My Ugly Boy

di MaTiSsE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap.10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap.14 ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 ***
Capitolo 18: *** Cap. 18 ***
Capitolo 19: *** Cap.19 ***
Capitolo 20: *** Cap. 20 ***
Capitolo 21: *** Cap.21 ***
Capitolo 22: *** Cap. 22 ***
Capitolo 23: *** Cap. 23 ***
Capitolo 24: *** Cap. 24 ***
Capitolo 25: *** Cap. 25 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


edsid
Lo so, ho già due storie in corso...Ma la tentazione per questa terza fanfic è stata troppo grande, ed eccomi qui! Spero che possa piacervi...Il titolo è ripreso dalla canzone degli Skunk Anansie "My ugly boy"...Buona lettura, ci sentiamo alla fine del capitolo!


M
y Ugly Boy

Capitolo 1










"Ed ovviamente, dovremo decidere la facoltà che frequenterai, Isabella."

Alle otto del mattino mia madre era in grado di risultare più ciarliera ed impegnata che in tutto il resto della giornata.
La invidiavo enormemente, io che a malapena riuscivo a biascicare due parole al tavolo della colazione.
Di tanto in tanto immergevo il cucchiaio nella ciotola con i cornflakes, scavando delle piccole buche dove lasciavo scorrere il latte, ed imprecavo mentalmente sull'insolita notte in bianco appena trascorsa. Avrei evitato quel giorno di andare a scuola molto volentieri per recuperare il sonno perduto, ma tant'è: mia madre mi aveva buttata giù dal letto con il suo solito fare energico, quello che non ammetteva repliche.
C'era poco da fare, avrei dovuto obbedirle.


"Isabella? Mi stai ascoltando?"
"Uh?" - Sollevai gli occhi verso di lei, continuando a tenermi la testa con la mano  destra. Avevo davvero un gran sonno ed il capo mi ciondolava a mo' di marionetta.
"Bella! Mio Dio, datti una svegliata!"
"Lasciala in pace, Renèe..." - Mio padre emerse comicamente dal quotidiano che teneva piegato davanti a sè. Non pensavo si fosse davvero interessato delle nostre chiacchiere: almeno a colazione era sempre molto assorbito dalle sue letture. - "Non vedi che è stanca? Non tormentarla con questi dubbi inutili sul college. Quando sarà il momento ci penseremo!"
"Charlie! Non dovresti darle man forte così platealmente!" - Ovviamente mia madre detestava l'idea di essere contraddetta davanti alla prole: aveva le guance in fiamme mentre riproverava mio padre per la leggerezza mostrata nel mettere in discussione la su autorità genitoriale - " Bella dimentica troppo spesso i suoi doveri. Sai quanto sia importante la questione università ma nostra figlia non trova mai un minuto per discuterne con noi! Se non ne approfittiamo quando siamo riuniti tutti quanti per la colazione, dimmi tu quando!"
"...Quando Bella avrà un'aria più sveglia ed attenta, ovviamente. E cerca di essere meno ansiosa, Renèe: nostra figlia ha la testa sulle spalle...Non per nulla è una Swan!" - Mi strizzò l'occhio ed io sorrisi. Poi aggiunse, guardandomi:

"Che c'è, Bella? Non hai dormito?"

"Per niente, papà." - Spiegai - "Quel maledetto gatto di Tom Dawson non ha fatto altro che lamentarsi tutta la notte...Tenevo la finestra aperta per il gran caldo ed il suo miagolio mi ha esasperato per ore...Dannazione, credo sia in calore!"
"Bella! Che razza di termini usi?!" - Urlò mia madre profondamente imbarazzata. E turbata. Il mio linguaggio cominciava a diventare troppo audace per lei, donna di chiesa e dalla solida morale. Una vera figlia del Puritanesimo, suppongo.

"Che significa in calore?"

La vocina dolcissima di mia sorella mi indusse a voltarmi in direzione della porta d'ingresso.
La piccola Elisabeth se ne stava in piedi, scalza ed assonnata, stropicciandosi gli occhi e tenendo per un orecchio il suo orsacchiotto preferito. Le sorrisi prontamente e tesi le braccia alla seconda responsabile della mia notte in bianco.

"Non significa nulla, Beth. Assolutamente nulla. Ma devi giurarmi che non ripeterai mai questa frase davanti a nessuno!" - Mia madre corse a tapparle le orecchie ed io finii con l'alzare gli occhi al Cielo, esausta già di primo mattino.
"Mamma, per favore. Sei paranoica."
"Beth ripete tutto ciò che sente....Dovresti fare più attenzione! Ed usare un linguaggio appropriato!"
"Ok, ok. Scusami. Possiamo finirla qui adesso però? Per piacere..."

Mi guardò severa e tornò ad accomodarsi  lentamente al tavolo della colazione cercando di trascinare con sè Beth. Che di tutta risposta corse tra le mie braccia.
L'accoccolai sul mio petto, teneramente, e lei accomodò il bel faccino nell'incavo del mio collo.

"Ancora in pigiama, piccola?"
"Oggi non andrà a scuola, Charlie...Ha avuto la febbre stanotte." - Mormorò mia madre. - "Mi pare che adesso sia fresca ma è meglio lasciarla a casa. E, Beth...per piacere. Sei stai a piedi nudi ti raffredderai di più."
"La mamma ha ragione...stavolta!" - La sentii sorridere sulla mia spalla.
"Allora  è per questo che la nostra Bella non ha dormito!"
"Più o meno. Quando il gatto di Tom ha smesso con i suoi miagolii un'altra micetta è venuta a richiedere un po' di coccole nel mio letto. Aveva davvero un febbrone e mi sono occupata di lei fino a poche ore fa."

"Vorrei una ciambellina..." - Pigolò allora la mia piccola stringendo una ciocca dei miei capelli tra le sue mani. Mister Chuck, l'orsacchiotto, rovinò sul pavimento e Beth non si curò - misteriosamente - di salvarlo: la febbre l'aveva davvero depredata di qualsiasi energia.
"Beth, nessuna ciambellina. Hai bisogno di rimetterti in forze: uova e pancetta sono l'unico rimedio. Coraggio."

Mamma spinse il piatto fumante davanti al visetto inorridito della mia sorellina. Dubitavo che dopo una notte di febbre così alta ed insistente qualunque bambina avesse gradito dei piatti così pesante. Inoltre, Beth tollerava poco il salato: preferiva, di norma, dolci e cioccolato ossia quelle "porcherie" che mia madre disdegnava apertamente giacché le ricordavano troppo i pessimi gusti, in campo alimentare, che avevano gli americani, popolo dal quale traeva origine la mia famiglia paterna.
Mia madre pensava, in quanto inglese, di avere più "stile" sotto questo punto di vista.

"Mamma, credo si tratti di un pasto eccessivo per una bambina ammalata. Lasciale mangiare le ciambelline che le piacciono tanto: le ho preparate ieri, ce n'è ancora una gran quantità."
"Bella, io invece credo che sia davvero ora di pensare a te stessa ed andare a scuola. Farai tardi. Beth, coraggio: vieni in braccio da mamma e vediamo di mangiare queste benedette uova."

Sospirai lasciando la mia povera sorellina tra le braccia di mia madre: sapevo che sarebbe stato inutile insistere. Beth mi guardò con occhi supplichevoli ed immaginai volesse portare avanti a tutti i costi la sua compagna contro le uova del mattino. Ma anche in questo caso sapevo che non sarebbe servito a nulla: mamma gliele avrebbe fatto ingurgitare utilizzando qualsiasi voglia espediente. Con un cenno di diniego mi alzai dal tavolo guardando a mia volta papà che faceva spallucce accarezzando la piccola schiena di mia sorella.

"D'accordo. Ci vediamo nel pomeriggio, allora. Ciao Beth."

Lasciai un bacio sulla fronte morbida di mia sorella. Mi madre mi guardò un istante prima di lasciarmi andare via: "Mi raccomando per il compito di storia. E non credere che il nostro discorso sia finito, ne parleremo quando tornerai."

"Se sarò ancora viva.." - Mormorai tra me e me chiudendo nervosamente la porta alle mie spalle. Stirai la gonna della mia divisa con il palmo della mano e mi avviai verso scuola velocemente.

La Queen Elizabeth High School era una prestigiosa scuola superiore privata e sorgeva all'incrocio tra la Queen's Gate e la Cromwell Road, nel quartiere di Kensigton. Un quartiere ricco abitato soprattutto da medici di fama internazionale, avvocati importanti e diplomatici.
Mio padre rientrava in quest'ultima categoria, poichè prestava servizio stabilmente come dipendente dell'ambasciata americana a Londra.

E proprio a Londra si era conosciuti lui e mia madre, quasi vent'anni prima: approfittando di un momento libero dal lavoro in ambasciata, Charlie - mio padre - aveva deciso di fare una lunga e rilassante passeggiata ad Hyde Park, il parco più famoso della città. E qui si era imbattuto nella giovane Renèe Watson - il cognome la diceva lunga sulla sua discendenza inglese - che portava a spasso un cagnolino irrequieto.
Cagnolino che, con molta delicatezza, aveva deciso di far pipì proprio sui pantaloni buoni di papà. A nulla erano servite le scuse di un'imbarazzata Renèe e non perchè il danno fatto fosse stato giudicato irreparabile, tutt'altro: mio padre aveva già perdonato lei ed il suo cagnolino dispettoso prima ancora che mia madre avesse potuto aprir bocca, folgorato dalla bellezza disarmante e dagli occhioni grandi e verdi di quella ragazzina inglese
Era tutto merito di Ronny, quindi, se mia madre e mio padre si sono conosciuti. Se avevano deciso di sposarsi, prendere casa proprio di fronte ai cancelli di Hyde Park ed avere due bambine. O meglio, una bambina e mezza giacchè io avevo ormai passato da un pezzo il periodo dell'infanzia.
Avevo diciassette anni ormai, mi avviavo ai diciotto. E mi avviavo, inoltre, a conseguire con ottimi voti il diploma, preparandomi ad una brillante carriera universitaria, proprio come voleva la prassi per i figli dei borghesi più ricchi: nelle famiglie come le nostre anche le donne avevano diritto a studiare e farsi una posizione.

Davvero tutto questo era merito di Ronny. Già. Mamma ancora ne piangeva l'assenza: Ronny era morto cinque anni prima di vecchiaia e Renèe, a pensarci, ancora non se ne dava pace.



"Bella!! Ma che diamine fai, stai dormendo??"

Sobbalzai. Persa com'ero nei miei pensieri quell'irruzione vocale mi aveva fatto quasi prendere un colpo.
Mi voltai di scatto, fulminando con gli occhi la causa del mio mancato infarto.

"Angela!"

Angela Weber. La mia migliore amica, ovviamente.

Se ne stava a mezzo metro da me, la bella divisa verde tirata a lucido ed i capelli acconciati in un ordinato chignon sulla nuca.
Impeccabile come suo solito.

"Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere?!"
"T'ho chiamato almeno una decina di volte" - Mi accusò puntandomi l'indice addosso. - "Non mi hai filata manco di striscio. In compenso però l'intera Cromwell Road mi ha guardato con aria disgustata."

Me la immaginai gridare il mio nome lungo tutto il tragitto mentre i passanti la guardavano con aria severa: gli inglesi sono un popolo molto silenzioso ma Angela doveva essere l'eccezione che conferma la regola. Non smetteva mai di chiacchierare a voce alta. Se non fosse stata la figlia di un famoso notaio della zona credo che mamma l'avrebbe sbattuta volentieri fuori casa già da diverso tempo. Mi venne da ridere.

"Scusami. Ero sovrappensiero. Beth ha avuto la febbre alta stanotte e non ho chiuso occhio. E poi mia madre mi sta torturando con quella questione sul College. Comincia a diventare pesante."

Angela rise, affiancandomi. Riprendemmo il nostro tragitto: l'edificio scolastico, ormai, non era molto distante.

"Sai che novità, soprattutto questa storia del college. Tua madre è sempre stata pesante, Bells. Non capisco davvero come tuo padre, da buon americano, possa tollerarla così facilmente."
"Non è detto che ci riesca facilmente. E poi papà, ormai, è più inglese che americano." - Le strizzai l'occhio.
"E comunque dovresti smettere di fare da mamma a Beth. E' tua sorella non tua figlia. Lascia che se ne occupi tua madre e pensa a dormire. E ad ascoltare David Bowie, ovviamente...We can be Heroes, just for one day "  - Canticchiò a mezza voce. Non l'avrei mai recuperata dal suo amore smodato verso quell'uomo.

"Preferisco un altro genere di musica, non me ne avere a male. E comunque...Devo curarmi di Beth. Vuoi che la lasci da sola nelle grinfie di mia madre?"
"Grinfie...Quanto sei esagerata, tesoro! Dopotutto ha cresciuto anche te e mi pare tu sia venuta su abbastanza bene...E comunque...Un altro genere di musica....parli di quei drogati dei Sex Pistols? Dio Buono Bella, hai capito che di certo non esistono più?? Dopo quel che ha combinato il tuo amico Sid durante il tour americano penso che dovrai dire ciao ciao all'intero gruppo!"

Diedi un calcio leggere al polpaccio di Angela e con una smorfia le intimai di entrai a scuola. Le nostre baruffe in campo musicale erano all'ordine del giorno e le trovavo divertenti.
Se solo mia madre avesse saputo che ascoltavo un gruppo che incitava all'anarchia ed alla ribellione giovanile, un gruppo che disdegnava Sua Maestà la Regina e  nel quale il bassista era imbottito di eroina e praticava l'autolesionismo, mi avrebbe seppellita viva con le sue stesse mani. Per lei, gente come questa era il diavolo. Renèe era convinta che ascoltassi la musica classica e che il mio compositore prediletto fosse Mozart. Era felice ed orgogliosa dei miei gusti in campo musicale ed andava vantandosi in giro con le sue amiche puritane della figlia modello che aveva messo al mondo.

Non aveva neanche la minima idea che tenessi Nevermind the Bollocks sotto il letto: le sarebbe preso un colpo.

Ovviamente questo genere di cose non accadeva solo in casa Swan.
Non ero certo un caso unico, io: tutti i bravi e composti studenti della Queen Elizabeth High School, infatti, nascondevano con nonchalance una torbida vita segreta. E dietro la faccia da bravi ragazzi mostravano un animo da ribelli impenitenti.
Le dolci e composte studentesse degli ultimi anni uscivano ogni giorno di scuola e, sotto la severa divisa verde oliva dell'istituto, sfoggiavano minigonne e stivali alti sino al ginocchio: gli studenti in giacca e cravatta scompigliavano l'ordinata chioma ed andavano a far baldoria nei locali e nei pub di Camden Town fino all'ora di cena allorchè i genitori rincasavano dalla loro faticosa giornata di lavoro. Solo allora indossavano tutti nuovamente la maschera da bravi ragazzi di famiglia religiosa e tornavano a leggere Dickens nel salotto di casa sino al giorno successivo.

Davvero una grande generazione di attori, la nostra!

Angela mi diede un pizzicotto, guardandomi con aria nervosa: l'ultima campanella stava suonando e dovevo sbrigarmi. Se fossi arrivata in ritardo avrei cominciato la giornata con l'ennesima ramanzina, giacché la direttrice pretendeva che le regole della scuola fossero rispettate con puntualità ed attenzione. Cosìcchè avanzai più rapidamente.

Io ed Angela raggiungemmo quindi facilmente la nostra classe, e finalmente riuscimmo ad accomodarci al nostro banco comune, il primo sulla sinistra dal lato della grande finestra che dava sul giardino.
Fortunatamente Miss Winson non aveva ancora fatto il suo ingresso in aula per cui ci fu abbastanza tempo a nostra disposizione per riprendere fiato e dare un'occhiata veloce ai capelli: Angela portava sempre con sè uno specchietto e spesso ne usufruivo anche io.

"Ehy...siete fighe ragazze, smettetela di rimirarvi." - Ci punzecchiò Oliver, seduto a poca distanza dal nostro banco. Figlio di un medico chirurgo, il giovane Oliver Morris portava i capelli un po' lunghi, alla Paul McCartney e la cravatta a righe indossata alla bell'e meglio. Sua madre, amica intima di Renèe, non faceva altro che disperarsi per questi piccoli, insignificanti particolari e mia madre, molte volte, mi aveva intimato di tenermi lontana da lui. Pensava che frequentarlo mi avrebbe deviata.

"Fottiti, Ol.."
"Sempre carina tu, eh americana?"
"Devo ribadire il concetto?" - Sputai mentre Angela rideva. E tuttavia non potei proseguire giacché Miss Winson, insegnante di scienze, fece il suo ingresso in aula con aria impettita, rivolgendoci un "Buongiorno" tutt'altro che garbato, come al solito. Mal tollerava la sua nuova generazione di studenti, ovviamente, e non mancava mai occasione per ricordarcelo. Era dal 1968 che si disperava per la nuova, rivoluzionaria ed insopportabile gioventù con la quale era costretta a convivere nelle aule di quella scuola privata e mostrava continuamente il suo risentimento senza mai preoccuparsi di recarci noia o dispiacere. Specie durante le interrogazioni.

Sospirai, lanciando un'ultima, superba occhiata ad Oliver che rispose con un sorrisetto ed infine mi apprestai ad aprire il libro di testo.
Una gran rottura, per intenderci. Non avevo certo voglia di studiare: sognavo il mio letto, in quel momento, e non m'interessava certo di approfondire i metodi riproduttivi asessuati dei batteri.

Dopo mezz'ora dall'inizio della lezione  un foglietto ripiegato volò sulla pagina del mio libro.
Alzai gli occhi sorpresa e mi voltai nella direzione dalla quale era arrivata la piccola sorpresa: trovai un Oliver ammiccante che, sorridendo, m'invitava a leggere il suo messaggio.

"Certo che ci prova in tutti i modi, eh..." - Constatò Angela fingendo di ripetere l'ultima frase dell'insengnante tanto per dar prova di aver studiato.

Alzai le spalle aprendo la pagina che Oliver aveva strappato dal retro del suo quaderno.


"Oggi provo con il mio gruppo. Ti va di venire ad ascoltarci? Potremmo suonare anche God save the queen. Pensaci"

"Angela...?" - Bisbigliai sorpresa, voltandomi verso la mia amica - "Da quando Oliver ha un gruppo?"
"Ah, non lo sai? Pare che abbia una voce prodigiosa. Almeno è questo quel che si dice..."
"Sì, che sappia cantare questo lo so già. Da bambino faceva parte del coro della chiesa..."
"Ah, pensa te...che fortuna!"
"Smettila e rispondimi...! Da quando ha un gruppo?"
"Ma non lo so. Da un po'. Pare che suoni con quel disadattato del fratello di Alice Cullen."

La Winson ci passò accanto. Finsi di essere concentrata sulla spiegazione ed attesi che si allontanasse di qualche passo prima di ricominciare a parlare.

"Chi diamine è Alice Cullen, Angela?"
"Come chi è? Non te la ricordi? Fa parte di quel gruppetto di cinque - sei disperati che si accolla ogni anno il nostro liceo..."
"Quelli che stanno a semiconvitto?"
"Esatto! E' incredibile quanto l'intero collegio docenti ed il consiglio dei genitori ami prostrarsi in opere benefiche...Comunque sia Alice è quella carina, col caschetto nero anni '50...Molto demodè..In ogni caso sta in classe con Miss Carson. Hai presente?"

Alice. Caschetto nero. Poco alla moda. Molto carina.
Forse sì, forse avevo compreso di chi stesse parlando Angela.

"Quella bassa che viene ogni mattina da Brixton?"
"Visto che la conosci anche tu?"

Alice era una ragazza dall'aspetto modesto ma curato e l'espressione distaccata. Stava sempre per conto suo, ovviamente: nessuno, in quella scuola, avrebbe dato corda ad una che veniva da un così malfamato quartiere. E, a dirla tutta, temevo che anche lei non avesse troppe ragioni per desiderare di avere a che fare con un branco di ragazzi viziati della Londra bene, abituata com'era alla praticità - a dirla in maniera delicata - del luogo dove abitava.

Alice - e, come lei, altri cinque, sei studenti della Queen Elizabeth - era stata ammessa al nostro prestigioso liceo in seguito ad un'opera benefica messa in atto dal nostro istituto e volta a dare la possibilità, anche ai giovani più diseredati, di poter conseguire un diploma, assicurandosi un futuro migliore.
In particolare, la giovane Cullen, era stata scelta dopo la segnalazione pervenuta dal direttore della precedente scuola da lei frequentata nel quartiere di Brixton, dove si era distinta per gli ottimi voti e la creatività in campo artistico. Per quel che sapessi io era un'eccellente studentessa e quest'evidenza mandava su tutte le furie molti genitori i cui pargoli frequentavano la Queen Elizabeth con scarsi risultati. Ma ovviamente, questo non era il mio caso.

"Alice Cullen ha un fratello musicista?"
"Un disadattato fratello musicista, vorrai dire. Credo che fino ad un paio d'anni fa andasse ancora in giro a rapinare vecchiette con suo padre."
"Prego??"

Ero davvero sorpresa.

"Perchè, non lo sai? Il padre di Alice è morto durante una rapina. Un commerciante a cui stava sbancando la cassa ha tirato fuori la pistola e l'ha messo a terra. Pare che Edward partecipasse volentieri all'attività paterna. Edward è il fratello di Alice, ovviamente. Se l'è cavata soltanto perchè in quell'occasione non era presente."
"Ma che razza di famiglia..." - Sussurrai.
"Famiglia? Quale famiglia? Ci sono solo Alice e sua madre Esme che tira avanti la baracca lavorando come cameriera. Edward è un nullafacente, ovviamente. Tuttavia ha fama di essere davvero un bel ragazzo ed un dongiovanni. Comunque...non ricordi quanto scalpore suscitò l'ammissione di Alice, a suo tempo? Nessuno tra i membri del consiglio desiderava che un tale elemento frequentasse i bravi ragazzi della Queen Elizabeth. E tuttavia il buon cuore alla fine ha prevalso. Anche se quella poverina nessuno se la fila."

Cercai di figurarmi davanti ai miei occhi il bellissimo fratello di Alice Cullen ma davvero avevo ben pochi elementi a mia disposizione. Era bruno come sua sorella? O più chiaro? Alto? Di che colore erano i suoi occhi?
Difatti l'unico elemento a mia disposizione era che si trattava di un musicista. Maledetto, per giunta.

Perchè diamine mi veniva così facilmente in mente Sid Vicious?

La curiosità era troppa. Afferrai velocemente la matita dal mio astuccio e scarabocchiai, senza pensarci un minuto di più, una risposta sul foglietto lanciatomi da Oliver.

"Dimmi dove ed a che ora."

Approfittai di un momento di distrazione di Miss Winson e glielo lanciai; l'osservai mentre la sua espressione si tramutava ed un sorriso luminoso si dipingeva sulle sue labbra.

La risposta non tardò ad arrivare.

"Brixton Road. Alle cinque. Puoi venirci con me direttamente dopo scuola."


"Ma che fai?" - Si allarmò Angela leggendo la discussione sul foglio - "Andrai davvero con quello sfigato di Oliver?!"

Sorrisi a malapena, già troppo entusiasta del pomeriggio che mi attendeva.

"Sì, ci vado. E tu verrai con me."








*

Allora....Qualche nota per capirci meglio:

1)"Nevermid the Bollocks, here's the Sex Pistols" è il primo ed ultimo album in studio dei Sex Pistols...L'ho comprato proprio pochi giorni fa! :)
2)Quando Angela prende in giro Bella, ricordandole la "brutta fine" fatta dai Sex Pistols durante il tour americano fa riferimento agli avvenimenti di cui fu protagonista Sid Vicious, bassista del gruppo, allorchè durante il Febbraio del 1978 fu ricoverato a Menphis per droga. Successivamente, durante alcuni concerti, lo stesso Sid ebbe degli scontri fisici piuttosto violenti con diversi fans e Johnny Rotten, il cantante del gruppo, espresse il proprio disappunto e risentimento riguardo a tali episodi al termine di una delle date del tour. I Sex Pistols si sono sciolti sul finire del 1979.
3)Le strade che ho elencato in questo primo capitolo esistono davvero a Londra. A Queen's Gate c'è l'ostello dove ho alloggiato questa primavera! :) Si tratta di una zona molto chic dove, effettivamente, è presente un numero molto alto di ambasciate ma non quella americana che si trova ad Oxford Street.

Credo di avervi detto tutto. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto...Al prossimo aggiornamento!
Un bacio
Matisse.




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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


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My Ugly Boy
Capitolo 2








"Ma dove cazzo suoni, Oliver?!"

Angela non aveva smesso di lamentarsi un minuto. Cominciavo a pentirmi di essermela portata dietro.

"A Brixton Road, Miss Delicatezza."
"Brixton Road?? Ti pare Brixton Road questa?? Quella lì fuori è Brixton Road, non questa....brrr....disgustosa stradina qui!"

Dalla strada principale - quella di cui parlava Angela, nello specifico - avevamo infine imboccato un vicoletto effettivamente angusto e buio: Oliver ci faceva da guida stando sempre ben attento a non perderci mai di vista. O meglio, a non perderMI di vista giacchè sopportava Angela davvero molto poco e soltanto per compiacere me. Ero certa che avrebbe preferito di gran lunga la mia unica compagnia e certamente avrebbe tentato di approcciare durante il tragitto, magari mentre ci trovavamo in metropolitana.
Fortunatamente avevo evitato prontamente l'inconveniente trascinandomi dietro la mia amica. E tuttavia cominciavo a credere che le avances di Oliver mi sarebbero potute risultare addirittura più simpatiche delle sue continue lamentele.

"Angie....Angie...."
"....When will those clouds all disappear...?" - Scherzò lei concludendo la mia frase.
"Non era esattamente quello che volevo dire io. Non era mia intenzione compiacerti cantando la canzone dei Rolling Stones.." - Scherzai.
"Ah davvero? E cosa volevi dirmi, tesoro?"
"Volevo dirti: Angie, se non stai un po' zitta una delle mie scarpe ti finirà dritta in fronte."

Oliver rise, precedendoci lungo il tragitto.

"Tu pensa, che simpatia!" - Esclamò con tono offeso l'interessata - "...Piuttosto, ringrazia Dio che sono qui con te, ora ed in questo postaccio Isabella.."
"E tu ringrazia Dio tutte le volte che ti copro con tua madre quando esci con Ben."

Benjamin Decker: il ragazzo di Angela.
Ammutolì all'istante: effettivamente mi doveva diversi favori.


"Per di qua..." - Mormorò d'improvviso Oliver indicandoci la porta arruginita di una specie di garage in disuso.

"Suoni ....qui?" - Domandai  piuttosto titubante. Lo stabile - un edificio vecchio ed abbandonato, approssimativamente degli anni '50 - che si ergeva sopra il garage mi pareva in procinto di crollare da un momento all'altro e, francamente, cominciai a temere per la mia incolumità.
"Lo so che non è un gran posto ma è fuori mano e, ciò che conta di più, non diamo fastidio a nessuno." - Spiegò lui con un sorrisetto di scuse.

Annuii ed infine lo seguii all'interno, trascinandomi dietro un'Angela disgustata: appariva decisamente comica mentre si guardava intorno alla ricerca di possibili topi o scarabei.


Niente da dire: l'edificio, dall'esterno, prometteva molto meglio.
Ci ritrovammo, infatti, in un ambiente male illuminato, molto largo e spazioso e dal tetto basso. Sulle pareti - scolorite e divorate, negli angoli, dalla muffa - si potevano intravedere, di tanto in tanto, scritte dai caratteri grandi e distorti, fatte con vernice rossa o nera. Nonchè qualche simbolo anarchico buttato qua e là.

L'odore di chiuso era pressocché insopportabile.

"Ragazzi...sono arrivato!" - Urlò Oliver.
"Toh! Guarda chi c' è... Il nostro Piccolo Lord!" - Gli fece eco con evidente sarcasmo  un ragazzone grande e grosso, seduto dietro la cassa di una batteria di un indecifrabile color rosso sbiadito. L'unico ospite del garage oltre noi, evidentemente.
"Emmett, non rompere il cazzo!"
"Sennò che mi fai?" - Mugolò l'interessato agitando per aria una bacchetta. Più che offeso dalla risposa di Oliver mi sembrava divertito. Pensai avesse capito che punzecchiarlo dava i suoi frutti: Oliver era il classico ragazzetto permaloso di buona famiglia.

Come presupposto Oliver non rispose all'ultima provocazione. Dal canto mio immaginai che dovesse avere davvero una voce portentosa se un tipo prosaico e buffone come quello - il batterista - gli consentiva di restare nel gruppo.

"Ehy...Hai portato delle amiche, vedo! Ma tu guarda, che carine...Pupattole, la divisa vi dona!" - Fischiò con approvazione.

Angela fece una smorfia, inorridita.

"Ho saldato tutti i miei conti con te, dopo questo pomeriggio..." - Sussurrò astiosa al mio indirizzo.

Feci spallucce sorridendo: il batterista mi stava simpatico, dopotutto.
Avanzai rapidamente nella sua direzione e gli tesi la mano.

"Ciao. Io sono Bella. Piacere."

Ricambiò la stretta quasi ridendo.

"Bella?"
"Isabella..."
"Ah, ok. Piacere Isabella...ma che ragazzina educata sei! Io mi chiamo Emmett. Accomodati! Accomodatevi pure entrambe, piccole...E' casa vostra qui..."
"Piccola ci chiamerai tua sorella!" - Sbottò Angela più silenziosamente possibile. Non le diedi peso e, piuttosto, accettai rapidamente l'invito di Emmett: giacchè non c'erano sedie su cui accomodarsi realmente, gettai in terra la mia borsa dei libri e mi ci accovacciai su suggerendo ad Angela di fare lo stesso.

"E secondo te dovrei poggiare la mia schiena contro questa...parete sporca e disgustosa? La mia divisa è pulita, Bella!"
"Anche la mia! Smetti di fare tante storie e siediti, perfettina dei miei stivali! Mi stai dando i nervi..."

Emmett rise: evidentemente aveva inteso piuttosto facilmente la nostra buffa conversazione.

"Dove sono gli altri?" - Domandò Oliver.
"Sono andati a prendere le ragazze. Se ci avessi detto che portavi anche tu un paio di amiche però ce le saremmo risparmiate le nostre..."
"Non dire scemenze...Edward non può stare cinque minuti senza Marlene."
"Ah, questa è grande! Caso mai è il contrario ragazzino...Marla non muove un passo senza Edward. Quella bionda cotonata prima o poi lo incastrerà!"
"Sai che affare!" - Rise Oliver. Nello stesso istante un gruppetto chiassoso composto da quattro ragazzi fece irruzione nel garage.

"Di che affare parli, Ol?"

Mi voltai in direzione dell'ingresso, per focalizzare la persona che si era appena rivolta ad Oliver con tono divertito.
E fu allora: incontrai due occhi color dello smeraldo. Luminosi e tuttavia tristi, quasi desolati.
Gli occhi più belli che avessi mai visto.

E fosse stato solo per quello forse sarei anche riuscita a riprendermi. La verità era che il ragazzo dagli occhi chiari che mi stava di fronte era, a trecentosessanta gradi, il più bello che avessi mai incontrato.
Se ne stava immobile come una statua sotto la porta d'ingresso, i capelli ramati portati un po' lunghi ed in disordine, le labbra carnose atteggiate ad una smorfia divertita. Le ampie spalle erano nascoste da una maglia bianca di cotone: le maniche erano strappate e sul dorso alcune frasi indecifrabili erano state riportate alla buona utilizzando - al solito - della vernice nera.

Una specie di dio greco travestito da Sid Vicious, in pratica.

"Dio se è bello..." - Considerai mentalmente. Guardai Angela con la coda dell'occhio e mi resi conto che il ragazzo in questione non aveva avuto effetti solo su di me: se ne stava anche lei a bocca aperta.
"Cazzo, Bells. E' fa - vo - lo - so!" - Sillabò piano.

Nel medesimo 'istante ci arrivò chiara e precisa la risposta di Oliver:

"Nessun affare Edward. Si scherzava..."


Edward.......Edward??
Deglutii a forza e cercai di inspirare quanta più aria possibile. Il sangue fluì velocemente lungo il corpo e sentii le mie guance avvampare senza un reale motivo.
Ero stordita.
Dunque, quel giovane perfetto che mi stava davanti altri non era che il fratello spaventoso e turbolento di Alice Cullen. Possibile si trattasse del medesimo  ragazzo disadattato e delinquente di cui mi aveva parlato Angela con tanto riserbo?
Proprio lui? Quell'angelo dagli occhi chiari  e l'espressione distante e dolcissima?
Stentavo a credere realmente che una simile meraviglia, con un viso tanto delicato e quel guizzo di innegabile sofferenza che gli illuminava gli occhi, potesse essere andato seriamente in giro a rapinare negozi e vecchiette traballanti.


Gli angeli non si macchiano di simili reati.


"Edward è un nullafacente, ovviamente. Tuttavia ha fama di essere davvero un bel ragazzo ed un dongiovanni."

Le parole che Angela aveva utilizzato soltanto qualche ora prima per descriverlo mi risuonavano in testa più di quanto non facesse ogni giorno Anarchy in the UK dei Sex Pistols; come avrei mai potuto mettere in dubbio la sua considerazione? Un essere così perfetto, per forza di cose, doveva avere una fila di ragazzine a sbavargli dietro. Ed ovviamente, da "uomo" ne avrebbe dovuto approfittare.

Matematico.

"Ehy Ed...abbiamo compagnia, hai visto?" - Esclamò il ragazzone - Emmett - facendomi sussultare, presa com'ero dai mille pensieri che mi voticavano in testa. Lo guardai puntare le bacchette nella nostra direzione ed un singulto mi colse alla bocca dello stomaco: per un qualche strano motivo non desideravo, in quel momento, essere notata da Edward.
Ma il mio desiderio fu vano:  ruotando il capo, l'interessato si rese effettivamente conto della nostra presenza e mi degnò di uno sguardo.

Mi sentii di morire.

"E loro chi sarebbero?" - Domandò voce bassa. Una voce calda e meravigliosa, proprio come l'avevo immaginata io.

"Amiche mie...ti dispiace Ed? Volevano sentirmi cantare.." - spiegò Oliver.
"No problem." - Risponse sottolineando le parole con un gesto della mano.

"Edward, chi c'è?" - Cinguettò dunque una vocina fastidiosa: mi accorsi quindi che, dietro le spalle di Edward, aveva fatto capolino una ragazza dai capelli biondi voluminosi ed il trucco pesante.

Marlene. Ovviamente.
La tipa appariscente cui aveva fatto riferimento Emmett solo pochi istanti prima parlando con Oliver. Quella che dietro Edward ci moriva.
Avvertii come un inspiegabile ed assurdo senso di gelosia nei suoi confronti.

"Amiche di Oliver, Marla. Va' a sederti assieme ad Alice adesso: noi abbiamo da fare."

Marlene annuì e corse a sedersi in terra, a debita distanza da noi, trascinandosi dietro una ragazzina dai capelli neri.

Alice Cullen.

La fissai attentamente, chiedendomi se avesse per caso riconosciuto me ed Angela e lei, di tutta risposta, mi rivolse un sorriso a metà tra l'imbarazzato ed il gioioso. Evidentemente i nostri volti dovevano apparirle effettivamente familiari. O quantomeno la nostra divisa giacché era la stessa che indossava lei ogni mattino.

Edward, nel frattempo, raggiunse Oliver: dietro di lui veniva un altro ragazzo dai capelli biondi e scomposti- mi parve che Edward stesso si fosse rivolto a lui utilizzando il particolarissimo nome di Jasper. L'aria sognante con la quale guardava Alice mentre chiacchierava con Marla mi lasciò intendere che si trattasse del suo ragazzo.
Ma per quanto bello potesse essere quest'ultimo io avevo occhi solo per uno: Edward.

Lo contemplai trasognata mentre si massaggiava il collo prima di imbracciare il suo basso.

"Con quale partiamo?" - Domandò.
"Alla mia amica.." - Rispose Oliver indicandomi - "...Piacciono i Sex Pistols...Potremmo cominciare con una loro cover, che ne dici?"

Mi guardò, sorridendo. Un sorriso strano. Ironico e dolcissimo al contempo.

"Davvero ti piacciono i Sex Pistols?"
"S...sì...Sì...Perchè?" - Balbettai.

Fece spallucce.

"Niente. Con quell'aria da brava ragazza che hai non l'avrei mai detto.."

Avvampai mentre Marlene mi guardava in un misto di derisione e fastidio: evidentemente non sopportava che Edward rivolgesse neppure una semplice parola ad un'altra ragazza che non fosse lei. Me ne fregai, in tutta onestà, e, più che altro, maledissi quella divisa ridicola che mi dava un'aria da collegiale sfigata.

Emmett diede il via picchiettando reciprocamente le bacchette e le note di God Save the Queen risuonarono immediatamente nel grande stanzone che ci accoglieva.
Me ne innamorai all'istante: generalmente mal tolleravo l'idea che altre voci, diverse da quella di Johnny Rotten, potessero dare vita ad una delle canzoni che preferivo in assoluto dei Sex Pistols eppure mi parve giusto riconoscere la bravura dei quattro ragazzi che mi stavano davanti.


Oliver in primis, fu una vera scoperta: conoscevo perfettamente la sua bravura nel campo. L'avevo ascoltato per anni alle funzioni religiose cui mia madre mi costringeva a partecipare e dove Oliver cantava come primo vocalist del coro, anche lui sotto richiesta e pressione dei genitori. Ma in questo caso non si trattava semplicemente di talento o di possedere una buona voce. Oliver sapeva essere, con grande sorpresa mia e di Angela, un vero leader. Slacciata la severa cravatta che gli imprigionava il collo, e dopo averla buttata in un angolo, aveva afferrato il microfono energicamente, urlando letteralmente le parole della canzone con tutto il fiato e la rabbia che aveva in corpo.
Era incazzato e lo stava dimostrando al mondo. Mai come in quel momento riuscii a sentirmi vicina a lui, riuscii a comprenderlo totalmente: Oliver stava buttando fuori tutto il suo disappunto, il suo risentimento, l'insofferenza nei confronti di quelle catene con le quali i genitori lo tenevano legato allo stile di vita ed alle ideologie che avevano scelto per lui. Si tratta delle medesime sensazioni che soffocavo ogni giorno dentro di me, quelle che infine esplodevano quando mi ritrovavo sola in casa a cantare con quanto fiato avevo in corpo le canzoni che mi permettevano ancora di sentirmi viva, lanciando cuscini in giro per la stanza come avrebbe fatto una famosa rockstar, dal palco, con la sua chitarra.

Mentre ascoltavo Oliver imprecare ironicamente contro sua Maestà la Regina, d'improvviso, compresi perchè avessero scelto proprio lui come cantante.
Perchè era l'unico ad essere davvero furioso col mondo intero; gli altri tre avevano avuto certamente una vita difficile: mi bastava pensare alle vicende personali di Edward per farmi un quadro più completo e dettagliato di quel che poteva essere stata la loro esistenza sin dall'infanzia. Era vero. Ma non erano prigionieri.
Loro tre potevano permettersi di fare e dire ciò che desideravano.
Loro erano ancora liberi di vivere e di scegliere.
Oliver no.

Edward, dal canto suo, aveva l'energia e - soprattutto - la strafottenza tipica del ragazzo di strada. L'espressione assolutamente menefreghista ed - al contempo - l'impegno che ci metteva nel muovere le dita lungo le quattro corde di quel basso nero e lucido lo rendevano perfettamente corrispondente all'idea che mi ero fatta, nella mia testa, di "musicista". Edward era incondizionatamente innamorato del suo basso e totalmente appagato dalla musica. E contemporaneamente non dimenticava di far sapere al mondo intero quanto se ne sbattesse, fondamentalmente, di tutto ciò che gli ruotava intorno.

Non mi riuscì di staccargli gli occhi di dosso.
Eppure un'ansia incontrollabile stava scuotendo le mie membra: lo stomaco mi doleva e per un attimo desiderai essere altrove. Perchè mi sentivo tanto smaniosa? Perchè non desideravo altro che avvicinarmi a lui e - contemporaneamente - fuggirne via, il più lontano possibile?

La sua bellezza mi aveva colpito sino a questo punto?
Davvero mi ero trasformata improvvisamente in una ragazzina tanto superficiale e leggera da provare interesse verso qualcuno soltanto perchè si trattava di un ragazzo oggettivamente splendido?

Quando l'eco dell' ultima strofa della canzone - No future for you - si perse nell'enormità di quel garage che ci stava ospitando, ed i ragazzi si rilassarono guardandosi vicendevolmente con occhi compiaciuti, un battito di mani poco distante mi indusse a voltarmi sul mio lato sinistro.
Marlene stava applaudendo la band, mostrando in tal modo quanto avesse gradito la performance.
Eppure - inspiegabilmente - guardava me.

"Ma che carina..." - Mormorò con voce suadente ed irritante - "Allora ti piacciono davvero i Sex Pistols...Addirittura hai anche canticchiato ..."
"Non ho canticchiato..." - Ribattei subito ostile - "...Conosco perfettamente tutta la canzone. Conosco l'intero album, se è per questo."

Angela mi guardò sorridendo. Mi stava ovviamente incitando nell'affrontare quella bionda cotonata che, evidentemente, non voleva far altro che provocarmi. Forse si era resa conto dell'interesse con il quale avevo osservato Edward per tutta la durata della canzone e desiderava farmela pagare.

Maledizione! Ero davvero un libro aperto!

"Ma dai....che tesoro sei...Eppure, con quella divisina da scolaretta, non hai assolutamente l'aria di una tosta..."
"Anche io indosso quella divisa, Marla..." - S'intromise prontamente Alice, con voce gentile.
"Oh certo. Ma so chi sei tu, Alice. E certo con gente come loro non hai nulla in comune. Che diamine ci fate voi qui, ragazzine?" - Sbottò infine nervosa.

Ecco. La frase ostile che mi aspettavo.
Benvenuta in un mondo tutto nuovo, Bella.

"Che problema hai, tesoro?" - Ribattei - "... E chi saresti poi tu, scusa, per avere da ridire sulla gente che viene ad ascoltarli?"
"Qualcuno che ha molti più diritti di te, se è per questo!"
"Ma sta' zitta...piuttosto, pensa a conciarti in maniera più seria...mi sembri appena uscita dal circo con quei capelli lì!"

Qualcuno soffocò una risata. Forse Emmett, forse Angela.

"Come cazzo ti permetti, idiota...?!" - Mi rispose avvampando. Si alzò da terra di scatto - in un moto del tutto improvvisato - e mi pareva già in procinto di raggiungermi per suonarmele di santa ragione - effettivamente mi ero spinta molto in là in termini di offese con una tipa che neanche conoscevo -  mentre io mi dibattevo tra la tentazione di fuggire a gambe levate e quella di restarmene buona ad attendere la sua prossima mossa per farle capire che non aveva a che fare con la solita ragazzina di buona famiglia, quando una voce nota ci riportò all'ordine:

"Ma la volete smettere?! Noi qui ci siamo venuti per suonare, non per assistere a queste scene patetiche! Marla, finisci di comportarti come una ragazzina, mi stai dando i nervi!"

Marlene si bloccò immediatamente. Il viso pallido e le labbra tremanti la dicevano lunga sulla considerazione - meglio sarebbe stato dire "adorazione" - che provava nei confronti di Edward. Ogni sua parola doveva essere ordine per lei giacchè si immobilizzò letteralmente - mentre Alice, prontamente correva a recuperarla - ed ogni abominevole intenzione nei miei confronti sparì come una bolla di sapone.

Sospirai di sollievo guardando un'Angela ad occhi sgranati.

Oliver mi fu accanto in un istante.

"Bella! Tutto a posto?" - Esclamò allarmato, stringendomi. E poi aggiunse, a voce più bassa - "Non dovresti rispondere mai in maniera così sgarbata...Marlene è la ragazza di Edward...ed è una tipa..particolare. Non dovresti farla arrabbiare."
"Me ne sbatto di chi è.." - Risposi in un sibilo, stando bene attenta a farmi ancora sentire dall'interessata. - "E' stata lei per prima a rivolgersi male nei nostri confronti..."
"Ti prego, Bella.."

"La tua amica ha ragione, Oliver..." - Ammise dunque Edward. - "E' stata Marla a cominciare, senza motivo. Ovviamente non vi chiederà mai scusa pertanto...mettiamoci una pietra sopra. Oliver, torna qui...abbiamo un paio di pezzi da riarrangiare prima di stasera..." - Aggiunse infine con indifferenza, come se nulla fosse accaduto.

Oliver assentì titubante, lasciando la presa sul mio polso. Piuttosto che rispondere con un sorriso alla sua occhiata apprensiva, tuttavia, rivolsi nuovamente uno sguardo truce e - conteporaneamente - soddisfatto a Marlene. Il suo ragazzo l'aveva data vinta a me, una perfetta sconosciuta.
Mi parve quasi di sentirla ringhiare.

"Ok. S'è fatto tardi!" - Esclamò d'improvviso Angela, alzandosi di scatto. - "Grazie mille per averci ospitate, avete suonato davvero alla grande. Ma per noi è ora di tornare a casa."

Tremai mentre una frasetta stupida "..Eccole..Le santarelline.." giungeva al mio orecchio da una direzione ormai nota.

"Angela, che ti prende?!" - Bisbigliai avvicinandola al mio viso.
"Te lo spiegherò appena saremo fuori di qui!" - Sillabò con nervosismo.

"Andate già via?" - L'espressione contrita di Oliver era eloquente.
"Sì, Ol...Domani abbiamo interrogazione con Miss Winson, ricordi? Dobbiamo necessariamente ripassare..."
"Abbiamo a che fare con due premi Nobel..." - Ironizzò Marlene. Ero certa che fosse soddisfatta e felice all'ennesima potenza del nostro imminente allontanamento. L'avrei strangolata volentieri. Accanto a lei, Alice la guardò in tralice.
"Può essere." - Rispose dunque la mia amica - "Sai cosa? Noi siamo destinate ad altro, per questo dobbiamo studiare. Mentre te...non so neanche se sei in grado di contare! Andiamo Bella!" - Esclamò infine con mia grande sorpresa, tirandomi per un braccio.
"Ma io..."
"IO nulla. Fuori di qui!" - M'intimò con uno sguardo che non le era proprio e che mi diede i brividi. Per un momento mi parve di riconoscere, nei suoi, gli occhi di mia madre quando m' impartiva un comando con quel suo tono che non ammetteva repliche.

E come sempre accadeva anche con Renèe, annuii senza controbattere, più spaventata dalla reazione di Angela che dal battibecco con quella provincialotta di Marlene.

"Ciao....ragazzi. Alla prossima." - Balbettai. Alice, di tutta risposta, mi sorrise gentilmente.

"Ciao Oliver! Ci si vede a scuola." - Si limitò viceversa a dire Angela. L'interessato rispose con un cenno della mano, evidentemente perplesso. Jasper, tenendo fede al silenzio che l'aveva caratterizzato sino a quel momento, neppure si degnò di guardarci, mentre il più espansivo in assoluto fu Emmett che mi lasciò andar via con grandi moine, sorridendo ed agitando per aria le bacchette.
Il mio ultimo sguardo fu per Edward che se ne stava in disparte ad accordare il basso. Scuoteva il capo divertito. Un sorrisetto sghembo sul suo volto perfetto fu tutto ciò che mi riuscì inoltre di cogliere: per il resto non pronunciò una sola parola.

Evidentemente ci aveva etichettato per quel che eravamo: due sciocche ed altezzose ragazzine della Londra bene che lasciavano il campo appena la battaglia si faceva più complessa.
Non avrei mai potuto dargli torto.

Quando uscimmo dal garage c'era ancora luce: sul finire di maggio le giornate andavano allungandosi con molto piacere di tutti i londinesi.
Londra era una città piovosa per buona parte dell'anno: poter godere almeno di un maggior numero di ore di luce ci compensava, seppur in parte, del cattivo tempo a cui da sempre eravamo abituati.

Respirai a pieni polmoni l'aria di fuori e, nonostante lo smog e l'odore bruciante de gas di scarico delle automobile, la trovai comunque più piacevole e fresca dell'aria che stagnava nel garage. Incredibile quanto fosse satura e pesante.

Prima ancora che potessi aprir bocca, Angela, trascinandomi a gran velocità nella strada principale, mi guardò attentamente negli occhi. Poi sbottò:

"Ascoltami bene, Isabella Swan. Questa è stata la prima ed unica volta in cui avrai il mio sostegno per fare certe sciocchezze. E non m'importa se questo mi costringerà a trovarmi altre strade per vedere Ben!"
"Non capisco...che ti prende??"
"Che mi prende?! Stai scherzando spero! Ma ti rendi conto del posto in cui siamo finite per colpa tua?? Ci servivano soltanto i topi per completare il quadro...E fosse solo questo! Poco ci mancava che facevi a botte con quella...con quella orribile ragazza! Marlene....andiamo! Il classico nome da puttana! Cosa avresti raccontato tornando a casa tua con un occhio nero, dimmi?! Perchè è così che sarebbe andata a finire....Ti avrebbe ammazzata!"

Deglutii a fatica.

"Non m'interessa di quanto tu abbia voglia di evadere o frequentare ambienti diversi dal solito.." Continuò nervosamente - "...Questa volta sarò costretta a dar ragione a tua madre, Isabella! Il tuo posto non è qui e non è con questa gente, per cui smetti di fare la bambina capricciosa...E per quel che mi riguarda spero che anche Oliver lo comprenda il prima possibile altrimenti taglierò anche quel minimo legame che c'era tra noi! Ed ora..." - M'intimò a voce più bassa - "...Andiamo via di qui prima che faccia buio...Non voglio restare in questo squallido quartiere un minuto di più!"

A distanza di tempo non fui in grado di spiegarmi perchè non reagii neppure minimamente alla ramanzina di Angela. Forse il tono autoritario - materno, a dirla tutta - che aveva utilizzato per rimproverarmi mi aveva indotto inconsciamente a non ritrovare in lei l'amica strafottente con la quale amavo prendere in giro la gente ed ascoltare la musica, bensì una figura quasi sacra, verso la quale provare profonda riverenza. Senza ombra di dubbio l'assurda maturità che scaturiva dalle sue parole mi aveva fatta sentire piccina ed insignificante, una sorta di bambinetta capricciosa rimproverata dalla mamma. Sapevo che Angela aveva avuto paura: nonostante la mia iniziale risposta derisoria nei confronti di Marla l'avesse indotta a farsi una grassa risata schierandosi dalla mia parte, la piega successiva che avevano preso gli eventi l'aveva inevitabilmente intimorita e da tale timore era nato quell'innegabile senso di rabbia e nervosismo che stava alla base delle sue parole. Angela sapeva che, in uno scontro tra le due, sarei stata io a "perire" sotto i colpi - anche minimi - di quella ragazzaccia di periferia. Per la mia amica noi non eravamo all'altezza di uno scontro fisico con gente come quella e neanche avremmo mai dovuto abbassarci ad un livello tanto meschino: per quanto annoiati potessimo essere dalla nostra esistenza borghese e perbene, per quanto potessimo essere animati da un forte senso di ribellione, era innegabile che la nostra vita fosse altrove. In altri luoghi, tra altre persone più composte, educate e delicate abituate a parlarsi a voce bassa, a discutere sempre in maniera diplomatica.
Quella che avevamo conosciuto in un caldo pomeriggio sul finire di maggio del 1978 altri non era che gentaglia. E con quella gentaglia non avremmo mai dovuto mischiarci, per nessuna ragione al mondo.

Seguii Angela sino alla metropolitana senza fiatare. Percorsi rapida i gradini della stessa e salii senza indugio alcuno in treno, trovando rapidamente posto accanto alla mia amica. Mi sistemai composta, con le mani in grembo e non pronunciai parola.
Mi limitai a guardare l'orlo della mia divisa a pieghe.
Color verde oliva, opaco ed angosciante.
E non potei fare altro che odiarla profondamente.
Perchè se non avessi mai indossato quella divisa, se non avessi mai vissuto nel quartiere di Kensigton, se non fossi mai stata una Swan sarei stata una persona libera.
Forse con qualche problema esistenziale in più e qualche sterlina in meno nel portafogli ma comunque libera di pensare, parlare ed agire a mio piacimento. Più libera e per questo più felice.

Invidiai Alice. Perchè lei poteva esserlo, nonostante i problemi ed i mostri che si portava dietro.
Invidiai persino quella ragazza villana che era Marlene. Perchè poteva permettersi di passare il suo pomeriggio in una sala prove piena di muffe e ragnatele. Poteva arrabbiarsi e picchiare qualcuno se lo desiderava.
E poteva abbracciare Edward, baciarlo e tenerlo con sè a suo piacimento.
Questo era davvero un gran vantaggio: Edward era bellissimo. Era un musicista. E non era mio.





*

Allora....Giusto una nota piccola piccola...Ad inizio capitolo Angela canticchia una canzone pensando che Bella fosse sul punto di dedicargliela...La canzone in questione s'intitola "Angie", per l'appunto...è una bellissima ballata dei Rolling Stones contenuta nell'album Goats Head Soup del 1973 (sono stata attenta con le date! ^^)
Per quanto riguarda le due canzoni dei Sex Pistols che ho citato in questo capitolo sono le più famose del loro (unico) album... Se vi va, potrete ascoltarle a questo indirizzo:

Per God Save the Queen:

http://www.youtube.com/watch?v=MeP220xx7Bs


Mentre, per Anarchy in the UK:

http://www.youtube.com/watch?v=pOe9PJrbo0s

Godetevi il video, godetevi Johnny (il cantante), Sid (il bassista) ed il pogo sfrenato!! ^^

Detto questo, ho una domandina...Qual è il vostro (se ne avete) gruppo/cantante preferito? Per quel che mi riguarda avrete compreso che adoro i Sex Pistols così come Clash, The Smiths, The Strokes...ma soprattutto amo smodataente i Verdena che sono italiani e sono il mio amore più grande (Eli, so che stai sorridendo in questo momento! ^^)
vi lascio ringraziandovi per le 4 precedenti recensioni (vi rispondo fra poco) e per tutto l'interesse mostrato! Grazie a chi mi ha già inserita, con questa storia, tra le preferite/seguite/ricordate...e grazie anche a chi legge in silenzio!

A presto
Matisse.

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Capitolo 3
*** Cap.3 ***


edsid3
My Ugly Boy
Capitolo 3








Nei cinque giorni seguenti al nostro battibecco i discorsi tra me ed Angela furono ridotti all'osso.
Era come se un sottile muro di imbarazzo e risentimento si fosse alzato tra di noi: Angela non provò granché ad attaccar bottone ed io mi comportai allo stesso modo con lei.

Certo, non mancava mai di rivolgermi un breve saluto al mattino e lo stesso accadeva allorchè la campanella delle quindici di annunciava il termine delle lezioni; analogamente continuavamo a confrontarci sullo studio, suggerendoci gli argomenti più importanti da ripassare e chiarendo eventuali dubbi sulle materie che risultavano di più difficile comprensione. Ma nulla di più oltre queste formalità tra estranee.
Il tragitto da casa mia sino alla Queen Elizabeth divenne improvvisamente solitario: nessuna ragazzina pestifera venne più ad inseguirmi lungo la strada sbraitando a gran voce il mio nome. E nessuno più, in quei lunghi cinque giorni, ebbe più da ridire sui miei gusti musicali sventolandomi davanti agli occhi, ridacchiando, un poster gigante di David Bowie.
Eppure lo sapevo che, a scuola, di tanto in tanto, mi sbirciava ancora con la coda dell'occhio mentre, sedute dritte e composte ai nostri banchi, fingevamo di prestare attenzione alle parole di Miss Harrison riguardo la Guerra delle Due rose. L'avevo anche colta sorridere in maniera appena accennata quando John Silver era caduto come una pera cotta davanti a noi durante la lezione di ginnastica ed ero certa che fosse stata tentata di sorridere poi apertamente facendomi l'occhiolino se soltanto...se soltanto gliel'avessi concesso. Se soltanto mi fossi rivolta io per prima a lei - perchè a me, che ero in torto toccava fare il primo passo - accennando a quella mia risata birichina che tanto amava, ad una di quelle battute ironiche e sprezzanti che spesso condividevamo senza alcun pentimento riguardo i nostri compagni di scuola.

Ma questo non era accaduto.

Perchè per la prima volta, dopo quattordici anni di conoscenza, avevo percepito la lontananza di Angela dai miei pensieri, dal mio modo di vedere e vivere il mondo e le persone che mi circondavano. Per la prima volta non c'erano state risate gioiose e sguardi complici tra di noi, ma soltanto rabbia ed incomprensione.
La verità del mio stesso pensiero mi torturava il cuore: Angela non mi aveva capita.
Non aveva compreso il mio bisogno d'aria, di libertà, la necessità di poter scegliere autonomamente, senza ritrosie, senza limitazioni. Forse non aveva neanche provato a farlo. E benché la sua reazione assolutamente esasperata di quel pomeriggio, in sala prove, fosse stato frutto quasi esclusivamente dell'eccessiva preoccupazione e dell'amore che nutriva nei miei confronti, non l'avevo di certo gradita o apprezzata. Quel tono di voce con il quale mi aveva intimato di non azzardarmi mai più a frequentare certi posti ed un certo tipo di gente - come se il mio fosse stato poi soltanto un capriccio qualunque  - mi aveva ricordato eccessivamente quel medesimo atteggiamento di comando che mia madre amava assumere quando gestiva in maniera spicciola e superficiale le mie scelte di vita. Scelte che poi tanto mie non erano giacchè dipendevano totalmente da lei e dalle sue idee malate.
Adesso ne ero consapevole: sarebbero serviti ancora dieci anni al massimo per trasformare anche la mia amica Angela in quello stesso prototipo di donna assolutamente intransigente, snob ed autoritaria che era Renèe Watson, mia madre.
Un giorno, chissà quanto lontano effettivamente, la mia amica sarebbe diventata mamma a sua volta. Ed avrebbe accudito altri bambini infelici, destinati ad una vita fatta di regole e compromessi. Una vita soffocata e sbiadita.
Perchè a questo eravamo state abituate sin dalla nascita: ad essere brave e compite ragazzine dell'alta società. Saccenti ed autoritarie donne della Londra bene in un futuro non troppo lontano. E per quanto Angela  avesse potuto ancora scherzare su questo punto, tutto sommato non doveva dispiacerle poi tanto l'idea: mi pareva si fosse ormai avviata perfettamente, infatti, sulla strada percorsa, prima di lei, da sua madre. E da sua nonna e dalla sua bisnonna prima ancora.

Rabbrividii: tutto questo non mi riguardava, non poteva riguardarmi. Dovevo tagliarmene fuori nel più breve tempo possibile.

Per quanto tuttavia, potessi essere incollerita e dispiaciuta dall'intera situazione, avevo d'improvviso verificato la veridicità del vecchio detto "Non tutto il male viene per nuocere", poichè l'allontamento di un'amica di vecchia data come Angela aveva difatti comportato, inaspettatamente, l'avvicinamento di una nuova conoscenza.
 
Alice Cullen.

Si era ripresentata a me il giorno dopo il nostro stravagante incontro nel garage di Brixton Road: inutile dire che le mie guance erano immediatamente andate a fuoco mentre la osservavo incamminarsi nella mia direzione, nel bagno della scuola, pensando alla possibilità ilarita che la scenetta mia e di Angela, da brave collegiali figlie di papà, doveva aver suscitato in tutto il gruppo, Alice compresa, soltanto il pomeriggio precedente.

Me ne stavo quindi, quel mattino, impalata davanti allo specchio apposto sul lavandino, nel vano tentativo di dare una qualche forma ai miei capelli boccolosi, allorchè colsi, con la coda dell'occhio, una figuretta bruna che se ne stava immobile e silenziosa sotto la porta d'ingresso. Non ebbi neanche il tempo di realizzare la sua identità che già Alice avanzava rapida nella mia direzione mentre io mi mordevo le labbra, troppo imbarazzata degli spiacevoli eventi di cui mi ero resa protagonista soltanto il giorno prima, per per poter gioire della sua attuale presenza.
Eppure non mi riuscì di scorgere alcuna traccia di scherno e derisione in quegli occhi color nocciola della piccola Alice.
Quando abbassai il capo per osservare meglio il suo viso - era molto più bassa di me, tanto piccola da non sembrare neanche una liceale quasi maggiorenne - incontrai un sorriso luminoso ed il cuore si allargò in un moto di irrazionale felicità: quella ragazzina non sapeva far altro che trasmettere sensazioni positive, era innegabile.

"Ciao, Isabella."
"Alice...Ciao! Che...sorpresa..."

Mi guardò con aria divertita, inarcando un sopracciglio.

"La vera sorpresa è stata vederti al garage, ieri..."
"Oh, sì..." - Risposi con un gesto della mano - "Scusami per quella scena patetica con....."
"Marla...? Tranquilla. E' partito tutto da lei, come al solito."

Come al solito? Dunque, coem già sospettavo, quella specie di strega imparrucata non era nuova ad un certo genere di comportamenti. Di livello assolutamente basso, ovviamente.
Non ne sorpresi più di tanto, comunque. Da una tipa che andava in giro con un'acconciatura assolutamente improbabile senza interrogarsi minimamente sul significato della parola "stile" non potevo aspettarmi altro.

"...Volevo intendere..." - Precisò Alice interpretando, probabilmente, la mia espressione sprezzante - "...che si tratta di un tipo un tantino....ehm...burrascoso. Ma non è una cattiva ragazza, potrai accorgertene tu stessa."

Io stessa? Ma scherziamo??
La frase di Alice presupponeva, ovviamente, il verificarsi di almeno un altro possibile incontro tra me e quella specie di...Ok. Tra me e Marlene. Incontro di cui avrei fatto volentieri a meno.
Strinsi le labbra in una smorfia di diappunto che tuttavia la piccola Cullen non parve cogliere.

"...Se così non fosse certo non starebbe con mio fratello..."

Ecco. Ovviamente mancava la frase ad effetto come ciliegina sulla torta.
Era davvero necessario per Alice ricordarmi di quell'assurda relazione che Marlene intratteneva con Edward, dannazione!?
E tuttavia mi pizzicai di nascosto il braccio, stando bene attenta a non farmi scoprire dalla mia interlocutrice.
Dopotutto, cosa ne sapevo io nella loro storia? Non conoscevo il fratello di Alice ed ancora meno Marlene, con la variante che, a differenza di Edward, con quest'ultima non avevo alcun interesse a relazionarmi od approfondire la conoscenza stessa.
Magari si amavano veramente. Non ero nessuno per giudicare.

Maledizione, Isabella! Finiscila una buona volta con le tue arie arroganti da ragazzina viziata!

"Ecco....io...ehm...Scusami Alice. Adesso devo andare. Tra poco suonerà la campanella ed io..."
"Oh, certo, certo! Comunque, volevo dirti che...beh...mi ha fatto tanto piacere avervi...avervi alle prove, ieri. E' stato bello per me, a dispetto di ciò che ha detto Marla. Vedi...In questa scuola è davvero difficile che qualcuno...ecco...E' difficile anche che qualcuno mi saluti o mi rivolga la parola. Trovare te e la tua amica in saletta è stata viceversa una...piacevole sorpresa..."

Mi si strinse il cuore in un moto di dispiacere e compassione. Solo per un istante mi balenò, davanti agli occhi, l'immagine di una Alice, piccola e minuta, che tirava dritta per i corridoi di scuola, apparentemente calma, distaccata. Serena, quasi. Ed in realtà, dietro quell'impenetrabile maschera, si agitava un animo mortificato ma speranzoso al contempo. Una piccola creatura che viveva nella nell'attesa che qualcuno la notasse. Nell'attesa che qualcuno, di buon cuore, le offrisse la propria compagnia. Alice non si era ancora rassegnata a quella forma di solitudine forzata cui l'avevano obbligata i bravi ragazzi perbene della Queen Elizabeth. E tuttavia sopportava la situazione con innegabile coraggio e con un fare disinvolto degno di nota. Non potei far altro che ammirare senza alcun dubbio la sua incredibile forza d'animo.

"Anche per me è stato bello, Alice." - Assentii sinceramente - ".. E sarei felice di tornare...sempre che vi faccia piacere avere ancora a che fare con una delle solite, noiose ragazzine viziate della Queen Elizabeth School!" - Scherzai facendole l'occhiolino.
Rise di rimando.
"Mica siamo tutte così noiose noi, signorina Swan...Prenda me, ad esempio!"
Risi anch'io.
"...Scherzi a parte, Isabella...Vieni quando vuoi. Anzi, magari...quando non c'è Marla, così evitiamo di dover sospendere inutilmente le prove! E' un po' troppo gelosa, quella benedetta ragazza!"

Mangiucchiai il labbro inferiore nascondendo un risolino divertito.

"...A noi farà piacere senz'altro. Sei una cara ragazza, lo si capisce subito. Ed adesso scusami, devo proprio andare..." - Esclamò mentre la campanella segnava l'inzio della quarta ora.

A noi farebbe piacere senz'altro.

Noi chi?
Anche Edward era compreso in quel "noi"? Dunque c'era ancora qualche speranza che non fossi  risultata così ridicola ai suoi occhi - dopo l'uscita infelice di Angela - come avevo supposto in precedenza? Magari aveva espresso realmente il desiderio di rivedermi, parlandone con Oliver, per esempio!
In ogni caso, non ebbi modo di poterlo scoprire e, di conseguenza, preferii frenare di botto le mie congetture: dovevo assolutamente evitare che la mia mente galoppasse a briglia sciolta lungo i fantasiosi ed inesistenti sentieri della mia mente. Non avevo nessuna prova che ciò che avevo soltanto immaginato potesse essere reale pertanto evitai di fasciarmi inutilmente la testa.
Almeno per quella giornata.

Un mattino di due giorni dopo incontrai nuovamente Alice lungo il corridoio del secondo piano: mi salutò sorridendomi gentilmente ed io ricambiai con un cenno della mano. Dietro di me si levò un vociare fastidioso: mi voltai giusto in tempo per cogliere l'espressione inorridita di Margareth Holmes, Jessica Stanley e Lauren Thomas mentre si scambiavano piccoli gesti di richiamo ed occhiatine eloquenti. A nessuno era sfuggito il mio distacco momentaneo da Angela - non vederci più arrivare insieme a scuola, scapigliate e trafelate, era sintomo di un evidente litigio tra noi due: la situazione era abbastanza semplice da comprendere per l'intera scolaresca -  ed ora gli occhi di tutti gli studenti della Queen Elizabeth High School erano puntati su di noi.

Ed io...beh, io avevo appena fatto la mia prima mossa falsa, rivolgendo un saluto più o meno caloroso ad Alice Cullen.

Quella poveraccia di Alice Cullen, per tutti. Ovviamente.

"Eccole, sono arrivate..." - Grugnii dunque indispettita - "...Le tre dell' Ave Maria. Avete qualche problema, ragazze?"
"Nessun problema, americana..." - Mugugnò quella spocchiosa di Jessica. - "Ci divertivamo soltanto nell'osservare le tue nuove amicizie...Adesso te la fai con le poveracce, vedo...che fine ha fatto la tua amichetta Angela?"

Ringraziai mentalmente Dio per l'allontanamento rapido di Alice da quel corridoio. Dopo il nostro breve saluto, infatti, l'avevo vista raggiungere in gran fretta le scale che conducevano al piano di sotto stringendo una busta tra le mani: probabilmente conteneva il necessario per la lezione di ginnastica, per cui mi tranquillizzai.

"Dì, Jess...Hai mai pensato al suicidio? Faresti un gran favore a tutti quanti..."

Jessica mi rivolse uno sguardo truce e tuttavia non fu in grado di opporre una seria resistenza alle mie parole. Mi sentii fiera di me stessa.

"Dio Santo...Bella! Potresti smetterla di andartene in giro a litigare con la gente?? ...Sta' buona!" - Oliver comparve accanto a me senza alcun preavviso. Sussultai.

"Dannazione, Ol! Mi hai spaventata, lo sai??"
"Non me ne frega niente! Vieni con me..."
"Ma dove..."

Mi trascinò per un braccio sotto gli occhi curiosi di tutti gli studenti presenti alla nostra scenetta: era indiscutibilmente più forte di me e non riuscii a sottrarmi alla sua presa.
Mi costrinse a seguirlo rapidamente sino alle porte di emergenza che davano sul retro dell'edificio scolastico e qui mi invitò ad accomodarmi sulle scale antincendio che davano sul cortile posteriore. Il cielo era plumbeo quel giorno ed un forte vento, piuttosto fresco, venne a scompigliarmi i capelli bruni. Oliver mi osservò severamente ed io ricambia l'occhiata prima di accettare l'invito a sedermi sui gradini di ferro.

"Si può sapere che ti prende da qualche giorno a questa parte? Prima discuti con Marla, poi con Jessica...e non ti parli da giorni con Angela che è la tua migliore amica...Va tutto bene Swan?"
"A te che importa?" - Risposi acidamente volegendo lo sguardo altrove.

Non rispose subito ma lo sentii armeggiare con la stoffa della sua giacca e mi voltai nuovamente verso di lui: con mia grande sorpresa  stava prelevando una sigaretta dal pacchetto che teneva nascosto in tasca. Dopo pochi attimi la infilò elegantemente tra le labbra.

"Fumi..?" - Domandai sgranando gli occhi.
"Già. Da un po'. E comunque, tornando a noi..." - Rispose aspirando con gusto mentre i suoi capelli lisci si agitavano nel vento di fine maggio - "...M'importa eccome. Soprattutto se vengo coinvolto in prima persona..."

L'aveva sparata grossa e lo sapeva. Eppure se ne stava placido ed immobile poggiato alla balaustra, come se nulla del discorso tra noi lo riguardasse.
Deglutii.

"Che significa?"
"Significa che ho parlato con Angela prima. E' venuta da me durante la pausa pranzo. Mi pare davvero abbattuta, voleva sapere se per caso mi avessi detto qualcosa riguardo lei ed il battibecco che avete avuto.."
"Ti ha detto proprio così? Ti ha parlato anche della nostra....discussione?"

Ero davvero sorpresa. Tutto mi sarei aspettata tranne che venire a conoscenza di un'Angela che eleggeva Oliver a proprio confidente. Tra l'altro non l'aveva mai tenuto troppo in simpatia: benché ci conoscessimo tutti sin da bambini l'aveva sempre considerato un ragazzotto senza spina dorsale.
Quel che Oliver mi stava raccontando aveva realmente dell'incredibile.

"Sì...e mi dispiace molto sia accaduta anche per colpa mia.." - Mormorò infine gettando in terra ciò che restava della sigaretta e schiacciandola con la suola della scarpa. - "Se non ti avessi invitata alle prove..."
"Non c'entri tu..." - Sospirai volgendo lo sguardo al cielo plumbeo su Londra - "..Temo che Angela, semplicemente non riesca più a comprendermi come un tempo...E' questo il vero problema."
"E' per questo che sei nervosa?" - Domandò dunque sedendosi accanto a me.

Lo guardai con la coda dell'occhio ed accennai ad un sorriso contemplando quella cravatta male annodata sulla camicia bianca che fuoriusciva dai pantaloni. Se la direttrice l'avesse visto conciato in quel modo l'avrebbe cacciato via di scuola. O forse no: dopotutto suo padre sovvenzionava ampiamente l'istituto ad ogni nuovo inizio di anno scolastico: non poteva certo permettersi di perdere così scioccamente una simile rendita. Oliver Morris avrebbe potuto andarsene in giro come preferiva, dopotutto.

"Sì, per questo...Non riesco a trovare...Il mio posto nel mondo..Nè dentro questa scuola, nè a casa mia, nè fuori..."
"Beh, se può consolarti ti capisco.."
"Lo so." - Sorrisi.
"Lo sai?"
"Sì. L'ho capito da quel tono arrabbiato che tiri fuori mentre canti...E comunque...Sei bravo, Ol..Non avevo ancora avuto occasione per dirtelo..."
"Non te l'aspettavi, eh?" - Scherzò dandomi una leggerissima gomitata al fianco.
"...Mmmm....No, direi di no!"
"Ehy!" - Rise - "Non vale...Avresti dovuto rispondermi: Oliver, sapevo già tu fossi bravissimo ma ora hai superato qualsiasi mia aspettativa!" - L'espressione trionfale e divertita con la quale pronunciò le ultime parole mi indusse a scoppiare in una grossa risata.
"Ma va, Oliver! Quanto sei scemo!"

Rise insieme a me e per la prima volta, dopo anni di conoscenza, mi parve di chiacchierare con lui con il cuore leggero tipico dei vecchi amici: sì, per la prima volta percepii che poteva esserci un reale affetto ed una sana complicità tra noi.

"Bene..." - Mormorò infine raccogliendo i libri che aveva accantonato in un angolo della scala antincendio - "...Adesso scappo, James mi starà maledicendo in tutte le lingue del mondo: gli ho detto di aspettarmi in biblioteca all'incirca un'ora fa. Ci si vede Swan e cerca di far pace con Angela."
"D'accordo, lo farò."

Annuii salutandolo con un cenno della mano. Poi, lo guardai sparire dietro la porta di emergenza e sospirai.
Gli avevo appena detto che avrei sistemato la situazione con Angela. E forse l'avrei fatto. Ma non sapevo entro quanto tempo.
Non ero certa di poter mantenere la mia promessa.


*

E poi, il venerdì pomeriggio di quella stessa settimana, accadde qualcosa di inaspettato.

Appena la campanella annunciò la fine delle lezioni, afferrai libri e giacca e mi catapultai fuori dall'aula senza salutare nessuno. Sapevo che Angela  mi aveva appena rivolto un'occhiata sorpresa ma non le diedi peso: avevo tollerato un'intera settimana fatta di studio, silenzi, ansia, risentimento. Adesso avevo soltanto bisogno di staccare la spina.
Ogni mattina, insieme ad una scarna colazione, avevo ingurgitato, per cinque interi giorni, le lamentele di mia madre riguardo il College e le sue chiacchiere inutili sulla moda troppo audace delle ragazze moderne, mentre le occhiate eloquenti di mio padre mi chiedevano implicitamente di lasciarmi scivolare tutto addosso, che tanto Renèe avrebbe smesso di parlare a vanvera, prima o poi. Ed in tutto questo marasma non mi era riuscito di ritagliarmi neppure uno spazietto piccolo piccolo tutto per me, per potermi sfogare ascoltando, quantomeno, la musica che più mi andava a genio perchè non ero mai rimasta in casa da sola e non avrei mai potuto scatenarmi ascoltando del punk in presenza dei miei genitori.

Ero satura ed annoiata e non vedevo l'ora di tornarmene a casa per scoprirla meravigliosamente vuota: ero consapevole infatti che, il venerdì pomeriggio, mio padre si tratteneva ancora fuori per lavoro mentre mamma, impegnata a giocare a bridge con le sue amiche perbene di mezza età, trascinava con sè la povera Beth costringendola a familiarizzare con le insopportabili figlie di Miss Kate Summers.

Percorsi quindi rapida i gradini dell'ingresso, tra la folla di studenti che sciamava verso l'esterno, e per poco non inciampai nelle mie stesse gambe quando, alzando per puro caso lo sguardo, lo trovai di fronte a me.
Se ne stava poggiato alla recinzione d'ingresso di una casa privata dai mattoncini rossi, dall'altro lato della strada.
Le mani in tasca, la giacca di pelle nera scucita in più punti, i jeans scuri strappati all'altezza delle ginocchia, si guardava intorno con aria indifferente mangiucchiandosi il labbro inferiore tanto per perder tempo.

Edward Cullen, ovviamente.

Mi bloccai di scatto sui gradini e Jules Cromford per poco non mi cadde addosso.

"Ehy! Sta' attenta, americana!"

Americana. Quel solito, stupido appellativo che amavano utilizzare quando tentavano di farmi dispetto. Come se non fossi nata anch'io a Londra, esattamente come tutti quanti loro.
Che banda di stupidi!

Non gli risposi neanche, troppo persa nel contemplare quell'impareggiabile esempio di bellezza e strafottenza che mi stava di fronte.
Chissà da dove mi venne tutta quell'audacia: fatto sta che, appurata l'assenza di Marlene nei dintorni, decisi di avvicinarmi timidamente a lui stringendo tra le braccia i miei libri scolastici a mò di protezione: tenere qualcosa tra le mani mi faceva sentire più sicura.

Ero quindi ormai abbastanza vicina a lui, che neppure mi aveva ancora notata, quando abbozzai un saluto appena sussurrato.

"...Ciao...Edward...?"
"...Uhm?" - Si voltò con estrema sorpresa e mi squadrò per venti secondi buoni prima di realizzare la mia presenza ed il fatto che mi fossi appena rivolta a lui con tanta.....confidenza?
Inutile dire che, per quei  venti secondi in cui il suo sguardo di ghiaccio si bloccò su di me, mi sentii morire.

"Edward sono....L'amica di Oliver...Ci siamo visti...lunedì...Ricordi?"
"Ah, si!" - Esclamò infine e sorrise. Mi parve un sogno. - "Quella a cui piacciono i Sex Pistols..."
"Già..." - Sorrisi. Almeno aveva realizzato.
"E sei anche quella che..."
"...per poco non faceva a pugni con la tua ragazza. Sì, sono io."

Diedi subito un morso alla mia lingua impertinente: ma da dove mi saltavano fuori certe uscite tanto brillanti!?

Fortunatamente Edward la prese bene e sorrise apertamente guardando altrove.

"Sì, esattamente. Sei proprio tu.....tu?"
"Isabella!" - Mi affrettai a rispondere con l'aria di una bambinetta - "Ma tu puoi chiamarmi Bella...Cioè...tutti possono chiamarmi Bella..."

Tu puoi chiamarmi Bella....

Dio, Isabella Swan! Sei una deficiente!

Avrei voluto sprofondare...Con quelle paroline dolci che avevo appena utilizzato sarebbe stato evidente anche per un sordo che ero completamente andata per Edward Cullen. Complimenti per la perspicacia, l'intelligenza e la prontezza di riflessi, ragazza!

Avvampai ed Edward dovette notarlo piuttosto facilmente visto che sorrise - un sorriso sghembo da mozzare il fiato - guardandosi la punta delle scarpe.

"Bella, possiamo chiamarti, eh? D'accordo. Bella...Dì un po'...hai visto Oliver?"
"No!" - Risposi di slancio - "Oliver oggi non è venuto..."
"Cazzo!...Avevo bisogno di parlargli..."
"E' urgente?"
"Riguarda il gruppo.."
"Potresti chiamarlo a casa...Ho il numero se vuoi..."
"Lascia perdere....ti pare che un tipo come me possa chiamare a casa di Oliver? Se sua madre venisse a sapere che un misero Cullen si è concesso un simile onore dovrei dire addio all'Inghilterra per i prossimi dieci anni!"

Sorrisi. Non c'avevo pensato: Edward aveva terribilmente ragione.

"D'accordo...Visto che ormai sono qui vuol dire che aspetterò mia sorella.."
"ehm...non vorrei deluderti ma...Guarda che Alice è uscita alla terza ora oggi. L'ho incontrata in corridoio poco prima che andasse via..."
"Che...cosa? Oh cazzo!" - Esclamò picchiandosi la fronte con il palmo della mano destra - "E' vero, oggi è l'ultimo venerdì del mese..."
"Che succede l'ultimo venerdì del mese?" - Domandai curiosa.
"Niente...niente in particolare..Dà una mano a mia madre al ristorante, l'aiuta a tener cassa...Che stupido! Vorrei capire dove ho la testa nell'ultimo periodo..."
"Vorrei capirlo anch'io..." - Mormorai guardando in terra.
"Cosa?"
"Niente....niente, sul serio.."

"Ciao Swan! Ehyyyyy!! Isabella!! " - Urlò dall'altra parte della strada una voce conosciuta: Jessica Stanley. Si sbracciava per salutarmi e nel frattempo la osservavo sghignazzare alle mie spalle con le sue amichette. Ovviamente non le era sfuggita la figura di Edward e - soprattutto - la mia presenza accanto ad un tipo così evidentemente poco raccomandabile; dopo l'essermi fatta beccare nel salutare Alice in corridoio questa si rivelava come la mia ennesima mossa falsa: ne avrebbe parlato l'intera scuola.

"E chi se ne importa..."

"Non ricambi le tue amiche? A quella biondina lì fra poco parte la clavicola per salutarti..." - Constatò Edward con aria perplessa.
"Spero che se ne vadano all'inferno, a dirla tutta..."
"Addirittura?"
"Già...ho avuto un battibecco con loro qualche giorno fa e..."
"Allora ti piace proprio litigare con la gente, Swan!" - Scherzò.

Gli sorrisi inebetita.

"Ultimamente sì..."
"D'accordo..." - Mormorò infine con mia sorpresa - "...Mi sei simpatica, Bella....A me una sembri sul serio una tosta...nonostante la divisa.." - Strizzò l'occhio ed io avvampai. - "Mi sa che il problema per te sono io, qui fuori...Non dovresti startene a parlare con uno come me..."
"No, ma io...." - Cercai di protestare ma non me lo consentì. Scattai in preda all'emozione quando percepii i polpastrelli della sua mano sinistra sulle mie labbra.
-...Lasciami finire. Dicevo: non dovresti...Ma ormai ci sei già ed è troppo tardi per piangere sul latte versato. Ed anche io sono qui ormai a tempo perso. Vediamo di tirare fuori qualcosa di buono da questa cosa, ti va?"

Annuii senza comprendere realmente le sue parole.

"Ok. Andiamo a farci un giro, allora....O hai altro da fare? Devi studiare, forse?" - Ovviamente mi stava prendendo in giro. Liberò la mia bocca dalla sua "morsa" e gli risposi con un tono falsamente indispettito.
"Non ho proprio un bel niente da fare, Cullen...andiamo!"
"Brava bimba....così mi piaci!"

Mi diede quindi le spalle incamminandosi in direzione della metropolitana di Gloucester Road ed io mi affrettai a raggiungerlo, camminandogli di fianco.
Ero al settimo cielo, ovviamente. Mi guardai intorno sorridendo, come se tutto ciò che mi circondava fosse effettivamente più bello ed armonioso, più accogliente e ricco di significato soltanto perchè...Perchè quel pomeriggio lui era con me.
Soltanto un'ombra venne ad offuscare la felicità di quel venerdì pomeriggio: lo sguardo lontano di Angela che, dai gradini della scuola, mi osservava con occhi carichi di risentimento e preoccupazione.



*





Buon pomeriggio a tutte e buona domenica!! ^^
Anzitutto GRAZIE...di tutto cuore e sul serio! Solo due capitoli e già 13 recensioni e 20 seguiti...Per me si tratta di una specie di record quindi...sì, sono davvero emozionata...Grazie di tutto, a voi che recensite, che ricordate, preferite, seguite...Anche solo a chi legge, sperando che prima o poi mi lasci il proprio parere sulla mia storia! :DD
Questo capitolo lo dedico a tutte quelle mie amiche di Fb (sapete chi siete ;D) che non soltanto mi hanno espresso il proprio apprezzamento ma...mi hanno contagiata con il loro entusiasmo! A voi, ragazze, che sbavate dietro Oliver, a voi che ve lo contendete (!!!), a voi che cercate di immaginarvi i personaggi della mia fantasia mettendoci tanta passione...Vi voglio bene, sul serio. :)

Dopo questa parentesi di sentimento, volevo farvi vedere giusto due fotine. Ecco qui: le immagini rimandano alla famosa Queen's Gate, la strada dove abita la nostra Isabella (e dove io stavo con l'ostello a Marzo..sigh...non vedo l'ora di tornarci!)...Ve le ho postate in modo che possiate farvi un'idea dell'ambientazione della mia fanfic...Avrete capito che si tratta di una zona molto chic! ;)





Detto questo vi lascio...Spero in tanti  nuovi commentini! :D
Dopo risponderò alle vostre recensioni...Un bacio enorme!

MaTiSsE!

PS: Dimenticavo! La foto ad inizio capitolo è ripresa da un vecchio servizio di Robert Pattinson...e si avvicina molto alla mia idea di Edward in questa fanfic...Che dite, vi piace? ^^

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


ed4


My Ugly Boy
Capitolo 4











"Allora, dove vogliamo andare?" - Domandò Edward gentilmente.
"Cosa?"

L'avevo seguito senza reticenze siano alla stazione della metropolitana di Gloucester Road, infilandomi, dietro di lui, nel primo treno a disposizione. E giacchè non avevamo trovato posto si era gentilmente offerto di lasciarmi sedere sull'unico seggiolino libero a nostra disposizione.

"Starò in piedi, non è un problema per me. Piuttosto non vorrei che una signorina tanto per bene come te si stancasse troppo..." - Aveva commentato ridendo di fronte alla mia inutile protesta di lasciarlo accomodare al posto mio.

Nonostante Edward si fosse rivelato da subito estremamente gentile e nonostante mi trovassi tutto sommato a mio agio con lui, col senno di poi, avevo cominciato a pentirmi della mia decisione.
Forse ero stata troppo affrettata?
Del resto non conoscevo affatto Edward e dalle voci che giravano sul suo conto la mia scelta appariva, al minimo, audace. Se non incosciente.
Ma tant'è: mi bastò osservare  nuovamente quegli occhi così verdi per dissipare qualsiasi mio dubbio od incertezza: delle iridi tanto chiare e luminose non potevano nascondere altro che un cuore puro ed un animo buono.

"Sei sovrappensiero?"

Il treno si fermò nel medesimo istante in cui Edward pronunciò quella frase. La voce dall'altoparlante informò i passeggeri di essere giunti alla stazione di Hyde Park Corner. La fermata successiva era quella di Green Park.

"Please, mind the gap between the train and the platform."*

Sospirai.

"Ti sei già pentita di essere qui con me, non è vero, Isabella?" - Mormorò.

Qualcuno, nell'impeto di uscire in gran fretta dal treno, urtò con una pesante busta della spesa la mia gamba. Doveva trattarsi di una persona con un impegno davvero urgente giacché non si fermò neppure per chiedermi scusa: eppure, utilizzare quel maledetto "sorry" per qualsiasi cosa era una prassi consolidata in Inghilterra.

"Ahi..." - Mi lagnai massaggiando la caviglia scoperta. Edward s'inginocchiò davanti a me per sincerarsi delle mie condizioni ed io avvampai.

"Ti sei fatta male?!"
"No...no...è solo una piccola botta, credo...Al massimo mi si formerà un livido..."
"Sicura?"
"Sicura.." - Sorrisi.
"Bene....Ciò non toglie che tu non abbia risposto alla mia domanda..."
"Quale?...Ah!"

Le porte del treno si richiusero rapidamente e ricominciammo a dondolare non appena il mezzo riprese il proprio cammino.

"...No, Edward. Non mi sono affatto pentita..." - Mentii con un sorriso. E dopo sospirai di sollievo perchè parve credermi: si rialzò, sorridendomi a sua volta e poi domandò come se nulla fosse accaduto:

"Dimmi dove ti va di andare..."
"Oh beh....Non...non saprei proprio.."
"Non sei mai andata più in là di Piccadilly Circus, è vero?" - Ridacchiò.
"Nossignore!" - Esclamai con tono fintamente risentito - "...Sono stata anche a Westminster, se è per questo..."
"Davvero una zona....ah sì, un postaccio Westminster..." - Scherzò sfregandosi il mento tra pollice ed indice e mettendo su un'adorabile quanto fasulla espressione pensierosa.

Mi venne da ridere: mi coprii la bocca con il dorso della mano ed Edward mi osservò intensamente.

"Che c'è?"
"Sei....molto delicata. Tutto qui.." - Sorrise. - "Dunque....Ti va se ti porto io in un posto?"
"Dipende...Che posto sarebbe?"
"Camden Town. Hai presente?"
"Beh....sì, più o meno..."
"Non ci sei mai stata, vero?"

In realtà sì, c'ero stata. L'anno precedente, quando mia cugina Barbara, figlia del fratello di mio padre, era venuta direttamente dallo stato di Washington per rendere omaggio ai "cari zii inglesi" ed alle piccole sorelle Swan, mi ero calata perfettamente nel ruolo di Cicerone, mettendomi in testa di farle visitare l'intera Londra nel giro di cinque giorni. Tra le varie tappe era compresa - all'insaputa di mia madre, ovviamente -  anche l'eccentrica ed anarchica Camden Town, sconosciuta anche ai miei occhi. Cosicchè un mattino, di buon'ora, io e Barbie ci eravamo infilate nel primo treno utile senza dir nulla a nessuno, nemmeno alla piccola Beth, in direzione della zona nord della città. Ma il mio coraggio si era sciolto come neve al sole allorchè, all'uscita dalla stazione, mi ero imbattuta in due giovani punk dai capelli corti, colorati di strane sfumature rosse e gialle, e pesanti catene attaccate alla cintura. Sciocca com'ero mi ero spaventata enormemente per lo stravagante look dei due ragazzi (che tra l'altro, francamente, neanche mi avevano notata) cosicchè avevo ricacciato mia cugina nel treno con una stupida scusa costringendola infine al solito giro per le strade più in voga di Londra.
Niente di trascendentale, insomma: ero davvero un'inutile figlia della borghesia.

"No..." - Risposi dunque - "Non ci sono mai stata."
"Bene. Allora ci verrai con me." - Decretò con un sorrisetto.


*


"Bella? E' tutto ok?"
"S...sì..." - Deglutii, guardandomi intorno spaesata: Camden Town era un tripudio di musica e colori.
Da ogni angolo spuntavano teste colorate di ragazzi dall'espressione allegra e spensierata: giovani fanciulle dai capelli arancioni tenevano per mano i loro altrettanto stravaganti fidanzati dalla chioma corta e spettinata e gli abiti strappati in più punti; qualcuno si riuniva creando gruppetti chiassosi e ciarlieri, qualcun altro stava per conto suo o magari in compagnia del proprio cane. I negozi proponevano qualsiasi forma di merce: dagli abiti più eccentrici e colorati alle borse da viaggio dei primi anni del Novecento, accogliendo sempre i propri clienti con i generi più disparati di musica; in certi casi fui costretta a chiedere ad Edward di che diamine di canzone si trattasse perchè davvero non ne ero a conoscenza.

"Blitzkrieg pop. Ramones. Mi meraviglia che una che ascolta i Sex Pistols non li conosca, Bella.." - Mi rispose all'ennesima domanda che gli rivolsi a riguardo.
"Non posso mica conoscerli tutti..."
"Beh...ti piace almeno?"
"Molto.." - Confessai canticchiando il motivo della canzone - "E' allegra.."
"Mi fa piacere la trovi divertente..." - Sorrise.

Un ragazzone alto dai capelli corti mi passò accanto velocemente: indossava un pantalone davvero stravagante, rosso, a fantasia scozzese. Non ne avevo mai visti in giro di questo tipo. Lo guardai sgranando gli occhi.

"Non ci sei abituata, vero?"
"Co...cosa?"
"Non è il genere di persona che frequenteresti, quello..." - Indicò il giovane che si allontanava a passo spedito. Continuò a guardarlo in silenzio, poi riprese - "...In effetti neanche io sono il tipo di persona che frequenteresti.."
"Ma sono qua.." - Risposi timidamente.

Mi rivolse di nuovo quello strano, meraviglioso sorriso sghembo.

"Lo so.."

Camminamo per un po' in silenzio, raggiungendo infine alcune panchine posizionate su enormi gradoni in ferro. Tutt'intorno a noi troneggiavano grandi statue raffiguranti teste di cavallo riprodotte ad arte. Le osservai ammirata: non avevo mai visto nulla di simile in tutta la mia vita.






Una volta accomodati  Edward rise, quasi inaspettatamente, spiegandomi quasi subito il motivo di tanta ilarità:

"Perchè ridi?"
"Rido....perchè...Beh, a dirla tutta, Bella...Quella strana in questo posto sei tu.."
"Prego??" - Risposi ad occhi sgranati.
"Pensaci...con questa bella divisa stirata e profumata....Ti pare? Guardati in giro!" 

Avvampai.

"Ma che carina sei..." - Mi prese in giro infine dandomi un buffetto leggero sul naso - "Diventi tutta rossa....Non avevo mai conosciuto una ragazza come te!"
"Smettila, Edward!" - Esclamai risentita, voltando lo sguardo di lato.

Sorrise titubante.

"Te la sei presa?"
"No."
"Bugiarda. Dì, te la sei presa?"
"E va bene. Ok, lo ammetto. M'infastidisce essere trattata sempre come la bambola di porcellana della situazione. Questa ..." - Ed indicai l'orlo della gonna color verde oliva - "E' solo una divisa scolastica. Una divisa che sono costretta ad indossare. Ma non significa niente. Niente. Questa divisa non ti dice cosa mi piace mangiare, qual è il mio colore preferito od il film che mi è piaciuto di più. Non ti dice che tipo sono, se amo chiacchierare, cosa so di politica, se mi piace ballare o viaggiare o dipingere. Non ti dice nulla di me. Quindi smettila di essere legato ad uno stupido pregiudizio, per favore, e se vuoi conoscermi fallo sulla base di quel che ti dirò io non di quel che vedrai dall'esterno!"

Alla fine della tirata quasi mi mancava il fiato e, certamente, dovevo essere rossa quanto un peperone.
Presi un grosso respiro ed attesi paziente la risata ironica con la quale Edward avrebbe accolto la mia infantile sfuriata. E, tuttavia, l'attesa fu vana:  contrariamente alle mie aspettative, Edward non rise nè si prodigò in smorfie derisorie nei miei confronti. Tutt'altro: mi osservò intensamente prima di scostare una ciocca bruna che il vento aveva portato a coprirmi, in parte, il volto.

"Scusami, Isabella. Non volevo farti arrabbiare. Mi piace prenderti in giro perchè fai una faccia buffa quando scherzo così con te. Ma nulla di più. Non volevo offenderti."
"Io...."
"Non sei come le altre della tua scuola, l'ho capito subito. Ed hai anche un bel caratterino! Alice l'ha sempre detto che qualcuno doveva pur salvarsi in quell'istituto...Ecco chi."

Presi aria a fatica. Non sapevo onestamente che fare o cosa dire. Edward mi aveva presa letteralmente in contropiede ed onestamente cominciavo a considerare il mio sfogo di poco prima come nient'altro che una puerile quanto sciocca sfuriata da ragazzina viziata incapace di ammettere la verità.
Me l'ero presa tanto perchè Edward aveva deriso la divisa che indossavo in quanto simbolo della mia vita - bella e facile - da signorina ricca.
Eppure, non era forse quella la realtà delle cose?
Certo, mi sentivo diversa da tutti gli altri giovani della mia età e, soprattutto, del mio "ambiente" e magari lo ero anche, in parte. Ma, in fin dei conti, avrei saputo davvero "sopravvivere" in un mondo differente da quello in cui ero cresciuta? Avrei saputo muovermi altrettanto facilmente in quello stravagante universo nel quale ruotavano Edward, Marlene ed Alice?
Era facile guardare sprezzante quei quattro vegetali che popolavano la Queen Elizabeth School: conoscevo perfettamente i loro gusti, i loro atteggiamenti, le loro abitudini, le loro prevedibili battute.
Sapevo che le ragazze vivevano in funzione del ballo di fine anno, dove avrebbero potuto sfoggiare i loro abiti da sera migliori sentendosi delle assolute bellezze e fingendo, tuttavia indifferenza; sapevo che i ragazzi avrebbero puntato il bocconcino più appetitoso, la giovane più ricca e, possibilmente, più bella pur di compiacere la propria famiglia, ed intanto si sarebbero dati uno sguardo intorno alla ricerca di nuove prede con cui tradire le beneamate.
Sapevo che ciò che contava più di tutto era possedere l'auto migliore, quella più veloce, dalla carrozzeria tirata a lucido, preferibilmente nera.
Analogamente era di fondamentale importanza spendere tutti i quattrini di papà, ostentare il proprio denaro, mostrare di non avere alcun tipo di reticenza nello sborsare soldi imbarcandosi in spese inutili.
Sapevo che quei giovani, stolti e superficiali, amavano prendere in giro gli altri, sfruttare le loro debolezze, ergersi su di un piedistallo in nome di una superiorità esclusivamente materiale, non mentale. Ma, allo stesso modo, ero consapevole che tutto ciò che andava a costruire il mondo di questi miei coetanei era assolutamente fittizio ed evanescente: sarebbe potuto svanire vergognosamente da un momento all'altro e per questo non me ne curavo. Sarebbe bastato un niente, un niente per far crollare il loro misero castello di carte.

Il mondo di Edward, viceversa, era reale, vivo. Plasmabile e pulsante. Un mondo fatto di sofferenza, dolore, di pomeriggi stravaccati su un divano vecchio a bere alcolici - assolutamente illegali - e strimpellare una chitarra. Un mondo di risate sguaiate ma sincere tra amici veri, tra persone stravaganti ed alternative, non perchè lo dettasse la moda ma perchè lo erano realmente: alternative e diverse nella mente e nel cuore, prima di tutto.

Nel mio universo era facile sentirmi superiore: avevo coscienza di me stessa, non mi lasciavo trascinare dal superfluo, mi disgustava il vano. Ma nel mondo di Edward dove tutto era reale, dove nessuno fingeva e nessuno si tirava indietro nello spiattellarti in faccia la verità, come avrei potuto gestirmi io, piccola, insignificante borghese?

"Bella...Ehy? Sei davvero così arrabbiata? Perchè non parli più?" - Esclamò Edward allarmato, scuotendomi dal mare di pensieri che mi affollava la mente.
Scossi la testa in un cenno di diniego.

"No, Edward. Non sono arrabbiata. Mi dispiace, ti ho attaccato inutilmente. Sono nervosa negli ultimi tempi...E stavolta è toccato a te fare da valvola di sfogo."
Sorrise.
"Non c'è problema. L'importante è che tu non ti sia offesa."
"No. Non mi sono offesa."
"Ricominciamo daccapo. Ti va?"

Annuii, ridendo.

"Ok. Beh...Io sono Edward Cullen..Nice to meet you.." - Scherzò allungando la mano. Una smorfietta meravigliosa gli piegava gli angoli della bocca. - "...Ed invece, Miss...lei è..?"
"Isabella Swan. Bella per gli amici."
"Ed io posso essere suo amico?"
"Sì. E tanto per cominciare gli amici si danno del "tu"...Per cui..."
"D'accordo Bella. Allora siamo amici e posso darti del tu. E' un primo passo. Fatto questo...Direi che gli amici pranzano anche insieme, spesso e volentieri per cui...ti va se andiamo a mangiare qualcosa?"

Annuii ridendo. Oh sì che mi andava!

"A posto. Andiamo, bellezza...Devi ancora farti un'idea completa di Camden Town!" - Sghignazzò facendomi l'occhiolino.


*

Credo di aver vissuto, in quel venerdì di fine maggio del 1978, il più bel pomeriggio della mia vita.
Per la prima volta, nella mia esistenza, addentai una vera fetta di pizza italiana, offertami  gentilmente da un amico di Edward (almeno così si era presentato quel giovane bruno, Antonio, spiegandomi, nel suo inglese alla buona, di aver conosciuto Edward per caso durante una delle sue solite incursioni a Camden Town. Antonio era emigrato dall'Italia in cerca di fortuna e pareva esserci riuscito, almeno in parte, preparando e vendendo alla rumorosa clientela del quartiere le sue pizze buonissime). E per la prima volta me ne andai in giro per un vero mercatino di vestiti ed oggetti stravaganti: guardai con un sorriso ai vecchi abiti floreali anni '50, tastai curiosa le borse in pelle consumate agli angoli, ammirai l'enorme collezione di vinili accantonata in un misero negozietto all'angolo, toccai sognante le collane in legno esposte su di una bancarella anonima: avevano un che di esotico e perfetto.

"Questo deve essere il mondo delle favole..." - Mormorai.
"No...semplicemente queste erano delle vecchie stalle.." - Scherzò Edward.
"Davvero?"
"Già. Adesso le hanno convertite in un vero e proprio mercato a cielo aperto ma pensa che nel secolo scorso questo quartiere riforniva le scuderie di mezza Londra. Come cambiano i tempi!"

Davvero, Edward. Come cambiano i tempi. Gli eventi. E le persone.


Quando mi fermai con insistenza accanto ad uno stand che esponeva esclusivamente vecchie maglie sgualcite, Edward mi guardò dubbioso.

"Che fai?"
"Osservo...Mi piacciono molto. Specie quella.." - Indicai una maglia bianca a scritte rosse, verdi e nere.
"Sul serio?"
"Edward....Ti pare? Sì, mi piace! Perchè dovrei dirti una bugia? Quanto costa?" - Domandai all'indirizzo di un annoiato venditore dalla barba lunga ed i pantaloni scoloriti.
"Due."
"Due?" - Chiesi più insistentemente, sorpresa.
"Sì, due sterline Miss..."
"Ma è fantastico!" - Il mio gridolino di sorpresa costrinse Edward ad una risata. Mi trattenne per un braccio prima che potessi raccogliere le monetine dal mio borsello e porgerle all' uomo.
"Bella....è usata...Per questo è così a buon mercato.." - Protestò.
"E quindi? La laverò con attenzione..."

Rise ancor di più.

"Alzo le mani. Fa' come vuoi!"
Allungai le due monete al venditore ed agguantai la mia "nuova" maglia con gioia.
La strinsi tra le mani considerandola il più bel capo di abbigliamento che avessi mai acquistato. A confronto con i maglioncini in cachemire che mi rifilava mia madre era davvero perfetta. Ed alla moda. Nonostante qualche piccolo buco qui e lì.

"Ma ti piace proprio tanto allora!"
"Sì!" - Esclamai trotterellando al suo fianco. Mi guardò con interesse, inarcando un sopracciglio, prima di agguantarmi passando il proprio braccio sulle mie spalle.

Ne ero certa: se fossi sopravvissuta ad un simile gesto avrei potuto considerarmi immortale.
Le gambe tremarono in maniera ignobile ma ringraziai mentalmente il Buon Dio o, chi per Lui, mi consentì di fingere indifferenza con estrema classe.


Signore! Edward Cullen mi stava abbracciando! Edward Cullen! Edward!


"...Mmm...Penso sia ora di tornare a casa per te..Manca un quarto alle sette, Bella.." - La constatazione più triste e veritiera che avesse mai potuto fare Edward venne a pesare come un macigno sulla mia felicità.
"Che cosa?!" - Urlai terrorizzata: mia madre sarebbe tornata dalla sua partita di bridge entro breve e Dio solo sa se non mi avesse trovata in casa. Potevo dire addio alla mia già limitata libertà per i successivi vent'anni.

"Devi scappare, vero?"
"Sì Edward...ti prego."
"Non c'è problema....Vieni con me!"

Mi afferrò per la mano ed io trasalii, gongolando di gioia ed emozione, mentre Edward mi costringeva a correre sino alla stazione della metro, poco lontana. Le nostre risate, mentre ci precipitavamo dall'altro lato della strada, risuonarono spensierate per l'immenso stradone di Camden.

Non ci impiegammo molto per tornare al mio quartiere. Entro una ventina di minuti, infatti, giungemmo finalmente alla stazione di Gloucester e qui ci separammo.
A malincuore, almeno da parte mia.

"Grazie per la bella giornata, Edward. Mi sono divertita tantissimo." - Ammisi scostando i capelli dal volto: il vento era davvero incontrollabile, quel giorno.
"Anche io. Beh...ci si vede Bella."
"Magari alle prove..." - Suggerii speranzosa.
"Magari alle prove." - Confermò sorridendo. Dopodiché mi diede le spalle e si incamminò di nuovo verso la metro. Ma soltanto per qualche passo: ancora lo stavo osservando con occhi languidi quando mi resi conto che aveva fatto dietro - front ritornando verso di me.

"Ah, Bella!"
"Che c'è?"
"Hai dimenticato una cosa...tieni, questa è tua!"

Infilò qualcosa nella tasca sinistra della mia giacca e scappò prima ancora che potessi comprendere di cosa si trattasse.
Era già lontano - fuggito via alla velocità della luce - quando potei tastare la mia giacca alla ricerca di ciò che avevo misteriosamente "perso", a detta sua.

Sgranai infine gli occhi quando, tra le mie mani, ritrovai una crocetta in legno che avevo ammirato, più di tutti, tra i vari ninnoli esposti su di una bancarella di Camden.

"Ma quando diavolo l' ha...comprata?" - Mormorai tra me e me. Poi compresi. Non l'aveva affatto comprata.

"Credo che fino ad un paio d'anni fa andasse ancora in giro a rapinare vecchiette con suo padre".

Le parole di Angela tornarono a martellarmi il cervelo.
Dannazione, no!

Scossi la testa. No, Edward non poteva averla rubata. Forse me l'aveva acquistata di nascosto, per farmi un regalo. O forse...forse era già sua. Sì, certo. A pensarci bene non somigliava affatto alla crocetta che avevo visto solo qualche ora prima sulla bancarella, a Camden Town. Il taglio era leggermente diverso. Gli angoli vagamente più arrotondati. Forse quella che stringevo tra le mani era un pochino più lucida. Ma sì, certamente. Doveva trattarsi per forza di un ninnolo differente. Non poteva averla rubata. Si trattava di un regalo. Un regalo di Edward Cullen per me.
Solo per me.

Il cuore si riempì istantaneamente di gioia, mentre scacciavo con forza l'ultima ombra che aveva oscurato la bella considerazione, creata quel pomeriggio nella mia mente, sulla persona che era Edward.

Strinsi la crocetta fra le mani, con forza e devozione. Sorrisi apertamente, standomene impalata sotto la stazione di Gloucester Road mentre la gente mi passava di fianco velocemente. Qualcuno mi lanciò un'occhiata compassionevole:  dovevo apparire davvero come una povera matta che rideva da sola per le strade della città.


*

Impiegai pochi minuti per raggiungere casa mia. Pregai mentalmente che mia madre non fosse tornata ancora e, stringendo la crocetta, lasciai ruotare le chiavi nella serratura.
Aprii la porta gentilmente, cercando di essere quanto più silenziosa possibile.

Nessuna luce, nè in salotto nè in cucina. L'intera abitazione era avvolta nella penombra del tramonto.
Nessun rumore, neanche la vocina della mia piccola Beth che chiamava il mio nome.

La casa era vuota.

Sospirai di sollievo.
Non mi sembrava vero che la fortuna avesse deciso di assistermi in maniera tanto benevola: nessuno avrebbe avuto da ridire sul fatto che avessi passato l'intero pomeriggio del venerdì fuori casa. Doveva trattarsi di un sogno.

Richiusi la porta alle mie spalle con uno scatto secco e, con passo più tranquillo, avanzai nell'ingresso canticchiando.
Mi sentivo davvero sollevata.
Ma la felicità durò un istante solo.

"Isabella Swan!" - Tuonò una voce familiare alle mie spalle. Una voce tanto conosciuta da farmi rabbrividire. - "Dove hai passato il pomeriggio?? Non ti ho mai dato il mio permesso per stare fuori un'intera giornata!"

Deglutii.

Diamine! Avevo cantato vittoria troppo presto.

Prendi fiato, Bella. Prendi coraggio e voltati.
Avanti, puoi farcela.
Bella! Voltati!

Girai sui miei tacchi in una comica capriola.
Ed incontrai i suoi occhi rabbiosi.
Rabbrividii. Di nuovo.

Dio, dammi la forza per dirle qualcosa.

"Ciao, mamma. Tu...tutto bene?"


*

Giovinette mie! Eccoci qui....Mi perdonerete?? Questo capitolo non mi convince affatto...Per cui, siate sincere...E se non piace neanche a voi ditemelo, non mi offendo! :)
Ho un sacco di annotazioni da farvi...Partiamo dal principio. Dunque, quel "Please mind the gap" ecc. ecc. che avete letto ad inizio capitolo...beh, se qualcuno è stato a Londra saprà che si tratta di una frase molto conosciuta...Ormai in Inghilterra è diventata un cult tanto da essere stapata addirittura su felpe e borse. Letteralmente significa "Per piacere, attenti al vuoto (spazio) tra il binario ed il treno" ed è la frase che sempre risuona dagli altoparlanti della metro londinese. I londinese amano la loro metro (e ci credo...amerei anche io un servizio che funziona in maniera tanto perfetta!)...la chiamano affettuosamente "The Tube"...La metro londinese esiste dalla fine del 1800 ed è una delle più antiche d'Europa...Ora, non so se tutte le fermate che esistono oggi e che io cito nel mio racconto esistessero già nel 1978 ma...spero che mi concederete questa piccola licenza! :D
Detto questo, ho allegato al capitolo una mia foto personale di Camden Town, scattata a Marzo di quest'anno...tutto ciò che vi ho scritto nel capitolo è verità: il quartiere di Camden, che già dagli anni '70 ospita il suo popolarissimo mercato, agli inizi del '900 altro non era che una parte della zona industriale londinese, ospitando botteghe di fabbri, stalle e scuderie! Se volete qualche info in più:

http://it.wikipedia.org/wiki/Camden_Town


A metà capitolo Bella ed Edward parlano di una canzone dei Ramones, Blitzkrieg Pop. La canzone è del 1975, se non erro, ovviamente appartiene al genere punk (I Ramones sono un gruppo punk statunitense formatosi nel 1974) e se la volete ascoltare...ecco il link! :)

http://www.youtube.com/watch?v=K56soYl0U1w


Ok, penso di aver terminato...Ultima cosa...Tenete d'occhio il mio blog che di tanto in tanto lascio spoiler! :D 

http://matisseintheskywithdiamonds.blogspot.com/


Un bacio enorme...Grazie a tutte voi che leggete e recensite! Vi voglio bene! Soprattutto al gruppo delle mie pazzerelle di Fb: vi adoro!
Matisse! :)

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


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My Ugly Boy
Capitolo 5














"E 'inutile che tenti d'incantarmi con quel bel faccino, Isabella!" - Il viso di mia madre, con quell'espressione tirata e rabbiosa che sapeva esibire nelle peggiori occasioni, emerse con rapidità dalla penombra del salotto. Sussultai. - "Pensi davvero che mi faccia abbindolare così facilmente?!"

Presi un grosso respiro e mi preparai ad aprir bocca, pregando il Buon Dio di lasciar uscire le parole in maniera precisa e nitida. Se avessi balbettato ancora, se avessi avuto anche una sola incertezza, Renèe Watson mi avrebbe schiacciata.
Ne ero certa.

"Non voglio incantarti, mamma. Non fraintendere sempre tutto e lasciami spiegare..."
"Non azzadarti a dirmi cosa devo o non devo fare!"

Sospirai. Talvolta mi pareva di non riuscire a cavare un ragno dal buco con lei.

"Scusami...Non volevo farti arrabbiare." - Mormorai sommessamente, sperando che una simile presentazione potesse addolcirla e diminuire l'astio nei miei confronti. Poi continuai, nel disperato tentativo di far valere i miei diritti di quasi diciottenne - "...Ma è venerdì pomeriggio, mamma... ho studiato tutta la settimana e proprio oggi ho preso un ottimo voto al compito di letteratura inglese. Sono andata soltanto a fare un giro per conto mio, non prendertela così, te ne prego!"

L'associazione "ottimo voto" a "compito di letteratura" sortì i suoi effetti. L'espressione di mia madre parve ammorbidirsi pressocchè istantamente.

"Quanto ottimo, Isabella?"
"A. Ho preso una A, mamma."

Inarcò un sopracciglio. Poi s'incamminò verso di me - che ancora me ne stavo schiacciata come una salamadra contro una colonnina in legno dell'ingresso - battendo forte i suoi tacchi eleganti sul linoleum del pavimento.

"Lasciami vedere il compito." - M'intimò.

Mi affrettai a tirar fuori dalla borsa dei libri quei quattro fogli visti e corretti sui quali troneggiava, rossa e luccicante, la lettera scarlatta che aveva sancito la mia vittoria: io, Isabella Swan, unica tra ventotto studenti ad accapparrarmi una A, piena e trionfante, in letteratura inglese.  Avrei mentito se avessi detto che non me ne importava un fico secco: il Signor Johns era uno dei nostri più temibili insegnanti. Il più severo, intransigente. Ed il più avaro in termini di voti. Ero ovviamente fiera di me stessa e della mia preparazione, nonché gioiosa e soddisfatta per quel sorriso che l'insegnante stesso mi aveva rivolto riconsegnandomi il foglio.
Era davvero raro trovarlo di buon umore.

Ovviamente, nella ricerca di quel compito accartocciato all'interno della mia sacca scolastica, evitai accuratamente di  lasciar intravere, a mia madre, quella stoffa colorata che mi era già diventata così familiare: la maglia che avevo comprato insieme ad Edward, a Camden Town infatti, era nascosta sotto tre libri e quattro quaderni di appunti. Trasalii al suo ricordo ed all'immagine mentale di Renèe che ne scopriva il povero tessuto, osservandolo con disgusto prima di buttarlo nel più vicino bidone dei rifiuti.

"Ecco qua..." - Mormorai infine progendole il compito spiegazzato.
"Non dovresti mai conservare certe cose in maniera tanto disordinata" - Mi rimproverò prima di dare una lunga occhiata al foglio che le avevo appena consegnato. Me lo restituì poco dopo, squadrandomi con cipiglio. - "Non hai fatto altro che il tuo dovere, comunque."

Sospirai affranta.

"Isabella, sono molto delusa dal tuo comportamento. Avresti almeno potuto farmi una telefonata...Il numero dei Summers lo conosci! Da quando, piuttosto, mi avvisi lasciando subdoli biglietti nella cassetta della posta?!" - Mi rimbeccò. Trasalii realizzando le sue ultime parole.

"Cosa?" - Sgrani gli occhi, sorpresa. Di cosa diamine stava blaterando?
"Io..."

"Oh, avanti! Non farmi credere che tu non sappia di cosa sto parlando!

Mi sventolò davanti agli occhi un foglio giallo, piegato in quattro parti. Lo afferrai titubante.
Su di esso era scritto testualmente:

"Mamma, sono in giro con Angela. Torneremo per ora di cena. Bella."

Il cuore perse un battito e mi prese un insolito desiderio di piangere, di felicità e commozione, nel leggere la calligrafia tanto nota di colei che, a pieno titolo, si era trasformata nella mia "salvatrice": Angela!

Nonostante le nostre ultime incomprensioni, si era preoccupata per me. Ipotizzando che la mia "fuga" con Edward sarebbe potuta durare più del dovuto, si era affrettata a scrivere un bigliettino con il quale avvisava mia madre di un possibile ritardo.


La mia Angela! La mia cara amica!

Mi sentii improvvisamente un'ingrata nei suoi confronti. Le avevo a malapena rivolto la parola per tutti quei giorni a scuola e, certo, lei aveva fatto lo stesso con me, però....Però aveva continuato a tenermi nel suo cuore, ovviamente. Aveva continuato a preoccuparsi dei miei colpi di testa e delle conseguenze che essi avrebbero potuto comportare. Quanto invece il mio cervello aveva pensato seriamente a lei, in quell'intera settimana?

Davvero non riuscii a considerarmi altro che un'ingrata. Ed una persona indegna della sua amicizia.

"Credi sul serio che non avrei riconosciuto la calligrafia di Angela? Andiamo, Isabella! Avresti almeno potuto degnarti di scrivere personalmente questo messaggio!" - Continuò mia madre con tono offeso.
"Pe..Perdonami.." - Mormorai soffocando le lacrime - "Angela aveva carta e penna a portata di mano, per questo ho lasciato che fosse lei a scrivere. Ma l'ho dettato io.. " - Mentii. - "Abbiamo passato il pomeriggio sedute ad una panchina lungo il Tamigi. Abbiamo chiacchierato guardando il Big Ben. C'era un'aria fresca deliziosa  ed il sole era al tramonto. E' stato molto... bello.." - Davanti ai miei occhi contemplavo una scena mai vissuta realmente assieme alla mia amica, nitida e precisa come se fosse stata vera. - "Ti giuro, non abbiamo fatto null'altro."

Avrei potuto vincere un Oscar: la mia era un' interpretazione degna di una star di Hollywood.

Mamma mi rubò il foglietto di mano, prima di strapparlo in più parti.

"Questo non ti salverà, Bella. La prossima volta esigo una telefonata. E questo fine settimana sei in un punizione:  rivedrai Angela direttamente lunedì, a scuola." - Terminò, lapidaria. Infine, mi diede le spalle in fretta prima di sparire di nuovo nella penombra della casa.
Non mi fu concesso neppure di commentare le sue ultime parole. E dopotutto fu un bene: il tono perentorio che aveva utilizzato per parlarmi, più del solito, mi avrebbe probabilmente costretta ad un comico
"Sì, signora" di risposta. Mancava solo una frase del genere per convincerla che avrebbe potuto esercitare la sua autorità su di me in qualsiasi momento.

Sospirai di sollievo quando l'eco dei suoi tacchi si spense al di là del corridoio, verso la cucina.
Salii quindi rapida i gradini che portavano al piano di sopra, dov'erano situate le camere da letto. Non vedevo l'ora di chiudermi a doppia mandata nella mia stanza, rimirando la maglia che avevo acquistato a Camden e la crocetta che tenevo nascosta in tasca. Avrei fatto una telefonata a casa Weber, per ringraziare Angela di tutto quanto avesse fatto per me, e poi mi sarei accasciata spostata e raggiante sul mio letto dalle morbide coltri, abbracciando un cuscino e ripensando ad Edward: ai suoi occhi verdi, a quel sorriso che sapeva  farmi avvampare come una sciocca ed inesperta ragazzina, al suo braccio morbido e forte intorno alle mie esili spalle e...

"Bella!"
"Dio Santo, Beth!" - Esclamai trasalendo. Il corridoio era al buio, io ero sovrappensiero: la vocina sottile di mia sorella era il metodo migliore per provocarmi un infarto, in un simile scenario. Eppure non me la sentii di arrabbiarmi con lei: non quando la sua risata cristallina si diradava, pulita e sincera, nell'aria intorno a me.
"Ti ho spaventata?" - domandò soddisfatta, ridendo ancora.
"Diamine... sì! Piccolo diavoletto che non sei altro, cosa dovrei farti adesso??"
"Puoi provare a prendermi!" - Suggerì con un filo di voce, sperando che si potesse dare inizio ad uno dei suoi giochi preferiti, il "prova a prendere Elisabeth mentre corre per il corridoio di casa Swan". Ma dopo la sfuriata di mamma, forse, sarebbe stato meglio evitare di metterci a far altro trambusto. Non era il caso di provocare due volte, nello stesso giorno, Renèe Watson.

"Beth, meglio di no. Mamma è arrabbiata con me, oggi."
"Lo so."
"Lo sai?"
"Mi ha ordinato di non farmi vedere da te finchè non ti avesse sgridata per bene. E mi ha anche detto che mai e poi mai dovrò uscire da sola con le mie amiche, da grande, come invece hai fatto tu oggi con Angela."

Mi accigliai: che sciocchezze andava mai infilando Renèe nella testolina di mia sorella?

"Vieni qui, papera..." - L'apostrofai ridendo mentre correva verso di me. Mi chinai leggeremente e lei si appollaiò letteralmente sul mio braccio sinistro. La strinsi forte mentre riprendevo il cammino in direzione della mia stanza.

"Ti svelerò un segreto, Beth..."
"Cosa, cosa??" - Domandò subito curiosa, tenendomi le braccine intorno al collo.

Respirai a fondo.

"Non devi dare ascolto alla mamma. Mai." - Risposi infine risoluta, aprendo la porta della camera con un calcio.



*



"Edward Cullen. Data di nascita: 20 Giugno 1956.  Segno zodiacale: Gemelli."

Mi bloccai di scatto sui gradini di scuola. Non so come riuscii a non travolgere quell'arpia di Jessica nè tantomeno ad inciampare su me stessa.

"Cazzo fai, Jessica??"

Assottigliò gli occhi con il suo solito, perfido modo di fare. E poi proseguì nella tiritera senza considerare le mie proteste.

"Quartiere di residenza: Brixton. Professione: nullafacente."

Calcò sull'ultima parola con gusto, ridacchiando. L'avrei schiaffeggiata così forte da cambiarle i connotati.
Come diamine faceva ad essere già in possesso di tutti quei dati riguardo una persona vista di sfuggita ed un'unica volta, per giunta, in tutta la sua esistenza?

"Hai finito? Non m'interessa la scheda identificativa di Edward Cullen. Ed ora spostati, vado di fretta."
"Ah, non t'interessa?" - Domandò con finta indifferenza. Ovviamente era pronta ad esibirmi la sua vasta gamma di insinuazioni: lo capivo facilmente da quel tono melenso con il quale cercava di addolcire il discorso e da quel guizzo di sadica provocazione che le leggevo negli occhi. - "Eppure vi abbiamo visti chiacchierare assieme, qualche giorno fa...Sembravate così....amici..."

Strinsi i pugni.

"Non sono fatti tuoi, Jessica..."
"Oh no...Non sono soltanto fatti miei, dici bene...ma di tutta la scuola. La voce che te la fai con il fratello teppista di Alice Cullen è arrivata dappertutto, in pratica. Siamo davvero curiosi di vedere come te la caverai con un tipo come quello!"

Ero davvero in procinto di scaraventarla giù per le scale, infischiandomene delle conseguenze, quando un provvidenziale angelo custode venne a tirarmi fuori dai guai. Angelo in tutti in sensi, partendo dal nome.

"Jessica, non hai nient'altro di meglio da fare che rompere le scatole a Bella?"

Mi voltai di scatto, ritrovando il visetto adorabile di Angela a pochi centimetri da me. Inutile dire che il mio cuore gongolò di gioia: mi era mancata, dovevo ammetterlo onestamente.

"La salvatrice della patria! Cos'è....Vi siete riappacificate...?"

"Jessica, se non..."

Angela mi bloccò, trattenendomi per un braccio.

"Jessica....Si dice in giro che Michael se la stia spassando alla grande con Rebecca Higgins. Che succede....Vi siete forse lasciati?"

Jessica avvampò immediatamente non appena il nome del suo fidanzato - o, quantomeno, di quello che lei considerava tale - venne accostato alla rivale di sempre: la bruna, seducente ed impertubabile Rebecca. Una giovane di origini olandesi, dai boccoli scuri, la bocca di rose e lo sguardo severo: una bellezza assoluta. Francamente faticavo a credere che una perla del genere potesse interessarsi seriamente ad un tipo stralunato, capriccioso e totalmente privo di spina dorsale come Michael. Ma tant'è: evidentemente quest'ultimo ci stava semplicemente provando per l'ennesima volta con il suo sogno erotico di sempre. Sapevamo tutti che, per Mike, Jessica era stata nient'altro che un ripiego. Non l'avevo mai visto guardarla intensamente negli occhi come dovrebbe fare un fidanzato amorevole; non l'avevo mai visto ricambiarne gli sguardi innamorati, le paroline dolci, gli abbracci sinceri. Raramente Michael trascinava Jessica per i corridoi scolastici tenendole la mano, in maniera sempre distratta e seccata.
Quantomeno, comunque, si trattava di un bel bocconcino da esibire in pubblico. Un bocconcino che non avrebbe mai opposto rifiuto a nessuna sua ...richiesta. Cosicchè Mike non aveva fatto troppe storie allorché Jessica gli aveva fatto intendere in tutte le maniera possibili che..beh, sì. Che moriva, letteralmente per lui: su queste basi assolutamente improponibili era nata la loro relazione.

"Chi ti ha detto un'assurdità del genere?? Sono menzogne...solo fottute menzogne!" - Strillò Jessica tenendo le mani strette in un pugno. Quasi mi preoccupai per lei: il colore del suo viso variava continuamente dal rosso al viola mentre tentava di rispondere in maniera chiara e convincente alla mia amica: ovviamente le mancava davvero poco per stramazzare al suolo.
Tuttavia non ci fu richiesto di farle da crocerossina: Jessica, infatti, girò autonomamente sui suoi tacchi - evidentemente incapace di proferir frasi di senso compiuto - ed imprecando in qualche lingua a noi sconosciuta sparì nel marasma di studenti che sciamava verso l'interno della Queen Elizabeth.

Mi voltai a guardare Angela.
Ricambiò con una risata.

"Dio....Se dovesse suicidarsi entro oggi me la porterò sulla coscienza!"
"Oh, Angela!"

Scoppiai a ridere anch'io e le tesi la mano.
L'afferrò rapida e così allacciate, senza aggiungere nien'altro - non avevamo bisogno di parole, non in quel momento almeno - raggiungemmo la nostra aula.


*


"Camden Town?!" - Angela mi sputò l'acqua direttamente in faccia. Cercai di ripararmi alla bell'e meglio.
"Cazzo, sta' attenta!"
"Tu mi vuoi morta! Ti rendi conto che mi sta andando tutto di traverso?! Dovresti moderarti quando mi racconti certe cose!"

Guardai la mia amica inarcando un sopracciglio: se ne stava seduta a gambe incrociate su una delle panchine del giardino. In grembo portava, alla rinfusa, il panino che stava ingurgitando con appetito per pranzo,  due libri, un block notes, diverse penne, il proprio diario personale e il nuovo numero di Rolling Stones con John Travolta in copertina. A me, francamente, John Travolta non piaceva neanche un po' ma era in procinto di uscire nelle sale con un nuovo film - qualcosa tipo Grease - ed ovviamente l'opinione pubblica non poteva far altro che dargli credito: l'evento stava già suscitando enorme curiosità a livello mondiale.

"Attenta..." - Mormorai con finta indifferenza, indicandole il magazine - "...La tua preziosa copertina potrebbe rovinarsi.."
"Tu scherzi..." - Rispose inghiottendo un boccone. Certe volte sapeva essere così rude che neanche Marla... - "...Questo film qui farà la storia..." - Indicò la copertina patinata. - "...Ed un giorno anche io sarò una star di Hollywood.."
"Ma sta' zitta..." - La rimbeccai ridendo.
"Senti...Vedi di evitare di cambiar discorso...Non mi freghi! Ricordati che ti ho parato il..."
"Angela!"
"Ok, ok....Ricordati che ti ho salvato dalle grinfie materne. Se proprio ci tieni a ringraziarmi vedi di sciorinare tutto..."
"Ti ho raccontato già tutto, Angie." -- sbuffai spazientita - "Siamo stati in giro un pomeriggio intero, abbiamo parlato, riso, scherzato. Mi ha regalato questo ciondolo.." - Aprii il palmo della mano mostrandole la mia preziosa crocetta - "...e...sì. E' stato un pomeriggio speciale. E non smetterò mai di ringraziarti per aver evitato che la serata, viceversa, si trasformasse in un incubo."
"Naaa. Dovere, Swan. Piuttosto....vi siete baciati??"

Di nuovo. Mi aveva posto la medesima domanda almeno cinque volte  nell'arco di dieci minuti.

"Angela. Ti ho detto di NO."
"D'accordo, ti credo. Stavo verificando soltanto che mi avessi detto la verità."

Alzai gli occhi al cielo.

"Ma ti pare?? Cretina!"

La sentii ridacchiare per poi tornare seria. 

"Bella, ti chiedo solo di stare attenta. Conosci le voci che circolano su Edward. Hai visto tu stessa che razza di gente frequenta. A tal proposito, cerca di non dimenticare che è fidanzato con quella specie di orango..." - Sorrisi alle sue parole. Orango era l'aggettivo più adatto per descrivere Marlene: i suoi modi di fare erano pressocchè identici a quelli di un animale in gabbia - "..Semplicemente non voglio che tu non ti faccia male. Sotto ogni punto di vista, intendo." - Ammise più delicatamente, inghiottendo l'ennesimo boccone.

Le rivolsi un sorriso pieno di gratitudine, sporgendomi in avanti per poggiare la mia mano sulla sua.

"Non accadrà, Angie. Mai. Stai tranquilla."
"Voglio crederti. Anche se, per quel che mi riguarda, sei già cotta. Dì, quante volte l'hai già sognato in questi due giorni?"

Maledizione ad Angela! Per lei ero praticamente un libro aperto.
Come avrei potuto mentirle quando tutto, tutto di me confermava la sua illusione? Tutto...Le mie guance rosse mentre pronunciavo quel nome - Edward Cullen - e la foga con la quale stringevo la crocetta tra le mie mani; i miei occhi luccicanti mentre ripensavo al suo braccio intorno al mio collo o alla sua mano forte e grande poggiata sulla mia piccola spalla sinistra. Ed infine, il mio sorriso inebetito mentre ricostruivo, mentalmente, l'immagine di Edward che mi osservava gentilmente.
Mentre mi ripeteva che ero così ...delicata.

E sì, dovevo ammetterlo: in ognuna di quelle due sere che avevano composto il mio noioso fine settimana avevo rivisto i suoi occhi verde in quei brevi momenti di lucidità che ancora precedevano il sonno. Allo stesso modo avevo sognato la sua mano ancora allacciata alla mia, tra le strade di Camden Town. Sognato, esatto, ma non solo di notte. Anche quand'ero sveglia, anche quando mia madre mi parlava senza che io comprendessi nulla, anche mentre aiutavo la mia Beth a svolgere i suoi compiti di scuola.
Anche in quei momenti Edward aveva popolato le mie fantasie.

"Bella! Isabella!" - Una voce non propriamente familiare venne a tirarmi fuori dagli impicci: Angela, troppo preoccupata di comprendere la misteriosa identità della donna che urlava il mio nome, evitò di incalzarmi con le sue domandine insistenti. Come se non avesse conosciuto la risposta, poi.

Mi voltai in direzione di quella voce, curiosa, incontrando il grazioso volto di Alice Cullen: stava correndo nel cortile della Queen Elizabeth, nel tentativo di raggiungerci il più in fretta possibile. Gli occhi di tutti i presenti erano fissi su di lei che però, fortunatamente, non parve curarsene affatto.

Dietro Alice veniva un Oliver affannato e sudaticcio: la corsa non era certamente il suo forte.

"Bella! Ciao!"
"Ciao Alice.." - Le sorrisi. - "Oliver....Tutto bene?"  - Ridacchiai alludendo al suo respiro affaticato.
"Fai poco la spiritosa, Swan...Questa nanerottola qui  corre peggio di una delle volpi di Sua Maestà!"

Alice gli rivolse una linguaccia divertita ed io li squadrai compiaciuta: era la prima volta che avevo l'occasione di osservarla mentre scherzava - od anche solo parlava - con qualcuno al di fuori della cerchia di Brixton. Evidentemente, il fatto che Oliver fosse ormai un componente a pieno titolo della band di Edward, aveva consentito la creazione di nuovi rapporti al di fuori del solito ambiente casalingo.
Ne fui felice: finalmente Alice cominciava a farsi degli amici anche a scuola.

"Ehy Ol..Dovresti essere un giovane forte e vigoroso, tu.... Dal fiatone non si direbbe!" - Angela venne a darmi manforte nell'opera di sfottò di cui si era reso protagonista Oliver, suo malgrado.

"Weber...Non farmi incazzare!"
"Perchè...sennò che mi fai?!" - Lo punzecchiò.
"Fermi, fermi, fermi...fermi! Mi sta venendo il mal di testa, state buoni per piacere.." - Urlai esasperata mentre Alice se la rideva di gusto. Sembrava davvero felice e totalmente a suo agio.

"Bella...ti cercavo per chiederti una cosa..." - Azzardò quindi.
"Dimmi tutto, Alice....Un biscotto?" - Domandai porgendole un pacchetto di frollini al cioccolato.

Scosse la testa ed unì le mani, nel parlarmi.

"Ecco...a noi...noi tutti..." - Spiegò guardando Oliver che però non ricambiò l'occhiata con la medesima espressione rilassata - "...farebbe molto piacere averti alle prove domani. Se dopo scuola non hai nulla di meglio da fare..."
"Ci vengo!" - Non avevo neppure atteso che Alice terminasse il suo discorso. Il cuore aveva cominciato a fare mille capriole nel momento esatto in cui la mia interlocutrice aveva pronunciato quel magico "noi tutti".....Noi, quindi anche Edward?

"Davvero? Verrai?"
"Certo. Domani dopo scuola."
"Se...se vuoi venire anche tu, ovviamente...C'è posto per tutti.." - Sussurrò all'indirizzo di Angela che rispose con un cenno di diniego.
"Grazie cara...Ma non posso, ho già un impegno."

"Perchè?" - Sibilai pizzicandole il braccio.
"Domani c'è il saggio di danza di mia sorella, Swan..." - Rispose a voce più bassa. A me, francamente, pareva piuttosto felice di non poter essere presente.

"Ok. Allora sì, sono da sola. Ci vediamo domani..."
"Bene...A...domani, allora" - Mi sorrise ed, agitando la mano, salutò la combriccola allontanandosi elegantemente.

"Dunque sarai dei nostri, Swan..." - Osservò Oliver. Le parole gli uscirono quasi in uno sputo: non mi sembrava troppo contento di sapermi una di loro, alle prossime prove.
"Così pare, Ol..."
"Bene..." - Bene un corno. La sua faccia era verde. Che tipo strano sapeva essere Oliver Morris!

"Angela....Sei certa di non volermi accompagnare?" - Domandai distogliendo lo sguardo da lui: mi stava dando l'ansia.
"Te l'ho detto Swan, non posso!" - Esclamò balzando in piedi e scrollandosi le briciole di dosso. - "...E tu? Sei davvero sicura di volerci andare?"

Ci pensai su per un attimo. Poi risposi tranquilla:

"Altrochè! Non vedo l'ora....."



*


Il giorno successivo, allorchè la campanella della quindici annunciò la fine delle lezioni, mi affrettai a salutare Angela con un bacio, rassicurandola, con la mia faccia migliore, sul pomeriggio sorprendente che mi attendeva.

"Giurami che non litigherai con quella scimmia..."
"Te lo prometto solennemente. Parola di scout!" - Scherzai sollevando indice e medio in segno di vittoria. Non avevo mentito: francamente non m'interessava un fico secco d' imbattermi in Marlene; semmai avessi dovuto seriamente tollerare un così spiacevole incontro l'avrei trattata con la maggior indifferenza possibile.

Successivamente, mi scontrai, nella fretta di abbandonare l'aula, con Oliver che se ne stava impalato sotto la porta d'ingresso. Alzai gli occhi incontrandone lo sguardo severo: mi contemplava come la stessa espressione di biasimo di un papà che guardi alla sua bambina dopo che quest'ultima abbia combinato una marachella di enormi proporzioni.

Risposi prontamente alla muta domanda che temeva egli stesso di rivolgermi, per l'ennesima volta.

"No, Oliver, è inutile che mi guardi così. Te l'ho già detto: ti raggiungerò più tardi. Ho prima una questione da sbrigare."
"Ma, Isabella..."
"Niente ma! Ho detto dopo! Non insistere, per piacere..."
"Fa' come vuoi, allora...A più tardi." - Borbottò infine tra sè e sè, prima di girare sui suoi tacchi con aria offesa.

Ad Oliver, sin da principio, non era piaciuta la mia idea di muovermi da sola per raggiungere Brixton Road e più volte aveva insistito per fare la strada con me vista la comune destinazione, adducendo la scusa che si trattasse di un posto poco sicuro per una ragazzina.

"Non sei Superman, Swan...Non puoi andartene in giro da sola per quel quartiere!" - Aveva  sbraitato più e più volte, di fronte al mio continuo rifiuto alla sua proposta così cordiale. Tuttavia mi era riuscito di liquidarlo frettolosamente dopo svariati tentativi, usando le maniere "forti": avevo infatti in mente altri piani, prima di recarmi in sala prove, cosicché l'avevo praticamente minacciato per convincerlo ad avviarsi per primo sino al nostro luogo d'incontro.

Ovviamente aveva funzionato benché avessi ottenuto, in cambio del suo consenso, un'aria offesa ed afflitta. Non me ne preoccupai, in ogni caso: prima o poi Oliver avrebbe smesso di tenermi il muso. Avrei trovato un rimedio per calmarlo: per adesso mi premevano altre priorità.


Abbandonando quindi l'aula di corsa, dopo aver salutato i miei amici, mi diressi prontamente verso le scale che conducevano ai piani superiori, salendo i grandini due alla volta.





Quando lo raggiunsi, il bagno del terzo piano era praticamente vuoto: tutti i bravi studenti della Queen Elizabeth, infatti, erano impegnati a guadagnarsi l'uscita nel più breve tempo possibile e certo non dovevano essere interessati ad un'ultima incursione nella toilette.

Non potei far altro che compiacermi di una simile fortuna.

In fretta mi spogliai della giacca e della camicia scoprendo la maglia, acquistata a Camden Town, che quel mattino avevo indossato al di sotto dei severi strati che componevano la mia divisa.
Dopodichè, abbassai i calzettoni lasciandoli scivolare morbidamente sino alle mie scarpe da ginnastica.

Successivamente passai a bistrarmi leggermente gli occhi con la matita nera che avevo rubato dalla borsa di Angela e infilai una mano tra i capelli nell'intento di rendere leggermente più scomposta la mia chioma dai folti boccoli castani. Infine diedi uno sguardo all'insieme, osservando critica la mia figura riflessa nello specchio sopra il lavabo..

"Non ci siamo ancora..." - Mormorai sfregandomi il mento.

Mi osservai ancora un po' sino a comprendere quale fosse l'effettivo punto debole della mia nuova immagine: quell'ordinata, maledettissima gonna a pieghe che scendeva morbida a nascondere severamente le mie gambe.
Ne accolsi un lembo tra pollice ed indice e strattonai con tutta la forza possibile. Una striscia più o meno lunga ed asimmetrica della gonna venne via, prigioniera della mia stretta.
Non badai alle conseguenze di questo mio gesto: a casa avevo altre tre gonne uguali. Avrei mentito con mia madre: le avrei detto che un chiodo sporgente aveva distrutto il mio capo d'abbigliamento mentre ero a scuola, intenta alle mie lezioni.

Ritornai a guardare la mia figura riflessa nello specchio.

"Perfetta..." - Mugolai con un sorriso.

Abbandonai la Queen Elizabeth dall'ingresso sul retro, donde evitare spiacevoli incontri, ed a testa bassa raggiunsi la metro di Gloucester Road. La fortuna mi fu d'aiuto: nessuno mi riconobbe, almeno apparentemente. Nessuno mi fermò o tentò di salutarmi. Ringraziai mentalmente Dio: se qualche conoscente mi avesse colta in flagrante vestita in modo tanto eccentrico avrei dovuto dire addio alla mia esistenza: certamente la notizia sarebbe arrivata alla mamma che mi avrebbe fatta fuori volentieri e con le sue stesse mani.

Mi parve un tempo infinito quello necessario affinché la metro riuscisse a condurmi sino alla mia destinazione, nel quartiere di Brixton. Per tutto il tempo, mentre mi sorreggevo per ripararmi dal dondolio del treno, non potei far altro che contare i minuti che mi separavano da quella maledetta sala prove. Ad ogni fermata tamburellavo nervosamente sulla mia sacca dei libri, imprecando contro la lentezza con la quale le porte tornavano a chiudersi ed il treno riprendeva il proprio tragitto. E, ciononostante, ogni volta che ciò accadeva, un moto istintivo d'ansia veniva a mozzarmi il respiro: avevo paura di incontrare di nuovo Edward e desideravo, contemporaneamente e paradossalmente, di ritardare quanto più possibile un tale avvenimento.

Non c'era più stato modo, per noi due, di vederci o parlarci da quel venerdì pomeriggio. Erano trascorsi tre giorni ormai e, probabilmente, quella leggera confidenza che era venuta a crearsi tra me ed Edward si era già completamente dissipata, come la nebbia allo spuntar del sole. Avremmo dovuto ricominciare daccapo. Avrei dovuto, per l'esattezza.

Il cuore si divertiva a far capriole nel mio petto e mi chiesi se fossi mai stata in grado, realmente, di entrare in quella saletta di Brixton Road.
Eppure, quando il treno accostò finalmente nella stazione giusta, mi precipitai immediatamente fuori, urtando diversi altri passeggeri che mi ostruivano il passaggio. Avevo troppa fretta e non tolleravo limitazioni.

"Ma che...!"
"Sorry, Miss!" - Pronunciai più volte.


Chissenefrega degli altri, Bella.
Fra poco rivedrai Edward.


Mi affrettai lungo la strada contando i passi: oltre i centosettantadue. Avrei poggiato i miei piedi più di centosettantadue volte su quel selciato prima di rivederlo.
Incespicai su un sassolino ed in un raptus di nervosismo lo calciai con forza a diversi metri da me, imprecando.
Urtai contro una cabina telefonica e più volte la tracolla della mia borsa sfuggì dalla spalla destra prima di trovare il suo giusto assetto.

E tuttavia, quando finalmente mi ritrovai davanti all'ingresso corroso del vecchio garage, ero tranquilla.
Presi un grosso respiro prima di spingere in avanti la porta semichiusa. Non bussai: in quell'ambiente non c'era bisogno di sfoggiare le mie buone maniere da brava studentessa modello.

"Buonasera a tutti..." - Esclamai con il mio tono di voce migliore. Quello - apparentemente - più sicuro.

"Cristo...Bella, che hai......!"

Oliver fu il primo a venirmi incontro: sospettavo si trovasse dietro la porta, nell'attesa della mia venuta.
Gl'intimai silenzio: non desideravo commenti poco felici sul mio abbigliamento. Nessuno dei presenti avrebbe dovuto sospettare che era stato creato ad arte per l'occasione.
Mi diede ascolto o forse fu soltanto la sorpresa che il mio aspetto gli aveva prodotto a mozzargli la lingua.

Mi guardai intorno: la sala era avvolta nella solita penombra: come avrebbero potuto suonare in simili condizioni?
E tuttavia, nell'oscurità circostante percepii immediatamente la presenza di qualcosa di luminoso.
Di vivo e meraviglioso.

Erano gli occhi di Edward che ne stava in un angolo ad accordare il suo basso.

Quanta gente potesse esser presente in quel momento nella saletta beh...Non la contai nè la identificai.

Tutto ciò che realmente era importante si trovava lì, nel suo sguardo.
Nello sguardo felice che Edward mi aveva rivolto, appena si era reso conto della mia presenza.
Ed in quel suo saluto appena accennato, in quel "Ciao, Bella" che aveva, ancora una volta, fatto sussultare il mio cuore.





*


Sera a tutte!!
Come va, ragazze?
Prima di cominciare la lunga lista delle mie "
note dell'autrice", volevo ringraziarvi: siete in tante a seguire, preferire e ricordare la mia storia e ad ogni capitolo, sinora, non sono mai mancati i vostri commenti pieni di entusiasmo....Non so che dirvi, sul serio...Non me l'aspettavo! GRAZIE DI TUTTO CUORE! *__*
Soprattutto grazie a voi, mie pazze amiche di Fb, che quasi ogni giorno sclerate insieme a me sull'evolversi di questa fanfiction! XD...Proprio a voi dedico questo nuovo capitolo...Vi voglio bene...Ah...Giu...spero che leggendo di Oliver tu abbia ritrovato già il buonumore! ;)

A tal proposito...Se volete aggiungermi potrete farlo qui:

http://www.facebook.com/matisse.efp

Vorrei anche ricordarvi il mio blog:

http://matisseintheskywithdiamonds.blogspot.com/

dove, di tanto in tanto lascio spoiler riguardo My Ugly Boy ed altre storie che ho in corso...A proposito, l'avete letto l'ultimo? :D...Si tratta di piccoli "indizi" sui quali potrete fare le vostre congetture sulle vicende future della mia storia...Come credete andranno avanti le cose per Edward, Bella, Oliver& Co.? :)

Detto questo, passiamo al nuovo capitolo. Più che altro si tratta di un capitolo di passaggio per concatenare gli eventi e, tuttavia, i suoi elementi importanti ce li ha...In primis la ritrovata comprensione fra Bella ed Angela (non avrei potuto mai tenerle separate per troppo tempo...sono amiche da 14 anni! ^^), l'avvicinamento di Alice e...TA DAAAA! Il cambio di look di Bella! Come lo interpretate voi, quest'ultimo passaggio?


Ora, qualche nota in più giusto per comprendere meglio gli eventi.
Questa:



..è quasi certamente la copertina di Rolling Stones UK datata Giugno 1978. Io e la mia amica Elisa abbiamo faticato non poco per trovarla (Elisa è stata molto brava e penso che abbia sforzato parecchio la vista per leggere sull'immagine la nazione di riferimento! ^^ Grazie Eli, ci sei sempre per me <3)...Alla fine ci pare che sia proprio questa la cover della rivista inglese piuttosto che di quella americana! :D..Speriamo! 
Francamente lo trovo possibile visto che, proprio come vi ho già detto nel capitolo, nel Giugno del 1978, nelle sale cinematografiche americane (presumo anche inglesi) veniva proiettato Grease per la prima volta...Per essere precisi la data di rilascio nelle sale americane è quella del 13 Giugno 1978 mentre in Italia il film è stato proiettato per la prima volta il 30 Agosto dello stesso anno. Ovviamente una minima discrepanza temporale c'è nel mio racconto...Spero la perdonerete! :))
Volevo anche darvi un piccolo chiarimento in merito alla "classe" frequentata da Isabella. L'istruzione è obbligatoria, nel Regno Unito, fino ai 16 anni. Dopo quest'età lo studente, se lo desidera, può frequentare altri due anni non obbligatori definiti "A - levels" nei quali viene preparato adeguatamente per affrontare il College. Presumo che gente che appartenga al medesimo ceto sociale di Bella frequenti più facilmente questi anni "non obbligatori", da qui prende spunto il mio racconto...Per quanto riguarda le materie studiate da Bella beh...sì, in quel caso ho inventato di sana pianta...Chiedo venia! :D

L'immagine che avete trovato ad inizio capitolo costituisce la copertina della mia storia ed è stata interamente creata dalla mia amica Giovanna che, con pochi "indizi" ha tirato fuori un vero capolavoro. Grazie Giovy, sei bravissima :))..Sempre Giovanna è autrice anche del "video trailer di questa Fanfic che potrete visionare qui:

http://www.youtube.com/watch?v=wunmZntIesM&feature=player_embedded



Che dire? Non so davvero come ringraziarti Giovy....E' stata un'emozione, per me, vedere muovere i "miei" personaggi all'interno di un video vero e proprio...Mai nessuno aveva fatto questa cosa per me, prima...Ed ovviamente ne sono felicissima!

Pian piano metterò anche altre foto trovate in giro per raccontarvi la mia storia ...A me ed alle mie amiche su Fb (siete fantastiche, ragazze!^^) piace tanto scambiarci pareri, immagini, canzoni sulle cose che scriviamo....Chissà cosa verrà fuori! ;)

Spero di aver detto tutto....Entro breve risponderò alle vostre recensioni...A presto per il prossimo aggiornamento!
Baci e grazie ancora!
Matisse!

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


edsdi6
My Ugly Boy











"Bella!" - Non riuscii ad individuare subito la direzione dalla quale si era proiettata ma riconobbi facilmente le sue esili braccia allorchè Alice Cullen si ancorò alla mia vita. Fu divertente e terribilmente dolce constatare con quanta confidenza e disinvoltura cominciasse già a rivolgersi a me. - "Sei venuta per davvero..."

"Ma certo!" - Le risposi sorridendo teneramente - "..Non ti avrei mai rifilato una bugia."
"Lo so..." - Annuì convinta.

"Ehy Bella! Diamine, sei tornata!"

Riconobbi immadiatamente il vocione di Emmett e presi a ridere quasi subito.

"Diavolo sì! Sono tornata!" - Risposi imitando il suo gergo piuttosto pratico.
"Dopo l'exploit della scorsa volta....Non pensavo ne avresti avuto il coraggio.."
"Si vede che non mi conosci..Sono una tipa che non demorde così facilmente, Emm..!"
"Ah beh...Così ci piace, ragazza!"

Strizzai l'occhio scherzando e lui accolse con la sua grossa risata la mia allusione al precedente battibecco con Marlene.

Se ne stava seduto alla sua batteria tenendo sulle ginocchia - molto comicamente, tra l'altro - una ragazza bionda dall'aria divertita e, contemporaneamente, stralunata, come di chi non si trovi propriamente a casa sua

L'osservai curiosa.

"Bella, questa biondona qui è la mia ragazza e si chiama Rosalie!"

"Sei sempre un galantuomo nei tuoi commenti, vero Emm?" - Constatò Edward ironico mentre Alice se la rideva di gusto. Viceversa, le guance della povera giovane avvamparono di vergogna.

Mi tese la mano.

"Sono Rosalie Hale. Puoi chiamarmi Rose, comunque."

Rosalie Hale?

Ricambiai la stretta guardandola pensieriosa.

"Credo di conoscerti Rose..." - Mormorai infine. - "...Io sono Bella Swan e se la memoria non m'inganna....Eravamo in classe insieme, all'epoca della scuola primaria! Abiti a Notting Hill tu?"


"Abitavo..." - Mi corresse - "..Ci siamo trasferiti....altrove. Già da un po'...Comunque sì, a pensarci bene mi ricordo anch'io di te, Bella...Ci dividevamo sempre la merenda a scuola ed una volta siamo andate insieme a casa di Karen Middlelton."

