Dead to the World di Ely79 (/viewuser.php?uid=61615)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Tutti contro uno ***
Capitolo 2: *** II - I fratelli Anderson ***
Capitolo 3: *** III - Vent'anni prima ***
Capitolo 4: *** IV - Antiqui Mundi ***
Capitolo 5: *** V - Il calore della luna ***
Capitolo 6: *** VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso ***
Capitolo 7: *** VII - Buongiorno ***
Capitolo 8: *** VIII - Dead to the World ***
Capitolo 1 *** I - Tutti contro uno ***
I - Tutti contro uno
NdA. Leggo le storie di Shade Owl
da un anno e mezzo, appuntamento pressoché immancabile delle mie
giornate. Ci confrontiamo spesso, scambiandoci pareri, correzioni,
ipotesi, colonne sonore,... Questa storia è una sorta di tributo
alla sua saga Sangue di demone che raccoglie al suo interno una serie di personaggi che adoro e che Shade Owl
mi ha concesso di impiegare per i prossimi otto capitoli, offrendomi
anche supporto in termini di chiarimenti, specifiche e correzioni. In
cima alla lista, per motivi che non starò a spiegarvi,
c'è Kyle Anderson, fratello maggiore del protagonista della
serie. Se non conoscete le vicende che lo coinvolgono, potete comunque
leggere la storia (magari saltellando sulle storie originali da cui
sono partita), ma vi consiglierei di andare a dar loro un'occhiata. Vi
conquisteranno.
E con questo, buona lettura!
I – Tutti contro uno
Sprofondò nella poltrona, inspirando con calma.
«Non ci
provare» la ammonì, mascherando con un sorriso il proprio
disagio per la curiosità smodata che stava sfoderando.
La ragazza era
sul divano di fronte, con il volto tra le mani e i gomiti sulle
ginocchia, sfoggiando un sorriso agghiacciante mentre aspettava una
risposta. Come se non bastasse, da un po’ aveva cominciato a
modificare l’abituale chioma ispida e verde con un composto
caschetto biondo, che la faceva somigliare moltissimo alla madre, oltre
che a una di quelle inquietanti agenti del fisco. Segno che, in capo a
due anni e mezzo, sua nipote aveva imparato con discreta disinvoltura a
utilizzare le proprie capacità di mutazione. In un altro momento
ne sarebbe stato entusiasta.
«Dico sul
serio, Skadi. Non ci provare. E lo stesso vale per te»
insisté pacato, additando la donna che stava seduta sullo
schienale del divano, esattamente alle spalle dell’altra, e come
questa si sporgeva in avanti con un’aria trasognata e
terrificante.
«Andiamo, zietto… parla» lo stuzzicò la prima.
Kyle avrebbe
fatto carte false per riavere la capacità di proiettarsi
altrove. Invece, tra i poteri superstiti era l’unico degno di
nota a mancare all’appello. Si raddrizzò sulla poltrona e
aggiustò gli occhiali sul naso, tentando di mantenere un tono
freddo e distaccato. Tuttavia, le sue antagoniste non avevano
intenzione di cedere e continuavano a parlottare sottovoce, dandosi di
gomito e ridacchiando al suo indirizzo.
«Ho detto
di smetterla a tutte e due! E comunque, non ho niente da dirvi»
protestò, guardando altrove e maledicendo suo fratello e la
cognata per averlo gettato nelle grinfie delle migliori inquisitrici
che il Sommo Concilio avesse a disposizione in quel momento.
Giurò a se stesso che gliel’avrebbe tornata, in un modo o nell’altro.
«Non
dovresti pensare di far certe cose a Timmi, visto che non puoi
più metterle in pratica. E poi, lui te ne ha fatte e te ne
farebbe di peggiori. Però sei colmo di dolcezza e caramelline
rosa, che forse potrei non dirgli nulla» cantilenò Ariel,
dondolandosi in maniera piuttosto pericolosa sul bordo del divano.
In quel
momento, Kyle comprese come dovesse sentirsi un prosciutto
sull’affettatrice, smembrato una fetta dopo l’altra senza
possibilità d’opposizione. Con quella sorella adottiva che
si era ritrovato dall’oggi al domani c’era ben poco da fare
per nascondere quello che gli stava capitando: i suoi poteri empatici
oltrepassavano qualunque barriera fisica o magica; in quel momento
stavano reagendo al subbuglio che gli stringeva lo stomaco e il cuore,
era inevitabile che finisse per dire stupidaggini di quel genere.
E dire che nei
primi mesi fuori dall’Oltretomba era stata di enorme aiuto: ogni
qualvolta la realtà gli era parsa troppo difficile da accettare
o il peso dei propri trascorsi si era fatto insopportabile, erano
bastate poche - e spesso sconclusionate - parole di Ariel a
risollevarlo.
«Hai
pensato di nuovo di ammazzare papà? Ma non impari
mai…» ridacchiò Skadi, affatto sorpresa.
«Smettetela
di farlo impazzire» intervenne Nadine dalla cucina, dando a Kyle
la fuggevole illusione di avere un sostegno. «Non ha bisogno che
gli stiate addosso in questo modo. Il suo povero cuoricino potrebbe non
reggere tutto quest’amore!» sghignazzò.
«Grazie per l’aiuto» mugugnò esasperato, nascondendo il volto dietro ad un cuscino.
Si diede dello
stupido per aver accettato l’invito a pranzo: sapeva
perfettamente che suo fratello disapprovava frequentasse assiduamente
casa sua, e dall’invito precedente era passata a malapena una
settimana. C’erano state avvisaglie e indizi grandi come
grattacieli, eppure era stato così sciocco da cascarci.
«Ti piace
un bel po’ questa tizia, eh? Sono già andati al sodo o
sono ancora in fase esplorativa?» chiese senza voltarsi alla zia,
la quale sfoderò un gran sorriso mentre si stiracchiava in
bilico sul bracciolo.
«Skadi, falla finita. Non sono fatti tuoi. E tu non rispondere per favore».
Tuttavia
l’agitazione nella voce e la sua faccia sortirono effetti
peggiori di qualsiasi ammissione. Tre paia d’occhi spalancati lo
avvisarono che sarebbe rimasto inchiodato alla poltrona fino a quando
non avesse vuotato il sacco “spontaneamente” e che
l’abituale reticenza sul suo privato sarebbe stata fatta a pezzi
quesito dopo quesito.
«Non
dirò una sola parola oltre a queste» annunciò, nel
tentativo di farle desistere. «State invadendo la mia privacy e
sapete che non lo tollero. Sapete già più del
dovuto».
«Oh…
siete ancora fuori dalla casa base… sei un signore, zio! Un vero
lord! Mai portarsi a letto la donna che ti interessa alla prima
occasione, soprattutto se hai intenzioni serie. A noi piace essere
corteggiate, riempite di attenzioni, trattate con rispetto. Ma…
non è che per caso sei digiuno di educazione sessuale? Non mi
dirai che uno come te è ancora vergine? Con tutto quello che hai
combinato prima di finire all'Inferno? Alla tua età?!» lo
stuzzicò.
Kyle
sbiancò. Avrebbe voluto proprio sapere da chi aveva ereditato
quella faccia tosta. Di certo non dal ramo Anderson: né lui
né tantomeno suo fratello erano propensi a parlare di argomenti
del genere con tanta libertà.
«Per l’amor del cielo, Skadi!» gemette, infrangendo il proposito di poco prima.
«Oh,
tranquilla. Lui sa. Sa cosa vuole da lei. E lo sa molto bene. Accidenti
se lo sa» insinuò cantilenando Ariel. «A quanto pare
hai gironzolato parecchio nel girone dei Lussuriosi mentre eri
là sotto. Una volta non saresti stato tanto focoso ed esplicito,
Signor Anderson».
Di nuovo
sentì le lenti scivolare verso la punta del naso. Com’era
possibile che avesse trionfato in scontri con esseri mostruosi e
sanguinari, uscendo invece sconfitto su tutta la linea da una coppia di
pettegole improvvisate?
«Ahi,
ahi, zietto, qui scopriamo gli altarini. Stai su un Kamasutra classico
oppure opti per qualche perversione particolare? Che ne so, bondage?
Sadomaso? Giochi di ruolo? Dopo tutto, hanno qualche richiamo al tuo
passato da Divoratore…» ammiccò la ragazza.
Ormai Kyle non
sentiva più la mascella: gli era impossibile chiudere la bocca
di fronte alla valanga di assurdità che stava sentendo sul suo
conto. Una volta poteva essere stato uno degli esseri più
violenti, sanguinari e pericolosi del creato, ma di certo come uomo non
era mai stato un pervertito. Cosa che Ariel si premurò di
sottolineare. A sproposito.
«No,
piccolina, sei fuori strada. Il nostro redivivo è una persona a
modo sia sopra sia sotto le lenzuola: è appassionato e pieno di
tenerezze, un romantico principe azzurro con un abbondante tocco di
scarlatto, che non permetterebbe mai che la sua donna…»
«Adesso basta!» urlò lui scattando in piedi e uscendo in tutta fretta dal cottage.
Sentendo la
porta sbattere e un vetro andare in frantumi, Nadine tornò ad
affacciarsi. Accanto alla porta d’ingresso giaceva in pezzi il
prezioso vaso veneziano che proprio Kyle le aveva regalato a Natale.
Guardò Skadi e Ariel, che si limitarono a fare spallucce con
innocenza.
«Complimenti
per essere riuscite nella titanica impresa di farlo arrabbiare. Sbaglio
o avevamo stabilito di spillargli solo qualche informazione sulla sua
situazione sentimentale, senza esagerare?» commentò
lanciando un incantesimo di ricomposizione, che rimise in sesto il
contenitore.
Rassegnata, la
signora Anderson spiò dalla finestra il cognato che tornava a
piedi verso la città seguito dal loro cane.
«È
in momenti come questi che si vede che lui e Timmi sono fratelli:
stesse reazioni quando gli si tocca qualcosa cui tengono. E tu,»
fece voltandosi e additando la ragazza che ancora ridacchiava,
«si riconosce lontano un miglio di chi sei figlia: identica
delicatezza da rullo compressore di tuo padre!».
***
La galleria d’arte “Antiqui Mundi” si trovava in
pieno centro, in una zona molto frequentata e in prossimità
della fontana dove anni addietro era sbucata Ariel. La struttura
espositiva occupava due piani più l’interrato
dell’edificio e attraverso alcune grandi vetrate consentiva a
passanti e occasionali curiosi di contemplare gli oggetti esposti. Si
trattava principalmente di sculture e suppellettili molto antiche,
provenienti da collezioni private di tutto il mondo, ma anche di
gioielli e curiosità delle epoche più remote della storia
che era possibile acquistare a patto di avere un cospicuo conto in
banca o sufficienti nozioni di magia. In pochi erano a conoscenza del
fatto che, tra le vestigia del passato, si celassero particolari
manufatti dai poteri più disparati. Diversi maghi si servivano
di quel nuovo spazio per procurarsi ciò che occorreva alle loro
necessità, senza dover necessariamente ricorrere a
contrabbandieri e mercati in altri universi. Il tutto assolutamente
legale e con la benedizione del Sommo Concilio.
E “Antiqui Mundi” era il nuovo regno di Kyle William Anderson.
«Però… è carina» commentò Xander, aggiustando gli occhiali da sole con aria distratta.
All’interno
del locale, una donna dai lunghi capelli corvini conversava
animatamente con un paio di vecchiette grinzose e piuttosto loquaci.
Senza dubbio streghe della vecchia guardia. Aveva un fisico snello e
sinuoso, aggraziato, che tuttavia tradiva una certa forza: muscoli
scattanti e tonici facevano bella mostra di sé attraverso gli
abiti succinti dai colori pastello. Indossava un paio di scarpe con
tacchi vertiginosi, che donavano alla sua andatura un che
d’irreale e la rendevano più alta di quanto già non
fosse.
«Carina?
Beh, sì, anche se non ha le braccia…»
obbiettò Trys, additando la grande scultura che torreggiava al
centro al salone espositivo.
Darth e Xander si scambiarono un’occhiata eloquente, decidendo di non dargli corda.
«Posso sapere cosa ci facciamo qui?» chiese il primo.
«Diamo
un’occhiata. Alla galleria d’arte» soggiunse il
Vicesceriffo, quando l’altro lo squadrò dubbioso.
«Ora si dice così? Dare un’occhiata? E Alis cosa pensa di questo “dare un’occhiata”?»
«Tu dai
un’occhiata, noi due» s’intromise il folletto,
indicando la benda sul volto di Darth e ricevendo di conseguenza una
ginocchiata nel fondoschiena che per poco non lo mandò a
sbattere contro il muro.
Ricordare al
Cavaliere Templare della menomazione riportata nella battaglia contro
l’Anticristo non era mai una buona idea. Tuttavia, negli anni
Xander era arrivato alla conclusione che le risposte brusche di Darth
alle fesserie dell’amico fossero un modo alternativo di
manifestare quanto anche lui le trovasse divertenti. In caso contrario,
il folletto avrebbe dovuto essere morto da un pezzo.
«Passa
alla domanda di riserva, Darth» suggerì a denti stretti,
rispondendo con un cenno del capo alcuni passanti che l’avevano
appena salutato.
Il solo citare
il nome della moglie gli aveva fatto venire i sudori freddi. Si
conoscevano da sempre e insieme erano diventati parte della squadra e
soprattutto della famiglia di Timmi. Solo in seguito ne avevano creata
una loro, che entro pochi mesi si sarebbe allargata con l’arrivo
del piccolo Ray.
«Alis non lo sa?»
«Sto
eseguendo un ordine» sviò, ma il Templare era
tutt’altro che incline a lasciar cadere l’argomento.
«Timmi ti
ha chiesto di controllare le frequentazioni di suo fratello? Da quando
in qua abusa della sua carica per queste scemenze? Pensavo facesse
pesare i gradi solo per infastidire Kyle, non altre persone».
«Veramente…
l’ordine è… di Alis» confessò,
incassando la testa tra le spalle. «Un paio di settimane fa Kyle
le ha ordinato dei fiori per la mostra che hanno aperto al piano di
sopra e… quando è stata qui, ha scoperto che Jo aveva
visto giusto. Noi pensavamo straparlasse come sempre, l’ha tirata
avanti per mesi che Kyle si era trovato una donna, ma chi gli crede,
con tutte le stupidaggini che racconta? Invece… insomma,
c’è una caterva di zitelle che smania per Kyle. Invece
c’era davvero una donna che lavorava per lui e sembravano…
beh, per dirla come Alis, “molto intimi”. Io sto…
solo… approfondendo… chiarendo dettagli di poco conto.
È anche per Nadine e Skadi… volevano sapere… sai,
per star tranquille. Noi calamitiamo guai, da sempre. Meglio prevenire.
Se serve» si affrettò ad aggiungere.
Darth lo
fissò a lungo, scettico. Era chiaro come il sole che gli stesse
propinando una versione malamente preconfezionata di una
giustificazione. Doveva essere stato tormentato allo sfinimento da
moglie e amiche.
«La
prossima volta che qualcuno obbietta al fatto che non mi sia risposato,
Donovan, tu sarai il mio esempio principe» dichiarò,
posandogli pesantemente una mano sulla spalla. «Se Alis stesse a
casa piuttosto che lavorare nelle sue condizioni, noi non staremmo
facendo la figura di tre babbei impalati davanti a una vetrina che
espone reperti indubbiamente interessati, ma per i quali non abbiamo il
minimo interesse» sottolineò.
«Prova a
convincerla tu, se riesci a sopportare il suo sguardo di ghiaccio e la
sua logica inappuntabile. Io mi sono arreso da un pezzo. Che dici,
mediorientale?» propose Xander, chiudendo la parentesi familiare
per tornare alle indagini.
Con suo grande sollievo, Darth lo assecondò.
«Credo di
sì. I tratti somatici e la carnagione corrispondono. Il
bracciale che indossa ha una lavorazione tipica di alcune zone
dell’Iran» disse additando il curioso ornamento che le
avvolgeva quasi per intero la mano sinistra in un guanto dorato
tempestato di gemme colorate.
«Qualcosa non ti convince?»
«Gli occhi. Hanno poco dell’umano».
Da quella
distanza era difficile scorgerli, ma con un paio d’incantesimi ad
hoc, il vigilante fece in modo che le lenti gli mostrassero un primo
piano dell’assistente. L’amico aveva ragione: le iridi
della donna erano di un grigio-verde talmente pallido da sembrare
trasparenti come vetro e spiccavano in maniera pressoché
dolorosa sulla carnagione olivastra.
«Secondo
voi hanno del gelato? Voglio liquirizia e basilico, con sopra gli
zuccherini fondenti. Mi sa che qui però rischio che mi tirano
fuori roba scaduta da chissà quanto» saltò su Trys.
«No» sbottò Darth, mordendo una mano per trattenersi.
«“No, non hanno il gelato” o “no, non hanno gli zuccherini fondenti”?»
«No e basta! E ora chiudi il becco!» ruggì.
A quelle
parole, Trys sbiancò e s’irrigidì, avvicinandosi
alla vetrina con occhi sbarrati. Qualcosa aveva attirato la sua
attenzione con tanta prepotenza da mozzargli il respiro. Xander e Darth
si prepararono a un eventuale combattimento, benché non
scorgessero alcun pericolo.
«Mentos…» soffiò il folletto, dando una testata nel vetro. «Ha le Mentos!»
Cominciò
a battere i palmi sulla vetrata come un forsennato, additando la perla
che brillava sull’ombelico della donna. Udendo i tonfi e le urla
ovattate, lei si girò a guardarli. Superata l’iniziale
sorpresa, sembrò piuttosto infastidita dalla loro presenza e si
diresse spedita alla porta.
«Smettila Trys, vieni via!»
«Le Mentos! Ha le Mentos!» continuò a sbraitare mentre lo trascinavano via di peso.
Xander avrebbe voluto nascondersi: a quell’ora la strada era piena di gente e lui era un volto noto.
«Timmi mi
ammazzerà. Non ce la farò mai a manipolare i ricordi di
tutta questa gente…» piagnucolò balzando sulla
volante e avviando in tutta fretta il motore.
***
Nonostante la casa non fosse più in vista da un pezzo, poteva
sentire dietro di sé le risa sguaiate della nipote e quella
lingua lunga della sirena che ancora sciorinava le sue percezioni alla
cognata. Dran, il bislacco incrocio di Segugio Infernale e Mangialbero
che tutti prendevano per il cane degli Anderson, l’aveva seguito
per un buon tratto di strada, trotterellandogli accanto con la lingua
penzoloni.
«A quanto
pare, sei il solo che non abbia niente da ridire» commentò
sarcastico guardandolo darsi una vigorosa grattata.
Era sconfortante trovare conforto nella presenza di una bestia demoniaca, piuttosto che nelle persone.
Quella
discussione aveva preso una piega che non avrebbe mai potuto immaginare
nemmeno nel suo incubo peggiore. Anzi, quella conversazione non sarebbe
mai dovuta avvenire. Sospettò che dietro a tutto
l’interesse per la sua vita sentimentale ci fosse Jo. Lo aveva
visto sbirciare dalla vetrina mentre parlava con lei, ma stupidamente
non aveva dato peso alla cosa, convinto com’era che avrebbe
dimenticato tutto alla vista della libreria, due isolati più in
là. Era incredibile come un adulto fatto e finito avesse
conservato lo stesso amore viscerale per i fumetti di quando era
ragazzo.
Probabilmente
era bastato un accenno che, unito alla visita di Alis poco tempo prima,
era servito a scatenare lo scompiglio tra i suoi familiari e i vari
conoscenti.
Continuando in
direzione della città incrociò proprio il furgone del
vivaio, diretto senz’ombra di dubbio a casa Anderson. Al volante
c’era Alis, che lo salutò sillabando da dietro il
finestrino: “Ciao, Romeo”.
«Avrei dovuto sapere che sarebbe finita così» sospirò abbattuto.
Rivedeva gli
sguardi e i volti dei pochi parenti e conoscenti passargli davanti,
intenti o pronti a schernirlo. Certo, vista dall’altra parte
della barricata doveva essere una situazione veramente spassosa, degna
di una commedia cinematografica. Tuttavia sapeva fin troppo bene che si
trattava di una facciata: dietro gli atteggiamenti di pacata
sopportazione, quasi di benevolenza, covava un’ostilità
profonda nei suoi confronti. Nonostante fossero trascorsi due anni dal
suo ritorno sulla Terra, pareva impossibile convincere chi gli stava
intorno che del vecchio Kyle Anderson, il Divoratore di Anime, non
fosse rimasta la minima traccia.
Le uniche a
fidarsi senza remore sin dal principio erano state Skadi e Ariel. Aveva
ribadito più volte a se stesso che gli sarebbe bastato il loro
affetto per sopportare ogni malanimo, ciononostante la frustrazione del
sentirsi costantemente in giudizio servì solo a farlo infuriare
una seconda volta. Soprattutto perché ora c’era lei nella
sua vita. Lasciarsi coinvolgere in infantili rappresaglie o permettere
grossolane indagini dirette a ficcare il naso nel loro rapporto non era
il modo giusto di ripagarla della serenità che gli stava donando.
Tentò di
calmarsi, riprendendo a camminare per un tempo che gli parve infinto.
Alzò lo sguardo solo quando la testa cominciò a girargli
per aver fissato troppo a lungo il terreno scorrere sotto le scarpe di
vernice, ormai ridotte in uno stato pietoso. Si accorse d’aver
imboccato uno dei tanti sentieri che dalla via principale
s’inoltravano nel bosco.
Proseguì
fra gli alberi, lo sguardo che guizzava fra tronchi e ombre. Sapeva che
difficilmente avrebbe incontrato qualcuno, eppure una sciocca fantasia
continuava a solleticargli la mente: la immaginava correre ridendo,
zigzagando nel sottobosco, voltandosi a guardarlo per invitarlo a
seguirla.
Scosse la testa, cercando di ritrovare la lucidità.
«Rifletti, Kyle. Rifletti con calma» mormorò. «Cerca di pensare razionalmente».
Uno dei laghi
che costellavano quella zona della foresta si stendeva di fronte a lui,
placido e silenzioso. Tanta quiete contrastava con l’agitazione
che si portava dentro in modo quasi doloroso.
«Focoso ed esplicito… focoso ed esplicito un corno!» gridò lanciando una pietra nell’acqua.
Se solo ci
pensava, si sentiva rimescolare come un adolescente alla prima cotta;
quell’adolescente che, per un motivo o per un altro, non aveva
potuto o voluto essere. A volte pensava che il Divoratore
l’avesse fatto invecchiare precocemente: nei collegi e nelle
università che aveva frequentato si era sempre sentito fuori
posto, troppo superiore e maturo per le torme di studenti che lo
circondavano.
Purtroppo,
doveva ammettere che Skadi aveva ragione: lui era vergine. Non dal
punto di vista fisico, in quanto le frequentazioni altolocate di Ducan
avevano significato servirsi delle prestazioni di alcune
“accompagnatrici”; senza contare che spinto dalle pulsioni
del Divoratore sarebbe stato impossibile evitarle, anche se avesse
voluto. Era illibato sentimentalmente parlando. Ottenebrato dalla
volontà di Adar Molok, non aveva mai provato interesse nel
coltivare rapporti affettivi e ora scopriva la gravità di quella
mancanza. Si consolò pensando che nei legami familiari stava
ricevendo un minimo d’aiuto da Skadi, Ariel e Nadine. Per il
resto, poteva solo sperare che quella piccola speranza di
felicità non si seccasse tra le sue mani o peggio, mutasse in un
osceno abominio.
