The Object of Her Affection di Gia August (/viewuser.php?uid=23073)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amore a prima vista ***
Capitolo 2: *** Rose rosso sangue ***
Capitolo 3: *** Il lato oscuro delle favole ***
Capitolo 4: *** Invasione ***
Capitolo 5: *** Presto ***
Capitolo 6: *** Sorvegliando ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Ricordi perduti ***
Capitolo 9: *** Vetri rotti e cuori rotti ***
Capitolo 10: *** Scivolando nel buio ***
Capitolo 11: *** Senza potere ***
Capitolo 12: *** Ansie nella notte ***
Capitolo 13: *** Incubi ***
Capitolo 14: *** Non oltrepassare ***
Capitolo 15: *** Nell'oscurità ***
Capitolo 16: *** Niente oltre al lato oscuro ***
Capitolo 17: *** In un modo o nell'altro ***
Capitolo 18: *** Leggendo tra le righe ***
Capitolo 19: *** Il bell'addormentato ***
Capitolo 20: *** Cercando indizi ***
Capitolo 21: *** Cose sgradevoli nel buio ***
Capitolo 22: *** Le pareti non si muovono ***
Capitolo 23: *** Sei davvero qui? ***
Capitolo 24: *** Ecco la sposa ***
Capitolo 25: *** Un filo sottile ***
Capitolo 26: *** Lo sapevo che mi amavi ***
Capitolo 27: *** Non hai mai avuto nessuna possibilità ***
Capitolo 1 *** Amore a prima vista ***
Con immensa gioia vi
regalo il
primo capitolo di una nuova long-fiction che sta pian piano prendendo
vita
dalla geniale penna di Gia August. Questa storia si colloca nella
stessa linea
temporale di “A shot in the dark” ponendosi come
suo naturale seguito. Mi
auguro di ritrovare le mie affezionate commentatrici e di poterne
salutare
delle nuove.
Anche questa storia fa parte dell'immenso Fanfiction.net, qui di seguito vi lascio il link alla versione originale:
http://www.fanfiction.net/s/3663730/1/The_Object_Of_Her_Affection
Vi
auguro una buona lettura.
The Object of
Her
Affection
By Gia August
Traduzione di Lella Duke
Capitolo
uno: amore a prima vista
Se
la gente di Hazzard l’avesse
conosciuta bene, avrebbe potuto pensare che Laura Dawson era una
ragazza
strana. Infatti, nonostante avesse vissuto in periferia per tutta la
vita, i
suoi concittadini l’avevano vista di sfuggita soltanto poche
volte. E questo
perché Laura era migliore di loro. I suoi genitori le
avevano inculcato quella
convinzione sin da quando era una bambina e si erano assicurati che
tenesse le
debite distanze dagli altri abitanti di Hazzard. Lei era al sicuro solo
tra le
mura domestiche del loro vecchio palazzo, unico superstite della grande
piantagione di famiglia. Il cancello di ferro battuto, alto e con le
estremità
appuntite, li aiutava a tener fuori intrusioni esterne.
Laura
aveva accettato le
limitazioni dei genitori senza mai fare domande, ma le cose erano
cambiate.
Erano morti lasciandola sola con uno stato d’animo a
metà tra lo sconcerto e
l’eccitazione per la sua nuova improvvisa indipendenza. Il
vecchio palazzo
appartenuto alla sua famiglia da generazioni, ora era esclusivamente
suo. Per
la prima volta, era libera di prendere le sue decisioni. Non
c’era più nessuno
che la controllasse. Lei aveva il controllo. Non aveva più
alcun desiderio di rimanere
isolata. Aveva bisogno di conoscere il mondo al di fuori del cancello.
Hazzard
era un posto sicuro dove iniziare la sua nuova vita.
Il
dolore per la perdita dei
genitori, fu presto rimpiazzato da un senso di potere. Aveva assunto
finalmente
il controllo della sua vita. Non le occorse molto per guadagnare anche
la
libertà. Era pronta per iniziare la sua nuova vita.
Riuscì ad ottenere un
lavoro nella banca locale di proprietà di J.D. Hogg. Boss fu
sorpreso che una
ragazza del suo rango volesse lavorare per lui e la accolse nella sua
banca con
la muta speranza di poter entrare nelle grazie della sua famiglia. I
Dawson
erano dei ricchi possidenti. Lungi da lui giudicarne
l’eccentricità. Rimase
molto sorpreso dalle capacità organizzative di Laura. Non
era di certo quella
che si definisce una ragazza appariscente, ma andava più che
bene considerando
il livello degli abituali clienti della sua banca.
Era
trascorso quasi un mese da
quando Laura aveva iniziato il suo lavoro. Arrivava sempre presto. I
suoi rituali
mattutini erano sempre gli stessi. Dopo aver scelto con cura quale
completo
indossare, rimaneva sempre di fronte al vecchio specchio della sua
camera da
letto, meravigliandosi ogni volta per quella donna che ricambiava il
suo stesso
sguardo. C’erano stati così tanti cambiamenti per
lei in un breve lasso di
tempo. Si sarebbe aspettata anche una metamorfosi fisica, ma invece era
sempre
uguale. Osservò attentamente quel riflesso che le rimandava
lo specchio e notò
qualche ciocca dei suoi capelli castani libera dall’abbraccio
dello chignon che
aveva alla base del collo. Si sistemò con cura i capelli e
li riannodò facendo
attenzione a non farsene più sfuggire. Si mise in ordine la
gonna grigia che le
ricadeva al di sotto delle ginocchia. Si abbottonò al collo
la camicetta
bianca. Era pronta.
Mentre
continuava a studiare il
suo riflesso nello specchio, Laura si rese conto che nessuno
l’avrebbe mai
considerata carina. ‘Semplice’ era la parola che
aveva udito per tutta la sua
vita riferita alla sua persona. Si infilò gli occhiali
spessi e si rimirò di
nuovo soffermandosi sui suoi occhi azzurri e compiacendosi per
ciò che stava
vedendo. Non c’era niente di male nell’essere
semplici. L’uomo giusto l’avrebbe
apprezzata per quel che era.
Laura
aveva atteso tanto per
vivere la sua vita in quella cittadina e l’aveva
più volte immaginata da dietro
la recinzione del suo palazzo. Sperava che avrebbe avuto la
possibilità di
farsi amici anche se per lei non era mai stato facile. In
realtà non ne aveva
mai avuti considerati i suoi contatti limitati con le persone fino ad
allora.
Ma si impose di cambiare. Era sicura che a breve avrebbe incontrato
l’uomo dei
suoi sogni. Credeva nel destino.
L’orologio sulla mensola annunciava
le otto e Laura si guardò un’ultima volta allo
specchio. Soddisfatta di ciò che
vedeva, corse via diretta verso la banca.
Laura
stava dietro al bancone intenta
ad organizzare il suo giorno di lavoro. Come solito era tutto in
perfetto
ordine. L’ordine era importante. Alle nove in punto si
avviò verso l’entrata.
Quando aprì la porta però, si ritrovò
a sobbalzare per lo spavento. Si ritrovò
faccia a faccia con un uomo dall’altra parte della porta
aggrappato alla
maniglia.
“Mi
perdoni signorina. Non volevo
spaventarla.” Si scusò Bo Duke regalandole un
sorriso.
Laura
si ricompose in fretta.
Rispose: “non mi ha spaventata.”
Aprì
completamente la porta per
permettere a Bo di entrare. Non appena le passò di fronte,
non poté fare a meno
di notare quanto fosse bello quel ragazzo biondo. Bo si accorse di
essere
osservato, ma non ne fu sorpreso. Era abituato a certi sguardi da parte
delle
donne. Sapeva per esperienza che apprezzavano quel che vedevano.
Bo
si arrestò per permettere a
Laura di passare. Sorrise in modo radioso e disse:
“buongiorno, deve essere
nuova vero?”
Laura
annuì bruscamente, era
troppo indaffarata: “si, per favore si avvicini.”
Bo
si accostò al bancone mentre
la ragazza riguadagnava la sua postazione. Fu preso alla sprovvista
quando lei
non ricambiò il suo sorriso.
“Come
posso aiutarla?” Chiese
Laura in maniera formale. Il suo tono piatto stupì Bo. Si
aspettava l’inizio di
un flirt come sempre accadeva con tutte le ragazze di Hazzard. E invece
sembrava proprio che Laura fosse troppo occupata per accorgesi di lui.
“Sono
Bo Duke e dovrei prelevare
del denaro dal nostro conto di famiglia. Venti dollari per
favore.”
Bo
sorrise di nuovo cercando di
stabilire una sorta di connessione con Laura, la quale però
non se ne accorse.
Esaminò attentamente l’assegno che le aveva
consegnato il giovane prima di
iniziare la pratica. Portò il libro mastro sul bancone per
annotare l’operazione.
Quando sentì la porta aprirsi e richiudersi, distolse lo
sguardo dal suo
lavoro. Smise di scrivere e osservò l’uomo che si
stava avvicinando.
“Hey
Bo, non hai ancora finito
qui? Io sono stato già all’ufficio
postale.” Disse Luke Duke con un sorriso
compiaciuto stampato in volto e ponendosi di fianco al giovane.
“Lo
vedi che non ho finito,
cugino. Miss Tizdale deve aver aperto prima del solito
perché sono solo passati
un paio di minuti dalle nove.” Rispose Bo guardando
l’orologio. “Non avresti
dovuto ritirare la posta tanto in fretta.”
Luke
sorrise trionfante: “già,
Miss Tizdale ha aperto l’ufficio non appena si è
accorta che stavo aspettando
di fuori. E’ andata contro tutte le regole e mi ha fatto
entrare un paio di
minuti prima. Naturalmente ho dovuto prendere il numero e ho dovuto
mostrarle
la mia carta d’identità, ma credo che in
realtà non sappia resistere al mio
fascino. Ha detto che sono come zio Jesse.”
“Il
suo comportamento non ha
niente a che fare con te, Luke. Miss Tizdale è carina con te
solo perché vuole
far colpo su zio Jesse.” Continuò Bo tentando di
nascondere la stizza che gli
aveva procurato il cugino.
Luke
scrollò le spalle: “se la
pensi così! Quanto ti manca? Dobbiamo ancora mettere mano
alla lista della
spesa che ci ha dato zio Jesse. Non possiamo farlo aspettare.”
“Ho
quasi finito, Luke.” Concluse
Bo mostrando il suo disappunto. “Non faremo tardi.”
Miss
Tizdale poteva anche essere
una persona mattiniera, ma di sicuro non era immune al fascino di Luke.
Bo non
poteva vantarsi dello stesso successo con le donne quella mattina. Si
era
sempre considerato una calamita per le fanciulle molto più
di quanto lo fosse
Luke, ma la nuova impiegata della banca non la pensava allo stesso
modo. Non si
era neanche accorta di lui. Decise di non farne parola col cugino e di
non
dargli quindi altri motivi per prenderlo in giro. Almeno non aveva
mostrato
interesse neanche per Luke.
Mentre
i due giovani stavano
parlando, Laura cercava di guardare Luke senza dare
nell’occhio. Quando
ricambiò un suo sguardo catturandole gli occhi, lui le
sorrise. Il suo volto si
accese rivelando delle piccole fossette. Laura si sentì
lusingata. Rivolse di
nuovo la sua attenzione al lavoro sul bancone per cercare di nascondere
il
rossore che le aveva invaso le gote. Si sentì come avvolta
da un’ondata di
calore. Doveva concentrarsi e terminare la sua operazione. Non riusciva
a
credere a quel che era appena accaduto. Consegnò il denaro a
Bo con mano
tremolante e sperò che nessuno dei due se ne fosse accorto.
Bo
afferrò le banconote e le
ripose nel portafogli: “grazie signorina. Buona
giornata.” Ma non ricevette
risposta.
Luke
sorrise di nuovo a Laura. La
giovane distolse immediatamente lo sguardo. “Ci
vediamo.” Le disse.
Bo
afferrò Luke per un braccio: “andiamo
cugino. Abbiamo altre commissioni. Zio Jesse non vuole che perdiamo
tempo
quando ha bisogno di qualcosa.”
“Non
sto perdendo tempo.”
Protestò Luke sottovoce seguendo Bo alla porta.
Quando
furono abbastanza lontani
da Laura, Luke sussurrò: “deve essere timida, non
trovi?”
“Direi
che è ‘strana’
soprattutto.” Rispose Bo. “Di sicuro non aveva
molto da dirmi.”
Luke
rise: “ed è questo che la
rende strana? Perché non ti ha considerato?”
“Sto
solo dicendo che non è una
persona socievole.”
“Rallegrati,
Bo. Quella forse è l’unica
ragazza di Hazzard sulla quale il tuo irresistibile fascino non ha
alcun
potere. Dimenticala, ne hai tante altre.” Disse Luke
sogghignando e scivolando
al posto di guida del Generale Lee.
“Mi
hai distratto per poter
guidare, Lukas.”
“Tutto
è lecito…” Rispose Luke ridacchiando
mentre Bo raggiungeva l’altro lato della vettura.
Mentre
il Generale si allontanava,
Bo restituì il sorriso al cugino: “mi hai battuto.
Vorrà dire che stavolta mi
gusterò la corsa.”
Laura
osservò i due giovani uscire
dalla banca, incapace di togliere gli occhi di dosso a Luke. Quando la
porta si
chiuse alle loro spalle, finalmente sospirò. Li
guardò saltare dentro una
macchina arancione parcheggiata su strada. Mentre lasciavano la sosta,
corse
verso la finestra per vederli scomparire dietro l’angolo. Si
sentì sopraffatta.
Aveva bisogno di ricomporsi. Sapeva che la sua vita era cambiata nel
momento
stesso in cui Luke Duke l’aveva guardata negli occhi e le
aveva sorriso. Si era
creato subito un buon feeling tra loro due.
Laura
si sedette sullo sgabello
posto dietro al bancone e iniziò a pensare a Luke. Riusciva
a vedere chiaramente
ogni dettaglio del suo volto proprio come se lo avesse avuto ancora di
fronte. Il
contrasto tra i suoi occhi azzurri e il castano scuro dei suoi ondulati
capelli,
rendeva ancora più profondo il suo sguardo. Il suo volto si
illuminava quando
sorrideva. La sua voce era dolce e gentile. Laura era sopraffatta da
quei nuovi
sentimenti che si stavano impadronendo di lei. Sapeva che esisteva
qualcosa
chiamato amore a prima vista e non poteva credere che fosse capitato
proprio a
lei. E soprattutto sapeva che lui la ricambiava. Aveva potuto leggerlo
nei suoi
occhi e nel suo sorriso. Il messaggio che le aveva rivolto era stato
chiaro. Le aveva
detto che voleva rivederla. Sapeva
che in realtà stava tentando di dirle qualche altra cosa
però: si era
innamorato di lei. Era destino che si amassero.
Bo
Duke lo aveva chiamato “Luke”.
Luke Duke. A Laura piaceva il suono del suo nome. Le sarebbe piaciuto
diventare
la signora Duke. Avevano perfino le stesse iniziali. Non aveva alcun
dubbio che
Luke fosse l’uomo giusto. Lei lo amava. Lui la ricambiava.
E
si sarebbero amati finché la
morte non li avesse separati.
To be
continued…
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Capitolo 2 *** Rose rosso sangue ***
Innanzitutto chiedo scusa
per il
ritardo con il quale mi appresto a postare il secondo capitolo di
questa mia
traduzione, in secondo luogo, per rispondere alla mia cara Maria (sono
così
felice di non essermi liberata di te), aspettatevi una storia piuttosto
inquietante. Già da questo capitolo potrete rendervi conto
di quale piega
prenderà tutta la vicenda.
Grazie a tutti coloro che
hanno
letto il primo capitolo.
Capitolo due: rose rosso
sangue
Bo
e Luke tornarono ad Hazzard il
mattino seguente in quanto zio Jesse aveva loro commissionato altri
acquisti
presso il negozio di ferramenta. Luke ne uscì trasportando due
scatole di chiodi
al contrario di Bo che invece aveva le mani libere. Quando Luke si
mosse per
raggiungere il lato guida del Generale, Bo scivolò
rapidamente sul cofano della
macchina tagliandogli la strada. Saltò abilmente nel
finestrino piantandosi
dietro al volante. Il suo sorriso trionfante però si
tramutò presto in una
smorfia di dolore non appena realizzò di essersi seduto su
qualcosa di
appuntito.
Quando
urlò, Luke gli chiese preoccupato:
“che è successo?”
Bo
cercò di localizzare la fonte
del suo dolore e si rese conto che si trattava di un bouquet di rose
rosse. Le
osservò attentamente ed esclamò: “sono
piene di spine!”
“Certo
che hanno le spine, sono
rose.” Disse Luke trattenendo a stento una risata.
“E’ piuttosto ovvio.”
“Mi
sono punto. Per fortuna i
jeans mi hanno salvato.”
“Ti
serva di lezione la prossima
volta che non vorrai farmi guidare.” Disse ancora Luke
incapace di nascondere
il suo ghigno.
“Invece
di ridere dovresti
ringraziarmi perché a quest’ora ti ci saresti
seduto tu.”
Esasperato
dalla logica di Bo,
Luke proseguì: “non potrà mai capitarmi
niente del genere perché sono più cauto
di te e guardo sempre dove mi siedo.”
“Fosse
capitato ieri quando mi
hai battuto e ti sei infilato di fretta nel finestrino del Generale,
non le
avresti viste, quindi non essere così sicuro che oggi
avresti prestato maggiore
attenzione. Dovresti semplicemente ringraziarmi per averti salvato il
fondoschiena.”
Luke
scosse il capo meravigliato
ancora una volta dalla prospettiva unica e particolare di Bo. Chiese:
“da dove
arrivano? Chi ti ha mandato delle rose?”
“Non
lo so. Potrebbe trattarsi di
una ragazza tra un numero imprecisato di altre ragazze. Ho parecchie
ammiratrici.” Rispose sorridendo mentre Luke scuoteva ancora
il capo. “Fammi
vedere se c’è un biglietto.”
Ne
trovò uno tra le rose e lo
tolse dal suo involucro color lavanda. Lesse il messaggio e si
lasciò sfuggire un
sorriso.
Luke
chiese con curiosità:
“allora? Chi le manda?”
Bo
rispose: “non sono per me
cugino.”
“Non
sono per te? Qualcuno allora
le ha lasciate per Daisy?” Domandò ancora Luke
senza considerare l’ovvietà
della risposta.
“Non
sono neanche per Daisy.”
“E
allora per chi sono?” Chiese
ancora iniziando a spazientirsi.
“Per
un tipo intelligente come
te, non dovrebbe essere difficile arrivarci. Sono per te.”
Rispose Bo accompagnando
le parole ad una risata divertita.
“Per
me?”
“Proprio
così! Sono per te. Che
mi stai nascondendo? Chi è lei?”
Domandò Bo ghignando.
“Fammi
vedere.” Disse Luke incredulo.
“Non avevo mai ricevuto fiori da una ragazza prima
d’ora.”
“C’è
sempre una prima volta.”
Continuò Bo tirandogli il mazzo di rose dal finestrino.
Luke
istintivamente lo afferrò
lasciando cadere le scatole di chiodi. Urlò per il dolore.
“Accidenti
a queste spine
appuntite. Volevo vedere solo il biglietto non mi servivano anche le
rose.”
Disse Luke seccato. “In ogni caso chi mai potrebbe spedire
rose piene di spine
a qualcuno? Non bisognerebbe toglierle tutte prima di
regalarle?”
“Il
biglietto non è firmato, ma
sembrerebbe proprio che tu la conosca. Allora da dove
vengono?”
Luke
scrutò bene il biglietto sperando
di trovare una risposta: “non lo so.” Rispose.
Lesse poi il messaggio a voce
alta.
Mio carissimo Luke,
queste rose rosse sono il simbolo del nostro amore
eterno. So che mi
ami e io ti amerò per sempre. L.D.
“So
che mi ami?” Ripeté Luke. “Non
so davvero chi le abbia mandate. Non c’è una firma
e non riconosco questa calligrafia.
Pensi che ‘L.D.’ siano le sue iniziali?”
Bo
rise: “penso che ‘L.D.’ siano
le tue di iniziali. Dice di amarti Luke Duke anche se non ne capisco il
perché!
Sei proprio sicuro di non sapere chi le abbia mandate? Mi stai
nascondendo
qualcosa? Hai una storia d’amore segreta?”
“Non
ho nessuna storia d’amore
segreta.” Negò Luke continuando ad esaminare il
biglietto. “Non credo provenga
dal negozio di fiori. Non c’è nessun nome sopra.
Ha un profumo molto intenso
però, direi di lillà.”
“Fammi
dare un’occhiata.” Disse
Bo allungando il braccio ed afferrando il biglietto. Lo
annusò: “hai ragione
sembra lillà.”
“Sembrerebbe
che qualcuno abbia
dei seri problemi.”
“Hai
un’ammiratrice segreta.”
Continuò Bo. “Non penso sia giusto giudicare i
gusti degli altri.”
Quando
Bo vide lo sguardo
interrogativo del cugino, aggiunse: “non è una
brutta cosa, Lukas. Piaci a
qualcuna anche se non ne capisco il motivo!”
“Vorrei
solo sapere chi è lei. Perché
non ha firmato il biglietto?”
“Bè
Luke, con una firma si
sarebbero persi tutti i propositi di segretezza della tua
ammiratrice.”
“Penso
che tu abbia ragione.” Convenne
Luke. “E’ strano però non sapere chi
sia. Non credo che questa faccenda mi
piaccia: qualcuna conosce me, ma io non conosco lei. Mi sento come se
fossi
osservato.”
“E
tutto questo ti farà impazzire
finché non scoprirai la sua identità.”
Bo conosceva suo cugino meglio di
chiunque altro.
Luke
prese il biglietto dalle
mani di Bo e lo esaminò di nuovo sperando che un nome
sarebbe potuto comparire
magicamente. Alla fine capitolò: “non credo che
scoprirò qualcosa ora.
Andiamocene a casa. Dobbiamo ancora riparare il recinto.”
Luke
si chinò a raccogliere le
due scatole di chiodi e si avviò verso il lato passeggero
del Generale Lee. Saltò
nel finestrino facendo attenzione nel tenere le rose ed evitare
così di
pungersi di nuovo. Rimase in silenzio sulla strada verso casa intento
com’era a
cercare una risposta a quella faccenda. Dal biglietto si poteva dedurre
che lui
già conoscesse la sua ammiratrice, ma al momento non stava
vedendo nessuna e di
sicuro non era innamorato. Bo tentò di iniziare una qualche
conversazione
diverse volte, ma alla fine si arrese sapendo bene che suo cugino non
avrebbe
smesso di riflettere finché non avesse scoperto chi aveva
mandato quelle rose. Terminarono
il viaggio in silenzio.
Quando
giunsero alla fattoria, Bo
saltò giù dal Generale e si diresse verso Jesse e
Daisy seduti al tavolo da
picnic. Urlò: “Hey voi, volete sapere
l’ultima? Luke ha un’ammiratrice segreta.”
Luke
scese in fretta dalla
macchina, preoccupato che Bo avrebbe ingigantito troppo la storia delle
rose. Si
sporse di nuovo all’interno della vettura per recuperare il
bouquet. Quando fu
vicino al tavolo, vi poggiò sopra le rose.
Non
appena le ebbe adagiate sul
piano, Daisy chiese: “sono per me questi fiori tesoro? Sono
così carini!”
Luke
arrossì e rispose: “ no, non
sono per te. Sono per me. Fai attenzione, sono piene di
spine.”
“Di
solito le rose ne hanno.” Disse
Daisy esaminando il bouquet più da vicino.
Domandò ancora: “cosa gli è
successo? Sembra che qualcuno abbia schiacciato questo mazzo di
rose.”
“Non
chiedermelo.” Rispose Bo.
Luke
sogghignò: “Bo ci si è
seduto sopra.”
“Accidenti!
Devono far male.”
Daisy sorrise.
“Fanno
male!” Confermò Bo carezzandosi
il fondoschiena, finalmente in grado di vedere l’umorismo
insito nel suo
piccolo incidente.
Jesse
osservò le rose e notò un
piccolo biglietto nel mezzo del bouquet: “hai detto che
provengono da un’ammiratrice
segreta? Posso vedere quel biglietto?”
Daisy
porse il piccolo involucro
viola allo zio. Dopo che lo ebbe letto, guardò in direzione
di Luke con un’espressione
accigliata: “sei proprio sicuro di non sapere chi te lo abbia
scritto?”
Luke
negò col capo: “non ne ho
idea zio Jesse, ci sono solo le iniziali ‘L.D.’, ma
Bo pensa che siano le mie.”
Jesse
osservò ancora Luke con
sguardo scettico: “eppure sembrerebbe che lei conosca te e tu
conosca lei molto
bene. Che mi dici di ti amerò per
sempre e
del fatto che lei sa che tu la ami?”
“Non
lo so. Non so chi mi abbia
mandato quelle rose zio Jesse, te lo giuro.” Insistette Luke.
“Non
c’è bisogno di giurare,
ragazzo.” Jesse alzò la voce. “Forse
dovresti ripensare a tutte le ragazze con
cui sei stato o a tutte quelle con cui hai soltanto flirtato di
recente.”
“Non
sono più uscito con nessuna
da quando ho rotto con Ellen e non ho avuto neanche qualche
flirt.” Si difese
Luke. “E sono sicuro di non aver detto a nessuna di
amarla.”
Bo
sentì tornare a galla un
famigliare senso di colpa consapevole com’era di esser stato
la causa della
rottura tra Luke ed Ellen. Sapeva che suo cugino non aveva visto
nessun’altra
da allora. Iniziò a sperare che quella misteriosa
ammiratrice fosse ciò di cui
aveva bisogno Luke dal momento che si era completamente ristabilito da
quella
orribile caduta giù dal ponte. Aveva bisogno di ricominciare
a uscire con
qualche ragazza. Egoisticamente Bo sapeva che, se fosse accaduto,
avrebbe
cominciato a sentirsi meno responsabile.
Avvertendo
il turbamento del
nipote più grande, Jesse lasciò cadere
l’argomento e gli diede una leggera
pacca sulla spalla: “va bene figlio mio. Stavo solo
chiedendo. Ti credo. Non
voglio che tu possa approfittarti di qualcuna e non voglio che tu
infranga un
povero cuore. So come siete fatti voi ragazzi.”
Luke
scosse il capo: “forse
potrebbe farlo Bo, ma non io.”
“Hey!”
Si risentì Bo. “Non
incolparmi senza motivo. Questi fiori sono per te. Non per me,
cugino.” Ammiccò
scanzonato. “Non è colpa mia se le donne ti
trovano irresistibile.”
Daisy
si alzò stringendo il
bouquet tra le mani: “io penso che tutto questo sia molto
romantico. Vado in
casa a mettere le rose in un vaso. E Luke, posso capire il suo
interesse nei
tuoi confronti. Sei davvero irresistibile tesoro.”
Daisy
baciò Luke su di una
guancia mentre il giovane arrossiva per il complimento.
“Vedrai che a tempo
debito si rivelerà. Nel frattempo goditi questo mistero.
Potrebbe essere
divertente dopo tutto. A me piacerebbe molto avere un ammiratore
segreto. Dovresti
esserne lusingato.”
“Ci
proverò.” Rispose dubbioso
Luke. “Grazie Daisy.”
“Cos’è
che ti tormenta?” Chise
poi la giovane non riuscendo a capire l’apprensione del
cugino.
“Lei
dice di amarmi e di sapere
che anche io la amo. Non c’è nessuna nella mia
vita ora.” Rispose Luke. “Sarebbe
stato diverso se avesse detto che voleva conoscermi, ma così
non solo sembra
che già ci conosciamo, ma che siamo addirittura innamorati.
Non ha senso.”
“Magari
è qualcuna che hai
conosciuto in passato.” Propose Jesse.
“Non
lo so zio. Non credo. Non
conosco questa calligrafia.”
“Io
continuo a pensare che sia
tutto molto romantico.” Insistette ancora Daisy.
“Ti farà conoscere la sua
identità al momento giusto. Non te ne preoccupare.”
“Ci
proverò.” Ripeté Luke senza
entusiasmo.
Daisy
regalò un altro bacio al
cugino e si avviò in casa: “provaci sul serio
tesoro. Scrollati quest’ansia di
dosso.”
Luke
sospirò. Forse avevano tutti
quanti ragione e poteva essere una bella esperienza avere
un’ammiratrice
segreta. Forse si sarebbe rivelata presto e avrebbero iniziato ad
uscire
insieme. Forse, ma ne dubitava. Non poteva ignorare quella spiacevole
sensazione che gli attanagliava lo stomaco. Si ritrovò a
sperare di non aver
mai ricevuto quelle rose, rosse come il sangue.
Daisy
portò il bouquet in casa e
dopo averlo sistemato in un vaso, gli diede il posto d’onore
sulla mensola del
caminetto.
To be continued…
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Capitolo 3 *** Il lato oscuro delle favole ***
Lo so, lo so. Sono
imperdonabile.
Ho abbandonato questa traduzione e peggio ancora ho abbandonato voi,
mie care,
che mi avete sempre seguito e sostenuto. Potrei inventarmi scuse su
scuse per
giustificare la mia assenza, ma non lo farò
perché vi rispetto troppo. Ho
passato semplicemente una fase di pigrizia acuta, tutto qui.
Con il nuovo anno,
tuttavia, è
tornata la voglia di continuare questa incredibile storia e infatti qui
di
seguito troverete tradotto il terzo capitolo. Il quarto sarà
sfornato e
pubblicato in settimana.
Buona lettura!
Capitolo tre: il lato
oscuro delle favole
Luke
rabbrividì raggiungendo la
vecchia trapunta fatta a mano che giaceva ai piedi del suo letto. Se la
portò
fin sopra le nude spalle e si raggomitolò stringendosi al
suo cuscino. L’aria
fredda che entrava dalla finestra della camera da letto, gonfiava le
tende.
Pensò di alzarsi e di chiuderla, ma non aveva alcun
desiderio di abbandonare il
confortevole calore nel quale era avvolto. Guardò nella
direzione di Bo, il
quale dormiva placidamente sepolto sotto le coperte. La finestra poteva
aspettare.
Le
prime luci dell’alba
filtrarono lentamente nella stanza. Luke provò a
riaddormentarsi, ma la
consapevolezza di doversi alzare presto per iniziare i lavori alla
fattoria, lo
fece rimanere sveglio. Non appena iniziò a pensare alla
giornata che aveva
davanti, la sua mente tornò al bouquet di rose rosse per la
centesima volta.
Dopo quasi una settimana, Daisy finalmente gli aveva concesso di
gettare quei
fiori appassiti nella spazzatura. La giovane rimaneva
aggrappata all’idea
romantica che una fanciulla si era presa una cotta per suo cugino e che
presto
si sarebbe rivelata. Non voleva ferire i suoi sentimenti e
così aveva
conservato le rose tanto a lungo.
Luke
continuava a non avere
sospetti su chi potesse essere la ragazza in questione. Ogni volta che
andava
in città, si ritrovava a fissare ogni donna che vedeva,
chiedendosi se fosse la
sua ammiratrice. Non credeva si trattasse di qualcuna con cui era
uscito in
passato e di certo non poteva fermare ogni fanciulla che incontrava
chiedendole
se gli avesse mandato delle rose. Non voleva mettere in imbarazzo
nessuna di
loro e soprattutto non voleva mettere in imbarazzo sé stesso
ricevendo un no come risposta.
Non
c’erano stati altri biglietti
o fiori nel frattempo. Luke cominciò a credere che qualcuno
si fosse
semplicemente divertito alle sue spalle e quel qualcuno poteva essere
Bo, ma il
giovane continuava a negare ogni responsabilità.
Ciò nonostante Luke si era
intimamente riservato il piacere di prendersi la rivincita nel caso ci
fosse
stata proprio la sua firma dietro le rose. Tuttavia non era da Bo
tirare uno
scherzo così per le lunghe.
Luke
aveva tentato di seguire il
consiglio di Daisy e aveva cercato di sentirsi lusingato di quel dono,
ma era
il biglietto a tormentarlo. Implicava un’intimità
che non esisteva. Implicava
uno stretto contatto con la donna che lo aveva scritto. Ma non
c’era una donna
nella sua vita. Quella era la sua unica certezza.
Si
costrinse ad uscire fuori dal
suo letto e tremò
ancora ritrovandosi
coperto solo dai suoi boxer nel freddo del mattino. Si
infilò in fretta i jeans
e gli stivali prima di avvicinarsi al letto di Bo, iniziando a scuotere
il
cugino per un braccio.
“E’
ora di alzarsi.”
Bo
si strinse ancora di più nelle
coperte. Luke le scansò via e ripeté usando lo
stesso tono dello zio: “è ora di
alzarsi. Abbiamo del lavoro da fare.”
Bo
mugugnò: “va bene, Luke ti ho
sentito. Sono sveglio. Non c’è bisogno di
urlare.”
“Non
sto urlando, volevo solo
essere sicuro che mi sentissi.”
Certo
che Bo non si sarebbe
rimesso a dormire, afferrò una maglietta dal cassetto e
uscì dalla stanza. Vide
le luci accese e sentì l’aroma del
caffé appena tostato. Non appena entrò in
cucina, non rimase affatto stupito nel vedere suo zio seduto al tavolo
con una
tazza in mano e Daisy in piedi vicino ai fornelli.
“Buongiorno
zio Jesse, buongiorno
Daisy. Non credevo vi foste già alzati. Pensavo avrei fatto
io il caffé.”
Daisy
gli porse una tazza:
“buongiorno, tesoro. Come vedi è già
pronto. Prendine un po’, è proprio come
piace a te.”
Luke
strinse la tazza tra le mani
e si avviò verso la porta di casa: “grazie Daisy.
Comincio i miei lavori.
Chiamami quando è pronta la colazione. Bo sarà in
piedi a momenti.”
“Non
ti preoccupare, vi chiamerò
entrambi.” Rispose la giovane.
Luke
uscì dalla porta, ma si
arrestò di colpo non appena si accorse della presenza di un
pacchetto sui
gradini del portico. Era avvolto in una carta rossa e vicino aveva una
busta
color lavanda con il suo nome scritto all’interno di un cuore.
“Zio
Jesse, Daisy!” Chiamò Luke.
Entrambi
comparvero alla porta,
seguiti da un assonnato Bo. Luke mostrò loro il pacchetto:
“eravate già usciti
stamattina? Era già qui questa scatolina?”
“Nessuno
di noi era ancora
uscito, ma non c’era niente qui fuori quando siamo andati a
dormire ieri sera.”
Rispose Jesse. “Ne sono certo. Controlla cosa
c’è scritto sul biglietto. Sembra
uguale a quello delle rose.”
Luke
scrutò attentamente la busta
come per cercare qualche indizio. Quando Daisy si accorse che ancora
non
l’aveva aperta, disse: “andiamo Luke, aprila!
Magari stavolta ti ha lasciato
scritto il suo nome.”
Tanto
bastò perché Luke estrasse
il biglietto dalla busta che rilasciò immediatamente un
intenso odore di
lillà. Sospirò non appena lo ebbe letto.
“Beh?
Che c’è scritto?” Daisy non
stava nella pelle. “Ti dice chi è?”
Luke
negò e lesse a voce alta:
Mio carissimo Luke,
sei sempre nel mio cuore. So che tu provi lo
stesso. So che mi ami. Lo
leggo nei tuoi occhi quando mi sorridi. Ho capito il messaggio segreto
che mi hai inviato. Siamo due parti della stessa anima. Due parti dello
stesso
cuore. Per favore, accetta questo simbolo del nostro amore. Io
indosserò sempre
l’altra metà. So che di solito non indossi
gioielli, ma spero tu voglia indossare
questo.
Ti amerò per sempre. L.D.
“Sei
assolutamente sicuro di non
sapere chi te lo abbia mandato?” Chiese Jesse.
“Perché sembra proprio che lei
ti conosca bene. Che mi dici al riguardo del messaggio
segreto che le hai inviato?
“E
dei sorrisi?” Aggiunse
Daisy. “Sei stato faccia a faccia con lei da
quel che dice.”
“Devi
conoscerla per forza,
Luke.” Concluse Bo.
“Non
so chi lei sia.” Rispose
bruscamente Luke alla valanga di domande. “Non ho mandato
messaggi segreti e,
per quel che ne so, non sono stato faccia a faccia con nessuna. Non
riesco ad
immaginare chi sia. Magari è Bo che si sta
divertendo.”
“Non
sono io.” Si giustificò il
giovane. “Anche se credo sarebbe stato divertente.”
Quando
Luke lo guardò, Bo
raccolse il pacchetto e lo offrì al cugino:
“perché non lo apri? Magari
scopriremo qualcosa.”
Luke
rimosse attentamente la
carta rossa e si ritrovò una scatolina di velluto nero tra
le mani. La aprì con
cautela come per paura di vederla esplodere all'improvviso. Conteneva la
metà di un
cuore d’oro tagliato a zigzag e attaccato
all’estremità ad una catenina
anch’essa d’oro. Luke se
l’avvicinò al volto per guardarla meglio.
C’era incisa
una L sul davanti. Quando
girò il
ciondolo, sul retro lesse per sempre.
Daisy
disse: “è davvero carino,
Luke. E’ molto dolce avere un cuore spezzato a
metà per due persone che si
amano.”
“Peccato
solo che io non sia
innamorato, Daisy.” Insistette Luke.
Jesse
prese la catenina dalle
mani del nipote e la esaminò: “sembra un regalo
molto costoso. Non è qualcosa
che si regala ad uno sconosciuto. Sembra davvero che lei ti
conosca.”
Daisy
aggiunse: “devi per forza
avere un’idea di chi sia questa donna se ti ha fatto un
regalo del genere.”
“Ve
l’ho già detto, non so chi
sia.” Luke non era più in grado di contenere la
sua frustrazione e il suo
disappunto. “Ci ho pensato per tutta la settimana e non mi
è venuta in mente
nessuna che potrebbe aver qualcosa a che fare con tutto
questo.”
A
giudicare dagli sguardi che si
sentiva puntati addosso, Luke ebbe la netta sensazione che nessuno
credesse alle
sue parole. Bo confermò il suo presentimento quando
innocentemente domandò:
“hai per caso una fidanzata segreta?”
“NO!”
Urlò Luke. “Non so più come
dirvelo. Non c’è nessuna e non ci sono
segreti.” Aggiunse con tono più basso.
“Non vi sto mentendo, zio Jesse.”
Jesse
studiò attentamente Luke,
scorgendo sul volto del nipote un turbinio di emozioni: dalla
confusione alla
frustrazione, dalla rabbia al dolore per non essere creduto. Luke
poteva non
essere un ragazzo espansivo nel mostrare i suoi sentimenti, ma Jesse
era sempre
stato in grado di capire quel che il giovane provava anche quando
cercava di
nasconderlo. Sapeva inoltre che Luke non mentiva mai.
“Ti
credo, ragazzo. So che non
mentiresti.” Jesse strinse il nipote tra le braccia e lo
sentì finalmente rilassarsi
un po’. “Ci stavamo soltanto chiedendo se avessi
una storia segreta. Non ci
sarebbe niente di sbagliato se fossi così.”
Luke
guardò lo zio con
gratitudine: “non sono più uscito con nessuna da
quando ho rotto con Ellen. Non
ci sono storie segrete. Suppongo non ci sia niente di male nel mandare
regali,
ma i biglietti non hanno senso. E’ come se qualcuno mi stesse
guardando o
stesse giocando con me.”
Quando
Luke guardò Bo, il giovane
si mise sulla difensiva: “te l’ho detto. Non sono
io. Non avrei potuto
comprarti quel cuore anche se mi sarebbe piaciuto divertirmi un
po’ a farti
diventare matto. Ma credo che ora non sia più
così divertente.”
“Non
è mai stato divertente per
me.” Disse Luke. “Non mi piace che in questi
biglietti ci sia scritto quanto
siamo uniti quando in realtà non lo siamo affatto.”
“Secondo
me ti stai agitando
troppo, forse è semplicemente qualcuna a cui
piaci.” Aggiunse Daisy. “Penso
ancora che dovresti sentirti lusingato e che dovresti aspettare
finché non sarà
pronta a rivelarsi.”
“Non
sono lusingato.” Tagliò
corto Luke.
“Non
dovrebbe essere troppo
difficile scoprire chi ti ha mandato questo regalo. Tutto quello che
dobbiamo
fare è trovare la fanciulla che indossa l’altra
metà del cuore.” Suggerì Bo.
Daisy
continuò: “terrò gli occhi
bene aperti. Ha scritto che lo indosserà sempre.”
“Apprezzo
il vostro aiuto.” Disse
Luke concedendo un debole sorriso.
“C’è
scritto il nome della
gioiellerie sulla scatoletta? Se l’hanno comprato da Reed, è probabile che in
negozio si ricordino chi ha preso questo
cuore.” Disse Jesse.
Luke
osservò suo zio: “sono
sorpreso di non averci pensato io.”
“Sei
troppo nervoso per pensare
coerentemente e questo non è da te.” Rispose Jesse
rasserenato dal sorriso
apparso sul volto del nipote.
L’espressione
di Luke, tuttavia,
si fece nuovamente seria: “non proviene da Hazzard. Non
c’è scritto il nome del
negozio, ma solo Atlanta. Penso non
sia di molto aiuto.”
“Da
qualunque posto provenga, non
puoi tenere un regalo così costoso.” Disse Jesse.
“Lei potrebbe farsi
un’idea sbagliata.”
“Lo
so zio Jesse. Non ho
intenzione di tenerlo, ma non so a chi devo restituirlo.”
“Questo
è vero.” Convenne Jesse.
“Va bene. Non possiamo permetterci di chiacchierare tutto il
giorno. Abbiamo
una fattoria da mandare avanti. Voi due ragazzi iniziate i vostri
lavori. Le
nostre bestiole vi stanno aspettando. Io e Daisy prepareremo la
colazione
quindi non perdiamo tempo. E non ti preoccupare, Luke. Verremo a capo
di questa
faccenda.”
“Vedrai
che si rivelerà presto.”
Disse Daisy con un sorriso continuando a considerare i doni e
l’ammiratrice
segreta come una romantica avventura. “Forse la incontrerai,
ti innamorerai di
lei e vivrete per sempre felici e contenti. Un bel lieto fine come
nelle
favole.”
Luke
sospirò guardando sua cugina
e suo zio entrare in casa. Si rivolse a Bo: “quella ragazza
è troppo romantica.
Sta ancora aspettando il principe azzurro sperando che venga a portarla
via
come fosse una principessa. Se questa è una favola, e non
sto dicendo che lo
sia, assomiglia molto ad una dei fratelli Grimm piena di streghe,
folletti e
gnomi nascosti sotto un ponte nella foresta nera, in attesa di poterti
afferrare e condurti nel loro tetro mondo. E una volta che ti hanno
preso, ti
tengono prigioniero in un covo sotterraneo di un qualche umido, buio e
vecchio
castello finché qualcuno non ti libererà dopo
molti anni, se sei fortunato.”
Bo
sorrise circondando le spalle
del cugino con un braccio: “Lukas, sei probabilmente la
persona meno romantica
che io conosca. Anche adesso guardi sempre sotto i ponti alla ricerca
di
streghe e gnomi. Penso da piccolo tu abbia preso le favole un
po’ troppo sul
serio.”
“Forse
si, ma qualcuno deve pur
preoccuparsi di certe cose. E tu non sei meglio di Daisy quando si
tratta di
fare la prima cosa ti salti in mente senza riflettere sulle
conseguenze.”
“Infatti
quello è un compito che
deleghiamo a te.” Rispose Bo con un ghigno divertito.
“Sei talmente bravo nel
farlo! E poi sappiamo che ci sarai sempre per proteggerci da quei
mostri
spaventosi che si nascondono nel buio.”
“Quelle
favole di sicuro vi hanno
terrorizzati quando eravate piccoli. Non riesco più a
contare le volte in cui
uno di voi o tutti e due insieme, vi siete infilati nel mio letto
cercando
protezione dai mostri che si nascondevano nel buio delle
stanze.”
Bo
sorrise a quel ricordo: “lo
so, Luke. Ma ora siamo cresciuti e non crediamo più che ci
sia qualcuno sotto i
nostri letti pronto ad afferrarci.”
Luke
sospirò. Tutti quei mostri
immaginari erano scomparsi veramente crescendo, ma la vita, a volte, ne
presenta alcuni infinitamente peggiori. Forse era troppo apprensivo, ma
sapeva
per esperienza che c’era un lato oscuro della vita e sperava
che i suoi cugini
non lo avrebbero mai conosciuto. Nel caso fosse successo,
però, lui avrebbe
fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggerli e
vegliare su di loro.
Luke
guardò suo cugino e disse
seriamente: “non ti farebbe male essere un po’
più cauto una volta ogni tanto.”
“E
a te non farebbe male essere
un po’ meno cauto. Ti divertiresti molto di
più.” Replicò Bo.
“Io
mi diverto.” Rispose Luke
sulla difensiva.
“Tu
pensi solo di divertirti.”
Ridacchiò Bo.
Prima
che Luke potesse parlare,
Bo aggiunse di nuovo: “andiamo, cugino. Abbiamo del lavoro da
fare. Per fortuna
ci sono io a tenerti informato su come stanno le cose.”
Luke
rise di gusto, grato a Bo
per averlo distratto come suo solito: “okay, cugino.
Muoviamoci o ci perderemo
la colazione.”
“Non
accadrà mai.” Rispose Bo allungando
il passo.
Luke
depose la piccola scatola
nera sul davanzale della finestra. La osservò per un lungo
istante e infine
raggiunse Bo nel granaio.
To be continued…
|
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Capitolo 4 *** Invasione ***
Maria prima o poi mi
prenderà a
morsi, vero cara? Ragazze mi rincresce farvi aspettare, però
mi fa piacere
sapere che questa storia vi stia prendendo tanto! Non farò
più promesse che non
posso mantenere, ma cercherò con ogni mezzo di aggiornare
almeno una volta a
settimana. Voi però non vi spazientite e non mi abbandonate,
vi prego ^_^’
Visto che state seguendo
questa
storia (e quella precedente) con tanto amore e interesse, immagino vi
piacciano
i Dukes. Vorrei quindi invitarvi, qualora lo vogliate, a visitare il
forum
dedicato ad Hazzard all’interno del quale io sono assistente
amministratrice: http://hazzardcountyline.forumfree.net/
Ci faccio un salto almeno
una
volta al giorno, quindi se volete comunicare con me (o insultarmi per i
mancati
aggiornamenti), potete tranquillamente contattarmi lì.
Bando alle ciance, a voi
il
quarto capitolo.
Buona lettura!
Capitolo quattro: invasione
Laura
Dawson salì con cautela gli
scalini del portico della fattoria dei Duke. Sapeva che in casa non
c’era
nessuno poiché aveva visto Jesse e Daisy prima, Bo e Luke
poi allontanarsi in
macchina. Aveva mantenuto una distanza di sicurezza per essere certa
che
nessuno l’avrebbe vista mentre fotografava la fattoria.
Quando tutti se ne
furono andati si avvicinò alla casa fino a ritrovarsi sotto
il portico.
Sperava in realtà di trovare Luke da solo, ma ogni volta che
lo vedeva era in
compagnia o di un Duke o di un altro, la maggior parte delle volte
comunque
si trattava di Bo. Sembrava proprio che Luke non andasse da nessuna
parte senza
il cugino a fargli da guardiano. Nessuno di loro lo perdeva mai di
vista.
Capiva perfettamente cosa si provava essendo scappata lei stessa al
controllo
dei genitori. La famiglia di Luke lo stava controllando allo stesso
modo. Laura
riusciva a riconoscerne tutti i segnali. Volevano tenerla lontana da
lui.
Volevano tenere Luke lontano da Laura.
La
giovane afferrò la maniglia
della porta della cucina e fu sorpresa di constatare che fosse aperta.
Suppose
che non serrare le porte fosse un’usanza tipica dei
campagnoli. Al contrario
lei aveva sempre vissuto dietro alti muri e lucchetti. Non aveva
pianificato di
entrare in casa, ma a quel punto non poté più
resistere. Aprì la porta con
attenzione e per essere sicura chiamò:
“c’è nessuno in casa?”
Non
ricevendo risposta, entrò e
richiuse la porta alle sue spalle. Tirò fuori la macchinetta
fotografica dalla
grande borsa che aveva con sé e iniziò a
fotografare la cucina. Esaminò ogni
angolo di quella stanza. Quando ebbe finito si mosse verso il
soggiorno chiedendosi
se Luke avesse una zona preferita. Non sapeva dirlo, ma
immaginò si potesse
trattare del divano. Era certa che la grande e confortevole poltrona
appartenesse a suo zio. Si sedette sul divano e amorevolmente
iniziò ad
accarezzarne un bracciolo prima di scattare altre foto.
Entrò
poi nelle altre stanze. La
prima che visitò, a giudicare dai decori, apparteneva ad una
donna. Era la
camera di Daisy senza dubbio alcuno. Continuò per il
corridoio ed entrò in
un’altra stanza. Questa aveva un grande letto al suo interno.
Vide un paio di
salopette di jeans poggiate su di una sedia. Ne dedusse che la camera
appartenesse allo zio di Luke.
In
fondo al corridoio Laura
sbirciò nel bagno la cui porta era aperta. Vi
entrò e scattò ulteriori foto.
Vide delle spazzole sul mobiletto e ne prese una. Ne estrasse un capello
lungo e
castano e decise che apparteneva a Daisy. La seconda conteneva qualche
capello
biondo. Con la terza fece centro. Trovò dei capelli corti e
scuri e capì che
appartenevano a Luke. Si infilò la spazzola nella borsa e
tornò nel corridoio.
Rimaneva
una sola stanza da
controllare. Delicatamente spalancò la porta semi aperta.
Vide due letti
singoli. Realizzò che Luke dovesse dividerla con suo cugino,
probabilmente
perché in quel modo Bo poteva controllarlo ogni momento. Si
avvicinò al primo
letto chiedendosi se appartenesse a Luke. Tirò via le
coperte fino a scoprire
due cuscini. Li controllò accuratamente finché
non trovò quel che stava
cercando: un altro capello marrone. Afferrò un cuscino e se
lo strinse al petto
prima di sistemarlo ai piedi del letto.
Laura
osservò le due cassettiere
in fondo alla stanza. Sperò che quella più vicina
al letto di Luke fosse
effettivamente la sua. Non c’era granché al di
sopra, fu tuttavia attratta
dalla foto di una bellissima donna. Laura fissò quella
figura che le sorrideva
di rimando. Si domandò chi fosse. Si augurò che
la cassettiera appartenesse a
Bo e che quella donna fosse la sua fidanzata. Aprì un
cassetto e toccò
delicatamente le magliette e i boxer accuratamente riposti, non era
certa però
fossero di Luke. Aprì poi l’ultimo cassetto e ne
estrasse un paio di jeans.
Sembravano della misura giusta. Per fugare ogni dubbio si
avvicinò all’altra
cassettiera e tirò fuori un altro paio di jeans. Erano
più lunghi dei precedenti,
dovevano pertanto appartenere a Bo visto che era leggermente
più alto del
cugino.
Soddisfatta
di aver appurato che
la prima cassettiera fosse effettivamente di Luke, piegò con
attenzione i jeans
e li ripose nella sua borsa. La fotografia tuttavia catturò
nuovamente la sua
attenzione. Quella donna aveva qualcosa a che fare con Luke. Era tra le
sue
cose. Era sua. Laura sentì i primi morsi della gelosia
mentre scrutava
l’immagine di quella donna con gli occhi blu e lunghi capelli
castani. Il
trascorrere dei minuti accrebbe la sua collera. Quella donna non aveva
ragione
di sorridere così.
Depose
la fotografia sul mobile
con mani tremolanti. Chi poteva mai essere e perché
significava tanto per Luke
al punto di tenerla così in vista? Si avvicinò
nuovamente alla cornice e, con un
gesto nervoso, la sbatté faccia in giù sulla
cassettiera. Il suo umore cambiò
non appena udì il fragore di un vetro rotto.
Sorrise
aprendo di nuovo il primo
cassetto. Estrasse un paio di boxer e li mise nella sua borsa.
Guardandosi
attorno notò l’anta dell’armadio semi
aperta. La spalancò con cautela ed
esaminò le magliette contenute al suo interno.
Notò la camicia blu che Luke
indossava il giorno in cui era entrato in banca ed aveva iniziato a
flirtare
con lei. Lo stesso giorno in cui le aveva fatto capire di amarla.