La guardai esterefatta: ovviamente - e contrariamente a lei - non ricordavo tutti quei particolari.
Davvero sorprendente.

In ogni caso, ero seriamente perplessa. Per quel che potessi saperne io beh...la famiglia di Rose non doveva essere meno ricca o prestigiosa della mia. Non era certamente  normale e nemmeno ordinario nè per me nè per lei, a questo punto, ritrovarsi in un garage umido e pericolante di Brixton Road.
Ma tant'è... La giovane Hale, per quanto non propriamente a suo agio, per molti versi mi sembrava molto più tranquilla e serena rispetto a me.
E, probabilmente, quest'apparente calma era da ricondursi all'effetto prodotto della vicinanza di Emmett.
Chissà come avevano fatto a conoscersi quei due...

"Ha una memoria formidabile la mia Rose, non è così??" - Emmett interpretò facilmente la mia espressione sorpresa: il suo bel faccione gongolò di orgoglio e soddisfazione per le formidabili capacità mnemoniche di quella che doveva essere, a tutti gli effetti, la sua ragazza.
"Sì, è vero..."

"Oh, non compiacerlo, Bella! Lo fa soltanto per mettermi in difficoltà!" - Rose si diede ad una risata imbarazzata mentre Emmett l'attirava maggiormente a sé sussurrandole un tenero "..Non potrei mai dolcezza.." prima di darle un bacio sorprendentemente delicato, per un orso come lui.
Distolsi lo sguardo, intimidita

"Bella, smetti di dar credito a questi due noiosi piccioncini! Piuttosto...Conosci Jasper?" - Alice mi trascinò qualche metro più in là; Rose ed Emmett non accusarono minimante il colpo, troppo impegnati a sbaciucchiarsi. Lanciai loro uno sguardo ironico, ridacchiando, e quando mi voltai incontrai due occhi scuri, impenetrabili.

"Bella...Ti presento Jasper... il mio ragazzo.."

Trattenni il fiato, senza aprir bocca.
Avevo già intravisto Jasper alle precedenti prove, soltanto una settimana prima, ed avevo immediatamente compreso la natura di quel legame che lo univa ad Alice ma...Diamine! Davvero non potevo immaginare che il ragazzo di Alice fosse così....così...Spaventoso.

Ciò che impressionava maggiormente di lui era lo sguardo.
Sì, proprio così.
Non avevo mai conosciuto nessuno con uno sguardo tanto duro ed impertubabile. Assolutamente ed indiscutibilmente....glaciale.

Appariva certo molto bello, Jasper, con quella pelle diafana, le labbra atteggiate in una smorfia altera ed i capelli biondi e boccolosi imprigionati in un codino dietro la nuca. Ma non era davvero quello il punto.
Non di certo il suo fascino disarmante o quel viso perfetto d'altri tempi.

Aveva l'espressione crudele e sofferta che hanno certi cani randagi, lasciati a morir di fame, quando si avventano sulla prima preda a loro disposizione senza averne pietà. E che si tratti di un sacchetto di rifiuti o della gamba di un essere umano, fa poca differenza.
La bocca appariva tremendamente innaturale, costretta com'era in una smorfia rigida ed irosa,e gli occhi...I suoi occhi! Scuri come la pece, iride e pupilla sembravano fondersi in un'unica sfera bruna; incutevano timore e riverenza. Parlavano di dolori remoti, di crudeli realtà, di una lontananza che non aveva avuto risposte.

Mi avevano detto che Edward era un "cattivo ragazzo". Un ragazzo di strada.
Eppure Jasper mi sembrava ancora più calpestato, , più disilluso, più incazzato di Edward.

Mi preoccupai all'istante per Alice: avrebbe mai potuto un cuore come quello di Jasper, certamente corazzato dopo aver affrontato chissà quali vicissitudini esistenziali, scaldarsi ancora?
Essere ancora in grado di dispensare quell'amore di cui una ragazza tanto dolce come lei aveva certamente bisogno?
Mi sembrava assolutamente impossibile adattare un appellativo tanto delicato ed sentimentale come quello di "fidanzato" a Jasper.
Eppure Alice lo guardava con occhi sognanti e non aveva certamente l'aria di qualcuno che soffrisse per poco amore.

Erano davvero una coppia stranamente assortita, non c'era che dire. Ma d'altronde, non era certo affar mio, cosicché feci spalluce e, ancora perplessa,  gli tesi  la mano.

"Piacere, io sono..."
"So già chi sei, tranquilla. Chiamami Jazz.." - Rispose infine ricambiando la mia esile stretta con una molto più energica e francamente insopportabile: l'anello che indossavo al medio, infatti, andrò a comprimersi contro le dita adiacenti facendomi sussultare per il dolore.

Dopodiché, mi diede rapido le spalle, afferrando la sua chitarra ed io mi rivolsi perplessa ad Alice, chiedendomi se il suo ragazzo fosse sempre così brusco nel rivolgersi a terzi.
Fatto sta che lei mi ricambiò con un sorriso sincerto, come se la presentazione così rude e francamente distaccata di Jazz fosse un fatto assolutamente usuale.

Di nuovo mi ritrovai a far spallucce, dubbiosa.
Avrei dovuto cominciare ad abituarmi alla consapevolezza che, nel mondo di Alice ed Edward, non tutti fossero propriamente "normali" o, quantomeno, corripondenti ai miei standard. Ed avrei anche dovuto ricordarmi che, molto spesso, i comportamenti adottati nel relazionarsi agli altri erano dettati più dall'umore del momento piuttosto che da quei convenevoli fasulli cui ero assuefatta io.





"Ok, ragazzi...Tutti ai vostri posti, si comincia..."

Oliver afferrò il microfono - dall'aspetto usurato non mi sembrava, ad essere onesta, un aggeggio particolarmente funzionale all'impiego richiesto - e richiamò l'attenzione degli altri componenti della band. Edward l'affiancò, imbracciando il suo basso ma, prima di questo, mi passò accanto sfiorandomi delicatamente il collo: al di sotto della maglia indossavo, legata ad uno scarno laccetto di cuoio, la crocetta che mi aveva donato soltanto qualche giorno prima. L'aveva notata ed io avvampai mentre il suo sguardo insisteva sulla mia pelle candida. E, successivamente, sull'intera mia figura: evidentemente il nuovo look non doveva essere passato inosservato.


"Grazie Edward. Mi è piaciuta molto." - Sussurai in risposta ad una domanda che mi aveva rivolto solo mentalmente.
Non rispose apertamente ma, regalandomi quel sorriso sghembo che adoravo, strizzò l'occhio con aria complice mentre lasciava la presa sulla collanina.


"Bella? Bella, vieni qui! Ho sistemato dei cuscini, staremo più comode! Rose, anche tu!"

Alice battè la mano su alcuni cuscini colorati sistemati alla bell'e meglio in un angolo della sala, a ridosso della solita parete malconcia e scribacchiata che aveva fatto storcere il naso ad Angela la volta precedente. Io non avevo grosse pretese, contrariamente alla mia amica e mi accomodai con disinvoltura sull'improvvisato giaciglio, ringraziando Alice per la cortesia e l'ospitalità: benché si trattasse di un ambiente che non le apparteneva propriamente, sapeva comportarsi da perfetta padrona di casa.

Rosalie ci raggiuse, sorridente e raggiante nonostante avesse appena lasciato, controvoglia, le gambe dell'amato, e venne a sedersi proprio accanto a me: aveva un buon profumo fruttato ed i suoi capelli, biondi e lucenti, vennero a solleticarmi il braccio scoperto facendomi ridacchiare.

"Sorry, Isabella..." - Sussurrò rivolgendomi il più estasiato e luminoso dei sorrisi. L'amore doveva farle davvero bene benché mi facesse ridere molto l'idea di un  Emmett fidanzato premuroso, così orso e giocherellone, com'era: davvero non riuscivo ad immaginare di possibili momenti di trasporto tra loro due!

Mi guardai intorno e, per la prima volta da quando avevo messo piede nel garage, realizzai l'assenza di un elemento di disturbo: Marlene non era con noi.

"Si...siamo sole?" - Domandai flebilmente a Rose.

Rispose senza guardarmi in volto, troppo presa dal contemplare Emmett mentre sfogava tutta la sua energia sui piatti della batteria..

"Sole? Siamo in sette, a dirla tutta!"
"Questo lo so, Rosalie...Intendevo: solo tre ragazze?"
"Certo! Perchè, chi altri doveva esserci?"

"Marlene oggi era impegnata al pub..." - Il commento di Alice arrivò laconico, conciso. Le rivolsi un'occhiata sorpresa - mi aveva letto forse nel pensiero? - ma di tutta risposta non ricambiò: guardava dritta davanti a sè muovendo il capo a ritmo della musica, tranquilla come se non avesse appena lanciato una bomba di enormi proporzioni nella mia direzione. Ma certamente si trattava di una bomba soltanto per me. Per Alice non significava nulla, ovviamente; ciò che aveva appena detto non doveva essere nè più nè meno importante di snocciolare un paragrafo di storia a memoria o ripetere a voce alta la lista della spesa.
E tuttavia, chissà perchè, mi parve che gli angoli della bocca le si fossero leggermente piegati all'insù, in un ghigno ironico e soddisfatto.

Probabilmente mi stavo sbagliando cosicchè, seppur perplessa, cercai di tranquillizzarmi.
Dopotutto ero sollevata: avrei potuto mantenere la promessa fatta ad Angela. Nessuna situazione imbarazzante, nessun possibile incontro di wrestling.
E soprattutto: Edward tutto per me.

Mi rilassai e, per più di un'ora me ne stetti quieta ad ascoltarli suonare.
La schiena poggiata alla parete, il piede che batteva il tempo, cominciai ben presto a sentirmi a mio agio, molto più di quanto non accadesse tra i banchi della Queen Elizabeth. Tra quelli che avrebbero dovuto essere i miei amici, ragazzi con cui avere in comune sogni, speranze, ideali, obiettivi. Peccato che con gente spocchiosa ed inutile come loro non riuscissi a condividere nemmeno la gioia per un compito riuscito bene: competizione, per noi, era una parola chiave. Un comandamento da rispettare. La mia A in letteratura inglese era motivo di rabbia e gelosia per chi mi stava intorno: non avrebbe mai suscitato complimenti sinceri, congratulazioni disinteressate. Troppi volti lividi mi avrebbero guardata con invidia, agognando la mia medesima votazione.
Nel mio ambiente era necessario scavalcare l'altro per dimostrarsi migliore.
Prevaricare era la prima regola.
Con queste premesse, cosa mai avrebbe potuto accumunarmi ad una ciurma di ragazzini invidiosi, complessati e velenosi?
Preferivo tirarmene fuori portando con me poche anime elette come Angela ed Oliver.

Ma tra loro tutto era stato diverso...Tra quei ragazzi di Brixton, i poveretti, li avevano definiti. E probabilmente sì, nessuno di loro aveva avuto la fortuna di una vita semplice. Non possedevano auto di lusso nè belle case in centro. Ignoravano l'esistenza di firme come Chanel ed il massimo dell'eleganza, per loro, era camminare sbronzi per Portobello.
Eppure era chiaro che fossero intimamente legati. Che l'affetto ed il rispetto reciproco fossero alla base dei loro rapporti personali. Non erano presuntuosi, nessuno di loro mi aveva guardato dall'alto in basso - eccezion fatta per Marlene che, comunque, non rientrava nelle mie considerazioni - e di quello stupido senso di rivalità che tanto andava di moda tra i bravi ragazzi della Londra bene non c'era neppure l'ombra. Tutt'altro: io stessa avevo guardato con occhi pieni di tenerezza a Jasper mentre suggeriva ad Oliver l'intonazione più adatta o ad Edward ed Emmett che si divertivano ad improvvisare melodie orecchiabili sostenuti dall'approvazione di tutti noi presenti. Avevo preso atto facilmente di quel  loro desiderio di confrontarsi ed aiutarsi vicendevolmente, senza alcuna ritrosia, senza l'idea che tale collaborazione implicasse necessariamente una possibilità, per ciascuno di loro, di scavalcare l'altro. La "diffidenza" non era un sentimento contemplato nè tra i componenti del gruppo - Oliver compreso benché, a tutti gli effetti, non fosse parte del medesimo mondo dal quale provenivano Edward e gli altri - nè in riferimento a persone estranee all'intero ambiente come me. Bastava prendere ad esempio già soltanto Emmett per confermare la mia riflessione: proprio lui che si era mostrato, sin da subito, socievole e ben disposto nei miei confronti, con quella sua battuta sempre pronta e quella sua mano grande, da orso, sempre in procinto di alzarsi per rivolgermi il più caloroso dei saluti.

Sì, adesso ne ero certa più che mai: era tra persone vere, tra persone sincere come loro che avrei voluto restare, per sempre.

"Ok...Facciamo una pausa...Ho la gola in fiamme."

Oliver ripose il microfono sull'asta apposita, sbuffando: aveva dato davvero il meglio di sè, specie in Bodies*. Avrei potuto prenderlo in giro ancora per molti anni e tuttavia avrei dovuto sempre riconoscere il suo talento smisurato: Oliver era nato per cantare.

Alice, seduta accanto a me, si alzò di scatto e, saltellando si tuffò tra le braccia di Jasper.

"Amore, sei stato bravissimo come al solito!"
"Alice! La chitarra!..Un po' d'attenzione!" - Esclamò l'interessato alzando gli occhi al cielo. Ma era chiaro che fosse infinitamente felice di stringerla nuovamente tra le braccia: l'inflessione ironica della voce aveva parlato da sè.
Anche Rosalie mi abbandonò, trascinata da Emmett in un angolo più buio della saletta.

"Dio Santo. Sono insopportabili..." - Mugugnò Edward al mio indirizzo, infilando una sigaretta tra le labbra.
"Cosa?"
"Emmette e Rose. Stanno sempre avvinghiati come due polpi. Sono insopportabili!" - Aspirò una grossa boccata, con aria nervosa.

Ridacchiai.

"Stanno insieme da molto?"
"Da tre giorni."
"Oh!"

Ero piuttosto perplessa e non mi preoccupai di non darlo a vedere. L'esuberanza e la sintonia  mostrate durante le loro "effusioni" mi avevano indotta, erroneamente, a ritenerli una coppia da più lungo tempo.

"Lo so... sembra che se la intendano da anni!" - Aggiunse ridendo.
"Effettivamente...C'è chimica tra loro..." 
"Sì, se per chimica intendi alti livelli di ormoni..."

Risi anch'io ed un po' avvampai, imbarazzata. Non ero abituata a trattar certi argomenti con ragazzi che conoscevo appena.

"Ti sta bene la maglia..." - Commentò poi, con aria indifferente. Lui. Io, viceversa, con la testa camminavo già oltre le nuvole.
"Io...sì, ecco..."
"Sei molto punk. dì un po', Bella...I Sex ti stanno dando alla testa..?"
"Soltanto Sid, a dirla tutta..."
"Ah, quindi ascolti i Sex Pistols solo per un gradimento più o meno intenso nei confronti di Vicious..."

Mi stava punzecchiando. Era chiaro. Eppure fremetti, troppo preoccupata che potesse considerarmi vana, sciocca e superficiale. Una ragazzina innamorata del personaggio e non della musica.

"...Non è solo questo!" - Risposi convinta. - "I Sex Pistols significano molto per me. La loro musica rappresenta anche me stessa, quel che vorrei essere. Quel che non riesco ad essere..." - Lasciai andare le mani sulla gonna, in un gesto di composta rassegnazione.

"Mi sembri abbastanza ribelle..."
"Non abbastanza per abbattere il muro**, Edward..."
"Ma abbastanza per renderti diversa, Bella..."

Sorrisi, appena.

"...Comunque resto una donna..E sì..Mi piace Sid. Problemi?" - Finsi un'aria offesa, inarcando il sopracciglio. Mi aspettavo l'ennesimo sfottò, una risatina di scherno, una battuta priva di malizia. Quel che ottenni in cambio, viceversa, fu la mano di Edward - rovente e meravigliosa - che, ancorandosi al mio fianco destro, mi spingeva verso di lui.
"Però, hai un debole per i bassisti, vedo..." - Sussurrò lento al mio orecchio, con voce suadente. La fronte s'imperlò di sudore ed il cuore sussultò.


Che diamine...


Qualcuno mi strattonò per il braccio, improvvisamente. Paralizzata mi lasciai guidare finchè non mi ritrovai al fianco di Oliver, trasognata.
Di tutto ciò che potevo afferrare, in quel momento, l'unico particolare che mi colpì fu la sua mano ancorata alla mia spalla. Passare dalla stretta dolce e sensuale di Edward a quella accanita di Oliver fu quasi un dolore fisico.


"Edward..." - Sibilò, d'un tratto astioso - "Bada a ciò che fai...C'è la tua ragazza qui fuori."



*


L'osservai bene, Marlene. Oh sì. La squadrai da capo a piedi.

Bionda e cotonata.
Con quell'aria strafottente ed i jeans strappati.
Le labbra rosse, altere ed arroganti.
Le lunghe ciglia curvate ad incorniciare un paio d'occhi privi di gentilezza.
Occhi troppo truccati di nero.


Ma a chi volevo darla a bere? Era bellissima. Ed era perfetta, ancora di più perchè Edward le apparteneva.


Oliver mi aveva salvata per un pelo dalla sua possibile furia, strappandomi alla stretta dello stesso Edward prima che la suddetta fidanzata - l'orango, come la definiva Angie - potesse fare il suo ingresso nel garage.
Beh sì. Avrei dovuto effettivamente ringraziarlo per il resto dei miei giorni: se soltanto Marla mi avesse beccata in quel momento ed in un simile atteggiamento con il suo ragazzo, avrei potuto dire addio alla vita a neanche diciotto anni.

Inizialmente non mi notò troppo presa dal raggiungere il suo fidanzato, stringerlo in un abbraccio caloroso e lasciargli un bacio delicato sulle labbra.

"Che ci fai qui?" - Le sussurrò Edward inebetito. L'osservai poggiarle le mani, in un gesto distratto, sui fianchi - come aveva fatto poco prima con me - ed avvampai di rabbia e dispiacere.
"Ho fatto prima...Sorpresa! Sei felice di vedermi?"

Gli rivolse un'occhiata così amorevole che, se non avessi avuto interesse per Edward, mi sarei commossa tanto era intensa; infine si voltò per salutare Alice e soltanto per un puro - maledetto - caso, incrociò il mio sguardo. Come se avessi potuto nasconderle la mia presenza, del resto.

Le fu necessaria una manciata buona di secondi per aprire bocca, troppo sorpresa, evidentemente, dalla mia ritrovata presenza in quel garage. O dal mio abbigliamento eccentrico. Ad ogni modo, sarebbe stato certamente meglio se avesse continuato a tenere la bocca chiusa giacchè, come previsto, non fu assolutamente cordiale nei miei confronti.

"Cos'è? Hai scoperto il punk, ragazzina?"

La guardai, con aria disperata. Lo sapevo. Ne ero consapevole dalla strana piega che aveva preso la mia bocca. Dal modo in cui i muscoli del viso si erano contratti e le sopracciglia aggrottate. E lei parve ricambiarmi con un'occhiata perplessa.

Avrei dovuto arrabbiarmi e rispondere sarcastica ed offensiva alle sue provocazioni.
Ma in quel momento non mi premeva litigare: avevo altri pensieri per la testa.
Uno solo, a dirla tutta: Edward e la consapevolezza della presenza di Marla, accanto a lui.

Perchè d'un tratto, nel vederli vicini - così vicini - e nell'identificarli definitivamente come coppia avevo realizzato che, nonostante i bei modi di Edward nei miei confronti, avrei dovuto perdere qualsiasi speranza.
C'era Marla e, di conseguenza, non c'era posto per me accanto a lui.
Neanche per conoscerlo un po' meglio: lei non me lo avrebbe consentito.

Di colpo, anche il ricordo del nostro pomeriggio a Camden Town perse il suo sapore dolce.
Cos'avrei dovuto farmene? A cosa era servito viverlo assieme così gioiosamente considerando che sarebbe finito col rimanere fine a se stesso?

Più guardavo la mano di Edward stretta in quella pallida e curata di Marlene e più il cuore mi chiedeva di smettere.
Era troppo doloroso. Lo stomaco era in subbuglio e sapevo cosa desideravo realmente: scappare via di lì.


Maledetta Marlene! Non potevi restartene in quel maledettissimo pub od ovunque tu fossi prima ancora per molto?


Ma forse, in fin dei conti, dovevo maledire me stessa e la mia stupidità. Non di certo Marlene che di Edward era la fidanzata ed aveva diritto a vederlo quando e come le sembrava più opportuno.

La colpa era mia e dell'irrazionalità che mi spingeva a sentirmi così intimamente legata ad un ragazzo tanto distante da me come Edward, dopo così pochi giorni di conoscenza.
Com'era possibile che non riuscissi a farmene una ragione di quel maledetto vincolo che già l'univa ad una ragazza che non ero io?
Davvero: non ero nient'altro che una sciocca ragazzina.
Sospirai.


"Cos'è..Il gatto t'ha morso la lingua?"
"Marla?" - S'intromise Alice - "Ti spiacerebbe essere più gentile con la mia amica Isabella?"
"Adesso siete anche diventate amiche?" - Sembrava effettivamente sorpresa.
"Esatto. Per questo preferirei che ti comportassi in maniera adeguata, grazie."
"Lascia stare..." - Gesticolai distrattamente  "Non m'interessa niente di quel che Marlene ha da dirmi. Se non riesce ad essere gentile o educata non posso insegnarglielo io e neppure tu Alice. E neanche posso costringerla a prendermi in simpatia, di conseguenza...Va bene così. E' un sentimento reciproco, non posso biasimarla."

Le labbra di Edward si piegarono in un sorriso di cui non compresi la ragione. Gli occhi di Marlene, viceversa, si strinsero in un moto di odio: sembrava che ogni parola uscisse dalla mia bocca fosse causa di estrema irritazione per lei.

"Marla...Finisci di fare l'antipatica come tuo solito...Sei proprio un rospo impertinente!"
"E tu sei....un coglione Emmett!"

La risata di Emmett - riemerso dall'angolo buio della saletta trascinando per mano la sua Rose - si unì a quella della mia rivale: pensavo che Marla avrebbe preso male il suo commento. Nata evidentemente per stemperare la tensione, quella battuta era innegabilmente proiettata nel prendere le mie difese. E, viceversa, l'interessata se la diede a sbellicarsi con gusto: evidentemente conosceva bene Emmett ed il suo modo di scherzare e doveva anche apprezzarlo. Era a proprio agio: chiaramente la sua presenza doveva essere di casa, tra loro.

La mia, altrettanto evidentemente, no.


Non sei ancora in grado di interpretare Edward, confessai a me stessa mentre l'osservavo ridere, con Marla, come se nulla fosse accaduto. Come se, cinque minuti prima, non mi avesse stretta tra le sue braccia sussurrandomi parole allusive. Guardava la sua ragazza e sembrava interessato a qualsiasi cosa lei avesse da riferirgli; annuiva, sorrideva, rispondeva curioso ed io mi sentivo morire.
Non li conosci, non conosci nessuno di loro. Vuoi startene qui, vestita da punk e pensi che basti una gonna strappata per renderti parte del loro mondo. Cretina.
Il grillo parlante nella mia testa, ormai, cominciava a prenderci gusto nel mostrarmi tutte le distinte sfaccettature della mia stupidità.
Jasper m'incuteva timore, di Emmett non riuscivo mai a seguire realmente quell'atteggiamento sbruffone e troppo spesso mi limitavo a sorridere alle sue battute. Rosalie era un'estranea capitata per caso sul mio cammino. Alice sembrava essersi affezionata a  me ma non sapevo nulla, nulla di lei, neppure il colore che prediligeva.
Ed Edward....Oh, diamine! Edward era soltanto un dannato dongiovanni che...amava un'altra donna.
Una donna che non ero io.

Con queste prospettive, come potevo continuare a starmene lì senza alcun problema? Avrei dovuto smettere di illudermi, avrei dovuto smettere di vedere e sentire qualcosa che non c'era!


Ed allora accadde che, nonostante tutto, nonostante la pace avvertita solo poco tempo prima, in quel momento mi sentissi io di troppo.
Sapevo di per certo che quelle con cui avevo a che fare fossero persone splendide - quantomeno migliori della mia solita cerchia di conoscenze - ed ero consapevole io stessa di quanto mi fossi sentita a mio agio solo poco prima eppure...Eppure dovetti constatare con rassegnazione che qualcosa era venuto a rompersi: la mia bolla di felicità si era dissolta come neve al sole in un solo istante.

Cercai un appiglio cui aggrapparmi, intorno a me, rendendomi conto, improvvisamente, che l'unica persona con la quale ero certa di potermi confrontare senza alcuna perplessità fosse la stessa che mi teneva ancora legata a sè. La stessa di cui sentivo il calore della mano ancorata alla mia spalla, come per non farmi andare più via. La stessa di cui stringevo con forza il retro della camicia bianca: l'avevo sgualcita completamente e neppure per un istante mi aveva rimproverato per questo: Oliver, ovviamente.

"E' tutto ok, Bella?"

Mi guardò con occhi apprensivi.

"Sì..."
"Avanti....Dimmi, che problema c'è?"

Deglutii.

"Senti, Ol.." - Cominciai piano. Dietro di me gli altri avevano improvvisamente fatto gruppetto; Emmett aveva sparato una qualche battuta particolarmente divertente o forse aveva appena raccontato qualcosa di cui era venuto a conoscenza e tutti avevano preso a ridere di gusto. Marla mi aveva rivolto un'ultima occhiata disgustata prima di darmi le spalle e persino Alice si era distratta, momentaneamente, troppo presa dalla curiosità per le parole dell'amico: doveva trattarsi di un raccontino davvero straordinario e, probabilmente, doveva riguardare qualche loro conoscente giacchè Emmett aveva cominciato con un eloquente "Ehy! Sentite questa su Brian Green!"

"Ti ascolto Bella..."
"Lo so che sono stata scortese, oggi a scuola. Con la storia di venire qui a Brixton da sola e tutto il resto..."

Gesticolò.

"Lascia perdere, non è un..."
"Fammi finire! Lo so che sono stata scortese e ti chiedo scusa...ma...Ti andrebbe di riaccompagnarmi a casa, dopo, nonostante tutto? Senza fretta, quando avrai finito..."

Mi osservò rivolgendomi un sorriso dolcissimo. Prima più tenue e poi, gradatamente, più grande e luminoso.
Non avevo mai considerato quanto potesse essere bello e travolgente il sorriso di Oliver. Sì, in tutta onestà, non l'avevo mai neanche notato prima.

"Altre due canzoni da provare. Solo due e scappiamo via...Io e te. Ok?"

Lo guardai trasognata. Scappiamo via ...io e te?"

"Beh...Ecco...Ok..."

"Bene!...Ragazzi!" - Esclamò allora lasciando la presa su di me. - "Finiamo queste benedette prove...che io e Bella ce ne andiamo!"

Il gruppo ammutolì di colpo.

"Andate via? Di già?" - Domandò Alice confusa.
"Sì...Abbiamo una cosa da fare..." - Mentì - "Quindi, per piacere...sbrighiamoci..."

"Come vuoi amico!" - Esclamò Emmett, sempre senza perdersi di coraggio. - "Ai vostri posti, ragazzi!"


Io me ne stessi silenziosa, in un angolo, a testa bassa mentre la band si preparava all'ultima parte delle prove.
Neanche per un attimo avevo motivato la nostra necessità di scappare, letteralmente. Che cosa avrei dovuto dire? Ehy ragazzi, perdonatemi ma, ora come ora, con Marla in giro io mi sento....beh sì, mi sento davvero inutile qua tra di voi

Presi un grosso respiro e mi armai di una buona dose di coraggio prima di alzare di nuovo lo sguardo sui presenti.
Non fu una buona scelta, non in quel momento in cui Oliver mi aveva già abbandonata per tornare al suo microfono ed io ero letteralmente nuda sotto il fuoco nemico.

Ma tant'è...

Incrociai, in sequenza, lo sguardo sospettoso, diffidente e sempre sgarbato di Marlene. 
Il visetto di Alice che mi guardava, interrogativa e dispiaciuta.
Ed infine...
Infine incontrai gli occhi di Edward, prima che rimettesse mano al suo basso.

Quegli occhi rivolti verso di me con tanta...delusione? O forse dispiacere?
Non riuscii a decifrarlo...Ma li avvertivo posarsi su ogni parte del mio corpo, con quel lampo di rammarico che me li rendeva più belli ancora. Perchè, per un istante solo, ancora m'illlusi che quella desolazione fosse per causa mia.
Per me che, d'improvviso, avevo deciso nuovamente di abbandonarli.

Ma davvero fu soltanto un istante.
Imposi alla mia mente di smetterla di farneticare e fantasticare.
Mi sarei fatta soltanto più male...Ed allora ripetei, come una preghiera, a voce bassa:


"Sbrigati Oliver. Sbrigati, non ne posso più."



*

POV EDWARD


"Edward...vuoi un hamburger?"
"No..."
"Ma non mangi mai, benedetto figlio? E leva quelle scarpe disgustose dal letto!"

Incredibile quanto cazzo fosse in grado di rompere le scatole mia madre in quelle poche ore che trascorreva in casa. In quelle rare occasioni in cui riuscivamo ad incontrarci, soprattutto. Era seconda soltanto a quella peste di Alice.
Ma, d'altronde, l'amavo anche per questo. Le amavo per questo, per l'innata capacità che avevano sempre di parlare - soprattutto - nei momenti peggiori.

Sbuffai impercettibilmente per non farmi sentire mentre mi sfilavo le Converse - le scarpe disgustose, appunto, cui aveva fatto riferimento Esme.

"Signorino! Credi che non t'ascolti? C'è poco da sbuffare, ho cambiato le lenzuola stamattina prima di uscire...Se me le ritrovo uno schifo saprò chi incolpare...E come punirti!" - La bella chioma castana di mamma sbucò dalla porta. Stava cercando di farmi gli "occhiacci" per evidenziare che la sua autorità genitoriale non andava messa neppure minimamente in discussione. Nonostante l'uomo di casa fossi io, a tutti gli effetti.
"Ah sì?" - Ridacchiai alzandomi su di un gomito - "E cosa vorresti fare?"
"Tanto per iniziare potrei sequestrarti queste..." - Commentò ironica agitando il mio pacchetto di Benson & Hedges.
"Non provarci..." - Inarcai un sopracciglio con espressione allarmata.
"Altrimenti? Edward, sei mio figlio...Vedi di non dimenticare le buone maniere...Tra l'altro ti farei un favore, questa schifezza ti fa male...e lo sai!"

Sbuffai di nuovo. Ma non ero serio e mamma lo sapeva. Quando mi arrabbiavo per davvero non ero altrettanto accondiscendente.

"Te le rimetto a posto, anche se non te lo meriteresti. Mi sembra sempre di non essere una buona madre quando mi comporto in maniera così indulgente con te.." - Si asciugò le mani sul grembiule usurato e mi guardò con uno sguardo tristemente rassegnato. Mi alzai da letto avvicinandomi a lei, per carezzarle la guancia.
"Tu sei un'ottima madre...Non dire sciocchezze".

La sentii sospirare leggermente prima di rivolgermi un tenero sorriso.

"Alice è con Jasper?"
"Sì..."
"Ed ha studiato? Non so nulla, non so come va a scuola, ultimamente non mi parla più di queste cose...Ho sempre così tanto da fare che quasi non ci sono più per voi..."
"Ehy, ehy, ehy...Frena, per favore!" - Quando cominciava con quelle sue tirate allarmate ed infarcite di sensi di colpa era terribile. Andava fermata all'istante. - "Alice non ti dice nulla perchè va tutto alla grande, non ha problemi...E poi...Ma l'hai vista? Ormai è persa per Jasper, cosa vuoi che ti racconti? Ha la testa altrove!"

Mamma mi sorrise, con occhi lucidi.

"Credi sia una cosa seria? Vorrei che fosse felice, la mia bambina...ha sofferto così tanto!"
"Lo sarà.." - Risposi convinto - "Jazz è un tipo particolare...Ma le vuole bene. Cerca di stare tranquilla. E non farmi quei lacrimoni inutili!"
"Oh...non rimproverarmi sempre! Sono un tipo romantico, io...!"

La guardai teneramente, la mia bella mamma dalle labbra rosse, i capelli boccolosi ed in disordine. E quegli occhi lucidi, di un colore insolito. Color caramello, dicevano.
Osservai mestamente la sua gonna consunta ed il grembiulo vecchio e sfrangiato, quegli abiti logori che non rendevano giustizia alla sua bellezza ed il cuore mi si strinse in una morsa.

"Lo so che sei romantica. Papà lo ...diceva sempre."
"E' per questo che mi regalava i fiori di tanto in tanto. Essere sentimentale è una delle mie debolezze."

Sorrisi con lei ma non approfondii il discorso "papà". Non me la sentivo, non ancora almeno.

"E tu, Ed? Stai bene?"
"Alla grande.." - Mentii tornandomene sul letto con aria indifferente. Mamma mi seguì, incerta.
"Come va il lavoro?"
"Quale lavoro?"
"Hai perso anche questo..." - Constatò dunque in un sospiro. 
"Ho fatto tardi un paio di volte ed il tizio mi ha licenziato." - Ancora una volta mi ritrovai a fingere per non causarle di nuovo dolore.Come spesso accadeva, già da un po'.

Avevo trovato lavoro cira un mese prima, presso un negoziante di alimentari a Portobello; per dieci sterline a settimana non avrei dovuto far altro che scaricare i camion colmi di merce che arrivavano quotidianamente presso la sua bottega e sistemare il tutto adeguatamente sugli scaffali.
Un banale lavoro di magazziniere insomma e mi sarebbe anche piaciuto, a dirla verità: persino io avevo voglia di crearmi una piccola, normale esistenza.
Poi però il signor Adam aveva scoperto che il mio cognome era Cullen e sua moglie si era allarmata sbandierando quel maledetto giornale risalente ad un anno e mezzo prima in cui si parlava della presunta rapina in cui mio padre, Carlisle Cullen, aveva perso la vita.
Era bastato così poco.....Mi avevano licenziato in tronco, cacciato via senza neppure darmi una possibilità di replica.
E, nonostante tutto, non era stata questa la cosa peggiore.
Quando il signor Adam aveva sbraitato che i "figli di fottuti ladri" non ce li voleva nel suo negozio e che "ringraziando Dio, quel bastardo di tuo padre l'hanno fatto fuori" beh...no. Non ero riuscito a trattenermi. Nessuno doveva concedersi il lusso di infangare la memoria di mio padre.
Il Signor Adam Thompson, di conseguenza, così finito all'ospedale con il setto nasale completamente spappolato mentre io ho ero finito di nuovo per strada senza un soldo.


Cazzi suoi, comunque.
Del lavoro non me ne fregava un bel niente del resto e, per quanto mi riguardava, il signor Thompson aveva imparato a proprie spese cosa significasse trattare con un Cullen.

"E' solo per questo Edward? Perchè hai fatto tardi più di una volta? Ne sei certo?" - La voce di Esme venne a scuotermi da quel vortice di pensieri tristi che mi turbinava nella mente.
"Sì, solo per questo. Thompson era un gran rompiscatole..Troverò di meglio..."
"D'accordo. Voglio crederti. E sottolineo voglio." - Scandì per bene le ultime parole. Mia madre non era un tipo facile da fregare. - "..Per il resto, invece, è tutto ok? Con Marla..?"

Marla.

Beh, con Marla andava ovviamente tutto alla grande. Mi amava come sempre.
Da che eravamo bambini in pratica.

E nonostante questo ...No. Niente era ok.
C'era un problema ed avrei dovuto ammetterlo poichè quel problema ero io.


Era il sottoscritto Edward Cullen, a non andare più bene per lei.



"Tutto bene." - Passai una mano fra i capelli, come per dimenticare i brutti pensieri - ".. E' tornata al pub."
"E non vai a trovarla?"
"Siamo stati insieme finora. Ho voglia di riposarmi un po'."

"Riposarti e mangiare!" - Esclamò mia madre scattando dal letto. Avevo inavvertitamente pronunciato qualche parola - l'allusione al riposo? - che doveva averla illuminata, ricordandole che, sì, ero ancora a stomaco vuoto. - Ti prego, figliolo...Mangia qualcosa...Fa' contenta questa tua vecchia mamma!"
"Smettila di autocommiserarti! Non sei affatto vecchia!" - Risi.
"Sto cercando soltanto di far leva sul tuo buon cuore, se non l'avessi capito...!" - Ammise con un'adorabile faccia da schiaffi. Non era difficile indovinare da chi avesse ereditato Alice la sua impertinenza.
"Ma va, mamma! E d'accordo, preparami questo benedetto hambuger...Almeno starai più tranquilla!"
"D'accordo!" - Annuì soddisfatta, lanciandosi a velocità quasi inumana verso la cucina. Non che la distanza da ricoprire fosse chissà quanto grande...Oggettivamente abitavamo tra quattro mura. Ma tant'è, fu davvero rapida. Aveva vinto la sua personale sfida quotidiana: dar la pappa al figlio inappetente. Doveva trattarsi di una grande soddisfazione per lei.


Sospirai

"Per il resto è tutto ok? Con Marla..?" - La domanda di mia madre continuava a torturarmi. Soprattutto continuava a torturarmi l'idea di aver mentito, per l'ennesima volta, in pochi minuti.
Ma in realtà ero certo di non averla fregata neppure sulle questioni di cuore. Mia madre mi conosceva come le sue tasche, sapeva perfettamente quando suo figlio le rifilava una delle sue bugie colossali e quando no. Tuttavia anche lei fingeva poichè era consapevole che se il problema avesse raggiunto proporzioni enormi sarei stato il primo a parlarne.
Il problema che, in questo caso, era...nella mia testa, ovviamente.

Perchè, apparentemente, tra me e la mia ragazza tutto andava a gonfie vele.
Per Marlene non era cambiato niente tra noi due, negli ultimi tempi. Non ancora, almeno. 
Mi amava, indiscutibilmente. Ieri come oggi. Glielo leggevo in ogni piccolo gesto quel suo amore smisurato, nelle occhiate dolcissime, nelle parole sussurrate, nella sua mano che cercava la mia quando camminavamo per strada. Quando io neanche ci pensavo a cercare lei.

E poi me l'aveva anche scritto una volta, di nascosto. Su un foglietto spiegazzato che aveva accuratamente strappato appena si era resa conto della mia presenza. Quel "Ti amo" scarabocchiato a matita blu mi era risultato comunque abbastanza chiaro, nonostante l'avessi colto soltanto con la coda dell'occhio.

Avrei voluto ricambiarla. Davvero. Avrei voluto dire che sì, anche io l'amavo.
Ma non c'ero mai riuscito.

Perchè io non amavo Marlene.

Certo, avevamo molti punti in comune: una vittima difficile alle spalle, una famiglia distrutta e neanche una sterlina in tasca per i nostri bisogni.
Ma questi non potevano essere elementi in grado di unire, nè potevano essere considerati basi su cui costruire un grande amore.
Ero una specie di dio, per Marla, dovevo ammetterlo. Il ragazzo più grande, quello che l'aveva sempre protetta dalle brutture del mondo di fuori.
Ed io stesso non riuscivo a non essere per lei nient'altro che questo. Il suo salvatore. Non riuscivo ad evitare di difenderla in ogni situazione la mia piccola e bionda ragazzina. Anche adesso che credeva di sapersela cavare da sola, c'ero sempre io, in realtà, alle sue spalle.

Ma davvero questa idea del paladino della giustizia, del supereroe poteva indurmi ad amarla? Soltanto questa?

Era da giorni che mi arrovellavo il cervello nel tentativo di trovare una risposta ma a nulla era servito il tempo speso a rifletterci: ero troppo codardo per abbandonarla e troppo stanco, al contempo, per continuare una relazione di cui non riuscivo a gustare il sapore.

E come se non fossero poi bastati i miei soli dubbi ad incasinarmi testa e cuore, alla fine ci si era messa anche lei.

Lei, sì.

Isabella Swan.

L'educata collegiale della Londra bene che Oliver, un giorno, aveva deciso di trascinarsi alle prove.
L'educata collegiale che mi aveva sconvolto l'esistenza in mezz'ora.
Perchè Isabella non aveva proprio nulla del mondo falso e patinato di cui faceva parte. Di quel mondo che io avevo sempre detestato.

Una certa delicatezza nei gesti, forse, una delicatezza di cui neppure lei stessa si rendeva consapevole e che, tuttavia, io adoravo.
Ed una dolcezza nei tratti, nel sorriso.
Quel sorriso di chi non conosceva il significato reale della sofferenza.
Quel sorriso che aveva funzionato come un balsamo rinfrescante per il mio cuore. Per me che non ero abituato a trattare con persone che non fossero meno disilluse e disperate di me.

Era buffa Isabella e terribilmente tenera.
Pensava di potersi ribellare al mare di menzogne e comandi con cui stavano cercando - forse i suoi genitori? - di uccidere la sua parte sognatrice ed idealista soltanto strepitando e battendo i piedi in terra una volta di più.
Davvero: era adorabile.
Avevo compreso facilmente che tipo fosse: la classica ragazza piena di volontà cui cercevano continuamente di tarpare le ali. Aveva tanti progetti per se stessa. E tanta voglia di fare e dire, di far capire al mondo che anche lei esisteva. Se gliel'avessero concesso, ovviamente: non era una realtà facile, la sua.

Quel che non comprendevo, viceversa, era il mio atteggiamento.
Come avevo potuto sentirmi attirato così rapidamente, da una persona così distante dal mio mondo? Una persona incontrata appena tre volte nell'arco della mia esistenza, per giunta!

Isabella era poco più che una sconosciuta per me eppure.....Eppure mi appariva chiaro che fosse tutto ciò che desideravo.
E non credevo di sbagliarmi.
Era inaudito ed assolutamente folle, lo comprendevo, ma agognavo Isabella.
E non solo fisicamente.
Certo, il mio corpo finiva inevitabilmente col proiettarsi verso il suo allorchè la distanza tra di noi veniva ad accorciarsi e più di una volta non mi era riuscito di trattenermi ed evitare che la mia mano raggiungesse le sue braccia, i suoi fianchi, il suo viso. Ed avrei mentito dicendo che non m'interessavano quelle labbra dolcissime, color corallo, dischiuse in un sorrisetto furbo ed imbarazzato al contempo.

Ma più di tutto agognavo i suoi pensieri, che non sempre riuscivo ad afferrare.
Allo stesso modo, mi piaceva ascoltare cos'aveva da dire, mi facevano sorridere le sue battute sarcastiche, le occhiate ironiche, le smorfiette da bambina.
Ed il suo coraggio! Adoravo il suo coraggio e quell'aria sfrontata con la quale si era rivolta persino a Marlene, infischiandosene del fatto che fosse la mia ragazza.
Pensava  di non avere paura di nulla, Isabella. E non capiva quanto fosse viceversa tenerissima e delicata nella sua fragilità.

Avevo ancora davanti agli occhi quel suo faccino spaurito di poche ore prima, quando aveva deciso - con mio enorme disappunto - di abbandonare la sala prove in gran fretta al braccio di Oliver.
E faticavo ancora ad interpretarlo.
Perchè era letteralmente scappata via? Colpa di Marla, certamente. Avevano cominciato a battibeccare quasi subito ed, ovviamente, anche questa volta era stata Marlene a cominciare.
Ma non volevo credere che un tipetto spigliato come Isabella si lasciasse spaventare dall'ennesimo, stupido screzio. Tutt'altro: credevo, a ben ragione, che provasse un gusto sottile nell'impelagarsi in dispettose discussioni con personaggi che mal tollerava. Tipo Marlene, per l'appunto.

Ed allora perchè aveva mollato tutto così rapidamente?
Cosa l'aveva infastidita realmente? D'improvviso aveva forse compreso che il posto dove si trovava ero troppo infimo e sudicio per una ragazzina perbene come lei?
Ma no, non poteva essere quello il motivo...Era a me, a me soltanto, che Bella aveva rivolto uno sguardo...uno sguardo così infinitamente triste prima di andare via.

Il problema ero io, ancora una volta. E non ne comprendevo il motivo ma era per colpa mia se Isabella se l'era filata a gambe levate.

"Bum!" - La voce irritante di mia sorella mi costrinse a sussultare perso com'ero nei miei pensieri.
"Alice! Ma dico, ti sei ammattita?!" - Mi voltai di scatto incontrandone il viso a due centimentri da me: se ne stava inginocchiata accanto al letto, con le mani giunte sulla trapunta mentre un risolino divertito le piegava gli angoli della bocca.
"Il valoroso Edward Cullen che si spaventa per una nanerottola come sua sorella" E' incredibile!"
"Finiscila, cretina! Ero...solo sovrappensiero. Per questo sono scattato. Non ho certo paura di te!" - Risposi fintamente offeso.
"Oh, certo! Non hai paura di nessuno tu....E sentiamo, mio prode cavaliere..." - Si alzò elegantemente e con un mezzo giro su se stessa venne a sedersi sul letto, accanto a me - "...A cosa pensavi di preciso?"
"A...niente..." - Mentii ancora una volta.
"...Mmmm...Capisco...Un niente che ha forse il nome di Isabella Swan?"

Deglutii a fatica ma non riuscii a trattenermi: cominciai, inevitabilmente, a tossicchiare.
Quella dannata peste di mia sorella ne sapeva sempre una più del diavolo!

"Ecco...Lo sapevo! Sono due sterline, grazie!"
"Due sterline...Per cosa?!" - Domandai respirando appena.
"Ho scommesso con Jazz, prima. Gli ho detto che avevi perso evidentemente la testa per Bella ma non ha voluto credermi, io ho insistito ed alla fine abbiamo scommesso."
"Ma che diamine....Che cazzo vi salta in  mente?!" - Esclamai rosso in viso - "...E poi, anche se fosse...I soldi deve darteli Jasper e non io!"
"Allora vuoi lasciarmi intendere che Jasper abbia davvero perso la scommessa? Continui a confermare la mia tesi, quindi! Ah, incredibile!" - Rise di gusto prima di riprendere il filo del discorso - "... Ad ogni modo, non è possibile... Jazz non ha un centesimo ..!"

Frugai nelle mie tasche tirandone fuori un accendino, una spilla ed un tappo di bottiglia.

"Come vedi, non me la passo meglio del tuo ragazzo. E comunque...vaffanculo Alice!"
"Dio, Edward! Quanto sei permaloso...!"
"Ho una ragazza, te lo sei dimenticato??"

Mi sorrise suadente.

"In tutta onestà credo che quello ad essersene completamente dimenticato sia proprio tu, fratellino!"
"Smettila, Alice....Stai dicendo un mare di cazzate!" - Grugnii indispettito. Detestavo quando mia sorella mi scopreva in maniera tanto plateale.

"Ah sì...?" - Avrei riconosciuto quel tono convinto a migliaia di chilometri. Agitò la mano sinistra, come a farsi vento, ed il suono del campanellino che le penzolava dal bracciale si diffuse nell'aria. Stava per spararla grossa, ne ero certo. - "Beh, certo, sicuramente mi sarò sbagliata, allora. Quindi non è un problema per te se Bella si è arrabbiata, è vero?"

Mi alzai di scatto a sedere, allarmato.

"Arrabbiata? Per cosa? E che ne sai tu, te l'ha detto personalmente?"

Alice ridacchiò di fronte alla mia catena di domande. Aveva proprio l'aria di qualcuno in procinto di sussurrare la fatidica frase  "Io lo sapevo". Tuttavia, ebbe il buon gusto di trattenersi. Viceversa, io non mi trattenni dal maledirmi mentalmente per la mia stupidità: con quell'atteggiamento allarmato avevo fornito ad Alice le conferme che cercava alla sua teoria su di un piatto d'argento.


"Non me l'ha detto ma non ci vuole un genio per capirlo, Edward. Finchè Marla non c'era Bella era felice e rilassata. Ed anche piuttosto in...sintonia con te, direi. E dopo invece..."
"Alice, smettila di girarci intorno..."
"Non ci sto girando intorno, Edward. Anzi, ti dirò di più. Sei un gran coglione."
"Ti ringrazio, anch'io ti voglio bene sorellina."
"Oh, avanti! Non dirmi che non ti piace, non fai altro che guardarla. Di nascosto, certo, ma io ti ho sempre beccato sinora. E mi è giunta anche voce che abbiate passato un intero pomeriggio insieme a Camden..."

Chi diamine...? Oh, merda! Compresi immediatamente: non avrei potuto più fidarmi di Jasper, d'ora in poi. Era un tipo discreto e silenzioso, certo, ma il problema consisteva nel fatto che fosse ormai fidanzato con mia sorella ed Alice gli avrebbe estorto qualsiasi confessione. Anche con le cattive maniere.

"Detto questo...Lei ti piace e credo, a ben ragione, che anche tu piaccia a lei. E' ovvio che abbia preso male la presenza di Marlene...Diavolo Edward, l'hai abbracciata davanti a lei! Un po' di contegno!"
"e come cavolo avrei dovuto comportarmi, eh?? Marla è la mia ragazza fino a prova contraria...Se corre ad abbracciarmi che faccio, la mando a quel paese??"


Ok. Mi ero ufficialmente dichiarato. O sputtanato alla grande, per essere onesti e dirla in maniera pratica.

Alice mi guardò e, per un istante, persino lei, riuscì a non sorridere della mia debolezza.
Si sfregò il mento tra pollice ed indice, borbottando qualcosa.

"E' un bel problema, fratellino..."
"Lo so.." - Annuii giocando con il bordo del cuscino. Certo che era un gran casino: avevo una fidanzata di cui tener conto ed invece mi premeva l'umore di un'altra persona. Di una persona quasi sconosciuta, per giunta.

"Senti, facciamo che al problema nel suo insieme ci pensiamo poi..." - Rispose posando la sua mano morbida sul dorso della mia. - "Cominciamo a piccoli passi..."
"Per esempio?" - Domandai sospettoso
"Per esempio tentaando di calmare la signorina Swan...E' un bel tipetto..Mi sa che ci vorrà una bella dose di diplomazia per tranquillizzarla..."

Inarcai un sopracciglio.

"Ti piace proprio tanto questa Isabella..."
"Non più di quanto piaccia a te, suppongo. Edward, voglio bene a Marlene, lo sai. Ma sai anche cosa penso: non è la ragazza adatta a te."
"Ed Isabella, sì?" - Ridacchiai.
"...mmmm..."
"Alice. Dio Mio...Non hai neanche un po' di rimorso? Non provi un minimo di senso di colpa? Io già a parlarne mi sento una schifezza...Sto sbagliando, Marlene è la mia ragazza ed io non mi sto..."
"Shh!" - Alice mi chiuse la bocca con l'indice. Ovviamente non aveva ascoltato una sola parola del mio discorso. - "Sta' zitto. Ho un'idea e tu non mi contraddirai." - Attese qualche istante come di chi sia impegnato a pianificare un evento molto importante. Dopodiché riprese con voce solenne:

"Domani. Verrai a prendermi a scuola..."
"Ma io..."
"Non accetto rifiuti. Domani pomeriggio, alle tre. Alla Queen Elizabeth School." - Si alzò di scatto dal letto, senza darmi possibilità di replica.
Così la osservai mentre spariva elegantemente dietro la porta della mia camera.

"Domani pomeriggio alle tre, alla Queen Elizabeth School." - Mi ritrovai a ripetere in un sospiro.




Dannata Alice!
O dannato me?






*Bodies è una canzone dei Sex Pistols
** Il riferimento è alla celebre canzone dei Pink Floyd, Another Brick in The Wall, che però non posso citare apertamente essendo stata prodotta nel 1982 e non nel 1978.









Buonasera a tutte! In questo sabato sera in cui me ne sto placidamente a casa mia (domattina lavoro, ergo...) ho finalmente deciso di postare....Non ho grandi appunti da farvi anzi...Ho un po' di spam.
Sono certa che alcune, tra le mie lettrici, abbiano fatto occhio ad alcune shot pubblicate recentemente su Efp dove i protagonisti erano i medesimi personaggi di questa storia: Edward, Bella, Oliver, Angela.
Vorrei precisarvi, per non confondervi, che tali shot non riguardano il corso originale della storia ...sono racconti scritti da altri autori e da me autorizzati che vanno letti come slegati dalla trama originale sebbene personaggi e contesti fossero esattamente gli stessi della My Ugly Boy originale. Tutte le storie che avete letto sono nate come risposta ad una bellissima iniziativa del gruppo Scrittori in Erba. Tale iniziativa dal titolo "Personaggi in prestito" prevedva che ciascuna autrice, facente parte del gruppo, prendesse a prestito, per l'appunto, i personaggi di storie appartenenti ad altre autrici del medesimo "clu" (passatemi il termine...detesto essere ripetitiva) elaborandone una shot tutta sua, secondo la fantasia del momento...Per cui, leggete queste storie bellissime senza confondervi, ok?;)
A tal proposito vi segnalo la prima shot, di Snow_White:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=753566&i=1

E quella di Vivien L.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=755467&i=1

Si tratta di due storie bellissime, scritte da autrici meravigliose...Quindi passate e se vi va lasciate una recensione che se lo meritano assolutamente!

E se leggete L'uomo che ama (altra storia assolutamente sublime scritta da Vivien L...Se non l'avete fatto correte a leggerla!) vi dirò che anch'io, partecipando a tale iniziativa, ho scritto una shot proprio riguardante tale racconto. Eccola qui:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=753202&i=1


Se vi va di passare a darle un'occhiata...Sarete le benvenute! =)

Detto questo, vi ringrazio per le recensioni allo scorso capitolo...In certi casi mi sono addirittura commossa! Grazie sul serio e di cuore...Spero continuerete a sostenermi sempre così!

Cercherò di rispondere entro domani...Perdonatemi se non lo faccio adesso ma domattina lavoro e la sveglia suona presto...Devo proprio andare a dormire! =(
Un bacio a voi tutte e buonanotte

Matisse! :)


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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


edsid7
My Ugly Boy










"E dunque...Te ne sei fatta una ragione, adesso? Edward Cullen è impe - gna - to." - Angela pronunciò le ultime parole con tono solenne prima di ingurgitare, voracemente, una grossa porzione di carne fredda e patatine. Maledissi il suo stomaco senza fondo - a me l'appetito era praticamente scomparso - e mi augurai che le andasse di traverso, dopo il commento lapidario col quale aveva definitivamente spento il mio già scarno entusiasmo.

"E' inutile che mi rivolgi queste occhiatacce."
"Sei disgustosa. Mangi senza freni. Diventerai un bisonte e Ben non ti si filerà più."

Addentò un tramezzino ripieno di wurstel ed insalata. Ero davvero senza parole.

"Mi guarderà eccome, Isabella. Gli piacciono le mie curve..."
"Perchè, te le ha viste?" - La stuzzicai, ridacchiando.
"Potrebbe..." - Rispose allusivamente, leccandosi le dita con cui aveva raccolto un po' di maionese sfuggita al suo pasto - "E comunque...Non mi riferivo a questo. So che mi stai guardando male per quel che ho detto. Non per quel che sto mangiando."
"E' vero" - Ammisi - "...ma resta il fatto che sei disgustosa."

Angela rise di gusto. Non era una novità per noi quel modo di riprenderci e scherzare con tono quasi sgarbato. Gli altri non avrebbero mai compreso ma la mia amica avrebbe percepito ad un miglio di distanza che, semplicemente, la stavo prendendo in giro bonariamente. Ed avrebbe risposto per le rime ad ogni mia provocazione.

"Bella, perchè non te ne fai una ragione? E non venirmi a dire che sei innamorata!"
"No...non lo sono..."
"Appunto. Su, mettici una pietra sopra. Con quel faccino lì che ti ritrovi.." - Mi alzò il mento con due dita - "...sai quanti belli e dannati conquisterai? Edward è solo un coglione, ecco!"
"Angela!"

Ridacchiò, scostandosi.

"E' vero! Uno che preferisce un orango ad una sirenetta come te può essere soltanto un coglione! Ah senti..." - Pronunciò dopo, cambiando discorso improvvisamente - "...E con Oliver? Concluso nulla?"
"In che senso, scusa?" - L'osservai sbigottita.
"Avanti, non farmi l'ingenuotta...Mi hai detto che t'ha riaccompagnato a casa, dopo le prove, no? C'ha provato? Tanto è chiaro che muore per te!"

Sospirai, rassegnata.

"No, Angie. Non c'ha provato. Non tutti sono così materiali come te."
"Davvero non ha fatto nulla? Non ha tentato di darti neanche un bacino piccolo piccolo così??"

Scossi la testa.

"No vabbè...è coglione anche lui!".

La guardai ancora ad occhi sgranati, prima di trarre un lungo sospiro.

"Mio Dio, Angela...sei un caso perso!" - Esclamai infine ridacchiando e tenendomi la fronte con una mano.

Angela era davvero un tipo impossibile: doveva sempre, obbligatoriamente, vedere amori e sotterfugi amorosi ovunque. Ed interpretarli, ovviamente, in modo molto pratico. Credo avesse visionato troppi film a carattere sentimentale.

Effettivamente Oliver si era comportato in modo molto carino con me allorché, nel pomeriggio precedente, si era così gentilmente offerto di riaccompagnarmi a casa dopo quelle prove disastrose cui avevo preso parte da spettatrice.
Prove disastrose, esatto...Ma non certo perchè alla band in questione mancasse il talento. Tutt'altro: ero seriamente convinta che ognuno di loro fosse nato per la musica.

Disastrose per questioni personali, ovviamente. Disastrose dal momento stesso in cui Marlene aveva messo piede in quel garage ed a me si erano spalancate così garbatamente le meravigliose porte della realtà: io, in quel posto, ero più fuori luogo ed inopportuna di quanto potesse augurarmi il mio peggior nemico.
Non ero altro che una sciocca ragazzina viziata, una stupida, stupida illusa che si era convinta, senza alcun ragionevole fondamento, di poter conquistare il cuore di quello scapestrato dongiovanni che era Edward Cullen.



"Sei una vera imbecille. Complimenti Isabella Swan."

Non avevo fatto altro che ripetere queste paroline magiche nella mia testa per tutto il tempo necessario affinchè Oliver ed il gruppo potessero provare le ultime due canzoni del repertorio. Ed anche quando, abbandonando il vecchio garage, avevo di nuovo respirato l'aria pura di Londra tentando di lasciarmi alle spalle quella triste sensazione di sconfitta, anche allora avevo continuato a darmi della stupida.

Del resto, avrei potuto andare dove volevo: i problemi e le mie incertezze, me le sarei portate ovunque. Anche se mi fossi immersa nel verde di Hyde Park, lontano da Brixton, lontano da tutto ciò che mi ricordava lui, anche in quel caso avrei continuato a pensarci.
Anche in quel caso avrei continuato a sentirmi una piccola ragazzina inutile.
Una piccola ragazzina che, nonostante le ricchezze ed il prestigio sociale legato al proprio cognome, non avrebbe mai potuto conquistare un giovane di strada e povero in canna come Edward Cullen.


Non invidiai Oliver, quel pomeriggio: fui tutt'altro che di compagnia.
Non spiccicai parola durante il tragitto di ritorno ed ad ogni domanda rivoltami mi limitai ad assentire con qualche flebile monosillabo.
Tutto ciò che potevo ricordare di quel viaggio, di nuovo verso casa, altro non era che il mio viso riflesso nel finestrino del treno. Soltanto per puro caso avevo alzato lo sguardo incontrando la mia espressione assente, le labbra alterate in una smorfia risentita, e quel trucco sbavato che male incorniciava i miei occhi, confondendosi con qualche lacrimuccia indispettita. Quasi avevo faticato nel riconoscermi. In ogni caso, una tale consapevolezza di me stessa mi era stata poco d'aiuto: avevo realizzato d'un tratto quanto poco avessi impiegato per infilarmi la mia dignità sotto i piedi per qualcuno che, forse, non mi filava neanche lontanamente e m'ero sentita improvvisamente ridicola vestita e conciata in quel modo. Cosicchè, ancor più corrucciata, m'ero rinchiusa nel mio mutismo, rannicchiandomi nel piccolo sediolino e sottilineando, in questo modo, ancor di più la gravità della situazione.
Oliver non aveva protestato neppure una volta di fronte a questo mio eccentrico atteggiamento. Neppure un sospiro stizzito aveva lasciato le sue labbra e, benché fossi consapevole di aver smorzato tutto l'entusiasmo iniziale che aveva mostrato allorchè gli avevo proposto di abbandonare insieme il vecchio garage, aveva sopportato stoicamente la faccia annoiata della piccola e capricciosa Bella Swan, davvero senza battere ciglio.
Ero certa di piacergli: determinati atteggiamenti non potevano sfuggire all'occhio femminile, neppure a quello di una ragazzina inesperta come me. Certe occhiate insistenti, certe parole sospese. E quello sfiorarmi che, d'improvviso, mi coglieva nei momenti  più inaspettati. Ciononostante, da bravo ragazzo qual'era,  Oliver non si era mai spinto oltre e, nonostante il mio interesse per Edward fosse palese e, soprattutto, fosse cresciuto in maniera esponenziale nell'arco di appena una settimana, non aveva espresso neanche una volta il proprio disappunto. O forse sì, mi era parso soltanto un po' restio alla mia presenza alle prove il giorno prima, allorché Alice mi aveva invitato al garage di Brixton Road.
Ma nulla di più, sul serio.


Di ritorno a casa, al 191 di Queensgate, il pomeriggio precedente. Oliver mi aveva aiutata ad intrufolarmi in casa dal retro - un'accortenza in più del dovuto, giacchè sia Charlie che Renèe erano ancora in giro, per motivi differenti. Ma tant'è, la prudenza non era mai troppa.
Aveva rispettato sino ad allora il mio silenzio ed aveva continuato anche quando, lasciandomi un soffice bacio sulla guancia, aveva sussurato un flebile "Vorrei che fossi felice, Isabella. Non darti pensiero di certe cose inutili."

E certo, l'avevo guardato sgranando gli occhi, sorpresa, mentre la sua figura scura si allontanava sotto il cielo ormai cupo della città. Non me l'aspettavo, ecco: non immaginavo tanto tatto nei confronti di un atteggiamento - il mio - assolutamente deprecabile.
Ero piacevolmente sorpresa, dopotutto.
Sì, poiché non avevo raccontato alcuna bugia  ad Angela: Oliver non m'aveva sfiorato neppure un attimo, mostrando una delicatezza impressionante.


Sospirai, un po' comicamente ripensando agli avvenimenti della giornata ed Angela mi guardò di sott'occhio, con sguardo malizioso.

"Mal d'amore, signorina Swan?"
"Oh, Angie...Non vedo l'ora che la scuola finisca..."
"Ah sì, anche io non la tollero più...tutti questi compiti, queste  interrogazioni...Fortuna manca solo un mese!"
"No, no...Non è per questo. Lo studio non mi pesa. E' per l'isola, Angela..Lo so, ne sono certa...Soltanto sull'isola potrò dimenticarmi di tutto...Sulla mia isola..."


Già. L'isola, ossia l'isola di Saint Martin, una piccola perla del mare inglese abitata, nei periodi invernali, da appena 142 anime. In questo paradiso terrestre mia madre era proprietaria di una graziosa villetta con giardino, una vera e propria fortuna ereditata alla morte di una vecchia zia. Da quando ne eravamo entrati in possesso, un paio di anni prima, si era ormai trasformata, ufficialmente, nella nostra residenza per le vacanze estive. Mia madre aveva trovato, in tal modo, un ottimo escamotage per evitare l'annuale trasferta verso Forks, piccola e piovosa cittadina nello stato di Washington, nella terra natia di mio padre: detestava l'America, lo sapevo bene benché cercasse in ogni modo, Renèe, di non lasciar trasparire eccessivamente questo suo sentimento deprecabile nei confronti della patria d'origine di suo marito. Per quanto mi riguardava, non avevo avuto problemi nell'accettare tale inversione di marcia: adoravo Saint Martin. Adoravo le sue spiagge bianche, l'aria frizzante della sera e quelle scogliere dure, dai colori scuri, sulle quali ero solita fermarmi ad ammirare il tramonto rosso sul mare, dimenticando anche il mio nome.

Dovevo essere onesta: non amavo Forks  più di quanto non lo amasse mia madre. Detestavo tutto ciò che fosse freddo e bagnato ed a Forks qualsiasi cosa rispecchiava tali caratteristiche. Del resto in un posto in cui pioveva trecento giorni l'anno, non avrei potuto aspettarmi niente di più.


"Bella..."
"Uh?" - La voce di Angela mi riscosse dai miei pensieri lontani. Aveva un tono un tantino perplesso. O forse preoccupato.
"Che c'è?"
"Alice Cullen ad ore dodici. E punta dritta verso di noi."

Mi voltai nella direzione indicatami da Angela incontrando una Alice trafelata e dall'aria evidentemente preoccupata: correva trascinandodi dietro la sua borsa, mentre la giacca, alcuni fogli sparsi ed i block notes le svolazzavano ai lati delle braccia.

"Bella! Isabella, ho bisogno di te!"

Risultò talmente precipitosa da non riuscire a frenarsi in tempo giunta in prossimità del suo traguardo: mi cadde letteralmente addosso con tutto il suo carico di appunti.

"Ehy! Sta' attenta!" - Esclamò Angela riparandosi da un paio di fogli che le svolazzarono intorno, molto comicamente, prima di finire sul grigio selciato del cortile scolastico.
"Scusa....Davvero, scusatemi! Sono un impiastro!"

"Non importa Alice!" - Risposi aiutandole a raccogliere le su cose, alzando la voce di un'ottava per non consentirle di udire quel "Puoi giurarci.." lapidario proveniente da Angela. Qualche studente curioso della Queen Elizabeth ci passò accanto lanciando occhiatine divertite.

"Che ti è successo?" - Domandai infine.
"Oh, Bella!" - Alice spalancò le braccia cingendomi le spalle con foga e lasciando ricadere nuovamente in terra tutto ciò che era riuscita a raccattare. - "Ti prego, devi aiutarmi!"

Ovviamente la guardai piuttosto sconcertata e non meno sorpresa fu l'occhiata che mi riservò Angela. Ma, d'altronde, Alice aveva un'espressione così suppichevole che non ebbi cuore per rifiutarle alcunchè. Per cui le domandai, anzitutto, piuttosto placidamente, cosa mai fosse accaduto per preoccuparla così tanto.

"Oggi Edward verrà a prendermi a scuola. Ma io avevo già appuntamento con Jasper, Bella...E non posso rimandare! Ti prego, dammi una mano!"
"Scusami Alice, ma...Edward sa perfettamente che stai con Jasper, non è un segreto mi pare...dove sarebbe il problema?"
"Oh Bella...E' vero, Jazz ed Edward sono amici ma...io sono pur sempre sua sorella. Ed Edward è un tipo geloso...Mi farebbe un sacco di storie se anche oggi uscissi con Jasper....Ma non posso mancare, l'ho promesso!"

"...Mmmm..." - Mormorai poco convinta. - "Ed io, in tutto questo, cosa c'entro?"
"Dovresti coprirmi con Edward...Magari potresti...ecco, invitarlo da qualche parte, per intenderci. Tu lo distrai ed io sgattaiolo via....Che ne dici?"

Mi parve d'ingoiare un rospo e per poco non mi strozzai; Angela, acquattatasi dietro Alice, si sbracciava in modo strano, muovendo le labbra freneticamente nel suo disperato tentativo di dirmi "No, non farlo".

"Alice io...."
"Oh, ti prego! Ti prego, ti prego, ti prego! Oggi è il nostro mesiversario e Jasper mi ha promesso una giornata molto romantica...Ti prego, fallo per me! Sono certa che Edward non rifiuterà la tua compagnia, gli sei....così simpatica! Ti prego, Bella!"

Alice mi si gettò addosso con ritrovata foga e gli occhi dei presenti, su di noi, aumentarono a dismisura.
Mi sentii morire per la vergogna.

"Ehm...Sì, ecco, Alice..."
"Allora?? Mi darai una mano?? Si tratta soltanto di qualche ora con Edward....Ti prego!!"


No.
Non  avrei dovuto farlo, non dopo tutto quanto era accaduto soltanto il pomeriggio precedente.
Avevo chiuso con Edward. Seriamente.

......


Ma Alice...
Alice mi guardava con occhi tanto supplichevoli....E...mi aveva stretta con così tanta forza.
Tutto ciò che desiderava era trascorrere del tempo  con il proprio ragazzo.
Ed io avrei potuto aiutarla..

Sarebbe stato così scortese risponderle con un rifiuto: mostrava così tanta fiducia in me!
Inoltre, sarebbe stata un'occasione quella per dimostrare,  sia ad Edward ma, soprattutto, a me stessa che...Sì, che avrei superato tutto quanto era accaduto.
Edward non era niente. Niente per me, del resto.


"D'accordo, Alice. A tuo fratello ci penserò io."
"Oh, Bella!!! GRAZIE!"

Per poco non mi soffocò nel suo abbraccio pieno di gratitudine; sorrisi tra me e me, ricambiando il gesto. Poi incontrai gli occhi minacciosi di Angela e non sorrisi più.



"Bene...Allora posso andare a lezione, adesso! Sono molto più tranquilla...Grazie mille Bella, grazie davvero!"

Alice pronunciò le ultime parole così rapidamente che non ebbi tempo per rispondere al suo ringraziamento tanto accorato; un attimo prima le sue braccia morbide mi contornavano le spalle ed un attimo dopo non c'erano più. Tutto ciò che riuscii a percepire, quindi, fu la sua voce, già distante, mentre mi urlava:

"Alle tre, puntuale, fuori scuola! Raggiungilo subito!"

Dopodichè osservai la sua bella testolina nera scomparire nel marasma di studenti della Queen Elizabeth. E sospirai, già pronta a ricevere una ramanzina con i fiocchi dalla mia amica.
In realtà Angela - che mi stava guardando con evidente disapprovazione - non si profuse in un discorso particolarmente lungo o ricco di parole. Gliene bastarono tre o quattro e risultò comunque sufficientemente eloquente:


"Sei una cogliona anche tu, Swan."

Non mi riuscì di ribattere:  maledizione, aveva ragione!





*



"E...Edward?"

L'avevo riconosciuto da quel giubbotto scuro, sbrindellato su di un lato e rattoppato alla buona con delle spillette.
Se ne stava placidamente poggiato al solito muretto di cinta della casa dai mattoncini rossi - quella di fronte scuola - e fumava una sigaretta lentamente, guardando altrove, verso la strada.
Per un istante mi parve di avere a che fare con un déjà - vu: stavo letteralmente rivivendo la stessa, identica scena soltanto di una settimana prima.

Ok.
Rewind. Play.



Mi ero ripromessa di essere dura. Di non mostrarmi incerta o titubante, nè impressionata dalla sua presenza.
Eppure...eppure quella sua figura aveva inevitabilmente  già costretto il mio cuore ad un sussulto.

edward si voltò lentamente nella mia direzione.

"Ciao Isabella..." - Mormorò gentile.
"Ciao....Come...come mai qui?"
"Sono passato a prendere Alice. Non mi va che faccia sempre la strada fino a casa da sola."

Annuii.

"Ecco però....Credo che Alice non possa venire con te, adesso...E' stata trattenuta per una lezione nel pomeriggio..."
"Lezione del pomeriggio? Ma non finite alle tre, scusami?"
"Ah sì, sì certo..." - Cincischiai agitando la mano. Ero piuttosto incapace di mentire...soprattutto se il mio interlocutore era Edward - "...Tuttavia, Alice è stata scelta come tutor di letteratura per una compagna di classe che ha difficoltò nello studio, di conseguenza...Si tratterrà a scuola ancora per un po'..."
"Fantastico..."

Osservai la sua espressione spazientita ed un po' sorrisi.

"Beh..." - Aggiunsi flebilmente - "...Potresti aspettarla insieme....a me." - Le ultime parole uscirono in sussurro. Per un attimo non le afferrai io stessa. Almeno così mi parve: in realtà Edward le aveva percepite perfettamente.
"Con te?"

Annuii.

"Potremmo andare a fare un...giro. Nel frattempo, intendo."
"Un altro?"
"Già..." - Deglutii.

Gettò ciò che rimaneva della sigaretta in terra, calpestandola con la punta delle Converse, in un gesto quasi seccato.


"Ecco Bella. Hai fatto la tua bella figura di merda. Tanto ti dirà di no.."

La mia testolina aveva cominciato quasi subito ad elaborare autonomamente congetture catastrofiche.
Tuttavia fu bloccata quasi istantaneamente.

"Ok."
"Cosa?!" - Esclamai quasi strabuzzando gli occhi. Non credevo alle mie stesse orecchie.

"Ho detto...ok. Andiamo. Però ad una condizione..."

Lo guardai a bocca spalancata.

"Qua...Quale?"
"Che stavolta sia tu a portarmi in qualche bel posto....Non posso organizzare sempre tutto io...Ci stai?"


Riflettei un attimo soltanto.
Mi stava sfidando.

Sorrisi improvvisamente sorniona.

"Ci sto!" - Esclamai con tono provocatorio.




*



"Westminster?" - Domandò dubbioso inarcando un sopracciglio.

Ridacchiai.

"In quale altro posto avresti immaginato ti portasse una brava studentessa della Queen Elizabeth?"

Rise anche lui. L'autoironia era il mio forte, decisamente.

"Giusto. Che stupido."
"E' inutile che mi fai quel faccino lì..." - Lo punzecchiai in risposta all'espressione  bonaria di scherno che gli si era dipinta sul volto. - "Potresti rimanere davvero sorpreso. Londra di bello non ha mica solo Camden Town, sai? E scommetto che ti piacerà restare qui."
"Vedremo..." - Mormorò sornione.

Quel pomeriggio Westminster appariva più bella del solito, affascinante come un delizioso quadretto dei tempi antichi.
Ne ero innamorata, letteralmente, da che ero bambina e, tuttavia, ogni volta che tornavo tra quelle strade mi sembrava di mettervi piede per la prima volta. Sempre con la medesima gioia accoglievo la brezza fresca proveniente dal fiume che veniva a scompigliare i miei boccoli bruni; sempre col medesimo stupore guardavo al Palazzo del Parlamento mentre si specchiava sulle acque placide del Tamigi. Non esisteva nessuno spettacolo più bello per me.


Il sole era straordinariamente caldo e luminoso, quel giorno.
Camminavo a passo spedito, leggera ed insolitamente raggiante, mentre ed Edward mi veniva dietro senza perdermi di vista; di tanto in tanto l'osservavo con la coda dell'occhio - ancora incerta se ciò che stavo vivendo fosse o meno un semplice parto della mia fantasia - e sorridevo nello scoprire l'espressione attenta, quasi  accigliata, con cui scrutava il paesaggio circostante.
Intorno a noi, famiglie felici si muovevano con passo indolente e tranquillo lungo la passeggiata sul fiume, guardandosi intorno con fare distratto e fermandosi ad acquistare, di tanto in tanto, palloncini o dolcetti per i propri bambini. Un vecchio signore, all'angolo, suonava con trasporto il suo violino: Edward gli lasciò qualche monetina nel vecchio capello e l'uomo lo ringraziò con un inchino.
Lo guardai curiosa e fece spallucce di tutta risposta.

"Era tutto ciò che avevo in tasca. Però volevo darglielo, se lo merita. E' davvero bravo."
"Gli hai dato dei soldi soltanto perchè suona bene?" - Ero sconcertata.
"Certo che no, Bella. Glieli ho lasciati perchè tutti noi abbiamo diritto a vivere una vita dignitosa. Quell'uomo più degli altri."
"E perchè più degli altri?" - Domandai perplessa.
"Perchè potrebbe trovarsi un lavoro normale, qualcosa che gli frutti più soldi, magari. Ed invece, nonostante la miseria, quell'uomo non ha abbandonato il suo sogno, il suo unico amore: la musica. Pur di suonare il suo strumento preferisce patire la fame e dormire sotto la pioggia. E' ammirevole."

La serietà con cui Edward pronunciò quelle parole mi indusse ad un sussulto.

"Faresti lo stesso anche tu?"
"Sì, diamine! Certo che sì... La musica è tutto per me. Se tu avessi un sogno, invece? Non lotteresti anche contro il resto del mondo piuttosto che vederlo andare in frantumi?"

Meditai qualche istante, guardandomi la punta delle scarpe.

"Se avessi un sogno...." - Mormorai piano - "Sì. Lotterei contro tutto e tutti, pur di realizzarlo..."
"Pur di viverlo..."
"Già..."
"E non ce l'hai, un sogno?"
"No..." - Ammisi mestamente. - "Non ancora..."

Chiusi gli occhi ed attesi la sua risata. Sì, la sua risata, esatto: cos'altro avrebbe mai potuto fare Edward, infatti, se non ridere e schernirmi per la mia superficialità?  Da maledetta, vuota ragazzina borghese qual'ero, gli avevo appena confidato di non avere alcun sogno tutto mio, nessun ideale da perseguire, alcun obiettivo da realizzare.

Grandioso, Isabella!

Sospirai, sulle spine. Edward, di tutta risposta, poggiò la mano sulla mia spalla sinistra.
Il suo palmo era caldo e morbido.
Riaprii gli occhi di scatto, guardandolo.

"Sono certo che....anche tu abbia il tuo sogno. E' soltanto troppo presto per scoprirlo...."
"Soltanto troppo presto per scoprirlo..." - Ripetei a mezza voce, emozionata. Il mio cuore doveva aver perso un battito mentre osservavo i suoi occhi così verdi e così straordinariamente sinceri.

"Allora?" - Pronunciò improvvisamente.
"Allora cosa?" - Ero ancora un po' intontita, dopo la sua ultima uscita.
"Allora....dove vogliamo accomodarci? Non vorrai farmi camminare per tutta Londra, spero..!"

"Oh no...!" - Esclamai improvvisamente, scuotendomi dai miei pensieri. - "Certo che no....."

Allungai il collo e la ritrovai lì: la mia panchina preferita. Quella che tutti disdegnavano perchè si trovava dall'altro lato rispetto al London Eye. In una zona meno in vista che i passanti tendevano a snobbare, senza comprendere quanto fosse, in realtà, altrettanto meravigliosa.
Era libera, ovviamente, ed era tutta per noi.

"Lì!" - Indicai la destinazione prescelta e, senza neanche dare ad Edward il tempo necessario per realizzare la mia mossa, lo anticipai correndo sino alla panchina. Mi arrampicai su con agilità, gettando in terra la sacca dei libri; chiusi gli occhi, spalancai le braccia e mi lasciai travolgere dalla brezza fresca proveniente dal Tamigi, fingendo di trovarmi sulla prua di una bella nave. Era un gioco che mi piaceva fare spesso.

In sottofondo udii la risata limpida di Edward ma non risposi. Continuai a godermi il momento finchè le ginocchia vennero meno e crollai miseramente su me stessa. O meglio: crollai, non tanto miseramente, tra le braccia del mio accompagnatore.

"Che diamine...!"
"Eri buffa ed ho voluto farti uno scherzetto..."
"Mi hai fatto cadere tu?!"
"Basta toccare i punti giusti e...si cade come una pera cotta!"
"Brutto stronzo che non sei altro..!" - Protestai battendo una mano sul suo petto.
"Beh, di che ti lamenti....Nonostante tutto ti ho salvata da una bella caduta, no?" - Ironizzò e, per sottolineare maggiormente il gesto da cavaliere, mi strinse ancor di più tra le braccia: percepii la meravigliosa sensazione di calore emanata dal suo corpo a contatto con il mio ed avvampai bruscamente.
"Avrei potuto farmi....male.." - Mormorai incerta, dunque.
"No, non avresti potuto." - Rispose risoluto - "Ti avrei salvata io. Ovviamente. Come del resto è accaduto!" - Terminò il suo discorsetto da supereroe con una linguaccia prima di riaccomodarmi sulla panchina. Seduta, stavolta.

"Quindi...." - Riprese - "...Perchè hai scelto proprio questo posto? Credevo mi avresti minimo portato sul London Eye..."
"Conosci anche il London Eye?" - Domandai inarcando un sopracciglio.
"Per chi mi hai preso, Bella...Non frequento certe zone ma non vuol dire che ignori le attrazioni della mia città!"
"..Mmm..." - Risposi poco convinta - "Se davvero non le ignori non dovresti neppure farmi certe domande. Ti chiedi perchè abbia scelto questo posto? Dico: ti stai guardando intorno, sì?"

Indicai con un ampio gesto della mano il panorama intorno a noi, con occhi sognanti ed estasiati. Il piccolo scorcio di Londra che si poteva apprezzare dalla nostra panchina era quanto di più simile ad un quadretto ottocentesco i nostri occhi avessero mai potuto contemplare. Il traffico, la confusione della folla, i clacson assordanti, la fretta dei passanti, i rimbrotti di mia madre, la severità dei miei insegnanti, gli ultimi paragrafi di storia, le divise troppo lunghe, tutto, tutto era lontano e privo di significato all'ombra del Big Ben. Si stagliava imponente sulla città e sembrava quasi guardarci e proteggerci come un padre burbero ma amorevole che accolga i propri figli allontanandoli dal male e dalle brutture del mondo.
E sotto di lui, placido e meraviglioso, il Tamigi scorreva tranquillo, come da secoli accadeva, incurante del tempo e della gente. Le sue acque così scure e profonde celavano grandi misteri, forse antichi dolori: rispettavo profondamente quel fiume silenzioso ed i segreti che custodiva dentro di sè.

"Hai ragione, Isabella. La vista da qui è meravigliosa."
"Non si tratta soltanto di "panorama" - Precisai - "....E' una questione più profonda. Ogni volta che mi soffermo, fosse anche per pochi secondi, sullo scorcio della nostra città ho un tuffo al cuore.  Ogni dettaglio di Londra parla di un passato che non abbiamo vissuto, di un'emozione che solo poche persone possono cogliere. Non lo senti, anche tu? Non ti sembra di vivere un sogno?"
"Sì, è così." - Ammise.
"E' una sensazione così vasta e travolgente da far male. E per viverla ho bisogno di silenzio, di stare lontana dal caos. Qui riesco a dimenticarmi di tutto, ad essere felice...Vorrei essere più precisa ma non riesco a spiegarmi con le semplici parole..."
"Beh, credo di averla intesa, comunque. E' una specie di amore, il tuo."
"Una specie di amore....Sì, esatto. E' così..."





Per un po' non parlammo, troppo presi dal contemplare la bellezza che si stagliava placida di fronte a noi. Cullati dal suono delle acque che scorrevano sotto di noi, godemmo di qualche istante di silenzio finchè, per stemperare quell'aria non tesa ma quasi sacra tra noi, non mormorai:

"D'altronde, sul London Eye avremmo dovuto pagare per salirci. Ed io non ho abbastanza sterline per entrambi, quindi..."

"Stai forse insinuando che non avrei potuto pagarmi il mio biglietto?"
"Perchè, avevi i soldi?" - Lo stuzzicai acidamente.
"Altroché! Per pagare ad entrambi, per giunta!"
"Ma va, non ti crede nessuno!"
"Piccola peste maleducata che non sei altro...!" - Esclamò tentando di agguantarmi. Scattai piedi ridendo ma non abbastanza velocemente per sottrarmi alla sua morsa: mi riacciuffò in un istante costringendomi a cadere di schiena. Direttamente su di lui.

Non trovai la forza per rialzarmi. Avrei dovuto farlo. Avrei potuto farlo.
E, dannazione....Non potevo stare al suo gioco! Edward aveva una ragazza. Edward amava Marlene! Mentre io...io...


"Ehm...Ok, ok! Stavo scherzando....Chiedo...chiedo perdono!"
"Credi che ti lasci andare così facilmente?"
"Mmmm...No?"
"No. Siediti qui..." - Mi consentì d'accomodarmi di nuovo sulla panchina, seppur a breve distanza da lui.

Sospirai di sollievo. Quantomeno avevamo eliminato il contatto fisico. Tentati di riprendere controllo sulle mie attività vitali, rallentando il respiro, per esempio. Dopo qualche istante anche il calore che avevo avvertito sino a quell'istante a livello delle guance diminuì, cosicché tentai di darmi un contegno maggiore.

"Allora?" - Esordii con voce quanto più ferma possibile. - "Cosa vuoi che faccia per scusarmi?"
"Più che fare, dire....Risponderai a qualche domanda per me. Ti va?"
"Questo è tutto?" - Risposi più tranquilla, stirandomi la gonna con il palmo della mano destra.  - "Vai, spara..."

"Ok.....Allora: colore preferito?"
"Ah, questa è facile. Bene....Blu. Sì, direi blu."
"Uhm...Sei una persona tendenzialmente calma e pacifica. Interessante. In che giorno sei nata?"
"Il tredici di Settembre. Perchè?"
"Vergine. Dio, che palle. Sei precisa e pignola!...Ouch!"

Coprì il volto con le mani prima che il quaderno che avevo lanciato nella sua direzione lo colpisse direttamente sullo zigomo.

"E sei anche violenta, Swan! Non va bene!"
"E tu sei un imbecille! Non sono nè precisa nè pignola. E neanche pacifica, per la cronaca! Per chi m'hai preso? Tu piuttosto....Da quando te ne intendi di oroscopi? Non pensavo che una sottospecie di musicista maledetto come te s'interessasse a queste sciocchezze!"

"Non se hai in casa una piccola peste come Alice, Bella." - Spiegò sorridendo - "... In quel caso, volente o nolente, metabolizzi anche cose di questo genere. Ah, grazie per l'appellativo: musicista maledetto sembra figo."

"Sei irritante oggi."
"Sì, vero?"
"Già..."

Sorrisi, senza farmi notare, della nostra piccola discussione. Poichè avevo compreso che, dietro quello sguardo accigliato e l'aria da tenebroso, Edward nascondeva un animo scherzoso e giocherellone riservato, probabilmente, solo ai più intimi. L'idea che potesse mostrarmi questo lato del suo carattere un po' mi inorgogliva, inutile negarlo. Mi piaceva il modo che aveva di scherzare, quel tono ironico e provocatorio che usava per stuzzicarmi, lo sguardo eloquente con cui amava osservarmi.

Maledizione!
Perchè diavolo continuavo a dimenticarmi di Marlene?
Perchè continuavo ad accantonare le promesse che avevo fatto a me stessa? Avrei dovuto rifuggire da Edward piuttosto che continuare a girarci intorno! Sapevo quanto tutto questo fosse sbagliato: ero consapevole dell'attrazione che esercitava su di me e credevo ormai, abbastanza ragionevolmente di risultare anche io un pochino interessante per lui, in un qualche modo che non, tuttavia, riuscivo a comprendere. Davvero mi sembrava impossibile che un ragazzo come lui, disastrato, strafottente, assolutamente disinteressato al mondo di fuori potesse trovare piacevole una piccola, sciocca ragazzina viziata dell'alta borghesia londinese. Eppure....Quel suo modo di guardarmi, di prendermi in giro, di giocare con i miei boccoli bruni...Ne ero certa, aveva il suo perchè.

Ed io non avevo posto alcun freno a tutto questo... casino.  Se mi fossi...sì, se mi fossi fatta male in tutta questa situazione avrei dovuto dare la colpa soltanto a me stessa!

Se soltanto Alice non mi avesse coinvolto io......Avrei potuto agire diversamente, avrei potuto dimenticare!
Io......

No, sciocchezze.
Ci sarei cascata comunque.
Perchè continuare a mentirmi? Ero felice! Felice di essere ancora lì, con lui....Di scherzare, di parlarci, di sfiorarne la mano delicatamente, di finire preda delle sue braccia. Nessuna trappola avrebbe mai potuto essere altrettanto deliziosa e piacevole, per me.


"Non hai fratelli tu?" - Domandò improvvisamente. Faticai qualche istante prima di riconcentrarmi sulla nostra conversazione.
"Io? Ah, sì, sì..." - Mormorai stentata - "..Ho una sorellina piccola. Ha sette anni e si chiama Elisabeth."
"Ed è una peste come te?"
"Ah, no!" - Ridacchiai - "E' terribilmente dolce. E docile. La vittima prediletta di mia madre....Mia madre è una specie di generale, ecco."
"Uhm...Da come ne parli immagino non andiate troppo d'accordo.."

Scossi il capo.

"No. Ultimamente poi...le cose sono peggiorate terribilmente. Mamma tenta di soffocarmi in ogni modo umanamente possibile mentre io vorrei soltanto...Poter avere diciassette anni. E nient'altro. Non è facile."
"E tuo padre invece?" - Sembrava incuriosito. - "Che tipo è?"

Sorrisi bonariamente. Adoravo mio padre.

"E' buono. E silenzioso. Mi difende sempre...quando c'è. Di norma, purtroppo, è impegnato molto con il suo lavoro...Charlie lavora all'ambasciatata americana...A casa è presente raramente."
"Americana?" - Domandò sorpreso - "E' americano, tuo padre?"
"Già. E per metà lo sono anch'io!" - Risposi quasi orgogliosamente.
"Questo sì che è interessante!"
"C'avresti mai scommesso? Anche una tipa precisa, pignola e pacifica come me può riservare delle sorprese!" - Lo rimbeccai ridendo.
"Beh, sì...è davvero una sorpresa questa..."
"Tu ed Alice invece? Avete altri fratelli?

Scosse la testa mentre un sorriso mesto si dipingeva sulle sue belle labbra.

"No. Eravamo in quattro, fino a pochi anni fa. Io, Alice, mia madre e...mio padre. Eravamo una famiglia felice, sai?"  - Alzò lo sguardo verso il Big Ben e mi parve di scorgergli un leggero luccicchio all'angolo dell'occhio - "Soldi ne avevamo pochissimi, lo ammetto. Papà aveva perso il lavoro dopo che la fabbrica dove aveva lavorato come operaio per vent'anni aveva dichiarato fallimento. Cercava di arrangiarsi per quel che poteva e noi tiravamo la cinghia per andare avanti. Però non mancavano mai le risate o le chiacchiere divertenti. Non hai  idea di quanto bello potesse essere tornare a casa, dopo una giornata di merda, e trovare mamma ed Alice che cantavano gioiosamente stendendo il bucato mentre papà le guardava sorridendo."

Torno a guardarsi le mani, strette in due pugni sofferti.
Il cuore mi si strinse in una morsa.
Non dissi una sola parola per timore che una mia eventuale intereferenza potesse bloccare quell'improvviso flusso di pensieri, quello sfogo amaro che cercava la propria strada. Sapevo che Edward avesse bisogno di parlare, lo si comprendeva dalla fatica con cui sputava ogni singola parola senza, tuttavia, bloccarsi mai del tutto. E conoscevo anche perfettamente il finale di quella tragica storia, cosicché sospirai impercettibilmente prima di accogliere completamente il suo triste racconto.

"Poi un giorno schifoso di un anno e mezzo fa....Un amico di mio padre...Amico, poi! Un bastardo, ecco....Aaron Volturi...Lavorava con Carlisle in fabbrica. Si conoscevano da anni e mio padre si fidava di lui. Quel giorno bussò alla nostra porta. Chiese sorridendo a mio padre di accompagnarlo a sbrigare alcune faccende. Carlisle era ingenuo, si fidò di lui. Ma è da quel che non è più tornato a casa..."
"Cosa...cos'è accaduto?" - Mormorai sconvolta.
"Quel bastardo di Aro....Era a corto di soldi...Ha trascinato mio padre in una boutique verso Piccadilly, l'ha coinvolto in una tentata rapina. Mio padre non ne sapeva nulla, non capiva cosa fare, non aveva neppure idea di quel che stesse per accadere...Il negoziante era armato, non era la prima volta che subiva un'aggressione e s'era premunito..Aro è fuggito in tempo, Carlisle no. E' stato colpito alle spalle. E' morto dopo due giorni di agonia, Bella. Mio padre è morto come un miserabile. Ingiustamente."

Una piccola lacrima punse all'angolo dell'occhio.
Deglutii a fatica: sapevo che qualcosa dentro di me si stava sgretolando. Forse la certezza di una vita felice, forse l'idea che il mio male più grande potessero essere le punizioni di mia madre. Ed invece, in un mondo neppure troppo distante da me, sussistevano delle tragedie immense, senza ragione e senza soluzione. Edward, quel giorno ed in mia presenza si stava mostrando come il protagonista di uno di questi terribili drammi di vita. Neppure per un istante aveva desistito e senza alcuna vergogna mi aveva aperto il suo cuore e fatto dono dei suoi ricordi.
L'ammirai per questo ed il cuore sussultò quando la vista colse una lacrima ancor più piccola far capolino dai suoi occhi verdi e così improvvisamente opachi: l'ombra del dolore li andava trasfigurando e colpiva, contemporaneamente, anche l'anima mia.
Incerta, allungai una mano verso quel volto sofferente e mi bloccai un istante prima di raggiungere la sua carne morbida: Edward, voltatosi nella mia direzione, mi aveva improvvisamente trafitta con uno sguardo tanto intenso, tanto lacerante da far male.
Percepii distintamente lo stomaco contorcersi mentre i miei occhi studiavano la piega dura delle labbra e quella smorfia di disperazione dipinta sul suo volto.
Tremai, mentre i miei occhi incontravano i suoi, devastati e spauriti come quelli di un bambino che si scopra, improvvisamente solo al mondo.

"Oh Edward...!" - Mormorai piangendo.

Ed allora accadde. Ancora così profondamente commosso, ancora così fortemente impressionato, Edward impedì alla mia mano di raggiungere il suo volto. Intrappolò il mio polso nella sua stretta e con l'altra mano avvinghiò il mio corpo spingendolo verso di lui.

"Non voglio la tua pena...Non devi piangere...Non ti ho raccontato tutto questo per farmi commiserare da te.." - Sussurrò lentamente, poggiando la sua fronte alla mia in un abbraccio poco amorevole e tuttavia passionale. Un abbaraccio che faceva male.
"Non provo pena. Non è pena la mia credimi, ti prego!...Io non vorrei...non vorrei vederti soffrire così..." -Confessai socchiudendo le palpebre, incapace di reagire, di ribellarmi, di scalciare...Di abbracciarlo, semplicemente, a mia volta.

Ed allora accadde....Accadde che Edward mi serrasse più forte tra le sue braccia ed accadde che il calore del suo corpo raggiungesse il mio. E tuttavia rabbrividii come in pieno inverno. Sussurrò un tenero "Chissà se mi dici la verità..." prima di posare le sue labbra morbide sulle mie, in un bacio castissimo.

Sgranai gli occhi mentre realizzavo quel contatto così improvviso e del tutto naturale tra di noi.
Inizialmente m'immaginai prigioniera di un sogno che per troppe notti non avevo avuto neppure il coraggio di elaborare. Ma dopo qualche istante...Dopo qualche istante percepii chiaramente la morbidezza delle sue labbra carnose incollate alle mie ed il calore del suo respiro sulla mia bocca. Il suo profumo - profumo di Edward, riflettei, giacchè non combaciava con nessun aroma cui fossi abituata risultando, comunque, buonissimo - m'investì totalmente, frastornandomi ancora di più, se possibile.
Incapace anche solo di respirare, timorosa di sciogliere quell'incantesimo e desiderosa, al contempo, di farlo - forse per il timore, forse per la gioia eccessiva - mi limitai ad ancorarmi a mia volta al suo braccio ma in una posizione tanto scomoda ed instabile da presupporre certamente un labile desiderio di fuga.

Ero felice. E spaventata. Ed incredula. E.....


"Diavolo ma quello...Quello è Edward!"
"EDWARD CULLEN! Figlio di pu...."


Scattai irrigidita al suono di quella voce.
Una voce maschile che chiamava il nome di Edward. O, per meglio dire, lo urlava, rabbiosamente.

Edward, a sua volta, mi lasciò inizialmente di malavoglia. Poi, realizzando che le intenzioni di chi lo stava chiamando non dovevano essere particolarmente pacifiche - visto il tono di voce allarmato, se non iroso - si voltò in direzione della stessa dapprima disorientato e poi con aria seccata finchè....finchè non lo vidi sgranare gli occhi atterrito.

"Merda...."
"E..Edward?" - Domandai allarmata - "Che...che succede?"
"C'è Royce King...!" - Esclamò quasi urlando ed indicandomi un giovane dall'aria distinta e l'abbigliamento curato che avanzava minaccioso verso di noi, seguito da un paio di amici dalle intenzioni chiaramente non pacifiche.
"Chi cazzo è Royce King?!" - Domandai con voce stridula, quasi esasperata dal suo improvviso nervosismo.
"Non è l'ora delle domande!" - Mi afferrò per il polso, violentemente.
"Ahi!"
"Per piacere, ascoltami!" - Piantò i suoi occhi nei miei, improvvisamente risoluto ed al contempo spaventato. - "Mi faresti un favore? dopo potrai chiedermi ciò che vorrai!"
"Che...che favore?" - Biscicai.


"Niente di che....Devi solo ....correre...!" - Alzò lo sguardo per constatare la distanza - ormai ridotta - che ci separava da questo misterioso Royce. Io stessa mi voltai in tale direzione e...sì, dovevo ammetterlo. Era abbastanza vicino.
"Devo...devo correre?"
"Esatto, brava!...Corri Isabella, corri!" - Urlò Edward dunque,  con quanto fiato avesse in corpo e trascinandomi per un braccio. - "...Più veloce, prima che ci raggiungano!"

Immaginai di non aver mai avuto tanta fretta in vita mia: incespicai rimettendomi in piedi mentre Edward, letteralmente, mi tirava via dalla panchina, e faticai non poco a muovere i piedi in maniera sincrona mentre percorrevamo le scale che riconducevano alla passeggiata sul fiume. E tuttavia, quasi miracolosamente, riuscimmo nel nostro intento mentre, alle nostre spalle, la frase più dolce che potesse arrivare alle nostre orecchie era: "Vieni qui, bastardo!"
Non ebbi coraggio a proferir neppure una parola: ogni volta che tentavo di farlo alzavo lo sguardo e trovavo un Edward teso e trafelato. La magia di qualche istante prima si era dissolta come neve al sole e tutto ciò che potevo fare realmente era correre. Se un tipo come Edward aveva paura beh...ragionevolmente avrei dovuto essere spaventata anche io.

Attorno a noi molti passanti ci squadrarono con aria di disappunto: la scenetta che stavamo offrendo ai loro occhi non doveva risultare particolarmente piacevole anche perchè, nella fretta di fuggire via, Edward stesso aveva urtato alcuni malcapitati senza neppure fermarsi per chiedere scusa. Tutto ciò che m'interessava, tuttavia, era posare i piedi sul selciato nel minore tempo possibile e stavo seriamente tentando di concentrarmi in tal senso finchè non percepii il mio esile polso prigioniero in una stretta che non mi era familiare.
Mi voltai in tempo per ritrovare il bel viso di tale "Royce" a pochi centimetri dal mio: ci aveva raggiunti.

"Ehy!"
"Dove credete di scappare, eh??"

Edward si voltò di scatto, focalizzando immediatamente la scena offerta ai suoi occhi, il mio braccio bloccato dalle mani forti del suo nemico, i suoi scagnozzi a poca distanza da noi.

"Maledizione, non osare toccarla!" - Fu tutto ciò che riuscì ad urlare prima di lasciarmi la mano. Soltanto qualche istante: il tempo di sferrare al "nemico" un pugno tanto forte da costringerlo ad un mezzo giro su se stesso mentre il suo sangue mi schizzava leggermente il bordo della camicetta.

"Oh Mio Dio, Edward!" - Urlai portandomi le mani alla bocca - "Oddio! Gli hai rotto il naso!" - Piansi mentre il giovane s'accasciava dolorante in terra: uno dei suoi scagnozzi lo raggiunse prontamente, tentando di risollevarlo.

"Fottitene Isabella! E torna a correre, prima che arrivi la polizia!"
"Io...Io..."

Troppo frastornata, debole ed agitata per opporre resistenza, mi lasciai trascinare nuovamente dalla presa vigorosa di Edward. Tornammo a fuggire, forse con più enfasi di prima, consci che, dietro di noi, il manipolo di inseguitori doveva essersi momentaneamente dissolto vista la gravità della ferita riportata da Royce.
Continuai a correre, mentre un dolore diffuso si propagava lungo tutto il braccio: la presa di Edward, evidentemente, era tanto forte da bloccarmi la circolazione.
Mi risollevai dopo poco, tuttavia, sentendomi ormai al sicuro, allorchè, a poca distanza da noi, ritrovai il cartellone che identificava, in quel punto, la presenza della stazione della metropolitana.

Anche Edward dovette notarlo giacché, immediatamente, mi spinse in quella direzione.

Non impiegammo mai tanto tempo per timbrare il nostro biglietto: le mani mi tremavano in maniera vergognosa.
Non impiegammo mai tanto tempo per percorrere le scale della metro: parevano non voler finire mai.

Non capii se dietro di noi ancora qualcuno ci inseguisse o, semplicemente, apparissimo, agli occhi della gente, come due pazzi che fuggivano da un fantasma; e tuttavia io stessa affrettai il passo allorché notai che il treno che c'interessava era in partenza: ero ancora troppo spaventata.
Edward spinse il mio corpo nel vagone con un gesto rapido, quasi violento, e riuscì egli stesso per miracolo a raggiungermi: appena entrato le porte si chiusero alle nostre spalle.

"Sorry..." - Biascicai a malapena ad una vecchia signora che mi squadrava con disapprovazione, avendola appena urtata nella foga di raggiungere il mezzo. Chissà come mi riuscì di trovare la forza e la lucidità, nuovamente, per rimettere mano alla mia educazione. Fatto sta che la signora neppure mi rispose: doveva essere davvero offesa.

Edward respirò forte, dietro di me, ed io lo seguii a ruota. Eravamo senza fiato.
Mi voltai leggermente, mentre il treno cominciava a partire, ed incontrai i suoi occhi verdi mentre alzava lo sguardo su di me, trafelato.

Inizialmente non percepii nulla, alcuna sensazione. Dopodiché, certa di essere al sicuro, una rabbia strana, quasi inspiegabile, cominciò a montarmi dalle viscere. La sentivo ribollire in me assieme a quel sangue che tornava a circolare libero dopo che Edward aveva lasciato la sua presa vigorosa sul mio braccio. Non potevo darmene una ragione ma trovavo assolutamente ridicolo tutto ciò che era avvenuto negli ultimi dieci minuti e beh...sì. Non tolleravo neppure l'idea che il mio "primo bacio" con Edward avesse potuto essere rovinato dalla sua smania di fare a botte con la gente. Era anche vero che quel bacio non avrebbe dovuto neppure esserci, tra noi, giacché Edward, per ciò che mi riguardava, aveva ancora una ragazza e, tuttavia, in quell'istante, non era Marlene il mio problema più grande.

Ripresi a respirare con forza, benché fossi riuscita a calmarmi un pochino ed a riconquistare il fiato perso.

Edward mi guardò perplesso. Ansioso.

"Bella! Bella, che hai? Stai bene?"

Deglutii lentamente, socchiudendo le palpebre. Poi riaprii gli occhi piantandoli bene nei suoi.


"Ora, Edward Cullen. Tu mi spiegherai tutto. Per - filo - e - per - segno." - Risposi con voce risoluta. - "E cerca di darmi una spiegazione valida per tutto questo casino se non vuoi trovarti con un basso sfasciato."






*



Scusatemi. Ho avuto un sacco di casini. Sto curando la gamba destra che si è letteralmente rovinata dopo una caduta al concerto dei Verdena (ma lo rifarei altre cento volte, per loro XD) e non vi nascondo che l'umore non è proprio alle stelle. Poi il lavoro, l'ispirazione che viene e che va...Un po' di cose.
Da domani risponderò alle recensioni che ancora mi aspettano..Scusate davvero per il ritardo, sul serio!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (a me, come al solito)....Lo dedico alle mie amiche di Fb (loro sanno chi sono)....Ragazze, vi adoro!
N.B: Come mi ha fatto notare, a ben ragione, una lettrice nella propria recensione, nel capitolo è presente un'incongruenza storica: il London Eye è stato costruito nel 1999, di conseguenza non esisteva all'epoca in cui ho ambientato la mia storia. Si è trattato di una mia distrazione di cui mi SCUSO con tutte voi...Poichè, tuttavia, mi spiacerebbe modificare l'intero capitolo spero vogliate perdonarmi l'errore e tenerlo come una specie di "licenza poetica"...Vi ringrazio. :)

A presto...
Matisse.



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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


edsid8 Sorry, sorry, sorry!
Manco da parecchio ormai, lo so...Vacanze a parte (sempre nella meravigliosa Inghilterra) sono tornata a lavorare il 15 AGOSTO (sì, avete letto bene) e fino a pochi giorni fa non ho avuto tregua....Ho lavorato mattina e pomeriggio ergo...Non ho avuto tempo per nulla, nè per la mia famiglia, nè per il mio ragazzo...nè per Efp. Però, adesso sono tornata ed anche se (come al solito) del capitolo non sono convintissima beh...non voglio farvi aspettare oltre, siete già state tutte molto pazienti! Spero che i miei Edward e Bella londinesi vi siano mancati....Non vedevano l'ora di tornare da voi!! ;)
Spero anche che vi siate divertite quest'estate...Raccontatemi cos'avete fatto di bello! :D
Ora vi lascio...Buona lettura, spero mi direte cosa ne pensate, come sempre....anche se son stata poco puntuale! :)
Un bacio :**
MaTiSsE!

PS: ho dato soltanto una lettura veloce...Questo capitolo è stato scritto recuperando ritagli di tempo tra una pausa e l'altra....Siate clementi! ;)





My Ugly Boy











POV BELLA



"Royce King era fidanzato con Rosalie."

Edward si teneva la testa tra le mani, parlando piano.
Un piccolo livido scuro andava dipingendosi sulle nocche della mano destra a testimonianza di quel raptus di violenza di cui si era reso protagonista solo un'ora prima, forse meno.
Mi accovacciai più comodamente sulla panchina dove avevamo trovato posto, sotto la stazione della metro di Gloucester Road,  e circondai le ginocchia con le braccia: la solita posizione di difesa che assumevo quand'ero molto arrabbiata o seccata.

In realtà, dopo le ultime parole di Edward, ero anche piuttosto sorpresa.

"Rosalie?"
"Già....Ovviamente non si trattava di una questione d'amore bensì di un fidanzamento fortemente voluto dai genitori di entrambi. Royce fa parte di una ricca famiglia dell'alta borghesia, suo padre è un famoso imprenditore nel campo dell'edilizia. L'unione King - Hale avrebbe costituito il matrimonio del secolo nella Londra che conta..."
"Quando, tutto questo?"
"Il matrimonio avrebbe dovuto essere celebrato il 12 Gennaio dell'anno scorso."
"Ed invece...?"
"Invece...La famiglia Hale ha avuto un tracollo finanziario improvviso. Il padre di Rosalie ha mal gestito un affare con una società estera ed ha perso buona parte degli investimenti fatti. Oltretutto, per imbarcarsi in un simile progetto aveva contratto parecchi debiti, certo di restituire fino all'ultimo centesimo appena l'affare fosse andato in porto. Le sue speranze sono andate in frantumi....La famiglia Hale è finita sul lastrico nel giro di pochissimi giorni."

Ero sconcerta.
L'idea che la miseria potesse colpire così all'improvviso non mi aveva mai neanche sfiorata. Avevo da sempre dato per scontato la mia ricchezza, il prestigio della mia famiglia, la nostra posizione sociale.
I nostri soldi costituivano una certezza. Una certezza su cui mi ero sempre adagiata, inutile negarlo, nonostante, il più delle volte avessi mostrato di disprezzare quel denaro come testimonianza vergognosa della mia posizione sociale, della Bella che non riuscivo ad essere.
Una macchia nera sulla mia ribellione, in pratica.
E tuttavia non riuscivo ad immaginarmi nella scomoda situazione di Rosalie. Io, Beth ed i miei genitori a vivere sotto un ponte da un giorno all'altro... Neanche per scherzo! Come poteva Rose sopportare tutto questo? L'improvvisa miseria, l'angoscia per un futuro incerto...E lo scherno della gente, certo!
Conoscevo il nostro ambiente sociale: ero certa che tutti i bravi "amici di famiglia" non avessero fatto altro che dileguarsi, nel momento del bisogno.

Secondo la nostra schifosa "etichetta" i ricchi non dovrebbero mischiarsi con i poveri. Mai. Neppure se quei poveri, un tempo, erano stati dei cari amici. Probabilmente, ad incontrarli per strada il papà o la mamma di Rose, i cari vecchi colleghi di lavoro o le brave signore dei salotti perbene avrebbero anche finto di non notarli. Oppure - peggio - di non conoscerli affatto.

Sospirai, agitata.

"Davvero non ne sapevi nulla?" - Domandò Edward perplesso. - "...Eppure gli Hale sono conosciuti nella Londra che conta. Il loro tracollo finanziario ha fatto scalpore."

Scossi la testa.

"No. Di norma non m'interesso di queste faccende ed ascolto poco le chiacchiere dei miei genitori. Comunque sia...Lasciami indovinare..." - Mormorai - "Il fidanzamento tra Rosalie e Royce è finito il giorno stesso in cui gli Hale hanno dichiarato fallimento. Vero?"

Annuì risoluto.

"Il fidanzamento ufficiale sì, quasi subito. "
"Il fidanzamento...ufficiale?"
"Già. Royce ha continuato a perseguitare letteralmente Rosalie nonostante i genitori avessero ormai dichiarato finita la loro unione. Ovviamente si tratta di una banda di esseri spregevoli cui interessava soltanto il denaro ed il prestigio sociale: una volta venute meno tali prerogative veniva meno anche l'impegno preso tra le due famiglie. L'amore, semmai fosse esistito, passava in secondo piano davanti a simili priorità. Tuttavia..."
"Tuttavia?"
"Tuttavia, a Royce la piccola Rose piaceva molto. Chiamalo scemo, del resto. Rosalie è una ragazza bellissima."

Annuii. Effettivamente Rose era davvero splendida con quei suoi capelli biondi e voluminosi , le labbra rosse, gli occhi grandi e dalle lunghe ciglia: una  bambola dalla pelle di porcellana ed il sorriso luminoso. Per non parlare di quel fisico mozzafiato che le avevo invidiato più o meno istantaneamente allorchè avevo fatto la sua conoscenza: io, così striminzita nella mia taglia small e senza un briciolo di curve mi ero sentita davvero a disagio rispetto al suo corpo prorompente.

"Dunque...Questo Royce dev'essere molto innamorato di lei..."
"Innamorato? Io direi ossessionato...." - Rise amaramente. - "O forse è semplicemente un depravato?...Rose risveglia i lati peggiori di quell'uomo...sai come si sono conosciuti, lei ed Emmett?"
"Co...come?"
"Un mese fa, circa. Io ed Emmett eravamo in giro per Camden Square quando siamo stati attirati da urla strazianti provenienti da una stradina in prossimità della via principale. Ci siamo incuriositi, siamo corsi a vedere cosa stesse accadendo e..."
"E...?"
"Abbiamo trovato Rose, circondata da Royce e da due amici suoi, ubriachi."
"Cosa...cosa volevano da lei?" - Mormorai temendo la risposta.
"Violentarla, Bella. Svegliati."

"Oh....!"

Portai una mano alla bocca, sconvolta dalle ultime parole di Edward. Non avevo esattamente idea - non nei particolari, perlomeno - di ciò che potesse significare subire una violenza fisica - un certo tipo di violenza, perlomeno - ma immaginavo l'orrore provato dalla povera Rose. Studiai rapidamente l'immagine mentale del viso di Rosalie, l'espressione tranquilla che ricordavo io, il suo sguardo amorevole, il sorriso luminoso. Mi meravigliai: pensai, forse scioccamente, forse no, che al posto suo avrei conservato un'aria sospettosa e diffidente, uno sguardo triste. Una smorfia di disappunto sulle labbra. L'ammirai per il coraggio che mostrava nell'affrontare ancora così serenamente la vita e la gente, nonostante tutte le disavventure trascorse.

"Sì ma...non capisco ancora....Perchè mai Royce vorrebbe picchiarti o Dio solo sa cos'altro?! Mi sembrava davvero agguerrito nei tuoi confronti!" - Scattai d'improvviso.

Edward sorrise sornione, senza guardarmi e scuotendo leggermente la testa.
Mi parve piuttosto divertito.

"Io ed Emmett....beh...Diciamo pure che gli abbiamo fatto passare i bollenti spiriti."
"L'avete picchiato?"
"Oh sì, puoi giurarci! Lui e quegli altri figli di puttana dei suoi amici ne hanno presi di calci nelle..."
"Edward!" - Inorridii.
"Ehm...ok, ok...Ci siamo intesi...Scusami, non volevo essere volgare...E' che mi faccio trascinare da certe ...questioni."

Gli rivolsi un'occhiata glaciale prima di riprendere a parlare.

"Ergo, vuole fartela pagare per averlo menato. E' solo per questo?"
"Solo per questo. Giuro." - Alzò le mani un po' comicamente ed a me venne da ridere.
"Ma come fa a sapere il tuo nome se il vostro unico....ehm...contatto è stato un round di boxe, in pratica?"
"Oh, Isabella...Il sognor King ha appigli ovunque...Molte conoscenze e molte spie...E' un miracolo che non sia ancora arrivato all'indirizzo di casa mia...O forse lo conosce già e tutto ciò che lo trattiene dall'avvicinarsi è l'idea che possa sfasciargli quel bel faccino che si ritrova. Del resto, per tutti, io sono il figlio di un delinquente. L'alone leggendario che mi circonda mi para sufficientemente il culo da qualsiasi situazione."

Risi con lui della battuta.

"Questo è quanto, Bella. Nessun sotterfugio, nessuna bugia. Per Royce King sarebbe un vero piacere farmi fuori con le sue stesse mani soltanto perchè gli ho insegnato a tenere a posto...beh, certe cose. Ma non mi pento del mio gesto, sai? Sono perfettamente consapevole del fatto che la violenza sia qualcosa di assolutamente sbagliato. Io purtroppo vi ricorro spesso perchè non so gestire le situazioni usando la sola favella: se mi arrabbio è finita, pugni e calci mi partono in automatico. E' un mio difetto, un terribile difetto, lo so. Ma stavolta ne vado quasi fiero: io ed Emmett siamo stati violenti a fin di bene. Nessuna ragazza dovrebbe subire un'esperienza tanto orribile come quella di una violenza fisica e gente come Royce King dovrebbe trascorrere il resto della propria vita in carcere, ai lavori forzati, per quel che mi riguarda."

Il tono risoluto di Edward mi commosse. E' vero, aveva dei modi di fare deplorevoli talvolta e nessuno gli aveva insegnato l'arte della diplomazia (ovviamente neanche a lui interessava apprenderla, ma tant'è..), e tuttavia aveva un buon cuore, come sempre avevo sospettato. Un cuore che non ammetteva ingiustizie, che mal tollerava l'arroganza e la prepotenza. Per quanto potesse essere un ragazzo di strada Edward aveva dei sani valori che tentata, purtroppo, di difendere e rispettare semplicemente nel modo sbagliato. Se soltanto fosse stato in grado di livellare determinati aspetti del proprio carattere sarebbe stato semplicemente perfetto.

Perfetto.
Edward...
L'osservai ancora un po', di nascosto. Ammirai quel bel profilo, il naso regolare, le labbra carnose. E quegli occhi che, seppur socchiusi, alla luce di un tenue sole, rivelavano un color smeraldo iridiscente e magnifico.

Edward.....

....

Edward!

Di colpo mi scossi mentre gli ultimi ricordi del nostro pomeriggio insieme prima dell'incontro turbolento con Royce King tornavano a galla.

Dio! Edward mi aveva....baciata!!

Scattai in piedi, improvvisamente raggelata, tenendo le mani strette a pugno.
Nel medesimo istante Edward, senza neanche aver notato il mio improvviso cambiamento, diede un'occhiata veloce all'orologio della metro.

"Bene. Penso che ci siamo detti tutto e per te si è fatto tardi, Bella..." - Mormorò alzandosi in piedi, anche lui. - "Devi tornare a casa prima dei tuoi genitori, credo...Ed anche io ho...da fare..."

Presi un grosso respiro mentre un'improvviso, stupido senso di ansia saliva dalla pancia sino alla gola.
Incredibile come l'umore potesse variare da un istante all'altro senza alcun preavviso.

Quando Edward si avviò verso il marciapiede opposto pronto ad accompagnarmi a casa, presupponendo che lo stessi seguendo senza fiatare, la rabbia e l'agitazione mi aiutarono, paradossalmente, a trovare addirittura la  forza per rivolgergli la parola in maniera disinvolta, evitando di balbettare stupidamente.

"Aspetta!" - Urlai con quanto fiato avessi in corpo. Una signora che, agghindata di tutto punto, usciva in quell'istante dalla metropolitana, mi sogguardò sospettosa. Non le feci caso e continuai a rivolgermi ad Edward:

"Aspetta! Non andartene! Non puoi andartene adesso...Io..." - Mormorai infine più cheta, quasi triste - "...Io devo sapere!"

Un attimo di silenzio separò la mia voce dalla sua. Soltanto un istante.

"Cosa, Isabella?" - Domandò improvvisamente turbato, voltandosi di nuovo verso di me. - "...Cosa ....vuoi sapere?"

Aveva lo sguardo triste di qualcuno che conosca già ciò che l'aspetta e ne abbia quasi timore. Sapevo che Edward  non avrebbe  desiderato parlarne, lo intuivo da queli occhi improvvisamente spenti, dalla piega ostile all'angolo della bocca. Tutto sommato  il turbolento incontro con Royce King doveva aver rappresentato, per lui, un ottimo escamotage per tirarsi fuori dagli impicci con me: credeva davvero che la commovente storia di Rosalie Hale sarebbe bastata per farmi dimenticare ciò che era accaduto tra noi? Credeva davvero di poter sfuggire al fuoco delle mie domande? Oh no, non sarebbe bastato così poco per fermare Isabella Marie Swan! Se pure Edward avesse pensato di aver commesso il più grande errore della sua vita avrebbe dovuto confessarlo senza mezzi termini!

Strinsi i pugni e respirai a fondo, cercando di prendere coraggio.

Dovevo prendere coraggio.

 

"Vorrei...Ecco..Voglio sapere che...Che significato ha avutoquel bacio di poco fa, Edward?"

 

Il nostro bacio, Edward.

 

Mi guardò un istante più del dovuto, con quegli occhi improvvisamente tristi e percepii qualcosa di indefinito morire dentro di me.

 

"Davvero non ci arrivi, Isabella?" - Sospirò quindi.

Scossi la testa.


"Sei così...ingenua..." - Mormorò dolcemente carezzandomi il viso con il dorso della mano. Chiusi gli occhi e mi lascia cullare dal quel tocco gentile.


Non posso innamorarmi di te, Edward. Non posso.

Non a queste condizioni.



"Vorresti dirmi forse che...ti piaccio, Edwad?"  Bofonchiai di botto. Certamente il mio viso assunse un buffo colorito paonazzo: chissà come avevo fatto a diventare, improvvisamente, così audace da scoprire tutte le carte in gioco fra noi. Avevo smesso di fingere, non riuscivo a crederci! E non solo: mi scoprii  tanto disinvolta da perseverare, addirittura, senza grossi problemi, nel mio sproloquio. - "...Vorresti farmi credere che forse posso risultare...Interessante, per te? Ma figuriamoci! - Funesta ed irritante, l'espressione vittoriosa della bionda Marlene si dipinse fastidiosamente davanti ai miei occhi, a memoria del fatto che il ragazzo che popolava i miei sogni da troppo tempo fosse proprietà di un'altra ragazza. E, tuttavia, continuava a giocare con me come se non avessi avuto un cuore od un briciolo di sensibilità. Percepii la rabbia accrescersi ulteriormente dentro di me e non riuscii a frenarla. - "...Credi che non lo sappia, Edward? Sono solo un'altra tra le belle bambole che ti saranno capitate a tiro! Ma stai pur certo che questa storia non durerà ancora per molto!"

Il lato orgoglioso e vagamente agguerrito che avevo ereditato - mio magrado - da mamma tornò prepotentemente ad impossessarsi di me: era da tempo che non mi mostravo tanto irrispettosa e sgarbata, seppur a ragione. Tuttavia, sapevo di essere al limite ormai, vittima di quell'improvvisa consapevolezza e dell'irritazione provocata dalle mezze parole, senza un reale significato, che Edward aveva rivolto - se non balbettato - al mio indirizzo. Cosicché riuscii a giustificare, in buona parte, il mio comportamento anomalo, così diverso da quello pacifico e diplomatico della Bella di tutti i giorni.



Da un angolino del mio Io, timidamente, la voce del cuore mi sussurrò, delicata:

"Aspetta! Dagli ancora una possibilità".

Stanca, le urlai di smettere e non udii più nulla.


"Che stai dicendo, Bella?" - Edward apparve confuso mentre tentava di trovare un senso alle mie ultime parole.
"Sto dicendo che hai una ragazza....E chissà quante altre stronzette che ti girano intorno. Io non sono la prima e non sarò neppure l'ultima tra le tante, Edward Cullen. Quindi, per piacere, non fare il sentimentale con me!"

"Non hai capito proprio niente..." - Indurì lo sguardo, mortificato. Poi si placò e tentò di riaccarezzarmi la guancia. Mi scostai.

"E' colpa tua! E' colpa dei tuoi atteggiamenti ambigui se non afferro un bel niente! ...Insomma...Mi stai appiccicato da mattina a sera, parli con me, fai il dongiovanni, mi guardi in maniera eloquente, mi porti in giro per farmi conoscere la tua vita ed i posti che ti piacciono di più...Però quando sei con la tua ragazza diventi un altro! Cosa vuoi che intenda? Ti interesso?? Ti va di prendermi in giro?? Non capisco! Ma sai che ti dico? Che probabilmente non c'è proprio nulla da comprendere! Ritorna...da Marlene, per piacere, e non infastidirmi più!"

"Che significa tutto questo, Bella?" - Mi squadrò confuso. Abbassai lo sguardo.

"Significa che....beh, sarà meglio che non ci si veda per un po', noi due. Ecco."
"Dio, Isabella! Che cazzo stai dicendo?? Io...."

"Shh!" - Urlai, scattando. Non volevo udire alcunché. - "Non aggiungere altro, Edward...."
"Ma io..."
"Io nulla! Ti prego, basta adesso! Non voglio...più parlarne...Anzi, ormai...è tardi per me. Adesso devo andare, scusami!"


Non ebbe il tempo materiale, Edward, per fermarmi o dirmi qualsiasi altra cosa. E questo perchè io voltai le spalle prontamente, scappando via, dall'altro lato della strada. Non mi girai a guardarlo, non gli rivolsi neppure un'occhita. Ma non per presunzione e neppure per rabbia: avevo semplicemente paura di provar dolore, paura di guardarlo un'ultima volta nella consapevolezza di avermi rifilato solo un mare di frottole e che il mio cuore ormai, in tutto o in parte, gli appartenesse irrimediabilmente.
Perchè lo sapevo: per una qualche strana ragione che mi era sconosciuta, nonostante il poco tempo trascorso assieme, il casino in cui c'eravamo infilati e la rabbia che in quel momento provavo per lui, un'attrazione speciale ed irrefrenabile mi legava ad Edward. Forse non si chiamava ancora amore quel sentimento strano ed irriverente  ma certo, si trattava di un legame particolarissimo e quasi incontrollabile.

Un legame che non avrebbe dovuto unirci poiché il cuore di Edward, viceversa, non apparteneva a me.

Con questa triste consapevolezza fuggii lontano e soltanto per poco schivai un'auto che viaggiava spedita lungo il corso principale. Dietro di me Edward chiamava il mio nome ma finsi di non udirlo mentre una  piccola lacrima scendeva lungo la mia guancia sinistra.






POV MARLENE



"Marla?"
"Rox, no. Arriverà tra poco, devo aspettarlo."
"Marla, è quasi mezzanotte. Edward non verrà più, ormai. Rinuncia. Si sarà fermato con qualche amico ed ha perso tempo. Vieni a dormire, coraggio."

Mi aggrappai con più forza al tavolo sbilenco della cucina. Una timida lucina illuminava un angolo della stanza. Tenevo la luce principale spenta sia per evitare di sperperare elettricità sia per evitare di dar fastidio a mamma che dormiva nella camera di fronte.
Povera mamma! Aveva proprio bisogno di riposare un po': negli ultimi tempi si era stancata troppo.

Mia sorella seguitò ad osservarmi con quell'aria di commiserazione ed un singulto fastidioso mi colse alla bocca dello stomaco.
Detestavo essere oggetto di pena e di scherno.

Immaginavo cosa le balenasse per la testa.

"Povera illusa! E' chiaro che Edward non ne sia affatto innamorato eppure continua ad aspettarlo come una devota mogliettina! Svegliati sorella, le favole per noi son terminate da un pezzo!"


La sua vocina compassionevole (o forse la mia? La coscienza tira dei brutti scherzi, tavolta) mi rimbombava nel cervello con petulanza e fastidio. Mi sarei fatta decapitare piuttosto che continuare ad ascoltarla. Tuttavia mi trattenni. Versai un altro po' d'acqua dalla caraffa e bevvi tutto d'un fiato, cercando di calmarmi.

"E' capitato già altre volte che abbia fatto tardi, Roxane."
"Sì, ma mai così tardi."


Dio, aveva ragione! La odiavo quando aveva una risposta per tutto! Io non ero mai né così convinta né così convincente con chi mi circondava.

Avanzò verso di me, avvolta nella sua vestaglia dai bordi piumati acquistata per una sterlina e trenta centesimi al mercatino dell'usato di Camden. Era così penosamente elegante ed un po' kitsch che mi venne da sorridere. Tuttavia lo tenni per me, avrei dovuto dare troppe spiegazioni.

"Marla...domattina hai la sveglia all'alba. Vieni a letto, coraggio."
"No."
"Dio, smettila!"
"Fatti i cazzi tuoi!" - Sbottai improvvisamente. Non ne potevo più di trattenermi.

Roxane mi guardò duramente ed io non fiatai. Nonostante la mia impertinenza i suoi occhiacci da sorella maggiore mi impressionavano ancora come quando avevo due anni. La guardai di sottocchi: aveva bei capelli rossicci. Ancora non comprendevo da chi li avesse ereditati, visto che in famiglia eravamo tutti biondi. Comunque sia aveva l'insana abitudine di tenerli sempre costretti in uno chignon severo, tanto erano indomabili. Peccato: l'avrei preferita mille volte di più con la sua chioma libera.

"Scusami" - Biascicai e lei sorrise, subito. Mi perdonava sempre istantaneamente.

"Ok, scusata." - Si rabbonì. Poi, versandosi acqua nel mio stesso bicchiere aggiunse:
"Scusami tu se ti sembro invadente. Lo so che posso apparire come un'impicciona ma non è questo il mio scopo. Sono soltanto preoccupata: non voglio che tu viva la mia stessa esperienza. Lo sai quante ne ho passate a causa di Gilbert."

Gilbert, ossia l'uomo per cui mia sorella aveva perso la testa quattro anni prima. Si era rimbecillita al punto tale da farci un figlio (che poi s'erano rivelati due, giacché le era pure capitata l'immensa fortuna di partorire dei gemelli). L'aspetto romantico di tutta la storia era che Gilbert se l'era svignata  dopo neanche quindici giorni dalla nascita dei bambini. Mia madre ancora lo cercava per dargliene di santa ragione. Rox invece aveva perso le speranze sin da subito (o forse non le aveva mai avute) e, piuttosto, si era rimboccata le maniche per tirare su i suoi gemelli nel migliore dei modi e limitatamente alle nostre capacità finanziarie.

Tuttavia, le era rimasto il pallino di paragonare qualsiasi essere vivente di sesso maschile a Gilbert. Persino il cane della signora Golsberg aveva, per mia sorella, qualche difetto in grado di ricordarle l'ex fidanzato.

Ok, il trauma era stato difficile da sopportare, lo comprendevo.
Ma Edward no. Non poteva paragonarlo neanche lontanamente a Gilbert.
Gilbert era un figlio di puttana, Edward un gentiluomo. Era come mischiare la lana con la seta, ovviamente.


"Rox, per favore. Edward non è Gilbert e lo sai."
"Oh, certo."

Sospirai.

"Gil ti ha lasciata senza una parola e senza un centesimo, infischiandose di te e dei tuoi figli. Cosa cazzo c'entra Edward in tutto questo??" - Esclamai esasperata.

Roxane respirò a fondo, poi mi toccò il dorso della mano.

"Oggi ti promette di passare a trovarti e non si fa vivo. Domani giurerà di sposarti e ti mollerà sull'altare, se non prima. Funziona così, Marlene. Gli uomini sono tutti uguali, tutti. Guarda nostro padre: è il primo esempio che abbiamo e avrebbe dovuto bastarci sin da subito per comprendere il mondo."

"Sssh!" - Risposi ponendo l'indice sulle labbra, per sottolineare maggiormente a mia sorella la necessità di far silenzio. Nostro padre, che di lavoro faceva l'autotrasportatore e troppo spesso era fuori casa per lunghi periodi, dormiva nella stanza accanto - sarebbe ripartito l'indomani per una nuova trasferta - e non c'era niente al mondo che l'irritasse di più dell'essere svegliato dal parlottare delle sue figlie. Soprattutto se tali chiacchiere riguardavano le numerose scappatelle con cui aveva tradito nostra madre nel corso degli anni.
A volte mi chiedevo quanti fratelli sconosciuti avessi in giro per il Regno Unito (perchè ne avevo, ne ero sicura). Poi scacciavo quel pensiero, troppo triste e troppo deludente per essere ingerito con facilità. Nonostante tutto amavo mio padre così come amavo Edward.

"Oh, non me ne importa un bel niente! Che ci ascolti pure! Ed in ogni caso, dà retta alle mie parole....le parole di una sorella maggiore! Pensa che ero più scema di te, fino a qualche anno fa..."
"Ed ora?" - Risi.
"Ora sono una mamma assennata. Non si vede?" - Rispose strizzando l'occhio ironica.
"Eccome se si vede. Sarah e David sono due bambini fortunati."
"Mica tanto..." - Sospirò guardando il fondo del bicchiere mestamente. Mi si strinse il cuore: biascicai mentalmente un paio di maledizioni verso quel figlio di puttana che l'aveva lasciata sola e triste. Roxane non se lo meritava: era bella, spigliata ed intelligente. Lui invece uno stronzo che nella vita non avrebbe mai fatto nulla.

Mentre il mio Edward...Il mio Edward era un musicista. Sarebbe diventato famoso, ricco e di successo così come meritava il suo talento.
Ed insieme avremmo costruito una famiglia felice: quella famiglia che era stata negata ed entrambi.


Perchè Rox si sbagliava: Edward mi amava.

La pendola batté la mezzanotte.
Roxane mi guardò con commiserazione.

"Marla.....non arriverà più. Non stasera. Vieni a dormire, domattina devi alzarti alle sei. Ti prego."

"No." - Risposi alzandomi.
"Che vuoi fare adesso?"

La guardai sorridendo.

"Mi preparo un thé. Tranquilla, tu va' pure a letto. Io resto un altro po' qui."

Mia sorella alzò le spalle, rassegnata.

"Come vuoi. Io vado, domani mi attende una lunga giornata. Buonanotte. E non fare tardi, per favore"

"Non lo farò, tranquilla. Tempo che arrivi Edward, dieci minuti e sono a letto."

Rox scosse la testa e senza aggiungere altro sparì nel buio del corridoio.

Io sorrisi, sorniona.
Rox si sbagliava. Edward sarebbe arrivato presto, mi avrebbe dato un bacio sulla punta del naso ed insieme avremmo riso su qualche sciocchezza detta da Emmett. Sì, sarebbe andato proprio tutto così.



*



Mi risvegliai alle sei del mattino in maniera piuttosto brusca, con mia madre che mi scuoteva per le spalle.

Mi guardai intorno confusamente, ancora intontita dal sonno, sogguardando l'ambiente con aria trasognata.

Quando compresi di trovarmi seduta al tavolo della cucina, liddove ero stata infine colta dal sonno con ancora la mia tazza di thé stretta tra le mani, realizzai una verità devastante: Edward non era venuto a trovarmi.
L'avevo atteso inutilmente tutta la notte: lui non era venuto.

Con la coda dell'occhio colsi, a distanza, lo sguardo consapevole e dispiaciuto di mia sorella.
Non ricambiai la sua occhiata e, piuttosto, mi alzai rapidamente, pronta ad affrontare una nuova giornata di lavoro con la morte nel cuore.






POV EDWARD



Alzai lo sguardo: l'orologio della metro segnava ormai le dieci e mezza della sera.

Erano quasi quattro ore che Bella m'aveva mollato su quella panchina biascicando parole confuse sul fatto che non fosse più il caso di vederci. Effettivamente, l'avevo fatta grossa.

Insomma, baciarla lì, in quel modo, in mezzo alla gente, così all'improvviso, per giunta!
Oltretutto Bella sapeva perfettamente della mia storia con Marla.
Con quel comportamento così  sprovveduto non avevo fatto altro che lasciarle credere di essere una specie di dongiovani da strapazzo.

Ed invece ero soltanto un gran coglione.

Bravo Edward!


Ok. Ero lì fermo da ore, a rimurginare sui miei errori senza tirar fuori nulla di nuovo.
Cos'altro avrei dovuto fare?
Tornare a casa?

Marla mi aspettava, ne ero certo: le avevo promesso che sarei passato a salutarla.
Ma non potevo. Non in quelle condizioni, non con Bella nella testa. Avrei guardato Marlene ed avrei rivisto gli occhi scuri di Isabella. Forse mi avrebbe chiesto un bacio e gliel'avrei concesso perchè non avrei avuto cuore per dirle di no. E, tuttavia, sarebbero state le labbra morbide di Bella quelle che avrei baciato. Non la bocca della mia fidanzata ma quella dolce e gustosa di un'altra ragazza.

Della mia Bella.


Alle undici la campana di una chiesa vicina batté i rintocchi, furiosa.
Inspirai profondamente prima di decidermi a muovermi da quella panchina.

Diedi un'occhiata distratta alle mie Converse consunte che toccavano timidamente il selciato: sapevo dove avrei dovuto andare.
A casa di Isabella.




Il 191 di Queensgate.
Ricordavo l'indirizzo: se l'era lasciato scappare Oliver durante una delle nostre prove, il giorno in cui aveva detto che dovevano avviarsi perchè, per tornare fino ai cancelli della Regina ce ne voleva di tempo.

Raggiunsi velocemente l'abitazione degli Swan. Certo che, in quella via, risiedevano esclusivamente famiglie ricche e facoltose  e le loro dimore erano ovviamente lussuose, dalle facciate pulite, verniciate, i giardinetti curati, i fiori alle finestre. Ma diamine! La casa degli Swan era la più sfarzosa in assoluto!
Dipinta di un bianco sfavillante, luminoso persino nel buio della notte, possedeva balconate ampie, colme di piante rarissime ed appariva immensa già soltanto nell'apprezzarla dall'esterno. Figurarsi quanto doveva essere spaziosa ed elegante all'interno!

Ne immaginai per un istante gli ampi salotti, la cucina luminosa e pulita, il profumo di fiori tra i corridoi, i quadri illustri alle pareti e paragonai il tutto alla mia scarna catapecchia in una stradina buia e sudicia di Brixton.

Avvampai, dandomi dell'idiota: cosa mai avrebbe potuto avere in comune con me una ragazzina tanto deliziosa, compita ed elegante? Bella era abituata a cibi prelibati e genuini, alle tavole imbandite, ai letti a baldacchino dalle coperte in piuma d'oca, al calore di un camino nelle gelide serate invernali. Io non avrei potuto mai offrirle nulla di tutto questo e per tale motivo non avrei mai potuto stringere tra le braccia nessun'altra ragazza che non fosse stata disperata quanto me. Forse per questo Dio mi aveva dato in sorte Marlene?

Spinto da una vergogna profonda, come se la vista di quella abitazione mi avesse reso infine dolorosamente consapevole di me stesso e dei miei limiti, mi apprestai infine a correr via a gambe levate, rifugiandomi nella mia squallida casetta di periferia che, mai come in quel momento, mi parve la più dolce delle dimore nonostante tutti i difetti, quando notai una testolina bruna che faceva capolina incerta dalla finestra posta all'estrema sinistra della facciata principale.

Una testolina ben nota: Isabella.
Aguzzai la vista scoprendola acquattata nel vano della finestra: tratteneva il respiro tenendo i palmi ben aperti sul vetro. Il bel viso era illuminato solo da una fioca lucina proveniente da un angolo dell camera eppure la sua bellezza era distinguibile in ogni particolare: nelle labbra mobide, trattenute in uan smofia sorpresa, nelle mani piccole e tenere, negli occhioni scuri, esterefatti.

Timidamente alzai la mano ed abbozzai un leggero saluto - d'improvviso il mio desiderio impellente di fuggire era svanito - e la osservai mentre continuava a scrutarmi con quella sua espressione perplessa, buffissima, come a dire: "Davvero lui è qui?"
In effetti avrei dovuto essere in tutt'altro luogo - soprattutto dopo la sua sfuriata di poche ore prima soltanto - e tuttavia seppi perfettamente che trovai su quel marciapiede, al buio, era la cosa più giusta da fare. Per il mio cuore ed il suo. Non c'era ferita che non avrebbe potuto rimarginarsi ed avrei fatto di tutto per mostrare ad Isabella che, nonostante la conoscessi da così poco tempo, contav molto per me. Avrei dovuto farlo. Se c'era una possibilità da giocare dovevo sbrigarmi anche a costo di essere mandato via in malo modo un'altra volta.

Mentre i pensieri si susseguivano rapidi e furiosi nella mia mente, in casa di Isabella accadde qualcosa. Forse qualcuno entrò nella camera o qualche rumore attirò la sua attenzione giacché la osservai mentre scostava lo sguardo, volgendosi indietro e dandomi le spalle. Dopo una frazione di secondo mi guardò con sguardo supplichevole prima di tirare il pesante tendaggio scomparendo nel buio della sua camera.

Turbato ed esterefatto attesi come un idiota per diversi minuti, fermo ed impalato sul marciapiede sotto la finestra di Isabella. Di lei, tuttavia, nessuna traccia.
Dopo dieci minuti, maledicendomi per la mi stupidità - certo che Bella m'avesse rifilato un bel due di picche mollandomi al buio sotto casa sua - mi decisi a malincuore a volgere le spalle e tornare alla metro, destinazione Brixton Road, quando, alzando un'ultima volta gli occhi a quella finestra per me ormai tanto cara, ritrovai il visetto preoccupato di Bella che mi cercava. Aveva il naso ed i palmi delle mani schiacciate contro il vetro e mi venne da sorridere per l'espressione buffa che aveva assunto la sua faccia.
Le sorrisi placidamente e lei - miracolosamente - ricambiò, seppur con timidezza, quasi con perplessità.
Poi aprì lentamente - molto lentamente - la finestra. Fu tanto aggraziata e meticolosa che neppure un leggero stridio di legno e vetro giunse alle mie orecchie.

"Cosa fai qui?" - Mormorò appena.
"Aspettavo te."
"Che faccia da schiaffi hai....Ti avevo detto che non avremmo dovuto rivederci per un po'..."
"Quel che hai chiesto tu non corrisponde a ciò che desidero io....E forse neppure a quel che desideri realmente tu, Isabella..."

"Sh!" - Mi fece segno di abbassar la voce e guardò dietro di lei, timorosa che qualcuno - forse sua madre? - potesse scoprila a quell'ora della sera intenta a parlare con uno sconosciuto in strada. Un ragazzaccio, oltretutto.

"Comunque sia, Edward...Non dovresti essere qui! Ringrazia che i miei genitori dormano dall'altro lato...Ma se mia madre ci beccasse qui, a parlare così..."
"Allora lasciami entrare!" - Proposi  di slancio.

Isabella si zittì di colpo.

"Co...come?"
"Vengo su da te....E parleremo pianissimo....Tua madre neanche se ne accorgerà!"

"Ma....Ma  sei ammattito?? Tu non puoi, tu...!"

Non le diedi il tempo di parlare oltre, di fare congetture, di inventarsi paranoie.
Ero sempre stato molto bravo, sin da bimbo, ad arrampicarmi e saltare ostacoli. Con la crescita e, soprattutto, con la necessità di darmela a gambe levate dopo le innumerevoli scazzottate cui amavo prender parte, questo "talento" era stato notevolmente affinato e migliorato: nessuno poteva battermi in questo campo.

Con uno slancio degno di un atleta mi arrampicai dapprima al davanzale della finestra al primo piano. Successivamente mi servii della tubatura esterna per spingermi un po' più in alto. Sentivo Bella protestare impaurita, presupponendo una mia facile caduta con conseguenze catastrofiche. Non le diedi peso e continuai a scalare la facciata, maledicendo la stupida abitudine che avevano i ricchi di tenere tutto pulito e curato: non c'era neppure uno spigolo od un mattone fuori posto che potesse aiutarmi nella mia impresa.

Quando toccai il davanzale della finestra di Bella, sentii le braccia di quest'ultima arpionarsi alla mia giacca di pelle. Con una forza che non mi sarei mai aspettato da un esserino delicato come lei, mi trascinò nella sua camera semibuia rapidamente ed io sospirai di sollievo: effettivamente era stato meno facile del previsto.

Mi drizzai quasi subito, ripulendomi i jeans stappati, e con una bella faccia di bronzo le rivolsi il più disarmante dei sorrisi.

"Sei un pazzo!" - Strepitò sempre tenendo la voce bassa - "Se mia madre ti ha sentito..."
"Non ho fatto alcun rumore...Lo sai anche tu...Sono stato silenzioso..."
"Potrebbero averti visto i vicini!"
"In questa cazzo di strada dormono tutti già dalle nove di sera, Bella...non c'è un'anima e non dirmi che non è vero..."
"Ma tu..."
"Avanti! Non lo trovi...romantico? Sembriamo Romeo e Giulietta..!"
"Noi non siamo Romeo e Giulietta, Edward!" - Rispose piccata, chiudendo le tende frenetica. Io sorrisi e mi rilassai: dopotutto pareva aver accettato l'idea di tenermi nella sua camera da letto. Le diedi un'occhiata rapida: indossava una camicina da notte dal colore indefinito che scendeva leggera sino al ginocchio. A piedi scalzi, con i capelli boccolosi lunghi oltre le spalle, impacciata e forse un tantino irritata ciò che le stava capitando, appariva ancora più bella ed affascinante di quando era vestita e truccata di tutto punto, sia in veste scolastica che in abiti da punk.

"Smettila di guardarmi a parlami seriamente!"
"Non posso fare a meno di guardarti."
"Come?"
"Hai sentito bene. Non posso fare a meno di guardarti. E di pensare a te, Bella. Diavolo! Sono stato seduto ore sulla panchina dove mi hai mollato....Ed alla fine sono tornato da te. E' vero Bella, sto sbagliando. Ho una ragazza e non mi sto comportando adeguatamente. Ma crederesti ad un essere infimo come me se ti dicesse, dal più profondo del suo cuore, che da quando ti ha conosciuto non fa altro che pensarti? Isabella, per quanto tu sia diversa da me, hai sconvolto la mia vita dal primo giorno in cui ti ho vista. Mi sono stancato di sotterfugi e giochini...Mi comporterò da uomo per cui voglio che tu sappia la verità. E' inutile nascondersi ancora. E non m'importa se non ricambi, era mio dovere morale fartelo sapere."

Isabella non rispose. Per diversi istanti. Piuttosto, se ne stette impalata a fissarmi, gli occhi sgranati, trattenendo il respiro.
Certo di aver definitivamente fatto la figura dell'idiota - di dove m'era venuta quella dichiarazione? Neanche era nei miei progetti! - mi apprestai all'essere mandato fuori casa - fuori dalla finestra, per meglio dire - con un sonoro calcio. Onde evitare un ulteriore peggioramento della mia posizione riaprii da solo le tende, pronto a rilanciarmi (in che modo, poi, non avrei saputo dirlo..) giù in strada, quando Bella mi bloccò per un braccio.

"A...aspetta!"
"Che...c'è?"
"Tu...io....tu che...che hai detto?"
"Vuoi davvero che te lo ripeta, Isabella? O vuoi che sia più esplicito? Mi piaci. Mi piaci da morire."

Portò una mano alla bocca, sussultando.

"Ecco..."
"Non devi dirmi niente. Ti basti sapere la mia parte, ok? Adesso vado...Ti lascio dormire..."
"NO!"

Mi tirò nuovamente per il braccio, costringendomi a farmi più vicino a lei.

"Edward, io..."
"Sì?"
"Non...e l'aspettavo...tu hai una....ragazza...Ed io..."
"Con Marla è finita da un pezzo. Ed è ora di chiuderla definitivamente."
"Dici sul serio?"
"Sì, è così. Domani le parlerò...Non è giusto continuare. Le voglio bene. Ma l'affetto non è amore e la nostra relazione non è un bene nè per lei nè per me."


Non parlammo per qualche istante. Poi Isabella riprese il filo del discorso.


"Edward...."
"Sì?"
"Ecco, io....beh....Edward...."
"Uh?"
"Anche tu....mi piaci. Molto." - Bisbigliò appena. - "Prima...mi sono arrabbiata perchè...Perchè non tolleravo l'idea che mi avessi baciata continuando la tua storia con un'altra. Se devo esserci per te voglio essere l'unica. Sono scappata via perchè ho paura di quel che potrà accadere. Ero davvero intenzionata a non vederti mai più eppure, quando ti ho sorpreso poco fa fuori casa mia....Tutti i miei progetti sono andati in frantumi. Ecco, è questa la verità...Adesso sai tutto anche tu... " - Mormorò rassegnata, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi con un sospiro.
"Quindi..." - Risposi sorpreso - "Se ti dicessi che sei l'unica, che da domani metterò fine alla mia storia priva di amore....Potresti pensare di...frequentarmi?" - Ero al culmine della gioia.


Annuì, timidamente.

"Sì."
"Sì?"
"Esatto."
"Nonostante io non abbia il becco d'un quattrino?"
"Non me ne importa niente dei soldi."
"Nonostante viva a Brixton?"
"Chi se ne frega di dove vivi..."
"Nonostante non frequenti la Queen Elizabeth?"
"Odio quella scuola.."
"E con i tuoi genitori? Cosa dirai loro?"
"Non devono conoscerti per forza. Non subito, almeno."
"E saremo come Romeo e Giulietta?"
"Beh..." - Sorrise - "Magari non subito...forse non sarebbe carino nei confronti di Marlene..."

Mi colpì la sua sensibilità. Dopotutto Marla era una "nemica", per lei.

"Giusto...."

Mi sorrisi ed io ricambiai, di rimando.
Mi sentivo come un ragazzino alla prima cotta e francamente si trattava di una sensazione del tutto nuova per me. Non ero abituato ad un certo tipo di emozioni, le consideravo roba per ragazzine innamorate e mi piaceva scherzarci su con Emmett quando qualcuno mi veniva a raccontare delle proprie pene d'amore.
Eppure quella sera, chiuso in una camera che mi era estranea e mi pareva la più dolce delle prigioni, accanto alla mia Isabella tenera e bellissima, percepii il cuore battermi furioso nel petto e non me ne vergognai. Tutt'altro: sapevo che mai, mai nella mia vita, mi ero mai sentito tanto bene come in quell'istante in cui Bella aveva ammesso che anche io contavo qualcosa per lei.
Il mondo di fuori, mia madre, mia sorella, i miei amici, le serate a Camden, la scuola, i soldi....niente, niente aveva più valore dopo quel che stavo vivendo in quella notte magica in cui la mia stessa esistenza aveva assunto una piega improvvisa ed assolutamente perfetta.
Due ore prima commiseravo me stesso e la facilità con cui mi ero lasciato scappare quel gioiello assoluto che era Isabella e due ore dopo mi sentivo l'uomo più felice del mondo accanto a lei, senza neanche averle sfiorato la pelle. Soltanto perchè Bella aveva acconsentito a dividere con me un po' della sua esistenza.

Che Dio me l'avesse mandata buona almeno una volta nella vita!

Bella seguitò a guardarmi: aveva gli occhi luminosi e più grandi del solito e quel suo sguardo gioioso - lo stesso sguardo che le avevo procurato io - mi rendeva, per una volta soltanto, orgoglioso di me stesso e felice, a mia volta. Dopo qualche istante alzò una mano, in un gesto imbarazzato. L'osservai confuso.

"C'è qualcosa che non va?"

Arrossì.

"Beh....Ecco...Edward...Mi chiedevo.."
"Cosa?"
"Cosa...vorresti fare...adesso?"

Trasalii.

"In ....in che senso?"
"Oh, beh...intendevo...Ecco...Non puoi tornare giù...Non dalla finestra, almeno."
"Ah...beh...sì, sì certo..."
"Dunque pensavo..." - Si torceva le mani e mi preoccupai di quel gesto. - "...Pensavo che potresti ...dormire qui. La metro ormai è chiusa e non puoi tornare a casa a quest'ora. Ah ecco... se ti va ovviamente.."

