceva il filo da circa un anno ma era stata garbatamente tenuta a distanza. No, non ero gelosa. Aldilà dell’essere gelosa o meno, mi diede fastidio che mi avesse posto quella di fronte a Renoir. Era stata inopportuna e sfacciata. 
Per fortuna lo squillo della campanella ci interruppe e lei fuggì con la coda tra le gambe << Ehm… Isabella è stato… un piacere conoscerla >> non mi diede tempo di replicare che fuggì. E chissà come saranno le altre. 
Sorrisi distaccata. Salutai Renoir e andai via. Non avevo niente da fare. Forse avrei dovuto trovare un lavoro mattutino. Ero sempre stata impegnata a ogni minuto del giorno e ora mi stavo annoiando a morte. Rovistai nella borsa e presi l’Iphone. 
Telefonai a Edward, per fortuna c’era la segreteria. 
<< Ciao, mi sembra stupido dirti chi sono. Ho accompagnato Renoir a scuola e conosciuto la sua insegnante di storia. L’ho trovata fuori luogo e anche lei ha una cotta per te. Dovremmo trovare una motivazione credibile per spiegare la mia comparsa nella vita di Renoir. Per quanto riguarda questa mattina… baciarti è stata una delle cose più belle della mia vita, te lo dico ora perché non avrei mai avuto il coraggio di dirtelo di persona. Ci vediamo questa sera, non vedo l’ora di parlarti e di baciarti ancora. Spero che a lavoro vada bene. >> buttai il cellulare sul sedile, mi coprii il viso con le mani e poggiai la fronte sul volante. Saltai in aria perché il clacson suonò. Scoppiai a ridere << Sono irrecuperabile… >> bofonchiai rassegnata. 
Avevo portato con me un libro dell’università. Così per occupare la mente, andai in un piccolo caffè letterario. Ordinai il mio caffè con panna, una spruzzata di cannella e cacao e cominciai a studiare. 
Verso le due del pomeriggio, il mio telefono squillò << Pronto? >>. 
<< Isabella, sono Lilian >> m’informò nonna killer. 
<< Lilian. Come hai fatto ad avere il mio numero? >>. 
<< Non è questo l’importante. Volevo dirti che ci incontreremo nella scuola di Renoir. Questa sera uscirò e voglio passare un po’ di tempo con lei >>
<< Oh… per me non c’è problema. Ci vediamo tra dieci minuti >>. 
Era una donna che ancora dovevo inquadrare. Non sapevo se mi odiasse o altro. Certamente si comportava in modo molto strano. Prima mi accusava di essere un’approfittatrice e dopo mi difendeva da Esmeralda. 
Appena giunsi alla scuola, mi squadrò da capo a piedi << Hai buon gusto ragazzina >> mi complimentò. Per essere strana è strana. 
<< Grazie >>. 
<< Questa mattina molto presto ho sentito dei rumori molesti provenire dalla camera di Edward >> cavolo! << Davvero? >> mi finsi sorpresa. << Già… c’è qualcosa che vorresti dirmi, Isabella? >> chiese con aria di chi la sapeva lunga. Sospettava! << C’è qualche domanda che vorresti farmi, Lilian? >> dissi a mia volta << Tutto a tempo debito, mia cara >> mi parve una minaccia.
<< Scusami, ma ora devo fare una chiamata >> continuò. 
Quando si allontanò, vidi due donne venirmi incontro. La prima era bionda, la seconda rossa. Avevano negli occhi una strana luce. Ebbi l’impressione di essere accerchiata e di non poter scappare. 
<< Salve >> sussurrai a disagio. 
<< Piacere di conoscerla Mindy Sullivan >> si presentò la rossa. 
<< Isabella Swan >>. 
<< Cindy Lerman >> continuò la bionda. Mi prendono in giro? Repressi una risata di divertimento << Lei è la compagna di Edward? >> Santo Cielo! Perché tutte mi chiedono di lui? << Sono la madre di Renoir >> precisai risentita. Rimasero di sasso << Oh… davvero? >> squittì la rossa. Iniziavano a irritarmi << Sì >> la freddai. 
<< Non l’abbiamo mai vista da queste parti >> aggiunse curiosa. << Di che cosa si occupa? >> continuò Cindy o come si chiamava, bé… la bionda. 
<< Quanti anni ha? >> fu la volta della rossa. Erano delle pettegole patentate! Mi ricordavano le amiche di Renee che venivano a casa nostra per discutere di qualche opera pia e finivano col sparlare di qualsiasi cosa respirasse. 
Mi sentivo sotto attacco e non volevo rispondere alle loro domande. Non sapevo ancora cosa rispondere. 
<< Ventuno >>. 
<< Ma è giovanissima! >> strepitò. << Non sarà invidia? >> Lilian apparve dal nulla, per fortuna. Fecero una smorfia alla battuta di nonna killer. 
<< Signore, sono Lilian Cullen. Date un po’ di pace alla madre di mia nipote >> apparentemente aveva un tono scherzoso, in realtà era tagliente << Non vorrete sbranarla >> rise con grazia. Era bellissima. 
<< Ora dobbiamo andare >> mi prese sottobraccio << Au revoir… >> mi trascinò lontano dalle arpie. << Certe donne non smetteranno mai di esistere >> dichiarò. 
<< Di nuovo grazie >> borbottai grata. 
<< Non preoccuparti ragazzina. Un bicchiere di Chardonnay del 2010 e passa tutto >>. Ridacchiai per il suo modo di fare << Lilian, non sono abituata all’alcool >> rifiutai impacciata<< Oh bambina… in questo ambiente ti abituerai presto… >> non mi piacque ciò che disse. Sembrava esasperata. Mi sarei trasformata in un’alcolizzata per anestetizzare la pazzia di Anastasia e Genoveffa o le chiacchiere di donne come quelle che mi avevano accerchiato. 
<< E’ una delle ragioni per cui sei sempre in giro per il mondo >> notai. 
<< Anche. Io e mio marito avevamo progettato di andare dappertutto e dopo la sua morte ho voluto portare avanti i nostri progetti >> sorrise serena. Mi dispiacque per lei. __________ 
Ero sempre stata educata per essere una donna di successo, una credente che doveva improntare la sua vita sulla serietà. E se mai avessi avuto dei figli, sarebbero cresciuti come me. 
Avevo assaporato quello stile di vita e l’avevo trovato noioso, svilente sotto ogni punto di vista. Mi aveva fatto sentire in gabbia. Io volevo di più. Desideravo svegliarmi la domenica e non andare in Chiesa. Volevo che mia madre mi dicesse che ero bella con un vestito addosso e non se mi facesse apparire grassa o no. Bramavo la libertà o almeno l’autonomia che poteva avere una quindicenne. 
E l’essere rinchiusa nella mia gabbia d’oro mi aveva spinto a compiere tutte quelle azioni di cui mi ero macchiata. 
In parte la mia era stata una ripicca. Spesso e volentieri avevo fatto ciò che Renee e Charlie avrebbero criticato. Nonostante loro non sapessero nulla, l’adrenalina che m’infondeva quella consapevolezza mi costringeva ad andare avanti. Perché sapevo che in futuro non sarei stata felice, che sarei finita a fare la moglie trofeo di qualche ricco imprenditore e il mio motto era “tutto e subito”. Invece ora, guardando me e Renoir ballare come due matte nel salone, ero certa che niente avrebbe potuto deturpare la nostra bolla d’amore, che in un modo o nell’altro sarei stata raggiante ogni volta che mi sarei specchiata negli occhi di quella bambina che avevo procreato. 
La felicità era un sentimento strano. Colpisce come un pugno allo stomaco e non ti rimane che annaspare in cerca d’aria. 
<< If you liked it then you shoulda put a ring on it… don’t be mad one you see that he want it… if you liked it then you shoulda put a ring on it… >> sculettavo sul tavolino tra il televisore e il sofà e Renoir mi seguiva a tempo di musica sopra il divano << Wuh uh oh uh uh oh oh uh oh uh uh oh… uh uh oh uh uh oh uh oh uh uh oh… >> avrei dovuto vergognarmi ma mi stavo divertendo da matti. 
<< All the single ladies… all the single ladies… >> continuò mia figlia saltellando << All the single ladies… all the single ladies >> strillai. Saltai giù dal tavolo, le feci segno di imitarmi e cominciammo a girare su noi stesse agitando i capelli. Impugnai il telecomando a mo’ di microfono << Oh oh oh… oh oh… oh oh oh… >> terminai mentre la musica andava a scemare. Appena mi fermai, con la coda dell’occhio vidi Edward. Finalmente era tornato! Sorrisi euforica mentre applaudiva la nostra esibizione. 
<< C’è papà! >> squittii euforica. << Papà! >> strillò Renoir. Dovevo sembrargli una pazza ma le mie labbra non volevano saperne di tornare dritte e le guancie iniziavano a dolere. 
La bimba gli andò incontro << Papà portami sulle spalle! >> implorò. << Scricciolo stai crescendo >> scherzò Edward afferrandola. 
<< Papà! Stai dicendo che sono grassa? >> lo riprese Renoir. 
<< No… >> continuò sarcastico. << Altrimenti mi sarei vendicata >> concluse compiaciuta. 
<< Somigli sempre di più a tua madre… >> borbottò divertito mettendola giù. 
<< Ehi! >> gli pizzicai un fianco << Avresti qualcosa da ridire? >> chiesi imbronciata << No Isabella… >> fece il finto innocente. 
<< Bene perché altrimenti mi sarei vendicata… >> ripetei le parole di mia figlia. Rise in quel modo dannatamente intrigante. 
Mi morsi le labbra << Ehm… andiamo a fare la merenda? >> chiesi a Renoir. 
<< Sì, sì, sì! >> esultò scappando via. 
Mi lasciò da sola. No, ritorna indietro. Lo guardai con le guancie arrossate. Deglutii a vuote << Io… vado… ciao… >> cercai di superarlo ma mi afferrò per un braccio. 
<< Che c’è? >> domandai come se questa mattina non fossi entrata in camera e adesso non mi stessi logorando per paura che se fosse pentito. La paranoia tentava di convincermene e il fatto che non avessi ricevuto nessuna chiamata o messaggio non mi aiutava affatto. Tanya diceva che spesso gli uomini avevano paura. Ma è stato lui a baciarmi! O forse non aveva riflettuto a fondo, lui stesso aveva detto di essere attratto da me, forse aveva agito d’istinto. Ed io con la mia esuberanza lo avevo messo alle strette. E ora era qui! Dopo undici ore e venti minuti dal nostro primo- secondo bacio. 
Fammi capire qualcosa! Ti ho detto che baciarti è stata una delle cose migliori della mia vita. 
Mi guardò intensamente. 
Fece un passo in mia direzione. Stavo per morire d’infarto! 
Mollò la presa e la sua mano risalì lungo il braccio in una carezza sensuale. 
Il respiro che si era da poco regolarizzato, ritornò affannato. 
Ti sta facendo cuocere nel tuo brodo, cretina! 
Trattenni il respiro e chiusi gli occhi quando accostò il viso al mio << La… la bambina >> balbettai. L’ho detto davvero? 
Sei una stronza! Volevo baciarlo anch’io! 
<< Ho sentito il tuo messaggio. Dopo parleremo e questa volta sarò io a baciarti >> bisbigliò al mio orecchio con le labbra che mi sfioravano la pelle. 
Quando non sentii più il suo profumo, azzardai ad aprire gli occhi. Sembrava che mi fossi immaginata tutto. 
Mi scombussolava. 
Mi toglieva il fiato. 
Mi seduceva. 
Era Edward. 
Con i suoi sorrisi. Le facce buffe. Il sarcasmo. L’eleganza. La gelosia. E volevo che fosse mio. Mai come in questo momento mi ero sentita una ventenne in piena “sbandata” ed era una sensazione così rivitalizzante. _______ 
Si rintanò nel suo studio fino all’ora di cena. Ero più interessata a guardarlo che a mangiare le mie penne all’arrabbiata. 
In quel momento tutti e tre eravamo attorno al tavolo da pranzo. 
Mi si era chiuso lo stomaco perché non appena lui portava gli occhi su di me, io collassavo. 
C’erano tanti di sguardi. 
D’amore; d’odio; di felicità; di euforia; di tristezza. 
E poi c’erano gli sguardi di Edward. Ebbene sì! Forse era l’ubriacatura da “prima cotta” o forse era il leggero retrogusto di piccante della pasta che mi faceva sentire accaldata, ma credevo che gli occhi di Edward mi osservassero in un modo tutto loro. 
Mi mandava in pappa il cervello e la cosa peggiore era che mi piaceva e mi terrorizzava allo stesso tempo. Chiamavo lui “maniaco del controllo”, ma in parte lo ero anch’io. Non mi muovevo se la mia sfera intima doveva essere esposta e in fin dei conti negli ultimi mesi c’era stata una lotta interiore tra istinto e razionalità. Il primo mi aveva sempre spinto a lui, il secondo a battere in ritirata nelle situazioni compromettenti. Ero maniaca tanto quanto lui perché… 
<< Mamma, papà come si fanno i bambini? >> la domanda di Renoir fu inaspettata come uno schiaffo. Guardai Edward alla mia destra, diventai paonazza, mi stozzai e rischiai di sputargliela addosso. Renoir scoppiò in una fragorosa risata, Edward era spiazzato ed io tossivo come un fumatore ventennale. 
<< Mamma, mamma… >> mia figlia –che rideva ancora come una matta- mi raggiunse e cominciò a darmi dei leggeri colpi sulla schiena nel tentativo placare il mio attacco di tosse << Grazie amore… sto bene… >> affermai con voce roca e con la gola che bruciava. Che figura del piffero. 
