Iris

di elrohir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- la litania continua ***
Capitolo 2: *** 2- è notte ***
Capitolo 3: *** 3- l'angelo è crocifisso al muro ***
Capitolo 4: *** 4- l'alba profuma ***
Capitolo 5: *** 5- la terra è soffice ***
Capitolo 6: *** 6- Giuliano tace ***
Capitolo 7: *** 7- l'uomo barbuto ***
Capitolo 8: *** 8- il cavallo corre ***
Capitolo 9: *** 9- La leggenda ***
Capitolo 10: *** 10 - Il silenzio ha gusto di miele ***
Capitolo 11: *** 11- Lo spettro ha capelli biondi ***



Capitolo 1
*** 1- la litania continua ***


La litania continua

 

 

 

La litania continua, canto spezzato.

Le gole sono dilaniate da quei nomi insanguinati, ripescati dal buio di un incubo da freddi guardiani.

I volti candidi dei presenti portano segni di sofferenze nascoste, visibili solo sotto la luna spettrale che sorveglia le strade.

I morti cavalcano la pietra nera, cavalcano tutt'intorno, e non smettono di urlare.

Ma nella memoria, ridono sempre.

Piangono, sorridono. Cantano. Canzoni rotte e scordate.

Tutto è andato dimenticato. Tutto.

I volti. Gli sguardi. Le storie.

E i nomi. Quei nomi che contenevano il mondo.

Tutto è andato scordato.

E adesso tutto riaffiora dalla nebbia, triste fantasma di quel che è stato.

Tutto riaffiora, insieme al dolore.

Il dolore della vita.

Sembra raccontarla il vento, la triste maledizione dei popoli gitani.

Sembra sussurrarla il vento, rivolto alla luna.

E al cielo.

Quel cielo, buio.

Atrocemente buio…

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Capitolo 2
*** 2- è notte ***


è notte

È notte.

L'aria è fredda, trasparente e immobile.

Angeli armati si nascondono nei coni d'ombra dei vicoli, stringendo le labbra dure e i pugnali nelle mani.

Sono giovani, ragazzini addormentati. Sognano un mondo diverso, dove si possa vivere. E non vogliono svegliarsi.

La figura vestita di nero resta appoggiata al muro, li contempla in silenzio. Aspetta il momento giusto per sorprenderli. Ma non chiama i suoi.

Preferisce aspettare ancora, e cercare di capirli.

Non li conosce, né vuole conoscerli. I sentimenti sarebbero di intralcio nel suo lavoro.

Ma non può evitare di ammirarli, e rispettarli anche, nella loro folle ribellione.

C'è un rumore alle sue spalle. I suoi l'hanno raggiunto.

E in quell'attimo un angelo si volta, e lo guarda negli occhi.

Ha nome di fiore, l'angelo, e iridi di azzurra trasparenza.

Giuliano sorride, e avanza di un passo.

Iris con un gesto misurato avverte i compagni, stringe tra le dita il coltello e ricambia lo sguardo del soldato.

Non c'è più tempo per i dubbi, per i pensieri.

I due si sono scelti, e il loro duello pare una danza sensuale, scandita dall'incrocio delle lame. Sembrano ballerini, la distanza è scordata, sono complici nel disegnare la vita.

Intorno il mondo è sparito, restano soltanto loro due, e i loro pugnali.

Iris segue l'arcana sequenza insegnata dai suoi padri, e per un attimo sembrerebbe impossibile una svolta, le mosse tendono all'infinito, alla perfezione.

Ma Iris senza cambiare espressione muta il verso della stoccata, e la mano di Giuliano, così saggia e equilibrata, cede, mentre il ragazzo cade in ginocchio, la bocca spalancata.

Giuliano sente il freddo del terreno sotto la schiena, e i capelli morbidi solleticano la sua guancia mentre Iris gli sta disteso sopra, tenero angelo vendicatore, marmoreo, il respiro affannoso che si mischia con il suo e quella corrente di attrazione che scorre tra loro, così violenta, così detestata.

La rabbia per la sconfitta rende lucidi i pensieri, e Giuliano osserva il ragazzino magro che lo schiaccia contro il pavimento, e non lo trova più angelico e perfetto, diventa semplicemente un nemico da distruggere e umiliare, un bambino troppo bello che gioca a fare il grande.

Vorrebbe alzarsi e mostrargli la realtà, ma non può muoversi.

Così sorride, provocante, con disprezzo, cattivo, e mormora amabile:

-Uccidimi, dolcezza, perché se non lo fai, troverò il modo di vendicarmi.

Iris indurisce la mascella, e Giuliano vede la paura nei suoi occhi mischiarsi alla rabbia per gli insulti che indovina nella voce. Lo sguardo del soldato è un arma potente, che rivela i pensieri più nascosti. Iris preme più forte il coltello contro il collo di Giuliano, sente la vena pulsare frenetica, ma non si decide a affondare il colpo.

Spia negli occhi neri qualcosa che lo convinca definitivamente, ma sotto la corazza di rabbia e disprezzo scopre tenerezza e amore, attrazione, la stessa attrazione che lui cerca di nascondere.

E il fischio di Libertà rende frenetica ogni scelta.

Con un ultimo sguardo glaciale scivola via, nel buio.

Giuliano resta disteso a terra, ascoltando il silenzio di morte che aleggia intorno a lui, incapace di comprendere la vita regalata.

 

Gli angeli corrono silenziosi nelle vie della città.

Conoscono ogni sua strada, saprebbero orientarsi bendati nel dedalo dei suoi labirinti, non ne temono il buio.

Una bussola invisibile guida i loro passi, sembrano fiocchi di neve, gelidi e bianchi.

I volti levigati non cambiano l'espressione di distaccata concentrazione fino a quando non raggiungono il quartiere dei ribelli, l'angolo più orientale della città, periferia di sogni.

Allora ridiventano umani, ragazzi stanchi e spaventati.

Iris è taciturno e non ha ancora detto una parola.

I compagni sanno quello che ha fatto, e non approvano.

Pensano che sia rischioso lasciare in vita un nemico, uno che li ha visti in faccia e saprebbe riconoscerli. Pensano che sia sbagliato cambiare l'opinione che hanno i soldati di loro, angelici figli della morte.

Ma Iris non ha mai sopportato di uccidere a meno che ce ne fosse bisogno. Non è mai riuscito a farlo, anche se era dovere.

Libertà gli cammina di fianco e sorride. Lo ama per questo, per questo suo tenero bisogno di certezze, di sentirsi migliore degli avversari, più giusto.

Quella notte dormiranno tutti sonni agitati, ricordando l'espressione dei loro morti.

Penseranno tutti a come sarebbe stato diverso se quegli uomini fossero nati tra loro, al posto che in quella città, se fossero stati bambini in mezzo alla brughiera, e non in una tetra megalopoli prigioniera.

E tutti cercheranno di scacciare l'umanità scorta in fondo agli occhi dei soldati. Quell'umanità tranciata dai loro pugnali, umanità ossidata dall'aria, seccata sulle gole.

Tutti tranne uno.

Iris sognerà Giuliano, sognerà loro due a camminare sulla sabbia, sognerà le labbra del ragazzo sorridere, e non mormorare maledizioni.

Sognerà Giuliano e si sveglierà rabbioso, e piangerà lacrime incandescenti stretto al corpo vibrante di Libertà. Abbraccerà l'amico e morderà le labbra per non urlare la frustrazione.

Anche Giuliano sognerà Iris, sognerà di amarlo e accarezzarlo, e al risveglio il disprezzo provato sotto la sua lama sarà svanitò, avrà lasciato il posto a un agghiacciante vuoto di certezze, a un vento freddo che spazzerà la sua vita, preparandosi a cambiarla.

I morti trascorreranno la notte su tavoli di acciaio nell'obitorio, in attesa di essere seppelliti.

Si accorgeranno troppo tardi di aver sbagliato strada, ricorderanno gli occhi glaciali dei loro assassini e dentro la tristezza di quei lineamenti leggeranno il dolore di mille vite morte.

E torneranno nella loro mente i racconti sanguinanti dei soldati reduci dalle campagne d'oriente, e rimpiangeranno le loro risate, la loro incapacità di capire.

Poi abbandoneranno quel mondo, annegando nel buio di un universo distratto.

E la luna continuerà il percorso nel cielo scuro, bianco occhio di dio distante, e tramonterà all'alba per cedere il posto al sole, al giorno, alla luce.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 3- l'angelo è crocifisso al muro ***


l'angelo è crocifisso al muro

L'angelo è crocifisso al muro.

Tiene gli occhi chiusi, e respira lieve.

I polsi diafani sono segnati dalle corde che lo trattengono in quella posizione grottesca.

Le dita si aprono, sembrano afferrare l'aria, si sgranchiscono.

Da quante ore ormai sta fermo in quella posizione? Giuliano non può saperlo.

Ha rimandato l'incontro finchè gli è stato possibile: quando quella mattina è giunta la notizia che una retata aveva dato buoni frutti, e che una banda era ospite degli uffici del commissariato -finalmente, dopo giorni, settimane di ricerca- aveva avuto un capogiro.

Pallido sotto la pelle bruna, aveva domandato, trattenendo il respiro.

-Sembra proprio che siano loro, quelli che vi hanno assaliti. Dovrai poi identificarli tu, ma è una formalità.

Sudore gelido lungo la schiena. Voglia di vomitare.

Due ore dopo era nella stanza di vetro.

Lì dentro l'aria sapeva di chiuso, e di dolore.

I ragazzi erano accasciati a terra, pesti. Non sembravano più le bianche statue che due settimane prima l'avevano affascinato.

Uno di loro alzò gli occhi a guardarlo. Iridi grige e nebbiose, sprezzanti.

Lo riconosceva. Era stato l'avversario di Flavio.

Giuliano si voltò intorno, cercando Iris. Non lo trovava. Si somigliavano tutti, quei giovinetti stesi a terra, ma lui non c'era.

In fondo, avrebbe potuto benissimo denunciarli. L'unico a cui dovesse qualcosa sembrava essere scampato al rastrellamento, non era tra loro.

Poteva dire la verità.

Scosse il capo.-No, non sono loro.

Sbigottimento.-Come no?

-No, non sono loro. Avete preso le persone sbagliate, ne sono sicuro.

-Giuliano…

-Non hanno confessato, no?

Sbuffi.-Figurarsi se questi confessano.

-Bè, stavolta hanno detto la verità.

Incertezza. E poi un commento casuale.-Allora bisognerà rilasciarli. E anche il ragazzino, di là.

Giuliano non aveva ricambiato lo sguardo luminoso di Libertà.

Non gli interessava la loro riconoscenza, e nemmeno il loro stupore.

Perché adesso aveva capito dove stava Iris. Ma avrebbe preferito non saperlo.

Giuliano ripensa a tutto questo mentre esita sulla porta della stanza, rassicurante confine tra il mondo vero e quella sua appendice di incubo.

Iris non si è ancora accorto che lui è li, così può osservarlo senza fretta, la pelle bianca macchiata dal sangue, i lividi sullo zigomo. Le palpebre chiuse.

Il ragazzo apre gli occhi.

Le iridi chiare sono sbarrate, lo sguardo incredulo.

Giuliano sa cosa pensa. Ha paura.

Ricorda la minaccia con cui l'ha lasciato. Iris di certo non l'ha dimenticata.

E adesso è legato a un muro, dentro il commissariato, totalmente nelle sue mani.

Prigioniero di una stanza insonorizzata, prigioniero accusato di omicidio e sedizione ed eresia.

Iris guarda quegli occhi neri, insondabili, e crede di sapere cosa leggervi.

Giuliano avanza lento, vorrebbe non spaventarlo ma non sa come fare, anche la sua andatura tranquilla pare presagio di furia e dolore, per la mente stremata del ragazzo.

Gli si ferma davanti.

Iris non abbassa gli occhi. E non mostra la paura.

Non trema, mentre Giuliano alza una mano. Non trema e non piange, solo lo guarda con fierezza.

E Giuliano posa il palmo sul viso ferito, ne accarezza la guancia e la bocca.

Torna a incrociare lo sguardo di Iris. E si spaventa.

Interrompe il contatto e fugge, fugge senza voltarsi, fugge e si nasconde dentro il bagno, in un angolo, per calmare il respiro.

Avrebbe voluto baciarlo. Avrebbe voluto baciare quelle labbra rotte, piangere calde lacrime per il dolore condiviso, slegarlo, pulire il suo corpo, renderlo di nuovo bianco.

Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo forte, parlargli.

