Io confesso.

di JulietAndRomeo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La notizia ***
Capitolo 3: *** Primo giorno: Mercoledì. Parte I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.


Dalla confessione di William Percy Turner, 21 Settembre 2011.

Ho fatto tante cose nella vita: alcune mi hanno dato gioie, altre dolori, altre ancora noia. Questa mi ha dato solo piacere. Ho ucciso tredici ragazze, in meno di due anni, tutte belle, tutte giovani, tutte “immacolate”. Nessuna adatta. Se sono pazzo? No, semplicemente partirò a raccontare con calma tutto quello che mi spinse a costituirmi e a sfidare la signorina Cullen ad un gioco, da cui neanche lei sarebbe potuta uscire vincitrice.

L'altro ieri, 19 Settembre, ho sentito come l’esigenza di mettermi alla prova e raggiungere la gloria. Tutti gli Stati Uniti devono conoscere il mio operato. Mi sono chiesto come fare e la risposta mi è arrivata con il giornale del mattino: il titolo in prima pagina, gridava all’orrore alla notizia di un padre che per volontà cosciente o per follia, aveva messo un punto alla vita della sua sconsiderata figlia. L’articolo riportava anche le impressioni e le considerazioni di alcune cariche della polizia di Los Angeles. Quest’ultime mi impressionarono più di ogni altra cosa. Passeggiando poi per la strada, si sentiva la gente mormorare sull’accaduto e il mio pensiero andò dritto alle mie bellissime ragazze, sconosciute da tutti, che di sicuro avrebbero destato un orrore maggiore di quello, se solo tutti avessero conosciuto la verità. Tutti avrebbero ammirato loro, ma anche me, artefice del loro eccelso destino.

Loro sono tutte lì, nel posto che più ho apprezzato di questa calda e soleggiata città.

Sono quindi andato a casa della signorina Cullen, al 353 di Saint Vicente Boulevard. Ho detto alla gentile signora che mi ha fatto entrare di avere un caso da sottoporre alla signorina Cullen e la donna, molto cortesemente, è salita al piano di sopra per chiamarla. Quando lei è scesa, sono rimasto un po’ scosso: somigliava a circa sei delle mie ragazze, tranne che per quell’insolito colore di capelli. Lei si è accomodata sul divano e senza dire una parola, con un gesto della mano, mi ha invitato a parlare. Non assomiglia alle mie ragazze neanche per educazione, lei non ha neppure salutato, né tantomeno si è presentata. Ignorando le buone maniere ho iniziato il mio racconto: ho dichiarato di aver ucciso tredici ragazze e che la quattordicesima era già stata rapita. Lei è balzata in piedi e, recuperato il telefono più vicino, ha chiamato subito la centrale di polizia e l’ispettore Lewis.

Poi, come se niente fosse successo, si è riaccomodata sul divano e, sospettosa, mi ha domandato perché glielo avessi detto, se sapevo già che avrebbe chiamato la polizia. Io, molto semplicemente, le ho detto che volevo proporle una sfida.

Ora, il mio quoziente intellettivo è di 137, non conosco quello della signorina Cullen, ma lei mi è sembrata subito interessata. Non si stava più parlando delle vittime a quel punto: si parlava di superiorità.

A quel punto gli agenti entrarono e l’unica mossa che lei fece fu un gesto con la testa nella mia direzione. Gli agenti mi furono subito addosso e io mi alzai, per seguirli. Poco prima di varcare la soglia di casa sua, la signorina Cullen, parlò con me per la prima volta. –Accetto- mi disse. –Ci rivedremo- proseguì.

Poi gli agenti mi portarono via e non so ancora niente di lei da trentasei ore.













Eccomi con una nuova storia :D
Ho appena chiuso l'altra e ne riapro una nuova, sono un po' masochista data la mole di compiti che mi aspettano per le vacanze di natale (io l'unico compito che darei a professori sarebbe andare a cercare sul vocabolario che significa la parola "vacanza", ma dato che non faccio io le regole...).
Comunque sono tornata con una nuova storia su Macy e Nick e spero vi piaccia anche questa.
In ogni caso, chi non ha letto l'altra, non è obbligato a farlo, dato che prevalentemente le due storie sono nettamente separate, ma comunque non sarebbe un male se la leggeste (chi ovviamente non l'ha letta) perché potrebbe esserci qualche riferimento o cose così.
Adesso sono le undici e mezza e io vi lascio e vi auguro buonanotte :D
Juliet.

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Capitolo 2
*** La notizia ***


La notizia.




