Conseguenze di un padre assente

di Waanzin
(/viewuser.php?uid=95342)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riflessi ***
Capitolo 2: *** Freddo ***
Capitolo 3: *** L'uomo che annega, parte prima ***
Capitolo 4: *** L'uomo che annega, parte seconda ***
Capitolo 5: *** L'uomo che annega, parte terza ***



Capitolo 1
*** Riflessi ***


 

La sua faccia lo fissava imbronciata dalla scurissima lente. Ma era la sua faccia? Non sempre. A volte fissava quegli occhi azzuri, quella mandibola definita, e fantasticava... e nella pozza nera del riflesso, vedeva apparire un volto del tutto simile, ma più vecchio, più adulto...  forse, più saggio.
Tuttavia, per quanto si sforzasse, quel volto lo fissava e basta, muto, i lineamenti taglienti come il ghiaccio, perfetto come il Mose ma come quest'ultimo incapace di fare ciò che Jake bramava più di ogni altra cosa. Parlargli. Dirgli chi fosse. 
Sono sicura che ti vuole bene e che ti pensa, e so che un giorno voi due vi ritroverete.
Sua madre non era mai riuscita a condannarlo. Neppure su di un letto di morte l'aveva condannato. Era forse quello, suo padre? Un uomo sopraffatto dalle responsabilità, che li aveva lasciati a morire di fame contro la sua volontà? Oppure...
Albert Wesker era un colossale imbecille. Un pazzo, che ha tentato di distruggere il mondo. 
...suo padre era il mostro che tutti ricordavano? Quella folle donna, Chris, Leon, persino Sherry... nessuno aveva un solo ricordo che potesse combaciare con ciò che gli aveva sempre detto sua madre, anche quando lui aveva ormai perso la speranza.
Mentre pensava, si accorse che i riflessi che stava fissando erano in realtà due. Entrambi i volti avevano i suoi stessi lineamenti, entrambi mostravano l'idea che Jake aveva del volto di suo padre. Ma mentre uno dei due restava muto, misterioso e austero al tempo stesso, l'altro cominciò a cambiare, venature scure strisciavano sugli zigomi come sanguisughe, le labbra si assottigliavano in un ghigno, appendici più scure della notte si allungavano dal volto, come a volerlo ghermire dal passato-
«Hey, ragazzo! Tutto bene?»
Jake venne scosso da un brivido mentre alzava lo sguardo verso l'uomo tarchiato davanti a se, che sporco di grasso gli si avvicinava con aria interrogativa.
«Sono ore che te ne stai fermo a fissare quegli occhiali, sicuro di stare bene? Questo maledetto deserto gioca brutti scherzi...» il ragazzo si limitò ad un cenno di diniego e, indossato un ghigno a mascherare l'agitazione di poco prima, si diresse alle spalle dell'uomo, dove una moto nera lasciava intuire la propria silhouette all'ombra di un garage.
«Il motore è a posto, i filtri erano intasati ma gli ho dato una pulita. Attento a non spingerla troppo in una giornata come quest-» prima che l'uomo potesse finire di parlare, Jake gli rifilò un paio di banconote accartocciate in mano, balzò in sella e accese il motore. 
Si fermò solo un secondo mentre lo sguardo indugiava sugli occhiali che ancora teneva in bilico tra le dita della mano destra... poi si decise ad inforcarli sul volto e in un rombo di tuono era già lontano lungo la polverosa strada, con chilometri di deserto a invadere il suo campo visivo da ogni lato. 
Nell'arruginità stazione di servizio, il confuso meccanico lo guardò sparire all'orizzonte sotto il sole cocente, e si strinse nelle spalle. «Bah, i giovani. Ora capisco come doveva sentirsi il mio vecchio...» borbottò tra se e se, tornando alla sua placida vita. 

A circa tre anni dai miei primi tentativi, mi riaffaccio al mondo della fanfiction per lo stesso motivo di tanto tempo fa: Resident Evil e i suoi incredibili personaggi. Dopo tutto questo tempo, dopo l'ufficializzazione della morte di Albert Wesker, mia personalissima ossessione, e la notizia che non sarebbe apparso nella storyline ormai proiettata verso il futuro della serie, pensavo di aver già dato e detto tutto al riguardo, come fan e come autore di fanfiction.

Evidentemente mi sbagliavo. Resident Evil 6, da me considerato un vero e proprio piccolo capolavoro di narrativa, ha tirato in ballo tante, troppe cose per essere ignorato. E lo metto subito in chiaro: da ossessionato quale sono per Albert Wesker, ho adorato suo figlio Jake e il rapporto conflittuale con quel padre che non ha mai realmente conosciuto, se non attraverso le parole (spesso aspre) dei suoi compagni di disavventure. Il modo in cui Jake sembra non sapere come affrontare l'identità di suo padre (afferma più volte di non voler essere come lui e di non approvare le sue azioni, ma viene comunque preso da rabbia cieca di fronte all'uomo che l'ha ucciso) mi ha colpito profondamente.

Da tutto questo nasce l'idea di questa raccolta, "Conseguenze di un padre assente", un mosaico di momenti passati, presenti e futuri (rispetto agli eventi di Resident Evil 6) che approcciano Jake dall'interno della sua mente confusa, per studiare, inventare e assaporare tutti quei conflitti che scaturiscono dall'essere figli di un uomo come Albert Wesker. Ma ora basta, credo di avervi annoiato a morte abbastanza... su il sipario per il primo tassello! 

John. 

Contestualizzazione: "Riflessi" si svolge poco dopo il finale della Campagna di Jake & Sherry in Resident Evil 6, per l'esattezza dopo che Jake, salutata Sherry, si lancia con la sua moto lungo una misteriosa strada nel bel mezzo del deserto. 




Jake Muller 

 CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE



Riflessi

La sua faccia lo fissava imbronciata dalla scurissima lente. Ma era la sua faccia? Non sempre. A volte fissava quegli occhi azzuri, quella mandibola definita, e fantasticava... e nella pozza nera del riflesso, vedeva apparire un volto del tutto simile, ma più vecchio, più adulto...  forse, più saggio.Tuttavia, per quanto si sforzasse, quel volto lo fissava e basta, muto, i lineamenti taglienti come il ghiaccio, perfetto come il Mose ma come quest'ultimo incapace di fare ciò che Jake bramava più di ogni altra cosa. Parlargli. Dirgli chi fosse. 

Sono sicura che ti vuole bene e che ti pensa, e so che un giorno voi due vi ritroverete.