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Capitolo 2 *** II - I fratelli Anderson ***
II - I fratelli Anderson
II – I fratelli Anderson
Cominciava a non sentire più i piedi. Si era tolto scarpe e
calzini, e aveva risvoltato i pantaloni quel tanto da evitare che
finissero per inzupparsi nell’acqua del lago. Era una cosa che
non faceva da quando era bambino, da prima che i demoni dentro lui e
Timmi travolgessero le loro vite.
Possibile che
una simile eventualità potesse ripresentarsi anche a distanza di
anni? Realizzare di avere con sé un grande dono, ma usarlo per
il fine sbagliato? Potevano i sentimenti essere un’arma tanto
potente e scellerata nelle sue mani? Era questo che lo spaventava sopra
ogni altra cosa: il non avere la certezza di meritare tanta fortuna,
che il proprio passato volesse giocargli un tiro mancino offrendogli
una visione di felicità per poi rivelargliela come una scena di
desolazione e sofferenza.
Caricò il braccio, pronto a lanciare l’ennesimo sasso nel lago.
«Tirane un altro e ti arresto per disturbo della quiete pubblica» ringhiò una voce alle sue spalle.
Kyle scrollò le spalle, accennando un sorriso amareggiato.
«Qualche scoiattolo si è lamentato, Sceriffo?» sospirò abbandonando il gioco.
«Disturbi
me e questo basterebbe ad assicurarti la cella, visto che ho promesso a
Skadi di non fare più di così» brontolò
affiancandolo.
Anche Timmi era
scalzo, ma la sua natura demoniaca gli permetteva di non subire le
brusche variazioni di temperatura. Guardandolo, nessuno avrebbe potuto
dire che avesse i piedi in ammollo nelle acque gelide.
«Ti diverti, non è vero?» domandò Kyle, presagendo un nuovo attacco alla propria dignità.
«Per niente» mentì, levandosi il cappello.
«Stai ridendo» osservò piccato, scrutandolo con la coda dell’occhio.
Timmi
chinò il capo per un attimo, prima di scoppiare a ridere come un
pazzo. I capelli corti e neri sbiadirono fino tornare del loro vero
colore, un verde pallido. L’altro scosse il capo, rassegnato al
ruolo dello zimbello di casa. Sentiva di non sbagliare, supponendo che
Skadi e Ariel avessero già provveduto a raccontargli della loro
conversazione, aggiungendo una copiosa dose di ipotesi, dettagli e
deduzioni arbitrarie. Se fosse stato diversamente, Timmi non sarebbe
andato a cercarlo.
«Direi!
Non avrei mai potuto pensare a una tortura migliore. Tu, il temutissimo
Divoratore di Anime, alle prese con rogne da romanzetto rosa! Arrivi a
tanto così dal far fuori me e Gaeliath - cosa non da poco -, e
una gonnella ti devasta peggio di quanto abbia fatto io!»
sghignazzò afferrando un masso e scagliandolo all’altro
capo del lago senza il minimo sforzo, sollevando una colonna
d’acqua alta quanto gli alberi intorno.
«Non ti
facevo un tipo da rose e cioccolatini» riprese Timmi dopo un
lungo silenzio e il lancio di un paio di grosse pietre. «Pensavo
ti presentassi accompagnato da mostri assassini, Demoni Scheletro e
cadaveri sparsi» aggiunse, ricordando il teatro del loro scontro
peggiore, ormai quasi vent’anni addietro.
«Nemmeno
tu lo sei, a quanto dice Nadine» rimbeccò vago, cambiando
immediatamente registro appena scorse minacciosi bagliori ambrati nello
sguardo dell’altro. «In effetti trovo rose e cioccolatini
piuttosto banali. Preferisco una piacevole serata sulla terrazza del
mio appartamento, accompagnata da buon vino e brani di John Coltrane.
Sono molto meno sudici».
Non
riuscì a sentire quale imprecazione suo fratello avesse coniato
per l’occasione: poteva solo immaginare fosse qualcosa di
particolarmente offensivo, rivolto allo sfoggio che faceva della
propria classe. In rare occasioni sua cognata si era divertita a
provocare il consorte rimarcando quell’enorme differenza tra
loro.
A malincuore,
doveva ammettere che Ducan l’aveva reso una persona migliore
sotto quel punto di vista: gli aveva assicurato un’istruzione di
tutto rispetto e la frequentazione di ambienti prestigiosi, incontri
con personaggi culturalmente elevati e socialmente stimolanti; gli
aveva trasmesso l’amore per la bellezza e l’eleganza, la
passione verso l’antico e la storia, sia nella versione canonica
sia esoterica. Elementi che pareva apprezzare persino un mostro come
Adar Molok.
Timmi non era
stato altrettanto fortunato e tentava di non farglielo pesare,
nonostante intuisse che gliene importasse veramente poco o niente.
«Lei non è come le altre» riprese d’un tratto.
«Se ha un debole per te, no di sicuro. Devono mancarle parecchie rotelle» commentò sprezzante.
Un globo
lampeggiante di magia verde-azzurra crebbe di fronte alla mano aperta
di Kyle, che però lo dissolse subito, sospirando abbattuto di
fronte alla smorfia irritata del fratello.
«Scusami,
non so che cosa mi sia preso. Sono in un momento pessimo» e
tramutò un sassolino in un martin pescatore che scomparve tra le
acque. «Non so se merito ciò che mi sta accadendo dopo
quello che ho fatto. Non sono certo che diciassette anni
d’Inferno siano sufficienti a sollevarmi dalle mie colpe».
«Se dipendesse da me, non meriteresti nemmeno di respirare».
«Sempre così petulante quando si tratta di farmi presente quanto non ti vado a genio, vero, fratellino?»
In una frazione
di secondo il mondo si rimescolò, riempiendosi di fruscii, tonfi
e scariche di dolore. Timmi lo aveva colpito con tanta rapidità
da essere stato praticamente invisibile e l’aveva scaraventato a
terra parecchi metri più in là.
«Dì
quella parola un’altra volta e azzero ogni problema, tuo e mio.
Pensala come ti pare, ma tu per me non sei un fratello» mugghiò avvicinandosi, la voce distorta dall’emergere del lato demoniaco.
«Lasciamo
perdere, non ho voglia di litigare con te. Sei l’unica persona
che vorrei avere vicino, anche se non ti va» lo zittì
Kyle, rimettendosi in piedi ben consapevole dei rischi che correva.
«L’ho conosciuta anni fa, all’epoca della ricerca
della Fornace Demoniaca. Non sto a dirti quanto mi abbia sconvolto
sapere che si ricordava di me dopo tutto questo tempo e che sperava di
ritrovarmi».
«Allora
chissà che bella personcina dev’essere. Un’altra
pazza assassina con manie di grandezza e deliri di onnipotenza, pronta
a spingerti a conquistare il mondo con chissà che marchingegno.
Come se non ne avessi avute abbastanza tra i piedi...»
mugugnò scalciando l’acqua.
Alcuni sassi ai piedi di Kyle si trasformarono in un turbine di sabbia che svanì dopo pochi secondi.
«Sapevo
che non avrei dovuto parlartene. Con te è impossibile avere una
discussione civile» dichiarò amareggiato, facendo per
andarsene.
Lo Sceriffo lo agguantò per un braccio, obbligandolo a restare dov’era.
«Ehi, datti una calmata o ti calmo a modo mio. Okay?»
Kyle attese che
lo lasciasse andare ma non si mosse. Rimase immobile, fronteggiando il
fratello minore senza alcun timore delle ondate di potere magico che
emanava. Neppure le fiamme arancioni attorno al suo pugno lo
spaventavano particolarmente, anche se avrebbero dovuto.
«Qual
è il tuo problema, Timothy? Eccetto me, intendo»
inveì. «Non è mai stato un mistero che il mio
ritorno dagli Inferi non ti piacesse e posso capirlo, ma non posso
accettare questa mancanza di rispetto verso una persona solo
perché dimostra affetto nei miei confronti! Una persona che
nemmeno conosci, per giunta. Passi il prendere in giro me: so di essere
ridicolo, una caricatura imbarazzante! Mi sto comportando da stupido
perché non so gestire una relazione o presunta tale, ho il
terrore di fingere di darle quello che cerca solo per disperazione,
perché voglio credere al miracolo di provare amore per qualcuno.
Se però credi che ti lasci sputare sentenze su di lei
perché ritieni che meriti d’essere trattata come un mostro
per via del fatto che… forse… potrebbe…
amarmi…» concluse a mezza voce, incapace di proseguire.
Un’improvvisa
angoscia l’aveva invaso nel pronunciare quelle parole. Poi,
guardando in volto il fratello, capì. Comprese il motivo di
quella reazione così ostile e della paura che lo stava assalendo.
«Benvenuto
nel mio mondo all’epoca in cui ho conosciuto Nadine»
borbottò lo Sceriffo, sprofondando le mani nelle tasche.
«Bello schifo, ti pare?»
Il silenzio
calò nuovamente tra i fratelli Anderson. Rimasero a guardare le
acque placide, chiusi ciascuno nei propri pensieri, distanti eppure
vicinissimi.
«Lascia
che ti dica una cosa, Kyle. Quando ho incontrato Nadine, ho tentato di
tenerla lontana da me. Ed io di starle lontano. Non volevo ci andasse
di mezzo, che dovesse pentirsi di avermi conosciuto. Se qualcuno doveva
fare una brutta fine o starci male, volevo essere solo io. Doveva
essere così».
«Curioso.
Nel parcheggio dell’ospedale avevo avuto un’impressione
molto diversa» considerò assorto Kyle, ricordando con
quanta foga aveva protetto l’amica di allora. «Scusa, ti ho
interrotto».
Timmi ringhiò nervoso.
«No, tu
hai rotto e basta. Ora cuciti la bocca e fammi finire»
grugnì, aggiustandosi il cappello. «Più provavo a
mettere muri tra me e lei, più mi faceva orrore l’idea di
tornare a essere solo, anche se non gliel’ho mai dato ad
intendere. Non siamo i migliori partiti dell’universo, con quello
che abbiamo alle spalle. O dentro, nel mio caso. Facciamo paura,
diventiamo violenti e perdiamo il controllo. Se non succede, finiamo
invischiati in faccende che causano danni e dolore nella migliore delle
ipotesi. E a chi ci sta accanto tocca raccogliere i cocci, subire di
essere mal visti, insultati e via dicendo. Persino essere feriti o
uccisi. Se pensi che questa donna possa sopportare di restarti vicino
anche a queste condizioni, allora va bene. Altrimenti, allontanala.
Nessuna merita di sopportarci contro la sua volontà. Non
potremmo perdonarcelo».
«Sembri papà quando usi questo tono» disse Kyle, piuttosto sorpreso.
«Sai che non me lo ricordo» tagliò corto.
Detestava
parlare di un passato di cui non aveva alcuna memoria. Era una delle
poche cose che suo malgrado invidiava al fratello: poter ricordare i
volti e le voci dei loro genitori.
«Non so,
Timmi. Io… sono confuso. Non ho chiaro cosa stia accadendo, non
ho il controllo della situazione. Non ho controllo sui miei pensieri.
Ma so che lei vuole starmi vicino, me lo dimostra ogni giorno e so che
può farcela. Se mi vuole davvero, ovvio. Dopo tutto, veniamo
entrambi dalle tenebre, dovrebbe funzionare».
L’accenno
mise Timmi in allarme. Istintivamente allungò la mano fino a
sfiorare l’impugnatura di Nova, che teneva nella tasca interna
della giacca.
«Di cosa
parli, esattamente? Succubi? Demoni? Possessioni? Emanazioni di qualche
tipo? Non una delle Erinni, eh? Perché in quel caso devo
dirtelo: i tuoi gusti fanno vomitare» snocciolò,
preparandosi al peggio.
«Qualcosa di meno complicato».
«Ovvero?» insisté, tutt’altro che sollevato.
«È un licantropo».
Timmi lo
guardò di traverso, massaggiando il mento per impedirsi di
urlare la prima cosa che gli fosse venuta in mente. Quasi sicuramente
un insulto.
«Nessuno
ti ha spiegato che a questo mondo esistono quelle che si chiamano
“donne”? Perché ti assicuro che è
così. Ne conosco almeno una dozzina in città che smaniano
per entrare nelle tue grazie, anche se suppongo intendano il
contrario».
«Lo
sapevo anche prima, ma lei è spontanea, brillante, intelligente,
travolgente. Dolce. Viva. E quando muta ha uno splendido mantello color
dell’ebano, screziato di bruno dorato» sorrise tra
sé.
«Allora
ha ragione Skadi. Una perversione ce l’hai: sei un feticista
delle pellicce. Ce l’ha almeno un nome questa tizia o la chiami
con un fischio? O le tiri una bistecca?» lo stuzzicò, ma
si accorse che frustrazione e suscettibilità dell’altro se
n’erano tornate da dove erano venute.
Non c’era
gusto a dargli contro quando si faceva scivolare di dosso le
cattiverie. Vederlo sereno e disteso gli dava la nausea. Lui ancora
faticava a sentirsi in pace col mondo per dieci minuti, mentre
pareva che quel rigetto d’Oltretomba fosse prossimo a scoprire il
segreto della pace interiore. Era insopportabile.
«Vado.
Non scomodarti a darmi un passaggio, una passeggiata mi farà
bene» disse Kyle, incamminandosi con le scarpe in mano.
«Meglio per te, non te l’avrei offerto comunque» rimbrottò raccogliendo a sua volta gli stivali.
Raggiunsero uno slargo tra gli alberi, dove lo Sceriffo aveva lasciato il pick-up d’ordinanza.
«Ci vediamo, Timmi» salutò, dandogli una pacca sulle spalle.
«Il meno possibile» lo ammonì secco.
Salì in
macchina e gettò con rabbia il cappello sul sedile del
passeggero. Invidiava l’assenza di neuroni del copricapo: se
avesse potuto permettersela, si sarebbe evitato un sacco di grane.
«Io sono
mezzodemone, ho una strega per moglie, mia figlia è una creatura
magica che non so bene come inquadrare, abbiamo un cane che non ha una
definizione genetica certa, ho uno stuolo di amici tra i più
improbabili dell’universo, una triglia per sorella adottiva e un
cretino per fratello… giusto una donna lupo mancava in
famiglia!» sbottò, poggiando la fronte sul volante per la
disperazione.
Pensò
agli stupidi reality sulle famiglie VIP per cui Nadine e Ariel andavano
pazze. Stava per avviare il motore quando un’immagine assurda gli
passò nella mente: il cottage visto da lontano, scintille
colorate intorno, Dran che rincorreva creature assurde che zampettavano
nell’erba e, sopra il tetto, una scritta lampeggiante:
“Meet the Anderson. Una comune famiglia paranormale”.
Gli vennero i
brividi e un bisogno impellente di scolare una bottiglia di vodka.
Passò le mani sulla faccia, prima di tornare a guardare Kyle che
si allontanava lungo il sentiero.
«Danny,
un giorno ti farò sputare la verità sul perché me
l’hai fatto riportare indietro!» ruggì inferocito.
***
Il Custode dell’Eden levò perplesso lo sguardo oltre la
finestra, i cui vetri ancora ticchettavano. Fuori, la luce era calata
impercettibilmente e stormi d’uccelli si erano levati in volo
cinguettando impauriti.
Liz, fingendo
di continuare a leggere, si spostò un poco più in
là sul divano e lui la fissò interrogativamente.
«Beh?
L’hai sentita, no? Era la vocina flautata di Gaeliath che ti
salutava pieno di amore e affetto come suo solito»
ironizzò la strega, voltando lentamente una pagina.
«E quindi?»
«So che
non l’hai notato, ma questo vestito è nuovo di
zecca» rispose, sventolando il pizzo della gonna con un certo
entusiasmo. «Preferirei che gli schizzi dei tuoi organi interni
non lo rovinassero».
«Non ha
detto che sta arrivando ora. E comunque, non può farmi niente,
sono un Custode dell’Eden. La morte non mi tocca» le fece
presente.
«Vero, la
morte no, ma Timmi con i suoi pugni, sì. Meglio essere
previdenti» e così dicendo levò una barriera magica
tra di loro.
***
Una leggera brezza agitò le fronde della bouganville sulla
terrazza. Lungo il parapetto di mattoni correva una fioriera,
interrotta da una pedana che ospitava una coppia di chaise longue
incassate fra le doghe. Una spruzzata di fiammelle incantate si
rifletteva in piccole lanterne di rame africane, spandendo aloni
variopinti nell’aria. Le note placide di un brano soul cullavano
il dopocena dei due commensali, distesi beatamente sui cuscini candidi
delle poltrone. Tra di loro, un grande piatto da portata ormai vuoto.
Arshan allungò un braccio, intingendo l’indice nella salsa rimasta sul fondo.
«Cubi di
manzo alla senape di Digione, con composta di cipolle e rosmarino e
glassa agrodolce alla melagrana» disse, imitando il tono esaltato
della presentazione di Kyle. «Se decidessi che le
antichità non fanno più per te, posso assicurarti che
come cuoco avresti un futuro» gli confidò, succhiandosi il
dito.
«Con la
magia è facile riuscire a preparare piatti da gourmet, ma si
tratterebbe di un inganno verso i clienti e non ci sarebbe
l’autentica soddisfazione d’aver portato in tavola una
propria opera» confessò, facendo oscillare il cognac nel
bicchiere a tulipano.
«Stai parlando del fatto che la carne nel piatto non aveva lo stesso colore quando l’hai tolta dal forno?»
La testa di Kyle cadde all’indietro con un risolino liberatorio e imbarazzato.
«Giuro che non riesco a capire perché quel dannato affare ce l’abbia con me».
Da quando
viveva in quella casa, ogni suo tentativo di estrarre cibo commestibile
dall’elettrodomestico si era rivelato infruttuoso. Dalla banale
crème caramel, al più ardito dei soufflé o degli
arrosti, le teglie avevano restituito un’ecatombe di croste
bruciate, incartapecorite e maleodoranti.
«Sei solo
un po’ distratto» lo giustificò lei, sistemando
sulla spalla i capelli neri, stretti in una lunga treccia.
«Assolutamente
vero. Non riesco a cucinare e parlare con te allo stesso tempo»
concordò strizzando l’occhio.
«Stai
dicendo che è colpa mia se fai pasticci in cucina?» lo
accusò, gli occhi chiari che riflettevano il baluginio dei lumi
incantati.
«Al contrario. Sto dicendo che trovo più interessante conversare con te che spadellare».
Provava sempre
una profonda insicurezza nei secondi successivi a quelle frasi. A volte
sentiva le labbra tremare, in attesa di scorgere l’effetto che le
parole avrebbero prodotto su Arshan. Gli sfuggivano di continuo, era
incapace di trattenersi.
Arshan
scivolò sui cuscini, fino a stendersi con i piedi oltre la
pedana. Socchiuse gli occhi, sporgendo un poco la lingua tra i denti
per assaporare il gusto delle sere di tarda primavera.
«Oggi alla galleria sono passate delle persone» disse lei, giocherellando col piercing che aveva all’ombelico.
«Clienti?»
«Impiccioni. Il Vicesceriffo Donovan e altri due. Un folletto piuttosto suonato e un Templare».
L’uomo annuì pensieroso.
«Trys e Darth, senza dubbio. Amici di mio fratello. Ti hanno importunata?»
«Sì
e no. Sono rimasti davanti alla vetrina principale per un bel pezzo.
Credo stessero guardando me, ma non ho potuto domandarglielo: quando
sono uscita in strada, se l’erano svignata. Detesto quando la
gente mi fissa come se fossi un fenomeno da baraccone» aggiunse
con evidente disappunto.
Non
mi vogliono tra i piedi e poi manifestano tutta quest’attenzione
per la mia vita privata. Che bell’esempio di coerenza, pensò Kyle stizzito. Peggio delle comari di paese.
Stava facendo
il possibile per proteggere se stesso e soprattutto Arshan da
intrusioni, pettegolezzi e pregiudizi, eppure pareva impossibile
arginare la curiosità altrui.
«Parlerò con Donovan. Questa cosa sta prendendo una piega spiacevole».
Si sarebbe
morso volentieri la lingua. Aveva giurato che non avrebbe accennato in
alcun modo all’interesse manifestato nei loro confronti, per cui
si affrettò a specificare cosa intendesse dire.
«Gli
Sceriffi e i loro sottoposti sono tutori della quiete e
dell’ordine pubblico, no? Beh, sembrerebbe che se lo siano
dimenticato. Questi atteggiamenti ledono la nostra quiete e il nostro
lavoro. Che penserà la gente se dovesse ripetersi la stessa
scena? Che la Contea ci tiene d’occhio per qualche motivo»
glissò.
«Potresti dirlo a tuo fratello. È il capo, no?» suggerì Arshan.
Kyle
deglutì a vuoto. L’idea di ripresentarsi da Timmi dopo
avergli parlato quel pomeriggio era un azzardo di proporzioni
colossali. Dubitava che Gaeliath si sarebbe trattenuto dallo
sbriciolarlo.
«Procediamo
un gradino alla volta, partiamo dal semplice. I miei poteri sono
inferiori a quelli di Donovan, ma posso discuterci senza correre il
rischio di finire massacrato alla prima sillaba» sogghignò
passando distrattamente una mano sullo stomaco. «Perdonami,
Arshan, ma da cosa riconosci un Templare? Un folletto ha
caratteristiche peculiari, ma un Templare è pur sempre un uomo.
O sbaglio?» domandò, sorseggiando il liquore.
«La
maggior parte dei guerrieri di quella risma odora di muffa, calcinacci,
sangue rappreso e pergamene vecchie. La loro nota caratteristica
è l’incenso rancido, ne sono impregnati fino al midollo.
Devo dire però che questo Darth aveva anche altri odori addosso.
Odori insoliti».
«Insoliti?» chiese Kyle incuriosito, allungandosi a sua volta sulla chaise longue per guardare le stelle.
«Zucchero filato, menta, pepe. Resina ed erbacce. Dolore e sofferenza. E shampoo alla camomilla» elencò.
«Shampoo alla camomilla?!»
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Capitolo 3 *** III - Vent'anni prima ***
III - Vent'anni prima
III – Vent’anni prima
Finalmente, la traccia che la Fondazione andava cercando da anni era
stata scovata in una remota regione desertica tra il Ciad e il Niger.
Il campo era poco più che un insieme striminzito di tende lacere
e baracche male in arnese, dove si muovevano una trentina di persone,
la maggior parte delle quali erano licantropi.
Davanti a Kyle sedevano una donna e una ragazza appena adolescente.
Entrambe avevano tratti mediorientali su cui spiccavano gelidi occhi
grigi, e sembravano molto più giovani della loro reale
età.
«Mia figlia Arshan. Ha trovato la galleria e la porta. Vi
accompagnerà lei» era stata la secca imposizione di Edelen
Digahali, responsabile degli scavi e matriarca del clan.
«È una bambina» obbiettò Anderson scettico.
