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Lista capitoli: Capitolo 1: *** - Prologo - *** Capitolo 2: *** Capitolo I: Sono solo un essere umano *** Capitolo 3: *** Capitolo II: Parole come verità *** Capitolo 4: *** Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo *** Capitolo 5: *** Capitolo IV: Un cappio al collo *** Capitolo 6: *** Capitolo V: Biancheria e cesti *** Capitolo 7: *** Capitolo VI: Ti voglio bene *** Capitolo 8: *** Capitolo VII: La patria del nulla *** Capitolo 9: *** Capitolo VIII: Respirare *** Capitolo 10: *** Capitolo IX: Cicatrici *** Capitolo 11: *** Epilogo ***
La Sabbia della Clessidra prologo
AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a
che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per
un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e
consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
- Prologo -
L’ho reputata un’idea stupida all’inizio. E dello
stupido mi ero dato all’infinito, quando avevo pronunciato quelle
poche parole dando così conferma a quello che ora è il
mio capitano nonché il mio migliore amico.
Ero diventato -non ciò che odio, non ho mai detto di odiare
pirati o marine che siano, ma mi sono ritrovato così allo
sbaraglio su di una piccola imbarcazione dispersa nel nulla. Io, le mie
spade e quel buffo ragazzino nemmeno maggiorenne ma col sorriso perenne
stampato sul volto.
Mi dava sui nervi.
Mi chiedevo costantemente cosa avesse da sorridere e lo odiavo. Forse
lui aveva sempre avuto una vita di zucchero e ora il voler diventare un
pirata -il re per di più, lo accostavo alla figura del
capriccio. E mai avrei creduto di poter incontrare una persona degna
d’esser chiamata in quel modo. Io per primo non sarei mai potuto
esser chiamato così.
Però…però quel ragazzino, un po’ tontolone,
mi aveva affascinato. Non sapevo cosa si nascondesse realmente dietro a
quella facciata, a quel sorriso, ma l’avrei scoperto più
avanti e allora mi sarei rimangiato ogni singola parola intrisa di
veleno che avevo sputato e roso il fegato dai sensi di colpa.
E ogni giorno che passava, ogni isola che incontravamo, ogni avventura
che affrontavamo e grazie ai vari componenti della ciurma che Rufy
reclutava, e a cui io avevo assistito come spettatore -visto che ero
stato il primo di questi compagni, mi rendevo conto che forse quella
volta non ero stato poi così stupido. E non mi pesava più
cosa comportasse realmente essere un pirata. No, non mi importava
perché avevo una promessa, uno scopo, da rincorrere e
realizzare, e una famiglia -stramba vero, ma pur sempre una famiglia,
da cui avevo a credere non mi sarei più staccato.
Avevo cominciato a credere che avremmo navigato per sempre assieme e che non mi sarei mai più ritrovato da solo.
Ma ora che un passo era stato compiuto, la mia sicurezza cominciava a
vacillare e la solitudine ora non mi sembrava poi così brutta.
Ricominciai a chiudermi a riccio, in me stesso, e sempre più
spesso desiderai tornare in quell’abbraccio solitario che per
troppi anni mi aveva accompagnato.
E mi chiedevo quanto tempo ancora sarebbe passato prima che tutto crollasse.
Perché tutto crolla, tutto svanisce.
Perché i sogni prima o poi si realizzano.
E guardavo la sabbia dorata scendere dalla clessidra che decreterà la fine.
Capitolo 2 *** Capitolo I: Sono solo un essere umano ***
Capitolo 1: Sono solo un essere umano
AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a
che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per
un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e
consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo I: Sono solo un essere umano
Stanco. Le membra pesanti, la testa vuota e piena nello stesso istante,
la mia ambizione svanita, sciolta come la neve al sole in una giornata
di primavera, in una giornata di sole dopo la nevicata notturna.
Gli esercizi che sono solito fare, così importanti ed utili, ora
sono una di quelle cose che reputo non stupidi, ma completamente,
inequivocabilmente inutili.
Mi ero sempre chiesto cosa avrei fatto una volta raggiunto il mio
sogno. Me lo domandavo e ridevo per la stupidità di tale
quesito. Avrei continuato a lottare, nonostante tutto avrei continuato
a percorrere quel sentiero che con tanta fatica e costanza avevo
segnato e che percorrevo. Per me, per Kuina.
Ora, non ne sono più tanto sicuro.
“Zoro.”
Lascio cadere i pesi a terra, rimbomba un suono che ora non mi dice
più nulla. Non è lo stesso suono che accompagnava quel
gesto, quello era un suono di speranza, di fatica e forza di
volontà. Questo di adesso è un suono vuoto che appare
privo di significato alle mie orecchie.
“Zoro!” Usop, Usop. Caro il mio bugiardo.
So cosa vuole dirmi, ma non voglio sentirlo. Non ho bisogno di riposare
io, non ho bisogno delle loro premure, non ho bisogno di nulla al
momento. Ma non lo zittisco, non ne ho la forza.
“Lo sai cosa ha detto Chopper.” Come se non lo sapessi a memoria ormai.
So cosa Chopper continua a predicare, ormai è come una litania.
Devi riposare, le tue non sono semplici ferite, non so come tu faccia
ad essere ancora vivo, non sei né invincibile né
immortale. Ha ragione lui, ma non su quello che pensa.
Drakul Mihawk, l’uomo dagli occhi di falco, l’uomo che ho
cercato per un decennio, l’uomo che incontrai all’inizio
del mio viaggio come pirata. Sì, l’uomo che mi sconfisse e
che per un breve istante aveva messo fine al mio sogno. Non mi
regalò la morte ma solo una cicatrice enorme che ancora porto
addosso quasi con orgoglio, quella linea che mi attraversa
diagonalmente il petto e che vedo ogni qual volta io mi specchi.
L’uomo che solo fino a qualche giorno fa era considerato
‘lo spadaccino più forte al mondo’. Dico era
perché ora non lo è più.
Ho realizzato il mio sogno e quello di Kuina. Dovrei esserne felice, già dovrei. Non lo sono.
E sono tornato al punto di partenza. Quella domanda che mille volte mi
sono posto riaffiora nella mia mente, solo con una consapevolezza in
più. Ed ora non mi viene più la voglia di ridere. Il
sogno si è trasformato in realtà, la realtà in
incubo e con quello giunge la consapevolezza di un imminente fine.
Perché i sogni si avverano prima o poi, e con loro tutto
finisce, come finirà questo viaggio.
Sapevo che c’era una possibilità che prima o poi la fine
sarebbe giunta e che la clessidra, che scandiva il nostro tempo,
avrebbe finito la sabbia facendola ricadere tutta su una sola
metà. Eppure, avevo sempre sperato che quel momento non sarebbe
mai arrivato, credevo di poter annullare tutte le leggi del tempo.
Mi ero sbagliato. Questa consapevolezza però mi uccide. Mi
distrugge, mi divora lentamente dall’interno, e so di non poter
far nulla, e mi rode l’animo.
“Zoro, ma mi ascolti?”
Mio buon amico, ma ancora non hai capito che non voglio sentire? Ogni
parola, ogni frase che dite ora è come una pugnalata e al loro
confronto, le ferite di Mihawk, non sono nulla.
“Devi rimanere a riposo, ok, sei diventato il miglior spadaccino del mondo, ma sei un essere umano.”
Carne, sangue e sentimenti. Questo è un essere umano, io ne
faccio parte, allora perché non capisci che non voglio
ascoltare, che continuare a sentirmelo dire mi fa solo prendere ancora
più coscienza dell’imminente fine.
“Basta. Mi hai stufato.” Lo urlo, urlo così forte
che quei pochi presenti sul ponte si voltano a fissarci e gli altri
escono dalle loro cabine, o dalla cucina. E il veleno che lentamente mi
sta uccidendo dall’interno lo vomito fuori in parole aspre e
dure, che non penso realmente. “Sono stanco di sentirvelo
ripetere, so quali sono i miei limiti non mi occorre la balia.
L’ho sempre fatta io da balia a tutti voi salvandovi il culo in
più di un’occasione. Perché la paura è una
tua compagna no?!”
Sprezzante e cattivo. Lascio perdere tutto e me ne vado senza
guardarvi, perché so che non riuscirei a guardarvi in faccia.
Leggerei disprezzo, e me lo meriterei appieno, lo so bene. È
l’unica cosa che merito, il vostro disprezzo.
“Che diavolo ti prende ora?”
La tua voce mi raggiunge, so che non sei sola. L’odore del
tabacco bruciato mi riempie i polmoni. Il sentirti urlare contro di me,
l’odore della sigaretta di Sanji. Mi chiedo per quanto ancora
avrò la fortuna di sentirli.
“Cosa vuoi.” Non posso fare a meno di risponderti brusco.
Sussulti, lo so nonostante io non ti stia guardando, e sento lo sguardo
di Sanji sulla nuca. Ma non è il suo solito sguardo, furente. Mi
sembra pena quella che scorgo nei suoi occhi voltandomi.
“Ti sembra modo di trattarlo? Insomma non ti ha fatto nulla, era
solo preoccupato per te.” Ti riprendi in fretta, come sempre.
L’avvocato difensore.
Nami è sempre stata brava a difendere gli altri, soprattutto se
ciò comportava il discutere con me, il discutere contro di me.
Un’altra di quelle cose che avrei fatto volentieri a meno, una
volta, come i tacchi che costantemente ricevo sul cranio come a
volermelo spaccare. Eppure ora non sono poi così sicuro di
volerne fare a meno, non credo proprio.
“Zoro si può sapere che hai? E rispondimi
dannazione.” Mi mancherà tutto questo, il vederla di
fronte a me, le mani sui fianchi, l’espressione furente.
Sì, ne sono certo, mi mancherà come mi mancheranno tutti
loro. Ma sono un vigliacco e come tale mi comporto.
“Se lo meritava, mi ha stufato. Mi avete stufato voi e tutte le
vostre belle paroline colme di sentimenti stupidi. Sono vivo e non
grazie a voi. Quindi finitela.” Riverso ancora un po’ di
quel veleno su di lei, su di loro. Ancora una volta fuggo dai loro
sguardi, dai miei amici.
Il distacco è meno doloroso se avviene in un solo colpo. Lo
penso ma non ci credo, non sono poi così sicuro di quello che
sto facendo. Per la prima volta in vita mia posso dire di essermi
perso, non come quando giro per una nuova isola in cui capitiamo e mi
perdo ad ogni incrocio, questa volta mi sono veramente perso.
Chiudendomi la porta della mia camera alle mie spalle, chiudo la porta
che mi collegava a tutti loro, escludendoli del tutto dalla mia vita.
Dicono che l’arredamento della propria camera da letto, rispecchi
la vita del suo proprietario. Non ci avevo mai fatto caso fino a questo
momento, come se davanti ai miei occhi vi fosse stata una col trina di
nebbia fitta e palpabile che non ero in grado di penetrare. Ora tutto
mi pare più chiaro, nitido. La mia stanza è spoglia,
cos’ impersonale e fredda. Pochi mobile la compongono, un letto
dalle lenzuola bianche, una piccola scrivania che non ho mai usato ed
un armadio il cui interno cela quei pochi vestiti che posseggo ed uno
specchio a figura intera.
