I ragazzi innamorati

di AllePanda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo scontro che li fece consocere ***
Capitolo 2: *** Come si diedero appuntamento ***
Capitolo 3: *** Attesa - prima parte - ***
Capitolo 4: *** Attesa - seconda parte - ***
Capitolo 5: *** Febbr'eccitante (Prima parte) ***
Capitolo 6: *** Febbr'eccitante (seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Febbr'eccitante (Terza parte) ***
Capitolo 8: *** Febbr'eccitante (quarta parte) ***
Capitolo 9: *** La tormeta che scoppiò quella notte ***
Capitolo 10: *** Avances - parte uno - ***
Capitolo 11: *** Avances -seconda parte - ***
Capitolo 12: *** Il bacio che non ti ho dato ***
Capitolo 13: *** Scintilla ***
Capitolo 14: *** Come siamo arrivati a questo punto? ***
Capitolo 15: *** Non ti scordar di me ***
Capitolo 16: *** L'incontro ***
Capitolo 17: *** La festa - prima parte - ***
Capitolo 18: *** La festa - seconda parte - ***
Capitolo 19: *** La festa - parte tre - ***
Capitolo 20: *** Che confusione, sarà perché...? ***
Capitolo 21: *** ...ti amo??! ***
Capitolo 22: *** Fuochi d'artificio - prima parte - ***
Capitolo 23: *** Fuochi d'artificio - parte due - ***



Capitolo 1
*** Lo scontro che li fece consocere ***


 I RAGAZZI INNAMORATI
 

 
Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):

Sento il leggero tintinnio del campanello ancor prima di aprire gli occhi. Il letto caldo mi trattiene tra le coltri ma so bene che se non mi sbrigo a scendere di sotto, saranno dolori. Nell’ultimo mesi gli affari non sono andati affatto bene alla panetteria. Colpa di una tromba d’aria che ha distrutto diversi campi di grano e quindi il prezzo della farina e del pane è salito alle stelle. La gente compra sempre di meno..forse è anche perché sta arrivando l’inverno e ci sono spese aggiuntive come la legna e il carbone per scaldarsi un po’. A casa mia per fortuna, non è mai stato un problema avere acqua calda e un brodo caldo in inverno, ma per la gente più povera come le persone del Giacimento invece… Mi alzo dal letto stropicciandomi gli occhi, sorpreso nuovamente dalla mia stupidità. Praticamente non sono ancora sveglio e sto già pensando a lei, quando invece dovrei seriamente preoccuparmi di scendere a dare una mano con i pochi clienti importanti che ci fanno visita la domenica. Domenica!! Sobbalzo mentre infilo velocemente i vestiti e corro in bagno a sciacquarmi la faccia. Normalmente le persone vanno a sentire la messa durante le prime ore domenicali, ma non la mia famiglia. A parte il fatto che non credo siano mai stati del tutto credenti, per noi commercianti sarebbe impossibile tener chiuso. Il pane la domenica lo comprano quasi tutti, abbiamo molti più clienti. Mio padre infatti sforna molto più pane del solito e mi chiede spesso di effettuare qualche consegna a domicilio. Se ne rimane un po’ lo teniamo per noi. Anche oggi, so di dovermi presentare almeno in due posti prima dell’ora di pranzo. Solitamente sono soltanto le persone più ricche a potersi permettere un lusso come una consegna a casa e infatti il novanta per cento delle volte mi ritrovo davanti al grazioso ingresso dalla casa del sindaco. Ma stamattina ho in programma qualcosa di diverso. E’ una specie di segreto tra me e mio padre. Se mia madre o i miei fratelli venissero a saperlo, non so che cosa potrebbe succedere. Per questo, visto che oggi è un giorno speciale, mi devo sbrigare con le consegne. Sospiro mentre scendo le scale e raggiungo il retrobottega. Mio padre è già lì, mi sorride e mi fa segno di avvicinarmi. Butto l’occhio verso il negozio e capisco che mia madre deve essere uscita perché non la vedo. Come ogni anno, mio padre deve averle regalato un taglio di capelli dal parrucchiere, un pranzo con le amiche o qualsiasi altra cosa potesse tenerla lontana da qui per almeno un paio d’ore. Mi porge la solita scatola colorata che so contenere una torta ben decorata, fatta personalmente da lui. Anche se mi dice sempre che ormai sono più bravo io nella glassatura, che ho superato anche lui, questa torta ci tiene a prepararla da sé. Sospiro, pensando che preferirei non mi avesse mai messo in mezzo a questa faccenda, ma poi incontro i suoi occhi azzurri che si fissano nei miei, e capisco.

 

- Buongiorno papà, vado subito. Solito indirizzo, solita ora? – gli dico con un sorriso

- Buongiorno Peeta… Come al solito – risponde – eccola qui. Mi raccomando! –

Non ci diciamo altro. Afferro il cappotto più pesante che ho ed esco nella brezza fredda di Novembre, assieme alla torta e due sacchetti piuttosto grandi ricolmi di diversi tipi di pane appena sformato. Salto a cavalcioni della mia vecchia bicicletta che sono solito usare per fare le consegne e inizio a pedalare. Quello che mio padre non sa, è che ormai questo non è più soltanto il suo giorno speciale, ma anche il mio! Sbrigo velocemente la prima consegna. Per la seconda temo dovrò perdere qualche minuto in più. Infatti quando suono il campanello, ad accogliermi alla porta trovo la signora Trumpbell, più felice che mai di vedermi.
– Salve Signora Trumpbell – esclamo con quanto entusiasmo riesco a metterci, sperando che non si accorga di quanto desidero andarmene alla svelta.  – Salve Peeta! Finalmente! Lo sai che non vedevo l’ora di offrirti una buona ciccolata calda? Avanti entra pure! Mio marito è al lavoro anche oggi che è domenica – dice con la sua solita vocetta stridula ed eccitata. La signora Trumpbell, non è un mistero per nessuno, si è sposata  solamente per denaro. Non è una donna particolarmente intelligente ma è molto bella, e avrà più o meno sulla trentina. Anche se ho soltanto diciassette anni, sono settimane che mi tampina per avere la mia compagnia. Ho pregato mio padre di andare al posto mio a consegnarle il pane ma sembra che nemmeno lui abbia molto piacere a farle visita e rivedere tante avences! Nonostante il nostro segreto, mio padre non tradiremme mai sua moglie. Inoltre, temo proprio che la signora Trumpbell voglia soltanto me. Ormai sono mesi che tutte le domeniche mi ritrovo nel suo salotto, sperando che prima o poi mi lasci tornare a casa! Questa volta poi ho un vero impegno, ed è anche piuttosto importante perciò non esito a dirle che devo scappare. Ovviamente non mi ascolta, ma anche a costo che non acquisti più pane da noi, stavolta appoggio il sacchetto sulla credenza ed esco rapidamente da casa sua.  – Ho un impegno urgente! Sarà per la prossima volta! –
A scuola questa storia circola ormai da un po’. Non capisco chi abbia cominciato ma ormai tutti dicono che io e lei siamo amanti. Il pensiero mi fa rabbrividire. Proprio non capisco cosa ci trovino gli altri ragazzi, comunque quando la cosa è giunta alle orecchie di mia madre, a me ha fatto tutt’altro che piacere. Mi massaggio lo zigomo della guancia sinistra, che ora sta bene, ma ancora mi pulsa al ricordo di quella sgridata.  - Peeta! – bofonchio tra me e me – sei proprio un ragazzaccio! -  Ma so bene di non essere quel tipo di ragazzo. Mentre mi allontano infatti capisco dallo sguardo accigliato della signora Trumpbell che forse la prossima domenica avrò un po’ meno consegne da fare.
Salto con un balzo sul sellino della bicicletta e inizio a pedalare con foga. Il vento freddo mi sferza le guance, ma risulta piacevole perché mi sento la testa rovente. Il pensiero di questo giorno tanto atteso mi fa scorrere nelle vene adrenalina pura, mi fa sentire i sudori freddi, mi causa i brividi dietro la schiena. Manca pochissimo ormai. Svolto in una strada laterale, sorpasso altre belle case dai vialetti recintati e finalmente sono nel Giacimento. E’ la zona più povera della città, basta guardarsi attorno per capirlo. Tutto qui sembra intriso di una patina opaca, opaca proprio come il carbone, perché è qui che vivono i minatori. Mi avvicino lentamente alla casa. Nonostante il freddo sento che le mani cominciano a sudarmi copiosamente. Avanti Peeta! - mi dico -  aspettavi questo momento da un anno. Ora rilassati! Ma ovviamente non ci riesco, anzi, mi sto agitando sempre di più mentre mi soffermo a pensare se mi sono lavato i denti con cura, se i miei capelli saranno spettinati per via della corsa in bicicletta, se riuscirò a dirle qualcosa..  Deglutisco lentamente, smonto dalla bici e mi avvicino tenendo tra le mani la torta. Non ho ancora suonato quando la vedo attraverso il vetro della finestra. E’ davvero bellissima. E mi incanto a fissare i suoi capelli castani che le ricadono lunghi e fluenti sulla schiena bianca mentre sta… Sta venendo ad aprirmi la porta!! Che sciocco! Mi sono imbambolato ed ora lei mi ha visto che la fissavo come un idiota. Cammina verso la porta ed è allora che noto che non è sola! Anzi, c’è un ragazzo con lei, alto, dagli occhi grigi e un muso duro che proprio in questo momento deve averle detto qualcosa di molto duro, perché i suoi occhi sono pieni di rabbia. Non faccio nemmeno in tempo a spostarmi che la ragazza spalanca la porta e mi finisce addosso mentre la torta finisce inesorabilmente schiacciata tra i nostri corpi. 