<< Tesoro, non credo di aver capito la domanda. Puoi ripeterla? >> che poi avevo capito perfettamente, volevo solo che dicesse qualcos’altro… ti prego, ti supplico, fai un’altra domanda. Meno imbarazzante s’è possibile. << Oggi il mio compagno di classe Tim, prima di litigare, mi ha detto che la sua mamma aspetta il suo fratellino… e così… se il suo fratellino lo porterà la cicogna, perché è dentro la mamma di Tim? >> Cavolo, cavolo, cavolo! Come potevamo obbiettare a un ragionamento logico. Andavo in crisi quando mi ricordavo che aveva sei anni! Io ero una cretina che giocherellava con i petali delle margherite e il massimo che la mia intelligenza mi permettesse di elaborare, era qualche marachella senza raziocinio. 
Ed ero terrorizzata dall’idea di darle una risposta perché avrebbe potuto chiedere del padre naturale. 
Era troppo presto per dirle che neonati e cicogne, non sarebbero mai stati visti insieme? Andiamo… potevamo dirle che era uscita da me. 
<< Smettiamo con la storia dei volatili? >> domandai a Edward con un finto sorriso sulle labbra << Cosa hai in mente? >> sembravamo due deficienti. Parlavamo con i denti serrati e non muovevamo le labbra. 
<< Le diciamo una verità un po’ falsata >> dichiarai. 
<< Okay… >> non sembrava convinto. 
Presi un respiro profondo << Amore… il fratellino di Tim è dentro la sua mamma. Non lo porterà la cicogna… >>. 
Aggrottò le sopracciglia e le labbra << Se non lo porterà la cicogna ed è dentro la pancia della mamma di Tim, da dove esce? >> chiese sconvolta, forse un po’ inorridita << Edward… aiutami! >> gli diedi una gomitata. 
<< Da dove esce… da dove esce… >> cantilenò lui. Sembrava sul filo di un rasoio. 
<< Scricciolo, quando la mamma ti aspettava… ha spinto… ha spinto e sei uscita >> che razza di risposta era? Lo guardai sbigottita. Non sapevo se ridere o piangere. 
<< Mami, non hai fatto la pupù? >> continuò lei. 
<< Io sono uscita come la pupù? >> aggiunse isterica e schifata. 
<< No! >> strepitai. 
Con tutta la forza che avevo, gli pestai un piede. 
<< Farfallina, vieni qua… >> la incoraggiai battendo una mano sulle mie gambe. 
Scese dalla sua seduta e mi ascoltò mettendosi cavalcioni. 
<< Allora… tu sei stata dentro di me per nove mesi. Perché eri piccolina e ti sono serviti nove mesi per crescere. Ti ricordi quando ti hanno fatto quel piccolissimo taglietto al pancino? Bene. Per farti uscire anche a me hanno fatto un piccolissimo taglietto… >>. 
Annuì con aria concentrata << E non ti ha fatto male? >> dopo? Molto. 
<< No! >> era una bugia a fin di bene. 
<< E come sono entrata nel tuo pancino? >> oh mamma mia! Lanciai un’occhiata a lui. Aiutami! << Scricciolo, la mamma ha mangiato un semino >> voleva essere ucciso? 
<< Un semino? >> chiese scettica. << Sì. Un semino che è rimasto nella mia pancia. Dentro quel semino c’eri tu! >> lo assecondai << Ma che semino era? >>. 
<< Un semino minuscolo, più piccolo del tuo mignolo… >>. 
<< E non ti ha fatto male? >> non sai quanto. 
<< No >> mentii. 
<< E dove l’hai preso? >> non voleva proprio mollare! Sai com’è durante una festa, ho pensato: “Perché no?”. 
<< Dove l’ho preso Edward? >> chiesi imbarazzata. 
<< Amore… >> le accarezzò il viso << …cosa importa? Quando sei entrata nella pancia della mamma, eri inaspettata ma sei nata dall’amore… >> in fin dei conti aveva ragione, avevo voluto bene a Lucas. Ed era pur sempre amore. << … sei cresciuta nell’amore. E hai illuminato la nostra vita… >> le baciò il capo. 
<< Ed io quando mangerò questo semino? >>. 
Spalancammo gli occhi all’unisono << Non prima dei quarant’anni! >> esclamò Edward infervorato. Esplosi in una risata << Ma che dici? >> ero senza parole. 
<< La verità. Nessun semino e niente fidanzato prima dei quarant’anni! >> oh mio Dio, non può dire sul serio! << Ma papi. Io non voglio nessun fidanzato. Quando divento grande, io mi fidanzo con te! >> annunciò. 
Sorrisi raggiante. Era così tenera! Edward si accese << Brava la mia bambina! >> disse stringendola tra le braccia. Gli stampò tanti baci sul volto << Niente fidanzati! >> ripeté convinto. La mia faccia diceva: “Ma che ti sei fumato?” e lui faceva finta di nulla. 
<< Amore avere un fidanzatino è una cosa bella. Facciamo vent’anni… >> provai. 
<< No. Papà dice che i maschi pensano solo a una cosa >> rimasi a bocca aperta mentre lui ridacchiava divertito. 
<< Ah sì? E a cosa? >> volevo picchiarlo! Non si poteva dire una cosa del genere a una bimba << A mettere la nocciolina nel buco delle noccioline… >> non potei trattenermi e gli diedi un calcio negli stinchi. Mi compiacqui nel vedere la sua smorfia di dolore << Farfallina, papà ti ha spiegato cosa vuol dire? >> stavo sorridendo. Era buffo nei panni del padre geloso. Mettere la nocciolina nel buco delle noccioline. 
Doveva aver bevuto quando lo aveva detto! << No… mi ha detto che me lo fa capire quando cresco >>. 
_______ 
Appena uscimmo dalla sua stanza, cominciai a tirargli sberle sulle braccia << Brutto cretino, stupido, deficiente, cerebroleso che non sei altro >> mi bloccò i polsi. Stava ridendo. Che faccia di schiaffi! << ‘Nessun fidanzato. Nessun semino. Mettere le noccioline nel buco delle noccioline’ >> lo scimmiottai furiosa << Non sapevo fossi violenta >> mi beffeggiò. Riuscii a liberare una mano e gliela schiaffai sul capo << Te la faccio vedere io l’aggressività. Ti sei bevuto il cervello? Quale sostanza scadente ti sei sniffato? Dimmi chi è il tuo spacciatore che lo querelo >> posò le dita sulle mie labbra << Abbassa la voce… >> consigliò. 
<< Ah… che nervi! >> lo strattonai e scesi al piano inferiore. 
<< Dai Isabella! >> mi rabbonì. 
<< Isabella, un corno! >> esclamai esasperata. Non ero arrabbiata, ero spiazzata forse in parte divertita da quest’aspetto di lui che non conoscevo, ma cavoli! 
<< Sei assurdo! Come… >> scoppiai a ridere portandomi una mano sugli occhi. 
<< Ha sei anni e le hai detto che gli uomini pensano solo a una cosa. Non sei normale >>. 
Sentii le sue mani arpionarmi i fianchi << Non vedo cosa ci sia di male >> mormorò sul mio volto << Che vuoi traumatizzarla! >> scherzai << Se questo non farà avvicinare nessun ragazzetto per me va bene >> gli pizzicai il torace. << Cretino! Quindi niente nipotini fino ai quarant’anni >> affermai. 
<< Giusto! >> confermò giocoso. << Ti rendi conto che prima o poi diventerà una donna… >> lo punzecchiai. 
<< Pff! Sarà sempre la mia bambina >> dichiarò. 
<< …ma avrà il seno, le mestruazioni e tanti ragazzi le moriranno dietro >> continuai. 
Fece una smorfia << Spezzerò le gambe a qualunque contenitore di ormoni sovraeccitati che le si avvicinerà… >> bofonchiò. 
Con un braccio mi circondò la vita, mi baciò una spalla e mi condusse nel suo studio << Allora… >> proruppe sedendosi dietro la scrivania ed io nella poltrona di fronte a lui. 
Accavallai le gambe sul tavolo << Comoda? >> domandò arcuando un sopracciglio << Molto! >> esclamai furba. 
<< Non so di cosa dovremmo parlare. Tu mi hai baciato. Io ti ho baciato. A me è piaciuto. A te è piaciuto o almeno l’ho dedotto dal: ‘E questa volta sarò io a baciarti' >> certe volte mi stupivo di me stessa per le botte di coraggio che avevo. 
<< Allora perché ho l’impressione che tu stia cercando di mettere distanza fisica tra di noi? >> mi sfidò. Perché altrimenti potrei saltarti addosso. 
<< Non è vero! >> obbiettai. 
<< Sì invece! >> con me fossi stata punta, scattai in piedi. 
<< Vorresti che mi spalmassi su di te? Bene! >> senza troppe cerimonie, mi misi cavalcioni sulle sue gambe. 
Lo guardai compiaciuta << Non ti metto a disagio, vero? >> lo avevo fatto imbarazzare, dovevo scriverlo sul calendario! 
Sorrise beffardo << Per niente… >> mi circondò il corpo con le braccia per accostarmi ulteriormente a lui. 
<< Dovrai farci l’abitudine >> consigliai. 
<< A cosa? >>. 
<< Allo smalto nero che uso, alla mia biancheria intima -poco sexy- con stampe d’animali, al fatto che sono l’unica donna maggiorenne che riesce a farti ridere. Ed io dovrò fare il callo con il tuo dispotismo ma mi fai stare bene… >>. 
Era così giusto stare con lui. 
Più passava il tempo e più sentivo la voglia devastante di conoscere ogni suo pensiero. Mi faceva sentire viva! 
<< Bè… mi sono già abituato… >> mi baciò un braccio. 
Feci scorrere una mano tra i suoi capelli e con l’altra sfiorai le occhiaie dovute alla stanchezza << Meglio così. Com’è andata la trattativa di cui parlavi? >>. 
<< Bene ma è stata sfiancante. Non ho fatto altro che contrattare con dei filippini. Erano così testardi che per poco non li ho mandati a quel paese… >>. 
<< Ma tu sei stato più ostinato di loro e hai ottenuto ciò che volevi >> dichiarai certa << Già… >> sussurrò soddisfatto. 
<< Sto imparando a conoscerti >> dissi fiera di me. 
Sospirò pesantemente mordendosi le labbra. Da quando ti mordicchi le labbra? Se vuoi, posso farlo io. Mi guardava con quella luce negli occhi. Sapevo che stava per baciarmi. Lo sentivo. E volevo che lo facesse. 
Il silenzio attorno a noi era carico di tacite promesse, così come le sue mani che mi strinsero le gambe quasi a farmi male. Per quanto assurdo fosse la nostra era una battaglia muta. E tutta questa sua lentezza studiata, mi torturava. 
Era un dolce tormento, mi portava sull’orlo della pazzia con il suo dire tutto e niente. Sospettavo che sapesse quanto il suo essere enigmatico mi attirasse come un’ape dal miele. 
Mai come questo momento mi sembrò che mi stesse seducendo con i suoi sorrisi intriganti e le occhiate lascive. 
Quando la sua bocca venne a contatto con le mia, fremetti! Non me ne intendevo molto ma cavolo! Ci sapeva fare. 
Ero confusa dalla situazione strana. E nonostante non fossi un’esperta, fu naturale per le mie mani –anche se un po’ impacciate- percorrere la schiena tonica come le braccia, il collo e finire tra i suoi capelli sulla nuca. 
Percepii uno spostamento d’aria, il mio sedere che si trovò a contatto con qualcosa di duro e il mio corpo che lentamente si sdraiava sotto il peso del suo. Ogni terminazione nervosa gridava: “Di più!”
Non avevo capito fino in fondo l’espressione “ghiaccio bollente” fino a quel momento. Edward di primo acchito poteva sembrare freddo ma non appena mi sfiorava, scaricava il suo desiderio sul mio corpo che a sua volta m’incendiava. Edward era ghiaccio bollente. 
<< Ahi! >> gemetti dolorante. 
Si allontanò per capire cosa fosse successo. Aveva la camicia allentata e i primi bottoni della camicia aperti. Ero stata io? 
<< Stai bene? >> bisbigliò posando le labbra sulla tempia, la guancia, il naso. 
Allungai un braccio dietro la schiena per capire cosa mi avesse fatto male. 
Ridacchiai << Il tuo tagliacarte ha cercato di uccidermi >> boccheggiai. 
M’imitò strappandomi un bacio fugace. 
Mi stesi sulla scrivania e scoppiai a ridere << Che c’è? >> domandò confuso. 
<< Sei uno sfacciato! Non mi hai mai invitato a uscire e già mi fai sdraiare sulla tua scrivania! Complimenti. Ed io che credevo che fossi un gentleman >> lo schernii. 
Si unì a me per poi scendere a baciarmi il collo << Poco cavaliere. Questa mi mancava >>. 
<< Ahi! >> strillai appena mi morse la clavicola. 
<< Sei un cannibale! >> lo accusai. << Pure! >> in uno scatto repentino afferrò i miei polsi e me li portò sopra la testa << Sai non vorrei essere io a dirtelo ma non sei una piuma >> aggiunsi divertita << Le tue parole mi commuovono… >> ironizzò. 
<< Se vuoi continuo. Despota, grasso e per niente galantuomo >> lo strattonai per liberarmi << Ritira quello che hai detto! >> ordinò. 
<< Scordatelo macho man! >> risi ancora più forte. 
<< Dovrò vendicarmi… >> mi minacciò. 
<< Altra voce alla lista: non sei per niente convincente! >>. 