È una stanza vuota, e il mio animo è come lei.
Chopper ha ragione. Non sono né invincibile né immortale.
Sono solo un pezzo di carne composto di sangue ed ossa.
Capitolo 3 *** Capitolo II: Parole come verità ***
Capitolo II: Parole come veritàAVVISO: questa storia è
una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi,
e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda.
Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo II: Parole come verità
Inutile. Ora come ora mi sento inutile.
La nostra nave solca inesorabile il mare, le onde s’infrangono
sul legno facendola dondolare dolcemente come a volerci cullare. Che
culli i loro sogni perché io ormai non ne ho più, ho
perso la capacità di sognare e me ne rimango solo, a guardare la
notte scura e quello che essa nasconde.
Vi sono segreti nascosti nella notte. Segreti che a volte è
meglio rimangano tali perché così è più
semplice, perché così non ci s’imbatte nella
realtà, così dura e scura, ma si rimane in quel mondo che
Morfeo, il dio del sonno, ha creato per noi. Il mondo dei sogni. Quel
mondo onirico che ci avvolge tra le sue braccia, regalandoci quel
qualcosa che ci fa andare avanti percorrendo una strada che è la
nostra salvezza.
Noi uomini, senza i sogni, non siamo nulla. Nella vita cerchiamo
qualcosa e quel qualcosa è da ricercarsi nei nostri sogni.
Cerchiamo la felicità, cerchiamo un qualcosa che ci dia un
senso. Senza siamo persi, piccole barche alla deriva, come già
io lo sono.
Mi chiedo cosa gli altri pensino, mi chiedo cosa gli altri sognino la
notte. Se i loro sogni, che cercano in tutti i modi ed i mezzi di
realizzare, tornino a far loro visita la notte. Magari no, magari non
hanno sogni, o magari i loro ricordi, quei ricordi che li legano alle
persone più importanti della loro vita, tornano a trovarli. Se
così fosse, saranno i ricordi più belli a far loro visita
o tornerà loro in mente solo ciò che di brutto è
successo? Magari, giungono a loro le voci dei cari che li spronano a
continuare così, a me ormai la voce di Kuina non
m’incoraggia più. Ogni volta che superavo una prova, che
facevo un passo avanti avvicinandomi sempre di più al
raggiungimento del mio sogno, lei era lì, che mi spronava a
continuare. Ora, mi sembra di sentirla ridere di me, della mia
debolezza.
Anche ora mi sembra di sentire la sua voce canzonatoria. Mi deride e
questo mi manda in bestia. Non sono debole, la debolezza non fa parte
del mio essere. Sono sempre stato quello solido come una roccia, quello
su cui tutti contano anche quando la situazione sembra la più
brutta. Non sono un debole, nessuno di noi lo è, nonostante le
dure parole che ho rivolto ad Usop, nemmeno lui lo è. Anzi, si
è dimostrato degno del nome che porta. Suo padre ne sarebbe
fiero, ne sono sicuro.
“Ancora sveglio stupido spadaccino?”
Sussulto inconsapevolmente. Ero così assorto nei miei pensieri
da non rendermi conto dell’avvicinarsi di Sanji. Quello stupido
cuoco compare sempre quando non deve. Mi mancheranno le sue uscite
improvvise, le lotte alquanto stupide che ingaggiamo per tutto, gli
urli isterici quando vede passare Nami o Robin, le sue corse dietro le
sottane.
“Potrei farti la stessa identica domanda, sopracciglio a
ricciolo.” Lo canzono sperando in una lite. Forse questa
placherà il mio animo in subbuglio.
“Cos’hai detto stupido marimo?” Non devo attendere molto, coglie la mia provocazione di buon grado.
Lo stupido cuoco è migliorato in questi anni, il nome che si
è fatto nel tempo e la taglia che gli pende sul capo sono
più che meritati. Lo posso assicurare, in tutti questi anni ho
potuto constatare quanto lui sia migliorato e quanto ancora avrebbe
potuto farlo. Ricordo perfettamente tutti i colpi ricevuti da lui nel
tempo. Non micidiali o mortali come li da di solito ad un nemico,
ma posso assicurare che fanno male, dannatamente male. Ricordo alla
perfezione tutti i colpi e le costole incrinate, ricordo le volte in
cui abbiamo combattuto per puro divertimento, le volte in cui abbiamo
combattuto sul serio e le volte in cui abbiamo combattuto per non so
quale motivo.
Se stessi qua a ricordarle tutte forse finirei che ormai sarei vecchio
decrepito. Dico forse perché non ne sono poi così sicuro.
In otto anni di navigazione, posso assicurare che ce ne sono state di
battaglie. A ventisette anni, posso assicurare che di battaglie ne ho
viste fin troppe, di incendi ne ho combattuti tanti. Le lotte con Sanji
sono state quelle più frequenti, ma anche quelle più
costruttive. Anche ora posso dire che questa nostra assurda battaglia,
nata per un enorme cavolata, è costruttiva.
Ci siamo fermati. Non vi è né vincitore né vinto.
Siamo semplicemente distrutti, stesi a terra a prendere profonde
boccate di quest’aria fresca. Non è stata una delle nostre
solite battaglie. Lo so io, e so che pure lui se n’accorto.
“Che ci facevi qua fuori?” La domanda mi coglie impreparato, o per meglio dire non me l’aspettavo.
Insomma, di solito sono io quello che la notte rimane sveglio. Mi
alleno la notte visto che durante il giorno non riesco, troppo baccano,
Rufy, Usop e Chopper devono sempre combinarne una delle loro ed io non
riesco a concentrarmi. So che potrei urlare loro contro, però
non l’ho mai fatto. In verità, non ho il coraggio per
farlo, non voglio farlo soprattutto. Sembrerà strano, ma le loro
trovate mi divertono.
“Cercavo di allenarmi.” Confido una verità. Il verbo
che ho usato è più che giusto, cercavo, perché ora
non riesco più ad allenarmi ed ogni volta che prendo in mano i
miei pesi, non riesco a concludere niente. Li prendo in mano, li alzo
ed inizio quell’allenamento che finisce troppo presto. Non riesco
più a fare quella serie di esercizi, sempre in aumento, che mi
ero prefissato. Li finisco troppo presto e la cosa non mi piace. Non
sono uno smidollato, ma non appena poso a terra i pesi la sua voce,
infantile e canzonatoria, mi raggiunge facendomi sobbalzare e
costringendomi a guardarmi attorno. Non la scorgo. So di non poterla
vedere, però in più di un’occasione mi è
sembrato di vederne il fantasma.
“Certo che è una bella notte.”
Sanji cambia discorso. Non posso fare a meno di essergli grato. Ma non
sono sicuro che lui abbia capito tutto, ma non è di certo
stupido. Avrebbe potuto attaccarmi a parole per l’altro giorno,
lo stesso giorno poteva prendere le difese di Nami, ma non l’ha
fatto. Vorrei chiedergli se ha intuito, se ha capito cosa mi preme.
“Già.” Mi alzo a fatica, barcollo appena. Anche
questa volta il cuoco c’è andato pesante. Sento le solite
due costole premere troppo, di sicuro si sono incrinate ancora una
volta.
“Avresti potuto andarci più leggero.” La voce di
Sanji mi giunge alle orecchie come il fumo della sua sigaretta giunge
al mio naso. Ho sempre detestato le sigarette ma ormai sono una di
quelle cose cui mai farei a meno. Come le nostre scazzottate e le
chiacchierate che abbiamo subito dopo il nostro sano divertimento.
“Cos’è, l’età che avanza si fa sentire?”
“Non fare l’idiota, sai a cosa mi riferisco.” E il nostro Sanji ancora una volta centra il bersaglio.
“Non ti capisco.” Faccio lo gnorri, so quale effetto
faccio. E poi, mi diverte il stuzzicarlo. Aspetto che mi urli contro
come suo solito, magari ci scappa un’altra scazzottata. Non che
io ne abbia poi così tanta voglia, le costole fanno dannatamente
male, non c’è certo andato leggero, ma non posso
rifiutarla.
Eppure la sua reazione tarda ad arrivare. Mi accorgo che si è
alzato e che se ne sta andando. Silenzioso e un po’ traballante
si allontana dandomi le spalle. Per una volta che sia rimasto senza
parole da urlarmi contro? Mi sembra quasi assurda tutta questa
situazione, mi sembra assurdo di essere qui ad aspettare una sua
qualsiasi reazione purché faccia qualcosa. Mi sento deluso da
tutto questo.
“Sai una cosa?” La sua voce mi arriva flebile alle
orecchie. Si è fermato all’inizio delle scale del castello
a poppa, mi volta ancora le spalle. Sembra stia parlando con qualcun
altro e non con me. Questa cosa mi infastidisce profondamente, vorrei
urlargli di voltarsi e di dirmi ciò che pensa in faccia. Ma non
lo faccio. “Se far diventare i nostri sogni realtà, ci
farà diventare come te, preferisco non trovarlo l’All
Blue.”
Mi sembra d’avere ricevuto un pugno in pieno volto. No, il pugno
farebbe meno male rispetto a quello che sento adesso. Un pugno in pieno
volto non fa così male, un pugno nello stomaco non fa
così male, le ferite che ho sul corpo non fanno così
male, l’enorme cicatrice che mi segno il petto non fa così
male, il loro continuo preoccuparsi per me non fa poi così male
come credevo.
Solo ora mi accorgo che tutto quello non era altro che un malessere passeggero.
Sanji se n’è andato lasciandomi solo. Sono davvero solo
ora e me ne accorgo troppo tardi. Le sue parole corrispondono alla
realtà, ed è quella che fa così male. Se davvero,
il realizzare i sogno, fa diventare come me allora preferisco
anch’io che rimangano tali.Ma loro sono diversi da me, non sono
me e sono migliori di me. Più di quanto essi possano credere.
Il mio animo è ancora in subbuglio, ed ora so il perché. Mi faccio pena.
Capitolo 4 *** Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo ***
Capitolo III: Un fuoco attorno al mondoAVVISO: questa storia è
una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi,
e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda.
Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo
E giunge il momento della verità.
Le fiamme rosse del piccolo fuoco da campo tremano appena quando un
po’ di brezza le raggiunge. I pirati di cappello di paglia ridono
e scherzano festeggiando il grande momento. Festeggiano tutti il
raggiungimento della meta comune, il realizzarsi dei nostri sogni.
Raftel Island. Con essa sono stati realizzati quei sogni che ormai
erano comuni.
L’All Blue, il mare così cercato da Sanji, circonda
l’isola. Questo mare è il mare che tutti i cuochi cercano,
Sanji è stato l’unico in grado di trovarlo.
Il tanto agognato Poinge Griffe che Robin ha cercato da quando aveva
otto anni, le si è materializzato davanti agli occhi. Le ci sono
quasi voluti trent’anni, ma ne è valsa la pena. O almeno
questo è ciò che lei afferma.