Sua madre non era mai riuscita a condannarlo. Neppure su di un letto di morte l'aveva condannato. Era forse quello, suo padre? Un uomo sopraffatto dalle responsabilità, che li aveva lasciati a morire di fame contro la sua volontà? Oppure...

Albert Wesker era un colossale imbecille. Un pazzo, che ha tentato di distruggere il mondo. 

...suo padre era il mostro che tutti ricordavano? Quella folle donna, Chris, Leon, persino Sherry... nessuno aveva un solo ricordo che potesse combaciare con ciò che gli aveva sempre detto sua madre, anche quando lui aveva ormai perso la speranza.

Mentre pensava, si accorse che i riflessi che stava fissando erano in realtà due. Entrambi i volti avevano i suoi stessi lineamenti, entrambi mostravano l'idea che Jake aveva del volto di suo padre. Ma mentre uno dei due restava muto, misterioso e austero al tempo stesso, l'altro cominciò a cambiare, venature scure strisciavano sugli zigomi come sanguisughe, le labbra si assottigliavano in un ghigno, appendici più scure della notte si allungavano dal volto, come a volerlo ghermire dal passato-

«Hey, ragazzo! Tutto bene?»

Jake venne scosso da un brivido mentre alzava lo sguardo verso l'uomo tarchiato davanti a se, che sporco di grasso gli si avvicinava con aria interrogativa.

«Sono ore che te ne stai fermo a fissare quegli occhiali, sicuro di stare bene? Questo maledetto deserto gioca brutti scherzi...» il ragazzo si limitò ad un cenno di diniego e, indossato un ghigno a mascherare l'agitazione di poco prima, si diresse alle spalle dell'uomo, dove una moto nera lasciava intuire la propria silhouette all'ombra di un garage.

«Il motore è a posto, i filtri erano intasati ma gli ho dato una pulita. Attento a non spingerla troppo in una giornata come quest-» prima che l'uomo potesse finire di parlare, Jake gli rifilò un paio di banconote accartocciate in mano, balzò in sella e accese il motore. Si fermò solo un secondo mentre lo sguardo indugiava sugli occhiali che ancora teneva in bilico tra le dita della mano destra... poi si decise ad inforcarli sul volto e in un rombo di tuono era già lontano lungo la polverosa strada, con chilometri di deserto a invadere il suo campo visivo da ogni lato. 

Nell'arruginità stazione di servizio, il confuso meccanico lo guardò sparire all'orizzonte sotto il sole cocente, e si strinse nelle spalle. «Bah, i giovani. Ora capisco come doveva sentirsi il mio vecchio...» borbottò tra se e se, tornando alla sua placida vita. 

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Freddo ***


Questo è un "tassello" del mosaico che ha richiesto molto studio. L'infanzia di Jake dev'essere stata molto dura, ma non sapevo esattamente quale sarebbe stato il tono giusto per approcciarla, perciò sono finito a scrivere e riscrivere questo capitolo molte volte. Spero il risultato finale sia soddisfacente! Piccola nota: sono dell'opinione che Jake non abbia realmente odiato suo padre (o sua madre per non averlo condannato) almeno fino all'adolescenza, quando si sa, gli spiriti si fanno bollenti molto più facilmente. Un bambino, per quanto "geneticamente superiore", ha solo bisogno di qualcuno.  

Bene, saltati i convenevoli, un gigantesco grazie ad astarte90 e fiammah_grace per le recensioni al primo Capitolo. Come fiammah_grace ricorderà, ho sempre la massima stima di chiunque si prenda la briga di scrivere una recensione e ritengo che siano una delle cose più preziose in assoluto per un "fanfictionist" in erba come ancora mi considero! Apprezzo ogni parola spesa e vi esorto a non risparmiarvi critiche e commenti anche in questo caso! E adesso, finalmente, vi lascio al capitolo vero e proprio! 

Contestualizzazione: una qualunque domenica invernale per un giovane Jake Muller che, a soli dieci anni, vive la sua vita ai margini della società in un degradato quartiere di periferia dell'Edonia. 



Jake Muller

CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE



Freddo.

«Quel maledetto ratto ha rubato di nuovo dalla biblioteca!»
 
Le scarpe del poliziotto tichettavano incessantemente sull'asfalto ghiacciato, mentre nuvole di fumo bianco uscivano dalla sua bocca. Col fiato corto e lo sguardo attento, seguiva un'ombra che sgattaiolava su delle palazzine al margine del suo campo visivo. Corse fino a bordo del muro dall'aspetto trasandato, fissando verso l'alto e portò la mano alla fondina della pistola.
 
«Frank... FRANK!»
 
Un collega in divisa blu gli strinse forte la spalla gridando alle sue spalle, poi lo fece un lieve sospiro.
 
«Andiamo... è solo un ragazzino!»
«Di nuovo sul tetto... non lo prenderemo mai!»
«E cosa vorresti fare? Sparargli per un paio di libri?» 
 
Frank rimase immobile ancora per un secondo. Aveva una famiglia da sfamare, lui. Una moglie e due figli a carico. Se il guardiano della biblioteca si fosse lamentato ancora... scosse la testa. Non poteva fare di ogni ladruncolo la causa di tutte le sue sfortune. E certo non poteva sparare dietro a un ragazzino. Abbassando lo sguardo, si lasciò andare ad un sospiro e si allontanò... la vita non era facile per nessuno, in Edonia. 
 
...
 
Sul tetto, il piccolo Jake correva. Non sapeva che l'inseguitore aveva ormai abbandonato la caccia, e forse, non si sarebbe fermato neanche sapendolo. Saltava di tetto in tetto, i polmoni che bruciavano per lo sforzo, afferrando tutto ciò che potesse sorreggerlo: aste, vecchie scale antincendio arruginite, resti di balconi. Il degradato quartiere in cui era cresciuto era più che il suo parco giochi, era la sua giungla, e quei tetti il suo rifugio. 
 
Mentre correva per salvarsi la pelle, attento a ogni dettaglio che il paesaggio gli offriva, quando ogni distrazione poteva significare un collo spezzato, niente poteva toccarlo. Era come se tutto fosse rimasto indietro, come se la sua fuga seminasse ben più che poliziotti di periferia: lasciava dietro di se la casa a pezzi in cui era costretto a vivere, il freddo pungente delle notti d'Edonia, la guerra infinita dell'Est, la malattia di sua madre...
 
«Maledizione!»
 
La mano del ragazzino scivolò su di una vecchia asta per bandiere gelata dal freddo mattutino, e per un secondo Jake si ritrovò a fluttuare nell'aria a quattro metri da terra. Non ebbe però il momento di godersi quell'istante di vuoto, perché il grosso secchio dell'immondizia gli arrivò addosso come un proiettile.
 