Sorrise malizioso. Con la punta del naso disegnò il profilo della mia mascella arrivando all’orecchio. Mi mossi come un’anguilla quando iniziò a morderlo. 
<< Smettila, smettila! >> incespicai senza fiato. 
Tentò di baciarmi ma presi tra i denti il suo labbro inferiore << Dovrò lottare? >> domandò con lo sguardo di chi stava accettando la sfida. << Non sono accomodante… >> sussurrai per sfiorargli delicatamente la parte lesa << Sono tenace, ragazzina >> mi lasciò andare si sedette e mi fece scivolare su di lui. Gli diedi uno schiaffo sul braccio << Non chiamarmi così! >> imposi. 
Alzò gli occhi al cielo come se avessi detto qualcosa di scontato. Prese ad accarezzarmi il braccio lascivamente. Si rendeva conto di ciò che faceva? 
<< E’ così strano… >> bofonchiai imbarazzata << … ho paura >> ammisi a sguardo basso << Isabella guardami >> lo feci << Di cosa precisamente? >> continuò. 
<< Non lo so. Non so come comportarmi, cosa è giusto o sbagliato. Certe volte potrei sembrarti fredda e so così poco di te… ti piacciono i nomignoli? Che so… potrei chiamarti banano >> buttai lì scherzosa. 
Sbarrò gli occhi reprimendo una risata << Banano? >>. 
<< L’albero delle banane >> dissi ovvia e divertita. 
<< No! E’ raccapricciante quanto biscottina >> affermò per poi ridere. 
<< Già >>. 
<< Quindi niente nomignoli. Meglio così salvo che tu non voglia >> constatai. 
<< Tu vuoi che ti porti a cena fuori? >> cambiò discorso. 
<< Nah… in primo luogo nessuno dovrà sapere di questa cosa prima di Renoir, in secondo luogo se uscissimo insieme, la mia bellezza disarmante attirerebbe troppi sguardi… sai com’è… >> sdrammatizzai arrogante. 
<< Piacere di conoscerla Modestia >>. 
<< Modestia è il mio secondo nome e il piacere è tutto suo, Spaccone >>. 
<< Quanto siamo indisponenti, ragazzina >> mi pungolò. 
<< Bé, >> sfregai il naso contro il suo << ti tengo testa, ti piaccio per questo >>. 
<< Può anche darsi… >> lo tirai per la cravatta << Non ti dispiace se mi trasformo in un contenitore di ormoni sovraeccitati? >> lo presi in giro << Me ne farò una ragione… >> disse con fare rassegnato. 
<< Cretino! >> esclamai baciandolo ancora una volta. Perché non farlo? Ormai ero libera. 
<< Però sei carino, consolati… >> gli scompigliai i capelli. 
<< Io direi affascinante >> mi corresse. 
<< Arrogante! >> mugugnai. Inspirai profondamente ed espirai << Che facciamo adesso? >> tornai seria << Lei la prenderà bene, vero? Non sarà troppo? >> continuai. 
<< Che intendi dire? >>. 
<< Pochi mesi fa conosce sua madre e poi questa donna frequenta suo padre. E’ una cosa che sconvolgerebbe anche me! >> spiegai. 
<< Hai detto anche tu che è un suo desiderio >>. 
<< Sì, lo so. E’ la confusione a parlare >> borbottai. 
<< Quindi niente primo appuntamento… >> sussurrò per tornare a un argomento più leggero << Bè… potremmo fare le cose che fanno le persone come noi quando Renoir saprà. Basta che non mi porti in un ristorante in cui ci sono cinque portate e a fine di serata avrò ancora fame… >>. 
Sorrise e portò entrambe le mani tra i miei capelli << Che c’è? >> bofonchiai impacciata << Le persone come noi? >> domandò. 
<< Bè… sì, le persone che… >> mi metteva sempre in difficoltà! 
<< Stanno insieme? >> disse per me. 
Sbiancai e più volte cercai di dire qualcosa ma alla fine non emettevo nessun suono << Stai bene? >> chiese stranito. 
Deglutii a vuoto << Tu cosa intendi con “stare insieme”? >> esalai paonazza. 
<< Potrei farti la stessa domanda… >> infame! Sempre a me la patata bollente! 
Inspirai profondamente e mi scostai per poterlo guardare negli occhi. Aveva gli occhi lucidi, attraenti, belli e il suo sorriso era così indecente da farmi impazzire. 
Una piccola parte di me, aveva vagliato l’idea di scappare a gambe levate. Le paroline “stare insieme” mi aveva fatto imperlare la nuca di un leggero strato di sudore. Non avevo potuto far nulla per trattenermi. La strizza mi stava facendo andare nel panico. 
<< Vediamo… >> mormorai con voce strozzata << Non sono pratica di queste cose dobbiamo per forza dare un nome a questa cosa? Potrei dirti il mio punto di vista… >>. Avevo la tremarella << Mi piacerebbe fare questo… >> lo stritolai nel mio abbraccio << ... questo… >> sciolsi l'abbraccio, unii i palmi delle nostre mani e lentamente intrecciai le nostre dita << … e anche questo… >> gli stampai un veloce bacio << …vorrei che percepissi quanto mi fa bene il calore del tuo corpo e che le tue carezze leniscono le ferite della mia anima. >> gli diedi un buffetto sul naso << Vorrei poterti dire che sei speciale, che da quando ci sei tu e nostra figlia la mia vita è piena di colore. Che il mio corpo quando è sfiorato da te si elettrizza e vorrei poterlo fare alla luce del sole, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. Questo significherebbe per me stare con te >> oddio mi sono lasciata prendere la mano! Certo sono partita come un tir. 
<< Senti… >> mi alzai in piedi << …lascia stare. E’ tardi, siamo stanchi, io il novantanove virgola nove percento delle volte non so quel che dico. Buonanotte… >> tentai di scappare, come sempre. E quando mi riacchiappò portandomi di nuovo su di lui, mi resi conto che tutte le volte ero fuggita perché volevo che lui mi trattenesse. 
<< Per la mia sanità mentale, dovrai smettere di correre via dopo aver detto qualcosa… >> sussurrò al mio orecchio facendomi rabbrividire. 
<< Ci proverò, non ti garantisco nulla… >> sbuffai << …e comunque io ho davvero sonno e volevo farti elaborare ciò che ho detto… >> dissimulai. 
Sentii il suo sorriso aprirsi sulla mia pelle << Ti accompagno nella dependance >>. 
Ci incamminammo in silenzio, in parte imbarazzati. 
<< Quando troveremo il modo di dirlo a Renoir e poi faremo tutto quello che vuoi >> mi rassicuro baciandomi il dorso della mano. 
<< A questo proposito, sei d’accordo con me sul far passare almeno qualche settimana… >> preferibilmente qualche mese << … prima di farlo. Vorrei che fossimo sicuri di quello che facciamo prima di comunicarglielo. Per quel che ne sappiamo, non ci conosciamo bene e domani potrei mandarti a quel paese e tu fare lo stesso… >> chiarii << Hai intenzione di mandarmi a quel paese? >> domandò scettico. 
<< Che so… >> scrollai le spalle << …se dovessi parlare di noccioline e posti appositi, potrei pensarci…banano… >> lo avvertii. << Andiamo… è stata la prima cosa che mi è passata per la mente! E non chiamarmi così >> si difese. Arrivammo alla dependance << Tu non ricordaglielo più che se ne dimenticherà >> o almeno ci speravo. 
<< Bé… buonanotte, ci vediamo domani mattina… >> sussurrai. 
<< Notte >> ricambiò. Come ci si comporta in questi casi? 
Feci un passo indietro e poi un altro finché non mi ritrovai dentro la casetta e indecisa chiusi la porta. Vi poggiai la schiena contro e portai una mano al petto. Non riuscivo a crederci. Mi scappò una risata. 
<< Al diavolo! >> uscii in giardino, notai la sua figura di spalle e gli corsi incontro. 
<< Edward… >> lo ferma per un braccio e lo costrinsi a voltarsi. Non gli permisi di parlare che mi arrampicai su di lui stile koala << Non dire niente… >> sussurrai impacciata prima di dargli la giusta buonanotte.
__________ 
Ringrazio di cuore Kairi_Wolf. La sua recensione mi ha fatto sorridere così tanto che per un momento le guance si sono bloccate. Grazie. E ovviamente ringrazio tutti voi. Sono stata crudele la scorsa volta infatti in questo cap, non c'è nulla di sospeso. Troppa suspance vi rovinerà il fegato e vorrei evitare :) Forse molti di voi aspettavano con impazienza questo cap e sinceramente lo aspettavo anch'io. Ammetto che mi sarebbe piaciuto scriverlo fin dal primo cap, ma è anche vero che non sono tipo da bacio istantaneo al prologo. Mi piace che i personaggi che rappresento, si capiscano prima. E in questo caso... awwww.... si sono capiti finalmente!!!!!!!!!!! Stappiamo lo spumante!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ahahahahhaha.... bene! 
Allora... la frase laterale che c'è all'inizio del cap è una strofa della canzone dei Paramore: The Only Exception, titolo che ho usato per questo capitolo. 
Ora vado.
 Smetto di dilungarmi. 
Vi lascio con una perla di saggezza: La nocciolina nel buco delle noccioline (ahhahahhah).
Se vi è piaciuto mi piacerebbe sentire le vostre opinioni. Un bacio immenso ovunque voi siate! Acalicad.

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Capitolo 16
*** Promesse d'amore ***


Ciao ragazze! Finalmente sono tornata con un nuovo capitolo! Non propriamente puntuale ma ci ho provato. In questo momento sono le 02:05. Bè oggi mi sono persa in un bicchier d'acqua tra arrivi, partenza, aeroporti, storie d'amore in nascita, in fase di stallo e ansia a tremila. Santo Dio! Credevo che non sarei mai riuscita a pubblicare. Invece sono qua! Nuova! Senza raffreddori, otite, ginocchia sbucciate e quant altro. ANche se credo che il 25 aprile farà altre vittime. Non lo so... si scoprirà solo vivendo! Vi ringrazio tutte quante per l'appoggio che mi avete dato. Siete state carinissime, dolcissime e avrei tantissime altre parole che terminano in "issime" ma dato l'orario evitiamo. Mi sento leggermente tramortita e non sono certa di scrivere questo piccolo messaggio bene. Ehm... che altro c'è d'aggiungere.... finalmente c'è il sole e io sono uscita dal mio letargo.... Comunque ritornando alla storia spero tanto che non abbiate perso l'interesse e se è così mi dispiace tantissimissimo ecc... come sempre ringrazio CloeJ per i suoi consigli che mi sono utilissimi oltre che per alcune correzioni. Ricordo , inoltre, che la cover è merito di Lalayasha. Buona lettura!
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Da bambina vedevo sempre nonna Marie e Renee parlare e scherzare di fronte a un bicchiere di vino. Non avrei mai pensato che dieci anni dopo mi sarei trovata nella cucina di Edward a preparare Margarita per me e Lilian.Erano le dieci di sera. Renoir era a letto già da molto tempo, Edward invece era ancora a lavoro. 
In questi pochi giorni, post primo bacio –sorridevo come un’ebete al solo pensiero- lui era impegnato con dei filippini e purtroppo rincasava tardi. Che palle! Non era giusto. 
<< Ehi, ragazzina, sicura di essere capace? >> col capo indicò il frullatore in funzione. 
<< Certo. Sono una barista >> dissi a voce alto per farmi sentire. 
<< Sono stata in Messico, ragazzina. So riconoscere se è buono o meno >>. 
<< Davvero? E com’è? Il Messico intendo? >> spensi il frullatore e presi dei bicchieri per sporcarli con il sale lungo il bordo. 
Trovare gli alcolici a casa era stato più difficile di quanto pensassi. Per fortuna c’era Lilian, una specie di cane da tartufo solo che annusava da dove provenisse l’alcool. 
<< Oh… meraviglioso. Soprattutto i messicani… >> scoppiai a ridere passandole uno dei cocktail. Lo assaggiò ma non disse nulla. 
<< Andiamo Lily, ammetti che ti piace! >> la spronai. Aggrottò la fronte << Come mi hai chiamato? >> domandò. 
Arricciai il naso appena sentii il gusto amaro del lime << Tu mi chiami ragazzina, io ti chiamo Lily. Puoi decidere o Lily o nonna >>. 
Spalancò gli occhi << Non oseresti! >> mi sfidò. Ridacchiai furba << Puoi ripetere, nonna? >> chiesi vittoriosa. 
<< Oh… va bene. Chiamami Lily >> sbottò svuotando il bicchiere. 
<< Okay nonna… >> mi fulminò << …volevo dire Lily, ma tu calmati. Hai pur sempre una certa età. >> scherzai. 
<< Oh… ragazzina! >> mi tirò un canovaccio sul viso << Non tirarmela! >> mi riprese divertita. Sollevai le mani in segno di difesa << Va bene Lily. Altro giro? >> sventolai il bicchiere del frullatore << Certo ragazzina. E questa volta sii più generosa >> consigliò. 
Alzai gli occhi al cielo << Okay, ma tu non dovevi andare a cena? >> le ricordai. 
<< Sono le dieci. E’ ancora presto >> schiacciò un occhio maliziosa. Era sempre più simpatica << Un corteggiatore? >> domandai non facendomi gli affari miei. 
<< Un amico >> ammiccò ancora una volta. 
<< Allora ragazzina, parlami di te >> m’incito. 
<< Okay, fa niente. Sono una studentessa universitaria e sono la madre naturale di Renoir >> dissi ovvia. 
<< E cosa studi? >> domandò. 
<< Ingegneria aerospaziale >>. 