Quando la signora Smith mi era venuta a chiamare, dicendo che un tipo di sotto voleva vedermi, avevo appena finito di vestirmi. Le dissi quindi che sarei scesa immediatamente, così lei chiuse la porta della mia stanza e percorse il corridoio al contrario, per tornare in salotto.
In fretta mi infilai le scarpe e aggiustai un attimo i capelli. Aprii poi la porta e mi affrettai al piano di sotto.
L’uomo che era seduto sul divano, era un distinto signore sulla quarantina, basso, ma elegante nel suo completo di tweed. I suoi capelli erano un ammasso di ricci incolti, somiglianti ad un cespuglio mal potato. Quello che però attirò di più la mia attenzione, a parte gli occhi, freddi e inespressivi, furono le sue dita: queste ticchettavano ritmicamente sul ginocchio destro, senza fermarsi mai. Scesi quindi le scale e mi sedetti sul divano, continuando a studiarlo: il mio sesto senso mi diceva che non era un rispettabile signore, come invece suggeriva l’apparenza. Gli feci un cenno col capo, per invitarlo a parlarmi del problema che lo aveva condotto da me e lui iniziò così: -Sono il professor Turner, docente di matematica all’Università della California qui a Los Angeles. Sono venuto qui da lei, per proporle un caso che sicuramente, data la sua… ehm, fama, non le dispiacerà. Vede, signorina Cullen, io ucciso tredici ragazze in meno di due anni e la quattordicesima è attualmente imprigionata in un posto che la sfido a trovare. Come avrà intuito la vita della ragazza dipende da lei- concluse.
Io non ci pensai due volte: balzai in piedi, di scatto, e mi avventai contro il primo telefono che trovai. Composi, quindi il numero di Lewis e in poche parole gli dissi che doveva venire subito a Saint Vicente Boulevard, poiché un assassino era seduto comodamente sul mio divano di casa. L’ispettore disse che sarebbe arrivato nel minor tempo possibile e chiuse la comunicazione.
Mi voltai verso Turner con diffidenza e, guardandolo con occhi assottigliati, mentre mi tornavo a sedere sul divano, gli chiesi perché lo stesse facendo.
-Gloria. Voglio che la gente mi conosca, signorina Cullen, ha letto per caso il quotidiano di questa mattina? No? Beh, la prima pagina era ricoperta da un articolo che parlava di un uomo che aveva ucciso la figlia, e allora mi sono chiesto: “Perché non posso raggiungere anch’io la gloria in questo modo?”. Ed eccomi qui adesso. Il suo ultimo caso era su tutti i giornali, (quello del ladro di Malibù, vero?) lei può farmi diventare famoso. Quindi la sfido: ha una settimana di tempo per trovare la ragazza, dopodiché lei morirà e voi non la troverete mai più. Come del resto non troverete mai le altre tredici, allora accetta?- disse sorridendo tranquillo.
Feci per aprire bocca, ma l’ispettore Lewis suonò il campanello e mi alzai in fretta per aprire la porta. L’uomo entrò, trafelato e con la pistola spianata. Gli feci un cenno con la testa, in direzione del divano e lui ordinò ai suoi uomini di prendere Turner.
Quest’ultimo si alzò con tranquillità e con altrettanta calma si fece mettere le manette. Gli agenti cominciarono a spingerlo fuori, mentre sia io che l’ispettore guardavamo sbalorditi alla calma dell’uomo.
Prima che varcasse la porta mi ricordai della domanda che mi aveva posto e a cui non avevo ancora risposto.
-Accetto- dissi. –Ci rivedremo- continuai.
Poi gli agenti chiusero la porta d’ingresso di casa mia e qualche secondo dopo si udirono le sirene delle auto della polizia, che si allontanavano giù lungo la strada.
 