C’era poco da scherzare in quelle ricerche, e il fatto che la
donna avesse avanzato una simile proposta l’aveva fatto
infuriare. Non si stava parlando di un gioco, ma di scendere in
cunicoli che perforavano in profondità la roccia e la sabbia;
passaggi costellati di trappole magiche e creature oscure e pericolose.
«È la migliore di noi per queste ricerche e conosce
già il posto, ma se non vi fidate, andate da solo
laggiù» insisté la donna, posando una mano sul capo della quattordicenne.
«Badate alle parole, Digahali. Ci metto poco a estromettervi tutti quanti dalla ricerca» minacciò lui.
La luce all’interno della tenda calò di colpo, nonostante
fuori splendesse un sole torrido e accecante. L’aria si
riempì di scariche elettriche e dalle iridi scure del giovane si
propagò un’inquietante alone verde-azzurro.
La figlia di Digahali guardò intorno tutt’altro che
intimorita, poi tornò a posare gli occhi chiarissimi su Kyle,
sfoderando un gran sorriso e un’espressione di assoluta
tranquillità. Non mostrava alcuna paura e il demone dentro
l’umano vibrò d’interesse. Non era possibile che un
insignificante cucciolo di licantropo, quale Arshan era ai suoi occhi
maligni, osasse fronteggiarlo con tanta spudorata innocenza.
Innocenza. Una parola che risvegliò con prepotenza gli appetiti del Divoratore.
«Preparati, Arshan. Partiamo tra dieci minuti».
***
La galleria partiva da una stretta spaccatura in un affioramento
roccioso e scendeva perpendicolarmente per quasi cinquanta metri nel
terreno. Arshan aveva raggiunto il fondo dell’inghiottitoio
aggrappata alle spalle di Kyle, che li aveva calati entrambi con un
incantesimo di levitazione. Aveva preferito evitare di usare la
Proiezione, che avrebbe potuto far scattare fatture protettive o
attirare mostri sensibili agli sbalzi magici. Guardando dal basso, la
luce che pioveva nel pozzo sembrava fatta di fragili fili di ragnatela.
Un cunicolo risaliva leggermente alla loro sinistra, addentrandosi nel
sottosuolo come una bocca nera e silenziosa. La ragazzina fece cenno al
Sovrintendente di seguirlo, un attimo prima che il muso di lupo della
sua pelliccia le coprisse il volto e la trasformazione cancellasse la
figura dell’adolescente. Aveva imboccato la galleria a passo
spedito, muovendosi disinvolta nella completa oscurità. Kyle le
teneva dietro con facilità, gli occhi demoniaci che perforavano
la notte ipogea e le gambe che si muovevano senza alcuna fatica.
«Non credevo permettessero a voi ragazzini di portare avanti
lavori così pericolosi» era stata la prima cosa che Kyle
aveva detto, dopo diversi minuti di marcia.
«Non sono una ragazzina, signor Anderson. Ho le mestruazioni da
più di due anni: per il clan sono una femmina adulta»
ridacchiò sbucando da un anfratto alle spalle dell’uomo.
Kyle per poco non aveva scagliato un Dirompente mentre inciampava,
colpito da tanta sfacciataggine. La ragazzina aveva sollevato il
mantello stregato e lo sguardo chiarissimo baluginava nel buio
soffocante.
«Potresti restare in vista mentre cammini?»
«Avete paura di perdervi?» sghignazzò inabissandosi nell’oscurità.
I tonfi lievi e le pietruzze smosse dissero che stava muovendosi
mantenendo la forma umana. Lui tese una mano e la trascinò
indietro con un incantesimo, tenendola per la collottola. La fece
voltare verso di sé, lasciandola sospesa a mezz’aria,
rannicchiata come un cucciolo nelle fauci del genitore.
«Potrei scambiarti per uno Spirito Guardiano e colpirti. Faresti una brutta fine» l’avvertì.
«Incerti del mestiere, signor Anderson. Bisogna rischiare ogni
tanto. Però credo che lei non lo farebbe davvero, cerca di
spaventarmi perché le sembro troppo spericolata. Io so cosa
faccio, sono un licantropo» era stato il suo commento ilare,
prima di riabbassare il cappuccio sul viso e divincolarsi dalla presa.
Arshan scivolò agile tra le pieghe della roccia come acqua
attratta dal mare e lui riprese la discesa in quel mondo nero dove
riecheggiavano le risate e i passi della sua buffa guida.
In capo ad un paio d’ore, dopo aver superato strettoie, sifoni in
secca, resti di trappole magiche scattate secoli addietro con relativi
avanzi di cadaveri, curve a gomito, crepacci brulicanti di pipistrelli
e Gnomi delle sabbie,
l’aspetto della galleria cominciò a cambiare. Le pareti si
allargarono, formando un’ampia volta le cui pareti avevano
l’aria di essere state modellate dallo scorrere impetuoso di un
fiume sotterraneo. Al termine di un ultimo tratto di ripida discesa,
Arshan si acquattò in una piccola depressione e indicò
col muso ciò che stavano cercando. Un lume incantato
gettò aloni azzurrati nell’aria. La porta cui aveva
accennato la Digahali era un enorme blocco di granito rosa,
perfettamente squadrato. La superficie leggermente ruvida era coperta
da un velo di polvere, dove si potevano scorgere le impronte di Arshan.
Non ci potevano essere dubbi sulla loro provenienza: forma e dimensioni
erano inequivocabili.
«Da qui tocca a me. Puoi tornare indietro».
«E come esco? No, no, resto qui. E poi, lei non sa nemmeno cosa
c’è lì dietro. Potrei servirle»
replicò gattonando fino alla soglia.
«Ne dubito, visto che nemmeno tu lo sai. Ed io non sono la tua
balia» sottolineò, poggiando entrambe le mani sulla pietra
che era rimasta inerte al suo tocco.
«Ma io sono la sua» sorrise lei, scorrendo un quadernetto
di appunti prima di chinarsi a sfiorare col naso il profilo della
lapide. «Non passa aria, è sigillata bene. Ci sono segni
di cannule vegetali; ci devono aver colato della linfa o un filtro
particolare, roba così. Se ci sono iscrizioni, vanno richiamate
con qualche formula. Quelle le sa lei, no? Ed è meglio se la
apre stando da questo lato. I cardini sono di là, le arriverebbe
addosso» aveva detto, indicando segni impercettibili sulle lastre
del pavimento.
Impressionato dalla conoscenza approfondita di quei dettagli, Kyle la
fissò con un misto di stupore e ironia. Sentendola usare
quel tono saccente, difficilmente la si sarebbe potuta prendere per una
quattordicenne.
«La sai lunga, eh?» sogghignò, tornando a richiamare i poteri del Divoratore per indurre la porta a cedere.
«Sono stata qui un giorno intero, prima che la tempesta di sabbia
finisse e mi potessero recuperare. Ho avuto un bel po’ di tempo
per prendere appunti e per segnarmi la strada. Magari stavolta ci
sbrighiamo prima, che stasera danno il mio programma preferito».
«Un telefilm sui ragazzini americani delle superiori?»
aveva azzardato, aspettandosi una sfuriata in difesa dei propri
beniamini.
Invece Arshan l’aveva stupito di nuovo:
«History Channel. Danno un documentario sulla tomba di
Tutankhamon. Ho visto la maschera al Cairo qualche mese fa, ma non mi
sembra così bella. E poi ha perduto la magia: tutti i sigilli
che trattenevano le Anime Custodi sono stati spezzati e asportati. Sta bene in salotto, tutto lì».
Un lamento penoso echeggiò alle loro spalle.
«Questo non è uno Gnomo. Vattene, Arshan» intimò Kyle, continuando nel frattempo a tastare la porta.
«E perdermi il ritrovamento? Non ci pe…»
attaccò lei, ma le fu impossibile terminare la frase: un boato
esplose sopra le loro teste, facendo piovere schegge di pietra e
polvere.
Dove prima era la liscia superficie della caverna, ora si apriva un
immenso cratere dal quale si diramavano fitti reticoli di crepe. Gli
abitanti delle profondità fuggirono stridendo spaventati,
sovrastando a malapena l’inquietante fruscio che proveniva dal
soffitto. Un Madimo1 avanzava
con le fauci spalancate verso di loro, gli occhi ciechi indistinguibili
tra le creste ossee del muso serpentino. Aveva assunto le sembianze di
un mamba, coperto da un carapace molto simile alle elitre degli
scarabei, che si apriva a scatti producendo un ronzio assordante.
Strisciava sulla volta, facendo scattare la testa con schiocchi
mostruosi.
Il Sovrintendente scagliò alcune folgori, riuscendo a
precipitarlo nell’esiguo spazio a terra. Figlio di poteri
antichissimi, il demone pareva solo vagamente infastidito dal blando
sfoggio di poteri di Anderson. Era ciò che Kyle voleva: evitare
uno scontro che potesse nuocere alla Fornace. Doveva trovare un modo
per sbarazzarsene a colpo sicuro e senza troppi danni. Una pioggia di
lame infuocate e sfere esplosive servì a far agitare la bestia,
che dilatò le spire contro le pareti della caverna per
impedirgli un’eventuale fuga.
Un acuto latrato anticipò il balzo di un lupo dalle sporgenze
rocciose sul dorso corazzato. Gli artigli di Arshan stridevano nel
tentativo di trovare un appiglio sulla superficie chitinosa, senza
riuscire a infliggergli alcuna ferita. Il serpente soffiò
furibondo, contorcendosi per addentare il piccolo assalitore che con
una mossa astuta costrinse la creatura ad attorcigliarsi su se stessa,
consentendogli di affondare le zanne tra due squame, lacerando le ali
iridescenti e provocando sibili di dolore così acuti da
stordire.
L’animale fu sbalzato via con tanta forza da strappare il
cappuccio dalla testa e fargli riprendere sembianze umane. Troppo
interessato a finire chi l’aveva colpito, il Madimo
non vide il Divoratore sostituire la figura di Kyle, rimasto immobile a
osservare ciò che accadeva. Il demone si scagliò
sull’avversario, afferrandolo per la corazza che si
frantumò in centinaia di schegge. Al di sotto, le ali
rivestivano una pelle tenera e traslucida. Affondò zanne e
artigli ruggendo, scavando fino alle ossa tra liquidi organici e vampe
di magia arcaica. Aprì il vortice sulla mano destra, cominciando a
risucchiare il potere che gli scorreva tra le dita, sordo ai gemiti
agonizzanti dello spirito. Un demone troppo debole per impensierirlo
davvero. Si sentì quasi offeso: se questi erano i reali mezzi
dei Custodi dell’Eden, avrebbe avuto ben poco di che preoccuparsi.
Il corpo del serpente crollò a terra con un gorgoglio molle.
Sangue violaceo e fumante dilagò a fiotti dal cadavere,
allagando la piccola conca. L’aria si riempì di un lezzo
nauseabondo, che aumentava di pari passo con il livello del liquido. Il
veleno al suo interno cominciò a sbiancare la pietra intorno.
La ragazzina gemeva e tossiva, distesa scomposta su una roccia. Kyle
l’afferrò senza tanti complimenti e la sollevò tra
le braccia, stringendola forte al petto. Avrebbe potuto abbandonarla,
ma se un Madimo non l’aveva ritenuta un pericolo, permettendole
di condurlo in relativa sicurezza fin lì, allora sarebbe potuta
tornargli utile nel caso in cui avessero dovuto proseguire ancora oltre
la porta.
«Spiacente Arshan, perderai il documentario».
***
«Sta bene, signor Anderson?»
La voce di Arshan lo risvegliò dal torpore soddisfatto in cui
era caduto. Aprì gli occhi, scoprendola accanto al letto,
piegata sul fianco sinistro tanto da guardarlo a testa in giù, i
capelli neri che sfioravano la stuoia a terra. Accennò un
sorriso e si tirò a sedere, massaggiando la spalla indolenzita.
Del Madimo non era avanzato
nulla ed era stato piacevole ascoltare gli ultimi rantoli spegnersi nel
suo stesso sangue. Sangue che si era rivelato la chiave per attivare le
iscrizioni sulla porta. Dietro, una volta aperta, tizzoni morenti
sembravano sonnecchiare in attesa di ridare vita alle fiamme
dell’Inferno.
«Sì, sono tutto intero. Tu?»
In risposta, lei gli era balzata sulle ginocchia gettandogli le braccia al collo.
«Mai stata meglio. Ho avuto anche le coccole extra» rise arricciando il naso.
Kyle l’aveva squadrata interrogativamente. Non immaginava si
riferisse al lungo abbraccio con cui aveva protetto entrambi dal veleno.
«Meglio così. Mi sarebbe dispiaciuto se ti fosse accaduto
qualcosa. Sei tra le migliori cacciatrici di reperti che la Fondazione
abbia al proprio servizio. Perderti anche per poco tempo sarebbe stata
una disdetta».
L’elicottero della Fondazione atterrò nel pomeriggio,
portando viveri, materiale per scavi e imballaggi, oltre a Sebastian
Ducan. Contrariamente alle sue abitudini, rifiutò di andare a
vedere il reperto, insistendo con il Sovrintendente per rientrare subito: durante il volo aveva ricevuto notizie preoccupanti.
«Pare che il Sommo Concilio abbia subodorato un pericolo e si
stia muovendo. Potremmo averli addosso prima ancora di aver trasferito
la Fornace. Devi occupartene subito. Fai sparire il grosso del
macchinario, il resto lascialo ai Digahali, per non destare
sospetti».
Senza rispondere, Kyle annuì e tracciò brevi segni nell’aria. Subito, la terra cominciò a tremare.
Il grosso velivolo decollò al tramonto, non appena le scosse
cessarono e le più innocue tracce della Fornace demoniaca si
furono mescolate a quelle di un antico pozzo sacrificale. Kyle
salutò dal finestrino la macchia nera che ululava saltellando
tra le dune. Il suo sorriso suscitò l’ilarità di
Ducan: trovava non gli si addicesse affatto quell’aria da
affettuoso fratello maggiore. Non era cosa per lui.
«Si dice che i licantropi siano monogami, fedeli per tutta la vita al compagno. E sono le femmine a sceglierlo».
Afferrando al volo l’allusione, il giovane recuperò l’abituale distacco.
«Arshan è solo una ragazzina molto estroversa e io una
novità che le ha procurato un po’ di graffi. Entro domani
non si ricorderà neppure la mia faccia» asserì
gelido.
«Certamente. Come dici tu, figliolo» replicò, pensando l’esatto contrario.
***
Kyle scoprì di aver torto quando l’intero clan
sbarcò sull’isola alcuni mesi più tardi. La giovane
Digahali non solo non l’aveva dimenticato, ma pareva divertirsi
un mondo a gironzolargli tra i piedi. Fraintendendo apertamente il suo
atteggiamento, Kyle si convinse desiderasse vedere il risultato del suo
tanto decantato ritrovamento, così aveva deciso di Proiettarsi
con lei nell’antro demoniaco alla sommità
dell’edificio.
«Allora… è questa?» chiese, osservando l’intrico di tubi e sili che si snodava sotto di loro.
«Esatto. Sei al cospetto della Grande Fornace Demoniaca»
annunciò Kyle con viva soddisfazione, marcando di proposito il
termine Demoniaca.
Il Divoratore percepì distintamente quanto il potere
dell’artefatto spaventasse l’esserino che aveva accanto, e
non poté che bearsi del panico che gli serpeggiava in corpo.
Gliela faceva trovare invitante, appetitosa.
«È anche merito tuo se siamo riusciti a rimetterla
insieme. Hai svolto un lavoro eccezionale, non finirò mai di
dirtelo. Di tutto ciò che verrà, potrai dire con orgoglio
che una parte si deve a te e alle tue doti».
Lei si sforzò di sorridere, tuttavia era evidente che quell’affare non le piacesse per niente.
«Insomma è… un microonde gigante per sfornare aiuti
per l’umanità e altra roba così?» chiese,
aggrappandosi al parapetto senza riuscire a nascondere il tremito delle
mani.
Un attimo dopo, il Sovrintendente li aveva Proiettati al piano terra dell’edificio, nello spazio ristoro.
«È una definizione riduttiva. Le sue potenzialità, nelle giuste mani, sono pressoché infinite».
«Voi sapete come usarla? Voi… lei, o il signor Ducan?»
Kyle le fece l’occhiolino portandosi un dito alle labbra,
l’aria di chi la sapeva lunga. Per assicurarsi il suo silenzio,
aveva toccato uno dei distributori automatici, che aveva servito un
paio di brioches piuttosto stantie.
«Mamma dice che il signor Ducan non è ancora soddisfatto.
Vuole che cerchiamo altri manufatti, elementi che la rendano più
potente. Partiamo stanotte» disse la ragazzina, addentandone una
per celare il dispiacere.
«Ne sono a conoscenza e concordo con tua madre che non ce ne sia
bisogno. Trovo sia solo un’inutile perdita di tempo. Chi comanda
però è Ducan, a noi tocca eseguire».
Per un po’ avevano taciuto, sbocconcellando i dolci rinsecchiti davanti ad una finestra aperta sulla foresta.
«Non potrebbe venire con noi? Lei è il Sovrintendente, sa tante cose. Deve controllarci» propose.
«Non posso. Abbiamo degli studi da compiere, esperimenti, regolazioni. Prove di creazione».
«E gli esseri là fuori? Non li avete fatti usando la Fornace?»
«Erano tentativi elementari, molto semplici. Servivano a
verificarne il funzionamento. Entro qualche giorno gran parte di loro
morirà perché non abbiamo saputo infondere sufficiente
forza vitale nei corpi. Ora conosciamo i nostri errori e dobbiamo
procedere verso cose più grandi e complesse».
«E… il kraken?» azzardò, mostrando un certo timore.
«L’hai visto?» domandò accigliandosi.
«Annusato più che altro» ammise facendo una smorfia come se fosse prossima a vomitare.
«Un ibrido interessante. Immagina che sia un enorme cane da
guardia. Quello è il suo compito. A voi non farà nulla,
non hai di che temere. Farete un viaggio tranquillo» la
rassicurò.
«Signor Anderson… noi ci rivedremo, vero?»
«Perché me lo chiedi?»
«Non mi piace. C’è troppa malvagità dentro
quell’affare. Se fossi trasformata, avrei la pelliccia tutta
ritta per il nervoso» replicò tesa, leccando le dita
impiastricciate di cioccolata.
«Forse hai ragione, il male che la pervade si può persino
toccare. Detto ciò, abbiamo capacità sufficienti per
dominarla. Sarà usata per dare un futuro migliore al mondo. Puoi
credermi».
L’assicurazione aveva faticato a sortire l’effetto sperato,
tanto che Kyle si era sentito in obbligo d’insistere.
«Mi troverai alla mia scrivania quando tornerai, soddisfatto dei
risultati del lavoro e ciò che ne sarà conseguito. Al
massimo sarò nei corridoi o a passeggiare intorno al palazzo. E
ci mangeremo un’altra di queste porcherie, facendo finta che sia
la migliore delle Sachertorte. Oppure, ci Trasporterò a Vienna
per mangiarne una vera, se tua madre lo consentirà. Ora
però devo restare, perché ho il sospetto che a breve
riceveremo delle visite. E dovrò essere presente».
«Ospiti sgraditi dalla sua faccia. Se vuole, posso restare a
darle una mano. Mamma dice che sto sviluppando un bel morso. E anche ad
artigli sono messa benino, sa? Apro in due un ghiottone senza tanti
problemi» si era vantata, simulando la foga dello sventramento.
Kyle aveva riso, cingendole le spalle con un braccio e riportandola
all’imbarcadero, vicino al quale il clan aveva messo insieme un
campo base provvisorio.
«Lascia stare, sono cose di poco conto che risolverò
presto. Seccature di breve durata che spero di volgere in aiuti
preziosi. E comunque, dove dovrei andare? All’Inferno?»
«No, signor Anderson. Siete una brava persona, solo i cattivi
vanno all’Inferno. Se dite che lavorate per il bene del mondo, io
vi credo. Anzi, sono sicurissima che riuscirete a usare benissimo
quella roba là».
«Visto? Non hai alcun motivo di preoccuparti per me» sorrise lui, compiaciuto.
La sua fiducia incondizionata aveva fatto ruggire di giubilo il
Divoratore, pago del proprio raggiro. Credeva veramente che stessero
preparando la strada verso un mondo migliore. Camminava verso
l’abisso, aiutando a trascinarvi milioni di vittime sacrificali e
non se ne rendeva conto, non aveva il minimo dubbio o esitazione,
nonostante la paura.
A un tratto, Arshan gli si era parata davanti, bloccandogli il passo.
L’aveva fissato a lungo, mordendosi le labbra. Sembrava volergli
dire qualcosa d’importante, forse ripetergli ancora quanto la
Fornace diffondesse malvagità e che dovesse stare attento.
Invece, aveva finito per inspirare profondamente un paio di volte,
prima di gettargli le braccia al collo e baciarlo sulla guancia.
«Arrivederci, signor Anderson» aveva singhiozzato al suo orecchio.
Lui aveva ricambiato senza troppo trasporto.
«Arrivederci, Arshan».
Dopo un paio di settimane, era giunta notizia ai Digahali che Ducan era
morto, così come gran parte della gente che lavorava per lui
sull’isola, incluso Kyle. La comunicazione faceva riferimento ad
un’esplosione che aveva coinvolto la palazzina principale, dove i
sistemi di sicurezza erano entrati in avaria per motivi sconosciuti. I
giornali avevano parlato di terroristi e malavita, qualcuno persino di
complotti segreti del governo. Nessuno aveva parlato di magia, demoni, mostri o
della Fornace.
Arshan aveva taciuto, allinenandosi all’etica dei
ricercatori mercenari cui apparteneva, secondo i quali, alla cessazione
di un contratto, ne seguiva un altro. Nessuno sapeva che, nascosto nel
suo taccuino, conservasse l’incarto della merendina mangiata con
il suo signor Anderson.
1 Madimo: mostro della mitologia bantu, si presenta in forma animale o umana. Sono divoratori di uomini.
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Capitolo 4 *** IV - Antiqui Mundi ***
IV - Antiqui Mundi
IV – Antiqui Mundi
Quando Arshan aveva messo piede nella galleria, Kyle non l’aveva
notata. Era abbarbicato in cima ad una scaletta, intento nel
sistemare una lampada a incasso che faceva le bizze. Non era insolito
scorgere figure muoversi silenziosamente tra le teche, dove
antichità di ogni sorta facevano bella mostra di sé,
quindi sulle prime non vi aveva prestato attenzione.
«Mi scusi, il signor… Anderson?»
Era sceso in tutta fretta, incurante delle ragnatele e della polvere che gli imbrattavano la camicia e la faccia.
Nonostante
fossero trascorsi anni da quando l’aveva vista l’ultima
volta, l’aveva riconosciuta subito. La ragazzina tutta ossa e
sorrisi aveva lasciato il posto a una donna alta e slanciata, il cui
sguardo fiero e luminoso spiccava sul viso arrossato dalla frescura di fine
settembre.
«Arshan?» esclamò incredulo.
Lei l’abbracciò con tanta foga da farlo indietreggiare fin contro il muro.
«Signor Anderson» singhiozzò, incapace di chiamarlo per nome.
Improvvisamente
aveva sentito svanire un pizzico del malessere che si portava dentro,
spazzato via da un vento impercettibile. Ritrovare Arshan, sapere che
non l’aveva dimenticato e che era addirittura felice di vederlo,
era stato come un balsamo sulle ferite.