<< Sei una cervellona? >> tutto sembrava tranne una donna sessantenne. 
<< Dipende da cosa intendi per cervellona >> dissi scherzosa. 
<< Niente lascia stare… quindi che farai… >>.
<< Costruirò aerei >> affermai euforica. 
<< Complimenti ragazzina… >>. 
<< Grazie >>. 
<< Posso sapere cosa ti ha spinto a scegliere la strada dell’adozione? >> chiese di punto in bianco. Mi lasciò di sasso. 
Svuotai il sacco. 
Raccontai tutto grossomodo e alla fine mi sentii un po’ più leggera. 
<< La pressione dei miei genitori e altri fattori mi hanno fatto cedere… >> conclusi. 
<< Non disperarti, non fare la femminuccia >> rispose. 
<< Ma io sono una femminuccia >> le feci notare. 
<< No Isabella, non lo sei. Ognuno nella vita ha il proprio fardello. Ormai è accaduto e logorarti non serve a molto. Sei caduta, hai sofferto e ora è il momento di riprendere in mano la tua vita al fianco di tua figlia. I genitori sbagliano spesso e non se ne rendono conto, come Esmeralda è rimasta la snob di sempre >> sussurrò. 
<< Già. Quindi non mi disprezzi? >> chiesi incerta. << Perché dovrei biasimarti? >>. 
<< Non so… per quello che ho fatto… >> tentai incerta. 
<< Non credo tu abbia fatto nulla di sbagliato. Hai cercato tua figlia per rimediare agli errori dei tuoi familiari. Se ti riferisci all’avermi accusato di essere anziana… è storia vecchia. E per il botox, domani andrò dal chirurgo e farò il diavolo a quattro >> ridacchiammo. Ero felice. 
<< Davvero gli hai buttato addosso dell’acqua gelata? >> cambiò discorso. 
<< Già… >> bofonchiai imbarazzata. 
<< Si conquistano così gli uomini Cullen. Il nonno di Edward, la prima volta che ci incontrammo, lo presi a ceffoni. Che bei tempi… >> mi trattenni dal ridere. << Bei tempi? >>. 
<< Sì, certo! Carlisle Senior era uno di quegli uomini che prima mi faceva venir voglia di picchiarlo e dopo di baciarlo allo sfinimento… >> tutto il nipote
<< Caratteristica ereditaria… >> brontolai alzando gli occhi al cielo. 
Mi lasciò un’occhiata divertita. 
<< Bene! Ora che abbiamo chiarito tutto, brindiamo a Esmeralda >> annunciò. 
<< Esme? Posso chiederti perché la chiami col suo nome di battesimo? >>. 
<< Perché lo odia. >> sghignazzò << Allora brindiamo al suo essere bigotta, fuori luogo, sconclusionata… >> continuò. 
<< Crudele >> aggiunsi divertita. 
<< Snob, frivola… >> disse lei. <
< Non saremo cattive? >> chiesi divertita. 
Ci guardammo negli occhi << Nah… >> obbiettò per poi scoppiare a ridere. 
Bevve in un sol sorso a differenza mia e prontamente riempì una seconda volta il mio bicchiere. 
<< E brindiamo anche agli uomini Cullen. Gentili, generosi… >> continuai. 
<< Belli e affascinanti >> dichiarò. 
<< E grandi ascoltatori! >> terminai. I bicchierini tintinnarono fra loro e buttammo giù dell’altro vino. << Cosa c’è tra te e mio nipote? >> arrivammo al terzo giro. Ero decisamente su di giri. Se fosse rimasta per molto tempo, il mio stomaco si sarebbe abituato alle quantità di alcool che ingurgitavo insieme con lei. Non ero ubriaca ma ero in quello stato prima della sbronza in cui si aveva la testa vuota. 
Sbiancai. Mi ha fatto bere perché fossi meno vigile e svuotassi il sacco
<< Edward è molto gentile >>. 
<< E vi piacete >> m’irrigidii. La voglia di dirle che ero stanca era molta ma sarebbe stata un’ammissione << Lily, sarò franca, anche perché sono brilla e non posso fare altrimenti. Sei una brava donna e ti rispetto, ma non gli starò lontano solo perché tu me lo chiedi >> dissi seria. 
<< Perché dovrei dirti di stargli alla larga? A me importa che i miei nipoti siano felici. E poi come potresti? Quell’uomo è bello come suo nonno. La sua copia! >> affermò corrucciata. 
Con il dito medio tracciai i bordi del bicchiere, persa nei miei pensieri << Ragazzina, non ti dirò che se farai soffrire mio nipote ti scoverò per poi torturarti a morte, Edward è un uomo ed è capace di badare a se stesso e tu sei una persona garbata… >>. 
<< Lily cosa vuoi dirmi? >>. 
<< Che rendi felice mio nipote e non m’importa della tua età, non farti influenzare da quella stronza di Esmeralda >>. 
<< Ti ringrazio >>. 
<< Bene. Ora che ne dici di dirmi da quanto tempo dura? >> altra freddura inaspettata. 
<< Non so di cosa tu stia parlando >> mentii con nonchalance. 
<< Certo… ogni volta che vi vedo insieme, sembrate usciti da uno tsunami >>. 
<< Non è possibile! >> continuai sulla via della falsità. 
<< Se lo dici tu, ragazzina. Ricorda di non mentire mai più: non ne sei capace. Adesso vado, altrimenti Serge s’indispettirà >> trillò. 
Appena andò via, raccattai il mio bicchierino e mi trascinai in salotto.
 Domani, sarebbe stato atroce svegliarmi, per fortuna era venerdì e poi ci sarebbe stato il weekend. Niente scuola, niente pettegole, tanto tempo per dormire e forse Edward non sarebbe stato impegnato con il lavoro. 
Non avevamo dormito insieme, se Renoir fosse entrata nella sua stanza nel cuore della notte, non avremmo saputo come spiegarle la mia presenza; e di certo non poteva venire nella dependance lasciandola sola in casa. 
Lui era così…intrigante. Se fosse stato solo bello, me ne sarei fatta una ragione, molti erano belli, ma lui era affascinante e carismatico. 
<< Ancora sveglia? >> saltai in aria come una cretina. Edward. 
Era davanti a me e la sua mano sul mio viso. 
<< Ciao… >> sospirai sognante. 
Lo vidi increspare il naso << Hai bevuto! >> esclamò. Ridacchiai tirando su di me << Già. Tua nonna risveglia il diavolo che c’è in me >> esalai baciandolo con audacia. 
<< Prosciugherà tutto l’alcool che c’è in casa >> scherzò. 
<< Bentornato… >> ammiccai baciandolo. 
Sorrise << Tequila >> notò malizioso passando la lingua sulle mie labbra. Ribaltai le nostre posizioni mettendomi cavalcioni su di lui << Sei ubriaca? >>. Scossi il capo con troppa enfasi << Sono euforica >>. << Un po’ troppo su di giri >> constatò. 
Annuii sicura << Com’è andato il lavoro? >> mi mordicchiai le labbra mentre le mie mani cominciavano a formicolare. Le passai sul suo torace. Ero certa di avere l’espressione di una bimba quando scartava il suo regalo di compleanno. 
<< Bene. Il progetto sta andando in porto… >> spiegò << …anche perché… >> si fermò e mi osservò con un sopracciglio inarcato << Che stai facendo? >> domandò divertito. 
Sgamata! 
Gli avevo sfilato la cravatta già da un pezzo e con fare sensuale –almeno ci provavo- lo stavo liberando della camicia, era giunta al secondo bottone. Percepii il suo stupore ma non disse nulla. Gli accarezzai il collo con un polpastrello. Più continuavo più la mia frenesia aumentava. Eppure sapevo di essere padrona di me, nonostante il mio stomaco fosse sottosopra per i bicchierini e le mie mani tremassero. Non ero abituata a simili contatti. In quei giorni non mi ero spinta a tanto –se così si poteva definire- ma ora ero più audace appunto per l’alcool. 
Era la prima volta così come la paura quasi soffocante, ma non era terrore o panico. Era quel timore che si aveva prima di fare qualcosa di emozionante. Di certo non mi sarei spinta più in là del “pomiciare”, non ero pronta e non sapevo se lo sarei mai stata. Per me era già tanto che avessi spento il cervello e lo stessi spogliando. 
<< Ti sto spogliando! >> dissi sottovoce. 
<< Ma davvero? >> portò le mani sui miei fianchi disegnando dei ghirigori con le dita. 
<< Già >> mormorai compiaciuta. 
<< Non sapevo del tuo spirito d’iniziativa >> scherzò. << Macché… lo faccio solo per te! >> bugia! 
<< Sarai scomodo… >>. 
<< Sei ubriaca >> ripeté. 
Feci di no col capo e scivolai dalle sue gambe per mettermi in piedi << Non lo sono. Vieni con me… >> sussurrai porgendogli la mia mano. 
Sorrise. 
Un sorriso bello. 
Uno di quelli che diceva “sta tranquilla, prenderò sempre la tua mano”, che gridava “domani mattina ci sarò” e “voglio essere il tuo futuro, nonostante tutto”
La consapevolezza mi riempiva il cuore di gioia. Camminai all’indietro mentre lui mi seguiva con le nostre mani intrecciate. 
<< Dove andiamo? >> chiese come se lo stessi ammaliando. Trovavo buffo che mi ponesse questa domanda. In fondo era casa sua, dove pensava lo portassi? 
<< Ti fidi di me? >> risposi. 
Non staccai gli occhi dai suoi e aprii la porta d’ingresso. 
<< Smettila… >> biascicò. 
<< Di fare cosa? >> lo stuzzicai. 
I nostri corpi vibravano per la tensione che emanavano. Attorno a noi aleggiava l’odore dell’attrazione e del desiderio. Era difficile non desiderare un uomo come Edward. 
Arrivammo al bordo piscina. 
Il mio sorriso si ampliò << Bagno in piscina? C’è freddo >> mi rammentò. Era settembre e cominciava a fare fresco ma non m’importava granché. Gli sfilai la giacca << Hai freddo? >> la lasciai cadere ai suoi piedi. 
<< Isabella… >> mi stava rimproverando? Perché altrimenti non mi facevo problemi a ridergli in faccia << Di cosa hai paura? >> continuai a pungolarlo. 
<< Non ho paura >> affermò sincero. 
<< Allora cosa c’è? >> lo spronai avvicinandomi ulteriormente. 
<< Non so come comportarmi per non infastidirti >> mi accarezzò il volto. 
<< E’ vero. Quando mi abituerò, sarà tutto più facile. Però… >> passai le dita sotto il suo mento << …io ci sono e voglio esserci. Sono qui e sì, dovrai pazientare un po’, ma se non volessi fare questo… >> posai un bacio sul suo cuore << …non lo farei. Levati dalla testa che voglia compiacerti. Non lo farò mai, non su questo fronte… >>. 
Lo costrinsi ad abbassare il capo per arrivare alle sue labbra. Finalmente una reazione positiva! 
Quando la camicia fu aperta completamente, passai ai bottoni dei polsi. 
<< A questo punto credo che tu sia troppo vestita >> fremetti. 
<< Dovrai porre rimedio >> ero schifosamente sfacciata. 
Con calma fece scorrere le mani sul mio corpo per sfilarmi la t-shirt. Trattenni il fiato per la sua lentezza disarmante << Sei bellissima… >> bisbigliò. 
<< Nonostante i cagnolini? >> ridacchiai indicando il reggiseno. 
<< No, non è stato questo particolare a catturare la mia attenzione… >>. 
<< Meglio così… >>. 
Mi sfiorò il ventre e inevitabilmente mi morsi le labbra. Toccò il bottone dei jeans e lo sganciò. Ringraziai il cielo che non avessi le culottes bianche, non sarebbe stato l’ideale se fossero venute a contatto con l’acqua. 
Ci liberammo delle scarpe, i calzini e ci ritrovammo in intimo. 
Lo baciai perché era normale, semplice, mi piaceva. Rabbrividii appena toccai l’acqua con un piede e scesi un altro scalino di marmo << E’ un po’ fredda >> biascicai vagamente confusa. 
Mi scappò un sospiro strozzato. 
L’acqua si era riscaldata o era mia impressione? 
Con forza mi voltò il capo e attaccò le labbra sulle mie. Al diavolo tutto! Gli infilai una mano tra i capelli come se potessi avvicinarlo ulteriormente. 
<< Non preoccuparti… >> certo se io cominciavo a rimuginare, lo percepiva. Era normale? 
Mi scostai da lui per buttarmi in piscina con un’espressione birichina sul volto. 
<< No! >> esclamò capendo le mie intenzioni. Sì, sì, sì! 
<< Perché no? Non avrai paura di un po’ d’acqua… >> lo stuzzicai. 
Iniziò ad avanzare, con calma, come se volesse farmi salire i nervi. E un po’ ci stava riuscendo. Indietreggiai intimorita da ciò che avrebbe potuto fare e agii d’istinto: cominciai a bagnarlo. Tuttavia riuscì ad afferrarmi, mi portò su una spalla e mi schiantò sull’acqua. 
E dopo avermi gettata come un sacco di patate, ebbe l’accortezza di riacciuffarmi per farmi tornare a respirare. 
<< Tu… >> gli puntai un dito contro. Tossicchiavo e tenevo gli occhi chiusi per via del bruciore << …sei… sei… un cre… >> e con una grandissima faccia tosta, mi zittì baciandomi. 
Dio Santo se mi confondeva! 