Chopper e Usop non hanno bisogno di avere qualcosa di materiale tra le
mani. Il primo ha dimostrato apertamente, nel corso di questi anni, di
essere il miglior medico, ci ha salvato più di una volta e non
solo noi. Il secondo, Usop è davvero quel coraggioso pirata che
ha sempre affermato di essere.
Franky, il nostro strambo carpentiere è riuscito ad eguagliare
il suo maestro. La Thousand Sunny è la nave del re dei pirati,
non c’è altro da aggiungere.
La cartina del mondo ormai è finita, solo qualche altro
accorgimento ed è completa, posso capirlo dalla luce che brilla
negli occhi di Nami, tutti noi ne siamo consapevoli. Nonostante lei
ancora non abbia detto nulla, lo si capisce.
E Rufy, quel ragazzino di gomma, non ci sono parole per descriverlo.
Salta, balla, urla a squarciagola la sua felicità. Non è
mai cambiato, è stato l’unico a non cambiare mai nel
profondo. Ma ora è completo, è il re. Saltella come un
pazzo fino a ruzzolare accanto ai miei piedi.
“Stai bene Rufy?” Non posso esimermi dal chiederglielo. Lui
si rialza e mi sorride, sorride all’ottavo pirata che se ne
rimane in disparte.
È come un bambino, nonostante tutto quello che abbiamo passato
Rufy si comporta come sempre. Si allontana dopo avermi dato una pacca
sulla spalla. Torna dagli altri ancora sorridendo, torna da quei
compagni che assieme a lui hanno attraversato il Grande Blue. Li guardo
festeggiare, intonare canti mai sentiti e quello dei veri pirati.
Nonostante tutto quello che abbiamo passato, loro scoppiano di
felicità.
L’unica cosa che unisce noi pirati di cappello di paglia,
è la nostra infanzia ed i nostri sogni. Ora che tutti questi
sono stati realizzati non vi è più nulla che ci unisce.
Siamo stati una nakama alquanto strana. Non ci sono somiglianze tra di
noi, ognuno di noi è diverso dall’altro, per quanto io
possa ricordare, non ci siamo mai trovati d’accordo su nulla, se
non quando si parlava dei nostri sogni. Quando uno solo di noi
ricordava il proprio sogno, magicamente ci trovavamo d’accordo.
Più che Raftel Island, era il raggiungimento dei nostri sogni la
meta reale. Ora che abbiamo trovato la nostra ragione, non ci lega
più nulla.
Le loro risate e gli schiamazzi mi giungono alle orecchie. Rufy, Usop,
Chopper e Franky improvvisano un balletto che tutto ha, fuorché
un senso. Li trovo buffi nonostante tutto, l’idea di raggiungerli
e mischiarmi a loro attraversa velocemente il mio cervello come
altrettanto velocemente lo lascia. Non sono dell’umore adatto, il
mio animo, ancora in subbuglio, non me lo permette. Se far diventare i nostri sogni realtà, ci farò diventare come te, preferisco non trovarlo l’All Blue.
Le parole di Sanji mi tornano in mente all’improvviso. In questo
periodo mi sono tornate così tante volte in mente che quasi ho
perso il conto. È una cosa che mi ha ronzato incessantemente in
testa. Ho avuto per davvero il timore che una volta raggiunto il loro
obiettivo, sarebbero diventati come me. Ho continuato a pensare che non
era possibile, che tutto quello era solo una mia stupidissima paura.
Paura che non aveva né capo né coda.
Tutti ridono, scherzano e festeggiano. Sorrisi e risate vengono
elargite a destra e a manca. Anche Sanji, che di solito non riesce ad
avvicinarsi alle nostre due compagne, stasera fa più del solito
il libertino. Le abbraccia, le bacia sulla guancia, ma si vede che
è solo contentezza quella, non l’istinto sessuale che lo
accompagna di solito. Il legame che lo lega a loro è profondo,
più che profondo. Molto più profondo dell’amore.
Anche Nico Robin, la fredda e glaciale Nico Robin, stasera si è
lasciata andare. Sorride più apertamente, a tratti si lascia
sfuggire una risata, uno scherzo, una battuta.
Hanno ragione Rufy e Sanji. È bellissima. Un fiore di una
bellezza glaciale, una bellezza adulta. Mi ci è voluto tutto
questo tempo per capirlo.
Non è mai stata una nostra nemica.
Guardo i miei compagni sorridenti. Ingollo d’un fiato questa
schifezza che mi brucia le budella sorridendo stupidamente al bicchiere.
* * *
Notte scura, notte profonda.
È ormai l’alba, almeno da quello che posso intuire. Il
fuoco rosso che ci ha accompagnati per tutta la notte, per tutti i
festeggiamenti, sta arrivando alla fine. Entro breve esalerà
l’ultimo respiro.
Posso sentire nitidamente il russare di Rufy e Usop, così forte
che mi domando come diavolo facciano a dormire gli altri. Soprattutto
Sanji. Lui, oltre a me, è sempre stato quello che ha sopportato
di meno il loro russare. È per questo che una volta cambiata la
nave siamo finiti a dormire in un’altra stanza assieme a Franky.
Lui, essendo metà cyborg, non russa. Però, ancora mi
chiedo come Chopper faccia a resistere assieme agli altri due. Il
nostro piccolo medico, è davvero eccezionale.
L’ennesimo russare di Usop è la goccia che fa traboccare
il vaso. Mentre il nostro fuocherello esala l’ultimo fiato, me ne
vado. Ho bisogno di tranquillità, ho bisogno di pace.
Ancora le parole di quello stupido cuoco tornano a farmi compagnia. In
questa notte, nonostante il calore della felicità mista
all’alcool, sento il freddo pungente di un imminente solitudine
farmi compagnia. È un freddo che conosco molto bene, da quando a
nove anni Kuina è morta non ho avuto altro che la sua compagnia.
Non voglio ripetere quell’esperienza, per dieci anni ho vissuto
in solitudine, dieci anni che sono sembrati un’eternità,
fino a quando qualcuno non ha oltrepassato quel muro di solitudine,
rischiarando il buio che mi aveva avvolto. È grazie a Rufy se ho
scoperto cosa vuol dire il valore dell’amicizia, è solo
grazie a lui se sono riuscito a riscattarmi. Però, ora
sarà il mio stesso salvatore a ributtarmi nel buio assoluto.
La nostra nave, quella nave che per sei anni ci ha fatto da casa, dopo
due con la Going Merry, è il posto più sicuro che io
conosca. Questa nave, questa imbarcazione inusuale per la forma che ha
la sua polena, ci ha visto crescere, maturare. Ci ha accompagnati lungo
il cammino della nostra vita.
Per quanto, ancora, ci accompagnerai?
”Tra due mesi saremo nell’est blue.” Sobbalzo. La
voce di Nami giunge alle mie orecchie, risponde a quella domanda che
silenziosamente e mentalmente mi sono posto. O almeno credo di averla
pensata. “Sai…” Comincia uno dei suoi discorsi. Non
mi volto ma so che è lì, alle mie spalle,
all’inizio della scaletta che ci porta a terra. Probabilmente,
anzi, sicuramente ha le mani intrecciate dietro la schiena. “Non
avrei mai creduto che questo giorno sarebbe arrivato.” Si
avvicina, sento i suoi passi leggeri. “Sapevo che prima o poi
questo giorno sarebbe giunto. Non ho mai dubitato di Rufy.
Però…” Prende fiato mentre si posa come me al
parapetto. L’odore di agrumi, il suo profumo, giunge al mio naso
inebriandomi. “Mai avrei creduto che sarebbe arrivato così
presto. Anche se proprio presto non è, sono passati otto
anni.” Sorride.
Questa è una di quelle poche volte in cui è davvero lei a
sorridere. Fin’ora ho visto mille delle sue molteplici facce,
posso dire che questa è quella che preferisco.
“Una vita.” Mormoro facendola voltare verso di me.
L’espressione interrogativa. “Mi sembra sia passata una
vita intera da quando vi ho conosciuti, da quando ho conosciuto
Rufy.” Per me è così, una vita fa ero solo,
ora…
Mi regali un’espressione birichina. Per un attimo ho paura che
sia ubriaca, solo per un attimo. So benissimo quanto lei regga
l’alcool, mille le sfide che ci siamo lanciati e sono sicuro che
ora non è ubriaca. Eppure, quel suo sorriso non mi piace per
nulla.
“Cos’è Roronoa.” Mi canzona. Sono rare le
volte che usa il mio cognome, di solito preferisce i nomignoli.
“Cominci ad avere nostalgia del tempo che passa?” Lei ride,
ma io no.
Non è perché io sono Zoro Roronoa e sono impenetrabile
come la roccia, più che altro è perché lei ha
capito al volo quello che mi blocca.
“Di che diamine parli?” Cerco di salvare la mia reputazione, o almeno quello che ne rimane.
Chissà il perché, ma Nami è sempre stata una delle
poche persone a capirmi al volo. Qualunque cosa io pensassi, o
qualunque gesto io facessi, in questi otto anni mi ha sempre capito al
volo. Anche Rufy mi ha sempre compreso, almeno fino ad ora.
“Dai Roronoa, non mi dire che non provi nostalgia per questi otto
anni.” Mi provoca. Non riesco a capire se lo fa apposta o se le
venga naturale. Un’altra persona con cui ho litigato spesso
è Nami. Con lei, ancora più che con Sanji, le liti si
manifestano per delle stronzate. A volte, per davvero, non so il
perché cominciamo a battibeccare.
“Dovrei?” So che è masochista, ogni volta che le
rispondo indietro le prendo. È più forte di me
però, ormai mi sembra così naturale che non posso farne a
meno. Aspetto il pugno che dovrebbe colpirmi inutilmente.
“Dovresti.” Lo mormora con un tono così dolce che
quasi non riconosco. In questi otto anni ho sempre creduto che nessuno
di loro riuscisse a capire come ero fatto. Mi ero sbagliato, forse
è più di una persona che mi capisce.
“E perché?” Glielo chiedo nonostante tutto. La mia
è più curiosità che altro. Ho provato più
di una volta a comprendere come Nami facesse ogni volta a capire
ciò di cui avevo bisogno. Come ogni volta, lei mi capisce nel
momento esatto in cui esterno le parole.
“Quando saremo nell’est blue, dovremmo dividerci. Anche se
Rufy non l’ha detto apertamente, so che è
così.” Vorrei dirle che non è l’unica ad
averlo capito. Ma me ne sto zitto a guardare il mare. Preferisco
guardare il mare che la terra alle nostre spalle. Se guardassi dietro
di me la verità mi avvolgerebbe come in un abbraccio.
“È lui il capitano.” Lo dico con tono cattivo
lasciando Nami sorpresa. Sono sorpreso anch’io di questa mia
reazione.
Mi dondolo leggermente sulle braccia per darmi la spinta per alzarmi.
Meglio che me ne vada prima di dire una qualsiasi cosa di cui so che me
ne pentirei.
Mentre me ne vado posso sentire il suo sguardo sulla schiena. Mi sembra
di sentire la sua voce, ma di sicuro è solo la mia coscienza che
parla. “Per una volta puoi anche essere te stesso.”
