Dead to the World

di Ely79
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Tutti contro uno ***
Capitolo 2: *** II - I fratelli Anderson ***
Capitolo 3: *** III - Vent'anni prima ***
Capitolo 4: *** IV - Antiqui Mundi ***
Capitolo 5: *** V - Il calore della luna ***
Capitolo 6: *** VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso ***
Capitolo 7: *** VII - Buongiorno ***
Capitolo 8: *** VIII - Dead to the World ***



Capitolo 1
*** I - Tutti contro uno ***


I - Tutti contro uno
NdA. Leggo le storie di Shade Owl da un anno e mezzo, appuntamento pressoché immancabile delle mie giornate. Ci confrontiamo spesso, scambiandoci pareri, correzioni, ipotesi, colonne sonore,... Questa storia è una sorta di tributo alla sua saga Sangue di demone che raccoglie al suo interno una serie di personaggi che adoro e che Shade Owl mi ha concesso di impiegare per i prossimi otto capitoli, offrendomi anche supporto in termini di chiarimenti, specifiche e correzioni. In cima alla lista, per motivi che non starò a spiegarvi, c'è Kyle Anderson, fratello maggiore del protagonista della serie. Se non conoscete le vicende che lo coinvolgono, potete comunque leggere la storia (magari saltellando sulle storie originali da cui sono partita), ma vi consiglierei di andare a dar loro un'occhiata. Vi conquisteranno.
E con questo, buona lettura!


I – Tutti contro uno

Sprofondò nella poltrona, inspirando con calma.

«Non ci provare» la ammonì, mascherando con un sorriso il proprio disagio per la curiosità smodata che stava sfoderando.
La ragazza era sul divano di fronte, con il volto tra le mani e i gomiti sulle ginocchia, sfoggiando un sorriso agghiacciante mentre aspettava una risposta. Come se non bastasse, da un po’ aveva cominciato a modificare l’abituale chioma ispida e verde con un composto caschetto biondo, che la faceva somigliare moltissimo alla madre, oltre che a una di quelle inquietanti agenti del fisco. Segno che, in capo a due anni e mezzo, sua nipote aveva imparato con discreta disinvoltura a utilizzare le proprie capacità di mutazione. In un altro momento ne sarebbe stato entusiasta.
«Dico sul serio, Skadi. Non ci provare. E lo stesso vale per te» insisté pacato, additando la donna che stava seduta sullo schienale del divano, esattamente alle spalle dell’altra, e come questa si sporgeva in avanti con un’aria trasognata e terrificante.
«Andiamo, zietto… parla» lo stuzzicò la prima.
Kyle avrebbe fatto carte false per riavere la capacità di proiettarsi altrove. Invece, tra i poteri superstiti era l’unico degno di nota a mancare all’appello. Si raddrizzò sulla poltrona e aggiustò gli occhiali sul naso, tentando di mantenere un tono freddo e distaccato. Tuttavia, le sue antagoniste non avevano intenzione di cedere e continuavano a parlottare sottovoce, dandosi di gomito e ridacchiando al suo indirizzo.
«Ho detto di smetterla a tutte e due! E comunque, non ho niente da dirvi» protestò, guardando altrove e maledicendo suo fratello e la cognata per averlo gettato nelle grinfie delle migliori inquisitrici che il Sommo Concilio avesse a disposizione in quel momento.
Giurò a se stesso che gliel’avrebbe tornata, in un modo o nell’altro.
«Non dovresti pensare di far certe cose a Timmi, visto che non puoi più metterle in pratica. E poi, lui te ne ha fatte e te ne farebbe di peggiori. Però sei colmo di dolcezza e caramelline rosa, che forse potrei non dirgli nulla» cantilenò Ariel, dondolandosi in maniera piuttosto pericolosa sul bordo del divano.
In quel momento, Kyle comprese come dovesse sentirsi un prosciutto sull’affettatrice, smembrato una fetta dopo l’altra senza possibilità d’opposizione. Con quella sorella adottiva che si era ritrovato dall’oggi al domani c’era ben poco da fare per nascondere quello che gli stava capitando: i suoi poteri empatici oltrepassavano qualunque barriera fisica o magica; in quel momento stavano reagendo al subbuglio che gli stringeva lo stomaco e il cuore, era inevitabile che finisse per dire stupidaggini di quel genere.
E dire che nei primi mesi fuori dall’Oltretomba era stata di enorme aiuto: ogni qualvolta la realtà gli era parsa troppo difficile da accettare o il peso dei propri trascorsi si era fatto insopportabile, erano bastate poche - e spesso sconclusionate - parole di Ariel a risollevarlo.
«Hai pensato di nuovo di ammazzare papà? Ma non impari mai…» ridacchiò Skadi, affatto sorpresa.
«Smettetela di farlo impazzire» intervenne Nadine dalla cucina, dando a Kyle la fuggevole illusione di avere un sostegno. «Non ha bisogno che gli stiate addosso in questo modo. Il suo povero cuoricino potrebbe non reggere tutto quest’amore!» sghignazzò.
«Grazie per l’aiuto» mugugnò esasperato, nascondendo il volto dietro ad un cuscino.
Si diede dello stupido per aver accettato l’invito a pranzo: sapeva perfettamente che suo fratello disapprovava frequentasse assiduamente casa sua, e dall’invito precedente era passata a malapena una settimana. C’erano state avvisaglie e indizi grandi come grattacieli, eppure era stato così sciocco da cascarci.
«Ti piace un bel po’ questa tizia, eh? Sono già andati al sodo o sono ancora in fase esplorativa?» chiese senza voltarsi alla zia, la quale sfoderò un gran sorriso mentre si stiracchiava in bilico sul bracciolo.
«Skadi, falla finita. Non sono fatti tuoi. E tu non rispondere per favore».
Tuttavia l’agitazione nella voce e la sua faccia sortirono effetti peggiori di qualsiasi ammissione. Tre paia d’occhi spalancati lo avvisarono che sarebbe rimasto inchiodato alla poltrona fino a quando non avesse vuotato il sacco “spontaneamente” e che l’abituale reticenza sul suo privato sarebbe stata fatta a pezzi quesito dopo quesito.
«Non dirò una sola parola oltre a queste» annunciò, nel tentativo di farle desistere. «State invadendo la mia privacy e sapete che non lo tollero. Sapete già più del dovuto».
«Oh… siete ancora fuori dalla casa base… sei un signore, zio! Un vero lord! Mai portarsi a letto la donna che ti interessa alla prima occasione, soprattutto se hai intenzioni serie. A noi piace essere corteggiate, riempite di attenzioni, trattate con rispetto. Ma… non è che per caso sei digiuno di educazione sessuale? Non mi dirai che uno come te è ancora vergine? Con tutto quello che hai combinato prima di finire all'Inferno? Alla tua età?!» lo stuzzicò.
Kyle sbiancò. Avrebbe voluto proprio sapere da chi aveva ereditato quella faccia tosta. Di certo non dal ramo Anderson: né lui né tantomeno suo fratello erano propensi a parlare di argomenti del genere con tanta libertà.
«Per l’amor del cielo, Skadi!» gemette, infrangendo il proposito di poco prima.
«Oh, tranquilla. Lui sa. Sa cosa vuole da lei. E lo sa molto bene. Accidenti se lo sa» insinuò cantilenando Ariel. «A quanto pare hai gironzolato parecchio nel girone dei Lussuriosi mentre eri là sotto. Una volta non saresti stato tanto focoso ed esplicito, Signor Anderson».
Di nuovo sentì le lenti scivolare verso la punta del naso. Com’era possibile che avesse trionfato in scontri con esseri mostruosi e sanguinari, uscendo invece sconfitto su tutta la linea da una coppia di pettegole improvvisate?
«Ahi, ahi, zietto, qui scopriamo gli altarini. Stai su un Kamasutra classico oppure opti per qualche perversione particolare? Che ne so, bondage? Sadomaso? Giochi di ruolo? Dopo tutto, hanno qualche richiamo al tuo passato da Divoratore…» ammiccò la ragazza.
Ormai Kyle non sentiva più la mascella: gli era impossibile chiudere la bocca di fronte alla valanga di assurdità che stava sentendo sul suo conto. Una volta poteva essere stato uno degli esseri più violenti, sanguinari e pericolosi del creato, ma di certo come uomo non era mai stato un pervertito. Cosa che Ariel si premurò di sottolineare. A sproposito.
«No, piccolina, sei fuori strada. Il nostro redivivo è una persona a modo sia sopra sia sotto le lenzuola: è appassionato e pieno di tenerezze, un romantico principe azzurro con un abbondante tocco di scarlatto, che non permetterebbe mai che la sua donna…»
«Adesso basta!» urlò lui scattando in piedi e uscendo in tutta fretta dal cottage.
Sentendo la porta sbattere e un vetro andare in frantumi, Nadine tornò ad affacciarsi. Accanto alla porta d’ingresso giaceva in pezzi il prezioso vaso veneziano che proprio Kyle le aveva regalato a Natale. Guardò Skadi e Ariel, che si limitarono a fare spallucce con innocenza.
«Complimenti per essere riuscite nella titanica impresa di farlo arrabbiare. Sbaglio o avevamo stabilito di spillargli solo qualche informazione sulla sua situazione sentimentale, senza esagerare?» commentò lanciando un incantesimo di ricomposizione, che rimise in sesto il contenitore.
Rassegnata, la signora Anderson spiò dalla finestra il cognato che tornava a piedi verso la città seguito dal loro cane.
«È in momenti come questi che si vede che lui e Timmi sono fratelli: stesse reazioni quando gli si tocca qualcosa cui tengono. E tu,» fece voltandosi e additando la ragazza che ancora ridacchiava, «si riconosce lontano un miglio di chi sei figlia: identica delicatezza da rullo compressore di tuo padre!».

***


La galleria d’arte “Antiqui Mundi” si trovava in pieno centro, in una zona molto frequentata e in prossimità della fontana dove anni addietro era sbucata Ariel. La struttura espositiva occupava due piani più l’interrato dell’edificio e attraverso alcune grandi vetrate consentiva a passanti e occasionali curiosi di contemplare gli oggetti esposti. Si trattava principalmente di sculture e suppellettili molto antiche, provenienti da collezioni private di tutto il mondo, ma anche di gioielli e curiosità delle epoche più remote della storia che era possibile acquistare a patto di avere un cospicuo conto in banca o sufficienti nozioni di magia. In pochi erano a conoscenza del fatto che, tra le vestigia del passato, si celassero particolari manufatti dai poteri più disparati. Diversi maghi si servivano di quel nuovo spazio per procurarsi ciò che occorreva alle loro necessità, senza dover necessariamente ricorrere a contrabbandieri e mercati in altri universi. Il tutto assolutamente legale e con la benedizione del Sommo Concilio.

E “Antiqui Mundi” era il nuovo regno di Kyle William Anderson.
«Però… è carina» commentò Xander, aggiustando gli occhiali da sole con aria distratta.
All’interno del locale, una donna dai lunghi capelli corvini conversava animatamente con un paio di vecchiette grinzose e piuttosto loquaci. Senza dubbio streghe della vecchia guardia. Aveva un fisico snello e sinuoso, aggraziato, che tuttavia tradiva una certa forza: muscoli scattanti e tonici facevano bella mostra di sé attraverso gli abiti succinti dai colori pastello. Indossava un paio di scarpe con tacchi vertiginosi, che donavano alla sua andatura un che d’irreale e la rendevano più alta di quanto già non fosse.
«Carina? Beh, sì, anche se non ha le braccia…» obbiettò Trys, additando la grande scultura che torreggiava al centro al salone espositivo.
Darth e Xander si scambiarono un’occhiata eloquente, decidendo di non dargli corda.
«Posso sapere cosa ci facciamo qui?» chiese il primo.
«Diamo un’occhiata. Alla galleria d’arte» soggiunse il Vicesceriffo, quando l’altro lo squadrò dubbioso.
«Ora si dice così? Dare un’occhiata? E Alis cosa pensa di questo “dare un’occhiata”?»
«Tu dai un’occhiata, noi due» s’intromise il folletto, indicando la benda sul volto di Darth e ricevendo di conseguenza una ginocchiata nel fondoschiena che per poco non lo mandò a sbattere contro il muro.
Ricordare al Cavaliere Templare della menomazione riportata nella battaglia contro l’Anticristo non era mai una buona idea. Tuttavia, negli anni Xander era arrivato alla conclusione che le risposte brusche di Darth alle fesserie dell’amico fossero un modo alternativo di manifestare quanto anche lui le trovasse divertenti. In caso contrario, il folletto avrebbe dovuto essere morto da un pezzo.
«Passa alla domanda di riserva, Darth» suggerì a denti stretti, rispondendo con un cenno del capo alcuni passanti che l’avevano appena salutato.
Il solo citare il nome della moglie gli aveva fatto venire i sudori freddi. Si conoscevano da sempre e insieme erano diventati parte della squadra e soprattutto della famiglia di Timmi. Solo in seguito ne avevano creata una loro, che entro pochi mesi si sarebbe allargata con l’arrivo del piccolo Ray.
«Alis non lo sa?»
«Sto eseguendo un ordine» sviò, ma il Templare era tutt’altro che incline a lasciar cadere l’argomento.
«Timmi ti ha chiesto di controllare le frequentazioni di suo fratello? Da quando in qua abusa della sua carica per queste scemenze? Pensavo facesse pesare i gradi solo per infastidire Kyle, non altre persone».
«Veramente… l’ordine è… di Alis» confessò, incassando la testa tra le spalle. «Un paio di settimane fa Kyle le ha ordinato dei fiori per la mostra che hanno aperto al piano di sopra e… quando è stata qui, ha scoperto che Jo aveva visto giusto. Noi pensavamo straparlasse come sempre, l’ha tirata avanti per mesi che Kyle si era trovato una donna, ma chi gli crede, con tutte le stupidaggini che racconta? Invece… insomma, c’è una caterva di zitelle che smania per Kyle. Invece c’era davvero una donna che lavorava per lui e sembravano… beh, per dirla come Alis, “molto intimi”. Io sto… solo… approfondendo… chiarendo dettagli di poco conto. È anche per Nadine e Skadi… volevano sapere… sai, per star tranquille. Noi calamitiamo guai, da sempre. Meglio prevenire. Se serve» si affrettò ad aggiungere.
Darth lo fissò a lungo, scettico. Era chiaro come il sole che gli stesse propinando una versione malamente preconfezionata di una giustificazione. Doveva essere stato tormentato allo sfinimento da moglie e amiche.
«La prossima volta che qualcuno obbietta al fatto che non mi sia risposato, Donovan, tu sarai il mio esempio principe» dichiarò, posandogli pesantemente una mano sulla spalla. «Se Alis stesse a casa piuttosto che lavorare nelle sue condizioni, noi non staremmo facendo la figura di tre babbei impalati davanti a una vetrina che espone reperti indubbiamente interessati, ma per i quali non abbiamo il minimo interesse» sottolineò.
«Prova a convincerla tu, se riesci a sopportare il suo sguardo di ghiaccio e la sua logica inappuntabile. Io mi sono arreso da un pezzo. Che dici, mediorientale?» propose Xander, chiudendo la parentesi familiare per tornare alle indagini.
Con suo grande sollievo, Darth lo assecondò.
«Credo di sì. I tratti somatici e la carnagione corrispondono. Il bracciale che indossa ha una lavorazione tipica di alcune zone dell’Iran» disse additando il curioso ornamento che le avvolgeva quasi per intero la mano sinistra in un guanto dorato tempestato di gemme colorate.
«Qualcosa non ti convince?»
«Gli occhi. Hanno poco dell’umano».
Da quella distanza era difficile scorgerli, ma con un paio d’incantesimi ad hoc, il vigilante fece in modo che le lenti gli mostrassero un primo piano dell’assistente. L’amico aveva ragione: le iridi della donna erano di un grigio-verde talmente pallido da sembrare trasparenti come vetro e spiccavano in maniera pressoché dolorosa sulla carnagione olivastra.
«Secondo voi hanno del gelato? Voglio liquirizia e basilico, con sopra gli zuccherini fondenti. Mi sa che qui però rischio che mi tirano fuori roba scaduta da chissà quanto» saltò su Trys.
«No» sbottò Darth, mordendo una mano per trattenersi.
«“No, non hanno il gelato” o “no, non hanno gli zuccherini fondenti”?»
«No e basta! E ora chiudi il becco!» ruggì.
A quelle parole, Trys sbiancò e s’irrigidì, avvicinandosi alla vetrina con occhi sbarrati. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione con tanta prepotenza da mozzargli il respiro. Xander e Darth si prepararono a un eventuale combattimento, benché non scorgessero alcun pericolo.
«Mentos…» soffiò il folletto, dando una testata nel vetro. «Ha le Mentos!»
Cominciò a battere i palmi sulla vetrata come un forsennato, additando la perla che brillava sull’ombelico della donna. Udendo i tonfi e le urla ovattate, lei si girò a guardarli. Superata l’iniziale sorpresa, sembrò piuttosto infastidita dalla loro presenza e si diresse spedita alla porta.
«Smettila Trys, vieni via!»
«Le Mentos! Ha le Mentos!» continuò a sbraitare mentre lo trascinavano via di peso.
Xander avrebbe voluto nascondersi: a quell’ora la strada era piena di gente e lui era un volto noto.
«Timmi mi ammazzerà. Non ce la farò mai a manipolare i ricordi di tutta questa gente…» piagnucolò balzando sulla volante e avviando in tutta fretta il motore.

***

Nonostante la casa non fosse più in vista da un pezzo, poteva sentire dietro di sé le risa sguaiate della nipote e quella lingua lunga della sirena che ancora sciorinava le sue percezioni alla cognata. Dran, il bislacco incrocio di Segugio Infernale e Mangialbero che tutti prendevano per il cane degli Anderson, l’aveva seguito per un buon tratto di strada, trotterellandogli accanto con la lingua penzoloni.

«A quanto pare, sei il solo che non abbia niente da ridire» commentò sarcastico guardandolo darsi una vigorosa grattata.
Era sconfortante trovare conforto nella presenza di una bestia demoniaca, piuttosto che nelle persone.
Quella discussione aveva preso una piega che non avrebbe mai potuto immaginare nemmeno nel suo incubo peggiore. Anzi, quella conversazione non sarebbe mai dovuta avvenire. Sospettò che dietro a tutto l’interesse per la sua vita sentimentale ci fosse Jo. Lo aveva visto sbirciare dalla vetrina mentre parlava con lei, ma stupidamente non aveva dato peso alla cosa, convinto com’era che avrebbe dimenticato tutto alla vista della libreria, due isolati più in là. Era incredibile come un adulto fatto e finito avesse conservato lo stesso amore viscerale per i fumetti di quando era ragazzo.
Probabilmente era bastato un accenno che, unito alla visita di Alis poco tempo prima, era servito a scatenare lo scompiglio tra i suoi familiari e i vari conoscenti.
Continuando in direzione della città incrociò proprio il furgone del vivaio, diretto senz’ombra di dubbio a casa Anderson. Al volante c’era Alis, che lo salutò sillabando da dietro il finestrino: “Ciao, Romeo”.
«Avrei dovuto sapere che sarebbe finita così» sospirò abbattuto.
Rivedeva gli sguardi e i volti dei pochi parenti e conoscenti passargli davanti, intenti o pronti a schernirlo. Certo, vista dall’altra parte della barricata doveva essere una situazione veramente spassosa, degna di una commedia cinematografica. Tuttavia sapeva fin troppo bene che si trattava di una facciata: dietro gli atteggiamenti di pacata sopportazione, quasi di benevolenza, covava un’ostilità profonda nei suoi confronti. Nonostante fossero trascorsi due anni dal suo ritorno sulla Terra, pareva impossibile convincere chi gli stava intorno che del vecchio Kyle Anderson, il Divoratore di Anime, non fosse rimasta la minima traccia.
Le uniche a fidarsi senza remore sin dal principio erano state Skadi e Ariel. Aveva ribadito più volte a se stesso che gli sarebbe bastato il loro affetto per sopportare ogni malanimo, ciononostante la frustrazione del sentirsi costantemente in giudizio servì solo a farlo infuriare una seconda volta. Soprattutto perché ora c’era lei nella sua vita. Lasciarsi coinvolgere in infantili rappresaglie o permettere grossolane indagini dirette a ficcare il naso nel loro rapporto non era il modo giusto di ripagarla della serenità che gli stava donando.
Tentò di calmarsi, riprendendo a camminare per un tempo che gli parve infinto. Alzò lo sguardo solo quando la testa cominciò a girargli per aver fissato troppo a lungo il terreno scorrere sotto le scarpe di vernice, ormai ridotte in uno stato pietoso. Si accorse d’aver imboccato uno dei tanti sentieri che dalla via principale s’inoltravano nel bosco.
Proseguì fra gli alberi, lo sguardo che guizzava fra tronchi e ombre. Sapeva che difficilmente avrebbe incontrato qualcuno, eppure una sciocca fantasia continuava a solleticargli la mente: la immaginava correre ridendo, zigzagando nel sottobosco, voltandosi a guardarlo per invitarlo a seguirla.
Scosse la testa, cercando di ritrovare la lucidità.
«Rifletti, Kyle. Rifletti con calma» mormorò. «Cerca di pensare razionalmente».
Uno dei laghi che costellavano quella zona della foresta si stendeva di fronte a lui, placido e silenzioso. Tanta quiete contrastava con l’agitazione che si portava dentro in modo quasi doloroso.
«Focoso ed esplicito… focoso ed esplicito un corno!» gridò lanciando una pietra nell’acqua.
Se solo ci pensava, si sentiva rimescolare come un adolescente alla prima cotta; quell’adolescente che, per un motivo o per un altro, non aveva potuto o voluto essere. A volte pensava che il Divoratore l’avesse fatto invecchiare precocemente: nei collegi e nelle università che aveva frequentato si era sempre sentito fuori posto, troppo superiore e maturo per le torme di studenti che lo circondavano.
Purtroppo, doveva ammettere che Skadi aveva ragione: lui era vergine. Non dal punto di vista fisico, in quanto le frequentazioni altolocate di Ducan avevano significato servirsi delle prestazioni di alcune “accompagnatrici”; senza contare che spinto dalle pulsioni del Divoratore sarebbe stato impossibile evitarle, anche se avesse voluto. Era illibato sentimentalmente parlando. Ottenebrato dalla volontà di Adar Molok, non aveva mai provato interesse nel coltivare rapporti affettivi e ora scopriva la gravità di quella mancanza. Si consolò pensando che nei legami familiari stava ricevendo un minimo d’aiuto da Skadi, Ariel e Nadine. Per il resto, poteva solo sperare che quella piccola speranza di felicità non si seccasse tra le sue mani o peggio, mutasse in un osceno abominio.