Katniss’POV! (Punto di vista di Katniss):


 E’ stata una mattinata difficile. Prim, la mia sorellina, ha la febbre alta e quindi ho dovuto prendermi cura di lei per tutta la notte e non sono riuscita a chiudere occhio. Ovviamente mia madre si è ammalata a sua volta e stava così male anche lei da non riuscire ad alzarsi dal letto. Non che faccia molta differenza ormai. Da quando mio padre è morto nella miniera, lei si è lasciata così andare che per me saperla a letto è una cosa normale. Ultimamente però si è trascinata fuori di casa un po’ più spesso, devo ammetterlo. Comunque a parte la nottataccia, non pensavo che le cose potessero addirittura peggiorare. Il mio amico Gale stamattina è passato a trovarmi con fare stranamente agitato.

 

- Ciao Catnip! – mi saluta

- Ciao Gale! Entra pure – gli dico mentre lo vedo restarsene immobile sulla soglia – qualcosa non va? E’ successo qualcosa? Per caso anche i tuoi fratelli si sono presi l’influenza? Sai, Prim ha la febbre, non vorrei contagiarti! – aggiungo subito dopo.

Lui scuote la testa e mi fissa con occhi tristi. Sento un tuffo al cuore perché capisco che qualcosa non va ancor prima che dica qualcosa. – Gale, cosa succede? –
Senza dire una parola sento che mi abbraccia, stringendomi forte a sé. In quasi cinque anni, da quando lo conosco, non mi era mai successo di essere abbracciata da lui, mai. Noi due ci siamo conosciuti nel momento più brutto per entrambi. Abbiamo condiviso l’atroce destino di un padre morto nella miniera, sotto lo stesso crollo. Se non fosse stato per lui sarei sicuramente impazzita. Lui c’era sempre a confortarmi. A soli 11 anni mi sono dovuta arrangiare per mantenere me, Prim e mia madre. Ho fatto di tutto: lavapiatti, spazzacamino, sguattera. Ma purtroppo le tasse da pagare erano tante e non sempre i miei datori di lavoro erano compassionevoli. Ci fu un uomo, una volta, che provò addirittura a mettermi le mani addosso, mi disse che mi avrebbe pagata bene se non avessi opposto resistenza. Quella volta ebbi davvero paura perché ero solo una ragazzina di 12 anni e lui uno sporco cinquantenne dall’alito che odorava orribilmente di alcool. Riuscii a fuggire tirandogli addosso quello che mi capitava e ovviamente poi venni licenziata, ma almeno ero salva. I mesi successivi però furono duri. L’inverno era ormai inoltrato e mia madre ancora non accennava a migliorare. Se ne stava seduta con lo sguardo perso nel vuoto. L’ho odiata con tutta me stessa. Ricordo come cercai inutilmente di vendere al mercato gli abiti smessi di mia sorella, di come caddero nel fango, quando a fine giornata le mie mani tremanti non furono più in grado di reggerli, per la fame e per il freddo che avevo. Ricordo la pioggia e le urla della moglie del fornaio. E ricordo anche come ne venni fuori, come riuscii a sopravvivere. Un dodicenne come me, capelli biondo cenere e occhi di un azzurro intenso, fu lui a salvarmi la vita lanciandomi del pane che aveva bruciato apposta. Ricordo che non ebbi mai il coraggio di ringraziarlo. Poi venne la primavera e Gale mi aiutò a sopravvivere. Io e sua madre ora ci aiutiamo lavando quanti più panni sporchi possiamo. Le famiglie dei commercianti vengono nel giacimento carichi di quanta più roba possono e noi ci consumiamo le mani per lavare i loro indumenti sporchi. Ora che mia madre si è ripresa però, è tutta un’altra faccenda. Ha trovato lavoro come farmacista fai-da-te. La vengono a trovare a casa, ma per quelli del Giacimento è anche una specie di medico. Vengono sempre da lei quando hanno bisogno di qualcosa per rimettersi in forze, visto che non si possono permettere un vero dottore. Certo però, se non fosse stato per Gale che mi ha portato così tanto conforto e dato quella sicurezza che se n’era andata insieme a mio padre..

 

- Catnip…La lettera…E’arrivata la lettera – mi dice in un sussurro. Poche parole e mi sento tremare la terra sotto i piedi.

- Cosa hai detto?- replico intontita, ancora senza parole.

- Sapevamo che sarebbe successo prima o poi. Domani dovrò prendere il treno – conclude con  voce chiara. Il suo tono è tranquillo ma il dolore è palpabile. Fisso i suoi occhi, grigi come i miei, per un momento che pare interminabile. E’ tutto vero, mi dicono. Respiro, alla ricerca di aria.

