Jimmy's

di Sidney Rotten
(/viewuser.php?uid=266652)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


”siof hsofnndi kk” recita il messaggio -insensato- che ho appena ricevuto da Sam, il mio migliore amico. Neanche gli rispondo. Vado dove so di trovarlo, in Camden Town, all'angolo di Cyberdog, dove c'è il suo pusher. Si, il mio migliore amico si fa di eroina. Si spara in vena quello schifo almeno una volta al giorno, ci spende tutti i suoi soldi.
Lo trovo lì, fatto da fare schifo, con i suoi “amici”. E’ seduto a terra, mentre mi avvicino mi guarda, ma non ha reazioni; suppongo che non mi riconosca, visto il suo stato. Lo prendo per un braccio e lo faccio alzare.Non è d’accordo, ma non si oppone, emette solo un rantolo contrariato. Lo porto nella mia macchina, quasi lo lancio nei sedili posteriori. Anche se credo si stia per addormentare, lo rimprovero «Dannazione Samuel, quando la smetterai?! Ti stai ammazzando» «Non sei il mio strafottuto padre, Jimmy. Che diavolo vuoi da me?» mi risponde, strascicando le parole. Fermo di colpo l’auto, scendo e lo sbatto fuori, per strada. Sam rimane un attimo spiazzato, poi stringe gli occhi, cercando di capire cosa sta succedendo. Gli do uno spintone e, dopo aver barcollato un po’, sembra riprendere il controllo del suo corpo. «Sto solo cercando di tenerti vivo, idiota.» gi urlo a pochi centimetri dalla faccia. Risalgo sull’auto, metto in moto e me ne vado, lasciandolo là, da solo, in White Chapel, una zona non proprio raccomandabile, fatto perso. E’ la seconda volta, questa settimana, che lo pesco in quelle condizioni. Più cerco di tenerlo lontano dalla droga, più cerco di farlo stare fuori dai casini, più lui si comporta da perfetto deficiente. Bel ringraziamento.
Arrivo a casa che sono furente. Tiro un pugno al sacco da boxe che pende dal soffitto, che oscilla.
Prendo il mio “piccolo libro delle cospirazioni”, quella che in molti dicono essere la mia Bibbia. D’altronde sono Gesù delle Periferie. Qualcuno mi affibbiò quel nome, senza neanche chiedermi il permesso, quando, arrivai, dopo aver raccontato ai miei nuovi concittadini le mie idee, i miei pensieri, i miei ragionamenti e la mia sommossa silenziosa. 
Comincio a scrivere. Scrivo ciò che mi passa per la testa, scaravento le parole giù dalla penna, incatenandole alla carta, facendole evadere dal casino che ho in testa.
Intanto calano la sera e poi la notte. Smetto di scrivere e guardo il cielo fuori dalla finestra; è tutto nero, senza stelle, senza luna. Solo nero, nero infinito, nero senza confini. La rabbia è evaporata, ma al suo posto è subentrata la preoccupazione per Sam, forse più forte e annientante della prima.
Cerco di stare calmo, ma l’ansia mi sta mangiando, a grandi morsi. Mi siedo sul divano letto e accento la televisione, provo a distrarmi. No, questa volta non mi lascerò tirare nel suo fottuto circolo vizioso, in cui lui si buca fin quasi all’overdose e io lo salvo, di continuo. Il mio proposito va a farsi benedire, quando qualcuno bussa alla mia porta. Guardo l’orologio appeso al muro: sono le due e venti. «Ma chi cazzo..?!» 
Apro la porta e quel qualcuno si rivela essere un ragazzino sui diciassette anni, con un Sam semi incoscente accasciato addosso.
Il ragazzino è poco più basso di me, con grandi occhi azzurri e capelli biondi e neri. Non è muscoloso, ma neanche molto minuto. Da l’impressione di uno di quei ragazzi che fanno atletica, per intenderci.