«ARRGH!!»
 
Rotolò su se stesso e poi finì con un tonfo a terra, mentre una vampata di dolore gli avvolse la scapola e gliela strinse con gli artigli di un falco. Gemette sdraiato a terra in un vicolo sudicio, e per un poco lasciò che il freddo gli attenuasse le scosse provenienti dalla spalla. Quando riuscì a riavere il controllo di se, si mise a sedere guardandosi intorno. Come ogni volta che commetteva uno sbaglio, si stupì di quanto vicino fosse andato a farsi male sul serio: un pugno di centimetri a destra e avrebbe incontrato solo asfalto a fermare la sua caduta.
 
Quasi rise tra se e se: capiva benissimo che non fosse normale per un ragazzino di dieci anni ragionare sulla fragilità della vita. Beh, si ritrovò a pensare riacquistava una posizione eretta, tastando lo zainetto che portava sulle spalle per verificare che non ci fossero strappi, non credo che in questo paese ci si possa permettere la normalità. Controllò il vecchio orologio che portava al polso: poteva prendersela comoda, la sua meta non era distante e aveva tutto il tempo del mondo. 
 
Il condotto dell'aria era stretto, e sporco di grasso, ma Jake ormai sapeva a memoria tutta quella serie di scomodi movimenti e passaggi da prendere per arrivare tra le impalcature del tetto del Teatro dell'Opera. La, tra ferri di sostegno e legno marcio, Jake aveva una visuale dell'intera sala, modesta nelle dimensioni e piena di sedili ormai segnati dal tempo, ma con un bellissimo pianoforte scuro che brillava tra le luci offuscate sul palco. 
 
Non si trattava certo di qualcosa d'alta borghesia, ma quel pianoforte per Jake era il più bello del mondo... ogni settimana puntuale un pianista si ostinava a dare spettacolo di fronte a pochissime persone, quei pochi che non rinunciavano a pagare il biglietto nonostante la fame, per assaporare le note di Bach e Beethoven... mentre tutti ignoravano la presenza di quel ragazzino nascosto sopra di loro, come un passero solitario. 
 
Trovato il suo solito "posto preferito", aprì lo zaino e ne tirò fuori due libri di Letteratura e una grossa mela. Con un sorriso soddisfatto, sedette a gambe incrociate mentre la sala cominciava ad accogliere i primi spettatori, mangiando silenziosamente il pasto che si era "procurato" poco prima. Lesse distrattamente qualcosa, ma si fermò non appena scorse il pianista prendere posto.
 
Ben presto, le note della Moonlight Sonata riempirono la stanza, e il ragazzino chiuse gli occhi, seguendo con le dita una tastiera invisibile, sulla quale imitava con sorprendente maestria i gesti che aveva visto fare all'artista innumerevoli volte. Di nuovo si ritrovò a fuggire da tutto e da tutti, questa volta però le note lo portava ben più su dei tetti dei palazzi, oltre il cielo plumbeo della trasandata periferia, oltre i confini dell'Edonia, su... dove nessuno può arrivare.
 
...
 
Rientrò la sera tardi, com'era solito fare ogni domenica. Sua madre, troppo stanca per aspettarlo alzata, dormiva sul divano polveroso del salotto, tremando leggermente per il freddo che s'insninuava tra le pareti. Jake la osservò e le rimbocco un lembo della vecchia coperta che usava per coprirsi, poi notò il fazzoletto a terra poco distante: ancora una volta macchiato da piccole gocce di sangue. La tosse di sua madre continuava a peggiorare.
 
Sospirò e per un secondo volette lasciarsi andare al pianto, ma sapeva di non poterselo permettere. Che piangessero gli altri ragazzini, lui sarebbe rimasto in piedi. Ignorò il freddo e si diresse nell'unica camera separata della casa, che sua madre aveva insistito per fargli avere. Era la più calda, ma di certo non si sarebbe potuta definire accogliente: mobilia ridotta al minimo e un letto rigido come il marmo era tutto ciò che lo aspettava.
 
Sconsolato, gettò distrattamente lo zaino e rovistò tra i cassetti di un comodino maleodorante. Trovò quello che cercava: un paio di occhiali da sole, ben più grandi del suo piccolo volto... infilandosi sotto le coperte, li strinse a se e chiuse gli occhi.
 
Una sola lacrima, fredda come le lenti di quegli occhiali scuri, divenne il suo bacio della buonanotte. 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'uomo che annega, parte prima ***


Con questo capitolo, inauguro un nuovo tipo di sperimentazione da parte mia: una "storia nella storia". Questa raccolta continuerà, come previsto, a raccogliere momenti nella vita di Jake come parte di un variopinto "mosaico", ma in questo preciso caso mi sono reso conto che un semplice tassello non sarebbe bastato. Così, i capitoli 3, 4 e 5 faranno in realtà parte di una piccola "trilogia" di brevi flashfic (ribattezzata "L'Uomo che Annega" dall'omonima canzone dei Cure) che andrà a narrare alcuni degli eventi che hanno trasformato Jake nell'uomo privo di scrupoli (e ossessionato dal denaro) che Sherry finirà per incontrare e "salvare" in Resident Evil 6. 

Ancora una volta, prima di cominciare i miei ringraziamenti vanno ad astarte90 per la sua utilissima recensione al capitolo 2, recensione dalla quale ovviamente ho cercato di apprendere il più possibile per migliorare il mio stile in vista di questa nuova fatica.

Piccola nota: ho strutturato la storia utilizzando i flashback, uno stile che mi è molto caro ma complesso da gestire. Spero di essere stato all'altezza del compito. Sperando che questa storia possa piacervi ed appassionarvi tutti... e magari spingervi ad aspettare la seconda e la terza parte di questa trilogia. Detto questo, bando alle ciance, e buona lettura!

Contestualizzazione: a pochi anni dalla maggiore età, Jake Muller comprende che senza i soldi per le cure adeguate, sua madre non sopravvivrà a lungo. Impossibilitato a trovare lavoro come un qualunque ragazzo a causa della povertà, segue l'unica strada possibile: quella del mercenario. Ma le cose non vanno affatto bene... 



Jake Muller

CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE


L'UOMO CHE ANNEGA, parte prima:

In ginocchio. 

Pensava che il cuore stesse per spuntarlgi dalla trachea. Lo vedeva già li, le grosse arterie penzolanti dalle sue labbra, che ciondolava inerme mentre la vita lo abbandonava, risparmiandogli quell'agonia. 