- Domani?! – è l’unica cosa che esce dalla mia bocca. Poi una domanda muta si insinua tra di noi, ma lui la coglie al volo.
-
Forse l’anno prossimo, per natale! Credo che tornare prima sia fuori discussione purtroppo –

Ed è tutto quello che ci diciamo, perché in questo momento lo sto odiando davvero, perché ne avevamo parlato, perché sapeva benissimo che mi avrebbe ferita. Ha richiesto lui stesso di essere arruolato e finalmente gli è arrivata la risposta, ovviamente positiva, non poteva essere altrimenti. Gale, fisico giovane e muscoli tonici. L’esercito contribuirà al sostentamento della sua famiglia per tutto il tempo in cui lui sarà via. I miei occhi iniziano a riempirsi pericolosamente di lacrime, che cerco di ricacciare indietro, ma lui ovviamente se ne accorge e fa per abbracciarmi di nuovo, ma io lo allontano in malo modo. Anche se tra di noi non c’è mai stato niente di simile ad una storia d’amore, in questo momento mi sento tradita e abbandonata. So che Prim è nell’altra stanza che dorme, quindi mi concedo un po’ di tempo per me, perché ne ho bisogno. Devo uscire da qui, sennò impazzirò. Non riesco a guardarlo in faccia mentre tenta di scusarsi. Non mi volto nemmeno quando sento la sua presa forte sul mio braccio. Devo uscire. Così corro verso la porta, liberandomi dalla sua presa con uno strattone, giusto per finire subito dopo addosso a qualcuno, che inspiegabilmente, si trova proprio davanti alla porta di casa mia.
 

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Capitolo 2
*** Come si diedero appuntamento ***


 Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):

La ragazza che fino ad un attimo fa avevo timore ad avvicinare, mi è finita letteralmente addosso schiacciando tra i nostri corpi la torta preparata da mio padre. Ogni anno mi prega di portarla ad una donna del Giacimento dai capelli biondi e gli occhi azzurri, caratteristiche che denotano chiaramente il fatto che le sue origini non sono queste. Infatti quasi tutti coloro che abitano nel giacimento hanno gli occhi grigi e i capelli scuri, ma non la signora Everdeen. Figlia di commercianti, abbandonò tutto pur di coronare il suo sogno d’amore. Suo marito era un minatore, sfortunatamente morì nell’esplosione di una miniera quando io avevo solamente undici anni. Io e sua figlia Katniss infatti, questa bella ragazza dai capelli castani che ora mi fissa con sguardo stupito e quasi accigliato mentre si alza in piedi, siamo coetanei. Eppure, non ci siamo mai parlati, sebbene io l’abbia tenuta d’occhio per più di 12 anni. Mio padre non ha mai dimenticato la madre di Katniss, esattamente come io non riesco a togliermi sua figlia dalla testa da quando a cinque anni cantò in classe la canzone della Valle. Sembra una sorta di sadico scherzo del destino, lo ammetto. Ho cercato in questi anni di farmene una ragione. Ho pensato di parlarle centinaia di migliaia di volte, ma all’ultimo momento mi sono sempre tirato indietro. Oggi la torta doveva rappresentare un bel ricordo, un regalo che mio padre fa alla madre di Katniss ogni anno da quando il marito non c’è più. Non che mio padre si sia messo in testa di sfasciare la nostra famiglia, perché lui è come me: è un “bravo ragazzo”, ama moltissimo sia me che i miei due fratelli maggiori e…be’ suppongo che in fondo debba voler bene anche a mia madre, nonostante lei non lo tratti decisamente in modo amorevole.  La torta è più un simbolo di amicizia, di un legale profondo che non si è spezzato negli anni: affetto allo stato puro, incondizionato, semplice. Credo che questo significhi amare davvero. Purtroppo però la situazione attuale è un tantino precipitata e mi ritrovo a balbettare parole vuote mentre dalla scatola di cartone che ho in grembo, trasudano crema e cioccolato, debordando fino a cadere in terra.

 

- E’ un disastro! – mi esce dalla bocca, mentre sono ancora confuso.

- Catnip! – sento esclamare poco lontano, e quando alzo lo sguardo dalla mia giacca impiastrata di torta, vedo il ragazzo bruno che si avvicina.

- Lasciami in pace adesso Gale! – è la risposta secca di Katniss mentre il suo sguardo abbandona quello del ragazzo per fissarsi nel mio. Inevitabilmente mi sento le guance avvampare ma faccio finta di niente.

- Scusami…io non – mi dice lei porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.

Percepisco chiaramente le ondate d’ira che le attraversano gli occhi.
 

- Scusami tu…io..-  dico cercando un po’ di coraggio – io dovevo consegnare una cosa alla Signora Everdeen, ma ecco…-  Purtroppo l’attenzione della ragazza viene nuovamente catturata dall’altro interlocutore.

- Ci vediamo domattina Catnip. Il treno parte alle 6.00 in punto! Spero di vederti – dice mentre si incammina altrove lanciandomi una fugace occhiata interrogativa.

- Non contarci Gale! – è la risposta seccata di lei.

Tutto quello che noto in lui è che la sua schiena sembra irrigidirsi ma non si volta indietro. Ora ho la sgradevolissima sensazione di aver scelto proprio il momento sbagliato per presentarmi qui. Devo essere capitato nel bel mezzo di una discussione e la cosa non mi piace. Non sono il tipo che si fa gli affari degli altri, ma soprattutto, avevo immaginato che sarebbe andata diversamente. Forse più che immaginato, avevo sperato che andasse diversamente. Almeno quest’anno.
 

- Tu sei il figlio del fornaio, giusto? – mi chiede lei d’un tratto – Si..Mi dispiace per tua madre, questa torta era per lei, per il suo compleanno. E’ colpa mia se è rovinata, quindi… - balbetto un po’ confusamente.

- Torta di compleanno? – esclama lei sorpresa.

- Si –

- Già…ora ricordo! Anche l’anno scorso e se non sbaglio anche quello prima…mia madre ha sempre ricevuto una torta. Quindi tu fai le consegne? –

- Be’ solo ogni tanto, per il  resto quando non c’è suola, lavoro al forno – rispondo

Ci fissiamo per un momento che pare interminabile. Non ci eravamo mai parlati prima.
 

- Senti… Io…Mi dispiace, ti ho rovinato il cappotto ma sono brava a lavare le cose, solo che bisogna metterlo a lavare subito sennò resteranno le macchie – dice e mentre parla vedo che si avvicina verso casa sua invitandomi ad entrare. Subito mi schermisco dicendole che non è necessario ma dal suo sguardo capisco che è irremovibile.

- Be’ allora ti lascio i cappotto e torno a prendere un’altra torta…- dico restandomene sempre impalato su quei pochi centimetri di marciapiede. I miei occhi non riescono a smettere di fissare i suoi.

- Sei matto? Non hai visto il cielo? E poi a mia madre non serve una torta, anche se è un regalo. Non riuscirebbe neppure a mangiarla ora come ora. E’ in camera sua con 39° di febbre. Forse mia sorella Prim ne sarebbe stata felice però…ma anche lei si trova nelle stesse condizioni. – conclude lei mentre mi mostra dei nuvoloni neri all’orizzonte.  – D’accordo, ma voglio comunque rimediare. Quando staranno meglio vi porterò un'altra torta- dico. E il mio tono sembra perentorio per cui Katniss decide di non replicare, o forse non mi sta nemmeno ascoltando perché la vedo armeggiare con il cappotto che le ho porto, mentre mi trascina letteralmente in casa sua e mi prepara del tè fatto con foglie di menta. Sono sicuro che se rifiutassi si offenderebbe moltissimo, lo capisco da come mi guarda, perciò non oppongo resistenza e mi lascio cadere su una sedia del soggiorno. Osservo la casa. Decisamente molto più modesta della mia, direi anzi: essenziale. Il caminetto però ha un bel fuoco acceso. Mi sento agitato al pensiero di trovarmi proprio qui con lei, ma penso che rispetto all’anno scorso è comunque un miglioramento. Si, in effetti lasciare la torta tra le mani di sua sorella minore mi aveva lasciato a dir poco deluso, ma lei evidentemente non doveva essere in casa. E così l’anno prima e quello prima ancora. Forse è per questo che in realtà, anche oggi, mentre venivo qui, non mi sono voluto illudere troppo. Ma adesso è qui che mi versa l’acqua calda in una tazza dal bordo un po’ scheggiato, mentre si morde un labbro. E inevitabilmente mi scopro a desiderare di toccare quella bocca.