Mi sembra in difficoltà, nonostante Sam sia alquanto magro, allora mi scanso, facendogli segno di portarlo dentro. Lo lascia cadere sul divano, poi, dopo aver ripreso fiato, si presenta, stringendomi la mano «Ciao, scusa se piombo qui senza preavviso e nel bel mezzo della notte. Comunque sono Federico, ma chiamami Phe.» Stringo a mia volta la mano e faccio lìper presentarmi, ma Phe mi interrompe, raccontandomi tutto d’un fiato di aver trovato Sam, che intando dorme di sbieco sul mio divano, nella loro stanza alla comune in cui vivono, a terra, coricato, con un taglio poco profondo sulla pancia. Era ancora coscente, quindi ha chiesto al suo coinquilino di portarlo da me.
Ancora una volta, gli faccio da padre. Mi innervosisco e divento insofferente. Prendo un asciugamamo, lo bagno con il disinfettante, gli alzo la maglia. C’è un taglio di circa quindici centimentri, obliquo, sotto alle costole. Effettivamente non è profondo, ma ha cominciato a fare infezione, la pelle intorno, infatti è giallastra. «La cosa mi gliore sarebbe porterlo al pronto soccorso. Ma se lo portiamo se lo tengono anche, visto il suo stato.» dico, più che altro a me stesso. Quindi lo disinfetto con l’asciugamano e il disinfettante; appena appoggio il tessuto imbevuto del liquido verdastro sulla sua pelle, il ragazzo spalanca gli occhi e geme, poi gli occhi si girano all’indietro e sviene. Resta incoscente finchè lo disinfetto completamente e gli faccio una fasciatura alla veloce, mettendogli due strati di garza, circondandogli tutto il ventre. «Quando sono arrivato stava sanguinando...» mi dice Phe, mentre aspettiamo che Samuel si riprenda, per poi portarli a casa loro.
Dopo quasi dieci minuti, finalmente si sveglia.. «Ehi, ciao...» sussurra, poi tossisce «Dio che male» dice a denti stretti. Mi chiede un bicchiere d’acqua, glielo porto e beve tutto d’un fiato. 
Una volta che riusciamo a metterlo in piedi, li porto alla Comune, in macchina. Sam sta dietro e sonnecchia, mentre Phe, accanto a me, mi racconta che per lui e quelli della sua comune, sono a dir poco una leggenda e che sua sorella, una certa Hope, ha una band, che è bravissima e che scrive canzoni spettacolari. Da come ne parla sembra sia il suo idolo. 
Quando arriviamo, c’è un casino di gente, fuori dalla struttura, probabilmente una vecchia scuola e qualcuno ha messo la musica. C’è gente di tutti i tipi, dai punk ai rapper, dai quindici ai trent’anni. E’ bel posto, è accogliente.
Sam riesce a camminare da solo, con un po’ di difficoltà, allora scendo dalla macchina, senza accompagnarli fin dentro. Raccomando a Phe di chiamarmi il giorno seguente, per farmi sapere come sta il mio amico. 
Quando arrivo a casa, crollo sul divano letto, neanche mi svesto. Mi addormento in un nanosecondo.
Mi sveglia la suoneria del mio cellulare, Ah Ah You’re Dead, dei Green Day. Apro un occhio, guardo il display: Sam. Sbadiglio e rispondo.
«Ciao»
«Ehi, Jimmy! Ti volevo dire che sto meglio. Ho appena cambiato la fasciatura e ho disinfettato il taglio»
«Bene, bravo. Ma come hai fatto a fartelo?» gli domando.
«Non ne ho la piùù pallida idea, l’ultima cosa che mi ricordo sei tu che mi lasci in White Chapel. A proposito... Scusami. Mi sono comportato da vero coglione. Hai ragione e ho deciso che voglio smettere.»
Sorrido. «Lo spero.. E scuse accettate!»
Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il giorno seguente, per andare a sentire un gruppo suonare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Non è la prima volta che dice che smetterà, però almeno questa volta non l’ho obbligato io.