Afferrò la
camicia e la ripose nella sua borsa. Una volta ancora usò la
sua macchinetta
fotografica ed immortalò ogni angolo della stanza.
La
trapunta fatta a mano ai piedi
del letto di Luke catturò la sua attenzione. Era consumata
dall’usura, ma la
sua tonalità di blu e il marrone della zampa
d’orso che vi era sopra
raffigurata erano ancora intatti. Immaginò Luke mentre
dormiva avvolto in
quella coperta. La piegò con amore e se la mise sotto il
braccio insieme al
cuscino.
Si
guardò attorno un’ultima
volta, radunò il suo bottino e si diresse verso la cucina.
Uscì dalla porta sul
retro e la richiuse alle sue spalle. Raggiunse velocemente la macchina
e andò
via.
Quando
arrivarono a casa dopo una
lunga giornata di lavoro, Bo e Luke erano esausti. Un fragrante profumo di pollo
fritto
li attirò come una calamita. Jesse si stava sciacquando le
mani mentre Daisy,
in piedi vicino ai fornelli, stava finendo di preparare i piatti. Non
appena vide i ragazzi esclamò: “lavatevi in fretta, la cena
è pronta!”
Bo
sorpassò il cugino e prese il
posto di Jesse davanti al lavandino. Luke scrollò le spalle
e sorrise: “solo un pazzo oserebbe mettersi tra un uomo affamato e il suo pollo fritto. Vado a
lavarmi
le mani in bagno.”
Anche
Jesse rise: “sbrigati Luke,
Bo sembra affamato!”
Senza
perdersi in altre
chiacchiere, Luke uscì dalla cucina. Si tolse la camicia e
la gettò distrattamente
sul letto passando davanti alla sua camera. Mentre era in piedi di
fronte
al lavandino intento a lavarsi le mani, si accorse di avere i capelli
scompigliati. Cercò la sua spazzola e si sorprese di non
trovarla al suo posto.
Si guardò attorno ed ispezionò anche il
pavimento. Alla fine abbandonò le
ricerche; si bagnò le mani e si passò le dita
umide tra i capelli tentando di
sistemarli, ma non ebbe molto successo.
Si
guardò attorno ancora una
volta cercando la spazzola, prima di dirigersi nella sua stanza per
prendere
una camicia pulita.
Non
appena mise piede in camera
ebbe la sensazione che qualcosa non fosse al suo posto. Gli occorse
solo un
istante per rendersi conto che un delicato odore di lillà
aleggiava nell’aria.
Si guardò attorno repentinamente aspettandosi di vedere lei nascosta
nel buio.
Sollevato
che in realtà non ci
fosse nessuno, Luke scrutò meglio la stanza. La coperta del
suo letto era stata rimossa. Sapeva bene di aver sistemato tutto quella
mattina, come d'abitudine. Un’ispezione più accurata lo
informò che un solo cuscino giaceva sul
letto. Cercò l’altro sul pavimento, ma non lo
trovò. Mancava all’appello anche la
vecchia trapunta che sua zia gli aveva cucito quando era un bambino.
Luke
scandagliò ancora la sua
camera e si arrestò di fronte alla cassettiera. Il cassetto
superiore era
ancora aperto. Era certo di averlo chiuso quella mattina. Si
avvicinò per
chiuderlo e fu sorpreso di vederne il contenuto gettato
all’aria. Lui non
avrebbe mai lasciato un cassetto in quelle condizioni. A volte Daisy
riponeva
la biancheria dei ragazzi nei rispettivi armadi, ma lasciava sempre
tutto
ordinato. Non poteva esser stata lei dunque. Aprì anche gli
altri cassetti, ma
notò come tutto fosse al suo posto.
Luke
richiuse man mano tutti i
cassetti cercando di formulare una plausibile spiegazione oltre a
quella ovvia
che invece si rifiutava di considerare, tuttavia un vago odore di
lillà
continuava a riempire la stanza. Sentì qualcosa infrangersi
sotto le suole
dei suoi stivali e fece un passo indietro sorprendendosi di trovare
schegge di
vetro sul pavimento. Ne raccolse una chiedendosi quale fosse la sua
origine.
Quando notò la cornice buttata a faccia in giù
sul mobile circondata da altri
frammenti di vetro, il suo cuore ebbe un’improvvisa
accelerata. La esaminò più
da vicino e fu sollevato nel constatare che la fotografia non era stata
danneggiata. Il volto sorridente di sua madre era ancora intatto.
Riusciva a
cogliere qualcosa di sé in quella foto, gli infondeva un
senso di continuità e
pace, qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti difficili. Era di sicuro
uno dei
suoi tesori.
“Hey
Luke! Che stai facendo?”
Urlò Bo dalla cucina. “Stiamo aspettando
te”
La
voce del cugino ridestò Luke
facendolo tornare alla realtà. Rispose: “sto
arrivando!” Si infilò in fretta
una maglietta, afferrò la cornice e raggiunse la sua
famiglia.
Una
volta in cucina si sedette a
tavola sul lato opposto rispetto al quale già si trovavano
Bo e Daisy. Jesse
poté finalmente rendere grazie al Signore. Daisy si accorse
dello sguardo
incerto del cugino e chiese preoccupata: “qualcosa non va,
tesoro?”
Jesse
notò la cornice tra le mani
di Luke e domandò dolcemente: “ti è
caduta?”
Luke
offrì la cornice allo zio:
“No. Era sulla cassettiera faccia in giù e
rotta.”
“Forse
non te ne sei reso conto e
le hai dato una botta o forse è stato il vento.”
Suggerì Daisy.
“Non
l’ho fatta cadere io e non è
stato il vento.”
Jesse
guardò la foto più da
vicino: “il vetro è rotto, ma l’immagine
non è rimasta danneggiata.”
Sapeva
bene quanto il nipote
amasse quella foto e aveva notato quanto fosse preoccupato.
Tentò di
rassicurarlo: “va tutto bene, Luke. Compreremo una nuova
cornice.”
“Lei è stata qui.”
Disse all’improvviso.
“Chi
è stata qui?” Domandò Jesse.
“Lei. La mia ammiratrice segreta. Ne sono
certo, ho sentito odore di
lillà nella mia stanza e qualcuno ha frugato tra le mie
cose.”
“Che
vuoi dire?” Si intromise Bo.
“La
coperta è stata spostata e io
sono sicuro di essermi rifatto il letto stamattina. Non riesco a
trovare uno
dei miei cuscini, è sparita la vecchia trapunta che zia
Martha ha cucito per me
e non so che fine abbia fatto la mia spazzola.”
Bo
si mise a ridere: “assomiglia
molto a quel famoso qualcuno ha dormito
nel mio letto! Pensi che riccioli d’oro sia stata
qui?”
“Non
è divertente Bo.” Disse Luke
spazientito. “Non sto parlando di riccioli d’oro.
Qualcuno ha frugato tra le
mie cose. Il letto era in disordine e un cassetto era aperto. Inoltre
c’è la
cornice rotta.”
“Hai
per caso trovato un altro
biglietto o un altro regalo?” Chiese dunque Jesse.
“No,
niente. Ma ho sentito odore
di lillà. Era molto tenue, ma sono certo di averlo sentito.
Sono sicuro che lei sia stata
qui.”
“Forse
hai ragione. Faresti
meglio a pensare davvero a chi potrebbe essere questa ragazza prima che
la
situazione le sfugga di mano.”
“Mi
sto lambiccando il cervello
zio Jesse, ma non ho idea di chi possa essere.” Rispose Luke con un tono
carico di
frustrazione.
“Beh
continua a pensarci. Devi
venirne a capo. Non mi piace molto l’idea di qualcuno che
entra in casa nostra
e che fruga tra le tue cose.”
Jesse
osservò i visi contratti
dei suoi tre ragazzi: “ascoltatemi bene. Se è
stata davvero qui, e sembra
proprio ci sia stata, non c’è più
niente che possiamo fare adesso. Daisy ha
cucinato per noi una cena deliziosa, quindi godiamocela. Dopo mangiato
cercheremo di dedicarci più a fondo a questa faccenda. Ora
Daisy per favore,
passami il pollo.”
Luke
aveva molti dubbi, ma di
sicuro sapeva che la sua ammiratrice segreta non portava con
sé niente di buono
o di romantico.
Aveva
invaso la sua casa e la sua
vita.
Era
più che mai determinato a
trovarla e a fermarla.
To be continued…
|
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Capitolo 5 *** Presto ***
Con il capo cosparso di
cenere e
in ginocchio sui ceci, chiedo umilmente perdono per aver abbandonato
questa
traduzione. Spero di riuscire ad espiare la mia colpa portandola
finalmente a
termine. Prima di leggere la parola fine però dovrete
sopportarmi ancora per molti
capitoli.
Ripartiamo da qui.
Buona lettura!
Capitolo cinque: presto
Laura
Dawson serrò il pesante
cancello di ferro dietro di sè. La grande e minacciosa casa
le si stagliava di
fronte. Quei mattoni neri erano freddi ed inospitali per chiunque
eccetto che
per lei. Inquietanti statue affollavano il tetto conferendo
all’edificio un
aspetto gotico. C’erano più di trenta stanze
distribuite su tre piani. Porte
segrete e corridoi nascosti disseminati per tutta la casa a creare una
sorta di
labirinto. Tunnel sotterranei e segreti ormai dimenticati.
Esistevano
diverse storie sulla casa e i suoi occupanti. La gente di Hazzard non
sapeva
per certo quali fossero vere e quali fossero invece leggende
metropolitane, ma
non importava granché. Quelle storie tenevano chiunque a
distanza.
A
differenza degli abitanti di
Hazzard, Laura chiudeva le porte a chiave mantenendo così
ciò che per lei
contava al sicuro all’interno e ciò che la
spaventava all’esterno. Quello che
succedeva dentro le sue mura erano soltanto affari suoi, questo era
ciò che le
era stato insegnato e ciò in cui credeva. Seguì
il sentiero di mattoni che le
si apriva dinanzi entrando dal cancello. Teneva la borsa piena dei suoi
tesori
al sicuro sotto al braccio mentre cercava la chiave giusta per aprire
la porta
di casa. Una volta dentro richiuse la pesante imposta con tre mandate.
Mentre
si dirigeva in cucina sul retro della casa, accese tutte le luci.
Pesanti tende
mantenevano le stanze al buio anche durante il giorno. Entrata nella
dispensa,
scansò due sacchi di farina su di uno scaffale e
tirò una leva aprendo così una
porta nascosta sul muro opposto.
La
porta si aprì rivelando un
passaggio segreto. Laura accese una delle lanterne ad olio sistemate
vicino
all’entrata e si incamminò. Quando
arrivò alla fine del corridoio, si fermò e
premette la mano su una sezione del muro a ridosso del pavimento
aprendo in
questo modo un’ulteriore porta segreta. La
oltrepassò e discese gli scalini di
pietra che conducevano ad un corridoio sotterraneo. Si fermò
per accendere
un’altra lampada agganciata al muro. Quei passaggi
sotterranei non avevano
elettricità, risalivano alla Rivoluzione Americana.
C’erano sei stanze
disseminate lungo il corridoio chiuse tutte da porte di ferro. Ciascuna
porta
era dotata di una piccola finestrella al centro, grande abbastanza da
farci
entrare solo il suono della voce. Ciascuna porta era assicurata da
lucchetti.
Il
padre di Laura le aveva detto
che quelle porte erano state usate durante la Rivoluzione
dall’esercito continentale per nascondere armi e provviste
agli inglesi. In
seguito furono usate per segregarci gli schiavi, furono quindi
convertite in
prigioni dai soldati americani durante la Guerra
Civile. Le stanze erano
grandi, con mura di pietra e prive di finestre. Erano insonorizzate.
Non si
poteva sentire alcunché al di fuori della casa. Allo stesso
modo non arrivavano
suoni o rumori una volta all’interno. Laura pensava fossero
luoghi perfetti per
mantenere dei segreti. Ristrutturazioni varie nel corso
dell’ultimo secolo avevano
nascosto quelle camere ancora di più.
Accese
le lanterne agganciate al
muro man mano che si avvicinava all’ultima stanza alla fine
del corridoio. Nel
1950 suo padre l’aveva trasformata in un rifugio antiatomico
dove potersi
nascondere con tutta la famiglia, per il timore che i sovietici
sganciassero
ordigni nucleari nel periodo della Guerra Fredda. La camera era stata
concepita
per resistere a qualunque tipo di calamità. Fu rifornita di
provviste per molto
tempo, aveva al suo interno anche un bagno e acqua corrente.
Laura
girò la chiave di metallo e
fece scorrere la barra che serrava la porta. Accese tutte le lampade
che si
trovavano all’interno. La luce illuminò la stanza
con un tenue bagliore
rivelando un grande ambiente dominato da un letto matrimoniale. Il
letto era
ricoperto da un’antica trapunta decorata con un motivo di
rose. I cuscini erano
sistemati ordinatamente di fronte alla testata in mogano del letto e
conferivano allo stesso un aspetto caldo ed invitante.
C’erano vestiti ed un
piccolo tavolo con tre sedie. Candele un po’ dappertutto. Una
parete era
interamente occultata da un grande scaffale stipato di vecchi libri.
Tende
appese ad un’altra parete davano l’illusione che ci
fossero finestre, ma non
c’era vista sul mondo esterno. La camera era stata costruita
per tenere al
sicuro chi vi stava all’interno.
Laura
in passato si recava in
quella stanza quando sentiva il bisogno di allontanarsi
dall’oppressione della
sua famiglia. Era un posto confortevole dove poter tenere tutti i suoi
tesori e
i suoi oggetti preziosi.
Estrasse
il cuscino di Luke dalla
sua borsa e lo abbracciò una volta ancora immaginando di
stringere proprio Luke.
Lo adagiò delicatamente tra gli altri. Lisciò la
zampa d’orso ricamata sulla
trapunta rubata e dopo averlo disteso, fece un passo indietro e
guardò il
letto.
“Presto
amore mio.” Mormorò
sommessamente. “Presto.”
Una
foto tagliata che ritraeva
Luke e Laura era situata su una piccola cassettiera in un angolo. Laura
aveva
fotografato Luke di nascosto dalla banca ed era corsa in un negozio di
Atlanta
per includere se stessa nella foto. La afferrò amorevolmente
e passò le sue
dita sul volto di Luke. Ne aveva molte di foto con le quali poter
assemblare
altri fotomontaggi. Avrebbe presto aggiunto anche quelle scattate alla
fattoria.
Laura
rimosse anche gli abiti di
Luke dalla sua borsa. Annotò la misura prima di riporre
jeans e boxer nei
cassetti. Ne aveva svuotati due per poterli riempire con gli effetti di
Luke.
Si asciugò qualche goccia di sudore ed afferrò la
maglietta abbracciandola ed
immaginando le braccia del giovane ad avvolgerla. Accese le candele
sulla
cassettiera, prese di nuovo la fotografia e si mise a sedere.
Sussurrò:
“presto, molto presto i nostri sogni diverranno
realtà. Non lascerò che
qualcuno ci separi. So che mi ami. Io ti amerò per
sempre.”
Bo
sospinse il Generale nel
parcheggio di fronte alla banca e saltò giù dal
finestrino. Luke fece lo stesso
dal lato passeggero. Bo tirò fuori trenta dollari dal
portafoglio e li contò di
nuovo. I ragazzi avevano guadagnato quel denaro grazie a qualche
lavoretto per
la fattoria del signor Thompson. Erano davvero felici di poter versare
dei
soldi sul loro conto anziché prelevarli come solito.
Bo
offrì il denaro al cugino:
“pensaci tu, la nuova impiegata è
strana.”
Luke
rise: “intendi dire che è
insensibile al tuo fascino?”
“Proprio
così e non è neanche
cordiale, non è stata amichevole neanche con te.”
“Io
non stavo cercando di
sedurla.”
“Beh
cugino, hai campo libero
questa volta, io vado all’ufficio postale a controllare se
sono pronte le foto
di Daisy.
“Ok,
va bene.” Disse Luke
guardando Bo allontanarsi.
Luke
aprì la porta della banca e
vide Laura dietro al bancone. Quando vide Boss Hogg alzare lo sguardo
nella sua
direzione esclamò: “buon pomeriggio,
Boss.”
Lui
sbuffò: “che vuoi?”
“Devo
solo fare un versamento.”
“Un
versamento? E’ difficile da
credere.”
Luke
scrollò il capo: “beh è
proprio quello che sto per fare.”
“Fallo
alla svelta allora. “Disse
Boss impaziente. “Non voglio che tu tenga impegnata la
signorina Dawson nel
caso entri un vero cliente.”
Luke
ignorò l’insulto. Sorrise a
Laura e disse: “buon pomeriggio signorina Dawson,
è un piacere rivederla di
nuovo.”
Le
ginocchia di Laura si
piegarono quando Luke si rivolse a lei usando il suo nome. Era furiosa
per il
modo in cui Boss aveva trattato il suo amore, ma si trattenne dal
parlare. La
loro relazione era segreta ed era meglio che Hogg non ne venisse a
conoscenza.
Se Luke non avesse detto niente, anche lei avrebbe mantenuto il
silenzio. Luke
probabilmente si sentiva imbarazzato per la sua situazione economica.
Lei
proveniva da una ricca famiglia, mentre lui discendeva da
contrabbandieri di
whisky. Il loro amore sarebbe rimasto nascosto per il momento.
“Buon
pomeriggio signor Duke.
“Rispose educatamente Laura. “Cosa posso fare per
lei oggi?”
“Vorrei
versare questi trenta
dollari sul nostro conto di famiglia, per favore.”
“Certamente.
Mi lasci prendere il
libro mastro per annotare la registrazione.”
“Grazie
signorina Dawson.”
Quando
Laura tornò al bancone,
Luke le sorrise ancora porgendole il denaro. Quando le loro mani si
sfiorarono,
Laura fu travolta da un turbinio di emozioni. Sapeva che le stava dando
un muto
messaggio d’amore. Le stava dicendo quanto la amasse e doveva
farlo di nascosto.
Gli altri avrebbero potuto non approvare, quindi dovevano essere cauti
nelle
manifestazioni di affetto. Annuì forte della sua convinzione
e fu grata a Luke
quando lui le sorrise di rimando. Non erano necessarie parole di fronte
ad un
legame del genere.
Quando
ebbe terminato la sua operazione,
sorrise di nuovo facendo attenzione a non farsi vedere da Boss Hogg.
“Il suo
conto è stato aggiornato.”
“Molto
obbligato, signorina
Dawson. Arrivederci.”
Luke
si voltò e prima di uscire
si rivolse a Boss: “Ci vediamo.”
“Già,
già.” Farfugliò contrariato
Hogg.
Laura
osservò Luke uscire dalla
banca. Il cuore le martellava in petto per il breve incontro che
avevano avuto
e per la dichiarazione d’amore che le era appena stata fatta.
Non sarebbero
rimasti lontani ancora per molto. Sarebbe rimasta paziente fino a quel
momento.
Quando vide Luke arrivare dall’altra parte della piazza,
iniziò a scrivere una
lettera.
Bo
e Luke si incontrarono di
fronte al Generale una mezzora dopo. Bo incredulo si rivolse a suo
cugino: “mi
stai dicendo che la signorina Dawson è stata carina e
amichevole con te?”
“Proprio
così, mi ha addirittura
sorriso.” Rispose Luke.
“Penso
che i gusti siano gusti.”
Replicò Bo con un ghigno. “Hey Luke, qual
è il nome della signorina Dawson?”
“Non
lo so. Non ci siamo
presentati. Ho semplicemente sentito Boss chiamarla per cognome.
Perché ti
interessa?”
“Dawson
inizia con la
D così come il cognome della
tua
ragazza.” Disse Bo.
“Non
è la mia ragazza.”
Puntualizzò stizzito Luke. “Ti sarei grato se
smettessi di chiamarla così e poi
te l’ho già detto. L.D. sono
le mie
iniziali.”
“Non
ne sono convinto, stavo
pensando che potrebbero anche essere le sue di iniziali.”
“Non
so come si chiami la
signorina Dawson, ma non credo si tratti di lei. Non la conosco
neanche. L’ho
vista solo un paio di volte e per pochi minuti. Mi ha appena
guardato.”
Bo
scrollò le spalle: “si, credo
tu abbia ragione.”
Non
appena Bo saltò nel Generale,
si accorse di una busta color lavanda poggiata sul cruscotto. La
afferrò e
percepì subito un odore di lillà. Luke,
amore mio c’era scritto sopra. Non appena Luke
entrò in macchina, Bo gli
consegnò la busta.
“Un’altra?”
Chiese Luke
sconsolato.
“Sembrerebbe
provenire di nuovo
da lei.” Rispose Bo.
Luke
si fece serio: “dannazione.
Spero stavolta di scoprire chi è. Tutto questo è
durato abbastanza. Pensi si
sia stancata di questo gioco?”
“Apri
la busta. Forse è la volta
buona.”
Luke
strappò rapidamente
l’involucro augurandosi che Bo avesse ragione. Lentamente
lesse la lettera:
Sto contando i minuti che ci separano dal nostro
prossimo incontro. Mi
manchi se non ti vedo ogni giorno. L’unica cosa che mi
consola è sapere che tu
provi lo stesso. La tua dichiarazione d’amore significa
moltissimo per me. Per
favore continua a inviarmi i tuoi messaggi. Non vedo l’ora di
esserti vicina.
Stavi davvero bene con quella camicia blu ieri, quando ti sei fermato
al garage
di Cooter prima di entrare da Rhuebottom. Rendeva i tuoi occhi
più azzurri del
cielo. Ti amerò per sempre, L.D.
“Che
dice?” Chiese Bo.
Luke
porse la lettera al cugino.
Quando la ebbe terminata, domandò: “sei ancora
convinto di non sapere chi sia?
Lei sembra conoscerti molto bene. Dice che le mandi messaggi e che non
vede
l’ora di esserti nuovamente vicina. Dice che le hai
confessato il tuo amore.”
“Te
lo giuro, non so chi lei sia.
Non so di che parla. Non mi vedo con nessuna e non mando messaggi. E di
sicuro
a nessuna ho dichiarato il mio amore.”
Bo
scrollò le spalle: “lei dice
che l’hai fatto.”
Esasperato,
Luke sbottò: “non
l’ho fatto. Me ne ricorderei altrimenti.”
“Ok,
ok Luke. Calmati, ti credo.
Chiunque sia, o sta giocando ad un brutto gioco o è un
po’ matta.”
“Questo
non è un gioco quindi lei
deve essere completamente pazza.” Corresse Luke.
“Non mi piace sapere che mi
osserva. Sa come mi vesto e dove vado.”
“Sta
diventando tutto molto
strano.” Ammise Bo. “Neanche a me piace pensare che
qualcuno si sia introdotto
in casa nostra ed abbia curiosato tra le nostre cose.”
“Sono
d’accordo.”
“Forse
c’è Boss dietro tutto
questo.” Suggerì Bo.
“Ci
ho già pensato, ma non
avrebbe molto senso. Non ha niente da guadagnare inventando una storia
del
genere.”
Bo
sospirò: “beh non puoi sapere
cosa si agita in quella sua piccola mente deviata. Escogita sempre
qualcosa e
di solito va contro di noi.”
“Lo
so, ma non credo si tratti di
lui stavolta. Tuttavia dobbiamo rimanere con gli occhi aperti nel caso
mi
sbagliassi. Sai una cosa? Mi sentirei sollevato se alla fine scoprissi
che c’è
proprio Boss dietro a questa storia.”
“Perché?”
Domandò Bo.
“Come
si dice è meglio avere a
che fare con un demone conosciuto che con uno nuovo. Preferirei
vedermela con
Boss che con…”
Quando
Luke si arrestò, Bo lo incalzò: “con chi?”
“Una
donna che mi perseguita.”
Rispose Luke.
“Pensi
davvero ci sia una donna
che ti sta perseguitando?”
“Non
lo so, ma sembrerebbe
davvero così. Vorrei solo che la smettesse.
Bo
gli poggiò una mano sulla
spalla: “non ti preoccupare, Lukas. Scopriremo cosa
c’è dietro questa faccenda
e la faremo finire.”
“Grazie,
Bo. Adesso sarà meglio
andare a casa prima che zio Jesse inizi ad irritarsi sul serio. A
quest’ora
dovevamo già essere alla fattoria.”
“Zio
Jesse è l’unico del quale
dovremmo preoccuparci adesso.” Convenne Bo con un sorriso.
“Hai
ragione.” Disse Luke
distendendo il volto. “Parti, Bo. Non abbiamo bisogno di
altri guai.”
Il
giovane spinse il Generale oltre
la curva e pigiò sull’acceleratore.
Laura
osservò i ragazzi allontanarsi
dalla finestra della banca.
“Presto.”
Bisbigliò.
To be continued…
|
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Capitolo 6 *** Sorvegliando ***
Maria cara meriteresti un
premio
per la tua fedeltà ai miei tempi biblici di aggiornamento.
Ti ringrazio di
essere ancora presente e di farmi avere i tuoi preziosi pareri.
Lu Duke ringrazio anche te
per
avermi recensito, spero tu abbia voglia di continuare a leggere la mia
traduzione.
Bando alle ciance, a voi
il sesto
capitolo!
Capitolo sei: sorvegliando
Laura
Dawson si aggirava tra gli
scaffali dell’emporio di Rhuebottom cercando di decidere cosa
sarebbe potuto
occorrere a Luke. Aveva già preso un rasoio, schiuma da
barba, un deodorante, dentifricio
e shampoo. Stava osservando il reparto dei balsami tentando di capire
se gli
uomini li usassero. Afferrò un flacone e lo ripose nel
cestino quando decise
che i capelli mossi di Luke probabilmente ne avevano bisogno. Sorrise
rendendosi conto di quanto il giovane necessitasse del suo tocco
femminile.
Laura
si ridestò dai suoi
pensieri quando udì il campanello annunciare
l’arrivo di un cliente. Vide Jesse
Duke avanzare nel locale seguito da Bo. Quando raggiunsero lo scaffale
appena
dietro di lei, Laura ne seguì le voci. Si
avvicinò per ascoltare meglio la loro
conversazione.
“Sarebbe
dovuto essere qui già da
un’ora.” Disse Jesse visibilmente spazientito.
“Sarà
qui a minuti.” Rispose Bo.
“Gli
ho detto chiaramente di farsi
trovare qui davanti all’una e invece sono quasi le due e
mezza.”
Bo
annuì: “ha solo un po’ di
ritardo.”
“Un
po’ di ritardo?” Disse Jesse
alzando la voce. “E’ molto più che in
ritardo. Non ho tutto il giorno da
sprecare aspettando voi ragazzi.”
“Andiamo
zio Jesse, calmati.”
Continuò Bo sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Sono
calmo.”
“Veramente
stai gridando.”
Affermò Bo sommessamente.
“Non
sto gridando.” Rispose Jesse
abbassando la voce. “Ma quando Luke sarà qui forse
lo farò.”
Laura
si avvicinò di più quando
si accorse che il nome di Luke veniva menzionato. Capì che
stavano parlando
dell’uomo che amava e non gradiva molto usassero quel tono
arrabbiato. Ora
sapeva di non essersi sbagliata nel giudicare quella famiglia. Erano
esattamente come i suoi genitori: controllavano e dominavano. Doveva
assolutamente salvare Luke da loro.
Persa
nei suoi pensieri, Laura fu
riportata al presente dal suono della voce di Luke. Si
spostò nella sua
direzione.
“Zio
Jesse, Bo vi ho cercato
ovunque.” Disse Luke entrando nel locale.
“Ci
avresti trovati esattamente
dove ti avevo dato appuntamento all’una in punto, se ci fossi
stato.” Brontolò
Jesse.
“Ho
una spiegazione.” Si affrettò
Luke.
Jesse
tuttavia non gli diede
l’occasione: “non voglio sentirla. Io non capisco
perché voi ragazzi non
possiate mai fare quel che vi viene detto senza bisogno di tirare fuori
scuse o
giustificazioni. Eppure non è tanto difficile. Ti ho detto
che ci saremmo
incontrati all’una di fronte all’emporio. Non ho
tutto il giorno da sprecare
aspettando il tuo arrivo. Se non mi fossi fatto prendere
dall’ansia ogni volta
che sono stato preoccupato per voi ragazzi, a quest’ora
dimostrerei molti meno
anni e i miei capelli sarebbero un po’ meno bianchi. Vorrei
farvi stare per una
volta sola al mio posto e allora capireste.”
Luke,
con le mani infilate nelle
tasche posteriori dei jeans, aveva lo sguardo basso e attendeva il
termine
della ramanzina. Sapeva bene quanto non fosse saggio interrompere lo
zio in
situazioni come quella. Quando colse una pausa, disse amareggiato:
“mi dispiace
zio Jesse.”
“E’
tutto ciò che hai da dire in
tua discolpa?” Incalzò Jesse.
“Pensavo
non volessi una
spiegazione.” Ghignò lievemente Luke. Sapeva che
la rabbia dello zio era dovuta
alla preoccupazione che gli aveva involontariamente causato.
La
voce di Jesse si abbassò
considerevolmente: “beh, adesso ne voglio una.”
“Si
è forata una gomma del
furgone.”
“E
da quando ti serve un’ora per
cambiare una gomma?” Ribadì Jesse contrariato.
“Da
quando tu non ne hai una di
scorta.”
“Io
ne ho una.” Si difese Jesse.
Luke
annuì: “in effetti è vero
una c’è, ma è bucata. Ho dovuto
aspettare l’arrivo di Cooter, purtoppo ci ha
messo un po’ perché era fuori per
un’altra chiamata.”
Bo
non poté far a meno di ridere.
Aveva tentato di restare fuori da quella discussione, ma era troppo
divertito
dalla spiegazione di Luke. Non era da zio Jesse farsi cogliere
impreparato. Più
di una volta i ragazzi erano stati avvisati di controllare
l’efficienza delle
gomme di scorta. Quando Jesse lo guardò, Bo nascose
velocemente il suo ghigno.
Posò
poi una mano sulla spalla
del nipote maggiore: “Luke…”
Il
giovane regalò un sorriso allo
zio. Sapeva bene che la sgridata a cui era stato sottoposto era solo
frutto di
preoccupazione: “lo so zio Jesse, lo so. Mi dispiace averti
fatto stare in
ansia. Sarà meglio ora terminare le nostre compere, non
abbiamo tutto il
pomeriggio da sprecare qui dentro.”
Jesse
avvolse le spalle di Luke
col suo braccio: “è proprio così
ragazzo mio. Bo vai a prendere quello che ci
serve, io e Luke cominceremo a caricare il furgone.”
Laura
si mosse seguendo il suono
della voce dei Duke. Luke la colse di sorpresa quando i loro occhi si
incontrarono di sfuggita. Le fece un cenno di saluto e le sorrise
passandole
avanti e dirigendosi verso l’entrata con lo zio al suo
fianco. Laura sapeva che
le stava chiedendo aiuto, ma non c’era niente che lei potesse
fare. Il vecchio
Jesse lo teneva saldamente sotto il suo braccio.
Osservò
i Duke attraversare la
strada e dirigersi verso il furgone. Sperava ardentemente di poter
proteggere
Luke dalla sua famiglia. Quando erano da Rhuebottom suo zio aveva detto
chiaramente che lo avrebbe punito e per tutta risposta Bo ero scoppiato
a
ridere. Non sarebbe stato facile per lei portare Luke lontano dalla sua
famiglia. Lo sapeva perché ormai lei e l’uomo che
amava avevano stretto una
sorta di legame empatico. Laura ormai si era liberata della sua
famiglia. Per
Luke però non sarebbe stato tanto facile.
Laura
acquistò altri oggetti per
il suo amato compresi un paio di jeans e uno di boxer. Avviandosi alla
cassa
scorse Lulu Hogg intenta a pagare una scatola di praline. Accorgendosi
della
sua presenza, la dolce Lulu disse: “Oh signorina Dawson, che
piacere vederla
fuori dalla banca. Mio marito la tiene troppo occupata e noi non
abbiamo mai
tempo di parlare.”
“Salve
signora Hogg. E’ un
piacere anche per me.” Rispose educatamente Laura.
Lulu
osservò il cestino di Laura
ed annotò gli oggetti che aveva comprato. Non nascose la sua
sorpresa
esclamando: “oh santo cielo! Sono tutte cose per uomini. Sta
aspettando
compagnia?”
Laura
sorrise: “sono per mio
marito.”
“Suo
marito?” Ripeté Lulu con
maggior stupore. “Non sapevo fosse sposata, mia
cara.”
“In
effetti non lo sono ancora,
ma succederà molto presto. Tutte queste cose sono per lui.
Ho bisogno di fargli
trovare pronto tutto ciò che gli
servirà.”
“E’
meraviglioso! Posso sperare
in un gran matrimonio con molti invitati?”
“Oh
no! Sarà una piccola
cerimonia. Romantica e intima.”
“Beh
mia cara, il tutto è davvero
incantevole. Conosco il suo giovane uomo?”
Laura
scosse il capo decisa: “non
è di queste parti.”
“Vi
auguro ogni bene. Spero di
conoscerlo prima o poi.”
“Forse.”
Disse Laura senza
impegno.
“Mi
farebbe davvero molto
piacere. Oh come si è fatto tardi!”
Esclamò Lulu. “E’ stata una gioia
vederla
signorina Dawson.”
“Le
auguro una buona giornata
signora Hogg.” Concluse Laura.
La
ragazza depose delicatamente
la merce che aveva nel cestino sulla cassa. Si sentiva bene per aver
condiviso
i suoi piani con qualcuno. Sarebbe stata una notizia meravigliosa per
tutti se
non fosse stato per la famiglia Duke. Stavano costringendo sia lei che
Luke a
mantenere segreto il loro prossimo matrimonio.
Bo
e Luke terminarono di caricare
il furgone sotto la supervisione di zio Jesse. Quando ebbero finito,
Jesse si
mise al volante: “ok ragazzi, ci vediamo direttamente alla
fattoria. Abbiamo
già perso abbastanza tempo perciò non tardate.
Appena ripreso il Generale da
Cooter, vi voglio a casa, chiaro?”
“Sissignore.”
Risposero i ragazzi
all’unisono.
Quando
il vecchio furgone bianco
si fu allontanato, Bo e Luke si incamminarono verso
l’officina di Cooter. Il
Generale era parcheggiato all’esterno, ma non vi era traccia
del meccanico. Luke
si poggiò comodamente sul cofano della macchina, mentre Bo
entrò nell’officina
per cercare l’amico.
Laura
aveva seguito di nascosto i
ragazzi. Fu sorpresa di vedere Luke da solo. Gli si avvicinò
cercando di non
dare nell’occhio.
Quando
Luke la vide, si rimise in
piedi e la salutò: “buon pomeriggio signorina
Dawson.” Ricordando poi la
conversazione avuta con Bo, si soffermò ad osservarle il
collo cercando l’altra
metà del cuore che lui stesso aveva ricevuto, ma il
giacchetto che indossava la
copriva completamente.
Laura
sorrise incapace di
formulare una qualsiasi frase per la gioia di ritrovarsi finalmente da
sola con
Luke.
Non
ricevendo alcuna risposta,
Luke tentò ancora: “bella giornata,
vero?”
“Si,
è proprio vero.” Replicò
finalmente Laura ritrovando la sua voce.
Proprio
quando stava per
dichiarargli tutto il suo amore, Bo riemerse dall’officina:
“hey Luke è tutto
sistemato. Certo dobbiamo una bella cifra a Cooter per le parti di
ricambio del
Generale, ma ora è come nuovo.”
Sorpresa
dall’improvviso arrivo
di Bo, Laura fece un cenno di assenso a Luke e tagliò corto:
“buona giornata
signor Duke.”
Sapeva
che nessuno doveva vederli
insieme. Non voleva causare a Luke più problemi di quanti
non ne avesse già con
la sua famiglia. Bo controllava e sorvegliava Luke continuamente. Di
sicuro poi
riferiva tutto allo zio.
Luke
osservò Laura allontanarsi
di fretta ed attraversare la strada in direzione della banca. Bo gli
chiese: “non
era l’impiegata della banca?”
“Si,
era lei.” Rispose Luke.
“Che
le hai detto? Sembra quasi
sia scappata via.”
“Non
lo so, Bo. Non le ho detto
niente. Magari era solo in ritardo per il suo lavoro.”
“Hai
scoperto qual è il suo nome?”
Continuò dunque Bo.
“No,
ma non indossa il ciondolo
per quel che ho potuto vedere.”
“Probabilmente
non è lei. Non
credo parli mai con qualcuno.”
Luke
annuì: “hai ragione. A
stento mi ha rivolto la parola. Sarà meglio andare a casa
ora o dovremmo
sorbirci un’altra ramanzina da parte di zio Jesse.”
Bo
rise: “Già! Lo hai irritato
abbastanza per oggi, cugino!”
“Non
è stata colpa mia, ma hai
ragione. Andiamo a casa.”
Laura
osservò dalla finestra
della banca i ragazzi saltare nel Generale Lee e partire. Non sarebbe
stato per
niente facile. Bo sorvegliava continuamente Luke. Doveva escogitare un
modo per
far sì che Luke rimanesse da solo. Doveva assicurarsi che Bo
non interferisse
più con i suoi piani.
Nel
frattempo anche lei avrebbe
cominciato a sorvegliare il suo amore malgrado la distanza che li
separava.
To be continued...
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Capitolo 7 *** Rivelazioni ***
Cerchiamo di velocizzare
un po’! A
grande sorpresa, a soli due giorni dall’ultimo
aggiornamento, eccomi tornata con un nuovo capitolo tradotto. Non ci
fate l’abitudine
però, ormai lo sapete che sono completamente inaffidabile!
Grazie alle mie care Thia
e Lu
Duke per i commenti puntuali e graditissimi come al solito.
Capitolo sette: rivelazioni
Come
solito di venerdì sera il
Boar’s Nest era pieno zeppo. Daisy si fece largo tra la folla
tenendo abilmente
in equilibrio un vassoio di birre. Sorrise ai suoi cugini quando li
vide
entrare nel locale. Era molto felice che Bo fosse riuscito a convincere
Luke ad
uscire di casa. A Luke infatti non piaceva l’idea di star
fuori dove c’era
qualcuno che lo osservava a sua insaputa. Dopo aver trovato
l’ultimo messaggio
nel Generale Lee, si era rinchiuso nella fattoria per tutta la
settimana. Jesse
aveva praticamente dovuto spingerlo verso la porta di casa quella sera
dicendogli che non avrebbe dovuto permettere a qualcuno di controllarlo
in
quella maniera. Luke non era d’accordo, ma aveva comunque
seguito Bo.
I
ragazzi trovarono due sgabelli
liberi al bancone. Daisy li raggiunse con due boccali di birra. Sorrise
a Luke
e disse: “è bello saperti uscito dal tuo
isolamento, tesoro.”
Luke
ricambiò il sorriso: “non ho
avuto molta scelta. Zio Jesse mi ha praticamente sbattuto fuori casa.
Penso
fosse stanco di vedere la mia faccia, o forse aspettava compagnia e
voleva la
casa solo per sé.”
Bo
e Daisy scoppiarono a ridere
grati che il senso dell’umorismo di Luke fosse tornato. Bo
scrutò la folla e
colse Marylee Conner a sorridergli seduta ad un tavolo da sola.
Afferrò la sua
birra e disse: “perdonatemi cugini, ma la mia presenza
è richiesta altrove.”
Luke
scrollò la testa guardando
Bo mettersi seduto al tavolo di Marylee. Fece un cenno nella sua
direzione:
“beh Daisy a quanto pare Bo mi ha già
scaricato.”
“Puoi
aspirare a qualcosa di
meglio.” Rispose la giovane ammiccando.
“E’ comunque positivo che tu sia
uscito. Ti terrò compagnia io anche se stasera
sarò molto occupata.”
Quando
Daisy si fu allontanata,
Luke esaminò attentamente il locale chiedendosi se ci fosse
anche lei. Osservò i
volti di coloro che conosceva
e quelli di chi non aveva mai visto, ma sembravano tutti impegnati
nelle loro
conversazioni. Non sembrava possibile potesse essere uno di loro.
Eppure
continuava ad avere la sensazione di essere osservato. Non sapeva se si
trattasse della sua immaginazione o se fosse reale, tuttavia era
abbastanza
perché rimanesse costantemente vigile.
Saltò
praticamente sullo sgabello
quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Si
voltò e si ritrovò di fronte
ad una donna che aveva occupato il posto lasciato libero da Bo. Aveva
l’aria
familiare, ma non sapeva dire chi fosse. I capelli castani le
scendevano sulle
spalle, due occhi di un celeste pallido, erano immersi nei suoi.
Laura
sorrise dolcemente: “ciao
Luke.”
Luke
riconobbe la sua voce e le
sorrise di rimando: “salve signorina Dawson.”
Sembrava
molto diversa senza gli
occhiali e con i capelli sciolti. Era vestita in modo casual con un
paio di
jeans e un golfino. Aveva un’aria addolcita, non austera come
al solito.
“Laura.”
Disse. “Per favore
chiamami Laura.”
Luke
annuì. “D’accordo Laura. Non
ti avevo mai vista qui dentro prima d’ora.”
“Di
solito non frequento i bar,
ma avevo voglia di uscire e questo posto sembra essere molto
famoso.”
Luke
rise: “non è che ci sia
molta scelta, ma se non ti disturba bere birra annacquata, puoi
addirittura
trovare un po’ di piacevole compagnia qui dentro.”
“Non
potrei essere più
d’accordo.” Rispose Laura riconoscendo chiaramente
il messaggio subliminale di
Luke.
“Cosa
prendi da bere?” Chiese poi
il giovane.
“Quello
che prendi anche tu,
grazie.”
Luke
chiamò Daisy, quando la
ragazza si avvicinò le disse: “potresti portarci
due birre, per favore?”
“Certo
tesoro. Chi è la tua
amica?”
“Daisy,
lei è Laura Dawson. E’ la
nuova impiegata della banca. Laura questa è mia cugina Daisy
Duke.”
Daisy
offrì la sua mano a Laura
la quale non riponeva nella giovane molta fiducia in quanto
appartenente ai Duke.
Non era tuttavia sgradevole come Bo e Jesse, non aveva la loro stessa
aria
minacciosa.
“E’
un piacere conoscerti.” Disse
Laura.
“Sarò
di ritorno con le vostre
birre.” Concluse poi Daisy con un dolce sorriso.
Laura
guardò Luke amorevolmente.
Non riusciva a credere di ritrovarsi finalmente seduta da sola accanto
a lui.
Sapeva che doveva continuare ad agire con discrezione, tuttavia il bar
era
talmente affollato che sembrava nessuno le prestasse attenzione. Doveva
essere
molto cauta con Bo nei paraggi, ma il giovane era impegnato con una
ragazza e
le stava dando le spalle.
L’emozione
di essere vicina a
Luke unitamente alla possibilità di essere scoperti,
rendevano Laura nervosa.
Tentò di calmare il suo scalpitante cuore. Riusciva a
sentire le proprie gote
in fiamme e sperava passassero inosservate alla poca luce del locale.
Aveva
bisogno di calmarsi, ma aspettava quel momento da tutta la vita. Le
sembrava un
sogno essere finalmente accanto al suo amore il quale le stava
dimostrando
tutto il suo affetto così apertamente.
Laura
si infilò una mano in tasca
e toccò con le dita una bottiglietta contenente piccole
pillole bianche. Sperava
la serata sarebbe stata speciale, ma non era molto sicura di riuscire a
rilassarsi abbastanza per godersela. Non era mai stata con un uomo.
Pensava le
sarebbe occorso il *Rohypnol per calmarsi, ma sapeva che non avrebbe
potuto
mandar giù neanche mezza pillola se non avesse avuto niente
da bere. Il suo
medico ad Atlanta non avrebbe voluto prescriverle quel medicinale
così potente,
ma a volte i soldi fanno la differenza. L’aveva messa in
guardia dal non
mischiare mai le pillole con l’alcol. Lei voleva solo
distendere un po’ i suoi
nervi senza dimenticare la serata speciale che aveva di fronte. Decise
alla
fine di non prendere il farmaco. Sperò che la
tranquillità le arrivasse dalla
birra, ma ne avrebbe preso un solo boccale. Voleva rimanere sobria.
“Da
dove vieni?” Chiese dunque
Luke.
Laura
fu colta all’improvviso
dalla domanda del giovane. Rispose: “dall’altra
parte della contea.”
Luke
sorrise: “no, volevo sapere
di dove sei originaria. Non ricordo di averti mai vista ad
Hazzard.”
“Ho
vissuto ad Hazzard tutta la
vita eccetto il periodo che ho trascorso fuori per studio. La casa
della mia
famiglia è in questa contea da circa duecento
anni.”
“Dawson?”
Ripeté Luke. “Sei una
di quei Dawson?”
Laura
non si fece sfuggire la
sorpresa sul volto di Luke e la attribuì immediatamente al
suo rango sociale.
Doveva esser certa che avrebbe compreso come la sua ricchezza
contrapposta
alla povertà dei Duke, non le interessava assolutamente come
argomento.
Luke
non aveva capito che Laura
facesse parte dei leggendari Dawson. Molte storie si tramandavano sul
vecchio
palazzo e sui suoi abitanti, tuttavia ormai venivano considerati
semplicemente
come gente strana e solitaria. Luke aveva sentito dire che
c’era una figlia che
aveva ereditato tutto il patrimonio alla morte dei genitori, ma non
ricordava
di averla mai vista.
“Mi
dispiace per la perdita dei
tuoi genitori.” Disse Luke sinceramente. “Deve
essere dura dover vivere in
quella vecchia e grande casa tutta sola.”
Laura
annuì percependo
immediatamente la richiesta di Luke di unirsi a lei nella sua casa.
“Non
è facile perdere un
genitore, figuriamoci perderli tutti e due insieme. So cosa significa.
Hai
tutta la mia comprensione.” Aggiunse Luke.
“Grazie.”
Disse Laura anche se
per lei il dolore di quella perdita era durato molto poco.
“Non
ricordo di averti mai vista
neanche da bambino.”
“Tu
sei cresciuto nella fattoria di
tuo zio, mentre io in città e non ho mai frequentato la
scuola di qui perché avevo
un insegnante privato a casa.”
Luke
annuì: “immagino questo
spieghi tutto. Come fai però a sapere che sono cresciuto
nella fattoria di mio
zio?”
“Hazzard
è poco più di un paese. Conosco
di fama la famiglia Duke.” Rispose Laura. “Tuttavia
neanche io ricordo di
averti mai visto prima. Penso abbiamo semplicemente avuto differenti
cerchie di
conoscenze.”
Laura
distese il braccio e posò
una mano sulla spalla di Luke scuotendolo gentilmente. Sorpreso
dall’inaspettato
contatto fisico, il giovane la guardò negli occhi. Gli
afferrò poi una mano e
la strinse tra le sue sorridendogli. L’istinto di Luke si
azionò all’istante
quando fu investito da una spiacevole sensazione.
L’espressione
di Laura poteva
essere definita soltanto come amorevole. Liberò una mano e
cercò sotto il collo
del suo maglione la catenina d’oro alla quale era attaccato
il cuore spezzato.
La raggiunta consapevolezza colpì duramente Luke. Non aveva
tuttavia senso. Non
conosceva quella donna. L’aveva vista di sfuggita solo in un
paio di occasioni.
Non le aveva mai realmente parlato prima di quella sera. Si era
convinto che la
sua ammiratrice segreta alla fine si sarebbe rivelata come qualcuna
che già
conosceva.
“Mio
Dio. Sei tu, non è vero? Sei
tu la ragazza che mi invia regali e che mi scrive messaggi. L.D. Laura
Dawson.”
“Certo
che sono io. Ma tu lo
sapevi. Anche tu mi hai mandato messaggi d’amore
segreti.” Replicò Laura come
se il suo discorso fosse ovvio. Gli afferrò di nuovo le mani
e sorrise: “so che
mi ami tanto quanto io amo te. Semplicemente non sei libero di
esternare il tuo
amore.”
Luke
gentilmente recuperò le sue
mani. Avrebbe dovuto sentirsi arrabbiato e invece non lo era. Era
dispiaciuto
per lei. Riusciva a cogliere la sua malcelata tristezza. Non si
trattava di
qualche gioco elaborato. Lei era sincera. Ma come poteva amarlo se
neanche lo
conosceva?
“Mi
dispiace, ma ti stai
sbagliando.” Il più delicatamente possibile
aggiunse poi: “non ti amo e non ti
ho mai mandato messaggi. Ci conosciamo a mala pena.”
“Capisco.”
Sussurrò Laura
avvicinandosi a Luke. “Non sei ancora pronto per divulgare il
nostro segreto. Sei
preoccupato che la tua famiglia possa non approvare. Le piccole
città possono
essere nocive in certi casi. Il nostro amore rimarrà
nascosto fintanto che tu
vorrai.”
“Non
è come dici tu Laura. Non mi
conosci abbastanza per amarmi. Non mi conosci affatto.”
“Ti
conosco, Luke. Forse più di
quanto tu conosca te stesso. Non mi puoi ingannare. Sei solo restio a
mostrare
i tuoi sentimenti. Hai bisogno di rilassarti. E io ti posso
aiutare.”
Laura
poggiò una mano sulle
ginocchia di Luke. Il giovane si alzò di scatto non sapendo
più cosa dire. Aveva
bisogno di pensare. Laura non lo ascoltava. “Scusami, ho
bisogno di darmi una
rinfrescata.” Disse allontanandosi dal bancone.
Quando
fu lontano dalla sua
vista, Laura prese la bottiglietta contenente le pillole. Nonostante
ciò che
Luke diceva, lei percepiva una perfetta sintonia tra di loro. Era lui
quello
timido, non Laura. E aveva paura della sua famiglia. Gli serviva
qualcosa che
lo aiutasse a rilassarsi. Lo stress di sentire i suoi famigliari
contro, alla
lunga poteva costargli caro. Aprì con cautela la
bottiglietta e afferrò una
pastiglia di Rhoypnol. La gettò nel boccale di Luke e la
osservò dissolversi
nella birra. Considerò poi quanto Luke fosse nervoso e per
sicurezza immerse
una seconda pillola. Così poteva bastare. Era proprio quello
di cui aveva
bisogno.
Sapeva
che sarebbe stata una via
d’uscita da codardo, ma sperava ardentemente di non trovare
più Laura seduta al
bancone. Gli riusciva difficile convincersi che dopo tutto non si
trattava di
uno scherzo. Quella ragazza gli faceva tenerezza. Probabilmente non
avrebbe
dovuto, ma era ciò che provava. Non era piacevole essere
rifiutati da chi si
ama, ma non era giusto che lei continuasse a sperare. Luke in passato
era stato
ferito molte volte e non gli piaceva l’idea di infrangere i
sogni di Laura,
anche se di sogni appunto si trattava. Doveva trovare il modo di farla
ragionare.
Cercò
il cugino con lo sguardo
per avere da lui un po’ di supporto morale, ma Bo stava
pendendo letteralmente
dalle labbra di Marylee. Di sicuro non avrebbe apprezzato
un’interruzione.
Avrebbe voluto scivolare aldilà della porta e andarsene via,
ma non avrebbe
risolto la situazione. Doveva occuparsene subito. Voleva congedarsi il
più
delicatamente possibile da Laura. In fondo non si meritava modi
bruschi. Quella
ragazza emanava tristezza e solitudine.
Tornò
a sederle vicino. Afferrò
il boccale e bevve d’un fiato la birra rimasta.
Chiamò Daisy: “portamene un’altra
per favore.”
Con
un nuovo boccale in mano,
Luke sedette in silenzio cercando il modo per far ragionare Laura. La
giovane
sembrava contenta della sua vicinanza. Lo guardava con aria sognante.
Bevve un
altro sorso cercando di capire come uscirne fuori.
Quando
sollevò lo sguardo in
direzione di Laura, si accorse di non riuscire più a
metterle a fuoco il viso. Sembrava
quasi le stesse fluttuando di fronte. Lei disse qualcosa, ma non ne
riuscì ad
afferrare il senso. Iniziò ad avvertire un senso di
vertigine e la testa
cominciò a girargli. Aveva bisogno di un po’
d’aria fresca. Non credeva di aver
bevuto tanto. Aveva preso solo due birre e per giunta annacquate.
Doveva
uscire. Si alzò dallo sgabello e praticamente cadde addosso
a Laura.