-Tutto qui? Le ha detto solo questo?- chiese Lewis.
-Si, solo che per raggiungere la gloria, ha voluto confessare. Crede che i giornalisti possano venire a conoscenza della cosa…- risposi, accomodandomi sulla sedia, di fronte alla scrivania di Lewis.
Ad un certo punto sentii il cellulare vibrare nella tasca dei jeans e poco dopo la suoneria associata al numero di Nick.
Presi il telefono e risposi: -Ciao, Nick-.
-Dove sei? Stai bene? Ti è successo qualcosa? Sto arrivando con il primo volo per Los Angeles… sei ancora a Los Angeles, vero? Che diavolo è successo, Macy?- chiese tutto d’un fiato.
-Ma ogni tanto ti capita di respirare?- ribattei io.
-Oh, santi numi, per fortuna stai bene! Mi spieghi che è successo? Casa tua è sul “L.A. Times”, e c’è scritto che stamattina la polizia era lì davanti… aspetta un attimo: ti hanno arrestata, vero? Che hai combinato questa volta? E prima che tu possa giustificarti, l’effrazione è un reato!-.
-Non sono entrata in casa di nessuno… o almeno recentemente. Stamattina un tizio è venuto da me e mi ha detto di aver ucciso tredici ragazze e di aver rapito la quattordicesima, che entro una settimana morirà. Mi ha sfidata a trovare il posto in cui è rinchiusa la ragazza… prima che muoia ovviamente-.
-Stai scherzando!-.
-No, Nick, non sto scherzando… a te come sta andando in Italia?-.
-Oh, beh, mia madre sta tentando di strapparmi il telefono dalle mani, vuole parlarti-.
-Passamela allora!-.
Ci fu una breve pausa in cui Nick passò il telefono a sua madre e poi la donna parlò.
-Ciao, Macy! Come stai, tesoro? Nick ha deciso di tornare in America, digli anche tu che è meglio che rimanga qui!- disse Bonnie.
Prima che potessi rispondere, in sottofondo, sentii la voce di Nick che diceva “quella è capace di farsi ammazzare, non ho intenzione di rimanere qui”.
-Signora, dica a suo figlio che “quella” ce l’ha un nome e che sono del tutto capace di badare a me stessa-.
-La maggior parte delle volte- disse Lewis accanto a me.
-Vi siete alleati per caso?- chiesi scocciata girandomi verso l’ispettore.
-Alleata con chi, tesoro?- chiese Bonnie.
-Con nessuno, non si preoccupi. Mi passi Nick, provo a dissuaderlo-.
-Che vuoi, mostro?- disse lui appena prese il telefono.
-Adesso hai un motivo in più per non tornare in città, se ti prendo ti uccido. In ogni caso, so di non avere alcuna speranza di dissuaderti, quindi buon viaggio. Saluta tua madre e tuo padre da parte mia-.
-Ci vediamo tra una dozzina di ore, Macy, un bacio-.
-Anche a te, ciao- dissi attaccando.
-Adesso che si fa?- chiese Lewis.
-Si cerca di non perdere tempo. Devo capirne di più su quest’uomo, dove abitava?-.
-Al 7706 di Luxor Street, a Downey. Gli agenti l’hanno già perquisita… beh, una parte: la casa è grande e noi abbiamo scoperto tutto solo stamattina- disse l’ispettore.
-No, non voglio che ci sia nessuno, devo lavorare con calma. Ha altre informazioni su di lui?-.
-Allora… ecco qui- disse tirando fuori un foglio da una cartella, posizionata sulla scrivania. –Liam, Edward Turner, quarantasette anni, professore di matematica all’Università della California qui a Los Angeles. Divorziato da quattro anni e quindi precedentemente sposato con Ginevra, Katherine Bell e un figlio di nome James, Benjamin Turner. Per quanto riguarda la sua vita sino a questo momento, niente di particolare: arrestato una sola volta per guida in stato di ebbrezza a diciassette anni. Da quel momento in poi più niente-.
-Che significa “più niente”?-.
-Significa che l’unico reato che ha commesso da quell’arresto, sino ad oggi è stato caricare di compiti i suoi studenti. Nei nostri database non c’è più niente su di lui, anzi, le dirò di più: l’anno scorso ha partecipato ad una manifestazione di beneficenza come cittadino onorario… aveva donato infatti cinquanta mila dollari all’orfanotrofio di Hollygroove… era l’orfanotrofio di…-.
-Si, lo so, Marilyn Monroe. Nient’altro?-.
-Cosa vuoi che ti dica, Macy? Io lo avrei definito un uomo rispettabilissimo-.
-Già… avete parlato con il figlio o con la moglie?-.
-No, non ancora, vuoi andare tu?-.
-No, detesto parlare con la gente, mente sempre…-.
-Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca-.
-Andrò a prendere Nick all’aeroporto, ma quando i suoi agenti finiscono di perquisire la casa di Turner me lo faccia sapere- dissi alzandomi dalla sedia.
-Sarà fatto-.
Annuii velocemente e mi diressi a passo veloce verso il parcheggio. Appena salita in macchina mi soffermai a pensare a come un uomo con una laurea e un dottorato potesse così, di punto in bianco, assassinare tredici ragazze e rapirne una quattordicesima. Di sicuro non era pazzia, Turner era più che lucido, al momento della confessione, sembrava anche a suo agio con quello che stava facendo, come se fosse da sempre stato il suo scopo nella vita e lui lo stesse semplicemente perseguendo.
Avviai il motore dell’auto e uscii dal parcheggio del distretto, diretta a Santa Monica.
Poco prima di arrivare davanti al cancello di casa, notai l’auto di mio padre, ferma accanto al marciapiede.
“Oh, povera me!” pensai.
Mi fermai sul vialetto e spensi il motore, inserii il freno a mano e recuperai dalla borsa le chiavi di casa. Nel piccolo pezzo di sentiero acciottolato che dividevano la macchina dai gradini d’ingresso, avevo pensato almeno cinque volte alla fuga rapida e circa una dozzina di scuse che avrei potuto propinare a mio padre, per non farlo andare in paranoia.