«Kyle» l’aveva corretta, ricambiando la stretta.
Si
erano spostati in un angolo del salone, occupato da una lunga panca di
ciliegio. Kyle ne andava particolarmente fiero: era la sua prima opera
nelle vesti di mago e artigiano. Era stato appagante vederla
prendere forma sotto le proprie mani, sebbene Timmi avesse urlato ai
quattro venti che fosse solo un’emerita schifezza, neppure
lontanamente paragonabile alla casa che lui si era costruito.
Arshan gli si era seduta in grembo, spiazzandolo.
«Lo fai ancora?» rise, colto da un certo imbarazzo.
«Le… ti dispiace?» si corresse.
«No. È come fare un salto indietro nel tempo. Un bel salto nel tempo» precisò.
La
sua gioia era talmente contagiosa che Kyle si concesse l’ardire
di baciarla sulla guancia. Lo sguardo piacevolmente sorpreso
dell’ospite vagò per qualche secondo sul suo viso, per
posarsi sui suoi capelli.
«Dovrei tagliarli, vero? Ultimamente ho avuto parecchio da fare e non mi sono preso cura di me» commentò.
«A me piacciono. Ti danno una nota di trascuratezza molto sexy» replicò la donna, passandovi la mano.
Era
buffo. Quando Kyle aveva rimesso piede nel mondo dei vivi, il suo
aspetto era ancora quello del ventiquattrenne deceduto per mano del Flagello di Dio.
Nell’arco di pochi mesi tuttavia, le sue sembianze erano
cambiate, trasformandolo nell’uomo che tutti conoscevano, quasi
che gli anni non vissuti fossero rimasti in stand by per piovergli
addosso alla ripresa del ciclo vitale. Era stato difficile abituarsi alla
vista dei lineamenti che s’indurivano giorno dopo giorno, alla
comparsa delle rughe d’espressione e di qualche capello bianco,
molto più che accettare la limitatezza dei poteri di cui era
rientrato in possesso.
Eppure,
sembrava che tutto questo influisse positivamente nei suoi rapporti di
vicinato: in breve tempo la gente aveva preso a
benvolerlo, a prescindere dalla sua parentela con lo Sceriffo. I suoi
modi cortesi e misurati e l’abbigliamento impeccabile, uniti
all’aspetto da sofisticato gentiluomo metropolitano ne avevano
fatto un’icona, oltre che uno tra gli scapoli più
desiderati dei dintorni.
Ed anche Arshan sembrava confermarlo.
«Perché mi hai cercato?» aveva chiesto, confuso.
Lei si era limitata a sorridere, facendogli una carezza e poggiando il capo sulla sua spalla.
«Istinto» aveva risposto infine.
Era
stato allora, mentre stavano abbracciati nella penombra, che Anderson
aveva scorto Jonathan spiare da dietro il vetro. In quel momento, il
presagio della mala parata che sarebbe seguita di lì a qualche
mese era meno che una remota possibilità.
«Dopo
la distruzione dell’isola e la morte di Ducan, non riuscivo a
rassegnarmi all’idea… non potevi essere morto. Io sapevo
che dovevi essere sopravvissuto, eri troppo in gamba per fare una
brutta fine. Ero preoccupata, non ci credevo, ma più cercavo e
più gli indizi dicevano che sbagliavo. Che te ne eri andato per
sempre. Le tue tracce finivano in mare. Eri scomparso dalla faccia
della terra, nessuno aveva più avuto tue notizie. Così,
un po’ alla volta, sono stata obbligata ad andare avanti».
Kyle
si era sentito stranamente in colpa e al tempo stesso profondamente
grato per quelle parole. Non ricordava che qualcuno si fosse mai
espresso in termini simili riguardo la sua sparizione.
«Cos’hai fatto in questi anni?»
«Ho
continuato a viaggiare, lavorando negli scavi di mezzo mondo. Mi sono
laureata in archeologia e antropologia. Mi sono sposata» aggiunse
distrattamente.
Non
sembrava importarle molto, pareva più interessata ai reperti
nella teca lì vicino. Tuttavia, la rivelazione aveva provocato
un’insolita fitta al costato di Kyle.
«Congratulazioni» aveva detto.
«Ti
ringrazio, ma è durata poco» aveva sospirato. «Mia
madre insisteva che non s’era mai vista una femmina senza
compagno e ne ha scelto lei uno per me. Era gentile, forse un po’
troppo servile perché temeva rappresaglie dai miei fratelli.
È morto pochi mesi dopo, in un conflitto a fuoco dalle parti di
Bengasi. Quando ci si mette l’ottusità umana, le antiche
regole dettate dal sacro spirito dei tuoi avi valgono meno di
zero» aveva ringhiato stringendo i pugni e Kyle aveva sospettato
che la sua reazione avesse poco a che vedere con la perdita del marito,
quanto piuttosto con il matrimonio imposto.
«Mi dispiace» aveva detto, indeciso per quale delle due. «Come hai fatto a trovarmi?»
A quella domanda, il volto di Arshan si era disteso, lasciando tornare il sorriso.
«Tempo
fa, mentre mi trovavo a New York, ho sentito alcuni fratelli del posto
parlare di un uomo. Lo descrivevano come dotato di poteri immani,
capace persino di sconfiggere l’Anticristo. Dicevano che bastava
la sua ombra a tenere in riga intere orde oscure. Lo chiamavano
semplicemente il Flagello»
spiegò. «All’inizio pensavo si trattasse di un
altro, ma cominciarono a parlare del modo sprezzante con cui sfidava i
pericoli, del fatto che si circondasse di poche persone fidate anche se
preferiva agire solo e che fosse alle dipendenze di entità
misteriose e senza volto. Si vociferava avesse in corpo un demone di
qualche tipo, estremamente potente e violento. Forse persino più
di uno. Nessuno però l’aveva mai visto davvero, le
descrizioni erano discordanti tra loro all’inverosimile. Alla
fine però venne fuori un nome: Anderson».
Kyle
dovette ammettere che gli indizi calzavano sia per lui sia per Timmi:
se Arshan fosse stata convinta della sua morte e avesse saputo
dell’esistenza di suo fratello, avrebbe capito che si riferivano
a quest’ultimo.
«Ho
impiegato quasi tre anni per riuscire a scoprire dove vivesse questo
famigerato Anderson. Ho perso il conto delle false piste che ho
seguito, era come inseguire un fantasma. E ieri sera, quando sono
arrivata in città, ho temuto di aver sbagliato per
l’ennesima volta» aveva sospirato chinando il capo.
«Hai scoperto che l’Anderson di cui seguivi le tracce si chiama Timothy».
Lei, avvilita, aveva fatto cenno di sì.
«Sceriffo
Timothy Jonathan Anderson. Delle ragazze in una caffetteria ne stavano
parlando. Si lamentavano di quanto fosse pedante e insopportabile,
“il re dei musi lunghi e delle rampogne”, e non si
capacitavano di come, stando ai racconti dei genitori, una volta fosse
stato un tipo veramente tosto, un pazzo con i capelli tinti di verde
che se ne andava in giro in moto a mettere in riga i bulletti del
liceo».
Per
Kyle era divertente ascoltare quei resoconti sul fratello dal punto di
vista dei concittadini. Da quando dominava Gaeliath e aveva assunto la
carica di Sceriffo, si presentava in pubblico con i capelli neri,
mentre a casa o in missione per il Sommo Concilio lasciava tornassero
del loro abituale verde pallido. Scelta che aveva dato la stura alle
congetture sul suo passato da “buon ribelle”.
«Sono
stata ad un passo dall’abbandonare tutto e andarmene» aveva
ammesso. «E l’avrei fatto, se un’altra ragazza non
avesse fatto notare quanto il fratello dello Sceriffo Anderson fosse
invece un uomo incredibilmente affascinante e gentile, elegante, di
buone maniere e gusti raffinati. Si sono messe tutte a sospirare
estasiate: “Oh, quell’angelo del signor Kyle!”»
ridacchiò mimandone i gesti svenevoli.
Lui
aveva riso: era conscio del consenso riscosso presso il pubblico
femminile della cittadina, alcune donne erano state particolarmente
esplicite riguardo l’attrazione che provavano nei suoi confronti.
Attrazione che aveva cortesemente declinato, augurandosi
–inutilmente- sarebbe servito a essere lasciato in pace.
«Mi
sono aggrappata a quell’ultima speranza, pregando di non
sbagliare ancora. Non l’avrei sopportato. Ho ascoltato per un
po’ i loro discorsi ed ho scoperto di “Antiqui
Mundi”. Ho chiesto informazioni al barista e sono corsa qui, ma
era già passata l’ora di chiusura».
L’aveva
immaginata correre per le strade del centro, cercando i nomi delle vie,
fino a raggiungere la destinazione agognata. Era dispiaciuto che non
l’avesse trovato al lavoro: quando era stato alle dipendenze di
Ducan, aveva letteralmente vissuto per il lavoro, e quando non era
impegnato nello studio o nelle ricerche, si poteva trovarlo dietro una
scrivania a ogni ora del giorno o della notte. Arshan aveva fatto conto
su questo e doveva aver provato una grande delusione scoprendo che
aveva cambiato abitudini.
«Sono
rimasta ore davanti alle vetrine, cercando una tua traccia. Volevo
sapere se eri veramente tu, avevo bisogno di sapere che c’eri. Ci
ho messo un po’, ma quando ho riconosciuto il tuo odore
nell’aria, sono scoppiata a piangere. Ero troppo felice di averti
ritrovato, Kyle» aveva concluso abbracciandolo di nuovo.
Parlarono
a lungo, benché Kyle evitasse con abilità la maggior
parte
delle domande che riguardavano i suoi trascorsi. Lei non insistette,
intuendo fosse un argomento inappropriato e spostando
l’attenzione sulla galleria d’arte, sulla gestione degli
spazi espositivi e la loro organizzazione, sui commerci di manufatti
incantati e la situazione dei produttori nazionali ed esteri. Arshan si
dimostrò molto ferrata, oltre che dotata di un interessante
portafoglio contatti, avendo lavorato nel settore come ricercatrice e
come esperta di valutazioni del potenziale magico, oltre che del
valore economico.
«Cosa
farai ora? Tornerai ai tuoi scavi?» le domandò, quando
verso sera chiusero insieme “Antiqui Mundi”.
Erano fermi in strada, dove una brezza incostante si divertiva a spazzare le foglie da un lato all’altro.
«Veramente
è da un po’ che ho abbandonato il lavoro sul campo.
Eccessiva concorrenza, troppe guerre, instabilità politica,
carenza cronica di fondi e mecenati. Una lunga e stancante ricerca che
ho terminato solamente oggi, con grande soddisfazione» aveva
ammiccato furbescamente.
L’uomo
non aveva potuto fare altro che sentirsi turbato. E in debito. Una
sensazione nuova, insolita, diversa dalla gratitudine nei confronti di
Timmi e Skadi o da quella provata decenni addietro per Sebastian Ducan.
«Ho
bisogno di aiuto, qui alla galleria. Tu hai le conoscenze e le
capacità adatte per ciò riguarda sia i manufatti comuni
sia quelli magici. E i clienti mi sobbarcano di richieste, fatico a
star dietro a tutto quanto. Potrebbe interessarti?»
***
Per cavalleria propose ad Arshan di stare da lui fintanto che non
avesse trovato una sistemazione adeguata; ciononostante sperava con
crescente prepotenza che non la trovasse mai. La sua presenza si era
rivelata un toccasana sotto molti punti di vista, e gli permetteva di
affrontare con maggiore ottimismo persino le sfuriate di Timmi: gli
bastava ricordare la prima cosa che aveva detto sistemando le sue cose
nella stanza degli ospiti.
«Meglio
la sottoscritta che un cane, no?» aveva riso, mostrandogli la
pelliccia nera. «Non devi portarmi fuori a orari assurdi o col
brutto tempo; faccio benissimo la guardia; sono resistente alle
malattie; pulisco da me se sporco in casa; non devi interpretare le mie
espressioni perché rispondo in maniera chiara alle domande e ho
molti modi di dimostrare quanto so essere affettuosa anche senza una
coda. Direi che hai fatto un affare».
La prova giunse circa un paio di settimane dopo l’inizio della loro convivenza.
Kyle
era abituato ad alzarsi molto presto e a essere attivo da subito a
differenza di Arshan, le cui pratiche notturne avevano un effetto
opposto sulle sue sveglie, che si protraevano spesso ben oltre le otto
e mezzo, obbligandola a corse affannose per raggiungere “Antiqui
Mundi” in tempo per l’apertura delle nove e trenta. Spesso
lui finiva per prenderla in giro, dissimulando quanto quei ritardi lo
disturbassero: aveva sempre mal digerito lo sprezzo che la gente
mostrava per la puntualità e si era imposto una ferrea
disciplina a riguardo, proprio per non cadere vittima delle stesse
mancanze. Con Arshan il discorso però era diverso. Dopo tutto,
era parte della sua natura di licantropo e non poteva fare nulla per
cambiarla. E nemmeno avrebbe voluto, specialmente dopo essersi accorto
di quanta pace sentiva nell’animo guardandola dormire.
La
scoperta era stata casuale: un mattino, Kyle aveva gettato
distrattamente un’occhiata nella stanza di Arshan, per poi
proseguire verso la cucina. Aveva preparato la solita colazione con
caffè, pane tostato, marmellata e frutta, ripassando mentalmente
gli impegni della giornata. Eppure, aveva faticato a gustare la calma
di quei minuti. Un’insolita inquietudine gli aveva reso
impossibile starsene seduto a tavola. Lo sguardo insisteva a correre
alla porta del corridoio, in attesa di un misterioso qualcosa che
restava celato dai muri. Dopo un quarto d’ora di sorsi insipidi e
morsi simulati, aveva deciso di alzarsi e tornare nel corridoio, in
cerca di risposte. Si era avvicinato in punta di piedi, spiando oltre
la soglia.
La
camera era avvolta dalla penombra dorata che filtrava delle tende. La
pelliccia stregata era un grumo di oscurità che lo fissava
ieratico, accuratamente riposto in cima alla cassettiera. Per un attimo
aveva avuto la strana impressione che fosse lì lì per
prendere vita e trotterellare fuori della stanza.
Arshan
dormiva tranquilla, abbracciata al cuscino. La stanchezza le segnava
ancora il viso, ma la curva delle labbra parlava di un recupero ormai
prossimo. I capelli si mescolavano agli arabeschi sulla casacca del
pigiama, per poi ricomparire sinuosi tra le lenzuola.
Kyle
avanzò di mezzo passo, abbastanza da restare sulla soglia senza
invadere lo spazio della donna lupo. Trovava poco educato ciò
che stava facendo, il plateale superamento di un confine, del limite di
un’intimità altrui, ma qualcosa gli diceva che la risposta
stava nell’attesa. Si era appoggiato allo stipite, restando a
osservarla assorto, sorseggiando il caffè con assoluta calma.
Per lunghi minuti, le priorità della giornata furono sostituite
dal conto dei respiri della donna, dalla contemplazione dei chiaroscuri
sulla pelle color del bronzo, dalla tranquillità che sembrava
emanare dal suo corpo nascosto tra le coltri disfatte.
«Come
siamo rilassati questa mattina, Anderson! Dalla parte giusta del letto
di chi è sceso stamattina?» aveva malignato Tucker, il
proprietario dell’armeria, quando l’aveva visto arrivare.
A
quelle parole, la testa dello Sceriffo era emersa dal lato opposto del
pick up, dove aveva posato le scorte di munizioni appena acquistate.
Vedendo l’espressione di Kyle, di una tale beatitudine da
sfiorare quella delle più alte sfere celesti, non aveva esitato
ad agguantarlo per la giacca e a trascinarlo qualche metro in là.
«Che
diamine ti sei sbattuto in corpo questa volta, eh?» aveva
sibilato. «Droga? Pozioni di tua invenzione? Non dirmi che stai
facendo da cavia a qualche esperimento di Loran!»
Lui
lo fissò stranito: aveva un’idea molto vaga di chi fosse e
cosa facesse Loran, l’Elfo ricercatore al servizio del Sommo
Concilio, i cui prodotti più riusciti erano la spada di Timmi e
Dran. Perché mai avrebbe dovuto interessarsi a un mago redivivo,
con poteri estremamente limitati e un passato da cancellare?
«Calmati,
Timothy, sto benissimo. Non ho ingerito nulla d’illecito
né tantomeno di magico, posso assicurartelo. Solo la mia
colazione, e sai che non sono uso mangiare schifezze né di prima
mattina né durante il resto del giorno. Sono solo… molto
rilassato e di buon umore, proprio come dice Tucker».
«Non
mi fido di te, di quello che dici e tanto meno della faccia che porti a
spasso» ribadì, dopo averlo squadrato da capo a piedi
diverse volte.
Alla
frase “che porti a spasso”, Kyle ripensò alle
parole di Arshan e da quelle scivolò nel ricordo dei suoi occhi
assonnati che lo salutavano dalle coperte, un attimo prima che si
rendesse conto che era ora di andare. Un sorriso quieto e pacifico
scacciò la tensione procurata dall’inopportuna scenata del
fratello.
«Lo
so. Grazie per avermelo ricordato ancora una volta, Timmi. Ora, se non
ti spiace, devo andare ad aprire “Antiqui Mundi”. Buona
giornata e tanti saluti a casa» aveva sorriso, dandogli
un’affettuosa pacca sulle spalle per riprendere subito dopo il
cammino.
Se
godere della presenza di Arshan tra le mura domestiche si era rivelato un
toccasana, vederla aggirarsi per le sale “Antiqui Mundi”
rappresentava per Kyle croce e delizia.
Aveva
un fisico longilineo, scattante, che alcuni definivano da modella,
inconsapevoli di quanta forza si celasse dietro l’apparenza
delicata. In particolare aveva delle gambe stupende, che però
evitava di mettere in mostra in maniera esplicita o volgare. Amava
vestirsi secondo la moda del momento, mantenendo sempre un contegno
inappuntabile. Un dettaglio che Kyle apprezzava molto, perché lo
riteneva uno dei migliori biglietti da visita agli occhi dei potenziali
acquirenti. E, doveva ammetterlo, qualche volta era piacevole rubare
manciate di minuti alle scartoffie ed essere scoperto ad ammirarla
muoversi con passi lenti ed eleganti, silenziosi nonostante i tacchi
vertiginosi. Passi da lupo in caccia.
A
dispetto di questo, Kyle viveva la sua presenza come un elemento di
disturbo. Avevano pattuito di occuparsi di aree distinte della
galleria, proprio per sfruttare al meglio le capacità di
ciascuno. Lui aveva mantenuto il controllo sulla parte burocratica e
legata alle acquisizioni, che aveva sempre basato su un ordine
rigoroso fatto di appuntamenti a precise scadenze orarie, di metodiche
revisioni degli inventari, di puntigliose ricerche e documentazioni.
Di
contro, affidando ad Arshan la gestione delle pubbliche relazioni e
dello spazio espositivo aveva dovuto necessariamente accettare dei
compromessi. Pur non avendo sconvolto ogni cosa in pochi giorni come
temeva, scoprire i piccoli accorgimenti che la donna aveva applicato
era stato un colpo durissimo. Il riassetto dei percorsi interni, il
modo con cui gli oggetti erano disposti su ripiani e piedestalli, le
nuove inclinazioni dei sistemi d’illuminazione,… ogni
più minuscolo e insignificante dettaglio gli aveva dato le
vertigini. Indubbiamente la sua collaboratrice possedeva un gusto
sofisticato ed eclettico negli allestimenti, in grado di esaltare al
massimo gli oggetti esposti, come comprovato dall’incremento
nelle vendite. In teoria non avrebbe dovuto interessarsene, anzi,
avrebbe solo dovuto essere felice del miglioramento. Tuttavia, scorgere
tracce altrui lì dove aveva speso giorni interi per creare da
zero l’organismo di “Antiqui Mundi”, lo faceva
sentire derubato delle proprie fatiche.
«Potresti
avvertirmi in anticipo? Informarmi delle tue decisioni? Questi
cambiamenti sono… sono troppo, per me. Non riesco ad
abituarmi» l’aveva supplicata, crollando sulla panca in
preda all’angoscia.
Neppure
di fronte al tumulto della Palude Stigia aveva provato un tale senso di
scoramento e confusione: pur riconoscendo muri, vetrinette, lampade,
marmi e parquet, stentava a orizzontarsi. A poco serviva la profusione
di complimenti dei visitatori e dei clienti o l’aumento
consistente delle entrate.
«I lupi non avvertono il cervo prima di azzannarlo» rispose lei, camminandogli intorno con aria perfida.
«Ricorda che un cervo ferito può incornare il lupo» l’avvertì, incrociando le braccia.
«E chi sarebbe il cervo? Tu?» rise, sedendogli accanto e poggiando il capo sulla sua spalla.
«Sì, io» confermò affranto. «Se guardo intorno, mi sento una vittima sacrificale…»
Lei
gli sfilò gli occhiali, pulendoli con attenzione per poi
riposizionarglieli sul viso. Attraverso le lenti, le iridi argentee
sembravano brillare come gioielli.
«Guarda
meglio, signor Anderson. Qui non ci sono vittime sacrificali. Abbiamo
in mostra giusto un paio di antichi pugnali e coppe per libagioni
rituali, ma questo è quanto. Davanti a me c’è solo
un bell’uomo, che ha lavorato molto per avere tutto questo e
merita di veder ripagati i suoi sforzi. Non cerco di cancellare la tua
impronta. Le sto solo dando l’ultima rifinitura che la
renderà unica, come te».
Quelle
parole lo fecero sentire molto sciocco e molto fortunato. Le mise un
braccio attorno alle spalle e tornò a guardare il salone. Doveva
ammetterlo: visto con la dovuta calma, era un’opera d’arte.
«Scusami.
È che devo abituarmi. Sono stato solo troppo a lungo. Apprezzo
il tuo lavoro, credimi, è notevole. Detto ciò, potresti
mostrare il tuo apprezzamento senza farmi morire
d’infarto?» scherzò sollevato.
Spiacente per aver saltato il turno di ieri. Purtroppo, il lavoro è il lavoro...
Coraggio gente, siamo a metà della storia. nessuno vuole darmi un parere?
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Capitolo 5 *** V - Il calore della luna ***
V - Il calore della luna
V – Il calore della luna
La fine di ottobre fu grigia e particolarmente fredda. Le temperature
calarono di parecchi gradi sotto la media stagionale, portando schegge
di ghiaccio ad accumularsi sui prati e sulle finestre dei palazzi. Le
caldaie cominciarono a lavorare a pieno regime negli scantinati,
sbuffando vapore bianco dalle grate sui marciapiedi.
Kyle
rientrò da una mostra-mercato a Phoenix la domenica mattina,
poco prima di pranzo. Salutò educatamente dal corridoio Arshan
che stava facendo la doccia e decise di imitarla, dopo aver nascosto un
misterioso pacchetto nella dispensa. Il calore del getto spazzò
via i rigori dell’inverno anticipato e fastidiosi postumi del
viaggio su un Greyhound affollato e incredibilmente scomodo.
L’orologio del Municipio segnò le dodici e mezzo proprio
mentre si affacciava nel soggiorno. Scoprì Arshan raggomitolata
sul divano, con indosso un pesante maglione di lana, infagottata in
una coperta e con una tazza di tè bollente tra le mani.
