..Renoir.. di acalicad (/viewuser.php?uid=119456)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chiacchiere notturne ***
Capitolo 3: *** Legami ***
Capitolo 4: *** Sunrise ***
Capitolo 5: *** Incomprensioni ***
Capitolo 6: *** Scintille ***
Capitolo 7: *** Vicini ma lontani nella verità ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti ***
Capitolo 9: *** Chi più ama meno può ***
Capitolo 10: *** Can't take my eyes of you ***
Capitolo 11: *** Calore umano ***
Capitolo 12: *** Il tarlo della gelosia ***
Capitolo 13: *** Ad un passo dalla felicità ***
Capitolo 14: *** La sbandata colossale ***
Capitolo 15: *** The only exception ***
Capitolo 16: *** Promesse d'amore ***
Capitolo 17: *** Vieni via con me ***
Capitolo 18: *** avviso ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
- MERITO DELLA COVER MERAVIGLIOSA
DI LALAYASHA!
- *******
- Avevo il respiro
affannato, il cuore batteva all’impazzata e sentivo la
nausea. Dovevo farcela, avevo combattuto tanto per riuscire ad arrivare
a quel punto. Non potevo e non volevo tornare indietro.
L’avevo trovata e avrei dovuto affrontare le conseguenze
delle mie scelte passate.
- Chiusi gli occhi per
reprimere le lacrime che rischiavano di uscire.Sii forte.
- E poi lo vidi.
- Era un uomo sui
trent’anni in giacca e cravatta, alto, slanciato, con i
capelli di un castano chiaro con qualche ciocca biondiccia, gli occhi
non riuscivo a vederli.
- Era tutto il giorno che
ero appostata sotto quell’edificio. Erano le dieci di sera,
pioveva a dirotto e io tremavo come una foglia, non per il freddo ma
per ciò che avrei dovuto dirgli.
- Presi un respiro profondo
e ancora tanti altri. Se non mi fossi data una mossa, se ne sarebbe
andato: c’era un’auto che lo aspettava. Presi
coraggio e avanzai verso lui << Buonasera, signor Cullen
>> la voce si spezzò. Nello stesso istante in
cui parlai vidi i suoi occhi. Erano di un nocciola intenso, quasi
ambrati. Mi studiò per qualche istante, poi
parlò: << Posso esserle d’aiuto?
>> la sua voce era calda, mascolina. Era un
bell’uomo e sembrava infastidito dalla mia comparsa. Strinsi
le mani attorno all’ombrello << Sono.. sono
Isabella Swan >> mi presentai, con il respiro pesante
<< Se è per i colloqui di lavoro, deve
chiedere un appuntamento >> precisò, cercando
di superarmi. Lo seguii << No, non è per il
lavoro. Io.. io.. le devo parlare di una cosa importante
>> balbettai, intimorita. Inarcò un
sopracciglio << Non vedo di cosa debba parlare con lei,
neanche la conosco >> constatò. Le mani
cominciarono a sudarmi << Io.. io.. >> non
riuscivo a continuare, avevo paura << Senta,
signorina… non ho tempo da perdere. Quindi si sbrighi
>> sbottò irritato << Signor
Cullen.. io >> deglutii a vuoto << Lei
cosa? >> mi spronò. Sii forte. Chiusi gli
occhi per un istante per poi riaprirli << Sono la madre
naturale di sua figlia >> sussurrai.
- ****
- Salve.. sono subito ritornata!
Avevo detto che lo avrei fatto tra qualche giorno e invece eccomi qui,
di nuovo scattante. Avevo detto che avrei messo da parte la nota
drammatica e invece non ci sono riuscita. Questa storia è
già nel mio cervellino da un po’ di tempo,
affronta un argomento molto delicato e come tale spero di riuscire a
parlarne nella maniera più delicata possibile. Un bacione
acalicad.
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Capitolo 2 *** Chiacchiere notturne ***
Mi guardò come fossi un
mostro. Come se avessi ammesso un omicidio, una colpa. Il silenzio
assordante era spezzato solo dalla pioggia e dal rumore del motore
dell’auto accesa. La mano che aveva attorno
all’ombrello, si aprì facendo volare via la sua
protezione contro la pioggia. Io ero lì, ferma, sperando che
mi desse la possibilità di spiegare. Il viso rigato dalle
lacrime e impaurita da ciò che avrebbe potuto fare. In fin
dei conti non avrebbe mai reagito bene. Lo sapevo e lo avevo messo in
conto. Per quel che ne sapeva, avrebbe potuto pensare che avevo
abbandonato mia figlia. E forse era così.. se fossi stata
più forte, meno fragile.
Mia figlia. Una parte di me.
L’avevo vista solo una volta, appena nata, per pochi istanti.
Se non fosse stato per l’unica foto che avevo di lei..
<< Signor.. >> ma il suo sguardo mi fece
desistere dal continuare << No.. non.. può..
essere >> fu lui a parlare, con tono di chi gli era
appena crollato il mondo addosso << La supplico signor
Cullen.. so che non mi crede ma.. ma non ho fatto altro che cercarla..
se non.. non mi crede.. >> presi dalla borsa un fascicolo
e glielo diedi << Qua c’è tutto. Gli
esami, le ecografie, tutto ciò che attesta ciò
che dico >> cosa mi rimaneva da fare se non implorarlo
<< La prego, lo legga. Ci sono anche i miei recapiti, per
favore.. io.. >> non sapevo più che dire.
Abbassai lo sguardo, finché non lo vidi afferrare la
documentazione. Era rigido, sembrava assente. Non disse nulla,
entrò in auto e andò via.
*****
<< Mamma,
papà.. >> ansimai, disperata <<
Ti rendi conto Isabella? >> sbraitò, Charlie,
mio padre << Hai quindici anni, dannazione! Come hai
potuto farci questo, ci odi a tal punto? >>
urlò disperato << Io.. >> mi
coprii il viso con le mani << Tu cosa? Tu cosa? Io lo
sapevo, io lo sapevo quando ti dicevo che non dovevamo darle tutta
questa libertà >> accusò Renee, mia
madre << Charlie! >> lo riprese, anche lei
con le lacrime agli occhi << Non dirlo Renee, non osare
dire che non è colpa tua! Lo è. Se tu fossi stata
di più dietro figlia lei non si ritroverebbe incinta a
quindici anni >> strillò, lanciando un vaso
contro la parete << Ma adesso, basta. Appena risolveremo
il problema, tu non uscirai più da questa cosa. Non vedrai
la luce del sole finché non sarai maggiorenne
>> continuò rosso di rabbia.
Risolvere il problema << Che.. che vuol.. dire?
>> singhiozzai. Mi guardò truce
<< Cosa credi significhi, ragazzina? >> mi
rannicchiai su me stessa, spaventata << Non puoi..
>> cercai di obbiettare << Non posso, cosa,
Isabella? Sei minorenne e sei mia figlia, decido io per te
>> tuonò << Mamma..
>> implorai << Isabella, tuo padre a
ragione. E’ solo per il tuo Bella >>
sussurrò, accarezzandomi il volto ma mi scostai.
*****
<< Bella, ti muovi o no? Che fai impalata lì?
Porta questo al tavolo cinque >> mi riscosse Tanya. Annui
stanca e ripresi a fare la cameriera. In realtà fare la
cameriera era solo uno dei tanti lavori che avevo.
Vivere a New York non era propriamente economico. Tra spese
universitarie, debiti, affitto, bollette e viveri era quasi
d’obbligo fare in modo di avere più entrate. Anche
se certe volte era difficile alzarsi dal letto.
<< Okay, vi prego voglio un letto >> era
l’una di notte e Tanya si buttò su una sedia.
Era la proprietaria del ristorante, l’avevo conosciuta tre
anni prima. Mi aveva aiutato parecchio, ospitandomi a casa sua,
offrendomi un lavoro. Lei era una forza della natura: bellissima,
bionda, istintiva, la cosiddetta donna con le palle. Si, eravamo amiche
ma mi ero limitata con le confidenze. Sapeva solo che il rapporto
conflittuale con i miei mi aveva spinto ad andarmene di casa, sentiva
che le nascondevo qualcosa. Certe volte mi estraniavo del tutto o
diventavo malinconica, invece altre volte per pochi istanti dimenticavo
e così il senso di colpa non mi lasciava respirare. Erano
tre anni che la cercavo, da quando ero andata via di casa. E ora
l’avevo trovata e mi sentivo un po’ più
vicina alla meta. Immaginavo spesso cosa le avrei detto,
com’era il suo viso ma poi ricordavo che non ero una madre.
L’avevo abbandonata e una vera madre non abbandonava mai il
suo bambino, una brava madre combatteva con le unghie e con i denti e
io non l’avevo fatto. Non ero una madre.
<< Abbiamo finito e il tuo appartamento è a
pochi passi. Non dovrei essere io a lamentarmi? >> le
ricordai divertita << Bè.. non mi importa.
Dannata me e la mia idea di far mettere i tacchi alle cameriere
>> di lei mi piaceva la sua umiltà, nonostante
fosse proprietaria di un ristorante parecchio in voga tra la New York
altolocata, non si limitava a dirigerlo ma anche a servire ai tavoli.
Sbadigliò ancora una volta << Tu, invece? Come
stai? Ultimamente sembri più assente del solito. Bellalandia sembra
averti rapito. E’ successo qualcosa? >> scattai
in piedi, punta nel vivo. Definiva Bellalandia,
lo stato di trans in cui spesso entravo << Sai
com’è.. lavoro, studio, lavoro, lavoro, studio. La
solita routine >> scrollai le spalle distaccata
<< Sarà.. ma così non fai altro che
distruggerti. Hai solo ventuno anni e quanti lavori hai? Ho perso il
conto, mi sorprendo di come tu possa riuscire a trovare il tempo per lo
studio >> sorrisi forzatamente << Tutta
questione di intelligenza >> sussurrai scherzosa,
prendendo dalla borsa le chiavi dell’auto. In tutta risposta
scoppiò a ridere << Ora dove sei diretta?
>> chiese, sciogliendo i capelli dallo chignon che aveva.
Subito dopo i suoi ricci biondi scesero lungo il viso <<
Al pub >> il lavoro del weekend << Cavoli
Bella, avevo voglia di film e popcorn >> si
lamentò << Che fine ha fatto Jason?
>> la sua ultima conquista. Sbuffò sonoramente
<< Bella, io c’ho provato davvero. Ho tentato
sul serio ma ogni volta che apre la bocca per fare un discorso di sesso
compiuto mi fa cadere le braccia a terra. E io che pensavo che bastasse
essere un dio del sesso. Le ultime parole famose.. >> si
mise una mano sul viso, esasperata << Allora
sarà per un'altra volta… forse la prossima volta
dovresti sentirlo parlare prima >> trattenni una risata
<< Divertente.. >> bofonchiò
<< Bè.. ne riparleremo. Devo scappare..
>> conclusi.
<< Come on
baby light my fire. Come on baby light my fire. Try to set the night on
fire.. >> canticchiai mentre mi dirigevo
verso la mia auto: un maggiolino color panna. Cercavo di affrettarmi,
il parcheggio del Bon
Apetit, non era quel che si diceva un luogo rassicurante
soprattutto a quell’ora di notte. Il buio non mi era mai
piaciuto, neanche da bambina. Lo trovavo raccapricciante e
l’idea di aver avuto sotto il letto, l’uomo nero
non mi aiutava affatto << The time to hesitate is through,
there’s no time to wallow... >>
mi fermai non appena sentii un rumore alle mie spalle. Calmati è solo
un’impressione. Impressione o meno, accelerai il
passo. A sua volta il rumore aumentò.
Merda!
Cominciai a spaventarmi << Conosco il ju jitsu
>> urlai per farmi sentire. Ed era vero. Charlie, quando
ero nata aveva una fissa con la mia incolumità
così mi aveva fatto prendere delle lezioni.
Arrivai di fronte alla mia auto trafelata, con le mani che tremavano e
che non riuscivano a infilare le chiavi nella serratura.
Bastarde.
Sentivo i passi sempre più vicini. Stavo per avere un
infarto << Isabella Swan? >> le chiavi
caddero per terra. E il proprietario della voce, si abbassò
per poterle prendere. Grazie alla flebile luce di un lampione lo vidi.
Edward Cullen.
Colui che aveva adottato mia figlia.
Erano passati precisamente tre giorni e quattro ore quando mi ero
presentata da lui, dicendo di essere la madre naturale della bambina
che aveva adottato.
Impietrii, quale altra alternativa avevo. Per quel che ne sapevo poteva
volermi uccidere e con i soldi che aveva, avrebbe potuto far sparire il
mio cadavere senza destare sospetti, nessuno sapeva che eravamo legati.
Nessuno.
Mi schiacciai contro la portiera dell’auto <<
Mi dispiace, non volevo spaventarla >> forse aveva notato
il mio viso paonazzo, infatti usò un tono di voce delicato.
Vuole ucciderti, vuole
ucciderti!
Ero nei guai << Non vuole uccidermi? >>
chiesi senza voce. Mi guardò a metà tra
l’irritato e la sorpresa. Probabilmente se la situazione non
fosse stata così delicata, avrebbe riso << No
>> rispose lentamente affinché recepissi bene
il messaggio. Sì, non voleva uccidermi. Così
presi coraggio e mi staccai dal mio appoggio, tuttavia continuavo ad
essere agitata. Lui era lui ed era davanti a me. Era qui e avevo paura
di ciò che avrebbe detto << Volevo solo
parlarle.. >> continuò. Annuii con vigore
<< Signor Cullen.. >> perché
diamine mi fissava in quel modo? << .. stavo andando a
lavoro. Posso.. posso chiederle come ha fatto a trovarmi?
>> mi sentivo a disagio, in quel luogo, al buio e di
fronte a lui << Tra i recapiti ha lasciato anche quello
di questo ristorante >> si, giusto << Se
deve andare a lavoro, posso accompagnarla e aspettare..
>> mi stava porgendo un ramoscello d’ulivo? Ma
lui non sarebbe dovuto ritornare a casa? Se non mi fossi presentata mi
avrebbero licenziata. Merda! Forse domani mattina avrei potuto
risolvere << No, non si preoccupi, non sono
così indispensabile >> che razza di
situazione.. continuavamo a studiarci, ogni gesto, ogni movimento
veniva recepito dagli occhi dell’altro << Credo
dovremmo spostarci >> consigliò. Deglutii a
vuoto << Che ne dice di andare in una caffetteria?
>> propose.
I dieci minuti più silenziosi di tutta la mia vita. Eravamo
in un strarbucks
e io tenevo gli occhi puntati sul mio bicchiere d’acqua con
ghiaccio, lui invece aveva un’altra filosofia: fissarmi.
Forse cercava qualche somiglianza. L’idea che lui,
l’avesse vista nelle ultime ore mi faceva pungere gli occhi.
Lui la toccava. Lui la vedeva. Lui la baciava. E io? Nulla. Cosa mi
aspettavo?
<< Ho letto il fascicolo >> esordii. Tenevo
lo sguardo basso << Quanto vuole? >> alzai
il viso di scatto. Aveva un libretto degli assegni in una mano e
nell’altra una penna.
Mi si bloccò il respiro.
<< Il gatto le ha mangiato la lingua? Mi dica quanto
vuole >> ribadì. Ero pietrificata. Voleva
offrirmi del denaro.
Si sente minacciato.
E se si sentiva minacciato, significava solo una cosa. L’hai trovata.
Mi riscossi dal torpore in cui mi trovavo << Non..
>> ma lui mi interruppe: << Venticinque
mila? Cinquantamila? >> m’incitò.
Stava scherzando? Perché cominciava a infastidirmi
<< Sa che le dico, lo lascio in bianco.
Deciderà da sola ma non si azzardi mai più a
ripresentarsi >> e la mia mano reagì a quelle
parole, afferrando il bicchier d’acqua e facendogli la
doccia.
Mi guardò sgomento e anche io ero scioccata dalla mia
reazione. Una parte di me avrebbe voluto fargli le scuse ma
l’altra parte di me, di gran lunga molto più
arrabbiata, fece di testa sua.
Mi alzai senza dire una parola, uscii dal locale.
Se prima avevo una possibilità su un milione, adesso mi
avrebbe chiuso la porta in faccia. Strinsi i pugni e li misi sugli
occhi, camminavo avanti e indietro.
Cazzo! Non piangere, non
piangere.
Il respiro si fece affannato. Avevo l’insana voglia di
distruggere qualsiasi cosa avessi davanti.
Poco dopo sentii la porta della caffetteria aprirsi e dovetti ritornare
alla realtà. Tolsi i pugni dagli occhi e lo guardai,
sembrava un pulcino mezzo affogato e anche incazzato.
Senza pensarci un attimo mi avvicinai a lui. Mi sarebbe piaciuto
potergliene dire talmente tante da farlo sotterrare
dall’imbarazzo ma da come mi guardò mi fece morire
le parole in gola. Così presi un fazzoletto di stoffa che
avevo in borsa e glielo porsi.
Il punto fu che non lo prese, forse troppo impegnato a maledirmi in
tutte le lingue del mondo. Ero io dalla parte del torto, in fin dei
conti.
Inspirai profondamente e poggiai il pezzo di stoffa sul suo viso.
Se Maometto non va dalla
montagna, la montagna va da Maometto.
Solitamente non ero una persona del genere, che scattava alla prima
provocazione.
Si lasciò asciugare il volto, ancora con la faccia da
schiaffi che si ritrovava condita da una nota di stupore. Gli asciugai
la mandibola, passai al mento << Mi dispiace
>> sussurrai con gli occhi lucidi << Non
voglio i suoi soldi.. voglio solo… >> cosa
volevo veramente? Come potevo dirglielo senza farlo reagire male
<< Non ha nessun diritto su di lei >>
passai ad asciugargli la fronte. Ormai le lacrime scendevano e non
volevo fermarle, le avevo represse per molto tempo <<
Crede che non lo sappia? So cosa pensa di me. Che razza di madre
è colei che abbandona sua figlia? Io.. >> gli
asciugai l’altra guancia << Sono tre anni che
la cerco, signor Cullen. Ho assunto un investigatore privato, mi sono
indebitata fino al collo.. io non voglio i suoi soldi >>
ansimai << Giuro che mi accontenterò di poco.
Voglio solo sapere se è felice, il suo nome, avere una sua
foto.. so di non essere una madre.. >> abbassai il
braccio, portandolo lungo il corpo come l’altro, mi sentivo
sola << Io non voglio i suoi soldi >>
ripetei.
Abbassai il capo << Come ha fatto a trovarci?
>> domandò, con tono calmo come il mio
<< Elizabeth Mitchell.. >>
sgranò gli occhi, sapeva chi era << Era
l’assistente sociale che si occupò di tutto
>> dichiarò << Si, lei
c’era quando la mia bambina è nata. Era
un’amica di mia madre. L’ho tartassata per
così tanto tempo ma lei non disse mai nulla fino a un mese
fa.. >> mi fece un cenno del capo affinché
continuassi << Era malata di SLA e poco prima che
morisse, mi disse il suo nome: Edward Anthony Masen Cullen
>> ammisi.
Il silenzio che c’era attorno a noi, nonostante fossimo per
strada era lacerante.
Tornammo a sederci dentro la caffetteria, ognuno perso nei propri
pensieri. Probabilmente lui stava soffrendo. Era un genitore. Il padre
di mia figlia.
<< Quando.. quando è accaduto tutto
ciò, io.. io le avevo messo al collo un ciondolo..
>> blaterai. Forse era sbagliato ma avevo voluto che lei
avesse qualcosa di me, che sapesse che se avessi potuto scegliere
l’avrei tenuta con me << Da quel che so.. la
bambina è stata adottata, qualche giorno dopo. Quindi lei
deve averlo visto.. >> presi un respiro profondo. Se
dimenticavo soffrivo, se ricordavo faceva male <<
Continui >> mormorò. Non osavo guardarlo
<< Le avevo dato una bambola di pezza e una medaglietta
in oro. Liz disse che non si staccava mai dalla bambolina e nella
medaglietta c’era scritto: “più della mia stessa
vita” e un nome... >> il nome che
le avrei voluto darle se non l’avessi fatta adottare
<< C’è un nome ricamato sulla
bambolina. Qual è? >> chiese. Era logico che
si volesse assicurare che dicessi la verità <<
Elle >> sospirai.
L’unico giocattolo che avevo voluto in tutta la mia infanzia.
La mia migliore amica.
Annuì quasi privo di forze, sembrava distrutto, che un treno
gli fosse passato sopra. Non ci trovavamo in situazione semplice
<< Renoir >> affermò. Smisi di
respirare << Lei, mia
figlia, si chiama Renoir, l’ho chiamata così per
quella medaglietta. Ho pensato fosse fuori dal comune come lei
>> sussurrò. Non potei fare a meno di
sorridere e sentire gli occhi pizzicare. Renoir. Sapevo il
suo nome. Anche io pensavo che il nome Renoir fosse fuori dal comune,
speciale come lei. Si chiamava Renoir << Ha i suoi stessi
occhi >> continuo. Lo guardai cercando di calmare le mie
emozioni << Davvero? >> mi stava parlando
di lei. In qualche modo si stava fidando di me << Si, ha
gli occhi azzurri come i suoi, anche il naso
all’insù e il colore del suo incarnato
>> il cuore sembrò volesse scoppiarmi nella
cassa toracica. Aveva i miei occhi, il mio naso.. lei aveva qualcosa di
me. Qualcosa che testimoniava che era uscita da me, che aveva passato
nove mesi dentro me. Era sbagliato provare un’emozione
positiva?
<< Signorina Swan, sebbene io non creda nelle
coincidenze, ho bisogno di avere una prova tangibile di quanto afferma.
Ne è della vita di mia figlia. Quindi vorrei poter fare il
test del DNA >> l’amava, lo vedevo dai suoi
occhi, da come ne parlava. Tra noi due, non ero io il vero genitore e
l’idea che fosse cresciuta con un padre come lui, mi diede
sollievo. Era un brav’uomo.
<< Si, certo. Mi dica quando e ci sarò
>> risposi scattante. Repressi un sorriso, lui sembrava
tutto fuorché euforico. Poi guardò
l’orologio che aveva al polso << Si
è fatto tardi, devo andare >> si
alzò in piedi e prese la giacca poggiata su un angolo del
tavolo. Lo imitai, alzandomi. Eravamo, fermi, l’uno di fronte
all’altro. Mi sovrastava con la sua altezza <<
Mi dispiace per.. >> per
essermi presentata nella sua vita, avergliela distrutta insieme alle
sue certezze. Non aggiunsi quel che pensavo, eppure lui
sembrò leggermi dentro: << Ormai è
troppo tardi >> troppo tardi.
Un’intera settimana e non si era fatto sentire. Aveva detto
che mi avrebbe chiamato ma così non era stato. E io stavo
morendo dalla voglia di piazzarmi, di nuovo, sotto la sede del suo
lavoro ma non potevo farlo. Se mi aveva detto che lo avrebbe fatto,
allora dovevo fidarmi. Però a tutto c’era un
limite, no? Io non potevo starmene con le mani in mano con il nervoso
che mi rodeva lo stomaco. In quel momento ero al pub, alla fine e per
fortuna, non mi avevano licenziato. Avevo inventato
un’intossicazione alimentare delle più gravi. Mi
aveva aiutato Tanya con tanto trucco da poter sembrare un moribonda
fuggita da un ospedale. Ero una barman, grazie ancora
all’aiuto della mia amica. Mi aveva istruito a dovere
facendomi fare un apprendistato nel bar del suo locale. In
realtà negli ultimi tre anni avevo dovuto imparare a far
molte cose. Ero stata cresciuta sotto una campana di vetro. Quindi
quando mi ero ritrovata fuori casa, senza sapere che fare dovetti
rimboccarmi le maniche.
Il locale dove lavoravo, richiedeva esperienza e una bella presenza.
Con bella presenza, si includeva un determinato tipo di abbigliamento.
Non che vestissi con abiti striminziti o inguinali. Vestivo come
qualsiasi altra ragazza che dovesse uscire la sera per la movida
newyorkese; secondo Samantha proprietaria del locale, somigliante in
maniera assurda a Samantha di Sex and the city, i clienti consumavano
più per la bella presenza di una donna o uomo dietro il
bancone che per vera voglia. Di conseguenza lavoravo affianco di Jack,
figo da paura e gay fino al midollo ma questo le clienti non lo
sapevano.
In realtà negli ultimi anni mi ero limitata a guardare e a
non toccare, non ero tipo da ragazzo e tantomeno da una botta e via.
Ero troppo impegnata per essere sentimentalmente intrappolata.
Secondo Tanya il mio era un comportamento da zitella inacidita. Quando
glielo sentivo dire, scoppiavo a ridere. In fin dei conti lei non
sapeva e pensava fossi uscita da una relazione amorosa che mi aveva
distrutta. In parte era così, la prima e ultima volta che
avevo fatto sesso, ero rimasta incinta. E non era stato neanche bello e
con amore, c’era solo stato solo tanto fastidio. Era stata
più che un’esperienza traumatica. Al solo ricordo
mi veniva il ribrezzo.
<< Sei bellissima, avresti potuto limitarti con quel
corpetto >> sussurrò al mio orecchio.
Il punto era che non sembrava neanche gay, come quelli di alcuni film,
per questo inizialmente Tanya non poté evitare di prendersi
una brutta cotta per lui. Come poteva non averla: era bello fuori e
dentro. Aveva i capelli neri, gli occhi quasi grigi, il fisico formato
perché faceva il ballerino. E poi era dolce, gentile, sexy.
Quando lo scoprì, non contenta, le provò tutte
per fargli cambiare sponda. Tuttavia i suoi tentativi finirono con un
buco nell’acqua. Poco dopo riuscì a farsene una
ragione uscendo con tanti ragazzi. Il classico chiodo schiaccia chiodo.
Sorrisi a ringraziarlo << Dopo vieni a ballare con me?
>> chiese implorante. Per ballare non intendeva una
normale discoteca ma un club di balli latini. Una sera di circa due
anni prima, quando ormai il pub era chiuso, mi aveva invitato al centro
del locale e mi aveva insegnato a ballare la salsa << Ci
devo pensare.. sono stanca oggi ho avuto un esame >>
bofonchiai, servendo un Manhattan
a un cliente.
Di colpo mi sentii osservata e me lo ritrovai davanti. Lui. Per me non
aveva un nome. Per me era lui.
Mi sentii in imbarazzo e non ne capii il motivo. Perché
diamine si doveva presentare dove lavoravo? Esistevano i telefoni
cellulare. Non aveva una fidanzata da cui tornare? Lei con chi stava
quando lui non era in casa? A meno che fosse una cosa troppo importante
per poter aspettare e se...
<< Un Whisky liscio >> disse ad alta voce
per sovrastare la musica.
Con la coda dell’occhio vidi Jack ammiccare in mia direzione.
Figo da paura,
bisbigliò sgranando gli occhi. Se avesse saputo...
Lo fissai spaventata << Le è successo
qualcosa? >> chiesi, fingendo una tranquillità
che non avevo affinché il mio compagno di lavoro non potesse
capir nulla.
Poggiai il suo drink con le mani tremanti.
Scosse il capo in segno negativo ma non ne ero tanto convinta.
Quattro e trenta del mattino, io stavo staccando e lui non si era mosso
di un centimetro. Mi aspettava. Stavo finendo di pulire il bancone, la
tensione mi stava stremando e Jack non faceva altro che guardare lui
insistentemente. Credeva potesse darmi fastidio <<
Dovrebbe andarsene >> disse serio <<
Aspetto la signorina >> rispose. Jack saettò
lo sguardo su di me << Ci penso io, non preoccuparti. Lo
conosco >> rassicurai, con un sorriso tirato
<< Buonanotte >> terminai sulle spine.
<< Non le è successo niente vero?
Perché.. se.. se sta male.. >> la voce
tremò e si spense subito dopo. Lei stava male e io non ero
con lei. Cominciai a torturarmi le mani << No, sta bene
>> sorrise gentile. Allora perché era venuto
se lei stava bene?
Camminammo fino alla mia auto, io più confusa che mai
<< Possiamo andare da qualche parte a parlare?
>> ruppe il silenzio. Voleva fare conversazione o era un
altro modo di offrirmi denaro? << Ehm.. si
>> a disagio, forte disagio.
Di nuovo lì, alla stessa caffetteria. Stavolta avevo preso
un caffè come lui << Possiamo passare al tu?
>> chiese. Annuii cauta << Io sono Edward
>> porse una mano in mia direzione <<
Isabella ma se vuole... se vuoi puoi chiamarmi Bella >>
gli strinsi la mano. In confronto alla mia era molto grande.
Era calda.
Calda in modo strano, non letteralmente calda.
Stai impazzendo.
Le mie erano solitamente ghiacciate, la sua era accogliente.
Sorrise affidabile << Ho visto che hai tanti lavori
>> dovevo calmarmi, era normale che cercasse di capire se
fossi sincera o meno << Quattro. Cameriera, barman,
fotografa di eventi e poso per un pittore >>
m’imbarazzai << Studi? >>
continuò << Si. Ingegneria aerospaziale.
Vorrei diventare ingegnere aerospaziale specializzato in aerodinamica
>> dichiarai.
Non era proprio l’ideale fingere di essere due conoscenti che
andavano di amore e d’accordo ma se gli serviva a qualcosa
dovevo accettarlo, anche se il mio unico pensiero era quando avremmo
fatto il test del DNA.
Lo guardai in viso, sembrava stupito << Complimenti.
Quanto ti manca alla laurea? >> feci due calcoli a mente
<< Per la fine dell’anno dovrei farcela
>> mancavano circa nove mesi e due esami. Ero in
dirittura d’arrivo per questo ero più stressata
del solito. Tuttavia mi piaceva ciò che studiavo.
Sin da piccola guardavo gli aerei in cielo e mi facevo un sacco di
domande su come potessero volare. Nel mio cervello si era creata una
versione parecchio sdolcinata, poi crescendo e scoprendo la
verità il mio interesse era rimasto.
<< Tu, che lavoro fai? >> non potevo
continuare a rispondere alle sue domande come fossi in un
interrogatorio. Mi sarebbe piaciuto, sì, perché
non trovavo perché volesse sapere gli affari miei.
Sei la madre di sua
figlia, cazzona.
Sì, giusto, doveva capire se fossi affidabile o una
squallida donna che voleva usare sua figlia per interesse
<< Hai fatto delle ricerche. Dovresti saperlo
>> frecciatina pungente per ricordarmi che lo avevo
controllato?
Smettila con la
paranoia.
Risi isterica, scostando i capelli da una parte all’altra
<< In realtà so solo che è
un’industriale, non so di cosa si occupa di preciso
>> ciò che mi premeva era sapere dove si
trovava, non ciò che faceva << Le mie
industrie si occupano di costruire attrezzature ospedaliere
>> wow!
<< Scusi.. cioè scusa, quanti anni hai?
>> cavolo, non sembrava così tanto vecchio
<< Trenta. Tu? >> si era costruito un
impero a soli trent’anni.
Di certo averlo davanti non aiutava la mia la mia autostima, per quanto
riguardava il lavoro.
Forse lo guardai imbambolata, non me ne resi conto <<
Ventuno >> feci finta di nulla e bevvi un sorso di
caffè.
Il suoi occhi si scurirono << Quindi quando..
>> sapeva a cosa si riferiva << Quindici
anni, si >> non mi piaceva parlarle <<
Posso chiederti perché hai deciso.. >> mi
strinsi nelle spalle << Forse è meglio se ti
racconto la mia vita in grandi linee >> annunciai.
Chiusi gli occhi per pochi istanti, giusto per racimolare le parole
adatte. Presi un respiro profondi e li riaprii << Sono
nata e cresciuta a Chicago. Figlia di genitori abbienti e fortemente
tradizionalisti e cattolici. Ero la classica figlia che tutti
vorrebbero avere: ottima educazione, ottima carriera scolastica,
riservata ma con carattere. Ero figlia unica e loro pupilla. Per questo
decisero di darmi più libertà, acconsentendo a
partecipare alle feste. In una di queste feste conobbi un ragazzo e
bè.. rimasi incinta. Quando glielo dissi, probabilmente li
uccisi. Non fecero altro che dirmi quanto erano delusi dal mio
comportamento, della vergogna di avere una figlia come me.
Così decisero di trasferirsi a New York. Da quel momento in
poi diventai la pecora nera e io ero incinta.. mia madre mi ignorava e
non sapevo che fare. Ero solo una ragazzina impaurita. Loro presero la
decisione per me. Dissero che avrei dovuto darlo in adozione, che era
la scelta giusta, che ero troppo giovane.. dicendo che non sarei stata
una brava madre. Ero fragile, non è una giustificazione ma
lo ero. Inizialmente mi ero fatta convincere, poi quella notte me la
misero in braccio. Subito dopo il parto. Ricordo che era ancora un
po’ violacea e gli occhi non erano aperti. Profumava di
rose.. di me. Poi lei mi prese un dito tra le sue manine, come se
avesse la certezza di essere piccola ma forte. Pensai che fosse la cosa
più bella che avessi mai visto. Implorai, scalciai
affinché me la facessero tenere ma non me lo permisero ed io
non ero abbastanza forte per oppormi. Ricordo solo che hanno dovuto
sedarmi >> il mio sguardo era perso nel vuoto, il tono di
voce distaccato.
Ripensare a loro non faceva male, non faceva bene. Non faceva nulla.
Provavo indifferenza. Non li amavo né li odiavo.
Indifferenza. Uscii dal mio mondo, ricordandomi di non essere sola.
Era lì, mi fissava. Speravo che avesse compreso la mia
sincerità. Gli avevo raccontato la mia vita. Oltre ad essere
il padre adottivo di mia, era uno sconosciuto. Cos’altro
dovevo dimostrare? E soprattutto come?
<< Che fine ha fatto il padre naturale? >>
s’informò. Alzai le spalle << Loro,
i miei genitori intendo, mi hanno convita a non dirgli niente. Rovineresti anche la sua vita,
dissero >> in realtà avevano paura che potesse
farmi cambiare idea. Ancora dovevo capire come potevano definirsi
cattolici, essendo degli ipocriti patentati.
<< Non cerco la tua compassione o altro. E’
già tanto che tu sia qui ad ascoltarmi. Probabilmente al tuo
posto, avrei avuto una reazione del tutto diversa. Ti capisco cerchi di
proteggerla ed è una cosa molto bella >>
poggiai un gomito sul tavolo e con la mano mi massaggiai le tempie.
Sentivo la testa sul punto di scoppiare. Ero distrutta tra
università, lavoro e confessioni << Ti senti
bene? >> annuii stanca << Posso chiederti
cosa accadrà dopo il test. Non offenderti ma anche tu hai
detto che non credi alle coincidenze. La madre adottiva cosa ne pensa?
>> era inutile rimandare << Renoir non ha
una madre >> tolsi la mano dagli occhi, sgomenta
<< Come scusa? >> probabilmente avevo
capito male. Speravo di aver capito male <<
Bè.. avevo una compagna che non voleva avere figli,
così le ho proposto di adottarne uno e lei inizialmente
è stata disponibile. Poi quando Renoir è entrata
nella nostra vita, lei si è tirata indietro e io.. dovresti
conoscerla.. >> i suoi occhi brillarono. Dovresti
conoscerla. Io volevo conoscerla con tutta me stessa <<
Renoir è una forza della natura. I suoi sorrisi.. illuminano
il mondo e i suoi occhi come il cielo. Mi sono innamorato sin dalla
prima volta che l’ho presa in braccio e così ho
preso una scelta. Mi sono reso conto di amarla più di quanto
avessi mai amato Carmen, così si chiama, e che probabilmente
non l’ho mai amata. Così le ho chiesto di fingere
per qualche tempo finché gli assistenti sociali non avessero
smesso di controllarci. Avevamo una relazione fittizia, lei si era
trasferita in un’altra casa e io avevo degli agganci che mi
informavano ogni qualvolta che dovevano venire a fare dei controlli.
Non volevo e non potevo allontanarmene >> nello stesso
istante in cui si zittì, compresi che lei non poteva
capitare in mani migliori. Però d’altra parte mi
sentii male all’idea che fosse cresciuta senza una madre
<< Quindi siete solo voi due? >> per quel
che ne sapevo poteva avere una ragazza o un ragazzo. Jack era gay e non
si vedeva. Anche lui poteva essere gay << Si, a parte la
mia famiglia. Ha degli zii pazzi e due nonni che la viziano.
E’ la piccola di casa e certe volte se ne approfitta facendo
la boccuccia tremolante, dovresti vedere com’è
teatrale.. >> parlava troppo gasato.
Sorrisi con un sorrisi tirato. Se da una parte mi piaceva sentirlo
parlare di lui, dall’altra mi rattristava. Io non la
conoscevo. Probabilmente lui notò il mio cambio
d’umore e si bloccò << Cosa vorresti
fare se il test fosse positivo? >> chiese a sua volta.
Mi torturai le mani, in ansia << Non importa cosa voglio
io, cioè importa ma sei tu suo padre. Prima ancora di
pensare cos’è che voglio io, bisogno considerare
il meglio per lei. Per non traumatizzarla.. >> e se
avesse detto che non potevo vederla? Mi fissò in modo
strano. Come se gli avessi detto qualcosa di illuminante
<< E’ una bambina felice Isabella. Davvero!
Sorride anche quando dorme. Lei sa di essere stata adottata e
l’ha presa bene, lo dico perché me ne sono
assicurato grazie all’aiuto di uno psicologo. Lei
è una bambina serena e piena di vita.. >> era
serena.
E’ felice. Mi morsi le labbra con ferocia, sentivo gli occhi
lucidi.
Lui sorrise come a darmi coraggio. Apprezzai il suo gesto
<< Probabilmente non vorrà vedermi.. io..
>> gracchiai insicura << Le spiegheremo
tutto. Stai tranquilla. Prima pensiamo al test. Se non ti dispiace,
domani possiamo incontrarci alla clinica privata sulla 52esima
>> ricambiai il sorriso poi mi ricordai
dell’ora << Domani o tra poche ore?
>> chiesi confusa. Effettivamente tutte le nostre
chiacchiere le avevamo affrontate ad orari simili. Scoppiò a
ridere. Mi stupì. Il fatto che non fosse poi così
rigido, dopo solo pochi giorni significava che mi credeva. Che aveva
abbassato l’ascia di guerra << Tra poche ore.
Anzi, devo tornare a casa. Alle otto e trenta, alla clinica, va bene?
>> si, certo che andava bene. Fosse stato per me, anche
adesso potevamo andarci.
Rientrai nel mio appartamento distrutta. Era poco lontano dal
ristorante di Tanya ed era essenziale. Una cucina, un bagno, un salotto
e due camere da letto. Lo avevo arredato usando colori tenui. Per le
pareti avevo scelto il bianco e l’arredamento era classico.
Non troppo ricercato ne troppo misero.
Il mio unico pensiero fu togliermi quelle dannate scarpe alte. Erano
asfissianti dopo sei ore.
Mi buttai sul divanetto color panna, al centro del salotto. Ero
così stanca ma sapevo anche che non potevo addormentarmi
altrimenti non mi sarei più svegliata. Quindi dovevo
alzarmi, farmi una doccia calda e bere un litro di caffè.
Dopo la clinica, alle undici avevo un matrimonio per cui dovevo
lavorare come fotografa. In poche parole, se fossi stata fortunata
avrei dormito per un’ora prima di andare al ristorante. Prima
o poi sarei impazzita.
Trascinai i piedi fino al bagno, mi spogliai, regolai l’acqua
e infine mi misi sotto il getto dell’acqua. La doccia era un
ottimo momento per farmi riflettere. Riepilogando:
*Avevo trovato mia figlia.
* Suo padre l’adorava.
* Non aveva reagito male, a parte un primo attacco di stronzaggine
quando mi aveva offerto soldi ma comunque la consideravo una
reazione giustificata.
* Tra poche ore avrei fatto un test di DNA, superfluo ma avrebbe
verificato quando dicevo.
* Forse mi avrebbe dato la possibilità di conoscerla.
Si, erano i giorni più belli di tutta la mia vita. O
ra che l’avevo trovata, dovevo concentrarmi su cosa le avrei
detto se l’avessi incontrata. Forse mi somigliava anche
caratterialmente, oppure aveva le mie stesse dita dei piedi o le mie
orecchie un po’ a sventola. Lui diceva che era felice, che
era teatrale. Anche io le ero molto: per evitare di andare a scuola
fingevo di avere chissà cosa. Aveva i miei occhi, il mio
naso e il mio incarnato. Mi piaceva più del lecito saperlo.
Mi rivitalizzava. Forse non mi avrebbe odiato se le avessi detto della
mia identità. E poi cosa sarebbe successo?
Mi sarei dovuta licenziare da almeno un lavoro. Non ero libera quasi
mai e dovevo trovare una soluzione. Il problema era scegliere quale.
Tutti e quattro avevano pro e contro. Del lavorare come cameriera,
c’era di positivo che Tanya non era una datrice stronza. Il
pub era ben retribuito nonostante fosse part-time. Posare per un
pittore era la cosa più facile e allo stesso tempo
più difficile. Il pittore in questione era Jean Lewis:
professore di storia dell’arte, e pittore che faceva molte
mostre, sui quarant’anni. Lo avevo incontrato per la prima
volta un anno prima. Un bell’uomo.
Molto più che bell’uomo. Uno dei pochi casi in cui
vecchio è buono. Molto somigliante a Patrick Dempsey, almeno
questo era ciò che mi aveva detto la mia amica. Lei aveva
un’ossessione per Patrick Dempsey, quindi doveva somigliargli
davvero tanto.
Comunque.. ritornando a noi, mi vide al campus. Mi si parò
davanti e disse che aveva il bisogno fisico di riprendere la mia anima
attraverso gli occhi. Non nascondo che lo guardai come se fosse folle e
così si affrettò a presentarsi. Mi elesse sua
musa, chiedendomi di posare per lui. Inizialmente rifiutai dato che
poteva anche chiedermi di posare nuda. Poi disse che pagava mille
dollari e accettai. Non facevo mica film per adulti. Fallo in nome dell'arte,
aveva implorato platealmente.
La prima volta che andai nel suo studio, portai Tanya con me, fu
imbarazzante. Mi feci addirittura delle paranoie pensando
chissà cosa, però notai il suo sguardo privo di
malizia nonostante fossi semiscoperta e mi acquietai. Inoltre i suoi
non erano nudi espliciti. Certe volte mi chiedeva di tener fermo il
viso perché gli interessava riprendere solo il mio profilo,
altre mi chiedeva di spogliarmi e coprirmi con le mani il seno. Il suo
era un effetto vedo- non vedo. Non era mai volgare, né lui
né i suoi quadri.
Invece la fotografia mia era sempre piaciuta, sin da bambina. Giravo
sempre con una polaroid per casa e fotografavo ogni cosa mi attirasse.
Mi piaceva poter immortalare degli istanti nel tempo. Le fotografie
c’erano quando i ricordi sbiadivano. Erano come un sostegno
per non essere tristi ulteriormente, pensando al passato. Iniziai col
fare da assistente a un fotografo. Poi lui mi chiese di sostituirlo per
un’intera giornata e i clienti si erano complimentati con lui
per le fotografie scattate con le mie mani.
Ed ora era necessario scartare uno di questi lavori. C’era
anche da dire che avevo avuto una botta di culo micidiale. Chi era
tanto fortunato da poter trovare quattro lavori, tutti ben retribuiti,
che non cozzano l’uno con l’altro?
All’università mi presentavo solo quando
c’erano gli esami. Facevo la fotografa solitamente al mattino
o al pomeriggio, solitamente per matrimoni. Da Tanya avevo i turni
serali fino all’una di notte. Al pub lavoravo solo nei
weekend e attaccavo all’una e trenta. E per Patrick Dempsey,
si fa per dire, solo quando ero libera. Il fatto era che lavoravo
così tanto solo per capriccio. Dovevo ancora finire di
pagare il prestito universitario, le rate dell’auto e gran
parte dei miei risparmi erano andati per pagare
l’investigatore privato che avevo assunto e ancora dovevo
finire di pagarlo. Ero indebitata fino alla punta dei capelli.
Uscii dalla doccia e mi misi di fronte all’armadio non
sapendo che indossare. Alcune spose, richiedevano espressamente che
anche il fotografo fosse en pendant con il matrimonio. La sposa in
questione, mi aveva chiesto l’abito lungo.
Che non sia mai che indossi un semplice abito al ginocchio.
Avevo già parlato di Tanya? Bé lei anche in
determinate situazioni mi salvava, prestandomi i suoi abiti. Quello che
avevo tra le mani era di uno strano colore.. prugna: né blu
né viola. Era adatto al clima primaverile. Anche se in
verità lo trovavo un po’ strano. Non ci badai.
Sistemai i capelli con qualche forcina per dare un effetto naturale, mi
truccai leggermente e mi misi le assassine. Tacco dodici.
Otto scoccate. Dovevo darmi una mossa.
E alla fine ci riuscii! Dopo aver rischiato l’osso del collo
a causa della cicca di una sigaretta, dopo aver caricato
l’attrezzatura in macchina, dopo esser volata in un traffico
opprimente.. arrivai alla meta alle otto e venticinque minuti. Okay,
forse non ero in anticipo di molto ma almeno non ero in ritardo.
Ero così persa nei miei sogni di gloria, che la fitta che
arrivò al mio stomaco quando mi ricordai per cosa
c’ero venuto, mi colpì. Test del DNA. Ansiosa mi
misi a camminare avanti e indietro, di fronte all’edificio,
ignorando gli sguardi delle persone a causa del mio abbigliamento.
Dovevo calmarmi, aspettavo da una vita questo momento. Io lo volevo con
tutta me stessa quel momento. E se fossero state solo coincidenze?
Che motivo avrebbe avuto
Liz di dirti un nome falso.
Giusto, Liz! Dovevo smetterla di dimenticare particolari importanti.
Per una volta dovevo mettere da parte la mia sbadataggine
<< Isabella? >> saltai in aria,
completamente persa in Bellalandia.
<< Buongiorno >> sussurrò. Mi
colpì in pieno quando lo vidi. Era la prima volta che lo
vedevo con la luce del
sole. Ed era davvero un bel ragazzo. Di giorno i suoi
occhi sembravano più chiari << Si, buongiorno
>> mi sentivo confusa. Stranita da me stessa e dai miei
pensieri.
Entrammo in ascensore e non fiatammo. C’era tensione per
ciò che sarebbe avvenuto. Però non potei evitare
di notare che fissasse il mio abbigliamento << Devo
andare a un matrimonio >> sussurrai ma suonò
come una giustificazione << Si sposa qualcuno a te
vicino? >> cercava solo di smorzare la tensione
<< No, faccio la fotografa >> te lo avevo
detto ieri. Aggrottò la fronte << Non
è troppo.. >> non riuscì a
continuare temendo di offendermi << Elegante? Si! Ma sono
gli ordini della sposa >> rise leggermente. Si, mi piace
la sua risata. Trattenni un sorriso << Come faremo per la
questione? Qualcuno sa della mia esistenza? >> ritornai
seria << No. E’ mia figlia, non devo dare
spiegazioni a nessuno per quello che faccio. Comunque le ho preso un
capello >> potevo fidarmi di lui? <<
Posso.. posso chiederti come ha i capelli? >> sapevo solo
dei suoi occhi. Sorrise << Un po’
più chiari dei tuoi ma sempre castani e ha i boccoli
>> sospirai estasiata << E’
bellissima.. >> mormorai, cercando di immaginarla
<< Si lo è. Anche brillante, spiritosa,
estroversa.. >> sentivo le farfalle nello stomaco,
all’idea di poterla vedere.
Il plin dell’ascensore, segnalò il nostro arrivo.
Il respiro affannato, il cuore batteva inesorabile, le mani sudate. Mi
sentivo sul punto di perdere i sensi << Isabella, ti
senti bene? >> la sua voce arrivò ovattata.
Sentii la nuca imperlarsi da un leggero velo di sudore <<
Isabella? >> mi si offuscò la vista e per un
breve istante traballai, finché qualcuno non mi
afferrò per un gomito per riportarmi alla realtà.
Presi cognizione di me stessa, di essere nel laboratorio, che lui mi
guardava con una punta di preoccupazione negli occhi e che
probabilmente la nostra vicinanza era inappropriata <<
Sto bene. Un po’ d’ansia >> mi
difesi, cercando di allontanare la presa su di me. Eravamo
l’uno di fronte all’altro, c’era una
strana cosa attorno a noi. Se mi avesse guardato ancora come se volesse
leggermi dentro, mi sarei messa ad urlare. Le somigliavo, ora che lo
sapevo poteva anche smettere. E poi i suoi occhi: dritti nei miei.
Erano di un bel colore.
Improvvisamente qualcuno si schiarì la voce e io ritrovai me
stessa. Era stata la dottoressa << Sei sicura?
>> chiese, liberandomi << Si, certo
>> mentii.
E per qualche strano motivo non fui credibile, perché mentre
il medico metteva in una provetta sia il mio capello che quello della
sua bambina, sentii la sua mano stringere la mia e il mio affanno si
calmò. Mi fece sentire il suo calore.
Mi sarebbe piaciuto ringraziarlo, dirgli che qualcun altro non si
sarebbe mai comportato come lui. Tuttavia non ci riuscii e compresi che
eravamo sulla stessa barca.
Dopo il piccolo momento di defaillance. Cercai il distacco. Non era
opportuno che ci tenessimo per mano, neanche se la situazione era
delicata. Eravamo solo degli sconosciuti.
Sconosciuti ma genitori di una bambina. Uscimmo dall’edificio
e ci dirigemmo verso il parcheggio << Quando arriveranno
i risultati? >> domandai << Tra qualche
giorno >> rispose. Infilai le chiavi nella serratura
dell’auto. Ero.. indecisa forse << Arriveranno
sia da me che da te >> aggiunse <<
Bè.. ci vediamo Isabella >> in quel caso, la
mia boccaccia avrebbe dovuto starsene zitta e il mio cervello non
avrebbe dovuto mandare nessun impulso ma purtroppo il mio cervello era
un bastardo: << Edward.. vuoi.. vuoi venire con me?
>>.
******
Ciao ragazze. Vorrei
chiarire un punto: in questa storia non sarò così
drammatica come nella precedente. Si potrebbe definire anche una
commedia. Comunque ecco il primo capitolo della mia nuova avventura.
Sono tutta gasata! Okay, smetto di fare l’esagerata. Spero vi
possa piacere e se vi va recensite altrimenti grazie di averlo letto.
Un bacione acalicad.
|
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Capitolo 3 *** Legami ***
Perché? Perché? Perché gliel’avevo chiesto. Mi sarei voluta amputare la lingua in un colpo secco così che soffrissi dolorosamente.
Calmati, più tempo passerai con lui più ti parlerà di lei.
Ero una cretina, perché avrebbe dovuto accettare? Aveva un lavoro, una vita. E io gli chiedevo se voleva venire con me? Pazza. Ero una squilibrata. Una cogliona con qualche problema psichico.
Continuava a guardarmi come se gli avessi detto chissà cosa. Con un leggero sorriso sulle labbra.
Ammettiamolo, un bel sorriso.
Avrei tanto voluto sprofondare. Non lo conoscevo neanche.
Smettila non gli hai fatto mica una proposta indecente
<< Sei in giacca e cravatta e potrei dire che sei il mio assistente >> ancora!
Boccaccia del piffero, traditrice.
Ecco ora stavo colando a picco.
Brava Bella, ottimo lavoro.
Se non ci fosse stato lui di fronte a me, mi sarei messa a puntare i piedi come una bambina. Perché a me? Okay dovevo fingere nonchalance e ritrattare. Dovevo farlo prima che fosse tardi << Scusami, avrai il tuo lavoro. Non voglio disturbarti ulteriormente >> ecco, si, stavo riprendendo il controllo delle mie facoltà mentali << Si, mi piacerebbe venire. E poi il bello di essere il capo è che posso delegare >> dichiarò.
Fregata!
Avrei tanto voluto chiedergli se ne era sicuro ma poi avrei fatto capire ciò che pensavo e non era l’ideale. Cavolo! Cavolo! Cavolo! Mi imposi di sorridere << Bè.. okay. Allora non ti rimane che seguirmi con l’auto >> forse suonai un tantino stridula. Non potevo certo di dirgli che era stata la mia boccaccia a parlare. Oddio.. dov’era Tanya quando serviva.
Arrivammo a una villa nella periferia di New York. Il quartiere era molto lussuoso. Per fortuna sia la cerimonia che il ricevimento si sarebbero svolti in un unico luogo. Questo avrebbe evitato di farmi impazzire spostandomi da una parte all’altra.
Scesi dall’auto e aprii il cofano << Vuoi una mano? >> spuntò alle mie spalle. Cavolo, mi sorprendeva sempre << No, non preoccuparti.. >> sembrava un controsenso la mia voce tranquilla e la mia espressione insicura a causa del borsone con le macchine fotografiche << Goditi tutto.. e spero di non averti costretto.. >> mi sentii in colpa. Lui aveva da dirigere un’azienda e forse si era sentito in dovere << No, volevo venire davvero >> si, era sincero << E poi sono il tuo assistente, devo aiutarti >> era gentile, molto, forse troppo. Perché si stava comportando così? Era strano. Le sue reazioni non erano normali. Mi confondeva.
Se è stronzo perché è stronzo. Se è gentile perché è gentile. Non credi dovresti deciderti?
La cerimonia fu veloce ma le foto erano d’obbligo. Alla fine riuscii a fare un ottimo lavoro anche nel momento del servizio in posa. Così arrivammo al ricevimento e conclusi il mio lavoro con le ultime fotografie di rito del ballo.
Durante l’arco di tutta la giornata sentii spesso, i suoi occhi su di me. Ancora non capivo cos’altro aveva da fissarmi. M’innervosiva.
Feci finta di nulla e lo raggiunsi, era seduto in un tavolo in disparte << Ciao. Scusami per essere sparita >> mi sedetti al suo fianco, con un flute di champagne tra le mani. Anche lui ne aveva uno tra le mani << Sapevo che avresti lavorato, non preoccuparti >> era un uomo molto elegante e carismatico. Okay, anche molto bello. Me n’ero resa veramente conto durante la giornata: molte donne non avevano fatto altre che fissarlo.
Bevve un sorso dal suo bicchiere e sorrise << Dato che siamo qui dovremmo parlare >> propose. Si aveva ragione e io sapevo bene di cosa volevo parlare << Posso farti una domanda? >> chiesi ansiosa << Dimmi >> m’incitò. Presi un respiro profondo per darmi coraggio e parlai: << Perché ti comporti così con me? Cioè.. io sono io e tu.. >> non seppi come continuare << Ho avuto una reazione anormale? >> me lo domandò divertito. E in qualche modo mi ritrovai a sorridere per la sua espressione << Tante volte mi sono chiesto se quando fosse cresciuta, avrebbe voluto incontrare i suoi genitori naturali. Poi sei apparsa tu. La mia idea istintiva è stata quella di proporti dei soldi e mi dispiace, pensavo solo a proteggere lei. Sono suo padre e non mi importa se non abbiamo lo stesso sangue, Renoir è la mia vita. Però tu mi hai inzuppato per poi pulirmi. E ho visto lei nei tuoi gesti. Anche lei un minuto prima è un uragano e quello dopo si addolcisce. E mi hai confuso.. >> ebbi una fitta allo stomaco << E’ lunatica come me >> constatai euforica << Già. Ho passato una settimana a ripensarci e alla fine sono arrivato alla conclusione che non voglio che mia figlia possa pensare che è stata abbandonata senza conoscere la verità. Ti credo Isabella >> mi aprii in un sorriso raggiante << Sei il padre migliore che lei potesse avere. Davvero, Edward >> quelle parole uscirono spontanee << Ti ringrazio. Allora, cos’altro vuoi sapere? >> era un po’ in imbarazzo << Qualche allergia? Favola preferita? Colore preferito? Dolce preferito? Piatto preferito? Frutta preferita? >> parlai talmente in fretta che rimasi senza fiato << Ti dirò solo le allergie: è allergica alle arachidi e alla penicillina >> un'altra prova! << Anch’io sono allergica alle arachidi! >> esultai scatenando una sua risata. Poi ci pensai attentamente << Perché non vuoi dirmi le altre cose? >> suonai stridula e spaventata. E mi fece arrabbiare che continuasse a sorridere << Ormai sappiamo entrambi che il test è una formalità. Quindi penso che potresti conoscerla e sarà lei a raccontarti della sua vita >> rimasi immobile, colpita come un pugno in faccia da quella affermazione.
Inspira ed espira. Inspira ed espira. Non farti prendere dal panico.
L’istinto mi disse di strangolarlo in un abbraccio ma, per fortuna, riuscii a trattenermi. Mi limitai a guardarlo con gli occhi lucidi e pieni di ringraziamenti << Dovresti dir qualcosa >> consigliò sottovoce. Rilasciai un sospiro e mi resi conto di aver trattenuto il fiato << E se.. >> dovetti interrompermi a causa della presenza di un uomo di fronte a noi. Per un breve istante, fu estremamente difficoltoso dover staccare gli occhi dai suoi per puntarli su qualcun altro.
Entrambi lo fissammo con aria interrogativa. Poteva avere circa settant’anni e un sorriso dolce gli distendeva le labbra << Dovrebbe invitare a ballare la sua compagna, sarebbe un sacrilegio non farlo con un fiore tanto raro >> se da una parte mi scioccò dall’altra mi costrinse a trattenere una risata. Stavo per dire che io e lui non eravamo.. bé avete capito ma sempre lui mi anticipò: << Ha ragione >> poi si rivolse a me << Perdona la mia mancanza >> quattro parole e un atroce brivido lungo la schiena. Mi si seccò la gola. E senza capir nulla, mi prese la mano e sentii una.. non sapevo come definirla.
Ma che cavolo..
<< Fa nulla. Con la vostra generazione bisogna essere espliciti. L’amore non aspetta, si dia una mossa >> mi sentii le guancie andare a fuoco.
Situazione del piffero!
Mi portò al centro della pista da ballo, sembrava che per lui fosse normale. Io avrei voluto eclissarmi << Non devi sentirti in dovere >> in realtà era una supplica. Non volevo ballare. Volevo scappare.
Con grande grazia mi avvicinò a se, mise una mano alla base della mia schiena e con l’altra prese la mia e l’appoggiò sul suo cuore. Infine mi strinse a se, poggiando una guancia sulla mia tempia. Le mie vie respiratorie entrarono totalmente in sciopero quando sentii l’odore della sua pelle. Sapeva di uomo, un odore fruttato e frizzante con un pizzico di dopobarba << Non è affatto un dovere >> il colpo di grazia.
Perdindirindina..
Ero talmente scioccata che mi scappò una risata isterica << Perché ridi? >> era un’impressione o la sua voce era cambiata. Stavo dando i numeri. Era l’effetto dello champagne oltre al fatto che ero a stomaco pressoché vuoto. Quindi dovevo rilassarmi << Poco prima è stato imbarazzante. La classica scena da film di serie B in cui i protagonisti non sanno di amarsi, se ne rendono conto quando qualcuno li costringe a ballare insieme a finiscono col passare tutta la vita insieme >> anche lui si unì alla mia risata << Si ma aveva ragione, sono stato maleducato a non chiederti prima di ballare >> sbaglio o si era alzata la temperatura?
L’unica alternativa era zittirmi. Era una situazione altamente fuori dal comune. Stavo ballando con il padre di mia figlia. Renoir.. era bello sapere che lei era reale << Cosa stavi per dire prima che ci interrompesse? >> domandò. Mi mordicchiai le labbra << E se non dovessi piacerle? Se dovesse odiarmi? Forse è sbagliato che tu voglia farmela conoscere.. >> non potevo credere che lo avessi detto per davvero.
Improvvisamente, mentre continuavo a rodermi il fegato per la mia stupida, mi fece fare un giro su me stessa. Per fortuna non mi fece cadere e apprezzai molto il suo gesto di distrarmi << Ammetto che è un peperino. E certe volte parla e agisce senza pensare.. che ne dici di prima di dirglielo, di conoscerla e farti conoscere? >> stava facendo di tutto per venirmi incontro. Decisi di guardarlo negli occhi, per farlo dovetti alzare il capo. Forse era alto un metro e novanta o poco più.
I suoi lineamenti, i suoi occhi perfino il loro colore esprimevano un’onestà disarmante << Non si sentirà presa in giro? >> mormorai preoccupata. Sorrise << No.. è troppo buona per pensarlo >> tornai ad appoggiare il capo sulla sua guancia.
La melodia stava esalando le sue ultimi note, pensavo tornassimo a sederci ma lui mi stupì facendo finta di nulla e continuando a parlare, facendo si che la nuova canzone iniziasse << Perché ti è piaciuto il nome Renoir? >> chiese. Sorrisi al ricordo << Bè.. quando stavo aspettando che il test mi facesse vedere se fossi incinta o meno. Ero ansiosa e sembrava che il tempo non passare mai, così presi un libro sperando di distrarmi. Quando trovai la vita di Pierre Auguste Renoir, con la coda dell’occhio vidi la linea rosa del test ed ero talmente scioccata che urlai: “Renoir” >> ridacchiò insieme a me << Poi pensandoci bene ho trovato che fosse un nome atipico, anche un po’ romantico, delicato. E’ un nome unico come lei. Quale altra bambina al mondo si chiama Renoir se non Pierre Auguste Renoir. E se dobbiamo essere proprio pignoli non è una donna e non è il suo nome ma il suo cognome? >> un’altra giravolta, un altro sorriso e mi riportò stretta a lui << Il punto non è perché mi piaceva il nome Renoir, il punto è perché l’hai scelto tu >> dichiarai. Fu il suo momento di fissarmi negli occhi. Aveva qualcosa che non riuscivo a decifrare negli occhi << Come hai detto tu è un nome unico. Speciale e raffinato >> unico come lei.
Sospirai pesantemente << Credo si sia fatto tardi, tu devi tornare a lavoro e io a fare qualcosa >> tra cui dormire. Ero sveglia da due giorni e se non avessi incontrato la morbidezza di un letto sarei impazzita. Sbadigliai apertamente << Sembri stanca >> notò. Scossi il capo << No >> mentii << Un caffè mi sveglierà >> rassicurai.
Mi caricò sino all’ultimo borsone in auto << Grazie ma io non intendevo che dovessi farmi da assistente letteralmente >> scrollò le spalle << E’ stato un piacere >> disse. Poi prese il portafogli, lo aprì e ne estrasse un biglietto << Questo è il mio numero. Chiamami per qualsiasi evenienza >> affermò. Aggrottai il fronte. Perché avrei dovuto chiamarlo? Non potevo fargli pressioni. Era lui che doveva farlo.
Tuttavia presi il suo biglietto da visita << E’ meglio che anch’io ti dia il mio >> a differenza sua io non avevo un biglietto da visita. Mi diede il suo Iphone e così semplificai ogni eventuale operazione << Finora sei venuto a ogni mio lavoro ne manca uno e vorrei evitare che tu mi vedessi svestita >> non era un modo per dirgli che era stato una scocciatura e lui lo capì << Si, hai ragione >> rise.
Poi assurdamente, scese un silenzio fatto di imbarazzo. Sentii nuovamente la temperatura aumentare << Io.. io vado >> borbottai confusa. Gli diedi le spalle ma poi lo richiamai << Edward? >> anche lui mi dava le spalle << Si? >> ci pensai su prima di parlare << Potresti darle un bacio per me? Non devi dirle che glielo mando io.. >> mi stavo incartando << Si, lo farò Isabella >> mi tranquillizzò.
Bastò un istante: non appena entrai in casa, mi fiondai in camera da letto, tolsi il vestito in un gesto secco e cominciai a saltare sul letto come una bambina.
Mi sarebbe piaciuto chiedergli una foto ma non volevo tirare troppo la corda. Mia figlia. Non vedevo l’ora di vederla. Dovevo solo essere paziente. Prima mi sarei fatta conoscere. Speravo che ci fosse feeling. Non mi illudevo che solo perché ero sua madre, mi sarebbe saltata al collo. E se davvero non le fossi piaciuta? Doveva essere una bambina particolare..
<< Che stai facendo? >> appena sentii la voce di qualcuno, il piede prese una storta e caddi come una stupida, per fortuna, sul letto. La guardai inferocita << Mi hai fatto prendere un infarto! >> strillai, massaggiandomi la caviglia. Era Tanya, aveva le chiavi del mio appartamento perché mi fidavo di lei << Si, come sempre ma perché saltavi come una cavalletta? >> si sedette sul letto, accavallando le gambe, molto curiosa << Non c’è un motivo >> mentii. Mi fissò attentamente, poi mise l’indice su una guancia come se stesse riflettendo << Vediamo.. >> iniziò. Il suo sguardo si accese di malizia << Al matrimonio hai ballato con l’uomo della tua vita >> trillò. Come diamine a sapere che avevo ballato con un uomo? << Tranquillizzati. Non sono una veggente. Solo che profumi di uomo e a meno che tu non ti sia strusciata su qualcuno, comportamento non da te, vuol dire che hai ballato >> mi annusò come a dare atto alle sue parole. Ero sconcertata << Deve essere ricco, bello, buono e affascinante >> mi spaventò il suo fiuto << Come fai a dirlo? >> chiesi stranita. Alzò le spalle come se niente fosse << Dal profumo si capiscono tante cose >> forse solo lei lo capiva.
Mi alzai e indossai il un vestito che usavo per dormire << Che ci fai qui? Di solito a quest’ora sei al locale >> constatai, accoccolandomi sotto le coperte. Mi sentivo distrutta, volevo dormire << Si ma siccome tu non ti fai vedere da ieri.. ho pensato di venirti a farti una visita, tuttavia credo che dovresti parlarmi del super figo con cui hai ballato >> non si lasciava sfuggire la possibilità di parlare di ragazzi << Non era un super figo >> scimmiottai.
Bugia.
<< Neanche così affascinante >> aggiunsi.
Cazzata del secolo.
<< Né profumato come dici tu >> dichiarai.
Perché non ti specchi per vedere se ti è cresciuto il naso?
<< Non lo conoscevo neanche, mi ha semplicemente invitato a ballare e non abbiamo parlato. Un solo ballo al cui termine sono andata via >> mi giustificai << Bello o meno d’ora in poi, per me, diventerà l’uomo profumato >> affermò maliziosa.
Dati i recenti sviluppi, presto o tardi avrei dovuto dirle la verità. Speravo solo che non si arrabbiasse, che capisse, che non mi giudicasse per ciò che avevo fatto a Renoir.
Tanya aveva ventotto anni. Era una delle poche persone a cui volevo veramente bene, che c’era stata sempre. Ci eravamo conosciute su un treno, io piangevo come una fontana e lei mi offrì un kleenex. Mi disse che non bisognava mai abbattersi, che c’era sempre una soluzione e me lo dimostrò offrendomi un posto al suo ristorante oltre che un letto su cui dormire. In un certo senso fu il mio angelo custode.
Certe volte mi sentivo in colpa a nasconderle una fetta importantissima del mio passato, lei si era fidata di me cecamente ma non ci ero mai riuscita così promisi a me stessa che appena avrei trovato Renoir le avrei raccontato tutto.
<< Sconosciuto o meno, profumato o meno ti ha fatto un bell’effetto. Sei raggiante, i tuoi occhi luccicano >> se luccicavano, ero per tutt’altro motivo. Sorrisi << Grazie, tesoro. Ora non vorrei essere inospitale ma se vuoi che stasera faccia un ottimo servizio devi lasciarmi dormire. Se vuoi resta ma io dormo >> mi coprii il viso con il piumone mentre la sentivo ridacchiare.
Passarono altri giorni, nell’attesa di quel test.
Tra poche ore avrei dovuto partecipare a un altro matrimonio. Però a differenza della volta precedente non sarei stata costretta a indossare qualche vestito assurdo e avrei fatto solo qualche foto a Central Park per poi essere sostituita.
Ero un po’ stanca poiché la sera prima Jack mi aveva convinta ad andare a ballare. Era molto empatico ed aveva capito che aveva capito quanto avessi bisogno di distrarmi.
Erano le nove del mattino, ero appena uscita dalla doccia. Con ancora i capelli bagnati, avevo indossato un semplice prendisole.
Odiavo il phone, dopo i capelli sembravano elettrizzati. Preferivo di gran lunga l’asciugatura naturale.
Ormai ballavo e cantavo da circa dieci minuti sulle note di “Walking on sunshine”. Ecco perché adoravo vivere da sola. Potevo far quel che volevo, senza che nessuno protestasse << I’m walking on sunshine wooah! I’m walking on sunshine woooah! >>m’interruppi a causa del suono del campanello di casa. Era sicuramente Tanya, doveva raccontarmi del suo appuntamento con un tipo da urlo, secondo lei << I’m walking on sushine woooah.. >> corsi ad aprire << And don’t it feel good.. >> le parole morirono i gola appena vidi chi era << Oh.. cazzo! >> strillai per poi chiudere la porta.
Merda! Merda! Merda! E il premio per la figura di cacca dell’anno va a.. Isabella Swan!
Presi un respiro e riaprii la porta, rossa di vergogna. Lo vedevo: si stava trattenendo dal ridere. Perché diavolo non usava il cellulare, diamine! Lo feci entrare in casa, intimidita << Buongiorno >> avevo la nausea. Speravo solo che prima di vomitare, andasse via << Giorno >> gracchiai << Scusami se sono venuto ma è arrivata la busta della clinica e mi chiedevo se anche a te fosse arrivata >> non sembrava a disagio, bene.. un attimo! Cosa aveva detto? La busta << Non ho ancora controllato la posta, resta qui io vado.. >> corsi fuori di casa.
Era arrivata.
Rientrai leggermente paonazza in viso. Sentivo il respiro affannato << E se fosse un errore? >> chiesi << Credo che ormai sia troppo tardi per poterlo dire >> disse con voce dura << Lei ha una vita.. io potrei rovinargliela.. io non ho nessun diritto.. >> ansimai << No, non le rovinerai la vita ma io non posso costringerti a fare nulla che tu non voglia. Qualora volessi tirarti indietro, allora ti chiedo di non presentarti mai più. Se entri nella sua vita, dovrai esserci sempre e non solo quando ti fa comodo. Ci siamo capiti, Isabella? >> era più che serio. Annuii, punta nel vivo da quelle parole. Si, sapevo che il suo obbiettivo era proteggerla e gli’ero grata ma se avessi voluto scappare non avrei passato gli ultimi anni a rintracciarla << Certo che lo so. Cosa credi? Che scapperò via? Io non voglio deluderla ma il punto è che già l’ho fatto >> mi scaldai più del dovuto. Con la stessa rabbia, aprii la busta e lo trucidai con gli occhi << Isabella… >> il suo tono si addolcì << Senta signor Cullen.. volevo dire Edward, so che non sono stata io a crescerla e so anche che prima di essere io sua madre, sei tu suo padre. So che non sono stata un genitore ma vorrei tanto esserlo e non accetto che mi si dica ciò che già so. Non voglio un giocattolo con cui passare il mio tempo. Ci siamo capiti, Edward? >> sospirai frustrata << Si, mi dispiace >> lo sentii dire poco dopo << Dispiace anche a me >> risposi.
Presi un respiro profondo e lo vidi.
Compatibilità del 99.7%.
Sentii il cuore esplodermi dentro, come se ogni cosa dentro me trovasse il suo posto. Una lacrima sfuggì al mio controllo << L’ho trovata >> mormorai emozionata. Sorrisi << L’ho trovata >> ripetei. Il silenzio che ne seguì a quell’affermazione, lo ignorai. Non importava nulla in quel momento che parlasse o meno. Ciò che contava era che sentivo che sarebbe andato tutto bene. Che nonostante le difficoltà, sarei riuscita a farmi amare da lei.
Dopo un tempo che a me parve infinito, decisi di rivolgermi a lui. Non riuscii a capire se fosse contento o meno. In fin dei conti per quale motivo avrebbe dovuto essere felice? Stavo per scombussolare la vita di Renoir e avevo già scombussolato la sua << Non farò mai qualcosa che tu non voglia >> sperai che mi credesse. Asserì col capo, probabilmente più per farmi vedere che aveva capito che per vera convinzione << Io ora devo andare.. >> vedere nero su bianco ciò che sapevamo entrambi lo aveva destabilizzato << Si, certo >> morivo dalla voglia di chiedergli quando avrei potuto conoscerla ma tacqui per non scombussolarlo oltre.
Indossai dei semplici jeans e una t-shirt. Non presi neanche l’auto. Era una bella giornata e poi non abitavo tanto lontano da Central Park. Presi solo una macchina fotografica e uscii di casa.
Okay, se non l’ammazzi tu, lo faccio io!
Erano esattamente tre ore, quaranta minuti e sei secondi che una sposa stava stuzzicando il mostro che albergava in me. Secondo lei la luce non era perfetta, l’obbiettivo della mia macchina fotografica non era perfetto, c’era troppa gente attorno a noi, troppi bambini, troppi piccioni, troppe foglie. Una parte di me si astenne dall’urlarle contro che era lei di troppo. Però pensai che era una sposa, era agitata.
Sposa, un corno!
Ancora un po’ di pazienza e mi sarei liberata di lei. Solo un po’ di pazienza.
Trovai pace quando arrivò il sostituto.
Mi stesi sull’erba a godermi la sensazione di calore sul viso data dal sole. Poi c’era il venticello che mi solleticava le guancie e l’odore di primavera che mi rendeva più euforica.
Poi lo squillo del mio cellulare, mi riscosse dal mio torpore << Chi mi rompe le palle? >> risposi divertita << Ehm.. Isabella, sono Edward >> ecco seconda figura di merda del giorno. Mi misi eretta con la schiena e incrociai le gambe << Scusami, Edward, credevo fossi qualcun altro >> dato che non mi chiami mai. Ridacchiò forse agitato << Non, preoccuparti è che.. >> si, sembrava davvero agitato << Dimmi >> tesi le orecchie, curiosa << A quanto sembra.. ci troviamo nello stesso posto e io non sono solo >> sgranai gli occhi e mi guardai attorno. Non sono solo. Poteva significare solo una cosa << Davvero? Lei è con te? >> chiesi apprensiva. Lei era qui! Era a pochi passi da me << Si. Non credo ci sia più alcun senso rimandare. A meno che tu non sia d’accordo >> trattenni il respiro << Davvero? Si! Se per te va bene certo. Dove siete? >> trillai << Io sono dietro di te >> affermò.
Mi voltai e lo vidi. Era.. sembrava cambiato da quel mattino. Il suo abbigliamento non era più formale ma indossava un jeans scuro e una felpa grigia. Era la prima volta che lo vedevo in quel modo. Stava bene. Sul suo volto c’era anche un sorriso. Non tirato ma dolce e gentile.
Chiuse la chiamata e mi salutò con un cenno della mano. Decisamente dimostrava molto meno dei suoi trent’anni.
Ricambiai il suo gesto mentre lui si avvicinava a me << Ciao >> mi salutò. Mi alzai in piedi << Ciao.. >> mi morsi le labbra, impaziente. Anche se sentivo gli occhi lucidi dall’agitazione e il respiro pesante << Sei pallida >> sentirmelo dire non mi aiutava affatto << Ne.. ne sei sicuro vero? Perché io ho paura. Pensavo che sarebbe successo tra molto e mi hai colto di sorpresa >> la mia voce tremò << Prima o poi sarebbe avvenuto, no? >> tentò di confortarmi << Si ma.. >> sentivo le gambe tremarmi << Isabella, sono sicuro di quel che faccio. E’ stata una casualità quindi dovremmo approfittarne >> no, la sua tranquillità non mi aiutava affatto.
Mi torturai le mani. Dovevo essere felice delle sue parole << Posso chiederti dov’è? >> domandai. Indicò con l’indice un punto di fronte a noi. Lentamente alzai lo sguardo e la vidi. Qualche metro lontano da noi, c’era una bambina che ci dava le spalle. Aveva i capelli castani, come aveva detto lui, ed era seduta sull’erba.
Mi scappò un gemito e mi appoggiai alla prima cosa che trovai: la sua mano. E la strinsi così forte che mi stupii che non gli stessi facendo male << Mi serve solo un attimo >> bisbigliai << Tutto il tempo che vuoi >> rispose.
Potevo trovarla bellissima ed essere felice come mai prima d’ora, vedendola solo di spalle? Mi sentii un groppo in gola << Da quando ho dovuto darla via.. non ho provato più niente. Né dolore né tristezza ma neanche felicità o gioia. Niente. E ora è come se tutte le emozioni bloccate negli anni fossero riemerse. Fanno male ma fanno anche bene.. >> mi asciugai le lacrime, non lasciando la sua mano che nel frattempo si era intrecciata alla mia. Mi stava dando sostegno, protezione e sicurezza.
Mi sentivo tramortita. Dolore e gioia, felicità e tristezza, odio e amore si stavano scatenando dentro me. Si stavano combattendo a vicenda << Tutto il tempo che ti serve, Isabella >> ribadì.
Infine decisi di abbandonare la sua presa: non potevo perdere altro tempo. Tutta la mia vita, le mie fatiche, il mio amore.. era tutto condensato nel corpicino della bambina poco distante da noi. Ero la madre di quella creatura.
Lo guardai affinché mi dicesse cosa fare << Vai a presentarti >> suggerì << Tu non vieni? >> fece di no con il capo << Resto qui per un po’. Lei non è molto diffidente, dille che sei una mia amica. Se hai bisogno di me, alza lo sguardo e io arrivo >> se non fossi stata troppo impegnata con la mente, avrei eretto una statua in suo onore.
Mi allontanai di qualche passo, per poi tornare indietro e abbracciarlo di slancio.
Diciamo pure che gli sei saltata al collo.
Bè.. i miei piedi non toccavano il terreno ma non mi importava. Rimase rigido per qualche minuto finché non ricambiò l’abbraccio << Grazie, grazie, grazie. Non basterà una vita per ringraziarti >> mormorai al suo orecchio con voce commossa.
Ritornai con i piedi per terra << Grazie Edward. Davvero >> imposi a me stessa di non piangere e mi diressi verso lei.
Il tempo sembrò fermarsi.
I tratti delicati. Due grandi occhi azzurri come il cielo e pieni di vita. I lunghi capelli castano chiaro che le arrivavano alla vita e terminavano in dei delicati boccoli. L’incarnato come l’avorio. Il naso all’insù che le dava una nota sbarazzina e elegante. Le guancie leggermente arrossate.
Era un angelo.
La bambina più bella che avessi mai visto.
Era una parte di me e lo sentivo con ogni molecola del mio corpo.
Di colpo alzò gli occhi e li puntò su di me. Era incuriosita. E aggrottò la fronte. Un gesto tipico di Edward.
Con il cuore galoppante, mi sedetti al suo fianco. La fissai a lungo. Notai come le stesse bene il vestito bianco che indossava. Come fosse gentile ogni suo movimento. Poi qualcosa sul suo collo luccicò
Il medaglione.
Ero sempre stata con lei in un modo o nell’altro. Ero sempre stata al suo fianco << Ciao >> sorrisi, sperando di rassicurarla. Ricambiò il sorriso. Il suo accecante sorriso era il più bello del mondo. Aveva le fossette e la trovai ancora più bella << Scusi ma il mio papà non vuole che parli con gli sconosciuti >> forse stavo impazzendo ma mi sembrò che la sua voce fosse un tintinnio di campanellini << Io sono un’amica del tuo papà. Conosco Edward >> affermai. Assottigliò lo sguardo << Allora piaci al mio papà, lui non mi presenta mai le sue amiche >> il sorriso non volle abbandonare le mie labbra << No. Sono solo un’amica >> sottolineai divertita << Io sono Bella Swan >> tesi una mano verso di lei. L’afferrò dopo qualche istante << Renoir Masen Cullen >> sorrise << Piacere di conoscerti Renoir. Hai un nome bellissimo >> avrei tanto voluto abbracciarla. Dirle che l’amavo con tutta me stessa << Grazie, anche il tuo non è male >> ritornò a giocare con i fili d’erba << Sei molto bella >> mi scappò. Arrossì leggermente << Sei molto gentile, Bella. Anche tu sei molto bella e hai gli occhi più belli che abbia visto >> avrei tanto voluto piangere << Posso chiederti una cosa? >> chiese timida << Certo, tutto quello che vuoi >> acconsentii << Ti piace il mio papà? >> cavolo se era diritta << No, perché? >> scrollò le spalle << Se sei venuta a presentarti da me vuol dire che ti piace e vuoi starmi simpatica così piacerai anche a lui >> non seppi che dire di fronte a quel ragionamento << Sai.. molte mamme della mia scuola fanno le carine con me per poi andare a presentarsi a papà >> sgualdrine << No, lo giuro, non mi piace il tuo papà. Volevo solo conoscere te senza alcun scopo. Edward mi ha parlato molto di te >> volevo con tutta me stessa che mi credesse. Avrei tanto voluto parlare con quelle donne << Quanti anni hai? >> cambiò argomento << Ventuno. Tu? >> anche se lo sapevo dovevo fare in modo affinché tutto sembrasse il più naturale possibile << Sei >> dichiarò pensierosa << A cosa pensi? >> chiesi come se fosse un bisogno fisico << Forse sei troppo giovane per il mio papà.. >> si fermò per poter contare con le dita << Nove anni sono tanti, non trovi anche tu? >> ero totalmente innamorata di lei << Conosco molte coppie che hanno molti anni di differenza >> uno su tutti i miei genitori ma non avrei rovinato quel momento, parlando di loro << Quindi stai dicendo che non ci sarebbe nulla di male a stare con papà? >> mi stava mettendo alle strette << No, tesoro, sto solo dicendo che se tuo padre dovesse stare con una ragazza un po’ più giovane di lui, non sarebbe anormale >> dare quella risposta mi aveva fatta sudare << Perché non ti piace? Lui è molto bello >> oh santo cielo.. << Renoir, il tuo papà è molto bello ma siamo solo amici. Mi piace solo come amico >> mi sentivo accaldata.
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, non un silenzio imbarazzante o pesante. Un bel silenzio, fatto di complicità << Qual è il tuo colore preferito? >> lo ruppi, curiosa di sapere quanto più possibile << Il blu. Il tuo? >> neanche per un istante di tutta quella discussione che non mi avesse guardato negli occhi << Non lo so.. non sono mai stata decisa su queste cose >> risi.
Sembrava tutto così naturale, come se l’avessi sempre conosciuta << La tua favola preferita? >> continuai << Preferisco Geronimo Stilton. Dopo un po’ le favole sono noiose >> arricciò il naso infastidita. Si, effettivamente.. << Torta preferita? >> forse sembrava un interrogatorio << Perché c’è una che fa schifo? Basta che si chiama torta e io mangio >> fu una frazione di secondo: ci guardammo negli occhi, ci capimmo e scoppiammo in una fragorosa risata << Anch’io sono golosa >> dissi con le lacrime agli occhi << Invece qual è il tuo gelato preferito? >> lei mi porse quella domanda. Non potei far altro che sorridere. Si stava fidando di me << Menta. Il tuo? >> senza rendermene conto mi avvicinai a lei << Vaniglia e cioccolato >> i suoi occhi brillarono << Ti.. ti va se andiamo a prendere un gelato? >> proposi. Scattò in piedi << Che aspettiamo? >> m’incitò.
Andammo verso Edward. Camminavamo fianco a fianco, finché non sentii la sua manina stringere la mia. Nel mio cervello ci fu il blackout. La guardai allucinata e arrossì delicatamente << Noi siamo amiche, no? Perché tu mi stai simpatica Bella >> annuii come un’ebete << Certo, siamo amiche e anche tu mi stai simpatica >> balbettai confusa. Sorrise come se le avessi dato una grande notizia << Un’altra cosa! Se ti piace papà, non solo come amico, per me non ci sono problemi. Come ti ho detto prima se ti ha permesso di conoscermi, vuol dire che gli piaci! >> mi fece l’occhiolino.
Lui era seduto su una panchina, con gli occhi fissi su di noi e un sorriso sulle labbra << Ehi! >> la prese in braccio. Sentii una stretta al cuore. Non fu una sensazione negativa, anzi. Erano bellissimi insieme << Papà, possiamo andare a prendere un gelato? >> mi piacque come disse la parola papà. Mi piacque che gli occhi di lui si accendessero << Certo scricciolo! >> lei gli baciò la guancia, estasiata.
Ci sedemmo in un piccolo chiosco << Posso offrire io? >> implorai. Era una richiesta stupida ma volevo essere io a comprarle quel gelato. Si limitò ad annuire, sempre sorridente.
Li guardavo battibeccare ed era la cosa più bella del mondo. Erano padre e figlia, indipendentemente dai legami di sangue. Lo dimostrava il rapporto con Charlie e Renee. Erano i miei genitori, eravamo legati da un vincolo di sangue ma quanto erano stati genitori a strapparmi via mia figlia?.
Vidi la punta del suo naso, sporca di gelato alla vaniglia. Sorrisi e glielo ripulii con un polpastrello e lo misi in bocca << Si, la vaniglia è proprio buona! >> scoppiammo a ridere e con la coda dell’occhio vidi Edward fissarci in modo strano << Bella, posso chiederti cosa c’è in quella borsa grande? >> chiese << Renoir non essere impertinente >> la riprese << Penso che l’impertinenza e la curiosità siano due cose differenti >> mormorai, sperando che non se la prendesse per essergli andata contro. Invece ridacchiò alzando le mani in segno di resa.
Presi il borsone ed estrassi la macchina fotografica e lei aprì la bocca dallo stupore << Dopo possiamo fare una fotografia? >> domandò agitata. Mi sarebbe piaciuto dire di si ma non avevo io l’ultima parola << Dovremmo chiederlo al tuo papà >> la informai << Edward, dovresti chiamarlo Edward. Sai non è solo mio padre >> consigliò, facendomi arrossire. Risi isterica << Allora Bella.. hai un fidanzato? >> era davvero una bambina precoce! << Ehm.. no >> deglutii a vuoto, imbarazzata << Oh.. >> annuì furba.
Dopo il gelato, facemmo una passeggiata per il centro di New York. Io ero affascinata da lei. Dalla sua testa, i suoi gesti, le sue parole. Era sicura, determinata ma certe volte anche timida, estroversa, gentile, divertente, spiritosa, carismatica, intelligente. Avrei potuto riempire fogli e fogli per giorni senza mai fermarmi.
Continuava a farmi domande come me d’altronde. Sapeva dei miei studi, delle mie passioni, tutto.
E lui non smetteva di guardarla, guardarmi, guardarci.
Lei mi considerava sua amica e per ora mi bastava. Era sbagliato che la considerassi mia figlia? Che sentissi una connessione con lei? Era così facile interagire.
Camminavamo tutte e tre insieme. Entrambi tenevamo lei per mano. Lei voleva tenermi per mano e la sola consapevolezza mi stordiva, mi faceva vedere il mondo con occhi diversi, come se fosse migliore. Era questo quel che si provava ad avere un figlio? << Bella, un giorno ti piacerebbe venire al Luna Park con noi? >> guardai Edward, per essere sicura che fosse d’accordo: annuì << Certo che vengo ma non sarò granché di compagnia. Ho lo stomaco debole >> ammisi << Ti basterà una sola settimana con noi e ti rafforzeremo >> mai parole furono più veritiere << Perché noi ci rivedremo, vero papà? >> si rivolse a lui << Certo! Tutte le volte che vuoi scricciolo >> confermò << Perfetto! >> esultò. Si, era molto gasata << E può venire anche a casa, no? Se non ha un ragazzo.. >> ridacchiai << Si, se vuole può venire >> non capivo da dove venisse tutta la sua fiducia << E potremmo organizzare un pigiama party con zia Alice e zia Rose. Secondo me impazzirebbero per te >> mi piaceva sentirla progettare i nostri futuri incontri anche se non conoscevo le sue zie << Tesoro, Isabella ha tante cose da fare. La scuola, il lavoro.. >> le ricordò lui << No! >> obbiettai << Cioè.. se per te non è un problema.. >> precisai << Possiamo vederci quando vuoi. Lavoro solo di sera, quindi se tu vuoi e il tuo papà.. Edward vuole, ci possiamo vedere ogni volta che lo desideri >> perché io lo desideravo ardentemente. Sorrise raggiante << Sai papà.. Bella mi piace molto. A te piace? >> ma che.. << Scricciolo stai somigliando sempre di più a zia Alice >> deviò la risposta, per fortuna. Su certi aspetti era molto insistente << Okay la smetto ma solo se andiamo a mangiare. Ho fame! >> annunciò.
Eravamo seduti al tavolo di una pizzeria << Come.. come va la scuola? >> domandai, mentre lei addentava un trancio di pizza << Si, bene.. >> si tenne sul vago << In realtà è molto brava in quasi tutte le materie >> si intromise lui. Renoir sbuffò << Indovina perché vado bene in quasi tutte le materie? >> mi domandò retorica << Ho quasi tutte le maestre donne. Che per me hanno qualcosa che non va.. ogni volta che vedono papà si rincretiniscono del tutto e iniziano con le vocine svenevoli >> rovesciò gli occhi irritata mentre io stentavo a trattenere le risa. Edward, dal canto suo sembrava in imbarazzo << Renoir, non è vero! >> la rimproverò divertito << Oh certo.. allora perché nelle materie in cui ci sono insegnanti maschi ho dei voti normali? E se non mi sbaglio all’ultimo colloquio la strega di storia, ti ha chiesto se avevi una fidanzata. Sottolineo che ha qualche capello bianco! >> quel battibecco mi stava divertendo più del dovuto << Ha la mia stessa età >> replicò << A me sembra più vecchia! >> terminò con una punta di gelosia nella voce. Era così tenera. Avrei tanto voluta riempirla di baci, abbracciarla fino allo sfinimento. Le guancie un po’ mi dolevano a causa del mio sorriso costante.
Però come tutte le cose belle, prima o poi doveva finire. Mi accompagnarono a casa in auto. Quando scesi dall’auto, entrambi mi imitarono.
Mi inginocchiai all’altezza della piccola. Ora che l’avevo conosciuta, che le avevo parlato, doverla lasciarla andare mi causava una stretta al cuore << Posso abbracciarti? >> chiesi con voce tremante e gli occhi lucidi. Non rispose ma prese l’iniziativa e lo fece. L’abbracciai. Lei mi stritolò e mi commossi. Per la prima volta potei sentire la consistenza della sua pelle. Nonostante gli anni continuava a profumare di rose e di me. Avrei tanto voluto dirle che l’amavo più della mia stessa vita ma si sarebbe stranita << Mi è piaciuto tanto conoscerti >> soffiai, non potendomi permettere di alzare la voce << Anche a me >> tenendola ancora stretta a me, mi asciugai il volto per non turbarla. Però quella sensazione di calore che mi stava trasmettendo era così piacevole.
Chiusi gli occhi. E sorrisi estasiata.
Ognuno nasceva per qualche motivo. O almeno era quello che nonna Marie, madre di Charlie, mi ripeteva sempre. Il mio scopo, il motivo della mia esistenza era lei. E mi faceva sentire così forte, potente, averla tra le braccia.
Poi sciolse l’abbraccio e mi baciò una guancia mentre io le posai un bacio sulla fronte << Io vado in macchina, così vi salutate meglio >> affermò, regalandomi un ultimo sorriso. Ma io non volevo che andasse via.
Non volevo che andasse via! Non ora che l’avevo ritrovata.
Edward si avvicinò a me << Stai bene? >> chiese gentile. Tirai su col naso << Si è che.. buona giornata Edward >> non avevo voglia di parlare. Per quanto fosse un controsenso, sentivo il cuore spezzarsi a vederla così lontana da me << Isabella, sei sicura che non vuoi parlarne? >> che diavolo voleva sentirsi dire? Quanto mi sentissi uno schifo? << Si. Ti ringrazio per quello che hai fatto >> in qualche modo trovai la forza per dargli le spalle, di allontanarmi da lei.
Chiamai Tanya e finsi di avere l’influenza. Ero pazza probabilmente. L’avevo conosciuta, avrei dovuto sentirmi euforica. In realtà lo ero. D’altra parte, però, ero distrutta. Vederla, il riaffiorare di tutte quelle emozioni.. la consapevolezza di essermi persa gran parte della sua infanzia mi lacerava.
Piansi per chissà quante ore. Stretta al mio cuscino, con la testa sotto le coperte.
Piansi finché non sentii gli occhi gonfi e brucianti. Forse piansi così tanto da finire la mia riserva di lacrime.
Poi qualcuno bussò al campanello. Andai ad aprire solo perché il suono stridulo contribuiva a farmi aumentare l’emicrania. Appena vidi chi era, mi buttai tra le sue braccia singhiozzante.
Tadadada… sulle braccia di chi si è buttata?? Spero che un po’ di suspance vi piaccia! Che dire di questo capito? Vediamo.. accadono tante cose. Alcune belle, altre brutte. Bè se vi è piaciuto e volete recensire fatelo altrimenti grazie di aver letto. Un bacio immenso acalicad.
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Capitolo 4 *** Sunrise ***
Tanya continuava ad abbracciarmi mentre io mi disperavo.
Qualcosa si era spezzato.
Il muro era caduto.
Le barriere avevano ceduto.
Per tutti quegl’anni mi ero imposta di essere forte. Se lo fossi stata poi sarei stata anche più ragionevole nella mia ricerca. E infatti lo ero stata: ragionevole, senza permettere a qualcuno di sapere, in un certo senso rigorosa. Però ora ero stanca. Ero stata rigorosa per troppo tempo. Dopo averla stretta a me, non avevo più voglia di essere rigorosa. Io volevo abbracciarla, stringerla a me, volevo farle altre cento domande. Volevo lei.
<< Sapevo che c’era qualcosa che non andava. L’ho sentito dalla tua voce >> mi abbracciò materna. Mi fece sedere sul divano e si allontanò. Istintivamente mi portai le gambe al petto. Imposi a me stessa di non piangere. Di calmarmi, di non preoccuparla ulteriormente.
Poco dopo ritornò con una tazza tra le mani e me la consegnò. Era camomilla. Al primo sorso rabbrividii dal disgusto. Odiavo ogni cosa si associasse alla parola tisana, tè o altro di simile. Le consideravo brodaglie insapore chedavano l’impressione di malaticcio. Io camminavo, agivo, mi addormentavo, perfino, grazie al caffè.
Per questo senza fare troppi complimenti, feci un’espressione schifata e appoggiai la tazza sul tavolino di fronte al sofà << Se ti dessi del caffè, finiresti con l’agitarti ancor di più >> bugia. Mi sarei calmata, avrei razionalizzato, avrei chiuso i rubinetti dei miei occhi e mi avrebbe permesso di inventare qualche scusa per non dirle la verità. Perché io non voglio dirtelo Tanya, fa troppo male di per sé. Ora che l’ho vista, fa male anche respirare. Sarebbe doloroso anche dirti che non ho nulla.
Rimasi in silenzio, con gli occhi riversi nel vuoto << Perché non vuoi dirmi mai niente? >> perché è difficile. Perché non so che parole usare. Perché ormai sono abituata a prendermi cura di me, da sola << Okay, smetto di essere petulante. Un giorno me lo dirai cosa ti porta a Bellalandia >> continuò di fronte al mio mutismo. Bellalandia non se ne andrà mai via. Mi tormenterà per sempre. E’ parte di me come lo è mia figlia. Nonostante il tempo, gli anni, Bellalandia mi ricorderà sempre quello che ho fatto.
Dormire, mi servì molto. Mi acquietai e mi fece sparire i brutti pensieri. Essere lunatica non mi dispiaceva così tanto. Una bella dormita, una doccia fresca e i brutti pensieri sparivano.
Mi svegliai sul divano, trovando Tanya avvinghiata al mio corpo con braccia e gambe. Risi leggermente. Era una brava amica. Un tesoro.
Inavvertitamente puntai gli occhi sull’orologio sopra il televisore e urlai a squarciagola. Senza volere, la staccai da me bruscamente e cominciai a correre per casa senza sapere cosa dovessi fare << Che succede? >> mugugno assonnata. La guardai assonnata << Sono in ritardo! >> strillai, fiondandomi in bagno.
Ci misi esattamente tre minuti a fare la doccia. Scappai in camera scelsi dei jeans e una camicia che per la troppa fretta lasciai sbottonata << Cazzo, cazzo! Mi devo muovere, mi devo muovere >> sistemai i capelli alla bell’è meglio << Mi vuoi dire per cosa sei in ritardo? >> chiese porgendomi una tazza di caffè. La bevvi tutta d’un sorso, ustionandomi il palato e la gola. Quasi rimasi senza voce << Sono in ritardo per le dispense che il professore consegnerà >> strillai rauca.
Il campanello di casa suonò << Apri tu! Devo prendere la borsa >> corsi in camera, presi ciò che mi serviva pronta ad uscire di casa.
Se non fosse per un piccolo particolare!
C’era Edward e Tanya mi fissava maliziosa e anche con le guancie rosse << Ehm.. buongiorno Edward. Io sono in super ritardo, devo scappare >> dissi agitata << Piacere Edward, io sono Tanya >> si presentò, porgendogli la mano. Lui l’afferrò e sorrise leggermente. Vidi distintamente, la mia amica fremere.
Io le esponevo il mio ritardo e lei si presentava? << Devo scappare! >> sottolineai << Allora Bella.. >> iniziò, ignorando le mie parole e annusando l’aria << Quindi è lui l’uomo profumato! >> stronza di un’amica che gode nel vedermi in imbarazzo. Poche ore e ti uccido. Ti spennerò dalle tue piume!.
La trucidai con gli occhi << Edward, saluta Tanya. Noi dobbiamo scappare >> tanto è l’ultima volta che la vedrai <amica mia >>anzi addio!
Uscimmo fuori casa e sgranai gli occhi appena vidi un cartello con scritto: “Guasto” sulle porte dell’ascensore. Digrignai i denti e senza pensarci troppo mi accanì sul suddetto cartello, strappandolo e pestandolo sotto i piedi << Ti odio, ti odio! >> borbottai. Guardai Edward che a sua volta sembrava divertito dalla mia reazione << Se devi dire qualcosa devi correre. Dobbiamo fare cinque piani di scale e in meno di dieci minuti devo essere all’università >> prima ancora che finissi di parlare, correvo come una matta.
Mi parve di correre la maratona di New York. Arrivai all’entrata del palazzo sfiancata, con un fianco sinistro che mi doleva a causa del parecchio movimento e senza aria. Non riuscii a continuare che dovetti fermarmi. Mi piegai su me stessa, poggiando le mani sulle ginocchia. Ancora dovevo capire perché diavolo non era suonata la sveglia!
Perché la sveglia è in camera tua e tu hai dormito sul divano.
Mai più avrei corso così tanto. Che fine aveva fatto Edward? Mi guardai alle spalle. Come se niente fosse, con nonchalance, uscì dall’ascensore. Tranquillò, asciutto e fresco come una rosa. Mi prendeva per il culo? Stavo collassando a furia di fare quelle scale e lui aveva usato l’ascensore << Le porte dell’ascensore del tuo piano erano guaste, non l’ascensore. Al quarto piano ho controllato ed era agibile >> non mi sarei offesa se me l’avessi detto prima << Ah.. >> mi misi eretta. Nel frattempo mi squadrò da capo a piedi e sgranò gli occhi per poi trattenere il respiro. Forse anche lui era stanco << Isabella.. >> tentò di dire. Saltai in aria, ricordandomi del ritardo << Devo scappare, devo scappare >> trillai come un’ossessa. Gli diedi le spalle pronta a scappare ma la presa sul mio braccio mi fermò << Edward, davvero sono in super ritardo. Se non corro il mio prossimo esame scritto andrà uno schifo e non posso permettermelo >> supplicai. Sorrise ma non in modo dolce, aveva qualcosa negli occhi. Sembravano più scuri << Isabella, dovresti abbottonare la camicia >> sussurrò con voce strana. Sbuffai: ero in ritardo << Poi ci pensiamo alla camicia. Sono. In. Ritardo >> sembravo leggermente isterica.
Inarcò un sopracciglio e puntò gli occhi, per una frazione di secondo, sul mio busto. Seguii il suo sguardo e impietrii. La mia camicia era aperta e il mio reggiseno blu con le pecorelle bianche faceva bella mostra di se.
Mi si seccò la gola. E nonostante le mie guancie fossero di già arrossate, mi comportai con superiorità. Non gli avrei permesso di mettermi i piedi in testa con quegl’occhi e il suo tono. Mi schiarì la gola, posai la borsa per terra e fissandolo con un sorriso angelico, ma anche sfacciato..
Più sfacciato che angelico..
Aldilà di come diavolo fosse il mio sorriso, non distolsi gli occhi dai suoi mentre mi abbottonavo l’indumento incriminato.
Non so quale forza mi permise di fare quell’operazione con tanta determinazione.
Presi un respiro profondo, infilando la mano nei capelli << Ti ho detto che avremmo risolto. Scusami ma appena finisco ti chiamo. Dai un bacio a Renoir da parte mia >> conclusi.
Tuttavia la sfortuna decise di non abbandonarmi. Scesi dall’auto inferocita e sbattendo la portiera con tutta la forza che avevo in corpo << Brutta bastarda! >> presi a calci una ruota. Anzi infierì pesantemente << Ti smembrerò pezzo per pezzo e farò un falò anzi ti butterò un qualche discarica ma prima ti ammaccherò con una spranga di ferro >> sbraitai contro l’oggetto inanimato.