Capitolo 5 *** Capitolo IV: Un cappio al collo ***
Capitolo IV: Un cappio al colloAVVISO: questa storia è
una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi,
e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda.
Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo IV: Un cappio al collo
Un mese, trenta giorni sono passati da quando abbiamo lasciato Raftel
Island, l’isola del re dei pirati. E con questo mancano trenta
giorni al nostro ritorno.
Il tempo per me passa lento e veloce allo stesso tempo. Troppo veloce
perché ormai la nostra nuova meta è vicina, la fine
è vicina. Troppo lento perché in fin dei conti, non
riesco più ad occupare le ore che accompagnano le mie giornate.
La voce di Quina non giunge più alle mie orecchie. Dovrebbe
essere una fortuna, invece è l’ennesimo peso che mi grava
addosso. Ormai anche il mio quotidiano allenamento se n’è
andato a puttane. I giorni li passo a guardare le mie spade e a
pulirle. Non le alzo più nemmeno per uno stupido, piccolo ed
inutile allenamento, e quelle volte in cui riesco ad alzare i pesi,
posso contare i minuti senza perdermi. Non durano granché.
Come è sparita la voce della mia piccola amica d’infanzia,
è sparita anche quella mia forza interiore che sempre mi ha
accompagnato. Non so più chi sono.
Però, Sanji si è sbagliato e ne sono grato. Loro non sono
come me, loro hanno una forza che io invidio. Nonostante i loro sogni
siano stati realizzati, sono sempre loro stessi. Nonostante sappiano
che il nostro viaggio è arrivato alla fine, sono fiduciosi,
fiduciosi nel domani. Credono che prima o poi tutti torneremo a
navigare ancora una volta queste acque, magari alla ricerca di un nuovo
tesoro.
Ma ancora non hanno capito che le favole sono solo favole e che
‘il per sempre felici e contenti’ non è altro che
una stupida frase di circostanza detta solo perché tutti se
l’aspettavano? Non esiste il finale buono, non nella
realtà almeno. La realtà è chiamata così
perché è fredda e crudele.
Se non fosse così, allora questa ciurma, unita solo per
l’infanzia terribile che l’accomuna, non esisterebbe
più. Siamo uno diverso dall’altro, non abbiamo nulla in
comune, nemmeno la nostra provenienza. Non tutti siamo nati nello
stesso mare, non tutti abbiamo le stesse origini, solo il dolore ci
accomuna. Un dolore che ci ha colto quando ancora eravamo dei semplici
bambini, quell’età così tenera e dolce,
l’età che andrebbe spesa in giochi e gioie. Non li abbiamo
avuti quei momenti, ci sono stati strappati dalle mani.
“Zoro…” Nemmeno nella mia stanza posso starmene da
solo. Nemmeno questo luogo per una volta tutto mio, Sanji e Franky sono
impegnati nel turno di notte, rimane tale. Nami è venuta a
controllarmi, forse si è accorta del mio silenzio durante la
cena, silenzio non così strano da parte mia, ma più
profondo. “Zoro…” Mi chiama ancora una volta e mi
volto. C’è sempre stato un qualcosa di invisibile che mi
collega a lei nonostante io la odi dal profondo del mio cuore. Ma
è un odio diverso da quello che si prova solitamente verso una
persona normale. Non so spiegarmelo nemmeno io.
“Cosa c’è.” Non è una domanda la mia,
non c’è un briciolo di curiosità nella mia voce.
Solo stanchezza.
“Stai bene?” Complimenti Nami, per la prima volta hai fatto
una domanda stupida che non merita risposta. Ti sembra che stia bene?
Dopo ciò che Rufy ha detto stasera? Per un mese, un lunghissimo
mese abbiamo vissuto la nostra solita vita, come se il ritrovamento
dello One Piece non fosse mai avvenuto, come se quel sogno fosse ancora
tale e non una realtà. Siamo rimasti in silenzio, anzi, sono
rimasto solo io in silenzio. Credo che voi ne abbiate parlato senza
nemmeno interpellarmi. Ma va bene così, in fin dei conti non ho
fatto nulla per immettermi in una tale conversazione e sinceramente non
volevo averla. Ma stasera, stasera è tutto diverso. Il discorso
è venuto fuori, è giunto alle mie orecchie come se fosse
una delle qualsiasi frasi dette in queste anni. Le mie paure hanno
preso forma. Ancora un mese, solo un misero mese ed ognuno
tornerà quello che era otto anni fa.
“Zoro.” La sua voce ancora torna a farsi sentire. Mai come
adesso ho detestato quella voce. “Lo sapevi, sapevi che sarebbe
giunto questo momento. Non ha voluto tenerti all’oscuro,
solo…”
Non la lascio finire la frase. Muovo il braccio facendole bloccare le
parole in gola. Questo è il mio turno.
“Cos’è, aveva paura di ferirmi? Aveva paura che non
potessi capire? Aveva paura della mia reazione?” Sono domande cui
non ho una risposta. Sono domande che cercano una risposta da troppo
tempo. Non le ho ancora trovate.
“…non voleva farti sentire responsabile di questa
cosa.” Aveva capito, sapeva cosa mi frullava nella testa dal
primo istante. Da quando ho sconfitto Mihawk sapevo che ormai la nostra
meta era alle porte. Lo sapeva anche lui. Sapeva tutto, ma non ha mai
detto nulla.
Una sua mano mi tocca leggera una spalla. “Zoro…” La
porta è chiusa. Mi volto in modo così improvviso da
lasciar sorpreso persino me stesso. Le molle del mio letto cigolano
sotto i nostri corpi. Lui sapeva, sapeva, sapeva. Lo penso e la bacio.
È la prima volta che oso sfiorarle anche solo per sbaglio le
labbra.
Non ha parlato, non ha detto nulla. Aveva paura di provocare in me una
qualsiasi reazione negativa? Cos’è, aveva paura che gli
urlassi contro quanto lo disprezzavo? Cazzo. Il mio miglior amico, o
almeno credevo lo fosse, almeno fino ad ora. I pugni di Nami premono
sul mio petto. Posso sentirli, vogliono che mi tolga da sopra di lei.
Ma non ha la forza materiale per farlo. Io sono più forte, sono
forte, non debole e lei, lei è solo una donna. Ora capisco
quello che Quina intendeva. Le donne sono deboli, non in quanto a forza
di pensiero ma in quanto forza fisica. Sono completamente diverse dagli
uomini. Le curve più rotonde, la pelle come seta. Rufy è
sempre stato uno stupido. Se me ne avesse parlato prima, forse non
sarebbe andata così.
Ha la pelle liscia Nami, odora di mandarini ed inchiostro. Con tutte le
cartine che ha disegnato, mi stupirei più del contrario. Le
gambe, una linea perfetta. Le sento col tocco della mano, non ho
bisogno di guardarle, le ho viste mille volte, ed ora, le sto
accarezzando. Il suo continuo dibattersi, nonostante lei sappia bene di
non potermi sopraffare mi fa salire l’adrenalina. Il cervello
pulsa, lo sento esplodere nella testa. Non mi fermo. Mi ci vuole
così poco per crearmi una via d’entrata che quasi non mi
sembra vero. Le lascio le labbra lasciandola respirare. Prende
l’aria per far uscire uno dei suoi urli spaccatimpani. Non le
lascio il tempo, le serro con una mano quelle labbra rosse.
Affondo in lei, entro in lei ed esco da me stesso. Affondo il mio
dolore in lei lasciando che quella parte di me, così frustata e
dedita all’odio trovi una via d’uscita. Ha gli occhi chiusi
Nami, posso sentire i suoi denti affondare nel palmo della mia mano. Ho
sempre sopportato bene il dolore. Nemmeno quando mi sono mutilato da
solo le gambe ho sentito quel dolore atroce che tutti dicevano. Non
sento i suoi denti, sento il suo calore però.
Affondo in lei e mi perdo. La rabbia sparisce ad ogni affondo che
faccio. Non è di sicuro vergine, ma questo già lo sapevo.
Una donna, perché non è di certo una ragazzina, nemmeno
all’inizio del nostro viaggio non ho mai creduto che fosse una
semplice ragazzina. Però, quel calore che sento avvolgermi, come
la nebbia avvolge un’isola, è inebriante. Le bacio il
collo mentre i nostri corpi, o per meglio dire, il mio corpo continua a
muoversi. Le lascio libere le labbra, è un riflesso
incondizionato il mio. Potrebbe urlare. La gonna, quel piccolo pezzo di
stoffa le sale fino all’ombelico. Mi morde la spalla sinistra e
mentre vengo, soffocando un lamento nell’incavo del suo collo, la
sento. Sento le sue unghie lacerarmi la pelle della schiena.
* * *
La notte è calma, la notte è piatta. La schiena brucia
appena, laddove Nami mi ha graffiato, ma sinceramente poco mi importa.
Potrebbe bruciarmi l’animo, il mio stesso corpo potrebbe
bruciare, ma non mi importerebbe. Appoggiato al letto tengo la testa
tra le mani. Se non avessi dimenticato come si fa a piangere,
piangerei. Fisso le tavole di legno della nave, fisso il nulla, fisso
la mia casa o almeno quella che dovrebbe essere la mia casa. Ora non
credo di essere più consono ad abitare dentro questa nave. Non
ho più nemmeno una casa adesso.
Affondo il viso nelle mani. Mai, mai ho approfittato di una qualsiasi
persona. Ho un onore da difendere, un orgoglio smisurato, una morale di
ferro. Forse non sono quella persona che credevo di essere.
L’aria è diventata irrespirabile in questa stanza. I letti
di Sanji e Franky sono intatti. Il mio invece…quando arrivo a
serrare la maniglia della porta tra la mano mi volto, mi volto e guardo
il mio letto. Le lenzuola stropicciate avvolgono un corpo da donna.
Me ne vado.
Capitolo V: Biancheria e cestiAVVISO: questa
storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto
riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per
un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e
consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo V: Biancheria e cesti
“Zoro, guarda.”
Rufy è un casinaro di natura. Solo perché uno stupido
pesciolino più piccolo del suo pugno ha abboccato al suo amo,
lui esulta. Mi sforzo di rispondere al suo sorriso solare, non mi esce
poi un così gran risultato. Ma non se ne cura. È abituato
a queste mie espressioni vaghe. Anche se è più abituato
alle mie urla o ai miei sbuffi.
“Ne pescheremo ancora.” Lo urla travolgendo nella sua
felicità anche Usop e Chopper. Gli unici che gli diano un
po’ di spago. Nemmeno Franky è così scemo da
seguirlo.
Non sono l’unico, però, a cui lui ha chiesto un giudizio.
Nami è ferma a scrutare il log pose. Non ha ascoltato Rufy
quando lui l’ha chiamata. Troppo assorta dal suo compito forse,
oppure troppo presa dall’ignorarmi. Eppure..
“Sempre a poltrire tu.” Ringhio una mezza bestemmia verso
Sanji. L’ho sempre detto, quel cuoco da strapazzo non azzecca mai
il momento opportuno. “Potresti fare qualcosa.”