Celato dagli altri ufficiali, assiste al rilascio dei prigionieri.

Li osserva andare via, malconci e barcollanti sotto il sole ritrovato, cerca i riccioli rossi di Iris tra quelle masse di capelli chiari.

Lo individua, cammina sostenuto da un ragazzo biondo, è più minuto ancora dei suoi compagni.

Giuliano sente una grande tenerezza per lui. E ammirazione.

Ascolta gli scambi di battute, gli apprezzamenti volgari, ma anche i commenti ammirati sulla loro resistenza. E sorride di nascosto, assurdamente orgoglioso, come se parte della loro forza fosse dovuta a lui.

 

Iris non pesa niente, sembra una creatura d'aria.

Libertà vorrebbe portarlo a casa in braccio, alleviare in qualche modo il dolore che lo scuote ad ogni passo, ma sa che lui non lo permetterebbe mai. Così si limita a sostenerlo, e a guidare la loro scarna carovana con lentezza.

Gli altri capiscono. Vorrebbero correre come l'altra sera, tuffarsi nel buio delle loro stanze, che è buio vivo di suoni, non vuoto come quello del commissariato. Vorrebbero dimenticare le botte prese, ma immaginano cosa ha passato Iris e adeguano il loro passo impaziente a quello di Libertà.

La periferia si rovescia in strada al loro passaggio, gruppi di donne anziane trattengono le lacrime e uomini stringono i pugni, bambini si affiancano e li consolano.

Alcuni più grandicelli mostrano arie colpevoli, e occhi gonfi dal pianto.

Uno di loro si scusa -Avremmo dovuto fare più in fretta, avvisarvi prima.

Ormai è successo. È inutile recriminare, sorridono i reduci, se fossimo scappati oggi ci avrebbero presi domani, e comunque siamo di nuovo qui, no? È questo che conta.

Sì. È questo.

E anche le ragazze che li aspettano davanti alla casa sembrano voler dire lo stesso.

Adesso bisogna curare le ferite, e costringere i guerrieri a riposarsi, e preparare le bende e chiamare un medico, perché Iris non può restare così.

Libertà rovescia il suo tenero fardello sul letto, scosta uno dei riccioli ribelli.

Iris gli sorride mentre il medico ricuce i tagli sul viso, non storce neanche la bocca sotto i punti. Non parla, ma è presente, ancora tra loro.

Libertà si abbandona contro lo schienale della sedia, lo guarda preoccupato.

Deve sempre fare così, Iris, non sta mai zitto.

Sembrano passati secoli da quando c'era stato lui al posto suo, bambino in una banda di angeli guerrieri, a ridere in faccia all'ufficiale e finire incatenato al muro della stanza insonorizzata.

Libertà scuote la testa, sa che quella è un'esperienza che non si può condividere. E sa anche che non gli ha insegnato niente, se non a tacere ancora di meno, a urlare di nuovo, e ridere, e provocare…

La gente se n'è ormai andata. Sono loro da soli, finalmente possono parlarsi, confrontarsi.

-Che strano, però, che ci abbiano liberati.

-Merito di quel soldato, quello che ha mentito dicendo che non eravamo noi.

Libertà sta osservando ancora Iris, solleva le sopraciglia. -È il tipo che Iris ha risparmiato.

Il ragazzo volta in fretta lo sguardo su di loro, pare sul punto di dire qualcosa ma si trattiene.

Non può raccontare della visita di Giuliano nella sua cella, della paura che aveva di una violenza, di una vendetta, e del gesto invece dolce con cui l'ha salutato.

Non può raccontarlo perché la lingua si imbriglia nel nominare quella stanza, e perché sa che c'è un tabù su quel che vi accade dentro.

Lo ha letto nei gesti di Libertà, e nelle sue labbra che non si sono aperte, neanche per chiedere "come stai?", nell'ombra che per un attimo ha offuscato il suo sguardo.

E l'ha indovinato nelle mute cicatrici che solcano la sua schiena, quelle cicatrici profonde e quasi scordate, che la notte ricopre di carezze tremanti.

 

 

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Capitolo 4
*** 4- l'alba profuma ***


L'alba profuma di terra

L'alba profuma di terra.

Ha colore rosso e arancione, dipinge il cielo con sbuffi di nuvole.

Fuori dalla finestra ragazzi fumano, seduti nella strada.

Iris dorme.

Sogna leggero boschi incantati, il suo spirito cavalca libero nelle pianure.

Ricorda con la gola chiusa i fratelli, i genitori. Ricorda il suo cavallo, bianco puledro impaziente.

La camera intorno a lui è avvolta dalle ombre. Il sole non riesce a sfuggire alle persiane, anche se cerca di penetrarle, vorrebbe scivolare sul viso immobile di Iris e baciarlo, carezzarlo.

Il sole lo ama. Da sempre.

Iris apre gli occhi. Sorride.

Aurora di vita, nuovo giorno che si annuncia uguale agli altri, altrettanto doloroso.

La loro esistenza è un susseguirsi di mattine luminose e pomeriggi assorti, e notti gelide, candide, accecanti. Ormai non riesce a immaginare un'altra realtà.

Sono passati giorni dal soggiorno in carcere, giorni dall'esperienza della stanza insonorizzata, e Libertà non gli ha ancora detto niente.

Lo lasciano in pace, tutti, lo ascoltano quando vuole parlare e rispettano il suo silenzio quando gli occhi gli si fanno bui. Lo abbracciano se ha bisogno di conforto, lo stringono forte e aciugano le sue lacrime con i baci.

Iris si sente bambino, in mezzo a loro.

Si sente ragazzino immaturo, fragile fiore di campo cresciuto tra querce e pioppi maestosi.

Gli occhi grigi di Libertà sottolineano questa impressione. La sua tenerezza è speciale, preziosa come l'aria.

Non si è ancora ripreso, lo sa bene. La sensazione improvvisa di essere niente, soltanto una delicata composizione di sangue e ricordi e sogni, la consapevolezza di essere in bilico su un filo invisibile, di essere del tutto indifferente al mondo, e così debole, così di passaggio… tutti i pensieri turbinosi di quei momenti di solitudine arrossata hanno scavato la sua mente e si sono annidati nella carne, per maturare.

Nell'altra stanza, dietro la parete sottile, si indovinano suoni ed esclamazioni soffocate.

C'è una voce conosciuta che non appartiene ai suoi compagni, che si mischia ai mormorii tanto rassicuranti. Le proteste diffidenti di Libertà, a volume appena udibile.

E Iris capisce a chi appartiene la voce, ma troppo tardi, perché la resistenza dei fratelli ha ormai ceduto e la porta si sta aprendo. Iris resta seduto sul letto, rassegnato, osservando Giuliano entrare nella camera con l'arroganza di ogni militare, e guardarlo soddisfatto, dritto negli occhi.

 

Giuliano deglutisce per prendere tempo. Non sa come cominciare.

Non si era immaginato questo, di trovarlo raggomitolato sopra il letto, come un gatto, così giovane, con le cicatrici che si incrociano sulle scapole e cominciano a rimarginarsi ma paiono urlare l'assurdità di quella guerra.

Non pensava di restare di nuovo senza parole davanti al suo sguardo trasparente.

Adesso camminano per strada.

Iris è silenzioso, remoto, sembra perso in pensieri lontani.

I ragazzi che vivono con lui l'hanno guardato andare via con l'aria di temere per il suo ritorno.

Ha dovuto faticare, per vederlo. Ha dovuto convincere coscienze di marmo, diffidenti e protettive.

Il giovane con gli occhi grigi non li avrebbe lasciati partire. Ma Iris ha sorriso triste, e sussurrato parole in una lingua sconosciuta. L'altro ha chinato la testa, rabbioso.

Giuliano è rimasto affascinato dal loro cameratismo. È un sentimento che profuma di notti passate a parlare, di conoscenza profonda e dolori comuni. È diverso dalla complicità estranea che lo lega ai suoi colleghi, più commovente.

Vorrebbe chiedere tante cose a Iris, domandargli perché stanno rischiando tutto questo, domandargli chi sono quei ragazzi, cosa rappresentano per lui, quali sono le loro storie, i percorsi tortuosi che li hanno portati lì, in quella città estranea, in quelle notti limpide e fredde, a giocare con le lame.

Vorrebbe chiedergli cosa nasconde dietro gli zigomi candidi, dietro quegli occhi azzurri e remoti, chiedere cosa gli permette di resistere muto sotto le botte sapienti della milizia, chiedergli se è vero, come continua a pensare, che le cicatrici intraviste sulla sua schiena non sono le più dolorose.

Vorrebbe sapere, capire il perché della loro lotta accanita e feroce, il perché di tutto quel sangue versato e della loro tristezza, vorrebbe chiedere quale passato scorre nelle loro vene, quali antenati hanno portano ai loro visi quella bellezza incantevole e gelida, quali sono quegli dèi misteriosi e distaccati che loro amano nei rituali notturni, sotto la luna vergine.

Giuliano ha troppe domande nella testa, e aspetta le risposte da troppo tempo per non averne paura. Ricorda la prima volta che ha sentito parlare di quei guerrieri.

Aveva quattordici anni, era appena finita la guerra, e lui pranzava con i genitori e la sorella. Suo padre raccontava dell'ultimo attentato di quelli che venivano chiamati "gli angeli della morte".

Era caduto loro zio, in quello scontro, e Giuliano aveva imparato a odiarne gli assassini, aveva imparato a temere la parte orientale della città, dove vivevano i ribelli, i criminali.

Era entrato nella milizia con queste idee limpide davanti agli occhi. Sapeva dove stava il bene e dove stava il male, il bianco e il nero erano due colori distinti e immiscibili.

Ma il grigio non si può ignorare per tutta la vita, non se hai una personalità vivace e fantasiosa come quella di Giuliano. E presto i dubbi avevano cominciato a tormentarlo, mentre sempre più amici morivano sotto le lame affilate di quei demoni e le strade al mattino si scoprivano insanguinate da altre battaglie.

La rivoluzione nei pensieri di Giuliano era scoppiata davanti al cadavere di uno dei ribelli.

Era uscito disteso da una porta misteriosa, un blocco di acciaio al quale era vietato l'ingresso.

Lui non si era mai chiesto cosa succedesse dietro quel portale, la mente aveva troppa paura della risposta.

Ma quel giorno tutto era luminoso, e freddo, e i dottori avevano abbandonato il lettino in mezzo al corridoio, per andare a riempire i documenti.

Giuliano si era avvicinato, mosso da un maledetto bisogno di sapere, e aveva sollevato il lenzuolo.

Il volto era pallido, non per la morte ma per il candore della pelle.

I lineamenti erano puri, ed eterni. Pareva un angelo.

Giuliano aveva capito perché li nominassero così.

Ma la morte non era loro madre, si capiva chiaramente dalla fissità di quelle labbra.

Loro erano animali selvatici: uccidevano perché costretti.

Non c'era crudeltà, in quel sorriso. Solo, pace e tristezza.

Giuliano aveva sfiorato gli zigomi pesti, il sangue che sgorgava dalla bocca aveva macchiato il suo viso.

Aveva lo stesso sapore del sangue dei suoi amici, lo stesso colore, la stessa consistenza.

Giuliano si era chiesto cosa fosse successo al giovane, in quel locale, per ucciderlo.

Non si era mai risposto.

E adesso ha di fianco Iris, Iris che ne è uscito vivo, e vorrebbe domandarlo a lui, ma sa di non poterlo fare. C'è troppo dolore da condensare in poche parole, e esperienze oniriche, e sensazioni estreme. C'è la sapienza accumulata nelle cellule ribelli, c'è il piatto deserto dell'incoscienza.

E c'è quel viso pallido, così bello, così fragile, quel viso immoto, angelico.

Giuliano non dice una parola.

Solo lo guarda, e ascolta il silenzio tra loro vibrare di note non suonate.

Giuliano lo riaccompagna a casa, sempre muti.

Quando vedono la strada dove Iris vive, vedono la gente che lo conosce e che lavora, i bambini che giocano e le ragazze che ogni tanto lanciano loro sguardi perplessi, incerti, entrambi si fermano.

Si guardano negli occhi, per la prima volta pari, per la prima volta sotto il sole.

Giuliano sorride, per nascondere la paura.

-Posso tornare di nuovo?

Iris sorride, e il volto si illumina come un cristallo. Poi annuisce, e i loro occhi sembrano perdersi in quello sguardo.

Saranno ancora nemici, la notte, se si incontreranno si sfideranno di nuovo con il pugnale, e danzeranno di nuovo quella danza coronata dalla morte.