Da quando era tornato dalla Spagna, mi teneva costantemente d’occhio, aveva paura che potessi farmi coinvolgere in un’esperienza suicida come quella avuta con la Mano Rossa.
In fondo, ma molto in fondo, lo capivo, ma il modo in cui lui mi teneva d’occhio aveva un che di seccante e di… inquietante.
Lui e Nick si erano praticamente alleati: non mi lasciavano mai un minuto da sola, in un certo senso era frustrante, non poter andare in giro per negozi da sola o anche a prendere qualcosa da mangiare senza la guardia del corpo. Poi, adesso, da quando Nick era partito per andare a trovare i suoi, Theo non mi mollava un secondo, sembravamo il cane con l’osso, piuttosto che padre e figlia. La situazione stava diventando insostenibile.
Prima che potessi riprendere la macchina e battere in ritirata, la porta si aprì e una donna che non conoscevo mi finì addosso, facendomi cadere all’indietro.
-Oh, scusa, mi dispiace così tanto… lascia, ti aiuto io- disse afferrandomi per un braccio nel tentativo di tirarmi su.
-Non si preoccupi, sto bene- dissi mezza intontita.
-Macy, amore, che ci fai lì per terra?- disse mio padre apparso sulla soglia della porta.
-Sono stata io, Theodore, l’ho urtata mentre uscivo- disse la donna.
Ora che la osservavo meglio, non sembrava proprio una sconosciuta… anzi, aveva un che di familiare.
Mi alzai, controllando che non fossero rimaste macchie di erba sui miei jeans e poi raccolsi la borsa e tutti gli oggetti che erano usciti fuori.
-Mi dispiace così tanto, Macy. Non ti avevo proprio vista- disse la donna, ancora una volta.
Mi voltai quindi verso di lei, per guardarla meglio, dato che la voce mi sembrava familiare. Era alta, circa un metro e ottanta, aveva i capelli neri e gli occhi dello stesso colore. La bocca era grande con labbra sottili, il naso piccolo e all’insù. Le avrei dato più o meno trent’anni se non avesse avuto quelle rughe marcate sulla fronte e ai lati della bocca.
-Senta, ci conosciamo, per caso?- chiesi io.
-No, Macy, lei è Hannah Morgan, una mia vecchia amica del liceo. Si è trasferita qui, prima che nascesse suo figlio, prima viveva a New York- disse mio padre.
-Aspetti, lei ha un figlio?-.
-Si, anche lui abita qui a Los Angeles… perché lo vuoi sapere?-.
-Per questo mi sembrava di conoscerla, lei e Jack siete due gocce d’acqua!- dissi scrutando la donna più da vicino.
-Come fai a conoscerlo?-.
-Oh, beh… noi siamo amici, lo incontravo spesso nel parco, lui faceva attività fisica e io camminavo, un giorno mi ha tirato una palla in testa, per sbaglio mentre giocava a basket, e mi ha invitata a prendere un caffè per scusarsi-.
-Capisco… beh, adesso io devo andare, Theodore. Mi ha fatto piacere rivederti dopo tutto questo tempo! Ciao, Macy- disse la donna mentre si allontanava sorridente.
-Papà!-.
-Che c’è, tesoro?- chiese lui sereno, mentre rientrava in casa.
-Ma che razza di cafone sei? Accompagnala a casa!- dissi spingendolo fuori.
-Ma non so neanche dove abita- rispose lui a mo’ di scusa.
-Non vale come scusa, devi solo camminare con lei, fin quando non arrivate a casa sua. Su, forza!- ribattei spingendolo attraverso il giardino e oltre i cancello d’ingresso.
-Ok, ok, ma nel frattempo non allontanarti da casa, o almeno chiamami e dimmi dove stai andando, ho letto stamattina l’edizione speciale del giornale, e so che ti ficcherai in qualche guaio-.
-Si, si va bene, adesso muoviti!- chiusi il cancello di ferro e tornai in casa.
Mi chiusi la porta alle spalle e uscii il telefono dalla tasca. Andai sul sito della American Airlines e controllai a che ora sarebbe atterrato il volo di Nick. La compagnia aerea segnava che il volo sarebbe atterrato a Los Angeles alle 00:37. Riposi il telefono nei pantaloni e mi passai una mano sul viso.
“Ho ancora dodici ore di completa solitudine per pensare a come affrontare Turner e le sue malattie mentali” pensai, lasciandomi cadere sul divano.
Presi a fissare il posto vuoto di fronte a me, che quella stessa mattina era stato occupato da uno psicopatico.
Ripresi il telefono e composi il numero dell’ispettore.
Al quarto squillo lui rispose: -Fammi indovinare: un altro psicopatico è seduto sul divano di casa tua?-.
-Sa che stavamo pensando alla stessa cosa? E comunque no, volevo chiederle di mandarmi per e-mail i nomi di tutte le persone scomparse, qui a Los Angeles, negli ultimi due anni-.
-Ma sono un’infinità!-.
-Ho dodici ore, prima che Nick ricominci a disturbarmi mentre penso, quindi io credo che farebbe bene a mandarmela il più in fretta possibile-.
L’ispettore sbuffò e poi lo sentii urlare: -Blossom! Mandi una copia di quella lista all’e-mail della signorina Cullen!-.
-Furbi! Avete in mano una pista e non mi dite niente… magari dovrei smetterla di aiutarvi- dissi con finta indifferenza.
-Si, così aggiungiamo alla lista la quattordicesima ragazza morta ad opera di quel pazzo… guarda le e-mail, dovrebbe essere arrivata. Divertiti- disse prima di attaccare.
Presi il computer e lo accesi. Andai a controllare il mio indirizzo di posta elettronica e l’ultimo documento, conteneva un file in pdf. Cliccai sull’opzione “scarica” e poi chiusi internet.
Quando aprii il file, la prima frase mi fece quasi sentire male.
27.436 persone scomparse a Los Angeles negli ultimi due anni.
-Porco cane!- esclamai con gli occhi fuori dalle orbite.