Lo liquido velocemente. Chiudo gli occhi tornando al mio relax totale.
Dormire mi è sempre piaciuto, anche se ora, non ho più
bisogno di fingere.
“Ma mi ascolti?” L’urlo del cuoco mi giunge allo
stesso tempo di quel cesto di vimini che mi coglie impreparato.
Imprecante lo fulmino. Diamine, il naso sembra essersi rotto in quell’impatto. “Che cavolo vuoi?”
“Aiutami. Muoviti.” Di solito, ad un ordine del genere, lo
avrei mandato a quel paese, eppure, seppur sbuffante come un toro mi
alzo. Raccatto il cesto e mi avvio al suo seguito.
“Perché?” Domando semplicemente tanto per fargli saltare i nervi.
“Nami ha detto che nel pomeriggio pioverà.”
Più o meno dice le stesse cose che ha già detto Nami.
Nonostante io dormissi, ho ascoltato e lei non mi ha punito.
Non la trovo. Mentre aiuto Sanji a ritirare la nostra biancheria, che
lui prontamente ha lavato, mi volto verso il punto dove era la nostra
navigatrice. Il punto è vuoto. Di lei non ci sono tracce. Uno
dei nostri indumenti mi giunge quasi addosso. Cavolo, lo afferro al
volo mentre mi accorgo che anche i tre casinaro mancano
all’appello. Nonostante non piova ancora, siamo gli unici a farsi
vedere sul ponte. Sono solo con Sanji e la cosa, per la prima volta,
non mi piace.
“Che hai combinato?” Ecco. Si parla del diavolo…
“Niente.” Non mi occorre chiedergli di cosa stia parlando.
In queste due settimane io e Nami abbiamo fatto a gara. Il gioco
‘vediamo chi si ignora di più’ non è passato
inosservato. Tutti hanno avuto modo di accorgersi di questo nostro
schivarci. I nostri posti a sedere, per i pasti, sono cambiati.
Dall’essere seduti accanto, come sempre, lei è andata a
sedersi dalla parte opposta, nell’angolo più lontano tra
Usop e Rufy a capotavola. Nessuno ha detto nulla, niente domande,
battute o altro.
Anche durante il resto della giornata ci schiviamo il più
possibile, siamo sempre in due luoghi diversi e se per sbaglio ci
incrociamo uno di noi cambia velocemente direzione. Ah no, quello sono
solo io. Quello che è successo mi grava addosso come la spada di
Damocle. Ho perso me stesso. Sto sbagliando, questo non sono io, non mi
riconosco più. Questa è la cosa peggiore.
“Non dire stupidaggini.” Mi rimprovera bonariamente, ma la
molletta che mi colpisce in testa mi fa intuire quanto lui sia
preoccupato.
“Uno dei nostri soliti litigi.” Quasi mi scoppia da ridere.
Sto mentendo e non è la paura che Sanji scopra tutto e quindi
metta davvero in atto un suo piano per massacrarmi, mi farei massacrare
volentieri, ma non voglio che lo venga a saper, né lui né
gli altri. Non credo che Nami lo voglia far sapere, altrimenti sarei
già stato evirato da un bel po’.
“Deve essere stato un litigio coi fiocchi allora.” Mi
canzona divertito. Sbuffo ignorandolo. So che si riferisce al fatto che
io e lei, a tavola, siamo seduti ai due lati opposti. Cosa alquanto
strana, non è mai successo in tutto questo tempo, mai.
“Dai sul serio, che hai combinato?” Il pensiero di
rovesciargli il cesto di vimini, pieno della nostra biancheria pulita,
sulla testa è forte. Tremendamente forte. Mi limito a fulminarlo
con gli occhi. Lui sorride sarcastico.
“Nulla.” Non mi crede. La sua espressione scettica al
massimo lo dimostra. Dannazione. Lo odio quando fa così.
“E finiscila di rompere l’anima.” È snervante
il ragazzo. Più snervante del solito, quasi quasi lo preferisco
quando mi urla contro.
“Chi io?” Mi rimangio tutto. Lo preferisco quando urla, assolutamente.
“No, la fata turchina.” Gli mollo il cesto in mano, lo afferra sorridendo ebete.
“Ah, ecco chi.” Mi sta prendendo in giro? Lo fisso male e mi ridà la cesta tra le braccia.
Non ho mai voluto un fratello, non ho mai avuto un fratello. Questo
pensiero non mi è mai passato per la testa, ma al momento mi
sembra di averne uno. Acquisito con la forza, certo, ma mi sembra di
averne uno. Continuiamo come dei cretini a scambiarci il cesto. Meglio
questo che le nostre solite battaglie.
Ho sempre pensato che Sanji fosse snervante. Mi sbagliavo, lo siamo
entrambi. Quando ci ritroviamo entrambi col cesto tra le mani ci
blocchiamo. La scena è così scema che ci mettiamo a
ridere entrambi e molto gentilmente ci diamo degli stupidi a vicenda.
In fondo, non è poi così male averlo come fratello.
“Allora?” È il primo a parlare non appena le
convulsioni sono finite. Torna su quel discorso che avevamo iniziato
prima ma che era rimasto irrisolto. Insistente, snervante. In poche
parole, Sanji. Ecco qua che torna a rompere. Il nostro caro cuoco non
ha ancora capito che non voglio parlarne. Mi riprendo il cesto
lasciandogli le mani vuote.
“Cosa?” Se ne parlassi con lui, perderei completamente la
sua fiducia. È l’ultima cosa che ora mi serve, ho
già perso la fiducia in me stesso. È solo colpa mia se
tutto questo è accaduto, credevo d’aver perso fiducia in
Rufy, invece ho perso fiducia in me stesso. Nonostante io sia diventato
il miglior spadaccino al mondo, non ho più fiducia nelle mie
capacità ora. E l’imminente separazione non aiuta.
“Certo che sei stupido.” Mi strappa il cesto lanciandomi
uno sguardo di sfida. “O forse hai combinato qualcosa di grosso e
ora hai paura di parlarne.” Il sorriso strafottente che gli
delinea le labbra lo conosco troppo bene. Lo sfodera ogni qualvolta
vuole farmi sputare il rospo. Di solito gli riesce molto bene questo
giochetto, mi fa arrabbiare e io come un pollo ci casco. Questo giro
però, mi mordo la lingua. Mi riprendo il cesto e lo lascio di
stucco.
“Tu fai troppi viaggi con quella testa bacata che ti ritrovi.
Abbiamo avuto uno dei nostri soliti litigi.” E mi guarda come un
pesce lesso. Boccheggia addirittura. Mi dispiace caro detective. Non
sono poi così scemo come credevi.
“Sanji sei ancora fuori? Vieni dentro che sta per piovere.”
Nami si avvicina a noi, è sorridente. Pensava di trovare solo il
cuoco, non si aspettava di certo di trovare anche me. Ma non appena mi
vede il suo sorriso va a farsi benedire come del resto la mia forza di
volontà assieme alla mia capacità di intendere e di
volere. È stato solo per un istante, i miei occhi hanno
incrociato i suoi, poi ha distolto lo sguardo andandosene. “Sanji
dai muoviti.”
Non sono riuscito a capire cosa le passasse per la testa. Nonostante
fossi sempre riuscito a leggere nei suoi occhi i suoi pensieri, questa
volta non ci sono riuscito. Ma deve avercela a morte con me.
“Per fortuna era un banale litigio.” Guardo ancora il punto
dove Nami è sparita, ma non mi sfugge il tono sarcastico che ha
usato Sanji. Mi batte una mano sulla spalla e mi sfila il cesto dalle
mani. “Vedi di rimettere le cose a posto il prima
possibile.”
Ha ragione lui, devo mettere a posto le cose prima dell’arrivo nell’east blue.
Questa volta, quello stupido cuoco, ha vinto.
Capitolo VI
AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a
che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per
un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e
consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo VI: Ti voglio bene
Come un idiota sto lasciando scorrere il tempo. Domani saremo nell’Est Blue, quel mare che è casa nostra.
Franky ha già lasciato la nave. Due giorni fa ha lasciato la
nostra casa scendendo sull’ultima isola che abbiamo passato.
Vuole tornare a Water Seven, vuole tornare dal suo maestro, o almeno,
nella patria del suo maestro.
Ed ora siamo in sette.
Tra due giorni la ciurma comincerà a dividersi. Ognuno
tornerà alla propria isola, ognuno tornerà alla propria
vita tranne Chopper. Il nostro medico ha deciso che per il momento si
fermerà all’isola di Usop. Sono gli unici che non si
separeranno. Anche Robin al momento è ancora assieme a noi, ma
il suo è un altro discorso. C’è un luogo, in quel
mare che vuole visitare. Nell’Est Blue, come in tutti gli altri
tre mari, si nasconde un Poinge Griffe. Lo cercherà, per questo
è ancora con noi. Ci accompagnerà a casa e la nave
rimarrà a lei al momento. Rufy ha promesso che un giorno
torneremo a navigare assieme.
Sinceramente non so se crederci.
Però, ormai è vicino il tempo della separazione ed io non
sono ancora riuscito a parlare con Nami. Diavolo, un mese, è
passato un mese da quella notte e non sono ancora riuscito a trovare un
briciolo di coraggio.
Potevo bussare alla sua porta quando volevo, tanto lei ha una camera
tutta sua –la bellezza dell’avere una nave enorme-,
però non ci sono mai riuscito. Per quanto ci abbia provato, mi
sono sempre bloccato.
Domani sarà l’ultimo giorno, poi cominceremo a disperderci.
* * *
La cena è stata più chiassosa del solito e la festa che
ne è seguita è stata esilarante, o per meglio dire per me
è stata una pugnalata. Rufy, Usop e Chopper hanno esagerato e
come al solito è toccato a me ed a Sanji l’ingrato compito
di trascinarli a letto. Domani avranno un mal di testa atroce.
Non sono io quello a dover star sveglio stanotte. Robin e Sanji faranno
il turno di notte ed io potrò finalmente riposare.
Dormirò nel letto di Franky stanotte. Da quella notte non sono
più riuscito a dormire nel mio di letto. Nonostante Sanji abbia
lavato più volte le lenzuola, non sono mai riuscito ad
avvicinarmi a quel letto.
“Robin-chan, vado a preparare un po’ di
caffè.” Sanji, gli occhi a cuore –ancora mi chiedo
come cavolo ci riesca-, si dirige di corsa verso la cucina. In tutto
questo tempo non è mai cambiato.
“Buona serata.” Auguro a Robin la buona notte. Avrà
il suo bel da fare per tenere a bada quel cuoco da strapazzo.
“Spadaccino…” Mi blocco. “Spero farai buon uso di questa notte.” Se ne va lasciandomi solo.
Il suo è un chiaro invito. Tutti si sono accorti dell’aria
tesa che si è creata tra me e Nami. Nelle prime due settimane mi
ha quasi fatto comodo il non parlarle, ma ora, queste ultime due
settimane non mi sono poi andate così a genio.