Ma di giorno, sotto quel sole che li bagna entrambi, possono cercare un'altra strada, una nuova soluzione.

Di giorno possono vivere, e sognare.

 

Fiona…. Mi fa un piacere immenso leggere i tuoi commenti! Sono contenta che la storia ti piaccia… la maggior parte dei capitoli l’ho già scritta, però sono arrivata a un punto morto. Non so come andare avanti, boh, si vedrà.

Comunque… grazie ancora dei complimenti, sai, avevo paura che questa storia non piacesse, che lo stile fosse troppo lento, pesante. Anche perché credo sia un po’ diverso dai miei soliti lavori. Sono contenta che, ad almeno una, vada invece a genio! Kiss Roh

 

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Capitolo 5
*** 5- la terra è soffice ***


La terra è soffice, calda di sole

La terra è soffice, calda di sole.

Iris dorme con fili d'erba tra i capelli, il sorriso imbronciato e la fronte distesa.

Sembra un bambino, riflette Giuliano, accarezzandolo distratto.

È stanco. Giuliano immagina con un brivido le sue avventure notturne.

Se chiude gli occhi può pensarlo, minuto e fragile sotto la luce spietata della luna, talmente delicato, talmente giovane… Giuliano ogni sera si addormenta con l'angoscia di non rivederlo il giorno dopo.

E sì che sa quanto è abile con il coltello, dal momento che ha battuto addirittura lui, in quel primo duello. Ma non riesce a convincersi, teme sempre che un pugnale più veloce lo inchiodi al suolo, che un soldato crudele non mostri compassione per quelle gote morbide.

È un ragazzino, pensa triste, ha appena sedici anni.

Ma nei tempi di guerra ogni giorno vale una stagione, Giuliano stesso è solo un ventenne indeciso, che trascina sulle spalle il peso di mille anni, tutte le vite stroncate.

E Iris porta negli occhi chiari ricordi dolorosi, che invecchiano di un colpo.

Iris si muove tra le braccia di Giuliano. Lui sorride, e lo stringe per un attimo a sé.

A volte vorrebbe gridare al mondo il suo amore, vorrebbe che tutti sapessero, che tutti conoscessero… che tutti capissero.

E invece sono soli, persi in mezzo a gente ignara e tranquilla, che non conosce la fatica di un continuo fingere, negare l'esistenza.

Iris è sveglio, ma non apre gli occhi.

Ascolta il respiro di Giuliano, e sospira silenzioso. I raggi del sole lo accarezzano, e lui assorbe il suo calore come scorta per i momenti bui.

Teme la notte, teme la luna e gli scontri con le milizie. Teme, un giorno, di trovarsi davanti Giuliano, e di doverlo combattere, di nuovo, perché la loro guerra è più importante di tutto, anche della loro stessa vita. Teme di scoprirlo morto, ucciso da una delle loro lame argentate.

Vorrebbe dirglielo, che se sarà il caso dovrà sacrificarlo, perché il loro malvagio destino ha voluto così e nessuno può opporsi al suo volere, neanche un ragazzino pallido come lui.

Vorrebbe dirglielo, che si sarebbe ucciso nello stesso momento, e che forse si sarebbero ritrovati nell'altro mondo, se le loro due diverse fedi fossero riuscite ad accordarsi su un aldilà comune.

Vorrebbe dirglielo, e non l'ha mai fatto, neanche durante l'amore, che si sente legato a lui da invisibili fili, gli stessi fili che lo legano al mondo, e che lui è diventato la cosa più preziosa che ha, più ancora degli occhi di Libertà, del ricordo dolente di un passato rubato.

E invece resta muto, come quasi sempre fa, perché teme il momento in cui schiude le labbra per parlare, sa che non comanda la lingua e che questa non si lascia frenare, e Iris spesso pronuncia parole troppo vere, troppo brucianti.

Si volta e lo guarda negli occhi. Sorridono teneri, ed è strano vedere quella luce negli specchi di ossidiana che sono le iridi di Giuliano.

Si baciano, sempre silenziosi, perché il loro legame è nato nel silenzio, e al silenzio tornerà.

 

Il fiume scorre sotto di loro, mormora ninna nanne e racconta storie di annegati.

Iris le ascolta incantato, anche se le conosce da quando è nato, dai giorni nitidi in cui il vento spettinava i capelli e gli zoccoli dei cavalli battevano sulla dura terra della prateria. Le ascolta incantato perché ogni volta si stupisce del miracolo dell'acqua che scorre, trasparente nastro di cielo che si snoda nelle valli, nelle pianure, e porta vita e morte, come le loro dita, rifugio di dolci carezze e nascondiglio di accecanti lampi d'acciaio.

Giuliano invece non riesce a comprenderle. La città non ha insegnato ai suoi figli a conoscere le voci sussurranti della polvere, della pioggia sulle strade, delle volte che si scrostano. Non l'ha insegnato, o forse loro sono sordi alle sue parole, esseri duri e inanimati, già come gli adulti.

Iris non lo sa. Ma non riesce a trovare il modo per spalancare quell'universo al ragazzo bruno che gli cammina di fianco, non sa come potrebbe reagire alla scoperta di quella ragnatela di storie sussurranti. Può portare alla pazzia, questo mondo diverso, Iris lo sa bene, ricorda tanti ragazzi perduti nel richiamo della neve, perduti in quel dedalo di strade mai percorse, segreti troppo pericolosi. Ricorda bianchi angeli folli, arrampicati sopra un albero a parlare con gli uccelli, ma incapaci di riconoscere il suono delle voci umane.

Non dirà nulla finchè Giuliano non farà domande. Ha ancora tempo per studiare le risposte, poco, perché il suo amico ha indole impaziente, e non tratterrà a lungo i dubbi dentro la bocca.

Iris cammina e pare un saggio, gli occhi chiari sono labirinti di pensieri annodati stretti a un passato comune, e lui è un bambino levigato, con riflessioni troppo grosse e ricordi troppo intensi, e un futuro troppo incerto. Pure non ha perso la capacità di tacere e guardare il mondo, quella caratteristica propria del suo popolo, che dipinge sui visi candidi espressioni di assorta distrazione.

Giuliano vorrebbe fermarlo, stringerlo forte e baciare la sua bocca come quella prima volta, una vita fa, quando cedette all'impulso dopo giorni di silenzi inespressi.

Vorrebbe sedere con lui sui bordi della strada, abbandonandosi al flusso inesauribile di parole miracolosamente uscito da quelle labbra sempre ferme, abbandonarsi alla canzone misteriosa di quella voce ardente e impaziente, tenera ed eterna.

Vorrebbe fare domande, soprattutto. E non temere più le risposte.

-Questa notte vi hanno quasi presi, è vero?

La prima preoccupazione, la più vicina ma, in qualche modo, la meno importante. Perché Giuliano già lo sa, che Iris sorriderà, leggero e malizioso, e mormorerà.-Come è possibile fermare il vento?

Giuliano non dubita di questo. Conosce poco quelle genti, ma ha percorso i mille profili di Iris troppe volte, con le dita, per ignorare quanti segreti racchiudano quelle membra. Sente la sua affinità con il mondo ogni volta che lo bacia, stringe tra le mani una forza della natura, impossibile da imbrigliare.

-Iris, tu sei davvero convinto che serva a qualcosa continuare così?

Iris non risponde. Pensa. Non è una domanda semplice, non è semplice perché Giuliano non capisce, non sa. Vorrebbe potergli trasmettere i suoi ricordi, vorrebbe che conoscesse la sua terra, la terribile libertà che respiravano ogni giorno. Vorrebbe insegnargli a vivere la vita dei gitani…

Ma Giuliano nemmeno riesce ad ascoltare le storie del fiume.

-La guerra non è una soluzione. La vittoria sarà amara, quando verrà, perché non potrà riportarci quel che abbiamo perso.

L'innocenza, Giuliano, l'innocenza che ci abitava, che ci illuminava lo sguardo come bambini, l'abbiamo persa per sempre.

Guarda me, Giuliano. Ho sedici anni, ma lo sguardo di un vecchio guerriero, un predatore che ha dispensato morte troppe volte. La mia anima è volata via con quella del primo nemico che ho ucciso, e non si può lavare l'odore e il gusto del sangue che è stato versato.

I miei genitori sono morti, e la vendetta non li riporterà in vita. I miei fratelli sono persi nelle strade d'occidente, e non so se con la vittoria riusciremo a ricongiungerci. E ho paura di ritrovarli. Ho paura che non mi riconoscano, perché sono troppo cambiato, sono troppo lontano dal bambino che ero. Il dolore, la schiavitù, la polvere di queste città hanno mutato il colore dei miei occhi, hanno indurito i miei lineamenti. Tu non conosci il bambino che ero, e nessuno conoscerà mai il ragazzo, l'uomo, il vecchio che sarei diventato. Il saggio cavaliere dai capelli bianchi e gli occhi sereni non vedrà mai la luce, perché anche tra sessantanni le ombre saranno ancora lì, a oscurare le mie pupille. E i miei sogni, non saranno più colmi di farfalle e cieli azzurri, ma risplenderanno dell'argento dei pugnali, del sangue che ricopriva le lame.

Tu non puoi sentire il suono della mia voce di bambino, quella purezza cristallina che si è incrinata quando ho urlato, per la prima volta, il nome di mia madre morta a terra.

Tu non puoi sapere… io non so che ragazzo era Libertà, non conosco l'eco della sua risata.

Siamo un popolo di morti… e la vittoria non ci riporterà in vita.

Ma non possiamo fare altro, Giuliano, non possiamo. Perché sta scritto nelle stelle che vinceremo questa guerra, in un futuro oscuro, o che la combatteremo fino a non aver più forze. È scritto sulle foglie che non resteremo immobili a farci uccidere giorno per giorno, ma alzeremo la testa e ci rivolteremo, ognuno con i suoi modi, che sono diversi per ogni uomo. Credi che soltanto noi sette resistiamo? La resistenza è ovunque. Nei bambini che ridono, e negli uomini che fanno l'amore. Nelle donne che danzano, e nelle ragazze che sorridono. Negli acrobati, nella compagnia di acrobati che attraversa le praterie e tiene vive le piste abbandonate dai gitani, che collega le città e mantiene unite le famiglie disperse. Nelle loro canzoni vive, nei loro occhi lucenti. La resistenza è in me, che ti sto parlando, e in te che non mi hai ucciso quando ero nelle tue mani, in te che capisci di non avere ragione, in te che mi ascolti, e mi stringi, in te che mi baci… la resistenza è resistenza. Ogni giorno strappato al vuoto, alla schiavitù è resistenza. E lo sarà per sempre.

 

Dopo qualche secolo torno a postare…

Volevo ringraziarti, Tifawow, per il commento e per i complimenti… spero che anche questo capitolo ti saprà, almeno un po’, coinvolgere. Quando l’ho scritto… beh, ricordo che sorridevo, alla fine. Ero stata bene.

Oggi invece sono assonnata, e scostante. Credo.

Boh, ci si sente raga! A presto, kisses roh

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Capitolo 6
*** 6- Giuliano tace ***


Giuliano tace

Giuliano tace. Piange senza riuscire a staccare gli occhi da Iris. Vedere il suo gelido angelo guerriero infiammarsi di passione e vibrare di dolore l'ha sconvolto, vorrebbe prendergli le mani e cullarlo, bambino che ha sofferto troppo, troppo…

Ma Iris è duro, sa convivere con i ricordi, e tiene lo sguardo basso, non incontra quello di Giuliano. –Scusami. Mi succede sempre. Ogni volta che inizio a parlare non riesco a fermarmi, la lingua va da sola… non volevo turbarti.

Giuliano è senza parole. Lo abbraccia.-Iris, io non sapevo… non immaginavo…

Ricorda le feste nella sua città natale, alla vittoria contro i popoli orientali. Ricorda le danze e le risa, i bagagli preparati in fretta, bambini a giocare sui carri, per il primo, l'unico viaggio della loro vita, quello verso una delle nuove metropoli fantasma, nate dal fango dove si rotolavano i nemici per ospitare la civiltà. Ricorda se stesso ragazzino attraversare la periferia, i volti magri e lontani, esistenze taciute dalle parole, racchiuse negli occhi.

Adesso spiega il dolore senza tempo intravisto tra quelle mani, il pianto ghiacciato sulle guance delle donne, l'angoscia dei bambini soli… e spiega anche la limpida furia di quei terroristi nemici, di quegli angeli guerrieri che arrivavano di notte e uccidevano, e sabotavano, e spaventavano le famiglie… spiega tutto. Eppure niente. Lo sa. La compassione può fare molto, ma non basta. Deve vivere queste emozioni. Vederle.