«Ti stai evolvendo da lupo a ghiro?» scherzò, ricevendo in cambio un guaito penoso.
«Sii
buono, Kyle. Ho un mal di testa terribile, senza contare che sono
ancora mezza congelata. La doccia non è servita a
niente. Sento che mi si è ghiacciato persino il midollo nelle
ossa» piagnucolò.
«Rimpiangi l’Africa?» le chiese, posando le mani sulle sue per aiutarla a scaldarsi.
Arshan scosse la testa arruffata, sorridendo grata.
«Al
contrario. In Africa la sabbia entra dappertutto, soprattutto negli
occhi e nelle orecchie, proprio non posso sopportarla. E i licantropi
non sono nati per quei climi: umido e gelo in inverno, estati calde e
temperate. Questo sì. Arsura ed escursioni termiche allucinanti
le lascio volentieri ai Tuareg».
«La tua famiglia proviene dall’Iran, che se non vado errato è un altopiano desertico» obbiettò.
«I
Digahali sono originari delle coste del Mar Caspio, in
prossimità del Turkmenistan. È da là che
provengono i miei avi. Montagne aspre, scarsamente abitate e
intervallate
da pianure e foreste, dove era facile nascondersi e vivere in
tranquillità. Climi simili a quello di queste parti. Però
si da il caso che la temperatura sia precipitata di colpo ed io sono
stata fuori parecchio tra ieri notte e questa mattina. Ferma per la
maggior parte del tempo, tra l’altro, ad ascoltare le noiose
rititere che ci ha propinato una vecchia Sentinella al raduno. Un manto
stregato non assicura l’isolamento termico al corpo che lo
indossa».
La
rivelazione stupì non poco il mago che si premurò di
avvolgere ben bene nella coperta i piedi della sua ospite,
massaggiandoli attraverso la stoffa. Arshan emise un ansito allegro.
«Dovresti
metterti qualcosa come quegli indumenti high-tech che usano gli
alpinisti o gli sciatori. Sono sottili, aderenti, e non
t’intralcerebbero nei movimenti» propose.
«Assolutamente
no!» latrò torva, fulminandolo con lo sguardo. «Le
Sacre Leggi lo vietano severamente. La comunione tra corpo e spirito
deve essere totale, priva di barriere. Non si accettano scuse. Sotto i
manti stregati si può stare solo nudi!»
Impressionato dal repentino cambiamento d’umore, Kyle boccheggiò nel tentativo di scusarsi.
«Non
ricordavo fossi… insomma, non fraintendermi. Quella volta nel
Ciad… eri una ragazzina, non ti guardavo con interesse. Non ti
guardavo per niente, a essere sincero. Non ricordo granché di
cosa avessi visto, a parte le tue gambe. Quelle sì erano nude,
dal ginocchio in giù» si affrettò a precisare,
sentendo che non c’era una sola parola convincente in tutto il
discorso.
In
realtà la sua mente aveva avuto un guizzo anomalo, frugando nei
ricordi delle notti precedenti alla ricerca della fuggevole visione
della pelle bruna di Arshan sotto il mantello.
Lei sogghignò, incrociando le braccia fingendosi offesa.
«Come? E io che avevo spazzolato la pelliccia apposta per farmi bella per te! Bel modo di dirmelo».
«Io…
non… non avevo intenzione di… aspetta» e si
allontanò svelto verso il ripostiglio accanto alla cucina.
Tornò poco dopo e sedette sul tavolino di fronte al divano, reggendo un vassoio coperto.
«Era
per dopo pranzo ma visto che sei un po’ giù… qui
c’è qualcosa per festeggiare il nostro primo mese
insieme!» annunciò trionfale, preparandosi a scoperchiarlo.
La mano rimase dov’era, bloccata da un pensiero improvviso:
Ma che sto dicendo? Per festeggiare il nostro primo mese insieme? Sono impazzito per caso?
si chiese allarmato. Si sentiva un ragazzino che si era lasciato
scappare con la madre la verità su una marachella appena
commessa.
Sulle labbra del licantropo prese forma un sorriso compiaciuto e sornione.
«Caspita, non mi aspettavo una dichiarazione in pompa magna» scoppiò a ridere.
«Voglio
dire… il nostro… primo… mese insieme… alla
guida di… “Antiqui… Mundi”?»
balbettò nella più totale confusione, amplificando
l’ilarità di Arshan, cui per poco non sfuggì di
mano il tè.
La
sua reazione di genuino divertimento tranquillizzò Kyle, che
tuttavia non riuscì a fare a meno di continuare a domandarsi
cosa gli fosse preso. Prestava sempre molta attenzione a ciò che
diceva e come, non si capacitava del perché quella volta non
fosse scattato alcun freno ai suoi pensieri.
Un momento… davvero volevo dire quello che ho detto, con quelle precise parole?
«Beh, allora? Che c’è lì sotto?» domandò, annusando incuriosita.
Riscossosi a fatica dai propri pensieri, recuperò un tono pacato e solenne.
«Vediamo
se te la ricordi» e sollevò il coperchio, mostrando la
superficie scura e lucida di una Sachertorte.
Arshan trattenne il respiro, sgranando gli occhi commossa e incredula.
«Questa
l’ho comprata. Non ho così poca considerazione delle
promesse fatte da rovinarle per via della mia faida col forno»
ammise con una punta di dispiacere nella voce.
Gli
sarebbe piaciuto riuscire a sviscerare i segreti
dell’elettrodomestico per scoprire fin dove arrivassero le sue
abilità culinarie, ma la diatriba era da sempre a un punto morto.
«Avrei
voluto portarti a Vienna per mangiarla come avevo promesso, ma non
posso Trasferirci. Non ne ho più la capacità» si
giustificò. «Però Frank mi ha assicurato che
è identica a quella che fanno all’Hotel Sacher».
Frank
Duclos era il proprietario della migliore pasticceria della
città, rinomato tanto per i suoi dolci quanto per le colossali
balle che riusciva a rifilare ai clienti, con una faccia tosta degna di
un navigato politico.
«Che dici? Dobbiamo credergli?» domandò, guardando alternativamente lei e la torta.
Arshan ci pensò su, mordicchiando il labbro inferiore.
«C’è un modo per scoprire se è veramente perfetta».
«Quale?»
«Come,
signor Anderson? Mi stupisco di te. Da ragazzo hai viaggiato tanto e
non hai mai messo piede a Vienna per mangiare una di queste?» lo
punzecchiò.
«No.
Avevo altri… interessi, all’epoca. Doveri da assolvere che
m’impedivano di distrarmi» sviò, fingendo di
concentrarsi sul banale incantesimo con cui tagliò due belle
fette di dolce.
I
ricordi di quel periodo lontano facevano male, anche se non
riguardavano morti e atrocità. Ogni giorno pareva essere stato
corroso da un potente acido, che l’aveva rovinato per sempre.
«Okay,
ora ti mostro come si fa. Stai attento» disse Arshan, assumendo
un’aria da maestra mentre lo invitava a imitare i suoi gesti.
«Passa il dito sul bordo della fetta, qui, proprio dove ci sono
la glassa al cioccolato e la marmellata di albicocche, e raccogline un
po’ sul dito. Ancora un po’. Ancora. Ecco, perfetto».
«E ora? Come si procede?» domandò incuriosito, tenendo in bilico la crema sulla punta dell’indice.
Impiegò
qualche istante per capire ciò che stava accadendo:
l’unica cosa che riusciva a distinguere chiaramente era il dito
di Arshan che scorreva lungo la sua guancia, spalmando il cioccolato.
La sensazione era a metà tra lo sgradevole e il sensuale, con la
viscosità della crema che rallentava il movimento,
amplificandolo in ogni terminazione nervosa della testa.
«M-mi
ero… appena… f-fatto la barba» puntualizzò,
indeciso se ridere o mantenere un piglio più greve.
Affatto dispiaciuta, la donna si sporse verso di lui.
«Buon
primo mese insieme, signor Anderson» augurò,
schioccandogli un bacio lì dove il cioccolato e la marmellata
gli sfioravano le labbra.
***
Al Capodanno mancavano poche decine di minuti. Un’aria frizzante
e carica di sognanti aspettative permeava la cittadina. Kyle, superato
indenne il rituale degli auguri alla famiglia, aveva trascorso la
serata in compagnia della voce di Herbie Hancock, di una bottiglia di
champagne e dei manicaretti iraniani preparati dalla sua coinquilina.
Arshan, dopo aver cercato inutilmente di convincerlo a seguirla, aveva
tentato altrettanto inutilmente di raggiungere la foresta, ma si era
vista costretta a rientrare di gran carriera dopo aver attraversato
pochi isolati: le strade erano gremite di gente chiassosa e alticcia,
auto strombazzanti, luci intermittenti che distorcevano la fisionomia
dei palazzi e schegge di bicchieri rotti per goliardia.
«Quando finirà?» chiese stringendosi nelle braccia per calmare i tremiti che la scuotevano.
I botti che esplodevano a ogni angolo delle strade ferivano il suo sensibile udito, innervosendola.
«Sono solo le undici e quarantacinque. Abbi un po’ di pazienza».
«Odio
quegli affari! Tutto il rumore che fanno! Tuo fratello avrebbe dovuto
proibirli!» strillò scappando all’ingresso, le
braccia strette attorno alla testa per proteggere le orecchie.
Quando
la raggiunse, era raggomitolata sul pavimento come una bambina
impaurita, un nodo di ombre soffici e tremanti. Si avvicinò
cauto, conscio del fatto che il mantello nero amplificasse i sensi e le
reazioni di chi lo indossava. S’inginocchiò poco distante,
ascoltandola ringhiare sommessa.
«Ora va meglio?» chiese.
Una
nuova salva di fuochi artificiali esplose colorando il cielo sopra la
città, accompagnata da un crepitio appena percettibile. Il lupo
mannaro sollevò timidamente la testa, frugando la stanza. Un
leggero pizzicore al naso le disse che l’improvvisa quiete era
frutto di un incantesimo. Fissò Kyle sorpresa, sciogliendosi in
un sorriso quando le tese la mano per aiutarla a rialzarsi.
Tornarono alla portafinestra, godendosi il silenzioso caleidoscopio dello spettacolo di mezzanotte.
«Buon anno, Arshan» disse, facendo un buffetto al naso del lupo poggiato sulla testa della donna.
«Buon anno, Kyle» bisbigliò avvicinandosi al suo viso.
Avrebbe
dovuto essere solo un bacio, un semplice augurio. Kyle esitò un
secondo di troppo, imbarazzato o attratto dalla prospettiva di un
contatto meno innocente, trovandosi dapprima in difficoltà
davanti a tanta passione e prendendo poi il sopravvento, trascinato da
un crescente desiderio: troppe volte aveva smarrito il filo del
discorso osservando quelle labbra piene far danzare parole e sorrisi.
Le
braccia del mago si strinsero frusciando sulla pelliccia, risalendo
fino alla nuca e poi al viso della donna lupo, per impedirle di
allontanarsi troppo quando interruppero l’augurio. Le
fiorò le guance con gesti impacciati, ubriaco di un nettare
più raro e inebriante dello champagne che avevano nei bicchieri.
Arshan socchiuse gli occhi, stringendo le dita attorno al suo polso
mente lo guidava in una lieve carezza. Il muso di lupo ricadde
indietro, scoprendole le spalle. In basso, la pelliccia si apriva
lasciando intravedere il seno e il ventre, privo del consueto ornamento.
L’aveva
fissata incredulo. Sapeva che il rituale di mutazione prevedeva non
indossasse nulla sotto la veste stregata, ma un conto era sentirlo a
parole, immaginarlo, un altro era toccare con mano la realtà.
Rimase
immobile ad osservarla slacciare le cinghie che trattenevano
l’artefatto alla vita e sulle braccia. Il corpo snello della
donna catturò i guizzi variopinti degli ultimi fuochi
d’artificio, effimeri ornamenti delle rotondità
inturgidite dai brividi. Le fibbie avevano impresso segni sottili sulla
sua pelle, orgogliosi marchi di un passato che si perdeva nella notte
dei tempi. Agli occhi di Kyle si mostrava come una combattente, fiera e
impaziente, che lo fronteggiava reclamando il premio per la sua
vittoria. O un avversario da affrontare.
«No, Arshan, no. Non va bene» mormorò, sottraendosi alle labbra che lo cercavano ancora.
Con un gesto fece sì che la pelle di lupo tornasse a rivestirla.
«Non posso. Non posso» ripeté a mezza voce, prendendole il mento fra le dita.
Un’ombra
di rabbiosa delusione attraversò il volto della donna, che si
riprese in pochi attimi, mostrando un sorriso amaro sotto gli occhi
umidi.
«Non
importa, Kyle. Perdonami» disse confusa, portando le mani sulle
spalle, giocherellando nervosamente con le ciocche di pelo.
L’uomo posò le labbra sulla sua fronte. Era ancora fresca, come la schiena e le braccia.
«Importa
eccome» sussurrò, avanzando di un passo e costringendola
nel contempo a indietreggiare. «Non posso davvero».
Arshan
lo fissò stranita. La teneva stretta a sé, impedendole di
allontanarsi, muovendosi lentamente, quasi volesse rendere un'unica
lunga carezza quell’incedere a ritroso. Le parlava con voce calma
e roca, venata di una languida tristezza. Eppure il suo sguardo…
il suo sguardo mentiva. Non c’era rammarico, rifiuto o imbarazzo.
Un calore intenso covava dietro le iridi scure, un animale sinuoso che
scivolava tra i ritagli d'oscurità dei festeggiamenti.
Con
un ultimo passo urtarono un oggetto basso e soffice. Arshan
trasalì come se fosse esplosa una salva di fuochi
d’artificio proprio alle sue spalle. Erano accanto al divano e
Kyle glielo indicò con un cenno. Lei sembrò non afferrare
il senso dell’indicazione, finché non si sentì
sbilanciare all’indietro poco alla volta. Si aggrappò alle
sue spalle mentre i cuscini li accoglievano con un fruscio leggero.
«Non
posso permettermi di restare a guardare una bella donna starsene nuda
di fronte a me, nel mio soggiorno, scossa dai brividi, senza fare nulla
per lenire il suo disagio. Sarei un pessimo padrone di casa»
spiegò accarezzandole le braccia. «Quando si deve
scacciare il gelo nelle notti invernali, è bene restare il
più vicini possibile. Abbracciati stretti, strusciandosi quel
tanto da permettere alla circolazione sanguigna di restare
attiva» suggerì, gravando di proposito su di lei mentre le
dava una breve dimostrazione.
«Giusto,
ma il modo migliore per salvarsi la vita è scaldarsi stando
pelle contro pelle» propose maliziosa, facendo scivolare le mani
sotto il maglione, graffiandogli la schiena.
Fingendosi sorpreso, Kyle voltò appena la testa, osservando la parte scoperta del dorso.
«Vuoi salvarmi la vita?» le chiese, sistemandosi meglio fra le sue gambe.
«Solo se tu la salverai a me» replicò facendogli il solletico.
Il
mago lasciò che gli sfilasse il dolcevita e subito dopo il resto
degli abiti, che andarono a formare un mucchio disordinato sul
pavimento, insieme alla pelliccia.
Per
un attimo, il ricordo dell’orrenda cicatrice che gli sfregiava il
ventre e il petto rischiò di minare la dolcezza del momento, ma
non fu così. Se la bocca di Arshan aveva catturato con
disarmante facilità quella del partner, tutto il suo essere
mostrò abilità maggiori nel conquistarne la totale
attenzione del corpo e della mente, cancellando domande e timori.
***
Al risveglio, il mattino seguente, gli parve che il mondo avesse
imboccato una strada nuova, sotto i migliori auspici.
La pelliccia
stregata si era rivelata troppo corta per coprirli entrambi,
obbligandolo a ricorrere alla magia per procurarsi una coperta. Arshan,
al suo fianco, riposava con indosso il suo maglione bianco, le mani ben
nascoste nei polsini. Kyle trovò che le donasse, che il candore
della lana facesse risaltare magnificamente il nero dei capelli e
la sfumatura bronzea della sua pelle. Al contrario, quando a indossarlo
era lui, lo faceva sembrare ancora più pallido, quasi
cadaverico. E poi, il maglione la fasciava con molta eleganza,
fermandosi intrigante appena sotto le natiche. Una vista che gli
scatenava un misto di eccitazione e tenerezza.
Naturale. Era il solo termine reputasse adatto a descrivere appieno quanto accaduto quella notte.
Naturale
lasciarsi spogliare e permettere ai loro corpi di toccarsi, di
scoprirsi. Naturale cercare il calore della pelle di Arshan, i punti
dove la sentiva vibrare e palpitare sotto le dita. Naturale sentirsi
stringere, accarezzare, baciare, ricambiando ogni gesto con identica
foga e passione. Naturale dare e ricevere piacere con ogni respiro,
confondendoli, unendoli. E naturale, infine, era stato abbandonarsi
ansanti al riposo.
Non
ricordava di aver mai provato tanta felicità e appagamento in
vita sua. Sentiva un’energia diversa scorrergli nelle vene, una
forma sconosciuta di potere che gli derivava dal sapere che la donna al
suo fianco era sua. Gli apparteneva.
Il dubbio lo colpì a tradimento, violento e crudele quanto le zanne di un vampiro annidato alle sue spalle.
Che cosa ho fatto? si chiese spaventato, le mani che tremavano per l’orrore.
Senza
accorgersene, si curvò fino poggiare la fronte contro
la testa di Arshan, stringendola come se temesse di vederla scomparire.
Le aveva permesso di entrare di nuovo nella sua vita, di vivere in casa
sua e di occupare uno spazio sempre maggiore nei suoi pensieri. Ed era
stato bellissimo. Ma perché? Perché l’aveva fatto?
Gli tornarono in mente le parole di Ducan, secondo il quale le donne
lupo sceglievano da sé il proprio partner e la coppia restava
unita per tutta la vita.
Se
Arshan aveva deciso che sarebbe stato lui, si era basata su
un’immagine vecchia di vent’anni, di una persona che, con
tutta probabilità, non era nemmeno mai esistita. Il Kyle
Anderson della sua adolescenza era nient’altro che un guscio
umano abitato da una creatura spregevole, infida e spietata, che non si
era fatta scrupoli nell’usarla. Un mostro che aveva bramato di
spazzare via anche la sua fragile esistenza, deridendo le sue sciocche
moine di quattordicenne.
Eppure
lei aveva ripetuto più volte di averlo cercato spinta
dall’ancestrale istinto dei lupi mannari. Che fosse riuscita a
vedere già allora dietro la cortina di malvagità
l’embrione incompleto e inconsistente dell’uomo che era
diventato in quei pochi mesi? Ma che uomo era, poi? Chi era
adesso? Su chi stava riversando un amore che aveva tenuto in sospeso
per vent’anni? Chi celava la maschera di quel volto?
E io? domandò agitato. Su cosa sto basando le mie azioni? I miei pensieri?
Tornò
a guardarla, il suo respiro quieto e regolare. Provò un immenso
disagio, bruciante come se avesse appena contravvenuto a una legge
divina. Il terrore di aver imboccato nuovamente una strada piena di
errori e dolore gli instillò un crescente disgusto verso di
sé.
Possibile?
Possibile che mi sia approfittato di lei? Dei suoi sentimenti? E solo
per soddisfare un bisogno fisico? Sono tornato a essere così
meschino da usarla per i miei tornaconti? Sto facendo questo ad Arshan?
L’ho usata? No. Non voglio. Non voglio essere un mostro. Non
un’altra volta. Non so cosa le sto dando… forse
nulla… io… Cosa mi sta succedendo?
Stava
per alzarsi, incerto se allontanarsi di qualche passo o fuggire per
sempre da quel luogo, quando Arshan si mosse tra le sue braccia. Si
voltò lentamente, accarezzandolo con il maglione.
Il suo sguardo sognante lenì brevemente l’amarezza e la paura, strappando l’uomo al morso del dubbio.
«Buon giorno, buon mese e buon anno, Kyle» sospirò lei, sistemandosi meglio sui cuscini.
«Buon giorno, buon mese e buon anno, Arshan» ripeté sottovoce, sfiorandole la punta del naso col proprio.
Un
profondo senso di colpa gli impediva di lasciarsi andare ai gesti
affettuosi e intimi che avevano costellato la notte appena trascorsa.
Lei
non chiese nulla, pur avendo scorto l’ombra sul suo viso. Aveva
percepito un’esitazione dolorosa nella sua voce e distinto
chiaramente il dubbio agitarsi nel suo animo. Con la scusa di
coccolarlo, saggiò la tensione che l’attraversava,
trovandone la fonte al centro del petto martoriato. Secondo i guaritori
licantropi, in quel punto si nascondeva uno specchio. Bisognava che
ciascuno vi guardasse la propria immagine, per affrontare gli spettri
generati dalla natura umana che lì albergavano, per decidere se
combatterli o accettarli e poter vivere senza rimorsi e paure.
Qualunque cosa lo turbasse, lei poteva fare ben poco.
Gli
fece poggiare la testa sulla sua spalla, passandogli una mano fra i
capelli, in quel modo lento e delicato con cui soleva farlo rilassare
dopo le contrattazioni più spinose. Ascoltò i battiti del
suo cuore agitato rallentare fino ad acquietarsi, seguendo il ritmo
delle parole che lei prese a cantilenare a fior di labbra:
«It's
not the monsters under your bed / It is the Man next door / That makes
you fear,makes you cry, / Makes you cry for the child / All the wars
are fought among those lonely men / Unarmed, unscarred1».
1 estratto da "Dead to the World" dei Nightwish.
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Capitolo 6 *** VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso ***
VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso
VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso
La luna si stava tuffando oltre le cime degli alberi, quando due figure
caddero pesantemente nell’erba, comparse dal nulla. Un alone
verdastro balenò nell’aria, segnalando una barriera magica
antiproiettiva.
«Che succede mamma? Dovevamo essere… oh, no. Non
può…» piagnucolò Skadi massaggiandosi la
testa.
Nadine sospirò, indicando il portico alle loro spalle. Seduto
con i piedi appoggiati alla balaustra, c’era Timmi che le
salutava con una mano mentre con l’altra grattava la testa a Dran.
«Che facciamo, mamma? Dobbiamo andare, Teddy ci sta aspettando!»
Dentro di lei, Shamjazya agitava forsennata la coda, ruggendo per lo smacco subito dai poteri del padre.
«Ci parlo io, tu non dire niente».
Lo Sceriffo scese i gradini con voluta lentezza, gustandosi il momento.
Erano rare le volte in cui si trovava in una posizione di vantaggio
contro le donne di casa.
«Papà, ma sei in mutande! E ti sei messo il
distintivo?!» sbraitò la figlia, additando la stella di
metallo appuntata sul bordo dei boxer.
«Come sempre quando vorrei dormire. Bene, bene, bene. Sentiamo un
po’, dove se ne stavano andando di nascosto le mie signorine a
quest’ora del mattino?» chiese incrociando le braccia.
«Non stiamo facendo nulla di male, Timmi. Abbiamo solo pensato
che, dopo tutto quello che abbiamo detto e fatto nei giorni scorsi,
probabilmente ora che Kyle è a casa da solo a rimuginare e
struggersi, ha bisogno di un po’ di sostegno da parte…
nostra» chiarì Nadine in tono conciliante.