Qualcuno si schiarì la voce. Ridussi gli occhi a due fessure. Era palese che fossi irritata << Ti serve un passaggio? >> che faccia da schiaffi! Repressi un urlo di frustrazione. Inspirai ed espirai profondamente << Si grazie >> sorrisi falsamente.
Lo guardai accigliata quando aprì la portiera della sua BMW per farmi accomodare. Si immise nel traffico e io continuavo a battere il piede agitata << Potresti.. velocizzare? >> muoviti, premi quel piede in quell’acceleratore e vai!.
Ridacchiò. Tanto valeva far passare il tempo e poi avevo così tanta voglia di parlare di lei, nonostante la crisi isterica della sera precedente che decisi di accantonare << Mi volevi parlare di ieri? Perché per me è stato il giorno più bello della mia vita. E’ così intelligente e bella.. e i suoi occhi.. >> l’incazzatura volò via e al suo posto era subentrò un’espressione sognante << Si, anche lei è stata molto bene. Non ha fatto che parlare di te >> sorrisi elettrizzata << Quindi le piaccio davvero.. quando me l’ha detto.. >> altro sospiro sognante << Si, l’hai colpita molto. Di solito è più diffidente, figurati che a stento parla con la mia segretaria che l’ha vista crescere >> ne ero entusiasta << E poi è così gelosa >> dissi io << Si è parecchio protettiva >> constatò << Ci mancherebbe altro, sei suo padre! >> esclamai ovvia. Non so cosa vide nella mia risposta ma i suoi occhi brillarono << Si.. >> lasciò la frase in sospeso, come se avesse voluto dire altro << Io.. ancora non riesco a crederci >> bisbigliai << Anche per me è stato strano >> rispose con il mio stesso tono ma non mi guardò << Cosa? >> chiesi, un po’ più calma << Vedervi insieme.. è stato strano. Pensavo che sarebbe servito molto tempo prima che tra voi due si creasse un determinato rapporto. Invece sembrava che vi conosceste da molto tempo >> si, avevo notato i suoi sguardi << Come ho detto già ti adora ed è per questo che vorrei chiederti se ti andrebbe di farle una sorpresa >> m’illuminai come una lampadina << Si, certo! >> avrei fatto di tutto pur di incontrarla.
Il mio cellulare squillò: Tanya. Chissà quella pazza cosa aveva da dirmi << Scusami >> sussurrai per poter rispondere.
<< Devi dirmi chi diavolo era! Bella.. voglio sapere dove l’hai trovato così me ne trovo uno uguale anch’io >> non mi lasciò tempo di rispondere. Risi imbarazzata << Non è come pensi >> ammisi << Non importa cosa penso. L’hai visto? Sei una cazzara. Che fine ha fatto non è bello, non è affascinante e non lo conosco? Sembra ritoccato con Photoshop! Ho avuto un orgasmo appena l’ho visto >> mi lasciò a bocca aperta << Un orgasmo sei impazzita? >> strillai.
L’auto sbandò leggermente e capii di aver gridato.
Ops..
<< Senti ne parliamo dopo >> che già ne hai combinate troppe per oggi. Non le diedi il tempo di rispondere che riagganciai.
Ormai dovevo fingere che nulla fosse << Stavi dicendo? >> sperai che mi assecondasse. Si schiarì la voce << La tua amica? >> speranza vana << Ehm.. si >> una povera alcolizzata che presto diventerà morta << Potresti spiegarmi la storia dell’uomo profumato? >> colta in flagrante. Tanya avrebbe fatto la stessa fine della mia auto bastarda << Sciocchezze.. >> sussurrai fingendo tranquillità.
Ora o mai più! Dovevo cambiare argomento << Senti.. >> iniziai ma lui mi interruppe: << Okay ma prima posso chiederti una cosa? >> annuii cauta, di fronte al suo cambio d’umore. Il tono che aveva usato era serio e deciso << Ieri, a fine serata sembravi non in te. Volevo saperne il motivo >> chiese. Mi rabbuiai per qualche istante, insicura se dargli una risposta o meno. Che male avrebbe fatto un’altra verità? << Stringerla tra le braccia per poi vederla andare via, mi ha fatto più male di quanto pensassi. E ho pensato a quante cose mi sono persa.. >> la mia voce si ruppe. Respirai profondamente per darmi un contegno << Volevo implorarti di portarmi con lei, farmi dormire al suo fianco. Ma mi rendo conto che non posso avere determinare pretese >> spiegai cupa.
Il silenzio calò finché non arrivammo di fronte all’università << Vuoi cambiare idea per quanto riguarda la sorpresa, vero? >> ci rimasi male.
Cercai di scendere dall’auto ma mi trattenne per un polso << No, non ho cambiato idea. Che ne dici di venire nel mio ufficio per le tredici? >> sorrisi delicata << Okay ma non c’è bisogno di un appuntamento? >> infatti avevo cercato in tutti i modi di ottenere un appuntamento ma la sua segreteria ma mi disse che era troppo impegnato; una parte di me suggerì che Renoir facesse bene a ignorarla. Per tal ragione mi appostai sotto il suo ufficio e sotto la pioggia << No, non preoccuparti. Comunica il tuo nome e ti faranno passare >> rassicurò << Devo usare un abbigliamento particolare? >> chiesi, non a conoscenza della sua sorpresa << Indossa quello che vuoi >> mi lasciò carta bianca.
A furia di pensare a ciò che mi avrebbe proposto Edward, il tempo non passò più. Però d’altra parte non vedevo l’ora di vederla. Mi tremavano le gambe al solo pensiero.
Il professore parlò a lungo, tanto, troppo. Più continuava, più mi stressava. Volevo solamente che si sbrigasse. Chiedevo tanto? Santo cielo erano sono delle dispense, io avevo da fare. Avevo una vita! Non appena lo vidi poggiare un plico di fronte a me, lo presi, ignorando che stesse ancora parlando e andai via.
Inizialmente non avevo intenzione di cambiare abbigliamento. Mi aveva detto che potevo indossare ciò che desideravo. Una parte di me avrebbe voluto indossare un vestito per l’incontro con lei ma poi pensai che fosse stupido. Tuttavia mi cambiai. Indossai dei jeans sbiaditi e una t-shirt bianca e poi delle semplici converse dello stesso colore. Forse ero.. infantile? Vidi il mio riflesso allo specchio. Dio! Non dimostravo nemmeno vent’anni. Mi avrebbero potuto scambiare per sua sorella. Io non volevo sembrare una sorella ma una madre. Ero troppo infantile, c’era poco da fare ma che diavolo avrei potuto fare per apparire più adulta?
Pettinati i capelli!
Giusto i capelli in ordine sono sintomo di.. di cosa? Maturità? Non che non mi pettinassi i capelli ma al mattino non erano la mia priorità con tutto quello che avevo da fare. Azzardavo uno chignon solo quando lavoravo da Tanya. Poi ritornavano ad essere ribelli. Se mi fossi fatta una treccia?
Nah!
La treccia era altamente infantile. Coda alta?
Mm.. una bella coda alta e ordinata. Puoi tentare. E potresti anche cambiare le scarpe.
Guardai le mie converse di tela bianche. Erano pratiche, non potevo mettere le scarpe con i tacchi. E se avesse voluto giocare? No, le scarpe non le avrei cambiate. Per ora avrei accantonato il pensiero di non apparire abbastanza adulta, in seguito avrei chiesto aiuto a Tanya. Si, saremmo andate a fare shopping e se Edward fosse stato d’accordo sarebbe venuta anche lei.
Attaccai i capelli in una coda alta ma ricordai il mio piccolo difetto alle orecchie. Le avevo a sventola, sembravo imparentata con dumbo. Così dopo varie peripezie, li lasciai sciolti e liberi.
Presi la tracolla, un golfino e uscii di casa.
L’edificio della Masen Cullen Industry era così imponente, grande e lussuoso al suo interno che mi sentivo intimidita. C’erano parecchie persone che lavoravano senza sosta e che nell’esatto momento in cui entrai, fissarono i loro occhi su di me. Avevo un abbigliamento troppo casual. Le donne indossavano tailleur e gli uomini completi gessati. Decisamente il jeans non era stato un’ottima scelta.
Mi avvicinai a un’agente della sicurezza. Un grosso, grasso agente della sicurezza che aveva sicuramente cento chili più di me e faceva venire la pelle d’oca << Scusi >> la mia voce uscì flebile. Mi squadrò dalla testa ai piedi.
Ha addirittura l’auricolare all’orecchio.
Non sembrava tanto amichevole << Dica >> tuonò. Istintivamente feci un piccolo passo indietro << Sono Isabella Swan, devo incontrare il signor Edward Cullen >> spiegai, non del tutto convinta. Mi studiò forse riflettendo se potessi essere un pericolo o meno per il suo capo. Poi sembrò ascoltare qualcosa: probabilmente una voce che l’auricolare trasmetteva << Sessantesimo piano >> se sorridessi, faresti meno paura.
Trattenni i miei pensieri per me e guardai di fronte a me. C’erano cinque ascensori! Portavano tutti allo stesso luogo?.
Buttati male che vada.. ti perderai.
Presi un respiro profondo e mi avviai verso l’ascensore di centro. Né a destra né a sinistra. Il giusto compromesso. Vi entrai con la massima calma, ovviamente era tutta apparenza. Premetti il numero sessanta e l’ascensore iniziò la sua lunga salita. C’era addirittura una musichetta snervante a rimbombare tra quelle pareti di acciaio e una telecamera nell’angolo in alto alla mia destra. Mi sentivo giusto un po’.. sorvegliata. E mi irritava.
Giocai con la cinghia della mia tracolla per distrarmi, finché non sentii un plin. Guardai il display e indicava il cinquantaduesimo piano. Più tempo passava e più m’innervosivo.
Le porte si aprirono e vidi una signora con un tailleur rosso cremisi e un topo tra le mani. Ops.. volevo dire chihuahua. Lei era carina, forse troppo agghindata ma pur sempre con un sorriso gentile sulle labbra che mi aveva mostrato non appena entrò. Non potevo dire lo stesso del suo topo. Di solito i cani piccoli erano graziosi, con gli occhi grandi che ti intenerivano. Da quando mi aveva visto, il topo, non aveva fatto che trucidarmi con quegli occhi a palla. Per rimanere in termini canini.. mi guardò in cagnesco. Tuttavia non ringhiava, né mostrava i denti.
Non ero impazzita! Quel cane mi guardava male. Feci un piccolo passo laterale per allontanarmi dalla bestia color cacca.
Non ero il tipo di persona che non amava i cani. Se dovevo essere sincera preferivo quelli di stazza più grande ma mi piacevano anche i cagnolini piccoli. Quel cane in particolare non mi piaceva. Era raccapricciante.
Mi rilassai appena le porte si aprirono al sessantesimo piano.
A quanto sembrava, cantai vittoria troppo in fretta: mentre uscivo dal piccolo spazio la donna cominciò ad urlare: << Cherry dove vai? Torna qui! >> mi voltai per osservare cosa stesse accadendo e vidi il topo color cacca correre verso di me con un’espressione assassina.
Non ci pensai un attimo che cominciai a correre e ad urlare a squarciagola. Corsi finché non mi trovai di fronte a una scrivania in cui vi era una signora. Ignorai il suo sguardo: “cosa ci fa una pazza in questo posto?” e in un sol balzo vi salì sopra.
Cominciò ad urlare, così come la padrona del cane che ci raggiunse poco dopo ma io ero troppo impegnata per ascoltare la segretaria che presto o tardi avrebbe chiamato la vigilanza. Il topo mi stava accerchiando. E nonostante fosse una cosetta di pochi centimetri i suoi salti erano spaventosi, per non parlare di come abbaiava. Se avesse potuto mi avrebbe sbranata << Cherry, piccola.. >> disse la signora ma Cherry non se la filò.
<< Cosa sono queste urla? >> Edward. Santo subito. Uscì dal suo studio, insieme a un ragazzo. Suo coetaneo, probabilmente. Appena vide la scena che gli si prospettava davanti agli occhi rimase di sasso << Ciao >> sussurrai. Il segreto era far finta sempre di nulla. I suoi occhi saettarono tra me, il topo, la proprietaria di quest’ultimo e la sua segretaria. Infine li riportò su di me << Scenda da qui! >> esclamò la sua segretaria. Ora ebbi la conferma di perché mia figlia non le parlasse << Se lo scordi! Ci tengo alle caviglie e ai polpacci >> ribattei. Guardò esasperata il suo capo << Signor Cullen, dica qualcosa! >> frignò. Effettivamente non aveva tutti i torti ma almeno avrebbe potuto capire. Dal canto suo lui, non sapeva se ridere o rimanere serio << Edward, raccogli la docile bestiola >> si, ero sarcastica << Signora Thompson, per favore potrebbe tenere a bada il suo cane? >> topo sarebbe più indicato << Mi scusi signor Cullen ma sembra impazzita >> oh certo.. aveva visto me e da docile si era trasformata in sadica.
Edward, decise di prendere la situazione in pugno. Almeno tentò perché appena avvicinò una mano Cherry se la prese con lui << Visto, non è colpa mia >> affermai, rivolta soprattutto alla proprietaria della scrivania << Anzi sa che facciamo. Lei si mette di fronte al cane e io e Edward.. >> marcai bene il suo nome per farle capire che non ero una sconosciuta qualunque << Andiamo nel suo studio >> conclusi compiaciuta.
Tuttavia il topo ci prese in contropiede. Senza che me l’aspettassi, riuscii a salire sulla scrivania. Io.. a furia di indietreggiare, non sentii più nessun appigliò sotto i piedi e chiusi gli occhi aspettando di sbattere nella maniera più dolorosa possibile il sedere per terra.
Passarono i secondi ma non sentii niente o meglio, sentii qualcosa ma non fu il pavimento. Sentivo calore e... uomo profumato. Azzardai ad aprire un occhio, giusto per esserne certa. L’eccessiva vicinanza con il mio salvatore mi colpì. Con eccessiva, intendevo che il suo viso era distante dal mio solo pochi centimetri << Di nuovo ciao >> dissi, un po’ stordita. Accidenti! Mi aveva presa al volo, avvolgendo un braccio attorno la schiena e l’altro nella piega delle ginocchia. Aveva i riflessi pronti.
Perché solo in quel momento realizzai che le parole di Tanya fossero vere? Che sembrava ritoccato con Photoshop ed era tanto profumato << Ciao >> mormorò divertito. Non smettevo di fissarlo.
Gli occhi che sembravano miele, le sopracciglia virili, il naso perfetto, lo strato di barba che gli ricopriva le guancie e le labbra.. << Isabella ti senti bene? >> un sussurro. Un sussurro sensuale al mio orecchio.
Stai bene?
No, non stavo per niente bene! Non era che in tutti quegli anni i miei ormoni non avessero cercato di abbattere la mia volontà ma ero sempre riuscita a fermarmi per pensare. In quel momento non riuscivo a pensare qualcosa di coerente da dire o da fare. I miei ormoni per la prima volta avevano deciso di reagire e questa volta non sapevo chi avrebbe vinto. Ormoni o volontà?.
<< Ehm.. scusate >> qualcuno ci risvegliò da quel torpore. Sbattei gli occhi un paio di volte e vidi materializzarsi un il suo collega al nostro fianco.
M’irrigidii o forse lo facemmo entrambi. Fatto sta che mi ritrovai con i piedi per terra in un battito di ciglia.
Il suo collega mi fissò con insistenza e prima di poter fare o dire qualcosa, rindossai la mia patina di serenità << Salve >> il mio tono non tradiva nessuna emozione.
Anche lui era un ragazzo dall’aspetto piacevole. Aveva l’incarnato olivastro, i capelli castani, gli occhi grandi e neri e un sorriso giocoso sulle labbra << Benjamin.. Isabella, Isabella.. Benjamin >> ci presentò. Gli strinsi la mano << Isabella! >> esclamò. Vidi Edward lanciargli un’occhiata di ammonimento e compresi. Lui sapeva chi ero.
Sorrisi << Credo tu abbia sentito parlare di me >> non ero arrabbiata. Il fatto che Edward avesse parlato con lui di un argomento così delicato significava che non era solo un collega ma anche un amico.
Ricambiò il sorriso << Già.. >> mi parve di scorgere una nota maliziosa nel suo tono. Continuò a guardarmi << Allora spero bene >> anche se un piccola parte di me pensava che almeno inizialmente, Edward, avesse detto peste e corna di me << Certo, come potrebbe essere altrimenti >> stava flirtando con me? Io ero una schiappa in certe cose << Puoi chiamarmi Bella >> non volevo assecondarlo ma era una questione di gentilezza << Bella di nome e di fatto >> addirittura.. peccato che me la propinassero sempre.
Okay, era meglio terminare questa discussione << Ben perché non vai a lavorare? >> ci interruppe Edward e gliene fui grata << Certo! >> si riprese l’altro << Bella è stato un piacere conoscerti. E chiamami Ben >> ridacchiai. Quando si allontanò di qualche passo, parlai: << Ehi Ben.. >> reclamai la sua attenzione << Bella di nome e di fatto, l’ho già sentita un centinaio di volte >> gli feci sapere.
Il suo ufficio era il classico ufficio di un uomo d’affari, se non fosse stato per la vista mozzafiato. Si vedeva l’intera città ed era bellissimo << Isabella? >> mi risvegliò. Lo guardai un po’ spaesata << Scusami per prima e per adesso ma è.. non ci sono parole.. >> indicai l’ampia vetrata << Si, credo che sia la prima volta che quel cane attacca qualcuno >> misi le braccia conserte << Quel cane sembra stato addestrato da satana e la colpa è mia? >> replicai indispettita. Per un attimo mi fissò confuso << Sei disarmante >> borbottò sedendosi << Accomodati >> indicò una poltrona di fronte a lui. Ancora pensavo al:sei disarmante. Non capivo se fosse un complimento o meno. Nel dubbio decisi di fingere << Dovresti.. controllare se la tua segretaria è ancora viva, credo che si sia fatta prendere da una crisi isterica quando sono salita sulla scrivania >> affermai divertita. Sorrise << Se la caverà.. è stato molto divertente >> scoppiammo a ridere << Ti ricordo che il topo ti stava staccando la mano >> rise ancor di più alla parola topo.
<< Posso chiederti di che tipo di sorpresa ti riferivi? >> chiesi << Ti piacerebbe venire a prenderla a scuola? >> sai, fai delle domande stupide << Si, certo >> secondo lui avrei risposto di no?.
Renoir frequentava una scuola alquanto prestigiosa. La Lincoln School era un edificio imponente. In quel momento, io e Edward eravamo sulla soglia del cancello da cui si accedeva alla struttura. Ero un po’ nervosa. E sentivo chiaramente gli sguardi di alcune donne addosso << Sei sicuro che ne sarà felice? >> mormorai, mordicchiandomi le labbra << Si, non preoccuparti >> sorrise affabile.
Di colpo il suono di una campanella si fece sentire e i bambini iniziarono ad uscire. Mi misi in punta di piedi per poterla vedere, non ero quel che si diceva una ragazza alta. Giungevo al metro e sessantotto.
Poi vidi una chioma scura << Bella! Bella! >> urlò, cominciando a correre. Mi abbassai per poter essere alla sua altezza. Le farfalle mi riempirono lo stomaco appena mi abbracciò di slancio. Quanto mi era mancata.. fu come tornare a respirare. Le baciai il capo << Come stai? >> chiesi, tornando a guardarla in quegl’occhi. Mi baciò una guancia << Bene. Che ci fai qui? >> concessi a me stessa di stringerle la mano << L’idea è stata di Edward, secondo lui ti ha avrebbe fatto piacere >> dissi. Sorrise << Aveva ragione >> dichiarò euforica. Le accarezzai il viso << Anche io sono felice di vederti >> solo con te sono felice. Mi guardò per un po’ finché non guardò lui << Ora che facciamo? >> domandò. Bè.. neanche io lo sapevo << Andiamo a casa a mangiare, tesoro >> a casa? << Viene anche Bella? >> giusta domanda << Certo! >> esclamò. Mi avrebbe portato a casa! Quindi avremmo pranzato insieme. Perché era una cosa che mi agitava?.
Mi misi in piedi e lei mi prese per mano. Se fosse stato per me l’avrei presa in braccio << Dopo possiamo giocare a nascondino! O a twister? E’ il mio gioco preferito, ci divertiremo! >> si, mi piaceva l’idea.
Casa loro era una villa. Forse un po’ grande per due persone ma il giardino.. non c’erano parole. Era grande e rigoglioso. Uno spettacolo. L’arredamento era classico ed elegante << Ti piace casa nostra? >> chiese la piccola << Si, è molto bella >> concessi.
Si guardò attorno stranita << Papà dove Madeleine? >> aggrottai la fronte. Chi era Madeleine? Lei parve leggermi nel pensiero, infatti proseguì: << Madeleine è la governante, la cuoca, la tata.. in pratica fa tutto >> e perché non era in casa? A meno che.. << Le ho dato la giornata libera tesoro >> potevo biasimarlo? Finché lei non sapeva la mia vera identità, dovevamo far in modo che questa faccenda non trapelasse all’esterno << E allora cosa mangiamo? >> continuò << Non moriremo di fame, Renoir >> le fece sapere.
Risi della sua espressione. Da quanto avevo capito era molto golosa << Sai, piccola, sono un’ottima cuoca. Dimmi quello che vuoi mangiare e lo faccio >> dissi << Isabella, non c’è bisogno >> rispose lui << Si, invece. Non preoccuparti, sono davvero brava a cucinare e lo faccio con piacere >> replicai intestardita. Non volevo mica avvelenarli, volevo solo cucinare per lei. Forse lo implorai con gli occhi ma non importò perché sorrise accettando. Si, si, si! << Quindi.. tesoro.. >> guardai la piccola << Cosa vuoi mangiare, anzi cosa volete mangiare? >> chiesi.
Renoir, sempre con la mano legata alla mia, mi portò in cucina mentre lui ci seguiva. Era davvero grande. Cosa non lo era in quella casa?.
Lei si sedette su uno sgabello attorno al piano cottura e Edward la imitò << Devo un attimo ambientarmi >> non volevo che mi vedesse come un’impicciona o come se stessi invadendo i suoi spazi << Fa come se fossi a casa tua >> mi rassicurò. Dopo quelle parole mi rilassai.
Aprii le due ante del frigorifero. Non si poteva dire che fosse vuoto. Avevo l’imbarazzo della scelta. Piatto unico o primo, secondo e dolce? Era una bambina, quindi aveva bisogno di mangiare di più, giusto? Cavolo non sapevo che fare! << Ci avete pensato? >> chiesi speranzosa << Carne e patatine! >> rispose Renoir << Che ne dici di scaloppine ai funghi? >> proposi << Si ma anche le patatine. Tante patatine, una montagna di patatine fritte e untuose >> risi << Si, scricciolo, sogna! >> la prese in giro il padre << Isabella, patatine fritte si ma non una montagna >> aggiunse. La piccola sbuffò, portando le braccia al petto << Non capisco cosa tu abbia contro i cibi fritti. Non dovresti essere così schizzinoso papà! >> era assurdo come girasse il coltello dalla parte del manico.
Presi qualche mela << Ti piace lo strudel? >> i suoi occhi si illuminarono << Io ti adoro, Bella, sei entrata di diritto nella mie grazie >> affermò.
Incoraggiata presi a fare l’impasto. Subito dopo cominciai a sbucciare le mele. In pochi minuti infornai il tutto e rivolsi la mia attenzione alla carne.
<< Tesoro dovresti andare a togliere la divisa >> solo in quel momento mi accorsi che ne indossava una: gonnellina scozzese rossa, camicia bianca con cravattino nero e giacca dello stesso colore della gonna. Il rosso le donava particolarmente, si intonava con il velo rosato che aveva sulle gote << Già.. >> scese scattante dallo sgabello << Ah.. Bella, poi devi venire a vedere la mia cameretta >> sorrisi di rimando mentre lei correva via.
<< Come fa ad essere così perfetta? >> parlai tra me e me, pulendo i funghi << Parte del merito è tuo >> sussurrò << E parte del merito è tuo >> io l’avevo messa al mondo, io l’avevo tenuta dentro me per nove mesi ma lui.. lui le aveva insegnato cos’era l’onesta, i sani principi, l’educazione e tant’altro. Lo vedevo dagli occhi di mia figlia, dagl’occhi di lui in cui vi leggevo un amore sconfinato per lei. Edward Cullen era una persona.. non credo ne esistessero molte come lui: aveva cresciuto una bambina da solo e aveva fatto un ottimo lavoro.
<< Ma è buonissimo! >> borbottò a bocca piena. Cominciai a esultare internamente << Come hai imparato a cucinare? >> continuò << Passavo molto tempo con mia nonna, lei cucinava sempre per me e io la guardavo. E quando sono andata a vivere da sola sono diventata più pratica >> nonna Marie era il ricordo più bello della mia infanzia. Non che con i miei genitori non avessi avuto un bel rapporto, nonostante fossero presenti, avevamo sempre avuto delle divergenze di pensiero. Non appoggiavo il loro forte tradizionalismo e com’erano bigotti; come fosse semplice per loro dire chi aveva peccato. Per loro ero stata una peccatrice perché non ero arrivata illibata alle nozze. Però a differenza loro avevo accettato le loro idee, pur non condividendole. Sarebbe stato tanto difficile per loro, mettere da parte le loro convinzioni per me? Ero loro figlia.
Tutt’ora cercavo di evitarli. Non che avessero provato a rintracciarmi però se potevo, cambiavo strada quando li incontravo. Non a caso avevo scelto di abitare in una casa dall’altra parte della città rispetto alla loro.
Era capitavo un paio di volte che li incrociassi per strada ma facevamo finta di non conoscerci.
<< Non vivi con i tuoi genitori? >> m’irrigidii. Non le avrei fatto un torto parlandole delle persone che avevano deciso per noi due? << No >> dichiarai ermetica << Perché? Hai solo ventuno anni >> come gliel’avrei spiegato? << Volevo essere indipendente >> si, questa era una risposta neutrale << Ah.. e loro come sono? >> continuò << Renoir, sai che Isabella ha paura dei chihuahua >> s’intromise Edward. Lo ringraziai con lo sguardo. La piccola scoppiò in una fragorosa risata << Davvero? >> mangiò una patatina << Avresti dovuto vederla. Oggi nel mio ufficio, l’ho trovata sulla scrivania di Caroline e una chihuahua che l’accerchiava >> risero << Voleva mangiarmi una caviglia! >> protestai << E poi non ho paura dei cani. Era quel cane a starmi antipatico. Renoir, somigliava a un topo e mi guardava male >> aggiunsi. Continuò a ridere << Caroline, sarà impazzita! Perché mi perdo sempre eventi del genere.. >> si lagnò. Per un istante ci pensò su << Ma com’è entrato un cagnolino nel tuo ufficio? >> questa si che era una domanda logica! << Era il cane di una signora che è entrata in affari con noi >> avevo comunque rischiato l’infarto.
Solo al tuo presunto infarto riesci a pensare? Al fatto che ti sei sentita attratta da lui, non ci hai pensato?
Una piccola distrazione momentanea! Non ero attratta da lui. La causa di quella piccola scintilla era tutta l’adrenalina che avevo in corpo. Ero confusa, stordita ma non ero in me. Non ero attratta da lui! Era impossibile!
E perché mai?
Lui era il padre di mia figlia.
Sempre uomo è.
La colpa era di quel topo di nome Cherry. Che, tra l’altro, dovevo capire perché lo avesse chiamato in quel modo. Cherry. Lo Cherry, il liquore, era di colore rosso. Forse lo aveva chiamato in quel modo perché i suoi occhi erano iniettati di rosso.
Non scappare! Perché eri attratta da lui?
<< Bella, stai bene? >> per la sorpresa, la forchetta che avevo tra le mani cadde << Si, scusa. Stavo pensando >> sentii lo sguardo di lui addosso << A cosa? >> s’incuriosì. Deglutii a vuoto << Se tu avessi mai avuto un cagnolino o un gatto >> mentii << In realtà non ho un bel rapporto con gli animali.. >> bisbigliò come fosse un segreto << Ho avuto sei pesci rossi, tre criceti, un porcellino d’india e due canarini ma.. >> ridacchiò tra sé e sé << A quanto pare non mangiano come mangio io.. ho dovuto fare dodici funerali. Anche se effettivamente i pesci rossi li ho scaricati nel water. Così ho deciso di salvare la vita a qualsiasi animale tenendolo lontano da me. Generosa, no? >> risi divertita dal suo tono e Edward alzò gli occhi al cielo << In che senso non mangiano come te? >> rovesciò gli occhi << Bella io mangio tanto, troppo. Cibodipendente, così mi chiama zio Emmett. E pensavo che i miei animaletti avessero preso da me, così gli davo sempre troppo mangime. Almeno sono morti a pancia piena.. >> scrollò le spalle, addentando un pezzo di carne.
Dopo pranzo mi portò in salotto. Si mise a sedere tra me e Edward, dopo averci assegnato i posti << Bella, che film vuoi vedere? >> domandò, impugnando il telecomando << Da quando lo chiedi, piccola dittatrice? >> la canzonò il padre. Rispose dandogli un buffetto sul braccio << Papà non credi che dovresti evitare di dipingermi come un mostro? >> chiese impettita.
Improvvisamente lo squillò di un cellulare si fece sentire, era di Edward << Scusatemi ma è il lavoro. Devo rispondere >> baciò Renoir sulla fronte e andò via. Guardai ogni suo gesto: come la baciò, come sorrise amorevole, come si alzò, come mi mandò un ultimo sguardo, come ci diede le spalle e la sua camminata << Bella, forse sono insistente ma tu e papà state insieme? >> rieccoci! Per lei doveva essere strano che una sconosciuta, fino al giorno precedente, passasse la giornata con loro << No, davvero. Te l’ho detto ieri. E se anche avessi voluto, ti avrei chiesto prima il permesso. Sei tu l’unica donna che amerà per sempre >> le diedi un buffetto sul naso. Inaspettatamente si avvicinò a me e mi abbracciò, nascondendo il capo sul mio petto. Mi piacevano i suoi abbracci, già n’ero dipendente. Ricambiai, cercando di trasmettere tutto quello che provavo per lei << Allora perché.. perché vi guardate in modo strano? >> il suonò della sua voce uscì nasale, tanto era stretta a me. Rimasi interdetta da quelle parole << Non so di cosa parli.. >> ammisi sottovoce. Si strinse ancora di più a me << Tu che guardi lui, lui che guarda te e poi vi guardate insieme. Sembrate complici.. >> mugugnò. Davvero? No, certo che no! Noi non ci guardavamo e se lo facevamo.. nah.. neanche per sogno. Si, forse eravamo complici ma solo perché c’era lei ad unirci. Mia figlia, sua figlia. Lì si fermava la nostra complicità. Punto e basta!.
Ero persa nei meandri della mia mente contorta, quando la sentii sbadigliare << Sei stanca? >> chiesi apprensiva. Annuì << Oggi, a scuola, abbiamo fatto educazione fisica. La signorina O’Connell è una pazza, maniaca della forma fisica >> brontolò. Soffocai una risata, la signorina O’Connell doveva essere l’insegnante di educazione.
Cominciai a sfiorarle i capelli, solitamente era il mio punto debole per portarmi all’intontimento. Volevo che si rilassasse.
Sospirò pesantemente << Che c’è? >> chiesi << Hai un buon profumo, Bella. Sai di buono. Nessuno ha un profumo come il tuo, però mi sembra di averlo già sentito.. è familiare >> una fitta mi colpì lo stomaco. Familiare. Trattenni il respiro e le baciai il capo << Vuoi che ti canti una canzone? >> la mia voce tremò mentre mi affrettavo ad asciugare l’angolo dell’occhio, affinché una lacrima impazzita non mi rigasse il volto << Mm.. mm.. >> mugolò. La tirai su e la misi sulle mie gambe, facendole appoggiare il capo nell’incavo del mio collo. Il senso di completezza mi riempii e iniziai a canticchiare anche flebile: << Sunrise, sunrise, looks like mornin’ in your eyes.. >> alba, alba, assomiglia al mattino nei tuoi occhi << But the clocks held 9:15 for hours.. >>ma le lancette segnano le 9:15 da ore << Sunrise, sunrise.. couldn’t tempt usi f it tried.. cause the afternoon’s already come and gone.. >> alba, alba, non ha potuto tentarci anche se ci ha provato perché il pomeriggio è già arrivato e andato << And I said hoo.. to you.. >> ed io ho detto hoo.. a te << Surprise, surprise couldn’t find it in your eyes.. but I’m sure it’s written all over my face.. >> sorpresa, sorpresa, non riesco a trovarla nei tuoi occhi ma sono sicura che è scritta sul mio viso << And I said hoo.. to you.. >>e io ho detto hoo.. a te << Now good night throw it’s cover down on me again.. oh and if I’m right it’s the only way to bring me back.. >> ora la notte abbassa il suo manto su di me.. oh.. e se ho ragione è l’unico modo per portarmi indietro << Hoo.. to you >>hoo.. per te.
Sentii il suo respiro pesante solleticarmi la pelle. Si era addormentata. Mi piacque perché nonostante fosse incosciente, continuava a stringersi a me << Ti amo più della mia stessa vita >> mormorai.
La strana di essere osservata, mi percosse. Come se i miei occhi sapessero già dove guardare, guizzarono sulla porta dietro la cui Edward scomparve.
Lo trovai a scrutarmi, immobile, poggiato allo stipite della porta. La sua espressione enigmatica mi confuse, eppure mi fece sorridere << Ciao >> ormai avevo detto così tante volte la parola ciao che non ci facevo più caso << Da quanto tempo sei lì? >> sperai che mi capisse nonostante le mie parole fossero più mimate. Non volevo svegliarla << Da un po’.. >> non mi stupirei se avessi quella faccia perché mi hai sentita cantare << Si è addormentata >> puntualizzai stupidamente.
Finalmente si destò e avanzò verso noi << Vuoi che ti dia una mano? >> mi fece piacere il fatto che me lo domandasse. Scossi il capo in segno negativo << Se non ti dispiace vorrei farlo io. Puoi condurmi alla sua stanza? >> pregai.
Renoir, si avvinghiò a me. Salimmo le scale, per raggiungere il primo piano della villa. Poi si fermò davanti a una porta e l’aprii. La sua stanza era bellissima. Le pareti erano di un delicato lavanda a pois color crema così come il mobili. Il letto era grande, a baldacchino e i drappeggi che scendevano dal telaio erano trasparenti; sulla testata c’era dipinto il suo nome en pendant con il colore base delle pareti.
La sua personalità trapelava da ogni singolo arredo.
Posai il suo corpo sul materasso ed ispezionai ogni punto del suo viso. Infine poggiai le labbra sulla sua fronte << Sogni d’oro >> sussurrai al suo orecchio.
<< Aspetta! >> esclamò lui. Si diresse verso la sedia a dondolo e afferrò qualcosa. Quando vidi cos’era m’illuminai << Elle! >> trillai << Posso? >> domandai allungando una mano. Senza pensarci me la consegnò.
Sorrisi. Era una bambolina di pezza logorata dal tempo. Aveva i capelli rossi composti da fili di lana e un vestito azzurro.
Me l’aveva regalata la nonna al mio tredicesimo compleanno. A dir la verità, inizialmente, lo trovai un regalo stupido. Credevo di esser ormai grande per le bambole e la rilegai in un angolo dell’armadio.
Da adolescente, prima di Renoir, fui un po’ superficiale. Essere una ragazzina ricca, popolare e con una vita rosa e fiori mi aveva deviato. Di conseguenza anche le mie amicizie, se così si potevano chiamare, non erano mai state sincere. Non avevo mai avuto un’amica che mi sorridesse perché volesse farlo e non per assecondarmi, così evitavo anche di raccontare e di parlare della vera Bella.
Un giorno per qualche motivo piansi e l’unica con cui potermi sfogare fu Elle. Una bambola di pezza! Assurdo, no? Non potevo di certo raccontare ai miei ciò che mi affliggeva. Mi avrebbero riso in faccia, il loro scopo era sempre stato quello di formarmi come donna, si, ma in primo luogo come credente e persona forte.
Sicché cominciai a vedere Elle come la mia migliore amica, nella mia mente -probabilmente contorta- era qualcuno a cui potevo raccontare di tutto. Assistette ai miei drammi adolescenziali per quale fosse l’abbigliamento giusto o meno, alla mia confusione perché non sapevo mai quale ragazzo mi piaceva di più, alle mie lacrime quando parlai di Renoir, al test di gravidanza che si colorava di rosa. Elle fu per me un’amica fidata e in un certo senso le volevo bene.
Quando quella sera la diedi all’assistente sociale, sperai che accompagnasse anche la vita di mia figlia. Che le fosse d’aiuto come lo fu per me e che fosse di buon’auspicio per la vita che si apprestava a iniziare.
<< Non riesce a dormire senza >> affermò. Sorrisi mentre lui gliela metteva affianco << Ti va di vedere qualche foto? >> annuì. Non sapevo come dimostrargli la mia gratitudine.
<< Qui era il suo primo compleanno >> disse. Nella foto c’era lei, con gli occhi adoranti verso la torta e una mano impiastricciata di dolce in bocca. Risi. Mi fece vedere un’altra foto: Renoir spaparanzata sul divano tra quattro persone. Due uomini e due donne << Loro sono i suoi zii. Jasper e Rose.. >> indicò due ragazzi molto somiglianti, probabilmente erano gemelli. Entrambi avevano i capelli biondi e gli occhi verdi, erano molto belli << .. sono i miei fratelli. Sono gemelli >> precisò. Indicò un’altra figura << Lui è Emmett. Il marito di Rose >> dalla foto si capiva che aveva una stazza imponente. Aveva i capelli castani e gli occhi scuri << Invece lei è Alice. La moglie di Jasper >> era un ragazza minuta, almeno mi sembrava, con lunghi capelli neri e gli occhi grandi e castani. La foto a seguire la raffigurava in braccio a un uomo sui cinquant’anni, biondo e di bella presenza. Al suo fianco c’era una donna con i capelli castani e gli occhi nocciola, come quelli di Edward << Loro sono i miei genitori: Esme e Carlisle >> affermò.
Continuai a vedere le foto: il suo primo bagnetto, perfino la prima volta in cui si era seduta sul vasino, tutti i compleanni, le feste con i suoi compagnetti di scuola, le recite, nella maggior parte c’era lei che mangiava e i suoi familiari che ridevano divertiti. Si vedeva dai loro sguardi che l’amavano << Avete una bella famiglia. Sembrate affiatati >> dissi << Bè si.. è così >> alzai lo sguardo e osservai il suo profilo. Poi anche lui mi guardò. Restammo in silenzio. Un silenzio stranamente piacevole. Forse.. eravamo troppo vicini. E io troppo confusa da quella giornata che mi aveva fatto provare così tante emozioni contrastanti. Chissà se lui poteva capirmi? << Pensi che un giorno mi perdonerà? >> domandai sottovoce << Sai.. lei è troppo orgogliosa. Un difetto che le ho trasmesso io.. non so come reagirà quando glielo diremo però con il tempo.. capirà. Quando crescerà soprattutto >> lo speravo << Secondo te tra quanto si sveglierà? >> cambiai argomento, dato che si respirava un’aria pesante << Tra mezz’ora, sarò io a farlo. E’ capace di dormire tutto il giorno! E’ una pigrona, non sentirebbe neanche una bomba se ha un letto sotto. Non sai al mattino che fatica doverla svegliare. Le ho provate tutte: il tono duro, le punizioni, finché non ho capito che devo prenderla in braccio, portarla in cucina e metterle davanti una ciotola di cereali al cioccolato >> riuscivo ad immaginarmi la scena e mi veniva da ridere << Allora le farà piacere lo strudel >> gracchiai divertita << Si. Lei lo chiama risveglio dolce >> in realtà era lei dolce.
In un vassoio avevo preparato la sua merenda. Una fetta di strudel e un bicchiere di latte. Edward mi aveva concesso di poterla svegliare e io volevo darle il suo risveglio dolce << Isabella, non preoccuparti >> mi prese alla sprovvista << Si.. non reagirà male se non la svegli tu? >> ero un po’ ansiosa << Reagirà male se non le porti quel dolce >> cercò di stemperare la tensione << Io vado nel mio studio.. >> stava per lasciarmi sola? << Non preoccuparti, l’ufficio che ho a casa. Per qualsiasi evenienza.. tu urla e io ti sento >> ah.ah.ah spiritoso. Ignorai la sua frecciatina << Okay >> mormorai come a darmi coraggio.
Dovevo avvicinarle il piatto al e naso e si sarebbe svegliata? O dovevo dire che c’era un dolce? Oppure dovevo smuoverla? Non lo avevo chiesto a Edward. Perché?.
Avrei tentato la seconda e terza opzione!
Con la massima delicatezza entrai in camera sua, lasciando la porta aperta e mi sedetti sul letto << Tesoro.. >> provai << Renoir, svegliati.. >> ti prego, ti prego, ti prego non reagire male.
Mugugnò qualcosa per poi sotterrare il capo in un cuscino << Renoir, c’è una cosa molto buona per te >> ritentai << Dop-o >> brontolò << Neanche se ti dicessi che è lo strudel? >> il suo corpo, non appena registrò quelle parole, si irrigidì. Dopo qualche secondo, si decise ad alzare i capo. Aveva gli occhi socchiusi, i capelli scompigliati e la bocca semiaperti << Sei ancora qui? >> deglutii a vuoto << Vuoi che me ne vada? >> balbettai stridula << NO! >> esclamò del tutto sveglia << Voglio che rimani. Mi piace.. >> sorrise imbarazzata. Dilatò gli occhi guardando il dolce << E’ per me? >> per chi altri? << Certo! L’ho preparato per te, ci tengo a sapere se è venuto bene o male >> poggiai il vassoio sul letto. Prese la forchetta << Di solito è papà che mi sveglia. Anche se c’è Madeleine, lui mi sveglia a furia di dolci. Ma.. mi piace.. che ora.. tu.. mi hai capito, no? >> che le piaceva che ci fossi io? << Si, non preoccuparti! Quando vuoi io ci sono, puoi dirlo al tuo papà e io arrivo subito. Più veloce della luce.. >> annuì << So fare anche altri dolci. E se vuoi puoi anche aiutarmi.. >> sorrise. Infine addentò lo strudel, chiuse gli occhi come se volesse assaporarlo meglio << Buo-f-nisf-simo >> disse, bevendo un lungo sorso di latte << E fidati, io me ne intendo >> aggiunse saputella << Okay, allora mi fido! >> esclamai contenta.
Pulì il piatto, con un’espressione di gusto sul volto << Che ne dici di giocare, ora? Twister, con la Wii o andiamo in giardino? >> chiese. Pensai attentamente. Cosa avrebbe fatto una vera madre? << Che ne dici se ti aiuto a fare i compiti. Potremmo andare in giardino e se finiamo presto giochiamo come vuoi? >> prima di tutto dovevo essere responsabile << Va bene ma non mi piace tanto fare i compiti >> borbottò. M’intenerii.
Prese i libri e scendemmo al piano inferiore. Dovetti fermarmi quando sentii delle voci: << E’ una poco di buono! >> sgranai gli occhi, spiazzata.
http://www.youtube.com/watch?v=PHhcCrDpJF8
*La canzone che canta è Sunrise di Norah Jones. Penso sia una canzone intramontabile. Ho messo anche il video.
Ciaooo! Allora… non era Edward! Che dire di questo capitolo.. non saprei. Chi avrà detto la frase poco gentile? Per scoprirlo non vi rimane che leggere il prossimo capitolo. Se vi va recensite. Un bacio acalicad |
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Capitolo 5 *** Incomprensioni ***
La voce che aveva parlato era femminile << E’ la nonna! E’ la nonna! >> saltellò Renoir euforica. Ero così paralizzata da quelle parole, che la presa dalla sua mano si allentò. Senza che potessi fermarla, corse di fronte a quella porta da cui proveniva la voce e l’aprì.
Rimasi immobile. Al suo interno c’era una donna. Era la donna delle foto: la madre di Edward. Erano entrambi in piedi, con delle espressioni stravolte sul viso e mi fissarono. Lei come se fosse disgustata dalla mia presenza, lui forse era dispiaciuto.
<< Nonna, nonna! >> la piccola le corse incontro e prontamente fu presa in braccio. La sua espressione si addolcì << Amore della nonna... >> la baciò con aria amorevole << Che ne dici di andare un attimo nella tua stanza? Vorrei tanto conoscere l’amica di papà >> le ultime parole le sputò con disprezzo << Bella? E’ anche mia amica. E’ così simpatica. Perché non posso rimanere? >> mi trucidò con gli occhi << Devi andare a fare i compiti, tesoro >> chiarì tesa << Oh… ma Bella mi ha detto che mi aiuterà >> obbiettò << Scricciolo >> Edward gliela strappò dalle braccia << Fa come dice la nonna, Isabella non va da nessuna parte >> la tranquillizzò, mettendola giù. Renoir sbuffò << Okay >> si avvicinò a me ed io mi misi alla sua altezza. Mi abbracciò << Non andartene prima di salutarmi >> ricambiai l’abbraccio in ansia. Sperai con tutta me stessa che quella non fosse l’ultima volta in cui l’avrei vista << Ti voglio bene >> mormorai.
Non avevo spiccicato una parola. Lei mi fissava come volesse incenerirmi << Mamma, dovresti andartene. Adesso! >> ordinò lui << Non vado da nessuna parte. Chiariremo questa storia definitivamente >> prese il cellulare << Che stai facendo? >> chiese cupo << Chiamo tuo padre e i tuoi fratelli >> affermò << Non è affar tuo! >> urlò << E’ mia nipote. Tutto quello che la riguarda, è affar mio! >> strillò << E lei è sua madre! >> ripeté << Sua madre? Sua madre? E sei anni fa non lo era? Perché diavolo si sta presentando ora. Non è così che funziona, l’ha abbandonata e ora che è a conoscenza delle sue possibilità economiche, esce dal nulla >> sbraitò.
Colpita e affondata.
Non avevo la forza di riuscire a oppormi a quelle parole. Era come se la mia lingua fosse impietrita. Però il respiro era affannato, gli occhi lucidi colpi di lacrime inespresse << Smettila! Non sai quello che so io >> lui. Stava difendendo una sconosciuta dalle insinuazioni di sua madre << Per questo sto chiamando gli altri. Dobbiamo parlarne >> dichiarò << Parlarne come stai facendo tu? Parlarne costringendomi, costringendoci, a un’agorà? >> urlò.
Il momento critico arrivo quando tutti i suoi familiari, almeno quelli che avevo visto in foto, arrivarono. C’eravamo spostati in salotto. Io ero seduta nell’angolo più remoto del divano, mentre sentivo gli sguardi di odio che mi mandava la nonna di Renoir, invece Edward era in piedi fermo. Tutti mi fissavano confusi, nell’attesa che madre e figlio spiegassero. Io non avevo la forza di emetter un sol suono << Edward ci vuoi dire che succede? >> suo padre parlò.
Edward mi lanciò un’occhiata, come se stesse cercando di trovare conforto in me o di darmi forza per affrontare quella situazione << Questa ragazza, Isabella Swan, è la madre naturale di Renoir >> gli sguardi sulla mia figura s’intensificarono. Sentivo sulla pelle, quell’alito misto di stupore e choc che aveva pervaso l’aria << Come... come è possibile? >> incespicò la ragazza dai capelli scuri. Alice doveva chiamarsi << Come pensi sia possibile? >> chiese irritato, ma sapevo che la sua irritazione non era a causa mia << Edward come fai a esserne certo? >> fu la volta del fratello << C’è un test del dna che lo afferma >> spiegò << Perché non ci hai detto niente? >> s’intromise con arroganza la ragazza bionda << Ha voluto fare di testa sua. Ha fatto venire a contatto Renoir con una sconosciuta arrivista >> rispose, Esme, infervorata.
Dio, reagisci!
No, non potevo reagire. Non potevo dir niente perché quel momento e la sua reazione dovevano essere la ciò che, per fortuna, lui non aveva avuto. Mia figlia era sua nipote. Io la madre naturale che secondo lei, non conoscendo la verità, avevo abbandonato. Era una reazione giustificata.
<< Ti ho già detto che non è una sconosciuta. Hai visto anche tu che mia figlia le è molto legata. Si conoscono da soli due giorni e se ben ricordi con Alice non è stata così socievole nonostante fosse la compagna di suo zio. Non starò qui a giustificare le mie scelte, le mie ragioni o a spiegare ciò che Isabella ed io ci siamo detti in privato. Sono io il padre di Renoir, sono io a decidere il meglio per lei finché non ne sarà capace e il meglio per lei e per il suo futuro è sapere che non è mai stata abbandonata. Ho preso i giusti accorgimenti e so per certo che non è un’arrivista. Se qualcuno non è d’accordo, è libero di andarsene seduta stante >> come poteva dirlo? Perché mi stava difendendo in quel modo contro la sua famiglia? E che significava giusti accorgimenti? << Se non siamo d’accordo? Ti rendi conto di quel che dici, Edward? >> riprese il fratello << Jasper, lascialo parlare... credevamo fossi cresciuto Edward, non che ti lasciassi abbindolare dagli occhi grandi di una vent’enne >> strillò quella che doveva essere Rosalie.
Oh mio Dio!Non riuscivo a credere che avesse detto una cosa del genere<< Ritira subito quello che hai detto! >> le inveì contro << Perché dovrei farlo? >> ero spiazzata da lei e dalle sue parole << Dannazione! >> batté una mano contro un muro. Sobbalzai spaventata << Stai parlando della vita di mia figlia. Non puoi dire che preferisco la mia attività sessuale a lei >> la donna sgranò gli occhi, forse consapevole di ciò che aveva detto << Non permettermi mai più di dire una cosa del genere se vuoi ancora entrare in questa casa! >> il tono in cui lo disse, spaventò anche me << Dovevi parlarcene, Edward. Non escluderci come hai fatto tu. E’ mia nipote, l’amo con tutta me stessa >> si calmò << Hai pensato a tua nipote mentre stavi urlando come un’ossessa? Hai pensato che lei potesse sentirti? >> i suoi occhi erano iniettati di rabbia. Era furente << Ed- ward... >> fu un sospiro e uscì proprio a me. Sperai che si calmasse, anche se obbiettivamente non ero la persona indicata per farlo.
Però inaspettatamente, si rilassò quando mi guardò. I suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi << Come ti aspettavi che reagissimo Edward? Che facessimo una festa. Questa ragazzina si è presentata dopo sei dannati anni! Dov’era quando le cambiavi il pannolino e le riscaldavi il biberon, quando le cantavi una ninna nanna per farla addormentare o piangeva a causa delle coliche? >> altro colpo al cuore, parlavano come se io non fossi presente << Come ti ho detto, non parlerò delle ragioni che l’hanno spinta a scegliere l’adozione. Anche se volessi, non potrei tornare indietro. E’ la madre naturale e che lo vogliate o no, Renoir continuerà a vederla anche perché si è affezionata a lei. Se siete così contrari, vi prego di non farlo trapelare di fronte alla piccola >> sussurrò glaciale << Tu pensi che te lo lascerò fare? >> ripartii all’attacco la madre << Non permetterò che una sgualdrinella da quattro soldi stia con mia nipote >> m’irrigidii << Esme! >> la riprese il marito << E come pensi di potermelo dire mamma? Dovresti vergognarti di quello che hai detto. Senza Isabella, non avresti neanche una nipote >> concluse.
Nessuno di loro mi parlò o si presentò a me, non che me lo aspettassi, però...
Non è tutto oro quel che luccica.
Il silenzio che sopraggiunse quando restammo soli fu opprimente. Mi alzai in piedi. Volevo tornare a casa mia << Posso salutare Renoir? >> avrei tanto voluto dire qualcosa. Scusarmi per averlo costretto a litigare con i suoi cari, urlare perché neanche i miei genitori erano mai riusciti a umiliarmi come quando sua madre mi aveva definito sgualdrinella da quattro soldi. Alla faccia della compostezza nelle foto! L’abito non fa il monaco.
<< Vai via? >> che possibilità avevo? Volevo piangere, stringere a me mia figlia << Sei stanco come me. Saluto Renoir e vado a casa, tra un’ora inizierà il mio turno.. quindi vado a casa >> forse.. suonai brusca ma non avrei voluto << Va bene >> cedette << Edward, posso farti una domanda? >> non osai guardarlo negli occhi << Dimmi >> sussurrò. Mi torturai le mani, non sapendo che parole usare << Che vuol dire giusti accorgimenti? >> sentii il suo stupore. Non si aspettava che notassi quel particolare nel suo discorso. Non rispose così lo guardai, lo fissai a lungo e compresi << Mi hai fatta pedinare non è così? >> risi forse un po’ amareggiata. Aveva detto di fidarsi di me solo perché mi aveva pedinato << Nel fascicolo che ti ho dato non c’era scritto quale università frequentassi e tantomeno in quale appartamento abitassi nel mio palazzo. Probabilmente hai tenuto d’occhio anche i miei genitori, non è così? >> ricollegai tutti gli avvenimenti << Isabella... >> tentò di dire ma lo fermai << E’ giusto. In fin dei conti l’ho fatto anch’io e si parla del bene per Renoir ma avrei preferito che me l’avessi detto come ho fatto io. Buona serata, Edward >> conclusi.
Bussai lievemente alla porta della sua stanza e l’aprii. Lei era seduta, nel piccolo divanetto a ridosso della finestra che c’era, e stava leggendo un libro. Geronimo Stilton. << Ciao >> proruppi un po’ in imbarazzo << Sei triste? >> chiese, chiudendo il libro. Andai a sedermi al suo fianco e la misi cavalcioni sulle mie gambe. Aveva una piccola rughetta tra le sopracciglia increspate. La distesi con l’indice << Perché lo dici? >> la interrogai. Scrollò le spalle << Non lo so. nonna è arrabbiata con me? >> abbassò il capo e il suo labbruccio cominciò a tremare. Sentii una stretta asfissiante al cuore. Ti prego, no, non piangere! Ti supplico! << No, perché dovrebbe esserlo. Ti giuro che non è arrabbiata con te >>è inferocita con me. Se potesse, mi lapiderebbe ma ti prego non piangere << Allora sei tu arrabbiata con me? >> le rialzai il capo con un dito sotto il suo mento. I suoi occhi erano lucidi, per poco non mi strozzai con la mia saliva << No, Renoir davvero io non sono arrabbiata con te, non potrei mai essere arrabbiata con te >> le scostai una ciocca di capelli dal viso << Mi credi, vero? >> annuì, giocherellando con le sue mani << Ti posso dire una cosa? >> continuai << Sì, certo >> acconsentì. Presi le sue mani tra le mie per placare il suo nervosismo << Qualunque cosa accada nella tua vita, devi sapere che ci sono due facce per ogni medaglia >> mi guardò confusa << Che significa? >> non sapevo come spiegarmi << Che l’apparenza inganna. Che non ci sono scelte giuste o sbagliate ma ci sono scelte che contengono verità >> sperai di essere chiara << Scusami Bella ma puoi farmi un esempio... >> implorò << Okay, non preoccuparti. Se hai un biscotto tra le mani e c’è qualcuno che ti dice perché non dovresti mangiarlo, dovresti ascoltare anche i motivi di chi ti dice di mangiarlo >> con il cibo andavo a colpo sicuro << Prima di mangiare il biscotto devo sentire tutte e due le parti? >> tentò << Si >> confermai << Ma alla fine lo mangio, no? >> scoppiai a ridere << Sì, lo mangi >> anche lei sorrise << Ti ho fatto ridere >> mi bloccai a quelle parole. Ti ho fatto ridere. Lei voleva farmi ridere. L’abbracciai grata << Sei una bambina speciale, Renoir >> mormorai << Grazie ma tu.. la zia Alice dice che ogni volta che non sorridiamo, perché siamo tristi, una fatina si spegne >> oddio stavo uccidendo una fatina! << Prometto che sorriderò sempre! >> con lei era difficile non sorridere << Giurin giurello e mano sul cuore? >> ridemmo << Giurin giurello e mano sul cuore >> promisi.
Restammo abbracciate per un po’ << Bella, mi piace la canzone che hai cantato prima >> te la cantavo sempre quando eri nella mia pancia. E’ la nostra canzone << Si è molto bella >> la sentii annusarmi << Sei venuta per dirmi che te ne stai andando? >> il suo tono sembrava spento << Bella... rimani per favore. Dobbiamo ancora fare i compiti e voglio giocare con te a twister... e... mi piace stare con te... >> come potevo andarmene? D’altra parte c’era il lavoro e seppur Tanya fosse mia amica, non potevo approfittarmene << Tesoro, io vorrei tanto restare ma ho il lavoro e se faccio tardi poi sono nei guai >> mi sentivo così... uno schifo in quel momento, come se tra il lavoro e lei scegliessi il primo << Va bene, ma domani verrai? >> insistette << Devi chiederlo a Edward >> però voglio venire, se lui fosse d’accordo, verrei ogni giorno << Se papà è d’accordo verrai a prendermi a scuola e mangeremo di nuovo insieme? >> sospirai pesantemente << Sì, tesoro e dovrai pensare a cosa vuoi che io cucini >> la sentii ridacchiare << Hamburger e patatine fritte? >> ecco! Andava matta per la carne e le patatine fritte << E contorno di verdure grigliate >> corressi << Bleah... >> rabbrividì disgustata << Sono buone... >> bugia. Io odiavo le verdure << Se lo dici tu... >> lasciò la frase in sospeso.
Mi accompagnò fino alla porta d’ingresso della villa, al suo fianco c’era Edward << Ciao farfallina >> le baciai la fronte << Ciao Bella, ci vedremo domani >> ricambiò il bacio << Sì, dormi bene e sogna tante fatine >> risposi. Salutai suo padre con un cenno del capo.
Se c’era una cosa che non si poteva dire di Tanya era che non fosse tenace. La trovai nel mio appartamento. Perfettamente seduta sul divano con le gambe accavallate, un bicchiere di limonata tra le mani e un sorriso malizioso, a contornarle le labbra << Sei una stronza >> dissi senza salutarla, non ero propriamente di buon umore e tantomeno volevo parlare << Bè... che ne dici di farmi diventare meno stronza raccontandomi un po’ di cosette? >> batté una mano sul divano: chiaro invito a sedermi al suo fianco << Tanya, devo prepararmi. Ricordi? Lavoro da te >> buttai la mia borsa sul divano e andai in camera mia. Tuttavia lei aveva altri progetti per me: farmi parlare. Infatti, mi seguì << Dai Bella... >> brontolò come una bambina << Tanya per favore... >> presi un respiro profondo per calmarmi. Non volevo prendermela con lei, non era giusto << Ti prego, ti prego, ti prego... >> cinguettò << Tanya! >> sbuffai esasperata. Mi tolsi i vestiti e indossai dei pantaloni palazzo neri, una camicia bianca e un gilet come i pantaloni << Uffa. Voglio saperlo! >> la fissai truce mentre mi mettevo di fronte allo specchio << Oddio Bella! Lo hai visto? E’ assurdo che possa esistere un tipo del genere. Nessuno ha un profumo come il suo e sembra ben dotato... dovresti condividere queste informazioni con la tua migliore amica... >> sbatté le ciglia velocemente, come a dare più enfasi alle sue parole << Non lo so se è bene dotato! >> strillai, alzando le braccia al cielo e facendo cadere sulle spalle i capelli che avevo raccolto per fare uno chignon << Sì, certo... >> rovesciò gli occhi << Anch’io voglio uno scopamico come lui. Perché sono così sfigata... io non riesco a crederci! In un sol colpo lo trovi bello, ricco, intelligente, con un bel nome, affascinante, profumato, senza fede al dito, galante e con un sorriso così bello da fare venire un orgasmo senza che ti sfiori... dimmi il tuo segreto! Per favore, ti supplico anzi t’imploro e chiedigli se ha un gemello possibilmente omozigoto... >> m’innervosii e scattai << Cazzo Tanya! E’ il padre di mia figlia >> urlai a squarciagola.
Tramite lo specchio, la vidi dilatare gli occhi e tacque. Aprì più volte la bocca nell’intento di parlare ma non emise alcun suono. L’avevo sbalordita! Ed io non sapevo che dire... di certo non mi aspettavo di dirglielo in quel modo.
Dovette appoggiarsi allo stipite della porta perché traballò. Mi avvicinai a lei, mettendole un braccio attorno alla vita e la feci sedere sul letto << Stai bene? >> chiesi flebile << Com’è possibile... >> balbettò.
<<... e ora mi trovo in questa situazione! >> conclusi. Le avevo raccontato tutto. Dei miei genitori, della mia infanzia, dell’adolescenza, di come rimasi incinta di Renoir, di come fui costretta a farla adottare; di come feci le ricerche su Edward, come mi appostai sotto il suo studio, delle ultime settimane. Tutto.
C’eravamo spostate sul divano. Le avevo offerto una tazza di caffè ma lei aveva preferito una tazza colma di martini << Erano i tuoi genitori, avrebbero dovuto proteggerti e non mandarti al macello. Perché... perché non mi hai mai detto niente? >> le strinsi la mano << Non è facile da dire. Io non ci riuscivo, volevo prima trovarla... >> chiosai sottovoce. Il suo sguardo poco prima perso nel vuoto, fu puntato su di me. Un dolce sorriso disegnò le sue labbra piene << Ho una nipotina... >> ricambiai il sorriso. Mi aveva compreso. L’abbracciai con gli occhi pieni di lacrime << Dimmi com’è? >> disse allontanandosi. Sospirai trasognata << E’ perfetta. Ha i miei occhi Tanya. E’ sagace, spiritosa... è incantevole >> mi asciugai le lacrime << E poi... c’è una connessione speciale tra di noi due... >> esultai raggiante. Liberarmi del mio segreto, parlarne con la mia migliore amica mi rese più tranquilla. Tanya era la mia famiglia. La mia amica di abbuffate e di risate. La prima persona rassicurante che avevo incontrato dopo la morte di nonna Marie. Mi piaceva che considerasse Renoir sua nipote.
Magicamente il buon umore ritornò. Non m’importava che lui mi avesse pedinato, non m’importava della sua famiglia. Renoir era l’inizio e la fine di tutto << Quando le cose saranno più stabili voglio conoscerla. Oddio... >> scattò in piedi e cominciò a girare per la stanza << E andremo a fare shopping tutti insieme... e la vizierò... posso viziarla vero? >> risi << Ne dovrò parlare con Edward, ha lui l’ultima parola. E poi crede sia un’amica di suo padre... >> aggrottò la fronte << Non sa che sei sua madre? >> chiese conferma << Già. Edward ha detto che... è meglio che prima mi conosca per non traumatizzarla... >> scrollai le spalle << Cioè mi vuoi dire che quell’uomo non ti sta tenendo alla larga, ti ha difeso dalla sua famiglia- che tra l’altro vorrei chiarire con quella donna alcuni punti sulle parolesgualdrina da quattro soldi- e sta assecondando la vostra conoscenza? Sai che è... wow! >> sì, certo che lo sapevo << Tanya, Edward è un padre esemplare. Unico quasi quanto Renoir >> mi sentivo una mentina in una bottiglia di cola. Effervescente. Ridacchiai tra me e me.
La mia amica, ridusse gli occhi a due fessure e si venne a sedere al mio fianco << Sei arrossita >> il suo tono sembrava cospiratorio << Cosa? Bè sì... parlare di Renoir mi fa accaldare... >> chiarii << No, hai detto il nome di signor Bollore e ti sei illuminata... amica c’è qualcosa che dovresti dirmi? >> sì, aveva le allucinazioni. Ha bevuto troppo martini << Signor Bollore? >> mi trattenni dal ridere << Senti Bella... è proprio un signor Bollore! >> sbottò << E tu ti senti tutto un bollore... e non provare a fare la verginella frigida >> le diedi un ceffone sulla coscia << Smettila di chiamarmi così >> dissi seria. Sì, era un bell’uomo ma tutto si fermava lì. Non c’era e non ci sarebbe mai stato niente. Non potevo e non volevo in primis. Ciò che era fondamentale era Renoir. Mia figlia. Ora che l’avevo trovata, il mio unico scopo era creare un legame con lei e, quando avrebbe conosciuto la verità, un rapporto madre- figlia. Di certo non avrei mandato al fumo tutti i miei progressi per i miei stupidi ormoni mummificati. Erano atrofizzati e lo sarebbero stati ancora molto tempo, mi sarei concentrata solo su di lei, finché tutto non si sarebbe risolto. E se c’era una cosa certa, era che non si sarebbe districata per il momento.
<< Okay. Ora è certo che non sei più vergine... >> sebbene sapessi che Tanya avesse la battuta facile soprattutto sul sesso, dovevo ancora sciogliermi sullo scherzare su Renoir. Era pur sempre un argomento difficile << Tanya! E poi se hai intenzione di incontrarla quando sarà, ti devi, anzi ci dobbiamo, disintossicare dalle parolacce. E argomenti come il sesso e ragazzi sono esclusi così come le insinuazioni. Lei è attenta a tutto. Ci siamo capiti? >> le puntai un dito contro. Alzò le mani in segno di difesa << Adesso somigli a una mamma >> somigli a una mamma. Mi piaceva sentirmelo dire. Sorrisi << Grazie e ora che ne dici di andare a gestire il tuo locale? >> proposi. Alzò gli occhi al cielo << Oddio! Sempre al lavoro pensi >> si lamentò.
Passarono i giorni e Tanya prese a fare ricerche su signor Bollore. Mi disse che secondo Forbes era al trentaquattresimo posto nella classifica dei cento uomini più importanti al mondo. Che i suoi macchinari medici erano portati in tutto il mondo: in ogni continente. Questo lo rendeva anche uno tra gli uomini più ricchi al mondo. E il fatto che donasse molti dei suoi macchinari, che le sue aziende producevano, a molti paesi del Terzo Mondo lo rendeva, ai suoi occhi, l’uomo più generoso al mondo.
Effettivamente... pochi uomini sono come lui.
Poi si era esasperata perché secondo lei doveva essere nella classifica di People perché non era tra i cento uomini più sexy del mondo. In poche parole parlò di classifiche per molto tempo. Perché diamine esistevano tutte queste classifiche?
Così volarono tre mesi, eravamo in pieno giugno. Era il periodo più felice della mia vita. Renoir mi considerava la sua migliore amica, certe volte mi feriva sentirmelo dire. Io... volevo essere sua madre. Però la parte di me razionale mi diceva che serviva del tempo.
Non avevo più visto né sentito i suoi familiari e tantomeno lo volevo. E Edward mi aveva concesso più libertà. Ad esempio potevo andare a prenderla a scuola da sola, prima che terminasse e avevo conosciuto le sue insegnanti, Renoir aveva ragione: erano delle gatte morte che guardavano come ninfomani suo padre.
Il rapporto con lui era un po’ strano. Da quando avevo sentito le parole di Tanya sulla questione “bollore”, avevo cercato di frenarmi. Tra noi c’era il solito feeling, quello che c’era sempre stato fin dalla nostra prima chiacchierata ma io imponevo a me stessa di mantenere un certo distacco mentale.
In quel momento eravamo al parco, le avevo comprato il suo gelato preferito ed eravamo sedute su una panchina << Bella, hai una foto tua da piccola? >> chiese dal nulla. Era un po’ di settimane mi faceva delle domande strane. Su dove fossi cresciuta, come fosse stata la mia infanzia, se avessi avuto dei fidanzati da adolescente, a cosa fossi allergica << Certo, amore >> sorrisi, leccando il mio di gelato << Me ne dai una? >> continuò << Perché? >> curiosai << Così... mi serve... >> la guardai confusa << A cosa? >> rispose scrollando le spalle. Sembrava pensierosa << Così. Voglio avere una tua foto... siamo amiche, no? >> annuii sempre più confusa << E poi posso venire a casa tua? Non ci sono mai stata >> era la prima volta che me lo chiedeva << Se il tuo papà è d’accordo, va bene >> cominciava a stranirmi il suo atteggiamento.
<< Che bella bambina... >> una signora anziana si sedette al nostro fianco ed io non potei domandarle nulla << Grazie >> rispose la piccola, arrossendo leggermente << Siete sorelle? >> m’irrigidii << Perché? >> fu Renoir a parlare. Mi stupì il suo tono, di solito era calmo e quieto. Invece fece quella domanda come fosse un’accusa << Vi somigliate tanto >> si difese la donna << Ha detto sorella! >> esclamò infervorata la bimba << Poteva dire amica, cugina, perché sorella? >> continuò decisa. Le strinsi la mano, sperando che si calmasse. Non capivo perché fosse tanto arrabbiata.
La donna si stupì << Io... >> ma non parlò << Perché non ha detto se era la mia mamma? >> sgranai gli occhi << Perché è piccola? >> aggiunse, rossa di rabbia << Renoir! >> la ripresi. La signora, senza dir nulla, andò via con un’espressione offesa sul volto.
Perché aveva reagito in quel modo? In fin dei conti la signora era stata gentile << Che ti è preso? >> chiesi turbata << Niente! >> si giustificò << Tu... tu mi hai detto che il biscotto inganna... che il biscotto è buono ma devo sapere perché è cattivo... che la medaglia è apparenza... >> si batté una mano sulla fronte. Che cosa aveva? << Quella cosa… >> brontolò << Che l’apparenza inganna? >> dedussi. Annuì con vigore << Si! E’ la signora... ha... detto che ci assomigliamo... e allora perché... perché non ha chiesto se sei la mia mamma? Solo perché tu sei piccola ed è stata cattiva, cattiva. Non è giusto! >> la sua voce tremò e mi si strinse il cuore.
Finalmente mi guardò negli occhi << Perché stai piangendo? > domandò. Si avvicinò a me e mise una mano sulla mia guancia. Era umida, non mi ero accorta delle lacrime << Io... io volevo difenderti… per favore, non piangere... >> sussurrò << Sì ma... >> pose un dito sulle mie labbra per zittirmi << Sono stata cattiva? >> cosa avrei dovuto rispondere? No che non era stata cattiva. Presi le sue mani tra le mie << Tesoro è una cosa molto bella ma ci sono modi e modi. Certe volte anche se abbiamo ragione, se ci comportiamo in un determinato modo passiamo dalla parte del torto >> precisai << Sei arrabbiata con me? >> l’abbracciai << No, farfallina... ma la prossima volta non fare così... devi spiegare tutto con la calma... >> sospirò pesantemente << Sì, scusa... >> borbottò.
Sciolsi l’abbraccio, non volevo che fosse triste. Mi faceva sentire male vederla con il broncio << Adesso che vuoi fare? >> chiesi. Sorrise << Andiamo da papà! >> urlò eccitata << Tesoro, papà è a lavoro >> le feci notare << E con questo? Papà mi ha detto che quando voglio ci posso andare. Compriamo una fetta di torta di mele: è la sua torta preferita. Ti prego... ti prego.. ti prego.. Bella! >> era partita in quarta << Amore, non sono vestita bene... >> indossavo degli shorts bianchi, una canotta dello stesso colore e dei sandali. Non era l’abbigliamento adatto per quel luogo, ricordavo ancora la volta in cui mi ero presentata da lui con un semplice jeans, tra l’altro era stata la prima e ultima << Perché? Sei bellissima... >> dichiarò << Grazie ma... >> non mi lasciò finire che cominciò a saltellare << Che bello! Che bello! Che bello! >> era una partita persa tentare di protestare. Sapevo che avrei dovuto essere più forte ma non ci riuscivo se faceva il labbruccio e mi guardava con gli occhi dolci. Erano il mio punto debole << Renoir per favore... >> implorai << Papà sarà felice! >> mi rassicurò felice.
<< Caroline, il mio papà dice che è sempre libero per me >> ripeté Renoir per l’ennesima volta << Piccolina... >> provò ma ricevette un’occhiata truce << Il signor Cullen è a un meeting importante. Mi ha detto che per nessuna ragione, voleva essere interrotto >> spiegò a me. Renoir assottigliò lo sguardo << Caroline, facciamo un patto! >> dichiarò combattiva << Io e Bella entriamo e tu non ci hai visto. Così non dirò a papà che io stavo male e tu non ci hai fatto entrare... >> l’aveva minacciata! Le aveva fatto intendere che l’avrebbe fatta licenziare << Renoir... >> sussurrai con una nota leggera di rimprovero. Non ero ancora pratica. Non riuscivo minimamente a rimproverarla, sapevo che era sbagliato ma non ci riuscivo. Era più forte di me << Signora Philips, non si preoccupi, lo aspetteremo e lei non avrà nessun tipo di problema >> per quanto mi stesse antipatica, dovevo essere obiettiva << Dai Bella! >> mi lanciò un’occhiata e rilassò le spalle: segno che aveva cambiato idea.
Mai lasciarsi abbindolare!
In uno scatto repentino staccò la mano dalla mia, superò Caroline e si mise a correre verso la sala conferenza. Aprì la porta << Papà! >> urlò. Non potei far altro che rincorrerla. Perché dovevo mettermi in situazioni così imbarazzanti?
La sala era piena di uomini di mezz’età, seduti attorno a un enorme tavolo. Edward invece era in piedi e probabilmente stava dando delle delucidazioni. Abbassai il capo imbarazzata << Papà, papà, ti abbiamo portato la tua torta preferita >> disse, correndogli incontro. Ci fu qualche risata per tanta tenerezza. La nostra presenza lo spiazzò << Scusate signori >> si scusò un po’ rigido. Gli occhi si spostavano tra me e la bambina.
Sorrise a Renoir << Già che sei qui che ne dici di presentarti? >> le chiese. La bimba, in imbarazzo arrossì << Sì... io sono sua figlia... >> balbettò.
A capo chino, andai a riprenderla << Mi dispiace >> sussurrai a lui. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi. Probabilmente dopo mi sarebbe spettata la mia prima sfuriata. Le presi la mano << Renoir che ne dici di salutare? >> volevo fuggire il prima possibile. Tuttavia mi guardò confusa << Papà perché Bella non si presenta? >> lo fissai agitata. Dovevo presentarmi, perché? Non vi era ragione << Sì, hai ragione piccola >> l’assecondò. Mi parve di vivere il primo giorno di scuola delle superiori. Solo che al posto di adolescenti, c’erano una trentina di uomini. E il fatto che non fossi vestita o meglio che fossi poco vestita mi fece venire il voltastomaco. Mi sentivo a disagio. Se stavo ricevendo delle occhiate, non erano per niente piacevoli. Alcuni di loro erano una marmaglia di depravati che mi fissavano gambe e seno. Non era una situazione ideale.
Lo guardai tesa, con la mascella serrata e anche un po’ innervosita. Lui parve notarlo, come parve notare quelle occhiate che tanto mi infastidivano << Puoi andare Isabella >> il suo tono fu duro. Non risposi, mi limitai ad andar via seguita da Renoir.
<< Piccola... sai quanto tengo a te ma non puoi fare sempre di testa tua >> affermai sicura delle mie parole. Ero alla mia sesta tazza di caffè che sorseggiavo in due ore. Eravamo ancora nell’edificio della Masen Cullen Industry, precisamente nell’ufficio di Edward << Io... >> cercò di difendersi << Tesoro, io capisco che ti manca il tuo papà ma avresti potuto metterlo nei guai, se avessi ascoltato le parole di Caroline, lui avrebbe mangiato ugualmente la torta... >>ed io non starei per ricevere una sfuriata su quanto fossi poco responsabile. E aveva ragione, ero stata un’irresponsabile. Avrei dovuto impormi. Saper dir di no << Il tuo papà stava lavorando >> mi sentivo persa << Scusami Bella >> mi strinse la mano << Non è con me che devi scusarti >> risposi vacua. E se non me l’avesse più fatta tenere? Se reputasse che fossi troppo infantile? Che cosa avrei fatto.
<< Signorina Swan, il signor Cullen vuole vederla nella sala meeting >> la gogna mi aspettava. Guardai la piccola << Tesoro, rimani un attimo con la signora Philips >> consigliai.
Entrai agitata, con il cuore in gola. Lui era seduto nella seduta centrale, quella più imponente << Edward... >> ti prego non impedirmi di non vederla mai più.
Mi avvicinai a lui, non sembrava molto amichevole << Ti rendi conto che ero a un’importante riunione >> proruppe con tono duro << Sì... >> cosa avrei potuto dire per difendermi. Di certo non avrei incolpato la piccola, tra le due ero io l’adulta << Si? Solo questo hai da dire? >> mi sentivo come se fossi una bambina e lui mio padre. Mi stava rimproverando come fossi una lattante! << Che cosa dovrei dirti? Ho sbagliato, mi dispiace >> suonai, purtroppo, leggermente strafottente. Avrei voluto picchiarmi per il mio tono << Isabella! >> tuonò, alzandosi in piedi << Smettila di essere così infantile >> quel commento mi ferì. Erano mesi e mesi che mi colpevolizzavo per il mio aspetto. Per non sembrare una madre, per il mio carattere << Perché sono una bambina? Perché sono distratta? Perché sono disordinata? Perché faccio di tutto per far ridere mia figlia? Perché canto a squarciagola? Bè... allora sono fiera di essere infantile. Se ti riferisci ad altro... ho sbagliato a lasciarmi convincere a portarla qui, sono stata un’irresponsabile ma non le farei mai correre un pericolo, preferirei fare del male a me stessa. Mi butterei nel fuoco per lei >> dissi alterata ma con una tale determinazione da farlo tacere. Forse lo colsi alla sprovvista ma m’importò ben poco << Io ora vado da Renoir. Le ho detto... ti dirà lei cosa le ho detto, non importa. Buona giornata Edward >> impettita più che mai, senza dargli il tempo di rispondere, gli diedi le spalle e andai via.
Salutai Renoir, promettendole di sentirci presto. Non specificai quando, non lo sapevo neanche io data la situazione in cui mi trovavo. Probabilmente il mio discorsetto infantile non aveva fatto altro che inferocirlo, convincerlo delle sue parole. Secondo lui ero infantile. Come se non lo sapessi da me, come se non avessi pensato di cambiare me stessa e il mio carattere per sembrar più matura. Lui che diamine ne sapeva di ciò che mi tormentava nel cuore della notte?
Prima di entrare in ascensore, decisi di fermarmi a una macchinetta del caffè. Più ero nervosa, più bevevo caffè. Probabilmente nelle mie vene scorreva più caffeina che sangue. Di colpo qualcuno mi affiancò. Sentii il suo sguardo addosso ma feci finta di nulla << Isabella, giusto? >> dovetti puntare gli occhi su di lui, anche se il suo tono viscido non mi piacque per nulla. Era un uomo di mezz’età, con un sorriso disgustoso e gli occhi piccoli << Com’è fa a sapere il mio nome? >> chiesi sulla difensiva. Ero ancora scossa dalla discussione con Edward.
Rise come se avessi fatto chissà quale battuta divertente, il ché m’irritò ancor di più << Ero al meeting. Sono un azionista >> dichiarò come se volesse stupirmi.
Rimasi in silenzio, sperando che l’erogazione del caffè giungesse al termine << Isabella... >> ripeté cercando di essere... lascivo? << Signorina Swan! >> rilevai formale. Di certo non avrei permesso a quell’uomo tali libertà. Non si era neanche presentato << Su, Isabella non fare così! >> mi parlò come se ci conoscessimo da tutta la vita. Inarcai le sopracciglia, soppesando le parole da dirgli per non apparire maleducata più del dovuto. Invece, lui continuò: << Che ne dici, una sera di queste, di andare a cena insieme? >> con una mano, la sinistra in cui spiccava una fede, cominciò a lisciarmi il braccio. Mi scostai bruscamente << La ringrazio ma non credo di poter di poter accettare >> fu uno sforzo fisico trattenermi dall’inveirgli contro.
Più tempo trascorrevo in quel dannato edificio, più mi sentivo lesa << Perché mai? >> fece un passo in mia direzione ed io indietreggiai. Se avesse cercato di mettermi ancora una volta le mani addosso, gliel’avrei spezzate. Di certo non mi mancavano le nozioni.
Il suo sguardo era rivoltante, mi guardava come fossi un pezzo di carne. Un corpo. Mi fece rabbrividire << Non sarà solo il signor Cullen ad avere l’esclusiva. Siamo amici, non sarà un problema per lui dover condividere >> sgranai gli occhi. Aveva detto quel che pensavo? << Come scusi? >> domandai arrabbiata. Fuori di me. Ai suoi occhi ero proprietà di Edward. Come un oggetto senz’anima. Come se non fossi una donna << Io potrei fare delle cose a te e viceversa... >> fu un attimo: appena tentò di toccarmi ancora, gli presi il braccio e glielo rigirai dietro la schiena. Gli feci molto male << Non si permetta mai più a parlarmi in questo modo se non vuole che la denunci per molestie. Ritiri subito quello che hai detto! >> ordinai, storcendogli ancora un po’ la mano << Basta! >> urlò, provando a liberarsi ma non ci riuscì. L’essere trattata come se fossi una merce di scambio fu la goccia che fece traboccare il vaso pieno di frustrazione che mi portavo dentro << Ritiri quello che ha detto! >> strillai. Era solo uno schifoso che non voleva ritrattare.
Di colpo qualcuno mi costrinse ad allontanarmi. Forse la vigilanza, forse un altro depravato ma ero troppo accecata. Ero incazzata per capire qualcosa. E senza rendermene conto, venni portata dentro l’ascensore con Edward che fulminava con ogni parte del suo corpo << Mi vuoi dire che diamine succede? Ti rendi conto di quello che hai fatto, Isabella? Si chiama violenza fisica >> urlò. Sentii l’ascensore partire per chissà quale piano ma lo ignorai. Ero furente << Smettila di attaccarmi >> ribattei << Non mi lasci mai spiegare. Perché dai la colpa a me a priori >> continuai frustrata.
Ridusse gli occhi in due fessure e premette un pulsante rosso. L’ascensore si bloccò bruscamente facendoci traballare << Che diavolo pensi di fare? >> strillai. Probabilmente avevo le guancie roventi così come gli occhi << Dobbiamo fare due chiacchiere ragazzina >> annunciò. Ragazzina. Tentava deliberatamente di farmi partire un embolo? << Non chiamarmi così! >> perché doveva comportarsi in quel modo? << Sono stufo di te che continui a stravolgermi l’esistenza. Prima me, poi lei e ora anche il lavoro. Cresci Isabella, non essere così egocentrica da pensare che l’intero mondo sia incazzato con te >> io ero egocentrica? << Ecco! E’ per Renoir! Tu odi l’idea che io sia sua madre naturale. Cosa c’è di tanto male in me? Sai che ti dico signor Cullen... fanculizzati il più lontano possibile da me. Credevo avessimo chiarito, credevo fossi una persona diversa, invece non hai fatto che covare odio per tutto questo tempo. Che cosa credi? Che abbia voluto romperti le palle intenzionalmente? Che voglia rovinarti la tua carriera o che attacchi le persone solo per il gusto di farlo? Sai cosa mi ha chiesto quell’uomo? Se ero esclusivamente di tua proprietà o fossi disponibile nel dividermi tra te e lui. Ha allungato le mani, nonostante gli avessi detto di allontanarmi. Ed io mi sono difesa. Ma tu hai preferito puntarmi il dito contro che chiedere >> la voce si ridusse per quanto avevo strillato. Era lì davanti a me, con gli occhi dilatati << Mi ha fatto sentire una sgualdrinella da quattro soldi, come direbbe tua madre, umiliata come solo lei è riuscita a fare. Credo ormai di dovermi abituarmi, no? Ti sei reso conto come mi hanno fissato i tuoi collaboratori? Non sono così egocentrica ma sono adulta abbastanza da capire che ci sono sguardi e sguardi. Io non sono un’animale da sottomettere, ci siamo capiti? E se non te ne fossi reso conto, nell’esatto momento in cui sono entrata in quell’ufficio, tu sei diventato colui che si scopa la babysitter di sua figlia. Ora premi quel cazzo di pulsante e fammi uscire da qui >> rimasi senz’aria per quanto parlai. Le lacrime mi rigavano il viso.
Lo superai in malo modo e premetti quel pulsante.
Appena arrivai a casa, troppo distrutta per far qualcosa, mi addormentai.
Mi svegliai di soprassalto, quando sentii lo squillo del campanello di casa. Guardai l’ora confusa. Erano le otto di sera. Avevo dormito tutto il pomeriggio.
Un po’ traballante, andai ad aprire. Rimasi a bocca aperta. C’erano Renoir e Edward di fronte a me. La prima aveva tra le braccia un grosso peluche a forma di cane che la sovrastava, il secondo teneva una busta di carta. Soprattutto la piccola aveva un’espressione talmente dolce sul volto che m’intenerì << Ci perdoni Bella? >> chiese implorante. Non sapevo che dire. Ero così felice, estasiata, allegra, la sua presenza mi stava tirando su il morale << Tu non hai fatto nulla tesoro >> feci spazio per farli entrare. Renoir, entrò guardandosi attorno con attenzione. Chiusi la porta e ritornai a concedere la mia attenzione << Questo l’abbiamo comprato per te... >> disse. Sorrisi come una bambina, effettivamente non andavo matta per i peluche ma ero felice che quello fosse un regalo di mia figlia.
E anche di Edward.
Molto probabilmente lo aveva scelto lei << E’ bellissimo grazie! >> esultai. Lo presi e lo misi sul divano << Renoir voleva vedere casa tua e così abbiamo pensato di venire. Ti piace il cibo italiano? >> annuì fredda << Sono felice, che siate venuti. Tesoro vuoi vedere il resto della casa? >> mi rivolsi a lei. Non m’importava che apparissi infantile ma con lui non volevo parlare. Sì, il suo gesto era stato molto rilevante ma non cambiava che avesse sbagliato e che stesse facendo finta di nulla.
Non c’era granché da vedere a casa mia, di certo non era grande come la loro. Tuttavia a lei piacque. Mi aiutò ad apparecchiare la tavola e mangiammo tra i discorsi di Renoir. Edward era stranamente silenzioso. Non m’interessò. Finché c’era Renoir, poteva stare pure in silenzio << Tesoro vuoi il gelato per dolce? >> chiesi quando finimmo. Annuì raggiante. Anche se non era mai venuta, avevo comprato tutto ciò che le piaceva. Stavo perfino pensando di trasformare la camera degli ospiti per farla diventare una stanza per lei. Avrei iniziato tutto quando avrebbe saputo della mia identità, ovviamente avrei dovuto parlarne con Edward per esser certa del suo benestare. Avrebbe scelto tutto lei, volevo che si sentisse in casa << Edward, vuoi una fetta di torta di mele? >> chiesi distacco << Perché hai la torta preferita di papà? >> rispose Renoir. Sorrisi imbarazzata << E’ anche la mia torta preferita >> dissi in un sussurro << Oh... avete una cosa in comune! >> trillò. Io non ci trovavo nulla di divertente ma sorrisi per circostanza.
Era così sbagliato che fossi arrabbiata? Mi aveva detto che ero infantile. Mi aveva chiamato ragazzina. Anche se non apertamente aveva detto che ero sbagliata e che gli stavo rovinando la vita, sua e di mia figlia. Non mi aveva lasciato spiegare. Per un attimo mi ero sentita di fronte a Charlie. Mi ero sentita la peccatrice. Non era così che si faceva! Aveva dato per scontato che avessi sbagliato con quell’uomo.
Ci spostammo sul divano. Lei guardava la tv ma noi, adulti, sembravamo persi tra i nostri pensieri. Chissà a cosa pensava? Aveva detto di essere troppo orgoglioso, per esperienza personale sapevo bene che chi era molto orgoglioso raramente faceva le sue scuse.
Una volta, Renee indossò un vestito attillato. Charlie senza troppi giri di parole le aveva detto di essere ridicola. La ferì molto eppure non si azzardò a farle le sue scuse. Renee dovette fingere, dovette fargli le sue scuse per aver indossato un vestito che le stava anche molto bene. Forse era per questo, a differenza di Charlie, che per me era facile scusarmi. Non che mi scusassi anche per colpe che non avevo, ma non avevo problemi ad ammettere di aver sbagliato. Non volevo essere come loro.
<< Bella, posso vedere le tue foto di piccola? >> mi riscosse mia figlia. Non riuscivo a capire perché fosse così insistente. Se non l’avessi conosciuta, avrei detto che la sua era semplice curiosità ma sapevo bene che dietro a quella richiesta c’era qualcosa anche se non sapevo cosa << Si, un attimo vado a cercarle. Non so neanche dove le ho messe >> spiegai, alzandomi in piedi << Vengo pure io >> affermò.
Non fu difficile trovare quel che cercavo, tutte le foto importanti le tenevo dentro a una gigantesca scatola. La presi e la portai in salotto, dove c’era anche Edward. Presi un respiro profondo e l’aprii. Poi mi resi conto dell’errore che feci. Se non per qualche lineamento che Renoir aveva preso dal padre naturale, era la mia copia. La bambina nelle foto che non era altri che me e Renoir potevano essere scambiate per sorelle. Lei le studiò con attenzione e per qualche motivo anche Edward << Sei bellissima... >> mugugnò come se non fosse in sé. Era pensierosa, forse troppo << Vero, papà? >> chiese conferma << Sì, scricciolo >> le sorrise affabile. Poi afferrò una in cui c’era il mio primo piano, nella foto avevo circa la sua stessa età << Posso prenderla? >> domandò seria << Ehm... non lo so, se ti piace tanto sì... >> scrollai le spalle noncurante. Di certo non era una questione su cui chiedere il permesso a lui << Grazie >> mi baciò la guancia. Forse fu un’impressione ma mi sembrò che in quel semplice bacio nella guancia ci fosse altro.
Ero sul punto di rimettere tutto a posto, quando ai miei occhi risaltò una busta bianca, anch’essa con delle foto al suo interno. Sapevo che tipo di foto aveva al suo interno e m’irrigidii. Il problema era che avevo dimenticato che fossero proprio in quella scatola. Se lo avessi saputo, neanche l’avrei presa.
Anche Renoir la noto perché prontamente la prese tra le mani << No, non aprirla! >> quasi urlai. Fu troppo tardi perché quando aprì la busta, una foto di me con il pancione di otto mesi si spiattellò di fronte a nostri occhi.
Quando ero incinta, immortalai ogni mese della gravidanza. Dal primo all’ultimo. Al nono mese, sembrava aspettassi tre gemelli, tanto ero gonfia.
Diventai paonazza, sentii lui irrigidirsi come me << Bella? >> mi domandò confusa. Non sapevo che dire << Tu... tu perché eri intinta? >> mi si mozzò il respiro. Chiesi aiuto con lo sguardo a suo padre ma neanche lui sapeva come rispondere << Io... non.. >> gli occhi mi si inumidirono << Papà mi ha detto che quando la pancia di una femmina è così vuol dire che la cicogna sta per portare un bambino >> merda! Non è così che deve andare. Non può succedere così. Sarebbe dovuto passare ancora molto tempo. Volevo spiegarti tutto. I miei motivi. Tutto affinché non mi odiassi. Non voglio che tu lo sappia così. Non voglio che tu smetta di volermi bene.
<< Tesoro, si dice incinta non intinta >> esordì lui cupo, eppure non smetteva di fissare quelle nove foto. Forse fu un tentativo di distrarla ma non ci riuscì: << Bella... la cicogna ti ha portato un bambino? >> l’innocenza che mise in quella domanda mi fece venire una fitta allo stomaco << Io... >> che potevo dire << Scricciolo, queste sono cose private. Quando Isabella vorrà parlarne, lo farà >> assicurò << Quanti anni avevi? >> sbottò agitata, ignorando il padre << Quindici anni, piccola >> le tolsi le foto dalle mani e le riposi in fretta e furia nella scatola.
Il silenzio che seguì a quel momento fu imbarazzante. Renoir smise di parlare ma rimase a fissarmi intensamente insieme a suo padre. Io volevo solo piangere. Sentivo come se tutto stesse crollando.
Quando iniziò il film Geronimo Stilton, lei si alzò dal suo posto che era tra me e lui e si mise sulle mie gambe. Era la prima volta che faceva una cosa del genere. Di solito non voleva essere disturbata durante Geronimo Stilton, voleva l’assoluto silenzio. Non riuscii a spiegare quel comportamento, soprattutto quando intrecciò la mano alla mia così tanto forte da farmi anche un po’ male. Non potei fare altro che stringerla a me. Affogare il viso tra i suoi capelli. Il suo buon profumo riusciva a rilassarmi, a farmi sentir meglio, a liberarmi dal peso che mi opprimeva il cuore << Ti voglio tanto bene >> mormorai ma lei mi sentì.
Si addormentò sulle mie braccia. Quando fui certa che non potesse più svegliarsi, l’appoggiai sul sofà e mi alzai per poter spegnere il dvd.
Feci finta che lui non ci fosse. Portai i piatti sporchi in cucina. Lui mi seguì << Ti chiedo scusa, non sapevo che fossero lì. Io... mi dispiace Edward >> tenevo lo sguardo basso. Per distrarmi iniziai a lavare i piatti. Sentivo il suo sguardo perforarmi la schiena << Sì, me ne sono reso conto, non preoccuparti >> sospirai affranta. Mi sentivo sfiancata. Erano accadute fin troppe cose in quella giornata << Isabella >> reclamò la mia attenzione << Dimmi >> lo incitai << Per quello che è successo oggi... >> si bloccò. Non sapeva dire la parolina magica << Non preoccuparti, ho capito >> anche se non lo vuoi dire << Nella mia vita non ho mai avuto bisogno di fare delle scuse >> si giustificò. Come non detto! << Sì... >> me ne sono resa conto << Io ci ho pensato bene e per alcuni versi hai ragione >> continuai << Io sono sua madre >> lo bisbigliai << Non posso comportarmi come un’amica.. >> mi asciugai le mani, mi sedetti sul ripiano della cucina e decisi di guardarlo negli occhi << Mi hai detto che l’hai ripresa, che le hai detto che doveva cercare di ascoltare certe volte >> non sembrò arrabbiato << Comunque sia cercherò di cambiare. Mi vestirò in maniera più adeguata, di smussare certi lati così espansivi del mio carattere, non posso fare la ragazzina... >> solo su questo punto aveva ragione lui, non per il resto. Riuscivo ad ammettere i miei limiti ma lui? Non sapeva fare neanche delle scuse << Sei perfetta così come sei... >> sgranai gli occhi a quell’affermazione. Sei perfetta così come sei << Per Renoir, intendo. Per lei sei perfetta così >> precisò. Non seppi spiegare la fitta che mi colpì al cuore << E Isabella, io non ti odio. Non pensavo quello che ho detto.. farò in modo che quell’uomo paghi le conseguenze dei suoi gesti, che tu non debba mai più sentirti umiliata! >> esclamò sicuro. Scrollai le spalle << Edward con tutto il rispetto ma non m’importa se mi odi o no, a me importa di stare con Renoir. Che lei non mi odi. Tu puoi provare per me quello che più ti aggrada. E per quell’uomo... bè... io non verrò mai più nel tuo ufficio. Se non è lui, la prossima volta sarà qualcun altro e di certo tu non sei il mio difensore. So difendermi da sola, non ho bisogno del tuo aiuto. Ti chiedo solo di ascoltarmi in futuro. >> non mentii in alcun modo. Pensavo davvero quello che avevo detto. Il nostro unico legame era Renoir.
Mi dispiace per il leggero ritardo ma la mia migliore amica ha deciso di sequestrarmi per un weekend tra donne ( si, a voi probabilmente non importa nulla) comunque.. vi ringrazio moltissimo per le recensioni.. se volete recensire sapete quel che fare un bacio acalicad. |
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Capitolo 6 *** Scintille ***
Ciao, eccomi qui con un nuovo capitolo. Innanzitutto vorrei chiarire una cosa. Forse è un po’ insolito trovare in una storia, un’Esme stronza. E sebbene nella mia storia sarà stronza, c’è anche da capire la sua reazione, eccetto che per alcune sue parole. Lei è una nonna. Renoir è la sua unica nipotina. Non conosce la verità. Quante persone al suo posto avrebbero fatto i salti di gioia? Ed è anche logico che pensi che Bella sia interessata solo all’aspetto economico. Chiarito questo punto passo a un altro (che probabilmente v’importerà ben poco) ringrazio la mia migliore amica per essere la mia Tanya, precisa e spiccicata (anche se certe volte m’imbarazza da morire con i suoi commenti). L’unica differenza è che non si chiama Tanya ma Martina. Ti voglio tanto bene tesoro e grazie per il tuo costante appoggio per non parlare delle tue recensioni. Ora vi lascio al capitolo.
Passò una settimana da quella parentesi poco piacevole. Non mettevo in dubbio che Edward fosse una brava persona e un ottimo padre ma… cavolo! Avevo avuto fin troppe esperienze con persone troppo piene di sé. Lui non aveva mai avuto bisogno di scusarsi... pff! La cazzata del secolo. Probabilmente non aveva mai voluto scusarsi. Ci si scusa quando tieni a una persona, quando sei disposta a tutto per lei. Probabilmente lui, se non a Renoir, teneva a poche persone.
Renoir, il giorno prima mi aveva detto che saremmo andati al mare per tutto il giorno. Anche lui sarebbe venuto. Aveva passato solo la mattinata con me giacché poi dovevo andare a lavorare e addirittura scelse il mio abbigliamento e il bikini: degli shorts di jeans magistralmente tagliati dalle mie mani e una canotta rossa. Mi aveva detto che le sue zie l'avevano torturata a lungo con gli abbinamenti, di conseguenza preferì un costume rosso formato da una brasiliana e la parte superiore simile a un reggiseno push-up. Per finire dei sandali. Ci sapeva proprio fare.
Erano le dieci del mattino. Avevo pensato io al cibo. E li stavo aspettando proprio sotto casa. Furono puntuali.
Scese dall’auto e mi corse incontro per poi abbracciarmi per una gamba << Sei bellissima >> trillò entusiasta. Inizialmente avevo pensato di indossare qualcosa di più sobrio ma poi avevo ricordato le parole di Edward: a Renoir piacevo così com’ero, era ingiusto farle conoscere una persona che non ero. Non avrebbe avuto alcun senso.
Quel giorno aveva i capelli raccolti in una coda alta e un vestito azzurro addosso. Era bellissima. Per me era sempre bellissima. Mi sentivo innamorata con lei, di lei << Com'hai dormito? >> chiese interessata. Certe volte sembrava che fosse lei la madre e io la figlia. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che chiedermi come avevo dormito, cosa pensavo, il motivo di determinati atteggiamenti. Mi faceva le domande più disparate. Il nostro attaccamento era diventato ancora più forte. Alla fine della giornata era diventato dura anche per lei dovermi salutare. In quei momenti non sapevo che pensare. Se da una parte mi faceva piacere dall’altra vederla con i lacrimoni mi faceva star male << Benissimo. Tu? >> annuì sorridente e alzò le braccia affinché la tirassi su. Altra cosa che era cambiata: odiava profondamente essere presa in braccio. Diceva che era grande per una cosa del genere, invece adesso si attaccava a me come una scimmietta. Non mi dispiaceva per nulla, soprattutto perché mi annusava, mi raccontava di tutto ciò che aveva fatto quando era più piccola. Era meraviglioso.
<< Bene però... quando tu non ci sei... >> arricciò le labbra, infastidita << Ma io ci sono sempre, farfallina... >> le ricordai scoccandole un bacio sulla guancia.
Avrei dovuto fare l’adulta ma non ci riuscii. Renoir non mi aiutava per nulla. Eravamo da dieci minuti in macchina. Edward guidava tranquillo, qualche volta intervallava lo sguardo tra lo specchietto retrovisore e me, io ero seduta nel sedile anteriore e Renoir in quello posteriore. Non smetteva di canticchiare canzoncine di chissà quale cartone animato e mi faceva ridere. Decisi di accendere lo radio, feci zapping tra le varie stazioni e alla fine riuscii a trovare una canzone che non sentivo da anni << Oddio! >> strillai << Che succede? >> domandò lui serio << Britney Spears. Baby one more time >> esultai << Renoir, sono cresciuta con questa canzone. Mia madre e mio padre la odiavano a morte ed io non facevo altro che canticchiarla >> ridacchiai tra me e me. Impugnai una penna che trovai sul cruscotto e la portai vicino alla bocca a mo’ di microfono << Oh baby, baby, how was I supposed to know that something wasn’t right here… >> oh baby, baby, come potevo sapere che qui qualcosa non andava bene.
Iniziai cantare con voce svenevole. Scimmiottando un po’ Britney Spears. Renoir scoppiò a ridere come Edward del resto. Non m’importava di fare il pagliaccio per farla sorridere << Oh baby, baby, I shouldn’t have let you go and now you’re out of sight yeah… >> oh baby, baby, non avrei dovuto lasciarti andare ed ora ti ho perso di vista.
Mi misi con le ginocchia sul sedile, dando le spalle al parabrezza << Ti prego, continua Bella >> implorò la piccola << Show me how you want it to be tell me baby, cuz I need to know now, oh, because… >> mostrami come vuoi che io sia, dimmelo in modo che possa capire oh perché…
La assecondai fingendo una sensualità che non mi apparteneva. Continuai così finché non giunse al termine: agitando i capelli a destra e a manca e ricevetti perfino un applauso mentre Edward rideva divertito. Com’è che adesso non ti sembro una ragazzina? O stai fingendo. Non riesco a capirti Edward, un giorno ti comporti in un modo e l’altro adotti un atteggiamento opposto. Mi dici di non odiarmi ma certe volte mi guardi male. Mi chiami ragazzina e poi sorridi per il mio comportamento infantile. Se solo me lo spiegassi, io mi saprei regolare.