Ed eccomi con il nuovo capitolo, spero vi piaccia :)
Un abbraccio a tutti,
Juliet.

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Capitolo 3
*** Primo giorno: Mercoledì. Parte I ***


Primo giorno: Mercoledì.

Parte I





Il volo di Nick atterrò ad LAX alla mezzanotte di quello stesso giorno.
Quando mi vide, all’uscita del gate d’arrivo, mi venne incontro e mi abbracciò stretta, come se non ci vedessimo da una vita.
-Mi stai soffocando- dissi con voce strozzata.
-Oh, scusa- rispose lasciandomi andare.
Io portai una mano al petto e ripresi fiato, poi ci muovemmo per raggiungere il parcheggio nord, in cui avevo parcheggiato il SUV.
Lungo la strada per casa, gli chiesi cosa aveva fatto in Italia dai suoi, lui di tutta risposta mi liquidò con un “niente d’importante. E adesso sputa il rospo: che cos’è questa storia?”.
Ripetei quindi per una seconda volta quello che era successo il giorno prima e aggiunsi che durante tutta la giornata avevo tentato di ridurre il campo delle persone scomparse in città negli ultimi due anni.
-Hai trovato qualcosa?-.
-Solo un gran mal di testa che mi aspettava al varco. Dobbiamo trovare quella ragazza. La domanda che mi sta torturando è “Come fa a tenerle in vita per una settimana?”-.
-Si procurano il cibo da sole?-.
-Dovrebbero essere in un luogo aperto per farlo e non è possibile, primo perché potrebbero scappare o chiedere aiuto, secondo perché lui non potrebbe né controllarle, né ucciderle, allo scadere del tempo… soprattutto adesso che è lontano. Deve avere un qualche modo per farle rimanere in vita-.
-Una flebo?-.
-Può darsi, ma non ci conterei troppo. Gli piace vederle soffrire, è ovvio, attaccarle ad una flebo e costringerle a star ferme, senza dare loro l’illusione di poter far qualcosa per liberarsi, non è da lui-.
-Hai scambiato solo qualche parola con lui, come fai a dire che gli piace farle soffrire?-.
-I suoi occhi… avevano un che di sadico. E poi mi ha guardata in un modo strano la prima volta che l’ho visto. Siamo arrivati… la signora Smith ti ha preparato una cena che potrebbe sfamare un esercito. È convinta che non mangi da quando sei partito-.
-Veramente l’unica cosa che ho fatto in queste due settimane è stato mangiare… mia madre ha un po’ esagerato- disse scendendo dall’auto e andando a prendere le valigie.
Io nel frattempo aprii la porta e posai le chiavi nella ciotola che stava lì accanto. Nick entrò subito dopo di me.
-Oh, Nick, tesoro! Come è andato il viaggio? Hai mangiato? Hai fame? Non sai quanto ci sei mancato! Vieni con me, lascia le valigie qui, ci pensa Macy a portarle di sopra- disse la signora Smith appena lo vide.
Io spalancai la bocca e sgranai gli occhi, Nick stava andando con la signora Smith in cucina e io dovevo portare di sopra le sue maledette valigie.
-Mi ha palesemente ignorata! Come… come fossi stata trasparente!- dissi indicando la porta della cucina. Charles mi si era avvicinato silenzioso, ma altrettanto silenziosa non era stata la mia protesta.
-Che vuoi farci? È come un figlio per lei- disse lui calmo.
-Mi ha ignorata! E quell’idiota mi ha mollato le sue valigie senza preoccuparsi!- risposi.
Lui rise sommessamente, poi mi passò un braccio sulle spalle e mi pressò leggermente la spalla destra. –Andiamo, ti aiuto a portarle di sopra-.
-Grazie- borbottai, afferrando una delle due valigie e gettando un’ultima occhiata al corridoio.
 