 
Purtroppo, così non fu e il conato successivo non fece altro che scatenargli di nuovo dolore in tutto il corpo, partendo dalla bocca dello stomaco fino al petto che sembrava voler strappare la pelle e spalancare le costole, mentre le mani scivolavano cercando di appigliarsi alla squallida tazza di ceramica come  fosse una dorata ancora di salvezza.
 
Finito di vomitare ancora una volta, Jake si lasciò cadere all'indietro con un , spalancando le braccia e lasciando che il gelido pavimento in piastrelle del bagno asciugasse il sudore che ne imperlava tutto il torso e infradiciava la vecchia canottiera sgualcita. Si voltò tentando di riprendere fiato, solo per scoprire il suo stesso volto che lo fissava dalla superficie riflettente di una bottiglia di Vodka completamente vuota: notò che la grossa ferita sulla guancia aveva ripreso a sanguinare, ed imprecò sottovoce mentre spingeva via il contenitore. 
 
Nella sua testa, un uragano di sensazioni lo tormentava, un fiume di ricordi che beffardamente gli dimostrava quanto vano fosse stato il suo tentativo di dimenticare gli eventi di pochi giorni prima...

Due mesi prima.
 
Nessuno sapeva perché quell'uomo dallo sguardo impenetrabile e il volto segnato da mille battaglie avesse deciso di organizzare un team di mercenari. Le leggende urbane abbondavano nelle bettole della periferia Edone, ma solo una cosa era certa, e solo quella contava nel giro: se volevi fare soldi, dovevi unirti alla compagnia di Shaw, l'uomo con un occhio solo.
 
Tutto questo non importava però a Jake, quando si trovò il volantino di reclutamento tra le mani, dirigendosi a passo deciso verso l'acciaieria abbandonata: tutto quello che contava era sua madre che ancora una volta sputava sangue nel lavandino, e lo sguardo schivo del dottore mentre gli riferiva il prezzo del trattamento necessario...
 
I contendenti al posto non erano molti, un pugno di giovani arroganti e avidi, tutt'in fila ad aspettare l'occasione della loro vita. Quando l'uomo apparve, il grosso capannone si fece silenzioso mentre i giovani scattavano sull'attenti. Si portava dietro un membro della sua squadra armato di tutto punto, ma lui stesso ad attrarre tutta l'attenzione: il volto, reso inquietante dalla benda nera e dalla barba incolta, sormontava un fisico scolpito nella roccia, forgiato sul campo di battaglia... Jake non lo degnò nemmeno di uno sguardo, limitandosi a fissare dritto davanti a se.
 
Passeggiò avanti e indietro di fronte ai soldati, guardandoli da vicino... incrociò un paio di sguardi, ma non disse nulla. Il ticchettio dei suoi anfibi era quasi insopportabile, nel silenzio tombale che avvolgeva il posto... infine, si fermò definitivamente davanti a Jake. Il ragazzo lo guardò di rimando, notando l'unico occhio buono dell'uomo che lo scrutava. Non aveva paura, ne sentiva la stessa soggezione dei suoi coetanei... a soli sedici anni, gli occhi di Jake mostravano l'anima provata di un uomo, e Shaw se ne accorse, mentre scrutava in quelle iridi celesti.

THUD.
 
Senza preavviso, un pugno impattò la nuca di Jake che, frastornato, barcollò per qualche secondo chinandosi in avanti.

«Avanti ragazzo, è la tua occasione! Sopravvivi e il posto è tuo!»
 
Esclamò la voce tonante del suo aggressore, mentre il resto degli occupanti del capannone andavano a posizionarsi in cerchio intorno a loro, trasformando in pochi secondi l'acciaieria in una vera e propria Arena. Jake non ebbe il tempo di capire cosa stava succedendo realmente, prima che un anfibio gli stampò sul volto la suola e lo mandò a sbattere contro il pavimento.
 
«ARGH!!»
 
Senza perdere tempo, schivò il colpo successivo rotolando di lato, scattando in piedi come una molla. Ora che aveva riacquistato la posizione eretta finalmente poteva vedere l'uomo torreggiare su di lui in posizione di guardia, cosa che gli permise di scartare di lato giusto in tempo per evitare un pugno forte come un maglio.
 
Intorno, si stava scatenando l'inferno. Gli altri soldati sapevano che qualora Jake avesse perso sarebbe stata la loro occasione, e si scagliavano verbalmente contro di lui con tutta l'aria che avevano nei polmoni. Circondato da epiteti volgari e grida, non trascorsero che pochi secondi prima che una distrazione permise alle nocche di Shaw di spaccargli le labbra, rilasciando un fiotto di sangue mentre il ragazzo cascava di nuovo in ginocchio.
 
«Tutto qui?»
 
Affermò l'uomo, deluso. Jake vide il sangue macchiare il suolo sotto di lui, e ricordò suo madre, china nella sua stessa posizione mentre cercava di fermare l'ennesimo attacco. Balzò in piedi più velocemente di quanto chiunque potesse aspettarsi, e per una frazione di secondo chiuse gli occhi. Mesi di allenamento tornarono alla mente, libri di tecniche antiche quanto letali imparati a memoria, esercizi, giorni passati al gelo con indosso solo un paio di pantaloni logori, a forgiare la mente e il corpo. Sapeva di potercela fare. Sapeva di doverlo fare... riaprì gli occhi mentre il secondo calcio di Shaw stava puntando dritto al suo plesso solare.
 
Zanna di pantera.

Scartò di lato, vide l'avversario sbilanciarsi come se il tempo stesse rallentando e, a palmo aperto, lo colpì con un gancio sotto la mandibola. L'esecuzione era rozza, pressapochista, ma colpì con la forza della rabbia e fece tentennare l'avversario. Non aspettò che l'espressione sorpresa dell'uomo lo distraesse, ma fece un lieve passo indietro, irrigidendo tutto il corpo.
 
Colpo del Cobra.

La fabbrica di nuovo cadde nel silenzio all'improvviso, mentre Shaw, colui che tutta Edonia aveva imparato a temere e rispettare sul campo di battaglia, cadeva schiena al suolo di fronte a quel ragazzo di sedici anni. Momenti pesanti come il piombo passarono mentre il soldato si rialzava e Jake, insicuro sul da farsi, rimase in guardia... fino a quando lui non ruppe il silenzio.
 
«Bene ragazzo...» disse sputando una goccia di sangue a terra e offrendogli una ruvida mano da stringere  «...credo di doverti un lavoro.»
 