Tossii. La saliva m'era andata di traverso.

"Ehy...fa' piano! E non scaldarti troppo....ho detto DORMIRE!"

Risi, cercando di essere quanto più silenzioso possibile.

"Certo. Beh, volentieri...Grazie. Se per te non è un disturbo..."

Sorrise e si avviò lentamente al letto, scoprendone un lato.

"No. Non è un disturbo. Guarda tu stesso: il letto è' abbastanza grande per entrambi." - Commentò. Poi, continuò, un tantino turbata - "..Ma puoi star qui soltanto fino alle cinque. Alle cinque e mezza mamma si alza, viene a controllarci e poi viene a svegliarci dopo un'ora. Non posso farti rovare qui con me, ovviamente."
"Ovviamente" - Acconsentii. - "Mi sacrificherò, allora."

Mi sarei sacrificato mille volte, pur di dormire con lei. Pur di svegliarmi con le sue braccia intorno alla vita, il suo viso a pochi centimetri dal mio ed il suo buon profumo di fiori sul cuscino. Sarebbe stato il più dolce dei buongiorno. E non l'avrei toccata con un solo dito. Bella era troppo dolce ed innocente ed io non l'avrei neppure sfiorata.

Sfilai le Converse e tolsi il giubbino di pelle, lasciandolo sulla sedia della scrivania.
Bella si era già infilata sotto le coperte ed attendeva me per addormentarsi. Era evidentemente imbarazzata - ogni suo gesto era rallentato, impacciato - e tuttavia appariva felice.

Mi rannicchiai sul lato, scivolando titubante sotto il piumino, e puntai i miei occhi su di lei senza dire una sola parola.

"Edward..." - Bisbigliò.
"Sì?"
"Sei...certo di voler...lasciare Marlene per me? Mi sento in colpa. Tutto questo è sbagliato. Ed è assurdo!"
"E' vero. " - Ammisi. - "Le sto mancando di rispetto e domani mattina mi darò del bastardo mille volte per questo, Isabella. Ma non riesco a  pentirmene. E' come se una forza sovrumana mi obbligasse a stare con te dimenticandomi del resto. E ti dirò: questo è l'unico comando cui abbia mai avuto desiderio di sottostare. Bells voglio stare qui, con te, adesso. E, credimi, con Marla era finita da tempo. Ho trascinato questa storia per troppo tempo, per abitudine e vigliaccheria: Marlene non si merita tutto questo. E ci volevi tu, mia piccola peste super ricca, per farmelo comprendere!"


Le diedi un buffetto sul naso e lei rise di gusto.


"Non siamo Romeo e Giulietta, hai detto..."
"Non ancora..." - Ammise sorniona. - "Non siamo amanti..."
"Ma potremmo cominciare ad esserlo...." - Scherzai. - "Posso darti un bacio? Sulla guancia... Per la buonanotte."

Annuì lentamente e poi si avvicinò al mio viso.
Ero pronto a toccare con le mie labbra la sua guancia soffice e delicata quando, sorpreso, mi ritrovai a lasciarle un casto bacio sulla bocca.

"Bella....Ma io..."
"Quello di oggi pomeriggio....è stato troppo frettoloso. Edward, vorrei che questo fosse il nostro primo bacio.."

La guardai un istante, le guance avvampate percepibili pure nel buio della notte, e quel capo ormai chino, forse per l'imbarazzo di una simile confessione.
Sorrisi. Le baciai il capo bruno, poi la fronte, il naso.
Prima di tornare sulla sua bocca le sussurrai dolcemente:

"E sia...Ricordatelo bene dunque, piccola Bella, perchè questo sarà il nostro primo bacio."






Mi addormentai felice come non mai, quella sera, cullato da una dolce buonanotte e da due braccia deliziose e delicatissime avvinghiate intorno a me.








Un po' di licenza poetica...Edward che s'arrampica facilmente e senza fr alcun rumore è un po' surreale però...volevo una scena alla Romeo e Giulietta, quindi concedetemi questo piccolo lusso! ;)
Allora...l'amore è ormai sbocciato...Contente? ....Non vi ci abituate troppo però! ;DD

Un bacio e a presto!


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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


edsid9 Ragazze, capitolo di transizione. Più lungo del previsto, tra l'altro..
Io odio i capitoli di transizione però...ci voleva, sono onesta! :)
Buona lettura, specialmente a Jazzina Efp: spero che ti dia la giusta carica dopo il primo giorno di scuola, questo capitolo!
Passerò a rispondere entro stasera alle vostre recensioni, subito dopo il lavoro!
Un bacio a tutte voi.

MaTiSsE!

PS: Avete visto il trailer di BD?? A me è piaciuto moltissimo! *___*










My Ugly Boy












MARLA POV



Avevo otto anni ed una fantastica serie di lividi tra le spalle ed il braccio sinistro la prima volta che incontrai Edward.


Ci eravamo trasferiti a Brixton da due settimane e piangevo di continuo perchè mi era dispiaciuto abbandonare la vecchia casa. Per quanto sudicia e pericolante fosse mi aveva visto nascere ed in quel quartiere orrendo, presso l'East End, avevo ancora tutti i miei amici più cari.

Ma non avevamo pagato l'affitto per troppo tempo (a mio padre piaceva spendere diversamente i soldi che guadagnava con il suo lavoro) cosicché eravamo stati sloggiati in tutta fretta ed in maniera poco delicata.

Non mi piaceva Brixton. Non mi piaceva cambiar casa in continuazione, non mi piaceva dovermi abituare, ogni volta, ad una nuova vita.
Tuttavia papà mal tollerava i miei piagnistei, come li definiva lui, ed ogni giorno trovava un nuovo modo per punirmi di essere una bimba tanto capricciosa.

Quegli ultimi lividi erano stati opera sua. Allungava le mani così facilmente sui suoi figli e mamma non era in grado di fronteggiarlo: ne finiva irrimediabilmente vittima anche lei.


Per questo motivo Frank, mio fratello maggiore, aveva evitato di seguirci. Lui e papà non andavano d'accordo e troppo spesso si erano resi protagonisti di liti furiose che mai, mai dovrebbero verificarsi tra un genitore e suo figlio. Cosicché a quindici anni, e senza il becco di un quattrino, si era rifiutato di cambiare casa ed abitudini. Aveva trovato una stanza in affitto con un altro ragazzo, un amico della fabbrica dove lavorava, ed era rimasto nel nostro vecchio quartiere. Papà non gli aveva chiesto di tornare sui suoi passi, anzi: l'aveva minacciato di non farsi mai più rivedere finché lui fosse stato in vita. Mia madre, viceversa, l'aveva supplicato senza successo di non abbandonarci, mostrandogli, a ben ragione, quanto Brixton fosse una zona più adatta per crescere rispetto all'East End.
Effettivamente, e per quanto anche Brixton non fosse un quartiere di lusso, avevamo trovato una sistemazione migliore, nonostante le scarse risorse finanziarie, rispetto al passato. Quantomeno c'era una minor quantità di spazzatura in giro.
E, tuttavia, tale sistemazione non era gradita a nessuno di noi quattro figli, abituati, com'eravamo, alla nostra vita precedente ed alla buona gente che ci aveva cresciuto nel vecchio quartiere. Anche Simon, il più piccolo tra noi, non sembrava  contento e di nascosto - quando papà non c'era - lo sentivo lamentarsi con mamma.

Povera la mia mamma che doveva sopportare tutto e tutti!

Mio padre in primis, le botte, le scappatelle e quell'insostenibile sensazione per cui, per lui, ogni donna valesse irrimediabilmente più di quella che aveva sposato.
Frank, che era il suo bambino prediletto e che l'aveva lasciata da un giorno all'altro senza farsi vivo per troppo tempo.
Noialtri che non facevamo altro che piangere, strepitare, litigare tra noi e con gli altri bimbi del circondario, troppo selvaggi e troppo tristi per avere un'amicizia normale: eravamo convinti, già a quattro anni, che il mondo intero volesse semplicemente fregarci.

Con gli anni la situazione non era migliorata affatto, tutt'altro: con il recente arrivo dei bambini di Roxane - l'ennesima delusione, tra l'altro: mia madre se l'era ritrovata incinta e senza una sistemazione adeguata. Roxane era stata in grado di far peggio di lei da giovane e questa consapevolezza la costringeva, ogni notte, a fiumi di lacrime - la casa era diventata ancora più piccola, più rumorosa, più soffocante. I soldi erano sempre troppo pochi, benché ormai tutti quanti avessimo un lavoretto in grado di farci guadagnare qualche sterlina e per nessuno dei suoi bambini mia madre aveva visto realizzarsi il futuro che desiderava: un diploma, un lavoro di successo, un buon matrimonio, felice e pieno d'amore.


Ma tant'è, chi nasce disperato resta tale per tutta la vita.
Non mi ero mai illusa di poter migliorare la mia esistenza e questo mi aiutava a vivere normalmente senza disperarmi, contrariamente a mia madre la quale sperava scioccamente, ogni giorno, che la buona sorte potesse finalmente venire a baciarci.


Io, viceversa, non mi lamentavo.
E, dopotutto ero felice.
La causa di tale gioia, tra l'altro, aveva gli occhi verde smeraldo ed un nome un po' demodé: Edward.




Quel giorno dunque, un martedì pomeriggio del 1968 , me ne stavo impalata fuori dal campetto dove alcuni ragazzini tiravano calci ad un pallone sgonfio quando il suddetto pallone mi colpì alla spalla.

Da una finestra poco distante qualcuno cantava "All you need is love" dei Beatles. Mentre tentavo di soffocare le lacrime - il pallone mi aveva colpito direttamente sulla parte resa dolorante da mio padre - pensai che davvero non avessi bisogno di altro che un po' d'amore. E forse qualcuno ascoltò la mia preghiera giacché, quando alzai gli occhi, incontrai quelli verdi e luminosi di un ragazzetto poco più grande di me.

Un ragazzetto che si sarebbe trasformato nel mio amore più grande, negli anni a venire.



"Ehy! Ti sei fatta molto male? Ehy, dico a te!...mi stai ascoltando??"


Non ebbi coraggio a sufficienza per rispondere alla sua domanda: con quei suoi occhi così luminosi e quello sguardo già da duro a neanche dodici anni riuscì ad incutermi una tale soggezione da impedirmi perfino di parlare e riempirlo d'insulti per avermi procurato l'ennesima ferita, come avrei fatto in circostanze normali.
Solitamente, infatti, ero una bambina molto pratica e piuttosto sgarbata.



"Come ti chiami?"
"Mi....chiamo...mi chiamo Marlene" - Risposi d'un fiato.
"Ok, piacere Marlene. Io sono Edward. E penso di averti fatto davvero male. Lasciami controllare..."
"No...NO!"

Mi scostai di botto, conscia che, sulla spalla colpita dal pallone, c'erano i segni di ben altre ferite. Non avrei concesso a nessuno di scoprire che mio padre, di tanto in tanto, sfogava la propria rabbia mal repressa sui figli e sulla moglie.

"Che ti prende? Guarda che voglio soltanto controllare di non averti fatto troppo male!"
"Non mi hai fatto male, sto bene!" - Mentii, con la  mia voce da finta dura.
In realtà ero soltanto una bambina spaventata.


Da lontano un ragazzino di proporzioni enormi - che in seguito avrei scoperto essere Emmett - gesticolava urlando il nome di Edward.
Lo indicai, timidamente.

"Guarda che il tuo amico ti chiama."
"Lascialo fare."
"Sto bene, non rompere."
"Ma che dolce bimba! Vieni un po' qui.."

Ricordavo ancora perfettamente l'irruenza, quasi la prepotenza con cui mi tirò per un braccio, scoprendomi appena la spalla. Avevo soltanto otto anni e, benché amassi scazzottarmi col mondo intero (generalmente Simon era la mia vittima preferita ma all'epoca non faceva testo, aveva appena quattro anni) la mia forza era nulla paragonata a quella di Edward. Almeno per quanto mi riguardava. Cosicché non riuscii ad oppormi al suo gesto e maledissi il mondo intero per la situazione in cui ero capitata.

"Che stai facendo?? Lasciami, chiamo mio fratello Fra..."

La frase mi morì in gola prima ancora di terminarla e gli occhi si riempirono di lacrime: Frank non c'era. Il mio fratellone, il preferito fra tutti, il mio amico fidato mi aveva abbandonato: non potevo più chiamarlo, non potevo chiedergli aiuto. Non più.

"Ma cavolo! Ti ho fatto davvero male! Stai piangendo...E hai un livido enorme..!"
"Non è colpa tua..." - Mormorai tirando su col naso. - "Ce l'avevo già il livido. E non sto piangendo per te. Adesso posso andare?"
"Come te lo sei fatto questo, allora? E' bello grosso."


"EDWARD!!! Andiamo, ti muovi!! Questo cretino di Carl dice che vinceranno loro se tu non torni ed ha ragione! Sbrigati!"


"I tuoi amici ti stanno chiamando..."

"Lasciali fare...Emmett non rompere!! Arrivo fra poco!"

"Devo andare a casa dalla mamma...Per favore..."
"Come te lo sei fatto questo?"

L'insistenza e la preoccupazione con cui chiedeva delle mie condizioni di salute mi colpirono istantaneamente. Nonostante fossi una bambina ne avevo già vissute parecchie e sapevo distinguere le mera curiosità dalla reale e disinteressata apprensione. Quel ragazzino sconosciuto mi aveva guardato con gli stessi occhi buoni ed ansiosi con cui mi guardava Frank quando mi procuravo una ferita giocando per strada e mi rimproverava che quelli non erano giochi per una brava signorina come me.


Frank avrà mai pianto per me?
Io per lui sì e troppe volte.


"Come te lo sei fatto questo?"
"Te lo posso dire un'altra volta, Frank?"
"Frank? Io mi chiamo Edward..."
"E posso chiamarti Frank, Edward?"


Mi guardò perplesso, poi abbozzò un sorriso.

"Va bene, puoi chiamarmi Frank. Ma in cambio devi promettermi che mi dirai cosa ti sei fatta."

Annuii ancora tirando su col naso.

"Ti aspetto domani, alle cinque, fuori la scuola elementare. Non mancare, Marlene!" - Mi urlò mentre correva nuovamente verso i campetto di calcio.




Il pomeriggio seguente andai fuori la scuola elementare come Edward mi aveva chiesto. Avrei potuto evitare e sparire. Non mi avrebbe trovata e, forse, non mi avrebbe neanche più cercata: in fondo non ci conoscevamo neppure. Ma non ne ebbi il coraggio. Mi aveva ricordato troppo Frank, si era preoccupato per me. Mi aveva mostrato un interesse che, bambina com'ero, mi era pressocché estraneo. Non avrei potuto venir meno a quell'appuntamento: non con quel ragazzino sconosciuto, tanto  premuroso nei miei confronti e, tuttavia, munito di uno sguardo così comicamente duro ed agguerrito col resto del mondo da far tenerezza ad un adulto consapevole.

Quando varcai l'entrata di quella scuola, Edward era già lì ad attendermi stringendo tra le mani un giornaletto su cui erano raffigurati i Beatles.
Mi disse, senza neanche salutarmi, come se mi avesse conosciuto da sempre e sapessi tutto di lui:

"Un giorno io suonerò e diventerò famoso come loro. E come i Doors. Dì, li conosci i Doors?"

Piccola com'ero ignoravo l'esistenza di certa gente cosicché feci segno di no con la testa.

"Ti farò ascoltare la loro musica. Sono forti! Ed ora, vuoi dirmi cosa ti sei fatta?"

Non glielo rivelai quel giorno. E neanche nei giorni a venire. Ma, da quel pomeriggio in poi, prendemmo a vederci sempre più spesso ed Edwad - Frank (perchè ancora seguitavo a chiamarlo così) divenne il mio compagno di giochi prediletto, a dispetto dei quattro anni d'età che ci separavano e delle sue amicizie da ragazzaccio duro, di strada.

Non c'era ormai altra mano che io aspettassi di stringere all'uscita di scuola se non la sua.
Non un altro sorriso ad attendermi per il buongiorno la domenica mattina.

Edward mi prese a cuore come se fossi stata la sua sorellina e davvero per molti anni non fu altro per me che un fratello maggiore. Mi presentò tutti i suoi amici, Emmett compreso e, sebbene fossero tutti un po' restii nei primi tempi - dopotutto ero solo una piccola femminuccia venuta a rompere le scatole - ben presto mi trasformai letteralmente nella loro mascotte. Quanti pomeriggi trascorsi in quel campetto! Talvolta portavo con me anche il piccolo Simon: insieme eravamo tornati ad essere felici, come ai vecchi tempi, anche senza Frank.


Chissà perchè Edward si era affezionato tanto a me.  
Ancora me lo chiedevo, a distanza di anni.

Mi viziava con cioccolata e caramelle quando poteva (e quando riusciva a rubacchiare tali leccornie dal negozio di Miss Davis) e si prendeva cura di me. Mi rendeva serena e sorridente, come avevo smesso di essere da tempo, a soli otto anni.

Diceva sempre che incarnavo perfettamente la controparte di Alice e che, per questo, mi adorava così cocciuta, scontrosa e vulnerabile com'ero.

Mia madre gli era legatissima - immaginavo che anche a lei ricordasse Frank, sotto certi aspetti - mentre con mio padre le discussioni erano all'ordine del giorno, soprattutto dopo che avevo confessato apertamente, ad Edward, di avere un genitore abituato ad alzar le mani piuttosto facilmente sulla propria famiglia.
E, tuttavia, mio padre, in fondo al suo cuore, doveva stimarlo.
Diceva sempre: "Quel ragazzo ha fegato!"


E non potevo dargli torto.



Il passo  dall'essere amici fraterni al trasformarci in una coppia fissa fu abbastanza naturale: accadde cinque anni prima, mentre guardavamo il mare d'Irlanda durante un viaggio a Liverpool.
Stanca di aspettare che la smettesse di giocare a recitare la parte dei fratellini - ero ormai innamorata già da tempo di lui o forse lo ero stata sin dal principio dei miei poveri otto anni - gli avevo gettato le braccia al collo. Lui già adulto, aveva riso scambiando il mio gesto per uno scherzo ma dopo aveva smesso di ridere allorché avevo incollato le mie labbra alle sue.

"Marla, che stai facendo??" - Aveva esclamato preoccupato ed io, sorda alle sue proteste, mi ero riattaccata al suo corpo ed a quelle braccia che da sempre mi avevano protette.
Nel vento freddo di Liverpool la mia voce aveva appena sussurato: "ti amo..."

Da quel giorno non lo chiamai più Frank. Fu Edward ed Edward soltanto, il mio grande amore.
Per quanto restio nei primi tempi, per quanto titubante, troppo convinto di dovermi considerare esclusivamente una sorellina dopo così tanti anni in cui mi aveva soltanto tenuta per mano, alla fine aveva ceduto anche lui. E quel giorno che mi rispose con un assenso all'ennesima richiesta di essere il compagno della mia esistenza, il mio cuore aveva sussultato così tanto di gioia da temere di vederlo spezzarsi da un momento all'altro.

Era tutto così perfetto, così perfetto!




Ed invece, ultimamente, Edward era cambiato.
In peggio, s'intende.
Non si trattava più del mio Edward dolce e premuroso, del mio Edward dal sorriso strafottente.

Da mesi ormai era scostante e pensieroso, quasi preoccupato. Eludeva le mie domande con risposte vaghe, sembrava sempre troppo impegnato per occuparsi di me e raramente ricambiava i miei baci ed abbracci calorosi.


Perchè ricambiava il mio amore con tanta indifferenza?
Non comprendeva quanto fosse tutta la mia vita?
Eppure c'ero sempre stata per lui, non l'avevo mai deluso...Non meritavo un simile trattamento!

Ero presente quando studiava di giorno e lavorava di notte, tutto per racimolare un po' di soldini per acquistare il suo basso.
Ero presente quando l'aveva scelto e mi ero riempita gli occhi della sua espressione piena di gioia.


"Ti rendi conto, Marla?" - Diceva ridendo ed io con lui.

Ero presente alle ubriacature piene di allegria con Emmett, alle scazzottate, alle prove in saletta.
Ero presente anche nei momenti bui. Quando Carlisle era andato via, ad esempio. Via per sempre.

Ero con lui, con Edward, ad affrontare le lunghe notti in ospedale. Ed al cimitero mentre fingeva di non piangere e moriva dentro.
Ero con lui quando prendeva a pugni le pareti e distruggeva la casa gridando il nome di suo padre.

C'ero io, c'ero sempre stata io per lui.


Perchè l'aveva dimenticato, dunque?
Da quando quella sciocca ragazzina viziata di Isabella Swan aveva fatto capolino nella nostra vita poi...Mi pareva che il tutto fosse peggiorato.
Era ovvio che Edward, in un qualche modo che mi sfuggiva assolutamente, fosse attirato da lei. Credeva davvero che fossi così stupida o distratta da non rendermene conto?

Maledizione! Ci voleva soltanto quella stronza in divisa da brava scolara, a peggiorare la situazione. Come se non fossero bastati da soli i miei, di problemi!




"Marlene?"

Asciugai con la mano bagnata - stavo ancora lavando le stoviglie dela sera precedente, al pub - una lacrima che scendeva impietosa lungo la guancia quando udii pronunciare il mio nome.
Era Daisy, la proprietaria del pub venuta a chiamarmi.

"Bambina, che hai? Stai piangendo?"
"No, no Daisy. E' questo detersivo che mi fa lacrimare gli occhi."
"Sarà...comunque sia non hai una bella cera."
"Ho dormito poco. E male." - Ammisi.
"Beh, coraggio....Sollevati e sorridi: c'è una bella sorpresa per te, qui fuori"

I miei occhi s'illuminarono istantaneamente.

"Edward??"

Daisy annuì, sorridendo.

Mi asciugai veloce le mani sul grambiule che poi buttai come uno straccio - era uno straccio - sul lavabo.

"A quest'ora e già v'incontrate...Sono appena le dieci del mattino! Voi due proprio non riuscite a stare separati!"
"Ha qualcosa da farsi perdonare!" - Pronunciai ridendo mentre correvo in strada.

Spalancai la porta del pub e lo trovai impalato sul marciapiede, a fumare. Bello come non mai, con quei capelli disordinati mossi dal vento, lo sguardo distratto, gli occhi socchiusi nel timido sole di quei giorni di inizio estate.

"Edward!" - Urlai e non gli diedi tempo per voltarsi che già gli avevo gettato le braccia al collo - "Edward! Mi hai fatto preoccupare!"

Alzai gli occhi ed incontrai i suoi: mi guardavano con tenerezza e troppo dolore.
C'era qualcosa che non quadrava.

"Edward? Tutto bene?"
"Ciao Marla..."
"Ciao..." - Mi rasserenai carezzandogli il volto. Si scostò appena. - "Perchè non sei venuto stanotte? Mi hai fatto preoccupare.."
"Mi dispiace...Non hai dormito?"
"Sì..."
"Bugiarda."
"Giuro! Beh....un  po', non tantissimo.."
"Ecco...."

Sorrisi.

"Allora? E' tutto ok? Ed abbracciami, diamine! Non ci vediamo mai!"
"Marla....Dobbiamo....Dobbiamo parlare."

Raggelai, staccandomi appena da lui. Studiai la sua espressione tesa, le labbra contratte e quelle sopracciglia aggrottate e mi spaventai.
Aveva lo sguardo serio e risoluto che assumeva quand'era costretto ad un'azione spiacevole e non mi rassicurai affatto.

"E' successo qualcosa?"
"Sì..."
"Che...che cosa?? Oddio, non farmi preoccupare! Esme, Alice, stanno bene??"
"Sì, loro stanno bene...Non riguarda casa mia.."
"E cosa, allora?"

Presi un lungo respiro.

"Per favore, chiedi mezz'ora di permesso a Daisy. E' una questione seria e dobbiamo parlarne con calma."
"Ma io...."
"Marla?" - Mi tenne e spalle con le mani - "Per favore?"

Annuii, tremolando.

"D'accordo..Dammi solo un minuto"

Mi avviai verso il pub, pronta a chiedere la cortesia di una mezz'ora libera alla mia buona titolare.

Respiravo impercettibilmente e tuttavia tentai di mantenere salda la voce mentre parlavo con lei.

Quando ritornai fuori - Daisy aveva acconsentito prontamente, senza storie e senza farmi domande - ricominciai a tremare.
Edward mi aspettava dandomi le spalle: non mi guardò ma percepì i miei passi verso di lui e cominciò ad avanzare verso una destinazione ignota.

Osservai la sua mano ciondolare nel vuoto e desiderai ardentemente stringerla. Ma era chiaro che quello fosse il momento meno opportuno cosicché mi trattenni e continuai a seguirlo in religioso silenzio mentre un senso di ansia mi assaliva alla gola.

Non sapevo cosa  sarebbe accaduto entro breve ma sapevo di per certo, dal tono di Edward, che avrei dovuto cominciare a temere.





BELLA POV



Quel mattino, alle cinque, avevo aperto gli occhi meccanicamente, preda dei miei timori e dell'ansia che mia madre avesse potuto scoprire Edward nel mio letto.
Preoccupazione a parte, si era trattato di una notte meravigliosa durante la quale il tepore del corpo di Edward mi aveva scaldato per tutto il tempo. Accoccolata nell'incavo del suo collo ero scivolata in un sonno profondo e ristoratore, ma senza sogni. Ed anche nel sonno percepivo quel suo profumo così buono ed assolutamente familiare.
Era come se conoscessi Edward da sempre, come se il calore e la morbidezza delle sue braccia mi fossero stati solo preclusi negli anni ma fossero stati, in realtà, una mia proprietà esclusiva dalla nascita. Non c'era nulla di estraneo in lui: il modo in cui mi parlava, il modo in cui muoveva le mani, mi accarezzava, quella smania di mordersi le labbra quand'era nervoso. Ci conoscevamo da così poco eppure mi sentivo già in grado di prevedere le sue mosse, anticipare le sue parole, leggere i suoi pensieri. E nulla mi sembrava più facile e quasi più naturale che starmene in un letto abbracciata con lui.


Cosicchè, quando mi svegliai vagamente indolenzita ma già felice come una pasqua - l'idea di saperlo accanto a me era stato il primo pensiero che la mia mente avesse realizzato, nonostante l'oblio prodotto dal sonno - fu non poca la sorpresa nel ritrovarmi il bel faccino di Beth a due centimetri dal mio piuttosto che il viso di Edward.

Se la dormiva beatamente Beth, rannicchiata com'era in una posizione assolutamente scomoda ed io sussultai: Edward, io e mia sorella accoccolati nello stesso letto come una famigliola felice!

"Cazzo, Beth!" - Esclamai scattando a sedere. Nel farlo scostai le braccia di Edward che stringevano dolcemente la mia vita, costringendolo a svegliarsi.
"Che....che diavolo..."
"Ssh!!" - Gli intimai - "Mia sorella dorme nel letto con noi!"
"Sorella?"

Ancora assonnato stropicciò gli occhi e quando ritenne di essere sufficientemente lucido, allungò il collo per scoprire la mia bambina, rannicchiatasi ancora di più contro il mio ventre. Dormiva in parte scoperta, con la boccuccia semiaperta ed una mano sotto la guancia; sembrava non aver risentito neppure minimamente del mio sussulto, dell'agitazione che avevo appena provocato.


"Lei è Beth." - Sussurrai in un sospiro.
"E' molto bella..." - Sorrise. - "Ti somiglia."
"Sì, è identica a me da bambina." - Ammisi sorridendo anche io: Beth era il mio grande orgoglio, quasi una figlia piuttosto che una sorella. - ".. Ha sette anni ed è di una dolcezza infinita."
"Si nota subito dai tratti del viso: sono delicati e regolari."
"Speriamo che non si sia resa conto della tua presenza: chissà a che ora è venuta qui in camera.."
"Ma non tieni la porta chiusa a chiave?"
"Sì ma la chiave della credenza funziona perfettamente anche nella serratura della mia camera e Beth lo sa. Spesso ha gli incubi e siccome mia madre non vuol saperne di consolarla un po' quando questo accade, poiché pensa che sia troppo grande per certi capricci, le ho dato il permesso di venire in camera mia quando più le fa piacere. Solo che ieri m'è passato per la mente..."
"Tua sorella ha gli incubi e tua madre la lascia a dormire da sola?"
"Sì...Crede che alla sua età dovrebbe smetterla con certe sciocchezze."
"Ma è una bambina!" - Protestò.
"Lo so. Ma non per la severissima Miss Swan."

Edward fece spallucce, perplesso, prima di dare uno sguardo all'orologio. Non sembrava troppo d'accordo con i metodi educativi di mamma.

"Sono le cinque...Dovrei andare?"
"Purtroppo sì."

Diede un'ultima occhiata a Beth, infilandosi il suo giubbotto di pelle.

"Sta' tranquilla...Dorme che è un piacere vederla!"
"Non mi preoccupa che stia dormendo adesso. Mi preoccupa il fatto che ti abbia certamente visto stanotte."
"Sarà venuta qui tutta assonnata, neanche mi avrà notato.."

Feci spallucce, poco convinta. Edward mi lasciò un bacio sulla fronte.

"Mi spiace lasciarti andare via così..." - Mormorai a voce bassa - "Avrei voluto darti un buongiorno migliore..."
"No problem, baby...E' stato un ottimo buongiorno." - Sorrise facendomi l'occhiolino ed anch'io, di rimando, sorrisi imbarazzata.

Accompagnai Edward in cucina, facendo piano per non svegliare i miei genitori. Nè io né lui indossavamo scarpe e questo ci consentì di muoverci abbastanza silenziosamente sul linoleum di cas. Entro pochi istanti l'osservai sgusciare rapidamente dalla porta sul retro (avrebbe dato meno nell'occhio) non prima di avermi lasciato un altro breve, dolcissimo bacio sulle labbra.

"Ci vediamo, Swan! Fuori la Queen Elizabeth, alle tre!" - Promise, ed ammiccò ridendo nell mia direzione. Non sembrava pesargli quella situazione assurda. Viceversa, io ero realmente irritata: avevo immaginato un risveglio più dolce e meno frettoloso per noi due.

Tuttavia la sua promessa suonava dolce e sincera alle mie orecchie, cosicché mi diedi una calmata: di lì a poche ore l'avrei rivisto.




Tornata di sopra avevo trovato la mia piccola peste perfettamente sveglia.
Mi aspettava seduta sul letto, sbattendo le lunghe ciglia con fare innocente.


 "Beth....do...dormi cara, è presto!"
"Bella! Chi era quel signore che dormiva nel letto con noi?"

"Sarà venuta qui tutta assonnata, neanche mi avrà notato.."

Ecco.
Le parole di Edward, così rassicuranti e decise, mi risuonarono in testa come la più falsa delle promesse. O forse la più ingenua. Conoscevo Beth, era sveglia ed attenta: figurarsi se non si era resa conto della presenza di un estraneo in casa!
Avrei voluto e dovuto seppellirmi per interi chilometri sotto terra.


"Quale signore....tesoro?"
"Quel ragazzo bello bello che dormiva vicino a te!"

Spalancai gli occhi, esterefatta: decisamente aveva buon gusto, la mia sorellina!
Mi somigliava molto, c'era poco da dire.

"Tesoro....Sarai buona buona per la tua Bella?"

Annuì.

"Bene..." - Mi avvicinai a lei, lentamente, inginocchiandomi infine accanto al letto. - "Allora mi prometti che non dirai nulla?"
"Nulla" - Promise incrociando due dita - "Parola di scout..." - Non era mai stata negli scout ma le piaceva pensare di poterlo fare un giorno.
"Bene...Lui è un mio amico speciale..."

"Allora lui è il tuo fidanzato, Bella!" - Esclamò gioiosamente.
"Sssshh!! Beth! Ti prego, sta' zitta....se ci scopre la mamma è finita!"
"Non le dico nulla, promesso."
"Sì, ma non devi mai, MAI menzionare questa faccenda davanti a lei. Intese?"
"Sì. Te lo giuro su Mister Chuck"

Mister Chuck era l'orsacchiotto preferito di mia sorella, una specie d'ossessione.
Per lui avrebbe rinunciato perfino ad un vassoio di muffin al cioccolato che, notoriamente, costituivano il suo cibo prediletto.

Dunque, il giuramento appariva sincero e  cosicché sospirai più tranquilla.

"D'accordo Beth, ti credo. Comunque sia cerca di stare sempre attenta. La mamma mi ammazza, se viene a saperlo."

Beth allungò le braccine verso di me. Ricambiai il gesto e la strinsi a me.

"Come si chiama il tuo fidanzato, Bella?"
"Si chiama Edward. E non è il mio fidanzato, Beth, ....non ancora almeno." - Sorrisi.
"Ed allora perchè dormiva con te? Jane Morris dice sempre che un maschio ed una femmina non possono dormire insieme se non sono sposati o fidanzati. Anzi: anche da fidanzati non si dovrebbe."

La saliva mi andò di traverso e maledissi Jane Morris o come diavolo si chiamava con tutte le mie forze. Avrebbe potuto evitare di infilare idee puritane della testa di mia sorella!

"Beth...."
"Non lo dico alla mamma!!" - Ripetè, rassicurandomi.
"Ok....allora...Perchè è un amico mooolto speciale e quindi gli ho dato il permesso per dormire con me."
"Come faccio io con Mister Chuck?"
"Esatto. Uguale."


Sospirai più rasserenata: Beth sembrava aver creduto alle mie ultime parole.
Che, del resto, non erano poi così false.
Edward non poteva essere considerato ancora il mio ragazzo anche se mia sorella aveva ipotizzato, a ben ragione, che lo fosse.

Il mio fidanzato.
Edward Cullen.
Edward.


Ero agitata. Non sapevo cosa pensare: era tutto così incredibile!

No davvero, non potevo già considerarlo il mio ragazzo.
Non dopo una sola notte trascorsa insieme.
Avevamo ancora molto da dirci e molto da scoprire: abitudini, amicizie, gusti, modi di fare e di dire, luoghi preferiti e tanto altro ancora. Sapevo che per molti versi eravamo semplicemente differenti, per certi altri viaggiavamo su binari praticamente paralleli. Eppure questa diversità non mi spaventava: la consideravo come un elemento entusiasmante, una specie di avventura incontrollabile nel mio monotono universo fatto di ricchezza e bon ton. Avremmo goduto ognuno delle reciproche differenze e le esperienze individuali ci avrebbero arricchito inevitabilmente.
Ci saremmo frequentati, forse più seriamente col passare del tempo, ed avremmo scoperto la bellezza e la gioia di condividere i propri giorni assieme.

Tutto questo, ovviamente, una volta che Edward avesse posto fine alla sua storia con Marlene.

Non mi piaceva illudermi e non l'avrei fatto: Edward aveva progettato il tutto molto facilmente.
Troppo facilmente.

Ed in realtà anch'io avevo pensato che fosse così molto semplice. Ero stata precipitosa ma alla luce del giorno guardavo le cose da un'altra prospettiva e non ero più così certa che avrebbe potuto tagliare i legami in maniera tanto rapida ed indolore.
Edward e Marlene avevano l'aria di conoscersi da sempre e certo una semplice sconosciuta non sarebbe bastata a distruggere un rapporto così solido, fosse basato sull'amore o sul semplice affetto.



Quel mattino consumai la mia colazione in tutta fretta e con fare distratto.
Il peso che portavo sulla coscienza non mi permetteva di star tranquilla. Mi agitavo sulla sedia inghiottendo il cibo in grossi bocconi.
Mio padre appariva silenzioso ed intento alle sue letture quotidiane, cosicché non si rese conto di nulla.
Viceversa, sapevo che mia madre mi guardava furtivamente, con sguardo turbato e sicuramente stava rimurginando sulle possibili cause del mio atteggiamento misterioso. Non le badai troppo - non sarei stata in grado di sostenere le sue domande incalzanti - e, piuttosto, afferrai rapidamente Beth per la mano - l'avrei accompagnata io a scuola, quel giorno - infilando in tutta fretta la porta di casa.

"Hai visto Bella? Sono stata brava, non ho detto nulla alla mamma!" - Mugolò la mia sorellina trotterellandomi accanto.

"Bravissima, tesoro! Non avrei avuto dubbi!"
"Buongiorno donne! Di cosa parlate?"

Angela si materializzò al nostro fianco dal nulla, costringendomi ad un sussulto.

"Razza di....."
"Sh! C'è la tua sorellina, controlla le parole o mamma Swan ti punirà!"
"Tu mi vuoi morta! Ogni volta che ti presenti mi viene un colpo!"

Beth rise di gusto ed Angela con lei.

"Guarda la tua sorellina! Mi vuol bene....Vero tesoro mio?"

Elisabeth pigolò un "sì" sincero, continuando a tenermi la mano e guardando la strada dinanzi  a sé con una risolutezza quasi comica per la sua età.

"Tutto bene, Swan?"
"Alla grande..."
"Di poche parole, stamattina? Cioè, a parte maledirmi non mi hai detto nulla...neppure mi hai augurato il buongiorno..!"
"E come potrebbe essere un buon giorno con te che tenti ogni volta di farmi prendere un infarto??"
"Esagerata!"

Beth, al mio fianco, mi guardò per qualche minuto. Sapeva che avrei avuto certamente qualcosa da raccontare alla mia migliore amica e, forse, attendeva che cominciassi a narrarle la mia storia. Dal canto mio non avevo voglia di riprendere il discorso davanti a lei: preferivo dimenticasse presto tutta la faccenda, cosicché avrei potuto stare più tranquilla con mia madre nei paraggi. Dopotutto, era già tanto che non mi avesse scoperta di suo. Tuttavia, era una bambina di cui ci si poteva fidare e, da brava e devota sorellina, non menzionò neppure minimamente la faccenda davanti ad Angela senza il mio consenso.

Quando la osservai varcare il portone d'ingresso della sua scuola elementare - per qualche strano motivo la sua campanella suonava un quarto d'ora prima della mia, nonostante io frequentassi un istituto superiore - mi rivolsi ad Angela con tono allusivo.

"Effettivamente qualcosa da raccontarti c'è..."
"Lo sapevo! Sei troppo silenziosa e ciò vuol dire che mi nascondi qualcosa..."
"Niente che non sia pronta a rivelarti adesso. Non volevo parlarne davanti ad Elisabeth...Non un'altra volta, almeno.."
"Che succede, Bella?"

"Stanotte ho dormito con Edward."

La mia riposta arrivò sconcertante e violenta come un sasso in pieno viso. Guardai Angela sputare ovunque, presa da una tosse convulsa.
Non feci una piega.

"Lo so, è assurdo."
"A...Assurdo? Dici soltanto...ASSURDO??? Bella...è...è...sconvolgente! Dio Mio!!"
"Angela, ti prego...calmati.."
Calmarmi?? Gesù, Bells! Hai lanciato una bomba di proporzioni enormi! Come credi che possa reagire??"
"Come un'amica dovrebbe fare!"
"Ossia?? Hai dormito con un estraneo!"
"Edward non è un estraneo!"
"Ah sì? E chi sarebbe, tuo marito?? Dio, Bella, stai perdendo il lume della ragione!"

Sospirai, rassegnata.
Non c'era niente di semplice o di accettabile nella mia storia. Neanche per la mia migliore amica.

"Angela, tranquillizzati. Non è accaduto niente, se è questo che ti preoccupa. E se pure fosse...beh, sarebbero fatti solo miei!"
"Non credo proprio, Swan! Ti conosco da bambina e da amica ho il dovere morale di evitarti sciocchezze simili!"
"D'accordo Angie. Ti ringrazio, so che lo fai soltanto perchè mi vuoi bene...Ma adesso...ti andrebbe di ascoltarmi? Per favore, vieni a scuola con me e permettimi di spiegarmi...Ti racconterò tutto con calma.." - Promisi sospirando, nella speranza di ottenere l'effetto desiderato.

Ci riuscii. Il viso di Angela, da paonazzo, riprese gradatamente il colorito naturale. Dopotutto non poteva aver di certo voglia di litigare per una simile questione e neanche io.

Attese qualche istante, ancora a corto di parole, dopodiché annuì sospirando, ancora agitata. Infine si decise a riprendere il cammino verso scuola assieme a me.



*


"Credo di non avere parole a sufficienza per descrivere il mio stato d'animo." - Mormorò Angela in un sospiro, muovendosi stancamente verso l'uscita. Era davvero sconvolta.
Risi alla vista del suo sguardo allucinato, perso nel vuoto.

Dopo sei ore consecutive ancora non riusciva a farsene una ragione.

"Ti sembra così inaccettabile?"
"Più che altro mi sembra irreale....E precipitoso."
"Non posso non ammettere che si accaduto tutto molto rapidamente però...Beh, non me ne pento. E non mi sembra neanche così fuori luogo. E' come se avessi sempre saputo, dal primo momento in cui l'ho visto, che tra di noi sarebbe finita così."
"Oh, Romeo, Romeo!" - Esclamò Angela, ironica. - "Terra chiama Isabella! Isabella, rispondi!" - La guardai di sbieco. - "Bella, taglia corto con quel tono sognante...Credi davvero che sarà tutto così facile?"
"Lo spero."
"E ad Oliver hai pensato?"
"Che devo farci con Oliver?"

Caddi dalle nuvole.

"Isabella! E' innamorato perso! Vuoi davvero deluderlo così?"
"Angela! Io non voglio deludere proprio nessuno! Ma non sono innamorata di Oliver e non posso costringermi a frequentarlo se non mi va!"
"E saresti innamorata di Edward, invece?"

Arrossii, violentemente.

"Sono quantomeno molto presa...Almeno provo qualcosa per lui, qualsiasi cosa sia!"

Fece spallucce, sospirando.

"E con i tuoi?"
"Oddio Angela! Ho detto che ci frequenteremo, non devo mica sposarmelo! Non è necessario che mia madre sappia di noi!"
"D'accordo Bells. Fa' come ritieni più opportuno." - Aggiunse piccata. L'aveva presa sul personale.
"E così sarà.." - Risposi con convinzione. Poi, più dolcemente aggiunsi:
"...Ma in qualunque modo vadano le cose vorrei poter avere la mia migliore amica accanto. Anche se non approvi, ti prego, non mollarmi. Ho sempre bisogno di te."

Sorrise appena, guardandomi con la coda dell'occhio. Poi mi abbracciò e, lasciandomi un bacio sulla guancia, mi rassicurò:

"No, non potrei mai abbandonarti. Ma sarà meglio per il tuo cavaliere che si comporti adeguatamente o dovrà vedersela con me!"
"D'accordo!" - Risi con lei - "Contaci...correrò da te!"
"Ed ora va'.." - Aggiunse mentre l'ultima campanella decretava la fine definitiva, per quel giorno, di tutte le lezioni - ".....la scuola è terminata, vai in pace o donna....Sbaglio o il principe azzurro ti ha promesso di venire a prenderti?"

All'udire le parole di Angela, gli occhi mi si illuminarono. Nell'ansia di spiegarmi, di confessare i moti irrazionali del mio cuore alla mia migliore amica, avevo quasi dimenticato quanto di bello mi attendesse all'uscita di scuola.

Salutai Angy con un bacio veloce - avrebbe perdonato la mia impazienza, ne ero certa - e con passo rapido mi diressi verso l'esterno.

Raggiunsi la strada rapidamente. Da lontano scorsi la chioma liscia e bruna di Oliver ma cercai di nascondermi al suo sguardo: l'avevo evitato per tutte le ore di lezione, non era certo il caso di parlarci adesso che c'era Edward in giro!
Pregai, a tal proposito, che non lo sorprendesse fuori scuola e cominciai a guardarmi intorno alla sua ricerca: l'avrei trovato per prima ed insieme saremmo corsi da un'altra parte, ridendo felici di esserci ritrovati.

Girai lo sguardo a destra e sinistra ma non riuscii a scorgerne la figura familiare. Feci spallucce, ipotizzando che con tutta quella confusione sarebbe stato difficile trovarlo. Angela mi passò accanto, facendomi l'occhiolino, ed io le sorrisi di rimando.
Seguii con lo sguardo i suoi capelli neri ondeggiare nel vento finché non li vidi scomparire nel traffico di Londra.
Tornai a guardarmi intorno, aguzzando la vista: di Edward nemmeno l'ombra.

"Sarà in ritardo.." - Pensai - "L'aspetterò...arriverà fra poco, certamente."

Alice, a posta distanza, attraversò la strada trafelata: quel giorno non l'avevo incontrata neppure una volta,durante le lezioni, tanto che avevo dubitato della sua stessa presenza a scuola. La lasciai correre: preferii non fermarla e non chiedere di Edward. Non mi andava di dare troppo nell'occhio, non subito almeno.

A poco a poco lo spiazzo davanti scuola andò svuotandosi: vidi sfilare Johnny Marshall e sua sorella Margareth, Jessica Stanley mano nella mano con Mike (di nuovo?) mentre le bella Rebecca si era già allontanata da tempo col suo fare disinvolto e noncurante. Ed ancora Lauren, Scott, Rachel William e suo fratello Oscar.
Per un po' me ne stetti quieta, immaginando che quella di Edward fosse stata soltanto una tattica per evitare che troppi occhi indiscreti spiassero il nostro incontro.
Tuttavia, dopo un po', un senso di ansia, misto ad una triste consapevolezza, cominciò a salire dalla bocca dello stomaco.
Ormai ero sola fuori alla Queen Elizabeth.

Guardai con un brivido al mio orologio da polso: segnava già le quattro.
Come se non fosse bastato, una campana lontana evidenziò, con i suoi rintocchi ostili, la mia solitudine. Le quattro ed ero ancora sola.

Sospirai impressionata, volgendo lo sguardo a destra e sinistra.

Di Edward neppure l'ombra.





POV EDWARD



"Marla, ti scongiuro! Basta adesso! Lasciami andare..."
"No, invece! Tu non andrai da nessuna parte, Edward Cullen! Non devi muoverti di qui....me lo devi!"

Afferrai Marlene per un braccio, piantandola con le spalle al muro di cinta di una casa dismessa posta lungo il nostro cammino. Dei bambini ci guardarono curiosi mentre una signora, intenta a stendere il bucato da una finestra in alto, mi sogguardò con aria di rimprovero.
Ma non era mia intenzione farle male: stavo cercando soltanto di frenarla e calmarla.
Marla tirava scalciava e si dimenava urlando per strada da ore: non ero più in grado, paradossalmente, di gestirla.

Sospirando, le rivolsi un'occhiata supplichevole.

"Marla....Sono ore che parliamo. Sai bene come stanno le cose tra di noi. E' da un pezzo che la storia va avanti, non ti ho raccontato niente di sorprendente...Per piacere, vienimi incontro. La nostra relazione è soffocante per me ed è un male per te. Non puoi stare con una persona che non ti ama, non te lo meriti. Dovresti aspirare a qualcosa di meglio."
"Sei tu il meglio!" - Ribatté tra le lacrime. Riprese a singhiozzare ed io mi sentii un verme. Soltanto il ricordo delle braccia di Isabella che mi cingevano nel buio della notte mi fornì del coraggio necessario per non cedere. Se non avessi mai conosciuto Bella, se non avessi mai scoperto quanto poteva essere deliziosa la mia giornata accanto a quella peste dalla chioma bruna, non avrei mai trovato la forza necessaria per troncare con Marla. Ero troppo vigliaccio e troppo abituato alla mia normale esistenza con lei. Senza emozioni, senza amore. Almeno da parte mia. E tuttavia io e Marlene eravamo stati un sostegno l'uno per l'altra in molte occasioni, cosicché per troppi anni avevo deciso che mi poteva anche stare bene la nostra storia priva di passione. Lei mi amava, io le volevo bene. Mi comprendeva, non rompeva le scatole. Ci conoscevamo da un vita e tutto sommato era a posto. Andava bene, era ok. Non m'interessava cercare altro.

Non mi era interessato finché non avevo conosciuto Isabella Swan.

Ed allora avevo provato sensazioni inspiegabili: qualcosa di mai avvertito prima.
La curiosità di conoscerla. Quando ancora era soltanto un'immagine nebulosa di ragazza tra le parole entusiaste di Oliver. L'ansia di rivederla di nuovo, una volta incontrati i suoi occhi color cioccolata. Così luminosi, così sinceri.
L'agitazione nel sfiorarle furtivamente una mano, una guancia.
E quel batticuore irrazionale nel tenerla stretta a me durante una delle più belle notti della mia esistenza.

Bella mi toglieva il respiro. Con lei diventavo un imbecille, seriamente. Per quanto mantenessi la mia razionalità e quel modo di fare brusco che tutti conoscevano, dentro mi sentivo diverso.
Dentro di me ero un altro se Isabella era accanto a me.

Con Marlene questo non era mai accaduto. E non avrei mai voluto che questo venisse a galla ma era la verità: non l'amavo.

Non come stavo cominciando ad amare Isabella.


"Marlene, ti prego, cerca di ragionare..."
"Ragionare?? Mi chiedi di RAGIONARE??" - Urlò - "Ti presenti di primo mattino al pub dove lavoro dopo che t'ho aspettato come una scema per tutta la notte, mi trascini via chiedendomi mezz'ora e cosa vieni a dirmi?? Sai Marla, credo che sia meglio per entrambi chiudere la nostra storia..!" - Continuò imitando la mia voce con fare esasperato. - "Sei completamente andato, Edward??? Pensi seriamente che io l'accetti così facilmente?!"

Effettivamente le cose erano andate proprio così.
Quel mattino l'avevo portata in un posto tranquillo, vicino al pub.
Le avevo riferito le stesse, precise parole pronunciate da lei.

Marla, dapprima, aveva riso a crepapelle. Isterica. Voleva fingere si trattasse di uno scherzo. Sapeva bene che non le stavo mentendo, tuttavia.
E quando mi ero mostrato irremovibile era impazzita.
Era tornata al pub piangendo ed urlando.
Daisy, vedendola in quelle condizioni, aveva finito con l'accordarle una giornata libera.

Io, nel frattempo, ero letteralmente scappato a casa, preda dei sensi di colpa e del rimorso.
Fuggivo da Marlene, fuggivo da me stesso e dai casini che stavo combinando.

E tuttavia non si trattò di una cattiva mossa, giacché riuscii quantomeno a risollevare il morale di mia madre che mi aveva dato per disperso dopo aver trascorso un'intera notte fuori.

Marla mi aveva raggiunto dopo poco scalciando, dimenandosi e tirando pugni alla porta d'ingresso.
Esme mi aveva pregato di uscire per calmarla prima che distruggesse l'intero circondario.

Avevo obbedito e mi ero precipitato fuori. 
La nostra storia, le nostre lacrime, quell'addio straziante che Marla non si rassegnava ad accettare erano diventati alimento per l'insana curiosità dei vicini.
Ero nauseato.
Alla fine, esasperato, avevo trascinato Marla più lontano, ed ora ci stavamo dirigendo verso il garage dov'ero solito provare con il gruppo.
Quantomeno si trattava di un posto un tantino più isolato.
E tuttavia detestavo prendere parte a quelle scene di isteria che Marlene stava montando per strada. Inoltre, erano ore che litigavamo. Mi sentivo d'impazzire.


"Marla, lo so, sono un bastardo. Ho trovato il modo ed il tempo peggiore per parlarti, ti chiedo scusa per questo...Sai che non sono mai stato bravo con le parole.."
"Con me non hi mai avuto bisogno di parlare troppo. Ti capivo anche se stavi in silenzio..."
"E' vero...Hai sempre avuto una capacità innata di comprendere gli altri."
"Non gli altri! Te, soltanto te!"
"Non è vero! Me, Frank, tua madre, Roxane....Le persone a cui vuoi bene, Marla. Le persone cui vuoi bene..."
"Smettila! Tu non sei come gli altri! Tu sei diverso per me, sei speciale...e lo sai!"

Il cuore mi si strinse in una morsa.
Da un lato Marlene che si angosciava per me.
Mi sentivo lurido e stomachevole come un assassino.

Dall'altro lato Isabella.
Le avevo promesso di raggiungerla fuori scuola. Non mi ero fatto vivo.
Cos'avrebbe pensato di me?

"Marla, basta. Te lo chiedo seriamente e per l'ultima volta. Diciamoci addio da persone civili, da persone che si vogliono bene. Il mio affetto per te resterà immutato, sarai sempre come una sorella..." - Aggiunsi afferrandole un braccio. Mi scacciò in malo modo.
"Una sorella?? Una sorella?? Ce l'hai già una sorella, si chiama Alice! Io non sono tua sorella, cazzo!"
"Dio! Marla, smettila! Ti rendi conto che stai rendendo tutto più difficile??"
"E tu ti rendi conto di quel che mi stai chiedendo?? Mettere fine alla nostra storia...Sono dieci anni che viviamo in simbiosi! Edward, è folle! Se solo ci penso mi manca l'aria per respirare!! Io...io non posso...non posso vivere senza di te.."

Le parole di Marlene risuonarono in testa, scuotendomi.
La sentii singhiozzare, dietro di me.
Avrei voluto nient'altro che sprofondare. Una delle persone più care della mia esistenza stava soffrendo, per colpa mia, ed io non ero in grado di gestire la situazione. Di porre fine alla questione senza farla soffrire oltre.

Pensai che l'Amore non fosse affar mio. Ero negato, in certe situazioni.

"Cosa mi manca, Edward? Cosa c'è che non va in me? Tutte le persone cui voglio bene spariscono o si comportano male...Prima mio padre, poi Frank....adesso tu. Che c'è che non va?" - Si domandò tra le lacrime.
Io, che la precedevo nel cammino - eravamo ormai arrivati al vecchio garage - mi voltai rapidamente verso di lei, tenendole le mani.

"Marla, non c'è proprio nulla che non vada in te..."
"Oh sì, invece! Andate tutti via, tutti....Mi lasciate da sola, sempre..."
"Io ci sarò sempre per te..."
"Ma non come desidero io. E non ti voglio come amico..."
"Marla..."


Da lontano un orologio batté le cinque del pomeriggio.
Le cinque.

Bella era uscita di scuola due ore prima ed io non c'ero.
Marla piangeva a causa mia e neanche per lei c'ero.

Mi maledissi cento volte.

Dietro di noi, udimmo la porta del garage cigolare.
Non ci badai.
Era una porta sgangherata ed arrugginita. Bastava un soffio di vento per farla muovere autonomamente sui propri cardini.

Marla alzò leggermente il viso - nel tentativo di incontrare i miei occhi.
Tuttavia, nel farlo, il suo sguardo si dirottò altrove.

Ad una figurina esile che se ne stava alle nostre spalle, senza il coragigo di muoversi.
Di restare o di andare via.

"E tu che ci fai qua?" - Sibilò Marla a denti stretti.

Non essendo riuscito a comprendere chi fosse l'oggetto della sua ira, mi voltai a guardare dietro di me.

Ed allora incontrai quegli occhi color cioccolata che tanto mi stavano a cuore.

Gli occhi di Isabella che, tremolante, con un pacchetto in mano, ci fissava con aria triste ed esterefatta.

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Capitolo 10
*** Cap.10 ***


ed10
My Ugly Boy










"Io....io ero....Tu, Edward.....non ...."


Avrei dovuto spiccicare almeno una parola sensata, cazzo! Ed invece....me ne stetti lì impalata e quasi tremolante davanti ad una Marla più simile ad un toro infuriato che ad una donna.
Ma non avevo paura di lei, in realtà. No davvero: era l'idea di Edward in quel luogo con la sua ex ragazza (o attuale ragazza: ancora non avrei saputo pronunciarmi a riguardo) a destabilizzarmi.

Mi aveva promesso di essere fuori scuola, a lezione terminata.
Mi aveva promesso una nuova, favolosa giornata insieme.
Ci avevo creduto, sul serio.

Ed invece era lì, con lei. Dove non avrei immaginato mai.

Quando non l'avevo trovato lì, ad attendermi fuori scuola, mi ero scioccamente convinta che avesse avuto un impegno. Che, forse, avesse deciso di provare un po' come Emmett. O che, semplicemente, troppo stanco, avesse deciso di tornarsene a casa, dormire.

L'opzione "pomeriggio con Marla", la mia mente neanche l'aveva contemplata.


"Non hai risposto alla mia domanda..Che cazzo fai qui?!" - La voce di Marlene mi raggiunse nuovamente, stridula ed esasperante. Respirai a fondo, tentando di riprendere il controllo di me stessa, ed avanzai di qualche passo.
Tra le fauci del nemico.

Sotto braccio portavo un pacchetto: lungo la via verso Brixton mi ero fermata presso un negozio di dischi abbastanza fornito. Incuriosita, ero entrata al suo interno con fare assorto e lo sguardo era caduto su un album in particolare: Live in Japan, delle Runaways.
Sorridendo l'avevo acquistato senza pensarci su (nonostante il prezzo avesse prosciugato, difatti, il mio portafogli), pronta a regalarlo ad Edward non appena l'avessi rivisto: volevo dimostrargli che anche le donne erano in grado di fare rock.

Cosicchè, di tutta risposta alla domanda della mia "nemica", finii con l'allungare il braccio verso Edward, piuttosto, mostrandogli la busta del negozio di dischi.

"The Glam Rock": il nome del negozio era stampato sulla carta bianca a caratteri colorati, vagamente gotici.


"Ero venuta soltanto per....portarti questo, Edward." - Mormorai senza rivolgere un solo sguardo a Marlene.

Edward, che sino ad allora non era stato in grado di pronunciare una sola sillaba, bianco come se avesse visto un fantasma, riuscì a malapena a balbettare qualche parola.

"Io....Bella..."

Ovviamente il mio atteggiamento non aiutò Marlene a calmarsi: l'assoluta indifferenza che dìmostravo nei suoi confronti doveva costituire, certamente, fonte di profonda irritazione per lei. Cosicché non ci impiegò poi molto a sbottare ulteriormente.


"Che diamine fai?? Devi parlare con me, non con Edward! Sono io che t'ho fatto una domanda!"

Mantenni lo sguardo fisso su Edward - i suoi occhi, supplichevoli e quasi spaventati, non riuscivano a staccarsi dai miei - mentre il pacchetto se ne stava ancora lì, a mezz'aria, in attesa che il legittimo proprietario lo accettasse.

"Ho risposto, Marlene. Sono venuta qui soltanto per dare questo ad Edward. Ora vado via."

Marla afferrò il mio regalo con astio prima che potesse farlo Edward. Quest'ultimo la guardò furioso.
Io ero soltanto rassegnata.

"Marla, non ci senti?? Quello è mio!" - Tentò di ribellarsi Edward.
"Sta' fermo!" - Esclamò Marla a sua volta, respingendolo mentre tentava di riacciuffare il disco. Mi parve di assistere ad una baruffa tra ragazzini e mi venne da piangere. Marla scartò il pacco velocemente e l'album delle Runaways saltò  fuori in tutto il suo splendore. Amavo Joan Jett e su quella copertina colorata mi pareva ancora più bella e sfacciata del solito.
 

"The Runaways..." - Soffiò astiosa. - "E cosa dovrebbe farci Edward con il disco di questo gruppetto, sentiamo? E, soprattutto, perchè gliel'hai portato?!"
"Soltanto perchè Edward è un musicista. Volevo mostrargli quanto potesse essere altrettanto interessante la musica prodotta da sole donne. Niente di trascendentale, Marla."
"Non m'interessa cosa volessi o non volessi mostrargli. Da quanto siete in una tale confidenza da scambiarvi pareri musicali?!"

"Marla, adesso basta! Sei irritante! E smettila di urlare, mi stai  assordando! Bella non sta facendo nulla di male mentre tu le stai letteralmente rompendo le scatole!"

Edward si risvegliò di colpo dallo stato di trance in cui sembrava essere scivolato. Lo sguardai attentamente, senza dire una parola. Sapevo che, se avessi reagito, Marlene avrebbe trovato terreno fertile per montare un'altra delle sue scenate. E non avrei considerato assurda l'idea di vederla alzare le mani su di me, brutale e vergognosamente maleducata com'era. Mi limitai a fissarla con disgusto: di fronte al suo modo di fare qualsiasi rimorso avessi potuto provare in precedenza nei suoi confronti scompariva come neve al sole.

"Edward, mi credi così stupida? Seriamente?" - Esclamò dunque, sputando le parole con disprezzo. L'odio che le fiameggiava in quegli occhi chiari era tale che, se avesse posseduto una qualsiasi arma - ne ero certa - si sarebbe macchiata di un omicidio. E probabilmente la sua vittima sarei stata io - "I tuoi atteggiamenti strani, le tue ambiguità....Sono soltanto peggiorati da quando..." - Mi guardò come se fossi stata soltanto un piccolo verme - "...da quando questa puttanella piena di soldi è comparsa nella nostra vita!"
"Marla!"
"Edward, no!" - Urlai.

Edward aveva alzato la mano destra, pronto a schiaffeggiare la sua interlocutrice. Tuttavia ero riuscita a ripotarlo sulla retta via prima che potesse pentirsi del proprio gesto.
Marlene lo guardò con raccapriccio e lui stesso finì col contemplare la propria mano con uno sguardo esterefatto.


"Io....io non volevo..."
"Non volevi cosa, Edward?!" - Marlene alzò la voce di un'ottava, ancora una volta - "L'avresti fatto...Se lei non ti avesse fermto tu...tu mi avresti..."

"Sentite, io vado, seriamente....Non trovo alcun senso a star qui..."
"Zitta, tu!"

"Marlene, ti chiedo scusa, non avrei mai neanche dovuto pensarci ma....Diamine, mi stai facendo perdere le staffe! Sono ore che non fai altro che urlare ed istigarmi, sono esasperato!...Sono ore che ti chiedo un dialogo pacifico e te ne sbatti!"

Ore?
Quindi Edward non si era presentato al nostro appuntamento per litigare con Marlene?
Una vera discussione da fidanzati, dunque!

Strinsi più forte il bavero della giacca: avevo bisogno di appigliarmi a qualcosa.


"...E come se non bastasse!" - continuò - "...Darle della puttana, senza alcun motivo! Che diavolo di persona sei??"
"Senza motivo?? Io non sono stupida, Edward e tu non mi freghi! Cosa c'è tra di voi?? AMMETTILO!"


Allora, Edward, lentamente, ruotò il capo nella mia direzione.
Mi osservò con occhi tristi eppure il suo sguardo mi parve risoluto.
Avvampai e qualcosa, dentro di me, mi suggerì di prepararmi al peggio.

Non avevo torto.

I suoi occhi d'un tratto vitrei mi scrutarono come se fossi diventata, d'improvviso, un fantasma.
Invisibile, incolore.
Come se in quell'istante, di fronte a lui, non ci fosse stata nessuna Bella Swan in grado di soffrire. Di provare emozioni.


"Non c'è nulla tra di noi, Marla. Ti sbagli senz'altro. Isabella è soltanto un'amica. E nulla di più."


La risolutezza, l'assoluta convinzione con cui Edward pronunciò quelle parole così significative fu tale che anche quella sguaiata e sciocca ragazzina di periferia si decise a smettere di urlare come un'ossessa.

Dal canto mio era come se Edward avesse rivolto a me quello schiaffo che, soltanto qualche istante prima, si era trattenuto dal dare a  Marla.


Isabella è soltanto un'amica.


Oh, certo.
Avrei dovuto capirlo. Dopotutto doveva aver immaginato che non valesse troppo la pena imbarcarsi in un storiella senza fortuna con una ragazzina viziata come me.
Doveva certamente aver ipotizzato che sarei stata più piagnucolosa e seccante della stessa Marlene ed a Edward non piaceva avere troppe grane.

Ma certo. Liquidarmi come amica era la mossa giusta, dopotutto.

"Esatto. Sono soltanto un'amica.." - Pronunciai allora lentamente. Essere ferita nell'orgoglio (e nei sentimenti) aveva, dopotutto, il pregio di rendermi audace, ironica e priva di buoni sentimenti. - "Non c'è bisogno che tu smuova mari e monti per un'amica, Marlene. Piuttosto ti consiglio di calmarti..."
"Tu non mi consigli proprio..."
"...Ed ora.." - Continuai senza badarle, stanca delle sue sfuriate infernali. - "...Se non vi dispiace, io andrei. Ho da fare. Vi lascio il disco. Buon ascolto."


Girai sui miei tacchi, disinvolta.
Dentro di me pregai che Edward chiamasse il mio nome.
Che trovasse il coraggio di fermarmi, anche davanti a Marlene, e di dirmi che aveva sbagliato.
Che non mi ero illusa e che, tra noi, tutto poteva andare alla grande.

Non accade.

Quando mi voltai, pronta a far ritorno a Gloucester Road, Edward aveva già abbassato lo sguardo, apparentemente mortificato.
Fortunatamente anche Marlene non pronunciò alcuna parola e non m'intimò di restare: non l'avrei tollerata ancora.

Scattai rapida, a grandi passi, lontano da quel garage.
Lontano da Brixton.
Lontano da Edward.

Dietro di me, il silenzio.




Mi ero precipitata in quel luogo, preoccupata per lui.
E piena di ansia, di voglia di rivederlo.

Tutto ciò che avevo ricevuto in cambio era stato null'altro che l'ennesima delusione.
Forse la conferma a tutti i miei dubbi, alle perplessità che mi avevano frenato sin dal principio.

Edward, quel pomeriggio, era rimasto con Marlene.
A litigare e discutere, certo. Ma era rimasto pur sempre con lei.
E forse quella sera, dopo tante chiacchiere inutili, avrebbe trovato anche un buon modo per riappacificarsi con la propria ragazza.
Non volevo neppure pensare a quale potesse essere quel modo.


Ma, dopotutto, io ero nient'altro che un'amica per lui.
Della sua vita privata non dovevo interessarmi.


Non c'era stata nessuna dolcissima notte tra noi.

Avrei cancellato il ricordo del suo respiro tra i miei capelli, delle sue labbra morbide poggiate alla mia spalla semiscoperta.
Avrei strappato via dalla testa le sue parole, le sue promesse fasulle, la sua dichiarazione senza cuore.

Perchè, ciò che più contava, era che, davanti alla sua ragazza, Edward avesse ammesso la verità più importante.

Che Isabella Swan non era altro che un' amica.
Una cara amica.









Fanculo, Edward.




*


"Allora, ci vieni?"
"Uh?"
"Ci vieni, ho detto?"

Oliver mi guardò esasperato.
Ad essere onesta ero più esasperata io dalle sue domande incalzanti: non ci voleva poi molto per comprendere che non fossi dell'umore adatto per imbarcarmi in una sana chiacchierata tra amici.

"Dove dovrei venire, Ol?"
"Dio, Bella! E' da un quarto d'ora che te lo ripeto...Ma non mi ascolti?!"
"Evidentemente no.."  - Risposi piccata, mangiucchiando la matita con la quale stavo scarabocchiando immagini astratte sul quaderno di Letteratura.

Detestavo le pause tra una lezione e l'altra. Detestavo essere disturbata durante suddette pause.

"Ol, lasciala perdere...è di cattivo umore!" - S'intromise Angela, ridacchiando.
"Un motivo in più per esserci sabato pomeriggio. Almeno potrai distrarti un po' dai tuoi pensieri...no?"

"Ok. Che diavolo succede sabato pomeriggio?"

"Suoniamo!" - Rispose Oliver illuminandosi. - I White Riot suonano al Borderline di Tottenham e siete entrambe ufficialmente invitate! E' il nostro primo live serio, non sto più nella pelle!"

Per poco non mi strozzai.
I White Riot erano la band in cui Oliver cantava.
Il bassista della medesima band era Edward, ovviamente.

Avrei dovuto distrarmi dalla sofferenza che lui stesso mi aveva causato correndo ad ascoltarlo?
No, decisamente non era una buona idea quella.

Erano cinque giorni, ormai, che non rivedevo Edward.
Di lui, neanche l'ombra. Neppure un spiegazione, una risposta ai perchè che mi assallivano nel cuore della notte.

Dopotutto non mi ero mai sbagliata: certamente Edward doveva avermi preso in giro.
Era stata tutta un'illusione.
Ovviamente.

Dunque avrei dovuto essere arrabbiata.
Avrei dovuto essere furiosa.
Avrei dovuto desiderare nient'altro che non rivederlo mai più.

E tuttavia non riuscivo a comprendere perchè, nonostante la delusione, la frustrazione e la rabbia, non avessi altro pensiero al di fuori di lui.

Edward era la mia ossessione ed il più bello, il più struggente dei tormenti.
Più volte, nell'arco di quei giorni, la mia mente mi aveva beffata: cosicché, nelle mie allucinazioni diurne vedevo e perdevo Edward di continuo. Talvolta sovrapponevo il suo viso a quello di un passante o di un compagno di scuola. Immaginavo, scioccamente, di ritrovarmelo fuori la Queen Elizabeth ed il dolore al cuore era sempre troppo bruciante allorché mi rendevo conto che il tutto era semplicemente frutto della mia sciocca immaginazione.

La notte neppure mi risparmiava: finivo continuamente col sognarlo, Edward.
Ed anche nei miei sogni mi ribadiva con efficacia il concetto.

"Sei solo un'amica, Isabella." - Commentava lapidario prima di allontanarsi con la sua bionda compagna dallo sguardo vittorioso.


Mi ero aggrappata al ricordo della nostra notte assieme, al ricordo di quell'Edward dolcissimo che mi confessava, col cuore in mano e con occhi sinceri, il legame imprescindibile che l'univa a me.
Alla fine, stanca, avevo tentato di rassegnarmi: quel ricordo non avrebbe rappresentato un cura per la mia anima delusa ma soltanto l'ennesima ferita.

No, decisamente: andare al Borderline, quel sabato pomeriggio, solo per vederlo suonare sfrontato e disinteressato come soltanto lui sapeva fare, sarebbe stata l'ultima cosa che avrei fatto nella mia vita.
Tutto sommato mi volevo bene e non  mi piaceva procurarmi del male così gratuitamente.


"Mi spiace Ol..." - Mormorai - "..Sabato ho già un impegno."
"Oh!"

Abbassai lo sguardo mortificata per evitare di vedermi sbandierare davanti l'espressione contrita di Oliver. Non era mia intenzione deluderlo e mi dispiaceva seriamente non prendere parte alla primissima, tenera realizzazione del suo sogno di diventare cantante. Ma non potevo, lo dovevo a me stessa.

"Impegno? Che impegno?" - Domandò Angela, cui avevo evitato di raccontare le mie ultime disavventure. Mi aveva assediata di domande, in quegli ultimi giorni, ed io le avevo evitate ad una ad una, chiudendomi in un ostinato mutismo. Cosicché aveva smesso di tormentarmi ma ero certa che la sua curiosità fosse ancora in agguato, pronta a saltar fuori alla prima occasione buona. Non era da Angela arrendersi così facilmente.

"Un impegno con mia madre."
"Il sabato pomeriggio TUA madre gioca a carte con MIA madre e con le altre sfigate del circolo del bridge, Bella."
"Non sono sfigate."
"Ah no, scusa, sono tipe davvero ok, effettivamente..."
"Angela, smettila. E' vero, non ho un impegno. Ma non mi va, non sono dell'umore adatto. Va bene così?"
"E certo...lo so io perchè non se dell'umore adatto..."

"Perchè?" - domandò Oliver, affranto.
"Niente Oliver. Niente, non darle retta."

"Bella, davvero non potresti fare un piccolo sforzo per me? E' importante che ci siate tutti."

Mi guardò con i suoi occhi chiari, supplichevoli e bellissimi.
Angela mi pizzicò il braccio, di nascosto, per costringermi ad un assenso, ma io finsi di non avvertirne il tocco.

Mi sentii un verme ma non potei far altro che rifiutare, ancora una volta.

"No, Oliver. Mi dispiace, davvero. Non posso."

Non avrei potuto sostenere Edward dopo quanto era accaduto tra noi.
Non avrei potuto tollerare ancora Marla.
Non avevo tutta questa forza.

"Bene." - Rispose Oliver alzandosi e riprendendo il proprio posto. Nello stesso istante il signor Johns fece il suo ingresso in aula e nessuno fiatò più.
"Oliver, io..."

"Sh, Isabella!" - Mi ammonì Angela - "Non è il momento ora...Il signor Johns non ammette chiacchiere nella sua ora. E ti converebbe di lasciarlo stare Oliver, adesso...Dubito che ti risponderà ed anche io sarei molto arrabbiata con te, al posto suo."
"Angela...Non posso venire, sabato. Sul serio."
"D'accordo, è ok. Ma quanto c'entra Edward in tutto questo?"

La guardai, tristemente.

"Molto, purtroppo."
"Bene..." - Rispose e tornò ad ascoltare l'insegnante, aprendo il libro a pagina 233.

Aveva la tipica faccia di chi si trovi in procinto di sputare la più detestabile delle frasi.

"Te l'avevo detto io."


Tuttavia si trattenne ed io sospirai, osservando un Oliver furioso con la coda dell'occhio, mortificata.




*



"Bella! Bella!"

Alice mi venne incontro trafelata, quel venerdì mattina.
Francamente era l'ultima persona che avessi desiderato incontrare: mi ricordava Edward, sotto ogni punto di vista. Non bastava già di per sè l'idea che fosse sua sorella, nossignore: ci si metteva pure una somiglianza straordinaria.
O almeno quel mattino mi parve che gli somigliasse più del dovuto e più del solito.

"Ciao, Alice..." - Mormorai stancamente quando mi balzò letteralmente tra le braccia. Non avevo chiuso occhio quella notte ed all'abbattimento morale si sommava anche quello fisico. Tuttavia la trovai così deliziosa e gentile che non potei far altro che sorridere, dopo qualche istante.

"Non ci vediamo da una vita.."
"Sei esagerata. Saranno sì e no pochi giorni..."
"Ho come l'impressione che tu voglia evitarmi..."

Tossicchiai.

"Ma cosa...cosa ti viene in mente!"
"Mmmh...sarà. Comunque sia, sono contenta di vederti!"
"Anche io..." - Risposi sinceramente, sorridendo. Alice era sempre così bella, così piena di vita e di entusiasmo! I suoi occhi brillavano di gioia, nonostante la vita non le avesse regalato molti momenti piacevoli, ed era un bene per il cuore conoscerla e guardarla sorridere.
"Sei così graziosa..." - Mormorò scostandomi una ciocca di capelli e portandola dietro le spalle - "...Davvero, davvero graziosa..."
"Suvvia Alice, cosa sono tutti questi complimenti!" - Ridacchiai imbarazzata.
"Oh beh, in effetti non sono qui solo per ricordarti quanto sei bella..." - Ammise - "...Vengo come messaggera di pace, anzitutto..."

Nel pronunciare quelle parole, tirò fuori dalla borsa di scuola una busta bianca.

"Qui dentro c'è una lettera per te. Presumo possa interessarti."

Probabilmente il mio viso assunse uno strano colorito dinanzi alla busta che Alice mi aveva appena presentato, tant'è che la stessa mi scosse per un braccio, mormorando allarmata:

"Bella? Stai bene?"
"Eh...sì, sì, sto bene...Grazie."
"Allora? Non la vuoi questa? Tranquilla, non morde!"
"Ecco io...."
"Bella....Sì può sbagliare certe volte e si può anche perdonare. No?"

La guardai stralunata chiedendomi quanto, effettivamente, Alice fosse a parte di tutta la questione.

Cosa le aveva raccontato di noi due, Edward?
Era a conoscenza della nostra notte insieme?
Dei suoi presunti sentimenti nei miei confronti?

Avvampai, preda di un infantile imbarazzo: avrei preferito che le faccende personali tra me ed Edward fossero rimaste tali, dopotutto.

"Prendi....coraggio!"

Allungai un mano titubante ed infine strinsi la carta con foga.

"Gra....zie."

Alice mi guardò, sorridendo. Ma non si trattenne oltre, come se, una volta assolto il suo compito, non avesse dovuto far altro che lasciarmi in pace con i miei pensieri.


"Ci vediamo, Bella!" - Concluse, guardandomi raggiante.

Si allontanò tra la folla degli studenti della Queen Elizabeth e per un po', quasi imbambolata, seguitai ad osservarla finché la sua immagine non finì col confondersi con l'intorno.

Allora, ancora in trance, dirottai la mia attenzione su quella busta bianca e lucida, dai contorni regolari. La rigirai un po' scioccamente tra le mani finchè sul dorso trovai scritto, in piccolo e con una bella grafia vagamente appuntita:


"Per Isabella."


Il cuore sussultò e finii col combattere, piuttosto comicamente tra l'altro, con la parte risoluta ed agguerrita di me che mi ordinava di gettare quella lettera nel più vicino cassonetto della spazzatura.

Ma alla fine la curiosità prevalse.
Ed anche il mio cuore, sulla ragione.

Tenevo troppo ad Edward per rifiutare quella lettera.
Per rifiutargli una possibilità ancora per spiegarsi.

Mi ritirai in un angolo del cortile, sotto un grande abete e lontano da occhi indiscreti.
Da lontano udii la prima campanella del mattino ma non le diedi peso, intenta com'ero a strappare il bordo della busta con una foga ed un'impazienza che mi erano sconosciute.
Con mano tremolante estrassi un foglio ripiegato in quattro: lo aprii ancora con molta cura e troppa ansia.

Sentivo il cuore battere così forte in petto che per poco immaginai di perdere i sensi.

Lessi le parole adagio, imprimendole ad una ad una nella mia mente:


"Bella,
lo so, sei incazzata nera. Ed ok, questo non è il modo migliore per
cominciare una lettera ma davvero non so fare altrimenti.
Tra l'altro credo di non sbagliarmi e te ne chiedo scusa se ti ho offeso
in qualche modo: non era mia intenzione.
Da un po' di tempo sembra che la mia specialità sia diventata quella di
ferire le persone che mi circondano. Credimi, è un talento di cui
farei volentieri a meno.
Ho pensato per giorni al modo migliore per ritrovarti. Per spiegarmi.
Alla fine ho scelto di scriverti una lettera: è il modo più
delicato che ho trovato per farmi vivo. Immagino dovrò ringraziare Alice
per avermi fatto da tramite e ricambiarle il favore in qualche modo.
Ti penso in continuazione. Sul serio. E vorrei potermi spiegare.
Ma da vicino, Bella, non in questo modo.
Sappi che tutto quel che ti ho detto è verità e non me la rimangio.

Sei importante per me.

Inspiegabilmente.
Irrazionalmente.
Ma lo sei.

Domani pomeriggio suoniamo al Borderline. E' facile arrivarci, basta scendere

alla fermata di Tottenham Court Road. Ti prego, non mancare. Te lo chiedo
seriamente. Ho tante cose da dirti e ci tengo alla tua presenza.

Per favore, pensaci su.

Edward.

PS: ho ascoltato il disco. Da solo. Beh, forti le Runaways!"


Terminai di leggere una prima volta e di nuovo ritornai alla prima riga di quella lettera e ricominciai daccapo. Un'altra volta ed un'altra ancora. Un po' sorrisi ed un po' tirai su col naso.

Alzai leggermente il viso per evitare che le lacrime scendessero inutili ed impertinenti, stringendo la lettera fra le mani.

Perchè mai avrei dovuto commuovermi per un farabutto come Edward Cullen?


Forse perchè tanto farabutto poi non era.
Forse perchè, nonostante tutto, in quelle parole buttate giù timidamente e nel modo meno consono per una lettera di scuse leggevo, tra le righe, una sincerità tale da far tenerezza.
Una creatura artificiosa e calcolatrice non sarebbe stata in grado di esternare in  maniera tanto confusa e dolcemente sregolata le proprie emozioni.


Non poteva ingannarmi, Edward. Non ancora, non un'altra volta.
Oppure lo stava già facendo, semplicemente?

Ero io così stupida e così ingenua da non essere più in grado di distinguere un mero inganno dal reale interesse?
Ero io così...innamorata?

Sospirai agitata.
Da lontano l'ultima campanella del mattino annunciò l'inizio delle lezioni.
Ero già in ritardo. Immaginai Angela che mi cercava frettolosamente per i corridoi.
Immaginai l'insegnante di scienze già in aula, persa nelle sue inutili spiegazioni.


Mi decisi ad alzarmi, infine.

Dopotutto non c'era più bisogno di starmene lì acquattata in un angolo a rimurginare: sapevo già cos'avrei fatto quel sabato pomeriggio.




*



Spinsi la porta del Borderline con fatica: il locale era già strapieno di gente, a quell'ora.
Spalancai gli occhi, esterefatta: non immaginavo che un gruppo semisconosciuto come quello dei White Riot potesse attirare così tante persone.
Mi feci strada con difficoltà. distribuendo, senza volerlo, gomitate e spintoni: l'unico modo che avessi per muovermi in quel marasma di volti sconosciuti.

Non avevo fatto parola a nessuno della mia decisione ed anche Angela era ormai convinta che quel pomeriggio me ne sarei stata tranquillamente chiusa in casa a rimurginare sulla mia vita triste.
Mi dispiaceva soltanto per Oliver: gli avevo ostinatamente ripetuto che non mi sarei fatta viva, che non avrei messo piede in quel locale per nessuna ragione al mondo. Ed invece erano bastate poche parole di Edward per indurmi a cambiare idea.

Immaginai che da lì in futuro Oliver si sarebbe fatto davvero una cattiva idea di me.


Al di sopra del vociare confuso della gente riuscii ad udire, abbastanza facilmente, un accordo di chitarra preso frettolosamente, e la voce di Oliver mentre ringraziava il pubblico per la presenza.


"Buonasera a tutti. Noi siamo i White Riot."


In molti applaudirono, qualcuno urlò entusiasta.
Nella folla riuscii a scorgere il caschetto scuro e sbarazzino di Alice, ma solo per pochi istanti. Dopo scomparve, risucchiata dal buio e dalla calca in prossimità del palcoscenico. Più in lontananza Rosalie se ne stava poggiata alla parete, lo sguardo sognante rivolto al palco. Probabilmente stava osservando Emmett.
Io non potevo vederlo, nascosto com'era dalla batteria e dalla scarsa illuminazione del locale.

In realtà non avevo ancora visto nessuno della band e se non avessi udito la voce di Oliver non avrei neanche potuto giurare che sarebbero stati loro ad esibirsi quel pomeriggio al Borderline. Avevo troppa paura d'incrociare lo sguardo di Edward. Dopo tutti quei giorni durante i quali avevo potuto soltanto ricordare o sognare i suoi occhi, ritrovarmeli improvvisamente davanti avrebbe potuto procurarmi un colpo. Non ero pronta abbastanza.

Trovai un posticino un tantino più isolato, dietro una colonna in cemento. Mi guardai intorno: il locale era grezzo e sporco. Eppure mi risultava gradevole. Sapeva di vissuto, di strada, di vita vera.
Quel che piaceva a me, in altre parole.
Rivolgendo lo sguardo all'ambiente tentai di distrarmi. Pensai fosse un buon modo per calmare la mia ansia.
Non servì a nulla.
Tremavo e le mie guance erano in fiamme.

"Coraggio Bella. Coraggio, va tutto bene." - Tentai di ripetermi mentalmente ma servì a ben poco.

Il cuore batteva troppo forte per fermarlo.

Dal palco i ragazzi intonarono le prime notte di una loro canzone, scatenando il delirio.
Alzai gli occhi sconcertata per scoprire, dalla mia postazione vagamente più riparata, come le persone si lasciassero trascinare dal sound fresco e ritmato del brano. Qualcuno ballava, altri acclamavano il gruppo, qualcuno cantava.
Ne fui felice.
Evidentemente, a Brixton, i White Riot avevano già provveduto a farsi un nome e molti amici dovevano averli seguiti in quell'avventura.

Mi decisi, allora, a volgere lo sguardo al palcoscenico.

Il primo viso che riuscii a scorgere fu quello di Oliver e per un istante non riuscii neppure a credere fosse proprio lui.
Non aveva nulla del bravo e compito studente della Queen Elizabeth che conoscevo io e neppure somigliava al ragazzo che giocava a fare la rockstar in un garage ammuffito di Brixton.
Con indosso una maglia sbrindellata, i capelli lunghi appiccicati in morbidi riccioletti sulla fronte e l'espressione di uno che abbia appena fatto a pugni con il mondo, aveva davvero l'aria di una stella della musica fatta e finita.
La sua voce era calda e potente: non vi era una sola persona, in quel locale, che non ne fosse totalmente affascinata.
Davvero Oliver non poteva far altro che essere un musicista, nella sua vita.

Al suo fianco un austero, bellissimo Jasper si muoveva al ritmo della musica, agitando la bella massa di riccioli biondi ed indomabili. Non riuscii a scorgere Emmett ma, appena dietro Oliver, captai facilmente la figura dell'unica persona di cui, realmente, m'importasse qualcosa in quel posto.

Bello come non mai, con i suoi jeans strappati ed i capelli arruffati veniva il mio Edward.
Se ne stava ad occhi chiusi, muovendosi sul suo basso con delicatezza e passione, come se fosse stata un'amante piuttosto che uno strumento musicale. La bocca semiaperta, il trasporto dipinto sul suo volto: era bellissimo ed irreale.

Non potevo credere che una creatura tanto perfetta potesse appartenermi, seppur in minima parte.

Quando terminarono il brano il pubblico proruppe in applausi sinceri e urla di giubilio.
Tra i tanti volti riconobbi molti ragazzi della Queen Elizabeth e mi nascosi ancora più accuratamente, per evitare di farmi notare.

E tuttavia c'era una persona che sarebbe stata in grado di riconoscermi e scovarmi anche in capo al mondo.

"Bella Swan!"

Sussultai, costernata.

"Angela..."
"Che ci fai qui? Non avevi detto che te ne saresti stata a casa tua, oggi?"
"Ho cambiato idea."
"Sei pessima."
"Smettila di farmi la predica ogni volta."
"Ok, ok...non mi va di litigare. Piuttosto.....sono bravi, eh?"
"Parecchio..." - Ammisi sorridendo.
"Posso capire che ci fai qui nascosta? Vieni più avanti, ci sono un sacco di persone! Mike, Jessica, Ben, Rebecca, Lauren, Margareth, John...Anche Alice e la sua amica bionda!"
"Bionda?! Ma chi, Ma...Marla??"
"No, no.....l'orango non c'è, mi pare di aver capito. Mi riferivo all'altra bionda...Rose!"

Sospirai sollevata.

"Ah....Meno male!"
"Allora? Vieni?"
"No, no...preferisco stare qui, grazie..."
"Dio, Bella! Quanto la fai difficile! Muovi il sedere e vieni vanti con noi...altrimenti, che divertimento c'è?!"

Dinanzi all'insistenza di Angela non potei tirarmi indietro. E tuttavia avrei ingoiato un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo piuttosto che seguirla. A riprova, incespicai più volte, l'ultima delle quali nei miei stessi piedi, e la mia amica sospirò alzando gli occhi al cielo prima di decidersi a sorreggermi per un braccio.
Mi ritrovai sotto il palco mentre i White Riot terminavano la seconda canzone del loro repertorio, pronti ad attaccare con la cover di Anarchy in Uk.

"Bella! Sei venuta, sei qui anche tu!" - Alice strepitò, felice di vedermi e mi gettò le braccia al collo.
Le sorrisi imbarazzata, salutando altre persone che, nel frattempo, mi avevano riconosciuta. Infine alzai gli occhi ritrovando il viso di Oliver.

Mi aveva notata e sembrava felice di vedermi. Mi fece l'occhiolino, sorridendo tra una parola e l'altra, ed io ricambiai agitando in maniera buffa la mano.

Poi, ruotai di pochi centimetri il capo.

Fu allora che incrociai gli occhi di Edward.

Non mi notò subito ma quando realizzò la mia presenza il suo viso assunse un'espressione così sorpresa da far tenerezza.
Gli occhi apparvero più luminosi del solito, anche nella semioscurità del locale, mentre un sorriso sincero di dipingeva sulle sue  labbra carnose.
Deglutii a fatica a non riuscii neppure a salutarlo.
Mi sentivo incapace di qualsiasi gesto o parola.

Angela ed Alice ci guardarono in contemporanea, prima l'uno poi l'altra.
Alice sorrise, Angela scosse la testa.

"Adesso è tutto più chiaro..." - Mormorò.



L'ultima nota della cover dei Sex Pistols risuonò nel locale. Il pubblico era pressocché impazzito e mi meravigliò scoprire come molti studenti della puritana Queen Elizabeth si fossero divertiti a ballare e muoversi ascoltando musica punk.
Io stessa applaudii e mordicchiai il labbro inferiore, nel frattempo, troppo ansiosa all'idea che Edward fosse ormai a conoscenza della mia presenza in quel luogo.

Ero tanto agitata che neppure mi resi conto che, sul palco, lo stesso Edward aveva letteralmente scacciato Oliver dalla sua postazione.

"Ma che divolo sta facendo?" - Mormorò Angela accanto a me.

Guardai prima lei, senza comprenderne le parole, e poi tornare ad osservare il palco.
Spalancai la bocca, esterefatta.

Edward se ne stava lì impalato, davanti al microfono, con una deliziosa espressione da birbante.
Davvero: aveva una faccia da schiaffi favolosa, con quel sorrisetto che si trovava: sapeva che nessuno - neanche Oliver - sarebbe stato in grado di comprendere ciò che aveva in mente e questo sembrava divertirlo enormemente.


"Ok ragazzi...Grazie di essere qui con noi oggi pomeriggio, anzitutto...!"

Alle mie spalle, diverse persone si divertirono a lasciar partire un'ovazione entusiasta.

"Vi piacciono i Doors, sì?"

Qualche spettatore si scambiò un'occhiata divertita: dopotutto il genere dei Doors aveva poco a che fare con la musica suonata dai White Riot.
Io stessa non riuscii a comprenderne il senso.

E tuttavia si trattava pur sempre dei Doors: la storia della musica americana. Cosicché in molti risposero con un convinto sì alla domanda di Edward.

"Bene..."- Continuò, sorridendo - "..Anche a me...Per cui non vi dispiacerà se rubo un po' la scena al mio amico Oliver e vi canticchio una canzone, giusto...?"

Senza neppure attendere la risposta del proprio pubblico, Edward si avvicinò al microfono e, senza staccarmi gli occhi di dosso, con voce suadente e sorriso divertito, cominciò ad intonare:


"Hello, I love you..."

Qualcuno in sala rise. Qualcun altro, entusiasta, continuò la canzone.


"Won't you tell me your name?"


"Ehy, forte questa canzone qui..." - Commentò Mike Newton a poca distanza da me.
La musica di dieci anni prima era ancora assolutamente di moda, non c'era che dire.


"..Hello I love you..."


Ad ogni parola pronunciata da Edward il mio viso diventava più rosso e bollente.
Conoscevo, a quel punto, il perchè di quel motivetto.


"Let me jump in you game.."


Oliver guardò Edward in malo modo ma non trovò abbastanza coraggio per fermarlo. Evidentemente doveva riconoscere in lui una qualche forma di autorità che non gli consentiva di oltraggiarlo in alcun modo. Anche Jasper ed Emmett apparivano sorpresi ma evidentemente più rilassati di Oliver.
E, tuttavia, non erano i rapporti all'interno del gruppo a preoccuparmi di più in quel momento, bensì quell'implicità dichiarazione che Edward stava rivolgendo al mio indirizzo.

Soltanto io avrei potuto comprendere il perchè di quelle parole.
Di quella canzone.
Di quell'invito a lasciarlo entrare "nel mio gioco" e nella mia vita.
Di quell'invito a perdonarlo, ancora una volta.

Annaspai alla ricerca d'aria, troppo imbarazzata per poterlo guardare negli occhi mentre procedeva alla sua esibizione.


"Bella, tutto ok?"

Alice mi scosse leggermente. Non le risposi.
Riuscii appena a percepire le ultime parole della canzone - I need my baby, sopra tutte le altre - e la voce di Edward mentre chiudeva con un significativo:

"E' per te, principessa...!"


Allora, vinta dall'imbarazzo (come se gli altri presenti avessero mai potuto comprendere che la "principessa" in questione fossi stata io...In effetti tendevo a farmi troppe paranoie giacché le uniche persone cui la situazione apparisse sufficientemente chiara erano Angela ed Alice), mi precipitai fuori dal locale. Schiacciai il mio corpo contro il corpo di sconosciuti, mi feci largo tra la folla a spinte e gomitate, mi procurai anche uno o due lividi nel tentativo di abbandonare il prima possibile quel posto.

Stavo soffocando e neppure riuscivo a comprendere quella reazione.

Se mi avesse irritata od inorgoglita non sarei neppure stata in grado di dirlo.
O forse mi ero soltanto commossa?
Bastò poco infatti per rendermi conto delle lacrime che scendevano copiose lungo le mie guance. Ne raccolsi una con mano quasi tremante e sorrisi.

Immaginai di esser diventata completamente folle: piangevo, ridevo.
Ero totalmente confusa.


Uscii fuori, all'aria aperta, dopo diversi minuti.
Una nuvola passeggera offuscava un tiepido sole: la osservai distrattamente mentre tentavo di calmare il mio cuore.
Ma c'erano poche speranze per me: certamente, se avessi continuato in quel modo, sarei finita al St. Thomas Hospital con un attacco cardiaco.


Edward.
Edward che mi dedicava una canzone in uno dei giorni più importanti della sua vita.
Edward.
Edward che non si presentava agli appuntamenti.
Edward.
Edward che dormiva con me una notte intera, stringendomi al suo corpo con amore.
Edward.
Edward che aveva una ragazza. Una ragazza che non riusciva a lasciare.


Ma perchè proprio io?
Perchè avevo scelto con tanta insistenza di imbarcarmi in quell'avventura assolutamente irrazionale?

Avrei potuto lasciar perdere sin dagli inizi, avrei potuto evitare il suo sguardo, il suo tocco, il suo abbraccio.
Avrei potuto lasciar perdere Edward e tutto sarebbe stato più semplice.
Più chiaro.
Più tranquillo.


E più spento.
Perchè, nonostante tutti i casini, i dubbi, le angosce e la rabbia, la mia vita aveva assunto un altro sapore da quanto Edward aveva cominciato a farne parte.

Avevo imparato che esistevano luoghi che non conoscevo e che risultavano splendidi nella loro assoluta imperfezione.
Avevo imparato che esistevano persone diverse da me, con una vita problematica ed assolutamente caotica, capaci, nonostante tutto, di ridere e far sorridere.
Avevo imparato che il senso di una giornata poteva cambiare da un momento all'altro.
Che un lunedì noioso, di scuola, non necessariamente restava tale nelle sue ventiquattro ore.
Non se nei paraggi c'era un Edward Cullen che ti trascinava via correndo dai suoi inseguitori o ti baciava improvvisamente nel buio della tua stanza.


Sospirai e sorrisi al suo ricordo allorché una mano picchiettò leggermente sulla mia spalla.
Nervosa mi girai di scatto.

Incontrai i suoi occhi verdi e l'ennesimo colpo esplose nel mio petto.


"Edward!"
"Ti ha dato fastidio?" - Domandò risoluto.
"Che....cosa?"
"La canzone? Sei scappata via!"

"Oh...!"
"Non ti è piaciuta..."
"No! Non è questo....ma perchè non sei dentro a suonare?"
"Perchè siamo in pausa...e tu non hai risposto alla mia domanda..."
"Cosa?"
"Bella! Non cambiare argomento! Ti ha infastidito?"

Passai una mano tra i capelli ed Edward mi guardò con attenzione.

"No..." - Ammisi. - "Non mi ha dato fastidio. Mi ha emozionato..."

Annuì, respirando forte.

"...Solo che..."
"Solo che?"
"Tu stai con Marla, Edward. E questa cosa non può continuare così."
"Io non sto con Marla, Bella. Non più. Credevo di essere stato chiaro..."

Trasalii, nervosa.

"Cosa??!...Diavolo, Edward! Non dirmi bugie! Ti ho visto con lei....Non ti sei presentato fuori scuola l'altro giorno perchè eri con Marla!"

Sospirò.

"Ero certo che avresti frainteso. Beh, ti chiedo scusa. Lo so, è colpa mia. Ma ti assicuro che tra me e Marla è finita. Il mattino dopo aver....dormito da te beh...sono corso da lei. Ed ho chiuso la nostra storia. Solo che Marlene non voleva rassegnarsi ed avrei dovuto saperlo...Non voleva lasciarmi andare, abbiamo litigato tutto il giorno. Non mi è passato di mente il nostro appuntamento, solo che non mi è stato possibile mantenere la promessa. Ho litigato con Marlene per ore ed alla fine ho rinunciato ad andarmene. Sarei corso da te per spiegarmi il prima possibile ma poi tu sei venuta fuori al garage ed hai frainteso tutto..."
"Edward!" - Balbettai con le lacrime agli occhi - "Tu hai detto a Marlene che io ero soltanto un'amica...Una cara amica e nulla di più! Non ho frainteso un bel niente, sono parole tue queste!"

Mi cinse le spalle, scuotendomi con forza.
Avevo cominciato a singhiozzare.

"Cazzo, Bella! Ma l'hai vista Marla?? Sembrava una furia! Poco mancava che ti prendesse a botte...Non avrei mai potuto permetterlo...L'ho fatto per il tuo bene, per toglierti dai guai e perchè la smettesse di giudicarti una poco di buono! Pensavo l'avessi compreso...Era davvero così difficile da intuire??"
"Oh..!"

La testa cominciò a girare, vorticosamente.
D'improvviso tutti i pezzi di un puzzle che fino ad allora non mi era riuscito di comporre tornarono al proprio posto.
L'assenza, il silenzio, la bugia.

Edward tentava di proteggermi ed, al tempo stesso, di tagliare con il suo passato.

Non mi aveva mentito, dunque?
Sembrava così sincero..
Era così sincero.


"Stai bene, Bella?" - Sussurrò.

"Sì...sì, più o meno..."
"Allora? Non hai nulla da dirmi?"
"Perchè...perchè non mi hai cercata prima?"
"Perchè avevo paura di scoprirti troppo offesa, troppo delusa. Troppo ferita. Sono un vigliacco io, sai? Sembro un tipo ok...E poi, con te, finisco sempre col fare le cose più stupide."
"Sono stata così confusa in questi giorni, Edward...non sapevo più a chi credere...Se alla persona che aveva dormito con me e mi aveva promesso tutto se stesso...O a quella persona per la quale non ero niente più che un'amica.."

"Bella, ascoltami." - Tornò a stringermi le spalle. Il suo sguardo era caldo e sincero. - "Oggi ci sei tu, con me. Non c'è Marla, hai visto bene in giro?"

"Co...come hai risolto con lei?"
"Questo non è importante. E' importante che tu sia qui. Non ti suggerisce nulla questa cosa?"
"Io...non lo so..."
"Se sei confusa lo capisco." - Commentò. - "..Ho combinato un disastro, sul serio. Ma sono qui e non cambio idea e quando anche tu sarai più tranquilla potrai tornare da me e riparlarne. Ok? Voglio solo esser certo che tu mi creda. Per il resto posso aspettare."

Lo guardai intensamente ed un po' commossa.
Sì, gli credevo.

"E' tutto ok, Edward..."
"Ok?"
"Sì....ci credo. Ti credo. Scusami, se non l'ho capito prima."

Le sue labbra si aprirono in un immenso sorriso.
Quel suo sorriso sghembo che mi faceva girare la testa.

"Scusami tu. Faccio sempre un sacco di casini!"

Mordicchiai un po' il labbro inferiore ed infine sorrisi anche io, trovando finalmente il coraggio per ricambiare a dovere il suo sguardo. Edward non mi aveva tolto gli occhi di dosso neppure per un istante e le sue mani erano ancora salde sulle mie spalle.

"Adesso devo rientrare, Bella...Grazie per essere venuta. Quando vorrai...beh, sai dove trovarmi."

Si staccò quasi a fatica dal mio corpo ma, prima che potesse anche solo muovere un passo di nuovo verso l'ingresso del Borderline, lo frenai, chiamandolo.

"Edward?"
"Sì?"
"Mi aspetteresti per davvero?"

Mi guardò esterefatto.

"Sì, te l'ho detto."
"All'infinito?"
"Eh?"
"Mi aspetteresti per sempre?"

Da dove diavolo mi era venuta fuori quella domanda?

"Uhm....E' una domanda alla Romeo e Giulietta, questa?" - Scherzò.
"Più o meno..." - Risi con lui della mia stupidità. Era un po' troppo presto per passare già agli atteggiamenti romantici.

"Mia Giulietta..." - Scherzò ancora, tornando ad avvicinarsi. Mi afferrò la mano destra piantando bene gli occhi nei miei. - "L'aspetterò per sempre ed anche oltre."

Sorrise infine della sua battuta.
Ma solo per pochi istanti.

Quando avvicinai il mio viso al suo lasciandogli un bacio sulle labbra, non rise più: sembrò irrigidirsi, anzi, sorpreso.
Certo non se l'aspettava e neanche io. Da un po' di tempo il mio corpo ed il mio cuore si rifiutavano di obbedire alla mente: finivano sempre col fare cose del tutto irrazionali.


Gli fu necessario un momento prima di riaversi.
Dopo qualche istante Edward, più rilassato, pose la sua mano sul mio fianco attirandomi a sé e ricambiando con dolcezza infinita il mio bacio.


Schiusi le labbra quasi automaticamente e la testa cominciò a girarmi allorché percepii, infine, il suo sapore buonissimo.
Il sapore del mio Edward.

E poco importava se qualche compagno di scuola ci avesse beccati a baciarci lì fuori al Borderline.
Tutto ciò che contava era lì, in quel bacio, e nel calore dell'abbraccio di Edward.




Quando ci staccammo mancava l'aria ad entrambi.
Guardai Edward dritta negli occhi: mi ricambiò intensamente.
Dovevo essere rossa in viso e scarmigliata ma neanche quello contava, dopotutto.


"Forse.....non dovrai aspettare poi tanto." - Ammisi infine, sorridendo.






Buon pomeriggio ragazze e bentrovate!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :)) Presto passerò a rispondere alle recensioni che attendono ancora che mi faccia viva...lo so, sono un disastro!! Scusatemi :)

Nel frattempo, qualche chiarimento


1)"Live in Japan" cui faccio riferimento nel capitolo è l'album live delle Runaways, gruppo rock americano capitanato dalla famosa Joan Jett....Se amate Kristen Stewart e la buona musica saprete di chi parlo! :)
L'album è del 1977.
2) White Riot, il nome del gruppo di Oliver ed Edward è ripreso da una canzone del gruppo punk  The Clash...Si tratta del loro primo singolo e fu pubblicato nel 1977, inserito nel loro album di debutto...A me piace moltissimo! :)
3)La canzone che Edward dedica a Bella è "Hello I love you" dei Doors. Dovrebbe essere del 1967 o '68, non ricordo bene. Pare che Jim Morrison l'avesse dedicata ad una ragazza sconosciuta incontrata sulla spiaggia....anche a me è stata dedicata e mi piaceva l'idea di rigirarla alla mia Bella! ;))
Se volete ascoltarla qui sotto trovate il lin.

4)Non ho detto una scemenza: spesso e volentieri, in Inghilterra, si suona presto nei locali...Al Cavern di Liverpool, per esempio, quest'estate, alle quattro del pomeriggio era in corso un bel concerto! ;) Detto questo vi lascio...Grazie per aver letto il capitolo e grazie per le eventuali recensioni!!
A presto
Matisse :)



Hello I Love You







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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


edsid12
My Ugly Boy















Luglio 1978.


Mancava poco, ormai, alla fine della scuola.

Alla radio trasmettevano di continuo You're the one that I want.
Angela era letteralmente impazzita per quella canzone e per il musical, più in generale. Di nascosto da sua madre si cotonava addirittura i capelli come Sandy, copiando l'acconciatura dalle riviste americane che mio padre si procurava per me; tuttavia, poichè non aveva ricevuto il permesso per tagliarli sino alle spalle, il risultato non era mai come l'originale.

Risi fino alle lacrime la prima volta che la scoprii preda di una crisi isterica a causa di quella benedetta pettinatura che stentava a riuscirle. Di tutta risposta mi cacciò via dalla stanza gettandomi una scarpa dietro. Io seguitai a ridere: non m'interessava questo Grease. Figurarsi quanto poteva importarmi del look dei suoi personaggi! Trovavo ridicolo tutto quest'interesse morboso di Angela nei confronti di un film che non aveva ancora visto, tra l'altro: praticamente si era lasciata inspiegabilmente trascinare dalla moda del momento e  tuttavia, dovevo riconoscere che perfino David Bowie era finito col passare in secondo piano grazie al fascino di John Travolta. Un fascino che non mi aveva nemmeno sfiorata, a dirla tutta: decisamente i miei gusti e quelli della mia migliore amica viaggiavano su binari paralleli.



Ogni pomeriggio, al termine delle lezioni, continuavo ad incontrarmi con Edward.
Dal sabato dell'esibizione al Borderline, allorché mi aveva così platealmente dichiarato il suo "amore", non era trascorso un solo giorno senza rivederlo.
Edward mi stava addomesticando, come la volpe ed il piccolo principe. Mi aveva abituata alla sua presenza, all'idea di incontrarlo nuovamente alla stessa ora, ogni giorno della mia settimana. Cosicché, al trascorrere delle ore scolastiche, la mia ansia aumentava ed il cuore palpitava più rapidamente. Contavo, con agitazione e frenesia, i minuti che mi separavano dal suo tocco delicato, dalla sua adorabile faccia da schiaffi, da quel sorrisetto sghembo che mi faceva impazzire, fin quando quel momento non arrivava, finalmente. Ed allora, come una liberazione, sentivo il sangue sciogliersi caldo e fluire di nuovo, sino ad arrossare le mie guance tonde. Edward sorrideva sempre quando mi scopriva così, timida ed imbarazzata. Così desiderosa di riabbracciarlo, soprattutto.

Per mio esplicito desiderio, tuttavia, i nostri incontri non avvenivano mai alla luce del sole: preferivo evitare che troppi occhi indiscreti ci puntassero e troppe voci si mescolassero su quella che per tutti sarebbe stata la presunta e malsana relazione tra una ragazzina di buona famiglia ed un teppista fuorviante. La storia sarebbe arrivata inevitabilmente alle orecchie di mia madre e...addio Edward!

No, non avrei potuto permetterlo.

Inoltre non volevo ferire ulteriormente i sentimenti di Oliver mettendogli così esplicitamente la verità sotto il naso: non gli avevo ancora parlato della situazione e, probabilmente, non avrei trovato il coraggio per farlo ancora per molto tempo. In taluni momenti non ritenevo neppure opportuna tanta premura nei suoi confronti: dopotutto era soltanto un mio amico e certo non ricambiavo il suo interesse. Perchè avrei dovuto preoccuparmi così tanto di renderlo partecipe degli avvenimenti della mia esistenza? Tuttavia sapevo che mi osservava, spiava i miei atteggiamenti ed i miei sospiri e  più volte, ad ogni sguardo languido che rivolgevo al cielo, avevo scoperto un Oliver che ricambiava il mio gesto con un'occhiata tanto addolorata ed una smorfia di disappunto così profonda sul volto da farmi stringere il cuore.
Davvero non potevo ferirlo in maniera così plateale!

Cosicché, tirate le somme, mi decisi a perseverare nella mia recita ed ogni pomeriggio alle tre era ufficialmente sua sorella Alice, e non io, la giovane che Edward Cullen veniva ad aspettare all'ingresso della Queen Elizabeth High School.
Insieme i due fratelli Cullen s'incamminavano in direzione della metropolitana di Gloucester Road, apparentemente per far ritorno alla cupa Brixton. Ma dietro di loro, puntualmente, si muoveva, con indifferenza, l'ombra di una ragazza dai capelli lunghi e bruni.
Quella ragazza ero io, ovviamente.


Ogni pomeriggio si fatti si riproponevano uguali, con la precisione di un orologio svizzero. Soltanto una volta seduti in treno, e soltanto dopo che avessimo appurato l'assenza di personaggi familiari, la tensione si scioglieva. Tornavamo a sorridere e scherzare tra noi. Edward si accomodava accanto a me, passava il suo braccio intorno alla mia spalla ed Alice ci guardava soddisfatta, ciarlando poi di abiti e trucchi costosi che non poteva permettersi. Era adorabile ed eravamo diventate molto amiche, ormai.
Di norma abbandonavamo la metro dopo un paio di fermate da Gloucester. Alice continuava il suo viaggio fino a Brixton e ci salutava agitando la mano dal finestrino del treno. Noi ricambiavamo sorridendo, preparandoci ad assaporare le nostre due ore di libertà.

Ogni volta Edward aveva un nuovo pezzettino di Londra da farmi scoprire, una nuova persona da farmi conoscere, una canzone diversa da farmi ascoltare, l'ennesimo divertimento da farmi provare.
Avevamo sempre molti argomenti su cui scambiarci le reciproche opinioni e mai accadeva che i nostri discorsi terminassero in imbarazzanti silenzi. Ogni giorno Edward mi mostrava un nuovo pezzetto di se stesso ed io ricambiavo con entusiasmo: gli raccontavo della mia esistenza prima di lui, ciarlavo dei miei interessi, gli descrivevo la mia quotidianità e ciò che mi aspettavo dal futuro. Sapere che lui mi ascoltava prestandomi grande considerazione era per me fonte di profonda soddisfazione e felicità.

Non mi stancavo mai di lui e certo, potevo ammetterlo tranquillamente:  la mia vita non era mai stata più bella come in quei giorni assieme ad Edward.


Nell'ultima "avventura" (così ero solita definire i nostri incontri, giacché ogni giorno sembravano riservarmi una sorpresa) Edward stesso mi aveva portata al Luna Park. Lì, nel tentativo di rendermi interessante, mi ero proposta per il tiro al bersaglio. Ovviamente non avevo vinto un bel niente: ero negata. Edward aveva dovuto rimediare alla mia faccia imbronciata giocande altre cinque sterline e vincendo, soltanto alla fine e dopo una dura lotta, un panda di peluche di scarsissima qualità ma dallo sguardo dolce.
Al termine della giornata, mentre ancora stringevo quell'orribile pupazzo, mi aveva baciata dolcemente, al tramonto, sul Tamigi.
Tenendomi per mano.
Il cuore aveva fatto le capriole per ore: non avrei potuto quantificare mai la mia felicità


Ma, ovviamente....Una macchia nera sulla mia beatitudine doveva pur esserci. E si trattava anche di una macchia enorme, a dirla tutta, giacchè riguardava il nostro legame.
Oh sì poichè, in tutta onestà, non avevo ancora ben compreso quale fosse il tipo di rapporto che mi univa ad Edward Cullen.

Non ne avevamo mai parlato. Nonostante qualche bacio rubato ed il tempo trascorso insieme, rifuggivamo quell'argomento come se fosse stata una buca enorme dalla quale tenerci a distanza per evitare di franarci dentro. Io non trovavo mai abbastanza coraggio per affrontare la questione. Dal canto suo Edward non spendeva una sola parola a riguardo per cui non riuscivo mai a trovare una soluzione alla mia confusione.
Perchè ero confusa, sì. E perplessa. Ma così stupidamente felice da accettarlo comunque.


In ogni caso, ufficialmente, non eravamo fidanzati.
Almeno per quel che mi riguardava.
Edward aveva chiuso da pochissimo la sua relazione precedente con Marlene e non sembrava onesto né da parte mia, né da parte sua, imbarcarsi così facilmente in una storia nuova. Senza contare che Marla, com'era prevedibile, stentava a rassegnarsi e, più volte, irrompeva a casa di Edward o nel garage di Brixton Road, tentando di riconquistare il suo amore andato talvolta con lusinghe sciatte, talvolta con vere e proprie minacce.

E tuttavia, nonostante l'ambiguità del nostro legame, non riuscivamo a fare a meno di vederci. Non riuscivamo a fare a meno l'uno dell'altra.
Un solo giorno senza la voce di Edward era ormai, per me, un giorno senz'aria e, generalmente, esso corrispondeva con la Domenica allorché mia madre mi costringeva ad una permanenza più o meno forzata in casa subito dopo la messa del mattino.



Avevo bisogno della risata di Edward, delle sue chiacchiere, dei suoi sguardi furbi, dei suoi pensieri lontani. Adoravo studiarne le espressioni enigmatiche, i punti dove si formavano le sue adorabili fossette se sorrideva, l'aria indifferente che aveva mentre suonava, il modo che aveva di gesticolare e di parlare con persone estranee soltanto per carpire le differenze che c'erano quando invece parlava con me.
Avevo bisogno di Edward perchè ormai ero certa di essere totalmente ed incondizionatamente innamorata di lui. Anche se non gliel'avevo ancora confessato apertamente.





"E' tutto ok?" - Edward mi guardò, quel un sabato pomeriggio, con uno sguardo perplesso. Effettivamente non ero riuscita a rilassarmi un attimo. Seduta su uno scomodo seggiolino, di quelli posti in prossimità del Regent's Canal, non avevo fatto altro che alzarmi, sedermi, muovermi in continuazione.






"Sto scomoda qui..." - Mugolai seccata. Ovviamente non era quello il problema ma preferii mentire. Avevo troppi pensieri in testa quel giorno, un mare di dubbi ed incertezze. Mi chiedevo quanto realmente Edward tenesse a me e come avrei dovuto inquadrarlo nella mia testa e nel mio cuore. Questi dilemmi affollavano la mia mente mattina e sera e, raramente, mi consentivano di godere spensierata del buono della mia giornata.


Edward mi guardò ed infine rise, prima di addentare un hot dog.


"Rassegnati principessa. Qui non è Hyde Park."
"Beh? Che hai contro Hyde Park? Non ci vieni mai con me.."
"A dare da mangiare ai cigni del lago, dici? Naaaaaaaa. Non è nei miei gusti, lo sai...mi annoierei."
"Se non provi non puoi dirlo..."
"Se non provi non puoi dirlo..." - Ripetè sorridendo. - "Beh, non potremmo andarci comunque...E' troppo vicino casa tua..."
"E troppo visibile a mia madre.." - Sospirai rassegnata. - "...Ok, come non detto..."

Mi guardò con la coda dell'occhio mentre mettevo il broncio.

"Però...potremmo andare alla Roundhouse qualche volta...magari c'è qualche concerto interessante.."
"Pensi che potrebbe venirci John Travolta?!" - Esclamai allora sgranando gli occhi, speranzosa.
"Travolta?" - Edward mi parve effettivamente sconcertato - "... Alla Roundhouse? Qui a Camden?...Stai scherzando, vero?"
"No...Dicevo per Angela...ne sarebbe così felice! Sta impazzendo per Grease..."

Rise di gusto, di nuovo. La sua risata riempì l'aria intorno a noi: mi sembrò, per un istante, che il cuore scoppiasse di gioia nel petto.


"Mi dispiace....credo che il suo sogno resterà tale!"
"Mmmh.."
"Non le piacerebbe di più ascoltare i Wings?"
"Credo che non ami i reduci dei Betles all'opera...e neppure io."
"Già....Non c'è paragone, i Beatles erano i Beatles...Sa', quando sono stato al Cavern, qualche anno fa..."
"Sei stato al Cavern??" - Spalancai la bocca in un moto istintivo di sorpresa.
"Già...qualche anno fa, dicevo. Un giorno che ero particolarmente ...scocciato? Mettiamola così. Salii sul primo treno che mi capitò a tiro. Andava a Liverpool. Ci restai per tre giorni mangiando un hot dog e bevendo birra da dieci centesimi. E beh, è stato il miglior viaggio della mia vita..Anche l'unico, per la verità."

Lo guardai ammirata.

"Non ho mai visto Liverpool..." - Ammisi.
"Avrai visto altri posti grandiosi, certamente. Liverpool è una piccola cittadina.."
"Beh, ho visitato Parigi, anni fa, quando Beth era in fasce. L'isola di Saint Martin...E Forks..Ma, credimi, Forks è certamente ancora più piccola e provinciale di Liverpool! Dio, stai parlando della patria dei Beatles! Se avessi potuto andarci io al Cavern sarei morta per l'emozione!"


Edward sorrise, consenziente.


"E ci sei andato da solo?"
"...Mmh....in realtà no. Con Marlene."
"Oh!" - Mugolai indispettita. - "Stavo per chiederti di portarci anche me, un giorno...mi è passata la voglia però.."
"Dai, non fare la bambina...che t'importa di chi c'era con me, all'epoca? Non ci conoscevamo neppure..."
"M'importa comunque..."

Mi carezzò una guancia, guardandomi con occhi dolci: improvvisamente la sua aria da sfrontato era venuta meno. Adoravo  - inverosimilmente - i suoi sbalzi d'umore.

"Ti ci porterò un giorno. Promesso."

Sorrisi, abbassando lo sguardo.

"Che c'è?"
"Come va con Marlene, Edward?"
"Uhm.."

Edward si staccò da me, passando la mano sul volto in un gesto stanco: Marlene gli dava ancora il tormento, certamente.

"L'altro giorno me la sono ritrovata a casa, con mia madre. Singhiozzava al tavolo della cucina ed Esme non sapeva che fare. Alla fine l'ho riaccompagnata a casa sua e per tutto il tragitto non ha fatto altro che supplicarmi di non abbandonarla. Mi sono sentito poco più che un verme, in tutta onestà."
"Edward, tu fai del tuo meglio..."
"No, non è vero. Ho sbagliato con Marla, già molto tempo fa. Non l'ho mai amata realmente, non avrei dovuto imbarcarmi in una relazione con lei. Anche se le piace apparire come una dura, in realtà è' troppo fragile: non so come farà a sopportare questa rottura.  Bella, credo che i rapporti interpersonali siano l'ultima delle mie specialità, francamente. Combino un pasticcio dopo l'altro"
"Io, invece, francamente dubito che la colpa sia solo tua...Marla la sta facendo più lunga di quel che è."
"Lo credi davvero? Come ti sentiresti tu al posto suo?"

Lo guardai con disapprovazione. Per chi mi aveva presa? Io, al contrario di Marlene, avevo una personalità, un carattere ben definito ed un notevole amor proprio. Non mi sarei mai fatta abbattere da niente e nessuno: Isabella Swan si sarebbe rialzata, sempre.

"Mi pare tu la difenda parecchio. Comunque, se tanto t'interessa, io al posto suo smetterei di pregarti e piagnucolare. Ho ancora rispetto per me stessa e trascinarmi ai tuoi piedi sarebbe l'ultimo dei miei pensieri. Se due persone vogliono stare insieme non hanno bisogno di pregarsi vicendevolmente."

Una smorfietta divertita andò a disegnarsi sul viso di Edward.

"Perchè ridi?"
"Perchè mi sembri gelosa..."
"Io? Di te? Stai scherzando, non è vero?"

In realtà ero gelosissima. Non sopportavo tutta quella premura nei confronti di Marlene.

"Beh....se è così allora..."
"Allora cosa?"
"...Allora stavo pensando di essere onesto con Marla. Voglio parlarle di noi. Deve sapere quel che provo realmente e non perché voglia farle del male. Solo non mi va di vivere nell'ombra la mia storia con te."

Per poco non mi strozzai.
Tossicchiai comicamente mentre Edward mi guardava perplesso.


"Che c'è, Bella? Ho detto qualcosa che non va?"
"Io e te abbiamo......una storia?"
"No?"
"Non lo so!"
"Non lo sai?"
"Ti pare che stiamo insieme? Io....credevo...io...non...forse non è il momento...ecco...io..."


"Perchè non dovremmo avere una storia?" -  Domandò perplesso.
"Perchè non è...non è così che deve andare adesso!"

Edward mi guardò qualche istante, senza dir nulla. Poi, sorridendo un po' stranito, si alzò adagio e mormorò:

"Forse....ci sono ancora un po' di cose da chiarire, tra noi due. Pensavo di aver capito delle cose ed invece.....Beh, ne parleremo con più calma, comunque..Andiamo ora Bella o si farà tardi per te."

Lo squadrai turbata e piuttosto riluttante nel lasciarlo andare. Qualcosa si era incrinato e non riuscivo a comprendere cosa, esattamente. Cosa avessi detto o fatto di così sbagliato da indurlo ad interrompere il nostro incontro, era evidente.

"Edward, perchè....perchè fai così?"
"Così come, Bella?"
"Ti alzi, te ne vai..Stavamo parlando, che ti prende?"

Cominciò a giocherellare nervoso con il bordo della sua giacca. Poi riprese a parlare, con difficoltà.

"Bella....hai voglia di scherzare, non è vero?...Ti rendi conto di quel che mi dici? Io ti parlo della nostra storia insieme, del fatto che finalmente voglia parlarne a Marlene perchè non ho nulla di cui vergognarmi...e tu mi guardi come se fossi impazzito! Ci nascondiamo ogni giorno...Dai tuoi compagni di scuola, da tua madre, anche da Oliver...credi che non lo sappia che è cotto di te? Eppure accetto tutto! Poi, per una volta che mi faccio avanti io, che mi convinco ad uscire finalmente allo scoperto manco avessi ucciso qualcuno....a te per poco non prende un colpo! Che hai?? Non ti fidi ancora? Cosa dovrei fare? Gettarmi ai tuoi piedi con un mazzo di rose per farti capire che..."
"Che?!" - La voce mi uscì in un rantolo strozzato. Estranea.
"...Che sono sincero, che non ti ho detto cazzate, anche se ti sembra. E che sono l'essere peggiore che potesse capitarti...ma potrei diventare la persona migliore di questo mondo se solo me lo concedessi realmente."

Paralizzata non trovai il coraggio per ribattere.
Ancora, piuttosto cercavo di comprendere come un pomeriggio spensierato avesse potuto stravolgersi in pochi istanti.
Eppure ridevamo felici fino a pochi minuti prima...


"Edward, io..."
"Conosci la strada per tornare a Queensgate, vero? Non ti dispiacerà se oggi non ti accompagno? Sono troppo nervoso in questo momento per passare altro tempo con te.."
"Ma io..."
"Ci si vede, Isabella!"

Mi diede le spalle con nonchalance.
Non riuscii a trattenermi, a quel punto: nessuno mai, se non mia madre, si era mai concesso simili diritti con me.

"Edward! No! Non andrai proprio da nessuna parte!"

La voce mi uscì astiosa e sgradevole.
Edward si voltò a guardarmi, con aria furibonda.

"Stai cercando di ordinarmi cosa fare?"
"NO! Sto cercando di parlare con te! E scusami se mi sono preoccupata di non metterti negli impicci! Non mi piace l'idea di costringerti ad una nuova relazione ora che hai appena chiuso la tua storia precedente...Questo è quanto, se non l'avessi capito!"
"Tu non mi costringi a fare un bel nulla, Isabella! La scelta di voler stare con te è stata solo mia! E sai cosa ti dico? A te, in realtà, preoccupa solo l'idea di farti vedere come me! Non è vero?? .. Sono davvero troppo poco per una brava signorina come te!"

Mi mancava l'aria. Quel che stavo vivendo aveva del surreale.

"Edward ma che ti prende? Stai sbottando senza motivo!"
"Senza motivo dici, eh? Beh, Isabella....Sappi che sono giorni ormai che faccio finta di niente e sorvolo...Credi realmente che mi sia divertente fare la parte del ladro fuori quella tua cazzo di scuola puritana?? Attento di qua, attento di là, non farti notare....Mi sento un cretino! Allora mi dico: va bene, chiarisco tutto con Marla. Le parlo di Isabella, le dico la verità. Così magari anche Bella apre gli occhi, ci pensa, si decide....ed invece...Invece mi rispondi che tra noi non c'è una storia, non c'è nulla! Che Marla quindi può anche aspettare...! Ma che cazzo, Isabella!"

L'osservai mentre colpiva rabbioso il muro.
Rabbrividii: covava del marcio dentro di sé da giorni e non me l'aveva mai confessato. Se non avessimo finito, per caso, con l'incastrarci in quella conversazione orribile quindi non me ne avrebbe mai parlato? Ero furiosa.

"Marla, Marla! E basta! C'è sempre Marlene tra me e te! Che razza di rapporto possiamo instaurare se ogni cinque minuti dobbiamo parlare di lei e dei suoi inutili tentativi di tornare con te?!"
"Adesso vorresti rigirare la frittata, per caso?? Io Marlene l'ho lasciata per te!"
"NO! Tu Marlene l'hai lasciata perchè non l'amavi...io sono stata soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso!"


Edward mi squadrò con aria delusa ed assolutamente furibonda. Per un attimo temetti che potesse uccidermi, sul serio. Dovevo averlo offeso in maniera più o meno evidente e, tuttavia, la rabbia da parte mia era tale che non me ne preoccupai. Piuttosto respirai a pieni polmoni, pronta a reagire al prossimo attacco. Non gli avrei perdonato così facilmente l'idea di aver rovinato il nostro meraviglioso pomeriggio assieme: che fosse o meno un pomeriggio da fidanzati, da amici o da chissà cos'altro, per quel che mi riguardava il nostro tempo insieme era prezioso e non andava sprecato con inutili recriminazioni, sbalzi d'umore ed urla senza senso. Soprattutto non andava rovinato con discorsi in cui il nome Marlene comparisse per più di due volte.

Quale passante ci rivolse un'occhiata divertita. Il proprietario di un chioschetto di spremute poco distante allungò il collo dopodiché, appurato che il nostro fosse un semplice litigio tra ragazzi, ritornò alle sue aranciate con un risolino eloquente sulle labbra.
A me veniva tutt'altro che da ridere e se non fossi stata furibonda avrei già versato molte lacrime: non mi andava di litigare con Edward, non così presto. La nostra conoscenza era già cominciata male sotto molti aspetti. Peggiorare la situazione con discussioni assurde spuntate dal nulla era davvero l'ultima delle mie priorità.

"Se pensi che sia soltanto questo, Isabella....Se pensi davvero che tu per me abbia rappresentato soltanto il giusto pretesto per lasciare Marla va bene così, allora. Credo che ci sia poco da dirti, ancora. A voler far bene si ottiene soltanto il contrario, ancora non l'ho capito il perchè ma è così. Ad ogni modo io dovrei andare adesso. Scusami, non ho più voglia di star qui a sbattermi inutilmente. Ci vediamo."

Terminò il suo discorsetto velocemente e poi girò sui propri tacchi.
Si allontanò in tutta fretta. Non mi concesse neppure un minuto di dialogo in più.

Biascicai il suo nome tra le labbra come se si fosse trattato di una parolina magica, una formula per mandare indietro il tempo ed evitare che si montasse tutto quel casino inutile. Tuttavia non gli corsi dietro, non tentai di fermarlo. Il mio amor proprio fu più forte di tutto o forse soltanto la mia vigliaccheria.
Più guardavo la sua figura allontanarsi tra la gente, più sentivo qualcosa di devastante stringermi alla gola.
La borsa che mi trascinavo dietro crollò miseramente dalla mia spalla sino in terra.
Un uomo che passava di lì per caso - un tipo strano, sulla quarantina, vestito con un jeans strappato ed una catena pesante al collo - mi aiutò a raccoglierla.
Quando me la restituì si rese conto che ero in lacrime.
Mi chiese se tutto fosse ok.

"Non proprio..." - Risposi balbettando - "...Ho litigato col mio ragazzo e non so perchè..."



*


Il giorno seguente a quel litigio era domenica: la peggiore della mia vita.
Mia madre mi trascinò a messa, quel mattino, squadrandomi con cipiglio severo. Non avevo chiuso occhio durante tutta la notte, girandomi e rigirandomi nel letto alla ricerca di una spiegazione plausibile per quel litigio. Tutto ciò che avevo ottenuto, al mattino, altro non erano state che due pesanti occhiaie violacee, un viso cadaverico e nessuna risposta alle mie domande. Alle prime luci dell'alba il ricordo dell'espressione mortificata di Edward era scivolato silenzioso sul fondo del mio cuore ed io non avevo potuto far altro che rassegnarmi all'idea di una giornata intera senza di lui.
Tuttavia Renèe dovette immaginare che la mia evidente stanchezza fosse da attribuire a null'altro che alla disdicevole abitudine che avevo di leggere e fantasticare nelle ore notturne. Al massimo un aspetto tanto sgradevole poteva essere ricollegato soltanto ad un principio di influenza ed anche in quel caso sarebbe stata colpa mia perchè non mi ero coperta adeguatamente dal freddo della sera.
Per mia madre era sempre colpa mia.


Avevo cantato con voce flebile i salmi e più volte mamma aveva risvegliato la mia attenzione con metodi poco ortodossi. Un paio di gomitate ben piazzate, per esempio, avevano centrato più volte il mio fianco destro. Mi ero limitata ad un "Ouch!" di risposta e comunque non avevo aggiunto altro. Non avevo forza e volontà, quel giorno, per litigare con mia madre.
Se soltanto anche lei avesse voluto lasciarmi in pace, ovviamente.



"Isabella?" - Esordì durante il pranzo.
"Sì, mamma?"
"Hai dormito stanotte?"

Eccola. Aveva dato inizio al suo interrogatorio in pieno stile Scotland Yard.

"Sì, mamma."
"Non ti senti bene?"
"No, mamma."
"E cos'hai allora?"
"Niente. Sono soltanto stanca."
"Per quale motivo?"
"Non lo so.."

"Renèe! Lasciala perdere!"

Udire la voce di papà mi risollevò per un istante dall'ansia che mia madre mi stava provocando. Lo ringraziai con un'occhiata eloquente - di norma io e lui riuscivamo a comprenderci con uno solo sguardo - e tornai al mio pranzo. Ma la vittoria durò solo una frazione di secondo.

"Charlie! Cos'è, le dai manforte? Tua figlia è vitale quanto un'ameba e tu non sei in grado di dirle nulla di costruttivo!"
"Ma saranno affari suoi...Lasciala in pace!"
"Non sono mai affari soltanto suoi! Noi siamo i genitori ed abbiamo il dovere ed il diritto di sapere! Bella..."
"Sì, mamma..."
"Ultimamente credo che tu stia venendo meno ai tuoi doveri..."
"Ossia? Sto studiando, come sempre..."
"Sì ma con meno entusiasmo. Inoltre, hai deciso quale facoltà frequentare?"

Mio padre grugnì.

"E' il pranzo della domenica, Renèe. Raramente riusciamo a stare insieme senza impegni. Potresti, per favore, smetterla di risultare sempre così pesante?"
"Ah! Io sarei pesante? Tua figlia non si decide ad assumersi le proprie responsabilità, si limita a ciondolare per casa senza uno scopo e sarei io quella sbagliata? Charlie, sono disgustata dal tuo comportamento!"

Beth si spruzzò addosso del burro di arachidi, involontariamente. Forse anche lei si era innervosita a causa del comportamento assolutamente irritante di mamma. Mi guardò disperata ed io mi risvegliai dal coma, pronta a prestarle il mio aiuto.

"Elisabeth! Sei una pasticciona!"
"Mamma son cose che capitano..."
"Se soltanto riuscisse a star dritta e composta mentre mangia tutto questo non accadrebbe!"

"Mammina, scusami..." - Mugolò la mia piccina. Mi si strinse il cuore: la mia sorellina era di una dolcezza disarmante. Ancora faticavo a comprendere come potesse associare il termine "mammina" a nostra madre, la glaciale Renèe Watson. Eppure lei ci riusciva e lo faceva in maniera estremamente naturale, oltretutto. Ecco perchè sussultavo di dispiacere ogni qualvolta nostra madre rispondeva ostile ed arcigna come - solo lei sapeva essere - ai delicati nomignoli ed alle dolci richieste di perdono della mia piccola Beth.


"Mamma, io..."
"Isabella, non parlare! Pensa piuttosto ai tuoi impicci....Se non ti sbrigherai a decidere cosa fare del tuo futuro quest'estate niente vacanze, sappilo!"
"Che cosa?!"

Scattai dalla sedia.
Vacanze. Vacanze...?
Vacanze!

Era vero...mancavano soltanto poco meno di due settimane alla nostra annuale escursione verso l'isola di St. Martin. Di norma si trattava del periodo dell'anno che preferivo: per quanto fossi costretta a sorbirmi, anche in quel luogo, i rimproveri più o meno quotidiani di mia madre per qualsiasi cosa le provocasse irrimediabilmente fastidio e irritazione, avevo sempre molte ore a mia disposizione da trascorrere con la sola me stessa e questo mi aiutava a riflettere e perdermi nei ricordi belli della mia vita da adolescente. Adoravo la sensazione dolcissima e malinconica di camminare a piedi nudi sulla sabbia bianca e calda mentre davanti a me si stagliava un mare scuro e misterioso: era in momenti come quello che comprendevo la grandiosità del mondo e della mia stessa esistenza. Davanti a spettacoli del genere avvertivo chiara e palpabile la distinzione tra il  piccolo essere umano che ero io, limitato e finito, e la natura infinita  e maestosa che era si ergeva fiera intorno a me. Pensavo al mio passato, a quel che sarebbe stato del mio futuro e finivo irrimediabilmente col sentirmi piena ed incompleta al tempo stesso, come se avessi ancora molto da fare ma avessi cominciato bene il tutto. Mi sentivo speranzosa e piena di energie positive.  Ma ovviamente questo valeva finché non incontravo di nuovo gli occhi truci di mia madre: lei sapeva svilirmi come pochi.


Tuttavia, quel giorno, l'idea di St Martin fu tutt'altro che piacevole o rassicurante per me. Raggiungerla significava allontanarsi per più di un mese da Londra, dalle mie amicizie, da quel mio piccolo mondo fatto di musica e mercatini polverosi a Camden che tanto amavo.
Raggiungerla significava allontanarmi da Edward, dal nostro rapporto burrascoso, dal suo sorriso dolcissimo.

Oh no! Non ora che ...dovevamo ancora decidere cosa essere esattamente l'uno per l'altra!
Non potevamo perderci proprio adesso e per un tempo così infinitamente lungo: perchè ero certa che, al ritorno, non l'avrei ritrovato più.


Cominciai a singhiozzare. Inspiegabilmente.
Mia madre ancora tentava di ripulire il vestitino di Beth quando alzò gli occhi su di me, esterefatta.
Ovviamente per un attimo dovevo esserle apparsa al minimo come una psicopatica.

"Bells? E' tutto ok, tesoro?" - Mio padre mi toccò il braccio, preoccupato.

Avrei voluto rispondergli: "E' tutto ok pà...solo, per favore, non voglio andarci a St Martin. Lasciami a casa quest'estate!".

Tuttavia mi resi conto istantaneamente che una simile richiesta avrebbe ottenuto soltanto l'effetto contrario a quello sperato. Mia madre avrebbe cominciato a farsi mille domande, a chiedersi perchè sua figlia mostrasse tanta premura nel voler restare a Londra. Sapeva in realtà quanto amassi St. Martin: con una simile reazione mi sarei tradita da sola.

Cosicché mordicchiai il labbro, trattenendo la reale risposta che avrei voluto dargli.

"Tutto ok...solo....solo vorrei poter venire a St Martin con voi.."

Le labbra di mio padre si aprirono in un sorriso luminoso.

"Ci verrai tesoro. Sta' tranquilla, tu fai sempre del tuo meglio...."

"Verrai soltanto se ti mostrerai una studentessa seria, coscienziosa e responsabile!" - Ribattè mia madre. Charlie la guardò truce ma lei non se ne curò. Tirai su col naso mentre mia sorella, di nascosto, mi carezzava la gamba da sotto il tavolo. La guardai, sorridendo appena.

"Adesso torna a mangiare, Isabella. Non voglio più sentire storie, piagnistei o quant'altro: e questo vale per tutte e due." - Concluse Renèe.

Beth tornò a guardarmi, soltanto per un istante, prima di sospirare triste.




*



"Sono nella merda, Angela!"
"Cosa? Non ti sento bene Swan, alza quella cacchio di voce!"
"Non posso, diamine! Se mi sente mia madre sono fritta!"

Angela sbuffò, dall'altra parte della cornetta.

"Che cosa cavolo è casa Swan? Un carcere minorile? Sei al telefono con la tua migliore amica e noi due stiamo parlando di compiti. E lezioni. Ok? Rilassati Swan."
"Ok.. ma è Domenica. Sono le sei del pomeriggio. E dovrei essere qui in camera a leggere Shakespeare o in salotto a suonare il pianoforte, Angela. Lo sai. Me la sto cavando soltanto perchè ho finto di avere molto mal di testa."
"Perfetto. Continua a fingere, allora. Perchè ti sento così male?"
"Perchè ho trascinato il telefono sino al letto ed ora sono nascosta sotto la coperta."
"Beh, è già un miracolo che tu abbia il telefono in stanza.."
"Mamma me l'ha concesso dopo che ho preso A in letteratura, all'ultimo compito in classe. Ma se mi becca è finita, me lo toglie di nuovo."
"Quale sarebbe il senso di metterti il telefono in camera se poi non puoi usarlo? Tua madre proprio non la capisco!"

Sospirai.

"Angie, neanche io la capisco....Ma questa è una storia che dura da quasi diciotto anni. Non ti chiamo per parlare di Renèe...Potresti abbassare il volume di quella stupida canzone ed ascoltarmi un attimo, per piacere?"

Angela abbandonò la conversazione per un istante, borbottando. Tornò dopo poco e nel più assoluto silenzio.

"Dio, non sopportavo più la voce di Travolta!"
"Sbrigati a parlare, Swan. Voglio ascoltare il mio disco nuovo..."
"I tuoi sono fuori, è così? Altrimenti non faresti tutto questo casino..."
"Yeah...sei una persona perspicace! Allora, vuoi sputare il rospo o no? Che problemi hai?"
"Ho litigato con Edward. E mia madre mi ha ricordato che fra due settimane saremo a St. Martin."
"Il che significa non vedere Mister Punk per un mese intero...Giusto?"
"Già..."
"Beh, è un problema, sì..."

Al di là della cornetta udii un tramestio fastidioso: evidentemente Angie si stava accomodando sul letto a gambe incrociate, facendo sussultare vistosamente le molle del suo materasso. Avrebbe dovuto cambiarlo, prima o poi.

"Perchè hai litigato con Edward?"
"Perchè...perchè....Perchè lui si preoccupa troppo per Marla, Angela...E lui invece dice che io mi vergogno di lui, che lo costringo a nascondersi..."
"Il che sarebbe anche vero."
"Non ti ci mettere pure tu, per favore.."
"Ok...Vabbè Swan, avete litigato per delle grandi cavolate, ne sei cosciente, sì?"
"Non sono affatto sciocchezze! Marla è sempre tra noi!"
"Marla sarà tra voi ancora per molto, moltissimo tempo! Renditene conto, Isabella! Lei ed Edward sono cresciuti assieme ed hanno condiviso troppe cose per sparire dalle reciproche esistenze da un giorno all'altro! Tuttavia....nonostante un legame così morboso Edward ha trovato il coraggio di lasciarla....Ed il motivo di tanta forza sei tu, soltanto tu! Diamine, sai che non mi piace un granché Cullen però devo ammetterlo: ha avuto fegato, Bella! Avrebbe potuto tenersi il suo fedele cagnolino e risparmiarsi un sacco di grane ed invece ha scelto te....Perchè devi piacergli davvero molto! Sai cosa penso, Isabella? Che per Edward non sia per niente facile...è un tipo spavaldo ed apparentemente un gran figo...Però..."
"Però?"
"Credi davvero che non si faccia alcun problema? Bells, sei troppo per lui...E lo sai! Troppo educata, troppo colta, troppo ricca.....Edward non riesce a starti dietro..."
"Se è per questo neanche io riesco a star dietro a lui..."
"Sì ma lui non ti nasconde....Sanno tutti chi sei. O no?"
"Come possono saperlo tutti se non lo so neppure io, Angela?? Io ed Edward ci frequentiamo ufficialmente da pochissimo e non sono la sua ragazza!"
"Ah no? Allora com'è che persino Oliver è a conoscenza della vostra storia? Mi ha chiesto, testualmente: da quando Isabella è fidanzata con Edward Cullen?"

Deglutii a fatica.

"Chi....chi gliel'ha detto?"
"Non lo so...forse Emmett? O magari Edward stesso..."
"Io...io..."
"Bells,smettila di balbettare come un'idiota ed ascoltami: non so di cosa tu abbia paura esattamente ma ti direi di metterci un punto. Edward, per un motivo non ben definito ha scelto te. E tu hai scelto lui. Avresti potuto avere chiunque: sei bella, intelligente, vieni da una famiglia prestigiosa. Ma hai scelto lui, il minimo che potesse capitarti. E non lo so se è un capriccio il tuo ma non sei mai stata una ragazza viziata, nonostante tutto, per cui credo ai tuoi sentimenti. Ora, ammetto che Edward non sia proprio il ragazzo che, da amica, avrei voluto per te però...Se tu, che sei così giusta e buona, hai trovato qualcosa di positivo in lui beh...allora voglio pensare anch'io che sia così. Qual è il problema dunque? Siete gelosi l'uno dell'altra? Chiaritevi! Non sopporti più la presenza di Marla nella vostra storia? Bene, vai lì a parlale chiaro..."
"Sì, così mi mena..."
"Ma va' a quel paese! Non picchierà proprio nessuno, invece! T'accompagno io, che problema c'è? Due scimmiette, insieme, possono sconfiggere l'orango!"

Risi, più serena.

"...E non vergognarti di lui. Se hai deciso davvero non puoi nasconderti..."
"Io non mi vergogno! Non è questo, Angela...è che ho paura. Ho paura che possa scoprilo mia madre, che mi allontani da lui proprio adesso che abbiamo cominciato a conoscerci meglio...Ed avevo paura anche della possibile reazione di Oliver, a dirtela tutta, pensavo di ferirlo...Non volevo venisse a scoprirlo così presto..Non me la sentivo di affrontalo o dargli un dispiacere..."
"Beh, tanto l'ha saputo comunque. Sei stata ingenua, Bella. Prima o poi sarebbe accaduto e sarebbe stato meglio se l'avesse scoperto direttamente dalla tua bocca, no? Comunque sia sopravviverà, stai tranquilla...Piuttosto, preoccupati di far pace con Edward adesso. E preoccupati di questa cacchio di isola di St. Martin!"

Sospirai.

"Non me ne parlare, Angela...ti prego. Non so davvero come risolvere la situazione!"
"Spiegami bene....cosa ti ha detto esattamente tua madre?"
"Come sempre il discorso è caduta sulla scelta del College e sul fatto io non abbia ancora maturato una decisione al riguardo. Cosicché mi ha informato con la sua proverbiale dolcezza che, se non mi comporterò da studentessa coscienziosa e responsabile, quest'estate non mi toccheranno le vacanze.....Ma...Ecco, il punto è che io in vacanza non voglio proprio andarci! Non adesso, almeno..."

Terminai il mio sproloquio in un sospiro. Dall'altro lato della cornetta Angela non pronunciò parola: mi parve un fenomeno piuttosto inverosimile, vista la vergognosa favella della mia amica.

"Angela?"
"Ti ha detto proprio così tua madre, Bella?"
"E certo! Perchè?"
"Perchè .....perchè forse forse ho una soluzione. Apri bene le orecchie, Swan, e tieni a mente quel che ho da dirti ..se davvero non vuoi correre rischi quest'estate dovrai seguire le mie istruzioni..."



*


Ero seduta in giardino da mezz'ora con quel compito tra le mani.
L'ultimo test di Scienze. Con quel voto chiudevo il mio anno scolastico.

Una lettera B, sadica e malvagia, faceva bella mostra di sè sul retro del compito.
Scritta ad inchiostro rosso mi pareva ancora più scarlatta e luminosa del normale.
Deglutii di nuovo alla sua vista, incapace realmente di metabolizzarla.

Avevo studiato per quel compito. Conoscevo ogni più piccolo particolare di ogni lezione, ciascun paragrafo assegnato era stato studiato dettagliatamente, senza tralasciare nulla. Eppure... Eppure avevo deciso di barare a mio discapito - o forse a mio favore, ancora dovevo comprenderlo appieno. Volontariamente avevo tralasciato alcune domande, ad altri quesiti avevo risposto in maniera errata - e sempre consapevole delle mie azioni - cosicché soltanto una metà del test svolto risultava, sostanzialmente, valido e corretto.

Nel consegnarlo mi venne da piangere: non ero abituata a perdere. Soprattutto non di mia spontanea volontà.

Ma era quello l'unico modo per non andare in vacanza. L'unico che avesse partorito la mente malata di Angela, in realtà. E l'unico che io stessa avessi considerato utile allo scopo finale.
Me ne rendevo conto, era paradossale disdegnare il mare e le giornate di tiepido sole di St. Martin a diciassette anni. Ma non potevo lasciare Londra. Non in quel momento almeno e non per oltre un mese.
Se nelle ultime interrogazioni non avessi dato il meglio di me mia madre mi avebbe punita: mi avrebbe costretta a restare a casa. Niente vacanze, niente mare, niente di niente. Nulla tranne Edward e questo valeva molto più di una nuotata in acque ghiacciate.

Angela aveva avuto un'eccellente idea, poco da dire a riguardo.

Tornai a guardare la mia lettera B, triste ed inerme sul bianco di un foglio che detestavo.
Tutto sommato l'insegnante era stata clemente. Avrei meritato una C, addirittura.

In realtà, più di quel voto, era l'espressione con la quale Miss Winson mi aveva guardato a farmi star male.
Esterefatta, dispiaciuta, delusa.
Quanto lo ero io da me stessa, forse? Non volevo neppure immaginare  quale sarebbe stata la faccia di mia madre di fronte ad un simile risultato.

E se a quel voto sommavo la consapevolezza di non vedere e sentire Edward già quasi da quattro giorni ormai beh...sì, non c'era altro da aggiungere: andava davvero tutto uno schifo.
Mi venne mal di pancia.

"Cosa c'è, Swan? L'amore ti fa male?"

Alzai gli occhi incontrando il viso di Oliver che se ne stava in piedi, accanto a me.
Aveva uno sguardo duro e vagamente ironico. Stentai a riconoscerlo. Quella era la prima volta in cui tornavamo a parlare da quando avevo scoperto che lui...beh sì, che lui era a conoscenza del mio rapporto con Edward.
Mi sentii imbarazzata.

"Ciao Oliver..."
"Hai preso una B. Strano." - Commentò lapidario, senza ricambiare il mio saluto.
"Lo so. Non ricordarmelo, per favore."
"Se ti fossi impegnata un po' di più....Beh, ti fai distrarre facilmente vedo..."
"Sei venuto qui per farmi la predica?" - Domandai bruscamente.
"Chi, io? Non sono tuo padre, non me ne importa un fico secco. Sono qua soltanto per dirti che se avete queste intenzioni tu ed il tuo ragazzo... beh...Non assumetevi impegni con la gente, allora!" - La sua voce era dura, irriconoscibile.

"Che diamine vai blaterando, Oliver?" - Scattai in piedi, preoccupata.
"Son tre giorni che Edward non si presenta alle prove....E francamente mi sto davvero rompendo le scatole! Non dirmi che non ne sai nulla, per piacere! Venerdì prossimo abbiamo un altro concerto quindi...per favore, digli di smuovere il sedere e farsi vivo...Grazie!"
"Oliver ma io...!"

Non mi diede tempo di rispondere: si allontanò in gran fretta urtando un paio di ragazzini del secondo anno che tornavano dall'ora di ginnastica.
Sembrava davvero agitato.


"Cavolo Bella.....L'hai fatto arrabbiare sul serio!"

Alle mie spalle udii la voce familiare di Angela. Mi voltai esterefatta.

"Angela, io...!"
"Lo so, lo so...non c'hai capito niente....E' tutto il giorno che è nervoso, lo stavo osservando da un po'. Beh, se non altro ha confermato che non sei l'unica ad aver perso la testa...Mi pare di aver capito che Edward si sia dato alla macchia!"
"Mio fratello non è scomparso!"

Alice comparve dal nulla. L'espressione furibonda sul faccino delicato: era buffa da guardare.
Angela la osservò esterefatta: continuava a non tollerarla molto. Soprattutto disdegnava le sue incursioni improvvise e l'idea che potesse diventare una mia cara amica. Oh sì, quest'idea la mandava su tutte le furie!

"Isabella! Per favore, potresti spiegarmi che vi è preso?" - Urlo Alice evidentemente esasperata - "...Sono tre giorni che Edward si aggira come uno derelitto per casa e tutto ciò che si limita a fare è strimpellare I love her dei Beatles sulla chitarra. Francamente io e mia madre cominciamo a non sopportarlo più! Perchè diamine avete litigato?"

Angela proruppe in una grassa risata.

"Alice! Oh, Alice....questa è davvero fantastica! Bells, tesoro: siete due imbecilli!" - Aggiunse felicemente.

Io guardai prima Angela, furiosa. Poi Alice, studiandone l'espressione perplessa e vagamente offesa.
Dopodiché pensai alle sue ultime parole. Immaginai Edward contrito e disperato, troppo orgoglioso per tornare da me a far pace e troppo triste per vivere la sua quotidianità normalmente, con la stessa strafottenza e disinvoltura di sempre, e mi venne da sorridere. Tutto sommato ci stavamo comportando allo stesso modo: io non cercavo lui, lui non cercava me. E stavamo malissimo l'uno senza l'altra.
Davvero, eravamo due imbecilli.

"Alice..." - Mormorai allora: d'improvviso quella B sul test di scienze non aveva più alcun valore per me. Mi sentii, dìun tratto, piena di coraggio. - "...E' tutto ok. Solo che siamo...due stupidi testardi. Ecco....Adesso: mi diresti dove posso trovare Edward, oggi? Vorrei parlargli, a questo punto."