Un lieve bussare alla porta della stanza, mi fece rigirare nel sonno.
-Macy!-.
Un bisbiglio appena accennato.
-Mmmh, che ore sono? È già ora di alzarsi?- chiesi a nessuno, aprendo un occhio.
-Fammi entrare, sono qui fuori!-.
Un nuovo bisbiglio.
Mi rizzai a sedere sul letto e ancora mezza intontita mi infilai le ciabatte. Quindi, strofinandomi gli occhi, andai ad aprire la porta della mia stanza.
Nick stava sulla soglia, bello che sorridente, a guardarmi strano, con un cuscino in mano.
-Che vuoi?- grugnii. Svegliarmi ad orari improponibili non era mai una grande idea.
-Stare un po’ con la mia ragazza che non vedo da due settimane- disse diplomatico.
Lo squadrai per bene. –Sparisci- dissi dopo qualche secondo di pausa, chiudendo la porta.
Lui infilò il piede tra il muro e il legno della porta, per evitare che questa si chiudesse.
-Non accetterò un no come risposta… stavi dormendo, per caso?- chiese quando notò il mio sguardo assassino.
-No, certo che no… stavo pensando di adottare un cucciolo di orso polare, non avendo niente di meglio da fare alle…- guardai l’orologio sulla scrivania. -… 3 di notte-.
-Vedo che il tuo sarcasmo non è sparito-.
-In realtà stava dormendo anche lui, proprio come i miei istinti omicidi, ma tu riesci a farli destare entrambi-.
Lui rise e si avvicinò. –Mi sei mancata-.
-Tu non molto invece- dissi ghignando.
Posò le labbra sulle mie e mi spinse a socchiuderle. Continuammo a baciarci per quelli che a me parvero minuti, ma che forse furono solo secondi. Nick mi faceva girare la testa e anche le palle di tanto in tanto, ma senza di lui non riuscivo ad immaginarmi.
-Che dici, vuoi dormire in piedi?- chiese quando si allontanò.
-Che?- chiesi presa alla sprovvista.
-Non è meglio il letto? Guarda ho portato anche il mio cuscino, così domani, niente irritazioni cutanee- disse buttandosi sul mio letto e infilandosi il cuscino sotto la testa in un gesto fluido.
Scossi la testa rassegnata: neanche io potevo combatterci.
-Bene, ma se stasera provi ad allungare le mani, te le spezzo, chiaro?-.
-Charles e la signora Smith si insospettiranno, quando mi vedranno con le dita spezzate-.
-So come farlo passare per un incidente-.
-Ricordami di non farti arrabbiare mai-.
-Lo fai già- dissi stendendomi accanto a lui.
-Più del dovuto intendo- rispose abbracciandomi. –Credi che riusciremo a trovarla? La ragazza, intendo-.
-Non lo so. Non sarà per niente facile-.
Lo sentii annuire contro la mia testa e poi disse: -Buonanotte, Babù-.
-Buonanotte, Nick- risposi, prima di chiudere gli occhi.
 