Katniss’ POV (punto di vista di Katniss):

Ho appena finito di strofinare il cappotto, versato l’acqua bollente nella sua tazza e solo adesso mi rendo conto che sta piovendo. Ci mancava anche il figlio del fornaio! Chi se lo ricordava che oggi era il compleanno di mia madre? E poi Gale… Mi sono dovuta calmare per forza. Non voglio sentirmi ulteriormente in debito con la famiglia Mellark! Mi siedo su una seggiola accanto al giovane ragazzo biondo dagli occhi chiari mentre, complice la pioggia, la mia mente ritorna alla notte fredda di qualche anno fa. Se non si fosse trovato in mezzo, probabilmente sarei corsa nel bosco che circonda le case del Giacimento, avrei passato il resto della giornata da sola, sotto la pioggia, del tutto incurante del fatto di potermi ammalare. Poi sarei tornata per Prim… Per prepararle la cena, per starle vicino… Si forse sarei tornata anche prima di ritrovarmi fradicia, sempre e solo per lei! Almeno una persona deve stare bene in questa casa, per tirare avanti. Ma lo sguardo indecifrabile di questo ragazzo mi ha fatto capire che dovevo restare e al diavolo Gale e la sua guerra! Ora però non so che cosa dire, non sono mai stata brava a fare amicizia e per di più la sua presenza mi mette molto a disagio, sia perché temo che si ricordi di quell’episodio, sia perché ha appena assistito ad una scena non molto dignitosa da parte mia. Vorrei che non fosse qui, vorrei non dover sostenere il suo sguardo, perché mi sento in debito con lui da una vita.

 

- Grazie per il tè…è buono – dice d’un tratto, con il chiaro intento di iniziare a rompere il silenzio assordante che ci avvolge. Mi sento sempre più tesa. Ho quasi il sospetto che il suo sia uno di quei complimenti finti che si fanno solo per far piacere alle persone, ma sono sicura che in realtà quell’acqua sporca che gli ho servito, la sta mandando giù a forza. Così annuisco semplicemente, perché se parlassi direi cose scortesi come questa.

- Hai detto che tua madre e tua sorella hanno la febbre – prosegue lui – per caso ti serve qualcosa? Mia madre quando siamo malati ci prepara sempre una zuppa di riso e…-

- No, siamo a posto così! - lo interrompo bruscamente prima che continui. Ci mancava anche la sua compassione. Non voglio altro aiuto da parte sua! Noto che i suoi occhi si fanno seri. La sua voce si incrina per un momento mentre mi dice: - Non…non c’è niente di male nel chiedere aiuto. Sai…io continuo a pensare a quella notte, al modo in cui ti ho tirato il pane...Io…sarei dovuto uscire sotto la pioggia e… -

Non riesce a terminare la frase perché io lo interrompo mettendogli una mano davanti alla bocca. Ho il viso in fiamme per la vergogna, ma il mio braccio si è mosso senza pensare. Non voglio sentire! Non voglio sentire altro!!
 

- Ssstt! Ti prego non dire altro – è quello che dico subito dopo. Anche lui sembra agitarsi e per un attimo arrossisce. E così realizzo che non solo lui ricorda quell’episodio, ma che – parole sue – ci ha pensato diverse volte! Fantastico! Ora mi sento morire dalla vergogna mentre mi allontano di nuovo da lui per tornare sulla mia sedia.

- Senti…Chiudiamola qui, va bene? Appena il tuo cappotto sarà asciutto te lo farò avere. Per ora posso prestarti questo e un vecchio ombrello, così i tuoi non ti sgrideranno se ritardi. Ti ho causato abbastanza problemi – dico senza troppe cerimonie mentre prendo la vecchia giacca di mio padre da un armadietto del soggiorno. Mi dispiace separarmene, ma è l’unico indumento maschile che possiedo e che gli starebbe indosso. Anche volendo, con le braccia muscolose che si ritrova, non potrei certo infilargli un cappotto mio o di mia madre! Negli ultimi tempi, evidentemente, deve averne sollevati parecchi di sacchi di farina, perché i suoi bicipiti si sono evidenziati.

- Non deve disturbarti – risponde lui, interrompendo quello, che solo ora mi rendo conto, era un pensiero un po strano. Ho forse tenuto d’occhio le sue braccia? Da quando?

- Invece si Mellark! Mi devi scusare ma non sono molto in vena di socializzare e poi devo preparare la cena... ma non voglio più sentirmi in debito con te, perciò ho deciso che oltre al cappotto, i ripagherò anche la torta, ma non so dirti di preciso quando avrò il denaro sufficiente…ok?-  butto lì, sperando che acconsenta. Ma ovviamente lui non è d’accordo perché sgrana gli occhi e replica immediatamente: - Ok ok…Ho capito benissimo che sei una ragazza orgogliosa, ma ti ripeto che la torta era un regalo! Da quanto paghi per un regalo? Domani quando mi riporterai il cappotto riceverai la torta che oggi non sono riuscito a consegnarti…chiudiamola qui ok?! –

Mi ha scimmiottata! Ha ripetuto la stessa frase che gli avevo detto io, in tono piccato! Questo ragazzo è davvero più insistente di quanto pensassi. Sto per dirgliene quattro quando sento Prim che ci raggiunge in cucina.
 

- Katniss! Ho fatto un sogno bellissimo. Te lo racc..?!- 

Prim si blocca seduta stante quando nota il figlio del fornaio seduto accanto a me.
 

- Katniss, chi è il tuo amico? - 

La voce di mia sorella è un misto di stupore, gioia e curiosità.
 

- Noi non siamo amici. Lui è il figlio del fornaio, è venuto qui per una consegna e ora se ne sta andando! – taglio corto io, sperando che lui abbia capito l’antifona. Sono stanca, arrabbiata e la sua presenza non ha fatto che aumentare il mio malumore. Per di più è insistente e cocciuto! Tra lui e Gale oggi non sono riuscita ad averne vinta mezza.

Prim però pare delusa del mio tono di voce. Mi volto verso il ragazzo e trovo che anche lui ha messo su una specie di broncio. Poi sospira e torna a sorridere, tendendo cordialmente la mano a Prim.
 