Daisy
lo vide barcollare e gli si
avvicinò di corsa: “stai bene, tesoro?”
Luke
si scusò: “Io… penso… di
aver bevuto… troppo. Vado fuori. Ho bisogno di
aria.”
“Ti
serve aiuto?” Chiese Daisy
rendendosi conto di come trascinasse le parole.
“Mi
assicurerò io che stia bene,”
Intervenne Laura. “Gli passerà tutto quando
respirerà un po’ d’aria fresca. Penso
abbia alzato un po’ troppo il gomito.”
“Grazie.
Sicura che non ti sia di disturbo?
Io ho molti clienti. Luke di solito non beve così
tanto.”
Laura
sorrise: “nessun disturbo.”
“Verrò
fuori a dargli un’occhiata
il prima possibile.” Affermò Daisy con crescente
preoccupazione.
Daisy
non vedeva suo cugino
ubriaco da quando era un adolescente e aveva bevuto per la prima volta. Si
avvicinò a Bo e lo fece allontanare da Marylee di modo che
lei non potesse
ascoltare: “Luke ha bevuto troppo e non si sente bene. Penso
che dovresti
portarlo a casa.”
“Non
sono ancora pronto per
andare a casa. Sto parlando con Marylee. Tranquilla, non credo Luke sia
ubriaco. Siamo qui da neanche un’ora.”
“Non
mi importa da quanto siete
arrivati, Bo. Ha bisogno di essere accompagnato alla fattoria e io non
posso
lasciare il lavoro. Non è in condizione di
guidare.” Disse Daisy fermamente. “Devi
portarcelo tu.”
“Ho
io le chiavi del Generale
quindi non può andare da nessuna parte.”
“Deve
andare a casa ora.” Ribadì
Daisy.
“Oh
Daisy. Siamo appena arrivati
e io sto passando una piacevole serata con Marylee.” Bo si
guardò attorno: “a
proposito, ma dov’è Luke?”
“E’
uscito a prendere una boccata
d’aria.”
“Quindi
sta bene. Tornerà presto
dentro.”
No,
non sta bene Bo. Non riesce a
mettere una parola dietro l’altra e a fatica si regge in
piedi. E’ praticamente
caduto dallo sgabello. Devi portarlo a casa. Dico sul serio.”
“E
va bene.” Disse Bo seccato. “Lo
accompagnerò a casa. Dammi solo dieci minuti così
Marylee non penserà che sto
scappando da lei.”
Daisy
sorrise e gli diede un
bacio su una guancia: “grazie, lo apprezzo molto.”
“Spero
lo apprezzerà anche Luke. Mi
ha rovinato la serata.” Concluse Bo contrariato.
Tornò
a sedere al tavolo per
terminare la sua serata e scusarsi con Marylee.
Luke
lasciò che Laura lo guidasse
al di fuori del locale, nel parcheggio. Lentamente lo condusse verso la
sua
Sedan nera sul retro del Boar’s Nest. Quando raggiunsero la
macchina, Luke si
sdraiò sul cofano aspettando che Laura prendesse le chiavi.
“Dove
stiamo… andando?” Chiese
Luke.
“A
casa, chiaramente.” Rispose
Laura.
“Bene…
ho bisogno di mettermi a…
letto.”
“E’
proprio lì che ti porterò,
amore mio.”
Laura
aprì lo sportello sul lato
passeggero e tornò a prendere Luke. Lo afferrò
per un braccio e lo tirò su di
peso. Era difficile per lei riuscire a sorreggerlo. Era diventato un
peso
morto. Non appena riuscì a rimetterlo in posizione eretta,
udì la voce di Bo. Cercò
di infilare Luke nella macchina alla svelta, ma il giovane non ne
voleva sapere
di muoversi. Barcollò pericolosamente. Ricadde di peso sul
cofano.
“Luke?
Dove sei? Andiamo, Luke!” Urlò
Bo.
Bo
si aspettava di trovare il cugino
seduto nel Generale Lee, ma la macchina era vuota. Si guardò
attorno, ma non
riusciva a vederlo da nessuna parte. Memore del racconto di Daisy,
iniziò a
preoccuparsi.
“Luke!”
Gridò ancora. “Luke!”
“Bo.”
Sussurrò Luke.
La
voce di Bo si avvicinava
pericolosamente. Laura afferrò di nuovo le braccia del
ragazzo per tentare di
rimetterlo in piedi. Disse disperatamente: “dobbiamo
andarcene prima che Bo ci
trovi. Devo portarti in salvo. Andiamo Luke. Dobbiamo andare
via.”
“Ma
Bo…”
“Non
ti preoccupare per lui. Io
ti porterò in salvo. Non gli permetterò di farti
del male.”
“Luke!”
Strillò ancora Bo
cercando tra le macchine nel parcheggio. Stava percorrendo tutto il
perimetro esterno
del locale.
Laura
con un ultimo tentativo,
riuscì a mettere in piedi Luke. Lo sorresse saldamente per
la vita e guidò i
suoi passi incerti verso lo sportello della macchina.
Luke
sentiva il suo nome chiamato
insistentemente sia da Bo che da Laura. Cercava di capire dove fossero.
Gli
stava girando tutto intorno, rendendogli impossibile localizzare le
voci.
Sembrava lo circondassero. Non sapeva da dove venissero, ma sembravano
tutte e
due disperate. Volevano qualcosa da lui, ma non sapeva cosa. Il tono
frenetico
di Laura e la presa tenace con la quale lo sorreggeva, lo stava
guidandolo
verso la macchina, mentre la disperata urgenza nella voce di Bo
sembrava tanto
lontana. Si convinse che Bo avesse bisogno di aiuto. Doveva andare da lui.
Ignaro
del fatto che Laura lo stesse caricando nella sua macchina,
tentò di immaginare
un modo per raggiungerlo. Ma le voci che sentiva non avevano volti e
lui non
aveva più alcun controllo sulle sue gambe.
To be continued…
*Il Rohypnol conosciuto anche come droga dello stupro
è un farmaco che produce effetto
ipnotico,
ansiolitico e sedativo in quanto induttore di rilassamento
muscolo-scheletrico.
La sua commercializzazione è iniziata nel 1970.
All'inizio venne usato come ammortizzatore degli effetti di cocaina ed
anfetamina,
successivamente a scopo ansiolitico
ed infine come vera e propria droga,
tenuto conto della dipendenza generata dall'assunzione. Sotto l'effetto
del
Rohypnol (soprattutto insieme ad alcolici od altre droghe) si perde
totalmente
coscienza di sé e non è infrequente che tale
condizione venga seguita da uno
stato di amnesia.
Per questo motivo, oltre che per
alcuni effetti negativi riscontrati a livello cerebrale, negli Stati Uniti
è stato da tempo vietato il commercio mentre in Europa e
nel resto del mondo è ancora ampiamente usato a
livello farmaceutico. Alcuni studi sostengono che sia dieci volte
più potente
del Valium. (Informazioni raccolte su Wikipedia)*
|
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Capitolo 8 *** Ricordi perduti ***
Considerando che per i
prossimi 8
giorni sarò via e considerando che siamo a ferragosto, ho
pensato di regalarvi
un altro aggiornamento. Spero il capitolo vi piaccia!
Ringrazio infinitamente
tutti
coloro che stanno leggendo questa storia e soprattutto ringrazio chi mi
lascia
puntualmente una recensione.
Capitolo otto: ricordi
perduti
“Luke!
Andiamo, Luke, dove sei?
Luke!”
Luke
sentiva l’urgenza di quella
chiamata. Bo aveva bisogno di lui. Ne era certo. Era difficile per lui
concentrarsi, ma era sicuro che Bo fosse in difficoltà. Si
fermò e cercò di
sottrarsi alla presa di Laura.
“Bo…
ha bisogno di me. Devo
andare… da lui.”
“No!”
Rispose freneticamente
Laura. “Dobbiamo andarcene di qui prima che ci veda. Dobbiamo
allontanarci alla
svelta.”
“Bo
ha bisogno… di me.” Disse
ancora Luke tentando di staccarsi dalla ragazza. “Devo
aiutarlo.”
“Lui
non ha bisogno di te.”
Insistette Laura. “Vuole solo farti del male.”
“Bo
vuole farmi male?” Chiese
Luke confuso.
“Si,
è per questo che ti cerca.”
“No…
ha bisogno di me.”
Luke
cercò ancora di liberarsi da
Laura, ma la giovane lo teneva saldamente. Era tutto così
poco chiaro. Bo non
gli avrebbe mai fatto del male. Lo chiamava perché aveva
bisogno di lui. Doveva
trovarlo.
Quando
Bo girò attorno al Boar’s
Nest, vide finalmente Luke avvinghiato ad una donna. Sembravano
abbracciati.
Luke era con una ragazza. La preoccupazione di Bo divenne presto un
fastidio
irrazionale nei confronti del cugino, che chiaramente non era nei guai
e nei
confronti di Daisy per averlo spedito fuori a cercarlo senza
motivo. Stava
per rientrare quando si accorse che Luke barcollava pericolosamente
rischiando
di cadere addosso alla ragazza. Si avvicinò rapidamente e
afferrò il cugino per
un braccio proprio mentre le gambe stavano per cedergli. Luke si
appoggiò di
peso addosso a Bo e Laura, riluttante, fu costretta a lasciare la sua
presa.
Sapeva di non poter fare altrimenti.
“Daisy
aveva ragione.” Brontolò
Bo aiutando suo cugino. “Sei ubriaco.”
“Stai
bene, Bo?” Domandò il
giovane.
“Sto
benissimo, Lukas.”
“Ti…
serve aiuto?” Chiese Luke a
rallentatore.
“No,
Luke. Non ho bisogno di
aiuto. Sto bene, non c’è niente che non vada in
me. Sei tu quello che non è
molto in forma. Ne hai buttati giù un po’ troppi
per ridurti in questo stato.
Quanto hai bevuto?”
“Non…
ho bevuto… molto.”
Bo
scrollò la testa. “Come no.
Andiamo a casa. Zio Jesse andrà su tutte le furie quando ti
vedrà in queste
condizioni.”
“Non
ho… bevuto.” Farfugliò
ancora Luke.
“Odio
contraddirti cugino, ma sei
ubriaco.”
Bo
guardò Laura. “Mi dispiace per
tutto questo. Grazie per aver aiutato mio cugino. Luke di solito non si
comporta così. Spero non le abbia creato troppi
problemi.”
“Nessun
problema.” Rispose Laura
tentando di nascondere il proprio disappunto e la propria frustrazione
per
essersi vista rovinare il suo piano. Avrebbe dovuto aspettare ancora.
Era
preoccupata per quel che sarebbe potuto accadere a Luke una volta a
casa, ma
non c’era niente che potesse fare per proteggerlo. Magari
avesse potuto
salvarlo dalla sua famiglia.
“Mi
sembra di averla già vista.
Ci conosciamo?” Chiese poi Bo.
“Lavoro
in banca.” Fu la risposta
secca di Laura.
Bo
le regalò un sorriso: “ma
certo, la signorina Dawson. Stentavo a riconoscerla. E’
curioso come le persone
sembrino diverse fuori dal loro contesto lavorativo. Grazie per aver
aiutato
Luke. Mi dispiace per tutto, di solito non si ubriaca. Ora
sarà meglio portarlo
a casa.”
Laura
guardò Bo portare
praticamente a peso morto Luke dentro la macchina. La sua rabbia stava
crescendo. Era furiosa con Bo per averle sottratto Luke. Le stava
tentando
tutte per farli stare lontani. Era lui la ragione per la quale Luke
continuava
a mantenere la loro relazione segreta. Doveva assolutamente salvare
Luke da Bo.
Doveva salvarlo dalla sua famiglia. Non avrebbe permesso a nessuno di
distruggere la loro storia. Avrebbe protetto il suo amore. Non avrebbe
più
permesso a Bo di portargli via Luke.
Laura
chiuse violentemente lo
sportello della macchina prima di sistemarsi al posto di guida. Quando
si fu
messa seduta, afferrò lo sterzo con tanta forza che le
nocche le divennero
bianche. Era furiosa. La prossima volta. Avrebbe salvato Luke la
prossima
volta. Schiacciò l’acceleratore e uscì
dal parcheggio. Doveva escogitare un
piano migliore.
Bo
aiutò Luke attraverso il
finestrino del Generale Lee non senza difficoltà. Quando
anche lui si fu
sistemato, disse scocciato: “hai scelto un momento sbagliato
per ubriacarti,
cugino. Stavo passando una splendida serata con Marylee e tu me
l’hai
rovinata.”
“Mi…
dispiace…”
Luke
sembrava talmente afflitto
che Bo si dispiacque per lui. “Non fa niente.
Anch’io ti ho rovinato una serata
o due in passato. Fa che non succeda più. Altrimenti la
prossima volta
camminerai fino a casa.”
Luke
non rispose, Bo lo guardò e
si accorse che si era addormentato. Sospirò: “ma
quanto puoi aver bevuto in
un’ora? Devi esserti scolato un bicchiere dietro
l’altro. Zio Jesse non sarà
molto contento di vederti rientrare così sbronzo.”
Arrivati
alla fattoria, Bo faticò
per far uscire Luke dalla macchina. Considerò
l’ipotesi di portarlo a braccia, ma
decise che non sarebbe stata una buona idea. Sarebbe stato meglio se
Luke
avesse camminato con le sue gambe. Farlo passare davanti a Jesse
sperando che
lo zio non si accorgesse di niente, era una pia illusione. A giudicare
dalle
luci accese, era pressoché impossibile. Jesse era seduto
sulla sua sedia
preferita in salotto.
Entrarono
dalla porta sul retro,
Luke non riusciva a camminare dritto. A stento si reggeva sulle sue
gambe. Era
il corpo di Bo a sostenerlo, non si rendeva conto di dove fosse.
Quando
Jesse vide i nipoti,
chiese: “come mai siete tornati a casa così
presto?”
Si
alzò di scatto dalla sedia
quando si accorse delle condizioni di Luke. Domandò
preoccupato: “Che gli è
successo? Sta male?”
“Bo
sospirò: “nossignore. Non sta
male. Ha solo bevuto un po’.”
“Dire
che ha bevuto troppo.”
Jesse scosse la testa con disapprovazione. “Non si regge
neanche in piedi. Ma
quanto ha bevuto?”
“Non
lo so esattamente, zio
Jesse.”
“Portalo
a letto.”
“Zio
Jesse…”
L’anziano
Duke interruppe subito
il nipote: “non provare ad inventare scuse per lui. Sa bene
che non dovrebbe
bere così. A giudicare dalle sue condizioni, ha bevuto tanto
e in fretta. Non
ci sono giustificazioni. Non lo vedevo così da quando a
sedici anni bevve per
la prima volta.”
“Si,
mi ricordo. Scommetto che anche
Luke si ricorda le conseguenze.” Bo tentò
nuovamente di discolpare il cugino:
“zio Jesse, sai che Luke è stato molto sotto
pressione ultimamente per via
della sua ammiratrice segreta. Non voleva neanche uscire stasera. Ho
dovuto
praticamente tirarlo fuori di casa. Non fosse stato per la nostra
insistenza,
sarebbe rimasto con te a guardare la tv. Un po’ è
anche colpa nostra. Non
essere troppo duro con lui.”
“Possiamo
anche averlo indotto ad
uscire, ma di certo non gli abbiamo detto di bere così.
L’alcol non aiuta a
risolvere i problemi. Adesso vai. Mettilo a letto perché non
importa quanto si
sentirà male domani mattina, avrà comunque i suoi
lavori da portare avanti.
Quando
Jesse si accorse dell’angoscia
comparsa sul volto del nipote, aggiunse: “non preoccuparti.
Non sono arrabbiato
con lui, ma questo non significa che non ci saranno conseguenze. I
postumi
della sbornia non lo terranno lontano dalle sue
responsabilità. Sono certo che
domattina rimpiangerà la decisione presa stasera di bere
così tanto.”
Bo
sospirò. Quel che suo zio
diceva era vero. Barcollò sotto il peso di Luke. Di certo
non sarebbe voluto
essere nei suoi panni la mattina dopo. C’era già
passato. Zio Jesse non avrebbe
mai permesso ai postumi di una sbronza di tenere uno dei suoi nipoti a
letto
anziché nei campi. C’era sempre del lavoro alla
fattoria.
“Va
bene, zio Jesse. Lo porto a
letto. Penso che poi guarderò un po’ di tv insieme
a te. Non ho più molta
voglia di uscire ora che sono a casa.”
“D’accordo
Bo.” Jesse diede una
piccola pacca a Luke e scrollò le spalle. Luke non sembrava
consapevole della
presenza dello zio e del cugino.
“Buonanotte Luke.” Disse Jesse
osservando Bo trasportarlo di peso nella loro stanza.
“Luke.
Andiamo, Luke. E’ ora di
svegliarsi. Luke!”
Luke
faticò ad aprire gli occhi.
Sentiva la chiamata insistente del cugino rimbombargli in testa sempre
più
forte. Qualcuno lo stava scuotendo e il suo stomaco di sicuro non
apprezzava. Finalmente
aprì gli occhi tentando di mettere a fuoco quel volto
preoccupato che gli si
stagliava di fronte.
“Bo?”
“Quanto
hai bevuto ieri sera? Sono
almeno dieci minuti che cerco di svegliarti. Zio Jesse si
arrabbierà se non
saremo a tavola entro pochi minuti. Andiamo. Alzati.”
Luke
delicatamente si alzò e si
mise a sedere sul bordo del letto. Si passò una mano tra i
capelli e rimase con
i gomiti sulle ginocchia, tenendosi la testa. Si sentiva disorientato e
nauseato. Se solo la stanza avesse smesso di girargli intorno.
“Muoviti
Luke. La colazione è
pronta.”
“Non
mi sento molto bene. Non
voglio mangiare. Non credo di poter mettere niente nello
stomaco.” Farfugliò
Luke.
Bo
si mise a sedere sul letto
accanto al cugino e gli circondò le spalle con un braccio.
“Non
ne sono sorpreso considerato
lo stato in cui versavi ieri notte. Ma lo sai come la pensa zio Jesse
riguardo
le sbronze.”
Luke
si fece sfuggire un gemito: “sbronza?
Io non mi sono ubriacato. Ho preso solo un paio di birre, almeno
credo.”
Bo
sorrise: “penso tu ne abbia
bevute molte di più, eri ubriaco fradicio quando ti ho
riportato a casa. Quelli
che accusi ora sono i postumi della sbronza.”
“Mi
hai portato a casa?” Chiese
Luke costernato.
“Certo
e ti ho anche spogliato
per metterti a letto.” Sorrise Bo. Aggiunse poi
più seriamente: “mi dispiace,
ma non ho potuto evitare che zio Jesse ti vedesse.”
Luke
si rannicchiò ancora di più.
Era peggio di quel che sembrava. Chiese immediatamente:
“è arrabbiato?”
“Forse
scocciato. No, non è
arrabbiato, ma ha detto di non averti visto così da quando
ti ubriacasti a
sedici anni per la prima volta.” Quando vide
l’ansia passare sul volto di Luke,
Bo aggiunse con un sorriso: “non ti preoccupare cugino. Penso
tu sia troppo
cresciuto perché ti riprenda a sculacciate sulle sue
ginocchia. O forse no.”
Bo
vide suo cugino rabbrividire e
decise che non era il momento giusto di scherzare. “Non sto
dicendo sul serio,
ma zio Jesse si aspetta di vederti fuori a lavorare. Sarà
meglio muoversi.”
Bo
si alzò in piedi. Offrì la sua
mano a Luke per aiutarlo. Lo sorresse finché si rese conto
che era stabile
sulle sue gambe.
“Sarò
pronto.” Disse Luke. “Ho
solo bisogno di sciacquarmi il viso con dell’acqua
fredda… e di vomitare.”
“Hai
anche bisogno di vestirti a
meno che tu non voglia fare colazione in mutande.”
Luke
guardò in basso come se non
avesse ancora realizzato di essere praticamente nudo. Bo era seriamente
preoccupato dallo stato confusionale in cui versava il cugino. Si
chiese come
mai non si fosse reso conto che Luke, la sera prima, stava alzando
troppo il
gomito. Certo, la sua attenzione era stata tutta per Marylee e Luke,
seduto al
bancone con una ragazza, non aveva bisogno di un babysitter.
Bo
scrollò le spalle guardando
Luke attraversare la stanza e raggiungere i suoi vestiti prima di
recarsi in
bagno. Non poté resistere alla tentazione di stuzzicarlo
ancora: “ lo sai Luke,
non puoi volare con le aquile la mattina, se la notte non canti con i
gufi (N.D.
credo questo sia un detto americano, sinceramente non lo avevo mai
sentito.)
“Non
è divertente, Bo.”
“Un
po’ lo è.”
“No
invece.” Mormorò Luke.
Bo
rise. Almeno Luke reagiva. Il
giorno seguente sarebbe stato bene anche se al momento avrebbe avuto
ancora
qualche difficoltà. Bo annusò l’aroma
del bacon provenire dalla cucina: “penso
stamattina ci sarà un po’ più da
mangiare per me.”
Luke
fu assalito da un’altra
ondata di nausea quando entrò in cucina e sentì
profumo di bacon e uova. Jesse,
Daisy e Bo erano già seduti a tavola.
“Buongiorno
zio Jesse. Daisy.”
Daisy
si alzò rapidamente e
raggiunse i fornelli per preparare il piatto a Luke.
“No,
grazie tesoro. Prenderò solo
un po’ di caffè.”
Daisy
baciò Luke su una guancia: “siediti
te lo prendo io.”
“Grazie.”
Luke
si mise a sedere accanto a
Bo e cautamente guardò suo zio cercando di capire il suo
stato d’animo. Non riuscì
però a decifrare la sua espressione, quindi disse
semplicemente: “mi dispiace
zio Jesse.”
Jesse
osservò il nipote con
sguardo duro cercando di scorgere sul suo volto i demoni
dell’alcol. Le vistose
borse sotto gli occhi, rendevano il viso di Luke ancora più
pallido. I suoi
capelli erano più arruffati del solito. Sembrava messo
così male che Jesse ebbe
un moto di tenerezza. Dolcemente gli diede una piccola pacca:
“non farla
diventare un’abitudine.”
Luke
rispose con un piccolo
sorriso: “non lo farò.”
Daisy
porse a Luke una tazza di
caffè e disse: “hai passato molto tempo a parlare
con Laura Dawson ieri sera.” Fece
l’occhiolino a Bo: “hai intenzione di uscire con
lei?”
Luke
sembrò confuso per qualche
minuto, ma poi riacquistò i suoi ricordi. Almeno qualcosa
ricordava della notte
precedente. Non sapeva come era tornato a casa, ma ricordava di esser
stato al
Boar’s Nest.
Disse
a voce bassa: “non le
chiederò di uscire. Lei è la mia ammiratrice
segreta.”
“Che
cosa?” Esclamò incredulo Bo.
“L’impiegata della banca? Quella timida ragazza?
E’ stata lei a spedirti
biglietti e regali? E’ lei che ti perseguitava?”
“Non
direi proprio che mi
perseguitava.”
“E
come definiresti quello che ha
fatto? Chiese Bo, scioccato che il cugino potesse difendere quella
donna.
“Non
lo so, Bo. Mi è sembrata
così sola. Mi sono sentito molto dispiaciuto per
lei.”
“E
perché dovresti dispiacerti
per lei dopo lo stress a cui ti ha sottoposto? Domandò
ancora Bo. “Che è
successo ieri notte?”
Luke
sospirò: “vi dirò la verità,
non ricordo molto, ma di sicuro ricordo quando mi ha confessato di
essere lei
la mia ammiratrice. Ha detto di amarmi. Indossava l’altra
metà del cuore. Non
so come possa affermare di provare certi sentimenti. Prima di ieri
sera, l’avevo
intravista di sfuggita soltanto un paio di volte.
“Ti
sei arrabbiato con lei per
quello che ti ha fatto?” Chiese Bo.
“No,
non le ho detto niente. Almeno
credo. Sembrava triste. Mi si stringeva il cuore.”
“Ti
ha perseguitato e a te si
stringe il cuore?”
Luke
scrollò le spalle: “non
credo volesse arrecarmi danni. Non penso volesse farmi male. Ha detto
solo di
essere innamorata di me.”
Forse
ti ama davvero, Luke.” Si
intromise Daisy. “Hai mai sentito parlare
dell’amore a prima vista?”
“Un
momento Daisy, anche se fosse
vero, questo non giustifica il suo comportamento.” Intervenne
Jesse. Si voltò
poi verso Luke: “che cosa le hai detto? Hai messo bene le
cose in chiaro?”
Luke
arrossì: “zio Jesse non
ricordo cosa le ho detto e non so se lei mi ha detto
qualcos’altro.”
Jesse
rilasciò un sospiro. Non
aveva intenzione di rimproverare il nipote, ma non poté
farne a meno: “spero
questo ti serva di lezione. Non puoi bere tanto da non ricordare quello
che hai
fatto o detto la sera prima. Non ci sono scuse. Adesso dovrai rivederla
per
chiudere questa storia.”
“Sono
certo di averle detto che
non sono innamorato di lei… almeno credo.”
“Devi
fare la cosa giusta e
parlarle nuovamente.” Insistette Jesse. Aggiunse poi
contrariato: “dovrai anche
restituirle il ciondolo.”
“Sissignore,
lo so.” Rispose Luke
rassegnato.
Non
appena fu assalito da una
nuova ondata di nausea, Luke si alzò di scatto e corse verso
il bagno.
Jesse
scosse nuovamente la testa:
“che questo serva da lezione anche a voi due.”
Disse indicando con l’indice sia
Bo che Daisy. “Se avete intenzione di bere, dovete farlo
responsabilmente o
farete la fine di Luke che sta vomitando chiuso in bagno e non ricorda
com’è
tornato a casa ieri sera.”
Alzandosi
da tavola, borbottò
ancora: “ho sempre detto a quel ragazzo che doveva essere un
modello per voi
due. Non era certo questo ciò che intendevo.”
Bo
si alzò a sua volta e si mosse
per raggiungere lo zio di fuori. Bisbigliò
all’orecchio di Daisy: “sarà meglio
che cominci a lavorare prima che arrivi Luke. Cercherò di
fare anche la sua
parte perché non è in buone condizioni.”
Daisy
gli diede un bacio: “sei
proprio un bravo cugino, Bo.”
“Sarei
dovuto stare più attento
la scorsa notte e tenere d’occhio Luke. Non
c’è niente che lui non farebbe per
me o per te. Cerca di tenerlo in casa il più a lungo
possibile senza farti
scoprire da zio Jesse.”
“Va
bene tesoro. Lo aiuteremo a
superare questo momento.”
Bo
sorrise: “dovremo fare un bel
lavoro di squadra.”
“Noi
siamo un’ottima squadra.”
Convenne Daisy.
“Hai
ragione.” Concluse Bo.
Quindi
uscì fuori e iniziò a
lavorare nel campo.
To be continued…
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Capitolo 9 *** Vetri rotti e cuori rotti ***
Come al solito, prima di
lasciarvi alla lettura del nono capitolo, vorrei ringraziare
sinceramente le
mie care Juliet e Lu Duke per i commenti che mi fanno pervenire ogni
volta. Mi
fa piacere sapere che la mia traduzione stia riuscendo bene, ma come
sempre il
merito è solo ed esclusivamente di Gia August.
Un’autrice eccezionale che amo
dal più profondo del mio cuore.
Capitolo nove: vetri rotti
e
cuori rotti
Laura
Dawson riusciva a stento a
contenere la propria eccitazione mentre, da dietro la porta chiusa
della banca,
osservava di nascosto la Charger arancione
parcheggiarsi davanti all’officina di
Cooter. Il suo volto si infiammò per l’emozione.
Ma la gioia divenne presto
dispiacere quando vide Bo saltare fuori dal finestrino del Generale e
dirigersi
verso l’emporio di Rhuebottom. Quando realizzò che
era solo, il dispiacere
divenne rabbia. Sapeva che Bo stava costringendo Luke ad un isolamento
forzato
alla fattoria. Era chiaro per lei che Bo stesse facendo tutto quanto
era in suo
potere per tenerla lontana da Luke. Era praticamente tenuto prigioniero
dalla
sua famiglia. Non lo aveva più visto da quando Bo lo aveva
portato via dal
Boar’s Nest. Sapeva che Jesse e Bo stavano impedendo a Luke
di andare da lei.
Volevano tenerli separati.
Bo
era il più grande ostacolo
alla realizzazione dei suoi sogni. Lo zio non era molto meglio, ma
almeno non
era attaccato continuamente al fianco di Luke. Quello era compito di
Bo. Lo
tenevano alla fattoria e comunque non lo perdevano mai di vista. Quando
veniva
ad Hazzard, non era mai solo. Bo gli era sempre accanto, osservando
ogni sua
mossa. Non sarebbe stato facile staccare Luke dalla sua famiglia.
Laura
doveva fare assolutamente
qualcosa per contrastare le continue interferenze di Bo.
Dopo
aver chiuso a chiave la
porta principale della banca, rimase in finestra ad osservare il sole
riflettersi sul cofano del Generale. Le era venuta una buona idea.
Avrebbe
fatto capire a Bo con chi aveva a che fare. Andò dietro al
bancone e prese una
piccola spada confederata avente funzione di tagliacarte. Cautamente ne
testò
l’affilatura con il dito indice. Ne uscì sangue.
Sorrise. Il tagliacarte faceva
al caso suo. Ma aveva bisogno anche di qualcos’altro per
personalizzare il suo
messaggio.
Entrò
nel bagno e prese un
bicchiere di vetro. Lo osservò alla luce e se lo
rigirò tra le mani. Un
delicato motivo di rose rosse avvolgeva il bordo. Lo fasciò
con un asciugamano
e poi lo posò nel lavandino. Con un gesto rapido lo ridusse
in pezzi usando il
tagliacarte. Con attenzione adagiò sia
l’asciugamano pieno di frammenti di
vetro che il tagliacarte nella sua borsa.
Uscì
dal retro della banca
richiudendosi la porta alle spalle. Si costrinse a non correre per la
strada
fin davanti da Rhuebottom. Avanzava lentamente. Con la massima
naturalezza
entrò nell’emporio. Bo stava chiacchierando con
una commessa vicino alla cassa.
Quando Laura si accorse che si trattava della stessa fanciulla con la
quale Bo
si era intrattenuto al Boar’s Nest, decise che era tempo di
portare a termine
il suo piano. Bo sarebbe stato occupato ancora per un po’.
Ormai conosceva quel
ragazzo. Non l’aveva notata entrare nel negozio, non
l’avrebbe vista uscirne.
Laura sapeva di non correre rischi. Un uomo come Bo non avrebbe mai
guardato
una ragazza come Laura una seconda volta. Forse non l’avrebbe
mai neanche
notata. Lei era troppo semplice, troppo comune. E lui era troppo
superficiale
per andare oltre l’aspetto fisico. Avrebbe fatto
sì che Bo finalmente la
notasse. Con un ultimo sguardo di sdegno, Laura lasciò il
negozio.
Il
tardo pomeriggio era
tranquillo. Laura non vide nessuno per strada. Prese il tagliacarte
dalla borsa
e si avviò verso il Generale. Di proposito fece cadere la
borsa in terra e si
chinò per raccoglierla. Con il tagliacarte
squarciò la gomma anteriore della
macchina. La ruota iniziò a sgonfiarsi emettendo un sibilo
sordo. Per
velocizzare la fuoriuscita d’aria, tirò un altro
fendente alla gomma.
Soddisfatta del risultato, fece lo stesso con le altre tre ruote.
Quando ebbe
finito, si avvicinò al finestrino dalla parte della guida ed
estrasse l’asciugamano
dalla borsa. Ne sparpagliò a casaccio il contenuto sul
sedile. I pezzi di vetro
rilucevano come diamanti alla luce del tramonto. Si guardò
cautamente attorno e
fu soddisfatta di non scorgere occhi indiscreti ad osservarla. Come
niente
fosse attraversò la piazza e si diresse verso la sua
macchina. Si voltò e
sorrise compiaciuta del proprio operato. Era di nuovo felice. Non
rimase a
godersi la scena però, salì in macchina e se ne
andò.
Marylee
condusse Bo davanti
all’ingresso del negozio. Indietreggiò quando il
giovane si chinò su di lei per
baciarla. Contrariato, Bo disse: “non sarai ancora arrabbiata
con me, vero? Ti
ho spiegato perché ho dovuto lasciarti sola
venerdì scorso.”
“Non
mi piace molto essere
mollata in quella maniera.” Spiegò Marylee.
“Lo sai che posso avere qualunque
uomo io voglia.”
“Lo
so, Marylee. Sono davvero
dispiaciuto. Ma mi farò perdonare.”
“Bene…”
Bo
si sbilanciò immediatamente:
“ci vediamo venerdì sera al Boar’s Nest.
Ti prometto che stavolta non ti
lascerò sola. Sono davvero spiacente, ma la volta scorsa
Luke aveva bisogno di
me. Sai com’è con i parenti. Saprò
farmi perdonare.”
“Ho
capito, ma non lasciare che
accada di nuovo.”
“Non
lo farò.” Assicurò Bo.
“Va
bene. Attendo con impazienza
che arrivi venerdì allora. Ci vediamo
lì.” Rispose Marylee. Sorrise tanto
dolcemente che Bo si rammaricò di dover aspettare tanto per
rivederla.
“Arriverò
per le otto.” Concluse
Bo.
Marylee
gli diede un bacio su una
guancia e sparì all’interno del negozio.
Bo
sorrideva mentre si avvicinava
al Generale Lee. Gli era costata fatica riuscire a convincere Marylee
ad
offrirgli una seconda possibilità, ma alla fine la giovane
aveva ceduto al suo
fascino. Si arrestò bruscamente quando vide le gomme della
sua macchina a terra.
“Maledizione.
Che diavolo è
successo?”
Bo
osservò la strada per capire
se arrivando avesse potuto urtare qualcosa, ma non vide niente.
Quando si
accovacciò per esaminare le ruote non vide chiodi o vetri,
ma solo fori. Fece
il giro sul lato guida ed imprecò mentalmente realizzando
che tutte e quattro
le gomme erano bucate.
Cooter
Davenport uscì dalla sua
officina quando si accorse della presenza di Bo. Il giovane sembrava
turbato.
Domandò: “che succede, amico? Va tutto
bene?”
“No,
non c’è niente che vada
bene.” Rispose Bo. “Tutte e quattro le ruote del
Generale sono a terra.”
“Ma
guarda che roba. Che è
successo? Qualcuno ha lasciato le valvole aperte?”
“Magari.”
Disse Bo pieno di
rabbia. “Sembra siano state bucate con qualcosa di appuntito.
E’ stato fatto di
proposito.”
Ad
un esame più attento, Cooter ne
convenne con l’amico. Disse speranzoso: “forse
possiamo ripararle. Non sembrano
messe tanto male. Forse riesco a rattopparle e farle diventare come
nuove.”
Bo
sospirò: “spero tu abbia
ragione. Non possiamo permetterci quattro gomme nuove adesso. Prendo il
crick
dal bagagliaio. Possiamo sistemarne una alla volta. Almeno è
successo davanti
alla tua officina.” Cercò le chiavi nelle tasche:
“accidenti devo averle
lasciate attaccate al quadro.”
Bo
si intrufolò nel finestrino
del Generale per raggiungere le chiavi. Rimase scioccato quando vide il
sedile
invaso da frammenti di vetro. Si guardò attorno, ma non
riuscì a capire da dove
potessero provenire. Non c’era niente di rotto.
Chiamò Cooter: “vieni a dare
un’occhiata.”
Quando
il meccanico si avvicinò,
Bo gli indicò i vetri. Cooter cautamente, prese un frammento
tra le mani: “per
fortuna non sei saltato qui dentro come fai di solito. Ti saresti
potuto ferire
seriamente in una zona in cui di sicuro non ti vorresti mai
ferire.”
Cooter
si affacciò all’interno
per osservare meglio: “non c’è niente di
rotto qui.” Prese poi un’altra
scheggia di vetro: “sembrerebbe un bicchiere rotto. Guarda
questo frammento di
fiore, e questo pezzo circolare. Sembra proprio il fondo di un
bicchiere.”
Bo
osservò le piccole rose rosse:
“ancora rose. Ma che sta succedendo?” Chiese
spazientito. “Qualcuno ha fatto
tutto questo di proposito. Avrei potuto farmi male seriamente. Ma chi
può
essere stato?”
“Hai
fatto arrabbiare qualcuno di
recente?” Chiese Cooter. “Magari il padre di
qualche fanciulla che hai
corteggiato.”
“Molto
divertente, Cooter.
Nessuno ce l’ha con me e nessuno potrebbe mai farmi una cosa
del genere.”
“Cooter
scrollò le spalle: “se non
si tratta di te, forse riguarda Luke.”
“No,
non lo credo possibile.”
Tuttavia
Bo si fece esitante
ricordando improvvisamente il bouquet di rose rosse piene di spine
affilate,
lasciate nel Generale qualche tempo prima. Ora le stesse rose erano
disegnate
su un bicchiere di vetro frantumato.
“Però,
forse si tratta di Laura
Dawson.”
“L’impiegata
della banca?” Chiese
Cooter scettico. “Perché mai dovrebbe avercela con
Luke?”
In
un’altra situazione Bo si
sarebbe fatto una risata, ma ormai non c’era più
niente di divertente. “Luke
non ti ha detto che quella ragazza è la sua ammiratrice
segreta?”
“No,
non mi ha detto niente.”
Rispose incredulo Cooter. “E’ sempre stato
riservato quel ragazzo. Comunque
perché dovrebbe essere arrabbiata con lui?”
“Perché
è finalmente uscita allo
scoperto e gli ha confessato di esser stata lei a lasciargli messaggi e
regali.
E gli ha detto di essere innamorata di lui. Ma te lo immagini? Non lo
conosce
neanche e dice di amarlo. Luke non ne è convinto, ma crede
di averle detto di
non provare i suoi stessi sentimenti. Conoscendo Luke, sicuramente ha
usato
molto tatto, ma sai come si dice: l’inferno
è niente se paragonato alla furia di una donna rifiutata.
“Non
lo so Bo. Mi sembra tutto
così esagerato. Pensi davvero ci sia lei dietro tutto
questo? Cosa mai potrebbe
averle detto Luke per irritarla a tal punto?”
“Non
ne ho idea. Neanche Luke sa
cosa le ha detto. Non ricorda niente di preciso, sai ha bevuto un
po’ troppo.
Alcune persone non reagiscono bene di fronte ad un rifiuto.”
“Credo
tu abbia ragione, ma non
ci sono prove che sia stata lei. Non sai neanche se Luke
l’abbia davvero rifiutata.
Penso che tuo cugino debba chiarire questa faccenda, prima che vada fuori
controllo.”
“Se
davvero è stata lei, la
situazione è già fuori da ogni controllo. Ha
intenzione di chiederle un
appuntamento per venerdì sera al Boar’s Nest,
anche se non ne ha molta voglia.
Ma sai com’è fatto Luke. Deve mettere le cose
apposto dal momento che non
ricorda di averlo fatto la volta scorsa.”
“Però
non è da Luke bere tanto da
non ricordare addirittura cos’ha fatto.”
“No,
hai ragione. Però è successo
e ora è costretto a rivederla di nuovo.”
“C’è
sempre un prezzo da pagare.”
Concluse simpaticamente Cooter. “Vediamo di sistemare queste
gomme.”
“Grazie
Cooter.”
Luke
stava di fronte alla porta
della banca cercando dentro di sé il coraggio per entrare e
parlare con Laura. Non
è mai una cosa facile dire a qualcuno che non vuoi averci
niente a che spartire.
Sapeva che non era una buona idea discutere la loro
“relazione” in un posto
pubblico, ma doveva fare la cosa giusta e parlarle di persona anche se
avrebbe
preferito chiudere la faccenda per telefono. Purtroppo non aveva
quell’opportunità
dal momento che Laura sembrava proprio non avere il telefono in casa.
Tuttavia
sapeva dove lavorava, quindi non aveva scuse alle quali aggrapparsi per
evitarla.
Luke
doveva fare ciò che era
giusto anche perché si vergognava molto di non ricordare
cosa era accaduto al
Boar’s Nest. I ricordi di quella notte erano avvolti dalle
tenebre ed erano
spariti nel nulla subito dopo che Laura gli aveva confessato chi fosse
in
realtà. Nonostante tutti gli sforzi che facesse, la sua
mente era completamente
vuota. Ma non avrebbe certo dimenticato le conseguenze di quella notte.
Aveva
avuto mal di testa e nausea per due giorni interi.
E
adesso doveva rivederla
nuovamente. Aveva pensato di chiederle un appuntamento per
venerdì sera. Era il
minimo che potesse fare. Sarebbe stato meglio parlare al
Boar’s Nest, non
sarebbero stati da soli, ma avrebbero comunque trovato un po’
di privacy.
Bo
era convinto che ci fosse
Laura dietro le gomme tagliate del Generale Lee e i
vetri sul sedile, ma Luke non
ne era altrettanto sicuro. Insieme riuscivano a trovare abbastanza guai
per
conto loro senza l’aiuto di Laura. Era probabile, ma non se
ne persuadeva. Le
passate relazioni che aveva avuto con altre donne, a volte erano finite
per
volere suo, a volte no. Mai però erano degenerate in simili
atti di violenza.
Solo i sentimenti erano stati feriti. Non voleva credere che Laura
fosse capace
di una simile azione. Sembrava così calma e mite. Non
avrebbe creduto alla
colpevolezza di Laura a meno che non avesse avuto in mano prove
più convincenti
del semplice sospetto di Bo. Certo le rose erano un bel segnale, ma non
significavano niente. Tentò ancora di ricordare cosa era accaduto
l’ultima volta che
si erano visti, ma sembrava proprio che, per la sua mente, quella notte non
fosse
mai esistita.
Luke
prese un respiro profondo ed
afferrò la maniglia. Aprì la porta ed
entrò. Esitò qualche istante guardandosi
attorno. Boss Hogg stava lavorando alla sua scrivania mentre Laura
stava
servendo Miss Tizdale. Di certo non era il luogo adatto per una
conversazione
personale.
Il
cuore di Laura accelerò quando
vide Luke entrare. Sapeva che dovevano essere cauti. Non riusciva a
credere che
lui fosse realmente lì. Fu sorpresa di non vedere Bo.
Probabilmente doveva
esser fuggito in qualche maniera e aveva trovato un modo per rivederla.
Era il
segnale di un amore profondo. Si era preso un gran rischio. Era certa
che
sarebbe stato punito per questo.
Miss
Tizdale sorrise apertamente
quando girandosi si trovò di fronte Luke: “ciao,
come stai?”
Luke
le sorrise di rimando: “buon
pomeriggio Miss Tizdale. Sto bene, grazie. E lei?”
“Oh,
tutto bene, Luke. Devo
tornare all’ufficio postale. Salutami quel
bell’uomo di tuo zio.”
“Lo
farò.” Rispose Luke
osservandola mentre si allontanava.
Notò
come il volto di Laura
tradisse la sua emozione. Non sarebbe stato facile. Si
avvicinò al bancone e le
regalò un sorriso. Passando diede un’occhiata a
Boss. Di sicuro non voleva che
ascoltasse neanche una parola. Doveva ponderare bene ciò che
avrebbe detto e
come lo avrebbe detto.
Laura
si accorse del modo in cui
Luke aveva guardato Boss. Quando Hogg alzò gli occhi e sul
suo viso lesse solo
disapprovazione, capì il motivo di tanta discrezione. Luke
era ovviamente
preoccupato che Boss avrebbe potuto ascoltarli. Laura lo avrebbe
assecondato.
Disse:
“buon pomeriggio, signor
Duke.”
Luke
fu colpito dal tono formale
della ragazza. Non sapeva bene cosa aspettarsi, ma di sicuro non si
aspettava
questo. Forse aveva già chiarito tutto la volta scorsa.
Probabilmente già le
aveva detto che non provava i suoi stessi sentimenti. Magari lo avesse
saputo
per certo, avrebbe evitato di parlarle di nuovo. Ma come gli diceva
spesso zio
Jesse, ad ogni azione corrisponde una reazione. Ed era ora di farci i
conti.
Si
adeguò: “buon pomeriggio,
signorina Dawson.”
“Cosa
posso fare per lei?” Chiese
quindi Laura.
Si
protese ancora di più verso la
giovane abbassando il tono della voce e arrivando subito al punto:
“penso che
abbiamo bisogno di parlare, ma non qui. Vorresti vedermi
venerdì sera al Boar’s
Nest?”
“Certamente.”
Sussurrò Laura
comprendendo pienamente la necessaria segretezza.
“Verso
le otto.”
Laura
annuì senza parlare.
“Bene.”
Disse Luke. “Ci vediamo
allora.”
Esitò
qualche istante prima di
aggiungere: “sono davvero dispiaciuto per venerdì
scorso.”
“Non
è stata colpa tua. Capisco.”
Bisbigliò Laura. Sapeva che il commento era rivolto
all’allontanamento forzato
compiuto da Bo. Non avrebbe più permesso a nessun Duke di
intromettersi.
Luke
studiò bene il volto di
Laura cercando di capire cosa potesse pensare. Cosa non era stata colpa
sua?
Cosa si erano realmente detti? Il viso di Laura era una maschera di
indifferenza, impossibile da decifrare. Luke sospirò.
Avrebbe dovuto aspettare
venerdì per avere qualche risposta.
“Se
non hai niente da fare,
vattene da qui.” Si intromise Boss scocciato dal non aver
afferrato neanche una
parola di quello che Luke e Laura si erano detti. “Non far
perdere tempo alla
mia impiegata.”
“Vado.”
Rispose semplicemente
Luke.
Poco
prima di voltare le spalle,
Luke si accorse che Laura portava ancora il cuore spezzato al collo. Le
cose tra
di loro non erano state sistemate affatto. Non le aveva detto niente.
Avrebbe
dovuto restituirle al più presto l’altra
metà del ciondolo. Provò una gran
tristezza quando realizzò che la descrizione di quel cuore
era esatta. Non
erano due metà, ma frammenti di due cuori distinti che non
sarebbero mai potuti
stare insieme. Sapeva che le avrebbe spezzato il cuore e se ne
rammaricava
benché non avesse mai fatto niente per illuderla. Conosceva
bene la sensazione
che si prova quando si chiude una storia. Si soffermò sulla
porta e guardò di
nuovo Laura che a sua volta non gli aveva tolto gli occhi di dosso.
Annuì e se
ne andò.
Laura
lentamente riprese a
respirare. Continuare a tenere la loro relazione segreta, era
eccitante. Erano
riusciti abilmente a scambiarsi messaggi d’amore senza farsi
scoprire da Boss. Era
esaltante. Non poteva aspettare fino a venerdì. Stavolta
però sarebbe stata più
attenta. Quella sera gli aveva versato una dosa eccessiva di
tranquillanti
nella birra. Non avrebbe più fallito. Lo avrebbe finalmente
aiutato a fuggire
dalla sua famiglia. In fondo lui dipendeva da lei. Nessuno
più si sarebbe messo
sulla sua strada.
Era
pronta per iniziare la sua
nuova vita con Luke.
To be continued…
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Capitolo 10 *** Scivolando nel buio ***
Non posso darvi
anticipazioni, ma
vi avverto che da questo capitolo in avanti, la vita del nostro povero
Luke si
complicherà notevolmente.
Ringrazio infinitamente
Juliet,
Thia e Lu Duke per le recensioni che mi hanno lasciato e, come sempre,
ringrazio la genialità di Gia August senza la quale questa
storia non avrebbe
mai visto la luce. Buona lettura!
Capitolo dieci: scivolando
nel
buio
Bo
parcheggiò il Generale Lee di
fronte al Boar’s Nest alle otto meno dieci di
venerdì sera. Sogghignò quando,
osservando Luke, lo ritrovò a rigirarsi nervosamente tra le
mani la scatoletta
contenente il ciondolo. Soppresse una risata quando Luke lo
guardò con aria
minacciosa.
“Non
c’è niente da ridere, Bo.”
“Mi
dispiace, ma sei stato
nervoso durante tutta la giornata e ora sei lì seduto come
se stessi aspettando
il plotone d’esecuzione. Non sarà così
terribile. Devi solo parlare con lei.
Dille chiaro e tondo che non sei interessato. Se ne farà una
ragione.”
“E’
più facile dirlo che farlo.”
Rispose Luke. “Dire ad una persona che non ne vuoi sapere
niente di lei, a
volte è più difficile che sentirselo
dire.”
“Ne
dubito, Luke. Per quanto mi
riguarda di solito sono io che tronco le mie relazioni. Comunque non
smetterà
di perseguitarti fintanto che non le parlerai.”
Luke
si strinse nelle spalle: “vorrei
che smettessi di usare quella parola. Non è così.
Lei non mi sta perseguitando.”
“Invece
si e continuerà finché
non chiarirai tutto. Se vuoi posso dirti io quali parole
usare.”
“Non
è necessario. So esattamente
cosa dirle. Solo non sarà facile. Non mi servono i tuoi
consigli.”
“Forse
no.” Rispose Bo con un
sorriso appena accennato. “Sei stato mollato tante di quelle
volte che ormai le
parole lei hai memorizzate… non si
tratta
di te Luke, si tratta di me…”
“Bo…”
“Va
bene, va bene.” Si affrettò
Bo riconoscendo il tono spazientito del cugino. “Ti
darò comunque un suggerimento
che tu lo voglia oppure no perché ne hai bisogno.”
“Sarebbe?”
Chiese Luke
riluttante.
“Guarda
bene dove ti siedi.” Disse
Bo con un ghigno.
“Non
sappiamo se sia stata lei a
mettere i vetri nel Generale.” Replicò Luke non
riuscendo a cogliere l’umorismo
di Bo.
“Ma
non siamo neanche certi non
sia stata lei, quindi stai attento a dove ti siedi.”
Insistette Bo.
Luke
cedette: “va bene, Bo. Farò
attenzione, ma non penso sarò io quello che
uscirà ferito da questa serata.
Considerando Laura stia ancora indossando l’altra
metà del cuore, non penso di
averle detto niente di scoraggiante venerdì scorso. Ma
neanche qualcosa che
abbia potuto illuderla. E adesso devo dirle che non provo i suoi stessi
sentimenti. Non ho proprio voglia di ferirla.”
“Lo
so, Luke.” Rispose Bo con
tono serio. Tentando di tirargli su il morale, aggiunse:
“sarà meglio che tu
ponga fine a questa storia stasera prima che Laura inizi a distribuire le partecipazioni per le vostre nozze.”
Quando
si accorse che Luke non
aveva sorriso alla battuta, Bo gli diede una pacca sulla spalla:
“stai su,
Luke. Andrà tutto bene. Le dirai quel che provi e lei se ne
farà una ragione. In
fondo questo non è un appuntamento. La gente si lascia ogni
giorno e va avanti.”
“Si,
penso tu abbia ragione.”
“E
Luke…”
“Cosa?”
“Non
bere troppo stasera.”
“Non
ho intenzione di bere più di
una o due birre annacquate.” Lo rassicurò Luke.
“Non voglio certo ripetere l’esperienza
dell’altra settimana.”
Bo
sorrise: “nemmeno io. Coraggio,
entriamo. Devo vedermi con Marylee e non voglio farla aspettare.
E’ ancora
piuttosto seccata per esser stata mollata su due piedi.”
Bo
e Luke scesero dal Generale
Lee. Mentre si avviavano verso l’entrata, Luke disse:
“mi dispiace per quel che
è successo la scorsa settimana.”
“Lo
so, cugino.” Rispose Bo
cingendo con un braccio le spalle di Luke. “Non pensarci
più.”
Non
appena furono dentro, Bo si
rivolse di nuovo al cugino: “buona fortuna. Io raggiungo
Marylee, ci vediamo
dopo. Comportati bene.”
Luke
osservò Bo attraversare
tutto il locale. Si guardò poi attorno cercando Laura, ma
non la vide. Trovò
posto al bancone. Daisy gli porse un boccale di birra.
“Ciao
tesoro, Laura non è arrivata. Perché non ti vai a cercare un tavolo
finché ce ne sono ancora di
vuoti? Avrai bisogno di un po’ di privacy per parlare con
lei. E Luke, vacci
piano con la birra stasera. Conterò quante ne berrai a
partire da questa.”
Luke
afferrò il boccale: “grazie
Daisy. Non ti preoccupare, ho intenzione di rimanere sobrio stasera. Un
paio di
queste saranno il mio limite. Un tavolo in fondo al locale è
quel che mi serve.