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Capitolo 2
*** II - I fratelli Anderson ***


II - I fratelli Anderson
II – I fratelli Anderson

Cominciava a non sentire più i piedi. Si era tolto scarpe e calzini, e aveva risvoltato i pantaloni quel tanto da evitare che finissero per inzupparsi nell’acqua del lago. Era una cosa che non faceva da quando era bambino, da prima che i demoni dentro lui e Timmi travolgessero le loro vite.

Possibile che una simile eventualità potesse ripresentarsi anche a distanza di anni? Realizzare di avere con sé un grande dono, ma usarlo per il fine sbagliato? Potevano i sentimenti essere un’arma tanto potente e scellerata nelle sue mani? Era questo che lo spaventava sopra ogni altra cosa: il non avere la certezza di meritare tanta fortuna, che il proprio passato volesse giocargli un tiro mancino offrendogli una visione di felicità per poi rivelargliela come una scena di desolazione e sofferenza.
Caricò il braccio, pronto a lanciare l’ennesimo sasso nel lago.
«Tirane un altro e ti arresto per disturbo della quiete pubblica» ringhiò una voce alle sue spalle.
Kyle scrollò le spalle, accennando un sorriso amareggiato.
«Qualche scoiattolo si è lamentato, Sceriffo?» sospirò abbandonando il gioco.
«Disturbi me e questo basterebbe ad assicurarti la cella, visto che ho promesso a Skadi di non fare più di così» brontolò affiancandolo.
Anche Timmi era scalzo, ma la sua natura demoniaca gli permetteva di non subire le brusche variazioni di temperatura. Guardandolo, nessuno avrebbe potuto dire che avesse i piedi in ammollo nelle acque gelide.
«Ti diverti, non è vero?» domandò Kyle, presagendo un nuovo attacco alla propria dignità.
«Per niente» mentì, levandosi il cappello.
«Stai ridendo» osservò piccato, scrutandolo con la coda dell’occhio.
Timmi chinò il capo per un attimo, prima di scoppiare a ridere come un pazzo. I capelli corti e neri sbiadirono fino tornare del loro vero colore, un verde pallido. L’altro scosse il capo, rassegnato al ruolo dello zimbello di casa. Sentiva di non sbagliare, supponendo che Skadi e Ariel avessero già provveduto a raccontargli della loro conversazione, aggiungendo una copiosa dose di ipotesi, dettagli e deduzioni arbitrarie. Se fosse stato diversamente, Timmi non sarebbe andato a cercarlo.
«Direi! Non avrei mai potuto pensare a una tortura migliore. Tu, il temutissimo Divoratore di Anime, alle prese con rogne da romanzetto rosa! Arrivi a tanto così dal far fuori me e Gaeliath - cosa non da poco -, e una gonnella ti devasta peggio di quanto abbia fatto io!» sghignazzò afferrando un masso e scagliandolo all’altro capo del lago senza il minimo sforzo, sollevando una colonna d’acqua alta quanto gli alberi intorno.
«Non ti facevo un tipo da rose e cioccolatini» riprese Timmi dopo un lungo silenzio e il lancio di un paio di grosse pietre. «Pensavo ti presentassi accompagnato da mostri assassini, Demoni Scheletro e cadaveri sparsi» aggiunse, ricordando il teatro del loro scontro peggiore, ormai quasi vent’anni addietro.
«Nemmeno tu lo sei, a quanto dice Nadine» rimbeccò vago, cambiando immediatamente registro appena scorse minacciosi bagliori ambrati nello sguardo dell’altro. «In effetti trovo rose e cioccolatini piuttosto banali. Preferisco una piacevole serata sulla terrazza del mio appartamento, accompagnata da buon vino e brani di John Coltrane. Sono molto meno sudici».
Non riuscì a sentire quale imprecazione suo fratello avesse coniato per l’occasione: poteva solo immaginare fosse qualcosa di particolarmente offensivo, rivolto allo sfoggio che faceva della propria classe. In rare occasioni sua cognata si era divertita a provocare il consorte rimarcando quell’enorme differenza tra loro.
A malincuore, doveva ammettere che Ducan l’aveva reso una persona migliore sotto quel punto di vista: gli aveva assicurato un’istruzione di tutto rispetto e la frequentazione di ambienti prestigiosi, incontri con personaggi culturalmente elevati e socialmente stimolanti; gli aveva trasmesso l’amore per la bellezza e l’eleganza, la passione verso l’antico e la storia, sia nella versione canonica sia esoterica. Elementi che pareva apprezzare persino un mostro come Adar Molok.
Timmi non era stato altrettanto fortunato e tentava di non farglielo pesare, nonostante intuisse che gliene importasse veramente poco o niente.
«Lei non è come le altre» riprese d’un tratto.
«Se ha un debole per te, no di sicuro. Devono mancarle parecchie rotelle» commentò sprezzante.
Un globo lampeggiante di magia verde-azzurra crebbe di fronte alla mano aperta di Kyle, che però lo dissolse subito, sospirando abbattuto di fronte alla smorfia irritata del fratello.
«Scusami, non so che cosa mi sia preso. Sono in un momento pessimo» e tramutò un sassolino in un martin pescatore che scomparve tra le acque. «Non so se merito ciò che mi sta accadendo dopo quello che ho fatto. Non sono certo che diciassette anni d’Inferno siano sufficienti a sollevarmi dalle mie colpe».
«Se dipendesse da me, non meriteresti nemmeno di respirare».
«Sempre così petulante quando si tratta di farmi presente quanto non ti vado a genio, vero, fratellino?»
In una frazione di secondo il mondo si rimescolò, riempiendosi di fruscii, tonfi e scariche di dolore. Timmi lo aveva colpito con tanta rapidità da essere stato praticamente invisibile e l’aveva scaraventato a terra parecchi metri più in là.
«Dì quella parola un’altra volta e azzero ogni problema, tuo e mio. Pensala come ti pare, ma tu per me non sei un fratello» mugghiò avvicinandosi, la voce distorta dall’emergere del lato demoniaco.
«Lasciamo perdere, non ho voglia di litigare con te. Sei l’unica persona che vorrei avere vicino, anche se non ti va» lo zittì Kyle, rimettendosi in piedi ben consapevole dei rischi che correva. «L’ho conosciuta anni fa, all’epoca della ricerca della Fornace Demoniaca. Non sto a dirti quanto mi abbia sconvolto sapere che si ricordava di me dopo tutto questo tempo e che sperava di ritrovarmi».
«Allora chissà che bella personcina dev’essere. Un’altra pazza assassina con manie di grandezza e deliri di onnipotenza, pronta a spingerti a conquistare il mondo con chissà che marchingegno. Come se non ne avessi avute abbastanza tra i piedi...» mugugnò scalciando l’acqua.
Alcuni sassi ai piedi di Kyle si trasformarono in un turbine di sabbia che svanì dopo pochi secondi.
«Sapevo che non avrei dovuto parlartene. Con te è impossibile avere una discussione civile» dichiarò amareggiato, facendo per andarsene.
Lo Sceriffo lo agguantò per un braccio, obbligandolo a restare dov’era.
«Ehi, datti una calmata o ti calmo a modo mio. Okay?»
Kyle attese che lo lasciasse andare ma non si mosse. Rimase immobile, fronteggiando il fratello minore senza alcun timore delle ondate di potere magico che emanava. Neppure le fiamme arancioni attorno al suo pugno lo spaventavano particolarmente, anche se avrebbero dovuto.
«Qual è il tuo problema, Timothy? Eccetto me, intendo» inveì. «Non è mai stato un mistero che il mio ritorno dagli Inferi non ti piacesse e posso capirlo, ma non posso accettare questa mancanza di rispetto verso una persona solo perché dimostra affetto nei miei confronti! Una persona che nemmeno conosci, per giunta. Passi il prendere in giro me: so di essere ridicolo, una caricatura imbarazzante! Mi sto comportando da stupido perché non so gestire una relazione o presunta tale, ho il terrore di fingere di darle quello che cerca solo per disperazione, perché voglio credere al miracolo di provare amore per qualcuno. Se però credi che ti lasci sputare sentenze su di lei perché ritieni che meriti d’essere trattata come un mostro per via del fatto che… forse… potrebbe… amarmi…» concluse a mezza voce, incapace di proseguire.
Un’improvvisa angoscia l’aveva invaso nel pronunciare quelle parole. Poi, guardando in volto il fratello, capì. Comprese il motivo di quella reazione così ostile e della paura che lo stava assalendo.
«Benvenuto nel mio mondo all’epoca in cui ho conosciuto Nadine» borbottò lo Sceriffo, sprofondando le mani nelle tasche. «Bello schifo, ti pare?»
Il silenzio calò nuovamente tra i fratelli Anderson. Rimasero a guardare le acque placide, chiusi ciascuno nei propri pensieri, distanti eppure vicinissimi.
«Lascia che ti dica una cosa, Kyle. Quando ho incontrato Nadine, ho tentato di tenerla lontana da me. Ed io di starle lontano. Non volevo ci andasse di mezzo, che dovesse pentirsi di avermi conosciuto. Se qualcuno doveva fare una brutta fine o starci male, volevo essere solo io. Doveva essere così».
«Curioso. Nel parcheggio dell’ospedale avevo avuto un’impressione molto diversa» considerò assorto Kyle, ricordando con quanta foga aveva protetto l’amica di allora. «Scusa, ti ho interrotto».
Timmi ringhiò nervoso.
«No, tu hai rotto e basta. Ora cuciti la bocca e fammi finire» grugnì, aggiustandosi il cappello. «Più provavo a mettere muri tra me e lei, più mi faceva orrore l’idea di tornare a essere solo, anche se non gliel’ho mai dato ad intendere. Non siamo i migliori partiti dell’universo, con quello che abbiamo alle spalle. O dentro, nel mio caso. Facciamo paura, diventiamo violenti e perdiamo il controllo. Se non succede, finiamo invischiati in faccende che causano danni e dolore nella migliore delle ipotesi. E a chi ci sta accanto tocca raccogliere i cocci, subire di essere mal visti, insultati e via dicendo. Persino essere feriti o uccisi. Se pensi che questa donna possa sopportare di restarti vicino anche a queste condizioni, allora va bene. Altrimenti, allontanala. Nessuna merita di sopportarci contro la sua volontà. Non potremmo perdonarcelo».
«Sembri papà quando usi questo tono» disse Kyle, piuttosto sorpreso.
«Sai che non me lo ricordo» tagliò corto.
Detestava parlare di un passato di cui non aveva alcuna memoria. Era una delle poche cose che suo malgrado invidiava al fratello: poter ricordare i volti e le voci dei loro genitori.
«Non so, Timmi. Io… sono confuso. Non ho chiaro cosa stia accadendo, non ho il controllo della situazione. Non ho controllo sui miei pensieri. Ma so che lei vuole starmi vicino, me lo dimostra ogni giorno e so che può farcela. Se mi vuole davvero, ovvio. Dopo tutto, veniamo entrambi dalle tenebre, dovrebbe funzionare».
L’accenno mise Timmi in allarme. Istintivamente allungò la mano fino a sfiorare l’impugnatura di Nova, che teneva nella tasca interna della giacca.
«Di cosa parli, esattamente? Succubi? Demoni? Possessioni? Emanazioni di qualche tipo? Non una delle Erinni, eh? Perché in quel caso devo dirtelo: i tuoi gusti fanno vomitare» snocciolò, preparandosi al peggio.
«Qualcosa di meno complicato».
«Ovvero?» insisté, tutt’altro che sollevato.
«È un licantropo».
Timmi lo guardò di traverso, massaggiando il mento per impedirsi di urlare la prima cosa che gli fosse venuta in mente. Quasi sicuramente un insulto.
«Nessuno ti ha spiegato che a questo mondo esistono quelle che si chiamano “donne”? Perché ti assicuro che è così. Ne conosco almeno una dozzina in città che smaniano per entrare nelle tue grazie, anche se suppongo intendano il contrario».
«Lo sapevo anche prima, ma lei è spontanea, brillante, intelligente, travolgente. Dolce. Viva. E quando muta ha uno splendido mantello color dell’ebano, screziato di bruno dorato» sorrise tra sé.
«Allora ha ragione Skadi. Una perversione ce l’hai: sei un feticista delle pellicce. Ce l’ha almeno un nome questa tizia o la chiami con un fischio? O le tiri una bistecca?» lo stuzzicò, ma si accorse che frustrazione e suscettibilità dell’altro se n’erano tornate da dove erano venute.
Non c’era gusto a dargli contro quando si faceva scivolare di dosso le cattiverie. Vederlo sereno e disteso gli dava la nausea. Lui ancora faticava a sentirsi in pace col mondo per dieci minuti, mentre pareva che quel rigetto d’Oltretomba fosse prossimo a scoprire il segreto della pace interiore. Era insopportabile.
«Vado. Non scomodarti a darmi un passaggio, una passeggiata mi farà bene» disse Kyle, incamminandosi con le scarpe in mano.
«Meglio per te, non te l’avrei offerto comunque» rimbrottò raccogliendo a sua volta gli stivali.
Raggiunsero uno slargo tra gli alberi, dove lo Sceriffo aveva lasciato il pick-up d’ordinanza.
«Ci vediamo, Timmi» salutò, dandogli una pacca sulle spalle.
«Il meno possibile» lo ammonì secco.
Salì in macchina e gettò con rabbia il cappello sul sedile del passeggero. Invidiava l’assenza di neuroni del copricapo: se avesse potuto permettersela, si sarebbe evitato un sacco di grane.
«Io sono mezzodemone, ho una strega per moglie, mia figlia è una creatura magica che non so bene come inquadrare, abbiamo un cane che non ha una definizione genetica certa, ho uno stuolo di amici tra i più improbabili dell’universo, una triglia per sorella adottiva e un cretino per fratello… giusto una donna lupo mancava in famiglia!» sbottò, poggiando la fronte sul volante per la disperazione.
Pensò agli stupidi reality sulle famiglie VIP per cui Nadine e Ariel andavano pazze. Stava per avviare il motore quando un’immagine assurda gli passò nella mente: il cottage visto da lontano, scintille colorate intorno, Dran che rincorreva creature assurde che zampettavano nell’erba e, sopra il tetto, una scritta lampeggiante: “Meet the Anderson. Una comune famiglia paranormale”.
Gli vennero i brividi e un bisogno impellente di scolare una bottiglia di vodka. Passò le mani sulla faccia, prima di tornare a guardare Kyle che si allontanava lungo il sentiero.
«Danny, un giorno ti farò sputare la verità sul perché me l’hai fatto riportare indietro!» ruggì inferocito.

***

Il Custode dell’Eden levò perplesso lo sguardo oltre la finestra, i cui vetri ancora ticchettavano. Fuori, la luce era calata impercettibilmente e stormi d’uccelli si erano levati in volo cinguettando impauriti.

Liz, fingendo di continuare a leggere, si spostò un poco più in là sul divano e lui la fissò interrogativamente.
«Beh? L’hai sentita, no? Era la vocina flautata di Gaeliath che ti salutava pieno di amore e affetto come suo solito» ironizzò la strega, voltando lentamente una pagina.
«E quindi?»
«So che non l’hai notato, ma questo vestito è nuovo di zecca» rispose, sventolando il pizzo della gonna con un certo entusiasmo. «Preferirei che gli schizzi dei tuoi organi interni non lo rovinassero».
«Non ha detto che sta arrivando ora. E comunque, non può farmi niente, sono un Custode dell’Eden. La morte non mi tocca» le fece presente.
«Vero, la morte no, ma Timmi con i suoi pugni, sì. Meglio essere previdenti» e così dicendo levò una barriera magica tra di loro.

***

Una leggera brezza agitò le fronde della bouganville sulla terrazza. Lungo il parapetto di mattoni correva una fioriera, interrotta da una pedana che ospitava una coppia di chaise longue incassate fra le doghe. Una spruzzata di fiammelle incantate si rifletteva in piccole lanterne di rame africane, spandendo aloni variopinti nell’aria. Le note placide di un brano soul cullavano il dopocena dei due commensali, distesi beatamente sui cuscini candidi delle poltrone. Tra di loro, un grande piatto da portata ormai vuoto.

Arshan allungò un braccio, intingendo l’indice nella salsa rimasta sul fondo.
«Cubi di manzo alla senape di Digione, con composta di cipolle e rosmarino e glassa agrodolce alla melagrana» disse, imitando il tono esaltato della presentazione di Kyle. «Se decidessi che le antichità non fanno più per te, posso assicurarti che come cuoco avresti un futuro» gli confidò, succhiandosi il dito.
«Con la magia è facile riuscire a preparare piatti da gourmet, ma si tratterebbe di un inganno verso i clienti e non ci sarebbe l’autentica soddisfazione d’aver portato in tavola una propria opera» confessò, facendo oscillare il cognac nel bicchiere a tulipano.
«Stai parlando del fatto che la carne nel piatto non aveva lo stesso colore quando l’hai tolta dal forno?»
La testa di Kyle cadde all’indietro con un risolino liberatorio e imbarazzato.
«Giuro che non riesco a capire perché quel dannato affare ce l’abbia con me».
Da quando viveva in quella casa, ogni suo tentativo di estrarre cibo commestibile dall’elettrodomestico si era rivelato infruttuoso. Dalla banale crème caramel, al più ardito dei soufflé o degli arrosti, le teglie avevano restituito un’ecatombe di croste bruciate, incartapecorite e maleodoranti.
«Sei solo un po’ distratto» lo giustificò lei, sistemando sulla spalla i capelli neri, stretti in una lunga treccia.
«Assolutamente vero. Non riesco a cucinare e parlare con te allo stesso tempo» concordò strizzando l’occhio.
«Stai dicendo che è colpa mia se fai pasticci in cucina?» lo accusò, gli occhi chiari che riflettevano il baluginio dei lumi incantati.
«Al contrario. Sto dicendo che trovo più interessante conversare con te che spadellare».
Provava sempre una profonda insicurezza nei secondi successivi a quelle frasi. A volte sentiva le labbra tremare, in attesa di scorgere l’effetto che le parole avrebbero prodotto su Arshan. Gli sfuggivano di continuo, era incapace di trattenersi.
Arshan scivolò sui cuscini, fino a stendersi con i piedi oltre la pedana. Socchiuse gli occhi, sporgendo un poco la lingua tra i denti per assaporare il gusto delle sere di tarda primavera.
«Oggi alla galleria sono passate delle persone» disse lei, giocherellando col piercing che aveva all’ombelico.
«Clienti?»
«Impiccioni. Il Vicesceriffo Donovan e altri due. Un folletto piuttosto suonato e un Templare».
L’uomo annuì pensieroso.
«Trys e Darth, senza dubbio. Amici di mio fratello. Ti hanno importunata?»
«Sì e no. Sono rimasti davanti alla vetrina principale per un bel pezzo. Credo stessero guardando me, ma non ho potuto domandarglielo: quando sono uscita in strada, se l’erano svignata. Detesto quando la gente mi fissa come se fossi un fenomeno da baraccone» aggiunse con evidente disappunto.
Non mi vogliono tra i piedi e poi manifestano tutta quest’attenzione per la mia vita privata. Che bell’esempio di coerenza, pensò Kyle stizzito. Peggio delle comari di paese.
Stava facendo il possibile per proteggere se stesso e soprattutto Arshan da intrusioni, pettegolezzi e pregiudizi, eppure pareva impossibile arginare la curiosità altrui.
«Parlerò con Donovan. Questa cosa sta prendendo una piega spiacevole».
Si sarebbe morso volentieri la lingua. Aveva giurato che non avrebbe accennato in alcun modo all’interesse manifestato nei loro confronti, per cui si affrettò a specificare cosa intendesse dire.
«Gli Sceriffi e i loro sottoposti sono tutori della quiete e dell’ordine pubblico, no? Beh, sembrerebbe che se lo siano dimenticato. Questi atteggiamenti ledono la nostra quiete e il nostro lavoro. Che penserà la gente se dovesse ripetersi la stessa scena? Che la Contea ci tiene d’occhio per qualche motivo» glissò.
«Potresti dirlo a tuo fratello. È il capo, no?» suggerì Arshan.
Kyle deglutì a vuoto. L’idea di ripresentarsi da Timmi dopo avergli parlato quel pomeriggio era un azzardo di proporzioni colossali. Dubitava che Gaeliath si sarebbe trattenuto dallo sbriciolarlo.
«Procediamo un gradino alla volta, partiamo dal semplice. I miei poteri sono inferiori a quelli di Donovan, ma posso discuterci senza correre il rischio di finire massacrato alla prima sillaba» sogghignò passando distrattamente una mano sullo stomaco. «Perdonami, Arshan, ma da cosa riconosci un Templare? Un folletto ha caratteristiche peculiari, ma un Templare è pur sempre un uomo. O sbaglio?» domandò, sorseggiando il liquore.
«La maggior parte dei guerrieri di quella risma odora di muffa, calcinacci, sangue rappreso e pergamene vecchie. La loro nota caratteristica è l’incenso rancido, ne sono impregnati fino al midollo. Devo dire però che questo Darth aveva anche altri odori addosso. Odori insoliti».
«Insoliti?» chiese Kyle incuriosito, allungandosi a sua volta sulla chaise longue per guardare le stelle.
«Zucchero filato, menta, pepe. Resina ed erbacce. Dolore e sofferenza. E shampoo alla camomilla» elencò.
«Shampoo alla camomilla?!»

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Capitolo 3
*** III - Vent'anni prima ***


III - Vent'anni prima
III – Vent’anni prima

Finalmente, la traccia che la Fondazione andava cercando da anni era stata scovata in una remota regione desertica tra il Ciad e il Niger. Il campo era poco più che un insieme striminzito di tende lacere e baracche male in arnese, dove si muovevano una trentina di persone, la maggior parte delle quali erano licantropi.
Davanti a Kyle sedevano una donna e una ragazza appena adolescente. Entrambe avevano tratti mediorientali su cui spiccavano gelidi occhi grigi, e sembravano molto più giovani della loro reale età.
«Mia figlia Arshan. Ha trovato la galleria e la porta. Vi accompagnerà lei» era stata la secca imposizione di Edelen Digahali, responsabile degli scavi e matriarca del clan.
«È una bambina» obbiettò Anderson scettico.
C’era poco da scherzare in quelle ricerche, e il fatto che la donna avesse avanzato una simile proposta l’aveva fatto infuriare. Non si stava parlando di un gioco, ma di scendere in cunicoli che perforavano in profondità la roccia e la sabbia; passaggi costellati di trappole magiche e creature oscure e pericolose.
«È la migliore di noi per queste ricerche e conosce già il posto, ma se non vi fidate, andate da solo laggiù» insisté la donna, posando una mano sul capo della quattordicenne.
«Badate alle parole, Digahali. Ci metto poco a estromettervi tutti quanti dalla ricerca» minacciò lui.
La luce all’interno della tenda calò di colpo, nonostante fuori splendesse un sole torrido e accecante. L’aria si riempì di scariche elettriche e dalle iridi scure del giovane si propagò un’inquietante alone verde-azzurro.
La figlia di Digahali guardò intorno tutt’altro che intimorita, poi tornò a posare gli occhi chiarissimi su Kyle, sfoderando un gran sorriso e un’espressione di assoluta tranquillità. Non mostrava alcuna paura e il demone dentro l’umano vibrò d’interesse. Non era possibile che un insignificante cucciolo di licantropo, quale Arshan era ai suoi occhi maligni, osasse fronteggiarlo con tanta spudorata innocenza.
Innocenza. Una parola che risvegliò con prepotenza gli appetiti del Divoratore.
«Preparati, Arshan. Partiamo tra dieci minuti».