Però era anche vero che non mi dispiacevano affatto certe sue iniziative. Mi adeguai e per un istante tentai di aggrapparmi al suo corpo con una mano, come se ci fossero stati i vestiti a farmi da ancora << Stupido! Un bacetto non mi rincretinisce, sta tranquillo… >> borbottai imbronciata. <
< Un bacetto? >> domandò stando al mio gioco. Scrollai le spalle menefreghista << Sì, era un bacetto… >> confermai. 
Punto sul vivo mi afferrò dal capo e mi diede un altro bacetto. Che poi i suoi erano tutto tranne che bacetti. Era come affrontare una tempesta armati solo di se stessi. Dopo ogni bacio, carezza o parola ne uscivo un po’ diversa. Era questa la sua particolarità. 
<< E questo com’era? >> stratosferico! Rifacciamolo per il resto della vita! << Mmm… così e così meglio di prima, potresti fare di meglio >> in realtà mi sentivo più ubriaca di prima. La tequila… pff! 
Sorrise e neanche una volta distolse lo sguardo dal mio. E quando sorrideva, l’insana voglia di mordergli le labbra mi uccideva. 
Non contento mi strinse maggiormente per la vita, fece scorrere le mani sui miei fianchi e poi sulle mie gambe costringendomi ad ancorarle attorno a lui. 
<< Cos’è una fase di preparazione? >> lo canzonai. Forse non era normale ma mi piaceva quando ci prendevamo in giro. 
Occhi incatenati, sfioramenti, parole sussurrate o non dette, quella sottile linea che ci aveva sempre visto vicini tanto da poterci toccare ma comunque opposti e tutti quei pensieri su come allontanarci, tutto ciò aveva portato a questo momento. Al non avere più paura. Perché mentre il silenzio attorno a noi abbracciava come una mamma con il suo bambino, le carezze delle sue mani mi stuzzicavano dolcemente e il suo viso si accostava sempre di più al mio, l’unica cosa che riuscivo a pensare era che stavo bene con lui. Sempre. 
Non mi baciò con impetuosità o prepotenza, ma con passione e dolcezza. Uno di quei baci che si scambiavano due persone che stavano insieme, senza per forza frenesia, che ti facevano arrossire per la tenerezza e le emozioni che ti provocava. 
Erano questi baci che ti toglievano il fiato. E in quel momento Edward si era preso tutto ciò che mi apparteneva a partire dal mio respiro. 
Wow, avrei voluto dire << Di cosa stavamo parlando? >> chiesi divertita. 
<< Niente d’importante… >>. 
<< Okay, ma... dovresti mettermi giù >> ridacchiai. Mi lasciò facendomi sedere sul bordo della piscina, tenni le braccia sulle sue spalle mentre le sue mani mi percorrevano la schiena fino ad arrivare alla spallina del reggiseno. 
No, gridò la mia razionalità. 
Non avevo paura. Era il panico del rivivere situazioni simili dopo tanto tempo. Non ero stupida, alla fine avremmo fatto sesso. Per quanto mi piacesse il contatto con lui, l’idea mi terrorizzava. 
Sarebbe stata una seconda- prima volta con tanto di dolore e tutto. Dopo sei anni, mi sarei stupita se non avesse fatto male o se avessi sentito qualcosa di piacevole. Appunto una seconda- prima volta! E avrei dovuto accantonare il pensiero che l’ultima volta ero rimasta incinta; ma ciò che più mi spaventava era l’eventualità di sentirmi sbagliata dopo. E a quel punto, conoscendo il caratteraccio che mi ritrovavo, sarei fuggita. 
Scacciai via quelle riflessioni e ritornai al presente. La bretella del reggiseno scese lungo il braccio e la stessa fine fece la sua gemella. 
<< Farò finta che tu non stia cercando di spogliarmi… >> dissi giocosa. Mi conosceva abbastanza bene da sapere che se mi fossi sentita a disagio, mi sarei opposta. 
Mi trafisse con lo sguardo, ripercorrendo ancora la mia schiena arrivando al gancetto del reggiseno. 
Non avevo mai avuto problemi con la mia nudità, altrimenti non avrei posato per Jean. Era anche vero che paragonarlo a Jean era assurdo. Trovavo più intimo un bacio che mostrarmi senza vestiti. Stavo bene con me stessa e con il mio corpo. 
E poi con Edward sembrava normale, come se mi vedesse nuda tutti i giorni, e non avevo neanche paura del suo corpo senza vestiti. 
Lasciò una scia di piccoli baci lungo il collo e rabbrividii, ma non per il freddo. 
Mi piacevano le sue attenzioni. Era tutto una scoperta per me. 
<< Hai freddo? >> chiese. 
<< Edward… >> mugugnai. 
Lo sentii ridere, probabilmente perché sapeva che con me avrebbe dovuto ripartire da zero. 
Sospirò pesantemente, come se fosse tornato alla realtà, la sua mano sulla mia schiena abbandonò il gancetto e tornò a guardarmi negli occhi << Che c’è? >> domandai in un sussurro. 
Sembrava quasi si stesse frenando, forse stavo tirando troppo la corda. 
Mi accarezzò i capelli spostandomeli dal volto << Andiamo dentro… >> supplicò e quasi mi costrinse a baciarlo. 
Annuì confusa. 
Con uno scatto agile uscì dalla piscina e quando fu in piedi tese una mano in mia direzione. 
Ammirai il suo corpo << Sei bello… troppo… >> sorrise quasi imbarazzato. 
Appena fui al suo fianco lo baciai << Che facciamo? >> chiesi sulle sue labbra. 
Raccolse i nostri vestiti e senza dire una parola mi aiutò a indossare la sua camicia << Grazie >>. 
<< Non c’è di che… >>. 
Iniziò col giochino a cui lo sottoposi poco prima. Con i polpastrelli creò linee immaginarie sul mio busto per poi cominciare ad abbottonarla partendo dal basso. Tenne lo sguardo fisso nel mio. Appena concluse mi squadrò da capo a piedi. 
<< Ti piace quel che vedi? >> sbottai divertita. 
<< Non sai quanto. Ora sei perfetta… >> disse sulle mie labbra. 
<< Bagnata e con una camicia bianca appiccicata addosso? >>. 
<< Anche… >> rise malizioso. 
Quando si allontanò, prese dei teli sulle sedie a sdraio. Ne mise uno attorno al suo corpo e con l’altro mi asciugò i capelli << Tra noi due non sono io quello bello… >> bisbigliò sorridente. Bugiardo
E mi prese per mano in un gesto semplice ma d’impatto. 
Dentro casa ci sedemmo sul divano. 
Poggiai il capo sul suo petto e lui mi circondò le spalle con un braccio. 
<< Hai freddo? Vuoi qualcosa di caldo? >> domandò premuroso. 
<< No. Sto benissimo >> lo rassicurai. 
Restammo in silenzio per un po’ mentre io passavo le dita sul suo torace << Edward? >>. 
<< Sì… >>. 
Parlavamo come se avessimo paura che qualcuno potesse sentirci. 
<< Penso che dovremmo metterci d’accordo su come spiegare la mia improvvisa comparsa. Ci sono due donne che mi perseguitano. Ogni volta che mi vedono, mi defilo con una scusa. E le insegnanti… quelle single sbavano per te… >> sbuffai. 
<< Gelosa? >> mi provocò mentre la sua mano mi accarezzava le gambe a loro volta sulle sue. 
Era un momento così intimo… 
Scossi il capo in segno negativo << Sono d’accordo sul “guardare e non toccare” >> obbiettai. 
<< Nuova filosofia? >>. 
<< Forse, sai com’è… non ho intenzione di ammattire perché tu sei un figo da paura e l’universo femminile lo nota… >>. 
<< Figo da paura? >>.
 << Linguaggio giovanile, ma che ne puoi sapere tu… pff! >> lo beffeggiai. 
Non vidi la sua reazione ma fui certa che alzasse gli occhi al cielo << E comunque è indiscutibile che tu sia affascinante. Quindi, no, non sono gelosa… >> dissi soddisfatta. <
< Meglio così… >>. 
<< Meglio così, una mazza! Di certo non ti starò col fiato sul collo, la sola idea repelle anche me, ma non darmi motivo di essere gelosa >> lo avvisai scherzosa. << Davvero? >> voleva fossi più convincente? 
<< Già. Ti ucciderei nel modo più doloroso che possa esistere >> mentii scherzosa. 
Rimase in silenzio come se cercasse di capire quanto fossi seria. 
<< Cretino! In senso figurato… >> ridacchiai. 
<< Salvo che non ti trovo con un'altra, a quel punto ti castrerei… >> no, Edward, non era un tipo da tradimento. Piuttosto mi avrebbe lasciato prima. 
<< Mi prendi in giro? >> mi morsi le labbra per evitare di ridere sguaiatamente. 
<< Se non lo farai mai perché hai bisogno di saperlo? >>. 
<< Così… >> bofonchiò. Gli diedi un buffetto sulla guancia << Certo che gioco. Non arriverei mai alla violenza fisica, se mai mi tradissi >> confessai. 
<< E cosa faresti? >> continuò interessato. 
<< Uscirei dalla tua vita. Andrei via senza voltarmi indietro, senza darti la possibilità di far nulla. E se prendo una decisione, la mantengo >> sussurrai seria. Lo lasciai interdetto, forse non si aspettava una risposta del genere o un tono così rigido. 
Inclinai il capo e gli diedi un bacio a fior di labbra << Ma di questo non dobbiamo preoccuparci. Non mi faresti mai una cosa del genere. Ora torniamo a cose più importanti >>. 
Gli accarezzai i capelli un po’ umidicci << Allora… inizio io! >> proruppi intrecciando una mano alla sua. << Vai pure! >>. 
<< Nessuno sa che è stata adottata. E qualcuno sa che sono la madre, ma che non stiamo insieme. Perciò l’idea che si sta diffondendo è che noi sei anni fa abbiamo avuto un rapporto sessuale da cui è nata Renoir. Giusto? >>. 
<< Sì! >> confermò. 
<< Qual era la mia età, sei anni fa? >> continuai. 
<< Quindici. Perché? >>. 
<< E tu quanti anni avevi? >> domandai ignorando la sua curiosità. 
<< Ventiquattro >> dichiarò ovvio. 
<< Bene. Forse lo saprai, ma io te lo ricordo. Per la legge è reato. Tu eri maggiorenne ed io no. Avresti dei problemi e non legalmente -a meno che non sia io a denunciare qualcosa che non è mai avvenuto- però se cominciassero a girare queste voci, la tua immagine ne risentirebbe. La gente vede ciò che vuole… >> sussurrai cupa. 
<< Non accadrà, Isabella… >> mi rassicurò. 
<< Come fai a saperlo? >>. 
<< Secondo te permetterei che tu e Renoir foste esposte in questo modo? >> strinsi la sua mano << Non era questa la mia domanda >> sussurrai al suo orecchio. 
<< Ognuno ha i suoi metodi, Isabella… >>. 
<< Denaro… >> supposi. 
<< E amicizie influenti… >> continuò. 
<< E quale spiegazione daremo. Perché sono tornata dopo sei anni? >>. 
<< Renoir è sempre stata molto schiva su quest’argomento >>. 
<< Che vuol dire? >>. 
<< Che sin dalla più tenera età, ha ignorato bellamente chi le chiedeva dove fosse la sua mamma. >> feci una smorfia, fu come ricevere un calcio allo stomaco << Quando aveva quattro anni mi chiese perché non aveva una madre come i suoi compagni d’asilo… >> altro colpo al cuore che mi fece inumidire gli occhi. 
<< Che… che le hai detto? >> balbettai. 
<< Che era una bambina speciale, grossomodo le spiegai che era stata adottata. Francamente non ricordo le parole che usai, ero agitato e… vederla star male è l’unica cosa capace di uccidermi. Quel giorno stesso la portai da un terapeuta. Ero terrorizzato a morte. Invece la prese bene. Le chiesi come stava. La sua risposta mi stupì: “Sei il mio papà” disse, come fosse una bambina adulta. E’ straordinaria ed è mia figlia… >>. 
<< E’ tua figlia… è tua figlia… >> mormorai abbracciandolo con forza. Non cambiare mai, neanche se dovesse deluderti. Per un istante ricordai Charlie. Ero stata la sua principessa. Poi rimasi incinta… 
La mia frustrazione stava giungendo a livelli astronomici << Non è giusto… >> bofonchiai. 
<< Che io non sia stata con lei… >> sospirai. 
<< Poche cose nella vita sono giuste… >>. 
<< Non rientriamo tra esse? >> chiesi cauta. 
Sentii le sue labbra sul palmo della mano << Sì… >> disse talmente piano che a stento lo capii. 
<< Cosa diremo? >> mormorai. 
<< Non saprei… >>. 
<< Santo Cielo! Nessuno ha diritto di sapere. Se dessimo delle spiegazioni, è come se ci giustificassimo. E perché dovremmo farlo? Lasciamo che pensino ciò che vogliono. Quello che daremo servirà solo a far dire: “Bugiardi”, così s’inventeranno qualcosa stile Beautiful. Sono la madre di Renoir, punto! >>. 
<< Isabella… >> mi riprese per il tono vagamente infantile. 
<< Dimmi che sono una bambina e mi comporterò da tale >> lo avvisai imbronciata. <
< Mi hai detto che quelle donne cercano di farti delle domande… >>. 
<< Sì >> confermai. 
<< E la prima volta cosa ti hanno chiesto? >>. 
<< Dove ero stata negli ultimi anni e roba simile… >> continuai. 
<< Ecco. Devi preventivare che faranno questa domanda solo quando sarai da sola. Sono una persona molto riservata sulla mia vita privata e nessuno si permette di essere così invadente, incuto timore… >> sbuffò. 
Edward trasmetteva timore? Andiamo… era Edward… 
<< Cosa stai cercando di dirmi? >>. 