Aveva evitato accuratamente di dire “della sua famiglia”,
perché sapeva quanto Timmi faticasse ad accettare la presenza di
Kyle nelle loro vite.
«Menti sapendo di mentire, tesoro. So cosa avete in mente e in
quanto marito e padre, ma soprattutto in quanto Sceriffo di questa
contea… tu: di sopra. Tu: vai» disse indicando prima la
donna e poi la ragazza.
Nadine sgranò gli occhi. Si aspettava che le spedisse in casa o, al massimo che l’ordine fosse
invertito e lo stesso valeva per Skadi. Le due si scambiarono
un’occhiata sconvolta.
«Muoviti, prima che cambi idea!» gridò l'uomo.
Skadi schizzò via, superando la barriera e sparendo all’istante, lasciandoli soli sul prato.
«Che sta succedendo?» domandò Nadine, visibilmente
sconcertata. «Da quando lasci andare a spasso nostra figlia e
fermi me?» insisté, sempre più perplessa.
«Ti potrà sembrare pazzesco, però credo di volerle concedere un’occasione».
Il sorrisetto di Timmi sbiadì in una manciata di secondi, man mano che l’irritazione della consorte lievitava.
«Credi che non abbia capito cosa stai facendo? Hai lasciato
andare Skadi perché speri che faccia saltare i nervi a Kyle
così che commetta qualche sciocchezza che lo scombini ancora di
più, non è vero? Vuoi che si metta in cattiva luce e si
faccia odiare da nostra figlia per aver detto o fatto qualcosa che
può ferirla» lo accusò, gli occhi ridotti a due
fessure.
«Meglio che gli saltino i nervi piuttosto che i denti, no?»
si schermì Timmi, percependo distintamente la mole di lodi
sperticate che Gaeliath stava tessendo all’indirizzo di sua
moglie.
Doveva fare due chiacchiere col suo dannatissimo demone personale e
chiarire una volta per tutte che se il cognome da sposata di Nadine era
Anderson e non Iroso, c’era un valido motivo.
«Sceriffo Timothy Jonathan Anderson, questa me la pagherai! Oh, se
me la pagherai! Volevo solo evitare che Skadi combinasse qualche
disastro o mettesse in imbarazzo Kyle, visto che pare abbia ereditato
il tuo potere di demolire la gente. Soprattutto se si tratta
di tuo fratello» puntualizzò.
«E magari volevi vedere se c’era modo di accasarlo e farlo
sloggiare, così non ne avremmo sentito parlare mai
più?» suggerì, trattenendosi dal ridere alla sua
espressione risentita. «Non devo ripeterti che mi fa andare in
ebollizione il sangue l’idea che gironzoli qui intorno e abbia a
che fare con nostra figlia, anche se si sta comportando da persona
normale e per bene, stando a quanto dicono in città. Preferirei
sparisse da solo seduta stante, così non dovrei sporcarmi le
mani».
La moglie lo fronteggiò, arricciando le labbra e sollevando un sopracciglio con aperto scetticismo.
«E dovrei crederti? Dopo che sei pure andato a parlargli di
nascosto e a dargli buoni consigli da fratello minore, grande esperto
della vita e del mondo?» lo punzecchiò.
«Chi cazzo te l’ha detto? Dran?» brontolò seccato.
Detestava che certe cose venissero a galla. Lo facevano sentire in torto con se stesso.
«Dimentichi che sono una strega. E che mia “cognata”
è una sirena che ama sguazzare in tutti i laghetti del
circondario, riferendomi di quanto il suo “bisbetico
fratellone” sappia dimostrarsi premuroso, contraddicendo i suoi
stessi atteggiamenti nei riguardi di una persona che giura e spergiura
di odiare a morte».
Timmi sbuffò, stringendo i denti per non imprecare
un’altra volta. Perché tutto gli si ritorceva contro?
Ospitare quell’orata bipede si era rivelato un disastro, una
tragedia senza fine. E chi gli impediva di allontanarla? Sempre lei:
Skadi. Sembrava facesse di tutto perché non potesse liberarsi
delle persone che meno sopportava.
«So che non lo ammetterai mai, ma sono sicura che sotto sotto
saresti contento di sapere che Kyle ha trovato una persona che lo ama e
con cui può rifarsi una vita, esattamente come l’hai
trovata tu» aggiunse Nadine.
«Se Skadi riuscisse a liberarlo dalle sue stupidissime paranoie, anche spappolandogli il cervello, e questa fantomatica lei
- ammesso che esista visto che nemmeno la chiama per nome - lo
convincesse a sparire, ben venga. Intanto, ricordargli che è un
ospite sgradito rimarrà il mio passatempo preferito» disse
prendendola per mano per trascinarla verso casa.
Nadine non lo seguì, obbligandolo a fermarsi.
«Se tuo fratello se ne andrà con le buone o con le cattive
poco importa: nostra figlia ne soffrirà. Gli si è
affezionata molto in questi mesi. Ci terrebbe tanto a vedervi andare
d’accordo. O almeno, che riusciste a stare nella stessa stanza
senza che tu cominci a dare i numeri. E non ti nascondo che piacerebbe
anche a me».
Rassegnato, Timmi l’abbracciò, cullandola un poco. Saperla
triste per via dei suoi atteggiamenti lo faceva sentire male; tuttavia,
chiedergli di trattare diversamente Kyle era impossibile.
«Skadi ha diciotto anni, è abbastanza grande da capire che
la vita deve fare il suo corso. Specie con tipi come lui. Andrà
come deve andare. E ora, se non ti spiace, signora mogliettina troppo
pensante, puoi tornare di sopra e svestirti esattamente come qualche
ora fa? Così posso farti vedere come espio la mia colpa per
averti segregata qui».
***
«Per quanto ne avrete, voi due?» chiese a un tratto Kyle, alzando la voce abbastanza perché lo udissero.
Due teste si sporsero esitanti oltre il parapetto del tetto:
l’uomo, allungato sulla chaise longue con un vecchio libro
d’incantesimi tra le mani, fece loro segno di scendere.
Insieme a Skadi c’era un ragazzo di poco più grande.
Indossava un completo in stile neogotico tempestato di decorazioni
macabre, quasi fosse appena tornato da una convention sull’arte
cimiteriale, e che strideva con il volto colorito ai limiti
dell’ustione da lampada abbronzante. Di certo, Teodore Jerkins
stava sperimentando tutto ciò che tre secoli di vampirismo gli
avevano precluso.
«Salve, Anderson» salutò, facendo tintinnare lo
stuolo di charms a forma di teschi e piccole bare che aveva cuciti
sulla manica della giacca.
«Buona sera, ragazzi. Qual buon vento vi ha abbandonati lassù?»
«Da quanto lo sapevi che eravamo lì?» chiese Skadi, le braccia dietro la schiena come una bambina monella.
«Da quando vi siete schiantati sul ghiaietto come
un’anfisbena zoppa. Gli atterraggi non sono esattamente la vostra
specialità» osservò, facendo comparire dei
bicchieri e qualcosa da bere per tutti.
«Ma sono quasi le quattro! Ci hai lasciati lì tre ore senza dire niente?!» strillò lei.
Kyle posò il libro, scrutandola da sopra la montatura metallica degli occhiali.
«Volevo vedere quanto avreste resistito prima di andarvene da soli. Purtroppo siete troppo cocciuti».
«Ci dispiaceva lasciarti senza compagnia. A proposito, come mai
solo soletto, visto che di solito te ne vai “a spasso con una
donna meravigliosa e adorabile”, senza dire niente alla tua dolce
nipotina? La tua bella non c’è? Non l’avrai fatta
scappare?» disse tutto d’un fiato, premurandosi di
evidenziare con uno sguardo purpureo quanto la sua riluttanza
l’avesse infastidita.
«Domanda retorica?» sorvolò, indagando subito se il
latore dei pettegolezzi fosse il postino, Zachary Fields, noto per la
sua abitudine a diffondere ogni più risibile dettaglio delle
vite dei propri concittadini.
«No. Maggie Olson. Non c’è notizia che ti riguardi
che non passi prima dal suo emporio. Sei il suo argomento di
conversazione per eccellenza, lo sai, e hai avuto la pessima idea di
“far spesa da lei in parecchie occasioni, accompagnandoti a una
bella figliola, tanto carina e a modo, e scatenando l’ira delle
sue spasimanti. Ma ho sentito il signor Anderson dire al cellulare che
l’aspettava stasera al suo rientro, quindi mi sa che è
fuori città”» spiegò Teddy, imitando la voce
stridula della loquace commerciante.
«Ebbene sì, è andata per qualche giorno in Canada a
trovare la madre che non stava bene. E, accidenti a quella telefonata,
sì, tornerà stasera» confermò, pentito
d’averla chiamata in presenza di orecchie indiscrete.
«Voglio conoscerla, zio» miagolò Skadi, piombando sulla chaise longue e dandogli di gomito.
«Immaginavo che me l’avresti chiesto prima o poi» sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
Non li aveva più tagliati dall’arrivo di Arshan e ora gli sfioravano le spalle.
«Speravi poi, vero capo?» s’intromise Teddy, che aveva scolato mezza birra in un solo sorso.
«Touché» ammise. «Ho troppa considerazione del
mio privato per permettere a chiunque di ficcarci il naso».
«Ehi, ti ricordo che sono tua nipote, non “chiunque”!
È mio preciso dovere preoccuparmi per te. A proposito, come stai
messo a contraccettivi?»
«Sai cos’hanno in comune un mago e un gentiluomo?» ribatté sorseggiando quieto il proprio bicchiere.
«A parte essere tutti e due te? No» riconobbe, volgendo lo sguardo all’amico.
L’ex-vampiro sorrise, mostrando i canini aguzzi. Aveva scoperto
che averli conservati gli era valso una discreta popolarità
nella comunità dark locale.
«Né l’uno né l’altro rivelano mai i
loro segreti» rispose, suscitando nella ragazza una smorfia
risentita.
«Molto spiritosi, grazie. E sentiamo un po’, tra i segreti
c’è anche il fatto che lei vive con te da cinque
mesi?» s’informò la ragazza, facendogli andare di
traverso un sorso di vino.
«Chi ha fatto la spia stavolta?» tossicchiò.
Skadi sogghignò con finta innocenza.
«Zio, mica stiamo a Los Angeles o New York. La città si
sarà pure allargata ma la pettegolo-diffusione impazza ancora,
te l’abbiamo appena dimostrato, no? E comunque si dice il peccato, non
il peccatore».
«Dissero a quello che chiacchierava abitualmente con
Satana» rimbeccò perfido, evitando di far notare che
i mesi trascorsi dal ritorno di Arshan nella sua vita fossero sette.
Gli sembrò incredibile fosse trascorso tutto quel tempo e
più ancora che quei pochi giorni senza di lei si fossero trascinati
con lentezza esasperante, quando il lupo superò con un pesante
balzo la balaustra di mattoni. Piombò a pochi centimetri dalle
gambe di Ted, lanciando un latrato basso e prolungato
all’indirizzo degli intrusi. Kyle si frappose, allargando le
braccia e sorridendo come fosse la cosa più normale del mondo.
«Bentornata. Perdonali, si tratta di una visita chiaramente a
sorpresa» li giustificò e i due non poterono far altro che
annuire con convinzione.
I ragazzi non avevano mai visto un lupo mannaro tanto vicino da
poter distinguere le singole ciocche di pelo o l’inquietante
lunghezza degli artigli. Era una creatura alta e robusta, la cui sagoma
snella era identica a quella di un lupo della taglia di un uomo, quando
stava in posizione semieretta. Eccettuato per le dita delle zampe
anteriori che erano più lunghe e affusolate di quelle di un
canide, per la curva accentuata della groppa e per l’assenza
della coda, era in tutto e per tutto un abitante delle foreste.
«Mia nipote Skadi e il suo amichetto Teodore» li
presentò Kyle, premurandosi di calcare maliziosamente sulla
parola “amichetto”. «Ragazzi, vi presento
Arshan».
Gli occhi argentei brillarono sul mantello nero come diamanti mentre li
passava in rassegna, sospettosa. Li annusò con calma, girando
loro attorno. Gli artigli ticchettavano sul pavimento della terrazza ad
ogni passo.
Skadi si ritrovò naso a naso con la fidanzata dello zio, che
pareva attratta dai suoi capelli, come se percepisse che il biondo non
fosse il suo colore naturale. O forse sentiva il demone dentro di lei,
chi poteva dirlo? Ricevette persino una leccatina affettuosa sulla
fronte, una sorta di saluto o approvazione, che le fece respirare
l’odore dolce del fumo di legna resinosa intrappolato nella
pelliccia. Ebbe la tentazione di allungarsi a sfiorarle un orecchio, ma
Kyle le fece cenno di no.
«Sono molto sensibili, non le piace che le tocchino» spiegò sottovoce.
La ragazza annuì abbassando lentamente la mano, sotto lo sguardo
vigile della creatura che pareva aver compreso ogni cosa. Il suo
sguardo era troppo vivo e astuto per essere scambiato con quello di un
animale.
«Papà non te l’ha detto, eh?» ridacchiò
Kyle, notando la sua crescente perplessità nell’osservare
Arshan che, accovacciata, era passata a valutare i pantaloni borchiati
del giovane, visibilmente imbarazzato.
«No. E neanche zia Ariel. E neanche tu!» rimbrottò allungandogli un pizzicotto.
«Te l’ho detto: tengo alla nostra privacy».
«Mica hai intenzione di farci qualcosa mentre è
così, vero? Perché questo, giuro, non potrei accettarlo.
Sei troppo di classe per certe cose» bisbigliò, ricevendo
una leggera spinta come risposta.
Kyle s’inginocchiò accanto ad Arshan, passandole un
braccio attorno alle spalle. Il lupo mannaro poggiò pesantemente
il capo sul suo petto, emettendo un grugnito fiacco. Altre volte era
rientrata indebolita dai raduni o dalle cacce, ma qui c’era di
mezzo una stanchezza diversa e infinitamente più grande.
«Sei sfinita, non è così?» sussurrò prendendole il muso tra le mani.
In risposta, il licantropo strusciò il muso contro la sua gola,
guaendo. Le sue zampe toccavano a scatti il pavimento e non c’era
parte di lei che non fosse scossa da violenti tremiti. Era talmente
esausta che il battito lento e potente del cuore oltrepassava la spessa
pelliccia nera, facendola sobbalzare.
«Ragazzi, devo chiedervi di andare. È la notte meno
indicata per delle presentazioni. Un’altra volta organizzeremo un
incontro come si deve».
«Uffa, va bene. Come dici tu zio» disse Skadi, chinandosi un
po’ verso il muso del lupo mannaro. «Piacere di averti
conosciuta, Arshan».
Il breve silenzio che mise prima del nome della donna fece venire i
brividi a Kyle, che temeva di sentirle pronunciare la parola
“zia”. Per fortuna, pareva che le manovre della nipote non
prevedessero di coinvolgere Arshan. Almeno per il momento.
Mentre lei si avviava verso le camere da letto, Kyle accompagnò i ragazzi alla porta.
«Toglile la pelliccia e poi dacci dentro, zio! Falle capire cosa
significa stare con un Anderson!» esclamò improvvisando un
ridicolo balletto in mezzo al soggiorno.
Lui la fissò allibito e lo stesso fece Teddy.
«Fila a casa, o porterò a tuo padre il conto per i liquori
che hai fatto sparire dalla sua scorta e che io ho dovuto rifondere a
sua insaputa. E tu bada che ci arrivi intera e senza tappe intermedie,
o rimpiangerai il terrore per i paletti nel cuore»
minacciò bonario.
Chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò di peso, inspirando
profondamente. Forse sua nipote sembrava totalmente impazzita, ma le
sue ridicole scenette l’avevano sgravato di gran parte della
tensione.
Rimase in ascolto e non udendo alcun suono di passi o il frizzare di
una Proiezione nell’aria, capì che i due dovevano essere
ancora lì, probabilmente con le orecchie appiccicate alla porta.
Posò il palmo sul legno e lanciò un incantesimo sonoro
che li centrò in pieno, lasciandoli storditi sul pianerottolo.
«Non si origlia» li ammonì tra sé.
Stava per allontanarsi quando la voce di Skadi lo raggiunse, allegra e pestifera nonostante tutto:
«Siamo con te, zio! AAAUUU!»
***
Erano quasi al parco quando Teodore si decise ad aprire bocca.
«Si può sapere perché tanto interesse per quello
che combina tuo zio? E cosa sono tutte quelle allusioni sessuali? Cambi
colore a sentir parlare di “fondoschiena” e adesso ti metti
a fare la cheerleader inneggiando al sesso in ogni dove?
Cos’è? Un improvviso moto hippie?» domandò
perplesso.
La ragazza continuò a camminare per un po’, raggiungendo la loro panchina preferita, dove si lasciò cadere.
«Ti ricordi come mi ha trattata lo zio quando l’ho
incontrato la prima volta?» gli chiese, lo sguardo velato
d’orgoglio e tristezza allo stesso tempo. «Non mi ha
giudicata, né mi ha usata contro mio padre, anche se avrebbe
potuto. Anzi, ha subito cercato di starmi vicino, di farmi ragionare e
capire come stavano le cose».
«E con questo?»
«Si è comportato subito come un vero zio, come una persona
che mi voleva bene da sempre. Non credi che basti a fargli meritare
qualcosa di buono? C’è qualcosa che lo sta frenando, io e
Shamjazya lo sentiamo, anche se non riusciamo a capire di cosa si
tratta. Vogliamo vederlo felice più spesso. E deve sorridere
perché la faccia da incazzato cronico di mio padre non gli sta
bene. Lui è più un pensatore, un filosofo figo».
«Cosa mi tocca sentire… Kyle Anderson, figo?!» esclamò in un tetro scampanellio di ornamenti.
«Hai visto quante gli sbavano dietro? Sinceramente, Ted, zio Kyle
fa la sua porca figura, ma da quando è tornato, papà
l’ha solo tartassato, Xander, Jo e Alis fingono di averlo
accettato ma continuano a essere diffidenti, Trys e Darth gli parlano
come fosse un estraneo ed io non sono proprio quella che si dice una
nipote modello. Alla faccia della famiglia disfunzionale» si
lamentò, poggiando la testa sulle ginocchia.
Il caschetto biondo si accorciò, rivelando una capigliatura
ispida che riprese la sfumatura verde ereditata dal padre, facendola
somigliare a un porcospino muscoso, come sempre quando era giù
di morale.
«Parli della scenata che Shamjazya ha fatto per te dentro
“Antiqui Mundi”, quando tuo zio vi ha dato una solenne
rigirata perché ha scoperto di essere stato usato come copertura
per venire al concerto degli Slayer?»
Skadi nascose la faccia tra le mani, colpevole: il suo demone aveva
quasi demolito la galleria d’arte con quel gesto idiota. Inutile
cercare scusanti: lo zio aveva tutte le ragioni d’arrabbiarsi,
dopo essere stato massacrato dalla versione light di Gaeliath senza
avere la minima idea del perché. Se l’avesse reso
partecipe di quel sotterfugio, probabilmente l’avrebbe dissuasa
dal portarlo avanti e la cosa non avrebbe avuto alcun seguito.
«Anche. Di quello e di un altro paio di cosette che non saprai
mai» dichiarò. «Glielo devo, Teddy. È anche
merito suo se sono uscita viva da là sotto e ho recuperato un
bel po’ del rapporto con mio padre. Mi ha anche insegnato
parecchi incantesimi, mi sta aiutando a imparare a gestire i miei
poteri demoniaci, perché se sbrocco di nuovo come ho fatto con
papà… o alla galleria…» ed evitò
cautamente di procedere oltre.
Il ragazzo rimase a dondolarsi sui tacchi, meditando sui risvolti che
nel tempo stavano emergendo dalla visita nell’Averno. Era
incredibile come da un luogo di morte fossero state generate delle
nuove vite.
«Skadi?» chiamò chinandosi in avanti, fino a portare gli occhi alla stessa altezza dei suoi.
Lei si limitò a sollevare lo sguardo. Il viso di Teddy era a
brevissima distanza dal suo, poteva sentire ancora lo spunto della
birra nel suo respiro.
«Ti va di baciarmi?» propose avvicinandosi.
«Teddy…»
«Sì?» sussurrò, facendole una carezza.
«Vai a farti rivampirizzare, eh!» mormorò mostrandogli il medio a un centimetro dal naso.
Lui scoppiò a ridere, dandole pacche sulla schiena e scrollandola allegramente.
«Questa è la mia Skadi! Finiscila con le smancerie: non sono tornato umano per farmi venire il diabete!»
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Capitolo 7 *** VII - Buongiorno ***
VII - Buongiorno
VII – Buongiorno
Arshan
dormì profondamente per tutta la mattina, sfinita dalla lunga
trasformazione. Aveva avuto a stento la forza di farsi una rapida
doccia, prima di crollare tra le lenzuola dopo aver abbandonato la
pelliccia stregata da qualche parte nella stanza. A malapena aveva
sentito le incitazioni di Skadi, che l’avevano comunque fatta
sorridere per l’esagerata e insolita dimostrazione di affetto.
Kyle
era uscito silenziosamente, deciso a trascorrere la mattinata ad
“Antiqui Mundi”, salvo tornare sui propri passi quando
l’orologio della piazza era lungi dal suonare le undici. Saperla
sola e stanca l’aveva mandato nel pallone più totale.
Persino passeggiare tra i reperti, chiacchierando con gli spiritelli
che contenevano, era servito solo ad aumentarne l’agitazione. In
quel momento la guardava dalla porta, assorto, così com'era stato nelle due ore precedenti.
«Buongiorno, signor zio Anderson» mormorò stiracchiandosi.
Si avvicinò, evitando di guardare la schiena e le gambe nude che emergevano dalle coltri.
«Buongiorno, bella di notte.
Ci sono le tue impronte dal terrazzo fino al bagno» salutò
sottovoce, sedendo sul bordo del letto con due tazze tra le mani.
«Scusami. Pulirò tutto, promesso» piagnucolò colpevole nel cuscino.
«Troppo tardi, ho fatto io. Colazione?» disse porgendole una tazza.
Lei
si mise a sedere drappeggiandosi addosso il lenzuolo, e
sorseggiò il caffè. Kyle trovò che il paragone con
una versione moderna di una dea dell’Olimpo fosse piuttosto
calzante.
«Com’è andata?»
«Escluso
il viaggio di andata e ritorno a marce forzate, la tensione
dell’attesa, il digiuno di purificazione obbligatorio e un
acquazzone come pochi altri, bene. Mia madre ha superato cose peggiori,
ne uscirà trionfante anche stavolta. Non per niente è una
tra le più importanti matriarche dei nostri giorni».
«Ed ha undici figli che le vogliono un gran bene» soggiunse.
La donna annuì, continuando a bere il caffè. Kyle provvide a far
arrivare dalla cucina la biscottiera che aveva riempito poco prima con
le delizie della pasticceria Duclos.
«Come
mai tua nipote odora di pesce e il suo fidanzatino di tombe?»
chiese Arshan, tra un dolce e l’altro. «Mi avevi detto che
in famiglia siete dei tipi un po’ particolari, ma questa me la
devi proprio spiegare».