***

La galleria partiva da una stretta spaccatura in un affioramento roccioso e scendeva perpendicolarmente per quasi cinquanta metri nel terreno. Arshan aveva raggiunto il fondo dell’inghiottitoio aggrappata alle spalle di Kyle, che li aveva calati entrambi con un incantesimo di levitazione. Aveva preferito evitare di usare la Proiezione, che avrebbe potuto far scattare fatture protettive o attirare mostri sensibili agli sbalzi magici. Guardando dal basso, la luce che pioveva nel pozzo sembrava fatta di fragili fili di ragnatela.
Un cunicolo risaliva leggermente alla loro sinistra, addentrandosi nel sottosuolo come una bocca nera e silenziosa. La ragazzina fece cenno al Sovrintendente di seguirlo, un attimo prima che il muso di lupo della sua pelliccia le coprisse il volto e la trasformazione cancellasse la figura dell’adolescente. Aveva imboccato la galleria a passo spedito, muovendosi disinvolta nella completa oscurità. Kyle le teneva dietro con facilità, gli occhi demoniaci che perforavano la notte ipogea e le gambe che si muovevano senza alcuna fatica.
«Non credevo permettessero a voi ragazzini di portare avanti lavori così pericolosi» era stata la prima cosa che Kyle aveva detto, dopo diversi minuti di marcia.
«Non sono una ragazzina, signor Anderson. Ho le mestruazioni da più di due anni: per il clan sono una femmina adulta» ridacchiò sbucando da un anfratto alle spalle dell’uomo.
Kyle per poco non aveva scagliato un Dirompente mentre inciampava, colpito da tanta sfacciataggine. La ragazzina aveva sollevato il mantello stregato e lo sguardo chiarissimo baluginava nel buio soffocante.
«Potresti restare in vista mentre cammini?»
«Avete paura di perdervi?» sghignazzò inabissandosi nell’oscurità.
I tonfi lievi e le pietruzze smosse dissero che stava muovendosi mantenendo la forma umana. Lui tese una mano e la trascinò indietro con un incantesimo, tenendola per la collottola. La fece voltare verso di sé, lasciandola sospesa a mezz’aria, rannicchiata come un cucciolo nelle fauci del genitore.
«Potrei scambiarti per uno Spirito Guardiano e colpirti. Faresti una brutta fine» l’avvertì.
«Incerti del mestiere, signor Anderson. Bisogna rischiare ogni tanto. Però credo che lei non lo farebbe davvero, cerca di spaventarmi perché le sembro troppo spericolata. Io so cosa faccio, sono un licantropo» era stato il suo commento ilare, prima di riabbassare il cappuccio sul viso e divincolarsi dalla presa.
Arshan scivolò agile tra le pieghe della roccia come acqua attratta dal mare e lui riprese la discesa in quel mondo nero dove riecheggiavano le risate e i passi della sua buffa guida.
In capo ad un paio d’ore, dopo aver superato strettoie, sifoni in secca, resti di trappole magiche scattate secoli addietro con relativi avanzi di cadaveri, curve a gomito, crepacci brulicanti di pipistrelli e Gnomi delle sabbie, l’aspetto della galleria cominciò a cambiare. Le pareti si allargarono, formando un’ampia volta le cui pareti avevano l’aria di essere state modellate dallo scorrere impetuoso di un fiume sotterraneo. Al termine di un ultimo tratto di ripida discesa, Arshan si acquattò in una piccola depressione e indicò col muso ciò che stavano cercando. Un lume incantato gettò aloni azzurrati nell’aria. La porta cui aveva accennato la Digahali era un enorme blocco di granito rosa, perfettamente squadrato. La superficie leggermente ruvida era coperta da un velo di polvere, dove si potevano scorgere le impronte di Arshan. Non ci potevano essere dubbi sulla loro provenienza: forma e dimensioni erano inequivocabili.
«Da qui tocca a me. Puoi tornare indietro».
«E come esco? No, no, resto qui. E poi, lei non sa nemmeno cosa c’è lì dietro. Potrei servirle» replicò gattonando fino alla soglia.
«Ne dubito, visto che nemmeno tu lo sai. Ed io non sono la tua balia» sottolineò, poggiando entrambe le mani sulla pietra che era rimasta inerte al suo tocco.
«Ma io sono la sua» sorrise lei, scorrendo un quadernetto di appunti prima di chinarsi a sfiorare col naso il profilo della lapide. «Non passa aria, è sigillata bene. Ci sono segni di cannule vegetali; ci devono aver colato della linfa o un filtro particolare, roba così. Se ci sono iscrizioni, vanno richiamate con qualche formula. Quelle le sa lei, no? Ed è meglio se la apre stando da questo lato. I cardini sono di là, le arriverebbe addosso» aveva detto, indicando segni impercettibili sulle lastre del pavimento.
Impressionato dalla conoscenza approfondita di quei dettagli, Kyle la fissò con un misto di stupore e ironia. Sentendola usare quel tono saccente, difficilmente la si sarebbe potuta prendere per una quattordicenne.
«La sai lunga, eh?» sogghignò, tornando a richiamare i poteri del Divoratore per indurre la porta a cedere.
«Sono stata qui un giorno intero, prima che la tempesta di sabbia finisse e mi potessero recuperare. Ho avuto un bel po’ di tempo per prendere appunti e per segnarmi la strada. Magari stavolta ci sbrighiamo prima, che stasera danno il mio programma preferito».
«Un telefilm sui ragazzini americani delle superiori?» aveva azzardato, aspettandosi una sfuriata in difesa dei propri beniamini.
Invece Arshan l’aveva stupito di nuovo:
«History Channel. Danno un documentario sulla tomba di Tutankhamon. Ho visto la maschera al Cairo qualche mese fa, ma non mi sembra così bella. E poi ha perduto la magia: tutti i sigilli che trattenevano le Anime Custodi sono stati spezzati e asportati. Sta bene in salotto, tutto lì».
Un lamento penoso echeggiò alle loro spalle.
«Questo non è uno Gnomo. Vattene, Arshan» intimò Kyle, continuando nel frattempo a tastare la porta.
«E perdermi il ritrovamento? Non ci pe…» attaccò lei, ma le fu impossibile terminare la frase: un boato esplose sopra le loro teste, facendo piovere schegge di pietra e polvere.
Dove prima era la liscia superficie della caverna, ora si apriva un immenso cratere dal quale si diramavano fitti reticoli di crepe. Gli abitanti delle profondità fuggirono stridendo spaventati, sovrastando a malapena l’inquietante fruscio che proveniva dal soffitto. Un Madimo
1 avanzava con le fauci spalancate verso di loro, gli occhi ciechi indistinguibili tra le creste ossee del muso serpentino. Aveva assunto le sembianze di un mamba, coperto da un carapace molto simile alle elitre degli scarabei, che si apriva a scatti producendo un ronzio assordante. Strisciava sulla volta, facendo scattare la testa con schiocchi mostruosi.
Il Sovrintendente scagliò alcune folgori, riuscendo a precipitarlo nell’esiguo spazio a terra. Figlio di poteri antichissimi, il demone pareva solo vagamente infastidito dal blando sfoggio di poteri di Anderson. Era ciò che Kyle voleva: evitare uno scontro che potesse nuocere alla Fornace. Doveva trovare un modo per sbarazzarsene a colpo sicuro e senza troppi danni. Una pioggia di lame infuocate e sfere esplosive servì a far agitare la bestia, che dilatò le spire contro le pareti della caverna per impedirgli un’eventuale fuga.
Un acuto latrato anticipò il balzo di un lupo dalle sporgenze rocciose sul dorso corazzato. Gli artigli di Arshan stridevano nel tentativo di trovare un appiglio sulla superficie chitinosa, senza riuscire a infliggergli alcuna ferita. Il serpente soffiò furibondo, contorcendosi per addentare il piccolo assalitore che con una mossa astuta costrinse la creatura ad attorcigliarsi su se stessa, consentendogli di affondare le zanne tra due squame, lacerando le ali iridescenti e provocando sibili di dolore così acuti da stordire.
L’animale fu sbalzato via con tanta forza da strappare il cappuccio dalla testa e fargli riprendere sembianze umane. Troppo interessato a finire chi l’aveva colpito, il Madimo non vide il Divoratore sostituire la figura di Kyle, rimasto immobile a osservare ciò che accadeva. Il demone si scagliò sull’avversario, afferrandolo per la corazza che si frantumò in centinaia di schegge. Al di sotto, le ali rivestivano una pelle tenera e traslucida. Affondò zanne e artigli ruggendo, scavando fino alle ossa tra liquidi organici e vampe di magia arcaica. Aprì il vortice sulla mano destra, cominciando a risucchiare il potere che gli scorreva tra le dita, sordo ai gemiti agonizzanti dello spirito. Un demone troppo debole per impensierirlo davvero. Si sentì quasi offeso: se questi erano i reali mezzi dei Custodi dell’Eden, avrebbe avuto ben poco di che preoccuparsi.
Il corpo del serpente crollò a terra con un gorgoglio molle. Sangue violaceo e fumante dilagò a fiotti dal cadavere, allagando la piccola conca. L’aria si riempì di un lezzo nauseabondo, che aumentava di pari passo con il livello del liquido. Il veleno al suo interno cominciò a sbiancare la pietra intorno.
La ragazzina gemeva e tossiva, distesa scomposta su una roccia. Kyle l’afferrò senza tanti complimenti e la sollevò tra le braccia, stringendola forte al petto. Avrebbe potuto abbandonarla, ma se un Madimo non l’aveva ritenuta un pericolo, permettendole di condurlo in relativa sicurezza fin lì, allora sarebbe potuta tornargli utile nel caso in cui avessero dovuto proseguire ancora oltre la porta.
«Spiacente Arshan, perderai il documentario».

***

«Sta bene, signor Anderson?»
La voce di Arshan lo risvegliò dal torpore soddisfatto in cui era caduto. Aprì gli occhi, scoprendola accanto al letto, piegata sul fianco sinistro tanto da guardarlo a testa in giù, i capelli neri che sfioravano la stuoia a terra. Accennò un sorriso e si tirò a sedere, massaggiando la spalla indolenzita.
Del Madimo non era avanzato nulla ed era stato piacevole ascoltare gli ultimi rantoli spegnersi nel suo stesso sangue. Sangue che si era rivelato la chiave per attivare le iscrizioni sulla porta. Dietro, una volta aperta, tizzoni morenti sembravano sonnecchiare in attesa di ridare vita alle fiamme dell’Inferno.
«Sì, sono tutto intero. Tu?»
In risposta, lei gli era balzata sulle ginocchia gettandogli le braccia al collo.
«Mai stata meglio. Ho avuto anche le coccole extra» rise arricciando il naso.
Kyle l’aveva squadrata interrogativamente. Non immaginava si riferisse al lungo abbraccio con cui aveva protetto entrambi dal veleno.
«Meglio così. Mi sarebbe dispiaciuto se ti fosse accaduto qualcosa. Sei tra le migliori cacciatrici di reperti che la Fondazione abbia al proprio servizio. Perderti anche per poco tempo sarebbe stata una disdetta».
L’elicottero della Fondazione atterrò nel pomeriggio, portando viveri, materiale per scavi e imballaggi, oltre a Sebastian Ducan. Contrariamente alle sue abitudini, rifiutò di andare a vedere il reperto, insistendo con il Sovrintendente per rientrare subito: durante il volo aveva ricevuto notizie preoccupanti.
«Pare che il Sommo Concilio abbia subodorato un pericolo e si stia muovendo. Potremmo averli addosso prima ancora di aver trasferito la Fornace. Devi occupartene subito. Fai sparire il grosso del macchinario, il resto lascialo ai Digahali, per non destare sospetti».
Senza rispondere, Kyle annuì e tracciò brevi segni nell’aria. Subito, la terra cominciò a tremare.
Il grosso velivolo decollò al tramonto, non appena le scosse cessarono e le più innocue tracce della Fornace demoniaca si furono mescolate a quelle di un antico pozzo sacrificale. Kyle salutò dal finestrino la macchia nera che ululava saltellando tra le dune. Il suo sorriso suscitò l’ilarità di Ducan: trovava non gli si addicesse affatto quell’aria da affettuoso fratello maggiore. Non era cosa per lui.
«Si dice che i licantropi siano monogami, fedeli per tutta la vita al compagno. E sono le femmine a sceglierlo».
Afferrando al volo l’allusione, il giovane recuperò l’abituale distacco.
«Arshan è solo una ragazzina molto estroversa e io una novità che le ha procurato un po’ di graffi. Entro domani non si ricorderà neppure la mia faccia» asserì gelido.
«Certamente. Come dici tu, figliolo» replicò, pensando l’esatto contrario.

***

Kyle scoprì di aver torto quando l’intero clan sbarcò sull’isola alcuni mesi più tardi. La giovane Digahali non solo non l’aveva dimenticato, ma pareva divertirsi un mondo a gironzolargli tra i piedi. Fraintendendo apertamente il suo atteggiamento, Kyle si convinse desiderasse vedere il risultato del suo tanto decantato ritrovamento, così aveva deciso di Proiettarsi con lei nell’antro demoniaco alla sommità dell’edificio.
«Allora… è questa?» chiese, osservando l’intrico di tubi e sili che si snodava sotto di loro.
«Esatto. Sei al cospetto della Grande Fornace Demoniaca» annunciò Kyle con viva soddisfazione, marcando di proposito il termine Demoniaca.
Il Divoratore percepì distintamente quanto il potere dell’artefatto spaventasse l’esserino che aveva accanto, e non poté che bearsi del panico che gli serpeggiava in corpo. Gliela faceva trovare invitante, appetitosa.
«È anche merito tuo se siamo riusciti a rimetterla insieme. Hai svolto un lavoro eccezionale, non finirò mai di dirtelo. Di tutto ciò che verrà, potrai dire con orgoglio che una parte si deve a te e alle tue doti».
Lei si sforzò di sorridere, tuttavia era evidente che quell’affare non le piacesse per niente.
«Insomma è… un microonde gigante per sfornare aiuti per l’umanità e altra roba così?» chiese, aggrappandosi al parapetto senza riuscire a nascondere il tremito delle mani.
Un attimo dopo, il Sovrintendente li aveva Proiettati al piano terra dell’edificio, nello spazio ristoro.
«È una definizione riduttiva. Le sue potenzialità, nelle giuste mani, sono pressoché infinite».
«Voi sapete come usarla? Voi… lei, o il signor Ducan?»
Kyle le fece l’occhiolino portandosi un dito alle labbra, l’aria di chi la sapeva lunga. Per assicurarsi il suo silenzio, aveva toccato uno dei distributori automatici, che aveva servito un paio di brioches piuttosto stantie.
«Mamma dice che il signor Ducan non è ancora soddisfatto. Vuole che cerchiamo altri manufatti, elementi che la rendano più potente. Partiamo stanotte» disse la ragazzina, addentandone una per celare il dispiacere.
«Ne sono a conoscenza e concordo con tua madre che non ce ne sia bisogno. Trovo sia solo un’inutile perdita di tempo. Chi comanda però è Ducan, a noi tocca eseguire».
Per un po’ avevano taciuto, sbocconcellando i dolci rinsecchiti davanti ad una finestra aperta sulla foresta.
«Non potrebbe venire con noi? Lei è il Sovrintendente, sa tante cose. Deve controllarci» propose.
«Non posso. Abbiamo degli studi da compiere, esperimenti, regolazioni. Prove di creazione».
«E gli esseri là fuori? Non li avete fatti usando la Fornace?»
«Erano tentativi elementari, molto semplici. Servivano a verificarne il funzionamento. Entro qualche giorno gran parte di loro morirà perché non abbiamo saputo infondere sufficiente forza vitale nei corpi. Ora conosciamo i nostri errori e dobbiamo procedere verso cose più grandi e complesse».
«E… il kraken?» azzardò, mostrando un certo timore.
«L’hai visto?» domandò accigliandosi.
«Annusato più che altro» ammise facendo una smorfia come se fosse prossima a vomitare.
«Un ibrido interessante. Immagina che sia un enorme cane da guardia. Quello è il suo compito. A voi non farà nulla, non hai di che temere. Farete un viaggio tranquillo» la rassicurò.
«Signor Anderson… noi ci rivedremo, vero?»
«Perché me lo chiedi?»
«Non mi piace. C’è troppa malvagità dentro quell’affare. Se fossi trasformata, avrei la pelliccia tutta ritta per il nervoso» replicò tesa, leccando le dita impiastricciate di cioccolata.
«Forse hai ragione, il male che la pervade si può persino toccare. Detto ciò, abbiamo capacità sufficienti per dominarla. Sarà usata per dare un futuro migliore al mondo. Puoi credermi».
L’assicurazione aveva faticato a sortire l’effetto sperato, tanto che Kyle si era sentito in obbligo d’insistere.
«Mi troverai alla mia scrivania quando tornerai, soddisfatto dei risultati del lavoro e ciò che ne sarà conseguito. Al massimo sarò nei corridoi o a passeggiare intorno al palazzo. E ci mangeremo un’altra di queste porcherie, facendo finta che sia la migliore delle Sachertorte. Oppure, ci Trasporterò a Vienna per mangiarne una vera, se tua madre lo consentirà. Ora però devo restare, perché ho il sospetto che a breve riceveremo delle visite. E dovrò essere presente».
«Ospiti sgraditi dalla sua faccia. Se vuole, posso restare a darle una mano. Mamma dice che sto sviluppando un bel morso. E anche ad artigli sono messa benino, sa? Apro in due un ghiottone senza tanti problemi» si era vantata, simulando la foga dello sventramento.
Kyle aveva riso, cingendole le spalle con un braccio e riportandola all’imbarcadero, vicino al quale il clan aveva messo insieme un campo base provvisorio.
«Lascia stare, sono cose di poco conto che risolverò presto. Seccature di breve durata che spero di volgere in aiuti preziosi. E comunque, dove dovrei andare? All’Inferno?»
«No, signor Anderson. Siete una brava persona, solo i cattivi vanno all’Inferno. Se dite che lavorate per il bene del mondo, io vi credo. Anzi, sono sicurissima che riuscirete a usare benissimo quella roba là».
«Visto? Non hai alcun motivo di preoccuparti per me» sorrise lui, compiaciuto.
La sua fiducia incondizionata aveva fatto ruggire di giubilo il Divoratore, pago del proprio raggiro. Credeva veramente che stessero preparando la strada verso un mondo migliore. Camminava verso l’abisso, aiutando a trascinarvi milioni di vittime sacrificali e non se ne rendeva conto, non aveva il minimo dubbio o esitazione, nonostante la paura.
A un tratto, Arshan gli si era parata davanti, bloccandogli il passo. L’aveva fissato a lungo, mordendosi le labbra. Sembrava volergli dire qualcosa d’importante, forse ripetergli ancora quanto la Fornace diffondesse malvagità e che dovesse stare attento. Invece, aveva finito per inspirare profondamente un paio di volte, prima di gettargli le braccia al collo e baciarlo sulla guancia.
«Arrivederci, signor Anderson» aveva singhiozzato al suo orecchio.
Lui aveva ricambiato senza troppo trasporto.
«Arrivederci, Arshan».
Dopo un paio di settimane, era giunta notizia ai Digahali che Ducan era morto, così come gran parte della gente che lavorava per lui sull’isola, incluso Kyle. La comunicazione faceva riferimento ad un’esplosione che aveva coinvolto la palazzina principale, dove i sistemi di sicurezza erano entrati in avaria per motivi sconosciuti. I giornali avevano parlato di terroristi e malavita, qualcuno persino di complotti segreti del governo. Nessuno aveva parlato di magia, demoni, mostri o della Fornace.
Arshan aveva taciuto, allinenandosi all’etica dei ricercatori mercenari cui apparteneva, secondo i quali, alla cessazione di un contratto, ne seguiva un altro. Nessuno sapeva che, nascosto nel suo taccuino, conservasse l’incarto della merendina mangiata con il suo signor Anderson.


1 Madimo: mostro della mitologia bantu, si presenta in forma animale o umana. Sono divoratori di uomini.

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Capitolo 4
*** IV - Antiqui Mundi ***


IV - Antiqui Mundi
IV – Antiqui Mundi

Quando Arshan aveva messo piede nella galleria, Kyle non l’aveva notata. Era abbarbicato in cima ad una scaletta, intento nel sistemare una lampada a incasso che faceva le bizze. Non era insolito scorgere figure muoversi silenziosamente tra le teche, dove antichità di ogni sorta facevano bella mostra di sé, quindi sulle prime non vi aveva prestato attenzione.