Dovrà ascoltare piangere Iris altre volte, per poter iniziare a capire.

Iris ha lo sguardo lontano, ascolta assorto voci attutite.

Giuliano si scosta. -Iris, cosa sono?

-Gli acrobati… sono arrivati…-pensieri veloci, desiderio di andare.

Giuliano vorrebbe accompagnarlo, ma nessuno dei due sa se gli è consentito.

Libertà ha gli occhi luminosi e sorride.-Penso che non ci siano problemi. Può assistere. Magari imparerà qualcosa.

Giuliano ha il respiro intrappolato nella gola, il filo sottile dondola sopra la sua testa e lui è convinto che attraversarlo sia impossibile.

Il ragazzino che sta in piedi sulla piattaforma indossa una sottile calzamaglia verde, e tiene i capelli sciolti. Ha lunghi riccioli rossi, somiglia a Iris, somiglia a uno spirito.

Non riuscirà ad attraversare il filo. No, è troppo sottile. Cadrà prima.

La voce di Iris nella testa: com'è possibile fermare il vento?

L'equilibrista percorre l'invisibile filo e danza. Non esita nemmeno un istante, tiene gli occhi fissi nel cielo, e sorride, remoto. A Giuliano sembra di sentirlo ridere.

E poi la festa comincia, e la corda si piega, rimbalza, mentre l'equilibrista salta e balla, si butta, raccolto dalle mani salde di un acrobata bruno.

E canti, e musica, e colori.

E gioia. Un solo istante, goccia persa nell'oceano di lacrime.

Giuliano e Iris camminano per la strada ed è sera, le strade sono illuminate dallo spettacolo e c'è intorno gente che ride, gente che corre. Loro sono tranquilli, Iris pare placato e distratto, per una notte non verserà sangue. E Giuliano non avrà paura per la sua vita.

È strano, come una festa possa cambiare le persone. Gli angeli sono mischiati al loro popolo, e i loro nemici pattuglieranno inutilmente le vie, aspettando di incontrarli e tremando per ogni ombra che taglierà la strada. Alcuni di loro guadagneranno un giorno di vita, e non sapranno di dover ringraziare per questo una manciata di acrobati giramondo.

Osserva il carnevale di quei volti misteriosamente simili che sfilano davanti sui suoi occhi.

Iris si è fermato, sembra aspettare qualcuno.

Entrambi hanno capelli rossi, incarnato di madreperla. Ma lei ha occhi azzurri, e dolci, mentre il sorriso del ragazzo è felice.

Iris prende la mano della ragazza e si lascia baciare.

Giuliano e l'equilibrista si guardano negli occhi, mentre gli altri due spariscono.

-Tu sei l'amante di Iris, vero?-domanda con un sorriso, riprendendo a camminare.

Ha denti bianchi, e sorriso divino. È più bello di ogni altra creatura Giuliano abbia mai visto, non pare quasi umano. –Le notizie volano.

-Me l'ha detto Libertà. Mi ha anche detto che sei un miliziano, e che Iris ti ha risparmiato in un duello. E che tu hai salvato loro mentendo davanti al tuo capo, quando sono stati arrestati.

Giuliano non replica, ma vorrebbe conoscere il nome dell'essere che gli sta parlando.

-Chiamami Fortunato. Il mio vero nome è tabù.- la solita ombra negli occhi, il solito dolore sulla lingua.

Fortunato fissa gli occhi nel cielo.-Lo capisco Iris, sai? Anche io amo un nemico. È il principe di una città lontana. Ma non so se mi sta ancora aspettando.

È un personaggio di favola, Fortunato, ma Giuliano sospetta che la fiaba possa tingersi di nero molto in fretta.

-Posso farti una domanda?

Sorriso. –Sei sempre stato un acrobata?

Tenebre negli occhi.-Nessuno di noi è rimasto lo stesso. Devi impararlo, se vuoi starci vicino.

Fortunato sembra non considerare importante la diversità di Giuliano. Lui ne è stupito.

Ma quel ragazzo è simile a un sogno riflesso nel buio, sfugge, illumina. Lui non ha perso l'innocenza, pensa Giuliano, e improvvisamente capisce cosa intendesse Iris col suo discorso. Ma Fortunato scuote la testa. –Non pensarlo. Sono profondamente mutato anche io, lo siamo tutti. Quando perdi la famiglia, l'amore, quando perdi te stesso, sei costretto a cambiare.

-Vorrei chiederti spiegazioni, ma ho paura di farti male.

Tristezza. -Parlarne non è un dolore, non più che tacere. Avevo un fratello, un gemello. Eravamo due metà.

Silenzio, pieno di fantasmi. Voce intenerita, Fortunato è di nuovo una creatura estranea, troppo perfetta per questo mondo.-Adesso lui è in occidente, vive in un incubo. Oppure è morto. A volte lo spero. Altre non riesco a crederci. E del resto, Zita dice che è ancora vivo.

 

Iris e Zita sono seduti sul muschio, a gambe incrociate. Lei gli accarezza le mani, le percorre con le dita. Non è abituata a toccare pelli così morbide, Fortunato e gli altri acrobati hanno mani da equilibristi, nodose e dure. Ma quelle di Iris hanno la delicatezza degli uccelli, e Zita si perde nelle storie che narrano le loro linee.

Intanto parla. Racconta i mesi che li hanno separati, racconta dell'amore di Fortunato per un principe chiamato Ludovico. Racconta dei loro spettacoli, dei suoi sogni e dei suoi incubi.

Iris ascolta e non fa domande. Non è ancora arrivato il momento.

Zita spiega la pelle, segue le strade con dita leggere. –Sei innamorato, ma so già di chi.

Si coricano sull'erba, gli occhi nel cielo.-Libertà dice che ha un grande cuore.

Iris rotola su un fianco per guardarla. Zita lo attira a sé e lo bacia dolce. Lui posa la testa sul suo petto. –Vorrebbe sapere, ma ha paura di chiedere.

-E puoi dargli torto? Ricordare è doloroso, ma lo è ancora di più scoprire. Fortunato non ha raccontato niente a Ludovico di suo fratello, ha taciuto la parte più importante di se per non recargli danno. Ludovico non avrebbe sopportato di condividere l'incubo di Fortunato, è un principe, abituato alle cose facili, lineari. Fortunato lo sa, e non ha voluto turbarlo. Ma Giuliano è diverso, e tu già sai come può reagire alla verità. Qualunque risposta è dentro di te, io posso solo aiutarti a trovarla.

-Ho paura che quando saprà tutto mi rifiuterà. Si allontanerà. Preferirà tornare a ignorare.- sussurra Iris senza guardarla.

Zita accarezza i suoi capelli. Aspetta che Iris sia abbastanza forte per parlarle della stanza insonorizzata. Di quello che ha visto. Aspetta che esprima i suoi incubi per poterli illuminare.

-Libertà l'ha fatto?

Zita annuisce. L'ha fatto. Ma lui non deve sentirsi obbligato. Non c'è fretta. Hanno tutta la notte per parlare, e anche quella successiva, e quella dopo ancora.

Iris trema, e racconta del niente, del male, del nulla. Racconta del vuoto e della loro vanità, degli spettri e degli dei che danzavano intorno a lui. Racconta del buio e della luce, della danza coi coltelli. Racconta di come tutto sia inutile. Di come la loro guerra sia sbagliata.

-Sai che questi sono solo i tuoi pensieri, che nulla di quel che hai visto è vero. Sai che non siete diventati dei mostri, anche se lo pensate. Lo sai, vero?

-Saperlo e crederlo non sono la stessa cosa.

Zita lo culla mentre piange.

Iris è una statua di cristallo colma di lacrime, e deve riuscire a liberarle, o queste si seccheranno, legheranno i suoi movimenti e lo renderanno simile a un fragile involucro, vuoto di sogni. Zita ricorda la vecchia leggenda che raccontavano gli anziani attorno al fuoco, e avverte come sempre la fitta lancinante che le ripete che quei momenti sono passati.

Ma non dice niente. Perché Iris lo sa bene quanto lei, e la voce lo rende soltanto più vero.

 

Dal momento che il mio computer è praticamente defunto, posto questo capitolo, giusto per non far aspettare troppo. Stiamo arrivando alla parte di storia che preferisco… Fortunato è entrato in scena, e io l’ho sempre amato. Se voleste leggere di lui, in questa stessa sezione c’è Il ricamo di lacrime, che racconta la storia del suo gemello, e quindi la sua. Per me… per me quella è davvero importante. Credo di aver lasciato una parte del mio cuore, a quei personaggi.

Tifawow, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. E spero che l’altro ti abbia portato delle buone vacanze… peccato siano finite! Io ho ricominciato la scuola e… inutile far commenti. Tanto, è lo stesso per tutti, credo.

Kisses, mi auguro di poter tornare presto con un computer rinato… ciao a tutti! Roh

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Capitolo 7
*** 7- l'uomo barbuto ***


L'uomo barbuto che chiamano Gregorio ha voce pacata e dolce, che placa gli animi

L'uomo barbuto che chiamano Gregorio ha voce pacata e dolce, che placa gli animi.

Cinque degli angeli guerrieri sorridono, pericolosi, e cercano di convincerlo a cominciare la rivolta in quella città. Sono preparati, dicono. Sanno combattere, affermano.

Gregorio li accarezza, e loro si siedono. Lui spiega come la violenza non permetta una piena vittoria, rendendo gli oppressi simili agli oppressori, avvelenando gli ideali.

Loro piegano la testa, queste cose le sanno da sempre, dalla prima battaglia, da quella prima notte in cui celebrarono la morte.

Gregorio continua e asciuga le loro lacrime, dice che niente ha senso, non devono soffrire per questo. Non avevano scelta. La colpa non è loro.

Libertà non partecipa alla discussione, preferisce osservare Giuliano. Il ragazzo se n'è accorto, e a volte ricambia lo sguardo.

Gli occhi grigi sono ridenti e benevoli, sereni. Libertà somiglia a Gregorio, hanno la stessa sicurezza. Sono nati per guidare.

Fortunato è raggomitolato nelle braccia di uno dei trapezisti, e sembra dormire.

Aureliano giocherella con i suoi capelli, e ascolta. È diverso dai pallidi fantasmi che lo circondano, diverso per i capelli neri e gli occhi bui, la pelle scura. Fortunato si è abbandonato alle sue braccia come un neonato a quelle della madre.

Giuliano è stupito della confidenza con cui lo trattano.

Non ha scorto traccia di odio negli occhi degli acrobati, e sì che tutti sanno del suo presente di miliziano. Nemmeno gli angeli guerrieri sono ostili, si limitano a guardarlo freddi, a volte incuriositi. Libertà invece mostra simpatia.

E parlano della rivolta in sua presenza, lui è disarmato di fronte a questa fiducia. Sono tutti certi che non li tradirà.

Sarà per via della menzogna che li ha scarcerati, o dell'amore di Iris? Giuliano non lo sa.

Iris e Zita entrano mentre Gregorio delinea il futuro che li aspetta. Fortunato sorride a occhi chiusi, sembra sognare. In realtà è sveglio, e ascolta.

A Iris non servono domande per capire il ruolo a loro destinato, e come Libertà non ha niente da ridire, accetta il piano di Gregorio. Gli altri rimangono perplessi, ma non protestano più.

Iris chiama Giuliano con un cenno, e quasi a malincuore il ragazzo abbandona la sua posizione rannicchiata sopra un tavolo per raggiungerlo. Gli pare impossibile ritrovare altrove quel calore.

Iris è silenzioso e cammina nel buio.

Saranno le due, le tre di notte, l'ora in cui di solito i guerrieri combattono, o scivolano nelle strade. Ma adesso niente turba la pace della periferia, niente se non il suono dei loro passi.

Iris parla, racconta storie senza nome. Tuttavia Giuliano riconosce i protagonisti. Le storie sono attirate verso gli uomini che le abitano, e anche l'ascoltatore avverte questo legame.