Quella mattina, mi svegliai con una sensazione strana, come se avessi avuto un peso di dieci chili nello stomaco.
Mi rizzai a sedere sul letto e mi strofinai gli occhi velocemente. Nick doveva essersi già alzato perché il letto era totalmente sfatto dall’altro lato e di lui neanche l’ombra.
Buttai le gambe giù dal letto e andai in bagno per un incontro ravvicinato con l’acqua fredda della doccia. Passai circa mezzora sotto l’acqua domandandomi il perché di quella fastidiosa sensazione, ma nonostante tutto non ne venni a capo. Quando finii chiusi l’acqua e presi l’asciugamano. Poi mi vestii e mi asciugai i capelli con calma, fin quando il mio cellulare non cominciò a squillare.
Con delle imprecazioni degne di uno scaricatore di porto, presi il telefono dal comodino, dopo aver bagnato con i capelli tutta la stanza.
-Cullen!- esclamò la voce di Lewis dall’altro lato della cornetta, prima ancora che potessi dire qualsiasi cosa.
-Ispettore!- risposi facendogli il verso.
Ero di pessimo umore e la sensazione allo stomaco si stava ingigantendo.
-Deve venire subito qui- rispose lapidario.
-I suoi dipendenti non riescono a mettere una firma nel posto giusto e le serve chi glielo spieghi? Mi dispiace, non sono all’altezza di questo compito-.
-Faccia poco la spiritosa, William Turner vuole parlare con lei. Solo e soltanto con lei- rispose Lewis.
-E perché mai?- chiesi sospettosa.
-Non lo sappiamo. A suo dire, lei è l’unica che potrebbe capirlo-.
-Glielo ha detto che non sono un’assassina e che non posso capire le sue motivazioni da folle, giusto?-.
-Non mi riferivo a questo. Dice che lei è l’unica persona in grado di capire ciò che intende-.
-E che intende?-.
-Non ne ho idea, parla per indovinelli. È tutta la notte che i miei agenti gli stanno con il fiato sul collo, ma non ha spiccicato una parola, oltre gli indovinelli ovviamente, se non “Voglio vedere la signorina Cullen”. Siccome sono stanco di andargli dietro e di tentare di farlo parlare con le buone, la pregherei di venire qui-.
-Lo sa, ispettore? Dato che mi fa una gran pena, verrò. Deve darmi il tempo di vestirmi però perché al momento non sono presentabile-.
-Si muova- disse prima di attaccare.
Sospirai e buttai il telefono sul letto. Il più in fretta possibile mi asciugai i capelli e mi vestii, poi scesi al piano di sotto.
-Oh, Macy, c’è la colazione, vieni- disse la signora Smith.
-Mi dispiace, non ho tempo, devo volare al distretto, Lewis mi ha appena chiamata… dov’è Nick?- chiesi quando notai la sua assenza.
-Non lo so, dev’essere uscito… neanche lui ha fatto colazione-.
-Non ha fatto colazione? Stiamo parlando della stessa persona che divora quintali di cibo?-.
-Strano, eh?-.
-Più che strano… beh vado, a più tardi!- dissi inforcando la porta.
Uscii nell’aria fresca di Settembre e presi la macchina, parcheggiata nel vialetto. Salii e accesi la radio. Trasmetteva “Superbass” la canzone di quella… Nicki Minaj.
-Detesto questa canzone- borbottai storcendo la bocca in una smorfia.
Pigiai un altro pulsante e una nuova canzone invase l’aria, ma continuai a premere il pulsante fin quando un radiocronista non catturò la mia attenzione.
-… come crede si possa arrivare ad un compromesso tra la sua azienda e quella del signor Cullen? Ripetiamo, per chi si è appena sintonizzato, che le trattative per la fusione delle società, sono appena state avviate, la “Fremont Electronic Agency” della signora Hannah Morgan in Collins e la “Werner Technology Interprise” del signor Theodore Cullen-.
-Io e Theodore eravamo compagni di liceo a New York e ci conosciamo da tanto. Non credo sarà difficile riuscire a fondere le nostre società. Molti di sicuro hanno pensato che una delle due imprese stia fallendo, in realtà crediamo che fonderle sia semplicemente più vantaggioso. Manterremo comunque una certa dose di indipendenza, anche se ci uniremo sotto certi punti di vista, in modo da non tagliare il personale e avere l’opportunità di gestire alcuni aspetti del marketing in modo più efficiente- concluse la madre di Jack.
-Beh, allora ci auguriamo che…-.
Spensi la radio prima che il conduttore potesse finire di parlare.
“Adesso capisco che ci faceva in casa nostra… chissà perché Theo non me lo ha detto” pensavo mentre parcheggiavo l’auto, nel cortile del distretto.
Scesi dall’auto e inserii l’allarme, avviandomi verso l’ingresso.
Le porte automatiche dell’edificio si aprirono al mio passaggio e io chiesi alla receptionist di indicarmi dove si trovava l’ispettore Lewis. La donna non arrivò neanche ad emettere un fiato, che la voce di Lewis la interruppe.
-Grazie, Nancy, penso io alla signorina Cullen-.
Poi l’ispettore mi batté un colpo sulla spalla e mi fece segno di seguirlo. Mi fece passare da corridoi che non avevo mai percorso prima d’ora, ma che supposi portassero alle sale interrogatori.
-Allora, come ve la siete cavata fino ad adesso? Ha detto qualcosa in più?-.
-Neanche una sillaba. Se cerchiamo di farlo parlare risponde con “Parlerò solo con la signorina Cullen”, ed ha già messo a dura prova la mia pazienza per oggi. È qui dentro, con te entrerà anche un agente, non sappiamo se sia violento o meno, ma ha ucciso 13 ragazze e non voglio correre rischi-.
Poi aprì la porta e mi fece cenno d’entrare. Lo feci, seguita un istante dopo dall’agente che mi aveva assegnato.
-Finalmente, credevo fossero completamente tonti, da non capire che volevo parlare con lei- esordì Turner, appena mi vide.
-Non si preoccupi, ci sentono e ragionano benissimo, ma sono convinti di essere onnipotenti. Allora, di che voleva parlarmi?- dissi sedendomi davanti a lui, dando le spalle al vetro della stanza.
-Sono convinto che lei abbia tante domande da farmi, signorina Cullen. Le voglio quindi dare l’opportunità di porle-.
-Bene… dove sono le ragazze morte?-.
-Se avesse perquisito casa mia lo saprebbe- disse l’uomo prendendo a tamburellare con le dita sul tavolo.
Il suo non era un movimento nervoso, anzi era quasi rilassato. Il ticchettio proseguiva ritmato, scandito da alcune pause: un battito, una pausa, un battito, una pausa, due battiti, una pausa, tre battiti. E poi di nuovo: un battito, una pausa, un battito, una pausa, due battiti, una pausa, tre battiti.
-Non ho ancora avuto il dispiacere di farlo, quindi perché non mi risparmia del tempo e non me lo dice lei?- risposi distogliendo lo sguardo dalle sue dita.
-Lei è sempre troppo diretta-.
-Credo che girare intorno alle cose sia alquanto stupido. Risponda, adesso-.
-No, non risponderò, voglio che sia lei a scoprirlo, le ho lanciato una sfida apposta per questo-.
-Allora, tenendomi chiusa qui a parlare con un reietto come lei, mi sta facendo perdere semplicemente tempo, motivo per il quale, io leverei le tende- dissi alzandomi dalla sedia.
-Ma poi non potrebbe farmi il resto delle domande-.
-Lo scoprirò, sono abbastanza intelligente per farlo. L’unica che vorrei porle adesso, e a cui non credo potrò mai rispondere da sola, è: perché? Che le avevano fatto quelle ragazze?-.
Turner smise di tamburellare con le dita, sul tavolo, e incrociò le braccia al petto, appoggiandosi allo schienale della sedia e mi rispose, guardandomi negli occhi dal basso verso l’alto.
-Loro erano perfette. Perfette per quello che voglio-.
Sembrava agitato, ma un lampo nei suoi occhi, mi suggerii che tutta quella agitazione era soltanto frenesia. Era come se, mentre parlava con me, stesse rivivendo gli omicidi.
-E cos’è che vuole?-.
-Che tutti conoscano il mio operato-.
-Io le consiglio vivamente di licenziare il suo pusher, se e quando uscirà di galera, quello che ha adesso le ha venduto della roba tagliata male… ma potrebbe anche essere semplicemente pazzo e io sto dando la colpa al suo spacciatore. Ci si vede, Turner- dissi uscendo dalla porta, seguita a ruota dall’agente.
Appena fui fuori, Lewis si affacciò dalla stanza adiacente a quella in cui si trovava Turner e mi fece segno di raggiungerlo.
Mossi quei pochi passi che mi separavano da lui ed entrai nella stanza completamente buia.
-Che gliene pare?- mi chiese osservando il detenuto che adesso, con i gomiti appoggiati al tavolo e le mani unite, ci stava fissando attraverso il vetro.
-Ovviamente è uno psicopatico, la sua forma di delirio però è alquanto strana, è lucido, ma allo stesso tempo, sembra che riviva ogni secondo quello che ha fatto. In ogni caso devo muovermi e andare a casa sua-.
-Ho detto agli agenti di rimettere tutto, anche quello che hanno imbustato ed etichettato al loro posto, in modo che ti potessi fare un’idea. Non so se può servirti, ma…-.
-Ha fatto benissimo, ispettore, adesso vado. Se le chiede di parlare ancora con me, lei glielo neghi, lo lasci cuocere nel suo brodo, magari la prossima volta sarà più loquace-.
L’ispettore annuì e poi mi accompagnò all’uscita, porgendomi un foglietto con l’indirizzo di Turner, scritto sopra.
Appena salii in macchina, il mio telefono cominciò a squillare.
-Cullen-.
-Macy, dove sei?- disse Nick.
-Sono appena uscita dal distretto, tu piuttosto, dove diavolo sei finito? Stamattina, quando sono scesa di sotto, la signora Smith mi ha detto che eri già uscito-.
-Si, è vero, sono andato da una mia amica. L’ho incontrata mentre ero in Italia e ho deciso di passare a trovarla-.
-Un’amica a cui devo spezzare le gambe in più punti o un’amica brutta, bassa, coi baffi?-.
-Anche tu sei bassa, Babù- mi fece notare lui.
-Io non ho i baffi, però. E adesso rispondi- dissi secca.
-Una via di mezzo-.
-Allora è palesemente ovvio che devo spezzarle le gambe, dammi il suo indirizzo-.
-Neanche per scherzo, io non la odio. Dove stai andando, così ti raggiungo?-.
-A casa di William Turner, lo psicopatico. Abita al 7706 di Luxor Street, a Downey. Tanto per la cronaca, riuscirò ad estorcerti quell’indirizzo, Nick, sappilo- dissi prima di riagganciare.
“Gliela faccio vedere io l’amica” pensai mentre pigiavo sul pedale dell’acceleratore.
 