Un guizzo soddisfatto illuminò sia gli occhi di Angela che quelli Alice.
Quest'ultima sorrise furba prima di rispondermi.
Una frase breve ma eloquente:


"Ma certo che te lo dirò, Bella....Anzi. Ti ci accompagno proprio io."



*



"Maledizione! Dannata porta!"
"Alice, fa' piano...Così finirai per bloccarla!"

Alice rise di gusto, continuando ad armeggiare alla serratura.

"Tranquilla Bella. E' una storia vecchia...Questa porta non ha mai fatto il suo dovere decentemente. Papà ed Edward hanno fatto di tutto per sistemarla....Con scarsi risultati come puoi vedere. Però...posso assicurarti che fra un po' si aprirà!"

Feci spallucce. Nel frattempo udii un versetto indecifrabile provenire dal fondo del pianerottolo: abbassai lo sguardo proprio mentre un grosso topo sgattaiolava a pochi metri da me verso la sua tana.

"AAH!"
"Oddio!"
"Alice!"
"Bella!" - Alice, per lo spaventò, lasciò cadere in terra le chiavi - "...Che diavolo ti prende?!"
"A me??"
"Sì, a te! Perchè urli??"
"Perchè c'è un topo!"

Indicai tremante il punto in cui avevo visto scomparire quella grossa bestiaccia.
Alice mi guardò per un istante, sconcertata, prima di scoppiare a ridere.

"Oh, Bella! Sei proprio una ragazza di Kensington! Vuoi dirmi che non hai mai visto un topo in vita tua?"

Sconvolta, sistemai la mia povera gonna stropicciata.

"No davvero, Alice!"

Seguitò a ridere: per un attimo la trovai irritante. Era davvero così sorprendente il fatto che non avessi ancora mai avuto un certo tipo di "incontri" nella mia vita?

"Alice, non dev'essere obbligatorio vedere un topo nella propria esistenza!"
"Scusami, scusami...!" - Si affrettò a dire - "..Solo che hai fatto una faccia....non è un mostro, non ti mangia mica! Anzi, scommetto che abbia più paura lui di te..."
"Sì, certo.."
"Oh, finalmente!" - Alice pose fine alla nostra assurda conversazione nello stesso istante in cui la porta decise infine di girare sui suoi cardini ed aprirsi. - "...Vieni, entra...ma fa' piano! Dev'essere una sorpresa!"

La guardai insinuarsi in casa a passetti delicati e silenziosi, come se fosse stata una ladra elegante. La seguii lentamente, muovendomi, viceversa, come un elefante in un negozio di vetro. Ero visibilmente preoccupata.
Mi ritrovai in un ambiente angusto ed avvolto nella penombra, nonostante fossero appena le quattro del pomeriggio ed il cielo, fuori, fosse miracolosamente sgombro da nubi.
La casa era davvero piccola e soffocante: letteralmente un buco privo d'aria e con poca luce, pieno di scartoffie e mobili di scarsa qualità. Non aveva proprio nulla in comune con la mia bella casa di Kensington.

"Smetti di fare la ragazzina viziata e schizzinosa, Isabella Swan!" - Mi rimproverai dunque: cominciavo a comportarmi come quelle signorine snob che tanto detestavo e questo non andava affatto bene.

Fortunatamente Alice non parve rendersi conto delle mie perplessità. Piuttosto, senza curarsi di me, si avviò rapidamente per un corridoio stretto posto in prossimità dell'ingresso ed io mi affrettai a seguirla. Soltanto per poco mi trattenni dall'afferrare il braccio della mia amica per farmi forza: davvero ero fortemente impressionata.

"A...Alice, sei certa che tua madre.."
"Mamma non c'è, stai tranquilla. Ed anche se fosse in casa....E' la persona più dolce di questo mondo, saresti subito a tuo agio con lei!"

Sospirai.

"Ok..."
"Bene...Ed ora fai silenzio, cerco di capire dove sia quel coglione di mio fratello....Edward??" - Chiamò a gran voce.

Nessuna risposta.

"Edward?!"

"Alice forse non è..."
"Sssh! Certo che c'è! Edward..? EDWARD!!"

"Che cazzo urli, Alice!! Ti sento, sono qua!"

Edward...!

Alice si voltò verso di me facendomi l'occhiolino.

"Visto? E' in casa! Conosco le sue fasi depressive...non lo schioderesti da qui neanche a peso d'oro! Vieni con me...!"

Si avviò con passo spedito e sicuro verso il fondo dello stretto corridoio. Da una porta socchiusa sulla destra filtrava un po' di luce.
Il cuore cominciò a battermi all'impazzata quando compresi: quella era la camera di Edward.

I miei passi rallentarono improvvisamente. Alice dovette rendersene conto poichè si bloccò, squadrandomi.

"Tutto bene, Bella?"
"Sì...sì, certo..."
"Vieni allora...?"
"....Ok...."

Percepii i palmi delle mani appiccicaticci e bollenti.
Mi sentii una stupida.

Era Edward, Edward cazzo!
Certo, avevamo litigato. Erano giorni che non vedevo il suo bel viso o udivo la sua voce. Ma era lui, era pur sempre lui, non di certo un estraneo! Non un professore severo, non mia madre col suo sguardo diffidente, non un nemico da combattere insomma...solo Edward!

"Solo"...Già. Solo lui.


"Edward!"
"Alice! Che ti prende? Sei impazzita ad urlare così?? Come se non ci sentissi..."

Alice aveva raggiunto la porta della stanza di Edward, spalancandola, e ne stava ora tranquilla sull'ingresso: io mi ero trattenuta e me ne stavo a qualche metro di distanza, stretta tra la parete ed un armadio scardinato posto nel bel mezzo del corridoio. Dalla mia scomoda postazione percepii la sua voce e l'assaporai nota per nota, come se fosse la più melodiosa delle canzoni piuttosto che un insieme di parole poco delicate rivolte alla sorella.

"Visto che non rispondevi ho pensato che stessi dormendo, Mister Simpatia!"

Edward bofonchiò qualcosa che non riuscii ad afferrare del tutto, anche se mi parve di capire che avesse appena apostrofato sua sorella con un rapido ed indolore "rompiscatole".

"Comunque sia, devo scappare...." - Continuò Alice - "...Raggiungo mamma, vado a darle una mano per la spesa...Sono venuta qui soltanto per accompagnare una persona..."
"Che persona?!"

La voce di Edward si alzò di un'ottava, quasi stridula. Era preoccupato, agitato. O chissà cos'altro.

Io mi strinsi ancora di più nel mio cantuccio, presa dall'ansia, e poco mancò che finissi col nascondermi nell'armadio. Alice, sorridendo, si voltò nella mia direzione senza rispondere a suo fratello. Mi fece segno di farmi avanti ma io  rifiutai, scuotendo la testa.

"Alice, chi c'è con te??"

La voce di Edward si fece più vicina. Chiusi gli occhi, contando i secondi. Quando li riaprii lo trovai di fronte a me, sotto la porta della sua camera. In bermuda e t - shirt sbrindellata.

Mi guardava ad occhi e bocca sgranati: evidentemente non poteva credere che io fossi davvero lì. Forse lo sperava, tuttavia, o forse ero soltanto io a sperare che lui desiderasse vedermi realmente.

"Bella.....?"


Un filo di barba era cresciuto sul suo viso delicato. Lo trovai assolutamente perfetto, anche così: sfatto, stanco, trasandato. Magnifico, come e più del solito.
Portai una mano alla pancia: a causa dell'eccessivo nervosismo m'era venuto mal di stomaco.
L'altra mano l'agitai appena, per salutarlo.


"Bella...sei tu?" - Sembrava davvero sorpreso.

"Certo che è lei, stupido! Non ci vedi?"
"Alice, sta' zitta..!"
"Scusami tanto...Te l'ho portata io la tua ragazza a casa, vedi di ricordaterlo eh! Comunque... adesso vado, vi lascio da soli che ho altro da fare...Trattamela bene, la mia Bella!"

Alice sgattaiolò rapidamente, allontanandosi da suo fratello con passo veloce ed elegante, come sempre. Nel passarmi accanto mi rivolse un sorriso luminoso e soddisfatto che non riuscii a ricambiare. Avrei voluto fermarla e dirle che era troppo presto per andare via. Non sapevo ancora cosa dire esattamente ad Edward e tutto il coraggio che avevo mostrato fintanto che mi trovavo a scuola era svanito, sciolto come neve al sole. Benchè fossi consapevole che lui non se la passasse meglio di me e che fosse effettivamente arrivato il momento di parlarci e chiarire beh....ero troppo agitata per sistemare così facilmente la faccenda da sola.

In ogni caso non riuscii neppure a ricambiare il saluto di Alice. Paralizzata ascoltai il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva alle mie spalle ed lo scalpiccio delle scarpe della mia amica lungo le scale senza muovere un solo passo.

"Bella...? Isabella?"

Alzai nuovamente lo sguardo su Edward, frastornata.

"Sì.."
"Sei qui...?" - Mormorò avvicinandosi.

In pochi passi mi fu accanto, a pochissimi centimetri dal mio viso.
Trovai il coraggio d'incrociare i suoi occhi verdi e qualcosa si sciolse dentro di me.

Forse l'imbarazzo, forse la timidezza, forse la paura.
La rabbia no. Quella era già svanita da un po', dall'esatto istante in cui Edward era scivolato via dai miei giorni.

"Sono qui...."

Lentamente, quasi con timore, Edward si avvicinò di più a me e, poggiando la sua fronte sulla mia, sospirò.
Attese qualche istante ancora prima di parlare; la penombra della casa, la mancanza d'aria provocata da quel corridoio stretto, la paura dei topi lì fuori: niente più contava improvvisamente. Solo io e lui. Vedevo lui, sentivo il tuo respiro: il resto del mondo, per quel che contava, poteva anche crollare*.
Tremavo.

Edward accolse la mia mano nella sua.
Poi mi guardò.

"Non tremare Bella. Non avere paura, per favore. Sei tu la più forte fra noi due..." - Mormorò ancora scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte.











Ok ragazze....Buonasera a tutte voi! :)
Arrivo con estremo ritardo e me ne rendo conto....Mi è mancata l'ispirazione e voglio esservi sincera. Scrivere questo capitolo è stata veramente dura e non vi nascondo che ancora non mi convince del tutto....Tuttavia era arrivato il momento di postare per cui dovrete accontentarvi di questo! ;)
Comunque sia, il capitolo si taglia a metà, praticamente...Il prossimo aggiornamento potrete considerarlo come la restante parte di ciò che avete appena letto. Se avessi continuato a scrivere sarebbe venuto fuori un capitolo troppo lungo per cui ho preferito tagliare a questo punto, al momento prima dei "chiarimenti"...
Come avrete capito, il rapporto tra Edward e Bella non è affatto semplice. Nell'ultimo aggiornamento Isabella terminava il suo discorso dicendo ad Edward che non avrebbe dovuto aspettare poi molto per averla. Il che è vero. Isabella è innamorata di Edward e lo stesso vale per lui. Ma sono giovani e non si conoscono bene. Hanno paura delle reciproche differenze e ne sono, al contempo, affascinati. Molte situazioni e troppe persone li limitano (una fra tutte Marlene) e finiscono con lo sfogare i propri timori e le proprie incertezze in litigi inutili. Ora, non è che questi due sono pazzi ed un giorno litigano e l'altro si amano...Solo che sono ancora in fase di assestamento per cui gli alti ed i bassi sono all'ordine del giorno. Soprattutto avrete capito che il più insicuro, fra i due, è assolutamente Edward. Voi cosa fareste al posto suo? Vi sentireste altrettanto inadeguati?
A voi la parola :)

Detto questo passo subito ad un po' di spiegazioni.
Cos'è la Rounhouse? La cito ad inizio capitolo. Si tratta di un ex edificio industriale di Camden: dagli anni '60 fino agli inizi degli anni '80 è stato adibito a sala per concerti, teatro e complesso per le arti. Chiuso nel 1983 per mancanza di fondi è stato riaperto nel '96 e, ad oggi, ospita molti spettacoli musicali e programmi vari. Tra gli artisti che si sono esibiti alla Roundhouse David Bowie, Doors, Rolling Stones, Oasis.






Punto secondo e su questo mi soffermerò poco: i Wings. Si tratta del gruppo fondato da Paul McCartney ed attivo dal 1971 al 1981, dopo lo scioglimento dei Beatles del 1970. "With a Little Luck" fu una canzone fortunatissima di questo gruppo che, tuttavia, risultò più gradita negli Stati Uniti che in patria: gli Inglesi preferivano i Beatles ;)
A proposito di Beatles....Il locale che cito parlando di Liverpool, il Cavern...Beh, è proprio il locale dove i Beatles hanno cominciato a suonare...Da lì è partita la loro fortuna...Mi ha fatto piacere parlarne in questo capitolo perchè io stessa l'ho visitato quest'estate e vi assicuro...si è trattata di un'emozione indescrivibile! =)







Nel 1978 però un'altra canzone andava alla grande alla radio inglese e non solo: "You're the one that I want", dal musical Grease...Come avrete capito Angela lo adora! ;)
In Inghilterra il brano rimase in vetta alla classifica dei singoli più venduti per nove settimane, durante tutta l'estate del 1978 (Grazie Wikipedia! XD)...Per questo ho voluto omaggiarla nel mio capitolo! Grease ha fatto la storia e, soprattutto, l'ha fatta proprio nell'anno in cui ho ambientato la mia fanfic...sarebbe stato un sacrilegio ometterlo! ;)
Ad onor della cronaca Grease è stato lanciato nei cinema americani il 16 Giugno del 1978...In Inghilterra è arrivato soltanto a Settembre dello stesso anno però, per un motivo che non so francamente spiegarvi, la canzone del musical era già famosissima, nel Luglio di quell'anno, in Gran Bretagna...Ve lo dico per essere più precisa! ;)

Ok, ho detto tutto...Ho fatto uno sproloquio, lo so...Mi faccio perdonare con una canzoncina:

I love her  dei Beatles...E' quella che Edward strimpella per casa, dedicandola implicitamente a Bella....Per grande disperazione di Esme ed Alice!! ;)

Ok, credo (e spero) di aver detto TUTTO seriamente....Nel caso, ci risentiremo!
Domani risponderò alle vostre splendide recensioni....Siete favolose ragazze, sul serio...Senza di voi sarebbe difficile portare avanti questa storia...Il vostro entusiasmo è contagioso...Grazie di tutto, davvero!

Notte
Matisse!

PS: La foto ad inizio capitolo non è proprio una Bella/Edward....Però le espressioni di Robert e Kristen inquest'immagine mi sembravano perfette per i miei personaggi così...niente, mi è piaciuto utilizzarla! :D



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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


ed122

My Ugly Boy















POV BELLA




"...E questa è la mia....camera. Ok, è un vero schifo, non dire nulla per favore."

Edward spalancò le braccia per mostrami, con un ampio gesto, quel piccolo mondo fatto di rock e polvere dove amava rifugiarsi
Dopo le riabbassò, quasi comicamente, in un moto di disappunto.

Non mi trattenni dal ridere.
Effettivamente si trattava davvero di un buco umido di pochi metri quadri in cui il caos regnava sovrano. Nonostante ciò, l'adorai quasi subito, piccolo e vissuto com'era, con i poster dei Beatles alle pareti - inframmezzati da foto poco affini, in bianco e nero, di Sid Vicious in condizioni pietose al suo ultimo concerto - il basso in un angolo, il letto sfatto e mucchi di fogli e libri lasciati a giacere inermi sul pavimento freddo.

Una camera estremamente cool, ad essere onesta. Molto più della mia, color pesca, ordinata, dalle tende bianche e vaporose.
Estranea e deprimente.


Mi guardai intorno curiosa e divertita, ed infine, avanzando di qualche passo, urtai qualcosa con la punta della scarpa. Uno fra i tanti ostacoli sul mio cammino, ovviamente. Mi chinai a guardare più da vicino e finii col raccogliere un grosso volume sgualcito ai piedi dell'armadio.


"Guerra e pace" era scritto a caratteri dorati su di una copertina rovinata dal tempo e dall'usura. Lasciai scorrere le dita tra le pagine ingiallite e sottili, così sottili da dare l'impressione di distruggersi inevitabilmente sotto il mio tocco, per quanto delicato potesse essere. Sembravano ali di farfalla.

"Era di mio padre....Gli piaceva Tolstoj.." - Spiegò Edward in un sussurro.

Alzai per un attimo lo sguardo da quel libro voluminoso e ricambiai la sua occhiata addolorata con un mezzo sorriso.

Non era facile per Edward parlare di suo padre.
Non era facile scontrarsi con l'idea insopportabile di non rivederlo mai più.
E tuttavia....trovò ancora coraggio per affrontare l'argomento.

L'osservai ancora mentre si chinava verso il letto, riemergendo con un altro grosso volume tra le mani.

"Manuale di anatomia.."  - Spiegò. - "..Anche questo era suo. Carlisle avrebbe voluto studiare medicina ma non ha mai posseduto i mezzi economici necessari per poterlo fare...E neanche io..."
"Avresti voluto...fare il medico anche tu?" - Domandai sorpresa.
"Già...Come lui desiderava per me." - Rispose, sorridendo tristemente - "...Ma non ho neppure finito il liceo, se è per questo. Non sono stato esattamente un figlio modello."

Mi porse il libro con un gesto vago, quasi imbarazzato. L'afferrai rapida mentre il romanzo di Tolstoj tornava ad adagiarsi sul letto sfatto.

"Questo manuale era tutto ciò che era riuscito a permettersi in ambito medico. E dovrei trattarlo meglio, lo so....ci teneva così tanto! Solo che....lasciarlo in giro  in questo modo, con noncuranza, esattamente come faccio con tutte le altre cose che mi appartengono beh...mi aiuta a dimenticare che mio padre sia......morto. Sì, è proprio così."

"Edward!"

Avevo le lacrime agli occhi.
Sentirlo parlare in questo modo di Carlisle e, soprattutto, del modo in cui tentava di esorcizzare la sua assenza, faceva male al cuore. Dopotutto Edward era soltanto un ragazzo che aveva sofferto troppo. Nessuna rockstar, nessun bullo di quartiere, nessun teppista senza morale. Poteva indossare mille maschere e le altre persone avrebbero potuto etichettarlo secondo i più banali stereotipi ma ciò non avrebbe avuto alcuna importanza per me: ormai, conoscevo la persona che era realmente. E sapevo, di per certo, che si trattasse una persona meravigliosa.

Allungai una mano verso di lui. La strinse nel suo palmo caldo, mentre si rivolgeva a me con quello sguardo di indicibile tenerezza che lo rendeva più bello e speciale. Poi mi fece segno di aprire quel manuale, come se, sfogliandolo, avessi potuto conoscere un po' di più suo padre.

Stavolta le pagine erano plastificate e, pertanto, più robuste. Le lasciai scorrere più energicamente ritrovandomi davanti agli occhi, immagini ben delineate di ossa, muscoli ed organi del corpo umano, elaborati in ogni singolo particolare. Non provai fastidio: non ero mai stata una ragazzina che si lasciava impressionare facilmente.
Alla fine del volume il nome Carlisle Cullen era segnato ad inchiostro nero sull'ultima pagina.

Con la cosa dell'occhio notai la figura di Edward ritrarsi leggermente.

"Che c'è?" - Domandai sorpresa.

"Niente...niente, sul serio..."
"Ne sei certo?"
"Sicuro! Niente di...importante..." - Rispose evasivo - "..Piuttosto, Bella io...andrei a darmi una sistemata, adesso. Sono conciato davvero malissimo. Ti scoccia star da sola per un po'?"

Scossi la testa, rassicurandolo.
Avevo infatti compreso che, dopotutto, doveva aver bisogno di qualche minuto unicamente per se stesso.
Al di là del fatto che volesse davvero occuparsi un pochino della sua persona, evidentemente necessitava di un attimo di solitudine per poter metabolizzare il dolore che il ricordo di suo padre doveva avergli procurato.
Lo lasciai fare.

"Va' pure...Mi troverai qui, al ritorno." - Sorrisi dolcemente e lui ricambiò quasi emozionato, prima di sparire con uno scatto nel buio del corridoio.



Ancora con quel grosso manuale tra le mani, diedi un'occhiata in giro.
Beh, francamente non mi ci volle poi molto: la stanza era davvero piccolissima. Curiosai impertinente tra gli scaffali polverosi e disordinati, ridendo della pessima organizzazione con cui si alternavano penne, block notes, spartiti musicali, dischi, bicchieri, libri e maglie stropicciate. Commiserai molto Esme, la povera mamma di Edward: aveva un bel da fare per tenere in riga quel figlio scapestrato che si ritrovava!

C'era anche da dire che, molto probabilmente, sarebbe stato assolutamente più educato impicciarmi dei soli affari miei piuttosto che metter naso negli oggetti personali di Edward: dopotutto stavo violando la sua vita, le sue passioni, i suoi ricordi. Come se lui l'avesse consentito! Avrebbe potuto esserne assolutamente geloso, avrebbe potuto intimarmi di starne lontana, se mi avesse scoperta.
Tuttavia non riuscii a frenarmi. Poichè non agivo per mera e maliziosa curiosità ma solo perchè spinta dall'impulso dolcissimo di afferrare un altro pezzetto della sua vita e farlo mio. E, dopo, afferrare altre mille di quei pezzetti. Tutti quelli che mi ero persa in quasi diciotto anni senza di lui.



E fu così che la scoprii: nascosta tra chincaglierie di poco valore e carte ripiegate.
Una vecchia foto di famiglia.
L'afferrai immediatamente, tenendola in mano come il più delicato degli oggetti.


La cornice in cui era custodita risultava ormai vecchia e sbiadita, come vecchio e sbiadito doveva essere il ricordo di quel momento immortalato dalla camera fotografica.

La famiglia Cullen al completo, in un giorno di pioggia, davanti ai cancelli di Buckingam Palace.

A vederli così felici e sorridenti davanti al palazzo della Regina li si sarebbe potuti benissimo scambiare per turisti. Invece erano cittadini londinesi ma così abituati ai bassifondi che una passeggiata nei quartieri alti di Londra doveva per forza di cose equivalere, per loro, ad una gita in una città straniera.

In piedi venivano Carlisle Cullen e sua moglie Esme, certamente.
Anche nessuno mi avesse mai mostrato prima una foto di Carlisle e non conoscessi di persona sua moglie, le somiglianze con Edward ed Alice erano tali da risaltare immediatamente agli occhi: quei due sposi così gioiosi non potevano davvero essere altri che i loro genitori.

Scoprii quindi come Carlisle fosse stato davvero un bell'uomo, in vita. Alto, dai tratti regolari e piacevoli all'occhio. Nella foto mostrava un'aria impostata e protettiva, da vero capofamiglia, mentre cingeva con un braccio le spalle della moglie; teneva, viceversa, l'altra mano poggiata sulla testa di un ragazzino già piuttostoalto e dall'espressione birichina.
Edward, certamente. Avrei riconosciuto ovunque quel sorriso sghembo che mi faceva impazzire: doveva essere una sua specialità già dall'infanzia.
Mi sembrava così felice, molto più di adesso! Aveva una tale luce negli occhi che, a ben guardare, avrei potuto benissimo mettere in discussione l'idea che fosse la stessa persona presente con me, in quella stanza, fino a poco tempo prima.


Ovvio che la gioia dipinta sul suo volto fosse null'altro che lo specchio e la testimonianza della famiglia felice che il Signore gli aveva donato in sorte. Probabilmente erano stati sempre poveri in canna e la vita, dal punto di vista economico, non doveva mai essere stata particolarmente facile per loro. Eppure...eppure era chiaro, anche solo da quella foto, quanto fossero stati sereni, in passato, loro quattro insieme. Gioiosi. E questo per esclusivo merito dell'amore che li animava e li univa.
Per forza di cose lo sguardo di Edward adesso, all'età di ventidue anni, appariva spento. Per forza di cose aveva continuamente voglia di fare a cazzotti col mondo: da quanto suo padre era andato via si era portato con sè anche l'immagine della famiglia beata ed appagata che erano stati loro quattro assieme. Era tutto molto complicato da accettare: non si rassegnava alla perdità della felicità, non dopo averla conosciuta così bene.


Anche Esme appariva sorridente. Da brava mamma chioccia proteggeva i propri bimbi dalla pioggia tenendo in mano un ombrello di proporzioni enormi. Attaccata alla sua gonna se ne stava una bimba di bellezza incredibile - la mia cara Alice.
Guardava verso l'obiettivo con aria corrucciata ma solo per scherzo di bambina; la bella bocca a forma di cuore chiusa era in una smorfietta dispettosa, il braccino serrato intorno ad  una bamboloccia di pezza dal visetto gentile e le trecce curate.
Era adorabile, sul serio.


C'era tanto colore in quell'immagine, nonostante il bianco ed il nero della macchina fotografica. Ed il merito era di quell' amore sconfinato che serpeggiava evidente tra i loro corpi allacciati sotto un cielo carico di pioggia.
Carezzai quella fotografia sbiadita dal tempo mentre un nodo veniva a stringermi in gola: era quello il ritratto di una famiglia che, un tempo, era stata felice.
Una famiglia che, adesso, non esisteva più.


Poi, chissà per quale motivo, mi venne da pensare alla mia di famiglia.
Foto così gioiose noi non ne avevamo sulla mensola del camino, dopotutto.
Nessuna mano sulla spalla, nessun abbraccio, nessun sorriso tra noi.

In ogni fotografia svettava traditrice quell'espressione amara e beffarda di mia madre, l'aria  di una combattente che molto avesse subito ed altrettanto avesse da far ripagare al mondo intorno a lei. Più bonario se ne stava mio padre, quasi in disparte, le braccia inermi lungo i fianchi ed una smorfia d'imbarazzo nascosta dai baffi scuri. E poi, in principio, vi ero io soltanto, a rappresentanza della prole. Sempre al centro, tra i miei genitori, i capelli separati in due bande intrecciate severamente;  indosso sempre il medesimo abitino da brava signorina perbene, generalmente color cipria, adornato da fiocchi vaporosi ed ai piedi le scarpette di vernice nera.
Lucide.
Strette. Taglienti.
Le odiavo.



Mamma! Mi fanno male queste scarpe! Per favore, posso toglierle?
Taci! Non fai altro che lamentarti, Isabella! La bellezza esige sacrificio!



"Taci."

Ricordavo ancora le parole dure di mia madre, ad oltre dieci anni di distanza. Ma non ricordavo, viceversa, alcuna carezza da parte sua.
Non sapevo perchè avesse scelto la strada della severità estrema, dell'esasperazione, con noi figlie. Ma sapevo, viceversa, che non mi aveva mai regalato un gesto gentile o un bacio, neanche da bambina, cosicché, per troppi anni, avevo pianto lacrime amare, di notte, su quella consapevolezza.
Dopo mi ero rassegnata ripromettendo a me stessa che avrei sempre fatto di tutto per fargliela pagare.
Non all'apparenza - se l'avessi fatto mi sarei giocata qualsiasi possibilità per me stessa e per il mio futuro - ma di nascosto da lei sarei stata esattamente l'opposto di ciò che desiderava per me.
Avrei frequentato le persone che detestava, ascoltato la musica che l'avrebbe fatta impallidire, amato tutto ciò che le provocava fastidio.
E tanto per cominciare non avrei indossato più quelle stupide scarpette di vernice.


Le lanciai dalla finestra il giorno del mio nono compleanno nel medesimo istante in cui un'auto, ad alta velocità, transitava sotto casa mia. Le colse in pieno.
A mamma raccontai di averle lasciate sul davanzale per sbaglio. Una scusa assurda ed ovviamente fui punita. Tuttavia le scarpette si mostrarono davvero inutilizzabili, cosicché, sotto un certo punto di vista, fui io a vincere la battaglia.
Il giorno seguente comprammo un nuovo, costosissimo paio di scarpe: in pelle, bordeaux. Non rividi mai più quelle odiose ballerine di vernice nera lucida..
 

Quando nacque Elisabeth mi illusi che tutto potesse migliorare. Che, in presenza di una neonata, il cuore di mia madre potesse tornare a sciogliersi. Sperai che Beth potesse essere la ragione per cui Renèe Watson tornava ad essere una "madre" sotto ogni punto di vista, anche quello affettivo.
Non accadde.
Perseverò nella sua opera di inquadramento e mai una volta si lasciò sfuggire una sola parola buona.

Nelle foto di famiglia continuammo ad essere sempre più estranei e distanti. Ciò che venne a modificarsi fu soltanto la posizione assunta: mio padre in piedi, dietro di noi. Mamma, seduta su di una poltrona di comodo velluto con Beth tra le braccia. Io, in piedi, accanto a loro. L'unico gesto d'amore permesso era quello della mia mano poggiata sulla manina più piccola e paffuta di mia sorella.



Al ricordo della mia infanzia infelice - dopotutto - una lacrima scivolò silenziosa tra le pieghe del mio viso.
Mi chiesi perchè una semplice fotografia della famiglia Cullen al completo mi avesse fatta commuovere tanto. Dopotutto la famiglia sfortunata era la loro, non la mia, eppure, per tutto quel tempo, non avevo fatto altro che pensare a quel che ci fosse di assolutamente sbagliato nel rapporto con mia madre e nel suo relazionarsi con Charlie e con noi figlie.
Evidentemente soffrivo più di quanto non volessi dare a vedere.


Riposi la foto sullo scaffale dove l'avevo trovata e rimasi in piedi, impalata.
Avrei dovuto trovare un trucchetto per distrarmi ed avrei dovuto trovarlo in fretta poichè il silenzio surreale della camera di Edward non mi risultava di aiuto nel sedare il mio personalissimo moto interiore di agitazione e dispiacere. Cosicchè seguitai a guardarmi intorno, sospirando buffamente e contemplando il caos che regnava indiscusso nella stanza, finché  mi dissi che, dopotutto, avrei potuto dare una sistemata in giro nell'attesa che Edward si facesse nuovamente vivo.

"Certo che ce ne impiega di tempo, eh....Poi si dice che sian le donne..." - Constatai con un sorriso, cominciando a raccogliere da terra maglie sporche di giorni. Pian piano fui totalmente assorbita dal lavoro e, alla fine dello stesso, mi ritrovai con le braccia cariche di vecchi indumenti. Gettai il tutto in una cesta di vimini posta sotto la finestra e neppure per un istante mi curai di appurare se qualcosa fosse recuperabile. Avevo ben poche speranze a riguardo.

Mi dedicai dunque al letto, liberandolo anzitutto da carte e libri. Dopodiché tirai le lenzuole, sistemai la coperta e sprimacciai per bene il guanciale.
Infine diedi aria alla stanza lasciando la finestra aperta.

Sospirai soddisfatta.

"Adesso va meglio..."



"Ma che...!"

Una nota di sorpresa vibrò nella voce di Edward.

Finalmente si era deciso a darsi una mossa!

Mi voltai rapidamente, pronta a rivolgergli uno sguardo fiero e vittorioso, degno del miglior io sono donna e so sistemare una stanza, tu no. Tuttavia, nel farlo, i miei propositi di ironia femminista si sciolsero come neve al sole.

Edward mi stava davanti con indosso un jeans scuro ed una t - shirt nera, scalzo.
I capelli erano bagnati ed arruffati e la barba era scomparsa.

Beh, era semplicemente perfetto, francamente.
Alla sua vista deglutii faticosamente: non riuscivo mai a comprendere come potesse essere sempre così bello.

"Ho fatto...qualcosa che non va?" - Mormorai dunque, piuttosto scioccamente.

Dannazione, quel ragazzo bruciava qualsiasi mia forma di razionalità ed intelletto!

"No....No, NO! Assolutamente, non fraintendere! Piuttosto..Beh, ecco...Grazie! Di solito è mia madre che la domenica, quand'è libera, sistema tutto...Fosse per me lascerei tutto così, come l'hai trovato...Ma devo pensare che sia un po' troppo.....caotico?" -
"Giusto un po'..." - Scherzai.

Di risposta sorrise timido, senza guardarmi negli occhi, mentre si carezzava la nuca in un gesto imbarazzato.
Per un attimo mi sembrò un bambino scoperto con le mani nella marmellata piuttosto che un giovane musicista ventiduenne , estremamente sexy ed estremamente sicuro di sè.

"Beh sì, non sono fatto per tenere le cose in ordine..."
"Me n'ero accorta..."

Sorrise. Dopodiché la sua espressione cambiò repentinamente. Mi ci volle una frazione di secondo per comprendere che stava cercando il modo migliore per intavolare una discussione che avevamo rimandato inevitabilmente sin da quando avevo messo piede in quella casa.

"Bella..?"

Lo guardai imbarazzata mentre si avvicinava cautamente a me.

"Di...dimmi..."
"Non abbiamo ancora parlato, io e te, mi pare..."

Sollevai il viso verso di lui. Era davvero troppo alto per me.

"Non c'è niente da dire, Edward...Se non che siamo due imbecilli." - Conclusi in un sospiro.

Sorrise acora, divertito, distogliendo lo sguardo.

"Oh beh...questo lo dice anche Alice..."
"Dovremmo smentirla?"
"Credo sia sostanzialmente impossibile..."

Scoppiai a ridere. In realtà doveva trattarsi di una risata isterica. Ero a pochi centimetri da Edward, nell'intimità della sua casa e della sua camera, di nuovo complici ed appassionati...con queste premesse non potevo essere al minimo agitata ed emozionata. Davvero non sapevo come comportarmi.


"Edward io..."
"Isabella, penso che..."

Ci guardammo nello stesso istante, scoppiando a ridere.

"Scusami, scusami...! Prima tu..!"
"No, dimmi tu..."
"Sul serio, cosa mi stavi dicendo?!

Edward mi sogguardò sconcertato.

"Se non la smettiamo con questi convenevoli non riusciremo mai a parlare seriamente!"
"Vero...!" - Risi con lui.
"Ok....Allora comincio io. Mi spiace Bella, mi sono comportato una merda, come al solito. Avrei dovuto farmi vivo, dopotutto ti ho mollata per strada senza alcuna spiegazione. E' solo che..."
"Non sei l'unico che deve chiedere scusa tra noi, Edward. Effettivamente il tuo comportamento è stato...particolare, mettiamola così. Ma col senno di poi beh...ho capito molte cose. Ed immagino che una buona fetta di responsabilità sia anche mia. Non volevo che tu fraintendessi...Io non mi vergogno di te. Ho soltanto paura che....qualcosa possa portarci via l'uno dall'altra. Soprattutto temo mia madre che tu non conosci: è una specie di...di generale nazista!. Ed allora ho tenuto tutto nascosto, tutto in silenzio ed ho faticato per evitare di venire allo scoperto. Tra l'altro io sono una stupida romantica a cui piace vivere nella sua bolla personale di sentimento...Gli altri non avrebbero dovuto semplicemente interferire. Per questo mi sono comportata in quel modo disdicevole. Tuttavia avrei dovuto avvisarti piuttosto che lasciarti intendere cose del tutto errate."
"Ed io avrei dovuto e potuto comprenderlo anche da solo. Scusami Isabella ma sono un testone. E' che....l'idea che non potessimo...ufficializzare la nostra...conoscenza....mi ha fatto saltare i nervi. Io ho un carattere...orribile. Sul serio. Sono impulsivo, non penso mai due volte prima di fare qualcosa e sono poco portato al dialogo. Scusami."
"Edward anche questo....io non volevo che tu parlassi con Marla perchè...Oh, Edward! Hai avuto una storia così importante per così tanto tempo....Come puoi essere certo di mandare tutto all'aria per me?? Come puoi essere così convinto che....beh, che non te ne pentirai? Io sono così diversa da Marlene...e da te! Mi hanno cresciuta nella bambagia, sono una ragazzina viziata che frequenta altri ragazzini viziati, sono davvero capricciosa ed insopportabile certe volte e tu potresti stancarti di me dopotutto, e allora..."
"Bella, sei la mia ragazza. E non mi stancherò di te! Respira, per favore..."

Edward mi cinse le spalle, dolcemente. Avevo cominciato a parlare a raffica, agitandomi molto, e soltanto il suo tocco delicato mi consentì di tranquillizzarmi e riportare i piedi in terra.
Cosicchè smisi di blaterare e, tuttavia, mi bastò una sola una frazione di secondo per farmi riassumere gli atteggiamenti tipici di una psicopatica.
Giusto il tempo di realizzare le ultime parole che Edward aveva pronunciato al mio indirizzo.


"Che...che hai detto??"
"Che devi respirare...Non puoi svenirmi qui, Bells!"
"No! NO! Prima....cos'hai detto prima??"
"Che non mi stancherò mai di te...?" - Mi guardò sconcertato.
"Oddio Edward, no!! Prima!"
"Ah...!"

Edward proruppe in una risata gioiosa.

"Ho detto che sei la mia ragazza, Isabella Swan. E, francamente, ho detto la verità. Ti ho vista, ti ho desiderata....ed ora sei qui, per me. E per quel che mi riguarda sei mia. Non so come sia potuto accadere e a dirla tutta ho avuto una fortuna sfacciata...Se pensi davvero che possa lasciarti andare, per volontà mia...beh, ti sbagli di grosso. Ma ovviamente dovrai restare se soltanto anche tu lo vorrai. Io non ti costringerò, non potrei mai farlo. Vuoi restare, Isabella? Vuoi stare con me?"


Non mi riuscì di pronunciare una sola sillaba di senso compiuto. Immaginavo che i miei muscoli tendessero a contrarsi autonomamente poichè ero scossa ovunque da brividi che non potevo controllare.
Certe rivelazioni non potevano giungermi così inaspettate. O semplicemente in maniera tanto improvvisa.
Non ero pronta ad accoglierle.

Edward.

Edward aveva dato voce ad un mio pensiero lontano, ad un desiderio inespresso, ad un sogno a lungo accarezzato da cui tendevo a sottrarmi con altrettanta dovizia e rapidità. Perchè il nostro legame era qualcosa da cui non potevo e non volevo sottrarmi ma non per questo mi faceva meno paura.

E, tuttavia, quando i miei occhi incontrarono i suoi così verdi e luminosi, il timore venne a mitigarsi ed un calore confortante e dolcissimo venne a riscaldarmi il cuore. Allora seppi che non c'era nulla di sbagliato in quel nostro amore acerbo - il mio primo amore, tra l'altro - e con un filo di voce sussurrai:

"Sì, voglio restare. Sei il mio ragazzo, Edward, dove vuoi che vada?"

Lui sorrise, di quel sorriso meraviglioso che mi faceva impazzire.

Un istante dopo, tuttavia, non sorrideva più: era troppo impegnato a riempirmi il viso e labbra di baci.



*



"E poi dovresti regalarmi un anello per ufficializzare il nostro fidanzamento.." - Scherzai mostrando la mia mano nuda. L'altra mano era al sicuro nella stretta di Edward . - "...Hai presente quelli bellissimi e luminosi che indossano le signore di gran classe? Com'è che li chiamano? Ah sì...Solitario..."
"Ma smettila!"

Mi spinse via divertito mentre passeggiavamo in riva al lago, ad Hyde Park. Per poco non persi l'equilibrio e lui, di tutta risposta, se la diede a ridere a crepapelle.

"Oddio! Sei fantastica Bella! Hai una stabilità invidiabile!"
"Edward Cullen! Se continuerai a prendermi in giro in questo modo sarai presto un uomo morto.... Sei stato avvisato!"
"Addirittura?" - Mi guardò ironico. Adorava  stuzzicarmi ed io adoravo, per parte mia, stare al suo gioco.


Stavamo imparando a conoscerci ormai vicendevolmente ed in maniera sostanzialmente diversa: non più nell'ambiguità e nell'incertezza dei giorni precedenti ma alla luce di una nuova consapevolezza che sapeva ancora di imbarazzo e dolce timidezza. Ormai eravamo vicini quanto bastava, non più conoscenti, nè, tantomeno, semplici amici su cui pendeva la spada di Damocle del dubbio. Edward era adesso, dopo una così esplicita dichiarazione, il mio ragazzo ed era incredibile quanto un così semplice appellativo risultasse meravigliosamente tenero alle mie orecchie.Era mio Edward, mio soltanto, e questa certezza mi riempiva l'anima ed il cuore di un'emozione sconfinata.
Non avevo mai avuto niente che appartenesse realmente soltanto a me. Qualcuno avrebbe potuto contestare e farmi notare che certo, avevo tante cose di cui vantarmi: una bella casa, abiti eleganti ed alla moda, auto di lusso con cui scorazzare per Londra. Oh, certamente! Ma io non amavo badare troppo al superfluo, dopotutto, ed in ogni caso questi non erano altro che stupidi beni materiali destinati a deteriorarsi e sparire. Beni che non appartenevano a me bensì alla più estesa famiglia Swan.  Niente che avessi sudato con le mie mani, in altre parole, e niente che mi riempisse l'anima e mi rendesse orgogliosa di ciò che ero diventata con gli anni.

E per quanto riguardava le persone intorno a me....Beh, certo... avevo la mia cara Angela, la migliore amica che il destino avesse mai potuto riservarmi. Non potevo lamentarmi, ma...c'era un ma. Angela aveva la sua vita, oltre me. Per quanto potessi starle a cuore, per quanto importante potessi essere, sapevo che c'era un mondo intorno a lei in grado di attirarla, in qualsiasi momento, da un'altra parte rispetto a dove mi trovassi io. Angela non era tutta per me e non lo era neppure Beth che, all'ombra dei suoi sette anni, stava cercando la via più giusta da percorrere per diventare grande, sempre ammesso che mamma avesse acconsentito a concederle una simile libertà..
Inoltre, neppure la mia stessa vita mi apparteneva. Non del tutto almeno.

Sino ad allora ero stata soltanto il frutto di ciò che mia madre non desiderava per me e cominciavo a prenderne lentamente coscienza. Più volte, in quegli ultimi tempi, ero finita col chiedermi se, in assenza di una genitrice tanto rigida e priva - fondamentalmente - di sentimenti, avessi odiato allo stesso modo la messa della domenica. E le uova strapazzate al mattino. La divisa della scuola o i calzettoni bianchi.
Probabilmente no. Quantomeno avrei mostrato meno impeto nel manifestare il mio disappunto.

Non avevo, infine, alcun talento che mi consentisse di considerarmi una persona migliore. Non sapevo scrivere niente oltre la lista dei compiti per casa, ero assolutamente incapace di disegnare, ricamare, cucinare o quant'altro. I miei bei voti a scuola erano soltanto un escamotage per evitare i materni rimproveri.

Ma tutto sommato, ormai mi conoscevo abbastanza bene e per quanti difetti riuscissi a trovarmi mi ero abituata a me stessa. Non avrei cambiato nulla di ciò che mi caratterizzava e, forse, nemmeno avrei più potuto farlo. 
E paradossalmente finalmente avevo conosciuto qualcun altro, oltre me stessa, che si mostrasse in grado di accettarmi e desiderarmi per ciò che ero realmente.
Quel qualcuno era Edward.


Perchè Edward aveva conosciuto la ragazzina in divisa della Queen Elizabeth, la figlia di papà che giocava a fare la ribelle e poi aveva paura di un innocuo topolino, ma non si era spaventato nè l'aveva derisa. Tutt'altro. Aveva guardato oltre le apparenze ed aveva ascoltato ciò che avevo realmente da dire: forse era stata la prima persona che avessi conosciuto nella mia esistenza a comportarsi in quel modo, mostrandomi tanta considerazione. Dopodiché aveva deciso che quella ragazzina sarebbe stata sua - non c'era nulla di più perfetto per lui, dopotutto - ed alla fine aveva vinto.
Perchè anche io lo desideravo, in tutta onestà.

Adesso, avrei potuto svegliarmi ogni mattina pensando di essere l'unica per qualcuno.
Avrei saputo che c'era una persona al mondo per la quale contava soltanto il mio sorriso e la mia felicità.
Questo qualcuno era Edward.
Edward che era mio e mio soltanto, ancora una volta.


Oh, non era difficile da comprendere!
Ero innamorata finalmente e non riuscivo neppure lontanamente a spiegare quanto questa condizione facesse bene al mio cuore.


"Ehy, Swan! Ti sei addormentata?"

La sua voce - la sua meravigliosa voce - mi riportò alla realtà.
Mi stava guardando. Con l'espressione tipica di ami prendere in giro la gente. Certa gente, in particolare.

"Eh?"
"Sto aspettando pazientemente di morire per mano tua....sbaglio o hai minacciato di uccidermi?"

Inarcai un sopracciglio.

"Mi stai sfidando, forse?"
"Ma no, non potrei mai...ho una paura tremenda, non vedi?"
"Antipatico che non sei altro....Vieni qui che ti faccio vedere io!"


La risata gioiosa di Edward riempì l'aria mentre fingeva di scappare via da me.
Prendemmo a correre per i vialetti ordinati di Hyde Park con notevole disappunto dei visitatori più anziani e silenziosi. Edward era evidentemente più veloce e tuttavia mantenne la cortesia di non distanziarmi mai troppo. Evidentemente gli andava notevolmente a genio l'idea di essere acciuffato dalla sottoscritta.

Ad ogni modo, quando l'agguantai, fu lui a sospingermi verso l'erba umida. Finimmo in terra entrambi, ridendo come due bambini.
Non ero mai stata tanto spensierata e felice in tutta la mia esistenza.
Mai tanto viva come in quel giorno, con Edward.
Lontano da quel museo delle cere che era casa mia.
Su un prato nel bel mezzo di Londra e comunque a distanza debita dal resto del mondo.


"Allora? Mi hai preso....Vuoi punirmi oppure no? Sto aspettando..." - Mormorò ancora lui, docilmente.

Mi drizzai a sedere sostenendo il peso del mio corpo sul gomito destro.
Con l'altra mano strappai un filo d'erba dal terreno e lo passai delicatamente nell'incavo del braccio di Edward. Si voltò a guardarmi, quasi trepidante.

"Avrei altri piani in mente, in realtà... Forse la mia punizione potrebbe piacerti, dopotutto."
"Ah sì?" - Sussurrò con finta innocenza. Colsi un luccichio gioioso nei suoi occhi e sorrisi anch'io.
"Già..."

Mi chinai infine con estrema audacia.
Di solito non mi avvicinavo mai tanto di mia spontanea volontà. Ma adesso Edward mi apparteneva ed io non ne avevo più paura.

Lo baciai con tutto l'amore possibile ed ebbi la certezza di essere totalmente ricambiata.

Quando il bacio terminò Edward continuò ad accarezzarmi il viso, guardandomi con un'intensità tale da togliere il fiato.

"Isabella..." - Mormorò infine - Sei importante per me."




Di quel pomeriggio ad Hyde Park avrei serbato per sempre il ricordo dei suoi occhi.
Luminosi, sinceri. E già innamorati. Esattamente come i miei.
L'avrei conservato a testimonianza indelebile della felicità e della spensieratezza che riempiva il mio cuore in quei giorni.
I giorni meravigliosi della mia esistenza assieme ad Edward.






POV EDWARD



Il suo sorriso, le sue espressioni buffe.
Le piccole mani e quel modo tenero che aveva di torturarsele quand'era molto imbarazzata.
I suoi soffici baci, le guance morbide, gli occhi scuri e pensosi che mi osservavano da dietro le lunghe ciglia.
Gli scatti d'ira, la testardaggine.
E quegli sguardi profondi, quasi misteriosi e così terribilmente seducenti nella loro innocenza.
Isabella.

Scossi la testa, sorridendo.
Avrei dovuto smetterla d'immaginarla in ogni istante della mia giornata. Avrei dovuto, sì.
Ma, dopotutto, non l'avrei fatto.
Non se la sua voce  continuava a risuonare nella mia mente come la più dolce delle melodie. Non se la consapevolezza di poterla riabbracciare mi consentiva di svegliarmi finalmente felice ogni benedetta mattina, dopo così tanto tempo in cui avevo dimenticato cosa significasse realmente portare una gioia nel cuore.

Isabella mi aveva donato nuovo entusiasmo. Mi aveva consentito di sentirmi di nuovo vivo, come forse neanche la musica mi aveva concesso.
Sapevo, adesso, di avere un nuovo scopo per la mia esistenza, uno scopo non egoistico né fine a se stesso: quello di farla sorridere ogni giorno.

E maledizione,quella streghetta mi aveva totalmente conquistato, ormai!
Se fosse stata solo un po' meno ingenua, se avesse avuto solo un po' più d'esperienza rispetto a quanto avesse voluto dimostrare beh...avrebbe potuto tranquillamente utilizzare questa mia adorazione nei suoi confronti a suo totale favore. Avrebbe potuto costringermi a fare ciò che desiderava ed io avrei acconsentito.

Inevitabilmente.

Avrei dovuto cominciare a temere per me stesso? In un tempo così breve ero finito con l'annullarmi letteralmente per Isabella, molto più di quanto mostrassi agli altri, liddove la maggior parte dei miei pensieri risultava essere rivolta a lei, anche involontariamente. Talvolta finivo col rimproverarmi: mi sentivo come uno sciocco ragazzino quindicenne, preda del suo primo amore. Non mi ero comportato mai in quel modo - per molti tratti assurdo - e forse avrei dovuto mantenere un tantino più di polso. Tuttavia, non riuscivo a non giustificarmi, almeno in parte. Non se la causa di tutto questo aveva gli occhi color nocciola ed il nome meraviglioso di Isabella.


Era questo l'amore?
Funzionava in questo modo assurdo?
Era dunque lecito quel desiderio costante di vedere il viso della persona cara, saggiarne il sapore, toccarne le mani?
Era plausibile quel senso insopportabile di mancanza che mi prendeva alla bocca dello stomaco non appena Isabella girava l'angolo, allontanandosi da me?


Non lo sapevo. Era tutto nuovo e sconosciuto per ciò che mi riguardava.
Tutto sommato, alla luce dei nuovi avvenimenti, mi risultava ormai abbastanza chiaro che non avessi mai amato realmente, prima di Bella.
Era triste ammetterlo - dopotutto avevamo condiviso molti anni della nostra vita insieme - ma era questa la realtà dei fatti: per Marla non avevo mai provato niente del genere.

Dunque, viceversa, dovevo essermi ormai innamorato totalmente di quella ragazzina tenerissima e capricciosa che era Isabella?
Non lo sapevo. Effettivamente il tutto era avvenuto in maniera molto precipitosa eppure non riuscivo a trovarvi nulla di sbagliato.
Perchè sentivo, nel mio cuore, che non poteva esserci posto più adatto al mondo per me che accanto a Bella.
Accanto alla mia ragazza.
Ovunque ella si trovasse. Anche sotto la pioggia, nel traffico di Londra, in un bar scadente di Camden Town. Ogni posto diventava il migliore se potevo condividerlo con lei, dopotutto.


Sospirai.
Ovviamente avrei continuato ad arrovellarmi il cervello inutilmente.
Non c'era risposta alle mie domande. Al più, avrei dovuto fare ricorso a mia sorella Alice e metterla a parte del mio stato d'animo. Magari avrebbe potuto aiutarmi a dare una spiegazione a tutta questa felicità. Sempre che ce ne fosse stato il bisogno. Tuttavia non mi andava di farlo: ciarliera com'era non avrebbe più smesso di parlarne ed io volevo serbare il mio amore dalle chiacchiere inutili.


Il mio amore....





"...In quale tonalità facciamo Bodies, Edward? Rinfrescami la memoria..."

"Uhm?"

Jasper scambiò un'occhiata eloquente con Emmett. E quest'ultimo cominciò a ridere smodatamente.

"Cazzo, il nostro bassista s'è bevuto il cervello! Questa è grande! Ti ho sentito sospirare prima!!"

Tentai di trucidare Emmett con lo sguardo: non servì a nulla. Continuò a sghignazzare senza alcun ritegno e neanche prese in considerazione la mia aria minacciosa.


"Emmett, smettila..." - Jasper gli intimò il silenzio. In realtà stava sorridendo anche lui.
"Ma lo stai guardando, Jazz?? Ha proprio l'aria di una femminuccia innamorata! Ah, è fantastico!"

"Emm smettila o ti pianto un pugno su quel naso disgustoso che ti ritrovi!"
"Edward..."
"No, non posso guardarti in queste condizioni! Ti prego fallo per la mia salute mentale, smettila!" - Emmett finì col ridere in maniera tanto plateale e grossolana da piegarsi letteralmente in due.

Per ciò che mi riguardava mi sentii seriamente in diritto di prenderlo a calci a farlo sparire nel più breve tempo possibile dalla mia vista.

"Cioè....non prendertela ma...Tu sei sempre stato il tipo figo della situazione, capisci? Quello che non deve chiedere mai...Ed ora ti sei completamente rimbecillito!"
"EMMETT!"

Avrei voluto reagire. Ma vedere anche Jasper contorcersi dalla risate non mi fu d'aiuto. Di norma era sempre molto posato, controllato. Equilibrato. Non si lasciava andare facilmente a certe manifestazioni d'ilarità.
Beh, a quel punto non riuscii a pensare altro che una bella fetta di responsabilità doveva pur essere mia se i miei amici erano finiti col ridere di me con così tanta faciltà.

"Jasper..." - Mormorai dunque - "...Ti sembro davvero così...rincoglionito?"
"E lo chiedi pure!" - Mugolò Emmett.

"Ho detto Jasper...ti chiami Jasper tu??" - Ringhiai.

 "Edward?"
"Dimmi..."
"Beh...francamente sì." - Rispose il mio amico, ormai totalmente riavuto - "...ma...Ne sono felice. Anche se mi viene da ridere per colpa di quella scimmia che suona la batteria ..." - Commentò indicando Emmett che, molto sportivamente, rispose alzando il dito medio - "...in realtà non voglio prenderti in giro. In effetti sei un po' comico ma è bello vederti così. Non ci sono abituato. Sei felice, Isabella ti prende molto. E' una gran bella cosa questa..."

Annuii convinto.

"E' vero..."

"Con Marla non eri altrettanto....spensierato. E distratto, mettiamola così..." - Commentò Emmett massaggiandosi il mento con due dita e tornando - miracolosamente - serio.
"No.." - Confermai tristemente - ".. Mi spiace ammetterlo ma è così: con Marlene era tutto totalmente differente. Tutto."

"L'hai più vista?" - Domandò Jazz - "...Sa niente di te ed Isabella?"
"No.." - Mormorai - "..E' sparita dalla circolazione. Daisy è venuta a chiedermi che fine avesse fatto poichè non si presenta a lavoro da un po'. Comunque sia, presto o tardi dovrò parlarle. E' giusto che sappia la verità, dopotutto. Non voglio nascondermi."
"Dunque è una cosa seria?" - Domandò Jasper stuzzicandomi.

Attesi qualche istante per rispondere ma non perchè fossi incerto su cosa dire. Soltanto per prendere un bel respiro e dare alla mia voce il tono più solenne possibile.

"Serissima."

"Oh beh...allora sarà meglio prepararci per il concertone che ci aspetta...No, bassista? Mancano soltanto un paio d'ore! La tua dolce metà verra ad applaudirti all'Underworld?" - Domandò Emmett ridendo, mentre metteva nuovamente mano alle bacchette.
"Ma certo che verrà. Subito dopo scuola. E porterà anche uno striscione d'incitamento. Solo per me, s'intende..." - Risposi piccato.
"Tsk. Sbruffone. Tanto per me ci penserà la mia Rose, non mi fai invidia!"


"A proposito ..." - Constatò Jazz d'un tratto, visibilmente preoccupato,, dando un'occhiata all'orologio. - "... Sono quasi le quattro ormai. Per le sei dobbiamo trovarci all'Underworld e non abbiamo neanche ultimato le prove. Dov'è Oliver?" 
"Giusto..." - Assentii. - "..Le lezioni terminano alle tre del pomeriggio. Oltretutto questo avrebbe dovuto essere il loro ultimo giorno di scuola...Che strano..."
"Diavolo, lo dico sempre che non dobbiamo fidarci troppo di quel damerino!"

Jasper guardò di traverso Emmett ma, prima che potesse cominciare a discutere con lui circa la proverbiale quanto riprovevole diffidenza che mostrava nei confronti di un bravo ragazzo come Oliver, qualcosa richiamò la nostra attenzione.
Uno scalpiccio rumoroso fuori dal garage ci costrinse, infatti, a voltarci in direzione dell'ingresso.


"Maledizione, Angela, non correre!"

La voce di Oliver.
Ed era in compagnia.

Prima ancora che le porte della sala prove si aprissero, ebbi l'istantanea consapevolezza che fosse accaduto qualcosa di negativo. E non mi sbagliavo.
Non potevo sbagliarmi.
Non davanti all'espressione sconvolta con cui Angela Weber comparve all'ingresso del garage.

Angela che di Isabella era la migliore amica.


Alle sue spalle, nello stesso istante, comparve anche Oliver, trafelato.

"Ehy! Ce l'hai fatta a muovere il culo, piccolo Lord..."
"Vaffanculo Emmett! E' colpa sua se ho fatto tardi!" - Si giustificò, rosso in viso, indicando astiosamente l'amica.

"Che vi prende? Perchè sei qua Angela?"
"Mi manda Isabella, Edward...."

Deglutii a fatica, sconcertato.

"Bella?! Per quale motivo? Che diavolo è successo?"


Niente di buono, presumibilmente. Mi venne l'ansia e notoriamente non ero un tipo ansioso.

"Edward...Isabella mi ha pregato di avvisarti...Non potrà essere presente al vostro concerto, oggi pomeriggio."

"Perchè?"

Tentai di mantenere la calma ma la delusione doveva essere molto più che evidente sul mio volto.
Tenevo troppo a quella serata. E volevo sopra ogni cosa poterla condividere con lei.

Angela sospirò, profondamente, prima di rispondermi.

"Ha preso C all'ultimo test di Storia. La scuola ha avvisato casa e sua madre...è venuta a prenderla al termine delle lezioni ed era furibonda. L'ha trascinata letteralmente via ed aveva uno sguardo...Avrebbe spaventato anche il Diavolo! Oh Edward, Bella resterà chiusa in casa fino alla fine dei suoi giorni, questo è sicuro...E la colpa sarà soltanto mia! Maledizione a me ed alle mie idee geniali!" - Mugolò torcendosi le mani.




"Mia madre, tu non la conosci...è una specie di generale nazista!"


Mi tornarono alla mente le parole di Isabella. Le avevo considerate con superficialità, quasi non avevo dato loro alcun peso.
Ma di fronte all'espressione smarrita ed evidentemente colpevole di Angela compresi che Bella non aveva mentito né esagerato.


"Stai cercando di dirmi che Bella è chiusa in casa senza via d'uscita?" - Domandai. - "..Che storia è questa?"

Angela annuì, tirando sul col naso.

"E' così, Edward...Tu...non puoi capire. Ma io la conosco e temo che Renèe non consentirà più ad Isabella di uscire, neanche per la messa della Domenica!"


La guardai per un istante soltanto, saggiandone lo sguardo mortificato e l'inflessione preoccupata della voce.

Perchè Angela si dava colpa di ciò che era accaduto tra Bella e sua madre?
Avrei dovuto prendermela anche io con lei?

Nella mia testa vorticavano un mare di pensieri ed interrogativi. E, tuttavia, non ci misi poi molto per comprendere cos'avrei dovuto fare realmente.

Mi rivolsi a Jasper.

"Jazz, per favore...Prendete voi il mio basso ed il resto della strumentazione."
"Che vuoi dire, Edward? Non vieni con noi?" - La sua voce risultò più alta di un'ottava.
"Stai tranquillo, certo che verrò. Ma non subito. Ho una cosa da fare prima..."
"Ma Edward!" - Protestò Emmett - "Che hai intenzione di fare? L'esibizione è alle sei e..."
"Non farò tardi, stanne certo. Fidatevi di me, per favore. Ci vediamo alle sei all' Underworld, come stabilito."

Non consentii ulteriori commenti sulla mia decisione. Non avevo bisogno di parole inutili da parte di terzi. Ma avevo bisogno di Isabella.
Abbandonai il basso poggiandolo sull'amplificatore e, senza fornire ulteriori spiegazioni, mi lanciai verso l'ingresso sotto lo sguardo sconcertato dei presenti. Sapevo che Emmett mi guardava con disappunto ma non me ne curai.

L'unica persona che parve sostenermi fu Angela.
Sue furono le ultime parole che udii uscendo dal garage:

"Edward!" - Urlò - "Sta' attento a non farti scoprire da Renèe...Altrimenti sarà la fine!"

 
Annuii e mi lanciai fuori definitivamente.



Ero già in strada quando, tuttavia, fui costretto a bloccarmi  nella mia corsa.
Qualcuno mi stava trattenendo serrando con troppa forza la propria mano intorno al mio polso. Mi girai di scatto, irritato, pronto ad inveire minacciosamente contro chiunque tentasse di sbarrarmi la strada, quando incontrai lo sguardo impenetrabile di Oliver.


"Oliver! Che diavolo vuoi?!"

Non badò neppure per un attimo alla mia domanda ed al mio disappunto.

Piuttosto mi guardò quasi disgustato, prima di aprir bocca.




"Ma dove cazzo credi di andare, imbecille?"






Ok.

Love. Love. Love.
Questi due sono cotti, lo sappiamo. Va bene, lo sapevate già dal primo capitolo, in realtà! ;)
Un po' vogliono innamorarsi, un po' hanno paura...Ma certamente non riescono a staccarsi l'uno dall'altra. Dicevi "colpo di fulmine" o "scuffiata" non so, fate voi. Anche io mi sono innamorata del mio ragazzo in 15 giorni...E sono 9 anni ormai che stiamo insieme :)
Come avete visto mamma Renèe è arrivata a rompere le uova nel paniere. E forse anche un po' Oliver. Al prossimo aggiornamento per sapere cosa ne sarà di questi due! ;)
Qualche appunto:

1. Guerra e Pace. L'ho spacciato per il libro preferito di Carlisle....In realtà piace molto a me! ;D
2. L'Underworld è un locale che esiste davvero a Camden Town. Così come esiste il Borderline a Tottenham. Certo, non so da quanti anni sono aperti questi pub ma attualmente esistono e sono bellissimi. Li ho ripresi nella mia storia in onore dei Verdena: hanno suonato in entrambi i locali. Al Borderline il 2 Ottobre di quest'anno, per la seconda volta :)
3.
Ormai eravamo vicini quanto bastava, non più conoscenti, nè, tantomeno, semplici amici su cui pendeva la spada di Damocle del dubbio.
"Spada di Damocle" è una metafora che si usa di solito per rappresentare un pericolo incombente. Passatemi il termine per stavolta...Mi sembrava il modo migliore per spiegare il concetto.

Adesso vi lascio ringraziandovi sempre, di tutto cuore, per il sostegno che date alla mia storia. Siete importantissime, per me :)

Un bacio
Matisse.


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Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


edsid13
My Ugly Boy









"Mamma, io..."
"Sta' zitta! Non. Pronunciare. Una. Sola. Sillaba."

Poco mancò che m'incenerisse con quei suoi occhi così carichi di rabbia.
Non avrei voluto dire d'odio, consideravo abbastanza grave pensare che un genitore potesse provare un simile sentimento verso il sangue del proprio sangue. Per così poco, oltretutto. Tuttavia il suo sguardo parlava chiaro, e mi sembrava davvero essere sul punto di detestarmi, per quanto irrazionale potesse apparire.

Per la mia incolumità mi decisi a tacere. Mia madre non era, di norma, tipo da alzare le mani con nessuno, men che meno con le proprie figlie. Conosceva altri metodi, altrettanto inquietanti, per piegarci al suo volere. In ogni caso era davvero infuriata. Ed io non avevo voglia di sfidarla, cosicché continuai a starmene affossata in quella scomoda poltroncina di velluto del salotto - un pezzo d'antiquariato di alto valore, non c'era che dire: io lo trovavo orribile, in ogni caso - sopportando con stoica rassegnazione la sua noiosa paternale.


"Sei la vergogna di questa casa! Un' irresponsabile, sciocca ragazzina immatura... Hai deluso qualsiasi mia aspettativa, Isabella!"


Avrei voluto dirle: calma mamma, è soltanto una C. Non è accaduto nulla di irreparabile. E d'accordo, avrei potuto chiudere meglio il mio anno scolastico lo so. Ma, in fondo, è tutto ok. Io sto bene, Beth sta bene, papà pure. Siamo una famiglia mamma: usciamo, mangiamo un gelato insieme. Rilassati, non son questi i problemi. E perdonami, dopotutto sono una brava figlia.


Ma, ovviamente, continuai a non aprire bocca. Se mi fossi azzardata a pronunciare una sola sillaba di tutto quel discorso certamente mia madre mi avrebbe aiutata a trovare con estrema facilità la via più breve per raggiungere il marciapiede fuori casa.


"Hai qualcosa da dirmi, a riguardo?  Come vuoi giustificarti?"

La guardai con rassegnazione. Ovviamente non sapevo bene cosa risponderle per discolparmi. Dovetti far ricorso a tutte le mie energie per cercare di mettere insieme quattro parole di senso compiuto.

"Non....Mamma ero stanca e non ho dato il meglio di me stessa. Tutto qui."

Mi sogguardò a bocca aperta, come se avessi appena pronunciato una bestemmia vergognosa contro Dio o contro sua Maestà la Regina.

"Stanca? E di cosa, esattamente? Vivi in una casa comoda, fai la bella vita....di cosa dovresti essere stanca, Isabella? Chi si alza alle quattro del mattino per lavorare la terra si stanca,  e comunque non si lamenta come fai tu! Avresti dovuto soltanto metterci un po' più di impegno nello studiare quei quattro, stupidi argomenti che ti vengono assegnati a scuola. Ed invece hai dimostrato esclusivamente pigrizia ed irresponsabilità. Mi sarei aspettata molto di più dalla mia figlia maggiore. Voglio che tu sappia che....Sì, che non sei altro che una delusione! Tu....tu sei ....sei proprio un' Americana, in tutto e per tutto!"

Alzai gli occhi, sconcertata.

Cosa aveva detto, esattamente?

Americana, mi aveva apostrofata.

Proprio come erano soliti chiamarmi i miei compagni di classe più stupidi ed insopportabili, quando desideravano prendermi in giro apertamente.
Jessica su tutti, certamente. E non era la sola.

Ma la donna che mi stava di fronte non era una mia compagna di classe con cui rivaleggiare.
Lei era mia madre.


Americana, aveva detto.
Come se fosse stata un'offesa, un insulto sputato con rabbia e con il solo scopo di colpirmi al cuore ed all'anima.

Americana.

Per qualche istante mi mancò l'aria. Portai una mano al petto, come per arginare il dolore troppo forte che mi riempiva il cuore ed attesi qualche istante prima di aprir bocca. La voce, tuttavia, risultò evidentemente incrinata a testimonianza che sì, era andata a segno proprio come deesiderava. Mi aveva colpita.
Non versai lacrime soltanto per una questione di dignità.


"Che...significa, mamma... quel che hai appena detto?" - Mormorai dunque.


Mi rispose risoluta, senza alcuna esitazione. Guardandomi negli occhi astiosamente, come se fossi stata un'estranea.
Una nemica.


"Significa..che non hai ereditato né il rigore né la serietà di noi Inglesi. Sei una pasticciona, sconclusionata e disorganizzata come tutti gli Americani. Vergognati!"


No.
Con tutta la buona volontà non avrei mai potuto mantenere la calma dinanzi ad una simile affermazione.
Mia madre stava offendendo me, il paese da cui, in parte, provenivo. E stava offendendo mio padre, l'uomo più importante della mia vita.
Oltre Edward, ovviamente.

Il dispiacere si trasformò istantaneamente - e quasi irrazionalmente - in rabbia.
Non riuscii a controllarlo.

Scattai in piedi, irritata, stufa di vedermi vomitare addosso rimproveri privi di alcuno scopo ed offese di bassa lega.
Non c'era alcun sentimento, alcuna accortenza o tatto nelle parole di mia madre:  non mi stava parlando come un genitore deluso avrebbe fatto con la propria figlia scapestrata, era evidente.
Un genitore "normale", forse, si sarebbe arrabbiato. Ed avrebbe fatto la voce grossa, anche. Ma il suo atteggiamento non sarebbe stato fine a se stesso: avrebbe cercato di insegnarmi qualcosa piuttosto, di aprirmi gli occhi e dimostrarmi che studiare con profitto mi avrebbe consentito di aspirare ad una vita migliore, non soltanto dal punto di vista economico ma anche e soprattutto umano ed intellettivo. Avrebbe cercato di comunicarmi un qualcosa di più profondo, di fornirmi un insegnamento costruttivo anziché gettarmi semplicemente del fango addosso mostrandomi, in tal modo, di un essere null'altro che una creatura mediocre.


Mediocre in quanto americana, soprattutto.


Non potevo tollerare oltre.
E dunque fu così che tentai di ribattere, sputando le parole ad una ad una, con indignazione.


"Sono stanca, mamma. Sì, hai sentito bene. Stanca delle tue parole. Dei tuoi atteggiamenti esasperanti. E delle tue offese. Sono Americana mamma. Esatto, lo sono per metà. Perchè tu hai scelto di sposare un Americano. Quindi cerca di non lamentarti troppo. La responsabilità è anche tua, a questo punto. E sai cosa ti dico? Se essere Inglesi significa essere glaciali ed insopportabili quanto te...beh, sappi che sono mille volte più orgogliosa di avere sangue statunitense nelle vene!"

All' ultima parola pronunciata avvertii un bruciore insopportabile sulla guancia sinistra.
Non ci impiegai molto, dopotutto, per capire.
Mamma mi aveva schiaffeggiata ma con così tanta rapidità da non concedermi neppure il tempo materiale di realizzare le sue intenzioni.
Ovviamente dovevo aver profondamente intaccato ed offeso il suo senso patriottico.
Che idiozia!


Massaggiai lo zigomo nella speranza di alleviare il dolore.
Certo che ce ne aveva messo di forza!

Con la coda dell'occhio colsi il suo sguardo furibondo. Ancora.

Mi aspettai una grande sfuriata, dopo un atto del genere. Tuttavia deluse le mie aspettative..Non si profuse in grandi chiacchiere, infatti.
Le bastò molto poco, piuttosto, per incenerirmi:


"Il telefono sparirà dalla tua stanza oggi stesso, Isabella. Non potrai incontrare Angela da questo esatto istante fino a quando non ti darò di nuovo il permesso per farlo. E per quanto riguarda le tue vacanze estive...beh, per quest'anno puoi anche dire addio a St. Martin."


Nell'ultima frase la sua voce assunse un tono assolutamente arrogante. E soddisfatto.
Dopotutto, si sentiva vittoriosa.
Fu così che terminò, comunque, il suo sproloquio.

Non la guardai mentre abbandonava la stanza. Continuai a darle le spalle mentre il picchettio dei suoi tacchi sul parquet ed il tonfo secco della porta mi confermavano che era ormai lontana.
Torturai il labbro inferiore nel tentativo disperato di trattenere le lacrime.
Ero furiosa. Se soltanto non avessi temuto di far peggio avrei certamente distrutto quel bel mobilio che le risultava tanto gradito..

E così me ne stetti immobile, respirando  piano nel tentativo di calmarmi, per buoni dieci minuti.

Forse un quarto d'ora.

Ma alla fine, dopotutto, riuscii nel mio intento. Metabolizzata appena in parte la rabbia mi venne addirittura da sorridere.
Mia madre credeva di avere il coltello da parte del manico. Si considerava la vincente, fra noi due. Tuttavia.... non poteva saperlo ma, in realtà, mi stava facendo davvero un gran favore. E, in fin dei conti, per quanto potessi essere reclusa in casa, l'avevo fregata io, ancora una volta.


Il mio sorriso appena accennato si trasformò in una risata liberatoria.
Forse anche isterica ma assolutamente sincera.


"Quest'anno niente St. Martin?" - Commentai ad alta voce - ".....Beh...Non importa. Piuttosto, grazie, mamma. Di tutto cuore."








POV EDWARD



"Imbecille a chi, piccolo stronzo?? E lasciami, maledizione!" - Strattonai energicamente il braccio finché il mio polso non scivolò dalla vigorosa presa di Oliver. Quel ragazzino ne aveva di forza, niente da dire a riguardo.

"L'hai capito che stai soltanto per fare una stronzata?"
"Fatti i cazzi tuoi, idiota."
"No, non me li faccio. Non se riguarda Isabella."
"Ah sì?" - Risposi acidamente mentre un moto di gelosia veniva a scuotermi dall'interno. Avvicinai il mio viso a pochi centimetri da quello di Oliver e lo guardai dritto negli occhi, furibondo. - "E sentiamo....cosa importa a te di Isabella?"

Oliver ricambiò lo sguardo con sicurezza.

"Non c'è bisogno che ti scaldi, Edward. Isabella è una mia cara amica. Ci conosciamo sin da bambini. Voglio soltanto il suo bene."
"Perchè, credi che io non lo voglia?" - Domandai astiosamente, senza schiodarmi dalla mia posizione d'attacco. - "...E potrai anche conoscerla da una vita ma si da il caso che Isabella sia la mia ragazza. Quindi torna ad impicciarti degli affari tuoi, Oliver!"
"NO!"

Oliver mi sputò in faccia quel monosillabo come se si fosse trattato di un acido corrosivo.

Emmett, Jasper ed anche Angela accorsero fuori, richiamati dalle grida.


"Ehy, ragazzi, calma...!" - Emmett si frappose tra di noi. Meglio così, forse. Se fosse stato per me avrei continuato a tenere ben piantata la mia faccia a due centimetri dalla sua. Ero furioso.


"Quell'imbecille...Mi sta facendo perdere un casino di tempo!"
"Tanto non andrai da nessuna parte, supereroe!"
"Ah davvero? E chi cazzo saresti tu per decidere, sentiamo?? Oliver fai poco il furbo con me...credi che non lo sappia che ti brucia da morire?!"
"Che cosa??"

"Ragazzi, state buono altrimenti vi pesto io...entrambi!" - Emmett mi spinse via con una certa urgenza. Nel frattempo, Jasper si avvicinò ad Oliver nel tentativo di farlo riflettere. O meglio, nel tentativo di spiegargli che sarebbe stato molto più ragionevole tacere, per la sua incolumità fisica e per buona pace del gruppo intero, piuttosto che continaure a straparlare scioccamente. Jazz conosceva fin troppo bene la mia scarsa diplomazia ed Oliver non stava facendo proprio niente per aiutarmi a mantenere la calma.

Dannazione, Isabella era la mia ragazza! Avevo il diritto - oltre che il dovere.- di trarla fuori dagli impicci salvandola dalle grinfie di quella specie di arpia che si ritrovava come madre.
Oltretutto il mio desiderio di poterla rivedere era ormai incontrollabile. Avrei asciugato le sue lacrime, raccolto i suoi sfoghi e l'avrei consolata cullandola tra le mie braccia se il dolore e la delusione fossero stati troppo forti da sopportare. O forse no: dopotutto, la mia Isabella era una piccola testarda e molto coraggiosa. Forse avrebbe finto di stare bene ed avrebbe riso con me canticchiando qualche vecchio motivetto, senza darmi troppe spiegazioni.
Certo, sarebbe andata proprio così. Io, in ogni caso, non le avrei risparmiato neppure un abbraccio poichè, dopotutto, sapevo che  Isabella avrebbe avuto certamente bisogno di un porto sicuro dove riparare dai dispiaceri della vita, pur non ammettendolo mai esplicitamente. Era troppo orgogliosa, infatti, per accettare e manifestare pubblicamente le proprie debolezze.


"Ma come fai a non capire?!" - La voce di Oliver che urlava al mio indirizzo ignorando le bonarie ammonizioni di Jasper, venne a scuotermi fastidiosamente dai miei pensieri.  - "Sto parlando per il bene di Isabella, dannazione!"
"Oliver, per favore..." - Anche Angela accorse, nel vano tentativo di placare gli animi. Sussurrava, piuttosto che parlare, ed era evidente che fosse enormemente preoccupata per l'incolumità del suo amico.
"No Angs, per favore un corno! Deve ragionare! Non può fare sempre di testa sua!"
"Sì ma..."
"Dì, Edward... - Continuò dunque, non prestandole più alcuna intenzione - "Hai idea di cosa comporterà il tuo gesto eroico? Dì, c'hai pensato anche solo per un attimo?"
"Che diavolo stai dicendo?!" - Esclamai esasperato.
"Sto dicendo che metterai Isabella nei guai. Seriamente. E stai pur certo che in quel caso potresti chiamare anche Superman. Non la vedrai più!"
"Ma non dire cazzate!" - Sbottai ridendo istericamente, sempre con Emmett alle calcagna. Bisognava tenersi pronti nel caso in cui avessi perso le staffe improvvisamente.

"Ah, io dico cazzate?? E sentiamo, invece, genio....Tu cosa vorresti fare di preciso?? Correre a casa Swan, buttare giù a calci la porta e tirare Isabella fuori di lì come se niente fosse?? Hai idea di cosa potrebbe accadere? Sua madre - e tu non hai idea di chi sia, sua madre - non te la farebbe vedere mai più, se soltanto scoprisse quali sono le frequentazioni della figlia. Credi davvero che le lascerebbe avere a che fare con un morto di fame come te? Le basterebbe guardarti in faccia un secondo per decidere di spedire Isabella dall'altro lato del mondo.... E stai pur certo che lo farebbe, razza di idiota, e non senza averle prima cambiato i connotati, s'intende! Credimi, Edward...un brutto voto è ancora qualcosa su cui Renèe Watson può sorvolare, col tempo. Tu no. Sei da escludere. Per cui, smetti di fare il principe azzurro dei miei stivali e ragiona! Finiresti soltanto col mettere Bella ancora di più negli impicci. Se avesse voluto essere "salvata" te l'avrebbe fatto sapere. Lasciala in pace, piuttosto, non darle altre grane! Prima o poi la rivedrai, se è questo che ti preme davvero..."

Quando Oliver pronunciò l'ultima parola del suo impegnativo discorso mi ritrovai quattro paia d'occhi puntati addosso.

Una molla scattò dentro di me ed allora fui costretto ad ammettere, con non poco sforzo, che il suo ragionamento non faceva una piega.
Sensato, oculato, calcolato.

Avrei soltanto creato altri casini.
La madre di Isabella - Renèe o come diavolo si chiamava - mi avrebbe scoperto. Certo. Ed, ovviamente, non le sarei risultato tanto simpatico. Non al punto tale da consentire ad Isabella di frequentarmi ancora. Anzi, a dirla tutta, non le avrebbe neanche più concesso di mettere il naso fuori dall'uscio.
Dannazione, quel damerino non aveva alcun torto!

E d'accordo, ragionevolmente il suo pensiero era coerente, corretto e lineare.

Ma, dal canto mio, cos'avrei dovuto fare, esattamente? Come avrei potuto arginare quell'incontrollabile desiderio che avevo di tornare da Bella e portarla via con me? Un conto era la logica e la razionalità di un terzo che, nella nostra storia, non aveva alcuna voce in capitolo. Un conto era il mio istinto da innamorato.

Il braccio che sino ad allora avevo agitato minacciosamente per aria crollò miseramente lungo il fianco sinistro. Ma la mano non rispose allo stesso modo e finii col stringerla in un pugno tanto serrato da bloccare la circolazione all'altezza delle nocche.
Qualcuno si avvicinò a me ma non identificai immediatamente di chi si trattasse, troppo impegnato a rimurginare penosamente sui miei crucci.

Un buon profumo giunse alle mie narici, tuttavia, e quando mi voltai incontrai il viso delicato di Angela a pochi centimetri da me.
Sembrava essere davvero in pena mentre si torturava i capelli con le mani, elaborando e spettinando la sua lunga treccia.

"Edward.....Edward volevo dirti che....dopotutto Oliver ha ...ragione. Forse andare da Bella potrebbe risultare controproducente."
"E' vero, Edward.." - Ammise Jasper - "...Il discorso di Oliver mi pare sensato. Non prenderla a male. Noi non conosciamo la mamma di Isabella. Potrebbe rivelarsi un passo falso, il tuo."
"Se....Se lasciassi correre, per oggi..." - Continuò Angela parlando con occhi carichi di speranza - "...Nel frattempo potrei andare a casa Swan e tentare di parlare con Charlie. Magari insieme potremmo far ragionare Renèe. Le cose potrebbero sistemarsi senza essere avventati, ecco. E stai pur certo che direi ad Isabella di oggi pomeriggio. Le direi che volevi andare da lei..." - Concluse infine in un sorriso.

Per un po' non risposi, mentre il mio sguardo saettava diffidente tra loro quattro. Quando giunsi ad Oliver fui piuttosto portato a rivolgergli un'occhiata astiosa ma tutto sommato innocua. Emmett mi sogguardò qualche istante ancora prima di convenire silenziosamente con Jazz che non avrei alzato le mani, scassinato porte o picchiato qualcuno. Arretrò di qualche passo rivolgendomi un sorrisino fiducioso ed io sospirai.

Mi sentivo un verme: lasciare Isabella da sola nel momento del bisogno era l'ultima cosa che, istintivamente, avrei fatto.
Ma tutti loro avevano ragione: non potevo consentire che altri guai le rovinassero una giornata già di per sé disastrosa. E, soprattutto, non avrei mai e poi mai dovuto essere io la causa primaria di tali mali per lei.
Cosicchè fui costretto a desistere.

"D'accordo." - La voce mi uscì estranea ed impersonale. L'idea di averla data vinta ad Oliver aveva un sapore amaro. Il sapore della sconfitta, forse. Lasciare Isabella in balia di se stessa era una scelta sbagliata e la più giusta, al contempo, che potessi fare: questa condizione ambigua mi irritava enormemente. - "Farò come dite voi...ma soltanto per il bene di Isabella."

"Perfetto." - Angela sembrava sollevata. La invidiai profondamente. - "Allora io corro a Gloucester...Se Dio me la manda buona magari riesco anche a parlare con Isabella!"
"Ok Angela...Allora, facci sapere come va..." - Commentò Jasper, forse più per gentilezza che per reale interesse. Angela annuì e rivolgendomi un ultimo sorriso rassicurante, come a voler dire è tutto ok Edward, ci penso io, ci diede rapidamente le spalle, accennando ad un saluto veloce con la mano. Prima di sparire, tuttavia, lanciò un' ultima ammonizione, piuttosto chiara, ad Oliver: "Sta' buono, mi raccomando."


Compresi più di quanto avessi mai voluto.
Il soggetto con cui Oliver avrebbe dovuto mantenere la calma ero io, ovviamente.

Il silenzio calò su noi quattro.
Io seguitai nell'osservare Oliver con uno sguardo tagliente, chiuso in un mutismo privo di significato. Oliver continuava a rispondermi con gli occhi. Forse non con la medesima aria truce ma certo non era da meno.
Io guardavo Oliver, Oliver guardava me e Jasper ed Emmett si guardavano tra loro, chiedendosi implicitamente che svolta avrebbe preso la giornata e quale sarebbe stato il modo migliore per affrontare le cose nel caso in cui la questione si fosse avviata per la strada peggiore.

Fortuntamente (per Oliver) non accadde nulla di particolarmente drammatico o teatrale.
Piuttoso che sbollire la rabbia divertendomi ad accanirmi su di lui mi dissi che avrei fatto molto meglio nel concentrare le mie energie sul basso, proprio come mi avrebbe chiesto di fare Isabella se fosse stata presente piuttosto che chiusa a chiave nella sua cameretta dai mobili buoni.

Per cui mi decisi infine a fare dietro - front abbastanza rapidamente al garage. Il tutto accompagnato da uno stentato: "Andiamo o faremo tardi per l'Underworld."


Prima che sparissi nuovamente nel buio della sala prove, tuttavia, una mano si arpionò al mio braccio sinistro.

"Edward..."
"Che diamine vuoi ancora, Oliver?"

Mi voltai di scatto, irritato. Era così difficile per Oliver comprendere che non era il momento di attaccar bottone con me?


"Niente. Non agitarti. Volevo soltanto dirti che hai fatto la scelta giusta per Isabella."


Confuso da quell'atteggiamento seguitai ad osservarlo ancora un po'. Certamente mi ricambiò con un'occhiata piuttosto sincera - era evidente - ma io non mi fidavo comunque. Ero al corrente della sua cotta per Isabella, bastava guardarlo in faccia quando lei gli stava accanto per comprenderlo e di certo non ci voleva un genio per afferrare il concetto. Per questo mi riusciva difficile comprendere quanto ci fosse di disinteressato e quanto no nell'appello che mi aveva appena rivolto, nella richiesta di lasciar perdere Isabella, almeno momentaneamente.
Nell'incertezza della sua innocenza, quindi, preferii ignorarlo volutamente.

Cosicchè mi liberai facilmente dalla sua presa e senza fornirgli alcuna risposta - ma ancora rivolgendogli il mio sguardo astioso - mi decisi infine e rientrare in garage.





*



"Ragazzi, complimenti! Siete stati grandissimi!"

La voce di Rosalie giunse chiara e squillante alle mie orecchie. Il suo profumo di vaniglia mi raggiunse analogamente e risultò tanto intenso da provocarmi quasi fastidio per quanto dolce potesse essere. Ero abituato ad altri standard, io: la pelle di Isabella era naturalmente profumata, per esempio, e sapeva di buono allo stesso modo, se non di più, di quella di Rosalie.
Tuttavia Bella non aveva bisogno di inutili artifici per essere altrettanto perfetta.

"Bambola mia! Vieni dalle braccia del tuo scimmione, vieni a dargli un bacio!"

Emmett accolse Rosalie nella sua stretta e noi tutti finimmo col ridere smodatamente per la foga con cui aveva pronunciato quelle parole. Grande e grosso com'era, risultava quanto meno comico osservarlo mentre dispensava amore e dolcezza in maniera così naturale. Da un tipo come lui, apparentemente, non ci si aspettava quel genere di cose.
Ma in realtà Emmett era una persona molto premurosa, per quanto il suo aspetto potesse ingannare al riguardo. Ed aveva bisogno di dare e ricevere amore: Rosalie sembrava la persona più adatta al caso suo, sotto questo punto di vista.

Erano molto teneri insieme e nell'osservarli così, mano nella mano, completamente rapiti l'uno dall'altra, per la prima volta, percepii un senso di vuoto. Ed indicibile invidia.
Avrei desiderato sopra ogni cosa poter anche io condividere con Bella il successo di quella serata, all'Underworld. Esattamente come stava accadendo per Emmett con la sua Rose.
Ma qualcosa era andato storto, per noi.
Certamente questo doveva essere soltanto il primo ostacolo lungo il nostro percorso comune: Isabella veniva da un altro mondo, opposto rispetto al mio.
Nella sua dimensione da ragazza di famiglia ricca c'erano delle regole imposte. Regole da rispettare. Contravvenire ad uno solo di questi comandi significava giocarsi la propria libertà. Significava restare chiusa in casa per settimane, sotto lo sguardo vigile di una madre troppo severa.
Non avevo idea di come potessero funzionare certi meccanismi e, certamente, la vita di Isabella, così organizzata ed imposta, mi sembrava una follia. Vero che ero un ragazzo, ed il sesso giocava a mio favore, in questo caso. Godevo di maggiore libertà e raramente dovevo dar conto a qualcuno. Avevo perso più di un lavoro, il massimo del mio impegno era suonare il basso e talvolta non tornavo a casa neppure per dormire. Ma Esme non ne faceva mai un tragedia. Certo, era facile che si rimproverasse di essere eccessivamente indulgente quando facevo la mia comparsa sotto la porta d'ingresso con un occhio nero o quando mi scopriva a fumare troppe sigarette, questo era chiaro. Ma la sua indulgenza non veniva certo a creare problemi nella mia storia con Isabella, dunque non era un crimine, contrariamente alla rigida condotta imposta dalla madre della mia ragazza.
Ne ero già consapevole: non avrei mai avuto un buon rapporto con Renèe Swan. Non con queste premesse.


"Edward?"

Una vocina dolcissima venne ad interrompere il flusso dei miei pensieri. Mi voltai incontrando il visetto da bambolina di Alice e mi affrettai ad abbracciarla.

"Sorellina...."
"Sei stato un grande! Avete suonato benissimo, la gente è letteralmente impazzita. Stanno ancora parlando tutti di voi, qui fuori!"

Effettivamente la serata all'Underworld aveva avuto dell'incredibile. Nonostante le premesse tutt'altro che rassicuranti del pomeriggio avevamo dato ciascuno il meglio di sé, nonostante le occhiate non propriamente cordiale che io ed Oliver ci eravamo scambiati. Tutto sommato, comunque, mi era riuscito di mantenere alta la concentrazione e nessuna nota era venuta fuori in maniera scorretta.
Magari era mancato quel pizzico di brio in più che avevamo esibito al Borderline ma nessuno sembrava avervi fatto caso, cosicché potevamo ritenerci comunque soddisfatti, a modo nostro. Il seguito c'era e chi non ci aveva mai ascoltati prima aveva mostrato vivo interesse ed un alto gradimento dei nostri pezzi.

Quantomeno dal punto di vista musicale, quindi, avevo ben poco da lamentarmi, benché la consapevolezza di non aver potuto condividere quel momento con Isabella rendesse il tutto più amaro e smorzasse con fin troppo impeto l'entusiasmo della serata.

Cosicché uno stentato "Grazie..." fu tutto quel che riuscii a pronunciare riferendomi a mia sorella ed ai complimenti per la serata. Davvero non ero troppo in vena di festeggiamenti.

Alice afferrò immediatamente e mi rivolse un'occhiata dispiaciuta.

"Edward..Ci stai male, è chiaro. Ma non fare così, ti prego... non è dipeso da Isabella..."
"Lo so, Alice, lo so..."
"Io c'ero, ero presente. Ho visto sua madre trascinarsela via come una furia. Ho temuto per lei.."
"Vorrei sapere perchè diamine queste signore di buona famiglia sono tutte così rompipalle!" - Sbottai.

Alice mi guardò con tenerezza, accennando ad un sorriso.

"Avanti, fratellone...Sono sicura che potrai rivederla prima di quanto tu stesso non creda."

"Ehy, Ed!" - Jazz mi richiamò, toccandomi la spalla. - "Hai sete?" - Mi offrì un vistoso boccale di birra ma io lo respinsi.
"No, grazie fratello...Non ho tempo per festeggiare, adesso..."
"Perchè non hai tempo?"
"Ho da fare...." - Mormorai.

"Cosa Edward?" - Alice sembrava evidentemente incuriosita. Mi scrutò con sguardo perplesso.
"Beh, sono quasi le nove, ormai...Se tutto va bene e riesco a calcolare alla perfezione i tempi...Forse forse riesco a vedere Bella.." - Risposi ammiccando, mentre avvolgevo il cavo dell'amplificatore.


Si trattava, effettivamente, di un'idea che avevo contemplato sin dall'istante in cui Oliver mi aveva pressocché costretto a desistere dal mio intento di raggiungere Gloucester Road.
Ok, dunque, ero riuscito a trattenermi evitando di catapultarmi a casa di Isabella in pieno pomeriggio, col rischio di incontrare sua madre, vigile ed attenta a qualsiasi passo della figlia.
Ma a quell'ora della sera tutto sarebbe risultato più facile, ovviamente. Miss Swan si sarebbe apprestata al letto. Me la immaginavo già - una donna senza volto, probabilmente molto somigliante alla mia ragazza - che, in tenuta da notte, si preparava ad un lungo sonno ristoratore. Dopotutto, quella figlia ribelle le aveva dato fin troppe grane per quel giorno e lei sarebbe stata troppo stanca per non desiderava immediatamente il calore delle proprie coltri.

Un rischio in meno per me: il buio era dalla mia parte.

Sapevo che avrei potuto farlo. L'avevo già fatto una volta, del resto.
Avrei bussato alla finestra di Isabella. Se la fortuna mi avesse sorriso forse l'avrei trovata ancora sveglia.
E poi mi sarei arrampicato lungo la facciata della sua casa ed avrei dormito con lei com'era già capitato poco tempo addietro.
Le avrei fatto così sapere quanto mi era mancata, avrei condiviso con lei la gioia per la serata.
Le avrei confermato che avrebbe potuto sempre contare su di me.

L'intermediazione di Angela non mi bastava: avrei dovuto dirle di persona quelle parole.
Certo, era proprio così che sarebbe andata.


"Edward, sul serio? Hai intenzione di andare da Isabella?" - Gli occhi di mia sorella luccicarono per l'eccitazione.

Annuii convinto.

"E' così romantico!" - Commentò dunque Rose estasiata, sorprendendomi. Neanche sapevo che si fosse interessata al nostro discorso, nel frattempo.
"Davvero romantico!" - Alice le diede manforte. Mi stavo trasformando davvero nel principe azzurro della combriccola, se ero in grado di suscitare tanta ammirazione tra le ragazze.

"Hai voglia di creare altri casini, amico?" - Emmett mi parlò lanciando, nel frattempo, un'occhiata ad Oliver che se ne stava poco più in là, in disparte, intento a conversare con un suo amico fighetto dal cravattino a strisce.  Il tipico idiota di nome William (per me il nome William era sinonimo di imbecillità), con le tasche piene dei soldi di papà, la macchina di lusso ed i vestiti costosi il cui motto di base doveva essere iohotantisoldietuinvecenonseinessuno. Detto proprio così, senza un po' di respiro fra una parola e l'altra, tanto per enfatizzare il concetto.

Un perdente, ovviamente: a Brixton l'avremmo fatto fuori in cinque minuti uno così.

A giudicare dalle risatine e le pacche sulle spacche che si scambiavano ogni cinque minuti sembravano assolutamente a loro agio e di certo la serata a "forse mi chiamo William"  doveva essere piaciuta parecchio.
Idioti.

"Non devo rendere conto ad Oliver di quel che voglio fare con la mia ragazza, Emm.." - Risposi piccato, richiudendo il basso nella custodia. - "Prima ho voluto dargli retta perchè mi sono reso conto che avrei potuto davvero mettere Isabella nei casini. Ma a quest'ora credo che non ci siano più problemi. E voi vedete di non crearmene altri. Non fatene parola con lui quindi, per favore. Non voglio altri impicci, mi bastano i miei."


Annuirono in sincrono, tutti e quattro. Per un attimo mi diedero l'impressione di essere marionette azionate nello stesso istante e mi venne da ridere.


"D'accordo. Allora...io vado. Ci si vede ragazzi, a domani!" - Agitai la mano, allontanandomi.


"Ehy Ed!" - Emmett mi richiamò quasi immediatamente, a gran voce. Mi voltai perplesso.
"Che c'è?"
"che fai? Il basso lo lasci qui?"
"Magari...me lo portate voi a Brixton, che dite?" - Domandai suadente.


Emmett mi rispose gentilmente, mandandomi a quel paese.
Dopotutto aveva acconsentito. Ottimo.






Il mio breve viaggio, destinazione Gloucester Road, comunque, terminò quasi subito, o quantomeno, si rallentò parecchio allorché mi ritrovai, all'ingresso della metro, il viso scavato di Marlene a pochi centimetri dal mio.


"Edward...."


Mi si gelò il sangue nelle vene, a rivederla.
Non sembrava neanche più la Marla che avevo conosciuto io.

Il viso segnato dalla stanchezza, le labbra screpolate, il trucco appena accenato ed anche vagamente sbavato, mi guardava con l'aria tipica di qualcuno che avesse appena visto un fantasma. Ed era così pallida che per un istante mi preoccupai di vederla davvero perdere i sensi in mezzo al marasma di gente che popolava la stazione.

Gli occhi chiari, così gonfi ed arrossati, mi parlarono delle notti insonni che aveva certamente trascorso. Di quelle notti perse a versare lacrime di dolore a causa del suo amore perduto. A causa mia, per inciso.


Il cuore si strinse in una morsa di rammarico e bruciante sofferenza.
Lo spettro del senso di colpa tornò a farsi vivo. L'avevo accantonato, per alcuni giorni, preso com'ero dalla mia storia con Isabella, dai nostri primi momenti, così intensi ed appaganti, di amore e gioia comune. Avevo seppellito il volto sofferente di Marla in qualche cassetto particolarmente nascosto della mia memoria e tutte le volte che ero finito col pensare a lei mi era tornata in mente lontana, come un impegno piuttosto fastidioso da accantonare e rimandare finché non avessi avuto abbastanza voglia ed energia per affrontarlo.

Avevo dimenticato tuttavia che Marlene era una donna. Che stava soffrendo, a causa mia. Le avevo spezzato il cuore e, vile com'ero, non mi ero degnato neppure di fornire una spiegazione valida a questo mio gesto, per quanto dolorosa essa avesse potuto essere.

Ora lei mi stava davanti, in carne ed ossa, con quegli occhi gonfi e quelle labbra pallide a testimonianza della disperazione in cui l'avevo lasciata affogare da sola. Non potevo più sfuggirle. Era reale e stava soffrendo a causa mia.

No, non mi sentii un verme, assolutamente.
Piuttosto un criminale.


"Marlene..." - Ne pronunciai a stento il nome. La voce mi uscì in un sussurro ancora più flebile del suo.

Vedevo lei e me insieme come sotto una lente d'ingrandimento, mentre un mare di gente ci passava accanto entrando ed uscendo da quella metropolitana con aria indaffarata. Edward e Marla: due creature povere che avevano condiviso troppo e che erano comunque ormai lontane per amarsi ancora.
O forse io ero sempre stato, in realtà, molto più distante da lei. Mi ero aggrappato egoisticamente alla sua presenza per riempire le lacune della mia vita ed ora l'avevo lasciata scivolare nel baratro della solitudine, incurante delle sue richieste d'aiuto.

In ogni caso - e non so esattamente come questo fosse possibile - la sua sofferenza la sentivo penetrarmi in ogni centimetro della mia pelle ed ero certo che anche lei avesse compreso perfettamente quanto la sua immagine distrutta fosse dolorosa per il mio stesso cuore.


Ci restava da condividere soltanto questo, ormai? Lo strazio e la disperazione? O magari avevamo condiviso sempre e soltanto quel tipo di sentimenti senza rendercene conto apertamente? Del resto le nostre esistenze avevano da tempo preso una piega sbagliata.
Era tutto triste, così triste...Avrei desiderato sparire, macinando chilometri con le mie sole gambe, o forse avrei desiderato prendere Marlene per le spalle e scuoterla fino a farle comprendere che non era così che funzionavano le cose, che le nostre vite erano parallele e lei avrebbe dovuto combattere per riconquistarsi la sua, senza di me. Eppure non feci niente di tutto questo ed il massimo che riuscii ad aggiungere alla conversazione fu nulla più che un flebile
"Ciao."


Mi astenni dal chiederle come stava, comunque. Mi sembrava l'ultima delle domande da farle a meno che non avessi voluto peccare di insensibilità assoluta.


"Non sapevo che...."
"Cosa?"
"Non....pensavo di trovarti qui. Pensavo fossi all'Underworld con gli altri..."
"Eri anche tu là?" - Domandai piuttosto sorpreso.

Le sue labbra screpolate si aprirono in un sorriso appena accennato.

"Sì, ero là...Ma ho dimenticato la giacca e stavo tornando indietro a prenderla."
"Oh...capisco.."
"Siete stati dei grandi, Ed...Sono certa che avrete successo.."


Sorrisi anche io. Aveva sempre creduto molto nelle potenzialità dei White Riot.


"Grazie Marla. Sei gentile.."

Mi guardò qualche istante negli occhi, lo sguardo commosso, prima di tornare ad osservarsi la punta delle scarpe.

"Sono gentile..." - Mormorò dunque, ripetendo le mie ultime parole - "....mi parli in maniera così formale, Edward. Come se fossi un'estranea..."

Per un attimo pensai, scioccamente, che parlasse tra sé e sé tanto la voce le era uscita flebile. In realtà no: ce l'aveva davvero con me.
Tornò a puntarmi gli occhi dritti in faccia.
Oh, certo! Aspettava una risposta.
Avrei dovuto dargliela. Tuttavia...


"Marla...forse non è questo il momento di parlare."
"E quando sarebbe questo momento? Non ci vediamo da giorni.."
"Sei tu ad essere sparita! Io ti ho cercata.... Persino Daisy si è chiesta che razza di fine avessi fatto.."
"Sai dove abito. Potevi venire a trovarmi..."
"Marla, non mi andava di scatenare un putiferio in casa tua. Perchè sai che sarebbe successo. E non mi va neanche di scatenarlo in una metro piena di gente, se è per questo. E' tardi ed è ora di tornare a casa per te.."

"Hai fretta." - Commentò lapidaria, infischiandosene delle mie ultime parole.
"Come?"
"Hai fretta. Si vede dal nervosismo con cui ti passi la mano nei capelli. Ti conosco ancora fin troppo bene Edward, non basterebbero anni interi per dimenticare il significato di ogni tuo gesto."

Accennai ad un sorriso rassegnato. La profondità di certi commenti mi spiazzava ancora. Talvolta faticavo a conciliare questo lato di Marla con l'altro, quello assolutamente insopportabile, capriccioso, maleducato e sgradevole.

"Le possibilità sono due, dunque..." - Continuò avvicinandosi lentamente ed ancor di più a me. - La prima....E' che tu non abbia voglia di parlarmi. Forse ti metto in imbarazzo o forse ti faccio pena..."
"Marla, smettila. Io non provo pietà per te. E' un sentimento che detesto e non potrei mai commiserare una persona cui voglio ancora bene. E' un' umiliazione che nessuno, nessuno dovrebbe mai subire."
"Bene...Dunque, se non è questo...Vuol dire che hai davvero e semplicemente fretta."

Si piantò a due centimetri da me, allungando una mano per carezzarmi i capelli.
Gli occhi le si riempirono di lacrime.

"Mi manchi, Edward..."
"Marla..."

Un passante frettoloso urtò la sua spalla, chiedendole scusa. Lei neanche se ne accorse, intenta com'era a contemplare il mio viso.
Due fidanzati discutevano animatamente a poca distanza da noi. Sembravano strafatti, urlavano parole senza senso. Sparirono dalla nostra vista due minuti dopo.

Nessuno si curava realmente di noi.

"Ho bisogno di te, Edward...Ripensaci. Tesoro, ripensaci...Per favore..."
"Marla, non pregarmi." - Bloccai il  suo polso nella mia stretta e ne portai entrambe le braccia ai fianchi, sempre tenendole ferme. - "Non devi supplicare nessuno nella tua vita, come devo dirtelo? Vorrei che imparassi a camminare sulle tue gambe, non riesci a provarci almeno?"
"Non vuoi tornare con me, allora?" - Rispose cominciando a piangere vistosamente. Neanche per una frazione di secondo aveva tentato di elaborare le mie parole. Sospirai.
"Proprio non vuoi darmi retta, eh?"
"Ma non hai visto che sulle mie gambe, da sola e senza di te, non so starci? Guarda come sono conciata! Sono giorni che piango, che non mangio, che non dormo, non lavoro, non faccio nulla!"
"Perchè sei tu a non volerlo realmente, Marla. Tu non vuoi reagire e non funziona così! Anche se non stiamo insieme ti voglio bene, non posso vederti ridotta in questo modo!"
"Mi vuoi bene ma non abbastanza per tornare insieme?"

La guardai un istante ancora. Poi scossi la testa, rassegnato.


C'è un'altra, Edward?"

La domanda che aspettavo da giorni e che forse, inconsciamente, avevo sempre sperato di evitare era dunque arrivata, chiara, netta e precisa. Ed esigeva una risposta altrettanto sincera da parte mia, ovviamente.


Marla non era una stupida. Risponderle affermativamente equivaleva a fare il nome di Isabella pur tacendo esplicitamente a  riguardo.
L'altra, poteva essere soltanto lei, del resto.
Poichè se Marlene mi conosceva così bene come diceva spesso - e mi conosceva bene - doveva aver intuito, forse anche prima di me, l'interesse provato più o meno istantaneamente nei confronti della mia bruna ragazzina di Kensington.
Doveva averlo letto in ogni sguardo velato, in ogni gesto fintamente indifferente, in troppe parole non dette.
I miei silenzi erano una fonte inesauribile di notizie, a dirla tutta.


Avrei rischiato?
Volevo farlo?
Avrei ammesso che Isabella era l'unica a dimorare nel mio cuore ed a popolare i miei pensieri?
Avrei inferto a Marlene questo colpo così basso?


Sì.
A malincuore - poichè, dopotutto, le volevo bene e causarle dolore era l'ultima delle mie priorità - ma l'avrei fatto. Perchè dovevo a lei, in primis, un minimo di sincerità: a lei con cui molto avevo condiviso in quegli anni. E perchè lo dovevo alla mia Isabella che, inspiegabilmente, stava ormai diventando una parte fondamentale di me.


Mi bastarono dunque pochi istanti in cui continuai a guardarla con risolutezza.
Infine mi decisi ad aprir bocca.


"Sì, Marla. C'è un'altra. Perdonami."
"Un'altra..." - Mi fece eco. La voce incrinata. Non avevo mai letto tanta disperazione negli occhi di nessuno. Neppure in quelli di Esme, paradossalmente, quando mio padre era morto. - "E la conosco, questa persona?"


Domanda retorica, ovviamente.

Dovetti ricorrere davvero a tutto il mio coraggio, in questo caso.
Perchè desiderava farsi del male così ostinatamente e fino all'ultimo istante?

Come se non l'avesse saputo!
Cos'avrei dovuto fare, esattamente?
Causarle un male ulteriore confermando i suoi dubbi e svelandole l'identità della sua rivale o tacere?
Tuttavia supposi che dar corda a questa seconda opzione avrebbe semplicemente gettato altro fango sulla stessa Marlene, oltre che sul mio rapporto con Isabella.
Mi parve, inoltre, estremamente vile continuare a mentirle alimentando le sue illusioni.


Avrei dovuto essere sincero per il bene di entrambe.
Cosicchè mi decisi a parlare, aprendole totalmente il mio cuore.


"Sì, Marla..." - Risposi dunque. - "Tu conosci questa persona."


Mi guardò sconcertata, come se non avesse mai creduto che potessi trovare tanto coraggio pronunciare quello parole.
O, semplicemente, per farle del male. Ma non era quello il mio intento.

Tuttavia, la ferii profondamente. Era chiaro.

Osservai una sua lacrima solitaria mentre scivolava lungo la guancia, fino a raggiungere il mento.
Le lasciai le braccia nello stesso istante, rassegnato. Contemporaneamente il suono ancora flebile della sua voce raggiunse le mie orecchie pronunciando astiosamente il nome di Isabella.





POV BELLA



Toc - toc.
Qualcuno stava bussando all'uscio della mia stanza.


Mi voltai di scatto in direzione della porta, interrogandomi dunque sull' identità del mio ignoto visitatore.

Mi bastarono pochi secondi per considerare che mia madre non avrebbe mostrato mai tanta gentilezza nei miei confronti: piuttosto avrebbe fatto irruzione in camera senza neppure l'accortenza di bussare. Per cui scartai questa opzione. E siccome mio padre era ancora fuori per lavoro....


"Entra, Beth..."

La porta si aprì timidamente, cigolando appena sui suoi cardini.
Osservai dunque teneramente il visetto delicato di mia sorella mentre faceva capolino dall'ingresso.

"Posso, Bella?"

"Ma certo che puoi!" - Le risposi sorridendo.

Richiuse la porta con garbo e, trotterellando a piedi nudi sul linoleum, mi raggiunse alla scrivania, saltandomi letteralmente in braccio.

"Amore mio! Che ci fai ancora sveglia a quest'ora? Sono le dieci passate ormai e mamma si arrabbierà molto se ti trovi in giro!"
"Non preoccuparti sorellina..." - Rispose con una risolutezza quasi comica. - "Ho fatto piano...E poi mamma si è già infilata a letto. Non mi scoprirà!"






Sorrisi compiaciuta. La mia sorellina era una vera forza della natura.

"Bene, allora!"
"Perchè sei al buio?"
"Non sono al buio, tesoro....La lampada dello scrittoio è accesa. E poi non mi piace la luce troppo forte, m'infastidisce."
"..Uhm..." - Non mi parve troppo convinta delle mie parole. Continuò ad arrotolarsi una ciocca di capelli intorno all'indice, quindi, prima di continuare a parlare.

"Bella....?"
"Sì, tesoro?"
"La mamma è arrabbiata con te perchè hai preso un brutto voto a scuola?"

Sospirai.

"Esatto, Beth. Proprio per quello."
"E non puoi rifare il compito bene, così non si arrabbia più?"

Sorrisi della disarmante e tenerissima semplicità con cui Elisabeth risolveva ogni situazione. Avrei voluto tornare bambina per vedere di nuovo il mondo con i suoi stessi occhi. Tutto sarebbe stato mille volte più facile.

"No, non posso, amore. Ormai è tardi."
"Perchè è tardi? Ci parlo io con la mamma?"
"Oh no, no tesoro!" - Risi - "Non è importante, davvero. Le passerà."
"Mmmh..."

Ci pensò ancora un po' su, titubante.

"Quindi non verrai al mare con noi, quest'anno?"


In cuor mio riuscii perfino a gioire delle ultime parole pronunciate da Beth.
L'ennesima testimonianza della mia vittoria.

Era vero. Ad ora di cena mia madre era entrata in stanza portando con sé il vassoio del mio pasto - per quella sera non avevo ricevuto neppure il permesso di cenare al tavolo con tutti loro, come se fossi stata un'appestata - e mi aveva annunciato che neppure mio padre era riuscito a dissuaderla dal suo piano assolutamente diabolico.
Per quell'anno avrei potuto scordarmi delle spiagge bianche di St. Martin e del suo mare impetuoso. La mia famiglia sarebbe partita quella domenica stessa, il tempo, per mio padre, di sistemare le ultime carte in ufficio. Per quanto mi riguardava, viceversa, sarei rimasta nella grigia Londra in attesa del loro ritorno, a Settembre.
Ed ovviamente non sarei rimasta da sola. Mia madre sembrava aver già assunto un'istitutrice (come diamine avesse fatto a scovarla in un pomeriggio solo restava un mistero, comunque) che si sarebbe occupata di me a tempo pieno, provvedendo a riportarmi sulla retta via entro l'autunno.

Sospirai.
Questa era l'unica macchia nera sulla mia felicità. Se mia madre aveva considerato tale istitutrice meritevole a tal punto da essere assunta per l'intero periodo estivo in casa Swan, beh...doveva trattarsi di una donna non meno rigida, severa ed assolutamente priva di sensibilità di lei.

Non era importante comunque. A questo punto era meglio compiere un passo alla volta piuttosto che fasciarsi la testa prima del tempo.
Intanto, la prima battaglia l'avevo vinta io. Per tutto il resto avrei trovato una soluzione.


"Tesoro, lo so che non verrò con voi. Ma tu non devi essere triste. Pensa a goderti le tue vacanze. Farai tanti bei castelli di sabbia e tornerai bellissima ed abbronzata. Non sei felice?"
"Senza di te no..." - Pigolò mia sorella poggiando la testolina sulla mia spalla.
"Oh, Beth...!" - Le carezzai i capelli profumati. Dopotutto, mi sentivo colpevole: la stavo lasciando sola di proposito. Ero io ad aver scelto di restare a Londra. Ero io l'artefice di tutto. Sperai, tuttavia, che la spensieratezza dei suoi sette anni avesse potuto aiutarla a superare facilmente il momento di desolazione. In questo modo anche il mio cuore sarebbe riuscito ad alleggerirsi più rapidamente dal senso di colpa che l'opprimeva. - "Certo, certo che lo sarai, sciocchina! Sarai molto, molto felice! E quando tornerai, a Settembre, andremo a fare shopping da Hamleys insieme...  Ti va?"


Annuì più volte, sollevando il visetto e guardandomi con occhi speranzosi.

"Bene...Così ti voglio!"

Sorrise ancora un po', sempre tenendomi stretta, prima di riprendere a parlare.

"Bella...non potrai incontrare nessuno in questo periodo? Starai da sola?"
"Non lo so tesoro...Intanto ci sarà una governante a farmi compagnia..."
"Ed i tuoi amici? Non vedrai nessuno? Oggi è venuta Angela e mamma le ha detto che non era possibile incontrarti.."
"Lo so..." - Sospirai.

Avevo udito tutto, dalla mia cameretta al piano superiore. Avevo ascoltato la voce di Angela mentre chiedeva gentilmente di me e quella più astiosa di mia madre mentre le rispondeva che al momento non ero disponibile.
Avrei voluto fare le scale quattro gradini alla volta e correre in salotto tra le sue braccia. Ma avrei finito semplicemente con l'incentivare, ancora di più, l'irritazione di Renèe. Cosicché non avevo mosso un solo passo e soltanto una piccola lacrimuccia era scivolata lungo la guancia sinistra quando avevo udito la porta chiudersi alle spalle della mia migliore amica.

"Non devi preoccuparti per me, Beth..." - Mormorai comunque con convinzione - "...Qualcuno verrà a salvarmi!" - Ironizzai, facendole l'occhiolino.
"E chi, Bella?"


Stavo per risponderle (e francamente non ero neppure certa di ciò che avrei detto per tranquillizzarla) quando, in sottofondo, udii un colpetto fastidioso.
Come di qualcosa che avesse urtato il vetro della finestra.

Mi voltai di scatto ed anche Beth parve allarmarsi.

"Cos'è stato, Bella??"
"Niente..." - Mentii. - "Niente tesoro, stai calma..."

Un altro colpetto secco, più forte del precedente, mi costrinse ad un sussulto.

"Bella!" - Mugolò la mia bambina. - "Hai sentito? Ho paura!"
"Niente paura, fifona!" - L'ammonii mentre la rimettevo in terra. - "Adesso vediamo subito di cosa si tratta..."


M'incamminai verso la finestra, adagio. Un tantino perplessa e vagamente preoccupata, avevo comunque ancora abbastanza sangue freddo per sincerarmi della situazione e scoprire esattamente chi o cosa fosse venuto a spaventare la mia povera sorellina.

Inutile dire che la sorpresa fu enorme quando, volgendo uno sguardo attento al di là del vetro, incontrai il viso di Edward.

"Awh!" - Esclamai portando una mano alla bocca. Nello stesso istante il cuore cominciò a fare le capriole, da bravo saltimbanco.

Edward se ne stava giù in strada, giocherellando con un sassolino: lo stesso che avrebbe lanciato contro la mia finestra per indurmi ad aprire, se non mi fossi fatta viva entro cinque minuti.
Quando incrociò il mio sguardo mi rivolse quel sorriso sghembo, da furbetto impenitente, che soltanto lui era in grado di sfoggiare, ed io avvampai per la gioia, l'imbarazzo e per chissà cos'altro.

La mia giornata era stata disastrosa, certamente.
Ma la notte prometteva meglio, tutto sommato.
Quindi sorrisi.

"Bella!" - Esclamò nel frattempo Beth, raggiungendomi alla finestra. - "Perchè ti sei spaventata? Che è successo?"

Mi voltai a guardarla estasiata.

"Niente di preoccupante, amore mio! Anzi, adesso puoi stare tranquilla....Un eroe è venuto a salvarmi!" - Scherzai ancora, ridendo apertamente.













L'eroe è arrivato! ;)
Scherzi a parte...ho poco da dire su questo capitolo. L'ho odiato, seriamente. E non so perchè ma ho rapporti conflittuali con le mie storie di solito -.-''

Qualche appunto:
nel corso della storia ho inserito la foto di Mackenzie Foy, alias Renesmee Cullen in BD part 2. Avrei voluto essere più originale e dare un altro volto alla mia Elisabeth ma, tutto sommato, vi ho detto io stessa che Beth e Bella si somigliano tantissimo. E siccome la piccola Mackenzie  sembra davvero la figlia di Kristen...Beh, mi sono accontentata, ecco! :)
Questo signore qui, viceversa...




....mi pare rispecchiare abbastanza bene la mia idea di Oliver. Lui è Gaspar Ulliel, attore francese e ringrazio moltissimo la mia figliola (XD) Giusy per avermelo fatto conoscere.

Vi piace? Ve lo immaginate così Oliver?
Che altro da dire? Ah sì, per chi non lo sapesse Hamleys è il secondo più grande negozio di giocattoli al mondo...Eiste da un centinai d'anni, credo :) ed attualmente si trova verso Piccadilly ...Se qualcuna tra voi c'è stata saprà che si tratta davvero di un mondo fatato! *___*

Ok, ho detto tutto...scusate se sono di poche parole ma sono stanchissima e mi attende un lungo ponte dei morti in farmacia...Che fortuna! -.-'
Risponderò quanto prima alle vostre recensioni...Grazie mille per tutto, soprattutto per il vostro sostegno. Vi voglio bene
Matisse.



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Capitolo 14
*** Cap.14 ***


ed14
My Ugly Boy
















POV EDWARD




Isabella non mi staccò gli occhi di dosso per tutta la durata della mia esibizone da circo.

Questa volta mi riuscì più semplice arrampicarmi lungo la facciata della sua casa: memore della prima esperienza, avevo rapidamente individuato tutti i possibili appigli e sapevo dove aggrapparmi esattamente per non rischiare di scivolare.
Tra l'altro anche le tubature esterne dell'acqua si mostrarono piuttosto utili allo scopo.
La mia scalata notturno risultò, pertanto, certamente più facile e rapida rispetto alla precedente nonché - ovviamente -molto meno pericolosa.
Ciononostante, Bella seguì ogni mia mossa trattenendo il respiro e soltanto quando mi ritrovai al sicuro della sua camera e con i piedi ben piantati sul pavimento riuscì a rilassarsi.
Per conto suo, la sorellina di Isabella - la piccola Beth - sembrò piuttosto gradire la mia incursione: mi accolse, infatti, ridendo e battendo le mani, con la stessa gioia di qualcuno che avesse davvero assistito ad uno spettacolo divertente.
Isabella, inizialmente un po' frastornata - forse per la mia presenza, forse per la reazione inaspettata di sua sorella - dapprima ci guardò entrambi perplessa, alternando lo sguardo sorpreso tra me ed Elisabeth. Dopodiché le sue belle labbra si aprirono in un sorriso sincero: sembrava essersi rasserenata. Sorrisi con lei, sollevato. Eravamo di nuovo vicini: ci veniva facile ridere adesso. Eravamo, inoltre, di nuovo felici. Insieme. Beh, quantomeno io lo ero ma credevo di non ingannarmi nel pensare la stessa cosa per lei.

"Come hai fatto??" - Domandò
la piccola
eccitata, ad un certo punto,  guardandomi con occhi spalancati.

"Sshhh, Beth! Abbassa la voce o mamma ci scoprirà!" - Isabella sembrava seriamente preoccupata di una possibile incursione materna. Le intimò silenzio e sua sorella tacque immediatamente.

Con dispiacere notai come la reazione di Bella avesse finito col smorzare inevitabilmente l'entusiasmo di Beth. Cosicché tentai di riparare immediatamente alla rassegnata delusione che si era andata dipingendo sul suo viso di bimba.

"Ehy....Bella non ti ha detto che sono un supereroe?"

Mi accovacciai in terra, di fronte a lei. Beth mi rivolse immediatamente uno sguardo incuriosito: non c'era diffidenza né timore nei suoi occhi, come se avesse compreso sin da subito che avrebbe potuto fidarsi di me.
Come se le fossi piaciuto, realmente.
Mi sentii quasi lusingato.

"Edward, ma che..."
"Bella!" - Esclamai giocando a far la voce grossa - "Allora, gliel'hai detto o no?!"
"Ma non è vero!" - Protestò Beth ridendo e puntandomi l'indice contro - "Non sei un supereroe!"
"Ah sì? E come fai a dirlo?"
"Perchè non indossi il mantello!"

Isabella proruppe in una risata divertita che tentò, tuttavia, di stroncare immediatamente tappandosi la bocca con le mani. Ma le guance erano gonfie e gli occhi luccicavano divertiti. Mi faceva sentire bene scoprirla così allegra: la guardai per un istante tirando fuori la lingua.

"Mi viene da ridere, Edward!"
"Non dovresti farlo!" - Risposi con finta indignazione.
"Ma ti ci vedi con un mantello addosso??"

Fui tentato di ridere con lei. Tuttavia riuscii a trattenermi: avrei dovuto recitare seriamente la mia parte.
Mi rivolsi nuovamente a Beth, quindi, e la sorpresi mentre le sue labbra si atteggiavano in un sorriso gioioso. Con quelle guance rosa e i capelli che le scendevano morbidi e scomposti lungo le spalle sembrava davvero una Isabella in miniatura. Era bellissima.

"Allora? Non ci credi? Ho scalato tutta la facciata del palazzo grazie ai miei fantastici poteri!"
"E sei venuto a salvare Bella come il principe azzurro di Raperonzolo?" - Domandò curiosa, stando allo scherzo. Io la guardai perplesso, ridacchiando: era divertente osservare come, nella sua fantasia di bambina romantica, risultasse estremamente facile confondere il principe delle fiabe con un supereroe da fumetto.
Cosicché fu istintivo e decisamente naturale per me allungare le braccia nella sua direzione: Beth non mostrò, ancora una volta, alcuna ritrosia. Si accomodò sicura nel mio abbraccio, con tenera spontaneità, ed io risi con lei per la dolcissima accoglienza che mi aveva riservato.


"Sì, proprio come il principe azzurro..." - Acconsentii.


Isabella, nel frattempo, continuò ad osservarci meravigliata.


"Com'è che vi volete tutto questo bene,voi due?"
"Perchè lui ti farà compagnia quando andrò via ed io sarò più tranquilla. Per questo gli voglio bene."

Isabella rise con me ma con occhi commossi dopo una dichiarazione d'amore tanto sincera. Beth aveva parlato come una donna fatta e finita, con la stessa premura che hanno certe mamme nei confronti dei loro figli. Se non l'avessi vista personalmente avrei faticato a credere che si trattasse davvero di una bambina di appena sette anni.

"...E poi..." - Proseguì con finta indifferenza, puntandomi di nuovo l'indice contro. - "...tu sei bello."

Isabella la guardò, stavolta sconcertata.

"Sorellina, hai un fidanzato bellissimo!" - Esclamò ancora. Per un attimo mi sentii profondamente in imbarazzo. E per fortuna si trattava di una bimbetta! Ma aveva tanta disinvoltura nel parlare che non appariva affatto irrazionale sentirsi quasi a disagio.


"Come ti chiami? Non lo ricordo più."
"Edward. Il mio nome è Edward."
"Uhm..." - Mormorò - "Il nome non mi piace tantissimo però non  fa niente."

Scoppiai a ridere. Era di una sincerità disarmante. Che poi - a dirla tutta - neanche io amavo eccessivamente il mio nome.

"Ok Beth...hai finito di fare la corte al mio fidanzato?" - Commentò ironica Isabella.

Sua sorella annuì seria, come prendendola in parola. Quindi,  schioccandomi un grosso bacio sulla guancia,  si scostò dal mio abbraccio mostrando davvero di volersi allontanare in tutta fretta dalla camera.

"Ho finito, sorellina. Ed ora vi lascio da soli, devo dormire." - Concluse risoluta.

"Non ho capito, signorina...Edward merita il bacio della buonanotte ed io no? Dove credi di andare??"

Isabella la seguì stando bene attenta a non far troppo rumore e, con estremo divertimento per la bimba, l'afferrò per la vita costringendola ad una capriola tra le sue braccia. A Beth venne da ridere ma, attenta com'era, si affrettò a coprire la boccuccia con entrambe le mani per soffocare la sua ilarità.
Infine baciò delicatamente le guance di Isabella, stringendole le braccia intorno al collo con un amore che - evidentemente - andava al di là del semplice rapporto fraterno: pensai che la piccola vedesse in sua sorella la madre che non aveva ricevuto in sorte. Isabella era amorevole, premurosa, affettuosa. L'amava oltre ogni dire ed era ovviamente ripagata poiché l'amore richiamava altro amore e lasciava crescere piccole vite felici.

Quando Beth lasciò infine la stanza, in punta di piedi, agitando la sua manina per aria al fine di salutarmi per un'ultima volta, Isabella tornò a guardarmi con occhi gioiosi.


"Lei è fatta così.." - Commentò sorridendo, con un'alzata di spalle.
"E' splendida." - Ammisi.
"Oh sì! E' socievole, dolce e bellissima. Ed ha tanto bisogno di affetto...Comunque sia, penso proprio tu l'abbia conquistata... Incredibile con quanta velocità si sia fiondata tra le tue braccia!"

Risi con lei.


"Beh, neanche io di solito sono così portato verso i bambini. Ma tua sorella mi ha ispirato....E poi è una piccola Isabella, davvero meravigliosa..."
"Quindi vi siete innamorati vicendevolmente..." - Commentò scherzando.

Mi avvicinai a lei con lentezza, come se prolungare i tempi del nostro contatto potesse aumentare anche il mio personale desiderio di stringerla tra le braccia. Nella speranza, ovviamente, che lei desiderasse la stessa identica cosa.

Isabella comprese e mi allungò la sua mano: l'afferrai, tirandola verso di me.

"Sembra che io sia portato inevitabilmente ad innamorarmi delle fanciulle che di cognome fanno Swan..."
"Mmhh..."
"Di una in particolare..."
"Quale? La più grande o la più piccola?" - Domandò sorridendo.
"La più piccola, ovviamente!" - Scherzai, incassando una ginocchiata.
"Stronzo..."

L'abbracciai più forte dunque, ridendo piano della sua tenera reazione. Strinsi le braccia intorno a lei, meravigliandomi di quanto fossero esili le sue spalle: Isabella era un esserino fragile e dolcissimo, per quanto tendesse a nascondere questo lato di lei agli occhi del mondo.
Poggiò la testolina bruna sul mio petto e sospirò.

"Mi sei mancato, Edward..."
"Ora sono qui..."
"Ero io a non esserci oggi pomeriggio...Mi dispiace." - Mi guardò mortificata.
"Non devi scusarti di nulla, Bella. Angela mi ha detto tutto..."
"Dunque è riuscita a venire fino a Brixton, da te?"
"Sì, ce l'ha fatta. E' una buona amica."
"Lo so..." - Ammise quasi con commozione. - "....Se non ci fosse stata lei...avrei fatto una marea di sciocchezze nella mia vita. Sai, oggi pomeriggio è stata qui e mia madre non le ha permesso di vedermi."
"...Beh, se avessi potuto parlarle...ti avrebbe detto che ce ne hanno messo di tempo per convincermi a non correre da te." - Le confessai compiaciuto. Sapevo che l'avrei piacevolmente sorpresa.

Sgranò difatti gli occhi, meravigliata. Cominciavo a prevedere le sue reazioni e questo mi rendeva felice: un tassello in più si andava ad aggiungere al nostro percorso di avvicinamento. Perchè l'innamoramento o l'amore vero e proprio o quel che fosse non bastava. Non bastava neppure l'interesse o l'attrazione, fisica o mentale.
Io desideravo tutto di Isabella.
Desideravo conoscere le mille sfaccettature della sua persona, interpretare le sue espressioni buffe, gli sguardi malinconici, i gesti apparentemente insignificanti. Ovviamente, quando riuscivo nell'intento mi sentivo oltremodo orgoglioso di me stesso ed il mio cuore veniva a riempirsi di una gioia indicibile.
Mi premeva inoltre conoscere i suoi gusti, le sue impressioni, i film preferiti, le letture più interessanti. E rimpiangevo gli anni andati di lei, quelli che nessuno mi avrebbe più restituito. Gli anni della mia Bella bambina e tenera adolescente. Avrei divorato con gli occhi le sue foto passate ed ascoltato con gioia ogni parola dei suoi racconti d'infanzia finché non li avessi sentiti anche un po' parte di me.
Tutto, tutto pur di rendere Isabella ogni giorno un po' più mia.


"Volevi...venire da me, oggi pomeriggio?" - Domandò in un sussurro. Sembrava avercene impiegato di tempo per realizzare le mie parole.

Annuii.

"Sì ma alla fine...ho desistito. Mi hanno fatto notare che avrei potuto creare altri casini con tua madre. Per cui ho ripiegato sulla notte. Il buio sembra essere mio alleato."

Rise con me e sembrò sorvolare sull'identità della persona che mi avesse convinto ad abbandonare l'idea di correre da lei già nel pomeriggio. O forse, semplicemente, ipotizzò si trattasse di Angela. Comunque sia non fece domande a riguardo ed io ne fui sollevato, dopotutto.

"Hai fatto bene. Mamma starà dormendo già profondamente, adesso. Oggi pomeriggio tutto sarebbe stato più difficile. La notte è nostra, invece. "

Il tono volutamente più malizioso assunto dalla sua voce mi lasciò interdetto per un istante.
Lo sguardo ironico di Isabella mi riportò, viceversa, alla realtà.
E quando scoppiò a ridere compresi che mi stava volutamente prendendo in giro.

"Che ti prende?" - Finsi di essere un tantino offeso dalla sua reazione, cosicché la sogguardai risentito.
"La tua faccia....Mi fa ridere! Cos'hai capito? La notte è tutta nostra...per parlare, ovviamente!"
"Puff! Non avrei mai pensato ad altro, signorina..."
"Ah no..?" - Bella inarcò un sopracciglio, ironica.

Touché. Anche l'uomo migliore del mondo penserebbe ad altro, in certe occasioni. Specie ritrovandosi davanti una creatura perfetta come Isabella.
Tuttavia preferii non aggiungere altro e, piuttosto, mi lasciai guidare dalle mani della mia ragazza che mi trascinavano verso il letto.

"Staremo più comodi..." - Spiegò facendosi spazio tra i morbidi guanciali ed alcune bambole di pezza che avevano trovato alloggio sul piumone rosa.
"Giochi ancora con loro?" - Domandai scherzosamente, afferrandone una a caso: i capelli erano costituiti da una massa informe di lana color grano. Al posto degli occhi aveva due bottoncini scuri mentre un ghigno imbronciato conferiva un'aria desolata ed inquietante alla sua faccia. -"...Dio, questa è proprio brutta!"
"Beh,  queste di pezza sono il male minore...Avresti dovuto vedere quelle di porcellana, erano davvero inquietanti! E comunque..." - Continuò sfilandomi la bambola dalle mani - "...Camille è la mia preferita...Quindi lasciala stare!"
"Chi?!"
"Camille. La bambola che hai così crudelmente definito brutta. Era la mia preferita da bambina!"
"Aaah, ecco! Adesso capisco molte cose..."

Comiciai a ridere smodatamente e Bella mi colpì la schiena con uno schiaffetto indolore.

"Idiota!"
"Ah, Bella!"
"Sei assolutamente insopportabile!"
"...Mmm...non ci credo!" - Risposi tentando di riprendermi. Mi sdraiai più comodamente, sorreggendo il peso del corpo sul braccio, di modo da poter guardare meglio in faccia Isabella che, fintamente offesa, se ne stava seduta sul letto a braccia conserte. - "...Lo so che sei felice di vedermi!"
"Sei terribile! Sì, lo sono, hai ragione...Uffa, non ti si può mentire neanche un po'!"
"Sei proprio una bimba...Una bella bimba, Isabella!"
"E tu sei un pagliaccio....ed hai la risata facile oggi!"
"Sono felice perchè sono qui....Non è difficile da capire, tesoro!"

Tornò a guardarmi addolcita. Infine allungò una mano tra i miei capelli, arruffandoli.

"E' andato tutto bene?"

Per un attimo mi sentii preso in contropiede. Ma ovviamente si trattava di una questione puramente personale.
No, non era tutto ok. Non dopo aver quasi fatto a botte con Oliver. Non dopo aver incontrato il volto trasformato di Marlene, non dopo aver discusso con lei ed averla vista scappare via in lacrime dopo aver pronunciato il nome di Isabella.
Perchè era andata proprio così.
Marla non aveva urlato né strepitato di fronte alla mia confessione. Piuttosto biascicando ancora il nome della sua rivale ed infarcendo il tutto con qualche "stronzo" di troppo, alla fine, piangendo, aveva fatto dietro - front. Mentre correva via mi era riuscito perfino di sentirle dire che sperava di non rivedermi mai più.

Ci avevo impiegato più di dieci minuti per riprendermi. Non volevo che Isabella mi scoprisse così agitato.E, per quella sera, non desideravo neppure parlarle del colloquio con la mia ex ragazza. Era già abbastanza provata dalle sue vicissitudini personali, infilarle altri problemi in testa era l'ultima delle mie priorità.

In ogni caso ero ancora particolarmente suscettibile sull'argomento e facilmente impressionabile, cosicché nella semplice domanda rivoltami da Isabella avevo finito con il leggere un riferimento agli eventi spiacevoli di quella giornata - ed alla mia conseguente reazione  - che in realtà non c'era.
Per cui non risposi immediatamente, troppo perplesso per elaborare subito una battuta di senso compiuto, e Bella fu costretta a riformulare nuovamente la medesima domanda.


"Edward? Tutto bene..?"
"In che... senso?"

Bella mi guardò sconcertata.

"Come in che senso? Mi riferivo al concerto, ovviamente! E' andato bene?"
"Aah!" - Esclamai dunque sollevato. - "Il concerto...sì, certo..."
"Che avevi capito?"
"Niente, niente..." - Sviai - "..Ero sovrappensiero. Comunque sia, sì! E' andato b
enissimo!" - Ero davvero orgoglioso - "..Sembra che la gente cominci ad apprezzare veramente i White Riot.."
"Ve lo meritate...Siete bravissimi." - Isabella mi parve realmente soddisfatta, sorrideva felice come una bambina davanti ad un negozio di giochi.
"Tu, piuttosto? Come te la sei cavata?"

Mi premeva, ovviamente, cambiare discorso, a quel punto, e distogliere la sua attenzione dal mio strano atteggiamento.

Lei, di tutta risposta, m
ugugnò.

"Me la sono cavata con il carcere a vita. Ma considerando che esiste anche la pena di morte mi è andata bene, tutto sommato!"
"E' stato così disastroso?"
"Un po'..." - Ammise giocando con un bracciale. - "..Più che altro è stata una giornata pesante. Litigare con mia madre è oltremodo snervante, non dà possibilità di replica ed è fastidioso. Però.."
"Però?"
"Però la mia C mi ha permesso di evitare le vacanze a St. Martin's. In fin dei conti il gioco vale la candela."

La guardai stralunato.

"Non capisco, Bells..."

Mi ricambiò con uno sguardo furbetto ed un adorabile sorriso da bambina impertinente.

"Credi davvero che abbia preso un brutto voto perchè non ho studiato? Edward, sono la migliore del mio corso, non scherziamo!"
"Ah sì? E dunque, miss genio, come si spiega questa caduta libera?"
"Si spiega col fatto che....l'ho voluta io."
"Continuo a non afferrare..."

Ridacchiò, divertita.

"Non potresti, Edward. Sai dove si trova l'isola di St.Martin's?"

Scossi la testa.

"Mai sentita...Ma che c'entra?"
"Oh, adesso lo capirai.....St. Martin's è una delle sei isole abitate che compongono, insieme ad altri svariati scogli ed isolotti, l'arcipelago delle Scilly, ad oltre ventisettemila miglia dalla Land's End. D'inverno ci vivono appena 140 persone. Comunque sia, geografia a parte, ciò che conta è che da un paio d'anni a questa parte io e la mia famiglia trascorriamo lì le nostre vacanze estive. Ci fermiamo in quel posto per l'intero mese di Agosto, di norma..."

Una vaga idea cominciò a prender forma nella mia testa. Che Isabella avesse deliberatamente preso un brutto voto a scuola per...?

"Stai cercando di dirmi che..."
"...che prendere una C all'ultimo test avrebbe decretato una punizione certa. Ed il castigo, per quest'anno, sarà quello di non poter trascorrere le mie vacanze estive sull'isola. Resterò qui a Londra, Edward....Assieme a te. Non avrei mai sopportato l'idea di starti lontana per un mese intero!"


Probabilmente la guardai a bocca spalancata per diversi istanti poichè la sentii più volte ripetere il mio nome.

Non potevo crederci, sul serio.
Isabella aveva davvero sfidato la furia materna e sopportato con stoica rassegnazione rimbrotti e punizioni soltanto per guadagnarsi un po' più di tempo con me?
Aveva dunque preferito la mia compagnia ad una spiaggia bianca ed assolata, ad un mare ghiacciato in un cui rilassarsi dimenticando i problemi di ogni giorno e la noiosa routine quotidiana?

Tutto questo per...me: un insulso ragazzetto della periferia, un miserabile che viveva di piccoli lavoretti e sognava un futuro da rockstar.
Ero sconvolto.
Isabella avrebbe potuto avere chiunque: un giovane ricco e di classe, per esempio, dalla promettente carriera lavorativa ed un conto in banca tale da garantirle una vita agiata per il resto dei suoi giorni. Magari lo stesso Oliver avrebbe potuto fare al caso suo: del resto era indiscutibilmente bello, talvolta simpatico e, sicuramente, sarebbe stato piuttosto gradito agli occhi dei suoi genitori vista la sua straordinaria posizione sociale.

E certo, Isabella si sarebbe risparmiata un sacco di grane, in questo caso.
Ma a lei tutto questo sembrava interessare. Lei aveva scelto me.

Un futuro incerto l'avrebbe attesa, probabilmente.
Forse le nostre differenze un giorno si sarebbero fatte sentire ed avremmo finito col litigare. Forse non l'avrei mai portata a cena fuori ed avrei dimenticato le feste importanti, S. Valentino o chissà quali altre sciocchezze. Forse l'avrebbero derisa per la sua assurda decisione e, magari, avrebbe discusso con la gente per causa mia.
Eppure tutto questo continuava a non importarle.

Isabella aveva scelto me, in ogni caso, ancora una volta.
E si stava già sacrificando per il nostro rapporto.

Come se io l'avessi meritato davvero, come se fossi stato il principe azzurro mentre ero soltanto un ragazzaccio ventiduenne senza né arte né parte, con un passato difficile alle spalle e neanche un centesimo in tasca.
Un ragazzaccio terribilmente fortunato, a dirla tutta, da quando nella mia vita c'era lei.


"Edward...è tutto ok?"
"Sì, sì..."
"Ho detto qualcosa di sbagliato?"

Di sbagliato?

"Hai voglia di scherzare?? Come ti salta in mente?"
"Ti sei ammutolito..."
"Bella! Io....è che...non riesco a credere a quel che hai detto! Ti sei fatta mettere davvero in punizione soltanto per restare qui....con me?"

Isabella arrossi vistosamente, mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso gioioso.

"Sì....L'ho fatto davvero....Io non so che dirti...Potrai giudicarmi male, tuttavia...Ecco, lo so, sembra infantile però...."

Le tappai la bocca con un bacio.
Isabella, forse mossa dall'imbarazzo, era andata in iperventilazione ed aveva cominciato a straparlare. Ma io non necessitavo di tante spiegazioni: tutto ciò che mi bastava sapere era che lei aveva agito per il nostro bene. Aveva accettato un castigo o, meglio, se l'era proprio cercato soltanto per stare con me.
Perchè sapeva che le sarei mancato e che un mese sarebbe durato un'eternità se non avessimo avuto la possibilità di vederci.

Ciò che Isabella non considerava, tuttavia, e che neanche io avrei tollerato la sua assenza.
Io che, senza di lei, ormai stentavo a vivere la mia giornata.

"Ehy....." - Mormorò carezzandomi il volto quando mi staccai dalle sue labbra - "...Devo pensare che la mia idea ti sia piaciuta?"
"Molto...Però....Mi dispiace che ti sia messa così tanto nei casini."
"Ne uscirò." - Sembrava compiaciuta. L'idea di avermi reso felice doveva averla riempita di soddisfazione. Si accovacciò sul cuscino morbido ed io mi sdraiai accanto a lei, attirandola a me.

"Sei stanca?"
"Abbastanza...Ma sono così tanto felice che non mi pesa..."

Le sorrisi dolcemente mentre Isabella posava la testa sul mio petto.

"Allora che ne diresti di dormire un pochino?"

Annuì.

"Un'ottima idea....Domani sarà una giornata pesante. Resti qui, con me?"
"Dove vuoi che vada? Non ho intenzione di rischiare di nuovo la vita calandomi per quella finestra...E' già tanto che mi sia andata bene per due volte!"
"La prossima volta entrerai dalla porta, giuro.." - Concluse la sua promessa in un sbadiglio. Stava per arrendersi al sonno.
Io risi.



"D'accordo. Però adesso dormi davvero che sei distrutta."
"Ok..."

Si sistemò ancora più comodamente su di me. Cinsi le sue spalle con un braccio mentre, con la mano libera, mi allungai per spegnere la lampada sul comodino vicino.

"Buonanotte, Bella..."
"Notte, Ed.." - Biascicò appena, ad un passo dalle braccia di Morfeo.

Sembrava che la mia presenza fosse riuscita a rilassarla, sciogliendo tutta quella tensione che si portava dietro e che non aveva mostrato a nessuno, in primis a Beth. E per effetto della calma ritrovata le sue membra e la sua testolina stanca avevano ceduto immediatamente al sonno.

Come previsto, infatti, non c' impiegò poi molto per crollare addormentata.
Dopo un po' percepii il suo respiro farsi regolare ed anch'io sospirai sollevato. Ero contento di sapere che poteva finalmente riposare più tranquilla.
La strinsi più forte quindi, e la coprii con un lembo del piumone, restandomene poi ad occhi aperti, in contemplazione dell'ambiente che mi circondava.

Fu allora che tutto mi risultò chiaro: solo in quel momento, nel buio della camera di Isabella ed in quel silenzio rotto soltanto dal suono del suo respiro delicato, mi sentii finalmente in pace con me stesso.
Non mi accadeva da un po'.
Da troppo tempo, infatti  - soprattutto da quando Carlisle era morto - l'unica motivazione che mi spingeva ad andare avanti ogni stramaledetto giorno della mia vita era l'insensata voglia di fare a botte con il resto del mondo. In realtà troppo spesso avevo anche voglia di fare a botte con me stesso, ma questa era un'altra storia.
Ed ora invece...Non avevo quasi più rabbia, né risentimento. E mi veniva da ridere, era tutto così buffo, davvero...Sentivo che avrei potuto uscire da quella casa ed abbracciare il primo passante che mi capitava a tiro soltanto perchè mi andava, perchè ero felice e pensavo fosse giusto distribuire un po' di sano amore.
Il mio cervello era andato a farsi friggere, seriamente. Ed anche il mio cuore.
Aveva ragione Emmett. Gli dovevo una birra.


Guardai la mia Isabella con la coda dell'occhio, sorridendo. Dormiva già così beatamente, dopo soli pochi minuti, che era un vero piacere guardarla.

Era davvero tutto merito di quella bambolina graziosa, testarda e capricciosa se avevo ritrovato l'abitudine di ridere e sorridere così facilmente.
Dannazione! Se qualcuno me l'avesse detto anche solo un anno fa, l'avrei mandato allegramente a quel paese, senza considerarlo minimamente.
Non avevo mai calcolato, prima di allora, gente che appartenesse al mondo di Isabella. Per quel che ne sapevo io le ragazze ricche erano tutte delle poco di buono dall'aria saccente ed il giudizio facile, mentre i ragazzi...beh, solo dei figli di papà pieni di soldi. Così tanti soldi da non sapere neanche che farsene. Gente di merda, insomma, cui tutto sembrava essere dovuto, senza un minimo di sensibilità, ignari del valore di ciò che li circondava e della loro stessa vita.

E poi...E poi era arrivata lei. La mia Isabella allegra e sfrontata, piena di entusiasmo e voglia di fare. La mia Isabella vincolata da troppe catene. Ribelle, audace, convinta, ingenua, dolcissima, fragile, meravigliosa. E mia, soltanto mia.
Isabella.....

"Credo proprio di.....Oh, al diavolo! Ti amo, Isabella!" - Mormorai dunque, stringendola a me.

Non avrei  mai trovato il coraggio per confessarlo se fosse stata sveglia.
Ancora una volta, quindi, la notte era stata dalla mia parte: mi supportava sempre, anche nelle dichiarazioni d'amore che non avrei saputo fare altrimenti.








POV BELLA



Fui costretta a svegliarmi, mio malgrado, allorché la luce del giorno inondò prepotentemente la stanza.
I miei poveri occhi, infastiditi, reclamarono ancora un po' di riposo. Ma ormai era troppo tardi: stavo lentamente prendendo coscienza di me stessa.

Mugolai irritata quindi, rigirandomi nel letto e sperando di poter ricadere vittima di Morfeo appena avessi trovato una nuova, comodissima posizione.
Alla fine mi arresi all'evidenza: ero completamente sveglia.

Ma, dopotutto, non doveva trattarsi di un fatto così negativo.
Non se ad attendermi all' inizio del mio nuovo giorno c'era lui. Il mio ragazzo.



"Edward...." - Chiamai a voce bassa, tenendo ancora gli occhi chiusi.

Nessuna risposta.

Perplessa, tastai il letto alla ricerca della sua mano. Tutto ciò che ritrovai, però, fu null'altro che un foglietto spiegazzato a poca distanza da me.

Stropicciai ben bene gli occhi prima di dedicarvi la mia attenzione.


"Buongiorno Bella Addormentata.
Se stai leggendo questo biglietto vuol dire che avrai dormito a lungo...E che non mi avrai sentito andar via.
Sono le cinque passate. Devo scappare, fra poco tua madre si sveglierà.
Conosco la strada fino alla porta sul retro, quindi stai tranquilla...Per quando ritroverai questo mio messaggio sarò già approdato a Brixton senza danni.
Ti auguro una giornata meravigliosa.
Ci vediamo presto.

I'll miss you
Ed."



Sospirai ripiegando con cura quel foglietto. Portava con sè il profumo del mio Edward ed il ricordo del suo sorriso. Me lo immaginai nella penombra dalla mia camera, intento a scrivere il suo messaggio con aria felice e sorrisi anche io, ricadendo sui guanciali.
Sapeva essere molto più dolce di quanto volesse mostrare, il mio musicista.
Il mio cattivo ragazzo.


Quel bigliettino pieno di premura riuscì a mitigare in parte la delusione di non essermi svegliata tra le sue braccia.
Dopotutto non si poteva pretendere troppo dalla buona sorte ed era già un miracolo che mia madre non avesse scoperto nulla della mia vita notturna parallela.


L'orologio segnava le sette e trenta del mattino.
Mi rigirai un po' nel letto, riluttante ad alzarmi: percepivo ancora il calore del corpo di Edward tra le morbide coltri. Per quel giorno era tutto ciò che mi restava di lui e non volevo abbandonarlo.

Tuttavia fui costretta a farlo nel medesimo istante in cui, senza alcun preavviso, mia madre si affrettò a spalancare la porta della mia stanza.
Doveva essersi mossa tanto in fretta da non permettermi neanche di afferrare il rumore dei suoi tacchi fuori dall'uscio. O forse, semplicemente, i miei sensi erano ancora ovattati per il sonno e per il troppo amore.

"Isabella! Stai ancora dormendo.."
"Buongiorno anche a te, mamma!" - Mugugnai schiacciandomi un cuscino sulla faccia.
"Sbrigati!" - Tirò via le lenzuola, scontrosa. - "...Miss Headon è di sotto che ti aspetta...e tu sei ancora in pigiama!"
"Chi diavolo è adesso questa Miss Headon?!" - Strepitai lanciando il guanciale sul pavimento.


Mia madre, che nel frattempo si era allontanata nuovamente in direzione della porta, tornò a voltarsi rivolgendomi un sorriso disarmante.
Suadente perfino. E terribilmente soddisfatto.


"La tua governante per i prossimi quaranticinque giorni." - Concluse infine, lapidaria.


Dannazione!




*



"Isabella è sempre stata una ragazza assennata, Miss Headon.."
"Mi chiami pure Odette..."
"Odette, certo...Altro zucchero?"
"Sì, grazie..."

Mia madre annuì e, poggiando delicatamente la sua tazza sul tavolino in legno, si allungò per afferrare la zuccheriera poco distante da lei.
La osservai standomene in religioso silenzio, dritta e composta. Beth, accanto a me, si comportava allo stesso modo.

"Lo preferisce dolce il tè, Odette..."
"Sì, gradisco i sapori forti..."
"Sarà un retaggio delle sue origini francesi?"
"Non saprei, Miss Swan. Tuttavia a mia madre non è mai venuto il diabete solo perchè è nata a Parigi. Di conseguenza.."

Soffocai una risata con grande fatica di fronte all'espressione esterefatta di Renèe.
Beth pure tossicchiò, guardandomi con la coda dell'occhio.

Se soltanto fossimo state noi due da sole avremmo davvero riso a crepapelle.


Diamine, quella benedetta Miss Headon aveva davvero la risposta pronta!
Un bel tipo, ovviamente, se si dimostrava in grado di tener testa a mia madre così facilmente.
Questa consapevolezza mi indusse ad un sorriso e, d'altro canto, mi costrinse ad una triste riflessione sul futuro prossimo che mi attendeva: se mostrava tanta risolutezza con quel generale nazista che era Renée Watson, come si sarebbe comportata con me?