-Erano i bambini più belli della tribù. Avevano nomi acquatici, di gocce e pioggia. Avevano nomi di dei. Ma non lo sapevano. Vedi, Giuliano, c'è una leggenda, tra la nostra gente, che ci porta a vedere nei gemelli una presenza divina. E quei ragazzi erano identici, due raggi di sole. Ma venne il momento del dolore, delle ombre, della guerra. Il momento in cui l'odio del dio per la nostra disubbidienza si mostrò nuovamente. E quei due fratelli vennero catturati. Li portarono in una cella umida, ma loro non temevano le tenebre, perché erano insieme. E così li separarono. Uno dei due fu liberato, affidato a mani paterne e sagge. L'altro rimase prigioniero di quell'inferno, per espiare la colpa di un intero popolo. Rimase prigioniero dello stesso incubo di mille altri bambini. Ma neanche il gemello libero è felice. Ha scordato tutto, della vita passata, tranne il fratello. E lo porta dentro il cuore come un morto che gli soffoca il fiato, che lega ogni suo passo, gli impedisce di ridere. Lui è amato da tutti, e non può amare nessuno. Questa è la sua maledizione. Vedi, Giuliano, come nessuno di noi sia intero. Tutti, tutti hanno un dolore da nascondere. Tutti hanno una maschera sul viso.

-Parli di Fortunato, vero? È lui il ragazzo della storia.

Iris sorride al cielo.-Fortunato è bellissimo, vero? È perfetto. Lui meriterebbe di essere felice. Lo meriterebbe più di chiunque altro.

-Iris…

-Non vuoi sentire le altre storie? C'è quella della bambina strega che leggeva il domani dentro il cielo. Lei aveva previsto tutto, e la notte piangeva perché conosceva il futuro. La sua gente non sapeva come considerare questo suo dono, non sapeva se credere alle sue profezie. Ma quando le albe cominciarono a sanguinare, e il mare si ingrossò, fino a sembrare esplodere dal dolore, non rimasero immobili, attoniti, come le altre tribù. Non tentarono la fuga a nord, perché sapevano che tutto era inutile. Presero in mano le armi, quelle armi mai usate, e si incamminarono verso l'ovest. Furono i primi a morire. Da soli. Le altre tribù sentirono l'eco di quel massacro, e interruppero l'esodo, si radunarono, mandarono messaggeri a chiamare le famiglie lontane. Riunirono l'antico popolo, quel popolo smembrato, diviso. Ma fu tutto inutile. E la strega bambina, dalla cella in cui era rinchiusa, vide la guerra senza poter chiudere gli occhi, e quasi impazzì dal dolore. Ma le stesse mani affettuose che separarono i gemelli la salvarono da quella follia, le restituirono la vista limpida, le permisero di guardare avanti.

-Zita…

Iris annuisce. -Adesso è una ragazza strega, che incanta con lo sguardo e legge le strade che attraversano le mani. In quelle strade ha letto il nostro trionfo, e noi tutti le crediamo. E Gregorio? Sai cosa nasconde dietro il viso sereno? Sangue, e sofferenza. Tutti i figli uccisi. Tutti. È l'unico superstite della sua tribù.

Giuliano vede le parole di Iris danzare davanti a lui, intrappolandolo in quella triste magia.

Vorrebbe fermarlo, farlo tacere, ma la sua voce non smette di tratteggiare storie, incubi.

-Accadde tutto una primavera gelata. L'inverno non voleva abbandonarci, e i fiori non potevano sopportare di vedere quell'orrore. Così non sbocciarono. A maggio c'era ancora la neve. Il freddo era nostro alleato, come il mare e come il vento, la natura intera parteggiava per noi, ma niente servì, niente bastò, voi eravate troppo forti, e vinceste. Gli alberi cessarono di parlare, gli spiriti silvestri che li abitano chiusero gli occhi per non guardare, si nascosero nei tronchi, e rifiutano di uscire. Solo a volte accettano di danzare ancora con noi, quando accendiamo i fuochi in mezzo al bosco per chiamarli. Allora escono, e sorridono, e piangono quando ce ne andiamo. Ma promettiamo loro di tornare, e lo facciamo sempre.

Giuliano lo guarda.

Apre la bocca, e ha paura, la voce trema e sembra rifiutarsi di uscire.

È rauca, incerta.

-Iris… raccontami la tua storia.

Iris tace, respira. Ha paura.

Ha cominciato a parlare di Fortunato e Zita aspettando che Giuliano raccogliesse il coraggio necessario per porre quella domanda, inevitabile domanda, che rigirava nella bocca dalla prima volta che si sono visti.

Giuliano ha sempre avuto desiderio di conoscere, di capire quel loro popolo strano, Iris lo sa bene. Eppure la sua storia lo spaventa.

Non perché sia più triste delle altre: la matrice che le ha intagliate è la stessa, sono come sculture nate dalle mani dello stesso artista. Le loro vite sono simili quanto i visi: la libertà, le pianure ghiacciate, i fuochi, la distruzione.

Non è più triste delle altre, ma Giuliano ama Iris, e sa che il dolore bruciante che avvertirà sulla sua lingua andrà a contagiarlo, piegando le sue difese. Hanno maturato una sensibilità comune, in tanti pomeriggi passati ad amarsi, una parte di spirito appartenente ad entrambi, perché solo così si dividono il piacere, i brividi, le sensazioni.

Ma questo significa anche dividere gli incubi, i ricordi tormentosi, e se Giuliano è certo di resistere sotto il peso dell'infelicità di Iris, questi non sopporta l'idea di ferirlo.

È un pensiero tremante, nascosto dallo sguardo duro, determinato.

Si volta a guardarlo.

-Per raccontarti la mia storia non posso stare qua. Devo portarti lontano, in mezzo alla prateria. È una strada pericolosa, se i soldati ci sorprendono verremo giustiziati. Ma io conosco passaggi segreti attraverso il bosco, se non temi il buio.

-Tu non ne hai paura?

-Io nel buio ci sono nato.- mormora Iris guardandolo fisso. Poi sorride, e il cielo si volta a contemplarlo.

Obsession, grazie per il commento… sono contenta che la storia ti piaccia. Purtroppo, il tempo per aggiornare è sempre più scarso… prometto che farò il possibile, però, per non far passare secoli! Kisses a tutti, a presto,

roh

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Capitolo 8
*** 8- il cavallo corre ***


Il cavallo corre veloce, la pianura scivola sotto i suoi zoccoli simile a una tavola oscura

Il cavallo corre veloce, la pianura scivola sotto i suoi zoccoli simile a una tavola oscura.

Giuliano, aggrappato alle redini, ha paura.

I capelli rossi di Iris sono una nuvola nel buio, ma i suoi occhi sono distanti, remoti. Non stanno guardando la prateria, e neanche il cielo o le stelle: ripercorrono i giorni perduti, il vento sulla pelle. Non è lo stesso vento, quello che ora gli solletica il viso, anche lui è morto, come loro. E l'erba non è la stessa che ha calpestato mille volte, così come quell'animale irrequieto che vibra sotto il suo peso non è il suo puledro.

I gitani credevano che si formasse un legame particolare, indissolubile, tra un ragazzo e il primo cavallo che aiutava a nascere. Iris ricorda l'emozione di specchiarsi per la prima volta negli occhi neri del cucciolo, di accarezzare il suo pelo serico… ricorda la sua risata di bambino salutare il compagno di avventura. Adesso lui vivrà in una mandria selvatica, sorride Iris, abitato dallo spirito di un dio. Dormono in ogni cavallo, dicono i vecchi. Stringe i denti e lancia uno sguardo a Giuliano. L'amico non è abituato alla notte, la teme. Iris vorrebbe allungare una mano e stringergli la spalla, confortarlo, ma la velocità rende impossibile qualunque movimento.

Svolta nel bosco. La foresta sembra volerli inghiottire, e neanche lui riesce a trattenere un sospiro di paura. Da piccolo inventava storie di spettri per divertire gli amici, e adesso tornano tutte alla mente, insieme ai volti, agli abbracci.

Giuliano ha rallentato e procedono affiancati.

-Siamo ancora molto lontani?- la voce trema, anche se si sforza di mantenerla ferma.

Iris riflette su come l'oscurità e il mistero spaventino anche le persone più coraggiose. Sarà il buio a inquietare Giuliano, o piuttosto la prospettiva della verità, di un dolore sconosciuto?

-Non ti preoccupare, conosco la strada. Non ci perderemo. Ma devi aver pazienza.

Libertà è sempre stato al suo fianco, su quel sentiero. Sempre loro due, in quel complice silenzio, nel respiro di quelle fronde. Sempre loro due, solo loro due.

È strano come lui e Libertà abbiano condiviso ogni attimo, anche il più intimo.

Ricorda una notte, abbracciati nel letto, lui sembrava addormentato. E invece aveva sussurrato, incerto. -Iris? Fino a quanto ci sei dentro?

Iris sapeva che parlava di Giuliano senza neanche guardarlo in faccia. Aveva risposto a voce altrettanto bassa. -Oggi abbiamo fatto l'amore per la prima volta.

Libertà non aveva più detto niente, solo l'aveva stretto forte, come per proteggerlo da tutto il male.

Adesso starà bevendo con Fortunato, annegando nei suoi occhi verdi, talmente belli da lasciare senza fiato. Iris vorrebbe essere con loro, voltare il cavallo e riportare Giuliano a casa, tornare dai suoi acrobati, dai suoi fratelli.

E invece vanno avanti. Il bosco sparisce, si dirada, mentre una nuova sterminata prateria si srotola davanti ai loro occhi quasi ciechi.

Iris riprende a cavalcare veloce, la radura è all'orizzonte, sempre più vicina…

Ferma il cavallo e smonta. Giuliano lo segue, i movimenti impacciati.

-Ecco. Siamo arrivati.

Camminano, reggono le briglie fino a che i cavalli non si rifiutano di proseguire. Il dolore segna la terra, ferisce i loro cuori. Iris accarezza il suo e lo lega ad un albero, mormorandogli parole dolci, mentre Giuliano lo imita perplesso. C'è un odore strano nell'aria, di mare e di pioggia, ma non si sa da dove provenga.

Iris sorride e respira profondamente.

-Iris, perché siamo venuti qui?

-Perché qui finisce la storia di quel bambino, e inizia la mia.

Si ferma in mezzo alla radura. Gli alberi sembrano dei guardiani, ricurvi e dolenti. Iris è traslucido nella nebbia, fantasma. -Qui sono morto.

Giuliano accusa il colpo, e non riesce a parlare. Iris ha lo sguardo freddo e lontano, o forse è vero il contrario, è ardente e troppo vicino, in ogni caso Giuliano non riesce a incontrarlo. Stanno contemplando due luoghi diversi. Si china e carezza la terra, amorevole. Le dita giocano con l'erba, mentre continua. -Sono seppelliti qui, tutti quanti. Ognuno di loro, ogni loro sogno è qua sepolto. Ognuno di questi fiori nasce sul loro corpo.

Giuliano ha la nausea, vorrebbe allontanarsi, fuggire da quel cimitero inquietante, ma il posto sprigiona una strana magia che lo incanta e lo tiene legato a quella terra, a Iris che continua a carezzarla e abbracciarla.

-Iris, cosa vuoi dire?

-Qui ebbe luogo la battaglia, Giuliano. Questi alberi piangevano nel vento, e tremavano, mentre i vostri soldati avanzavano sicuri. I nostri guerrieri erano fermi, rassegnati, non tentarono nemmeno di difendersi. Erano gente pura, nata nelle grotte marine, simili a perle, a conchiglie rosate. Amavano il buio, e non temevano la morte.

Ma quel massacro, Giuliano, tu non puoi immaginarlo. Mio padre aveva detto a noi ragazzi di fuggire, e io mi ero allontanato col mio puledro, ma non obbedii al suo ordine, e mi voltai. Li vidi morire, uno ad uno. Ricordo ancora adesso la loro posizione, il mio dolce fratello sorridere distratto, l'erba accarezzare il suo corpo, ricordo mia madre poggiarsi ad un albero, e lo sguardo rassegnato di mio padre… svenni, credo, perché quando mi risvegliai era sceso il buio, e il mio cavallo aspettava quieto… la morte, forse, che ci stava tanto vicina.

Mi alzai e percorsi i metri che mi separavano da loro. Mi aggirai tra i cadaveri a lungo, e poi tornai sulla collina, solo per scoprire altri corpi, poco più lontani, di alcuni dei ragazzi che erano fuggiti con me. Gli altri erano stati portati via, nei bordelli d'occidente, ma questo lo seppi solo dopo. In quel momento compresi invece di essere solo, e allora piansi, fino a consumarmi dalle lacrime.