<< Che non voglio che tu sia messa in difficoltà… >>.
 << Mettermi in difficoltà? >> non comprendevo. 
<< Se ti dovessero chiedere dove sei stata, non puoi tentennare o deviare il discorso all’infinito… >> che palle quando hai ragione! 
<< Cosa proponi? >> cedetti. 
<< Ci sto riflettendo… >>. 
<< Che ne dici della verità un po’ falsata? Non ci sono stata. Diremo che ero all’estero e sceglieremo il paese che più ci aggrada. E’ una risposta vaga e nessuno farà altre domande per non apparire inopportuno. Ci siamo conosciuti a Chicago e abbiamo avuto una relazione da cui sono rimasta incinta; nonostante ci fossimo lasciati, abbiamo deciso di comune accordo di non interrompere la gravidanza e sempre insieme abbiamo scelto di farla crescere con te per la sicurezza economica che potevi darle. Tra me e Renoir, seppur la distanza, c’è stato un rapporto madre-figlia. Qualche mese fa sono tornata a New York e tu sei stato gentile da ospitarmi a casa tua. Se vuoi la ciliegina sulla torta per spiegare la nostra relazione… stando a stretto contatto si è riaccesa la scintilla e ora eccoci qui! >> okay, era una spiegazione grossolana ma l’idea di base c’era. <
< Ovviamente nessuno arriverà a domandare della storia della nostra vita di coppia. E solo perché ho vent’anni, non vuol dire che mi farò mettere i piedi in testa senza protestare. Alla prima cretina pettegola che mi chiede di te, risponderei? No. Non permetterò a nessuno di entrare nella nostra vita intima. Questa cosa riguarda me, te e in un certo senso anche Renoir. Noi tre e nessun altro! >>. 
Sorrisi e gli accarezzai il volto << Ma se qualcuno, a te vicino, vorrà conoscere i risvolti sdolcinati di questa cosa… dirò che mi hai conquistata perché quando dormi fai delle facce buffe e talvolta grugnisci; che ogni dopo ogni primo sorso di caffè ti lecchi il labbro superiore da angolo a angolo. Poi deglutisci più volte per godertene il gusto. Probabilmente arrossirò e borbotterò che tu sei la giusta misura tra follia e ragione… che immagino che il mondo abbia il sapore dei tuoi baci e il profumo della tua pelle... >>. 
Adesso anche romantica… cose dell’altro mondo! 
<< Sì… forse è un po’ da psicopatica, ma credo che siano i dettagli a fare la differenza… >> mi sentivo davvero un’imbecille a parlare in questo modo. Chi lo aveva mai fatto? Non ero la ragazza da cuoricini, stelline e fatine! 
Accarezzò i contorni della mia bocca << Quindi dovrò dire anch’io qualcosa di te >> convenne divertito. 
<< Bè… potresti dire che il mio sorriso accecante ti ha lasciato tramortito… >> scherzai. 
<< Sì, il tuo sorriso… >>. 
<< E i miei occhi ti ricordano un cielo primaverile… >>. 
<< E che quando… >> continuai. 
<< Che anche quando piangi sei bellissima e metti sempre il broncio. Hai il vizio di sbuffare e quando sei nervosa, ti gratti il collo. E sei la donna migliore che potesse capitare come madre di mia figlia >>. Non mi aspettavo una sua replica. 
La donna migliore. 
Come facevo a trattenere le lacrime se sentivo una cosa del genere? 
<< Potrebbe andare, forse un po’ troppo stucchevole >> biascicai per stemperare la tensione delle mie parole trattenute. 
<< Più di: ‘ Immagino che il mondo abbia il sapore dei suoi baci e l’odore della sua pelle’ ? >>. 
<< Mi stai prendendo in giro? >>. 
<< No. Come ti ho detto non mi sentivo e non sentivo determinate cose da quando avevo vent’anni… >>. 
<< E’ una cosa bella o no, vecchietto? >>. 
<< C’è bisogno che ti risponda? >> ribatté. 
Sfregai il naso contro il suo. 
<< No. E’ questa la cosa bella nel nostro rapporto… che ci anche nei silenzi >> affermai sfiorandogli il volto. Ti adoro. 
Vidi una ruga di preoccupazione increspare la sua fronte. 
La distesi con l’indice << A cosa pensi? >> bisbigliai. << I tuoi genitori. Alla fine verranno a sapere, credi che asseconderanno tutta questa storia? >>. 
Impietrii e quasi mi mancò l’aria. Strinsi gli occhi a causa di una fitta alla testa. Avevo quasi dimenticato che fossero a New York, che avrebbero capito tutto. E probabilmente se si fosse trattato di un’altra questione, avrei usato il suo corpo come ancora di salvezza. 
Invece feci ciò che avevo sempre fatto: lasciai la presa. 
I miei genitori erano un argomento scottante e… quando parlavo di loro diventavo scostante. 
<< Devo… >> sapevo cosa avrei dovuto fare e se non ci fosse stata Renoir, avrei preferito tagliarmi un braccio al solo pensiero, ma ora… per lei avrei fatto di tutto << …parlerò con loro… me lo devono. Loro… è colpa loro! Mi asseconderanno altrimenti si verrà a sapere tutto e non sarebbe un bene né per noi né per loro. Non preoccuparti! >> parlai troppo velocemente, con un tono di voce isterico e per nulla convinto. 
Affrontarli sarebbe stata una specie di prova del nove. E un po’ avevo paura! 
Edward sorprendendomi afferrò le mie braccia per portarle nuovamente attorno a lui. “Ci sono” aveva detto con quel gesto. 
<< No, non lo farai, non se devi stare male! >> ordinò. 
<< Che hai in mente? >>. 
<< Lo farò io! >> esclamò. 
<< No! >> obbiettai << Per favore, smettila di cercare di risolvere i miei casini! >> sussurrai cupa << Loro sono un mio problema e… faccio da sola >>. << Sei così abituata a fare tutto da sola che ti è difficile che qualcuno possa prendersi cura di te. E’ questo che fanno le persone che stanno insieme: si sostengono nelle difficoltà. Permettimelo! >>. 
<< Io…ti prendi cura di me più del dovuto >> bofonchiai a disagio. 
<< Non è vero, Isabella. M’impedisci di fare quello che vorrei! >> s’impuntò. 
<< Cosa vorresti? >> sbottai testarda. 
<< Vorrei che ti affidassi a me! >>. 
<< Cosa credi stia facendo? >> ribattei leggermente infastidita << Io mi fido di te, io ti... ti sto dando me stessa e ti assicuro che non è facile. Ti sto donando me stessa! Non dirmi che non mi affido a te… perché se così fosse, non sarei qui… >>. <
< Sarà difficile… la mia vita… >> sembrava così dispiaciuto e odiavo vederlo così. 
<< Lo so. Sei una persona nota, Edward. Conosco chi sei e tu hai cognizione di che persona sia io. Non m’importa del mondo o dei miei genitori. Se vuoi, parleremo insieme con loro. Non ho mai avuto relazioni ma so come sono fatta io. Non mi piace sbandierare i miei sentimenti, neanche dare spiegazioni e per questo molte volte potrò sembrare ineducata, ma è così. Sono intransigente su questo punto. Siamo tu ed io. Basta! E finché saremo insieme e non ci lasceremo condizionare dall’esterno, niente potrà smuoverci >>. 
Voltò il capo in mia direzione << Vieni qui… >> ansimò prima di congiungere le nostre labbra. 
Mi baciò così a lungo che mi stordì per la mancanza d’ossigeno. 
<< Che c’è? >> boccheggiai con ancora gli occhi chiusi. 
<< Se non esistessi, dovrei crearti… >> cavolo! Frasi del genere le inventava sul momento? Il mio sorriso si estese << Con tutti i miei difetti e le mie orecchie a sventola? >>. 
<< Uno per uno >> confermò. Gli pizzicai la pelle dello stomaco << Non si dicono le bugie… >> ridacchiai. 
<< Non sto mentendo… >>. 
<< Sai… ti ho detto parecchie volte che la perfezione fa schifo… ma se potessi… vorrei essere perfetta per te… >> bofonchiai. 
<< Mi confondi… >> confessò. 
<< Ah sì? >> chiesi confusa e tornando a guardarlo. << Un minuto fa eri pronta a gonfiare le guance come una… >>. 
<< Non dire quella parola! >> lo avvisai << Potrei pensare a mille modi per dimostrarti che non sono una bambina… e in tutti i casi, tu rimarresti a bocca asciutta. Perciò stai attento… >> aggiunsi con tono maligno. 
<< Stavo dicendo che prima impunti i piedi e poi… fai dei discorsi del genere… >>. 
<< Stai dicendo che ti faccio girare la testa… quanto sei adorabile… >> lo presi in giro. 
Mi pizzicò un polpaccio e ridacchiai. 
<< Cosa vuoi che ti dica… immagina di essere al mare. Con me passi dall’alta alla bassa marea. Come ti ho detto devi abituarti. Cosa pensi del mio discorso? >>. 
<< Sono d’accordo con te… >>. 
<< Meglio così… >>.
 I suoi occhi luccicanti mi spiazzavano sempre. 
<< Edward… ce la faremo, vero? >>. 
<< Sì >> disse certo e mi baciò come se suggellasse una promessa.
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Ragazze non c'è molto da dire di questo cap. Ho sonno! Ma vi prometto che nel prossimo parlerò a mai finire. Se vi è piaciuto recensite, recensite, recensite!!!!!!!!!!!!!! Un bacio immenso!!!!!!!

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Capitolo 17
*** Vieni via con me ***


Oh Santo Dio non so quanto coraggio mi è servito per ripresentarmi qui! Quindi chiamo "questo" momento, il momento della vergogna. Chiedo scusa umilmente a tutte le persone che finora hanno seguito la mia storia e si sono trovate "bloccate". Avrei voluto avvisarvi ma la mia connessione internet è letteralmente uno schifo, inoltre ci sono stati così tante comunioni, anniversari di matrimonio, compleanni e roba simile da non riuscire più a distrincarmi. Non è una giustificazione e per questo vi chiedo una, dieci, cento volte di perdonarmi. Okay vi lascio al cap se siete state così magnanime da aprire la pagina. Un bacio.



<< Shh… >> dissi a Renoir posando l’indice sulle labbra.
<< Mammina… >> si lagnò.
<< Non devi fare rumore! >> mormorai spaventata.
Eravamo chiuse nella cabina armadio della mia dependance. In quello spazio chiuso cominciavamo a sudare e mi venne naturale prendere l’elastico che tenevo al polso a mo’ di bracciale e legarmi i capelli in una coda alta.
<< Mami mi scappa la pipì >> piagnucolò mia figlia.
<< Anche a me scappa! >> ridacchiai e lei mi seguì << Un altro minuto, okay? Poi strisciamo fino al bagno >> dissi decisa.
 Annuì indecisa e si portò le gambe al petto. L’ansia mi stava uccidendo.
<< E se ci trova? >> balbettò.
<< Non può. E’ solo un maschio! >> farfugliai.
Di colpo la porta della cabina si aprì mostrando l’espressione compiaciuta di Edward e mandando all’aria la mia teoria “è solo un maschio”.
Inevitabilmente io e Renoir urlammo.
<< Trovate! >> esultò lui.
<< No! >> strillò la piccola che si alzò in piedi e in un secondo scappò via. La imitai e iniziai a correre.
Quel pomeriggio di domenica, finalmente, Edward si era liberato del lavoro e avevamo deciso di giocare con Renoir. Adesso toccava a Renoir liberarci nella tana della grande quercia in giardino.
Non ero molto abituata al movimento fisico, non che fossi poco coordinata o alto, ma ero tremendamente pigra e correre anche solo per pochi minuti mi sfiatava. Ero certa che mi sarebbe venuto un infarto! E il fatto che lui a differenza mia, fosse veloce non mi aiutava. Ogni suo passo corrispondeva a due dei miei se non di più.
Certe volte era quasi snervante.
<< Sta ferma! >> Edward mi aveva preso da un polso. << Lasciami. Lasciami! >> strepitai.
Per un attimo lo guardai negli occhi. Indossava dei pantaloncini sportivi e una t-shirt.
Certe volte mi perdevo a fissarlo. Con lui avevo scoperto una nuova dimensione. Non era solo il ragazzo trentenne che con me era regredito alla fase adolescenziale ritrovandoci a pomiciare per ore a notte fonda davanti a un televisore che trasmetteva chissà quale programma, era innanzitutto un amico e nonostante adesso pomiciassimo, sapevo di poter contare su di lui al di là che fosse il mio fidanzato o meno.
Vidi se Renoir darci le spalle. Via libera! Senza dargli tempo di capire le mie intenzioni poggiai le labbra sulle sue << Sei adorabile. >> mugugnai. Gli accarezzai una guancia << E terribilmente bello >> spaesato mi lasciò il braccio.
La mia non era stata una tattica, ma era anche vero che mi aveva aiutato.
Risi birichina << Grazie banano >> terminai prima di fuggire.
///
<< Ha perso papà… ha perso papà… >> cantilenava Renoir puntandogli il dito contro << Ha ragione. Hai perso. Adesso dovrai pagare una penitenza >> gli ricordai soddisfatta.
Questa volta eravamo stesi su una coperta.
Il sole di fine settembre era tiepido e non infastidiva affatto.
Se chiudevo gli occhi e mi lasciavo trasportare dalla brezza autunnale, un senso di pace m’invadeva. Cominciavo a considerarci una famiglia.
Era bello.
Io, Edward, Renoir insieme a divertirci.
Era una situazione particolare.