Spero proprio non faccia qualche scenata. Forse avremmo dovuto
incontrarci
in privato da qualche altra parte.”
“Niente
affatto, Luke.” Disse
Daisy. “Sarà più difficile che faccia
scenate in pubblico. E forse le sarebbe
venuta in mente qualche strana idea se l’avessi incontrata da
solo in un posto
appartato.”
“Spero
tu abbia ragione. Se la
vedi entrare, dille di raggiungermi.”
Daisy
si sporse sul bancone e
baciò Luke su una guancia: “lo
farò.”
Luke
trovò un tavolo un po’
defilato in un angolo. Alle otto precise, vide Laura con un boccale di
birra
tra le mani, farsi largo tra la folla. Notò ancora come i
capelli sciolti e un
paio di jeans, le addolcissero i lineamenti. Chissà, forse
in un’altra
circostanza avrebbe potuto trovarla addirittura attraente. Sembrava
così
indifesa che si sentì male al pensiero di quanto
l’avrebbe fatta soffrire. Quando
raggiunse il tavolo, si alzò per porgerle una sedia.
“E’
così bello rivederti, Luke.
Avevo paura che la tua famiglia non ti avrebbe lasciato
libero.” Esordì Laura
sedendosi. “Vedo comunque che Bo è qui per
controllarti.”
Sconcertato,
Luke rispose: “di
solito ci teniamo d’occhio l’un l’altro,
comunque stasera Bo è occupato con
Marylee.”
Laura
osservò i due giovani.
Forse sarebbe stato più facile di quel che pensava. Di
sicuro Bo era molto
preso dal suo appuntamento. Non avrebbe fallito stavolta. Sedeva
contenta
accanto a Luke, seppur in un locale pieno di gente e con Bo a pochi
passi da
loro, finalmente era sola con il suo amore.
Luke
sapeva che non aveva senso
far finta di niente. Disse: “vorrei scusarmi ancora per la
scorsa settimana. Non
ricordo di aver bevuto molto, ma devo aver perso il conto delle birre.
Mi
imbarazza ammettere di non ricordare niente di quello che ci siamo
detti.”
Laura
sorrise apertamente: “le
parole non sono necessarie tra di noi.”
“Sono
necessarie invece. Dobbiamo
chiarirci.” Rispose Luke abbassando lo sguardo sulla sua
birra e cercando il
modo più adatto per parlarle.
Laura
si protese verso di lui e
le posò il dito indice sulle labbra:
“Shh… Lo so cosa provi. Capisco.”
Luke
scosse il capo imbarazzato: “no,
non credo tu capisca. Non ricordo cosa è successo
venerdì scorso. Non ricordo
cosa ti ho detto, quindi dovrò ricominciare daccapo. Mi
dispiace.”
“Ti
amo, Luke. So che anche tu mi
ami.” Disse Laura all’improvviso. “Non
c’è altro da dire.”
Luke
si ritrasse tentando ancora
di ricordare cosa potesse esser successo la volta precedente, ma non
ebbe
successo. “Mi dispiace, ma non provo i tuoi stessi
sentimenti. Ci conosciamo a
mala pena. Ci vuole tempo per queste cose. Ti chiedo scusa se
venerdì scorso ho
detto qualcosa che ti ha portato a credere che io ti ami.”
Laura
sorrise ancora: “so che
parli così perché hai paura della tua famiglia.
Ti spaventa cosa potrebbero
fare in quanto non approvano il nostro amore. Ma va bene
così. Posso aiutarti
ad allontanarti da loro.”
Luke
guardò Laura sbalordito. Non
riusciva a capire come le fosse venuta in mente un’idea del
genere. Non avrebbe
mai pensato una cosa simile neanche da ubriaco. Sarebbe stato
più difficile del
previsto. Lei non voleva ascoltare. Lui diceva una cosa e Laura ne
rispondeva
un’altra. Era convinta che la sua famiglia volesse separarli.
Sorseggiò
un po’ di birra sprofondando
nella sua sedia e tentando di capire come poter uscire da quella
situazione. Cercò
nelle sue tasche e tirò fuori la scatoletta contenente il
ciondolo. La porse a
Laura.
La
giovane la afferrò e la aprì;
fu sorpresa di trovarvi all’interno il cuore spezzato.
Osservò attentamente
Luke.
“Mi
dispiace, ma non posso
accettare questo regalo.”
“E’
a causa loro, vero? Tuo zio
ti ha detto di ridarmelo?” Domandò Laura mostrando
i primi segni di rabbia.
“E’
così.” Ammise Luke. Aggiunse
poi: “ma sapevo da me che avrei dovuto ridartelo. Non ci
conosciamo abbastanza
per poter accettare un regalo simile.”
Laura
si accorse che Luke stava
iniziando a diventare nervoso. Doveva assolutamente aiutarlo a
mantenere le sue
emozioni sotto controllo. Soltanto nominare la sua famiglia contribuiva
ad
agitarlo. Esercitavano troppe pressioni su di lui anche quando non gli
erano
vicini. Bo era accanto al bancone ed era per Luke motivo di disturbo.
Di sicuro
aveva paura che il cugino lo stesse controllando.
Laura
sapeva che Luke aveva
bisogno di un po’ di calma, ma non poteva ottenerla senza
aiuto. Aveva la
bottiglietta di Rohypnol nella borsa. Stavolta però non
avrebbe commesso l’errore
di dargliene una dose eccessiva. Una piccola pastiglia sarebbe stata
sufficiente. Aveva bisogno di abbandonare le proprie paure e sentirsi
più a suo
agio accanto a lei. Era per il suo bene. Aprì la sua borsa
sotto al tavolo,
sentì il metallo del suo piccolo revolver accarezzarle la
mano. Se ne avesse
avuto bisogno, non avrebbe esitato ad usare la pistola, ma non era
quella che
stava cercando. Alla fine trovò la piccola boccetta
contenente il Rohypnol e
cautamente estrasse una pastiglia. Alla prima occasione
l’avrebbe messa nel
boccale di Luke.
Luke
si sentiva perso. Non stava
andando affatto bene. La frustrazione si stava impadronendo di lui. Non
importava cosa le dicesse, Laura sentiva quel che voleva sentire.
Continuava a
fissarlo con quello sguardo innocente attraverso il quale non gli
riusciva di
decifrare i suoi pensieri. Voleva allontanarsi da quegli occhi
penetranti per
qualche momento. Si alzò di scatto dal tavolo. Per la
sorpresa Laura fece
cadere la pillola sul pavimento.
“Vado
a prendere un altro paio di
birre, torno subito.”
Quando
si fu allontanato, Laura
cercò di recuperare la pastiglia, ma non riuscì a
trovarla. Rapidamente ne
estrasse un’altra dalla bottiglietta e rimase ad attendere il
ritorno di Luke.
“Come
sta andando, tesoro?”
Chiese Daisy vedendo Luke al bancone.
“Non
bene.”
“E’
molto avvilita?” Domandò
ancora Daisy con tono compassionevole.
“E’
proprio questo che non va. Non
è affatto avvilita. Non mi crede quando le dico che non la
amo. Dammi due
birre, per favore.”
Daisy
lo guardò con aria di
rimprovero: “pensavo ci saresti andato piano stasera con
l’alcol.”
“E’
così infatti. E’ il secondo e
ultimo boccale della serata. L’altro è per Laura.
Non mi ascolta, Daisy.”
“Prova
con più convinzione.”
Propose la giovane porgendogli le birre. “E vacci piano con
queste.”
“Ci
sto provando seriamente, ma è
come parlare ad un muro… o a Bo.”
Daisy
sorrise: “non può essere
tanto dura.”
Luke
si concesse un leggero
ghigno: “è una bella lotta. Sarà meglio
che mi prepari al secondo round.”
Luke
raggiunse di nuovo il tavolo
e si ritrovò ad esaminare la sua sedia prima di sedersi.
Scoppiò quasi a ridere
quando si rese conto di come Bo lo avesse condizionato. La sedia
chiaramente
era pulita. Porse la birra a Laura.
La
giovane, allungando il braccio
per prendere il boccale, fece cadere intenzionalmente la scatoletta con
il
ciondolo in terra. Quando Luke si chinò per raccoglierla,
gli fece scivolare la
pastiglia nella birra. Si dissolse immediatamente senza lasciare
tracce. Luke
le porse la scatoletta, ma Laura la rifiutò.
“E’
tua. Non la riprenderò. So
che vuoi tenerla. Non devi aver paura della tua famiglia. Puoi scappare
da loro
e io ti aiuterò. So che significa essere controllati a
vista. Ci sono molti
modi per fuggire. Io lo so. Ho fatto andar via io la mia
famiglia.”
Non
apprezzando molto le sue
parole, Luke replicò: “non ho intenzione di
lasciare la mia famiglia.” Esitò
qualche istante prima di aggiungere: “pensavo i tuoi genitori
fossero morti.”
“Infatti.”
Rispose Laura non
lasciando trapelare alcuna emozione.
Laura
sembrava soddisfatta e
serena mentre guardava Luke con amore. Quello sguardo gli fece salire
un
brivido lungo la schiena. Sedeva sulla sua sedia a debita distanza da
Laura, ma
poté toccare con mano il gelo di quella risposta. Che aveva
voluto dire?
“Lo
so che mi ami veramente.”
Disse con incrollabile convinzione.
Luke
era sconcertato. Bo aveva
ragione. C’era qualcosa di strano in quella ragazza. Niente
di quello che
diceva aveva senso. Sembrava avere coscienza solo delle sue false
convinzioni. Sapeva
che sarebbe stato difficile, ma lei lo stava rendendo impossibile.
Afferrò la
sua birra e bevve qualche sorso cercando un modo per trarsi
d’impaccio.
Provò
ancora: “Laura, ascolta.
Noi non ci conosciamo. Non siamo innamorati.”
All’improvviso
non riuscì più a
mettere a fuoco il volto di Laura. Sembrava quasi gli stesse fluttuando
di
fronte. Chiuse gli occhi sperando di dipanare la nebbia che li aveva
avvolti,
ma il risultato fu pessimo. Quando li riaprì, Laura
sorrideva ancora. La stanza
sembrava distorta e piena di gente che si muoveva a rallentatore e che
pronunciava parole incomprensibili. Non riusciva più a
formulare un pensiero
coerente.
Laura
gli si avvicinò e sussurrò:
“non ti senti meglio adesso, amore mio? Più
rilassato? Andrà tutto bene. Te lo
prometto. Andiamocene.”
“Dove
vuoi andare?” Domandò Luke
a fatica.
“A
casa.”
“Bene…
voglio andare a… casa.”
Luke
barcollò alzandosi in piedi
e per poco cadde a terra. Bo lo vide attraverso la folla e si mosse
velocemente
per raggiungerlo.
“Luke,
stai bene?” Chiese
afferrando il cugino per un braccio. Luke fece fatica a trovare il suo
equilibrio. Quando Bo si rese conto dello stato in cui versava e che
sul tavolo c’erano quattro boccali di birra vuoti, disse
seccato: “non posso
credere che tu l’abbia fatto di nuovo.”
“Sto
bene.” Borbottò Luke.
“Non
stai affatto bene. Sei ubriaco.”
Bo era disgustato. “Ma non mi manderai a monte
un’altra serata con Marylee.”
Quando
Bo si voltò verso Laura
per scusarsi, si accorse che lei se n’era già
andata. Strinse con maggior
vigore il braccio di Luke: “almeno non dovrai dare un
passaggio a Laura Dawson.”
Luke
non ebbe la forza di opporsi
a Bo il quale lo stava trascinando fuori dal locale. Si sentiva
talmente
confuso e debole che poteva fare soltanto quel che gli veniva chiesto.
Quando
raggiunsero il Generale, Bo lasciò Luke accanto al
finestrino sul lato
passeggero.
Laura
stava osservando la scena
nascosta tra due macchine. Non avrebbe permesso a Bo di rovinarle i
piani anche
questa volta. Cercò nella borsa la sua piccola pistola.
L’avrebbe usata se
fosse stata costretta, ma sarebbe stato un rischio con tutta quella
gente che
entrava e usciva dal Boar’s Nest. Doveva scegliere il momento
in cui agire e
doveva farlo con molta cautela. Si avvicinò per ascoltare
meglio ciò che Bo
stava dicendo. Il tono della sua voce era adirato. Avrebbe protetto
Luke a
qualunque costo.
“Luke,
non mi rovinerò un’altra
serata per colpa tua. Marylee si è molto arrabbiata
venerdì scorso, non mi
perdonerà una seconda volta quindi non ti porterò
a casa.” Disse Bo piuttosto
spazientito. “Non posso credere che tu lo abbia fatto di
nuovo. Non può
diventare un’abitudine.”
“Mi…
dispiace…”
“Già,
dispiace anche a me.”
“Non
mi sento molto bene. Mi fa
male la testa.” Affermò Luke.
“Non
puoi prendertela con nessuno
se non con te stesso. Puoi dormire nel Generale. Ti porterò
a casa quando la
mia serata sarà conclusa.”
“Non
sono… ubriaco.” Bisbigliò
Luke.
“Si
che lo sei. Dormi che ti
passa.” Ribadì Bo sempre più
contrariato.
Luke
annuì anche se non aveva capito molto di quello che il cugino gli aveva detto. Gli era chiaro
soltanto
che avrebbe dormito in macchina. Bo era arrabbiato, ma Luke non sapeva
perché. Cercò
di fare quel che gli era stato detto e afferrò la maniglia
del Generale
cercando di aprire lo sportello.
Esasperato,
Bo sbottò: “che stai
facendo? Lo sai che le portiere sono saldate. Passa dal
finestrino.”
Scuotendo
il capo irritato,
aggiunse: “non mi va di perdere tempo con te. Entra in
macchina da solo.
Marylee mi sta aspettando. Ci vediamo dopo.”
Bo
diede le spalle a Luke e si
diresse verso l’entrata del Boar’s Nest.
Passò a pochi metri da Laura senza
accorgersi della sua presenza. La ragazza allentò la presa
sulla pistola. Era
meglio lasciarlo entrare nel locale. Era troppo rischioso usare
quell’arma. Ci
sarebbero state altre occasioni. Aveva bisogno di tempo per recuperare
Luke. Non
appena Bo fu entrato, Laura riemerse dal buio del parcheggio. Si
precipitò
verso Luke il quale stava cercando di entrare nel Generale Lee. La
droga
avrebbe avuto i suoi effetti più pesanti entro le prime due
ore, ma ne
sarebbero dovute trascorrere delle altre prima che si riprendesse.
Doveva agire
in fretta.
Luke
si poggiò di peso sulla
macchina quando Laura lo afferrò per un braccio.
“Andiamo. Sono qui per
aiutarti.”
Quella
faccia che gli fluttuava
davanti agli occhi, era famigliare: “devo entrare…
in macchina…”
“No,
devi venire con me.”
Insistette Laura.
“Bo…”
“Dimentica
Bo. Lui è davvero
molto arrabbiato con te. Non vuole che tu rovini la sua serata. Non
vuole che
tu rovini la sua vita. Vuole che tu te ne vada via. Non gli importa
niente di
te. Lo hai sentito.”
Luke
cercò di ricordare le parole
di Bo, ma non ci riuscì. Sapeva che il cugino era
arrabbiato, ma non sapeva il perché.
Tentò anche di comprendere cosa gli stesse dicendo Laura. Bo
gli aveva detto
che aveva rovinato qualcosa, ma non sapeva cosa.
“Voglio
andare a… casa.” Disse
Luke. Aveva bisogno di un posto nel quale sentirsi sicuro e protetto.
Voleva
andare a casa sua.
“Ti
ci porterò io.” Rispose Laura
tirandolo per un braccio.
Quando
si accorse che Luke era
irremovibile, aggiunse: “hai detto che vuoi andare a casa,
giusto?”
“Si.”
“E
allora muoviti. Vieni con me.”
Gli circondò la vita con un braccio e lo scostò
dal Generale. Lo guidò verso la
propria macchina. Aprì la portiera e lo aiutò a
sistemarsi sul sedile prima di
correre dall’altra parte e piazzarsi dietro al volante.
Quando abbandonò il
parcheggio, si costrinse a procedere adagio lungo la strada. Non voleva
attirare l’attenzione di nessuno.
Laura
era euforica. Osservò Luke,
assorbì la sua presenza. Alla fine era riuscita a strapparlo
alla sua famiglia.
Adesso lui le apparteneva. Lo avrebbe mantenuto salvo e sicuro. Nessuno
più
glielo avrebbe portato via. Ci sarebbe voluto del tempo
perché Luke si
liberasse del ricordo della sua famiglia, ma lei avrebbe aspettato. Non
aveva
fretta.
Luke
abbandonò la testa all’indietro
e chiuse gli occhi. Voleva riposarsi almeno per un po’. Gli
avrebbe fatto bene.
Voleva andare a casa. Laura gli aveva detto che ce lo avrebbe portato
lei. Stava
lottando con tutte le sue forze per rimanere sveglio, ma era una
battaglia
persa in partenza. Mentre Laura guidava nella notte, Luke
scivolò inesorabilmente
nel buio.
To be continued…
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Capitolo 11 *** Senza potere ***
Grazie mille ragazze per
le
vostre recensioni, per la vostra pazienza e per il vostro
incoraggiamento.
Grazie a Lu Duke, a Juliet
e a
tutti coloro che stanno seguendo questa traduzione.
Thia ci sei ancora, vero?
Spero
proprio di si!
Capitolo undici: senza
potere
Laura
parcheggiò nel garage
dietro al vecchio palazzo. Il cancello automatico si serrò
emettendo un forte
rumore. La prolungata vibrazione iniziò a svegliare Luke.
Laura gli si avvicinò
e gli accarezzò il volto con le dita. Il giovane
istintivamente si allontanò
mentre continuava a lottare per uscire dalle tenebre. Le luci al neon
lo
accecarono quando provò ad aprire gli occhi e la sue tempie
iniziarono a
pulsare dal dolore. Si coprì con un braccio provando ancora
a mettere a fuoco
quel che aveva di fronte. Percepì la presenza di Laura prima
ancora di vederla.
“Dove
siamo?” Chiese Luke
combattendo ancora contro la nebbia che gli avvolgeva la mente. Non
riusciva a
mettere in riga un pensiero dietro l’altro.
“Siamo
a casa. Andiamo tesoro. E’
ora di entrare.”
“Siamo
a casa?” Chiese Luke
guardandosi attorno. Non c’era niente di famigliare, ma gli
faceva troppo male
la testa per dare un senso alla parole di Laura.
La
giovane scese dalla macchina e
raggiunse il lato passeggero della stessa. Aprì la portiera
e prese Luke per
mano: “andiamo.”
“Dove?”
Domandò Luke convinto
com’era di non voler andare da nessuna parte insieme a Laura.
C’era qualcosa in
quella ragazza che gli faceva accapponare la pelle, ma non sapeva dire
cosa.
Non era ancora del tutto cosciente, la sua mente era ancora annebbiata.
“Vuoi
andare a letto, vero?” Gli
chiese con tono calmo nonostante il suo cuore battesse
all’impazzata. Doveva
portare Luke dentro casa.
Luke
annuì per poi rimpiangere
subito dopo il movimento fatto con la testa. Il garage
iniziò a girargli
intorno. Bisbigliò: “sono stanco. Non mi sento
bene.”
“Si
lo so. Andiamo a letto. Ho
già preparato tutto. Non vorrai rimanere in macchina tutta
la notte, vero?”
Luke
scrollò la testa. Sapeva che
Laura aveva ragione. Non voleva più stare lì.
Aveva bisogno di uscire anche se
non riusciva a capire cosa lo rendesse tanto agitato. Aveva bisogno di
andare a
casa. Laura continuava a dire che erano a casa, ma quel posto non
sembrava la
sua fattoria. Barcollò provando ad uscire dalla macchina.
Quando ne fu
finalmente fuori, si appoggiò alla vettura cercando di
ritrovare il suo
equilibrio. Laura gli cinse la vita con le braccia e lo
scostò dalla macchina.
Lo guidò lungo il corridoio che dal garage arrivava
direttamente nella sua
casa. Una volta dentro, Luke si accasciò contro il bancone
della cucina male
illuminata, mentre Laura raggiunse la dispensa. Quella non era casa.
C’era qualcosa
di decisamente sbagliato.
Laura
spostò dei sacchi dal
pavimento allo scaffale ed azionò una leva che
aprì una porta segreta. Aveva
già preparato tutto. Delle lanterne illuminavano i due
corridoi che conducevano
alla camera da letto. Sapeva che questa sarebbe stata la loro notte
speciale,
l’inizio della loro vita insieme. Era tutto pronto.
Afferrò di nuovo Luke e lo
guidò attraverso la porta segreta. Il giovane
esitò, ma alla fine la seguì.
Voleva solo andare alla fattoria, mentre lei diceva che erano
già a casa.
Camminarono lentamente lungo lo stretto corridoio che arrivava fin nei
sotterranei. Aveva lasciato la seconda porta aperta per agevolare il
loro
passaggio.
Luke
faticò a tenere il passo in
quel luogo angusto. Era come se il muro di cemento gli si richiudesse
sopra. La
sua apprensione aumentò quando cercò in fondo
al corridoio una via d’uscita.
Laura percepì la sua resistenza. Incrementò la morsa
e lo incitò a seguirla.
“Andiamo
amore mio, ci siamo
quasi.”
“Dove?”
“Nel
nostro posto speciale.” Luke
tuttavia non si mosse. “Non puoi rimanere qui.”
Luke
annuì, voleva andarsene di
lì. Stava cominciando a soffrire di claustrofobia in quel
luogo. Le pareti
erano troppo vicine e il soffitto appena sopra la sua testa.
Consentì a Laura
di guidarlo oltre.
“Ci
sono un po’ di scalini qui.
Stai molto attento.” Avvertì Laura quando ebbero
raggiunto l’entrata dei
sotterranei. “Sono scalini piccoli. Non voglio che tu cada e
ti faccia male.”
Luke
fece del suo meglio per
concentrarsi sulla sua discesa. Aveva la sensazione che sarebbe stato
meglio
salire piuttosto che scendere, ma il suo senso d’orientamento
lo aveva
completamente abbandonato. Barcollò sull’ultimo
scalino, ma Laura lo afferrò
per tempo prima che cadesse. Quando si appoggiò al muro,
Laura lo tirò di nuovo
a sé. Tentò di resisterle, ma Laura ebbe la
meglio. Doveva portarlo nella loro
stanza prima che l’effetto della droga finisse. Aveva
probabilmente a
disposizione tutta la notte considerando l’aveva mischiata
con la birra, ma
doveva essere comunque cauta.
“Dove
siamo?” Chiese Luke per
l’ennesima volta cercando di vedere oltre il buio del
corridoio. Laura percepì
l’ansia nella sua voce, sapeva che doveva fare in fretta.
“Ti
ho già detto che siamo a
casa.”Rispose stizzita. Quando capì che Luke
dubitava di lei, disse più
gentilmente: “siamo a casa. Andiamo. Ci siamo quasi. Non hai
bisogno di
preoccuparti. Mi occuperò io di tutto.”
“Casa.”
Ripeté Luke. Confuso,
osservò le pareti di cemento: “zio
Jesse…”
Non
preoccuparti amore mio. Tuo
zio non è qui. Non potrà più farti del
male. Non glielo permetterò. Non ti
troverà mai. Nessuno di loro ti
troverà.”
Luke
tentò di dare un senso alle
parole di Laura, ma non capiva. Le consentì di guidarlo
lungo il corridoio, fin
dentro la camera. Una soffusa e dorata luce trapelava da sotto la
porta. Laura
la aprì e rimase ferma sulla soglia memorizzando
quell’istante. Aveva aspettato
quel momento per tutta la sua vita. Era finalmente insieme
all’uomo che amava e
che ricambiava il suo sentimento. Si sarebbero amati per sempre. Era un
momento
talmente perfetto che avrebbe voluto non finisse mai. Lei lo avrebbe
fatto
durare per sempre.
Luke
entrò nella stanza con la
voglia di scappare. Era vagamente conscio del fatto fossero appena
entrati in
una camera da letto, ma non sembrava quella che divideva con Bo. Quella
non era
la sua fattoria. C’era un grande letto matrimoniale invece
che due letti singoli.
Laura tuttavia continuava a ripetere che erano a casa. Aveva bisogno di
riposo.
Forse sarebbe stato in grado di pensare più chiaramente se
avesse chiuso gli
occhi per un po’. Non si era mai sentito così
stanco in vita sua. Le sue
braccia e le sue gambe erano incredibilmente pesanti. Fece del suo
meglio per
rimanere in piedi. Era grato alle braccia che lo sostenevano. Non
sarebbe stato
in grado di fare un altro passo da solo.
Una
trapunta con un piccolo
motivo di rose era già stata adagiata ai piedi del letto.
Diversi cuscini erano
stati sistemati contro
la testata in
mogano del letto. Le bianche lenzuola sembravano calde e invitanti agli
occhi
di Luke, un buon posto dove riposare e rigenerarsi. Raccolse le sue
forze
residue e mosse un passo verso il letto. Aveva bisogno di sdraiarsi
altrimenti
sarebbe caduto a terra.
Laura
sorrise vedendo Luke
dirigersi verso il letto. Era quello che voleva. Lo guidò e
lo aiutò a sedersi.
Lo lasciò solo qualche istante per accendere le candele
rosse sopra il tavolo e
gli scaffali situati lungo l’intero perimetro della stanza.
Una delicata
essenza di rose riempì l’ambiente. Invece di
rilassarlo, quella fragranza turbò
Luke ulteriormente. Qualcosa assillava la sua mente, ma non riusciva a
capire
cosa.
“Mettiti
comodo.” Disse Laura
ridestando Luke dai suoi pensieri. “Ti aiuterò
io.”
Gli
si inginocchiò di fronte e gli
sfilò gli stivali. Si sollevò leggermente poi e
gli sbottonò la camicia. Gli si
sedette a fianco e gli accarezzò il petto. Luke
provò ad allontanarsi provando
disagio al suo tocco.
“No.”
Obiettò.
“Va
tutto bene, rilassati.” Disse
Laura sfilandogli definitivamente la camicia. Dolcemente lo sospinse
addosso ai
cuscini: “hai bisogno di riposare.”
Luke
non poteva più resistere.
Sapeva che avrebbe dovuto tentare di alzarsi, ma non aveva energie.
Voleva solo
dormire. La morbidezza dei cuscini era invitante. Voleva che la sua
testa
smettesse di martellare. Chiuse gli occhi. Sentì il respiro
di Laura sulla sua
faccia quando gli si sdraiò accanto. Le sue mani si
muovevano sul suo corpo.
C’era qualcosa di sbagliato, ma non sapeva dire cosa. Voleva
che Laura
smettesse di accarezzarlo, ma era completamente impotente. Non riusciva
a
trovare le parole o la forza per allontanarla da sé.
Sentì le sue dita
attraversagli i capelli. Provò a sedersi, ma lei lo
costrinse a rimanere
sdraiato sopra quei cuscini così morbidi, una vera mano
santa per la sua testa
dolorante. Sentì poi il peso del suo corpo schiacciarlo sul
letto e le sue mani
toccarlo dolcemente. Le emozioni e le sensazioni che stava provando
erano
contrastanti. Voleva solo andare a casa.
Luke
non poté più resistere.
Chiuse quindi gli occhi e scivolò in un sonno incosciente.
Camminando
verso il parcheggio,
Bo fece scivolare il suo braccio sulle spalle di Marylee. Quando
arrivarono
alla macchina, le chiese: “sei sicura di voler andare a casa?
E’ appena
mezzanotte.”
“Devo
lavorare domattina. E’ già
più tardi di quanto avessi programmato. Sono stata
benissimo, Bo.”
“Anche
io.” Rispose il giovane
baciandole le labbra.
Dopo
qualche istante, Marylee si
scostò dolcemente. Bo le aprì la portiera e la
osservò sistemarsi al posto di
guida. Disse: “ti chiamerò. Guida con
cautela.”
Rimase
a guardare la macchina di
Marylee scomparire lungo la strada prima di raggiungere il Generale
Lee. Sperava
avrebbe trovato Luke in una forma migliore rispetto a due ore prima.
Almeno era
tardi e zio Jesse di sicuro stava già dormendo. Lo avrebbero
probabilmente
evitato anche se poi ci avrebbero fatto i conti la mattina seguente.
Non era da
Luke bere così tanto, ma la storia di Laura lo aveva davvero
stressato. Se lei
non aveva recepito il messaggio neanche stavolta, avrebbe sistemato la
questione lui stesso una volta per tutte. Era ormai tempo che la sua
ossessione
per Luke finisse.
Avvicinatosi
al Generale, Bo non
vide Luke. Si affacciò nel finestrino e guardò
sul sedile posteriore aspettando
di trovarvi il cugino addormentato. Fu sorpreso che Luke non ci fosse.
Bo
sospirò, augurandosi che non fosse rientrato per bere
ancora. Non lo aveva
rivisto nel Boar’s Nest, ma il locale era affollato e la sua
attenzione era
stata tutta per Marylee. Guadagnò di nuovo
l’entrata per cercarlo.
Bo
si guardò attorno, ma di Luke
non v’era traccia. Lo cercò nel bagno degli
uomini, ma non era neanche lì.
Quando vide Daisy intenta a pulire il tavolo dove erano stati seduti
Luke e
Laura, la raggiunse e le chiese: “hai visto Luke?”
“No,
non lo vedo da quando è
uscito con te. Quando sei rientrato da solo, ho pensato fosse andato a
casa.”
“L’ho
lasciato nel Generale Lee a farsi passare la sbronza, ma ora non c’è
più.”
“Sbronza?”
Chiese Daisy. “Ha
bevuto poco e niente, due birre al massimo.”
“Ha
bevuto molto di più.” Rispose
Bo. “C’erano quattro boccali vuoti sul tavolo e non
so se ne abbia svuotati
altri prima di sedersi.”
“Non
l’ha fatto, Bo. Si è seduto
portandosi dietro una birra e poi ne ha prese altre due. Una per lui e
una per
Laura. Non era ubriaco. Non ha preso nient’altro. Ne sono
certa. Ha bevuto due
birre annacquate e basta. Ho parlato con lui e stava bene fino a
mezzora prima
che uscisse con te.”
Confuso,
Bo affermò: “agiva come
fosse ubriaco però. Non si reggeva in piedi e strascicava le
parole. Non
riusciva a camminare ed era confuso.”
“Te
lo ripeto, Bo. Luke non era
ubriaco. L’ho tenuto d’occhio. Pensi che sia
malato?” Domandò quindi Daisy
preoccupata.
Bo
non avevo considerato affatto
quell’ipotesi: “non lo so. Diceva che gli faceva
male la testa, ma parlare con
quella ragazza avrebbe fatto venire il mal di testa a
chiunque.”
“Ho
visto Laura andar via un
attimo prima che tu uscissi con Luke, ho pensato quindi che Luke le
avesse
finalmente parlato e che poi se ne fosse andato a casa.”
“Non
è andato a casa.” Bo
cominciò a capire che c’era qualcosa che non
andava. “L’ho lasciato nel
Generale. Gli ho detto di farsi una dormita perché non mi
sarei fatto rovinare
un’altra serata.” Quando Daisy lo guardò
con disapprovazione, si affrettò ad
aggiungere: “il mio appuntamento con Marylee stava andando a
gonfie vele.
Comunque pensavo zio Jesse si sarebbe arrabbiato con Luke se fosse
tornato di
nuovo a casa ubriaco. Era meglio per tutti se fosse rimasto a dormire
in
macchina.”
“Forse
sarebbe stato meglio per
te. Dormiva quando lo hai lasciato?” Chiese Daisy.
“Non
esattamente.” Rispose Bo
cominciando a sentire un fastidioso senso di colpa.
“Non
esattamente? Che significa?”
“Significa
che l’ho lasciato in
piedi vicino al Generale. Non riusciva ad entrare dal finestrino
così l’ho
lasciato lì.”
Daisy
guardò Bo sconcertata: “lo
hai davvero lasciato lì fuori? Come hai potuto farlo,
Bo?”
“Ero seccato.
Marylee mi aspettava e Luke aveva provato ad aprire la portiera del
Generale.”
La spiegazione era misera alle orecchie dello stesso Bo.
“Era
davvero così confuso?
Decisamente c’è qualcosa che non va.”
“Hai
ragione.” Convenne Bo. Qualcosa
non andava e lui se ne sarebbe dovuto accorgere prima.
“Forse
ha accettato un passaggio
a casa.” Tentò Daisy convinta tuttavia che Luke
non se ne sarebbe mai andato
senza prima avvisare. “Chiamo casa e vedo se è
rientrato.”
“Non
farlo Daisy. Sveglieresti
zio Jesse e non voglio che si arrabbi con Luke nel caso fosse
già andato a casa
senza avvisarci o peggio ancora se non ci fosse affatto.
Andrò alla fattoria a
controllare. Probabilmente starà già dormendo nel
suo letto.”
“Chiamami
e fammi sapere. Qui ne
avrò almeno per altre due ore.”
“Lo
farò. Non ti preoccupare.
Sono certo di trovarlo a casa.” Disse Bo sforzandosi di
credere a quel che
aveva appena detto.
Daisy
sorrise: “per averci fatti
preoccupare così, dagli un bacio da parte mia.”
Bo
rise: “lascerò che sia tu a
baciarlo, almeno non correrai il rischio di essere allontanata con la
forza.”
Daisy
rimase sulla porta ad
osservare Bo saltare nel Generale Lee. Una spiacevole sensazione si
stava
impadronendo di lei. Pregò affinché Bo potesse
chiamarla in fretta e darle
buone notizie. Tornò al tavolo che stava pulendo per
mantenersi occupata mentre
aspettava. Raggiunto un angolo del tavolo, notò una
pastiglia bianca sul
pavimento. La raccolse e la esaminò. Non era
un’aspirina. Sembrava più una di
quelle che prescrive il medico. Andò dietro al bancone e la
adagiò sul fondo di
un bicchiere. L’avrebbe conservata nel caso fosse stata importante
e nel caso
qualcuno fosse tornato a reclamarla. Mise il bicchiere sullo scaffale
dietro la
cassa e rimase in attesa della chiamata di Bo.
To be continued...
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Capitolo 12 *** Ansie nella notte ***
Ed ecco pronto il
dodicesimo
capitolo!
Ringrazio infinitamente Lu
Duke,
Juliet, Marzia e la mia adorata Thia per aver letto e recensito il
capitolo
precedente.
Buona lettura!
Capitolo dodici: ansie
nella
notte
Daisy
riuscì a schivare Bo mentre
trasportava il bricco del caffè sul tavolo della cucina per
riempiere la tazza
dello zio. Jesse fece un cenno di ringraziamento. Daisy era nervosa in
quanto
sembrava esausto. Lo aveva svegliato da un sonno profondo una
quindicina di
minuti prima. Il vecchio Jesse si era ridestato con il cuore in gola
come
sempre accadeva quando si doveva alzare nel cuore della notte per
placare
qualche crisi o prendersi cura di uno dei suoi bambini ammalati.
Avrebbe potuto
farlo dormire fino al mattino, ma sapeva che sarebbe scoppiato un
inferno se,
per allora, Luke non fosse tornato a casa e loro fossero stati
costretti a raccontargli
tutto. Voltandosi per posare il bricco del caffè sul
fornello, Bo per poco non
le andò di nuovo a sbattere contro. Allontanò
immediatamente la caffettiera per
evitare che suo cugino si scottasse.
“Bo…”
“Mi
dispiace, Daisy. Non ti ho
vista.” Mormorò Bo ricominciando a camminare.
Jesse
aggrottò la fronte mentre
guardava i suoi due ragazzi e sperando che anche il terzo fosse insieme
a loro.
Daisy cercava di tenersi occupata ai fornelli, mentre Bo camminava
avanti e
indietro percorrendo l’intera area della cucina con le sue
lunghe falcate. Era
tempo di prendere il controllo della situazione.
“Daisy,
Bo, sedetevi.” Ordinò
Jesse non ammettendo repliche. “Forse ci stiamo agitando per
niente. Non
albeggerà per un’altra ora almeno. Luke potrebbe
tornare a casa da un momento
all’altro.”
Daisy
era seduta vicina allo zio:
“lo pensi davvero?” Chiese con rinnovata speranza.
“E’
un adulto. Non mi fa piacere
che non abbia avvisato, ma tornerà presto.”
Rispose Jesse cercando di
tranquillizzare la nipote anche se lui stesso non credeva affatto che
Luke
avrebbe potuto far preoccupare la sua famiglia in quella maniera. Lo
sapeva
bene. Jesse aveva capito subito che qualcosa non andava. Istintivamente
sapeva
che Luke era finito in qualche guaio.
“Non credo affatto
che tornerà a casa tanto
presto.” Si intromise Bo dall’altra parte della
cucina.
Jesse
osservò intensamente il suo
più giovane nipote. Riconobbe immediatamente il senso di
colpa mal celato dall’ansia.
Disse con più asprezza del voluto: “va bene, Bo.
Sputa il rospo. Voglio una
spiegazione e la voglio subito. So bene di non aver sentito ancora
tutta la
storia. Daisy non mi avrebbe tirato giù dal letto nel cuore
della notte e noi
ora non saremmo seduti in cucina preoccupandoci per Luke se lui fosse
solo in
ritardo. Se questo fosse stato il caso, avreste fatto di tutto per
coprirlo. Di
sicuro non mi avreste svegliato. E mi sembrava di averti detto di
sederti.”
Bo
smise di camminare e si
sedette di peso sulla sedia opposta allo zio: “non sta
tornando a casa. Non era
in condizioni di andare da nessuna parte da solo. Tanto meno a
casa.”
Jesse
osservò serio i suoi
ragazzi: “penso tu debba spiegarmi quello che hai appena
detto. In che
condizioni era Luke?”
Bo
sospirò. Non voleva lo zio
sapesse che Luke si era di nuovo ubriacato, ma non aveva scelta.
“Zio
Jesse, Luke ha bevuto
troppo. Non stava molto meglio della settimana scorsa. L’ho
lasciato accanto al
Generale intorno alle nove e gli ho detto di mettersi a dormire per
farsi
passare la sbronza, ma non era più lì quando sono
tornato.”
“A
che ora sei tornato?” Domandò
Jesse in tono severo.
“Poco
dopo mezzanotte.”
“Se
era davvero in pessime
condizioni, perché lo hai lasciato per tre ore?”
Bo
era già divorato dal senso di
colpa senza che ci si mettesse anche lo zio: “pensavo sarebbe
stato meglio se
avesse dormito per un po’ nel Generale.”
“Era
addormentato quando lo hai
lasciato?”
“Non
esattamente.” Rispose Bo.
Riluttante aggiunse: “aveva difficoltà ad entrare
in macchina. Ha perfino
provato ad aprire la portiera. Ero irritato con lui. Volevo tornare da
Marylee
così gli ho detto di cavarsela da solo e l’ho
lasciato lì fuori.”
“Lo
hai davvero abbandonato così?”
Chiese Jesse incredulo.
Bo
si prese la testa tra le mani:
“lo so, non avrei dovuto, ma credevo si sarebbe messo a
dormire sul sedile
posteriore. Pensavo fosse troppo ubriaco per andare da qualche
parte.”
Jesse
scosse la testa: “a quanto
pare ti sei sbagliato.”
Daisy
aveva ascoltato in silenzio
lo scambio di battute tra lo zio e il cugino ed era arrivato il momento
di
chiarire alcune cose. Disse con convinzione: “Luke non era
ubriaco, zio Jesse.”
Jesse
la osservò intensamente: “ne
sei sicura, tesoro? Bo dice il contrario. Si comportava come se lo
fosse.”
“Sono
certa. Ha bevuto un paio di
birre annacquate. E’ necessario molto di più per
ubriacarsi con quello che
serve Boss al Boar’s Nest. L’ho tenuto
d’occhio e stava bene quando gli ho
parlato verso le otto e mezzo. Non era ubriaco. Ha bevuto solo quelle
due
birre.”
“E
io ti dico che non stava bene
alle nove.” Insisté Bo. “Non si reggeva
in piedi e faceva fatica a parlare. Per
poco non è caduto in terra. Non aveva senso quello che
diceva.” Prima che lo
zio potesse commentare, Bo aggiunse: “mi dispiace averlo
lasciato solo. Ero
arrabbiato perché pensavo avesse bevuto di nuovo e non
volevo rovinarmi un’altra
serata con Marylee. Riconosco però che avrei dovuto
controllarlo. Sono molto
dispiaciuto.”
“Non
mi interessa sapere come
agiva, Bo. Non era ubriaco. Non aveva bevuto. Forse sta
male.” Affermò Daisy
con ansia crescente.
Bo
tentò di tranquillizzare la
cugina: “non credo sia malato, Daisy. Non sembrava stesse
male. L’hai detto tu
stessa che stava bene quando gli hai parlato.”
Jesse
analizzò quel che era stato
detto: “qualcosa non torna. Non ha alcun senso che Luke abbia
potuto commettere
la stessa sciocchezza per due settimane di fila. Non è da
lui ripetere lo
stesso sbaglio due volte. Non pensava di aver bevuto molto la settimana
passata
e Daisy dice che non ha bevuto neanche stavolta. Non era ubriaco e non
è
malato. Deve essere qualche altra cosa. Sembrerebbe quasi abbia preso
una
qualche droga. Questo spiegherebbe tutto.”
“Luke
non prenderebbe mai niente
del genere, zio Jesse.” Disse Bo schierandosi dalla parte del
cugino. “Ci
scommetto la vita.”
“Calmati,
Bo. Non sto dicendo che
si sia drogato di proposito. Lo so da me che non lo farebbe
mai.”
“Forse
ha preso qualcosa a sua
insaputa.” Intervenne Daisy afferrando il discorso dello zio.
“Laura potrebbe
avergli messo qualcosa nella birra. Non ho affatto fiducia in lei. Ed
era con
lui anche la settimana scorsa. Ho trovato una piccola pillola bianca
sul
pavimento mentre pulivo. Era proprio accanto al tavolo dove Luke e
Laura erano
seduti. Forse le è caduta.”
“Di
che pillola si tratta?”
Domandò Bo.
“Non
lo so, ma sembra una di
quelle per le quali serve la prescrizione. L’ho messa in un
bicchiere nel caso
fosse venuto qualcuno a chiedermela indietro.”
“Brava
ragazza. Forse il Dott.
Appleby è in grado di dirci cos’è. Non
so se significa qualcosa oppure se non
ha niente a che fare con Luke, ma vale la pena di
controllare.”
Quando
Daisy fece per alzarsi,
Jesse delicatamente la afferrò per un braccio:
“calmati, bambina. Dai al
dottore il tempo di svegliarsi. Luke potrebbe tornare da un momento
all’altro e
la pillola che hai trovato potrebbe non avere niente a che fare con
tutto
questo. Non sappiamo con certezza se Luke è stato davvero drogato. Non
abbiamo
bisogno di svegliare il dottore nel cuore della notte.”
Daisy
lentamente si rimise a
sedere: “credo tu abbia ragione. Ma è
l’unica spiegazione che abbia un senso. Forse
dovremmo chiamare Laura e vedere se Luke è con
lei.”
“Non
credo Luke avrebbe mai
seguito Laura da qualche parte.” Disse Jesse. “Non
per sua scelta almeno. Era
intenzionato a mettere le cose in chiaro con lei. Sai se ne ha avuta
occasione?”
“So
che ci stava provando, ma mi
ha detto che lei non voleva ascoltarlo.”
“Ma
non è andato via con lei.” Si
intromise Bo. “Laura è praticamente scomparsa
quando ho raggiunto Luke per
aiutarlo. Forse alla fine si era persuasa che Luke non voleva avere
niente a
che fare con lei. Non l’ho vista andare via, ma fuori non
c’era.”
“Neanche
io l’ho più vista dopo
che siete usciti.” Convenne Daisy.
“Va
bene, Laura è andata via
nello stesso momento in cui Bo ha portato fuori Luke. E’
possibile che sia
tornata quando Bo è rientrato in quanto non sembra proprio
fosse intenzionata a
farsi scaricare tanto facilmente da Luke. Forse gli ha dato un
passaggio. Se
era davvero confuso come dici, forse è andato via con
lei.”
“Scommetto
che hai ragione, zio
Jesse.” Esclamò Bo. “Luke era abbastanza
sconnesso da seguirla. Non avrei mai
dovuto lasciarlo solo in balia di quella pazza che gli ronzava
intorno.”
“Però
non sappiamo con certezza
che sia andata così. Non sappiamo davvero se Luke sia andato
via con Laura.”
“La
chiamo.” Disse Daisy. “No! Accidenti.
Luke ha detto che non ha il telefono. Non possiamo chiamarla.”
Bo
si alzò di scatto: “allora
vado da lei.”
“Con
calma, Bo.” Lo ammonì Jesse.
“Non puoi andare a bussare alla sua porta a notte
fonda.”
“Ma,
zio Jesse…”
“Niente
ma, Bo. Non sappiamo se
Luke sia con lei. Potrebbe rientrare a casa da un momento
all’altro o può
essersi fatto dare un passaggio da qualche suo amico. Proviamo con
Cooter. E’
possibile che sia da lui o alla sua officina.”
“Zio
Jesse, Luke può avere
bisogno di noi.” Disse Daisy in tono supplichevole.
Jesse
accarezzò il braccio della
nipote: “non ho dubbi in proposito, bambina. Ma dobbiamo
affrontare tutto
questo in maniera logica se vogliamo davvero aiutarlo. Dobbiamo
accertarci che
non stia da Cooter. Non possiamo piombare di punto in bianco a casa di
Laura. Devi
tornare al Boar’s Nest e recuperare la pillola
cosicché potremmo farla
esaminare al Dott. Appleby. E mentre aspettiamo che si faccia giorno,
ci faremo
un giro e cercheremo Luke. Magari ha trovato un posto dove fermarsi
visto che
non riusciva ad entrare nel Generale Lee. Per quel che ne sappiamo
può essersi
addormentato da qualche parte fuori dal Boar’s Nest. Se non
dovessimo trovarlo,
andremo a casa di Laura.”
Bo
e Daisy si resero conto di
quanta logica ci fosse nelle parole dello zio. Riuscirono a
tranquillizzarsi.
Era davvero un bene che avesse preso in mano la situazione. Con un
po’ di
fortuna avrebbero potuto trovare Luke addormentato nei pressi del
Boar’s Nest
inconsapevole del fatto non si trovasse nel suo letto e che stava
spaventando a
morte la sua famiglia. Quando lo avrebbero trovato lo avrebbero di
certo
aggredito spietatamente per non parlare poi della sonora sgridata da
parte di
zio Jesse, che si sarebbe dovuto sorbire. Ma subito dopo lo avrebbero abbracciato stretto e non lo
avrebbero più
perso di vista per molto tempo.
To be continued…
|
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Capitolo 13 *** Incubi ***
Grazie infinite ragazze
per i
vostri commenti ancora una volta puntuali e deliziosi!
La faccenda si sta facendo
davvero seria. Povero Luke, non verrei essere nei suoi panni!
Capitolo tredici: incubi
Luke
circondato dalla nebbia,
cercava un modo per uscirne fuori. Ma la nebbia era dappertutto. Lo
aveva
inghiottito. Era talmente fitta che non riusciva neanche a vedersi gli
stivali
guardando in basso. Si sentiva soffocare. Il suo battito
accelerò e il cuore
gli balzò in gola. Gli venne il fiato corto. C’era
qualcosa nella nebbia. Una
presenza. Qualcosa dalla quale sapeva di dover scappare. Qualcosa di
oscuro e
opprimente che seguiva i suoi movimenti. Se provava a spostarsi, si
sentiva
seguito. Nella nebbia più fitta.
Nell’oscurità.
Quando
una mano fredda come il
ghiaccio squarciò la nebbia e gli afferrò il
braccio, Luke saltò nel letto.
Lentamente, si rese conto di aver avuto un incubo. Prese un respiro
profondo e
si passò una mano sul viso. Si era trattato solo di un
sogno. Ma il suo
sollievo durò poco. Perfino
nell’oscurità, avvertiva che qualcosa non andava
nella stanza. Le dimensioni per cominciare. E poi era silenziosa,
troppo
silenziosa. Non c’erano rumori famigliari come il vento tra
gli alberi, i
grilli o il cinguettio degli uccelli alle prime luci
dell’alba. Niente. Tutto
mortalmente silenzioso. Eccetto per il suo respiro.
La
mente di Luke cercava di dare
un senso al luogo nel quale si trovava, ma era troppo disorientato.
Sebbene più
debolmente, la stanza ancora gli girava intorno. La testa gli faceva
male e la
nausea aumentava. Non appena i suoi occhi si furono abituati al buio,
vide una
lanterna dall’altra parte del letto. La fiamma era fioca, ma
era abbastanza
perché riuscisse a guardarsi intorno. Il suo stomaco si
contorse ancora di più
quando raggiunse un’ulteriore consapevolezza. Non aveva idea
di dove si
trovasse. Era in un letto, ma quella non era la sua stanza.
Tentò
di non farsi assalire dal
panico. Non sapeva dov’era e come c’era arrivato.
Doveva schiarirsi le idee.
Quando si allungò per raggiungere la lanterna,
sussultò per il tocco di un
corpo caldo accanto a lui. Non si era accorto di non essere solo. Una
donna gli
stava dormendo affianco. Dei capelli scuri le ricadevano confusamente
sulla
faccia, oscurandogliela e non permettendogli di riconoscerla.
Delicatamente
le scansò i capelli
dal volto. Nonostante fosse quasi al buio, riconobbe Laura Dawson. Non
capiva
come era potuto finire a letto con lei. Ricordava di esser stato al
Boar’s
Nest. Ricordava di averle restituito il ciondolo. Ricordava come lei
non lo
ascoltasse affatto mentre lui le diceva di non ricambiare i suoi
sentimenti. Ma
non ricordava altro. Non riusciva ad immaginare come fosse finito
lì, a letto
con Laura. In aggiunta all’amarezza che provava,
iniziò a sentirsi anche imbarazzato
per aver permesso che accadesse qualcosa con una ragazza per la quale
non
provava nulla. Non sarebbe dovuto succedere.
Laura
si stiracchiò. Quando aprì
gli occhi e vide che Luke la stava fissando, sorrise. Disse dolcemente:
“buongiorno, amore mio.”
Luke
fu invaso dalla vergogna:
“buongiorno.” Mugugnò non sapendo
cos’altro aggiungere.
Laura
si mise a sedere, lasciando
che le coperte le scivolassero di dosso. Luke stava per distogliere lo
sguardo,
quando si accorse che indossava una camicia da notte di seta.
Sollevato, tornò
a posare lo sguardo su di lei, cercando di sondare i suoi pensieri.
Laura
afferrò la lampada ed aumentò la fiamma
illuminando la stanza.
Luke
osservò la piccola camera e
la analizzò nei dettagli. Sembrava una stanza da letto.
C’erano pesanti tende
attaccate alla parete dalla sua parte del letto. Ma non filtrava luce.
Realizzò
che non aveva idea di che ora fosse. Si guardò attorno, ma
non vide orologi. A
giudicare dalla completa assenza di luce, immaginò che fosse
notte fonda.
“Sai
per caso che ora è?”
Laura
guardò l’orologio d’oro che
aveva al polso: “sono quasi le dodici.”
“Mezzanotte?”
Domandò Luke
sorpreso che fossero passate tante ore senza che lui se ne ricordasse.
“E’
tardi. Devo andare a casa.”
“Non
è mezzanotte.” Rispose
Laura. “E’ mezzogiorno. E tu sei già a
casa, sciocco.”
“Mezzogiorno?”
Esclamò allarmato
Luke. “Sono stato qui tutta la notte?”
“Ma
certo.” Disse Laura come se
fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Laura
scese dal letto e accese
altre due lanterne, illuminando così tutta la stanza. Luke
stava passando un
gran brutto momento tentando di realizzare quel che Laura gli aveva
detto.
Aveva trascorso la notte con lei. Non ricordava se avesse avvisato a
casa
oppure no. Più tentava di ricordare, più il
dolore alla testa peggiorava. E che
cosa voleva dire che erano già a casa? Dove si trovava?
Luke
si mise a sedere sul bordo
del letto con l’intenzione di alzarsi, quando si rese conto
di non avere niente
addosso. Si guardò disperatamente intorno cercando i suoi
jeans, ma non li
trovò. Osservò Laura seduta davanti allo
specchio, intenta a spazzolarsi i
capelli e canticchiando allegramente.