La osservai un po' questa Miss Headon.
Poteva avere sui quarant'anni o forse più e tutto ciò che sapevo di lei era che fosse francese per parte di madre.
Aveva un' aria austera, quasi arrogante; gli occhi erano grandi e scuri, il naso leggermente aquilino, la bocca pronunciata. Non poteva esser definita "bella" ma conservava un fascino antico che la faceva apparire interessante per quanto sacrificata in abiti troppo rigorosi persino per una donna della sua età.

Per un attimo soltanto il suo sguardo s'incrociò con il mio ed io rabbrividii per quanto risultasse essere severo e risoluto.
Quella donna metteva soggezione, senza mezzi termini.


"Bella..." - Bisbigliò Elisabeth - "Com'è strana questa signora..."
"Sssh..." L'ammonii io, troppo preoccupata che potesse afferrare le nostre parole. Ma, ovviamente, pensai che avesse ragione. Fin troppa.


"Le dicevo, Odette...Isabella..."
"Sì, Isabella Marie..."
"Esatto...Beh, vede...è sempre stata una ragazza assennata e giudiziosa. Ma ultimamente ha smarrito un po' la via e mi sta dando molte preoccupazioni."
"Certo, certo...è l'età."
"Lo spero bene. E conto su di lei, Odette, affinché mia figlia possa ritrovare ben presto il lume della ragione, riprendendo a studiare seriamente ed impegnandosi per il proprio futuro. Gliel'affido sino a metà Settembre. La prego di farmi trovare una Isabella nuova, al ritorno."

Miss Headon annuì ed io mi sentii uno straccio.
Parlavano di me come se non fossi stata presente. Come se fossi stata un oggetto inanimato, semplicemente.
Braccata dalle mia stessa madre e dalle sue paranoie inutili nei miei confronti, sentivo che non c'era più via di fuga per me.

Mi chiesi quanto fosse stata dopotutto geniale l'idea di restare a Londra, viste le premesse.

"Ho molta fiducia in lei, Odette. Non tradisca le mie aspettative."
"Assolutamente no, Miss Swan. Isabella ormai è nelle mie mani e le assicuro che nella mia carriera di istitutrice non ne ho sbagliata una.  Il cambiamento sarà evidente: potrà vederlo lei stessa, al suo ritorno."


Odette Headon puntò i suoi occhi scurissimi su di me e l'aria venne inevitabilmente a mancarmi.
Le sue ultime parole sapevano di minaccia.
Cos'avrei dovuto aspettarmi in realtà da quei quaranticinque lunghissimi giorni in sua compagnia? Dopo un discorso del genere non mi sarebbe parso tanto impossibile essere incatenata nello sgabuzzino o in soffitta, a dirla tutta.


Deglutii a fatica mentre Beth mi guardava preoccupata.

"Bells?" - Domandò in un sussurro. - "Hai paura?"
"Sì." - Confermai un po' stupidamente.




*



Il giorno seguente a quell'incontro i miei genitori e la piccola Beth si decisero infine a partire per le loro vacanze estive, destinazione St.Martin's.
Quando la mia sorellina mi salutò, sull'uscio di casa, gettandomi le braccia al collo, mi vennero le lacrime agli occhi. Il suo abbraccio così forte fu un colpo al cuore: si trattava di un viaggio di piacere e lo stava vivendo come una condanna a morte. Se avesse potuto non mi avrebbe lasciata mai più e beh, francamente valeva lo stesso per me.
Mia madre fu costretta a staccarmela letteralmente di dosso e ciononostante Beth continuò a rivolgermi le sue promesse anche una volta che era stata bella che infilata in auto.

"Torno presto sorellina, te lo giuro. Torno prestissimo!"



Dio! Avrei impiegato giorni per metabolizzare la sua espressione avvilita.
Mi sentii un verme.


Papà, viceversa, si dimostrò maggiormente d'aiuto al mio umore: mi salutò, infatti, con un abbraccio più superficiale ed una pacca sulla spalla, all'americana.
Ma guardandomi negli occhi, con un rammarico malcelato, sussurrò infine:

"Ti mando una cartolina ogni giorno!"
"Arriveranno tutte per i miei quarant'anni, papà! Sai anche tu che il servizio postale di St. Martin's non è molto efficiente!" - Scherzai.
"Beh, meglio tardi che mai! Mi mancherai Bells."
"Anche tu..."
"Chi mi cucinerà le lasagne?"
"Vorrei poterti dire mamma ma...."
"...Credo che non lo farà." - Concluse lui, voltandosi a guardare Renèe alle prese con le valigie. - "Comunque sia...riguardati. Soprattutto dall'orco!"

L'orco altri non era che Miss Headon la quale seguitava ad osservare
, rigida ed impaziente, la nostra scenetta familiare dalle grandi scale che conducevano al primo piano.
A Charlie, sin da subito, non era piaciuta neanche un po'.


"Lo farò papà, sta' tranquillo..."
"Dannazione!" - Sussurrò ancora, trattenendomi per un braccio - "Non avresti potuto impegnarti un po' di più a scuola? Se l'avessi fatto non sarei costretto ad abbandonarti ora nelle mani di Hulk!"
"Dio! Conosci anche Hulk?"
"Per chi mi hai preso, figlia impertinente!"

Risi con lui.

"Per quest'anno è andata così, papà. L'anno prossimo sarà diverso. Goditi le vacanze, nel frattempo... io vi aspetto qui."

Sospirò.

"D'accordo. Ma bada a te stessa, per favore, e fammi stare tranquillo! Adesso vado, prima che tua madre combini qualche disastro con i bagagli."
"Ok..."

Annuii e lui si allontanò, salutandomi con un occhiolino.


Infine, toccò a mia madre.

"Isabella....mangia in orario. E non far disperare Odette."
"No, mamma."
"Studia, per favore. Il prossimo sarà il tuo ultimo anno e non ammetto altri voti bassi."
"Sì, mamma."
"Per il nostro ritorno pretendo che tu abbia scelto il corso universitario che più ti aggrada. E ti pregherei di evitare Filosofia."
"D'accordo, mamma."
"Potrai vedere Angela dalla settimana prossima ma soltanto a casa nostra ed in orari prestabiliti. Odette ti illuminerà a riguardo."
"Va bene mamma."
"Niente telefono in camera. Per qualsiasi cosa rivolgiti sempre ad Odette."
"Ok.."
"Ok?"
"Sì, mamma."
"Bene. Ci rivediamo a Settembre. Buone vacanze."


Soffocai un grugnito di fronte all'ironia crudele di quell'augurio. Trovai perfino la forza per ricambiare il suo fugace bacio sulla guancia.


Quando vidi partire in gran fretta la nostra auto - una lussuosa Bentley nera del 1975 - il cuore si strinse in una morsa: dopotutto si trattava della mia famiglia e non eravamo mai stati separati così a lungo.
Soprattutto, non ero mai stata in mani estranee per oltre un mese. E certo lo sguardo glaciale di Miss Headon non mi era d'aiuto nel sedare le mie ansie.

Da lontano potei osservare ancora il bel faccino della mia Beth incollato al vetro posteriore dell'auto.
Continuò a salutarmi fin quando non sparì dal mio campo visivo allorché l'auto fu inghiottita dal traffico perenne di Londra.



"Isabella?"

Sussultai al suono del mio nome.

"Miss...Miss Headon!"

Mi rivolse un'occhiata indifferente.

"Sono qui per pregarla di raggiungermi in salotto. Tra poco sarà servito il pranzo."
"....Oh....D'accordo...Sì, certo..."


Sospirai mentre la sua figura si allontanava verso l'ingresso.
Per un attimo soltanto la mia stupida testolina aveva sperato che il suo intervento fosse stato dettato dalla preoccupazione, dalla commozione nello scoprirmi, nonostante tutto, dispiaciuta a causa di quella partenza.
Mi ero illusa che avesse voluto offrirmi una parola di conforto, una spalla amica su cui piangere e sostenermi.

Ed invece era venuta soltanto ad illuminarmi sul pranzo imminente.



Da Renèe Watson ad Odette Headon.
Un gran passo avanti davvero, Bella, complimenti!



*


Le tragicomiche avventure di Isabella Swan e Tutankhamon, volume uno.


Ecco il titolo che avrei dato alla prima settimana di convivenza con Miss Headon - Tutankhamon, per l' appunto - se si fosse trattato di un libro.


Non stavo esagerando: poco mancava che sbattessi davvero la testa al muro per la disperazione.
Miss Headon era diventata il mio incubo peggiore...Ancora più di mia madre.

Quantomeno Renèe aveva le sue faccende da sbrigare nel corso della giornata, le partite di bridge, le amiche da incontrare e spesso era fuori casa proprio grazie a tali impegni.
Miss Headon, viceversa, non aveva nulla e nessuno al di fuori di me.

Neanche un'anima pia che le telefonasse o la invitasse a prendere un tè fuori. Tutto ciò che aveva da fare era prendersi cura della signorina Swan ed, ovviamente, si dimostrava estremamente ligia al dovere e rispettosa delle condizioni imposte da mia madre.

Cosicché alle sei e mezza del mattino - ogni mattino - veniva a tirarmi giù dal letto senza alcuna pietà e con mezz'ora d'anticipo rispetto all'orario estivo generalmente impostomi da Renée. Mi costringeva ad una doccia fredda - perchè tempra corpo e spirito - e, successivamente, ad una colazione abbondante di proteine - perchè sono assolutamente più salutari dei carboidrati, signorina Swan -  mentre io, notoriamente, detestavo uova, pancetta e salsicce.
Dopodiché l'agendina quotidiana, con mio sommo gradimento, si riempiva di lezioni di ogni specie: storia, letteratura, arte, scienze e....francese.
Francese che non avevo mai studiato sino ad allora e per il quale provavo un'avversione naturale. Ma Miss Headon era nata a Parigi e questo, probabilmente, doveva aver costituito l'ennesimo motivo che aveva spinto Renèe a sceglierla come istitutrice: gradiva l'idea che imparassi una nuova lingua.
A tutto questo programma, già di per sé straziante, seguiva un pomeriggio a base di tè delle cinque e lezione di pianoforte. Chiudeva la giornata una magra cena fatta di verdure miste, zuppe disgustose e qualche frutto servita intorno alle sette - perchè un pasto scarno è ciò di cui il corpo ha bisogno per un buon riposo notturno - ed alle otto e mezza della sera ero già a letto. Paradossalmente, l'idea di dormire con le galline costituiva l'ultimo dei mali, sulla lista nera delle cose che odiavo fare. Anche perchè, a fine giornata e dopo aver trascorse ore interminabili con la testa ciondoloni sui libri, ero davvero distrutta.


Il problema reale era l'impossibilità di godere di un minimo di tempo libero.
L'impossibilità di uscire anche solo per cinque minuti, distrarmi, scambiare quattro chiacchiere. Del resto Miss Headon si defilava, sotto questo punto di vista, ed oltre che parlarmi del cibo e dello studio non apriva mai bocca con me.
Sembrava aver perso tutta la brillante favella sfoggiata con mia madre nei giorni precedenti. Evidentemente - e molto semplicemente, tra l'altro - non doveva aver trovato molto piacere nel conversare con la sottoscritta.

Amen.


Per quanto riguardava il resto del mondo, al di fuori di Miss Headon, beh....ero davvero out.
Avevo sentito Angela una sola volta, al telefono, ed ero stata davvero sul punto di supplicarla di tirarmi fuori da quella prigione. Ma Miss Headon era nei paraggi ed alla fine avevo desistito, troppo preoccupata che ogni sillaba della conversazione potesse giungere, tramite la sua intermediazione, alle oreccie di mia madre.
Cosicché le avevo risposto a monosillabi, fingendo una calma che non avevo. Nonostante ciò Angie aveva captato perfettamente la situazione, cosicché la nostra conversazione si era conclusa con una frase che aveva più o meno rinfrancato le mie speranze:

"Ho capito Swan, sei nella merda. Tranquilla, prima o poi ti tiro fuori di lì. Anche perchè ti ci ho ficcato io e devo sdebitarmi!"


Analogamente, da quasi una settimana non vedevo Edward.
Una volta soltanto - la notte della partenza dei miei genitori - si era presentato sotto casa secondo le nostre ormai consolidate modalità, utilizzando qualche sassolino per bussare alla mia finestra ed attirare la mia attenzione.
Avevo risposto in gran fretta alla sua chiamata, pregandolo di far silenzio.
Infine l'avevo liquidato a malincuore:

"Edward, ti avviserò tramite Angela quando potrai venire! Adesso non è il momento, ti prego!"



Non conoscevo le abitudini di Miss Headon. A quell'ora della sera ero sempre stata certa che mia madre fosse già vittima di un sonno profondo e, pertanto, non mi ero mai preoccupata delle incursioni di Edward. Ma Odette, per quanto ne sapevo io, poteva benissimo soffrire d'insonnia e non chiudere occhio una notte intera senza risentirne. In quel caso avrebbe potuto scroprirci con estrema facilità e riferire tutto a Renèe. Non avrei potuto rischiare.

Cosicchè, con estrema fatica, ero riuscita a convincerlo a fare dietro - front fino a Brixton.
All'inizio Ed aveva protestato. Infine, aveva acconsentito ad abbandonarmi piuttosto riluttante ed abbastanza deluso.

Inutile dire che avevo pianto per ore dopo aver visto la sua figura scura allontanarsi lungo Queensgate.

Da quel giorno non gli avevo più fatto recapitare alcun messaggio. Odette continuava a restare un mistero per me e io continuavo a non voler sfidare la buona sorte, per cui mi trincerai dietro il mio silenzio. Angela fu l'unico punto di forza, anche in questo caso, poiché parlò per bocca mia con Edward e lo tranquillizzò sul mio stato di salute, fisica e mentale.


In realtà c'era ben poco da tranquillizzare: stavo per dare di matto.


Al culmine della disperazione, all'alba dell'ottavo giorno di convivenza forzata, girovagavo per casa senza uno scopo preciso; depredata di qualsiasi energia, non riuscivo neppure a prepararmi mentalmente alle successive ore di prigionia che avrei dovuto affrontare, quando decisi di tornarmene in camera mia e fingere un malore improvviso: almeno, per un giorno, forse avrei raggirato l'ostacolo studio.

Ma, giunta all'ingresso della stanza, fu grande la sorpresa nel constatare la presenza di Odette accanto al mio letto.
Era impegnata nelle faccende domestiche e d'accordo....ma che diavolo ci faceva con Nevermind the Bollocks in mano, cazzo?!


"Miss...Miss Headon?"

La voce mi uscì in un soffio, troppo preoccupata per la sua reazione. Con la mente ero già proiettata nel convento di carmelitane scalze dove mi avrebbe rinchiusa Renèe per il resto dei miei giorni. Sì, ok, mamma era anglicana ma insomma...finché le suore si fossero prestate alle sue necessità andavano bene anche gli ordini religiosi cattolici pur di tenere a bada la sua figlia ribelle.

Miss Headon, tuttavia, non rispose. Non subito, almeno.
Mi guardò, piuttosto, con un'espressione a metà tra lo sconcerto ed il disappunto.

Mi parve quasi frastornata, tra l'altro.

"Ecco..." - Mi rimproverai mentalmente- "...Me la sono giocata alla grande! Adesso dirà a mamma che ascolto gente maledetta, che odio la Regina. Magari che mi drogo pure....Mamma mi caccerà di casa! Idiota, avrei dovuto nasconderlo meglio quel coso!"


"Odette...?" - Ripetei quindi allarmata.


La donna, finalmente, tornò in sé.


"Isabella...." - Mormorò. - "Isabella, che ci fai con questo....questo disco sotto il letto?"


Merda.


"Ecco io...Vede Odette...Sarebbe...Io..." - Non infilai una sola parola giusta in tutto il discorso. Piuttosto, continuai a torcermi le mani in maniera decisamente infelice.

Non volevo andarci al convento delle carmelitane!

"Io..."
"A me piacciono da impazzire i Sex Pistols!" - Esclamò allora a sorpresa, precedendomi.


"CHE COSA??"

La saliva mi andò di traverso e cominciai a tossire vistosamente.


"Isabella? Tutto bene?"
"Coff! Coff!"
"Isabella?!"
"Tu...tutto ok, Odette! Potreste....ecco...ripetermi quel che avete appena detto?"
"Mi piacciono i Sex Pistols, Miss Swan!"
"Oh...!"

Mi accovacciai per terra lentamente, scivolando lungo lo stipite della porta.


"Adesso credo di poter anche morire." - Sussurai portandomi una mano al cuore.


La situazione mi parve decisamente grottesca. E terribilmente comica.

Odette si affrettò a raggiungermi, sempre senza mollare Nevermid the Bollocks.

"Isabella! Non sta bene?" - Domandò allungando il viso verso di me.
"Credo di essere, ecco...un tantino confusa..."

Sorrise seducente.

"A questo punto anche io. Potreste rivelarvi una sorpresa, per me, Isabella...E se le mie supposizioni sono giuste beh....si tratterà di una sorpresa piacevole!"


Mi guardò soddisfatta.
La ricambiai confusa.


"Abbiamo un bel po' di cose di cui parlare, direi! Questo disco non è l'unica cosa stravagante che abbia scovato ripulendo questa stanza ...Mi spiegherà anche il perchè di quella maglia tagliuzzata?" - Domandò ironica indicando in lontananza, poggiata sul letto, la maglia che avevo acquistato con Edward a Camden Town.

Oh - oh.

Sbuffai nervosa, pronta a dire davvero addio al mondo.
Quanto tempo avrebbe impiegato Odette per raggiungere in qualsiasi modo mia madre e metterla a parte del mio segreto?
Un'ora? Due? Forse anche un giorno intero ma prima o poi l'avrebbe fatto.
Ed ok, avrei dovuto cominciare ad abituarmi all'idea che le suore carmelitane sarebbero state l'unica compagnia di cui avrei goduto per i prossimi vent'anni.


Tanto valeva parlare. Ed anche un po' sfogarmi.
Un addio al mondo in grande stile, a dirla tutta. Mi chiesi se avessi potuto almeno salutare la mia migliore amica ed il mio ragazzo prima di sparire.

Presi coraggio.

"D'accordo, Odette. Si metta comoda. Ho un sacco di cose da dirle. E' inutile girarci intorno, tanto vale parlare, a questo punto..."

Miss Headon annuì e mi aiutò a rialzarmi. Quindi, insieme, ci accomodammo sul vicino divano.

Fu allora che mi decisi ad aprirmi totalmente. Forse una confessione spontanea sarebbe valsa come attenuante e magari avrei evitato l'ergastolo.










Certo non avrei potuto mai aspettarmi, dopo più di un'ora di chiacchierata, una simile reazione.
Altro che carcere a vita!

Odette mi lasciò via libera.
Quel pomeriggio stesso tornai a Brixton da Edward.










Ciao a tutte ragazze e bentrovate!
Innanzitutto grazie come sempre a tutte voi che mostrate il vostro amore nei confronti della mia storiella...Io, Edward (rockstar) e Bella vi ringraziamo davvero dal più profondo del nostro cuore!
Grazie ai lettori silenziosi, a chi segue, ricorda, preferisce...E grazie alle 9 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, ovviamente! E' sempre bello leggere i vostri pareri e scambiare idee e riflessioni con voi...Tra l'altro vorrei dire, a chi non si esprime di solito: se siete timidi beh...Eliminate quest'imbarazzo inutile! Io sono pronta a ricevere sia critiche positive che negative e mi piace parlarne con voi :)
Detto questo, ed a tal proposito, vorrei ringraziare la mia dolcissima Jazzina_94 (leggete le sue storie, sono bellissime! :D) per aver creato quest'abbigliamento da "passeggiata per Camden" per la nostra Bella! :)
Grazie amor, sei sempre così affettuosa! :**
Polyvore

Detto questo...Niente in particolare da aggiungere...Tutti i nomi dei personaggi dei fumetti che ho inserito in questo capitolo sono antecedenti al 1978, per cui sono stata attenta!;)
E per quanto riguarda Nevermid the Bollocks, ricorderete che l'ho già citato in questa storia...Si tratta del primo (ed unico) album in studio dei Sex Pistols, datato 1977...Vi ho mai detto che lo amo? *___*

Vi lascio con la canzone che da il titolo alla mia storia... My Ugly Boy degli Skunk Anansie..."Ugly"è un termine inglese che sta per "sgradevole", "brutto"...Io gli do una traduzione molto più ampia (e decisamente personale), intendendolo come "cattivo"...Il cattivo ragazzo di cui parla Isabella e che è, ovviamente, il nostro Eduardo! ;)
Credo di aver detto tutto...Passo a rispondere alle recensioni!
Spero che vi divertiate a leggere questo capitolo così come mi sono divertita io a scriverlo...soprattutto il pov Bella! ;)
A presto
Matisse!




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Capitolo 15
*** Cap. 15 ***


ed15

My Ugly Boy














Allora, ragazze...Buongiorno. :)

Vi piace la foto qui sopra? C'è un motivo ben preciso per cui ho scelto di iniziare il capitolo proprio con questa.
E' una foto allegra in cui Robert e Kristen appaiono felici, spensierati. Pieni di voglia di divertirsi e godersi la vita (tra l'altro adoro questo servizio fotografico)...e l'ho inserita è per rassicurarvi: non ci sarà alcun litigio tra i due, nessuna nuvola sul loro amore, anzi. E non soltanto in questo capitolo ma anche nei prossimi.
Certo, non vi assicuro la felicità eterna ed i problemi ci saranno in futuro, eccome. Però...per il momento potete stare tranquille! :)
Lo dico perchè in molte, nelle recensioni al capitolo precedente, erano preoccupate per quello che sarebbe accaduto tra i due una volta che Bella fosse stata "liberata" da Miss Headon. Gioite, l'amore trionfa! ;D
Detto questo vi lascio al capitolo, ci sentiamo dopo.
Matisse.














POV BELLA





"Ti scotterai.."
"Non ho mai sentito di nessuno che s'è buscato un' ustione prendendo il sole sul Tamigi.."
"Bella? Sei seduta qui da un'ora...Te la beccherai eccome e dopo ti piagnucolerai come una poppante."
"Ti dico che è impossibile. Il sole di Londra è scialbo, non scotta. Ed io voglio godermelo, una volta tanto che c'è."
"Il fatto che tu non sia a conoscenza di casi di grandi ustionati qui in centro città non significa che nessuno si sia mai scottato. Alzati."
"Edward?"

Sollevai una palpebra, lanciandogli uno sguardo truce.

"Che c'è?"
"Ti stai annoiando. Dì la verità...Non sei preoccupato per me...ti sei soltanto stufato di star qui seduto."
"No,non è vero."
"Sì che lo è. Stai girando in tondo da dieci minuti. Ti stai annoiando. Beh, arrangiati. Io resto qui."
"Non mi sto annoiando! Sto parlando per te, ingrata!"
"Puff!"


Tornai a chiudere gli occhi, rivolgendo di nuovo il viso in direzione di quel sole stranamente caldo e luminoso che brillava su Londra.

Edward non rispose. Non subito almeno.
Ma sapevo che non l'avrebbe chiusa lì: raramente accettava una "sconfitta".

Tuttavia mi aspettavo qualcosa di molto meno fisico da parte sua cosicché lanciai un urletto piuttosto comico quando mi resi conto che le sue braccia mi avevano afferrata di tutta forza, sdradicandomi letteralmente dalla bella panchina sulla quale mi stavo divertendo a fare la lucertola al sole. Era decisamente pronto a trascinarmi chissà dove e chissà quanto lontano.


"EDWAAARD! Lasciami!!" - Strepitai mentre lui, ridacchiando, mi stringeva a sé incamminandosi a grandi passi lungo la passeggiata sul fiume. Lo colpii al petto più di una volta con i miei piccoli pugni, lanciando un'ultima, rassegnata occhiata alla panchina soleggiata che si allontanava velocemente. Il tutto, questo, mentre qualche passante incuriosito rideva, a sua volta, sia per la mia buffa performance che per l'aria terribilmente disinvolta con la quale Edward si divertiva a distribuire occhiolini e sorrisi a destra e a manca.
Sapeva essere terribilmente irritante, bisognava ammetterlo.


"Dove diamine mi stai portando, uomo crudele??"
"In nessun posto in particolare...Basta che la smetti di poltrire, sei attiva quanto un animale in letargo!"
"Mi stai dando dell'orso, forse?!"
"Sì, Amor mio.." - Rispose baciandomi i capelli prima di rimettermi in terra. Ci eravamo fermati proprio davanti la stazione della metro.

Per un attimo non risposi, troppo stralunata da quell'appellativo, "Amor mio", finito così improvvisamente nel discorso e pronunciato con una disinvoltura sconcertante. Come se lui, Edward, non avesse appena lanciato una bomba enorme.


"Bella?"
"A - amor mio?" - Domandai - "...Stai bene?"
"Benissimo! Perchè?"
"Perchè..."
"E' così ovvio, mi pare!" - Strizzò l'occhio, divertito. - "Sei il mio amore, Giulietta!"

Tirai fuori la lingua.

"Dunque, Amor mio..." - Lo scimmiottai non senza una punta di orgoglio e soddisfazione - "...dove vuoi portarmi? Mi hai praticamente vietato di fare quel che più mi piace. Devi darmi quantomeno un buon motivo per accettare tale imposizione."


Si appoggiò con fare estremamente rilassato al vicino lampione.
Stava per spararla grossa, me lo sentivo.


"Andiamo a Brixton. Ti va?"
"A Brixton?" - Grugnii delusa.
"Già."
"Con questo sole?"
"Perchè, se c'è il sole non ci si può andare?" - Rispose sconcertato.
"Ma stiamo così bene qui!"
"Bella..."
"Se proprio dobbiamo spostarci andiamo a fare shopping...!"
"Cristo!" - Sbuffò - "Sei proprio una bambina viziata! Forza, muoversi....Mi scoccia perdere il treno!"

Mi afferrò per un braccio, ridacchiando, mentre io continuavo a starmene con la mia faccia imbronciata.

"Capirai! Tanto ne passa uno ogni due minuti..." - Bofonchiai offesa.




Dieci minuti dopo, tuttavia, il malumore era già scomparso. Edward mi aveva solleticato i fianchi ed aveva fatto qualche battuta crudele su alcuni passanti dall'aria particolarmente annoiata ed il vestiario degno di un quadro medievale ed a me era venuto inevitabilmente da ridere.
Sapeva essere terribilmente irriverente ed io non sapevo resistergli. Tra l'altro ero davvero esagerata a volte: dopotutto, il mondo intero era bello se Edward si trovava al mio fianco. Brixton, Westminster, Covent Garden, Portobello... Faceva poca differenza. Un posto valeva l'altro, purché lui si fosse stato accanto a me.

Cosicché tolsi quella smorfietta dispettosa dal mio bel faccino e tornai a rivolgergli il sorriso più sincero e luminoso che potessi sfoggiare dal mio personale campionario.
Edward, soddisfatto della vittoria conseguita, rispose allargando le braccia e per tutto il tempo del nostro breve viaggio me ne stetti comodamente accoccolata sul suo petto.


"Credi di poterti trattenere fuori, oggi? O è un problema per la tua governante?"
"Chi, Odette? Ma scherzi! Non ricordi? Oggi è giovedì ed è il nostrogiorno libero. Non si studia, non si lavora. Tra l'altro, Odette sarebbe uscita con un'amica nel pomeriggio...Quindi sta' tranquillo, è davvero tutto okay."
"Allora è una tipa a posto? Niente giochetti strani?"

Scossi la testa sorridendo.

"Non c'è trucco, non c'è inganno...Odette è una donna fantastica, sul serio!"


Non mentivo e non m'illudevo: Odette era davvero la migliore istitutrice che avesse mai potuto capitarmi.


Ripercorsi, con la mente, gli avvenimenti accaduti soltanto una settimana prima allorché Miss Headon - ossia Odette e non più Tutankhamon, così come l'avevo inizialmente apostrofata con molto poco garbo - aveva ritrovato il mio disco dei Sex Pistols nascosto sotto il letto, tra scartoffie inutili e scatole di ricordi.

In pochi istanti, lo spavento iniziale era stato sostituito da uno senso di stupore difficile da descrivere.

Odette mi aveva confessato senza remore, infatti, come anche lei fosse ufficialmente innamorata dei Sex Pistols. Come adorasse il punk, in generale.

E quando, sedute al divano della mia camera, le avevo confessato, riferendomi al disco: "lo tengo nascosto lì per paura di mamma!", aveva allungato una mano verso di me, arruffando affettuosamente la mia chioma bruna.

"Sta' tranquilla" - Aveva risposto dolcemente, portandosi l'indice della mano destra alle labbra - "Nessuno lo dirà a Miss Swan!"

E così avevamo cominciato a chiacchierare, come mai era accaduto in quella lunga settimana assieme. Soltanto in questo modo avevo scoperto che Miss Headon si era fatta, inizialmente, un'idea del tutto sbagliata di me.

"Pensavo fossi la solita ragazzina di buona famiglia, viziata e capricciosa, che un giorno decide di creare un po' di scompiglio per noia e forse per dispetto." - Aveva confessato - "..Ed invece....Credo di non sbagliarmi nel vedere in te soltanto un uccellino che non riesce a spiccare il volo. Una giovinetta insulsa e superficiale neppure saprebbe cos'è il punk!"

Avevo riso con lei, quasi commossa.

"Sai...Quel tipo di ragazze lì...Beh, non le tollero. E le rimetto in riga con i metodi che tu stessa hai conosciuto in questi giorni. Lo so, sono stata crudele!"
"Un po'..." - Avevo ammesso ridacchiando.

"...Vorrei darti una possibilità, dunque. E non vorrei tradissi la mia fiducia."

Il cuore aveva preso a battermi furiosamente nel petto mentre da lontano, come un'oasi nel deserto, contemplavo la speranza, forse non più vana, di ritrovare la mia libertà.

"Non lo farò, Miss Headon. Lo prometto solennemente."

"Bene...Dunque...Ti andrebbe se allentassi un po' la presa?"
"Nel senso che..?"
"Che continuerai a studiare e comportarti adeguatamente...Ma di tanto in tanto potrai tornare ad uscire e vedere le tue amiche. Magari anche il tuo ragazzo...Ce l'hai un ragazzo, Isabella?"

Per la prima volta aveva pronunciato dolcemente il mio nome e, nello stesso istante, chissà per quale strano motivo, avevo deciso di fidarmi di lei.
Aveva occhi grandi e sinceri: sapevo che non avrebbe mentito.
Per cui le avevo fatto cenno di sì, con la testa.

"E come si chiama?"
"Edward."
"E' un tuo compagno di scuola?"

Avevo scosso la testa.

"No. Un musicista."
"Oh, un musicista! Che meraviglia, brava Isabella...D'accordo allora...Per oggi è libera uscita... Corri dal tuo musicista!"

Ero scattata dal divano in mezzo secondo lanciando un urletto di gioia degno di una tredicenne.
O forse neanche Beth sarebbe arrivata a tanto
Fatto sta che, presa dall'entusiasmo e da un moto incontrollabile di gratitudine, ero finita col gettare un po' comicamente le braccia al collo di Miss Headon la quale, ridacchiando, aveva ricambiato con qualche buffetto gentile sulle spalle.

"D'accordo, d'accordo...Ma adesso vai, su...Prima che cambi idea!" - Aveva ironizzato con voce fintamente burbera.

Cogliendo al volo le sue parole avevo afferrato di corsa giacca e borsa ed ero già lanciatissima lungo le scale quando una domanda si era fatta strada in me.
Una domanda che esigeva assolutamente una risposta.

"Odette....com'è che le piace il punk?!"

Odette aveva riso di gusto, sporgendo la testa dalla porta d'ingresso della mia stanza.

"Isabella! Per chi mi prendi? Ho quarant'anni, non ottanta!"
"Ops! No, non intendevo...è che..."
"Ti svelerò un segreto..."
"Cosa?"
"Nove anni fa io ero a Woodstock, mia cara!"



Di fronte ad una tale rivelazione avevo davvero perso la lingua.
Beh, quella aveva rappresentato, per me, la prima, lampante prova del fatto che non bisognerebbe mai fidarsi delle apparenze.







"Bella?"

Edward mi carezzò il braccio, scuotendomi dal vortice personale di pensieri e ricordi in cui mi ero imbrigliata.

"Siamo arrivati?" - Risposi confusa tornando alla realtà mentre, dall'altoparlante, una voce femminile ripeteva la sua cantilena:
"Next station: Brixton. Please mind the gap between the train and the platform..."


"Direi di sì...Andiamo?" - Mormorò gentilmente prendendomi per mano.

Annuii e mi lanciai con lui nel marasma di gente che affollava la metropolitana a mezzogiorno.
All'esterno mi accorsi, con disappunto, che una nuvoletta fastidiosa stava oscurando il sole. Lanciai un'occhiataccia ad Edward.

"Ehi, non c'entro niente io!" - Si giustificò con un'alzata di mani.
"A Brixton non c'è il sole...Avevo ragione io!" - Commentai acida, tirando fuori la lingua.
"Devi sapere..." - Scherzò cingendomi i fianchi da dietro e sussurrandomi suadente alle orecchie - "...Che qui siamo tutti vampiri..."

Mi addentò il collo ed io avvampai per l'imbarazzo.

Lo sentii ridere alle mie spalle mentre lasciava la presa sul mio corpo.

"Per questo non c'è il sole! Altrimenti ci bruciamo!"
"Simpatico..." - Commentai appena e soltanto per stemperare la mia agitazione dopo quel gesto.

Mi massaggiai il collo ed Edward mi prese in giro, indicandomi.

"Oh avanti! Non ti ho fatto niente!"
"Così ti pare...Sai essere violento se vuoi..."
"Mmh..."
"Si può sapere perchè siamo venuti qui a Brixton?"
"Perchè...perchè..." - Mormorò prolungando l'attesa e fomentando la mia curiosità. - "..Voglio presentarti una persona."
"Una persona?"
"Già..."
"E chi sarebbe? Ormai conosco tutti! Alice, Jasper, Emmett, Rose...persino Marla, purtroppo!" - Lo guardai perplessa per un po' mentre mi rivolgeva quel suo sorrisetto sghembo assolutamente dispettoso - "Oh no..."
"Che c'è?"
"No Edward...Non avrai mica intenzione di..."
"Cosa?" - Rispose ma rideva. Davvero una bella faccia da schiaffi!
"Non è possibile...Non oggi...Non sono pronta...E sono vestita ...così!" - Commentai indicando il mio abbigliamento molto casual e very Camden: la solita maglia sbrindellata (l'unica che avessi, in realtà..ne avrei dovuto fare scorta) accompagnata da un jeans vecchio e scolorito.
"Guarda che stai benissimo, non hai nulla fuori posto..."
"No...io...NO, Edward!"
"Quindi, non vuoi...Devo dedurre che non credi abbastanza nel potere del nostro amore?" - Mugolò con una vocina fasulla ma assolutamente tenerissima.

Dio, stava facendo leva sui miei sensi di colpa!

"Ma certo che ci credo...Però...!"
"Però?"
"Oh, Edward....Così, all'improvviso...Mi vergogno di conoscere tua madre! E se non dovessi piacerle?"



Mi osservò qualche istante, sorridendo.
Poi si avvicinò e, abbracciandomi, mormorò al mio orecchio:

"Io e mamma abbiamo gli stessi gusti, amore. Se piaci a me piacerai a lei. E sappi che sei assolutamente perfetta. Nessuno può resisterti quindi...Calma e sangue freddo!"



Avrei dovuto credergli?
Non so. Fatto sta che un quarto d'ora dopo eravamo a casa sua.

Maledetto! Sapeva sempre convincermi!






*





"Bella? Bella!!"

Alice non mi concesse neppure il tempo di superare la porta d'ingresso che già mi era corsa incontro gettandomi le braccia al collo.

"Ehi, stellina! Fa' piano!" - Commentai divertita.

Mi tornò in mente la medesima reazione della settimana precedente quando raggiunsi la vecchia ed ammuffita sala prove dei White Riot dopo aver ottenuto il consenso da parte di Miss Headon.
Mi avevano accolto tutti nel silenzio più assoluto, troppo sorpresi - persino lo stesso Edward - per dire o fare alcunché.
Tutti tranne la mia piccola Alice che aveva letteralmente urlato il mio nome riempendomi di baci e concludendo il tutto con un divertentissimo: "Sei libera!"


Sorrisi ancora una volta, accarezzandola.


"Che ci fai qui? Jazz! Vieni qui, ci sono Edward e Bella!"

Ovviamente non mi diede neppure un briciolo di tempo per risponderle, impegnata com'era a diramare la notizia della mia venuta al mondo intero.

Jasper rispose immediatamente al richiamo - certamente sapeva che far aspettare la sua fidanzata era l'ultima cosa da fare a meno che non si avessero particolari istinti autolesionisti - per cui, rapido, fece capolino dalla cucina, agitando la mano.

"Ciao ragazzi!" - Esclamò prima di infilarsi un gustoso ed enorme biscotto al cioccolato in bocca. Dopodiché sparì in fretta così com'era comparso.

"Buonasera folletto malefico!" - Ridacchiò Edward arruffando la massa scura dei capelli di sua sorella eri chiudendo la porta alle sue spalle.
"Fratellino.." - Sembrava essere piuttosto soddisfatta delle coccole, la piccola Alice.
"Siamo solo noi quattro?"
"No! C'è anche la mamma. Sai che oggi è il suo giorno libero....Anzi, venite in cucina, ha appena sfornato i biscotti!"

Alice mi afferrò rapida per il polso e riuscii appena a lanciare un'occhiata disperata ad Edward - che ricambiò con un sorrisetto divertito - prima di essere trascinata all'interno di casa Cullen.

Il buon profumo di biscotti era ovunque. Se pure Alice non vi avesse accennato l'avrei percepito immediatamente. E si mischiava con un aroma particolare, ed altrettanto meraviglioso, di fiori ed arance. Una combinazione stravagante ma per nulla spiacevole.
Aspirai a lungo quegli odori, chiudendo gli occhi: sapevano di buono. E di casa. Inoltre ebbero lo straordinario potere di calmare l'ansia che si agitava nel mio cuore.
Ma giusto per qualche istante: tempo di riaprire le palpebre trovandomi davanti la mamma di Alice ed Edward.

Miss Esme Cullen.


Mi sogguardò per qualche istante, sorpresa a sua volta della mia presenza, con i suoi meravigliosi occhi dal colore indefinito.
Topazio forse? Mah.
I capelli erano boccolosi e ben acconciati.
Appariva ancora molto bella, nonostante la stanchezza, gli impegni ed i dolori che la vita le aveva riservato ed adesso comprendevo da chi avessero ereditato tanto fascino e perfezione i fratelli Cullen.
Ma Esme aveva anche uno sguardo buono, da mamma dolce. E quando accennò ad un timido sorriso di benvenuto il mio cuore fu sul punto di sciogliersi.
Mia madre non aveva mai sorriso in quel modo. Mai. Neanche nelle migliori occasioni mondane.


"Ciao mamy.." - Edward mi superò, avanzando in cucina a passo spedito e schioccando un sonoro bacio sulla guancia sinistra di sua madre. Era altissimo rispetto a lei.
Esme gli carezzò il viso amorevolmente.
"Bambino mio..." - Rispose - "Non mi hai avvisato del fatto che avresti portato ospiti? Meno male che ho fatto i biscotti."

"Ce ne sono a quantità!" - Confessò Alice al mio indirizzo - "Ieri abbiamo guadagnato parecchie mance ed oggi si festeggia!"

A giudicare dalla foga con la quale il suo ragazzo se ne riempiva la bocca dovevano essere davvero buoni. Lo guardai perplessa: mi parve, per un attimo, di avere a che fare con Emmett piuttosto che col composto Jasper che avevo conosciuto io.


"Mamma ti presento Isabella." - Commentò Edward ad un certo punto.

Esme si ripulì la mano sul grembiule, prima di porgermela.

"Piacere, Isabella...Hai un bel nome."
"Bella andrà più che bene..."
"D'accordo...Io sono Esme, la mamma di questi due pazzi. Ma lo saprai già."

Sorrisi, annuendo.

"Edward, che bella amica che hai!" - Aggiunse infine, dolcemente. Edward approvò con un cenno del capo ma Alice fu molto più eloquente.

"Mamma, che amica... Sveglia! Bella ed Edward stanno insieme!"

Jasper tossì vistosamente agitando la mano per farsi passare un bicchiere d'acqua: l'ultimo biscotto gli era andato di traverso, evidentemente. Edward non pronunciò parola e, piuttosto, si voltò in direzione di sua madre che mi guardava ad occhi sgranati.

Io non ebbi reazioni. Non mi agitai, non fiatai nemmeno.
Ma dovevo aver l'espressione tipica di qualcheduno che avesse visto un fantasma poiché Alice venne a farmi aria con la mano.

"Oh, quante storie, avanti! Dormite anche insieme ed ora fate tutte queste moine?"
"ALICE!"

Stavolta persino la composta Esme tossicchiò sorpresa. Edward non apprezzò particolarmente gli sforzi di sua sorella per farmi accogliere in famiglia: le rivolse, piuttosto, uno sguardo truce.

"E dai, che problema c'è? Siamo quai negli anni Ottanta ormai, non vorremo essere ancora così bigotti?! Dove credi che vada il tuo figliolo quando non si ritira a casa, la notte?"

"Cristo, Alice..."
"Dai Ed...E' giusto che mamma conosca Bella..."
"E'....è così che vuoi farmi...conoscere?" - Mormorai appena, sconnessa.

"Oh beh...Sì, non importa. Non è accaduto nulla...nulla di grave. Vuoi ...Intendo...gradisci un biscotto, Bella?" - Esme parve riprendersi appena e non aveva certamente dimenticato le sue maniere da brava padrona di casa. Apprezzai sinceramente quel suo tentativo di stemperare l'atmosfera, nonostante i colpi bassi appena ricevuti, in un momento in cui avrei voluto soltanto sprofondare mille miglia sotto terra.
Nonostante il suo sguardo tradisse ancora una certa sorpresa ed una buona dose di perplessità non voleva mangiarmi viva e questo era un punto a mio favore, ovviamente.

Chissà quante domande le frullavano in testa. Perché CERTAMENTE si era chiesta come suo figlio avesse potuto scaricare Marla da un giorno all'altro sostituendola con una perfetta sconosciuta. Ma ebbe la straordinaria decenza di non fare assolutamente riferimento a questo insignificante particolare e piuttosto riprese a distruibuire i suoi dolcetti tentando, addirittura, di canticchiare qualcosa nel mentre.

Io mi accomodai sulla sedia libera più vicina - o meglio, mi ci accasciai rivolgendo un'occhiata omicida ad Alice.
Ma l'interessata non colse le attenzioni che le avevo riservato o - se le colse - non me lo fece notare.

"E dunque..." - Riprese mamma Cullen con voce appena più sicura - "Come...come vi siete conosciuti, Bella, tu ed Edward?"
"Oh, sì...Ecco....io..Io ed Alice" - indicai quest'ultima, balbettando. - "Siamo...compagne di scuola."
"Ah! Quindi anche tu sei a semiconvitto? Abiti qui a Brixton?"

Edward, Alice e Jasper scoppiarono in una sonora risata. Il mio ragazzo faticò non poco per evitare di strozzarsi con l'ultimo biscotto appena addentato.

"Semiconvitto? Mamma!" - Esclamò Alice ancora ridendo. - "...Isabella abita a Queensgate!"
"Queensgate? E dov'è?"

"Kensington." - L'ultima parola pronunciata da Edward risuonò come una condanna alle mie orecchie. Ovviamente stavo dando di matto.

Ma Esme ne fu fortemente impressionata. Evidentemente, il mio abbigliamento doveva averla ingannata. Eppure i miei modi di fare parlavano abbastanza chiaramente delle mie origini ma era pur vero che non avessi fatto alcunché per metterli in luce.
Avvampai.

"Ke - Kensington? Ma...come? Ed io...Oh! Edward! Avresti dovuto...avresti dovuto avvisarmi! Io...mi sarei vestita meglio e...e...Edward!"
"No, no, no, no, NO!" - Urlai agitando le mani - "...La prego di non farsi certi problemi inutili con me!"

Edward avvicinò sua madre, stampandole un bacio tra i capelli profumati.

"Mamma! Calma...Isabella non è quel tipo di ragazza. Per cui...relax." - Mi guardò sorridendo e strizzando un occhio al mio indirizzo - "...Ti pare che se fosse la solita gallina dalle grandi arie starebbe qui, con me, adesso?"
"No, no, certo che no...Ma non era a questo che mi riferivo...La casa è un disastro ed Isabella..."

"...Isabella l'apprezzerà molto perchè è calda ed amorevole e sa di famiglia. Una bella famiglia." - Risposi d'un fiato. - "Non c'è niente di sbagliato in questo posto, signora Cullen.."
"Esme...Chiamami Esme."
"D'accordo" - Respirai a fondo - "...Esme. Io sento....sento che questo posto è molto meglio di tanti altri in cui sono stata. Compresa la mia casa super lussuosa e super triste. Quindi per favore...non si faccia di questi problemi con me. E se per nessuno di voi qui è fastidiosa la mia presenza.."
"Ma no, Bella!" - Si affrettò a commentare Alice - "..Certo che no!"
"Bene...quindi se è tutto... okay...Io starò con voi per un po'...a mangiare uno di questi buonissimi biscotti!"


Edward rise di gusto a quelle ultime parole ed Alice e Jasper con lui.

"Che ti avevo detto, mamma?"

Esme mi guardò per qualche istante: non c'era traccia di diffidenza né di astio nei suoi occhi. Quasi quel suo sguardo emozionato ed anche un pochino incuriosito riuscì a calmarmi. Mi sorrise dunque ed io di rimando finché non compresi che tra noi fosse davvero tutto a posto.

"Bella, cara..." - Commentò alla fine - "...Puoi mangiarne quanti ne vuoi."


Puoi mangiarne quanti ne vuoi, aveva risposto. Come a dire: puoi restare quanto ti pare.
Mi sentii profondamente commossa.


"Ooookay! Abbiamo ricevuto anche la benedizione della mamma!" - Intervenne Alice ridacchiando. Non troppo a lungo tuttavia, il tempo che Edward le tirasse amorevolmente una ciocca dei suoi corti capelli bruni.
"Ancora? Per oggi hai parlato abbastanza, sorellina! Shut up!"


Alice tirò fuori la lingua, per protesta e tutti noi finimmo col ridere, a cuor leggero, della sua reazione.


Dopodiché li sogguardai lentamente, ad uno ad uno.
Respirai l'aria dolce di quella casa, il senso di pace ed amore che vi regnava, nonostante tutto, e sorrisi.

Davvero, per quanto povero e logoro, non conoscevo posto migliore di quello al mondo.



Ancora una volta fui costretta a dar ragione ad Edward: dopotutto avrei dovuto ringraziarlo per avermici portato.








POV EDWARD




Bella camminava due passi avanti a me, ostinandosi, tuttavia, a tenermi per mano.
Una posizione francamente scomoda ma non per questo poco piacevole. Mi sembrava felice - aveva un sorrisetto impertinente stampato sulle labbra, assolutamente delizioso - ed io lo ero con lei.

L'incontro con mia madre aveva dato ottimi frutti, proprio come speravo e, tutto sommato, prevedevo anche.
Certo, se Alice avesse evitato d' inaugurare la loro conoscenza con certe frasi poco simpatiche magari sarebbe andata anche meglio. O forse no? Dopotutto si era spicciata a riferire subito ad Esme tutta la verità e così avevamo tagliato direttamente la testa al toro. Anche se certe cose avrei preferito tenerle per me solo.
Fatto sta che, dopo un attimo di perplessità decisamente ragionevole, anche mamma aveva ceduto alla dolcezza ed alla straordinaria bellezza - non soltanto esteriore - della mia Bella.

La mia piccina l'aveva letteralmente conquistata con quel suo discorso meraviglioso sulla famiglia e la sua idea di casa ed amore. Nessuno avrebbe potuto negare l'assoluta sincerità con la quale aveva pronunciato quelle parole. Nel suo sguardo commosso avevo riconosciuto l'enorme rammaricato di un'adolescente che non abbia ricevuto lo stesso affetto che Esme aveva donato a me e mia sorella. Per la prima volta compresi che, forse, quello più fortunato tra i due fossi io, paradossalmente. Nonostante i pochi spiccioli, nonostante la morte di Carlisle, nonostante la vita di strada che mi toccava affrontare ogni giorno.
Perchè serbavo, in me, il ricordo di un padre straordinario che mi aveva educato al rispetto per il prossimo. Poichè, inoltre, possedevo l'amore della madre più dolce al mondo e le tenere attenzioni di una sorellina divertente e troppo chiacchierona.
Inoltre, avevo lei adesso.
Non ero più solo.

Isabella, invece, possedeva soltanto una bella casa e tanti soldi ma nessuna mamma amorevole che l'attendesse al suo ritorno da scuola. Beth era troppo piccola per esserle davvero di sostegno e credevo - a ben ragione - che suo padre fosse troppo assente - o mancasse di spina dorsale- per poterla aiutare materialmente. Era inutile negarlo: Bella soffriva troppo per l'assenza affettiva di Renèe o come diamine si chiamasse sua madre.

E certo, non avrei potuto sostituire nel suo cuore quella figura che tanto le mancava ma avrei fatto qualsiasi cosa per renderla felice, nel mio piccolo.
Isabella desiderava essere amata, desiderava distribuire ed ottenere affetto. E beh, io ero lì, accanto a lei, apposta per questo. Per farle sapere quanto contasse realmente per me e per farle comprendere quanto fosse speciale. Tanto speciale da aver conquistato in un tempo così breve il mio cuore di cattivo ragazzo.




Isabella mi strattonò più forte.
La guardai perplesso.

"Edward...corri, il treno sta arrivando!" - Mormorò, velocizzando il passo.


Non le badai. Il treno era l'ultimo dei miei pensieri, adesso. Se fossi entrato lì dentro con lei avrei dovuto riaccompagnarla a casa ed io non volevo ancora abbandonarla, per quel giorno.
Cosicché la bloccai nella sua corsa, tirandola per un braccio e costringendola a voltarsi verso di me.



"Ehi! Che ti prende?" - Domandò guardandomi con estrema sorpresa.
"Sei felice, Swan?"
"Cosa?"
"Sei felice?"

Lo sguardo sorpreso lasciò il posto ad un' espressione serena ed un sorriso gioioso.

Nel mentre, il treno
giunse in stazione rallentando
la sua andatura.

Udii lo stridio dei freni ed il rumore delle porte che si aprivano consentendo alla gente di entrare al suo interno.
Qualcuno ci urtò, preso dalla foga di raggiungere il mezzo. Nessuno badava a noi, io non badavo a loro.
Con il corpo ero nella stazione metro di Brixton, con la testa ed il cuore io e Bella eravamo altrove.


"Sì, Edward. Sono felice."

Proprio quel che avrei voluto sentirmi dire.

La strinsi tra le mie braccia. La guardai ridendo.


"Ti amo." - Aggiunsi, improvvisamente coraggioso. E consapevole.
"Ti amo anche io" - Rispose lei adagiando il viso sul mio petto mentre il treno riprendeva la sua corsa.












*




Chissà perchè ascolto sempre Amy Winehouse quando scrivo questa storia...

Vabbé, torniamo a noi...
Visto? Ho mantenuto la promessa! :D
Dunque, cosa volevo dirvi? Ah sì!
Guardate quest'immagine MERAVIGLIOSA (niente infarti, please!):

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L'ha creata la mia amica AgnesDayle (Leggete la sua fantastica originale, Down in a Hole, merita davvero...E se vi piace MUB vi piacerà certamente anche quella storia! :D) ....Lo trovo adorabile come banner! Grazie tesoro, di cuore...Nel prossimo capitolo inserirò anche l'altro banner creato sempre da lei per la mia storia! :))


Tra l'altro, in questi giorni, la mia ispirazione si è data alla pazza gioia per cui...Ho pubblicato due capitoli di un' originale. Si tratta di una storia d'amore un po' particolare ambientata nella Parigi rivoluzionaria del 1792. Se volete darci un'occhiata trovate il link qui:

Al di là del nostro amore



Bene...Credo di avervi detto tutto! Ah no!
Una precisazione: tutte le stazioni della metro che cito in questa storia esistono ATTUALMENTE. Non so quali fossero effettivamente funzionanti nel '78. Lo so che è una cosa scema da dire ma ci tenevo comunque a dirla già da un po'! :)

Adesso vado che, tra tutte le storie pubblicate ultimamente, ho tipo una ventina di recensioni cui rispondere. Speriamo di farcela per la giornata, che oggi mi tocca pure il lavoro! ù.ù
Domani andate a vedere BD? Io forse lunedì! :(

Vabbè, ora vi lascio...un bacio a tutte e GRAZIE per esserci SEMPRE.

Matisse.


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Capitolo 16
*** Cap. 16 ***


edsid16
My Ugly Boy











By Agnes Dayle Efp












28 Luglio '78



Bells, come stai?
Hulk si comporta abbastanza bene con te?
Giuro che appena torno ti porto a giocare a baseball ad Hyde Park...al diavolo gli impegni!

C'è qui Beth che vuol dirti una cosa, quindi le lascio la parola.
Ti abbraccio
Papà.




Sorellina...Mi manchi moltissimo! Anche se faccio tanti castelli di sabbia
e prendo il sole non mi diverto senza di te.
Ti penso sempre....Tua Beth.








Camminando a passo svelto lungo Gloucester Road, rilessi più volte la cartolina che era giunta a casa Swan quel mattino, dritta dritta da St. Martin's.
Con dieci giorni di ritardo.

Ne raffigurava il mare limpido sotto i raggi di un sole pieno e luminoso.
L'isola, per un attimo, mi apparve più bella e lontana di quanto io stessa ricordassi e tirai un po' su col naso, commossa.


In realtà non era di certo St. Martin's la causa di tanto rammarico. Piuttosto, mi mancava papà. E mi mancava Beth la cui tenera calligrafia di bimba veniva a chiudere quelle quattro righe piene d'amore.

Dunque mi ritrovai a pensare, ancora una volta, che davvero l'unica causa di dispiaceri e litigi in casa Swan fosse esclusivamente Renèe e m'irritai enormemente.
Se soltanto si fosse sforzata di essere una mamma.... una mamma piuttosto che un' educatrice puritana ed anche un po' isterica noi tre saremmo stati perfetti insieme....Avremmo potuto essere una vera famiglia, per quanto mi riguardava!

Sul serio: non c'era nulla di sbagliato in noi.
Tranne lei, ovviamente.


Maledizione a mia madre!


Preda dello sconforto e da un'indicibile rabbia, presi quindi a camminare a passo più svelto, senza badare alla strada ed ai passanti, dando, di tanto in tanto, qualche calcio ad un sassolino solitario per sfogarmi.

Ovviamente ero troppo sovrappensiero per badare al mio intorno e la mia ben nota goffaggine colse al volo l'occasione per mostrarsi in tutto il suo splendore.

Fu così, quindi, che finii - piuttosto comicamente, tra l'altro - col ritrovarmi schiacciata contro un ostacolo posto lungo il mio cammino.
Un ostacolo di nome  Edward.



"Ahi - ahi..." - Bofonchiai, carezzandomi la punta del naso dolorante. - "Edward... Che dolore...!"
"Ben ti sta!...Non guardi dove cammini, Bells?"


Gli rivolsi un'occhiata truce.


"Avevo altro per la testa. Tu, piuttosto? Che ci fai qui?"
"Stai dormendo per davvero? Abbiamo un appuntamento e stavo giusto per venire a prenderti! Perchè non sei a casa?"
"Perchè volevo incontrati a metà strada..."
"Mmh...D'accordo. Però sta' attenta, avresti potuto schiacciare i piedi di qualche povera vecchietta col bastone!"



Rise ma io ero ancora troppo sovrappensiero per seguirlo.


"Ah...sì, scusa..."
"Vedo che hai gradito la mia battuta..."
"No, è che..."
"Che?"

Sospirai.

"...Leggevo la cartolina che mi ha spedito mio padre..."

Inclinò la testa di lato, osservandomi intenerito.

"Quindi ti ha scritto?"

Annuii.

"E...posso?"
"Certo..."

L'allungai prontamente verso di lui. Sorrise mentre si soffermava divertito sull'ultima frasetta scritta da mia sorella.


"Beth è fantastica...Sul serio." - Commentò.
"Puoi dirlo forte.."
"Sei triste adesso?" - Domandò a bruciapelo.


Lo guardai, di rimando. Mi pareve preoccupato per me.
Non avrei voluto che lo fosse, davvero. Ma non potevo mentirgli.


"Lo so che è una cosa stupida perché non sono andati certamente in guerra però..Mi mancano. Ecco tutto." - Risposi con un'alzata di spalle.
"E' comprensibile..." - Mormorò lui, carezzando dolcemente una ciocca dei miei capelli. - "...Non siete mai stati lontani per tanto tempo. Però.... io potrei aver qualcosa in grado di farti tornare il sorriso, signorina."


Ammiccò eloquente nella mia direzione.


Di cosa stai parlando?" - Domandai prontamente, accantonando quasi subito la mia tristezza.

Edward conosceva già perfettamente i miei punti deboli e sapeva come giocarci per modulare il tono del mio uomore. Ero tremendamente curiosa per natura, ad esempio, ed amante delle sorprese. Ero, inoltre, perfettamente consapevole del fatto che quelle di Edward raramente potessero deludere. Quasi mai in realtà.
Per cui non si stupì del mio subitaneo interesse né, tantomeno, dell'entusiasmo con cui sembravo aver accolto le sue parole.
Piuttosto ridacchiò con espressione evidentemente orgogliosa.




"Prima mi abbracci e mi dai un bacio...Poi ti dico."


Oh beh: non era certo un ordine spiacevole quello.
Mi fiondai prontamente nella stretta di Edward che ricambiò con un bacio sulla punta del naso, ridendo.

Non ci impiegò molto, comunque, per percorrere interamente il mio profilo e scendere sino alle labbra.
Francamente non aspettavo altro.


"Molto...molto meglio..." - Sospirò.
"Allora? La mia ricompensa?" - Scherzai ammiccando nella sua direzione. Ovviamente avrei potuto continuare a baciarlo per ore - anche così, per strada, dimenticando la vergogna ed il pudore - senza desiderare null'altro in cambio. Avevo Edward e questo mi bastava.
Per il resto, dopotutto, avrei anche potuto attendere pazientemente.

In ogni caso lui parve non badare poi molto alla mia ironia e si affrettò a tirare fuori dalla tasca dei fogli ripiegati.


"Dunque...mi dicevi ieri che anche la tua amica Angela fosse in procinto di partire per le vacanze..."
"Oh sì, purtroppo sì..." - Confermai - "Partirà mercoledì prossimo. E tornerà a Settembre." - Conclusi con mestizia. Per quanto fossi estremamente felice di trascorrere le mie vacanze estive con Edward, l'idea che tutte le persone cui volessi bene mi abbandonassero per godersi mare e sole un po' mi irritava.
Ero terribilmente egoista, ne ero consapevole.


"...Beh, Swan....in tutta onestà credo che anche tu abbia diritto alla tua vacanza. Dopotutto sei stata una brava studentessa durante l'anno e meriti un premio..."


Lo guardai perplessa, senza riuscire ad afferrare, realmente, il succo del suo discorso.


"Che stai tentando di dirmi, Cullen?" - Gli rivolsi un'occhiata sospettosa e francamente divertita: ero certa che qualcosa di grosso bollisse in pentola.


Edward mi sventolò davanti agli occhi  i medesimi fogli ripiegati che aveva, sino a quel momento, custodito così gelosamente in tasca.

Inizialmente non realizzai concretamente né afferrai il motivo di quel sorrisetto soddisfatto che aleggiava sulle sue labbra.
Poi, prestai più attenzione al tutto.

E compresi quasi completamente quando la mia vista focalizzò correttamente il nome di due stazioni ferroviarie sufficientemente conosciute.


La prima...London Euston.


London Euston?


London Euston....


"....Liverpool Lime Street, Bella. Dalla tua faccia deduco di averti sorpreso."


Erano biglietti del treno.
Quelli che Edward mi stava sventolando davanti con finta nochalance erano biglietti per un treno che....


Dio Santo!

....che portava a....Liverpool!




"Edward...." - Sussurrai appena.
"Bella?"
"Edward...."
"Che c'è?" - Domandò improvvisamente preoccupato. - "Forse..Non sei contenta? Beh, avevo immaginato...Insomma, mi avevi detto che Liverpool era il tuo sogno ed ho pensato avessi diritto anche tu ad una piccola vacanza...E poi Liverpool non è molto distante da qui e tutto sommato potevo permettermelo però se non ti va..."
"EDWARD!"
"Bella?!"

Gli gettai prontamente le braccia al collo, troppo felice ed emozionata per poter pronunciare anche una sola parola di senso compiuto. Continuavo a ridere come una bimbetta di pochi anni ma, dopotutto, preoccuparmi di come potessi momentaneamente apparire all'esterno costituiva davvero l'ultimo dei miei pensieri.

Mi occorsero diversi minuti per riprendermi, almeno in parte, dallo choc provocato da quella sorpresa di di proporzioni enormi. Almeno per me.


"Stai dicendo un mucchio di sciocchezze Cullen! Non farti problemi inutili... Io sono così...così...Oh, Edward, non potevi farmi regalo più bello!"
"Sul serio?" - Lo sentii sorridere sulla mia spalla. Tutta la tensione dovuta all'incertezza riguardo la mia reazione e la riuscita della sorpresa stessa si sciolse, infine, in un abbraccio pieno d'amore. - "Per un istante mi hai fatto preoccupare..." - Sospirò di sollievo.
"Certo che parlo sul serio...Grazie Edward, grazie!" - Gli stampai un sonoro bacio sulle labbra e lui ricambiò ridendo.
"Perfetto allora, Swan...Dunque preparati....Domani, a quest'ora, saremo già arrivati a destinazione!"

Mi cinse le spalle con un braccio, guardandomi orgogliosamente. Io risposi con un'occhiata felicemente inebetita.


Era tutto troppo...perfetto per essere reale.


Dunque, non riuscivo a credere alle mie stesse orecchie:  quasi immaginavo si trattasse soltanto di un sogno meraviglioso.
Non poteva essere vero, non poteva...



Beh, se è davvero un sogno non svegliatemi, per favore.



"...E quindi si parte?" - Domandai ancora una volta, ad occhi spalancati. Ancora incerta, ancora incredula.


Davvero davvero, Edward?


"Si parte!" - Confermò dunque lui, ridendo di cuore.










"Non se ne parla affatto... Non andrai proprio da nessuna parte!"
"Ma perché no, Odette?!" - Piagnucolai mentre la mia governante armeggiava ai fornelli per preparare il solito tè delle cinque.

"Isabeau....Ce n'est pas possible! So come vanno queste cose...Non ti allontanerai da Londra con il tuo ragazzo!"


Mi accasciai affranta sulla sedia più vicina, sospirando.
Da un'ora o forse più non facevo altro che prodigarmi in suppliche e preghiere ma Odette pareva irremovibile.

Non si decideva ad acconsentire al mio viaggio ed io ero sull'orlo di una crisi di nervi, in tutta onestà.




Troppo disperata per aprire ancora bocca, fissai il vuoto per qualche istante, in silenzio. Dopo un po' anche Odette tornò a guardarmi, quasi intenerita. Abbandonò quindi i fornelli avvicinandosi lentamente a me.

"Bella? Ti prego, cerca di comprendermi..." - Mormorò afferrando le mie mani.

Io tirai un po' su col naso, afflitta, senza risponderle.

"Non essere arrabbiata, per favore. Sei minorenne e tua madre ti ha affidata a me finché non tornerà dalle vacanze, a Settembre. Sono responsabile della tua persona, non posso permettere che ti accada nulla."
"Ma non mi accadrà nulla, Odette! Credimi, ti prego! Edward avrà cura di me!" - Protestai immediatamente, con voce stridula.


Ma lei non mi rispose. Piuttosto, si limitò a scuotere la testa desolata.


"Isabella non..."
"Odette?" - Ripresi, giocando la mia ultima carta, quella del senso di colpa. - "Anche tu hai avuto diciassette anni, no? Non c'è stato nulla che tu abbia desiderato intensamente, alla mia età? Bene...Pensa se non fossi riuscita a realizzare quel "qualcosa" per cause indipendenti dalla tua volontà. Come ti saresti sentita? Frustrata, anche disperata magari? Beh...ecco. E' proprio così che mi sento io adesso."


Odette sorrise mentre il suo sguardo gravitava altrove. Come se la sua mente, dopo il mio breve discorso, si fosse persa in ricordi troppo difficili da gestire.

"So cosa significhi, Isabella. Ho sofferto molto più di quanto tu non creda, da ragazzina. Io e te non siamo poi così diverse."


Scrutai sorpresa la sua espressione enigmatica.
Che Odette, da giovane, avesse patito le stesse pene dell' inferno che mia madre aveva imposto a me?


"Dunque mi capisci, Odette?"
"Certo."
"Allora aiutami..."
"Bella...vienimi incontro anche tu, per favore. Mi metti in una posizione scomoda: sono io a rispondere della tua persona con la signora Swan. E se lei venisse a sapere..."
"Non glielo diremo mai!" - Mi affrettai ad interromperla. - "Ti prego.... non verrà a scoprirlo! Oh, Odette!....Se pensi di potermi comprendere anche soltanto un pochino...Se pensi di sapere cosa significhi non avere la possibilità di vivere la propria esistenza secondo i propri desideri allora..."
"Non provarci ancora, signorina!"
"A far cosa?"
"A farmi sentire in colpa...O a far leva sui miei buoni sentimenti. Non funziona così."


Mi vennero le lacrime agli occhi. Mai nessuno - che non fosse Renèe Watson - aveva mostrato tanta fermezza nel negare una mia richiesta.


"Ti prego...Ti prego, ti prego, ti prego!" -La supplicai ancora, a mani giunte.


Ormai le avevo tentate tutte.
C'era ben poco da fare, ancora, se non appellarmi al suo buon cuore.


Odette, dal canto suo, mi guardò per qualche istante, senza parlare.
Irremovibile, ancora.
Poi, dandomi le spalle, tornò ai fornelli, chiusa in un religioso silenzio.


Sospirai, col capo tra le mani.

Addio Liverpool e sogni di gloria!
Quei benedetti biglietti non sarebbero valsi a nulla: non mi sarei allontanata da Londra per nessun motivo al mondo, ovviamente.


Mi ero ormai tristemente rassegnata alla realtà dei fatti quando la mia governante tornò quietamente al tavolo, porgendomi una tazza di tè fumante.


"Lascialo raffreddare un pochino prima di bere..." - Mi ammonì - "...E portami qualcosa di carino, da Liverpool."


Afferrai il mio tè di malavoglia, troppo indispettita anche soltanto per muovermi o proferir parola. Dopo una delusione del genere figuriamoci quanto poteva interessarmi l'eventuale temperatura della bevanda che mi stavo accingendo a bere o quanto potesse valere la raccomandazione di Odette di portarle un souvenir....



.....un souvenir....


....da....


...


"LIVERPOOL?!" - Saltai dalla sedia con uno scatto e per poco non rovesciai l'intero contenuto della tazza sul tavolo.

"Oddio Bella, sta' attenta!" - Gridò ma non le badai.
"Ho sentito bene??"


La donna sorrise, divertita.

"Hai sentito benissimo. Pretendo un ricordino, visto il regalo enorme che ti ho appena fatto."

"Gesù, Odette!!" - Urlai gettandole le braccia al collo.

Mi sarei messa a piangere per la gioia se non l'avessi ritenuta una reazione un tantino eccessiva. E forse anche un pochino stravagante.

Odette, dal canto suo, rise di gusto ancora una volta, ricambiando il mio abbraccio.

"Va bene, va bene Bella...Ho capito che sei felice e mi fa piacere. Adesso però calmati..."
"Odette! Ti compro tutta Liverpool, giuro! Ti porto Paul McCartney in persona!"
"D'accordo, d'accordo signorina! Però ascoltami bene adesso, ho una raccomandazione da farti..."
"Dimmi tutto! Farò qualsiasi cosa tu voglia!"
"Bene, sono felice di questa tua risposta. Perché sappi che...non ammetterò errori. Dunque...Non ti tratterrai a Liverpool più di un giorno visto che è già tanto che ti consenta di andarci. Non mi interessa quanto tempo ci voglia per arrivare lì e per tornare poi a Londra, non m'interessano le coincidenze e gli orari. Sarai qui in serata. Intese?"

Annuii convinta.

"Intese."
"Perfetto. Ed ora bevi il tuo tè e fila a studiare che domani non ne avrai tempo."

Mi fece l'occhiolino ed io mi affrettai ad eseguire immediatamente i suoi ordini.
Bevvi tutto d'un fiato e per poco non mi andò tutto di traverso.

Ma non era questo ciò che contava.
Non mi sarei giocata la mia unica possibilità: Odette non si ripeteva mai due volte.




Cosicché, per quel pomeriggio, mi dimostrai una studentessa assennata e diligente.

Il giorno dopo mi trasformai in una sedicente punk pronta a raggiungere la destinazione dei suoi sogni.







*






"Wow..." - Fu tutto ciò che riuscii a sussurrare appena fuori dalla stazione di Liverpool Lime Street.











Edward mi guiardò con la coda dell'occhio, ridacchiando.

"Ti sembra di tuo gusto?"
"Assolutamente....sì." - pronunciai appena.


Non comprendevo il perché di tanta emozione. Dopotutto Liverpool era una cittadina piuttosto provinciale se messa a confronto con Londra e per questo non avrei dovuto trovarci nulla di così straordinario. Ed invece....Mi bastarono solo pochi attimi per innamorarmene. Con i suoi spazi grandi, la storia che ne impregnava gli edifici grigi ed appena scoloriti dal tempo, con quel suono di campane lontane che ne riempiva l'aria e la miriade di gabbiani che sorvolavano il suo cielo azzurro aveva un sapore decisamente magico per quanto mi riguardava.


"Allora, signorina Swan...Pronta alla lunga passeggiata che l'attende?"
"Certo che sì!" - Annuii convinta. E lo ero davvero: nonostante l'alzataccia mattutina ed il lungo viaggio in un treno affollato mi sentivo davvero piena di energie, pronta a godere di ogni singolo momento di quella fantastica giornata.


Edward, dal canto suo, sorrise sornione.

"Bene....Si parte, allora!"





Erano appena le dieci e mezzo del mattino e la città già brulicava di persone indaffarate.
Nonostante le incalzanti vacanze estive Liverpool appariva, quindi, paradossalmente attiva e piena di vita. Edward mi spiegò che tale particolarità fosse dovuta, soprattutto, alla curiosità della gente - tra cui molti turisti provenienti da ogni parte del mondo - di conoscere i luoghi che avevano visto nascere e crescere un gruppo leggendario come quello dei Beatles.

Un gruppo che avrebbe fatto certamente storia se, a dieci anni dal loro scioglimento, ancora se ne parlava con tanta foga e passione.

"Qualcuno crede di poter ancora incontrare John o Paul camminando tra queste strade...Figuriamoci!" - Commentò mentre, tenendomi per mano, percorreva con me le vie principali della città.

Anzitutto, ci fermammo per un po' da Dawsons, un negozio di strumenti particolarmente fornito sulla Ranelagh Street, ed Edward mi costrinse a provare, dopo averlo suonato lui stesso, un Rickenbacker del '71. Ovviamente non ne capivo assolutamente nulla e mi risultò già piuttosto difficile anche solo pronunciare il nome di quello strumento ma Edward non si tranquillizzò finché non acconsentii ad imparare almeno un accordo su quelle benedette quattro corde, per il divertimento dei tre commessi che avevano deciso di assistere alla nostra comica scenetta.
Successivamente, decise che fosse necessario rifocillarci adeguatamente per poter affrontare l'impegnativa giornata che ci attendeva. Benché la curiosità di visitare Liverpool immediatamente fosse davvero molta, il mio stomaco brontolò piuttosto buffamente e fui costretta ad assecondare la sua iniziativa.

Ci ritrovammo così in un posticino delizioso, una specie di bistrot francese dal nome eloquente di Café Rouge. Edward rise fino alle lacrime quando continuai a conversare tranquillamente senza rendermi conto di avere la schiuma del cappuccino appena ordinato sulla punta del naso e sulle labbra
Ricambiai cercando di ingozzarlo con il mio muffin al cioccolato e le nostre risate riempirono il locale; qualcuno, dai tavoli vicini, ci guardò con tenerezza e divertimento. Edward addentò la mia colazione e rise mentre finivo con l'abbracciarlo dolcemente.

Ogni momento vissuto con lui aveva dell'incredibile. Non potevo far altro che desiderare che il nostro tempo insieme non avesse mai fine: difficilmente avrei potuto essere felice allo stesso modo con un'altra persona.



"Non troverò mai nessuno come te, Edward...." - Sussurrai lasciando andare il capo contro la sua spalla.
"Non dovrai mai cercarlo." - Mi promise di rimando, baciandomi i capelli. - "...E comunque...." - Aggiunse - "Neanche io potrei trovare un'altra come te, Isabella. Sei speciale."







La giornata trascorse troppo rapidamente o, forse, semplicemente, c'era così tanto da vedere in così poco tempo che le ore mi parvero volare via senza che me ne rendessi davvero conto.


Io ed Edward avevamo visitato praticamente l'intera Liverpool, fatta eccezione per le zone più periferiche che risultavano maggiormente difficili da raggiungere, soprattutto per noi due che avevano a nostra disposizione una sola giornata per perlustrare la città.

Cosicché ci eravamo limitati a sostare in centro e certamente non me ne ero rammaricata: Liverpool era davvero splendida.


Avevo contemplato rapita i Liver Bird che vegliavano sulla città dalla cima dall'alto delle due imponenti torri del Royal Liver Building mentre, appena un'ora prima - molto più prosaicamente - mi ero divertita a correre lungo il colonnato del St. George's Hall costringendo Edward a seguirmi, a sua volta, e sfidandolo a raggiungermi ed acciuffarmi.
Quando, ridendo, era riuscito nel suo intento, avevo finto di agitarmi e scalciare tra le sue braccia, mentre spegneva ogni mia protesta con un bacio.
















L'avevo, ancora, costretto a girovagare tra negozi e bancarelle e più volte ero finita con lo scoprire, sul suo volto, un'espressione rassegnata mentre alzava gli occhi al cielo.

Beh sì, gli stavo facendo perdere davvero un sacco di tempo!

Tuttavia, Edward aveva incassato abbastanza tranquillamente i miei colpi mentre lo rimproveravo di non aver pazienza con le donne quando, viceversa, non faceva altro che portare borse e pacchi. Soltanto per Odette avevo acquistato un mucchio di cianfrusaglie carine, come ringraziamento per avermi concesso di trascorrere una giornata così perfetta, ed Edward, tutto sommato, non si era lamentato di trasportare pacchetti e buste regalo per la città.

Avrei dovuto ringraziarlo, piuttosto.



Infine, avevamo respirato insieme il buon profumo del mare agitato di Liverpool da un parapetto dell'Albert Dock.






Edward aveva afferrato la mia mano, ad un certo punto, costringendomi nella sua stretta.
Persa com'ero nella contemplazione del paesaggio circostante, all'inizio ero sussultata. Ma soltanto un istante: mi ci era voluto pochissimo per perdermi nel suo abbraccio.



Di quel nostro bacio avrei ricordato per sempre il calore del suo viso che mi riparava da quel vento forte che sapeva di sale, la tenerezza con cui mi aveva guardato negli occhi prima di richiuderli.
Prima che il mondo intorno a noi sparisse senza alcuna importanza.







L'ultima parte della nostra gita rappresentò un vero e proprio pellegrinaggio ai locali che avevano visto nascere e crescere il gruppo dei Beatles. Tuttavia, tra quelli che avevano cambiato gestione e nome e quelli che non esistevano proprio più si trattò di una passeggiata piuttosto breve e malinconica.
Il rammarico più grande, sia per me che per Edward, fu scoprire che, da quattro anni e passa, il Cavern - sì, proprio quel leggendario Cavern che affollava i miei sogni e faceva battere per l'emozione il mio cuore - non esisteva più.

Abbattuto per far posto ad un parcheggio in superficie.

Probabilmente, durante quel suo passato viaggio a Liverpool insieme con Marlene, Edward era stato - inconsapevolmente - uno degli ultimi fortunati a poter visitare il locale originario.

Per una qualche strana ragione questa notizia mi mandò su tutte le furie. L'idea che Edward avesse potuto condividere con Marlene un'esperienza oggettivamente irripetibile come la visita al Cavern mentre a me era stata preclusa la medesima possibilità, la vivevo come una specie di offesa, uno schiaffo morale da parte del destino.
Loro due insieme possedevano qualcosa, nei propri ricordi, che io ed Edward invece non avevamo.

Avrei pianto davanti a questa consapevolezza se Edward stesso, quasi leggendomi nel pensiero o, comunque, afferrando al volo il mio stato d'animo, non mi avesse stretto forte la mano baciandomi dolcemente i capelli.


"Ehi....Spiace tanto anche a me per il Cavern, amore...Ma guarda lì..." - Mi indicò un edificio che sorgeva sulla Lime Street, in prossimità della stazione ferroviaria dov'eravamo diretti per far ritorno a casa. - "Lo vedi quello? E' l'Empire Theatre. Nel 1962 i Beatles hanno suonato lì dentro con un mucchio di altra gente conosciuta...E' importante anche quello, sai? Forse anche più del Cavern..."



File:Empire Theatre, Lime Street, Liverpool - geograph.org.uk - 147192.jpg



Guardai sconsolata l'edificio mostratomi da Edward: certamente non poteva avere la stessa valenza del Cavern Club, per me.
Tuttavia apprezzai il suo tentativo di risollevarmi il morale e sorrisi. Ma sapevo che non avesse certamente afferrato che parte del mio cambiamento d'umore e del mio disappunto fosse da ascriversi a qualcosa di molto più personale dei Beatles...Beh, forse era meglio così.



Edward sorrise di rimando, comunque, e così riprendemmo piuttosto velocemente il cammino verso la stazione ferroviaria.


Nel mentre, lanciai un'occhiata frettolosa al mio orologio da polso: segnava le sei  del pomeriggio.

Sospirai piuttosto tranquilla.

Se tutto fosse andato secondo i piani, entro le dieci di sera avremmo fatto ritorno a Londra, così come prestabilito dai patti con Odette.










Se tutto fosse andato secondo i piani.
Esattamente quel che non accadde.



"Che significa che non possiamo tornare a Londra, Edward?"

La voce salì di due ottave, in risposta a quella notizia sconcertante.
Ero al limite dell'isteria.


"Pare che ci sia stato un incidente lungo la linea ferroviaria, o almeno questo è quel che mi sembra di aver capito. In ogni caso le comunicazioni sono interrotte fino a domani."
"Ti sembra di aver capito? Edward! Pretendo informazioni dettagliate! Con chi hai parlato, dannazione?!"
"Con quello della biglietteria, col tipo dell'ufficio informazioni e con uno della sicurezza. Bella, calmati per piacere!"
"Come faccio?? Io DEVO tornare a Londra entro stasera, altrimenti Odette mi chiuderà in casa fino al mio trentunesimo compleanno!"


Edward mi cinse le spalle, fermamente, sospirando.
O, forse, sarebbe stato meglio dire sbuffando.


"Bella...? Adesso ci diamo una regolata...tutti e due. Ok?"
"NO! Non è possibile! Io devo...io..."
"BELLA! Tu non devi e, soprattutto, non puoi fare un bel niente! Quest'imprevisto prescinde dalla nostra volontà. Per cui respira, per favore...Troveremo una soluzione."


Guardai Edward attentamente: il suo sguardo era troppo serio e corrucciato per rispondere con l'ennesimo scoppio di isteria. Per cui presi un grosso respiro, tentando di calmarmi seriamente.


"Ok...Che..che dobbiamo fare?"
"Per prima cosa cercare un posto tranquillo dove trascorrere la notte. La stazione non mi sembra un luogo ideale. E, successivamente, cercheremo anche un telefono così potrai avvisare Odette. E' una donna intelligente e capirà di sicuro. D'accordo?"


Annuii poco convinta. Ero ancora piuttosto incerta ma, d'altronde, quella era l'ultima opzione che ci era rimasta. Avrei dovuto accettarla.


"Bene. Hai soldi con te?"
"Ottanta sterline."
"...Ottanta? Che dovevi farci con ottanta sterline?"
"Oh, avanti Edward! Non sono abituata ad uscire di casa con pochi soldi in tasca...Possono sempre ritornare utili...Come vedi."
"Va bene, va bene. Io ne ho quindici, possiamo cavarcela. Vieni, andiamo...vedremo di trovare un buco per stanotte."



Lo seguii trascinandomi per strada, scoraggiata.
Ero davvero stanca.





*





"Hatters Liverpool..." - Mormorai, leggendo a voce bassa il nome dell'ostello che Edward aveva scovato in Mount Pleasant, una strada adiacente la stazione ferroviaria.
Una strada isolata e potenzialmente malfamata, in realtà: i vicoletti che su di essa affacciavano, infatti, non sembravano promettere nulla di buono, almeno nelle ore notturne.


Tuttavia, a giudicare dall'insegna malridotta e da una notevole e diffusa incuria dell'ambiente, doveva trattarsi di un ostello a buon mercato. Edward, quindi, lo considerò il luogo ottimale dove trascorrere la notte: non avevamo bisogno di alberghi di lusso, soltanto di un tetto sopra la testa che ci offrisse ospitalità per poche ore. Il giorno dopo avremmo fatto ritorno a Londra di tutta fretta, sempre che le linee ferroviarie ce l'avessero consentito, ovviamente.

Cosicché mi accomodai sulla poltroncina dalla copertura sdrucida della sala d'aspetto mentre Edward si accalorava con il tizio alla reception (vedi, per reception, un bancone tarlato e mal verniciato ed un'annessa cassettiera per la custodia delle chiavi) per accaparrarsi una stanza decente.


"Quanto costa una camera per una notte?"
"Venticinque sterline la doppia, amico."
"Bene, la prendo."
"Tu e..?"
"Mia sorella." - Edward indicò nella mia direzione mentre io lo guardavo perplessa.
"Tua sorella, eh? Seh...Io sono Santa Klaus, invece..."


Edward sbuffò pesantemente. Stava per arrabbiarsi, lo sapevo.


"Amico, ascoltami...Ho bisogno di quella camera per stanotte. Per. Favore."
"Per favore un corno! Quanti anni ha lei? E' minorenne, vero? E magari è pure scappata di casa con te! Dimmelo, ce li ha i documenti?? Io non ci vado in galera per colpa vostra, se mi becca un controllo..."
"No!" - Gridò Edward, di rimando - "Tu non andrai in galera e sai perché? Perchè, per quando passerà quel controllo, sarai già finito da un pezzo all'ospedale! Dammi quella stanza o ti assicuro che ti ritroverai col nasco sfasciato..."


L'uomo lo guardò con occhi spalancati.
Il volto di Edward era tirato, l'espressione minacciosa: incuteva oggettivamente terrore.
Io stessa mi spaventai.

Alla fin fine si arrese: dovette immaginare che Edward fosse una specie di testa calda, che gli avrebbe sfasciato l'ostello prima che la polizia potesse far qualcosa per aiutarlo. Preferì arrischiarsi, per una notte soltanto.

"Shit! Va bene, tieni!" - Gli lanciò una chiave - "...E' una camera doppia. La trentacinque."
"Perfetto."
"Ehi!" - Lo afferrò per un braccio prima che potesse allontanarsi." - "Stammi bene a sentire: una notte SOLA. E pretendo almeno i tuoi, di documenti. Ah, dimenticavo: pagamento anticipato. Grazie."

Edward alzò gli occhi al cielo ma fece come gli era stato ordinato. Quando si voltò verso di me, mi regalò quel suo sorrisetto sghembo e dispettoso che amavo ed un occhiolino ironico: si era calmato, per fortuna. La vittoria conseguita l'aveva rinfrancato e tranquillizzato. In un minuto soltanto era tornato l'Edward che conoscevo ed amavo.

Sospirai di sollievo anche io, quindi, e ricambiai così piuttosto facilmente il suo sorriso.





*




"Hai provato a chiamare casa?" - Domandò Edward addentando una barretta al cioccolato. Per quella sera nessuna cena abbondante: soltanto un panino farcito e, per dolce, quella cioccolata che Edward aveva rimediato al supermercato sotto l'ostello prima che chiudesse.
"Sì ma con i gettoni che ho a disposizione è praticamente impossibile. Non ci prova neppure a mettersi in contatto con Londra, i soldi se li prosciuga prima."
"Mmh..."
"Odette mi ucciderà. O morirà lei per prima d'infarto." - Conclusi mestamente.
"Non dire sciocchezze. Domattina prenderemo il primo treno, arriveremo prestissimo a Londra. Vedrai che capirà e ti perdonerà."

Alzai le spalle.

"D'accordo, ci credo...Però mi dispiace farla preoccupare così."

Edward mi guardò con tenera comprensione ingollando l'ultimo pezzettino di cioccolata. Infine, si diede da fare per liberare il letto dei residui di cibo e delle buste della spesa che ancora se ne stavano adagiate sul vecchio piumone bianco.

L'aiutai anch'io.

"Ma quanta roba hai comprato?" - Commentai dando un'occhiata in giro - "...Sapone, dentifricio, cioccolata...Guarda che domattina andiamo via."
"E nel frattempo non ti lavi?" - Ridacchiò.
"Ma guarda che la tua è una spesa inutile...certe cose dovrebbero esserci a prescindere, qui dentro. Tipo il sapone. Non c'è in bagno, hai controllato già?"
"Bella...Certe cose sono presenti in certi alberghi... Quelli che avrai frequentato con la tua famiglia, per esempio. Qui è già tanto che ci sia il bagno in camera."
"Uhm..." - Risposi poco convinta - "...Però non è tanto male, dai."
"No, infatti. La reception prometteva peggio."


Mi guardai intorno: a parte il fatto che il letto cigolasse rumorosamente e che l'ambiente in generale apparisse un tantino spoglio, per il resto poteva andare. Era un posto pulito, un po' freddo ma gradevole. E dalla nostra finestra di vedevano perfettamente le due torri del Royal Liver Building.. Con il buio che cominciava ad avanzare risultavano ancora più belle e pittoresche: i quadranti degli orologi che facevano bella mostra di sé da lassù erano illuminati e risaltavano elegantemente nell'oscurità circostante.


"Bella...Sono le dieci ormai. Che ne dici di dormire? Domattina partiamo presto, col primo treno..."

Annuii.

"Ok...."
"Ok?"
"Sì..."
"Che hai? Mi sembri strana..."
"Non ho niente da mettermi per la notte..." - Confessai timidamente.


Edward sorrise apertamente.

"Tieni" - Commentò sfilandosi la sua t - shirt e lanciandomela con disinvoltura - "Ti andrà un po' grande ma starai comoda."

L'afferrai al volo guardandolo per un istante. Così, senza maglia, risultava essere ancora più bello del solito. Più di quanto ricordassi o immaginassi io stessa.
Quindi, d'un tratto intimidita, mormorai uno stentato "grazie" scappando in bagno a gambe levate, prima che potesse rendersi conto della sfumatura bordeaux assunta dal mio viso.

Improvvisamente tre elementi fondamentali si erano palesati nella mia mente, inducendomi ad una ragionevole situazione d'imbarazzo.


A) Edward avrebbe dormito accanto a me, seminudo. Nel mio stesso letto.
B) Io avrei dormito con la sua maglia addosso. Con la sua sola maglia addosso.
C) Eravamo da soli, per la prima volta. Davvero soli. Nessuna mamma o governante nella camera accanto. Soltanto io e lui.



Per un istante mi mancò l'aria.
Mi accasciai lungo la porta del bagno trattenendo a fatica l'ansia.


Io...
Edward...
Che...?


"Gesù..." - Mormorai tenendomi la testa fra le mani. Ero davvero agitata ma avrei dovuto farmi forza, piuttosto.


"Ok...Ok, Bella...Calma. Non essere codarda. Non. Esserlo."



Presi un grosso respiro rialzandomi a fatica dal pavimento.
Mi guardai allo specchio stranita: avevo un cespuglio in testa e neanche una spazzola per sistemarlo. Inoltre, quel che avanzava del mio trucco mattutino, si stemperava in un alone nero intorno agli occhi particolarmente inquietante.
In altre parole, ero un disastro.
Rassegnata, voltai le spalle alla mia immagine riflessa che mi guardava sadica e mi spogliai dei miei abiti, abbandonandoli sulle fredde mattonelle bianche del bagno.
Indossai la maglia di Edward ed un po' ridacchiai: mi andava davvero grande. Pendeva infatti su di un lato, lasciando scoperta la spalla. Tuttavia, in mancanza d'altro, risultava essere comunque un'ottima soluzione per cui mi accontentai.

Terminai la mia preparazione notturna e presi l'ennesimo, grosso respiro, prima di trovare il coraggio per aprire quella porta e tornare in camera.
Il cuore, in tutta onestà, mi batteva un po' troppo forte.


Ritrova la stanza avvolta nell'oscurità.



"Edward..." - Sussurrai appena, perplessa. - "...Non...non ti serve il bagno? Io...avrei finito..."

"Mh..." - Mugolò lui di tutta risposta, rigirandosi nel letto.

Sorrisi, intenerita.

"Ti eri già addormentanto?"
"Non proprio..." - Biascicò stropicciandosi gli occhi. - "...Però sono davvero stanco. Grazie, ora vado in..." - Si voltò a guardarmi e, improvvisamente, non parlò più.


Aveva uno sguardo evidentemente stralunato. Se ne stava lì, impalato, ad osservarmi quasi a bocca spalancata, ed io avvampai per l'imbarazzo.
Ovviamente dovevo risultare orribile, conciata com'ero. Per cui, mi affrettai a lanciarmi sotto le coperte: almeno così avrei nascosto loscempio, seppur in minima parte.


"Edward, per favore..." - Protestai - "Non guardarmi così. Lo so di mio di essere un mostro, devi proprio farmelo presente in modo tanto esplicito?"

"Un...un mostro? Isabella, hai voglia di scherzare?!"

Parve davvero turbato dalle mie parole.

"Non...sono...brutta, conciata così?"

Rise di gusto, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta divertente.

"Brutta? Non dire sciocchezze...Sei in assoluto la...più bella ragazza che io abbia mai incontrato nella mia vita. Soprattutto conciata così."
"Oh...!"

Non potevo credere alle mie orecchie. E neanche ai miei occhi in realtà: seppur nella penombra della stanza riuscii infatti a scorgere il viso di Edward mentre mi guardava con un'intensità tale farmi avvampare, ancora una volta.
Tuttavia, stavolta, era diverso. Non provavo imbarazzo, no. Soltanto molto orgoglio, francamente, poiché non avevo mai visto nessun altro uomo guardare la propria donna con gli stessi occhi con cui Edward stava guardando me.
Era pur vero che non possedevo grande esperienza in materia...Tuttavia ero certa che, per certe cose, non fosse necessaria nessuna particolare scuola di preparazione.
Comprendevo facilmente tutte le espressioni che si alternavano sul suo viso.

Edward mi osservava con amore. Con intensità, tenerezza, passione. E desiderio.

Desiderio!

In ogni caso, non ebbi tempo a sufficienza per realizzare concretamente l'ultima parte delle mie considerazioni: Edward, infatti, si era già avventato sul mio viso prima ancora che potessi pensare, dire o fare alcunché.


Mi baciò con impeto, come se desiderasse farlo in quel modo da troppo tempo.
Come se si fosse trattenuto troppo a lungo ed ora non fosse stato più capace di frenarsi.


Sorpresa da quella reazione, ci impiegai qualche istante più del dovuto per ricambiarlo come meritava. Racchiusi il suo viso tra le mie mani mentre Edward mi cingeva la vita con un braccio, attirandomi maggiormente a sé.

E compresi allora, nell'oscurità che mi circondava, con il calore della pelle nuda di Edward sul mio corpo e preda felice della sua stretta, che nessun altro momento della mia esistenza, sino ad allora, avesse mai avuto la stessa importanza di quell' istante irripetibile di amore condiviso nella spoglia camera di un ostello di second'ordine.


Al diavolo il Cavern, Marlene, la mia stessa madre!
Al diavolo persino le raccomandazioni di Odette ed il suo timore di lasciarmi partire.

Adesso comprendevo il perché del "...tu non andrai da nessuna parte con il tuo ragazzo".

Aveva paura di questo. Di ciò che sarebbe potuto accadere tra noi una volta soli.

Ed invece...Ce l'avevo fatta. Ero a Liverpool. Con lui.
E non c'era altro posto al mondo dove avessi desiderato trovarmi realmente se non lì.



Lo lasciai fare quando Edward staccò la sua mano dal mio braccio, cominciando a percorrerlo freneticamente in tutta la sua lunghezza. Continuai a baciarlo mentre lui, timidamente - potevo percepirlo - proseguiva nel suo cammino con lentezza. Quasi timoroso. La sua mano si adagiò quindi sulla mia pancia, coperta solo dallo strato sottile del cotone della t - shirt e, dopo poco, si spostò sul fianco. Infine si spinse sino la gamba, sfiorandola gentilmente mentre io continuavo a baciarlo.
Sospirai vergognosamente, senza staccarmi da lui.
Non ero sicura di esser completamente preparata a quel che sarebbe accaduto di lì a poco tra noi ma, di certo, non avevo intenzione di mettere alcuna distanza tra me ed il suo corpo.
Tutt'altro: tirando fuori un'audacia che, di norma, mi era estranea, mi liberai della spessa coperta che mi avvolgeva ed intrecciai la mia gamba nuda al suo fianco.

Edward sospirò a sua volta ed io sorrisi della riuscita del mio goffo tentativo di apparire sensuale ai suoi occhi. Si staccò dalla mie labbra lasciando piccoli baci sul mio mento e poi via via, sempre più giù, sino al collo.
Chiusi gli occhi, emozionata, dimenticando il mondo intorno a me.
C'eravamo solo io ed Edward e soltanto questo contava.

Ero felice, trepidante.
Tutto era perfetto, Edward mi amava ed il suo tocco gentile sul mio corpo....




...



Un momento.

Tocco gentile?
Quale tocco?

Non sentivo proprio più un bel niente!



Strabuzzai gli occhi, di scatto.
Edward, improvvisamente, si era allontanato da me di qualche centimetro, come sospettavo.
Non era più preda del suo abbraccio.

Lo guardai perplessa e...Beh, sì. Anche un tantino irritata.


"Edward..." - Mormorai.
"B - Bella..."
"Edward?"

Non rispose subito.

"Ecco...Ehm...si è....si è fatto tardi. Molto tardi. Dovresti....dovremmo dormire, sì."
"EDWARD?!"
"Tu...tu fai pure. Girati. E dormi. Io ....io vado a farmi una doccia. Fredda."


Lo guardai ad occhi sgranati mentre, letteralmente, si lanciava fuori dal letto.
Chiuse la porta con uno scatto secco ed io sussultai, sempre guardando davanti a me a bocca spalancata. Di questo passo mi sarebbe caduta la mascella.


Non riuscivo onestamente a comprendere cosa tra di noi fosse andato storto.
Avevo fatto qualcosa di sbagliato?

Oh ma no, ero certa di no!

E dunque? Cos'era accaduto di così tremendo da fargli cambiare idea su di noi in maniera tanto rapida?
Era letteralmente scappato a gambe levate da me ed io....ero semplicemente basita. Non avevo alcuna spiegazione razionale per il suo assurdo comportamento.


Risi un po' istericamente.
Davvero, non sapevo cosa pensare.

Dal mio letto potevo udire facilmente lo scrosciare dell'acqua nel bagno.

La doccia fredda di cui aveva blaterato cinque minuti prima.
Grugnii.


Avrei dovuto davvero rassegnarmi, dunque?




"Ooooh, al diavolo! Che cavolo ti è preso, Edward Cullen!?" - Esclamai infine astiosa gettandomi sotto le coperte.


















Mi odiate, vero?? Da uno a cento quanto?? xD
Ma, forse, odierete di più Edward....Quali sono le vostre idee al riguardo? Perché si è comportato in questo modo? *ammicca*

Detto questo...qualche piccolo appunto:

Tutto ciò che vi ho menzionato nel capitolo esiste davvero a Liverpool. Il Café Rouge, ad esempio. Ed il negozio di strumenti.
Ma si tratta di locali attuali. Non posso sapere cosa ci fosse già nel 1978 quindi...passatemi la licenza, per favore! =)

Ovviamente questo discorso non vale per i monumenti...Questi stanno lì da secoli, presumibilmente! ;D
Anche l'Hatters Hostel esiste sul serio...Ho alloggiato lì quest'estate...E non è per nulla scadente, anzi! *___*
Per cui, se vi va di andare a Liverpool, ve lo consiglio caldamente: è pulito ed accogliente. Io l'ho dipinto in termini negativi per ovvi motivi xD
Anche Mount Pleasant, la via dove si trova l'ostello, corrisponde alla realtà. Ma non è una strada malfamata. Solo che mi capitò di passare proprio in uno di quei vicoletti nell'intorno che vi ho descritto e sì...Era piccolo, un po' sporco, ed ebbi l'impressione che non fosse propriamente "sicuro" di notte ...da qui la mia inquietante descrizione! xD

Per quanto riguarda la distanza oraria tra Londra e Liverpool è di 2 ore, attualmente. Ma ho pensato che, all'epoca, i treni ci impiegassero un po' di più per percorrere le proprie tratte. Per cui ho aumentato a quattro ore nel capitolo, se ci fate caso =)
Vera anche la parte sul Cavern: sul finire del '73 fu demolito per far posto ad un parcheggio (-.-') e ricostruito solo successivamente alla morte di John Lennon.
Fortunato Edward che c'è stato! ;)

Credo di avervi detto tutto quindi passo a rispondere alle recensioni.
Ragazze, vi adoro, sul serio. Grazie per i commenti, per il supporto, l'entusiasmo. Mi scrivete di MUB anche su Fb e non sapete quanto questa cosa mi renda felice! :D
Se non l'avete ancora fatto potete aggiungermi, eh! Questo è il link:

Matisse Efp Fb


Un bacio a tutte e grazie!
Matisse.





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Capitolo 17
*** Cap. 17 ***


edward17
My Ugly Boy


By Agnes Dayle Efp









POV BELLA







"Angela, Edward....non mi ha neppure toccata!"


Dall'altro capo della cornetta, la mia amica sbuffò spazientita.


"Non ti ha sfiorata...neppure un tantino così? Oh, andiamo Bells! A chi vuoi darla a bere? Non sono nata ieri! Eravate da soli, nella stessa camera d'albergo...e nello stesso letto! Per favore!"


Questa volta toccò a me sbuffare.


"E va bene! Sì, okay, qualcosina è accaduto ma niente di rilevante....E non farmi scendere nei particolari, Angela!"


Ridacchiò.


"E chi vuole conoscerli, i particolari?"
"Vaffanculo..." - Mormorai.
"Grazie. Sei proprio una principessa, piccola Swan..."
"Angela!"
"Che c'è? Avanti Bella, che vuoi sentirti dire? Ho capito, non è andato...a fondo. Mettiamola così. E quindi?"
"Quindi non gli piaccio!"
"Idiota! Perchè devi sempre estremizzare tutto?"


Sospirai accovacciandomi meglio sul letto e trascinando il telefono con me. Lottai infine qualche istante più del dovuto per riordinare quel maledetto filo ingarbugliato che partiva dalla cornetta.
Ero talmente nervosa che tendevo a prendermela con qualsiasi oggetto mi capitasse a tiro.


"Non capisco le tue parole..."
"Certo, diventi straordinariamente stupida quando vuoi. D'accordo allora, sarò più chiara. Il fatto che Edward abbia tenuto un certo tipo di...distanze, ecco...non dovrebbe essere obbligatoriamente sintomo di qualcosa di negativo, per quanto mi riguarda. Insomma, Isabella...pur essendo un uomo a tutti gli effetti non vuol dire che debba far funzionare unicamente i proprio ormoni, ti pare? Magari era intimidito ed imbarazzato dalla situazione e..."
"Intimidito? Imbarazzato?" - Ripetei - "...No. No, no, no. Non stiamo parlando dello stesso Edward Cullen, Angela."


La mia amica grugnì nervosamente dall'altro lato del telefono.


"Ti rendi conto di quanto tu stia riducendo il tutto ad un fatto puramente materiale? Non conosco bene Edward ma ti assicuro che, nelle rare volte in cui vi ho visti insieme, l'ho scoperto a guardarti con un'adorazione che rasentava l'assurdo. Come se tu fossi una specie di Madonna. Bella!" - Mi rimproverò e mi parve di vedermela comparire davanti con il suo bel viso dall'espressione inequivocabilmente furiosa. - "Edward ti ama...E forse desiderava per la vostra...prima volta...qualcosa di più romantico! Ti sembra così difficile da capire?"



Se l'intento di Angela era quello di mortificarmi ci riuscì perfettamente.

Alla fine di quella tiritera mi sentii poco più di una nullità.

Ovviamente non volevo assolutamente banalizzare il mio rapporto con Edward né la notte che avevamo appena trascorso assieme ma...era davvero così sbagliato, da parte mia, sentirmi tanto delusa ed irritata?

Per un qualsiasi motivo che non mi era chiaro Edward mi aveva rifiutata. Ero quasi certa che la stessa Angela, al posto mio, non l'avrebbe presa altrettanto bene. Eppure...dovevo concederle, con un minimo di lucidità in più, che anche il suo discorso non facesse alcuna piega.
Se davvero la faccenda si era svolta seguendo le congetture di Angela, avrei dovuto ammettere che il comportamento  di Edward meritasse soltanto una lode.
Si era mostrato come una specie di cavaliere in chiave moderna ed un po' rock. Certamente molto più innamorato di me di quanto io stessa avessi afferrato in tutto quel periodo.


Forse avrei dovuto smettere di fare la ragazzina capricciosa e viziata.
Ero abituata ad avere sempre tutto e subito ma era pur vero che la fretta raramente risutava essere una buona consigliera. Per rendere le cose migliori ed i rapporti  più solidi e sinceri occorreva tempo. Avrei dovuto farmene una ragione: non c'era motivo per esser tanto smaniosa.


Di conseguenza, alla fine del mio monologo interiore, fui costretta a prendere atto della situazione ed assoggettarmi alla triste idea che Angela, per una volta, avesse giudicato l'intera faccenda dall'esatto punto di vista.


"Hai ragione...sono una testona."

"Non ho capito bene..."
"Maledizione! Non costringermi a vernire fino a casa tua per picchiarti. Ho detto che hai ragione!"


Percepii la risatina di Angela dall'altro lato del telefono.

"Meno male che ne sei cosciente! Tra l'altro penso che sopravviverò facilmente alle tue botte...Visto che fra due giorni sarò lontana da Londra..."

Grugnii. Benedette vacanze estive.

"Comunque..." - Continuò la mia amica - "Scherzi a parte, un po' ti capisco..."
"Ah sì? In che senso?"
"Beh, con un tipo come Edward seminudo nello stesso letto, ecco...Sì, anche io avrei concepito pensieri impuri."
"Angela! Stai per caso fantasticando sul mio ragazzo?!" - La rimproverai scherzosamente. Mi divertivano sempre molto quei nostri discorsi da pseudodonne vissute e tendenzialmente votate all'adorazione della perfetta estetica maschile. 
"Oh no, no! Che hai capito! Era per dire....Io...Oh Gesù, Isabella!"

Me la immaginai con quella faccetta paonazza e le mani protese in avanti, pronta a giustificarsi nel suo modo buffo ed assolutamente delizioso davanti alla mia ironica insinuazione. Finii col ridere smodatamente.

"Non prendermi in giro, Bells!"
"Non potrei mai, mostriciattolo...A forza di arrabbiarti poi ti prenderebbe un colpo. E cosa farei io senza di te, dimmelo?"

Angela borbottò qualcosa di incomprensibile ma mi parve di afferrare, in quel marasma di parole bofonchiate un ruffiana pronunciato con fin troppa convinzione.

"Nulla. Non faresti assolutamente nulla."


Ancora ridevo del nostro comico battibecco quando un rumore metallico dal piano di sotto richiamò la mia attenzione.


La porta d'ingresso che cigolava sui suoi cardini.
Inequivocabilmente.
Scattai sull'attenti e per poco non ruzzolai dal letto.


"Angela!" - Urlai senza preavviso - "...Sta ...sta tornando!"

Dall'altro capo del telefono la mia amica ci impiegò qualche secondo prima di tornare a parlare.

"Cacchio, Bella! Per poco mi veniva un infarto! Chi diamine sta tornando?!"
"Odette...Oh mio Dio, ODETTE!"

"Oh!"

L'esclamazione di Angela fu piuttosto eloquente.
La mia faccia disperata allo specchio pure.


"In bocca al lupo, Swan. E nel caso ti vada male sappi che ti ho tanto amato. Addio."


Se avessi avuto un minimo di lucidità in più avrei mandato allegramente la mia amica a farsi friggere. Tuttavia, ero vittima di una crisi isterica fin troppo evidente per tener testa alle sue prese in giro, cosicché riagganciai senza nemmeno degnarmi di salutarla.
Mi avrebbe perdonata col tempo, ne ero certa.


Dunque, ormai in preda all'ansia, cominciai a girovagare per la stanza, torturandomi i capelli, le unghie, le pieghe della gonna.
Se al posto del pavimento avessi avuto del flaccido terreno sotto i miei piedi, avrei certamente scavato un fossato sufficientemente profondo.
Tra l'altro stavo anche reprimendo, con decisa fatica, un senso di nausea piuttosto insopportabile.



Detestavo le situazioni da panico.
Tipo quella che stavo vivendo, tanto per intenderci.
Eppure, avrei dovuto trovare il coraggio per affrontare Odette. Non avrei certo potuto rifuggire dal suo sguardo accigliato tutta la vita e mi era già andata di lusso nel momento in cui, tornando a casa quella mattina  l'avevo trovata vuota. Almeno mi era stato concesso del tempo in più da sola per poter riflettere sul da farsi, per spremermi le meningi e tirar fuori dal cilindro una buona idea. Una giustificazione che avesse potuto salvarmi dalla furia - ben giustificata, tra l'altro - della mia governante.
Edward aveva anche tentato di darmi una mano, in tal senso e mi aveva persino proposto di lasciar parlare lui con Odette piuttosto che affrontare la situazione da sola. Pensava che mostrare quanto entrambi fossimo profondamente rammaricati per l'accaduto avrebbe potuto risultare più credibile ai suoi occhi. Credeva che un simile atteggiamento l'avrebbe spinta ad un perdono più rapido.


Ovviamente avevo rifiutato il suo aiuto.
Per due motivi fondamentali.
In primis desideravo riuscire a cavarmela da sola. In fondo ero stata io a non mostrarmi in grado di mantenere la parola data: Edward non c'entrava nulla in tutta quella storia. Non volevo di certo trascinarlo in faccende che prescindevano dalla sua persona. Odette mi aveva accordato fiducia ed io ero venuta meno alle sue aspettative, benché tutto questo non fosse certamente dipeso dalla mia volontà. Di conseguenza, mi sarei assunta io stessa le mie responsabilità ed avrei provveduto a spiegarmi con lei in maniera quanto più chiara possibile, sperando nel suo perdono.
Odette era una persona buona ed intelligente, dopotutto. Non avrebbe dovuto tenermi il broncio per così tanto tempo,a conti fatti. Inoltre, speravo di poter sciogliere il suo cuore mostrandole gli svariati regali che avevo portato esclusivamente per lei da Liverpool. Una mossa del genere avrebbe dovuto permettermi di guadagnare almeno qualche punto.
Okay, lo sapevo: stavo giocando sporco ma si trattava di una questione di sopravvivenza.

In secondo luogo avevo negato ad Edward la possibilità di offrirmi il proprio aiuto anche - e soprattutto - per mettere un po' di distanza tra noi, pur soltanto per un'ora.
Necessitavo della mia sola compagnia, specie dopo il viaggio di ritorno che avevamo affrontato quel mattino.
Non avevo mai pensato, infatti, che tra me ed Edward avessero potuto sussistere momenti di silenzio così infinitamente lunghi ed inequivocabilmente imbarazzanti. Mi ero francamente abituata, in quel nostro tempo assieme, ad un'altra routine. Una quotidianità fatta di sguardi eloquenti e divertiti, sorrisetti dispettosi e discorsi infinitamente lunghi su ciò che eravamo, su ciò che avremmo desiderato essere realmente e su quel ci aspettavamo dal futuro.
Il nostro conoscersi era nato in maniera del tutto spontanea e naturale: mi era risultato sin da subito molto semplice avvicinarmi a lui, ribattere alle sue frasi scherzose, indagare quelle espressioni enigmatiche che tendeva talvolta ad assumere e tenergli la mano mentre lui mi pregava scherzosamente di lasciargli accordare il basso, piuttosto.

Ed ora invece? Non sapevo cosa pensare, effettivamente. Ma ero cosciente che quell'imbarazzante mutismo fosse in grado di farmi molto male più di un litigio vero e proprio.


In realtà, non c'era stata alcuna discussione tra di noi. Semplicemente, considerandomi impotente nel raccapezzarmi tra i mille dubbi che assillavano la mia mente e l'idea - sostanzialmente insopportabile - che Edward mi avesse "rifiutata" senza un motivo apparente, avevo scelto infine io stessa la strada del silenzio.
Per cui, lui non era di certo da considerarsi il vero artefice di quello strano clima da guerra fredda. Piuttosto, avrei dovuto ammettere che la colpa fosse soltanto la mia e che...beh, sì, che un pochino arrabbiata lo fossi effettivamente, dopotutto.


Inoltre, dopo una conclusione di serata del genere - per quanto  indipendente dalla mia volontà - con quale faccia e con quanta disinvoltura avrei mai potuto tornare a rivolgergli la parola come se nulla fosse accaduto tra di noi?
No, ero seria: avevo bisogno di qualche ora in solitudine per schiarirmi le idee, rimurginare lucidamente sui fatti miei e tornare infine da Edward con un sincero sorriso sulle labbra.


Ovviamente Edward aveva accolto il mio netto rifiuto con un'espressione inequivocabilmente corrucciata, ma aveva avuto il buon gusto di non insistere. Ancora non avevo compreso, tuttavia, se l'avesse fatto perché accettava e rispettava la mia scelta o, semplicemente, perché si era indispettito e pensava che meritassi, a quel punto, di sbrigarmela da sola. In ogni caso non badai troppo a quel particolare: avremmo avuto tempo per rimediare e chiarire.


Certamente, una volta giunti alla London Euston Station l'avevo lasciato andare con un peso sul cuore e più volte la tentazione di richiamarlo mentre la sua figura scura si allontanava tra la folla si era fatta strada in me. Ma non era quello il momento né il luogo: ci saremmo ritrovati quanto prima, nella nostra quotidianità fatta di Brixton e Camden Town, di sale prove ammuffite e passeggiate in riva al lago, ed allora tutto sarebbe semplicemente scivolato al suo posto senza troppe chiacchiere inutili.


A quel punto, ciò che mi premeva realmente era soltanto affrontare il colloquio con Odette e sperare nella sua clemenza.
Cosicché, posi fine al mio stupido andirivieni in giro per la stanza e cercai di darmi un tono.

Inspirai profondamente, sistemai la gonna, riavviai i capelli.



"Non. Essere. Codarda" - Mormorai alla me stessa riflessa allo specchio che mi guardava con l'espressione spiritata di chi si apprestasse ad un funerale. Involontariamente ero finita col ripetere le medesime parole che avevo pronunciato la sera prima quando, chiusa nello sterile bagno di un motel di Liverpool, avevo tentato così scioccamente di darmi coraggio per affrontare la mia presunta notte con Edward.


Dal basso udii svariati rumori metallici, come un tramestio continuo di pentole e stoviglie.
Lanciai un'occhiata all'orologio: quasi mezzogiorno.


Odette stava raccogliendo il necessario per preparare il pranzo.
Dunque si era diretta in cucina senza ripensamenti.
Strano.
Perché non era salita alle camere superiori? A conti fatti non doveva essere particolarmente preoccupata per la mia assenza se non si era neppure degnata di verificare il mio eventuale ritorno.

Battendo un po' il piede in terra, agitata, mi decisi infine a raggiungerla io in cucina, piuttosto che aspettare che il destino si decidesse per me.


Aprii piano la porta, evitando che cigolasse un po' troppo rumorosamente sui propri cardini ed altrettanto lentamente mi mossi lungo le scale.
Ovviamente tanto accortenza risultava superflua ed anche un po' stupida, considerando che di lì a poco avrei avuto Odette faccia a faccia. Tuttavia mi consentiva di dilatare i tempi del nostro incontro e tranquillizzarmi.


Sì, effettivamente ero un' idiota. Angela non doveva aver poi tanto torto, io stessa cominciavo ad averne le prove.




Quando infine raggiunsi la porta d'ingresso della cucina scoprii Odette di spalle, intenta ad affettare verdure in un ambiente luminoso. Lo compresi dai colpetti ritmici e soffocati sul tagliere in legno.

Teneva una radiolina accesa su di un ripiano poco distante, a volume tanto basso che faticai non poco per riconoscere la voce di Mick Jagger.

Mi poggiai allo stipite, in paziente attesa: non sapevo neppure cosa le avrei detto quando si fosse voltata. Avrei dovuto sperare, comunque, di non farle prendere un colpo troppo grande.


"Sei tornata, Isabella..."

"Odette!"


Per poco non lo presi io, il colpo, in realtà.


"Tu sai..."
"Che sei qui? Certo che lo so." - Si voltò appena - "....Il tappeto all'ingresso..."
"Cosa?"
"Hai l'abitudine di sistemarlo sempre, finché i bordi combacino perfettamente con lo stipite della porta. Era in ordine quando son rincasata, è così che ho capito che eri tornata."


La sogguardai con aria sconcertata.


"Non me n'ero mai resa conto..."
"Solo una piccola psicosi." - Rispose ripulendo il coltello lungo il grembiule e voltandosi finalmente a guardarmi. Aveva uno sguardo stanco.  - "Tutti noi ne abbiamo. Io, per esempio, piego sempre perfettamente il quotidiano dopo averlo letto. Se non lo faccio sto male tutto il giorno."

Ero scioccata.
Nessun urlo?
Nessuna espressione furiosa?

Davvero?


"Odette ma...non sei...?"
"Arrabbiata con te? Tantissimo, Isabella."


Mi staccai dalla porta avanzando a piccoli passetti verso di lei.

"Però...?"
"Ti aspetti una scenata, forse? Non è nel mio stile..."
"Ciò vuol dire che coverai internamente il tuo disappunto e non mi consentirai più di metter la testa fuori casa per i prossimi milleduecento giorni?"
"Isabella, io e te di giorni insieme dovremo condividerne scarsi venti, ancora..."
"Quindi?"
"Quindi non ti punirò."

Poco mancò che perdessi i sensi, seriamente.

Dopo una simile affermazione ero più o meno certa di essere la creatura più fortunata - e conseguentemente più felice - al mondo.
Se davvero, dopo aver sfidato così apertamente le regole ferree che la mia governante mi aveva imposto, ero riuscita a non scatenare la sua ira beh....dovevo avere davvero qualche buon santo che vegliava su di me dal Paradiso, questo era certo.

Il giorno in cui l'avessi raggiunto gli avrei pagato gli straordinari.



Nel mentre delle mie congetture mentali, Odette tornò a guardarmi con attenzione.


"Hai un sorriso ebete stampato sulla faccia, Isabella. Non cantar vittoria troppo presto."
"In che senso?"
"Ho già preparato tutti i testi sul tavolo in salotto. Scienze, arte, letteratura e matematica. Questo fine settimana si studia e non ammetto repliche."


La guardai a bocca spalancata.
Avrei dovuto semplicemente studiare, per punizione?


Soltanto quello?


"Va bene." - Risposi commossa. - "...Va bene, va bene, va bene, va bene! Tutto ciò che vuoi! Oh, Odette, grazie!"


Le concessi appena il tempo per adagiare il coltellaccio sul ripiano della cucina prima di gettarle le braccia al collo.

"Grazie, dal cuore...Scusami, so di averti fatto preoccupare..." - Sussurrai aspirando il suo buon profumo. Talvolta Odette risultava estremamente materna al mio cuore, e  non mi riusciva così difficile rivolgerle certi gesti d'affetto. Sicuramente più facile di quanto non accadesse con mia madre.


Mi carezzò a sua volta i capelli, parlando piano.
Troppo piano.

"Ho visto il notiziario locale ieri. Parlavano di un problema alle linee ferroviarie. Ero certa che non ce l'avresti fatta a tornare, Bella. Avresti potuto avvertirmi, però...Avrei dormito più tranquillamente. Spero comunque tu ti sia comportata adeguatamente..." - Calcò sulle ultime parole.

Mi staccai per un attimo dalla sua presa, rivolgendole uno sguardo attento.

"Odette, ti giuro che c'ho provato! Ma avevo pochi gettoni , non reggevano la telefonata! Ti prego di scusarmi...Eh sì...Siamo stati...bravi."


Avvampai. Lei, piuttosto, mi rivolse uno sguardo pieno di tenerezza.
Non riuscivo a comprendere la strana sensazione che mi trasmettevano i suoi occhi quel giorno: di rammarico. Quasi disperazione. Come se avesse covato un dolore tanto a lungo da somatizzarlo ed esprimerlo nelle pieghe profonde del viso, attraverso le labbra appena più screpolate e gli occhi dalle palpebre appesantite.
Più del solito, quel giorno Odette mi appariva come una bellezza decisamente antica.



Possibile che fosse soltanto colpa mia, delle preoccupazioni che le avevo dato?



"Ti credo Isabella." - Riprese ad un certo punto, accarezzandomi più e più volte la chioma scura - "..Va bene, non importa più. Adesso sei qui."

"Grazie..."

"Di cosa? E' proprio così che dovrebbe essere...E le mamme non dovrebbero mai mostrarsi troppo dure con le loro creature. Mai." - Mormorò. E parlava con me, occhi nei miei occhi. Ma guardava altrove.

"Odette? E' tutto...a posto?" - Sussurrai sconvolta.

Attese qualche istante prima di rispondere.

"Sì...sì, è tutto a posto. Adesso va' Bella, su..." - Commentò come riprendendosi dallo stato di trance nel quale era scivolata pochi istanti prima. - "Fra poco il pranzo sarà servito. Datti una sistemata nel frattempo."

Annuii, ancora perplessa. Mi staccai con riluttanza ed altrettanto lentamente mi allontanai dalla cucina mentre Odette mi rivolgeva un'ultima, timida occhiata prima di rimettersi ai fornelli.
Uscii da quella stanza con una sgradevole sensazione di vuoto dentro di me che si palesò in un mal di stomaco piuttosto fastidioso.

Non riuscivo a comprendere l'atteggiamento enigmatico della mia governante, il suo sguardo vacuo e quelle parole stravaganti, apparentemente prive di significato che aveva rivolto al mio indirizzo. Considerando che non ero ovviamente io il destinatario di tale discorso mi era davvero impossibile trovare una spiegazione sostanzialmente valida al suo comportamento bislacco di quel giorno.

Risalendo le scale a piccoli passi mi dissi che forse Odette doveva essere un tantino stanca. Io le davo mille crucci ed in più aveva la casa cui badare, nonché la mia istruzione.
Forse mia madre le stava dando più ordini e preoccupazioni di quanto io stessa immaginassi. Magari aveva problemi personali e familiari che la tormentavano. Cosa potevo saperne io? Del resto mi parlava assai raramente di se stessa.
Tuttavia, considerai che Odette non meritasse assolutamente il suo cattivo umore: avrei dovuto far qualcosa per risollevarle il morale, qualsiasi fosse stato il motivo di tanto rammarico.


Per cui mi affrettai a raggiungere la mia stanza ed altrettanto velocemente afferrai, dalla scrivania, la gigantografia dei Beatles che avevo acquistato per lei in un negozio di souvenir di Liverpool. Ritornai lungo la scalinata e percorsi i gradini due alla volta. Quel regalo era tutto ciò che possedevo per farla sorridere: sperai potesse bastare.


Giunsi in cucina, blaterando a gran voce, dopo appena cinque minuti. La ritrovai di nuovo di spalle, intenta al pranzo.


"Odette! Guarda cosa ti ho portato da Liverp..."


Mi morsi letteralmente la lingua e le parole mi morirono in gola nello stesso istante in cui Odette si voltò.
Stava piangendo. E no....non stava affettando verdure né rimescolando minestre.
Teneva in mano qualcosa, semplicemente.


Aguzzai la vista.


A primo impatto - osservando i bordi zigzagati del cartoncino - mi sembrava una foto. Forse anche un po' vecchia.


Le braccia mi cascarono lungo i fianchi e per poco la mia gigantografia beatlesiana non ruzzolò miseramente sul pavimento. Ebbi la lucidita di stringerla maggiormente nel medesimo istante: non volevo si rovinasse.


"Odette!"


Mi guardò con occhi infinitamente tristi.


"Dio Mio....che ti è successo?"


Le corsi incontro, frastornata.


"Cos'è quello? E perché stai piangendo?" - Mormorai indicando la presunta foto che stringeva tra le mani. Non c'era curiosità nelle mie parole. Soltanto molta preoccupazione.

Ci impiegò qualche minuto più del dovuto prima di rispondermi. Asciugandosi l'ultima lacrime prima ancora che quest'ultima potesse infine scivolare lungo la guancia, infine, mormorò stentatamente:

"E' il ritratto di mio figlio."







*






"Avevo diciassette anni, la tua stessa età..." - Cominciò versandomi del succo d'arancia - "...Quando m'innamorai di Jean Baptiste. Era il millenovecentocinquantacinque, abitavo a Londra ma quell'estate mi trovavo in vacanza a Parigi, la città che ha dato i natali a mia madre. Beh, ti assicuro che incontrare Jean fu l'avvenimento assolutamente più....disgraziato che avesse potuto capitarmi."

"Disgraziato?" - Mormorai sconcertata - "...Ti eri innamorata, dov'era la disgrazia in tutto questo?"

Odette sorrise dolce, senza guardarmi.

"Ovviamente stavo scherzando. E' stata la cosa migliore della mia vita ma...Ho avuto parecchie complicazioni.  All'epoca avevo già un fidanzato, Isabeau."
"Oh...!" - Esclamai.
"Scelto per me dalla mia famiglia..."
"Che cosa?!" - Il succo che avevo appena ingurgitato mi finì di traverso.

"Tesoro, le cose funzionavano diversamente, al tempo. E la mia era una famiglia facoltosa con equilibri interni - soprattutto economici - da preservare necessariamente. Andrew, il mio promesso sposo, rappresentava il partito perfetto per una giovane e ricca fanciulla come me: aveva i soldi, aveva il successo. Era bello, sempre sorridente, d'alto rango. I miei genitori l'adoravano, letteralmente."
"E Jean, invece?" - Domandai quasi timorosa.

Guardai Odette mentre osservava un punto lontano ed indefinito con l'aria persa e sognante di una giovane donna. Doveva ricordare con molto amore ancora il suo Jean.


Accennò ad un nuovo sorriso, questa volta più sincero e spensierato.

"Jean era...un artista di strada. Un pittore, esattamente. Per vivere dipingeva quadri lungo la Senna. Fu così che lo conobbi: mi fermò per strada un giorno, mentre tornavo dalla messa domenicale. Da sola, stranamente. Ma la chiesa era vicina e mia madre era ammalata quel giorno, per cui ebbi il permesso di uscire senza accompagnamento. E fu allora: mi chiese il consenso di ritrarmi. Mi confessò che, sinceramente, ero la più bella fanciulla che avesse mai incontrato in tutta la sua esistenza."

"Che cosa....che cosa romantica!" - Sospirai avvinta. Odette sorrise di nuovo.

"Beh, pensa quanto potesse essere più romantica ancora per me, una ragazzina inesperta convinta che fosse un gesto d' amore star seduta inerme per ore accanto ad un presunto fidanzato assolutamente indifferente. Andrew non era portato ai complimenti. Non riuscivo neppure a comprendere se fosse quantomeno interessato a me nelle rare occasioni in cui avevamo il permesso di incontrarci assieme alle nostre rispettive famiglie. Non mi guardava mai negli occhi e mi salutava con formalità e sufficienza. Tuttavia, piuttosto scioccamente, pensavo che proprio così sarebbero dovute andar le cose e l'avevo accettato: anche il matrimonio dei miei genitori era piuttosto scarso in termini affettivi ma mia madre non mi sembrava risentirne particolarmente. "
"Però?"
"Però...quando conobbi Jean...Quando mi guardò per la prima volta con quello sguardo rapito, come se fossi stata un gioiello prezioso...Oh, Isabella! Compresi tante cose, in un solo istante..."
"Colpo di fulmine?" - Conclusi sorridendo.

"Un colpo di fulmine durato cinque anni. Sì..."
"Cinque anni?" - Sgranai gli occhi. Pensai di non aver mai ascoltato una storia altrettanto dolce come quella che Odette mi stava narrando. Al di là del fatto che si trattasse di un racconto assolutamente meraviglioso e pieno d'amore davanti al quale soltanto un cuore di pietra non sarebbe stato in grado di sciogliersi, fu inevitabile per me affrontarlo con maggior partecipazione ed interesse. Nella giovane sprovveduta e di buona famiglia che era stata Odette rivedevo me. Nel suo scapestrato Jean il mio dolcissimo Edward.
E quel loro colpo di fulmine era stato anche il nostro.

Improvvisamente Edward mi mancò moltissimo e mi pentii di non avergli consentito di riaccompagnarmi a casa. La rabbia - quella stupida ed inutile rabbia - stava sbollendo ormai. Desideravo soltanto rivederlo, incontrare di nuovo i suoi occhi, sfiorargli le mani e lasciargli intendere quanto l'amassi.

Ma Odette non poteva conoscere di certo l'improvviso corso dei miei pensieri. E continuò a raccontare.

"Sì, cinque anni. Fuggii di casa, una notte, con Jean. E da quell'estate non tornai a Londra, dalla mia famiglia, per molto, molto tempo."
"E come...perché sei scappata?" - Guardai Odette stralunata. Non riuscivo a comprendere.
"Tesoro...Sei così ingenua! Credi davvero che la mia famiglia avrebbe potuto accettare uno squattrinato artista come compagno di vita per la propria figlia? Con un fidanzamento già concordato, per giunta? Mio padre l'avrebbe ucciso con le sue stesse mani, ovviamente!"



Oh...
Forse anche Renèe avrebbe ucciso Edward con le sue stesse mani.
No. Senza forse. L'avrebbe fatto certamente.



"Come...come hai fatto?"
"Lasciai una lettera in cui mi scusavo per il mio ignobile comportamento ma spiegavo loro che il tutto era stato dettato da un amore troppo profondo per essere ignorato e speravo che avrebbero potuto comprendermi col tempo e scusarmi. Ovviamente non l'hanno mai fatto. Ancora oggi mi ignorano. L'unica persona con la quale matenni i rapporti, seppur in maniera sporadica, fu mia sorella Charlotte: le inviavo le mie lettere a casa di una sua cara amica e lei mi rispondeva quando poteva.  Mi disse che nostro padre mi aveva ripudiata, che aveva ufficialmente ammesso di avermi disconosciuta. A conti fatti, non dovrei neppure portar più il mio cognome, Headon. Ma è l'unico che abbia e me lo tengo."


Più lacrime impertinenti cominciarono a pungermi all'angolo dell'occhio:  nella vita triste di Odette ritrovavo un po' della mia prigionia, dei limiti che mia madre aveva imposto a me. Ma io, viceversa, avevo dalla mia parte un padre buono e mite ed una sorellina dolcissima. Se avessi commesso un errore del genere - sempre se di errore avessi potuto parlare - loro almeno mi avrebbero perdonato. Odette invece...mi sembrava sola. Lo era, forse. Nei suoi occhi di donna adulta e matura rivedevo lo sguardo di una diciassettenne cresciuta troppo presto e per troppo amore. Una diciassettenne che aveva accettato l'odio della propria famiglia di origine pur di sfuggire alla sterilità di un matrimonio senza affetto.

Davanti agli occhi innamorati di Jean ed al suo cuore puro la giovane Odette Headon non aveva saputo resistere ed aveva preferito la sua povertà a quella ricchezza glaciale che l'attendeva nella sua lussuosa casa di Londra.
Avrei mai potuto darle torto?
No. Io avrei fatto lo stesso.
Lo stavo già facendo.


Perché era l'amore a contare. Non le poltrone comode, i vestiti costosi, le macchine di lusso, la gente perbene.
Solo l'amore vero e sincero. Anche vissuto sotto un ponte andava bene lo stesso.


"Odette..." - Commentai quindi - "...Tu oggi sei qui. Ma Jean non c'è. E'...andata male fra voi?"


Gli occhi parlarono prima della sua bocca.


"No, è andata bene. Ci siamo amati fino all'ultimo giorno. Solo che... Jean è morto. Il due Dicembre del millenovecentocinquanove. A Parigi. Nella nostra casa piccola ed umida, la più bella dove avessi mai vissuto. Soffriva di problemi cardiaci mai curati. Mi lasciò vedova e sola, perché nel frattempo c'eravamo anche sposati, nonché incinta di sei mesi. A Marzo dell' anno successivo nacque Guillaume."


Repressi a stento un singhiozzo. Due.
Davanti agli occhi aridi di Odette - e non certo perché non fosse assolutamente devastata - provai ancora più dolore.
Le tesi la mano, prontamente. Ricambiò.


"Ho cresciuto Guillaume per meno un anno. Sette mesi esatti. Poi non ce l'ho fatta più. Ero una donna disperata, piangevo la perdita di Jean giorno e notte e non ero in grado di curare il mio bambino. Guillaume piangeva con me  ed io prendevo a calci i tavoli e le sedie per non urlare. Pensavo che Jean mi avrebbe disapprovata come madre e questa consapevolezza mi distruggeva. Non ero in grado di fare la mamma. Semplicemente perché non potevo esser più moglie. Ero devastata..."


Nel ricordo dei suoi anni bui lo sguardo di Odette si fece vacuo. Parlava con una voce che non era la sua: quel suo tono dimesso e distaccato faceva male al cuore.


"...Inoltre, non avevo un lavoro. Non sapevo come sopravvivere. All'epoca non avevo la medesima presenza di spirito di adesso. Se accadesse oggi mi rimboccherei le maniche e combatterei, in quel tempo ero solo una ragazzina stupida e spaventata. Per cui raccolsi i pochi spiccioli che possedevo, m'imbarcai e tornai a Londra sperando, scioccamente, di poter impietosire i miei genitori. Ma, a conti fatti, a casa mia non mi ci accostai più. Non ebbi coraggio a sufficienza per prendermi i ceffoni che mio padre mi avrebbe certamente rifilato. Per cui, stanca e disperata, una notte di fine Ottobre lasciai Guillaume sulle scale di un orfanotrofio, battendo forte alla porta prima di andar via. Ecco cosa ho fatto, Isabella: ho abbandonato mio figlio perché non ho avuto abbastanza coraggio per affrontare la vita. E forse perché non l'amavo abbastanza, non quanto avessi amato suo padre. Adesso sai tutto di me e potrai giudicarmi male, non ti biasimerò. E' ciò che merito perché sono una creatura indegna della pietà umana. Ma voglio comunque che tu sappia che tutto ciò che ti sta raccontando è la lezione di vita di una donna che ha sbagliato ed ammette i suoi errori. Forse non sarà molto educativo ma credo che questo mio discorso valga molto più di tanti precetti religiosi per la tua giovane mente."



Dal canto mio, ero semplicemente basita ed a corto di commenti.
Avrei anche faticato a credere che quella fosse la realtà se l'espressione assolutamente terrificante di Odette non me l'avesse confermato più di qualsiasi altro inutile discorso.
Era davvero difficile immaginare la severa, rigida ed impostata Odette Headon come la fanciulla prima scapestrata ed innamorata e successivamente irresponsabile e disperata che lei stessa mi aveva descritto.
Ma davvero doveva essere andato in quel modo e chi ero io, stupida adolescente figlia di papà, per poter giudicare i casi della vita altrui? Soltanto Odette conosceva la sua sofferenza, l'immenso amore che l'aveva legata a Jean e che ancora la costringeva a parlare di lui con gli occhi lucidi dopo diciassettenne anni dalla sua morte, nonché le condizioni che l'avevano portata ad abbandonare un figlio che certamente adorava, per quanto all'epoca tutto le apparisse distorto e fuori luogo.
No, davvero. Non ero nessuno e chiunque altro non avrebbe potuto arrogarsi, in ogni caso, un simile diritto.


"Io non ti giudico, Odette. Ci mancherebbe."
"Merçi, mia piccola Isabella..." - Commentò.

Attesi qualche istante. Poi, domandai:

"Hai più...saputo nulla di Guillaume da allora, Odette...?"

Si asciugò il viso col dorso della mano, sospirando.
Le costavano fatica quelle confessioni.


"Sì. Ma anche questa è una storia lunga..."
"Raccontami tutto, son qui..."


Mi guardò con gratitudine.


"Dopo aver abbandonato mio figlio..." - Spiegò infine - "... scappai a Birmingham e qui lavorai un po' come cameriera. Racimolai abbastanza soldi per fuggire via, di nuovo. Negli Stati Uniti questa volta. Ormai la mia vita era un continuo migrare e peregrinare, nessun posto era casa mia e dopo un po' mi stava stretto. Avevo lasciato la Francia perché mi ricordava Jean, avevo lasciato l'Inghilterra perché mi ricordava Guillaume e la mia famiglia. Ormai il vecchio continente era una persecuzione per me cosicché decisi di migrare oltre oceano dove non c'erano ricordi. Ma gli spettri te li porti dietro, Isabella. E neanche nel Nuovo Mondo son stati clementi con me. Sono diciotto anni che sogno Guillaume tutte le notti, che sogno il suo viso da neonato, l'aspetto che avrà adesso. E son più anni ancora che sogno Jean...Per quanto io possa aver amato ancora dopo di lui..."
"C'è stato un altro?" - Domandai curiosa.
"Sì, Ethan. Era una specie di hippie...Mi ci portò lui a Woodstock" - Sorrise con me. - "...Ma non l'ho mai amato quanto Jean. E lo sapeva, diceva di comprendermi. Non so se questo sia vero. Ma non gli ho mai promesso nulla e lui ha accettato questa condizione. Quando l'ho lasciato mi ha persino chiesto di tenerci in contatto, essere amici. Non l'ho più rivisto da allora."


Mi tenni il capo con la mano sinistra. Non riuscivo ad incamerare tutte quelle informazioni, mi stava venendo un serio mal di testa.

Incredibile quanto avesse potuto essere avventurosa ed - insieme - infinitamente triste la vita della povera Odette!


"Perché...perché sei tornata?"
"Qui a Londra?" - Alzò le spalle, versandosi altro succo d'arancia - "...Perché mi mancava terribilmente. L'ho portata nel cuore tutti questi anni e ad un certo punto il suo ricordo ha preteso che tornassi indietro. Hai idea di quanto possa incatenarti questa città? No, non puoi saperlo, non l'hai mai lasciata...E perché...qui c'è ancora mio figlio e voglio rivederlo, giusto per rispondere alla tua domanda precedente. Anche da lontano, anche se non mi chiamerà mai mamma e forse sarà meglio così, tanto, se venisse a conoscenza della verità, mi odierebbe per il resto dei suoi giorni. Nel frattempo faccio l'unica cosa che ho sempre saputo fare da ragazzina: tenere in riga le altre persone esattamente come tenevo in riga me stessa prima dei miei diciassette anni. Ecco perché sono una governante. E per questo dovrò ringraziare, malauguratamente, la mia famiglia e la buona istruzione che m'ha impartito." - Sospirò rassegnata.


Sul tavolo, tra di noi, c'era una foto in bianco e nero, dai contorni sfumati. Tanto amata e racchiusa per un tempo così infinitamente lungo tra due amorevoli mani di mamma che appariva consunta in più punti, i suoi bordi quasi sfrangiati ormai.
Raffigurava un bambino di pochi mesi in braccio ad una ragazza dallo sguardo assolutamente....disperato.
L'espressione stravolta in un viso da bambina. Non aveva nulla della gioia tipica di una neomamma. La guardai turbata.


"Questa foto...La scattò un amico fotografo di Jean, prima che lasciassimo la Francia per Londra. Qui Guillaume aveva tre mesi soltanto." - Spiegò Odette mentre la rigiravo tra le mie mani.
"Odette?"
"Sì?"
"Mi hai detto che qui c'è Guillaume. Quindi tu hai idea di dove si trovi esattamente adesso?"


Impiegò qualche minuto per rispondere.

"Sì, è così..." - Ammise infine. - "Credo di saperlo. Sono mesi che porto avanti le mie indagini ed un' amica che lavora nei servizi sociali mi sta dando una mano molto importante. Ma te l'ho detto. Non desidero che mi conosca. Voglio soltanto accertarmi che stia bene, nulla in più."

Fui tentata di farle molte domande ancora su Guillaume, su ciò che avesse scoperto di lui, sulla famiglia nella quale doveva essere capitato. Ero curiosa di sapere che vita gli fosse poi stata assegnata dalla sorte, cosa facesse nei suoi giorni, se fosse un artista come suo padre.

Tutto ciò che riuscii a domandare, tuttavia, fu uno stentato:


"Credi sia felice?"
"Lo credo." - Rispose certa.

Infine, continuò:


"...Isabella? Io ho conosciuto il grande amore. E per questo grande amore ho fatto scelte sbagliate e mi son procurata molto, troppo dolore. Ma è stata di certo la cosa migliore che mi sia capitata nella mia vita e non me ne pento: se tornassi indietro rifarei tutto daccapo, tranne che abbandonare mio figlio. In quel periodo della mia esistenza con Jean mi son sentiva viva, per la prima volta e davvero. Sapevo di possedere uno scopo, qualcuno per cui sorridere ogni mattina al risveglio. Quindi, voglio dirti solo questo e forse non dovrei perché non rientra nel mio ruolo di governante. Ma non m'importa. Beh, ascoltami bene...Hai un grande amore? Credi davvero che Edward sia la persona giusta per te?"


Un po' sconcertata da quelle parole così improvvisi annuii lentamente. Odette si avvicinò a me prendendo entrambe le mie mani tra le sue.


"Lo credo...Lui è..."
"Diverso?"
"E speciale. Sì." - Confermai.


"Bene. Ed allora permettere mai, MAI a nessuno di impedirti di vivertelo quest'amore. Edward è un musicista, è un folle meraviglioso cui hai donato la tua anima? Perfetto. A dispetto di ciò che ti diranno - perché te lo diranno certamente, appena si spargerà la voce - combatti per la vostra storia se davvero vale la pena di farlo. Ti dico queste cose perché in voi due un po' rivedo me e ti assicuro che se potessi pagherei per tornare indietro e riabbracciare il mio Jean. Non importa se non risponderà mai agli standard di tua madre: purché tu non commetta sciocchezze, hai diritto ad amarlo ed essere riamata. Hai una luce meravigliosa negli occhi quando parli di lui, la stessa che avevo io all'epoca. E vorrei che non si spegnesse mai com'è viceversa accaduto a me. Perché ho imparato a conoscerti e volerti bene, per quanto tu mi faccia preoccupare talvolta, e vorrei che tu fossi felice. Sul serio."


Questa volta mi commossi per davvero, gettandomi tra le sue braccia.


"Odette...Io non so neppure..."

Neppure cosa risponderti Odette. Ma so di per certo che mille volte avrei desiderato ascoltare le medesime parole pronunciate dalla bocca di mia madre. Ed invece non è mai accaduto.
Grazie per avermele rivolte tu.


"Cosa dirmi? Nulla Isabella, non devi dirmi nulla."
"Io spero...che tu possa conoscere Guillaume. E spero che lui possa amarti, un giorno, come meriti." - Sospirai. Fu tuttò ciò che riuscii a dire.


"Lo spero anche io" - Ammise - "Anche se sono consapevole che non accadrà mai."












POV EDWARD






"Cioè, fammi capire...Tu non l'hai neppure...Davvero non hai provato....Diamine Edward, avevi una sventola nel tuo letto e cosa fai? La ignori? Ma sei scemo, amico?!"


Mi massaggiai la fronte con la mano sinistra.
Da quale anfratto particolarmente nascosto della mia  mente m'era venuta la malsana idea di sfogarmi sulla cattiva riuscita della notte appena trascorsa assieme ad Isabella con Jasper ed Emmett?


Imbecille, Edward. Il solito sputtanato imbecille, ecco cosa sei!


Volevo dire...Passi per Jazz che tendeva ad ascoltare attentamente e, di norma, mi consigliava in maniera particolarmente saggia ma...Dio, quel bestione di Emmett mi stava dando i nervi! Ed il bello era che non si trattasse certamente di una novità: avrei dovuto essere abituato ai suoi approcci particolarmente "materiali", in termini di amore e sentimento.
Di cosa ancora mi spaventavo, esattamente?



Jasper mi guardò qualche istante ed infine ridacchiò di fronte alla mia espressione rassegnata.
Emmett lo guardò sconcertato.


"Ehi amico, che ho detto stavolta?? Vuoi negare che Edward non sia stato un coglione?? Andiamo!"
"Emmett...Prima che Ed ti tiri l'ennesimo pugno in faccia, potresti smetterla di dire cazzate? Mi secca un po' questa cosa di dover sempre fare l'arbitro tra voi due..."
"Ma diamine Jazz! Tu cosa faresti se ti ritrovassi Alice nello stesso letto in preda agli ormoni, dimmelo?!"


Guardai un po' sadicamente il pallore che andava diffondendosi improvvisamente sul volto di Jasper.
Emmett doveva aver dimenticato piuttosto stupidamente che Alice, la ragazza di Jasper, fosse anche mia sorella e che, probabilmente, immaginarmela mezza nuda tra le braccia del suo ragazzo - per quanto mio carissimo amico - non dovesse risultarmi particolarmente gradevole.
Ma, ovviamente, non ci arrivò affatto.

Di fronte a quell'ultima uscita infelice, Jazz scattò dal divano sbilenco e scolorito del garage. Pensai fosse sul punto di saltargli addosso e dargliele di santa ragione e sospirai sollevato: per una volta avrebbe pensato lui a farlo rigare dritto.


"EMMETT! Che diamine ti salta in mente?? Non potresti tenere a freno quella tua stupida bocca, cazzo?!"

Emmett lo guardò spaventato.

"Okay... okay amico scusa...Ma al diavolo, smettetela di fare i puritani! Volete sapere cos'avrei fatto io con la mia Rose, al posto di Edward? Allora, lo volete sapere?"
"No, Emmett, ti ringrazio. Posso immaginarmelo comunque." - Risposi distratto mentre Jasper tornava ad accomodarsi respirando piano per riprendere la calma.

"Beh..." - Continuò noncurante - "...Io sarei uscito da quella stanza dopo due giorni almeno. Ecco tutto."


Con aria soddisfatta, da bravo oratore, terminò il suo discorso e bevve un lungo sorso di birra prima di piantarci in asso mettendo mano alla batteria.


Jasper mi rivolse un'occhiata rassegnata.

"Che dobbiamo fare con lui?"
"Che vuoi farci?" - Risposi - "E' fatto così...poco male."
"Beh, quantomeno suona bene..." - Mormorò ridacchiando, di nuovo tranquillo.
"Su questo puoi giurarci."
"Appena Oliver tornerà dalle vacanze riprenderemo le prove. Spero di poter trovare qualche ingaggio per Settembre."
"Lo spero anche io..." - Annuii distrattamente.
"Edward? E' tutto okay?"

"Mmh..." - Mugugnai. - "..Pensavo a Bella."
"Ci sono problemi, allora?"

Annuii.

"Credo sia arrabbiata con me. Stamattina mi ha a malapena rivolto la parola in treno. Ed il viaggio è durato quasi quattro ore."
"Uhm...Perché dovrebbe avercela con te?" - Domandò sinceramente interessato.
"Credo si sia sentita rifiutata o non desiderata abbastanza...Non lo so, è una sensazione che ho da ieri sera. Ed il fatto che non sia riuscita a guardarmi negli occhi per l'intera mattinata mi lascia intendere che non mi stia affatto sbagliando."
"Magari è soltanto imbarazzata..."
"Non lo so..."
"Ci tieni a lei, vero Edward?"


Alzai gli occhi su di lui, dopo quella domanda a bruciapelo: non aveva lo sguardo divertito, non desiderava prendermi in giro. Non mi considerava come l'ennesimo tipo a posto della situazione che c'era rimasto secco per una ragazza.
Forse perché innamorato anche lui ma davvero leggevo tanta comprensione ed affetto nel suo atteggiamento.


"Beh, ne sono innamorato. Certo che tengo a lei..."
"E' una gran bella cosa, Ed...Davvero una gran bella cosa..." - Rispose battendo una mano sul mio ginocchio, con sincera approvazione.


Si portò, infine, la lattina alle labbra, bevendo di gusto. Il garage era un porcile quel giorno. Più del solito.
Mi lasciai andare più comodamente sul divano, portando entrambe le mani dietro la testa.
E ricominciai a parlare. Avevo decisamente bisogno di sfogarmi.


"...Vorrei soltanto che non si sentisse rifiutata, Jazz. Anche ieri...Credo che sia per questo che stamattina non mi ha neppure guardata. Era arrabbiata perché deve aver immaginato di...oh, non lo so...! Deve aver immaginato che non l'abbia desiderata abbastanza e questa è soltanto un'immane sciocchezza! Ma non avrebbe dovuto sentirsi costretta a certe cose soltanto perché eravamo rinchiusi nella stessa stanza d'albergo. Uno squallido albergo, per giunta! E' per questo che ho evitato ed ho tentato di controllarmi, per quanto difficile sia stato. Jasper, mi afferri? Bella è davvero...troppo per me. Un troppo cui non so rinunciare però e mi chiedo sempre quanto possa essere grande il mio peccato nel desiderla tanto. Quanto grande il mio errore nel non lasciarla andare..."
"E perché dovresti?"

Mi guardò, improvvisamente, con l'aria di qualcuno cui l'avessero sparata particolarmente grossa.


"Perché...? Perché potrebbe avere chiunque...Un chiunque migliore di me. Compreso Oliver."

"Ma la smetti con questa storia di Oliver? Cominci a diventare paranoico. Bella ti ama, vuole stare con te...Da quando ti fai tutti questi problemi? Ci pensi? Ha messo da parte l'intero mondo in cui è cresciuta per seguirti in un postaccio come questo...Non ti suggerisce nulla questa cosa? E comunque...dubito che possa trovare altrove una persona tanto...protettiva nei suoi confronti. Ed ugualmente innamorata. Ormai sei andato, fratello."
"Già... Credi che lo sappia?"
"Dici di no...?"
"Penso spesso che i miei comportamenti...ecco, possano risultare stravaganti per lei. Incomprensibili. Credo che a volte si aspetterebbe da me qualcosa che non posso darle perché non è nella mia natura..."
"Edward?"
"Sì, Jasper?"
"Stai divagando. Sai cosa credo io, invece?"

"No."

"Che Bella non si aspetti proprio nient'altro che stare con te. Senza tante storie. Quindi smettila di girare film nella tua testa e guarda un po' lì chi c'è, piuttosto..."


Seguii la direzione indicatami dalla mano del mio amico. Andrava dritta dritta alla sgangherata porta d'ingresso del nostro garage. E sotto l'uscio...


...Sotto l'uscio c'era una figurina esile e sottile. I capelli lunghi e scuri che si aggrovigliavano nell'insolito, caldissimo vento di quel pomeriggio d'Agosto.
Indossava un vestitino in cotone bianco e mi apparve quasi più bella, eterea ed innocente del solito. Una piccola madonna.
Che apparteneva a me soltanto, per giunta.


Scattai come una molla dal divano quasi subito.
Alle mie spalle percepii immediatamente la risatina sollevata di Jasper ed il vocione di Emmett che mi salutava divertito.


"Ciao,ciao Edward!" - Diceva.


Non ci badai: avrei avuto tempo per bastonarlo.
O forse, neanche m'interessava. Se c'era Bella potevo voler bene al mondo intero, del resto.



La raggiunsi in poche falcate, senza neppure rivolgere un'occhiata ai miei amici rimasti nel garage. La fretta di poterla riabbracciare era quasi insostenibile e certo non potevo badare ai convenevoli, in quel momento.
Isabella era lì mentre io mi ero aspettato di rivederla chissà quando.
No, non avrei davvero perso altro tempo inutilmente.



"Ehi..." - Mormorai quando mi ritrovai ad una spanna di distanza da lei. Richiusi la porta alle mie spalle, prima che qualche borbottio poco simpatico potesse raggiungere le sue orecchie ed allungai la mano verso quelle spalle coperte soltanto da due sottili bretelline.

"Ciao..." - rispose subito.
"Sei qui..." - Chinai il viso su di lei. Mi guardò con quei suoi occhioni scuri e dolcissimi: sembrava esser tornata la Bella splendida e tenerissima cui ero abituato io.


"Sono qui..."
"Pensavo..."
"Cosa?"