«Mi scusi, il signor… Anderson?»
Era sceso in tutta fretta, incurante delle ragnatele e della polvere che gli imbrattavano la camicia e la faccia.
Nonostante fossero trascorsi anni da quando l’aveva vista l’ultima volta, l’aveva riconosciuta subito. La ragazzina tutta ossa e sorrisi aveva lasciato il posto a una donna alta e slanciata, il cui sguardo fiero e luminoso spiccava sul viso arrossato dalla frescura di fine settembre.
«Arshan?» esclamò incredulo.
Lei l’abbracciò con tanta foga da farlo indietreggiare fin contro il muro.
«Signor Anderson» singhiozzò, incapace di chiamarlo per nome.
Improvvisamente aveva sentito svanire un pizzico del malessere che si portava dentro, spazzato via da un vento impercettibile. Ritrovare Arshan, sapere che non l’aveva dimenticato e che era addirittura felice di vederlo, era stato come un balsamo sulle ferite.
«Kyle» l’aveva corretta, ricambiando la stretta.
Si erano spostati in un angolo del salone, occupato da una lunga panca di ciliegio. Kyle ne andava particolarmente fiero: era la sua prima opera nelle vesti di mago e artigiano. Era stato appagante vederla prendere forma sotto le proprie mani, sebbene Timmi avesse urlato ai quattro venti che fosse solo un’emerita schifezza, neppure lontanamente paragonabile alla casa che lui si era costruito.
Arshan gli si era seduta in grembo, spiazzandolo.
«Lo fai ancora?» rise, colto da un certo imbarazzo.
«Le… ti dispiace?» si corresse.
«No. È come fare un salto indietro nel tempo. Un bel salto nel tempo» precisò.
La sua gioia era talmente contagiosa che Kyle si concesse l’ardire di baciarla sulla guancia. Lo sguardo piacevolmente sorpreso dell’ospite vagò per qualche secondo sul suo viso, per posarsi sui suoi capelli.
«Dovrei tagliarli, vero? Ultimamente ho avuto parecchio da fare e non mi sono preso cura di me» commentò.
«A me piacciono. Ti danno una nota di trascuratezza molto sexy» replicò la donna, passandovi la mano.
Era buffo. Quando Kyle aveva rimesso piede nel mondo dei vivi, il suo aspetto era ancora quello del ventiquattrenne deceduto per mano del Flagello di Dio. Nell’arco di pochi mesi tuttavia, le sue sembianze erano cambiate, trasformandolo nell’uomo che tutti conoscevano, quasi che gli anni non vissuti fossero rimasti in stand by per piovergli addosso alla ripresa del ciclo vitale. Era stato difficile abituarsi alla vista dei lineamenti che s’indurivano giorno dopo giorno, alla comparsa delle rughe d’espressione e di qualche capello bianco, molto più che accettare la limitatezza dei poteri di cui era rientrato in possesso.
Eppure, sembrava che tutto questo influisse positivamente nei suoi rapporti di vicinato: in breve tempo la gente aveva preso a benvolerlo, a prescindere dalla sua parentela con lo Sceriffo. I suoi modi cortesi e misurati e l’abbigliamento impeccabile, uniti all’aspetto da sofisticato gentiluomo metropolitano ne avevano fatto un’icona, oltre che uno tra gli scapoli più desiderati dei dintorni.
Ed anche Arshan sembrava confermarlo.
«Perché mi hai cercato?» aveva chiesto, confuso.
Lei si era limitata a sorridere, facendogli una carezza e poggiando il capo sulla sua spalla.
«Istinto» aveva risposto infine.
Era stato allora, mentre stavano abbracciati nella penombra, che Anderson aveva scorto Jonathan spiare da dietro il vetro. In quel momento, il presagio della mala parata che sarebbe seguita di lì a qualche mese era meno che una remota possibilità.
«Dopo la distruzione dell’isola e la morte di Ducan, non riuscivo a rassegnarmi all’idea… non potevi essere morto. Io sapevo che dovevi essere sopravvissuto, eri troppo in gamba per fare una brutta fine. Ero preoccupata, non ci credevo, ma più cercavo e più gli indizi dicevano che sbagliavo. Che te ne eri andato per sempre. Le tue tracce finivano in mare. Eri scomparso dalla faccia della terra, nessuno aveva più avuto tue notizie. Così, un po’ alla volta, sono stata obbligata ad andare avanti».
Kyle si era sentito stranamente in colpa e al tempo stesso profondamente grato per quelle parole. Non ricordava che qualcuno si fosse mai espresso in termini simili riguardo la sua sparizione.
«Cos’hai fatto in questi anni?»
«Ho continuato a viaggiare, lavorando negli scavi di mezzo mondo. Mi sono laureata in archeologia e antropologia. Mi sono sposata» aggiunse distrattamente.
Non sembrava importarle molto, pareva più interessata ai reperti nella teca lì vicino. Tuttavia, la rivelazione aveva provocato un’insolita fitta al costato di Kyle.
«Congratulazioni» aveva detto.
«Ti ringrazio, ma è durata poco» aveva sospirato. «Mia madre insisteva che non s’era mai vista una femmina senza compagno e ne ha scelto lei uno per me. Era gentile, forse un po’ troppo servile perché temeva rappresaglie dai miei fratelli. È morto pochi mesi dopo, in un conflitto a fuoco dalle parti di Bengasi. Quando ci si mette l’ottusità umana, le antiche regole dettate dal sacro spirito dei tuoi avi valgono meno di zero» aveva ringhiato stringendo i pugni e Kyle aveva sospettato che la sua reazione avesse poco a che vedere con la perdita del marito, quanto piuttosto con il matrimonio imposto.
«Mi dispiace» aveva detto, indeciso per quale delle due. «Come hai fatto a trovarmi?»
A quella domanda, il volto di Arshan si era disteso, lasciando tornare il sorriso.
«Tempo fa, mentre mi trovavo a New York, ho sentito alcuni fratelli del posto parlare di un uomo. Lo descrivevano come dotato di poteri immani, capace persino di sconfiggere l’Anticristo. Dicevano che bastava la sua ombra a tenere in riga intere orde oscure. Lo chiamavano semplicemente il Flagello» spiegò. «All’inizio pensavo si trattasse di un altro, ma cominciarono a parlare del modo sprezzante con cui sfidava i pericoli, del fatto che si circondasse di poche persone fidate anche se preferiva agire solo e che fosse alle dipendenze di entità misteriose e senza volto. Si vociferava avesse in corpo un demone di qualche tipo, estremamente potente e violento. Forse persino più di uno. Nessuno però l’aveva mai visto davvero, le descrizioni erano discordanti tra loro all’inverosimile. Alla fine però venne fuori un nome: Anderson».
Kyle dovette ammettere che gli indizi calzavano sia per lui sia per Timmi: se Arshan fosse stata convinta della sua morte e avesse saputo dell’esistenza di suo fratello, avrebbe capito che si riferivano a quest’ultimo.
«Ho impiegato quasi tre anni per riuscire a scoprire dove vivesse questo famigerato Anderson. Ho perso il conto delle false piste che ho seguito, era come inseguire un fantasma. E ieri sera, quando sono arrivata in città, ho temuto di aver sbagliato per l’ennesima volta» aveva sospirato chinando il capo.
«Hai scoperto che l’Anderson di cui seguivi le tracce si chiama Timothy».
Lei, avvilita, aveva fatto cenno di sì.
«Sceriffo Timothy Jonathan Anderson. Delle ragazze in una caffetteria ne stavano parlando. Si lamentavano di quanto fosse pedante e insopportabile, “il re dei musi lunghi e delle rampogne”, e non si capacitavano di come, stando ai racconti dei genitori, una volta fosse stato un tipo veramente tosto, un pazzo con i capelli tinti di verde che se ne andava in giro in moto a mettere in riga i bulletti del liceo».
Per Kyle era divertente ascoltare quei resoconti sul fratello dal punto di vista dei concittadini. Da quando dominava Gaeliath e aveva assunto la carica di Sceriffo, si presentava in pubblico con i capelli neri, mentre a casa o in missione per il Sommo Concilio lasciava tornassero del loro abituale verde pallido. Scelta che aveva dato la stura alle congetture sul suo passato da “buon ribelle”.
«Sono stata ad un passo dall’abbandonare tutto e andarmene» aveva ammesso. «E l’avrei fatto, se un’altra ragazza non avesse fatto notare quanto il fratello dello Sceriffo Anderson fosse invece un uomo incredibilmente affascinante e gentile, elegante, di buone maniere e gusti raffinati. Si sono messe tutte a sospirare estasiate: “Oh, quell’angelo del signor Kyle!”» ridacchiò mimandone i gesti svenevoli.
Lui aveva riso: era conscio del consenso riscosso presso il pubblico femminile della cittadina, alcune donne erano state particolarmente esplicite riguardo l’attrazione che provavano nei suoi confronti. Attrazione che aveva cortesemente declinato, augurandosi –inutilmente- sarebbe servito a essere lasciato in pace.
«Mi sono aggrappata a quell’ultima speranza, pregando di non sbagliare ancora. Non l’avrei sopportato. Ho ascoltato per un po’ i loro discorsi ed ho scoperto di “Antiqui Mundi”. Ho chiesto informazioni al barista e sono corsa qui, ma era già passata l’ora di chiusura».
L’aveva immaginata correre per le strade del centro, cercando i nomi delle vie, fino a raggiungere la destinazione agognata. Era dispiaciuto che non l’avesse trovato al lavoro: quando era stato alle dipendenze di Ducan, aveva letteralmente vissuto per il lavoro, e quando non era impegnato nello studio o nelle ricerche, si poteva trovarlo dietro una scrivania a ogni ora del giorno o della notte. Arshan aveva fatto conto su questo e doveva aver provato una grande delusione scoprendo che aveva cambiato abitudini.
«Sono rimasta ore davanti alle vetrine, cercando una tua traccia. Volevo sapere se eri veramente tu, avevo bisogno di sapere che c’eri. Ci ho messo un po’, ma quando ho riconosciuto il tuo odore nell’aria, sono scoppiata a piangere. Ero troppo felice di averti ritrovato, Kyle» aveva concluso abbracciandolo di nuovo.
Parlarono a lungo, benché Kyle evitasse con abilità la maggior parte delle domande che riguardavano i suoi trascorsi. Lei non insistette, intuendo fosse un argomento inappropriato e spostando l’attenzione sulla galleria d’arte, sulla gestione degli spazi espositivi e la loro organizzazione, sui commerci di manufatti incantati e la situazione dei produttori nazionali ed esteri. Arshan si dimostrò molto ferrata, oltre che dotata di un interessante portafoglio contatti, avendo lavorato nel settore come ricercatrice e come esperta di valutazioni del potenziale magico, oltre che del valore economico.
«Cosa farai ora? Tornerai ai tuoi scavi?» le domandò, quando verso sera chiusero insieme “Antiqui Mundi”.
Erano fermi in strada, dove una brezza incostante si divertiva a spazzare le foglie da un lato all’altro.
«Veramente è da un po’ che ho abbandonato il lavoro sul campo. Eccessiva concorrenza, troppe guerre, instabilità politica, carenza cronica di fondi e mecenati. Una lunga e stancante ricerca che ho terminato solamente oggi, con grande soddisfazione» aveva ammiccato furbescamente.
L’uomo non aveva potuto fare altro che sentirsi turbato. E in debito. Una sensazione nuova, insolita, diversa dalla gratitudine nei confronti di Timmi e Skadi o da quella provata decenni addietro per Sebastian Ducan.
«Ho bisogno di aiuto, qui alla galleria. Tu hai le conoscenze e le capacità adatte per ciò riguarda sia i manufatti comuni sia quelli magici. E i clienti mi sobbarcano di richieste, fatico a star dietro a tutto quanto. Potrebbe interessarti?»

***

Per cavalleria propose ad Arshan di stare da lui fintanto che non avesse trovato una sistemazione adeguata; ciononostante sperava con crescente prepotenza che non la trovasse mai. La sua presenza si era rivelata un toccasana sotto molti punti di vista, e gli permetteva di affrontare con maggiore ottimismo persino le sfuriate di Timmi: gli bastava ricordare la prima cosa che aveva detto sistemando le sue cose nella stanza degli ospiti.

«Meglio la sottoscritta che un cane, no?» aveva riso, mostrandogli la pelliccia nera. «Non devi portarmi fuori a orari assurdi o col brutto tempo; faccio benissimo la guardia; sono resistente alle malattie; pulisco da me se sporco in casa; non devi interpretare le mie espressioni perché rispondo in maniera chiara alle domande e ho molti modi di dimostrare quanto so essere affettuosa anche senza una coda. Direi che hai fatto un affare».
La prova giunse circa un paio di settimane dopo l’inizio della loro convivenza.
Kyle era abituato ad alzarsi molto presto e a essere attivo da subito a differenza di Arshan, le cui pratiche notturne avevano un effetto opposto sulle sue sveglie, che si protraevano spesso ben oltre le otto e mezzo, obbligandola a corse affannose per raggiungere “Antiqui Mundi” in tempo per l’apertura delle nove e trenta. Spesso lui finiva per prenderla in giro, dissimulando quanto quei ritardi lo disturbassero: aveva sempre mal digerito lo sprezzo che la gente mostrava per la puntualità e si era imposto una ferrea disciplina a riguardo, proprio per non cadere vittima delle stesse mancanze. Con Arshan il discorso però era diverso. Dopo tutto, era parte della sua natura di licantropo e non poteva fare nulla per cambiarla. E nemmeno avrebbe voluto, specialmente dopo essersi accorto di quanta pace sentiva nell’animo guardandola dormire.
La scoperta era stata casuale: un mattino, Kyle aveva gettato distrattamente un’occhiata nella stanza di Arshan, per poi proseguire verso la cucina. Aveva preparato la solita colazione con caffè, pane tostato, marmellata e frutta, ripassando mentalmente gli impegni della giornata. Eppure, aveva faticato a gustare la calma di quei minuti. Un’insolita inquietudine gli aveva reso impossibile starsene seduto a tavola. Lo sguardo insisteva a correre alla porta del corridoio, in attesa di un misterioso qualcosa che restava celato dai muri. Dopo un quarto d’ora di sorsi insipidi e morsi simulati, aveva deciso di alzarsi e tornare nel corridoio, in cerca di risposte. Si era avvicinato in punta di piedi, spiando oltre la soglia.
La camera era avvolta dalla penombra dorata che filtrava delle tende. La pelliccia stregata era un grumo di oscurità che lo fissava ieratico, accuratamente riposto in cima alla cassettiera. Per un attimo aveva avuto la strana impressione che fosse lì lì per prendere vita e trotterellare fuori della stanza.
Arshan dormiva tranquilla, abbracciata al cuscino. La stanchezza le segnava ancora il viso, ma la curva delle labbra parlava di un recupero ormai prossimo. I capelli si mescolavano agli arabeschi sulla casacca del pigiama, per poi ricomparire sinuosi tra le lenzuola.
Kyle avanzò di mezzo passo, abbastanza da restare sulla soglia senza invadere lo spazio della donna lupo. Trovava poco educato ciò che stava facendo, il plateale superamento di un confine, del limite di un’intimità altrui, ma qualcosa gli diceva che la risposta stava nell’attesa. Si era appoggiato allo stipite, restando a osservarla assorto, sorseggiando il caffè con assoluta calma. Per lunghi minuti, le priorità della giornata furono sostituite dal conto dei respiri della donna, dalla contemplazione dei chiaroscuri sulla pelle color del bronzo, dalla tranquillità che sembrava emanare dal suo corpo nascosto tra le coltri disfatte.
«Come siamo rilassati questa mattina, Anderson! Dalla parte giusta del letto di chi è sceso stamattina?» aveva malignato Tucker, il proprietario dell’armeria, quando l’aveva visto arrivare.
A quelle parole, la testa dello Sceriffo era emersa dal lato opposto del pick up, dove aveva posato le scorte di munizioni appena acquistate. Vedendo l’espressione di Kyle, di una tale beatitudine da sfiorare quella delle più alte sfere celesti, non aveva esitato ad agguantarlo per la giacca e a trascinarlo qualche metro in là.
«Che diamine ti sei sbattuto in corpo questa volta, eh?» aveva sibilato. «Droga? Pozioni di tua invenzione? Non dirmi che stai facendo da cavia a qualche esperimento di Loran!»
Lui lo fissò stranito: aveva un’idea molto vaga di chi fosse e cosa facesse Loran, l’Elfo ricercatore al servizio del Sommo Concilio, i cui prodotti più riusciti erano la spada di Timmi e Dran. Perché mai avrebbe dovuto interessarsi a un mago redivivo, con poteri estremamente limitati e un passato da cancellare?
«Calmati, Timothy, sto benissimo. Non ho ingerito nulla d’illecito né tantomeno di magico, posso assicurartelo. Solo la mia colazione, e sai che non sono uso mangiare schifezze né di prima mattina né durante il resto del giorno. Sono solo… molto rilassato e di buon umore, proprio come dice Tucker».
«Non mi fido di te, di quello che dici e tanto meno della faccia che porti a spasso» ribadì, dopo averlo squadrato da capo a piedi diverse volte.
Alla frase “che porti a spasso”, Kyle ripensò alle parole di Arshan e da quelle scivolò nel ricordo dei suoi occhi assonnati che lo salutavano dalle coperte, un attimo prima che si rendesse conto che era ora di andare. Un sorriso quieto e pacifico scacciò la tensione procurata dall’inopportuna scenata del fratello.
«Lo so. Grazie per avermelo ricordato ancora una volta, Timmi. Ora, se non ti spiace, devo andare ad aprire “Antiqui Mundi”. Buona giornata e tanti saluti a casa» aveva sorriso, dandogli un’affettuosa pacca sulle spalle per riprendere subito dopo il cammino.
Se godere della presenza di Arshan tra le mura domestiche si era rivelato un toccasana, vederla aggirarsi per le sale “Antiqui Mundi” rappresentava per Kyle croce e delizia.
Aveva un fisico longilineo, scattante, che alcuni definivano da modella, inconsapevoli di quanta forza si celasse dietro l’apparenza delicata. In particolare aveva delle gambe stupende, che però evitava di mettere in mostra in maniera esplicita o volgare. Amava vestirsi secondo la moda del momento, mantenendo sempre un contegno inappuntabile. Un dettaglio che Kyle apprezzava molto, perché lo riteneva uno dei migliori biglietti da visita agli occhi dei potenziali acquirenti. E, doveva ammetterlo, qualche volta era piacevole rubare manciate di minuti alle scartoffie ed essere scoperto ad ammirarla muoversi con passi lenti ed eleganti, silenziosi nonostante i tacchi vertiginosi. Passi da lupo in caccia.
A dispetto di questo, Kyle viveva la sua presenza come un elemento di disturbo. Avevano pattuito di occuparsi di aree distinte della galleria, proprio per sfruttare al meglio le capacità di ciascuno. Lui aveva mantenuto il controllo sulla parte burocratica e legata alle acquisizioni, che aveva sempre basato su un ordine rigoroso fatto di appuntamenti a precise scadenze orarie, di metodiche revisioni degli inventari, di puntigliose ricerche e documentazioni.
Di contro, affidando ad Arshan la gestione delle pubbliche relazioni e dello spazio espositivo aveva dovuto necessariamente accettare dei compromessi. Pur non avendo sconvolto ogni cosa in pochi giorni come temeva, scoprire i piccoli accorgimenti che la donna aveva applicato era stato un colpo durissimo. Il riassetto dei percorsi interni, il modo con cui gli oggetti erano disposti su ripiani e piedestalli, le nuove inclinazioni dei sistemi d’illuminazione,… ogni più minuscolo e insignificante dettaglio gli aveva dato le vertigini. Indubbiamente la sua collaboratrice possedeva un gusto sofisticato ed eclettico negli allestimenti, in grado di esaltare al massimo gli oggetti esposti, come comprovato dall’incremento nelle vendite. In teoria non avrebbe dovuto interessarsene, anzi, avrebbe solo dovuto essere felice del miglioramento. Tuttavia, scorgere tracce altrui lì dove aveva speso giorni interi per creare da zero l’organismo di “Antiqui Mundi”, lo faceva sentire derubato delle proprie fatiche.
«Potresti avvertirmi in anticipo? Informarmi delle tue decisioni? Questi cambiamenti sono… sono troppo, per me. Non riesco ad abituarmi» l’aveva supplicata, crollando sulla panca in preda all’angoscia.
Neppure di fronte al tumulto della Palude Stigia aveva provato un tale senso di scoramento e confusione: pur riconoscendo muri, vetrinette, lampade, marmi e parquet, stentava a orizzontarsi. A poco serviva la profusione di complimenti dei visitatori e dei clienti o l’aumento consistente delle entrate.
«I lupi non avvertono il cervo prima di azzannarlo» rispose lei, camminandogli intorno con aria perfida.
«Ricorda che un cervo ferito può incornare il lupo» l’avvertì, incrociando le braccia.
«E chi sarebbe il cervo? Tu?» rise, sedendogli accanto e poggiando il capo sulla sua spalla.
«Sì, io» confermò affranto. «Se guardo intorno, mi sento una vittima sacrificale…»
Lei gli sfilò gli occhiali, pulendoli con attenzione per poi riposizionarglieli sul viso. Attraverso le lenti, le iridi argentee sembravano brillare come gioielli.
«Guarda meglio, signor Anderson. Qui non ci sono vittime sacrificali. Abbiamo in mostra giusto un paio di antichi pugnali e coppe per libagioni rituali, ma questo è quanto. Davanti a me c’è solo un bell’uomo, che ha lavorato molto per avere tutto questo e merita di veder ripagati i suoi sforzi. Non cerco di cancellare la tua impronta. Le sto solo dando l’ultima rifinitura che la renderà unica, come te».
Quelle parole lo fecero sentire molto sciocco e molto fortunato. Le mise un braccio attorno alle spalle e tornò a guardare il salone. Doveva ammetterlo: visto con la dovuta calma, era un’opera d’arte.
«Scusami. È che devo abituarmi. Sono stato solo troppo a lungo. Apprezzo il tuo lavoro, credimi, è notevole. Detto ciò, potresti mostrare il tuo apprezzamento senza farmi morire d’infarto?» scherzò sollevato.


Spiacente per aver saltato il turno di ieri. Purtroppo, il lavoro è il lavoro... Coraggio gente, siamo a metà della storia. nessuno vuole darmi un parere?

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Capitolo 5
*** V - Il calore della luna ***


V - Il calore della luna
V – Il calore della luna

La fine di ottobre fu grigia e particolarmente fredda. Le temperature calarono di parecchi gradi sotto la media stagionale, portando schegge di ghiaccio ad accumularsi sui prati e sulle finestre dei palazzi. Le caldaie cominciarono a lavorare a pieno regime negli scantinati, sbuffando vapore bianco dalle grate sui marciapiedi.