Nei quattro giorni successivi, mi assicuro che non tocchi nessun tipo di droga, nemmeno le sigarette. Non ha un aspetto molto sano. E’ dimagrito ancora e la sua carnagione tende al grigiastro. Anche il suo umore ne risente; è infatti scontroso e facilmente irritabile e gli unici che lascia avvicinare siamo io e la sua ragazza, che non conosco. So solo che si chiama Beth, ha ventun anni e vive alla sua stessa comune. Stanno insieme da un mese, mi sembra e non sa nulla della droga. 

E’ mattina, sono in un parco della periferia. Ci sono molte panchine, tutte occupate da ragazzi svaccati, la maggior parte dei quali mi sta guardando. Un paio di ragazze non mi staccano gli occhi di dosso, mi sorridono e ammiccano, ma la mia attenzione è rivolta su qualcun altro.
Una ragazza, seduta su una panchina, a qualche metro da me, a gambe incrociate, che armeggia con un cellulare.
Ha i capelli lunghi fin poco sotto le spalle, scalati, spettinati e... VERDI! Le punte più chiare e le radici più scure, ma tutti verdi. Sono fantastici. Alza il volto e mi guarda; spalanca gli occhi grigi e mi guarda come se stesse avendo un’allucinazione. E’ molto magra, indossa un paio di pantaloni a righe verticali rosse e nere, che le fanno sembrare le gambe ancora più magre di quel che già sono. Le sue labbra sono arrossate, screpolate dal freddo, piene e piccoline. Ha il viso scavato. Il piumino che indossa le è evidentemente enorme, due o tre taglie in più. Fa molto freddo è c’è un nebbione di come non ne vedo da qualche anno. Io ho solo un giubbotto di pelle, una t-shirt sgualcita e un paio di jeans neri strappati e effettivamente ho freddo, ma cerco di non darlo a vedere.
Mi accendo una sigaretta, faccio un tiro e vado verso di lei, che sembra non connettere. Dio, se è bella.
Arrivo giusto davanti a lei e con un sorriso -che probabilmente è abbastanza da idiota- la saluto. Lei sbatte le palpebre e sembra riscuotersi. «C-cc-ciao» risponde, balbettando un poco. Cerco di non ferci caso e vengo rapito dai suoi occhi, truccati di nero. Sono grigi, ma non solo; ha delle piccole macchioline verdi-gialle e blu. Sembrano un’esplosione di stelle. Mi siedo accanto a lei. «Piacere, Jimmy» sorrido. «Oh, so chi sei! Sei una leggenda!» la sua voce continua a non esseremolto ferma.
Faccio una risatina stupida e le ripsondo «Bene, sono famoso allora!»
Che risposta del cazzo- penso.
Sposto lo sguardo da lei al parco e cala un silenzio imbarazzato. Mi guardo un po’ intorno, alla ricerca di un argomento di conversazione.
Non sapendo che altro dire, le offro la sigaretta; lei accetta e fa un tiro. Ha le mani piccole, con le unghie mangiucchiate, con lo smalto nero rovinato.
Improvvisamente le suona il telefono e mi ridà la sigaretta. 
Risponde, sembra preoccupata, ma non riesco a capire cosa dica l’interlocutore. Quando stacca, abbassa lo sguardo e mi dice che deve andare, perché un suo amico sta male. «E’ stato un vero onore conoscerti. Ah, io sono Hope.» aggiunge, prima di andarsene. Non posso lasciarla andare così. No. La prendo per un polso, lei si gira «Dove ti posso trovare?» le chiedo. Punta gli occhi nei miei, con una sicurezza che prima non c’era. «Alla comune in Camden» faccio un mezzo sorriso a cui non risponde, la lascio e corre via.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ho giusto il tempo di finire la sigaretta, che suona anche il mio telefono. E’ Phe. «Ehi, Jimmy» ha il fiatone «Vieni qui, per favore. Siamo nella stanza 112». Sto per chiedere cosa succede, ma lui mi interrompe «Trova dell’eroina». Chiude la telefonata. Non capisco subito cosa intenda, poi metto insieme i pezzi. Sono cinque giorni che Sam non tocca la droga. E’ in crisi d’astinenza. Prendo il portafoglio, ci guardo dentro e vado. Arrivo dal pusher, Eric credo, e gli chiedo una dose, che mi costa 50£, con le quali avrei dovuro farci la spesa. Fanculo-penso. Corro a perdifiato fino alla comune, entro e mi devo fermare un attimo. “-Dove ti posso trovare? -Alla comune in Camden”. Le parole di Hope mi risuonano nelle orecchie. Un amico che sta male. Dannazione. Sam che sta male, nella stessa comune. Poi mi balena nella mente Phe, che mi racconta di sua sorella, una certa Hope. Cazzo, Hope è la sorella di Phe, il quale vive con il mio migliore amico. Qualche passo e la rivedrò. Merda. Mi viene una nausea improvvisa, mi si stringe lo stomaco. Respiro a fondo e mi calmo un po’, poi percorro a grandi falcate il corridoio, fino ad arrivare davanti ad una porta con il numero centododici segnato sopra. Prima di bussare mi assicuro di non essere troppo agitato. Un altro lungo respiro e appoggio le nocche al legno. Qualche secondo di silenzio, la maniglia scatta in basso e la porta si apre cigolando.