Arrivai a casa di Turner in meno di dieci minuti, dato che per fortuna ero riuscita ad evitare il traffico.
Parcheggiai l’auto davanti al giardino della casa e scesi, avviandomi verso la porta. Sul vialetto era parcheggiata un’auto, una vecchia Ford Taunus azzurra, che ad occhio e croce sarebbe potuta partire solo con un miracolo.
La superai senza soffermarmi a guardarla e salii i gradini di legno della veranda anteriore.
Stavo per rimuovere i sigilli, posti dagli agenti di polizia, quando il rombo di un motore mi vece voltare. La macchina di Nick si era appena fermata davanti alla mia, e il suo proprietario mi stava venendo incontro sorridendo.
-Hey, tesoro, sei arrivata da molto?-.
-Chiamami ancora tesoro e ti strappo la lingua a morsi, chiaro?-.
-Sai che non è una pessima idea?- disse lui.
-Ma sta’ zitto! Piuttosto, come è andata con la tua “amica”? Le è piaciuta la visita?- risposi acida.
-Oh, si, quando me ne sono andato era davvero dispiaciuta-.
A quel punto ebbi l’inspiegabile impulso di mollargli un gancio destro sul naso, ma mi ricordai che eravamo nel bel mezzo di una perquisizione e che inquinare la scena con il suo sangue non era una bella idea.
Borbottai un “sono contenta per lei” e varcai la soglia della porta.
La casa di Turner era… strana. Ancora oggi, l’aggettivo “strana” è l’unico che mi sento di utilizzare per descrivere quella casa.
Arricciai il naso e Nick se ne accorse.
-Che c’è? Hai sentito qualche odore?- chiese cominciando ad annusare intorno.
-No, questa casa è troppo strana-.
-Che intendi per “strana”? A me sembra tutto in ordine- disse lui.
-Appunto! È questo la parte strana. Quale uomo che uccide 13 persone ha una casa così immacolata? Non c’è neanche un oggetto fuori posto, o almeno non c’è in questa stanza. Il soggiorno di casa nostra è uno schifo a volte e noi abbiamo più di una domestica. Sto cominciando a pensare sia un robot- dissi infine.
-Non potrebbe essere solamente molto ordinato?-.
-Se lo dici tu… Cominciamo da qui e poi ci spostiamo nelle altre stanze- risposi.
Nick annuì e cominciammo a guardarci in giro. Tutti i soprammobili, o gli oggetti che potevano essere considerati al fine delle indagini, erano tutti nelle buste di catalogazione, rimessi ai loro posti, dopo essere stati etichettati.
Guardammo ovunque e più di una volta Nick mi fece notare che gli oggetti erano disposti a forma di spirale.
-Anche qui, un quadro con un'altra spirale- disse lui. –Sono tutte particolari, però- continuò poi.
-Cos’hanno di particolare?- chiesi io, senza guardare l’ennesima spirale.
-Beh, tu come la disegneresti una spirale, Babù?-.
Io mi voltai e con l’indice tracciai un disegno nell’aria.
-Esatto, la disegneresti concentrica. Queste sono così- rispose facendo il mio stesso movimento, ma andando ad allargare sempre di più verso l’esterno.
-Hai ragione, sono un po’ storte e allora?-.
-Beh, non sono spirali normali… io vado a controllare da questa parte, tu vieni o vai di sopra?-.
-Vado di sopra, riferiscimi tutto quello che trovi-.
-Sissignora!- disse marciando nell’altra stanza.
-Sei un idiota!- urlai quando ormai era andato via.
Imboccai poi le scale e, ignorando i quadri disposti lungo la parete, salii in fretta i gradini. Controllai in tutte le stanze, ma lassù, niente di niente.
“Eppure ha detto che dovevo perquisire casa sua per trovare il posto in cui sono i corpi” pensai, con un diavolo per capello.
Tornai di sotto e mi misi alla ricerca di Nick. Vagai a vuoto per cinque minuti buoni, finché non mi decisi a telefonargli.
Quando la voce pre-registrata mi disse che dovevo lasciare un messaggio, chiusi il telefono con stizza e andai alla finestra. La sua macchina era ancora lì, ma il suo telefono evidentemente no, dato che il mio aveva segnale. Pensai lo avesse spento e quindi ricominciai a cercarlo in lungo e in largo in quella maledetta casa, fin quando non arrivai in cucina.
Mi appoggiai al bancone in granito nel mezzo della stanza e presi a fissare un punto indefinito vicino al frigorifero, a quel punto, però, un rumore proveniente dal salotto non mi mise sull’attenti.
Presi un coltello, da uno dei cassetti della cucina e tornai in salotto, lentamente. Quello che vidi però, arrivata nella stanza sopracitata, mi lasciò un attimo interdetta.
Nick stava sbucando fuori dalla parete, adiacente al caminetto, con un attizzatoio in mano.
-Fortissimo!- esclamò quando fu completamente fuori.
Nel frattempo la parete girevole stava tornando al suo posto.
-Che cosa diavolo era quella?- chiesi, facendolo voltare.
-Là dietro c’è una stanza segreta, dovresti vederla è inquietante… però il trucco per nasconderla è mitico! Credevo esistessero solo nei castelli antichi queste cose!- disse felice come una pasqua, indicando il passaggio.
-Come lo hai sbloccato?-.
-Ho preso l’attizzatoio ed ha cominciato a muoversi, così mi sono messo qui, vicino al muro, e mi sono ritrovato dall’altro lato-.
-Perché avresti preso l’attizzatoio?- chiesi dubbiosa.
-Perché credevo ci fosse qualcosa nel camino, prima è caduta della cenere-.
-Diamo un’occhiata a questa stanza segreta- risposi riattaccando l’attizzatoio al gancio e togliendovelo di nuovo.
Il muro cominciò a girare su se stesso nello stesso istante e in pochi secondi mi ritrovai in una camera non molto grande, ma anche questa ben ordinata e… strana.
Non c’erano spirali o cose che si attribuiscono in genere a un pluri-assassino, in realtà c’era solo una libreria, una poltrona e quello che osai catalogare come la copia speculare del caminetto del salotto, solo leggermente più piccolo. Nick arrivò qualche minuto dopo di me.
-Allora? Che ne pensi?-.
-Io penso che questo tizio ci sta prendendo in giro. Aveva detto che avrei trovato l’ubicazione dei corpi delle ragazze in casa sua e invece niente. A me questa sembra una semplicissima biblioteca, con dei normalissimi scaffali pieni di libri, con un regolarissimo camino e con una comunissima poltrona! Accidenti!- dissi alzando man mano la voce fino ad urlare.
-Calmati, Babù, vedrai che qualcosa troveremo-.
-Calmarmi? Quel tizio, anche se lontano e rinchiuso dietro le sbarre, mi sta facendo incazzare. E chiedermi di calmarmi adesso, è come spararmi e chiedermi di non sanguinare! Impossibile!- strillai isterica dando un pugno ad uno degli scaffali della libreria.
Ignorando qualche libro che cadde dall’alto, mi andai a sedere sulla poltrona. Era di comodo velluto, ideale per riposarsi cinque minuti e riprendere fiato. Purtroppo per me, il pensiero che prima di me ci si fosse seduto quell’animale, mi fece scattare in piedi come una molla.
-Che succede?- disse Nick vedendomi balzare in piedi.
-Niente. Raccogliamo tutto e andiamocene, devo andare a strappare le dita a quel bastardo, per avermi mentito-.
Lui non rispose e si chinò a raccogliere i libri, seguito a ruota da me.
-Hey, Macy, forse non c’è bisogno che gli strappi le dita- disse Nick, con un filo di voce alle mie spalle, dopo qualche minuto.
-Che diavolo vuoi dire?- dissi voltandomi spazientita.
-Guarda qui- rispose passandomi uno dei libri.
Aprii il libro dalla copertina blu notte, quasi nero e rimasi per un attimo quasi fulminata.
Le immagini delle ragazze erano davanti i miei occhi.













Lo so che sono in ritardo di una vita (e se fosse possibile anche di più) ma sono successe un sacco di cose e non ho avuto né il tempo per scrivere, né tanto meno per aggiornare.
Mi dispiace una cifra avervi fatti aspettare, non mi merito neanche la più piccola considerazione, ma sto sperando nella bontà di voi buoni, perfetti, intelligentissimi, bellissimi, simpaticissimi e gentilissimi lettori...
...
...
Ok, sto cercando di adularvi, ma era ovvio, no?
Spero di aggiornare il più presto possibile (magari evitando di farvi aspettare un mese), quindi spero che a quelli che non hanno ancora imbracciato il fucile per spararmi, e a quelli che invece lo hanno fatto (non posso biasimarvi), sia piaciuto il capitolo.
Comunicazione di servizio:
la storia sarà divisa per giorni della settimana, e ogni giorno verrà diviso in due parti, dato che se no verrebbe un poema di proporzioni bibliche.
Adesso vi saluto, un bacio a tutti :D
Juliet.

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