Una
volta ancora, Luke cercò di
concentrarsi sulla notte appena trascorsa, ma tutto quello che ottenne
fu un
aumento del dolore alla sua povera testa. Non riusciva a razionalizzare
niente,
sapeva soltanto che non sarebbe dovuto stare in quel letto. Non
ricordava di
aver passato la notte con Laura, ma le prove parlavano chiaro. Si era
ritrovato
nudo nel letto insieme a lei, c’era una sola ovvia
conclusione.
Luke
si coprì con la coperta.
Disse con un po’ di esitazione: “Laura, mi
dispiace.”
Laura
si voltò sorpresa: “non hai
niente di cui dispiacerti.”
“Si
invece.” Insistette Luke. “Mi
dispiace per questa notte.”
“Perché?
E’ stata la notte più
bella della mia vita.”
Luke
sospirò: “non sarei dovuto
venire qui. Non so cos’abbiamo fatto e ti chiedo scusa.
E’ stato un errore.”
Laura
guardò Luke in modo rude:
“non c’è niente di sbagliato riguardo la
notte appena trascorsa. E’ stata
perfetta.”
Luke
tormentò la coperta con le
mani. Tutto questo non lo avrebbe portato da nessuna parte. Aveva
contribuito a
far precipitare le cose. Invece di mettere tutto in chiaro con Laura,
ci aveva
dormito insieme.
Provò
ancora: “Laura, non mi
ricordo cos’è successo la notte scorsa. Forse ho
bevuto troppo. Mi dispiace, ma
non avrei mai voluto che questo accadesse. Non succederà
più.”
Quando
Laura lo fissò senza
rispondere, Luke aggiunse: “devo tornare a casa. La mia
famiglia sarà in ansia.
Dove sono i miei vestiti?”
L’espressione
sul viso di Laura
cambiò in un attimo. La rabbia le attraversò gli
occhi. Sentenziò: “sei a casa.
Non pensare di potertene andare via così dopo quello che
abbiamo condiviso.”
“Sono
davvero spiacente, Laura.
Ho bisogno dei miei vestiti. La mia famiglia sarà
preoccupata.”
“Non
devi più preoccuparti di tuo
zio e dei tuoi cugini. Non possono farti del male.”
“Non
mi faranno del male. Si
staranno chiedendo dove sono finito. Devo andare a casa.”
Il
volto di Laura mutò nuovamente
espressione. Luke non sapeva dire cosa le stesse passando per la testa,
ma
presto avrebbe rimpianto di non aver colto la determinazione nel suo
sguardo.
“Molto
bene.” Disse lapidaria.
“Ti prendo i vestiti.”
“Grazie.”
Luke
fu sorpreso di vedere Laura
aprire la cassettiera e tirare fuori i suoi jeans, boxer e calzini come
se ci
fossero sempre stati. Dopo aver chiuso il cassetto con eccessivo
vigore, si
diresse verso l’armadio e ne estrasse una camicia blu.
Adagiò il tutto sul
letto accanto a Luke e lo guardò aspramente.
Con
noncuranza disse: “vai, se
vuoi.”
Quando
Luke esitò, rise: “ti darò
la privacy necessaria per rivestirti anche se credo non ce ne sia
più bisogno
dopo la notte scorsa. Penso ormai tra noi non dovrebbero più
esserci imbarazzi
di sorta.”
Luke
sentì salire di nuovo la vergogna
e provò ancora a richiamare i ricordi della notte trascorsa,
ma senza successo.
Non voleva rassegnarsi all’idea di esser stato in
intimità con Laura, ma così
era stato.
“Mi
dispiace.” Sussurrò
nuovamente.
“A
me no.” Ridacchiò Laura
perfettamente conscia del disagio di Luke. Il suo umore
cambiò ancora: “datti
una mossa e vestiti, tesoro. Ti aspetto nel corridoio. Trovo carino che
tu sia
così timido.”
Laura
afferrò la sua vestaglia e
la indossò prima di attraversare tutta la stanza e
raggiungere la porta. La
oltrepassò e delicatamente la richiuse alle sue spalle. Fece
scivolare il
chiavistello di metallo e rapidamente lo serrò con il
lucchetto. Allarmato da
quel suono, Luke si infilò in fretta i jeans. Corse verso la
porta e provò ad
aprirla. Non riuscì a smuoverla.
La
faccia di Laura apparve nella
piccola finestrella: “sarai in salvo con me, mio caro. Io ti
amo. Lo so che
anche tu mi ami.”
“Non
ho bisogno di essere
salvato. Sto benissimo. Apri la porta.” Quando Laura per
tutta risposta si
limitò a sorridere, Luke aggiunse: “per favore.
Per favore apri la porta. Fammi
uscire di qui.”
“Non
posso farti andar via.” Replicò
mantenendo la sua serenità.
“Il
gioco è bello quando dura
poco, Laura. Devo andare a casa. Fammi uscire.”
“Ho
detto che non posso. Sto facendo
tutto questo per il tuo bene, amore mio. Tuo zio e i tuoi cugini ti
hanno fatto
il lavaggio del cervello. Dipendi da loro per il semplice fatto che
hanno
abusato di te per tutta la tua vita. E’ impossibile sfuggire
a qualcosa del
genere. Lo so bene, io stessa sono fuggita dai miei genitori. Non
è stato
facile, ma ho dovuto fare quello che andava fatto. Adesso faccio tutto
questo
per te. Realizzerai che ho ragione e mi ringrazierai, quando tornerai
in te.
Non hai bisogno di tornare alla fattoria da quelle persone orribili.
Questa ora
è casa tua.”
Luke
indietreggiò ascoltando la
spiegazione di Laura. Era sconcertato. Lei credeva ad ogni parola che
aveva
detto. Era ovvio. Era convinta che la sua famiglia lo controllasse. Era
convinta che lui ricambiasse il suo amore. Tutta la tenerezza che aveva
provato
per lei, era svanita. Luke spinse la porta con tutte le sue forze, ma
tutto
quello che ottenne fu una spalla dolorante. La porta era di metallo ed
era
chiusa con un lucchetto. Fece un passo indietro e si
accarezzò la spalla.
La
sua frustrazione divenne
rabbia: “non puoi fare una cosa del genere, Laura. Non puoi
tenermi qui contro
la mia volontà. Apri questa porta.”
“Mi
dispiace che tu sia irritato
Luke, ma devo farlo. E’ per te. Non posso permetterti di
tornare da tuo zio.
L’ho sentito come ti maltratta. Ti farebbe del male se ti
lasciassi andare.”
“Non
mi farebbe mai del male.”
Insisttte Luke. “Verrà a
cercarmi.”
“Non
ti preoccupare. Non ti
troverà. Nessuno ti troverà mai. Sei in salvo con
me. Io so la verità, tesoro.
Non devi più sentirti imbarazzato e non devi più
mentire. Mi prenderò cura di
te. Rilassati. Andrà tutto bene. Adesso vai e finisci di
vestirti. Io intanto
ti preparo la colazione. Tornerò presto.”
Luke
osservò Laura sbigottito. Le
sue obiezioni non l’avevano smossa di un centimetro. Il suo
umore variava dalla
serenità alla rabbia e viceversa, nel volgere di pochi
secondi. Quando
scomparve in fondo al corridoio canticchiando ancora, sondò
la stanza cercando
una via di fuga. La porta era da escludere. Raggiunse le tende e le
scostò, ma
dietro c’era solo il muro. La consapevolezza di trovarsi in
una sorta di
prigione, lo colpì duramente. Non c’erano
finestre. Era circondato solo da
solide pareti. Fu invaso dalla speranza quando vide una porticina
dall’altro
lato della stanza. Quando la aprì però, vide solo
un piccolo bagno.
Si
voltò e tornò nella stanza. Si
lasciò cadere di peso su una sedia. Era nei guai. Bo alla
fine aveva avuto
ragione. Laura era davvero pazza. Non c’erano dubbi. Non
sapeva come fosse
riuscita a trascinarlo lì dentro. Era sicuro di non essersi
ubriacato la sera
precedente. Sapeva che non l’avrebbe mai seguita in nessun
luogo senza una
qualche coercizione. E non ci avrebbe mai dormito insieme.
La
testa gli faceva ancora male e
la nausea non lo aveva abbandonato. Si poggiò allo schienale
della sedia. Aveva
bisogno di riposo. Forse sarebbe riuscito a pensare più
chiaramente se si fosse
riposato. Di solito aveva sempre un piano d’azione, ma ora
non riusciva a
pensare a niente. La sua mente era ancora annebbiata. Si sentiva come
se fosse
tornato nell’incubo che lo aveva svegliato. La nebbia lo
aveva inghiottito e
non aveva via di scampo. Ma stavolta non era un sogno, era reale.
To be continued…
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Capitolo 14 *** Non oltrepassare ***
Capitolo quattordici: non
oltrepassare
Bo
stava camminando avanti e
indietro lungo il marciapiede incrinato fuori dalla recinzione in ferro
battuto. Nel frattempo scrutava l’oscura e inospitale casa
sull’altro lato
della strada. Con le sue mura di mattoni freddi che fungevano da
barriera
invalicabile per il mondo esterno, sembrava molto più un
castello che una
tenuta tipica del sud. Tutte le finestre erano chiuse e non vi era
possibilità
di sbirciare all’interno. Il ripido frontone donava alla casa
un aspetto
sinistro. Bo rabbrividì. Sentiva storie su quella casa da
quando era bambino.
Guardandola ora, non dubitava affatto fossero vere le leggende legate a
fantasmi e fatti oscuri. Semmai fosse esistito un posto infestato,
ebbene ce l’aveva
di fronte. Ma c’erano cose ben peggiori dei fantasmi.
La
pavimentazione del vialetto era seriamente
danneggiata. Alberi alti e cupi fiancheggiavano il lato est della casa
creando
un’ulteriore barriera a causa della quale, pensò
Bo, non riusciva a filtrare
neanche il sole. Il prato era un selvaggio cumulo di erbacce. Il
sentiero che
dal cancello conduceva all’ingresso della casa era
pressoché invisibile. Un
cartello con su scritto “non oltrepassare” sbucava
dalle sterpaglie.
“Maledizione.”
Imprecò Bo. “E’
spettrale. Chi nel pieno possesso delle sue facoltà mentali
potrebbe voler
entrare lì dentro? E pensare che lei ci abita. Non
è normale.”
Bo
si arrestò di fronte al
cancello. Jesse gli aveva detto di aspettare di avere delle prove certe
prima
di andare a bussare alla porta di Laura, ma Bo non aveva dubbi. Luke
non era in
prigione e non era da Cooter. Nessuno lo aveva più visto
dalla notte precedente
e questo era più che sufficiente. Laura era praticamente
scomparsa quando Bo
aveva raggiunto Luke nel parcheggio del Boar’s Nest. Avrebbe
dovuto realizzare
che non era andata via e che probabilmente si era solo nascosta
aspettando l’occasione
per avventarsi su Luke. E lui le aveva dato
quell’opportunità lasciando il
cugino vicino al Generale Lee. Non poteva pensare di aver fatto una
cosa simile
a Luke.
Al
di là dei fatti certi e
appurati, aveva comunque la netta sensazione che Laura fosse coinvolta
nella
scomparsa di Luke. Se solo il suo istinto avesse funzionato la notte
precedente. Ma Luke aveva interferito nei suoi piani con Marylee, e Bo
ne era
rimasto alquanto seccato. Era sopraffatto dal rimorso e dal senso di
colpa.
Bo
avrebbe dovuto incontrare
Jesse e Daisy dal dottor Appleby prima di affacciarsi dalle parti di
Laura, ma
non poteva più aspettare. Avrebbero capito. Spinse il
pesante cancello, ma non
si mosse. Era serrato. Indietreggiò osservando la ringhiera
in ferro battuto
che circondava la proprietà. Gli spuntoni aguzzi che
facevano capolino sulla
cima, rendevano impossibile scavalcare senza causarsi gravi danni. Bo
sospirò.
Non sarebbe stato facile.
Un
elaborato campanello catturò
la sua attenzione. Lo premette ansiosamente sperando in una risposta.
Impaziente
lo spinse ancora, e ancora, ottenendo però sempre lo stesso
risultato. Niente.
O Laura non era in casa oppure non voleva rispondere. Bo
camminò sul prato
intorno alla casa fino a raggiungere il vialetto d’accesso.
Giunse ad un altro
cancelletto. Lo afferrò, ma anche quello era assicurato con
un lucchetto. Scoraggiato,
tornò sui suoi passi e suonò di nuovo il
campanello. La casa sembrava
disabitata. Sarebbe stato meglio incontrare Jesse e Daisy e scoprire se
loro
avessero avuto nel frattempo qualche novità. Se non ne
avessero avute, sarebbe
tornato. Sarebbe entrato in una maniera o nell’altra.
Il
dottor Amos Appleby seduto
alla sua scrivania stava esaminando la piccola pillola bianca
attraverso le
lenti dei suoi occhiali. La posò cautamente in un recipiente
e iniziò a cercare
nel suo prontuario. Non riuscendo a trovare ciò che stava
cercando, si
accigliò. Sapeva che non l’avrebbe trovata, ma
sperava di sbagliarsi.
“Dici
di averla trovata sul
pavimento del Boar’s Nest?” Chiese rivolto a Daisy.
“Era
proprio accanto al tavolo dove Luke
sedeva con Laura. Che cos’è?”
Domandò ansiosa Daisy.
“Sembri
perplesso, Amos.” Intervenne Jesse
preoccupato.
“Lo
sono.”
“Perché?
Che cos’è quella roba?”
Incalzò
Bo.
“Rohypnol.”
Rispose il dottore con tono
grave. “Credo sia Rohypnol. Il fatto io non riesca a trovarlo
nel mio
prontuario, conferma il mio sospetto.”
“Pensi
che qualcuno potrebbe averne bisogno
e se lo sia semplicemente perso?” Domandò Jesse.
“No,
Jesse. Ecco perché sono preoccupato.
Non è un medicinale. I medici non lo prescrivono. Si tratta
di un
tranquillante, è potente e molto simile al Valium, ma dieci
volte più efficace.
Non viene prescritto per via dei suoi effetti collaterali. Sarebbe da
veri
irresponsabili.”
“Cosa
fa?” Chiese Daisy.
Il
dottor Appleby scrutò i tre volti
ansiosi di fronte a lui. Se Luke avesse davvero preso quella droga,
dovevano
sapere la verità. Sospirò: “come ho
detto, è molto potente. Ha effetto
sedativo, produce amnesia, rilassamento muscolare e rallentamento delle
capacità psichiche e motorie.”
“Amos,
come avrebbe agito Luke se avesse
preso una di queste pastiglie?”
“Probabilmente
avreste pensato che fosse
ubriaco. Avrebbe avuto difficoltà a parlare e a coordinare
qualunque tipo di
movimento. Avrebbe avuto le vertigini. E se ci avesse bevuto sopra un
po’ di
alcol, gli effetti sarebbero stati anche peggiori.”
“Luke
non si drogherebbe mai.” Intervenne
Bo mettendosi dalla parte del cugino.
“Calmati,
Bo. Non sto dicendo che lo abbia
fatto intenzionalmente. Qualcuno potrebbe avergli fatto cadere una
pillola
nella birra senza che lui se ne sia accorto. Si dissolve in fretta ed
è
insapore e inodore.”
“Perché
qualcuno avrebbe dovuto fargli una
cosa del genere?” Chiese Daisy.
“Daisy,
non sappiamo davvero se Luke abbia
preso del Rohypnol.” Il dottor Appleby tentò
tranquillizzarla.
Jesse
fissò l’amico con sguardo fermo: “non
hai risposto alla domanda di Daisy, Amos. Non nasconderci niente.
Dobbiamo
sapere la verità.”
Il
dottore sospirò nuovamente: “questo tipo
di droga fa cadere le inibizioni e rende le persone più
disponibili. Si agisce
senza ragionare. Causa confusione. Produce una sorta di amnesia a causa
della
quale non si ricorda cosa è accaduto durante il suo
effetto.”
Quando
il dottore si arrestò, Jesse lo
incoraggiò: “e?”
“Viene
usato durante gli stupri perché le
vittime non hanno la capacità di ribellarsi e, una volta
finito, non ricordano
niente di quello che è accaduto.”
I
tre Duke rimasero in silenzio finché
Jesse non riacquistò l’uso della parola e
domandò: “quando gli effetti della
droga finiscono, come ci si sente la mattina dopo?”
“Gli
effetti sono simili ai postumi di una
sbronza. Mal di testa e nausea. E un grande senso di confusione dovuto
al
blackout.”
“Zio
Jesse, combacia perfettamente con le
condizioni in cui versava Luke lo scorso fine settimana.”
Disse Bo. “Pensavamo
si fosse ubriacato anche se lui continuava a sostenere di non aver
bevuto
molto. Quella pazza di Laura deve averlo drogato anche la settimana
scorsa.”
“E’
possibile.” Convenne Daisy. “Non
riuscivo a capire come potesse essersi ubriacato tanto in fretta. Deve
avergli
messo una pillola nella birra.”
“Almeno
ero lì per proteggerlo la volta
scorsa.” Aggiunse Bo. “Avrei dovuto riportarlo a
casa ieri notte, ma ero troppo
seccato. L’ho praticamente abbandonato. Zio Jesse non potevo
sapere che fosse
stato drogato.”
“No,
non potevi saperlo, Bo.” Concordò
Jesse. “Neanche io mi sarei dovuto arrabbiare con lui quando
ho creduto che
avesse bevuto di nuovo.”
“Ma
non l’ha fatto.” Insistette Bo saturo
di sensi di colpa. “Avrei dovuto capire che c’era
qualcosa di sbagliato.”
“Non
ha senso tormentarsi così, Bo. Dobbiamo
trovare Luke e riportarlo a casa.” Disse Jesse.
“Si,
penso tu abbia ragione. Lo dobbiamo
trovare.”
“E
lo faremo.” Aggiunse Jesse con più
fiducia di quanta ne avesse in realtà. “Non
sappiamo per certo se Luke è stato
drogato. Per quanto ne sappiamo, potrebbe stare a casa
adesso.”
“Neanche
tu credi alle tue parole.”
Jesse
scosse la testa tristemente: “no, hai
ragione. Luke non ci farebbe mai preoccupare così. Penso sia
ora di fare due
chiacchiere con Laura Dawson. Se lei gli ha dato il Rohypnol, Luke deve
essere
a casa sua. Forse sta ancora dormendo. Quanto durano gli effetti,
Amos?”
“Di
solito dalle otto alle dodici ore, ma
quando viene assunto insieme all’alcol, si può
arrivare fino a trentasei ore.”
“Quindi
è presumibile pensare che sia
ancora sotto l’influenza di quella droga.”
“Ho
paura di si, Jesse.”
“Farà
meglio ad aprire la porta stavolta.” Affermò
Bo pieno di rabbia e frustrazione. “In un modo o
nell’altro noi entreremo in
quella casa.”
“Possiamo
chiedere ad Enos di venire con
noi.” Propose Daisy. “Lui può pretendere
di entrare.”
“Non
c’è niente che possiamo fare, tesoro. Non
sono passate ancora ventiquattro ore dalla scomparsa di
Luke.” Disse Jesse. “E
non possiamo costringerla ad aprirci la porta se lei non
vuole.”
“Ma,
zio Jesse…”
“Niente
ma, Bo. Non abbiamo la certezza che
Luke sia davvero lì.”
“Se
non è dentro quella casa, di sicuro
Laura sa dov’è.” Insistette Bo.
“Forse
hai ragione, ma dobbiamo procedere
con cautela senza infrangere la legge. Se Luke è davvero
lì, lo troveremo. E
adesso muoviamoci.”
Bo
annuì: “questo si che è parlare.
Andiamo.”
Jesse
si voltò verso il suo vecchio amico: “grazie,
Amos. Apprezziamo le informazioni che ci hai fornito.”
“Non
c’è di che, Jesse. Sai quanto sono
affezionato ai tuoi ragazzi. Se avrai bisogno del mio aiuto quando
avrete
trovato Luke, io sarò qui.”
“Perché
pensi che avremmo bisogno del tuo
aiuto?” Chiese Jesse riconoscendo la perplessità
nella voce del medico. “C’è
qualcosa che non ci hai detto?”
Quando
si accorse che non giungevano
risposte, Jesse aggiunse: “per favore, dimmi cosa ti
preoccupa. Se riguarda
Luke, devo saperlo.”
Il
dottor Appleby esitò prima di parlare: “Jesse,
i danni del Rohypnol non si limitano al blackout o alla perdita di
controllo. Quando
è mischiato con l’alcol, può portare a
difficoltà respiratorie o addirittura…”
“Addirittura
cosa?”
“In
casi estremi…”
“Cosa?”
Incalzò Jesse con tono duro.
“In
casi estremi, se il dosaggio è elevato
e se è mischiato con l’alcol, può
portare ad un’overdose e alla possibile…”
“Morte.”
Concluse debolmente Jesse la frase
dell’amico.
Daisy
esclamò: “Luke non lo avrebbe mai
fatto!”
Jesse
circondò la nipote con le braccia e
le offrì il suo conforto: “no tesoro. So che non
lo avrebbe mai fatto di
proposito. Ma non poteva sapere che Laura gli aveva messo una pastiglia
nella
birra. E c’è così tanto che noi ancora
ignoriamo.”
“Ecco
perché dobbiamo andare a casa di
Laura. Ha tutte le risposte alle nostre domande.” Si
intromise Bo.
“Hai
ragione. Andiamo. Non abbiamo tempo da
perdere.”
“Buona
fortuna.” Fu l’augurio del dottor
Appleby mentre accompagnava i Duke fuori dal suo studio.
“Spero non ne avrete
bisogno, ma chiamatemi se credete.”
Jesse
annuì e saltò sul lato passeggero
della jeep di Daisy. Bo aveva già preso posto nel Generale
lasciandosi dietro
una nuvola di polvere.
“Sarà
meglio sbrigarsi, Daisy. Non voglio
che Bo ci preceda. Desidero essere presente per mantenerlo
calmo.” Disse Jesse.
Daisy
innestò la marcia e spinse il pedale
del gas. Fece del suo meglio per stare dietro a Bo.
To be continued…
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Capitolo 15 *** Nell'oscurità ***
Capitolo quindici:
nell’oscurità
Ancora
in preda a vertigini e
nausea, Luke sospinse il pesante armadio dal muro al centro della
stanza
portandolo così a raggiungere gli altri mobili che aveva
già spostato. Si poggiò
addosso alla fredda parete stremato per lo sforzo. Cercò con
le mani un varco
attraverso i solidi mattoni di cui era composto il muro. Era inutile.
Il muro era
compatto. Stava cercando una via di fuga ormai da più di
un’ora. La sua mente
stava combattendo contro l’inevitabile conclusione che era in
trappola.
La
fioca luce della lampada
catturò la sua attenzione. L’aveva tenuta
d’occhio. La fiamma stava lentamente
diminuendo di intensità. Le altre due lanterne si erano
già spente. Aveva
cercato in giro fiammiferi per accendere le candele, ma non ne aveva
trovati.
Laura non era più tornata e Luke non sapeva dire da quanto
tempo si trovasse lì
dentro. Era ancora disorientato. L’assenza di luce esterna e
di orologi,
rendeva impossibile stabilire che ora fosse o addirittura se fosse
giorno o
notte. A peggiorare il tutto, inoltre, non sapeva come fosse arrivato
lì o che
posto fosse.
Luke
raggiunse la porta di
metallo e la spinse con tutta la forza della sua frustrazione. Era
inutile.
Ottenne solo che gli si riacutizzasse il dolore alla spalla. Non
c’era speranza
di uscire da quella porta. La finestrella al centro era utile per farci
passare
dei piccoli oggetti, ma non c’era verso che ci passasse un
uomo. Guardandoci
attraverso, riuscì a vedere un’altra porta, fu
sollevato che non fosse chiusa.
Non che potesse usarla in qualche modo, ma almeno rendeva
l’ambiente meno
claustrofobico. Da quello che riusciva a stabilire, la sua prigione si
trovava
alla fine di un corridoio. Dalla sua prospettiva però, non
riusciva a vedere
altre stanze. Il corridoio era illuminato da un’altra fioca
lanterna. Quando la
fiamma si fosse spenta, sarebbe diventato buio pesto.
E
poi accadde. La fiamma iniziò
ad abbassarsi e l’oscurità cominciò ad
espandersi creando ombre e assorbendo i
colori della stanza. Luke si avvicinò alla lanterna, la
afferrò e la strinse
saldamente con le mani. Sembrava che la stanza gli si stesse chiudendo
addosso.
Si mise seduto sul letto cercando di far tornare i battiti del suo
cuore a
livelli accettabili. La fiamma oscillò confusamente,
conferendo all’invadente
oscurità movimenti sinistri.
Il
petto di Luke martellava come
fosse stato in trepidante attesa. Non voleva restare da solo nel buio. La sua
ansia
aumentava tanto quanto l’oscurità che lo
circondava. Gli angoli e i confini
della stanza svanivano sotto i suoi occhi. Non è che avesse
paura del buio, non
proprio almeno. Riusciva ancora a distinguere qualcosa, vedeva delle
forme,
delle sfumature di grigio. Ma quando la fiamma si fosse spenta, le
tenebre
avrebbero inghiottito tutto. Non sapeva cosa gli sarebbe successo. E
questo lo
spaventava.
E
poi c’era silenzio. Non un
rumore che lui stesso non avesse creato era giunto alle sue orecchie.
Mentre
sedeva sul letto, tutto quello che riusciva a sentire era il battito
del suo
cuore e il suo respiro pesante. Il pensiero che quella stanza era la
sua tomba,
lo colpì improvvisamente. Tremò.
“Non
va bene.” Bisbigliò talmente
piano da non sentire la sua stessa voce. “Avrei dovuto
ascoltare Bo. Non ho
mai capito niente di donne.”
Odiava
ammetterlo, ma sperava di
rivedere Laura. Cosa sarebbe accaduto se non fosse mai tornata? E se
avesse
deciso di lasciarlo morire lì al buio? Era abbastanza
disturbata da farlo. Luke
aveva bisogno di Laura. Era dolorosamente ovvio. Mentre osservava il
cerchio di
luce stringersi intorno a lui, iniziò a pregare
affinché Laura tornasse.
Jesse
era immobile sul
marciapiede incrinato di fronte al cancello di Laura, con Bo e Daisy al
suo
fianco. Suonarono il campanello. Impaziente, Bo si lasciò
sfuggire: “so che è
qui dentro, zio Jesse. Dobbiamo trovare un altro modo per
entrare.”
“Calma
ragazzo. Non possiamo
violare la sua proprietà senza una ragione.”
“Ho
tutte la ragioni che mi
servono. Te lo dico io, lei è qui dentro e così
anche Luke. E se lui non ci
dovesse essere, lei di sicuro sa dov’è.”
“
Va bene, Bo.” Concesse Jesse.
“Sono d’accordo con te. Dobbiamo parlare con Laura,
ma…”
Prima
che potesse finire la
frase, il cancello si aprì. Laura stava osservando i Dukes
dall’interno della casa già da
diverso tempo. Quando capì che non avevano nessuna
intenzione di andare via,
decise di farli entrare. Avrebbe dovuto affrontarli prima o poi.
Pensò che
sarebbe stato meglio togliersi subito l’incombenza.
Jesse
sorrise all’inaspettata
apertura del cancello: “visto? Non abbiamo bisogno di
infrangere la legge.”
“Fa
lo stesso per me, vediamo di
guardarci le spalle gli uni gli altri.” Rispose Daisy.
“Neanche io, come Bo, mi
fido di lei.”
Quando
videro aprirsi la porta di
casa e Laura fissarli con le mani sui fianchi, i Dukes si mossero per
raggiungerla. Erano più che mai determinati a ritrovare Luke.
“Cosa
posso fare per voi?”
Domandò Laura quando se li vide di fronte.
Bo
la squadrò sprezzante:
“vogliamo Luke. Dov’è?”
“Luke?”
Ripeté innocentemente
Laura. “Perché dovrei sapere
dov’è?”
Daisy
le si parò davanti: “tu eri
con lui al Boar’s Nest la notte scorsa.”
“E
sei tu che lo perseguiti da
tempo.” Aggiunse Bo rabbioso. “Quando
l’ho lasciato nel parcheggio, non era in
condizione di andare da nessuna parte. Riusciva appena a reggersi in
piedi. So
che l’hai portato via tu.”
“Se
era ridotto tanto male, non
avresti dovuto abbandonarlo. Può essere andato ovunque.
Può essergli accaduta
qualunque cosa.” Disse Laura con tono minaccioso.
Il
senso di colpa colpì duramente
Bo. Laura aveva ragione su una cosa. Non avrebbe mai dovuto lasciare da
solo
Luke nelle condizioni in cui versava. Il rimorso lo lasciò
senza parole.
Jesse
riempì il silenzio che si
era creato. Provò una tattica diversa: “se tu
avessi una qualche idea di dove
potrebbe trovarsi Luke, ti saremmo grati se ce la
comunicassi.”
Laura
fissò Jesse guardinga. Non
si sarebbe bevuta la sua “preoccupazione” per Luke.
Era in preda all’ansia,
d’accordo. Ma voleva Luke indietro soltanto per continuare ad
esercitare il
suo controllo su di lui.
“Sappiamo
che è qui.” Ripeté Bo.
“Se
pensi davvero che Luke sia
dentro casa mia, sei il benvenuto. Entra e cercalo. Non ho niente da
nascondere.”
Jesse
non sapeva dire se Laura
stesse bleffando, ma accettò in tutta fretta il suo invito.
“Grazie. Ci daremo
un’occhiata intorno.”
“Entrate.
Guardate ovunque.” Ripeté
Laura con nonchalance.
I
Dukes rimasero stupiti dalla
piega che avevano preso gli eventi. Non si erano aspettati certo che
Laura
sarebbe stata così cooperativa e che avrebbe concesso loro
addirittura di
entrare in casa sua. Tanta collaborazione rese Bo sospettoso. Sapeva
già che
non avrebbero trovato Luke. Laura sembrava troppo tranquilla. Si rese
conto che
se non avessero scovato Luke lì dentro, non avrebbe saputo
dove altro andarlo a
cercare. Non aveva dubbi che Laura fosse coinvolta nella sparizione del
cugino.
“Cominceremo
dalla mansarda.”
Disse Bo pensando che potesse essere un buon nascondiglio. “E
poi scenderemo.
Restiamo insieme, non ci separiamo.”
“Come
potreste non vedere un uomo
grande e grosso se fosse nascosto qui dentro?”
Domandò sarcastica Laura. “
Comunque, accomodatevi. Vi mostrerò la strada per la
mansarda.”
Laura
condusse i Dukes su per la
scala che dava accesso al terzo piano. Aprì
la porta e accese la
luce. Defilandosi disse: “fate con comodo. Vi aspetto in
cucina. Controllate
ovunque crediate.” Fece una breve pausa e poi aggiunse con un
sorriso: “se
posso aiutarvi, non esitate a chiamarmi.”
Bo
la osservò allontanarsi
passando di fronte a Jesse e Daisy. Una volta rimasti soli in mansarda,
iniziarono le loro ricerche. La stanza era piena di bauli, scatole e
vecchi
mobili. Arrivavano fino al soffitto laddove vi era lo spiovente tipico
dei
sottotetti. La scarsità di luce rendeva difficoltoso
controllare cosa ci fosse
negli angoli. Le ombre erano ovunque.
Daisy
controllò dietro ad un
altro armadio e sospirò: “non è qui,
zio Jesse. Non penso proprio Laura sia
così sprovveduta da permetterci di cercare Luke se fosse
davvero qui.”
Jesse
convenne con la nipote:
“penso tu abbia ragione, tesoro. Ma sai cosa si dice riguardo
le cose nascoste
alla luce del sole. Continua a cercare. Anche nei posti che non credi
probabili. Sono d’accordo con Bo. Ha qualcosa di strano
quella ragazza. Sa di
sicuro dov'è Luke. Dobbiamo solo averne le prove.”
Un
ghigno si fece largo sul volto
di Bo: “adesso si che stai parlando, zio Jesse.”
Quando
ebbero rivoltato da cima a
fondo la mansarda, i Duke fecero lo stesso con gli altri tre piani
della casa.
Non trovarono tracce di Luke da nessuna parte. Aprirono ogni porta e
cercarono
addirittura sotto tutti i letti. Si era ormai fatto pomeriggio
inoltrato, ogni
singola stanza era celata da pesanti tende alle finestre e la poca luce
di cui
disponevano, permetteva all’oscurità di avanzare
inesorabile. Non c’erano
colori nella casa. Tutto sembrava stinto come se la vitalità
fosse uscita da
tutti gli oggetti. Quella casa era oppressiva.
Avendo
ormai cercato in ogni
angolo, i Dukes raggiunsero la cucina dove trovarono Laura seduta al
tavolo intenta
sorseggiare una tazza di te.
“Qualcuno
gradisce un po’ di te?”
Chiese garbatamente Laura con un malcelato ghigno di trionfo stampato
in
faccia.
“No,
grazie.” Rispose Jesse per
tutti.
“Trovato
niente?” Domandò poi.
“Penso
tu conosca già la
risposta.” Disse Jesse.
“Ma
non abbiamo ancora cercato
dappertutto.” Si intromise Bo. “Questa casa non ha
una cantina o un
sotterraneo?”
“Certo.”
Rispose Laura. “La porta
è proprio dietro di voi. Andate pure, ma fate attenzione
alla testa. Il
soffitto è molto basso. Non vorrei che vi faceste
male.”
“Non
mi farò male.” Obiettò Bo
guardando duramente Laura. Era certo che lei avesse appena lanciato
loro un
avvertimento. Bo accese la luce e iniziò a scendere seguito
a breve distanza da
Jesse e Daisy. Una volta ancora la ricerca fu infruttuosa. La cantina
era
ancora più buia e opprimente della mansarda.
Daisy
camminava attaccata allo
zio. Sussurrò: “questa casa è
spettrale.”
“Mi
fa venire i brividi.”
Aggiunse Bo guardandosi attorno. “Non vi sembra troppo
piccola questa cantina
per una casa così grande?”
“Questa
casa è molto vecchia,
saranno stati aggiunti di sicuro dei locali nel corso degli anni.
Questa forse
era la cantina originaria. Ma non è detto che ce ne sia
un’altra sotto la parte
nuova della casa.” Disse Jesse.
“Beh,
abbiamo cercato ovunque, ma
Luke non è qui.” Affermò tristemente
Daisy. “Ero certa che lo avremmo trovato.”
“Si
anche io.” Convenne Bo
guardando dietro l’ennesimo scatolone. “Ma io sono
sicuro che lei sa dov’è.”
Jesse
circondò le spalle del
nipote con un braccio: “andiamo figliolo. Credo tu abbia
ragione, ma sarà
meglio immaginare un altro luogo dove cercarlo perché qui
non c’è.”
Bo
e Daisy seguirono lo zio fino
in cucina dove trovarono Laura ancora seduta al tavolo. Li stava
osservando
duramente, ogni traccia di cordiale ospitalità era sparita:
“avete perlustrato
tutta la casa. Avete appurato che Luke non è qui. Adesso
voglio che ve ne
andiate.”
“Ce
ne andremo non appena avremo
finito.” Rispose Bo. Si avvicinò alla dispensa che
nascondeva il passaggio
segreto ai sotterranei e domandò: “cosa
c’è dietro questa porta?”
Il
cuore di Laura per poco non si
arrestò, ma riuscì a mantenersi calma:
“è solo la dispensa.”
Bo
percepì il sottile cambiamento
nell’atteggiamento di Laura e d’istinto
aprì la porta. Si era quasi aspettato
di vedere Luke dentro la stanza, ma trovò solo un armadio
che conteneva ripiani
colmi di dolci.
Laura
si alzò in piedi e sbatté
la porta: “soddisfatto ora? Vi avevo detto che Luke non era
qui e adesso avete
visto con i vostri occhi che non vi ho mentito. Se posso dire la mia,
probabilmente è scappato via da voi.”
“Luke
non avrebbe nessun motivo
per fare una cosa del genere. Non lo farebbe mai. Noi siamo la sua
famiglia e
lo amiamo.” Disse Daisy sulla difensiva. Visto che Laura
l’aveva provocata,
Daisy aggiunse: “non sai niente di mio cugino, quindi non
parlare.”
“Oh!
io so cosa dico.” Continuò
Laura. “Ho passato la notte a parlare con Luke al
Boar’s Nest. Era stanco di
essere controllato da tutti voi. Mi ha detto quanto gli state
addosso.”
“Adesso
stammi bene a sentire…”
Tentò Jesse, ma fu immediatamente interrotto da Laura.
“No.
Voi dovete starmi a sentire.
So che abusate di lui. So che gli fate del male. Mi ha detto
tutto.”
“Stai
mentendo.” Tagliò corto Bo.
“Luke non direbbe mai niente del genere.”
“Eppure
l’ha fatto. Ha detto
molto di più se volete saperlo. Mi ha confidato di odiarvi e
che aveva
intenzione di andarsene. E di non tornare mai più.”
“Non
è vero!” Urlò Daisy. “Luke
non andrebbe mai da nessuna parte senza prima informarci.”
“Non
è più sotto il vostro
controllo.” Affermò Laura. “Non deve
dirvi più niente.”
Jesse
mise fine all’acceso
confronto mettendosi tra Daisy e Laura: “non abbiamo
intenzione di litigare con
te, Laura. Tu non conosci Luke. Noi siamo una famiglia. Non andrebbe
mai via
così, senza dire niente. Non sarebbe da lui un comportamento
del genere. E’
finito sicuramente in qualche guaio e noi lo troveremo.”
Nera
di rabbia, Laura mosse un
passo e rimase di fronte alla porta della dispensa, come a voler
vegliare il
suo prezioso avere. Disse: “siete persone ben strane voi
Dukes e io vi voglio
fuori da casa mia. E non tornate mai più.”
“Come
ha detto mio zio, non ci
daremo per vinti. Sappiamo che hai qualcosa a che fare con la
sparizione di
Luke. Stai certa che tornerò. Ti terrò
d’occhio.” Assicurò Bo.
“Fuori
di qui, prima che chiami
lo sceriffo.” Minacciò Laura.
“Forse
dovremmo chiamarlo noi
Rosco.” Intervenne Daisy.
“Rosco
non farebbe un bel
niente.” Disse Bo.
Piena
di speranza, Daisy affermò:
“dimentichi Enos.”
“Non
c’è motivo di coinvolgere
Rosco o Enos adesso. Non è ancora trascorso il tempo utile
per dichiarare Luke
scomparso.” Jesse era il più razionale:
“non potrebbero fare niente e noi
abbiamo già controllato questa casa.”
“Adesso
sapete che Luke non è
qui.” Ringhiò Laura. “Fuori da casa
mia.”
“Ce
ne andiamo.” Disse Jesse abbracciando
Daisy e spingendo Bo affinché lo seguisse. “Ce ne
andiamo, ma non smetteremo di
cercare Luke.”
Laura
seguì i Dukes fino alla
porta d’ingresso. La sbatté con forza non appena
furono usciti. La assicurò
immediatamente con il lucchetto. Aveva avuto ragione di voler salvare
Luke da
quelle terribili persone. Doveva metterlo in salvo e questo significava
doverlo
allontanare dalla sua famiglia. Dovevano assolutamente convincersi che
si era
allontanato di sua volontà. Un sorriso si fece largo sul suo
viso. Dovevano
sapere che Luke se n’era andato di propria sponte e che non
sarebbe più
tornato. Laura avrebbe pianificato il da farsi.
To be continued…
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Capitolo 16 *** Niente oltre al lato oscuro ***
Capitolo sedici: niente
oltre al
lato oscuro
Non
c’era niente che Luke potesse
fare per impedire al debole barlume di luce di essere divorato
dall’oscurità
crescente. Aveva già provato a sistemare lo stoppino della
lanterna il più in
basso possibile per evitare che la fiamma si estinguesse, ma aveva
ottenuto
soltanto che la luce durasse un po’ di più. La
lampada nel corridoio si era già
spenta. La lanterna avrebbe presto fatto la stessa fine lasciando la
stanza
completamente al buio.
Luke
non sapeva dire cos’era
peggio, se il silenzio o l’oscurità. Le due cose
insieme erano insostenibili.
Era terrorizzato da entrambe. Chiuse gli occhi e si strofinò
la faccia con vigore
per poi riaprirli di nuovo. Era troppo buio. Era troppo agitato. Aveva
bisogno
di calmarsi. Doveva pensare razionalmente. Doveva esserci una via
d’uscita da
qualche parte. La sua mente era un po’ più
presente rispetto a qualche ora
prima, ma aveva ancora difficoltà nel concentrarsi. Di
solito aveva sempre un
piano, ma ora non riusciva a pensare a niente.
“Non
può essere così brutta la
situazione.” Disse così piano da sentire a stento
la sua voce. “Non c’è niente
nel buio che io non abbia già visto alla luce…
almeno spero. Zio Jesse dice
sempre di guardare il lato più chiaro delle cose…
i guai di solito si trovano
lì in attesa di uscir fuori. E non rimane niente se non il
lato oscuro.”
Mentre
il buio avanzava
inesorabile, Luke sedeva su di una sedia stringendo la lanterna tra le
mani. Vide
la fiamma ondeggiare un’ultima volta prima di scomparire,
lasciando solo un
alone rossastro. Si concentrò su quell’ultimo
bagliore morente che fece
diventare la stanza completamente nera.
L’oscurità
totale lo avvolse.
Luke aprì e chiuse gli occhi diverse volte, ma non
riuscì più a vedere niente. Cercò
disperatamente di riaccendere la lanterna, ma senza successo. La stanza
era
blindata. Niente riusciva ad entrare e niente, compreso lui, poteva
uscirne. Si
passò una mano sul viso senza riuscire a vederla.
Era
solo nel buio. Quel pensiero,
accompagnato ad un senso di pericolo, invase la sua mente e il suo
corpo. I
battiti del suo cuore aumentarono. Il suo respiro divenne irregolare.
Tremava.
La sensazione che qualcosa di catastrofico potesse accadere nel buio,
lo
pervase completamente. Qualcosa di sinistro fuori dalla sua portata,
aspettava
solo di colpire.
“Coraggio,
Luke.” Disse nella sua
miglior interpretazione di Jesse. “Non
c’è niente di cui aver paura. Non
c’è
niente là fuori… eccetto quella pazza di
Laura.”
Zio
Jesse riusciva sempre a
calmarlo. Aveva bisogno dello zio in quel momento, anche se si trovava
solo
nella sua mente. Chiuse gli occhi e prese un paio di respiri profondi.
Si
sentiva meglio con gli occhi chiusi. Almeno non si aspettava di dover
vedere
niente. Si appoggiò allo schienale della sedia. Forse
sarebbe stato in grado di
pensare più chiaramente se si fosse sentito meglio.
Luke
non era sicuro di quanto
tempo fosse passato. Si era addormentato sulla sedia. Qualcosa lo aveva
risvegliato, ma non sapeva dire cosa. Addrizzò la schiena e
rimase in ascolto. Lo
sentì di nuovo. Un suono. Un canto che diventava sempre
più vicino. Un piccolo
barlume di luce si fece largo dalla finestrella della porta.
Luke
sorrise ampiamente non
appena vide la luce. Il canto divenne chiaro. Lo riconobbe:
La Marcia Nuziale.
Laura stava intonando La Marcia
Nuziale.
“Sta
arrivando la sposa.”
Bisbigliò Luke sgomento. “Deve essere un pessimo
scherzo. Sta arrivando la
dannata lunatica suonerebbe meglio.”
Lunatica
o no, Luke fu sollevato
quando capì che Laura stava tornando. Aveva bisogno di lei.
Non c’era modo di
scappare dalla sua prigione senza di lei. Si costrinse a rimanere
seduto. Non
voleva apparire disperato agli occhi di Laura. Doveva sembrare calmo
malgrado
la rabbia e la paura.
Il
volto di Laura apparve nella
finestrella: “ciao, tesoro. Oh, ma è buio qui.
Avresti dovuto amministrare
meglio l’olio nella lampada. Ti sono mancata?”
Luke
si mozzicò la lingua
sopprimendo un commento sarcastico. Non voleva irritare la sua
carceriera. Al
momento lei aveva il coltello dalla parte del manico.
“La
lampada si è spenta.” Si
limitò a rispondere.
“Ho
portato un po’ di olio e tre
fiammiferi, per ciascuna lampada.”
Laura
poggiò un barattolo di
vetro e i tre fiammiferi sul davanzale della finestrella.
Indietreggiò non
appena Luke si avvicinò. Il giovane afferrò
rapidamente gli oggetti: “non c’è
molto olio qui dentro.”
“E’
abbastanza per adesso. Se
farai il bravo te ne darò di più quando ne avrai
ancora bisogno.”
Luke
non poté evitare di
rivolgerle uno sguardo truce. Si voltò e si
allontanò da lei cercando di tenere
sotto controllo la sua rabbia. Versò un po’ di
olio in una lampada e accese lo
stoppino, tenendo bassa la fiamma.
“La
tua famiglia è venuta a farmi
visita.” Disse Laura con un sorriso. “Sembra
proprio che siano preoccupati per
te. Erano certi che fossi qui, ma io li ho convinti del
contrario.”
Colmo
di rabbia, Luke si avvicinò
di nuovo alla porta costringendo Laura a fare un passo indietro:
“dove siamo.” Domandò
“A
casa.” Rispose Laura come se
dovesse essere ovvio.
“Questa
non è casa mia.” Replicò
Luke colpendo la porta con le palme delle mani.
Presa
alla sprovvista, Laura fece
un salto indietro: “certo che non è casa tua.
Questa è casa nostra.”
“Siamo
in casa tua, vero?” Chiese
Luke osservando quella che considerava ormai la sua prigione.
“Non
esattamente in, direi piuttosto sotto.”
Luke
la guardò stupito. Ricordava
di aver sentito storie da bambino su vecchi edifici che nascondevano
stanze
segrete.
Laura
era più disturbata di
quanto avesse immaginato. Ripensando a quello che gli aveva detto,
chiese
ansiosamente: “hai detto che la mia famiglia è
stata qui.”
Travisando
la preoccupazione che
aveva percepito nella voce di Luke, Laura si affrettò a
tranquillizzarlo: “non
dartene pensiero, amore mio. Mi sono presa cura di loro.”
Il
panico pietrificò Luke: “che
vuoi dire che ti sei presa cura di loro? Hai fatto loro del
male?”
“No,
non gli ho torto un capello.”
Disse Laura indignata. “I tuoi curiosissimi parenti sono
venuti a cercarti e io
li ho fatti accomodare. Sono stata una perfetta padrona di casa. Hanno
cercato
ovunque e si sono resi conto che non c’eri, anche se in
realtà tu sei qui.”
Laura
rise compiaciuta della
propria astuzia. Tornò seria e aggiunse: “ma non
sono certa di averli convinti,
soprattutto Bo.”
Luke
sorrise. Era proprio da Bo. Suo
cugino era in grado di andare oltre la facciata a volte. Non gli
piaceva Laura
e non avrebbe mai creduto alle sue parole. Sarebbe tornato. Bo lo
avrebbe
trovato.
“Dovremmo
convincerlo a tenersi
alla larga da qui.” Continuò Laura. “Non
è vero?”
“Bo
non è tipo da mollare. Tornerà
e mi troverà. Non smetterà di cercarmi
finché non mi avrà trovato.”
Laura
sorrise ancora. Quel
sorriso cominciava a dare sui nervi a Luke. Non gli piaceva affatto.
Sapeva che
era disturbata, ma ora realizzava anche che era molto furba. I due
elementi
insieme davano vita ad una combinazione pericolosa.
“Dobbiamo
assicurarci che non
tornerà.” Ripeté Laura.
“Non
c’è niente che tu possa fare
per fermare Bo, zio Jesse e Daisy.” Ribadì Luke
con convinzione.
“Forse.”
Ammise Laura. “Ma tu
puoi.”
Luke
rimase in silenzio ad
osservarla e Laura alla fine si spiegò: “scriverai
loro una lettera. Gli
comunicherai che hai abbandonato la fattoria di tua iniziativa e che
non hai
intenzione di tornare. Dirai loro quanto li odi e che non vuoi vederli
mai più.
Dovrai assicurarti che non torneranno a cercarti qui.”
Luke
non riuscì più a contenere
la propria ira: “non lo farò mai.”
Laura
sorrise rendendo ancora più
furente Luke: “si che lo farai invece.”
“No.
E non c’è niente che tu
possa fare per convincermi.”
L’espressione
di Laura mutò
immediatamente. Il suo sorriso fu rimpiazzato da un’intensa
collera. Dichiarò: “se
non scriverai la lettera, troverò un altro modo per
sbarazzarmi di loro.”
A
Luke non sfuggì la minaccia: “e
che vorresti fare?” Domandò tentando di
controllare la sua furia.
Laura
si appoggiò con la schiena
al muro del corridoio. Si frugò nelle tasche ed estrasse una
pistola. La
sollevò per mostrarla a Luke: “lavora di
fantasia.” Disse compiaciuta.
Il
cuore di Luke accelerò quando
vide la pistola nelle mani di Laura. Stava minacciando di uccidere la
sua
famiglia. Cercando di rimanere il più possibile calmo,
asserì: “tu non vuoi
fare loro del male.”
Un
sorriso glaciale tornò sul
viso di Laura quando realizzò di aver fatto una mossa
giusta. Rispose: “solo se
sarò costretta, tesoro. Se non vuoi scrivere la lettera,
dovrò fare a modo mio.
Spetta a te. Penna o pistola. Decidi tu, non fa differenza per
me.”
Piegato,
Luke abbassò lo sguardo
e sussurrò: “lo farò.”
“Non
ti ho sentito.” Disse Laura
con tono trionfante e costringendo Luke ad ammettere di nuovo la
propria
sconfitta.
Luke
sollevò la testa e guardò
duramente Laura. Affermò: “ho detto che
scriverò quella dannata lettera.”
“Così
mi piaci.”
“Ma
devi promettermi di non fare
del male a zio Jesse, a Bo e Daisy.” La supplicò
Luke. “Devi stare alla larga
da loro.” Non pensava che una promessa fatta da Laura avrebbe
avuto un qualche
valore, ma aveva bisogno di sentirsi rincuorato.
“Starò
lontana da loro, se loro
staranno lontani da me.”
La
risposta di Laura fu tutt’altro
che rassicurante. Non credeva che scrivendo la lettera avrebbe fermato
la sua
famiglia, specialmente Bo. Ma avrebbe comunque fatto il suo meglio per
convincerli
che si era allontanato di sua iniziativa. Doveva tenerli al sicuro e
per farlo
doveva mettere le distanze tra loro e Laura. Per quanto avesse bisogno
della
sua famiglia, ancora di più aveva bisogno di saperli sani e
salvi.
Laura
si chinò e raccolse qualche
foglio di carta, una busta e una penna. Leggendo chiaramente la rabbia
negli
occhi di Luke, gli comandò: “stai
indietro.”
Luke
fece come ordinato e lei
poggiò il necessario sul davanzale. Per la prima volta si
rese conto delle
condizioni in cui versava la stanza. Tutto quello che lei aveva
sistemato con
cura, era stato portato al centro.
“Che
cos’hai fatto qui dentro?”
Domandò irritata. “Avevo preparato questa camera
per noi e tu hai rovinato
tutto.”
Luke
si guardò alle spalle. Non
erano importanti le condizioni della stanza. Quando tornò
con lo sguardo su
Laura, riconobbe immediatamente il fastidio disegnato sul suo volto.
Iniziò ad
agitare confusamente la pistola mentre urlava: “come hai
potuto fare questo al
nostro posto speciale?”
Luke
mosse le sue mani lentamente
come si fa quando si vuole tranquillizzare un animale agitato:
“calma Laura. Sistemerò
tutto. Pensavo avremmo rimesso tutto in ordine insieme, adesso che
siamo
entrambi qui. Ma rimetterò tutto come lo avevi sistemato
tu.”
Lo
stato d’animo di Laura mutò
ancora e un sorriso le attraversò il volto. Luke non poteva
credere a come
cambiasse repentinamente il suo umore.
“E’
molto dolce da parte tua.” Disse
serenamente. “Hai il diritto di dire la tua su questa stanza.
Sistemala come
più ti piace. Adesso prendi i fogli e scrivi. Persuadi
quelle orribili persone
a lasciarci in pace.”