Mi ritrovo davanti Hope, come immaginavo. Avvampa all’istante. Panico da entrambi i fronti. Provo a sorridere, ma è un ghigno lo so. Balbettando, la ragazza mi indica Samuel, coricato su un letto. Chino su di lui c’è Federico, che alza gli occhi su di me e, senza parlare, mi chiede se ho la droga. Annuisco leggermente.  Rannicchiata in un canto, c’è una ragazza; è bassa, minuta, con i capelli corti biondi, rasati da ambo i lati. Sta piangendo, scossa dai singhiozzi, tiene le gambe piegate sul petto. Cerco di non farci caso; probabilmente è Beth, la ragazza di Sam. Mi avvicino al letto e Phe si sposta. Tiro fuori dalla tasca una siringa e un laccio emostatico. Intuendo cosa sto per fare, Hope, che non ha staccato un attimo gli occhi da me, prende la ragazza che sta piangendo per le spalle e la porta fuori dalla stanza. Tiro fuori dalle coperte il braccio destro di Sam, e lego il laccio di gommapoco sopra il gomito. Picchietto leggermente sull’interno del gomito e presto cominciano a vedersi sempre di più le vene. Ce n’è una, centrale, poco più grande delle altre. Prendo la siringa, raccolgo tutto il mio coraggio e, con un movimento rapido, buco la pelle e premo, finchè tutto il liquido non finisce nella sua vena. Quando estraggo l’ago, esce una piccola goccia di sangue, che pulisco cn un lembo della coperta stesa sul letto. Mi tirò su e la testa prende a girarmi. Non è la prima volta che lo faccio, ma ogni volta è orrendo. «E’ tutto okay?» mi chiede Federico, con un filo di voce. Annuisco, poi lo saluto, dicendogli che ho delle cose da fare, prendo la porta e esco.  Scappo, letteralmente; torno a casa e mi faccio una lunga doccia. Sto per più di mezz’ora sotto il getto bollente dell’acqua. Avrei dovuto portarlo all’ospedale, avrei fatto meglio a non dargli quella roba. Ora ricomincerà a bucarsi ed è tutto per colpa mia. Dannazione, non ne faccio una giusta, ferisco un casino di persone. Sam, mia sorella, che ho malamente abbandonato a sè stessa due anni fa, mia madre, a cui ho detto di non volerla vedere finchè non smette di drogarsi -sì, sono circondato da fottuti tossici-. E ancora, Jared, un mio vecchio amico che ho scoperto essersi innamorato di me, ma che io non sono in grado di vedere come nient’altro che come un buon amico, spezzandogli quindi il cuore. Ho frantumato tanti di quei cuori, che ormai il *crac* del momento in cui si spezzano, è la colonna sonora della mia vita. Mi prendo la testa fra le mani e mi stringo convulsamente i capelli inzuppati dallo scrosciare costante e aritmico di quest’acqua, che pulisce il mio corpo segnato da cicatrici e mille ricordi, ma che non purifica il  dolore che ho provocato e che mi è stato inflitto, che donerò e che mi verrà gettato addosso. Mi rannicchio a terra, sul piatto della doccia, sotto questa cascata cocente; vorrei rimanere così per sempre, con lo scroscio dell’acqua che impedisce ai pensieri di urlare troppo forte, di invadere ogni parte della mia povera mente impazzita con il loro stridulo e martellante grido di battaglia. Voglia di scappare, di nuovo, impellente, bruciante, distruttiva. Autodistruttiva. Voglia di non essere più io, di cambiare nome, volto e