Kyle rientrò da una mostra-mercato a Phoenix la domenica mattina, poco prima di pranzo. Salutò educatamente dal corridoio Arshan che stava facendo la doccia e decise di imitarla, dopo aver nascosto un misterioso pacchetto nella dispensa. Il calore del getto spazzò via i rigori dell’inverno anticipato e fastidiosi postumi del viaggio su un Greyhound affollato e incredibilmente scomodo. L’orologio del Municipio segnò le dodici e mezzo proprio mentre si affacciava nel soggiorno. Scoprì Arshan raggomitolata sul divano, con indosso un pesante maglione di lana, infagottata in una coperta e con una tazza di tè bollente tra le mani.
«Ti stai evolvendo da lupo a ghiro?» scherzò, ricevendo in cambio un guaito penoso.
«Sii buono, Kyle. Ho un mal di testa terribile, senza contare che sono ancora mezza congelata. La doccia non è servita a niente. Sento che mi si è ghiacciato persino il midollo nelle ossa» piagnucolò.
«Rimpiangi l’Africa?» le chiese, posando le mani sulle sue per aiutarla a scaldarsi.
Arshan scosse la testa arruffata, sorridendo grata.
«Al contrario. In Africa la sabbia entra dappertutto, soprattutto negli occhi e nelle orecchie, proprio non posso sopportarla. E i licantropi non sono nati per quei climi: umido e gelo in inverno, estati calde e temperate. Questo sì. Arsura ed escursioni termiche allucinanti le lascio volentieri ai Tuareg».
«La tua famiglia proviene dall’Iran, che se non vado errato è un altopiano desertico» obbiettò.
«I Digahali sono originari delle coste del Mar Caspio, in prossimità del Turkmenistan. È da là che provengono i miei avi. Montagne aspre, scarsamente abitate e intervallate da pianure e foreste, dove era facile nascondersi e vivere in tranquillità. Climi simili a quello di queste parti. Però si da il caso che la temperatura sia precipitata di colpo ed io sono stata fuori parecchio tra ieri notte e questa mattina. Ferma per la maggior parte del tempo, tra l’altro, ad ascoltare le noiose rititere che ci ha propinato una vecchia Sentinella al raduno. Un manto stregato non assicura l’isolamento termico al corpo che lo indossa».
La rivelazione stupì non poco il mago che si premurò di avvolgere ben bene nella coperta i piedi della sua ospite, massaggiandoli attraverso la stoffa. Arshan emise un ansito allegro.
«Dovresti metterti qualcosa come quegli indumenti high-tech che usano gli alpinisti o gli sciatori. Sono sottili, aderenti, e non t’intralcerebbero nei movimenti» propose.
«Assolutamente no!» latrò torva, fulminandolo con lo sguardo. «Le Sacre Leggi lo vietano severamente. La comunione tra corpo e spirito deve essere totale, priva di barriere. Non si accettano scuse. Sotto i manti stregati si può stare solo nudi!»
Impressionato dal repentino cambiamento d’umore, Kyle boccheggiò nel tentativo di scusarsi.
«Non ricordavo fossi… insomma, non fraintendermi. Quella volta nel Ciad… eri una ragazzina, non ti guardavo con interesse. Non ti guardavo per niente, a essere sincero. Non ricordo granché di cosa avessi visto, a parte le tue gambe. Quelle sì erano nude, dal ginocchio in giù» si affrettò a precisare, sentendo che non c’era una sola parola convincente in tutto il discorso.
In realtà la sua mente aveva avuto un guizzo anomalo, frugando nei ricordi delle notti precedenti alla ricerca della fuggevole visione della pelle bruna di Arshan sotto il mantello.
Lei sogghignò, incrociando le braccia fingendosi offesa.
«Come? E io che avevo spazzolato la pelliccia apposta per farmi bella per te! Bel modo di dirmelo».
«Io… non… non avevo intenzione di… aspetta» e si allontanò svelto verso il ripostiglio accanto alla cucina.
Tornò poco dopo e sedette sul tavolino di fronte al divano, reggendo un vassoio coperto.
«Era per dopo pranzo ma visto che sei un po’ giù… qui c’è qualcosa per festeggiare il nostro primo mese insieme!» annunciò trionfale, preparandosi a scoperchiarlo.
La mano rimase dov’era, bloccata da un pensiero improvviso:
Ma che sto dicendo? Per festeggiare il nostro primo mese insieme? Sono impazzito per caso? si chiese allarmato. Si sentiva un ragazzino che si era lasciato scappare con la madre la verità su una marachella appena commessa.
Sulle labbra del licantropo prese forma un sorriso compiaciuto e sornione.
«Caspita, non mi aspettavo una dichiarazione in pompa magna» scoppiò a ridere.
«Voglio dire… il nostro… primo… mese insieme… alla guida di… “Antiqui… Mundi”?» balbettò nella più totale confusione, amplificando l’ilarità di Arshan, cui per poco non sfuggì di mano il tè.
La sua reazione di genuino divertimento tranquillizzò Kyle, che tuttavia non riuscì a fare a meno di continuare a domandarsi cosa gli fosse preso. Prestava sempre molta attenzione a ciò che diceva e come, non si capacitava del perché quella volta non fosse scattato alcun freno ai suoi pensieri.
Un momento… davvero volevo dire quello che ho detto, con quelle precise parole?
«Beh, allora? Che c’è lì sotto?» domandò, annusando incuriosita.
Riscossosi a fatica dai propri pensieri, recuperò un tono pacato e solenne.
«Vediamo se te la ricordi» e sollevò il coperchio, mostrando la superficie scura e lucida di una Sachertorte.
Arshan trattenne il respiro, sgranando gli occhi commossa e incredula.
«Questa l’ho comprata. Non ho così poca considerazione delle promesse fatte da rovinarle per via della mia faida col forno» ammise con una punta di dispiacere nella voce.
Gli sarebbe piaciuto riuscire a sviscerare i segreti dell’elettrodomestico per scoprire fin dove arrivassero le sue abilità culinarie, ma la diatriba era da sempre a un punto morto.
«Avrei voluto portarti a Vienna per mangiarla come avevo promesso, ma non posso Trasferirci. Non ne ho più la capacità» si giustificò. «Però Frank mi ha assicurato che è identica a quella che fanno all’Hotel Sacher».
Frank Duclos era il proprietario della migliore pasticceria della città, rinomato tanto per i suoi dolci quanto per le colossali balle che riusciva a rifilare ai clienti, con una faccia tosta degna di un navigato politico.
«Che dici? Dobbiamo credergli?» domandò, guardando alternativamente lei e la torta.
Arshan ci pensò su, mordicchiando il labbro inferiore.
«C’è un modo per scoprire se è veramente perfetta».
«Quale?»
«Come, signor Anderson? Mi stupisco di te. Da ragazzo hai viaggiato tanto e non hai mai messo piede a Vienna per mangiare una di queste?» lo punzecchiò.
«No. Avevo altri… interessi, all’epoca. Doveri da assolvere che m’impedivano di distrarmi» sviò, fingendo di concentrarsi sul banale incantesimo con cui tagliò due belle fette di dolce.
I ricordi di quel periodo lontano facevano male, anche se non riguardavano morti e atrocità. Ogni giorno pareva essere stato corroso da un potente acido, che l’aveva rovinato per sempre.
«Okay, ora ti mostro come si fa. Stai attento» disse Arshan, assumendo un’aria da maestra mentre lo invitava a imitare i suoi gesti. «Passa il dito sul bordo della fetta, qui, proprio dove ci sono la glassa al cioccolato e la marmellata di albicocche, e raccogline un po’ sul dito. Ancora un po’. Ancora. Ecco, perfetto».
«E ora? Come si procede?» domandò incuriosito, tenendo in bilico la crema sulla punta dell’indice.
Impiegò qualche istante per capire ciò che stava accadendo: l’unica cosa che riusciva a distinguere chiaramente era il dito di Arshan che scorreva lungo la sua guancia, spalmando il cioccolato. La sensazione era a metà tra lo sgradevole e il sensuale, con la viscosità della crema che rallentava il movimento, amplificandolo in ogni terminazione nervosa della testa.
«M-mi ero… appena… f-fatto la barba» puntualizzò, indeciso se ridere o mantenere un piglio più greve.
Affatto dispiaciuta, la donna si sporse verso di lui.
«Buon primo mese insieme, signor Anderson» augurò, schioccandogli un bacio lì dove il cioccolato e la marmellata gli sfioravano le labbra.

***

Al Capodanno mancavano poche decine di minuti. Un’aria frizzante e carica di sognanti aspettative permeava la cittadina. Kyle, superato indenne il rituale degli auguri alla famiglia, aveva trascorso la serata in compagnia della voce di Herbie Hancock, di una bottiglia di champagne e dei manicaretti iraniani preparati dalla sua coinquilina. Arshan, dopo aver cercato inutilmente di convincerlo a seguirla, aveva tentato altrettanto inutilmente di raggiungere la foresta, ma si era vista costretta a rientrare di gran carriera dopo aver attraversato pochi isolati: le strade erano gremite di gente chiassosa e alticcia, auto strombazzanti, luci intermittenti che distorcevano la fisionomia dei palazzi e schegge di bicchieri rotti per goliardia.

«Quando finirà?» chiese stringendosi nelle braccia per calmare i tremiti che la scuotevano.
I botti che esplodevano a ogni angolo delle strade ferivano il suo sensibile udito, innervosendola.
«Sono solo le undici e quarantacinque. Abbi un po’ di pazienza».
«Odio quegli affari! Tutto il rumore che fanno! Tuo fratello avrebbe dovuto proibirli!» strillò scappando all’ingresso, le braccia strette attorno alla testa per proteggere le orecchie.
Quando la raggiunse, era raggomitolata sul pavimento come una bambina impaurita, un nodo di ombre soffici e tremanti. Si avvicinò cauto, conscio del fatto che il mantello nero amplificasse i sensi e le reazioni di chi lo indossava. S’inginocchiò poco distante, ascoltandola ringhiare sommessa.
«Ora va meglio?» chiese.
Una nuova salva di fuochi artificiali esplose colorando il cielo sopra la città, accompagnata da un crepitio appena percettibile. Il lupo mannaro sollevò timidamente la testa, frugando la stanza. Un leggero pizzicore al naso le disse che l’improvvisa quiete era frutto di un incantesimo. Fissò Kyle sorpresa, sciogliendosi in un sorriso quando le tese la mano per aiutarla a rialzarsi.
Tornarono alla portafinestra, godendosi il silenzioso caleidoscopio dello spettacolo di mezzanotte.
«Buon anno, Arshan» disse, facendo un buffetto al naso del lupo poggiato sulla testa della donna.
«Buon anno, Kyle» bisbigliò avvicinandosi al suo viso.
Avrebbe dovuto essere solo un bacio, un semplice augurio. Kyle esitò un secondo di troppo, imbarazzato o attratto dalla prospettiva di un contatto meno innocente, trovandosi dapprima in difficoltà davanti a tanta passione e prendendo poi il sopravvento, trascinato da un crescente desiderio: troppe volte aveva smarrito il filo del discorso osservando quelle labbra piene far danzare parole e sorrisi.
Le braccia del mago si strinsero frusciando sulla pelliccia, risalendo fino alla nuca e poi al viso della donna lupo, per impedirle di allontanarsi troppo quando interruppero l’augurio. Le fiorò le guance con gesti impacciati, ubriaco di un nettare più raro e inebriante dello champagne che avevano nei bicchieri. Arshan socchiuse gli occhi, stringendo le dita attorno al suo polso mente lo guidava in una lieve carezza. Il muso di lupo ricadde indietro, scoprendole le spalle. In basso, la pelliccia si apriva lasciando intravedere il seno e il ventre, privo del consueto ornamento.
L’aveva fissata incredulo. Sapeva che il rituale di mutazione prevedeva non indossasse nulla sotto la veste stregata, ma un conto era sentirlo a parole, immaginarlo, un altro era toccare con mano la realtà.
Rimase immobile ad osservarla slacciare le cinghie che trattenevano l’artefatto alla vita e sulle braccia. Il corpo snello della donna catturò i guizzi variopinti degli ultimi fuochi d’artificio, effimeri ornamenti delle rotondità inturgidite dai brividi. Le fibbie avevano impresso segni sottili sulla sua pelle, orgogliosi marchi di un passato che si perdeva nella notte dei tempi. Agli occhi di Kyle si mostrava come una combattente, fiera e impaziente, che lo fronteggiava reclamando il premio per la sua vittoria. O un avversario da affrontare.
«No, Arshan, no. Non va bene» mormorò, sottraendosi alle labbra che lo cercavano ancora.
Con un gesto fece sì che la pelle di lupo tornasse a rivestirla.
«Non posso. Non posso» ripeté a mezza voce, prendendole il mento fra le dita.
Un’ombra di rabbiosa delusione attraversò il volto della donna, che si riprese in pochi attimi, mostrando un sorriso amaro sotto gli occhi umidi.
«Non importa, Kyle. Perdonami» disse confusa, portando le mani sulle spalle, giocherellando nervosamente con le ciocche di pelo.
L’uomo posò le labbra sulla sua fronte. Era ancora fresca, come la schiena e le braccia.
«Importa eccome» sussurrò, avanzando di un passo e costringendola nel contempo a indietreggiare. «Non posso davvero».
Arshan lo fissò stranita. La teneva stretta a sé, impedendole di allontanarsi, muovendosi lentamente, quasi volesse rendere un'unica lunga carezza quell’incedere a ritroso. Le parlava con voce calma e roca, venata di una languida tristezza. Eppure il suo sguardo… il suo sguardo mentiva. Non c’era rammarico, rifiuto o imbarazzo. Un calore intenso covava dietro le iridi scure, un animale sinuoso che scivolava tra i ritagli d'oscurità dei festeggiamenti.
Con un ultimo passo urtarono un oggetto basso e soffice. Arshan trasalì come se fosse esplosa una salva di fuochi d’artificio proprio alle sue spalle. Erano accanto al divano e Kyle glielo indicò con un cenno. Lei sembrò non afferrare il senso dell’indicazione, finché non si sentì sbilanciare all’indietro poco alla volta. Si aggrappò alle sue spalle mentre i cuscini li accoglievano con un fruscio leggero.
«Non posso permettermi di restare a guardare una bella donna starsene nuda di fronte a me, nel mio soggiorno, scossa dai brividi, senza fare nulla per lenire il suo disagio. Sarei un pessimo padrone di casa» spiegò accarezzandole le braccia. «Quando si deve scacciare il gelo nelle notti invernali, è bene restare il più vicini possibile. Abbracciati stretti, strusciandosi quel tanto da permettere alla circolazione sanguigna di restare attiva» suggerì, gravando di proposito su di lei mentre le dava una breve dimostrazione.
«Giusto, ma il modo migliore per salvarsi la vita è scaldarsi stando pelle contro pelle» propose maliziosa, facendo scivolare le mani sotto il maglione, graffiandogli la schiena.
Fingendosi sorpreso, Kyle voltò appena la testa, osservando la parte scoperta del dorso.
«Vuoi salvarmi la vita?» le chiese, sistemandosi meglio fra le sue gambe.
«Solo se tu la salverai a me» replicò facendogli il solletico.
Il mago lasciò che gli sfilasse il dolcevita e subito dopo il resto degli abiti, che andarono a formare un mucchio disordinato sul pavimento, insieme alla pelliccia.
Per un attimo, il ricordo dell’orrenda cicatrice che gli sfregiava il ventre e il petto rischiò di minare la dolcezza del momento, ma non fu così. Se la bocca di Arshan aveva catturato con disarmante facilità quella del partner, tutto il suo essere mostrò abilità maggiori nel conquistarne la totale attenzione del corpo e della mente, cancellando domande e timori.

***

Al risveglio, il mattino seguente, gli parve che il mondo avesse imboccato una strada nuova, sotto i migliori auspici.
La pelliccia stregata si era rivelata troppo corta per coprirli entrambi, obbligandolo a ricorrere alla magia per procurarsi una coperta.
Arshan, al suo fianco, riposava con indosso il suo maglione bianco, le mani ben nascoste nei polsini. Kyle trovò che le donasse, che il candore della lana facesse risaltare magnificamente il nero dei capelli e la sfumatura bronzea della sua pelle. Al contrario, quando a indossarlo era lui, lo faceva sembrare ancora più pallido, quasi cadaverico. E poi, il maglione la fasciava con molta eleganza, fermandosi intrigante appena sotto le natiche. Una vista che gli scatenava un misto di eccitazione e tenerezza.
Naturale. Era il solo termine reputasse adatto a descrivere appieno quanto accaduto quella notte.
Naturale lasciarsi spogliare e permettere ai loro corpi di toccarsi, di scoprirsi. Naturale cercare il calore della pelle di Arshan, i punti dove la sentiva vibrare e palpitare sotto le dita. Naturale sentirsi stringere, accarezzare, baciare, ricambiando ogni gesto con identica foga e passione. Naturale dare e ricevere piacere con ogni respiro, confondendoli, unendoli. E naturale, infine, era stato abbandonarsi ansanti al riposo.
Non ricordava di aver mai provato tanta felicità e appagamento in vita sua. Sentiva un’energia diversa scorrergli nelle vene, una forma sconosciuta di potere che gli derivava dal sapere che la donna al suo fianco era sua. Gli apparteneva.
Il dubbio lo colpì a tradimento, violento e crudele quanto le zanne di un vampiro annidato alle sue spalle.
Che cosa ho fatto? si chiese spaventato, le mani che tremavano per l’orrore.
Senza accorgersene, si curvò fino poggiare la fronte contro la testa di Arshan, stringendola come se temesse di vederla scomparire. Le aveva permesso di entrare di nuovo nella sua vita, di vivere in casa sua e di occupare uno spazio sempre maggiore nei suoi pensieri. Ed era stato bellissimo. Ma perché? Perché l’aveva fatto? Gli tornarono in mente le parole di Ducan, secondo il quale le donne lupo sceglievano da sé il proprio partner e la coppia restava unita per tutta la vita.
Se Arshan aveva deciso che sarebbe stato lui, si era basata su un’immagine vecchia di vent’anni, di una persona che, con tutta probabilità, non era nemmeno mai esistita. Il Kyle Anderson della sua adolescenza era nient’altro che un guscio umano abitato da una creatura spregevole, infida e spietata, che non si era fatta scrupoli nell’usarla. Un mostro che aveva bramato di spazzare via anche la sua fragile esistenza, deridendo le sue sciocche moine di quattordicenne.
Eppure lei aveva ripetuto più volte di averlo cercato spinta dall’ancestrale istinto dei lupi mannari. Che fosse riuscita a vedere già allora dietro la cortina di malvagità l’embrione incompleto e inconsistente dell’uomo che era diventato in quei pochi mesi? Ma che uomo era, poi? Chi era adesso? Su chi stava riversando un amore che aveva tenuto in sospeso per vent’anni? Chi celava la maschera di quel volto?
E io? domandò agitato. Su cosa sto basando le mie azioni? I miei pensieri?
Tornò a guardarla, il suo respiro quieto e regolare. Provò un immenso disagio, bruciante come se avesse appena contravvenuto a una legge divina. Il terrore di aver imboccato nuovamente una strada piena di errori e dolore gli instillò un crescente disgusto verso di sé.
Possibile? Possibile che mi sia approfittato di lei? Dei suoi sentimenti? E solo per soddisfare un bisogno fisico? Sono tornato a essere così meschino da usarla per i miei tornaconti? Sto facendo questo ad Arshan? L’ho usata? No. Non voglio. Non voglio essere un mostro. Non un’altra volta. Non so cosa le sto dando… forse nulla… io… Cosa mi sta succedendo?
Stava per alzarsi, incerto se allontanarsi di qualche passo o fuggire per sempre da quel luogo, quando Arshan si mosse tra le sue braccia. Si voltò lentamente, accarezzandolo con il maglione.
Il suo sguardo sognante lenì brevemente l’amarezza e la paura, strappando l’uomo al morso del dubbio.
«Buon giorno, buon mese e buon anno, Kyle» sospirò lei, sistemandosi meglio sui cuscini.
«Buon giorno, buon mese e buon anno, Arshan» ripeté sottovoce, sfiorandole la punta del naso col proprio.
Un profondo senso di colpa gli impediva di lasciarsi andare ai gesti affettuosi e intimi che avevano costellato la notte appena trascorsa.
Lei non chiese nulla, pur avendo scorto l’ombra sul suo viso. Aveva percepito un’esitazione dolorosa nella sua voce e distinto chiaramente il dubbio agitarsi nel suo animo. Con la scusa di coccolarlo, saggiò la tensione che l’attraversava, trovandone la fonte al centro del petto martoriato. Secondo i guaritori licantropi, in quel punto si nascondeva uno specchio. Bisognava che ciascuno vi guardasse la propria immagine, per affrontare gli spettri generati dalla natura umana che lì albergavano, per decidere se combatterli o accettarli e poter vivere senza rimorsi e paure. Qualunque cosa lo turbasse, lei poteva fare ben poco.
Gli fece poggiare la testa sulla sua spalla, passandogli una mano fra i capelli, in quel modo lento e delicato con cui soleva farlo rilassare dopo le contrattazioni più spinose. Ascoltò i battiti del suo cuore agitato rallentare fino ad acquietarsi, seguendo il ritmo delle parole che lei prese a cantilenare a fior di labbra:
«It's not the monsters under your bed / It is the Man next door / That makes you fear,makes you cry, / Makes you cry for the child / All the wars are fought among those lonely men / Unarmed, unscarred1».

1 estratto da "Dead to the World" dei Nightwish.