Il mare quel giorno era limpido, il sole era alto, il cielo azzurro come gli occhi di Renoir, il vento caldo e la spiaggia era colma di persone << Che bello! Che bello! Bella vieni con me a toccare l’acqua? >> strepitò. Mi tolsi i sandali e afferrai la mano che mi aveva teso. Corremmo a causa della sabbia rovente e fu un piacere poter toccare la riva. Di solito preferivo l’acqua un po’ fredda, mi piaceva di più. In estate si andava al mare per rinfrescarsi dal caldo torrido, non aveva senso sperare che l’acqua fosse calda.
Sentii Renoir rabbrividire << E’ troppo fredda per te? >> chiesi ansiosa << No, no >> disse sicura. Ritornammo da Edward che nel frattempo aveva piantato l’ombrellone sulla sabbia << Papi l’acqua è bellissima >> saltellò Renoir << Andiamo a fare il bagno, ti prego, ti prego, ti prego... >> come se qualcuno potesse dirti di no << Tra un po’, tesoro >> confermò.
Nell’esatto momento in cui compresi che per tuffarsi in mare avrebbe dovuto spogliarsi, mi rincretinii perché lentamente vidi la sua t-shirt alzarsi grazie all’aiuto delle mani. Rimase in bermuda beige. Né troppo larghi né troppo attillati. Oh porca vacca! Ti stanno da Dio! Imposi a me stessa di distogliere lo sguardo e riuscii a farlo.
Ritoccato con Photoshop!
Sentivo troppo caldo, stavo per abbrustolirmi << Bella, tu vieni con me? >> la guardai allucinata. Oh merda, devo spogliarmi! Perché l’idea a un tratto non mi piaceva più? Non voglio spogliarmi. No, no, no! Uffa! << Bella? Ci sei? >> riprese confusa. Deglutii a vuoto << Sì, certo tesoro. Io... forse per ora c’è troppo caldo per te. Rischi un’insolazione. Dovresti mettere sotto l’ombrellone così ti spalmo la crema protettiva >> Renoir era l’unica che poteva ricevere la mia attenzione.
La portai personalmente sotto l’ombrellone, la spogliai dal suo vestitino e presi dalla borsa il tubetto di crema solare << Questa cosa fa puzza… >> borbottò schifata << Puzza di pupù… >> aggiunse << Esagerata >> risposi, passando alla schiena << Bella, sicura che questa non sia pupù? >> riprese convinta delle sue parole << Secondo te io ti spalmerei addosso della pupù? >> chiesi divertita << No… però a me sembra pupù >> affermò << Tesoro se la tua pupù odora come questa crema allora dovresti ritenerti fortunata >> scherzai, facendola ridere.
Mi guardava battendo un piede contro la sabbia << Che aspetti? >> chiese impaziente. In fin dei conti il mare è sopravvalutato, molti ne parlano bene ma va a finire che non sopportano l’acqua troppo salata, il gusto di salsedine sulle labbra, il vento che spiattellava la sabbia sugli occhi.
Non potevo e non volevo perdermi quel momento. Se non ora, poi mi avrebbe chiesto di fare il bagno con lei e se così fosse stato, preferivo che ci fosse anche Edward. Quattr’occhi erano meglio di due ma che potevo dire a lui?
Presi un respiro profondo. Ero tra Edward e Renoir. Davo le spalle al primo mentre lei continuava a incitarmi con gli occhi. Cavolo, ho il costume, non sono mica nuda. E’ facile: via il dente, via il dolore.
Prima gli shorts e poi la canotta e finalmente aprii gli occhi. Perché avevo l’impressione di essere osservata? Che qualcuno alle mie spalle mi stesse fissando << Andiamo? >> domandò << Sì, tesoro… >> sorrisi un po’ rigida.
Facemmo una corsa assurda e ci buttammo in acqua. Era talmente fredda che mi si mozzò il respiro << Uh... è freddissima! >> esclamò appena uscimmo dall’acqua. La tenevo in braccio, forse ero ossessiva ma non volevo perderla d’occhio o che l’acqua fosse d’improvviso profonda. Le pulii il viso dalle gocce salate. Sembrava felice, serena. I suoi occhi erano specchio dei miei << Bella, posso confidarti un segreto >> disse mentre cercavo di togliermi i capelli dal viso << Certo, farfallina >> acconsentii. Il suo sguardo diventò triste tanto che contagiò anche me << Io... io non ho la mamma >> affermò. Quelle parole mi stupirono. Non mi aspettavo che mi dicesse una cosa del genere << Forse papà te l’ha detto… io ho fatto finta di niente perché ci sono la nonna e le zie ma… ma mi piacerebbe se la mia mamma fosse come te… >> l’abbracciai come se volessi soffocarla. Non dissi nulla, mi sentivo sopraffatta da quelle parole. Volevo piangere, ridere, ero felice. Mi piacerebbe che la mia mamma fosse come te. Come riusciva a emozionarmi così? Certe volte volevo con tutta me stessa poterle dire la verità, poi pensavo cosa tutto ciò avrebbe comportato e tacevo.
Ci mettemmo sulla battigia a giocare. Precisamente come due bambine. Ci rincorrevamo per poi buttarci nella sabbia. Ridevamo come pazze. Forse stavamo creando qualche disturbo anche alle persone intorno a noi ma non m’importava granché. Io mi stavo divertendo con mia figlia. Infine stanche, cominciammo a fare castelli di sabbia. O almeno io ci provavo, finché Renoir non lo distruggeva con i piedi << Amore, non ti piacciono le principesse? >> chiesi mentre lei rideva a crepapelle << Le principesse non sono mai felici >> rispose incrociando le gambe << Ad esempio Raperonzolo... secondo te come fa a non rimanere senza capelli? Oppure Biancaneve? Mah… >> risi per il suo tono. Quando si è bambini, sono questi i dilemmi della vita: come fa una principessa a non rimanere pelata, come fa Biancaneve a vivere con sette nani.
Però lei, mia figlia, sembrava più matura. Lo dimostrava che le era sempre mancata una figura materna ma non aveva detto niente al suo papà per non farlo preoccupare. Per lei doveva essere difficile, uscire da scuola e vedere i suoi compagnetti correre verso le loro madri, sentire la parola “mamma” e fingere indifferenza. Era una bambina forte, nonostante fosse sempre cresciuta in una campana di vetro. Era altruista e innamorata di Edward. Quanti piccoli all’età di sei anni sarebbero riusciti a capire cosa significava adottare un bambino? Renoir era forse un po’ pretenziosa ma forse potevo capire Edward e la sua famiglia se non le avevano mai detto di no. Avevano voluto che non si sentisse mai fuori posto. La mia piccola grande donna. L’amore per un figlio non si capiva finché non se ne aveva uno. Vedere crescere una vita dentro di te è l’esperienza più emozionante per una donna. Anche se non lo vedi, occupa un posto nel tuo cuore che non lascerà mai. Aldilà dell’innamorarsi, del conoscere la persona che ci starà affianco per il resto della vita, la vera traccia del nostro passaggio sulla terra erano i figli. L’unica certezza di aver fatto qualcosa di buono.
<< Ciao >> sentii una voce maschile. Sia io che Renoir alzammo gli occhi per vedere chi fosse lo scocciatore. Era un ragazzo sui vent’anni, con capelli castani come gli occhi, abbronzato e con un fisico abbastanza atletico. Sì, molto carino ma non cambiava che mi avesse disturbato. Con Renoir odiavo le intromissioni che non fossero di Edward << Hai bisogno di qualcosa? >> mi permisi di dargli del tu poiché la nostra differenza d’età era minima << Che ne dite se vi offro un gelato? >> ci stava provando con me, di fronte a una bambina? Dal sorriso che fece, intuii di sì << Grazie ma non ci piace il gelato >> mentì la bambina. La guardai sorpresa. Il gelato vaniglia e cioccolato era nella sua top ten delle cose che più preferiva al mondo << E poi lei non è uno sconosciuto? >> continuò scocciata << Bè... si! >> ecco un’altra persona che aveva messo alle strette << Grazie ma siamo impegnate >> aggiunsi sincera. Sorrise forse un po’ imbarazzato: lo avevo messo in difficoltà << Io sono Jess... >> si presentò tenendomi la mano << E lui è il mio papà >> disse, alzandosi e correndogli incontro. Ovviamente si riferiva a Edward.
Vederlo in tutta la sua bellezza, sotto il sole, m’incantò. M’imbarazzai: a occhio esterno sembrava che io, lui e Renoir fossimo una famiglia. Che noi stessimo insieme << Qualche problema? >> chiese. Perché il suo tono sembrò minaccioso?
Stupida crede che il ragazzo importuni Renoir.
Jess, così si chiamava, sgranò gli occhi. Credeva davvero che Edward fosse il mio compagno << No, voleva solo complimentarsi per quanto siamo state brave a fare questo castello >> lo difesi << Papà andiamo a prendere un gelato? >> domandò provocatoria. Avevano la stessa espressione, stesso tono.
Non è che lui è… nah! Impossibile.
<< Ehm... è stato un piacere conoscerti Jess… >> conclusi, sperando che si dileguasse.
Mi alzai, quando andò via e mi sfregai le mani contro le gambe affinché mi liberassi della sabbia << Andiamo a prendere il gelato? >> proposi tranquilla.
Il piccolo chiosco era una costruzione di legno proprio sulla spiaggia. Tuttavia decisi di indossare almeno gli shorts. C’era musica, tante persone e tanto divertimento. Si occupò Edward di tutto. A me portò una coca, a Renoir il suo solito gelato e lui una bottiglietta d’acqua tonica << Bella, tu non vai mai in vacanza? >> esordì lei. Come potevo spiegarle che non tutti avevano un lavoro stabile come il suo papà. Eppure ultimamente stavo prendendo in considerazione l’idea di licenziarmi dal pub oppure da Tanya o prendermi delle ferie. Era piena estate e volevo passare ogni tempo a mia disposizione con Renoir. Di sicuro non mi sarei licenziata da Jean. Era brutto da dire ma pagava troppo bene per star ferma. Okay ero un po’ nature ma non era mai stato un problema per me.
<< Non siamo già in vacanza? >> scherzai << No! Ogni anno io e papà andiamo nella casa delle vacanze >> m’informò.
Sbiancai. Vanno in vacanza. Non l’avrei più vista << Ah... che bello! >> esultai falsamente. Con un polpastrello cominciai a disegnare il bordo del bicchiere di cola << E… e dove andate? >> finsi indifferenza. Dentro di me, il nervosismo mi stava divorando le membra. Non volevo che andasse in vacanza lontano da me << Negli… come si dice papà? >> chiese confusa << Negli Hampton >> wow! << Sono felice per te, tesoro. Spero che tu ti diverta >> ciò che contava era la sua felicità.
Aggrottò la fronte confusa e guardò me e suo padre << Tu non vieni? >> quasi strillò. Che cosa stava dicendo? << No, non… >> sapeva qualcosa di cui non ero a conoscenza? << Papà! Bella non viene con noi? >> si alterò sulla sua seduta << Scricciolo, ne riparleremo. Manca ancora molto tempo >> la rassicurò, sfiorandole una guancia.
<< Bella! >> esclamò una voce. Cercai con gli occhi il suo proprietario e lo trovai alle mie spalle << Jack! >> mi alzai ad abbracciarlo << Che ci fai qui? >> domandò per poi guardare i miei accompagnatori << Ehm... Jack, loro sono Renoir e Edward. Edward e Renoir, lui è Jack: un mio collega di lavoro >> li presentai l’un l’altro. I due uomini si limitarono a stringersi la mano, molto freddamente << Siete solo amici? >> Renoir partì all’attacco. Non mi sarei sorpresa se un giorno o l’altro avrebbe preso a organizzare appuntamenti al buio << Si piccola. Amici molto speciali >> sgranai gli occhi e gli pestai un piede con tutta la forza che avevo in corpo. Jack era così snervante da far venire l’orticaria. In poche parole disse velatamente che andavamo a letto insieme. Cosa assolutamente non vera. Stava cercando di stuzzicare Edward, poiché lo aveva visto al locale molto spesso, non sapeva però che non mi stava aiutando per niente << Che vuol dire molto speciali? >> riprese, assottigliando lo sguardo. Avevo l’impressione che le stesse antipatico ogni ragazzo che mi si avvicinasse. Era gelosa. Ridacchiai, mi piaceva che fosse gelosa << Renoir non sono domande opportune >> dichiarò Edward serio. Mi diede fastidio il modo in cui rispose << Vuol dire che ci vogliamo molto bene, nulla di che >> ribattei. Certe volte m’infastidiva il tono che usava << Tu e papà siete amici molto speciali? >> domandò innocentemente. Mi zittì e ci guardammo. Era una domanda trabocchetto? Racimolai le idee per dire qualcosa di sensato e alla fine parlai: << Sì, siamo amici speciali perché entrambi ti amiamo tanto, tanto >> le strinsi la mano. Sorrise euforica << Quindi anche voi vi volete bene >> non risposi a quell’affermazione. E anche lui lasciò correre.
Improvvisamente sentii una canzone che conoscevo bene. Era la preferita di Jack. Infatti, s’illuminò << Vi dispiace se vi rubo Bella per qualche minuto? >> chiese eccitato. Inarcai un sopracciglio, scettica: sapevo bene cosa aveva in mente << Te lo scordi! >> esclamai decisa << Dai Bella! >> supplicò << Perché vuoi rubarcela? >> domandò Renoir << Voglio invitarla a ballare. Dovresti vederla ballare è bravissima! >> squillò euforico. Infatti, riuscì a contagiare anche lei << Bella, perché non mi hai detto che sai ballare? >> sembrò offesa << Non so ballare! >> mentii << Ti prego fammi vedere! >> ci si mise anche lei << Renoir... >> protestai ma non fui molto convincente << Per favore! >> e così cedetti.
<< Ti odio... >> bofonchiai mentre il mio partner mi accompagnava al centro del locale. Non vi era neanche la pista da ballo ma Jack conosceva il proprietario del locale. C’era da precisare che lui conosceva tutti << Ora vediamo come stanno le cose! >> esclamò furbo, stringendomi a se. Aveva intenzione di ballare una salsa << Pronta? >> chiese malizioso << Che hai in mente? >> mi preoccupai << Saluta Jack il gay e dai il benvenuto a Jack l’etero >> ghignò. Quando faceva così, mi terrorizzava.
Che cosa aveva in mente lo capii poco dopo. Quando iniziò a fare l’etero. Mi divertiva sempre ballare con lui. Dopo qualche passo di circostanza, iniziò il vero ballo: mi portò una gamba all’altezza della sua anca e la lisciò lascivamente per poi farmi piegare all’indietro e baciarmi il collo << Ti sta guardando... >> bisbigliò, alzandomi dal pavimento << Chi mi sta guardando? >> legai una gamba al suo bacino. Mi fece poggiare i piedi per terra e si portò alla mia schiena << Lui… non devo stargli molto simpatico in questo momento >> chiarii. Mi scostò i capelli da un lato << Non è possibile! >> dichiarai sincera << E perché mai? >> mi mise le mani sul grembo. Risi << Fidati di me. Non è possibile Jack >> risposi seria << Il fatto che io sia gay, non significa che non sia uomo. E’ geloso marcio >> ripeté testardo.
Sbuffai << So che sei un uomo, ma lui è molto particolare. Devo capire ancora se in senso positivo o negativo >> borbottai << Il fatto che tu lo definisca particolare è rilevante di per sé >> cantilenò malizioso << Sì certo... >> rovesciai gli occhi << Significa che finora non hai trovato nessun altro come lui >> lui e Renoir sembravano essere complici << Jack, facciamo il gran finale e smettila di parlare! >> ordinai. In qualche modo mi ritrovai avvinghiata alla sua vita con le gambe e la testa sottosopra. Oltre al danno anche la beffa: mi costrinse a inchinarmi di fronte agli applausi delle persone che ci circondavano.
<< Oddio! >> un piccolo uragano mi travolse << Sei stata bravissima >> dichiarò sognante. Mi afferrò per mano e mi condusse al nostro tavolo. L’aria attorno a noi era tesa << Bè… ragazzi io devo andare. E’ stato un piacere conoscerti Edward… >> gli strinse la mano << Anche te piccolina >> le scompigliò i capelli. Concluse baciandomi una guancia.
Al tramonto ci concedemmo un ultimo. Questa volta Edward non poté rifiutare. Così per un’ora buona non facemmo altro che cercare di farla divertire << Oddio! >> gridò quando Edward la fece uscire dall’acqua << Bella avvicinati! >> bisbigliò stropicciandosi gli occhi. Feci come chiese << Cosa c’è? >> domandai sorridente << Ti sei abbronzata >> notò << Sì, bé... ho dimenticato la crema solare. Tra un po’ diventerò rossa come un’aragosta >> mi corrucciai. Nonostante la guardassi, sapevo che lui fissava me. Io mi sforzavo di ignorarlo. Avevo accennato a un’occhiata poco prima. Il problema era che non mi aspettavo che tutto di lui fosse risaltato dal sole che stava tramontando. Non sapevo spiegarmelo. Era assurdo come il mio corpo sentisse la presenza del suo e ne fosse elettrizzato. Era una sensazione strana quanto nuova. Un uomo particolare. Significa che finora non hai trovato nessun altro come lui.
Eravamo di ritorno. Ero così stanca che a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti. Probabilmente ero in uno stato di dormiveglia << Papi? Non voglio che Bella vada a casa sua... può dormire da noi, per favore >> avrei voluto obbiettare a quella richiesta ma non ne avevo la forza di obbiettare << Dovremmo chiederglielo. Credo si sia addormentata >> rispose lui << Ti prego papà. Non mi piace stare lontano da lei… >> ribatté lei. Non so se lo feci, anche fisicamente ma dentro di me sorrisi euforica << Le vuoi bene? >> domandò il padre << Si papà, troppissimissimo >> troppissimissimo. Era una parola che ripeteva frequentemente. Anch’io ti voglio bene troppissimissimo << Lei… Bella è Bella >> continuò << Già... >> finì lui.
Mi sentii sollevare in aria, istintivamente mi strinsi alla mia ancora. L’odore di salsedine mi stuzzicò le narici. Non c’era solo salsedine. Sorrisi << Uomo profumato >> mugugnai. Ignorai il leggero ridacchiare << Papà, forse dovremmo svegliarla. A nessuno piace dormire con la sabbia addosso >> io odio la sabbia. Ho la sabbia in posti in cui non dovrebbe mai trovarsi << Oggi l’hai sfiancata. Credo sia stata l’unica a resistere così a lungo >> sembrò un rimprovero << A Bella piace giocare con me >> si è vero!
La morbidezza con un letto fu il colpo di grazia << Papà… non è bellissima? >> mi sentii sfiorare il volto. Renoir << Scricciolo lasciamola dormire >> suggerì << Papi, io ti conosco, quando c’è Bella sei felice. Noi siamo felici e anche se non lo vuoi dire anche per te, è bellissima >> dichiarò seria. Mi schioccò un bacio sulla fronte << Io lo so! >> terminò.
Sbadigliai un paio di volte, infine mi decisi di aprire gli occhi. Dove sono? Di sicuro non a casa mia. Erano le otto di sera e l’ultima cosa che mi ricordavo era di essere sulla spiaggia.
Sei a casa di Edward.
Mi alzai e accesi l’abat-jour. Sul letto c’erano dei vestiti. Una t-shirt e dei boxer. Sono di Edward. Per qualche strano motivo sorrisi come un’ebete, li afferrai e li annusai. Avevano un buon odore.
Mi feci una doccia veloce, indossai quei vestiti e uscii dalla stanza alla ricerca di qualche essere umano. Possibilmente mia figlia. Li trovai in salotto a guardare la televisione << Ti sei svegliata! >> Renoir notò la mia presenza. Sorrisi imbarazzata, a causa del mio abbigliamento << Mi dispiace per essermi addormentata e grazie per i vestiti >> mi rivolsi a lui << Non preoccuparti. Ti aspettavamo per mangiare >> rispose. Ti aspettavamo. Aspettavano me per mangiare. Mi piacque molto << Non c’era bisogno, io… mi sarei arrangiata. Anzi, credo di dover tornare a casa >> mi mordicchiai le labbra sempre più rossa nelle guancie << No! Dormi qua! Io e papà siamo d’accordo >> disse la bambina << Non c’è bisogno davvero! Vi ringrazio >> le ultime parole famose. Mi raggiunse con aria affranta << Per favore… puoi rimanere? >> sospirai pesantemente per poi annuire.
Andammo in cucina. C’era Madeline. Era una donna sulla sessantina dai tratti mediterranei. I primi tempi non le ero stata molto simpatica. Innanzitutto perché mi aveva trovato a cucinare nella sua cucina. E poi avevo occupato il suo posto come tata. Lei non sapeva la verità ed era molto affezionata a mia figlia. Poi c’eravamo chiarite e pian piano tutto si appianò.
Dopo cena, di fronte alla televisione, Renoir si addormentò. Si era stancata. Le diedi un bacio sul capo e Edward la portò nella sua stanza.
Ero in cucina e stavo bevendo un bicchiere d’acqua fresca << Dorme come un sasso >> la sua voce provenne dalle mie spalle. Sorrisi e mi sedetti sull’isola della cucina << Credi che io l’abbia stancata troppo? >> domandai timorosa << No, si è divertita molto. Soprattutto quando hai ballato con il tuo amico. A questo proposito vorrei chiederti una cortesia >> perché sentivo aria di guai << Vorrei che Renoir non conoscesse certi tuoi amici >> affermò.
Purtroppo, non riuscii a trattenermi dal non ridere. E risi di gusto. Risi finché non ebbi le lacrime agli occhi << Jack… >> ansimai << Lui… >> e giù con altre risate. Dovetti mettermi una mano sullo stomaco come a trattenermi.
La sua faccia scocciata mi fece desistere dal continuare. Mi schiarì la voce per darmi un contegno << Non presenterei mai una persona con cui sto sporadicamente a mia figlia e poi neanche è l’amico speciale che intendi tu. Lui è solo un amico e le possibilità che io abbia un amico intimo sono nulle >> spiegai divertita.
Ridusse gli occhi a due fessure, anche lui divertito.
Notai il suo abbigliamento: jeans e t-shirt. Stava bene.
Troppo bene.
Per distrarmi presi un grappolo d’uva e cominciai a mangiare.
<< Perché è impossibile? >> s’incuriosì. Scrollai le spalle << Odio fare sesso! >> esclamai rabbrividendo. Mi guardò come fossi una pazza da rinchiudere. Forse ho esagerato.
Si venne a sedere al mio fianco, sull’isolotto << In che senso odi fare sesso? >> riprese cauto.
Probabilmente non riusciva a crederci. Era tanto assurdo? Io non ci vedevo nulla di strano. C’era chi odiava fare jogging e io odiavo fare sesso. Semplice! Oddio stiamo parlando di sesso. Questo sì che non mi aspettavo che accadesse << La prima e l’ultima volta che ho fatto sesso è stato disgustoso e sono rimasta incinta… non mi piace. Anche perché non ho il tempo di avere una relazione. Ho troppo da fare >> specificai. Per qualche ragione, non mi sentii in imbarazzo. Di solito parlare di argomenti così intimi mi metteva a disagio. Invece con lui sembrò naturale.
La sua espressione mi fece sorridere << Tu non stai con una persona da sei anni? >> sussurrò << Già... >> ridacchiai << Non ne hai mai sentito il bisogno? >> continuò scettico << No. Perché avrei dovuto? >> chiesi retorica.
Qualcosa nei suoi occhi si accese e anche lui rise. Approfittai del silenzio per addentare un altro chicco d’uva << Aspetta! >> asserì. Lo fissai confusa finché, lentamente, non vidi la sua mano alzarsi per poi poggiare un polpastrello sull’angolo della mia bocca. Impietrii, tanto sbalordita quanto ammaliata da quel gesto così… non sapevo spiegarlo. Perché lo aveva fatto?
Infine prelevò la goccia del succo del frutto e se lo leccò. Non smise neanche per un attimo di guardarmi la bocca. Il divertimento lasciò spazio alla serietà. A un’aria carica di tensione ed elettricità.
Ha assaporato le tue labbra!
<< Sei la prima persona che riesce a sorprendermi qualsiasi cosa tu faccia >> affermò dolce. Io lo sorprendevo. Sentii qualcosa allo stomaco che non seppi decifrare.
Perché sembrava che ci fossimo avvicinati più del dovuto? Perché non mi dispiaceva che il suo alito fresco se infrangesse contro le mie labbra? Da quanto tempo non baciavo un ragazzo? Perché non avevo mai sentito questa esigenza, nonostante le occasioni non mi fossero mancate? Non riuscivo più a pensare a qualcosa di sensato.
Tanya l’avrebbe chiamata attrazione fisica. Il punto era che neanche sapevo cosa fosse. Neanche del padre naturale di Renoir ero mai stata attratta fisicamente. Ormai era stupido girarci attorno: quello che provavo era attrazione fisica. Lui era attraente. Tanto. Troppo. Nonostante tu abbia il carattere più indisponente che mi sia mai capitato di conoscere, superi addirittura Charlie: neanche lui era capace di farmi saltare i nervi, io sono attratta da te Edward Cullen. E mi odio perché tu sei tu ed io sono io. Non posso permettermelo. Per fortuna hai un carattere così odioso da farmi fermare al tuo aspetto fisico.
Prima che donna, ero madre. O almeno così mi sentivo. Prima Renoir e poi io con i miei ormoni traditori. E se avessero continuato a scalpitare per quell’uomo che si distanziava da me pochi centimetri, sarebbero rimasti a secco ancora per molto tempo. La vita è ingiusta. L’unico uomo di cui fossi mai stata attratta, è anche il padre adottivo di mia figlia. Tutti ma non lui! Non lo avrei mai accettato. Cascasse il mondo, io ti starò lontana.
Ricordati che lui è signor Bollore.
Era stata Tanya a mettermi la pulce nell’orecchio.
Decisa più che mai, abbassai il capo per interrompere i nostri giochi di silenzio e di sguardi << E’ meglio che vada a dormire. Grazie per tutto >> nonostante stessi cercando di apparire tranquilla, il mio volto era sicuramente infuocato << Sì, certo. Buonanotte >> lui era più bravo nel fingere oppure credeva davvero che non fosse successo niente.
Gli diedi le spalle, pronta ad andarmene ma decisi di spiattellare un pensiero che mi tormentava da molto tempo << Edward posso dirti una cosa? >> domandai incerta. Annuì << Si tratta di Renoir… >> e ho paura che tu possa reagire male << Dimmi! >> m’incitò incuriosito. Presi un respiro profondo << So che non dovrei avere nessuna pretesa, ma in questi mesi ho imparato a conoscerla, anch’io voglio il meglio per lei e penso molto al suo futuro >> forse parlai troppo velocemente. Avevo un po’ paura << Non capisco >> ammise. Mi torturai le mani << Hai fatto un ottimo lavoro con lei, ti comporti da padre irreprensibile ma… >> chiusi gli occhi << … ho notato che… che non le viene mai detto di no e… >> ora mi butta fuori casa << Spiegati meglio >> pregò << Che certe volte non conosce la parola no. Io so che non dovrei dirtelo ma… >> io sono sua madre, voglio il meglio per lei e accettare ogni sua richiesta non è un bene per il suo futuro. Ti prego, ti prego, non reagire male.
Parve riflettere sulle mie parole << Bè… ho sempre voluto che non le mancasse nulla e probabilmente mi sono lasciato prendere la mano >> dichiarò. Tirai un sospiro di sollievo: almeno non l’aveva presa male. Anche se ogni volta faceva ciò che non mi aspettavo. Prima si comportava da stronzo, poi anziché continuare su questa strada si trasformava nel comprensibile Edward. Era imprevedibile.
<< Quindi non ti dispiace se… se facessi qualcosa per… >> rimediare. Tuttavia non osai dire quella parola << Cosa intendi con fare qualcosa? >> chiese, increspando la fronte. Sorrisi sollevata << Io non credo che il mattino dovresti svegliarla, prendendola in braccio. Ha sei anni, non due… io penso che dovrebbe essere autosufficiente… >> se non mi uccide ora, non lo fa più << Edward… io la trovo una cosa bellissima soprattutto la storia del dolce risveglio, non dico di rinunciare a queste parentesi ma al mattino… oppure nel modo in cui parla con determinate persone, dovrebbe essere un po’ frenata. Io l’amo e se te lo sto dicendo è solo per questo. Voglio il meglio per lei >> chiarii sicura. Sospirò pesantemente << Cos’hai in mente? >> domandò << Non so… di svegliarla normalmente ad esempio e dirle che se vuole la colazione deve usare le gambe >> mi sentivo tanto cattiva. E se mi avesse odiato?
No, alla fine capirà.
Sbuffai esasperata da me stessa. Era frustrante tutto quello che mi passava dalla mente.Forse non ho alcun diritto di parlare della sua educazione. Non posso permettermi di recriminare su nulla << Lascia stare… io… buonanotte Edward >> soffiai cupa.
Ancora una volta con il suo bel sorriso << Ti stai comportando da madre Isabella. Credo sia normale, come credo che debba iniziare a vederti come tale prima ancora che sappia la verità >> ricambiai il sorriso. Gli ero grata << Quindi? >> ridacchiai imbarazzata << Puoi fare ciò che ritieni opportuno, basta che sia sensato >> affermò. Mi morsi le labbra << Grazie >> quando non fai lo stronzo sei molto dolce.
Stranamente mi sentivo osservata per non parlare della sensazione di calore. Stavo per risvegliarmi. La luce del giorno mi stava stuzzicando gli occhi. Li aprii leggermente. Sgranai gli occhi quando vidi il mio braccio stretto attorno al corpo di Renoir. Era bellissima. Anche lei a sua volta aveva un braccio attorno alla mia vita. Dormiva beatamente. Che ci faceva nel mio letto?
Notai una figura di fronte a me. C’era Edward poggiato allo stipite della porta e ci guardava con un leggero sorriso sulle labbra. Perché anche lui era lì? << Stamattina non l’ho trovata nel suo letto. Credo che questa notte si sia svegliata per venire da te >> sorrisi raggiante. Il mio piccolo angelo << E’ così bella >> grugnii imbarazzata << Già.. >> rispose << Che ore sono? >> domandai felice << Le nove >> mi fece presente. Si dovevo svegliarla.
<< Credo le farà piacere se ci sei anche tu >> sussurrai mettendomi sulle ginocchia e sistemando la t-shirt che avevo addosso. Annuì e si venne a sedere ai piedi del letto << Farfallina… dovresti intrufolarti nel mio letto come un topino >> esclamai divertita. Si limitò a grugnire qualcosa d’incomprensibile << Sai che potrei fartela pagare >> le pizzicai un fianco e finalmente aprì gli occhi. Guardò me poi suo padre e sorrise felice << Ci siete tutti e due! >> trillò. Si alzò scattante e ci abbracciò insieme. Ero confusa dalla sua reazione << Credevi scappassimo? >> la presi in giro. Sciolse l’abbraccio e mi fece la linguaccia << No! Ma è la prima volta che c’è il mio papà e la mia m… >> mi si mozzò il respiro << E tu Bella >> si corresse, rossa di vergogna.
Stava per dire “mamma”.
Avevo perso ogni contatto con la realtà. Mi sentivo privata di ogni forza. Stava per chiamarmi mamma. Ero la sua mamma << Isabella ti senti bene? >> domandò Edward. I miei occhi erano persi in quelli di mia figlia << Mai stata meglio >> ansimai commossa. Accarezzai il suo viso e le baciai la fronte << Io… ho bisogno di… >> mi serve aria fresca. Cercai di alzarmi in piedi, tuttavia il mio piede s’incastro in una delle coperte e caddi come una pera cotta. La piccola scoppiò a ridere e contagiò il padre mentre una smorfia tra il divertito e il dolorante si dipingeva sul mio viso << Ahi! >> bofonchiai, massaggiandomi la base della schiena << Io… >> Dio che dolore! Trattenni un urlo di dolore.
Mi grattai il capo, confusa << Vado in bagno. Devo fare una doccia. Tesoro che ne dici di scendere a fare colazione senza l’aiuto del tuo papà. Cinque minuti e arrivo >> mi sentivo il viso in fiamme. Tanto ero in Bellalandia che non mi sprecai ad alzarmi e raggiunsi la meta gattonando. Sì proprio come cerebrolesa. Una marmocchia cerebrolesa ma non era colpa mia.
Appena chiusi la porta alle mie spalle e iniziai a saltellare. Stava per dirlo! Stava per dirlo!
In realtà non mi feci la doccia. Mi limitai a sciacquarmi il viso. Mi sentivo troppo gasata e volevo tornare da lei prima possibile. Indossai il costume e i vestiti del giorno prima che Madeline aveva badato a lavare, nonostante le avessi detto che avrei fatto da me.
<< Credo sia la prima volta che si sia alzata di sua spontanea volontà >> mi fece sapere Edward mentre sorseggiava il suo caffè. Risi << No-f-n è-f v-f-ero >> rispose la diretta interessata con un grosso pezzo di pancake in bocca. Risi << La mia bambina è grande ormai >> mi bloccai appena mi resi conto delle mie parole. La mia bambina. Solo Edward parve notare le mie parole, Renoir sorrise. Un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Forse le aveva apprese ma faceva finta di nulla come avevo fatto io poco prima.
<< Oggi che facciamo? Papi, tu non vai a lavoro, giusto? >> sì, da suo abbigliamento casual avevo intuito che non andasse a lavoro. Ciò che non sapevo era che io fossi stata invitata << In realtà oggi sarà il lavoro a venire da me >> precisò << Uff! Va bene, fa niente, Bella può rimanere? >> sì, sì, dille di sì! << Non dovresti chiederlo a me scricciolo >> mi fissò in modo talmente strano che mi spezzò il respiro. Era possibile? No, devo calmarmi, è solo frutto della mia immaginazione. Perché dovrebbe fissarmi in modo strano?
Tu. Lui. In cucina. Tensione sessuale!
<< Bella, perché sei arrossita? >> Renoir mi risvegliò. Anziché portarmi una mano sul viso, la misi sul cuore: sembrava volesse uscirmi dallo sterno << Io… che… no… >> balbettai. Edward inarcò un sopracciglio, divertito. Brutto bastardo! E non potei evitare di arrossire ulteriormente.
No, non è stata la tua immaginazione. Sa quel che fa! E’ un brutto megalomane!
Mia figlia dopo la colazione, mi aveva portato in giardino e in un modo o nell’altro mi aveva dichiarato guerra facendomi il bagno con la pompa dell’acqua. Così mi ero ritrovata bagnata fradicia, mi ero liberata dalla canotta ed ero rimasta con la parte superiore del costume e gli shorts.
Il giardino era davvero immenso, forse più grande della casa stessa. Non c’era un giardiniere professionista che se ne occupava almeno due volte a settimana.
In mano avevo un secchio colmo d’acqua. Era tutto ciò che ero riuscita a racimolare. Erano circa dieci minuti che giravo attorno alla proprietà come una cretina. Volevo scovarla! Sì, mi stavo divertendo da matti. Non avevo avuto un’infanzia molto da bambina e stavo recuperando con Renoir. Forse Edward non aveva tutti i torti a dire che ero infantile. Tuttavia che importava?
Non ero ossessionata dai pensieri della gente. Avevo affrontato una gravidanza alla luce del sole di New York. Avevo sentito dei commenti poco carini e me n’ero fatta una ragione. Le persone parlano a sproposito perché non hanno nient’altro da fare. Reputano la tua vita più movimentata della loro e non lo accettano.
Mi bloccai, quando sentii la voce di Renoir. Non capii bene ciò che disse ma sapevo che se avessi svoltato l’angolo l’avrei trovata. Risi furba. Feci un passo avanti e buttai l’annaffiai con l’acqua.
Ops!
Merda, merda, merda! Non avevo fatto la doccia a lei ma a Edward. Renoir era poco distante da noi tra le braccia di Benjamin, l’amico di Edward. Scoppiarono a ridere. Sapevo che non avrei dovuto ridere ma la faccia di Edward allibita, non aveva prezzo. Così dopo tanti tentativi di trattenermi, fui contagiata dai nostri spettatori << Mi dispiace, non credevo fossi tu >> mi difesi. Istintivamente indietreggiai. Qualcosa nel suo sguardo mi mise in allerta << Papà non puoi farla vincere >> lo provocò Renoir.
In qualche modo mi ritrovai a correre intorno come una matta con Edward alle calcagna << Ti prego, tregua! >> urlai affinché mi sentisse. Mi voltai giusto per vedere dove diavolo fosse, ma inaspettatamente, non lo trovai. Tornai a guardare di fronte a me e la sua figura che mi bloccava la strada, mi fece fermare.
<< Non dovevi farlo >> cantilenò divertito. Continuai a indietreggiare finché in uno scatto non mi caricò su una spalla come fossi un sacco di patate. Mi misi a gridare a squarciagola << Mettimi giù! Aiuto… >> strillai dimenandomi come un serpente << Scordatelo >> disse calmo mentre camminava verso una meta a me sconosciuta.
Avevo la sua schiena proprio sotto il naso e la voglia di morderlo non era poco << Da piccola mi chiamavano vampira. Ho i denti affilati >> gli feci sapere.
Ammetti di essere divertita anche tu!
No che non mi divertivo! Mi stava facendo venire il mal di mare.
Bugiarda. Questa confidenza con lui ti piace. Per quanto tu non voglia ammetterlo, voi vi capite. Lui è l’unico adulto in grado di capire ciò che provi tu.
<< Sono felice per te e per coloro che ti hanno baciato >> mi prese in giro. Alzai lo sguardo e vidi Ben e Renoir. Costava molto aiutarmi? Sbuffai esasperata << Non so cosa tu abbia in mente ma sappi che non l’ho fatto intenzionalmente >> conclusi.
Quando mi mise giù pensai che mi avrebbe lasciata libere, invece fece qualcosa che non mi aspettavo.
Come sempre d’altronde.
Con un braccio mi tenne ferma per la vita, mentre con la mano dell’altro afferrò la pompa dell’acqua e cominciò a bagnarmi.
Annaspai in cerca d’aria. Stavo per affogare << Aspf-etta! >> gracchiai. Ancora una volta mi dimenai. Riuscii nell’impresa di liberarmi ma poco dopo scivolai a causa dell’acqua che aveva trasformato la terra in fango. Il mio unico appiglio fu Edward e lo tirai con me.
Ci ritrovammo sdraiati, l’uno sull’altro. Precisamente lui su di me.
Avevamo il respiro accelerato, i nostri toraci si abbassavano e si alzavano velocemente e non smettevamo di guardarci. Ero persa nei suoi occhi color miele. Erano bellissimi << Non è stato divertente Isabella? >> chiese sfacciato. Risi senz’aria << Io che bagnavo te è stato molto più divertente! >> obbiettai saputella. Cercai nuovamente di tirarmi fuori da quella situazione imbarazzante ma- dannazione prima o poi mi avrebbe fatto impazzire- mi prese i polsi e li portò sopra la mia testa << Dicevi? >> mi esortò. Perché sembri così malizioso?
Sorrisi. Guardai il suo viso, le labbra carnose, la barba incolta, la fronte con i suoi capelli appiccicati. Mi morsi le labbra << Potresti per cortesia lasciarmi almeno una mano? >> domandai. Mi fissò cauto: pensava avessi qualcosa in mente. Il che significava che mi conosceva perché in un’altra situazione sarebbe stato così.
Mi liberò il polso e portai le dita sulla sua fronte. Volevo che si scoprisse da tutti quei capelli. Sorrise di rimando al mio gesto. C’era sempre quel qualcosa che non riuscivo a identificare. Era quasi snervante provarci.
Forse mi soffermai più del dovuto. Dopo la fronte, gli sfiorai la tempia, una guancia, il profilo del naso, la mandibola. Non sapevo il perché di determinate dimostrazioni. Mi attardai sulle sue labbra schiuse. Il suo respiro si scontrava contro il mio polpastrello. Sei bellissimo. Sei come una pompa dell’acqua in piena estate ma non posso dirtelo. Poi che farei?
<< Grazie >> soffiò mentre le mie guancie si coloravano di rosso. E poi la combinai: mi leccai le labbra! Tanya diceva che quando ci s’inumidiva le labbra con la lingua, consciamente o meno, e a breve distanza vi era un ragazzo - come nel mio caso- significava che si aveva la voglia di baciarlo.
Seguì ogni mio gesto e mi guardò con uno sguardo così bruciante che mi fece deglutire a vuoto. Dovresti alzarti ma io, devo ancora capire se voglio o no. Perché si era avvicinato? << Grazie per avermi lasciato rimanere >> biascicai stordita << Non preoccuparti… >> oddio vado a fuoco << Sei sua madre… >> altra fitta allo stomaco << E per prima… mi dispiace che ti abbia scosso. Sei l’unica donna che non è sua zia o sua nonna che le è stata molto vicina. Credo sia normale che per poco non ti ha chiamato in quel modo >> spiegò e io sorrisi << Sì, mi ha sorpresa ma è stato bellissimo anche se si è fermata in tempo >> risposi sottovoce. Sorrise di rimando. Era così…
Bella smettila! Ricordati del suo carattere odioso!
<< Edward… forse… forse… sei un po’ troppo vicino >> dissi in imbarazzo. Non puoi farlo, siamo i genitori di una splendida bambina. Per favore allontanati. Non rovinare tutto. Non voglio.
<< Perché non vi alzate? >> all’unisono guardammo colei che parlò: Renoir. Aveva un’espressione furba sul volto << Ehm… il tuo papà mi stava aiutando >> mentii.
Non si può dire che questo capitolo manchi di momenti caldi. Si è ovvio che si piacciono. Lei stessa ammette di esserne attratta ma non dimentichiamo molto spesso un genitore mette se stesso da parte per il figlio. Se vi va recensite altrimenti vi ringrazio per aver letto. Un grande bacio acalicad. |
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Capitolo 7 *** Vicini ma lontani nella verità ***
Ero agitata, molto agitata. Stavo per far conoscere mia figlia alla mia migliore amica. Non avevo motivo di essere così in ansia << Bella, secondo te piacerò a Tina? >> Renoir mi risvegliò. Eravamo nella fifth avenue ad aspettare Tina. La mia migliore amica aveva deciso, come primo incontro, di portarci a fare spese. Non sarebbe mai cambiata.
<< Tanya, tesoro, non Tina >> ridacchiai divertita. Rovesciò gli occhi << Comunque le piacerai. Davvero. Ti adorerà >> la rassicurai << Sì ma… >> non capivo il motivo della sua inquietudine << Tesoro, Tanya non vede l’ora di conoscerti ma se tu non vuoi, fa niente. Non voglio costringerti a fare nulla che tu non voglia >> affermai sicura. Scosse il capo in segno negativo << No. Io voglio… voglio conoscere i tuoi amici. Sei… tu >> mi sembrò che si trattenne dal dire altro << Sei sicura che non c’è niente che vuoi dirmi? >> ripresi seria. Aggrottò la fronte << E tu Bella, c’è qualcosa che vuoi dirmi? >> sgranai gli occhi, sorpresa dal tono che aveva usato. Maledettamente serio. Deglutii a vuoto. Perché mi sentivo messa alle strette? << N-no… perché… >> non potei continuare a causa dell’arrivo di Tanya.
Sembrò come se fosse stata colpita da un fulmine. Mi schiarì la voce per riscuoterla. Tuttavia il suo risveglio non avvenne. Guardava me, la bimba, me, di nuovo Renoir e le nostre mani legate. Sì, ora sapevo perché eravamo amiche. Due cretine non potevano non trovarsi.
Per l’ennesima volta mi schiarii la voce << Tanya >> borbottai. Renoir aveva la faccia di chi si chiedeva se fosse normale o meno << Tu devi essere Renoir >> trillò, abbassandosi alla sua altezza. La piccola continuava ad avere una scintilla di paura negli occhi. Ti ho detto di mantenere un profilo basso! Questo lo chiami normale? Se non ci fosse stata Renoir, l’avrei picchiata a sangue! Ti uccido!
<< Bella mi ha parlato tanto di te. Sei bellissima! >> affermò con gli occhi luccicanti. Giuro che se non la smetti ti ammazzo! << Grazie >> rispose intimidita << Io sono Tanya >> le porse la mano. La mia bambina mi guardò come ad aver conferma ed io annuii. Tanya continuò a fissarmi sorridente << Io sono Renoir ma già lo sai… >> borbottò timida.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, in cui pensai seriamente che a Renoir non stesse simpatica Tanya, tutto andò per il meglio. Si misero a parlare di me come se io non ci fossi. E mia figlia le fece varie domande sempre su di me. Nonostante le avessi detto tutto della mia vita, continuava a indagare. Sì, era il termine giusto! Lei indagava. Il punto era che non ne capivo il motivo.
<< E’ un amore! >> sussurrò la mia amica mentre Renoir era dentro a un camerino a provare un vestito. Sorrisi come un’ebete << Lo so Tanya. Lo so! >> esclamai euforica << Hai visto come ti guarda? Come se sapesse chi tu sia, come una figlia guarda sua madre >> continuò. Sorrisi estasiata << Se lo fa è perché si è abituata alla mia presenza. Ci vogliamo bene Tanya. Io l’amo e per qualche strano motivo lei ricambia >> cinguettai << Sei sua madre, non è poi così strano >> obbiettò << Ma lei non… >> dovetti fermarmi perché la piccola uscì dal camerino.
Trattenni il fiato per quanto era bella. Indossava un vestito blu zaffiro. Elegante e con la gonna in tulle. Era meravigliosa, s’intonava perfettamente al colore dei suoi occhi nonostante fossero azzurri e non blu.
Aveva le guancie arrossate, forse per come la stavo guardando << Sei stupenda >> mormorai. La afferrai per mano e le feci fare un giro su se stessa << Ti piace a te? >> chiesi. Annuì sorridente << Allora ti va se lo compriamo? >> continuai. Ero consapevole che aveva un armadio pieno di vestiti però nessuno dei suoi abiti era stato comprato da me << Sì, se per te va bene >> sussurrò. Sì, sì, si! << Questo lo prendiamo! >> confermai << C’è qualcos’altro che ti piace? >> chiesi. Avevo la leggera smania di comprarle molte cose.
Forse mi comportai da snaturata ma le comprai altri vestiti. Non tanti, ma glieli comprai.
Ridemmo, scherzammo, continuammo a girare per negozi finché Tanya non decise di entrare in una profumeria. Fu divertente come io e Renoir cominciammo a starnutire per le troppe fragranze. Dovemmo allontanarci, tanto ci sentivamo stordite << Bella? >> tirò su col naso e se lo stropicciò << Dimmi tesoro >> la spronai curiosando qua e là << Tu che profumo usi? >> chiese. Mi stupì << Perché vuoi saperlo? >> domandai. Scrollò le spalle << Mi piace il tuo profumo così… >> mi piaceva tanto sentirglielo dire. Non sono egocentrica, no? << Ehm… di solito uso il deodorante >> non che non usassi il profumo ma il mattino, essendo una dormigliona cronica, il deodorante era l’unico che riuscivo a trovare.
Mi misi in punta di piedi e allungai il collo per vedere dov’era il reparto dei deodoranti. Appena lo trovai mi mossi con Renoir. Spulciai a lungo finché non trovai ciò che cercavo << Ecco! >> glielo feci annusare. Era una fragranza molto delicata, fruttata ma non troppo. S’illuminò come un albero di natale << Puoi… puoi comprarmelo? Così quando non dormi con me, ci sei… >> trattenni il respiro. La sua dolcezza non avrebbe mai smesso di sorprendermi. Mi limitai ad annuire confusa e anche commossa.
Alla fine della giornata, dopo aver pranzato, salutammo Tanya. La mia amica stritolò Renoir << Dobbiamo assolutamente rivederci >> le disse sorridente << Sì, va bene, grazie Tanya >> rispose la piccola. Tanya le stampò un bacio sulla guancia << E puoi anche chiamarmi zi… >> le schiacciai un piede prima potesse finire di parlare. Ho un’amica cogliona! Davvero stava per dire che voleva essere chiamata “zia” ?
Renoir la guardò accigliata ma sempre con quell’espressione di chi sapeva tutto << Zi.. cosa? >> chiese << Zitella >> strillai non sapendo che altro dire << Che vuol dire zitella? >> domandò mentre Tanya mi guardava come volesse scusarsi << Nulla tesoro >> mentii << E’ solo un nomignolo Tanya, la zitella >> risi isterica << Okay.. >> borbottò poco convinta.
Continuammo nel nostro giro per negozi << Bella, Bella, ho un’idea! >> trillò Renoir << Dimmi >> la incitai. Corse verso uno stand e cominciò a scandagliarlo << Tieni! >> mi passò una t-shirt blu con una scritta bianca e dei leggins bianchi, stessa mise che aveva lei tra le braccia << Dopo dobbiamo cercare le scarpe porti il trentanove giusto? >> continuò assorta nel suo mondo. Non ero più così sicura che avesse sei anni.
La guardai confusa << Che cosa hai in mente? >> chiesi cauta. Per tutta risposta ridacchiò divertita << Facciamo uno scherzo a papà! >> esclamò furba. Certe volte mi ricordi me, quando cercavo di esasperare Charlie e Renee. Inarcai un sopracciglio << Spiegati meglio >> continuai. Sorrise diabolica << Puoi chiamare a papà e gli chiediamo se vuole venire? > non stavo capendo nulla << Sì, possiamo provare >> acconsentii. Finché non mi trascinava nella sua sede lavorativa a me, stava bene. E poi aveva usato il verbo potere e non volere.
Feci partire la chiamata e misi in vivavoce.
<< Pronto Isabella, è successo qualcosa? >> rispose con voce ansante. Aggrottai la fronte << Papà sono io, sono con Bella, volevamo chiederti se volevi venire >> disse Renoir. Avevo la strana sensazione che lo avessimo disturbato << Ehm… si! Sono libero, datemi… datemi dieci minuti. Renoir, puoi passarmi Isabella? >> continuai a insospettirmi. Presi il cellulare, tolsi il vivavoce e lo accostai all’orecchio << Edward, non sapevo ti avessimo disturbato. Mi hai detto che oggi non saresti andato a lavorare >> lo anticipai. Si schiarì la gola << No, infatti, non mi avete disturbato >> mi tranquillizzò << Ne sei sicuro? >> continuai indecisa << Si certo! >> esclamò deciso.
Non potei più obiettare così gli dissi dov’eravamo.
In quel momento all’ingresso del centro commerciale, con la coda dell’occhio stavo attenta a Renoir che guardava i vestiti qualche metro lontana da me. Poi lo vidi e quando si avvicinò, ebbi la certezza che fosse scombussolato << Ciao >> sorrise. Aveva i capelli scompigliati, la cravatta scomposta e… impietrii appena vidi cosa aveva sul collo e sul colletto della camicia. Non seppi spiegare cosa, ma qualcosa mi colpì allo stomaco. E non era piacevole.
Uno sbaffo di rossetto!
Cacciai via quella stupida sensazione e sorrisi divertita << Sta fermo >> sussurrai mentre mi avvicinavo a lui. Increspò le labbra confuso, finché non misi una mano sul suo collo. Sgranò gli occhi come se non se lo aspettasse e mi fissò come se volesse leggermi nel pensiero. Gli accarezzai la porzione di pelle sporca con il pollice. Lo sentii rabbrividire e lo feci anch’io come se fossi stata contagiata << Mi dispiace >> aggiunsi sottovoce << Ho le mani fredde >> spiegai imbarazzata continuando nella mia operazione. Riuscii a ripulirlo << Avevi del rossetto >> specificai, portando poi le mani sulla sua cravatta. Avvertii chiaramente il suo corpo irrigidirsi << Non preoccuparti >> dissi sincera << Adesso sei perfetto! >> sorrisi. Non smise di guardarmi.Porca vacca, dì qualcosa! << Se avessi saputo, non mi sarei mai permessa >> mi sembrava di fare un monologo e cominciavo a innervosirmi. Sembrava a disagio, forse non gli piaceva essere colto in flagrante. Sinceramente non ci trovavo nulla di strano. Era padre ma era anche uomo. Era normale, no?
Potrebbe darsi anche una sistemata dopo!
Non se n’era reso conto. Non aveva fatto nulla di grave.
<< Che cosa state facendo? >> di nuovo Renoir. Avevo dimenticato di togliere la mano dal suo corpo << Niente piccola >> rispose lui, abbassandosi alla sua altezza. Renoir lo abbracciò << Ciao papi >> lo saluto. Appena si abbracciarono, vidi distintamente mia figlia arricciare il naso << Papi, fai puzza di fragole >> affermò disgustata. Aveva ragione! Lo avevo sentito anch’io. Almeno non si era accorta del rossetto sulla camicia << No, tesoro, ti sbagli >> obbiettò in difficoltà. Ecco la cazzata dell’anno << No! Fai puzza! >> dichiarò decisa. Il profumo che aveva addosso era troppo stucchevole.
Profumo da donna. E a te da molto fastidio!
Non mi dava fastidio semplicemente l’odore della sua pelle era più buono.
<< Renoir, non è carino da parte tua >> la informai << Aspetta, ho un’idea! >> esclamò astuta. Da una delle buste che aveva tra le mani, estrasse il mio deodorante. E senza dargli alcun preavviso cominciò a spruzzarglielo addosso, non eccessivamente << Il profumo di Bella è più buono >> costatò sorridente. Quell’affermazione mi fece imbarazzare a morte e abbassai lo sguardo mentre percepivo i suoi occhi addosso.
<< Tesoro non credo sia il caso >> implorai, rossa in viso << Bella, ricordi lo scherzo a papà >> sottolineò. Ridacchiai, lei mi diede il cinque ed entrammo in due camerini diversi.
<< Papi sei pronto? >> urlò Renoir da un camerino. Edward ci stava aspettando << Sì, tesoro! >> lo sentii dire << E tu Bella? Sei pronta? >> si rivolse a me << Affermativo! >> urlai << Okay Bella! Al mio tre esci fuori >> continuò. Oh santo cielo! Non posso più scappare! << Uno… >> iniziò. Inevitabilmente deglutii a vuoto << Due… >> mi sentii le mani sudare << Tre… >> strillò. Chiusi gli occhi e saltai fuori.
Mi sentivo in imbarazzo poi sentii ridere. Edward stava ridendo! Azzardai ad aprire un occhio. Non potei evitare di ridere anch’io. Io e Renoir eravamo vestite allo stesso modo: t-shirt, leggins e converse.
A causa delle nostre risate, attirammo molti sguardi su di noi << Papi, non siamo bellissime? >> domandò fintamente vanitosa. Lui continuò sghignazzare << Si molto >> sussurrò sorridente. Poi prese il suo Iphone e ci fece una foto << Così non dimentico >> chiarii divertito.
Improvvisamente Renoir mi prese per mano e ci portò di fronte a uno specchiò. Si mise a fissare intensamente i nostri riflessi. Era pensierosa << Piccola che stai facendo? >> chiese suo padre. Non rispose ma ridusse gli occhi a due fessure << Niente… >> gracchiò seria.
Alla fine comprammo altri vestiti. Quando fummo di fronte alla cassa, notai lo sguardo della cassiera su Edward. E’ un bell’uomo, cosa mi aspetto?
E non solo io me ne accorsi, anche la bambina. Ma non credevo che sarebbe arrivata a tanto. Infatti, prese la mia mano, quella del padre, le mise sul bancone per poi unirle. E senza che me ne rendessi conto mi ritrovai mano nella mano con lui. Una scarica si propagò lungo la spina dorsale e per poco non iniziai ad annaspare in cerca d’aria. Scostai la mano come scottata mentre sentivo il famigliare rossore invadermi le guancie. Piccola, ti adoro ma hai troppa iniziativa.
Andammo in un ristorante italiano all’ora di cena, Renoir aveva fame. Ordinai spaghetti con gamberetti, padre e figlia la solita bistecca. Il primo con verdure grigliate, la seconda con le patatine.
Afferrai la forchetta e addentai un gamberetto, vidi Edward storcere il naso. Renoir scoppiò a ridere << Che succede? >> domandai << Papà odia i gamberetti >> spiegò. Sorrisi << Davvero? >> continuai perfida, guardando il diretto interessato << Si >> disse ermetico. Il mio sorriso diabolico si ampliò << Tesoro, vorresti vedere il tuo papà mangiare un gamberetto? >> la interpellai << Si! >> squillò << Scordatevelo! >> s’intromise lui. Proseguii a ridere, prendendo un gamberetto tra l’indice e il pollice. Mi avvicinai a lui << Dai Edward… >> implorai sottovoce << No! >> ribatté << Ti prego… >> sbattei le ciglia velocemente come fossi innocente << Papi, non puoi tirarti indietro >> gli fece presente la bambina << Renoir… >> tentò << Papi, hai paura di mangiare un gamberetto? >> lo provocò. Trattenni una risata << Edward, hai paura di un gamberetto? >> ripresi con lo stesso tono di mia figlia. Aguzzò lo sguardo << Io non ho paura >> affermò sicuro. Sì, come no! << Bene, neanche questo gamberetto ne ha >> sventolai ciò che odiava di fronte alla sua bocca << Bene! Perché anche le mie verdure vorrebbero fare un giro nel tuo palato >> sbiancai alle sue parole. Rabbrividii: odiavo le verdure. Non mangiavo mai le verdure. Mi facevano schifo. E lui lo sapeva, aveva notato come lasciassi sempre le verdure quando mangiavamo << Isabella, che ne dici di dare il buon esempio? >> mi rimbeccò. Brutto manipolatore che riesce a rigirare la frittata!
Chi la fa l’aspetti!
<< Le verdure faranno un giro nel mio palato se questo bellissimo gamberetto conoscerà il tuo >> speravo con tutta me se stessa che si arrendesse. Purtroppo non successe poiché anche le sue dita afferrarono un cavoletto di Bruxelles. Sentii la gola farsi secca << Isabella non vorrai tirarti indietro? >> stesse parole di Renoir << Bella non ti piacciono le verdure? >> domandò lei.
Perché quando è provocatorio è ancora più bello?
Mi morsi le labbra. Stupidi ormoni da ventunenne!
D’altra parte non potevo tirarmi indietro. Negli ultimi mesi avevo tartassato Renoir con l’idea che le verdure fossero buone. Bugiarda al massimo.
Sorrisi sardonica << Le verdure sono buone quanto i gamberetti >> affermai poco convinta. Edward avvicinò quella schifezza alla mia bocca, io lo imitai. Avevamo l’espressione di chi stava andando al patibolo. Prendemmo un respiro profondo, a me scappò una risata << Sei pronto? >> chiesi in un sussurro. Nonostante non fossimo felici di mangiare i nostri nemici, la situazione non ci dispiaceva affatto anche Renoir era divertita << Sono sempre pronto. Tu Isabella? >> rivoltò la mia domanda. No, no, no! << Sono nata pronta! >> finsi.
Qualcosa nei suoi occhi mi fece ribollire. I tuoi occhi non sono normali, sappilo. Perché certe volte mi guardi come un uomo guarda una donna e io non so che fare. Perché sembri così malizioso in questo momento?
Una morsa mi strinse il cuore quando mi leccò le dita, appena il gamberetto entrò a contatto con la sua bocca. E rimasi a osservarlo come in trans. Perché ho il respiro affannato? Oh santissimi numi.
Stupida, togli le dita da quelle labbra tentatrici!
Facile a dirsi…
Dovresti essere odioso ventiquattro ore su ventiquattro. E vorrei che fossi anche brutto, grasso e basso! Perché non sei brutto e odioso, Edward?
<< Edward… >> sentii sussurrare. Spostai lo sguardo in direzione della voce e mi pietrificai. C’erano sua cognata e il fratello. Alice e Jasper dovevano chiamarsi. Sembravano disorientati. Abbiamo avuto un atteggiamento troppo intimo!
Tolsi subito la mano e tornai a fissare il mio piatto. Renoir corse ad abbracciarli. Mi sentivo dannatamente fuori posto, se fosse stato per me, sarei scappata ma come aveva detto Edward, dovevo fare in modo che Renoir non si accorgesse di nulla << Jasper, Alice… >> sorrise cordiale << Salve >> mi limitai. Se loro erano dei maleducati io di certo, non li avrei imitati. La ragazza mi sorrise e quella consapevolezza mi lasciò stupita. Perché mi stava sorridendo? << Scusa se non mi sono presentata la scorsa volta. Renoir non fa che parlare di te. Io sono Alice >> tese una mano in mia direzione. Ero allibita, forse la stavo guardando come fosse un cane a tre teste. Mi riscossi dal torpore e afferrai la sua mano << Isabella, piacere di conoscerti >> ricambiai gentile. In fin dei conti lei non si stava comportando male. Non sembrava mentire dato il suo sorriso onesto. Il marito non si presentò ed io non seppi che fare se non tacere.
Non ero un’appestata in fin dei conti << Zia… zia… oggi io e Bella siamo andati a fare spese >> squittì Renoir. Alice continuò a sorridere << Spero vi siate divertite. Avete comprato qualcosa di bello? >> chiese sinceramente. In fratello di Edward non sembrava altrettanto ben disposto. Guardai il padre di mia figlia di soppiatto. Fa qualcosa ti prego! << Che ne dite di sedervi con noi? >> devo stare calma, devo cercare di capire le sue ragioni…
Ma quali ragioni deficiente! Loro ti odiano!
<< Sì, ne saremmo felici >> rispose sempre lei. Se suo marito avesse parlato, di sicuro non avrebbe dato una risposta positiva << Allora tesoro cosa hai fatto? >> continuò interessata << Bella mi ha fatto conoscere una sua amica. Dovresti conoscerla zia, andreste d’accordo. Poi mi ha comprato tanti vestiti, tutto quello che mi piaceva e poi abbiamo chiamato papà e puzzava di fragole ma io gli ho messo il profumo che usa Bella e ora è profumato. Poi Bella ha fatto mangiare un gamberetto a papà e lui è diventato tutto bianco… >> scoppiò in una fragorosa risata che contaminò tutti, ma c’era un uomo che rideva forzatamente e non era Edward. Jasper guardava Edward in modo strano << Edward che mangia un gamberetto! >> la ragazza dai capelli neri singhiozzava tante erano le risate << Avrei voluto esserci! >> si lamentò. Lo sguardo di Renoir s’illuminò << Possiamo rifarlo? Dai papi, se l’hai fatto una volta… >> perché si comportano come se tutto sia normale? Non è nulla normale! Ed io voglio andare a casa mia, nonostante Alice si sia dimostrata affabile.
<< Tesoro, non credo sia il caso >> mormorò lui << Perché no? >> mise subito il broncio << Amore, saresti disposta a mangiare un cavoletto per ben due volte >> la sfidai << Bleah… neanche per sogno! >> inorridì. Ridacchiai, accarezzandole una guancia << Bene, allora credo che per questa volta possiamo graziarlo >> affermai facendole l’occhiolino, mentre sentivo gli occhi penetranti dei due coniugi addosso. Ma prego… sbranatemi se vi fa più comodo! << Uff! Okay… >> brontolò.
Restammo in un silenzio assurdo per qualche minuto finché non lo ruppe proprio la donna: << Allora Isabella di cosa ti occupi nella vita? >> oddio no! << Ehm studiò ingegneria aerospaziale >> ormai la fame era passata e stavo torturando il tovagliolo che stavo sulle gambe. Odiavo gli interrogatori << Ma dai! Anche Jasper è un ingegnere! >> come non detto. Un po’ mi dispiaceva per lei poiché tentava di farci interagire << Jasper si occupa d’ingegneria nucleare >> fu Edward a parlare. Annuii meccanicamente << Però Bella disegna gli aerei >> disse Renoir. Era la spiegazione più semplice che ero riuscita a darle.
Con la coda dell’occhio vidi Alice dare una gomitata a Jasper, non era felice di trovarsi con me << Zio, sei triste? >> domandò la piccola. Sembrò riscuotersi << No, tesoro >> bugiardo! << Allora perché non dici niente? >> riprese. Perché se potesse, mi seppellirebbe viva! << No, stavo solo pensando. Ti piace la tua nuova amica? >> per la prima volta non sembrava un nemico eccetto che per un piccolo particolare: perché la famiglia Cullen aveva lo schifoso vizio di parlare di me cose se io non ci fossi? << Bella? >> chiese conferma << Bella non è anche amica vostra? >> domandò innocentemente. Mi si strinse il cuore << Certo che sono amici, amore mio >> si affrettò a precisare Edward. Renoir aggrottò le sopracciglia, non era del tutto convinta << Okay… >> bisbigliò.
Quella fu la conversazione più lunga che ebbi con un familiare di Edward. Bene, anzi benissimo. Probabilmente nelle loro menti contorte ero diventata una mangia uomini.
Fui svegliata nel cuore della notte da una chiamata di Edward << Pronto? >> bofonchiai con voce impastata << Isabella, sono Edward! >> tre parole bastarono a spaventarmi. Lui non chiamava mai nel cuore della notte << Che è successo? >> quasi urlai << Stai calma! Renoir si è sentita male, la sto portando in ospedale. Volevo avvisarti >> non finì di parlare che già avevo indossato degli shorts e le scarpe.
Non mi sentivo bene. Non mi sentivo, punto. Ero sul punto di avere un infarto e le lacrime solcavano già il mio il mio viso << Sto arrivando. Dammi cinque minuti >> chiusi la chiamata in fretta e furia. Afferrai una t-shirt che indossai in auto e un giacchetto.
Sfrecciavo per le vie di New York con il mio maggiolino come un indemoniata. Oltretutto il fatto che fossero le due del mattino mi aiutava con il traffico che c’era, ma almeno era scorrevole.
Stesso comportamento ebbi quando entrai in ospedale. Edward mi aveva mandato un sms con scritto che si trovavano in reparto pediatria. Non ebbi neanche l’accortezza di fermarmi e chiedere a un’infermiera. Ero un fiume in piena, se non avessi visto mia figlia da un minuto all’altro, mi sarei spezzata.
E poi come la solita sfortuna, ma dovevo anche aspettarmelo, li trovai tutti lì. I suoi familiari. Dai genitori, ai fratelli, ai cognati. Erano tutti agitati, camminavano avanti e indietro per i corridori. E quando mi videro la situazione, non migliorò di molto. Tuttavia non tutti reagirono male, almeno padre, figlio e cognati si dimostrarono indifferenti. Anche se Alice mi guardava dispiaciuta. Furono Esme e Rosalie a osservarmi come se fossi il diavolo. Dove cazzo sei, Edward?
Chiusi gli occhi, presi un respiro profondo, li riaprii e camminai in loro direzione. Decisi di rivolgermi ad Alice: lei non sembrava così ostile << Scusami, puoi dirmi dov’è Edward? >> domandai flebile, con la voce che tremava, ma il cuore non batteva. Si era fermato nell’esatto istante in cui avevo appreso la notizia. Tentò di parlare ma qualcuno la interruppe: << Che cosa hai intenzione di fare? >> la madre di lui e si era posta di fronte a me. Come volesse bloccarmi la strada << Vorrei vedere Renoir >> continuai pacata. Non potevo permettermi altro << E perché mai? Tu chi saresti? >> chiese arrabbiata, come se da un momento all’altro fosse pronta ad assalirmi. Sono sua madre, questo avrei voluto dirle ma mi rendevo conto che una risposta del genere non avrebbe fatto altro che inferocirla << Per legge non sei nessuno! Sei solo una sconosciuta. Quindi vattene. Ora! >> intervenne la figlia. Sconosciuta, ecco cosa sono secondo la legge! Trattenni le lacrime. Esme per quanto perfida fosse era madre, poteva capire eppure chiudeva gli occhi di fronte all’evidenza << Esme, Rose smettetela! >> ordinò il padre.
Non m’importava se anche lui mi fosse contro ma mi ritrovai a ringraziarlo con gli occhi. Ho bisogno di vedere mia figlia, dove sei Edward? << Per favore signora Cullen, mi faccia passare >> non m’importava di implorarla, per Renoir sarei arrivata a baciarle i piedi << Vada subito a casa sua! >> disse dura. No che non me ne vado! Non sei tu a dover decidere.
<< Esme, la bambina chiede di lei >> sussurrò il marito. Mi si spezzò il respiro e invano cercai di superarla << Mi faccia passare, almeno per parlare con Edward >> cominciai a innervosirmi. Cominciai a fremere. Ero espansiva ma mai ero stata aggressiva e lei non poteva permettersi di allontanarmi da mia figlia, nonostante mi volesse al suo fianco. M’ignorò bellamente, come se non avesse sentito nessuno parlare << Non importa! Deve andarsene subito da qui >> replicò acida << Esme… >> provò << No, Carl! Questa non si avvicinerà a lei. Non è sua madre >> sì, sono sua madre! E non perché abbiamo lo stesso sangue ma perché l’amo come solo una madre potrebbe fare! << Signora, mi faccia passare >> ripetei tesa << Esme non fai un torto a lei se non la fai passare ma anche a Renoir! Lei vuole la signorina al suo fianco >> finalmente qualcuno che cerca di rinsavire. Ormai avevo lasciato le belle maniere a qualcun altro, dovevo trovare Edward e lui mi avrebbe permesso di vederla. Questa volta la superai senza troppe moine ma lei mi fermò per un polso. E me lo strinse, lo stritolo tra le dita talmente tanto che iniziai a sentire dolore e pian piano la mano intorpidirsi. Mi fulminò << So che cerchi di fare! Stai lontana da mio figlio e da mia nipote >> bisbigliò così che solo il marito potesse sentirla. Bastarda. E mi ribellai! Quand’è troppo è troppo. La strattonai affinché non mi liberò e addirittura traballò.
Avrei voluto dirle qualche frase d’effetto ma non riuscii a pensare a nulla.
<< Isabella >> la comparsa di Edward interruppe la conversazione fatta di sguardi omicidi tra me e la madre. Finalmente!
Diedi solo una rapida occhiata al polso. Stronza. La parte offesa dalle sue dita era arrossata e lentamente stava prendendo una nota violacea. Stronza fino al midollo.
Insieme con lui c’era il medico. Ti prego fa che non sia grave. Deglutii a vuoto << Stai tranquilla >> esordii mettendosi al mio fianco << Voi siete i genitori? >> domandò il dott. Roth, così c’era scritto nella targhetta identificativa << Sì, siamo i genitori >> i miei occhi scattarono verso lui, verso quella bocca che aveva pronunciato quelle parole. Spontaneamente, mentre delle gocce salate percorrevano tracciati immaginari sul mio volto, sfiorai la sua mano con la mia per poi stringerla. Mi diede forza quel contatto << Signora Cullen, capisco il suo stato d’animo… >>no, non capisci un emerito cazzo! Non è tuo figlio che è in un letto d’ospedale a soffrire << Vostra figlia ha l’appendice infiammata. Dovrà fare un intervento di rimozione >> a quel punto scoppiai in un pianto disperato, tanto che Edward dovette stringermi a se << Stai calma >> mi accarezzò la schiena per farmi rilassare.
Non importava che loro ci stessero guardando.
<< Ha sei anni, non potete operarla >> singhiozzai << Signora è pur sempre un’operazione ma è di routine >> fanculo tu e la tua routine. La mia bambina<< No… >> piagnucolai. Chiusi gli occhi e strizzai i pugni attorno alla camicia di Edward. Non potevo fare io l’intervento nuovamente? Non potevo prendermi io i dolori? Non potevo stare io in ospedale << Voglio vederla >> frignai debolmente << Ti accompagno. E’ da quando è qui che non ha smesso di chiamarti >> mi mise un braccio sulle spalle.
Davanti alla porta della sua stanza, mi fermai per cancellare le prove del mio pianto << Sei perfetta >> disse lui dopo qualche minuto. La sua mano mi sfiorò una guancia ed io la trattenni con la mia intrecciando le dita alle sue. Tutto sembra così intimo quando sono con te. Mi morsi il labbro inferiore quasi con ferocia. Senza capire nulla mi misi in punta di piedi. Piedi bastardi. Il mio viso cercò di accostarsi al suo. Viso bastardo. Lui si stava avvicinando ed io lo volevo. Volevo ma non potevo, era questa la storia della mia vita. Con il respiro affannato e con il cuore che tentava di uscirmi dalla gabbia toracica, mi limitai a poggiare la fronte alla sua, evitando di fissare quelle labbra tentatrici << Grazie >> ansimai << Che hai fatto al polso? >> domandò mentre la sua mano cominciava a disegnare ghirigori sul mio zigomo << Nulla d’importante >>tua madre è solo una stronza manesca. Ma sai cosa c’è… io ti voglio bene, Edward. Ti voglio bene davvero ma c’è qualcun altro più importante di me e te messi insieme.
Inspirai profondamente, abbandonai la sua mano e infine mi decisi ad aprire la porta.
Era lì: gambe incrociate, occhi arrossati, capelli arruffati e una smorfia a contornare il tutto. Sembrava un po’ stordita, forse a causa degli analgesici che le avevano dato. Appena mi vide, saltò in piedi incurante della sua situazione << Mammina! >> urlò con i lacrimoni. E il mio cuore riprese a battere come i miei occhi che ricominciarono a lacrimare. Ci avremmo pensato in seguito a come mi aveva chiamata, anche se non potevo evitare al mio cuore di togliermi il respiro. Mammina.
L’abbracciai forte, molto forte << Amore della mamma >> sussurrai, baciandole il viso dappertutto. Mi fece sedere e lei a sua volta sulle mie gambe << Ho la bua! Mi fa tanto male, mamma >> altro tuffo al cuore << Mi dispiace tantissimo, tesoro >> continuai ad abbracciarla, disinteressata allo sguardo di lui che ci stava trapassando << Ho paura >> mimò << Amore è normale. Ora il dottore farà qualcosa e il dolore andrà via subito >> spiegai confusa. Tirò su col naso mentre annuiva. Le asciugai il viso e stesso trattamento venne riservato al mio << Ti voglio bene mamma >> altro colpo al cuore. Infine sbadigliò << Ti voglio bene anch’io, più della vita stessa. Ma ora che ne dici di dormire. Io e il tuo papà veglieremo su di te >> la feci sdraiare con me al suo fianco. Le accarezzai i capelli << Domani continuerai ad essere la mia mamma, vero? >> la stritolai, baciandole la nuca << Sempre, amore mio >> promisi << Mamma, mi puoi cantarmi la ninna nanna? >> era bellissimo essere chiamata mamma << Sunrise, sunrise, look like mornin’ in your eyes but the ckocks held… >> mentalmente diedi un bacio sulla guancia a Edward, che ci lasciò il nostro momento.
<< Isabella, dovresti riposare >> Edward. Erano circa le otto del mattino. Non ero riuscita ad addormentarmi. Ero ancora sdraiata con mia figlia, dormiva beatamente. L’operazione sarebbe avvenuta tra poche ore e avevo paura << No. Sto bene! >> dissi sicura << Isabella, la mia famiglia vorrebbe vedere Renoir >> m’informò.
Annuii distratta e mi alzai. Era ovvio che volessero vederla senza la mia presenza. Le baciai la fronte un ultima volta e uscii dalla stanza.
Avevo bisogno di prendere un caffè, anzi due. Lui mi seguì << Ho paura >> balbettai. Avevo bisogno di parlare, di sfogarmi << Andrà bene >> vallo a dire a tutti quelle vittime della malasanità << Ho paura >> ripetei, bevendo un sorso di caffè << E’ la mia vita, Edward. Odio che lei soffra. Lei mi ha chiamata mamma… non pensavo che mi sarei sentita così. E’ la parola più bella che possa esistere >> continuai commossa.
Mi persi a guardare la brodaglia marrone nel bicchiere, non volevo fargli vedere i miei occhi << Anche lei ti ama >> rispose. Emisi un sospiro strozzato << E’ orribile non poter fare niente >> soffiai << Già… >> sospirò anche lui. Mi piacerebbe tanto che mi abbracciassi. Sai… sono belli i tuoi abbracci, sono caldi, sono accoglienti << Starà bene, vero? >> dimmi qualsiasi cosa, dammi un segno. Stritolò la mia mano tra la sua. Il segno << Andrà benissimo, lo prometto Isabella >> mormorò al mio orecchio.
Ore 10:28. Sguardo lucido specchio di quello di mia figlia. Stava per entrare in sala operatoria. E’ solo un’appendicectomia. E’ solo un’appendicectomia. Era normale che mi preoccupassi, no? Che mandassi al diavolo la mia razionalità? << Ho paura >> sussurrò. Sospirai frustrata. Anch’io ho paura << Scricciolo è solo un piccolo taglietto. Non sentirai nulla > annuii alle parole di suo padre. Feci l’unica cosa che mi passò per la mente. Mi alzai la t-shirt e gli feci vedere la mia ferita di guerra << Dieci anni, appendice infiammata a causa di troppo caramelle gommose. Tutti i miei amici quando la videro volevano farsi togliere l’appendice >> spiegai fintamente orgogliosa, sperando di smorzare la tensione. Ridacchiò leggermente << Fa schifo! >> esclamò divertita << Lo so… ma pensaci bene… i supereroi hanno sempre delle cicatrici. E’ un circolo molto privato. Diventeresti super- Renoir… >> mossi le sopracciglia velocemente e scoppiammo a ridere tutti e tre per la mia stupidità << Non farà male? >> un po’ faceva male, era pur sempre una ferita chiusa da punti di sutura << Un po’ si >> ammisi. Per un po’ di tempo dovrai evitare alcuni giochi come saltare la corda << Però poi avrai qualcosa come me >> puntai sull’ascendente che avevo su di lei per tranquillizzarla.
<< Allora siamo pronti? >> il medico entrò nella stanza e la piccola ci strinse le mani << Stai tranquilla… >> supplicai. So che dovrei fare l’adulta ma se tu non stai calma, io impazzirò.
Salutammo nostra figlia mentre stava per entrare in sala operatoria << Mamma? >> mi chiamò lei, fermando l’infermiera. La guardai mano nella mano con Edward. La incitai con gli occhi << Ho gli occhi come i tuoi, il naso e il sorriso >> ci irrigidimmo, spiazzati. Sorrise e andò via scortata dall’infermiera.
Rimasi a fissare il vuoto scossa. Sapeva? Non riuscivo a comprendere. Ero confusa. Lei come poteva sapere? Era impossibile!
Ignorai Edward, non sentii neppure ciò che mi disse. Ero fuori di me… non che da un momento all’altro avrei cominciato a dare di matto ma avevo bisogno di silenzio di stare sola.
Mi misi a passeggiare per l’ospedale. Come una cretina e forse lo ero. Dovevo ancora capire tante cose. Avevo mezz’ora per farlo, data la durata dell’intervento. Mi sentivo uno schifo. Mia figlia era in una sala operatoria ed io mi mettevo a vagabondare per l’ospedale.
Sospirai frustrata. Dovrei essere attaccata alla porta di quella sala operatoria. Quanto sono stupida? Mi riscossi appena sentii un vagito provenire dalla mia sinistra. Guardai in direzione del suono. Proveniva da una stanza la cui porta era stata lasciata aperta. Al suo interno c’era una ragazza, un’adolescente, sdraiata sul letto e con il camice addosso. Aveva lunghi capelli rossi e ricci. Sorrideva estasiata. Tra le braccia aveva un piccolo fagottino. Una neomamma.
Sentii lo stomaco sconquassarsi a quella visione. E sorrisi. Rimasi a fissarla o meglio fissavo il suo bambino, finché anche lei non mi notò << Ciao >> mi salutò, qualcosa nella sua espressione accentuò ancor di più il suo essere adolescente. Era molto carina << Ciao >> ricambiai in leggero disagio << Vuoi… vuoi vederlo? >> chiese orgogliosa. Deglutii a vuoto e i miei piedi si mossero senza che potessi comandarli. Sentii gli occhi pungere, segno che le lacrime stavano per arrivare.
<< Io sono Victoria >> si presentò << Bella >> ero stregata dal piccolo esserino che aveva tra le braccia. Renoir era stata l’unica neonata che avessi mai tenuto stretta a me. Avevo sempre evitato i bebè. Mi ricordavano mia figlia, ciò che avevo perso. Era la prima volta che mi avvicinavo tanto a una creaturina tanto piccola, dopo il parto. Adesso era così facile forse perché l’avevo ritrovata. Perché tutto era ritornato a posto. Perché lei mi chiamava mamma. Però non cambia che non l’ho vista crescere, che ho perso molto << E’ bellissimo >> mi complimentai. Il neonato aveva i capelli biondicci e piccole lentiggini sul nasino. Si dimenava birichino << Lo so >> ridacchiò imbarazzata << Come si chi chiama? >> domandai sottovoce << James >> sospirò trasognata. Era un nome adatto al suo bel viso << Tu hai figli? >> chiese lei. Annuii, scrutandola nei suoi occhi verdi << Una bambina. Ha sei anni >> le feci sapere, anch’io con una nota orgogliosa nella voce << E lei dov’è? >> continuò. Mi rabbuiai << Le stanno asportando l’appendice e… >> non seppi come continuare. Faccio schifo << Mi dispiace >> mugugnò << Vuoi… vuoi stringerlo tra le braccia? >> sgranai gli occhi stupita. Mi aveva preso in contropiede << Io… non lo so >> non avevo coraggio di dirle che non sapevo come fare, che avevo paura. Tuttavia lei mi spronò, sorridendomi raggiante. Così un po’ tremante e insicura lo presi tra le braccia. Mi scappò un respiro strozzato. L’odore di un bambino appena nato non aveva pari e la sensazione di calore m’invase. Aveva dei vispi occhietti neri e un sorrisetto furbo a contornargli le piccole labbra carnose. Mi contagiò e mi ritrovai a sorridere << Ciao… >> bisbigliai, stringendo la sua manina paffuta. Si agitò e per un attimo ebbi paura di averlo infastidito << Ha preso tutto da suo padre >> sbuffò divertita. Nonostante sembrasse ancora una bambina, si vedeva il profondo amore per la creaturina che avevo in braccio. Era una madre e lui suo figlio.
<< Isabella, quando parlo, desidero ricevere una risposta >> la voce di Edward che arrivò dalle mie spalle. Ignorai il suo tono infastidito e il mio corpo si orientò verso il suo con un sorriso smagliante << Guarda! >> squittii intenerita. Strabuzzò gli occhi sorpreso. Che ho fatto di male? Si fermò, forse stordito, a fissarmi. Fissarmi in modo strano. Non sto ammazzando nessuno, perché mi guardi così? Poi finalmente si avvicinò con lentezza e si mise al mio fianco, troppo vicino.
A te non dispiace.
<< Lui è James >> incespicai entusiasta. Ancora intimità. Ti rendi conto Edward, che noi condividiamo molte più cose di alcune coppie sposate? La sua perplessità si trasformò in un leggero sorriso e sembrava proprio che fosse dedicato a me << Ciao James >> per la prima volta mi trovai a tremare. No, non è la prima volta. Era così bello e i suoi occhi luminosi. Mi mordicchiai le labbra nell’impresa di trattenere un sorriso << Edward lei è Victoria, la madre di quest’angioletto >> precisai l’ovvio << Piacere di conoscerti Victoria >> e così si presentarono.
Dovevo ritornare da Renoir e stavo per restituirle il suo bambino << Siete sposati? >> domandò ma io scossi il capo << Giusto non avete le fedi! >> rovesciò gli occhi, battendo un palmo della mano. Mi scappò una risata << Compagni? >> provò. Continuai a negare << Siete genitori della stessa bambina, no?>> aggiunse imperterrita. Annuii << Ex? >> non volevo di dirle la storia della mia vita ma d’altra parte c’era Edward coinvolto con me. Non potevo certo mentire anche per lui << Si >> mi stupì che quella risposta provenisse da lui e mentalmente lo ringraziai << Cioè… fatemi capire… >> sembrava piuttosto scioccata, noi invece eravamo divertiti. Chi da adolescente non era stato impertinente? << … chi dei due ha lasciato chi? >> si portò le braccia al petto, riducendo gli occhi a due fessure. Oddio! << E’ stata una decisione in comune >> la neutralità era una gran bella cosa che usavo raramente, avrei dovuto imparare a esserlo più spesso ma per fortuna la mia testolina non si era completamente fottuta << C’è… tu hai deciso tranquillamente di lasciare lui? >> mi accusò. Mi ritrovai ad arrossire. Non è il Padre Eterno e se anche fosse stato vero, non sarebbe stato un sacrilegio << Sì, mi ha spezzato il cuore >> brutto str… lo guardai spiazzata. Che fine ha fatto il comune accordo? << Oh mio Dio! L’hai lasciato tu! >> mi puntò un dito contro. Indietreggiai intimorita mentre sentivo, il ghigno di Edward. Ha appena partorito, non è colpa sua è piena di ormoni ma se tu Edward vuoi la guerra, l’avrai! << Mi ha tradito! >> esclamai, vendicandomi << Perché l’hai tradita? >> Victoria ci stava guardando come se avesse dovuto risolvere un grattacapo << Che dici? Hai frainteso tutto >> attore da strapazzo. Chissà per quale motivo ma passai il bambino a Victoria << Cosa c’era da fraintendere avevi il profumo di un’altra donna addosso >> impietrii e la sua bocca si aprì dallo stupore. Perché non sembrava arrabbiato? Oh cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo! Perché l’ho detto?
Sei gelosa…
<< Io… >> mi misi a boccheggiare in cerca d’aria. Vi prego qualcuno mi seppellisca. O almeno datemi una vanga così mi scavo la buca da sola << Un bel visino ma anche stupidino >> ci riscosse Victoria << Ho pure fatto la rima >> e scoppiò in una fragorosa risata. Okay è ancora sotto l’effetto di qualche farmaco.
Cogliona perché ridi allora?
La mia non era una risata vera e propria, più che altro era un suono stridulo uscito fuori dall’ansia che sentivo. La mia boccaccia del piffero anche questa volta aveva deciso di tradirmi.
Simula! Fingi! Fa qualcosa ma scappa!
Mi stampai un sorriso sulle labbra, anche perché non potevamo continuare a stare lì. Renoir avrebbe voluto vederci appena si sarebbe svegliata << Victoria, è stato un piacere conoscerti. Ti auguro ogni bene a te e a James >> dissi sinceramente, baciando la testolina di quest’ultimo. Lei sorrise commossa << Mi puoi lasciare il tuo numero? >> domandò. Mi abbracciò << Non permettere mai a nessuno di screditare il tuo essere madre solo per l’età >> mormorai al suo orecchio.
Dopodiché non aspettai neanche che Edward la salutasse. Partii verso pediatria incurante che lui mi fosse alle calcagna o meno. Dovevo ancora riprendermi da quelle parole. E fuori da quella stanza ricordai che mia figlia mi aveva fatto capire che sapeva! Oh santo cielo! Di sicuro, in confronto a quest’ultima informazione ricordata, la situazione con Edward non sembrava tanto tragica.
Come aveva fatto a saperlo.
<< M’irrita a morte che trovi sempre un modo per scappare >> di nuovo lui. Di nuovo alle mie spalle << E a me irrita a morte che cerchi sempre di stanarmi >> replicai combattiva. Alzai le braccia al cielo esasperata, accelerando il passo << Credi sia semplice stanarti? >> sappi che io non cedo! Sono nata testarda e morirò testarda! << Allora mi congratulo con me stessa! >> lo presi in giro, giusto un po’, menefreghista << Non dovresti esserne così orgogliosa? >> mi rimbeccò. Il solito guastafeste << Non m’importa quel che dici. Prima neanche ti ascoltavo effettivamente, quindi che ne dici di lasciarmi in pace per i prossimi quindici minuti Edward? >> mi voltai in sua direzione e lui si bloccò a meno di mezzo metro da me. La stanchezza cominciava a farsi sentire, gli occhi erano più pesanti e le ginocchia erano deboli.
Smetti di guardarmi con quella faccia di schiaffi!
Edward, smettila! La ecciti da morire e se non te ne fossi reso conto è indispettita per questo.
Dannata coscienza!
<< Se m’importasse qualcosa di farmi stanare da te o meno, non riusciresti neanche a trovarmi >> affermai sicura.
Ma solo in apparenza.
Poi un capogiro mi travolse, traballai, e se non fosse stato per Edward, sarei caduta rovinosamente a culo in aria. Dovetti chiudere gli occhi e inspirai per riprendere coscienza del mio corpo << Isabella, stai bene? >> domandò vicino al mio viso. Continuai a traballare << Devo prendere qualcosa di zuccherato e passerà >> borbottai, costringendomi a non schiudere gli occhi. Ho paura che tu possa essere a pochi centimetri da me << No, non è vero! Sei stanca. Non hai dormito! >> sbottò << Dio! Perché sei sempre convinto di sapere tutto! >> strinsi la mascella incazzata. Se aveva intenzione di comandarmi come fossi una sua dipendente, si sbagliava di grosso. Ti prego, se qualcuno sopra di noi c’è, dammi la forza di rimanere ragionevole.
Lo sentii ridacchiare.
Adesso lo uccido!
Dischiusi gli occhi e li ridussi in fessure << Potresti evitare di contraddirmi qualsiasi cosa io dica ed essere così testarda >> nonostante opponessi resistenza, mi portò in direzione delle sedute che c’erano solitamente nel corridoio di un ospedale << Con tutto il rispetto ma non m’importa di compiacerti >> riproposi. Sorrise malizioso e si accomodò in una delle sedute << Che stai facendo? >> chiesi cupa. Sapevo che il mio umore era dettato da una serie di fattori tra cui il non aver dormito ma che potevo farci. Io vivevo in simbiosi con il mio letto, mia figlia non era con me e suo padre cercava di farmi incazzare a morte.
Gettai un urlo quando mi tirò a sé, facendomi sedere sulle sue gambe. Mi strozzai con la mia stessa saliva.
Ora non sei così incazzata!
<< Che diavolo… >> improvvisamente non ero più stanca. Oh santo Dio! Ti prego, privami dell’olfatto, della vista e dell’udito. Ti supplico! << Isabella, sei stanca. Queste sedie fanno schifo ed io dando una mano >> spiegò. Davvero pensi che ti creda? Che cosa vuoi veramente? << In realtà mi stai dando le gambe >> e sono molto comode. Ridemmo entrambi.
Che ne dici di abbassare l’ascia di guerra?
Come se non fosse facile…
Lo guardai per un attimo che mi parve interminabile. Vicini ma maledettamente lontani e soprattutto diversi. Diversi come il colore dei nostri occhi. Diversi come i nostri caratteri. Diversi come i nostri modi di affrontare la vita. Dio! Mi sembra di essere entrata in uno stupido romanzetto rosa! Argh!
<< Isabella, non mordo, rilassati >> cercò di tranquillizzarmi. Tentai di avvicinarmi ma mi tirai indietro e avvenne per ben tre volte questo tira e molla. Tu mordi! Non mentire, ti mordi! Mi sorrise beffardo << Cos’è che ti spaventa? >> chiese, sicurissimo che avessi paura di qualcosa << Non. Ho. Paura. >> anche se il mio tono era duro, poggiai il capo sul suo torace. L’orecchio sulla sua trachea. Il suo buon odore m’inebriò. Era troppo buono. Forse lo sniffai apertamente perché ghignò. Lo ignorai, aveva un buon profumo, avrei mentito se avessi detto l’opposto.
Mi stupì quando afferrò il mio viso tra le mani. Occhi negli occhi. Poi lentamente con la punta del naso, disegnò il profilo del mio viso. A partire della tempia, allo zigomo, alla mandibola, il contorno delle labbra - in cui fremetti e le dischiusi- il mento e infine la giugulare, finché non fece la strada all’inverso e accostò la bocca al mio orecchio << Anche tu hai un buon odore Isabella >> da piccolo non ti hanno mai detto che bisogna mai stuzzicare il cane che dormono? Non devi stuzzicare i miei ormoni.
Probabilmente avevo sul volto un’espressione da pesce lesso << Isabella, respira >> oh Gesù! Avevo trattenuto il respiro da quando aveva iniziato quella lunga tortura. Mi sentivo le guancie in fiamme.
Sei eccitata da morire!
Mi aveva fatto eccitare! Non dissi nulla e tornai a poggiare il capo dov’era in origine << Renoir >> soffiai << Sono in contatto con Alice. Ci avviserà appena sapranno qualcosa. Non ho voglia di rimanere lì, con loro >> potremmo darci la mano << Smetti di pensare che siamo delle persone orribili… qua o là non cambierebbe molto la situazione. Almeno qui siamo insieme senza che nessuno possa storcere il naso >> diventai rigida << Non vuoi che la tua famiglia ci veda… >> notai << No! In un’altra situazione avrei fatto finta di nulla ma non sono in vena di sentire le urla >> chiarii, cominciando ad accarezzarmi le braccia e la schiena. Ero al caldo. Era bello, familiare, intimo. Ancora, ancora e ancora << Grazie >> mormorai, beandomi di quelle carezze << Di nulla Isabella >> mugugnò, facendomi rabbrividire.
Era addormentata a causa dell’anestesia. Tutto era andato bene ed eravamo felici. Le accarezzai i capelli, estasiata. Con me c’era solo Edward. Poi, lentamente, le sue palpebre tremarono. Si stava svegliando. Vidi i suoi occhi azzurri colmi di sonno. Sorrisi << Ciao… >> ansimai << Ciao scricciolo >> disse il padre. Sogghignò priva di forze ma sembrava luminosa << Sei la mia vera mamma, non è così? >>
Come vi sembra il capitolo? Io credo sia bello corposo. Renoir ha già capito tutto e bè… se vi è piaciuto e volete recensire fatelo. Mi piacerebbe sapere ciò che pensate. un bacione acalicad. |
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Capitolo 8 *** Cambiamenti ***
Lei si era appena addormentata dopo avermi scagliato la bomba. Si era addormentata, senza darmi modo di rispondere, colpa di quella dannata anestesia. E mi aveva lasciato così, con la mano sospesa in aria, la bocca spalancata e il cuore in tanti piccoli frammenti che cercavano di non rompersi ulteriormente cadendo per terra.
E da perfetta codarda cosa avevo fatto? Ero andata via, o meglio ero scappata dalla sua stanza per andarmi a rifugiare in chissà quale posto. Codarda fino all’ultimo. Tuttavia il mio piano sfumò accorgendomi che lui mi era alle spalle. Sai cosa vuol dire che voglio rimanere sola? Lasciami in pace! << Isabella >>. Un minuto prima mi trattava come un’adulta e quello dopo come fossi una bambina << Quando usi questo tono m’infastidisci >> ammisi apatica << Che tono vuoi che usi? >> non quello che usi con Renoir. Non sono una bambina, Edward. Lo so io, lo sai tu!
Sbuffai esasperata, tentando di trattenere le lacrime ma ormai sentivo gli occhi lucidi << Come ha fatto a saperlo? Dovevamo essere noi a dirglielo, dovevo spiegarle tutto e invece… >> deglutii a vuoto mentre lui si avvicinava a me. Stammi lontano, dannazione! << Mi odierà Edward, lei… ha sei anni… può capire fino a un certo punto. Se ha capito che sono sua madre, non passerà molto che mi domandi il perché ed io cosa le risponderò? Come farà a capire? >> esalai stanca per poi abbassare gli occhi. Non capisci << Ti ha chiamato mamma, nonostante sapesse e non perché si è abituata a te? Davvero credi ti odierà? >> a differenza mia, lui sembrava calmo e quieto. D’altra parte non aveva tutti i torti eppure i bambini non erano mai coerenti. Appena avesse sentito la mia spiegazione, avrebbe potuto cambiare idea. Tu non rischi di perdere il suo affetto e la sua stima.
Lo vidi avvicinarsi ulteriormente, ci dividevano pochi centimetri e mi specchiai nei suoi occhi. Come fai ad avere tutta questa sicurezza? Perché non trovi un modo per un infondermene un po’? Mi portai i palmi delle mani sugli occhi. Non volevo affrontare la realtà. Sospirò pesantemente << Isabella >> pff… si lo so, sono infantile. Non c’è bisogno che me lo ricordi! << Mi stai dando fastidio di nuovo >> bofonchiai.
Hai addirittura il broncio.
<< Isabella! >> ripeté scostandomi le mani dal viso. Mi scappò una risata cupa. Ecco! Mi stai facendo sentire una bambina << Perché stai ridendo? >> domandò, anche lui divertito << Niente >> sono solo impazzita, lascia stare << Sei agitata? >> ti prego, non cercare di psicanalizzarmi.
Scostai le sue mani dalle mie e tornai seria << Dovremmo metterci d’accordo su quello che dobbiamo dirle. Dovremmo essere coerenti per non confonderla ulteriormente >> dichiarai seria. Sono diventata Bella l’adulta.
Rimase confuso dal mio cambio d’umore, ma non disse nulla << Che cosa vorresti dirle? >> chiese. Mi mangiucchiai le labbra screpolate e mi mossi agitata. E’ solo una bambina << Non sono sicura che sia il caso che conosca di che cosa sono state capaci determinate persone. Che idea potrà farsi del mondo se scopre che i suoi nonni biologici ci hanno allontanato? E’ una bambina, ha sei anni e vorrei proteggerla. Quando crescerà, potremmo dirle tutto >> spiegai. Adesso perché i tuoi occhi sono luminosi? Che ho detto? << Hai ragione >> costatò e ne fui felice.
Mi spostai per potermi sedere << Quindi cosa le diremo? >> mi spronò. Non lo sapevo neanche io << Che lo amavo… ma che ero una bambina, che avevo paura e volevo un futuro migliore per lei >> affermai insicura. Furono le prime parole che mi passarono dalla mente << E se non dovesse capire? >> continuai sempre io.
Si chinò di fronte a me. Dovresti limitarti anche tu con le dimostrazioni, Edward << Capirà anche se ti farà tante domande >> disse sicuro. Vidi la sua mano che poggiava sul mio ginocchio, senza pensarci un attimo la afferrai e intrecciai le dita alle mie. Scusami ma per qualche motivo ho bisogno della tua sicurezza.
O molto semplicemente hai bisogno di lui.
Sulle sue labbra si disegnò un bellissimo sorriso. Voleva incoraggiarmi. Sei così fiducioso. E mi guardi in modo sempre più strano. Pensi che sia una bambina? O altro? Perché non mi dici direttamente cosa pensi? Così evito di farmi venire il mal di testa?
Sorrisi, contagiata da lui. Perché sto sorridendo? Sto ammattendo! << Dovresti smettere di morderti le labbra, >> da dolce a sig. bollore il passo è breve. Oh Santo Dio! Sentii le guancie ardere << Altrimenti dovrò pensare a come impiegarle in altro modo >> soffiò scherzoso. Mi mozzò il respiro e la mia salivazione andò a farsi friggere. No, no, no! Non è un doppio senso. E’ solo la mia immaginazione!
Un corno la tua immaginazione!
Stavamo parlando di Renoir! Non poteva passare da un discorso a un altro con tanta facilità. Che diavolo pensava di fare?
Risucchiai le labbra tra di loro nel tentativo di uccidere una risata. Quand’ero nervosa mi veniva da ridere e alla fine non riuscii a trattenermi. Tuttavia a differenza di tutte le altre risate nervose fatte nella mia vita, questa mi sembrò accondiscendente. Oh cazzo! Gli sto dando corda! Stupida Bella. Stupida Bella!
Probabilmente mi stava stuzzicando per distrarmi e gli fui grata. Così decisi di essere avventata. Stiamo solo scherzando, non è niente di serio.
L’ultima volta che l’hai detto sei rimasta incinta.
Ridussi gli occhi a due fessure, avvicinai il volto al suo finché i nostri nasi non si sfiorarono. Il suo respiro moriva nelle mie labbra. Il mio respiro nelle sue. Sgranò gli occhi a causa della mia intraprendenza. Finalmente, ero stata io a prenderlo in contropiede! D’altra parte il mio istinto aveva dimenticato quando fosse difficile per me dover resistere alla bocca più bella che avessi mai visto. Il fatto che fossi sessualmente congelata, non significava che non provassi determinate sensazioni. Non ne hai mai sentito l’esigenza. Le parole di Edward, quando avemmo quella discussione sul sesso, mi ritornarono alla mente. No, non ne ho mai avuto l’esigenza, almeno finché non ho incontrato te. E questa cosa mi faceva paura. Il sesso e Edward mi facevano paura distintamente l’uno dall’altro, se poi li mettevo insieme… ero in un grosso grasso casino!
Riuscii a imporre a me stessa di deviare direzione e chissà per quale miracolo divino ce la feci. Addossai le labbra al suo orecchio, ne sfiorai il lobo forse intenzionalmente o forse no. Lo sentii fremere. Almeno non sono l’unica pazza in questo strano rapporto. Avvertii il suo respiro affannato e la sua mano stringere la mia ancor di più << Non sono una bambina, Edward. Ho ventuno anni e pensi che rispetto a tuoi trenta sia una bambina. Ma secondo la tua logica io dovrei pensare che tu sei un vecchietto. In tal caso dovresti disgustarmi ma il punto è che non mi disgusti, per me sei tutto tranne che un vecchietto. Quindi smetti di comportarti come se io non potessi avere reazioni come qualsiasi donna. Non sono una bambina >> frusciai, sentendo le gambe molli. Per fortuna ero seduta, diversamente sarei caduta come una pera cotta. Però non mi sentii in imbarazzo. Forse ero stata troppo avventata. Avevo usato la malizia, cosa che lui faceva sempre, per dirgli la verità. Doveva smetterla di… tirare la corda. Era pericoloso, soprattutto per me. Lo avrei visto per il resto della mia vita e non era un bene che avessi qualche stupida infatuazione. Anche se a me piace da morire. Anche se c’era un altro pensiero che mi tormentava. Baciami, ti prego, perché io non avrò mai il coraggio di farlo. Volevo che ponesse fine alle sue provocazioni ma allo stesso tempo che mi baciasse. Potevo essere più contraddittoria? No, ritratto, non baciarmi! Quanto potevo essere importante io e le mie esigenze, se c’era Renoir?