"Niente...Pensavo fossi arrabbiata con me."


Un evidente rossore si diffuse sulle sue guance.


Dio, quanto sei bella.


"No...Non sono arrabbiata."
"E' tutto okay?" - Mi affrettai a domandarlo, preoccupato - "Con Odette, intendo."


"E'...tutto okay, sì..."
"E allora?" - La spinsi leggermente contro il muro dello stabile, intrappolandola tra le mie braccia.


Mai come in quell'istante in cui il suo sguardo sereno incontrò il mio, compresi quanto mi fosse mancata realmente in quelle poche ore in cui eravamo stati separati. E quanto mi avesse fatto male sapere che non mi desiderava accanto mentre cercava di trarsi dagli impicci con la sua governante. Ma era tornata a cercarmi ed a quel punto, guardando i suoi occhi scuri e meravigliosi, quanto poteva importarmi realmente tutto ciò che era stato?



Ero dipendente da Isabella. Come poteva esser possibile?
Ormai avevo la consapevolezza che lei fosse per me una specie di droga. La migliore.
La mia qualità preferita di eroina.



Cazzo, è così che si sente Sid quando si fa? Che idiota...non gli basterebbe una ragazza fantastica quando la mia Bella, piuttosto?



"Ed allora niente Edward.." - Isabella mi parlò con voce sottile, sfiorando il mio profilo con l'indice - "...Volevo solo dirti che....mi sei mancato."


"Di già? Ci siamo lasciati questa mattina..."
"Ti spiace? Mi sei mancato appena hai svoltato l'angolo per prendere il treno."
"No, non mi spiae affatto. Mi sei mancata anche tu, da subito."


Sorrise e lasciò che mi chinassi ancora un po' su di lei per sfiorarle le labbra morbide.


"Grazie per la sorpresa, mia Bella..." - Mormorai.


Ricambiò immediatamente il mio gesto, avvicinando ancor di più il mio viso al suo. Percepii la sua mano tra i miei capelli e la sua pelle fresca a contatto con la mia. Mi sentii a casa.


Non si allontanò, non cercò di creare una distanza tra noi.
E allora, con quel bacio innocente, compresi molte cose.

Non c'era più alcun dissapore, nessun retaggio di quell' imbarazzo mattutino.
Per fortuna.




C'erano soltanto Bella ed Edward, dunque.


Un'altra volta.
Forse per sempre.















Poche cose da dirvi sul capitolo se non che è....un capitolo di transizione in cui ho detto molto più di quanto sembri in realtà.
;)
Sinceramente non ne sono proprio entusiasta ma comunque...Meglio di così non mi riusciva :(

Come avete visto, sul finale, Edward e Bella hanno chiarito il proprio malumore semplicemente con un bacio...Beh, lo sappiamo tutti come sono i litigi dei giovani innamorati. Rapidi come un temporale estivo! Avete compreso adesso le motivazioni alla base del comportamento assurdo di Edward (assurdo poi...) nello scorso capitolo? Beh, lui è un gentiluomo, diciamocelo! Al giorno d'oggi nessuno si farebbe tanti scrupoli ù.ù
Comunque brave, avete più o meno indovinato tutte! :D

Per quanto riguarda Odette, invece...Brutta storia, vero?
:(
Chissà chi è Guillaume. E se mai farà capolino in questa storia......


;)


Tornando a noi, volevo dirvi una cosa...
Ragazze, grazie MILLE a tutte voi....Sul serio. MUB ha conquistato anche nuove lettrici, negli ultimi tempi, cui do il benvenuto...Per il resto, grazie come sempre alle fedelissime che non mancano MAI, a chi legge in silenzio, a chi ha recensito per la prima volta, a chi non lo fai mai e vorrebbe (e che aspettate? ^^), a chi si limita a preferire/seguire/ricordare.
Il vostro sostegno è il motore per questa storia e non avete idea di quanto i vostri commenti mi facciano piangere per la gioia e la commozione!
Poco alla volta risponderò a tutte, promesso :)

Per il resto vorrei segnalarvi questa pagina Facebook:

Word of Diamond

E' una pagina fans su Fb che condivido con la mia amica Vivien L., altra validissima autrice non solo del fandom Twilight. In questa pagina troverete spoiler delle nostre storie, le citazioni e le musiche che ci influenzano, links e...una piccola sorpresa cui stiamo lavorando insieme io e la Eli! Venite a trovarci, insomma!

Ah, un'ultima cosa...Siete già passate dalla mia Originale? ^^
In caso contrario, e se ne avete voglia...Vi lascio il link:

Al di là del nostro Amore

Siamo già arrivati al 4° capitolo! :)


Adesso vi lascio con un abbraccio immenso...
Con amore
La vostra Matisse.

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Capitolo 18
*** Cap. 18 ***


edward cap18 Prima di cominciare...GRAZIE. Di cuore.
L'ultimo capitolo di MUB ha ricevuto 19 recensioni...Non mi era mai capitato, né con questa né con altre mie storie.
Siete fantastiche, sul serio.








My Ugly Boy















POV EDWARD






"Allora, Signor Culligan..."
"Cullen. Mi chiamo Edward Cullen. Non si complichi le cose, il mio nome è più semplice del previsto."

Sbuffai osservando la vecchia segretaria occhialuta che mi sogguardava dall'altro lato di una scrivania invasa da plichi e documenti di varia natura. Mi dava l'ansia con quello chignon ordinato ed il suo tailleur grigio topo.
Davvero: metteva tristezza a guardarla, poveretta.
Probabilmente non era sposata. Probabilmente nessuno se la filava da anni.
Una vera sfortuna. Per lei ed anche per me.


Dal canto suo, la donna mi rivolse uno sguardo irritato. Calò un pochino in più gli occhiali sul naso e lasciò schioccare la lingua prima di ricominciare a parlare.



"Meno dieci punti, Edward. Se stai sulle balle alla segretaria, avrai il novanta per cento delle possibilità di stare sulle balle anche al capo."



"Cullen..." - Sussurrò con evidente sarcasmo. - "...lei quindi sarebbe in cerca di un lavoro?"

Non sembrava esserne troppo convinta. Strano.
Eppure avevo tutta l'aria di un poveraccio.

"A quanto pare..." - Risposi dunque suadente, sfoderando il migliore dei miei sorrisi mentre intrecciavo molto elegantemente le mani in grembo. Speravo d'impressionarla: non ci riuscii.

 "E stava cercando un lavoro anche prima, quando l'ho sorpresa con le gambe accavallate sulla mia scrivania?"



Merda.



"Ehm...No. In realtà mi stavo soltanto rilassando. Ero un tantino...come dire? Nervoso."
"Uhm..." - Mugugnò chinando il volto su di una serie di fogli che stringeva tra le mani freneticamente. - "...Come mai non ho il suo curriculum, signor..."
"...Cullen."
"Sì, Cullen...Allora?"



Ok, Edward, respira.
Lei non ha il tuo curriculum perché tu non gliel'hai dato. Non sai neanche come cazzo si scriva un curriculum.
Ma sorridi.  E fingi che vada tutto...alla grande.


"Sì, ecco...Beh..." - Tamburellai i polpastrelli delle mani gli uni contro gli altri - "...L'ho...perso. Lasciato in autobus. Sì, ecco, come dire...Una...distrazione? Esattamente. Mi spiace."


Sfoggiai nuovamente il più luminoso e seducente dei miei sorrisi, quello che avrebbe fatto invidia persino al protagonista di una pubblicità per dentifrici. Di norma sortiva ottimi effetti, specie sulle donne. Ma quella specie di arpia incartapecorita non parve apprezzarlo particolarmente: piuttosto mi guardò con cipiglio severo, quasi disgustata, scuotendo la testa.



"L'ha lasciato sull'autobus. Certo...D'accordo, andiamo avanti. Dunque, Cullen...Sa di cosa ci occupiamo esattamente in quest'azienda?"




"E' un'azienda tessile, Edward. Capito? Si occupano di  t-e-s-s-u-t-i. Ricordatelo."
"Cazzo ci faccio io una fabbrica di pezze?"
"Ci lavori, Ed. Che vuoi farci? Ricercano personale...Non andare tanto per il sottile e presentati a quel colloquio!"




In una frazione di secondi riportai alla memoria lo scherzoso battibecco avuto con mia sorella quel mattino.
Per cui risposi abbastanza agevolmente alla domanda di quell'odiosa segretaria: ovviamente, si trattava dell'ennesimo tranello che mi stava tendendo per mettermi in difficoltà.


"Si tratta di un'azienda tessile, no?"
"Giusto..." - Approvò - "Dunque sarà anche a corrente del fatto che stiamo cercando del personale qualificato..."
"Ovviamente. Ma insomma...Qualificato fino a che punto? Voglio dire...non credo che per fare il magazziniere sia necessaria una laurea."

La donna mi rivolse uno sguardo sconcertato.
Stava lì a fissarmi a bocca spalancata, come se le avessi appena rivolto una serie disgustosa di insulti ed io...beh, finii col sentirmi una vera nullità.



Merda Edward...L'hai fatto di nuovo!
Perché non tieni mai la bocca chiusa?

 
"Ehm..." - Carezzai la nuca con un gesto imbarazzato.
Nel mentre, la segretaria parve riprendersi dallo choc. Tornò quindi a rivolgermi la parola con estremo fastidio:

"Signor Cullen, anche un magazziniere deve essere in grado di svolgere adeguatamente il proprio lavoro. La Meyer&Co. è un'azienza all'avanguardia nel proprio settore, seria, produttiva. Il suo nome è rispettato e conosciuto. Esigiamo preparazione, ambizione, puntualità e rispetto delle regole. Lei crede davvero di poter rispondere a tutti questi requisiti?"


Fai il tipo figo, Edward.
Certo che puoi.


"Oh..." - Momorai quindi compiaciuto, accavallando le gambe con farei disinvolto. - "Ovviamente."
"Ovviamente, eh...E mi dica...Quanto tempo è durato il suo ultimo impiego?"
"Ehm....Non ricordo, esattamente."
"Non ricorda?"
"No."
"Sta scherzando, vero?"
"No...."


La donna tornò a guardarmi con cipiglio severo. Un'altra volta. Era chiaro che, se avesse potuto mi avrebbe sbattuto fuori da quell'ufficio a calci senza pensarci due volte.
Alla fine, le sue labbra si modellarono in una smorfia disgustata.

Si sfilò gli occhiali, passando la mano sul volto in un gesto stanco.


"D'accordo, Cullen. Facciamo così: vaglieremo la sua candidatura. Nel caso in cui avessimo bisogno...Sì, la richiameremo."
"Quindi...Mi farete sapere...?" - Risposi con tono di provocazione. Ovviamente sapevo che stava soltanto temporeggiando. Il suo era un NO, anche piuttosto chiaro.
"Sì, le faremo sapere."
"D'accordo. Grazie lo stesso."


Mi alzai di scatto e riposi la sedia presso lo scrittoio, strusciandola in terra e producendo un insopportabile stridio.
La segretaria si tappò le orecchie, irritata. Viceversa, io sorrisi apertamente: volevo semplicemente darle fastidio e, a quanto pare, ero riuscito nel mio intento.


In conclusione, andai via senza salutare, piuttosto velocemente e sbattendo la porta di quell'ufficio grigio e malinconico.

Raggiunsi a grandi passi l'uscita. Quando il sole di fuori investì totalmente il mio viso, sospirai sollevato, socchiudendo gli occhi.

Tutto sommato riuscii persino a sorridere: avevo incrociato lo sguardo di alcuni dipendenti della ditta, nell'attesa che quella megera venisse ad interrogarmi e decretare, infine, se fossi stato effettivamente adatto per quel dannato posto di lavoro. Erano vacui, spenti. Disillusi ed evidentemente infelici. Non volevo finire anche io allo stesso modo.


"Fuck you!" - Mormorai quindi sedendomi sul marciapiede. Quell'insopportabile arpia ed il suo stramaledettissimo lavoro potevano anche andare a farsi friggere, per quanto mi riguardava. Non mi stava offrendo nessun tesoro, per cui avrebbe anche potuto togliersi dalla faccia quella sua aria di sgarbata superiorità: non mi avrebbe certamente fatto un favore assumendomi.
"Ma per piacere..." - Commentai ancora accendendo una sigaretta. Infine, tirai  fuori dalla tasca un pennarello rosso e cancellai la voce "azienda tessile" dall'elenco stilato da Alice quella mattina: aveva scritto, in ordine, tutti i colloqui di lavoro che mi attendevano per la giornata.

Quello era stato l'ultimo e nessuno era andato a buon fine, purtroppo.
A quanto pareva non ero adatto né come bibliotecario, né come giardiniere o magazziniere.

"Nessuna esperienza nel settore" era stata, per tutti, la risposta chiave. Nell'ultimo colloquio aveva giocato anche il fattore "educazione" nonché la scarsa simpatia che, sin da subito, dovevo aver suscitato nella dolce donnina che aveva vagliato la mia candidatura.

Sospirai alla fine.
Volevo apparire forte. In realtà ero disperato.

Mancavano meno di quindici giorni al compleanno di Isabella ed io non avevo un solo centesimo per farle un regalo adeguato. A rivoltarmi le tasche, al massimo, ne avrei ricavato un chewing gum e le chiavi di casa. E certamente non avrei potuto ricorrere a mia madre: anzitutto, per una questione di dignità personale. In secondo luogo perché provvedeva fin troppo ai miei bisogni. Non sarei andato a chiederle anche di aiutarmi in una faccenda che riguardava esclusivamente me e la mia ragazza.


"Mmmh..." - Rimurginai a voce alta - "Magari potrei chiedere se al pub hanno bisogno di me...O forse potrei provare allo spaccio di Eric Clarke..."

"Edward!"

Ancora sovrappensiero, mangiucchiando il tappo del pennarello, neanche realizzai che qualcuno, dall'altro lato della strada, stava chiamando il mio nome.


"Edward! Ma ci senti?!"


Sollevai gli occhi, confuso. Nel marasma di auto e gente che passeggiava ciarlando inutilmente, riconobbi la chioma bionda di Jasper.


Alzai la mano, salutandolo.


"Jazz!"

Mi sorrise prima di sfidare il traffico di Londra e raggiungermi sul marciapiede opposto.


"Ehi! Ce ne hai messo di tempo, eh!"
"Ero un po' sovrappensiero..." - Confessai mentre veniva ad accomodarsi accanto a me.
"Andata male?"
"Già....Chi te l'ha detto? Alice?"
"Sì...Mi ha raccontato dei colloqui..."
"Immagino avesse già idea che sarebbero andati...così."

Jasper non rispose ma la sua smorfia fu eloquente.

"Capito..."

Sospirai mentre il mio amico mi consolava con qualche pacca affettuosa sulla spalla.

"Coraggio Edward! Basta deprimerti! Ho buone notizie!"
"Cosa potresti mai dirmi di tanto esaltante da farmi passare il malumore, amico? Sono a pezzi, senza un centesimo in tasca e francamente..."
"Abbiamo una serata allo Xoyo. Ti basta? Non chiedermi soldi perché quelli non posso darteli. Dovrai accontentarti di questo per tornare in forma, abbi pazienza."
"Scusa...?"


Guardai Jazz con aria sconcertata.


Se avevo sentito bene....Se...


"Vuoi farmi essere ripetitivo? No, non ti stai sbagliando. Ho detto X-o-y-o." - Rispose con un risolino divertito, scostandosi il ciuffo dalla fronte. Sembrava davvero soddisfatto della mia reazione: evidentemente dovevo avere un'espressione sufficientemente eloquente stampata in faccia.

A dirla tutta, soltanto un pazzo non avrebbe reagito allo stesso modo: lo Xoyo Club era uno dei maggiori locali della zona dell'East London. Uno dei più rinomati, tra l'altro. Suonare in quel posto equivaleva ad un successo sicuro e visibilità assicurata. Nella migliore delle ipotesi avremmo potuto sperare nel "grande salto". Non stavo dando di matto: molte band piuttosto quotate nell'underground londinese dovevano a quel club l'inizio della loro fama.

Cosicché non parve troppo strano che di fronte ad un'affermazione del genere, all'immensa bomba che Jazz aveva lanciato nella mia direzione con sguardo sornione, avessi finito col reagire in quel modo. Letteralmente ero senza parole: seguitavo a guardarlo ad occhi sgranati, incapace di pronunciare una sola sillaba di senso compiuto. La mia espressione sconcertata risultò tanto divertente che Jasper finì col riderne apertamente.


"Ed, amico! Dovresti guardarti adesso!"
"Tu come...Jazz...Che diavolo vai dicendo?!"
"Quello che hai sentito...Suoniamo allo Xoyo! Non è fantastico?"
"Ma come...come è possibile?!"


Stentavo a crederci, francamente. Era troppo...bello? Sì, troppo bello per essere vero.
Avevo appreso sin da bambino che la perfezione non esisteva e che non bisogna mai cullarsi nei propri sogni. La delusione di non vederli poi plasmati concretamente nella vita di tutti i giorni era in grado di uccidere.
Cosicché non volevo appigliarmi a quella notizia, a quell'illusione che avrebbe potuto rivelarsi fugace. Volevo credere soltanto in me stesso, non in ciò che il mio cuore desiderava realizzare.
Eppure...eppure l'espressione convinta di Jasper, il suo sorriso soddisfatto e quegli occhi che gli brillavano dall'entusiasmo per quel sogno a lungo accarezzato pronto a tramutarsi in realtà...tutto, tutto di lui mi diceva che non si trattava una bugia.


E più rimurginavo su quell'opportunità, più non volevo crederci e più il mio cuore saltava di gioia al solo pensiero.


"Jasper..."
"E' tutto vero Edward, credimi. Ed è merito di Oliver. Dovremo ringraziarlo appena torna da quella stramaledetta vacanza!"


Lo guardai sorpreso.


"Che c'entra Oliver?"
"Oh beh...Hai presente quel tipo...Quel suo amico che all'Underworld si profuse in mille complimenti per come avevamo portato avanti la serata?"


Ricordavo. Jasper si stava riferendo a quel fighettino inamidato cui avevo dato a prescindere il nome di William. Quello che, per intenderci, dopo l'esibizione al pub di Camden, si era prodigato con Oliver in amichevoli pacche sulle spalle e ripetute espressioni di apprezzamento nei confronti dei White Riot. Ricordavo anche di non avergli badato poi molto: quella sera ero troppo impegnato ad escogitare un piano per tornare da Isabella nel frattempo rinchiusa in casa da sua madre come punizione per il brutto voto conseguito nell'ultimo compito in classe.

Sorrisi al pensiero della mia piccola peste e dei sacrifici che aveva compiuto per godersi quell'estate in mia compagnia.


"Beh Jazz...che c'entra quel tipo?"
"Dunque...Si tratta di un compagno di scuola di Oliver e indovina? E' anche il figlio del proprietario dello Xoyo!"
"Che diavolo vai dicendo?"
"Te lo assicuro. Si chiama Douglas Harrison..."


Ah, dunque non William?
In ogni caso, si trattava di un particolare irrilevante. Aveva la faccia da William, quel tipo, ed io avrei seguitato a chiamarlo con tale nome per il resto dei miei giorni.


"...e suo padre è Richard Harrison, proprietario dello Xoyo e di altri tre locali piuttosto avviati della zona. Insomma, pare che Oliver gli avesse parlato del gruppo, il ragazzo alla fine s'è deciso per venire a vederci e gli siamo piaciuti. Per cui, a sua volta, ha parlato col facoltoso daddy ed....eccoci qui, mio caro! Adesso, svegliati e credici: è tutto vero. E' una grande opportunità e noi ce la giocheremo tutta, ovviamente. Pensa che Emmett si è già rinchiuso in saletta per provare: dice di voler essere al top per il grande giorno!"


Guardai Jasper per qualche frazione di secondo, senza parlare.
Avevo la gola arida a causa dell'emozione e fui costretto a deglutire un paio di volte prima che i muscoli intorpiditi riprendessero a collaborare.


"Io...Jazz...E' assurdo!"
"Lo so amico...Ma è la realtà. Per cui, togliti quell'espressione sbalordita e festeggia con noi!"


Sorrisi infine apertamente, riprendendo lucidità.


"Jazz....DIAMINE! E' una notizia sensazionale!"


Gli rifilai una pacca sulla spalla piuttosto violenta.
Jasper rispose con un "Ouch!" di dolore. Poi però sorrise massaggiandosi la spalla.


"Dobbiamo immediatamente correre in sala prove!" - Esclamai agitato: cominciavo a relizzare l'idea di quella data. Cominciavo anche a realizzare che, per quel giorno, avremmo dovuto essere pronti. Era la nostra unica chance per emergere: non avremmo dovuto sprecarla.

Jasper rise.


"Adesso ti riconosco! Non t'importa più del lavoro?"
"Ma chi se ne frega! Troverò un modo per far qualche centesimo...E' una vita che mi arrangio!" - Mi alzai di scatto dal marciapiede e tesi la mano a Jasper.  - "Corriamo al garage, dovremmo già definire la scaletta e le tonalità. Quando diavolo torna Oliver? Abbiamo bisogno di lui!"
"Dopodomani. Ce la faremo, stai tranquillo."
"Bene..." - Respirai più lentamente per tentare di calmarmi. Ero agitato, davvero, ma si trattava di una forma d'ansia piacevole, dopotutto.

"Quand'è la data, Jazz?"
"E' in settimana, di mercoledì. Beh, dovremmo accontentarci, in fondo non siamo un gruppo famoso e ci toccano le serate da retrovia. In ogni caso non dovremo preoccuparci poi tanto: lo Xoyo è sempre pieno di gente."
"Puoi giurarci, ha una clientela vastissima. Dunque...quando esattamente?"

Jasper sorrise.


"Abbiamo ancora un po' di tempo per prepararci. E' il 13 di Settembre."




Il 13 di Settembre?

Sospirai.

Il 13 Settembre era il giorno del compleanno di Isabella.












POV BELLA




"Che profumino, Miss Swan. A cosa dobbiamo quest'improvvisa passione per la cucina?"

Odette mi si avvicinò lentamente, sorridendo, mentre io armeggiavo al forno cercando di comprendere se la mia torta al cioccolato fosse o meno cotta a puntino.
Mi voltai a guardarla, ridacchiando. Quel giorno sprizzavo felicità da tutti i pori.


"C'è qualcosa da festeggiare!"
"Ah sì?" - Mi sogguardò con un risolino.
"Esatto!"
"E cosa, di grazia?"
"Non adesso, Odette. Non essere curiosa...La curiosità..."
"...Uccise il gatto!"
"Ma che brava!"

Si appoggiò al ripiano della cucina, a braccia conserte, guardandomi con espressione divertita.

"E quando potrò conoscere il motivo di tanta gioia?"
"Presto...Appena Edward verrà a trovarci!"


Le sue labbra si atteggiarono in una "O" di meraviglia.


"Mi stai dicendo che oggi avrò finalmente l'onore di conoscere il tuo beneamato?"


Annuii soddisfatta.

"Sì, esatto."


Sorrise apertamente.

"E' una splendida notizia."
"Sì, lo è...Ma adesso mi spieghi una cosa, Odette?" - Domandai bruscamente, cambiando discorso.
"Cosa?"
"Come faccio a capire se la torta è pronta?!" - Strepitai con vocina affranta, accasciandomi contro il corpo della mia governante. Cucinare non era così rilassante come tutti volevano far credere: era da almeno venti minuti che mi arrabattavo sullo stato di cottura di quel benedetto dolce senza ricavarne un ragno dal buco. Nonostante la felicità del momento, se avessi continuato ad occuparmene da sola, avrei cominciato a strepitare e sbraitare istericamente nel giro di dieci minuti.
Viceversa, Odette mi sorrise con tale disinvoltura e rilassatezza che io, già preda di un inutile stato di ansia, finii con l'agitarmi ancora di più.
Come poteva essere sempre così calma?
Successivamente, aprì la credenza sfilando uno stuzzicadenti dall'apposito barattolo. Aprì il forno ed infilzò, con suddetto stuzzicadenti, la mia povera torta. Infine lo studiò attentamente, prima di tirare le somme.


"E' pronta. Spegni quel forno prima che bruci."
"Come fai a saperlo?"
"Lo stuzzicadenti è asciutto, sciocchina. Se fosse ancora fresca, all'interno, l'impasto sarebbe rimasto appiccicato sulla superficie. Impara."
"Mph!" - Mugugnai, fintamente seccata, portando le mani sui fianchi. - "Va bene, mamy..."


Mamy.
Così avevo preso a chiamare, scherzosamente, la mia Odette in quei lunghi giorni in cui la nostra convivenza forzata si era andata trasformando in un rapporto vero e proprio. Un rapporto fatto di stima ed affetto, di risate, confessioni, chiacchierate serali davanti ad una cioccolata calda (sì, anche in pieno Agosto, la cioccolata calda restava sempre il mio grande amore), ed ascolti, in contemporanea, dei dischi dei Beatles e dei Rolling Stones. Una delle canzoni preferite di Odette era Angie ed a me questo particolare faceva sempre sorridere perché si trattava della medesima canzone che io ero solita dedicare alla mia amica Angela cosicché avevo sempre la dolcissima sensazione che quella meravigliosa sonata fosse in grado di unire due fra le persone più importanti della mia vita.

Ma, ovviamente Odette non era tutta baci e carezze e sapeva anche bacchettarmi quand'era necessario.
Quante lavate di capo m'ero buscata durante i lunghi pomeriggi di studio!
Per esempio, tendevo spesso col perdermi in un bicchiere d'acqua e riempivo i miei poveri quaderni con mille errori di distrazione (la mia mente era sempre a Brixton, anche quando col capo stavo china sui libri) cosicché Odette era costretta più e più volte a tirarmi le orecchie.

Tuttavia, la rispettavo e la consideravo per la donna assennata e giudiziosa che era, la stessa che aveva saputo apportarmi molti più insegnamenti morali della mia stessa madre, della chiesa o della scuola. Cosicché, seppur fossi sostanzialmente allergica alle strigliate severe, con lei non rispondevo mai in malo modo. Piuttosto, tentavo di comprendere i miei errori, rimurginarvi su attentamente, ed, infine, accettarli ripromettendomi di non incapparvi nuovamente.

Ecco perché le avevo affibbiato quell'appellativo affettuoso di "mamy".
Odette, per me, rappresentava realmente tutto ciò che avrei voluto e dovuto trovare in una madre. In mia madre, nello specifico.

Me ne rammaricavo molto spesso: Guillaume aveva perso un'immensa fortuna. Odette sarebbe stata, per lui, una mamma fantastica. Ed in ogni caso era da apprezzare: per quanto l'avesse "abbandonato", come soleva ripetere lei, aveva in ogni caso agito per il suo bene. Guillaume era felice, forse con un nuovo nome ed in una nuova casa. Ma la sua esistenza era serena e nulla gli mancava, ovunque egli fosse. Ancora una volta quindi, Odette si era rivelata per la donna straordinaria che era.

Non doveva risultare quindi particolarmente stravagante se avevo scelto di presentare Edward alla mia governate.
Non avrei mai potuto farlo con Renée né, evidentemente, con mio padre. Ma volevo che Edward si sentisse parte della mia famiglia così com'era accaduto per me quel giorno che mi aveva portato a casa Cullen a conoscere sua madre.
Vero pure che Edward aveva incontrato Beth e più di una volta, per giunta, ma sentivo che questo non bastava. Volevo renderlo maggiormente partecipe della mia vita, della mia quotidianità e, cosicché, avevo puntato su Odette che, di tale quotidianità, era ormai diventata il pilastro.

Quel giorno, inoltre, segnava per me una data speciale ed avrei voluto condividere tale avvenimento con loro due che per me figuravano senza alcun dubbio fra le persone fondamentali della mia esistenza.
Avevo, infatti, finalmente scelto la facoltà da seguire al termine degli studi superiori: quella di diritto.

Mia madre avrebbe potuto mettersi l'anima in pace: entro Gennaio avrei presentato le mie domande di ammissione. Ovviamente, almeno una di queste candidature sarebbe finita a Oxford per sua volontà ma io già incrociavo le dita sperando in un rifiuto.
Come avrei potuto separarmi da Edward per tre, lunghi anni della mia esistenza?


In ogni caso, l'idea di guadagnarmi il titolo di Bachelor of Law mi risultava assai piacevole: sin da piccola avevo mostrato una bella parlantina e, tranne che con mia madre, sapevo impormi e pestare i piedi finché ciò che desideravo non si concretizzava realmente. Inoltre non amavo le ingiustizie e le falsità. Ovviamente sarei stata un ottimo dottore della legge.

Immaginavo già l'espressione estasiata di Renèe appena le avessi comunicato la notizia. L'avrei resa felice ed estremamente orgogliosa: sapevo quanto amasse calarsi in questo tipo di faccende.

Ormai mancava pochissimo, al suo ritorno.
Entro tre giorni infatti - il primo di Settembre, precisamente - l'intera famiglia Swan avrebbe rimesso piede a casa propria. E se da un lato ero estremamente felice di poter riabbracciare la mia Beth che continuava a spedirmi cartoline piene dei suoi disegnini colorati ed affettuosi di bambina, d'altro canto, l'idea di separarmi da Odette mi causava puntualmente il magone.

Cosicchè, in quei giorni, più volte ero finita col cercare riparo proprio tra le braccia della mia governate, per consolarmi di tale separazione. E lei sempre rispondeva gentile "...Mia cara Isabella, se mi vuoi bene come te ne voglio io non separeremo mai. Ovunque ci porteranno le nostre strade, noi saremo insieme."

Ovviamente le sue parole finivano, ogni volta, col farmi versare fiumi di lacrime.
Da un po' di tempo a quella parte piangevo per un nonnulla e mi rimproveravo da sola di esser diventata melodrammatica. Ma Odette, viceversa, ne rideva, indicando l'amore come la causa di tutto.


"Sei semplicemente diventata più sensibile", diceva.


L'Amore.
Altra nota dolente.
Il ritorno dei miei genitori avrebbe decretato, infatti, un "ritorno alle origini" anche con Edward e, conseguentemente, ridotte incursioni a Brixton, a casa Cullen, in saletta.
Avremmo dovuto escogitare mille modi differenti per poterci vedere ed ogni incontro  sarebbe stato vissuto con l'ansia di una possibile scoperta da parte di Renèe Watson o di qualsiasi altro individuo che avesse potuto riferile dei comportamenti sconvenienti di sua figlia.
Inoltre, la durata di ogni nostro appuntamento si sarebbe sensibilmente ridotta.


Già sospiravo affranta dinanzi a quella prospettiva.
Mi ero abituata alla mia nuova routine. Del resto, abituarsi alle cose belle non era mai un compito difficile o gravoso.


In quelle lunghe giornate di un Agosto particolarmente caldo - quell'Agosto del 1978 - io ed Edward avevamo imparato a conoscerci.
E non ad amarci, no. Per quello non era stato necessario il tempo né l'esperienza: ci era venuto naturale e spontaneo.
 
Avrei per sempre serbato il ricordo delle nostre passeggiate mano nella mano lungo il Regent's Canal, il ricordo del suo viso - il viso di Edward - illuminato dai raggi del sole nei nostri pomeriggi estivi. E le corse al Green Park, quando gli rubavo l'hot dog che stava mangiando con gusto e lui, di tutta risposta, tentava di acciuffarmi per farmela pagare.
Peccato che le sue punizioni si concludessero sempre con un bacio.

Ed ancora, le ore meravigliose trascorse in saletta, mentre Edward suonava il suo basso ed Alice premeva per acconciarmi i capelli in una crocchia disordinata sulla nuca perché, a suo dire, mi dava un tocco chic e retrò al contempo, mentre io la pregavo semplicemente, ridendo, di smettere.
Oppure, le nostre incursioni ai mercatini locali ed ai negozi di dischi. E le serate spese ad ascoltare la radio: Edward s'era buscato diverse pacche poco amichevoli sulla schiena dopo che avevo scoperto la sua adorazione per Kate Bush. Lui si difendeva, ridacchiando, giustificando tale passione con il fatto che, essendo la Bush una protetta di David Gilmour dei Pink Floyd, meritasse giusta considerazione. Ovviamente sapevo che gli piacesse soltanto per il suo bell'aspetto, benché avesse, difatti, una voce portentosa. Tuttavia, con quei suoi modi di galantuomo da strapazzo, sapeva sempre convincermi che la più bella fossi io.
Era davvero un adorabile ruffiano ed io ci cascavo, ogni volta, come una pera cotta.


Avrei ricordato per sempre, ancora, i nostri baci soffici, i miei occhi nei suoi, le mani intrecciate e quegli sguardi persi nelle serate di vento sul Tamigi.
Per sempre.


Come avrei potuto così facilmente rinunciare a tutto questo e fare dietro - front sino a quella vecchia vita da Isabella Swan che così facilmente mi ero lasciata alle spalle?





"Bella?"

"Uhm...?"


La voce dolce di Odette mi riportò lentamente alla realtà. La guardai, un po' confusa.

"E' tutto okay?" - Domandò ancora sventolandomi la mano davanti agli occhi.
"Sì, tutto a posto. Solo un tantino stordita..."
"Brutti pensieri?" - Rispose interrompendomi.
"Già..."
"Eri così felice fino a due minuti fa..."
"Ho un umore ballerino" - Ammisi ridacchiando. Elencare i miei difetti non era mia abitudine consolidata.


Odette sorrise compiaciuta, sfilando la torta dal forno.


"Ha un buon profumo..." - Commentò. - "...ma non possiamo di certo mangiarla da sole...Forza, va di sotto ad aprire la porta. Il tuo cavaliere ti sta aspettando."
"Che cosa?!" - Esclamai in un sussulto.
"Eri talmente presa dai tuoi pensieri che neanche te ne sei accorta...Credo che Edward sia arrivato. Ha già bussato due volte al campanello. Corri, non farlo aspettare di più."
"Vado immediatamente!"


Piantai in asso Odette e volai per le scale.
Come avevo fatto a non accorgermene? Avevo davverp la testa tra le nuvole!
Possibile che il solo pensiero del ritorno di mia madre - e di tutte le coseguenze annesse - mi destabilizzasse in quel modo?
Mah...

Comunque sia, cercai di non pensarci troppo e mi focalizzai soltanto sull'identità - ben nota - della persona che mi attendeva oltre la porta d'ingresso.
La spalancai in tutta fretta, con la solita agitazione piacevolissima che ancora provavo quando Edward era nelle vicinanze. E così incontrai i suoi occhi verdi e luminosi e finii col perdermi nel suo sguardo, ancora una volta.



"Non dovresti aprire così facilmente agli sconosciuti..." - Mi punzecchiò quindi sfoderando quel suo sorrisetto sghembo che tanto adoravo.
"Lei sarebbe uno sconosciuto, Mister Cullen?"
"Uhm...Già. E potrei anche...farle molto male, signorina. Stia attenta."

Si avventò sul mio collo, mordendolo. Io ridacchiai, lanciando un urletto di protesta.
Rise anche lui, abbracciandomi.

"Ciao..." - Biascicò quindi baciandomi all'angolo della bocca. Avvampai.

"Ciao, amore..."

Mi guardò teneramente, prima di allungarmi una margherita.

"Una per te, una per la tua governante." - Spiegò.

"Oh...Grazie!" Dunque sai anche come si fa il galantuomo?" - Lo stuzzicai invitandolo ad entrare.

Richiusi la porta alle nostre spalle con uno scatto ed afferrai la sua mano, dolcemente.

"Mi pare ovvio, signorina Swan. Lei mi sottovaluta."

"Questo mai..." - Risposi in un soffio, sorridendo, mentre Edward avvicinava il suo volto al mio.

Mi baciò delicatamente ed a stento, dopo un po', riuscii a staccarmi da lui riflettendo sulla presenza di Odette al piano di sopra.
Non volevo mostrarmi in atteggiamenti troppo sconvenienti con lei nei paraggi.


"Ho una notizia per te..." - Commentai ancora tra le braccia di Edward. Non ci eravamo mossi dalla porta d'ingresso, nel frattempo.
"Anche io..." - Rispose con occhi luccicanti.



"Ed anche io ne ho una per voi...Smettetela di tubare in mia presenza o vi metto fuori tutti e due."


Alzammo lo sguardo in contemporanea, incontrando il viso di Odette mentre faceva i suoi occhiacci, tenendo le mani ben piantate su fianchi.
Ovviamente scherzava ed a me venne da ridere. Di lì a poco anche lei irruppe in una risata fragorosa.


Edward ci guardò dapprima sconcertato. Infine, anche gli angoli della sua bocca si piegarono all'insù.


"Salve, Miss Headon. Piacere di conoscerla."
"Ciao Edward, il piacere è mio. E adesso, vi andrebbe di salire oppure dobbiamo parlarci dalla scala per tutto il pomeriggio?"



Edward mi sorrise rilassato ed io annuii mentre lo trascinavo, per mano, al piano di sopra.









POV MARLA





"Zia..." - Sarah, mia nipote, spostò, con enorme baccano, uno sgabello in legno nei presi del lavello e qui vi si accomodò, mentre io seguitavo a lavare i piatti del giorno precedente.

"Che c'è, scricciolo?"
"Mamma quando torna?"


Mamma.
Mia sorella Roxane, ovviamente. O meglio: quella scapestrata, idiota sorella che mi ritrovavo.



"E' andata da tuo padre." - Risposi seccamente.


Sarah mugugnò, accasciandosi con il capo sul palmo della mano. Qualche ciuffo dei suoi liscissimi capelli biondi sfuggì alla coda disordinata in cui li avevo raccolti quel mattino, ricadendole sulla fronte. Non si curò di scostarli con la mano. Piuttosto sbuffò, allontanandoli sommariamente.


"E perché io non ci sono andata?"
"Perché sei ammalata. Ti ha contagiato David. Solo che lui, adesso, sta alla grande...Mentre tu, che sei gracilina, hai ancora la febbre."
"Non è vero."
"Sì, è così."
"No."
"Sarah? Per favore, non farmi arrabbiare. Non è aria."


La bambina mi guardò con aria desolata.
Forse avrei dovuto tenere per me sola quella notizia.  Sapere di suo padre le causava nient'altro che malinconia e dispiacere.


Ancora mi chiedevo come fosse venuto in mente, a quell'idiota di Gilbert, di tornare a farsi vivo con Roxane. Con quale faccia, soprattutto, dopo che l'aveva abbandonata con due bambini piccoli e bisognosi, all'epoca.

Francamente, faticavo anche a comprendere la reazione di mia sorella.
Come aveva potuto correre da lui appena Gilbert era tornato a cercarla? Era davvero bastata una semplice lettera di scuse per perdonargli tutte le sue malefatte?

Sospirai.
D'altronde, cosa potevo capirne io? E come potevo giudicare?
Non mi ero comportata allo stesso modo di Rox, appena qualche mese prima? Non avevo perso io stessa la mia dignità per correre dietro un uomo che aveva scelto un'altra?

Quante notti insonne erano trascorse da quando Edward mi aveva abbandonata?
E quante lacrime avevo versato?
I miei occhi, in realtà, erano ancora gonfi. E rossi, per il troppo dolore.


Tutto per lui.
Per Edward.

Edward...


Tornai a guardare mia nipote.
Mi contemplava con occhi tanto desolati che il cuore mi si strinse in una morsa. Okay, suo padre era davvero un coglione. Ma era l'unico che aveva e forse  meritava di crescere con lui. Certamente, sarebbe stato migliore del mio, di padre.

Cosicché, sorridendo appena, le scompigliai la chioma già arruffata.


"Dovrò rifarti la treccia." - Constatai.

Annuì, annoiata.

"E tieni, asciuga questo..." - Aggiunsi porgendole uno straccio ed un tegame bagnato. - "...Stai tranquilla che lo vedrai presto il tuo papà."

Questa volta sorrise apertamente, afferrando la pentola e cominciando a strusciarla con foga.

Le erano state sufficienti appena poche parole e l'accenno ad un sogno a lungo accarezzato, per farla tornare a gioire di cuore.

Era davvero dolce. E si accontentava di poco.

Per qualche minuto continuammo in questo modo, io a lavare e lei ad asciugare, silenziosamente.
Finché Sarah non tornò all'attacco. E questa volta l'oggetto delle sue domande non fu Gilbert.


"Zia..."
"Che c'è ancora, tesoro?"
"Zio Edward dov'è? Non lo vedo da un po'..."


Deglutii a fatica ed il piatto che stavo risciacquando rovinò penosamente nel lavabo. Soltanto per un caso fortunato non finì col frantumarsi in mille pezzi.


Zio Edward.


Sarah aveva sempre avuto molta simpatia per il mio ex fidanzato. Forse in lui, così giovane e così tenero nei suoi confronti, rivedeva quel padre che il destino non le aveva riservato.
Quante Domeniche avevamo trascorso nel piccolo parco vicino Camden Square noi due insieme e Sarah e David con noi?

Proprio nel corso di quei pomeriggi felici ed ormai andati, avevo contemplato tante volte mia nipote mentre si fiondava tra le braccia di Edward. Sorridendo come solo una bambina tutto sommato felice poteva fare.
Ed inoltre avevo riso, allorché David, con la sua aria di superiorità, si divertiva a sfidarlo apertamente a calcio.

"Tanto sono più bravo di te..." - Commentava spesso con aria provocatoria mentre Edward rispondeva sghignazzando, con quella smorfietta dispettosa che gli si dipingeva  spontaneamente sulle labbra e che io amavo oltre ogni modo.



Quanto tempo era passato da allora?
Dieci giorni, un mese, un anno?
E quanto tempo sarebbe passato ancora prima che avessi potuto riprendere a sorridere senza pensare a lui?

Passai il dorso della mano sugli occhi.
Sarah mi tirò per un lembo della maglia, costernata.


"Zia? Zia Mimi? Perché stai piangendo? E' per lo zio Edward?" - Domandò affranta. - "Dimmelo! E' per lo zio Edward?"





"Chi diamine è questo zio Edward?"

Alzai il capo, sconcertata.

Di chi diavolo era quella voce maschile?
Gilbert forse?

Mi voltai immediatamente a guardare Sarah certa che, se si fosse trattato di suo padre, si sarebbe fiondata verso di lui senza pensarci su due volte.
L'avrebbe riconosciuto immediatamente, il suo papà: tanto era praticamente identici.


Ed invece Sarah se ne stava quieta, guardando in direzione della porta d'ingresso con aria sorpresa.


"Zia..." - Mormorò dunque, puntando l'indice. - "Chi è quel signore?"


Mi voltai quindi verso la porta di casa, sconcertata.
Di chiunque si fosse trattato, come aveva fatto ad intrufolarsi in casa mia?


"Chi è?"

"Davvero non mi riconosci?"


E dunque, fu allora che lo vidi.

Incontrai due occhi neri e profondi ed il mio cuore perse un battito.
Riconobbi la chioma di capelli bruni, più scuri rspetto al passato.

E le sue labbra belle e morbide, le stesse che si posavano sulle mie guance di bambina sussurrandomi un sincero "ti voglio bene".

Una lacrima scivolò silenziosa, sino al mento.
Sino al pavimento.

Lui, invece, sorrise.

Era vestito elegantemente. Non l'avevo mai visto agghindato a quel modo.
Era più bello. Più bello di quanto io stessa ricordassi.


"Sarai per sempre nel mio cuore", aveva detto in un tempo lontano, prima di sparire.

Dunque era vero.
Per questo era tornato?

Per me?


Poteva una giornata, apparentemente insignificante, svoltare in modo tanto positivo sino a consentirmi, finalmente, di sorridere?
Sì, poteva.
Quello non sarebbe stato l'ennesimo giorno triste che si andava ammonticchiando su di un'infinità di altri tutti uguali.
No.
Quel giorno sarebbe stato diverso. E speciale.

Tremai e questa volta il piatto scivolò dalle mani. I suoi cocci si distribuirono a raggiera sul pavimento.


"Proprio io, Marla...Sorridi. Son qui. Hai visto che ho mantenuto la mia promessa?"


Annuii.
Sarah, nel frattempo, tornò a chiamarmi strattonandomi per il lembo della maglia.
Di nuovo.


"Zia? Allora, chi è quel signore?"

Mi scossi leggermente.


"Frank." - Mormorai.


"E chi è Frank?" - Domandò ancora.


"Mio fratello." - Decretai.

















Non c'è molto da dire, oggi.
Per quanto riguarda lo Xoyo Club esiste davvero a Londra. Non ho idea se fosse già attivo nel 1978, non credo. Passatemi la licenza comunque, vi prego: si tratta davvero di un prestigioso locale di musica dal vivo. Non vorremo far esibire i White Riot sempre nello stesso pub di Camden? ;)
Per quanto riguarda il corso di studi scelto da Isabella...non so. Mi piace l'idea di una Bella londinese ed avvocato. Insomma, la vedo sempre studiare medicina o biologia...Per una volta cambiamole mestiere! ;)
Tra l'altro, "studiando" per questo capitolo, ho scoperto che il sistema universitario anglosassone è davvero complicato. Praticamente, dopo la scuola superiore, ci si iscrive all'università (tutte a numero chiuso...Bisogna candidarsi e non è detto che acconsentano all'ammissione) e successivamente studiare per 3 - 4 anni fino ad ottenere la laurea di 1° livello (first degree) cui si dà il titolo di Bachelor.
Da qui il termine di Bachelor of Law per la facoltà di diritto :)

Ovviamente, ragazze, questa è una ff...quindi, per quanto possa approfondire l'argomento è possibile che faccia anche io qualche errore.
Passatemelo, per favore ;)

Per tutto il resto...Beh, sì. Si tratta di un capitolo strano. E non mi piace per niente, tra l'altro (come al solito), ma non volevo farvi aspettare di più. Questa settimana, in farmacia, mi stanno massacrando quindi vi chiedo scusa anche se dovessi rispondere con ritardo alle recensioni. State pur certe che risponderò a tutte, comunque.
In ogni caso vi ho dato due indizi fondamentali per il seguito, in questo capitolo. Una data ed un nome. Fate pure le vostre supposizioni adesso!
;)
GRAZIE DI NUOVO A TUTTE. GRAZIE MILLE.
Il vostro entusiasmo è, come sempre, il motore di questa storia.

Vi voglio bene
Matisse.


PS: Credo (e spero) di aggiornare prima di Natale. Se così non fosse vi auguro, sin da ora, buone feste. Che possiate trascorrere un Natale sereno insieme alle vostre famiglie :)


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Capitolo 19
*** Cap.19 ***


edsid19

My Ugly Boy




















POV ISABELLA














31 Agosto 1978









"Pff...."

Mi rigirai nel letto, agitata. Nel buio udii la risatina sommessa di Edward.

Mi sporsi verso il comodino per accendere l'abat - jour e tornai a guardarlo.


"Non ridere."
"Sei nervosa."
"Appunto. Non ridere."


Edward sospirò, mettendosi a sedere nel letto.
Per quella sera - l'ultima sera prima del ritorno del mio genitori dalle vacanze - aveva ricevuto il permesso di Odette per dormire a casa mia.

Sul divano di casa mia, nello specifico.

Ovviamente Edward non aveva rispettato il limite - era poco abituato ad ubbidire alle regole, per quanto queste avessero potuto essere imposte da una persona che gli stava tanto a genio quale era Odette - e verso mezzanotte, quando la mia governante sembrava essere finita definitivamente tra le braccia di Morfeo, era sgattaiolato in camera mia con sguardo sornione, tipico di qualcuno che fosse certo di conseguire un'ambita vittoria senza sforzo alcuno.
Dal canto mio, l'avevo accolto con un sorrisetto divertito: per una volta era riuscito ad entrare in stanza dalla specifica porta d'ingresso e senza rischiare di rompersi l'osso del collo.
Davvero un gran passo avanti.


"Che hai? La cena sullo stomaco?"
"Cretino...la cena di Odette era buonissima! Nessuna strana minestrina, una volta tanto...avresti dovuto essere nostro ospite più spesso, avrebbe cucinato cose più succulente nell'arco di questo mese!"
"Mmh...Lo terrò a mente per il futuro..."
"Non ci sarà nessun futuro. Da domani il lavoro di Odette finisce qui."
"E' questo il tuo problema? Il fatto che i tuoi tornino dalle vacanze? Bells, coraggio! Non essere melodrammatica!"
"Melodrammatica?!" - Mi rizzai a sedere nel letto, indispettita - "Ti rendi conto che si tratta di una tragedia di proporzioni enormi?! Puoi anche dirmi addio, se è per questo!"


Incrociai le braccia sul petto, sconsolata.
Edward ridacchiò, dandomi un buffetto leggero sul naso.


"Io non la vedo poi così male...Considera che potrai riabbracciare Beth..."
"...Beh sì..."
"...e inoltre...Non sarà di certo tua madre a fermarmi. Renèe Swan non mi fa paura, amore. Quindi sta' tranquilla..."


Sollevai un sopracciglio, divertita.


"Sfideresti l'orco per me, quindi, mio prode cavaliere?" - Ridacchiai, scherzando.


Edward, viceversa, sembrò prendere l'intera faccenda piuttosto seriamente. O quasi.
Poiché non mancò di rivolgermi quel suo sorrisetto assolutamente seducente prima di inchiodarmi al letto con uno scatto repentino ed assolutamente inaspettato. Affondai la testa nel cuscino morbido ed attesi qualche istante, sorpresa, prima di scoppiare in una risata spensierata.


"Sssh, shhh!" - Sussurrò Edward tappandomi la bocca con la mano. - "Non ci tengo a rovinare la nostra serata a causa della tua ilarità. Contieniti, amor mio...Almeno stasera che stare insieme è lecito...Più o meno."


Mi agitai un tantino mordendogli piano il palmo.


"No" - Continuò - "Non ci provare, bambolina. Se Odette ci scopre e mi caccerà via dal tuo letto saprò con chi prendermela. Inoltre, mi pare che stessi tentando di prendermi in giro o sbaglio?"


Mi sovrastò leggermente mentre il suo viso si chinava appena di più su di me.


Alla luce fioca della stanza i suoi occhi risultarono leggermente più scuri. I tratti del suo viso, modellati maggiormente dal chiaroscuro prodotto dall'abat - jour, mi apparvero paradossalmente più belli del solito.
Perfetti. Tanto da far male.

Il mio cuore perse un battito e, tuttavia, cercai di mantenere la calma. Quantomeno di non mostrargli un'espressione troppo da rimbecillita.


"Mmh...Mmphh!" - Tentai di parlare ma la mano di Edwad premuta sulla mia bocca non me lo consentì. Scalciai ancora un po' prima di aggiungere un "Laffami!" davvero comico.


"No..." - Mormorò seducente, posando un bacio delicato sulla mia fronte.
"Laffami..."
"No." - Un altro bacio, questa volta sulla punta del naso. Pochi istanti ancora e sarei scoppiata.


Affondai i denti nella sua carne, mordendo di nuovo quel palmo morbido con maggior foga ed Edward scostò la mano quasi subito.


"Disgraziata!" - Sibilò ancorandomi i fianchi. Ma intanto rideva. Ed io con lui.
"Che volevi fare?"
"Tenerti prigioniera!"
"Idiota!" - Bofonchiai liberandomi infine dalla sua presa e mettendomi a sedere. In realtà, il mio disappunto nascondeva solo  un comunque evidente imbarazzo. - "...Miss Isabella Marie Swan non si lascia fregare così facilmente. Ed in ogni caso... sì. Ti stavo prendendo in giro."
"Sei crudele. Non dovresti farlo. Io sfiderei davvero la furia di tua madre per vederti. Credi che ti lascerei andare così facilmente?"


Mi raggelò, rivolgendomi uno sguardo improvvisamente intenso. Inequivocabilmente innamorato.
Uno sguardo che non sapeva mentire.


Quasi a fatica raggiunsi il suo viso lasciandovi una carezza. Ancora non mi abituavo a certe dichiarazioni, a certe manifestazioni così palesi di un amore in cui ancora stentavo a credere. E non perché non avessi fiducia in Edward. Semplicemente perché non mi sembrava vero.
Era troppo bello per essere reale.
Non potevo davvero aver avuto tanta fortuna.




Più ti guardo e più mi sembra impossibile che stai con me, Edward.*




"Credi che io scherzi quando ti dico certe cose, Isabella? Sei importante per me. Molto più di quanto mi fossi mai aspettato. O forse no, forse l' avevo capito sin da subito che saresti stata speciale. Non sarà tua madre a fermarmi. Non sarà Marla, non saranno i soldi che non ho, le dicerie della gente che ci guarderà male e tutto il resto. Potresti fermarmi solo tu se un giorno mi dicessi di non essere più innamorata di me. E non ne sono completamente certo, tra l'altro. Credo che seguiterei a starti dietro visto che, sinceramente, non posso fare a meno di te."




Guardai Edward per qualche istante, in silenzio, incapace di rispondere. Le mie labbra atteggiate in una "O" di meraviglia.


Ripensai a tutte le volte in cui avevo riso di Angela quando tirava fuori i suoi occhi da innamorata per Ben.
A tutte le volte che mi aveva parlato di quella meravigliosa sensazione d'ansia che attanagliava cuore e stomaco se lui sorrideva.
Se lui le teneva la mano.
Non l'avevo mai afferrata realmente. Per me erano parole nel vento, nessuna fondamento nella realtà.

Ed ora, invece, che qualcuno teneva la mia mano nella propria riuscivo finalmente a comprendere tutto.
L'amore contava.*
Non era un concetto astratto, un'idea vaga ed irrealizzabile. Ttutt'altro: si plasmava perfettamente negli occhi verdi di Edward, in quello sguardo pieno soltanto di me e di ciò che insieme, finalmente, eravamo.
Uno sguardo che non guardava al mondo, che non si curava di nessuno, neppure di chi tentava di limitare il suo cammino.
Ma si curava di me.



Cosicché, alla fine, troverai anche coraggio abbastanza per sussurrargli un timido:

"Non mi lascerai mai, Edward?"
"Mai. Mai Isabella."


Mi attirò a se maggiormente ed io mi accomodai sul suo petto.


"Ti amo."
"Ti amo anche io."
"Ehi..."
"Che c'è?"
"Sei una rockstar davvero romantica..."
"E ti dispiace?"
"No, assolutamente. Ma non rientri nei canoni." - Lo canzonai, tanto per stemperare un pochino l'aria tra noi. Se avessimo continuato in quel modo sarei finita certamente col piangere.
"Questo lo dici tu. Anche i duri sanno amare, che credi?"
"Ah sì?"
"Sì. E comunque, se vuoi...Posso anche mostrarmi un tantino più...come dire...selvaggio?"


Alzai il viso verso di lui, guardandolo compiaciuta.
Avevo riconosciuto un accento inequivocabile nella sua voce. 


"Selvaggio? In che senso?" - Ammiccai, provocandolo.
"Bella...Non farmi parlare."
"Naaaa! Io dico che non ci proveresti neanche..."


Un guizzo divertito gli attraversò gli occhi.


"Oggi mi sfidi troppo spesso. Vuoi una prova?"


Annuii, poggiandomi su un gomito.


"Sì. Fammi vedere di cosa saresti capace...bassista."


I suoi occhi si illuminarono di una luce nuova - sinistra ed inequivocabilmente piacevole a vedersi - prima di inchiodarmi nuovamente al letto ed avventarsi sulle mie labbra, ridendo.


Ovviamente, di fronte a certe evidenze, quella avrebbe dotuto esser considerata null'altro che la notte migliore della mia esistenza.
Almeno sino a quel momento.







*



Aprii gli occhi quando un delicato raggio di sole baciò il mio viso, inaspettato.

Sbattei le palpebre più e più volte e mi stiracchiai dolcemente mentre i miei muscoli intorpiditi riprendevano vita.



Ti amo.



Un ricordo veloce.



Isabella...



Cercai la mano di Edward senza trovarla.
I miei polpastrelli incontrarono un pezzo di carta ruvida.
Un suo biglietto. Ancora una volta.
A lui piaceva comunicare così.

Raccolsi quindi tutte le forze e costrinsi le connessioni neuronali a riattivarsi per consentirmi di ragionare lucidamente.


Quindi, aprii veloce il foglietto ripiegato.
Color glicine: l'aveva staccato dal mio taccuino personale, stavolta.
Sorrisi mentre la calligrafia appuntita e lineare di Edward risaltava prepotente sotto i miei occhi.




"Sono fuggito dal tuo letto alle sei. Alle sette ero in cucina a far colazione con Odette.
Ti abbiamo lasciata dormire. Sembravi un angelo, non mi andava di svegliarti.

Buongiorno amor mio. Non essere triste.
Goditi Beth, noi due ci rivedremo presto.

I love you Bells."





Sospirai, aspirando il profumo di Edward. Era intorno a me, tra i miei capelli, sui cuscini, tra le lenzuola spiegazzate.
Sulle mie labbra ancora il suo sapore.




Bella.
Bella, io ti amo.




Le sue parole ancora risuonavano nella mia mente.
Nel buio della mia camera, tutto ciò che avevo udito quella notte era stato il suo ti amo ripetuto all'infinito.
Dieci, cento, mille volte. Soltanto per farmi sapere che ero sua. Che non mi avrebbe mai lasciata andare.

Il ricordo delle sue mani sulla pelle delle mie braccia, del mio collo, dei mie fianchi scoperti senza alcun imbarazzo.

Avevo dimenticato la timidezza, con Edward. L'avevo dimenticata da tempo, soprattutto in certe occasioni che, ultimamente, si ripetevano abbastanza spesso. Non potevo provar vergogna del mio corpo davanti a lui. A lui che era parte di me. E sebbene troppe volte ancora le mie guance andassero in fiamme soltanto con un suo sguardo sapevo che la causa di tutto questo null'altro era che l'amore.
Nessun senso di estraneità, nessun muro tra di noi.
Non potevano esserci limite per qualcuno che mi apparteneva tanto quanto io appartenevo a lui.


Ovviamente, da gentiluomo qual era (per quanto tentasse di nasconderlo dietro la sua veste di rocker dannato), Edward non si era spinto poi così...eccessivamente.
Certamente, comunque, era stato meglio così, almeno in quel frangente, benché di mia spontanea volontà non avrei messo un paletto così facilmente. A dirla tutta, quando Edward aveva sussurrato a stento un "...Bells, dovremmo fermarci..." ci avevo impiegato qualche minuto di troppo per dare ascolto alle sue parole. Respirando piano, la mia fronte contro la sua, avevo ritrovato con fatica la lucidità.

I suoi baci, quelle carezze, la freschezza della sua pelle nuda contro di me...tutto, tutto mi aveva parlato del suo amore, di quanto mi desiderasse. Ogni dubbio, qualsiasi perplessità nata dopo la strana notte trascorsa a Liverpool era stato fugato.
Adesso sapevo. Edward mi amava sotto ogni punto di vista.
Ma era un giovane delicato e rispettoso ed a tali peculiarità dovevo ascrivere quella sua iniziale ritrosia. Ritrosia che, pian piano, stava lasciando spazio ad una passionalità difficile da smorzare.

In ogni caso, questo gli faceva null'altro che onore, ovviamente.




Comunque sia, per quella notte, avrei dovuto rendere un grazie enorme a Morfeo.
Il sonno era subentrato dopo poco e meno male. Altrimenti nessuno scrupolo e nessuna governante troppo vicina mi avrebbe dissuasa dal venir meno ai miei buoni propositi di castità. E non credevo di sbagliarmi nel pensare lo stesso di Edward.







"Isabella?"
"Uh?"



Mi liberai a fatica dai dolci ricordi della notte appena trascorsa e, voltandomi lentamente, incontrai, sulla porta della mia camera, un'impeccabile Odette che mi guardava con occhi tristi.
Sospirai.

Sapevo quanto quel giorno fosse duro d'affrontare in primis per lei, oltre che per me.


Già rigidamente prigioniera del suo tailleur color panna, i capelli racconti in un chignon severo cui mi ero disabituata lungo tutto quel mese, quasi stentai nel riconoscerla.
Ormai serbavo, nel mio cuore, il ricordo di un'Odette delicata e gentile, un sorriso un po' malinconico sempre dipinto sulle labbra e con indosso quel grembiulone enorme che utilizzava per preparare il pranzo e, qualche volta, i miei dolci preferiti.
La stessa Odette che avevo visto ridere e chiacchierare con il mio Edward mentre, lanciatissimi in una conversazione di argomento musicale, discutevano sull'immensità dei Beatles e dei Rolling Stones. Senza tralasciare lo straordinario amore che entrambi provavano per Sid Vicious.
Una scena cui avevo assistito appena la sera precedente, durante la cena e che per sempre avrei rimandato a rallentatore nella mia mente: mai come in quel momento mi ero sentita a casa, finalmente protetta.

Avevo così compreso il senso della parola "famiglia", molto più che in diciassette anni con i miei genitori.



"Bella....i tuoi genitori torneranno nel primo pomeriggio. Su, alzati. Bisogna prepararsi."

Mi liberai dalle lenzuola e, gattonando lentamente, raggiunsi il bordo del letto. Qui, mettendomi a sedere, spalancai le braccia invitandovi la mia cara Odette.
Mi sorrise docile. Ancora riconobbi quella punta di malinconia nel suo sguardo che così malamente cercava di nascondere ai miei occhi mentre avanzava nella mia direzione. Le sue braccia mi ancorarono con un'intensità tale da far male. Tutto il dolore per la nostra imminente separazione era tangibile in quella stretta calorosa da cui non mi sarei mai liberata. Repressi a stento i singhiozzi e soltanto per evitare che anche Odette potesse piangere.


"Non ti dimenticare di me."
"Non potrei mai. E ci rivedremo spesso Isabella, spessissimo. Ti porto nel mio cuore ormai e non mi perderai."

Poggiai la testa sulla sua spalla. Il tessuto ruvido del tailleur mi graffiò il viso ma non me ne curai.

"Odette?"
"Sì?"
"Sei la mamma migliore del mondo. Lo sei stata per me in questo mese, per me che sono solo un'estranea. Devi esserlo anche per Guillaume, ovunque egli sia. Non togliergli questa possibilità."

Non mi rispose subito. Piuttosto la sentii inspirare profondamente prima di lasciarmi un bacio tra i capelli.

"Tu, Isabella. Sei tu una splendida figlia. Tua madre deve essere orgogliosa di te. E lo sarà."


Chiusi gli occhi, emozionata, pregando Dio che quell'augurio della mia buona governante avesse potuto presto trasformarsi in realtà.









1° Settembre 1978






"Sorellina!! SORELLINA!!"


Soltanto poche ore dopo, il sogno di stringere nuovamente la mia sorellina contro il mio corpo si trasformò in realtà. Beth mi saltò in braccio senza preavviso e per poco non ruzzolai all'indietro vista la foga con cui mi gettò le braccia al collo.


"Ehi!! Bimba mia, bentornata!!"


Le riempii il viso di baci e le pizzicai le guanciotte piene e morbide. Mi sembrava soltanto una fantasia poter godere di nuovo del suo sorriso di bimba, della visione assolutamente deliziosa delle sue fossette sul mento ed ai lati della bocca.

Era ancora più bella - se possibile - di quando l'avevo lasciata andar via quasi un mese prima: la pelle dorata messa in risalto da un vestitino di colore bianco, i capelli resi chiarissimi dal sole, specie sulle punte. Ed i suoi occhi ancora più luminosi e dolci.
Ne ero estasiata.

"Quanto sei bella amor mio! Quanto sei bella..."

Mi sorrise, teneramente.

"Mi sei mancata..."
"Anche tu, tesoro."

La strinsi di nuovo tra le braccia mentre sulla mia spalla, il tocco delicato di Odette che assisteva alla scena con occhi lucidi, mi dava un senso di protezione e di immenso amore.

Aspirai ancora un po' il buon profumo della mia bambina prima che la mia attenzione gravitasse altrove, risucchiata da un rumore di tacchi ben noto sul selciato. Tremai appena sollevandolo sguardo ed incontrando gli occhi verdi di mia madre.

I suoi occhi impenetrabili.

Sogguardai, fremendo, quelle labbra sue altere. A stento riuscirono a piegarsi verso l'alto regalandomi un accenno di sorriso. Colsi quel gesto come una testimonianza del suo piacere, dopotutto, nell'incontrarmi di nuovo dopo un mese.

In fondo ero sua figlia.
No?

Mi alzai repentinamente dalle scale di casa, tenendo ben stretta la mano di Beth.
Impettita come non mai: avevo dimenticato l'effetto che mia madre era in grado di sortire su di me.


"Mam - ma. Ciao."
"Ciao Isabella. Sono contenta di rivederti."


Persi il respiro per qualche istante: Beth mi guardò subito, sorridendo.


Nel mentre, con la coda dell'occhio, percepii la mano di Odette allungarsi verso Renèe.



"Miss Swan, bentornata a casa."
"Grazie mille Odette."
"Spero che le vacanze siano state piacevoli..."
"Molto. Ma avevamo voglia di tornare a casa."


Mi guardò con la coda dell'occhio ed io avvampai.
Stava forse cercando di farmi intendere che le fossi mancata?
Di certo non avrei ricevuto una risposta alla mia domanda. Forse non volevo neppure conoscerla.

Viceversa, non avevo alcun dubbio al riguardo di mio padre. Quando colsi il suo bel viso sorridente spuntare da dietro il cofano aperto della nostra Bentley mentre tirava fuori gli ultimi bagagli, risi di cuore.
Ero davvero felice di vederlo e la sua espressione mi diceva chiaramente che lo stesso valeva per lui.


"Bells! Tesoro!!"

"Papà!"

Mi fiondai tra le sue braccia. Sapeva di quel misto buonissimo di tabacco e dopobarba che da sempre costituiva il profumo di mio padre. Quel profumo che mi era familiare e che mi era mancato da morire. Adesso lo sapevo.

"Ti sei comportata bene, in questo periodo?" - Mi domandò con voce grossa, scherzando. Io annuii ridendo ed Odette venne a darmi manforte.
"Benissimo. La migliore protetta che mi sia mai capitata, signori Swan. Ha studiato tutti i giorni di buona voglia, senza mai protestare. Adesso conosce i rudimenti del francese e se la cava discretamente al pianoforte. Inoltre, Isabella ha finalmente scelto il corso di laurea che seguirà l'anno prossimo. Siatene orgogliosi: è un'ottima figlia."



Un'ottima figlia, aveva detto. Come se fossi stata la sua.
La ringraziai con uno sguardo. Se avessi potuto le avrei riempito il viso di baci.
Quant'ero cambiata! L'amore mi aveva trasformata e non intendevo, per amore, unicamente il sentimento che mi univa ad Edward. Parlavo di qualcosa di immenso, quasi universale che mi aveva travolto da un po' di tempo a quella parte. Qualcosa di inspiegabile che ritrovavo nel sorriso di Beth, nello sguardo complice di Odette, nella mano di Edward intrecciata alla mia.
Davvero. A pensarci, non ero mai stata tanto sentimentale. Ma di certo questo non mi dispiaceva.

All'udire le parole di Odette, mia madre si voltò a guardarmi con occhi sgranati.

"Davvero, Isabella?"
"Davvero, mamma."
"Oh!"

Per la prima volta dopo mesi le sue labbra si atteggiarono in un sorriso.
Vero.
Non di quelli appena abbozzati, falsi, formali degli ultimi mesi. Un sorriso distante anni luce anche da quello appena accennato soltanto pochi minuti prima.

Stentavo a crederci.


Mia madre mi stava sorridendo.
Potere dell'università e delle scelte "responsabili", ovviamente.



  
"Aspettavo di sentire proprio queste parole. Brava Isabella."






Brava Isabella.
Brava perché studi in una scuola prestigiosa e ti dai da fare.
Brava perché frequenti solo gente ricca.
Brava perché un giorno avrai un lavoro di successo ed i tuoi futuri figli studieranno pianoforte.

Brava: sei proprio una ragazzina a modo.




Grazie mamma.
Perché  non sono così. Ma tanto tu non lo sai - non mi conosci in realtà - ed io continuerò a fingere.

Quel po' di amore che mi dimostri di tanto in tanto finirebbe dritto dritto nell'angolo più remoto ed insensibile del tuo cuore.
Ed allora mi nascondo, per elemosinare un pochino del tuo affetto.
La mia facciata esterna sarà sempre quella della figlia modello.
Nelle retrovie, invece, sarò Bella che ascolta i Sex Pistols, adora Camden ed ama un ragazzo che tu disprezzeresti solo a guardarlo.

Ma non importa mamma.
Perché io ti voglio bene. Ed ho bisogno di te.
Quel tuo sorriso mi ha scaldato il cuore, nonostante tutto.

Adesso so: non voglio perderlo.
Mai più.



Non posso deluderti ancora.
Non ancora, anche se fa male.





















11 Settembre 1978












"Cosa vuoi fare per il tuo compleanno, Isabella?"

Alzai lo sguardo dalla tazza di cereali, titubante. Il tono di voce di mia madre, quel giorno, mi pareva troppo....accondiscendente?
Sì, esattamente.


"Non...Ecco...In realtà..."


"Hai già qualche programma?" - Domandò mio padre, curioso.
"Non festeggi con noi?" .- Incalzò Beth arrampicandosi sullo sgabello accanto a me. Renèe la fulminò all'istante: la piccola ci impiegò meno di un minuto per tornare a sedersi dritta e composta.


"Beth, bevi il suo succo e lascia in pace Isabella...Festeggerà come meglio crede."


Papà mi rivolse quindi un ultimo sorriso dolce prima di rituffarsi nella sua lettura mattutina ed io mi stupii nel verificare che nessuna risposta acida, nessuna protesta o rimprovero fosse giunto, nel frattempo, da parte di mia madre.


Ormai era chiaro.
Da quando le avevo espresso il mio desiderio di diventare un dottore in legge era cambiata radicalmente nei miei confronti.


Molto più accondiscendente, quasi garbata. Raramente mi rivolgeva parola con quel suo tono sprezzante che mi era diventato familiare nel periodo antecedente le vacanze.
Aveva seguito tutti i miei progressi, gli studi portati avanti assieme ad Odette. Aveva appurato che realmente mi ero decisa a spendere la mia estate tra libri ed appunti di storia e questo doveva averla consolata a sufficienza per indurla a volermi di nuovo bene, evidentemente. Se avesse saputo di Edward, della mia gita a Liverpool, delle nostre cene a tre mentre io saltavo sul divano buono del salotto sulle note di Satisfaction dei Rolling Stones sotto lo sguardo divertito di Odette e del mio ragazzo, avrebbe rimangiato in un secondo i suoi propositi di sentimentale maternità.


"Allora? Cosa vuoi fare?"


"Ecco...Beh...Domani sera Angela mi ha chiesto di cenare da lei, per festeggiare insieme. Resterei a dormire a casa sua poi, se per te va bene. Mentre il tredici...esce Grease al cinema. Andiamo a vederlo subito perché Angela sta impazzendo per John Travolta...Magari la smette di torturarmi dopo aver visto il film!"



Incrociai le dita di entrambe le mani sotto al tavolo.
Avevo appena sparato due balle enormi e pregavo affinché mia madre non se ne rendesse conto.
Ovviamente, avevo cercato di mantenere un tono quanto più credibile ed impostato possibile. Ma sapevo di essere nel torto e la fiducia in me stessa non era dalla mia parte.


Per l'indomani, in realtà, ero stata invitata da Edward ed Alice in saletta, a Brixton, per festeggiare tutti insieme lo scoccare della mezzanotte ed il compimento dei miei sospirati diciotto anni. Non sapevo cosa aspettarmi da quella serata ma cominciavo a temere per la sua riuscita, considerando la smania organizzativa di Alice. Avevo adocchiato qui e lì un paio  di inviti scritti di suo pugno e mi ero preoccupata: non volevo festeggiamenti epici di cui avrebbe parlato l'intero circondario. Mi bastava l'affetto ed il calore delle persone che amavo, di Edward in primis. Nulla di più.

Tuttavia Alice aveva insistito tanto ed aveva messo su un musetto così assolutamente adorabile di fronte ai miei ripetuti "no", che alla fine avevo ceduto. Non potevo causarle un dispiacere.



In altre parole, mi aveva fregata.



Quand'era andata via saltellando, fuori l'ingresso della Queen Elizabeth - poiché nel frattempo avevamo anche ripreso le nostre quotidiane attività scolastiche, già da ben cinque giorni - Edward aveva preso a ridere a crepapelle.



"Benvenuta sull'altare sacrificale di Alice Cullen. Sei la sua nuova vittima!"
"Smettila!" - Avevo sibilato ridendo e dandogli un leggero schiaffetto sulla spalla - "...Non dirmi così che mi fai pentire di averle dato il mio permesso!"
"Dovresti pentirtene, in effetti!"
"Edward, per favore...come potevo rifiutarglielo con quella faccetta disperata che m'ha fatto?!"
"Bella! Ci sei caduta anche tu! Alice si comporta così con tutti quando vuole qualcosa, sciocchina!" - Aveva esclamato infine tirandomi "gentilmente" per la cintura verso di lui finché non ero rimasta intrappolata tra le sue gambe e con le sue braccia intorno alla mia vita.




Ormai cominciavamo ad essere sempre più disattenti.
O, semplicemente, non ce ne importava un bel niente.
Non badavamo quasi più agli altri e fuori scuola Edward mi baciava senza alcuna ritrosia. Lo stesso valeva per me: stavo imparando a non considerare nemmeno lontanamente i giudizi inutili degli estranei. Di tutto il resto del mondo, per intenderci. Tranne che di mia madre, ovviamente.




"In ogni caso questa festa non mi dispiace affatto..."
"Neanche a me se facciamo le cose senza esagerare. Però...poi come ci torno a casa da Brixton di sera?"
"Non ci torni." - Aveva risposto suadente e, nello stesso istante, avevo inteso che l'avvertimento "non me ne importa un un fico secco di tua madre" era quanto di più vero avesse mai pronunciato nella sua vita. Forse anche più dei suoi ti amo.




Da qui, ero stata costretta a mettere in opera il mio cervellino per inventare una storiella sufficientemente credibile da presentare a mia madre poiché Edward non si aspettava un rifiuto - è la sera del tuo compleanno, è chiaro che la passerai con me, aveva detto - e, francamente, neanche io avevo alcuna intenzione di perdermi questa possibilità.
Non desideravo altro che vivermi quel giorno così importante con il mio grande amore.
Chi avrebbe potuto biasimarmi?



Ovviamente la scelta sulla persona che avrebbe dovuto salvarmi la faccia - poiché a lavorar da sola non ne avrei ricavato un ragno da un buco - era ricaduta su Angela.

Chi altri, se non la mia migliore amica?


Tra l'altro, aveva preso bene l'intera faccenda, dopotutto.
Non mi aveva neanche particolarmente rimproverata per il mio essere così...sventata, al di fuori di un goliardico: "cazzo Swan sono tornata due giorni fa dalle vacanze e tu già rompi le scatole?!". Ovviamente.



Anche questa era Angela, in effetti.

In ogni caso, per quel dodici di Settembre, la fortuna aveva deciso di sorriderci e renderci l'intera macchinazione più semplice del previsto: i signori Weber, infatti, avrebbero dovuto assentarsi per qualche giorno, in visita ad una zia novantenne che desiderava riabbracciare i propri nipoti.
Nell'ipotesi in cui mia madre avesse chiamato a casa di Angela per sincerarsi sull'andamento della serata, quindi, nessun genitore solidale avrebbe rovinati i nostri sogni di gloria spiattellando la verità circa la nostra assenza, cosicché anche la mia amica avrebbe potuto godersi il party in mio onore organizzato da Alice in santa pace.
A Brixton.


Ovviamente anche quella del tredici Settembre era una scusa.
Piuttosto che al cinema, infatti, io ed Angie avevamo in programma un'incursione allo Xoyo Club, dove i White Riot avrebbero avuto la loro prima, vera occasione per emergere e farsi apprezzare come meritavano da troppo tempo, ormai.
Io, ovviamente, ero assolutamente in fibrillazione ed attendevo tale avvenimento con un'impazienza di molto maggiore rispetto a quella che serbavo, in cuor mio, per il mio stesso compleanno.

Angela era un po' meno felice, viceversa: avrebbe voluto davvero vedere Grease.

Ma ce l'avrei portata prima o poi. Se lo meritava, davvero.




Al pensiero delle enormi bugie che avevo tirato fuori, sospirai di nuovo impercettibilmente. Ed ancora di più - ma stavolta di sollievo - quando constatai che mia madre non sembrò assolutamente essere turbata dalle mie parole.
Come se non avesse avuto alcun dubbio sul fatto che le avessi detto la verità.



"D'accordo, Isabella..."




D'accordo...?




"...Tuttavia, gradirei che per pranzo, Mercoledì, tornassi subito a casa in modo da poter festeggiare anche con noi."


Tutto qui?
Sul serio?



"Avrei intenzione di invitare anche Odette, se non ti dispiace. E' una persona deliziosa e ti ha assistito proprio come desideravo io durante la nostra assenza. Mi sembra il minimo consentirle di trascorrere il tuo compleanno qui con noi."



Ripensai alla mia buona Odette, a quel sorriso che mi aveva rivolto sulla porta di casa, prima di andarsene per far ritorno a Barnes.

Sì, mi aveva sorriso, per consolarmi. Per farmi capire che tra di noi non sarebbe finita così facilmente.
Eppure, avevo pianto comunque quando l'avevo vista entrare nel taxi che mia madre aveva chiamato per lei.

Sapevo che il nostro legame non sarebbe andato perso così facilmente soltanto perché la nostra quotidianità sarebbe stata spezzata dalla distanza di qualche quartiere. Troppe cose ci univano ormai, al di là di un affetto assolutamente innegabile.
E, tuttavia, l'idea di non trovarla più a gironzolare per casa mia ogni mattina, rassettando con ordine e cura ogni camera mentre m'intimava di fare una colazione abbondante per ritemprare corpo e spirito, mi riempiva ogni volta il cuore di un'indicibile malinconia.
Ci avrei impiegato ancora molto, molto tempo prima di abituarmi alla sua assenza.


Ovviamente, l'idea di mia madre di invitarla al pranzo per il mio compleanno era assolutamente fantastica. Sarei tornata di corsa da scuola, quel Mercoledì, pur di rivederla.


Cominciavo davvero a credere che il mio diciottesimo anno d'età avrebbe potuto essere il migliore della mia vita sino ad allora se iniziava sotto così deliziosi auspici, circondata dalle persone che più amavo e che avevano decisamente cambiato il corso della mia esistenza oltre che il mio modo, forse ancora un po' capriccioso, di guardare al mondo intorno a me.





"Allora Isabella?" - La voce di mia madre mi riportò alla realtà. Tendevo a divagare un po' troppo facilmente negli ultimi tempi.

"Ehm..Scusa mamma. E...sì, comunque..."
"Cosa sì?"


"Sono contenta di pranzare qui. E sono contenta se deciderai di invitare Odette. Per me...va bene, va benissimo."
"Perfetto."



"Sììì, festeggi con noi! Allora ti preparerò io la torta!" - Esclamò la mia bambina gettandomi le braccia al collo. Ancora intontita dall'irrazionale facilità con la quale avevo conseguito la mia vittoria, le lasciai un bacio fugace tra i capelli, mentre mio padre ci guardava sorridendo.



"Stai diventando grande, Isabella. L'anno prossimo frequenterai il College. Non mi sembra ancora vero, bambina mia."







Stavo diventando grande, era vero.
Mio padre aveva ragione.
Chissà, tuttavia, se ero davvero pronta ad affrontare una maturità che non era mia e che non ancora mi apparteneva.
A volte, a pensarci, finivo inevitabilmente con l'agitarmi.


Di conseguenza, lo guardai titubante.
Lui sorrise di nuovo, di rimando.
Era troppo tranquillo.


Forse - mi dissi in risposta alla sua espressione serena - crescere non sarebbe stata poi un'esperienza tanto traumatica.
Certo, si trattava di un salto nel buio. Ma avrebbe potuto riservare parecchie sorprese.
E giacché pareva inevitabile, sarebbe stato meglio affrontare quel cammino a cuor leggero, ovviamente.














12 Settembre 1978



"Ci muoviamo? Questa strada mette i brividi."
"Dio, quanto rompi Angela!"


Sospirai rassegnata. Avevo dimenticato quanto potessero essere irritanti le scaramucce tra Oliver e la mia migliore amica.
Per i primi giorni di scuola, tra l'altro, mi erano state risparmiate giacché Oliver, apparentemente senza motivo, aveva tentato di evitarci in tutti i modi. Almeno questa era stata la sensazione che mi aveva trasmesso ogni qualvolta incrociavo il suo sguardo mentre mi osservava da lontano per poi rivolgersi immediatamente altrove non appena realizzava che l'avessi scoperto. Neanche una volta, in quella prima settimana scolastica, aveva diviso con me, Angela ed Alice la pausa pranzo ed in aula tendeva sempre ad accomodarsi quanto più lontano possibile, accanto ai suoi amici tirati a lucido. Quelli che vedevano in lui il figo della situazione perché cantava in un gruppo rock e si accingeva al grande salto allo Xoyo Club, per intenderci.

Poco male: non conoscevo il motivo di questo suo distacco post vacanza estiva ma non potevo di certo estorcergli una spiegazione valida a tutti i costi. Ero certa che tutta la faccenda avesse avuto a che fare con me e la mia storia con Edward ma, a questo punto, mi interessava davvero poco: non potevo di certo rovinarmi l'esistenza a causa della gelosia di Oliver. Ovviamente il mio discorso avrebbe potuto risultare particolarmente egoista e mi dispiaceva anche vedere le cose in questo modo. Ma davvero trovavo il suo atteggiamento troppo irritante per spendere più di due minuti del mio tempo a pensarci.

In ogni caso ero davvero felice di averlo come parte della combriccola per quella serata. Dopotutto ci conoscevamo da troppi anni e l'idea che non avesse voluto condividere con me i festeggiamenti per un compleanno cui tenevo oltremodo mi avrebbe rattristata parecchio. Ora, non sapevo se ascrivere la sua presenza all'opera di convincimento di Alice, alle minacce di Angela o semplicemente ad una scelta consapevole e volontaria del suo cuore. Ad ogni modo era con noi e questo mi bastava: non volevo conoscere altro.



"Ragazzi..." - Sussurrai affondando il viso nel foulard che portavo intorno al collo: il vento, quel giorno, era impietoso e già piuttosto fresco e cominciai a pentirmi del leggero vestitino nero che avevo indossato per l'occasione - "...Siamo arrivati. Finitela di beccarvi come gazze."

Sembrarono darmi ascolto poiché, quasi subito, cessarono di battibeccare.



Tra l'altro, avevo detto la verità: a breve distanza da noi potevo già scorgere il vecchio garage di Brixton illuminato. Le porte - cigolanti e malridotte come sempre - erano semiaperte ed una musica leggera sembrava già diffondersi nell'aria.

"Uuuuuh! Si festeggiaaaaaaaaaaa!" - Esclamò Angela alle mie spalle. Dopo mezzo secondo già correva davanti a noi, in direzione della saletta.
Pareva particolarmente eccitata.

Continuai a camminare più quieta, accanto ad Oliver. In realtà cominciavo a sentirmi particolarmente emozionata anche io.


"Bella?"
"Uh?"

Guardai il mio amico con la coda dell'occhio.

"Dimmi, Oliver."


Si fermò d'improvviso. Un'espressione imbarazzata dipinta sul viso.


"Che c'è?" - Domandai preoccupata, tirandolo per il bavero della giacca. Ero quasi certa che avesse cambiato idea e fosse in procinto di dire addio alla festa.
Mi sbagliavo.

Senza rispondermi ma tirando un profondo sospiro, armeggiò per qualche istante nelle tasche fino a tirarne fuori un pacchetto rosso.

"Tieni." - Sussurrò. - "Questo è il mio regalo di compleanno. Preferisco dartelo adesso che...siamo da soli. Col casino che ci sarà fra poco non...lo guarderesti neanche."
"Non dire sciocchezze. Certo che lo guarderei."
"Mmh..." - Rispose poco convinto. - "In ogni caso preferisco così se non ti spiace perdere ancora cinque minuti."
"Non mi spiace affatto, stupidino." - Lo rimproverai bonariamente. Sorrise mentre mi consegnava il pacchetto.
Lo scartai rapidamente ritrovandomi tra le mani un graziosissimo bracciale rigido e sottile dalla chiusura caratteristica. Portava infatti, all'estremità, un piccolo ciondolino: una chitarra in miniatura deliziosa anche solo a guardarsi.



Era davvero meraviglioso.



"Oliver...io...Non so che dire...Grazie! Grazie mille, sul serio! E' fantastico..."

Gli gettai le braccia al collo, felice come una bimba che avesse ricevuto in regalo la sua bambola preferita. Al di là del fatto che il dono in sé per sé fosse assolutamente delizioso, avevo apprezzato molto il gesto di Oliver. Che si fosse trattato di un primo passo verso il nostro riavvicinamento?

Ovviamente non l'avrei scacciato, in quel caso.
Comunque sia, ci impiegò qualche istante di troppo per ricambiare l'abbraccio ed in ogni caso si allontanò quasi subito.


"Sono contento che ti piaccia."
"Come non potrebbe?" - Risposi leggermente turbata da quella freddezza che cozzava così malamente con la dolcezza del pensiero che mi aveva riservato.


Non rispose, ancora una volta.
Ce ne stavamo lì impalati, in una strada buia, mentre tutti gli altri già si apprestavano a festeggiare il mio compleanno e tutto ciò che Oliver sapeva fare in risposta alla mia reazione gioiosa era guardare da un'altra parte, con espressione lontana e quasi dispiaciuta.


Alla fine, mi decisi a parlare. Se Oliver non era in grado avrei preso io in mano le redini della situazione, per una volta!


"Ol...Io..."
"Cosa?" - Gli occhi gli brillarono quasi subito.

"Io..." - Continuai, incitata dalla sua reazione - "...Vorrei sapere...Perché..."
"Perché...?"

"Hai sentito bene...Ultimamente ti vedo...."







"BELLAAAAAAAAA!! OLIVERR!!! Che diamine state facendo lì fuori al freddo?! Qui si festeggia, entrate su!!"

"Bella! Oliver! Spicciatevi, stiamo aspettando soltanto voi!"





Le voci di Angela ed Alice, praticamente in contemporanea, irruppero prepotenti nel silenzio di Brixton, già in parte turbato dalla musica leggera proveniente dalla saletta.
Guardai in direzione della porta incontrando le loro testoline che sporgevano nel tentativo di farsi vedere ed indurci a raggiungerle al garage.

Ancora frastornata agitai un braccio per richiamare la loro attenzione, mentre Oliver si scostava leggermente da me.



"Arriviamo!" - Le tranquillizzai.


"Muoversiiii!! - Intimarono ancora loro ed a me venne da sorridere, nonostante tutto.


"Oliver? Magari potremmo parlarne più in là..."
"Sì, sì, va bene. Andiamo." - Fu tutto ciò che rispose, incamminandosi quasi subito senza neanche aspettarmi.
Ovviamente mi apparve visibilmente irritato.



Sospirai dispiaciuta, osservandone il profilo severo.
Dopotutto non aveva torto a mostrarsi tanto indispettito: effettivamente l'interruzione da parte delle mie amiche era stata quantomeno clamorosa. Per non dire fastidiosa.
Tuttavia, non potevo biasimarle: cosa potevano saperne loro di cosa girava nella testa di Oliver?

In ogni caso, ero dispiaciuta sì ma non rassegnata. Avrei trovato, più in là, l'occasione adatta per parlargli e risistemare le cose tra noi.


Tutto ciò che potevo fare in quel momento, quindi, era tranquillizzarmi.

Attesi pertanto qualche secondo, al fine di riassestarmi mentalmente ed affrontare al meglio la promettente serata che mi aspettava al varco.


La mia serata.
 
Era chiaro: non l'avrei rovinata per niente al mondo.





"Si festeggia!" - Esclamai quindi tra me e me, accingendomi infine a fare il mio ingresso nel vecchio garage a passo svelto.






*






"Eccola, la festeggiata!! Benvenuta Bella!!!"


Il vocione di Emmett mi accolse quasi subito e, senza neanche fare in tempo a realizzare, mi ritrovai tra le sue forti braccia, vittima di una capriola che causò una notevole ilarità tra i presenti viste le urla con le quali l'affrontai.


Quando toccai di nuovo il pavimento mi girava la testa.



"Emmett, tu sei pazzo!"
"Puoi dirlo forte, piccola!"


Mi venne da ridere di fronte a tanta consapevolezza della propria follia: Emmett mi parve esserne particolarmente orgoglioso e trovai l'intera faccenda davvero divertente.


In ogni caso non ebbi molto tempo a mia disposizione rispondergli a dovere, poiché, dopo una frazione di secondo, ancora totalmente frastornata, mi ritrovai vittima felice di altri mille abbracci. In rassegna passò prima Alice che mi strinse con così tanto calore da sciogliermi il cuore: la scoprii, paradossalmente, più bella del solito con quei capelli neri acconciati alla maschietta su cui spiccava, eccentrico e delizioso, un fiocco di color chiaro, ben stirato.
Indossava un abitino color cipria di stoffa morbida e sembrava davvero una graziosa bambolina di porcellana, a ben guardarla.



"Tesoro, sono così felice che tu sia qui! Hai visto, è una festa intima, proprio come mi avevi chiesto tu! Ti piace come ho addobbato la sala?"




Mi guardai in giro:
il locale profumava di buono. Non l'avevo mai visto acconciato in quel modo, era sorprendente.
L'intera
saletta appariva luminosa e di certo molto accogliente con quelle pareti ritinteggiate alla bell'e meglio nei caldi colori del giallo e dell'arancione.
Aveva un che di familiare e delizioso.

Dal soffitto, di tanto in tanto, faceva capolino un festone rosso. Tutt'intorno erano ben disposti, in ordine accurato, sedie e divani dall'aspetto pulito. In un angolo della sala, una tenda color crema chiudeva una parte del grande garage. Ignoravo da dove fosse spuntata e cosa potesse esserci al di là della medesima ma ipotizzai fosse stata usata allo scopo di nascondere gli oggetti più vecchi e polverosi che avrebbero finito con lo stridere pesantemente con quel nuovo ambiente così grazioso e pulito.



"Hai fatto un ottimo lavoro Alice. Grazie di cuore."


Ero sinceramente impressionata dagli sforzi compiuti dalla mia amica per rendere al meglio quella mia festa di compleanno ed evidentemente Alice dovette afferrarlo chiaramente poiché le sue labbra si piegarono rapide all'insù mentre mi rivolgeva uno sguardo raggiante.
Era orgogliosa di avermi resa tanto felice, ovviamente.





Successivamente ad Alice anche Rose mi strinse in un tenero abbraccio. In realtà, mi stordì letteralmente con quel suo buon profumo di vaniglia mentre gli sbuffi vaporosi dei suoi capelli dorati vennero a solleticarmi il naso ma non era questo ciò che contava.
Ero assolutamente sorpresa da tanto affetto.
Non eravamo ancora molto in confidenza eppure mi rivolse il suo "buon compleanno" con voce talmente dolce che mi fu praticamente impossibile non sorriderle estasiata.


Persino Jasper, in tutto quel marasma, fu in grado di lasciarmi un bacio fugace sulla guancia sinistra.
Ovviamente questo episodio costituì, per me, un fatto del tutto sconcertante, conoscendo la sua proverbiale riservatezza e ritrosia nell'aprirsi agli altri. Ne fui davvero felice.



Quando la folla di amici intorno a me andò infine diradandosi, finalmente incontrai lo sguardo dell'unica persona di cui stavo agognando da troppo tempo gli occhi ridenti ed il sorriso luminoso.

Fu così, quindi, che ritrovai il mio Edward, poggiato contro un tavolino delle vivande, a braccia conserte.


Mi guardava con quel sorrisetto sghembo che sapeva farmi impazzire. Sul viso un'espressione compiaciuta e divertita.
Teneva i capelli scompigliati in un programmato e delizioso disordine che - neanche a dirlo - gli donava particolarmente, e, per la prima volta, lo scoprii ad indossare una semplice camicia, di colore chiaro che sporgeva morbida al di fuori dei suoi jeans strappati.
Con quelle maniche arrotolate sino all'incavo del gomito ed il collo scoperto era quanto di più simile ad una visione celestiale avessi mai visto.



Mi si mozzò il fiato in gola per quanto era bello.



"Togliti quell'espressione di scemunita dalla faccia, Swan, e corri da lui!" - Mi sussurrò Angela all'orecchio, con tono divertito, sospingendomi tra le braccia di Edward sotto lo sguardo compiaciuto di tutti i nostri amici più cari. Tutti tranne Oliver, s'intende, che, nel frattempo, si era accomodato in un angolo della saletta con aria distratta, maneggiando le bacchette di Emmett.




"Sei arrivata, finalmente...Ce ne hai messo di tempo..." - Mormorò infine Edward, lasciandomi un dolcissimo bacio a fiori di labbra.
"Adesso sono qui..."
"Proprio dove dovresti essere. E sei bellissima..."

Avampai.

"Buon compleanno, amor mio..."
"Non è ancora il mio compleanno..."
"Non importa. Festeggeremo prima e dopo. Funziona così per le principesse. O mi sbaglio?"





Lo guardai ad occhi sgranati, sorridendo.
Come una scemunita evidentemente, per dirla alla Angela.


Ma non potevo comportarmi diversamente.
Non se mi trovavo prigioniera felice tra le sue braccia.
Non se Edward si mostrava, ancora una volta, in grado di farmi sentire come l'unica al mondo per lui.



Rispose al mio sguardo estasiato con un bacio.
Così dolce che il cuore sussultò più di una volta.


Dietro di noi Emmett ed Alice irruppero in una serie di esclamazioni di gioia e risatine divertite, seguiti a ruota dal resto della combriccola.

Ma io non vi badai e, piuttosto, continuai a baciare Edward che viceversa, ridendo, rivolse un gesto piuttosto eloquente agli altri ospiti alzando il dito medio.







*








Quella del dodici Settembre 1978 fu di certo una delle serate migliori della mia vita.
Per sempre avrei ricordato la risata cristallina di Alice ed Angela - stranamente unite, per la prima volta, senza alcuna forma di gelosia - mentre Emmett costringeva Rose ad una stravagante quanto pericolosa performance di rock acrobatico sulle note di You're the one that I want. Allo stesso modo avrei ricordato l'espressione spaurita di Rose dopo una simile esibizione e la risata del suo ragazzone mentre tentava di consolarla.
Avrei serbato ancora, nel mio cuore, l'immagine di Jasper ed Oliver intenti a riarrangiare alla bell'e meglio le canzoni dei Beatles che apprezzavo di più solo per farmi cosa gradita o l'espressione felice di Alice mentre, nella semioscurità della saletta, presentava con grandi moine la mia buonissima torta di compleanno.



"Con tanti auguri da parte mia e di nostra madre. Mi ha aiutato a prepararla..." - Aveva spiegato mentre Edward, sorridendo soddisfatto, m'invitava a spegnere tutte e diciotto le candeline allo scoccare esatto della mezzanotte.


E mentre tutti intonavano il loro Happy Birthday assolutamente sentito e partecipe (compreso Oliver, sebbene continuasse a mostrare un atteggiamento più distaccato rispetto al resto del gruppo) io ero finita col commuovermi piuttosto scioccamente.
O forse a ben ragione poiché sentivo che, finalmente, qualcosa di buono andava costruendosi di giorno in giorno nella mia vita. Sapevo certamente di essermi ormai tirata completamente fuori da quel giro di finte amicizie e formalismi cui mi avrebbe inevitabilmente dirottato la mia bella esistenza da figlia di papà se non avessi mai incontrato Edward. Ero stata accolta in una nuova famiglia costituita da persone semplici ma vere e molto, molto più buone ed altruiste di quanto la morale comune avesse voluto lasciare intendere soltanto in base al loro basso status sociale. Dopo così poco tempo assieme mi consideravano ormai parte integrante della loro quotidianità ed avevano accettato volentieri anche le persone che ruotavano intorno alla mia vita - come Angela ed Oliver - senza farsi alcun problema dell'enorme diversità che poteva sussistere tra i due mondi di cui facevamo inevitabilmente parte. Ero certa, ormai, che semmai mi fosse accaduto qualcosa, Emmett, Jasper ed Alice si sarebbero fatti in quattro pur di aiutarmi e questa consapevolezza mi riempiva di gioia perché ero certa che i miei giorni si fossero evidentemente arricchiti con la presenza di quelle persone assolutamente straordinarie.



E poiché tutto era partito da Edward, in primis, ancora una volta a lui dovevo ascrivere la mia felicità.

Un motivo  in più per amarlo, in altre parole.








I festeggiamenti per il mio compleanno si prolungarono sino alle due del mattino quando Alice, con un'occhiata eloquente in direzione di Jasper, mormorò un è ora di andare decisamente poco disinvolto.
Almeno per me.


Stravaccata su uno dei divani, la testa accoccolata sul petto di Edward, la guardai ad occhi sgranati.



"A quest'ora?"
"E quando Bella? All'alba?"
"Ma come fate a tornare a casa? La metro è chiusa e gli autobus..."
"Calma Bells!" - Mi tranquillizzò - "Abbiamo l'auto..."
"L'auto?" - Esclamai ad occhi sgranati. - "E da quando?"
"Da mai!" - Continuò ridendo - "Vado a rubarla a mio zio, tanto a quest'ora dorme. Gli ho già sfilato le chiavi prima di uscire di casa. Ci infiliamo tutti e sei dentro..."
"Sei?! Emmett, sei pazzo! Almeno hai la patente?"
"No. Ciao Bells, ti voglio bene, ancora auguri!" - Concluse infine prima che potessi protestare, infilando immediatamente la porta d'uscita.


Alice lo seguì a ruota, afferrando la borsetta nera che aveva coordinata al suo leggero vestito color cipria.


"Alice! Ma l'hai sentito? Non gli dici niente?"
"Cosa dovrei dirgli? Che problema c'è, tesoro?"
"Goditi la serata, piuttosto, invece di frignare sempre!" - Esclamò Angela dandole manforte.

Davvero per quella sera la loro improvvisa coalizione suonava particolarmente stravagante.


Io seguitai a guardarle ad occhi sgranati. Avevo come l'impressione che fossero impazziti tutti all'improvviso meno che Oliver, ovviamente, che mi pareva decisamente il meno entusiasta dell'intera faccenda. Questa volta a ben ragione.

Tuttavia, Edward mi pizzicò un braccio, ammonendomi.


"Amore...Anche se non hai colto molto facilmente vorrei farti presente che è tutto organizzato. Dici che ho diritto a darti il mio regalo da solo oppure no?"
"Oh...Ecco io...Non avevo..."
"Capito? Sì, l'avevamo inteso! Ciao Isabella!" - Mugolò Alice agitando la mano prima di abbandonare la saletta con tutto il resto della combriccola al seguito. Ovviamente parevano quasi tutti piuttosto divertiti dall'intera questione.



Dopo pochi istanti, mentre gli ultimi saluti e, contemporaneamente, gli ultimi auguri di buon compleanno ancora risuonavano lontani nell'aria, udii la porta del garage chiudersi con un tonfo secco.
Lentamente mi voltai in direzione di Edward che non s'era scomposto minimamente dalla sua posizione: gambe incrociate, un braccio intorno alle mie spalle, la sua mano intrecciata alla mia ed un'adorabile espressione strafottente sul viso.



"Che mi son persa? Sembrava che tutti fossero a conoscenza di qualcosa."
"In realtà sì. E l'avresti già visto se non avessi fatto tutti quei capricci."
"Non erano capricci! Ero preoccupata per loro, è pericoloso camminare per strada a quest'ora..."
"...Per Brixton soprattutto? Stai tranquilla. Sanno come comportarsi. Ed Oliver e Angela sono in ottime mani. Tanto chi vuoi che tocchi Oliver... con quella faccia depressa che si ritrova, farebbe passare le migliori intenzioni al più incallito dei rapinatori..."


Lasciai correre l'osservazione - giusta, tra l'altro - sullo stato d'animo del mio amico e tentai di dirottare altrove il discorso.



"D'accordo...Adesso però siamo da soli. Mi dici qual è il mio regalo, allora?"



Edward sorrise subito. Un guizzo divertito, quasi orgoglioso, gli attraversò gli occhi.


"Vieni..." - Mormorò quindi alzandosi dal divano ed invitandomi, con un gesto della mano, a seguire il suo stesso esempio.



"Qui..." - Sussurrò ancora indicando la grande tenda color crema che avevo adocchiato ad inizio serata in un angolo della sala.



"Cosa...cosa devo fare?"
"Tirare quella tenda."



Ero piuttosto sorpresa: non riuscivo davvero a comprendere cosa avesse escogitato Edward con quella testolina folle che si ritrovava.
Tuttavia ero certa che non mi avrebbe delusa. Non l'aveva fatto mai, del resto.





"Cosa c'è lì dietro?" - Domandai quindi al culmine dell'emozione.
"Il tuo regalo di compleanno." - Concluse in un sorriso.























Vi ho fatto aspettare molto, lo so.
Spero mi perdonerete.
Tra le feste di Natale, i parenti, il lavoro e l'influenza...Non ho avuto un attimo di tempo.
Oggi, comunque, son qui per farmi perdonare con un capitolo molto più lungo del solito. Come potrete notare, in esso ho accorpato diversi episodi della vita di Isabella, scandendo il tutto con le apposite date, in modo che gli eventi risultino abbastanza organizzati. Per tutto quel che avrei voluto dirvi avrei avuto bisogno di almeno altri due capitoli ma non mi va di scrivere tanti piccoli annedoti inutili soltanto per allungare il brodo: la storia è già particolarmente lunga di suo. In ogni caso, considerate questo capitolo come l'ultimo di transizione. Dal prossimo cominceranno a verificarsi tantissimi eventi. Alcuni belli, altri un po' meno. Fra un cinque - sei capitoli al massimo mi odierete. Mi rimetto al vostro buon cuore, in ogni caso.
Credo di avervi detto tutto per cui ne approfitto per farvi TANTISSIMI AUGURI di Buon Anno...Inoltre, vorrei ringraziarvi per le emozioni che mi avete dato con ogni singola recensione di MUB....E grazie ancora per averlo seguito fin qui. Cercherò di essere più puntuale, per i prossimi aggiornamenti.
Oggi lavoro...da domani rispondo a tutte le recensioni.

Ancora Buon 2012, ragazze!
Un bacio enorme
Matisse.



PS: è da un'ora che cerco di dare una formattazione adeguata a questo capitolo. Nvu non ne vuole sapere. Perdonatemi ma non riesco proprio a sistemarlo come vorrei e sto sclerando -.-..Per questa volta passatemelo così <3
PPS:
 le frasi segnate da asterisco sono tratte da canzoni dei Verdena. In particolar modo la prima da "Per Sbaglio".



 

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Capitolo 20
*** Cap. 20 ***


edsid20
My Ugly Boy
























POV ISABELLA






La tenda strusciò delicata lungo il pavimento sconnesso, provocando un sibilo leggero nell'aria.



"Oh...!" - Fu tutto ciò che riuscii appena a mormorare, portando successivamente entrambe le mani sulla bocca spalancata per l'eccessiva meraviglia.

Non riuscivo a credere ai miei occhi, davvero.



Oltre quel pesante tendaggio che sino ad allora, nella mia immaginazione, aveva nascosto soltanto un ambiente polveroso e sgradevole - l'angolo di saletta che, a mio dire, Alice non era riuscita a sistemare adeguatamente neanche con tutta la buona volontà di questo mondo - la fantasia ed il talento della mia amica, presumibilmente, erano stati viceversa in grado di ricreare un cantuccio assolutamente delizioso, dal sapore quasi magico.


Tirato quasi più a lucido del resto del garage quell' angolo di dimensioni ridotte ospitava un letto di piccole proporzioni ma ben sistemato: sulla ricca trapunta rossa che lo rivestiva vi erano delicatamente adagiati numerosi guanciali dai colori sgargianti. Già il semplice ordine mediante il quale erano stati disposti  richiamava ad un'idea di assoluta morbidezza ed invogliava inevitabilmente a tuffarsi su quelle coltri soffici alla ricerca del meritato riposo. Nessuna immagine mi aveva mai trasmesso una tale sensazione di pace e benessere mentale.
Accanto al letto, in ordine sparso sul pavimento se ne stavano candele di varie dimensioni che spargevano un buon profumo di vaniglia nell'aria. Chi avesse provveduto alla loro accensione e quando, soprattutto, restava un mistero. In un angolo di quella piccola camera da letto ricreata ad arte, infine, se ne stava, scura e meravigliosa, una vecchia chitarra dal manico addobbato con un enorme fiocco scarlatto.




"Buon compleanno, amor mio..."



Edward mi cinse la vita da dietro, sussurrando alle mie orecchie. La sua voce bassa causò un brivido leggero lunga la schiena.
Di rimando, poggiò il capo sulla mia spalla e percepii la morbidezza della sua pelle mentre mi sfiorava leggera la guancia.
Lo sentii sorridere.



"Ancora tremi quando sei con me. Allora ti faccio proprio paura..."




Scossi la testa, impercettibilmente, quasi incapace di rispondere in maniera lucida.



"No...no, non è questo..."
"E cosa, allora?"
"Non mi aspettavo....Tutto....tutto questo!" - Indicai, con un ampio gesto della mano lo spettacolo che si offriva ai miei occhi, così casalingo e familiare. E così incredibilmente meraviglioso al contempo.



Edward ridacchiò e mi costrinse a rigirarmi nella sua stretta, tornando a guardarlo negli occhi.



"Guarda che quando Edward Cullen progetta qualcosa lo fa sempre sin nei minimi dettagli. Dove credevi che t'avrei lasciato dormire? Su uno di quegli improponibili divani dalle molle rotte che ci ritroviamo qui in saletta? Quelli li abbiamo tirati fuori dalla spazzatura, non mi sembrava il caso..."
"Non mi riferivo solo a quello, Ed..." - Mormorai appena. - "Voglio dire...è...è tutto così incredibile!" - Aggiunsi a mezza voce indicando lo scenario intorno a noi con un gesto rapido della mano. - "Come...avete fatto?"



Sorrise, orgogliosamente.



"Segreto!" - Esclamò infine puntiglioso e divertito ponendo l'indice destro sulle mie labbra. "E adesso..." - Continuò - "...Guardati bene attorno, piuttosto. Cosa vedi?"



"Una chitarra infiocchettata!" - Ridacchiai voltandomi immediatamente in direzione dello strumento che avevo già adocchiato poco prima.

"Ma che brava osservatrice!" - Edward mi sospinse verso la medesima e l'impugnò per il manico per mostrarmela più dettagliatamente. - "Vieni, sediamoci qui..." - Aggiunse infine accomodandosi sul bordo del letto. Lo affiancai prontamente, le mani in grembo, il cuore in gola.
"Questa..." - Spiegò a voce bassa mostrandomi la sua chitarra dalla forme rotonde, morbide, di un colore legnoso e rossiccio particolarmente bello a vedersi. Appariva leggermente scalfita sui bordi, come se fosse stata utilizzata così tanto da finire con il rovinarsi inevitabilmente. - "...E' una Gibson Cherry Red del 1970. Un regalo di mio padre per il mio quattordicesimo compleanno. Aveva inteso la mia passione smodata per la musica e s'era messo a racimolare soldi per farmi un regalo adeguato. L'ho suonata fino a qualche anno fa...Credo abbia rappresentato, per molto tempo, il più bel regalo della mia vita."





Gibson Es 335 Cherry Red Marzo 1970






Chinò leggermente il capo e disponendo abilmente le dita sui tasti prese un paio di accordi veloci. Pensai che volesse semplicemente nascondermi il suo viso poiché ero certa che il ricordo del padre l'avesse inevitabilmente commosso.

"E perché questo fiocco rosso, Edward?" - Domandai con un po' d'ingenuità.



Sorrise.


"Toglilo pure. E scarta il tuo regalo. Da oggi questa chitarra è tutta tua. Così la smetterai di ascoltare semplicemente la musica...Potrai diventare una vera rocker!"  - Concluse facendomi l'occhiolino.


Mi porse la chitarra ma io alzai entrambe le mani, costernata.



"Edward...no! Io ...io non posso accettare!"
"Perché no?" - Domandò perplesso.
"Perchè questo regalo è tuo! Tuo padre si è sacrificato e, probabilmente, si sarà spezzato la schiena in fabbrica più del solito per guadagnare abbastanza soldi da comprartela! Come puoi rinunciare ad un suo ricordo tanto importante per...me?"



Edward sorrise accantonando la chitarra sul pavimento.
Catturò le mie mani tra i suoi palmi e mi guardò per un istante infinitamente lungo prima di tornare a parlare.



"Io non sto rinunciando proprio a niente, Isabella. Questa chitarra non potrebbe essere custodita in mani migliori, per ciò che mi riguarda. Da quando..." - Deglutì a fatica - "...da quando mio padre è morto non l'ho più suonata. Avevo già cominciato a dedicarmi al basso da un po' e successivamente...alla perdita di Carlisle ho deciso di metterla totalmente da parte. Per i primi tempi ho cercato anche di non accantonarla. Ma ogni volta che tornavo a pizzicarne le corde finivo esclusivamente col sentire dolore. E la musica non può essere questo, non può fare del male. Tuttavia, poiché non volevo rinunciarvi completamente, ho preferito dedicarmi a tutt'altro strumento. Cosicché l'ho lasciata a marcire da sola in un angolo per più di un anno poiché il ricordo di mio padre era troppo difficile da sopportare per consentirmi anche solo di strimpellare la sua chitarra. Ma se adesso tu accetti questo regalo tornerò anche ad onorare la sua memoria poiché quella parte di me che si rispecchia nella persona meravigliosa che sei riprenderà a suonare lo strumento che lui amava di più. Lo strumento per cui si era tanto sacrificato solo per farmene dono. Ti prego Bella, non rifiutare questo mio regalo a causa di certi scrupoli assolutamente inutili: credimi se ti dico che sarò felice soltanto se deciderai di accettarlo."



"Edward, io..."



La voce si incrinò pesantemente mentre tentavo di riprendere fiato e consapevolezza di me stessa.
Le parole di Edward avevano inevitabilmente creato uno squarcio nel mio cuore. Uno squarcio in cui la felicità per l'immenso amore che mi stava dimostrando si confondeva con quel dolore pungente di scoprirlo ancora così disilluso e devastato di fronte alla morte del padre.
Ovviamente, la mia scarsa capacità di tenuta non mi fu d'aiuto e gli occhi finirono inevitabilmente col riempirsi di lacrime.




"Non devi piangere, Bella..." - Mormorò prendendomi il viso tra le mani. - "...Mi dispiace, non era mia intenzione..."
"Edward io...Io non sono triste." - Tentai di spiegargli tirando su col naso: non volevo fraintendesse o immaginasse di aver creato chissà quale immane casino - "...E che l'idea che tu mi possa considerare tanto importante da..."
"...Dividere ogni parte della mia vita con te?"
"Esatto...Mi ...mi rende così felice! E siccome sono una stupida sentimentale finisco sempre col piangere...Scusami. Grazie...grazie per ciò che mi hai detto. Non so se me lo merito davvero."
"Bella...Isabella! Sono io che non son certo di meritare te...Sei così delicata, così ingenua e speciale! A volte mi chiedo cosa tu abbai trovato di tanto interessante in una testa calda come me. Tuttavia, sono troppo egoista per lasciarti andare...E se vuoi restare qui io ti tengo ben stretta. Non posso fare a meno di te. Non sei una stupida sentimentale. Sei la cosa più dolce che potesse capitare sul mio cammino. Ti amo, Isabella. E ti faccio una promessa..."
"Che...che promessa?" - Balbettai sorridendo fra le lacrime.


Edward non rispose subito ma armeggiò alla tasca dei jeans prima di parlare. Mi ricordò quasi subito lo stesso gesto compiuto da Oliver appena qualche ora prima quando cercava, nella giacca, il regalo che aveva confezionato per me. Scacciai la sua immagine mentale, tuttavia - aveva davvero poca assonanza col momento romantico che stavo vivendo - riconcentrandomi su Edward.



"Allunga la mano..."
"Perché?"
"Perché devo farti una promessa ufficiale. Coraggio, dammi la mano."


Ridacchiai, porgendogliela.
Ma non durò troppo. Chiusi il becco colpo quando Edward lasciò scivolare un cerchietto argentato al mio anulare sinistro.


"Anche questo piccolo anellino fa parte del regalo di compleanno. Non vale niente dal punto di vista materiale, te lo dico prima che tu possa farti calcoli inutili sui soldi che pensi io possa aver speso. Non avevo un penny per farti un regalo, quindi va' tranquilla. Ma sono certo che guarderai piuttosto al lato sentimentale dell'intera faccenda se ti dicessi che, per me, quest'anello di alluminio vale molto più di un diamante perché testimonia la mia promessa d'amore per te, Isabella: stasera sono qui per giurarti ufficialmente che non ti lascerò mai."



"Edward...io..."
"...Il mio primo amore porta il tuo nome. Non guardare più al passato. Chi c'era prima di noi due non conta più. Ricordatelo ti prego...Tu, piccola capricciosa, viziata, deliziosa ragazzina di South Kensington....sei tutto ciò che io desideri al mondo."


Guardai Edward per un tempo infinitamente lungo, senza fiatare, prima di volgere lo sguardo alla sottile fascetta che rivestiva il mio anulare. Brillava di una luce quasi innaturale o forse erano soltanto i miei occhi innamorati a vederla più brillante ed infinitamente bella di quanto fosse in realtà. Infine, tornai a contemplare il viso di Edward, saggiandone ogni dettaglio, imprimendomi bene nella memoria ogni battito di ciglia, ogni piccola smorfia, ogni minuscolo neo. Qualunque imperfezione che potesse apparire, nella mia mente, come l'esempio lampante, viceversa, della sua bellezza inaudita.


Ed allora mi avvicinai a lui, ancora ruotando la fedina sull'anulare con una spinta prodotta dal pollice e l'indice della mano destra. Avevo ancora bisogno di toccarla per credere che fosse tutto vero.


Gli carezzai il volto ed Edward accomodò il viso sul mio palmo per qualche secondo, socchiudendo gli occhi e beandosi di quel tocco gentile tra noi.
Ed infine, ancora più vicina, gli lasciai un bacio morbido sulla bocca, mordendogli appena il labbro superiore con un'audacia un po' innaturale.
Ma comunque spontanea.

Continuai a guardarlo negli occhi sussurrandogli ti amo.


"Ti amo anche io..." - Rispose in un soffio cingendomi tra le sue braccia, lentamente.



E così continuò a guardarmi, senza parlare, per qualche istante, nella penombra di quella saletta in cui si sentiva soltanto il rumore dei nostri respiri.
Restii entrambi a qualsiasi movimento che potesse spezzare la magia di quell'istante, seguitammo nella nostra stretta piena d'amore ed in quel silenzio così carico di parole e buoni sentimenti, finché il mio stesso cuore non mi sospinse coraggiosamente ancor più verso di lui.

Quindi, tornai a baciare le sue labbra, tentando di comunicargli, seppur in minima parte, tutta l'intensità di quel sentimento che mi univa così chiaramente a lui.


















Quel che accadde dopo fu soltanto una naturale evoluzione del nostro amore.

Poiché Edward era già in me - in ogni centimetro di me - eppure non mi bastava mai. Mi apparteneva, era mio - lo sentivo, ne ero consapevole - ma lo desideravo ancora di più, sempre di più. Senza alcun dubbio.
Seguitai a baciarlo e forse mai come in quell'occasione  saggiai completamente il gusto dolce delle sue labbra morbidissime. Pensavo di conoscerle ed invece mi sbagliavo.
Non l'avevo mai baciato realmente, dopotutto.


Quando percepii la sua mano sfiorare la pelle del mio viso prima, del collo successivamente e poi ancora più giù, sino al mio ventre piatto, sorrisi senza alcuna paura. E continuai a lasciarlo fare mentre sfilava lentamente il mio vestito nero, mentre ques'ultimo ricadeva senza premura alcuna sul pavimento sotto di noi.


Sorrisi perché compresi come non avesse cercato il mio permesso per farlo: sapeva che avrei acconsentito senza alcun dubbio. Eravamo troppo vicini, dopotutto, per non desiderare di essere null'altro che un tutt'uno.




Mi sospinse d'improvviso irruento, infine, tra le morbide coltri del letto e cercò la mia di mano, stavolta, mentre arrancavo allanciandomi al suo corpo. La strinsi perché sapesse che tutto stava andando proprio come avrebbe dovuto andare.
Come se avesse necessitato di questa consapevolezza, poi.
 





Per ciò che mi riguardava, ero felice, finalmente. Molto più di quanto lo fossi mai stata sino ad allora.


Con il sapore di Edward sulle mie labbra, la sua mano tra i miei capelli.
E lo sfregarsi delicato dei nostri corpi.

Non desideravo altro dalla mia esistenza se non lui e quell'amore che ci univa.
Poiché l'avevo scelto con la consapevolezza della mente e l'impulso irrazionale del cuore e questa era si era ovviamente rivelata come la decisione più giusta che avessi mai potuto prendere.




Cosicché, non sentii troppo freddo quando mi ritrovai infine nuda tra le sue braccia né avvampai di vergogna mentre mi stringevo a lui. Mentre le mie gambe si allacciavano improvvisamente sicure al suo corpo.
Quel corpo che avevo immaginato tante volte senza mai figurarlo così bello com'era adesso, nella realtà che si palesava spietata e deliziosa dinanzi ai miei occhi


Non desiderai neppure per un istante trovarmi in un posto diverso da quel letto costruito alla bell'e meglio in un angolo di una saletta spoglia.
E neppure chiesi altro alla mia vita, in quel momento, se non i suoi baci morbidi sulle labbra, sul mio collo, su ogni centimetro di quella mia pelle offerta alla sua vista senza alcuna ritrosia mentre facevamo l'amore.






Negli istanti che seguirono dimenticai il mondo intorno a me.
Persino il mio nome, il nome di mia madre.
Ed il sapore dei miei giorni sino ad allora poiché tutto risultava terribilmente sbiadito ed insulso rispetto al momento assolutamente perfetto che stavo vivendo.

I nostri respiri riempirono l'aria ed i cuori pulsarono all'unisono.
Potei quasi percepire quello di Edward battere al di sotto della pelle, della sua carne morbidissima mentre tenevo poggiata una mano sul suo petto, nell'istante forse più dolce della nostra unione.




Si fece strada in me piano, dicendomi ti amo, ancora una volta. Ormai avrei dovuto abituarmi a quella frase ma stavolta il tutto ebbe un significato differente, poiché Edward quasi lo urlò. Con un'intensità tale da apparirmi per qualche minuto disperata.
Tuttavia, non ci impiegai poi molto per comprendere che fossero soltanto la purezza e l'immensa sincerità di quel suo sentimento a spingerlo, come se Edward non avesse mai realmente amato prima di me e tutta la grandiosità del suo amore si palesasse ora in gesti e parole quasi difficili da controllare.


Da parte mia non avevo mai amato nessuno prima e difficilmente avrei potuto mai farlo ancora in futuro.
Non dopo di lui.







Alla fine, si accasciò sulla mia spalla, sussultando.
Ancora sussurrava il mio nome mentre mi lasciava gli ultimi baci alla base del collo.
Io, viceversa, socchiusi gli occhi e mi lasciai andare ad una risata liberatoria piena soltanto di una gioia che difficilmente avrei potuto tramutare in parole.






Mi avevan detto, tempo addietro, che avrei provato dolore.
Imbarazzo.
Che, forse, neanche avrei voluto tentarci più.




Tutto ciò che avevo conosciuto, al contrario, era stata null'altro che una felicità sconfinata.




La felicità di perdermi in Edward, di tremare di desiderio ed emozione sotto le sue mani.


La felicità di accoglierlo tra le mie carni e nella mia pelle come la cosa più naturale del mondo. Senza rimpianti, senza alcun ripensamento, a testimonianza evidente di come lui fosse stato la mia anima gemella, sotto tutti i punti di vista, sin dal primo istante.
Mai estraneo ma parte fondamentale della mia esistenza dal principio: se mi soffermavo su tale consapevolezza, mi sembrava un miracolo la nostra storia.


La felicità di scoprire, infine, quel senso di piacere che soltanto l'oggetto del proprio amore poteva essere in grado di donare con la medesima devozione e dolcezza.




Non c'era niente di sbagliato in tutto quello.
Non c'era niente di sbagliato nel nostro amore. Non contava la Queen Elizabeth, e la mia divisa da collegiale. Non contava Brixton, i topi per strada, i mercatini polverosi, i soldi che mancavano.
Quel che c'era di differente da noi serviva soltanto ad accumunarci di più.

Tutto ciò che importava era la nostra unione di corpi ed anime.






Anche Edward sorrise a sua volta - ancora gli mancava il respiro - e poggiò la sua fronte sulla mia, tenendo gli occhi chiusi.




"Perché ridi?" - Sussurrò appena.
"Perché ti amo..."
"Ti amo anche io..."




Si scostò, rotolando su di un fianco.
Ma non volevo che si allontanasse troppo da me e quasi ne graffiai la pelle nuda del petto mentre tentavo di ancorarmi alla sua vita.



"Amore..." - Mormorò scostandomi una ciocca di capelli... - "Sono qui, non preoccuparti..."
"Non andartene..."
"Non sto andando via, volevo soltanto lasciarti respirare..." - Lasciò un bacio morbido sui miei capelli - "...Come potrei, del resto? Sei una delle mie ragioni di vita..."
"E quale sarebbe l'altra?" - Domandai sospettosa.
"La musica, ovviamente..." - Ridacchiò.



Acconsentii.



"D'accordo. Se si tratta della musica posso lasciartela passare..."
"La mia bambina gelosa!" - Scherzò.

"Mmph...In ogni caso respiravo benissimo anche con te addosso...Quindi puoi pure riaccomodarti." - Lo stuzzicai con voce suadente.



Edward mi lanciò un'occhiata eloquente e mi strattonò per i polsi, costringendomi a salire su di lui e tirandosi su a sedere, a sua volta.
Un po' avvampai d'imbarazzo ma quando mi fissò con quei suoi occhi così intensi e già nuovamente desiderosi qualcosa si sciolse dentro di me e strinsi le mie braccia intorno al suo collo istintivamente, poggiando la fronte sulla sua.
Sfiorai la punta del suo naso con il mio e sorrise.




"Penso tu stia più comoda così..." - Sussurrò appena.
"In effetti..." - Mormorai lasciandogli un bacio sulle labbra.




"Sono felice, Isabella. Come non lo ero da anni. Grazie per avermi scelto. Questa è stata la notte migliore della mia esistenza, credimi."
"Siamo felici in due. Tu hai salvato me dall'inutilità della mia vita da ragazzina ricca ed io dalla tua testa assolutamente....folle." - Rise di cuore, stringendomi tra le braccia - "Quindi non ringraziarmi. Non ce n'è bisogno."



"Non ce n'è bisogno...Giusto."
"Edward?"
"Sì?"


"Anche per me...questa rappresenta la notte migliore della mia esistenza. Ogni notte trascorsa con te merita di essere considerata assolutamente...perfetta. Ma davvero questa le batte tutte di gran lunga. E non di certo per l'aspetto "fisico" della faccenda. Almeno, non solo per quello. Sento che ci siamo scambiati qualcosa di molto più profondo. E sento che non potrei mai ripeterlo con nessun altro al mondo."



Mi guardò intensamente per qualche istante ma senza fiatare.



Non fu necessario, per lui, aggiungere altre parole. E neanche per me.
Sarebbero state superflue, del resto.


Piuttosto, mi scostò i capelli dal volto e carezzò la punta del naso mentre io ancora sorridevo, estasiata.
Infine, tornò a baciarmi con impeto per diversi minuti.




Non c'impiegammo poi molto, in fondo.

Dopo un po', riprendemmo il filo di un altro discorso. Diverso, certamente, ma ancora più dolce ed intenso se possibile.
Un discorso che avevamo, tra l'altro, terminato da poco e che nessuno dei suoi sembrava voler chiudere completamente.



Non per quella notte, almeno.














POV MARLA






"Vuoi le frittelle? O preferisci il pancake?"


Scambiai uno sguardo veloce con Roxane. Articolò un divertente è andata, a mezza voce ed io ridacchiai, contenendomi a fatica.


Effettivamente, da quando Frank era tornato all'ovile, nostra madre era seriamente impazzita.
Di gioia, s'intende.
Si muoveva a scatti e freneticamente, come una marionetta caricata con la molla, e non faceva altro che sorridere, cucinare e ciarlare e poi di nuovo sorridere cucinare e ciarlare una giornata intera.
Ancora un po' e Frank sarebbe scoppiato per quanto la mamma lo rimpinzava di ghiottonerie. Pensare che neppure per i gemelli aveva mai speso tanto del suo tempo ai fornelli!



In ogni caso, era comprensibile: l'aveva atteso per dieci anni quasi.
Ogni giorno ed ogni notte, instancabilmente. Ad ogni compleanno aveva acquistato e tenuto da parte un regalo per lui - erano ancora tutti accuratamente conservati nel vano inferiore dell'armadio, nella sua camerada letto - ed ogni sera l'aveva atteso inutilmente alla finestra. Tranne quando nostro padre le gridava che era una sciocca sentimentale e che quel bastardo del loro figlio maggiore non sarebbe mai tornato, ovviamente.
In quel caso lasciava mestamente la sua postazione ed a me gli occhi si riempivano di lacrime perché comprendevo il suo dolore come se fossi stata madre anche io: amavo Frank di un amore sconfinato e ritrovarmelo di nuovo accanto era quasi un sogno, per me.



"Mamma, basta!" - Frank ridacchiò - "Mi farai rotolare come pallone, di questo passo!"
"Ma cosa vai dicendo, bambino mio? Hai un faccino così sciupato!"


Contemplai per qualche istante il viso tondo di mio fratello, il suo colorito così roseo e salutare. Lo guardai sorridere mentre scrollava il capo e la massa di riccioli scuri rimbalzava energicamente, sferzandogli la fronte.
Neppure per un momento mi riuscì di accostargli quell' aggettivo
utilizzato da mia madre - sciupato -  al  suo incarnato di porcellana.


Roxane, alle mie spalle, scoppiò in una grassa risata unendosi allo stesso Frank.


"Dio mamma, finiscila! Sta meglio di noi tre messe assieme...Ma non lo guardi?!"


Nostra madre ci guardò spazientite. Anche Frank ridacchiava di fronte a tanta premura ma, ovviamente, gli occhiacci offesi erano rivolti soltanto a noi due. Il figlio prediletto era esente da qualsiasi rimprovero.


"Roxane! Mi meraviglio di te...Eppure sei una mamma!"
"Sono madre e ci tengo alla salute dei miei figli...Ecco perché non li rimpinzo di cibo dalla mattina alla sera...Non voglio dei bambini obesi!"
"Ma se mangiano solo patatine ed hamburger in quel posto schifoso...Com'è che si chiama...Quello nuovo che hanno aperto..."
"Mc Donald's, mamma."
"Esatto! Mc Do...Oh, insomma, ci siamo capiti!"


Rox la contemplò con sguardo rassegnato.



"Devo ribadire il concetto di prima?"
"Non ce n'è bisogno...è andata, lo sappiamo."
"Uhm..."


"Dove sono i gemelli, Rox?" - Domandò Frank ingurgitando una vistosa porzione di crostata alla frutta ancora calda: alla fine, aveva dunque ceduto alle lusinghe materne.

E proprio da nostra madre proveniva il grugnito di disappunto che accolse l'ultima domanda di mio fratello.


"Che c'è? Che ho detto?"
"Nulla..." - Sospirò Roxane sostenendosi il capo con le mani. - "...Solo che i bambini sono con Gilbert...Con il loro padre. E mamma non lo sopporta."
"Tu lo sopporteresti al posto mio, Frank? Quel fottuto figlio di..."

"Mamma!"

"Okay va bene...Quel brav'uomo ha mollato mia figlia a crescere da sola due gemelli pestiferi...E si è ripresentato ora che i bambini sono bell'e cresciuti. Tu cosa penseresti? Ovviamente s'è scansato il meglio: i pianti notturni, le coliche, il cambio dei pannolini, la retta dell'asilo comunale. Torna adesso che è tutto a posto e che pretende? Di farsi anche chiamare papà! Ma per favore, Roxane...Lui sarà pure un farabutto ma tu sei proprio una deficiente!"


"Cosa dovrei fare mamma, lasciami capire!" - Rox scattò dalla sedia, accalorata e nervosa.

Frank le rivolse uno sguardo preoccupato ma io, in principio, gli feci cenno, piuttosto, di tranquillizzarsi: scene del genere erano all'ordine del giorno tra mia sorella e nostra madre.


"Sbatterlo a calci in culo fuori da questa casa, ecco cosa dovresti fare!"
"Certo! Così priverei i miei figli di un padre! Che idea geniale, mamma!"
"E così credi di far loro un favore, invece? Con quello scansafatiche di padre che si ritrovano che esempio gli darai? Qui te lo dico e non me lo rimangio: fra poco quell'uomo sparirà di nuovo dalle nostre vite ed i tuoi bambini te li ritroverai a piangere come fontane! Specie quella povera creatura di Sarah che gli è tanto affezionata!"



Guardai gli occhi di Rox mentre si assottigliavano, carichi di risentimento.



"E tu che favore ci avresti fatto, sentiamo, lasciandoci vivere con tuo marito? No, sai perché... Io e Marla ancora ci ricordiamo tutte le botte che ti buscavi da lui per un nonnulla. Dopo non ci chiudevamo occhio una notte intera ed ancora abbiamo gli incubi, a dirla tutta! Dì... Ti domandi perché Frank sia tornato solo adesso?"

"Rox..." - Frank tentò di intervenire. Senza riuscirci.

"No, lasciami parlare!" - L'ammonì piuttosto mia sorella.

Sospirai: la situazione stava prendendo davvero una piega brutta ed imprevista. - "...E ti domandi perché Simon non sia mai a casa? Dì, lo sai che si fa in vena praticamente ogni giorno o neppure te n'eri accorta?!"


La saliva mi andò di traverso e cominciai a tossire visibilmente. Nessuno mi diede credito, tuttavia, fatta eccezione per Frank che venne a battermi più colpi sulla schiena, nel tentativo di farmi riprendere aria.




Da dove saltava fuori adesso quella storia?
Simon?
Simon era un eroinomane?

Che andava blaterando? Ma no, certo che no! Non il mio piccolo Simon, non lui con quella chioma bionda e liscia da bravo ragazzino, non lui con quel visetto infantile e gli occhi buoni di chi non conosceva le brutture del mondo, nonostante tutto.


Era troppo puro per certe cose.

Era troppo...fragile.
Sì.
Simon era così fragile che...




...Che avrebbe potuto essere davvero un tossico, dopotutto.






"Che vai dicendo?? Vergognati! Infangare in questo modo tuo fratello!"


Mia madre strillò, allarmata. Non voleva crederle. Voleva piuttosto ferire sua figlia per non sentire altro.


"Ah, io lo infango? Ma vergognati tu, che fai finta di non vedere!"
"Roxane, sparisci! Sparisci immediatamente dalla mia vista o altrimenti..."
"Altrimenti cosa?!"



Mamma alzò un braccio, pronta a schiaffeggiare mia sorella in pieno viso. Tuttavia, Frank riuscì a bloccarla appena in tempo.
Lei lo guardò sconcertata, come se lo vedesse per la prima volta. Come se non capisse neppure con chi avesse a che fare.



"Mamma...Calmati, per favore. Fa' un bel respiro, e tranquillizzati..."


Tremava, visibilmente. Potevo vedere il suo labbro inferiore muoversi ritmicamente, come animato di vita propria.
Il naso era rosso e tratteneva a stento le lacrime.




Alle nostre spalle, Roxane si volatilizzò d'improvviso, rapida.
Tutto ciò che mi riuscì di udire fu lo scatto secco della porta, il suo tonfo nell'aria mentre mia sorella fuggiva via da noi.
Per andare chissà dove, tra l'altro.


Nel mentre, Frank continuava nella sua opera di rilassamento: nostra madre, per un attimo, mi era parsa vittima di un imminente attacco di panico. Eppure, la voce gentile e cadenzata di mio fratello, il tono profondo e suadente con il quale le parlava all'orecchio invitandola a tranquillizzarsi, a riprendere possesso della persona gentile che era, sembrarono sortire l'effetto sperato in brevissimo tempo.

Mamma si accasciò letteralmente sulla sedia, ancora ad occhi sgranati e faticando nel prendere l'aria. Ma, fissando un punto nel vuoto, pian piano, quantomeno il tremolio dei suoi muscoli si ridusse visibilmente ed il respiro assunse un andamento regolare. Quando alla fine mormorò stancamente il suo "vorrei andare a stendermi un pochino" era ancora in trance, letteralmente. Tuttavai aveva articolato quattro parole correttamente ed era già una notevole vittoria visto il preludio poco felice.



La guardai sparire dietro la porta d'ingresso della camera da letto, la sua figura improvvisamente ricurva, quasi paradossalmente invecchiata sotto il peso di una verità improvvisa e crudele.

Sospirai ripensando a noi quattro, soltanto dieci minuti prima, seduti sorridenti e spensierati attorno a quel tavolo.
Poi compresi: la felicità non era fatta per noi.
Non era adatta alla mia famiglia.


Silenziosamente mi alzai e lasciai la cucina.
Uscii in strada - la nostra casa affacciava direttamente sulla strada principale - e mi sedetti sul marciapiede antistante l'ingresso, rassegnata.
Tirai fuori una sigaretta, l'accesi e ne aspirai una boccata profonda.


Ero distrutta.
Distrutta e disillusa sotto un cielo più grigio della mia stessa anima.




"Da quando fumi, sorellina?"


Frank si accomodò accanto a me, piano. Non lo guardai.


"Hai lasciato mamma da sola..."
"Non credo desideri la compagnia di nessuno."
"Tipico di lei."
"E di tutti noi, evidentemente. Sapevi nulla di Simon?"
"Sospettavo che le cose non gli andassero troppo bene. Ma non ne ero certa e francamente non credevo che si trattasse di qualcosa di tanto grave. In ogni caso, ignoravo invece che Roxane ne fosse così palesemente a conoscenza."
"Simon è un ragazzino...Dobbiamo fare qualcosa per lui."
"Cosa vuoi fare? Non cambierà idea certamente perché glielo diciamo noi."

"Cazzo Marla, è nostro fratello!" - Esclamò risentito - "Come puoi scoprire una cosa tanto sconcertante su di lui e prenderla in questo modo rassegnato?"
"E' una vita che mi rassegno, Frank. Mi sono rassegnata quando ci siamo trasferiti a Brixton, quando tu sei scomparso, quando Rox è rimasta incinta, quando..."
"...quando questo fantomatico Edward di cui tutti parlano ti ha lasciato...O no?"
"Che diavolo c'entra adesso Edward con Simon?!" - Sbottai.


Ero stanca di sentire pronunciare il suo nome ovunque e da chiunque. Più cercavo di dimenticarlo e più il suo ricordo mi perseguitava. Ma era un ricordo sempre triste - gli occhi di Edward non mi avevano mai guardata con quel trasporto tipico di un innamorato - ed a maggior ragione andava scacciato poiché insisteva nel rendermi consapevole di qualcosa che non avevo mai realmente accettato: il fatto che la nostra storia fosse andata avanti per tanti anni soltanto grazie a me.


"C'entra...perché tu non stai meglio di Rox o di Simon! Credi che non ti abbia vista? O forse pensi che non sappia più decifrare il tuo sguardo soltanto perché sono andato via che eri ancora una bambina? Marla, sei a pezzi! Cristo, dimmi che ti ha combinato quest'idiota e dove abita...Gli spaccherò la faccia con le mie stesse mani ed almeno mi toglierò una soddisfazione!"
"Tu non andrai proprio da nessuna parte..." - Sibilai a denti stretti - "Non ho bisogno di essere difesa da nessuno, non ho bisogno di compassione e di pietà. Edward ha scelto un'altra persona. Ed io non posso farci più nulla."


Aspirai profondamente l'ultima parte della sigaretta prima di gettarla via in uno scatto nervoso.


"E ti arrendi così facilmente? Da quando mia sorella si comporta come un'ameba?"
"Da quando si è stancata di combattere per ogni cosa. Non ho neanche vent'anni e mi sono già rovinata l'esistenza in mille occasioni, fratellino. Non ne posso più."


Frank mi guardò in un misto di disperazione e rammarico.
Avrebbe dovuto saperlo che parte delle mie sofferenze erano una sua responsabilità, del resto.

Se lui non mi avesse abbandonata - proprio lui, il fratello che amavo con tutta me stessa nonché l'unico "uomo" di cui mi fidassi al mondo - forse tante cose sarebbero andate diversamente. Forse avrei preso meno botte da mio padre e le avrebbe prese anche mia madre. Forse, con il suo esempio, Simon non sarebbe cresciuto come uno sbandato: a volte neanche ne ricordavo più la faccia di questo mio fratello piccolo, non lo vedevo mai del resto. Forse Roxane, non più privata della figura maschile di cui avremmo avuto bisogno entrambe, non si sarebbe fatta mettere incinta così facilmente dal primo coglione di turno.


Ed io...io non...


...non mi sarei fidata di te, Edward. Come ho fatto, così stupidamente.




Forse.
O forse no?
Chi avrebbe potuto dirlo, tutto sommato?
Ed a cosa serviva adesso recriminare?

Avrei dovuto piuttosto godermi il suo ritorno, anziché ciarlare e battibeccare.


Non sapevo neanche io esattamente cosa volessi fare o dire e nulla trovai di meglio da inventarmi che sospirare biascicando le mie scuse.


"Di cosa ti scusi?"


Sorrise appena, vagamente confortato.


"Scusa, mi sono innervosita...Questa storia di Simon..."
"Di Simon mi occuperò personalmente."
"Cosa farai? Se è vero quel che dice Roxane..."
"Non preoccuparti di cosa farò." - Mi ammonì. - "Ma stai pur certo che risolverò la situazione. Non lascerò di certo che mio fratello si rovini la vita in modo tanto schifoso!"


Sorrisi a mia volta, in maniera appena accennata.

Volevo credere alle sue parole. Volevo pensare che, per una volta, qualcuno avrebbe provveduto ai miei bisogni, si sarebbe preoccupato di risolvere le cose al posto mio.
Volevo sentirmi protetta. Con Frank potevo.
Forse.



"Tu, nel frattempo..." - Continuò - "Pensa a sorridere. Ma davvero. Non voglio più vederti con quella faccetta mogia. Credi che non ti senta piangere a volte, quando ti chiudi in bagno per ore..."
"Ore? Magari...Roxane mi trascina fuori a forza di strillate..."
"Non cambiare discorso."
"Non era mia intenzione."

"Bugiarda!" - Mi lasciò un buffetto affettuoso sulla guancia, ridacchiando.



Anche tu Edward.
Anche tu avevi questa mania, quest'abitudine dolcissima di lasciarmi tenere carezze sul viso.

E adesso...
Guarderai nei suoi occhi e carezzerai la pelle. di un'altra persona che non sono io.
Di me, neanche il più sbiadito dei ricordi ti sfiorerà.
Mentre tu...Sei dentro di me giorno e notte e quanto più desidero dimenticarti più mi perseguiti e mi inchiodi.


Edward....





"Marla?"
"Sì?"
"Un giorno me lo farai conoscere questo ragazzo che t'ha spezzato il cuore?"
"A che servirebbe? E comunque, non lo vedo più..."
"Mai?"


Scossi la testa.


"No. So che stasera suona col suo gruppo allo Xoyo Club, per esempio ma...non ho intenzione di andarci. Se posso evito."



Avrei trovato lei. Isabella.
Pronta ad applaudirlo sotto al palco, come a suo tempo facevo io, ovviamente.
Perché avrei dovuto farmi del male?
Meglio starsene a casa, piuttosto.




"Un musicista, quindi..." - Mormorò Frank parlando tra sé e sé. - "La peggior razza di uomini, ovviamente...Solo tu potevi trovartelo uno così, sorellina." - Concluse infine a voce più alta, alzandosi di scatto dal marciapiede. Si ripulì con le mani il retro dei suoi jeans buoni e per un po' non parlò.
Chissà a cosa pensava.




Dal canto mio ero ansiosa di cambiare argomento e presi la palla in balzo per fargli una domanda che da giorni covavo.



"Frank..."


Mi dava le spalle e non si mosse quando udì la mia voce.



"Che c'è, tesoro?"
"Perché sei tornato?"

"Uh?"


Si voltò allora di scatto, confuso.


"Che domande sono queste? Sono tornato per te, per..."
"Frank, non sono stupida. Ti amo, sei il fratello cui sono più legata...Ma non mi prenderai in giro così facilmente. Se avessi voluto tornare per noi l'avresti fatto molti anni fa. Perché proprio adesso?"



Mi guardò per qualche istante di troppo, senza parlare. Dopo poco, mi diede nuovamente le spalle, sospirando.



"Sei sempre stata una bambina molto attenta..."
"Ed ora sono una donna che non si fa fregare facilmente. Mi rispondi o no?" - Domandai ancora con insistenza, alzandomi dal marciapiede ed affiancandolo. Osservai il suo profilo delicato mentre sorrideva, mentre il vento scostava i riccioli scuri e ribelli scoprendone la guancia rosea, il naso dritto.



"Allora?"
"Lavoro. Son tornavo per lavoro."
"E' il tuo lavoro che ti permette di comprarti...certi vestiti?" - Constatai carezzando l'ottimo tessuto della camicia che aveva indosso. Strideva terribilmente con gli abiti dimessi che utilizzavamo noi in famiglia, compresi i bambini.

"Esatto. E spero di poterli acquistare presto anche per tutti voi."
"Ah, io non ne ho bisogno. Sono...punk. Non m'interessano queste cose."
"Ma smettila!" - Ridacchiò.
"Ed in cosa consisterebbe questo lavoro, Frankie?"


"Guardia del...corpo."
"Guardia del corpo? Vestito così?"
"Il tizio per cui lavoro è...ricco. E frequenta un certo tipo di ambienti. Ci adeguiamo."


"Ci? Quindi siete in tanti?"
"Sì..."
"Perché ho come l'impressione che ti sia cacciato in qualche guaio, Frank? Non mi piace il modo in cui ne parli."
"Ti sbagli, nessun guaio. Se vuoi posso dirti anche il suo nome. Forse lo conoscerai."
"Non conosco gente ricca io."
"Royce King. Mai sentito?"




Royce King.


Royce King...


Il nome non mi era nuovo. E non soltanto perché si trattava di un personaggio molto in vista in città.
Chi me l'aveva nominato in passato?
A chi era legato quel Royce? A qualcuno che conoscevo?




"Hai presente?"


"E' un ricco imprenditore edile, no?" - Risposi fornendo l'unica parte delle informazioni di cui conoscessi certamente l'origine.  - "La metà degli edifici che contano a Londra sono farina del suo sacco."
"Esattamente." - Annuì orgogliosamente, come se avesse progettato lui quelle strutture.
"E da quando necessita di una guardia del corpo?"
"Tesoro, quando sei così ricco e così in vista hai sempre bisogno che qualcuno ti protegga. Non lo sai?"


Alzai un sopracciglio, perplessa.

"Comunque sia..." - Continuò - "E giusto per restare in tema...Io adesso devo andare. Il dovere mi chiama."
"Comincia il tuo turno di lavoro?"
"Più o meno."

"Più o meno." - Ripetei poco convinta.


"Vado a prendere la giacca dentro. Fammi un favore, controlla la mamma di tanto in tanto. Credo si sia addormentata ma era sconvolta, non voglio stia da sola neppure un minuto. E per quanto riguarda Roxane..."
"Tornerà. Appena le passerà la rabbia."
"Certo avrebbe potuto risparmiarsela."
"Certe scenate son tipiche di lei...Piuttosto Simon...Non so dove sia..."

"Ti ho detto..." - Mi ammonì - "Che di Simon non devi preoccuparti. Pensa soltanto a sorridere, sorellina. Pensa a tornare la Marla felice che giocava con me in un parco giochi dell'East London...Al resto penso io."
"Quella Marla non esiste più." - Commentai lapidaria.


Lo sguardo di Frank si fece duro.


"Dovrò ringraziare Edward...Edward?"
"Cullen."
"Edward Cullen per questo, sì...Beh, vorrà dire che provvederò io a farti tornare il sorriso...Se non sei capace a farlo da sola."






Provvederò io...

Che significa Frank?






Non mi diede il tempo per rivolgergli quella domanda. Piuttosto, mi sorrise convinto mentre si defilava in casa per prendere la sua giacca.


Sospirai, tornando a sedermi sul marciapiede.
Ero stanca anche di capire. Se Frank pensava di poter tornare e rimettere a posto i cocci della nostra vita come Superman tanto valeva lasciarglielo credere. Ovviamente non ne avrebbe ricavato alcunché. Eravamo un caso perso e con tutta la sua buona volontà non avrebbe potuto far nulla davvero per noi.
Mi dispiaceva non riuscire più a credere nelle sue potenzialità. Avrei voluto guardare a lui ancora come all'eroe che rappresentava per me quand'ero bambina. Avrei desiderato che il mio problema più grande fosse ancora una bambola rotta improvvisamente. Allora sì che sarei stata assolutamente certa che soltanto Frankie avrebbe potuto sistemarla. In fin dei contiera solo una bambola e lui era il mio fratellone. Lui avrebbe potuto, l'avrebbe aggiustata.



Ma adesso come lo aggiusti il mio cuore, Frank?
Come aggiusti il cuore della mamma mentre sanguina sul suo bambino tossico?
E come te la cavi con la follia di Roxane, con le sue lacrime mentre veste Sarah, mentre le rifila l'ennesima bugia dicendole che suo padre la ama e che starà con loro per sempre?

Come farai con nostro padre, quando tornerà dai suoi viaggi guardandoci come estranei mentre siamo la sua famiglia?


Non è più così facile come un tempo, Frankie.






"Ciao sorellina! Io vado...ci si vede...stasera. Forse."



Lo guardai allontanarsi a passi svelti, sicuro di sè.
Bello come il sole...nel sole sbiadito di una Londra quasi autunnale.





"Ciao..." - Biascicai a mia volta. Ma era già troppo lontano per sentirmi.












POV ISABELLA






"Si mangia, si mangia!!"

La mia sorellina sembrava particolarmente impaziente di gustare il pollo con patate che mamma e Odette avevano preparato per il pranzo del mio compleanno.
Dal canto mio, avrei ribattuto con uno meno entusiastico "si dorme!" visto che l'unica cosa che agognavo, in quel momento, era un letto. Tuttavia le sorrisi - trovai anche la forza per farlo - e le tesi le braccia per accoglierla nella mia stretta. Ci si fiondò ridendo.



Odette si voltò a guardarci - bella e solare come la ricordavo io nei giorni della nostra "convivenza" - e sorrise agitando un mestolo per aria.

C'era una tale atmosfera di serenità e pace in giro che ancora stentavo a credere si trattasse davvero di casa mia.
Probabilmente era tutto merito dell' "effetto" Odette, della sua presenza conciliante che rassicurava gli animi. Persino quello di Renée Swan.


Avevo corso a più non posso per Gloucester Road, superando Oliver ed Angela in gran fretta, soltanto per far ritorno a casa il prima possibile. Poiché sapevo che avrei trovato le sue braccia ad accogliermi.
E, come presupponevo, era stata lei ad aprirmi la porta, lei a sorridermi per prima.

Meraviglia tra le meraviglie.



"Sono tornata..." - Mi aveva detto. Ed io non avevo aggiunto altro se non un sorriso enorme gettandole le braccia al collo.


Amavo Odette.
Talmente tanto che per lei stavo anche sfidando la stanchezza ed il sonno.

Avevo chiuso occhio sì e no per un paio d'ore.
Per ovvie ragioni.
La notte più bella della mia esistenza non avrei potuto sprecarla dormendo, ovviamente, bennsì perdendomi tra i baci e le carezze dell'unico uomo che amassi al mondo.
E se il mio stesso corpo non mi avesse tradito, se le palpebre non si fossero fatte così pesanti contro la mia volontà, neanche avrei pensato seriamente a dormire.
Tuttavia, alla fine avevo ceduto.



In ogni caso, non avrei potuto comunque lamentarmi giacché il dolce risveglio che m'attendeva aveva compensato quelle poche ore perse di sonno:  mi ero ritrovata, infatti, rannicchiata tra le braccia di Edward, la mia pelle nuda contro la sua. Le nostre mani intrecciate sul bordo della coperta.

Il suo volto perfetto era stata la prima cosa che avevo visto riaprendo gli occhi.
Il modo migliore per cominciare una giornata, in altre parole.

Ed allora, i ricordi della notte appena trascorsa erano riaffiorati da soli, uno ad uno, come un fiume in piena.


L'intensità con la quale le braccia di Edward mi avevano stretta al suo corpo.
I nostri respiri, in sincrono.
I suoi baci, soffici ed audaci. Su ogni centimetro di me.
E la sua voce, la mia. Mentre chiamavamo i nostri nomi, ripetutamente.