Avanzo chiudendomi la porta che si affaccia sul ponte alle spalle. Ora
ho due possibilità, proseguire fino alla mia stanza e
barricarmici dentro, oppure fermarmi prima. La sua stanza è due
porte prima della mia, sulla sinistra.
Se mi fermassi dovrei bussare a quella porta e poi trovare il coraggio
per scusarmi. Non so cosa sia peggio, se il dovermi scusare o trovare
il coraggio per fare tutto questo. Poi, potrei andarmene in camera mia,
fare finta di nulla e stop.
La soluzione più comoda? No, la più semplice.
Però, domani è un altro giorno, così dicono tutti.
Ma domani non è un altro giorno, domani è il giorno. E se
non riesco a fare questa cosa questa notte, non ne avrò
più l’opportunità.
Quindi…la soluzione diventa irrimediabilmente una.
Trovare il coraggio per fare tutto questo è la priorità.
Non so se ne sarei in grado. Chiedere scusa non è da me, ma
neppure quello che ho fatto è da me. Ho fatto una cavolata,
anzi, stronzata è il termine migliore. Mai mi sarei permesso di
alzare anche solo le mani su di una donna, poi su Nami era ancora
più impensabile.ripensando a quello che ho fatto mi sembra
impossibile.
Ancora una volta la mia scelta si divide in due strade: bussare ed
aspettare che Nami mi risponda ed ancor di più che mi stia ad
ascoltare, oppure, potrei entrare con la forza. Nami nell’ultimo
mese chiude a chiave la porta della sua stanza e questo significherebbe
doverla buttare giù per poterle parlare, che equivalerebbe ad
attirare l’attenzione di tutta la ciurma. Scardinare una porta
è alquanto rumoroso.
Prendere il coraggio a due mani.
Me lo ripeto più volte e busso. Busso alla sua porta e mi viene
da ridere. Di sicuro mi riconoscerà al volo, sono l’unico
a bussare così energicamente, non mi aprirà mai.
Farà finta di dormire o forse starà davvero dormendo. Mi
sbaglio. Sento la serratura scattare e la maniglia abbassarsi. Non
posso lasciarmi scappare questa opportunità, è
l’unica che ho. Il suo volto mi appare un po’ per volta
mentre apre la porta, non appena si accorge che sono io la richiude, o
almeno ci prova. I miei riflessi sono più lesti dei miei
pensieri.
Frappongo il piede tra la porta e lo stipite, posso sentire la
pressione che Nami tenta di esercitare col suo corpo, una debole
pressione. Una spallata, o per meglio dire mi appoggio appena alla
porta e spingo, mi ritrovo dentro la sua stanza in pochi secondi.
Chiudo velocemente la porta alle mie spalle, non voglio intrusioni di
alcun tipo, e mentre sento la serratura scattare i passi di Nami
giungono alle mie orecchie. È indietreggiata e non la biasimo.
L’ultima volta che io e lei siamo rimasti soli non è stata
una grande idea. Ma il suo sguardo è determinato, impugna uno
dei suoi strumenti come un’arma. Non ha nemmeno un quarto della
potenza di un semplice bastone, eppure ora per lei è
l’unica ancora di salvezza. Me ne rimango immobile davanti alla
porta. Non riesco a guardarla negli occhi.
“Nami..” mi avvicino di un passo e lei arretra di tre. Non
mi ci vorrebbe molto per raggiungerla, gli uomini hanno le gambe
più lunghe ed io sono veloce. Mi fermo dopo appena un altro
passo e la distanza tra noi aumenta ancora un po’. Quella cosa
che Nami mi punta addosso è ancora lì, e posso vedere le
sue nocche sbiancare dalla pressione che esercita su di essa.
“Vattene.” È un ordine quello che ricevo. Vuole che
me ne vada, ma non posso, non voglio andarmene. Se me ne andassi
significherebbe che sono stato sconfitto, ma ancor di più
significa che non riuscirò mai più a farmi perdonare e
perderò un’amica. Una delle poche persone che in tutta la
mia vita mi è stata vicina e che, soprattutto, mi ha sempre
capito.
“Non doveva andare così.” Non è esattamente
la migliore frase di scusa esistente al mondo. Non sono uno che chiede
perdono. Non sono abituato a farlo, neppure adesso, neppure in questa
occasione riesco a sbloccarmi. Ho ripreso un po’ di fiducia in me
stesso, ma non mi è d’aiuto. In questo istante non mi
serve a niente.
“Già. Ma è stato comodo, no?” il suo tono
sarcastico mi ferisce più di quelle parole velenose che mi sputa
addosso. E fanno male. “Com’è stato? È
semplice no?! Se non si può avere qualcosa basta usare la forza.
Usate quella e tutto è automaticamente tuo, come se bastasse
solo quello.”
fanno dannatamente male le sue parole. Incasso il colpo e me ne sto
zitto. Meriterei di peggio. Forse, se mi consegnassi spontaneamente a
Sanji riceverei la giusta punizione. O forse, la colpa che sento
è la giusta punizione per tutto quello che è accaduto in
questo periodo. Se Rufy sapesse di questo mi odierebbe. Tutti i
componenti della sua ciurma sono intoccabili, ma Robin e soprattutto
Nami, lo sono ancora di più. Ma se sapesse che è stata la
sua decisione a decretare tutto questo, cosa farebbe?
“Non…non volevo.” Rufy non ha colpa. Nessuno mi ha
costretto a comportarmi così. Realizzato il mio sogno potevo
benissimo tornarmene alla mia vita. Ma la mia vita, la vita reale
è iniziata quando ho incontrato Rufy. In questi ultimi otto anni
ho vissuto la mia vita grazie a Rufy. Lui non ha colpa, solo io sono il
fautore del mio destino. “Non era quello che volevo. Non volevo
farti del male.”
“Ah no?” Mi fissa con uno sguardo così tagliente che
ferisce più di quelle tre lame appese al mio fianco.
“No.” Lo ribadisco. Lo esterno a parole e lo sento dentro.
Non volevo tutto questo. Non doveva succedere ma è accaduto e la
cosa fa più male a me che a lei. “Ho sbagliato. Non dovevo
farlo, non dovevo azzardarmi a fare una cosa così simile. Non
è da me e mai mi sarei permesso. Solo…” È
così difficile dirlo, esternare le mie paure è una cosa
così insolita per me. Se gli altri capivano ciò che si
agitava in me, quello che pensavo, bene. Ma non sono, esattamente, uno
specchio. Se mi guarda un occhio estraneo non riuscirebbe mai a capire
quello che mi accade, le battaglie che il mio spirito affronta. Per
loro sono Roronoa Zoro, lo spadaccino più forte al mondo, colui
che ha sconfitto Mihawk e non un essere umano. Per gli altri sono solo
questo. “Ho sbagliato.” Abbasso lo sguardo ammettendo la
verità. Io ho fatto lo sbaglio, ma è lei a subirne le
conseguenze. Serro i pugni, gli occhi chiusi. Mi aspetto da un momento
all’altro una parola, una frase tipo ‘no, non ti
scuso’ ma non è questa la reazione che mi aspettavo.
Le sue esili braccia mi avvolgono. Il calore del suo esile corpo si
unisce al mio. Non capisco il perché, ma il suo calore mi
avvolge. Non ho mai ricevuto un abbraccio di questo genere. Non
è pietà, la odierei se provasse questo per me, ma sembra
amicizia, quell’amicizia vera, il simbolo di Rufy. Non il simbolo
visivo, quello è il cappello, parlo del simbolo morale.
L’amicizia, pura nella sua semplicità, quello è il
simbolo, l’amicizia è il reale significato di questa
ciurma. Rufy ha iniziato questo viaggio, non per viaggiare con persone
sconosciute, voleva una ciurma di veri amici. Per lui questa è
la cosa più importante, l’amicizia, nonostante nessuno di
noi sappia nulla sugli altri. O almeno, non sanno nulla su di me, lo
stesso Rufy non mi ha mai chiesto nulla.
Vorrei, dovrei parlare, dirle qualcosa, ma so che qualunque cosa
dirò rovinerà tutto. Me ne sto zitto, ricambio la sua
stretta ed appoggio il volto sul suo capo. Il suo profumo mi inebria i
sensi. Non trema, non ha paura di me, di quello che potrei farle
ancora. Questa cosa un po’ mi consola.
Credo che stanotte riuscirò a dormire.
Capitolo 8 *** Capitolo VII: La patria del nulla ***
Capitolo VII La patria del nullaAVVISO: questa storia è
una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi,
e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda.
Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Capitolo VII: La patria del nulla
“Ehilà Zoro.” “Buongiorno Zoro.” “Come andiamo Roronoa?”
Ovunque io mi volti, qualunque persona incroci sul mio cammino, mi
saluta. Nel senso che mi saluta con un sorriso, un cenno del capo e a
volte mi ritrovo sommerso da amichevoli pacche sulle spalle.
Non ci sono abituato.
Fino a qualche tempo fa le persone che incrociavano il mio cammino o
non mi badavano, oppure, terrorizzate, scappavano vedendo davanti a
loro Roronoa Zoro il ricercato, l’ex cacciatore di pirati. Certo,
ora ho un nuovo titolo, miglior spadaccino del mondo, compagno del re
dei pirati.
Non dovrei incutere più paura ora? Le persone non dovrebbero tremare solo al pronunciare del mio nome?
Sembra proprio di no.
Qui, in questo piccolo villaggio, in un’altrettanto piccola isola
dell’East Blue, vengo considerato una sorta di celebrità.
Non so se esserne fiero, ma a volte i loro gesti mi fanno sentire a
casa, come se non fossi mai sceso dalla nave. Certo, più che
saluti gioiosi su di quella imbarcazione ricevevo pugni, insulti e
calci, ma non è poi tanto male nemmeno ora.
O no?
Alle volte però mi chiedo se mi saluterebbero ancora
così, con tutti questi sorrisi, se sapessero cosa mi passi per
la testa, o cosa abbia combinato su di quella nave.
“Oh, eccoti.” Una sberla mi arriva sulla nuca. “Ti sei perso di nuovo?”
Non c’è bisogno che mi volti, saprei riconoscerla anche
senza sentirla parlare. Ma mi giro fulminandola con lo sguardo. E lei
mi sorride sarcastica, sbuffa alzando gli occhi al cielo terso, le mani
poste sui fianchi.
“Sei tu quella che è sparita nel nulla.” Provo una
debole protesta sapendo bene che tanto sarà lei ad avere
l’ultima parola, come sempre del resto. Ed infatti mi osserva
scettica, un sopracciglio levato verso l’alto. Non occorre che
parli e non ne ha nemmeno la possibilità.
“Dai Nami, lascialo in pace per una volta.” Nojiko la riprende bonariamente.
Sono diverse tra loro eppure qualcosa le accomuna.
“Ma se si perde anche in casa.”
Vorrei ribattere ma non ne ho la possibilità. Quella strega mi
ha affidato l’ennesima sporta e veloce si sta allontanando.
Nojiko ride alzando le spalle divertita. A lei piacciono questi nostri
siparietti comici, posso intuirlo da come si fa attenta ogni qual volta
io e Nami cominciamo a battibeccare e sono più che sicuro che
non sia l’unica a pensarlo.