Oggi.

Il motel in cui alloggiava faceva schifo. Si costrinse a concentrare la sua attenzione sulle macchie della sudicia moquette, mentre barcollando usciva dal bagno, ancora madido di sudore e pallido come un fantasma. Tuttavia, non era chiaramente abbastanza.

 
Un rivolo di sangue scendeva dalla guancia ferita e cercava la propria strada tra i lineamenti dei suoi pettorali, allargandosi a formare una grossa macchia rossa sulla già sudicia canotta bianca. Senza neanche farci caso, Jake raggiunse il margine dell'unico elemento di mobilia della stanza: un letto vecchio intriso di odori poco piacevoli, sulle cui coperte sfilacciate giaceva sfatta una giacca verde militare.
 
Frugando tra le tasche, il ragazzo ne estrasse un solido portafogli di pelle. Lo aprì e ne rovesciò il contenuto, riempiendo metà della superficie del letto di dollari americani, come una costosa sovracoperta di carta verde. Quando l'ultimo dollaro cadde, un piccolo bigliettino bianco e sgualcito lo seguì, posandosi sopra la costosa catasta. Jake fissò per qualche secondo il biglietto e la calligrafia incerta con le quali su di esso erano state scritte poche, dolenti note, poi cadde in ginocchio al bordo del letto. Strinse con entrambi le mani i soldi, accartocciandoli, poi stracciandoli con aria convulsa e rabbiosa... infine, si gettò il volto tra le mani e si lasciò andare in un pianto lungo e doloroso.
 
Mentre i singhiozzi scuotevano il suo corpo già provato, cadde al suolo e finalmente il peso delle ultime ore fece il proprio corso: il ragazzo svenne in una pozza di sudore, lacrime e sangue, andando in contro ad un tanto agognato sonno senza sogni. 


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'uomo che annega, parte seconda ***


Dopo una pausa ben più lunga del previsto (dovuta in parte alle feste natalizie, in parte a un capitolo più lungo dei precedenti!) torno con il secondo capitolo della mia trilogia "L'Uomo che Annega", una storia nella storia che narrerà un tassello particolarmente vasto e complesso della vita di Jake in questa mia cartella di "missing moments" passati, presenti e futuri. Durante questa pausa ho effettuato alcuni cambiamenti al mio stile di scrittura. Se i cambiamenti dovessero risultare troppo evidenti e/o peggiorativi, fatemi pure sapere nelle recensioni!


Ancora una volta, ho usato una struttura in flashback per narrare le vicende e, partendo dalla situazione presentata all'inizio del capitolo precedente, ho deciso di andare indietro nel tempo anziché avanti per mostrare lo svolgersi degli eventi. Spero la storia si mantenga comunque chiara e facilmente comprensibile... posso assicurarvi che nessun nodo narrativo di questa mini-trilogia verrà lasciato scoperto! 

Prima di cominciare, i dovuti ringraziamenti: ad astarte90 per le sue utilissime recensioni e alla sempre presente fiammah_grace, che ormai considero una vera e propria collaboratrice dopo tutti gli utili consigli e recensioni fatte ai miei lavori. Grazie mille, e grazie anche a murdershewrote per la recente recensione al capitolo 2, "Freddo". Ogni consiglio è il benvenuto!

Bene, spero di non essere stato tedioso e lascio lo spazio alla fanfic vera e propria... per la contestualizzazione ricordo che è rimasta invariata dal capitolo 1, gli eventi si volgono tutti intorno ai 16 anni di Jake e alle sue prime esperienze come mercenario. Al prossimo capitolo!  


Nota: "Manna dal Cielo" è il nome inglese ("Windfall") del famoso calcio "ad ascia" di Albert Wesker, presente in Resident Evil 5 con la traduzione italiana "Zampa d'elefante" e in Resident Evil 4 con il nome originale giapponese "Chikyo Chagi". Ho pensato che il termine inglese "Manna dal Cielo" fosse assai più evocativo degli altri e percò mi sono preso questa "libertà artistica" traducendolo. 





Jake Muller

CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE

 
L'UOMO CHE ANNEGA, parte seconda:
Uomini vuoti. 


Oggi. Il motel.
 
Quando riprese conoscenza, la testa pareva sul punto di esplodergli. Si guardò intorno e non gli ci volle molto a capire che si trovava sul pavimento sudicio del motel in cui aveva smaltito la sbronza del giorno prima, ma deglutendo tristezza si decise a non farsi soverchiare ancora una volta.
 
Con un profondo respiro, si diresse alla porta della piccola stanza, fuoriuscendo su di un breve porticato che dava sulla strada deserta. Alla sua destra, dopo una serie di porte tutte uguali, vide la pensilina dove si trovava l'ufficio del proprietario di quella bettola. Più in là, soltanto una vasta zona di nulla post-urbano che conduceva alla periferia della capitale Edone. Un vento gelido gli accarezzava la canotta bianca intrisa del terribile odore del sangue mischiato a sudore, ma Jake lo ignorò.
 
Grattandosi la testa con aria quasi spensierata, cercò di dominare i pensieri che man mano si facevano più razionali mentre il sonno benedetto si allontanava, concentrando la sua attenzione su tutto ciò che poteva costituire anche una breve, fugace appiglio contro il fiume in piena del dolore.
 
Infine, sospirò rassegnandosi, e rientrò chiudendosi alle spalle il gelido inverno. Dentro, raccolse i soldi che aveva sparso e accartocciato la sera prima ammucchiandoli distrattamente in una tasca del grosso borsone nero ai piedi del letto, poi si guardò intorno.
 
Un altro, ennesimo sospiro aprì l'uscio ad ulteriori e più nitidi ricordi...


Il giorno prima. Il funerale.

La pioggia sugli ombrelli del sacerdote e del becchino, che visibilmente poco coinvolti ufficiavano i riti di turno. Al centro del quadretto, attorniata da lapidi umili con tipici nomi dell'Est Europa sbiaditi sopra, una bara di legno anonima veniva calata all'interno di una grossa buca tra l'erba umida e rada.
 
Jake, a pochi metri di distanza, era l'unica altra presenza, ma sarebbe stato difficile distinguerlo dai tristi salici del cimitero Edone in cui si trovava. Aveva rifiutato l'ombrello che il prete gli aveva offerto e se ne stava lì, zuppo nella pioggia scrosciante, a fissare sua madre che scompariva nelle viscere della terra. 
 