Avevo sospirato. Mi sembrava ancora un sogno, faticavo a comprendere.
A realizzare.
Ma ero felice, felice come non mai.

Il tutto, mentre Edward riapriva a fatica gli occhi.

Allora, gli avevo sussurrato il mio buongiorno. Lui aveva sorriso, ancora senza guardarmi.


Perfetto.
Era tutto perfetto.
E lo sarebbe stato ancora di più se Alice, dopo cinque minuti, non avesse bussato con tutta la forza che si ritrovava alla porta del garage, urlando e strepitando per ricordarmi che mi toccava andare a scuola.
Che mi toccava alzarmi ed affrontare una nuova giornata.



Il giorno del mio diciottesimo, meraviglioso compleanno.









"Il pranzo è pronto. Accomodatevi."

Mi madre mi passò davanti con la sua teglia ripiena di pollo e patate al forno, costringendomi a tornare alla realtà mentre Beth saltellò immediatamente dalle mie gambe, pronta a prendere posto e divorare la sua porzione.
Era davvero incontrollabile certe volte.



Odette si sedette accanto a me e mi sorrise gentile.

Dall'altro lato del tavolo, mio padre stappò una bottiglia di un vino piuttosto raffinato. L'aveva acquistato a Parigi alcuni anni prima e lo conservava in attesa di utilizzarlo per un'occasione speciale.
L'occasione era arrivata, dunque.



"Permettetemi la parola..."


Mamma si accomodò di lato a lui, annuendo a mani giunte.


"Questo è un giorno speciale per la nostra famiglia. Oggi Isabella, la nostra primogenita adorata, compie diciotto anni."



Primogenita adorata?
Stavano impazzendo tutti?
E se davvero ero adorata, perché mia madre rompeva le scatole ogni giorno?




"Tesoro mio, ormai sei adulta. Quest'anno terminerai il liceo e l'anno prossimo comincerà il tuo cammino per diventare dottore in legge. Io e tua madre siamo molto orgogliosi di te..."


Odette mi guardò con la coda dell'occhio. Io tossicchiai.


"...Ti aspetta una vita felice e ricca di soddisfazioni, come meriti. Questo brindisi è in tuo onore, figliola. Buon compleanno da parte di tutti noi."


"Buon compleanno!" - Lo seguì Beth, azzardando un applauso. Mamma, sorprendentemente, non soltanto la lasciò fare ma si unì a lei,  seguita da mio padre e Odette.




"Grazie" - Fu tutto ciò che riuscii a mormorare.

Doveva trattarsi di un sogno.
Era tutto troppo perfetto per essere vero. E cominciavo a temere, tra l'altro, che il destino potesse farmi uno scherzo nel momento migliore.

Ovviamente, scacciai in gran fretta quel pensiero. Dovevo godermi la giornata.
Perché pensare alle cose brutte in maniera tanto inutile?


Alzai piuttosto il mio bicchiere e sorrisi, ricambiando il brindisi.



"Dici bene, papà..." - Continuai - "Sarete orgogliosi di me."






*






"Dove vai di bello oggi pomeriggio?"

Odette mi spazzolava i capelli, in prossimità della finestra aperta. Una leggera brezza soffiava tra le fronde degli alberi portando con sé il buon profumo dell'autunno imminente.


"Al cinema con Angela."


La sentii sorridere alle mie spalle.


"Dove vai davvero?" - Sussurrò più vicina al mio orecchio.

Toccò a me sorridere, stavolta.


"Come fai a capire sempre se dico o meno la verità?"
"Ti leggo negli occhi."
"Ma adesso ti sto dando le spalle." - Protestai ridacchiando.


"Allora ti leggo il cuore."


Mi sembrò una risposta sufficiente. E veritiera.


"Vado allo Xoyo Club. Ci suona Edward con il gruppo. Sento che sarà la loro grande occasione questa. Però su una cosa son stata sincera: ci vado con Angela!"
"Oh beh..."


La sentii armeggiare con i miei capelli, in silenzio.
Li acconciò in una treccia morbida che portò, infine, su di un lato del mio viso, chiudendola con un grazioso elastico rosa.
Terminò il suo lavoro, quindi, e si venne ad accomodare su di una poltroncina di fronte a me.

Mi scrutò per qualche istante, attenta e sorridente.
Ricambiai.


"Hai le guance così rosa oggi...Sembri una bambolina. E quel sorriso?"
"E' un sorriso felice." - Spiegai.
"Lo so. Anche troppo. C'è qualcosa che vorresti dirmi?" - Ammiccò eloquente.


Avvampai. Mi girai di scatto afferrando la spazzola e dando gli ultimi, inutili ritocchi ai capelli. Tanto per far qualcosa. E per non farmi leggere in viso.


"No. Nulla."
"Uhm...D'accordo."


Si alzò, delicatamente. Sentii il rumore dei suoi tacchi sul parquet mentre si avvicinava a me per lasciarmi un bacio sulla fronte.


"Piccola mia, la tua Odette adesso deve andare."
"Di già? Non abbiamo quasi avuto tempo per parlare...Volevo chiederti tante cose..." - Mormorai tristemente.
"Sì tesoro. Adesso lavoro per un'altra famiglia e mi hanno concesso solo mezza giornata di vacanza. Comunque sia, domenica sono libera. Se vuoi, potremo stare insieme ed avrai tempo per chiedermi tutto quel che ti pare."


Annuii mestamente.


"D'accordo allora."
"Io vado...E...Bella?"
"Sì?"
"Non mi ero sbagliata. Edward ti ama. L'ho letto nei suoi occhi quando l'ho incontrato, sin dal primo istante. E leggo la gioia nei tuoi al pensiero di tanto amore. Sono più serena se penso di averti lasciata nelle sue mani. Non perdetevi. Mai."


"Mai, Odette. Lo prometto."


Acconsentii, confusa e felice come pochi.
Odette aveva compreso molte cose ed in brevissimo tempo.


"Bene. Dagli un grosso bocca al lupo da parte mia per stasera." - Concluse prima di uscire dalla stanza.
"Lo farò. Grazie, anche da parte sua."


"Ah, Bella?"
"Dimmi..."
"Per il tuo bene, ti consiglierei di ridurre quel sorrisone che hai stampato sulle labbra. E' incantevole, è innegabile...Ma certe cose le donne le capiscono e non vorrei che tua madre ti beccasse...Insomma, hai capito no?"


Mi fece l'occhiolino chiudendo la porta alle sue spalle.



Io scoppiai a ridere, spensierata.
Aveva proprio ragione, avrei dovuto calmarmi. Viaggiavo a mille miglia da terra.


Ma spegnere quel sorriso mi era impossibile.
Avevo vissuto Edward sotto ogni punto di vista appena la notte precedente.
Ed ora mi apprestavo a rivederlo, ad acclamarlo. A stringerlo tra le braccia con tutto l'amore che potevo.


Giorni meravigliosi ci aspettavano.



Come avrei potuto smettere volontariamente di essere tanto felice e di esternare quella gioia immensa che mi portavo nel cuore?


"Ci provo, Odette. Ma non ti posso promettere di riuscirci." - Sussurrai infine ancora ridendo.














Buonasera :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Sono stata un pochino più puntuale per quest'aggiornamento :)
Poche note da aggiungere:

1. La chitarra cui faccio riferimento nel capitolo è una Gibson Es335 Cherry Red del '70/'71 al massimo...Pare sia una specie di rarità. Siccome sono una patita di Gibson ho colto la palla in balzo per infilarla nella mia storia :D
2. Nel capitolo faccio riferimento ai McDonald's...Cominciarono a diffondersi in Europa a partire dal 1971 in poi, partendo dall'Olanda...Presuppongo quindi che nel 1978 fossero arrivati tranquillamente anche in Inghilterra! :D

...Uhm...Credo di avervi detto tutto. Nel caso, lo aggiungo nel prossimo capitolo! ;)

Grazie per le nove recensioni al precedente capitolo :) Vi risponderò domani appena mi libero dal lavoro!
Un bacio ENORME.
Matisse.

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Capitolo 21
*** Cap.21 ***


edsid21 L'uomo si gli avvicinò, titubante.
Non ne ricordava il nome.
Fumava una sigaretta di pessima qualità, lo si percepiva dall'odore pungente di quel fumo.


"Che stai scrivendo, Felix?"
"Frank...Mi chiamo Frank." - Sputò rabbiosamente senza alzare gli occhi dal foglio. I suoi colleghi gli stavano discretamente sulle balle, a dirla tutta. - "Al massimo Frankie."

"Felix, Frankie...è la stessa cosa."

"Coglione..." - Pensò tra sé e sé, evitando comunque di aprire bocca. L'ultima cosa intelligente da fare era litigare con gente come quella che gli girava intorno.
"Allora? Che stai scrivendo?"


Sbuffò. Detestava l'insistenza.


"Sto annotando un nome..." - Rispose alla fine, per toglierselo dalle scatole.
"Ah...e che nome?" - Continuò quello imperterrito, sporgendo la testa verso il block notes - "Edward..." - Lesse.


Frank sobbalzò, esasperato.



"Edward Cullen. Okay? Adesso però basta impicciarti degli affari miei!"

"Ah, capisco!" - Assentì l'interlocutore - "...Vedo che il Boss ti  ha già affidato il primo incarico, quindi."


Frankie alzò gli occhi, stralunato.
Guardò l'uomo in volto per la prima volta da quando aveva attaccato bottone: m
ostrava un'espressione a metà tra il divertimento e l'arroganza.
Con quel naso enorme che si ritrovava era veramente brutto a vedersi: a Frank venne voglia di sbriciolargli quella cartilagine molle con un pugno ben assestato.



"Che vai blaterando? Quale incarico?"


L'uomo lo guardò curioso.


"Dunque non è stato Mr. King a fornirti questo nome?"

"Perché avrebbe dovuto? E' una questione personale, la mia!"


"Oh!" - L'uomo prese a ridere, smodatamente, battendosi ripetutamente la mano sulla coscia. - "Questa è bella! E' bellissima!"
"Perché diamine stai ridendo?!" - Sbottò Frank, irritato. Quell'individuo stava veramente passando ogni limite.

"Perché...Perchè è davvero una faccenda divertente! Dì un po'..." - Continuò aspirando profondamente dalla sua sigaretta "...lo sai che questo mocciosetto ha un conto in sospeso con Mister King?"


Frank sgranò gli occhi, improvvisamente interessato a quella conversazione.
Per uno strano caso del destino non desiderò più che l'uomo si allontanasse, adesso. Aveva parecchie cose da chiedergli, a quel punto.


"Che diamine vai dicendo?"
"Non ne sai niente? Se hai tempo da perdere posso raccontartelo..."
"Ho tempo da perdere." - Frank assentì, riponendo matita e block notes nel taschino.



"D'accordo allora, ma...Voglio prima sapere una cosa."


Lo squadrò con fare annoiato.



"Cosa?"
"Tu, anzitutto...Che c'entri tu con Cullen?" - Lo rimbeccò, curioso, prima di dare inizio al pettegolezzo.




Frank sorrise, acidamente.



"Anche io ho un conto in sospeso con quell'idiota."













My Ugly Boy







By Agnes Dayle Efp












POV ISABELLA







"Siamo in ritardo... Siamo in ritardo!" - Ripetei la mia cantilena con tono allarmato, sospingendo, nel frattempo, Angela fuori dal vagone del treno. Si voltò a guardarmi irritata.
"Non c'è bisogno di farmi quasi stramazzare al suolo, Swan! Un po' di gentilezza!" - Sbuffò.
"Angela...Siamo in..."
"Ritardo! Ho capito! Gesù Isabella, mi farai impazzire! Siamo arrivate, smettila di farti tutte queste paranoie!"

"Arrivate?!" - Esclamai inorridita, accelerando il passo - "Dobbiamo ancora uscire da questa maledetta metropolitana, attraversare la strada, svoltare l'angolo e..."
"...Tirare dritto fino all'ultimo locale sulla destra. Bells, ci vorranno sì e no cinque minuti per far tutto! Rilassati!"


Sospirai.
Per una dannata volta, Angs aveva ragione.
Tuttavia, ero troppo in ansia per calmarmi.
Quella era la serata di Edward, la sua grande occasione per emergere. Essere agitata al limite della follia rappresentava il minimo tra le reazioni che avrei potuto esibire, a pensarci.

In tutto questo, l'idea di poterlo rivedere dopo...dopo la notte appena trascorsa mi destabilizzava ulteriormente.
Avevo almeno una trentina di farfalle che mi svolazzavano allegramente e senza ritegno nello stomaco, al pensiero. E non si trattava propriamente di una sensazione piacevole, ad essere onesta.
Tendevo a somatizzare troppo tutto ciò che mi accadeva: di questo passo avrei risposto con una colite nervosa anche alle migliori  notizie.



"Angela..." - Ricominciai mettendo piede fuori dalla metro. Più ci avvicinavamo alla meta e più mi agitavo.

"Che c'è, Bells?"
"Il vestito...come...come mi sta?" - Domandai incerta, lisciandomi la gonna.



Angela considerò con occhio critico lo scamiciato che avevo indosso: di color bordeaux, privo di maniche e dall'ampia scollatura rotonda, mi conferiva quell'aria da collegiale spensierata che Edward amava tanto. Ne avevo accorciato un tantino il bordo - ovviamente all'insaputa di mia madre - giusto per darmi un tono meno severo completando, infine, il tutto con una giacchetta nera, piuttosto corta, acquistata qualche giorno prima al mercato di Camden.
Fintanto che mi ero ritrovata a casa, a rimirare la mia immagine riflessa nello specchio, mi ero parsa sufficientemente...cool.

Adesso cominciavo a nutrire qualche dubbio a riguardo.


"Ti sta bene sciocchina!" - Sbuffò la mia amica, ma con tono decisamente dolce.

Si portò una mano al fianco, in una posa di protesta, e con l'altra mano libera mi ravviò i capelli sulla fronte.


"Adesso sei praticamente perfetta."

Risposi al suo gesto con un attacco di panico in grande stile:

"Lo sapevo...lo sapevo!" - Urlai quindi sconnessa.



 Iperventilazione mode on, Bella.



Ovviamente qualcosa doveva essere fuori posto ed avevo dimenticato quanto potesse pesare l'acconciatura sull'aspetto complessivo: un solo capello fuori posto avrebbe significato mandare all'aria ore ed ore di ristrutturazione personale, sia in termini di abbigliamento che di make up.


"Cosa sapevi?!"
"Oh Angela, avanti! Che qualcosa non fosse in ordine, ovviamente! Ed eccoli lì...I capelli! Me li hai appena sistemati e ciò vuol diresolo una cosa: che sono inguardabili! Maledizione!" - Risposi costernata, torcendomi le mani.


"Isabella, per favore...calmiamoci!" - Sbottò la mia amica - "Avevi un riccioletto appiccicato in fronte, niente drammi. Adesso è tutto okay. Sta' buona per favore!" - Calcò pesantemente sulle ultime parole ed io sospirai.



La faceva facile: beata lei.


"Piuttosto....da quando mascara e matita? Sentiamo!" - Ridacchiò ancora.

"Troppo truccata?" - Le lanciai un'occhiata dubbiosa.
"No, anzi... stai benissimo. Però non è da te!"
"Il trucco punk è da me..."
"Ma oggi non sei punk..." - Considerò riprendendo il cammino. La seguii a ruota.

"No, oggi no...solo Edward adora questo vestito, nonostante lo stile un po' sempliciotto. L'abbiamo comprato insieme e son giorni che mi ripete di volermelo vedere addosso. Tuttavia non l'ho mai accontentato, avevo già in mente di farne una una sorpresa per stasera: voglio essere bellissima per lui nel giorno più importante." - Considerai con occhi luccicanti.




Ovviamente Angela sminuì tutto il mio trasporto con le sue solite battutine da quattro soldi.



"Quante storie! Magari voleva solo vedertelo indosso per cinque minuti e poi togliertelo veloce veloce! Sei troppo romantica, Swan, lasciatelo dire!"



Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.


"E tu sei null'altro che una ninfomane! Possibile che pensi sempre alle stesse cose?!"
"Perché?" - Ammiccò compiaciuta - "Vorresti dirmi che tu non ci pensi? A maggior ragione da ieri che...Ouch!"



Una gomitata ben assestata nel fianco costrinse la mia amica ciarliera a mordersi la lingua. Dal canto mio, ero paonazza.



"Anziché straparlare della mia vita privata...Affrettati che la serata sta per cominciare!"

"Vita privata..." - Bofnchiò. - "Piuttosto, vita intima, direi..."
"Angela!"


Ridacchiò: dopotutto aveva incassato bene il colpo.
Io un po' meno.


"D'accordo Boss, siamo ai suoi ordini!" - Scherzò ancora. - "Però la prossima volta non arrabbiarti, permalosona! Poco mancava che mi ammazzassi!"


"La solita esagerata! E comunque...non ci sarà una prossima volta!" - Commentai con tono fintamente arrogante volgendomi infine verso il locale, la cui insegna era già ben visibile in fondo alla strada.









*








"Cavolo..." - Mormorò Angela sorpresa, sospingendo la porta dello Xoyo Club. - "Da dove spunta fuori tutta questa gente? E non è neppure fine settimana!"


Mi guardai intorno, compiaciuta. Angela aveva ragione: il locale era strapieno.



"Altro che Grease! Al cinema oggi non ci sarà nessuno...sono tutti qui!" - Esclamai con fierezza.
"Esagerata!" - Commentò allora ridendo la mia amica e tuttavia, considerando la vastità del pubblico che riempiva lo Xoyo Club quella sera, quasi non sembrava che avessi pronunciato una così immane sciocchezza.

Persino rispetto alla serata del Borderline - dove pure non mancavano gli spettatori - questo nuovo live presentava ottime prospettive. Bastava già considerare l'ampiezza del locale per rendersene conto: lo Xoyo era quantomeno il doppio rispetto al club di Tottenham eppure c'era gente ovunque. In molti, tra l'altro, si accalcavano già sotto al palco, in attesa che il concerto avesse inizio.




"Sei decisamente la donna di una celebrità, oggi....Come ti senti? Tra poco comincerai a vantartene in maniera fastidiosa, vero?"
"Come hai fatto a capirlo?" - Risposi facendo la linguaccia.
"Stai già cominciando a darti delle arie, si vede dal modo in cui atteggi la tua boccuccia di rose..."
"Imbecille!" - Risi a crepapelle, trascinando Angela per un braccio lungo tutto il locale.



Salutammo un paio di facce conosciute - qualche vecchia conoscenza della Queen Elizabeth cui, tuttavia, né io né Angie riuscimmo ad affibbiare il corretto nome - e proseguimmo oltre, fino al backstage dove avremmo trovato i White Riot al completo.





"Dove credete di andare?" - Tuonò a quel punto una voce per nulla familiare.


Ci voltammo nel medesimo istante, io ed Angela, incontrando lo sguardo severo di un tipo sulla quarantina, piuttosto muscoloso e dal volto squadrato. A giudicare dalla t - shirt nera su cui era impresso il logo dello Xoyo Club, doveva trattarsi di qualcuno dello staff.



"Dai ragazzi..."
"Che ragazzi?"
"I White Riot. Suonano qui stasera, no?" - Domandai spazientita.
"Sì, suonano qui. Ma non potete passare oltre, questa zona è riservata al personale autorizzato."
"Oh, quante storie, avanti!" - Sbuffò Angela - "Non stiamo mica parlando dei Rolling Stones! Ci lasci passare!"
"Non si tratta di Beatles e Rolling Stones" - Rispose l'uomo seccato - "Qui dietro ci sono i camerini con gli strumenti, le cucine e gli sgabuzzini riservati al personale. Non ci entra nessuno della clientela...Quindi fate marcia indietro, per favore."




Guardai l'uomo trattenendo, a fatica, un istinto omicida: con quella sua faccia arrogante che si ritrovava cominciava seriamente a darmi sui nervi.


Tuttavia avrei dovuto ingraziarmelo per consentirci il passaggio, visto che nessuna faccia amica (vedi Alice e compagnia varia) era ancora accorsa in nostro aiuto: a dirla tutta avevo sbirciato più volte alle spalle dell'uomo - spalle decisamente troppo muscolose, tra l'altro: la visuale era fortemente limitata - ma di Edward, Emmett o di chiunque altro avesse potuto salvarci da quell'imbarazzante situazione, neppure l'ombra.
Ovviamente la colpa era del nostro ritardo. Del mio ritardo, per essere precisi: avevo speso ore per acconciarmi ed abbigliarmi alla perfezione e questo era il risultato. Avremmo dovuto fare il nostro ingresso al locale, io ed Angela, assieme a tutta l'allegra combriccola per evitare quel tipo di problemi ed invece adesso, a causa della mia superficialità, ci ritrovavamo palesemente nei guai.

Eppure avrei dovuto immaginare che quelli dello Xoyo, vista l'importanza del locale in città, fossero piuttosto pignoli!



In ogni caso, mi decisi a non demordere. Piuttosto, nella speranza di rendermi simpatica, ammiccai suadente in direzione del nemico - premunendomi anzitutto di pizzicare il braccio di Angie lasciandole intendere di fare silenzio o, al massimo, di acconsentire a qualunque sciocchezza avessi pronunciato - ed infine mormorai soavemente:

"Signore, lei ha perfettamente ragione. E, anzi, le chiedo scusa per il disturbo che le stiamo arrecando. Ma davvero avremmo bisogno di passare e mi appello alla sua gentilezza e disponibilità: vede, io sono la fidanzata del bassista. Vorrei dargli l'in bocca al lupo per la serata. Davvero non sarebbe tanto cordiale da lasciarmi andare a salutare un attimino il mio ragazzo?"


Presi a sbattere più volte, delicatamente, le lunghe ciglia ricurve di cui Madre Natura mi aveva fortunatamente dotata e l'uomo tossicchiò, evidentemente imbarazzato.
Il mio atteggiamento da brava bambina, arricchito da un pizzico di malizia, sembrava riscuotere ancora un discreto successo, nonostante non lo mettessi più in pratica da mesi. Angela, al mio fianco, si profuse in una smorfia annoiata, accompagnando il tutto con uno "gne, gne, gne" di scherno. Le colpii il polpaccio con la punta della scarpa e non parlò più.



"Io, veramente..."
"Suvvia..."
"Il titolare non desidera estranei in giro..."
"Ma siamo soltanto due ragazze! Cosa potremmo mai fare? E poi le ho detto che sono la fidanz..."




"Bella!"




Alle spalle dell'uomo forzuto, Edward mi stava finalmente chiamando a gran voce.
Sospirai sollevata: vederlo spuntare dall'oscurità di quel backstage equivaleva a scovare un'oasi nel deserto per un assetato.
Tuttavia, piuttosto che rispondere immediatamente al suo richiamo, mi soffermai anzitutto qualche istante di più nel comtemplare estasiata il suo bel viso e quell'espressione di totale appagamento mista ad impazienza che gli leggevo in volto in risposta alla mia presenza. Gli sorrisi, teneramente, e lui contraccambiò con trasporto.



Angela, accanto a me, sbuffò.



"La vogliamo finire con questa smancerie?" - Protestò con un grugnito - "Edward, alla buon'ora! Per favore, potresti venire a liberarci da questo scim..."



...scimpanzè.
Sapevo come avrebbe finito quella frase. Angela doveva nutrire una certa simpatia per i primati poiché accostava sempre alle scimmie chiunque le procurasse noia.


Le strattonai un braccio, irritata, comunque: avevo fatto tanta fatica per ingraziarmi quel tipo ed ora lei rovinava ogni mio sforzo con una sola parola!
Difatti, l'uomo ci guardò con aria piuttosto seccata.



"Sei tu il fidanzato della...ehm...signorina, qui?" - Domandò scocciato rivolgendosi ad Edward ed indicandomi, nello stesso istante.
"Sì, è la mia ragazza!" - Esclamò l'interessato quindi e, senza attendere oltre, allungò una mano fino al mio polso, trascinandomi oltre l'energumeno in questione. Di rimando io afferrai la mano di Angela cosicché finimmo a muoverci come un simpatico, piccolo trenino per il locale.



"Bye bye, Mister Simpatia!"
"Angela, finiscila!"
"Ma Bells, era insopportabile! Che gli è preso? Eh, Edward, sai spiegarmelo?"



Edward scrollò le spalle.



"Hanno sempre paura che qualcuno possa rubare nei camerini...o distruggere il locale. Lo Xoyo è un posto importante ed i proprietari ci sono un tantino in fissa!"



Angela mi guardò sbalordita ed io ridacchiai.



"Quindi io e Swan, che insieme pesiamo quanto un bambino di dieci anni, secondo quell'uomo avremmo potuto distruggere il locale? Questa è bella!...Basta, non voglio pensarci più altrimenti mi vengono i nervi e vado a dirgliene quattro..."
"Ecco, brava...non pensarci." - Assentii.



Angela grugnii indispettita prima di individuare Oliver nella penombra: se ne stava acquattato in un angolo della saletta che ospitava i musicisti prima del live, con aria assorta.




"OLIVER!" - Agitò la mano, correndo a sedersi accanto a lui.
"Ciao Angs..." - Lo sentii mormorare un tantino sorpreso. Alzò gli occhi anche verso di me e lo salutai con un cenno della mano. Al polso, indossavo il suo bracciale: quando ne inquadrò il luccichio sorrise compiaciuto.
"Oliver! Sappi che se dopo questa serata non mi restituisci il disco di David che ti ho prestato sei un uomo morto. Non m'interessa che devi studiartene la voce...Lo pretendo indietro!"
"Sì, sì, basta che non scocci adesso, Angela..."



"Ora capisco il motivo di tanta urgenza nel correre da Oliver. Per i suoi affaracci!"



Risi a crepapelle.
Edward mi guardò per un po', ridacchiando anche lui. Aveva una strana luce negli occhi.


"Siamo splendide stasera, eh...Finalmente indossi questo vestito."
"Per le grandi occasioni..." - Commentai facendogli l'occhiolino. Al mio polso, il bracciale trillò. Edward lo soppesò con lo sguardo.
"Al massimo potevi evitarti quello..." - Decretò passandomi una mano tra i capelli. Dopo, mi sfiorò le labbra in un bacio che di gentile o innocente non aveva proprio nulla, continuando a guardarmi.
"E' il regalo di un amico..." - Risposi a malapena, troppo impegnata a perdermi nei suoi occhi. - "E poi indosso anche questo..."


Mostrai la mano destra dove brillava,orgogliosamente, la mia splendida fedina.


"Questa ti sta molto meglio, infatti..." - Commentò ancora, sfiorandola con un bacio.



"PICCIONCINI! Basta smancerie per cortesia!" - Alice, spuntata dal nulla, mi strillò direttamente nell'orecchio destro. Sobbalzai mentre Edward imprecava.

L'improvvisa amicizia tra lei ed Angela cominciava a farle male: già non era un tipino delicato di suo. A frequentare la mia amica ne stava acquisendo certi tipici atteggiamenti irritanti che...No, non andava bene.


"Alice, hai deciso di farmi perdere l'udito o cosa?"


Scoppiò in una risata tanto spensierata e melodiosa che quasi istantaneamente ogni proposito di rimprovero si sciolse come neve al sole.
Le rivolsi persino un sorriso. Alle sue spalle, nel frattempo, comparvero Emmett, Rose e Jasper: persino quest'ultimo se la rideva di gusto di gusto della nostra comica scenetta.



"Volevo soltanto avvisare il mio fratellino che è quasi ora di suonare. Oppure hai deciso che non se ne fa nulla? La sala è piena, aspettano soltanto voi."

"Che diavolo di ore sono?" - Domandò Edward improvvisamente agitato.
"Quasi le sette!"
"Cazzo, è tardi!"


Edward sobbalzò come punto da una tarantola. Ne studiai il volto mentre cambiava espressione: erano bastate poche parole di Alice per metterlo in allarme.


"Allora per le tonalità..."
"E' tutto okay Ed, rilassati." - Rispose Jazz, comprensivo.
"L'amplificatore funziona?"
"E' a posto, l'abbiamo controllato prima. Ehy Ed, sta' tranquillo! Niente paranoie inutili!" - Commentò Emmett ridacchiando prima di lasciarmi un bacio tra i capelli, da vero fratello, cui risposi con un sorriso gentile.
"Bene. Andiamo, allora...Oliver?"



"Sono pronto..." - Oliver si avvicinò a noi, abbandonando il suo giubbotto di pelle sulla poltrona più vicina. Mi voltai a guardarlo e ciò che vidi già non combaciava più con l'immagine del compagno di scuola che conoscevo sin dall'infanzia. Aveva quella luce negli occhi, quel guizzo di sicurezza - quasi arroganza ad essere onesti - di chi sappia esattamente cosa desideri e si adoperi a tutti i costi per ottenerlo, incurante degli ostacoli.


Oliver era consapevole di essere un bravo cantante, di avere talento.
Dovevo rendergliene merito: nonostante la quotidiana indolenza, quando si avvicinava ad un microfono aveva un convinzione disarmante e certamente meritava maggior apprezzamento rispetto a me che ci avevo impiegato mesi per decidere, infine quale strada percorrere nella vita.

Fortunatamente la ragione mi aveva suggerito di lavorare per diventare un bravo avvocato: se avessi optato per la musica o qualsiasi altra forma d'arte, mia madre mi avrebbe spedita fuori casa a calci.




"Bene. Sbrighiamoci allora."



"Ragazzi, siete pronti?"



Da una porticina sul fondo della sala fece capolino un uomo vestito in maniera identica al tipo che voleva impedirci di entrare ad inizio serata. Un altro membro dello staff ovviamente. Tuttavia, aveva un viso decisamente più simpatico ed un sorriso più cordiale, rispetto al suo collega.
Decisi immediatamente di preferirlo a quest'ultimo.



"La sala è gremita...Manca soltanto la vostra musica!"
"Arriviamo infatti..."
"Bene."


I ragazzi si avviarono rapidamente verso l'uscita, quella in direzione del palco. Oliver mi lanciò un'occhiata prima di andar via ma non aggiunse nulla.
Edward si attardò giusto qualche istante di troppo. Mi strinse il braccio frenetico ed io lo guardai un tantino preoccupata.


"Non essere agitato. Andrà tutto bene."
"Lo spero...è una serata importante."
"Vedrai che ho ragione. Ed ora fila, altrimenti non comincerete mai..."


Assentì prima di lasciarmi un bacio in fronte. Lo trattenni giusto il tempo per baciarlo sulle labbra.


"Dai che se va tutto bene poi si festeggia..." - Occhieggiai tentatrice.
"Ti lascio andare soltanto perché fuori c'è gente che reclama, Swan..." - Si bloccò, squadrandomi con eloquenza - "Non provocarmi..."
"Signori...Ne parletete dopo delle vostre performance sessuali, forza!" - Alice spinse Edward ed io ridacchiai, nonostante tutto. - "Ciao fratellino...ciao!"


"Ciao, rompiscatole!"




"Ffiuu!" - Sospirò l'interessata, passandosi una mano sulla fronte. - "Ce l'abbiamo fatta. Ti sta appiccicato peggio di una piovra!"
"Non credo di essere da meno..." - Commentai sorridendo mentre la figura di Edward scompariva al di là di una tenda di velluto rosso.
"No, infatti...hai ragione! Siete appiccicati da far schifo!"



Rose mi sorrise gentile mentre Angela dava il cinque ad Alice: evidentemente approvava il suo pensiero.


"Invece siete molto dolci...Non darle retta, Isabella. La sua sarà semplicemente gelosia da sorella minore!" - Scherzò, facendomi l'occhiolino.


"La smettete di dire sciocchezze? Se non fosse per me questi due neanche neanche starebbero insieme a quest'ora! E adesso, per favore, diamoci una svegliata... Non ho intenzione di perdermi il mio meraviglioso Jazz mentre suona a causa delle vostre chiacchiere...Muoversi, muoversi!"




Ridacchiai: dopotutto aveva ragione.
Era anche merito suo se io e quel testone di Edward avevamo trovato il coraggio per dichiararci.
E stare insieme.
In ogni caso mi tirò per un braccio, preoccupata, mentre avanzavamo in direzione della sala principale:



"Mica crederai alle parole di Rose?! Quella ragazza è un tantino..."
"Ssshhh!" - La zittii ponendole l'indice sulle labbra. Mi guardò incredula - "Sei la sorella migliore del mondo. Non farti tu paranoie inutili! Piuttosto...Vogliamo andare ad acclamare Jazz oppure no?!"


Sorrise immediatamente, guardandomi con occhi luccicanti mentre le suggerivo l'immagine mentale del suo Jasper chino sulla chitarra, trascinato dalla musica, con i capelli boccolosi e biondi a coprirli un volto estasiato.


"Andiamo!" - Esclamò infine, completamente tranquillizzata, trascinandomi verso il palco ad una velocità inaudita.












*







"Buonasera. Noi siamo i White Riot."






La voce di Oliver risuonò forte nella vastità di una sala improvvisamente silenziosa. Ma quando attaccarono con i primi accordi allora, e solo allora, guardai alla folla di nuovo in visibilio con evidente sorpresa.
Non c'era uno solo, tra quegli spettatori, che non fosse assolutamente trascinato dalla musica. Osservai, a bocca spalancata, la gente mentre cantava a squarciagola sulle note delle cover proposte dal gruppo e mentre si dimenava e ballava, semplicemente, sugli inediti di cui non si potevano conoscere le parole, per ovvie ragioni, ma che risultavano comunque assolutamente energici e coinvolgenti.
E con altrettanto, felice sbigottimento mi volsi al palco, a quei quattro ragazzi che mi erano così familiari normalmente e così sconosciuti adesso.

Stentavo a credere che fossero gli stessi quattro scapestrati giovanotti con cui condividevo le mie giornate da mesi, ormai.
La convinzione - quasi superbia - con la quale maneggiavano gli strumenti ed, urlavano al pubblico ed a loro stessi quelle parole di lotta e ribellione era quasi commovente.
Davvero: ancora faticavo ad abituarmi a certe immagini.


Avevo visto, per esempio, tante volte Edward suonare nel garage di Brixton ma... mai a quel modo, come se il basso fosse stato una donna da carezzare e violentare al contempo.

Neanche al Borderline, per intenderci, aveva mostrato un simile atteggiamento. Forse, l'idea che quella serata allo Xoyo avrebbe potuto costituire un trampolino di lancio per il suo radioso futuro da musicista, l'aiutava a tirar fuori completamente l'energia da ogni angolo del proprio corpo?
Non seppi darmi risposta al riguardo.



Ed Oliver?
Dov'era finito quel ragazzino compito, silenzioso ed un po' saccente che conoscevo sin dall'infanzia?
Chi era quel tipo che, viceversa, urlava e si dimenava dall'alto di un palco? Aveva un che di selvaggio, di ostile ed affascinante in quelle vesti. Liberava tutto ciò che di inespresso c'era in lui: soltanto quando aveva in mano un microfono Oliver era realmente se stesso.
Se a tutto questo si sommava l'eleganza di Jasper alla chitarra e le acrobazie, letteralmente, di Emmett come batterista, il quadro si completava in maniera perfetta.


Quei ragazzi avevano il ritmo nel sangue.
Ed erano fatti per manifestarlo insieme: era un miracolo pensare che fossero riusciti a ritrovarsi.




"Li hai visti? Li hai visti?" - Gridava Alice alle mie spalle, ridendo e piangendo al contempo. - "Non sono assolutamente..."
"Fantastici!"

La voce di Angela, monocorde per l'eccessiva emozione, quasi mi trafisse al cuore.


"Angela..."
"Bella...Grazie per avermi portata qui. Se avessi preferito Grease a questo spettacolo avrei fatto la cazzata più grande della mia vita."
"Oh, Angs!" - L'abbracciai con trasporto, felice come non mai.
"Quei quattro coglioni faranno strada, stammi a sentire..." - Pronunciò appena, tirando su col naso. I suoi modi prosaici avevano sempre la meglio ma stavolta - lo sapevo - servivano soltanto a stemperare l'aria e nascondere un'evidente commozione.



Chissà perché rispondevamo con le lacrime ad un evento tanto felice ed energico.
Forse perché avevamo tante prospettive e mille speranze inespresse per i nostri ragazzi. Forse perché ognuna di noi, persino Angela, era legata loro in un modo personale e del tutto speciale.
Per quanto fingesse di non tollerare Oliver, infatti, e per quanto non facessero altro che azzuffarsi ogni santo giorno, ero certa che la mia amica gli volesse un bene profondo. E che fosse ricambiata.



Guardai Angie ancora per un po'. Dietro di noi, Rose ed Alice saltavano tenendosi allacciate per la vita. Cantavano a squarciagola ed avevano proprio l'aria di ciò che erano in realtà: due spensierate ragazze diciottenni nel loro giorno migliore.




"Sai una cosa, Angie?" - Domandai a quel punto.
"Cosa?"
"Credo che tu abbia ragione...Faranno tanta, tantissima strada." - Risposi infine tutto d'un fiato, volgendo nuovamente lo sguardo verso di loro. Verso Edward, soprattutto.


Lo contemplai con tutto l'orgoglio e l'amore che potevo e dovette afferrarlo anche lui poiché, in uno fra i tanti istanti in cui i nostri sguardi s'incrociarono, mi rivolse il più luminoso e sincero dei sorrisi. Il suo sorriso sghembo ed innamorato, quello cui non sapevo mai resistere.













POV EDWARD






Provare a descrivere l'emozione di vedere decine e decine di sconosciuti lasciarsi trascinare così appassionatamente dalla propria musica sarebbe stato pressocché impossibile.
Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene al posto del sangue, riempiendo ogni centimetro di me.

Avrei di certo faticato a dormire quella notte ma non me ne importava poi molto.
A dirla tutta non me ne fregava di niente.


Non se alla mia vista si offriva quello spettacolo di volti anonimi e meravigliosi intenti a saltare e dimenarsi sulle note delle nostre canzoni.
Non se il rullare della batteria di Emmett mi pulsava nella testa con l'energia di un tornado.
Non se Oliver urlava a quel modo al microfono e l'eco degli accordi presi da Jasper ruggivano, letteralmente, selvaggi e straordinariamente perfetti al contempo, all'interno di quella sala.

E, soprattutto, non se poco più in là, alla sinistra del palco, se ne stava la mia Bella intenta a rimirarmi.
Aveva lo sguardo estasiato ed i suoi occhi luccicavano: potevo vederli chiaramente, anche nella luce rossa ed opaca del locale.
Stava piangendo il mio amore, troppo commossa ed evidentemente felice per reagire diversarmente. Sorrisi al pensiero e considerai che, probabilmente, anche il mio cuore avrebbe presto potuto incrinarsi pesantemente sotto il peso delle emozioni incredibili di quella giornata.



Non mi ero mai sentito tanto vivo come in quel momento, su quel palco, con il mio basso tra le mani.

Certo, era una sensazione familiare, a suo modo: in fondo la provavo ogni qualvolta tenevo stretta Isabella tra le mie braccia.
L'avevo provata anche la notte prima, mentre facevamo l'amore. Soprattutto la notte prima.


Ma la sensazione di stare sul palco e godermi quello spettacolo di pubblico ed euforia aveva un sapore differente. Non era di certo più importante dei momenti vissuti con Bella, ma la sua valenza, diversa e comunque fondamentale, riusciva a rendermi orgoglioso di me stesso.

Riusciva a rendermi felice perché avevo trovato la mia strada nella vita, finalmente. Adesso ne ero consapevole: l'avrei percorsa a dispetto di qualsiasi ostacolo.
Avevo smesso di essere l'Edward anonimo, il ragazzino teppista di Brixton dal viso coperto di tagli. Lo sapevo, lo sentivo: adesso ero un musicista.
Adesso Edward aveva trovato se stesso.



Nulla mi avrebbe fatto cambiare idea a riguardo: la musica era il fulcro della mia esistenza.
La musica ed Isabella, ovviamente. Se avessi perso una delle mie avrei perso me stesso. Ma questo problema non era neppure da porsi: non sarei mai stato così imbecille da lasciarmele sfuggire di mano.





Quando l'ultima rullata di batteria si perse in un' eco vibrante e rabbiosa e la folla proruppe in uno scrosciare di mani senza precedenti. Qualcuno, tra i presenti fischiò compiaciuto e qualcun altro, più audace, gridò diverse volte il nostro nome invocando il bis.
Sorrisi sgomento ed eccitato, di fronte a tanta approvazione, abbandonando il basso mio malgrado: era già tardi ed il gestore del locale ci aveva avvisato diverse volte, prima ancora che la serata avesse inizio, che non avremmo potuto intrattenerci oltre l'orario stabilito.



"E' mercoledì sera ragazzi. Le famiglie dei dintorni vogliono stare tranquille quindi...Niente confusione oltre l'ora di cena!" - Aveva ripetuto sino alla nausea soltanto qualche ora prima.




"Dobbiamo proprio andare, miseriaccia? E' stato un concerto da urlo!" - Esclamò risentito Jasper, ancora riluttante nel separarsi dalla sua chitarra. Aveva le pupille dilatate, lo sguardo visibilmente eccitato. A primo acchitto - e se non l'avessi conosciuto - l'avrei scambiato per un tossico che si fosse appena sparato in vena la sua dose quotidiana di eroina tanto appariva estasiato e confuso. Ma considerai che, probabilmente, quello era lo sguardo che aleggiava sul volto di tutti noi e, piuttosto, lo accolsi con una risatina.
"Se fosse per me..." - Commentai.
"Allora continuiamo, chi se ne fotte del gestore del locale! Cazzo, mi sento una specie di dio!" - Sbraitò Emmett ridendo di quella sua risata grassa e contagiosa.

"Me ne fotto io, se permettete."





Eccolo lì.
Oliver il guastafeste.




"Devo ricordarvi che Richard Harrison..."
"...E' il padre di William. Il tuo amichetto del cuore." - Ironizzai.


Mi lanciò un'occhiata gelida.


"Douglas." - Sputò. - "Si chiama Douglas."
"Ah sì..." - Agitai la mano in un gesto superficiale. Adoravo provocarlo.

"E ci ha già fatto un favore enorme per cui dovreste smetterla di fare i ragazzini capricciosi e..."




Bla, bla, bla.





"Edward!"


Una voce gentile mi richiamò dal basso. La sua voce.


Calai lo sguardo per ritrovarmela, scarmigliata e felice, mentre se ne stava con entrambe le mani poggiate al bordo del palco.


"Ehi..."
"Non scendete?" - Domandò felice.
"Arriviamo subito."


Annuì.

"Ah...Edward?"
"Dimmi..."
"Siete stati grandiosi!" - Commentò con un occhiolino, prima di staccarsi riluttante del bordo ed unirsi ad Angela e le altre che se ne stavano in un angolo poco lontano della sala.


La guardai sorridendo.
Il cuore a mille.





Quando rimisi piede in sala, parecchia gente tra il pubblico venne a complimentarsi con noi. Qualcuno che non conoscevo schiacciò il cinque contro il palmo della mia mano e diverse ragazzine mi sorrisero complici: io alzai gli occhi al cielo pregando che Bella non se ne accorgesse. Già immaginavo, ridacchiando la sua possibile scenata di gelosa: sapeva essere particolarmente...selvaggia, quando voleva.
I bravi ragazzi della Queen Elizabeth si mischiarono ai meno raccomandabili tipacci provenienti da Brixton e da Camden per fare a gara nel congratularsi con noi per l'ottima riuscita della serata ed ancora ridevo, incassando pacche amichevoli sulla schiena, quando una voce attirò la mia attenzione.


Una voce maschile. Gelida ed impenetrabile.
Soltanto ascoltarla mi procurò un brivido lungo la schiena tanto era atona e glaciale. Eppure, notoriamente, non ero certamente un tipo codardo.

Ma quella voce conosceva il mio nome.
E - non seppi spiegarne il motivo - questa consapevolezza mi agitò inevitabilmente.


"Edward Cullen?"



Mi voltai, confuso, ritrovandomi di fronte un ragazzone alto e ben piazzato. La folta chioma di capelli ricci e scuri ne copriva in parte in parte le fattezze ma le sue labbra - serrate in un risolino beffardo e chiaramente ostile - erano ben evidenti alla luce rossastra del locale.
Doveva essere molto bello.


Indossava un abito di ottima foggia e mi sembrava vestito fin troppo bene per stare in quel posto ed amalgamarsi con la stessa gente che aveva assistito al nostro concerto.
Assottigliai lo sguardo nel contemplarlo, come sforzandomi nel tentativo di riportare alla memoria il luogo ed il tempo esatti in cui avevo fatto la sua conoscenza. Ma, per quanto  mi ostinassi, non ne ricavai un ragno dal buco: io non conoscevo quell'uomo.



"Sono io..."
"Lo sospettavo. Complimenti per la serata, siete davvero...come dire? Cool."


Mi stava rivolgendo un apprezzamento. Dunque, perché non riuscivo a percepire altro che derisione ed ostilità nella sua voce?
M'irrigidii irrimediabilmente biascicando un grazie piuttosto formale.

Diedi in un'alzata di spalle evidentemente sarcastica, anche quella, e fece per sparire nella folla.
Così com'era venuto, in una specie di apparizione surreale.

Allora ritrovai il mio primitivo coraggio e prima che fosse troppo lontano lo afferrai per un lembo della camicia.
Si girò di scatto, guardandomi attentamente  e per nulla sorpreso. Come se si fosse aspettato irrimediabilmente una reazione del genere da parte mia.


"Ci conosciamo noi due?" - Sibilai a denti stretti, sulla difensiva.


Attese qualche istante per parlare.
Poi, tornò a sorridere provocatore: per ogni sorriso gli avrei riempito la faccia di schiaffi.


"Non direttamente, Edward. Io mi chiamo Frank." - Annunciò prima di divincolarsi dalla mia presa e sparire improvvisamente, come inghiottito dalla folla.









Frank.

Si chiamava Frank.


...


Frank?



Frank era...era...







"Edward!"

Sobbalzai all'ennesima voce che invocava il mio nome. Ma stavolta si trattava di una voce familiare e mi voltai di scatto, agognando la vista del volto amico del mio caro Jasper.
Dovevo avere un'espressione sconcertata stampata sul volto poiché Jazz mi squadrò con aria preoccupata prima di rivolgermi la parola:



"Ed, amico...è tutto okay?"
"Sì, sì..." -Biascicai mentendo.
"Non si direbbe...hai la faccia verde."
"Manca l'aria qui dentro."
"Ne sei certo? E' solo per questo?"
"Sì, sto bene..."
"Okay...allora, Ed...avrei una persona da presentarti, se è davvero tutto a posto."


Jasper mi sorrise ed io realizzai, soltanto in quell'istante, la presenza di un uomo accanto a lui.


Poteva avere non più di trentacinque anni e due lunghi baffi che scendevano a contornargli la bocca. Erano tanto folti che chiunque avrebbe fatto fatica a figurarsi la forma delle sue labbra. Portava i capelli lunghi, lisci ed un po' scomposti sino alle spalle ed aveva una vaghissima somiglianza con John Lennon, forse a causa del suo naso adunco e decisamente signorile.


"Dunque sei tu il famoso Edward. Ragazzo, suoni da dio quel basso! Sei un vero talento, complimenti. Beh, io sono Roger Newman. Piacere di conoscerti."


Allungò una mano verso di me, restituendomi una stretta calorosa e sincera.
Non aveva nulla della glaciale irriverenza di ...Frank. Cosicché mi sciolsi un po'.


"Edward Cullen." - Pronunciai sorridendo appena. - "Sono fighi i tuoi jean, Roger." - Commentai infine accenando a quei pantaloni enormemente scampanati che l'uomo aveva indosso.
"Oh grazie...Vecchio retaggio californiano."
"Comprati in America?" - Domandai curioso. Gli Stati Uniti mi erano molto cari da quando avevo scopero che il sangue della mia Bella era in parte di derivazione oltreoceanica.
"Già...Ma non sono qui per parlare dei miei pantaloni." - Bofonchiò ridendo ed io con lui.

"D'accordo. E di cosa, allora?"



Jasper, accanto a lui, sorrise eccitato.
La voce quasi gli tremò mentre forniva la risposta che andavo cercando.


"Edward...Roger lavora nel campo della musica." - Spiegò.




Lo guardai stralunato.
Che significava?



"Cosa?"

Anche Roger sorrise, dunque, prima di ricominciare a parlare.


"Significa che di professione faccio...il manager. E significa che voi White Riot, stasera, mi siete piaciuti molto."









*




18 Settembre 1978









"Edward...dovrei tornare a casa."
"Mmmh...no."

Spostai la gonna a pieghe di Isabella con un gesto rapido della mano risalendo piano lungo la pelle morbida della sua gamba.


"Proprio ora no..."
"Proprio ora sì, disgraziato. Ho meno di un'ora per salvarmi dalla furia di Renèe Watson."


Schioccai la lingua, scocciato, prima di tornare a contemplarne lo sguardo placido e sereno della mia splendida fidanzata. Se ne stava distesa comoda nel mio letto e blaterava di tornare a casa in gran fretta, anticipando in questo modo il rientro sua madre mentre, in realtà...ancora non aveva neanche tentato di alzarsi.
Dal canto mio, non avevo alcuna intenzione di sostenerla in questo assurdo proposito: avevo casa libera. Mia madre era fuori per lavoro ed Alice aveva trascinato quella povera vittima di Jasper in giro per Londra, alla ricerca di qualche maglione nuovo e colorato per l'imminente stagione fredda.
Eravamo soli. Quale altro imbecille, al posto mio, avrebbe lasciato scappare la propria splendida fidanzata (seminuda, per giunta) dal proprio letto?



Pertanto, proseguiii nella mia opera di convincimento.


"Mentile. Dille di essere stata al Green Park con Angela..." - Soffiai sul suo collo prima di lasciarle un bacio languido.


Ridacchiò ma sapevo che stava per perdere lucidità.
Stavo per perderla anche io, francamente.



"Ma non ti sazi mai?" - Sussurrò, socchiudendogli occhi.


Vagai con la mano libera sino alla pelle della sua pancia - morbida e perfetta - carezzandola appena, con lentezza esasperante, prima di riprendere a parlare.



"Di te no."
"Dovresti...rivestirti anche tu."
"Non ne ho intenzione alcuna, amor mio. Spiegami invece perché tu indossi già questa cosa!" - La rimproverai mostrandole un lembo della gonna. Approfittò dell'attimo di pausa per drizzarsi a sedere e sgattaiolare fuori dal letto.

"Perché devo andarmene, te l'ho già detto!" - Esclamò ridendo. In ogni caso, non le diedi tempo per realizzare i suoi propositi: l'afferrai per la vita riportandola sul materasso.

"Non vai proprio da nessuna parte. Non se ti ostini a starmi davanti agli occhi in queste condizioni...Dubito di poter resistere, tesoro."


Sostai qualche minuto di più sulla sua pelle candida, in parte offerta alla mia vista. Nell'intento, mal riuscito, di rivestirsi - visti i miei continui assalti - era riuscita ad infilarsi soltanto la gonna cosicché mi stava davanti in una mise molto seducente poiché, a coprirle la parte superiore, c'era soltanto il suo innocente reggiseno di tessuto bianco.


"Se mi lasci in pace per qualche minuto, vedi che riesco a vestirmi e non sarò più una tentazione per te."


Afferrò rapida, recuperandolo dalle coperte, il golfino in filo con cui si era arricchita la sua divisa per la sessione autunnale, indossandolo con tale velocità che neppure le mie mani esperte riuscirono a fermarla.


"Maledizione piccola peste! Come hai fatto a fregarmi?"


Tirò fuori la lingua.


"C'è sempre un modo per fregare chiunque. Anche il furbissimo Mister Edward Cullen!"



La guardai crucciato.


"Dunque te ne vai...Non mi vuoi più!" - Piagnucolai quindi piuttosto comicamente, portando entrambe le mani sul viso e fingendo un pianto dirotto.


Bella non mi degnò di uno sguardo mentre infilava le sue Converse nuove di zecca. Deluso dal mancato successo della mia scenetta teatrale, sbirciai la sua immagine perfetta tra le dita della mia mano.


Si riavviò i capelli prima di parlare.


"Con me non attacca."
"Niente coccole quindi?"


Schioccò la lingua e, ridendo spensierata, tornò a sedersi a cavalcioni su di me.


"Adesso che sono vestita, sì. Finisci di fare la commedia che ti coccolo, lo sai. Non hai bisogno di pregarmi."



Sorrisi mentre passava un mano fra i miei capelli, scombinandoli più di quanto non lo fossero già.


"Va bene, vuol dire che mi accontenterò delle coccole."
"Devi. Adesso io devo andare, amore mio, lo sai..." - Le baciai la punta del naso mentre poggiava la fronte sulla mia. - "Ah...Ricordati che devi darmi lezioni di chitarra!"
"Presto ricominceremo...Tu hai ripetuto gli accordi che ti ho insegnato, nel frattempo?" - Domandai. Sospettavo che non avesse ripassato un bel niente di ciò che le avevo mostrato appena qualche giorno prima.

"Mmhh..."


Ecco. Avevo ragione.



"Bella?"
"Sì?" - La sua vocina da cane bastonato. Ormai la conoscevo come le mie tasche.
"Non provare a fregarmi!"
"Ohhh Edward, mi sono esercitata credimi! Ma devo farlo quando mamma non è a casa ed il tempo è sempre troppo poco...Poi mi arrabbio quando non riesco a passare velocemente da un accordo all'altro ed allora lascio perdere!"
"E non devi!" - La rimproverai bonariamente. Aveva quello sguardo da cucciolo cui non sapevo resistere cosicché le sorrisi lasciandole un bacio casto sulle labbra - "Non s'impara a suonare da un giorno all'altro. Ci vuole esercizio continuo..."


Sbuffò, alzandosi dalle mie gambe.


"Pensare che presto dovrò anche fare da sola..."
"Che intendi?"
"Oh, lo sai! Perderò il mio maestro...Stai per diventare una celebrità!"


Occhieggiò divertita ed io risi con lei.

Ovviamente stava facendo riferimento al colpo di fortuna che aveva investito i White Riot alla serata dello Xoyo Club, appena qualche giorno prima.
Ripercorsi, con la mente, gli avvenimenti degli ultimi giorni. In particolar modo, mi soffermai sull'incontro avvenuto con Roger - manager in ascesa che lavorava per conto di un'etichetta piuttosto nota nell'underground punk - rock londinese, la Noyse Records - il quale si era offerto, spontaneamente, di prenderci in carico, curare il nostro sound e presentarci al grande pubblico. Pareva tanto entusiasto delle nostre capacità che neppure per un istante la convinzione della sua voce vacillò mentre parlava delle grandi cose che avremmo potuto costruire insieme, giocando come una squadra. Diceva che una tale originalità di accordi ed arrangiamenti non l'ascoltava da tantissimo tempo e che, se tutto fosse filato come avrebbe dovuto, avremo potuto emergere come i nuovi Sex Pistols della situazione. Proprio adesso che I Sex si avviavano all'inevitabile declino.


"Giocheremo proprio su questo..." - Aveva commentato Roger con una strana luce negli occhi: sembrava gustasse già il fantomatico momento in cui il nome della nostra band avrebbe fatto bella mostra di sè dalle prime pagine delle riviste più importanti di musica. Accanto al suo, ovviamente. - "Saremo i loro giovani eredi...Sbaraglieremo la concorrenza!"




Ancora sorridevo, considerando le sue parole. Mi sembrava un po' troppo speranzoso. Io tenevo ancora i piedi per terra benché l'idea che un'etichetta discografica avesse finalmente cominciato ad interessarsi a noi mi riempiva d'orgoglio e - sotto sotto - di buoni auspici per il futuro.
Ma avevo imparato a non illudermi troppo - la vita mi aveva regalato tanto e sottratto ancora di più - per cui ancora contavo fino a dieci prima di mettermi a saltare per la gioia in giro per casa come avevo invece visto fare ad Emmett e - straordinariamente - anche al compito e silenzioso Jasper Whitlock.






"Ti dispiacerebbe se diventassi famoso? Davvero?"


Allungai le mani verso Isabella. Aveva indossato anche la giacca e stava recuperando la sacca dei libri dal pavimento  quando venne a ricambiare il mio gesto. I suoi palmi piccoli e morbidi si scontrarono con i miei - visibilmente più grandi e ruvidi - prima che le nostre dita s'intrecciassero strettamente: faticavamo sempre molto nel separarci.


"No. Sarei orgogliosa di te. Più di quanto non lo sia già. Ma..."
"Ma?" - Domandai curioso.
"E' innegabile che il mio maestro di chitarra avrebbe decisamente meno tempo da dedicarmi. Ti pare?"


La tirai verso di me in un gesto irruento e pieno di amore.


"Il tuo maestro di chitarra..." - Sussurrai al suo orecchio - "Avrebbe sempre tempo per te. Ricordatelo."


Mi guardò con occhi luccicanti prima di schioccarmi un sonoro bacio sulla guancia.


"Ci vediamo domani fuori scuola?"
"Ci vediamo domani sera. Solita arrampicata lungo il muro maestro di casa Swan, piccoletta! Nel pomeriggio abbiamo il primo incontro ufficiale con la Noyse Records, ricordi? Vogliono conoscerci, farsi un'idea...Capire se Roger c'ha visto giusto, in altre parole."
"E' vero! Perdonami tesoro, con tutte le cose che ho da fare a scuola mi era passato di mente! Pensavo fosse mercoledì e..."
"Ehi! Bella...Sta' calma! Non è accaduto nulla di tragico."
"Sì, invece. Dovrei ricordarmi certe cose..."


Aveva uno sguardo talmente mortificato che mi si strinse il cuore. In tutta onestà non m'importava se non ricordasse il giorno preciso della nostra audizione.
Mi bastava sapere che fosse sempre pronta ad offrirmi il suo appoggio incondizionato.
Mi bastava leggere ancora quella luce di fierezza che le brillava negli occhi quando parlava di me e del mio futuro di musicista.
Ed allora mi sentivo rinfrancato e immaginavo che nulla avrebbe potuto arrestare il mio cammino. Se Bella continuava a guardarmi in quel modo mi sentivo tanto potente da conquistare il mondo.
A suon di accordi di basso, s'intende.


"Bella...Non è questo l'importante, ascoltami. E smettila con quegli occhietti da cerbiatta altrimenti non ti lascio uscire di qui."


Atteggiò le labbra in una smorfietta divertente.


"D'accordo, ti credo. Ma ti prego amore, adesso devo andare! Se non mi sbrigo mia madre mi farà fuori...Poi davvero non ci vedremo più!"
"Va bene piccola. A domani sera allora."


Mi lasciò un bacio morbido sulle labbra prima di guardarmi in quel suo modo seducente.

Seducente.
Chissà se riusciva mai a rendersi conto di quanto apparisse terribilmente attraente ai miei occhi, anche senza desiderarlo.
A volte temevo che Isabella non comprendesse la portata dello straordinario potere che esercitava su di me: io, il terribile Edward Cullen, il ragazzo cattivo di Brixton per antonomasia, aveva smesso di attaccar briga con chiunque per nulla, di infilarsi - con la più banale delle scuse - in qualsiasi rissa gli capitasse a tiro e di ubriacarsi nei pub di Camden.

Tutto questo in meno di quattro mesi.
E soltanto per lei, Bella.
Per la sua felicità.

E per buona pace di mia madre, ma questa era un'altra storia.



Entrambi avevamo mosso dieci passi nella direzione dell'altro: io un po' meno ribelle e disorganizzato, lei meno capricciosa, forse, e decisamente meno nascosta nella bambagia di quella prigione dorata che era casa Swan, con tutto il mondo perbene che le ruotava intorno.
Ma questo cambiamento non ci era costato poi molto: non c'è sacrificio in amore.
Ed io amavo Isabella: per lei, avrei fatto qualsiasi cosa.


Anche smussare quegli angoli pungenti e spigolosi del mio carattere.
Un carattere che neppure mia madre o Alice erano riuscite ad ammorbidire, soprattutto dopo la morte di Carlisle.


Era inutile nasconderlo: difficilmente avrei potuto mai rinunciare a quella nanetta bruna che ronzava nella mia vita da quelche mese a quella parte. Assieme alla musica costituiva, adesso, il centro della mia esistenza ed una delle mie fondamentali ragioni di vita.
Avevo ritrovato l'amore o, forse, l'avevo finalmente scoperto: sapevo che i miei giorni si erano arricchiti di un sapore nuovo e questo, unitamente al legame che mi ancorava saldamente alla mia famiglia ed alla speranza di un sogno che forse cominciava a realizzarsi - quello di essere un musicista a tutti gli effetti - costituiva uno dei punti fermi della mia esistenza. Quei punti da cui ripartire per tornare ad essere Edward Cullen, quello vero.




Sospirai mentre la porta di casa si chiudeva in uno scatto secco.
Bella era andata via, alla fine.

Mi guardai intorno ed aspirai profondamente: il suo profumo era ovunque.
Sul cuscino, tra le lenzuola, sulla mia pelle.


"Piccola peste..." - Mormorai - "Sei ancora per le scale di casa e già mi manchi...è incredibile."



Sorrisi carezzando una Polaroid che Alice ci aveva scattato qualche giorno prima, durante una passeggiata da Hyde Park: ritraeva me e Bella felici, nel sole tenue di quegli ultimi strascichi d'estate.

La nostra espressione serena, il sorriso luminoso di Isabella mentre si proteggeva la vista dai raggi del primo pomeriggio, le nostre mani intrecciate: quella fotografia parlava di noi.
Era un piacere a vedersi.


La riposi con cura nel cassetto del comodino, apprestandomi a richiuderlo rapidamente, quando l'occhio cadde su di un altro oggetto che brillava sul fondo del cassetto medesimo.

Lo raccolsi in fretta, come preso da un'ansia priva di motivazione: l'avevo riconosciuto subito.



Si trattava di un ciondolo di cui mi aveva fatto dono Marlene tempo addietro.
Un orologio da taschino, per essere più precisi. Si trattava di un cimelio cui lei era molto legata: me l'aveva regalato benché non fosse proprio nel mio stile.


In realtà il ninnolo, in sè per sè, costituiva soltanto una scusa: ciò che contava realmente era che, facendone scattare l'apertura, l'orologio mostrava una piccola fotografia inserita al suo interno.


Un'immagine in bianco e nero di me e Marla insieme, sul Regent's Canal, l'anno precedente.
Un'immagine già sbiadita, per giunta, come se la stessa fotografia avesse inteso che per me e quella ragazza non c'era storia. Che il nostro legame, fragile ed immotivato, si sarebbe spezzato di lì a poco e che per questo tanto valeva sfuocarne i bordi ed i particolari.

C'era una tale differenza tra quella foto e la precedente dove figuravo accanto a Bella!
Tutto ciò che mi trasmetteva l'idea di me e Marla assieme era null'altro che dolore: io avevo portato la mia sofferenza, lei la sua. Le avevamo unite insieme per farci forza ma non c'era complicità nei nostri sguardi. Non nel mio, almeno. Non c'era trasporto né amore.
Mi bastava guardare, viceversa, semplicemente alla mia mano intrecciata a quella di Isabella per comprendere quanto il nostro rapporto fosse assolutamente differente, sincero. Sentito.
Io cercavo Isabella sempre: con lo sguardo, con le dita, col pensiero, con le labbra. E lo stesso valeva per lei.



Come avevo potuto resistere, in assenza di tutto questo, per tanti anni assieme a Marla?
Che essere ignobile ero stato nel farmi carico di quella relazione senza desiderarla realmente? Marlene, in fondo e per quanto tentasse di non mostrarlo, era una ragazzina debole e insicura.
Non avrei dovuto illuderla, non avrei dovuto farle credere che avrebbe potuto essere per sempre.


Beh, a dirla tutta l'avevo creduto anche io e non perché l'amassi smisuratamente: soltanto perché immaginavo che per un tipo come me, Marla fosse l'ideale. Gli stessi ostacoli, gli stessi dolori, le stesse lacrime represse all'angolo dell'occhio e nel fondo del cuore.

Ma non avevo fatto ancora i conti con l'inaspettato, all'epoca.
E non avrei mai creduto che una ragazzina tanto diversa da me come Isabella avrebbe potuto mostrarmi cosa significasse amare veramente.




Avrei riposto quell'orologio con calma nel cassetto, accompagnando il gesto con un semplice sospiro mentre un moto di malinconia e senso di colpa si agitava vorticosamente dentro di me, se soltanto...se soltanto, ed in quel preciso istante, un nome non fosse palesato nella mia mente.
Scontroso e non voluto.




Frank.





Da giorni, ormai - esattamente dalla serata allo Xoyo - quel nome mi pulsava nella testa come il più indesiderato e fastidioso dei ronzii.
A ripensare alla sua faccia da schiaffi, a quel sorrisetto assolutamente irritante, alla sua aria da finto amico, una strana frenesia - più simile ad una corrente elettrica - mi serpeggiava nelle mani.


Ecco, lui sarebbe stata l'eccezione: l'avrei preso a schiaffi. Senza motivo, ne ero consapevole.
Ma non mi aveva provocato alcuna sensazione positiva o pacifica.
Avevo come l'impressione che si fosse trovato in quel club soltanto per procurarmi noia. Ovviamente non avevo alcuna prova a riguardo - anche perché dopo quell'insolita presentazione si era difatti dileguato nel buio - ma davvero non riuscivo ancora a trovare una motivazione a quella sua uscita del tutto stravagante.



In ogni caso, non potevo essere certo della sua parentela con Marla.
Si era presentato semplicemente come "Frank". Non come suo fratello.




"Naa. Non può essere. Ti stai facendo solo un sacco di film, coglione!" - Sbraitai quindi contro me stesso, chiudendo infine il cassetto con uno scatto nervoso.



Eppure, nel medesimo istante in cui pronunciai quelle parole, non riuscii a credervi neppure io stesso.






Un brivido mi percorse la schiena e non era colpa del freddo che, fuori casa, cominciava a farsi più intenso.














Eccoci qua ragazze....
Non ho molto da dirvi se non che...Sì, i guai si avvicinano.
La famosa serata allo Xoyo è arrivata. Avete visto, ha portato molte novità...alcune bellissime, altre...Beh, non mi pronuncerò oltre.

Detto questo, vorrei ringraziarvi per il sostegno immenso che state dando alla storia. Credete nel mio Edward musicista quasi più di me (Simona, questa scalata al successo dei White Riot è tutta tua ^^) e siete legatissime a questi miei due pazzi ed alla loro storia d'amore...Grazie di cuore. Davvero. Siete meravigliose.
Sapete che sono una ritardataria cronica ma sapete anche che non manco mai una risposta quindi...portate fede, risponderò prestissimo alle vostre recensioni.

Questo capitolo lo dedico ad happyhippa (<3), a Jazzina_94 (spero che il compito sia andato bene ;D) ed a Faby, quando potrà leggerlo (tu sai perché)

Grazie ancora...spero non vi stancherete mai di me e di questi quattro pazzi ragazzi londinesi! ;)
Un bacio
Matisse.



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Capitolo 22
*** Cap. 22 ***


edsid 22
My Ugly Boy










By Agnes Dayle Efp








POV EDWARD






Da più di mezz'ora ce ne stavamo impalati in quello studio dalle pareti arancioni a guardarci in faccia l'uno con l'altro.

L'unico che riusciva a fingere indifferenza ero io. O almeno ci stavo provando visto che avevo cordialmente accettato l'invito di Chris Giggle - titolare della Noyse Records - ad accomodarmi, finendo infine con l'affondare in una comoda poltrona di pelle nera mentre gli altri - Emmett, Jasper ed Oliver, detto per inciso - ancora se ne stavano in piedi, ammassati contro le pareti o gli scaffali pieni di 33 giri alternati a noiosi plichi d'ufficio. Evidentemente agitati.


A osservarli attentamente, quello con l'espressione più comica appariva certamente Emmett.
Con quel suo faccione da orso atteggiato in una smorfia d'ansia e quel pallore accentuato che ne scavava quasi le guance - normalmente sempre così piene - risultava quasi comico.

Tutta quell'agitazione contrastava eccessivamente con la sua stazza: a vederlo in tempi normali non si sarebbe mai detto un ragazzo in grado di cedere così facilmente al nervosismo.

Anche Jasper evitava di parlare, e tutto ciò che si limitava a fare era battere il tempo sulla gamba e tenere gli occhi ben fissi su quei tre signori che se ne stavano al di là di una massiccia scrivania in legno, intenti all'ascolto di una breve registrazione di alcuni nostri pezzi.

A riascoltarla adesso, quella registrazione mi sembrava uno scempio per l'udito: i volumi erano fin troppo sballati, la voce di Oliver non risuonava chiara e potente come avrebbe dovuto ed il suono del mio basso...beh, quello quasi non si sentiva e ovviamente, da buon bassista, questa cosa mi mandava letteralmente in bestia.
Tuttavia, non avevamo nulla di pronto da presentare agli agenti della Noyse Records - in tutta onestà non avevamo mai pensato di incidere qualcosa di nostro: l'idea di comparire davanti ad una casa discografica non ci aveva mai sfiorato realmente - così avevamo dovuto accontentarci di ciò che era riuscito a tirare fuori nei giorni precedenti il buon Roger, nella propria saletta di registrazione.

Sospirai, un po' scocciato: avrei voluto presentarmi con qualcosa di più forte ed incisivo. Qualcosa che, ad ascoltarlo, avrebbe fatto tremare i muri e sgranare gli occhi per la sorpresa. Perché i White Riot erano potenza, ribellione, rabbia e talento.
Solo che da quella registrazione così scarna nessuno avrebbe potuto comprenderlo realmente.



Oliver, poggiato alla parete di fronte, mi fissò attentamente, senza fiatare. Per un attimo ebbi come la sensazione che condividesse i miei stessi pensieri.
Il suo sguardo era certamente più rilassato di quello dei nostri compagni ma era pressocché ovvio - almeno per me - che dentro di sé si agitasse una specie di tornado. Se avesse potuto, avrebbe urlato per l'ansia.

Ovviamente, le sue maniera da bravo ragazzo e il desiderio di non apparire troppo sconclusionato o nervoso come un bamboccio di dieci anni, erano in grado di mascherare perfettamente quello stato d'animo. Ma glielo leggevo negli occhi: fremeva nell'attesa e l'impazienza era amplificata dalla certezza che quella registrazione non ci rendesse giustizia a sufficienza.

Per una volta nella mia vita, davvero mi parve di comprenderne appieno la sua più composta agitazione, rispetto a quella di Emmett, per esempio, che farneticava da solo in un angolo. Forse, per un  solo istante in tutta la mia esistenza e per la prima volta in assoluto, riuscii ad essergli solidale.



Tornai a guardare i tre uomini al di là dello scrittoio.
Chris, quello più anziano - poteva avere non più di quarantacinque anni - se ne stava comodo sulla sua poltrona reclinabile, vestito di tutto punto, fumando un singaro. Ero indeciso se considerarlo più somigliante ad un gangster o ad un banchiere.
Alla fine convenni che non c'era poi molta differenza tra le due cose.
In ogni caso sembrava eccessivamente convinto di se stesso e decisi che non l'avrei tenuto particolarmente in simpatia: detestavo le persone troppo piene di sé.
Gli altri due tizi - colleghi della Noyse Records - erano decisamente più rilassati. Quello sulla sinistra dello scrittoio - Andrew - aveva un'aria gioviale e decisamente più garbata: poteva avere non più di trent'anni e portava i baffi lunghi e lisci a coprirgli le labbra. Con quella camicia sbottonata, il pantalone a coste scampanato e l'aria da dandy sapeva comunicarmi una sensazione di indicibile positività.
L'altro tipo - Donald, mi pare si chiamasse - era piuttosto anonimo: nessuno stile particolarmente stravagante, nessun dettaglio che mi aiutasse a farnmi di lui un'idea più precisa. Stava in silenzio da un po', con le mani giunte in uno stato di notevole attenzione e sembrava che nulla avrebbe potuto essere in grado di smuoverlo da quella posizione.

Seduto allo scrittoio, ma dal lato nostro, se ne stava anche Roger.
Decisamente rilassato, portava il tempo muovendo la testa avanti e indietro e, di tanto in tanto, lasciava schioccare indice e pollice insieme, quando si trovava davanti qualche accordo particolarmente interessante.
A volte si lasciava sfuggire persino un mugolio di approvazione, canticchiando a mezza voce e ad occhi socchiusi: era bello a vedersi. Quantomeno credeva nella nostra musica ed ovviamente il suo entusiasmo costituiva una spinta emotiva notevole per tutti noi.



Quando l'ultima nota si spense nella stanza - decisamente silenziosa  e dall'atmosfera vagamente surreale - poggiai la testa sulla spalliera del divanetto, sfinito. Come se avessi spalato un intero campo di patate piuttosto che starmene comodamente seduto ed intento all'ascolto di un disco. Ma l'ansia poteva giocare brutti scherzi, sfibrare muscoli e nervi e, a dirla tutta, piuttosto che conoscere il verdetto finale avrei preferito attraversare l'intera Londra a piedi e pure di corsa.

Il mutismo dei nostri ascoltatori non ci aiutò a calmarci, tutt'altro. Di sottecchi, vagai con lo sguardo ad Emmett: muoveva la gamba sinistra in maniera inconsulta ed ero certo che, se soltanto ne avesse avuto la possibilità, avrebbe preso a calci quel maledetto scrittoio.



"Allora?" - Esordì Roger ad un certo punto, con aria fiera e tono solenne. - "Cosa ne pensi, Chris?"


Chris non rispose subito ed io maledissi il nostro buon manager mille volte per la superbia con la quale si ostinava a presentarci. Come se fossimo stato i nuovi geni della musica piuttosto che quattro disperati di Brixton alla ricerca di un po' di notorietà.


In ogni caso, l'interessato restituì a Roger uno sguardo particolarmente serio, quasi gravoso. E tamburellò le dita sulla scrivania per qualche istante prima di aprir bocca.


"Ecco, ci siamo..." - Pensai. - "Adesso ce ne dirà quattro...Ci caccerà fuori da questo studio a calci..."


Già figuravo, davanti agli occhi, la reazione assolutamente disgustata di Chris Giggle. Il suo sguardo accigliato mentre ci classificava come degli inetti, assolutamente incapaci, privi di talento.

Gente che non sapeva neppure cosa fosse esattamente la musica.


Chiusi gli occhi, pronto ad accogliere un convinto "siete soltanto dei buoni a nulla!", quando Chris aprì davvero la bocca e si decise a parlare.



"Fantastici." - Commentò lapidario.


Spalancai gli occhi nel medesimo istante incontrando gli sguardi confusi dei miei compagni di avventura.
Nessuno di noi credeva di aver compreso sufficientemente le parole del gangster...insomma, di Chris.
Nessuno di noi ad eccezione di Roger, che ancora se ne stava seduto sulla scrivania, con sguardo sornione e trionfante, tipico di qualcuno che avesse semplicemente visto realizzare ciò di cui era convinto da tempo immemore.



"Che...Cos'ha detto?"

Con molta fatica trovai forza e coraggio per formulare una domanda lucida e ribattere.
Non credevo alle mie orecchie. Tre paia d'occhi si rivolsero nella mia direzione, come se il loro guardarmi fosse dettato dalla necessità, in primis, di realizzare, attraverso quelle mie parole l'apprezzamento appena ricevuto. In secondo luogo per cercare, nel mio improvviso atto di coraggio, la fiducia che mancava loro.


"Hai sentito bene: siete fantastici." - Spense il sigaro nella ceneriera più vicina e poi si volse a guardarmi, con sguardo improvvisamente cordiale. - "Per una dannata volta Roger c'ha visto giusto. Dammi il cinque amico!"


Roger ridacchiò, ricambiando il gesto. Successivamente, anche gli altri due  si affrettarono a dargli la mano.


"Stavolta te la sei cavata..." - Commentò il dandy con un sorrisetto furbo.
"Non mi ero sbagliato. Te l'avevo detto."


Il dandy annuì convinto prima di guardare, infine, nella nostra direzione.



"Ragazzi? Sul serio non avete nulla da dire?"

Anche Roger si voltò prontamente verso di noi.


"Mi sa che non hanno ancora capito bene la faccenda..."
"Io dico di sì...L'hanno capita così bene che son rimasti senza parole!"



Scoppiarono tutti e quattro in una grassa risata.
Io ed il gruppo ci trincerammo, viceversa, nel più assoluto silenzio. Incapaci di proferir parola, anche semplicemente di realizzare gli eventi che si susseguivano senza controllo intorno a noi, ci rifiutammo di aprir bocca volontariamente.
Per dire cosa poi, esattamente?


Okay, eravamo fantastici a detta loro. E quindi?
Ci aspettava un contratto? Oppure stavamo soltanto viaggiando con la fantasia? In fondo, un semplice apprezzamento non voleva dire proprio un nulla...



"Edward!"

Roger sbatté le mani davanti ai miei occhi ed io sussultai.

"Ma ci sei?"
"Ci sono!"
"Ed allora? Un po' di vita ragazzi, vi abbiamo appena ingaggiati ufficialmente!"


"Li ho ingaggiati..." - Precisò Chris con alterigia.

Qualcuno - presumibilmente Emmett- fischiò alle spalle di Roger. Il dandy accolse questo gesto con una risatina nel medesimo istante in cui Jasper si sporgeva nella mia direzione rivolgendomi uno sguardo accorato. I suoi occhi brillavano.


"Ingaggiati....? Quindi significa che..."
"Siete ufficialmente nella scuderia della Noyse Records, giovani! Io lo sapevo, ero certo di non sbagliarmi! Siete la mia carta vincente!"



Chris sghignazzò, prima di riservarci un applauso divertito. Ben presto a lui si unirono gli altri due compari e lo stesso Roger che continuava a fissarmi con quello sguardo trionfante e sornione che ormai avevo imparato a conoscere, seppur dopo un così breve tempo.

Emmett fischiò più forte e Jasper, ridendo, l'abbracciò con un'enfasi che non mi era affatto familiare. Oliver si alzò, guardandomi a bocca spalancata e dal canto mio tutto ciò che mi riuscì di fare fu stringere la mano di Roger, in un gesto che sapeva di gratitudine ed incredulità, prima che la suddetta mano finisse col fungere da traino, inducendomi ad abbandonare, finalmente, quella poltrona.


"Edward!" - Mi voltai a guardare Jazz, al mio fianco. Si profuse in una pacca amichevole sulle spalle ed io gli sorrisi apertamente: stavo riacquistando lucidità, per quanto la situazione mi apparisse in ogni caso surreale.



Troppo perfetta per essere vera.


Fu in quell'istante che nella mia mente, rapidissime, tornarono a scorrere decine di immagini. Immagini di un passato, non ancora cancellato del tutto, in cui un ragazzino povero - ma pieno di speranze - suonava la sua Gibson nella penombra della propria stanza, senza neppure sapere cosa significasse precisamente accordarla. Un passato in cui quel medesimo ragazzino - che di nome faceva Edward - correva sino alla fine dell'isolato chiamando a gran voce il nome del proprio amico - Jasper - perché si decidesse una buona volta ad uscire di casa e suonare la chitarra con lui. All'epoca, Jazz non aveva soldi per comprarne una propria e si accontentava di strimpellare su quella dell'amico mentre la sorellina di quest'ultimo lo guardava in silenzio e con occhi luccicanti, seduti sulle panchine dimesse di un parco giochi grigio di Brixton Road.

Era il 1970.
In quell'anno ebbe inizio il nostro sogno e Jasper fu la prima persona con la quale lo condivisi poiché certe speranze di vita sono troppo grandi per trascinarsele sulle proprie spalle da soli.

Successivamente, anche Emmett si unì al nostro folle progetto di rivoluzionare il mondo della musica contemporaneo. Al minimo, di sfondare, semplicemente.
Per anni avevamo lavorato in silenzio nell'umido di quel garage, abbandonato e sempre prossimo al crollo, di Brixton Road. Quel garage in cui riponevamo ogni sera le nostre speranze e la preghiera di veder realizzato un sogno per il quale quasi non chiudevamo occhio la notte. Alla foga iniziale si era sostituita, col tempo, una più muta accettazione di ciò che il destino ci avrebbe riservato fino a quando...fino a quando la vita non aveva finalmente deciso di sorriderci, dopo tante disgrazie ed errori ripagando la nostra folle attesa con quella serata allo Xoyo.

Da quella serata - appena una settimana fa - molte cose erano cambiate per noi.
E non era tutto merito del destino o della buona sorte: anche Oliver era artefice del nostro successo. Lui, così diverso da me, Jasper o Emmett: un figlio di buona famiglia, decisamente bello, decisamente ricco. Decisamente troppo.
Eppure aveva creduto nei White Riot nel modo esatto in cui ci avevamo creduto noi tre. Con la stessa tenacia, lo stesso impeto, senza arrendersi, correndo da Kensington a Brixton ogni pomeriggio per non saltare neppure una prova.

Quasi mi dispiaceva averlo provocato ogni santo giorno della nostra conoscenza. Ma dovevo ammettere di provare una discreta dose di gelosia nei suoi confronti, considerando l'evidente attrazione nei riguardi della mia ragazza. In ogni caso, quello non era il momento delle recriminazioni: piuttosto avrei dovuto ringraziarlo per essersi tanto prodigato in una causa che era ormai comune.
Per cui, nel marasma generale di festeggiamenti e congratulazioni e, prima ancora di rivolgermi con il migliore dei sorrisi verso Chris ed il suo staff, gli tesi prontamente la mano.
Oliver ricambiò,guardandomi negli occhi attentamente per qualche istante.
Sorpreso e forse compiaciuto

Non ci provai neppure a pronunciare quella semplice parola, quel "grazie" che si sarebbe effettivamente meritato. Tuttavia, la mia occhiata fu più che eloquente e dovette afferrare comunque il concetto.



"Benvenuti alla Noyse Records, allora..." - Pronunciò infine il dandy, sorridendo benevolo e richiamando la nostra attenzione.

Ringraziammo in coro, tutti e quattro, e anche Chris ed il compare più silenzioso ci guardarono con approvazione.


"Siete decisamente sconvolti e lo capisco. A breve non farete altro che parlare e ridere, scherzare e ricominciare a parlare. Ci sono passato con decine di gruppi, so come funzionano certe cose..."


Roger gli fece l'occhiolino, ridacchiando.
Effettivamente Emmett stava riprendendo la sua lingua lunga e Jazz gli aveva già allungato divese gomitate nelle costole per zittirlo.


"...Prima che ciò accada, quindi, vorrei rifinire con voi i termini del nostro accordo, firmare il contratto. Parlare anche con le vostre famiglie, se necessario...C'è qualcuno tra voi che non abbia compiuto la maggiore età?"


Ci voltammo tutti a guardare Oliver, in maniera sincrona. Alzò le mani spazientito:


"Ehy! Io ce li ho diciotto anni!"


Andy rise apertamente.

"Va bene, va bene. Dunque, se per voi non ci sono problemi, potremo andare a mangiare qualcosa e discutere sui dettagli. A pancia piena si lavora meglio!"
"Ben detto" - Approvò Chris magnanimo. - "Forza ragazzi, la tireremo per le lunghe...meglio rifornirci a dovere prima!"



La proposta venne accolta con notevoli sorrisi, battiti di mani e pacche amichevoli sulle spalle, sia tra noi componenti del gruppo, sia con i membri della Noyse Records che, d'un tratto, erano diventati improvvisamente amichevoli, quasi familiari.
Dopotutto ci stavano regalando un'opportunità enorme e noi eravamo troppo felici (nonostante il palese e persistente sconcerto) per negargli un atto di confidenza come quello.
Tuttavia, io trasalii al pensiero che non avrei potuto mantenere la promessa fatta ad Isabella.

Le avevo giurato che sarei passato a trovarla. Sempre adottando i miei soliti modi poco eleganti o educati, consistenti nell'arrampicarmi - a passo svelto ormai - lungo il muro di casa Swan sino alla sua stanza.
Gliel'avevo promesso ma....maledizione, erano già le sette passate! Tra la cena vera e propria, le chiacchiere inutili ed il definitivo accordo discografico non ce l'avrei mai fatta a tener fede all'impegno preso.

D'accordo.
Mi rimaneva un'unica speranza: Alice.




"Edward? Non vieni con noi?" - Jasper si voltò a guardarmi sorpreso mentre me ne stavo ancora impalato nello studio. Tutti gli altri erano già in prossimità della porta.
"Ehm....sì...Vi dispiacerebbe se, prima di andare, facessi una telefonata rapida?"

Chris mi rivolse un'occhiata distratta ma amichevole.

"Fa' pure! Basta che ti spicci...ho una fame da lupi! Puoi usare il telefono qui in studio se vuoi. Noi ti aspettiamo all'ingresso, quando hai finito raggiungici. E chiudi la porta, prima di andar via."


Pronunciò le ultime parole mentre già abbandonava lo studio per il corridoio esterno. Invitò tutti gli altri a seguirlo, con un rapido gesto della mano ed i miei amici riuscirono appena a lanciarmi un'occhiata interrogativa - cui risposi con un mezzo risolino - prima di scomparire al di là della porta d'uscita.


Dunque, mi lanciai in tutta fretta sul telefono, componendo lentamente sul relativo disco il numero del pub dove lavorava mia madre. Era martedì e ringraziai Dio che quel giorno Alice l'avesse raggiunta per darle una mano nelle pulizie di inizio settimana.

"Pub Sally, con chi parlo?"



La voce di mia sorella dall'altra parte della cornetta mi indusse ad un sospiro di sollievo. Non credevo mi avrebbe risposto così velocemente.

La fortuna sembrava davvero sorridermi.


"Alice? Sono Edward."
"Edward? E' accaduto qualcosa? Perché mi telefoni qui al pub?!"


Si allarmò inevitabilmente ma io, di tutta risposta, ridacchiai.

"Niente di preoccupante. Avrei solo bisogno di un favore."

"Un favore? Oh...aspetta!" - Coprì per un istante il ricevitore con la mano. Lo compresi dal modo in cui la sua voce mi giunse ovattata mentre parlava con mia madre e le diceva che era tutto okay.


"Edward? Scusa, mamma si è preoccupata quando ha capito che eri tu al telefono. Le stavo dicendo che è tutto a posto..."
"Esatto. Ho soltanto bisogno del tuo aiuto..."
"Dimmi."
"Dovresti chiamare Isabella e dirle che stasera non potrò raggiungerla a casa. Il nostro appuntamento con quello della Noyse Records si è....protratto."


Dall'altro lato della cornetta Alice trattenne il fiato. Immaginai il suo visetto dall'espressione eccitata e sorrisi.
Ero certo che avesse compreso.


"Edward....c'è qualcosa che devi dirmi?"
"Molte cose spero!" - Ridacchiai pensando alla cena di "lavoro" che mi attendeva. - "Ma ti racconterò tutto a tempo debito. Adesso potresti farmi questa cortesia? Sei una sua compagna di scuola, a sua madre non risulterà troppo strano se la chiami. Per favore."
"D'accordo, adesso ci penso io. Ma non tenermi sulle spine fratellone, o me la pagherai cara!"

"Tranquilla. Appena torno ti racconto tutto. Adesso però devo lasciarti, ci vediamo più tardi."
"Va bene, a dopo."



Riagganciai più tranquillo, considerando che la mia Bella non avrebbe dovuto attendermi invano una notte intera.
Infine, mi apprestai a lasciare lo studio per raggiungere il resto della comitiva all'ingresso dell'edificio di tre piani che ospitava la Noyse Records.


Prima di abbandonare la stanza, tirai un sospiro profondo, nel vano tentativo di calmare l'agitazione.



"Spero proprio..." - Commentai tra me e me - "Che siano loro a non tenere me sulle spine, sorellina..."












POV ISABELLA






Diedi un'occhiata rapida all'orologio.
Le quattro.

Fortuna che l'aria non fosse ancora eccessivamente fredda ed il buio sopraggiungesse ancora nel tardo pomeriggio, altrimenti mia madre non mi avrebbe mai consentito di portare Beth al St. James's Park quel sabato pomeriggio.





Beth e la mia Gibson, detto per inciso. Ma quest'ultima, a mamma, era sfuggita per fortuna: era uscita di casa prima di me, infatti, per prendere parte alla sua consueta partita di bridge.

Quando la mia sorellina mi aveva vista scoperta ad arrancare per le scale di casa con quell'affare enorme sulle spalle mi aveva guardata ad occhi sgranati prima di prorompere in una sonora risata.
Avevo riso con lei - la scena era effettivamente comica, a dirla tutta - prima di ricordarle che non avrebbe mai dovuto farne parola con mamma.
Tenevo quella chitarra nascosta nel fondo dell'armadio da settimane, dietro le divise buone della scuola e gli abiti da cerimonia più eleganti: i miei sforzi non avrebbero mai dovuto essere vanificati, neppure dalle ingenue confessioni della mia sorellina.
Ma Beth aveva compreso quasi subito e come sempre - nonostante gli anni che ci dividevano godevamo di una complicità fuori dagli schemi -  aveva risposto con il suo giuramento fedele alla mia richiesta di silenzio e solidarietà.


"Parola di scout" - Così aveva detto. La mia piccola Beth ancora sperava, in cuor suo, di farne parte un giorno. Chissà se aveva afferrato che, in realtà, nostra madre non le avrebbe mai consentito di inzaccherarsi le gonne nel terriccio umido o dormire in tenda con altri bambini, col rischio di un'infreddatura.
In ogni  caso, se l'aveva compreso, non ne faceva mai parola.
Forse per evitare di concretizzare per davvero quella triste consapevolezza.





Quel sabato pomeriggio, in ogni caso, aspettavamo Edward placidamente sedute sotto una vecchia quercia del St. James's.







In quella settimana io ed il mio fidanzato ci eravamo visti pochissimo, contrariamente alle nostre abitudini.
Il martedì sera precedente avevo atteso la notte inutilmente poiché Edward aveva, viceversa, dovuto trattenersi con quelli della Noyse Records e nei giorni successivi i nostri appuntamenti si erano ridotti all'osso: cinque minuti consumati di sfuggita fuori l'ingresso di scuola, tra le occhiate sarcastiche degli allievi più "in" della Queen Elizabeth e quelle fameliche delle ragazzette stronze che trovavano particolarmente appetibile il mio ragazzo.

Le avrei fatte fuori con le mie stesse mani se Edward non mi avesse trattenuto più di una volta ridacchiando.



Ero felice per Edward, davvero.
Quando mi aveva raccontato del contratto firmato con l'etichetta discografica avevo pianto per l'emozione, gettandogli le braccia al collo con così tanta foga che eravamo finiti col ruzzolare all'indietro sul divanetto sgangherato della sala prove di Brixton, mentre Alice e Jasper se la ridevano di gusto.
Stava realizzando il suo sogno, quello per cui aveva combattuto una vita intera.
Ed era ancora più soddisfatto nel sapere che, di fronte alla strada che l'attendeva - si sperava costellata di successi - suo padre avrebbe finalmente potuto sorridere ed essere orgoglioso di suo figlio.


"Ci pensi?" - Aveva sussurrato con occhi estatici - "Papà finalmente sarà fiero di me. Per una volta sto combinando qualcosa di buono! Prima te, Bella, poi la musica...Le cose cominciano ad andare per il verso giusto..."

Avevo sorriso, di fronte a quella confidenza quasi adolescenziale. E, accarezzandogli il volto, avevo risposto:

"Le cose andranno sempre bene, da ora in poi..."



Davvero, ero felice per lui.
Tuttavia...tuttavia, quando Edward mi aveva sciorinato l'intera lista dei suoi futuri impegni - sorti direttamente dopo aver firmato quel benedetto contratto - ero sbiancata.


1. Prove personali con i White Riot nel garage di Brixton, tutti i pomeriggi della settimana, esclusi il Sabato e la Domenica.
2. Prove ufficiali con i White Riot negli studios della Noyse Records, tutti i Sabato e le Domeniche pomeriggio.
3. Registrazioni presso gli studios della Noyse Records a mattine alterne.
4. Lezioni private di basso, presso un maestro suggerito dal team della Noyse Records, nelle mattinate (alterne) non dedicate alle registrazioni.
5. Prove d'abiti e studio dell'immagine dei quattro componenti del gruppo negli attimi liberi da registrazioni/prove/lezioni, per amalgamare lo stile dell'intera band.
6. Live presso i più importanti locali della City tutti i Venerdì/Sabato/Domenica a venire. Ripartendo proprio dallo Xoyo Club.


C'era da impazzire, a dirla tutta. E, ovviamente, non l'avevo presa troppo bene benché tentassi di non darlo troppo a vedere.
In realtà si vedeva eccome.


A tutto questo si sommavano le future ospitate in radio locali per presentare il singolo di debutto (singolo non ancora definito, tra l'altro, e tale scelta avrebbe comportato un' ulteriore spesa del tempo già piuttosto ridotto di Edward) e le eventuali riprese del primo video, sulla scia della moda lanciata anzitutto dai Beatles.


"Perché il video è immagine e l'immagine conta." - Aveva affermato sua santità Roger.
Senza Roger, quei quattro ormai non vivevano più.



Edward, in ogni caso, doveva aver captato il dispiacere che tentavo di nascondere sotto strati di sorrisi veri solo per metà, occhiate divertite e gridolini entusiastici.
In fondo, anche io mancavo a lui.

Cosicché mi aveva chiesto di vederci per quel Sabato pomeriggio, nelle due ore di libertà che aveva a disposizione prima delle prove alla Noyse Records. Per sua grande gioia - giacché era letteralmente innamorato di mia sorella - avevo portato Beth con me,  dato che non potevo lasciarla di certo a casa da sola. E visto che mi ci trovavo, mi ero portata dietro pure la chitarra poiché da settimane non prendevo più una lezione decente.



L'appuntamento, tuttavia, alle tre.
Edward, viceversa, era già in ritardo di un'ora.




Sospirai, pensando a quanto tempo era già stato sprecato: certamente qualche impegno l'aveva trattenuto. Forse non sarebbe neppure più venuto.



Mogia mogia, accomodai meglio la schiena lungo il tronco della quercia, quando Beth mi tirò per la gonna.


"Perché sei triste?"

Guardai la mia sorellina con la coda dell'occhio: il suo sguardo preoccupato e quel labbro inferiore che sporgeva leggermente se qualcosa le creava disturbo, m'intenerì istantaneamente.


"Non sono triste. Solo un po' dispiaciuta."
"Per Edward?"


Si accomodò curiosa al mio fianco, evidentemente felice di poter ricevere le confidenze della sua sorellina più grande.
Annuii.


"Sì, per Edward. E' molto impegnato e quasi non ci vediamo più."
"Ma oggi ci vediamo!" - Contestò.


Sorrisi.

"Non è la stessa cosa, piccolina. Prima...Potevamo incontrarci molto più spesso. Ed ora invece..."

"Edward ha trovato lavoro, Bella?"


Il mio sguardo si riempì di meraviglia, dinanzi all'evidente perspicacia di mia sorella. Ed orgoglio, in risposta alla brillante carriera imboccata dal mio ragazzo.

"Edward sta per diventare un musicista famoso, tesoro!" - Annunciai trionfante.
"Ooh!" - Beth applaudì delicatamente. - "E' una cosa molto bella!"
"Vero..."+
"E dopo uscirà anche sui giornali come quello di Grese?!"

Ridacchiai.

"Lo spero, amore..."
"Allora non essere triste, sorellina. Ha soltanto da fare ma appena finisce di suonare poi torna da te...Stai tranquilla!"


"Beth!" - Quasi mi commossi di fronte alle considerazioni estremamente mature di quel pargoletto di neanche otto anni. Dire che io, ormai maggiorenne, non riuscivo ad arrivare alle medesime conclusioni!

Mi rimproverai aspramente: ero davvero così infantile? O forse soltanto egoista? Avrei dovuto, piuttosto, gioire del successo di Edward anche se ad esso si legava la sua assenza!
Eppure...Quante altre fidanzate, al posto mio, si sarebbero comportate allo stesso modo? Dopotutto, facevo del mio meglio per stargli accanto e mostrargli comunque tutto il mio sostegno ed il mio orgoglio nei suoi confronti benché, nell'intimità della mia stanza, finissi viceversa col piangere sommessamente sull'idea di non poterlo avere accanto tutti i giorni come prima.
Proprio adesso che la nostra storia cominciava ad apparire finalmente solida ed inattaccabile.
Alice, ad esempio, era certamente più rilassata di me. Ma, oltre la scuola, aveva il lavoro nel pub a giorni alterni con sua madre e la sua giornata era decisamente più impegnata della mia: meno tempo a disposizione per rimuginare sull'assenza di Jasper, in altre parole. Inoltre, Jazz abitava a pochi passi da casa sua e questo era, già di per sé, un evidente vantaggio.


Invece tra me ed Edward c'erano diverse fermate di metro di distanza e la metro non funzionava di notte.
Ed io....



"Di cosa stanno spettegolando le mie donne?!"


Una voce fin troppo familiare mi costrinse ad un sussulto.
La sua voce.


"Edward!" - Beth scattò in piedi, gettandosi tra le braccia del mio ragazzo. Il loro era, ovviamente, un amore reciproco: Elisabeth, quando ne aveva l'occasione, guardava sempre ad Edward con occhi ammirati, ricambiata.
Era quasi commovente considerare quanto si volessero bene quei due.


"Ciao scheggia! Che bello rivederti!" - Esclamò lui inginocchiandosi sul prato umido e stringendola a sé. Io continuai a contemplarli, troppo incredula nel vedere finalmente Edward nel medesimo posto in cui mi trovavo io, finché lui stesso non mi rivolse un'occhiata incuriosita.

"E l'altra scheggia non viene a salutarmi?" - Domandò facendomi l'occhiolino ed allargando le braccia.


Lo guardai, ancora un po' stordita. Poi piegai le labbra verso l'alto, in un sorriso divertito ed infine risi apertamente.


"Ha mantenuto la promessa" - Pensai.


Gattonai sull'erba bagnata prima di lanciarmi su di lui con uno scatto.
Finimmo in terra tutti e tre, ridendo.


"Sorellina! Ma che fai?!" - Strillò Elisabeth ma con tono divertito ed Edward sghignazzò con lei.
"Beth, tesoro...Non sai che tua sorella è un po' scema?"
"Ah! Io sarei scema??" - Finsi di arrabbiarmi e di picchiarlo con qualche colpetto sulla spalla.

"Ouch! E' anche violenta!"


"Mi sa che siete scemi tutti e due!"
"Come?!" - Ci voltammo a guardarla entrambi, ad occhi sgranati ma, ovviamente, divertiti.

Stava diventando davvero un impudente!

Di tutta risposta, si alzò in piedi e, lisciandosi le pieghe della gonna, tirò fuori la lingua molto comicamente. Sapevo dove stava andando a parare: voleva provocarci, nella speranza che cogliessimo il suo dispettuccio e ci decidessimo ad inseguirla. Beth amava giocare in quel modo: correre a perdifiato per un prato grande le dava idea di libertà, spensieratezza e gioia infinita.

Oltre che idea di scout, ovviamente.

Cosicché richiamai l'attenzione di Edward, tirandogli un lembo della maglia e lui comprese immediatamente.

"Se t'acchiappo bella signorina...Meglio per te se cominci a correre!"


"Ah!" - Strillò Beth, ridendo. Non se lo fece ripetere per due volte: ci voltò le spalle immediatamente, dando il via alla sua corsa.


Scambiai un'occhiata rapida e divertita con Edward prima di lanciarmi al suo inseguimento.


"Vai, viai...Tanto ti prendiamo!" - Esclamai a mia volta, mettendomi a correre.

E così, le nostre risate spensierate risuonarono melodiose nel silenzio di quel parco: a vederci, sembravamo davvero una famiglia felice.






*




Beth coglieva fiori a breve distanza da noi.
Edward la controllava vigile con la coda dell'occhio, senza disturbarla, alternando l'attenzione tra mia sorella e me.
Io gli stavo seduta con la schiena poggiata al suo petto e la chitarra tra le mani, indecisa sull'accordo da prendere.


"Quello di sol? Te lo ricordi?" - Mi sussurrò Edward all'orecchio, poggiando la testa sulla mia spalla e scostandomi la chioma bruna su di un lato solo.

"Mmh..." - Mugugnai.
"Almeno ti ricordi come si passa dal mi all'accordo di la?" - Domandò un tantino spazientito.
"Per chi mi prendi? Quello è facile!" - Ridacchiai.
"Oh...mi scusi per aver messo in dubbio il suo talento..." - Ironizzò alzando un sopracciglio.


Tirai fuori la lingua, pronta a dedicarmi di nuovo alla mia bella Gibson, quando Edward mi prese in contropiede: afferrò il mio mento tra pollice ed indice costringendomi a voltarmi nella sua direzione per darmi un bacio.
Uno di quelli che sognavo anche la notte.


"E-Edward..." - Feci per protestare - "...C'è Beth..."

Guardò rapidamente nella direzione della mia sorellina: ci dava le spalle, troppo intenta a cogliere, tra tutti, il fiore più bello e profumato.

"Direi che non ci sta neppure calcolando..." - Rispose tornando a sfiorarmi le labbra delicatamente.

Socchiusi gli occhi, totalmente rapita da quel bacio.
Poi, mi lascia sfuggire un "mi manchi" che mai, mai avrei voluto pronunciare.
Vidi lo sguardo di Edward farsi subito più buio e morsi la mia lingua lunga e indisponente.


"Mi spiace...ti sto trascurando."
"Edward...Edward no!" - Tentai, prontamente, di porre rimedio all'immane sciocchezza appena pronunciata: proprio adesso che cominciava ad essere felice e soddisfatto di se stesso, Isabella Swan - detta la guastafeste - avrebbe dovuto evitare di rattristarlo con le sue recriminazioni inutili!

"Non intendevo questo...Tu...Tu hai i tuoi impegni da rispettare ed è giusto così. Finalmente stai ricevendo l'attenzione che meriti da musicista, quindi non farti problemi inutili."
"Sì ma non ci stiamo più vedendo. Lo so che è dura e non solo per te..."
"Va bene così..." - Mentii. Poggiai la chitarra sull'erba umida e mi arrampicai infine al petto di  Edward, utilizzando la sua t-shirt come sostegno.

"Bugiarda..."
"Amore...E' vero, non è così facile non poterti vedere ogni giorno come vorrei. Ma è per il tuo futuro. Ed io voglio per te ogni bene...Sappi che se non scoprirò che non ti stai impegnando a sufficienza per colpa mia ti punirò."

"Ah sì?" - Edward alzò un sopracciglio, ridacchiando. - "Ossia?"
"Niente baci e niente coccole per il resto dei tuoi giorni! Quindi deciditi...Manterrai ancora quel broncio per molto?"
"Non se mi guardi con questi occhi, dolcezza..."


Ecco, mi aveva presa in contropiede per l'ennesima volta.
Mi persi in quel suo sguardo eloquente ed intenso, nella smorfia impertinente delle labbra perfette, nel verde improvvisamente scuro ed assolutamente sublime dei suoi occhi. Senza parole, intrecciai le dita dietro al suo collo, tra i capelli.


"Edward..." - Soffiai sul suo viso, pronta a baciarlo di nuovo quando "qualcosa" venne a reclamare la nostra attenzione: una pulce non più alta della mia Gibson, per intenderci.



"Che state facendo?"

Ruzzolai all'indietro con poca eleganza mentre Edward sghignazzava e tossicchiava pressocché in contemporanea.

Beth ci stava guardando con evidente disappunto, tenendo entrambe le mani sui fianchi in una posa comicamente autoritaria: cominciavo a credere che le piacesse Edward e fosse un pizzico gelosa della sua sorellina che se l'era accalappiato.



"Niente...!" - Scattai con imbarazzo - "Cosa vuoi che si faccia?!"
"Vi stavate baciando!"
"Beth! Capita...io e Edward siamo fidanzati!" - La rimproverai.
"Sì ma io sono piccina...Certe cose non dovreste farle davanti a me!" - Sentenziò con convinzione mentre io la guardavo sbigottita: da dov'era saltata fuori tanta audacia?


Edward ridacchiò nuovamente mentre afferrava Beth per la vita, costringendola ad una capriola dritto dritto tra le sue braccia.



"Tranquilla...Adesso smettiamo di darti fastidio! Almeno io...."

Compresi immediatamente. Purtroppo.


"Devi andare?" - Domandai quindi, scattando nervosa. Mi ero abituata subito alla sua ritrovata presenza e non gradivo l'idea di staccarmene così in fretta.


Annuì, per tutta risposta.
Il mio timore era giusto, dunque.


"Okay..." - Deglutii piano mentre Edward si alzava rapido, ripulendosi i jeans dalle foglie morte di quell'inizio d'autunno. Lanciò un'occhiata tenera a Beth mentre quest'ultima sporgeva le braccine nel tentativo di stringerlo affettuosamente e lasciargli un bacetto dolce sulla guancia: era davvero troppo alto per lei. Lo era persino per me.
Infine, mi raggiunse in due falcate, circondandomi la vita con un braccio: i miei occhi parlavano da sé della delusione di vederlo andar via, benché continuassi a fingere che fosse tutto okay e fosse tutto...giustissimo. Proprio come doveva essere.


"Signorina...continua ad esercitarti con la chitarra, mi raccomando."
"Lo farò."
"Promesso?"
"Promesso."


Annuì.


"Bella?"
"Sì?"
"Io non mantengo il broncio...Ma pretendo i tuoi baci. Quindi, preparati per la prossima volta che ci vedremo...E ti assicuro che non sarà molto lontana, amore mio..."


Mi lasciò così, con un occhiolino divertito ed un bacio all'angolo della bocca mentre io me ne stavo lì impalata in preda alla sorpresa ed all'emozione.

Ci impiegai un po' per voltarmi, guardandolo allontanarsi nel verde del St. James's Park, con quella sua camminata disinvolta e strafottente che mi piaceva tanto, come se non gliene importasse nulla di quello che accadeva intorno a lui.
Adoravo quel suo modo di muoversi come adoravo tutto il resto e vlevo imprimere ogni particolare di lui nella mia mente poiché non ne ero mai sazia, in realtà.


Era ancora sotto i cancelli del parco ed io già ne sentivo la mancanza: che stupida romantica!
Tuttavia, lo contemplavo col mio solito sorrisino ebete stampato sulle labbra ed anche Beth lo notò.


Mi tirò per la gonna.


"Sorellina?"
"Uhm?" - Domandai senza guardarla.
"Perché sorridi senza motivo?"


Alzai le spalle.
Edward, nel frattempo, era sparito nel traffico di Londra.
Sospirai.


"Ti sei imbambolata. Sveglia!"


Le rivolsi un'occhiata in tralice.


"Passi troppo tempo con Angela, Elisabeth. Fra poco parlerai come lei." - La rimproverai.
"E ti prenderò in giro allo stesso modo?"


Rise ed io con lei.


"Può darsi."
"Però mi sembri felice..."


Soppesai la sua arguta osservazione per qualche istante.
Davvero, era troppo intelligente per avere solo sette anni. O forse mi conosceva semplicemente troppo, nonostante la giovane età.

Scossi la testa, in ogni caso.


"Sono innamorata, sorellina. Non sempre è sinonimo di felicità ma per adesso sto bene."
"Perché dici così?"


Sospirai.

"Lo capirai quando sarai più grande." - Commentai brevemente - "Ora vieni, su. Si è fatto tardi, è ora di andare..." - Conclusi infine, scrutando l'oscurità all'orizzonte.

Le allungai la mano e così ci incamminammo, in silenzio, in direzione di quei cancelli da cui si era allontanato soltanto qualche istante prima il mio Edward.








POV EDWARD




Aspirai profondamente l'ultima boccata di fumo, prima di gettare per terra la sigaretta e spegnarla con la punta delle Converse.

La mia abitazione distava ancora diversi isolati. Sospirai all'idea di percorrere ancora tanta strada facendo affidamento soltanto sui miei piedi.
E con un pesante basso sulle spalle, per giunta.
Se soltanto avessi avuto Emmett o Jasper con me, la passeggiata sarebbe risultata più leggera: scambiando le solite quattro chiacchiere, l'attenzione sarebbe gravitata altrove e, nonostante la stanchezza, sarei giunto a casa con minor sforzo certamente.
Ma i miei due compari si erano trattenuti per svariate ragioni a Covent Garden - dove aveva sede la Noyse Records - ed io ero davvero troppo sfinito per non desiderare di affondare immediatamente nel mio comodo letto.

Ero seriamente distrutto: quel giorno le prove si erano protratte per un tempo più lungo del solito ed Emmett aveva finito con lo sbottare diverse volte prima di trovare l'attacco giusto di batteria. Il fatto di essere costantemente monitorati dal team di Chris ci metteva sotto pressione: il nostro chiodo fisso era quello di non sbagliare, di fare bella figura, sempre.
Ed appunto per questo non ne imbroccavamo una.

In ogni caso non avrei mai pensato che la scalata al successo fosse tanto devastante.
Per esser precisi: sapevo di per certo che avrei dovuto prodigarmi al massimo delle mie forze per la causa ma non pensavo che tale impegno avrebbe occupato ogni singolo istante della mia giornata.
Ovviamente la mia storia con Isabella stava soffrendo enormemente per la situazione: la ridotta possibilità di trascorrere del tempo insieme era sempre vissuta in maniera particolarmente negativa da entrambi, con il vantaggio che io, dovendo badare alle prove ed a tutti gli altri impegni che ruotavano intorno a quell'etichetta discografica che aveva riposto nella band così tante speranze, avevo come occupare il mio tempo e sopportavo meglio il distacco rispetto a lei.
Questa consapevolezza mi costringeva inevitabilmente a sentirmi in colpa: Bella era tutta la mia vita e mi dispiaceva non poterle mostrare il mio amore come avrei desiderato. Mi mancava: mi mancava la sua bellezza, la dolcezza, quel buon profumo di vaniglia che avevano i suoi capelli, la morbidezza delle sue labbra e la possibilità di stringerla fra le braccia quando ne avevo voglia.
Eppure, mi consolava l'idea che tutti quei sacrifici non ripagassero soltanto me stesso e la mia bramosia di trasformarmi in un musicista di successo. No davvero: stavo lavorando anche per lei. Per offrirle qualcosa di me stesso di cui essere fiera, per mostrarmi migliore rispetto all'Edward attaccabrighe, scanzonato e senza una sterlina in tasca che aveva conosciuto.
Bella era sempre stata troppo per me e questa consapevolezza mi logorava da tempo benché lei, viceversa, sembrasse neppure farci caso, convinta che fossi il fidanzato modello cui tutte le ragazze aspirassero.

In ogni caso, se fossi riuscito a sfondare nel campo della musica - l'unico nel quale mostrassi un qualche talento - forse avrei smesso di sentirmi sempre così inadatto. E lei avrebbe avuto finalmente qualcosa di cui vantarsi per davvero, parlando di me con quei quattro coglioni della Queen Elizabeth.



Confortato da tali pensieri, seguitai a camminare lungo la scura Brixton Road quando, rischiarata dalla luce di un lampione, notai la figura di uomo che se ne stava appena più lontano, placidamente poggiato contro il muro maestro di una delle sgangherate abitazioni della zona.
Quasi in attesa di qualcuno, si sarebbe detto.

Beh, di norma questo particolare non avrebbe dovuto certamente crearmi alcun fastidio né perplessità. Tuttavia, il profilo di quell'uomo mi era fin troppo ben noto per ignorarlo.

Anche con una così scarsa illuminazione potevo riconoscerlo: Frank.
Il tizio dello Xoyo Club, per intenderci.


E sussultai perché nel gioco di luci ed ombre di quella strada, per la prima volta, colsi la somiglianza straordinaria che sussisteva tra lui e Marla.
Come avevo potuto non notarla sin da subito, con quel naso dritto e le labbra carnose atteggiate in una smorfia di scherno tipica degli Hoffman?

Non avevo bisogno che me lo confermasse di persona o tramite un certificato di nascita: era quel
Mi aveva chiamato per anni col suo nome, Marlene, quando bambina singhiozzava sulla sua assenza.

Dunque, era tornato.
In definitiva poi, per quale motivo?

E perché cominciavo ad avvertire la fastidiosa sensazione di essere seguito da lui?



Presi un profondo respiro e, piuttosto, m'incamminai verso la strada di casa pronto ad ignorarlo.
Ovviamente Frank non si mostrò dello stesso avviso.


"Edward..." - Mi chiamò allorché gli passai praticamente di fianco.


M'irrigidii quasi istantaneamente. Era prevedibile, se non certo, che mi avrebbe fermato eppure...


"Frank..." - Risposi senza guardarlo.
"Ma bravo..." - Ridacchiò.- "Ti ricordi il mio nome."
"Non soltanto quello, a dirla tutta..."


Sentii i suoi passi risuonare sul selciato. Lentamente.
Era alle mie spalle.


In lontananza udii la sirena di un'auto della polizia o forse un'autombulanza.
Qualcuno chiuse con così tanta energia la porta di casa che l'eco giunse sino a noi.
Poi, il silenzio.

Rotto soltanto dalla sua voce roca e minacciosa.


"Che significa?"


Strinsi i pugni.

"Me ne hanno raccontate parecchie sul tuo conto. Tipo che te ne sei andato di casa infischiandotene di chi ti voleva bene anni fa. Come mai sei tornato adesso?"


Frank mi strattonò per un polso, costringendomi a voltarmi.
Incontrai i suoi occhi bui: non avevo mai visto tanto odio nello sguardo di nessun altro al mondo.


"Credo di non essere l'unico che se ne sia infischiato delle conseguenze, Cullen!"


Serrai la mascella: quell'uomo cominciava a darmi particolarmente sui nervi.


"Di che diamine vai blaterando?"
"Di Marlene, ovviamente. Oppure ti sei già dimenticato il nome di mia sorella?"


Con un gesto violento liberai il braccio dalla presa viscida di Frank.

"Che diavolo vuoi, Frank? Da quando ti occupi di questioni di cuore? Io e tua sorella ci siamo lasciati. E' ben diverso dall'averla piantata di punto in bianco a soli otto anni!"

Sputò per terra prima di piantarmi di nuovo in faccia i suoi occhi piccoli e neri. Malvagi.
Sembravano acini d'uva.

"Vi siete lasciati? A me pare che l'abbia mollata tu, faccia d'angelo." - Prese il mio mento tra indice e pollice. Mi scostai immediatamente. A dirla tutta, se non avessi avuto l'inconveniente del basso che mi pesava sulle spalle limitandomi nei movimenti, l'avrei già sistemato a dovere con un sano pugno sul suo naso immacolato.

Sorrise.

"Dì...lo sai che piange ancora la notte per te, quella deficiente? Cos'avresti poi di tanto speciale non lo capisco."
"Di speciale ho soltanto il fatto di esserle stato accanto mentre si disperava per il suo fratellone adorato che l'aveva mollata senza troppe cerimonie. Se tua sorella si lega in maniera tanto morbosa e dipendente alla gente dovresti ringraziare soltanto te stesso ed il trauma che le hai causato!"

"Alla gente?? Mia sorella è legata in maniera morbosa solo a te, razza di idiota!"


Mi afferrò per il collo della t - shirt: era appena più basso di me eppure, per un istante, mi parve un gigante tanta era stata la furia con la quale mi si era avventato addosso.

"Che cazzo vuoi, Frank?"


Tentai di scostare le sue mani dalla mia maglia ma i suoi muscoli sembravano di granito. Era irremovibile: per un attimo, mi parve di aver perso tuto il mio talento nell'arte della lotta.


"Edward Cullen...Sei un piccolo, inutile pusillanime. Un pezzo di merda che è capitato alla persona sbagliata. Tu Marla non te la meritavi, coglione! Il problema è che la mia sorellina di te si è innamorata ed ora tu risolverai il casino che hai combinato. Ecco cosa voglio: che ti assuma le tue responsabilità."


Mi spinse via con poca grazia.
Approfittai del momento per liberarmi del basso, pronto a saltargli addosso alla prima occasione buona.

"Ma chi cazzo ti conosce?!" - Urlai quindi in risposta ai suoi vaneggiamenti - "Spunti fuori dopo dieci anni e pretendi di venire a dare ordini a me? Amico, hai sbagliato piazza...Tornatene da dove sei venuto!"
"Ascoltami bene, Cullen..." - Frank tornò a puntarmi il dito in faccia - "E' vero, sono sparito per dieci anni. Ma avevo le mie buone ragioni. A quanto pare, comunque, Marlene si è affidata nelle tue mani, in tutto questo tempo, e tu ne hai tradito la fiducia. Hai sbagliato con lei, hai sbagliato con me: chi si comporta male con un Hoffman è spacciato. Ficcatelo bene nella tua testolina bacata, musicista." - Sputò con astio.


Io sorrisi.

"Ah sì, tesoro? E cosa vorresti farmi, sentiamo? Menarmi? Non sei l'unico che sa picchiare qui, idiota!"


Questa volta toccò a Frank sorridere.


"Picchiare?" - Tornò a sussurrare, improvvisamente - "Pensi davvero che mi sporcherei le mani con una nullità come te? Non scherziamo. Ho in mente un progetto molto, molto più interessante..."


Risi. Amaramente.


"Ah sì? E sentiamo, di cosa si tratterebbe?" - Risposi con poca considerazione.

"Isabella Swan."


Rabbrividii al suono del nome di Bella - la mia Bella - pronunciato da un essere tanto disgustoso quanto evidentemente crudele.


"Che cazzo vuoi da Isabella?!"


Questa volta fui io ad avventarmi su di lui, strattonandogli la camicia buona, scucendola anche in più punti.

"Calmo...stai calmo. Io non voglio proprio niente dal tuo tesoro...Ma potrei volerlo se tu non mi starai a sentire. Quindi apri bene le orecchie e fai poco il figo."

"Non osare neanche pronunciare il suo nome, figlio di..."


Non conclusi la frase.
"Figlio di puttana" non mi sembrava molto garbato da pronunciare in ogni caso. Anche perché conoscevo fin troppo bene la signora Hoffman e con tutto quel che aveva vissuto nella sua vita quello era proprio l'ultimo epiteto da affibbiarle. In ogni caso, mi trattenni soltanto per l'affetto che nutrivo nei suoi confronti, non certo per un gesto gentile nei confronti di Frank.


"Non dirmi mai più cosa posso o non posso fare, Edward. Stammi bene a sentire: hai forse dimenticato con chi hai a che fare? Sono Frank Hoffman e non mi faccio infinocchiare facilmente dal primo coglioncello che mi capita davanti. Non ci metto niente per stenderti, ficcatelo in mente. Ho i mezzi a disposizione per farlo. Perché forse tu non hai ancora ben chiaro il nome della persona per cui lavoro: Royce King."



Royce.
Royce King.


L'ex promesso sposo di Rosalie. Quello che ancora aspettava di vendicarsi su di me ed Emmett dopo che gli avevamo letteralmente sfasciato il setto nasale.


D'un tratto avvampai. Quel nome, quell'uomo: aveva troppi agganci.
Ed io...


"So che Royce ha un conto in sospeso con te e se gli chiedessi aiuto per metterti ko stai pur certo che non me lo negherebbe. Quindi, non fare troppo il buffone con me: posso rovinarti in un attimo. E rovinarti, per me, significa toccarti il tuo bene più prezioso che non è nè il tuo bel faccino nè quella chitarra che ti porti dietro. Il tuo tesoro ha un nome delicato ed abita a Kensington. Al 191 di Queensgate, vero? Suo padre pare sia un pezzo grosso..."
"Adesso basta Frank!" - Urlai esasperato - "Che diamine vuoi?!"

"Lascia Isabella."

La sua risposta. Netta, concisa.
Lapidaria.

M'immobilizzai per qualche istante, troppo sconvolto da tanta audacia, prima di tornare ad urlargli in faccia tutto il mio disprezzo.

"Ma che cazzo ti salta in mente?! E chi cazzo sei per venire a dirmi cosa dovrei o non dovrei fare con la mia ragazza?!"

"Guarda che ti sto facendo un favore..." - Convenne sarcastico - "Perché alla tua ragazza faccio fare una brutta fine se non ti deciderai a dovere. Ti sto semplicemente chiarendo le mie intenzioni e dovresti ringraziarmi per tanta premura, piuttosto."

"Razza di..."
"Sei stato avvisato Cullen" - Poseguì con certezza, senza badarmi - "Voglio vedere mia sorella tornare a sorridere. E lo pretendo nel minor tempo possibile."

"Bastardo! Io..."



"Edward?"

La voce di Jasper sopraggiunse severa ed inaspettata prima che riuscissi ad avventarmi al collo di Frank. Ero seriamente intenzionato a strangolarlo benché avessi mente e movimenti notevolmente annebbiati: il sangue mi si era ghiacciato nelle vene nel momento esatto in cui quel farabutto aveva pronunciato il nome di Isabella. Sapere adesso che lavorasse per Royce King rendeva quella minaccia una certezze poiché King era potente ed aveva soldi a sufficienza per sforare nel crimine senza finire mai dietro le sbarre.
E con me aveva un conto ancora in sospeso: ero certo che non vedesse l'ora di farmela pagare.



"Va tutto bene amico? Lui chi è?"


Frank si voltò a guardarlo, rispondendogli prima di me.


"Va tutto alla grande, grazie. Sono solo un vostro fan. Vi ho visti allo Xoyo, volevo farvi i miei complimenti personalmente..."
"Non mi sembra che Edward sia particolarmente felice di vederti." - Commentò Jasper con ragionevole acidità.

"Certo che lo è. Edward, vuoi dirglielo tu? E' tutto okay tra noi....Non è così, amico?"



Non è vero?


Ed allora accadde.
Non so perché risposi in quel modo. Non so perché gli consentii di piegarmi al suo volere. Ma l'insistenza con la quale si rivolgeva a me aveva quasi un altro significato.
Come se avesse voluto dirmi: prova a parlarne con qualcuno ed Isabella farà una brutta fine questa sera stessa.


Sapeva il suo esatto nome e cognome. Conosceva suo padre, perfino l'indirizzo di casa sua.
Ed aveva amici potenti alle spalle.
Avrebbe potuto davvero farle del male?
Avrei potuto io accelerare un qualsiasi gesto inconsulto ai danni di Bella accennando a Jasper circa la vera identità del mio interlocutore?

Non lo sapevo.
Così, per la prima volta in vita mia, finii con l'agire da codardo.
Per buona pace della mia Isabella che se la dormiva beatamente nel suo letto dalla trapunta rosa, ignara dei casini in cui la stavo cacciando, mio malgrado, ovviamente.
Ma pur sempre da codardo.

E mentii, mentre rispondevo a Jasper.
Mentre mettevo al sicuro Frank dalla furia del mio amico quando, viceversa, avremmo dovuto menarlo in due.


"Sì, è così. Un...amico. Ci siamo conosciuti allo Xoyo. Va' a casa Jazz, Alice ti aspetta. E' tutto a posto. Davvero."


Jasper mi guardò sorpreso.
Evidentemente non riuscì a credere ad una sola di quelle parole benché le avessi pronunciate con voce ferma. Quasi certa.
Frank, dal canto suo, sorrise prima di far dietro front e sparire.

La sua voce risuonò chiara nel buio di Brixton:


"Ricordati quello che ti ho detto. Sei bravo ma potrebbe andar davvero male se non farai come ti ho consigliato. Il basso potrebbe fare una brutta fine se non ne hai cura, è ovvio. Ricordatelo Edward. Ricordalo." - Ripetè più volte ancora, parlando in codice.

Ovviamente Jasper non avrebbe mai potuto intendere che quel "basso" fosse Isabella.

Ancora ridacchiò Frank e poi sparì sotto un lampione guasto, liddove la strada non veniva rischiata da alcune luce.


Ed allora compresi e, per la rabbia, conficcai le unghie nel palmo della mano stretta in un pugno violento e doloroso: gliel'avevo data vinta.



Maledetto Frank!
E maledetto me.

















Frank. Il fratello di Marla. Ragazze,salve a tutte!
Bentornate al nostro periodico aggiornamento di MUB...Come avrete notato, le nuvole fosche sono arrivate portando la prima pioggerellina.
Una pioggerellina di nome Frank...che tipo simpatico, vero? Lui molla la sorella e poi pretende che Edward se ne accolli ogni responsabilità. Ovviamente il suo atteggiamento è dettato dall'arroganza, dalla superbia e dall'idea che un tale comportamento nei confronti di Edward possa riscattare le sue mancanze agli occhi di Marla.
In definitiva, è proprio un farabutto.
Voi che ne pensate, invece?
Ed Edward? Ha fatto bene a non reagire alla fine o avrebbe dovuto mostrare più coraggio?
A sua discolpa posso dirvi che è ovviamente spaventato per Isabella, soprattutto dopo aver appreso di Royce King e...sì, lo so, sto parlando di Edward come se esistesse realmente. E' drammatica.
In ogni caso, quel che è accaduto adesso non è assolutamente niente. Il temporale è vicino ma non ancora presente...Continuo a ribadire che presto o tardi mi odierete! xD
Che poi, a dirla tutta...Non è che MUB vi sta annoiando per davvero? Ultimamente le recensioni sono un po' calate...E non sono qui per fare ramanzine di alcun genere, vi prego, non fraintendetemi! Vorrei soltanto capire se la storia non vi piace più come prima...L'idea che possa arrivare il periodo buio vi inquieta?
Beh, non posso dirvi come finirà ma vi prego di affidarvi comunque a me...e non vi deluderò, statene pur certe ;)
Scherzi a parte, sono aperta a qualsiasi critica quindi...se qualcosa non vi quadra non esitate a domandare! :)

Ora...Volevo annunciarvi ufficialmente la nascita di mia una storiella nuova nella sezione originali! Si intitola Blue ed è un tributo...letteralmente. In molte, tra voi, conosceranno la passione immensa che ho per una band italiana in particolare (i Verdena^^). Beh, Blue è il racconto delle vite dei componenti in chiave romanzata, ovviamente. Una storia di musica, amore, complicazioni familiari, crescita...dal liceo fino al successo vero e proprio (a proposito: grazie Opunzia!)
Se siete curiose passate, mi farebbe piacere! :)

Credo di avervi detto tutto...In realtà no, mi sto dimenticando un sacco di cose ma non fa nulla! -.-
Adesso vi lascio, ringraziandovi come sempre!
Appena posso rispondo a tutte le recensioni...sono ritardataria ma sapete che ci arrivo sempre!
Un bacio enorme
Matisse


PS: non ho assolutamente idea di come si possa sviluppare il rapporto di lavoro tra una band ed un'etichetta discografica. Soprattutto negli anni '70. Ho inventato di sana pianta, perdonatemi! Ma non ho mentito sulla questione maggiore età: nel '78, a Londra, si diventava già maggiorenni a 18 anni! Grazie alle ragazze che, nel meraviglioso gruppo Tutte per una di Lela Sognatrice, mi hanno aiutata a risolvere l'enigma! :D
Un bacio ancora...Matisse!

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Capitolo 23
*** Cap. 23 ***


Salve a tutte voi, ragazze. Non vi nascondo che ritornare a scrivere qui, in questo fandom, tornare ad aggiornare MUB dopo così tanti mesi mi provoca un certo imbarazzo. Anzitutto, perché so di avervi deluse tutte molto e per questo, la prima cosa che mi sento di scrivervi è un immenso SCUSATEMI. Comunque, non voglio scocciarvi oltre e tutte le spiegazioni, al dettaglio, le troverete in basso, alla fine del capitolo. Per il resto, mi sembra quasi di trovarmi in un posto sconosciuto, visto che ormai non frequento più il fandom da tempo. È davvero strano!

Vi faccio soltanto un breve sunto, prima di leggere il capitolo, tanto per rinfrescarvi la memoria e farvi capire a che punto siamo: Edward e i White Riot sono stati ingaggiati dalla Noyse Records come musicisti a tempo pieno. Bella e Edward non si vedono più come un tempo ed entrambi risentono di questa cosa. Edward, nel frattempo, subisce le minacce di Frank – fratello di Marla, ex ragazza di Edward – affinché lasci Isabella e ritorni subito con la sorella, che soffre molto per la fine della loro storia d’amore.
Ci sentiamo giù, buona lettura :)
 
 













 

My Ugly Boy

 




By Agnes Dayle Efp
 

 






POV EDWARD





“Con chi mi stai tradendo?”
“Uh?”

Ero talmente sovrappensiero che la tazza di tè che tenevo tra le mani per poco non mi si rovesciò addosso, quando Bella parlò al mio indirizzo.
Mi guardò stralunata per qualche istante e poi ridacchiò.

“Beccato!” cinguettò, puntandomi l’indice contro.
“Che stai dicendo?!”
“Sto dicendo che ti ho scoperto: mi stavi tradendo col pensiero! Altrimenti non si spiega com’è che sei così assente. Lei chi è? E’ più bella di me?”

Aveva un’espressione così convinta e buffa allo stesso tempo che non riuscii a trattenermi dal ridere.

“Ti stavo tradendo con Brigitte Bardot, in effetti.”
“Ne ero certa. È più bella di me comunque, sì…”

Afferrai il tovagliolino di stoffa dal tavolo e glielo lanciai addosso ridendo; non si trattava proprio di un gesto da cavaliere, soprattutto considerando l’ambiente in cui ci trovavamo – una graziosa e fin troppo raffinata sala tè verso Westminster che Bella amava molto – ma tra di noi certe forme di affettazione non esistevano e Isabella rise con me dello scherzo. Era anche per questo che l’amavo: non aveva nulla delle ragazze piccate e fastidiosamente educate della sua scuola e del suo ceto sociale; non si scandalizzava per poco, sapeva ridere e far ridere.
E non mi rimproverava se mi mettevo a far casino in un posto elegante sul Tamigi come quello.
Era adorabile.

“Ma smettila! Nessuna è più bella di te” le risposi allora.
“Neanche la Bardot?”
“Neanche lei. E poi è troppo vecchia per me.”
“Oh beh, non sono così sicura che ti dispiacerebbe una donna più adulta. Lo chiamano fascino della maturità, voi ragazzini ne sembrate particolarmente attratti” puntualizzò infine socchiudendo gli occhi e annuendo con aria convinta.


Se soltanto sapessi, Bella, cosa mi preoccupa.
Se soltanto…



Deglutii a fatica.

 

“Lascia Isabella”

Udii di nuovo –  e senza alcun preavviso –  le parole di Frank, mentre la sua faccia schifosa mi tornava davanti rapidamente, con quel suo naso grosso e la bocca piegata in una smorfia insopportabile e irritante.

“Lascia Isabella o farà una brutta fine”

Focalizzai quell’ immagine ripugnante, riascoltai tutte le minacce che mi aveva fatto. Allo stesso modo, il nome del suo degno compare Royce King ritornò alle mie orecchie e al mio cervello, ossessionandomi come aveva fatto in tutta quella lunga settimana che era seguita al mio incontro con Frank. Li sognavo perfino di notte quei due, nelle poche ore di sonno che mi concedevo tra la musica, la mia famiglia e Isabella; li sentivo ridere, durante quegli incubi. Li vedevo afferrare la mia Bella per il polso e i fianchi rotondi, spingerla lontano mentre urlava il mio nome per essere salvata da chissà quali oscenità, allo stesso modo in cui gridava Rosalie quando io ed Emmett l’avevamo aiutata a liberarsi delle schifose attenzioni del suo ex fidanzato, una sera di qualche tempo prima a Camden.
Ma, nell’incubo, io non ci riuscivo a salvare il mio dolcissimo amore; annaspavo piuttosto, urlavo e prendevo a pugni l’aria, ma le gambe erano di piombo e non riuscivo a muovere un solo passo in più mentre il bel viso di Isabella, contratto per il terrore e la sofferenza, svaniva nella nebbia assieme a quello dei miei nemici. Continuavo a urlare e lei continuava a svanire mentre Frank rideva, Royce rideva e altre risate anonime, sguaiate e terrificanti mi raggiungevano per deridermi e mostrarmi che era una nullità, in realtà, poiché non sapevo come  proteggere la mia fidanzata.

Forse, era quella la verità: non valevo niente.
Sì, esatto, ero un buono a nulla. Chiunque altro, al posto mio, avrebbe risolto facilmente e in tutta fretta quella spiacevole situazione, mentre io… mi ero comportato come una pappamolla.
Come avevo potuto non fracassare di botte il bel faccino di Frank, quando ne avevo avuto l’occasione?
Come avevo potuto concedergli il lusso di minacciarmi e di pronunciare il nome immacolato della mia Isabella?
Come? In che modo ero stato così codardo?

Mi ero fatto guidare dalla paura, era quella la verità. Temevo che le avrebbe fatto del male – dopotutto King era il suo “capo”, aveva una squadra addestrata al suo servizio e non vedeva l’ora di farmi pagare i nostri conti in sospeso: Frank gli avrebbe offerto una buona occasione per vendicarsi – cosicché, in virtù quella paura, non mi ero ribellato.

La necessità di difendere Isabella era venuta prima di tutto, ma, a conti fatti, l’avevo difesa per davvero?
In realtà, sino a quel momento, non era accaduto nulla di grave di cui potessi lamentarmi. Non avevo ceduto alle minacce del mio nemico e non avevo quindi lasciato Isabella, come mi era stato così follemente “richiesto”, né ero tornato piangendo da Marla, supplicandola di accogliermi di nuovo tra le sue braccia. Di certo Frank era consapevole di tutto questo – se davvero era così bravo a spiarci conosceva ogni mossa mia e di Isabella – ma non mi aveva ancora punito in alcun modo.
Per fortuna.
Dunque, perché avevo così paura?
Forse Frank non avrebbe attuato i suoi piani, no?
Non lo sapevo, ma avevo un cattivo presentimento. O forse, ero semplicemente pessimista di natura. E facilmente impressionabile: per esempio, Isabella, il lunedì precedente, si era scottata col tè bollente e quando avevo visto le sue dita arrossate per poco non m’era preso un colpo, convinto che chissà quale malintenzionato l’avesse ferita. L’avevo torturata per un’ora intera, pregandola di dirmi la verità, di non nascondermi nulla nel caso qualcuno avesse cercato di importunarla o farle del male. Mi ero persuaso che si fosse trattato di un incidente domestico soltanto quando, fissandomi sbigottita per un minuto buono, mi aveva detto “stai impazzendo, sei esaurito. La musica ti sta facendo male, sul serio.”

Aveva ragione, ero stressato. Non di certo a causa della musica, comunque.
In ogni caso, la situazione stava procedendo bene, ma per quanto ancora la fortuna mi avrebbe assistito? No, non pensavo che le minacce di Frank fossero semplici parole nel vento: se conoscevo anche solo vagamente il tipo, aveva in mente qualcosa per punirmi di certo.
Cos’avrei dovuto fare? Parlarne con Jasper? Provocare una rissa senza precedenti, buttando al cesso anche il buon nome dei White Riot, proprio adesso che cominciava a decollare?
Già m’immaginavo la faccia sprezzante di Oliver mentre mi guardava disgustato, perché soltanto uno come me avrebbe potuto trascinare Bella in una situazione come quella!

Non avrebbe avuto tutti i torti.

Quanto tempo ancora mi restava, dunque, per trovare una soluzione plausibile a quell’impiccio?
Mi sembrava di essere in guerra.
Forse, lo ero per davvero.

 

Sospirai, stringendo di più la tazza tra le mani.


“…E poi Beth ha pianto perché la maestra non le ha assegnato il ruolo di principessa nella recita scolastica. Mamma si è indignata molto, dice che era una parte assolutamente tagliata per lei. Io mi son messa a ridere e poi, di nascosto, ho cercato di far ragionare mia sorella: non può assumere le stesse manie di protagonismo di Renèe! Edward, ma mi ascolti?”
“Cosa? Ah, certo, sì… Beth… Che dicevi, scusa?”

Bella si rabbuiò.

“Che ha deciso di frequentare un collegio in Svizzera e Renèe è d’accordo.”
“Che cosa?!” sobbalzai, quasi rovesciando la sedia. Bella mi guardò sconcertata, prima di tornare a bere il suo tè.

“Rilassati, stavo scherzando” mi ammonì con un gesto della mano. Mi guardai attorno imbarazzato, prima di tornare ad accomodarmi: troppi avventori della caffetteria mi stavano squadrando con disappunto.
“Perché mi dici scemenze? Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Perché volevo la prova che non stessi ascoltando un accidenti di quel che avevo da dirti! E l’ho avuta, ovviamente…” concluse piuttosto offesa.
“Oh Bella, dai…”

Le allungai una mano: la ritrasse scocciata.
La mia bambina capricciosa!

“Dai cosa?” rispose seccata “Non ci vediamo quasi più, quando ci riusciamo è sempre tutto calcolato perché tu hai fretta… E ora non vuoi neppure più ascoltarmi quando ti parlo! Dì un po’, perché siamo fidanzati a questo punto?”
 
Ero sbigottito. Che andava dicendo?
E, soprattutto, cos’aveva capito?

“Bella, tu credi…?”
“Lo so che anche adesso la tua testa è in sala prove o su un palco, però almeno fingi di essere contento quando sei con me! Se adesso è così, e siamo ancora agli inizi, che faremo quando diventerai una star?”

Spalancai la bocca e per un po’ non pronunciai parola, troppo impegnato com’ero contemplare il bel visetto imbronciato della mia signorina perbene.

Credeva che mi annoiasse trascorrere il mio tempo con lei… Che sciocchezza bella e buona!
Con un colpetto di tosse, allora, mi schiarii la voce, tentando di mantenere una faccia seria: se fossi scoppiato a ridere in quel momento, qualunque fosse stato il motivo, Bella mi avrebbe picchiato con la borsetta prima di piantarmi definitivamente in asso. Quando mi sentii abbastanza sicuro, tornai a guardarla e aprii la bocca per parlare: Bella mi stava squadrando con cipiglio severo.

“Vieni qui” le ordinai.

Scosse la testa, offesa.

“Vieni, ti ho detto.”

Mi ubbidì riluttante.

“Che devo fare?”
“Siediti qui.”
“Qui dove?”
“Dove ti vuoi sedere? Sulle mie ginocchia, no?”

Le sue belle labbra disegnarono una “O” perfetta.
Si sporse poco in avanti, verso di me. Francamente, faticai nel non formulare pensieri impuri sulla sua scollatura, in quel momento.

“Edward” sussurrò, sconcertata “ma ti pare che possa sedermi sulle tue ginocchia in questo posto? Scandalizzeremo l’intero locale!”

Questa volta risi apertamente: per un attimo, uno soltanto, avevo dimenticato chi fosse Frank. E, meglio ancora, chi fosse Royce King.

“Sicura che non puoi? Guarda che io sono una rockstar e ho proprio voglia di dare un po’ di scandalo!” esclamai ridendo.
L’attirai verso di me cingendole i fianchi, costringendola ad accomodarsi sulle mie gambe. Nel locale, nello stesso istante, calò il silenzio. Poco dopo, si levò un brusio sostenuto dal tavolo in fondo alla sala, lì dove una combriccola di vecchiette stava sorseggiando con lentezza esasperante il proprio tè.
“Sei impazzito?” domandò a denti stretti; ovviamente, la domanda era retorica.
“Lo sono. Di te!” risposi col sorriso, addentando un biscotto al burro e dandole un bacio subito dopo. Si spazientì e le guance le si colorarono di rosso mentre la gente continuava a guardarci, scuotendo il capo con disapprovazione. Tuttavia, non si mosse dalle mie ginocchia e dieci minuti dopo si era rilassata completamente; mangiò i biscotti con gusto, assieme a me.

“Bella?”
“Mh?” rispose con la bocca ancora piena.
“Vorrei che ti fosse chiara una cosa.”
“Cosa?”

Chiamai a raccolta tutte le mie forze per aprir bocca: dopo quei pochi attimi di pace, lo spettro di Frank tornava all’attacco e parlare in quel momento equivaleva quasi a renderlo carne e ossa davanti a noi.

“Che non c’è niente, e sottintendo niente, che valga quanto te per me, sulla faccia della Terra. Quindi, non voglio più sentire parlare, neanche per scherzo, di lasciarci o scemenze di questo genere. Non ho la testa altrove” mentii “sono solo un po’ stanco, tutto qui. Faccio di tutto per ritagliarmi del tempo con te e d’accordo, lo so che i ritagli di tempo sembrano una cosa bruttissima, ma ti assicuro che per me sono preziosi, invece, proprio perché li passiamo insieme. Ti chiedo scusa e spero mi perdonerai. Ora, se ti va, puoi parlarmi e raccontarmi tutto quel che vuoi: ti assicuro un ascolto attento e interessato. Ma non rifilarmi mai più storie del genere su Beth, Bella, a meno che tu non voglia vedermi morto!”
 
Rise.
Isabella rise mentre ancora le briciole le sporcavano le labbra belle e rosse. Il cuore mi si strinse in una morsa e pure lo stomaco.
Avrebbe dovuto ridere sempre così.


“D’accordo, scusami. Sono solo una ragazzina permalosa, lo sai.”
“No, sei una ragazzina innamorata.”
“Ah sì? E di chi?” domandò maliziosa.
“Di me, ovviamente.”
“Quante arie, signor Cullen! Io neppure la conosco!”

Rise ancora. Mi abbracciò.
Il cameriere, dal fondo della sala, ci guardò male. Ancora un poco e sarebbe venuto a rimproverarci apertamente.
La pendola di fronte a noi batté le cinque: avevo ancora solo mezz’ora del mio prezioso tempo a disposizione da passare con la mia Bella.
Perché non potevo avere, viceversa, l’intera giornata?

Fare il musicista era stato il sogno di una vita, e adesso che era quasi realtà mi veniva voglia di mandare tutto all’aria, a volte. Dar vita alle proprie fantasie era molto meno piacevole di quanto ci si aspettasse, in effetti, soprattutto quando quelle fantasie ostacolavano le tue giornate perfette assieme all’unica persona di cui non ti saresti stancato mai.

E poi, cos’avrebbe fatto Isabella da sola, a casa, una volta che le avessi detto arrivederci?
E se qualcuno l’avesse importunata sulla strada del ritorno?
Adesso che era in pericolo, il mio compito era tenerla al riparo dai guai. Maledetto Frank!
C’era di nuovo lui nei miei pensieri e questa cosa cominciava ad irritarmi.
Avrei dovuto parlarne con Marla, sgridarla, rimettere in riga lei e quello psicopatico di suo fratello. Ecco cos’avrei dovuto fare.

“Bells?” la chiamai, allora.
“Sì?”
“Ti accompagno io a casa… Vuoi?”
“Non hai da tornare alla Noyse Records?”
“Ho da tornare prima da te, soltanto da te, sempre da te. Mi dispiace, davvero…”

Mi dispiace averti messo nei miei casini.

Le strofinai le labbra sul collo, chiusi le palpebre. Bella ridacchiò.

“Edward, che ti prende? Sembra che tu stia per andare in guerra!”

Non ci sto andando?

“E comunque” continuò “Ci stanno guardando tutti.”
“Ah sì? Salutameli questi tutti, allora”
“Edward?”
“Mh?”

Le lasciai un bacio sulla pelle bianca, socchiusi un occhio solo.

“Qualcosa non va?”

Sì. Frank. Royce. Me stesso.

“Sì. Il fatto che tu ti senta trascurata” mentii “ Non esiste, non va bene. Io ti amo”
“Ti amo anche io”
“Scusami, perdonami…”
“Edward, è tutto okay…”
“Ti proteggo io, giuro.”
“Ma da cosa?”
La sua voce aveva assunto un tono stridulo. Le stavo inequivocabilmente mettendo ansia.

Da cosa?
Che domanda è? Ti proteggo da Frank, è ovvio. Da Royce. E da me stesso.


“Dalla musica. Vieni sempre prima tu.”

Chiusi di nuovo gli occhi, poggiai la testa nell’incavo del suo collo. Isabella di nuovo ridacchiò, mi cinse le spalle con le proprie braccia e lasciò un bacio morbido sulla mia chioma arruffata. Si era dimenticata di nuovo degli altri. Presto ci avrebbero cacciati e denunciati per atti osceni in luogo pubblico, ne ero certo. Beh, almeno sarei andato in carcere assieme a lei, no?

“Ti perdono Mister Cullen.”
“Grazie. Ah, Bella?”
“Sì?”
“Beth non andrà in un collegio in Svizzera, vero?”
“Certo che no, credulone!” rise. Qualcun altro, in sala, tossicchiò irritato.

Forse il cameriere di prima? Ci guardava da un pezzo quello spilungone, che fastidio!

“E… Bella?” ripresi poco dopo.
“Sì?”
“Credi davvero che diventerò una rockstar famosa?”
 
Chissà perché le avevo fatto quella domanda. Lei comunque, per un po’ non rispose. Poi spezzettò un altro biscotto, ne diede una parte a me e la più piccola la tenne per sé e la mangiò con gusto prima di confidarmi:

“Sì, lo penso davvero.”

Sorrisi, grato e innamorato. Tutti gli uomini insicuri come me avrebbero dovuto avere diritto alla loro Isabella, per rinfrancare il proprio spirito e la propria autostima.

“Grazie” fu tutto ciò che riuscii a dirle, prima di baciarla. In realtà, avrei voluto dirle molto di più.


Grazie Isabella perché credi in me. Perché credi che diventerò una rockstar, che vincerò contro tua madre, che sarò il fidanzato perfetto. Se tu lo credi, posso crederlo anche io. E posso avere così tanta fiducia in me stesso da pensare e sperare che presto neanche Frank sarà più un problema per noi due.
 
 
 




 






POV ISABELLA
 







“E poi, oggi, l’Unione Sovietica ha dichiarato guerra agli Stati Uniti…”
“Ah sì? E come mai?”
 
Continuai a camminare indifferente lungo la Oxford Street, lasciandomi alle spalle il Centre Point1 mentre sistemavo libri e scartoffie in borsa; Angela, tuttavia, non era del mio stesso avviso. Si piantò in strada – e nel farlo si scontrò con qualche passante – prima di tirarmi per la manica della camicia.

“Oh, ma hai sentito che ti ho detto?!”
“Certo.”
“Certo, eh?”

Piazzò le mani sui fianchi. Alzò un sopracciglio mentre mi parlava, con aria dubbiosa.
“Angie, che c’è?”
“Isabella, ti ho appena detto che l’Unione Sovietica ha invaso l’America…”
“Oh…” avvampai, improvvisamente consapevole “Davvero?!”

“Dio, no Bella, sveglia!” si spazientì la mia amica, alzando gli occhi al cielo in un gesto esasperato. “Ma stai bene, sì?”
“Scusa, ma se non è vero perché me l’hai detto?”
“Sei troppo ingenua, scema, persa o cos’altro? Ho capito, da quando hai scoperto il sesso non riesci a pensare ad altro. Vero?”
“Ma che dici!” toccò a me, stavolta, alzare gli occhi al cielo. “Che c’entra adesso il sesso?”
“E allora perché non mi ascolti neanche? Ti ho detto apposta la prima stronzata che m’è passata per la testa per metterti alla prova e avevo ragione: non mi stavi neanche ascoltando!”

Riprese a camminare, l’aria offesa. Mi ritornò in mente la medesima scena, qualche giorno prima; i protagonisti, tuttavia, erano diversi: era Edward quello distratto, io la permalosa che lo rimproverava in una costosa sala da tè di Westminster.
Incredibile come le cose si ripetano senza che ce ne rendiamo conto.


“Angela, Angela, Angela! Aspetta! Ti prometto che ascolterò un intero disco di Bowie se ti fermi!”

La mia amica, che proseguiva spedita verso una destinazione a me ignota – le braccia dritte lungo i fianchi e le mani chiuse in pugni poco signorili – rallentò la sua andatura. Bowie era una specie di passe-partout, con lei.

“Devo valutare l’opportunità di perdonare questi tuoi atti di maleducazione” borbottò scocciata. Però mi porse il braccio per accompagnarla e a me venne da ridere.

“Dai, ti chiedo scusa! Ero solo sovrappensiero. Poi non c’ho creduto mica veramente! Se fosse stato vero, a quest’ora starei urlando per tutta Oxford Street… Dio, i sovietici nella mia madrepatria!” sbuffai facendomi aria con la mano.
“Va bene, allora sii sincera con me e ti perdono”
“Sincera in che senso?”
“Dimmi cosa ti turba, Isabella! Anzi, lascia indovinare me” commentò finalmente rilassata “sei scocciata perché Edward non c’è mai.”

Dapprima la guardai, silenziosa. Poi, annuii, incerta.

“Sì, un po’ sì. Non fraintendermi, sono davvero felice che il suo sogno si stia realizzando. È così orgoglioso di se stesso e lo sono anche io!”
“E’ una cosa molto bella, in effetti. Però…?”
“Però non lo vedo quasi più.”
“Lo so, hai visto no? Succede anche con Oliver. L’altra mattina ho sentito dire dalla Winson che se continua così chiamerà i suoi genitori. Che, detto per inciso, credo non sappiano ancora nulla di tutta questa storia.”
“Davvero?”