Kyle
annuì, addentando un frollino alle mandorle. Aveva sempre
cercato di evitare di parlare dei suoi parenti, non si sentiva pronto a
mostrarle quell’improbabile miscuglio. Sapeva che li avrebbe
apprezzati, ma il poco affetto dimostrato nei suoi riguardi
l’aveva frenato: non voleva che Arshan si facesse un’idea
sbagliata di Timmi e della sua famiglia. C’erano fin troppi
attriti e desiderava appianarli, non peggiorarli.
«In
mia assenza sono successe tante cose, non da ultimo che la famiglia
Anderson abbia adottato una sirena, che per Skadi è
semplicemente zia Ariel. Passano molto tempo insieme, è
inevitabile che acquisisca il suo odore. Teddy invece… beh, il
suo è un discorso più complesso. Era un vampiro, fino a
qualche tempo fa. Ora è tornato umano, ma ha conservato una
certa affezione per i cimiteri».
Arshan meditò per qualche istante sulla rivelazione e quando fece per annuire, serrò le labbra in una smorfia.
«Cosa c’è?» domandò preoccupato.
«Non è niente. Sto bene» soffiò cercando inutilmente di arretrare verso i cuscini.
«Ovviamente.
Sei rigida come la statua di Osiride che abbiamo all’ingresso, il
che, com’è noto, è indice di un benessere
diffuso» la rimproverò ascoltandola trattenere un lamento.
Fu costretta a vuotare il sacco, arricciando il naso contrariata dall’essersi fatta scoprire.
«È
la schiena. Ho passato quasi tutto il tempo a un raduno di preghiera, stando acquattata
senza poter muovere un muscolo mentre le guaritrici si occupavano di mia madre. E questo è il risultato»
sbuffò.
Lui le tolse di mano il caffè e il biscotto che aveva appena preso, riponendoli sul comodino.
«Sdraiati, ci penso io a rimetterti in sesto» si offrì con un sorriso.
Mentre
le massaggiava le spalle, si chiese cosa diamine gli fosse preso. Era
cavalcioni sulle gambe di Arshan che, nuda, si offriva senza alcuna
malizia al suo tocco.
Sei
pazzo, Kyle Anderson. Sei veramente uno squilibrato. Devi farti curare.
O devi deciderti a capire una volta per tutte cosa c’è tra
di voi o cosa vuoi che ci sia, si ammonì.
Concentrò
l’attenzione sui movimenti circolari, sulla pressione che le dita
trasmettevano ai muscoli indolenziti, mandando a memoria i gesti delle
esperte massaggiatrici orientali da cui si serviva Ducan.
L’impegno ebbe vita breve: man mano che i minuti passavano, a
occupare i suoi pensieri furono il tepore e la morbidezza di quella
pelle bruna, il desiderio di deviare dai tracciati terapeutici per
poterne disegnare di nuovi e meno casti, la voglia di spogliarsi e fare
di nuovo l’amore con lei. Si riscosse sentendola mugolare quando
cominciò a esercitare pressione all’altezza delle vertebre
lombari. I muscoli di quella regione erano tesi allo spasmo.
«Ti fa molto male?» s’informò, ma Arshan negò, scrutandolo con la coda dell’occhio.
«Pare faccia più male a te» commentò.
«A me?»
In risposta, lei prese un profondo respiro e continuò a godersi il massaggio.
«Adesso
so» sospirò assorta, passando la lingua sulle labbra.
«So qual è l’odore della tua eccitazione. Ricorda la
salsa al melograno che hai preparato una volta. Ed è così
intenso che mi fa girare la testa».
Kyle
rimase immobile, sentendosi in trappola. Fissava la sua schiena nuda da
cui non riusciva a staccare le mani, provando la strana sensazione di
essere lui quello svestito.
Lentamente,
la donna si voltò. Sorrideva, tendendo la mano per invitarlo a
stendersi al suo fianco. Seppur titubante, si oppose al richiamo,
restando seduto con lo sguardo fisso sulla perla che dondolava sul suo
ventre. Temeva che se avesse sollevato gli occhi fino al suo viso,
percorrendo le curve dei fianchi e dei seni, della gola e delle spalle,
avrebbe nuovamente perso il controllo, com’era accaduto a
Capodanno. Arshan lo tolse d’impaccio, liberandosi
dall’abbraccio del lenzuolo per sedergli in grembo.
«Forse
non lo sai, ma dopo aver trascorso giorni interi con indosso
quella,» e indicò la pelliccia posata sulla cassettiera,
«i nostri bisogni primari di umani ne risultano amplificati,
più di quanto non siano abitualmente. Un posto dove sentirsi al
sicuro, riposo, cibo, un buon caffè… Coccole. Un compagno
con cui accoppiarsi».
Anderson
sentì i battiti schizzare a mille in una frazione di secondo.
Provò a dire qualcosa, ma scoprì la salivazione azzerata.
Rimase inebetito a guardarla sbottonargli la camicia, che finì
sul pavimento. Era stordito dal contatto col corpo tiepido del
licantropo, inebriato dall’intrigante dolcezza di un linguaggio
fatto di tocchi lievi e sospiri, pervaso da un languore lucido e
dilagante. Credette di essere una preda che si offriva volontariamente
alle fauci della belva e scoprì d'aver ragione quando il morso
di Arshan affondò famelico. Strinse i denti per
non gridare, incapace di frenare il verso cupo e vibrante gli
riempì la gola.
«Tranquillo, non ti mangio» mormorò la donna, leccando il segno che aveva impresso sul suo collo.
Esasperato, le prese il volto tra le mani, sussurrando labbra contro labbra:
«Tu no. Io sì».
Dimentico
del buon proposito di far chiarezza, Kyle lasciò che il caos
della libido avesse il sopravvento e la spinse indietro, fra le
coperte, imprigionandola sotto di sé. Dal semplice scambio di
tenerezze, i baci divennero uno strumento di tortura con cui
dimostrarle d’essere in grado di rispondere a dovere alle
provocazioni. Era il suo turno di andare a caccia, di soddisfare il
bisogno di rivalsa e possesso. Scoprì con metodica precisione i
punti deboli che di notte nascondeva sotto il mantello nero, conquistandoli uno a uno.
D’un
tratto s’irrigidì, risvegliato bruscamente dal gemito di
dolore di Arshan. Guardò tra i loro corpi, scoprendo la fibbia
della cintura agganciata malamente al piercing. Passato il primo
imbarazzo, entrambi si misero a ridere, stretti in un abbraccio. Kyle
le baciò la tempia, in segno si scuse.
«Sono imperdonabile. Non volevo farti male» mormorò stendendosi, pronto a essere scacciato.
Certezza che vacillò quando lei gli prese la mano, guidandola affinché raggiungesse il gioiello e lo sfilasse.
«Lascia
perdere le buone maniere, signor Anderson. Salviamoci la vita» lo
invitò, slacciandogli la cintura con voluta lentezza.
***
Il pomeriggio volgeva al termine, silenzioso complice degli amanti che
oziavano tra le lenzuola, vittime felici del dolce torpore
dell’orgasmo. Arshan accarezzava in punta di dita la cicatrice di
Kyle, che si limitava a farle da cuscino, godendosi il lieve solletico
che i suoi capelli gli facevano sulla guancia.
«Sembra
una rosa del deserto. Di quelle messicane, hai presente? Grandi, con le
sfaccettature molto fitte e i riflessi perlacei. Secondo le nostre
guaritrici pare abbiano la proprietà di aiutare la
concentrazione e l’equilibrio interiore» disse seguendo i
contorni frastagliati dello sfregio e lui gliene fu grato.
Si
scoprì a pensare quanto avrebbe preferito fosse
stato così. Era abbastanza difficile sopportarne la vista ogni giorno,
associargli una valenza positiva avrebbe potuto aiutarlo ad accettarla.
«Purtroppo è un ricordino di mio fratello, di quando eravamo piccoli» spiegò amareggiato.
Gliel’avevano
inferta Timmi e il suo demone, quando si erano opposti per la prima
volta al Divoratore di Anime. Tuttavia, la
tristezza che provava stava altrove: aveva deciso di parlare,
di raccontare ad Arshan tutte quelle cose sul suo conto che, temeva,
l’avrebbero spinta ad andarsene. In fondo, un licantropo aveva
abbastanza problemi da sé, senza doversi accollare quelli di un
ex-mezzodemone completamente folle, morto e risorto come semplice mago.
«Un vero mostro, il fratellino» osservò ironica, sapendo di non sbagliare di molto.
Era
incredibile che non avesse mai incontrato lo Sceriffo in tutti quei
mesi. Certo molto dipendeva dalla reticenza di quest’ultimo ad
avere a che fare con tutto ciò che riguardava Kyle, inclusa lei.
Timmi
deve avere veramente una pessima opinione di suo fratello, se insiste a
rifiutarsi di cambiarla. Oppure è solo molto ostinato, considerò dispiaciuta.
«Non
ero un santo nemmeno io. Me la sono cercata e ho pagato per questo. Per
questo e tutto quello che il demone che avevo in corpo mi ha spinto
a fare, senza che tentassi minimamente di contrastarlo».
«Cosa stai cercando di dirmi, Kyle?»
L’uomo
inspirò profondamente. Era il momento di spiegare cosa li aveva
divisi per tanti anni, non poteva evitarlo in eterno: era obbligato a
guardare in faccia la realtà e a scontrarsi con i suoi
strascichi.
«Sono
stato relegato all’Inferno per diciassette anni, Arshan.
Letteralmente. Quinto Cerchio, Palude Stigia, Iracondi e
Accidiosi» specificò, come se leggesse l’etichetta
di un inventario. «Ecco perché non riuscivi a trovarmi:
non ero nascosto chissà dove, né avevo cambiato
identità o che altro. Ero morto per davvero».
«Chi…»
«Sempre mio fratello» sospirò, indovinando la domanda.
«Ecco
perché tutti ne parlano male» tentò di scherzare,
ammutolendosi all’espressione triste dell’uomo.
«Ne
aveva tutti i motivi e i diritti, credimi. Col senno di poi, ho capito
che era l’unica scelta saggia. Lasciarmi in vita mentre ero
soggiogato dalla brama di potere e rabbia del demone sarebbe stata una
pazzia peggiore. Uccidendomi, Timmi mi ha liberato e per questo gli
sarò eternamente debitore. Anche se rifiuta qualsivoglia
tentativo da parte mia di ricambiare anche solo in minima parte».
Finalmente
trovò il coraggio di narrare ogni cosa, di dire quanto orrore e
crudeltà si celassero dietro la ricerca della Fornace cui lei
stessa era stata coinvolta suo malgrado. Le raccontò della morte
di Ducan per mano sua, del violento scontro con Timmi sull’isola
e di come questi aveva prevalso sulla follia insensata del Divoratore
di Anime pur non possedendo appieno i poteri del proprio demone. Le
descrisse il lungo e tempestoso processo al cospetto dei
giudici dell’Oltretomba, di come Lucifero e i Custodi
dell’Eden avessero dibattuto a lungo sulla durezza della pena da
comminare alla sua parte umana e a quella infernale. Le parlò
dei lunghi anni trascorsi camminando lungo la riva dello Stige,
riflettendo su ciò che era stato e avrebbe potuto essere, i suoi
tormenti di uomo e di essere incompleto. E infine, di come grazie alla
discesa di Skadi nell’Averno avesse avuto la possibilità
di rimettersi in gioco, guadagnandosi una seconda chance.
Arshan
ascoltò con attenzione l’intero racconto, senza
interromperlo. Solo di tanto in tanto si lasciava sfuggire un singulto
o gli faceva una carezza, comprensiva. Per mesi si era interrogata sul
vuoto alle spalle di Kyle, quello spazio indefinito tra il loro saluto
sull’isola e il ritrovarsi alla galleria d’arte, e
sull’ostinato silenzio con cui lui lo proteggeva. Sul suo viso
scorgeva un’ombra di dolorosa malinconia quando per caso vi
faceva cenno e adesso ne conosceva il motivo.
«Ora
capisco come mai il tuo odore era cambiato. Morendo l’ospite, il
demone parassita è deceduto a sua volta. Così,
dall’Aldilà è riemersa unicamente la tua parte
umana, modificando l'impronta olfattiva. Per questo ho faticato a
riconoscere la tua traccia davanti ad “Antiqui Mundi”.
Avrei dovuto pensarci» commentò, trascorso un lungo
silenzio.
«Tu… sapevi di Adar Molok? Il Divoratore?» domandò perplesso da tanta quieta lucidità.
«I
licantropi discendono dai Segugi Infernali, sanno fiutare la magia bene
quanto loro. Ed io sono una delle migliori in questo campo,
ricordi?» sorrise, sfiorandosi la punta del naso.
«Percepivo in te la presenza di un’entità molto
potente e negativa, inquietante e astuta, pur non riuscendo a
distinguerla con precisione. Più i demoni sono antichi
più sanno dissimulare la loro reale natura. E poi, allora ero
solo una cucciola inesperta. Sapevo giusto distinguere un Tomte da una Fata.
Ma quando ero con te non facevo altro che domandarmi come potesse
convivere un uomo tanto gentile e per bene con una creatura simile,
qualunque essa fosse».
«È
stato il gesto sconsiderato di un pazzo. E ti capisco se temi che
possa…» ma non riuscì a dire altro: la donna gli
aveva posato un dito sulle labbra e la sua espressione perentoria
obbligava al silenzio.
«Ricordi
chi sono, signor Anderson? Sono un lupo mannaro. La gente mi odia a
prescindere dal mio bel faccino o dal mio modo di fare. Quando scoprono
chi sono, i giudizi piovono da ogni parte e Arshan Digahali è
come se non fosse mai esistita. So cosa significa sentirsi giudicati e
messi all’angolo per un passato non limpido. E capisco la tua
paura ad avermi vicina, ma giuro che non ho intenzione di addentarti.
Non quando sono trasformata, almeno» soggiunse ridendo.
Lui non era della stessa opinione: allontanò la sua mano dalle labbra, stringendosela al petto.
«Io
non ho paura di te, né come donna né come licantropo. Ho
paura per quello che potrebbe capitarti standomi vicina. Demoni,
mostri, dei e persone con cui ho avuto a che fare per via di Ducan o
che si divertono a scombinare la vita a quelli come me, potrebbero
prenderti di mira solo perché mi stai accanto. Non posso
chiederti tanto. Non ora che…»
Si
zittì, sentendosi in bilico sull’orlo di un baratro. Un
baratro d’argento, invitante e colmo di quiete, come gli occhi
che lo fissavano e che fece chiudere posandovi un bacio.
«Non
ora che sei così importante per me» ammise infine.
«Sono stato una figura di cui il mondo avrebbe fatto volentieri a
meno. Mi sono lasciato alle spalle una scia di morte, per la quale
meriterei di essere precipitato in qualche abisso e lì lasciato
a marcire fino alla fine dei miei giorni. È solo…»
e s’interruppe per inghiottire il groppo che minacciava di
soffocarlo. «È solo che non ce la faccio. Sento il bisogno
degli altri, voglio essere parte di qualcosa di buono, dimostrare a me
stesso che il male è stato estirpato definitivamente. Da quando
sei qui, ho l’impressione di poterci riuscire davvero, di
concretizzare il mio proposito. Tutto quello che mi stai dando mi rende
una persona migliore, ma subito dopo ho paura di aver commesso un
errore imperdonabile e non riesco a capire se ciò che desidero
corrisponde a ciò che mi dai».
Arshan gli scostò i capelli scuri dalla fronte, pensierosa.
«Non
me ne vado. E la possibilità di riscatto che desideri non solo
esiste, ma te l’ho data e continuerò a dartela con tutto
il cuore. Ho aspettato per diciannove anni di poterti amare, direi che
è una prova sufficiente. Ti avevo scelto quel giorno nel
deserto, ed ho cercato di dirtelo sull’isola, ma ero troppo
ingenua per comprendere l’instabilità della vita. Come
vedi, anch’io ho pagato il mio errore con anni di malinconia e
struggimento. Adesso non m’importa se qualcuno può volerci
male: vadano a prendersi il tuo posto nell’Averno, lo meritano
più di te per quel che mi riguarda. Io resto con te»
dichiarò, abbracciandolo stretto per ribadire la fermezza della
sua decisione.
Rinfrancato solo in parte dalla dichiarazione, Kyle ricambiò l’abbraccio.
«Cerca
di essere realista. Te la senti davvero di correre un rischio simile?
Persino mio fratello e i suoi amici preferirebbero vedermi di nuovo
morto» le fece notare, respirando il profumo dolce dei suoi
capelli neri.
«So
riconoscere una minaccia fasulla meglio di te e, credimi, le loro
parole non possono fare più male di uno sbuffo d’aria.
Direi che non hanno mai avuto a che fare con un autentico penitente che
abbia ricevuto una meritata grazia, per questo faticano ad accettarti.
Dubito che la loro sia autentica cattiveria».
Rimasero
in silenzio per diverso tempo, cullati dai battiti dei cuori. Fuori,
nuvole sottili passavano nel cielo che scoloriva sopra la città.
«Cosa faresti se tuo fratello tentasse di farmi del male?» s’informò Arshan.
L’immagine
di Timmi che la colpiva scatenò un’ondata di odio talmente
violenta che Kyle digrignò i denti. Abbassò la testa,
strofinandole il naso contro la guancia mentre le braccia aumentavano
la stretta attorno a lei. Sentirla aderire al suo corpo, racchiusa come
in una fortezza, ascoltando il suo respiro calmo, lo fece sentire
potente, invincibile. Molto più di quanto si fosse mai sentito
quando era il Divoratore di Anime.
«Lo
ucciderei a mani nude senza pensarci due volte. Al diavolo la magia,
non mi sfuggirebbe. Sarebbe spacciato» ringhiò con voce
bassa e ruvida.
Rabbrividì
udendo le parole che gli erano uscite di getto dalle labbra. Non si era
mai espresso con tanta cattiveria nemmeno con Adar Molok in corpo. E
la paura lo assalì.
«E
io? Se invece fossi io a ferirti? Se scoprissi che quello che credo di
provare per te è frutto di un abbaglio? Forse credo di amarti
per gratitudine, perché mi stai vicina senza giudicarmi,
accettandomi per come appaio oggi, lontano da un passato di assassino e
distruttore. E magari domattina o tra un anno, chissà, questo
sentimento potrebbe svanire e rivelare che si è trattato solo di
un orrendo inganno, la risposta a un bisogno passeggero di cui saresti
tu a subire le conseguenze peggiori».
«Perché dovresti ingannarmi?» domandò candida, non comprendendo il motivo di quelle parole.
«L’ho
già fatto una volta, dicendoti che la Fornace era una cosa buona
e utile all’umanità. E allora la vedevo proprio
così: distruggere tutto per me era la via migliore per la
rinascita. Resta il fatto che ti ho raggirata per i miei scopi.
Soprattutto, prima di te non ho mai avuto una relazione. Non so come ci
si debba sentire, come ci si comporti, cosa sia giusto fare o non fare.
Non riconosco ciò che sto provando. Tu mi stai dando tanto,
troppo. Potrei fingere di contraccambiare senza neppure rendermene
conto».
Parlarle
a quel modo lo faceva star male, a ogni sillaba sentiva crescere il
dolore e il risentimento verso di sé. Arshan non meritava di
sentirsi dire cose simili, ma lui doveva capire. Voleva sapere se quel
maledetto dubbio potesse avere una radice, se avesse ragione
d’esistere.
«Kyle,
leggo molte cose nelle tue reazioni, più di quante tu possa
immaginare. Sono sincere, libere, piene di vita. Non sono così
sciocca da confondere un gesto gentile fatto per rispetto, con un
sentimento forte e profondo come l’amore. E credo di aver appena
fatto un ritrovamento estremamente interessante, sai?»
L’uomo nascose il volto contro la spalla del licantropo, sogghignando ironico.
«Fammi
indovinare. Quello di un quarantatreenne, forse innamorato per la prima
volta in vita sua, che non ha la minima idea di come tenere in piedi
una relazione e che ha appena minacciato di morte suo fratello, il
quale, tra parentesi, è un Demone della Rabbia che sicuramente
ha sentito tutto e medita di ridurlo a tartare?»
«Non
solo. Hai ancora un pizzico di cattiveria in corpo, abbastanza da farti
rispettare senza tornare ai tempi della Fondazione. Hai conservato la
tua eleganza, il tuo charme. La tua intelligenza. Oltre ad una
dedizione totale per ciò che fai e che ora riversi sulle persone
cui tieni. Si vede dalla passione che infondi nelle parole quando parli
di Skadi o… di me. Trovo che sia del bel materiale».
«Materiale?» chiese sollevando la testa accigliato.
«Sì. Materiale per costruire un futuro insieme».
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Capitolo 8 *** VIII - Dead to the World ***
VIII - Dead to the World
VIII – Dead to the world
Skadi
si era messa d’impegno e tanto aveva detto, tanto aveva fatto, da
riuscire a organizzare a suo rischio e pericolo un pranzo in famiglia
per la festività del Quattro Luglio. Aveva trovato aiuto nella
madre, decisa a dare una parvenza di normalità alla situazione,
e uno ancora più grande e solido in Kyle e Arshan, altrettanto
risoluti a far funzionare le cose.
I
meticolosi preparativi gastronomici avevano occupato per intero i tre
giorni precedenti la celebrazione, riempiendo le cucine di profumi
invitanti e gli stomaci di brontolii ansiosi. Così, quando si
ritrovarono tutti a tavola insieme, ogni possibile dubbio sulla
resistenza dei fratelli Anderson alla reciproca presenza era stato
dimenticato da tutti. Eccetto che da una persona.
«Perché vuoi strapparmi le pinne?» chiese la sirena con beata innocenza.
Timmi e Kyle si voltarono contemporaneamente, esclamando chi in tono esasperato, chi furibondo:
«Insomma, Ariel!»
I
fratelli si squadrarono con identica perplessità. Qualunque cosa
avessero meditato, e per quanto i risultati dei loro pensieri avessero
potuto risultare simili, lei si era rivolta a uno solo di loro.
Bisognava capire a chi.
«Vedi
di farti i fatti tuoi, Kyle» sibilò Timmi, minacciandolo
con una coscia di tacchino prima che azzardasse una qualsiasi domanda.
«Smettila
di agitarla a quel modo, non sei un ragazzino» lo riprese
tranquillo, continuando nell’elegante movimento di coltello e
forchetta attorno alla propria porzione di carne.
«Perché?
Ti da fastidio? Ti faccio aria?» lo stuzzicò, allungandosi
ancor di più sul tavolo fino mettergliela praticamente sotto al
naso.
«È sempre così?» domandò Arshan sottovoce alla padrona di casa.
«No.
È solo così» puntualizzò seccata.
«Dovrai farci l’abitudine, temo. E oggi hanno resistito
più del solito. Penso che stiano cercando di recuperare i
dispetti che non hanno potuto farsi da bambini».
«A
volte è pure peggio. Papà sa che zio non può
competere con lui e se ne approfitta» aggiunse Skadi.
«Anche
mio fratello Fajdal lo faceva con me. Sempre pronto a vessarmi. Quando
però gli ho quasi staccato un orecchio, ha cambiato
registro» raccontò divertita lei, emettendo un breve
uggiolio di soddisfazione.
«Se
ricordo bene, tra i licantropi le donne sono più forti degli
uomini» osservò la ragazza con vivo interesse.