Portava sul lato destro del volto delle bende già sporche di sangue, che non avevano l'aria di poter resistere molto, ma nessuno ci faceva troppo caso: in quella città un funerale del genere non era né un caso raro né motivo di sconcerto... fin troppe anime finivano seppellite in tombe anonime con funerali deserti, e chi rimaneva era più interessato a trovare un modo per assicurarsi il prossimo pasto che a piangere i defunti.
 
Dal canto suo, Jake non ascoltava neppure le vane parole di conforto religioso che venivano dette al vento, ne ragionava con pensieri che potessero definirsi coerenti. La sua mente, mentre il corpo lo avvisava di una violenta polmonite in dirittura d'arrivo, non faceva altro che ricordare il momento in cui aveva usato i tanto agognati dollari americani non per guarire sua madre, ma per pagarle quello schifoso funerale. Per evitare un'altra crisi, di tanto in tanto si trastullava pregustando il momento in cui avrebbe sprecato quanti più possibile dei soldi rimasti per pagarsi un biglietto di sola andata verso un coma etilico, in quel momento la cosa più prossima al paradiso che riuscisse ad immaginarsi.
 
Quando tutto fu concluso, quasi gettò i soldi nelle mani dei due, entrambi funzionari a modo l'oro dell'industria del dolore, poi si allontanò nella pioggia senza degnarli di uno sguardo. Completamente inzuppata quanto e più della giacca, una grossa borsa nera ciondolava dalla sua spalla accompagnandone il passo malinconico: dentro, in quello che forse era stato il suo ultimo momento di lucidità vero e proprio, vi aveva messo tutto ciò che possedeva prima di abbandonare la casa e sprangare la porta per sempre. 
 
Non aveva idea di quale bettola avrebbe ospitato la sua discesa tra le braccia di Bacco, ma prima, si ritrovò quasi senza volerlo su di un ponte del dopoguerra che portava nella zona industrializzata della città, una immensa bestia metallica brutta e funzionale come l'industria bellica che l'aveva realizzata. 
 
Fissando le acque sporche del largo fiume sotto di se, estrasse un paio di occhiali da sole scuri mentre la pioggia in diminuzione bagnavano le lenti. Non li fissò a lungo prima di spezzarli tra le dita della mano, concedendosi un solo, tremendo grido di rabbia al cielo plumbeo.
 
«MALEDETTO! CHE TU SIA MALEDETTO!!»

Le sue imprecazioni vennero presto sopraffatte dal brontolio delle nuvole, che già si preparavano alla prossima scarica di pioggia, così che nessuno vide ne sentì il tonfo sordo di ciò che restava degli occhiali mentre questi affondavano tra le onde del fiume. 
 
Poche ore dopo, Jake seguiva il loro esempio, perdendosi tra i flussi della Vodka in una bettola a caso, rifiutando le costanti avance della barista e ignorando lo stomaco che brontolava mentre il naso veniva stuzzicato da un pressante odore di bistecca cotta all'americana. 
 
La mente, annegando, gli tirò un ultimo tiro mancino e finì per fargli ricordare gli eventi che avevano portato a quel disastro, tanto per aggiunger al danno la beffa, mentre la ferita sulla guancia riprendeva a sanguinare per l'ennesima volta.


Settimane prima. La compagnia.

Quella mattina di due mesi prima, nel gelido capannone, Jake non avrebbe mai potuto prevedere quanto quell'uomo burbero e con un solo occhio sarebbe diventato importante per lui. 

Non si faceva segreto del fatto che il ragazzo, a soli sedici anni, fosse il più talentuoso della compagnia, ma in realtà non era solo per quello che passava tutto quel tempo con Shaw. L'uomo, seppure non aveva mai rinunciato ai modi austeri e severi che ne avevano un temibile addestratore, era ormai certo che il ragazzo lo vedesse come un padre e sembrava in realtà voler abbracciare il suo ruolo.
Ogni giorno, Jake passava con lui quasi tutta la sua giornata... mentre padri e figli in tutto il mondo andavano a pescare, o passavano le loro giornate al parco, Jake e Shaw se le davano di santa ragione nei più violenti ed esotici stili di arti marziali che si potessero immaginare.
 
Calci ad uncino e pugni a mano aperta divennero il loro modo di comunicare, un pomeriggio al poligono a testare il tremendo rinculo di una Smith & Wesson M500 divenne il loro modo per rilassarsi. Non si scambiavano che poche parole ma sempre, al termine dell'addestramento, Shaw posava una mano sulla spalla di Jake e guardandolo negli occhi celesti pronunciava stoico: «Bravo, ragazzo.»
 
Due parole. Soltanto due parole. Ma crebbero nel cuore di un quindicenne che non aveva mai assaporato la felicità con la potenza di un milione di soli che esplodono... Jake cominciò a mangiare alla squallida mensa militare con gli altri della compagnia, a raccontare agli annoiati compagni di sventura le sedute di addestramento con la luce negli occhi di un bambino deciso a raccontare il mestiere di suo padre a scuola. 

Gli altri soldati della compagnia, tutti più vecchi di lui, non condividevano il suo entusiasmo e aspettavano soltanto un incarico che provvedesse il tanto agognato denaro, ma lasciavano correre quella bizzarra e tutto sommato allegra situazione... in parte perché Shawn sembrava stare al gioco, e nessuno contraddiva Shaw, in parte perché quel ragazzo prodigio aveva cominciato a mostrare una vitalità e una voglia di combattere che trascinava tutta la compagnia. 
 
Jake aveva finalmente trovato qualcosa per cui valeva la pena combattere che non fosse il disperato tentativo di salvare sua madre. Tuttavia, sconfiggere la malattia non abbandonò il suo cervello nemmeno per un instante e dopo due mesi di bonaccia, si costrinse a interrompere uno degli allenamenti per chiedere a Shaw quando, finalmente, sarebbero arrivati i primi guadagni. L'uomo, senza dire nulla, lo portò in una stanza segreta del vecchio magazzino dove si allenavano, e gli mostrò una lunga serie di valigette rilegate in pelle nera ordinatamente accatastate tra scaffali di alluminio.
 
«Una per ogni membro della compagnia. Mai visto tanto denaro tutto insieme.» Scandì lentamente, un sorriso che andava disegnandosi sulla faccia, quasi seguendo le linee delle numerose cicatrici sotto l'occhio mancante. «Cinquantamila dollari americani, ragazzo. Venticinquemila alla partenza, venticinquemila quando torniamo... molto, molto più del solito, per un semplice lavoro di supporto: una battaglia poco lontana da qui, al confine con la Bosnia.»
 