<< Cosa volete che faccia? >> chiese lui facendomi tornare alla realtà.
<< Potresti portarci muffin e limonata >> proposi sorridente.
Avevo sete e anche fame e chissà cos’altro.
<< Papi perché guardi mami? >> domandò Renoir improvvisamente.
Aprii gli occhi che fino allora avevo tenuto chiusi. In effetti, Renoir aveva ragione. Edward continuava a osservarmi.
Sorrise imbarazzato << La mamma è bella, non è vero? >> lo disse proprio lui! Ero sbalordita da quelle quattro parole. Non credevo l’avrebbe mai fatto, almeno non davanti a nostra figlia, eppure ancora una volta mi aveva spiazzato.
Renoir sembrò soddisfatta << Papi… >> disse con vocina smielata << …ti piace la mamma? >> continuò euforica.
Ero pietrificata.
Avevo paura che da un momento all’altro le dicesse che eravamo una coppia.
E’ così brutto che sappia?
No, non era terribile che Renoir sapesse, ma mi metteva l’ansia.
Avrebbe reso tutto più reale e anche elettrizzante.
Bella, non è già reale tutto il contatto fisico tra voi? Avrei dovuto dare un nome alla vocina del cavolo che mi perseguitava da ormai troppi anni. Magari rompipalle. Cosa sarebbe cambiato dopo la scoperta di Renoir?
Sempre più rossa in viso ritornai con lo sguardo su di lui. Sembrava indeciso. Rifletteva se continuare o no. Ne ero certa!
Cercai di trasmettergli ciò che avevo dentro. Ancora una volta stai facendo di testa tua, ma se vuoi, puoi farlo.
Era curioso che mi sentissi così tranquilla mentre un minuto prima ero tesa come la corda di un violino. Forse era perché avevamo passato una bella giornata; forse perché sapevo che per darmi coraggio e ammettere il nostro rapporto, Edward avrebbe dovuto mettermi di fronte al fatto compiuto; forse, semplicemente, perché la voglia di dire al mondo di noi due cominciava a farsi sentire prepotentemente. Nonostante ci fosse la paura di ciò che sarebbe avvenuto dopo. Avevamo approfondito sulla notorietà. Finora ero rimasta una presenza senza nome.
Se fossimo usciti allo scoperto, avremmo ufficializzato nel vero senso della parola perché Edward non si lasciava mai vedere con altre donne che non fossero suoi familiari.
E sì, mi ero spaventata.
Avrebbero spiattellato il mio volto sulle riviste, non sarei più passata inosservato e avrei dovuto stare attentissima ai miei comportamenti in pubblico.
Quest’ultima questione mi aveva messo a disagio da eterna Peter Pan qual ero.
Non mi ero posta mai il problema di poter apparire folle o meno, anche se circondata da centinaia di persone.
Perché? Semplice.
Me ne sbattevo.
Ora, tutto sarebbe rivoluzionato. Da Bella, ventenne felice della mia giovane età e che non si prendeva mai sul serio, mi sarei dovuta trasformare in Isabella: la donna di Edward Cullen, che avrebbe partecipato a qualche evento mondano sempre al suo fianco.
Sarei ritornata nel mondo da cui ero scappata.
Paura?
Troppa!
E inizialmente ero entrata nel panico, tutto ciò era avvenuto dopo che gli avevo assicurato che non m’importava un fico secco. Amavo la mia privacy.
Poi, con l’evoluzione del nostro rapporto, avevo visto il mio stesso turbamento anche in lui.
Mi aveva stupito.
Lui era sempre così compito e sembrava quasi non avesse timore di niente. E realizzai che la situazione era nuova anche per lui.
O forse stai impazzendo. 
Okay, aveva ragione la mia coscienza. Anche se per lui era tutto nuovo, sapeva come comportarsi, aveva avuto modo di… che so… abituarsi a chi non si faceva gli affari propri. 
Avevo meditato su tutto ciò. 
Renoir e quant’altro… e sebbene non fosse la mia massima aspirazione nella vita –in realtà ormai evitavo di programmare il futuro perché avevo progettato di stare lontano da Edward e invece avevo finito per inn… infatuarmene- comunque sia, avevo deciso…come che si diceva? O la va o la spacca? Sì. 
La vocina nella mia testa, rompipalle per intenderci, mi suggeriva che non ne sarebbe uscito niente di buono. 
Perché stai rinunciando a te stessa! E infondo al tuo cuore non vuoi farlo o almeno non sei ancora pronta. 
La mia razionalità, pessimista per giunta, credeva che sarebbe stato un po’ come tornare negli anni dell’adolescenza; quando mi mostravo ai miei in un modo e in realtà ero un’altra persona. 
Però era anche vero che ero lontana da quella vita. Ero cresciuta, avevo imparato a conoscere me stessa e i miei limiti. 
Appunto perché conosci i tuoi limiti. Non riuscirai a portare una maschera a lungo andare. 
<< Scricciolo… >> ancora una volta Edward mi risvegliò << … stavo solo dicendo che la mamma è bella >> le scompigliò i capelli amorevole. Trattenni un altro sorriso e forse anche un po’ di delusione. Bè… avrebbe potuto dirle che gli piacevo, no? Infondo avrebbe creduto che gli stavo simpatica, era una bambina di sei anni. 
<< La più bella del mondo? >> Renoir aveva assunto un’aria sognante. Aveva gli stessi occhi di Tanya quando guardava ‘Le pagine della nostra vita’ non per la trama alquanto toccante, ma per Ryan Gosling soprannominato da lei “Gnam Gnam”. Sì, proprio così. 
Perché? 
Tanya voleva mangiarselo. 
<< Allora papi? >> Edward sembrava imbarazzato. 
<< Farfallina la più bella del mondo sei tu! >> m’intromisi cercando di salvarlo << Uffa! >> si lagnò. 
/// 
Appena Edward ci lasciò sole, stendemmo sull’erba il tappeto del gioco twister << Mammina? >> sembrava quasi dispiaciuta. 
<< Dimmi tesoro >> la spronai. 
<< A te piace papà? >> era speranzosa. La mia piccola bambina non era diversa dai suoi coetanei, forse la reputavo più intelligente perché ero di parte, voleva con tutta se stessa che Edward ed io fossimo una coppia. 
<< Posso chiederti tu che ne pensi? >> stavo davvero chiedendo consiglio a una bambina di sei anni? Sì. Era giusto. Era mia figlia. 
Ero senza speranze. Però quando la conobbi le promisi che prima di far qualcosa con Edward avrei chiesto il suo permesso...
<< Su me e papà insieme >> chiarii costringendola a sedersi sulle mie gambe. 
Arrossì, abbassò il capo e mentre iniziava a torturarsi le mani e i capelli le coprirono il viso. Era meravigliosa. Era davvero la bambina più bella che avessi mai visto. 
<< Tu e papà vi volete bene? >>. 
<< Certo amore >>. 
<< Però non vi amate >> mugugnò quasi affranta. 
La sensazione che provai fu dolorosa tanto che non ero capace di associarla a niente che avessi provato in vita mia. Mi faceva quasi soffocare. 
Odiavo che fosse triste e che io non potessi far nulla. Come potevo spiegarle la differenza tra voler bene e amare, quando ero la prima a non sapere quale fosse. 
<< Per te cos’è l’amore? >> domandai per chissà quale motivo. Forse un tentativo per non rispondere a quella domanda che non sapevo… mi faceva venir voglia di grattarmi tutta. Io, Edward e l’amore. Santo Dio! Da stupida qual ero non mi ero mai posta la domanda o le domande giuste. 
Lo amavo? 
Mi amava? 
Noi e l’amore, mi sembrava strano mettere noi due e tale sentimento nella stessa frase. 
Un brivido, un misto d’ansia ed euforia mi pervase la schiena quando riflettei sulla possibilità che potesse amarmi. C’era la possibilità che lui mi amasse! Perché non ci avevo pensato prima? Perché ero una cretina patentata che passava la maggior parte del tempo nel suo mondo. 
<< La zia Rosalie dice che è felice quando lo zio Emmett è felice >> disse come fosse un automa, come se fosse una frase imparata a memoria. 
Felici della felicità altrui, era davvero un strano per una donna come Rosalie. Dio che stronza! Già che c’è perché non fa uno di quegli spot sul fare l’amore e non la guerra. Che ipocrita
Comunque la pensasse Rosalie, era una cosa che si leggeva spesso nei romanzetti rosa. Come se nella realtà fosse così
O almeno era una mezza verità. 
Perché finché vedi il ragazzo che ti piace -magari quello troppo uomo per poter stare con una come te o troppo adulto per stare con una ventenne come te- sorridere felice, è una cosa. Se poi, quello stesso ragazzo, rivolge quello stesso sorriso –che tu ami tanto- a un’altra donna, le palle ti girano. Eccome se ti girano! E a quel punto ‘felici della felicità altrui’ va a farsi friggere perché non riesci a pensare ad altro a come eliminare dalla faccia della terra la Sandy di turno. 
Ovviamente non ti riferivi a te stessa, no… 
<< Ora sappiamo cos’è l’amore per zia Rosalie; ma per te cos’è? >> ribattei stavolta davvero curiosa di sapere la sua risposta. 
<< Quando il cuore ti batte troppissimissimo e le mani sudano… >>. 
<< Questa è di zia Alice, non è vero? >>. 
Annuì e ridacchiammo all’unisono. 
<< Quando mi abbracci prima di andare a dormire, mi dai tanti bacini sul naso e mi dici sempre che mi ami più della tua vita. Questo è amore? >> chiese ingenuamente. 
Sorrisi un pochino commossa << Sì >> confermai. 
<< Di cosa state parlando? >> domandò Edward mentre le sue mani erano occupate da un vassoio di muffin e uno con una caraffa di limonata. 
<< Mi stava spiegando cosa fosse per lei l’amore >> dissi un po’ imbarazzata. 
Mi guardò per un istante in cui le mie guance si arrossarono, forse per questo sorrise in seguito. Un altro sorriso tenero, dolce. 
<< Papi, per te, cos’è l’amore? >> continuò Renoir. Merda! Il criceto nella mia testa aveva iniziato a girare nel tentativo di immaginare la sua risposta. 
Per qualche strano motivo mi sembrò a disagio. O sono pazza. 
<< L’amore è mutevole cucciola >> dichiarò. Non sapevo se mi stesse fissando perché avevo deliberatamente evitato i suoi occhi. Avevo paura. Tanta. 
<< Che vuol dire? >> aggiunse la piccola. 
<< Che l’amore è amore e non sai cos'è >>. 
La faccia corrucciata di nostra figlia era tutta un programma. 
<< Quando sei innamorato, non sai il motivo >> stronzo! E’ un modo di dirmi che se mai fossi innamorato di me non ne sapresti le ragioni? 
<< E qual è la differenza tra voler bene e amare? >> fui io a parlare. Volevo semplicemente tastare il terreno. Ne avevo diritto, no? Oh mamma sto diventando paranoica. Dall’occhiata che mi lanciò, capii che aveva compreso la natura dei miei pensieri. 
Giusto per non dargli soddisfazione, feci finta di niente e riempii i bicchieri. 
<< Tieni amore >> passai un dolcetto a Renoir << Allora? >> lo esortai davvero curiosa. 
<< Non saprei… sai quando ami e quando vuoi semplicemente bene >> la mia bocca si aprì prima pronta a fare la domanda fatidica ma per fortuna tacqui ed evitai un’ennesima figuraccia. Lui non poteva parlare in questo modo, provocare la mia curiosità e aspettarsi che il mio cervellino non pensasse a quelle dannate parole. Ogni essere umano –ogni donna- al posto mio avrebbe domandato: “mi ami?”, ma io non potevo farlo. Ero terrorizzata a morte perché non sapevo come avrei reagito sia di fronte a un’affermazione che a una negazione. 
Il suo sorriso mi costrinse ad abbandonare la mia mente, il mio rifugio. 
Notai che Renoir si era alzata per giocare con i fiori del giardino e tornai a concentrarmi su di lui. 
Era strano che nonostante fossimo più che amici, il suo sguardo non fosse cambiato. Mi hai sempre guardato così? Avrei voluto una giornata intera per potergli chiedere tutto ciò che più mi premeva. 
Lentamente, come se il cervello non avesse mandato nessun impulso al mio corpo, mi mossi in sua direzione gattoni. Okay, avevo tentato di essere sensuale. 
E fu naturale sfiorargli la mano non appena Renoir si distrasse. 
Sperai vivamente di non avere gli occhi a cuoricino! << Hai fame? >>. 
Annuii << Ho fame >>. 
Con la bocca tirata all’insù prese un muffin, lo spezzettò tra le dita e m’imboccò. 
Se da una parte mi fece piacere dall’altra, gelai sul posto, impaurita che Renoir percepisse i cambiamenti dei nostri gesti e un’alchimia più forte. Con gli occhi tentai di individuarla, la trovai intenta a giocare con i fiori di un’aiuola, ci dava le spalle. 
<< Se dovesse vederci, più intimi non la sconvolgerebbe molto scoprire di noi >> spiegò scostandomi una ciocca di capelli dal volto. 
Noi, quanto mi piaceva sentirglielo dire. 
<< Il piano è fingerci innocenti di fronte all’evidenza? >> una smorfia maliziosa si dipinse sul mio volto. 
In un certo senso l’avremmo manipolata. Da figlia pensai a ribellarmi, da madre che non c’era nulla di male.