Luke
era molto più che determinato
a scrivere la lettera per proteggere la sua famiglia. Doveva salvarli
da Laura.
Era seriamente disturbata. Non aveva dubbi che avrebbe potuto far loro
del
male. Prese in mano carta e penna e si avvicinò ad un
comodino. Esitò mentre
cercava di capire cosa dover scrivere.
Impaziente,
Laura disse: “scrivi
semplicemente che sei andato ad Atlanta perché non ne potevi
più di loro e che
non tornerai.”
Luke
fece del suo meglio per
costringersi a sorridere. Rispose: “so
cos’è meglio io scriva.”
“Bene.
Allora fallo alla svelta.”
Luke
impugnò la penna e iniziò. Valutò
cosa inserire e cosa escludere, sperando il suo messaggio sarebbe stato
chiaro.
Zio Jesse, Bo, Daisy,
con tutto quello che è successo, ho
bisogno di un po’ di tempo per me
stesso lontano da tutti. Sono andato ad Atlanta. Per favore rispettate
la mia
volontà e non mi cercate. Specialmente tu, Bo. Sai che non
potresti mai trovarmi,
neanche se fossi in bella vista. Perciò non lo fare. Non
tornerò indietro.
Luke
Luke
ripiegò il foglio e fece per
infilarlo nella busta, quando Laura lo fermò.
“Fammi
leggere.”
Luke
posò la lettera sul
davanzale e poi si fece indietro. Laura era molto attenta a non
avvicinarsi
troppo alla porta quando Luke era proprio dall’altra parte.
Afferrò in tutta
fretta il foglio e lesse.
“Non
hai scritto ciò che provi
per loro. Voglio che capiscano che non hai nessuna intenzione di
tornare da
loro. Scrivi. Fai sapere loro quanto sono orribili.”
Laura
appallottolò il foglio e lo
buttò nella finestrella. Luke lo guardò cadere al
suolo. Si chinò per
raccoglierlo. Odiava fare quello che Laura comandava, ma
l’avrebbe ascoltata se
significava salvare la sua famiglia.
Prese
un foglio bianco e provò di
nuovo.
Zio Jesse, Bo, Daisy,
ho bisogno di vivere la mia vita da solo, senza la
vostra continua
interferenza. Zio Jesse non ho bisogno che tu mi dica sempre cosa fare
o che tu
mi punisca quando non ti ascolto. Sono un uomo e non ho più
bisogno di te. Non
puoi più controllarmi.
Sono andato ad Atlanta. Non venite a cercarmi
specialmente tu Bo. Sai
che non potresti mai trovarmi neanche se fossi in bella vista.
Perciò non lo
fare. Non tornerò. Sono stanco di averti sempre dietro
ovunque io vada. Non mi
serve una dannata ombra che mi segua. Ne ho abbastanza sia di te che di
Daisy. Non
sopporto più che mi controlliate e poi riferiate tutto a zio
Jesse.
Voglio stare da solo. Non vi permetterò di abusare ancora di me. Ho bisogno
di qualcuno che mi completi. Non tornerò
mai indietro.
Potreste non credermi, ma questa è la
verità ed è sempre stato così. A
volte la verità ce l’abbiamo proprio sotto al
naso, ma non riusciamo a vederla.
Luke
Luke
sospirò rileggendo la
lettera. Non voleva certo ferirli con le sue parole, ma voleva saperli
al
sicuro. Era certo che non avrebbero mai smesso di cercarlo.
Sospettavano già di
Laura. Doveva metterli in guardia e dare loro qualche indizio.
Posò nuovamente
il foglio sul davanzale aspettando che Laura leggesse.
“Così
va molto meglio.” Disse
alla fine. “Adesso sanno la verità. Non torneranno
più a cercarti. Saranno così
feriti nei sentimenti che non ti vorranno più vedere. Bel
lavoro, tesoro.
Gliele hai proprio cantate.”
“Già.”
Bisbigliò Luke. Sapeva che
la lettera non li avrebbe tenuti lontani anche se forse le sue parole
avrebbero
fatto male. Sapeva anche che la sua famiglia era la sua unica speranza
di
salvezza. Semmai avessero creduto a quello che aveva scritto, lo
avrebbero
condannato.
“Dammi
la busta così posso
spedirla.” Disse Laura interrompendo i pensieri di Luke.
“Prima
la riceveranno, meglio
sarà. E poiché ti sei comportato bene, ho una
ricompensa per te.”
Laura
si chinò a raccogliere un
panino e un cartone di latte. Sorrise dolcemente: “ti ho
portato qualcosa da
mangiare. Devi essere affamato.”
In
effetti lo stomaco di Luke era
vuoto e lui aveva fame. Non sapeva dire a quando risalisse il suo
ultimo pasto.
Nonostante odiasse prendere qualcosa dalle mani di Laura, sapeva che
doveva
mantenersi in forze. Si avvicinò rapidamente alla porta e
prese il panino con
il latte prima che lei potesse cambiare idea.
“Devo
andare adesso, tesoro.
Voglio spedire la tua lettera. Vedi di sistemare la stanza prima del
mio
ritorno. Non mi piace questa confusione. E conserva l’olio.
Non mi piacciono
gli sprechi.”
Laura
riprese a intonare
mentre si allontanava per il corridoio. Mentre La Marcia
Nuziale si faceva sempre
più lontana, Luke rabbrividì chiedendosi cosa
potesse avere in serbo per lui. Guardando
ai freddi mattoni delle mura, si augurò non si trattasse
della stanza per la
loro luna di miele. Pensò che non avrebbe mai più
considerato le candele
romantiche.
Sapeva
che molti matrimoni
venivano imposti, ma questo andava oltre ogni umana comprensione. Si
sarebbe
fatto una risata se non fosse stato nei guai fino al collo.
Luke
abbassò la fiamma della
lanterna sperando che l’olio sarebbe durato più a
lungo. Aveva soltanto
due fiammiferi. Doveva stare molto attento, non sapeva quando Laura
sarebbe
tornata. Non voleva ritrovarsi di nuovo al buio. Finì
il suo panino e
risistemò l’arredamento come lo aveva trovato.
Doveva tenere Laura più calma
possibile. Aveva bisogno di lei per sopravvivere.
To be continued…
|
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Capitolo 17 *** In un modo o nell'altro ***
Capitolo diciassette: in
un modo
o nell’altro
Luke
era esausto. Aveva rimesso
ogni mobile al suo posto per placare il nervosismo di Laura. Non voleva
certo
inimicarsela dopo che gli aveva sventolato la pistola in faccia
minacciando la
sua famiglia. Realizzò sarebbe stato meglio tenerla buona.
Dopo aver sistemato
tutto, mangiò il suo panino e bevve il latte che Laura gli
aveva lasciato. Si
sentì un po’ meglio dopo essersi saziato, tuttavia
non riusciva a rimanere
fermo. Cominciò a camminare per la stanza.
Mantenne
la fiamma della lanterna
molto bassa affinché durasse di più. Come
risultato si ritrovò ad osservare le
curiose ombre che si annidavano negli angoli. Non aveva mai sofferto di
claustrofobia, ma ora non ne era più tanto sicuro. Le
finestre chiuse dai
mattoni lo rendevano nervoso anche se non riusciva a vederle nel buio.
Sapeva
tuttavia che erano lì. Aveva la netta sensazione che
avanzassero lentamente
verso di lui. Poteva sentire la stanza stringersi impercettibilmente
intorno a
lui.
Mentre
traeva conforto dalla sua
piccola fonte di luce, disse a voce alta: “hai troppa
immaginazione Luke Duke. I
muri non si muovono. Non vanno da nessuna parte. Sono solo le
ombre.” Per
convincersi aggiunse: “è solo
un’illusione. Sarà meglio che tu escogiti un
piano per uscire di qui invece di preoccuparti delle ombre e dei muri
che
camminano. Non hai già abbastanza guai senza che tu ne immagini degli
altri?”
Luke
sospirò: “e sto anche
parlando con me stesso.” Mugugnò sconsolato.
“Beh, penso non sia tanto grave
almeno fintanto che non comincerò anche a darmi delle
risposte. Almeno è meglio
del silenzio. Preferisco tenermi attivo che finire pazzo come
lei.”
Smise
per un istante di
camminare: “mi chiedo se mi sto rivolgendo a me stesso nel
modo corretto. Non
ho molta esperienza. Devo parlarmi usando la prima o la terza persona?
Ecco, mi
sono rivolto un’altra domanda. Dannazione, se solo lei non mi
avesse confuso
tanto da non riuscire a pensare lucidamente.”
Riprendendo
i propri passi, Luke
cominciò a sentirsi a disagio. Non si sentiva bene.
Cominciò a sudare freddo. Qualcosa
non andava, ma non sapeva dire cosa fosse. Si fermò e si
aggrappò all’armadio
quando si accorse che stava perdendo l’equilibrio. Ebbe un
giramento di testa.
Guardò la lanterna per stabilizzare la vista pensando che
le ombre fossero
responsabili della sua condizione. Ma non riuscì a vederla
chiaramente. Riprese
a camminare. La fiamma appariva incerta, mentre la lanterna sembrava
fluttuare.
“Questo
non va affatto bene.” Bofonchiò.
Luke
sbarellò mentre seguiva la
fiamma traballante. La testa iniziò di nuovo a fargli male.
Doveva sedersi se
non voleva cadere per terra.
Faticò
a mantenere l’equilibrio
necessario per raggiungere il letto. Si mise a sedere sul bordo, chiuse
gli
occhi e, con i gomiti poggiati sulle ginocchia, si prese la testa tra
le mani. Si
sentiva nauseato, ma sapeva che era impossibile. Non aveva bevuto altro
che il
latte portato da Laura. Guardò il contenitore vuoto poggiato
sul comodino e
scosse il capo rimpiangendo immediatamente il movimento a causa del
quale gli
si era amplificato il dolore alla testa.
“Deve
aver messo qualcosa nel
latte.” Disse ad alta voce. “Proprio come deve aver
messo qualcosa nella birra
le volte scorse. Non ero… ubriaco… Avrei dovuto
sapere… che c’era qualcosa di
sbagliato. Avrei dovuto realizzarlo… prima.”
Ma
ormai era troppo tardi. La
droga mostrò rapidamente i suoi risultati. Luke
combatté contro l’effetto
sedante, ma fu una lotta inutile. Provò a rimettersi in
piedi, ma non ne aveva
la forza. La stanza iniziò a girargli intorno provocandogli
una nuova ondata
di nausea. Tentò disperatamente di rimanere sveglio. Non
sapeva cosa gli avesse
fatto Laura l’ultima volta che era svenuto, ma di certo non
voleva risvegliarsi
al suo fianco. Aveva il terrore di perdere il controllo, ma i suoi
pensieri si
stavano facendo sempre più incoerenti. Luke si rese conto
che non avrebbe
potuto fare niente. L’oscurità lo stava
inesorabilmente inghiottendo. Si sdraiò
sul letto e chiuse gli occhi. Nel giro di pochi minuti
scivolò nell’incoscienza.
Laura
appose il francobollo sulla
busta che conteneva la lettera scritta da Luke alla sua famiglia. Si
guardò
attorno un’ultima volta per essere sicura non ci fosse nessun
altro per la
strada, prima di raggiungere la cassetta delle lettere davanti
all’ufficio
postale. La posta sarebbe stata ritirata di mattina presto. Con un
po’ di
fortuna i Dukes avrebbero ricevuto la lettera già nel
pomeriggio. Quindi se ne
sarebbero lavati le mani di Luke e avrebbero smesso di interferire
nella sua
vita. Dovevano accettare il fatto Luke non li volesse più
tra i piedi. Forse
avrebbero smesso di cercarlo.
Imbucata
la lettera, Laura guidò la
sua macchina verso il Boar’s Nest per far visita a Boss Hogg.
Giunta a
destinazione arrivò davanti alla porta del suo ufficio e
bussò.
“Avanti,
avanti.” Rispose Boss
con la sua solita impazienza.
Quando
Laura aprì la porta, vide
Boss seduto al tavolo intento a gustarsi del pollo fritto insieme alla
moglie
Lulu.
“Oh
Miss Dawson!” Esclamò. “Prego
si accomodi. Cosa posso fare per lei?”
Laura
non era solo la miglior
impiegata di Boss, ma era anche la più facoltosa. Renderla
pienamente
soddisfatta era tra le priorità di Boss.
“Buongiorno
Boss, signora Hogg.
Può dedicarmi qualche minuto?” Domandò
dolcemente Laura.
Boss
si pulì bocca e mani prima
di alzarsi. Scortò Laura vicino al tavolo e disse:
“non c’è neanche da
chiederlo, certo che posso dedicarle del tempo. Tutto quello che vuole.
Gradisce qualcosa da mangiare?”
“No,
grazie Boss.” Rispose Laura
mettendosi a sedere. “Ho splendide notizie che vorrei
condividere con voi due. Mi
sposerò alla fine della settimana.”
“Un
matrimonio? Alla fine della
settimana?” Ripeté Boss mal celando il proprio
stupore. “Con chi?”
Lulu
osservò il marito
esasperata: “non mi ascolti mai J.D.
Te l’avevo
detto che Miss Dawson mi aveva già confidato la buona
notizia quando ci siamo
incontrate da Rhuebottom, la settimana scorsa. Il suo futuro marito
viene da
Atlanta. Semplicemente non avevo capito ti saresti sposata tanto
presto cara.”
Laura
sorrise apertamente: “quando
due persone sono innamorate è difficile che sopportino di
stare separate. Non
c’è motivo di aspettare.”
“Può
organizzare qui il
ricevimento.” Offrì Boss.
Lulu
scosse il capo: “non essere
stupido J.D. Miss Dawson vorrà sposarsi e pranzare in
qualche posto elegante e
romantico.”
“Ma…
“ Obiettò Boss prima di
essere interrotto dalla moglie.
“J.D.,
il Boar’s Nest non è né
elegante, né romantico. Miss Dawson è una ragazza
sofisticata. Questo posto non
è adatto per il suo ricevimento nuziale.”
“Per
favore signora Hogg, mi
chiami Laura.”
“E
tu chiamami Lulu, cara.”
Boss
osservò le due donne con
espressione accigliata. Chiese: “se non vuole usare il mio
locale, dove
festeggerà?”
“Avremo
una cerimonia privata con
una cornice molto romantica creata ad arte da me.” Rispose
Laura. “Saremo
soltanto noi due e il reverendo. Come sapete i miei genitori sono morti
e il
mio fidanzato non ha
più rapporti con la
sua famiglia.”
“Nessun
amico, cara?” Domandò
Lulu.
“So
che può sembrare egoistico,
ma noi abbiamo occhi l’uno per l’altra e basta. Non
abbiamo bisogno di nessun
altro.”
Lulu
sorrise: “com’è romantico.
Se posso esserti d’aiuto, fammelo sapere.
“Si,
si.” Si affrettò ad
aggiungere Boss. “Se avrà bisogno della nostra
assistenza non esiti a
chiamarci.”
“Vi
ringrazio entrambi, ma c’è un’altra
cosa. Ho paura che dovrò lasciare il mio posto in banca. Il
mio fidanzato non
vuole che io lavori una volta che saremo sposati. Giovedì
sarà il mio ultimo
giorno di lavoro.”
“Mi
sta lasciando?” Chiese Boss
sconsolato. “E’ la mia migliore
impiegata.”
“Sono
spiacente, ma è il
desiderio del mio fidanzato e io, come sa, non ho bisogno di denaro.
Comunque
partiremo per Atlanta appena ci sarà possibile.”
“Atlanta?
Questo significa che
chiuderà anche i suoi conti?” Boss fu preso dal
panico.
“Terrò
il mio denaro qui ad
Hazzard.” Lo rassicurò Laura. “Dopo
tutto qui c’è la casa dei miei genitori,
quindi tornerò molto spesso.”
Boss
si tranquillizzò. Poteva
sopportare di perdere la sua migliore impiegata purché lei
lasciasse intatti i
suoi cospicui conti.
Laura
si alzò seguita da Boss e
Lulu. Disse: “devo andare. Ho ancora molte cose da sistemare
per il matrimonio.”
“Non
dimenticare, cara. Se hai
bisogno d’aiuto, chiamami.” Ripeté Lulu.
“Lo
farò, grazie. Ci vediamo
domani Boss. Arrivederci Lulu.”
Lulu
abbracciò Laura: “arrivederci,
cara.”
Boss
aprì la porta: “a domani. Mi
mancherà in banca, ma sono contento di poter continuare ad
annoverarla tra i
miei migliori clienti.”
Laura
sorrise mentre Boss le
chiudeva la porta alle spalle. Aveva avuto successo. Tutto stava
andando
secondo i suoi piani. Per la fine della settimana sarebbe diventata la
signora
Duke.
Laura
accese la lanterna mentre
camminava attraverso il corridoio buio e stretto. Era stata lontana da
Luke per
diverse ore. Lui non stava prendendo bene la sua inaspettata
libertà. Gli altri
Dukes, sebbene lontani, esercitavano ancora uno strano dominio su di
lui. Ma
questo è ciò che accade quando si sono subiti
abusi per tanti anni. Si diventa
dipendenti dai propri aguzzini. Si può arrivare addirittura
a proteggerli.
Tuttavia, con il passare del tempo, tutto sarebbe stato superato. Laura
ne era
certa. Doveva soltanto tenere al sicuro Luke fintanto che la sua rabbia
e la
sua dipendenza dalla sua famiglia non fossero passate. Sapeva che
sarebbe stato
un processo lento, ma lei lo avrebbe aiutato. E alla fine Luke
l’avrebbe
ringraziata.
Sfortunatamente,
la rabbia di
Luke era ben lontana dall’esser passata. Odiava farlo, ma era
stata costretta a
dargli un calmante. Aveva messo le sue ultime tre pastiglie di Rohypnol
nel
latte. Sperava lo avrebbe trovato più mansueto e
ragionevole. Si avvicinò con
delicatezza alla porta e debolmente lo chiamò.
“Luke,
tesoro. Sono tornata.”
Non
ricevendo risposta,
cautamente sbirciò nella finestrella. La lampada era ancora
accesa. Luke
giaceva addormentato sul letto.
“Luke!”
Tentò più forte. “Sei
sveglio?”
Luke
non si mosse. Laura si era
aspettata di trovarlo docile e accondiscendente. Il Rohipnol aveva
avuto quel
tipo di effetto le altre due volte. Stavolta aveva dovuto
necessariamente
aumentare la dose in quanto lo aveva trovato arrabbiato e agitato.
Sapeva che
non si sarebbe svegliato. Si sentì tranquilla di poter
entrare.
Laura
disserrò la porta e la
aprì. Si avvicinò lentamente a Luke tenendo
comunque le mani in tasca per
tastare la pistola. Non voleva certo minacciarlo, ma era ancora vittima
del
lavaggio del cervello a cui era stato sottoposto per tanti anni dalla
sua
famiglia. Doveva stare attenta. Se fosse scappato e fosse tornato alla
fattoria non avrebbe più saputo niente di
lui. Lo avrebbero
punito severamente. Non aveva dubbi al riguardo. Doveva proteggerlo che
lui
fosse d’accordo oppure no.
Laura
si arrestò accanto a Luke e
lo osservò per un po’ dormire. Poggiò
la lanterna sul comodino e si sedette sul
letto. Con il dito medio seguì le linee del suo volto.
Quando arrivò a
toccargli il mento si fermò ad esaminare la cicatrice che
aveva. I suoi occhi
si riempirono di lacrime. Sapeva che gliel’aveva provocata lo
zio. Non gli
avrebbe mai permesso di mettere di nuovo le mani addosso a Luke.
Luke
rimase immobile sotto le
carezze di Laura. Gli scostò una ciocca di capelli dalla
fronte. Sembrava così
in pace mentre dormiva. Rappresentava la perfezione per lei ed era
tutto suo. Dolcemente
gli poggiò il dito sulle labbra per poi chinarsi e ripetere
lo stesso gesto con
la bocca. Lui non rispose.
Osservò
il petto di Luke gonfiarsi
e abbassarsi. Gli sbottonò la camicia. Lentamente fece
scivolare le mani sui
suoi muscoli tonici, gli accarezzò gli addominali. Gli
afferrò una mano e se la
portò all’altezza del cuore. Raggomitolandosi
accanto a lui gli poggiò
dolcemente la testa sul petto. Continuando a tenere salda la mano di
Luke e
cullata dai battiti del suo cuore, Laura finì per
addormentarsi accanto all’uomo
con il quale aveva deciso di trascorrere il resto della sua vita.
In
un modo o nell’altro.
To be continued…
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Capitolo 18 *** Leggendo tra le righe ***
Thia mia adorata! Avevo una paura folle di
averti sfiancato con
i miei tempi biblici di aggiornamento e che tu ti fossi stufata di
aspettarmi.
Che gioia rivederti da queste parti! Ringrazio infinitamente anche le
mie
splendide commentatrici Marzia, Lu e Juliet, è una gioia
immensa per me leggere
le vostre recensioni ad ogni capitolo!
Capitolo diciotto:
leggendo tra
le righe
Bo
stava calpestando pesantemente
il pavimento della cucina quando girò per
l’ennesima volta intorno al tavolo al
quale erano seduti lo zio e Daisy. Era per lui impossibile contenere la
propria
frustrazione e la propria ansia. Sapeva dov’era Luke (magari
non esattamente,
ma ci andava molto vicino). Sapeva che Laura lo teneva chiuso da
qualche parte.
E il fatto Luke non fosse in grado di fuggire da lei era terrificante.
Non
voleva neanche immaginare cosa potesse avergli fatto.
Quando
compì un altro giro
attorno al tavolo, la pazienza di Jesse raggiunse il limite massimo di
sopportazione. Esclamò esasperato: “Bo, siediti!
Mi stai facendo girare la
testa!”
Bo
lentamente si arrestò: “scusa
zio Jesse.” Disse sedendosi di peso su una vecchia sedia.
Jesse
si allungò sul tavolo e gli
afferrò una mano: “lo so che sei preoccupato,
figlio mio. Lo siamo anche io e
Daisy, ma fare un buco nel pavimento non è di nessun aiuto.
Dobbiamo capire
cosa possiamo fare. Abbiamo bisogno di un piano.
Daisy
sospirò: “di solito è di
Luke il compito di escogitare piani.”
“E’
vero.” Convenne Jesse. “ma
adesso tocca a noi se vogliamo ritrovarlo. E’ il nostro
turno.”
“Ma,
zio Jesse.” Lo interruppe
Bo: “cosa faremo? Laura sa dov’è. Non ho
dubbi al riguardo eppure in quella
casa non c’è. Abbiamo cercato ovunque.”
“Beh,
non abbiamo guardato
proprio dappertutto…” Jesse si arrestò
quando udì il rombo di un motore in avvicinamento.
Bo
saltò dalla sedia e corse
verso la finestra seguito da Jesse e Daisy. Il disappunto
soffocò
immediatamente la loro tenue speranza quando videro Miss Tizdale in
sella alla
sua moto.
Jesse
circondò le spalle dei
nipoti sperando di non far capire loro quanto lui stesso fosse rimasto
deluso
che non si fosse trattato di Luke. Disse sommessamente:
“andiamo a vedere
perché Emma è qui. Magari ha qualche
notizia.”
A
quelle parole Bo si diresse
verso la porta e uscì sotto il portico insieme a Jesse e
Daisy. Scesero in
fretta le scale fino ad incontrare Miss Tizdale.
“Buongiorno
Emma.” Esordì Jesse
insolitamente sottotono. Non era dell’umore adatto per
intrattenere inutili
convenevoli.
“Buongiorno
Jesse, Daisy, Bo.” Ad
Emma non sfuggì l’espressione cupa disegnata su
ciascun membro dei Dukes.
Arrivò immediatamente al punto: “Jesse ho sentito
dire che sei in pensiero per
Luke, che è scomparso.”
Emma
rimpianse immediatamente la
sua infelice frase quando vide il dolore contrarre il volto dei suoi
interlocutori. Guardò Jesse negli occhi e gli
afferrò una mano: “mi dispiace.
Ho sentito che non vedete Luke da un paio di giorni e che non sapete
dove sia.”
“E’
così.” Concordò Jesse
annuendo per far capire ad Emma quanto apprezzasse il suo
interessamento. “Non
è da Luke sparire senza farci sapere
dov’è andato.”
“E’
un bravo ragazzo.” Rispose
Emma. “Lo so bene che non vi provocherebbe mai dei dispiaceri
di proposito. E’
per questo che sono corsa immediatamente qui quando ho visto questa
lettera.
Pensavo avreste voluto leggerla subito visto che è
da parte di Luke.”
“Luke
ci ha scritto una lettera?”
Domandò
Daisy. “Dov’è, Miss
Tizdale?”
“Ce
l’ho qui con me, cara.”
Rispose Emma frugando nella sua sacca.
Bo
gliela strappò letteralmente
dalle mani tanto era impaziente. Esaminò attentamente la
busta: “è la scrittura
di Luke, non c’è dubbio.”
Affermò porgendo la lettera allo zio. La sua ansia fu
presto rimpiazzata dalla paura. E se Luke se ne fosse andato di propria
iniziativa? E se Luke lo avesse lasciato? E se non fosse mai
più voluto tornare
a casa?
Jesse
non ebbe difficoltà a
leggere i pensieri del nipote. La verità è che
aveva i suoi stessi timori. Per
Jesse, Bo era sempre stato un libro aperto. E come con un libro,
riusciva ad
indovinare la storia all’interno già dalla
copertina. Sul suo volto, leggeva
tutta la sua paura.
“Dammela,
figliolo.” Disse Jesse
allungando il braccio. Non mancò di notare il tremore nelle
mani di Bo mentre
gli porgeva la lettera. Nonostante fosse in apprensione per quel che
avrebbero
potuto trovarvi all’interno, Bo era sollevato che lo zio
avesse preso il
controllo.
Jesse
si rigirò la busta tra le
mani: “è vero, la scrittura è di Luke.
Sembra sia stata spedita oggi da
Hazzard.”
“E’
stata ritirata oggi.” Spiegò
Miss Tizdale. “Ma potrebbe essere stata imbucata sabato
pomeriggio o domenica.
Non ritiriamo la posta nel weekend.”
Jesse
annuì: “perciò Luke
potrebbe averla spedita in un momento qualsiasi tra sabato e questa
mattina.”
“Esatto.”
Rimarcò Miss Tizdale.
Quando realizzò la difficoltà che la famiglia
stava avendo con quella lettera,
ebbe il buon senso di scusarsi e andarsene nonostante la sua
curiosità e
apprensione.
“Sarà
meglio che vada. Devo
aprire l’ufficio postale alle nove in punto. Se
c’è qualcosa che posso fare per
voi, per favore fatemelo sapere.
Jesse
annuì e ringraziò: “grazie
Emma. Apprezzo molto che tu ci abbia consegnato di persona la
lettera.”
“Spero
Luke stia bene.”
“Sono
sicuro di si.” Rispose
Jesse. “Io, Daisy e Bo ce ne accerteremo presto.”
Emma
sorrise mentre fece partire
la sua moto. Salutò i Dukes e andò via, pregando
affinché tutto si risolvesse
per il meglio.
Tenendo
gli occhi incollati sulla
busta, Bo e Daisy si avvicinarono allo zio. Nessuno di loro aveva
immaginato di
poter ricevere una lettera da Luke. Quel piccolo e bianco involucro
conteneva
tutte le loro paure e i loro dubbi. Erano stati tutti talmente
preoccupati per
Luke, che nessuno aveva preso seriamente in considerazione
l’ipotesi si fosse
allontanato di sua spontanea iniziativa.
“Non
vuoi aprirla, zio Jesse?”
Domandò Daisy prendendolo sotto braccio.
“La
apro, la apro.” Rispose Jesse
più alterato di quanto non fosse in realtà.
“Decisamente proviene da Luke.
Riconoscerei la sua scrittura ovunque. Abbiamo ricevuto un mucchio di
sue
lettere quando era in Vietnam.”
Bo
si avvicinò ulteriormente per
dare e avere maggior supporto: “cosa pensi ci abbia
scritto?”
“Non
lo so, Bo. E credo non lo
sapremo finché non la leggeremo.”
Jesse
si mise a sedere sugli
scalini del portico e cautamente iniziò ad aprire la busta.
Bo e Daisy si
posizionarono velocemente al suo fianco. Jesse si adagiò
l’involucro sulle
gambe e spiegò il foglio. Considerò di leggere la
lettera da solo prima di
condividerla con i nipoti, ma alla fine decise che non avrebbe avuto
senso. Erano
entrambi grandi abbastanza per sapere la verità qualunque
essa fosse e,
comunque, non avrebbe potuto nascondergliela a lungo. Dovevano sapere.
Ne
avevano il diritto. Avrebbero affrontato insieme qualunque cosa Luke
avesse
scritto loro.
Jesse
si schiarì la gola e lesse
a voce alta.
Zio Jesse, Bo, Daisy,
ho bisogno di vivere la mia vita da solo, senza la
vostra continua
interferenza. Zio Jesse non ho bisogno che tu mi dica sempre cosa fare
o che tu
mi punisca quando non ti ascolto. Sono un uomo e non ho più
bisogno di te. Non
puoi più controllarmi.
Quelle
parole, dure da leggere,
misero Jesse in soggezione. Era davvero troppo controllato? Era vero
che aveva
spesso avuto un atteggiamento autoritario con i ragazzi, ma ormai erano
cresciuti e quei tempi erano passati. Luke lo sapeva, vero?
Dopo
una breve pausa, riprese la
lettura.
Sono andato ad Atlanta. Non venite a cercarmi,
specialmente tu, Bo. Sai
che non potresti mai trovarmi neanche se fossi in bella vista.
Perciò non lo
fare. Non tornerò. Sono stanco di averti sempre dietro
ovunque io vada. Non mi
serve una dannata ombra che mi segua. Ne ho abbastanza sia di te che di
Daisy.
Non sopporto più che mi controlliate e poi riferiate tutto a
zio Jesse.
Bo
inghiottì quelle parole come
un boccone amaro. Era vero che spendeva gran parte del suo tempo con
Luke, ma
avevano ognuno la propria individualità. Non lo seguiva
sempre dappertutto.
Forse lo faceva quando era piccolo, ma non credeva di stargli ancora
alle
costole come in passato. Luke era davvero stanco di averlo
continuamente tra i
piedi?
Avvertendo
un nodo salito a
serrargli la gola, Jesse tossì e continuò.
Voglio stare da solo. Non vi permetterò
di abusare ancora di me. Ho
bisogno di qualcuno che mi completi. Non tornerò mai
indietro.
Potreste non credermi, ma questa è la
verità ed è sempre stato così. A
volte la verità ce l’abbiamo proprio sotto al
naso, ma non riusciamo a vederla.
Luke
Anche
se aveva terminato la
lettura, Jesse continuò a guardare la lettera come se
sperasse che le parole
del nipote sarebbero potute cambiare. Seduti silenziosamente al suo
fianco, Bo
e Daisy cercavano di capire come mai Luke
avesse riservato loro delle parole così dure.
“Non
vi permetterò di abusare
ancora di me.” Ripeté Jesse prima di lasciarsi
cadere la lettera sul grembo. Il
suo spirito e la sua voce roca tornarono improvvisamente:
“che Laura sia dannata.
Ha costretto Luke a scrivere questa roba.”
Tornato
alla realtà Bo chiese:
“ne sei sicuro, zio?”
“Si,
certo.” Rispose Jesse con
convinzione. “Queste non sono le parole di Luke. E’
sempre stato onesto con me.
Avrei saputo se si fosse sentito trattato come ha scritto.”
“E
allora perché ci ha mandato
questa lettera?” Intervenne Daisy.
“A
questa domanda posso
rispondere io.” Si intromise Bo ristabilito completamente
dallo shock. “Laura
lo ha costretto. Non sono certo di sapere come abbia fatto, ma lo ha
fatto.
Forse gli ha dato altre pillole oppure lo ha minacciato in qualche
modo.”
“O
forse ha minacciato noi.”
Offrì Daisy. “Lo conoscete Luke. Farebbe qualsiasi
cosa per proteggerci. Avrà
minacciato di far male a uno di noi.”
“Penso
tu abbia ragione, tesoro.”
Disse Jesse circondale le spalle con un braccio. Jesse lesse ancora la
lettera:
“questi possono non essere i sentimenti di Luke, ma
rileggendo attentamente,
penso siano sue le parole.”
“Come
puoi dire una cosa del
genere?” Protestò Bo difendendo apertamente il
cugino. Saltò in piedi incapace
di trattenere ulteriormente la propria irritazione: “Luke non
direbbe mai cose
così terribili sul nostro conto.”
“Siediti,
Bo.” Ordinò Jesse.
Quando Bo non si mosse perché in contrasto con
l’opinione dello zio, Jesse
ripeté più dolcemente: “mettiti seduto
e calmati. Arrabbiarsi così non aiuterà
Luke. Non ho detto che intendesse realmente ciò che ha
scritto, ma conoscendo
quel ragazzo, scommetto la fattoria che ha voluto farci capire
dov’è. Dobbiamo
soltanto leggere tra le righe e scoprire il suo messaggio.”
Un
sorriso attraversò il volto di
Bo. Certamente lo zio aveva ragione. Luke aveva escogitato il modo di
far
sapere loro dove si trovava. Imbarazzato per aver dubitato dello zio,
Bo tornò
a sedere: “mi dispiace.”
Jesse
tagliò corto su quelle che
trovava inutili scuse. Gli diede una pacca su un ginocchio:
“so quanto sei
preoccupato e che non pensavi quello che hai detto, ma Luke
l’ha fatto. Non letteralmente,
ma ha voluto dirci comunque qualcosa. Non possiamo abbandonarlo
ora.”
“Nossignore.
Certo che non lo
faremo.” Convenne Bo.
Jesse
riprese in mano la lettera.
“Va bene, vediamo di capirci qualcosa. Luke ci ha detto di
essere andato ad
Atlanta e non vuole che lo cerchiamo. Ha detto che non potresti mai
trovarlo,
Bo neanche se fosse in bella vista. Penso abbia tentato di dirci che
non è
affatto ad Atlanta, ma qui ad Hazzard.”
“Sono
d’accordo, zio Jesse. Non
c’è possibilità che Luke si sia
allontanato da Hazzard.”
“La
parte in cui dice di non
volere un’ombra che lo segue, mi fa pensare molto alla
spettrale casa di
Laura.” Propose Daisy. “Non è qualcosa
che Luke direbbe.”
“Ottimo,
tesoro.” Annuì Jesse.
“Ci sta dicendo che si trova in un posto buio pieno di ombre.
E sono d’accordo
che ci stia parlando della casa di Laura.”
“Ve
lo dico io, Luke è nascosto
lì dentro.” Affermò risoluto Bo.
“Lo ha sequestrato lei. Ne sono certo. Penso
sia quello che ha voluto comunicarci quando scrive che ha bisogno di
qualcuno
che lo completi. Avete presente il cuore spezzato, vero? Laura
è l’altra metà.
E’ di lei che sta parlando. Sta provando a dirci che
è con lei.” La
frustrazione di Bo crebbe alla fine della frase.
“Dobbiamo
stare calmi, Bo. Credo
tu abbia ragione. Stava cercando di dirci che è con Laura.
Vediamo se ci ha
lasciato qualche altro messaggio.”
“Dice
che a volte la verità ce
l’abbiamo proprio sotto al naso, ma non riusciamo a
vederla.” Disse Bo.
“Proprio sotto ai nostri nasi…”
Qualcosa
si riaffacciò nella
memoria di Bo. Si sforzò perché non riusciva a
capire cosa fosse. Dopo qualche
istante, finalmente disse eccitato: “zio Jesse, mi ricordo di
aver sentito
molte storie su quella vecchia casa quando ero piccolo. Ho sempre
pensato che
fosse infestata dai fantasmi.”
“Ma
adesso sai che non è vero.”
“Si
lo so, zio Jesse. Ma ne ho sentite
davvero tante. Ho sentito che ci sono stanze segrete e passaggi
nascosti
risalenti alla Guerra Civile. Pensi qualcuna di queste storie possa
essere
vera?”
“Forse.”
Rispose speranzoso
Jesse. “Queste pseudo leggende circolano da quando io stesso
ero un bambino.
Non so se siano vere oppure no, ma di sicuro so che
c’è un rifugio antiatomico
da qualche parte in quella proprietà. Me lo disse Edward
Dawson in persona.”
“Un
rifugio antiatomico?” Domandò
Daisy. “Perché mai si sono presi la briga di
costruirlo?”
“Vedi
tesoro, negli anni
cinquanta eravamo nel bel mezzo della Guerra Fredda. In molti temevano
un
attacco nucleare da parte dell’Unione Sovietica. Quelli che
avevano più paura,
avevano costruito rifugi antiatomici per salvare la propria famiglia in
caso di
necessità.”
“Non
riesco ad immaginare persone
così timorose qui ad Hazzard.”
Considerò Daisy.
“Per
quel che ne so io, i Dawsons
sono stati gli unici a prendere un simile provvedimento nonostante non
ci
fossero reali minacce.”
Non
credo noi Dukes avremmo
potuto fare qualcosa del genere.” Intervenne Bo.
“Anche
se avremmo potuto, non lo
avremmo mai fatto.” Rispose Jesse.
“Perché
no?” Chiese Daisy.
“Non
sarebbe stato giusto
chiudere tutti i nostri amici e vicini fuori, mentre noi eravamo dentro
al
sicuro. E poi, se davvero ci fosse stato un attacco atomico, non credo
sarebbe
rimasto molto una volta usciti fuori. Noi Dukes affrontiamo quello che
viene
aiutando il nostro prossimo, non lo guardiamo morire mentre noi ci
salviamo.”
“Hai
ragione, zio Jesse.” Disse
Daisy.
La
mente di Bo stava analizzando
le informazioni appena ricevute: “è certo che i
Dawson abbiano costruito un
rifugio del genere?”
“Si,
Bo.” Rispose Jesse. “Fu
proprio Edward Dawson a confidarmelo. Voleva tenere tutta la sua
famiglia chiusa
al sicuro ed è poi quel che ha fatto utilizzando la sua
grande casa.”
“Quindi
sarà ancora nella loro
proprietà. Sarebbe un posto perfetto per nasconderci
qualcuno. Scommetto che è
proprio lì che Laura ha chiuso Luke.”
Jesse
sorrise: “ottimo spunto, Bo.
Hai senz’altro ragione.”
“Dobbiamo
solo scoprire dove si
trova esattamente.” Continuò Bo eccitato.
Anche
il volto di Daisy si
illuminò quando realizzò ci fosse la concreta
possibilità di scovare Luke: “ma
da dove inizieremo a cercare?”
“Non
lo so.” Rispose Bo. “Ma
butterò giù quella casa se sarà
necessario.”
“Con
calma.” Lo ammonì Jesse. “Non
faremo niente del genere.”
“Ma,
zio Jesse…”
“Niente
ma, Bo. Non lo faremo perché
c’è un modo migliore. Nessuno può
svegliarsi la mattina e decidere di costruire
un rifugio antiatomico senza farsi dare i dovuti permessi.
C’è la probabilità
che il tutto sia stato registrato e sia conservato al Comune. Si tratta
di
documenti pubblici a cui possiamo accedere. Sapremo così
esattamente dove i
Dawson hanno costruito il rifugio.”
Bo
e Daisy strinsero lo zio in un
abbraccio. Non sapevano dove fosse finito Luke, ma almeno avevano un
piano e un
punto di partenza. Non avevano nessuna intenzione di mollare fintanto
non lo
avessero trovato.
Daisy
osservò lo zio riporre la
lettera di Luke nella busta. Si accorse che aveva gli occhi lucidi.
“Stai
bene, zio?” Gli chiese
dolcemente. “Lo sai che Luke non pensa quello che ha
scritto.”
Jesse
si ricompose in fretta: “si
lo so, tesoro. Sono solo stato colto di sorpresa e per un momento mi
sono
chiesto se davvero Luke potesse provare ciò che ha
scritto…”
“Luke
non scriverebbe mai niente
del genere.” Lo interruppe Bo. “Ha solo cercato il
modo migliore per lasciarci
dei messaggi. Scommetto qualunque cosa che Laura ci ha minacciati e
Luke si è
trovato con le spalle al muro.” Bo si arrestò un
attimo per poi continuare: “lui
ti ama, zio Jesse. Non ha niente da rimproverarti.”
“Si
Bo, lo so. Ma ti ringrazio lo
stesso per avermelo detto. Quando ho letto le sue
parole…”
“Anch’io,
zio Jesse.” Disse Bo. “Mi
hanno terrorizzato, ma poi ho capito che Luke stava cercando di dirci
qualcosa.”
Daisy
sorrise: “e c’è riuscito.
Adesso dobbiamo solo trovarlo e riportarcelo a casa.”
“La
prima fermata sarà al Comune.
Dobbiamo trovare la documentazione che ci permetta di localizzare il
rifugio.” Disse
Jesse.
Bo
aveva già iniziato ad aiutare
lo zio ad entrare nel Generale Lee. Lo fece passare attraverso il
finestrino: “sono
troppo vecchio.” Borbottò Jesse col fiatone.
Daisy
imitò lo zio mentre Bo
scivolò sul cofano e raggiunse in fretta il posto di guida.
Senza aspettare che
si fossero messi tutti comodi, Bo schiacciò con forza il
pedale del gas e si
immise sulla strada per Hazzard lasciandosi dietro una densa nuvola di
polvere.
To be continued…
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Capitolo 19 *** Il bell'addormentato ***
Capitolo diciannove: il bell’addormentato
Un sospiro pesante fece capire a Laura che Luke si stava finalmente svegliando. Si scostò gentilmente il suo braccio dalla vita. Riluttante a lasciare il suo abbraccio, si mise a sedere sul letto. Aveva dormito profondamente per ore (era stato incosciente forse era l’espressione più adatta). Non aveva reagito quando lei gli aveva tolto i vestiti, così come non aveva reagito ai suoi tocchi. Non aveva opposto resistenza quando lei gli si era stesa di fianco e si era inserita nella curva che il suo corpo faceva dormendo su un fianco. Aveva trascorso così tutta la notte, con la schiena poggiata su di lui e tenendosi le braccia avvinghiate.
Laura aveva realmente temuto che Luke fosse andato in overdose da Roypnol. Fu sollevata quando finalmente lui si era girato sulla schiena. Era il primo movimento volontario che faceva, ma ora che si stava svegliando era tempo per lei di andare via. Non avrebbe voluto ma sapeva che Luke le avrebbe ancora opposto resistenza, in fondo era tutta la vita che la sua famiglia gli faceva il lavaggio del cervello. Sarebbe servita tutta la sua pazienza e tutta la sua volontà per allontanarlo definitivamente da loro. Sarebbe servito tempo, ma ora doveva andare. Non aveva altro Roypnol da somministrargli se avesse iniziato a ribellarsi. Doveva trovare una soluzione e nel frattempo sarebbe stato meglio se non ne avesse preso per un paio di giorni. Doveva stare più attenta con il dosaggio in futuro, troppo poco e sarebbe stato arrendevole, troppo e sarebbe diventato incosciente.
Luke sentì il cigolio del lucchetto mentre tentava di uscire dal suo stato di incoscienza. Era consapevole della fioca luce, doveva essere giorno ormai, era ora di alzarsi e iniziare i lavori nel granaio. La testa gli pulsava. Si mise a sedere lentamente, fu assalito dalla nausea. Il suo stomaco era in subbuglio.
Farfuglio: “Bo è ora di alzarsi” voltandosi alla sua destra e aspettandosi di vedere il cugino.
Ma Bo non c’era nella penombra. Il letto di Bo non c’era. Quella non era la loro stanza. Il cuore iniziò a martellargli nel petto e la nausea e il mal di testa peggiorarono all’istante. Luke non sapeva dov'era, ma sapeva che non doveva trovarsi lì. Mentre si guardava attorno gli tornò la memoria. Laura. Laura lo aveva rinchiuso in quella stanza. La scandagliò ma di lei non v’era traccia. Era solo.
Luke si mise a sedere sul bordo del letto, con un braccio tentava di tenere a bada il suo stomaco. L’ultima cosa che ricordava era di aver mangiato un panino e di aver bevuto il latte che Laura gli aveva dato. Presto realizzò che ogni volta beveva qualcosa che arrivava da Laura, diminuivano i suoi tempi di veglia e si sentiva sempre più male. Era chiaro che gli somministrava qualcosa, sapeva solo che non si trattava di alcol. Non era ubriaco, non aveva i postumi di una sbornia.
Ma si sentiva male. Si alzò in piedi e la nausea aumentò. Si trascinò in bagno e arrivò al wc giusto in tempo. Lo stomaco gli faceva male quando quindici minuti dopo finì di rimettere. Esausto rimase seduto sul pavimento con la schiena contro il muro. Il freddo del pavimento e del muro lo aiutarono a calmarsi mentre il suo corpo si riprendeva. Presto iniziò a tremare.
Si accorse con sgomento che non aveva vestiti indosso. Non ricordava di essersi spogliato e sperò ardentemente di esserseli levati da solo. Dolorante afferrò un asciugamano e si tirò su. Aggrappandosi al muro per avere stabilità tornò nella stanza cercando qualcosa che fosse fuori posto. Non era stato spostato niente ma sapeva che Laura era stata lì. Si sentiva debole e si sedette sul letto. E si accorse di cosa mancava. Non c’erano più il piatto e il bicchiere sul tavolo. Decisamente Laura era stata lì.
Gli girava la testa. Si appoggiò alla testiera del letto e prese un cuscino. Qualcosa cadde, guardò e vide che si trattava di un orecchino d’oro a forma di cuore. Laura indossava sempre cuori. Era stata lì con lui nel letto. Il cuscino che aveva afferrato profumava vagamente di rose. Lei era stata lì e lui aveva perso l’occasione di scappare.
Mentre ci pensava, la sua disperazione si tramutò in rabbia. Laura aveva dormito con lui, ormai non aveva più dubbi. Non sapeva cosa aveva fatto o se aveva fatto qualcosa. Forse si era limitata a dormire. Non era giusto, niente di tutto questo era giusto. E la cosa peggiore era che non ricordava niente.
Luke chiuse gli occhi mentre si teneva lo stomaco. Aveva bisogno di riposare, giusto un po’. Doveva fuggire da quella prigione. Appena si fosse sentito meglio avrebbe iniziato a cercare un modo per andarsene. In una maniera o nell’altra lo avrebbe trovato.
Non sapeva quanto avesse dormito. Era impossibile capire quanto tempo fosse passato. Non c’era luce naturale, non c’erano orologi. Sapeva che erano passate ore ma non sapeva dire quante. Laura non tornava con i pasti ad intervalli regolari che gli avrebbero dato un’idea del tempo che passava. Per quanto ne sapeva potevano essere passate ore o giorni o settimane. Essere stato drogato poi non aiutava, non aveva la percezione di niente.
Si mise a sedere lentamente dando al suo stomaco e alla testa il tempo di abituarsi. Passato qualche minuto si avvicinò all’armadio e si vestì con abiti non suoi. Le misure dei jeans e della camicia erano perfette. Laura conosceva tutto di lui, perfino la sua preferenza in fatto di boxer. E quello era un pensiero fastidioso. Sapeva ogni intimo dettaglio della sua vita. Non avrebbe voluto indossare i vestiti che lei gli aveva comprato, ma non aveva scelta. I suoi di vestiti erano spariti.
Il dolore alla testa era diminuito considerevolmente fino a diventare solo un fastidio. Probabilmente non sarebbe stato in grado di trattenere niente nello stomaco, ma almeno non gli faceva più male. Iniziò a controllare la stanza. Doveva esserci un’uscita se era stata costruita per essere un rifugio e non una prigione. Gli occupanti che si rifugiavano là dovevano poter contare su un’uscita di emergenza nel caso qualcosa avesse bloccato la porta. Almeno lo sperava. Se avesse costruito lui quel rifugio si sarebbe di certo assicurato una via di fuga.
Le mura erano solide. Aveva già spostato tutti i mobili per guardarci dietro. Avrebbe controllato anche il pavimento, ma temeva che gli sarebbe tornata la nausea. Doveva muoversi piano e con cautela. Si sedette su una sedia e si mise a pensare.
Il pavimento. Doveva assolutamente controllarlo. La superficie esposta sembrava compatta ma non aveva controllato quella coperta dai mobili. Si tolse gli stivali per sentire il pavimento con i piedi nudi. Con metodo, come seguendo una griglia, camminò cercando possibili irregolarità.
Non ce n’erano, il pavimento era compatto. Con tutta la forza che aveva spostò di lato il pesante letto. Su di una piccola area c’era una coperta. Luke la sollevò rivelando la presenza di una botola. Si inginocchiò e afferrò il chiavistello che la serrava. Qualche istante dopo riuscì ad aprirla.
Luke sbirciò nell’oscurità incapace di vedere alcunché. Uno spiacevole ricordo si affacciò alla memoria. Era accovacciato insieme ad altri due Marines all’entrata di un tunnel scovato sotto un materasso. Avevano seguito la scia del sangue di tre compagni colpiti da un cecchino. Si guardavano l’un l’altro, ognuno di loro sperava non toccasse a lui scendere in quel buco…
Non c’era niente che odiasse di più che scendere in tunnel bui. Si passò una mano sugli occhi tentando di scacciare quel ricordo. Per quanto non volesse farlo, non aveva scelta. Non ne aveva mai avuta. Indossò gli stivali, afferrò la lanterna e controllò il livello dell’olio. Era quasi vuota. Quella fioca luce non sarebbe durata a lungo. Doveva fare in fretta. Avvicinò la luce all’entrata del tunnel per valutarne la profondità. Erano meno di due metri. Un salto facile.
Saltò giù tenendo stretta la lanterna. Si trovò circondato da mura alte e solide. Il passaggio era all’incirca due metri in altezza e un metro e mezzo in larghezza. La luce morente della lanterna illuminava solo ciò che aveva a stretto contatto. Non riusciva a vedere la fine del tunnel.
Tentò di calmare il respiro, sarebbe andato tutto bene. Quel tunnel doveva arrivare da qualche parte e sarebbe stato comunque meglio di dove si trovava prima. Iniziò a camminare nell’unica direzione possibile. Si muoveva piano e con circospezione anche se il suo istinto gli diceva di correre.
Il suo cuore sussultò quando una cinquantina di metri dopo si trovò di fronte un muro. Avvicinandosi fu sollevato nel rendersi conto che il tunnel non era terminato. Di divideva in due, destra e sinistra. Quello a destra sembrava più stretto rispetto al tunnel principale.
Non riusciva a vedere niente in nessuna delle due direzioni. Bofonchiò: “uno vale l’altro.”
Andò a destra. Più si addentrava più l’aria diventava fredda. Lo spazio si restringeva. Duecento metri dopo il tunnel era finito. Luke esaminò le mura, il pavimento e il soffitto alla ricerca di una porta segreta. Era tutto cemento, un vicolo cieco.
“Perché?” Urlò. “Perché qualcuno dovrebbe costruire un tunnel che non porta da nessuna parte? E’ un gioco malato. Non ha senso a meno che non si voglia torturare qualcuno.”
Rimase immobile qualche istante tentando di calmarsi. La rabbia non era una soluzione e aveva bisogno di volgerla in positivo se voleva uscire di lì. Doveva avere il controllo delle proprie emozioni e rimanere lucido. C’era un’altra opzione.
“Va bene” disse a voce alta per convincere se stesso. “Questo tunnel non porta da nessuna parte. C’è ancora l’altro. Nessuno avrebbe faticato tanto per costruire dei tunnel ciechi. Ci deve essere una via d’uscita.”
La luce della lanterna diventava sempre più fioca mentre Luke tornava verso il tunnel di sinistra. Sembrava più alto e più largo dell’altro, il senso di claustrofobia che stava provando si allentò un po’.
Luke implorò la luce di durare ancora mentre si avventurava nel tunnel più veloce di quanto avrebbe voluto. Era più lungo rispetto a quello di destra. Vedeva così poco ormai che rischiò di finire addosso alla parete di fondo. Si guardò intorno in cerca di un altro passaggio, ma non c'era. Quella era la fine. Un altro vicolo cieco. Non c’erano altre opzioni. Non c’era nessuna via di fuga.
“Che tu sia dannata Laura!” Urlò colpendo il muro con la mano. La sua voce riempì il passaggio e gli tornò indietro come eco.