Quella notte, cavalcai per molte miglia, senza nemmeno cercare di vedere nel buio come mi avevano insegnato, semplicemente lasciandomi guidare dal cavallo. Mi portò a un accampamento vicino, e quando gli uomini mi videro arrivare non ritennero importante interrogarmi, mi costrinsero a dormire subito. Sapevano che era l'unico modo per non cedere alla pazzia, abbandonarsi ai sogni. La mattina dopo tornammo alla radura, e seppellimmo i morti. Vengo qui periodicamente, è un pellegrinaggio che devo compiere, per ricordare sempre a me stesso cosa ha portato alla mia nascita.

Io credo di essere morto con loro, quel giorno, per lungo tempo ho fantasticato di essere un fantasma, visibile ai vivi per uno strano miracolo. Ancora adesso mi riesce impossibile credere di essere scampato alla loro cieca furia, unico fra tutti a non essere ucciso, né rapito. E reputo altrettanto improbabile che un soldato mi abbia visto, e, mosso da pietà, abbia taciuto la mia presenza al suo capitano.

Avevo dieci anni, a quel tempo, e la mia pelle era dello stesso colore dell'avorio, le iridi dell'acquamarina. Il mio viso si mutò in marmo, e gli occhi divennero pozzi profondi, che catturavano la luce. Crebbi in una città distante da qua, e quando compii tredici anni Gregorio, l'acrobata, si accorse della mia abilità con il pugnale, e mi condusse con sè. Avrebbe voluto farmi diventare un lanciatore di coltelli, e non era il talento che mi mancava, eppure non fu quella la mia strada. Ma ricordo i mesi passati accanto a Zita e Fortunato e Aureliano e tutti gli altri come una parentesi di serenità. Che si chiuse quando arrivammo qui.

Iris tace, perso per un attimo nei pensieri. Giuliano aspetta, poi domanda dolce: -Hai conosciuto allora gli altri?

Iris sorride e annuisce. -Incontrai Libertà. Gli sguardi si incrociarono al nostro spettacolo, i cuori si compresero. Aveva diciassette anni, allora, era il più giovane del suo gruppo, e i suoi capelli sapevano di vento, gli occhi dei cieli nuvolosi delle nostre terre. Lui dice di avermi amato dal primo istante, ma non può capire la mia vertigine. Sentivo di aver trovato finalmente qualcuno di uguale a me. Lui e i suoi compagni, che adesso sono anche i miei, mi osservarono giocare con i coltelli, e mi chiesero di unirmi a loro. Accettai senza esitare.

Cominciò così la mia vita notturna, da giocoliere della morte.

Cambiai il mio nome in Iris perché quelli furono gli unici fiori che tentarono di sbocciare, nonostante l'inverno e l'invasione. Li sentivo vicini. Del resto, ognuno compie la scelta secondo il suo umore. Libertà è semplicemente la traduzione del vero nome del mio amico, una parola che nella nostra lingua è potente e melodiosa, eterna, e che non posso rivelare, neanche a te, neanche in questo luogo.

Trascorsi tre anni con loro, e non ho mai rimpianto il momento in cui accettai la loro proposta, perché so che fu proprio questo a salvarmi, a restituirmi alla vita. Combattevo per il nostro passato. E anche se c'erano giorni disperati, in cui tutti avremmo voluto soltanto piangere e nasconderci, odiando quel che eravamo diventati, siamo sempre stati coscienti che eravamo dalla parte giusta.

Giuliano si sente improvvisamente minuscolo davanti a quel passato, davanti ai mille spiriti che abitano il corpo del suo amante. Scorge una nuova densità nelle ombre che velano gli occhi di Iris, e vorrebbe conoscerle tutto, una per una, poterle chiamare per nome.

Sa che non è possibile.

Ma conoscere la sua storia, forse, è sufficiente.

 

Avevo scordato di avere ancora questa storia in sospeso. Penso che non mi ci vorrà molto per postare gli altri capitoli – ancora tre, poi non mi è più riuscito di proseguire. Chiedo scusa a chi legge di Iris, e magari lo ama.

Volevo anche ringraziare chi mi ha lasciato un commento l'ultima volta, dicendo che questa è la prima yaoi che gli (o le) è piaciuta… mi ha fatto davvero molto piacere saperlo. Stavo per aggiornare subito dopo aver letto il commento, ma poi altre cose si sono messe di mezzo e il pensiero si è accantonato. Grazie ancora. Spero che ti piaccia anche questo.

Un bacio, Roh

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Capitolo 9
*** 9- La leggenda ***


La leggenda che sto per raccontarti, amore, è antica, oscura come le grotte in cui sono nato, come il mare notturno che cullav

La leggenda che sto per raccontarti, amore, è antica, oscura come le grotte in cui sono nato, come il mare notturno che cullava i miei giorni.

È una storia vecchia quanto il mondo, quanto l'aria che stai respirando. Una storia che ha mille versioni, che è passata su infinite bocche, arricchendosi di voci e di sogni. Si è trasformata in poesia, in canzoni e in ballate, in melodie, in racconti da narrare intorno al fuoco. In fiabe sussurrate dalle madri al silenzio dei loro bambini. Ha abitato le voci giovani di ragazzini che scherzavano con gli amici, e quelle senza tempo dei vecchi saggi.

Esistono tragedie costruite su essa, che le compagnie di acrobati, un tempo numerose, rappresentavano ad ogni spettacolo.

Ma adesso è stata bandita, chiunque la racconti viene incarcerato. Neanche voi siete sordi al suo potere.

Ne avete paura. I tuoi governanti, Giuliano, conoscono soltanto la versione più sciocca, che quasi niente conserva delle antiche rivelazioni, e nonostante questo la considerano più pericolosa di una rivolta armata.

Io l'ho cantata alle guardie, il giorno che sono stato arrestato, e per questo mi hanno preso e rinchiuso e…

Scusami Giuliano, non posso ripensare a nulla di quel giorno. Neanche le tenebre che ci circondano sono abbastanza fitte per ripararmi, neanche il respiro degli dei silvestri che ci guardano dalle chiome degli alberi basta a rassicurarmi.

Nulla può proteggerti dagli incubi, Giuliano, questo ho imparato nella mia vita.

Le parole che sto per dire, tranquillizzati, amore, non mantengono la magia. Se raccontassi questa storia nella nostra lingua, sarebbe un sortilegio incontrollabile, non saprei gestirlo. Ma la traduzione è docile, si lascia facilmente imbrigliare. Tutto in voi è così. Da noi, invece, ogni suono è ribelle, decide se lasciarsi pronunciare o meno, e quando scivola sulla voce non si spegne subito, no, resta per un attimo a vibrare, come a ricordarti che niente è in tuo potere, ma segue un disegno nascosto, un disordine iniziale che ti permette di perdere la strada, quando cammini nei boschi come quando parli, per ritrovarti in un altro luogo, per scoprirne i segreti.

A me capita sempre, ogni volta che apro bocca, ed è per questo che spesso preferisco tacere, ho visto troppo, inizio a temere il mistero, a temere questo sangue che infiamma le mie vene e mi sospinge verso altro, verso di te quella notte in cui duellammo, verso questa radura il giorno in cui morimmo…

Giuliano fermami quando vedi che ho imboccato una strada troppo impervia. Quando vedi che i miei occhi sono bui, e le ombre danzano al ritmo delle mie parole, fammi tacere, baciami, stringimi forte, picchiami. Non voglio smarrirmi, non posso farlo qui, ora, non saprei tornare indietro.

Vedi, Giuliano, loro sono lì. Nell'aria. Che aspettano di ascoltare la loro storia e ridono del mio turbamento, acqua cielo, mi accarezzano teneri e sorridono, e io li amo, Giuliano, li ho sempre amati. La loro storia è la nostra, in un certo senso, solo che loro conobbero la libertà prima di tutti, e prima di tutti la persero.

Erano due gemelli. Vivevano nei giorni in cui non esisteva ancora nulla, non il male non il bene non la guerra, vivevano e si amavano, amavano tutto perché tutto non esisteva, camminavano per le strade che si intravedono a volte nelle notti serene, camminavano e attraversavano quelle vie celesti illuminando il buio con la loro bellezza.

Perché erano bellissimi Giuliano e questa era la prima cosa che si capiva guardandoli. Non potevi pensare ad altro perché erano bellissimi, erano la perfezione fatta carne, avevano lo splendore di un'aurora boreale, la gelida geometria dei cristalli di neve e il caloroso disordine del fuoco danzavano sui loro visi.

Qual è la creatura più bella che hai mai visto? Quando ti è capitato di tacere e contemplare, così, senza pensieri, per il puro piacere di osservare, dissetandoti di quel che vedi come fai con acqua fresca dopo giorni di deserto?

Neanche la bellezza di Fortunato è paragonabile alla loro, perché lui è terreno, e ferito, mentre loro erano aria e luce, erano spiriti.

E se insisto così tanto sul loro aspetto è perché fu esso a scrivere il destino, fu proprio la loro bellezza a maledirli, a dannarli.

Non posso dirti i nomi, Giuliano, sono formule magiche troppo potenti. E loro sono troppo vicini…

Tradurli del resto è impossibile, ma sappi che nella nostra lingua significano mare e cielo. Sono formule arcaiche, certo, non di uso comune: ma quello è il loro significato originario, e capirai perché.

Erano bellissimi, e liberi.

Liberi, amore. Liberi.

E questa era la seconda cosa che notavi, l'indisciplinatezza, non vi era nulla di docile in loro, nulla, potevano essere amabili e teneri come giunchi ma restavano dritti, non si piegavano.

Erano nati dal vento, capisci, dal vento che nessuno può fermare, e il sole aveva temprato i loro cuori per renderli caldi e aperti al confronto, per renderli duri come diamante.

La libertà li vestiva, mentre camminavano in quel loro Eden siderale, e danzava al loro fianco, si stringeva a loro negli abbracci ebbri di gioia.

L'ordine ben tollera la bellezza, purché questa diventi un oggetto, sottomesso ai suoi comandi. Ma la libertà gli è del tutto intollerabile, lo sai, perché essa è caos, è disordine, è assoluta negazione di ogni punto fermo, di ogni potere, è la più alta forma di felicità, e la felicità non è mai sensata. La felicità è folle, indescrivibile, non accetta confini.

Gli dei traevano piacere dal contemplarli, anche se era loro vietato sfiorarli. Non importava, perché erano talmente luminosi che bastava guardarli per star bene.

Ma la scivolosa linea del tempo non si interruppe, non smise di segnare cambiamenti, e mentre le polveri dell'universo si raggrumavano, si radunavano in ammassi di terra, in giganteschi pianeti che orbitavano nello spazio e che pulsavano a ritmo col cuore di lava, qualcuno decise che era giunto il momento di porre fine a questa danza.

Non c'è una certezza su chi fosse quel dio, in tutti questi anni non siamo mai riusciti a tratteggiarne un ritratto soddisfacente. Era bello, come tutti gli dei, e adulto, perché la rigidità fa parte della crescita, e l'ordine mal si addice a un viso imberbe. Aveva l'aspetto di un bell'uomo maturo, probabilmente, con la barba e i baffi, e gli occhi di metallo.

Somiglia al vostro dio, in parte, e non è così strano pensare che siano la stessa persona, e che questo che ti sto narrando sia lo stesso vostro mito visto da una diversa angolazione. Soprattutto, non è strano considerando la vostra convinzione nel crederci seguaci del diavolo, un diavolo maledetto e splendente, che deve la sua caduta proprio a un gesto ribelle.

Ma non voglio spingermi troppo in là nelle supposizioni, Giuliano, perché non è importante questo, non cambia la storia, semplicemente allarga l'orizzonte, permette di vedere altro in questa nostra guerra, di leggervi un significato più recondito, di nuova replica di tragedia antica.

Quel dio, comunque, che è soltanto uno tra i nostri, il dio dell'ordine e del metallo, del duro che non da figli e che resta rigido, quel dio costrinse i gemelli a una scelta vergognosa, che infiammò le loro candide gote.

Nessuno conosce con certezza quali furono i termini della sua proposta, il pudore impedì ai primi cantori di spiegarlo in dettaglio, la tenerezza impose loro di passare oltre.

Posso solo immaginare una profferta sessuale, nonostante il cuore si ribelli al pensiero e sanguini per il dolore del sacrilegio, sacrilegio ripetuto, lo so, su di noi, sui miei fratelli.

Arrossisco immaginando la mano protesa verso le loro carni perfette, arrossisco per la vergogna di quell'essere che osò violare una tale purezza, e mi figuro i loro visi imporporati e sdegnosi, e le loro voci cristalline giurare che mai, mai e poi mai avrebbero ceduto.

Solitamente si tralascia questo oscuro passaggio, si preferisce concentrarsi sul rifiuto, fiero e doloroso.