Ero sbalordita. Da una vita, ormai, non parlavo più con Oliver; si era ridotto in maniera esponenziale il tempo libero da passare col mio fidanzato, figuriamoci quello che potevo trascorrere con un semplice amico! Inoltre, da quando Edward faceva parte della mia vita, era innegabile che lo stesso Oliver avesse deciso di sparire, mimetizzarsi tra i volti anonimi di tutte le persone che incontravo sul mio cammino nell’arco della giornata. Non mi voleva più come amica, se non poteva avermi come ragazza? Non lo sapevo, ma di certo non potevo fingere per sempre che non provasse una qualche forma di sentimento – o risentimento? – nei miei confronti, altrimenti non avrei potuto spiegare diversamente quel suo strano modo di fare. Non capivo ancora se fosse un bene o un male, ma in certe occasioni Oliver mi mancava: lo conoscevo da ragazzino, gli volevo bene, per quanto indisponente potesse risultare a volte. Avrei preferito che le cose fossero andate in maniera differente tra noi.

“Già. Non vedi com’è conciato da sbattere? Arriva tardi, va via presto e ed è sempre di fretta, nelle ormai rare occasioni in cui riesce a venire a scuola. Non dorme la notte per fare tutti i compiti, ha delle occhiaie spaventose. Non so chi gli dia la forza per resistere: io, al posto suo, avrei mollato già da un pezzo.”
“Mollare la carriera musicale?” domandai sbalordita “Avresti tutto questo coraggio, se fossi al posto di Ol?!”
“Ma quale carriera musicale!” rispose Angie ridendo “Lascerei la scuola, piuttosto! Mi sembra ovvio! Tra l’altro, a cosa gli servirà il diploma una volta diventato ricco e famoso?” alzò le spalle, in una gesto estremamente naturale.
Certo, era un’evidenza innegabile: come avevo fatto a non capire che Angela si stava riferendo alla scuola? Non avrei neppure dovuto pensarci su due minuti.
“Oddio, ma ci pensi Bella?” riprese dopo pochi istanti la mia amica, esaltata “Quando i White Riot sfonderanno noi potremo vantarci in giro di conoscerli bene! Anzi, tu potrai addirittura dire di essere la ragazza del cantante! Ti invidieranno tutte, soprattutto quella stronzetta di Jessica che rompe sempre le scatole e pare che ha il mondo ai suoi piedi… E’ proprio vero che ride bene chi ride ultimo, lo diceva sempre la mia nonna!”

Angela costruiva castelli in aria con una velocità spaventosa; prese a sgambettare per tutta Oxford Street e batté le mani più volte, sotto lo sguardo sconcertato di alcune passanti, presa com’era dal suo momentaneo delirio di onnipotenza: a vederla, appariva davvero comica.
Per un attimo, guardandola, dimenticai i miei pensieri, l’assenza di Edward, il trascinarsi lento delle mie giornate, certe preoccupazioni che mi portavo dietro e risi di cuore. Ecco perché volevo bene ad Angela: soltanto lei aveva un simile potere su di me.

“Vedi che ti faccio sempre divertire?” commentò di lì a poco, come se mi avesse letto nel pensiero “Su, coraggio, togliti quell’espressione triste dal tuo bel faccino! Edward tornerà presto e potrai sbatt…”
“Angela!” gridai inorridita.

Alzò le mani.

“Okay, okay, come non detto!” ridacchiò “La smetto di fare la ragazzaccia maleducata… Tu però non me la conti ancora giusta. Sii sincera, non è solo perché tu ed Edward non state più insieme come un tempo, vero? Qualcosa ti preoccupa ancora. C’entra Marla?”

Alzai le spalle. Angela mi offrì di nuovo il braccio.

“No, Marla non c’entra, o almeno lo spero. E sono preoccupata perché vedo Edward preoccupato. Non lo so, non è solo questione di essere semplicemente distratto dal lavoro… L’altro giorno aveva una strana espressione, non mi ascoltava neppure quando parlavo…”
“Come hai fatto prima tu con me.”

Le lanciai un’occhiata irritata.

“Ho paura che qualcosa lo stia turbando e non voglia dirmelo soltanto per farmi stare tranquilla, per non farmi spaventare.”

Angela scoppiò in una grossa risata.

“Oddio, che film hai visto ultimamente, Bella? Sei facilmente impressionabile! Andiamo, sarà soltanto stanco o preso dalle prove e tutto il resto. Non c’è niente di tragico dietro e non ti nasconde nulla, rilassati!”
“Pensi che non conosca il mio fidanzato e non sappia riconoscere quando qualcosa non va?” replicai, un po’ offesa.
“No, non è questo. Sono sicura che tu conosca Edward meglio di chiunque altro, anche di sua madre” percepii una vaga nota di scherzo nelle sue parole, ma lasciai correre “Tuttavia a volte ci si può sbagliare. Si possono interpretare le cose nel modo errato, quando si è particolarmente fragili e sensibili. E tu lo sei, in questo momento in cui Ed è momentaneamente lontano. O mi sbaglio?”

“Mmmh, non lo so, può darsi.”
Ero titubante. Angie mi rispose con una risata: la invidiai per quel suo saper sempre essere così spensierata.

“Visto? Sei d’accordo con me.”
“D’accordo…Mh.”
“Lo ammetti? A volte fai troppi film. Hai preso da tua madre.”
“Angie!”
“E dai!”
“Okay, okay, mi sto preoccupando per nulla” acconsentii alla fine, sorridendo.
“Oh bene!” rispose la mia amica con un certo grado di soddisfazione “E adesso che ti ho tirato di bocca la verità, mi accompagnerai finalmente in quel negozio di vestiti da cerimonia? Oppure vuoi farmi andare in divisa scolastica al matrimonio di mia cugina Frances?”

Ridacchiai anche e tirai un grosso respiro.
Alla fine dei conti, chiacchierare con Angie mi metteva sempre di buon umore, anche se quel giorno aveva dovuto tirarmele di bocca a forza le parole. Forse, mi preoccupavo davvero per nulla: okay, Edward mi era parso sovrappensiero, lontano, quasi confuso. Aveva anche biascicato frasi strane, ma con questo?
Poteva anche essere semplicemente stanco, no? Magari aveva paura per il futuro, poteva temere che le cose col gruppo non sarebbero andate come lui e tutti gli altri alla Noyse Records pensavano e speravano.
Forse temeva di deludere sua madre – la silenziosa e buonissima Esme – o la sorellina terribile che aveva, quel diavoletto che di nome faceva Alice e che, ormai, anche io amavo alla follia.
Riponevano così tante speranze in lui, dopo la morte di Carlisle!
Certo, era solo questo il problema.

Alla fine sorrisi, finalmente tranquilla. Avevo proprio bisogno di parlare con Angela: mi permetteva di vedere tutto con più chiarezza e lucidità.

“Hai proprio ragione, che scema che sono! Mi faccio troppi problemi. È tutto okay, Edward sarà solo stanco. Appena passerà questo periodo di rodaggio, tornerà quello di sempre.”

Angela sorrise.

“Vedo che cominciamo a ragionare!”

Annuii, strizzandole l’occhio.

“Esatto! E adesso, che ne dici di andare? Sono proprio curiosa di vedere questo negozio di vestiti di cui mi hai parlato tanto!”
“Oh, devi proprio vederlo! Degli abiti carinissimi a prezzi stracciati!”
“Dovremo portarci Alice” meditai.

“Sì, dovremo” rispose a stento: tollerava ancora molto poco la sorella del mio ragazzo. Io la chiamavo “gelosia”, lei “scarsa simpatia” e io la lasciavo fare. Mi faceva tenerezza.
“Su, adesso sbrighiamoci” riprese di lì a poco “Altrimenti si farà troppo tardi e poi ti lamenterai di dover tornare a casa prima delle terribile Renèe Watson!”

Le tirai fuori la lingua, per scherzo, e lei rise prima di avviarsi lungo la strada trascinandomi per la manica del golfino.






Quando tornai a casa, quel pomeriggio, ero certa di trovarla ancora vuota; mamma era a Brighton, a trovare zia Esther – una vecchia sorella della nonna – assieme a quella povera vittima di Beth. Non che non volesse bene a zia Esther la mia bambina, per carità, solo che la tenera vecchietta amava molto poco la luce, il divertimento, la vita; passava tutta la giornata chiusa in un unico salotto della sua grande casa a parlare del marito morto ormai da venticinque anni, e pregare per lui, costringendo i visitatori a fare altrettanto. Mamma, di tanto in tanto, doveva comunque compiere il suo dovere da brava nipote, ma per Beth era una specie di condanna a morte quella, così come lo era stata per me anni prima, quando non avevo la scusa della scuola e dei compiti a salvarmi da un tale strazio.
Conoscendo il tenore di quelle visite, mia madre e mia sorella non sarebbero rincasate prima delle otto e mezza.

Charlie, viceversa, non doveva ancora essere tornato dal lavoro; quella mattina, infatti, mi aveva lasciato un biglietto attaccato al frigo, in cui specificava che avrebbe fatto tardi perché, con ogni probabilità, sarebbe stato trattenuto a cena fuori con alcuni colleghi.

Sospirai, salendo i gradini dell’ingresso: se almeno Edward avesse avuto un po’ di tempo da trascorrere con me quella sera, avremmo potuto approfittarne. Non era di certo un avvenimento frequente quello di avere casa Swan libera!
Ma, ovviamente, la fortuna mi remava contro: Edward non aveva più tempo per nulla, ormai e avrei trascorso quelle ore di libertà che mi restavano in solitudine, piuttosto che tra le braccia del mio fidanzato.

Chissà dove sei adesso, Edward…

Sospirai di nuovo e di lì a poco il sospiro si tramutò in uno sbuffo. E poi, lo sbuffo divenne un’esclamazione di stupore, quando mi resi conto che la chiave che avevo inserito nella toppa girava a vuoto: la porta d’ingresso era già aperta.

Dunque non ero sola!

Qualcuno, quindi, era entrato in casa e si era dimenticato di richiudere la porta?
Qualcuno chi?
Mamma? No, certo che no! Quello di lasciare aperta la porta d’ingresso non era un errore da Miss Renèe Swan di certo!

“Oh papà, sei così distratto!” commentai tra me e me, allora spalancando suddetta porta e adagiando la borsa all’ingresso. Per fortuna, ero rientrata prima di mamma: se avesse beccato lei quella distrazione paterna sarebbe scoppiato un putiferio. Altro che guerra tra Stati Uniti e Unione Sovietica!

Comunque, la mia espressione sbalordita di poco prima non mutò quando, entrando nel corridoio, trovai la casa completamente al buio.
Silenziosa.
Sembrava non ci fosse nessuno.
Che diamine andava combinando mio padre?!

“Papà?” chiamai allora, incerta. Il corridoio si stendeva scuro davanti a me, ma potevo scorgere facilmente il profilo delle grosse lampade di ottone lungo le pareti, grazie alla luce che proveniva dall’esterno.

Per un qualche strano motivo, non mi ero ancora chiusa la porta alle spalle.

In fondo al corridoio c’erano le scale che conducevano al piano superiore, anch’esse totalmente immerse nel buio.
Papà era di sopra?
Perché non mi rispondeva, non accendeva la luce, non guardava la tv? Perché?

“Papà?” alzai di più la voce, per farmi sentire, avanzando nel corridoio “Papà mi senti? Sono Bella, sono tornata!”

Uno scricchiolio, un rumore lieve di parquet.
Mi voltai di scatto: perché diavolo ero così nervosa?
E perché diavolo papà non mi rispondeva?

Forse non si tratta di tuo padre, Bella. Fai dietro front, torna all’ingresso. Forse sono i ladri, Bella, fatti furba!

Una vocina nel cervello mi diede l’allarme: la fronte mi s’imperlò di sudore e un brivido percorse la mia schiena nello stesso momento. Finalmente avevo capito: qualcosa non andava. E stavolta non era la mia fantasia a giocarmi brutti scherzi, no.

Angie, non mi sto inventando niente.
Nessun film mentale.
Vorrei che fossi qui, Angie, ho un tantino paura.

Arretrai di qualche passo, ma mi scontrai col mobile d’ingresso – quello su cui era poggiato il telefono – e sobbalzai. Udii un altro rumore, come uno scalpiccio alle mie spalle.

Allora, e soltanto allora, urlai con quanto fiato avevo in corpo. Non si trattava di una richiesta di aiuto, ma di un semplice grido: ero terrorizzata.
Tuttavia, non servì a niente quella mia reazione o, forse, peggiorò soltanto lo stato delle cose perché lo scalpiccio si fece più insistente, percepii la presenza di qualcuno al mio fianco e nel buio di quel corridoio riconobbi facilmente il palmo grande di una mano sconosciuta mentre mi tappava la bocca.

Non so a cosa pensai in quel momento.
A mio padre?
A mia madre?
A Beth?
Sì, a Beth. E a Edward. E a quant’ero stata ingenua: avrei dovuto scappare subito perché niente mi era parso normale o familiare, appena avevo varcato la soglia di casa.

Ero una stupida, stupida, stupida.


“Ciao, signorina Swan… Finalmente ci vediamo” mormorò una voce sinistra al mio orecchio. Avevo il fiato di quell’uomo sul collo e, senza neanche vederlo, seppi istantaneamente che doveva trattarsi di un essere viscido e disgustoso. Non era da solo: qualcuno accanto a lui rise, dopo aver ascoltato quella frase.
Non vedevo nulla: la casa mi sembrava ancora più buia, o forse era soltanto la notte che avanzava a rendermela tale? L’uomo che aveva parlato al mio orecchio mi afferrò le braccia e mi bloccò i polsi dietro la schiena con una mano sola; sudavo molto e respiravo appena.


Ho paura, ho paura.


“Aspettavo di conoscerti da un po’, lo sai?”

Spalancai gli occhi, mi divincolai. Non ci riuscii.

“E’ un’anguilla…” mormorò il compare del mio aguzzino.
Lui ridacchiò.

“Fra poco smetterà di fare la bimba capricciosa. Vero tesoro?”

Stupida, stupida, stupida Bella.

“Allora, che ne facciamo di lei?”
“Tu che ne dici?” rispose una terza voce.

Scalciai, senza successo.

“Sta’ buona, bambolina. È inutile che combatti. Sei sola in casa, vedi? Ci siamo solo noi. Mamma e papà non torneranno…”

Spalancai gli occhi.
Che diavolo ne sapevano loro dei miei genitori?
Chi erano loro, soprattutto?
Volevo vomitare.

“…E il tuo coraggioso Edward non è qui. Dovrai arrangiarti. Certo che è stato proprio un idiota… Eppure io l’avevo avvertito!”

Edward?
Edward!

Che cavolo c’entrava adesso Edward? E di cosa era stato avvertito?

Ero disperata, sconvolta, confusa.
Volevo soltanto tirarmi fuori da quella situazione, in qualunque modo possibile. Le risposte a tutte quelle domande le avrei poi cercate una volta che fossi riuscita a salvarmi.
Per reazione, allora, mugugnai, con la mano grande e viscida di quell’uomo a schiacciarmi la bocca. Mi agitai, scalciai, cercai di liberarmi ancora.
Il corridoio era sempre più buio, la casa vuota, nessuno poteva aiutarmi e non sapevo chi fossero gli uomini intorno a me. Però loro sembravano conoscermi bene, conoscevano la mia famiglia e perfino Edward.
Che cosa volevano da me?
Mi venne da piangere per il terrore e la rabbia: mi sembrava di non avere alcuna via d’uscita, intrappolata com’ero in una situazione dalla quale non sapevo come tirarmi fuori. Nella quale non sapevo neppure come mi ero ficcata, a dirla tutta.
Tutto ciò che avevo desiderato per quella serata, era tornare a casa, ascoltare un disco dei Beatles, rilassarmi e pensare al mio meraviglioso ragazzo così lontano da me, maledizione! Com’era possibile che la situazione si fosse capovolta e deformata in maniera tanto paradossale?


Metti in moto il cervello, Bella: reagisci!

Ancora intrappolata dal corpo grande dell’uomo che mi sovrastava e incapace di fare altro, cercai d’ingegnarmi per liberarmi e addentai voracemente, seppur con profondo disgusto, due delle cinque dita che l’uomo teneva premute sulla mia bocca.
Una mossa stupida, vero? D’altronde, c’erano altre persone con lui, non c’avrebbero messo niente a riacciuffarmi e farmi del male, seppure uno di loro fosse stato ko. Ma quella mi sembrava l’unica cosa sensata da fare al momento, e delle conseguenze mi sarei impicciata dopo.
Dopo aver smesso di urlare, per intenderci.

Urlai, infatti, una volta liberata. Urlai così forte che sovrastai anche le grida di dolore dell’uomo che tentava di tenermi prigioniera: l’avevo addentato in profondità. Urlai così forte da superare il suono dei clacson delle auto in strada, dei rintocchi di una campana lontana. Urlai così forte che sperai Edward potesse sentirmi ovunque si trovasse, persino a Camden.

“Maledizione!”
Le parole degli uomini che mi circondavano e che imprecavano contro di me furono allora l’ultima cosa che udii. L’ultima, perché di lì a poco ricevetti uno schiaffo così forte da non vedere altro al di là del buio che mi circondava, da non sentire altro se non il sapore del sangue che mi colava dal naso alla bocca. Non percepii altro, prima di perdere i sensi.

 
 
 




 











POV EDWARD








“E poi, dovreste fare qualche cover… Tipo dei Sex Pistols. Sarebbe perfetto per il prossimo live, una bella cover dei Sex, sì!”

Chris si sfregò le mani, soddisfatto. Eravamo nel suo studio da un’ora, puzzavamo tutti di fumo da chilometri di distanza perché non aveva smesso neppure per un attimo di accendere e spegnere sigari, e continuavamo a guardarci in faccia gli uni con gli altri, stancamente, strimpellando a turno una chitarra. Lui, Andy e Don chiacchieravano senza sosta, scegliendo le canzoni dei nostri prossimi live, la scaletta, il nostro vestiario e tutti gli altri dettagli, come se nessuno di noi del gruppo fosse stato lì presente e avesse potuto azzardare la propria opinione. Roger, che avrebbe dovuto farci da manager e da spalla, si limitava ad annuire gioiosamente ogni volta.

Un vero leccapiedi, complimenti.

Stanco di quella situazione, mi decisi a rispondere di slancio:

“Io non faccio nessuna cover.”
“Che cosa?”

Diverse paia d’occhi puntarono verso di me: quelli dei membri della casa discografica apparivano spalancati. Nessuno metteva mai in dubbio le decisioni di Chris Giggle.
Emmett, Jasper e Oliver, viceversa, mi rivolsero uno sguardo esterrefatto, ma orgoglioso e soddisfatto. Non vedevano l’ora che qualcuno si facesse valere con Chris ed io, in quanto leader della band, ne avevo tutte le buone ragioni.

“Mi avete sentito bene” continuai allora “Non farò nessuna cover. Non sono Sid Vicious né Johnny Rotten, ho una mia band e un mio stile. Al pubblico devono piacere le mie canzoni, non quelle degli altri. Non canterò Anarchy in the UK né nessun’altra canzone dei Sex, potete scordarvelo.”

Alzai appena lo sguardo, Jazz mi sorrise: se avesse potuto mi avrebbe perfino applaudito. Emmett mi fece l’occhiolino.

“Ma Edward…” azzardò allora Roger.
“Ho detto no” risposi senza guardarlo, accordando piuttosto la mia chitarra.

“Edward…” Chris mi fulminò con lo sguardo. Pronunciò solo il mio nome e non aggiunse altro. Io lo guardai, di rimando, e gli dissi molte cose senza parlare.

Niente Edward, Chris. Qui comando io.


Non proseguimmo nella nostra muta conversazione, comunque, perché di lì a poco la segretaria di Chris s’intrufolò nell’ufficio, chiedendo scusa per l’intrusione e biascicando che qualcuno mi desiderava al telefono.

“Qualcuno? E chi?”

Ero sinceramente sorpreso.

“Sua sorella, signor Cullen.”


Alice?
Alice aveva il numero della Noyse Records, certo, così da potermi raggiungere per qualsiasi evenienza. Ma cosa poteva essere accaduto di così urgente, adesso, da telefonarmi in tutta fretta alla casa discografica?

Anche Jasper mi parve un tantino sbalordito. Io, comunque, guardai Chris, che annuì senza problemi, e sgattaiolai velocemente fuori, verso la scrivania di Amy – la segretaria – dove avrei potuto rispondere alla chiamata di mia sorella.

La discussione, io e Mister Giggle, l’avremmo ripresa con più calma dopo.


“Alice? Che è successo?” domandai subito appena alzai il ricevitore. Mia sorella, tuttavia, non rispose subito.

Un minuto di silenzio.
Due.

Che c’è che non va?

“Alice?” ripetei.
“E-dward…”

Tremava. Anche attraverso il telefono, anche a quella distanza avrei potuto sentirlo. Tremava. Balbettava, sembrava incerta, impaurita. Non era la solita Alice che cinguettava dall’altro lato della cornetta quando telefonavo al pub dove lavorava assieme a nostra madre. Non era la mia solita sorellina.

“Oddio, Alice! Che succede? La mamma…”
“Mamma sta bene” rispose subito.
“E allora che c’è?”

Respirai piano e tentai di calmarmi: il fatto non fosse accaduto nulla di male ad Esme mi rincuorava già parecchio.

“E’ successo un…incidente.”
“Incidente? A chi?”

Brancolavo nel buio.

Un altro minuto di silenzio.
Che attesa snervante!


Isabella.”


Raggelai.
Avevo cantato vittoria troppo presto.


Bella, Bella, Isabella.
Che le era successo? L’ultima volta che l’avevo sentita stava benissimo!
Ed erano passati ormai quasi quindici giorni, non poteva essere… Non poteva c’entrare Frank, o King e tutta la loro combriccola. Erano minacce a vuoto, le loro, ne ero certo. Era passato troppo tempo, troppo…


“Che le è successo, dannazione? Parla!”


Gridai. Imprecai. Mi si rivoltò lo stomaco.


“Qualcuno l’ha aggredita” fu tutto ciò che mia sorella rispose, con voce lapidaria. Inerme.
Terrorizzata.

Qualcuno?
Senza nome?
Oh no, Alice, io lo so chi è stato.


Mi accasciai lungo la parete, senza pudore, e respirai appena mentre Alice continuava a chiamare il mio nome dall’altro lato della cornetta ed Amy mi faceva aria con alcune carte. Nessuno capiva quel che stava accadendo ma io sì.
E stava accadendo per davvero.

La guerra è cominciata.


Mi ero sbagliato, dunque. Ero stato un ingenuo, un illuso.
Quindici giorni non erano abbastanza per cantare vittoria.

La verità era che non era mai troppo tardi per Frank per attuare le sue minacce.

Adesso lo sapevo. E lo sapeva anche Isabella.


 













1.Centre Point: edificio in vetro, costruito nel 1967, lungo la New Oxford Street

 
 
 







 
Eccoci qui… Dopo otto? Nove mesi? Non lo so quanto tempo è passato, so soltanto che scrivere questo capitolo è stato un parto. Vederlo pubblicato mi sa quasi di vittoria, una vittoria con me stessa che faticavo ad ottenere anche se MAI, mai ho pensato di sospendere My Ugly Boy. Questa storia mi ha dato tanto, è merito suo se tante di voi mi conoscono, e per il bene che voglio ai miei Ed e Bella e a voi che mi avete sempre sostenuta, non avrei mai potuto abbandonarla. Ma non vi nascondo che tornare a parlare di questi due dopo mesi mi risulta strano e temo che il capitolo non sia assolutamente all’altezza delle vostre aspettative. Mi scuso anche di questo, così come mi scuso del ritardo immane con cui ho aggiornato.
Ragazze, perdonatemi anche se non ho mai inserito nessun avviso riguardo questa storia, ma c’è un motivo per questo: inserire avvisi come capitoli alle proprie storie, per quanto sia una pratica diffusa, è vietato dal regolamento di Efp. Più volte Erika l’ha ribadito, anche in fandom diversi da Twilight (vedi Lady Oscar), e non mi andava di contravvenire all’amministrazione. A tutto questo, devo sommare un certo mio grado di ingenuità: poiché più volte ho inserito il link del mio profilo Fb in questa storia, e poiché più volte, su quel profilo, ho lasciato annunci riguardo MUB, sono stata così sciocca nel pensare che più o meno a tutte fosse arrivata la voce riguardo l’evolversi di questa storia. Tuttavia, mi sbagliavo e vi chiedo scusa anche della mia ingenuità. Detto questo, mi sento oggi di lasciarvi di nuovo il link del mio profilo di Fb:
https://www.facebook.com/inOgniIoCheSei
E del gruppo che ho creato per le mie storie:
https://www.facebook.com/groups/265306233568958/
Si chiama In the Sky with Diamonds, ed è il posto in cui lascio spoiler, annunci, inserisco foto e quant’altro. È privato ma aperto a chiunque vorrà farne parte, ergo: sarete le benvenute :D
In questo modo potrete contattarmi ogni volta che vi pare e vi farò sapere tutto quel che c’è da sapere su MUB :)
Ora, veniamo al perché ho interrotto la storia per così tanto tempo. Dunque, a parte un fisiologico calo d’ispirazione – ogni volta che finisco di scrivere un capitolo nuovo mi sembra di aver scalato una montagna, penso succede anche a voi, se siete autrici – l’ultima voltai che postai mi demoralizzai un pochettino. Avevo ricevuto molte recensioni in cui le minacce che Frank aveva rivolto a Edward vi lasciavano perplesse; in molte mi dicevano che la storia stava scadendo nel cliché, nel banale, e che non eravamo negli anni ’20 col mafioso di turno che veniva a minacciare il protagonista. Ora, le critiche ci stanno e sono bene accette, ma mi dispiaceva vedere come la storia fosse stata già condannata e giudicata in modo così tanto veloce, senza neanche vedere come si sarebbero evoluti i fatti. Ecco, il giudizio sbrigativo mi aveva un po’ buttato a terra perché in MUB ho sempre speso molte energie e si può dire di tutto, di questa storia, ma non credo che scada nel cliché. O forse un giorno ci scadrà pure, ci può stare, ma diamole almeno il tempo di andare avanti e vedere come proseguono le cose prima di puntare il dito. In fondo sì, Frank è un po’ un tipo “mafioso”: è un delinquente, è cresciuto in una famiglia patriarcale, in una zona malfamata, penso che tutto sia dovuto a lui e alla sua sorellina verso la quale prova un inconcepibile senso di “protezione”.
Purtroppo, queste son cose che succedono ancora oggi, figuriamoci nel ’78!
Detto così sembra una scemenza, ma a suo tempo la cosa mi demoralizzò davvero; pensavo di mettere tanta energia in qualcosa che non stava andando come avrebbe dovuto, in qualcosa che non riuscivo a presentare come volevo e così lasciai perdere la storia per più tempo del previsto, nella speranza di ricaricarmi. Quando cercai di riprenderla, ancora non avevo voglia: passavo ore davanti a Word senza scrivere. Alla fine rinuncia ma avevo ancora voglia di dire, di scrivere qualcosa di mio, e allora passai nelle Originali romantiche. Così ho scoperto che le originali mi davano di più perché erano i MIEI personaggi a parlare, fantasticare, muoversi e agire. Edward e Bella li ho relegati in un angolo del mio cuore e nel frattempo ho continuato a fare altro, a lavorare, ho completato la mia prima originale, sono andata in Francia, ho visto Parigi, ho adottato un altro gattino. Tanto per raccontarvi qualcosa di mio ;)
Tutto questo finché Edward e Bella non sono tornati a bussare, perché in fondo erano sempre lì in attesa e io mi portavo dietro il senso di colpa per avervi lasciate così, in sospeso. Oggi sono tornati e si scusano con me: spero darete loro un’altra chance. Spero che mi capirete e darete anche a me un’altra possibilità.
Ora, non voglio mentirvi: non sarò sempre veloce negli aggiornamenti. I miei impegni si sono raddoppiati, l’ispirazione è ballerina per natura e a volte certi avvenimenti proprio non vogliono farsi scrivere. Ma ho aggiornato dopo 9 mesi, questo deve lasciarvi intendere che c’è la volontà e il piacere di farlo ancora, seppur con minore regolarità rispetto a prima. Se vorrete ancora seguirmi, anche dopo quest’appunto, vi sarò infinitamente grata. Di cuore, sul serio :)

Penso che questo sia il primo caso in cui le note dell’autore superano la lunghezza del capitolo :-p
Spero di essermi fatta intendere comunque (a volte, a dispetto di quanto sembra, non sono così brava con le parole) e spero davvero tanto che mi scuserete.
Vi mando una grande bacio, vi dico ancora grazie e vi saluto, al prossimo aggiornamento.

PS: risponderò il prima possibile a tutte le recensioni.
Matisse.

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Capitolo 24
*** Cap. 24 ***


My Ugly Boy

 

 

 





 
POV EDWARD



 
Spalancai la porta di casa con una tale violenza che la stessa finì con lo sbattere e rimbalzare contro il muro, provocando un fracasso di proporzioni enormi. Mia madre sobbalzò per lo spavento mentre Alice gridò, scioccata.

Non m’importava, comunque. Per quanto bene volessi loro, alle donne della mia famiglia, in quel momento c’era una donna ancora più importante – una donna che costituiva la mia stessa vita – in pericolo; di certo, in quel frangente, non avevo tempo di badare all’educazione, ai modi compiti, al silenzio. Mia madre e mia sorella avrebbero compreso.


“Alice!” gridai “Alice!”
“Edward…” mia sorella scattò subito dalla sedia dov’era accomodata, mi venne incontro trafelata. Il suo sguardo diceva molto.
“Che è successo?!”
“Edward, tesoro…” la voce di mia madre s’incrinò leggermente, pronunciando il mio nome: non mi fu d’aiuto.
Con tutta l’ansia che mi stava trasmettendo, presi a immaginare scene apocalittiche di una Isabella rapita e torturata; come prevedibile, non si trattava di visioni incoraggianti e m’affannai ancora di più.
Rifiutai le braccia di Esme mentre mi veniva incontro: non avevo bisogno di coccole e carezze. Avevo bisogno di sapere come stavano le cose.

“Smettetela di guardarmi con quelle facce impietosite e ditemi che cazzo è successo!” urlai, sbattendo il pugno sul tavolo.

Col senno di poi, mi sarei reso conto che ero fuori da ogni controllo e che stavo sfoggiando una violenza che né mia sorella né mia madre meritavano; tuttavia, ero troppo spaventato e arrabbiato con me stesso per reagire diversamente.
Avrei dovuto sperare soltanto nel loro perdono e nella loro solidarietà, in seguito.

Probabilmente, comunque, mia madre e Alice già mi comprendevano senza che mi prodigassi in troppe spiegazioni;  si scambiarono un’occhiata eloquente, infatti, prima di tornare a parlarmi. Mia sorella mi sorrise, poi e, poggiandomi una mano sulla spalla, si affrettò a dirmi:

“Per prima cosa, tranquillizzati Edward. Non essere agitato o nervoso: Bella sta bene, se è questo che ti preme sapere. Ora siediti e lasciami spiegare”

“S-sta bene?” mormorai interdetto. Il terrore che mi aveva inchiodato negli ultimi tre quarti d’ora aveva cominciato a dissolversi come nebbia al sole non appena Alice aveva associato il concetto di “stare bene” al nome di Isabella. Tuttavia, non avevo ancora prove di quanto mi stava dicendo e, in ogni caso, ignoravo ancora le dinamiche che avevano portato a quell’aggressione ai danni della mia ragazza nonché alla sua presunta “liberazione”. A tutto questo, si sommava il senso di colpa perché sapevo che se Bella aveva corso quel pericolo, anche solo per pochi minuti, la colpa era solo ed esclusivamente la mia.
Non me lo sarei mai perdonato.

Sì, in definitiva ero molto confuso. Talmente tanto che traballai mentre Alice mi costringeva ad accomodarmi su di una sgangherata sedia della cucina, sotto lo sguardo vigile ma preoccupato di mia madre.
“Sì, sta bene Edward.”
“E allora c-cosa…?”

Alice mi fissò con insistenza, accomodandosi di fronte a me.
 
“Qualcuno l’ha aggredita” mi spiegò, stringendomi la mano e riproponendomi le stesse parole della nostra conversazione telefonica. Di nuovo lo stomaco mi si contorse per il disgusto e la rabbia  “Ma è riuscita a salvarsi.”
“Com’è successo? Dove”?
“A casa sua.”


A casa sua.
A casa Swan?

Non avevo parole.

Dunque, era colpa delle mie frequentazioni schifose, della mia vigliaccheria e del mio essere un emerito imbecille e pure sprovveduto, se adesso Isabella non poteva considerarsi più al sicuro neppure fra le mura domestiche?

Sì, era colpa mia. Sprofondai sotto terra, per miglia e miglia.
 
“Non so di preciso come siano andate le cose, chi l’abbia aggredita e perché. Tutto ciò che so è che Isabella si è praticamente salvata da sola. Ha gridato così tanto da attirare l’attenzione di una coppia di passanti fuori casa sua. Beh, ha avuto anche la fortuna che i malintenzionati che l’hanno aggredita avessero inavvertitamente lasciato aperta la porta d’ingresso, per cui le sue urla sono state captate abbastanza facilmente. Inoltre, l’uomo che l’ha soccorsa è un ispettore di polizia. Davvero, le è andata bene. Adesso è a casa, sotto choc, con i suoi genitori. Quindi puoi stare tranquillo anche tu.”
“Tranquillo?!” sbottai “Ma stai scherzando?! La mia fidanzata ha quasi rischiato… rischiato… non so neanche io cosa, e tu mi dici di star tranquillo?!”

“Edward” intervenne mia madre, cingendomi le spalle “Ciò che conta è che Isabella adesso stia bene, ti pare? Il resto verrà sistemato. Devi starle accanto, aiutarla a riprendersi da questo terribile spavento. Ha rischiato moltissimo, ma non è successo nulla di grave o irreparabile: pensa a questo.”
“La mamma ha ragione, Ed. Ciò che conta è che quei farabutti non siano riusciti a farle nulla di male. Ma cosa pretendevano?”
“Soldi, certamente. Isabella è figlia di un diplomatico, forse volevano rapirla e chiedere un riscatto.”
“E’ una cosa orribile! Spero che li arrestino e gettino via la chiave!”
 
 
Sequestri, riscatti.
Rapimenti.

Più le ascoltavo parlare, fare ipotesi e congetture, più storcevo il naso e mi sentivo male.
Pensavo a quanta responsabilità avessi in questa storia, al fatto che non fossi stato in grado di proteggere la mia stessa fidanzata, all’idea che uno sconosciuto l’avesse salvata, non io.

Niente di tutto quel che mia madre e mia sorella stavano considerando corrispondeva alla realtà; se Isabella era stata aggredita era solo colpa mia. Come avrebbero reagito se avessero conosciuto la verità dei fatti?
Rabbrividii.
 
“Come hai saputo di tutto questo?” trovai comunque la forza di domandare. Alice sorrise dolcemente.
“Quell’angioletto della sorellina di Bella è corsa a chiamare Angela, in lacrime. Era spaventatissima, ma ha pensato comunque che Isabella avesse voluto accanto un volto amico e ha telefonato ad Angie, pregandola, a sua volta, di avvisare te. È così sveglia, premurosa e intelligente! Incredibile, per una ragazzina della sua età.”
 
Finalmente trovai la forza di sorridere anche io: Beth era davvero un angelo. Mi voleva bene e io ne volevo a lei, indiscutibilmente. Mi commuoveva l’idea che avesse pensato a me, dopo quanto era successo, presa com’era dalla convinzione che mi spettasse di diritto conoscere per primo tutto ciò che accadeva a Bella, comprese le cose spiacevoli.
Per Beth io contavo qualcosa nella vita di sua sorella. Era questo che m’inteneriva, perché nessun adulto del suo stesso mondo – cominciando da Renèe Swan – avrebbe mai pensato lo stesso.
 
Passai una mano sulla fronte e sospirai; mi sentivo stanco, come se l’ansia e la rabbia per tutta quella situazione avessero prosciugato ogni forma di energia che mi restava.
Tuttavia, sentii di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo; mia madre e mia sorella avevano ragione: era accaduto qualcosa di molto brutto alla mia Isabella, ma Dio, il destino o chissà che altro, avevano deciso diversamente per fortuna, e la mia Bella era adesso sana e salva a casa sua. Avrei dovuto concentrarmi su questo dettaglio per riprendere pieno possesso delle mie facoltà mentali e solo dopo avrei risolto tutto il mare di problemi che mi attanagliava.

Cercai di tranquillizzarmi: Isabella aveva bisogno di me in quanto fidanzato coraggioso pronto a confortarla, sostenerla e difenderla; certamente non aveva necessità di una pappamolla confusa e, in quanto tale, vulnerabile e disorganizzata.
Avrei dovuto calmarmi.
Ci provai. Non so se ci riuscii davvero.
Certo, tuttavia, riuscirono a distrarmi le parole che, di lì a poco mi rivolse mia sorella, carezzandomi il braccio.

“Edward?”
“Uh?”
“Preparati, coraggio.”
“Per fare cosa, Alice?” la guardai perplesso.
“Come per far cosa!” aggiunse mia madre “Per andare a trovare Isabella, ovvio!”

Andare. A. Trovare. Bella.
A casa sua?!


Con sua madre che mi guarderà male appena varcherò la porta d’ingresso, suo padre che si liscerà i baffi facendosi strane domande su chi io sia e cosa c’entri con sua figlia e con Beth che, per quanto amabile e dolcissima sia, certamente non riuscirà a tenere la bocca chiusa e spiattellerà ai quattro venti che io e Bella stiamo insieme?
No, no, no.
NO.

Troppo rischio. Renèe Watson mi avrebbe cacciato di casa a calci e addio Isabella!
 
“Non scherziamo Alice. Io non posso andare da Bella! O meglio, ci vado eccome, ma quando non c’è nessuno!” esclamai.
“Genio, ci sarà sempre qualcuno con Bella da oggi in poi, dopo quel che è successo. Quindi, che intenzioni hai? Restartene qui in casa per sempre e vivere un amore platonico? Dubito che Bella ti vorrà ancora se non ti farai vedere da lei neppure per un attimo, dopo la brutta disavventura che ha vissuto! Non pensi che voglia abbracciarti e farsi consolare un po’ da te?”
“Chi ti ha detto che non ci andrò?” risposi prontamente, risentito “Ho i miei metodi per vederla e questi metodi non contemplano la presenza di Renèe Watson!”
“Chi è Renèe Watson?” domandò mia madre con ingenuità.
“La mamma di Isabella, la reincarnazione stessa di Adolf Hitler!”
“Oh Edward, quanto sei melodrammatico!” commentò Esme, con un gesto della mano che evidenziasse ancor di più la stupidità delle mie parole “Ho conosciuto Isabella ed è una ragazza davvero dolce e carina. Non dubito che abbia preso da sua madre! Si tratterà di sicuro di una donna altrettanto buona e gentile. Quindi smettila di fare il fifone e va’ a prepararti… Devi andare a trovare la tua fidanzata!”

Buona e gentile?
Renèe Watson?


Guardai Alice sbigottito, ma non mi fu di alcun conforto: sghignazzava.
Cosicché sospirai, nella speranza di poter calmare questa nuova ansia che stava prendendo possesso di me.

Ora, intendiamoci: non è che non volessi andare a trovare la mia Isabella, ci mancherebbe! Tutt’altro: non vedevo l’ora di poterla stringere tra le mie braccia, dirle che tutto andava bene, assumermi le mie responsabilità e giurarle che mai più nessuno l’avrebbe toccata d’ora in avanti. Tuttavia, speravo di poterlo fare nel buio della notte, sfidando per l’ennesima volta la facciata della sua casa, arrampicandomi e raggiungendola nella sua stanza dove mi avrebbe aspettato a braccia aperte. Allora, saremmo stati noi due da soli e nessuno ci avrebbe disturbato. L’avrei cullata ripetendole che l’amavo, fino a farla addormentare tranquilla e serena e questo mi avrebbe consolato di essere un emerito imbecille. Perché lo ero, visti i guai in cui avevo cacciato la mia Isabella.
Ora, però, tutte queste belle scenette piene di amore e dolcezza non avrebbero certamente contemplato la presenza di una Renèe Watson – Swan sospettosa, scorbutica e poco incline all’incontro.
Al minimo mi avrebbe davvero cacciato di casa soltanto guardando al mio giubbotto di pelle e alle Converse sporche e sfilacciate.

“Alice” risposi allora “Non sono presentabile. La madre di Bella tiene molto alla…ehm… Forma, mettiamola così. Mi butterà fuori appena mi vedrà e, se permetti, vorrei risparmiare a Isabella certe scene, proprio adesso che è più provata. Ci vado stasera, stai tranquilla.”

“Non ho capito, Edward, che intenzioni hai? Intrufolarti in casa Swan di notte senza che la signora ne sia al corrente? Dici sul serio?” Esme si portò una mano alla bocca, sconcertata. “No, no, no! Non farmi mai più sentire cose del genere…”
“Ma, mamma!”
“Mamma cosa, Edward?! Oh, che vergogna! Se il tuo povero papà fosse qui ne sarebbe così mortificato! Non dirlo mai più, Edward, non pensare di intrufolarti mai più in casa d’altri come se fossi un ladro o mi sentirai, è chiaro?!”
Non vedevo mia madre così arrabbiata da tempo immemore. Probabilmente non l’avevo mai vista così. Sospirai di nuovo.

“D’accordo.”

Alice ci squadrò  ridendo.

“Bene. Visto che vi siete chiariti, adesso possiamo sistemarci, Edward? Se ci sbrighiamo arriveremo a casa di Bella per le sette, sette e mezza al massimo.”

“Non ho niente da mettermi, sorellina” commentai lapidario.
 
Alice sorrise.

“A questo ho già pensato io, stai tranquillo.”

Non concluse neppure la frase che già qualcuno suonava al campanello di casa.
Alice batté le mani, felice.

“Parli del diavolo e spuntano le corna. E’ arrivato il tuo vestiario!” cinguettò, mentre mamma correva ad aprire la porta d’ingresso lasciando entrare un Jasper ancora più confuso di me.

“Jazz, ma non eri alla Noyse Records?” domandai sgomento.
“Alice ha telefonato di nuovo mentre eri via, mi ha praticamente costretto a correre a casa per prenderti… queste.”

Mi allungò tre camicie di colore chiaro.
Lo guardai a bocca spalancata e mi parve mortificato.

“Mi dispiace, non ho giacche da prestarti.”
“Ma che dovrei farci con queste?”
“Vestirti, idiota! Vuoi renderti presentabile per Miss Swan oppure no? Mi dispiace ammetterlo, ma se mettiamo piede a casa di Bella con te conciato in questo modo…” mia sorella mi squadrò dall’alto in basso, disapprovando, per la prima volta, i jeans logori e la t-shirt sbrindellata che esibivo sotto al giubbotto di pelle “…Dubito che sarai il benvenuto. Ma questo lo sai già! Per questo, ho deciso di sistemarti io. E siccome non hai camicie decenti, ho dovuto chiedere il favore a Jasper di portarti le sue, per vedere quale ti sta meglio. Più o meno avrete la stessa taglia, quindi non dovrebbero esserci problemi” concluse infine, dando un’occhiata alla mercanzia che Jasper le aveva portato.

“Sul serio sei corso fin qui per questo, Jazz?”

Annuì.

“Non ci credo. Ti ha costretto.”
“Beh…”
“Ti ha costretto?”
“…”
“Con quale minaccia?”
“Dobbiamo proprio parlarne davanti a nostra madre?” bisbigliò Alice infastidita, allungandosi verso me e Jasper.
“Okay, non voglio saperlo.”
“Bene.”

“Se avete bisogno di una giacca ne ho io, ragazzi!” commentò infine mia madre, sino ad allora troppo concentrata a studiare la buona fattura delle camicie così gentilmente offerte da Jazz.

“Le giacche di papà?”
“Sì, le ho tutte conservate.”
“Speriamo di trovare anche un paio di pantaloni adatti!”
“Beh, certamente non può presentarsi con i suoi soliti jeans stracciati.”
“Dovresti proprio obbligarlo a vestirsi un po’ meglio, mamma.”
“Oh, Alice! Non ha mica due anni, come posso costringerlo?”
“Lo so, però vedi in che situazione siamo adesso! Abbiamo anche poco tempo…”
“Allora sbrighiamoci! Dobbiamo creare un abbinamento decente.”

Parlavano come se io non fossi stato presente. Come se fossi stato un manichino da vestire per la vetrina.
Davvero la cosa principale, con tutta la preoccupazione che provavo per Isabella in quel momento, era rendermi presentabile?
Ero sconcertato.

Mi voltai a guardare Jasper, incredulo, mentre mia madre e mia sorella si allontanavano verso quella che, un tempo, era stata la camera dei miei
genitori.
Il mio amico alzò le spalle.

“Jazz”
“Edward…”
“Jazz…” ripetei.
“E’ colpa di tua sorella” si giustificò.
“Okay. Ma tu le stai dando manforte”
“Sapresti dirle di no, al posto mio?”


Non risposi.

Il silenziò calò nella stanza. Jazz continuava a sbirciare l’orologio, io continuavo a pensare a Isabella. E all’incontro con Miss Swan che mi aspettava di lì a poco.

Dopo poco, Jasper tornò a guardarmi.

“Come sta Bella, Ed?” domandò allora.
Sospirai, prima di parlare.

“Sembra bene. Ma ciò non toglie che io sia…”
“Distrutto?”
“Più o meno, sì”
“Lo capisco. Mi sentirei uguale al posto tuo.”


Mi rivolse un’occhiata così dispiaciuta e mortificata che mi passò la voglia di rimproverarlo ancora. Anche se mi sarei sentito una specie di pinguino con quelle camicie addosso, l’avrei accettato, dopotutto, pur di vedere Bella.

“Ehi Jazz?”
“Sì, Edward.”
“Tranquillo per le camicie. In fondo, Alice ha ragione: devo presentarmi bene a casa Swan.”
“Grazie, Ed”
“Solo una cosa.”
“Sì?”
“Non tirarmi mai più un colpi così bassi che te la faccio pagare”

Rise con me mentre, dalla camera da letto, mamma e Alice mi chiamavano per invitarmi ad agghindarmi come un damerino.
 
 
 
 
 
“Tieni la schiena dritta”
“Cammina bene! Sembri un pinguino”
“Dio Mio, Ed, potresti smetterla di accendere e spegnere sigarette? Mangia queste mentine e finiscila di affumicarmi, per cortesia!”
“Su quel mento! Sii garbato. Porgi la mano alla signora Swan e mantieni un’aria professionale e distaccata.”
“Ed, aggiustati il colletto della camicia, muoviti!”
 
“Alice, mi stai stressando! È da quando siamo partiti da Brixton che non fai altro che ripetermi le stesse cose!”
 
Mi passai le mani tra i capelli, esasperato, e mia sorella strillò in un misto di disperazione e sconcerto. Diversi passanti si voltarono a guardarci con disapprovazione.
Eravamo ormai approdati a Gloucester Road – la fermata che conduceva a casa di Isabella – e la metro, a quell’ora, era piena zeppa di gente.
Mi sentii ancora più osservato; già mi vergognavo abbastanza di me stesso, sigillato com’ero in un paio di pantaloni classici che non avrei mai indossato se non per andare a un funerale, e una camicia che mi andava stretta sul torace; ci mancavano solo le moine di mia sorella, adesso, per farmi imbarazzare ancora di più.

“Io ti sto stressando?! E tu cosa, allora? Ho perso un quarto d’ora del mio preziosissimo tempo per sistemarti quei capelli da koala che ti ritrovi ed ecco che arrivi tu e rovini tutto! Disgraziato!”

Si avvicinò a me in gran fretta e, con uno scapaccione, mi costrinse ad abbassarmi verso di lei affinché potesse sistemarmi nuovamente quella chioma che, a suo dire, avevo sciupato con tanta facilità.

Dopo quell’ennesimo episodio, e considerando che avevo praticamente concesso a mia madre e a mia sorella di vestirmi e agghindarmi come un burattino fino a mezz’ora prima, mi resi conto definitivamente di aver perso ogni forma di dignità e credibilità come capofamiglia e fratello maggiore.
Probabilmente, anche come fidanzato.

“Non guardarmi con quell’aria da cane bastonato, Ed. Lo faccio per te: lo so anche io che sarà dura farsi benvolere da Miss Swan, anche solo come ospite. Ti ricordo che noi Cullen non godiamo di una buona reputazione, per quanto false possano essere le voci sul nostro conto. Dobbiamo mascherarla con dei bei vestiti; dobbiamo fare come fanno i ricchi: ingannare con le apparenze.”

“Ingannare? Che significa ingannare? Io non sono un delinquente!”
“E neanche uno stinco di santo, fratellino. Ammettilo” mi sorrise ed io con lei, perché era contagiosa, dopotutto. Avevo una sorella molto graziosa.

“”Comunque non è questo. Non è solo questo, perlomeno: oggi mi sento una specie di pupazzo, non sono buono a nulla!”
“Sei solo turbato, Edward. È per questo ed è comprensibile: la tua fidanzata è stata aggredita da degli sconosciuti! Jasper non sarebbe sconvolto quanto te, se tutto questo fosse successo a me anziché a Bella?”

Sconosciuti. Di nuovo.
Scossi la testa.

Frank e Royce King erano tutt’altro che sconosciuti.



“Non le accadrà mai più. Non lo permetterò.”
“Ben detto fratellino! Bella è in buone mani con te!”

Ne sei sicura, Alice?

“E adesso, vogliamo andare? Scommetto che farai un figurone con Miss Swan. Su, sbrighiamoci. E non dimenticarti di star dritto con la schiena, mi raccomando!”


Lanciai un’occhiata furtiva a mia sorella; sorrideva e canticchiava al mio fianco, prospettando un roseo futuro. Era commovente vedere quanta fiducia riponesse in me e nella mia capacità di far colpo sugli altri.
Peccato io non riponessi altrettanta fiducia in me stesso.

“Proprio un gran figurone. Farò una figuraccia, piuttosto!” commentai allora tra me e me, seguendo Alice attraverso la massa di gente che si affollava all’uscita della metro.
 


 
 
***

 
 
 
Renèe Watson, alias: la Lady di Ferro1.
Con quel suo sguardo raggelante, c’avrei scommesso, avrebbe messo ansia persino a Royce King.
Fu lei ad accoglierci alla porta di casa Swan e non si trattò assolutamente di un felice comitato di benvenuto.

“Ci conosciamo?” domandò piuttosto, in risposta al buonasera delizioso che le aveva rivolto mia sorella.
“Non ancora signora Swan, ma sono lieta di incontrarla!” Alice le allungò la mano, gentilmente “Sono una compagna di scuola di Isabella, mi chiamo Alice Cullen. Mentre lui…”

Si voltò nella mia direzione, assestandomi una gomitata di nascosto affinché tornassi in me. Ero troppo sconvolto dall’intera faccenda – l’aggressione a Bella prima, sua madre poi – per apparire realmente lucido.

“…Lui è mio fratello Edward. Mi ha accompagnato fin qui perché sa, per una ragazza è pericoloso camminare di notte per le strade di Londra!”

Miss Swan ci guardò con diffidenza, la bella bocca atteggiata in una smorfia di fastidio, avrei osato dire.

“Cullen dici, eh? Il vostro cognome non mi è nuovo”
“Infatti” annuì mia sorella, continuando a sfoggiare un atteggiamento diplomatico e gentile. Invidiavo la sua pazienza: io, di fronte a dei modi tanto scorbutici, avrei gettato la spugna già da un pezzo e non certamente in modo pacifico “E’ anche grazie al suo voto se il collegio dei genitori della Queen Elizabeth ha approvato la mia ammissione a scuola. La ringrazio di cuore per quel che ha fatto per me.”

“Ah, certo, ricordo. Sei una tra le tante di quelle che ci vengono a semiconvitto…”

L’espressione con cui ci guardò lasciava intendere enormemente la considerazione che doveva avere di noi due: per Renèe Watson noi Cullen eravamo reietti della società e null’altro. Non ero neppure certo che avesse realmente votato per l’ammissione di mia sorella in quel museo dell’orrore che era la Queen Elizabeth High School, ma tant’è: Alice avrebbe fatto di tutto per ingraziarsela, anche tributarle meriti che non aveva.

“E cosa volete alle otto di sera? Non cenate voi Cullen, a quest’ora?”

L’espressione di sconcerto mista a irritazione con la quale guardai Miss Swan fu talmente eloquente che mia sorella, la quale mi aveva guardato per un attimo solo con la coda dell’occhio, dovette assestarmi l’ennesima gomitata come monito a calmarmi e a non aprir bocca: avrei rovinato l’intera strategia diplomatica che aveva messo in atto sino ad allora.

“Lei ha ragione, Miss Swan, vero Edward? Però, vede… Abbiamo saputo molto tardi di quel che era successo a Isabella e io le sono così amica che non ho resistito alla tentazione di venire immediatamente a vedere come stava. Le ho anche portato dei fiori e i suoi biscotti preferiti. Davvero Miss Swan, se ci fa la cortesia di lasciarci entrare le prometto che disturberemo sua figlia soltanto per pochi minuti. La prego, sia gentile…”


Miss Swan ci guardò accigliata ancora per qualche istante; il suo sguardo severo, l’impeccabilità del suo vestiario, i capelli stretti in uno chignon fin troppo ordinato, tutto di lei parlava del suo essere rigida, irreprensibile, autoritaria e ligia al dovere. Adesso comprendevo –  se non del tutto, almeno in parte – perché Isabella temesse tanto sua madre. Al contempo, adesso riuscivo ad ammirarla ancora di più perché la mia dolce fidanzata, spesso e volentieri, mi aveva dimostrato di saper sfidare le ire di una mamma tanto burbera pur di conquistare quel briciolo di libertà che le spettava. Non tutti l’avrebbero fatto, i più avrebbero preferito piegarsi perché affrontare una donna dispotica e conservatrice come Renèe non sarebbe stato facile per nessuno.
Eppure, la mia piccola Bella ci riusciva. Mi scappò un sorrisetto e la donna tornò a rivolgermi uno sguardo diffidente.

“Sentite, apprezzo il vostro gesto, ma…”

Ecco, ci siamo, pensai.
Come sospettavo, neppure le moine di Alice avevano sortito l’effetto sperato; Renèe non aveva ancora finito di parlare, tuttavia quel suo “ma” appariva già molto eloquente: non ci avrebbe permesso di entrare, eravamo troppo poveri e malfamati per mettere piede nella sua casa immacolata.
Sbuffai.


“Fanculo, Miss Swan!” urlai allora nella mia testa “Io da Bella ci vado anche senza il tuo permesso!”
 
 
Già m’ingegnavo a pensare, dunque, all’orario più propizio per scavalcare la facciata di casa Swan senza far rumore e destare sospetto nei vicini – considerando che adesso l’intero quartiere doveva essere enormemente allarmato dopo l’aggressione a Isabella – quand’ecco che accadde il miracolo. Mentre ancora Alice preparava nuove, gentilissimi frasi di circostanza da propinare a quella megera per indurla a cambiare idea, un volto amico passò alle spalle della stessa tirandoci fuori dagli impicci.


“Edward! Edward e… Alice! Cari, è così bello vedervi!”


Odette. La nostra buona Odette!
Non una governante ma un’amica. Non un’istitutrice ma una seconda mamma per Isabella, un angelo per me.
Me lo stava dimostrando ancora una volta.
“Odette! Che bello rivedert… rivederla!”

Mi strizzò l’occhio, avvicinandosi ancora di più alla porta d’ingresso. Miss Swan si fece appena da parte per darle spazio; la guardava con sgomento.
Mia sorella Alice non esibiva un’espressione meno meravigliata, poiché, difatti, non sapeva neanche che faccia avesse Odette, eppure questa si comportava come se la conoscesse da tempo immemore. Ovviamente l’identità di Alice non le era sfuggita perché Bella le aveva sempre parlato molto bene di lei e la nostra somiglianza evidenziava chiaramente il fatto che fossimo fratello e sorella. Tuttavia, capii soltanto dopo che la recita messa in atto dalla governante serviva a tranquillizzare Renèe, a mostrarci ai suoi occhi come persone “di casa”, di cui potersi fidare.
Forse, in questo modo, ci avrebbe permesso di vedere Isabella?

Ci speravo, per quanto fremessi ancora troppo di rabbia per gioire di questa possibilità: mi sembrava assurdo dover montare un tale casino per vedere la mia ragazza.
 
“Odette, cara, conosci questi due… giovani?”
“Ma certo signora! La cara Alice ha studiato con Isabella un’estate intera! E’ stata una buona compagna. E Edward… caro! Ti trovo bene! Passavi ogni volta a prendere tua sorella, non l’hai mai lasciata tornare a casa da sola. Proprio un bravo fratello. Come sta la mamma, ragazzi?”
“Bene, grazie” risposi prontamente, mentre scambiavo un sorriso complice con Odette.

“Dunque, Odette…”
“Signora! Non vorrà lasciare questi due ragazzi fuori alla porta, vero? Comincia a far freddo! E poi, sono stati così carini… Addirittura dei fiori?”
“Sì, sono per Isabella” ammise Alice con un sorriso luminoso, a sua volta.

“No, no, certo che no…”

Renèe farfugliò quelle parole, confusa dall’accoglienza di Odette.
Se fosse stato per lei, com’era ormai chiaro, non ci avrebbe mai permessi di entrare. In primis, perché avevamo osato bussare alla sua porta a tarda ora, considerando i suoi standard. In secondo luogo perché eravamo degli emeriti sconosciuti e, ultimo ma non meno importante motivo, perché eravamo dei Cullen e, in quanto tali, dei poveracci indegni di varcare la porta di casa Swan.
Evidentemente, Renèe aveva scordato le nostre origini o forse ignorava proprio che abitassimo a Brixton, altrimenti avrebbe già chiamato la polizia per costringerci a sgomberare.
In ogni caso, davanti a Odette non le andava di apparire come la severa padrona di casa che scacciava gli amici della figlia, venuti così gentilmente a verificare il suo stato di salute: le sarebbe valsa una cattiva considerazione da parte di una donna della quale – era inequivocabile –aveva una grande stima. No, decisamente non sarebbe stata una mossa a suo favore.
Per cui, seppur riluttante, la mia cara presunta suocera – suocera? L’avevo detto sul serio? – tornò sui suoi passi e si fece da parte per lasciarci entrare.


“Accomodatevi” sputò infastidita. Alice batté le mani per la gioia e, varcando l’ingresso, osò addirittura stamparle un bacio sulla guancia. Miss Swan s’immobilizzò, furibonda ma troppo sorpresa e sconcertata per mostrarlo.
Io seguii mia sorella a ruota, ridendo.
Fu allora che incrociai lo sguardo di Odette, la mia cara Odette.

Così, le sillabai piano: “Grazie. Ti devo un favore”

Rispose con un sorriso, strizzando l’occhio:
“Anche due, tesoro.”
 
 
 





 

POV ISABELLA



“Allora, che ne facciamo di lei?”
“Tu che ne dici?”
“Sta’ buona, bambolina. Sei sola in casa, vedi? Ci siamo solo noi.”


Le voci di quegli uomini sconosciuti, così terrificanti e le loro risate sguaiate continuavano a vorticarmi nella testa, a risuonare nelle mie orecchie, a tormentarmi anche adesso che ero al sicuro, anche adesso che mia madre e mio padre giravano per casa senza lasciarmi da sola neppure per un minuto.
Ero terrorizzata.

Mia madre mi aveva chiesto di dormire un poco, per riprendermi dallo spavento e, per invogliarmi, aveva chiesto a Beth di accoccolarsi accanto a me. Come se ce ne fosse stato bisogno: la mia bambina non aspettava altro che starmi appiccicata per tutto il tempo che fosse stato necessario per consolarmi dalla brutta avventura. Le parole della mamma erano servite esclusivamente a cementificare un proposito che era già nato nella sua testolina, ma il risultato era stato soltanto quello di permettere alla mia bambina di addormentarsi accanto a me, stremata, dopo aver constatato che tutti i suoi sforzi per farmi sorridere erano valsi a poco. Avevo provato anche a rassicurarmi davanti a una tazza di tè, mentre Beth mi cantava una canzoncina che parlava di una principessa e di un orsetto in un mondo fatto di caramelle e mashmallows, ma non era servito a nulla. Ero sprofondata in una valle di lacrime, piuttosto, al telefono con Angie, e sempre piangendo avevo affrontato un breve interrogatorio con due agenti di polizia arrivati a casa dopo che mia madre ne aveva sollecitato l’intervento.
Lo so, non si trattava neanche vagamente di un atteggiamento coraggioso, ma davvero mi ero spaventata troppo. Tutto ciò che mi era accaduto aveva dell’assurdo e mi terrificava a tal punto che mi ero rifiutata di addormentarmi soltanto per la paura di poter rivivere quelle scene orribili anche nei miei sogni.
Ancora non riuscivo a capacitarmi del fatto che degli estranei avessero potuto intrufolarsi così facilmente in casa mia. Dunque, le mura domestiche non rappresentavano più un porto sicuro per me e la mia famiglia?

Cosa volevano da me quei tipi, esattamente? Come potevano conoscere Edward o avere informazioni riguardo i miei genitori?
Mi spiavano? Perché?
E cosa mi avrebbero fatto, dopo aver perso i sensi, se il mio santo in Paradiso non avesse inviato qualcuno in casa mia per aiutarmi? Mi avrebbero sequestrata, picchiata o… chissà cos’altro? Non volevo neanche pensarci.

Dovevo a Mister John Walker, oltre che alla mia ugola d’oro la mia salvezza; faticavo a ricordarmelo, ma sembrava che avessi urlato così tanto che il signor John, per l’appunto, era riuscito a sentirmi mentre passeggiava lungo il marciapiede fuori casa mia, insieme a sua moglie. Il buon uomo si era dunque precipitato verso l’ingresso – trovandolo già aperto – e probabilmente il suo arrivo aveva spaventato o, quantomeno, raffreddato le intenzioni dei miei aggressori che, sentendosi minacciati, erano fuggiti via a gambe levate lasciandomi priva di sensi sul pavimento del corridoio. Da quel che avevo origliato dalla conversazione tra Miss Walker e mio padre, erano almeno in tre; io non lo ricordavo, non potevo neppure saperlo giacché – da veri uomini d’onore – mi avevano assalito nel buio della mia casa vuota.


“Aspettavo di conoscerti da un po’, lo sai?”

La voce, quella voce. Il primo uomo che aveva parlato era lo stesso che mi aveva tenuta praticamente prigioniera e, a ricordarla, mi venivano ancora i brividi. Non l’avevo visto in faccia neanche per un istante, ma sapevo che viscido e disgustoso. Ne ero certa, lo sentivo; non era necessario averci a che fare di più per comprenderlo.

Perché voleva conoscere proprio me?

Non lo sapevo, ero confusa. Mi coprii il viso con le mani, sperando, col buio, di scacciare quelle immagini orribili dai miei occhi.
Non servì a nulla: ripresi a singhiozzare.

“Ehi, ehi, ehi tesoro, sshh! Calmati, va tutto bene…”

Senza neanche aprire gli occhi, riconobbi la voce della mia buona Odette e le allungai le braccia, cercando un porto sicuro dove rifugiarmi. Beth, accanto a me, continuava a dormire, accoccolata al mio fianco. Si mosse appena ed io, pur nella foga dell’abbraccio, cercai di muovermi il più piano possibile per non turbarla ulteriormente. Era molto provata anche lei.
Odette si era precipitata subito a casa mia, non appena aveva saputo: davvero, non potevo trovare una governante e un’amica migliore di lei.

“Oh, Odette!” bisbigliai sulla sua spalla, tenendola saldamente per la manica del maglioncino. Mi carezzò i capelli.

“Sshh tesoro, calmati. Calmati, c’è la mamma qui…”

Calcò sulla parola mamma per lasciar intendere di non mostrarmi così vulnerabile davanti a lei, sia per non farla preoccupare eccessivamente, sia per evitare di beccarmi qualche ramanzina perché ero troppo paurosa e una vera inglese, invece, esibisce sempre un cuor di leone.
 
Annuii.

“E poi, c’è una sorpresa. Qualcuno è venuto a trovarti, vuoi farti vedere così?”

Immagazzinai ogni singola parola senza capire.
Chi era venuto a trovarmi?

Mi staccai da Odette e mi affrettai a guardarla sorpresa: la scoprii sorridente e soddisfatta. Capii presto perché: alle sue spalle, fuori da ogni previsione, inaspettato e bello come il sole, c’era il mio Edward, vestito elegante, come mai l’avevo visto sino ad allora.
Era perfetto.

Mia madre era in casa, potevo anzi riconoscerne la figura rigida e severa sotto la porta d’ingresso della mia stanza. Da qualche parte ciondolava anche papà.
Eppure Edward era lì con noi. Era lì, con me.
Per me.

Mi guardò e in un solo istante, nei suoi occhi, lessi il dolore per quanto mi era accaduto, la paura di perdermi, l’angoscia e tanto, tantissimo amore.
Quanto poteva essermi mancato?

Gli sorrisi, o almeno fu quel che tentai di fare.
Mi sorrise, di rimando, e il mio mondo, sino ad allora confuso e inquietante, tornò al suo posto.

***




“Proprio una visita lampo, Isabella. Soltanto per vedere come stavi. Quando Angela mi ha raccontato sono stata così in pena per te!” Alice ripose la sua tazza di tè sul tavolinetto della mia camera, con estremo garbo: nessuno avrebbe mai potuto indovinare le sue origini di Brixton, era troppo elegante e compita. “Edward si è offerto subito di accompagnarmi, non è vero Ed?”

Edward, poggiato allo stipite della porta, mani in tasca, si limitò ad annuire. Ci guardammo negli occhi per un tempo infinitamente lungo, ma così breve che nessun altro – o almeno così mi parve – riuscì ad accorgersene. In quella stanza eravamo in sei – io, Beth, mia madre, Odette, Edward ed Alice – eppure per me eravamo solo noi due.

Mia madre, seduta sulla mia comoda poltrona di velluto, si versò dell’altro tè. Non aveva ancora cenato, a causa degli ospiti, ed era nervosa, mi sembrava abbastanza chiaro. Detestava le visite a sorpresa, ancor più quelle di gente sconosciuta e di dubbia estrazione sociale. Non capivo come si fosse poi convinta a farli entrare, ma sospettavo c’entrasse Odette.
Le rivolsi un’occhiata eloquente e lei strizzò l’occhio.

“Stai bene, Bella?”

Alice mi allungò la mano, in un gesto improvvisamente complice rispetto agli standard cui si era attenuta sino ad allora, in presenza di mia madre.

Era davvero preoccupata. Lo ero anche io.
Edward, sempre poggiato alla porta, s’irrigidì.

“Sì, sto bene Alice. Adesso sto bene, grazie”

Per qualche istante calò il silenzio nella mia stanza e anche Beth, che sino ad allora aveva continuato a canticchiare al mio fianco, felice per la presenza di Edward ma tanto intelligente da non mostrare troppo apertamente di conoscerlo bene, si arrestò.
Fu Odette la prima a parlare.

“Signora, cosa ne dice di mostrare ai ragazzi la splendida coltivazione di ibiscus che abbiamo qui, sul balconcino di Isabella?”
“Ma veramente…”
“Oh, coraggio signora Swan! I ragazzi tra poco andranno via, ma sono certa che alla signorina Alice farebbe piacere poter apprezzare i suoi sforzi! Sapete ragazzi, la signora Swan è una maga dei fiori! E’ capace di far crescere la foresta amazzonica sul davanzale di una finestra in piena Londra e in pieno inverno!”
“Oh beh, Odette, non esageriamo…”

Mia madre arrossì, pavoneggiandosi: se aveva un solo punto debole, quello era il giardinaggio.

“Signora, suvvia! Non sia così umile. Venite ragazzi, vi mostro l’ibiscus! Venga anche lei Miss Swan, si prenda i meriti del suo lavoro”

Mia madre si alzò in gran fretta, depositando la tazzina sul tavolo come se avesse dovuto scappare da un momento all’altro in un posto non ben decifrato. Si rassettò per bene la gonna, prima di avviarsi trionfante alla testa del piccolo corteo che si apprestava ad una noiosissima trasferta sul balconcino, per ammirare i gioielli floreali che lei stessa aveva tirato su con tanta cura.


“Bella, vieni anche tu?”

Prima di risponderle, guardai velocemente Odette che, alle sue spalle, scuoteva la testa strizzando l’occhio a me e a Edward.

“Se permetti, mamma” risposi allora “Preferirei starmene un altro po’ qui, sul divano. Sono molto stanca e conosco bene i tuoi fiori”
“Bene”

“Perfetto, andiamo allora! Venga signora… Beth, tesoro, dammi la mano. Alice, da questa parte! Edward…” Odette si voltò di nuovo a guardarci, gesticolando ampiamente per indicare a Ed di non seguirle. Mamma era già lontana, proiettata con orgoglio verso i suoi fiori sul terrazzo.

“Non azzardarti a venire con noi, resta con Bella. Quando ci sentirai tornare, fatti trovare fuori, sul balconcino” bisbigliò dunque in gran fretta, prima di correre via verso le altre.

Cara Odette! Ancora una volta era dalla nostra parte, con i suoi astuti stratagemmi per permettere a me e al mio ragazzo di stare un pochino soli, pur sotto lo stesso tetto di mia madre!
Non l’avrei mai ringraziata abbastanza.
 
Sentivo ancora i suoi tacchi risuonare fuori al balconcino, comunque, che Edward era già accanto a me. Mi persi nella sua stretta, aspirai il suo odore buonissimo e mi beai del calore delle sue braccia attorno a me. Mi baciò con trasporto e ricambiai subito: non aspettavo altro, per consolarmi.


“Ma come siamo eleganti, oggi” gli sussurrai all’orecchio, poggiandomi a lui.
“Alice pensava che dovessi sistemarmi adeguatamente per fare buona impressione su tua madre.”
“Ha pensato bene. Fai un’ottima impressione anche su di me”

Sorrisi, baciandogli il lobo dell’orecchio. Ma Edward no, non sorrise. Anzi, sembrava piuttosto Turbato.

“Ed?”


“Amore mio, mi dispiace. Mi dispiace così tanto”

La voce con cui mi sussurrò quelle poche parole aveva una nota di dolore così profonda che mi si strinse il cuore. Mi affrettai a guardarlo, carezzandogli il viso.

“Edward, di cosa ti dispiace? Va tutto bene adesso, amore. Perché mi dici così?”
“Non ti ho protetta come avrei dovuto”
Sorrisi.
“Io non voglio un cavalier servente, ma un fidanzato. Non voglio qualcuno che mi protegga ma qualcuno che mi ami. E tu mi ami tantissimo, lo so, lo sento. Di cosa ti fai una colpa?”

Si accomodò meglio al mio fianco, senza staccarsi da me. Mi baciò la spalla, poi più su, lungo il collo e la mascella.

“Quanto potresti odiarmi se conoscessi la verità? Non sono il principe azzurro, Bella, non lo sono mai stato.”
“Non ti seguo, amore mio.”
“Temo di conoscere le persone che ti hanno aggredita. Se non tutte almeno una.”

Il mio cuore perse un battito.

Com’è che aveva detto l’uomo che mi aveva aggredita per prima?


“…E il tuo coraggioso Edward non è qui. Dovrai arrangiarti. Certo che è stato proprio un idiota… Eppure io l’avevo avvertito!”


Oh. Mio. Dio.


“Ed, io… N- non… Non ti seguo ancora.”
“Isabella, sono stato un emerito coglione! Lui mi aveva avvisato e io non gli ho dato peso. Pensavo fosse una minaccia a vuoto e non volevo turbarti raccontandotela. E invece…”
“Edward, lui chi? Di chi parli?!” la voce salì di un’ottava.

“Frank. Il fratello di Marla. È tornato in città da poco, l’ho incontrato un paio di volte e in un’occasione mi aveva minacciato, chiedendomi di lasciarti e tornare con sua sorella, altrimenti ne avresti fatto le spese tu. Avrei dovuto capirlo che non stava scherzando, maledizione!” sferrò un pugnò sul cuscino del divano “Lui lavora per Royce King e io l’ho sottovalutato. Come ho potuto essere così stupido?!”


Royce King?
Quel Royce King?

Ero interdetta, eppure adesso tutto quadrava.

Guardai Edward: l’espressione del suo volto era indescrivibile. Sgomento, rabbia, terrore e rimorso si alternavano sul suo viso a fasi alterne.
;i si strinse il cuore.


“Ehi, ehi, ehi… Ed, calmati, per favore.”
“Bella, non devi essere tu a tranquillizzare me.”
“Sei sconvolto”
“Tu no? E poi non sono sconvolto, sono solo incazzato con me stesso! Avrei dovuto parlartene, metterti in guardia, risolvere la faccenda. Non lasciarti preda facile per quei quattro disgraziati!”
“Ed, ti prego, calmati e spiegami meglio. Quand’è accaduto tutto questo?”
“Meno di due settimane fa. Non te l’ho detto perché credevo di poter tenere sotto controllo la situazione, immaginavo che Frank avesse voluto soltanto spaventarmi con le sue minacce da quattro soldi, rivelandomi di essere uno scagnozzo di King. E invece… invece era tutto vero. È colpa della mia superficialità se oggi hai quasi rischiato la vita”

Deglutì lentamente e si voltò verso la porta, stringendo il pugno con tanta forza che le nocche impallidirono.
Era una visione da stringere davvero il cuore: non avevo mai visto Edward così scosso e vulnerabile. L’idea che qualcuno avesse tentato di aggredirmi lo sconvolgeva, questo era chiaro; il pensiero di poter essere responsabile in parte di quel che era accaduto, lo rendeva furioso. Considerando che il suo temperamento di base era già piuttosto collerico e poco incline alla diplomazia, si comprendeva facilmente perché non riuscisse a perdonarsi né a placare la propria rabbia.
Io, viceversa, avrei desiderato proprio questo: poterlo tranquillizzare. Ero anch’io molto confusa, soprattutto dopo aver ascoltato il suo racconto, e non riuscivo a capacitarmi del fatto che quell’uomo, quel Frank, desiderasse farmi del male soltanto per il gusto di farlo a Edward. L’idea che avesse provato a costringerlo a tornare con sua sorella mi dava l’orticaria.

Che razza di richiesta era quella?
E da quando il cuore poteva ubbidire a comando?
Questo Frank era mai stato innamorato?
E, soprattutto, si era mai fatto vedere da un bravo psichiatra? Perché non c’era altra spiegazione al suo gesto e a quella sua minaccia se non la follia! Andava curato, ovviamente.

In ogni caso, confusione, sconvolgimento, rabbia e paura a parte, la cosa che mi premeva di più in quel momento era vedere Edward di nuovo calmo e lucido. Più studiavo la sua espressione contrita e pensierosa, più stavo male per lui.
Era chiaro che non gli rimproverassi alcunché. Come avrei potuto? Voleva soltanto proteggermi, non potevo accusarlo di alcuna negligenza nei miei confronti! E poi, siamo seri: chi, al posto suo, avrebbe davvero dato credito alle minacce di un folle?
Io no di certo!

“Edward…” lo chiamai allora. Lo tirai per un braccio, costringendolo a guardarmi. Di nuovo gli carezzai il viso e poi mi avvicinai a lui, lasciandogli un bacio sulla guancia.

“Edward, non farti colpe che non hai. Tutta questa situazione ha del paradossale, neanche io avrei dato credito a questo Frank o come dannazione si chiama lui! Per favore, rilassati. Voglio che tu stia bene, non riesco a pensarti così.”

Mi abbracciò.

“Io voglio che tu stia bene, è così che deve essere”
“Promettimi che non ti colpevolizzerai più. Devi stare tranquillo, questo è un periodo importante della tua vita e non puoi permetterti di stressarti in questo modo. Io sono okay, sul serio, sana e salva. Non devi preoccuparti per me, ho sentito parlare mio padre con alcuni colleghi: dicevamo che avrebbero attuato un programma di  protezione per la mia famiglia, sia quando siamo in casa che quando siamo fuori. Non ci toccherà più nessuno, neanche Royce King sarebbe così stupido da mettersi contro l’ambasciata americana!”

Edward sospirò e sembrò calmarsi un pochino.

“Bene, sono contento che tuo padre stia già provvedendo… Ma non sarà il solo.”
“In che senso, tesoro?”
“Nel senso che non ho alcuna intenzione di lasciar correre la cosa, Bella. Quel gran bastardo di Frank ha giocato col fuoco. Crede davvero che io non reagisca? Sei la mia ragazza, Isabella, e Frank non doveva neanche lontanamente pensare di poterti toccare!”


Il cuore cominciò a battermi all’impazzata.
Che idee aveva Edward?
In che guaio voleva cacciarsi?

“Ed, che significa? Cosa vuoi fare? Niente sciocchezze, per favore! Vuoi farmi preoccupare?”

Mi carezzò i capelli.

“Non c’è niente di cui tu debba preoccuparti. Lascia fare a me e stai certa che a nessuno più di quella combriccola di farabutti verrà in testa di torcerti anche un solo capello”
“Ma ti ho detto che ci penserà mio padre!” protestai.
“Devo pensarci anche io. Forse io per primo”
“Oh Edward, ti prego…” lo supplicai “Lascia stare! Io sto bene, è tutto okay, non mi è accaduto nulla e non mi accadrà mai più nulla. Quella è gente pericolosa, non avvicinarti!”
“Credo di poter essere più pericoloso di loro.”
“Edward… Sii buono, per favore!”

Da fuori giunsero le voci della piccola comitiva riunita sul balconcino: stavano rientrando. I tacchi di mamma risuonavano nitidi sulle mattonelle della pavimentazione esterna.
Edward balzò in piedi, afferrando la borsetta e la giacca di Alice. Prima di scostarsi del tutto, si chinò per darmi un bacio a fior di labbra:

“Buono? E che significa essere buoni, amor mio?” mi sorrise “Lascia fare a me, non pensarci. Andrà tutto bene”

Non ebbi tempo per ribattere: Edward si allontanò definitivamente verso la porta e, nello stesso momento, la piccola comitiva rientrò in camera mia. Alla sua testa, ancora una volta, c’era mia madre: squadrò attentamente Edward e poi me.

“Non eri con noi?”
“Certo signora, ma solo per un attimo. Sono tornato subito per prendere le cose di mia sorella: dobbiamo scappare. È davvero tardi. Alice?”
“Sì, Edward, andiamo. Grazie per tutto Miss Swan”

Alice si profuse in un piccolo inchino. Mia madre appena accennò un movimento del capo, viceversa.
“Ciao Elisabeth, piccolo tesoro”
“Ciao Alice” Beth si sporse per abbracciarla.

“Bene. Andiamo allora”
“Lasciate che Odette vi accompagni” aggiunse mia madre.
“Oh, non si scomodi signora, stia tranquilla.”
“Insisto”
“Ma certo, Miss Swan ha ragione” Odette intervenne prontamente “Ragazzi, vi accompagno io.”

“Arrivederci signora. E complimenti per l’ibiscus, tenuto benissimo!” commentò infine Edward. A me venne da ridere, considerando che Edward doveva pure ignorare che forma avesse un fiore di ibiscus.

“Isabella…”

Mi salutò allora portandosi la mano alla fronte, come fanno i soldati. Il suo sguardo diceva molto e il mio cuore perse un battito.

Ancora i suoi passi e quelli di Alice risuonavano per le scale e io non accennavo a staccare gli occhi da quella porta da cui l’avevo visto scomparire.
Sembrava tutto così irreale – la mia aggressione, la visita di Edward, le minacce di Frank – che, per un attimo, pensai di sognare. O di vivere un incubo, a scelta, considerando che l’unico elemento positivo di tutta quella faccenda era Edward stesso e adesso mi dava preoccupazioni anche lui: che intenzioni aveva con Royce King e la sua combriccola? E se gli fosse accaduto qualcosa di grave?
Come avrei potuto fermarlo?

Respirai a fondo, allarmata. Non avevo avuto neanche un briciolo di tempo a mia disposizione per fargli cambiare idea e adesso Edward stava tornando a Brixton.
Sarebbe andato subito da Frank? Cosa gli avrebbe detto?
Avrebbe portato qualcuno con sé? Jazz? Emmett?
Sarebbero arrivati alle mani? Ma sì, certamente!

Sbuffai, angosciata. Mi voltai e così incontrai prima lo sguardo turbato della mia sorellina e poi quello sospettoso di mia madre.

“Che c’è?”
“Non mi piace come ti guarda quel ragazzo, quell’Edward. Non devi concedergli nessun tipo di confidenza!”

Sobbalzai, arrossendo.

“Ma cosa dici, mamma!”
“Che ci faceva qui dentro da solo con te?”
“Probabilmente si era stancato di ammirare i tuoi meravigliosi ibiscus ed è tornato dentro a prendere le cose di sua sorella. Mi ha chiesto se fosse tutto okay e basta così. Non farti strane idee”

Cercai di non balbettare per sembrare quanto più credibile possibile. Beth mi guardò e approvò.

“Cosa fa nella vita?”
“Oh, beh… studia, lavora, non lo so. Non lo conosco bene.”


Lo conosco benissimo.
E aggiungerei che suona e… fa a botte con la gente.
Ma forse questo non t’interessa, mamma.


“Uhmf. Va bene, Isabella, ma sia ben chiaro: non voglio che tu abbia mai più nulla a che fare con lui. Passi sua sorella, che almeno cerca di distinguersi, ma lui mi pare davvero un selvaggio. Sono stata chiara? E adesso dormi.”

“D’accordo mamma” acconsentii allora. Dentro di me fremevo e ancora continuavo a stringere convulsamente il plaid che mi copriva, quando mamma uscì dalla stanza, trascinandosi dietro una Beth ammutolita e dispiaciuta.

Non sopportavo che qualcuno parlasse male del mio amore, neanche se quel qualcuno fosse stato mia madre.
Eppure dovevo tacere, per il bene della nostra storia.
Non sopportavo, inoltre, che qualcuno potesse fargli del male.
Qualcuno come Frank o Royce King, per intenderci; avrei preferito essere aggredita altre mille volte, piuttosto che ritrovarmi Edward con un occhio nero per causa mia.

Eppure, anche in questo caso dovevo tacere. Non potevo far nulla per migliorare lo stato delle cose, per farle andare secondo i miei desideri.


Sospirai: ero impotente.
Ero soltanto una stupida ragazzina ricca di Kensington, che delle vita non sapeva proprio un bel niente: quel che stava accadendo me lo mostrava ancora una volta.




 








L’ufficio puzzava di fumo: non aveva fatto altro che spegnere e accendere sigarette.
Gli bruciavano gli occhi.

Camminò qualche passo in avanti poi tornò indietro. Continuava a farlo da almeno mezz’ora.
Perché lo stava facendo aspettare così tanto?

“Frank.”

Qualcuno, alla fine, varcò la porta d’ingresso.
Non qualcuno ma il suo capo.
Sospirò.

“Mister King…”
“Non accaparrarmi scuse strambe, Frank”

L’uomo si accomodò alla sua poltrona di pelle scura, dietro una scrivania costosa e piena zeppa di carte e posaceneri stracolme.

“Ti avevo detto che ero d’accordo a fargliela pagare a Edward Cullen, visto che ha conti in sospeso con entrambi, ma cosa ti è saltato in mente con quella ragazza?!”
“Capo…”
“Sta’ zitto! Non m’interessa quel che hai da dirmi, pensavo di essere stato chiaro. Se quel tipo, il poliziotto che ha salvato la ragazza, ti avesse acciuffato, quanto credi c’avrebbero messo per arrivare a me? Io ho un nome da salvare! Tu non sei nessuno, puoi permetterti la gattabuia, sai? Io no!”

Mister King batté violentemente la mano sul tavolo. Frank sobbalzò.

“Mister King, mi scusi. Stava andando tutto così bene e poi…”
“Poi cosa, Frank? Non hai messo in conto nessun imprevisto, vero? Sei un coglione!”

Di nuovo batté la mano, di nuovo Frank sobbalzò.
Quell’uomo lo terrorizzava: conosceva il suo potere, immaginava le sue punizioni.

“Tutti gli uomini che lavorano per me svolgono con efficienza le proprie mansioni, anche le più complesse. Chi non è capace viene mandato via, spero che tu sia consapevole di questo Frank. Non sarò magnanimo con te, non dopo che hai quasi messo in pericolo il mio nome e il mio lavoro aggredendo la figlia di un diplomatico americano. Sei un imbecille!”

Frank calò lo sguardo, mortificato.

“Miss King, la prego, mi dia un’altra possibilità. Questa volta non la deluderò. Mi permette di vendicarci entrambi di Edward Cullen.”
“Ancora?! Mi hai stancato, Frank!”
“La prego, Mister King! Sono stato avventato, lo ammetto. Ma ho un piano in mente e questo sarà infallibile! Ho capito qual è stato il mio errore, non lo ripeterò più.””

King rise, sadicamente.

“E quale sarebbe stato l’errore, genio?”
“Ho sbagliato il bersaglio, Mister King. Non dovevo puntare a Isabella Swan, appartiene a una famiglia troppo conosciuta e ben agganciata, non avrei mai dovuto pensare di potermela prendere con lei.”
“Ah, ci sei arrivato?”

Annuì.

“Sì. Adesso, però, ho capito dove ho sbagliato e so come muovermi. La prego, mi dia un’altra chance.”

King lo squadrò diffidente; poi, accese un sigaro e ne aspirò una lunga boccata.

“Perché dovrei farlo, Frank? Io non sono uomo da seconda chance”
“Perché abbiamo un obiettivo comune: quello di fargliela pagare a un mocciosetto che ha tentato di umiliarci. Nessun altro al di fuori di me può comprendere questa sua voglia di vendetta, Mister King. La prego, mi lasci fare, stavolta non la deluderò.”

King continuò ad osservarlo.

“Tutto questo solo perché ha lasciato tua sorella? Non ti sembra di esagerare?”
“No. Mia sorella è distrutta a causa di quel bamboccio. Non posso accettarlo, l’ho sempre vista soffrire: merita di potersi riscattare.”

King continuò a fumare e non aggiunse altro per qualche istante.
Frank, dal canto suo, non faceva altro che torcersi le mani, agitato. Avrebbe dato di tutto per poter convincere il suo boss a dargli ascolto, a concedergli un’altra chance.
Aveva fallito una volta, non sarebbe successo di nuovo. Aveva troppa voglia di vendicarsi di Edward.
Ogni volta che vedeva sua sorella piangere, guardare un negozio di abiti da sposa, soffermarsi sulle proprie foto con quell’imbusto, gli si stringeva il cuore.
Marlene aveva sofferto una vita intera, perché anche questo?
E, d’accordo, in parte era anche colpa sua se tante volte si era disperata e aveva pianto, chiedendosi dove fosse finito il suo fratello preferito, ma adesso era giunto il momento di smetterla. Marlene avrebbe avuto finalmente la felicità che si meritava, e Edward gliel’avrebbe concessa, che gli fosse piaciuto oppure no.
Lui, al contempo, si sarebbe riscattato agli occhi della sorella perché soltanto grazie al proprio intervento Edward sarebbe tornato.
Soltanto in questo modo avrebbe potuto far dimenticare a Marla tutti gli errori del passato e tutti quegli istanti della sua vita in cui lui non era stato presente:  restituendogli il ragazzo che amava.

Ormai era una sfida, per lui, e l’avrebbe vinta.

“Mi fai pena, Frank” esordì allora King, rompendo il silenzio “Sono quasi tentato di concedertela un’altra chance.”
“Sul serio?” il viso di Frank s’illuminò.
“Sei certo di avere un buon piano di riserva, come dici?”
“Sicuro, signore! E molto meglio del precedente. So con chi prendermela stavolta, per giocare un po’ con Edward Cullen.”
“Mmmh…” gli occhi di Royce si ridussero a due fessure “D’accordo allora, ragazzo. Ti concedo un’altra possibilità.”
“Grazie signore!”
“Aspetta a ringraziarmi. Bada bene:  se mi combini qualche guai sarai tu a pagarne le spese”

Frank annuì. Non aveva paura, era certo che non avrebbe più commesso alcun tipo di errore.

“E cerca di non tirare in ballo la diplomazia americana o te le suono personalmente!”
“Non accadrà, Mister King”

Frank sorrideva come un bambino cui avessero comprato dello zucchero filato: era al settimo cielo.
Mister Royce King gli aveva concesso un’altra possibilità: quell’avvenimento aveva del miracoloso!
Si sfregò le mani.

“Adesso puoi andare. Non farmi vedere più la tua brutta faccia, a meno che tu non abbia buone notizie da riportarmi.”
“Va bene signore!”

Frank lo salutò, quasi inchinandosi. Infine, gli volse le spalle, pronto a correre fuori.
Era già sotto la porta quando Royce lo richiamò.

“Ah, Frank?”
“Sì, signore.”
“Non azzardarti mai più a fumare nel mio ufficio quando non ci sono. Uomo avvisato mezzo salvato”

Frank sorrise di nuovo: dopo essersi mostrato così magnanimo, Royce avrebbe pure potuto minacciarlo di rompergli un braccio. L’avrebbe presa bene in ogni caso.
E poi aveva ragione: gli aveva affumicato lo studio.


“D’accordo boss, lo ricorderò” rispose dunque richiudendosi la porta alle proprie spalle.

 
 
 
 




 
1Lady di Ferro era il soprannome dato a Margaret Tatcher, primo ministro del Regno Unito dal ’79 al ’90.
 
 
 
 
Buonasera fanciulle!
L’ultima volta vi ho fatto aspettare 9 mesi per un aggiornamento, stavolta uno soltanto.
Faccio progressi! Abbiate fede in me ;)

Tra l’altro, è stato un periodo davvero, davvero brutto… Ho perso una micetta che stavo crescendo a causa di un incidente e, credetemi, sono stata e sto davvero male. Magari, per molti potrebbe trattarsi di un semplice “gatto”, per me era una bambina, la mia bambina. Mi manca tanto.
Anyway, non voglio annoiarmi e passiamo a noi. In questo capitolo, apparentemente, non succede nulla di che. In realtà… Vabbè, non aggiungo altro, ma sappiate che ho implicitamente detto una cosa molto importante! :-p
Prima che me ne dimentichi, visto che è una cosa fondamentale e ci tengo a dirla, volevo RINGRAZIARVI di vero CUORE per la comprensione che avete mostrato nei miei confronti lo scorso capitolo. Vi ho fatto aspettare, ma voi avete atteso e avete capito le mie motivazioni. In molte di voi mi hanno parlato sinceramente del fatto che fossero un po’ risentite del mio ritardo e del silenzio, ma l’avete fatto tutte con gentilezza, che è una cosa cui tengo molto, e non me lo dimenticherò.
Siete delle fantastiche lettrici, ragazze! Grazie davvero.
A tal proposito, volevo dirvi che devo ancora rispondere a un casino di recensioni. No, non me ne sono dimenticata, e GIURO che vi risponderò tutte. Ho pochissimo tempo e ho preferito aggiornare piuttosto che farvi aspettare ancora, ma vi prometto solennemente che, prima del prossimo aggiornamento, avrete ricevuto tutte la risposta ai vostri deliziosi commenti, anche quelli di due capitoli fa. Se non lo faccio vi autorizzo a riempirmi di parolacce :-p ma tranquille che non vi deluderò! ;)

Passiamo al sodo: avete visto BD2?
Io sì, il 14 sera e….. E’ fantastico! Io, che sono sempre stata così critica con i film – specie le parti grafiche le ho sempre tollerate molto poco – l’ho trovato spettacolare! Oddio, è vero, la Renesmee fatta al pc lascia un po’ a desiderare, così come l’inizio un po’ frettoloso, ma per il resto è davvero il finale epico che tutte ci aspettavamo. Mi è piaciuto tanto e non  vedo l’ora di rivederlo in streaming! ;)
Nel frattempo, sto consumando A Thousand Years di Christina Perri :’)
Per l’occasione, ho creato un banner per BD… Vi piace?



 




Se volete chiacchierare con me, avere spoiler, anticipazioni, vedere immagini, video e quant’altro, mi trovate qui:

In the Sky With Diamonds

E’ il mio angolino personale, dove sarete le benvenute <3

Inoltre, ho aperto un account su Ask. Fm.
Se volete potete farmi tutte le domande che vi pare a quest’indirizzo:

http://ask.fm/MatisseEfp

Vi aspetto, mi raccomando! Mi piace tanto rispondere :D

Vi ricordo che ho anche aggiornato la pagina autore su Efp, con tutte le info che possono interessarvi! :D
Spero di aver detto tutto… Ah, una cosa: il capitolo non è betato, quindi vi chiedo scusa di eventuali ORRORI. Il lavoro non mi dà tregua e non ho tanto tempo per star dietro a tutto LTra MUB e la mia originale, Piovre sotto Pelle (se volete farci un salto la trovate a questo link: Piovre Sotto Pelle… è una storia d’amore con un background molto particolare cui tengo molto ;D), e la vita vera e propria al di fuori di Fb ed Efp dovrei sdoppiarmi per star dietro a tutto! XD

Okay, ora smetto di sproloquiare. Grazie di tutto ragazzi, ci vediamo al prossimo aggiornamento!
La vostra Matisse

PS: anche il nuovo banner per MUB è mio. Sto pasticciando un sacco al PS, ultimamente! XD


 

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Capitolo 25
*** Cap. 25 ***


[Riassunto puntate precedenti: Frank, il fratello di Marla, ha minacciato Edward di punirlo se non avesse lasciato Isabella per tornare con sua sorella. Edward lascia correre e non fa parola con nessuno dell’accaduto ma Frank, che lavora per il potente Royce King – con il quale Edward ha già un conto in sospeso – mantiene fede al suo proposito e aggredisce Isabella. Edward va a trovarla a casa e le promette che sistemerà le cose.
Buona lettura! ^^]





 
 
 

My Ugly Boy

 



 
 





Tanya era molto bella: aveva occhi grandi e scuri, le guance sempre sfumate di rosa  e i capelli erano biondi e boccolosi, lunghi fino alla vita. Lui amava carezzarglieli e lei lo lasciava fare, guardandolo di tanto in tanto e rivolgendogli un sorriso dolce. Un sorriso da sciogliere il cuore.

Tanya era una brava ragazza, una ragazza ricca che aveva deciso di amarlo nonostante tutto: si trattava di una specie di miracolo, era ovvio.

Frank si sentiva sempre molto fortunato quando pensava a lei perché chiunque altro, al posto di quella giovane così bella e delicata, l’avrebbe rifiutato e tenuto a distanza.
Lui era un ragazzo dell’East London, veniva da un quartiere degradato, era povero. Era un delinquente.
Eppure Tanya lo amava e l’aveva amato fino a quando… Fino a quando non era stata costretta a sposare un altro.
Perché era stata costretta, vero?
La sua famiglia prestigiosa aveva deciso per la sua vita affiancandogli un giovane altrettanto ricco, altrettanto elegante e perbene. Nulla a che vedere con lui, con Frank.
Com’era che si chiamava quel damerino? Ah sì, William Norweell.
Portava i capelli di un biondo rossiccio, spettinati e folti, aveva gli occhi chiari e grandi ed era alto e bello.
Tanya non s’era più fatta vedere da Frank dopo il matrimonio. Ma lo amava, lui lo sapeva, solo che era una ragazza troppo brava ed educata per venire meno all’impegno preso con quel damerino. Solo per questo era sparita dalla sua vita, ovvio.

Quanto gli mancava Tanya!

Più ci pensava oggi Frank, più si rendeva conto che Edward somigliava a quel tizio idiota che gli aveva portato via la ragazza e adesso era sua sorella Marla a soffrire, così come un tempo aveva sofferto lui.

Certo, gliel’avrebbe fatta pagare a Edward. L’avrebbe fatta pagare a tutti i bellocci come lui, quelli che credevano che fosse sufficiente avere un bel faccino per farsi perdonare tutto il male causato al prossimo.
Lui avrebbe punito Edward e avrebbe punito William, di riflesso; così, in una volta sola, avrebbe riscattato il proprio cuore tormentato e quello della sua povera sorella cui la vita non aveva mai sorriso abbastanza. Anche a causa delle sue bravate.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



POV EDWARD
 
 




 
“Che ore sono?”
“Sempre le quattro. Ed, me l’hai appena chiesto.”, rispose Jazz con voce monocorde. Sbuffai.
“Scusami.”
“Ehi, amico!”, esclamò allora Emmett, con quel suo vocione sempre allegro. “Stai tranquillo! E’ tutto okay, sul serio. Andiamo, gli spacchiamo la faccia a quel bastardo e poi ce ne andiamo a fare le prove. Andrà tutto alla grande, non stare in ansia.”

Io e Jazz ci scambiammo un’occhiata eloquente: Emmett non vedeva l’ora di fare a botte con Frank, questo era chiaro. Da che avevo raccontato loro tutta la verità sull’aggressione a Isabella, sulle minacce ricevute dal fratello di Marla e le relative conseguenze, Emm in particolare era partito in quarta, pronto a fargliela pagare sia direttamente all’uomo aveva cercato di rovinarmi la vita, che al suo lurido capo.
Certamente, Emmett ricordava ancora in modo molto vivido e reale quel che Royce King aveva fatto alla sua povera Rose appena qualche mese prima; adesso aveva di nuovo l’occasione per indurlo a pentirsi di un simile, reiterato atteggiamento, puntando sull’anello più debole della catena, ossia il suo scagnozzo – Frank.
Non se la sarebbe persa per nulla al mondo quest’occasione.

A onor del vero, anche Jasper era rimasto molto turbato dall’intera faccenda e inizialmente, quando gliel’avevo raccontata, mi aveva rimproverato per non averne fatto parola prima.
In effetti sì, ero stato uno stupido; vuoi per orgoglio, vuoi per superficialità (o forse per paura?) mi ero tenuto tutto dentro e questo era stato il risultato: Bella per poco non c’aveva rimesso la vita.
Non avrei mai più commesso un simile errore, lo sapevo io e doveva averlo capito anche Jasper che, dopo la ramanzina iniziale, mi aveva messo una mano sulla spalla e offerto il proprio aiuto per sistemare la faccenda con Frank, qualsiasi fosse stata la mia soluzione in proposito.
E la mia soluzione era, ovviamente, molto chiara: non avrei perso altro tempo. Frank avrebbe dovuto capire il prima possibile chi aveva sfidato e con chi aveva a che fare. Ero cresciuto a Brixton e le leggi della strada le conoscevo molto bene anche io. Probabilmente, aveva dimenticato questo dettaglio importante.

Ecco perché, alle quattro di quel pomeriggio, io, Emmett e Jasper viaggiavamo spediti verso casa di Marla.
Dovevo trovare Frank e se pure avessi dovuto aspettarlo per ore l’avrei fatto pazientemente. Tutto, pur di spaccargli la faccia e farlo pentire di quel che aveva osato fare.



Giunto a destinazione, bussai al campanello di casa di Marla almeno quattro volte; nessuno che si degnasse di venire ad aprire. Erano forse tutti troppo impegnati?
Aspettammo dieci minuti là fuori, prima di vedere la porta d’ingresso girare sui propri cardini. La mamma di Marlene comparve davanti a noi in vestaglia, sfatta, con la faccia assonnata mentre cercava di trascinare verso di sé David, il figlio di Roxanne. Quando il bambino scorse la mia figura, comunque, si calmò subito. Mi corse incontro ridendo:

“Ehi, Ed! Sei tornato! Così zia Marla smetterà di fare sempre quel muso! Sarai di nuovo mio zio?”

Me lo strinsi al petto, pieno di sensi di colpa.

“Ciao David…”
“Allora? Sarai mio zio di nuovo?”, ripeté ignorando il mio saluto.

Guardai Jazz ed Emmett; mi restituirono un’occhiata addolorata. Scossi la testa.

“No, David. Però ti voglio bene e te ne vorrò per sempre. E tu dovrai diventare un bravo ometto e un bravo giocatore di calcio, come avevamo già deciso. Lo farai per me. Okay?”
David sbuffò.
“Okay. Però che palle, chi la sente adesso la zia?” domandò scivolando dalla mia presa per rientrare in casa.

Per fortuna, a volte, i bambini dimenticano in fretta.

Quando alzai la testa, la madre di Marlene mi stava fissando con uno sguardo pieno di risentimento e diffidenza.

“Che cosa vuoi, Edward?”
“Salve signora. Cerco suo figlio Frank. È in casa?”

La donna s’irrigidì. Cercavo Frank, non Marlene, e lo cercavo in compagnia di due amici, uno dei quali – Emmett – aveva le dimensioni di un armadio. Era ovvio che la mia visita non lasciasse presagire a nulla di buono.

“Frank? Non vedo mio figlio da anni, Edward, e tu lo cerchi in questa casa? Prova a Manchester o chissà quale altra città dov’è andato a nascondersi. E adesso scusami, ma ho due pesti a cui badare.”

La donna si affrettò a chiudere la porta; la bloccai con un piede, prima che potesse sbattercela in faccia senza possibilità di replica.
Non mi andava di comportarmi in quel modo: non ero andato da Marla per montarci dentro una tragedia o far casino davanti ai bambini. Certo, neppure avevo intenzioni molto diplomatiche, ma ero deciso a chiarire ogni cosa al di fuori di quelle quattro mura; non sarei stato mai così bastardo da scazzottarmi con Frank avendo Marlene, sua madre e i bambini come spettatori.

Tuttavia, non mi andava di essere preso in giro anche da quella donna. Al danno si aggiungeva la beffa? Lo sapevo benissimo che Frank era in città, lo sapeva anche la mia ragazza, se era per questo. Me ne strafregava se la signora voleva proteggere quel coglione di figlio che si ritrovava: io avevo altre intenzioni e nessuno mi avrebbe fermato.
Forse Frank non si era reso conto che anche io ero un ragazzo di Brixton, un ragazzo di strada? Non l’avrebbe passata liscia con me.

“Signora…” commentai allora, mentre la donna mi guardava improvvisamente spaventata. “Abbia pazienza, ma il tipo che è venuto a minacciarmi nel locale dove mi esibivo e quello che ha aggredito la mia fidanzata in casa sua non era il fantasma di suo figlio, né una sua proiezione mentale. Frank è in città, lo so io e lo sa lei. Però, forse, lei non è a conoscenza del fatto che suo figlio mi sta davvero dando parecchio fastidio e forse è arrivato il momento che lo intenda e la smetta.”
“E come dovrebbe intenderlo, fammi capire? Perché ti sei portato loro due? E poi, di cosa vai parlando? Perché Frank dovrebbe minacciarti?”
“Per quanto strano possa suonare, Frank mi minaccia per convincermi a tornare con Marlene, signora.”
“Stai dicendo una cazzata.”
“No, signora” intervenne Jasper, infastidito da quell’atteggiamento “Abbiamo le prove di quel che diciamo. Isabella Swan, la ragazza di Edward, è a casa, sotto choc, a causa dell’aggressione subita da Frank e dai suoi amici.”
“Avete le prove di ciò che state dicendo?”
“Sì: le minacce che ho subito. Coincide tutto.”

La donna mi guardò assottigliando gli occhi.

“Ah sì? Beh, ti dirò una cosa: non me ne frega niente. A dirla tutta, se le cose sono andate come dici, Frank ha fatto pure bene. Questa Isabella Swan sarà una puttanella d’alto borgo venuta a rubare il ragazzo di mia figlia. C’è riuscita e non vedo che rispetto dovrebbe meritare una del genere!”
 
Roteai gli occhi, infastidito: stava dicendo sul serio?

Jasper sospirò pesantemente alle mie spalle, probabilmente nella vaga intenzione di riprendere controllo di sé, e poi strinse il mio braccio con forza. Captai immediatamente il suo messaggio: va tutto bene amico, puoi farcela. Non arrabbiarti.

“D’accordo signora. Quel che lei pensa della mia ragazza non m’interessa, considerando che si tratta di stronzate. Isabella è una ragazza splendida e certamente non è la causa della rottura tra me e Marla, poiché le cose tra noi non andavano bene già da molto prima…”
“Sì, ma prima di questa Isabella tu non hai lasciato la mia bambina. Stavate insieme, vi amavate.”
“Fingevamo di amarci! O, forse, fingevo solo io. Non stavamo insieme, sopravvivevamo insieme cercando forza nelle nostre comuni sventure. Ma davvero, sto spendendo anche troppo tempo a dare spiegazioni che non devo a lei, così come non sono tenuto a convincerla che Bella sia una persona speciale. Non le interessa e non interessa a me farle cambiare idea. Mi dica solo dov’è Frank e saremo tutti felici e contenti.”
“Ma vaffanculo, idiota di un Cullen!”

Sarei rimasto al minimo basito da una tale, raffinatissima risposta pronunciata per bocca della mamma di Marla, se la voce della stessa Marlene non mi avesse scosso da un tale sconcerto e riportato alla realtà.
Certo che la finezza non era di casa in quella famiglia, eh?

“Mamma? Con chi stai parlando? Frank dice se puoi preparargli delle uova perché ha fame! Vuoi che lo faccia io?”
“Sarebbe meglio…” grugnì la donna.

Mi rivolse un’occhiata mista di mortificazione e rabbia: il suo piano per tenere al riparo l’adorato primogenito era saltato miseramente per aria per causa – non voluta – di Marlene.

Quando Marla scorse il mio viso, sotto la porta d’ingresso di casa, s’immobilizzò nel bel mezzo della cucina; era pallida come un cencio e avrei potuto giurare di vederla tremare. Trovarla in quello stato non era un bello spettacolo e non mi rendeva felice; mi dispiaceva che, a causa degli eventi degli ultimi tempi, apparisse tanto prostrata e addolorata.
Tuttavia, non potevo cambiare il corso delle cose: amavo Isabella. Come avrei potuto comandare al mio cuore per non far soffrire Marlene? Era una brava ragazza e non se lo meritava. Speravo che avrebbe trovato presto qualcuno più degno di me di occuparsi di lei.


“E – Edward? Che fai qui?”

Una lucina di speranza brillò nei suoi occhi; anche Jasper dovette notarla poiché subito si voltò a guardarmi, dispiaciuto. Annuii.

“Cerca tuo fratello, Marla. Non darti pena, non è qui per te.” Rispose prontamente sua madre, con grande tatto.

“Frankie? Perché lo cerchi?”

Si allarmò immediatamente.

“Ho da mettere delle cose in chiaro con lui, Marla.”
“Cose di che genere?”

Marlene si avvicinò alla porta, superando l’ansia di venire a stretto contatto con me. Non ci vedevamo ormai da molto tempo.

“Del genere “minaccia e intimidazione”, Marla”, chiarì Emmett.
“Stronzate…” bofonchiò sua madre. Marla la guardò sbigottita e poi tornò a voltarsi verso di noi.
“Di cosa diavolo andate blaterando? Quali minacce? Quali intimidazioni? Che c’entra mio fratello? Edward?”

Piantò i suoi begli occhi azzurri nei miei. Mi si strinse il cuore.
Era una bambina piena di speranze cui non si era mai avverato alcun sogno. Aveva un solo eroe nella sua vita e quell’eroe portava di nome di Frank; adesso, stavo per toglierle anche quello.

“Tuo fratello lavora per Royce King, Marla. Conosci Royce King?”

Lo conosceva. A riprova di ciò, guardò istintivamente Emmett: ricordava molto bene cos’avesse fatto Royce King alla povera Rosalie, un po’ di tempo prima.

“N-non capisco…”
“E’ uno scagnozzo di Royce e ha usato questa sua presunta posizione di prestigio per aggredire Isabella. Non sai nulla di tutto questo, vero? Tuo fratello mi ha minacciato. Vuole che lasci Bella per tornare con te. Mi aveva detto che se non gli avessi dato ascolto me l’avrebbe fatta pagare, io non ho badato alle sue intimidazioni e Bella per poco non ci lasciava la pelle.”
“Non ti credo!”

Da pallido com’era, il volto di Marla divenne rosso come un pomodoro, forse per l’agitazione, forse per l’imbarazzo e la vergogna. Aveva quasi urlato quell’ultima frase e stringeva le mani in un pugno, come a proteggersi da qualsiasi altro attacco verbale avrei mai potuto muovere contro quel fratello adorato.
Ancora una volta, mi si strinse il cuore. Non avrei voluto mai arrivare a quello.

“E’ proprio così, Marla. Ci dispiace”, commentò allora Jazz, guardando alla mia ex con la medesima tenerezza che percepivo io adesso. Lei non rispose, ma sua madre si dimostrò decisamente più pronta:

“Mi avete stancato! State raccontando soltanto un mucchio di stronzate! Ma cosa volete ancora dalla mia bambina? Non vedete in che condizioni si trova? Edward, la stai guardando? Con quale coraggio vieni a raccontarle certe cose? Siete un branco di bugiardi, via da casa mia!”
“Mamma…”

La donna agguantò Marlene per un braccio, la spinse via dalla porta cercando, allo stesso tempo, di chiuderci fuori. Marlene la guardò scioccata, ma di nuovo la chiamò a voce più alta.

“Mamma! Che…”
“Sta’ zitta ed entra!”
“Marla!” urlai.
“Ma che diavolo sta succedendo?! Dove sono le mie uova?”

Una voce nota. Fastidiosa, irritante, disgustosa. Avrebbe potuto anche recitare una preghiera o cantare una canzoncina per bambini e l’avrei sempre trovata rivoltante come quella sera in cui aveva minacciato me e la mia ragazza.
La voce di Frank.

Quando mi avvistò al di là della porta d’ingresso, di primo acchito sbiancò: di certo, non si aspettava di vedermi così, all’improvviso, fuori casa sua. Dopodiché, il suo viso divenne così rosso che per un attimo temetti – o forse era meglio dire che mi augurai – gli potesse venire un infarto. C’impiegò diversi istanti prima di riprendersi, ingoiare una buona quantità di saliva e aprire quella boccaccia lurida che si ritrovava, il tutto nel silenzio generale di noialtri che attendevamo impazienti gli eventi futuri.
Marla era così bianca in viso che fui certo fosse sul punto di svenire.

“Porca putt… Che cazzo ci fate voi qui?!”

Un sorriso di soddisfazione aleggiò sulle labbra di Emmett: le parole pronunciate da Frank, l’impercettibile agitazione che esse nascondevano, la sorpresa che di certo doveva avergli procurato la nostra visita inaspettata lo inorgoglivano. Lo facevano sentire forte perché sapeva che, anche se non l’avesse mai ammesso, Frank era spaventato e lo era a causa nostra.

“Davvero non t’immagini nulla, amico?”, domandò Jasper, poggiandosi allo stipite della porta. La madre di Marla lo guardò male.

“Frankie!”, urlò allora la ragazza, agitata. Tremava. La vidi indietreggiare e poggiarsi a una delle sedie della cucina. Traballò: davvero, Marlene non riusciva a contenersi.

“Che c’è, Marly?”
“Dicono che tu abbia minacciato Isabella Swan. Che tu l’abbia aggredita!”
“Marla, andiamo…”
“Dicono che tu…”, continuò lei senza badare all’interruzione del fratello “…Abbia minacciato Edward per convincerlo a tornare con me. È vero?”
“Ma ti pare?!”
“E ti pare che loro siano qui senza un motivo valido?!”, urlò allora Marlene, in modo del tutto inaspettato. Io stesso sobbalzai. Emmett e Jazz si guardarono quasi increduli, ma compiaciuti da tanta foga. Marla era dalla nostra, nonostante tutto. Almeno stando ai fatti.

“Non voglio la pietà di nessuno, neanche la tua Frankie! Edward deve stare con chi ama…” la voce le s’incrinò pesantemente. “Se non mi ama, non posso costringerlo. C’ho messo un pezzo per capirlo, ma finalmente ci sono arrivata e poi… Sono costretta a sentire cose come questa! È ridicolo!”
“Sorellina, posso spiegarti tutto…”
“No, non puoi. Dimmi cosa ti è saltato in mente, dannazione!”

Urlò di nuovo, le lacrime agli occhi.
Se la conoscevo bene come credevo ancora, le bruciava l’idea che Frank avesse dovuto agire con violenza per cercare di riportarmi da lei, come se io fossi stato una bambola e lei una bimbetta nelle mani di quel fratello più grande e quasi sconosciuto. Si sentiva mortificata, ferita nell’orgoglio e in quella dignità che aveva già perso in diverse occasioni nel vano tentativo di riportarmi da lei. Marlene non aveva bisogno di tutto questo, nessuno ne avrebbe avuto bisogno; se Frank credeva davvero di mostrarle il suo affetto in questo modo, aveva decisamente sbagliato tattica.
Preso da un istinto di protezione nei suoi confronti che non avrei mai potuto cancellare, per quanto l’avessi desiderato, forzai allora la resistenza che sua madre opponeva alla porta d’ingresso, entrai in cucina e mi avvicinai a Marla, chiamandola.

“Marlene? Calmati, per favore…”

Mi restituì un’occhiata sorpresa e allucinata, come se  non si aspettasse quel mio gesto e, in generale, trovasse sconvolgente la situazione che si era venuta a creare.
Frank, viceversa, trovava soltanto sconvolgente la mia presenza accanto a sua sorella.

“Non ti azzardare ad avvicinarti, pezzo di merda!”
Mi spinse per la spalla.

“Non eri tu quello che voleva tornassi con lei? Adesso mi scacci? Strano, eppure hai aggredito Isabella per vedermi di nuovo in questa casa con Marla, cosa ti ha fatto cambiare idea?” lo provocai.
“In questa casa ci torni alle nostre condizioni, non portandoti i tuoi scagnozzi dietro!”, urlò.
“Io ho i miei scagnozzi, tu invece sei il leccapiedi di un riccone, uno stronzo che va in giro a violentare ragazzine innocenti. Sei una feccia, così come lo è Royce King, coglioni senza spina dorsale!”

Le parole vennero fuori come un fiume in piena. Avevo giurato a me stesso che nulla sarebbe accaduto in casa di Marla, ma davanti alle provocazioni di Frank non ero riuscito a trattenermi. Tuttavia, quando David – ricomparso improvvisamente in cucina – urlò a propria volta, ascoltando lo zio che perdeva il controllo, un senso di colpa mi prese tramutandosi in un vuoto alla bocca dello stomaco.

“Non davanti ai bambini Edward, dannazione!”, pensai mortificato.

Marla corse subito verso il nipote, consolandolo. Il bambino sembrava scioccato, seppur non fosse mai stato un tipo particolarmente impressionabile per la sua età. Immaginai che il fatto che Frank fosse ancora un estraneo per lui, unito a quegli scatti d’ira che gli erano sconosciuti, fosse la causa di una simile reazione.

“Non è niente David, è tutto a posto. Dov’è tua sorella?”
“Perché lui grida?”, domandò il bambino ad alta voce, indicando Frank. Il suddetto ignorò che il ragazzino non lo chiamasse zio e neppure conoscesse il suo nome, e si voltò nella mia direzione.

“Hai spaventato David, razza d’idiota!”
“Io dico che l’hai spaventato tu.”
“Io dico che mi avete scocciato, tutti quanti!”, urlò la madre di Marla a quel punto, esasperata. “Fuori di casa mia!”
“D’accordo, è giusto. Ma devo risolvere questa faccenda con te, Frank, e lo farò oggi. Fuori di qui io ci vado, ma tu verrai con me.”

Guardai prima Jazz ed Emmett, che annuirono. Poi mi voltai verso Frank; lo vidi serrare le mani in due pugni e aggrottare le sopracciglia, nervoso. Marla, alle nostre spalle, non fiatava.

“Tu non porterai Frank proprio da nessuna parte, razza d’imbecille! Tornatene da dove sei venuto e non procurarci più guai!”
“E’ suo figlio che mi provoca dei guai, signora!”
“Sei veramente un farabutto, Edward Cul…”
“BASTA!”

Marla urlò, Frank pure. Nello stesso istante.

Si guardarono per qualche istante, un dialogo infinito tra loro due che nessuno avrebbe mai potuto decifrare. Poi Frank sbuffò, Marlene calò il capo. Solo per una frazione di secondo spostò lo sguardo su di me; vi lessi mortificazione, dispiacere, delusione, vergogna e ancora troppo amore. Poi non aggiunse altro: afferrò David per la mano e lo trascinò via, verso una di quelle squallide stanze che si nascondevano oltre la tendina di separazione della cucina.

A quel punto, fu la voce di Frank a risuonare nella stanza. Persino sua madre tremò, probabilmente immaginando le conseguenze.

“D’accordo Cullen, ti darò quello che vuoi. Fuori di qui, hai detto. E fuori di qui sarà. Risolveremo i nostri problemi, con o senza i tuoi amichetti.”

Jazz ed Emmett si guardarono; Emm ridacchiò.
Frank, tutto sommato, sembrava pronto a ricevere la sua giusta punizione.


 



 
 





 
ISABELLA POV
 





“Signorina, non posso lasciarla da sola.”

Alzai gli occhi al cielo: in quale altro modo avrei potuto convincere Steve – il tipo della sicurezza che mi aveva appioppato mio padre – a lasciarmi in pace per un paio d’ore almeno?
Per carità, era un brav’uomo e svolgeva onestamente il proprio lavoro, ma io avevo bisogno di vedermi con Edward e di certo non avrei potuto farlo portandomelo dietro. Non credevo che Ed avrebbe gradito molto un’uscita con tanto di accompagnatore.

Da quando ero stata aggredita vivevamo in uno stato di perenne agitazione, mio padre più di tutti: l’idea che qualcuno avesse potuto farmi del male, in casa nostra soprattutto, l’aveva quasi fatto impazzire. Io apprezzavo molto quello che stava facendo per me e, a onor del vero, l’idea che mi avesse affiancato delle vere guardie del corpo, inizialmente, mi aveva procurato un enorme sollievo perché non mi sentivo più al sicuro da nessuna parte, quand’ero da sola. Tuttavia, col passare dei giorni, l’ansia era andata scemando e sapere chi fosse l’artefice di quell’aggressione, per quanto mi sembrasse una follia, rendeva il tutto meno nebuloso e quindi spaventoso: avevo ancora paura, ma sapevo chi era il colpevole, sapevo con chi prendermela e l’idea mi appariva più sopportabile. Edward avrebbe sistemato tutto; non sapevo in quale modo – un po’ lo temevo, dovevo essere sincera – ma sapevo che avrebbe lottato per la mia salvaguardia. Di conseguenza, non c’era più bisogno di tutte quelle attenzioni o che mio padre schierasse mezza polizia di Londra alle mie spalle: ormai, consideravo passato il pericolo.

Quel pomeriggio, tra l’altro, avrei dovuto incontrarmi proprio con Edward per discutere della “soluzione” da lui adottata al fine di convincere Frank a lasciarci in pace. Quel maledetto ragazzo doveva tornarsene al proprio posto; non avrebbe mai più dovuto azzardarsi a toccare me o Edward, né causarci altri problemi proprio adesso che stavamo vivendo la nostra storia d’amore appieno – seppur con tutte le complicazioni dovute alla prolungata assenza del mio fidanzato a causa della musica. In ogni caso, speravo che Edward avrebbe potuto, se non l’aveva già fatto, risolvere la situazione in maniera civile, senza ricorrere alle mani: per quanto Frank se lo meritasse, non volevo che ripiegasse sulla violenza per sistemare la faccenda. Desideravo che si tenesse al riparo da certi squallidi meccanismi di potere “da strada” e, soprattutto, non volevo che corresse dei pericoli, così come non lo volevo per Jasper o Emmett. Dopotutto Frank lavorava per Royce King e il rischio che potessero innescarsi delle ritorsioni o vendette a catene era molto alto.

A conti fatti, quella situazione mi agitava. Mi agitava terribilmente. Edward e io dovevamo parlarne e se lui non avesse ancora messo in chiaro le cose con Frank, dovevo convincerlo a tutti i costi ad agire diplomaticamente per il bene di noi tutti.
 
Davvero, non vedevo l’ora di poterne discutere con lui in santa pace – ed Edward doveva essere dello stesso avviso, giacché aveva inviato Alice come messaggera, a scuola, per chiedermi un incontro – ma prima dovevo liberarmi di Steve.
Di certo non potevo portarmelo dietro come un cagnolino.


Mi voltai a guardare l’uomo che fumava, al mio fianco, senza alcuna intenzione di mollarmi e sbuffai: questa sì che era una seccatura!


“Steve? Andiamo, ho delle spese da fare con delle mie amiche!”
“Signorina Swan, potrà fare shopping tranquillamente e le assicuro che non le recherò alcun fastidio.  Ma non mi chieda di lasciarla da sola, non potrei mai venire meno a un incarico affidatomi da suo padre. Il signor Swan si fida di me e non tradirò questa fiducia.”
“Ci parlerò io con mio padre, sia gentile! Vedrà che capirà.”

L’uomo scosse la testa.

“No. Nulla da fare. Starò con lei per tutto il tempo che sarà necessario, fino a quando non tornerà a casa sua.”

Sospirai affranta: combattere con Steve Michelle era un’impresa decisamente più dura di quanto mi aspettassi. Per fortuna, un angelo sceso direttamente dal cielo venne a offrirmi il proprio aiuto in quest’impresa, proprio quando avevo perso ogni speranza.
Ovviamente, il mio angelo aveva un nome solo: Odette.

Chi altri, se non lei?
 
“Isabella! Tesoro! Speravo proprio di vederti!”

Quando sentii chiamare il mio nome, mi voltai immediatamente in direzione di quella voce così dolce e familiare e così la vidi: la mia splendida Odette, fasciata in un tailleur verde smeraldo – decisamente inusuale per i suoi standard – con i capelli raccolti in uno chignon morbido e il viso disteso in un’espressione di beatitudine. Era molto più bella del solito.
Mi salutava agitando la mano dall’altro lato della strada, tenendo ben stretta sotto braccio la sua pochette da passeggio. Alla sua vista mi si illuminarono gli occhi e, dall’alto della scalinata d’ingresso della Queen Elizabeth School, anche io agitai la mano per salutarla.

“Odette!”

I suoi tacchi risuonarono ritmicamente sui gradini mentre mi raggiungeva. Quando mi voltai verso Steve per chiarire che quella donna era la mia governante, lo trovai imbambolato: diamine se la mia Odette faceva ancora effetto sugli uomini!

“Steve?”
“Mh?”
“Tutto bene?”
“B-benissimo signorina, grazie.”

“Bella!” Odette mi lanciò le braccia al collo, entusiasta.
“Ehi! Quanto siamo belle e felici questa mattina! Qual buon vento, Odette cara?”
“Oh!” ridacchiò, arrossendo “Nulla in particolare. Sono stata assunta in una casa nuova…”
“Oh, un nuovo lavoro! Ne sono felice.”
“Grazie, cara.”
“Odette, posso presentarti la mia… guardia del corpo? Il signor Steve Michelle.”

Steve a malapena riuscì ad allungare la sua mano tremolante verso Odette. Era sinceramente intimidito da lei.
Mi venne da ridere.

“Steve, la signora Odette Headon. È stata la mia governante e un’amica fidata, di cui mia madre si fida ciecamente…”
 
Ciecamente?
Avevo detto proprio così?
Una lucina si accese allora nella mia testa: Odette poteva aiutarmi.


“Bella, tutto bene?”

Odette mi guardò preoccupata: avevo smesso di parlare di colpo.
“Tutto benissimo Odette, solo che avevo tanto piacere di poter trascorrere un pomeriggio da sole, noi due, come avevamo concordato…”

Le strizzai l’occhio, chiedendo complicità; Odette mi guardò perplessa appena per un istante, prima di comprendere che c’era in atto un piano e avevo bisogno del suo aiuto per realizzarlo.

“E qual è il problema, Bella?”
“Il signor Steve non vuole lasciarmi da sola con te. Dice che papà non lo permetterebbe e lui non vuole contraddirlo. Sai, per quel che è successo…”

“Signor Michelle…”

Odette si voltò a guardarlo, un’espressione risentita dipinta sul volto tanto realistica da farmi pensare che nella sua vita avesse di certo studiato recitazione.

“Lei non vuole lasciare Bella. Da sola. Con me…?”

Il viso di Steve assunse un colorito indecifrabile, a metà tra il porpora e il violaceo. Era decisamente a disagio e Odette non faceva nulla per farlo sentire meglio. Era una scena molto divertente da osservare.

“Oh no, beh, ecco, io… E’ complicato…”, bofonchiò.
“Cosa c’è di complicato, signor Steve?”
“Beh, il signor Swan mi ha incaricato di non lasciare mai la signora Isabella da sola, neppure per un attimo…”
“Lei non la lascerebbe da sola. Isabella sta con me, è sempre stata con me. L’ho educata, mi sono presa cura di lei per un’intera estate e i signori Swan hanno la massima fiducia in me. Potrei ritenermi offesa da questo suo comportamento, lo sa?”
“L-la prego, non è mia intenzione offenderla!”, la supplicò ad alta voce.

Trattenni una risata.
Odette era davvero convincente.
Approfittai immediatamente della situazione.

“Allora mi lascerà andare a far spese con Odette, signor Steve? La prego, ho davvero bisogno di stare un po’ in sua compagnia!”
“Ecco, io…”
“Signor Steve?”, incalzò la mia governante.

Il povero ometto sembrava profondamente combattuto; non desiderava venir meno agli impegni presi con mio padre ma, al contempo, non voleva mettere in discussione il ruolo di quella che era stata la mia governante, una donna di cui mia madre si fidava ciecamente e da cui lui stesso sembrava particolarmente affascinato. Se avesse saputo che tutta quella storia non era altro che una messinscena architettata da me in maniera del tutto estemporanea, col pronto appoggio di Odette, probabilmente si sarebbe arrabbiato molto e avrebbe fatto rapporto a mio padre.
Ma, a conti fatti, nessuno gli avrebbe mai detto la verità e forse potevo nutrire ancora qualche speranza di potermi liberare al più presto dalla sua rigida sorveglianza.
 
“D’accordo signorina Swan! Ma soltanto perché è con Miss Headon e solo per un’ora!” sbottò dunque, all’improvviso.

Mi sentii una vera miracolata.

“Due ore!”, ribattei comunque.
Mi guardò rassegnato.

“Alle cinque qui, fuori scuola! Non un minuto in più, non uno in meno. E la prego, Miss Headon, riaccompagni personalmente la signorina Isabella. Io mi farò trovare in questo punto esatto e riporterò a casa come d’accordo, va bene?”, concluse infine con cipiglio severo. In realtà, ancora stentava a guardare Odette in faccia: doveva essere troppo bella o elegante per lui. O forse, molto più semplicemente, doveva intimidirlo parecchio.

“Va bene, signor Michelle. Grazie.”

Lui non rispose, ma fece un cenno col capo prima di allontanarsi lungo le scale della Queen Elizabeth School, sparire in auto e dileguarsi nel traffico di Londra.

Sbattei le palpebre più volte: non mi sembrava vero che Steve non mi girasse più attorno. Odette era stata provvidenziale, ancora una volta.
Le gettai le braccia al collo di nuovo, al colmo della felicità.

“Odette, dimmi chi ti ha mandato nella mia vita… Corro a ringraziarlo!”
“Attenzione signorina Swan, così mi soffochi!”, mi canzonò ridendo. “E comunque, è sempre un piacere per me rendere una cortesia a un’amica.”

Le sorrisi.

“Devi vederti con Edward?”
“Già. Ma da quando sono stata aggredita è diventato tutto più complicato. Mio padre ha schierato la metà della polizia di Londra per seguirmi passo passo e io non ho più alcun tipo di privacy. Non posso incontrarmi con Angela, andare alle prove dei White Riot, uscire per fare spese, andare al cinema. Se consideri che la vita di Edward è super impegnata e vederci da soli è già piuttosto complicato, capirai che con quest’ulteriore problema la faccenda è diventata ancora più seria. Non abbiamo più tempo per noi due.”
“Ah, questa cosa l’ho già sentita… Poveri i miei ragazzi, ne fate di salti mortali per passare un po’ di tempo assieme, vero?”
“Sì, esatto.”
“Beh, allora adesso che aspetti? Corri, che il poliziotto più temibile di Londra alle cinque ti aspetta per riportarti a casa! Dove hai appuntamento?”
“Alla metro di Victoria.”
“E allora sbrigati, altrimenti starete pochissimo assieme.”
“D’accordo, vado! Ody, mi spiace… Avrei voluto stare un altro po’ con te. Mi racconterai presto del nuovo lavoro?”
“Il prima possibile.”
“Bene.” Annuii sorridendo. “Allora adesso scappo…”
“Perfetto, tesoro. Vai!”
“Grazie ancora!”

Le schioccai un grosso bacio sulla guancia e voltai poi le spalle, pronta a correre in strada il prima possibile, verso Edward. A onor del vero, mi sentivo un tantino ingrata e anche indelicata a mollare Odette di punto in bianco dopo l’enorme favore che mi aveva appena fatto, ancora una volta, ma non avevo altra scelta. Il tempo per vedere Edward era seriamente ridotto.
Tuttavia, una domanda premeva per uscire dalla mia bocca, perché di natura sono una gran curiosona; cosicché ritornai sui miei passi, per salutare un’ultima volta Odette, e decisi di sottoporle quell’interrogativo.
Trovai la mia governante piuttosto distratta: guardava altrove. Sembrava avesse già dimenticato di trovarsi fuori la mia scuola, con me ancora nelle vicinanze.

“Odette?”
“Mh?”
“E’ tutto a posto?”
“Benissimo. Vuoi dirmi qualcosa, tesoro?”
“Beh, sì… volevo chiederti… Che ci fai qui? Eri passata di scuola per dirmi qualcosa?”
“Ah no, no.” Rispose con un gesto rapido della mano “Mi passavo a trovare di qui per caso.”

“Ah beh! La persona giusta al momento giusto, direi”, le sorrisi di nuovo. Mi sorrise a sua volta, ma continuava a sembrarmi distratta. Decisi che forse aveva altro a cui pensare – forse era troppo presa, in senso positivo, dall’idea del lavoro appena conquistato – e allora preferii non disturbarla ulteriormente, considerando che ero piuttosto di fretta anche io. La salutai per l’ennesima volta e mi affrettai a e discendere nuovamente per la lunga scalinata della Queen Elizabeth School.
Fu allora, nel voltarmi, che individuai un viso conosciuto che mi fissava insistente dal portone d’ingresso della scuola.
Si trattava di Oliver.

Ultimamente quasi non ci rivolgevamo più la parola; al di là del fatto che era spesso assente, quando poi si presentava a scuola tendeva a starmi lontano. Anche dopo l’aggressione che avevo subito e di cui Angela l’aveva messo al corrente, non mi aveva dimostrato grande solidarietà; probabilmente, immaginava che Edward fosse implicato in tutto questo e non approvava la nostra relazione a maggior ragione, come d’altronde non l’aveva mai fatto prima. A volte mi chiedevo se la sua fosse mera gelosia o un semplice senso di protezione nei miei confronti che faticavo a comprendere.

Fatto sta che, anche quel pomeriggio, Oliver non mi guardava con uno sguardo meno riprovevole del solito: con ogni probabilità, immaginava dove e verso chi potessi fuggire senza la mia guardia alle calcagna. Non m’importavano comunque né le sue ramanzine, né quelle di chiunque altro, cosicché distolsi prontamente lo sguardo da lui pur di non dover sopportare un ulteriore occhiata disgustata da parte sua.
Quello che non compresi fu il perché, viceversa, Odette continuasse a sua volta a fissare in direzione del mio compagno di scuola senza distrarsi, come se guardarlo o guardare chiunque altro si trovasse in quel determinato raggio di azione, fosse di fondamentale importanza.

Annotai mentalmente quel particolare, mentre andavo via: appena ne avessi avuto la possibilità, avrei chiesto a Odette il perché di quel suo enigmatico atteggiamento.
 
 




***
 




 
“Amore!”

La prima cosa che feci, quando riconobbi il viso di Edward tra la gente che affollava l’ingresso della Victoria Station, fu quello di gettargli le braccia al collo. Per un momento soltanto riuscii a dimenticare Frank, Royce King, la Noyse Records, mia madre, Oliver e tutta la serie di piccoli, infiniti problemi che rendevano complicata la nostra storia.
Chissà se un giorno avremmo potuto vivere tranquillamente la nostra quotidianità. Non avevo mai avuto la presunzione di vivere un amore facile: ero stata consapevole sin dal principio che le cose che avrebbero potuto dividerci avrebbero anche potuto superare quelle che ci univano; tuttavia avevo accettato di correre questo pericolo. Nonostante tutto il contorno, io amavo Edward, l’avevo amato sin dal primo istante come nei più tradizionali dei colpi di fulmine, e niente mi avrebbe separato da lui.
Però… Così era davvero troppo. In fondo, cosa c’era di male nel chiedere solo un po’ di tranquillità per noi due?
 
“Tesoro mio, Bella!”

Edward mi strinse in un abbraccio così forte da togliermi il fiato e, subito dopo, mi baciò con impeto, come se non mi vedesse da secoli. In effetti, era da tanto che non riuscivamo a stare un po’ da soli, anche se in mezzo a una strada affollata di Londra nel bel mezzo del pomeriggio. L’ultimo nostro incontro risaliva alla sera dell’aggressione quando Edward, assieme con Alice e molto coraggiosamente, avrei osato dire, si presentò a casa mia ignorando lo sguardo minaccioso di mia madre.

“Come stai?”
“Bene, bene. Tu? Sei riuscita a liberarti dall’orango, vedo.”

“L’orango”, era la mia guardia del corpo, Steve Michelle. Mi venne da ridere al pensiero che, in realtà, fosse un ometto basso e dalla testa tonda, per quanto forzuto. Mi dava idea di tutto, tranne che di un orango.

“Sì, anche se con mezz’ora di ritardo! Mi spiace.”
“Non è un problema. L’importante è che tu sia qui, adesso.”

Annuii.

“Indovina Ed? Mi ha aiutata Odette a raggiungerti. Passava per caso di scuola e mi ha dato una mano a svincolarmi da Steve.”
“Quella donna è un angelo. Dovremo erigerle una statua d’oro, sul serio. In mezzo a Trafalgar Square.”

Risi con lui, sinceramente divertita. Edward sapeva rendermi spensierata anche nei momenti peggiori.
Tuttavia, uno strano luccichio brillava nei suoi occhi, come qualcuno che abbia vissuto un’esperienza molto intensa e abbia una scarica di adrenalina che gli scorre in corpo. Le pupille erano dilatate, lo sguardo a metà tra l’euforia e lo spavento.
Un dubbio s’insinuò nella mia mente.

“Edward, amore?”
“Dimmi.”
“Che hai?”
“Io? Nulla. Cosa dovrei avere?”
“Hai già parlato con Frank? Avete risolto, com’è andata? Mica… Mica avete litigato? Dimmi di no, ti prego!”
“Bella…”
“Edward? Avete litigato? Vi siete… picchiati?”

Guardai Edward a bocca spalancata, in cerca di una risposta. Mi restituì un’occhiata intensa, apparentemente preoccupata.
Alla fine scoppiò a ridere e io non riuscii a trattenere lo sconcerto.


“Edward?!”
“Oddio Isabella, hai finito di girare film nella tua testa? È tutto okay, io sto bene, stiamo tutti bene e le cose vanno alla grande! Rilassati!”

“Edward! Potresti smetterla di prendermi in giro? Scusami tanto se mi preoccupo per te, eh!”
“Ma non devi scusarti, piccolina. E non voglio prenderti in giro, perdonami…”
Si piegò per darmi un bacio tra i capelli. Era sempre troppo alto per me.

Mi persi in quel gesto di affetto e dimenticai per un attimo l’offesa subita.
 
“…Solo che sei così divertente quando ti preoccupi a quel modo!”

Ridacchiò ed io tirai fuori la lingua, imbarazzata. Poi però l’abbracciai e così allacciata a lui prendemmo a muoverci lungo la strada trafficata.

“Vuoi dirmi che è tutto a posto, allora?”
“Alla grande”, rispose guardando lungo la strada.
“Hai parlato con Frank?”

Annuì.

“Siamo andati a casa sua, l’abbiamo smascherato davanti a sua madre e a Marla. Credo che per lui non possa esserci punizione peggiore di questa. Era rosso di rabbia e vergogna.”
“Abbiamo?” ripetei. “Quindi non eri da solo?”
“No. C’erano Jasper ed Emmett con me.”

Annuii, ancora un tantino perplessa. Mi sembrava tutto troppo semplice.

“Ha funzionato Ed? Sei sicuro che sia bastato così poco? E poi, come hai fatto a mantenere la calma e non passare alle maniere forti con Frank? Quando sei andato via da casa mia, l’altro giorno, sembravi così arrabbiato!”

“Lo ero infatti. Ma ho preferito far sbollire la rabbia e il nervosismo e credo di aver fatto bene. Le cose sono andate più lisce di come ci aspettavamo. Tranquilla, è tutto okay, posso assicurartelo. Marla gli ha fatto una bella ramanzina e Frank non ha aperto bocca. Credo che abbia capito.”
“Marlene era dalla vostra parte, Ed? E come è possibile questo?”
“Chiunque ci avrebbe appoggiati, amore mio. Il comportamento di Frank non è giustificabile. E neanche a Marlene ha fatto piacere sapere che suo fratello mi abbia minacciato: non è una bambola, non lo sono io. Frank deve comprendere che due persone devono stare insieme per amore, non per paura. Spero che gli sia chiaro, adesso.”

Annuii di nuovo e sospirai, mentre passeggiavamo lentamente sul corso. A un tratto mi sentii sorprendentemente sollevata: non riuscivo a credere che la faccenda fosse stata risolta davvero così facilmente.
Era troppo bello per essere vero, in effetti.

“Ed, è finita allora?”
“E’ finita, amore mio. Puoi stare tranquilla, Frank non ci darà più fastidio.”

“Oh, Edward!”

Sorrisi, felice.
Lo strinsi ancora di più a me. Un passante ci guardò curioso e poi ridacchiò, di fronte a tanto amore.

“E’ una notizia meravigliosa!”
“Già. E vuoi sentirne un’altra? Sabato sera abbiamo la prima serata ufficiale come band della Noyse Records! Ci esibiremo come gruppo spalla per un festival rock, ad Hyde Park… Sperando che non ci sia troppo freddo o troppa pioggia. Insomma, è una grande occasione per farci conoscere, ormai siamo una band sotto contratto, tutto ciò che dobbiamo fare è sfondare il muro, mia cara!”
“E lo farete Ed, lo farete! Sono così felice per te!”

Ci scambiammo un bacio lungo e intenso.
Ero frastornata da tutte quelle emozioni impreviste ma ugualmente bene accette: prima Frank, che aveva ormai rinunciato a torturarci e appariva come un problema accantonato; poi Edward che finalmente cominciava a raccogliere i frutti del suo lavoro e dei propri sacrifici… Non mi sembrava vero. Finalmente ci stavamo lasciando alle spalle tutti i nostri problemi?
Sul serio?
Ero davvero felice.


“Allora era per questo che mi sembravi così strano, prima… E io che pensavo c’entrasse Frank!”
“Te l’ho detto che sei una sciocchina che si fa un sacco di problemi! Semplicemente, grandi cose bollono in pentola… Sono euforico per tutto questo!”
“Lo sono anche io.”
“Lo so. Grazie amore.”

Ricambiai quel ringraziamento con uno sguardo colmo d’amore. A guardarci dall’esterno, me e Edward, dovevamo proprio causare il diabete. Ne ero consapevole.

“Quanto tempo hai ancora per stare con me?”
“Alle cinque devo trovarmi fuori scuola, Steve mi aspetta.”
“Bene. Facciamo una passeggiata allora, ho voglia di stare all’aria aperta con te.”

“Annuii. Ero serena, spensierata.

“Ti va un tè?”
“Alla solita caffetteria sul Tamigi? Daremo spettacolo di nuovo?”

Ridacchiai, pensando a quando mi ero seduta sulle ginocchia di Edward, in quella sala per il tè così distinta di Westminster, e tutte le brave signore della Londra bene si erano scandalizzate a causa del nostro comportamento – a loro dire – vergognoso.
Edward rise con me, ricordando l’episodio.

“Ma sì, andiamoci… Mi piace far prendere infarti alle vecchie amiche di sua maestà la regina!”

Gli sorrisi, tendendogli la mano; Edward l’afferrò prontamente e fu allora che, carezzandogli il dorso, mi resi conto che la sua pelle, al mio tocco, appariva screpolata, quasi lacerata. Ferita.
Anche Edward impallidì: forse per il dolore?


Sollevai subito la sua mano per osservarla e comprendere quale fosse il problema, ma Edward, istintivamente, la ritrasse. Tutto ciò che riuscii a focalizzare fu una specie di grosso taglio all’altezza delle nocche.

“Edward, che ti è successo alla mano?!”

Mi parve quasi imbarazzato dall’accaduto, frastornato. Di certo, non mi sembrava che la mia scoperta gli fosse gradita. Non rispose subito; piuttosto, si grattò la nuca per qualche istante.

“Mi sono fatto male.”
“Me ne sono accorta. Ma come?”
“Beh, se te lo dicessi potresti prendermi in giro per il resto della vita.”
“Tu dimmelo e vedremo.”
“Mi sono ferito con il basso. M’è quasi cascato addosso.”
“Cascato addosso?”

Ero perplessa.

“Sì, mi si è staccata la tracolla all’improvviso, mentre suonavo, e per evitare che cascasse per terra ho fatto una mossa sbagliata e mi sono ferito nell’afferrarlo. Sai, le corde sono d’acciaio e il basso pesa parecchio…”
“Ma dici sul serio, Ed?”

Mi sembrava una dinamica un po’ pasticciata e confusa, eppure Edward appariva sicuro mentre lo descriva, al massimo soltanto un po’ impacciato all’idea di dover raccontare un episodio così buffo.

“Certo che dico sul serio, Bella. Vedi perché non volevo raccontartelo? E’ davvero una pessima figura. Un bassista che si ferisce col suo strumento!”
“Beh, non ci sarebbe nulla di male. Ma dovresti curarti, mi sembrava una bella ferita.” Osservai.
“Naaahh, passa da sola amore mio! Devi smetterla di preoccuparti sempre di tutto quello che mi riguarda, sul serio. Questa poi, proprio una sciocchezza! Adesso vogliamo andare?”


Edward sembrava tranquillo. Mi sorrise, rivolgendomi quell’ultima domanda.
Guardai l’orologio alle sue spalle: mancavano poco meno di venti minuti alle quattro e per le cinque avrei dovuto essere di ritorno a scuola.
Per quanto fossi preoccupata per la sua mano e un po’ titubante a causa del suo racconto stravagante, volevo davvero sprecare quel tempo che ci era concesso per discutere sul modo in cui si era ferito?
No, non davvero.
Eppure… Eppure non mi sentivo sicura. Non che dubitassi di Edward, non mi aveva mai mentito, per carità. Però… Aveva quell’aria strana, era così agitato e sembrava non gl’interessasse altro che distrarmi, farmi pensare ad altro. A tutto ciò che fosse al di fuori di Frank, Marla e dei nostri problemi. Forse voleva soltanto proteggermi e permettermi di stare tranquilla, finalmente? Oppure c’era sotto qualcosa di più?
Perché avevo la cattiva impressione che Edward non mi stesse dicendo tutta la verità?

Sospirai.
Non avrei potuto saperlo, in effetti. Almeno che non avessi forzato la mano, non avessi fatto altre domande. Ma sapevo come sarebbe finita poi: magari avremmo discusso e addio pomeriggio di relax e amore tra noi due.
Forse, come diceva Edward, mi stavo facendo solo un sacco di paranoie?
Non lo sapevo.
Decisi di non voler approfondire.

“D’accordo, andiamo”, risposi infine, seppure riluttante..

Edward allora sorrise e così ci incamminammo lungo la via. Ma stavolta, per passeggiare, non mi diede più la mano. Piuttosto, decise di offrirmi il braccio e di nuovo la mia testa ricominciò a formulare cattivi pensieri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avevano deciso di punirlo.
Bene.
Per lui andava bene.
Del resto, una sana scazzottata – tre contro uno – era decisamente più interessante e avventurosa di una lunga e inutile chiacchierata.


Quando si era allontanato con Edward e i suoi compari, a Frank, neppure per un attimo era passato per la testa di conversare civilmente con loro e giungere a una soluzione.

Sì, lui aveva aggredito Isabella Swan. Sì, lui voleva punire Edward per il male che aveva recato alla sua sorellina. Sì, era tutto vero e si sarebbe assunto le proprie responsabilità.
Una chiacchierata amichevole non era sufficiente come chiarimento per nessuno di loro quattro; Edward voleva vedere il suo sangue per sentirsi meglio e illudersi di aver sistemato le cose? Okay, perfetto. Lui gli avrebbe regalato quell’illusione.
Tanto il meglio doveva ancora venire.

E allora, una volta rimasto da solo con quei tre, aveva preso a provocarli. Prima l’uno, poi l’altro. Ava deciso di farsi beffe di loro, commentando ogni gesto e parola in modo sarcastico e fastidioso. I tre, inizialmente, cercarono di mantenere la calma – soprattutto Edward, che era diventato un bravo ragazzino della middle class, adesso, e sembrava meno propeso a lasciarsi andare alle vecchie maniere di strada che ben conosceva – ma alla lunga non erano riusciti più a controllarsi.
Una parola di troppo, una spinta di troppo. Quando aveva nominato Rosalie, il più grosso fra i tre non c’aveva visto più. Sapeva che era quello l’anello debole, quello che avrebbe ceduto con maggiore facilità poiché, di natura, amava già molto fare a botte, certamente più degli altri.
Non si era sbagliato.
Avevano preso a scazzottarsi quasi subito, con una violenza inaudita. Di primo acchito Jasper e Edward erano rimasti nell’ombra, perplessi da quell’esplosione di rabbia senza preavviso. Poi avevano cercato di separarli, proprio come delle femminucce, mentre lui – Frank –  voleva coinvolgerli nella rissi. Voleva picchiarli. Voleva sentire i loro muscoli cedere sotto la potenza dei propri pugni, voleva sfogare la propria rabbia a tutti i costi, anche se ciò avesse significato restarci secco a sua volta.

Alla fine aveva tirato Jasper per i capelli, lui s’era visto costretto a reagire. Aveva detto una parola fuori posto su Isabella e così anche Edward non c’aveva visto più. Alla fine, la rissa si era trasformata in una gara a chi lo colpiva per prima fra tutti e tre.
Forse era stato proprio Edward a conciarlo maggiormente per le feste, ma non gl’importava.

Alla fine, avevano vinto loro quel round.

Mentre perdeva sangue, riverso sul marciapiede sporco di una stradina squallida di Brixton, Frank sorrideva.
Davvero non gl’importava. Il dolore, i muscoli intorpiditi, il naso rotto, gli ematomi, quella presunta sconfitta non rappresentavano nulla per cui valesse la pena disperarsi.

Aveva altro a cui pensare, francamente; qualcosa di bello, che gli riempiva l’anima e il cuore di soddisfazione, che gli permetteva di piegare ancora all’insù gli angoli delle labbra in un sorriso distorto: il pensiero che ancora poteva vendicarsi della sua sorellina. E il pensiero che ancora potesse punire quel biondino stolto che gli aveva portato via Tanya senza alcun rimorso.

La sua vendetta non si era ancora consumata, il bello doveva ancora arrivare: ecco cosa lo rendeva tanto felice.


E così felice si addormentò, sul marciapiede sporco di una stradina squallida di Brixton, lì dove quei tre bravi ragazzi l’avevano lasciato a sanguinare, anche loro senza alcun senso di colpa.
 
 
 
 
 
 
 
 





____
 
Ragazze, bentrovate!
Anzitutto, buon anno e buone feste fatte a tutte voi <3
Spero che il 2013 sia un anno strepitoso e vi porti tanta serenità, soddisfazioni, amore e soldini, che non guastano mai! ;)

Mi scuso come sempre per i tempi biblici dell’aggiornamento, ma, come già ribadito negli ultimi capitoli, purtroppo non riesco a fare meglio di così. L’ispirazione è ballerina e non posso domarla, perché se mi costringessi a scrivere senza voglia state certe che verrebbe fuori qualcosa di disgustoso.
:S
In più, il mio tempo libero si è notevolmente ridotto. Quindi faccio quel che posso, fermo restando che MUB continua e avrà la sua fine, come promesso ;)

Da quel che avete potuto leggere, in questo capitolo vi ho dato qualche altro indizio che “giustifica” (anche se non è il termine più adatto), la follia di Frank. Era innamorato di una ragazza, Tanya, che ha sposato un giovane somigliante a Edward. Punendo adesso Edward – che oltretutto sta facendo soffrire la sua sorellina – quel pazzo pensa di punire anche chi gli ha rubato la fidanzata.
Sì, lo so, è folle! :-p
Edward, tra l’altro, torna a sbagliare perché, nel tentativo nobile di non far preoccupare la nostra Isabella, le nasconde di aver fatto a pugni con Frank, di aver innescato una rissa.
Voi come lo giudicate? Lo perdonate, lo comprendete o pensate abbia sbagliato di brutto?
A voi la parola!

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.
Un bacio forte
Matisse.

PS: risponderò il prima possibile alle vostre recensioni. Grazie! 

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