Tornai a guardarlo. I suoi occhi sembravano ardere. Dì qualcosa, qualsiasi cosa, ma parla per favore. Poi spostò lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. Perché non mi liberi la mano? Perché quando mi tocchi, sembra quasi che io sia l’unica? Quanto vorrei poter leggerti nel pensiero.
Oh mio Dio ma che…
In fin dei conti vuoi essere baciata, no? Lui ti sta accontentando!
Era vicino, troppo vicino, sentivo le guancie ardere e il cuore scalpitare. No, scherzavo prima, non baciarmi! Credo di aver dimenticato come si bacia!
Cretina è come andare in bicicletta!
Il punto era che ero negata ad andare in bici.
Boccheggiai nel tentativo di trovare una via di fuga. Cos’altro sono se non una cogliona con un solo neurone? Ho tirato il sasso e nascosto la mano!
Non rovinare tutto! Non farlo! Sarebbe sbagliato e stupido oltre che infantile. Allontanati!
<< Bella >> mi scostai bruscamente. Mi girava la testa ero giusto un po’ stordita. Stavo per avere un calo di pressione. Ti rendi conto che mi fai quasi svenire?
Tanya ci guardava spiazzata, imbarazzata e seria allo stesso tempo, credeva di aver interrotto qualcosa.
Cosa che effettivamente ha fatto!
No! Non ha interrotto niente!
Mi schiarii la voce e mi alzai in piedi. La mano, Edward, mi serve! Lasciamela. Ti prego lasciami andare. Finalmente comprese il messaggio che gli mandai poco velatamente con gli occhi e mi liberò la mano.
Ero stata io a chiamarla per dirle di portarmi un cambio e un paio di cose che avrebbero potuto servirmi con Renoir. La mia amica mi guardava con un accenno di malizia negli occhi. Stronza << Ciao Edward >> lo salutò educatamente. Lui ricambiò con un leggero sorriso << Come sta la piccola? >> domandò << Ehm… bene, un po’ stordita ma bene >> risposi rincuorata. Presi il borsone che mi passò << Grazie >> sussurrai. Sorrise intenerita e mi abbracciò di slancio. Apprezzai il suo gesto << Ti voglio bene >> mugugnai con la faccia schiacciata contro la sua spalla. Era un po’ troppo alta per me. Mi accarezzò i capelli << Fammi sapere, okay? E se hai bisogno di me, non farti problemi ad avvisarmi, anche se vedo che sei in buona compagnia >> per fortuna lo disse bisbigliando. Tuttavia quando pronunciò “buona compagnia” mi parve di scorgere uno strato di preoccupazione. Decisi di far finta di nulla << Stronza! >> farfugliai divertita, sciogliendo l’abbraccio. Le diedi un bacio sulla guancia e lei bonariamente mi sculacciò il sedere. Ridacchiai e dopo esserci salutate per l’ennesima volta, andò via.
Durante la telefonata le avevo detto che mi sarei licenziata. Che avevo bisogno del tempo per stare con Renoir, che non potevo perderne dell’altro. Per fortuna non si era arrabbiata. Mi aveva capito! Era questo che facevano gli amici, no? Capivano e accettavano le nostre scelte. Ci appoggiavano in tutto e per tutto. Tanya era una sorella per me. Sapevamo che ci saremmo sempre state l’una per l’altra. Le volevo molto più che bene.
Scoppiai a ridere quando vidi che tipo di cambio che mi aveva portato: un maxi dress dalle fantasie orientaleggianti. Sei sempre la solita. Indossai i sandali e mi sciacquai il viso con dell’acqua fresca.
Non avevo mai amato particolarmente gli ospedali. In fin dei conti chi li amava se non il personale specializzato. C’era troppa puzza di disinfettante e poi c’erano colori così smorti. Anche se il reparto pediatria era molto colorato. Alcune pareti erano azzurre, altre verdi e vi erano dipinti animali come rane o api, oppure qualche fiore. Almeno era accogliente, anche se non era mai piacevole dover andare in un ospedale.
Mi guardai allo specchio. C’era una luce nel mio sguardo, la felicità dei mesi precedenti si era accentuata. Mi sentivo bene dentro e fuori. I miei occhi azzurri erano davvero azzurri. Quando non sei con loro due, i tuoi occhi sono grigi. Questo mi aveva detto un giorno Tanya. Pensa che io avevo pensato che i tuoi occhi fossero grigi. Aveva continuato, facendomi ridere. Era sempre stato così anche da bambina, quando c’era qualcosa che mi rattristava anche i miei occhi, si spegnevano. Anche Renee qualche volta mi aveva detto che i miei occhi erano grigi se ero triste. Tuttavia erano state le parole di Tanya a stupirmi: non aveva detto che quando non ero con Renoir, i miei occhi diventavano grigi. Aveva detto “loro due” ciò includeva anche Edward. Probabilmente avrà sbagliato a parlare.
Attaccai i capelli in una treccia francese, lasciando qualche ciocca ricadere sul viso. Con il caldo newyorkese era difficile lasciare i capelli sciolti, specie se erano lunghi come i miei.
Dopodiché decisi di andare da Renoir. Dovetti sorbirmi le occhiatacce della signora Masen Cullen e di figlia al seguito ma le ignorai. Avevo altro cui pensare che a delle prime donne con la paura di essere spodestate da chissà quale trono. Probabilmente pensavano che la mia presenza escludeva la loro ma non era affatto così. Non mi sarei mai permessa di allontanarle e poi con quale diritto? Nonostante il comportamento che avevano avuto con me, con Renoir si comportavano alla perfezione. Tuttavia, non potevo fingere che al mio polso stessero bene i loro modi. Mi faceva male, ormai era violaceo. La signora Cullen mi aveva lasciato il segno delle sue dita. Delicata come un cactus nel deretano.
Ricambiai il leggero sorriso di Alice e notai che il marito non sembrava ostile come il solito.
Edward doveva essere con Renoir.
Presi un respiro ed entrai nella stanza. Trattenni il respiro quando vidi che era sveglia. Edward era al suo fianco e la teneva stretta a se. Non sapevo che fare. Tuttavia lei stupendomi si aprì in un sorriso raggiante << Mammina! Sei bellissima >> sentii il cuore gonfiarsi e contemporaneamente riscaldarsi. Mammina. Sorrisi probabilmente come un’ebete. Cauta mi avvicinai a lei e sempre delicatamente l’abbracciai << Ciao >> ansimai al suo orecchio emozionata. Mi sedetti al suo fianco. Quando avremmo parlato? Che domande mi avrebbe posto? Forse non si ricordava di avermi chiesto se ero la sua mamma o meno. Forse era stato l’effetto dell’anestesia.
Smettila con i forse. Quando si sentirà pronta, ne parlerà.
<< Come stai? >> domandai accarezzandole il viso. Fece spallucce << Ho sonno, forse… >> squittì per poi arricciare il naso << Mamma? >> mi richiamò timida << Dimmi amore >> la incitai. Arrossì e la sua mano strinse la mia << Sei la mia vera mamma? >> non si poteva dire che perdesse tempo. Il cuore cominciò a pompare. Stavo annaspando. Sii decisa! Ricambiai la stretta alla sua mano e guardai Edward. Brancolavo nel buio. Sii forte! Lui annuì, segno che dovevo dire la verità. E’ facile! Era arrivato il momento che aspettavo. Dovevo esserne felice. Potevo dirle la verità senza paure.
Inspirai dal naso ed espirai dalla bocca << Sì, >> e mi liberai da un peso che mi opprimeva il petto. Così come le lacrime si liberavano e scorsero sul mio viso << sono la tua mamma >> continuai orgogliosa di aver contribuito alla sua esistenza. Annuì a se stessa come se stesse soppesando le mie parole. Avevo paura di ciò che potesse dire o pensare << Quindi… quindi ero la bambina che ti ha portato la cicogna? >> ruppe il silenzio dopo chissà quanti minuti. Asserii col capo sempre in allerta << Sei la mia mamma >> costatò come se, se ne fosse resa conto solo in quel momento << Si amore >> chiosai. I suoi occhi si accesero << Sei la mia mamma >> ripeté trasognata << Si! >> esclamai decisa. Sorrise e mi riempì il cuore.
<< Sai tesoro… >> s’introdusse Edward. Dal mobiletto vicino al letto, prese il ciondolo che avevo fatto per lei << Questo l’ha fatto Isabella per te quando sei nata. E’ stata lei a scegliere il tuo nome ed Elle è appartenuta a lei>> ci guardò sbalordita e aggrottò la fronte << Come… come hai fatto? >> domandò inclinando la testa di lato << Quando sei nata, ho fatto scrivere il tuo nome qui. Volevo essere sempre vicino a te e quando Edward, ti ha preso con sé, ha capito che è un nome perfetto per te >> spiegai << E Elle è stata la mia migliore amica, volevo che fosse anche la tua >> aggiunsi. In un gesto disperato, presi le nove foto che la ritraevano dentro di me e gliele posi sulle sue gambe. Non riuscivo a smettere di piangere << Amore mio… >> presi un respiro profondo << Sei stata qui… >> indicai il mio grembo << Ma… sei stata, sei e sempre sarai nel mio cuore. Ti ho amato sempre. Sei il mio orgoglio più grande >> la mia voce tremava. Volevo con ogni fibra del mio corpo che non avesse dubbi sul mio amore per lei. Mi abbracciò priva di forze, a causa delle sue condizioni ma mi trasmise tutto ciò che provava. Era felice, lo sentivo << Lo sapevo, lo sapevo >> dichiarò flebile << Ti voglio tanto bene mamma >> continuò. Ritornai a respirare << Anch’io, tanto >> sussurrai. Le asciugai le lacrime e sorridemmo all’unisono.
<< Scricciolo, come hai fatto a capire che Isabella è la tua mamma? >> chiese curioso. Anch’io ero interessata a sapere. Ci guardò come se fossimo due stupidi, inarcando un sopracciglio << Papi, mami ho sei anni ma non sono cretina! >> esclamò. Ridemmo un po’ rigidi << Io e la mamma, siamo uguali. Abbiamo gli stessi occhi; siamo entrambe allergiche alle arachidi; odiamo le verdure; nel ciondolo c’è scritto “più della mia stessa vita” e tu me lo ripeti sempre; poi ci sono state le foto: se la mamma aveva quindici anni, vuol dire che sono passati sei anni ed io ho sei anni! >> disse come fosse un’arringa. L’ho sottovalutata. Assurdo! << Dovrò discutere con lo zio Emmett per fatto diventare una piccola investigatrice >> affermò lui e noi ridemmo.
<< Ora posso fare io una domanda? Se tu sei la mia mamma e tu il mio papà… vuol dire che state insieme, giusto? >> domandò di punto in bianco. Mi sarei aspettata che mi domandasse il perché avessi deciso di darla in affidamento, data la sua intelligenza nel capire da sé chi fossi ma non che ci chiedesse se fossimo una coppia o meno. Tuttavia non potevo darle torto. Tutti i genitori dei suoi amici stavano insieme, nella sua ottica da bambina di sei anni credeva che se eravamo i suoi genitori dovessimo essere fidanzati. Non ci diede tempo di formulare una risposta coerente che riprese a parlare: << Papi, tu mi avevi detto che quando avrei avuto la mia mamma avremmo vissuto tutte e tre insieme. Se la mamma è la mia mamma, significa che verrà a vivere a casa nostra, no? >> oh porca… che dovevo dire? Come si poteva spiegare una cosa del genere? Che era una bambina speciale?
Ci aveva lasciati a bocca ma lui si riprese velocemente << Amore, Isabella ed io non stiamo insieme. Siamo i tuoi genitori ma non stiamo insieme, però questo non vuol dire che non ti amiamo. Sei la nostra vita Renoir >> stava affrontando una domanda alla volta, avevo paura di ascoltare cosa avrebbe detto in seguito << Voi… voi non vi amate? >> continuò. Osservai Edward e lo trovai a guardarmi. No, non potremmo mai amarci. E’ impossibile amore mio << Amiamo te >> glissai l’argomento << Ma perché non state insieme? >> rimarcò cocciuta << Tesoro io e il tuo papà siamo diversi e… >> non riuscii a continuare << Ma tu mi hai detto che nove anni di differenza non sono tanti >> obbiettò decisa. Grazie per averlo detto di fronte a lui. Ero sicura che mi stesse fissando, lo sentivo! << Tesoro non sono tanti se c’è l’amore… >> se io non fossi così infantile e lui così odioso << Ma se amate me vuol dire che voi vi amate >> senza rendersene conto aveva espresso una proprietà matematica. Se A ama B e B ama C, vuol dire che A e C si amano. Presto o tardi sarei ammattita con la sua perspicacia tagliente << L’amore non si comanda… >> almeno credo, non sono mai stata innamorata << Ma… >> tentò di ribattere ma Edward la interruppe: << Non preoccuparti tesoro, Isabella verrà a vivere con noi >> gli fui grata finché il mio cervello non registrò le sue parole. Isabella verrà a vivere con noi. E alla sorpresa subentrò un altro sentimento: la rabbia. Lui non mi aveva interpellato.
Tacqui mentre sentivo i gridolini di gioia di Renoir. E lo fissai talmente male che lui se ne accorse.
Poi il lieve bussare alla porta ci destò e il viso di Alice spuntò << Ciao piccolina >> trillò. In qualche modo ricevetti un messaggio, cioè che i suoi familiari volevano vederla ovviamente senza di me. Mi stampai un sorriso falso sulle labbra baciandola però con amore << Ritornerò tra qualche minuto. Vado a comprare una bottiglietta d’acqua >> l’avvisai. Mise il broncio << No! >> borbottò stringendosi a me. Ridacchiai. La sua esclamazione mi aveva tirato su il morale << Farfallina… tornerò prima che tu posso dire supercalifragilistichespiralidoso >> promisi << Eh? >> domandò. Risi ancor di più << Presto ti faro conoscere Mrs. Poppins >> sfregai il naso contro il suo. Il bacio all’eschimese. Sghignazzò << Okay ma ritorna subito, non lo so dire super… >> le baciai il naso << Ti voglio bene farfallina >> gracchiai euforica << Anch’io mammina >> e fremetti elettrizzata.
Appena lasciai la sua camera, e Edward mi seguì, la mia rabbia emerse. Fummo soli in corridoio e Dio che rabbia! Sbuffai esasperata da lui, da me, da noi. Da tutto << Isabella >> mi richiamò << Non azzardarti a dire nulla >> sussurrai trattenendomi. Non potevo certo urlare anche se una parte di me avrebbe voluto << Isabella >> digrignai i denti e mi voltai verso di lui << Smettila! >> esclamai sempre sottovoce << Tu sei così… così… >> strinsi i pugni frustrata << Possiamo parlarne da un’altra parte? >> non era una domanda ma un ordine e mi diede fastidio. Mio Dio ti prego, dammi la forza di non diventare una bestia << Dove vorresti parlarne? >> chiesi ironica. Lentamente mi raggiunse, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Mi mise una mano alla base della schiena e mi accompagnò in una stanza vuota, stando in silenzio. Doveva essere inutilizzata da qualche tempo, lo sentivo dall’aria viziata. C’erano due letti e poca luce a causa delle tende chiuse.
Il fatto che nessuno potesse sentirci mi sollevò solo in parte perché l’altra parte di me era indispettita dal suo comportamento << Tu… >> gli puntai un dito contro. Mi sentivo così… così… ero talmente incazzata che non riuscivo a trovare un termine adatto << Io cosa? >> e il suo comportamento noncurante mi faceva ribollire ancor di più << Tu… tu… dici che sono la madre di Renoir, che è giusto che mi comporti da madre e poi non m’interpelli mai! Come ti sei permesso di dirle che sarei venuta a vivere da voi? Con quale diritto mi hai messo di fronte al fatto compiuto. Cavoli! Non sai neanche cosa vuol dire dialogare. Ordini e basta e questo mi fa arrabbiare. Ed io che credevo che… >> che la tua stronzaggine non prevalesse sulla tua dolcezza, che mi ero sbagliata << Che io cosa Isabella? >> il suo tono divenne duro. Edward lo stronzo era ritornato. E sembrava quasi volesse beffeggiarmi per la mia ingenuità, per aver creduto chissà cosa, per essermi illusa.
Mentre tu cercavi di tenerlo lontano, lui ti considerava una ragazzina.
Mi acquietai. Mi sentii ferita. Le forze mi abbandonarono, non volevo reagire << Avresti dovuto interpellarmi. Io pretendo di essere interpellata per le decisioni che riguardano me e la mia privacy! Per non parlare del fatto che con il vederci nella stessa casa potrebbe illudersi. Hai ragione, deve averci entrambi affianco ma non voglio assolutamente che si faccia strane idee su noi due! >> fui lapidaria. Fredda e distaccata. Adesso è più che ufficiale: è impossibile che possa avere una cotta per te.
<< Non è stato intenzionale >> sbagli e non chiedi scusa. Ancora! << Renoir ti vuole nella sua vita! E se è della privacy che ti preoccupi, potrai vivere nella dependance. E’ a tutti gli effetti un monolocale. Dista da casa cinque metri o forse meno, così risolveremo sul fronte delle strane idee >> ma ti senti quando parli? Come se fosse questo il problema. Avrei dovuto lasciare casa mia ma non era questo il punto, per Renoir avrei fatto tutto. Non mi aveva consultato e questo bastava per farmi male. Mi sedetti sul letto poco interessata che il materasso emanasse un forte odore di chiuso e mi guardai i piedi avvolti dai sandali infradito con dei piccoli ciondoli che tintinnavano fra di loro. << Che cosa hai intenzione di fare? >> chiese formale anche lui. Se vuoi, posso ritornare a chiamarti Sig. Cullen, non è un problema per me.
<< Ho una condizione se non ti dispiace >> esclamai decisa. Un suo sopracciglio svettò in alto, era scettico. A quanto sembrava non nessuno gli aveva mai posto delle condizioni << E sarebbe? >> chiese quasi divertito. Non ci trovavo nulla da ridere << Ti pagherò l’affitto! >> imposi. Strabuzzò gli occhi << Come prego? >> proruppe con una risata. La sensazione di essere presa in giro non era per nulla piacevole << Hai capito bene ! >> perché devi prendere tutto quello che dico come fosse una sciocchezza! Prendimi sul serio! << E che dovrei farci con i tuoi soldi? >> disse con una punta di arroganza nella voce. Sentii repulsione per il suo atteggiamento. Ma solo per un istante perché ricordai che quando anch’io avevo una famiglia alle spalle, piena di soldi mi comportavo come lui << Non sono la tua commercialista >> gracchiai infastidita << Isabella con tutto il rispetto ma non ho bisogno di soldi >> rispose. Ridussi gli occhi a due fessure << Non m’importa di cosa farai con i soldi dell’affitto che ti pagherò… >> l’occhiataccia che mi riservò mi fece desistere dal continuare << Fatto sta che io ti pagherò un affitto mensile. Che tu lo voglia o no, non ho intenzione di vivere a sbafo a casa tua. Hai capito? >> che tipo di persone aveva incontrato nella sua vita? Sicuramente dei leccaculo patentati. Che nervoso! << Cosa ti fa credere che accetterò? >> mi sfidò.Ho tanta voglia di sangue Edward Cullen, non sfidare la mia pazienza << Cederai per lo stesso motivo per cui mi trasferirò nella tua dependance >> mormorai molto più gentile. Non c’era bisogno che dicessi che quella ragione fosse nostra figlia. Sbuffò apertamente << Per qualche motivo so che imporrai tu il prezzo dell’affitto >> affermò sarcastico << Prima dovrò vedere il posto e voglio un contratto. In caso di sfratto dovrò avere un mese di tempo per cercare un nuovo appartamento >> imposi.
Stronza al massimo!
Essendo stata figlia di un uomo d’affari, una certa indole l’avevo ereditata anch’io. Ero cresciuta a pane e contratti. Almeno qualcosa di utile era stato capace di insegnarmela. Tieni accanto gli amici e i nemici ancora più vicino. Non che Edward fosse un nemico, nonostante il momento, tutt’altro ma prevenire era meglio che curare << Un contratto e per quale motivo dovrei sfrattarti? >> chiese allibito, molto probabilmente offeso e non aveva tutti i torti. Lui mi aveva dato fiducia e io lo ricompensavo con la diffidenza. A mia discolpa potevo dire che nella mia vita la fiducia che avevo riposto in determinate persone era stata spesso tradita << Edward non credo che quando e se avrai una compagna, lei sarà felice di saperti sotto lo stesso tetto con un’altra donna e madre di tua figlia >> sottolineai l’ovvio. Dato lo sbaffo di rossetto, di una tonalità alquanto volgare, non ci metterai molto a trovare una fidanzata. Anche se, sinceramente, a una parte di me avrebbe dato fastidio e non per Edward…
Bugiarda! Com’è che hai notato la tonalità volgare di rossetto?
Prima di trovare Renoir, avevo pensato che avesse una madre adottiva quindi mi ero preparata all’idea di dover fare i conti con una donna molto più importante per lei. Sapere che non aveva avuto una madre se da una parte mi aveva afflitto dall’altro mi aveva fatto diventare più possessiva nei suoi confronti. Non mi piaceva l’idea che dovesse stare con un’altra donna che non fosse sua nonna o una delle sue zie. Okay forse stavo ammattendo ma era normale, no? Renoir presto o tardi avrebbe avuto una matrigna… gli avrei cambiato i connotati se solo si fosse permessa di dire qualcosa a mia figlia. No, stronzo- Edward non avrà mai al suo fianco una donna che non ami Renoir almeno un quarto di quanto, l’amiamo noi.
<< Devo aggiungere risoluta alla lista >> sussurrò divertito, perso nei suoi pensieri << Quale lista? >> chiesi confusa. E poi ero io quella volubile? Ero confusa. << Lascia stare… va bene. Tuttavia non ti sfratterei mai. Non ferirei mai mia figlia per nessuna donna al mondo >> bofonchiò carino. Lui e i suoi cambi d’umore. Il modo in cui parlava di Renoir mi emozionava sempre. Sebbene i suoi modi non mi andavano a genio, sarebbe potuto entrarmi nel cuore solo per il modo in cui guardava nostra figlia.
Ancora non ha risposto alla domanda. Quale lista?
Non avevamo abbastanza confidenza da costringerlo a parlare. Di solito con Tanya e Jack mi bastava saltargli addosso e fargli il solletico. Ne soffrivano terribilmente a differenza mia.
L’idea di saltargli addosso non è tanto male.
Ridacchiai umettandomi le labbra. Ormai era palese che il nostro rapporto fosse odio e am… no, no, no! Quale amore e amore? Non esiste nessun amore. Edward ed io siamo incompatibili e ci stiamo sulle palle reciprocamente.
<< Quando hai intenzione di traslocare? >> domandò sorvolando sull’argomento lista. Roteai gli occhi, leggermente irritata << Non so, devo parlare con i proprietari dell’appartamento. Probabilmente dovrò pagare una penale >> spiegai impensierita << Non preoccuparti, ci penserò io >> affermò tranquillò. Decidi o stronzo o affabile! Portai le braccia al petto in un gesto di stizza << Isabella >> provò << Non sono tua figlia! Risolvo da me i miei problemi e non voglio debiti con nessuno >> tantomeno con te << Sono adulta e vaccinata però ti ringrazio per la tua offerta >> continuai<< Sei esasperante >> dichiarò << Da che pulpito parte la predica >> gracchiai. Sospirai pesantemente e mi sfregai le mani contro il viso << Le tue manie di controllo sono… pff! >> feci schioccare la lingua sul palato << Io ritorno da Renoir >> terminai incoerente.
La coppia di coniugi anziani, proprietari del mio ormai vecchio appartamento non mi fecero pagare nessuna penale per aver recesso il contratto d’affitto. Mi conoscevano da tre anni ed eravamo in buoni rapporti.
Edward ed io avevamo deciso di fare una sorpresa a Renoir. Sarebbe uscita il giorno dopo dall’ospedale ed io mi sarei fatta trovare a casa loro. Erano passati solo quattro giorni da quella discussione e ogni notte avevo dormito nel letto con lei. Era stata una sua richiesta. La sera precedente le avevo detto che sarei mancata per qualche e dopo qualche lamentela si era vista costretta a cedere.
Già da subito avevo deciso di chiamare una ditta di traslochi. Avrei portato tutto con me. Avevo un attaccamento quasi morboso per le mie cose. I miei mobili, i miei vestiti, tutto quello che avevo comprato da tre anni a questa parte era ciò che la prima volta mi era appartenuto nella vita. Ciò per cui avevo sudato e guadagnato da me, senza l’aiuto di nessuno.
Erano le otto del mattino e oltre ai due uomini addetti al trasloco, c’erano Tanya e Jack. Avevo fatto tutto alla velocità della luce, il salotto era pieno di scatoloni. Vedere la mia casa vuota mi portava a un senso di angoscia.
Avevamo rimandato il trasloco di mezz’ora, avevo invitato i due lavoratori a fare colazione comprando qualche croissant.
<< Ma sei davvero sicura? >> domandò Tanya. Quando le avevo detto dell’imminente cambio di dimora, si era rattristata. Ovviamente avevo sottolineato che ogni qualvolta che sarebbe voluta venire a trovarmi non doveva farsi problemi. Con Edward avevo chiarito qualche punto: dal momento in cui avremmo firmato il contratto, la dependance sarebbe diventata mia e avrei potuto fare qualsiasi cosa come invitare i miei amici, nei limiti della civile convivenza. Più che altro avrei usato la dependance per dormire e studiare
<< Sì, Tanya. Per lei farei qualsiasi cosa e mentirei se dicessi che è un sacrificio. Lei mi vuole al suo fianco ed è ciò che voglio >> affermai decisa. Guardai Jason e Micheal, erano due uomini sulla cinquantina davvero molto simpatici << Volete altro caffè? >> domandai. Non vi fu bisogno che confermassero.
Il miei occhi scattarono verso la porta d’ingresso, lasciata aperta per ovvi motivi. C’era Edward, in jeans e t-shirt bianca. Indiscutibilmente bello! << Buongiorno. Entra pure >> lo invitai. I miei amici stavano sbavando nel frattempo. Un giorno con lui e scappereste a gambe levate.
<< Stai conquistando lo scapolo d’oro di New York >> mimò Tanya, tuttavia non aveva usato un tono divertito. Sembrava terribilmente preoccupata. Mi chiedevo quando avrebbe smesso di fare le sue ricerche su Edward. Sbuffai. Non ero ancora riuscita a farle capire che non avevo intenzione di conquistare nessuno. Io e Edward avevamo un rapporto del tutto improntato su Renoir.
Guardò i due ragazzi con un cipiglio tra le sopracciglia << Isabella posso parlarti? >> domandò gentile. Annuii e gli feci cenno di seguirmi nella stanza da letto ormai scarna << E’ successo qualcosa a Renoir? Le avevo detto che avrei ritardato qualche ora >> sussurrai con un pizzico di apprensione nella voce << Non preoccuparti, sta bene. Volevo semplicemente sapere per quale ragione il trasloco non è iniziato data la presenza di quei due? >> ho mai parlato delle sue manie di controllo? << Non hai risposto alla domanda? Perché sei venuto? >> ribadii. Si mosse agitato: lo stavo mettendo in difficoltà! << Credevo avessi bisogno d’aiuto >> si mise sulla difensiva << E comunque neanche tu hai risposto alla mia domanda >> ricordò attaccando << Siccome è molto presto ho deciso di offrirgli la colazione >> precisai. Increspò la fronte << Loro sono qui per fare un lavoro che retribuirai e gli offri pure la colazione? >> domandò scettico << Si, perché? >> non vi trovavo nulla di strano. Mi fissò come se fossi anormale. Decisi di ignorarlo e cambiai argomento: << Hai fame? Ci sono delle brioche, alcune c’è la marmellata di mele >> non le avevo comprate perché sapevo che a lui piacevano, le ho comprate principalmente per me. Avevo deciso di mettere da parte il cibo poco sano che solitamente ingurgitavo, come la cioccolata, poiché la dieta di Renoir dopo l’intervento era diventata ricca di liquidi e verdure. Già pensavo a come sarebbe stato difficile farle accettare la nuova dieta per il momento era andata avanti a via di succhi di frutta e riso in bianco, malamente accettato.
<< No, ti ringrazio. Se vuoi ti aiuto a portare qualche scatolone >> propose. Sarebbe buona creanza dire di sì tanto in tanto.
Avevo accettato l’aiuto di Edward. Avevo detto ai miei amici di vederci a casa Cullen, avevo bisogno di un istante per me. Per salutare come si deve la mia casa. Ero seduta sul parquet, al centro del salotto, dove un tempo c’era il mio sofà color panna. Era come se la mia presenza in quella casa non ci fosse mai stata, nonostante le pareti dipinte da me.
Sentii gli occhi carichi d’acqua salata. Ero sola, potevo anche non mostrarmi forte. Potevo fare tante cose ma mi limitavo a piangere. Dimostravo al mondo una sicurezza che non mi apparteneva. Nella casa che stavo abbandonando, avevo immaginato Renoir svegliarsi nella stanza che avrei fatto per lei; di prepararle la colazione; di vederla giocare o leggere. Avevo sperato in tante cose a cui dovevo dire addio.
<< Isabella… >> la porta del mio appartamento si aprì e comparve Edward. In fretta mi asciugai il volto << Che ci fai qui? >> domandai senza guardarlo negli occhi. Sapevo che lui aveva capito cosa stessi facendo prima del suo arrivo ma era una questione personale. Non ho pianto abbastanza di fronte a te?
Si avvicinò a piccoli passi << Stai bene? >> ed ecco che sei di nuovo dolce. Con la coda dell’occhio notai che si stava sedendo al mio fianco << Non rovinarti i vestiti… >> in quel momento non lo volevo con me. Volevo la mia solitudine << Sono solo dei pantaloni, Isabella >> minimizzò << Dovresti essere già a casa tua >> sibilai mangiucchiandomi le unghia. Per favore, vai via! << Ti ho vista un po’ giù di morale >> costatò in un sussurro, ignorando bellamente le mie parole << Cosa vuoi che ti dica? >> chiesi retorica, forse anche amareggiata << E’ il primo posto in cui mi sono sentita veramente a casa, Edward. Nel ripiano della cucina è dove mi sono quasi mozzata un dito, nella vasca da bagno mi sono lussata una caviglia; in questo stesso punto ho dormito solo con un materasso; la macchia che c’è sul parquet, vicino all’isola, è vernice. Ho ricostruito le mie fondamenta in questa casa e un po’ mi scombussola dovermene andare ma è per Renoir… >> m’interruppi appena sentii la sua mano poggiarsi sulla mia. Smettiamola di essere ambigui! Avrei potuto colpevolizzare lui. Avrei potuto dire che era lui il più adulto. Tuttavia non era così e poco importava se fossi succube dei miei ormoni impazziti. Potevo giustificare la mia giovane età fino a un certo punto. In qualche modo ci cercavamo. Ed è sbagliato, Edward. Eravamo un appiglio l’uno per l’altro << Grazie >> mi ritrovai a dire. Stupida io e la mia incoerenza! << Non c’è di che >> rispose e mi scappò un sorriso. Lui e nostra figlia, hanno lo strano dono di farmi sorridere sempre << Aldilà dei miei condotti lacrimali, sono felice >> sostenni << Davvero? >> domandò. Annuii decisa << Questo appartamento, nonostante cosa significhi per me, non regge minimamente il confronto con l’idea di preparare la colazione a Renoir. Posso prepararle io la colazione, giusto? >> per qualche motivo mi sentii in imbarazzo << Si >> soffiò << Edward? >> continuai, giocando con le pieghe del jeans << Dimmi >> lo sentii sorridere << Se sono così… esagerata mi dispiace, non c’è bisogno di nessun contratto. Volevo indispettirti perché non mi hai chiesto nulla ma non mi piace… >> confessai piena di vergogna << Non preoccuparti. Li ho avuti anch’io vent’anni. Non sono nato in giacca e cravatta e già trentenne >> ridacchiammo << Cos’è che non ti piace? >> aggiunse interessato. Sbirciai in sua direzione. Il tuo sorriso mi aspetta sempre << Non mi piace litigare con te >> non sapevo a cosa mi avrebbero portato tutte le mie confessioni << Dimmi perché? >> anche se poteva sembrare un ordine non lo fu.
Avrei potuto dare tante risposte. Quella più semplice e meno razionale era che non mi piaceva punto e basta. Ma c’era una risposta più giusta, più razionale e più veritiera << Perché sei il padre di nostra figlia >> mi piaceva dire nostra. Mi piaceva che lui dicesse nostra. Mi piaceva che Renoir fossenostra.
Ed eccomi qui con un altro capitolo. Ringrazio per il sostegno, per le recensioni ricevute, ringrazio chi mi sta aiutando ad ampliare le mie vedute. Con affetto A.
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Capitolo 9 *** Chi più ama meno può ***
Ciao! Sono ancora viva. Il ritardo è mostruoso e mi dispiace tanto L. Se vi dicessi che ho compiuto gli anni e che poi mi sono influenzata mi perdonereste? Spero proprio di si! Questo capitolo ha qualcosa di nuovo per me. Diciamo che una persona, conosciuta proprio in questo fandom, mi ha dato tantissimi consigli sia per migliorare il mio modo di scrivere che per guardare gli avvenimenti a 360°! Cloe J. Da questo capitolo fin quando mi sopporterà (ahhahah… e spero per molto tempo ancora ) sarò guidata dai suoi suggerimenti. Inutile dirvi quanto ne sono felice J. Quindi grazie a Cloe Je a tutti voi con le vostre fantastiche recensioni! Un bacione.
In amore chi più ama meno può. Roberto Gervaso.
La piccola dependance era una casetta a tutti gli effetti. Una costruzione nel retro della casa principale e come aveva detto Edward, distava solo pochi metri da essa. Era grande poco più di cinquanta metri quadrati. Aveva ampie vetrate, i colori predominanti erano sui toni del beige e trasmetteva quel calore tipico delle piccole abitazioni.
All’ora di pranzo ogni mia cosa fu nell’appartamento, anche se non sistemata. Era un po’ strano trovarmi scaraventata in un’altra realtà tuttavia non mi sentivo fuori posto. In qualche modo sentivo di appartenervi.
Il comportamento di Tanya con il passare delle ore era diventato sempre più bizzarro. Era palesemente preoccupata ma non ne capivo la ragione. Molte volte l’avevo sorpresa a fissare me e Edward con un cipiglio. Eravamo sempre state un punto di riferimento l’una per l’altra, anche se possedevamo dei caratteri differenti. Lei aveva cercato di spronarmi nel diventare più socievole. Non che mi avesse buttato nelle braccia di sconosciuti, anzi spesso e volentieri mi aveva consigliato di non accettare gli inviti di determinate tipologie di uomini. Anche se io li scartavo a priori. Una sua perla di saggezza? Se un uomo t’invita dopo le undici di sera per un drink, non cerca la tua compagnia intellettuale.
Sebbene spesso e volentieri proprio lei facesse il contrario di ciò che suggeriva a me. Una volta aveva rivelato che fosse stato l’amore a farla cambiare. Tanya veniva fuori da una relazione opprimente, da un uomo che le aveva vietato di fare qualunque cosa e in qualche modo voleva riprendersi la libertà negata con la sua condotta spumeggiante. Per il momento aspirava a tutto fuorché a una relazione stabile.
Voleva semplicemente che vivessi appieno la mia età. Però non l’avevo mai vista in quegli atteggiamenti. Era sempre stata protettiva ma adesso questo suo tratto sembrava molto più marcato. La prova del nove me la diede quando, prima di andar via, mi stritolò nel suo abbraccio << Promettimi che starai attenta >> aveva detto lasciandomi nel totale scompiglio.
<< Isabella, stai bene? >> la voce di Edward mi ravvivò dal mio momentaneo stato di blackout. Lo guardai un po’ ottenebrata << Sì, scusami stavo solo pensando >> mi giustificai.
Solo in quel momento mi resi conto che eravamo di fronte ai due uomini della ditta di traslochi.Giusto! Li devo pagare. In qualche modo ero entrata nel pallone. Riuscii semplicemente a prendere alcune banconote dalla tasca posteriore dei jeans, che lo vidi impugnare il suo portafogli.
Si sentiva profumo di cambiamenti per aria. Lo dimostrava il fatto che mi fossi trasferita nella casa di mia figlia. E ora avevo imposto una nuova sfida a me stessa. Cercare di essere gentile con Edward, cercare di capire i suoi comportamenti, aldilà del suo gesto di non interpellarmi in tutta questa storia. Ormai era acqua passata quindi avevo deciso di usare un altro registro: accortezza e garbo. Edward era un uomo abituato a badare a tutto. E benché certe volte storcessi il naso, ero entrata a far parte di quel tutto. Non era l’orco cattivo, indisponente sì ma non malvagio. Lo dimostrava la delicatezza con cui aveva trattato la nostra faccenda e tanti altri piccoli gesti. Lui aveva fatto tanto, troppo, ed io non potevo essergli che grata ricambiando la sua cortesia. Smussando il mio caratteraccio. So di avere un caratteraccio, Edward.
Le mie nuove riflessioni mi portarono a sorridere e a reprimere la voglia di impormi ad ogni costo << Grazie Edward, >> sì, così non è tanto difficile << ma non credo sia il caso >>.
Allora riesci a essere civile!
Incurvò un sopracciglio. Già… un gran cambiamento. Sorrisi intimidita. Ti prego, non dire nulla!
Per un istante ponderò se accettare o no, ma alla fine, per fortuna, fece anche lui un passo nella direzione giusta e mi lasciò pagare.
Dopo una doccia veloce decidemmo di andare da Renoir. Era troppo tempo che non la vedevo e sentivo le vie respiratorie occluse.
<< Mamma, papà! >> cercò di muoversi ma fece una smorfia, la fitta al fianco era stata forte << Sta ferma >> implorai soccorrendola. Sedetti al suo fianco e la misi sulle mie gambe. Senza dire una parola mi strinse a se per poi sfregare il naso contro la mia clavicola. La cullai per un po’ accarezzandole i capelli << Come stai? >> chiesi inquieta << Voglio il gelato >> si lamentò triste. Mi sentii perforata. Come se la sua tristezza fosse passata a me << Scricciolo per il momento non potrai mangiarlo. Forse tra qualche mese >> la consolò Edward sedendosi dall’altra parte del letto.
Allungò un braccio come a comunicargli che lo voleva al suo fianco. In pochi istanti si ritrovò stretta tra noi due << Voglio andare a casa >> continuò imbronciata << Domani andremo a casa >> sussurrai << Solo che per un po’ di tempo dovrai stare attenta ma non devi essere triste. Ti ricordi cosa mi hai detto sulle fatine? Me lo fai un sorriso? >> la spronai. Finalmente mi guardò negli occhi e dopo aver corrugato il naso, s’illuminò << Tra qualche mese potrai fare qualsiasi cosa. Possiamo andare a caccia di lucciole. Sai cosa diceva nostra nonna Marie? Ogni volta che nasce un bambino, viene al mondo una lucciola a illuminare il suo cammino >> rivelai come se fosse il più importante dei segreti. Unì le labbra e le sporse << Che cosa sono le lucciole? >> chiese un po’ contrariata dal non sapere la risposta. Meditai su come darle la risposta più semplice e allo stesso tempo più fantasiosa << Sono delle api piccolissime che di notte hanno il sederino che s’illumina. Leggenda vuole che sia stata proprio la luna a spargere su di loro della polvere d’oro >> spiegai << Davvero? E la mia lucciola come si chiama. E tua nonna è anche la mia nonna, giusto? Posso conoscerla? >> partì con la sua solita sfilza di domande e soprattutto l’ultima mi ferì.
Nonna Marie mi mancava sempre. Ero certa che se fosse stata viva durante la gravidanza, avrebbe fatto in modo che Renoir crescesse con me << Nessuno sa come si chiama la lucciola che lo accompagna. Spesso appaiono nei sogni ma noi non riusciamo a ricordarlo >> spiegai dando una parvenza di serenità.
Le accarezzai i capelli sperando che il discorso cadesse lì << Ma se lo chiediamo alla nonna forse, lei sa come fare >> azzardò fiduciosa. C’era un bellissimo risolino a incorniciarle il volto un po’ pallido.
Non sapevo che fare. Ero certa che Edward non le avesse parlato del concetto di morte. Probabilmente non ero la persona più adatta per iniziare una conversazione del genere. Che cosa potevo dire a una bambina di sei anni?
Spiegaglielo attraverso le lucciole.
<< Sì tesoro, mia nonna è anche tua nonna ma non puoi conoscerla. Sai… lei amava talmente tanto le lucciole che un giorno ha deciso di volare via e trasformarsi in una di loro >> lo stupore di mia figlia fu specchio del mio. Non sapevo neanche io da dove fosse uscita la mia risposta.
La sua reazione mi fece ridere: dilatò gli occhi come se avesse visto qualcosa di magico. Era così bella << Quindi… quindi la nonna è diventata la mia lucciola! >> questa volta fui io a rimanere sbalordita. La nonna è la mia lucciola. Mi piaceva quel pensiero, che nonna Marie fosse al suo fianco e la proteggesse. Sorrisi raggiante << Sì, la nonna è la tua lucciola >> concordai sottovoce e guardando Edward di sottecchi.
L’incredulità di Renoir nel scoprire che tutte le mie cose fossero a casa loro, ci fece sorridere. Storse il naso sapendo che avrei vissuto nella dependance ma le spiegammo che la mia sistemazione non avrebbe intaccato il nostro rapporto. Avrei fatto la mamma e la sola idea mi esaltava.
Edward mi aveva dato ancora una volta la massima libertà. E ancora una volta ti sei dimostrato dolce. E poi le parole che aveva usato: “comportati come fosse casa tua”. Ed io ero sempre più trattenuta. Mi confondeva. Non riuscivo mai a prevedere le sue mosse!
La cosa più difficile del coabitare? Non poter girar per casa nuda! Io solitamente dormivo in intimo, mi svegliavo e facevo i fatti miei nuda. Ora dovevo imparare ad essere più elegante. Il problema era che odiavo le restrizioni come i vestiti soprattutto d’estate. Erano asfissianti all’inverosimile! Dovevo imparare a essere più decente dato che non era casa mia e che persone che non conoscevo potevano venir a far visita a Edward.
Ore: sei del mattino. Cucina casa Cullen. Occhi su un tomo di cinquecento pagine e mani impegnate nel fare dei muffin di zucca.
Avevo passato la prima notte nella dependance a rigirarmi nel letto. Non riuscendo a dormire mi ero messa a spulciare tra i libri dell’università cercando di far passare il tempo. Ed ero riuscita a studiare davvero. Non che fossi un genio ma quando c’era una passione di base, tutto era facile. Alle cinque del mattino, stanca, cercai online ricette culinarie sane e gustose. I muffin di zucca sembrarono un’ottima idea. Per quel che ne sapevo di verdure, ed era davvero poco, la zucca era qualcosa di sano. Perciò mi ero alzata, percorso i pochi metri di giardino che mi dividevano dalla cosa principale e ancora con il pensiero dello studio avevo iniziato a preparare i dolci per mia figlia.
Una parte di me, chissà quale, aveva pensato anche a Edward. Avevo preparato la torta di mele e mi sentivo un po’ in imbarazzo. Mi sembrava qualcosa di stranamente intimo. Era normale che mi preoccupassi della colazione, no? In fin dei conti era il pasto più importante della giornata. Aveva un’azienda da dirigere, era il capo. Forse sono invadente, forse sto diventando appiccicosa.
Lanciai un’occhiata al forno.
Sei ancora in tempo per gettarla via!
Sbuffai inviperita con me stessa. Che diamine dovevo fare?
<< Che buon profumo! >> la sua voce mi fece saltare in aria. Ecco adesso non posso fare più niente!
Sii gentile!
Mi stampai un sorriso, sebbene timido, sul viso << Buongiorno >> mugugnai incoerente << Ho preparato una torta e il caffè è ancora caldo. Spero non ti dispiaccia che mi sia lasciata prendere la mano >> evitai di guardarlo negli occhi. Certe volte, quando ero al suo fianco, c’era una scintilla d’inadeguatezza che s’infiltrava tra le pieghe del mio corpo giungendo alle ossa. Difatti così non era eppure non potevo evitare di respingere questa sensazione. Era più forte di me. Vederlo così… non c’erano parole per descrivere il padre di mia figlia. E pensare a lui come padre e non come Edward stava diventando il mio nuovo mantra.
Scossi leggermente il capo come a scacciare i pensieri stupidi << Ehm... è una torta di mele visto che è la nostra preferita. Ho pensato… non so cosa ho pensato… >> aggiunsi ancor più imbarazzata.
Davvero Isabella? Vuoi metterti a fare la mogliettina? Smettila!
<< Perdonami Isabella. Buongiorno anche a te >> ricambiò il sorriso << Al mattino non faccio colazione, bevo solo del caffè ma ti prometto che dopo la assaggerò di sicuro. Anche perché oggi sono un po’ nervoso: ho un meeting >> rispose. Lui nervoso? Certe volte sembrava un uomo tutto di un pezzo. Lo vidi avvicinarsi e guardare attentamente il mio libro. Ne lesse il contenuto per poi ridere << Che c’è? >> chiesi un po’ irritata. Mi sarebbe piaciuto vedere cosa avesse fatto se mi fossi messa a ridere del suo lavoro.
Alzò le mani in segno di resa << Non ho capito una parola >> ammise in imbarazzo. Era sbagliato che ne fossi compiaciuta? In fin dei conti se mi avesse chiesto di decifrare i conti della sua azienda avrei fatto scena muta << Bè… ognuno ha le proprie competenze >> borbottai << Dovrei finire di studiarlo entro novembre >> precisai preoccupata.
Prese una tazza e vi versò del caffè << Oh bé… ci riuscirai >> mi tranquillizzò. Non ne ero tanto sicura. Tuttavia sorrisi.
<< Mamma? >> alzai lo sguardo dal libro che avevo in mano. Io e Renoir eravamo sul divano, lei sulle mie gambe. Giocava con i miei capelli e alternava lo sguardo tra me e la televisione. Stava guardando il film de “I puffi”. Non le piaceva granché ma lo preferiva a “Dora l’esploratrice” e ai “Teletubbies”. Usando parole di una bambina, aveva definito la protagonista del primo cartone animato, una cerebrolesa. E come potevo darle torto.
<< Dimmi tesoro! >> la spronai. Aveva la boccuccia che si storceva prima a destra e poi a sinistra << Dopo che finisci di studiare… te ne andrai sugli aerei? >>> domandò triste << No! Certo che no! >> quasi urlai << Non andrò da nessuna parte. Lavorerò molto di più ma ci sarò sempre a darti il buongiorno e la buonanotte >> dichiarai sicura. Non sembrò convinta << Davvero, davvero? >> chiese. Le scompigliai i capelli << Lo sai che ti amo tanto? >> la interrogai a mia volta. Annuì sorridente << Ti amo è molto di più di ti voglio bene, giusto? >> asserii col capo. Mi baciò una guancia << Allora anch’io ti amo tanto mammina! >> sostenne sfavillante. Trattenni le lacrime. L’emozione fu forte, era la prima volta che diceva di amarmi.
Edward mi trovò intenta a farle il solletico. Renoir rideva e singhiozzava esausta << C’è papà! >> squittii. Gli lanciai un sorriso << Che succede qui? >> disse autoritario. Tolsi le mani spaventata. Che ho fatto? Non ha sentito dolore! Non le farei del male << Io… io… >> balbettai spaventata. Inghiottii un fiotto di saliva << La… la… mamma mi stava facendo il solletico >> boccheggiò la piccola. Lentamente l’espressione di Edward si addolcì, buttò la sua ventiquattrore sul divano e allentò il nodo alla cravatta.
<< Quindi ti sei comportata male! >> si rivolse alla figlia con aria divertita. In un battito di ciglia si avventò su di lei e prese a farle il solletico << No, no! >> strillò allegra << Mamma, mamma! >> continuo dimenandosi come una biscia. Ridevamo senza fiato << Mangerai si o no il riso con le verdure di Madeline? >> domandai vittoriosa.
Lo sguardo di Edward sfrecciò su di me << Scricciolo, vuole farti mangiare le verdure? Ma che cattiva! Attacchiamola! >> annunciò.
In un modo o nell’altro Edward mi prese in braccio. Aveva un suo braccio sulla schiena e l’altro sulla piega delle ginocchia << Io non soffro il solletico! >> protestai con il broncio sulle labbra << Non vogliamo farti il solletico! >> m’informò con fare cospiratorio.
Continuai ad agitarmi finché il padre di mia figlia e mia figlia non mi portarono fuori di casa. Sgranai gli occhi << No! >> scalciai << In piscina no! In piscina no! >> implorai << Si! Si! >> trillò Renoir << Il riso lo mangi lo stesso! >> sia io che Edward rispondemmo all’unisono. Fu un istante: ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere mentre sul volto di nostra figlia si faceva largo la stizza.
Seguitava a camminare verso il bordo piscina << Ti prego Edward! >> strinsi le mani sul bavero della sua giacca. Continuava ad avere un sorriso sfacciato sul viso << E’ estate Isabella dovresti rinf- >> non concluse che mi gettò via come un sacco di patate. Chiusi gli occhi e poco dopo sentii l’impatto dell’acqua contro la mia schiena. Fece male ma fu anche divertente.
Qualche minuto più tardi fui in grado di riemergere. Sentivo le orecchie piene d’acqua e in sottofondo le risate del mio pubblico << Adesso sono fresca come una rosa >> stetti al gioco. Rimossi alcune ciocche di capelli dal viso umido << Bè… bagnata come un pulcino rende di più l’idea >> mi sfotté. Increspai le labbra: meditavo su come vendicarmi << Bene! Sappi che sei ripetitivo >> esclamai nuotando verso il margine della piscina << A me è piaciuto lo stesso >> obbiettò. Sorrisi ostile e tesi un braccio in sua direzione << Potresti, per cortesia, aiutarmi >> il mio tono angelico cozzava con il mio pensiero di rappresaglia. Mi guardò accuratamente, seguendo ogni mio gesto. Ormai stavamo imparando a conoscerci. Riuscivamo a decifrarci. Soprattutto lui ci riusciva. Di conseguenza sapeva che nascondevo qualcosa << Papi perché non aiuti la mamma? >> non appena Renoir parlò, Edward si distrasse ed io ne approfittai per afferrarlo per un polso e tirarlo in acqua con me.
Esplosi in una risata fragorosa appena riemerse. Lo scrutai portando le braccia conserte << Ride bene chi ride ultimo! >> esclamai quando emerse.
Renoir sghignazzava con una mano premuta sullo stomaco.
Non sapevo che reazione avrebbe avuto Edward << Scricciolo va a chiedere a Madeline se può portarci degli asciugamano >> si concentrò sulla piccola. No, no, no! Ti prego non lasciarci soli. Vedere la camicia azzurrina di Edward completamente appiccicata sul suo torace e quasi trasparante, era quasi più eccitante del vederlo nudo. Solo quasi.
Edward era sempre eccitante!
Indietreggiai intimidita. Non dovremmo mai trovarci in queste situazioni. E non dovresti mai guardarmi così. Smettiamola! Cominciai a schizzarlo con l’acqua nel vano tentativo di farlo desistere << Edward! >> mi lagnai. Strinsi le labbra per evitare che un sorriso mi scappasse finché non mi bloccò tra il suo corpo e la piscina stessa << Smettila! >> ma non fui molto convincente. Mi stropicciai il naso per il del cloro che iniziava a infastidirmi. Rimase in silenzio. Occhi negli occhi. Era così strano che i suoi mi attirassero tanto?
E’ sbagliato Bella!
Lui non era altri che il padre di mia figlia! Repressi il riso sulle mie labbra e trasformai la mia espressione in greve. Ti prego comprendimi. Probabilmente lui non trovava nulla di strano in questa situazione. Era un uomo, di certo se voleva una donna, usava determinate tattiche. Invece io scorgevo troppa intimità. E non mi piaceva.
Sì ti piace!
L’intimità con lui mi faceva uno strano effetto. Era la sensazione di far qualcosa di sbagliato che mi tormentava. Si avvicinò ulteriormente. Con un polpastrello tratteggiò il contorno di un neo che avevo sulla spalla sinistra << Non guardarmi così Isabella >> la sua sembrò una supplica tormentata. Brutto infame sei tu a guardarmi in modo strano!
Edward, perché non smetti di chiamarla Isabella? La attizzi ancor di più.
<< Dovresti allontanarti! >> borbottai turbata << Lo so Isabella. Lo so… >> sospirò frustrato.
Un movimento alla mia destra ci costrinse a distogliere lo sguardo. Era Madeline << Edward, ci sono i tuoi fratelli >> riferì. Impietrii all’istante. Sapevano? Dovevo andare in dependance?
Mi allontanai spaventata << Vado a vestirmi >> mi limitai a dire.
Feci una doccia veloce e mi vestii mentre Renoir mi aspettava in camera << Mamma, andiamo dagli zii? >> la sentii urlare. Bella domanda! Di certo non potevo dirle di no << Sì amore >> risposi finendo di indossare la t-shirt.
Uscii dal bagno con i capelli ancora umidi. Sorrisi falsamente << Allora, andiamo a salutare gli zii? >> proposi tendendo la mano in sua direzione.
La vidi distintamente irrigidirsi appena posò gli occhi su di me. Erano tutti in salotto, anche Edward aveva i capelli umidi e si era cambiato. La bionda mi squadrò soffermandosi sui miei capelli e stesso trattamento lo ricevette il fratello. Chissà quali film proiettava la sua testolina. Se gli sguardi potessero uccidere io sarei morta da molto tempo.
<< Salve >> dissi educata. Mi accomodai sul sofà e subito mia figlia si sedette sulle mie gambe. Sentii l’occhiata truce della biondona ma la ignorai.
<< Salve Isabella >> ho sentito bene? Jasper Masen Cullen, aveva ricambiato il mio saluto senza digrignare i denti? In quale universo parallelo ero finita? Non dovrebbe farmi così piacere.
<< Edward devi fare i complimenti a Madeline. Questa torta è buonissima >> notò Rosalie. Peccato che la torta in questione fosse mia. E forse era colpa dei miei ventuno anni ma ne fui profondamente compiaciuta. Nella mia mente c’era un’Isabella versione mignon che rideva malignamente << Puoi fare i tuoi complimenti all’artefice tu stessa. E’ merito di Isabella >> Edward così mi stupisci! Non dovresti essere anche tu soddisfatto!
Repressi una risata a differenza di mia figlia << La mamma è bravissima con i dolci! >> cinguettò quest’ultima.Uno a zero.
Continuerai a essere stupidamente infantile!
<< Spero ti piaccia la nuova sistemazione >> proruppe Jasper. Non sembrava per niente intimidatorio. Questa volta sorrisi perché avevo voglia di farlo << Sì. Questa casa è meravigliosa ma mai quanto le persone che vi abitano >> era ovvio che mi riferissi a mia figlia.
E forse un po’ -anche troppo- a suo padre.
Così volarono molti giorni. Tra studio, lavoro, momenti meravigliosi con mia figlia e con suo padre. Il più delle volte ci comportavamo come una famiglia. Ci ritrovavamo ad andare al mare; uscivamo in giro per la città; guardavamo ridendo un film comico; andavamo nel suo ufficio a portargli la sua torta preferita; scattavamo fotografie volute da nostra figlia; giocavamo al solletico; rincorrevamo Renoir che non voleva saperne di andare a dormire per poi darle il bacio della buonanotte.
Sapevo che non eravamo una famiglia, almeno non una famiglia convenzionale. Spesso però testa e cuore non andavano nella stessa direzione. Dolce Edward si era rifatto vivo. Ogni decisione per Renoir la prendevamo insieme, non mi metteva di fronte al fatto compiuto. La parola chiave in tutto questo era: sguardi. Ci guardavamo sempre. La nostra complicità era palpabile. Al mattino ci davamo il buongiorno con gli occhi, ci sorridevamo con gli occhi, ci sfioravamo con gli occhi. E qualcosa dentro di me, che non sapevo come spiegare, cominciava a smuoversi.
<< Scusate! >> sussurrai quando il mio cellulare cominciò a squillare. Stavamo pranzando ma non potevo deviare la chiamata. Jean – Patrick Dempsey per Tanya- in uno dei suoi momenti di ispirazione. Non potevo certo rifiutare di andare a posare per lui
<< Isabelle, >> già odiavo il mio nome per intero. Lui peggiorava la cosa trasformandolo in francese.
Quando una persona di nostra conoscenza ti chiama Isabella non t’infastidisce tanto!
<< ti trovo bene >> continuò marcando le t con il suo tipicoaccento parigino. Nonostante Tanya e Jack più volte mi avessero fatto notare quanto fosse affascinante, solo in quel momento me ne accorsi realmente. E sapevo di chi era la colpa. Il padre di mia figlia. Aveva attivato un meccanismo difficile da fermare o meglio aveva risvegliato i miei ormoni del piffero! Ti odio. Ricambiai il suo abbraccio affettuoso << Grazie anche tu stai bene >> considerai sorridente.
Mi fece accomodare nel suo studio. Più che uno studio era una mansarda piena di tele e dall’aspetto rustico con delle travi qua è là sporche di colore.
Mi chiese di spogliarmi, come sempre senza nessuna malizia ma per la prima volta mi sentii a disagio e non me ne spiegai il motivo.
Stavo ferma con le spalle nude, la curva del seno che faceva bella mostra di sé così come il resto del mio busto e un braccio a coprirmi il petto. Ero seduta su un divano, con le gambe sotto il corpo e avvolte da un lenzuolo candido. Sotto il lenzuolo vi era solo uno slip. Invece i miei occhi erano persi nel vuoto, così come mi aveva chiesto lui, mentre il sole che stava calando s’infrangeva su di me e i miei capelli scompigliati ad arte.
<< Quanti anni ha? >> domandò di punto in bianco. Volsi lo sguardo su di lui << Non guardarmi! >> mi rimproverò. Così tornai a guardare il nulla << Non ti ho capito >> frusciai confusa << La mia ex moglie ha una cicatrice come la tua. La sua è dovuta al parto di nostro figlio >> spiegò. E compresi. La cicatrice del cesareo. Per molti anni vedere questa cicatrice mi aveva allettato. Aveva reso tutto più reale. Il fatto che l’avesse notata solo in quel momento non era strano. Di solito usavo mutandine a vita alta. In quel momento sedendomi in modo scorretto si erano abbassate lasciando spoglia la mia ferita di guerra. Non che usassi i mutandoni della nonna ma la mia biancheria intima lasciava a desiderare, pizzi e merletti non facevano per me. Non che li trovassi ridicoli ma non ne avevo mai sentito l’esigenza.
Sorrisi sfoderando la miglior espressione da tonta << Sei anni. E’ una bambina >> in passato, prima di conoscerla, non avrei risposto alla sua domanda ma ora mi sentivo così fiera << E’ deliziosa come la madre? >> aggiunse curioso e con la cosa dell’occhio vidi un sorriso dolce: non mi aveva mai parlato di suo figlio, probabilmente pensava a lui << Non v’è confronto >> mimai euforica << Tuo figlio quanti anni ha? >> lo interpellai di rimando << Otto. Si chiama Maxime >> cantilenò sognante << Renoir >> adoperai il suo stesso tono << Come prego? >> sembrò riscuotersi << Lei, mia figlia, si chiama Renoir >> mormorai << Delizioso >> dichiarò. Lo so.
Mi fece rivestire lasciandomi la mia privacy << Promettimi che domani verrai >> disse fermandomi << Dove? >> afferrai la mia tracolla << Alla mia mostra. Gran parte della sua creazione è merito tuo >> chiarì entusiasta << Mio e perché? >> il mio sopracciglio svettò in alto esprimendo tutto il mio disorientamento << Mi hai ispirato con la tua purezza Isabelle >> confessò infilandosi una mano tra la folta capigliatura color pece con qualche accenno di grigio. I suoi occhi erano azzurri ma non come i miei, forse un po’ tendenti al blu ma con quel brio che li aveva sempre contraddistinti.
Sorrisi imbarazzata << Ehm… ci saranno anche i miei… >> nudi << Sei la mia musa è logico >> perché in quell’istante mi sentivo così piccina.
Perché non sapevi che avrebbe fatto un’esposizione mostrando le tue tette!
Fare sempre buon viso a cattivo gioco! << Che bello! >> ma sembravo aver subito un lutto << Ci verrò sicuramente! >> e ci sarei andata, forse incappucciata, ma mi sarei fatta viva << Parfait! >> doveva essere un perfetto. Ma è proprio carino quando parla in francese! Allontanai i miei stupidi pensieri da adolescente sessualmente repressa e gli dedicai la mia attenzione. Estrasse qualcosa dalla tasca posteriore dei jeans. Che gli stanno benissimo << Tieni! Sono due biglietti. Ovviamente sentiti libera di venire accompagnata >> mi rassicurò << Grazie Jean >>.
Entrai in casa trafelata. Ero mancata ben tre ore.Renoir quando mi vide corse a prendermi per mano << Mamma, lo bevi con me il succo di carota? >> mi portò in cucina, dove c’era Edward. Madeline non c’era e lui era di fronte alla centrifuga cercando di riempire un bicchiere di liquido arancione. Sembrava negato. Mi avvicinai a lui << Lascia fare a me >> consigliai facendomi dare il bicchiere. Mi squadrò da capo a piedi prima con un leggero sorriso a contornargli le labbra poi d’improvviso scomparve lasciando spazio a un’occhiata truce. Che ho fatto? Seguii la traiettoria del suo sguardo e trovai il reale motivo della sua espressione. L’etichetta interna della mia canotta era ben visibile. Significava solo una cosa: avevo indossato la maglietta la contrario. E tu potresti pensare qualcosa che non è avvenuto!
Non mi piacque! Non mi piaceva il suo sguardo, che fossi stata così deficiente da infilarmi gli indumenti al contrario, la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Isabelle davvero? Ti senti una traditrice?
<< Edward! >> borbottai trattenendolo per l’avambraccio << Aspetta… >> lo scongiurai. Schifosa sensazione alla bocca dello stomaco! << Isabella, >> avrebbe voluto essere un richiamo ma non lo fu << non c’è niente che tu debba spiegarmi >> no, no, no! Fissai Renoir che nel frattempo ci guardava incuriosita. Il mio cuore - bastardo per giunta- mi chiedeva di trovare un modo per rimanere da sola con il padre di mia figlia. E il problema era proprio qui! Non era una richiesta della mia mente ma del mio cuore. E la cosa era preoccupante!
Repressi la voglia di sbuffare acidamente. Abbassai gli occhi e riservai il mio interesse nel riempire i bicchieri di succo.
Il silenzio fu atroce. Come un’unghia che continuava a graffiare un lembo di pelle fino a lacerarlo.
Solo Renoir bevve il concentrato di carote e pomodoro. Io lo rigirai nel bicchiere come se si trattasse di vino. E non perché odiavo le verdure ma perché la mia testa era affollata di pensieri.
Continuo tutto così finché Edward non decise di rintanarsi nel suo studio. Ed io non volli accettarlo.
E’ così brutto vederlo andare via Isabella?
Lasciai Renoir a giocare con la Wii e pochi minuti dopo lo seguii. Volevo ardentemente spiegarmi. Anche se so che non c’è nessuna esigenza. Potrei anche aver fatto quello che tu pensi senza sentirmi in colpa. In ogni caso non volevo che mi considerasse una bugiarda. E forse era la prima volta che concepivo un concetto del genere. Non mi era mai importato granché di come le persone mi vedessero. Ma lui è Edward, non qualcuno. Era il padre di mia figlia.
Sii realista! Solo perché è il padre di tua figlia?
Bussai leggermente alla porta del suo studio. Dopo aver sentito il suo consenso, entrai << Ciao >>.
Potresti dire qualcosa di più stupido?
<< Isabella sono impegnato! >> sbottò. Non mandarmi via ti prego << Okay. Volevo solo dirti che non ti ho mai mentito… >> l’altimetro della mia stupidità si stava innalzando esponenzialmente.
Lo sguardo di sufficienza che mi rivolse, mi colpì dritto al petto. Produsse un dolore sordo al cuore. Mi fece quasi annaspare in cerca d’aria. Mi hai ferito! Complimenti Edward.
Cercai di ricordare i miei buoni propositi, il fatto che fosse un uomo particolare e razionalmente il mio piede fece un passo in sua direzione. Poi subentrò il mio orgoglio ferito. E non mi consideravo madre ferita dal padre di mia figlia, in quel momento ero solo una donna ferita da un uomo. Edward e Isabella senza etichette.
<< Volevo solo dirti che hai dimenticato di darmi le chiavi di casa. Stasera andrò da Tanya… >> il giovedì è la nostra serata dedicata ai film tagliavene ma a te non interessa. Sono tradizioni infantili, no? << Provvederò domani mattina. Puoi uscire tranquilla, io lavorerò tutta la notte >> cercai di rispondere ma mi ritrovai a brancolare nel buio nel tentativo di parlare. E la strana sensazione che fosse un modo per controllarmi mi fece venire l’orticaria. Infatti, poco dopo, iniziai a grattarmi il collo come piena di pulci. Era una mia abitudine. Devo calmarmi. E’ solo un’impressione.
Peccato che il mio livello di sopportazione stesse giungendo al limite.
Quando mi guardò come solo dolce Edward poteva fare, sentii una strana sensazione di calore invadermi il colpo. Sei tornato. Si alzò dalla sua seduta e mi raggiunse. Sorrideva forse perché la parte scorticata dalle mie unghie cominciava ad arrossarsi. Poggiò la mano sulla mia affinché smettessi di farmi male e rabbrividimmo. Sorrisi come una cretina << Isabella, non perdere le staffe. Non voglio controllarti, >> sono così scontata? << lavorerò davvero tutta la notte >> ribadì. Grugnii infastidita. Potrei anche evitare di parlare.
La sua mano continuava a stare sul mio collo, sopra la mia. Era un dolce contatto che mi dava sicurezza. E se da una parte mi piaceva dall’altra volevo non provare sensazioni simili. Per tal ragione mi tirai indietro mostrandomi distaccata << Okay >>.
<< La faccenda si sta complicando >> proruppe Tanya dopo averle raccontato tutto il mio soggiorno a casa Cullen. Il suo tono era grave << Che vuol dire? >> chiesi aggrottando la fronte. Sgranocchiò dei popcorn sistemandosi meglio sul divano << Bella, voi… voi vi cercate. E lui non è un uomo normale. E’ il padre di Renoir, tesoro >> chiarii << Grazie per l’ovvietà Tanya. Tuttavia noi non ci cerchiamo! >> mi guardò come se avessi mentito << Oh certo! Voi provate delle sensazioni quando vi avvicinate, da una parte è normale perché siete genitori di una splendida bambina ma dall’altra se è come dici tu non dovreste provare emozioni in quanto uomo-donna che vengono a contatto >> sputò schietta. E una parte di me sapeva che aveva ragione così non risposi << Sai che ti voglio bene e voglio proteggerti. Non voglio che tu rimanga ferita >> certo che lo sapevo << Io non penso a lui in quel senso. Sto cercando un equilibrio. Sono felice Tanya e non rovinerò tutto infatuandomi del padre di mia figlia >> dichiarai sicura << Amore… ti conosco bene. C’è feeling tra voi. L’ho visto io così come Jack e perché credi sua madre ti abbia minacciata? Oltre a Renoir, vede anche in suo figlio qualcosa di diverso. Se poi aggiungi a tutto questo la sua volubilità… >> scosse il capo come fosse confusa << …io credo che tu ti sia già infatuata… >> aggiunse. Mi strinse la mano come a confortarmi. Dentro di me si stava svolgendo un tumulto. Io non sono infatuata! Ne sono sicura << Bella non voglio essere brutale ma siete due persone diverse aldilà della differenza d’età. E in un’altra situazione ti avrei detto di provarci ma avete una figlia. Non innamorarti di lui >> fu come ricevere uno schiaffo, ma non mi diede fastidio. Aveva ragione, ne ero consapevole << Tanya, non m’innamorerò mai di lui. Io non voglio >> sostenni. Ridacchiò un po’ triste << Sai quante rogne mi sarei evitata se il mio cuore avesse seguito la mia volontà >> sussurrò. Sospirai stanca << No, Tanya. Io sono felice così. Io non rovinerò tutto per delle stupidaggini >> confermai tranquilla. No, non sono innamorata di Edward e mai lo sarò!
<< Senti che ne dici di guardare semplicemente il film >> chiesi facendo il labbro tremulo. Arricciò il naso << Che ne dici di un abbraccio? >> propose. E ne fui felice.
Mi stupii nel trovare il grande cancello nero di villa Masen Cullen aperto. Di solito era sempre chiuso, perfino di giorno. Percorsi il viottolo meravigliandomi ancora una volta della bellezza di quel posto. I lampioni illuminavano l’intero giardino creando un’atmosfera fatata. E ad accentuare tutto ciò c’era la luna piena d’estate seguita da tante piccole stelle splendenti. Se fossi romantica, mi commuoverei.
Continuai a camminare verso il portico finché grazie alla luce di un lampione intravidi una figura. Alta, slanciata, camicia bianca arrotolata sugli avambracci così come i pantaloni neri sui polpacci, i piedi nudi sull’erba umida, il capo piegato all’indietro a contemplare il cielo.Edward Masen Cullen. Quella visione così tenera e bella mi fece sorridere istintivamente.Non innamorarti di lui. E i miei piedi partirono come se possedessero una razionalità propria. Mi piazzai al suo fianco, vedevo il suo profilo.
Un bel profilo.
<< Ciao >> bisbigliò come se avesse paura di rovinare quella situazione. Accentuai il mio sorriso << Che fai? >> usai il suo stesso tono << Mi piace camminare a piedi nudi sull’erba appena annaffiata >> dichiarò. Non innamorarti di lui. << Dovresti provare >> consigliò. E lo feci. Mi tolsi prima una scarpa e poi l’altra senza mai distogliere gli occhi dai suoi. Sentii quasi i piedi formicolare e la freschezza invadermi << Non è bello? >> domandò come un bambino << Sì >> mugugnai << Stavi riflettendo? >> aggiunsi curiosa. Storse il naso << Più che altro mi stavo rilassando >> sembrava sempre che dicesse ciò che la sua diplomazia gli permetteva << Bene… >> lanciai un’occhiata alla dependance. Forse vuoi che ti lasci solo << Io vado. Buonanotte >> terminai.
Codarda!
<< Edward... >>.
<< Isabella… >>.
Scoppiammo a ridere per aver parlato nello stesso istante << Prima le signore >> mi concesse galantemente. Cominciai a torturarmi le mani << Per quello che è successo questo pomeriggio… >> iniziai << Sai che non devi darmi spiegazioni >> dalla sua rigidità, dal suo tono, capii che non erano le parole che avrebbe voluto dire. Forse era intuito o forse pazzia.
Mi mossi sul posto agita << Io non mi sto giustificando! >> ed era la verità << Anche se avessi fatto quello che pensi non ci sarebbe nulla di male. Potrei farlo senza sentirmi in colpa ma il punto è che non ti avrei mai mentito. Non ti direi mai qualcosa che non sia la verità. Questo pomeriggio sono andata da Jean. Ti ho detto che posavo per un pittore e mi sono vestita male >> dalla borsa presi i due biglietti per la mostra << Mi ha dato questi. Terrà una mostra a Manhattan. Puoi andarci tu con chi vuoi >> volevo dimostrargli la mia buona fede.
Oppure vuoi dimostrare a te stessa che non t’importa con quale donna lui esca.
Li prese senza troppa convinzione << Sai che non c’è bisogno >> rispose. Scrollai le spalle << Lo so! Ho visto i quadri nel tuo ufficio e in casa e ho pensato che l’arte ti piacesse. Quindi accettali per favore è davvero un bravo artista >> lo rasserenai. Increspò le labbra << E tu come farai? >> chiese << Bè… dice che sono la sua musa. Troverà un posto per me >> scherzai ma a quanto sembrava non fui divertente. Ho sempre creduto di essere almeno simpatica.
Per tutta la giornata successiva non lo vidi. Neanche il mattino e mi svegliai alle sei. La parte egocentrica di me, per un solo istante, pensò che volesse evitarmi. Poi mi diedi della stupida e ritornai a concentrarmi sulla mia giornata.
Fu la prima sera in cui Edward non fu con me a darle la buonanotte. E mi costava doverlo ammettere ma non mi piacque.
Stupida reazione da ragazzina.
In casa con Renoir rimase Alice. Mi disse che era stato Edward a chiederglielo perché io sarei uscita per andare alla mostra. Comunque avresti potuto avvisarmi.
Alice era una brava donna. Dolce e affidabile con i suoi grandi occhi marroni che trasmettevano protezione. Lei e il marito furono gli unici a non reagire male di fronte al mio trasferimento. Aveva addirittura proposto di fare una grigliata per darmi il benvenuto. Ovviamente non ci sarebbe stata tutta la famiglia Cullen ma mi disse che potevo invitare i miei amici, il che mi sarebbe servito molto per sentirmi meno a disagio.
A Manhattan si svolgevano la maggior parte delle mostre che fosse fotografiche o di quadri.
Jean aveva un gran seguito e un po’ lo invidiavo. In fin dei conti in pochi riuscivano a vivere di ciò che più amano fare.
La sala era gremita di persone. C’erano dei camerieri che servivano vini e antipasti. Era tutto perfetto. Forse troppo formale ma comunque accogliente.
C’erano molti dipinti, cosa assai normale il punto era che solo pochi raffiguravano un paesaggio o altri soggetti come bambini che giocavano. I restanti ritraevano una donna. Quella ragazza ero io. Mi riconoscevo come se fossi stata di fronte a uno specchio. Ero imbarazzata a morte! Non quel tipo di vergogna che mi avrebbe spinto a strappare quadro per quadro dalla parete, ma quel tipo di imbarazzo nel vedere il mio corpo nudo esposto agli occhi delle persone. Quante possibilità c’erano che m’identificassero? Okay, gli occhi azzurri erano evidenti, così come il colore dei capelli ma nessuno aveva visto il mio corpo. Nessuno sapeva della macchia di caffè che avevo sul seno destro o il neo, forse più visibile, sulla spalla sinistra. Il neo sulla natica poteva evitarlo!
In quel momento ero con la bocca spalancata di fronte a un mio ritratto. Spiccava il collo e la schiena nuda di un candido color crema. S’intravedeva il profilo del mio viso e un sorriso timido a incurvare le mie labbra.
Non ero una persona che si nascondeva dietro alla falsa modestia. Sapevo di essere una bella ragazza, non con una bellezza prorompente con quella di Tanya ma non ero da buttare. Tuttavia come mi aveva raffigurato Jean, era quasi surreale. La donna nei suoi dipinti era meravigliosa, eterea, luminosa e pura. Come se Jean avesse visto qualcosa più grande di me, in me. Era una bella sensazione.
<< Qualcosa non ti piace? >> la domanda provenne dalle mie spalle. Sorrisi e mi voltai a guardare colui che aveva parlato come se avesse detto una sciocchezza << E’ meraviglioso Jean >> lo abbracciai a mo’ di saluto. Appena ci allontanammo mi offrì un bicchiere di vino << Allora emozionato? >> chiesi per stemperare la tensione. Sorrise << Sì, ma molti non fanno altro che chiedermi chi sia la magnifica creatura da me ritratta >> lo guardai allarmata. Ti picchio se ti sei azzardato a risolvere il quesito. Scoppiò a ridere << Non preoccuparti. So quanto sei riservata >> per fortuna. No, essere presentata come fonte d’ispirazione di Jean non sarebbe stato per me. Preferivo rimanere una spettatrice esterna.
Guardo alle mie spalle << Scusami Isabelle ma mi reclamano. Dopo ritorno e parliamo >> mi baciò la guancia e scappò via.
Proseguii nel mio giro. Mi soffermai di fronte a un altro mio ritratto. Ero in piedi e di profilo. Ogni curva del mio corpo era visibile. Dal tallone al polpaccio, dalla linea morbida della gamba a quella del sedere e così via.
Ricordai l’occasione in cui fu iniziato lo schizzo. Ero rimasta con una sola mutandina, molto sgambata, addosso.
Non lo trovai volgare. Forse perché ero io il soggetto o forse perché Jean non metteva nessun doppio fine in ciò che faceva.
Senza volerlo -riflesso incondizionato della mia età- mi portai una mano sulla coscia. Non sembro grassa, vero? Ma quanto ero stupida!
D’un tratto vidi una persona affiancarmi. Riconobbi il suo profumo e arrossii come una cerebrolesa << Non credevo posassi in questo modo >> esordii. Non lo guardai. L’idea che lui fissasse il mio corpo mi rendeva inquieta << Non mi hai mai domandato che tipo di modella fossi >> gli ricordai << Non ti sei mai sentita a disagio? >> sembrò un’accusa tanto che fui costretta a orientare gli occhi su di lui.
Strinsi le labbra per evitare di freddarlo << Credevo non venissi >> cambiai discorso << Era da tanto che non partecipavo a una mostra. Quindi fai nudi artistici >> l’ultima parola la sputò quasi con ironia.
Io tentavo di cambiare argomento e lui mi aveva ignorato! Ero quasi divertita << Vuoi dirmi qualcosa Edward? >> scattai come una molla. Sorrise come fosse divertito dalla mia reazione << Trovo che tu sia molto bella >> asserì con la massima semplicità lasciandomi stupefatta. Non innamorarti di lui. Respirai a fatica. Era la prima volta che mi dicevano di essere bella come fosse normale << Sì, i quadri sono molto belli. Ti ho detto che Jean è molto bravo >> fu l’unica replica capace di esprimere. L’allegria sul suo viso si espanse << Non mi riferisco ai quadri, anche se li trovo abbastanza interessanti >> la gola mi si seccò quando percorse tutta la lunghezza della tela che avevamo di fronte. Deciditi! Mi confondi così. Annuii e bevvi un sorso di vino.
<< Jean… Edward. Edward… Jean. >> feci saettare una mano tra i due uomini << Edward è… >> mi fermai non sapendo che ruolo dargli << Un amico >> subentrò il diretto interessato salvandomi. Jean fissò il mio amico in modo strano << Hanno comprato ogni tela raffigurante te >> m’informò il pittore con aria sospettosa << Davvero? >> mi sentivo a disagio << Sembri sorpreso >> costatai accigliata << No, non sono stupito. A quanto sembra hai avuto successo >> ridacchiò.
Alla fine della serata, Edward m’invitò ad andare a casa usando la sua auto ed io accettai giacché ero arrivata in taxi.
L’aria in macchina sembrava tesa. Lui sembrava teso e non me ne spiegavo la ragione << Ti sei divertito? >> domandai giusto per conversare << Sei sicura che vuoi continuare a posare per lui? >> disse serio << Come scusa? Perché mai dovrei smettere? >> non riuscivo a capirlo. Alzò le spalle << Isabella, devo ammettere che il tuo è uno dei lavori più atipici con cui sono venuto a contatto >> dove voleva arrivare? Rimasi in silenzio cercando di riflettere << Io mi pago gli studi con il lavoro che tu definisci “atipico” >> rilevai un po’ infastidita << Ci sono altri lavori >> strinsi le mani in pugni << Stai descrivendo il mio lavoro come qualcosa di squallido >> brontolai frustrata << Io e te sappiamo che non fai nulla di squallido. Tuttavia io provengo da un mondo in cui anche il singolo gesto fatto con la massima rettitudine, diviene una colpa. E che tu lo voglia o no, come madre di Renoir, sei entrata a far parte di questo mondo >> chiarì quieto. Mi portai le braccia al petto stizzita << Si chiama bigottismo. Lavoro onestamente. Ha una colpa colui che ruba i soldi da una società mandando allo sbando famiglie di lavoratori. Ha una colpa chi uccide. Non chi va avanti lavorando con integrità. Io non faccio parte di questo mondo e farò di tutto affinché mia figlia - nostra figlia- non faccia parte di un mondo di cui parli >> m’infervorai. Sospirò pesantemente << Sei idealista Isabella >> sibilò. Feci schioccare la lingua sul palato << Secondo la tua logica dovrei lasciare anche il lavoro al pub e allora come continuerei a pagarmi gli studi? >> lo sfidai << Sai che per me i soldi non sono un problema >> va tutto bene finché non dici qualcosa e rovini tutto! << Cosa ti aspetti Edward? Che viva della tua paghetta come nulla fosse o che ti lasci decidere per me? Mi conosci abbastanza da sapere che non accetterò mai! >> m’impuntai facendo capire che non volevo continuare la discussione.
Mi chiusi nel mutismo, guardando fuori dal finestrino. La città scorreva davanti ai miei occhi. In altre occasioni forse mi sarei messa a urlare ma capivo bene che Edward aveva già a che fare con una bambina e non ero io.
Poi per qualche strano motivo nel mio cervello si accese una lampadina << Hai comprato tu i dipinti! >> esplosi ma con un certa calma << Sì >> fa niente, non sforzarti di darti una spiegazione << Non ha senso! >> grugnii tra me e me.
Avevo l’impressione che oltre alla spiegazione che mi aveva dato, in parte fondata anche se non condividevo, ci fosse dell’altro. Altro che lui non voleva dirmi << E’ una stronzata! A che pro li hai comprati? Avresti potuto spiegarti senza spendere un patrimonio >> costatai ovvia. E’ strano che ora sia così tranquilla, qualche settimana fa non sarebbe stato così. Smussando i miei modi ho imparato a capirti.
La mia supposizione lo agitò. Mi stai nascondendo qualcosa! << Per favore dimmi cosa pensi. E’ snervante cercare di leggerti dentro >> mi sfogai << Cerchi di comprendermi Isabella? >> che razza di domanda era? << Non è questo il punto Edward. Non sviare il discorso. Rispondi! >> lo esortai << Che cosa vuoi che ti dica? >> bisbigliò incurante. Che palle! Devo ragionare.
Aveva appena detto che nel suo mondo erano presenti le malelingue, che trovavano un modo o un altro per screditare… << Vuoi proteggermi! >> strillai << Tu vuoi proteggermi! >> ripetei. Sbuffò punto nel vivo. Non gli piaceva che fossi arrivata alla conclusione del rebus però io la trovai una cosa molto bella. Sorrisi troppo apertamente. Non innamorarti di lui. Voleva proteggermi! Il mio cuore perse il controllo << Ammettilo! >> ordinai giocosa << Isabella… >> mi riprese << Edward ammettilo! >> suggerii << No! >> esclamò << Edward diventerò tediosa, odio esserlo quindi confessa >> gli pizzicai un fianco. Sghignazzò buffo << Edward sono infantile! Non farmi inventare canzoncine che ti perseguiteranno anche nel sonno >> continuai agitando le sopracciglia << Okay Isabella. Lo ammetto! Volevo proteggerti >> si arrese. Abbassai gli occhi per poi scompigliargli i capelli. Non innamorarti di lui. << E’ una cosa nobile da parte tua. Grazie >>.
<< Edward Anthony Masen Cullen, proprietario delle omonime industrie si appresta a diventare l’uomo dell’anno. La sua nuova collaborazione con l’associazione no-profit Lindsay Harley… >>.
Portai gli occhi sulla televisione. C’era la donna dal chihuahua assassino.
<< infatti, Edward Cullen ha impiegato le sue risorse affinché molti dei macchinari medici, che le sue industrie producono, siano inviati nei paesi devastati dalla povertà. Non è la prima volta che… >>.
La sua generosità mi stupiva ogni giorno di più.
<< Sebbene la sua carriera stia subendo una forte ascesa, non si esclude che si sia deciso a metter su famiglia. Infatti, fonti attendibili hanno testimoniato come negli ultimi mesi sia stato avvistato con la stessa donna in più occasioni. Non si sa molto di lei. Sembrerebbe essere molto più giovane del magnate. Tuttavia i suoi rapporti anche con la figlia di quest’ultimo rivelano la solidità di questa nuova coppia >>.
Potevo rimanere basita sentendo una baggianata simile? Rimasi interdetta finché non scoppiai a ridere come una matta. Risi fino ad avere le lacrime agli occhi. Per fortuna Renoir era da sua nonna, altrimenti mi avrebbe scambiata per una squilibrata.
Riacquistai un po’ di contegno e mi alzai per andare a raccontare a Edward la stupidaggine appena udita.
Andai nel suo ufficio ma la sua voce fece bloccare la mia mano chiusa in pugno sospesa in aria. Stava parlando a telefono. Il buonsenso mi consigliò di andarmene e stavo per farlo finché non sentii una frase: << Sandy non puoi dire sul serio. Non è una donna come la definisci tu ma una ragazzina di vent’anni >>.
Il nodo alla gola che occupò il posto della mia allegria mi lasciò senza fiato. Sentii gli occhi pungere. Per lui ero una ragazzina, lo sapevo. Ciò che mi diede fastidio fu il tono in cui lo disse. Per lui non ero una donna. No, non mi sarei mai innamorata di lui!
Che ne pensate? Spero vi sia piaciuto. E’ un capitolo di passaggio. Ciao acalicad.
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Capitolo 10 *** Can't take my eyes of you ***
- Ed eccomi qui! Ritardo molto
più che mostruoso ma questa volta non è stata
colpa mia: la mia connessione internet è snervante e mi ha
abbandonato. Sono ritornata e cercherò di essere
più costante. Che dire… anche in questo capitolo
mi ha aiutato CloeJ. Non posso fare altro che ringraziarla ancora!
- ***
-
- Vi lascio al
capitolo!
- Ero ferma.
- Rigida come un pezzo di
legno.
- I miei dannati piedi non
si decidevano a muoversi. Avrei tanto voluto andarmene, ma il mio
cervello non inviava impulsi al mio corpo.
- Continuava a parlare ma
sinceramente non riuscivo a capire.
- Mi sentivo
ferita.
- Che cosa avevo che non
andava? Perché per lui non ero una donna? Che definizione
dava al termine donna? Okay avevo vent’anni, ero immatura ma
addirittura dire che non ero donna?
- Andai avanti nelle mie
riflessioni finché la porta dello studio si aprì
e la figura di Edward apparve.
- Aveva ancora il telefono
cellulare contro un orecchio e la sua bocca era spalancata.
Probabilmente si era fermato dal rispondere al suo interlocutore per la
mia presenza che lo aveva spiazzato.
- Ero imbarazzata, anche
infastidita e avrei voluto fuggire.
- Mimai delle scuse in
fretta e furia ma la sua voce mi bloccò: <<
Sandy ti richiamo! No, smettila… >> e in un
gesto secco ripose il palmare in tasca.
- Cercai di defilarmi ma
lui, ormai avrei dovuto saperlo da me che non potevo fuggire, mi
rincorse. Non ero arrabbiata, ero semplicemente seccata
<< Isabella! >> mi
richiamò.
- Presi un respiro profondo
e volsi lo sguardo su di lui << Mi dispiace, non volevo
origliare. Volevo dirti una cosa e casualmente ho sentito cosa hai
detto >> mi giustificai.
- Finimmo in
cucina.
- Tra noi due
c’erano due tipi di silenzio, quello fatto di
complicità: dolce e piacevole; poi c’era quel
silenzio quasi asfissiante, formato da tutte le parole che non dicevamo
quasi per paura. E le parole trattenute mi creavano una voragine
dentro. Con lui, solo con lui, sentivo di poter parlare di tutto
indipendentemente dalla differenza d’età che
sembrava dar origine a un solco tra di noi.
- << Che cosa
hai sentito? >> iniziò cauto.
- Io fingevo di possedere
una tranquillità a dir poco singolare. Scrollai le spalle e
presi dal frigorifero una bottiglietta d’acqua
<< Che secondo te non sono una donna >>
balbettai evitando i suoi occhi
- <<
Isabella… >> dal suo tono di voce
trasparì un velo di vergogna.
- Vorrei
vedere se dicessi che lui non è un uomo.
- << Non
preoccuparti. Ammetto di essere un po’ scocciata ma so cosa
intendevi! Cioè… ho imparato a conoscerti e credo
che tu non lo abbia detto con cattiveria. Non credo che con: “non è una
donna” tu abbia voluto denigrarmi o intendessi
un essere umano privo di organi sessuali femminili. Penso ti riferissi
al mio ruolo nella tua vita: sarò sempre la madre di tua
figlia e non una donna per la quale tu potresti provare una qualche
attrazione >> fu una delle poche volte in cui assecondai
la mia mente ed ero un po’ sorpresa da me stessa. Se avessi
dovuto seguire il mio orgoglio ferito, stoviglie volanti
l’avrebbero fatta da padrone.
Cos’è
la storia della mancanza di attrazione?
- Okay, effettivamente mi
sentivo punta o più che altro la mia vanità
irragionevole era lesa, ma lui non doveva saperlo. Non era un suo
problema.
- Tutta la mia
razionalità lo lasciò di stucco. Lo ignorai e
decisi di continuare << Ovviamente ai tuoi occhi non
potrò mai essere una donna. Sono una ragazzina, ne sono
consapevole ma spero di poter diventare una buona madre
>> terminai bevendo un sorso d’acqua. Risi
leggermente << Puoi anche parlare…
>> lo presi in giro.
- Nel frattempo mi sedetti
sul ripiano della cucina.
- Non si poteva dire che non
fosse attraente.
- Non
si può dire che tu non ne sia attratta!
- Si avvicinò a
me tanto che poggiò le mani sull’isola della
cucina, ai lati del mio corpo.
- Mi piaceva pensare che la
nostra eccessiva vicinanza fisica fosse giustificata.
- Ma
in realtà non è affatto motivata.
- Alcune volte capitava che
dimenticassi perché dovevo stargli lontana. In questi casi
la voglia di perdermi nei suoi occhi e nelle sue labbra era tanta.
L’odore della sua pelle era come se mi richiamasse.
- A una spanna dal suo viso,
tentavo di convincermi che fosse normale che volessi individuare la
nota fruttata del suo alito << Sinceramente non so se sei
una brava madre, non so neanche se io sono un bravo padre ma
tu… tu rendi felice Renoir. Non osserva nessuno come guarda
te, non sorride a nessuno come ride a te. Solo per te ha inventato
nuovi sguardi ed espressioni. Per me questo basta >>
sorrisi commossa. Vorrei
tanto abbracciarti! Mi rendi più volubile del solito.
- << Grazie
>> risposi semplicemente.
- Restammo in silenzio.
Vicini con il corpo ma lontani con la mente << Per quanto
riguarda la donna con cui stavo parlando… >>
puntai subito gli occhi su di lui. Mi ero irrigidita per la fitta che
mi aveva colpito al cuore. Perché poi? Non riuscivo a
decifrare la sensazione: non l’avevo mai provata prima.
Probabilmente stavo delirando così repressi il mio cuore
impazzito e diedi ascolto alla mente.
- << Edward
con tutto il rispetto ma m’importa di chi frequenti
>>mentii. Infatti, le mie mani cominciarono a sudare. Mi
capitava quando raccontavo bugie, ma non potevo fare altrimenti:
mostrarmi scostante era la scelta migliore.
- << Se senti
che con questa persona ci possa essere un legame solido e la vuoi far
conoscere a Renoir per me va bene. Mi fido di te! >> fu
strano anche per me fare l’ultima affermazione. Raramente mi
fidavo delle persone.
- << Ti fidi
di me? >> chiese come se non fosse possibile. Sorrisi
imbarazzata << Sei il padre di mia figlia. Se non mi fido
di te di chi dovrei farlo? >> sussurrai divertita.
Annuì convinto << Grazie, >>
sembrava davvero stupito << tuttavia non è
come pensi… >> continuò. Alzai le
spalle << Edward, io credo sia più importante
che tu sappia che circolano determinate voci su noi due
>> lo interruppi seria. Mi guardò come se ne
fosse a conoscenza << Lo so. Spero a te non crei nessun
problema. L’unica strada che possiamo intraprendere
è quella del non dare né conferme né
smentite. Vorrei evitare che Renoir abbia dei problemi >>
spiegò. Aggrottai le sopracciglia << Non
creerà qualche problema a te? >> chiesi
incerta. Dio! Lui aveva una… come potevo definirla? Una
compagna? Una ragazza? E ora cosa sarebbe successo? Come lo avremmo
detto a Renoir? E perché m’irritava a morte che
non me lo avesse detto prima? Se non avessi sentito la sua
conversazione quando si sarebbe degnato a informarmi?
- << No. Non
permetto a nessuno di aver da ridire sulla mia famiglia
>> dichiarò. Strabuzzai gli occhi sorpresa. Sbaglio o hai appena detto che
faccio parte della tua famiglia?
- Non resistetti
più che la mia mano partì e si posò
sul suo viso. Perché mi piaceva tanto poterlo toccare? Era
quasi come se fosse naturale, come se la sua pelle sulla mia fosse
familiare.
- Chiuse gli occhi, ne
baciò il polso e le andò incontro con il capo. Sei così bello e non
solo fuori. Dentro lo sei ancor di più.
- << Non credo
esistano uomini come te >> gracchiai quasi con paura
<< Lo devo prendere come un complimento? >>
scherzò. Il suo sorriso mi avrebbe fatto impazzire. Era
possibile che Renoir gli somigliasse? Che rivedessi in lui, mia figlia?
<< Sei speciale, Edward. Un po’ irritante ma
tutti abbiamo dei difetti… però in pochi hanno il
pregio di essere speciali >> ammisi.
- Ero certa che se mi fossi
riflessa su uno specchio avrei scoperto i miei occhi a brillare. Solo
con lui e mia figlia gli occhi mi brillavano.
- Riaprì gli
occhi << E’ la seconda cosa più
bella che mi abbiano mai detto >> rivelò
dolcemente. Mi venne la pelle d’oca. Era l’effetto
che mi faceva sentire la sua voce << Qual è la
prima? >> domandai curiosa << Sentire
chiamarmi da Renoir “papà”
>> tremai. Ogni parte del mio corpo lo fece. Il mio cuore
sussultò emozionato.
- Ancora una volta non potei
trattenermi. Lo abbracciai. Forse lo stritolai eccessivamente ma me ne
curai.
- Tenevo le braccia attorno
al suo collo e le ginocchia a contatto con i suoi fianchi.
Ricambiò la stretta attorno al mio corpo e per un istante mi
parve che non volesse più lasciarmi andare <<
Sai penso… credo di volerti bene >> squittii
intimorita. << Anzi… sono certa di volerti
bene! >> esclamai più sicura.
- Si scostò
leggermente per poggiare la fronte sulla mia. Sospirò
pesantemente come se si stesse frenando, poi…
- Ti
ha appena guardato le labbra!
- La cosa era reciproca. La
sua bocca concentrava su di sé tutta la mia attenzione
<< Te ne voglio anch’io Isabella
>> confermò.
- Perché mi
sembrava che si fosse avvicinato? Perché la presa su di lui
si era intensificata?
- Il nostri corpi sembravano
volessero fondersi << Tu e Renoir avete gli occhi
più belli che abbia mai visto, >> il rossore
sul mio viso si ripresentò << prima quando
guardavo nostra figlia, vedevo solo lei. Adesso ritrovo anche te
>> continuò.
- Era la seconda cosa
più bella che mi avessero mai detto.
- Cercavo con tutte le mie
forze di razionalizzare l’intera situazione. Non ci stavo
capendo nulla. E lui doveva iniziare a porre una certa coerenza tra
gesti e parole.
Almeno uno dei due doveva essere logico. Non poteva dirmi che non ero
una donna e di conseguenza che non avrebbe mai provato nessuna
attrazione nei miei confronti per poi avvicinarsi così. Mi
confondeva! Oltre a farmi venire l’emicrania.
- << Siamo
amici >> costatai provando a salvarmi.
Però non
ti stai allontanando. Fatti una domanda Bella!
- Asserimmo col capo come se
volessimo dare maggior veridicità alla mia esclamazione. E tu non sarai mai attratto da
me!
- Perché la
consapevolezza mi rattristava? Faceva male. Bruciava.
- La sua mano
andò a finire sul mio capo quando mi scostò
capelli dal volto. Lo trovai un atto fortemente intimo ma mi piacque
proprio per questo.
- Poi sempre impertinente,
la sua mano, si addentrò tra i miei capelli. Se avessi
dovuto rappresentarlo con un aggettivo, avrei detto dolce eppure in
quel gesto c’era un pizzico di… come potevo
definirlo? Rude forse. Ormai la mia salivazione era andata a farsi
benedire così come il mio cuore, che non smetteva di
singhiozzare furioso, e le mie gambe che nonostante le sentissi poco e
niente continuavano ad arpionare il suo corpo. Era sbagliato che
volessi che facesse qualcosa. Puoi
anche mandarmi a quel paese ma ti prego! L’ansia mi uccide!
<< Mi piace l’odore della tua pelle
>> confessò. Non sai quante cose io adori di
te. << Grazie >> balbettai
lusingata. Continuò a sospirare e con l’altra mano
libera disegnò il contorno della mia bocca. Si
soffermò sul labbro superiore: quello più sottile
e meno perfetto e lo strinse tra le dite << Che stai
facendo? >> frusciai. Rise come fosse frustrato
<< Non lo so! >> mi confidò
forse in imbarazzo << E’ sbagliato
>> appurai intristita << Lo so!
>> disse lui. Allora
perché continui a farlo?
Perché
vorrebbe tanto non sentire attrazione per te, come tu non vorresti
sentirla per lui!
- <<
Edward… tu sei tu ed io… forse… siamo
legati da Renoir ed è meglio se continuiamo a considerarci
uniti da quest’unico vincolo >> sentii le
lacrime affiorare. Voglio
un equilibrio per me e per mia figlia e tu incasineresti tutto! <<
Sì, hai ragione! >> per la prima volta in
tutta la mia vita non volevo aver ragione.
- Contrariamente
ciò che disse, mi baciò una guancia.
Io direi che ti ha baciato in modo ambiguo.
<< Se ti dicessi che mi hai scombussolato la vita mi
crederesti? >> bisbigliò a un mio orecchio
<< Sì perché tu hai fatto la stessa
cosa con la mia >> rivelai colpita.
- Avrei voluto piangere.
Sentivo come se fossimo stati perfetti e sbagliati allo stesso tempo.
Perfetti e sbagliati per stare insieme. La vita era ingiusta. Non mi
ero mai innamorata. Non ero innamorata di Edward. Ne ero certa eppure
sapevo che lui avrebbe potuto essere quell’uomo. E chi mai
avrebbe potuto reggere il confronto con lui. Non mi riferivo al fatto
che fosse maledettamente bello. Edward era perfetto ai miei occhi
– tranne che per la sua dote di farmi perdere le staffe- per
il semplice fatto che era il padre di mia figlia. Renoir era il mio
tallone d’Achille ed era così innamorata di
Edward… nessuno avrebbe mai potuto essere paragonato a
lui.
- Ritornò a
guardarmi negli occhi con una scintilla di fermezza.
- Avevo
l’impressione che si fosse avvicinato ulteriormente. Ormai il
nostro quasi contatto lo sentivano anche gli impulsi nervosi sulle mie
labbra. Stammi lontano!
Fermati! Perché io non ne sarò capace!
- << Vorrei
vederti come una bambina >> sussurrò. Io vorrei soltanto vederti come
il padre di mia figlia. Increspai il naso un po’
avvilita << Non sono una bambina e non sono una donna
Edward. Mi basta essere Bella… Isabella per te.
>> sorrisi rassicurante << Sono questa
Edward e per quanto mi ostini a limare certi miei tratti, per quanto
possa cercare di vestirmi da adulta… rimarrò
sempre, almeno ai tuoi occhi, una vent’enne >>
asserii decisa.
- Avere vent’anni
non la reputavo una colpa. Una parte di me si sentiva matura, donna,
rispetto ai miei coetanei. Sulle spalle avevo molte
responsabilità. Università. Lavori a destra e a
manca. E cosa ancor più importante ero madre. Ma non lo
consideravo un peso.
- Renee diceva sempre che
fare la mamma era l’occupazione più difficile al
mondo. Diverse volte, solo quando ero offuscata da chissà
cosa, mi mancava. Essere madre faceva diventare in un sol colpo:
medico, psicologo, cuoco, confidente e tanto altro che non riuscivo a
rammentare.
- Non ero coerente. Vero. Ma
ero un essere umano con emozioni e sentimenti. Avevo bisogno ancora di
tempo per crescere e capire. Forse un giorno avrei riso del mio
carattere così passionale nel difendere le mie idee e non
avrei dato nessun biasimo a Edward per le sue scelte. Forse.
- Il futuro era una grossa
incognita che incombeva sui noi tre. E probabilmente colei che avrebbe
dovuto essere più forte sarebbe stata proprio Renoir. La sua
situazione era diversa da qualsiasi altro bambino << Non
farlo! >> non mi ero ammattita! Era palese che stesse per
baciarmi. Avrei potuto compilare una lista per quanto fosse
sbagliato:
- - Avremmo incasinato
tutto!