 
/// 
<< Nonna, ti prego, me lo compri? >> sapevo che fare gli occhi dolci, alla fine, mi avrebbe fatto vincere. Le sedute di shopping con lei erano meravigliose perché non dovevo mostrarmi per quello che non ero. Con mamma tutto era “vestito di qua, vestito di là” tutto troppo pomposo e artefatto, nonostante fossi appena entrata nella fase adolescente e amassi la moda. Con nonna Marie anche un portachiavi da un dollaro era fantastico. 
<< Cosa devo fare con te? >> chiese retorica. Continuavo a tenere il cuscino a forma di cuore stretto al petto << Dai nonna, lo teniamo nella tua camera così quando non dormo con te, è come se ci fossi! >> rincarai la dose. 
La nonna ridacchiò << Uguale a tuo nonno! >> sbuffò. 
Mi svegliai di soprassalto con la fronte sudata e l’affanno. 
Era la mezzanotte del dieci novembre. 
Novembre. 
Era il mese che odiavo più di tutti. 
In quella stessa giornata, il dieci novembre, ricadeva l’anniversario di morte della nonna. 
Odiavo profondamente novembre. 
Non c’era niente che potesse essere positivo. Nulla. Nada. Solo schifo più totale. 
La mattina seguente mi svegliai col viso stravolto, sembrava fossi stata messa sotto da un tir o avessi assistito a qualcuno che era messo sotto da un tir… poco importava… 
Mi sentivo nell’occhio del ciclone, la mia mente era talmente occupata dai pensieri che la affollavano che mi sentivo stanca fisicamente. E sono solo le sette del mattino. A fine giornata mi sarei trascinata sui gomiti per arrivare a letto. 
<< Buongiorno >>. 
Versai del caffè in una tazza e volsi lo sguardo verso la finestra che dava sul giardino. Il verde era il colore preferito di nonna. 
<< Isabella? >>. 
Il giardino di casa sua era meraviglioso. Amava riempire casa con vasi di fiori a differenza mia. 
<< Bella? >>. 
Alzai gli occhi al cielo esasperata da me stessa. 
<< Ehi… >> sobbalzai quando mi sentii sfiorare. Edward. 
<< Ehi… >> risposi con tono rauco, la stessa voce di chi voleva piangere, ma si tratteneva dal farlo. 
<< E’ successo qualcosa? Sei pallida >> mi sfiorò il viso forse per accertarsi che non avessi la febbre. 
<< Un po’ di emicrania… >> biascicai. Non era una bugia. 
<< Sicura? >> una sua mano s’infilò tra i miei capelli e con una lieve pressione delle dita mi massaggiò la nuca. Rilasciai un sospiro di sollievo e chiusi gli occhi aspirando il suo buon profumo. 
Era rilassante. 
Sentii le sue labbra posarsi prima nell’incavo del collo e infine sulle labbra. Mi scappò un gemito di disperazione che mi fece inumidire gli occhi. 
<< Sì. >> la mia voce tremò << E’ solo stress per l’università. Alla fine del mese avrò il penultimo esame… >> anche questa era una mezza verità. Una relazione sana tra due persone matura supponeva che ci fosse una totale sincerità. Ma io non ero sana né tantomeno matura. 
<< Posso darti una mano? >> riuscì a strapparmi un sorriso. Ecco un’altra cosa che mi piaceva di lui! Mi fece ridere mentre strusciava vagamente il corpo sul mio. 
Riusciva a sedurmi anche nei momenti più inaspettati. << Vorresti aiutarmi a studiare? >> era riuscito a sollevare il mio umore di poco << Sì. Se potesse aiutarti >> era così dannatamente buono. Ero io la stronza! 
<< Ci penserò su. >> brontolai fingendo di sistemargli la giacca quando il mio era più una scusa per percepire il calore del suo corpo. 
<< Ti dispiace accompagnare Renoir a scuola? Sono in ritardo, devo andare a lavoro. Oggi devo fare la fotografa a un Bat Mitzvah e devo andare in sinagoga e poi al Ritz… >> se solo avessi voluto, lo avrei trovato il tempo che mi serviva, come avevo sempre fatto. Non era per Renoir, non ne avevo mai abbastanza di stare con lei ma per un giorno volevo solo allontanarmi, tutto qui. Non stavo scappando, volevo solo staccare la spina. In fondo era un mio diritto. 
<< Avevo intuito… >> sussurrò squadrandomi dalla testa ai piedi. 
Non mi ero mai soffermata sui vestiti ma quella mattina indossare dei jeans, una felpa consunta dei Ramones e degli scarponcini mi stava aiutando. 
Era il solito abbigliamento che usavo con lei perché non mi aveva mai giudicato a differenza dei miei. Lei mi trovava sempre perfetta, non ero mai fuori posto, ero la sua nipotina scapestrata. 
Ogni tanto era bello tornare se stessi. 
<< Troppo informale… >> continuai per lui grattandomi il capo << … devo sembrarti una pazza e… >> posò due dita sulle mie labbra << Sei perfetta… >> disse prima che potessi continuare a sminuirmi. 
In quell’istante fu ciò di cui avevo bisogno. Ciò che mi diceva lei quando Renee mi faceva sentire uno schifo. Sei perfetta nella tua imperfezione, mi ripeteva. 
Neanche a lei era mai piaciuta la perfezione. Probabilmente molti dei miei modi di pensare erano derivati dagli anni vissuti in simbiosi. 
Sfidavo il genere femminile a trovare un uomo come lui. Trovava la parola giusta al momento giusto. Non era da tutti. 
Dovevo per forza esserci qualcosa che non andava. Era umanamente impossibile che fosse così… così… com’era! 
Finsi di trattenere una risata << Grazie è una grande cosa se ti piaccio anche così >> scherzai falsamente. 
<< Isabella… >> mi accarezzò le labbra con le dita. 
<< Dimmi! >> lo incitai. 
<< …mi sei sempre piaciuta così! >>. 
Sbarrai gli occhi presa in contropiede da quell’affermazione. 
Mi morsi le labbra, forse per evitare di dire qualcosa di stupido o forse perché non avrei saputo che dire, e gli passai una mano tra i capelli perfettamente sistemati. Li odiavo quand’erano statici. Forse gli feci male perché arricciò le labbra << Anche tu… sempre… >> conclusi con il senso di colpa che continuava a punzecchiarmi agli angoli degli occhi. 
/// 
Era il primo Bat Mitzvah di tutta la mia vita. Era… wow! 
La dodicenne festeggiata era rossa di vergogna mentre i suoi familiari si cimentavano in balli improbabili sotto i suoi occhi allibiti. 
Mi dispiaceva tanto per lei! 
Certe volte un adolescente in situazioni del genere si sentiva incompreso. 
Quante volte avevo detto a me stessa “cosa c’è che non va in me” quando i miei genitori facevano qualcosa di ridicolo. Quante volte avrei preferito prendere a testate un muro chiodato? Tantissime da far schifo. 
Capivo quella ragazza e in modo contorto le ero vicina in quella piccola umiliazione. Okay, in parte ero divertita da quello spettacolo. 
Continuai a scattare qualche foto evitando momentaneamente il volto della ragazzina adombrato. << Vieni tesoro… >> le disse una donna anziana. Sua nonna. Mai come in quella giornata sembrava che il caso volesse ricordarmi di lei. Come se avessi potuto dimenticarmene… 
<< Nonna per favore smettila di fare la vecchia >> le urlai per sovrastare il volume della musica. 
<< Bella ti ricordo che sono vecchia. Ho quasi settant’anni >>. 
<< Pff… particolari! Non s’invecchia se si rimane giovani nello spirito. E tu nonna sei più piccola di me! Quindi perché non muovi il tuo bel culetto uguale al mio quando avevi vent’anni… >>. 
La feci ridere. Una delle poche cose che adoravo erano i sorrisi. Erano calore allo stato puro. 
<< Mi farai uscire un’anca fuori posto >> borbottò raggiungendomi al centro del salotto. 
<< Nah! Il movimento la terrà lì dov’è >>. 
Capitava spesso che mi perdessi nei miei pensieri, più facilmente nei ricordi, ma da quando lo conoscevo, sembrava che avesse il potere di portarmi con i piedi per terra. 
Per questo rimasi scioccata quando me lo trovai di fronte. 
Edward. 
Proprio lui. 
Al Ritz Hotel vestito con felpa e jeans. 
Inizialmente pensai che dovesse essere un’allucinazione. Andiamo… lui sfoggiava quell’abbigliamento solo nelle quattro mura di casa nostr… sua –tra l’altro dovevo smettere di considerare casa sua, nostra- in un certo senso avevo sempre reputato impossibile che si facesse vedere da occhio umano, che non appartenesse ai suoi familiari, con una mise simile. 
Invece no. 
Lui… e qualcosa nella mia testolina, un pochino contorta, mi fece intuire che lo avesse fatto per me. 
<< Dovresti chiudere la bocca >> no, non mi era mai stata diagnosticata nessuna malattia che includesse tra i sintomi le allucinazioni tantomeno uditive. 
Era lì.
 << Che ci fai qui? >> chiesi esterrefatta. 
Calore allo stato puro s’irradiò sul suo volto. 
<< Mi sembra ovvio no? >> ribatté. 
<< Da quanto sei qui? >> continuai confusa. 
Da quando avevo intrapreso questa relazione con lui, avevo presi un’abitudine orribile: guardarmi sempre attorno. E lo facevo con quell’aria di chi aveva paura di essere nel mirino di un serial killer. Qualcuno avrebbe potuto riconoscerci e diffondere qualche strana voce e… forse era stato troppo avventato. Lui non era mai avventato. 
Fece un passo avanti e per qualche strana ragione non indietreggiai. Mi fronteggiò naso contro naso e con la paura c’era anche l’adrenalina. 
Riusciva a capire quanto fosse importante per me quel momento? Era vicino a me, con le nostre labbra che quasi si sfioravano, in una sala colma di gente. Mi stava sconquassando con la semplicità dei suoi gesti. Stare con te è semplice. 
Forse per lui era niente ma nell’esatto momento in cui le sue labbra si posarono sulle mie, fu tutto. 
Edward mi stava baciando incurante del mondo. E chi ero io per rifiutare quel modo meraviglioso di farmi sapere che fossi importante? Lui mi stava drogando a furia di baci e carezze sensuali e con l’odore del suo corpo che era entrato nella mia vita dolcemente. 
Sorrisi sulla sua pelle mentre le sue mani erano indaffarate con i miei capelli. 
Aveva la strana capacità di farmi sentire donna e di trasformarsi in bambino allo stesso tempo. 
<< Grazie >> mormorò. 
<< Di cosa? >>. 
<< Perché è diverso >>. 
<< Cosa? >>. 
<< Tutto >> disse semplicemente. 
Non ci fu bisogno di altre spiegazioni. 
Nella vita capita di ritrovarti in situazioni nuove senza rendertene conto. Non c’è un motivo, una causa, ci finisci e basta ancor prima di poterti chiedere come hai fatto. E così come non sai come ci sei dentro, ignori anche che lentamente cambi. Per questo è bella la vita! Un alito di aria fresca e la tua staticità muta. Cambi e non lo sai. Diventi felice e non lo sai. 
A questo si riferiva Edward. 
All’imprevedibilità, a due persone diverse che riuscivano a trovare un punto d’incontro in nome di qualcosa di più. E noi ci stavamo riuscendo con gli sbagli. 
Due persone restano insieme non perché dimenticano ma perché perdonano. 
Lui in un certo senso stava perdonando gli sbagli che avevo fatto ed io la stronzaggine dei primi tempi. 
Mi feci più audace perché tutto era diverso. E gli strinsi la mandibola tra le dita perché quegli istanti profumavano di noi. 
<< Non mentirmi mai più >> mormorò. 
<< Non capisco… >> in parte mentii. 
<< Vieni via con me… >> cambiò discorso. 
<< Dove? >>. 
<< Vieni via con me >> ripeté imperterrito. 
<< Edward… il lavoro… >>. 
<< Vieni via con me >>. 
E non fu una supplica. Non aveva bisogno di pregarmi. 
E non fu un ordine. Non avrei accettato per principio. 
Fu una richiesta. Affidati a me, mi disse. 
E cos’altro potevo fare se non buttarmi un’ennesima volta sperando di non farmi male.
****** 
Okay chi è arrivato fin qui senza maledirmi, lo ringrazio. In questo cap fondamentalmente non succede granché. Quindi non so... spero vi sia piaciuto. Un bacio enorme.

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Capitolo 18
*** avviso ***


Salve ragazze sono qui dopo tanti mesi e sono stata imperdonabile. Se potessi chiederei scusa ad ogni singola persona che ha letto la mia storia ed e' rimasta bloccata aspettando un mio aggiornamento. Non vi nascondo che in questo momento preferirei scomparire anziche' scrivere questo messaggio, ma sono qui e se non vi dispiace vorrei spiegarmi. Ho avuto un'estate difficile... impotente, ho visto una persona cui tenevo essere consumata da una malattia grave. Non ce l'ha fatta. Mi ha distrutto. E quando ho tentato di postare un post o il capitolo, mi sono sentita egoista. Perché stavo pensando a me e non a consolare chi .i stava vicino e stava soffrendo. A distanza di tempo capisco di esserlo stata con voi senza una spiegazionw. E mi dispiace davvero, ma non vo altra scelta se non il mutismo artistico era l'unica mia alternativa. Dopo qualche settimana mio padre ha avuto un incidente domestico in cui ha rischiato di morire. E' stata un altra batosta perche la paura di poter perdere un altra persona che amo infinitamente non mi ha lasciato respirare. A distanza di mesi sono qui per dirvi che questa storia e solo sospesa, non so quando ma la riprendero anche perché ora come ora il mio unico mezzo per collegarmi e il cellulare. I due di questa storia avranno il loro lieto fine... un bacio... a presto

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