Arshan
cercò di trattenersi dal ridere, quando la vide dare alla
propria acconciatura smeraldina la forma di due orecchie da lupo.
«Lo
siamo a livello gerarchico, ma sul piano fisico non è una
costante. Ho battuto Fajdal perché sono stata più furba:
ho imparato ad applicare prima di lui le tecniche di caccia. La pura
forza serve a ben poco se non si è in grado di gestirla con
l’intelligenza» disse, tamburellando con l’indice
sulla fronte.
«Impara,
Skadi. Vale anche per noi» suggerì Nadine, che aveva
smesso di tener d’occhio i contendenti per disperazione.
«E che cazzo!» urlò lo Sceriffo, coprendo un commento risentito di Kyle.
La mano del capo della polizia era tristemente vuota e la carne imbrattava i pantaloni dell’altro.
«Timmi!»
«Papà!»
«Yu-huuu!» contraltò Ariel giuliva, salutando con la mano.
Il
licantropo trattenne il respiro per un attimo, mascherando dietro
un’espressione comprensiva la punta di dissenso per il gesto.
Aveva l’impressione di avere di fronte due marmocchi pestiferi.
Probabilmente sua cognata aveva ragione: stavano recuperando
l’infanzia che gli era stata negata.
«Buona velocità, ma devi lavorare sulla precisione» lo prese in giro, posando il boccone sul piatto.
«E sull’autocontrollo» sospirò abbattuto Kyle, scrollando le spalle mentre si ripuliva.
«Buona
fortuna, allora» intervenne Nadine. «Sono anni che tento
con tuo fratello senza ottenere risultati apprezzabili. Forse tu sei
più portato, di solito sei meno incline dare di matto».
«Kyle
è una persona riflessiva. È solo un po’ teso»
osservò Arshan, sperando che chi di dovere afferrasse
l’invito a darsi una regolata.
«Infatti
ha riflettuto una vita prima di portarti qui!» le rammentò
Skadi. «Sempre meglio di qualcuno che per sedici anni non ha
voluto dirmi chi era davvero... e cos’ero io».
«O che ha taciuto per mesi sul dove fosse “accidentalmente” finito il suo anello di matrimonio…»
«Nella pancia di una leucrotta1…»
suggerì la figlia, indicandosi lo stomaco con la forchetta.
«Settimane intere per riaverlo senza ammazzare la poverina, che
è specie protetta, anche se chi aveva perso l’anello era
di un altro parere» sottolineò, mostrando sulla propria
porzione di tacchino cosa sarebbe dovuto accadere.
«Ehi! Io sono ancora qui, ve lo siete scordati?» protestò il colpevole, indignato.
Il fratello rise, servendosi un po’ d’insalata.
«Bisogna
rendergli atto che almeno è un tipo costante. Persino nostra
madre impazziva per tenerlo buono: era la miniatura dell’Uragano
Katrina. Riusciva a scappare dal suo box anche senza ricorrere ai
poteri».
«Chiudi.
Il. Becco. O. Ti. Aspiro» scandì lentamente Timmi, il
palmo destro puntato verso di lui, il vortice di Risucchio che
minacciava di aprirsi da un momento all’altro.
Inaspettatamente,
dita forti e affusolate s’intrecciarono alle sue, graffiandole
con i gioielli che le rivestivano. Iridi grigie lampeggiarono sopra le
loro nocche, impassibili.
«Provaci adesso» lo incoraggiò Arshan.
Skadi
fissava al colmo dell’ammirazione la donna lupo: in pochi avevano
avuto il coraggio di sfidare apertamente suo padre conoscendone la
reale natura. Chi l’aveva fatto ci aveva rimesso la vita, ma
sapeva che non sarebbe accaduto nulla. Infatti, lo vide ritrarre
infastidito la mano.
«Heaven queen, carry me / Away from all pain / All the same take me away / We're dead to the world2» canticchiò la sirena, dondolandosi sulla sedia.
«Stiamo mangiando, maledizione! Non ti ci mettere con quei rutti che ascolta Skadi!» protestò Timmi.
«Papà!»
«Non venirmi a dire che quella è musica».
«È un brano dei Bloody Thirst, “Dead to the world”, ma non ci stavo nemmeno pensando!»
Da qualche tempo il nuovo gruppo stava andando sostituendo gli Slayers e gli Antrhax negli ascolti di Skadi.
Esibendo un enorme sorriso, Ariel additò con insistenza Kyle, che stava baciando la propria donna con palese trasporto.
«Tu ascolti quella roba?» chiese Timmi storcendo il naso incredulo.
«Ammetto
che qualche brano non mi dispiace. Rumorosi, ma scrivono testi molto
azzeccati. E, visto che di sicuro non lo sai, Skadi, Nagret Channing e
Sidel Farm sono licantropi e… parenti» aggiunse.
Gli occhi della nipote si spalancarono per la sorpresa, brillando di luce propria.
«Cugini
di terzo grado» precisò Arshan, sfilando dalla borsa una
coppia di biglietti. «Ai quali farebbe molto piacere invitare una
delle più importanti fan al concerto d'inaugurazione del primo tour mondiale».
La ragazza scattò in piedi e corse ad abbracciarli entrambi.
«Non
ci credo! Sono per il concerto di Las Vegas! Oh, siete i miei zii
preferiti!» esultò tempestandoli di baci.
«Tu non vai da nessuna parte!» tuonò Timmi, facendo per afferrare i biglietti incriminati.
Un
getto di liquido cremisi si allungò dalla mano di Skadi,
avvolgendo il padre quasi per intero. Di lui si potevano intuire solo
alcuni movimenti, mentre gli occhi – l’unica parte rimasta
scoperta – mandavano inquietanti lampi arancioni.
«Fermami, se ci riesci» lo invitò ironica, sorda alle minacce che certamente stava ricevendo.
«Solo così?» domandò Arshan perplessa, guardando Nadine tornare dalla cucina con una teglia in mano.
Aveva l’espressione di chi avrebbe voluto non doversi arrendere di fronte all’ineluttabilità del fato.
«Solo così» confermò, porgendole le patate al forno.
***
Due bottiglie trasparenti schizzarono fuori dalla finestra, a tale
velocità che Kyle ne afferrò una giusto un secondo prima
che lo colpisse in faccia.
«Grazie, ma la vodka liscia non fa per me. Preferisco il cognac» disse porgendogliela.
Timmi
gliela strappò letteralmente di mano, scrutando di sottecchi una
panciuta bottiglia di vetro scuro raggiungerli con un moto
decisamente più quieto.
«Chi
cazzo ha detto che era per te? E comunque, era voluto. Sei stato
fortunato» borbottò, franando sulla sua sedia sotto al
portico.
«Ah, le tue espressioni soavi…» sospirò, risistemando con un gesto nervoso gli occhiali.
«Parlo come cazzo mi piace, okay?»
«La
lingua è la tua» e per evitare ulteriori osservazioni
s’affrettò a riempire il proprio bicchiere.
Quietata la prima maretta con diverse sorsate, Timmi si decise a concedergli la parola.
«Allora? Che c’è di così importante da farti rischiare la pelle qui da solo con me?»
«Devo
parlarti di una cosa che riguarda me e Arshan. Una cosa da cui
dipenderà il nostro futuro come coppia e non solo. E ti
pregherei di ascoltarmi, prima di dare fondo a tutte le tue congetture,
qualunque siano».
Dopo aver sbuffato e mugugnato insulti incomprensibili, il minore degli Anderson assentì di malavoglia.
«Il
clan dei Digahali è molto antico e oggi conta più di
novanta elementi, forse cento, centodieci. Troppi per essere gestiti da
una sola testa. Così, tempo fa la matriarca ha concesso a chi ne
sentisse il desiderio di fondare nuovi rami» disse,
interrompendosi solo per un attimo e riprendendo prima che Timmi
potesse dar voce ai propri dubbi. «Arshan è tra questi. E
ha già parlato loro delle sue intenzioni e di chi ha scelto come
suo compagno».
Fino
a quel momento non aveva detto nulla di nuovo o, almeno, nulla che non
avesse intuito nell’arco degli ultimi mesi e soprattutto di
quelle ultime ore.
«Tu
godi a farti intortare, eh? Prima ti sei lasciato soggiogare da un
demone, poi da Ducan, ora da una donna lupo. Sei veramente un
idiota» grugnì Timmi con una smorfia di biasimo.
«Può
essere, ma non ti nascondo che la cosa mi piace. Essere il suo
compagno, intendo. E anche… parte di una famiglia» rise,
sperando afferrasse il sottinteso.
«Certo, come no. Ricordatelo quando si farà le unghie sulla tua schiena, usandoti come scendiletto».
«Timmi, per favore. Ne abbiamo già parlato: non voglio che parli di Arshan in questi termini».
«Per
favore a me? No, no. Per favore a te! Sai che significa far parte dei
loro clan? Sono tra gli esseri meno apprezzati dell’universo. La
maggior parte di quella gente è composta da criminali,
delinquenti a vario titolo e reietti. Unisci questo al fatto che tu sei
anche peggio di loro e vedi un po’ cosa ottieni!»
«Ti stai preoccupando per me?» ironizzò.
«Preoccuparmi
per te? Certo. Nel caso avanzassero inutili pezzi da conferire alle
discariche! Potresti scatenare un pericolo biologico. Non aspettarti
che venga a salvarti il culo quando ti staranno masticando,
perché potrei dargli una mano».
«Sai
che quella del morso è solo un’invenzione cinematografica.
La licantropia autentica non si basa su maledizioni che si trasmettono
come il raffreddore, bensì sull’accettazione integrale del
parallelismo uomo/animale e il dialogo tra questi due lati della natura
interiore con l’ausilio di un artefatto stregato».
«So benissimo come mutano! Ti ricordo che ne ho spellati parecchi».
Timmi
si stupì del lampo di collera che attraversò gli occhi di
Kyle. Altre volte gli aveva visto abbozzare reazioni alle sue
cattiverie, ma quello era diverso. Non era seguito alcun segno di
rassegnazione o compatimento, né di dispiacere. La rabbia non
accennava a sbollire e la novità lo mise in difficoltà.
«Okay, forse questo potevo evitarmelo» si scusò.
«Dovevi evitarlo» rimarcò Kyle incrociando le braccia.
Non
incuteva timore, chiedeva rispetto. Per qualche strano motivo, a Timmi
ricordò qualcuno. Una persona che non aveva un volto da
moltissimo tempo, ma le cui movenze erano rimaste impresse nella sua
memoria. A volte le scorgeva anche in quelle di Nadine, in una forma
blanda e imprecisa.
Mamma? pensò, trincerandosi dietro la bottiglia.
La
cosa aveva senso: se a detta di Kyle lui ricordava in molti aspetti il
padre defunto, era logico supporre che il primogenito avesse ereditato
il carattere della madre.
«Stiamo
pensando se sia possibile farmi entrare ufficialmente nel clan, non
solo come compagno ma come membro effettivo. Secondo Arshan manifesto
buone doti da cacciatore e, come hai visto, stiamo lavorando per
scoprire se ho davvero le potenzialità per diventare un
licantropo sotto ogni aspetto».
«Comodo»
bofonchiò. «Bevo io e ti ubriachi tu. Stai sparando delle
cazzate memorabili. Sei sempre stato così stupido? No,
perché me ne sto accorgendo solo adesso. Sei uno spasso».
«Timmi,
parlo seriamente. Diventare un licantropo è un atto volontario
che va ponderato a fondo. Sto ancora cercando una mia dimensione e
credo possa essere questa. Voglio far parte di qualcosa che non si
riduca a “questo eri e questo resti”. Non sono più
quella persona, sono cambiato e anche se lo neghi, tu sai bene che ho
ragione, è la verità. Agli occhi del mondo sono
già morto e rinato una volta. Morire di nuovo per cancellare in
maniera definitiva il vecchio Kyle William Anderson e diventare un uomo
lupo non mi spaventa. Sarebbe solo un modo di trovare me stesso. Dopo
tutto, tu sei il riparatore, io il distruttore. Solo che stavolta
distruggerò volontariamente me stesso. Più o meno».
Volesse il cielo…, considerò Timmi, senza provare alcuna soddisfazione.
Buttò
giù un altro paio di sorsi, chiedendosi perché sputare
cattiverie su di lui stesse cominciando a lasciargli in bocca un sapore
talmente cattivo che neppure la vodka riusciva a togliere. Possibile
che avesse ragione Nadine, quando gli faceva notare che una guerra
combattuta da un solo esercito finiva irrimediabilmente con
l’esaurirsi da sé? Aveva prosciugato ogni goccia di
rancore per ciò che gli aveva fatto?
Gaeliath borbottò frasi sconnesse, agitandosi come un gatto pigro risvegliato a forza dal sonnellino.
«Ti leverai dai piedi una volta fatto?»
«No. Ormai questa città è anche casa nostra».
«Allora non m’interessa, non ci guadagno niente».
Rimasero
in silenzio per un po’, ciascuno intento a gustare il proprio
liquore. Ignoravano di cercare entrambi la stessa cosa nel graffio
dell’alcol in gola: le parole giuste da rivolgersi per non
ferirsi un’altra volta.
«Quando? Presto?» s’informò Timmi, dondolandosi sulle gambe della sedia.
Kyle scosse il capo, finendo il cognac.
«Non
saprei con esattezza. Potrebbe essere tra un mese, dieci anni o non
accadere mai. Dipende dal Concilio delle Anziane. Sua madre ha
assicurato che ci darà il suo sostegno, è la matriarca e
un membro molto rispettato della comunità mannara. E pare che io
le piaccia, nonostante l’abbia trattata bruscamente anni fa.
È una gran donna: se l’è legata al dito, ma
è disposta a passarci sopra per la felicità di sua
figlia».
«Matriarche,
Concilio delle Anziane, Sommo Concilio, Consiglio Cittadino, Consiglio
di Stato… che rottura di coglioni. Possibile che ci tocchi avere
sempre a che fare con un branco di rompiballe plurisecolari che ci
devono giudicare qualsiasi cosa facciamo?» sbadigliò il
mezzodemone, sistemandosi meglio sulla sedia.
Dietro le lenti, gli occhi di Kyle erano lo specchio dell’incredulità.
«Ci tocchi? Ci devono giudicare?» ripeté sorpreso.
«È quello che ho detto» replicò, tornando ad attaccarsi alla bottiglia.
«Timmi, hai parlato al plurale, te ne sei accorto?»
«Non vuol dire niente. Parlo in generale, chiaro?» ringhiò.
«Come
il sole. Anzi, come la luna» si corresse l’altro,
sfoggiando uno di quei sorrisi sinceri e pieni di gratitudine che
mandavano su tutte le furie il fratello minore.
«Azzardati
a riempirmi il salotto di pulci e l’Inferno ti sembrerà
un’anonima località di villeggiatura. Promesso»
minacciò, facendo danzare una fiammella arancione attorno alla
mano sinistra.
Kyle
non rispose, levando lo sguardo al cielo. Era meglio non insistere e
dargli il tempo d’assimilare la notizia, o avrebbe cominciato ad
alzare di nuovo la voce. Preferiva evitarlo. Avevano tutti un immenso
bisogno di quiete per cominciare a far funzionare i rapporti familiari.
«Quindi, dovrò insegnarti “biscottino”?» sogghignò dopo un po’ lo Sceriffo.
«Ho
detto che potrei diventare un licantropo, Timmi; non è nemmeno
sicuro. E comunque, non sarò il tuo nuovo cane da guardia»
puntualizzò, trattenendosi dal ridere.
Dopo tutto, riusciva a trovare un vago accenno di umorismo nel suo continuo malignare e lo riteneva un buon segno.
«Meglio, perché detesto i bastardi randagi. Con rispetto parlando, Dran, s’intende».
Il cane sbadigliò rumorosamente, scuotendo il testone ispido.
«Ci sarebbe ancora una cosa».
«Che
altro vuoi? Guarda che non metterò una buona parola per te da
Kolchinsky per farti avere le bistecche a prezzo stracciato. Non lo fa
nemmeno a me, alla faccia del rispetto per il distintivo»
sbottò spazientito, lasciando penzolare le braccia ai lati della
sedia.
Prima
che potesse parlare, un turbine scarlatto travolse Kyle, che si
ritrovò racchiuso in un bozzolo contro uno dei pilastri della
veranda. Il guscio lo stringeva con una forza abnorme ed era dotato di
un paio di mani che gli scompigliavano affettuosamente i capelli.
«Grande
zio, sei fantastico!» esultò Skadi, riprendendo il suo
solito aspetto. «Avrò dei cuginetti!»
«Degli Anderson-Anderson!» trillò Ariel, emergendo dal liquido con le gambe intatte ma coperte di squame.
Un fragoroso tonfo li fece voltare tutti e tre.
«Ehm… papà? Stai bene?»
Timmi
era caduto schiena a terra, rovesciandosi addosso gran parte della
vodka. Tossiva sputando liquore e aveva la faccia completamente
stravolta. Lo shock aveva persino gli fatto tornare neri i capelli.
«Stavo giusto per dirglielo. Mi avete anticipato di un secondo» bisbigliò Kyle, pronto alla scenata.
«Tu!
Tu… figlio di… stramaledetto avanzo di… tu!»
urlò additandolo, strabuzzando gli occhi mentre lo fissava da
sotto in su, incapace di trovare una definizione.
«La
proverbiale fertilità dei lupi mannari» specificò
con tranquillità, portandosi strategicamente alle spalle della
nipote. «Altro punto a mio favore per l’ingresso nel clan.
Raramente esseri umani e licantropi procreano in così breve
tempo».
«E vantati anche!» berciò lo Sceriffo picchiando i pugni sul pavimento, scheggiando un paio di assi.
«Ma senti da che pulpito! Non è che tu ci abbia messo meno…» ribatté, punto sul vivo.
Un
boomerang nero e vischioso schizzò via lungo il prato, andando
ad abbattere un albero in lontananza prima di tornare a fondersi con la
mano di Timmi. Aveva mirato di proposito altrove, imbestialito dal
sentirsi rinfacciare una verità che conosceva fin troppo bene: a
lui e Nadine era bastata la prima volta insieme per mettere in cantiere
Skadi.
«Noi ci prenotiamo come baby-sitter!» pigolarono Skadi e Ariel festanti, tornando di corsa in soggiorno.
***
«Tesoro, potresti prendere gli scatoloni che abbiamo messo in
soffitta con le cose di quando Skadi era piccola?» chiese
candidamente Nadine.
La
domanda arrivò come una coltellata a tradimento, data
nell’attimo esatto in cui Kyle e la sua donna finalmente
sparivano dietro la curva camminando abbracciati. Essere sopravvissuto
a quella celebrazione in famiglia era stata più dura che avere a
che fare con l’Anticristo. Almeno quello poteva essere ucciso.
«So che me ne pentirò ma… perché?»
«Zia
Ariel dice che uno dei gemelli è femmina, forse c’è
qualcosa che potrebbe andarle bene. E poi ci sono altre cose che
possono servire: copertine e lenzuolini, bavaglie, scarpine, qualche
giocattolo…» elencò Skadi, che già si stava
immedesimando nel prossimo ruolo di baby-sitter.
Lui scoccò un’occhiata di sufficienza a entrambe le sue donne.
«Pensate davvero che quei due non abbiano abbastanza soldi, magia o agganci per…»
«Pensa
ai nostri nipoti» fu la replica perentoria di Nadine. «Puoi
detestare tuo fratello e non trovare particolarmente simpatica la sua
compagna, ma i bambini non hanno colpe. Mostrargli il nostro affetto
sin da ora è il minimo che possiamo fare. E poi, abbiamo la
certezza che adoreranno quel brontolone indemoniato del loro
zione».
«“Abbiamo”
chi?» domandò sospettoso rivolgendosi a Skadi, la cui
espressione di finta innocenza era un proclama a chiare lettere.
«In
definitiva, tutti. Anderson e congiunti, da zio Xander a Raven e Flynn.
Che hanno fatto tanti auguri ai quasi-genitori. Ovviamente non
c’era bisogno di avvisare il Sommo Concilio, erano già al
corrente. Sono tutti felicissimi della notizia e Liz ha promesso darmi
qualche dritta di puericultura. Anche se ha detto che avendo a che fare
con te da sempre, dovrei essere più che preparata. Arrendetevi:
tu e l’Iroso siete circondati. Parola mia e di Shamjazya» rispose sorniona la ragazza, tirandogli uno dei cuscini del divano.
Timmi
l'afferrò al volo e con tanta forza da far esplodere
l’imbottitura. Piume bianche si sparsero a pioggia sul pavimento.
«Se
pensate di convincermi…» attaccò, arretrando di un
passo quando le vide avvicinarsi pronte ad abbracciarlo. «No!
Indietro! Non vi azzardate nemmeno a pensarlo! No!»
Gaeliath
ruggì allarmato nella sua testa: quella tattica lo metteva in
ceppi ogni volta, era impossibile sfuggire a quegli attacchi, non
c’era magia abbastanza potente da annullarli. Persino un demone
come lui era impotente di fronte agli assalti della sua progenie.
«Ricordati
com’era tenere Skadi in braccio. Quanto ti piaceva. Con loro
avrai solo la parte migliore del compito: il divertimento. Regole e
morali sono appannaggio di Kyle e Arshan. A noi spettano i vizi. E
moltiplicati per due. Potrai portare i bambini nella foresta senza
timore di mostrargli la magia; prenderai qualche forma strana per farli
giocare qui sul divano; li porterai sulla macchina d’ordinanza
per fargli usare la sirena e la radio; li porterai al fast food a
rimpinzarsi di patatine fritte, gelati e schifezze; gli racconterai le
tue grandi imprese per il Sommo Concilio – evitando magari di
dire che una volta hai ammazzato il loro papà - e a sedici anni
potrai dargli il tormento quando li incrocerai per strada con i loro
amici» suggerì la moglie, passandogli le braccia attorno
ai fianchi.
«Questo mi potrebbe piacere» rispose, aggrottando la fronte pensieroso.
La prospettiva sembrava meno cupa vista sotto quella luce.
«Allora,
papà? Sei pronto ad aggiungere il titolo di zio alla
collezione?» chiese Skadi, abbracciandolo dall’altro lato.
Prima
che potessero cominciare a riempirlo di baci e coccole non richieste,
Timmi si liberò dalla stretta, girò sui tacchi grugnendo
e scoperchiò la botola del soggiorno.
«Vodka.
Ho bisogno di vodka. Tanta vodka. Un mare di vodka» si
lagnò, ma mentre parlava, ingobbito sulla nicchia, un sorriso
gli curvò le labbra.
1. leucrotta: animale
mitologico proveniente dall'India con quarti posteriori di cervo;
collo, coda e petto di leone; testa di tasso con bocca che si apre fino
alle orecchie. si dice sia velocissima e in grado di imitare la voce
umana.
2. estratto da "Dead to the World" dei Nightwish.
Con questo capitolo si chiude la mia storia. La mia, ma non la saga di Sangue di Demone perché già so che Shade Owl ha infinite gocce d'inchiostro nella sua penna!
Quindi, un enorme ringraziamento va a lui, che è l'autore
titolare di quasi tutti i personaggi che avete incontrato (eccetto
Arshan e qualche nome sparso qui e là, che sono opera mia). Un
altro grazie va a chi ha letto, conoscendo o meno la serie principale,
anche se non ha recensito.
Alla prossima!
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