- - Vivevamo nello stesso
luogo!
- - Aveva un qualche tipo di
relazione con una donna di nome Sandy!
- E se proprio dovevo essere
frivola… non ricordavo più come si baciava. Okay
sebbene avessi fatto sesso una sola volta, durante
l’adolescenza mi ero comportata come una qualsiasi ragazza
piena d’ormoni. Non ero proprio innocente o almeno la mia
lingua non lo era. In ogni caso erano passati sei anni
dall’ultimo bacio che avevo dato. Sei anni. Sembrava ridicolo
anche a me. In verità non lo avevo fatto per
chissà quale motivo. Non avevo mai avuto tempo; nessuno
aveva attratto la mia attenzione o probabilmente lo scopo di trovare
Renoir non mi aveva permesso di dare la possibilità di
conoscermi a qualcuno.
- Proprio quando pensai che
mi avrebbe baciato, il suo cellulare si mise a squillare.
- Sfacciatamente non si
spostò. Guardandomi negli occhi infilò una
mano nella tasca anteriore dei suoi pantaloni, lo estrasse e
rispose.
- Ero spiazzata. Perché non mi lasci
andare, perché continui a fissarmi?
- L’espressione
che fece mi stranì. Sulle sue labbra c’era una
smorfia astiosa << Che vuol dire…
>> quasi urlò << ma
come… >> annuì un paio di volte
<< non dovevi permetterti! Stiamo arrivando!
>> ordinò << Sì,
verrà anche Isabella. E’ sua madre dannazione!
>> sbraitò facendomi indietreggiare, anche se
la sua mano non si era spostata dalla mia nuca << Esme!
>> esclamò furente. Non aspettò una
risposta che chiuse la chiamata e riportò il cellulare in
tasca.
- << Dobbiamo
andare! >> m’informò serio
sciogliendo l’intreccio dei nostri corpi <<
Dove? >> chiesi preoccupata << A casa dei
miei. Renoir si è chiusa in bagno e non vuole saperne di
uscire. Hanno chiamato perfino un fabbro. Lo stanno aspettando
>> spiegò.
- Mi stupì quando
mi afferrò per mano, ma non gli diedi troppa importanza,
impegnata com’ero a sapere di più <<
Ma perché? >> strepitai in ansia.
- Non parlò
finché non salimmo nella sua auto e partì. Mi
osservò indeciso ma anche arrabbiato. Sapevo che non lo era
con me eppure era sgradevole vederlo in quelle condizioni.
Sbuffò stringendo le mani attorno al volante
<< Ha sentito dire a Esme che tu…
>> s’interruppe. La sua voce aveva assunto una
nota così amareggiata da addolorarmi << Per
favore continua! >> supplicai tremante <<
Ha sentito dire che tu l’hai abbandonata. E’ corsa
a chiudersi in bagno e l’hanno sentita piangere
>> contemporaneamente a quelle parole, premette il piede
sull’acceleratore. L’alta velocità mi
aveva sempre spaventato ma in quel momento era necessario che corresse.
La faccia che feci doveva essere un misto tra choc e
l’incazzatura. Non riuscivo a credere che avesse parlato di
me in quei termini con Renoir nelle vicinanze.
- Strinsi le labbra fra loro
per evitare di dir qualcosa di offensivo <<
Isabella… >> mi chiamò
<< Posso parlare con tua madre giusto? >>
risposi come se non lo avessi sentito. Di certo non volevo usarle
violenza, il mio scopo era parlarle semplicemente << Si
certo! >> sostenne << Se sarò
fin ad ora molto educata, anche se non vorrei esserlo, è
perché porto troppo rispetto a te e a Renoir oltre al non
voler essere come lei >> ma dentro ero
arrabbiatissima.
- In un primo momento avevo
perfino pensato di afferrarla per i capelli non appena
l’avessi vista. Il pensiero di Renoir chiusa in un bagno a
piangere metteva in secondo piano anche una denuncia per percosse
<< Isabella… >>
ripeté.
- Lo ignorai e continuai a
parlare: << Sappi che non ho mai odiato tua madre,
nonostante gli epiteti poco signorili con cui mi ha apostrofato ho
sempre provato indifferenza nei suoi confronti. Ma adesso... adesso la
disprezzo con tutta me stessa e come non potrei mai detestare qualcun
altro. La considero l’essere più abominevole che
possa esistere. Non aveva nulla da fare se non odiarmi a suo piacimento
ed evitare di parlare a sproposito con Renoir >> aggiunsi
apatica solo in apparenza.
- Arrivammo a casa
Cullen.
- Esme sembrava davvero
afflitta, anche se mi riservò
un’occhiataccia.
- Gran faccia di bronzo! Vuole
avere anche ragione! Non c’è mai fine
al peggio. Carlisle Cullen fu molto più gentile
<< Mi dispiace tanto Isabella >>
mormorò sofferente. Che potevo rispondere? Almeno lui mi
aveva ignorato sin da subito.
- Mi accovacciai di fronte
alla porta del bagno con Edward al mio fianco <<
Farfallina… >> balbettai in ansia e con le
lacrime agli occhi. Riuscivo a sentire i suoi singulti <<
Mammina? >> rispose pianissimo. Cominciai ad avere
l’affanno << Sì amore, sono la mamma
>> confermai << Mammina…
>> frignò. Mi si strinse il cuore
<< Renoir, ti prego apri la porta. Voglio parlarti,
spiegarti cosa hai sentito dire alla nonna >> ancora non
sapevo come avrei fatto. Sentii il rumore dei suoi passi
<< C’è…
c’è anche papà? >>
domandò << Sì, scricciolo, ci sono.
>> s’introdusse lui << Tesoro che
ne dici di farci entrare? >> continuò sulle
spine << Voglio solo la mamma! >>
piagnucolò.
- Sgranai gli occhi
sentendomi in colpa << Va bene. Entrerà solo
la mamma >> propose. Non ci fu risposta.
- Qualche secondo dopo la
serratura si sbloccò. Guardai Edward un po’
impaurita. Sorrise come a darmi coraggio, prese il mio volto tra le
mani e poggio le labbra sulla mia fronte <<
Andrà bene, okay? >> mi rassicurò
<< Grazie >> ricambiai.
- Il bagno in cui Renoir si
era rifugiata, era enorme. Sulle tonalità della terra
cotta.
- Inizialmente rimasi
confusa quando non la vidi finché non udii un lamento
provenire dalla vasca da bagno. Cauta mi avvicinai e la trovai. Era
rannicchiata su se stessa con Elle stretta al petto <<
Mammina! >> biascicò con gli occhi rossi. Mi
si bloccò il respiro. Non aspettai un attimo che entrai
nella vasca e la attirai a me << Amore mio
>> non potei evitare di piangere. Mi abbracciò
infilando il viso nell’incavo del mio collo <<
Non la voglio più vedere! >> ordinò
adirata << Di chi stai parlando? >>
cominciai ad accarezzarle i capelli per farla rilassare
<< Della nonna! >> strillò
<< Lei… ha detto che tu non mi vuoi
bene… >> tirò su col naso mentre
sentivo la pelle bagnata dalle sue lacrime << Non
è vero! Lo giuro farfallina. Io ti amo tanto. Più
della mia stessa vita! >> obbiettai << Lo
so mammina! La nonna ha detto una bugia. Papi dice che non si devono
dire le bugie >> replicò.
- Non sapevo cosa dire. Non
ero così perfetta da poterle dire qualcosa a favore di
quella donna. Almeno non per il momento. Lei aveva fatto piangere mia
figlia. Ci avrebbe pensato Edward.
- Le baciai una spalla
<< Cos’altro hai sentito? >>
continuai risoluta << Mamma che… che vuol dire
abbandonare? >> mi pietrificai <<
Io… >> incespicai senza voce <<
La nonna ha detto che tu mi hai abbandonato >> mi diede
il colpo di grazia << Abbandonare
significa andar via
>> forse era il significato meno doloroso che
potessi dare a questo termine.
- Stette in silenzio
aspettando che continuassi << Renoir… io non
ho mai voluto andar via >> ma ho dovuto <<
E… >> cosa c’era da dire per non
ferirla << Sono cose da grandi non è vero?
>> mi scappò una risata isterica
<< Già… >> borbottai
sperando che capisse << Lo zio Jasper me lo dice sempre
>> precisò.
- Dopo vari minuti si
staccò per potermi guardare negli occhi.
- Era orribile vederla
piangere.
- Passai le dita sulle sue
guancie per far sparire le lacrime che le rigavano << Non
piangere! >> la pregai. Mi accarezzò
raccogliendo anche lei le mie lacrime << Neanche tu!
>> replicò imbronciata <<
Se… se sei triste, sono triste anch’io…
poi tante fatine stanno male >> chiarì a
sguardo basso << Ti voglio bene farfallina!
>> esclamai sincera. Intravidi il suo sorriso e fu
bellissimo.
- Se la vita avesse avuto un
volto, sarebbe stato quello di Renoir <<
Anch’io ti voglio bene mammina >>.
Edward ci trovò strette l’una all’altra
mentre le raccontavo una favola inventata sul momento <<
Dovresti entrare anche tu nella nostra scialuppa >>
consigliai per alleggerire l’atmosfera << Ci
sono dei pirati all’orizzonte? >> mi
supportò. Tuttavia il suo volto angelico era segnato da una
ruga sulla fronte, un miscuglio di rabbia e tristezza <<
Oh no! Un bellissimo gentiluomo ci sta parlando >> lo
beffeggiai. Peccato che non mi resi conto della gaffe. Lo avevo
definito bellissimo. L’imbarazzo durò poco. Era un
dato di fatto che fosse particolarmente bello, non c’era
nessun motivo per vergognarmi di ciò che avevo
detto.
- Brava Bella! Già che
ci sei perché non gli dici esplicitamente di esserne
attratta?
- Sorrise tra il sorpreso e
il compiaciuto. Non lo capivo. Sapeva di essere bello, che cosa
cambiava se glielo dicevo io o qualcun altro?
- Non entrò nella
vasca o meglio si sedette sul bordo. Renoir gli andò
incontro e lui dolcemente la issò sulle sue gambe. Era
un’immagine così tenera e trasmetteva un pizzico
di speranza che non guastava << Ne vuoi parlare?
>> le chiese baciandole una tempia. Amavo che le desse la
possibilità di scelta. Lei scosse il capo con un velo di
cocciutaggine a contornarle i lineamenti << Sono
arrabbiata con la nonna! >> squittii.
- Evitai il suo sguardo
palesemente colmo di sorpresa.
- Ciononostante con le sue
parole rammentai di ciò che dovevo fare con la nonna. Avrei
colto due piccioni con una fava perché volevo lasciare
spazio a Edward di parlarle Esme.
- <<
Farfallina, vado a bere un bicchier d’acqua >>
mentii alzandomi in piedi.
- Con gli occhi feci capire
a lui le mie intenzioni e sperai che percepisse anche la mia promessa
di non fare niente di sciocco.
- Data la situazione, non
avevo neanche notato l’abitazione.
- Sembrava pronta per essere
fotografata da una rivista di case moderne. Nonostante i suoi residenti
dalle personalità abbastanza discutibili –almeno
per ciò che avevano dimostrato a me- si respirava
un’aria di calore. Si sentiva che era vissuta.
- Tanto era grande che a
stento seppi orientarmi, ma alla fine riuscii a trovare la causa del
mio rancore. Esme Cullen era seduta nel dondolo sul portico. Aveva lo
sguardo perso nell’orizzonte. Appariva assai angosciata
però manteneva quell’aria di finta
superiorità che l’aveva sempre
caratterizzata.
- Con la coda
dell’occhio si accorse della mia presenza <<
Che cosa vuoi? >> sbottò da vera maleducata.
Non mi lasciai scalfire << Le devo parlare
>> sostenni con un tono apposto al suo <<
Io non ho niente da dirti! >> mi contestò.
Voleva essere dura? L’avrei imitata con la sola eccezione che
io sarei stata anche educata << Infatti, lei non deve
parlare. Deve solo ascoltare >> ribattei.
- Mi fulminò con
gli occhi.
- Lo presi come un
incitamento.
- Non mi preoccupai neanche
di accomodarmi.
- Volevo essere diretta e
quanto più concisa possibile << Sono io la
madre di Renoir. Non discuto le mie scelte passate ma adesso ci sono.
Edward, suo padre, me l’ha permesso. Non voglio cambiare la
sua opinione nei miei riguardi e francamente non me ne importa. Se
vuole continuare a odiarmi faccia pure ma così mi da solo
importanza. Voglio anzi pretendo che lei eviti determinati commenti con
Renoir. Se non se ne fosse resa conto è una faccenda
delicatissima. Non le chiedo di farlo per me ma per sua nipote. La sua
leggerezza le ha dato solo un enorme dispiacere. Lei è
madre! >>.
- In macchina non volava una
mosca. Renoir si mise sul sedile anteriore con me, sulle mie gambe. Non
sapevo cosa le avesse detto suo padre e non volevo chiederglielo. Il
suo morale sembrava essere migliorato un pochino, ma in fondo era
ancora triste. Mi dispiacque un po’ che non avesse salutato
la nonna e rimase avvinghiata a me, ma Esme se l’era cercata.
Edward le disse di darle un po’ di tempo.
- Esme era fondamentale
nella vita di Renoir. Lei me ne parlava sempre come una donna
eccezionale e amorevole. La piccola amava Esme e la cosa era reciproca.
Una nonna era pur sempre una nonna, una figura importante nella vita di
un bambino. Mia nonna Marie era il primo ricordo che associavo alla
parola "famiglia".
- Aveva solo bisogno di
metabolizzare l’accaduto ma tra qualche ora o giorno le avrei
parlato. Non lo avrei fatto per Esme ma per mia figlia.
- Perfino quando entrammo in
casa, volle che la tenessi fra le braccia. Aveva le gambe attorno al
mio bacino e il viso su una mia spalla << Cosa vi va di
fare? >> ci domandò Edward alle mie spalle per
poi circondarmi la vita con un braccio. Vibrai come sempre ma rimasi
scossa perché non era un gesto che faceva
abitualmente.
- << Credo che
si possa fare un piccolo strappo alla regola e mangiare un
po’ di torta con una pallina di gelato alla vaniglia
>> suggerii sottovoce << Ottima idea!
Allora scricciolo, a te va? >> continuò per
invogliarla a essere più reattiva <<
Sì >> borbottò.
- Io e suo padre ci
guardammo apprensivi ma non dicemmo nulla.
- L’idea di
parlarle si ripresentò e colsi la palla al balzo quando
Edward ci lasciò sole, in cucina, per cambiarsi.
- <<
Farfallina… ti va di fare un discorso da adulti
>> esordii cauta con la paura di aver fatto un passo
più lungo della gamba.
- Nel frattempo uscii la
torta al limone e il gelato dal frigorifero.
- <<
Sì >> gracchiò tentennante
<< Se parliamo della nonna ti dispiace? >>
dichiarai disponendo tre piattini sul bancone
dell’isola.
- Fingendo di essere
impegnata in qualcos’altro, avrei evitato di farla sentire in
obbligo o almeno era questo il mio piano.
- Di sottecchi notai la sua
espressione imbronciata << Io non voglio parlare della
nonna >> si oppose << Okay, non parliamo
della nonna >> speravo che la tanto decantata psicologia inversa
mi fosse d’aiuto. Dopo un attimo di silenzio si decise a
parlare << Ma cosa volevi dirmi? >>
s’interessò. Bingo!
Lasciai le mie faccende e mi sedetti sullo sgabello adiacente al suo
<< Piccola… sai cosa vuol dire essere umani?
Che spesso sbagliamo. Nella vita si sbaglia spesso, anche se non si
dovrebbe. Tutti ogni giorno sbagliamo. Non sai quanti errori ho fatto
io e quando sarai più grande, sbaglierai anche tu senza
volerlo. E’ così che si cresce: rimediando ai
propri errori. Oggi la nonna ha sbagliato ma questo non vuol dire che
sia una persona cattiva. Ha avuto una piccola svista ma ti vuole bene
come gliene vuoi tu. E noi come esseri umani abbiamo il grande dono di
saper perdonare. Di tendere la mano alla persona che ha sbagliato e
dirle che le diamo un’altra possibilità.
>> mi torturai le labbra con i denti nella speranza che
la mia esposizione fosse stata chiara.
- La sua mimica facciale mi
comunicò che l’avevo confusa <<
Mami… non ho capito quasi niente >> mi
confidò imbarazzata. Le strinsi la mano addolcita
<< Cos’è che hai capito?
>> chiesi. Corrugò le labbra sporgendole in
avanti. Un suo tratto tipico.
- << Che la
nonna ha sbagliato… e che non è cattiva, che mi
vuole bene e che la devo perdonare? >> parlò
incerta. Sorrisi ammirata << Giusto tesoro mio!
>> mi congratulai << Ma la nonna
perché ha detto che non mi vuoi bene? >>
piagnucolò. Alzai le spalle << Ha fatto uno
sbaglio cucciola >> non ci avrei mai creduto se mi
avessero detto che prima o poi avrei difeso Esme Cullen. Colei che mi
aveva definito sgualdrinella da quattro soldi. Assurdo!
- Sbuffò
scostandosi i capelli dal volto << Sono stata cattiva con
la nonna? >> m’interrogò
<< No, amore! Hai avuto bisogno di pensare. Non ti sei
comportata male! >> si era limitata a chiudersi in bagno
senza urlare o altro e quando eravamo andati via era rimasta in
silenzio. Era stata molto matura! E mi aveva stupito molto.
- Dopo qualche ora ci
trovammo in bagno per Renoir. Era uno dei momenti che preferivo in
assoluto. Ed era la prima volta che Edward ed io condividevamo questo
frangente. Era così carina tutta bagnata e coperta qua e
là di schiuma.
- Io e lui eravamo seduti su
degli sgabelli mentre nostra figlia giocava con una paperella.
- << Ehi!
>> si lamentò divertito quando Renoir lo
schizzò intenzionalmente. Quanto mi piaceva nei panni di
padre! Lo adoravo! Faceva facce buffe per divertirci e…
l’avrei mangiato di baci.
- Ridacchiai beffeggiandolo.
Indispettito, raccolse della schiuma e me la spiaccicò sui
capelli. Scoppiammo a ridere << Antipatico!
>> finsi di essere offesa << Oh
bé… se me lo dici con quella faccia
>> mi canzonò. Gli feci una linguaccia e
continuai a insaponare i capelli di Renoir. In tutta risposta si
portò una mano sul cuore << Così mi
ferisci Isabella! >> affermò con gli occhi da
cane bastonato << Ma smettila! >> trillai
dandogli una spallata, contemporaneamente Renoir lo bagnò
ancora. Alzò le mani in segno di resa << Okay,
okay! Sbrighiamoci se non vogliamo che qualcuno si raffreddi
>> decise.
- Fu la volta di asciugarle
i capelli. Ancora una volta Edward rimase con noi. Tutti e tre sul
letto della piccola << Mami… papi…
dormiamo insieme? >> mi bloccai spiazzata e il mio
sguardo corse a Edward. Aveva avuto la mia stessa reazione
<< Amore non è possibile >> fui
io a parlare << Perché? Ti prego mamma! Per
favore… >> sporse il labbro come se fosse sul
punto di piangere. Ormai avevo imparato che era una piccola tattica di
una bambina che non accettava i rifiuti << Scricciolo,
>> tentò Edward << facciamo una
cosa! Adesso mettiti sotto le coperte ed io e la mamma andiamo a
prendere Elle che è rimasta al piano di sotto
>> annunciò << Perché
non possiamo dormire insieme? >> non si lasciò
sviare. Era una situazione alquanto imbarazzante << Ne
riparliamo. Ora fila a letto >> mi salvò suo
padre.
- << Cosa
c’è da discutere? >> bisbigliai
quando fummo in corridoio << Isabella… so che
non dovremmo farlo ma almeno per questa sera ha bisogno di sentirsi
protetta. Questo pomeriggio Esme per poco non ha demolito le sue
certezze >> eh? Vuole davvero assecondarla?
<< Edward non dirmi che non hai compreso che il suo
desiderio è vederci insieme come coppia. >>
persi la pazienza << Nostra figlia è
machiavellica. Il suo cervello lavora il doppio di un normale cervello
di una bimba di sei anni. E mi dispiace dirtelo ma anche di tutto
ciò che è accaduto questo pomeriggio non hai
capito niente! Esme non ha minimamente scalfito le sue convinzioni, se
così fosse stato, non sarebbe stata arrabbiata con lei ma
con me. Renoir è rimasta ferita perché non si
aspettava che sua dolcenonna fosse capace di dire una cosa del genere
>> gli feci notare forse con aria da saccente. Ti prego non guardarmi come se
fossi caduto dal pero. << Sono un cretino!
>> affermò sconcertato. Sghignazzai in parte
disorientata dalla sua capacità di farmi cambiare umore
<< No, non lo sei. Sei solo un maschio >>
scherzai per stemperare la tensione. Per comprendere le mie parole ci
mise un minuto intero << Ehi! >>
brontolò scompigliandomi i capelli << La tua
ironia è più vispa del solito >>
notò arcuando un sopracciglio.
- Mi sistemai i capelli
<< Edward, seriamente, se noi dormissimo insieme Renoir
potrebbe illudersi. E’ normale che voglia che la sua mamma e
il suo papà stiano insieme >> ritornai
coscienziosa << Hai ragione… che ne dici di
sdraiarci al suo fianco finché non si
addormenterà e spiegandole che non rimarremo con lei
>> trovai la sua soluzione, la giusta via di
mezzo.
- Renoir dovette
accontentarsi della nostra scelta. La nostra scusa fu che il letto era
troppo piccolo per ospitarci tutti e tre, tra l’altro cosa
non vera, e grazie alla stanchezza che provava non cercò
delle soluzione. Pochi istanti tra il calore dei nostri corpo e si
addormentò. La sua giornata era stata davvero pesante.
Tuttavia non smisi di massaggiarle i capelli, anche Edward di tanto in
tanto le baciava qualche parte del corpo << Isabella
>> bisbigliò per non disturbare il sonno della
bambina. Riuscivo a scorgere i suoi lineamenti grazie alla piccola
lucina sul comodino << Dimmi! >> lo incitai
<< Ho ascoltato cosa le hai detto in cucina
>> ops! << Abbiamo entrambi il terribile
difetto di origliare >> sdrammatizzai. Rise e me lo
immaginai ad alzare gli occhi al cielo << Ho sbagliato in
qualcosa? >> continuai intimorita <<
No… è che mi hai preso in contropiede. Non mi
aspettavo che difendessi mia madre >> mi
scappò un sorriso << Non ho difeso tua madre.
L’ho fatto per lei. E’ una bimba speciale. Io alla
sua età non mi sarei mai comportata come ha fatto lei
>> sogghignai << Che bambina eri?
>> perché
vuoi saperlo? Mi aveva colto alla sprovvista
<< Ehm… come una qualsiasi bambina
>> tagliai corto << Non credi di
generalizzare? >> mi schernì. Non mi aspettavo che mi
domandassi che persona ero! <<
Bè… ero una sperimentatrice. Le mie azioni e
reazioni erano spropositate. Sono sempre stata esagerata soprattutto
quando non ero consapevole dei miei atteggiamenti, poi con
l’età sono riuscita a frenarmi almeno in
apparenza. Sono sempre stata un fiume in piena. Semplicemente non mi
dimostravo tale di fronte agli adulti. Con i miei genitori ero composta
e sapevo elencare quale posata serviva per ogni portata, con i miei
amici ero quella che si metteva a ballare sul tettuccio di un'auto
>> avevo dei bei ricordi della mia adolescenza, almeno
prima che rimanessi incinta << Ballavi sulle auto?
>> domandò incredulo <<
Sì ovviamente non erano in movimento, ma non sono mai stato
tipo da droghe o alcool. Io mi ubriacavo con le mie pazzie.
Uhm… credo sia stata mia nonna a trasmettermi questa
esuberanza. Tu che ragazzo eri? >> rigirai la domanda
<< Normale. Anche la mia famiglia ha voluto che avessi
un’istruzione solida così come
l’educazione. Ero diviso tra sport, studio e ragazze. Non
sono mai stato snob e neanche cambiavo ragazza con la stessa
facilità con cui si toglie la biancheria intima. Un comune
ragazzo. >> mi sembrava la notte delle rivelazioni
<< Sai… ho pensato che fossi stato un casanova
>> confessai << Ho sempre fatto sesso come
un qualsiasi altro ragazzo né più né
meno. Ho avuto anche un paio di ragazze >>
precisò << Io non ho mai avuto un ragazzo. Ne
eri innamorato? >>.
- << No, non
credo di aver amato una donna almeno non come mio padre ama mia madre o
Jasper ama Alice. Credevo fossi stata fidanzata con il padre naturale
di Renoir >>.
- << No. Lucas
era un caro amico, un compagno d’esperienze ma non lo amavo.
Non mi sono mai innamorata. Sai… Renoir ha il suo stesso
colore di capelli. Quella notte, quando ho deciso di fare sesso con lui
sapevo quel che facevo. Non ero ubriaca e tantomeno mi ha costretto a
far qualcosa che non volevo. Era la prima volta di entrambi
ma… non appena superammo i baci qualcosa tra noi due, si
spezzò. Edward… è stato davvero
orribile! Non tanto perché fu in uno sgabuzzino o il dolore,
non sono mai stata una persona eccessivamente romantica. Mi piacciono
le carinerie ma il troppo storpia. Sono dell’idea che importa
con chi fai l’amore e non da quanti petali di rosa sei
circondata. Tuttavia mi sono sentita fuori posto >>
rivissi quella sera e tremai << Adesso penserai:
“Perché
hai fatto se non lo amavi?”. >> lo
scimmiottai << Innanzitutto perché volevo
farlo. Lucas non era uno sconosciuto e mi fidavo di lui per compiere
questo passo. Quella notte non fu niente paragonata a ciò
che patii dopo il parto. Edward, quando ti privano del diritto di
scegliere della tua vita e di quella di tua figlia è come se
ti annullassero come persona… >> dovetti
fermarmi per schiarirmi la voce, avevo un grosso nodo in gola
<< Continua per favore >>
m’incoraggiò.
- Presi un respiro profondo
<< Era come se fossi a lutto. Sentivo lo stesso dolore.
Non per Renoir, nonostante non fossi in me, pregavo ogni notte
affinché fosse felice ed ero rincuorata dal sapere
dall’assistente sociale che stava bene. Ero io a sentirmi
morta. Probabilmente sentirsi estinti è ben peggiore che
esserlo per davvero. Se il tuo cuore smette di battere, non avverti
nulla. Invece se ti senti morto, dentro, nell’animo
è come se vivessi in bilico. Respiri perché
è un dovere e non un diritto. Alcune notti mi svegliavo e mi
portavo una mano sul petto per ascoltarne il battito. So che
è insensato ma per me le palpitazioni cardiache cozzavano
con il vuoto che avevo dentro >> un singulto mi
scappò dalla bocca.
- I fantasmi del mio passato
nel giro di pochi minuti si erano ripresentati << Mi
dispiace tanto Isabella. Non ho idea di quel che hai passato ma ti sono
vicino >> cercò di confortarmi.
- Poco dopo, nel buio della
notte, riconobbi il suo tocco rovente della sua mano sul mio viso.
Asciugò le piccole lacrime sfuggite al mio controllo
<< Odio frignare! >> boccheggiai. Non credi
che sia il momento di rivelare il piccolo segreto?
<< C’è una cosa che devo dirti!
>> dissi tormentata e riacquistando un po’ di
selfcontrol << Non credo che tu ne sia a conoscenza.
Charlie ha sborsato una fortuna affinché la faccenda non
trapelasse >> la sua carezza s’interruppe ma
non spostò la mano << Di che stai parlando?
>> il suo tono divenne grave. Rilasciai uno sbuffo
<< Circa un anno dopo il parto.
All’approssimarsi del suo compleanno…
>>ho paura che tu possa odiarmi perché non te
l’ho detto prima! << ho avuto una gravidanza
isterica con il conseguente crollo nervoso. >> attesi con
panico la sua sfuriata.
- Trascorse fin troppo tempo
e non esalò nessun suono. Percepivo la rigidità
del suo corpo e avevo paura << Dì qualcosa
>> supplicai.
- Qualche istante e il
movimento della sua mano sui miei capelli riprese <<
Puoi… puoi spiegarmi tutto per filo e per segno?
>> mi parve angosciato << Edward, ho fatto
i giusti controlli. Se fossi stata sicura di avere qualche problema di
salute trasmettibile a Renoir, te lo avrei detto. Non volevo
nascondertelo è che la considero una cosa mia e non ero
pronta a farne parola con qualcuno >> mi discolpai. Spero che tu possa
capirmi!
- << Isabella
per cortesia, dimmi che cosa è accaduto! >>
richiese. << Dopo il parto mi sono rifiutata di andare da
uno psicologo per elaborare l’evento. Ho cominciato a covare
tanti di quei pensieri ma Charlie e Renee credevano che stessi bene. Io
fingevo di star bene. A ridosso del primo compleanno di Renoir,
probabilmente per lo stress, il mio corpo mi ha tradito. Il mio ciclo
mestruale si era bloccato, avevo le nausee e, anche se non avevo avuto
dei rapporti sessuali, la mia mente partorì l’idea
che fossi incinta. Ero in pieno esaurimento nervoso. Toccai il fondo
quando Renee - accortasi delle mie stranezze- mi disse chiaramente che
non ero incinta. Reagii male. Mi misi a urlare, a dirle che era una
bugiarda e che la odiavo >> era la prima volta che ne
parlavo ad alta voce e soprattutto con qualcuno cui tenevo
<< Mi portarono in un clinica psichiatrica. Francamente
ricordo solo che distava da New York quattro ore. Loro fecero tutto
affinché nessuno sapesse. Il mio soggiorno durò
un mese. Certamente mi è servito ma non è stato
bello essere imbottita di farmaci né parlare con uno
sconosciuto di tutta la mia vita compresa di Renoir. Non ho dei bei
ricordi di quei trenta giorni. >> conclusi sollevata che
non avessi più scheletri nell’armadio da
occultare.
- << Mi odi?
>> domandai in ansia << No, Isabella. Non
ne ero a conoscenza, sebbene abbia fatto delle ricerche su di te.
>> sapere che non era arrabbiato mi
tranquillizzò ulteriormente << Come ti ho
detto, Charlie ha pagato profumatamente il direttore del centro per
cancellare ogni traccia del mio passaggio in quel posto. Cartelle
cliniche e prescrizioni mediche sono divenute carta straccia.
>> forse lo fece per proteggermi o come sospettavo, per
tutelare se stesso. << Se può sollevarti,
farò dei controlli. E’ stato solo crollo nervoso.
Qualche volta prendo degli ansiolitici ma il problema non si
è più ripresentato. Non avrei mai permesso a me
stessa di entrare nella vita di Renoir se fossi stata squilibrata
>> chiarii << Sì Isabella, non
preoccuparti. Ho capito le tue ragioni >>. Grazie Edward.
- << Se non ti
dispiace, possiamo cambiare argomento? >> mi aspettavo di
non riparlare mai più di quel capito della mia vita, almeno
fin quando Renoir non fosse stata abbastanza adulta da apprendere la
verità. << La mia prima volta è
stata in campeggio. Avevo quindici anni e un rametto mi si
piantò in una caviglia >> sembrò
imbarazzato ma apprezzai il suo gesto << Te lo ricorderai
per sempre! >> osservai a disagio. Non sarei mai arrivata
a chiedergli della sua prima volta << Già.
Anche tu! >> rispose <<
Già… >> e ridacchiammo come
stupidi.
- << Edward,
posso permettermi di essere invadente? >> sì,
avevo fatto una domanda stupida! Chi non odiava l’invadenza?
<< Te lo concedo. >> mormorò
<< Mi hai detto che non sei mai stato innamorato.
Perciò anche della tua attuale ragazza non lo sei?
>> per qualche strano motivo volevo saperlo. Che razza di
domande faccio? Non sono affari miei! << Non rispondere!
>> imposi prima che potesse emettere un sol fiato
<< Io non conosco questa donna. E sono la persona meno
indicata per parlar d’amore. Però…
spero che tu sia felice con lei. Te lo meriti. E quando avrai voglia di
parlarne con Renoir, io ti aiuterò a farle capire che non
c’è nulla da temere… >>
presi un respiro profondo << Isabella…
>> s’intromise << Lasciami finire
per cortesia. Ovviamente, se vuoi, le parlerò io stessa sul
fatto che non ha nessun motivo di essere gelosa. Anche se penso che,
non appena ci vedrà, si renderà conto da
sé che tra noi non potrà mai esserci niente.
Anche un cieco lo capirebbe! >> non seppi spiegare da
dove uscì quella precisazione strampalata. In parte era un
tentativo di attaccarmi a degli specchi inesistenti. E…
volevo dimostrare a me stessa che i crampi allo stomaco non
c’entravano nulla con questo nuovo discorso.
- Ero certa che avesse
scorto il rossore sul mio viso << Non ho una relazione
con questa donna! >> eh? << Come prego?
>> non capivo << E’ una donna che
conosco da molti anni. Al college ci siamo frequentati ma non ha
funzionato e ora siamo solo amici, non ho la minima intenzione di avere
una storia con lei >> oh… perché
l’idea che fosse solo sesso mi sollevava? <<
Scusa ma lei sa che tu la consideri solo un tenervi compagnia?
>> come si poteva avere una relazione di solo sesso?
<< Sì perché? >>
s’incuriosì <<
Bè… se avete una relazione prettamente sessuale,
non capisco perché sia gelosa di me. >>
convenni << Ehm… credo sia nella sua indole.
>> rispose incoerente << E hai delle altre
donne con cui farti compagnia? >> ormai si era
sbottonato, tanto valeva raccontarmi tutto << No
>> sibilò << Mi auguro che
Renoir non abbia mai conosciuto questa donna e che non lo
farà fintanto che le cose fra voi due non siano
più solide! >> su questo punto non avrei
discusso a meno che non fosse stato pronto ad affrontare una
guerra.
- << Renoir
non conoscerà mai questa donna >> mi
calmai.
- << Va
bene… ora non ti dispiace se ti dico il mio parere, no?
>> proposi pacifica << Vai pure
>> concesse << Okay! Che sia sesso o altro
il fatto che non abbiate rapporti con terze persone dimostra che avete
una relazione. Di conseguenza non ha poi tutti i torti a risentirsi
della mia presenza, soprattutto dalle voci che circolano, salvo che tu
non le abbia chiarito i punti di questa frequentazione. Io credo che
quando si fa sesso o l’amore, in qualsiasi modo si voglia
definire, il nostro corpo si impegni in una tacita promessa con il
corpo dell’altro individuo >> mi sentivo
così sciocca a parlare di un argomento così
sconosciuto a me << Che promessa? >> volle
sapere << Che non sarà di nessun altro almeno
per quel momento >> chiarii.
- Calò il
silenzio in attesa del suo responso finché non sentii la mia
mano - poggiata sul cuscino di Renoir – venir sfiorata. Era
lui! Sempre che non ci siano i fantasmi. Continuò a lambirla
fino a che non prese coraggio e la intrecciò alla sua. Ero
rimasta di sasso in tutto quel lasso di tempo. C’erano anche
i brividi che serpeggiavano lungo la schiena che mi privavano di
qualsiasi logicità. Che
vuol dire?
- Inghiottii la saliva con
difficoltà << La tua capacità di
osservazione è stupefacente >> grazie
<< Isabella… dire che sei una ragazzina non
è mai voluta essere un’offesa. Diciamo che sei
diversa da ogni esponente di sesso femminile che abbia mai incontrato
>> era un complimento? E perché aveva cambiato
argomento? << Diversa? >> probabilmente il
mio leggero fastidio trapelò << In senso
positivo, Isabella. Sei così… strana; divertente;
intelligente; pragmatica; folle; pura e priva di malizia che mi
sorprendi sempre. E credo che tu sia la prima ragazza in assoluto che
riesce a farlo. Poco importa quanto tu possa essere donna o ragazzina.
Sei straordinaria! >> il mio respiro corto era
enfatizzato dal buio e dal silenzio che ci circondava.
- Stritolai la sua
mano.
- Sappiamo che sei una ragazzina.
Ma a quanto pare potresti essere la ragazzina che lui desidera.
- Sei misterioso! Ti sei reso conto che dai sempre
delle risposte che fanno sorgere altre domande?
<< Perché mi dici queste cose?
>> ho
bisogno di risposte! << Forse
perché sono stato contagiato dalla tua schiettezza
>> sì, questo era un complimento. Sbuffai
<< Hai questo modo di fare… che se da una
parte mi fa esasperare dall’altra…
>> farfugliai << ti attrae. So di cosa
parli. Anche tu mi esasperi ma poi mi attrai>>
proseguì per me. Ecco! << E il fatto che tu
sappia cosa penso o che finisci le frasi per me…
>> come posso spiegarti cosa penso? <<
E’ come se ci conoscessimo da sempre >> ancora
una volta mi lesse nel pensiero. E’
anche snervante! <<
Già… pensi sia normale? >> per
favore dimmi che non sono matta! << Non lo so
>> sospirò.
- La voglia di abbracciarlo
era notevole << Siamo così diversi
Edward… >> ormai lui e Renoir si contendevano
i miei pensieri. << Sì, lo so! Ma vorrei tanto
chiarirti un punto. Il fatto che io ti consideri una ragazzina, non
significa che per te non potrei mai provare un qualche tipo di
attrazione. Anzi se mai lo fossi sarebbe per i giusti motivi
>> mi sentivo con le spalle al muro. Hai appena ammesso di essere
attratto da me?
- Ero come una bambina che
aveva appena perso a un gioco. Erano passate poche ore da quando avevo
promesso a me stessa, con serenità, che non mi sarei mai
innamorata di lui. Ora ero sicura che avrei dovuto combattere contro il
mio cuore appoggiando la mia ragionevolezza per non infatuarmi
ulteriormente. E’
facile volerti bene.
- Edward fu il primo ad
addormentarsi. Non lasciò la mia mano e non volli
svegliarlo. Sgusciai via dalla sua presa e da quel letto. Baciai la
fronte a entrambi prima di andar via.
- E nel cuore della notte
attraversai quella porzione di giardino che portava alla dependance e
ritrovai il mio letto.
- Feci una doccia e
dopodiché fu facile prendere sonno.
Mi svegliai alle prime luci dell’alba. Mi sentivo riposata. E
tutta la leggerezza che mi aveva invaso il corpo e soprattutto la
mente, mi permise di elaborare un’idea geniale. Il morale di
Renoir non era dei migliori così avrei fatto di tutto per
farla sorridere.
Avremmo passato la giornata a giocare a twister. Andai nella villa e mi
misi a cucinare tanto di quel cibo da sfamare un esercito.
Ovviamente molti alimenti erano conformi alla nuova dieta di Renoir. Mi
ero permessa di preparare le frittelle per Edward. Accesi la radio e
mentre ballavo agitando il capo qua e là, imbandii la
tavola.
- << Presa!
>> balzai in aria e ugual fine fecero le due mele che
avevo tra le mani. Edward mi aveva afferrato dalla vita!
<< Mi hai spaventata. Credevo dormissi…
>> ansimai.
- Arrossii vedendo le sue
braccia attorno alla mia figura che ancora non mi avevano mollato. E il
mio cuore svolazzò esaltato. Perché non mi lasci
andare?
- << Mi
dispiace ma è stato divertente >> si difese.
Anche lui era cambiato molto dall’uomo che avevo conosciuto.
Adesso sembrava più… giovanile. Non che prima non
lo fosse ma si comportava come un cinquantenne che come un ragazzo di
trent’anni! Sempre rigido e le parole gli dovevano essere
cavate di bocca. Ora invece era più fresco!
- Feci l’insana
scelta di rigirarmi nella sua morsa per vedere il suo volto. Si era
fatto la doccia, lo notavo dalla sua capigliatura umida sulle punte e
il forte odore di bagnoschiuma al muschio. E poi c’erano i
suoi occhi: sembravano ardere tanto erano luminosi <<
Buongiorno >> dichiarò baciandomi una tempia.
Sorrisi senza volerlo << Buongiorno a te >>
ricambiai. Sembrava euforico << Che
c’è? >> chiesi contagiata dal suo
umore << Niente… >> e
sistemò la sua presa su di me. Ancora non ho capito
perché non ti allontani, non che a me dispiaccia.
- Perché sembrava
cambiato? Più aperto e meno frenato. Mi sorrise e per poco
non mi fecero male gli occhi per quanto mi accecò.
- Qualche secondo dopo si
diffuse una melodia. La conoscevo molto bene, era una delle mie canzoni
preferite.
- ***
- And so it is/ Ed
è così
- Just like you said it
would be/ Proprio come tu hai detto che sarebbe stato
- Life goes easy on me/ La
vita è facile per me
- Most of the time/ La
maggior parte del tempo
- And so it is/ Ed
è così
- The shorter
story/ La storia più corta
- No love, no glory/
Né amore né gloria
- No hero in her skies/
Nessun eroe nei suoi cieli
- I can’t take my
eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso
- I can’t take my
eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso
- And so it is/ Ed
è così
- Just like you said it
should be/ Proprio come tu hai detto che sarebbe stato
- We’ll both
forget the breeze/ Dimentichiamo entrambi la brezza
- Most of the time/ La
maggior parte del tempo
- And so it is/ Ed
è così
- The colder water/
L’acqua più fredda
- The blower’s
daughter/ La figlia del vento
- The pupil in denial/
L’alunna del rifiuto
- I can’t take my
eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso
- I can’t take my
eyes of you/ Non posso levarti gli occhi di dosso
- Did I say that I loathe
you?/ Ti ho detto che ti disprezzo?
- Did I say that I want to/
Ti ho detto che voglio
- Leave it all behind/
lasciarmi tutto alle spalle
- I can’t take my
mind of you/ Non posso smettere di pensarti
- I can’t take my
mind of you/ Non posso smettere di pensarti.
- ***
- Senza darmi nessun
preavviso iniziò a muovermi come fossi una bambola di pezza
<< Che stiamo facendo? >> domandai
sorpresa, anche se portai le mani sulle sue spalle << Si
chiama ballare Isabella >> mi punzecchiò
<< Divertente… perché lo stiamo
facendo? >> riprovai. Girammo su noi stessi
<< Perché ci va! >> scoppiai a
ridere. Aveva parlato al plurale come se fosse certo che io volessi
danzare. Scossi il capo imbarazzata << Sappi che mi stai
facendo sentire una nana >> brontolai. Con la fronte
toccavo a malapena la sua trachea.
- Rise anche lui e
d’improvviso mi alzò dal pavimento pareggiando le
nostre altezze.
- Ero molto più
che stupita oltre che imbarazzata. Ogni suo gesto mi lasciava a bocca
aperta << Grazie, >> gli baciai la guancia
<< hai innalzato la mia autostima…
>> affermai giocosa << E’ stato
un piacere >> sussurrò dolce. Perché mi fai
quest’effetto? Lentamente mi fece scendere. Mi
piacque così come la scossa che avvertii. E fece poggiare i
miei piedi sui suoi << Ecco! Ora mi sento una bambina!
>> cinguettai << Sai l’ultima
persona che mi ha fatto ballare in questo modo è stato mio
nonno. Avevo otto anni >> dissi.
- Ridemmo ancora.
- Mi sentivo così
felice… come se potessi scoppiare da un momento
all’altro << Spero che tuo nonno sia stato un
uomo affascinante >> trattenni una risata comprimendo il
viso sul suo torace << Sì… tu me lo
ricordi. Era un vecchietto come te >> lo provocai
facendolo ridere << Oh no… Miss Swan, io non
sono un vecchietto ma un uomo maturo >>
precisò reggendomi il gioco. Arcuai un sopracciglio
<< Mr. Cullen, com’è che una donna
dopo i cinquanta diventa vecchia e un uomo è definito
maturo? >> domandai appena stizzita <<
Questione di punti di vista ma le posso assicurare che per me una donna
non sarà mai vecchia
>> disse l’ultima parola quasi con disprezzo.
Mi piaceva che fosse molto signorile. Però io posso essere
una bambina! << Ne sono lieta
>> ammisi.
- Mi fece fare un giro su me
stessa, mi riportò a sé e ancora mi
issò con il braccio che circondava la mia schiena. Mi
guardò come se volesse ammirare la mia anima
<< Questa mattina sei particolarmente bella. Non che gli
altri giorni tu non lo sia, il blu ti dona notevolmente
>> si riferiva al vestitino che indossavo. Poco importava
il mio abbigliamento, non riuscivo a smettere di pensare alle sue
parole. Davvero per te
sono bellissima? << Ti ringrazio
>> mimai senza fiato << Prego Bella
>> sgranai gli occhi << Mi hai
chiamato… >> era la prima volta! Ero sempre
stata Isabella
per lui.
- Ignorò la mia
reazione e addossò le sue labbra al mio orecchio
<< I can’t take my eyes of you…
can’t take my mind of you… >>
canticchiò la canzone che stavamo ballando. Poggiai la
fronte sulla sua spalla. La quantità sterminata di emozioni
che mi stava investendo era asfissiante ma non in senso negativo.
Sentivo come se tanti spilli mi stessero lacerando
l’epidermide. Non capivo se mi facesse bene o male. Era una
sensazione inconsueta. Nessun uomo prima era riuscito a produrre in me
la metà delle sensazioni che lui mi provocava. Edward, a
differenza mia, era entrato nella mia vita in punta di piedi. Con la
stessa accortezza aveva lambito il mio cuore accedendovi. E ora mi
rendevo conto che era diventato l’uomo più
importante della mia vita << Ti voglio bene
>> dissi spontaneamente. Sentii le sue labbra stendersi
sulla mia pelle. Il suo fiato mi solleticò.
- Lo annusai
<< Hai un profumo così buono…
>> sfregai il naso sulla sua mandibola poi non mi
contenni e gli posai un bacio sul collo. Non c’era malizia
nei nostri gesti forse per questo motivo mi stavo lasciando andare
<< Uomo profumato se non sbaglio >> mi
ricordò.
- Soffocai una risata
<< Nessuno ha un profumo come il tuo >> lo
informai maledicendo tutta la mia spontaneità.
- Ero sull’orlo di
un precipizio e anziché indietreggiare, continuavo a
stuzzicare il margine frastagliato come se non aspettassi altro che
cascare.
- Il nostro pseudo ballo
terminò in pochi istanti. Sentivo una tale armonia scorrere
tra di non ci fu bisogno di parlare. Anche perché non
smettevo di pensare alle sue parole.Non
posso levarti gli occhi di dosso. Non posso smettere di pensarti.
- --------------------------------------------------------------------------------------------------
- Spero vi sia piaciuto. Io trovo
la canzone di Damien Rice meravigliosa: è una delle mie
preferite. Vi consiglio di ascoltarla. Il titolo è
Blower’s daughter! Se vi è piaciuto mi piacerebbe
sentire cosa ne pensate. Un bacio. Acalicad.
|
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Capitolo 11 *** Calore umano ***
Calore umano
- Ciao
ragazze! Sono tornata in fretta! Inanzitutto vi dico una piccola
novita: ogni MERCOLEDI sarò qui con un nuovo capitolo.
Aspettatemi e io sarò costante!
- Per
chi ha letto il precedente capitolo con quell'inpaginazione oscena,
l'ho sistemato. Quindi, se volete, potete rileggerlo con più
calma e senza stress!
- Allora...
come sempre un ringraziamento speciale a CloeJ.
- E
adesso non vi rimane che leggere, spero vi piaccia.
- ********************
- In questi primi giorni di
agosto - in
cui il caldo toccò dei picchi quasi asfissianti- Alice, si
mise in contatto con me per accordarci su quando avremmo fatto la
grigliata. La grigliata
di benvenuto.
- Contemporaneamente
Renoir volle fare
pace con Esme. La resistenza di mia figlia era stata stupefacente. Fu
una vera prova d’orgoglio far penare sua nonna.
Così cogliemmo due piccioni con una fava: mentre mia figlia
avrebbe trascorso il weekend al mare con i nonni, noi avremmo fatto la
grigliata.
- Il
pomeriggio prima del barbecue,
Esme e Carlisle vennero a prenderla. Nel periodo del distacco, Renoir,
non rinunciò a vedere suo nonno e le feste che gli
fece cozzarono con il timido sorriso che rivolse a lei. Non era
più arrabbiata, lo sapevo, però voleva farla
penare un altro po’.
- Prima
che andasse Edward ed io la
abbracciammo baciandola dappertutto << Questa sera prima
di andare a dormire chiamaci che ti auguriamo la buona notte
>> imposi. Annuì sorridente <<
Non dimenticare di lavarti i denti bene e non fare i capricci per
mangiare i dolci, okay? >> continuai << E
in spiaggia non fare esasperare i nonni >>
s’introdusse Edward << Sì va bene
>> disse alzando gli occhi al cielo.
- Carlisle
attirò la nostra
attenzione ridacchiando a differenza della moglie che mi
fulminò << Non preoccupatevi ragazzi! Non
siamo così vecchi da non poter star attenti al nostro
mostriciattolo preferito >> le pizzicò un
fianco facendola urlare.
- << Tesoro,
che ne dici di andare
in macchina? >> propose alla piccola. Il suo era un modo
per lasciarci soli con Esme << Ciao…
>> sventolò la mano in aria per poi mandaci
dei baci.
- Prima
di portare la bimba in auto,
fece qualcosa di sorprendente: mi abbracciò. Non in modo
formale e legnoso, ma con calore quasi soffocandomi << Ti
ringrazio Isabella. Grazie, grazie, grazie! >>
mormorò emozionato. Ero sgomenta. Anche se fu un
comportamento che mi fece piacere, non riuscii a ricambiare la sua
affettuosità nello stesso modo. Mi limitai a dargli
goffamente qualche pacca sulla spalla <<
Prego… >> blaterai.
- Di
certo Esme non fu per
niente felice dell’espansività del marito. Me lo
fece capire da come lo guardò << Mamma, stai
attenta a quel che dici! Esigo che non ci sia una prossima volta!
>> dichiarò duro, quasi mi spaventò
eppure non potei evitare di appoggiarlo. Sospirò angosciata
<< Va bene. Non si ripeterà mai più
>> assicurò algida.
- Bussai
alla porta del suo studio ed
entrai. Lo trovai a capo chino su dei documenti << Ciao
>> fu la prima cosa che mi passò dalla mente
<< Sembri una francesina. Non sapevo ti piacessero
cappelli del genere>> rispose facendomi ridere. Alzai le
spalle << Non mi piacciono i cappelli ma questo cappello!
E’ un Borsalino.
Credo abbia un suo fascino. >>
spiegai poggiandomi allo stipite della porta <<
Sì hai ragione!>> sorrise e il mio cuore
partì. Mi morsi le labbra sperando di non avere
un’espressione sognante sul volto << Mi stavo
chiedendo se volessi venire a fare la spesa per domani o altrimenti
possiamo passare la giornata a parlare di cappelli >>
proposi. Aggrottò la fronte divertito << A
fare la spesa? Potresti chiedere a Madeline >> quanto sei
noioso! << Senti…
perché non
lasciamo in pace quella povera donna e usiamo le nostre gambe? Salvo
che non tu voglia venire, ovvio. >> precisai.
- Si
alzò in piedi a disagio << In
realtà non ricordo quand’è stata
l’ultima volta che sono entrato in un supermercato. Saranno
passati più di dieci anni >> lo guardai
sconcertata << Oh mio Dio! Dobbiamo porre subito rimedio!
>> esclamai con enfasi << Su Mr. Cullen
muova il suo fondoschiena e scopriamo come si sono evoluti i
supermercati in questo decennio >> lo incitai gasata.
Scoppiò in una fragorosa risata << Va bene
Miss Swan, ma mi permette di andare a cambiarmi? >> feci
una radiografia al suo aspetto. Come sempre indossava dei pantaloni e
una camicia e la cravatta era allentata. Non ti rendi conti di quanto tu
sia ammaliante, vero? Se vuoi, posso aiutarti a toglierti i vestiti.
- A
lungo andare era difficile
resistere al suo fascino! << Isabella? Isabella?
>> me lo ritrovai davanti che mi sventolava una mano sul
volto. Devo essermi
rincretinita. Scossi il capo come a riscuotermi
<< Sì certo. Va pure. Io ti aspetto in salotto
>>.
- Forse
il caldo eccessivo stava agendo
sui miei ormoni da vent’enne ma dovetti trattenermi dal
sbavare quando lo vidi in jeans e t-shirt. Dio! Esme e Carlisle hanno
fatto un ottimo lavoro!
- Smettila depravata! Vuoi anche
congratularti con loro?
- << Sicura di
star bene? >> chiese quando
m’incantai per l’ennesima volta ad ammirarlo
<< Sì è colpa della calura estiva
>> mormorai << Sì, in questi
giorni la temperatura si è alzata notevolmente
>> ecco!
Allora non è colpa tua se sento
caldo!
- << Non vedo
l’ora di arrivare al
supermercato, il climatizzatore della dependance si è
rotto… o almeno credo, non sono pratica di queste cose. So
solo sturare i lavandini e occuparmi di elettricità
>> asserii mentre entravo in auto <<
Perché non me lo hai detto? >> mi
rimproverò. Accesi l’aria condizionata e lui
partì << E’ successo questa notte! E
poi me ne occuperò io, è colpa mia se si
è guastato >>.
- Iniziai una lunga
battaglia con
i sedili di pelle, che sembravano volessero farmi diventare parte
integrante di essi.
- << Ti posso
aiutare in qualche modo?
>> mi canzonò. Sbuffai inacidita
<< Ho l’insana voglia di spogliarmi.
L’estate non è tra le mie stagioni preferite
>> sbottai prendendomela con la cintura <<
Quali sono le tue stagioni preferite? >>
domandò curioso << Primavera e autunno
>> sospirai agonizzante << Da un estremo a
un altro! >> costatò stranito <<
Non preoccuparti, non trovo nulla di poetico in un fiore che sboccia o
in un albero che perde le sue foglie, sono le due stagioni in cui non
c’è né troppo caldo né
troppo freddo. Qual è la tua stagione preferita?
>> chiesi a mia volta.
- Ultimamente
mi tempestava di domande
ed io non potevo far altro che rigirarle a lui.
- Così avevo
scoperto tante cose. Aveva frequentato economia a Yale laureandosi con
il massimo dei voti. La sua società era stata creata senza
l’aiuto della sua famiglia facoltosa. Odiava la birra scura
ma amava quella alla spina e preferiva il vino allo champagne. Le
ostriche lo repellevano così come i gamberetti e adorava la
torta alle mele perché era il primo dolce che gli aveva
fatto assaggiare la sua tata da bambino.
- <<
Non ho una stagione
prediletta. Le mie favorite sono le vacanze in generale, non che il mio
lavoro non mi soddisfi, ma ho più tempo da passare con
Renoir >> ogni bambino del mondo avrebbe fatto i salti
mortali per avere un padre come Edward.
- Non
appena entrammo al Wallmart,
rilasciai
un sospiro di gioia. Dalla sua espressione capii che si sentiva a
disagio << Tutto okay? >>
m’informai andando a prendere un carrello <<
Sì. Che dobbiamo fare? >> mi trattenni dal
ridere. Secondo te in
un supermercato cosa si fa? << Devi dirmi
quali carni, salse e dessert preferiscono Jasper e Alice e se mangiano
molto >> nel frattempo estrassi dalla tasca del vestitino
la lista della spesa << Addirittura il dessert?
>> gli diedi una gomitata << Anche se
è casa tua, io ci abito e non vorrei fare bella figura
>> asserii. Mi guardò meravigliato per poi
afferrarmi per le spalle e abbracciarmi affettuosamente
<< Specialmente durante i barbecue mangiamo molto. Alice
è impressionante! Forse ingurgita più cibo di me
e Jasper messi insieme >> sorrisi alla sua spiegazione
<< Ne sono felice, anch’io non mi nascondo
dietro a porzioni striminzite. Siccome anche Jack e Tanya mangiano
molto, dovremmo fare una signora spesa! >>.
- Riempimmo
metà carrello solo al reparto macelleria. Per il dessert
decisi di fare dei sorbetti al limone. Dopo la grigliata dalle
quantità mastodontiche sarebbe stato utile.
- <<
Isabella ti farai
male! >> mi riprese cercando di essere serio. Mi ero
arrampicata su uno scaffale per raggiungere la salsa barbecue
<< Tienimi per cortesia e non accadrà niente.
Mia nonna era molto più liberale di te >>
strepitai. Di punto in bianco mi sollevò prendendomi per la
vita << Presa! >> esultai agitando le
braccia.
- Non mi lasciò
andare che sentii degli schiamazzi
alle nostre spalle. C’era un gruppo di ragazzi che mi stavano
squadrando le gambe << Edward mettimi giù!
>> supplicai rossa di vergogna.
- Lo
fece e mi ritrovai al suo fianco.
- Ciò che mi
stupì fu la durezza del suo sguardo
<< Che succede? >> chiesi non
permettendogli di andare da nessuna parte << Niente!
>> sbuffò acido. Mi superò e fece
male. Per questo lo abbracciai impacciata. Non sapevo neanche il motivo
di una reazione così concitata.
- Poggiai il viso al centro
della sua schiena e vi posai un bacio. Lo colsi alla sprovvista, lo
sentii chiaramente << Sono fatta così Ed! Io
mi arrampico sugli scaffali e ballo sotto la pioggia. Sono fatta
così. Non arrabbiarti… sii più
tollerante! >> balbettai malinconica.
- Restò in
silenzio finché le sue mani non andarono incontro alle mie
strette sul suo stomaco << Non sono arrabbiato
>> bisbigliò dolcemente. Sono triste quando tu non sei
felice!
- <<
Cos’era
quel nomignolo che mi hai affibbiato? >>
domandò appena lo liberai dalla mia presa e tornò
a guardarmi negli occhi. Scrollai le spalle << Non
so… certe volte il tuo nome trasmette la stessa
formalità del mio. Così ho pensato a questa
piccola variante. Se tu non vuoi chiamarmi Bella, affari tuoi. Per me,
nelle occasioni consone, sarai Eddie! >> annunciai
facendogli l’occhiolino. Mi augurai che non credesse che
fossi poco lucida. A parer mio Ed
gli calzava alla perfezione. Edward
era perfetto per il suo ufficio ma per le quattro mura di casa
nostr… cioè sua, Ed era più
familiare.
- Mi fissò
strabiliato << Non fare quella faccia
>> lo rabbonii allegra << Non mi piace!
>> esclamò << Per il momento
suona sgradevole perché non sei abituato a sentirti chiamare
così. Tuttavia io penso che sia rassicurante… io
sono l’unica persona per cui non sarai mai Edward il magnate
ma Eddie il ragazzo normale >> sorrisi euforica e lo
contagiai però non disse nulla.
- <<
E
cos’è questa storia del ballare sotto la pioggia?
>> mi prese per mano e non lo allontanai, mi piacevano le
nostre mani intrecciate << Bè… io
ballo sotto la pioggerellina primaverile o estiva. D’inverno
non l’ho mai fatto perché c’è
troppo freddo. Quando piove porto il naso
all’insù, chiudo gli occhi e ballo sul rumore
delle goccioline d’acqua che mi colpiscono. E’ una
cosa molto rilassante. Dovresti provare, anzi alla prossima pioggia
balleremo insieme giacché ci piace farlo. Terremo Renoir
allo scuro, se lo sapesse vorrebbe farlo e non voglio che si raffreddi
>> ballare sotto la pioggia era sempre stato liberatorio,
spazzava via tutto e ripuliva. In passato mi ero sentita
così sporca che mi mettevo sotto la pioggia con
l’illusione di potermi purificare.
- <<
La tua
eccentricità è sbalorditiva >>
mormorò. Deviai il suo sguardo. La mia autostima, grazie a
lui, stava facendo passi da giganti.
- << Ti
ringrazio. Sai
quand’ero bambina adoravo andare a fare la spesa con i nonni
>> rivelai perdendomi nei ricordi << Mi
mettevo dentro il carrello, mi spingevano ed io urlavo di gioia. Vorrei
che prima dei dieci anni, Renoir conoscesse l’attrattiva di
un grande magazzino >> boccheggiai come
un’invasata << Quando parli dei tuoi nonni, ti
accendi come un albero di natale >>
notò.
- <<
Marie Cornelia Black
e Jacob Arthur Swan. La coppia più squinternata che sia mai
esistita. Sai dovevo chiamarmi Cornelia, lo avrei preferito a Isabella.
Ha un non so che di… raffinatezza e classicità
davvero singolare, ma il nonno ha scelto il mio nome e mi piace proprio
per questo. >> affermai << Che persone
erano? >> domandò. Guardai le nostre mani con
un senso di pace dentro << Avevano circa dodici anni di
differenza. Non erano due persone che si amavano, erano
l’amore stesso. E’ stata quell’esempio di
relazione che raramente si vede nella vita reale. Non so se rendo
l’idea… >> un enorme sorriso mi
contornava le labbra << nonno Jake, come lo chiamava la
nonna, era un amico del fratello di nonna Marie. Lei era stata sempre
innamorata di lui. Così durante una festa gli
dichiarò il suo amore >> dissi sognante
<< Lei si dichiarò a lui? >>
chiese impressionato. Annuii << Nonna Marie era una donna
di polso e coraggiosa. Bellissima: bionda, alta, con gli occhi come i
miei e benché avesse quindici anni, ne dimostrava venti. La
sua fisicità era prorompente ma non volgare. Il nonno era un
uomo bellissimo, dall’aspetto esteriore opposto a quello
della nonna. I suoi tratti erano mediterranei ed era alto due metri o
poco più. Era un uomo che incuteva riverenza, ma in
realtà era un giocherellone. Sai, tengo tanto a questo
cappello perché è suo. Lui lo regalò
alla nonna che a sua volta lo diede a me. Un giorno mi piacerebbe che
giungesse nelle mani di Renoir. La mia famiglia o almeno i miei
genitori non sono stati un modello di magnanimità, i miei
nonni non erano come loro. >> chiarii << E
cosa gli disse? >>
s’interessò.
- Gli
lanciai un’occhiata di
sottecchi << Sicuro di volerlo sapere? >>
lo
sfidai << Sì >> rispose confuso
<< Sicuro, sicuro? >> riprovai dando una
parvenza di serietà << Sì Isabella,
voglio saperlo! >> sbottò esasperato. Repressi
un risolino << Poi non dirmi che non ti avevo avvisato!
>> gli puntai un dito contro << Okay!
>> brontolò sbuffando.
- In uno scatto lo presi
per la t-shirt, lo scaraventai contro uno scaffale per quanto la mia
forza fisica me lo permettesse e addossai il mio corpo al suo, non fui
brusca e tantomeno gli feci male.
- Sgranò gli
occhi allibito
<< Ti ho detto che mia nonna era una donna con carattere.
Immagina che al posto mio ci sia una bionda piena di charme. Non ti
dispiace se parlo come se mi rivolgessi a te, vero? Mi farebbe uno
strano effetto dire determinate cose e usare il nome di mio nonno
>> si limitò a dir di sì col capo
come se non sapesse cosa altro fare. Non ti violento, non ti
preoccupare! << Lo prese in
dispare, lo
schiacciò contro una parete e gli disse: “Edward,
io ti desidero come non ho mai desiderato nessun uomo. Ti
prego…”. >> tentai di camuffare una
risata con un tono languido.
- Mi
parve che fosse entrato in trance.
Mi guardava in modo strano forse per l’esigua distanza che
separava le nostre labbra. Si schiarì la voce e il suo pomo
d’Adamo fece su e giù << Vuoi dirmi
che tua nonna si è dichiarata in questo modo?
>> effettivamente lo stavo prendendo in giro
<< Oh… no! Devo essermi confusa con una soap
opera che Jack mi obbliga a seguire >> mi gustai ogni
istante della sua espressione che cambiava nella consapevolezza del mio
scherzo. Scoppiai in una fragorosa risata << Piccola
bugiarda che non sei altro! >> provai a scappare ma alla
fine mi acchiappò per il bacino e mi scosse come fossi una
piuma << Scusa. Scusa. Non lo faccio più!
>> strillai << Se mi lasci andare ti dico
ciò che è avvenuto! >> promisi con
l’affanno. Lo sentii sorridere e mi lasciò
andare.
- Ritornai in me
<< Okay… pensa a una donna
completamente differente da me! >> ribadii. Mi avvicinai
nuovamente a lui << Lei gli mise una mano sul suo
cuore… >> seguii le mie parole
<< e una mano sul collo… >>
mormorai << lo guardò intensamente…
>> feci ancora un passo in sua direzione e mi misi in
punta di piedi, anche se il divario tra le nostre altezze continuava a
essere immenso.
- Deglutii
a vuoto, il mio battito
cardiaco che diventò frenetico.
- Scattò
l’elettricità fra i nostri corpi.
- Sorrisi
involontariamente << Edward… so di essere
giovane in confronto a te. So di essere volubile. So che il mio cuore
non è una garanzia. Non ti chiedo di amarmi così
dal nulla, ma di darmi la possibilità di dimostrarti che
sono in grado di essere la donna che può starti affianco, di
avere la capacità di maturare con te vicino…
>> sentii la mia pelle incresparsi.
- Per un millesimo di
secondo dimenticai che fossero le parole della nonna al nonno.
- Fui
travolta dalla cupidigia. La
smania di baciarlo mi colpì dritto al petto. Le sue labbra
schiuse non mi aiutavano per nulla << Poi cosa accadde?
>> mi destò. Il mio sguardo saettò
dalla sua bocca ai suoi occhi. Mi sembrò che si fossero
inscuriti.
- Sveglia cretina!
- << Sarebbe
idilliaco dirti che si baciarono, ma non fu
così. Il nonno la allontanò, aveva ventisette
anni… non poteva invaghirsi di una quindicenne, per lui era
troppo giovane. Nonna Marie soffrì molto. Si rincontrarono
qualche anno più tardi. Nonna era cresciuta e lui se ne
innamorò. Il mio bisnonno accettò la loro unione
non perché si amavano ma perché la famiglia Swan
era molto benestante e un anno dopo Charlie era in cantiere.
>> non mi mossi di un centimetro.
-
- Forse
per questo che ti ricorda tanto nonno Jake. Si ostina a respingere
ciò che c’è tra voi due per il
dislivello anagrafico.
- <<
Ehm…
scusate! >> qualcuno tossì per palesare la sua
presenza. Era una donna e sembrava in imbarazzo forse per il nostro
sguardo stralunato << Ho bisogno dei sottaceti dietro di
voi >> squittì. Mi schiarì la voce
e mi discostai da lui << Sì, ci dispiace
>> mi scusai timida.
- << Ci
avrà
scambiato per dei matti >> sottolineai divertita
<< Ultimamente mi sto comportando come un ventenne. Era
da molto che non mi sentivo così…
>> presi l’iniziativa e sfiorai la sua mano con
la mia finché non accolse la mia richiesta muta. Io che tento di essere adulta,
tu che sei risucchiato dalla stravaganza dovuta alla mia
età. Sono ottusa se penso che ci stiamo compensando?
- <<
Ed è una
cosa brutta? >> chiesi curiosa << No
è solo strano! >> ammise <<
Strano bello
o strano brutto?
>> continuai sorridente. Arricciò il naso
indeciso << Strano bello.
>> specificò spensierato.
- <<
Da quanto tempo non
partecipi a una sana partita con i videogiochi? >> chiesi
appena passammo il reparto elettronica <<
Perché? >> se non ti conoscessi, crederei che
non ti fidi di me! << Ti sfido a “Guitar
hero” >> trillai. Arcuò le
sopracciglia << Edward su! Non farti pregare. Sii
più aperto. Cogli l’attimo. >> lo
incoraggiai << No! >> disse categorico.
Feci il muso << Dai… non fare il prezioso!
Facciamo una scommessa: se vinci tu, t’insegnerò a
ballare la salsa, se vinco io, mi porterai fino alla macchina
cavalcioni sulla tua schiena! >> proposi <<
Cavalcioni? E chi ti dice che io voglia imparare a ballare la salsa?
>> mi beffeggiò. Gli pizzicai un fianco
<< Ti ho detto che mi ricordi mio nonno, no? Lui mi
portava cavalcioni sulla schiena! Per quanto riguarda la
salsa… quando una bella donna ti dirà che sei
troppo rigido, tu le farai cambiare idea mostrandole quanto sei
passionale >> ammiccai sfacciatamente <<
Come fai a sapere che potrei essere passionale solo ballando?
>> continuò << Sai
Edward… per una donna il contatto è fondamentale.
Quando due corpi si sfiorano, si capiscono molte cose. E cosa
c’è di più sensuale di una danza in cui
sono i corpi e gli occhi a parlare? >> chiarii saccente
<< Tu sei folle! >> convenne
<< E allora sii folle con me! Hai detto che ti piace
questo lato del mio carattere… se non si fa male a nessuno,
è bello essere pazzi di tanto in tanto! Sii sconsiderato con
me, Edward >> lo spronai tendendo una mano in sua
direzione. Prendi la
mia mano e basta, per favore. E lo fece.
- <<
Ma non dovrei
decidere io il mio premio qualora vincessi? >> mi fece
presente << Ehm… si hai ragione… ho
peccato di superbia >> confessai << Allora
Edward, che premio vorresti? >> domandai veramente
curiosa << Una cena! >> proruppe. Non
riuscivo a capire << Una cena? Ieri ho cucinato il tuo
piatto preferito, non sarebbe un vero premio! >>
obbiettai << No Isabella. Ti sto chiedendo di cenare con
me stasera, a casa e per una volta sarò io a cucinare per te
>> mi lasciò letteralmente a bocca
aperta.
- Perché? Che
senso avrebbe avuto cucinare per me?
L’idea di cenare senza Renoir e che lui mi avesse fatto
quella proposta mi metteva l’ansia. Sembra quasi un appuntamento.
- Lo
squadrai titubante. Di
cosa ho paura? <<
Ci sto! >> accettai.
- Lo
portai di fronte alla tv a schermo
gigante, dove c’era la console del videogioco. Afferrai una
chitarra dei comandi e gliela passai << E’ una
delle cose più imbarazzanti che abbia mai fatto
>> borbottò.
- Le persone ci guardavano
accigliate. Non siamo
troppo adulti per giocare in un supermercato! <<
Non sai quante cose tremende farai, con me al tuo fianco
>> dichiarai con una nota sadica nella voce
<< Mi spaventi! >> gracchiò
sarcastico. Alzai gli occhi al cielo << Pff!
Melodrammatico. Lasciati andare e ignora i pensieri della gente
>> consigliai serena.
- La scelta delle canzoni da
riprodurre le lasciai a lui. Mi meravigliò che seppe tenermi
testa.
- Una
partita non ci bastò e
dopo ben quattro sfide in cui pareggiammo, la quinta fu decisiva
<< Si! >> urlai saltellando
<< Ho vinto! Ho vinto! >> come una bambina
cominciai a battere le mani << Hai perso, hai
perso… >> cantilenai additandolo.
- Scoppiò a
ridere << Era un gioco Isabella!
>> mi rammentò. Malgrado amassi vincere, a una
parte di me dispiacque di non assaggiare la sua cucina <<
Ora dovrai pagar pegno! >> dissi euforica.
- Lo stavo
mettendo alle strette << Non potremmo cambiare i termini
della scommessa? >> se
pensi di poterti salvare ti sbagli di grosso! <<
No! >> gongolai << Su Eddie!
Così mi dimostrerai quanto sei forte!
>>.
- Appena
uscimmo dai grandi magazzini,
senza dargli nessun preavviso, gli saltai sulla schiena
<< Secondo te sono ingrassata? >> chiesi
aprendomi in una risata << Ehm… giusto un
po’…. >> mi schernì
<< Cattivo! >> gli morsi una spalla
<< Sei una vampira! >> gridò
dolorante << Te lo avevo detto. Se una donna ti chiede se
è grassa, non vuole sapere la verità. Anche se,
in effetti, hai ragione. Prima passavo le giornate fuori di casa,
più impegnata a lavorare che a mangiare. Ora mangio sempre,
anche se non mi dispiace >> notavo di aver messo peso dal
mio viso più pieno << Hai messo qualche chilo,
non sei grassa. Io penso che tu stia bene >> gli
scompigliai i capelli in un gesto affettuoso << Stavo
pensando… >> iniziai << Ti ho
mai detto che ho timore quando compi quest’azione?
>> quanto
sei simpatico! << Non mi far
tornare una vampira e ascoltami! Che ne dici se decretiamo un pari
merito e stasera mi delizi con la tua cucina ancora da scoprire?
>> sussurrai al suo orecchio << Non hai
paura che ti voglia avvelenare? >> quanto la faceva
lunga, non era capace di dire sì o no <<
Nah… sono ingombrante da viva, pensa da morta!
>> scherzai << Okay. Almeno questa fatica
è valsa a qualcosa >> replicò
<< Divertente… dimmi dove ed io ci
sarò >> affermai << In veranda
alle otto >> arrivammo all’auto e mi fece
scendere per caricare la spesa nel portabagagli, nel frattempo io mi
misi comoda ad aspettarlo.
- Finimmo
di sistemare la spesa in
frigorifero e mi cacciò dalla cucina: aveva bisogno di
concentrazione e solitudine.
- Così passai il
tempo che
mancava alla famosa cena, a capo chino sui libri.
Bè… non studiai al meglio delle mie
possibilità, ogni tre parole che leggevo un pensiero volava
o alla cena o a Renoir.
- Non era un appuntamento,
no? No. E
allora
perché a me sembrava così. Mi sentivo tanto
ansiosa che le gambe mi tremavano. Edward
ed io siamo amici, ceneremo come due amici. Non come un uomo e una
donna! Dovevo smettere di essere paranoica.
- Alle
sette corsi in bagno per una
doccia lampo. Dopodiché mi misi di fronte
all’armadio non sapendo che cosa indossare. Tutti i miei
vestiti mi sembravano inadeguati.
- Mettiti l’anima in
pace!
Non è un appuntamento.
Giusto, non
è un appuntamento. Mossa dai miei pensieri
acchiappai a caso un vestito nero. Comunque dimenticai le mie
intenzioni quando non seppi come acconciare i capelli o che orecchini
mettere.
- Alla fine, anche per la
paura di apparire troppo imbellettata,
legai i capelli in una coda alta e uscii dalla dependance.
- Spalancai
gli occhi di fronte alla
scena che mi si presentò.
- Un tavolo ricoperto da una
tovaglia bianchissima, due candele su di essa e Edward -vestito con un
jeans e una camicia bianca arrotolata sugli avambracci – che
sistemava le stoviglie.
- Il buio della sera e le
fiammelle delle candele
rendevano l’atmosfera suggestiva.
- La
sensazione
d’inadeguatezza si ripresentò.
- Restai
ferma sul mio posto
finché non mi notò. Mi abbacinò col
suo sorriso << Ciao >> parlò
lui. Mi scollai dal mio torpore e avanzai verso lui <<
Questo posto è magnifico >> tu sei magnifico.
- <<
Sei…
bella…>> aggiunse come se non se ne fosse mai
reso conto. Stavo andando a fuoco! << Grazie, anche tu
stai molto bene >> farfugliai. Continuò a
sorridere << Grazie. Che ne dici di accomodarti?
>> con una mano poggiata sulla mia schiena, mi condusse
al tavolo << Almeno lascia che ti aiuti! >>
lo pregai << Isabella, siediti…
>> scostò una sedia come chiaro invito. Mi
sentivo le guancie in fiamme, speravo che attribuisse questa mia
tonalità alla temperatura estiva. Mi sedetti a disagio. Non
riuscivo a stare con le mani in mano soprattutto quand’ero in
imbarazzo << Sicuro che non c’è
niente che possa fare? >> ti prego farò
qualsiasi cosa. << In realtà
sì! >> m’illuminai ottimista
<< Vino, birra o altro? > domandò.
Sospirai pesantemente << Va bene quello che bevi tu
>> dissi indifferente. Aggrottò la fronte
<< Stai bene? >> domandò
serioso, umore opposto a quello di poco prima <<
Sì perché? >> ansimai incoerente.
Ero certa di essere prossima al collasso! << Ti stai
grattando il collo! >> notò. Non ne ero
neanche consapevole. Fermai la mia mano <<
Sai… è colpa delle zanzare. Adorano il mio sangue
>> mentii sorridendo istericamente.
- Non era colpa sua se
mi stavo trasformando in un’invasata.
- Mia
cara, lui ti condurrà alla pazzia. E a quanto pare non sei
molto lontana…
- <<
Eccomi!
>> sbucò dalla portafinestra con un
enorme piatto tra le mani << A quanto ricordo, ti piace
il sushi >> disse disponendolo sul tavolo
<< Ho pensato che con questo clima sarebbe stata una
follia qualcosa di caldo >> continuò
sedendosi. Era l’uomo dalle mille risorse << Tu
hai fatto il sushi a casa? >> è da sposare!
<< Già… >>
ridacchiò << Ma come... >>
cavoli! Sapeva preparare il sushi.
- << Ho
passato un anno
in Giappone per uno stage, durante l’università,
così ho imparato >> minimizzò
<< Wow! Deve essere un bel posto e ci sono molte
possibilità lavorative…>> sussurrai
prendendo del sashimi << Vuoi andare in Giappone?
>> chiese confuso.
- Alzai gli occhi dal mio
piatto
<< Cosa? No! Perché dovrei andare in Giappone?
Mia figlia è qui! >> tu sei qui!
<< Non so cosa farò dopo la laurea…
>> m’incuteva timore programmare il futuro, una
piccola variante e tutto cambiava. << Non sai che fare?
>> continuò.
- Giocai
con le bacchette ponderando
sulla risposta da dargli << Già.
Sarò un ingegnere aerospaziale e un po’ sono
irrequieta. Spesso mi chiedo se sarò in grado di progettare
un aereo ma d’altra parte non vedo l’ora. Dopo la
laurea non so per quale società lavorerò o se
qualcuno mi accetterà. La speranza è di trovare
lavoro a New York o nelle vicinanze altrimenti credo che
continuerò a fare la fotografa e, la barista part-time
>> lo sconforto m’invase. Come rovinare una
cena. << Perché dovresti
continuare a fare la
barista? >> davvero
non ci arrivi? <<
L’ingegnere aerospaziale è la professione che ho
sempre desiderato svolgere, ma credi che potrei accettare di lavorare
in un altro paese? >> domandai retorica <<
Renoir >> bisbigliò <<
Già… non sarei in grado di allontanarmi da lei,
neanche per il lavoro che più amo al mondo. La mia unica
speranza è incrociare le dita >> terminai
ottimista solo in apparenza << Isabella,
com’è possibile che tu non riesca a trovare un
lavoro in America e soprattutto a New York se sei tra le prime del tuo
corso di laurea. Da quel che ho appreso i tuoi docenti nutrono grosse
speranze su di te. >> la sua ostinazione mi
colpì << Da quel che hai appreso?
>> ah…
<< Le ricerche giusto?
E’ imbarazzante dover parlare con una persona che sa tutto di
te! >> sostenni per alleggerire la
conversazione.
- Bevvi
un sorso d’acqua e mi pulii la bocca con un tovagliolo
<< In verità io so poco e niente di te
>> parli
come se volessi conoscermi. << Sai
quel che basta. Non ho mai ucciso una persona. Non sono affetta o
portatrice sana di malattie geneticamente trasmettibili. Il mio gruppo
sanguigno è A positivo. Non organizzo bische clandesti-
>> non mi lasciò finire che
m’interruppe: << Isabella, a me non basta
sapere se sei ricercata dalla polizia… >>
bevve del vino << E cos’altro vorresti sapere?
>> mi portai le braccia al petto in segno di protezione
<< Non lo so… i luoghi che vorresti visitare o
il tuo autore preferito… >> come posso far finta che sia
normale che tu voglia sapere queste cose?
- <<
Certe volte vorrei tornare a Chicago. Le tombe dei miei nonni sono
lì. Sono sei anni che non vado a trovarli però ho
paura di chi potrei incontrare. Mi piacerebbe andare nei luoghi storici
come Germania, Vietnam, Italia, Inghilterra, però poco per
volta. Non vorrei mai essere un giorno in Perù e quello dopo
a Londra. Sono folle ma non così avventurosa. Per essere
vitale ho bisogno delle mie consuetudini, del mio letto e di
affacciarmi dalla finestra e vedere New York. Amo questa
città. L’architettura, gli spazi verdi, il caos
dovuto al traffico, che a ogni isolato ci sia un uomo degli hot dog,
dare da mangiare ai piccioni e alle anatre >> mi
ascoltava come se stessi parlando di qualcosa di veramente
importante.
- <<
Vuoi sapere cosa
leggo? Un po’ tutto. Non ho un libro preferito,
però l’opera che più preferisco
è una tragedia di Shakespeare “Il mercante di
Venezia”. L’arguzia e la maestria di
Porzia nel rigirare i fatti a suo piacimento soprattutto durante la
scena del processo sono davvero straordinarie. >> parlare
dei miei interessi non era un’attività che amavo
<< Femminista? >> feci schioccare la lingua
sul palato << Non puoi dire che sono una femminista solo
perché ho trovato Porzia interessante e soprattutto
più intelligente di qualsiasi uomo in questa tragedia
>> mi lamentai sconcertata << Era giusto
per sapere… >> si giustificò
<< Tuttavia… non si può negare che
il sesso femminile sia più pensante di quello
maschile… >> lo provocai con
un’espressione innocente sul volto << Come
prego? >> chiese divertito <<
Edward… forse una volta eravamo il sesso debole, anzi non lo
siamo mai state ma il genere maschile ha preferito trastullarsi in
questa credenza. Adesso lo siete voi ma non lo accettate. Una ricerca
scientifica del duemilaundici, ha dimostrato che in ambito lavorativo
il tasso di realizzazione femminile è maggiore di quella
maschile >> dissi decisa.
- Alzò
gli occhi al cielo
ridacchiando << Che ne dici di mettere da parte questi
discorsi e chiacchierare d’altro? Tu che libri preferisci?
>> deviai il discorso << La prima cosa che
farò domani mattina è reperire la ricerca di cui
parli. Tuttavia sono conscio che non c’è niente
che possa dire senza apparire maschilista! >> decise
<< Il femminismo è una conseguenza logica al
maschilismo è anche vero che ci sono stati picchi di
estremismo nella prima fazione tuttavia noi siamo state costrette,
altrimenti non avremmo il diritto al voto o all’istruzione
>> conclusi << D’altra parte
è pur vero che potremmo fare a meno di voi in qualsiasi
campo: lavorativo, sociale, perfino sessuale. La fecondazione in vitro
è un lampante esempio! >> sentenziai sicura ma
non saccente.
- Non rispose.
- Lo
fecero i suoi gesti: le sue dita
sfiorarono la mia mano << Calore. Ogni essere umano,
indipendentemente dal genere sessuale, ha bisogno di calore e di
sentirsi amato. >> ribatté dolcemente.
Qualcosa nel mio stomaco si smosse. Distolsi gli occhi dai suoi
<< Forse hai ragione… >> tagliai
corto.
- <<
Ti piaceva Chicago?
>> chiese. Annuii con vigore << Chicago
è spettacolare. E’ diversa da New York. Se vai a
visitarla ti senti subito a casa, invece qui devi ambientarti. Io
vivevo in un’enorme casa i cui i due terzi delle sue mura era
rivestito da rampicanti e avevo una casa sull’albero che era
stato Charlie a costruire e c’era un tunnel in cantina
risalente alla guerra d’indipendenza che portava in giardino.
La cosa buffa era che i miei genitori neanche sapevano che esistesse
perché non appariva in nessuna documentazione della casa.
Bé… ti ho detto che era una sperimentatrice,
l’ho scovato all’età di dieci anni e
durante l’adolescenza l’ho usato come via di fuga
>> la mia città natale mi mancava molto
così come la mia casa.
- <<
Il rapporto con i
tuoi genitori è deteriorato quando sei rimasta incinta o vi
eravate allontanati da tempo? >> non si poteva dire che
non fosse diretto però non pensai che fosse invadente
<< Sebbene fossero molto cattolici, ci sono dei ricordi
che porterò sempre nel cuore. Come quando aiutai Charlie a
costruire la casa sull’albero o quando aiutavo Renee a fare i
biscotti per una raccolta di beneficenza. A sei anni mio padre decise
di iscrivermi a jujitsu e non sai quanto Renee si disperò.
Aveva paura che diventassi un maschiaccio però lui le
spiegò che sapere come difendermi mi sarebbe servito. Mi
hanno sempre dato fiducia e con Renoir li ho delusi e loro sono stati
talmente accecati sia da ciò che avrebbero potuto pensare le
persone che dall’eccessiva religiosità che mi
hanno ferito >> non li giustificavo tuttavia, a onor del
vero, prima di rimanere incinta erano stati degli ottimi genitori.
Continuammo a parlare di tante cose.
- <<
Fammi capire! Tu hai
messo una fava dentro il naso di Jasper mentre dormiva e dopo qualche
tempo, grazie al clima umido, ha germogliato? >> non
riuscivo a crederci << Sì >>
asserì come fosse normale << Tu sei pazzo!
>> sbraitai << Eravamo bambini!
>> si difese << Hanno dovuto operarlo per
la tua puerilità >> lo accusai cercando di non
ridere. Aveva una faccia di schiaffi incredibile! << Ma
tu immagina la faccia di Esme che sbiancava vedendo una fogliolina
spuntare dal naso di mio fratello… >> fu la
goccia che fece traboccare il vaso. Scoppiammo a ridere
<< Povera donna! Devi essere stato una peste.
>> sbuffai sconcertata
<< Tutti abbiamo fatto almeno una cosa grave da bambini!
>> mi morsi il labbro inferiore <<
Sì… forse hai ragione! >> dissi
vaga << Allora è vero! >> disse
concitato << Non so di cosa stai parlando
>> replicai << Dimmi cosa hai fatto!
>> ordinò << No!
>> frignai << Isabella…
>> si alzò dalla sua seduta e si
accostò a me.
- Indietreggiai facendo
stridere le gambe della
sedia sul pavimento di terracotta << svelami
l’arcano! >> implorò
<< E’ imbarazzante! >>
piagnucolai << Non preoccuparti, non lo saprà
anima viva >> m’incalzò.
Continuò ad avanzare << Prometti di non
ridere! >> intimai << Non faccio promesse
che non sono in grado di mantenere >>
annunciò.
- Boccheggiai
nel tentativo di trovare
una via di fuga << Okay… come ti ho detto, i
miei comportamenti erano stravaganti quando non ero
consapevole… >> cominciai con
l’affanno << Continua pure! >>
esclamò sorridente << di conseguenza ho fatto
molte cose gravi ma soprattutto due azioni furono scriteriate
>> esalai affranta << Ho tutta la notte!
>>.
- <<
Portavo ancora il
pannolino. La nostra vicina di casa, una vecchietta davvero
terrificante, non faceva altro che acchiapparmi le guancie e
strizzarmele quasi a farmi piangere. Se avesse continuato, sono certa
che avrei avuto il viso cadente. Così mossa
dall’istinto di rivalsa ho… fattolapupùsullozerbinodicasasua
>> dissi in un sol fiato << Non ho capito
>> mi torturai le mani << Ti prego non
farmelo ripetere! >> supplicai << Non farti
pregare >> borbottò.
- Rovesciai
gli occhi
<< L’ho fatta sul suo zerbino.
Cioè… non letteralmente, mi sono tolta il
pannolino e l’ho lasciato lì. Così
quando ha messo un piede fuori di casa, era estate perciò
indossava delle infradito, l’ha pestata >> gli
tappai la bocca con una mano, per poco non lo soffocai.
<< Non ridere! >> sussurrai rossa di
vergogna. Quando fui certa che non mi deridesse lo liberai. Purtroppo
subito dopo aver respirato a pieni polmoni, esplose tanto che non a
stento aveva fiato << Uffa! >> mi
lagnai.
- <<
Ma… ma
come… >> ansimò tra le risate
<< Ero vendicativa e non sapevo quel che facevo
>> mi discolpai << Non riesco a crederci!
>> aggiunse << E i tuoi genitori cosa hanno
fatto? >> domandò. Sorrisi al ricordo
<< Si misero a ridere come te. Da quel giorno diventai
“Isabella
dalla pupù facile” oppure
dicevano: “Non
facciamo arrabbiare la piccola Isabella
altrimenti…” >> vederlo
ridere mi
mise allegria.
- <<
Okay…. >>
prese un respiro profondo << mi spiace, sono pronto a
ritornare adulto >> finalmente!
- Parlammo
ancora e se da una parte mi
divertivo dall’altra, ricevevo altre prove della nostra
diversità. Per lui spesso e volentieri esisteva o il bianco
o il nero, per me c’era il grigio.
- <<
Perché non hai mai avuto una relazione? Possibile che non ci
sia stato nessuno che ti abbia attratto minimamente?
>>.
- La
cena era finita da un bel pezzo.
Lui si godeva la sua birra gelata mentre io avevo le mani sul grembo,
il capo all’indietro e gli occhi chiusi lasciandomi cullare
dalla brezza estiva.
- << Io non
credo nel colpo di fulmine
di conseguenza essendo stata troppo impegnata a rintracciare Renoir,
non ho dato alcuna importanza a nessuno. Se sei sicuro di essere
innamorato di una persona senza averle mai parlato come puoi essere
certo di non amare solo il suo aspetto fisico? Con quale criterio
stabilisci che ne sei innamorato? Non è un po’
superficiale? Penso che per amare davvero bisogna conoscere
l’interiorità di un individuo. >>
spiegai sottovoce << Devi considerare che parlo per
congetture. Non ho mai amato un uomo… quindi non si sa mai.
Domani potrei incontrare l’uomo della mia vita e
innamorarmene senza avergli mai rivolto parola…
>> scrollai le spalle ridacchiando <<
Alcune volte appari così… svampita… e
altre ancora molto matura. Non riesco mai a inquadrarti bene
>> rispose divertito. Non suonò come
un’accusa per cui non mi arrabbiai << Essere
svampite non è una cosa brutta! >> obbiettai
spensierata.
- <<
Adesso ti faccio una
domanda io! Hai mai pensato di sposarti? >> potevo
chiederglielo, no? In fin dei conti lui non aveva fatto altro che
bombardarmi di domande.
- << Non lo
so… forse un
giorno >> bofonchiò come se si trattasse di un
argomento scottante. Perché l’idea che si sposasse
era così sgradevole? Di certo avrebbe scelto una donna e non
una ragazzina. Una donna concreta che non aveva tempo di ballare sotto
la pioggia. Lo avrebbe reso felice e lui l’avrebbe amata. I
miei capelli cominciarono a patire la morsa cui era costretti
così li slegai lasciandoli ricadere sulle spalle
<< Ho delle ottime doti organizzative. Potrei organizzare
le tue nozze se alla tua futura compagna va bene. >> fu
la prima cosa che mi passò dalla mente, ma non lo avrei mai
fatto! E poi avrebbero scelto un wedding planner di prestigio.
- <<
Renoir sarebbe
bellissima vestita di bianco a percorrere la navata spargendo petali di
rosa >> continuai incantata << Tu hai mai
pensato al matrimonio, non è così?
>> non capii se fosse una domanda o
un’affermazione.
- << Charlie e
Renee volevano
che mi sposassi in Chiesa con tanto di abito bianco e pomposo. Non ho
mai pensato alle nozze… >> ridacchiai
isterica.
- <<
Pensi mai ad avere
altri figli? >> chiese cambiando ancora una volta il tema
delle nostre conversazioni << Da figlia unica ho sempre
desiderato avere tanti bambini, poi ho vissuto il parto. Sapere cosa
sarebbe avvenuto, non mi ha permesso di vivermi l’esperienza
nel migliore dei modi. E’ stato un cesareo con anestesia
spinale. C’erano solo le infermiere a incoraggiarmi. Mi
sentivo sola finché non ho ascoltato il suo pianto. Tre
chili e ottocento. Da quel giorno sono diventati i miei numeri
preferiti. Nonostante io la ami con tutta me stessa, ho bruciato le
tappe rimanendo incinta a quindici anni. Ero giovane e… a
quindici anni si è davvero immaturi per avere un figlio. Non
ero donna ma era ed è mia figlia e il dolore di doverla
lasciare è stato lancinante. Ora… forse
darò un fratellino a Renoir tra quindici anni. Non ne sono
sicura. Ho solo vent’anni. Un po’ ho paura di
rientrare in un ospedale per partorire. Sono rimasta scossa e ho
bisogno di tempo. Tu vuoi altri figli? >>.
- Avere
altri figli… era una
cosa cui non avevo mai pensato. E non capivo perché stessimo
parlando di questi argomenti così intimi.
- Aprii gli occhi
scoprendomi assonnata e il suo sguardo su di me, ma non una normale
espressione. Sembrava che mi stesse guardando da molto tempo, come se
mi vedesse per la prima volta. Sto
impazzendo davvero! <<
Sì. >> asserì sognante.
- <<
Sento caldo!
>> squittii << Vuoi entrare in casa?
>> domandò alzandosi in piedi, lo imitai
<< Ehm… forse è meglio di no
>>.
- Doveva
essere tardi e la testa mi
girava a causa dei pochi sorsi di vino che avevo bevuto.
<< Ma non hai il condizionatore >>
ribatté. Scrollai le spalle << Male che vada
dormirò nella vasca con del ghiaccio. Sono brava
nell’arte dell’arrangiarsi >>
strepitai << Se non hai sonno potremmo vedere un film
>> proposi impacciata << Vada per il film!
>> accettò.
- Cercai
di muovermi ma traballai e lui
mi trattenne per un braccio << Ora spiegami come una
barman possa ubriacarsi con due sorsi di vino? >> mi
beffeggiò << E’ come se chiedessi a
un pasticcere perché non mangia dolci! Fare la barista non
è il massimo delle mie aspirazione e poi ci tengo al mio
fegato. Se dovessi bere ogni drink o liquore che servo, morirei prima
dei trent’anni. Mi piace il vino rispetto alla birra ma non
arriverei mai a berne più di un bicchiere. Una volta mi sono
sbronzata, le solite cavolate che si fanno da adolescenti…
non voglio mai più riprovare la sensazione del mattino
successivo… >> dichiarai. Lo feci ridere e io
con lui.
- Aprì
la porta della
piccola casetta e mi accompagnò al suo interno
<< Dio! Sembra quasi che sia in funzione il termosifone
>> costatai. In pochi secondi si era formata una patina
di sudore in tutto il mio corpo. Mi staccai da lui, andai in direzione
del frigorifero e presi una busta di ghiaccio <<
Oh… >> provai un grosso sollievo quando
poggiai il ghiaccio sul collo << Tu accendi la tv e
scegli tra i dvd quale film vuoi
vedere >> gli diedi carta bianca.
- Come pigiama indossai
una t-shirt extralarge per il caldo << Eccomi! Che film
hai scelto? >> dissi fin troppo entusiasta
<< Ti piacciono i film muti? >>
m’interrogò << Non è il
mio genere preferito, adoro inventare le battute mentre gli attori
fanno i mimi >> mormorai euforica << Non
sai quanto è divertente! >> aggiunsi
sistemandomi sul letto con la mia fedele busta refrigerata.
- Mi
osservò titubante
<< C’è qualcosa che non va?
>> m’informai confusa <<
Ehm… no >> ma non mi convinse <<
Allora che aspetti a raggiungermi? >> incrociai le gambe
e battei la mano sulla parte del letto vacante.
- Per
l’ennesima volta mi rigirai nel letto <<
Edward? >> lo disturbai << Dimmi
>> m’incitò staccando gli occhi dal
televisore << C’è una cosa che
vorrei chiederti, ma non ho il coraggio di farlo…
>> non seppi come continuare << Con me puoi
parlare liberamente >> mi ricordò.
- Guardai
il suo profilo mascolino e
portai la mia mano a stringere la sua che era posata sullo sterno
<< Sei sbiancata… >>
notò << Carmen, la tua ex, per legge
è ancora la madre di Renoir? >> la mia voce
tremò. Da supino si mise su un fianco << No.
>> mi rassicurò << E
se… se dovesse succederti qualcosa, a chi sarà
affidata la piccola? >> continuai spaventata. Rimase di
sasso non aspettandosi una domanda del genere <<
Io… >> non ci fu bisogno che aggiungesse
altro. Sarebbe stata affidata ai suoi genitori. Nelle peggiori delle
ipotesi, Esme non mi avrebbe permesso di vederla. <<
Ah… >> conclusione stupida a un discorso
triste.
- Mi
svegliai di soprassalto che quasi
cascai giù dal letto. La radiosveglia segnava le undici del
mattino << Oddio! >> strillai saltando in
aria. Mi misi eretta per poi stropicciarmi gli occhi.
- Poco
dopo notai un foglio
di carta.
- “Buongiorno.
Probabilmente ti sveglierai tardi. Mi dispiace di averti sfinito ieri.
E’ stata una serata piacevole e rivelatrice. Ti aspettiamo in
giardino. E”.
- Sorrisi vedendo la sua
calligrafia
raffinata. Rivelatrice. Che
voleva dire?
- Presi
il biglietto e lo riposi dentro
il comodino.
- Feci
una doccia veloce e mi
precipitai in giardino.
- Mi
vergognai profondamente. Erano
arrivati tutti e si muovevano a destra e manca indaffarati. La grande
tavolata era stata preparata così come le stoviglie, il
barbecue era già in funzione e a occuparsene
c’erano Jasper e Jack.
- <<
Finalmente
dormigliona! >> urlò Tanya attirando
l’attenzione su di me << Ehm…
scusate! >> esordii. Salutai
i miei amici che mi
stritolarono nei loro abbracci.
- <<
Buongiorno Bella!
>> Alice mi venne incontro e mi gettò le
braccia al collo prendendomi in contropiede << Come stai?
Ti trovo bene >> è
proprio amichevole!
<< Buongiorno a te. Sto bene. Tu? >> chiesi
cordiale << Non c’è male. Quando
c’è il sole, sto sempre bene >>
dichiarò sorridente.
- <<
Ciao Isabella
>> fu la volta di Jasper. Era una continua fonte di
sorprese << Ciao… >> incespicai
<< Sembri fuori fase >> rilevò
arguto << Bé… mi dispiace di
essermi svegliata a quest’ora >> spiegai
impacciata << Non preoccuparti, più conoscerai
Alice e più ti renderai conto che lei sta un passo avanti a
tutti. Se ti fossi svegliata all’alba, l’avresti
trovata scattante ad aspettarti >> scoppiai a ridere.
Perché
questo cambio di atteggiamento? <<
Avevo intuito qualcosa… >>.
- Mi
guardai attorno.
- La
smetti di cercarlo con gli occhi. Non fai altro da quando sei in
giardino!
- <<
E’ in
cucina! >> mimò Tanya.
- Aveva
capito tutto e sarebbe stato da
stupidi se avessi negato. La ringraziai e corsi a trovarlo.
- Ci
scontrammo sulla soglia della
portafinestra. Prontamente mi afferrò dalla vita. Poteva
essere così splendido il mattino? Un suo sorriso poteva
avere il potere di cambiare la mia giornata? << Giorno
>> sussurrò a pochi dal mio volto. Io direi
che è un buongiorno << Mi
dispiace se ieri non
sono stata di buona compagnia addormentandomi >> mi
corrucciai << No. E’stata una bella serata
>> obbiettò << Anche per me.
Molto! >> troppo! E non va bene.
- <<
Isabella
noi… >> la sua mano si posò sulla
mia guancia. Ebbe il potere di ravvivarmi e il respiro mi si fece
accelerato << Sì? >> le mie vie
respiratorie stavano per dare forfait.
- << Ehi che
fine
avete fatto? >> Jack spuntò dal nulla e
maledii il suo tempismo.
- Io,
Tanya e Alice mangiammo tanto di
quella carne da farci prendere in giro. << Alice, tu di
cosa ti occupi? >> domandò la mia migliore
amica << Ho un maneggio di cui mi occupo a tempo pieno. I
cavalli sono la mia vita >> trillò
<< Grazie amore… >>
borbottò Jasper con tono sarcastico.
- Lei lo
guardò sorridente per poi stringergli la mano
<< Insieme con te amore >> lo
confortò come se gli stesse dando il contentino. Ridemmo di
quella scena.
- <<
No! Davvero sei un
ballerino? >> chiese Alice rivolgendosi a Jack
<< Sì. Purtroppo non è il lavoro di
cui vivo ma è la mia passione >> disse il mio
amico << Non mi dire che non hai una fidanzata!
>> continuò disperata. Repressi una smorfia
divertita così come Tanya << Ehm
no… ho avuto una sola volta una ragazza e non voglio mai
più ripetere l’esperienza >>
camuffai una risata con un colpo di tosse << Sei
felicemente single? >>. Jack non aveva mai avuto problemi
nel parlare del suo orientamento sessuale per questo non si sentiva a
disagio per la curiosità di Alice. << No, sono
felicemente gay! >> esclamò
tranquillò.
- La faccia che fece la sua
interlocutrice fu uno
spasso << Oh… bè…
com’è fare l’amore con una persona del
proprio sesso? >> wow!
- <<
Alice!
>> la rimproverò il marito.
- <<
Jasper, se fossi in
te, mi farei qualche domanda >> lo canzonò
Edward. Ricevette una mia gomitata.
- <<
Com’è per te fare l’amore?
>> domandò di rimando Jack. Alice ci
pensò su come se si stesse sforzando di trovare le parole
giuste << Appagante! >> strepitò
con una nota di lussuria nello sguardo che rivolse a Jasper. Lo fece
arrossire!