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Capitolo 6
*** VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso ***


VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso
VI - Il mezzodemone, il lupo mannaro e i ficcanaso

La luna si stava tuffando oltre le cime degli alberi, quando due figure caddero pesantemente nell’erba, comparse dal nulla. Un alone verdastro balenò nell’aria, segnalando una barriera magica antiproiettiva.
«Che succede mamma? Dovevamo essere… oh, no. Non può…» piagnucolò Skadi massaggiandosi la testa.
Nadine sospirò, indicando il portico alle loro spalle. Seduto con i piedi appoggiati alla balaustra, c’era Timmi che le salutava con una mano mentre con l’altra grattava la testa a Dran.
«Che facciamo, mamma? Dobbiamo andare, Teddy ci sta aspettando!»
Dentro di lei, Shamjazya agitava forsennata la coda, ruggendo per lo smacco subito dai poteri del padre.
«Ci parlo io, tu non dire niente».
Lo Sceriffo scese i gradini con voluta lentezza, gustandosi il momento. Erano rare le volte in cui si trovava in una posizione di vantaggio contro le donne di casa.
«Papà, ma sei in mutande! E ti sei messo il distintivo?!» sbraitò la figlia, additando la stella di metallo appuntata sul bordo dei boxer.
«Come sempre quando vorrei dormire. Bene, bene, bene. Sentiamo un po’, dove se ne stavano andando di nascosto le mie signorine a quest’ora del mattino?» chiese incrociando le braccia.
«Non stiamo facendo nulla di male, Timmi. Abbiamo solo pensato che, dopo tutto quello che abbiamo detto e fatto nei giorni scorsi, probabilmente ora che Kyle è a casa da solo a rimuginare e struggersi, ha bisogno di un po’ di sostegno da parte… nostra» chiarì Nadine in tono conciliante.
Aveva evitato accuratamente di dire “della sua famiglia”, perché sapeva quanto Timmi faticasse ad accettare la presenza di Kyle nelle loro vite.
«Menti sapendo di mentire, tesoro. So cosa avete in mente e in quanto marito e padre, ma soprattutto in quanto Sceriffo di questa contea… tu: di sopra. Tu: vai» disse indicando prima la donna e poi la ragazza.
Nadine sgranò gli occhi. Si aspettava che le spedisse in casa o, al massimo che l’ordine fosse invertito e lo stesso valeva per Skadi. Le due si scambiarono un’occhiata sconvolta.
«Muoviti, prima che cambi idea!» gridò l'uomo.
Skadi schizzò via, superando la barriera e sparendo all’istante, lasciandoli soli sul prato.
«Che sta succedendo?» domandò Nadine, visibilmente sconcertata. «Da quando lasci andare a spasso nostra figlia e fermi me?» insisté, sempre più perplessa.
«Ti potrà sembrare pazzesco, però credo di volerle concedere un’occasione».
Il sorrisetto di Timmi sbiadì in una manciata di secondi, man mano che l’irritazione della consorte lievitava.
«Credi che non abbia capito cosa stai facendo? Hai lasciato andare Skadi perché speri che faccia saltare i nervi a Kyle così che commetta qualche sciocchezza che lo scombini ancora di più, non è vero? Vuoi che si metta in cattiva luce e si faccia odiare da nostra figlia per aver detto o fatto qualcosa che può ferirla» lo accusò, gli occhi ridotti a due fessure.
«Meglio che gli saltino i nervi piuttosto che i denti, no?» si schermì Timmi, percependo distintamente la mole di lodi sperticate che Gaeliath stava tessendo all’indirizzo di sua moglie.
Doveva fare due chiacchiere col suo dannatissimo demone personale e chiarire una volta per tutte che se il cognome da sposata di Nadine era Anderson e non Iroso, c’era un valido motivo.
«Sceriffo Timothy Jonathan Anderson, questa me la pagherai! Oh, se me la pagherai! Volevo solo evitare che Skadi combinasse qualche disastro o mettesse in imbarazzo Kyle, visto che pare abbia ereditato il tuo potere di demolire la gente. Soprattutto se si tratta di tuo fratello» puntualizzò.
«E magari volevi vedere se c’era modo di accasarlo e farlo sloggiare, così non ne avremmo sentito parlare mai più?» suggerì, trattenendosi dal ridere alla sua espressione risentita. «Non devo ripeterti che mi fa andare in ebollizione il sangue l’idea che gironzoli qui intorno e abbia a che fare con nostra figlia, anche se si sta comportando da persona normale e per bene, stando a quanto dicono in città. Preferirei sparisse da solo seduta stante, così non dovrei sporcarmi le mani».
La moglie lo fronteggiò, arricciando le labbra e sollevando un sopracciglio con aperto scetticismo.
«E dovrei crederti? Dopo che sei pure andato a parlargli di nascosto e a dargli buoni consigli da fratello minore, grande esperto della vita e del mondo?» lo punzecchiò.
«Chi cazzo te l’ha detto? Dran?» brontolò seccato.
Detestava che certe cose venissero a galla. Lo facevano sentire in torto con se stesso.
«Dimentichi che sono una strega. E che mia “cognata” è una sirena che ama sguazzare in tutti i laghetti del circondario, riferendomi di quanto il suo “bisbetico fratellone” sappia dimostrarsi premuroso, contraddicendo i suoi stessi atteggiamenti nei riguardi di una persona che giura e spergiura di odiare a morte».
Timmi sbuffò, stringendo i denti per non imprecare un’altra volta. Perché tutto gli si ritorceva contro? Ospitare quell’orata bipede si era rivelato un disastro, una tragedia senza fine. E chi gli impediva di allontanarla? Sempre lei: Skadi. Sembrava facesse di tutto perché non potesse liberarsi delle persone che meno sopportava.
«So che non lo ammetterai mai, ma sono sicura che sotto sotto saresti contento di sapere che Kyle ha trovato una persona che lo ama e con cui può rifarsi una vita, esattamente come l’hai trovata tu» aggiunse Nadine.
«Se Skadi riuscisse a liberarlo dalle sue stupidissime paranoie, anche spappolandogli il cervello, e questa fantomatica lei - ammesso che esista visto che nemmeno la chiama per nome - lo convincesse a sparire, ben venga. Intanto, ricordargli che è un ospite sgradito rimarrà il mio passatempo preferito» disse prendendola per mano per trascinarla verso casa.
Nadine non lo seguì, obbligandolo a fermarsi.
«Se tuo fratello se ne andrà con le buone o con le cattive poco importa: nostra figlia ne soffrirà. Gli si è affezionata molto in questi mesi. Ci terrebbe tanto a vedervi andare d’accordo. O almeno, che riusciste a stare nella stessa stanza senza che tu cominci a dare i numeri. E non ti nascondo che piacerebbe anche a me».
Rassegnato, Timmi l’abbracciò, cullandola un poco. Saperla triste per via dei suoi atteggiamenti lo faceva sentire male; tuttavia, chiedergli di trattare diversamente Kyle era impossibile.
«Skadi ha diciotto anni, è abbastanza grande da capire che la vita deve fare il suo corso. Specie con tipi come lui. Andrà come deve andare. E ora, se non ti spiace, signora mogliettina troppo pensante, puoi tornare di sopra e svestirti esattamente come qualche ora fa? Così posso farti vedere come espio la mia colpa per averti segregata qui».

***

«Per quanto ne avrete, voi due?» chiese a un tratto Kyle, alzando la voce abbastanza perché lo udissero.
Due teste si sporsero esitanti oltre il parapetto del tetto: l’uomo, allungato sulla chaise longue con un vecchio libro d’incantesimi tra le mani, fece loro segno di scendere.
Insieme a Skadi c’era un ragazzo di poco più grande. Indossava un completo in stile neogotico tempestato di decorazioni macabre, quasi fosse appena tornato da una convention sull’arte cimiteriale, e che strideva con il volto colorito ai limiti dell’ustione da lampada abbronzante. Di certo, Teodore Jerkins stava sperimentando tutto ciò che tre secoli di vampirismo gli avevano precluso.
«Salve, Anderson» salutò, facendo tintinnare lo stuolo di charms a forma di teschi e piccole bare che aveva cuciti sulla manica della giacca.
«Buona sera, ragazzi. Qual buon vento vi ha abbandonati lassù?»
«Da quanto lo sapevi che eravamo lì?» chiese Skadi, le braccia dietro la schiena come una bambina monella.
«Da quando vi siete schiantati sul ghiaietto come un’anfisbena zoppa. Gli atterraggi non sono esattamente la vostra specialità» osservò, facendo comparire dei bicchieri e qualcosa da bere per tutti.
«Ma sono quasi le quattro! Ci hai lasciati lì tre ore senza dire niente?!» strillò lei.
Kyle posò il libro, scrutandola da sopra la montatura metallica degli occhiali.
«Volevo vedere quanto avreste resistito prima di andarvene da soli. Purtroppo siete troppo cocciuti».
«Ci dispiaceva lasciarti senza compagnia. A proposito, come mai solo soletto, visto che di solito te ne vai “a spasso con una donna meravigliosa e adorabile”, senza dire niente alla tua dolce nipotina? La tua bella non c’è? Non l’avrai fatta scappare?» disse tutto d’un fiato, premurandosi di evidenziare con uno sguardo purpureo quanto la sua riluttanza l’avesse infastidita.
«Domanda retorica?» sorvolò, indagando subito se il latore dei pettegolezzi fosse il postino, Zachary Fields, noto per la sua abitudine a diffondere ogni più risibile dettaglio delle vite dei propri concittadini.
«No. Maggie Olson. Non c’è notizia che ti riguardi che non passi prima dal suo emporio. Sei il suo argomento di conversazione per eccellenza, lo sai, e hai avuto la pessima idea di “far spesa da lei in parecchie occasioni, accompagnandoti a una bella figliola, tanto carina e a modo, e scatenando l’ira delle sue spasimanti. Ma ho sentito il signor Anderson dire al cellulare che l’aspettava stasera al suo rientro, quindi mi sa che è fuori città”» spiegò Teddy, imitando la voce stridula della loquace commerciante.
«Ebbene sì, è andata per qualche giorno in Canada a trovare la madre che non stava bene. E, accidenti a quella telefonata, sì, tornerà stasera» confermò, pentito d’averla chiamata in presenza di orecchie indiscrete.
«Voglio conoscerla, zio» miagolò Skadi, piombando sulla chaise longue e dandogli di gomito.
«Immaginavo che me l’avresti chiesto prima o poi» sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
Non li aveva più tagliati dall’arrivo di Arshan e ora gli sfioravano le spalle.
«Speravi poi, vero capo?» s’intromise Teddy, che aveva scolato mezza birra in un solo sorso.
«Touché» ammise. «Ho troppa considerazione del mio privato per permettere a chiunque di ficcarci il naso».
«Ehi, ti ricordo che sono tua nipote, non “chiunque”! È mio preciso dovere preoccuparmi per te. A proposito, come stai messo a contraccettivi?»
«Sai cos’hanno in comune un mago e un gentiluomo?» ribatté sorseggiando quieto il proprio bicchiere.
«A parte essere tutti e due te? No» riconobbe, volgendo lo sguardo all’amico.
L’ex-vampiro sorrise, mostrando i canini aguzzi. Aveva scoperto che averli conservati gli era valso una discreta popolarità nella comunità dark locale.
«Né l’uno né l’altro rivelano mai i loro segreti» rispose, suscitando nella ragazza una smorfia risentita.
«Molto spiritosi, grazie. E sentiamo un po’, tra i segreti c’è anche il fatto che lei vive con te da cinque mesi?» s’informò la ragazza, facendogli andare di traverso un sorso di vino.
«Chi ha fatto la spia stavolta?» tossicchiò.
Skadi sogghignò con finta innocenza.
«Zio, mica stiamo a Los Angeles o New York. La città si sarà pure allargata ma la pettegolo-diffusione impazza ancora, te l’abbiamo appena dimostrato, no? E comunque si dice il peccato, non il peccatore».
«Dissero a quello che chiacchierava abitualmente con Satana» rimbeccò perfido, evitando di far notare che i mesi trascorsi dal ritorno di Arshan nella sua vita fossero sette.
Gli sembrò incredibile fosse trascorso tutto quel tempo e più ancora che quei pochi giorni senza di lei si fossero trascinati con lentezza esasperante, quando il lupo superò con un pesante balzo la balaustra di mattoni. Piombò a pochi centimetri dalle gambe di Ted, lanciando un latrato basso e prolungato all’indirizzo degli intrusi. Kyle si frappose, allargando le braccia e sorridendo come fosse la cosa più normale del mondo.
«Bentornata. Perdonali, si tratta di una visita chiaramente a sorpresa» li giustificò e i due non poterono far altro che annuire con convinzione.
I ragazzi non avevano mai visto un lupo mannaro tanto vicino da poter distinguere le singole ciocche di pelo o l’inquietante lunghezza degli artigli. Era una creatura alta e robusta, la cui sagoma snella era identica a quella di un lupo della taglia di un uomo, quando stava in posizione semieretta. Eccettuato per le dita delle zampe anteriori che erano più lunghe e affusolate di quelle di un canide, per la curva accentuata della groppa e per l’assenza della coda, era in tutto e per tutto un abitante delle foreste.
«Mia nipote Skadi e il suo amichetto Teodore» li presentò Kyle, premurandosi di calcare maliziosamente sulla parola “amichetto”. «Ragazzi, vi presento Arshan».
Gli occhi argentei brillarono sul mantello nero come diamanti mentre li passava in rassegna, sospettosa. Li annusò con calma, girando loro attorno. Gli artigli ticchettavano sul pavimento della terrazza ad ogni passo.
Skadi si ritrovò naso a naso con la fidanzata dello zio, che pareva attratta dai suoi capelli, come se percepisse che il biondo non fosse il suo colore naturale. O forse sentiva il demone dentro di lei, chi poteva dirlo? Ricevette persino una leccatina affettuosa sulla fronte, una sorta di saluto o approvazione, che le fece respirare l’odore dolce del fumo di legna resinosa intrappolato nella pelliccia. Ebbe la tentazione di allungarsi a sfiorarle un orecchio, ma Kyle le fece cenno di no.
«Sono molto sensibili, non le piace che le tocchino» spiegò sottovoce.
La ragazza annuì abbassando lentamente la mano, sotto lo sguardo vigile della creatura che pareva aver compreso ogni cosa. Il suo sguardo era troppo vivo e astuto per essere scambiato con quello di un animale.
«Papà non te l’ha detto, eh?» ridacchiò Kyle, notando la sua crescente perplessità nell’osservare Arshan che, accovacciata, era passata a valutare i pantaloni borchiati del giovane, visibilmente imbarazzato.
«No. E neanche zia Ariel. E neanche tu!» rimbrottò allungandogli un pizzicotto.
«Te l’ho detto: tengo alla nostra privacy».
«Mica hai intenzione di farci qualcosa mentre è così, vero? Perché questo, giuro, non potrei accettarlo. Sei troppo di classe per certe cose» bisbigliò, ricevendo una leggera spinta come risposta.
Kyle s’inginocchiò accanto ad Arshan, passandole un braccio attorno alle spalle. Il lupo mannaro poggiò pesantemente il capo sul suo petto, emettendo un grugnito fiacco. Altre volte era rientrata indebolita dai raduni o dalle cacce, ma qui c’era di mezzo una stanchezza diversa e infinitamente più grande.
«Sei sfinita, non è così?» sussurrò prendendole il muso tra le mani.
In risposta, il licantropo strusciò il muso contro la sua gola, guaendo. Le sue zampe toccavano a scatti il pavimento e non c’era parte di lei che non fosse scossa da violenti tremiti. Era talmente esausta che il battito lento e potente del cuore oltrepassava la spessa pelliccia nera, facendola sobbalzare.
«Ragazzi, devo chiedervi di andare. È la notte meno indicata per delle presentazioni. Un’altra volta organizzeremo un incontro come si deve».
«Uffa, va bene. Come dici tu zio» disse Skadi, chinandosi un po’ verso il muso del lupo mannaro. «Piacere di averti conosciuta, Arshan».
Il breve silenzio che mise prima del nome della donna fece venire i brividi a Kyle, che temeva di sentirle pronunciare la parola “zia”. Per fortuna, pareva che le manovre della nipote non prevedessero di coinvolgere Arshan. Almeno per il momento.
Mentre lei si avviava verso le camere da letto, Kyle accompagnò i ragazzi alla porta.
«Toglile la pelliccia e poi dacci dentro, zio! Falle capire cosa significa stare con un Anderson!» esclamò improvvisando un ridicolo balletto in mezzo al soggiorno.
Lui la fissò allibito e lo stesso fece Teddy.
«Fila a casa, o porterò a tuo padre il conto per i liquori che hai fatto sparire dalla sua scorta e che io ho dovuto rifondere a sua insaputa. E tu bada che ci arrivi intera e senza tappe intermedie, o rimpiangerai il terrore per i paletti nel cuore» minacciò bonario.
Chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò di peso, inspirando profondamente. Forse sua nipote sembrava totalmente impazzita, ma le sue ridicole scenette l’avevano sgravato di gran parte della tensione.
Rimase in ascolto e non udendo alcun suono di passi o il frizzare di una Proiezione nell’aria, capì che i due dovevano essere ancora lì, probabilmente con le orecchie appiccicate alla porta. Posò il palmo sul legno e lanciò un incantesimo sonoro che li centrò in pieno, lasciandoli storditi sul pianerottolo.
«Non si origlia» li ammonì tra sé.
Stava per allontanarsi quando la voce di Skadi lo raggiunse, allegra e pestifera nonostante tutto:
«Siamo con te, zio! AAAUUU!»

***

Erano quasi al parco quando Teodore si decise ad aprire bocca.
«Si può sapere perché tanto interesse per quello che combina tuo zio? E cosa sono tutte quelle allusioni sessuali? Cambi colore a sentir parlare di “fondoschiena” e adesso ti metti a fare la cheerleader inneggiando al sesso in ogni dove? Cos’è? Un improvviso moto hippie?» domandò perplesso.
La ragazza continuò a camminare per un po’, raggiungendo la loro panchina preferita, dove si lasciò cadere.
«Ti ricordi come mi ha trattata lo zio quando l’ho incontrato la prima volta?» gli chiese, lo sguardo velato d’orgoglio e tristezza allo stesso tempo. «Non mi ha giudicata, né mi ha usata contro mio padre, anche se avrebbe potuto. Anzi, ha subito cercato di starmi vicino, di farmi ragionare e capire come stavano le cose».
«E con questo?»
«Si è comportato subito come un vero zio, come una persona che mi voleva bene da sempre. Non credi che basti a fargli meritare qualcosa di buono? C’è qualcosa che lo sta frenando, io e Shamjazya lo sentiamo, anche se non riusciamo a capire di cosa si tratta. Vogliamo vederlo felice più spesso. E deve sorridere perché la faccia da incazzato cronico di mio padre non gli sta bene. Lui è più un pensatore, un filosofo figo».
«Cosa mi tocca sentire… Kyle Anderson, figo?!» esclamò in un tetro scampanellio di ornamenti.
«Hai visto quante gli sbavano dietro? Sinceramente, Ted, zio Kyle fa la sua porca figura, ma da quando è tornato, papà l’ha solo tartassato, Xander, Jo e Alis fingono di averlo accettato ma continuano a essere diffidenti, Trys e Darth gli parlano come fosse un estraneo ed io non sono proprio quella che si dice una nipote modello. Alla faccia della famiglia disfunzionale» si lamentò, poggiando la testa sulle ginocchia.
Il caschetto biondo si accorciò, rivelando una capigliatura ispida che riprese la sfumatura verde ereditata dal padre, facendola somigliare a un porcospino muscoso, come sempre quando era giù di morale.
«Parli della scenata che Shamjazya ha fatto per te dentro “Antiqui Mundi”, quando tuo zio vi ha dato una solenne rigirata perché ha scoperto di essere stato usato come copertura per venire al concerto degli Slayer?»
Skadi nascose la faccia tra le mani, colpevole: il suo demone aveva quasi demolito la galleria d’arte con quel gesto idiota. Inutile cercare scusanti: lo zio aveva tutte le ragioni d’arrabbiarsi, dopo essere stato massacrato dalla versione light di Gaeliath senza avere la minima idea del perché. Se l’avesse reso partecipe di quel sotterfugio, probabilmente l’avrebbe dissuasa dal portarlo avanti e la cosa non avrebbe avuto alcun seguito.
«Anche. Di quello e di un altro paio di cosette che non saprai mai» dichiarò. «Glielo devo, Teddy. È anche merito suo se sono uscita viva da là sotto e ho recuperato un bel po’ del rapporto con mio padre. Mi ha anche insegnato parecchi incantesimi, mi sta aiutando a imparare a gestire i miei poteri demoniaci, perché se sbrocco di nuovo come ho fatto con papà… o alla galleria…» ed evitò cautamente di procedere oltre.
Il ragazzo rimase a dondolarsi sui tacchi, meditando sui risvolti che nel tempo stavano emergendo dalla visita nell’Averno. Era incredibile come da un luogo di morte fossero state generate delle nuove vite.
«Skadi?» chiamò chinandosi in avanti, fino a portare gli occhi alla stessa altezza dei suoi.
Lei si limitò a sollevare lo sguardo. Il viso di Teddy era a brevissima distanza dal suo, poteva sentire ancora lo spunto della birra nel suo respiro.
«Ti va di baciarmi?» propose avvicinandosi.
«Teddy…»
«Sì?» sussurrò, facendole una carezza.
«Vai a farti rivampirizzare, eh!» mormorò mostrandogli il medio a un centimetro dal naso.
Lui scoppiò a ridere, dandole pacche sulla schiena e scrollandola allegramente.
«Questa è la mia Skadi! Finiscila con le smancerie: non sono tornato umano per farmi venire il diabete!»