Silenzioso mi avvio dietro alle due sorelle. Se dovessi perdermi ancora credo proprio che Nami mi ucciderebbe.
* * *
La serata è piacevole.
Il clima di quest’isola è davvero una piccola manna dal
cielo. Dopo aver affrontato l’atmosfera così strana e
surreale che regna nella Grand Line, un piccolo fuori programma,
provvisto di sole ed aria fresca, è quello che ci vuole.
Erano otto anni che non mettevo piede in questo villaggio. Non che
prima ci venissi così spesso, anzi c’ero stato una sola
volta e non era di certo un’occasione felice. Ma credo che chi
sia stato più felice di rivedere questo piccolo isolotto e le
persone che lo abitano sia stata Nami.
Credo sia bello tornare alla propria isola, rivedere le persone che
hanno segnato la tua vita, rivedere semplicemente la propria terra.
Io non so più quale sia la mia patria.
Credevo fosse quella nave che per anni ci ha ospitato, ma mi sono
sbagliato. Tornare alla mia isola? Non so nemmeno dove possa essere,
non sono mai stato bravo con le direzioni e poi, a cosa servirebbe
tornare? Sono diventato lo spadaccino più forte del mondo, ha
mantenuto la mia promessa, ma in realtà mi sento tutto tranne il
migliore.
“Credevo stessi dormendo.” Nami si avvicina a me, sbadiglia rumorosamente.
Ancora adesso, nonostante siano passati due mesi dalla notte in cui io
e lei abbiamo chiarito, non riesco a dormire, ma questa volta non
è solo il senso di colpa ad impedirmelo, una sensazione strana
mi attanaglia lo stomaco, come se mi stessi dimenticando di qualcosa.
“Si sta bene qua fuori.” Rispondo con una frase già
sentita, di quelle preconfezionate. Ma non è del tutto una
bugia, mi piace davvero il mite clima di quest’isola e qui, sotto
al piccolo portico di legno della casa di Nami, il vento arriva
piacevole trascinando con se l’odore dolciastro degli agrumi.
La osservo con la coda dell’occhio sedersi accanto a me. La
leggera maglia che indossa è troppo grande per lei. Mi accorgo
solo ora che quella è una mia maglia.
“Ti sta bene.” La canzono stuzzicandola appena.
“Meglio a me che a te.” Impudente e sfacciata. Come sempre
è lei ad avere l’ultima parola. Non posso che esserne
contento, anche se la sensazione che non mi abbia completamente
perdonato sia forte.
Quando un mese fa mi ha chiesto dove fosse la mia isola ho
semplicemente alzato le spalle in un’espressione di puro
menefreghismo. Ma non sono riuscito ad incantarla ed una settimana dopo
mi sono ritrovato a scendere con lei.
Il motivo? Non l’ho capito.
So solo che per mia fortuna, o forse solo per grazia verso le mie
costole, a bordo della nave oltre a noi due c’erano solo Rufy e
Robin.
“Allora?”
La domanda mi coglie impreparato, o forse mi sono perso qualche pezzo. “Cosa?”
Sbuffa infastidita mollandomi un pugno. “Che hai deciso?”
Massaggio la spalla contusa imprecando sonoramente e capisco il
significato di quella frase.
Per un colpo di genio, o forse solo perché il fato si vuole
burlare del sottoscritto, ho ricordato il nome del mio paese natale. A
Nami è bastato molto poco per individuare la mia isola, in fin
dei conti è lei il miglior navigatore, anche perché
altrimenti Rufy non l’avrebbe scelta. Ma ora, devo decidere
quando partire, perché tutti vogliono tornare alla propria
isola, dalla loro famiglia.
Tutti, tranne il sottoscritto.
“Certo, se ti lascio andare da solo col cavolo che ci
arrivi.” Mi canzona divertita. “Quindi credo che ti
accompagnerò, almeno so dove finirai, se ti lasciassi partire
credo che saremmo in grado di ripescarti nella Grand Line.”
Sorride sarcastica ed io non posso fare a meno di fulminarla con lo
sguardo, ma lascio cadere il discorso. Non ho voglia di litigare, o
forse non voglio semplicemente pensarci.
“Molto magnanima.” È palesemente delusa la sua espressione. Mi dispiace Nami, ma questa volta ho vinto io.
La guardo alzarsi mentre una nuova ventata d’aria fresca mi
sbatte in faccia il profumo pungente di Nami misto a quello della
maglia che indossa, il mio.
“Ah…” La sua voce mi giunge alle orecchie, non posso
fare a meno di voltarmi verso la sua figura. “Questo ti
costerà parecchio.” Rientra in casa lasciandomi come uno
scemo fuori a fissare il punto in cui è sparita.
“Strega.”
Mi sono sbagliato.
Ha vinto ancora una volta lei.
AVVISO: questa storia è una sorta
di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il
trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche
e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del
personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti
o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo
sensibili o puri, non è adatta a voi.
I personaggi di OnePiece
non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere
personale. N.B. Si lo so, avevo deciso di non scrivere più su OP, ma lasciare
questa storia incompleta rode. Per cui torno a postare un nuovo capitolo, per la
gioia di qualcuno. Non so però se ritornerò a scrivere altre storie su OP,
magari sì, magari no.
La Sabbia
della Clessidra
Capitolo VIII: Respirare
Piove.
Un ricordo, seppellito nel mio animo, mi torna alla mente. Torna a galla e non
se ne va, non vuole lasciarmi in pace ed io rimango immobile a lasciarmi
travolgere. Annego in questo ricordo dal gusto amaro come una zattera affonda
in una tempesta.
Anche quel giorno pioveva.
Quando il mio sensei mi disse di Quina pioveva a dirotto ed io verso nelle
stesse condizioni di allora. Bagnato, la maglia appiccicata alla pelle, i
vestiti zuppi ed il cielo scuro. Non ci sono stelle questa sera, non c’è la
luna e l’unica luce che mi illumina è quella dei fulmini.
Ricordo di aver pianto mentre chiedevo la sua spada, ricordo anche che non
volevo crederci all’inizio. Mi sembrava tutto un incubo.
La realtà assomiglia ad un sogno terrificante.
Ho davvero mantenuto la promessa Quina?
Lo spadaccino più forte del mondo. Lo sono diventato davvero e dovrei essere
fiero, dovrei sentirmi bene, ma mi sento solamente sprofondare nel nulla.
Non riesco ancora a vederla, il fantasma di Quina mi ha abbandonato. Non posso
di certo biasimarla, nemmeno io se potessi mi rimarrei accanto.
*
* *
La palestra del sensei non è cambiata. Mi chiedo se ancora adesso faccia pulire
il pavimento ai poveri allievi. Io c’ho sputato sangue su questi pavimenti per
pulirli.
Ho lasciato quest’isola a diciassette anni per seguire un sogno, ci sono
tornato dopo più di dieci ma non come vincitore.
Il sensei non è cambiato per niente, è solo invecchiato, ma il suo animo è
sempre lo stesso. Ci ha accolti in casa sua come se fossimo qui tutti i giorni.
Ne sono sicuro, ha capito che qualcosa mi turba nel profondo ma non ha fatto
domande.
Ad ogni passo che faccio gocciolo acqua sul legno.
La casa è buia eppure quando entro nella stanza Nami è lì che mi aspetta. Non
parla, si limita a gettarmi un asciugamano sul capo ed in pochi istanti mi
ritrovo le sue mani addosso, mi asciuga la testa e la lascio fare.
“È la figlia del mio sensei.” Mi ritrovo a snocciolare così, su due piedi,
quello che non ho mai detto a nessuno in vita mia. “Quina aveva due anni più di
me e anche lei si allenava qui.” Nemmeno Jhonny e Yosuako conoscono questa storia.
Nami continua a strofinare l’asciugamano sui miei capelli anche se non ce n’è
più bisogno. Ormai sono asciutti, ma non accenna a toglierlo. Meglio così.
“È sempre stata più brava di me.” Sorrido ricordando tutte le volte che mi ha
sconfitto. Sì, Quina era più forte di me. “Per quanto ci provassi non sono mai
riuscito a batterla…” Mi manca la voce. “Non potrò
mai batterla.”
Ha fermato le mani ma non accenna a spostarle. Stringo i pugni in una
morsa ferrea, nemmeno quando uso le mie spade serro così forte i pugni, sento
le dita formicolare e qualcosa mi pizzica gli occhi.
Ricordo ancora il giorno della promessa, ricordo le sue lacrime, ricordo la sua
confessione e ricordo la rabbia che mi aveva invaso. Mi ero sentito preso
in giro, ma ero solo un bambino. Il mondo all’epoca mi sembrava trasparente,
prima bianco, poi nero. All’epoca non ero in grado di vederne i colori.
Ora mi sento solo uno stupido.
“È morta prima che potessi riuscire a batterla.” Quina è morta prima che
potessi capire il significato delle sue parole.
Il giorno prima c’era, il giorno dopo giaceva col volto coperto da un panno bianco…morta.
“È a lei che hai fatto quella promessa?” Apro gli occhi di scatto, qualcosa di
bagnato scivola lungo il mio volto ancora coperto. “È a lei che hai promesso di
diventare lo spadaccino più forte del mondo?”
Non ho la forza di rispondere. La voce di Nami è carezzevole e dolce, è come un
balsamo per il mio animo. Qualcosa di bagnato ancora solca il mio viso,
ripercorre il tragitto già segnato prima dalla sua gemella e muore nel cotone
dell’asciugamano.
Le sue mani scivolano leggere lungo il profilo del mio viso, ancora coperto,
fino a posarsi sulle mie spalle. È sempre stata brava a capirmi
Nami, mi ha sempre compreso e mi è sempre rimasta accanto.
Mi lascio avvolgere dal suo calore e l’asciugamano scivola via dal mio viso,
atterra con un leggero tonfo sul legno del pavimento.
La stringo a me ed ho paura di farle male, ma non si allontana. Sento le sue
braccia stringersi di più attorno alle mie spalle. Affondo il volto tra i suoi
capelli e tremo appena. Con stupore mi accorgo di stare piangendo. Non credevo
di esserne ancora in grado, ma il sapore salato delle lacrime mi bagna le
labbra e non mi lascia alcun dubbio.
La mia clessidra ha smesso di gocciolare sabbia. Sembra impossibile ma quei
pochi granelli che ancora mancano per svuotare completamente la metà superiore
non scendono, rimangono sospesi.
In questo momento mi sento meglio.
Capitolo XI: CicatriciAVVISO: questa storia è
una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi,
e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda.
Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
N.B.: Premetto che non sono
morta anche se può sembrare il contrario. Purtroppo impegni mi
tengono distante dal mondo dello scrivere, impegni che si dovrebbero
risolvere entro un mesetto circa (giorno più, giorno meno).
Il capitolo è dedicato a Rolo che continua a spronarmi a
continuare a scrivere, anche se sono delle minacce più che altro
:P
La Sabbia della Clessidra
Capitolo IX: Cicatrici
Se chiudo gli occhi riesco quasi a sentire l’odore pungente del mare.