- Ciao! Io mi chiamo Peeta – si presenta. E io mi rendo conto che fino ad allora per me lui era semre e solo stato “il ragazzo del pane”.  Poi i suoi occhi si fissano nei miei mentre si alza e raggiunge la porta di casa – Bene, ora tolgo il disturbo, non preoccuparti. Ci vediamo domani allora? Ovviamente potrei venire io da te, ma qualcosa mi dice che non accetteresti giusto? - 

Poi si rivolge di nuovo a Prim: - Tua sorella è davvero testarda, lo sai? –  Il viso di Prim si illumina in un sorriso. – Si, lo so! Ma è anche molto gentile se vuole, vero Katniss? Non sarai stata sgarbata con lui vero? – mi rimprovera. In quel momento sento Peeta Mellark ridacchiare sotto i baffi, alle parole di mia sorella. Allora decido che per oggi ne ho veramente abbastanza, gli spalanco la porta, gli metto in mano la giacca e l’ombrello e poi la chiudo dicendo un sonoro: - A domani! –
 


Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):

Sento la porta di casa sua sbattere con violenza dietro di me. Sembra davvero infuriata. Mi sistemo addosso la giacca di pelle morbida che odora di pino e con l’ombrello in una mano, inforco la mia bicicletta che avevo appoggiato al muro di casa sua. Un sorriso mi si è stampato in faccia e non riesco a scacciarlo via. Per la prima volta dopo anni sono riuscito a parlarle e per di più domani so che la rivedrò. Mi incammino verso casa, mentre la pioggia mi bagna inevitabilmente il viso e la schiena, perché tenere fermo l’ombrello in equilibrio non è mai stato il mio forte. Sento un’emozione travolgente bruciarmi dentro. Forse sono un illuso, ma lei si ricordava del pane, si ricordava di me, e questo pensiero mi fa accelerare i battiti del cuore. Domani verrà al negozio! Al negozio… Un pensiero improvviso però mi cancella il sorriso dalla faccia: mia madre! Lei sa dell’amore di mio padre verso la madre di Katniss, l’ha sempre saputo. Per molte persone che conosco, tra i commercianti, far parte del Giacimento sarebbe una ragione sufficiente per farsi odiare. Per mia madre però c’è di mezzo anche quella vecchia storia. Le detesta profondamente anche Katniss! E mi detesto per non averci pensato prima. Sono ormai sotto casa quando la pioggia smette all’improvviso e in cielo compare un pallido sole. Penso che in qualche modo dovrà farsela andare bene, perché domani ci sarò io personalmente ad assicurarmi che Katniss non debba preoccuparsi di lei. Mia madre se ne farà una ragione! E con quest’ultimo pensiero nella testa, entro in casa, giusto in tempo per lasciare che il mio cuore torni a battere all’impazzata e il mio stomaco si riempia nuovamente di farfalle.
 

 

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Capitolo 3
*** Attesa - prima parte - ***


Capitolo 3 : Attesa – prima parte -

 

Peeta's POV (Punto di vista di Peeta):

Quando mi butto a letto, dopo aver sbrigato le ultime faccende, sento che le mie gambe si fanno pesanti, così come le mie palpebre. Tutto il mio corpo sembra volermi convincere che è ora di dormire, ma sento che non riuscirò a prendere sonno. Mi sistemo addosso la coperta e spengo la luce, solo per sentirmi andare di nuovo a fuoco al ricordo delle sue dita sulle mie labbra, che ora non posso fare a meno di mordermi con nostalgia. E' successo tutto così in fretta che in quel momento non ci ho capito più nulla. Katniss mi ha zittito perché evidentemente le dava fastidio ricordare. Ma io mi sono preoccupato soltanto del suo tocco leggero e del fatto che lei ricordasse davvero. Probabilmente se ne vergogna, credo. Forse non avrei dovuto proprio tirare fuori quell'argomento, ma come ho detto anche a lei: non credo che ci sia assolutamente nulla di male nell'avere bisogno di qualcuno. E' naturale. Tutti a modo nostro necessitiamo di qualcuno o qualcosa. Quella notte mi si è stretto il cuore al pensiero di lei affamata, fradicia sotto la pioggia gelata. Una ragazzina dolce ma tenace alla quale la buona sorte sembrava aver voltato definitivamente le spalle, ma che nonostante tutto, aveva ancora la forza per sperare. Mi sono sentito impotente, vulnerabile e tremendamente sciocco, inutile, mentre rincasavo dopo averla lasciata là a tremare di freddo. In quel momento ho odiato me stesso per la mia mancanza di spina dorsale, ma ciò che mi aveva veramente trattenuto dal correrle incontro, non era stato tanto il timore di una ulteriore rimprovero di mia madre – no, diversamente non avrei nemmeno osato bruciare il pane - ; la mia vera paura era quella di essere respinto, allontanato. I miei occhi si fanno più tristi, ma soltanto il buio ne è testimone, mentre un pensiero emerge prepotentemente a galla "respinto...un po' come è successo oggi"

Ed ecco che tutto il mio buonumore viene sostituito da una paura profonda, viscerale, che mi fa perdere qualche battito, mentre mi rigiro nel letto alla ricerca di aria. Poi di nuovo il pensiero che domani la rivedrò riesce a calmarmi. Mi sembro pazzo. Nemmeno mia madre nei suoi momenti peggiori mi è mai sembrata così volubile come mi sento io in questo momento.

 

I suoi occhi mi trafiggono, mi scrutano, li vedo proiettati sul mio cuscino, che mi fissano. Circondo il cuscino con le braccia e ci affondo il viso. Meglio dormire, penso. Domani arriverà prima. Saranno passati si e no due minuti che le mie orecchie avvertono un rumore provenire dalla finestra della mia stanza.

Toc -toc

Decido di ignorarlo perché ormai sto dormendo

Toc- toc

Il rumore non smette.

Toc -toc

Adesso so che mi ci vorrà una vita prima di riuscire ritrovare il sonno.

Toc -toc

Basta! Adesso mi alzo!

Toc -toc

 

Raggiungo insonnolito la finestra, per nulla incuriosito, ma soltanto deciso a scoprire da dove proviene il rumore per farlo smettere. Sono praticamente certo che si tratti del vento che fa vibrare contro la mia finestra il ramo del melo che sta nel giardino. Deve fare molto freddo stanotte.

Toc -toc

Apro la finestra per vedere fuori e qualcosa mi colpisce subito alla fronte. Rimango spiazzato per un po' mentre mi porto una mano sul viso e mi ritraggo in fretta. Non ci sono dubbi: qualcuno mi ha appena tirato un sassolino in testa. Scruto nella fioca luce della notte per scorgere una figura che si trova esattamente ai piedi del melo. Alto, magro e con un cappello dall'aria decisamente famigliare.

-Peeta! - sussurra al mio indirizzo – La mamma ha già chiuso la serranda e perfino la porta sul retro è sbarrata! Aiutami a salire! Su svelto! -

Non ho più dubbi, si tratta di mio fratello maggiore Perry. Mi sporgo in avanti per rispondergli: - Che ci facevi ancora fuori? E poi, sei impazzito? Mi hai tirato un sasso in testa! - sbraito senza badare troppo al volume della mia voce. Lui non mi risponde e parla soltanto per dirmi di andargli ad aprire la porta dell'ingresso sul retro. Obbedisco soltanto perché se svegliassi mia madre a quest'ora so che la prenderebbe piuttosto male. Quando arrivo di sotto, al negozio, però mi stupisco nel constatare che è aperta, così come la serranda. La mia prima reazione è quella di afferrare la prima cosa che trovo e accendere le luci. Ma non c'è nessuno. Dev'esserci qualcosa che non va. Mio fratello forse mi sta giocando un brutto tiro. Non capisco finché non raggiungo l'ingresso, e con cautela guardo fuori. La strada sembra deserta. Chiamo Perry ma lui non risponde. Un brivido mi percorre la schiena. Continuo a chiamare mio fratello finché non decido di chiudermi la porta alle spalle e di uscire nel cortile sul retro. Ed eccola lì, anche con la poca luce che c'è riesco a vederla. E' appoggiata sotto il melo, completamente fradicia. - Katniss! -