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Capitolo 7
*** VII - Buongiorno ***


VII - Buongiorno
VII – Buongiorno

Arshan dormì profondamente per tutta la mattina, sfinita dalla lunga trasformazione. Aveva avuto a stento la forza di farsi una rapida doccia, prima di crollare tra le lenzuola dopo aver abbandonato la pelliccia stregata da qualche parte nella stanza. A malapena aveva sentito le incitazioni di Skadi, che l’avevano comunque fatta sorridere per l’esagerata e insolita dimostrazione di affetto.
Kyle era uscito silenziosamente, deciso a trascorrere la mattinata ad “Antiqui Mundi”, salvo tornare sui propri passi quando l’orologio della piazza era lungi dal suonare le undici. Saperla sola e stanca l’aveva mandato nel pallone più totale. Persino passeggiare tra i reperti, chiacchierando con gli spiritelli che contenevano, era servito solo ad aumentarne l’agitazione. In quel momento la guardava dalla porta, assorto, così com'era stato nelle due ore precedenti.
«Buongiorno, signor zio Anderson» mormorò stiracchiandosi.
Si avvicinò, evitando di guardare la schiena e le gambe nude che emergevano dalle coltri.
«Buongiorno, bella di notte. Ci sono le tue impronte dal terrazzo fino al bagno» salutò sottovoce, sedendo sul bordo del letto con due tazze tra le mani.
«Scusami. Pulirò tutto, promesso» piagnucolò colpevole nel cuscino.
«Troppo tardi, ho fatto io. Colazione?» disse porgendole una tazza.
Lei si mise a sedere drappeggiandosi addosso il lenzuolo, e sorseggiò il caffè. Kyle trovò che il paragone con una versione moderna di una dea dell’Olimpo fosse piuttosto calzante.
«Com’è andata?»
«Escluso il viaggio di andata e ritorno a marce forzate, la tensione dell’attesa, il digiuno di purificazione obbligatorio e un acquazzone come pochi altri, bene. Mia madre ha superato cose peggiori, ne uscirà trionfante anche stavolta. Non per niente è una tra le più importanti matriarche dei nostri giorni».
«Ed ha undici figli che le vogliono un gran bene» soggiunse.
La donna annuì, continuando a bere il caffè. Kyle provvide a far arrivare dalla cucina la biscottiera che aveva riempito poco prima con le delizie della pasticceria Duclos.
«Come mai tua nipote odora di pesce e il suo fidanzatino di tombe?» chiese Arshan, tra un dolce e l’altro. «Mi avevi detto che in famiglia siete dei tipi un po’ particolari, ma questa me la devi proprio spiegare».
Kyle annuì, addentando un frollino alle mandorle. Aveva sempre cercato di evitare di parlare dei suoi parenti, non si sentiva pronto a mostrarle quell’improbabile miscuglio. Sapeva che li avrebbe apprezzati, ma il poco affetto dimostrato nei suoi riguardi l’aveva frenato: non voleva che Arshan si facesse un’idea sbagliata di Timmi e della sua famiglia. C’erano fin troppi attriti e desiderava appianarli, non peggiorarli.
«In mia assenza sono successe tante cose, non da ultimo che la famiglia Anderson abbia adottato una sirena, che per Skadi è semplicemente zia Ariel. Passano molto tempo insieme, è inevitabile che acquisisca il suo odore. Teddy invece… beh, il suo è un discorso più complesso. Era un vampiro, fino a qualche tempo fa. Ora è tornato umano, ma ha conservato una certa affezione per i cimiteri».
Arshan meditò per qualche istante sulla rivelazione e quando fece per annuire, serrò le labbra in una smorfia.
«Cosa c’è?» domandò preoccupato.
«Non è niente. Sto bene» soffiò cercando inutilmente di arretrare verso i cuscini.
«Ovviamente. Sei rigida come la statua di Osiride che abbiamo all’ingresso, il che, com’è noto, è indice di un benessere diffuso» la rimproverò ascoltandola trattenere un lamento.
Fu costretta a vuotare il sacco, arricciando il naso contrariata dall’essersi fatta scoprire.
«È la schiena. Ho passato quasi tutto il tempo a un raduno di preghiera, stando acquattata senza poter muovere un muscolo mentre le guaritrici si occupavano di mia madre. E questo è il risultato» sbuffò.
Lui le tolse di mano il caffè e il biscotto che aveva appena preso, riponendoli sul comodino.
«Sdraiati, ci penso io a rimetterti in sesto» si offrì con un sorriso.
Mentre le massaggiava le spalle, si chiese cosa diamine gli fosse preso. Era cavalcioni sulle gambe di Arshan che, nuda, si offriva senza alcuna malizia al suo tocco.
Sei pazzo, Kyle Anderson. Sei veramente uno squilibrato. Devi farti curare. O devi deciderti a capire una volta per tutte cosa c’è tra di voi o cosa vuoi che ci sia, si ammonì.
Concentrò l’attenzione sui movimenti circolari, sulla pressione che le dita trasmettevano ai muscoli indolenziti, mandando a memoria i gesti delle esperte massaggiatrici orientali da cui si serviva Ducan. L’impegno ebbe vita breve: man mano che i minuti passavano, a occupare i suoi pensieri furono il tepore e la morbidezza di quella pelle bruna, il desiderio di deviare dai tracciati terapeutici per poterne disegnare di nuovi e meno casti, la voglia di spogliarsi e fare di nuovo l’amore con lei. Si riscosse sentendola mugolare quando cominciò a esercitare pressione all’altezza delle vertebre lombari. I muscoli di quella regione erano tesi allo spasmo.
«Ti fa molto male?» s’informò, ma Arshan negò, scrutandolo con la coda dell’occhio.
«Pare faccia più male a te» commentò.
«A me?»
In risposta, lei prese un profondo respiro e continuò a godersi il massaggio.
«Adesso so» sospirò assorta, passando la lingua sulle labbra. «So qual è l’odore della tua eccitazione. Ricorda la salsa al melograno che hai preparato una volta. Ed è così intenso che mi fa girare la testa».
Kyle rimase immobile, sentendosi in trappola. Fissava la sua schiena nuda da cui non riusciva a staccare le mani, provando la strana sensazione di essere lui quello svestito.
Lentamente, la donna si voltò. Sorrideva, tendendo la mano per invitarlo a stendersi al suo fianco. Seppur titubante, si oppose al richiamo, restando seduto con lo sguardo fisso sulla perla che dondolava sul suo ventre. Temeva che se avesse sollevato gli occhi fino al suo viso, percorrendo le curve dei fianchi e dei seni, della gola e delle spalle, avrebbe nuovamente perso il controllo, com’era accaduto a Capodanno. Arshan lo tolse d’impaccio, liberandosi dall’abbraccio del lenzuolo per sedergli in grembo.
«Forse non lo sai, ma dopo aver trascorso giorni interi con indosso quella,» e indicò la pelliccia posata sulla cassettiera, «i nostri bisogni primari di umani ne risultano amplificati, più di quanto non siano abitualmente. Un posto dove sentirsi al sicuro, riposo, cibo, un buon caffè… Coccole. Un compagno con cui accoppiarsi».
Anderson sentì i battiti schizzare a mille in una frazione di secondo. Provò a dire qualcosa, ma scoprì la salivazione azzerata. Rimase inebetito a guardarla sbottonargli la camicia, che finì sul pavimento. Era stordito dal contatto col corpo tiepido del licantropo, inebriato dall’intrigante dolcezza di un linguaggio fatto di tocchi lievi e sospiri, pervaso da un languore lucido e dilagante. Credette di essere una preda che si offriva volontariamente alle fauci della belva e scoprì d'aver ragione quando il morso di Arshan affondò famelico. Strinse i denti per non gridare, incapace di frenare il verso cupo e vibrante gli riempì la gola.
«Tranquillo, non ti mangio» mormorò la donna, leccando il segno che aveva impresso sul suo collo.
Esasperato, le prese il volto tra le mani, sussurrando labbra contro labbra:
«Tu no. Io sì».
Dimentico del buon proposito di far chiarezza, Kyle lasciò che il caos della libido avesse il sopravvento e la spinse indietro, fra le coperte, imprigionandola sotto di sé. Dal semplice scambio di tenerezze, i baci divennero uno strumento di tortura con cui dimostrarle d’essere in grado di rispondere a dovere alle provocazioni. Era il suo turno di andare a caccia, di soddisfare il bisogno di rivalsa e possesso. Scoprì con metodica precisione i punti deboli che di notte nascondeva sotto il mantello nero, conquistandoli uno a uno.
D’un tratto s’irrigidì, risvegliato bruscamente dal gemito di dolore di Arshan. Guardò tra i loro corpi, scoprendo la fibbia della cintura agganciata malamente al piercing. Passato il primo imbarazzo, entrambi si misero a ridere, stretti in un abbraccio. Kyle le baciò la tempia, in segno si scuse.
«Sono imperdonabile. Non volevo farti male» mormorò stendendosi, pronto a essere scacciato.
Certezza che vacillò quando lei gli prese la mano, guidandola affinché raggiungesse il gioiello e lo sfilasse.
«Lascia perdere le buone maniere, signor Anderson. Salviamoci la vita» lo invitò, slacciandogli la cintura con voluta lentezza.

***

Il pomeriggio volgeva al termine, silenzioso complice degli amanti che oziavano tra le lenzuola, vittime felici del dolce torpore dell’orgasmo. Arshan accarezzava in punta di dita la cicatrice di Kyle, che si limitava a farle da cuscino, godendosi il lieve solletico che i suoi capelli gli facevano sulla guancia.

«Sembra una rosa del deserto. Di quelle messicane, hai presente? Grandi, con le sfaccettature molto fitte e i riflessi perlacei. Secondo le nostre guaritrici pare abbiano la proprietà di aiutare la concentrazione e l’equilibrio interiore» disse seguendo i contorni frastagliati dello sfregio e lui gliene fu grato.
Si scoprì a pensare quanto avrebbe preferito fosse stato così. Era abbastanza difficile sopportarne la vista ogni giorno, associargli una valenza positiva avrebbe potuto aiutarlo ad accettarla.
«Purtroppo è un ricordino di mio fratello, di quando eravamo piccoli» spiegò amareggiato.
Gliel’avevano inferta Timmi e il suo demone, quando si erano opposti per la prima volta al Divoratore di Anime. Tuttavia, la tristezza che provava stava altrove: aveva deciso di parlare, di raccontare ad Arshan tutte quelle cose sul suo conto che, temeva, l’avrebbero spinta ad andarsene. In fondo, un licantropo aveva abbastanza problemi da sé, senza doversi accollare quelli di un ex-mezzodemone completamente folle, morto e risorto come semplice mago.
«Un vero mostro, il fratellino» osservò ironica, sapendo di non sbagliare di molto.
Era incredibile che non avesse mai incontrato lo Sceriffo in tutti quei mesi. Certo molto dipendeva dalla reticenza di quest’ultimo ad avere a che fare con tutto ciò che riguardava Kyle, inclusa lei.
Timmi deve avere veramente una pessima opinione di suo fratello, se insiste a rifiutarsi di cambiarla. Oppure è solo molto ostinato, considerò dispiaciuta.
«Non ero un santo nemmeno io. Me la sono cercata e ho pagato per questo. Per questo e tutto quello che il demone che avevo in corpo mi ha spinto a fare, senza che tentassi minimamente di contrastarlo».
«Cosa stai cercando di dirmi, Kyle?»
L’uomo inspirò profondamente. Era il momento di spiegare cosa li aveva divisi per tanti anni, non poteva evitarlo in eterno: era obbligato a guardare in faccia la realtà e a scontrarsi con i suoi strascichi.
«Sono stato relegato all’Inferno per diciassette anni, Arshan. Letteralmente. Quinto Cerchio, Palude Stigia, Iracondi e Accidiosi» specificò, come se leggesse l’etichetta di un inventario. «Ecco perché non riuscivi a trovarmi: non ero nascosto chissà dove, né avevo cambiato identità o che altro. Ero morto per davvero».
«Chi…»
«Sempre mio fratello» sospirò, indovinando la domanda.
«Ecco perché tutti ne parlano male» tentò di scherzare, ammutolendosi all’espressione triste dell’uomo.
«Ne aveva tutti i motivi e i diritti, credimi. Col senno di poi, ho capito che era l’unica scelta saggia. Lasciarmi in vita mentre ero soggiogato dalla brama di potere e rabbia del demone sarebbe stata una pazzia peggiore. Uccidendomi, Timmi mi ha liberato e per questo gli sarò eternamente debitore. Anche se rifiuta qualsivoglia tentativo da parte mia di ricambiare anche solo in minima parte».
Finalmente trovò il coraggio di narrare ogni cosa, di dire quanto orrore e crudeltà si celassero dietro la ricerca della Fornace cui lei stessa era stata coinvolta suo malgrado. Le raccontò della morte di Ducan per mano sua, del violento scontro con Timmi sull’isola e di come questi aveva prevalso sulla follia insensata del Divoratore di Anime pur non possedendo appieno i poteri del proprio demone. Le descrisse il lungo e tempestoso processo al cospetto dei giudici dell’Oltretomba, di come Lucifero e i Custodi dell’Eden avessero dibattuto a lungo sulla durezza della pena da comminare alla sua parte umana e a quella infernale. Le parlò dei lunghi anni trascorsi camminando lungo la riva dello Stige, riflettendo su ciò che era stato e avrebbe potuto essere, i suoi tormenti di uomo e di essere incompleto. E infine, di come grazie alla discesa di Skadi nell’Averno avesse avuto la possibilità di rimettersi in gioco, guadagnandosi una seconda chance.
Arshan ascoltò con attenzione l’intero racconto, senza interromperlo. Solo di tanto in tanto si lasciava sfuggire un singulto o gli faceva una carezza, comprensiva. Per mesi si era interrogata sul vuoto alle spalle di Kyle, quello spazio indefinito tra il loro saluto sull’isola e il ritrovarsi alla galleria d’arte, e sull’ostinato silenzio con cui lui lo proteggeva. Sul suo viso scorgeva un’ombra di dolorosa malinconia quando per caso vi faceva cenno e adesso ne conosceva il motivo.
«Ora capisco come mai il tuo odore era cambiato. Morendo l’ospite, il demone parassita è deceduto a sua volta. Così, dall’Aldilà è riemersa unicamente la tua parte umana, modificando l'impronta olfattiva. Per questo ho faticato a riconoscere la tua traccia davanti ad “Antiqui Mundi”. Avrei dovuto pensarci» commentò, trascorso un lungo silenzio.
«Tu… sapevi di Adar Molok? Il Divoratore?» domandò perplesso da tanta quieta lucidità.
«I licantropi discendono dai Segugi Infernali, sanno fiutare la magia bene quanto loro. Ed io sono una delle migliori in questo campo, ricordi?» sorrise, sfiorandosi la punta del naso. «Percepivo in te la presenza di un’entità molto potente e negativa, inquietante e astuta, pur non riuscendo a distinguerla con precisione. Più i demoni sono antichi più sanno dissimulare la loro reale natura. E poi, allora ero solo una cucciola inesperta. Sapevo giusto distinguere un Tomte da una Fata. Ma quando ero con te non facevo altro che domandarmi come potesse convivere un uomo tanto gentile e per bene con una creatura simile, qualunque essa fosse».
«È stato il gesto sconsiderato di un pazzo. E ti capisco se temi che possa…» ma non riuscì a dire altro: la donna gli aveva posato un dito sulle labbra e la sua espressione perentoria obbligava al silenzio.
«Ricordi chi sono, signor Anderson? Sono un lupo mannaro. La gente mi odia a prescindere dal mio bel faccino o dal mio modo di fare. Quando scoprono chi sono, i giudizi piovono da ogni parte e Arshan Digahali è come se non fosse mai esistita. So cosa significa sentirsi giudicati e messi all’angolo per un passato non limpido. E capisco la tua paura ad avermi vicina, ma giuro che non ho intenzione di addentarti. Non quando sono trasformata, almeno» soggiunse ridendo.
Lui non era della stessa opinione: allontanò la sua mano dalle labbra, stringendosela al petto.
«Io non ho paura di te, né come donna né come licantropo. Ho paura per quello che potrebbe capitarti standomi vicina. Demoni, mostri, dei e persone con cui ho avuto a che fare per via di Ducan o che si divertono a scombinare la vita a quelli come me, potrebbero prenderti di mira solo perché mi stai accanto. Non posso chiederti tanto. Non ora che…»
Si zittì, sentendosi in bilico sull’orlo di un baratro. Un baratro d’argento, invitante e colmo di quiete, come gli occhi che lo fissavano e che fece chiudere posandovi un bacio.
«Non ora che sei così importante per me» ammise infine. «Sono stato una figura di cui il mondo avrebbe fatto volentieri a meno. Mi sono lasciato alle spalle una scia di morte, per la quale meriterei di essere precipitato in qualche abisso e lì lasciato a marcire fino alla fine dei miei giorni. È solo…» e s’interruppe per inghiottire il groppo che minacciava di soffocarlo. «È solo che non ce la faccio. Sento il bisogno degli altri, voglio essere parte di qualcosa di buono, dimostrare a me stesso che il male è stato estirpato definitivamente. Da quando sei qui, ho l’impressione di poterci riuscire davvero, di concretizzare il mio proposito. Tutto quello che mi stai dando mi rende una persona migliore, ma subito dopo ho paura di aver commesso un errore imperdonabile e non riesco a capire se ciò che desidero corrisponde a ciò che mi dai».
Arshan gli scostò i capelli scuri dalla fronte, pensierosa.
«Non me ne vado. E la possibilità di riscatto che desideri non solo esiste, ma te l’ho data e continuerò a dartela con tutto il cuore. Ho aspettato per diciannove anni di poterti amare, direi che è una prova sufficiente. Ti avevo scelto quel giorno nel deserto, ed ho cercato di dirtelo sull’isola, ma ero troppo ingenua per comprendere l’instabilità della vita. Come vedi, anch’io ho pagato il mio errore con anni di malinconia e struggimento. Adesso non m’importa se qualcuno può volerci male: vadano a prendersi il tuo posto nell’Averno, lo meritano più di te per quel che mi riguarda. Io resto con te» dichiarò, abbracciandolo stretto per ribadire la fermezza della sua decisione.
Rinfrancato solo in parte dalla dichiarazione, Kyle ricambiò l’abbraccio.
«Cerca di essere realista. Te la senti davvero di correre un rischio simile? Persino mio fratello e i suoi amici preferirebbero vedermi di nuovo morto» le fece notare, respirando il profumo dolce dei suoi capelli neri.
«So riconoscere una minaccia fasulla meglio di te e, credimi, le loro parole non possono fare più male di uno sbuffo d’aria. Direi che non hanno mai avuto a che fare con un autentico penitente che abbia ricevuto una meritata grazia, per questo faticano ad accettarti. Dubito che la loro sia autentica cattiveria».
Rimasero in silenzio per diverso tempo, cullati dai battiti dei cuori. Fuori, nuvole sottili passavano nel cielo che scoloriva sopra la città.
«Cosa faresti se tuo fratello tentasse di farmi del male?» s’informò Arshan.
L’immagine di Timmi che la colpiva scatenò un’ondata di odio talmente violenta che Kyle digrignò i denti. Abbassò la testa, strofinandole il naso contro la guancia mentre le braccia aumentavano la stretta attorno a lei. Sentirla aderire al suo corpo, racchiusa come in una fortezza, ascoltando il suo respiro calmo, lo fece sentire potente, invincibile. Molto più di quanto si fosse mai sentito quando era il Divoratore di Anime.
«Lo ucciderei a mani nude senza pensarci due volte. Al diavolo la magia, non mi sfuggirebbe. Sarebbe spacciato» ringhiò con voce bassa e ruvida.
Rabbrividì udendo le parole che gli erano uscite di getto dalle labbra. Non si era mai espresso con tanta cattiveria nemmeno con Adar Molok in corpo. E la paura lo assalì.
«E io? Se invece fossi io a ferirti? Se scoprissi che quello che credo di provare per te è frutto di un abbaglio? Forse credo di amarti per gratitudine, perché mi stai vicina senza giudicarmi, accettandomi per come appaio oggi, lontano da un passato di assassino e distruttore. E magari domattina o tra un anno, chissà, questo sentimento potrebbe svanire e rivelare che si è trattato solo di un orrendo inganno, la risposta a un bisogno passeggero di cui saresti tu a subire le conseguenze peggiori».
«Perché dovresti ingannarmi?» domandò candida, non comprendendo il motivo di quelle parole.
«L’ho già fatto una volta, dicendoti che la Fornace era una cosa buona e utile all’umanità. E allora la vedevo proprio così: distruggere tutto per me era la via migliore per la rinascita. Resta il fatto che ti ho raggirata per i miei scopi. Soprattutto, prima di te non ho mai avuto una relazione. Non so come ci si debba sentire, come ci si comporti, cosa sia giusto fare o non fare. Non riconosco ciò che sto provando. Tu mi stai dando tanto, troppo. Potrei fingere di contraccambiare senza neppure rendermene conto».
Parlarle a quel modo lo faceva star male, a ogni sillaba sentiva crescere il dolore e il risentimento verso di sé. Arshan non meritava di sentirsi dire cose simili, ma lui doveva capire. Voleva sapere se quel maledetto dubbio potesse avere una radice, se avesse ragione d’esistere.
«Kyle, leggo molte cose nelle tue reazioni, più di quante tu possa immaginare. Sono sincere, libere, piene di vita. Non sono così sciocca da confondere un gesto gentile fatto per rispetto, con un sentimento forte e profondo come l’amore. E credo di aver appena fatto un ritrovamento estremamente interessante, sai?»
L’uomo nascose il volto contro la spalla del licantropo, sogghignando ironico.
«Fammi indovinare. Quello di un quarantatreenne, forse innamorato per la prima volta in vita sua, che non ha la minima idea di come tenere in piedi una relazione e che ha appena minacciato di morte suo fratello, il quale, tra parentesi, è un Demone della Rabbia che sicuramente ha sentito tutto e medita di ridurlo a tartare?»
«Non solo. Hai ancora un pizzico di cattiveria in corpo, abbastanza da farti rispettare senza tornare ai tempi della Fondazione. Hai conservato la tua eleganza, il tuo charme. La tua intelligenza. Oltre ad una dedizione totale per ciò che fai e che ora riversi sulle persone cui tieni. Si vede dalla passione che infondi nelle parole quando parli di Skadi o… di me. Trovo che sia del bel materiale».
«Materiale?» chiese sollevando la testa accigliato.
«Sì. Materiale per costruire un futuro insieme».