Loro arretrarono, scossero il capo, piansero e urlarono nello scoprirsi prigionieri tra le mura.

Il dio rimase muto, tacque guardandoli disperarsi, attese di vederli stremati prima di parlare.

E ai loro occhi rossi, alle loro lacrime, ripeté la proposta.

Poi la rabbia accecò il suo sguardo, e loro conobbero il dolore, conobbero la violenza e la sopraffazione, quel giorno, nella loro prima prigionia.

Quando tutto finì loro restarono fermi fianco a fianco, spezzati, piangenti, rabbiosi.

E poi uno dei due alzò gli occhi, e l'altro non poté impedirgli di parlare, non fece in tempo, le labbra si erano già aperte e la voce, non più cristallina, ma bassa, profonda come il mare, sibilò odio indicibile, e veleno, e maledizioni.

Il dio sorrise, metallico, e decise la pena.

Per punirlo della sua insolenza, e per punire l'altro della fierezza, li condannò alla separazione. Deliberò che quello che aveva parlato fosse scaraventato su uno dei pianeti appena nati, e che l'altro rimanesse nel cielo, a guardarlo, essendo la sua colpa meno grave.

Gli ordini furono eseguiti, Giuliano, in maniera esemplare.

Uno dei due gemelli cadde sulla terra arsa, e a quel tempo non c'era ancora vegetazione, non c'era ancora niente. Cadde morto, Giuliano, morto, lui, quella divina stella.

L'universo intero venne scosso da questo fatto. Il pianeta respirò più profondamente, avvolse quel corpo in dolci nubi di fiato. Pianse, e le sue acque andarono a mischiarsi con le lacrime del gemello, che dall'alto del cielo, incatenato al firmamento, piangeva disperato.

I ruscelli cominciarono a segnare il terreno, a bagnare la polvere, impastarla, darle forma.

Minuscoli esseri striscianti presero a percorrere le immense distese, e nei secoli crebbero e mutarono. Alcuni scesero ad abitare gli abissi dei mari appena nati, altri si innalzarono per scoprire i cieli. Le praterie si ritrovarono percorse da animali strani, veloci e minuti, feroci e intelligenti. Cominciò il lungo ciclo della vita, una vita nata dal pianto, e per questo dolente.

Il gemello disubbidì quasi subito al monito che gli vietava di avvicinarsi al fratello. Riuscì a liberarsi delle catene, e raggiunse la terra, dove poté dare libero sfogo al suo dolore. Con infinita tenerezza, raccolse il sangue del morto nelle mani, e rise tra le lacrime. Di fronte a quel sorriso il sangue stesso si commosse, e tentando di consolarlo, cambiò di forma, e di colore, ghiacciò il suo corso in vellutati petali, e in esili steli verdeggianti. Il pianeta scoprì, per la prima volta, esseri che nella loro dolcezza eguagliavano lo splendore degli dei. I fiori crebbero nelle praterie, fieri, portando ovunque testimonianza dell'amore dei gemelli.

Ma questo miracolo non fu il solo, a seguire quella drammatica morte.

Del tutto irrilevante di fronte alla vita del pianeta, ma fondamentale per me, per noi, è l'incontro tra il gemello e un fanciullo, figlio degli uomini.

Si dice che quel giorno il vento soffiasse attraverso il sole, e avesse guidato quell'intrepido elfo oltre le strade solitamente percorse dai nomadi cavalieri, fino ad un angolo nascosto, privato, a pochi passi dal mare. I gemelli giacevano in quel luogo da secoli, celati al resto del mondo.

Il vivo alzò lo sguardo stremato, alzò quegli occhi arrossati dal pianto, infiniti, e vide il bambino candido immobile sotto la luce, con il vento a spettinare i riccioli rossi, del colore del sangue e del fuoco, che lo guardava, con la testa inclinata su una spalla e l'aria triste. Lento tese una mano, e lo condusse più vicino. Gli permise di guardare il morto, scostò addirittura i capelli neri che ne velavano il viso perché il bambino potesse contemplare a piacimento gli occhi sbarrati. Il gemello amava quegli occhi, perché da vivi lo avevano amato, ma il bambino scoprì in essi tenebre eterne, e un dolce buio, che scivolò nel suo animo come aria salmastra, come oscuro amore. Nello stesso istante sentì qualcosa rompersi, e avvertì lo sciogliersi di un nodo, di una catena, conobbe per la prima volta l'inquietudine gitana, quell'inquietudine che ci spinge a odiare la prigionia, odiare l'ordine, le imposizioni. Vedi, Giuliano, il buio di quegli occhi morti abita il nostro cuore, da quel giorno, è la nostra dolce maledizione.

Il bambino si rialzò e guardò il gemello vivo. Questo sorrise, per un attimo placato, lo baciò sulla bocca e poi lo spinse via.

Il bambino tornò nella sua tribù e raccontò di aver visto un giovane bellissimo piangere sul corpo di un morto, e di avere scorto nei suoi occhi pianeti remoti e insondabili abissi. Disse di conoscere la sua storia, di averla appresa dalle sue labbra con un bacio.

I cavalieri nomadi, mossi da curiosità, desiderarono conoscere il mistero di una tale bellezza, e seguirono quel loro figlio ribelle attraverso le praterie, fino al luogo nascosto che lui ricordava tanto bene. Ma non trovarono niente, solo uno scoglio a picco sul mare, e un fiore rosso di sangue. Dei due giovani non c'era traccia, non del vivo, non del morto.

I cavalieri rimasero fermi sulla spiaggia, ad ascoltare il vento. Intuivano che cantava segreti, ma non sapevano ancora comprenderli. Impararono la sua lingua scivolosa, infine, e seppero che gli dei, incapaci di sopportare il dolore del gemello sopravvissuto, avevano deciso di contravvenire agli ordini di loro fratello, e di liberare i due giovani dal tormento. Li tramutarono entrambi in spiriti. Uno, il morto, divenne acqua, l'altro, il vivo, aria.

In questo modo erano liberi di guardarsi, di specchiarsi l'uno nell'altro come sempre avevano fatto, riflessi imperfetti.

I cavalieri nomadi presero a venerare il mare e il cielo, venerarli come incarnazione dei due fratelli, e da allora, tra noi gitani, i gemelli vengono guardati con rispetto e tenerezza, perché si pensa che portino nei loro occhi il ricordo obliato della prima coppia divina che tutto originò.

Quanto a quel bambino, quell'essere puro al quale era stata confidata per primo la storia, crebbe, divenne ragazzo e poi uomo. I suoi figli portavano nel petto il suo stesso buio, il suo stesso nodo sciolto. Di generazione in generazione quest'inquietudine si fece più forte, più radicata, e mentre gli altri uomini edificavano città, costruivano palazzi e strade, i suoi discendenti continuarono a viaggiare, a percorrere e abitare quelle praterie che avevano visto l'inizio di tutto, assaporando la libertà che il gemello, con quel bacio dolce e disperato, aveva insegnato al loro progenitore.

Tuttavia, Giuliano, c'è anche una versione più oscura, di cui non si conosce l'origine, che narra come il dio, adirato per la disubbidienza del gemello che aveva risparmiato, lo abbia costretto a incarnarsi in un uomo, di carne e sangue, marchiando la sua pelle con questo neo, Giuliano, questo neo di cui tu tanto ti sei stupito, e che sai essere comune a tutta la mia gente. Il dio maledisse il gemello, e tutti i suoi discendenti, condannandoli alla perpetua fuga e al dolore, alla distruzione, profetizzando loro un futuro infausto.

Secondo questa versione verrà un giorno in cui il nostro popolo sarà sterminato, e c'è chi crede che quel giorno sia giunto, che voi siate lo strumento del dio, la vostra invasione la sua vendetta.

Forse hanno ragione, Giuliano, forse questo è il momento del dolore, della guerra. Della morte.

Ma noi non staremo zitti, amor mio, così come non stettero zitti i gemelli dopo l'oltraggio.

Noi ci ribelleremo, e pagheremo le conseguenze del nostro gesto avventato, perché è il nostro sangue che lo esige, sono le nostre cellule che lo impongono, memori di una sconfitta antica, di una lotta mai conclusa. E noi non potremmo sottrarci, né lo vorremmo.

Siamo pronti ad affrontare il futuro, e lo faremo con gli occhi sgombri, limpidi come quelli dei gemelli.

 

 

 

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Capitolo 10
*** 10 - Il silenzio ha gusto di miele ***


Il silenzio ha gusto di miele

Il silenzio ha gusto di miele.

Giuliano passa le dita tra i capelli di Iris e pensa.

Quella storia lo spaventa, racconta un popolo antico e sfuggente, anarchico, senza legami e senza catene. Vorrebbe chiedere a Iris quanto di vero ci sia, nelle sue parole, ma sa che il ragazzo non capirebbe, si limiterebbe a guardarlo con gli occhi turchesi e immensi, senza rispondere.

Vorrebbe poter liquidare la leggenda come credenza ingenua, come mito cosmologico, ma non può negare il fascino arcano che irradiava lo sguardo di Iris mentre parlava; non può scordare la bellezza ultraterrena dell'acrobata conosciuto quella sera, Fortunato, candida incarnazione divina; non può ignorare il potere che avvertiva aleggiare intorno a loro, come destato dalla melodiosa voce amata. Non può mentire, cancellando la folle impressione che occhi scuri, bui, li spiassero dal cielo, e li proteggessero teneri.

Divini difensori della libertà di un popolo, dov'eravate quando i vostri figli venivano massacrati, cosa facevate mentre la vostra tragedia, la vostra disubbidienza li invischiava nel sangue?

E adesso dove siete, perché non alleviate le loro pene, perché non li prendete per mano e li guidate sulla difficile strada, non insegnate loro di nuovo a vivere, come avete insegnato a viaggiare, ad amare, perché non li aiutate adesso?

Siete troppo lontani, superbi, come il nostro gelido dio, oppure siete incatenati al cielo, all'aria, siete incatenati al firmamento da una corda di stelle, e potete solo piangere questa pioggia gentile, che arriccia i suoi splendidi capelli, potete solo gemere e lottare vanamente per liberarvi, ascoltando il loro dolore?

Giuliano ha la testa china e singhiozza sotto le gocce, sotto quel temporale improvvisamente scoppiato, che oscura il cielo e gli occhi che Iris rivolge alle nubi.

I cavalli camminano e la città è ormai vicina, il racconto ha impegnato le ore e sono tornati a casa, accompagnati da una nebulosa alba.

Il terreno pare respirare, l'erba è bagnata e profuma di polvere, profuma di muschio.

Giuliano ha sempre amato questo momento, quando la tempesta è ormai calmata, e l'aria sembra piena di eccitazione, di speranza.

È una sensazione che minaccia di inghiottire il resto, troppo importante e quasi pericolosa, quasi incomprensibile. Giuliano sente le emozioni attraversare il suo corpo come le correnti il mare, e ricorda un pomeriggio ombroso, disteso accanto al corpo addormentato di Iris, dopo l'amore. Ricorda l'odore della sua pelle, quell'essenza selvatica e misteriosa, sfuggente, ricorda il colore dei suoi capelli che gli scivolavano dalle dita. Era rimasto a guardarlo incantato per qualche tempo, poi, rispondendo a un bisogno arcano, aveva poggiato l'orecchio sul suo petto. Prigioniero di una fragile gabbia d'osso, il cuore pompava il sangue verso le arterie, verso la periferia di carne. Ascoltando quel battere ritmico, ipnotico, Giuliano aveva afferrato, per un attimo, la vita.

Adesso prova qualcosa di molto simile. Ha la certezza che presto qualcosa succederà, che presto un evento imprevisto giungerà a cambiare quel mondo, a regalare una nuova scintilla di verità.

Non parla con Iris di questa sua percezione. Sa che l'amico conosce il futuro meglio di lui, e legge i segni e le profezie rivelate dall'aria con miglior abilità, forte di un'infanzia trascorsa tra mari e leggende.

Non parlano.

Iris guarda i muri colorati delle case che dipingono la periferia, guarda le finestre addormentate e ascolta le risate soffocate che provengono dalle porte chiuse.

I suoi occhi sono stranamente scuri.

 

-Quando ci vedremo?

Gli angeli guerrieri non si sono ancora arresi, e sperano di strappare a Gregorio almeno la promessa di un rapido ritorno. Libertà sorride e non parla, ascolta la quieta risposta dell'uomo barbuto.