Non appena mi vede sembra avere un sussulto ma i suoi occhi mi dicono che è sollevata. Io inizio a capirci sempre di meno, ma di una cosa sono certo: stavolta non la lascerò al freddo sotto la pioggia. Di Perry nemmeno l'ombra, quindi mi avvicino a lei sentendomi scorrere addosso gelide gocce d'acqua. - Ehi! Ti ammalerai! Entra...stai bene? E' forse successo qualcosa? - le chiedo. La mia voce deve risultare piena di agitazione anche se ho provato a restare calmo, ma lei senza una parola si alza in piedi e fa per andarsene. - No! Aspetta! - è tutto ciò che riesco a dirle. Lei torna a posare lo sguardo su di me. Senza neanche sapere come, ci ritroviamo nella mia stanza. Il pavimento fradicio e così i nostri vestiti, che ora stanno sul pavimento. Un brivido mi percorre la spina dorsale. Non faccio in tempo a dire qualcosa che sento le sue braccia attorno al collo e non posso fare a meno di stringerla a mia volta. La sua chioma ondulata mi accarezza il viso, che ora ha nascosto nell'incavo del mio collo. Sento che mi sussurra qualcosa ma non afferro le parole. Mi scosto solo un momento per guardarla ed ecco che un fischio fortissimo mi fa cadere giù dal letto. Quando apro gli occhi e mi rendo conto che stavo sognando, faccio appena in tempo ad alzarmi dal pavimento che mio fratello Perry – in carne e ossa – mi grida dal piano di sotto che è pronto il caffè! Sospiro. Quella vecchia cuccuma fa un rumore esagerato! Poi sospiro di nuovo. Era soltanto un sogno. Un terzo sospiro: anche oggi sarà una giornata grigia come tante altre – mi dico – Ma non appena sono davvero in me e i miei occhi si fissano sulla sedia che sta accanto al letto e scorgono una vecchia giacca di pelle, finalmente ricordo: oggi verrà davvero!! Mi preparo e corro di sotto alla svelta. Non so di preciso quando arriverà, ma so che è parecchio mattiniera, quindi non c'è tempo da perdere. Faccio una veloce colazione, sbrigo le prime faccende e non appena ho un momento libero cerco lo sguardo di mio padre in modo che capisca che devo dirgli qualcosa a quattr'occhi. Lui afferra il messaggio al volo. Io e mio padre ci capiamo sempre molto bene. Lui è un po' come me: a volte parla poco, ma sa dire tanto anche con un semplice gesto. Non gli ho ancora raccontato che cosa è successo alla sua torta e soprattutto, non gli ho raccontato niente di me e Katniss. In realtà sospetto che se ne sia accorto da tempo di quello che provo per lei, ma c'è anche caso che non sia così, visto che ho imparato piuttosto bene a mascherare questo sentimento. Ora però sento il desiderio di confidarmi con lui, almeno per una volta. - Ehi Peeta! - mi dice subito mio padre con fare tranquillo – perché non mi accompagni a fare una consegna? Stamattina non ci sarà molto da fare qui, almeno facciamo due passi -

Colgo al volo la sua offerta. Anche questa volta non mi ha deluso, ha capito perfettamente di cosa avevo bisogno, anche se adesso mi chiedo se non sia una scelta sbagliata visto che Katniss potrebbe arrivare da un momento all'altro. Mi sto ancora domandando se sia il caso di restare, quando dietro di lui sento mia madre che dice qualcosa come: "tutti uguali voialtri, mai nessuno che senta di dover dare una mano a questa povera donna...Se non ci fosse la sottoscritta" Un sorriso increspa le labbra di mio padre. Deve aver sentito anche lui. E così decido che non possiamo proprio dirci niente se restiamo qui e mi riprometto di tornare il prima possibile mentre usciamo nel freddo pungente di una mattina di Novembre.

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Spazio autrice: Salve a tutti! Non sono molto esperta di fancition ma mi sto divertendo a creare qualcosa di mio perchè Hunger Games mi ha preso il cuore. Vi sarei molto grata se commentaste un po' per farmi capire cosa ne pensate del mio lavoro, critiche incluse :) Sarebbe una motivazione e una spinta in più per continuare il mio lavoro :) grazie

 

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Capitolo 4
*** Attesa - seconda parte - ***



 

Capitolo 4: Attesa – seconda parte -

 

 

Gale's POV (Punto di vista di Gale):

 

Me ne sono andato senza voltarmi. Ero sicuro che lei si sarebbe infuriata, tuttavia adesso non posso fare a meno di chiedermi se è veramente quello che voglio. La guerra però non aspetta ed io non intendo tirarmi indietro ora. Mia madre e i miei fratelli sono molto preoccupati per la mia partenza, ma dopo tanto parlarne credo di essere riuscito a tranquillizzarli. Qualche mese fa mi sono recato nella grande città per sostenere un esame, una sorta di test di ammissione sia fisico che mentale. Ci hanno anche fatto compilare un lunghissimo questionario di idoneità e un dottore mi ha picchiettato le ginocchia con un martelletto, mi ha misurato la pressione, fatto inizioni e prelevato compioni di sangue. Non è stato piacevole, ma niente di davvero invasivo o fastidioso. Mi hanno fatto delle domande: - perché vuole arruolarsi? -

Ho risposto senza esitare, con voce chiara e ferma, quasi stupido per la domanda: - perché non posso vivere in un mondo del genere senza fare qualcosa per migliorarlo! Perché la nostra libertà va difesa con le unghie e con i denti. Per le nostre famiglie! -

Devono essere rimasti soddisfatti, perché come speravo ieri ho ricevuto la lettera con la conferma. La guerra. Il nostro paese sta attraversando ormai da qualche anno una brutta crisi economica e come se non bastasse è stato attaccato dall'esterno da quelli che credeva essere suoi alleati. L'annata è andata molto male per il grano e gli alberi da frutta e il nostro territorio non ci offre molto, se non quantità esorbitanti di carbone. Abbiamo bisogno di importare risorse da altri paesi, che ormai non sono più disposti a collaborare e tentanto ora di sottrarci quello che è nostro. Ho bisogno di sapere che i miei fratelli un giorno potranno vivere una vita migliore di questa. Non posso starmene con le mani in mano.

 

Sono questi i miei primi pensieri quando mi sveglio. Guardo la sveglia sul comodino. Suonerà tra pochi minuti, ma come al solito, mi sono alzato prima. Sono le 4.00. Mi tiro su dal letto e mi preparo la doccia. Pochi minuti dopo sono già vestito e intento a sistemare le ultime cose in una grossa valigia che mia madre mi ha aiutato a preparare ieri, anche se in realtà era già pronta da mesi e quindi ci siamo limitati a dare uno sguardo veloce e verificare che fosse tutto a posto.

Adesso che la guardo bene, per la prima volta, da quando la vedevo sistemata su una sedia in un angolo della mia stanza, sento che è davvero giunto il momento in cui le nostre vite si separeranno. E penso a lei. Katniss. I ricordi si fanno strada in me, mentre mi siedo sul letto accanto alla valigia e le prime luci dell'alba si fanno strada alla finestra.