storia. Solitudine. Uno zaino in spalla, pochi soldi, pochi vestiti. Camminare per giorni, imparare a difendermi da chi mi può fare del male. Musica, tanta musica. Persone dai volti stanchi e sconosciuti, come il mio, dai lineamenti sfigurati da demoni e dolori interiori che ci hanno portati al gesto più folle, codardo ed estremo: la fuga. In questo momento, nella mia testa, non c’è posto per nient’altro che per questo chiodo fisso. Ho assecondato così tante volte questo desiderio, che non mi spaventa neanche tanto. E’ da senzapalle, lo so, ma spesso, per il bene degli altri -o per il proprio- è indispensabile. Lo era quando ero rinchiuso in quel riformatorio che mi stava soffocando; lo era stato quando Jared si dichiarò; lo è stato quando, con delle brutte amicizie, diedi fuoco a quella casa. Se fossi restato, quest’ultima volta, Mary-Jane, mia sorella adottiva e io saremmo finiti dritti in prigione, visto che quell’incendio lo appiccò anche lei, ma io, fuggendo, diedi prova della mia colpevolezza, togliendo lei dai casini. Quando non hai scelta, ti devi adattare, passando anche per codardo, se necessario.
Esco dalla doccia, mi lego un asciugamano in vita, passo oltre lo specchio, non lo guardo neanche per sbaglio. Mi rivesto e so cosa fare. Movimenti meccanici, ripetuti tante volte che non ho neanche bisogno di connettere corpo e mente, la quale già corre lontano, indistrurbata, verso una nuova, sconosciuta meta. Forse York, forse Manchester, o, chi lo sa, magari l’America. Ho giurato che prima ho poi ci sarei andato, da solo o in compagnia è secondario. Il mio cervello viaggia, mentre io mi muovo, rapido. Prendo il mio vecchio zaino sgualcito. Lo riempio con le poche maglie e i pochi pantaloni appesi ordinatamente nell’armadio. Prendo quelle poche cose che mi appartengono: un bracciale di Mary-Jane, che mi diede la notte in cui scappai, la collana con la A di anarchia come ciondolo, il portafoglio con ciò che mi è rimasto dell’ultimo stipendio, con i quali non farò un granchè. Fortunatamente ho sempre solo lavorato in nero, senza contratti e senza particolari restrizioni. No, non è mai stata una decisione pensata. Si tratta più che altro di occasioni. O forse è stato il mio subconscio a tenermi lontano da un lavoro fisso, sicuro che anche questa volta me la sarei data a gambe, nonostante i buoni propositi. Sto mettendo il giubbotto di pelle e prendendo il mio basso nella custodia, quando parte Ha Ha You’re Dead dai miei pantaloni, seguita da un ronzio vibrante appoggiato alla mia gamba sinistra. Tiro fuori il cellulare e rispondo. «Ciao amico!» squilla la voce di Sam dall’altra parte. «Ehi..» rispondo. «Dai, su con la vita, che grazie a te sono ancora vivo! E stasera ti ripagherò. Beth e la sua band, di cui fa parte anche Hope, che credo tu abbia conosciuto oggi quando.. sai no?! Be’, loro, fanno un concerto in un pub. Io e Phe ti veniamo a prendere per le sette.» Detto questo, attacca, senza darmi il tempo di rispondere. Ma di tutto quello che ha detto, ho sentito solo una frase: “di cui fa parte anche Hope”. Sei parole, un nome, contro una voglia allucinante di scappare via.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1588138