Rabbia. Disperazione. Frustrazione. Paura. Luke era sopraffatto dalle emozioni mentre si trovava da solo alla fine di un tunnel senza uscita. Facendo qualche passo indietro colpì qualcosa sul pavimento. Cercò di proteggere la lanterna mentre cadeva a terra seduto. Tentò nuovamente di farsi luce. Il cuore prese a martellargli nel petto e la nausea ritornò. Tentò di far star ferma la lanterna cercando di vedere quello che aveva di fronte, ma le sue mani avevano cominciato a tremare. La fiammella rimasta si spense definitivamente lasciando Luke al buio con Edward e Julia Dawson.
To be continued… |
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Capitolo 20 *** Cercando indizi ***
Capitolo venti: cercando indizi
Bo lasciò cadere un altro libro sul tavolo facendo sollevare in aria migliaia di particelle di polvere che invasero l’umido scantinato del Comune. Lo zio lo guardò male.
“Mi dispiace” mugugnò sedendosi di peso su una delle sedie. Cominciava a scoraggiarsi dopo ore di ricerche, tutto quello che aveva ottenuto erano occhi irritati per la polvere e per lo sforzo di leggere inchiostro sbiadito su fogli ingialliti. Hazzard non poteva di certo vantare un buon sistema di archiviazione che né lui né lo zio né la cugina riuscivano a decifrare. Come risultato si ritrovarono a spendere ore tra informazioni inutili.
“Si potrebbe pensare che un posto del genere dovrebbe essere tenuto meglio considerate le tasse che dobbiamo pagare.” Si lamentò Bo. “Stiamo perdendo tempo qui quando potremmo cercare Luke.”
“Lo stiamo cercando.” Jesse riprese dolcemente il nipote. “Le informazioni che troveremo qui ci serviranno per capire esattamente dove si trova.”
“Non abbiamo altra scelta se non quella di continuare a cercare.” Disse Daisy. "Non abbiamo idea di dove il signor Dawson abbia costruito il rifugio antiatomico.”
“Forse dovrei iniziare a cercare nei dintorni della proprietà.” Aggiunse Bo. "Molte persone ne hanno costruiti non è vero?”
“Negli anni cinquanta in tanti ci dissero che avremmo dovuto costruire un rifugio antiatomico. La gente era veramente spaventata da una possibile guerra nucleare. Ci dicevano che i rifugi erano necessari come il bagno in casa.
“Non hai mai pensato di costruirne uno, zio Jesse?” Domandò Bo.
“No.” Rispose Jesse “Avevamo deciso di costruire il bagno in casa proprio quando hanno iniziato a dirci che dovevamo costruire un rifugio. Abbiamo scelto il bagno.”
Bo rise. “Il bagno è decisamente più utile.”
“Infatti.” Concordò Jesse.
Dove li hanno costruiti quelli che hanno accettato di farlo?” Chiese ancora Bo.
“E chi lo sa. L’importante era che fossero sotto terra. E’ probabile siano stati adattati degli scantinati allo scopo.”
“L’ho trovato!” Gridò Daisy saltando in piedi. “Ho trovato il permesso per costruire il rifugio.”
Daisy porse il foglio a Jesse. Lei e Bo lo lessero da sopra le sue spalle. Jesse sospirò “questo è il permesso per costruire il rifugio ma non ci serve a niente. Non c’è scritto dov’è. Potrebbe essere ovunque nella proprietà dei Dawson.”
“Dannazione.” Esclamò Bo. “Non ci serve a niente.”
“Almeno sappiamo per certo che il rifugio esiste. E’ già qualcosa.” Disse Daisy.
“Cavolo Daisy, già lo avevamo immaginato. Non sappiamo dove si trova e non abbiamo altri elementi che ci possano aiutare.” Sbottò Bo, aveva il disappunto scritto in faccia.
Jesse mise una mano sulla spalla del nipote. Disse con voce calma “Daisy ha ragione, Bo. E’ una buona cosa avere avuto la conferma. Adesso sappiamo per certo che i Dawson hanno costruito un rifugio e che si trova nella loro proprietà. Dobbiamo solo capire dov’è. Se come pensiamo Luke è con Laura è proprio lì che si trova.”
“Luke ha scritto che la verità è sotto ai nostri nasi. Che non lo avrei trovano neanche se fosse stato in bella vista.” Rifletté Bo. “Stava cercando di dirci dove si trova.”
“E ha scritto di essere circondato di ombre.” Aggiunse Daisy.
“Ok.” Intervenne Jesse. “Analizziamo bene tutto. Luke ha scritto in bella vista, sotto i nostri nasi circondato da ombre. Sembra un luogo sotto terra.”
“Forse uno scantinato.” Aggiunse Daisy.
“Ci ho guardato.” Disse Bo. Esitante aggiunse “ma era incredibilmente piccolo per una casa così grande. Forse c’è una sezione che io non ho visto.”
“Ottimo, Bo. Quella casa è vecchia di generazioni. E’ stata modificata nel corso degli anni. Può esserci una sezione più vecchia.” Esclamò Jesse.
“Abbiamo solo bisogno di trovarla.” Continuò Bo.
“Forse potremmo chiedere aiuto a Rosco.” Disse Daisy.
“Non ci aiuterà, Daisy. Ci ha già detto chiaro e tondo che non si metterà a cercare in quella casa senza avere una prova che Luke possa essere veramente lì dentro. Siamo soli.” Disse Bo.
Jesse concordò “odio ammetterlo ragazza mia ma Bo ha ragione. Non avremo nessun aiuto da parte di Rosco.”
“Allora andiamo.” Disse Bo alzandosi in piedi.
Jesse afferrò il braccio del nipote “datti una calmata. Che cosa hai intenzione di fare?”
Vado a cercare Luke a casa di Laura. Non lascerò che mi fermi.” Rispose Bo con determinazione.
“Non puoi irrompere così, Bo.” Jesse aveva usato il suo tono più deciso. “Ti farà arrestare per violazione di proprietà privata e cosa ne verrà di buono a Luke se tu sarai in prigione?”
Gli occhi di Bo ardevano di rabbia “e cosa dovremmo fare allora, zio Jesse? Rimanere seduti ad aspettare che Laura faccia del male a Luke se già non l’ha fatto?”
Bo rimpianse le sue parole nel momento stesso in cui le aveva pronunciate. Vide il dolore impadronirsi del volto dello zio. Tutti e tre temevano che Laura potesse far del male a Luke, ma nessuno lo aveva ancora detto a voce alta. Adesso che era uscito fuori, pendeva pesante sopra le loro teste. Jesse si accasciò sulla sedia. Daisy lo abbracciò, Bo gli si sedette accanto e lo accarezzò.
“Mi dispiace, zio Jesse.” Disse Bo sommessamente. “Non volevo farti preoccupare più di quanto tu non sia già. Troverò Luke, vedrai che starà bene. Te lo riporterò a casa. Te lo prometto.”
Jesse gli diede un colpetto sulla mano “lo so figlio mio. E’ quello che spero.”
“Zio Jesse non farò niente di stupido.” Bo tentò di rassicurarlo. “Non voglio farti preoccupare, ma io devo andare a guardare lì nei dintorni della proprietà. Devo trovare quel rifugio, deve esserci un passaggio o un’entrata. Se non dovesse esserci vuol dire che si trova sotto la casa.”
“Va bene, Bo.” Concesse Jesse. “Fai attenzione. “Io e Daisy continueremo a cercare una planimetria che ci indichi dove possano aver costruito quel dannato coso. Semmai dovessi trovarlo, Bo non fare niente. Avvisaci subito, ci siamo capiti?”
“Sissignore.” Rispose Bo.
Daisy lo raggiunse e lo abbracciò “stai attento per favore. Non potrei sopportarlo se ti accadesse qualcosa.”
“Andrà tutto bene.” Bo le restituì l’abbraccio. “Aggiorniamoci se qualcuno di noi ha novità. Ci vediamo più tardi a casa.”
Daisy tornò al tavolo con lo zio. Guardarono Bo uscire da quella stanza. Passò un altro libro allo zio, vedendo poi il suo sguardo angosciato disse “non ti preoccupare, zio Jesse. Lo troveremo.”
“Che Dio ti ascolti.”
Bo seguì il perimetro del recinto sovrastato dal filo spinato cercando un punto dal quale poter accedere. Nel frattempo guardava dentro la proprietà con occhi vigili. Non c’era niente che potesse far pensare ad un rifugio. Rimase sorpreso nel constatare che la proprietà fosse più piccola di quello che sembrava. Da quel che poteva vedere non c’erano colline o posti strategici nei quali costruire rifugi.
Bo tornò verso la parte di recinto che ospitava un grande albero sul quale avrebbe potuto salire per entrare nella proprietà. Una volta dentro cominciò a scandagliare il terreno. Rovistò ogni cumulo di terra che potesse far pensare ad una collina. Non c’erano entrate neanche in posti che sembrava potessero occultarne la vista.
Mentre iniziava a fare buio, Bo si avvicinò sempre più alla casa. Le luci erano accese all’interno. Laura c’era. Doveva essere cauto per non farsi scoprire. Ragionò che lo scantinato potesse trovarsi sotto la parte frontale della casa, la parte posteriore poteva contenere la sezione che non aveva visto. Se veramente c’era una parte più vecchia doveva trovarsi nel retro della casa.
Bo esaminò le fondamenta fuori dalla cucina. Considerate le tubature fuori da quell’area, doveva esserci uno scantinato da qualche parte. Non ricordava di aver visto altre porte oltre quella vicina alla cucina, doveva dare un’altra occhiata a quella stanza. C’erano storie di vecchie case con camere segrete e passaggi nascosti costruiti durante la guerra. Doveva escogitare un modo per entrare. Doveva attendere che Laura se ne andasse. Nel frattempo sarebbe tornato a casa da Jesse e Daisy per vedere se loro avessero trovato qualcosa di utile.
Jesse e Daisy continuavano nella loro meticolosa ricerca. Seguendo un’intuizione Jesse iniziò a cercare tra documenti ancora più datati. Ricordava di aver sentito voci secondo cui la casa era stata usata come prigione durante la guerra civile. Secondo quelle voci, i soldati venivano segregati in celle sotterranee. Quegli stessi soldati che ancora infestavano la casa secondo le leggende di quando era bambino. Non aveva mai dato credito a certi miti popolari, ma è pur vero che taluni si basano su fatti realmente accaduti. Cominciava a credere che dovessero esserci veramente prigioni segrete nella parte più vecchia della casa. Dovevano trovare una planimetria che lo confermasse.
Jesse si raddrizzò gli occhiali sul naso, mentre girava le pagine di un libro mastro del 1864. Non sapeva esattamente cosa cercare, ma l’avrebbe capito quando lo avesse trovato. E alla fine lo trovò. I Dawson avevano avanzato una richiesta di rimborso nei confronti della Contea di Hazzard per aver alloggiato ufficiali dell’Unione in quattro celle ubicate nel seminterrato della loro proprietà. La Contea aveva rifiutato il risarcimento accollando la responsabilità ai Confederati.
La conferma dell’esistenza di quelle celle era quello di cui Jesse aveva bisogno. Dovevano cercare nella parte vecchia della casa. Luke era lì. Era il posto perfetto per nascondere qualcuno. Era il posto perfetto per costruire un rifugio. Dopo una lunga giornata finalmente Jesse si concesse un sorriso. Sapeva che Luke era lì. Pregò che non fosse troppo tardi.
“Andiamo tesoro.” Disse rivolto a Daisy. “Abbiamo trovato tutto quello che ci serve. Ho le prove che ci sono delle celle lì sotto da qualche parte. E soprattutto che c’è il rifugio che stiamo cercando.”
“Ed è lì che si trova Luke.” Rispose Daisy speranzosa.
Jesse annuì “ci scommetto. Andiamo ragazza mia, dobbiamo trovare Bo ed escogitare un modo per tirare Luke fuori di là.”
Daisy chiuse il libro che aveva davanti. Quando si alzò abbracciò lo zio “lo troveremo.”
Jesse ricambiò l’abbraccio “si, andiamo a casa da Bo. Abbiamo un piano da mettere a punto.”
To be continued… |
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Capitolo 21 *** Cose sgradevoli nel buio ***
Capitolo ventuno: Cose sgradevoli nel buio
Luke fece un salto indietro, si fermò solo quando colpì il muro con la schiena. Aveva visto solo due resti scheletrici per pochi secondi, ma gli spettri già affollavano la sua mente. Sapeva che erano seduti da qualche parte al buio di fronte a lui, abbracciati, sepolti nel tunnel.
Chiuse gli occhi cercando di calmarsi. Almeno con gli occhi chiusi il buio pesto era sotto controllo. Respirò profondamente nella speranza che il cuore smettesse di martellargli in petto. Doveva pensare chiaramente e razionalmente. Le due persone avvinghiate nella morte che erano lì con lui non gli avrebbero fatto alcun male. Ma quello che gli stavano facendo emotivamente era tutta un’altra storia.
Non sapeva effettivamente chi fossero, ma di certo erano morti laggiù. Non avevano trovato una via d’uscita. Da quanto erano lì sotto? C’erano finiti a causa di Laura?
Gli tornarono in mente le sue parole: “è pressoché impossibile scappare. Lo so ma io sono riuscita a fuggire dai miei genitori. Non è stato facile ma ho dovuto fare ciò che andava fatto. Adesso devo fare ciò che è giusto per te.”
“Devo fare ciò che è giusto per te.” Ripeté Luke. “Che hai fatto, Laura?”
Era possibile che quei due scheletri fossero i genitori di Laura? Era stata capace di tanto? Lo avrebbe fatto anche a lui? Lo avrebbe lasciato morire laggiù?
Il panico che stava disperatamente tentando di tenere a bada tornò quando realizzò che era intrappolato al buio con i Dawson. Se Laura aveva fatto una cosa del genere ai propri genitori, niente le avrebbe impedito di farlo anche a lui. Aprì gli occhi sperando di trovare variazioni al buio intenso, ma non era cambiato niente. Malgrado non riuscisse a vedere nulla, poteva sentire i muri che lo circondavano. Erano sempre più vicini, ne era certo.
“Non è che non sono mai stato in un tunnel.” Sussurrò per sentire la sua voce e convincersi che la situazione non era così brutta.
Ma era brutta. Bruttissima. Sentì qualcosa strisciargli sul braccio e lo scacciò via. Si spostò rapidamente dal muro e si ritrovò al centro del tunnel. L’esperienza gli aveva insegnato che posti del genere erano pieni di cose sgradevoli: insetti, scorpioni, serpenti, pipistrelli, formiche rosse, ragni, trappole esplosive, mine, cadaveri e nemici. La cosa peggiore che aveva dovuto fare in Vietnam era stata proprio quella di calarsi in sistemi di tunnel stretti e bui. Non aveva mai sofferto di claustrofobia fino ad allora. Non aveva dovuto farlo spesso, ma si era reso necessario in più di un’occasione.
I ricordi che riemersero gli fecero accapponare la pelle. Era sicuro di sentirsi camminare addosso. Laggiù aveva visto muri muoversi solo per scoprire poi che si era trattato di un’illusione causata da una fitta massa di ragni. Si era trovato occhi negli occhi con una vipera del bambù. Faccia a faccia con corpi in putrefazione occultati dai vietcong per nascondere la reale conta dei morti. Si era trovato a giocare a nascondino con i nemici e chi vinceva sopravviveva.
Luke aveva vissuto tutto questo e aveva fatto del suo meglio per dimenticare, ma ritrovarsi seduto nel buio assoluto di un tunnel aveva fatto riemergere le sue vecchie paure. Non riusciva più a far allontanare quei ricordi, la sua mente stava raggiungendo il limite.
Si portò le gambe al petto e nascose la testa tra le ginocchia. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Non voleva più ricordare.
Luke si appoggiò al sedile, sentiva il vento che entrava dal finestrino sulla faccia. Il Generale Lee correva lungo la strada sterrata alzando nuvole di foglie secche. Si voltò verso il posto di guida. Bo gli sorrise mentre si avvicinava al torrente. Schiacciò il pedale del gas e lasciò che il Generale prendesse il volo.
Mentre attraversavano il torrente in volo, i muri vennero giù e la luce lo avvolse. Luke era libero.
Bo fissava la casa da dietro la vecchia quercia aspettando e sperando che Laura uscisse. Sapeva di essere vicino. Poteva sentirlo. Luke era lì da qualche parte. Ma doveva riflettere. Luke glielo ripeteva sempre e per il suo bene stavolta gli avrebbe dato retta. Doveva trovare suo cugino senza l’interferenza di Laura. Non sarebbe stato di nessun aiuto se si fosse fatto arrestare e fosse finito in prigione.
La sua attenzione fu catturata dalla luce che si accendeva in cucina. Si posizionò meglio dietro il tronco della quercia dove poteva vedere senza essere visto. Vide Laura muoversi nella stanza per qualche minuto, appariva e scompariva alla finestra. Non si era avvicinata alla cantina, ma alla grande dispensa. Dopo tre volte in cui aveva fatto avanti e indietro, non ne era più uscita. Bo rimase in attesa domandandosi cosa stesse facendo. Ipotizzò che stesse sistemando gli scaffali. Si appoggiò all’albero aspettando che tornasse in cucina.
Laura scansò i sacchi di farina e tirò la leva della porta nascosta. Accese la lanterna e prese una borsa piena di provviste. La lampada nel seminterrato si era probabilmente smorzata lasciando Luke al buio, ma lei non aveva fretta. A Luke non piaceva il buio e avrebbe apprezzato di più Laura se avesse dovuto aspettarla che lo rifornisse di olio.
Non aveva con sé il Roypnol. Era troppo pericoloso tentare di procurarsene dell’altro. Ma c’erano altri modi per controllare le persone. Era necessario conoscerne le debolezze, per sfruttarle a proprio favore. E le debolezze di Luke erano il buio e la sua famiglia. Poteva usarle entrambe per tenerlo in pugno. E se non fosse stato sufficiente c’era sempre la piccola pistola che portava con sé.
Faceva tutto per il bene di Luke. Laura doveva troncare il rapporto che lo legava alla sua famiglia. Era difficile liberare qualcuno dalla dipendenza risultato di una vita di abusi fisici e mentali. Luke era ancora lontano dal recidere quel legame, era molto più ostinato di quanto avesse immaginato. Ma lei sapeva che lui la amava. Lei non avrebbe mollato, non importava quanto lui avrebbe potuto opporre resistenza. Confidava che prima o poi avrebbe realizzato qual era la verità e avrebbe finalmente allontanato la sua famiglia. E se non lo avesse fatto, ci avrebbe pensato lei. In un modo o nell’altro avrebbe liberato Luke.
Quando Laura raggiunse la fine del corridoio, aprì la finestrella sulla porta e tirò su la lanterna. La stanza era buia come aveva immaginato.
“Sono tornata, tesoro.” Laura si fermò di colpo quando vide lo stato della camera. Il letto era spostato di lato lasciando scoperta la botola sul pavimento. Si guardò intorno cercando Luke. Non lo vedeva, ma poteva essere nel bagno.
“Luke” chiamò. “Dove sei?”
Luke sollevò la testa dalle ginocchia quando udì la voce di Laura che lo chiamava. Vide fasci di luce illuminare il pavimento. Laura era tornata. Doveva capire cosa fare. Considerò velocemente le sue opzioni che a dire il vero non erano molte. Ovviamente non poteva scappare. Se anche ci fosse stato un passaggio segreto non lo avrebbe trovato al buio. Doveva tornare di sopra.
“Luke! Rispondimi” Provò ancora Laura. “Dove sei?”
Luke sapeva che doveva rispondere. Affrontarla però non era una buona idea. Doveva convincerla che apprezzava tutto quello che stava facendo per lui. Era già convinta che lui la amasse. Doveva farle credere che fosse pronto a rinnegare la sua famiglia per stare con lei. Era l’unico modo che aveva per salvarsi e tenere al sicuro i suoi cari.
Laura sbloccò la pesante porta e la aprì. Afferrò la pistola e distese il braccio davanti a sé. Senza la droga aveva bisogno dell’arma per controllare Luke. Direzionò la luce in ogni angolo della stanza, ma di Luke non c’era traccia. La porta del bagno era aperta. Illuminò l’interno, ma era vuoto.
Il tunnel era il solo posto dove Luke avrebbe potuto essere. Ma non sarebbe andato lontano. Il tunnel era un vicolo cieco. Il padre di Laura lo aveva costruito al di sotto del rifugio antiatomico nel caso avessero avuto bisogno di una via di fuga alternativa, ma non lo aveva mai completato. Non sbucava in superficie, non portava da nessuna parte. Luke era lì sotto e non era da solo. Si chiese se avesse già incontrato i suoi compagni.
Luke credeva che Laura fosse nel corridoio fuori dalla stanza. Poteva ritornare di sopra e giustificarsi dicendo che stava esplorando l’ambiente perché si stava annoiando. Forse sarebbe riuscito a convincerla che non avrebbe più opposto resistenza, che non voleva più tornare dalla sua famiglia. Le avrebbe detto che aveva ragione su tutto e che le era grato per il suo aiuto. Doveva essere convincente. Si alzò e si avviò verso la luce che filtrava da sotto la botola.
Laura attraversò la stanza osservando la botola sul pavimento. La sua rabbia tornò. Luke si stava nascondendo da lei. Sapeva che era lì, ma non le rispondeva. Non gli avrebbe permesso di trattarla così. Si inginocchiò accanto alla botola e avvicinò la lanterna all’entrata.
Urlò furiosa “lo so che sei là sotto, Luke. Non c’è nessuna uscita. Rispondimi o chiuderò a chiave la botola.”
Luke si affrettò verso l’entrata e fu sorpreso di trovare Laura che lo fissava. Illuminata dalla luce della lanterna aveva un’espressione spaventosa. Se il suo sguardo avesse potuto ucciderlo di sicuro Luke sarebbe morto in quell’istante. Vide che aveva una pistola e istintivamente fece un passo indietro. Sapeva che era capace di usarla.
“Stai cercando di lasciarmi, Luke? Non te lo permetterò mai.”
“Non stavo cercando di lasciarti.” Rispose Luke con tutta la calma che riuscì a trovare. “Mi stavo solo guardando intorno.”
“Non avevi nessun diritto di andare lì sotto.”
“Mi dispiace.” Disse Luke.
“Stavi cercando di lasciarmi.” Ripeté ancora Laura furiosa.
Luke scosse la testa “no Laura davvero. Non ti volevo lasciare, mi stavo solo guardando intorno.”
“Non mentirmi, Luke.” Disse Laura mentre faceva oscillare pericolosamente la pistola nella sua mano. “Non mi piace che mi si menta. Non tollero che mi si menta. Tu volevi lasciarmi.”
“Non è così, tesoro.” Luke sperava di essere convincente. Doveva persuaderla che tenesse a lei. “Ero annoiato, ho cominciato a guardarmi in giro. Mi dispiace, ti prego calmati.”
Presa alla sprovvista dal vezzeggiativo con cui Luke l’aveva chiamata, Laura ci mise un po’ a rispondere. Sapeva che lui la amava, ma non era una giustificazione per ciò che aveva fatto. Non poteva placare la sua collera. Doveva essere punito.
Laura osservò Luke “se non ti piace la nostra stanza puoi passare un po’ di tempo lì sotto a riflettere.”
Luke voltò la testa e si guardò alle spalle in direzione dei due corpi che si era lasciato laggiù. Non voleva passare un solo minuto in più con i Dawson.
“Mi piace molto la nostra stanza.” Disse Luke tentando di non mostrarle alcun segno di panico. Doveva uscire fuori da quel tunnel “fammi salire così potremo stare insieme.”
“No.” Rispose Laura.
“Voglio stare con te. Non mi vuoi?”
Laura lo guardò in modo duro “certo che ti voglio, ma sembra tu non capisca che ti ho in pugno, tesoro. Non andrai da nessuna parte.”
Luke osservò l’apertura della botola poco sopra la sua testa. Poteva salire. Fece un passo avanti. Laura gli puntò la pistola.
“Rimani dove sei. Penso sia meglio che tu ne approfitti per riflettere. Sei stato cattivo. Devi imparare a comportarti. Non mi piace punirti, ma per te sarà un bene.”
“Non puoi lasciarmi qui, Laura.” Il cuore di Luke batteva furiosamente.
Quando si guardò nuovamente alle spalle, Laura gli domandò “che succede, tesoro? Non vuoi passare un altro po’ di tempo insieme a mia madre e a mio padre?”
“Sono i tuoi genitori?” Luke era sgomento. Non aveva voluto credere fino in fondo che potessero essere davvero loro. “Come sono finiti qui sotto? Cosa hai fatto loro?”
“Te l’ho detto, Luke. Ho fatto quello che era necessario per guadagnare la mia libertà. Ora farò lo stesso per te. Mi assicurerò che la tua famiglia non ti faccia più del male.”
Il panico si impadronì di Luke “stai alla larga dalla mia famiglia, Laura. Non fare loro del male. Non tornerò da loro quindi li puoi lasciare in pace.”
“Li lascerò stare fintanto che loro faranno lo stesso con me.” Rispose Laura. “Spetta a loro. Sono molto fastidiosi, non si fanno mai gli affari propri.”
Luke afferrò il bordo della botola. Laura gli puntò la pistola in faccia “un passo indietro. Te l’ho detto devi passare un po’ di tempo là dentro. Ti aiuterà a mettere le cose sotto la giusta prospettiva e ti infonderà un po’ di buon senso.”
Luke si staccò, ma rimase dov’era “sto salendo, Laura.”
Laura puntò la pistola e sparò, Luke fece un salto all’indietro a causa dell’eco prodotto dal proiettile che rimbalzò tra il pavimento e il muro. Cadde quando sentì qualcosa colpirlo alla coscia.
“Bene così. Devi imparare ad ascoltare. Spero avrai un atteggiamento migliore quando tornerò. Semmai tornerò. Forse potrei lasciarti lì come ho fatto con i miei genitori.”
“Li hai lasciati qui a morire?” Luke era incredulo. “Come hai potuto?”
Laura fece spallucce “andava fatto. E’ stato più facile di quanto avessi immaginato.”
Si tirò su e afferrò la maniglia della botola. La chiuse con un solo movimento fluido. Il buio avvolse Luke ancora una volta.
Spinse con le mani la porta della botola, ma era stata già serrata. Urlò con quanto fiato aveva in corpo “Laura, non puoi lasciarmi qui. Apri la porta. Ti prego... ti prego...”
Quando si rese conto di avere i jeans bagnati, si tastò la coscia. C’era un piccolo foro nel tessuto. E poi arrivò il dolore. Si mise a sedere adagio e realizzò che il proiettile doveva averlo colpito di rimbalzo. La parte bagnata diventava sempre più grande. Fece pressione sulla ferita sperando di arrestare la fuoriuscita di sangue. Non poteva vedere l’entità della lesione. Sapeva solo che era nuovamente solo al buio.
Non riusciva più a pensare razionalmente. Appoggiò la schiena al muro fregandosene di cosa potesse esserci sopra. Tanto non sarebbe uscito vivo. Avrebbe trascorso l’eternità con i Dawson e nessuno lo avrebbe mai trovato.
Bo era rimasto nascosto dietro alla quercia per mezz’ora aspettando che Laura uscisse dalla dispensa. Non riusciva ad immaginare cosa stesse facendo. Stava per tornare a casa da Jesse e Daisy quando udì qualcosa. Si bloccò e fece più attenzione. Avrebbe potuto scommettere di aver sentito uno sparo. Rimase in ascolto.
“Laura... non puoi lasciarmi qui…”
Bo fece un salto. Era la voce di Luke, ne era certo. Era distante e attutita, ma era Luke. Stava chiamando Laura. Non veniva da dentro la casa, proveniva da fuori, ma non sapeva dire dove esattamente. Non era sicuro di niente tranne che quella era la voce di Luke. Ed era una voce disperata.
“Dove sei, Luke?” Gridò Bo.
Si guardò intorno, ma non aveva idea da dove iniziare a cercare. Aveva già perlustrato il perimetro esterno, ma non aveva trovato tracce del cugino.
“Ragiona Bo!” Disse a voce alta.
Stava quasi per gridare nuovamente il nome di Luke quando Laura uscì dalla dispensa, attraversò la cucina e spense le luci. Luke l’aveva chiamata quindi era stata con lui. Forse l’entrata per il rifugio che stava cercando era dentro quella dispensa. Lei vi era rimasta a lungo. Il rifugio doveva trovarsi lì da qualche parte. Dovevano esserci delle ventole per questo era stato in grado di sentire Luke. Ma ora Bo non poteva più chiamarlo, Laura lo avrebbe sentito.
Dopo aver riflettuto qualche istante decise di tornare verso il Generale Lee e chiamò Jesse e Daisy. Disse loro dove si trovava e che non si sarebbe mosso di lì. Non se ne sarebbe andato finché non avesse trovato Luke.
“Luke!”
Luke poteva giurare di aver sentito la voce di Bo che lo chiamava. Si guardò attorno inutilmente. Restò in ascolto, ma non lo sentì più. Forse era stata la sua immaginazione. La disperazione gli faceva sentire quello che più desiderava. Sospirò pensando che era solo questione di tempo prima che iniziasse a parlare di Laura con i Dawson. Si domandò se avrebbe perso prima il senno o la vita. Pregò che Laura tornasse da lui.
To be continued… |
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Capitolo 22 *** Le pareti non si muovono ***
Capitolo ventidue: le pareti non si muovono
Bo saltò dentro al Generale Lee e afferrò il microfono della radio. Chiamò con urgenza: “pecora smarrita a pastore, avanti rispondi. Per favore… zio Jesse, Daisy ho bisogno di voi.”
“Qui pastore.” Rispose Jesse. “Dove sei Bo? Stai bene?”
“Si, sto bene. Sono da Laura. Zio Jesse, sono certo di aver sentito Luke.”
“Hai trovato Luke?” Lo interruppe brutalmente Daisy.
“Non esattamente.” Disse Bo non riuscendo a nascondere tutta la sua frustrazione.
“Come sarebbe a dire allora?”
“Beh, stavo tenendo d’occhio la casa sul retro, quando sono certo di aver sentito Luke chiamare Laura. Non so dire da dove provenisse la sua voce, ma ho già ispezionato tutto il perimetro e non c’è traccia di lui. Non lo so, zio Jesse. Forse proveniva dall’interno della casa o forse dal rifugio che stiamo cercando.”
“Potrebbe essere. Il rifugio è sepolto lì da qualche parte.” Concordò Jesse. “E’ probabile che ci sia in superficie qualche ventola per l’areazione, per questo lo hai sentito. Sei certo che fosse lui?”
“Come quando non ti aspetti di sentire qualcosa, ma poi ti arriva da lontano. Non ne sei convinto all’inizio.” Bo tentava di spiegare. “Stavo osservando Laura e l’ho vista entrare nella dispensa della cucina. C’è rimasta almeno mezzora e ne è uscita subito dopo aver sentito la voce di Luke che la chiamava e… zio Jesse…”
“Che c’è, figlio mio?” Intervenne Jesse quando Bo smise di parlare. “Cosa non hai il coraggio di dirmi?”
Bo ingoiò un grumo di saliva sperando di poter tenere ancora un po' per sé l’informazione che stava per condividere: “ho sentito un sparo prima di avvertire la voce di Luke.”
“Sei sicuro fosse uno sparo?” Chiese Jesse in preda all’ansia.
“Sissignore. L’ho sentito, non mi sbaglio.”
Jesse rimase in silenzio per un momento “va bene, Bo. Rimani là e controlla la casa a distanza di sicurezza. Non correre rischi. Quella ragazza è pericolosa. Io e Daisy andiamo a chiamare Rosco e Enos. Fosse l’ultima cosa che faccio li convincerò a venire con noi anche senza un mandato di perquisizione.”
“Non ci aiuteranno.” Rispose Bo.
Intervenne Daisy “forse non Rosco, ma sono sicura di convincere Enos.”
“Siamo d’accordo allora.” Aggiunse Jesse. “Io e Daisy cercheremo di convincere le forze dell’ordine di Hazzard ad entrare in quella casa. Bo, tu aspettaci.”
“Sissignore.”
“Dico davvero, Bo. Non voglio che tu faccia niente di stupido o di avventato. Aspettaci, capito?”
“Ho capito, zio Jesse.” Non farò niente che possa mettere in pericolo Luke.”
“Questo lo so. Non fare niente che possa mettere in pericolo neanche te stesso.”
“Stai tranquillo.”
“Bravo ragazzo.” Disse Jesse. “Saremmo lì quanto prima.”
“D’accordo.” Concluse Bo. “Fate presto.”
Bo rimise a posto il microfono nel Generale Lee. Non aveva molta visuale da dietro il recinto di ferro battuto. Era troppo lontano e gli alberi nascondevano la casa alla sua vista. Decise di tornare sul retro, dove aveva sentito Luke. Da lì poteva osservare la casa e Laura da più vicino e poteva continuare a cercare suo cugino. Fosse stato fortunato sarebbe addirittura riuscito a sentire Luke o Luke avrebbe potuto sentire lui. Di certo non sarebbe rimasto seduto ad aspettare l’arrivo di Jesse e Daisy. Avrebbe atteso, ma nel frattempo avrebbe continuato a cercare. Provava un senso di urgenza. Qualcosa era cambiato. Sentiva che Luke era in un pericolo imminente.
Quando Bo raggiunse la grande quercia sul retro, vide nuovamente Laura muoversi all’interno della cucina. Stavolta però rimaneva fuori dalla dispensa. Dopo qualche minuto spense la luce della cucina. Tutto il primo piano rimase al buio. Le luci si accesero al piano di sopra dove Bo pensava si trovasse la sua stanza. Con un po’ di fortuna anche quelle luci si sarebbero spente presto. Bo era determinato ad entrare in casa e ad andare a guardare all’interno della dispensa. Era sicuro che da lì si accedesse al rifugio che stavano cercando.
Luke si appoggiò al muro e rimase in ascolto. Poteva giurare di aver sentito Bo che lo chiamava. Non sapeva dire da dove provenisse la voce. Era ovattata e troppo lontana. Trattenne il fiato e attese, ma tutto ciò che riusciva a sentire era il battito accelerato del suo cuore. Non sentì più Bo. Non era più neanche sicuro di averlo sentito la prima volta. A volte si sente ciò che più si desidera.
“Bo!” Urlò.
Probabilmente si trattava della sua immaginazione, ma gli sembrava che l’aria stesse diminuendo. O forse stava accadendo davvero. Forse Laura aveva sigillato l’unica presa d’aria quando aveva serrato la botola.
Luke tentò di prendere un respiro profondo, ma si ritrovò a tossire. Doveva calmarsi. Sentiva i jeans sempre più bagnati. La gamba gli stava sanguinando. Doveva cercare di arrestare la fuoriuscita di sangue. Si tolse la camicia e ne strappò un lungo lembo. Sussultò quando si fasciò la gamba con la benda improvvisata. Iniziò a sentire freddo e a tremare. Indossò quello che rimaneva della camicia e si tirò su in piedi.
L’oscurità lo avvolgeva, era circondato da pareti che gli si chiudevano addosso.
Luke sapeva di dover superare la paura di cosa si celava nel buio. Non sarebbe rimasto ad aspettare di morire da solo in quel tunnel. Doveva muoversi. E se ci fosse stato qualcosa in agguato al buio, lo avrebbe trovato e affrontato.
“Le pareti non ti vengono addosso, Luke.” Disse con tutta la sicurezza che riuscì a chiamare a raccolta. “Anche se sembra. Non c’è niente di pericoloso quaggiù a parte i Dawson. Queste pareti sono ferme, non si muovono. Sono umide e sporche, ma non mi crolleranno addosso. Non c’è niente di cui avere paura.”
“Lei tornerà.” Sorpreso si ritrovò a sperare allo stesso tempo che Laura tornasse e che non si facesse vedere mai più. Doveva trovare una via d’uscita prima del suo ritorno, ma se non l’avesse trovata aveva bisogno di lei. Avrebbe dovuto convincerla che era pronto a disconoscere la sua famiglia e che le era grato per tutto ciò che aveva fatto per lui.
Luke continuava a prendere respiri profondi sperando di calmarsi. Era in una situazione disperata. Anche se avrebbe preferito non tornarci più, decise che il posto migliore per cercare una fuga era alla fine del tunnel dove erano i Dawson. Forse si trovavano così distanti dall’entrata perché avevano trovato un’uscita. Ce ne fosse stata una il padre di Laura lo avrebbe saputo visto che aveva costruito lui quel tunnel. Forse non avevano avuto la forza di uscire. Forse erano rimasti a corto di ossigeno. Forse… Doveva sperare in qualcosa perché non aveva molte opzioni.
Anche se non voleva farlo, mantenne una mano sul muro per avere una guida e adagio poggiò a terra la gamba ferita. Faceva male, ma almeno non aveva ceduto. Iniziò a muoversi lentamente accanto al muro pregando di non venire a contatto con qualche altro abitante del tunnel e sperando che i genitori di Laura gli avrebbero dato qualche risposta.
Luke arrivò al crocevia del tunnel, poteva svoltare a destra lontano dai Dawson o a sinistra proprio dove si trovavano i loro resti. Avrebbe voluto andare dall’altra parte, ma alla fine girò a sinistra.
“Puoi farcela, Luke. Un passo alla volta come dice sempre zio Jesse.”
Riusciva quasi a sentire la voce dello zio pronunciare quelle parole. Gli diedero lo sprone per andare avanti.
Mentre avanzava rallentò il passo. I Dawson erano vicini, poteva avvertire la loro presenza. Poteva vederli chiaramente abbracciati nella morte. Si chiese se si fossero aggrappati alla vita o se si fossero lasciati andare. Come si erano sentiti sapendo che la figlia aveva fatto loro una cosa del genere?
Erano stati lasciati lì al buio. Luke non aveva visto nessuna lanterna. Forse per quello non avevano trovato una via d’uscita. Forse non erano abbastanza forti. Forse erano troppo anziani per opporre resistenza.
Luke pensò ai propri genitori. Aveva di loro dei ricordi vaghi. Ricordi sbiaditi nel tempo o diventati confusi tanto che non sapeva più dire se erano reali o se erano frutto di racconti fatti da altri. Ne sentiva la mancanza ogni giorno e così sarebbe stato per il resto della sua vita. Cos’era andato storto nella famiglia Dawson per fa sì che i genitori finissero sepolti lì sotto per mano della figlia? Erano stati loro i mostri responsabili del loro destino o Laura soffriva di una malattia mentale incontrollabile?
Non era importante. Non cambiava niente per Luke. Era intrappolato in un tunnel alla mercé di una donna disturbata.
Luke rimase dalla parte opposta della parete finché non raggiunse il corridoio. I Dawson erano di fronte a lui. Esausto scivolò seduto. Gli girava la testa. Doveva riposare.
“Eccoci qui.” Disse nell’oscurità. “Spero di non disturbare il vostro riposo, ma non ho scelta. Non penso stiate riposando tranquillamente considerando il posto in cui siete finiti.”
Chiuse gli occhi. Si sentiva meglio con gli occhi chiusi. In qualche maniera così sentiva di avere più controllo. Doveva riposare, ma non per troppo tempo. Non sapeva se o quando Laura sarebbe tornata a cercarlo. Doveva essere preparato. Se davvero ci fosse stata un’uscita, doveva trovarla.
“Vostra figlia ha dei seri problemi.” Disse ancora. “Non vi sto dicendo niente di nuovo, immagino lo abbiate già capito.”
Dopo qualche istante aggiunse “e pensavo fosse preoccupante quando parlavo con me stesso. Adesso sto parlando con persone morte. Almeno non mi stanno rispondendo, ma da come si sta mettendo a breve avremo molto in comune.”
Mentre era seduto iniziò a tastare il pavimento intorno a sé cercando tracce di un’altra botola, ma il pavimento era compatto. Esaminò la parete dietro di lui attento a non avvicinarsi mai troppo ai Dawson. Fosse stato necessario avrebbe controllato solo intorno ai loro corpi e probabilmente avrebbe dovuto farlo davvero.
Rabbrividì togliendosi una ragnatela dalla faccia.
“Semmai uscirò di qui non rimarrò mai più al buio. Bo imparerà a dormire con la luce accesa.”
Luke sentì risalirgli le lacrime quando pensò al cugino. Per un momento sperò che fosse lì con lui, ma non gli avrebbe mai augurato un’esperienza del genere. Né a lui, né a nessun altro. Bo era più di un cugino. Era il suo miglior amico. Erano fratelli in ogni senso del termine. C’era tra di loro una profonda connessione che andava oltre ogni spiegazione razionale. Era un dono prezioso. C’erano volte in cui Luke poteva sentire la presenza di Bo anche se erano distanti. Come quando era in Vietnam. Riusciva a sentirlo anche ora. Era da qualche parte lì vicino a lui. Sapeva che Bo e la sua famiglia lo stavano cercando.
Si asciugò le lacrime. Almeno nessuno poteva vederlo al buio, tanto meno i Dawson ai quali probabilmente non importava niente. Non era tempo di lasciarsi andare. Doveva rimanere lucido. Continuò a tastare la parete alla ricerca di irregolarità sulla superficie. Sulla parte più in alto sentì una forma circolare leggermente sporgente rispetto alla parete. Era una specie di coperchio. Con tutta la forza che aveva tento di girarlo. Dopo qualche tentativo finalmente ci riuscì. Lo rimosse rivelando un piccolo foro di circa dieci centimetri di diametro. Doveva essere un condotto dell’aria.
L’euforia per il suo piccolo successo svanì in fretta quando realizzò che da lì non penetrava né luce né aria. Doveva essere sigillato in superficie. La ventola era bloccata.
Scivolò nuovamente lungo la parete e si lasciò sprofondare nello sconforto. Aveva un bisogno disperato di aiuto. Non si sentiva bene. Gli faceva male la gamba. Sanguinava. Gli girava la testa. Tremava nel buio.
“Bo!” Urlò. “Bo!”
E più sommessamente aggiunse “ho bisogno di te, cugino. Dove sei?”
Disperato appoggiò la testa al muro. Si stava prendendo in giro da solo, non c’era via d’uscita. Doveva vedersela con Laura quando fosse tornata, semmai fosse tornata.
E poi lo sentì. Drizzò la schiena, tutto il corpo in allerta. Non era solo nel tunnel. Lo sentì ancora.
“Luke!” Dove sei, Luke?”
To be continued… |
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Capitolo 23 *** Sei davvero qui? ***
Capitolo ventitré: Sei davvero qui?
Attraverso le tende di pizzo della sua camera da letto, Bo osservò la silhouette di Laura che camminava avanti e indietro. Stava cominciando a perdere la pazienza aspettando che andasse a dormire. Decise che non poteva attendere ulteriormente. Aveva la terribile sensazione che Luke avesse bisogno di lui, doveva trovarlo prima che fosse troppo tardi. Era certo di aver sentito la sua voce. Ed era una voce disperata. Era molto vicino. Doveva entrare in casa e cercare nella dispensa in cucina.
Lentamente iniziò ad avvicinarsi alla casa quando inciampò su qualcosa nascosto dalle foglie cadute a terra. Si inginocchiò e scansò le foglie con le mani. Uno sportello di metallo sporgeva di pochi centimetri rispetto al terreno. Non era sicuro di cosa avrebbe trovato aprendolo, ma valeva la pena tentare. Tentò più volte di allentare il coperchio, alla fine riuscì a rimuoverlo. E lo sentì.
“Bo… Bo… ho bisogno di te cugino. Dove sei?”
Incredulo si mise a sedere sui talloni. La voce di Luke arrivava dal terreno, dal buco che aveva di fronte. Non era la sua immaginazione. Era Luke.
Bo si sporse in avanti: “Luke! Dove sei?”
Luke scrutò il tunnel attraverso il buio cercando di vedere qualcosa. Guardò in alto e vide una piccola variazione nell’oscurità in corrispondenza della presa d’aria. Esitò, non osava sperare.
Incapace di formulare una frase intera, con voce roca chiamò “Bo?”
“Luke, mi puoi sentire?” Chiese Bo elettrizzato per aver sentito la voce del cugino.
“Sei davvero qui, Bo? Non sei frutto della mia immaginazione?” Domandò scettico.
Bo sorrise “sono davvero qui. Stai bene?”
“Sono stato meglio.” Rispose Luke cauto e ancora incredulo. “Dove sei? Non riesco a vedere niente qui.”
“Sono nel giardino di Laura. Ti sto parlando da una ventola… almeno credo sia una ventola. Tu dove sei?”
“In un tunnel.”
“Pensavamo potessi essere nel rifugio antiatomico dei Dawson.”
“Si, è così infatti, ma poi sono entrato in una botola e sono finito in questo tunnel che non arriva da nessuna parte… Bo?”
“Che c’è?”
“Sei davvero lì?” Chiese ancora Luke.
Bo era solo una voce nell’oscurità. Luke non si fidava del suo stesso giudizio, non sapeva più cosa era reale e cosa no. Poteva essere un’allucinazione per quanto ne sapeva.
“Sono davvero qui, Luke.” Rispose Bo con un pizzico di apprensione. “Sono qui e mi dispiace di averci messo tanto, ma non ti lascerò. Stai bene?”
Luke finalmente sorrise “starò bene.”
“C’è un’entrata vicino a te?” Domandò Bo.
Luke sospirò “no, non c’è un’entrata o un’uscita. E’ nero come la pece e non vedo niente, non credo ci sia una via di fuga. Ma io ormai non sono più sicuro di niente. Hai modo tu di scendere?”
“Sto controllando il terreno e non sembra esserci un’apertura. Come sei finito là sotto? Da dentro la casa?”
Luke sospirò ancora “mi dispiace, ma non ricordo. Non so neanche dire dove sia la casa. Credo Laura mi abbia drogato. Non sono di nessun aiuto, scusa.”
“Si, credo tu abbia ragione.” Bo era furioso. “Ti ha drogato e tu non hai niente per cui scusarti. E’ solo colpa di Laura. Penso di sapere dove possa essere l’entrata per il rifugio. Resisti un altro po’. Sarò presto da te.”
“Aspetta, Bo. Non so dove sia Laura. Non è sicuro.”
“E’ nella sua stanza, ormai starà dormendo anche se la luce è ancora accesa. Sto arrivando, tieni duro.”
Bo si alzò e iniziò ad avviarsi verso la casa quando sentì Luke che lo chiamava.
“Ti devi fermare, Bo.” Luke era in preda all’ansia.
“Aspettami, sto arrivando, Lukas. Sto venendo da te.”
“No. Ha una pistola, Bo. Non voglio che ti faccia del male.”
“Farò attenzione. Presto sarò lì.”
Prima che Luke potesse ribattere, Bo si incamminò verso la casa.
“Bo!” Urlò Luke, ma suo cugino ormai era andato via. Per quanto fosse grato che lo avesse trovato, aveva paura che Bo si ritrovasse in pericolo. Ormai sapeva che Laura era capace di qualsiasi cosa. E odiava Bo. Se era stata capace di uccidere i suoi genitori, avrebbe fatto altrettanto con Bo.
Dopo aver girato intorno alla casa, Bo decise che l’accesso più agevole poteva essere quello attraverso una finestra rotta del seminterrato. Doveva solo fare attenzione a rimuovere i vetri rotti. La finestra era molto distante dalla camera in cui si trovava Laura, non avrebbe sentito niente. Il seminterrato conduceva alla cucina. Confidava di trovare l’entrata del rifugio una volta avuto accesso alla dispensa.
Gli ci volle qualche istante per abituarsi al buio dello scantinato. Localizzò le scale. Salì silenziosamente pregando che la porta non fosse chiusa a chiave. Afferrò la maniglia e la abbassò. Con sollievo constatò che si apriva. Entrò in cucina, tutte le luci erano spente. Non poteva rischiare di accenderle. Si arrestò quando le assi del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. Quando si accorse che tutto intorno a lui era silenzio, avanzò verso la dispensa.
Una volta dentro cercò l’interruttore della luce. Chiuse la porta dietro di sé prima di accenderlo. Cercò un accesso. Non vedendo niente né sul pavimento, né sulle pareti, cominciò a rimuovere i contenitori dallo scaffale iniziando dal basso. Spostò il sacco della farina sulla mensola più in alto e per poco non mancò la leva nascosta lì dietro.
La afferrò e tirò con forza non sapendo esattamente cosa aspettarsi. La parete alle sue spalle si aprì lentamente rivelando un passaggio nascosto. Era certo di aver trovato la via per raggiungere il cugino. Notò la lanterna appesa ad un gancio all’entrata. Dopo averla accesa osservò il percorso che aveva davanti. Senza ulteriori indugi si avviò e iniziò la sua ricerca.
Scese con attenzione i gradini di pietra che lo condussero ad un corridoio. Ai lati c’erano delle stanze. Aprì la porta della prima e guardò all’interno. La stanza era vuota. Aprì velocemente anche le altre trovandole tutte vuote.
Alla fine del corridoio giunse all’ultima stanza. Quando vide il lucchetto capì che si trattava del rifugio. Aprì la finestrella e illuminò l’interno. La stanza era ammobiliata, sembrava ci vivesse qualcuno. Non c’era traccia di Luke, ma lui aveva detto di trovarsi in un tunnel.
Bo girò la chiave nel lucchetto e sfilò la barra metallica. Aprì la pesante porta. Una volta all’interno vide la botola al centro del pavimento. Era chiusa.
Si guardò attorno per essere sicuro che Laura non fosse lì. Ispezionò sotto il letto, nel bagno e nell’armadio. Non c’erano né Luke, né Laura.
Quella stanza metteva i brividi, Bo si aspettava quasi che Laura uscisse dal buio urlando. Sperava stesse dormendo nel suo letto, ma la verità era che non sapeva esattamente dove fosse. Non aveva dubbi che fosse capace di azioni irrazionali. Lo aveva ampiamente dimostrato. Luke aveva detto che possedeva una pistola. Per quanto ne sapeva poteva essere con Luke in quel momento. La botola era chiusa, ma poteva esserci un’altra strada. Doveva fare molta attenzione.
Bo girò la maniglia e aprì la botola. Puntò la lanterna verso l’entrata e guardò in basso. Sussurrò “Luke sei qui?”
Non ebbe risposta. Poteva vedere gocce scure sul pavimento. Saltò giù per esaminarle più da vicino. Era sangue ed era fresco. Il cuore di Bo iniziò a battere furiosamente. Era di Luke quel sangue? Era arrivato troppo tardi? Laura lo aveva ferito? Decise di seguire le gocce di sangue.
Guardando verso la fine del corridoio, Bo non riusciva a capirne la lunghezza alla luce della lanterna. Dovette imporsi di non urlare il nome del cugino per non allertare Laura. Rimase in silenzio. Non sapeva cosa avrebbe trovato e non voleva esporre Luke ad ulteriori rischi. Avanzò adagio lungo il tunnel.
Luke vedeva la luce che lentamente diventava più intensa e più vicina. Voleva urlare il nome di Bo, ma non era certo fosse lui. Poteva essere Laura. Con la luce che si avvicinava, i resti dei Dawson riemersero dall’oscurità. Ancora avvinghiati l’uno all’altra.
Luke si raggomitolò nell’angolo, avrebbe voluto fondersi con il muro. Non c’era un posto dove nascondersi o scappare. Chiunque stesse arrivando lo avrebbe visto. Non c’era una via di fuga. Pregò che si trattasse di Bo.
La luminosità della lanterna apparve da dietro l’angolo e lo accecò. I suoi occhi non ebbero il tempo di abituarsi alla luce perché se la ritrovò di fronte all’improvviso. Si schermò il viso con le mani, riusciva a vedere solo una sagoma indefinita mentre cercava di mettere a fuoco.
Bo rimase immobile mentre cercava di elaborare ciò che aveva di fronte. Due scheletri sedevano sul pavimento abbracciati. Quando spostò lo sguardo dietro quei poveri resti, vide Luke seduto a terra che si proteggeva gli occhi.
Capì che Luke non avrebbe potuto vederlo se non avesse diminuito l’intensità della luce. Abbassò la lanterna e disse “va tutto bene, Luke. Sono io.”
Luke abbassò le mani e rilassò il volto “Bo, ce l’hai fatta.”
Alzò la testa e guardò il cugino negli occhi “dov’è Laura?”
“Non ne sono sicuro. Mi auguro stia dormendo nella sua stanza.”
Luke guardò oltre le spalle di Bo. Disse con rinnovata urgenza “non è finita, non finché lei è là fuori. E’ pazza. Chissà cosa potrebbe fare se ti trovasse qui con me. Dobbiamo uscire prima che chiuda di nuovo la botola.”