Katniss Everdeen, figlia di Monroe Everdeen, collega e amico di mio padre, Josef Hawthron. Entrambi i nostri genitori hanno condiviso l'infelice destino di trovarsi a morire nelle miniere sotto tonnellate di terra. Ma non solo. La sorte è stata beffarda e crudele. Infatti mio padre, come quello di Katniss, era riuscito, in gioventù a strappare una giovane ragazza figlia di commercianti, alla sua vita normale per farla sprofondare nella miseria del Giacimento. Amore. I nostri genitori non hanno vissuto d'altro. Mia madre, Hazelle, non fa altro che ripetermi che dovrei pensare di più alla mia vita, a me stesso, e non soltanto al bene comune, alla patria. Ma io non riesco ancora a comprendere cosa significhi quello che lei cerca di insegnarmi da tutta una vita, forse non lo capirò mai. Poi penso a Katniss e allora mi chiedo se in realtà qualcosa in me non sia cambiato da quando la conosco. La prima volta che la vidi, anziché piangere per suo padre, se ne stava rigida, pugni chiusi e sguardo fermo a consolare la madre che pareva essere una bambola di porcellana sul punto di sfracellarsi a terra in mille pezzi. Con loro c'era anche la sua sorellina Prim, che Katniss ovviamente non aveva mai abbandonato e per tutto il tempo non aveva fatto che ripetere anche a lei che – le cose non sarebbero precipitate. Andava tutto bene. Ci avrebbe pensato lei -

Forse sono rimasto affascinato da lei proprio per questo suo temperamento incredibile. Deve avermi colpito fin dall'inizio...Ma non credo che quello che provo ora sia vero amore. Sbuffo mentre guardo la sveglia che dice che ormai sono le 5 e io so che mi devo incamminare. Forse non sarà amore – mi dico – ma spero lo stesso che venga a salutarmi. E così mi riscopro a pensare che in realtà Katniss per me è davvero importante, che non per questo resterò qui, partirò comunque, ma con un vuoto in più dentro. Mi alzo dal letto e do un ultimo sguardo fugace alla mia stanza, dopodiché scendo le scale con passo felpato per non svegliare i miei fretellini che sono ancora nel mondo dei sogni. Di sotto, ad attendermi, c'è mia madre. Mi ha preparato una colazione fin troppo abbondante, la ringrazio con un abbraccio, mangio uova e pancetta e pane, sorseggio velocemente del caffè, ma poi, quando mia madre mi allunga altra roba nel piatto, rifiuto e le dico di lasciare il resto per gli altri. Non capitano spesso colazioni tanto abbondanti a casa nostra e visto che nel luogo in cui mi sto recando il cibo non mancherà, preferisco che siano i miei fratelli a riempirsi lo stomaco con tutte queste cose. Osservo mia madre che se ne è rimasta in silenzio a guardarmi mangiare per tutto il tempo. Mi sorride, un sorriso un po' tirato, triste. So che le sto arrecando un grosso dolore con la mia partenza, ma lei cerca di non farmi capire quanto è preoccupata, non dice nulla, mi ricorda soltanto se ho dimenticato qualcosa. - Non vuoi salutare i tuoi fratelli? - chiede mentre la saluto, ormai sulla porta – mi hanno tanto pregata di svegliarli in tempo prima che andassi via – sussurra.

-No – rispondo subito – credo sia meglio così. Sai, non vorrei mettermi a piangere - le sorrido.

E lei capisce. Sa che amo la mia famiglia di più di ogni altra cosa e vedere Vick, Posy e Rory in lacrime non mi aiuterebbe di certo a staccarmi da loro, accompagnato dal pensiero che forse tra un anno li rivedrò. Così io e mia madre ci salutiamo, lei mi stringe forte e io faccio altrettanto. Quando sono ormai fuori di casa la saluto da lontano e sono quasi certo che adesso stia piangendo. Mi avvio a piedi verso la stazione, con la valigia in spalla e un vento freddo che mi sferza le guance pensando che ora non mi resta che aspettare. Aspettare cosa di preciso però non lo so. Aspettare il treno, il destino che mi attende, Katniss... Chissà se verrà a salutarmi? Ripenso alla scena di ieri, al suo “Non contarci Gale!”, allo sguardo stranito del ragazzo biondo. Ed è con un sospiro che raggiungo la stazione, mentre sento da lontano il fischio del treno che mi porterà verso il mio nuovo destino.

 

 

Spazio dell'autrice: Mi scuso infinitamente per ciò che ho scritto sulla Guerra, o meglio, per quello che non ho scritto, visto che le mie conoscenze in proposito sono davvero scarse. Ma soprattutto, questa è una storia d'amore e quindi non volevo soffermarmi troppo sulla guerra ecco.

 

Che ne dite del fatto che ho inserito un intero capitolo con il punto di vista di Gale? Vi piace o non vi piace?? Commentate per favore, così magari miglioro :)

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Capitolo 5
*** Febbr'eccitante (Prima parte) ***


I ragazzi innamorati: “Febbr'eccitante” (prima parte)
 


Kantniss POV (Punto di vista di Katniss):