Jake rimase senza fiato: la soluzione a tutte le sue sofferenze era lì. Avrebbe voluto ringraziare quell'uomo rude con le lacrime agli occhi, ma si costrinse a ingoiare freddo e a esaminare le valige con una sola, tremante domanda sulle labbra: «Q... Quando?»

Un sorriso enigmatico sfrecciò sul volto dell'uomo «Domani.»

-
 
BWAAM! 

All'improvviso, l'inferno.

Rombi cupi di mitragliatori calibro .50 e boati di missili terra-terra sembravano voler ighiottirlo vivo, mentre le macerie del desolato paesaggio urbano sfrecciavano attraverso il campo visivo di Jake.
 
Un compagno esangue giaceva poco distante da lui, un buco in mezzo agli occhi, mentre un altro gli stringeva la spalla intimandogli di stare giù, al riparo dietro quel che restava del muro grigiastro di una palazzina ante-guerra, coperto di fori di proiettile. Dall'altro lato della strada, soldati di una nazione lontana contribuivano alla cacofonia scaricando i caricatori delle loro esotiche armi europee contro di loro.

«Flint è andato!»

Gridò Jake mentre ricaricava l'M16 che portava a tracolla, ridicolmente grosso nelle sue giovani mani, ma per niente fuori posto. Un pezzo di calcestruzzo gli esplose a pochi centimetri dall'orecchio mentre il compagno ancora in vita trafficava con un congegno elettronico del tutto simile a una grossa auto-radio.

«Maledizione, sta andando tutto a puttane! Ma il punto d'incontro non è distante... dobbiamo raggiungere Shawn e il resto della squadra o non ne usciamo vivi!» Il mercenario abbandonò il grosso
cognegno e si azzardò a sporgersi per indicare una palazzina poco distante, l'unica che sembrava avere una porta d'ingresso ancora integra. Di tutta risposta, un proiettile vagante gli mozzò l'indice.

«AARGH!!»

Mentre il compagno si chinava in prede al dolore, Jake decise ch'era il momento di prendere iniziativa. Si sfilò dalla cintura una granata azzurrina e ne staccò la sicura con i denti, sputando il conseguente nodo metallico nel cemento poco distante.

«Ignora quella mano e CORRI!» 

Gridò mentre lanciava la granata Flash. In un lampo di luce accecante, i due sbucarono dal nascondiglio e corsero come mai prima nelle loro vite, attorniati dal fischiare dei proiettili mentre il pavimento cambiava ed esplodeva dietro di loro...

SBANG!

Senza neanche accorgersene, sfondarono con la spalla la porta della palazzina d'incontro e si lanciarono lungo una rampa di scale traballanti senza dire una parola. Il tintinnio degli anfibi sugli scalini metallici fu tutto ciò che accompagnava il loro respiro pesante finché non giunsero nell'ampio salone deserto, senza finestre, dove si supponeva che la squadra li stesse aspettando per volare via da quell'inferno, i soldi e la cura di sua madre ben saldi nelle tasche dei larghi pantaloni militari.

Così non fu.

Sul pavimento, riversi nel loro sangue, tutti i membri della compagnia mercenaria più temuta dell'Edonia erano ridotti a cadaveri in decomposizione, crivellati di colpi e abbandonati in posizioni sgradevoli tra le valigette contenenti la loro ricompensa e le armi un tempo in loro possesso.

Al centro di quel massacro, cou una valigetta nera in una mano e la Beretta nell'altra, li fissava ghignando il volto burbero di Shaw l'orbo. «Ah, bene, hai portato qui anche lui. Bravo ragazzo.»

Affermò l'uomo, prima di piazzare una pallottola in testa al soldato alla destra di Jake che ancora si reggeva la mano dolorante. Mentre il corpo del compagno cadeva privo di vita, il sedicenne rimase immobile in preda allo shock, lo sguardo che continuava a fissare la valigetta nelle mani del suo mentore e la squadra di soldati avversari che lo circondava.

Un secondo colpo della Beretta fece saltare l'M16 carico su cui Jake aveva mantenuto la prese durante tutta la corsa, e il ragazzo cadde in ginocchio disarmato, gli occhi sbarrati di fronte a se e la mente ancora incapace di elaborare.

«Si, ho venduto la squadra. Tutta la squadra.» Affermò quello che un tempo aveva quasi considerato suo padre, come se stesse leggendogli nel pensiero. Mentre parlava, rinfoderò la pistola e poggiò la valigetta a terra, sfilando un coltello dallo stivale. 

«Non credere che mi sia divertito, sia. Tu...» lo indicò con il coltello che oscillava tra le sue mani abili, il ghigno ancora fisso sul volto a indicare la falsità di quei sentimenti: «...tu avevi proprio un bel potenziale. Oh beh, sia quel che sia, così va la vita del mercenario... i soldi sono soldi. Ora 'sta zitto e crepa.» Senza dire altro, calò il pugnale sul volto di Jake, ancora in ginocchio di fronte a lui.
 
In quel momento, qualcosa scattò nella testa del ragazzo. Non un ricordo, ne un vero e proprio flusso di pensieri, ma un istinto animale, un'esplosione che partiva dal centro stesso del suo codice genetico... sopravvivenza con ogni mezzo. E lui possedeva i migliori mezzi possibili.

 Il coltello affondò nella guangia e uno spruzzo di sangue bagnò le mani del mentore, ma prima che potesse raggiungere organi vitali, Jake si era già lanciato di lato, allontanandosi e scattando in piedi. Shawn l'orbo rise, sicuro della propria superiorità, e passò in posizione d'attacco stringendo il coltello bagnato.
 
«Ah! Cosa credi di fare? Non uscirai di qui finché avrò sangue in corpo...» il burbero mercenario abbozzò un ghigno, ma la risata gli si strozzò in gola, perché il viso di Jake non sembrava più nemmeno il suo, ma quello di un predatore pronto all'attacco. Dal canto suo, lui non era neanche più del tutto consapevole di se stesso... contrasse il volto in un ghigno, forzando spavalderia per nascondere la rabbia cieca, e quando parlò fu veleno quello che gli usciva dalle labbra:

«Quindi devo solo ucciderti rapidamente.»

La dansa fu rapida e stranamente silenziosa. Shawn sapeva come usare un coltello, ma la velocità con cui Jake roteava le braccia, deflettendo i suoi colpi e assestando pugni alle costole dell'uomo, sembrava al di sopra delle normali abilità umane. Deviò un affondo e il freddo metallo sfiorò di nuovo il volto sanguinante, poi capì che la sua occasione era giunta.
 