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Capitolo 8
*** VIII - Dead to the World ***


VIII - Dead to the World
VIII – Dead to the world

Skadi si era messa d’impegno e tanto aveva detto, tanto aveva fatto, da riuscire a organizzare a suo rischio e pericolo un pranzo in famiglia per la festività del Quattro Luglio. Aveva trovato aiuto nella madre, decisa a dare una parvenza di normalità alla situazione, e uno ancora più grande e solido in Kyle e Arshan, altrettanto risoluti a far funzionare le cose.
I meticolosi preparativi gastronomici avevano occupato per intero i tre giorni precedenti la celebrazione, riempiendo le cucine di profumi invitanti e gli stomaci di brontolii ansiosi. Così, quando si ritrovarono tutti a tavola insieme, ogni possibile dubbio sulla resistenza dei fratelli Anderson alla reciproca presenza era stato dimenticato da tutti. Eccetto che da una persona.
«Perché vuoi strapparmi le pinne?» chiese la sirena con beata innocenza.
Timmi e Kyle si voltarono contemporaneamente, esclamando chi in tono esasperato, chi furibondo:
«Insomma, Ariel!»
I fratelli si squadrarono con identica perplessità. Qualunque cosa avessero meditato, e per quanto i risultati dei loro pensieri avessero potuto risultare simili, lei si era rivolta a uno solo di loro. Bisognava capire a chi.
«Vedi di farti i fatti tuoi, Kyle» sibilò Timmi, minacciandolo con una coscia di tacchino prima che azzardasse una qualsiasi domanda.
«Smettila di agitarla a quel modo, non sei un ragazzino» lo riprese tranquillo, continuando nell’elegante movimento di coltello e forchetta attorno alla propria porzione di carne.
«Perché? Ti da fastidio? Ti faccio aria?» lo stuzzicò, allungandosi ancor di più sul tavolo fino mettergliela praticamente sotto al naso.
«È sempre così?» domandò Arshan sottovoce alla padrona di casa.
«No. È solo così» puntualizzò seccata. «Dovrai farci l’abitudine, temo. E oggi hanno resistito più del solito. Penso che stiano cercando di recuperare i dispetti che non hanno potuto farsi da bambini».
«A volte è pure peggio. Papà sa che zio non può competere con lui e se ne approfitta» aggiunse Skadi.
«Anche mio fratello Fajdal lo faceva con me. Sempre pronto a vessarmi. Quando però gli ho quasi staccato un orecchio, ha cambiato registro» raccontò divertita lei, emettendo un breve uggiolio di soddisfazione.
«Se ricordo bene, tra i licantropi le donne sono più forti degli uomini» osservò la ragazza con vivo interesse.
Arshan cercò di trattenersi dal ridere, quando la vide dare alla propria acconciatura smeraldina la forma di due orecchie da lupo.
«Lo siamo a livello gerarchico, ma sul piano fisico non è una costante. Ho battuto Fajdal perché sono stata più furba: ho imparato ad applicare prima di lui le tecniche di caccia. La pura forza serve a ben poco se non si è in grado di gestirla con l’intelligenza» disse, tamburellando con l’indice sulla fronte.
«Impara, Skadi. Vale anche per noi» suggerì Nadine, che aveva smesso di tener d’occhio i contendenti per disperazione.
«E che cazzo!» urlò lo Sceriffo, coprendo un commento risentito di Kyle.
La mano del capo della polizia era tristemente vuota e la carne imbrattava i pantaloni dell’altro.
«Timmi!»
«Papà!»
«Yu-huuu!» contraltò Ariel giuliva, salutando con la mano.
Il licantropo trattenne il respiro per un attimo, mascherando dietro un’espressione comprensiva la punta di dissenso per il gesto. Aveva l’impressione di avere di fronte due marmocchi pestiferi. Probabilmente sua cognata aveva ragione: stavano recuperando l’infanzia che gli era stata negata.
«Buona velocità, ma devi lavorare sulla precisione» lo prese in giro, posando il boccone sul piatto.
«E sull’autocontrollo» sospirò abbattuto Kyle, scrollando le spalle mentre si ripuliva.
«Buona fortuna, allora» intervenne Nadine. «Sono anni che tento con tuo fratello senza ottenere risultati apprezzabili. Forse tu sei più portato, di solito sei meno incline dare di matto».
«Kyle è una persona riflessiva. È solo un po’ teso» osservò Arshan, sperando che chi di dovere afferrasse l’invito a darsi una regolata.
«Infatti ha riflettuto una vita prima di portarti qui!» le rammentò Skadi. «Sempre meglio di qualcuno che per sedici anni non ha voluto dirmi chi era davvero... e cos’ero io».
«O che ha taciuto per mesi sul dove fosse “accidentalmente” finito il suo anello di matrimonio…»
«Nella pancia di una leucrotta1…» suggerì la figlia, indicandosi lo stomaco con la forchetta. «Settimane intere per riaverlo senza ammazzare la poverina, che è specie protetta, anche se chi aveva perso l’anello era di un altro parere» sottolineò, mostrando sulla propria porzione di tacchino cosa sarebbe dovuto accadere.
«Ehi! Io sono ancora qui, ve lo siete scordati?» protestò il colpevole, indignato.
Il fratello rise, servendosi un po’ d’insalata.
«Bisogna rendergli atto che almeno è un tipo costante. Persino nostra madre impazziva per tenerlo buono: era la miniatura dell’Uragano Katrina. Riusciva a scappare dal suo box anche senza ricorrere ai poteri».
«Chiudi. Il. Becco. O. Ti. Aspiro» scandì lentamente Timmi, il palmo destro puntato verso di lui, il vortice di Risucchio che minacciava di aprirsi da un momento all’altro.
Inaspettatamente, dita forti e affusolate s’intrecciarono alle sue, graffiandole con i gioielli che le rivestivano. Iridi grigie lampeggiarono sopra le loro nocche, impassibili.
«Provaci adesso» lo incoraggiò Arshan.
Skadi fissava al colmo dell’ammirazione la donna lupo: in pochi avevano avuto il coraggio di sfidare apertamente suo padre conoscendone la reale natura. Chi l’aveva fatto ci aveva rimesso la vita, ma sapeva che non sarebbe accaduto nulla. Infatti, lo vide ritrarre infastidito la mano.
«Heaven queen, carry me / Away from all pain / All the same take me away / We're dead to the world2» canticchiò la sirena, dondolandosi sulla sedia.
«Stiamo mangiando, maledizione! Non ti ci mettere con quei rutti che ascolta Skadi!» protestò Timmi.
«Papà!»
«Non venirmi a dire che quella è musica».
«È un brano dei Bloody Thirst, “Dead to the world”, ma non ci stavo nemmeno pensando!»
Da qualche tempo il nuovo gruppo stava andando sostituendo gli Slayers e gli Antrhax negli ascolti di Skadi.
Esibendo un enorme sorriso, Ariel additò con insistenza Kyle, che stava baciando la propria donna con palese trasporto.
«Tu ascolti quella roba?» chiese Timmi storcendo il naso incredulo.
«Ammetto che qualche brano non mi dispiace. Rumorosi, ma scrivono testi molto azzeccati. E, visto che di sicuro non lo sai, Skadi, Nagret Channing e Sidel Farm sono licantropi e… parenti» aggiunse.
Gli occhi della nipote si spalancarono per la sorpresa, brillando di luce propria.
«Cugini di terzo grado» precisò Arshan, sfilando dalla borsa una coppia di biglietti. «Ai quali farebbe molto piacere invitare una delle più importanti fan al concerto d'inaugurazione del primo tour mondiale».
La ragazza scattò in piedi e corse ad abbracciarli entrambi.
«Non ci credo! Sono per il concerto di Las Vegas! Oh, siete i miei zii preferiti!» esultò tempestandoli di baci.
«Tu non vai da nessuna parte!» tuonò Timmi, facendo per afferrare i biglietti incriminati.
Un getto di liquido cremisi si allungò dalla mano di Skadi, avvolgendo il padre quasi per intero. Di lui si potevano intuire solo alcuni movimenti, mentre gli occhi – l’unica parte rimasta scoperta – mandavano inquietanti lampi arancioni.
«Fermami, se ci riesci» lo invitò ironica, sorda alle minacce che certamente stava ricevendo.
«Solo così?» domandò Arshan perplessa, guardando Nadine tornare dalla cucina con una teglia in mano.
Aveva l’espressione di chi avrebbe voluto non doversi arrendere di fronte all’ineluttabilità del fato.
«Solo così» confermò, porgendole le patate al forno.

***

Due bottiglie trasparenti schizzarono fuori dalla finestra, a tale velocità che Kyle ne afferrò una giusto un secondo prima che lo colpisse in faccia.

«Grazie, ma la vodka liscia non fa per me. Preferisco il cognac» disse porgendogliela.
Timmi gliela strappò letteralmente di mano, scrutando di sottecchi una panciuta bottiglia di vetro scuro raggiungerli con un moto decisamente più quieto.
«Chi cazzo ha detto che era per te? E comunque, era voluto. Sei stato fortunato» borbottò, franando sulla sua sedia sotto al portico.
«Ah, le tue espressioni soavi…» sospirò, risistemando con un gesto nervoso gli occhiali.
«Parlo come cazzo mi piace, okay?»
«La lingua è la tua» e per evitare ulteriori osservazioni s’affrettò a riempire il proprio bicchiere.
Quietata la prima maretta con diverse sorsate, Timmi si decise a concedergli la parola.
«Allora? Che c’è di così importante da farti rischiare la pelle qui da solo con me?»
«Devo parlarti di una cosa che riguarda me e Arshan. Una cosa da cui dipenderà il nostro futuro come coppia e non solo. E ti pregherei di ascoltarmi, prima di dare fondo a tutte le tue congetture, qualunque siano».
Dopo aver sbuffato e mugugnato insulti incomprensibili, il minore degli Anderson assentì di malavoglia.
«Il clan dei Digahali è molto antico e oggi conta più di novanta elementi, forse cento, centodieci. Troppi per essere gestiti da una sola testa. Così, tempo fa la matriarca ha concesso a chi ne sentisse il desiderio di fondare nuovi rami» disse, interrompendosi solo per un attimo e riprendendo prima che Timmi potesse dar voce ai propri dubbi. «Arshan è tra questi. E ha già parlato loro delle sue intenzioni e di chi ha scelto come suo compagno».
Fino a quel momento non aveva detto nulla di nuovo o, almeno, nulla che non avesse intuito nell’arco degli ultimi mesi e soprattutto di quelle ultime ore.
«Tu godi a farti intortare, eh? Prima ti sei lasciato soggiogare da un demone, poi da Ducan, ora da una donna lupo. Sei veramente un idiota» grugnì Timmi con una smorfia di biasimo.
«Può essere, ma non ti nascondo che la cosa mi piace. Essere il suo compagno, intendo. E anche… parte di una famiglia» rise, sperando afferrasse il sottinteso.
«Certo, come no. Ricordatelo quando si farà le unghie sulla tua schiena, usandoti come scendiletto».
«Timmi, per favore. Ne abbiamo già parlato: non voglio che parli di Arshan in questi termini».
«Per favore a me? No, no. Per favore a te! Sai che significa far parte dei loro clan? Sono tra gli esseri meno apprezzati dell’universo. La maggior parte di quella gente è composta da criminali, delinquenti a vario titolo e reietti. Unisci questo al fatto che tu sei anche peggio di loro e vedi un po’ cosa ottieni!»
«Ti stai preoccupando per me?» ironizzò.
«Preoccuparmi per te? Certo. Nel caso avanzassero inutili pezzi da conferire alle discariche! Potresti scatenare un pericolo biologico. Non aspettarti che venga a salvarti il culo quando ti staranno masticando, perché potrei dargli una mano».
«Sai che quella del morso è solo un’invenzione cinematografica. La licantropia autentica non si basa su maledizioni che si trasmettono come il raffreddore, bensì sull’accettazione integrale del parallelismo uomo/animale e il dialogo tra questi due lati della natura interiore con l’ausilio di un artefatto stregato».
«So benissimo come mutano! Ti ricordo che ne ho spellati parecchi».
Timmi si stupì del lampo di collera che attraversò gli occhi di Kyle. Altre volte gli aveva visto abbozzare reazioni alle sue cattiverie, ma quello era diverso. Non era seguito alcun segno di rassegnazione o compatimento, né di dispiacere. La rabbia non accennava a sbollire e la novità lo mise in difficoltà.
«Okay, forse questo potevo evitarmelo» si scusò.
«Dovevi evitarlo» rimarcò Kyle incrociando le braccia.
Non incuteva timore, chiedeva rispetto. Per qualche strano motivo, a Timmi ricordò qualcuno. Una persona che non aveva un volto da moltissimo tempo, ma le cui movenze erano rimaste impresse nella sua memoria. A volte le scorgeva anche in quelle di Nadine, in una forma blanda e imprecisa.
Mamma? pensò, trincerandosi dietro la bottiglia.
La cosa aveva senso: se a detta di Kyle lui ricordava in molti aspetti il padre defunto, era logico supporre che il primogenito avesse ereditato il carattere della madre.
«Stiamo pensando se sia possibile farmi entrare ufficialmente nel clan, non solo come compagno ma come membro effettivo. Secondo Arshan manifesto buone doti da cacciatore e, come hai visto, stiamo lavorando per scoprire se ho davvero le potenzialità per diventare un licantropo sotto ogni aspetto».
«Comodo» bofonchiò. «Bevo io e ti ubriachi tu. Stai sparando delle cazzate memorabili. Sei sempre stato così stupido? No, perché me ne sto accorgendo solo adesso. Sei uno spasso».
«Timmi, parlo seriamente. Diventare un licantropo è un atto volontario che va ponderato a fondo. Sto ancora cercando una mia dimensione e credo possa essere questa. Voglio far parte di qualcosa che non si riduca a “questo eri e questo resti”. Non sono più quella persona, sono cambiato e anche se lo neghi, tu sai bene che ho ragione, è la verità. Agli occhi del mondo sono già morto e rinato una volta. Morire di nuovo per cancellare in maniera definitiva il vecchio Kyle William Anderson e diventare un uomo lupo non mi spaventa. Sarebbe solo un modo di trovare me stesso. Dopo tutto, tu sei il riparatore, io il distruttore. Solo che stavolta distruggerò volontariamente me stesso. Più o meno».
Volesse il cielo…, considerò Timmi, senza provare alcuna soddisfazione.
Buttò giù un altro paio di sorsi, chiedendosi perché sputare cattiverie su di lui stesse cominciando a lasciargli in bocca un sapore talmente cattivo che neppure la vodka riusciva a togliere. Possibile che avesse ragione Nadine, quando gli faceva notare che una guerra combattuta da un solo esercito finiva irrimediabilmente con l’esaurirsi da sé? Aveva prosciugato ogni goccia di rancore per ciò che gli aveva fatto?
Gaeliath borbottò frasi sconnesse, agitandosi come un gatto pigro risvegliato a forza dal sonnellino.
«Ti leverai dai piedi una volta fatto?»
«No. Ormai questa città è anche casa nostra».
«Allora non m’interessa, non ci guadagno niente».
Rimasero in silenzio per un po’, ciascuno intento a gustare il proprio liquore. Ignoravano di cercare entrambi la stessa cosa nel graffio dell’alcol in gola: le parole giuste da rivolgersi per non ferirsi un’altra volta.
«Quando? Presto?» s’informò Timmi, dondolandosi sulle gambe della sedia.
Kyle scosse il capo, finendo il cognac.
«Non saprei con esattezza. Potrebbe essere tra un mese, dieci anni o non accadere mai. Dipende dal Concilio delle Anziane. Sua madre ha assicurato che ci darà il suo sostegno, è la matriarca e un membro molto rispettato della comunità mannara. E pare che io le piaccia, nonostante l’abbia trattata bruscamente anni fa. È una gran donna: se l’è legata al dito, ma è disposta a passarci sopra per la felicità di sua figlia».
«Matriarche, Concilio delle Anziane, Sommo Concilio, Consiglio Cittadino, Consiglio di Stato… che rottura di coglioni. Possibile che ci tocchi avere sempre a che fare con un branco di rompiballe plurisecolari che ci devono giudicare qualsiasi cosa facciamo?» sbadigliò il mezzodemone, sistemandosi meglio sulla sedia.
Dietro le lenti, gli occhi di Kyle erano lo specchio dell’incredulità.
«Ci tocchi? Ci devono giudicare?» ripeté sorpreso.
«È quello che ho detto» replicò, tornando ad attaccarsi alla bottiglia.
«Timmi, hai parlato al plurale, te ne sei accorto?»
«Non vuol dire niente. Parlo in generale, chiaro?» ringhiò.
«Come il sole. Anzi, come la luna» si corresse l’altro, sfoggiando uno di quei sorrisi sinceri e pieni di gratitudine che mandavano su tutte le furie il fratello minore.
«Azzardati a riempirmi il salotto di pulci e l’Inferno ti sembrerà un’anonima località di villeggiatura. Promesso» minacciò, facendo danzare una fiammella arancione attorno alla mano sinistra.
Kyle non rispose, levando lo sguardo al cielo. Era meglio non insistere e dargli il tempo d’assimilare la notizia, o avrebbe cominciato ad alzare di nuovo la voce. Preferiva evitarlo. Avevano tutti un immenso bisogno di quiete per cominciare a far funzionare i rapporti familiari.
«Quindi, dovrò insegnarti “biscottino”?» sogghignò dopo un po’ lo Sceriffo.
«Ho detto che potrei diventare un licantropo, Timmi; non è nemmeno sicuro. E comunque, non sarò il tuo nuovo cane da guardia» puntualizzò, trattenendosi dal ridere.
Dopo tutto, riusciva a trovare un vago accenno di umorismo nel suo continuo malignare e lo riteneva un buon segno.
«Meglio, perché detesto i bastardi randagi. Con rispetto parlando, Dran, s’intende».
Il cane sbadigliò rumorosamente, scuotendo il testone ispido.
«Ci sarebbe ancora una cosa».
«Che altro vuoi? Guarda che non metterò una buona parola per te da Kolchinsky per farti avere le bistecche a prezzo stracciato. Non lo fa nemmeno a me, alla faccia del rispetto per il distintivo» sbottò spazientito, lasciando penzolare le braccia ai lati della sedia.
Prima che potesse parlare, un turbine scarlatto travolse Kyle, che si ritrovò racchiuso in un bozzolo contro uno dei pilastri della veranda. Il guscio lo stringeva con una forza abnorme ed era dotato di un paio di mani che gli scompigliavano affettuosamente i capelli.
«Grande zio, sei fantastico!» esultò Skadi, riprendendo il suo solito aspetto. «Avrò dei cuginetti!»
«Degli Anderson-Anderson!» trillò Ariel, emergendo dal liquido con le gambe intatte ma coperte di squame.
Un fragoroso tonfo li fece voltare tutti e tre.
«Ehm… papà? Stai bene?»
Timmi era caduto schiena a terra, rovesciandosi addosso gran parte della vodka. Tossiva sputando liquore e aveva la faccia completamente stravolta. Lo shock aveva persino gli fatto tornare neri i capelli.
«Stavo giusto per dirglielo. Mi avete anticipato di un secondo» bisbigliò Kyle, pronto alla scenata.
«Tu! Tu… figlio di… stramaledetto avanzo di… tu!» urlò additandolo, strabuzzando gli occhi mentre lo fissava da sotto in su, incapace di trovare una definizione.
«La proverbiale fertilità dei lupi mannari» specificò con tranquillità, portandosi strategicamente alle spalle della nipote. «Altro punto a mio favore per l’ingresso nel clan. Raramente esseri umani e licantropi procreano in così breve tempo».
«E vantati anche!» berciò lo Sceriffo picchiando i pugni sul pavimento, scheggiando un paio di assi.
«Ma senti da che pulpito! Non è che tu ci abbia messo meno…» ribatté, punto sul vivo.
Un boomerang nero e vischioso schizzò via lungo il prato, andando ad abbattere un albero in lontananza prima di tornare a fondersi con la mano di Timmi. Aveva mirato di proposito altrove, imbestialito dal sentirsi rinfacciare una verità che conosceva fin troppo bene: a lui e Nadine era bastata la prima volta insieme per mettere in cantiere Skadi.
«Noi ci prenotiamo come baby-sitter!» pigolarono Skadi e Ariel festanti, tornando di corsa in soggiorno.

***

«Tesoro, potresti prendere gli scatoloni che abbiamo messo in soffitta con le cose di quando Skadi era piccola?» chiese candidamente Nadine.

La domanda arrivò come una coltellata a tradimento, data nell’attimo esatto in cui Kyle e la sua donna finalmente sparivano dietro la curva camminando abbracciati. Essere sopravvissuto a quella celebrazione in famiglia era stata più dura che avere a che fare con l’Anticristo. Almeno quello poteva essere ucciso.
«So che me ne pentirò ma… perché?»
«Zia Ariel dice che uno dei gemelli è femmina, forse c’è qualcosa che potrebbe andarle bene. E poi ci sono altre cose che possono servire: copertine e lenzuolini, bavaglie, scarpine, qualche giocattolo…» elencò Skadi, che già si stava immedesimando nel prossimo ruolo di baby-sitter.
Lui scoccò un’occhiata di sufficienza a entrambe le sue donne.
«Pensate davvero che quei due non abbiano abbastanza soldi, magia o agganci per…»
«Pensa ai nostri nipoti» fu la replica perentoria di Nadine. «Puoi detestare tuo fratello e non trovare particolarmente simpatica la sua compagna, ma i bambini non hanno colpe. Mostrargli il nostro affetto sin da ora è il minimo che possiamo fare. E poi, abbiamo la certezza che adoreranno quel brontolone indemoniato del loro zione».
«“Abbiamo” chi?» domandò sospettoso rivolgendosi a Skadi, la cui espressione di finta innocenza era un proclama a chiare lettere.
«In definitiva, tutti. Anderson e congiunti, da zio Xander a Raven e Flynn. Che hanno fatto tanti auguri ai quasi-genitori. Ovviamente non c’era bisogno di avvisare il Sommo Concilio, erano già al corrente. Sono tutti felicissimi della notizia e Liz ha promesso darmi qualche dritta di puericultura. Anche se ha detto che avendo a che fare con te da sempre, dovrei essere più che preparata. Arrendetevi: tu e l’Iroso siete circondati. Parola mia e di Shamjazya» rispose sorniona la ragazza, tirandogli uno dei cuscini del divano.
Timmi l'afferrò al volo e con tanta forza da far esplodere l’imbottitura. Piume bianche si sparsero a pioggia sul pavimento.
«Se pensate di convincermi…» attaccò, arretrando di un passo quando le vide avvicinarsi pronte ad abbracciarlo. «No! Indietro! Non vi azzardate nemmeno a pensarlo! No!»
Gaeliath ruggì allarmato nella sua testa: quella tattica lo metteva in ceppi ogni volta, era impossibile sfuggire a quegli attacchi, non c’era magia abbastanza potente da annullarli. Persino un demone come lui era impotente di fronte agli assalti della sua progenie.
«Ricordati com’era tenere Skadi in braccio. Quanto ti piaceva. Con loro avrai solo la parte migliore del compito: il divertimento. Regole e morali sono appannaggio di Kyle e Arshan. A noi spettano i vizi. E moltiplicati per due. Potrai portare i bambini nella foresta senza timore di mostrargli la magia; prenderai qualche forma strana per farli giocare qui sul divano; li porterai sulla macchina d’ordinanza per fargli usare la sirena e la radio; li porterai al fast food a rimpinzarsi di patatine fritte, gelati e schifezze; gli racconterai le tue grandi imprese per il Sommo Concilio – evitando magari di dire che una volta hai ammazzato il loro papà - e a sedici anni potrai dargli il tormento quando li incrocerai per strada con i loro amici» suggerì la moglie, passandogli le braccia attorno ai fianchi.
«Questo mi potrebbe piacere» rispose, aggrottando la fronte pensieroso.
La prospettiva sembrava meno cupa vista sotto quella luce.
«Allora, papà? Sei pronto ad aggiungere il titolo di zio alla collezione?» chiese Skadi, abbracciandolo dall’altro lato.
Prima che potessero cominciare a riempirlo di baci e coccole non richieste, Timmi si liberò dalla stretta, girò sui tacchi grugnendo e scoperchiò la botola del soggiorno.
«Vodka. Ho bisogno di vodka. Tanta vodka. Un mare di vodka» si lagnò, ma mentre parlava, ingobbito sulla nicchia, un sorriso gli curvò le labbra.


1. leucrotta: animale mitologico proveniente dall'India con quarti posteriori di cervo; collo, coda e petto di leone; testa di tasso con bocca che si apre fino alle orecchie. si dice sia velocissima e in grado di imitare la voce umana.
2. estratto da "Dead to the World" dei Nightwish.


Con questo capitolo si chiude la mia storia. La mia, ma non la saga di Sangue di Demone perché già so che Shade Owl ha infinite gocce d'inchiostro nella sua penna!
Quindi, un enorme ringraziamento va a lui, che è l'autore titolare di quasi tutti i personaggi che avete incontrato (eccetto Arshan e qualche nome sparso qui e là, che sono opera mia). Un altro grazie va a chi ha letto, conoscendo o meno la serie principale, anche se non ha recensito.
Alla prossima!

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