A volte ho come l’impressione di non essere mai sceso dalla
Sunny, anche se qui, nulla si muove. Lì, in mezzo al mare blu,
tutto si muoveva ed il legno a volte scricchiolava.
C’era uno scalino che scricchiolava. Ho sempre dimenticato di farlo presente a Franky.
Ma qui, ora, è tutto completamente diverso.
C’è silenzio, e calma, e tranquillità. Non mi ci
sono ancora abituato, troppo poco tempo è passato, eppure ormai
sono ben sei i mesi trascorsi da quel giorno. Il giorno in cui scesi da
quella nave dalla buffa polena.
Forse è trascorso troppo tempo.
Forse ne è trascorso troppo poco.
Per me.
“Ehi…” Alzo a malapena il capo. So già chi
è. Nami mi si avvicina a piedi scalzi, silenziosa. Strano,
lei non è mai silenziosa.
“Ehi.” Risuona incerta la mia voce nel buio di questa
stanza. Nami e Nojiko sono state così gentili da ridarmi la
stessa stanza che mi aveva ospitato prima di quel breve viaggio verso
la mia isola.
“Non l’hai aperta.” Non occorre che dica il soggetto, so già di cosa stia parlando.
Sulla piccola scrivania appoggiata alla parete c’è
qualcosa che non voglio vedere. È lì però, non ho
avuto il coraggio di aprirla, ma non ho nemmeno avuto il coraggio di
buttarla anche se il mio primo pensiero era proprio quello. Seguo
involontariamente la direzione dello sguardo di Nami. Incontro una
busta bianca stropicciata.
L’ho stretta così tanto forte nella mia mano da averla resa più un foglio accartocciato che una lettera.
Reazione inconsapevole la mia?
No.
Avrei voluto disintegrarla.
Un mio sospiro si alza nell’aria, si unisce al respiro profondo
di Nami. Senza accorgermene mi ritrovo a stringere una sua mano, come
se fosse un’ancora. Forse lo è davvero, forse lei è
l’unica cosa reale in questo momento, in questa stanza. Se lei
non fosse qui mi verrebbe da pensare che gli ultimi otto anni siano
stati solo un sogno, una bellissima chimera macchiata di sangue e
sudore. Di lacrime.
“Mi dispiace.” Lo sussurro così piano da credere che
non mi abbia sentito, ma Nami mi ha sentito. Lei mi ha sempre sentito,
anche quando ero io stesso a non volermi sentire. La sua mano tra la
mia è calda e liscia. La sua presa è forte ma con un
tocco leggero, così differente da quello a cui sono abituato. Se
ne rimane in silenzio, a due passi da me.
“Dovresti finirla…” Tentenna per un attimo ed il mio
fiato si congela in gola. “Dovresti smetterla di punirti.”
Scuoto il capo ed abbasso gli occhi fino ad incontrare le nostre mani
intrecciate. È così piccola in confronto alla mia, quasi
si confonde ed ho paura di farle del male, di stringere troppo. Gliene
ho già fatto fin troppo di male in questi anni.
“Zoro…” Si avvicina di un passo ed io mi ritrovo a
sciogliere la presa. Terrorizzato come uno stupido coniglio.
“Zoro.” Ripete ancora il mio nome si avvicina di un altro
passo. La distanza di un sospiro a dividerci. Annego nei suoi occhi e
la bacio, con le labbra, con la lingua. La bacio e non mi respinge.
“Mi dispiace.” Lo sussurro ancora sulle sue labbra e questa
volta è lei a baciarmi. La stringo a me con forza realizzando
all’improvviso la sua consistenza. Non è un sogno…
Indugio. Mi sento come uno stupido verginello. La paura di fare
qualcosa di sbagliato, di commettere ancora lo stesso errore è
enorme, come una voragine pronta ad inghiottirmi, mi sento
sull’orlo dell’abisso e sprofondo quando mi fissa. Gli
occhi appannati eppure vigili, e lì, nel fondo, la risposta che
cerco.
Le bacio ancora le labbra, glielo succhio fino a farla gemere ed entro nella sua bocca con dolcezza.
La pelle di Nami è liscia sotto le mie mani, ed è calda,
tenera. Un fuoco che mi brucia l’animo, ma è una tortura a
cui mai smetterei di pormi. Se è lei, il mio inferno, allora mi
immergerei per tutto il resto della mia vita, per
l’eternità.
Non c’è questa volta l’urgenza di un bisogno che non so spiegare.
Mi stacco di poco solo per poterle sfilare la mia maglietta. Sorrido
ancora nel pensare che sta meglio a lei che a me quella maglietta e
torno ad impossessarmi delle sue labbra al mandarino.
Lento ed estenuante forse, ma non ho alcuna fretta. Voglio vivere
questa esperienza con lucidità, non con la furia o la rabbia.
Nami mi asseconda, si muove in sincronia col mio corpo ed in pochi
passi ci ritroviamo accanto al letto. Ed è tutto naturale, come
se fossi nato per fare quello, come se fosse tutta la vita che aspetto
questo momento. Le mani che esplorano, le gambe che si intrecciano,
labbra che baciano, lasciano scie di fuoco impresse sulla pelle come
marchi che mai se ne andranno. Stampi di fuoco che alleviano un dolore
che risiede da troppo tempo dentro di me.
Tremo.
Mi bacia ancora non sazia e scivolo dentro di lei. Mi perdo ancora e mai perdita fu più dolce.
* * *
All’avventura.
Rufy lo ripeteva sempre, ogni isola che incrociavamo per lui era
un’avventura. Un’avventura finita. O almeno così
credevo.
La lettera riporta una promessa che non credevo avrebbe mantenuto.
Sta tornando a prenderci. Lo ha scritto ed è già in
viaggio verso le nostre isole. Vuole ricostruire la ciurma, la ciurma
di Cappello di Paglia. Non ho capito cosa stia cercando, cosa dovremmo
cercare, ma va bene così.
“Zoro…” Dal letto sfatto Nami mi fissa. Mi scollo
dalla finestra e torno verso di lei. La luce del sole non è
ancora sorta e le stelle fanno da padrone nel cielo.
“È ancora presto, dormi.” Mi rifugio nel mio porto
sicuro, torno sotto a quelle coperte ed il letto scricchiola appena
sotto al mio peso. Torna ad accoccolarsi contro di me rabbrividendo
appena, ma è solo un attimo. Le accarezzo con un dito un braccio
seguendone il profilo fino ad incrociare la cicatrice sulla sua spalla.
Chiudo gli occhi e la figura di Kuina mi raggiunge. Mi sorride ed io le sorrido.
Una cicatrice sul mio cuore si sta rimarginando.
EpilogoAVVISO: questa storia è
una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi,
e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda.
Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i
pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune
situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi
avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è
adatta a voi.
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
La Sabbia della Clessidra
Epilogo
“Sì, andiamo all’avventura.”
“Rufy, non fare cose avventate…ma dove vai?”
Rufy urla, Nami lo sgrida.
Mi scappa un sorriso nonostante tutto. Credevo che mai più avrei
vissuto queste scene, che mai più avrei potuto vedere tutti
loro, insieme ancora una volta.
“Ehi, marimo.” Sanji. Scuoto appena il capo ma sorrido
ancora, mi suona strano dirlo, ma mi è mancato anche lui.
L’unico che in tutta questa storia ha cercato, anche se con
metodi poco ortodossi e che a me non dispiacciono, di dare una mano nel
suo piccolo.
“Che vuoi sopracciglio a ricciolo?” Litigare è il
mio motto del giorno, una bella scazzottata come ai bei vecchi tempi.
Ma non mi da corda.
Mi fissa così intensamente da crearmi disagio.
Da quando siamo tornati a solcare il mare, tre settimane ormai, lo
trovo spesso a scrutare pensieroso il nulla davanti a lui, come se ci
fosse qualcosa che lo assilla. Nami dice che non è niente, o che
forse ha qualche perplessità su noi due.
Quando Rufy ha raccattato anche il cuoco si è lasciato sfuggire dove avevo vissuto per tutto quel periodo.
Non credo sia stata un buona idea, ma ho molto apprezzato la scazzottata che ne è seguita.
“No, nulla…” E se ne va lasciandomi come un ebete, fermo a fissarlo andare via.
“Zoro.”
Mi volto e la vedo. Dietro a lei Rufy è steso a terra,
probabilmente Nami lo ha fermato a modo suo. Sorrido ancora ed aspetto
che si avvicini.
“Problemi?” Me lo chiede con un sorriso. A quanto pare non
le è sfuggita la breve conversazione avuta col cuoco. Nego col
capo e torno a fissare la figura del biondo, troppo impegnato ad
adulare Robin per accorgersi di noi.
Mi sbaglio.
Lo vedo voltarsi appena verso di noi, ma è una cosa veloce,
troppo forse. Eppure mi è sembrato di averlo visto sorridere.
Nami mi supera ed io mi ritrovo a seguirla.
“Nami-san!” Ed eccolo, occhi a cuore e le sue frasi
smielate. Sanji torna se stesso in pochi secondi, come se niente fosse
si prodiga in un inchino con baciamano, cosa che non gli riesce. Nami
si scosta e si affianca a Robin per poi proseguire dirette verso
qualche locanda ed io fisso il cuoco ancora seduto a terra.
“Sei una grandissima testa di cazzo.” Ha ragione. Si
accende una delle sue amate sigarette e io rimango in silenzio per poi
offrirgli la mano per rialzarsi. “Si doveva arrivare a questo
punto per farti entrare un po’ di segatura in quella testa
bacata.”
Lo mollo di colpo facendolo tornare col sedere a terra.
“Stupido marimo!”
“Urli come una ragazzina.” Ghigno e gli volto le spalle seguendo il gruppo che ormai dista qualche metro da noi.
Sanji mi raggiunge ma la battaglia è rimandata, almeno per il momento.
Nami rallenta un po’ l’andatura ed io mi affianco, come se
fosse casuale, come se fosse una cosa normale. Gli altri non ci fanno
caso, continuano a camminare parlando di questo nostro nuovo viaggio.
La meta? Non lo so, ma poco mi interessa.
La mia clessidra si è capovolta e la sabbia scende lenta ed inesorabile.
Ma va bene così, finchè sono con loro.
Fine
Angololetto:
Finish!!!!!!!!!!!!
Allora, il capitolo non mi piace, ma va bene così. Forse se
avessi scritto qualcosa di diverso sarebbe suonato peggio quindi tengo
questo finale. Per la gioia di qualcuno, non faccio nomi, potrebbero
esserci delle one-shot ricollegabili ai periodi in cui non viene
raccontato nulla, ma non assicuro nulla.
Ringrazio tutte/i coloro che l’hanno seguita, sopportando le mie
sclerate mentali, chi ha recensito ed aggiunto tra le varie opzioni e
anche chi ha solamente letto.
Per ultimo, ma non perché meno importante:
questo capitolo è dedicato a Rolo, che mi sopporta, fa
pubblicità occulta, e mi sostiene nonostante ci abbia messo anni
per finire sta cosa :)