Dovranno passare i giorni, forse anche i mesi. Gregorio non può saperlo di preciso. Ma il momento arriverà, e ci sarà bisogno della forza di tutti, e dell'amore.

-Come riconosceremo il momento?- chiedono ancora. Sembrano stanchi per la notte insonne, stremati dall'attesa che si prospetta. Gregorio carezza loro i capelli e mormora che la brughiera risuonerà di canti, e che i sogni si tingeranno di azzurro. Allora verrà il momento che aspettano.

I guerrieri non sembrano placati da quelle immagini poetiche, e non dissimulano l'incertezza dei loro volti. Ma dovranno aspettare. Del resto, sono anni che aspettano.

Iris e Fortunato si guardano negli occhi, e tacciono.

Le loro mani, le dita che si stringono con forza parlano per loro, le labbra che si incontrano nei sorrisi baciati raccontano il desiderio di stare vicini, il bisogno di ritrovarsi. Non servono le parole, per spiegare i cuori.

Giuliano li osserva dalla sua posizione estranea, e sorride. È intenerito dall'amore che lega i due ragazzi, entrambi troppo giovani per quei ricordi, entrambi troppo fragili per quel dolore.

Sa che Iris soffre nel lasciare l'amico, ma ha scorto negli occhi di Fortunato l'agitarsi del vento, mulinelli di emozioni trascinati lontano da quelle correnti violente, e sa che l'equilibrista ha bisogno di rimettersi in cammino. L'essenza del gitano non è stata soffocata nei cuori di quegli acrobati, nulla hanno potuto la guerra e la prigionia contro il loro bisogno di libertà.

La partenza della carovana ha qualcosa dell'addio alla primavera, perché chi resta sente il desiderio di inseguire quei carrozzoni, di unirsi a quegli spiriti che proseguono le tradizioni scritte nel loro sangue.

Ed è strana l'atmosfera che resta nella periferia.

Come di una precarietà appena accennata, mascherata nel solito quotidiano per impedire agli occupanti di scorgere la verità, dentro i movimenti limpidi. 

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Capitolo 11
*** 11- Lo spettro ha capelli biondi ***


Lo spettro ha capelli biondi e un candido sorriso

Lo spettro ha capelli biondi e un candido sorriso.

Avanza con dolce eleganza, in movenze danzate, sciolte.

È alto, e bello, di una bellezza estranea e luminosa.

Appesi al suo collo, le bocche identiche e disordinate dei gemelli.

Giuliano resta fermo, incerto, guardandosi intorno. Nessuno avanza per dare il bentornato a Fortunato l'equilibrista, né per salutare i suoi straordinari accompagnatori.

Infine Iris si stacca dal gruppo e avanza. Scuote la testa, senza capire.

Fortunato resta avvinghiato al bianco spettro, come se temesse di perderlo. Poi timidamente allunga una mano e scivola nelle braccia del vecchio amico.

Sussurri di risate e ruscelli di tenerezza si rovesciano nelle loro orecchie.

Quello che pare il suo riflesso lo osserva con indulgenza, posa un bacio sul collo dello spettro.

Appoggia la guancia sulla sua spalla e resta così, felice, sorridendo alla sua gente ritrovata.

 

Fortunato siede sul tavolo e ride scuotendo i capelli.

Suo fratello è accucciato ai suoi piedi e tiene gli occhi socchiusi, ma non smette di vigilare sul loro spettrale compagno.

Desiderio, questo è il suo nome, resta un po’ in disparte, occupando il solito posto di Giuliano.

Questo esita nel raggiungerlo, poi lo fa simulando disinvoltura.

Il sorriso del giovane albino è accecante.

-È incredibile vederli ridere, vederli cantare. Non smetterò mai di stupirmi, di ringraziare il cielo per questo miracolo.

Giuliano risponde al sorriso senza capire. Desiderio annuisce e torna a volgere lo sguardo sui suoi amati fanciulli. –Conosco Dalj da due anni e non l'ho mai visto sereno. Certo, Elje deve sempre aver dato un'impressione diversa, eppure se lo si guarda a lungo negli occhi non si possono ignorare le ombre.

Giuliano ascolta, rassegnato a una nuova storia di dolore. Sa che il dolce compagno di Iris è differente dalla creatura che credevano di conoscere. Sa che addirittura il suo nome era falso, Fortunato, semplice maschera ingannatrice. Quello spirito libero è nato come Elje, e si è riappropriato del vero nome nello stesso momento in cui riabbracciava il gemello.

Giuliano ricorda la voce di Iris librarsi, raccontare la storia dell'equilibrista, del suo lutto profondo come l'urlo rimasto cacciato in gola. Desiderio ha ragione: le ombre negli occhi sono troppo oscure per permettere alla luce di filtrare.

-Come hai conosciuto suo fratello?

-Dalj è un regalo di mio padre. L'ha comprato in un bordello per festeggiare il mio diciottesimo compleanno. Non puoi immaginare la mia emozione nel vederlo. Coperto dall'ambra della lanterna, era la creatura più bella che avessi mai contemplato. Nonché la più ferita. Era come prigioniero dei suoi occhi, non permetteva più al suo spirito di uscire allo scoperto. Stava annegando nel dolore. Non è stato facile aiutarlo. Troppe volte l'ho odiato per il suo caparbio desiderio si soffrire, di perdersi nei labirinti della mente. L'ho odiato con una tenerezza pari solo a quella che ho provato nell'amarlo. Lui ha ripercorso negli incubi tutta la sua vita, i suoi dieci anni di libertà. Ma non ricordava niente di Elje. Il suo gemello era un'ombra indistinguibile, confusa agli abusi patiti. Io stesso, con tutta la mia abilità nel leggere le menti, non avevo mai percepito la sua esistenza. Quando riconobbe il proprio nome, credetti che il calvario fosse finito. Eppure lui sentiva il peso di questo tremendo vuoto, era come un coltello che rigirava nelle sue carni in continuazione.

Desiderio chiude gli occhi, quegli occhi incredibilmente candidi, e si agita sulla sedia. Prosegue senza guardare nulla. –La notte in cui ha riscoperto se stesso ho commesso un peccato imperdonabile. L'ho amato. L'ho preso tra le braccia per soffocare il suo dolore, il suo pianto, e l'ho baciato… come può tanta felicità nascondersi dentro un errore? Avevo giurato, quando l'avevo visto la prima volta, che non l'avrei mai toccato. L'ho fatto per rassicurarlo, per scongiurare il suo timore di uno stupro, ma sono sempre stato cosciente del fatto che, in quel momento, una divinità dura e intransigente era al mio fianco. E se io col passare dei giorni scordai il mio voto, lei di certo non lo dimenticò.

Giuliano rabbrividisce per il dolore di quella voce. Ma Desiderio sorride amaro, come un condannato a morte. –Ti stai chiedendo come possa essere tanto ingenuo da credere alle mie stesse parole? Eppure tu, Giuliano, conosci le maledizioni dei gitani. So che Iris ti ha raccontato di come secondo la leggenda sia stato originato questo mondo che occupiamo, di come l'oscurità sia scesa ad abitare quei corpi perfetti che tanto amiamo. Chi, vedendo danzare Elje, Dalj, Iris, potrebbe negare l'esistenza di sentieri non percorribili, perduti nelle loro iridi paurosamente immense? Chi, Giuliano? Tu non sei tanto sciocco, anche se come me sei nato tra i ciechi e come cieco hai vissuto, fino all'incontro con quell'angelo guerriero che siede appollaiato sul bordo della notte.

Desiderio tace, e osserva intensamente il suo minuscolo amante accucciato tra le gambe del fratello. Giuliano indovina tra i due un gioco di sguardi da cui il mondo intero sarà per sempre escluso.

Desiderio riprende a parlare, lentamente, senza staccare gli occhi da Dalj. –Inoltre, Giuliano, ho taciuto una parte della storia. Prima di abbandonare la mia casa per correre a sposare il mondo zingaro, ho ucciso mio padre. L'ho fatto per difendere Dalj, per non permettere a un gesto brutale di incrinare il delicato equilibrio da poco ritrovato, o alla lama gelida di un coltello di recidere la sua gola di fiore bianco. E anche forse per liberare quell'uomo estraneo dalla follia che lentamente lo divorava. Non ho dovuto muovere un dito: il dio testimone di quell'oscura promessa ha esaudito i miei voleri. Non ho dovuto muovere un dito, eppure ancora adesso sento il sapore del suo sangue marcio invischiare le mie mani di parricida. E da quella notte, un altro filo invisibile mi lega a quel demone servizievole: sarà questo a impedirmi di ignorare il suo richiamo, quando risuonerà nei cieli senza luna.

-Dalj sa di questa cosa?

Desiderio scuote la testa. –Dalj sa e non sa, la sua mente è un gioco di incastri incredibilmente sofisticato. La pazzia abita i suoi gesti, li riempie di languore. Chi lo avvicina non se ne accorge, resta affascinato dalla sua bellezza. Ma la sofferenza non può essere cancellata, né estirpata: ci ho provato, ma è una lotta impari, che io non posso vincere. Mi accontento quindi di vederlo allegro, felice, sereno, innamorato, cercando di ignorare l'oscurità che cova dentro, pronta a liberarsi come una tempesta. E non credere che il suo dolce fratello sia diverso: troppi incubi li avvicinano, troppi sogni li incatenano. Ad Elje è stato risparmiato l'incubo dello stupro; tuttavia la notte, quando le palpebre si abbassano a celare ombre e luci, i gemelli volano nello stesso luogo, e prigionieri di un solo affrontano le stesse esperienze. Se durante il sonno scuoti Elje, se lo desti e gli poni una domanda sulla vita di Dalj, su un frammento oscuro di quella vita che lui non può conoscere, ti risponderà senza esitare. Ma sotto i raggi del sole, con la mente sveglia a vigilare sulla porta che separa le loro menti troppo simili, neanche capirà di cosa stai parlando. Lo so perché l'ho fatto, ho provato: e in quel momento erano gli occhi del mio Dalj a sorridermi dal viso di suo fratello.

-Come fai a riconoscerli? Non ho mai visto creature più simili.

-Hai ragione, sono identici, e ogni giorno lo diventano di più. È come se i loro corpi si affannassero per tornare specchi perfetti. Ma io riesco a vedere nelle loro menti, so distinguere gli incubi di Dalj dalle ombre che popolano gli occhi di Elje. Gli amori che mi portano sono come due fuochi che bruciano diversi colori. La mia passione per Dalj è un sortilegio troppo potente per essere ingannato da questa somiglianza.

Dalj si alza in piedi e cammina verso di loro.

È piccolo, minuto, bellissimo. Le ombre lo attraversano, ma lui pare non farci caso.

Siede sulle ginocchia di Desiderio. –Mi porti a letto?

È un bambino, si sorprende a pensare Giuliano, un bambino con gli occhi da gatto.

-Elje resterà tutta la notte qui. Deve danzare, e bere, stordirsi di vino. Domani ci sarà battaglia, e lui aspetterà Zita e Aureliano.

-Tu non vuoi aspettarli?

-Io devo dormire- mormora il ragazzo, rifugiandosi nell'ampio petto di Desiderio. Questi lo solleva come se stringesse un fascio di orchidee. Quel corpo di uccellino pare avere lo stesso peso.

-Quando cala la notte, torna come bambino- spiega Desiderio a Giuliano, immobile con il bicchiere tra le mani.

Dall'altra parte della stanza, suo fratello si prepara ad accogliere l'alba.

 

***

 

Nota dell'autrice

 

Bene. Questa non è la fine, eppure non credo che scriverò altro.

In realtà sono quasi due anni che non prendo in mano Iris. Questo capitolo – che per via del mostruoso ritardo negli aggiornamenti giunge così tardi -  risale all'ottobre 2005.

Io nel frattempo sono cresciuta, cambiata, e ho perso questi personaggi. Mi dispiace perché li amerò sempre, ma così è.

Se qualcuno di voi fosse interessato, i personaggi che appaiono in questo capitolo – Desiderio, Dalj ed Elje – sono protagonisti di un'altra mia storia, Il Ricamo di Lacrime. Quel che qui racconto in poche righe, traverso le parole di Desiderio, è narrato in quelle pagine più diffusamente, e con molta più chiarezza.

Per il resto, non ho altro da dire.

Vi ringrazio di essere arrivati fino a qui. Mi scuso per non aver concluso la storia, senza averne nemmeno segnalato l'incompiutezza con l'apposito warning. Ma che volete farci: la speranza di un ritorno d'ispirazione non muore mai.

Un bacio a tutti, con tanto affetto. Roh

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