Con un calcio basso, spezzò la rotula dell'orbo gettandolo in ginocchio. Per qualche secondo, un sedicenne si ergeva come un gigante di fronte ad uno dei mercenari più esperti del mondo... l'unico occhio buono del traditore implorava pietà, mentre il tacco di Jake si sollevava verso l'alto oscurandone il campo visivo. 
 
Manna dal Cielo. 
 
-

 
Non seppe mai quanto tempo trascorse in uno stato quasi di trance, mentre fissava il cranio aperto dell'uomo che avrebbe voluto chiamare padre sporcare il fondo del suo stivale di sangue e materia grigia. Quando la sua mente si decise a riprendere il controllo del corpo, i suoni della battaglia all'esterno si erano affievoliti, mentre la guerra si spostava nel suo percorso di distruzione verso l'entroterra.
 
Un solo pensiero lo fece muovere: non tutto era perduto. 

I soldi erano lì, le valigette a portata di mano. La prima stazione dei treni ancora in servizio doveva essere a poco più di un giorno di cammino dal campo di battaglia, e da lì la periferia della Capitale e la guarigione di sua madre sarebbero state a portata di mano.

Con movimenti rapidi e le mani che non volevano saperne di smettere di tremare, prese il borsone più vicino e vi vuotò all'interno il contenuto di due valige, riempiendo poi gli spazi vuoti con alcuni beni di prima necessità che gli sarebbero stati utili durante il viaggio...

Mentre si avvicinava alla scalinata per andarsene da quel luogo di morte, si voltò una sola volta a fissare il mare di cadaveri, il corpo orrendamente sfigurato di Shaw che spiccava al centro come una tremenda rosa tra il sangue. 

Un sospiro soltanto, ma sua madre già riempiva la sua testa, attuendo il suo dolore con la determinazione a perseguire lo scopo per cui si trascinava da sedici anni.

Nessuna lacrima venne versata per la morte di Shawn l'orbo. 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'uomo che annega, parte terza ***


Finalmente, giungo alla fine della mia piccola "trilogia" all'interno di questo mosaico della vita passata, presente e futura di Jake Muller. Nonostante abbia effettuato molti salti avanti e indietro nel tempo, tutta la vicenda si svolge intorno ai 16 anni di Jake, a quegli eventi che l'hanno portato a diventare il ragazzo cinico e avido che Sherry Birkin incontrerà e "salverà" in Resident Evil 6.

Anche in questo caso, ho utilizzato la tecnica del flashback, ma vi basti sapere che la parte iniziale di questo epilogo, "Un nuovo inizio", si svolge poco tempo dopo gli eventi ambientati nel motel delle parti precedenti ed è quindi, cronologicamente, la vera parte finale dell'intera vicenda. Ho preferito però finire la trilogia con un altro momento perché più di tutti rappresenta la fine della vecchia vita di Jake... spero il tutto risulti efficace e scorrevole.

Come sempre, ringrazio tutti per aver letto e recensito i capitoli precedenti, con un ringraziamento speciale a fiammah_grace per la recensione alla parte seconda della trilogia... su il sipario! 



Jake Muller

CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE

 

L'UOMO CHE ANNEGA, parte terza:
Rinato a metà. 

 
Oggi. Un nuovo inizio.

Il borsone gettato in un angolo, gli abiti sgualciti puliti a malapena in una lavanderia a gettoni, Jake aspettava il treno in una gelida mattina di Settembre. Seduto sui sedili di plastica rovinati, si grattava la testa ancora dolorante, combattendo contro il prurito della guancia i  cui bendaggi aveva appena sistemato.
 
Una vita senza scopo, la sua. Ora lo capiva. Realizzava, dopo quei giorni in cui il dolore gli aveva offuscato ogni pensiero, quanto in quel momento fosse nessuno, senza un grande obbiettivo, un disegno del destino. Semplicemente altra carne al fuoco delle guerre eterne che massacravano l'Europa dell'Est e, più in là, il mondo intero.
 
Ma ora, non gl'importava più. Ora non si trattava più di salvare sua madre, ne di mantenere una dignità. Ogni speranza era perduta, ma lui aveva ancora le abilità insegnategli da Shawn, e quelle con cui era nato. Era un'arma mortale... ed era deciso a trarne guadagno.
 
«Mercenario?»
 
Quasi sobbalzò guardandosi intorno, fino a incrociare lo sguardo con un anziano signore che gli si avvicinava aggrappato ad un bastone, il volto segnato da rughe e cicatrici... la tipica faccia di chi aveva passato la vita ad arrancare in Edonia.
 
«Io non vi capisco, voi mercenari... tutta la vita ad ammazzarvi a vicenda, e per cosa? Una volta avevamo ideali in questo paese...»
 
La risposta del ragazzo fu riassunta in un ghigno e poche, gelide parole. Gli occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, non si concentrarono neppure sul suo interlocutore, ma sull'orizzonte... quasi che quella frase fosse riferita al mondo intero.
 
«Cosa ci vuoi fare... i soldi sono soldi.»
 
 
Ieri. La fine. 
 
Barcollando, era giunto fino a casa sua. Treni, autostop, chilometri a piedi sotto la pioggia. Trascinava dietro di se il peso dei ricordi, e una valigetta piena di soldi. Il sangue scorreva copiosamente dalla ferita, rattoppata con pezzi di scotch e giornali, sul volto.
 
Lasciando una scia di sangue, raggiunse la porta e, con mani tremanti, l'aprì. Zoppicava, arrancava, ma si sforzò di far uscire dal volto deturpato un sorriso mentre la cercava per dirle che, finalmente, i loro problemi erano finiti. Un mantra, nel frattempo, continuava ad avvolgergli i pensieri, sfidando il dolore: "Sono a casa, con i soldi! Sono a casa..."
 
Lo sguardo preoccupato, si precipitò in salotto. Vide un mucchio di coperte che avvolgevano qualcosa... un corpo. Solo un braccio, candido, sporgeva dal divano, penzoloni, senza esser riuscito ad arrivare al suolo. Per terra, un bigliettino scritto frettolosamente, la pulita calligrafia di sua madre piena di sbavature e tremolii.
 
Le labbra gli tremarono. Una sola, singola lacrima, si aggiunse al sangue che colava dalla guancia fin sul collo. Allungò un braccio, la mano tesa verso quella di sua madre... quasi sperando che le leggi dell'universo potessero rompersi, in quell'istante, e che lei potesse stringergliela. Almeno una volta.
 
«M-m... mamma?»
 

 
L'UOMO CHE ANNEGA,
Fine. 
 


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1446458