Bo guardò verso l’ingresso del tunnel, ma era buio pesto. Osservò poi i due scheletri che condividevano lo spazio con loro. Non riusciva a immaginare cosa fosse stato per Luke rimanere là sotto.
Bo indicò con lo sguardo i poveri resti e chiese “chi sono?”
“Non ne sono sicuro, ma credo siano i genitori di Laura. Mi ha detto di aver fatto per loro ciò che era necessario. Penso li abbia segregati qui sotto.”
“Dio mio. Come si può fare una cosa del genere ai propri genitori?”
“Non sta bene.” Riprese Luke “non c’è limite a ciò che potrebbe fare. Dobbiamo uscire alla svelta prima che Laura torni o finiremo seduti qui con loro due per l’eternità.”
“Va bene, cugino. Diamoci una mossa.” Disse Bo alzandosi. Offrì la mano a Luke “andiamo.”
Luke la afferrò, non poté soffocare una smorfia di dolore quando lui lo tirò su in piedi. Gli girò la testa per il movimento repentino. Quando si appoggiò di peso alla parete Bo notò la benda che aveva sulla gamba. Afferrò Luke per le spalle per avere la sua attenzione.
“Cos’hai fatto alla gamba?” Gli chiese.
“Laura mi ha sparato.” Rispose Luke.
“Ti ha sparato?”
“Non credo lo volesse. Ha sparato nel tunnel e il proiettile mi è rimbalzato addosso.”
“E cosa pensava sarebbe accaduto sparando in un posto stretto e limitato da muri?” Bo era in collera. “Fammi vedere.”
Si inginocchiò di fronte al cugino per esaminargli la ferita, ma Luke lo fermò.
“Va tutto bene, Bo. Mi sono bendato e non c’è altro che possiamo fare qui sotto. Andiamocene via.”
Bo si alzò in piedi “va bene, puoi camminare?”
“Credo di aver bisogno di aiuto, ma penso di farcela.”
Luke mise un braccio attorno alle spalle di Bo mentre lui lo sorreggeva in vita. Bo prese la lanterna da terra.
“Pronti?”
Luke annuì. Si incamminarono nel tunnel verso la botola, i sensi allertati per paura di Laura. Quando raggiunsero l’entrata furono sollevati di trovarla aperta. Con un po’ di fortuna avrebbero trovato aperta anche la porta della stanza. Ma c’era una sola via per arrivare alla dispensa. Fossero incappati in Laura, avrebbero dovuto farci i conti. Bo avrebbe fatto qualunque cosa per tenere Luke lontano dalla sua ira.
To be continued… |
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Capitolo 24 *** Ecco la sposa ***
Capitolo ventiquattro: Ecco la sposa
Laura camminò lentamente sul pavimento di legno della sua stanza. Gli eventi delle ultime ore affollavano la sua mente. Ribolliva di rabbia. Aveva fatto tutto quanto in suo potere per proteggere Luke dalla sua famiglia e da sé stesso. Lo aveva salvato dagli abusi che subiva e lui non aveva mostrato riconoscenza. Sapeva che sarebbe stato difficile recidere i suoi rapporti famigliari, ma Luke si era dimostrato fin troppo resistente. Aveva esagerato quando aveva tentato di fuggire.
Luke l’aveva rifiutata, l’aveva tradita. Non lo avrebbe permesso. Non gli avrebbe permesso di abbandonarla. Doveva essere punito più severamente. Gli avrebbe fatto capire quanto aveva bisogno di lei, quanto l’amava. Sapeva che lui l’amava, ma stava giocando sporco. Doveva pagarne le conseguenze. Gli avrebbe dimostrato che lei aveva il controllo. E alla fine avrebbe capito che non avrebbe mai potuto vivere senza di lei. Non sarebbe sopravvissuto senza di lei. In un modo o nell’altro Laura avrebbe trascorso la sua vita con Luke. Sarebbero stati insieme per l’eternità.
Laura tirò fuori la pistola dalla borsa, estrasse il tamburo per vedere quanti proiettili fossero rimasti. Quando vide che era vuoto, scaraventò la pistola addosso all’armadio. Non aveva altri proiettili in casa. La sua rabbia aumentò.
Sussurrò “ci sono altri modi per tenere buono Luke in attesa che lasci andare la sua famiglia. Deve capire che gli ho votato la mia intera vita, è tempo che lui faccia lo stesso con me.”
Laura osservò il proprio riflesso nello specchio antico della sua camera. Prese la spazzola d’argento e se la passò tra i capelli castani, si fermò dopo aver contato cento colpi di spazzola. Le servì per calmarsi. Sapeva esattamente cosa doveva fare, doveva prepararsi.
Aprì l’armadio e passò in rassegna le stampelle esaminando uno a uno i vestiti sotto gli involucri di plastica. Trovò quello che stava cercando nella parte più fonda dell’armadio. Afferrò il vestito e lo adagiò dolcemente sul letto. Era tempo che prendesse il controllo della situazione. Era tempo che avesse il controllo su Luke, prima o poi gliene sarebbe stato grato.
Era accanto al letto indossando solo gli slip, osservava il vestito ancora avvolto nella plastica. Tirò giù la zip con la stessa attenzione che si deve a qualcosa di prezioso. Con amore e delicatezza rimosse lo stesso vestito bianco che la madre e la nonna avevano indossato alle rispettive nozze. Era arrivato anche il suo momento. Lo aveva aspettato per tutta la sua vita. Aveva aspettato Luke tutta la vita.
Si infilò il vestito dalla testa attenta a non scompigliarsi i capelli. Doveva essere perfetta, Luke non le avrebbe mai levato gli occhi di dosso. Si fece scivolare addosso l’abito mentre si ammirava allo specchio. Lo lisciò con le mani. Era bellissimo. Lei era bellissima.
Tornò verso l’armadio ed estrasse un contenitore. Sciolse il nodo del fiocco e rimosse il coperchio. Con delicatezza tirò fuori il velo. Di nuovo di fronte allo specchio, se lo sistemò e lo fissò con dei fermagli ai capelli. Era pronta.
“Che stai facendo Laura?”
Laura sorrise “sto andando a sposarmi.”
“Non puoi fidarti degli uomini, cara. Ti faranno sempre del male. L’unico uomo di cui puoi fidarti è tuo padre.”
Il suo sguardo si indurì “Luke è diverso. Mi ama, mamma.”
“E’ un uomo.” Ribatté Julia Dawson. “Gli interessa solo quello che può avere da te, i tuoi soldi.”
“Posso dargli altre cose.” Rispose Laura sulla difensiva.
“Non vuole altro, cara. Non gli importa niente di te. Gli importa solo dei tuoi soldi. Non avresti dovuto interessarti a qualcuno che non ha il tuo stesso rango sociale. Lui è inferiore a te. E’ povero. Se gli fosse importato di te, non ti avrebbe respinto. Non avrebbe provato a scappare.”
“E’ confuso.” Replicò Laura. “La sua famiglia lo ha sempre controllato. Capirà.”
“Ti ha tradito.”
“No.”
“Ha tentato di fuggire da te.”
Laura scosse la testa “ha detto che si stava solo guardando intorno. Non voleva lasciarmi.”
“Ti ha mentito.” Insistette Julia Dawson. “Ci ha detto che voleva lasciarti.”
“Davvero?” Chiese Laura.
“Devi punirlo. Ti ha ferito e lo farà ancora. Vuole scappare via da te.”
“L’ho chiuso a chiave al buio nel tunnel. L’ho già punito.”
“Non è abbastanza.” Incalzò Julia. “Non è abbastanza.”
Il viso di Laura si indurì “non andrà da nessuna parte. Me ne sono assicurata. Non gli permetterò di andarsene, mamma.”
“Non trascorrerà la sua vita con te, cara.”
Laura annuì “e allora ci passerà l’eternità. Non mi lascerà mai, lo giuro.”
“Fai quello che devi, cara. Fai quello che devi.”
Laura si guardò un’ultima volta allo specchio. Perfetto. Era tutto perfetto. Prese il cuore d’oro spezzato e lo tenne tra le dita. Rimosse poi le rose rosse dal vaso vicino al letto e premette il dito su una spina. Il sangue che fuoriuscì cadde sul ciondolo.
Era pronta. Si voltò e uscì dalla stanza soffermandosi in cima alla grande scalinata. Sorrise e iniziò la sua lenta discesa intonando la marcia nuziale. E’ così che aveva sempre sognato il giorno del suo matrimonio.
Quando raggiunse la cucina, si diresse verso il cassetto vicino al lavandino. Ci rovistò dentro finché non trovò ciò che stava cercando. Osservò il proprio riflesso distorto sui venti centimetri di lama di un coltello da macellaio.
“Questo farà al caso mio.”
Dischiuse la porta della dispensa e fu sorpresa di vedere che la luce era accesa e che il passaggio nascosto era aperto. Era stata una sua dimenticanza. Il comportamento di Luke l’aveva irritata, probabilmente era distratta. Era andata così. Prese la lanterna e non si accorse che l’altra mancava. Accostandosi il coltello al petto iniziò la discesa verso il suo destino intonando ancora la marcia nuziale.
Il suo cuore si fermò quando alla fine del corridoio vide che la porta del rifugio era aperta. Era mai possibile che Luke fosse uscito? Era stata lei a lasciare la porta aperta? Si, probabilmente era stata lei visto che Luke era intrappolato nel tunnel.
Una volta nella stanza vide la botola aperta. Luke non avrebbe potuta aprirla, non era possibile. Non sarebbe potuto uscire di lì da solo. Qualcuno era entrato in casa. Il cuore di Laura cominciò a battere in maniera forsennata. Nessuno le avrebbe rovinato il giorno del matrimonio.
Laura strinse forte il coltello nella mano. Uno dei Duke, quasi certamente Bo, si era introdotto in casa sua per sottrarle Luke. Doveva salvarlo da quella famiglia orribile, doveva salvarlo da Bo. I Duke erano più pericolosi di quanto avesse immaginato. Non mollavano. Non poteva pensare a come lo avrebbero ferito se avessero rimesso le loro mani su di lui. Non lo avrebbe permesso.
Luke le apparteneva, non poteva lasciarlo andare. Non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via. Con rinnovata determinazione entrò nella stanza. Non c’era nessuno, ma sentiva un vociare confuso nel tunnel. Spense la lanterna e si attaccò con la schiena al muro, al buio. Lasciò cadere le rose, ma tenne stretto a sé il coltello. Avrebbe fatto qualunque cosa per salvare Luke.
“Come va, Luke?” Chiese Bo preoccupato.
“Ti dico la verità, Bo. Sono stato meglio.”
“Hai bisogno di riposare?”
Luke scosse la testa con vigore “No. Voglio andare a casa. Portami a casa. Fammi uscire di qui.”
“Contaci.” Rispose Bo tentando di rassicurare il cugino. Arrivarono sotto all’entrata della botola.
Bo domandò “vuoi che ti spinga o preferisci che ti tiri su dall’alto?”
“Penso una spinta sia meglio. Non è molto alto.”
Luke rimase dritto in piedi, non era fermo sulle gambe così Bo lo tenne per le spalle.
“Sicuro di farcela?”
“Non penso di avere scelta. Dobbiamo andarcene prima che Laura ritorni. Se è stata capace di fare quello che ha fatto ai suoi genitori, non oso immaginare cosa potrebbe fare a me e a te.”
Bo sospirò “pensi davvero che abbia rinchiuso i genitori lì sotto?”
“Non riesco a immaginare come potrebbero esserci finiti altrimenti. Continuava a dirmi che ha fatto per loro ciò che era necessario. Prima ce ne andiamo di qui e meglio è. Non voglio trascorrere l’eternità con i Dawson. Dobbiamo uscire prima che chiuda nuovamente la porta.”
“Si, sono d’accordo.”
Bo posò la lanterna a terra. Unì le mani e le offrì al cugino. Luke ci posò sopra il piede della gamba buona e fece leva sulle spalle di Bo per tirarsi su. Bo lo sollevò così avrebbe raggiunto più facilmente l’entrata della botola. Lo spinse tanto forte che per il contraccolpo si ritrovò seduto sul pavimento.
“Hai bisogno di aiuto?” Chiese Luke.
“Ce la faccio.” Rispose Bo.
Luke tirò su le gambe e si mise seduto sul bordo della botola. La coscia iniziò nuovamente a sanguinare. Faceva male. Bo gli passò la lanterna. Quando la appoggiò a terra, sentì qualcosa. Afferrò nuovamente la lanterna e si guardò alle spalle. Non riusciva a credere a cosa aveva davanti agli occhi. Laura si stagliava di fronte alla porta bloccandola, indossava un abito da sposa e aveva in mano un coltello da macellaio con una lama lunga almeno venti centimetri.
Laura sorrise e sollevò il coltello. Si avventò verso Luke.
To be continued… |
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Capitolo 25 *** Un filo sottile ***
Capitolo venticinque: Un filo sottile
Laura osservò Luke emergere dalla botola. Era tornato da lei. Aveva atteso pazientemente e alla fine lui era tornato di sua spontanea volontà. Era tornato per restare. Era pronta. Era tempo per loro di stare insieme.
Luke si voltò di scatto quando udì qualcosa alle sue spalle. Vide prima le rose rosse abbandonate sul pavimento e poi il luccichio delle perline su un lungo abito bianco. Osservò la figura che aveva di fronte. Non riusciva a crederci. Laura indossava un abito da sposa con tanto di velo. La lanterna illuminò il mezzo cuore d’oro frastagliato che pendeva da una catenina tenuta dalla stessa mano che reggeva un coltello da macellaio. Stringeva tanto forte il manico del coltello che le nocche le erano diventate bianche. Il suo sguardo era talmente intenso che avrebbe potuto trapassarlo da parte a parte. Luke non sapeva dire se era uno sguardo d’amore o di odio. Rimase immobile come un animale in trappola.
E poi lei sorrise. Luke capì immediatamente di essere in pericolo. Sapeva che Laura voleva portarlo nel suo mondo, poteva vedere la sua determinazione. Poteva vedere la sua follia. Il filo sottile che la teneva ancora collegata al mondo reale si era spezzato. Non avrebbe potuto più ragionarci. Non si tornava indietro.
Laura sollevò il coltello. Lo voleva morto. Luke appoggiò lentamente la lanterna a terra. Voleva provare a calmarla, ma non ne ebbe modo. Si avventò su di lui urlando e brandendo il coltello. Lui sollevò il braccio per proteggersi dal coltello. Un dolore intenso gli trafisse la spalla destra quando la lama entrò nella carne. Quando Laura tentò di colpirlo una seconda volta, Luke la afferrò per le braccia. Lei gli cadde addosso e finirono entrambi sul pavimento.
“Sei mio!” Urlò Laura mentre Luke lottava per togliersela di dosso. “E’ il nostro tempo. Non combattermi.”
Laura si mise a cavalcioni su di lui cercando di affondargli il coltello nel petto. Doveva colpirlo al cuore così i due mezzi ciondoli d’oro simbolo del loro amore sarebbero rimasti uniti per sempre.
“Smetti di lottare amore mio. Presto sarà finita. E poi ti raggiungerò. Staremo insieme per sempre.”
“Non farlo, Laura.” La supplicò Luke. “Sono qui ora, possiamo stare insieme adesso. Non devi farlo.”
Luke vedeva la lama avvicinarsi. Il dolore alla spalla aumentava e il sangue gli aveva impregnato la camicia. Non aveva la forza per resisterle a lungo. Era già debilitato dalla pallottola nella coscia. Aveva le vertigini. Laura stava vincendo la sua battaglia.
Sembrava si stesse svolgendo tutto al rallentatore, ma in realtà era passata una manciata di secondi. Bo sentì del movimento, quando udì Laura urlare si issò e riemerse dalla botola con un solo balzo. Laura era sopra Luke e cercava di colpirlo con un coltello. Aveva la lama vicina al petto. Non si era accorta della presenza di Bo.
Bo si mise alle sue spalle e la afferrò per le braccia, la allontanò da Luke. Come una furia Laura si girò tentando di colpire Bo con il coltello. Gli agitò la lama di fronte. L’abito da sposa si era sporcato con il sangue di Luke, adesso aveva lo stesso colore delle rose rosse sul pavimento. Aveva i capelli arruffati sotto al velo. Il mezzo cuore d’oro che aveva al collo catturò un bagliore. L’altra metà era attaccata ad una catenina che teneva ancora con la stessa mano che brandiva il coltello. Era furiosa.
Bo fece un passo indietro per tenersi a distanza di sicurezza. Laura era in mezzo tra i due cugini, come un animale cercava di proteggere la sua preda. Luke era sdraiato sul pavimento e respirava a fatica. Aveva la camicia intrisa di sangue. Bo realizzò che Laura gli aveva dato una coltellata. Doveva occuparsi di lui. Doveva neutralizzare Laura. Si avvicinò di un passo a lei.
“Fermo dove sei, Bo Duke.” Gridò Laura. “Non ti lascerò avvicinare a Luke. Non ti permetterò di fargli del male.”
“Non voglio fargli del male.” Rispose Bo con tutta la calma che riuscì a trovare. “Luke ha bisogno di aiuto. Sta sanguinando. Dobbiamo arrestare l’emorragia.”
“Non lo faremo.” Dichiarò Laura. “Sarebbe uno spreco di tempo. Morirà comunque. Moriremo insieme. E staremo insieme per sempre.”
Bo non poteva credere alle sue orecchie. Laura era più folle di quanto avesse immaginato. Tentò di muoversi lentamente attorno a lei.
“Non gli farai del male.” Ribadì ancora furiosamente.
“Non gli farò del male, ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di me.” Ribadì Bo.
“L’unica persona di cui ha bisogno sono io.” Urlò Laura brandendo il coltello. “Stai alla larga. Non me lo porterai via.”
Bo alzò le mani in segno di resa “Ok Laura. Non te lo porterò via. Ho capito che appartenete l’uno all’altra. Non ti combatterò. Voglio solo aiutarlo e voglio aiutare te. Voglio che vuoi due stiate insieme.”
“Non vuoi aiutarmi. Tu vuoi fare del male a Luke. Tutta la vostra famiglia vuole fargli del male. Lo avete fatto per tutta la sua vita.”
“Ti sbagli, Laura. Sono felice per Luke. Sono felice che finalmente si sia allontanato da zio Jesse. Ti sono grato per averlo salvato.” Bo stava cercando di rimanere calmo. “E’ stata tutta colpa di zio Jesse, non mia. Non ho mai voluto ferire Luke. Te lo giuro. Voglio aiutarvi a stare insieme.”
“Perché dovrei crederti.” Laura era scettica.
“Chiedilo a Luke. Te lo dirà lui.” Rispose Bo.
Laura si avvicinò a Luke e gli puntò il coltello. Domandò “è vero, amore mio? Bo sta dicendo la verità?”
“Si.” Ansimò Luke. Aveva capito cosa stava facendo il cugino. Pregò che funzionasse. Non era in condizione di aiutarlo in nessun altra maniera. “E’ sempre stata colpa di zio Jesse. Non ci ha mai voluti, nessuno di noi tre. Ci ha sempre negato la libertà. Ci ha sempre fatto del male. Bo vuole aiutarci.”
Laura era confusa. Non sapeva più cosa pensare. Forse Bo poteva davvero aiutarli.
Bo si chinò e raccolse il bouquet di rose rosse “voglio vedervi sposati. Così zio Jesse perderà finalmente il suo potere su di lui. Luke avrà bisogno di un testimone, giusto? Vorrei stare al suo fianco mentre vi scambiate le promesse nuziali. Significherebbe molto per me. Significherebbe molto per Luke.”
“Per favore, Laura.” Sussurrò Luke. “Fallo per me ti prego. Sarà il tuo regalo di nozze per me.”
“Non lo so…”
“Ti prego.” Ripeté Luke. “Non ti chiederò mai più niente.”
Luke faticò ad alzarsi. Si mise seduto e guardò intensamente Laura “voglio che il nostro matrimonio sia speciale. Io ti amo.”
Laura si avvicinò di un altro passo, il coltello sempre teso. Ora sovrastava Luke.
“Aspetta.” Si intromise Bo cercando di mantenere la calma. “Hai bisogno delle rose. Ogni sposa deve avere un bouquet di rose rosse, simbolo di passione e amore eterno.”
Bo offrì le rose a Laura. Lei esitò un attimo prima di prenderle. Non appena le ebbe prese, Bo le afferrò il polso che reggeva il coltello. La allontanò da Luke e le schiacciò con forza la mano sull’armadio. Il coltello cadde e lei iniziò a urlare. Bo la scaraventò sul letto e la tenne ferma mentre lei continuava a scalciare. Aveva più forza di quanto pensasse.
Luke afferrò una sedia e la usò per tirarsi su. Doveva aiutare il cugino. Si avvicinò al letto.
“Bo…”
“La tengo, Luke. Tu prendi il coltello.”
Luke localizzò il coltello sul pavimento. Si chinò a fatica e lo raccolse.
“Esci di qui, vai nel corridoio.” Ordinò Bo.
“Non ti lascerò da solo con lei.”
“Ti seguirò subito. Andiamo, Luke. Devo saperti al sicuro prima di mollare la presa su di lei.”
Luke arrancò verso la porta. Non avrebbe mai pensato che sarebbe uscito vivo di lì. Raggiunse il corridoio e si appoggiò di peso alla parete.
Bo si sollevò, tenendo però ancora salda la presa su Laura. Si guardò alle spalle per accertarsi che Luke fosse uscito. Lasciò Laura e corse verso la porta. Laura gli corse dietro. Bo le chiuse la porta in faccia.
“Non puoi farmi una cosa del genere.” Strillò Laura prendendo a pugni la porta. “Non puoi rinchiudermi qui dentro. Non te lo permetto. Fammi uscire.”
Le gambe gli cedettero e Luke scivolò a terra. Bo gli fu vicino immediatamente e lo sorresse.
“Ti tengo io, cugino. E’ finita… è finita. Come stai?”
“Non tanto bene.” Rispose Luke con una smorfia.
“Dobbiamo andare in ospedale. Pensi di poter camminare?”
Luke guardò preoccupato verso la porta dove Laura continuava ad urlare.
“Non puoi portarmelo via! Non puoi. Lui è mio!”
Bo si voltò bruscamente “smettila. Non ti avvicinerai mai più a Luke. Me ne accerterò. Dovrei chiuderti qui dentro e gettare via la chiave.”
“Ti salverò, Luke. Non permetterò che ti facciano del male.” Continuò Laura.
Bo chiuse la finestrella sulla porta per non sentire più il suo delirio. Ne aveva avuto abbastanza di lei. E a giudicare dall’espressione sul suo volto, era lo stesso anche per Luke. Gli si inginocchiò accanto.
“Pensi di farcela se ti appoggi a me.” Chiese ancora.
“Non credo. Ho le vertigini. Non mi sento bene.”
“Ok, tu rimani qui. Vado a cercare aiuto.” Disse Bo alzandosi in piedi.
“No, non andartene.” Luke gli afferrò un braccio.
“Tornerò con zio Jesse e Daisy.” Insistette Bo prendendo la lanterna.
“Non abbandonarmi qui con lei.” Lo supplicò Luke.
“Non può uscire di lì. Lo sai. Non ti si avvicinerà mai più.”
“Non sono convinto, Bo. Se c’è una via d’uscita lei la conosce di sicuro. Non rimarrò qui seduto ad aspettare che ritorni.”
Bo si inginocchiò nuovamente. Luke si aggrappò al suo braccio. Era pallido e respirava a fatica. Aveva perso molto sangue. Doveva portarlo fuori di lì alla svelta, ma poteva fargli ancora più male se avesse provato a farlo muovere. Avrebbe dovuto aspettare lì seduto.
Gli posò una mano sulla nuca e gli scansò una ciocca di capelli dalla fronte. Lo guardò negli occhi “ascoltami, Lukas. Devi andare in ospedale. Sei ferito seriamente, non provare a negarlo. Non puoi camminare e non posso correre il rischio di farti ancora più male. L’interno della casa è ad un paio di minuti da qui. Correrò e cercherò aiuto. Tornerò in meno di cinque minuti. Te lo prometto, va bene?”
“Ok.” Sussurrò Luke.
“Andrà tutto bene.”
Bo si rimise in piedi e cominciò a correre quando Luke lo fermò “prendi la lanterna.”
“Sei sicuro?”
“Farai prima se vedi dove vai.” Disse Luke rabbrividendo mentre guardava verso la porta. Poteva ancora sentire le urla di Laura. “Fai in fretta.”
Bo sorrise “farò prima che posso.”
Bo prese la lanterna e corse lungo il corridoio. Luke lo osservò allontanarsi mentre le tenebre lo avvolsero ancora una volta. La luce sempre più lontana, svanì definitivamente.
Di nuovo al buio Luke chiuse gli occhi e poggiò la testa al muro. Gli arrivavano distinte le urla di Laura. Rabbrividì e si mise con attenzione ad ascoltare eventuali rumori che indicassero che la porta si stava aprendo.
E poi fu silenzio. Non sentiva più Laura. Sentiva solo il battito del suo cuore. Il silenzio lo allertò ancora di più. Non poteva vedere niente. Non riusciva a mettere a fuoco niente. Gli girava la testa. Le pareti gli si stringevano addosso. Era tornato in quel tunnel buio e stretto che passava sotto ad un villaggio vietnamita. Era circondato da trappole esplosive, ragni, serpenti e cadaveri. I Vietcong erano vicini. Erano sempre presenti anche quando non li vedevi. Erano come fantasmi.
Ma non era in Vietnam o almeno così credeva. Non era sicuro di niente. Non sapeva dove si trovava. Stava diventando difficile pensare lucidamente.
Stava aspettando Bo, aveva detto che sarebbe tornato.
“Cinque minuti.” Bisbigliò Luke. “Tornerà entro cinque minuti. Non è molto tempo, tra poco sarà qui.”
Ma era difficile rimanere lucido. Il cuore gli martellava nel petto e respirava affannosamente. Aveva bisogno della luce, anche poca. Laura era chiusa nel rifugio. Lei aveva una lanterna. Se avesse aperto la finestrella avrebbe avuto un po’ di luce. Qualunque cosa pur di non rimanere al buio.
“Mi aiuti sergente.”
Luke si drizzò e si mise in ascolto. Uno dei suoi uomini lo stava chiamando.
“Sergente!”
“Dove sei?” Urlò Luke.
“Dietro la porta.” Rispose Laura.
Luke a fatica si mise in piedi. Aveva la porta di fronte. Attraversò il corridoio e ci finì addosso. Cercò a tastoni la finestrella. Lentamente la aprì. Non ebbe la prontezza di ritirarsi perché una mano gli afferrò il polso.
“Aiutami, Luke.” Lo supplicò Laura. “Stanno venendo per me. Mi faranno male. Aiutami.”
Luke guardò la mano che gli serrava il polso. Tutti e due i cuori spezzati pendevano dalle dita di Laura uniti in un inestricabile nodo.
“Stanno venendo a prendermi, li sento nel tunnel. Non avresti mai dovuto aprire la botola, li hai liberati.”
“Sono nel tunnel?” Chiese Luke.
“Stanno arrivando.” Si disperò Laura. “Aiutami.”
Le sue unghie affondarono nella carne di Luke, gocce di sangue sporcarono i ciondoli d’oro. Luke cercò di sottrarsi alla sua presa, ma non aveva la forza.
La paura e la disperazione avevano preso il sopravvento in Laura.
“Aiutami, sergente.”
Luke posò la mano sulla chiave. Non riusciva a pensare lucidamente. Non sapeva cos'era reale e cosa no. Si trovava in Vietnam chiuso in un tunnel con uno dei suoi uomini che lo implorava di aiutarlo. Non poteva certo negargli il suo aiuto. Lentamente girò la chiave.
To be continued… |
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Capitolo 26 *** Lo sapevo che mi amavi ***
Capitolo ventisei: Lo sapevo che mi amavi
Bo cercò affannosamente il telefono all’interno della cucina. Spostò qualunque cosa sui ripiani, ma non lo trovò. Non era attaccato al muro. Corse per il corridoio accendendo le luci e cercando in ogni stanza. Andò verso le scale e fece i gradini due alla volta, forse ce n’era uno nella camera da letto di Laura. Spalancò la porta rischiando di farsi colpire dal suo rimbalzo. Non c’era il telefono neanche lì.
“Com’è possibile che non abbia il telefono.” Disse a voce alta esasperato. “Resisti, Luke. Resisti.”
Riprese le scale al contrario e scese. Esitò qualche istante tentando di capire cosa fare. Sapeva che Luke aveva bisogno di lui, ma doveva cercare aiuto. Alla fine decise, corse fuori e si diresse verso il Generale Lee.
Saltando sul cofano, coprì più velocemente la distanza. Afferrò il microfono della ricetrasmittente “pecora smarrita a pastore. Rispondi per favore.”
“Qui pastore. Stiamo arrivando insieme a Enos, Rosco e un mandato di perquisizione.”
“Zio Jesse, ho trovato Luke.”
“Grazie a Dio.” Rispose Jesse. “Sta bene?”
“E’ ferito. Deve andare in ospedale.”
Enos si intromise “chiamo un’ambulanza e la faccio arrivare dai Dawson.”
“E’ grave?” Chiese Daisy impaurita.
Bo rispose con voce incerta “Laura gli ha sparato a una gamba prima che lo raggiungessi. Abbiamo lottato con lei e lo ha accoltellato ad una spalla. E’ veramente matta.”
Jesse insistette “è molto grave?”
“Non lo so, zio Jesse. Sanguina parecchio, ma è stato in grado di alzarsi ed è vigile. Non può camminare ed avevo paura di peggiorare la situazione se avessi provato a spostarlo così l’ho lasciato nel tunnel.”
“Che tunnel? Dov’è adesso?” Chiese ancora Jesse.
“E’ nel seminterrato della casa in un tunnel che porta al rifugio antiatomico.”
“Lo aveva segregato nel rifugio?”
“Ascolta, zio Jesse. Non posso spiegarti adesso. Devo tornare da lui, ha bisogno di me. Gli ho detto che sarei stato via solo cinque minuti e sono già passati. Quando arrivate andate in cucina, vedrete la porta della dispensa aperta. Da lì si accede al tunnel. Seguite il corridoio fino alla fine. Io e Luke vi aspetteremo lì. Fate presto.
“Saremo lì tra pochi minuti. Bo, dov’è Laura?”
Ma Bo era già andato via. Stava correndo verso la casa, stava correndo da Luke.
“Aiutami, Luke.” Implorò Laura. “Aiutami, stanno arrivando. Mi faranno del male.”
Luke girò la chiave con la mano libera. Laura gli teneva ancora stretta l’altra. Nei suoi occhi poteva leggere tutta la sua paura.
“Stanno arrivando, Luke. Non li senti? Ti prego aiutami.”
Luke sentì rumori in lontananza. Qualcuno stava arrivando. C’era qualcun altro nel tunnel con loro. I tunnel erano posti pericolosi, erano pieni di trappole e insidie nascoste nel buio. Dovevano andarsene prima che il nemico li trovasse, prima che le pareti si chiudessero sulle loro teste. Sfilò la barra di metallo che serrava la porta.
“Non permetterò che ti facciano del male.” Sussurrò Luke. “Usciremo di qui.”
Quando aprì la porta, Laura gli lasciò andare il polso. Spinse con forza la porta scaraventandolo sulla parete opposta. Mantenne l’equilibrio a fatica, gli girava la testa. Laura era di fronte a lui con il suo abito da sposa sporco di sangue. Riusciva vagamente a metterla a fuoco, sembrava un fantasma. Non sapeva dire se era reale oppure no.
Quando Luke alzò un braccio per capire se poteva toccarla, lei gli prese la mano e se lo tirò appresso nel rifugio. Disse “non abbiamo molto tempo, amore mio. Possiamo ancora scappare prima che arrivino a prenderci.”
Luke sentiva passi pensanti in avvicinamento. Apparve una luce, qualcuno stava arrivando. Laura aveva ragione, la seguì nel rifugio. Laura vide il coltello sul pavimento, lo raccolse e chiuse la porta.
Bo si mise a correre quando sentì il rumore della porta che si chiudeva. Quando la luce della lanterna illuminò un corridoio vuoto, urlò “dove sei Luke?”
Laura rimase immobile nello spazio tra la porta e la botola. Era circondata. Non c’era via di fuga. Poteva sentire i suoi genitori arrivare dal tunnel di sotto e Bo che si avvicinava nel corridoio. La porta si stava per aprire. Doveva fare qualcosa.
La voce di Bo riportò Luke alla realtà. Laura era di fronte a lui e impugnava il coltello. Bo apparve alle sue spalle. Laura guardò prima l’uno e poi l’altro. Supplicò Luke con lo sguardo.
“Vieni con me, amore mio. Trascorreremo insieme l’eternità. Non lasciare che ci impediscano di essere felici. Presto sarà tutto finito. Seguimi, io ti aspetterò.”
Laura sollevò il coltello sopra la sua testa, puntando la lama verso il proprio addome. Con tutta la forza che gli era rimasta, Luke si avvicinò a lei di un passo. La donna che aveva di fronte stava per morire. Ormai aveva perso del tutto la precaria connessione che aveva con la realtà.
“Aspetta, Laura. Non devi farlo.”
Laura scosse la testa con veemenza “non ho scelta. Non posso stare qui, noi non possiamo stare qui. Vieni con me, nessuno ci farà più del male. Finalmente staremo insieme.”
Avvicinò la lama al proprio petto. Luke accorciò ancora un po' le distanze. Quando Bo fece lo stesso, Laura gridò “stai lontano.”
Luke si rivolse a Bo “rimani dove sei. Non ti riguarda. Io e Laura dobbiamo fare quello che è necessario per stare insieme.”
Laura guardò Luke e sorrise “sapevo che saresti rinsavito e avresti abbandonato la tua orribile famiglia. Sapevo che avresti capito quanto ti amo e quanto tu ami me.”
Luke continuò ad avvicinarsi a lei senza staccare gli occhi dalla lama del coltello. Se la teneva ancora pericolosamente vicina al petto.
“Verrai con me? Non possiamo più rimanere qui. Non ci lascerebbero stare insieme. Non ci lascerebbero mai in pace.”
“Verrò con te.” Disse Luke con tono calmo. “Dammi il coltello per favore.”
“Solo quando avrò finito, amore mio.” Laura sorrise e sollevò nuovamente il coltello.
“No! Non è giusto che tu vada per prima. Dammi il coltello, fammi fare le cose per bene. Devo prendermi cura di te adesso. Fammi essere il primo. Voglio dimostrarti il mio amore.”
Laura non stava in sé dalla gioia. Finalmente era andato da lei di sua spontanea volontà. Era pronto. Lei era pronta.
“Lo sapevo che mi amavi.” Sussurrò passandogli il coltello con mano tremante.
Luke lo afferrò. Laura non gli tolse mai gli occhi di dosso. Bo si spostò silenziosamente e prese il coltello dalle mani di Luke.
“E’ finita. Lascia che ti aiuti adesso.” Disse Luke.
Laura guardò Bo con rabbia quando realizzò che era di fianco a Luke. Adesso ce l’aveva lui il coltello, Luke non aveva nessuna intenzione di usarlo. L’aveva tradita ed era stata tutta colpa di Bo. Sarebbe andato tutto bene se lui non fosse tornato. Si avventò su Bo e lo colpì al petto con un pugno. Luke la afferrò per la vita e per allontanarla dal cugino cadde a terra con Laura tra le braccia. Mantenne ferma la presa mentre lei iniziava a piangere.
“Nessuno ti farà del male, Laura.” Disse Luke con voce gentile. “Sei in salvo adesso.”
“Tu mi ami.” Singhiozzò prendendo i due cuori spezzati in mano. Visto? Sono di nuovo uniti.” Si rilassò tra le braccia di Luke, aveva smesso di lottare.
Incredulo intervenne Bo “lascia che la prenda io.”
“Va tutto bene, Bo.” Bisbigliò Luke. “E’ finita. Non oppone più resistenza. Ha bisogno di aiuto, deve andare in ospedale.”
“Devi andarci anche tu grazie a lei.” Ribatté con rabbia Bo.
“Non sapeva cosa stava facendo.” Disse Luke dolcemente.
Jesse, Daisy e Rosco comparvero all’improvviso, rimasero scioccati nel vedere Laura vestita da sposa nelle braccia di Luke. Si avvicinarono immediatamente.
“Ha bisogno di aiuto.” Disse Luke rivolto a Rosco.
“E’ ferita?” Rispose lo sceriffo notando il sangue sul vestito di Laura.
“Non è ferita. E’ lei che ha ferito Luke. Quello è il suo sangue.” Spiegò Bo. “Gli ha sparato e lo ha accoltellato. E giù nel tunnel troverete i suoi genitori. Credo li abbia rinchiusi lei. E’ matta.”
Rosco guardò Bo incredulo. Se non avesse visto con i suoi occhi quel posto e Laura con indosso un abito da sposa, non avrebbe mai creduto a quella storia.
Intervenne Jesse “allontaniamola da Luke. Sembra inoffensiva adesso, ma sarà meglio che tu le metta le manette, Rosco. Potrebbe perdere nuovamente il controllo. Non sappiamo di cos’altro sarebbe capace.”
Bo e Rosco aiutarono Laura ad alzarsi. Non sembrava si rendesse conto di cosa stava succedendo. Aveva uno strano sorriso. Sembrava stesse guardando qualcosa che solo lei poteva vedere.
Jesse e Daisy si inginocchiarono accanto a Luke. Jesse gli posò una mano sulla nuca e lo attirò a sé abbracciandolo. Non voleva fargli male, ma aveva bisogno di tenere il nipote tra le braccia.
“Stai bene, ragazzo mio?”
“Sto bene adesso che sei qui.”
Jesse si staccò da lui a malincuore “Enos è di sopra, sta aspettando l’ambulanza. Sarà qui da un minuto all’altro. Devi andare in ospedale.”
Luke osservò Rosco portare via Laura “dove la sta portando?”
“In ospedale probabilmente.” Rispose Jesse.
Daisy prese il cugino per mano “non ti preoccupare per lei, tesoro. Non può più farti del male. Ci prenderemo cura noi di te adesso.”
Enos entrò nella stanza con i paramedici i quali si avvicinarono a Luke mentre Jesse, Bo e Daisy fecero spazio. Si abbracciarono, per fortuna erano arrivati in tempo. C’era mancato davvero poco perché Laura portasse a termine il suo piano.
Dopo aver pulito le ferite di Luke e aver applicato garze sterili, i paramedici lo sistemarono su una barella. Avrebbero raggiunto il Tri-County Hospital. Luke afferrò Bo per un braccio “grazie di avermi salvato. Non so come hai fatto, ma grazie.”
“Ti abbiamo trovato tutti e tre insieme.” Rispose Bo osservando prima lo zio e poi la cugina. “Ma Luke…”
“Cosa c’è?”
“La prossima volta che ti dico che una ragazza porta guai, dammi retta.”
Luke sorrise “contaci.”
“Ti seguiamo in ospedale.” Assicurò Jesse dando una leggera pacca al nipote. “Cerca di riposare. Ci vediamo lì.”
Luke annuì riluttante a lasciar andare il braccio di Bo. Si abbandonò alla stanchezza e chiuse gli occhi, il buio non gli faceva più paura.
To be continued… |
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Capitolo 27 *** Non hai mai avuto nessuna possibilità ***
Ho iniziato a tradurre questa storia la bellezza di 16 anni fa. Non so proprio perché ad un certo punto l’ho abbandonata. Forse avevo perso l’entusiasmo o la voglia o l’interesse, chi lo sa. Mi è ricapitata sotto agli occhi per caso un paio di mesi fa e vederla così incompleta mi ha spezzato il cuore. L’ho ripresa in mano e nel giro di pochi giorni l’ho portata a termine. Lo dovevo alla meravigliosa autrice Gia August e alle splendide commentatrici di un tempo che ho mollato di punto in bianco senza una spiegazione. Spero ci sia ancora in giro qualcuno che ha voglia di leggere questa storia. Ringrazio tutti coloro che l’hanno letta e tutti coloro che la leggeranno in futuro. Lella
Capitolo ventisette: Non hai mai avuto nessuna possibilità
Luke era come sospeso nel nulla, si guardò intorno cercando di capire dove si trovava, ma non c’era niente di famigliare intorno a lui. Ad un tratto vide un muro di oscurità avvicinarsi. Si voltò e iniziò a correre solo per ritrovarsi quello stesso muro di fronte. Qualunque strada prendeva, il muro era lì sempre più vicino. Sfinito, rimase immobile.
Scrutò nel buio cercando disperatamente qualche variazione, un barlume di luce che potesse indicargli la via d’uscita. Ma l’oscurità lo circondava e si faceva sempre più vicina. Lo avvolgeva, gli alitava addosso, lo toccava, lo stava divorando. Era solo nelle tenebre.
Il cuore gli batteva forte, sentiva una stretta al petto. Il fiato gli divenne corto quando realizzò che l’oscurità era dentro di lui. Non poteva scappare da nessuna parte.
“Aiutami, Luke… aiutami, Luke…”
Sentiva voci che lo chiamavano. Arrivavano da lontano, lo supplicavano. Erano voci famigliari ma non sapeva a chi appartenessero. Sentì le voci di Bo, di Daisy e di zio Jesse. E quella di zia Martha. Riconobbe le voci dei genitori. Quelle dei suoi compagni d’armi. E ce n’erano tante altre che non distingueva. E sentì Laura che implorava il suo aiuto.
“Aiutami, Luke. Stanno venendo a prendermi.”
“Dove sei?”
“Sono qui, aiutami.” Singhiozzò Laura.
“Non riesco a trovarti.” Urlò disperato Luke. Avvertiva la sua presenza, ma non poteva toccarla.
“Aiutami…” La voce di Laura si faceva sempre più distante.
“Sono qui. Non riesco a vederti.” Rispose Luke.
“Sapevo che saresti venuto per me. Sapevo che mi amavi. Io lo sapevo…”
La voce di Laura svanì. Sembrava fosse stata inghiottita dalle tenebre. Non l’aveva salvata, aveva fallito.
“Laura!” Gridò Luke saltando nel letto.
Bo si alzò di scatto dalla sedia e si avvicinò al cugino, gli mise le mani sulle spalle per calmarlo.
“Piano, Luke. Era solo un sogno. Va tutto bene.” Sussurrò. “Mettiti giù prima di farti male.”
Confuso, Luke osservò il cugino “dov’è Laura?”
“Non ti devi preoccupare di lei. Non ti farà mai più del male.”
“Dov’è? L’ho sentita che mi chiamava.”
Bo scosse la testa mentre aiutava Luke con i cuscini. “Stavi sognando. Non è qui. Smetti di pensare a lei.”
Luke chiuse gli occhi per un momento, fece una smorfia di dolore massaggiandosi la spalla. Quando li riaprì domandò "dove l’ha portata Rosco?”
“Non devi preoccuparti di lei.” Insistette Bo.
“Per favore, Bo. Ho bisogno di sapere cosa le è successo.”
“Perché? Per quanto mi riguarda avremmo potuto rinchiuderla in quel tunnel con i suoi genitori. Sarebbe stata la giusta punizione.” Bo era arrabbiato. E più pensava a quello che Laura aveva fatto a Luke, più la sua rabbia aumentava.
Luke rabbrividì ripensando al terrore che aveva provato quando era stato rinchiuso al buio con i resti dei Dawson. Sospirò “non augurerei niente del genere a nessuno. Neanche a lei.”
“E invece è proprio quello che si meriterebbe. Ti ha quasi ammazzato.”
“Ma non l’ha fatto. Non sapeva cosa stava facendo, Bo.”
“Dici che non lo sapeva?” Bo era incredulo. “Lo sapeva eccome. Ha pianificato tutto dal momento in cui ti ha drogato a quando ti ha accoltellato.”
“Non era in sé. Credo le sia successo qualcosa di brutto in passato.”
Esasperato, Bo gridò “Lukas, non posso credere che tu sia dispiaciuto per lei e che la stia giustificando. Non mi interessa sapere cosa le è successo in passato. Non ci sono scuse per ciò che ti ha fatto. Ha fatto patire le pene dell’inferno a noi tutti, a te specialmente.”
“Che sta succedendo? Che sono queste urla?” Chiese Jesse entrando nella stanza con Daisy al suo fianco. “Ti si sente dal corridoio.”
“Zio Jesse, Luke è dispiaciuto per Laura e la sta giustificando. Riesci a crederci? Dopo tutto quello che abbiamo dovuto sopportare, lui si preoccupa di sapere lei ora dov’è.”
Daisy si avvicinò al letto di Luke. Gli posò un bacio sulla fronte e si accertò che non avesse la febbre. Gli spostò una ciocca di capelli “non ti preoccupare per lei, tesoro. Pensa solo a rimetterti in piedi in fretta.”
Jesse sorrise, i suoi ragazzi erano così prevedibili. Daisy aveva assunto il ruolo protettivo, il suo era un fare materno. Anche Bo aveva assunto lo stesso ruolo protettivo, ma lui lo esternava con la rabbia rivolta alla persona che aveva ferito il cugino. Un po’ di quella rabbia era indirizzata anche a Luke dal momento che lui domandava della sua carnefice. E Luke era il protettore per eccellenza delle persone in difficoltà. Si occupava da sempre dei cugini più giovani. I suoi anni nel corpo dei Marines avevano intensificato la sua necessità di proteggere gli altri. Era suo dovere, credeva di essere responsabile per le vite dei suoi uomini. Jesse capiva e condivideva la rabbia di Bo nei confronti di Laura, ma capiva anche il bisogno radicato in Luke di aiutare chi aveva bisogno.
“Zio Jesse, ti pare possibile che Luke sia preoccupato per Laura?” Bo era un po’ più calmo ora.
“Si, Bo.” Rispose Jesse. “Non mi sarei aspettato niente di diverso da Luke. Lui è fatto così, quindi lascialo stare.”
“Beh, a me sembra una follia.” Disse Bo mettendo il broncio.
Jesse gli diede una pacca sulla spalla e lo superò raggiungendo il letto di Luke. Gli passò una mano dietro il collo “come ti senti ragazzo mio?”
“Indolenzito e stanco, ma a parte questo sto bene.”
“Il dottor Appleby dice che ti serviranno un paio di settimane per ristabilirti quindi rimani tranquillo e non forzare i tempi.” Disse Jesse con tono severo. “Fai le cose per bene o ti prenderò sulle mie ginocchia, sai che ne sarei capace.”
“Ho capito, ho capito.” Il sorriso di Luke svanì quasi subito. Esitò un istante prima di chiedere “zio Jesse, cosa è successo a Laura? Ho bisogno di sapere che sta bene.”
Bo scosse la testa e iniziò a protestare “Luke…”
Jesse fece segno a Bo di tacere “l’ultima cosa che so, figlio mio, è che è stata portata in un ospedale di Capitol City dove si prenderanno cura di lei. Non sembrava avere coscienza di sé.”
“Un ospedale psichiatrico?” Chiese Luke.
Quando Jesse annuì, domandò ancora “cosa le è successo? So che non stava bene, ma non ho mai conosciuto nessuno nelle sue condizioni.”
Jesse assentì “il dottor Appleby ha provato a spiegarmi qual è il suo disturbo.”
“E? ...” Lo incoraggiò Luke.
“Si chiama erotomania. La persona che ne è affetta si convince che qualcuno che neanche conosce si sia innamorato di lei. E niente la convince del contrario neanche quando l’oggetto del suo desiderio, tu Luke, le dice che si sbaglia. Non ha importanza per lei. E’ presa totalmente dal suo delirio. Può dare il via ad episodi di stalking o spingersi oltre come ha fatto Laura.”
“Quindi ha una malattia mentale?” Luke chiese più a se stesso che come domanda vera e propria.
“Secondo Amos Appleby si tratta di schizofrenia. Questo spiega tutto.”
“Si è scusata per quello che ha fatto?” Intervenne Bo scettico.
“Non parla.” Rispose Jesse. “Amos dice che si trova in uno stato catatonico da quando è stata arrestata.”
“Che significa?” Chiese Daisy.
“Non è consapevole di cosa le accade intorno. Non ha più detto una parola.”
Luke affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi cercando di assorbire tutte quelle informazioni. Ecco perché Laura si comportava in quel modo. Non cambiava niente di ciò che aveva fatto, ma quella spiegazione lo aiutava a capire.
Jesse accarezzò il braccio del nipote. Chiese preoccupato “Luke senti dolore?”
Luke aprì piano gli occhi “no, zio Jesse. Avrei voluto aiutarla, avrei dovuto fare qualcosa per lei.”
“Non avresti potuto fare niente, Luke. Non hai mai avuto nessuna possibilità. Non potevi conoscere il suo stato emotivo.”
“Se lo avessi saputo avrei potuto fare qualcosa.”
Jesse scosse la testa “qualunque cosa le è successa risale a molti anni prima che lei ti incontrasse.”
“Pensi che abbia ucciso i suoi genitori?” Domandò Luke.
“Così sembra.”
“Cosa le potranno mai aver fatto di male per finire così i loro giorni?”
“Non lo so, Luke. Forse Laura è nata così o forse le è accaduto qualcosa. In ogni caso non avresti potuto farci niente.”
“Potrei fare qualcosa adesso.”
“No, Luke.” Rispose fermo Jesse. “Non puoi. Adesso è nelle mani di medici e delle forze dell’ordine. Non è solo quello che ha fatto a te. Ci sono anche i suoi genitori.”
“Avrei dovuto capire che aveva bisogno di aiuto.”
“Non hai mai avuto nessuna possibilità.” Ripeté Jesse.
Luke sospirò “perché proprio io?”
Jesse alzò le spalle “forse le hai sorriso. Secondo Amos sarebbe stato sufficiente.”
Bo si sedette sul bordo del letto attento a non urtare la gamba di Luke. Sorrise “i gusti sono gusti.”
“Già.” Luke gli restituì il sorriso. “Non me la prenderò la prossima volta che una ragazza guarderà te e non me.”
Bo rise di cuore.
Daisy si abbassò e baciò Luke sulla guancia “sono felice che Laura sia sorvegliata a vista lontano da qui. Dovrò cominciare a tenerti d’occhio d’ora in avanti quando verrai al Boar’s Nest.”
“Si, lo farò anche io.” Convenne Bo.
“Avete ragione.” Concordò Luke.
“E io dovrò tenere d’occhio tutti e tre.” Si intromise Jesse. "Non posso distrarmi un attimo che uno di voi o due di voi o tutti e tre finite nei guai. Pensavo che invecchiando avrei avuto una vita più tranquilla.”
Quando si accorse che Luke cominciava con fatica a tenere gli occhi aperti, Jesse si alzò “hai bisogno di dormire, figlio mio. Sarà meglio andare a casa, così potrai riposare.”
Daisy si alzò controvoglia. Baciò ancora il cugino “porterò un po’ delle tue cose per farti stare più comodo. Chiamami se ti viene in mente qualcosa di particolare.”
“Grazie.”
Jesse si protese in avanti e abbracciò il nipote “cerca di riposare.”
“Sissignore.”
Bo si rivolse allo zio “rimango qui con Luke finché non si addormenta. Vi raggiungo più tardi.”
“Non farlo stancare.” Si raccomandò Jesse. “Sbrigati a tornare a casa, hai bisogno anche tu di riposo.”
Quando Jesse e Daisy uscirono dalla stanza, Bo tornò a sedere sulla sedia accanto al letto del cugino. Allungò una mano per spegnere la luce, ma Luke lo fermò “lasciala accesa.”
Bo annuì comprensivo “penso tu ne abbia avuto abbastanza di buio. Dormi, io rimango qui se hai bisogno di qualcosa.”
“Ma zio Jesse ti ha detto…”
“Sa dove sono, Luke. Non ti preoccupare. Lo sai che posso dormire ovunque.”
Luke chiuse gli occhi, grato per la comprensione del cugino. Con Bo al suo fianco riuscì finalmente ad addormentarsi sereno.
Laura sedeva con la schiena dritta sul letto d’ospedale. Le mani allacciate in grembo. Non si era mossa sin da quando l’avevano portata in quella stanza bianca e asettica. Sapeva che la porta era chiusa a chiave. Riusciva a vedere attraverso la finestrella dottori e infermiere fare avanti e indietro nel corridoio. Era immobile.
Non aveva più detto una parola. Non aveva risposto a nessuna domanda.
Si era totalmente estraniata da tutto e tutti.
Aspettava.
Aspettava Luke.
Aveva tutto il tempo del mondo.
Fine |
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