- <<
Anche per me
è così >> decretò Jack.
- Dopo
aver mangiato, Alice
entrò in casa ritornando con una radio <<
M’insegneresti a ballare? >> implorò
Jack con gli occhi da cucciolo. Fu talmente convincente che non se la
sentì di rifiutare << Ovviamente
tu… >> mi puntò un dito contro
<< insegnerai a Jasper >> ordinò
<< Amore… non vedo l’ora di ballare
con te! >> gli disse ammiccante.
- Ero
in imbarazzo a ballare con
Jasper. Non smetteva di guardare la moglie che a sua volta volteggiava
tra le braccia di Jack << Sei sicura che sia gay?
>> mi chiese di punto in bianco. Sorrisi intenerita dalla
sua gelosia << Ha resistito ai colpi bassi di Tanya.
Credo che sia una prova inattaccabile >> bisbigliai. Mi
fissò indeciso << Mi posso fidare?
>> riprovò << Al cento per
cento! >> affermai.
- <<
Sai già
cosa farai dopo la laurea >> chiese per impegnare il
tempo tra un passo e un altro. Non era propriamente coordinato, da
dieci minuti mi pestava i piedi ed io reprimevo le urla che avrei
voluto emettere. << Non lo so! Tu… tu come hai
iniziato? >> anche se in campi diversi anche lui aveva
studiato ingegneria << Come ricercatore. Sono passati sei
anni e adesso ho fatto richiesta per la cattedra di docente alla New
York University >> iniziare da ricercatrice era
un’opzione che avevo vagliato anch’io
<< Sto vagliando tutte le
possibilità… ho le idee confuse…
>> sussurrai irritata << Se può
esserti utile ho alcune conoscenze nel campo in cui vuoi inserirti.
Edward mi hai detto che preferiresti trovare un lavoro in questa
città, come giusto che sia, e che sei molto dotata
>> Edward
ti ha parlato di me? Che cosa dovevo fare? Da una parte
c’era il mio orgoglio che premeva affinché
rifiutassi il suo aiuto, ma dall’altra la mia ragione sapeva
che se avessi accettato sarei rimasta al fianco di Renoir.
- <<
Perché
vorresti aiutarmi? >> forse avrei dovuto tacere ma
com’era possibile che fosse un’altra persona?
Sorrise affabile << Riconosco quando sbaglio. Sono stato
prevenuto nei tuoi confronti. A me basta che mia nipote sia felice, con
te lo è. Renoir è sempre stata
un’ottima osservatrice, sente a pelle se una persona le buona
o meno e tu le sei piaciuta fin dal primo istante ancor prima che
sapesse chi fossi. Mi fido di mio fratello, anche se non ha voluto
rivelarmi le informazioni private che vi legano. E’ un uomo
molto attento soprattutto per tutto ciò che riguarda Renoir
e se ti ha lasciato entrare nella sua vita significa che è
sicuro della tua buona fede. >> gli uomini della famiglia
Cullen non avevano niente a che fare con le donne del medesimo nucleo
<< Jasper io- >>.
- <<
Posso rubarti mio
marito >> Alice m’interruppe <<
Sì certo. Divertitevi >> sorrisi e raggiunsi
il tavolo.
- Sorrisi
nel vedere i miei amici
ballare così come Alice e Jasper.
- <<
A cosa pensi?
>> la voce di Edward mi ridestò. Si sedette al
mio fianco << Niente d’importante. E’
una bella giornata >> spiegai.
- Il modo in cui mi
osservava mi metteva a disagio << Smetti di guardarmi
così… >> come se mi desiderassi.
Stavo gradualmente acquistando il benestare dei suoi familiari, non
volevo rovinare i progressi raggiunti trasmettendo ulteriori idee
sbagliate << Come ti guardo? >> ho paura
che ciò che mi fai provare possa arrivare a loro.
- Per la
prima volta posai gli occhi su di lui << Mi imbarazzi!
>> confessai << Lo vedo. Le tue guancie si
arrossano di frequente >> per caso ne era compiaciuto?
<< E’ colpa del caldo! >> mi
difesi << Solo del caldo? >>
ribatté. Sospirai trattenendo un sorriso.
- <<
Mio fratello ha
cambiato le tue opinioni? >> chiese cambiando argomento
<< Credo sia un pregio degli uomini Cullen
>> ammisi indifferente.
- Mi studiò
finché non decise di sistemarmi i capelli dietro a un
orecchio. Non vi trovai nulla di innocente, mi sembrò quasi
che la mia pelle scottasse dopo il passaggio della sua mano. Davvero
non stiamo facendo nulla di male? <<
Edward…
>> lo ammonii. Non poteva comportarsi in quel modo di
fronte ai suoi familiari.
- Non
tenevo gli occhi su di lui ma lo
sentii sorridere probabilmente perché una nuova vampata di
rossore mi aveva invaso le gote << Non sto facendo nulla
di male. Ci credi se ti dico che non me ne sono mai accorto?
>> doveva riferirsi al mio modo cerebroleso di mostrare
al mondo la vergogna che provavo << Perché non
dovrei crederti? >> scrollai le spalle con nonchalance,
era tutto ciò che potevo permettermi.
- In
un movimento fulmineo
afferrò il mio viso dal mento e lo volse in sua
direzione.
- Sgranai gli occhi stupita
<< Sai da cosa traspare la tua
finta calma? Da questa piccola ruga! >> simultaneamente
il suo dito indice pose tra le mie sopracciglia e distese
l’increspatura traditrice << Sei
giovane… >> continuò
<< E tu sei vecchio! >> lo contestai
sarcastica. Aggrottò la fronte evidentemente divertito
<< Stavo dicendo che a vent’anni non dovresti
avere un’espressione così grave>>
consigliò. Che
palle!
- <<
C’è qualcos’altro che vorresti dirmi
oltre al fatto che potrebbero venirmi le rughe? >>
sdrammatizzai << Sì. Mi piace molto il modo in
cui mi sorridi >> il candore con cui lo disse mi
travolse. Non gli piaceva il modo in cui sorridevo ma il sorriso che
rivolgevo a lui. Leggevo nei suoi occhi il desiderio di fare qualcosa
di più ma eravamo consapevoli di non essere soli.
- <<
Alcuni tuoi discorsi
enigmatici mi stizziscono >> mormorai scostandomi dalla
sua morsa.
- Non rinunciò al
contatto fisico prendendomi la
mano in un gesto quasi toccante e ne baciò il polso. Tenni
gli occhi fissi su di lui come ammaliata << Sono rigido,
irritante, enigmatico, poco passionale… >>
annusò la porzione di pelle in cui poco prima aveva posato
le labbra. Mi mozzò il respiro << dubito che
per te io possa essere una persona gradevole >> dovevo
capire se fosse conscio che il suo modo di parlare mi attirasse
<< Edward, è poco rilevante la mia
considerazione di te >> perché ti interessa?
<< Non sono d’accordo >> aspettai
che continuasse ma non lo fece.
- Il problema era proprio
questo: non
spiegava le sue affermazioni << Giriamo come trottole
cercando di comprenderci… >> farfugliai
demoralizzata << Non ti seguo >>
asserì << Io che dico una cosa, tu
un’altra e non ci veniamo mai incontro…
>> ed
è sconfortante.
- <<
Per questo dobbiamo
parlare >> esclamò << Non lo
stiamo già facendo? >> lo presi in giro
<< Sono serio, Isabella. Abbiamo delle
responsabilità e dobbiamo comprendere le dinamiche di questa
situazione >> aveva ragione <<
Edward… >> le sue parole mi fecero
riacquistare la lucidità necessaria per capire quanto fossi
stata stupida a lasciarmi andare fino a questo punto. Io non potevo
vederlo e chiedermi se fosse reale o meno.
- <<
Abbiamo tenuto una
linea di comportamento sconsiderato, ambiguo. Non sono
un’esperta di rapporti umani ma sono certa che i canoni di un
normale rapporto d’amicizia tra uomo e donna non prevede
alcuni nostri modi di interagire. E’ anche vero che la
questione che ci ha spinto ad avvicinarci è tutto
fuorché normale. Ritengo che il nostro legame sia intimo
appunto perché è Renoir a fare da collante,
così di giorno in giorno abbiamo superato un limite che non
si dovrebbe varcare. Non ce ne siamo resi conto e abbiamo sbagliato
>> dissi cupa.
- Il suo pollice
disegnò dei
ghirigori sul mio braccio << Hai spiegato chiaramente la
situazione. Il nocciolo della faccenda è che dobbiamo capire
perché abbiamo sormontato questo limite >>
rispose.
- Mi ritrassi dal suo tocco
<< Ci siamo comportati
da irresponsabili dimenticando che avremmo potuto illudere nostra
figlia >> lo lapidai << Adesso abbiamo
parlato. Propongo un tagliare ogni contatto fisico…
>> decisi ritraendomi dalle sue lusinghe.
- Lo
sconcerto fu sentirlo ridacchiare
come se avessi raccontato qualcosa di buffo << Sei
indisponente… >> ghignò per poi
riprendere possesso del mio braccio. Ma prego, fai con comodo!
<< Sono esasperante, svampita, immatura,
giovane… dubito che per te io possa essere una persona
gradevole >> lo scimmiottai nel tentativo di stemperare
la tensione. Sorrise facendosi più vicino <<
Se prima detestavo il tuo essere irritante, adesso lo trovo molto
diverte >> proruppe << Non sono un
pagliaccio pagato per allietare le tue giornate >>
pigolai tediosa << Di grazia mi lasceresti fare un
discorso di senso compiuto! >> pregò allegro
<< Per svampita io intendo sbadata, vedi il mondo in un
modo tutto tuo ed è assai piacevole. Sei immatura quando ti
rapporti con l’esterno, ma ci sono dei momenti in cui rimango
colpito dai tuoi discorsi e apprezzo i tuoi sforzi di ridimensionarti.
In ogni caso non ti ho mai fatto una colpa per la tua giovane
età. Ritornando a prima, io non ho finito di parlare con te.
Non sono abituato a scappare e non lo farò ora. Siamo
abbastanza adulti da capire che ci piace superare i confini. Di certo
non farò finta di nulla. Ho bisogno di capire le situazioni
in cui mi trovo per prendere le giuste decisioni >> mi
sentii a disagio e allo stesso tempo lo ammirai, una parte di me era
ancora spiazzata che avesse ammesso che gli piaceva il nostro modo di
rapportarci.
- Mi
lasciai andare in un sorriso e
strinsi la sua mano che sfiorava il mio braccio << Okay,
quando parleremo? >> domandai ansiosa <<
Questa sera per te va bene? >> annuii sicura ed euforica.
Mi mangiucchiai le labbra << Puoi darmi qualche
anticipazione >> supplicai.
- Rise << Devo
dirti talmente tante cose che non so da dove iniziare >>
l’altra mano ritornò sul mio viso <<
Comincia da ciò che vuoi… >>
suggerii sottovoce. Delineò il contorno delle mie labbra
<< La tua energia impetuosa dovuta alla tua
età è una boccata d’aria fresca. So di
avere solo trent’anni ma per molto tempo sono stato diviso
tra lavoro e Renoir che ho dimenticato la mia vera età. Tu
con la tua vivacità e con l’obbligarmi a compiere
azioni discutibili , me l’hai fatto ricordare
>> era consapevole di quanto fossero forti le sue
parole?
- <<
Ma… >> ero sbigottita
<< Non hai rivoluzionato solo la vita di
Renoir… >> mi sentivo al centro di un tornado
<< Che… che vuol dire? >>
balbettai << Isabella… >> il suo
tono carezzevole mi colpì << tra noi
due… >> s’interruppe.
- Sentii il suo
corpo irrigidirsi e mi stranì << Ma
che… >> i suoi occhi erano fissi su un punto
alle mie spalle. Seguii la traiettoria e le vidi: Rosalie Cullen e
un’altra donna.
- Era snella e alta forse
quanto Edward,
capelli neri che le sfioravano le spalle, gli occhi del medesimo colore
e la carnagione leggermente ambrata. Trasudava raffinatezza e avvenenza
da tutti i pori. Attorno a noi era calato un silenzio quasi
agghiacciante. Perché il mio intuito mi suggeriva che il
nome di quella donna era Sandy?
- ********************
- Spero mi facciate sapere cosa ne
pensate. Un grande bacio. Acalicad.
|
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Capitolo 12 *** Il tarlo della gelosia ***
- Allora ragazze. Eccomi qui
puntuale... La splendida immagine che troverete poco
più sotto è stata creata da Lalayasha. Io la
trovo meravigliosa! Bene... un bacio speciale a CloeJ. Buona lettura!
-
Se c’era una
donna crudele, quella era Rosalie. La cara sorella di Edward aveva
portato con sé Sandy, tra l’altro sua amica,
approfittando dell’assenza di Renoir. Non ero egocentrica ma
ero quasi certa che l’avesse fatto per
indispettirmi.
- M’infastidii il
suo comportamento così come la presenza di quella donna.
Dopo la loro comparsa Edward si era allontanato e mi fece
male.
- L’espressione di
sua sorella era compiaciuta. Bastarda.
- I miei amici si
presentarono a Sandy,
io mi limitai a stringerle la mano e sussurrare il mio nome sotto il
suo sguardo indagatore. La cosa che più mi
stranì? Il suo sorriso! Dopo un attimo si aprì in
un sorriso forse tirato per la situazione ma sembrò sincero.
Mi aveva sorriso! Da matti!
- Decisi di scappare, di
rintanarmi in cucina. Era una circostanza del tutto nuova e non sapevo
come muovermi. Poggiai le mani contro il lavello tentando di far
rallentare i battiti del mio cuore impazzito così come il
respiro affannato, tremavo come una foglia. Non capivo il motivo della
mia reazione. Ero stupida! Inspirai profondamente e alzai gli occhi
verso la finestra che avevo di fronte.
- Arrivò il colpo
di grazia.
- Lui e la donna con cui
avevano una relazione erano in giardino. Non ebbi la forza di muovermi.
Non sentivo le loro parole ma intuivo dal loro linguaggio corporeo che
i toni fossero concitati. Lei si muoveva agitata puntandogli di tanto
in tanto un dito contro; Edward, invece, era tranquillo, spiegava con
garbo e manteneva le distanze il che mi rincuorava.
- Mi sentivo una guardona e,
in effetti, lo ero.
- << Sono una
bella coppia non è vero? >> Alice
sbucò all’improvviso. Sbiancai <<
Io… io… >> come potevo
giustificarmi?
- Sorrise cauta
<< Non preoccuparti, volevo solo parlarti
>> mi rassicurò << Rose
l’ha fatta grossa. Prima che potesse accettarmi come moglie
di suo fratello mi ha fatto vedere i sorci verdi >>
ridacchiò << E’ una donna molto
forte e combatte come una leonessa per i suoi cari, non capendo quando
è ora di smettere >> continuò
seria.
- Tornai a guardare la scena
dinanzi a me << Sembra arrabbiata! >>
costatai cupa << Sai Bella… Edward
è sempre stato un uomo in vista per la sua
attività e l’impegno nel sociale. In questo
momento per gli affari andati in porto è tenuto sottotorchio
dalla stampa in generale. E’ anche nel mirino delle testate
scandalistiche e circolano molte voci su voi due >>
rimasi di sasso << Non abbiamo mai fatto nulla di male!
>> obbiettai << Lo so tesoro. Siete molto
complici. Non te ne sto facendo una colpa, è logico che ci
sia feeling tra voi due: vivete nella stessa casa e siete genitori di
una bambina meravigliosa. Mi stupirei del contrario. Questo vostro
affiatamento è percepito anche dal mondo che ci circonda e
di conseguenza anche da Rose che, sbagliando, ha portato qui Sandy per
farti capire ‘chi
è che comanda’. Ti chiedo perdono a
nome suo >>. Cominciavo a chiedermi se alla fine Rosalie
mi avrebbe ignorato.
- Sospirai pesantemente
<< Non c’è nessuna malizia in
ciò che facciamo… >> ripetei
sottovoce << Credo che Sandy sia innamorata di Edward.
Bella, da donna, ti piacerebbe vedere l’uomo che frequenti in
atteggiamenti equivoci con un’altra? >> no, non si frequentano!
- << Si sono
conosciuti al college… >>
m’informò poco dopo << …
ma poi lei lo lasciò per inseguire la sua carriera da
imprenditrice edile. Ho sempre preferito lei a Carmen, lei
sì che era antipatica… >> sentii
gli occhi inumidirsi:
sono una bella coppia. << …li
trovo davvero belli insieme! >> rincarò la
dose. << E… e come si sono ravvicinati?
>> ansimai evitando il suo sguardo << Circa
sette mesi Sandy è tornata in città, a quanto
pare non l’ha mai dimenticato e credo voglia
un’altra chance… >> altro colpo al
cuore. Avrei voluto dirle di smetterla, che Edward non voleva avere
nessuna relazione con lei << Sì sono carini
insieme >> mentii.
- Vidi Sandy posare la mano
sul suo volto.
- Il mio stomaco
protestò e la testa cominciò a pulsare. Dovevo
rimanere sola.
- << Edward ed
io parliamo molto. Spesso si confida più con me che con suo
fratello. >> mi ridestò << Non
me l’ha mai detto chiaramente ma penso che presto o tardi si
sarebbe impegnato seriamente con lei se… >>
impietrii << Sii chiara! >> imposi
<< Si sarebbe impegnato con lei se tu non fossi comparsa
nella vita di Renoir >> non c’era cattiveria
nella sua voce o qualche altra intenzione di ferirmi, il suo non era un
rimprovero ma una semplice affermazione.
- Bevvi un sorso
d’acqua << Tesoro stai bene? Sei paonazza
>> sostenne. Sorrisi forzatamente << Credo
di aver mangiato troppo >> mi difesi. Mi
accarezzò il volto << Ti ho scosso in qualche
modo? >> non
sai quanto. << No Alice, Rosalie mi ha preso
in contropiede >> bisbigliai esausta <<
Credo che andrò a riposare >>
aggiunsi.
- Non rimasi sola a lungo.
Qualche secondo, dopo che Alice raggiunse il marito, varcò
la soglia della cucina Rosalie in tutta la sua altezzosità.
Voleva parlarmi? Perché? Non era bastato ciò che
aveva fatto? Affrontai il suo sguardo << Vedo che ti sei
ambientata… >> esordì con finto
tono cordiale. Non risposi << …togliti dalla
mente che questa casa sia tua! >> ordinò.
Ormai era assodato che lei mi temesse, ma non comprendevo la
motivazione << Smettila! >> la attaccai
<< Perché dovrei farlo? Non sono io una
sciocca bambina arrampicatrice sociale che si è accaparrata
il benestare di mio fratello entrando a casa sua e facendosi mantenere!
>> l’astio che provava nei miei confronti la
stava accecando. Dopo tutti quei mesi colmi delle sue angherie,
scoppiai!
- Sbattei una mano contro la
superficie di marmo dell’isola << Smettila!
>> ordinai << Sarò anche giovane
ma non sono di certo un’arrampicatrice. Ho avuto
l’approvazione di tuo fratello con il tempo, io non mi faccio
mantenere! Lavoro e pago un affitto per abitare in questa casa. Colei
che si sta dimostrando una bambina viziata sei tu! Non sono entrata
nella vita di mia figlia per avere qualche beneficio e non ho
intenzione di parlarti del profondo amore che nutro per lei. Abbiamo
fatto di tutto per essere più cauti possibili, sono passati
mesi prima che apprendesse la verità. E tu mi odi tanto
soltanto perché non sarai più il suo primo punto
di riferimento femminile! Non dico che dovresti accogliermi a braccia
aperte, ma se non fosse la tua vanità a essere ferita
saresti felice nel vedere tua nipote contenta, anche se sono io la
causa del suo buon umore. Questa è l’ultima volta
che mi spiego, finisci di perseguitarmi con i tuoi atteggiamenti da
piccolo bullo onnipotente! >> non urlai. Talvolta un tono
distaccato era più efficace delle grida.
- Fu come liberarmi di un
peso.
- Non potevo patire
all’infinito i suoi soprusi senza obbiettare. Era una persona
con cui non avrei mai potuto avere il benché minimo rapporto
amichevole, di giorno in giorno la già poca stima che avevo
nei suoi riguardi calava inesorabilmente sebbene con Renoir fosse
fantastica.
- Rammentai tutte le
situazioni in cui Rosalie si rapportò a Renoir ed ebbi
un’illuminazione.
- Alice l’aveva
definita leonessa,
ero d’accordo ma lei non si comportava come un felino che
difendeva i suoi cari ma come se proteggesse i suoi cuccioli, Renoir in
questo caso.
- << Sai
Rosalie, provo compassione per te… >> le
rivelai in parte sconcertata dalla mia scoperta. Spalancò
gli occhi allibita e se possibile s’infuriò ancor
di più, ma non le permisi di rispondere <<
… non hai mai visto Renoir come tua nipote ma come tua
figlia. Ti comprendo, hai assistito alla sua crescita e spesso ci sei
stata tu con Edward; io non posso fare altro che ringraziarti ma non
è tua figlia. Per lei sei una zia! Edward è suo
padre, io
sono sua madre e lei vede me come tale e non te. Perciò
metti da parte il tuo odio perché non ti considera la sua
mamma, sospendi questa lotta contro di me perché non
cambierà niente ed io non me ne andrò
>>.
- Vidi il suo sguardo farsi
lucido ma non disse nulla, mi diede le spalle e silenziosamente
andò via.
- Appena uscii per prendere
una boccata d’aria, trovai Tanya. Mi abbracciò
<< Sono orgogliosa di te! >> probabilmente
aveva origliato. Apprezzai il suo gesto di non esser
intervenuta.
- Con lei ero a casa e
quando si era al sicuro, non si riuscivano a trattenere i pianti. La
mia frustrazione fu visibile per le lacrime che solcarono il mio viso.
Non piangevo per Rosalie, ma per le parole di Alice; perché
Edward era a pochi metri da me con un’altra donna.
- Dieci minuti
più tardi, come due sciocche, eravamo sdraiate sulla
moquette della dependance. Guardavamo il soffitto che io stessa avevo
rivestito di foto così come le pareti.
- <<
Bella… >> riprovò a parlare per
l’ennesima volta << Non dirmi che mi avevi
avvisato! >> implorai << Non lo farei mai.
>> obbiettò << Non parliamone se
vuoi ma… per il tuo bene devi chiarire con te stessa sui
tuoi sentimenti. >> consigliò
amorevole.
- Sbuffai passandomi una
mano sul viso << Dimentica tutto! Le mie parole, quelle
dei suoi familiari, la pressione del contesto in cui ti trovi e sii
sincera con te stessa! >> terminò stringendomi
la mano. Come se fosse
facile. << Non mi rintanerò
dietro a nessuna scusa per evitare di ammetterlo! Gelosia. Ecco cosa
sento. Provo possessione nei suoi confronti e odio l’idea che
un’altra donna, lo stia toccando in questo momento. So che
non ne ho nessun diritto ma è così e non posso
farci niente. >> dirlo ad alta voce fece sgorgare altre
lacrime.
- Percepivo ogni parte del
mio corpo dolorante. Come se il tormento nel mio cuore fosse stato
trasmesso al mio fisico. Non avevo la forza di piegare le gambe,
alzarmi in piedi o rannicchiarmi in me stessa com’era mia
consuetudine. Ogni vitalità mi aveva abbandonato. Vedevo
solo il mio petto sollevarsi per poi abbassarsi e non ascoltavo nulla
se non mio respiro cadenzato.
- Qualcosa dentro di me
bruciava, mi stava logorando come un tarlo.
- << E non ti
sei chiesta perché sei gelosa? >> mi
destò. Ti
voglio bene ma odio qualsiasi forma di psicoanalisi.
- Avevo la vista appannata,
guardavo sfocato la foto di un paesaggio. Era lo stesso modo in cui
vedeva il mio cuore. Tutto era nebuloso, indefinito.
- << So cosa
stai pensando. E’ impossibile! Non posso amarlo e non lo amo.
E’ semplice affetto per la sua persona e per il ruolo che
ricopre nella vita di Renoir >> dissentii passiva
<< Perché non è possibile Bella?
Cos’è che ha che rende assurdo che tu possa
amarlo? >> mi sfidò.
- Con le mani tremanti
cancellai i recenti residui di pianto << Anche tu mi hai
detto di non innamorarmi di lui! >> le ricordai inacidita
<< Ti ho detto di stare attenta perché non
è un uomo qualunque, penso ancora che siate molto
“fuori dal comune”. Forse ho usato le parole
sbagliate e io ti ho chiesto di non innamorarti di lui dimenticando che
queste cose non si decidono, ma avevo paura che tu potessi soffrire se
fossi stata l’unica a provare determinati sentimenti. Oggi
l’ho osservato e… non so cosa lui senta ma sono
certa che anche lui provi qualcosa. Quindi perché non
potresti amarlo? >> ribadì. E’ semplice, no?
<< Perché…
perché… è lui! >>
balbettai. Ora, questa, sarebbe stata una risposta incomprensibile per
uno sconosciuto ma non per Tanya. Lei mi conosceva, capiva quanto fosse
contorta la mia mente.
- << Spiegami
per quale motivo, il fatto che sia il padre di tua figlia è
un difetto e non un pregio >> replicò. Strinsi
i denti, cominciavo a irritarmi << Tanya…
>> ti
prego non esasperarmi ulteriormente. <<
… vediamo come posso riassumerti la cosa. >>
iniziai sarcastica << Non so neanche cosa vuol dire avere
una relazione con un uomo, non ne ho mai amato uno e tantomeno notato e
poi arriva Edward. Solo una mentecatta non potrebbe rimanerne
affascinata: bello, maturo, affettuoso…
>>.
- << Prima o
poi dovrai avere una relazione e approcciarti ad un uomo
>> m’interruppe << E’
il primo uomo per cui io sento una qualche attrazione ed è
il padre di Renoir. Non posso mettermi a far pratica con lui. Secondo
te rovinerei tutto per una semplice sbandata?
>>.
- Quello scambio di battute
mi rinvigorì, infatti, poco dopo mi ritrovai seduta a gambe
incrociate. Parlare delle mie ragioni mi permetteva di distrarmi.
<< Tesoro mio, gli ormoni in subbuglio non provocano
gelosia acuta >> contestò con aria da
saccente.
- Lei aveva cambiato
postazione, adesso era sul letto con le gambe accavallate.
- Quando s’improvvisa
figlia illegittima di Freud, è da prendere a testate!
- Mi aveva colto alla
sprovvista << Io… te l’ho detto! Se
solo cedessi all’istinto, nelle migliori delle ipotesi,
calerebbe l’imbarazzo più assoluto tra di noi!
>> spiegai << Perché dovrebbe
esserci il gelo tra di voi? Potreste prendere consapevolezza delle
emozioni che vi suscitate, conoscervi, stare insieme! >>
replicò dolce << E finirebbe tutto! Hai
pensato alle conseguenze con Renoir? >> costatai
infastidita << Mi sono persa un passaggio. Come fai a
sapere che non funzionerebbe? >> è così e
basta! << Siamo diversi Tanya! Ci dividono
nove anni! >> borbottai alzando le braccia al cielo in un
gesto di esasperazione << Forse è anche questo
che gli piace di te. La tua freschezza! Che tu sia differente dalle
donne che ha sempre frequentato… >>
intuì << Tanya “gli opposti che si
attraggono” è una stupidaggine.
Presto o tardi le discordanze separano, per stare insieme bisogna avere
un punto d’incontro! >> protestai
<< Una bimba in carne ed ossa, ti sembra abbastanza come
punto d’incontro? >>
- Ti ha messo con le spalle a muro!
- <<
E’ proprio perché c’è Renoir
che non posso prendere tutto alla leggera! >> deviai il
discorso perché non avrei saputo come rispondere alla sua
domanda << Non ti sto dicendo di prendere tutto alla
leggera. Bella, se vuoi essere felice, devi rischiare! >> adesso anche poetessa!
<< Io sono già felice! >>
dichiarai sicura.
- S’infilò
una mano tra i capelli e li scompigliò << Vuoi
sapere come la penso? Hai sempre diviso la tua vita in compartimenti
stagni: passato, amicizie, Renoir e l’essere madre e
così via. Non hai mai permesso a te stessa che si
contaminassero a vicenda. Prima di trovarla hai pensato che saresti
stata felice essendo madre però, conoscendo Edward la tua
sfera sentimentale è emersa. Tu scappi perché non
accetti che per stare davvero bene hai bisogno di lui al tuo fianco
>> ha
pranzato con bistecca e saggezza? << Tu sei
pazza! La stai trasformando in una questione di stato. Non è
così! Io sono felice. Non ho bisogno di lui. Non lo amo.
E’ semplice attrazione fisica! >>.
- Mi sentii squallida nello
sminuire tutto in quel modo.
Preferisci ammettere
di essere gelosa anziché i tuoi sentimenti.
- Appena conclusi il mio
cellulare prese a squillare.
- Ci mancava anche
questa!
- << Chi era?
>> chiese Tanya, appena riattaccai. Mossa dalla rabbia
scaraventai Iphone contro il letto << Samantha. Stasera
devo iniziare il turno in anticipo, a quanto pare la tizia che devo
sostituire si è beccata un virus intestinale. Mi ha
letteralmente implorato, cosa che non fa mai, oltre a dirmi che mi
pagherà gli straordinari >> la
informai.
- Hai dimenticato la chiacchierata
con Edward?
Sebbene fossi abbastanza infastidita, non sarei mai scappata ma dovevo
lavorare e non potevo rifiutare. Avremmo rimandato, di certo non
sarebbe cascato il mondo. Anche
perché è molto occupato con la sua Sandy.
<< Vuoi andare al pub per lavorare o per allontanarti da
lui? >> domandò alzandosi in piedi e andando
in direzione del mio armadio. Voleva scegliermi i vestiti, era una cosa
che la rilassava molto. Io ero un tipo da ultimo minuto, lei
programmava tutto fino ai minimi dettagli. Se doveva uscire alle otto
di sera, alle sette del mattino, i vestiti che avrebbe indossato erano
pronti. E’ un
po’ maniacale.
- << No,
Tanya! Non fuggo da nessuno >> affermai decisa.
- << Se lo
dici tu… che ne pensi di shorts di pelle e…
>> spulciò ancora un po’
<< … top in pizzo. Il total black è
perfetto!>> prese l’indumento e lo
squadrò << Ehi! Ma questo te li ho regalati
io! >> sbraitò offesa <<
Perché non li hai mai messi? >> mi
accusò imbronciata << Hai delle gambe
così belle!>> mi prendi per i fondelli? Io
sono alta come un tuo femore e dici che le mie gambe sono belle?
- E’ proprio vero: chi
ha il pane non ha i denti!
- Non resistetti e si
beccò una cuscinata. Andò a sbattere contro
l’armadio e scoppiai a ridere << Grazie tesoro,
adesso si che mi sento sveglia! >>
sghignazzò.
- Mi abbracciò
<< Ora devo andare! Il ristorante non si gestisce da
solo! >> boccheggiò << Bella e
forte come sempre e spaccherai tutto! >> eccola in
versione motive life.
- << E tu
ruggisci come una tigre che spaventerai tutti! >>
ricambiai divertita.
- Dopo Tanya fu la volta di
Jack e infine andarono via insieme.
- Rimasi sola e il malumore
ritornò.
- Scaricai tutta la mia
insoddisfazione contro ogni oggetto che mi capitò tra le
mani. Iniziai con i sandali che lanciai contro una parete cui
seguì il vestito di cui mi liberai.
- Al solo pensiero che
potessero essere ancora insieme, il mio corpo diventava un fascio di
nervi.
- Ormai il pomeriggio era
trascorso e decisi di fare una doccia. Per poco non ne ruppi il
bocchettone. Mi ero trasformata in un campo minato, tutto
ciò che era sulla mia strada, rischiava di esplodere.
Così come il phon quando tentai di asciugarmi i
capelli.
- Dopo una lunga lotta in
cui la dependance corse il serio rischio di uscirne distrutta, riuscii
a indossare l’intimo.
- << Oddio!
Sono in ritardo! >> strillai uscendo dal bagno. Rimasi
spiazzata trovando Edward << Ho bussato un paio di volte
e credevo di averti sentito dire che potevo entrare >> si
giustificò.
- Repressi la gelida
occhiataccia che i miei occhi vollero mandargli. Ti sei liberato.
Ciò che aveva ascoltato non era un invito ma piuttosto delle
imprecazioni contro l’asciugacapelli “Avanti, altrimenti ti
distruggo”.
- << Fa
niente! >> strepitai muovendomi come un’ossessa
<< E’ tardissimo! >>
frignai.
- Durante il lungo
pomeriggio, in cui un minuto sembrò infinito come
un’ora, il mio cervello aveva cercato di razionalizzare
l’accaduto. Edward era libero come l’aria, non mi
aveva mai promesso nulla e sebbene fossi gelosa –sentimento
che non potevo eliminare con uno schiocco di dita- non dovevo far
trasparire che fossi seccata. Tutto ciò che potevo fare, era
fingere di non provare emozioni, anche se, dentro, faceva male. Mi
guardò da capo a piedi e mi parve a disagio <<
Forse è meglio se torno più tardi…
>> mormorò. Ricordai di essere nuda. Se non
fossi stata infastidita e in ritardo, sarei arrossita. Quando ero di
malumore, non arrossivo, mi trasformavo nella persona più
sfrontata del mondo.
- << Mi hai
già visto in costume da bagno, non credo che cambi molto.
L’unica differenza sono le stampe di conigli sul reggiseno.
Puoi restare… >> concessi.
Mi chiesi se indossare biancheria intima infantile mi facesse apparire
ai suoi occhi più bambina. Sicuramente è
così.
- Lo sentii scrutarmi.
Probabilmente aveva capito qualcosa. Anche un cieco se ne sarebbe
accorto. << E’ successo qualcosa?
>> domandò accigliato. Lo sfidai con gli occhi
<< Non perché? >> dissi con
nonchalance.
- << Stai
uscendo? >> chiese quando iniziai a vestirmi
<< Sì. Devo iniziare il turno al pub in
anticipo >> spiegai.
- Anche il t-shirt tentava
di farmi perdere la pazienza << Bé…
parleremo… quando sarà! >>
continuai indifferente. Oggi
hai parlato abbastanza. << Dannazione!
Chiuditi! Giuro che rompo anche te >> inveii contro la
chiusura lampo sulla schiena.
- Sbuffai spostando col
fiato una ciocca di capelli dal viso. Poco dopo nello specchio apparve
il riflesso di Edward.
- Non smetteva di
studiarmi.
- Con una tenerezza quasi
irreale, scostò le mie mani. Le sue dita roventi mi
sfiorarono la pelle. Fremetti. Per poco non mi strozzai con la mia
stessa saliva.
- << Sicura di
star bene? >> bisbigliò talmente piano che a
stento lo sentii nonostante la vicinanza fisica << Tu
come stai? >> rigirai la domanda e non perché
non volessi rispondere ma per la necessità di sapere che
nulla lo angosciasse.
- Stupida!
- Pensò
attentamente e mi regalò un sorriso mozzafiato
<< Mai stato meglio! >>
confermò. Evidentemente
stare con lei ti ha fatto bene. Schifosa gelosia! Prima di
chiudere la zip percorse la lunghezza della mia spina dorsale con i
polpastrelli. Ti prego
smettila! Punto gli occhi sul mio riflesso, ancora una
volta mi osservò attentamente << Ti preferisco
con uno dei tuoi vestiti svolazzanti >> ammise.
- Lo guardai allibita.
Dovevo prenderlo come un complimento?
- Sfuggii dalla sua presa e
mi misi a cercare le scarpe << Mi stai dicendo che sto
male? >> chiesi incurante ma dentro stavo
impazzendo.
- << No. Stai
bene anche così… >> mi rassicuro.
Arriva un momento nella vita di ogni donna in cui prende largo la
stupidità e di conseguenza inizia a paragonarsi con
qualsiasi essere umano di sesso femminile. In questo momento
l’idiozia mi stava dominando, costringendomi a fare un
confronto tra me e Sandy.
- Lei alta io
bassa.
- Lei suoi occhi neri come i
capelli e io castana con gli occhi chiari.
- Lei maledettamente
femminile e io schifosamente infantile.
- E la lista era ancora
lunga! Avrei potuto scrivere un libro.
- Come potevamo piacergli
entrambe –sempre ammesso che io lo attraessi- se eravamo agli
antipodi. Non aveva senso!
- << Stai
cercando queste? >> tra le mani aveva le famose scarpe.
Alzai gli occhi al cielo << Sì grazie
>> mi limitai a dire indossandole.
- Presi le chiavi
dell’auto e fui pronta a uscire <<
Bè… io vado! >> sussurrai evitando
di guardarlo. Appena lo superai mi fermò per un
polso.
- Non disse nulla
<< Che c’è? >>
domandai confusa. Mi liberò e avvolse il mio viso con le
mani << Stai attenta! >> ordinò
cupo. Aggrottai le sopracciglia << Non mi è
mai successo niente! >> esclamai.
- Mi baciò la
fronte << Sta attenta lo stesso >> e questa
volta mi parve una supplica.
- Che voleva?
Perché doveva essere tenero se poco fa era con
un’altra? La domanda che più mi premeva era
un’altra: che cosa si erano detti.
- Alle quattro e trenta del
mattino finii di lavorare. Ero veramente distrutta. Salutai i miei
colleghi e salii in auto.
- Non mi è mai successo
niente. Neanche l’avessi detto apposta!
- Provai un’altra
volta << Vai al diavolo! Se non ti accendi, ti porto sul
Grand Canyon e ti spingo giù! >> bofonchiai.
Non volle saperne neanche sotto minaccia. La mia auto bastarda mi aveva
abbandonato.
- Mi guardai attorno: la
strada era a dir poco deserta. Dovevo calmarmi.
- Presi un respiro profondo.
- Afferrai il cellulare
e… no, no, no! Questa
è sfiga! << Ti prego, ti prego,
ti prego! >> implorai. Era scarico! << Va
al diavolo anche tu! >> mi sgolai sbattendolo contro i
sedili posteriori.
- Per fortuna in auto avevo
un paio di scarpe ginniche così potei togliere i tacchi. Non
mi rimaneva altro che camminare finché non avrei trovato un
locale o una cabina telefonica che mi permettesse di chiamare un
taxi.
- La mia pazienza
già agli sgoccioli stava per finire. Percorsi un isolato
finché non trovai uno Starbucks.
Grazie, grazie,
grazie! Dovevo solo attraversare la strada, entrare in
quella caffetteria e sarei tornata a casa mia, dentro il mio
letto.
- Scesi dal marciapiede ma
dovetti fermarmi per un’auto che sfrecciava ad alta
velocità. Feci un passo indietro. Troppo tardi.
- Due secondi dopo mi
ritrovai bagnata fradicia. E’
un incubo! Rimasi rigida come una statua. Sfortuna, non ti stavo sfidando!
Mi portai le mani sul viso. Dovevo cercare di riprendermi altrimenti mi
sarei messa a urlare come un’isterica.
- Ridacchiai come una pazza.
Sembrava avessi addosso un bersaglio e la sfiga si stesse accanendo su
di me senza esclusione di colpi.
- Le mie risa aumentarono
quando mi annusai. Puzzavo di smog e qualcos’altro di
terribile tanto che mi fece salire un conato.
- Erano state davvero due
giornate stressanti.
- In qualche modo convinsi
il gestore della caffetteria a farmi usare il telefono. Il difficile fu
persuadere il tassista a farmi salire con il mio tanfo <<
Le do cento dollari! >> esclamai con le mani unite a
mo’ di preghiera << La supplico. Sono le sei
del mattino e devo essere a casa. Per favore…
>> usai la tattica “cane
bastonato”. Mi feci venire i lacrimoni e sporsi
il labbro inferiore << … la prego…
lei sembra un uomo così gentile… oltre che molto
bello… >> l’adulazione fu il
prossimo passo.
- Da adolescente, con i
miei, funzionava. Bastava che dicessi a Renee che fosse dimagrita o a
Charlie che sembrava più giovane.
- Vidi la sua tenacia
tentennare << … la mia prozia sta malissimo,
mi ha cresciuto è come una mamma per me e devo andare da
lei! >> finsi un singhiozzo e tirai su col naso. Il senso di colpa
funzionava sempre << Okay. Salga >>
cedette.
- << Grazie
davvero! >> esclamai quando parcheggiò di
fronte casa Cullen << E’ stato un tesoro!
>> arrossì e bofonchiò qualcosa che
non compresi. Non si prese cento dollari ma il prezzo giusto della
corsa.
- Tirai un sospiro di
sollievo appena sospinsi il cancello.
- La stanchezza
ritornò a farsi sentire. Non vedevo l’ora di farmi
una doccia rilassante e buttarmi sul letto. Restai perplessa quando
vidi Edward camminare avanti e indietro sul bordo piscina, vicino alla
dependance. Appariva angosciato. Dopo, accortosi della mia presenza, mi
guardò e tirò un sospirò.
- << Ti rendi
conto di che ore sono? >> mi rimproverò ad
alta voce. Ti prego
Edward, non è giornata! <<
Perché? >> ribattei stizzita <<
Non sapevo di avere un coprifuoco! >> sputai acida. Lo
feci arrabbiare << Non hai un coprifuoco. Avresti potuto
avvisare! >> rispose. Mi massaggiai le tempie. Stavo per
scoppiare << Edward, per cortesia! Sono stanca e ho
bisogno di fare una doccia. Parleremo dopo delle tue manie di
controllo! >> piccola frecciatina che non potei
trattenere per me << Isabella! >>.
- Mi portai le braccia al
petto << Sono uscita alle quattro e trenta dal lavoro.
Alle cinque mi sono resa conto che la mia auto non sarebbe partita e
subito dopo che il mio cellulare era scarico. C’è
voluta mezz’ora per trovare uno starbucks e un
imbecille mi ha schizzato con una pozzanghera, puzzo di qualcosa di
nauseabondo e per questo ho dovuto convincere il tassista a farmi
entrare nel suo taxi! Sono distrutta, il mio odore non è dei
migliori e ho solo voglia di dormire. Per cui smettila se devi dirmi
che sono un’irresponsabile! >> dissi
esasperata.
- << Ero
preoccupato! >> ammise. Mi acquietai << Non
so quante telefonate ti ho fatto. Stavo per andare dalla
polizia… >> continuò. Addirittura.
- Cretina! Lui era in pensiero per
te!
- Feci qualche passo verso
di lui, poi mi fermai per le mie condizioni. Volevo chiamarti ma ho pensato
che dormissi. Il tuo numero è l’unico che ricordo
di tutta la rubrica. << Non hai motivo di
preoccuparti. Ti ho detto che non mi è mai successo niente!
>> affermai flebile. A farmi parlare così fu
il ricordo di lui con lei.
<< Mi vuoi dire che ti è preso?
>> domandò avanzando in mia direzione.
Scrollai le spalle << Sono stanca…
>> e
voglio dormire. << Non mi riferisco a ora.
E’ da ieri sera che sembri distante…
>> colpa
tua! << Ho qualche motivo per essere
distante? >> lo punzecchiai strafottente <<
Isabella parla! >>.
- << Non
ordinarmi di fare qualcosa. Odio le imposizioni! >>
gracchiai << Fa come credi… >>
sbuffò. Ecco
bravo!
- <<
Perché non mi hai detto che se non fossi entrata nella
vostra vita, ti saresti impegnato seriamente con Sandy?
>> domandai appena cercò di andar via.
S’irrigidì << Che stai dicendo?
>> perché
non rispondi? << Hai capito! Io sono sempre
stata sincera con te e credevo che anche tu lo fossi stato ma
evidentemente mi sbagliavo! Come ti aspettavi che reagissi se me lo
avessi detto? Che mi sarei messa a urlare come una matta?
>> lo accusai. << Non ti ho mai nascosto
niente! >> si difese << Vuoi sapere se la
amo? No. Le voglio bene e forse con il tempo avrei ceduto alle sue
pressioni. Pensavo che se mai fosse entrata a contatto con Renoir,
sarebbe stata un ottimo esempio. Poi sei comparsa tu! Isabella, io ho
pensato accuratamente alla situazione. Da una parte c’eri tu
la sua vera madre e dall’altra lei che poteva esserlo. Non
potevo farvi entrare entrambe nella sua vita, l’avremmo
confusa ulteriormente. Ho preso la decisione il giorno del vostro primo
incontro. Non è stata una scelta sofferta, se avessi provato
qualcosa di forte per Sandy, non mi sarei tirato indietro. Non sto e
non ho mai avuto una relazione con lei! Non l’ho mai illusa!
>> non si poteva dire che non fosse convincente.
- Mi sedetti su una sedia
sdraio. Mi aveva scombussolato.
- Sentii gli occhi pizzicare
<< Isabella per favore non piangere…
>> cercò di avvicinarsi ma gli feci segno di
fermarsi << Non sono nelle condizioni
migliori… >> mi scusai << Non
essere sciocca! >> mi rimbeccò sfiorandomi il
viso.
- << Credo sia
stupido rimandare… dobbiamo parlare, no? >> lo
incitai << Hai ragione! >>
concordò << Che ne dici se mi faccio una
doccia e poi parliamo? >> proposi.
- Ridacchiò
<< In effetti puzzi! >> viva la
sincerità << Ti ringrazio…
>> brontolai.
- Stetti sotto la doccia un
po’ più del dovuto, volevo essere certa di non
continuare ad emanare uno sgradevole odore non appena fossi uscita.
Indossai l’intimo e il bussare alla porta mi
destò. Entrò mentre io indossavo la mia t-shirt
per dormire.
- Che imbarazzo!
- Adesso che avevamo la
possibilità di parlare senza essere interrotti, non sapevamo
che dire. Sapere che non stava con Sandy mi aveva sollevato. In
effetti, ero stata anche felice che avesse fatto entrare me nella vita
di Renoir e non lei.
- <<
Giacché hai proposto tu di parlare, che ne dici di essere tu
a cominciare a parlare? >> io non avrei saputo cosa
dire.
- Sbuffò
passandosi una mano tra i capelli. Era molto agitato. Risi della sua
espressione, era sbiancato un pochino. Continuava a muoversi senza dir
niente. Non lo avevo mai visto in quelle condizioni <<
Stai bene? >> gli chiesi sedendomi sul letto e portando
le gambe sotto il mio corpo. Sembrava stressato quanto me. Mi spiacque
vederlo così.
- << Ehi! Uomo
tutto di un pezzo, che ne dici di sederti al mio fianco…
>> a causa mia indossava ancora i vestiti del giorno
precedente.
- Dovevo capire
perché ogni volta che mi trovavo su un letto, mi guardava
indeciso! Come se fossi stata capace di mangiarlo. Effettivamente non sarebbe una
cattiva idea! Alla fine si sedette sul bordo. Non mi dire che puzzo ancora!
Facendo finta di nulla, mi odorai. Profumavo!
- << Edward
sembri sulle spine! >> notai << Sdraiati!
>> suggerii. Arcuò un sopracciglio.
- Stesi le gambe e gli feci
cenno di appoggiare il capo su di esse << Ascoltami e
basta! >> imposi.
- Poco dopo, sempre un
po’ scettico lo fece.
- << Chiudi
gli occhi! >> aggiunsi rassicurante.
- Gli massaggiai i capelli
dolcemente << Immagina di essere al mare…
>> mormorai << Hai fatto qualche corso
yoga? >> disse divertito << No. Renoir era
una bambina scattante anche quando era dentro di me. Non smetteva di
darmi calci e talvolta mi svegliava nel cuore della notte,
così un giorno comprai un cd che aveva lo scopo di rilassare
madri in dolce attesa e il loro piccolo. >> spiegai
<< Quindi fidati! >>.
- Mi guardò con
una luce negli occhi e li richiuse << Pensa di essere al
mare… le onde che si infrangono sulla battigia…
il mare azzurro come il cielo da dare l’impressione di essere
un tutt’uno. E il rumore dei gabbiani.
C’è anche Renoir… gioca con la sabbia,
a costruire castelli. E tu felice…
>>.
- << Mi piace
sentirti parlare di lei quando era dentro di te…
>> confessò per nulla imbarazzato, come se
fosse normale << Ne sono felice!
>>.
- Rimase in silenzio.
C’era una domanda che mi premeva e non riuscii a trattenerla:
<< Hai ancora una relazione sessuale con lei?
>> avevo il bisogno fisico di sapere. Non potevo essere
me stessa finché non avessi compreso.
- Che senso avrebbe avuto
parlare della cosa
che c’era tra noi se andava a letto con un'altra?
- << Odio
l’invadenza! >> disse non riferendosi alla mia
domanda ma alla donna << Ehi! Io sono quasi sempre
invadente! >> strillai. Sghignazzò
<< Accetto solo la tua indiscrezione >> si
corresse. Sorrisi come un’ebete. << Sandy si
è fatta manipolare da Rose. Ha invaso i miei spazi
presentandosi qui e non ho gradito. Le ho detto di smettere di
vederci… >> dichiarò. Avrei dovuto
uccidere la parte infantile di me che mi spingeva a mettermi a saltare
sul letto ma non la seguii e repressi un sorriso, per fortuna non
poteva vedermi. Perché il fatto che fosse libero mi
elettrizzava? Appena aprì gli occhi, serrai le labbra in una
linea retta. Perché
sorridi? << E’ rilassante parlare
con te! >> io non mi sentivo affatto tranquilla
<< Buono a sapersi… >>
mugolai.
- Allungò una
mano sul mio viso e lo fece imporporare. << Questa cosa tra noi
due… >> biascicai quando mi ripresi e feci
saettare l’indice prima su di me e poi su di lui
<< … non riesco a gestirla…
Edward… >> il mio cuore prese a scalpitare
alle confessioni che mi accingevo a fare << Continua
Isabella >> mi esortò. Sospirai pesantemente
spostando la mano tra i suoi capelli –che aveva cominciato a
tremare- sul suo viso; ne tracciai il profilo. Sei bellissimo.
<< Edward, c’è qualcosa
d’indefinito che mi spinge a cercarti sempre… in
Renoir, con gli occhi, col corpo e con le parole. >> anche col cuore
<< E ne ho terrore e mi dispiace perché non
dovrei provare queste cose,
almeno non per te. >> aggiunsi con un fil di voce. Era
più facile dire “cose” che
“sentimenti”.
Mi ero esposta. Ora sapeva. Non potevo scappare.
- << Capisco
di cosa parli… >> lo guardai scettica
<< Ah si? E cos’è che ti spaventa?
>> dissi con tono di sfida <<
Più che impaurito, sono disorientato >> ma non hai risposto!
<< E da cosa? >> ribadii <<
Dall’attrazione che mi spinge a te e…
>> la mia mano si era paralizzata. Ma io dico… questo
sono sparate da fare? Così… come se niente fosse?
<< E…? >> voleva lasciarmi sulle
spine? << Mi rende ansioso non averti nel mio campo
visivo o saperti fuori da questa casa… >> perdindirindina.
- << Se lo
volessi, potrei stenderti senza fare un grande sforzo, sono capace di
difendermi! >> in verità cercavo di cambiare
argomento.
- Improvvisamente mi
afferrò un polso << Ma davvero?
>> chiese aggrottando la fronte.
- << Si Eddie!
>> feci l’occhiolino.
- << Sei molto
bella… >> rispose.
- << Punti di
vista! Tu lo sei di più >> non riuscii a
frenare la lingua. Ecco! Ecco di cosa avevo paura! Della strana
sensazione di non poter trattenere niente per me e
dall’esigenza di condividere qualcosa con lui.
- << Adesso
che si fa? >> chiesi ansiosa ma con il sorriso sulle
labbra.
- << Isabella,
siamo con le spalle a muro. Dobbiamo prenderci un po’ di
tempo per valutare se c’è di più
del… >> mi guardò come se non
sapesse come continuare << Desiderio fisico!
>> parlai per lui. Mi
desideri.
- Chissà se si sente un
maniaco perché sei una ragazzina.
- Mi scappò una
risata per quel pensiero.
- <<
Perché sorridi? >>
domandò.
- << Niente
d’importante. Perciò questo tempo include che
non dobbiamo trovarci in circostanze simili? >> mi
riferivo ai nostri modi di interagire << E se dovesse
essere solo frenesia tra uomo e donna? Non potrei continuare a vivere
qui. Al contrario, tu dici “di più”.
Cosa dovrebbe esserci? Hai dimenticato che abbiamo delle
responsabilità! C’è Renoir ed io non
sono in grado di… >>.
- << Isabella,
non fasciamoci la testa prima di cadere… >>
certo per lui era facile. Era ovvio che se fosse stata semplice smania
non ci saremmo lasciati andare ma se fosse stato di più cosa
avrei fatto? Sarei stata brava nel… rapportarmi con lui?
<< E in questo tempo cosa faremo? >> almeno
una risposta logica me la doveva. Ridacchiò malizioso. Doppiamente stronzo! Io sto
perdendo dieci anni di vita e tu diverti. <<
Non lo so… capire, no? >> sembrava avere la
mia stessa età, non in senso dispregiativo, era la prima
volta che non rispondeva con una delle sue frasi ragionevoli. Aveva una
scintilla nello sguardo che lo faceva apparire ancora più
mozzafiato.
- Fui contagiata da suo
buonumore << E questo capire…
comprende anche che tu mi tocchi così? >>
indicai il mio polso che, stretto nella sua mano, continuava a essere
massaggiato in modo tutt’altro che innocente <<
Oh… non me n’ero accorto…
>> di questo passo non sarei arrivata alla vecchiaia
<< E la mia età? >>.
- Facendo una lieve
pressione sul materasso con l’avambraccio riuscì
ad alzare il busto e ad avvicinarsi a me << Tu non mi hai
mai discriminato
per la mia età perché dovrei farlo io?
>> sentii il suo respiro sulle labbra. Da dove gli esce questa?
- << Stai
dicendo che nonostante non rientri nella categoria di donne che
solitamente frequenti, ti piaccio? >> lo pungolai
<< Tu cosa dici? >> mi provocò
<< Che io ti discrimino sempre vecchietto…
>> ansimai.
- Portai anche
l’altra mano sul suo viso, accarezzai la mascella squadrata
ricoperta da un leggero strato di barba. Sì, sei proprio
bellissimo. Si mise seduto non rinunciando alla vicinanza
fisica.
- << Non ho
mai dovuto “capire”
>> incespicai poggiando la fronte sulla sua
<< Neanche io! >> concordò con
me << Che ne dici se il periodo del “comprendere”
parte da domani? >> scherzò o almeno mi
sembrò. Scoppiai a ridere << Sei simpatico!
>> costatai.
- Mi sfiorò il
viso << Io sono sempre simpatico! >> mi
contestò << Ma non lo fai vedere spesso
>> replicai. Edward…
- Era così tante
cose per me.
- Era quella persona
inaspettata che la vita poneva sul tuo cammino.
- Che ti coglieva
impreparata e scombinava i tuoi progetti.
- Era scoperta; mi aveva
denudato da tutte le mie certezze.
- Era vita; aveva fatto
rinascere la Bella
adolescente, sempre matta e con la voglia di sperimentare.
- Era necessità
come quella di averlo sempre con me. Era protezione; con lui
ero al sicuro.
- Era sentimento; il mio
cuore non ne voleva sapere di battere normalmente.
- Era desiderio ma non
solo.
- Era tutto e
niente.
- << Meglio
che vada altrimenti… >> ma non
terminò la frase. Lo trattenni per un braccio
<< Aspetta un minuto! >> esclamai non
sapendo che fare << Cosa? >>
domandò con il sorriso a contargli le labbra. Il suo sorriso. <<
Aspetta e basta… >> sussurrai. Aspettami Edward
perché io sarò sempre in ritardo e
avrò paura ma ci sono.
- Mossa da chissà
quale coraggio gli baciai la mandibola; lo zigomo; la tempia;
più punti della fronte; scesi lungo il naso e ne vezzeggiai
la punta per poi passare all’altra guancia; continuai con il
collo, dove mi attardai più del lecito.
- Sapevo di sbagliare ma era
così liberatorio seguire l’istinto. Da quanto non
seguivo la mia indole? Mi piaceva tanto. Da domani inizieremo a capire.
- <<
Isabella… >> mi riprese tentando di camuffare
il lieve affanno specchio del mio.
- Il mio cellulare- che
avevo messo in carica- squillò. Ridacchiai quando Edward
borbottò qualcosa in segno di disapprovazione.
- << Non
muoverti! Rispondo e torno! >> lo tranquillizzai
ammiccante. Aveva gli occhi lucidi, erano così
belli.
- Mi allungai in direzione
del comodino vicino a letto e afferrai l’oggetto che mi aveva
distolto dalle mie faccende.
- << Pronto?
>> risposi irritata.
- << Isabelle!
>> io ti
picchio a sangue brutto cretino! <<
Jean… >> mi trattenni dall’inveirgli
qualcosa contro << … ti serve qualcosa?
>> aggiunsi.
- Edward, inspiegabilmente,
si scostò. Cercò di andar via ma strinsi un pugno
attorno alla sua t-shirt << Non andare! >>
mimai decisa.
- << Cherie, questo pomeriggio puoi
venire nel mio studio? >> chiese
speranzoso.
- L’eccessiva
prossimità dei nostri corpi permise a Edward di sentire le
parole del mio interlocutore. Mi mandò un’occhiata
gelida. Alla faccia dei
cambi d’umore.
- << No. Non
posso, sono piacevolmente
impegnata e non voglio muovermi. Sarà per un’altra
volta >> chiusi la chiamata ancor prima che potesse dir
qualcosa.
- Concentrai la mia
attenzione su Edward che sembrava facesse il vago.
- << Devo
andare, ho parecchio lavoro arretrato! >> decise. Si
alzò e non mi diede il tempo di fermarlo che andò
via.
- Il lavoro tutto a un
tratto? No. Non gli credevo per niente. Adesso è lui a
scappare.
- Saltai giù dal
letto e lo seguii determinata a non lasciar correre.
- Ignorai che fossi scalza e
corsi fino a troncargli la strada << Che succede?
>> lo interrogai << Nulla. Devo andare a
lavorare >> ripeté.
- Ripensai al suo
comportamento a dir poco antipatico dopo la telefonata di
Jean.
- << Oh porca
p… >>.
- << Isabella!
>> mi rimproverò.
- Sebbene avessi lottato
duramente contro il mio linguaggio scurrile, quando era troppo, non
riuscivo a contenermi << Paletta. Porca
paletta, stavo per dire! >> mentii.
- << Tu sei
geloso! >> affermai sbalordita. Presi il toro per le
corna e fui certa di avere ragione quando spalancò gli
occhi.
- Ero sorpresa, compiaciuta
e provavo qualcos’altro che non riuscivo a decifrare
<< Sei geloso marcio! >> lo additai
<< Non so di cosa tu stia parlando…
>> si tirò indietro. Bugiardo!
<< Perché t’infastidisce tanto Jean?
>> continuai diabolica << Isabella sei
libera di parlare con chi credi… >> non era
convincente. Era palesemente geloso! Perché non ammetterlo?
Non ci trovavo nulla di male. E poi lo aveva detto come se fosse
impossibile. Mi scocciò.
- << Sai cosa
c’è Edward. Sei così orgoglioso da
trasformarti in un bambino. Vuoi sapere la verità? Se ieri
ero scostante, è perché sono schifosamente
gelosa. Ti ho visto con Sandy e so di non avere giustificazioni ma mi
ha disturbato che lei si presentasse qui, che ti sfiorasse, che ti
parlasse e che Alice abbia detto che siete una bella coppia. Mi manda
in bestia che lei si avvicini a te… >>
rimanemmo entrambi di sasso. Oh
mio Dio! L’ho detto ad alta voce.
- Mi vergognai di me stessa.
Sono
un’idiota!
- Cominciai a sudare freddo
<< Bene… ora che mi sono scavata la
fossa… andrò da Jean visto che sono libera e
forse rifletterò anche sul perché non penso prima
di parlare… >> conclusi scappando
via.
- Entrai nella dependance e
sbattei la porta con troppa forza. Mi buttai sul letto.
- Vulnerabile. Ecco come mi
sentivo. Sotterrai il capo con un
cuscino mentre il mio fegato cominciava a rodersi.
- Stupida. Pazza. Masochista. Che
non riesce a tenere la bocca chiusa.
- Non sapevo come sarei
riuscita a guardarlo negli occhi d’ora in poi. Volevo
svegliarmi e scoprire che era solo un incubo. Solo un brutto sogno.
No, non poteva essere reale. Sentivo la nausea montare. Dovevo fare
finta di niente e invece avevo spiattellato tutto. Una suicida. Ero
un’autolesionista. Andava tutto bene, meravigliosamente bene
e avevo rovinato tutto. Doveva esserci qualcosa che non andava in me. Questo è poco ma
sicuro.
- << Uffa!
>> sbattei i piedi contro il materasso.
- Mi bloccai e mi zittii.
Qualcosa era entrato a contatto con il mio corpo e ne era scaturita una
scossa. Sbaglio o
c’è qualcosa che mi sta abbracciando?
Spostai di poco il cuscino: un occhio poté tornare a vedere
la luce del giorno. Oh
cavolo! Il braccio di Edward era attorno alla mia vita con
il palmo della mano poggiato sul mio stomaco.
- Come avevo fatto a non
sentirlo? Perché era tornato? E perché diavolo mi
stava abbracciando? << Sì Isabella, sono io.
Respira! >> avevo trattenuto il fiato e se
n’era accorto. Dannazione!
- Scelsi di avere una
parvenza di contegno. Mi tolsi il cuscino dal viso <<
Potresti rilassarti per cortesia >> come facevo a
calmarmi se avevo il suo torace contro la mia schiena? Se sei qui, qualcosa
vorrà pur dire, no?
- << Il tuo amico mi
infastidisce, Bella. Ora sei contenta? >> non sai quanto.
Aveva usato “infastidisce”
anziché “geloso”,
non voleva mai darmela vinta! Soffocai un sorriso << Hai
il tono di chi lo ammette per la prima volta…
>>.
- Silenzio.
- << Oh porca
tr… >>.
- << Isabella!
>> esclamò.
- << Trottola. Porca
trottola, stavo per dire! >> altra bugia
malcelata.
- << Potrei
chiederti perché sei geloso di Jean?
>>.
- << Ormai
l’hai fatto! >> dichiarò sulle sue
<< Potresti rispondere? >> lo incoraggiai
<< Non mi piace come ti guarda! >> disse
acido << E come mi guarda? >> era uno
sforzo immane non voltarmi in sua direzione, il suo fiato sul collo non
mi aiutava per nulla.
- << Come un
uomo interessato. E’ troppo maturo per te! >>
se mi concentravo, riuscivo a sentire il campanello della gelosia nella
sua mente. La mia soddisfazione stava giungendo a livelli astronomici
<< Ti ricordo che ha solo dieci anni più di
te… se non discrimino te perché dovrei farlo con
lui >> lo stuzzicai. In tutta risposta mi strinse
maggiormente a sé. Dentro di me ridevo sguaiatamente dalla
felicità << E poi, ti ricordo, che non ero io
a sc… >>.
- << Isabella!
>> m’interruppe ancora una volta. Alla faccia della democrazia!
- << Scuotere. Non ero
io a scuotere Sandy, stavo per dire! >>
sghignazzai.
- << Mi
domando se conosci qualche francesismo…
>> ironizzai. Lo sentii ridere << Non sono
solito farne uso >> quanto
sei diplomatico!
- <<
Perciò lo ammetti! >> dissi cambiando
discorso. << Cosa di preciso? >>.
- Oramai la stanchezza della
notte insonne ci spingeva a biascicare.
- << Che ti
piaccio! Che una ragazza e non una donna tutta d'un pezzo ti piace!
>> il suo corpo divenne teso. Quanto la faceva lunga.
Aveva ammesso di essere geloso, dire che gli piacevo non cambiava molto
la situazione.
- Invece sì che la
cambia!
- << Isabella!
>>.
- << Ti piace
molto il mio nome se continui a ripeterlo… >>
lo rabbonii. Mi rigirai nella sua morsa. Ero inconsapevole che fosse
così vicino. Tentava di rimanere serio ma nascondeva un
sorriso divertito << Su Eddie. Mi accontento di poco. I
fiori neanche mi piacciono se non sono in un cespuglio, in casa mi
ricordano il cimitero e tantomeno le dichiarazioni
stucchevoli… >> lo informai sarcastica
<< Ti basta dire: I-sa-bel-la- mi pia-ci !
>> sillabai come se non fosse in grado di
capire.
- Aggrottò la
fronte << No! >> affermò giusto
per gusto non di cedere. Era un giochetto che mi piaceva. Non lo
avrebbe mai ammesso. Per quale grazia divina aveva confessato di essere
geloso e già era tanto! << Edward è
facile. >> gli pizzicai un fianco << No!
>> continuò imperterrito <<
Dillo! Muovi la splendida boccuccia che ti ritrovi e parla!
>> sussurrai.
- << Ti piace
la mia bocca? >> rigirò la frittata.
- << Non
è brutta… >> scrollai le spalle
vaga << Ora che ne dici di ritornare
all’argomento principale… >> lo
esortai.
- Il suo sguardo si
addolcì, per quanto possibile si fece più vicino
e arpionò il mio collo con una mano << Va
bene… >> Oh Santo cielo!
- Si umettò le
labbra in un gesto fortemente sensuale <<
Isabella… >> Oh Gesù, se ne esco
illesa non farò la pazza per un giorno!
- <<
Sì… Edward… >>
balbettai.
- Volontariamente
sfregò i nostri nasi. Ne
esco morta! Ne esco morta!
- Non sarebbe male morire in
questo modo!
- <<
scor-da-te-lo! >> esclamò
allontanandosi.
- Mi aveva fregata oltre che
abbacinata. Cercai di respingerlo fintamente offesa.
- << Quanto
sei str… >>. << Isabella!
>>.
- << Stravagante. Quanto
sei stravagante, Edward! Uomo di poca fede >>.
- Alzò gli occhi
al cielo e non mi permise di allontanarmi. Despota.
- Io la chiamo dolce resa.
- E passammo la giornata sul
letto. Vicini a parlare ma non di Jean o di Sandy. E non capii chi dei
due si assopì per primo ma quando la notte mi svegliai, lo
trovai al mio fianco. Non eravamo propriamente avviluppati
l’uno all’altra, anche perché io non
riuscivo a dormire con qualcuno che mi soffocava: ero
amante dei miei spazi in toto; eravamo lontani ma c’era
qualcosa che ci teneva legati: le nostre mani intrecciate. Fu la prima
volta che dormii con un uomo.
- ***************
- Quante
di voi hanno avuto delle giornate contornate dalla sfiga? Io sempre! Un
giorno sì e l'altro pure. La scenettta della pozzanghera mi
è capitato. Non è stato affatto piacevole ma
è stato uno dei giorni più divertenti della mia
vita! Quindi, forse, non era del tutto sfiga.
- Che
dire.... recensite, recensite, recensite. Acalicad.
|
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Capitolo 13 *** Ad un passo dalla felicità ***
- Salve
ragazze! Allora vi lascio al capitolo. Vi ricordo che la cover
è stata fatta da Lalayasha e la revisione è a
cura di CloeJ. Mai come in questo capitolo sono stata in
difficoltà e se non fosse stato per te adesso avrei
pubblicato una COSA OSCENA. Grazie, grazie di cuore. Un bacione. Buona
lettura!
style="text-align: right; font-style: italic; font-family: Blackadder ITC;">
- Dove
c’è il desiderio
- ci
sarà una fiamma,
- dove
c’ una fiamma,
- qualcuno
è destinato a bruciarsi
- ma
proprio perché brucia
- non
vuol dire che morirai.
-
Dormire con Edward:l’esperienza più strana di tutta la mia vita.
Quando mi svegliai –alle tre del mattino- rimasi a fissarlo
come una cerebrolesa.
- Sembrava quasi
irreale.
- Non sono capace di starti
lontano. Era un bisogno. Avevo paura di questa nuova
necessità. Non sapevo come e se muovermi. E più
ci ripensavo più ricordavo la storia del capire. Il punto
era che non ci riuscivo.
- Da una parte sapevo che
non provavo semplice attrazione fisica ma dall’altra non
sapevo se valesse la pena lasciarmi andare.
- In relazioni di cuore o
come diavolo si diceva, non c’erano certezze o almeno questa
era opinione comune. Non ero il tipo di persona che si crogiolava nel
dubbio o che voleva delle sicurezze costanti per andare avanti ma
questa volta era diverso. Questa
volta sono indispensabili. Ne andava della vita di tre
persone: mia, di Edward e soprattutto di Renoir. Non potevamo
permetterci di andare alla cieca.
- Forse non sarei
mai stata pronta, forse non poteva aspettarmi, forse il nostro
attaccamento era insensato.
Era così snervante. Mi sarebbe piaciuto urlare dalla
frustrazione.
- Perché proprio
noi? Perché non potevo essere diversa?
- Perché sebbene
avessi ritrovato Renoir, nonostante fossi felice, non sarei mai tornata
la persona di un tempo. C’era una scheggia conficcata nel mio
cuore. Era così ben radicata da non poter essere estratta e
la ferita sanguinava inesorabilmente, non sarebbe mai guarita. Ogni
pugnalata, ogni livido invisibile sul mio corpo che solo io potevo
vedere, a cosa serviva se non a permettere ai ricordi di non andarsene,
al passato di rammentarti perché sei ciò che sei.
E le cicatrici, dopo la bufera, ti facevano sentire
più forte o almeno te ne davano
l’illusione.
- Il dolore per quanto forte
e straziante non uccideva. Ti faceva desiderare di morire ma
paradossalmente ti puniva lasciandoti viva. Però ti cambiava
come era successo a me. La Bella solare e forte si era
trasformata in una smidollata impaurita che non era riuscita a imporsi
con i suoi genitori.
- A volte pensavo che mi
sarebbe piaciuto incontrarlo in un bar, in un parco e lui mi avrebbe
ignorato.
- Ero una
vent’enne che adesso lo attraeva perché aveva
avuto modo di conoscere per via di Renoir. E non gliene facevo una
colpa. Quello che c’era tra noi, il nostro legame, era merito
di Renoir. E non sapevo se esserne felice o triste, perché
in alcune notti, il senso di colpa per essermi lasciata trasportare in
questa situazione mi attanagliava e i mille se non mi davano pace;
però io ci stavo provando. Io volevo sconfiggere i miei
demoni. Io volevo davvero fidarmi, anche se era difficile, essere
ottimisti.
- Se non rischi non puoi essere
felice. C’erano tanti tipi di
felicità. Ero una madre felice. Una studentessa felice. Una
lavoratrice felice. Un’amica felice. Ma ero una donna
felice?
- Non conoscevo molto i
drammi amorosi, in verità. Okay a dirla tutta pensavo
definire dramma non
essere ricambiati fosse stupido. Le vere disgrazie erano ben
altre.
- Ad esempio…
accadeva che, quando non avevo sonno, pensassi alla tragedia di
Shakespeare “Romeo e Giulietta” e ci riflettevo
davvero tanto! Arrivavo sempre a una conclusione: erano due teste di
ca… ecco! Ci risiamo con le volgarità.
- Era fuori dubbio che
Shakespeare fosse uno dei miei autori preferiti, ma che i due
protagonisti in questione non potessero stare insieme per la faida tra
le loro famiglie non era una tragedia di per sé? Addirittura
il suicidio. Era anche vero che non mi ero mai innamorata. Oh mamma mia, sto facendo la
paternale a Shakespeare… sto davvero ammattendo!
Ritornai alla realtà e mi concentrai su chi mi stava
mandando il cervello in brodo di giuggiole.
- Il viso dai tratti
angelici ma anche decisi; la pelle leggermente dorata per via
dell’estate; le spalle larghe; la t-shirt che si era alzata
durante la notte e potevo vedergli lo stomaco: non aveva gli addominali
scolpiti ma era bello lo stesso se non di più. Era in forma,
magro, con le ossa delle anche in bella mostra –che avevano
una grande attrattiva- e i peli dell’ombelico
biondicci.
- I jeans si erano abbassati
mostrando l’elastico dei boxer neri, con
quell’indumento non indossava mai la cintura, anche se gli
stavano un po’ larghi.
- E se da una parte era
così composto a lavoro dall’altra, sembrava quasi
trasandato a casa e mi piaceva da matti. E quando parlava, era dolce,
carezzevole e con una traccia di sfrontatezza nella voce che non
guastava.
- Lo osservai in tutta la
sua bellezza ma per me lo era perché sapevo cosa si
albergava nel suo animo. Non era il suo carattere gentile a essere un
bonus al suo aspetto fisico ma il contrario.
- Istintivamente gli scostai
i capelli dalla fronte. Solo
una pazza non impazzirebbe al solo vederlo! Adesso mi
cimentavo anche negli scioglilingua!
- <<
Perché mi stai guardando? >>
domandò con gli occhi ancora chiusi.
Scostai la mano. Cavoli
sei sveglio! << Sai… dovrebbero
inventare una nuova parola per descriverti… >>
sussurrai con voce roca per via del sonno. Sì, l’ho
detto davvero!
- Finalmente aprì
gli occhi e mi guardò sorridente << Lo prendo
come un complimento. Allora… perché mi stavi
fissando? >> ribadì.
- Osservai le nostre mani
ancora intrecciate. Mi trasmetteva calore. << Sto
cercando di capire cosa c’è che non va in
te… >> risposi a sguardo basso.
- << In che
senso? >> m’interrogò giocando con
le nostre dita << Sei così…
indipendente, affettuoso… >>
incespicai.
- << E tu non
sei così? >> che razza di domanda era?
<< Non so se sono indipendente, ma di sicuro non mi piace
essere disturbata.
Da adolescente ero un tipo intraprendente con i ragazzi e mi giravano
le scatole se si avvicinavano loro… >> era
stato un modo per dirgli che avevo bisogno di tempo. Lo aveva capito?
<< Se certe volte con te sono invadente… sono
così con le persone che mi stanno a cuore…
>> l’ultima parte della frase la sussurrai per
timore ma lui comprese, capiva sempre.
- Con la coda
dell’occhio vidi un leggero sorriso che tentava di camuffare.
- << Eri
presuntuosa? >>.
- << Uhm?
>> chiesi confusa.
- << Eri una
ragazza con la puzza sotto il naso? >>.
Non ero certamente orgogliosa di ciò che ero
<< No, però ero una stronza con i
controfiocchi ma non cattiva, ero brava nel rigirare le situazioni a
mio piacimento o a far tacere le galline arroganti. Ero quella tosta,
credo… >> scrollai le spalle ritornando al
presente.
- << Eri una
paladina? >> sembrava parecchio divertito.
- << Una volta
ho fatto a botte con una ragazza! >> ammisi a sguardo
basso << Tu… cosa? >> il suo
tono di voce si alzò << Già, non ne
vado fiera… >> borbottai torturandomi le
labbra << E l’onore di chi avresti difeso e
perché? >> chiese colpito dalla mia
confessione << Di Lucas, una ragazza sparava
stupidaggini… >> lo vidi ritornare
serio.
- << Qualcosa
non va? >> gli sfiorai un braccio per attirare la sua
attenzione.
- << No!
>> mentì.
- << Che io
parli di Lucas t’infastidisce?
>> riprovai cauta.
- << No
Isabella! >> e
adesso mi tratti come un’estranea.
- << Bugiardo!
>> dichiarai impettita.
- << Isabella!
>>.
- << Smettila
di ripetere il mio nome quando dico qualcosa che non ti piace!
>> implorai. Era sgradevole. Mi faceva sentire una
bambina, la stessa età di Renoir. E lui di certo non era mio
padre. Lo trovavo troppo
attraente.
- << Il
ragazzo di cui parli ha a che fare con Renoir e con te >>
era geloso e sentii il cuore gonfiarsi dalla tenerezza che
provai.
- Misi anche
l’altra mia mano sulle nostre intrecciate <<
Non è sua figlia, okay! Sei tu suo padre. Sei
l’unico uomo per cui stravede e che chiama papà.
Lucas per Renoir non è niente. Ed io ti ho detto che non
l’ho mai amato! E poi che razza di discorsi fai? Da quando ti
preoccupi di uno che neanche c’è nelle nostre
vite? >> mi arrabbiai. Da quando Lucas era
importante?
- << Da quando
tu sei
entrata nelle nostre vite! >> non sapevo in come prendere
quell’affermazione. Mi fece sentire a disagio
<< A… avresti voluto che… non
entrassi nelle vostre vite? >> balbettai rigida
<< Non ho detto questo! >>
obbiettò.
- Silenzio.
- Silenzio.
- Ancora silenzio.
- Non sapevo che pensare.
Lucas non era neanche un fantasma. I
fantasmi sono sempre dietro l’angolo o nei nostri pensieri
pronti a sbucare e non ti lasciano respirare. Lui non
rappresentava nessuna delle due possibilità. La nostra
amicizia era stata inusuale per i molti baci scappati prima di quella
notte. Lo avrei ricordato sempre per i bei ricordi
dell’adolescenza e per aver contribuito
nell’esistenza della persona più importante della
mia vita, ma quando pensavo al papà di Renoir, non era la
sua immagine ad apparire nella mia mente. Papà era
uguale a Edward.
Era perfetto. Lui e nessun altro.
- Potevo capire la sua
gelosia. Quante volte lo ero stata di lui quando Renoir non sapeva chi
ero? Ma la sua gelosia era immotivata. Lucas non esisteva nelle nostre
vite!
- Tu potresti avere da me qualcosa
che Lucas non ha mai avuto: il mio cuore. Non mi era
sfuggito quando aveva infilato me nel suo discorso contorto. Ah, i miracoli della gelosia!
- Afferrai la sua mano e la
portai sul mio cuore. Batteva troppo velocemente << Lo
senti? Sei l’unico che mi provoca questo >>
mormorai imbarazzata. Mi sembrava la battuta di un romanzetto rosa.
- Lo vidi sorridere: gli
avevo fatto tornare il buon umore.
- Restammo in silenzio per
qualche secondo finché non lo ruppe lui: <<
Avvicinati! >> mi esortò dolcemente
<< Perché? >> aggrottai la
fronte << Fallo e basta! >>
esclamò deciso << No! Se vuoi, vieni tu!
>> imposi facendo una linguaccia << Quanto
sei infantile! >> mi rimbeccò giocoso
<< Sebbene tu non lo abbia ammesso, l’essere
infantile di fronte a te piace! >> constatai compiaciuta.
Non disse nulla ma mi fissò con una strana luce negli occhi
che, sicuramente, mi avrebbero mandato al manicomio.
- Ci sfidavamo con lo
sguardo, una tacita lotta su chi dovesse fare il primo passo. Dopo un
paio di minuti ci muovemmo all’unisono per ritrovarci al
centro del letto.
- <<
Buongiorno… >> bisbigliò troppo
vicino al mio viso. E’
bello e meraviglioso… bellaviglioso potrebbe essere la
parola per descriverlo.
- Deficiente!
- Rise raggiante
<< Anche tu… >> disse come se
avessi parlato ad alta voce. C’era questa cosa che ci portava
a capirci con gli occhi. E mi piaceva parecchio!
- <<
Senti… mi concederesti tre minuti? >> domandai
impacciata.
- << Tre
minuti? >> chiese disorientato.
- <<
Già… tempo di una doccia e ritorno. Puoi?
>>.
<< Vado via? >>.
- << Ti ho
chiesto di andartene? >> ribattei.
- <<
No… >> constatò.
- Con i polpastrelli
tratteggiai i contorni delle sue labbra << Allora
aspettami, okay. Tre minuti e ritorno e… poi facciamo
qualcosa… >> non è una frase
ambigua, vero?
- <<
Qualcosa… >> bisbigliò
malizioso.
- Sentii le guancie
arrossarsi << Stupido! >> bofonchiai
alzandomi in piedi.
- Fui veramente un fulmine.
Infatti, uscii poco dopo dal bagno vestita e con i capelli bagnati che
massaggiavo con un asciugamano.
Lui era ancora sdraiato con gli occhi puntati sul soffitto; sembrava
pensieroso.
- Per riscuoterlo mi buttai
sul letto senza troppa grazia << A che pensi?
>> chiesi ansiosa e con il sorriso sulle labbra.
- << Hai i
capelli bagnati… >> notò mettendosi
seduto << Fa niente, cosa ti passa per la testa?
>> ripetei.
Rise della mia curiosità e mi tolse l’asciugamano
dalle mani << Che fai? >> continuai
confusa. Rimasi spiazzata quando cominciò a tamponarmi i
capelli. Sbuffai gonfiando le guancie << Mi fai sentire
una bambina! >> piagnucolai esasperata.
- La sua espressione
contenta non sparì e in un gesto rapido mi
acchiappò per i polpacci e mi tirò a
sé facendo sì che le mie caviglie venissero a
contatto con i suoi fianchi. Strabuzzai gli occhi e per un intero
minuto annaspai in cerca d’aria.
Caldo. Molto caldo.
Tantissimo caldo.
- << Non sei
una bambina ma una ragazzina
>> mi punzecchiò sfacciato ma
scherzoso. Muoio.
Muoio. Muoio. Quante volte mi aveva irritato che mi
chiamasse ragazzina.
Adesso mi piaceva pure! Quanto ero ipocrita!
- Come se niente fosse
continuò ad occuparsi dei capelli <<
Mi… mi vuoi dire su cosa stavi rimuginando poco fa?
>> balbettai cocciuta cercando di fingere che il suo viso
poco distante dal mio mi procurasse un certo turbamento.
- Fa di me tutto ciò
che vuoi, pensava la ragazzina sessualmente repressa
dentro di me.
- I suoi occhi erano
così dolci da provocarmi i crampi allo stomaco.
Mi baciò una spalla << Mmm…
>> le mie corde vocali mi tradirono. No, no, no! Cavolo! Dobbiamo
capire, come facciamo da questa distanza? Le sue labbra si
stesero sulla mia pelle. Continuò arrivando alla clavicola
<< Potrei credere che tu stia cercando di
sedurmi… >> gracchiai con voce strozzata. Dio! Non lo capisce che non sono
fatta di pietra? << Ottima constatazione.
Ci sto riuscendo? >> domandò divertito e
tornando a guardarmi negli occhi. Infame!
- C’era una
tempesta dentro di me. Con
Lucas ho provato tutto questo? Non lo ricordavo neanche.
Sentivo solo tanti spilli e quasi mi girava la testa <<
Se rispondessi in un modo, mentirei altrimenti ci addentreremmo in un
campo minato... non credo sia il caso >>
l’applauso che sentii nella mia testolina mi diede la forza
di rimanere lucida.
- << Tu a cosa
pensi? >> domandò a sua volta.
- Sorrisi <<
Che ho fame… >> ammisi imbarazzata
<< Allora andiamo a fare colazione! >>
propose.
- Scossi il capo decisa
<< No, scemo. Quando sei vicino a me, ho fame…
>> borbottai.
- Il suo volto si
contornò di confusione << Come prego?
>>.
- <<
Sai… quando hai fame e lo stomaco si mette a protestare e ti
fa veramente male. Poi… decidi di mangiare e non ti fai un
piatto di pasta qualunque per soddisfare l’appetito ma le
patatine fritte perché vuoi solo le patatine.
Tu sei le patatine,
Edward >> ed
io voglio le patatine.
- Che discorso
patetico!
- Profonda come una
pozzanghera…
- Abbassai lo sguardo
imbarazzato mentre lui mi osservava attentamente <<
Dì qualcosa! >> supplicai << Se
non avessimo stabilito che dovevamo capire, ti
bacerei… >>.
- Boom! Ogni parte
del mio corpo era esplosa a quell’affermazione tenera e
maliziosa allo stesso tempo. Era bello che mi facesse saltare la testa
in aria.
Non alzai il capo << Ehm… non sono capace di
fare discorsi di un certo spessore, perciò aspettati sempre
questi paragoni stupidi… >>
farfugliai.
- Poco dopo mi
alzò il viso << Mi hanno definito in tanti
modi, patatine
mi mancava… e quello che hai detto prima, la tua metafora,
nessuno mi ha mai detto una cosa del genere… mi hai sorpreso
>> non
credo che ti stupirò mai come tu lo fai con me.
<< Bene! Ora, per quanto riguarda la cosa del
baciare… un giorno quando e se sarà,
verrò io. >> però tu aspettami! <<
Manie di controllo? >> scherzò per alleggerire
la situazione << A quanto pare mi hai
contagiato… >> ridacchiai.
- << Posso
farti una domanda sciocca? >> tentai impacciata.
- << Dimmi
>>.
- << Quando
dici ‘mi hanno definito in tanti modi’, ti
riferisci alle altre donne? >> avrei voluto prendere a
testate un muro chiodato. Non
siamo niente ed io gli chiedo delle altre donne. Apparivo
come una ragazzina di liceo pure mezza fumata. E dire che non mi sono mai
drogata.
- Mi lanciò
un’occhiata come se fosse consapevole del mio fastidio <<
Anche >>.
- Ebbi una fitta alla bocca
dello stomaco. Gelosia.
- Già me le
immaginavo. Alte, bellissime, raffinate e sulla trentina.
Chissà quante Sandy
c’erano state. Mi veniva la nausea al solo
pensiero. Perché non potevo avere almeno cinque anni in
più?
- <<
Okay… sappi che non sono il tipo di ragazza che ti
chiederà con quante donne sei stato, nonostante tu sappia
tutto della mia unica pseudo relazione. Questo non vuol dire che tu
debba stuzzicare la mia curiosità oltre che le mie
paranoie… >> affermai.
- << Paranoie?
>> sembrava divertito.
- <<
Già… ne riparleremo. C’è
ancora tempo… >>.
- <<
Perché non me lo chiederai? >>.
- Sorrisi compiaciuta
<< Posso permettermi di essere presuntuosa?
>> domandai.
- Annuì
<< In questo momento sei in un letto con me e non con una
di loro e chiamami pure pazza ma non credo che tu abbia mai asciugato i
capelli a qualcuno se non a Renoir, anche se ammetto che la tua ex,
Carmen, m’incute un po’ di paura…
>> spiegai.
- << Carmen?
>>.
- << La smetti
di ripetere ciò che dico? Che tu l’abbia amata o
no, avete deciso di adottare Renoir. E doveva essere davvero importante
per te se l’hai vista come possibile madre di tua figlia.
Perciò… credo sia logico… ma il
passato è passato, no? >>.
- << Carmen ha
rinunciato ai suoi diritti. Non è sua madre. Tu sei sua
madre! >>.
- <<
Legalmente non sono nessuno, Edward. Dio non voglia che Renoir si senta
male e debba andare in ospedale mentre tu sei fuori città,
perché in quel caso io non potrei neanche avvicinarmi a lei;
tua madre e tua sorella non me lo permetterebbero!
>>.
- Passai le dita sulla sua
fronte per distendere le rughe che la segnavano.
- Avevo un po’
paura di ciò che potesse pensare.
- << Parla per
favore! >> implorai addolorata.
- << Stavo
pensando che possiamo risolvere questa situazione, anche se dovremmo
affrontare qualche bega burocratica >>.
- Spalancai gli occhi
spiazzata. Lui voleva…
- <<
Perché? >> ansimai commossa.
- <<
Perché mi fido di te. Perché sei la madrei di mia
figlia. Perché è facile stare con te, sei la
prima donna con cui sto bene da… sempre
>>. Boom!
Seconda esplosione in poco tempo.
- Aspetta…
aspetta… aspetta! Fermi tutti! Ha detto donna?
- Stomaco in subbuglio, mani
sudate, cuore a tremila… sicuramente avevo un calo di
pressione dovuto alla fame.
- <<
E’ una dichiarazione? >> sdrammatizzai mentre
il mio cuore era… volato
via.
- Come quando sei bambino e
per Natale desideri qualcosa che i tuoi genitori dicono che non puoi
avere e poi quel giorno ti svegli con il muso e quando scarti il tuo
regalo, rimani senza parole perché è
ciò che volevi.
- Mi prese la mano e
poggiò le labbra prima sui polpastrelli depositando poi dei
piccoli baci su tutta la mano. Mi fece tremare.
- << Era una
constatazione… >> a me sembrava una dichiarazione.<<
Bé… sappi che è la constatazione
più bella che mi abbiano mai fatto. Tutto è
sempre così complicato ed è carino che tu pensi
che sia facile stare con me >> mormorai.
- << Non
è difficile semplificare le cose…
>> replicò. << In questa cosa
tra me e te niente sarà mai semplice o meglio lo
sarà solo quando saremo soli in un letto a parlare.
Qualsiasi cosa accadrà tra noi due, che sia un rapporto
d’amicizia o qualcosa di più…
>> sbuffai non sapendo che parole usare <<
… Edward è perfetto, Isabella anche, ma Edward e
Isabella insieme non saranno mai visti di buon occhio. Tua cognata
pensa che tu e quella donna sareste una bella coppia. La tua famiglia
si aspetta una donna matura
al tuo fianco… ed io sono
stramba… sono sei anni che non mi rapporto con un uomo e per
rapportare intendo
che non ho più dato un bacio. E forse sto correndo
perché solo poche ore fa abbiamo ammesso che tra noi
c’è qualcosa, anche se d’indefinito, ma
ormai ci siamo dentro. Tu… sei l’unico uomo che mi
sia mai piaciuto da sempre,
ciononostante… ho bisogno tu tempo.
>>.
- Gli accarezzai il volto
<< Edward… il mio cuore sa cosa fare
–desidera farlo- ma la mia mente sta ancora cercando di
valutare la situazione in cui ci troviamo e il mio corpo deve abituarsi
al bisogno di contatto con te… >> gli baciai
una guancia nella speranza che capisse.
- <<
Isabella… sono adulto abbastanza da non farmi plagiare dalla
mia famiglia così come dall’ambiente in cui vivo.
Mia madre non vuole che ci sia una donna matura al mio fianco ma una
donna adeguata
alla mia posizione sociale. Anche se tu avessi
trent’anni… >>.
<< Non sarei all’altezza ugualmente; ma se
fossi ancora in contatto con la mia famiglia altolocata e
più avanti con l’età, quasi con
certezza mi accetterebbe dopo una garantita sfilza di angherie
>> conclusi per lui.
- <<
Già… >>.
- << Tua madre
è… >> una stronza, frivola e snob.
Non le andavo bene non per via di Renoir ma per la mia posizione
economica e la mia età anagrafica. Era desolante la sua
volontà di vedere Edward accanto a una donna in. Sarebbe andata
d’amore e d’accordo con Charlie.
Una piccola parte di me –quella ancora adolescente e che
spesso dimenticava che ruolo ricopriva nella vita di Renoir - avrebbe
voluto farle dispetto solo per il gusto di vederla inferocita. Poi
c’era la Bella
adulta e soprattutto madre che capiva che con Esme non
ci sarebbe mai stata neanche una finta cordialità. Lei e la
figlia mi avrebbero sempre odiato senza darmi la possibilità
di farmi conoscere. Io continuavo a dormire tranquillamente con o senza
la loro approvazione.
- << Lo
so… >> ridacchiai perché
parlò come se sapesse con quali epiteti l’avevo
apostrofata nel mio cervello.
- Restammo in silenzio
riflettendo sul da farsi. Dovevamo preventivare che qualsiasi cosa
sarebbe successa, ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe storto il naso,
ma era anche vero che a noi non importava nulla. Eravamo giunti alla
conclusione di chiarire i nostri sentimenti per noi stessi e
soprattutto per Renoir, importava solo il suo bene.
<< Semplificare… è una bella
parola. Non credo molto a chi dice che le cose complicate sono
più belle. Se ci fai caso, sono proprio le cose semplici che
ti fanno nascere un sorriso spontaneo. Perciò per non creare
disguidi futuri, sappi che non mi piacciono neanche i nomignoli. Non
chiamarmi mai biscottina,
stellina o
chissà cos’altro… >> lo
avvertii scherzosa.
- << Come
posso chiamarti? >> le sue dita fecero su e
giù lungo il braccio.
- << Isabella,
Bella, come vuoi tu ma non biscottina.
E’ uno di quei nomignoli da film thriller. La ragazza che
è rincorsa dal suo fidanzato con una mentalità
stile psycho che prima di affettarla in striscioline le dice: “Biscottina vieni
qui!” >> ridemmo sommessamente.
<< Eviterò di domandarti che tipo di film
guardi >>.
<< Hai tante fissazioni strane…
>> continuò.
- << Lo
so… >> fuggii lontano da lui e mi misi in
piedi << Che ne dici di aspettare l’alba con
dei soufflé al cioccolato? >> proposi per
cambiare argomento.
- << Alle
quattro del mattino? >> sogghignò.
- <<
Perché c’è un orario preciso per
mettersi a cucinare? >> ribattei saccente.
- Mi raggiunse e mi
scompigliò i capelli.
- Entrammo nella villa
avvolta nel buio << Vado a fare una doccia se non voglio
somigliare a un barbone… >> a me la barba piace.
- << Okay, ti
aspetto in cucina con i soufflé appena sfornati. Sbrigati se
vuoi trovarne qualcuno, non guardo in faccia a nessuno se si tratta di
dolci >> lo avvertii con il sorriso sulle
labbra.
- Accesi tutte le luci della
casa, spreco o meno il buio mi faceva accapponare la pelle.
- Entrai in cucina e presi
l’occorrente con facilità, ormai conoscevo questo
posto come le mie tasche.
Non potei evitare di accendere la radio.
- << Uova,
cioccolato, latte… maizena… uhm che bella questa
canzone… >>.
- << Where there is
desire… there is gonna be a flame…
>>
<< Il cioccolato l’ho sciolto nel
latte… >> continuai come se fosse una strofa
della canzone di Pink << … where there is a
flame… someone’s bound to get burned…
>> strepitai usando due mestoli come bacchette da
batteria e li feci scontrare contro il ripiano dell’isola
<< … but
just because it burns… doesn’t mean
you’re gonna die…
>>.
- Per fortuna non sei una cantante.
- << Ora devo
montare gli albumi… e presto tutto sarà
pronto… >> feci una giravolta su me stessa
<< … you’ve
gotta get up and try try try… gotta get up and try try
try… >>.
- Mi bloccai quando una mano
si posò sulla mia spalla << Biscottina, vieni
qua! >> disse qualcuno con voce camuffata, non potei fare
altro che urlare a squarciagola, ma non un grido frivolo e finto ma uno
di quelli pieni di terrore.
- Rimasi rigida con il cuore
in gola e cercavo di respirare, poco dopo sentii una fragorosa risata.
Edward. Avevo ancora gli occhi spalancati quando lo guardai. Era
piegato in due e seguitava a ridere senza ritegno. Ho rischiato di farmela addosso.
- Odiavo i film horror e
nonostante tutto ero così masochista da guardarne a palate,
per poi dormire con i calzini e le coperte pesanti anche
d’estate per paura che qualcuno potesse tirarmi sotto il
letto.
Alle quattro del mattino in una villa grande come casa di Edward e
pressoché sola, perché lui era al piano
superiore, era anche logico che avessi un infarto?
- << Io ti
ammazzo… >> ansimai. Pestai i piedi per terra
come una poppante, mi avvicinai a lui e schiaffeggiai un braccio
<< Alzati trent’enne
adulto! >> strillai isterica.
- Si drizzò
cercando di reprimere il suo divertimento. Ti picchio!
<< Sei pallida come un lenzuolo…
>> notò forse pentito. Istintivamente presi la
frusta e gliela puntai contro mentre lui alzava le mani in segno di
resa << Brutto cretino che non sei altro…
>> cercai di colpirlo ma mi scansò
<< Ti ho spaventato tanto? >> mi
canzonò. Cretino!
Saresti andato in carcere per omicidio!
- Feci un passo avanti e lo
afferrai per la t-shirt per cominciare a pizzicargli il torace
<< Sei… uno stupido che mi ha fatto
invecchiare di vent’anni! Sei un bambino nel corpo di un
uomo… >> piagnucolai. Rideva e rideva come se
non gli stessi facendo male e probabilmente era così
<< Ti avevo detto che chiamarmi biscottina mi
terrorizzava a morte! >>.
- Mi afferrò il
viso << Mi… >> posò
le labbra sulla mia mandibola << …
dispiace… >> bacio sulla guancia
<< … per… >> altro
bacio sulla tempia << … averti…
>> sulla fronte << …
fatto… >> sul naso <<
…paura… >> sul mento.
- Ridacchiai ormai
rincretinita << Questi mezzucci con me non funzionano!
>> dichiarai flebile.
- Bugiarda!
- << Che
peccato… >> rispose allegro <<
Ora spostati >> prima
che faccia qualche cavolata << Non sono
pronti i soufflé? >> non si
allontanò da me. Dovevamo capire, lo
comprendevo, ma se era così a contatto con il mio corpo mi
costringeva a fare pensieri tutt’altro che casti.
- << Se tu non
mi avessi interrotto in modo così gentile, li avrei
già infornati! >> protestai sarcastica
<< Posso fare qualcosa per spingerti a perdonarmi?
>>.
- Sì, saltale addosso!
- <<
Ehm… >> quello
che vuoi << … no, aspettati il
contrattacco in qualsiasi momento! >> lo avvisai
maligna.
- Con nonchalance mi scostai
da lui << Devo montare a neve gli albumi…
>> spiegai mentre lui si sedeva di fronte a me e mi
fissava. Non contento inzuppò un dito nell’impasto
al cioccolato e se lo portò alla bocca per assaggiarlo.
Sarebbe stato un gesto del tutto innocente per uno sconosciuto ma per
me non era innocuo. Sembrava gridasse: “Che aspetti, sono
qui!”.
- Deglutii a vuoto e mi
concentrai sul mio lavoro << E’ buonissimo!
>> chi?
Se parli di te stesso, ci credo! << Grazie
>> gracchiai con le guancie rosse.
- << Se non
ricordo male, è stata tua nonna a insegnarti…
>>.
- <<
Già… era il tipo di nonna che quando ti vedeva,
diceva che eri troppo magra e quindi si metteva a preparare
dolci… >> mi rabbuiai.
- <<
Quand’è morta? >>.
- Chiusi gli occhi cercando
di riacquistare un po’ di serenità
<< Un paio di anni prima che rimanessi incinta,
d’ictus fulminante mentre dormiva…
>> borbottai cupa. Non volevo parlare della nonna. Di
solito non parlavo a nessuno della sua morte e molto spesso avevo
mandato Tanya a quel paese quando aveva cercato di farmi qualche
domanda.
- << Mi
dispiace… >> sussurrò.
- << Sono
stata arrabbiata con lei… >> ammisi
vergognandomi.
- << Come mai?
>>.
- Sentii gli occhi farsi
lucidi << Era l’unica persona che mi capiva e
lei… ho visto la sua morte come un abbandono. Sono andata
pochissime volte a trovarla al cimitero e ora non sai come me ne
pento… >>.
- <<
Mi… >> iniziò.
- << Tu hai
dei nonni? >> lo interruppi.
- Tuttora ero adirata con
lei. Nonostante la mia razionalità sapesse che non era colpa
sua se era morta, non riuscivo ad accettarlo. Non doveva
morire!
- << Ho una
specie di nonna acquisita >>
m’informò.
<< Acquisita? >> chiesi confusa.
- << Quando la
madre di Carlisle morì, mio nonno sposò
un’altra donna… >>
chiarì.
- << Tuo nonno
è morto? >>.
- <<
Sì >> confermò.
- << E lei,
tua nonna, dov’è? >> continuai
curiosa.
- << Lilian,
così si chiama, è in giro per il mondo; le piace
viaggiare. E’ una donna eccentrica, secondo me le piaceresti
>>.
- Renoir diceva che sarei
piaciuta ad entrambe le sue zie. Non gli credevo molto.
- <<
Sì, soprattutto se è adorabile come
Esme! >> ironizzai sbattendo le ciglia con
enfasi.
- Lo feci ridere e mi unii a
lui. Era bello quand’era spensierato << In
realtà non vanno molto d’accordo >>
mi confidò. Se
sono simili, è anche normale. <<
E neanche io sono andato sempre d’accordo con mia madre
>> aggiunse.
- Mi lasciò
stupita << Perché? >>.
- << Negli
anni del college ho fatto un po’ di testa mia, una volta mi
sono perfino fatto arrestare >> la piccola cocotte che
avevo tra le mani per poco non scappò come fosse una
saponetta << Mi prendi in giro! >> strillai
sconvolta.
- << Non vedo
il motivo per cui debba scherzare. Finire una notte in carcere non
è una cosa di cui andare orgogliosi
>>.
- Edward Masen Cullen
industriale di successo impegnato anche nel sociale, uomo
irreprensibile e padre perfetto era stato arrestato negli anni
dell’università. Non ci avrei creduto neanche se
l’avessi visto.
- <<
Ma… ma perché? >> allora è un mortale.
Quasi riuscivo a sentire il suono delle campane.
- Sogghignò per
il mio sgomento << Una rissa in cui non
c’entravo niente… >>.
- << Dimmi che
puoi smobilitare l’ufficio della polizia per procurarmi la
tua foto segnaletica… >> supplicai
<< Non esiste più niente di quella nottata. Mi
dispiace >> scrollò le spalle.
- Di punto in bianco
scoppiai a ridere come una bambina, di gusto, fino ad avere le lacrime
agli occhi << Che succede? >>
domandò spaesato.
Presi un respiro profondo per calmarmi << Ho immaginato
Renoir adolescente, noi alle prese con qualche sua marachella e la
riprendevamo… >> ansimai <<
… con quale faccia la rimprovereremo se io ballavo sulle
auto e scappavo da casa e tu ti facevi arrestare…
>> mi schiacciai una mano sul viso per cercare di
smettere << Se all’età di sedici
anni, sgattaiolasse fuori di casa tu credi che sarei capace di dirle
che è sbagliato? Sarei un’ipocrita!
>> poco dopo lo sentii ridere.
- << Faremo in
modo che non senta l’esigenza di nasconderci niente
>> affermò.
- Forse merito della mia
famiglia o forse era perché ero uscita da poco dalla fase
adolescenziale, ma ero certa che qualcosa anche
d’insignificante Renoir l’avrebbe tenuta per
sé. Era insito in ogni ragazzino negli anni della
pubertà.
- Appena infornai i
soufflé, mi sedetti sull’isola mentre canticchiavo
una canzoncina.
- <<
E’ strano… >> esordii pensierosa
<< …qualche anno fa non avresti mai pensato di
adottare una bimba e adesso sei padre e qui con me…
>> mormorai pensierosa << Mia nonna diceva
che quando una persona entra nella tua vita c’è
sempre una ragione, che inconsciamente hai espresso un
desiderio… e arriva per aiutarti >> affermai
sorridente. << Credo che tu somigli a tua nonna
più di quanto tu voglia ammettere >>.
- Abbozzai un sorriso
<< Perché ne sei così sicuro?
>>.
<< Solo un’impressione, secondo me anche lei
vedeva il mondo in modo tutto suo >> mi sarei presa a
ceffoni per la sua sagacia << Sì è
così. Se aveva ragione… aldilà di
Renoir, uno di noi due ha espresso un desiderio…
>> sussurrai poco convinta.
- << Credi nel
destino? >>.
- << Siamo noi
gli artefici del nostro destino >> ribattei.
- << Da come
parlavi prima, non sembrava fossi di questa idea
>>.
- << Non credi
sia una cosa triste? Qualunque cosa tu faccia o voglia una qualche
entità, farà a modo suo per portarti dove
è scritto
che tu stia. E’ più che infelice! E il libero
arbitrio dove lo mettiamo? Se credi al destino, è
perché infondo, t’illudi e sei indeciso su quale
strada intraprendere. Così pensi: “Tanto se è
destino…” >> mi scaldai
eccessivamente.
Mi fissò come fosse intenerito <<
T’inalberi sempre per questioni del genere…
>> mi sfiorò la punta del naso con un
polpastrello << Grazie… >>
borbottai con il broncio.
- << Se
potessi, torneresti indietro? >> chiese di punto in
bianco. Mi accigliai, non mi aspettavo una domanda del genere.
- << Intendi
se farei tutto quello che ho vissuto? >> chiesi.
- <<
Sì >> affermò.
- << In fin
dei conti sapevo che prima o poi avrei deluso i miei. Loro volevano per
me una vita perfetta, forse è ciò che desidera
ogni genitore, ma quando tutto è perfetto non
c’è nessun gusto nel fare qualcosa. Sono le
imperfezioni che ti spingono a provare fino allo sfinimento. Edward la
mia adolescenza è stata veramente speciale, non mi sono
fatta mancare niente e non me ne pento. Se fossi rimasta con i miei
genitori e non fossi rimasta incinta, in questo momento sarei laureata
in economia e tra qualche ora mi sarei svegliata per indossare uno di
quei tailleur da adulta…
>> per
non dire vecchia. << … e avrei i
capelli sistemati in un elegante chignon. >> e forse ti sarei piaciuta di
più. << Invece sono qui, ho
ventuno anni, sono giovane lo so, ma Renoir è la cosa
più bella di tutta la mia vita nonostante abbia impiegato un
po’ di tempo per trovarla. Sono felice e no, non tornerei
indietro. I rimorsi e i rimpianti sono il tarlo della vita.
>>.
- << Secondo
me neanche tu cambieresti nulla se tornassi indietro >>
osservai.
- Il timer del forno
interruppe le mie riflessioni.
- Con un salto scesi dal
bancone e mi affrettai a raggiungerlo. Lo aprii e da perfetta idiota
quale ero, toccai la teglia rovente. Mi feci veramente male
<< Porca trota! Mai una volta che imparo >>
gridai. Era un’abitudine malsana non usare le presine. Almeno i soufflé non
si sono bruciati o sgonfiati.
- << Aspetta!
>> Edward mi sfilò i guantoni da forno prima
che potessi usarli. Fece tutto lui e poi tornò da me. Senza
darmi nessun preavviso mi afferrò dalla vita e
–come fossi una piuma- mi fece sedere sul bancone della
cucina per poi controllarmi le mani.
- << Sto bene
Edward! >> lo rassicurai.
- << Non direi
>> neanche
stessi per morire.
- Le studiò.
Sebbene fossi brava a cucinare ero sbadata, di conseguenza molto spesso
avevo evitato l’amputazione di qualche dito e subito molte
scottature << Credo di non avere una crema per le
scottature >> si rammaricò <<
Dentifricio >> dichiarai.
- << Come?
>>.
- << Con
questo tipo di scottature si può usare il dentifricio
>> chiarii.
Mi guardò dubbioso << Metodo della nonna,
Edward! Ascoltami e basta >> boccheggiai. E lo
fece.
- Corse al piano superiore e
ritornò col tubetto. Arricciò il naso quando me
lo spalmò sui palmi. Era alla menta peperita e anche con un
odore abbastanza forte, infatti, i miei occhi lacrimarono
irritati.
- Era delicato e accurato.
Il suo viso era poco distante dal mio e non mi curavo della bruciatura.
Se mi faccio la
doccia mi asciughi i capelli, se cado mi aiuti a rialzarmi, se mi
faccio male curi le mie ferite.
- Infine me le
bendò << Grazie >> gli baciai la
guancia.
Ah… se
tutti i medici fossero così.
- << Mi stai
fissando >> notò. Avrei dovuto essere
imbarazzata, distogliere lo sguardo e chissà
cos’altro, invece continuai ad osservarlo <<
Come ti sei fatto la cicatrice sulla tempia? >> dissi
incuriosita. In un gesto inconsapevole sfiorò quella parte
del viso.
- << Caduta
dalla bici >> rispose << Mi
dispiace… >> doveva essersi fatto male
<< Non è stata mica colpa tua >>
scrollai le spalle << Mi dispiace lo stesso o hai
qualcosa da ridire? >> mormorai.
- Scosse il capo con
un’espressione ilare sul volto << Allora posso
assaggiare… >> indicò i dolci
<< … o me lo proibisci?
>>.
- << Fai pure,
tanto io sono impossibilitata >> agitai le mani.
- << Troveremo
una soluzione >> mi tranquillizzò.
- Con un canovaccio prese
una piccola cocotte, vi affondò un cucchiaino e ne estrasse
un po’ di dolce. Era ancora molto caldo così
soffiò un po’ di volte per raffreddarlo. Infine
decise di imboccarmi.
- Mancava solo che facesse
l’aeroplano!
- Se non era Edward a farmi
sentire piccola, c’era la mia coscienza.
Lasciai qualche residuo di cioccolato sulla posata che prontamente
portò alla bocca.
- <<
Buono… >> Oh
Santo Dio! Mi si seccò la gola e le mie gote
avvamparono ma questa volta non d’imbarazzo.
- Sei sicura che parli del
soufflé?
- Cosa diavolo dovevo
rispondere? << Mmm… >> mugolai
in difficoltà.
Continuammo così: un boccone lui e uno io. Come due cretini.
Non ero mai stata sdolcinata, ma mi piacevano tanto momenti del genere.
Un po’ ci
comportiamo da coppia.
- << Che ti va
di fare? >> chiese quando mi aiutò a
rimettermi in piedi.
- << Non devi
lavorare? >>.
- << Non ne ho
voglia >> e
hai voglia di rimanere con me.
- << Potrei
abituarmi >> mugugnai euforica.
- << A cosa?
>>.
- << A tutte
queste attenzioni >> precisai con un sorriso sulle
labbra.
Se da una parte fosse così… con le palle,
dall’altra era restio a sbandierare le sue emozioni. Era
introverso e mi piaceva proprio per questo. Infatti, non mi
stupì quando non rispose e si limitò a fare uno
sfacciato occhiolino. Mi
manderai al manicomio, ne sono certa.
- << Che ne
dici di film, patatine, cola e popcorn? >> proposi in
salotto.
- << Cola e
patatine adesso? >> disse scettico.
- << Su Eddie!
Sono le sei del mattino? Non ti è mai capitato di mangiare
pasta al salmone alle quattro del mattino? >> obbiettai
esasperata.
- << In
effetti, no >>.
- << Devo
insegnarti proprio tutto! >> esclamai con enfasi come
fossi una martire.
- Aggrottò la
fronte << Non sai quante cose potrei insegnarti io
>> replicò malizioso. Cavolo!
- Chi la fa
l’aspetti…
- <<
Touché >> mi morsi le labbra
impacciata.
- Dire che ci comportammo
come due maiali era poco. Mangiammo tutta la mattinata sul divano
accompagnati dai film.
- << Sei
cattiva! >> inveii contro il televisore tirando qualche
popcorn.
Edward -disteso con i piedi sul tavolino di fronte al divano-
sghignazzò.
- <<
Perché? >>.
- << Ma la
vedi? Ha detto di amarlo e poi… su quel pezzo di legno ci
stanno altre due persone! Di certo non le sarebbe costato nulla
spostarsi un po’ per fargli spazio! >>
dichiarai << E lui che le aveva chiesto se si
fidava… pff! Jack eri tu a non doverti fidare della tua Rose
>> sbraitai.
- Scoppiò a
ridere << Hai l’abitudine di commentare ogni
film che vedi? >> domandò.
- << Edward
quando ci vuole… ci vuole! >> mi giustificai
<< Non l’ho mai vista da questa
prospettiva… >> ammise << Da
ragazzi Rosalie costringeva me e Jasper a sorbircelo. Non sai come
piangeva. >> Rosalie
sa piangere? Che notizia! << Prepotente fin
da piccola! >> borbottai certa che non mi avesse
capito.
- << Che ne
dici di fare qualcos’altro? >> proposi quando
il film finì << Cosa? >>
domandò.
- Scrollai le spalle
<< Un po’ di inventiva Eddie. Io ho proposto i
film, ora tocca a te >> gli feci notare.
Pensò a lungo e alla fine rispose: << Wii!
>>.
- << Ci sto!
>> trillai.
- << Che
gioco? >> continuai euforica.
- Si avvicinò a
un mobiletto sotto il televisore e due volanti. Sorrisi.
<< Tanto non vinci >> cantilenai furba
<< Vedremo >> replicò.
Iniziammo a giocare. Dannazione era bravo! Risi e lo spintonai per
fargli perdere la concentrazione << Non sei leale,
Isabella >> m’informò tentando di
restar fermo << Non ho mai detto di esserlo!
>> esclamai. Continuai finché non mi
ricambiò con la stessa moneta. Scoppiò a ridere
quando rischiò di farmi cadere dal divano <<
Smettila! >> mi lagnai << Anche tu!
>>.
- A quel punto mi stufai.
Certa che vincesse, buttai via il mio sterzo e gli saltai
addosso.
- Finimmo rovinosamente per
terra esplodendo in una grassa risata. Ero cavalcioni su di lui e quasi
non respiravamo << Ti… ti ho fatto male?
>> boccheggiai poggiando la fronte sul suo torace
<< No… >>.
- Si udiva solo il nostro
affanno << Dammi un minuto e mi alzo >>
affermai stanca << Tutto il tempo che vuoi
>>.
- Rimanemmo in quella
posizione fino a quando i nostri respiri non si normalizzarono e il
battito del suo cuore non si calmò.
- << Hai fame?
>> gli chiesi baciandogli il petto.
Sorrise per poi accarezzarmi il viso << Tu hai fame?
>> ci eravamo nutriti di schifezze dalle sei del
mattino.
- Alzai le spalle
<< Bè… no ma quando resto a casa
mangio troppo… che ne dici di una cioccolata calda. Ha
cominciato a fare un po’ di freddo >> affermai
alzandomi in piedi e tendendo una mano in sua direzione
<< Ci stai o no? >> aggiunsi. Rispose
accettando il mio aiuto.
- Raccolsi le varie ciotole
e lattine vuote << Aspetta, le mani…
>> venne in mio soccorso << Non sono
infortunata! >> esclamai dirigendomi in cucina e lui mi
seguì. Odiavo essere trattata come un’impedita.
Guardai il cielo dalla finestra. Era coperto e scuro ma le previsioni
meteorologiche avevano detto che non ci sarebbe stata pioggia.
- << Posso
farti una domanda? >> esordì sedendosi su uno
sgabello.
- << Ti sei
mai trattenuto? >> sorrisi spudorata.
- <<
Perché ti piace la pioggia? >>
sembrò che mi leggesse nel pensiero.
Ponderai su che risposta dovessi dargli mentre mescolavo il cacao al
latte. Ormai ti ho
detto quasi tutto. Ormai mi sono esposta. E se si fosse
tirato indietro scoprendo fino a che punto fossi dentro a questa
storia? Io non ero abituata a queste cose. Non avevo mai
avuto un ragazzo, un primo appuntamento, il mio primo bacio fu nei
bagni femminili della scuola con Lucas, la mia prima volta nello
sgabuzzino della casa di qualcuno, non avevo mai amato o dormito con un
uomo se non Edward. Ora mi ritrovavo con lui e che senso
avrebbe avuto negare a me stessa di provare delle cose per lui?
Dovevo accettarlo e anche rassegnarmi.
I miei occhi non avrebbero smesso di cercarlo e il mio corpo avrebbe
continuato a fremere a ogni contatto con il suo. Dovevo nuovamente
imparare. Salire in bicicletta e sperare di non cadere, ma alla fine
sarei cascata tante volte. Il
segreto è rialzarsi.
- << Spesso mi
sento sporca, la pioggia non mi fa sentire così…
>>.
- Gli davo le spalle, non
potevo vedere la sua reazione, sentivo il mio respiro affanno
<< E neanche tu… >>
confessai.
- Lo sgabello su cui era
seduto si mosse, lo capii dal suono stridulo che produsse contro il
pavimento. Il rumore dei suoi passi si fece più vicino. Ero
certa che, anche fossi stata sorda, avrei percepito la sua presenza
così vicina a me.
- Il suo fiato sul collo mi
bloccò la respirazione così come le sue braccia
attorno alla mia figura. Posò le labbra sulla curva del mio
collo. Chiusi gli occhi e dovetti aggrapparmi al ripiano della cucina. Voglio uccidervi dannate
farfalle. Una a una e stapparvi le ali! <<
Non sei sporca ci siamo capiti. Non. Lo. Sei. Isabella. Sei la persona
–che non abbia sei anni- più pulita che
conosca… >> mi confortò.
- Rimase attaccato a me con
un mento sulla mia spalla mentre la cioccolata diventava sempre
più densa.
- << Assaggia
>> lo esortai portando il mestolo alla sua bocca. Appena
cercò di leccarlo, lo spostai per sporcargli il
naso.
- Fece una smorfia e
scoppiai a ridere.
- Adesso hai la
possibilità di pulirlo con la lingua…
- <<
Cucciolo… >> lo rabbonii << Ti
pregherei di togliermi questa roba di dosso >> se proprio insisti.
Portai le mani sul suo volto << Allora in che modo vuoi
che agisca? >> non
sono stata maliziosa, vero? << Dai libero
sfogo alla fantasia. >> mi assecondò. Se dovessi ascoltare
l’immaginazione, tu saresti un gelato alla menta!
- Sebbene la piccola Bella
assatanata dentro di me m’implorasse di impiegare la lingua,
usai le cinque dita della mano destra e a loro volta le ripulii con la
bocca. Troppo buona.
Dovevo capire se la cioccolata fosse gustosa di per sé o
perché fosse venuta a contatto con Edward. I misteri della vita.
- << Ora
è appurato che sono la regina della cioccolata e che tu stai
bene, anche se hai il viso imbrattato >> dichiarai
<< Ehm… Edward mi serve la mano. Non essere
avido, tu ne hai già due, non prenderti anche la mia!
>> gli feci notare con aria da maestrina.
- Non disse nulla
<< Che c’è? >>
domandai interessata << Mi piaci…
>> repressi un sorriso. Era bello sentirglielo dire
<< Mi piaci anche tu, Edward >>.
- Il resto della giornata
passò velocemente finché non sentii il rumore di
un’auto.
- Senza pensarci un attimo
mi fiondai fuori di casa. Appena vidi Renoir, quasi mi misi a
saltellare dalla gioia. Senza di lei tutto era un po’
sottotono << Amore della mamma! >>
strepitai emozionata prendendola in braccio. Le riempii il viso di baci
<< Mi sei mancata molto >> confessai
continuando a soffocarla << Anche a me tantissimissimo
>> mi sbaciucchiò anche lei.
- La misi su un fianco
<< Buonasera signori Cullen >> salutai
cordiale << Isabella chiamami Carlisle e dammi del tu per
favore >> tese una mano in mia direzione. Lanciai
un’occhiata a Edward in cerca di un’ancora. Presi
un respiro profondo e strinsi la mano di Carlisle << Con
piacere, ma a patto che tu mi chiami Bella >> ignorai le
saette che mi lanciava Esme << Va bene Bella
>> sorrise affabile.
- Renoir non fece altro che
parlarci del suo weekend quando le facemmo il bagno, le mettemmo il
pigiama e le asciugammo i capelli. Si era divertita ed era anche molto
stanca << Voi invece che avete fatto? >>
chiese mentre le rimboccavamo le coperte.
- Abbiamo dormito insieme,
confessato ciò che proviamo e quasi baciati.
<< Niente… io ho studiato…
>> dissi vaga << E tu, papà, che
hai fatto? >>.
- << Niente
scricciolo. Mi sei mancata tanto >> concluse baciandole
la fronte e lanciandomi un’occhiata significativa.
- ************
- Ciao ragazze..... che dire di
questo cap?? Mi sembra stupido sottolineare che la canzone è
Try di Pink. La trovo meravigliosa! Spero vi sia pianciuto. E
recensite. Baci acalicad.
|
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Capitolo 14 *** La sbandata colossale ***
- Ciao
ragazzi? Come state? Allora qui c'è un nuovo capitolo. E
sono puntuale! Piccolo chiarimento: forse a qualcuno di voi
sarà parso anomalo il comportamento di Edward. Mi riferisco
alla sua affettuosità nei confronti di Bella. Fin dai primi
capitoli, ve l'ho presentato come un uomo... rigido, maturo ecc... ma
l'essere rigorosi non vuol dire che non si può essere dolci
o aperti. Si può essere maturi e al tempo stesso carini. Non
dico che bisogna arrivare ad essere stucchevoli, cioè non
bisogna passare dal troppo al troppo poco. Forse sarà molto
quotato l'uomo che non chiede, che prende e basta senza farsi qualche
domanda. Sapete che palle! Ovviamente è un mio pensiero, non
ho nulla in contrario con chi rappresenta questo personaggio con questa
personalità, sono scelte, il mondo è bello
perchè è vario ecc... e tante altre cose sulla
libertà di pensiero. Bene ora che mi sono spiegata vi
ricordo che la revisione dei capitoli è a cura di CloJ che
ringrazio per le sue dritte e che seguirò nei prossimi cap.
Infine la cover è stata fatta da Lalayasha e ringrazio anche
lei.
- Ora che ho finito il mio papiro
vi lascio al cap. Spero sia una piacevole lettura.
-
Incontri migliaia di persone
- e
nessuna ti colpisce veramente.
- E
poi incontri una persona e
- la
tua vita cambia per sempre.
- Gonna a tubino blu,
camicia bianca, tacchi alti e nausea alla bocca dello stomaco.
- Oh Gesù!
Perché avevo addosso questi vestiti? Shopping con Tanya.
Dimostravo cinque anni in più e con il trucco somigliavo a
una mamma. Una di quelle dei film che vedi dormire con uno strato di
lucidalabbra e la messa in piega perfetta, che quando il suo compagno,
la sveglia sorride raggiante con un alito all’essenza di
rosa.
- La realtà non
era cosi!
- Quando mi svegliavo, avevo
le occhiaie talmente scure da sembrare un panda, i capelli come la
criniera di un leone e se risvegliata da qualcuno che non fosse la
sveglia, avevo le scatole così girate da essere capace di
distruggere qualcosa a testate.
- Invece, ora, ero perfetta
perché era il quindici settembre. Il primo giorno di scuola
di Renoir e dovevo apparire quanto più adulta
possibile.
- La sua scuola era alquanto
prestigiosa e presentarmi in jeans e t-shirt non sarebbe stato
l’ideale.
- La serata precedente dopo
averle preparato lo zainetto e stirato la divisa che trovavo
meravigliosa col colore del suo incarnato, ero ritornata nella
dependance e per il nervosismo avevo passato la notte a dare di
stomaco.
- Ero certa che tutti mi
avrebbero fissato come se avessi addosso una grossa freccia
lampeggiante. Sono qui,
la madre degenere che ha abbandonato la sua bambina.
- Che bellezza. E avrebbero
spettegolato. Chi
è quella? La fidanzata di Edward Cullen? Ho sentito dire che
convivono. E’ troppo giovane. Che vergogna!
Sapevo già che avrei cominciato a
grattarmi.
- Se non fosse che volevo
essere lì, mi sarei seppellita sotto le coperte.
- Guardai per
l’ennesima volta l’orologio che avevo al polso. Le
sette e trenta. Dovevo sbrigarmi. Preparare la colazione, svegliarla e
cercare di dimenticare l’ansia che mi stava incatenando la
ragione. E le vere catene non erano quelle che costringevano il corpo.
Presi un respiro profondo, cercai di darmi un po’ di contegno
e uscii dalla casetta.
Stavo per avere un attacco di panico. Neanche dovessi andare in guerra!
Misi un grembiule da cucina e iniziai a fare la pastella per i
pancake.
- Pure le mani mi tremavano.
Okay, tra poco mi sarei messa a piangere. Ero troppo emozionata, avevo
perfino preparato la macchina fotografica. Non potevo non immortalare
il suo primo giorno di scuola! Sarebbe stata una pazzia.
- In realtà mi
ero persa così tanti anni della sua vita, che adesso le
facevo tante fotografie in momenti più inaspettati. Stavo
collezionando album con le sue foto, ma non era
un’ossessione. Almeno
credo.
- << Nuovo
look? >> saltai in aria e per poco non mi sporcai. Evitai
di guardarlo per fargli scorgere il mio turbamento, di certo non dovuto
alla sua capacità di spuntare dal nulla.
- Dalle nostre famose
confessioni erano passate poche settimane. Alcune volte, da cosa mi
diceva e dalla strana luce con cui mi fissava, sembrava che sapesse
già cosa fare. Da cosa lo avevo capito? Di giorno in giorno
i nostri contatti non erano andati a scemare ma erano aumentati a
dismisura, come i sorrisi talvolta maliziosi e pieni di significato. E
la certezza che lui sapesse cosa fare, mi terrorizzava a morte. Negli
ultimi tempi era diventato davvero una tentazione con le labbra che si
ritrovava.
- <<
Giorno… il caffè è pronto
>> lo avvertii flebile.
Perché avevo l’impressione che mi stesse
rivoltando come un calzino con il suo sguardo?
- Sorrisi forzatamente e
feci un giro su me stessa << Comunque non ti abituare.
Queste cose non fanno per me. E’ solo per Renoir
>> dichiarai.
- << Stai bene
>> se
proprio insisti, mi vesto così ogni giorno.
- << Grazie,
ma non mi sento molto a mio agio. Questa gonna è un
po’ asfissiante >> mi sentivo
un’acciuga dentro a una scatoletta.
- << Sei
agitata >> notò come se lo avessi ammesso
<< No >> mentii.
- Disposi le frittelle sul
piatto.
Passai a tagliare la frutta e spremere le arance. Forse stavo
preparando troppe cose? La colazione era il pasto più
importante della giornata, no? E Renoir doveva andare a
scuola.
- Avevo la tremarella per
lei.
- Avevo sempre odiato il
primo giorno di scuola per questo a liceo evitavo di andarci facendo
credere ai miei il contrario. Okay, marinavo la scuola spesso e
volentieri. Avevo già detto di essere la figlia perfetta
solo in apparenza.
- << Sei
agitata! >> ripeté con più
convinzione disponendosi alle mie spalle e afferrandomi per la vita
<< Buongiorno >> sussurrò al mio
orecchio. Potevo liquefarmi?
- Gli infilai un cubetto di
mela in bocca, non volevo sentire qualcosa che poi mi avrebbe fatto
cadere. Portavo i tacchi, se fossi cascata, mi sarei fatta molto
male.
- << Vado a
svegliare Renoir >> tentai di defilarmi.
- << Sei
ancora rigida >> precisò.
- Scoppiai ai ridere quando
mi morse il lobo dell’orecchio e mi pizzicò i
fianchi << Smettila! >> biascicai. Fece una
pernacchia sul mio collo per poi baciarlo velocemente e più
volte << Edward! >> strepitai divertita
<< Ti calmi o no? >> impose. Continuai a
ridacchiare << Abbiamo trovato il punto debole!
>> esclamò vittorioso. Cavolo!
<< Allora? >> continuò mentre mi
muovevo come un’anguilla << Sì,
sì, sì! >> strillai
<< Okay… >> si
allontanò di poco << Ora sei libera
>> mi lasciò andare.
- Gli diedi le spalle ma mi
richiamò: << Bella? >> drizzai
le orecchie e volsi lo sguardo su di lui. Sulle sue labbra
c’è uno stupendo sorriso << Sei
bellissima… >> ciao mondo ora posso morire!
<< Grazie Eddie >> ammiccai.
- Tolsi le scarpe e le
abbandonai sulle scale, così potei avere più
agilità. Salii velocemente ed entrai nella sua stanza.
Sonnecchiava beata con le mani incastrate tra il cuscino e la sua
guancia.
- Silenziosamente aprii le
persiane e andai a sedermi sul ciglio del letto <<
Amore… >> le accarezzai i capelli
<< … devi svegliarti e andare a scuola
>> aggiunsi scuotendola un pochino << Ho
sonno! Non ci voglio andare! >> piagnucolò
sotterrando il capo nel cuscino.
- Che ci vuoi fare… ha
preso tutto dalla mamma!
<< Farfallina, la scuola è bella!
>> a me era piaciuta solo perché facevo
casino. No, questo non
è il caso di dirglielo. << Pff!
>> borbottò stiracchiandosi.
Le sistemai il cravattino nero e non potei non notare quanto fosse
bella. << Capelli sciolti o treccia? >>
domandai con una spazzola in mano << Treccia. Sento caldo
>> disse lasciandosi andare a uno sbadiglio. A differenza
mia le due trecce le stavano una meraviglia << Sei
perfetta! >> sussurrai incantata.
La feci scendere dal letto e le baciai la fronte <<
Mami… perché sei vestita così?
>> non capiresti farfallina << Non ti
piace? >> ribattei << No. Sei
bellissima… >> sorrise raggiante
<< … e perché non hai le scarpe?
>> indicò i miei piedi con una mano
<< Così… >> scrollai
le spalle.
- << Scendiamo
giù? >> afferrai la sua mano <<
Dimmi cucciola, cosa farebbe diventare questa giornata meravigliosa?
>> le domandai << Una gigantesca torta alla
vaniglia! >> disse sognante <<
Ehm… allora te la preparerò per merenda. In
compenso ci sono i pancake con la frutta >>.
- Raccattai le mie scarpe e
raggiungemmo Edward. Alzò gli occhi al cielo appena vide le
scarpe che dondolavano sulle dita della mia mano. Era seduto e in una
mano aveva il giornale e nell’altra una tazza di
caffè.
- << Papi!
>> Renoir gli corse in braccio.
- <<
Buongiorno amore. Da quando sei felice di andare a scuola?
>> le baciò i capelli. Me li sarei mangiata a
furia di baci!
- Avevo portato con me la
mia vecchia polaroid, a passo felpato la presi dal bancone, non
resistetti e scattai. Sarebbe stato da stupidi non riprendere quel
momento!
- Mi guardarono appena il
flash li abbagliò << Il primo giorno di scuola
è il primo giorno di scuola… >> mi
giustificai prendendo la fotografia e agitandola affinché
diventasse nitida. Ecco perché amavo le polaroid!
- Scoppiarono a ridere.
Probabilmente avevo l’espressione di una bambina appena colta
con le mani nella marmellata. Ops!
- <<
Ignoratemi! >> esclamai con il broncio <<
Mangia tesoro, oggi è una giornata importante!
>> mi rivolsi a Renoir.
- << Tu non
fai colazione? >> chiese Edward.
- << No, non
ho fame >> negai. Come potevo dirgli che ero
così nervosa che mi si era chiuso lo stomaco? La sua bocca
si trasformò in una dura linea retta. Se vuoi obbligarmi, ti sbagli di
grosso! << Edward…
>> ammiccai per poi scuotere il capo. Ridacchio
divertito.
- << Voglio il
gelato! >> brontolò la piccola quando salimmo
in auto.
- << Questo
pomeriggio >> la rassicurai.
- Edward mise in moto mentre
il mio stomaco si contorceva << No…
>> continuò << Scricciolo, la
scuola è importante! >> dichiarò
suo padre << Sì…
sì… >> rispose sbuffando
<< Renoir mi stai assecondando per farmi tacere?
>> raramente la chiamava per nome e il suo tono era
così severo. Non lo avevo mai sentito, non con lei.
- Lanciai
un’occhiataccia a mia figlia e poi a lui. La prima se la
rideva sotto i baffi mentre il secondo era accigliato <<
No papi… >> sì, lo stava
accontentando.
E se da una parte avrei voluto dirgli di smetterla di rimproverarla,
dall’altra sapevo che era sbagliato << Renoir!
>> la ripresi dolcemente.
- <<
Chissà da chi avrà imparato…
>> bofonchiò lui. Cavolo ha ragione!
Non potei rispondere perche arrivammo a destinazione. No, no! Non
volevo scendere.
- Deglutii a vuoto. Avevo
paura.
Di colpo sentii il rumore della mia portiera aprirsi. Edward, era stato
lui e mi stava porgendo la mano << Pronta?
>> domandò al mio orecchio appena lo affiancai
<< Sì, certo >> mentii.
- Renoir ci
afferrò per mano e ci incamminammo verso il cancello. Era
stupido e forse non era così, ma appena varcammo la soglia
mi sembrò che ogni sguardo si posasse su di me e che con le
occhiate si alzassero anche i bisbigli.
- Lui come riusciva a far
finta di nulla? Era snervante.
<< Allora piccola… niente broncio e divertiti.
Non litigare, non farti sgridare e non dare il contentino a nessuno
>> raccomandai allegra << Sì
mammina >>.
Una donna al nostro fianco certa di non essere vista ci spiava e i suoi
occhi si spalancarono appena mia figlia parlò. Mammina, nessuno
sapeva chi fossi e tantomeno che Renoir fosse stata adottata. Edward
aveva voluto proteggerla.
- << Okay
>> sorrisi e mi schioccò un bacio sulle
labbra.
- Lo squillo della
campanella ci destò << Buona giornata piccola
>> disse Edward << Anche a te papi
>> e lo baciò sulla bocca.
- Restammo a fissarla mentre
agitava la mano a mo’ di saluto << Sono
felice… >> ammisi. Avrei voluto stringergli la
mano o poggiare il capo sulla sua spalla ma c’erano troppe
persone attorno a noi << Ne sono lieto >>
mormorò.
- << Edward,
potresti accompagnarmi all’università?
>> chiesi in macchina.
- << Come mai?
>> rispose incuriosito.
- << Devo
parlare con un paio di professori e… incontrare Jean
>> buttai la bomba. La sua reazione non tardò
ad arrivare: strinse le mani sul volante e
s’incupì.
- Mi affrettai a spiegare
prima che dicesse qualcosa << Edward…
>>.
- << No!
>> esclamò rigido.
- << No?
>> non capivo.
- << Non
voglio >> spiegò.
E se da una parte ero piacevolmente stupita dall’altra, ero
anche irritata << E’ un ordine? Non lo
incontrerò punto e basta? >> sapeva che
problemi avevo con le imposizioni. Non mi facevano pensare
lucidamente.
- Mi fulminò
<< Non andarci >> riprovò
deciso.
Inspirai profondamente. Avrei dovuto trovare un compromesso tra i suoi ordini e i miei
modi bruschi di reagire a questi ultimi.
- << Non
voglio che ti veda nuda >> se questa non è
gelosia.
- << Bene.
Allora sappi che non lavoro più per lui. E lui mi ha chiesto
di vederci per parlarne a quattr’occhi >> lo
informai.
- Si rilassò,
anche se la sua espressione diceva il contrario <<
Perché dovreste vedervi? >> cavolo era
intrattabile! Posai una mano sulla sua sul cambio << Ti
fidi di me? >> chiesi.
- <<
Sì >> disse senza remore.
- << Bene
>>.
- << Tu ti
fidi di me? >> rigirò la domanda.
- <<
Ciecamente >> confermai.
- << Bene
>> rispose.
- << Vuoi
accompagnarmi? >> tentai << Francamente,
sì >> affermò << Ma
hai appena detto che ti fidi >> obbiettai
<< E’ di lui che non mi fido, Isabella
>> non sapevo che fare << Ma
lui… >> non
ha nessun interesse nei miei confronti <<
Sono un uomo e so riconoscere gli sguardi. Forse durante il suo lavoro
sarà obiettivo ma durante la mostra non ti ha tolto gli
occhi di dosso. Perciò credimi >>
m’interruppe serio << Un’altra
dimostrazione è che vuole incontrarti. Dannazione ha
quarant’anni! >> sbottò. Era
incazzato!
- <<
Vuole convincerti a cambiare idea oppure
t’inviterà a uscire, Isabella! >>
adesso se la prendeva con me! << Edward, per favore,
cerca di ragionare. Io non cambierò idea. Non
uscirò mai con lui e mi cercherò un lavoro
più tipico
>>.
- Il suo sopracciglio
svettò in alto << Un lavoro? >>
domandò. Annuii decisa << Ehm… Jean
mi pagava bene. Darò qualche ripetizione e… poi
si vedrà… >> scrollai le
spalle.
- <<
Isabella… >> sapevo cosa stava per
dire.
- <<
Scordatelo Edward! >> esclamai <<
Ma… >>.
- << Edward,
no! Non mettermi con le spalle a muro perché in quel caso,
conoscendomi, scapperei ed io non voglio fuggire; non da te. Mi
troverò un lavoro com’è giusto che sia.
Ti ringrazio per la tua offerta di mantenermi,
ma non accetto! >>.
Strinsi la sua mano quando cercò di ribattere
<< Non voglio litigare con te. Non mi piace
>> bisbigliai sincera << Neanche a me,
Isabella >> terminò parcheggiando di fronte
all’università.
- << Adesso me
lo fai un sorriso, sei così bello quando lo fai…
in effetti, lo sei sempre, ma questa è un’altra
storia >> dichiarai raccogliendo la mia borsa dal
cruscotto.
- Si lasciò
andare in uno splendido sorriso malizioso che tanto amav… mi
piaceva << Visto! >> trillai. Gli baciai
una guancia, forse troppo vicino all’angolo della
bocca.
- Impiegai circa due ore per
parlare con i professori che mi avrebbero aiutato con la tesi dopo gli
ultimi due esami.
- Dopodiché
incontrai Jean. Edward aveva ragione. Infatti, mi chiese di vederci
qualche volta per un caffè. Ero libera come il vento eppure
mi sentii una fedifraga. Balbettai qualche scusa incoerente, infilai
dentro che avevo un ragazzo. Con Edward avevo una relazione platonica.
- E infine lo ringraziai per
poi scappare via.
La proprietà di Edward era così vuota. La guardai
attentamente appena varcai il cancello. Il giardino era più
grande della casa stessa e… senza Edward e mia figlia
sembrava scarna.
- Sbuffai annoiata. Erano
appena le undici del mattino. Più tardi avrei fatto la torta
ma adesso? Mi guardai da capo a piedi. Sì, dovevo
assolutamente cambiarmi. Mi sfilai l’ingombrante gonna cui
seguì la camicetta e tirai un sospiro di sollievo. Indossai
un prendisole e le ballerine.
- Mi misi di fronte allo
specchio per struccarmi.
Gettai un urlo lancinante quando la porta della dependance si
aprì e una figura sconosciuta apparve nel riflesso dello
specchio.
- Afferrai una stampella per
abiti e gliela puntai contro.
Era una donna matura. Indossava un abito verde menta e delle scarpe col
tacco alto. Somigliava Meryl Streep ne “Il diavolo veste
Prada”, soprattutto per quanto riguardava i capelli.
- <<
E’ una ladra? >> domandai spaventata. Quale ladro sano di mente si
vestirebbe come lei per andar a svaligiare case?
- << Io una
ladra? Ha visto come sono vestita?>> replicò
con un tono di voce fra l’irritato e il divertito
<< L’abito non fa il monaco >>
sussurrai.
- Come aveva fatto a
entrare? Il cancello lo avevo chiuso e per entrare come niente fosse
bisognava avere un telecomando.
Cerco di fare un passo in mia direzione ma la fermai: <<
Chiamo la polizia! >> strepitai << Non si
muova! E’ da sola o c’è qualcun altro?
>> aggiunsi frugando nella borsa alla ricerca del
cellulare. Di primo acchito composi il numero di Edward
<< Dio! Alla sua età! >>
sbraitai << Credevo che anche in questo campo ci fosse il
pensionamento! >> mi agitai.
- Spalancò gli
occhi << Prego? >> domandò
mettendo le braccia conserte.
<< Stia ferma! >> imposi <<
Quanti anni avrà? Ottanta? >> continuai
<< Sessantanove! >> s’infiammo.
Che faccia tosta! << Allora sappia che il botox non le
è servito a molto! >> obbiettai
<< Cosa… >>.
- << Pronto
Isabella? >> Edward finalmente rispose. Le
feci cenno di tacere.
- << Edward
c’è una ladra in casa! >>
urlai.
- << Edward
non sono una ladra, ma Lilian! >> disse la presunta ladra. E ora chi è questa?
Se vengo a sapere che ha avuto una relazione con lei, spacco tutto!
- << Nonna?
>> rispose lui prima che la mia mano si
aprisse facendo cadere il telefono per terra. Merda! Ero certa di
esser paonazza in volto. Era sua nonna! <<
Lei… >> ansimai << Sì
ragazzina! >> suonò come un’accusa
<< Ho mentito… il botox le dona parecchio
>> incespicai senza fiato. No! Avrei voluto
sprofondare.
- Un’altra donna
Cullen che mi odiava. Bene.
Abbandonai la mia arma –che non avrebbe potuto far male
neanche a una mosca- e mi avvicinai a lei <<
Ehm… sono certa in questo momento le mie scuse non
servirebbero a molto. Ormai l'ho detto, ma mi dispiace molto signora
Cullen. >> aveva un’espressione così
diffidente da farmi rabbrividire << Sono Isabella
Swan… >> sapeva chi ero? Avevo paura di
provocarle un infarto << Edward mi ha parlato di lei.
Posso offrirle qualcosa? >> continuai gentile.
- << Sei la
cameriera per caso? O ti porti a letto mio nipote >> Oh Santo Cielo!
Edward mi aveva detto che le sarei piaciuta! Perché non ha detto
se ero la sua fidanzata? E’ impossibile che possa esserlo?
Non sono abbastanza.
- Ti ricordo che le hai dato della
‘vecchia rifatta’.
- << No,
signora, non sono la cameriera e se mi portassi a letto Edward, non
sarei in questa casa per via di Renoir. Vuole rimanere qui?
Perché io sto andando nella casa principale a bere
qualcosa… >> di forte.
Uscii dalla dependance con i nervi a fior di pelle, frustrata da me
stessa e dalla mia poca delicatezza!
Entrai dalla portafinestra che mi condusse subito in cucina, la sentivo
dietro di me e mi stava studiando.
Aprii il frigorifero adocchiando una bottiglia di vino. Era ancora
mattina e se fossi stata sola me la sarei scolata, ma presto o tardi
avrebbe saputo la verità e non volevo che pensasse che oltre
a essere una ragazzina sgualdrina
per aver lasciato mia figlia, fossi anche
ubriacona.
- Afferrai una bottiglia
d’acqua ma prontamente la sua mano fermò la mia
per poi prendere la bottiglia di vino. Non legge nel pensiero vero?
- Si muoveva con
tranquillità.
- Poco dopo
riempì due calici di vino bianco e me ne porse uno. In una
piccola ciotola aveva disposto anche delle noccioline <<
Posso darti del tu, Isabella? >> annuii cauta
<< E li hai ventuno anni per poter bere? >>
sembro davvero
così giovane? Asserii col capo ancora una volta
<< Bene. Sei stata così sincera finora, non
fingere di non aver bisogno di alcool in questo momento
>> sembrava una minaccia. Tentennante strinsi lo stelo
del bicchiere tra l’indice e il medio e lo avvicinai a me
<< Non ti piacciono le noccioline? >> ebbi
paura di dirle che ero allergica alle arachidi << No, non
ho fame >> per
quel che ne so, può anche uccidere.
- << Allora,
Isabella, vuoi dirmi tu cosa fai in questa casa e perché
conosci la mia bisnipote o aspettiamo l’uomo che non ti porti
a letto? >> cavolo! Bevvi una sorsata di vino
<< Aspettiamo… Edward >>
balbettai.
- << Va bene.
Sono una donna molto paziente. Hai un viso molto familiare…
>> sono
la madre biologica della tua bisnipote <<
Edward mi ha parlato di lei. Nutre molto affetto nei suoi confronti
>> cambiai argomento << Chiamami Lilian,
Isabella. Stai cercando di ammorbidirmi? >> una sfida
costante, per certi versi mi ricordava Edward << Con
tutto rispetto Lilian, ma non m’importa di addolcirti come
non credo che tu debba avere spiegazioni della mia presenza in questa
casa. Fino a prova contraria è l’uomo con cui non
vado a letto il proprietario >> ormai mi odiava e non era
da me essere falsamente accomodante. E poi ero così per via
dell’alcool << Sei sfrontata >>
affermò indispettita << Sincera
>> rettificai bevendo altro vino << Sei tu
che mi hai chiesto di esserlo >> mi giustificai. E ora come la mettiamo?
- << Nonna?
>> Edward spuntò dal nulla. Sorrisi
più del dovuto e se fossi stata completamente ubriaca, lo
avrei abbracciato. E’
così bellaviglioso.
- << Tesoro,
quante volte ti ho detto di chiamarmi Lilian e non nonna. Anche se
sembro un’ottantenne, mi sento ancora giovane
>> cavolo! Se l’era legata al dito.
- << Lilian,
Edward è meglio che io vada. Buona chiacchierata…
>> saltai giù dallo sgabello <<
… e abbi cura di te… >> ridacchiai
prima di superarlo.
Due ore dopo, stesa sul letto detto della dependance, ero del tutto
sobria. Nonna Serial
Killer. Scoppiai a ridere. Non osavo immaginarla affianco
a Genoveffa e Anastasia
–madre e sorella di Edward – il trio malefico. Wow! A quel punto occorrerebbe
la protezione civile. Diverrebbero Qui, Quo, Qua
versione femminile. Oppure come le tre scimmie sagge solo che non erano
sorde, cieche, mute e tantomeno assennate. Poveri uomini
Cullen… risi ancora più forte.
- Guardai
l’orologio sul polso. Avrei dovuto vestirmi per andare da
Renoir.
- Sentii bussare e la porta
della dependance si aprì. Per un attimo ebbi paura che fosse
Lilian, per fortuna era Edward.
- Mi misi seduta
<< Sa? >> domandai reggendomi forte. Mi
avrebbe tramortito, ero certa << Sì
>> è
ancora viva? << Come sta? >>
continuai incerta << Mi ha chiesto di parlarti
>> no!
Vuole uccidermi. << Ah…
>> come potevo avere paura? << Le ho detto
che non era il caso >> spiegò. Mi alzai in
piedi << Perché no? E’ giusto.
Renoir è sua nipote e… >>.
- Era stata
l’unica ad avanzare questa richiesta. Forse non era tanto
male << Isabella… >> mi
trattenne per una mano << Edward, salvo che non nasconda
dietro la schiena una spranga, andrò a parlare con lei
>> affermai.
- Mi diedi una rapida
occhiata allo specchio. Dovevo cambiarmi, almeno per sembrare
più adulta? Mi aveva chiesto se avevo ventuno anni. Ormai la
brutta figura l’avevo fatta. Non avrebbe cambiato
granché fingere di possedere un’età che
non avevo.
- <<
Bella… >> riprovò.
- Abbozzai un sorriso per
poi scompigliargli i capelli << Ascoltami.
Parlerò con tua nonna. Le dirò tutto quello che
vuole sapere, perché lei vuole conoscere la
verità prima di sparare giudizi insindacabili
>> sentenziai.
- Mi afferrò per
i fianchi e mi avvicinò a sé posizionandomi tra
le sue gambe e poggiando la fronte sul mio stomaco. Mi
sfuggì una risata quando sfregò il naso
sull’ombelico << Che c’è?
>> chiesi dolcemente accarezzandogli il collo
<< Poche donne affronterebbero Lilian >>
bofonchiò rilassato. Gli piacevano i grattini sul collo.
Dovevo tenerlo a mente << Bé… io
sono una ragazzina >> scherzai << Possiedo
l’incoscienza della mia età >>
aggiunsi. Depositò un bacio sulla vita. Mi piacevano le sue
labbra, i suoi capelli che sfidavano la gravità, la loro
morbidezza e la mascella decisa ricoperta dalla barba.
<< Avevi ragione >> sussurrai
impacciata.
- << Io ho
ragione sempre. A cosa ti riferisci in particolare?
>>.
- <<
Arrogante! Mi riferisco a Jean. Mi dispiace per averti dato poco
credito >> lo sentii irrigidirsi << Che ha
fatto? >> ecco questo era un ordine!
- << Se sei
arrabbiato con me, sei ingiusto! >> lo accusai
cupa.
- << Non sono
arrabbiato con te Isabella! >> esclamò
<< Allora perché non cerchi di avere un tono
più gentile? Avrei potuto non dirtelo e invece
l’ho fatto come se ti dovessi qualcosa, quando invece sono
libera come l’aria! >> sbottai. Alzò
gli occhi per potermi guardare. Era molto compiaciuto.
Adesso si metteva a fare il pallone gonfiato << Posso
sapere cosa ti ha detto? >> così andava molto
meglio.
- << Siccome
non lavoravo più per lui, potevamo prendere un
caffè di tanto in tanto >> chiarii
<< E tu cosa hai risposto? >> quanto era
stupido! << Che per me andava bene! >> cretino, secondo te cosa gli ho
detto? << Bugiarda >>
sogghignò.
- Sospirai pesantemente
<< Sì, sono bugiarda. Ho accumulato una scusa
dietro l’altra e sono scappata via… mi ha messo in
imbarazzo, non sono abituata a essere colta alla sprovvista da un uomo,
a parte te ovviamente. Non mi ha mai fatto intendere nulla, se avessi
saputo, non avrei mai lavorato per lui. Bisogna tenere una linea
invalicabile tra lavoro e vita privata, altrimenti sai che casino
>> sussurrai in mia difesa. Il punto era che non
c’era bisogno che mi giustificassi, eppure mi sentivo in
dovere. Da matti! < Giusta ottica >> si
congratulò con fare giocoso.
- <<
Tesoro… >> impietrii. Perché lo
avevo chiamato in quel modo? Non vedevo i suoi lineamenti ma ero certa
che sorridesse. Gli baciai i capelli <<
Edward… >> mi corressi << Mi
piace >> disse << Cosa di preciso?
>> chiesi vaga. Ero arrossita.
- << Che mi
chiami così… >> quant’era
dolce!
- << In teoria
non potrei farlo… >>.
- << In teoria
noi due non dovremmo fare tante cose >>
obbiettò.
- << Ma a noi
piace farlo >> lo assecondai << Ora,
sebbene mi piaccia stare con te… >> tra le tue braccia.
<< …dovresti lasciarmi andare. Devo discutere
con un’adorabile
signora >> continuai << Cui ho dato
dell’anziana ladra gonfia di botox >> cavolo! <<
Mi dispiace, sono stata presa dal panico >> mi difesi
<< Posso sapere cosa ci fa qui? >> chiesi
curiosa << Era in Sudafrica, quando torna a New York,
viene a stare da me. Sono il suo nipote preferito…
>> spiegò con un sorrisetto intrigante sulle
labbra.
- << Le
piaci… >> mi rassicurò. Lo guardai
scettica << Mi domando cosa farebbe se fosse il
contrario… >> non gli credevo <<
Non sto scherzando, Isabella >> mi riprese.
- << Neanche
io, Eddie… >> gli baciai il capo
un’altra volta e mi lasciò andare.
- Edward mi disse che Lilian
era in cucina. La trovai intenta a sorseggiare del vino. Avevo
l’impressione che mi avrebbe rivoltato come un calzino a
furia di indagare.
Mi misi dietro il bancone per guardarla negli occhi << Le
dispiace se cucino nel frattempo. Tra poco Renoir sarà a
casa >> mi torturai le mani. In parte era per mia figlia
e in parte perché dovevo far qualcosa mentre ero sotto
interrogatorio.
- << Non
è compito di Madeline? >> e ancora una volta
mi parve un’accusa.
- << Madeline
è fuori città da una cugina e a me piace cucinare
per mia
figlia >> stupido tentativo di marcare il
territorio.
- << Isabella…
hai origini italiane? >> a che pro sapere le mie
origini?
- << No,
Lilian. Sono americana, di Chicago >>.
- << E quanti
anni hai? >>.
- << Ventuno
>>.
- << Somigli a
mia nipote >>.
- << Sono la
madre biologica. E’ normale >> non sapevo che
gioco stesse facendo.
Tagliai il sedano e passai alle carote << Vedo che ti sei
ambientata >> altra accusa << Non
è stato difficile >> replicai distaccata
<< Mio nipote è sempre stato troppo generoso,
anche con chi non lo meritava >> colpita e affondata.
- <<
Sì, ha ragione. Suo nipote è molto cortese
>>.
- <<
E’ molto affezionato a te… >>
rifletté come se fosse impossibile. Come potevo rispondere
<< Come ha detto lei è solo gentile
>> mentii << Non fingere di essere adulta,
Isabella >> mi rimbeccò << Non
è presuntuoso da parte sua pensare di conoscermi dopo un
paio di ore? >> la contestai infastidita <<
Cos’è che ti da fastidio? Che abiti in questa
casa, che Edward sia disponibile nei miei riguardi o che sia in
contatto con mia figlia?
>> protestai.
- << Tutto
ciò che hai appena detto >>.
- << Allora ti
dirò ciò che ho detto sia a tua nuora che a tua
nipote. Io non me ne vado, rimarrò qui con o senza la vostra
approvazione e fareste bene a impiegare il vostro rancore in
tutt’altra maniera >> forse ero stata troppo
veemente ma ero anche stanca.
<< Quando Edward mi ha detto che voleva parlarmi, ho
pensato che fosse diversa da Esme e Rosalie. Pensavo che mi desse il
beneficio del dubbio prima di sentenziare, ma mi sbagliavo
>>.
- << Che
succede? >> Edward ci raggiunse facendo saettare lo
sguardo tra me e sua nonna. Mi sforzai di sorridere << Un
piacevole scambio di opinioni >> disse lei.
Perché aveva mentito? Di piacevole non c’era stato
nulla.
- Fissai Edward. Teneva
molto a Lilian. Come potevo dirgli che anche per lei ero…
non sapevo cosa di preciso ma sicuramente non nutriva nessuna stima per
me.
Alla fine da codarda quale ero, mi arresi e tacqui. Distolsi gli occhi
dai suoi. Come se avesse compreso, ci osservò ancora una
volta mentre sua nonna faceva la stessa cosa con noi due. Ero
confusa.
- << Allora
Edward, come sta l’allegra combriccola? >>
parlò lei.
- Si sedette su uno sgabello
tra me e lei come se fosse un campo neutrale << Tutti
bene, Lilian >> scrollò le spalle
<< Ho pensato che stasera potremmo organizzare una cena
per avvertire tutti della mia presenza. Mi conosci figliolo, non mi va
di avvisarli uno per uno >> gli strinse la mano e i suoi
occhi luccicarono.
- Finsi di ignorarli. Mi
sentivo leggermente a disagio << Ehm… se a te
fa piacere… >> perché era incerto?
<< Sì caro >>
confermò.
- << Bene. Ora
andrò a disfare i bagagli. Dove posso sistemarmi?
>> continuò.
<< Nella dependance c’è Isabella, ho
portato le tue valigie nella stanza vicina a quella di Renoir.
E’ la più spaziosa >>
dichiarò.
- << Cosa ti
ha detto mia nonna? >> domandò appena ci
lasciò soli << Qualche frecciatina nulla di
che >> minimizzai indifferente << Cosa di
preciso? >> ribadì. Scrollai le spalle
<< Che tu sei troppo disponibile con me e cose del
genere… >>.
- <<
Isabella… >>.
- << Edward,
non rammaricarti per delle parole che non sono uscite dalla tua bocca.
Non è colpa tua. Smettila >> implorai
<< Ora per quanto riguarda la cena di famiglia, ho
pensato di andare da Tanya. Sai già come ti muoverai per il
cibo, perché se vuoi, posso aiutarti anziché
chiamare un ristorante o tua nonna sa cucinare?
>>.
- << Potresti
esserci… >> disse con tono distaccato
<< La mia presenza non farebbe altro che fomentare
conflitti. E se posso, evito di venire a contatto…
>>.
<< Con la mia famiglia >> finì
per me.
- <<
Già. Diremo a Renoir che Tanya ha bisogno di me. Per le nove
sarò a casa e la metteremo a letto >> dissi
risoluta.
- Renoir con Lilian fu un
po’ fredda perché era da un paio d’anni
che non la vedeva e non ricordava molto. Tuttavia le sorrise e
scherzò con lei.
- E ora io ero nella
dependance e le guardavo passeggiare nel giardino e parlare. Mi
chiedevo di cosa parlassero. Mia figlia gesticolava, parlava concitata
e sembrava euforica. Desideravo ardentemente sapere! Era Renoir, tutto
ciò che veniva a contatto con lei, mi riguardava,
no?
- Dovevo escludere che le
dicesse che mi odiava. Probabilmente non parlavano di me, dovevo
smettere di essere egocentrica! Forse Lilian voleva solo
conoscerla.
- O le sta domandando di te.
- Chiusi gli occhi, inspirai
ed espirai profondamente e mi rilassai.
- Andai a casa di Edward.
Per distrarmi avrei cucinato una torta e qualche teglia di
biscotti.
- Un’ora dopo
sfornai i brownies e infornai la torta alla vaniglia. Mi sentivo fuori
fase.
- << Mammina,
mammina… >> Renoir entrò come un
fulmine in cui seguita da nonna killer. La presi in braccio e la feci
sedere sull’isola << C’è
un odore buonissimo! >> strepitò
<< Ho preparato i tuoi biscotti preferiti. Vuoi fare la
merenda? >> dissi togliendole i capelli dal viso
<< Tra un po’… >>
rispose.
Lilian ci osservava come se dovesse risolvere un enigma
<< Farfallina, volevo dirti che tra un po’ esco
>> la informai sulle spine. Increspò le labbra
<< Perché? >> chiese corrucciata
<< Tanya ha bisogno di me. E gli amici si aiutano sempre,
amore mio >> spiegai << Ma quando ritorni?
>> s’imbronciò << In
tempo per guardare il cartone animato di “Geronimo
Stilton” e darti il bacio della buonanotte >>
la rassicurai << Io ci sono, tesoro mio. Solo qualche ora
e la mamma è a casa >> aggiunsi serena
<< Okay… prima di dormire mangiamo la torta
insieme? >> domandò. Sorrisi raggiante
<< Certo e giochiamo al solletico. Te lo prometto
>> le stampai qualche bacio sul viso e la feci
ridere.
- << Nonna,
visto, la mamma è forte! >> esclamò
rivolgendosi alla donna. E
quindi le ha chiesto di me. La piccola Isabella dentro di
me rideva sguaiatamente compiaciuta. Visto nonna killer!
<< Sì, piccolina >>
sussurrò flebile.
-
***************************************************
<< Allora la smetti di nasconderti dietro quel gelato e mi dici perché
sei tanto giù di morale. E’ tre ore che sei qui e
ancora non hai spiccicato una parola >> mi
sgridò. Sbuffai << Sono una scema, Tanya
>> sospirai << Potresti spiegarmi
perché lo pensi? >>.
- Cedetti e svuotai il
sacco.
- La guardai male mentre
rideva a crepapelle sul divano << Potresti smetterla!
>> brontolai arrabbiata << Come hai potuto
dirle del botulino e che le donava? >> era incredula
<< Non lo so. Ora mi odia e la colpa è mia
>> mormorai << Dio! L’hai
accusata di essere una ladra ottantenne! >> affondai il
cucchiaio nel barattolo di gelato alla mente e me lo portai in bocca
<< Grazie per il conforto… >>
ironizzai stizzita.
- << Avresti
potuto trattenerti >> ecco la principessa delle
ovvietà.
- << Tanya, a
casa di Edward c’è un sistema di sicurezza e me la
sono trovata alle spalle. Per quel che sembrava, poteva essere una
pazza… cosa vuoi che ti dica? Per fortuna ho chiamato lui e
non la polizia. Non oso pensare se l’avessero arrestata,
tutto per un banale disguido. E poi ha avuto dieci minuti per dirmi chi
era. Non capisco perché non l’ha fatto. Mi sarei
evitata la figura squallida che ho fatto >>
sbraitai.
- << Ha avuto
il coraggio di chiedermi se Edward ed io eravamo amici di letto e me
l’ha domandato non perché poteva essere una
possibilità ma per prendermi in giro >>
sbuffai << Dovresti capire la sua reazione, no?
>>.
- Come avevo potuto essere
così frettolosa? Così infantile?
Perché non mi cucivo una volta per tutte la bocca e pensavo
di più anziché reagire? Non sapevo quanto tempo
sarebbe rimasta. Mi avrebbe reso la vita impossibile? Dannazione, non
avrei potuto avvicinarmi a Edward. Aveva capito qualcosa? E’ molto affezionato a
te. Sì, aveva compreso; ma cosa di preciso? Che palle.
- << Ha detto
che voleva parlarmi… sono rimasta sorpresa dopo il modo in
cui l’ho trattata. E’ stata molto più
delicata di Esme e Rosalie, però mi ha accusato
comunque… ci sono rimasta male, credo, non so
perché. Sembra una tipa tosta, diversa da loro. Dio, non so
che pensare! >> mi presi la testa tra le mani.
- << Tesoro,
ormai è accaduto >> mi accarezzò la
schiena per rilassarmi.
- << Non
capisci Tanya. Faccio due passi avanti e uno indietro. Rovino tutto.
Avrei potuto essere più gentile, seguire la ragione. Quasi
tutta la sua famiglia mi odia ed io sono stata tutto fuorché
matura. Come posso pretendere di semplificare le cose se non faccio che
aizzare le persone che ama? Certe volte penso che per quanto io possa
migliorarmi, non sarà mai abbastanza. Sono questa, Tanya, e
ho più difetti che pregi >>.
- << Bella, ti
prego, dimmi cosa posso fare per consolarti >>
supplicò rammaricata.
- << Dimmi che
sono una cretina che non pensa mai alle conseguenze
>>.
- << Sei una
cretina che non pensa mai alle conseguenze >>.
- << Lo so, tu
come fai a non essere stupida? >> domandai.
- <<
Ehm… non saprei. Dai tempo al tempo. Non ti rendi conti di
quanto tu sia cambiata in questi mesi? Prima eri fredda, scostante e a
malapena mi chiedevi aiuto. Ora ti sei accesa Bella. Non guardare a te
stessa come una continua sconfitta. Sei maturata, sei una madre
amorevole. Mia madre mi ha avuto a diciotto anni e anziché
preoccuparsi di me, andava a divertirsi con il ragazzo di turno e mi
lasciava con mia zia. Avrei fatto carte false per avere una mamma come
te. Poche persone reagirebbero così bene a un cambiamento
tanto radicale. Ha vent’anni piccola. Si cresce gradualmente.
Sosterrai Renoir nel diventare grande e lei lo farà con lei.
Edward se non sapesse affrontare le avversità sarebbe
scappato molto tempo fa, non ti avrebbe permesso di avvicinarti a
vostra figlia. Dagli fiducia. E’ un grande uomo. Sei molto
fortunata. Non si sta nascondendo dietro a un dito per respingere
ciò che vi lega. E se gli fosse importato qualcosa dei
pensieri delle arpie… a quest’ora tu lo odieresti
e i tuoi occhioni non brillerebbero così. E’ vero,
in passato la vita non ti è stata favorevole ma ora ti sta
ripagando di tutti i tuoi sacrifici. Apri le porte del tuo cuore alla
felicità che ti spetta. Smetti di pensare che non sei capace
di… ancora non ho capito cosa. Mettiti in gioco
>>.
- << Non so
come si fa… >> singhiozzai mentre le lacrime
m’inondavano il viso.
- << La vita
è una giostra. O piangi di paura o ridi della paura. Se non
fossi spaventata non saresti umana. Ficcati nella testolina che sei
forte. Lo sei davvero. Sei sopravvissuta al dolore più
grande che una donna possa affrontare. Non sono madre, ma sono certa
che al posto tuo sarei finita in un ospedale psichiatrico
>> la sua voce tremava. La mia Tanya.
- La abbracciai nascondendo
il capo nell’incavo del suo collo. Non stavo avendo una crisi
isterica, avevo bisogno di una roccia.
- << Grazie
>> bofonchiai tirando su col naso.
- << E con
tutta sincerità, tesoro mio, io a quest’ora sarei
in quella casa a cenare con quelle vipere >>.
- << Tanya, se
fossi rimasta Renoir avrebbe avuto sentore
dell’ostilità che scorre tra me e quelle donne.
Non posso permetterlo >> sciolsi
l’abbraccio.
- << Ti sei
resa conto che lui ti ha chiesto di esserci? >>.
- << No, non
è possibile… >>.
- << Bella,
non pensi sia difficile anche per lui questa situazione? Entrambi
provenite da famiglie complicate. In qualche modo ha voluto dirti che
sei il suo appiglio >>.
- << Non
appena Renoir sarebbe andata a dormire, mi avrebbero umiliato
>>.
- << E credi
che lui glielo avrebbe permesso? >> disse
retorica.
- << Non lo
avrebbero fatto di fronte a lui. Sono subdole, Tanya
>>.
- << E
continuerai a subire vessazioni senza dirglielo? Se aprissi la tua
boccuccia, le rimetterebbe a loro posto. Ti hanno minacciata, fatto
male fisicamente… è anche ora! >>
strillò.
- << Abbassa
la voce! >>.
- << No che
non lo faccio. Se non glielo dici tu, lo farò io
>>.
- << No, non
sono questioni che ti riguardano. Lo farò, lo giuro, ma non
ora >>.
- << Okay, va
bene. Ora, per cortesia, metti via quel gelato dall’odore
rivoltante e mangiamo qualcosa di più sano
>>.
- La sua idea di sano era
hamburger e patatine. Anche lei sapeva essere contorta quando
voleva.
- Raccolsi la mia tracolla
pronta ad andarmene ma Tanya mi fermò <<
Saranno ancora lì. Non ritornerai a casa in shorts e t-shirt
>> decretò con aria cospiratoria. Devo sembrare più
adulta. Avrei voluto dirle che per qualche strano motivo a
Edward piacevo così com’ero, ma c’era
anche una parte di me voleva andargli incontro. Non mi stavo adeguando
alla sua famiglia ma a lui. Finché si trattava di indossare
un vestito da adulta, anziché degli shorts, non era un
grande sacrificio.
- Per la seconda volta
quando varcai la soglia di casa Cullen, dimostravo almeno cinque anni
in più. Una parte di me era compiaciuta. Mi era sempre
importato poco che apparissi più piccola della mia
età, ora invece cominciava a pesare.
Bè… almeno quando avrei avuto cinquantenni, mi
sarebbe tornato utile.
- << Ciao
Bella >> mi salutò Alice alzandosi dalla
tavola allestita in veranda. Prima che arrivassi, avevo sentito le loro
chiacchiere agitate e ora era calato il silenzio agghiacciante.
Tentennante nelle mie scarpe con tacco dodici, avanzai. Mi strinse nel
suo abbraccio << Buonasera >> dissi a
tutti.
- Fulmini e saette
sembravano provenire da ogni direzione. No, non mi sarei mai
abituata.
- << Mami!
>> Renoir si mise in piedi sulla sua sedia per pareggiare
la mia altezza.
- <<
Farfallina >> la abbracciai calorosamente
<< Allora, hai mangiato la torta? >>
domandai interessata. Scosse il capo << Stavo aspettando
te >> mi ricordò << Grazie
cucciola. La vuoi mangiare qui o in camera? >> continuai
<< Qui. Stavo raccontando al nonno del disegno che ho
fatto a scuola >> decise.
Mi lasciò la sua seduta e si sedette sulle sue ginocchia.
Ero tra Carlisle seduto alla mia sinistra e Edward a capo
tavola.
- Stavo reprimendo
l’impulso folle di buttare gli occhi su di lui che, ero
certa, mi stesse fissando.
- Come il resto della famiglia.
- << Ma
davvero? E cosa hai disegnato? >> chiesi aiuto ad Alice
affinché mi passasse una fetta di torta alla vaniglia
<< Ho disegnato te… >>
affermò candidamente.
- La forchetta colma di
dolce con cui stavo per imboccarla si fermò a
mezz’aria. Okay, aveva sei anni, era capace di nutrirsi da
sé ma a me piaceva lo stesso.
<< Hai disegnato me? >> sussurrai
incredula. Aveva disegnato me. Era stupido avere voglia di piangere
dalla commozione << Sì mammina
>> confermò facendomi cenno di farla mangiare
<< E cosa hai raffigurato, scricciolo? >>
disse suo padre. Sorrideva anche lui probabilmente per le mie labbra
tese all’insù da un orecchio all’altro
<< La mamma con un mantello rosso. Super Mamma
>> mi si strinse il cuore << E’
meraviglioso! >> la assecondò suo nonno
<< Super
Mamma? >> domandò
Lilian.
- Renoir annuì
decisa << Sì! E’ bella come una
torta al cioccolato, dolce come il gelato, intelligente come Geronimo
Stilton… >> mi guardò intensamente
<< …ed è la mammina più
mammina del mondo >> la stritolai nel mio abbraccio
<< Ti amo farfallina >> balbettai
emozionata << Anch’io mamma! >>
esultò << Domani mattina lo attacchiamo al
frigorifero >> aggiunse Edward.
- Finì la torta e
ci alzammo in piedi << Amore, dobbiamo andare a fare la
nanna. Dai la buonanotte a tutti >> la incitai
<< Vi accompagno >> affermò
Edward.
- << Bene
scricciolo. Ora dormi che domani dovrai andare a scuola
>> disse Edward baciandole la fronte << Va
bene papi >> mugugnò assonnata
<< Buonanotte piccola >> le rimboccai per
bene le coperte. Le accendemmo la lucina sul comodino e uscimmo dalla
stanza.
- << Dio! Mi
sorprende un giorno sì e pure l’altro
>> esclamai << E’ di una dolcezza
unica! >> continuai <<
Già… >> sorrise. Neanche lui
scherzava in quanto a dolcezza <<
Bé… ora è meglio che io
vada… >> bofonchiai incerta.
- << Ti sei
divertita? >> domandò quando gli diedi le
spalle.
- Cominciammo a scendere le
scale << Cena veloce e gelato con Tanya, niente di che
>> minimizzai << Tu? >>
chiesi a mia volta << Sì
>>.
- Per la prima volta dopo
tanto tempo non sapevamo che dire. Sembravamo impacciati
<< Posso farti una domanda? >>.
- Fece di sì col
capo << Volevi che ci fossi? Alla cena intendo
>>.
- Lo presi in contropiede,
lo vidi dalla sua espressione. Alla fine sembrò arrendersi e
rispose: << Sì >>.
- << Hai
capito perché non l’ho fatto, vero?
>>.
- <<
Sì >>.
- << Hai
intenzione di rispondere a monosillabi a ogni cosa che ti dico?
>> scherzai.
- << No
>>.
- Scoppiammo a ridere
<< Okay. A domani >> conclusi.
- Mentre lui ritornava dalla
sua famiglia, per andare alla dependance dovevo passare dalla veranda.
Il mio piano era di andare a dormire ma Lilian mi fermò:
<< Isabella, che ne dici di sederti con noi
>> tutto mi sarei aspettata tranne che quella richiesta
provenisse da lei. Avrei voluto fuggire!
- <<
Ehm… va bene >> ero a disagio.
- << Tieni
tesoro >> Alice mi diede una fetta di torta e una tazza
di caffè sorridendo affabile come per
incoraggiarmi.
- << Edward,
caro, non sai chi ho incontrato ieri >> proruppe sua
madre << La figlia dei Miller. Dovresti vederla, si
chiama Mia. E’ una ragazza adorabile…
>> e ora
chi è questa? M’irrigidii e bevvi
del caffè fingendo noncuranza. Avevo l’impressione
che il messaggio fosse rivolto a me. Stai lontana da mio figlio. <<
Mamma, non iniziare >> quindi è sua
abitudine organizzargli appuntamenti. Era pazza! Aveva
trent’anni, non aveva bisogno del suo aiuto <<
Ma Edward… >> frignò.
- << Esmeralda…
>> la interruppe Lilian. Esmeralda? Non sapevo che Esme fosse un
diminutivo di Esmeralda.
Dalla faccia di quest’ultima sospettai che non le piacesse il
suo nome intero << … se i figli maschi
ascoltassero le parole di noi povere madri, Carlisle non ti avrebbe
sposato… >> rimasi di sasso e con la mandibola
che sfiorava il terreno. Dovetti reprimere una grassa risata ma gli
altri non lo fecero. Che
imbarazzo! Ora capivo perché non si
sopportavano: erano uguali! << Allora
Isabella… >> si rivolse a me.
- << Che cosa
fai nella vita? >> fu gentile.
- << A parte
vivere nella casa di mio figlio? >> bofonchiò Esmeralda. Ecco che ricomincia.
- << Mamma!
>> la riprese Edward.
- << Che io
ricordi, quando Carlisle si accorse della tua esistenza, non avevi
né arte né parte >>
dichiarò nonna
killer. Santo Dio che lingua biforcuta. Ne aveva per tutti
<< Mamma! >> fu la volta di Carlisle.
Avrei fatto di tutto pur di uscire da questa situazione.
<< Comunque figliolo… >>
continuò Esme come se niente fosse <<
… che fine ha fatto Sandy? Lei è così
a modo, educata, adulta…
>> secondo colpo basso.
<< L’ha scaricata! >> rispose la
figlia arpia, fulminandomi.
- <<
Smettetela! >> la voce di Edward si alzò
<< La mia vita privata non vi riguarda >>
aggiunse infervorato << … perché
Edward? Sarebbe un’ottima madre per Renoir >>
mi si bloccò il fiato e la nausea salì lungo lo
stomaco. L’ha
detto davvero!
- <<
Esme… >> mormorò il
marito.
- << Mamma, te
lo dico ora e non te lo ripeterò più. Renoir ha
già una madre! Isabella è sua madre
>>.
- Mi alzai in piedi scossa
<< Complimenti Esmeralda. Hai appena dimostrato quanto tu
sia poco signora nonostante l’età >>
guardai Lilian con le lacrime agli occhi.
- << Sei una
persona tanto piccola da essere squallida >>
ansimai.
- <<
Bella… >> Edward mi trattenne per
l’avambraccio.
- << Lasciami
stare… >> borbottai strattonandolo.
- << Bene.
Potete continuare la serata senza di noi >> si
alzò anche lui in piedi.
- <<
Edward… >> cercò di dire sua
madre.
- << Hai
superato ogni limite! Vergognati >> gridò
arrabbiato << Vieni >> bisbigliò
afferrandomi la mano.
- Mi portò nel
suo studio, mi fece accomodare su una poltrona e mi diede un bicchiere
d’acqua << Isabella. Io…
>> tacque non sapendo come continuare.
- Scattai in piedi. Non
sapevo cosa pensare. Per l’ennesima volta mi aveva
umiliato.
- <<
E’ questa la tua famiglia >> sussurrai
distaccata << Io sarò sempre la poco di buono
che ha lasciato sua figlia… >> non stavo
piangendo, ero abbastanza in me.
<< Bella non ascoltarli >>
implorò.
Cominciai a camminare avanti e indietro per lo studio <<
Sai che ti dico? Tre tra le quattro donne più importanti
della tua vita mi odiano. Santo Dio! Tua madre ha percepito cosa
c’è tra noi due e sta cercando di allontanarci. Io
sono io… sembro perennemente ubriaca con le mie reazioni,
sono svampita e ho vent’anni; invece tu sei così
dispotico, irritante e sei adulto. Le nostre menti viaggiano su due
binari paralleli… e lo so di non essere donna. Se a te non
importa dei loro pensieri, allora non interessa neanche a me. E se te
lo dico, è perché per me sei davvero importante!
>> gesticolavo come una pazza cercando di spiegarmi. Ero
in pieno delirio! << Io… lo so che siamo
imperfetti, che litighiamo sempre, che sono ostinata fino alla nausea e
ribelle, ma quando siamo insieme, ci completiamo, Edward. Io mi sento
completa. Io… io… credo di essermi presa una
sbandata colossale per te. Lo capisci? Io no, perché non ho
mai sentito niente di simile. Ed è La sbandata
più dolorosa, pazza, stramba e meravigliosa di tutta la mia
vita. Ti assicuro che posso crescere ma devi aiutarmi perché
non so come trattenere tutto quello che provo…
perché tu… mi fai sentire bimba e desiderata come
una donna allo stesso tempo… ed è così
bello che quasi mi vengono le lacrime agli occhi…
io… >> non potei più continuare
perché mi ritrovai la sua bocca appiccicata alla
mia.
- Edward mi stava baciando!
- ************************
- Finalmente.... direte voi. E ci
sarà anche qualche: awww, prima di rendevi conto che il cap
è finito e a quel punto mi manderete a quel paese. Accetto
tutto. Fa niente.
- Bè... non voglio
essere prolissa. Quindi spero che vi sia piaciuto e recensite,
recensite, recensite. Un bacione. Acalicad.
|
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Capitolo 15 *** The only exception ***
- Salve
ragazze!Ommioddio sono riuscita a collegarmi per un pelo. E' da
stamattina che sono attaccata al pc ma ci sono riuscita!!!!!!!!!!
Allora vi lascio al cap. COme sempre vi ricordo che c'è
CloeJ che mi aiuta molto e la cover è stata fatta da
Lalayasha. Un bacio!
-
Fino
ad ora ho giurato a me stessa che sarei stata contenta con la
solitudine perché non vale mai la pena rischiare per tutto
questo, ma... tu, sei, l’unica eccezione.
- _____
- Ero paralizzata
con gli occhi spalancati mentre le mani di Edward circondavano il mio
viso. Per l’ennesima volta mi aveva fatto esplodere. Sentivo
le labbra in fiamme! Mi sentivo scombussola, come se non stessi vivendo
realmente quel momento.
- Era un contatto
superficiale. Mi aveva colto alla sprovvista e le mie labbra erano
pietrificate. Muovetevi,
per favore! Volevo poter ricambiare ma non ci riuscivo.
Il mio corpo non voleva seguire il mio cuore e la mia mente. Per favore, voglio baciarlo!
Gli avevo detto più volte che avrebbe dovuto aspettarmi, che
prima o poi lo avrei baciato io! E ora che era stato lui a prendere la
decisione, il mio corpo non mi ascoltava! Ecco perché lo
avevo implorato di darmi tempo. Dannazione! Non m’importava
che non mi avesse sentito, baciarlo era meraviglioso. Volevo farlo. Mai
una volta che le cose andassero per il verso giusto. Non è giusto!
- Qualcuno
bussò alla porta e maledissi quella persona. No, non allontanarti, dammi un
po’ più di tempo!
- Avevo ancora
gli occhi spalancati fissi nei suoi. Avevamo il fiatone. Entrambi
avevamo trattenuto il respiro.
- Con la coda
dell’occhio vidi la figura di Lilian. Rimaneva in silenzio.
Aveva capito qualcosa? Avevo le labbra incandescenti o era solo una mia
impressione?
- Perché mi guardi
così? Perché mi hai baciato? Perché
vorrei tanto piangere per non averti ricambiato?
- <<
Tutto bene ragazzi? >> la voce di Lilian ci costrinse a
guardarla. Aveva un vassoio tra le mani << Vi ho portato
una tisana >> io
non voglio una camomilla! Voglio Edward!
- Deglutii
rumorosamente non sapendo cosa fare << Grazie
ma… ma è tardi… io devo andare a
dormire… sono stanca… buonanotte
>>.
- Le mie
ginocchia tremavano! A stento riuscii a tornare nella dependance. Mi
fiondai in bagno e mi specchiai.
- Avevo le
guancie rosso pomodoro come le labbra o almeno così mi
sembrava e gli occhi erano luccicanti. Erano azzurri. Davvero azzurri!
E un sorriso da ebete tirava all’insù la mia
bocca. Mi ha baciato!
- Non riuscivo a
crederci! Aveva capito? Mi aveva baciato!
- Esplosi in un
gridolino e cominciai a saltellare come una bambina. Presi una rincorsa
e mi buttai sul letto soffocando sul cuscino un altro urlo.
Da quanto tempo non mi sentivo così? Come
un’adolescente alla prima cotta? In un certo senso avevo
bypassato la mia adolescenza che si era fermata a quindici anni e
ora… oddio! Mi aveva baciato!
Mi misi seduta << E’ stato così
passionale! Gli avevo chiesto di aspettare e lui non l’ha
fatto. Oh… ma che mi frega, è stato
elettrizzante. Ci si sente così di solito? Oddio…
sto parlando da sola. Sono impazzita! >> mi portai le
mani sul viso << Però è stato
bello, anche se ho dato di matto. Come ho potuto dirgli della sbandata.
Oh mamma! Se mi avesse preso per una bambina, non mi avrebbe baciato,
no? >>.
- Crollai di
nuovo sul letto << Sto parlando di nuovo da sola!
>> piagnucolai << E’ colpa sua!
Da quando lo conosco, non faccio altro. Mi scervello per capirlo e ora
lui mi bacia! Ed io scappo… >> appena
pronunciai l’ultima frase, caddi dal letto e sbattei
dolorosamente il fondoschiena << Ahi! >>
frignai.
- <<
Non penserà che sia scappata… oh mio Dio! Sono
fuggita, ma che potevo fare? Rimanermene lì a discutere con nonna killer? No,
era fuori questione >> mi misi a pancia in giù
e poggiai il viso su un braccio. Dovevo riflettere e prendere una
decisione.
- Baciami
Isabella.
- Baciami
Isabella.
- Baciami
Isabella.
- Aprii gli occhi
di soprassalto << Ahi! >> strillai. Mi ero
addormentata sulla moquette e svegliandomi avevo sbattuto la fronte
contro il comò. Che dolore! Mi massaggiai il capo, mi
sarebbe uscito un bernoccolo. Adesso avevo pure mal di testa. Al diavolo!
- Guardai la
radiosveglia. Erano le cinque del mattino.
- Avevo
l’impressione di dimenticare qualcosa.
- Avevo ancora
indosso il vestito.
- No, non si
trattava del pigiama.
Mi mordicchiai le labbra tentando di capire… mi ha baciato.
Mi mossi agita e… presi un’altra botta
<< Cavolo! >> strillai.
- Traballante mi
misi in piedi. Infervorata, uscii in giardino. Non sarei riuscita
più a prendere sonno se non avessi risolto
l’inghippo.
Silenziosamente entrai in casa di Edward. Andai in camera sua.
E… boom!
- Lui…
lui era sveglio. Si stava vestendo e aveva la camicia sbottonata. Ti odio, ti odio, io vengo qui
per parlarti e tu ti fai trovare così? Uffa.
La tremarella alle ginocchia si ripresentò. Perché sono venuta?
Sono una mentecatta! Quant’è
bello…
- <<
Perché sei vestito? E’
l’alba… >> sussurrai
confusa.
- <<
Oggi ho una trattativa finanziaria. Devo andare alla sede molto presto.
>> spiegò << Piuttosto tu? Che
ci fai qui? >> questa era una bella domanda.
Inspirai profondamente tentando di guardarlo negli occhi.
Dov’era finita tutta la mia forza? <<
Bè… questo non è il punto! Devo
parlarti. Per cortesia devi ascoltarmi >> implorai
flebile << Ma… >>
obbiettò << Per favore…
>> ribadii.
- <<
Ti rendi conto di quello che hai fatto? Mi hai baciato! Avevamo deciso
che dovevamo capire, lo abbiamo fatto parlando. Pensavo che…
che non appena avessimo compreso ne avremmo discusso nuovamente. Invece
tu, ti ricordo che ero in pieno delirio, prendi e mi baci. Io ti
confesso che ho una cotta per te e non ho mentito e tu… come
hai potuto? Ti avevo detto che se fosse successo l’avrei
fatto io. Ti sei comportato come me e ti faccio notare che tu odi i
miei modi spumeggianti. E ora guardami. Mi sono addormentata sul
pavimento, ho sbattuto il sedere e tra poco avrò due
bernoccoli sulla fronte per… >>.
- <<
Isabella, abbassa la voce… >>
m’interruppe divertito.
- <<
Non dire mai a una donna agitata di abbassare la voce! >>
strepitai.
- <<
Quindi deduco che tu… che per te non sono solo una semplice
attrazione. Bene. Mi pare ovvio che per me è lo stesso.
Prima quando tu… bé quando hai fatto quello che
hai fatto e io… >>.
- <<
Io ti ho baciato e tu ti sei dileguata >> disse per
me.
- <<
Ti ho detto di ascoltarmi in silenzio! >> esclamai
imbarazzata. Presi un altro respiro profondo e mi avvicinai quanto
più possibile a lui. Avresti
almeno potuto coprirti! Sospirai un po’
più calma << Stavo dicendo… che
prima, le mie labbra si sono rifiutate di collaborare. Credo che il mio
corpo voglia avere il controllo… >> ansimai
mentre lui era ritornato serio << Cosa vuoi dire?
>> domandò in un sussurro.
Non sto ammazzando
nessuno. Rimasi in silenzio e per distrarmi iniziai ad
abbottonargli la camicia. Lentamente perché dovevo ancora
racimolare le parole giuste da dire.
Sul letto c’erano due cravatte una azzurra e una verde. Presi
la prima sotto il suo sguardo indagatore << Ti dona di
più questo colore… >> bofonchiai
passandola sotto il colletto << Sai fare il nodo alle
cravatte? >> chiese per alleggerire la tensione si stava
espandendo dai nostri corpi a tutta la stanza <<
Charlie… >> chiarii con voce strozzata
<< Il serpente gira una volta e mezza attorno
all’albero, poi sale su e infine scende
giù… >> recitai la filastrocca con
la quale mio padre m’insegnò. Conclusi sistemando
il nodo << Ora sei perfetto >>
affermai.
- Posai una mano
sul suo cuore e azzardai un’occhiata al suo volto. Anche lui
mi stava osservando.
La mia mano risalì lungo il suo corpo arrivando alla
guancia.
- <<
Facciamolo ora! >> proruppi ansiosa << Facciamolo?
>> oddio,
è una frase equivoca. << Sempre a
fraintendere >> lo criticai isterica <<
Intendevo che sto per baciarti e non ricordo come si fa, ma si dice che
è come andare in bicicletta. Tu devi stare fermo e venirmi
incontro >> imposi con chissà quale coraggio.
Arpionai la sua nuca per costringerlo ad abbassarsi.
- Sgranò
gli occhi impercettibilmente << Non muoverti, okay?
Voglio davvero baciarti e se tu farai qualcosa, io mi
bloccherò… >> mormorai.
Annuì con un leggero sorriso a contornargli quelle labbra
assolutamente belle.
- E se non mi piacesse?
No, impossibile. Vai
Bella!
- Risi
timidamente e sfregai il naso contro il suo. Il suo buon profumo era un
incentivo ad avvicinarmi ulteriormente.
- Con un
polpastrello delineai il profilo del suo volto. Ormai le farfalle nello
stomaco erano talmente impazzite che erano uscite da me e le vedevo
svolazzare dappertutto.
- Mi decisi e gli
accarezzai le labbra per poi scostarmi. Altra scossa. Accarezzai la sua
bocca ancora una volta e vi deposi qualche bacio superficiale, poi mi
feci più audace e gli sfiorai con la lingua il labbro
inferiore.
- Non so di
preciso cosa feci in seguito ma mi ritrovai a baciarlo. Un vero bacio.
Era delicato, probabilmente non voleva spaventarmi. Era un
po’ rigido perché forse voleva fare di
più, si limitava a tenermi ferma per il capo. Era un gesto
che mi trasmetteva protezione.
- Dio mio aveva
un buon sapore! Non ero molto pratica ma era bravo! Era
così… non c’erano parole per spiegarlo.
In effetti, era più semplice di quanto pensassi. Forse era
lui a renderlo naturale, forse con un altro ragazzo mi sarebbe stato
difficile lasciarmi andare.
- Era sempre
stato così emozionante? Lo sarebbe stato sempre?
Così giusto.
- Era come se mi
fossi appena buttata dall’Empire State Building. Okay, non mi
ero mai gettata da un grattacielo ma se mai l’avessi fatto,
mi sarei sentita così.
- Edward ed io ci
stavamo baciando! E chi l’avrebbe mai detto.
- Se ricordi bene io,
l’ho ripetuto di continuo!
- Ci allontanammo
per tornare a respirare. Perché non ero imbarazzata a morte?
Ero certa di avere le gote arrossate ma non provavo vergogna. Ero
smaniosa. Ora che lo avevo baciato volevo saltargli addosso e
continuare a farlo per ancora tanto tempo.
- <<
Bene, ora che abbiamo chiarito… ehm… ora
vado… io… ciao… >> ero
certa che la mia espressione fosse da liceale post primo bacio. Questo
sarebbe dovuto esserlo.
- Cercai di
fuggire ma mi afferrò per una mano << Te ne
stai andando? >> chiese stupito <<
Sì… >> confermai incerta. Non
volevo andarmene ma dovevamo fare tutto con calma. E ritornare nel mio
lettino sarebbe stata la scelta migliore al momento.
- <<
Sei… sei assurda… >>
borbottò ridendo.
- <<
Sì lo so, ora vado. Ehm… ci vediamo quando
torni… e non so che dire >> gli schioccai
bacio veloce.
- <<
Isabella? >> mi richiamò quando aprii la porta
della stanza.
<< Dimmi >> lo incitai.
- <<
La sbandata… è reciproca…
>>.
- Oddio! Potevo
mettermi a saltare e battere le mani come una bimba? <<
Sono sfacciatamente fortunata. Buongiorno Eddie…
>> ammiccai.
<< E’ stato decisamente un buon giorno
>> lasciami
andare perché se mi parli così non lo
farò mai. Davvero sorrideva
perché… bé per quello che era
successo? Smettila,
smettila! Di questo passo il mio cervello brucerà.
Scossi il capo smarrita e andai via.
- Era impossibile
addormentarmi dopo aver fatto… ancora non riuscivo a
crederci!
- Tornai nella
mia casetta e mi parve bellissima. Quasi vedevo rose e fiori ovunque,
tra un po’ avrei immaginato gli uccellini
cinguettare.
- Alle sette e
trenta, dopo essermi vestita, andai a svegliare Renoir. Le feci
indossare la sua divisa e la portai a fare colazione.
- Attaccato al
frigorifero, c’era un biglietto di Edward:
- "Isabella, usa l’auto
che c’è in garage. Non voglio che quella cosa che
tu chiami macchina, vi lasci per strada. Mi auguro che il tuo inizio di
giornata sia stato bello quanto il mio. E.”
- Oh…
quanto era tenero! Sorvolando sul fatto che abbia criticato il mio
maggiolino, avrei dovuto baciarlo più possibile.
- <<
Mammina? Mammina? >> Renoir mi costrinse a tornare alla
realtà << Dimmi farfallina >> la
incitai << Avevi la bocca aperta >>
notò ridacchiando. Arrossii << Stavo pensando.
Allora hai finito di mangiare? >> velocemente raccolsi il
suo zainetto dallo sgabello << Sì,
sì… >>.
- Effettivamente
l’auto di Edward sembrava molto più stabile della
mia. Non sapevo che modello fosse, non ero molto pratica. Potevo solo
dire che era nera e tirata a lucido.
C’era l’odore di Edward nell’abitacolo e
istintivamente sorrisi mettendo in moto.
- Mano nella mano
la accompagnai fino all’entrata. Nuovamente c’erano
state altre, occhiatacce, ma ero talmente su di giri che
m’importava ben poco.
- <<
Buongiorno Renoir >> a parlare fu una donna sulla
trentina, molto carina e minuta << Buongiorno signorina
Collins >> ricambiò mia figlia.
- <<
Buongiorno >> sorrisi cordiale.
<< Mamma, la signorina Collins è la mia
insegnante di storia e geografia >>.
- <<
E’ un piacere conoscerla. Sono Isabella >> tesi
una mano in sua direzione.
- Sembrava
stupita, aveva gli occhi eccessivamente aperti <<
Ehm… Samantha Collins. Lei è la madre di Renoir?
>> mia
figlia mi ha chiamato mamma, secondo te sono l’uomo
nero?
- Sorrisi fiera
di esserlo << Sì. Sono la madre
>> confermai gentile.
- <<
Scusi se sembro sorpresa. Quindi lei e… e il signor
Cullen… >> balbettò.
- Inevitabilmente
il mio sopracciglio, come se avesse forza propria, svettò in
alto. Cosa incideva se stessimo insieme o meno? Anche le educatrici sono
pettegole.
- Appena vide la
mia espressione, arrossì imbarazzata.
- Ricordai una
delle prime conversazioni fatte con Renoir in cui mi parlava della sua
insegnante di storia. E
quindi ti piace Edward. Bè… se
avessi seguito la ragazzina che c’era in me, avrei marcato il
territorio. D’altra parte, tra Edward e me c’era
stato solo un bacio. Non stavamo insieme e da quanto avevo capito lei,
gli faceva il filo da circa un anno ma era stata garbatamente tenuta a
distanza. No, non ero gelosa.
Aldilà dell’essere gelosa o meno, mi diede
fastidio che mi avesse posto quella di fronte a Renoir. Era stata
inopportuna e sfacciata.
- Per fortuna lo
squillo della campanella ci interruppe e lei fuggì con la
coda tra le gambe << Ehm… Isabella
è stato… un piacere conoscerla >>
non mi diede tempo di replicare che fuggì. E chissà come saranno
le altre.
- Sorrisi
distaccata. Salutai Renoir e andai via.
Non avevo niente da fare. Forse avrei dovuto trovare un lavoro
mattutino. Ero sempre stata impegnata a ogni minuto del giorno e ora mi
stavo annoiando a morte.
Rovistai nella borsa e presi l’Iphone.
- Telefonai a
Edward, per fortuna c’era la segreteria.
- <<
Ciao, mi sembra stupido dirti chi sono. Ho accompagnato Renoir a scuola
e conosciuto la sua insegnante di storia. L’ho trovata fuori
luogo e anche lei ha una cotta per te. Dovremmo trovare una motivazione
credibile per spiegare la mia comparsa nella vita di Renoir. Per quanto
riguarda questa mattina… baciarti è stata una
delle cose più belle della mia vita, te lo dico ora
perché non avrei mai avuto il coraggio di dirtelo di
persona. Ci vediamo questa sera, non vedo l’ora di parlarti e
di baciarti ancora. Spero che a lavoro vada bene. >>
buttai il cellulare sul sedile, mi coprii il viso con le mani e poggiai
la fronte sul volante. Saltai in aria perché il clacson
suonò. Scoppiai a ridere << Sono
irrecuperabile… >> bofonchiai
rassegnata.
- Avevo portato
con me un libro dell’università. Così
per occupare la mente, andai in un piccolo caffè letterario.
Ordinai il mio caffè con panna, una spruzzata di cannella e
cacao e cominciai a studiare.
- Verso le due
del pomeriggio, il mio telefono squillò <<
Pronto? >>.
- << Isabella, sono
Lilian >> m’informò
nonna killer.
- <<
Lilian. Come hai fatto ad avere il mio numero?
>>.
- << Non
è questo l’importante. Volevo dirti che ci
incontreremo nella scuola di Renoir. Questa sera uscirò e
voglio passare un po’ di tempo con lei >>.
- <<
Oh… per me non c’è problema. Ci vediamo
tra dieci minuti >>.
- Era una donna
che ancora dovevo inquadrare. Non sapevo se mi odiasse o altro.
Certamente si comportava in modo molto strano. Prima mi accusava di
essere un’approfittatrice e dopo mi difendeva da
Esmeralda.
- Appena giunsi
alla scuola, mi squadrò da capo a piedi << Hai
buon gusto ragazzina >> mi complimentò. Per essere strana è
strana.
- <<
Grazie >>.
- <<
Questa mattina molto presto ho sentito dei rumori molesti provenire
dalla camera di Edward >> cavolo!
<< Davvero? >> mi finsi sorpresa.
<< Già… c’è
qualcosa che vorresti dirmi, Isabella? >> chiese con aria
di chi la sapeva lunga. Sospettava! <<
C’è qualche domanda che vorresti farmi, Lilian?
>> dissi a mia volta << Tutto a tempo
debito, mia cara >> mi parve una minaccia.
- <<
Scusami, ma ora devo fare una chiamata >>
continuò.
- Quando si
allontanò, vidi due donne venirmi incontro. La prima era
bionda, la seconda rossa. Avevano negli occhi una strana luce. Ebbi
l’impressione di essere accerchiata e di non poter
scappare.
- <<
Salve >> sussurrai a disagio.
- <<
Piacere di conoscerla Mindy Sullivan >> si
presentò la rossa.
- <<
Isabella Swan >>.
- <<
Cindy Lerman >> continuò la bionda. Mi
prendono in giro? Repressi una risata di divertimento <<
Lei è la compagna di Edward? >> Santo Cielo! Perché
tutte mi chiedono di lui? << Sono la madre
di Renoir >> precisai risentita. Rimasero di sasso
<< Oh… davvero? >>
squittì la rossa. Iniziavano a irritarmi <<
Sì >> la freddai.
- <<
Non l’abbiamo mai vista da queste parti >>
aggiunse curiosa.
<< Di che cosa si occupa? >>
continuò Cindy o come si chiamava, bé…
la bionda.
- <<
Quanti anni ha? >> fu la volta della rossa. Erano delle
pettegole patentate! Mi ricordavano le amiche di Renee che venivano a
casa nostra per discutere di qualche opera pia e finivano col sparlare
di qualsiasi cosa respirasse.
- Mi sentivo
sotto attacco e non volevo rispondere alle loro domande. Non sapevo
ancora cosa rispondere.
- <<
Ventuno >>.
- <<
Ma è giovanissima! >> strepitò.
<< Non sarà invidia? >> Lilian
apparve dal nulla, per fortuna. Fecero una smorfia alla battuta di
nonna killer.
- <<
Signore, sono Lilian Cullen. Date un po’ di pace alla madre
di mia nipote >> apparentemente aveva un tono scherzoso,
in realtà era tagliente << Non vorrete
sbranarla >> rise con grazia. Era bellissima.
- <<
Ora dobbiamo andare >> mi prese sottobraccio
<< Au revoir… >> mi
trascinò lontano dalle arpie.
<< Certe donne non smetteranno mai di esistere
>> dichiarò.
- <<
Di nuovo grazie >> borbottai grata.
- <<
Non preoccuparti ragazzina. Un bicchiere di Chardonnay del 2010 e passa
tutto >>.
Ridacchiai per il suo modo di fare << Lilian, non sono
abituata all’alcool >> rifiutai
impacciata<< Oh bambina… in questo ambiente ti
abituerai presto… >> non mi piacque
ciò che disse. Sembrava esasperata. Mi sarei trasformata in
un’alcolizzata per anestetizzare la pazzia di Anastasia e
Genoveffa o le chiacchiere di donne come quelle che mi avevano
accerchiato.
- <<
E’ una delle ragioni per cui sei sempre in giro per il mondo
>> notai.
- <<
Anche. Io e mio marito avevamo progettato di andare dappertutto e dopo
la sua morte ho voluto portare avanti i nostri progetti
>> sorrise serena. Mi dispiacque per lei.
__________
- Ero sempre
stata educata per essere una donna di successo, una credente che doveva
improntare la sua vita sulla serietà. E se mai avessi avuto
dei figli, sarebbero cresciuti come me.
- Avevo
assaporato quello stile di vita e l’avevo trovato noioso,
svilente sotto ogni punto di vista. Mi aveva fatto sentire in gabbia.
Io volevo di
più. Desideravo svegliarmi la domenica e non
andare in Chiesa. Volevo che mia madre mi dicesse che ero bella con un
vestito addosso e non se mi facesse apparire grassa o no. Bramavo la
libertà o almeno l’autonomia che poteva avere una
quindicenne.
- E
l’essere rinchiusa nella mia gabbia d’oro mi aveva
spinto a compiere tutte quelle azioni di cui mi ero macchiata.
- In parte la mia
era stata una ripicca. Spesso e volentieri avevo fatto ciò
che Renee e Charlie avrebbero criticato. Nonostante loro non sapessero
nulla, l’adrenalina che m’infondeva quella
consapevolezza mi costringeva ad andare avanti. Perché
sapevo che in futuro non sarei stata felice, che sarei finita a fare la
moglie trofeo di qualche ricco imprenditore e il mio motto era “tutto e
subito”.
Invece ora, guardando me e Renoir ballare come due matte nel salone,
ero certa che niente avrebbe potuto deturpare la nostra bolla
d’amore, che in un modo o nell’altro sarei stata
raggiante ogni volta che mi sarei specchiata negli occhi di quella
bambina che avevo procreato.
- La
felicità era un sentimento strano. Colpisce come un pugno allo
stomaco e non ti rimane che annaspare in cerca d’aria.
- <<
If you liked it then
you shoulda put a ring on it… don’t be mad one you
see that he want it… if you liked it then you shoulda put a
ring on it… >> sculettavo sul
tavolino tra il televisore e il sofà e Renoir mi seguiva a
tempo di musica sopra il divano << Wuh uh oh uh uh oh oh uh oh uh
uh oh… uh uh oh uh uh oh uh oh uh uh oh…
>> avrei dovuto vergognarmi ma mi stavo divertendo da
matti.
- << All the single
ladies… all the single ladies…
>> continuò mia figlia saltellando
<< All
the single ladies… all the single ladies >>
strillai.
Saltai giù dal tavolo, le feci segno di imitarmi e
cominciammo a girare su noi stesse agitando i capelli. Impugnai il
telecomando a mo’ di microfono << Oh oh oh… oh
oh… oh oh oh… >>
terminai mentre la musica andava a scemare.
Appena mi fermai, con la coda dell’occhio vidi Edward.
Finalmente era tornato!
Sorrisi euforica mentre applaudiva la nostra esibizione.
- <<
C’è papà! >> squittii
euforica. << Papà! >>
strillò Renoir. Dovevo sembrargli una pazza ma le mie labbra
non volevano saperne di tornare dritte e le guancie iniziavano a
dolere.
- La bimba gli
andò incontro << Papà portami sulle
spalle! >> implorò.
<< Scricciolo stai crescendo >>
scherzò Edward afferrandola.
- <<
Papà! Stai dicendo che sono grassa? >> lo
riprese Renoir.
- <<
No… >> continuò sarcastico.
<< Altrimenti mi sarei vendicata >>
concluse compiaciuta.
- <<
Somigli sempre di più a tua madre…
>> borbottò divertito mettendola
giù.
- <<
Ehi! >> gli pizzicai un fianco << Avresti
qualcosa da ridire? >> chiesi imbronciata
<< No Isabella… >> fece il finto
innocente.
- <<
Bene perché altrimenti mi sarei vendicata…
>> ripetei le parole di mia figlia. Rise in quel modo
dannatamente intrigante.
- Mi morsi le
labbra << Ehm… andiamo a fare la merenda?
>> chiesi a Renoir.
- <<
Sì, sì, sì! >>
esultò scappando via.
- Mi
lasciò da sola. No,
ritorna indietro. Lo guardai con le guancie arrossate.
Deglutii a vuote << Io… vado…
ciao… >> cercai di superarlo ma mi
afferrò per un braccio.
- <<
Che c’è? >> domandai come se questa
mattina non fossi entrata in camera e adesso non mi stessi logorando
per paura che se fosse pentito. La paranoia tentava di convincermene e
il fatto che non avessi ricevuto nessuna chiamata o messaggio non mi
aiutava affatto. Tanya diceva che spesso gli uomini avevano paura. Ma è stato lui a
baciarmi! O forse non aveva riflettuto a fondo, lui stesso
aveva detto di essere attratto da me, forse aveva agito
d’istinto. Ed io con la mia esuberanza lo avevo messo alle
strette. E ora era qui! Dopo undici ore e venti minuti dal nostro
primo- secondo bacio.
- Fammi capire qualcosa! Ti ho
detto che baciarti è stata una delle cose migliori della mia
vita.
- Mi
guardò intensamente.
- Fece un passo
in mia direzione.
Stavo per morire d’infarto!
- Mollò
la presa e la sua mano risalì lungo il braccio in una
carezza sensuale.
- Il respiro che
si era da poco regolarizzato, ritornò affannato.
- Ti sta facendo cuocere nel tuo
brodo, cretina!
- Trattenni il
respiro e chiusi gli occhi quando accostò il viso al mio
<< La… la bambina >> balbettai. L’ho detto davvero?
- Sei una stronza! Volevo baciarlo
anch’io!
- <<
Ho sentito il tuo messaggio. Dopo parleremo e questa volta
sarò io a baciarti >> bisbigliò al
mio orecchio con le labbra che mi sfioravano la pelle.
- Quando non
sentii più il suo profumo, azzardai ad aprire gli occhi.
Sembrava che mi fossi immaginata tutto.
- Mi
scombussolava.
- Mi toglieva il
fiato.
- Mi
seduceva.
- Era
Edward.
- Con i suoi
sorrisi. Le facce buffe. Il sarcasmo. L’eleganza. La gelosia.
E volevo che fosse mio. Mai come in questo momento mi ero sentita una
ventenne in piena “sbandata” ed era una sensazione
così rivitalizzante. _______
- Si
rintanò nel suo studio fino all’ora di cena. Ero
più interessata a guardarlo che a mangiare le mie penne
all’arrabbiata.
- In quel momento
tutti e tre eravamo attorno al tavolo da pranzo.
- Mi si era
chiuso lo stomaco perché non appena lui portava gli occhi su
di me, io collassavo.
- C’erano
tanti di sguardi.
- D’amore;
d’odio; di felicità; di euforia; di
tristezza.
- E poi
c’erano gli sguardi di Edward. Ebbene sì! Forse
era l’ubriacatura da “prima cotta” o
forse era il leggero retrogusto di piccante della pasta che mi faceva
sentire accaldata, ma credevo che gli occhi di Edward mi osservassero
in un modo tutto loro.
- Mi mandava in
pappa il cervello e la cosa peggiore era che mi piaceva e mi
terrorizzava allo stesso tempo. Chiamavo lui “maniaco del
controllo”, ma in parte lo ero anch’io. Non mi
muovevo se la mia sfera intima doveva essere esposta e in fin dei conti
negli ultimi mesi c’era stata una lotta interiore tra istinto
e razionalità. Il primo mi aveva sempre spinto a lui, il
secondo a battere in ritirata nelle situazioni compromettenti. Ero
maniaca tanto quanto lui perché…
- <<
Mamma, papà come si fanno i bambini? >> la
domanda di Renoir fu inaspettata come uno schiaffo. Guardai Edward alla
mia destra, diventai paonazza, mi stozzai e rischiai di sputargliela
addosso. Renoir scoppiò in una fragorosa risata, Edward era
spiazzato ed io tossivo come un fumatore ventennale.
- <<
Mamma, mamma… >> mia figlia –che
rideva ancora come una matta- mi raggiunse e cominciò a
darmi dei leggeri colpi sulla schiena nel tentativo placare il mio
attacco di tosse << Grazie amore… sto
bene… >> affermai con voce roca e con la gola
che bruciava. Che
figura del piffero.
- <<
Tesoro, non credo di aver capito la domanda. Puoi ripeterla?
>> che poi avevo capito perfettamente, volevo solo che
dicesse qualcos’altro… ti prego, ti supplico, fai
un’altra domanda. Meno imbarazzante
s’è possibile.
<< Oggi il mio compagno di classe Tim, prima di litigare,
mi ha detto che la sua mamma aspetta il suo fratellino… e
così… se il suo fratellino lo porterà
la cicogna, perché è dentro la mamma di Tim?
>>
Cavolo, cavolo,
cavolo! Come potevamo obbiettare a un ragionamento logico.
Andavo in crisi quando mi ricordavo che aveva sei anni! Io ero una
cretina che giocherellava con i petali delle margherite e il massimo
che la mia intelligenza mi permettesse di elaborare, era qualche
marachella senza raziocinio.
- Ed ero
terrorizzata dall’idea di darle una risposta
perché avrebbe potuto chiedere del padre naturale.
- Era troppo
presto per dirle che neonati e cicogne, non sarebbero mai stati visti
insieme? Andiamo… potevamo dirle che era uscita da
me.
- <<
Smettiamo con la storia dei volatili? >> domandai a
Edward con un finto sorriso sulle labbra << Cosa hai in
mente? >> sembravamo due deficienti. Parlavamo con i
denti serrati e non muovevamo le labbra.
- <<
Le diciamo una verità un po’ falsata
>> dichiarai.
- <<
Okay… >> non sembrava convinto.
- Presi un
respiro profondo << Amore… il fratellino di
Tim è dentro la sua mamma. Non lo porterà la
cicogna… >>.
- Aggrottò
le sopracciglia e le labbra << Se non lo
porterà la cicogna ed è dentro la pancia della
mamma di Tim, da dove esce? >> chiese sconvolta, forse un
po’ inorridita << Edward… aiutami!
>> gli diedi una gomitata.
- <<
Da dove esce… da dove esce… >>
cantilenò lui. Sembrava sul filo di un rasoio.
- <<
Scricciolo, quando la mamma ti aspettava… ha
spinto… ha spinto e sei uscita >> che razza di
risposta era?
Lo guardai sbigottita. Non sapevo se ridere o piangere.
- <<
Mami, non hai fatto la pupù? >>
continuò lei.
- <<
Io sono uscita come la pupù? >> aggiunse
isterica e schifata.
- <<
No! >> strepitai.
- Con tutta la
forza che avevo, gli pestai un piede.
- <<
Farfallina, vieni qua… >> la incoraggiai
battendo una mano sulle mie gambe.
- Scese dalla sua
seduta e mi ascoltò mettendosi cavalcioni.
- <<
Allora… tu sei stata dentro di me per nove mesi.
Perché eri piccolina e ti sono serviti nove mesi per
crescere. Ti ricordi quando ti hanno fatto quel piccolissimo taglietto
al pancino? Bene. Per farti uscire anche a me hanno fatto un
piccolissimo taglietto… >>.
- Annuì
con aria concentrata << E non ti ha fatto male?
>> dopo?
Molto.
- <<
No! >> era una bugia a fin di bene.
- <<
E come sono entrata nel tuo pancino? >> oh mamma mia!
Lanciai un’occhiata a lui. Aiutami!
<< Scricciolo, la mamma ha mangiato un semino
>> voleva essere ucciso?
- <<
Un semino? >> chiese scettica.
<< Sì. Un semino che è rimasto
nella mia pancia. Dentro quel semino c’eri tu!
>> lo assecondai << Ma che semino era?
>>.
- <<
Un semino minuscolo, più piccolo del tuo mignolo…
>>.
- <<
E non ti ha fatto male? >> non sai quanto.
- <<
No >> mentii.
- <<
E dove l’hai preso? >> non voleva proprio
mollare! Sai
com’è durante una festa, ho pensato:
“Perché no?”.
- <<
Dove l’ho preso Edward? >> chiesi
imbarazzata.
- <<
Amore… >> le accarezzò il viso
<< …cosa importa? Quando sei entrata nella
pancia della mamma, eri inaspettata ma sei nata
dall’amore… >> in fin dei conti
aveva ragione, avevo voluto bene a Lucas. Ed era pur sempre amore.
<< … sei cresciuta nell’amore. E hai
illuminato la nostra vita… >> le
baciò il capo.
- <<
Ed io quando mangerò questo semino?
>>.
- Spalancammo gli
occhi all’unisono << Non prima dei
quarant’anni! >> esclamò Edward
infervorato. Esplosi in una risata << Ma che dici?
>> ero senza parole.
- <<
La verità. Nessun semino e niente fidanzato prima dei
quarant’anni! >> oh mio Dio, non può
dire sul serio!
<< Ma papi. Io non voglio nessun fidanzato. Quando
divento grande, io mi fidanzo con te! >>
annunciò.
- Sorrisi
raggiante. Era così tenera!
Edward si accese << Brava la mia bambina!
>> disse stringendola tra le braccia. Gli
stampò tanti baci sul volto << Niente
fidanzati! >> ripeté convinto. La mia faccia
diceva: “Ma
che ti sei fumato?” e lui faceva finta di
nulla.
- <<
Amore avere un fidanzatino è una cosa bella. Facciamo
vent’anni… >> provai.
- <<
No. Papà dice che i maschi pensano solo a una cosa
>> rimasi a bocca aperta mentre lui ridacchiava
divertito.
- <<
Ah sì? E a cosa? >> volevo picchiarlo! Non si
poteva dire una cosa del genere a una bimba << A mettere
la nocciolina nel buco delle noccioline… >>
non potei trattenermi e gli diedi un calcio negli stinchi. Mi
compiacqui nel vedere la sua smorfia di dolore <<
Farfallina, papà ti ha spiegato cosa vuol dire?
>> stavo sorridendo. Era buffo nei panni del padre
geloso. Mettere la
nocciolina nel buco delle noccioline.
- Doveva aver
bevuto quando lo aveva detto!
<< No… mi ha detto che me lo fa capire quando
cresco >>.
- _______
- Appena uscimmo
dalla sua stanza, cominciai a tirargli sberle sulle braccia
<< Brutto cretino, stupido, deficiente, cerebroleso che
non sei altro >> mi bloccò i polsi. Stava
ridendo. Che faccia di schiaffi! << ‘Nessun
fidanzato. Nessun semino. Mettere le noccioline nel buco delle
noccioline’ >> lo scimmiottai furiosa
<< Non sapevo fossi violenta >> mi
beffeggiò. Riuscii a liberare una mano e gliela schiaffai
sul capo << Te la faccio vedere io
l’aggressività. Ti sei bevuto il cervello? Quale
sostanza scadente ti sei sniffato? Dimmi chi è il tuo
spacciatore che lo querelo >> posò le dita
sulle mie labbra << Abbassa la voce…
>> consigliò.
- <<
Ah… che nervi! >> lo strattonai e scesi al
piano inferiore.
- <<
Dai Isabella! >> mi rabbonì.
- <<
Isabella, un corno! >> esclamai esasperata. Non ero
arrabbiata, ero spiazzata forse in parte divertita da
quest’aspetto di lui che non conoscevo, ma cavoli!
- <<
Sei assurdo! Come… >> scoppiai a ridere
portandomi una mano sugli occhi.
- <<
Ha sei anni e le hai detto che gli uomini pensano solo a una cosa. Non
sei normale >>.
- Sentii le sue
mani arpionarmi i fianchi << Non vedo cosa ci sia di male
>> mormorò sul mio volto << Che
vuoi traumatizzarla! >> scherzai << Se
questo non farà avvicinare nessun ragazzetto per me va bene
>> gli pizzicai il torace. << Cretino!
Quindi niente nipotini fino ai quarant’anni >>
affermai.
- <<
Giusto! >> confermò giocoso.
<< Ti rendi conto che prima o poi diventerà
una donna… >> lo punzecchiai.
- <<
Pff! Sarà sempre la mia bambina >>
dichiarò.
- <<
…ma avrà il seno, le mestruazioni e tanti ragazzi
le moriranno dietro >> continuai.
- Fece una
smorfia << Spezzerò le gambe a qualunque
contenitore di ormoni sovraeccitati che le si
avvicinerà… >>
bofonchiò.
- Con un braccio
mi circondò la vita, mi baciò una spalla e mi
condusse nel suo studio << Allora…
>> proruppe sedendosi dietro la scrivania ed io nella
poltrona di fronte a lui.
- Accavallai le
gambe sul tavolo << Comoda? >>
domandò arcuando un sopracciglio << Molto!
>> esclamai furba.
- <<
Non so di cosa dovremmo parlare. Tu mi hai baciato. Io ti ho baciato. A
me è piaciuto. A te è piaciuto o almeno
l’ho dedotto dal: ‘E
questa volta sarò io a baciarti'
>> certe volte mi stupivo di me stessa per le botte di
coraggio che avevo.
- <<
Allora perché ho l’impressione che tu stia
cercando di mettere distanza fisica tra di noi? >> mi
sfidò. Perché
altrimenti potrei saltarti addosso.
- <<
Non è vero! >> obbiettai.
- <<
Sì invece! >> con me fossi stata punta,
scattai in piedi.
- <<
Vorresti che mi spalmassi su di te? Bene! >> senza troppe
cerimonie, mi misi cavalcioni sulle sue gambe.
- Lo guardai
compiaciuta << Non ti metto a disagio, vero?
>> lo avevo fatto imbarazzare, dovevo scriverlo sul
calendario!
- Sorrise
beffardo << Per niente… >> mi
circondò il corpo con le braccia per accostarmi
ulteriormente a lui.
- <<
Dovrai farci l’abitudine >>
consigliai.
- <<
A cosa? >>.
- <<
Allo smalto nero che uso, alla mia biancheria intima -poco sexy- con
stampe d’animali, al fatto che sono l’unica donna
maggiorenne che riesce a farti ridere. Ed io dovrò fare il
callo con il tuo dispotismo ma mi fai stare bene…
>>.
- Era
così giusto stare con lui.
- Più
passava il tempo e più sentivo la voglia devastante di
conoscere ogni suo pensiero. Mi faceva sentire viva!
- <<
Bè… mi sono già abituato…
>> mi baciò un braccio.
- Feci scorrere
una mano tra i suoi capelli e con l’altra sfiorai le occhiaie
dovute alla stanchezza << Meglio così.
Com’è andata la trattativa di cui parlavi?
>>.
- <<
Bene ma è stata sfiancante. Non ho fatto altro che
contrattare con dei filippini. Erano così testardi che per
poco non li ho mandati a quel paese…
>>.
- <<
Ma tu sei stato più ostinato di loro e hai ottenuto
ciò che volevi >> dichiarai certa
<< Già… >>
sussurrò soddisfatto.
- <<
Sto imparando a conoscerti >> dissi fiera di me.
- Sospirò
pesantemente mordendosi le labbra. Da
quando ti mordicchi le labbra? Se vuoi, posso farlo io. Mi
guardava con quella luce negli occhi. Sapevo che stava per baciarmi. Lo
sentivo. E volevo che lo facesse.
- Il silenzio
attorno a noi era carico di tacite promesse, così come le
sue mani che mi strinsero le gambe quasi a farmi male.
Per quanto assurdo fosse la nostra era una battaglia muta. E tutta
questa sua lentezza studiata, mi torturava.
- Era un dolce
tormento, mi portava sull’orlo della pazzia con il suo dire
tutto e niente. Sospettavo che sapesse quanto il suo essere enigmatico
mi attirasse come un’ape dal miele.
- Mai come questo
momento mi sembrò che mi stesse seducendo con i suoi sorrisi
intriganti e le occhiate lascive.
- Quando la sua
bocca venne a contatto con le mia, fremetti! Non me ne intendevo molto
ma cavolo! Ci sapeva fare.
- Ero confusa
dalla situazione strana.
E nonostante non fossi un’esperta, fu naturale per le mie
mani –anche se un po’ impacciate- percorrere la
schiena tonica come le braccia, il collo e finire tra i suoi capelli
sulla nuca.
- Percepii uno
spostamento d’aria, il mio sedere che si trovò a
contatto con qualcosa di duro e il mio corpo che lentamente si sdraiava
sotto il peso del suo. Ogni terminazione nervosa gridava: “Di
più!”.
- Non avevo
capito fino in fondo l’espressione “ghiaccio
bollente” fino a quel momento. Edward di primo
acchito poteva sembrare freddo ma non appena mi sfiorava, scaricava il
suo desiderio sul mio corpo che a sua volta m’incendiava.
Edward era ghiaccio bollente.
- <<
Ahi! >> gemetti dolorante.
- Si
allontanò per capire cosa fosse successo. Aveva la camicia
allentata e i primi bottoni della camicia aperti. Ero stata
io?
- <<
Stai bene? >> bisbigliò posando le labbra
sulla tempia, la guancia, il naso.
- Allungai un
braccio dietro la schiena per capire cosa mi avesse fatto
male.
- Ridacchiai
<< Il tuo tagliacarte ha cercato di uccidermi
>> boccheggiai.
- M’imitò
strappandomi un bacio fugace.
- Mi stesi sulla
scrivania e scoppiai a ridere << Che
c’è? >> domandò
confuso.
- <<
Sei uno sfacciato! Non mi hai mai invitato a uscire e già mi
fai sdraiare sulla tua scrivania! Complimenti. Ed io che credevo che
fossi un gentleman >> lo schernii.
- Si
unì a me per poi scendere a baciarmi il collo
<< Poco cavaliere. Questa mi mancava
>>.
- <<
Ahi! >> strillai appena mi morse la clavicola.
- <<
Sei un cannibale! >> lo accusai.
<< Pure! >> in uno scatto repentino
afferrò i miei polsi e me li portò sopra la testa
<< Sai non vorrei essere io a dirtelo ma non sei una
piuma >> aggiunsi divertita << Le tue
parole mi commuovono… >>
ironizzò.
- <<
Se vuoi continuo. Despota, grasso e per niente galantuomo
>> lo strattonai per liberarmi << Ritira
quello che hai detto! >> ordinò.
- <<
Scordatelo macho man! >> risi ancora più
forte.
- <<
Dovrò vendicarmi… >> mi
minacciò.
- <<
Altra voce alla lista: non sei per niente convincente!
>>.
- Sorrise
malizioso. Con la punta del naso disegnò il profilo della
mia mascella arrivando all’orecchio. Mi mossi come
un’anguilla quando iniziò a morderlo.
- <<
Smettila, smettila! >> incespicai senza fiato.
- Tentò
di baciarmi ma presi tra i denti il suo labbro inferiore
<< Dovrò lottare? >>
domandò con lo sguardo di chi stava accettando la sfida.
<< Non sono accomodante… >>
sussurrai per sfiorargli delicatamente la parte lesa <<
Sono tenace, ragazzina >> mi lasciò andare si
sedette e mi fece scivolare su di lui. Gli diedi uno schiaffo sul
braccio << Non chiamarmi così!
>> imposi.
- Alzò
gli occhi al cielo come se avessi detto qualcosa di scontato. Prese ad
accarezzarmi il braccio lascivamente. Si rendeva conto di
ciò che faceva?
- <<
E’ così strano… >>
bofonchiai imbarazzata << … ho paura
>> ammisi a sguardo basso << Isabella
guardami >> lo feci << Di cosa
precisamente? >> continuò.
- <<
Non lo so. Non so come comportarmi, cosa è giusto o
sbagliato. Certe volte potrei sembrarti fredda e so così
poco di te… ti piacciono i nomignoli? Che so…
potrei chiamarti banano
>> buttai lì scherzosa.
- Sbarrò
gli occhi reprimendo una risata << Banano?
>>.
- <<
L’albero delle banane >> dissi ovvia e
divertita.
- <<
No! E’ raccapricciante quanto biscottina >>
affermò per poi ridere.
- <<
Già >>.
- <<
Quindi niente nomignoli. Meglio così salvo che tu non voglia
>> constatai.
- <<
Tu vuoi che ti porti a cena fuori? >> cambiò
discorso.
- <<
Nah… in primo luogo nessuno dovrà sapere di
questa cosa prima di Renoir, in secondo luogo se uscissimo insieme, la
mia bellezza disarmante attirerebbe troppi sguardi… sai
com’è… >> sdrammatizzai
arrogante.
- <<
Piacere di conoscerla Modestia
>>.
- <<
Modestia
è il mio secondo nome e il piacere è tutto suo, Spaccone
>>.
- <<
Quanto siamo indisponenti, ragazzina >> mi
pungolò.
- <<
Bé, >> sfregai il naso contro il suo
<< ti tengo testa, ti piaccio per questo
>>.
- <<
Può anche darsi… >> lo tirai per la
cravatta << Non ti dispiace se mi trasformo in un
contenitore di ormoni sovraeccitati? >> lo presi in giro
<< Me ne farò una ragione…
>> disse con fare rassegnato.
- <<
Cretino! >> esclamai baciandolo ancora una volta.
Perché non farlo? Ormai ero libera.
- <<
Però sei carino, consolati… >> gli
scompigliai i capelli.
- <<
Io direi affascinante >> mi corresse.
- <<
Arrogante! >> mugugnai.
Inspirai profondamente ed espirai << Che facciamo adesso?
>> tornai seria << Lei la
prenderà bene, vero? Non sarà troppo?
>> continuai.
- <<
Che intendi dire? >>.
- <<
Pochi mesi fa conosce sua madre e poi questa donna frequenta suo padre.
E’ una cosa che sconvolgerebbe anche me! >>
spiegai.
- <<
Hai detto anche tu che è un suo desiderio
>>.
- <<
Sì, lo so. E’ la confusione a parlare
>> borbottai.
- <<
Quindi niente primo appuntamento… >>
sussurrò per tornare a un argomento più leggero
<< Bè… potremmo fare le cose che
fanno le persone come noi quando Renoir saprà. Basta che non
mi porti in un ristorante in cui ci sono cinque portate e a fine di
serata avrò ancora fame…
>>.
- Sorrise e
portò entrambe le mani tra i miei capelli <<
Che c’è? >> bofonchiai impacciata
<< Le persone come noi? >>
domandò.
- <<
Bè… sì, le persone che…
>> mi metteva sempre in difficoltà!
- <<
Stanno insieme? >> disse per me.
- Sbiancai e
più volte cercai di dire qualcosa ma alla fine non emettevo
nessun suono << Stai bene? >> chiese
stranito.
- Deglutii a
vuoto << Tu cosa intendi con “stare
insieme”? >> esalai paonazza.
- <<
Potrei farti la stessa domanda… >> infame! Sempre a me la patata
bollente!
- Inspirai
profondamente e mi scostai per poterlo guardare negli occhi. Aveva gli
occhi lucidi, attraenti, belli e il suo sorriso era così
indecente da farmi impazzire.
- Una piccola
parte di me, aveva vagliato l’idea di scappare a gambe
levate. Le paroline “stare insieme” mi aveva fatto
imperlare la nuca di un leggero strato di sudore. Non avevo potuto far
nulla per trattenermi. La strizza mi stava facendo andare nel
panico.
- <<
Vediamo… >> mormorai con voce strozzata
<< Non sono pratica di queste cose dobbiamo per forza
dare un nome a questa cosa?
Potrei dirti il mio punto di vista… >>.
Avevo la tremarella << Mi piacerebbe fare
questo… >> lo stritolai nel mio abbraccio
<< ... questo… >> sciolsi
l'abbraccio, unii i palmi delle nostre mani e lentamente intrecciai le
nostre dita << … e anche questo…
>> gli stampai un veloce bacio <<
…vorrei che percepissi quanto mi fa bene il calore del tuo
corpo e che le tue carezze leniscono le ferite della mia anima.
>> gli diedi un buffetto sul naso << Vorrei
poterti dire che sei speciale, che da quando ci sei tu e nostra figlia
la mia vita è piena di colore. Che il mio corpo quando
è sfiorato da te si elettrizza e vorrei poterlo fare alla
luce del sole, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. Questo
significherebbe per me stare con te >> oddio mi sono lasciata prendere
la mano! Certo sono partita come un tir.
- <<
Senti… >> mi alzai in piedi <<
…lascia stare. E’ tardi, siamo stanchi, io il
novantanove virgola nove percento delle volte non so quel che dico.
Buonanotte… >> tentai di scappare, come
sempre. E quando mi riacchiappò portandomi di nuovo su di
lui, mi resi conto che tutte le volte ero fuggita perché
volevo che lui mi trattenesse.
- <<
Per la mia sanità mentale, dovrai smettere di correre via
dopo aver detto qualcosa… >>
sussurrò al mio orecchio facendomi rabbrividire.
- <<
Ci proverò, non ti garantisco nulla…
>> sbuffai << …e comunque io ho
davvero sonno e volevo farti elaborare ciò che ho
detto… >> dissimulai.
- Sentii il suo
sorriso aprirsi sulla mia pelle << Ti accompagno nella
dependance >>.
- Ci incamminammo
in silenzio, in parte imbarazzati.
- <<
Quando troveremo il modo di dirlo a Renoir e poi faremo tutto quello
che vuoi >> mi rassicuro baciandomi il dorso della
mano.
- <<
A questo proposito, sei d’accordo con me sul far passare
almeno qualche settimana… >> preferibilmente qualche mese
<< … prima di farlo. Vorrei che fossimo sicuri
di quello che facciamo prima di comunicarglielo. Per quel che ne
sappiamo, non ci conosciamo bene e domani potrei mandarti a quel paese
e tu fare lo stesso… >> chiarii
<< Hai intenzione di mandarmi a quel paese?
>> domandò scettico.
- <<
Che so… >> scrollai le spalle <<
…se dovessi parlare di noccioline e posti appositi, potrei
pensarci…banano…
>> lo avvertii.
<< Andiamo… è stata la prima cosa
che mi è passata per la mente! E non chiamarmi
così >> si difese.
Arrivammo alla dependance << Tu non ricordaglielo
più che se ne dimenticherà >> o
almeno ci speravo.
- <<
Bé… buonanotte, ci vediamo domani
mattina… >> sussurrai.
- <<
Notte >> ricambiò. Come ci si comporta in questi
casi?
- Feci un passo
indietro e poi un altro finché non mi ritrovai dentro la
casetta e indecisa chiusi la porta. Vi poggiai la schiena contro e
portai una mano al petto. Non riuscivo a crederci. Mi scappò
una risata.
- <<
Al diavolo! >> uscii in giardino, notai la sua figura di
spalle e gli corsi incontro.
- <<
Edward… >> lo ferma per un braccio e lo
costrinsi a voltarsi.
Non gli permisi di parlare che mi arrampicai su di lui stile koala
<< Non dire niente… >> sussurrai
impacciata prima di dargli la giusta buonanotte.
- __________
- Ringrazio di cuore Kairi_Wolf. La
sua recensione mi ha fatto sorridere così tanto che per un
momento le guance si sono bloccate. Grazie. E ovviamente ringrazio
tutti voi. Sono stata crudele la scorsa volta infatti in questo cap,
non c'è nulla di sospeso. Troppa suspance vi
rovinerà il fegato e vorrei evitare :) Forse molti di voi
aspettavano con impazienza questo cap e sinceramente lo aspettavo
anch'io. Ammetto che mi sarebbe piaciuto scriverlo fin dal primo cap,
ma è anche vero che non sono tipo da bacio istantaneo al
prologo. Mi piace che i personaggi che rappresento, si capiscano prima.
E in questo caso... awwww.... si sono capiti finalmente!!!!!!!!!!!
Stappiamo lo spumante!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ahahahahhaha....
bene!
- Allora... la frase laterale che
c'è all'inizio del cap è una strofa della canzone
dei Paramore: The Only Exception, titolo che ho usato per questo
capitolo.
- Ora vado.
- Smetto di
dilungarmi.
- Vi lascio con una perla di
saggezza: La nocciolina
nel buco delle noccioline (ahhahahhah).
- Se vi è piaciuto mi
piacerebbe sentire le vostre opinioni. Un bacio immenso ovunque voi
siate! Acalicad.
|
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Capitolo 16 *** Promesse d'amore ***
- Ciao ragazze! Finalmente sono
tornata con un nuovo capitolo! Non propriamente puntuale ma ci ho
provato. In questo momento sono le 02:05. Bè oggi mi sono
persa in un bicchier d'acqua tra arrivi, partenza, aeroporti, storie
d'amore in nascita, in fase di stallo e ansia a tremila. Santo Dio!
Credevo che non sarei mai riuscita a pubblicare. Invece sono qua!
Nuova! Senza raffreddori, otite, ginocchia sbucciate e quant altro.
ANche se credo che il 25 aprile farà altre vittime. Non lo
so... si scoprirà solo vivendo! Vi ringrazio tutte quante
per l'appoggio che mi avete dato. Siete state carinissime, dolcissime e
avrei tantissime altre parole che terminano in "issime" ma dato
l'orario evitiamo. Mi sento leggermente tramortita e non sono certa di
scrivere questo piccolo messaggio bene. Ehm... che altro c'è
d'aggiungere.... finalmente c'è il sole e io sono uscita dal
mio letargo.... Comunque ritornando alla storia spero tanto che non
abbiate perso l'interesse e se è così mi dispiace
tantissimissimo ecc... come sempre ringrazio CloeJ per i suoi consigli
che mi sono utilissimi oltre che per alcune correzioni. Ricordo ,
inoltre, che la cover è merito di Lalayasha. Buona lettura!
- _____________________________________________________________________________
-
Da bambina vedevo sempre
nonna Marie e Renee parlare e scherzare di fronte a un bicchiere di
vino. Non avrei mai pensato che dieci anni dopo mi sarei trovata nella
cucina di Edward a preparare Margarita
per me e Lilian.Erano le dieci di sera. Renoir era a letto
già da molto tempo, Edward invece era ancora a
lavoro.
- In questi pochi giorni,
post primo bacio –sorridevo come un’ebete al solo
pensiero- lui era impegnato con dei filippini e purtroppo rincasava
tardi. Che palle!
Non era giusto.
- << Ehi,
ragazzina, sicura di essere capace? >> col capo
indicò il frullatore in funzione.
- << Certo.
Sono una barista >> dissi a voce alto per farmi
sentire.
- << Sono
stata in Messico, ragazzina. So riconoscere se è buono o
meno >>.
- << Davvero?
E com’è? Il Messico intendo? >>
spensi il frullatore e presi dei bicchieri per sporcarli con il sale
lungo il bordo.
- Trovare gli alcolici a
casa era stato più difficile di quanto pensassi. Per fortuna
c’era Lilian, una specie di cane da tartufo solo che annusava
da dove provenisse l’alcool.
- <<
Oh… meraviglioso. Soprattutto i messicani…
>> scoppiai a ridere passandole uno dei cocktail. Lo
assaggiò ma non disse nulla.
- << Andiamo
Lily, ammetti che ti piace! >> la spronai.
Aggrottò la fronte << Come mi hai chiamato?
>> domandò.
- Arricciai il naso appena
sentii il gusto amaro del lime << Tu mi chiami ragazzina, io ti
chiamo Lily.
Puoi decidere o Lily
o nonna
>>.
- Spalancò gli
occhi << Non oseresti! >> mi
sfidò.
Ridacchiai furba << Puoi ripetere, nonna?
>> chiesi vittoriosa.
- <<
Oh… va bene. Chiamami Lily >>
sbottò svuotando il bicchiere.
- << Okay
nonna… >> mi fulminò
<< …volevo dire Lily, ma tu calmati. Hai pur
sempre una certa età. >> scherzai.
- <<
Oh… ragazzina! >> mi tirò un
canovaccio sul viso << Non tirarmela! >> mi
riprese divertita. Sollevai le mani in segno di difesa <<
Va bene Lily. Altro giro? >> sventolai il bicchiere del
frullatore << Certo ragazzina. E questa volta sii
più generosa >> consigliò.
- Alzai gli occhi al cielo
<< Okay, ma tu non dovevi andare a cena? >>
le ricordai.
- << Sono le
dieci. E’ ancora presto >> schiacciò
un occhio maliziosa. Era sempre più simpatica
<< Un corteggiatore? >> domandai non
facendomi gli affari miei.
- << Un amico
>> ammiccò ancora una volta.
- << Allora
ragazzina, parlami di te >> m’incito.
- << Okay, fa
niente. Sono una studentessa universitaria e sono la madre naturale di
Renoir >> dissi ovvia.
- << E cosa
studi? >> domandò.
- <<
Ingegneria aerospaziale >>.
- << Sei una
cervellona? >> tutto sembrava tranne una donna
sessantenne.
- << Dipende
da cosa intendi per cervellona >> dissi
scherzosa.
- << Niente
lascia stare… quindi che farai… >>.
- <<
Costruirò aerei >> affermai euforica.
- <<
Complimenti ragazzina… >>.
- << Grazie
>>.
- << Posso
sapere cosa ti ha spinto a scegliere la strada dell’adozione?
>> chiese di punto in bianco. Mi lasciò di
sasso.
- Svuotai il sacco.
- Raccontai tutto grossomodo
e alla fine mi sentii un po’ più leggera.
- << La
pressione dei miei genitori e altri fattori mi hanno fatto
cedere… >> conclusi.
- << Non
disperarti, non fare la femminuccia >> rispose.
- << Ma io
sono una femminuccia >> le feci notare.
- << No
Isabella, non lo sei. Ognuno nella vita ha il proprio fardello. Ormai
è accaduto e logorarti non serve a molto. Sei caduta, hai
sofferto e ora è il momento di riprendere in mano la tua
vita al fianco di tua figlia. I genitori sbagliano spesso e non se ne
rendono conto, come Esmeralda è rimasta la snob di sempre
>> sussurrò.
- <<
Già. Quindi non mi disprezzi? >> chiesi
incerta.
<< Perché dovrei biasimarti?
>>.
- << Non
so… per quello che ho fatto… >>
tentai incerta.
- << Non credo
tu abbia fatto nulla di sbagliato. Hai cercato tua figlia per rimediare
agli errori dei tuoi familiari. Se ti riferisci all’avermi
accusato di essere anziana… è storia vecchia. E
per il botox, domani andrò dal chirurgo e farò il
diavolo a quattro >> ridacchiammo. Ero felice.
- << Davvero
gli hai buttato addosso dell’acqua gelata? >>
cambiò discorso.
- <<
Già… >> bofonchiai
imbarazzata.
- << Si
conquistano così gli uomini Cullen. Il nonno di Edward, la
prima volta che ci incontrammo, lo presi a ceffoni. Che bei
tempi… >> mi trattenni dal ridere.
<< Bei tempi? >>.
- <<
Sì, certo! Carlisle Senior era uno di quegli uomini che
prima mi faceva venir voglia di picchiarlo e dopo di baciarlo allo
sfinimento… >> tutto il nipote.
- <<
Caratteristica ereditaria… >> brontolai
alzando gli occhi al cielo.
- Mi lasciò
un’occhiata divertita.
- << Bene! Ora
che abbiamo chiarito tutto, brindiamo a Esmeralda >>
annunciò.
- << Esme?
Posso chiederti perché la chiami col suo nome di battesimo?
>>.
- <<
Perché lo odia. >> sghignazzò
<< Allora brindiamo al suo essere bigotta, fuori luogo,
sconclusionata… >>
continuò.
- << Crudele
>> aggiunsi divertita.
- << Snob,
frivola… >> disse lei.
<
- < Non saremo
cattive? >> chiesi divertita.
- Ci guardammo negli occhi
<< Nah… >> obbiettò
per poi scoppiare a ridere.
- Bevve in un sol sorso a
differenza mia e prontamente riempì una seconda volta il mio
bicchiere.
- << E
brindiamo anche agli uomini Cullen. Gentili, generosi…
>> continuai.
- << Belli e
affascinanti >> dichiarò.
- << E grandi
ascoltatori! >> terminai. I bicchierini tintinnarono fra
loro e buttammo giù dell’altro vino.
<< Cosa c’è tra te e mio nipote?
>> arrivammo al terzo giro. Ero decisamente su di giri.
Se fosse rimasta per molto tempo, il mio stomaco si sarebbe abituato
alle quantità di alcool che ingurgitavo insieme con lei. Non
ero ubriaca ma ero in quello stato prima della sbronza in cui si aveva
la testa vuota.
- Sbiancai. Mi ha fatto bere
perché fossi meno vigile e svuotassi il sacco.
- << Edward
è molto gentile >>.
- << E vi
piacete >> m’irrigidii. La voglia di dirle che
ero stanca era molta ma sarebbe stata un’ammissione
<< Lily, sarò franca, anche perché
sono brilla e non posso fare altrimenti. Sei una brava donna e ti
rispetto, ma non gli starò lontano solo perché tu
me lo chiedi >> dissi seria.
- <<
Perché dovrei dirti di stargli alla larga? A me importa che
i miei nipoti siano felici. E poi come potresti? Quell’uomo
è bello come suo nonno. La sua copia! >>
affermò corrucciata.
- Con il dito medio tracciai
i bordi del bicchiere, persa nei miei pensieri <<
Ragazzina, non ti dirò che se farai soffrire mio nipote ti
scoverò per poi torturarti a morte, Edward è un
uomo ed è capace di badare a se stesso e tu sei una persona
garbata… >>.
- << Lily cosa
vuoi dirmi? >>.
- << Che rendi
felice mio nipote e non m’importa della tua età,
non farti influenzare da quella stronza di Esmeralda
>>.
- << Ti
ringrazio >>.
- << Bene. Ora
che ne dici di dirmi da quanto tempo dura? >> altra
freddura inaspettata.
- << Non so di
cosa tu stia parlando >> mentii con nonchalance.
- <<
Certo… ogni volta che vi vedo insieme, sembrate usciti da
uno tsunami >>.
- << Non
è possibile! >> continuai sulla via della
falsità.
- << Se lo
dici tu, ragazzina. Ricorda di non mentire mai più: non ne
sei capace. Adesso vado, altrimenti Serge
s’indispettirà >>
trillò.
- Appena andò
via, raccattai il mio bicchierino e mi trascinai in salotto.
- Domani, sarebbe
stato atroce svegliarmi, per fortuna era venerdì e poi ci
sarebbe stato il weekend. Niente scuola, niente pettegole, tanto tempo
per dormire e forse Edward non sarebbe stato impegnato con il
lavoro.
- Non avevamo dormito
insieme, se Renoir fosse entrata nella sua stanza nel cuore della
notte, non avremmo saputo come spiegarle la mia presenza; e di certo
non poteva venire nella dependance lasciandola sola in casa.
- Lui era
così…intrigante. Se fosse stato solo bello, me ne
sarei fatta una ragione, molti erano belli, ma lui era affascinante e
carismatico.
- << Ancora
sveglia? >> saltai in aria come una cretina.
Edward.
- Era davanti a me e la sua
mano sul mio viso.
- <<
Ciao… >> sospirai sognante.
- Lo vidi increspare il naso
<< Hai bevuto! >> esclamò.
Ridacchiai tirando su di me << Già. Tua nonna
risveglia il diavolo che c’è in me
>> esalai baciandolo con audacia.
- <<
Prosciugherà tutto l’alcool che
c’è in casa >>
scherzò.
- <<
Bentornato… >> ammiccai baciandolo.
- Sorrise <<
Tequila >> notò malizioso passando la lingua
sulle mie labbra. Ribaltai le nostre posizioni mettendomi cavalcioni su
di lui << Sei ubriaca? >>.
Scossi il capo con troppa enfasi << Sono euforica
>>.
<< Un po’ troppo su di giri >>
constatò.
- Annuii sicura
<< Com’è andato il lavoro?
>> mi mordicchiai le labbra mentre le mie mani
cominciavano a formicolare. Le passai sul suo torace. Ero certa di
avere l’espressione di una bimba quando scartava il suo
regalo di compleanno.
- << Bene. Il
progetto sta andando in porto… >>
spiegò << …anche
perché… >> si fermò e mi
osservò con un sopracciglio inarcato << Che
stai facendo? >> domandò divertito.
- Sgamata!
- Gli avevo sfilato la
cravatta già da un pezzo e con fare sensuale
–almeno ci provavo- lo stavo liberando della camicia, era
giunta al secondo bottone.
Percepii il suo stupore ma non disse nulla. Gli accarezzai il collo con
un polpastrello. Più continuavo più la mia
frenesia aumentava. Eppure sapevo di essere padrona di me, nonostante
il mio stomaco fosse sottosopra per i bicchierini e le mie mani
tremassero. Non ero abituata a simili contatti. In quei giorni non mi
ero spinta a tanto –se così si poteva definire- ma
ora ero più audace appunto per l’alcool.
- Era la prima volta
così come la paura quasi soffocante, ma non era terrore o
panico. Era quel timore che si aveva prima di fare qualcosa di
emozionante.
Di certo non mi sarei spinta più in là del
“pomiciare”, non ero pronta e non sapevo se lo
sarei mai stata. Per me era già tanto che avessi spento il
cervello e lo stessi spogliando.
- << Ti sto
spogliando! >> dissi sottovoce.
- << Ma
davvero? >> portò le mani sui miei fianchi
disegnando dei ghirigori con le dita.
- <<
Già >> mormorai compiaciuta.
- << Non
sapevo del tuo spirito d’iniziativa >>
scherzò.
<< Macché… lo faccio solo per te!
>> bugia!
- << Sarai
scomodo… >>.
- << Sei
ubriaca >> ripeté.
- Feci di no col capo e
scivolai dalle sue gambe per mettermi in piedi << Non lo
sono. Vieni con me… >> sussurrai porgendogli
la mia mano.
- Sorrise.
- Un sorriso bello.
- Uno di quelli che diceva “sta tranquilla,
prenderò sempre la tua mano”, che
gridava
“domani mattina ci sarò” e “voglio essere il tuo
futuro, nonostante tutto”.
- La consapevolezza mi
riempiva il cuore di gioia.
Camminai all’indietro mentre lui mi seguiva con le nostre
mani intrecciate.
- << Dove
andiamo? >> chiese come se lo stessi ammaliando. Trovavo
buffo che mi ponesse questa domanda. In fondo era casa sua, dove
pensava lo portassi?
- << Ti fidi
di me? >> risposi.
- Non staccai gli occhi dai
suoi e aprii la porta d’ingresso.
- <<
Smettila… >> biascicò.
- << Di fare
cosa? >> lo stuzzicai.
- I nostri corpi vibravano
per la tensione che emanavano. Attorno a noi aleggiava
l’odore dell’attrazione e del desiderio. Era
difficile non desiderare un uomo come Edward.
- Arrivammo al bordo
piscina.
- Il mio sorriso si
ampliò << Bagno in piscina?
C’è freddo >> mi
rammentò. Era settembre e cominciava a fare fresco ma non
m’importava granché.
Gli sfilai la giacca << Hai freddo? >> la
lasciai cadere ai suoi piedi.
- <<
Isabella… >> mi stava rimproverando?
Perché altrimenti non mi facevo problemi a ridergli in
faccia << Di cosa hai paura? >> continuai a
pungolarlo.
- << Non ho
paura >> affermò sincero.
- << Allora
cosa c’è? >> lo spronai
avvicinandomi ulteriormente.
- << Non so
come comportarmi per non infastidirti >> mi
accarezzò il volto.
- <<
E’ vero. Quando mi abituerò, sarà tutto
più facile. Però… >>
passai le dita sotto il suo mento << …io ci
sono e voglio esserci. Sono qui e sì, dovrai pazientare un
po’, ma se non volessi fare questo…
>> posai un bacio sul suo cuore <<
…non lo farei. Levati dalla testa che voglia compiacerti.
Non lo farò mai, non su questo fronte…
>>.
- Lo costrinsi ad abbassare
il capo per arrivare alle sue labbra. Finalmente una reazione
positiva!
- Quando la camicia fu
aperta completamente, passai ai bottoni dei polsi.
- << A questo
punto credo che tu sia troppo vestita >>
fremetti.
- << Dovrai
porre rimedio >> ero schifosamente sfacciata.
- Con calma fece scorrere le
mani sul mio corpo per sfilarmi la t-shirt. Trattenni il fiato per la
sua lentezza disarmante << Sei bellissima…
>> bisbigliò.
- <<
Nonostante i cagnolini? >> ridacchiai indicando il
reggiseno.
- << No, non
è stato questo particolare a catturare la mia
attenzione… >>.
- << Meglio
così… >>.
- Mi sfiorò il
ventre e inevitabilmente mi morsi le labbra. Toccò il
bottone dei jeans e lo sganciò. Ringraziai il cielo che non
avessi le culottes bianche, non sarebbe stato l’ideale se
fossero venute a contatto con l’acqua.
- Ci liberammo delle scarpe,
i calzini e ci ritrovammo in intimo.
- Lo baciai
perché era normale, semplice, mi piaceva.
Rabbrividii appena toccai l’acqua con un piede e scesi un
altro scalino di marmo << E’ un po’
fredda >> biascicai vagamente confusa.
- Mi scappò un
sospiro strozzato.
- L’acqua si era
riscaldata o era mia impressione?
- Con forza mi
voltò il capo e attaccò le labbra sulle mie. Al diavolo tutto!
Gli infilai una mano tra i capelli come se potessi avvicinarlo
ulteriormente.
- << Non
preoccuparti… >> certo se io cominciavo a
rimuginare, lo percepiva. Era normale?
- Mi scostai da lui per
buttarmi in piscina con un’espressione birichina sul
volto.
- << No!
>> esclamò capendo le mie intenzioni. Sì, sì,
sì!
- <<
Perché no? Non avrai paura di un po’
d’acqua… >> lo stuzzicai.
- Iniziò ad
avanzare, con calma, come se volesse farmi salire i nervi. E un
po’ ci stava riuscendo.
Indietreggiai intimorita da ciò che avrebbe potuto fare e
agii d’istinto: cominciai a bagnarlo. Tuttavia
riuscì ad afferrarmi, mi portò su una spalla e mi
schiantò sull’acqua.
- E dopo avermi gettata come
un sacco di patate, ebbe l’accortezza di riacciuffarmi per
farmi tornare a respirare.
- <<
Tu… >> gli puntai un dito contro. Tossicchiavo
e tenevo gli occhi chiusi per via del bruciore <<
…sei… sei… un cre…
>> e con una grandissima faccia tosta, mi
zittì baciandomi.
- Dio Santo se mi
confondeva!
- Però era anche
vero che non mi dispiacevano affatto certe sue iniziative. Mi adeguai e
per un istante tentai di aggrapparmi al suo corpo con una mano, come se
ci fossero stati i vestiti a farmi da ancora << Stupido!
Un bacetto non mi rincretinisce, sta tranquillo…
>> borbottai imbronciata.
<
- < Un bacetto?
>> domandò stando al mio gioco.
Scrollai le spalle menefreghista << Sì, era un
bacetto… >> confermai.
- Punto sul vivo mi
afferrò dal capo e mi diede un altro bacetto. Che poi i
suoi erano tutto tranne che bacetti. Era come affrontare una tempesta
armati solo di se stessi. Dopo ogni bacio, carezza o parola ne uscivo
un po’ diversa. Era questa la sua
particolarità.
- << E questo
com’era? >> stratosferico! Rifacciamolo per
il resto della vita!
<< Mmm… così e così
meglio di prima, potresti fare di meglio >> in
realtà mi sentivo più ubriaca di prima. La
tequila… pff!
- Sorrise e neanche una
volta distolse lo sguardo dal mio. E quando sorrideva,
l’insana voglia di mordergli le labbra mi uccideva.
- Non contento mi strinse
maggiormente per la vita, fece scorrere le mani sui miei fianchi e poi
sulle mie gambe costringendomi ad ancorarle attorno a lui.
- <<
Cos’è una fase di preparazione? >>
lo canzonai. Forse non era normale ma mi piaceva quando ci prendevamo
in giro.
- Occhi incatenati,
sfioramenti, parole sussurrate o non dette, quella sottile linea che ci
aveva sempre visto vicini tanto da poterci toccare ma comunque opposti
e tutti quei pensieri su come allontanarci, tutto ciò aveva
portato a questo momento. Al non avere più paura.
Perché mentre il silenzio attorno a noi abbracciava come una
mamma con il suo bambino, le carezze delle sue mani mi stuzzicavano
dolcemente e il suo viso si accostava sempre di più al mio,
l’unica cosa che riuscivo a pensare era che stavo bene con
lui. Sempre.
- Non mi baciò
con impetuosità o prepotenza, ma con passione e dolcezza.
Uno di quei baci che si scambiavano due persone che stavano insieme,
senza per forza frenesia, che ti facevano arrossire per la tenerezza e
le emozioni che ti provocava.
- Erano questi baci che ti
toglievano il fiato. E in quel momento Edward si era preso tutto
ciò che mi apparteneva a partire dal mio respiro.
- Wow, avrei voluto
dire << Di cosa stavamo parlando? >> chiesi
divertita.
- << Niente
d’importante… >>.
- << Okay,
ma... dovresti mettermi giù >> ridacchiai.
Mi lasciò facendomi sedere sul bordo della piscina, tenni le
braccia sulle sue spalle mentre le sue mani mi percorrevano la schiena
fino ad arrivare alla spallina del reggiseno.
- No,
gridò la mia razionalità.
- Non avevo paura. Era il
panico del rivivere situazioni simili dopo tanto tempo. Non ero
stupida, alla fine avremmo fatto sesso. Per quanto mi piacesse il
contatto con lui, l’idea mi terrorizzava.
- Sarebbe stata una seconda-
prima volta con tanto di dolore e tutto. Dopo sei anni, mi sarei
stupita se non avesse fatto male o se avessi sentito qualcosa di
piacevole. Appunto una seconda- prima volta! E avrei dovuto accantonare
il pensiero che l’ultima volta ero rimasta incinta; ma
ciò che più mi spaventava era
l’eventualità di sentirmi sbagliata dopo. E a quel
punto, conoscendo il caratteraccio che mi ritrovavo, sarei
fuggita.
- Scacciai via quelle
riflessioni e ritornai al presente.
La bretella del reggiseno scese lungo il braccio e la stessa fine fece
la sua gemella.
- <<
Farò finta che tu non stia cercando di
spogliarmi… >> dissi giocosa. Mi conosceva
abbastanza bene da sapere che se mi fossi sentita a disagio, mi sarei
opposta.
- Mi trafisse con lo
sguardo, ripercorrendo ancora la mia schiena arrivando al gancetto del
reggiseno.
- Non avevo mai avuto
problemi con la mia nudità, altrimenti non avrei posato per
Jean. Era anche vero che paragonarlo a Jean era assurdo. Trovavo
più intimo un bacio che mostrarmi senza vestiti. Stavo bene
con me stessa e con il mio corpo.
- E poi con Edward sembrava
normale, come se mi vedesse nuda tutti i giorni, e non avevo neanche
paura del suo corpo senza vestiti.
- Lasciò una scia
di piccoli baci lungo il collo e rabbrividii, ma non per il
freddo.
- Mi piacevano le sue
attenzioni. Era tutto una scoperta per me.
- << Hai
freddo? >> chiese.
- <<
Edward… >> mugugnai.
- Lo sentii ridere,
probabilmente perché sapeva che con me avrebbe dovuto
ripartire da zero.
- Sospirò
pesantemente, come se fosse tornato alla realtà, la sua mano
sulla mia schiena abbandonò il gancetto e tornò a
guardarmi negli occhi << Che c’è?
>> domandai in un sussurro.
- Sembrava quasi si stesse
frenando, forse stavo tirando troppo la corda.
- Mi accarezzò i
capelli spostandomeli dal volto << Andiamo
dentro… >> supplicò e
quasi mi costrinse a baciarlo.
- Annuì
confusa.
- Con uno scatto agile
uscì dalla piscina e quando fu in piedi tese una mano in mia
direzione.
- Ammirai il suo corpo
<< Sei bello… troppo…
>> sorrise quasi imbarazzato.
- Appena fui al suo fianco
lo baciai << Che facciamo? >> chiesi sulle
sue labbra.
- Raccolse i nostri vestiti
e senza dire una parola mi aiutò a indossare la sua camicia
<< Grazie >>.
- << Non
c’è di che… >>.
- Iniziò col
giochino a cui lo sottoposi poco prima. Con i polpastrelli
creò linee immaginarie sul mio busto per poi cominciare ad
abbottonarla partendo dal basso. Tenne lo sguardo fisso nel mio. Appena
concluse mi squadrò da capo a piedi.
- << Ti piace
quel che vedi? >> sbottai divertita.
- << Non sai
quanto. Ora sei perfetta… >> disse sulle mie
labbra.
- << Bagnata e
con una camicia bianca appiccicata addosso? >>.
- <<
Anche… >> rise malizioso.
- Quando si
allontanò, prese dei teli sulle sedie a sdraio. Ne mise uno
attorno al suo corpo e con l’altro mi asciugò i
capelli << Tra noi due non sono io quello
bello… >> bisbigliò sorridente. Bugiardo.
- E mi prese per mano in un
gesto semplice ma d’impatto.
- Dentro casa ci sedemmo sul
divano.
- Poggiai il capo sul suo
petto e lui mi circondò le spalle con un braccio.
- << Hai
freddo? Vuoi qualcosa di caldo? >> domandò
premuroso.
- << No. Sto
benissimo >> lo rassicurai.
- Restammo in silenzio per
un po’ mentre io passavo le dita sul suo torace
<< Edward? >>.
- <<
Sì… >>.
- Parlavamo come se avessimo
paura che qualcuno potesse sentirci.
- << Penso che
dovremmo metterci d’accordo su come spiegare la mia
improvvisa comparsa. Ci sono due donne che mi perseguitano. Ogni volta
che mi vedono, mi defilo con una scusa. E le insegnanti…
quelle single sbavano per te… >>
sbuffai.
- << Gelosa?
>> mi provocò mentre la sua mano mi
accarezzava le gambe a loro volta sulle sue.
- Era un momento
così intimo…
- Scossi il capo in segno
negativo << Sono d’accordo sul “guardare e non toccare”
>> obbiettai.
- << Nuova
filosofia? >>.
- << Forse,
sai com’è… non ho intenzione di
ammattire perché tu sei un figo da paura e
l’universo femminile lo nota…
>>.
- << Figo da paura?
>>.
- <<
Linguaggio giovanile, ma che ne puoi sapere tu… pff!
>> lo beffeggiai.
- Non vidi la sua reazione
ma fui certa che alzasse gli occhi al cielo << E comunque
è indiscutibile che tu sia affascinante. Quindi, no, non
sono gelosa… >> dissi soddisfatta.
<
- < Meglio
così… >>.
- << Meglio
così, una mazza! Di certo non ti starò col fiato
sul collo, la sola idea repelle anche me, ma non darmi motivo di essere
gelosa >> lo avvisai scherzosa.
<< Davvero? >> voleva fossi più
convincente?
- <<
Già. Ti ucciderei nel modo più doloroso che possa
esistere >> mentii scherzosa.
- Rimase in silenzio come se
cercasse di capire quanto fossi seria.
- << Cretino!
In senso figurato… >> ridacchiai.
- << Salvo che
non ti trovo con un'altra, a quel punto ti castrerei…
>> no, Edward, non era un tipo da tradimento. Piuttosto
mi avrebbe lasciato prima.
- << Mi prendi
in giro? >> mi morsi le labbra per evitare di ridere
sguaiatamente.
- << Se non lo
farai mai perché hai bisogno di saperlo?
>>.
- <<
Così… >> bofonchiò.
Gli diedi un buffetto sulla guancia << Certo che gioco.
Non arriverei mai alla violenza fisica, se mai mi tradissi
>> confessai.
- << E cosa
faresti? >> continuò interessato.
- << Uscirei
dalla tua
vita. Andrei via senza voltarmi indietro, senza darti la
possibilità di far nulla. E se prendo una decisione, la
mantengo >> sussurrai seria.
Lo lasciai interdetto, forse non si aspettava una risposta del genere o
un tono così rigido.
- Inclinai il capo e gli
diedi un bacio a fior di labbra << Ma di questo non
dobbiamo preoccuparci. Non mi faresti mai una cosa del genere. Ora
torniamo a cose più importanti >>.
- Gli accarezzai i capelli
un po’ umidicci << Allora… inizio
io! >> proruppi intrecciando una mano alla sua.
<< Vai pure! >>.
- << Nessuno
sa che è stata adottata. E qualcuno sa che sono la madre, ma
che non stiamo insieme. Perciò l’idea che si sta
diffondendo è che noi sei anni fa abbiamo avuto un rapporto
sessuale da cui è nata Renoir. Giusto?
>>.
- <<
Sì! >> confermò.
- << Qual era
la mia età, sei anni fa? >>
continuai.
- << Quindici.
Perché? >>.
- << E tu
quanti anni avevi? >> domandai ignorando la sua
curiosità.
- <<
Ventiquattro >> dichiarò ovvio.
- << Bene.
Forse lo saprai, ma io te lo ricordo. Per la legge è reato.
Tu eri maggiorenne ed io no. Avresti dei problemi e non legalmente -a
meno che non sia io a denunciare qualcosa che non è mai
avvenuto- però se cominciassero a girare queste voci, la tua
immagine ne risentirebbe. La gente vede ciò che
vuole… >> sussurrai cupa.
- << Non
accadrà, Isabella… >> mi
rassicurò.
- << Come fai
a saperlo? >>.
- << Secondo
te permetterei che tu e Renoir foste esposte in questo modo?
>> strinsi la sua mano << Non era questa la
mia domanda >> sussurrai al suo orecchio.
- << Ognuno ha
i suoi metodi, Isabella… >>.
- <<
Denaro… >> supposi.
- << E
amicizie influenti… >>
continuò.
- << E quale
spiegazione daremo. Perché sono tornata dopo sei anni?
>>.
- << Renoir
è sempre stata molto schiva su quest’argomento
>>.
- << Che vuol
dire? >>.
- << Che sin
dalla più tenera età, ha ignorato bellamente chi
le chiedeva dove fosse la sua mamma. >> feci una smorfia,
fu come ricevere un calcio allo stomaco << Quando aveva
quattro anni mi chiese perché non aveva una madre come i
suoi compagni d’asilo… >> altro
colpo al cuore che mi fece inumidire gli occhi.
- <<
Che… che le hai detto? >> balbettai.
- << Che era
una bambina speciale, grossomodo le spiegai che era stata adottata.
Francamente non ricordo le parole che usai, ero agitato e…
vederla star male è l’unica cosa capace di
uccidermi. Quel giorno stesso la portai da un terapeuta. Ero
terrorizzato a morte. Invece la prese bene. Le chiesi come stava. La
sua risposta mi stupì: “Sei
il mio papà” disse, come fosse una
bambina adulta. E’ straordinaria ed è mia
figlia… >>.
- <<
E’ tua figlia… è tua figlia…
>> mormorai abbracciandolo con forza. Non cambiare mai, neanche se
dovesse deluderti. Per un istante ricordai Charlie. Ero
stata la sua principessa. Poi rimasi incinta…
- La mia frustrazione stava
giungendo a livelli astronomici << Non è
giusto… >> bofonchiai.
- << Che io
non sia stata con lei… >> sospirai.
- << Poche
cose nella vita sono giuste… >>.
- << Non
rientriamo tra esse? >> chiesi cauta.
- Sentii le sue labbra sul
palmo della mano << Sì…
>> disse talmente piano che a stento lo capii.
- << Cosa
diremo? >> mormorai.
- << Non
saprei… >>.
- << Santo
Cielo! Nessuno ha diritto di sapere. Se dessimo delle spiegazioni,
è come se ci giustificassimo. E perché dovremmo
farlo? Lasciamo che pensino ciò che vogliono. Quello che
daremo servirà solo a far dire: “Bugiardi”,
così s’inventeranno qualcosa stile Beautiful. Sono la
madre di Renoir, punto! >>.
- <<
Isabella… >> mi riprese per il tono vagamente
infantile.
- << Dimmi che
sono una bambina e mi comporterò da tale >> lo
avvisai imbronciata.
<
- < Mi hai detto che
quelle donne cercano di farti delle domande…
>>.
- <<
Sì >> confermai.
- << E la
prima volta cosa ti hanno chiesto? >>.
- << Dove ero
stata negli ultimi anni e roba simile… >>
continuai.
- << Ecco.
Devi preventivare che faranno questa domanda solo quando sarai da sola.
Sono una persona molto riservata sulla mia vita privata e nessuno si
permette di essere così invadente, incuto timore…
>> sbuffò.
- Edward trasmetteva timore?
Andiamo… era Edward…
- << Cosa stai
cercando di dirmi? >>.
- << Che non
voglio che tu sia messa in difficoltà…
>>.
- <<
Mettermi in difficoltà? >> non
comprendevo.
- << Se ti
dovessero chiedere dove sei stata, non puoi tentennare o deviare il
discorso all’infinito… >> che palle quando hai ragione!
- << Cosa
proponi? >> cedetti.
- << Ci sto
riflettendo… >>.
- << Che ne
dici della verità un po’ falsata? Non ci sono
stata. Diremo che ero all’estero e sceglieremo il paese che
più ci aggrada. E’ una risposta vaga e nessuno
farà altre domande per non apparire inopportuno. Ci siamo
conosciuti a Chicago e abbiamo avuto una relazione da cui sono rimasta
incinta; nonostante ci fossimo lasciati, abbiamo deciso di comune
accordo di non interrompere la gravidanza e sempre insieme abbiamo
scelto di farla crescere con te per la sicurezza economica che potevi
darle. Tra me e Renoir, seppur la distanza, c’è
stato un rapporto madre-figlia. Qualche mese fa sono tornata a New York
e tu sei stato gentile da ospitarmi a casa tua. Se vuoi la ciliegina
sulla torta per spiegare la nostra relazione… stando a
stretto contatto si è riaccesa la scintilla e ora eccoci
qui! >> okay, era una spiegazione grossolana ma
l’idea di base c’era.
<
- < Ovviamente
nessuno arriverà a domandare della storia della nostra vita
di coppia. E solo perché ho vent’anni, non vuol
dire che mi farò mettere i piedi in testa senza protestare.
Alla prima cretina pettegola che mi chiede di te, risponderei? No. Non
permetterò a nessuno di entrare nella nostra vita intima.
Questa cosa riguarda me, te e in un certo senso anche Renoir. Noi tre e
nessun altro! >>.
- Sorrisi e gli accarezzai
il volto << Ma se qualcuno, a te vicino, vorrà
conoscere i risvolti sdolcinati di questa cosa…
dirò che mi hai conquistata perché quando dormi
fai delle facce buffe e talvolta grugnisci; che ogni dopo ogni primo
sorso di caffè ti lecchi il labbro superiore da angolo a
angolo. Poi deglutisci più volte per godertene il gusto.
Probabilmente arrossirò e borbotterò che tu sei
la giusta misura tra follia e ragione… che immagino che il
mondo abbia il sapore dei tuoi baci e il profumo della tua pelle...
>>.
- Adesso anche
romantica… cose dell’altro mondo!
- <<
Sì… forse è un po’ da
psicopatica, ma credo che siano i dettagli a fare la
differenza… >> mi sentivo davvero
un’imbecille a parlare in questo modo. Chi lo aveva mai
fatto? Non ero la ragazza da cuoricini, stelline e fatine!
- Accarezzò i
contorni della mia bocca << Quindi dovrò dire
anch’io qualcosa di te >> convenne
divertito.
- <<
Bè… potresti dire che il mio sorriso accecante ti
ha lasciato tramortito… >> scherzai.
- <<
Sì, il tuo sorriso… >>.
- << E i miei
occhi ti ricordano un cielo primaverile…
>>.
- << E che
quando… >> continuai.
- << Che anche
quando piangi sei bellissima e metti sempre il broncio. Hai il vizio di
sbuffare e quando sei nervosa, ti gratti il collo. E sei la donna
migliore che potesse capitare come madre di mia figlia
>>.
Non mi aspettavo una sua replica.
- La donna migliore.
- Come facevo a trattenere
le lacrime se sentivo una cosa del genere?
- << Potrebbe
andare, forse un po’ troppo stucchevole >>
biascicai per stemperare la tensione delle mie parole
trattenute.
- <<
Più di: ‘
Immagino che il mondo abbia il sapore dei suoi baci e l’odore
della sua pelle’ ? >>.
- << Mi stai
prendendo in giro? >>.
- << No. Come
ti ho detto non mi sentivo e non sentivo determinate cose da quando
avevo vent’anni… >>.
- <<
E’ una cosa bella o no, vecchietto?
>>.
- <<
C’è bisogno che ti risponda? >>
ribatté.
- Sfregai il naso contro il
suo.
- << No.
E’ questa la cosa bella nel nostro rapporto… che
ci anche nei silenzi >> affermai sfiorandogli il volto.
Ti adoro.
- Vidi una ruga di
preoccupazione increspare la sua fronte.
- La distesi con
l’indice << A cosa pensi? >>
bisbigliai.
<< I tuoi genitori. Alla fine verranno a sapere, credi
che asseconderanno tutta questa storia? >>.
- Impietrii e quasi mi
mancò l’aria. Strinsi gli occhi a causa di una
fitta alla testa. Avevo quasi dimenticato che fossero a New York, che
avrebbero capito tutto.
E probabilmente se si fosse trattato di un’altra questione,
avrei usato il suo corpo come ancora di salvezza.
- Invece feci ciò
che avevo sempre fatto: lasciai la presa.
- I miei genitori erano un
argomento scottante e… quando parlavo di loro diventavo
scostante.
- <<
Devo… >> sapevo cosa avrei dovuto fare e se
non ci fosse stata Renoir, avrei preferito tagliarmi un braccio al solo
pensiero, ma ora… per lei avrei fatto di tutto
<< …parlerò con loro… me
lo devono. Loro… è colpa loro! Mi asseconderanno
altrimenti si verrà a sapere tutto e non sarebbe un bene
né per noi né per loro. Non preoccuparti!
>> parlai troppo velocemente, con un tono di voce
isterico e per nulla convinto.
- Affrontarli sarebbe stata
una specie di prova del nove.
E un po’ avevo paura!
- Edward sorprendendomi
afferrò le mie braccia per portarle nuovamente attorno a
lui. “Ci
sono” aveva detto con quel gesto.
- << No, non
lo farai, non se devi stare male! >>
ordinò.
- << Che hai
in mente? >>.
- << Lo
farò io! >> esclamò.
- << No!
>> obbiettai << Per favore, smettila di
cercare di risolvere i miei casini! >> sussurrai cupa
<< Loro sono un mio problema e… faccio da sola
>>.
<< Sei così abituata a fare tutto da sola che
ti è difficile che qualcuno possa prendersi cura di te.
E’ questo che fanno le persone che stanno insieme: si
sostengono nelle difficoltà. Permettimelo!
>>.
- <<
Io…ti prendi cura di me più del dovuto
>> bofonchiai a disagio.
- << Non
è vero, Isabella. M’impedisci di fare quello che
vorrei! >> s’impuntò.
- << Cosa
vorresti? >> sbottai testarda.
- << Vorrei
che ti affidassi a me! >>.
- << Cosa
credi stia facendo? >> ribattei leggermente infastidita
<< Io mi fido di te, io ti... ti sto dando me stessa e ti
assicuro che non è facile. Ti sto donando me stessa! Non
dirmi che non mi affido a te… perché se
così fosse, non sarei qui… >>.
<
- < Sarà
difficile… la mia vita… >> sembrava
così dispiaciuto e odiavo vederlo così.
- << Lo so.
Sei una persona nota, Edward. Conosco chi sei e tu hai cognizione di
che persona sia io. Non m’importa del mondo o dei miei
genitori. Se vuoi, parleremo insieme con loro. Non ho mai avuto
relazioni ma so come sono fatta io. Non mi piace sbandierare i miei
sentimenti, neanche dare spiegazioni e per questo molte volte
potrò sembrare ineducata, ma è così.
Sono intransigente su questo punto. Siamo tu ed io. Basta! E
finché saremo insieme e non ci lasceremo condizionare
dall’esterno, niente potrà smuoverci
>>.
- Voltò il capo
in mia direzione << Vieni qui…
>> ansimò prima di congiungere le nostre
labbra.
- Mi baciò
così a lungo che mi stordì per la mancanza
d’ossigeno.
- << Che
c’è? >> boccheggiai con ancora gli
occhi chiusi.
- << Se non
esistessi, dovrei crearti… >> cavolo! Frasi
del genere le inventava sul momento? Il mio sorriso si estese
<< Con tutti i miei difetti e le mie orecchie a sventola?
>>.
- << Uno per
uno >> confermò.
Gli pizzicai la pelle dello stomaco << Non si dicono le
bugie… >> ridacchiai.
- << Non sto
mentendo… >>.
- <<
Sai… ti ho detto parecchie volte che la perfezione fa
schifo… ma se potessi… vorrei essere perfetta per
te… >> bofonchiai.
- << Mi
confondi… >> confessò.
- << Ah
sì? >> chiesi confusa e tornando a guardarlo.
<< Un minuto fa eri pronta a gonfiare le guance come
una… >>.
- << Non dire
quella parola! >> lo avvisai << Potrei
pensare a mille modi per dimostrarti che non sono una
bambina… e in tutti i casi, tu rimarresti a bocca asciutta.
Perciò stai attento… >> aggiunsi
con tono maligno.
- << Stavo
dicendo che prima impunti i piedi e poi… fai dei discorsi
del genere… >>.
- << Stai
dicendo che ti faccio girare la testa… quanto sei
adorabile… >> lo presi in giro.
- Mi pizzicò un
polpaccio e ridacchiai.
- << Cosa vuoi
che ti dica… immagina di essere al mare. Con me passi
dall’alta alla bassa marea. Come ti ho detto devi abituarti.
Cosa pensi del mio discorso? >>.
- << Sono
d’accordo con te… >>.
- << Meglio
così… >>.
- I suoi occhi
luccicanti mi spiazzavano sempre.
- <<
Edward… ce la faremo, vero? >>.
- <<
Sì >> disse certo e mi baciò come
se suggellasse una promessa.
- :___________________________________________________________________________________
- Ragazze non c'è molto
da dire di questo cap. Ho sonno! Ma vi prometto che nel prossimo
parlerò a mai finire. Se vi è piaciuto recensite,
recensite, recensite!!!!!!!!!!!!!! Un bacio immenso!!!!!!!
|
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Capitolo 17 *** Vieni via con me ***
- Oh
Santo Dio non so quanto coraggio mi è servito per
ripresentarmi qui! Quindi chiamo "questo" momento, il momento della
vergogna. Chiedo scusa umilmente a tutte le persone che finora hanno
seguito la mia storia e si sono trovate "bloccate". Avrei voluto
avvisarvi ma la mia connessione internet è letteralmente uno
schifo, inoltre ci sono stati così tante comunioni,
anniversari di matrimonio, compleanni e roba simile da non riuscire
più a distrincarmi. Non è una giustificazione e
per questo vi chiedo una, dieci, cento volte di perdonarmi. Okay vi
lascio al cap se siete state così magnanime da aprire la
pagina. Un bacio.
-
<<
Shh… >> dissi a Renoir posando
l’indice sulle labbra.
- <<
Mammina… >> si lagnò.
- << Non devi
fare rumore! >> mormorai spaventata.
- Eravamo chiuse nella
cabina armadio della mia dependance. In quello spazio chiuso
cominciavamo a sudare e mi venne naturale prendere l’elastico
che tenevo al polso a mo’ di bracciale e legarmi i capelli in
una coda alta.
- << Mami mi
scappa la pipì >> piagnucolò mia
figlia.
- << Anche a
me scappa! >> ridacchiai e lei mi seguì
<< Un altro minuto, okay? Poi strisciamo fino al bagno
>> dissi decisa.
- Annuì
indecisa e si portò le gambe al petto. L’ansia mi
stava uccidendo.
- << E se ci
trova? >> balbettò.
- << Non
può. E’ solo un maschio!
>> farfugliai.
- Di colpo la porta della
cabina si aprì mostrando l’espressione compiaciuta
di Edward e mandando all’aria la mia teoria “è solo un maschio”.
- Inevitabilmente io e
Renoir urlammo.
- << Trovate!
>> esultò lui.
- << No!
>> strillò la piccola che si alzò
in piedi e in un secondo scappò via. La imitai e iniziai a
correre.
- Quel pomeriggio di
domenica, finalmente, Edward si era liberato del lavoro e avevamo
deciso di giocare con Renoir. Adesso toccava a Renoir liberarci nella
tana della grande quercia in giardino.
- Non ero molto abituata al
movimento fisico, non che fossi poco coordinata o alto, ma ero
tremendamente pigra e correre anche solo per pochi minuti mi sfiatava.
Ero certa che mi sarebbe venuto un infarto! E il fatto che lui a
differenza mia, fosse veloce non mi aiutava. Ogni suo passo
corrispondeva a due dei miei se non di più.
- Certe volte era quasi
snervante.
- << Sta
ferma! >> Edward mi aveva preso da un polso.
<< Lasciami. Lasciami! >> strepitai.
- Per un attimo lo guardai
negli occhi. Indossava dei pantaloncini sportivi e una t-shirt.
- Certe volte mi perdevo a
fissarlo. Con lui avevo scoperto una nuova dimensione. Non era solo il
ragazzo trentenne che con me era regredito alla fase adolescenziale
ritrovandoci a pomiciare per ore a notte fonda davanti a un televisore
che trasmetteva chissà quale programma, era innanzitutto un
amico e nonostante adesso pomiciassimo,
sapevo di poter contare su di lui al di là che fosse il mio
fidanzato o meno.
- Vidi se Renoir darci le
spalle. Via libera!
Senza dargli tempo di capire le mie intenzioni poggiai le labbra sulle
sue << Sei adorabile. >> mugugnai. Gli
accarezzai una guancia << E terribilmente bello
>> spaesato mi lasciò il braccio.
- La mia non era stata una
tattica, ma era anche vero che mi aveva aiutato.
- Risi birichina
<< Grazie banano >> terminai prima di
fuggire.
- ///
- << Ha perso
papà… ha perso papà…
>> cantilenava Renoir puntandogli il dito contro
<< Ha ragione. Hai perso. Adesso dovrai pagare una
penitenza >> gli ricordai soddisfatta.
- Questa volta eravamo stesi
su una coperta.
- Il sole di fine settembre
era tiepido e non infastidiva affatto.
- Se chiudevo gli occhi e mi
lasciavo trasportare dalla brezza autunnale, un senso di pace
m’invadeva.
Cominciavo a considerarci una famiglia.
- Era bello.
- Io, Edward, Renoir insieme
a divertirci.
- Era una situazione
particolare.
- << Cosa
volete che faccia? >> chiese lui facendomi tornare alla
realtà.
- << Potresti
portarci muffin e limonata >> proposi sorridente.
- Avevo sete e anche fame e
chissà cos’altro.
- << Papi
perché guardi mami? >> domandò
Renoir improvvisamente.
- Aprii gli occhi che fino
allora avevo tenuto chiusi. In effetti, Renoir aveva ragione. Edward
continuava a osservarmi.
- Sorrise imbarazzato
<< La mamma è bella, non è vero?
>> lo disse proprio lui! Ero sbalordita da quelle quattro
parole. Non credevo l’avrebbe mai fatto, almeno non davanti a
nostra figlia, eppure ancora una volta mi aveva spiazzato.
- Renoir sembrò
soddisfatta << Papi… >> disse
con vocina smielata << …ti piace la mamma?
>> continuò euforica.
- Ero pietrificata.
- Avevo paura che da un
momento all’altro le dicesse che eravamo una coppia.
- E’ così
brutto che sappia?
- No, non era terribile che
Renoir sapesse, ma mi metteva l’ansia.
- Avrebbe reso tutto
più reale e anche elettrizzante.
- Bella, non è
già reale tutto il contatto fisico tra voi?
Avrei dovuto dare un nome alla vocina del cavolo che mi perseguitava da
ormai troppi anni. Magari rompipalle.
Cosa sarebbe cambiato dopo la scoperta di Renoir?
- Sempre più
rossa in viso ritornai con lo sguardo su di lui. Sembrava indeciso.
Rifletteva se continuare o no. Ne ero certa!
- Cercai di trasmettergli
ciò che avevo dentro. Ancora
una volta stai facendo di testa tua, ma se vuoi, puoi farlo.
- Era curioso che mi
sentissi così tranquilla mentre un minuto prima ero tesa
come la corda di un violino. Forse era perché avevamo
passato una bella giornata; forse perché sapevo che per
darmi coraggio e ammettere il nostro rapporto, Edward avrebbe dovuto
mettermi di fronte al fatto compiuto; forse, semplicemente,
perché la voglia di dire al mondo di noi due cominciava a
farsi sentire prepotentemente.
Nonostante ci fosse la paura di ciò che sarebbe avvenuto
dopo. Avevamo approfondito sulla notorietà. Finora ero
rimasta una presenza senza nome.
- Se fossimo usciti allo
scoperto, avremmo ufficializzato nel vero senso della parola
perché Edward non si lasciava mai vedere con altre donne che
non fossero suoi familiari.
- E sì, mi ero
spaventata.
- Avrebbero spiattellato il
mio volto sulle riviste, non sarei più passata inosservato e
avrei dovuto stare attentissima ai miei comportamenti in pubblico.
- Quest’ultima
questione mi aveva messo a disagio da eterna Peter Pan qual ero.
- Non mi ero posta mai il
problema di poter apparire folle o meno, anche se circondata da
centinaia di persone.
- Perché?
Semplice.
- Me ne sbattevo.
- Ora, tutto sarebbe
rivoluzionato. Da Bella, ventenne felice della mia giovane
età e che non si prendeva mai sul serio, mi sarei dovuta trasformare
in Isabella: la donna
di Edward Cullen, che avrebbe partecipato a qualche evento mondano
sempre al suo fianco.
- Sarei ritornata nel mondo
da cui ero scappata.
- Paura?
- Troppa!
- E inizialmente ero entrata
nel panico, tutto ciò era avvenuto dopo che gli avevo
assicurato che non m’importava un fico secco. Amavo la mia
privacy.
- Poi, con
l’evoluzione del nostro rapporto, avevo visto il mio stesso
turbamento anche in lui.
- Mi aveva stupito.
- Lui era sempre
così compito e sembrava quasi non avesse timore di niente. E
realizzai che la situazione era nuova anche per lui.
- O forse stai impazzendo.
- Okay, aveva ragione la mia
coscienza. Anche se per lui era tutto nuovo, sapeva come comportarsi,
aveva avuto modo di… che so… abituarsi a chi non
si faceva gli affari propri.
- Avevo meditato su tutto
ciò.
- Renoir e
quant’altro… e sebbene non fosse la mia massima
aspirazione nella vita –in realtà ormai evitavo di
programmare il futuro perché avevo progettato di stare
lontano da Edward e invece avevo finito per inn…
infatuarmene- comunque sia, avevo deciso…come che si diceva?
O la va o la spacca? Sì.
- La vocina nella mia testa,
rompipalle
per intenderci, mi suggeriva che non ne sarebbe uscito niente di
buono.
- Perché stai
rinunciando a te stessa! E infondo al tuo cuore non vuoi farlo o almeno
non sei ancora pronta.
- La mia
razionalità, pessimista per giunta, credeva che sarebbe
stato un po’ come tornare negli anni
dell’adolescenza; quando mi mostravo ai miei in un modo e in
realtà ero un’altra persona.
- Però era anche
vero che ero lontana da quella vita. Ero cresciuta, avevo imparato a
conoscere me stessa e i miei limiti.
- Appunto perché
conosci i tuoi limiti. Non riuscirai a portare una maschera a lungo
andare.
- <<
Scricciolo… >> ancora una volta Edward mi
risvegliò << … stavo solo dicendo
che la mamma è bella >> le
scompigliò i capelli amorevole.
Trattenni un altro sorriso e forse anche un po’ di delusione.
Bè… avrebbe potuto dirle che gli piacevo, no?
Infondo avrebbe creduto che gli stavo simpatica, era una bambina di sei
anni.
- << La
più bella del mondo? >> Renoir aveva assunto
un’aria sognante. Aveva gli stessi occhi di Tanya quando
guardava ‘Le
pagine della nostra vita’ non per la trama
alquanto toccante, ma per Ryan Gosling soprannominato da lei “Gnam Gnam”. Sì,
proprio così.
- Perché?
- Tanya voleva
mangiarselo.
- << Allora
papi? >> Edward sembrava imbarazzato.
- <<
Farfallina la più bella del mondo sei tu! >>
m’intromisi cercando di salvarlo << Uffa!
>> si lagnò.
- ///
- Appena Edward ci
lasciò sole, stendemmo sull’erba il tappeto del
gioco twister << Mammina? >> sembrava quasi
dispiaciuta.
- << Dimmi
tesoro >> la spronai.
- << A te
piace papà? >> era speranzosa. La mia piccola
bambina non era diversa dai suoi coetanei, forse la reputavo
più intelligente perché ero di parte, voleva con
tutta se stessa che Edward ed io fossimo una coppia.
- << Posso
chiederti tu che ne pensi? >> stavo davvero chiedendo
consiglio a una bambina di sei anni? Sì. Era giusto. Era mia
figlia.
- Ero senza speranze.
Però quando la conobbi le promisi che prima di far qualcosa
con Edward avrei chiesto il suo permesso...
- << Su me e
papà insieme >> chiarii costringendola a
sedersi sulle mie gambe.
- Arrossì,
abbassò il capo e mentre iniziava a torturarsi le mani e i
capelli le coprirono il viso.
Era meravigliosa. Era davvero la bambina più bella che
avessi mai visto.
- << Tu e
papà vi volete bene? >>.
- << Certo
amore >>.
- <<
Però non vi amate >> mugugnò quasi
affranta.
- La sensazione che provai
fu dolorosa tanto che non ero capace di associarla a niente che avessi
provato in vita mia.
Mi faceva quasi soffocare.
- Odiavo che fosse triste e
che io non potessi far nulla.
Come potevo spiegarle la differenza tra voler bene e amare, quando ero
la prima a non sapere quale fosse.
- << Per te
cos’è l’amore? >> domandai
per chissà quale motivo. Forse un tentativo per non
rispondere a quella domanda che non sapevo… mi faceva venir
voglia di grattarmi tutta. Io, Edward e l’amore. Santo Dio!
Da stupida qual ero non mi ero mai posta la domanda o le domande
giuste.
- Lo amavo?
- Mi amava?
- Noi e l’amore,
mi sembrava strano mettere noi due e tale sentimento nella stessa
frase.
- Un brivido, un misto
d’ansia ed euforia mi pervase la schiena quando riflettei
sulla possibilità che potesse amarmi. C’era la
possibilità che lui mi amasse! Perché non ci
avevo pensato prima? Perché ero una cretina patentata che
passava la maggior parte del tempo nel suo mondo.
- << La zia
Rosalie dice che è felice quando lo zio Emmett è
felice >> disse come fosse un automa, come se fosse una
frase imparata a memoria.
- Felici della felicità
altrui, era davvero un strano per una donna come Rosalie. Dio che stronza! Già che
c’è perché non fa uno di quegli spot
sul fare l’amore e non la guerra. Che ipocrita.
- Comunque la pensasse
Rosalie, era una cosa che si leggeva spesso nei romanzetti
rosa. Come se
nella realtà fosse così.
- O almeno era una mezza
verità.
- Perché
finché vedi il ragazzo che ti piace -magari quello troppo
uomo per poter stare con una come te o troppo adulto per stare con una
ventenne come te- sorridere felice, è una cosa. Se poi,
quello stesso ragazzo, rivolge quello stesso sorriso –che tu
ami tanto- a un’altra donna, le palle ti girano. Eccome se ti
girano! E a quel punto ‘felici
della felicità altrui’ va a farsi
friggere perché non riesci a pensare ad altro a come
eliminare dalla faccia della terra la Sandy di turno.
- Ovviamente non ti riferivi a te
stessa, no…
- << Ora
sappiamo cos’è l’amore per zia Rosalie;
ma per te cos’è? >> ribattei
stavolta davvero curiosa di sapere la sua risposta.
- << Quando il
cuore ti batte troppissimissimo e le mani sudano…
>>.
- << Questa
è di zia Alice, non è vero?
>>.
- Annuì e
ridacchiammo all’unisono.
- << Quando mi
abbracci prima di andare a dormire, mi dai tanti bacini sul naso e mi
dici sempre che mi ami più della tua vita. Questo
è amore? >> chiese ingenuamente.
- Sorrisi un pochino
commossa << Sì >>
confermai.
- << Di cosa
state parlando? >> domandò Edward mentre le
sue mani erano occupate da un vassoio di muffin e uno con una caraffa
di limonata.
- << Mi stava
spiegando cosa fosse per lei l’amore >> dissi
un po’ imbarazzata.
- Mi guardò per
un istante in cui le mie guance si arrossarono, forse per questo
sorrise in seguito. Un altro sorriso tenero, dolce.
- << Papi, per
te, cos’è l’amore? >>
continuò Renoir. Merda!
Il criceto nella mia testa aveva iniziato a girare nel tentativo di
immaginare la sua risposta.
- Per qualche strano motivo
mi sembrò a disagio. O
sono pazza.
- <<
L’amore è mutevole cucciola >>
dichiarò. Non sapevo se mi stesse fissando perché
avevo deliberatamente evitato i suoi occhi. Avevo paura.
Tanta.
- << Che vuol
dire? >> aggiunse la piccola.
- << Che
l’amore è amore e non sai cos'è
>>.
- La faccia corrucciata di
nostra figlia era tutta un programma.
- << Quando
sei innamorato, non sai il motivo >> stronzo! E’ un modo di
dirmi che se mai fossi innamorato di me non ne sapresti le
ragioni?
- << E qual
è la differenza tra voler bene e amare? >> fui
io a parlare. Volevo semplicemente tastare il terreno. Ne avevo
diritto, no? Oh mamma
sto diventando paranoica. Dall’occhiata che mi
lanciò, capii che aveva compreso la natura dei miei
pensieri.
- Giusto per non dargli
soddisfazione, feci finta di niente e riempii i bicchieri.
- << Tieni
amore >> passai un dolcetto a Renoir <<
Allora? >> lo esortai davvero curiosa.
- << Non
saprei… sai quando ami e quando vuoi semplicemente bene
>> la mia bocca si aprì prima pronta a fare la
domanda fatidica ma per fortuna tacqui ed evitai un’ennesima
figuraccia.
Lui non poteva parlare in questo modo, provocare la mia
curiosità e aspettarsi che il mio cervellino non pensasse a
quelle dannate parole. Ogni essere umano –ogni donna- al
posto mio avrebbe domandato: “mi ami?”, ma io non
potevo farlo. Ero terrorizzata a morte perché non sapevo
come avrei reagito sia di fronte a un’affermazione che a una
negazione.
- Il suo sorriso mi
costrinse ad abbandonare la mia mente, il mio rifugio.
- Notai che Renoir si era
alzata per giocare con i fiori del giardino e tornai a concentrarmi su
di lui.
- Era strano che nonostante
fossimo più che amici, il suo sguardo non fosse cambiato. Mi hai sempre guardato
così? Avrei voluto una giornata intera per
potergli chiedere tutto ciò che più mi
premeva.
- Lentamente, come se il
cervello non avesse mandato nessun impulso al mio corpo, mi mossi in
sua direzione gattoni. Okay, avevo tentato di essere sensuale.
- E fu naturale sfiorargli
la mano non appena Renoir si distrasse.
- Sperai vivamente di non
avere gli occhi a cuoricino!
<< Hai fame? >>.
- Annuii << Ho
fame >>.
- Con la bocca tirata
all’insù prese un muffin, lo spezzettò
tra le dita e m’imboccò.
- Se da una parte mi fece
piacere dall’altra, gelai sul posto, impaurita che Renoir
percepisse i cambiamenti dei nostri gesti e un’alchimia
più forte.
Con gli occhi tentai di individuarla, la trovai intenta a giocare con i
fiori di un’aiuola, ci dava le spalle.
- << Se
dovesse vederci, più intimi non la sconvolgerebbe molto
scoprire di noi >> spiegò scostandomi una
ciocca di capelli dal volto.
- Noi, quanto mi piaceva
sentirglielo dire.
- << Il piano
è fingerci innocenti di fronte all’evidenza?
>> una smorfia maliziosa si dipinse sul mio
volto.
- In un certo senso
l’avremmo manipolata. Da figlia pensai a ribellarmi, da madre
che non c’era nulla di male.
-
- ///
- << Nonna, ti
prego, me lo compri? >> sapevo che fare gli occhi dolci,
alla fine, mi avrebbe fatto vincere. Le sedute di shopping con lei
erano meravigliose perché non dovevo mostrarmi per quello
che non ero. Con mamma tutto era “vestito di qua, vestito di
là” tutto troppo pomposo e artefatto, nonostante
fossi appena entrata nella fase adolescente e amassi la moda. Con nonna
Marie anche un portachiavi da un dollaro era fantastico.
- << Cosa devo fare
con te? >> chiese retorica.
Continuavo a tenere il cuscino a forma di cuore stretto al petto
<< Dai nonna, lo teniamo nella tua camera così
quando non dormo con te, è come se ci fossi!
>> rincarai la dose.
- La nonna ridacchiò
<< Uguale a tuo nonno! >>
sbuffò.
- Mi svegliai di soprassalto
con la fronte sudata e l’affanno.
- Era la mezzanotte del
dieci novembre.
- Novembre.
- Era il mese che odiavo
più di tutti.
- In quella stessa giornata,
il dieci novembre, ricadeva l’anniversario di morte della
nonna.
- Odiavo profondamente
novembre.
- Non c’era niente
che potesse essere positivo. Nulla. Nada. Solo schifo più
totale.
- La mattina seguente mi
svegliai col viso stravolto, sembrava fossi stata messa sotto da un tir
o avessi assistito a qualcuno che era messo sotto da un tir…
poco importava…
- Mi sentivo
nell’occhio del ciclone, la mia mente era talmente occupata
dai pensieri che la affollavano che mi sentivo stanca fisicamente. E sono solo le sette del mattino.
A fine giornata mi sarei trascinata sui gomiti per arrivare a
letto.
- <<
Buongiorno >>.
- Versai del
caffè in una tazza e volsi lo sguardo verso la finestra che
dava sul giardino.
Il verde era il colore preferito di nonna.
- << Isabella?
>>.
- Il giardino di casa sua
era meraviglioso. Amava riempire casa con vasi di fiori a differenza
mia.
- << Bella?
>>.
- Alzai gli occhi al cielo
esasperata da me stessa.
- <<
Ehi… >> sobbalzai quando mi sentii sfiorare.
Edward.
- <<
Ehi… >> risposi con tono rauco, la stessa voce
di chi voleva piangere, ma si tratteneva dal farlo.
- <<
E’ successo qualcosa? Sei pallida >> mi
sfiorò il viso forse per accertarsi che non avessi la
febbre.
- << Un
po’ di emicrania… >> biascicai. Non
era una bugia.
- << Sicura?
>> una sua mano s’infilò tra i miei
capelli e con una lieve pressione delle dita mi massaggiò la
nuca. Rilasciai un sospiro di sollievo e chiusi gli occhi aspirando il
suo buon profumo.
- Era rilassante.
- Sentii le sue labbra
posarsi prima nell’incavo del collo e infine sulle labbra. Mi
scappò un gemito di disperazione che mi fece inumidire gli
occhi.
- <<
Sì. >> la mia voce tremò
<< E’ solo stress per
l’università. Alla fine del mese avrò
il penultimo esame… >> anche questa era una
mezza verità. Una relazione sana tra due persone matura
supponeva che ci fosse una totale sincerità. Ma io non ero
sana né tantomeno matura.
- << Posso
darti una mano? >> riuscì a strapparmi un
sorriso. Ecco un’altra cosa che mi piaceva di lui! Mi fece
ridere mentre strusciava vagamente il corpo sul mio.
- Riusciva a sedurmi anche
nei momenti più inaspettati.
<< Vorresti aiutarmi a studiare? >> era
riuscito a sollevare il mio umore di poco <<
Sì. Se potesse aiutarti >> era così
dannatamente buono. Ero io la stronza!
- << Ci
penserò su. >> brontolai fingendo di
sistemargli la giacca quando il mio era più una scusa per
percepire il calore del suo corpo.
- << Ti
dispiace accompagnare Renoir a scuola? Sono in ritardo, devo andare a
lavoro. Oggi devo fare la fotografa a un Bat Mitzvah e devo andare in
sinagoga e poi al Ritz… >> se solo avessi
voluto, lo avrei trovato il tempo che mi serviva, come avevo sempre
fatto. Non era per Renoir, non ne avevo mai abbastanza di stare con lei
ma per un giorno volevo solo allontanarmi, tutto qui. Non stavo
scappando, volevo solo staccare la spina. In fondo era un mio
diritto.
- << Avevo
intuito… >> sussurrò squadrandomi
dalla testa ai piedi.
- Non mi ero mai soffermata
sui vestiti ma quella mattina indossare dei jeans, una felpa consunta
dei Ramones
e degli scarponcini mi stava aiutando.
- Era il solito
abbigliamento che usavo con lei perché non mi aveva mai
giudicato a differenza dei miei. Lei mi trovava sempre perfetta, non
ero mai fuori posto, ero la sua nipotina scapestrata.
- Ogni tanto era bello
tornare se stessi.
- << Troppo
informale… >> continuai per lui grattandomi il
capo << … devo sembrarti una pazza
e… >> posò due dita sulle mie
labbra << Sei perfetta… >> disse
prima che potessi continuare a sminuirmi.
- In quell’istante
fu ciò di cui avevo bisogno. Ciò che mi diceva
lei quando Renee mi faceva sentire uno schifo. Sei perfetta nella tua
imperfezione, mi ripeteva.
- Neanche a lei era mai
piaciuta la perfezione. Probabilmente molti dei miei modi di pensare
erano derivati dagli anni vissuti in simbiosi.
- Sfidavo il genere
femminile a trovare un uomo come lui. Trovava la parola giusta al
momento giusto. Non era da tutti.
- Dovevo per forza esserci
qualcosa che non andava. Era umanamente impossibile che fosse
così… così…
com’era!
- Finsi di trattenere una
risata << Grazie è una grande cosa se ti
piaccio anche così >> scherzai
falsamente.
- <<
Isabella… >> mi accarezzò le labbra
con le dita.
- << Dimmi!
>> lo incitai.
- <<
…mi sei sempre piaciuta così!
>>.
- Sbarrai gli occhi presa in
contropiede da quell’affermazione.
- Mi morsi le labbra, forse
per evitare di dire qualcosa di stupido o forse perché non
avrei saputo che dire, e gli passai una mano tra i capelli
perfettamente sistemati. Li odiavo quand’erano statici. Forse
gli feci male perché arricciò le labbra
<< Anche tu… sempre…
>> conclusi con il senso di colpa che continuava a
punzecchiarmi agli angoli degli occhi.
- ///
- Era il primo Bat Mitzvah
di tutta la mia vita. Era… wow!
- La dodicenne festeggiata
era rossa di vergogna mentre i suoi familiari si cimentavano in balli
improbabili sotto i suoi occhi allibiti.
- Mi dispiaceva tanto per
lei!
- Certe volte un adolescente
in situazioni del genere si sentiva incompreso.
- Quante volte avevo detto a
me stessa “cosa
c’è che non va in me”
quando i miei genitori facevano qualcosa di ridicolo. Quante volte
avrei preferito prendere a testate un muro chiodato? Tantissime da far
schifo.
- Capivo quella ragazza e in
modo contorto le ero vicina in quella piccola umiliazione. Okay, in
parte ero divertita da quello spettacolo.
- Continuai a scattare
qualche foto evitando momentaneamente il volto della ragazzina
adombrato.
<< Vieni tesoro… >> le disse una
donna anziana. Sua nonna. Mai come in quella giornata sembrava che il
caso volesse ricordarmi di lei. Come se avessi potuto
dimenticarmene…
- << Nonna per
favore smettila di fare la vecchia >> le urlai per
sovrastare il volume della musica.
- << Bella ti
ricordo che sono vecchia. Ho quasi settant’anni
>>.
- << Pff…
particolari! Non s’invecchia se si rimane giovani nello
spirito. E tu nonna sei più piccola di me! Quindi
perché non muovi il tuo bel culetto uguale al mio quando
avevi vent’anni… >>.
- La feci ridere. Una delle poche
cose che adoravo erano i sorrisi. Erano calore allo stato
puro.
- << Mi farai uscire
un’anca fuori posto >> borbottò
raggiungendomi al centro del salotto.
- << Nah! Il
movimento la terrà lì dov’è
>>.
- Capitava spesso che mi
perdessi nei miei pensieri, più facilmente nei ricordi, ma
da quando lo conoscevo, sembrava che avesse il potere di portarmi con i
piedi per terra.
- Per questo rimasi
scioccata quando me lo trovai di fronte.
- Edward.
- Proprio lui.
- Al Ritz Hotel vestito con
felpa e jeans.
- Inizialmente pensai che
dovesse essere un’allucinazione. Andiamo… lui
sfoggiava quell’abbigliamento solo nelle quattro mura di casa
nostr… sua –tra l’altro dovevo smettere
di considerare casa sua,
nostra-
in un certo senso avevo sempre reputato impossibile che si facesse
vedere da occhio umano, che non appartenesse ai suoi familiari, con una
mise simile.
- Invece no.
- Lui… e qualcosa
nella mia testolina, un pochino
contorta, mi fece intuire che lo avesse fatto per me.
- << Dovresti
chiudere la bocca >> no, non mi era mai stata
diagnosticata nessuna malattia che includesse tra i sintomi le
allucinazioni tantomeno uditive.
- Era lì.
- <<
Che ci fai qui? >> chiesi esterrefatta.
- Calore allo stato puro
s’irradiò sul suo volto.
- << Mi sembra
ovvio no? >> ribatté.
- << Da quanto
sei qui? >> continuai confusa.
- Da quando avevo intrapreso
questa relazione con lui, avevo presi un’abitudine orribile:
guardarmi sempre attorno. E lo facevo con quell’aria di chi
aveva paura di essere nel mirino di un serial killer.
Qualcuno avrebbe potuto riconoscerci e diffondere qualche strana voce
e… forse era stato troppo avventato. Lui non era mai
avventato.
- Fece un passo avanti e per
qualche strana ragione non indietreggiai. Mi fronteggiò naso
contro naso e con la paura c’era anche
l’adrenalina.
- Riusciva a capire quanto
fosse importante per me quel momento? Era vicino a me, con le nostre
labbra che quasi si sfioravano, in una sala colma di gente. Mi stava
sconquassando con la semplicità dei suoi gesti.
Stare con te
è semplice.
- Forse per lui era niente
ma nell’esatto momento in cui le sue labbra si posarono sulle
mie, fu tutto.
- Edward mi stava baciando
incurante del mondo. E chi ero io per rifiutare quel modo meraviglioso
di farmi sapere che fossi importante? Lui mi stava drogando a furia di
baci e carezze sensuali e con l’odore del suo corpo che era
entrato nella mia vita dolcemente.
- Sorrisi sulla sua pelle
mentre le sue mani erano indaffarate con i miei capelli.
- Aveva la strana
capacità di farmi sentire donna e di trasformarsi in bambino
allo stesso tempo.
- << Grazie
>> mormorò.
- << Di cosa?
>>.
- <<
Perché è diverso
>>.
- << Cosa?
>>.
- << Tutto
>> disse semplicemente.
- Non ci fu bisogno di altre
spiegazioni.
- Nella vita capita di
ritrovarti in situazioni nuove senza rendertene conto. Non
c’è un motivo, una causa, ci finisci e basta ancor
prima di poterti chiedere come hai fatto. E così come non
sai come ci sei dentro, ignori anche che lentamente cambi. Per questo
è bella la vita! Un alito di aria fresca e la tua
staticità muta. Cambi e non lo sai. Diventi felice e non lo
sai.
- A questo si riferiva
Edward.
- All’imprevedibilità,
a due persone diverse che riuscivano a trovare un punto
d’incontro in nome di qualcosa di più. E noi ci
stavamo riuscendo con gli sbagli.
- Due persone restano insieme non
perché dimenticano ma perché perdonano.
- Lui in un certo senso
stava perdonando gli sbagli che avevo fatto ed io la stronzaggine dei
primi tempi.
- Mi feci più
audace perché tutto era diverso. E gli strinsi la mandibola
tra le dita perché quegli istanti profumavano di
noi.
- << Non
mentirmi mai più >>
mormorò.
- << Non
capisco… >> in parte mentii.
- << Vieni via con me…
>> cambiò discorso.
- << Dove?
>>.
- << Vieni via con me
>> ripeté imperterrito.
- <<
Edward… il lavoro… >>.
- << Vieni via con me
>>.
- E non fu una supplica. Non
aveva bisogno di pregarmi.
- E non fu un ordine. Non
avrei accettato per principio.
- Fu una richiesta. Affidati a me, mi
disse.
- E cos’altro
potevo fare se non buttarmi un’ennesima volta sperando di non
farmi male.
- ******
- Okay
chi è arrivato fin qui senza maledirmi, lo ringrazio. In questo
cap fondamentalmente non succede granché. Quindi non so...
spero vi sia piaciuto. Un bacio enorme.
|
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Capitolo 18 *** avviso ***
Salve ragazze sono qui dopo tanti mesi e sono stata imperdonabile. Se potessi chiederei scusa ad ogni singola persona che ha letto la mia storia ed e' rimasta bloccata aspettando un mio aggiornamento. Non vi nascondo che in questo momento preferirei scomparire anziche' scrivere questo messaggio, ma sono qui e se non vi dispiace vorrei spiegarmi. Ho avuto un'estate difficile... impotente, ho visto una persona cui tenevo essere consumata da una malattia grave. Non ce l'ha fatta. Mi ha distrutto. E quando ho tentato di postare un post o il capitolo, mi sono sentita egoista. Perché stavo pensando a me e non a consolare chi .i stava vicino e stava soffrendo. A distanza di tempo capisco di esserlo stata con voi senza una spiegazionw. E mi dispiace davvero, ma non vo altra scelta se non il mutismo artistico era l'unica mia alternativa. Dopo qualche settimana mio padre ha avuto un incidente domestico in cui ha rischiato di morire. E' stata un altra batosta perche la paura di poter perdere un altra persona che amo infinitamente non mi ha lasciato respirare. A distanza di mesi sono qui per dirvi che questa storia e solo sospesa, non so quando ma la riprendero anche perché ora come ora il mio unico mezzo per collegarmi e il cellulare. I due di questa storia avranno il loro lieto fine... un bacio... a presto |
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