Quando apro gli occhi il sole non si è ancora alzato e la mia stanza è ancora immersa nel buio. Sento Prim che si rigira nel letto accanto a me. Da sempre io e lei dividiamo un vecchio materasso sgangherato, sotto il quale è posizionato un vecchio asse di legno che lo rende decisamente poco comodo, ma almeno è un letto. Mi soffermo a pensare che in effetti, qui nel Giacimento ci sono famiglie non altrettanto fortunate, i cui figli sono costretti a dormire nei cassetti di qualche credenza o su una vecchia poltrona, se non addirittura per terra quando proprio va male. Il materasso fu un regalo che un commerciante di alimentari, tempo fa, fece a mio padre per ringraziarlo di averlo aiutato a salvare la figlia. E’ una storia molto toccante che mia madre raccontava a me e a Prim molto spesso, prima che lui morisse nella miniera. Dopo non ce l’ha più raccontata, anzi, non ha più voluto parlare proprio di niente che fosse riferito a nostro padre. Mi stropiccio un po’ gli occhi mentre mi metto ad accarezzare la testa di mia sorella, che si rannicchia più vicina a me per cercare il mio calore. Invidio un po’ il suo sonno tranquillo, perché io invece mi ritrovo spesso a non riuscire a chiudere occhio per via dei troppi problemi quotidiani da affrontare. Questo mi porta a pensare che la giornata sta per cominciare e inevitabilmente mi viene in mente che il treno di Gale partirà alle sei del mattino. Sempre se non è già partito, mi dico, visto che ora come ora non so di preciso che ora sia. A giudicare dal buio che c’è fuori dalla finestra, direi che dovrebbero essere all’incirca le quattro. In casa non ci sono orologi, se non un vecchio pendolo che sta nel soggiorno, che però credo sia rotto da anni. E’ un’altra delle cose di cui ho imparato a fare a meno. Mio padre sapeva sempre che ora fosse e anche io riesco a intuirlo facilmente ormai, un po’ grazie alla posizione del sole e un po’ grazie a quello che reputo il mio “fantastico e personalissimo” orologio biologico, che non mi tradisce quasi mai. So già che se ora mi tirassi su dal letto, Prim si sveglierebbe. Sembra un angelo mentre dorme, ma purtroppo il suo sonno, oltre ad essere angelico è anche molto leggero. E poi, perché dovrei alzarmi? Per andare a salutarlo alla stazione dopo che mi ha praticamente pugnalata alla schiena. Ieri avrei dovuto tirargli un bel pugno sul grugno, invece di uscire di casa e… Un altro nome e un altro viso fanno rapidamente breccia nella mia testa: Peeta Mellark! Se poco fa mi sentivo frustrata al ricordo del mio alterco con Gale, ora che mi torna alla mente la mia conversazione con il figlio del fornaio, non posso che sentirmi ancora più arrabbiata. Ci mancava anche lui, penso. Esattamente come ieri, non mi va affatto di stare in sua compagnia, perché il ricordo di quando salvò me, mia madre e Prim da morte certa, con un solo gesto, ancora mi riempie di vergogna per non essere mai corsa a ringraziarlo. Poco importa che lui pensi che “nel ricevere aiuto non ci sia nulla di male”… Non amo avere debiti con il prossimo. E questo ecco che mi riporta all’incidente della torta e al suo cappotto, che ora riesco a mettere quasi a fuoco, nella penombra sulla sedia accanto al letto. L’ho ripulito da crema e cioccolato come meglio ho potuto, finché non mi è sembrato che la macchina fosse sparita ho continuato a strofinare con ostinazione, mentre nella testa continuavo a rivedere il suo sguardo ricolmo di pietà. Anche mentre se ne stava seduto accanto a me e Prim, sono certa che abbia provato pena per mia sorella, così piccola e gracile e evidentemente mal nutrita. L’idea di rivederlo mi ripugna, ma adesso so che nel pomeriggio andrò a fargli visita per forza, almeno per recuperare la giacca di mio padre e rendergli indietro la sua. Già… Prima che pensi che sono una ladra o roba del genere. Sua madre è famosa per essere una tra i commercianti che odiano di più noi ragazzi del Giacimento, e ci metterei una mano sul fuoco sul fatto che sarebbe capace di uscirsene fuori con una storia simile: “quell’orribile perdigiorno ha derubato mio figlio, accalappiandolo con le sue moine”, già me la vedo sul piede di guerra, pronta a darmele di santa ragione con un bastone o chissà cos’altro quando ecco che arriva, inaspettato, uno starnuto. Alzo lentamente il busto poggiandomi sui gomiti ed ecco che un secondo starnuto segue a ruota il primo, poi eccone un terzo. Mi alzo lentamente per non svegliare Prim e mi dirigo verso la cassettiera che sta in fondo alla stanza. Apro un cassetto e cerco a tentoni un fazzoletto di stoffa. Arrivo giusto in tempo perché un ennesimo starnuto mi esplode nel naso. Ritorno rapidamente a letto, con i piedi gelati, per essere stati costretti a camminare scalzi sul pavimento freddo. Mia sorella è ancora nel mondo dei sogni quando io mi accorgo che, per fare quei quattro passi verso la cassettiera, mi sono completamente bagnata di sudore. Avverto anche un bruciore in fondo alla gola, che noto soltanto ora, perché mentre pensavo, non dovevo essermi svegliata ancora del tutto, probabilmente ero in quella sorta di bolla che è il dormiveglia e che soltanto gli starnuti sono riusciti a rompere. Poggio una mano sulla mia fronte e la trovo madida di sudore. Le ghiandole sotto il mio collo mi sembrano gonfie e sento un gran caldo, sebbene nella stanza faccia freddo, visto che il camino è ancora spento. Non voglio credere di avere la febbre fino a quando, un ora dopo, tossisco così tanto e così forte da svegliare Prim.  Sento mia madre avvicinarsi al nostro letto – Katniss, non stai bene nemmeno tu, vero? Io oggi sto un po’ meglio, quindi oggi ci penserò io a te – mi dice con il tono più sicuro che riesce a tirare fuori. Ci mancava soltanto la febbre. – Le medicine però temo siano finite. Le ultime che avevamo hai voluto che le prendessimo io e Prim. Proverò a prepararti una tisana con un’erba che so avere un effetto simile sperando che faccia effetto – aggiunge mentre mi stende una pezza di stoffa sulla fronte, dopo avermela tamponata per rinfrescarmi un po’. – Grazie – è l’unica cosa che dico, mentre vedo Prim alzarsi e seguirla in cucina – Non preoccuparti, oggi sto meglio anche io – dice, vestendosi con pochi movimenti veloci, rabbrividendo per il freddo che c’è nella stanza – le darò una mano a far guarire anche te –, poi sparisce dietro la porta. Rimango sdraiata a fissare il soffitto finché non inizia ad entrare luce dalla finestra. Manca poco alle sei. La stazione però non è lontana, se mi alzo adesso posso ancora farcela, penso. Gale starà scrutando la spoglia banchina della stazione, si starà chiedendo se andrò. Ieri gli ho detto chiaramente che non l’avrei fatto, però adesso mi accorgo che non c’è litigio che tenga. Lui è stato il mio migliore amico per anni, sarebbe stupido da parte mia non andare a salutarlo, perché alla fine, lui non mi deve niente. Ha fatto la sua scelta ed io in quanto sua amica dovrei rispettarla. La rabbia però non se n’è andata, ha solo lasciato posto ad un sentimento nuovo: la paura. Mi rigiro nel letto, emettendo colpi di tosse quasi ogni cinque secondi, mi sento un rottame ma inizio a provare un terrore profondo per il distacco da quel ragazzo bruno che, non può, non deve andarsene via, senza sapere che, nonostante tutto, gli voglio bene. I sentimenti che provo sono così contrastanti che, forse complice la febbre, decido che non mi importa più di niente. So soltanto che adesso ho deciso di andare alla stazione. Così mi alzo e lentamente mi sfilo il pigiama e indosso i vestiti che ieri sera avevo appoggiato accanto al letto. Mi pettino rapidamente i capelli con le dita e li raccolgo in una treccia. So che mia madre non mi permetterebbe mai di uscire in queste condizioni, per non parlare della ramanzina che mi farebbe Prim! Così non ci penso due volte ad uscire dalla finestra, per non farmi vedere. La mia giacca però e nel soggiorno, così decido di utilizzare quella del ragazzo del pane. Mi sta larga ma almeno mi copre e tra l’altro, oltre ad essere calda, sento distintamente che profuma di buono. Non mi soffermo troppo a pensare di che cosa sappia, ma il suo calore e il suo profumo mi riempiono le narici infreddolite, mentre il pensiero del treno che sta per partire, mi porta ad accelerare l’andatura.



Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):


Ho indosso il cappotto di mio fratello e il pensiero di dove si trova il mio in questo momento, mi fa sentire le farfalle nello stomaco. Camminiamo all’incirca per cinque minuti prima che mio padre si volti a fissarmi dritto negli occhi. La sua curiosità traspare perfettamente dal suo viso: - Allora – comincio – ieri sono andato a consegnare la tua torta come ogni anno – mi blocco. Mio padre si mantiene in rigoroso silenzio. E’ così diverso da mia madre. A lui non servono le parole per farmi capire quello che vuole. Proseguo raccontandogli l’episodio della torta e poi mi soffermo sul mio colloquio con Katniss. – Sai, loro vivono privandosi di molte cose, la loro casa è spoglia e molto più modesta della nostra, ma mentre ero lì ho provato una strana sensazione di calore che nemmeno qui… - confesso mentre mio padre si siede appoggiandosi ad un muretto ed io lo imito. Lo vedo passarsi una mano sulla testa, lo sguardo perso chissà dove. Mi pento subito di quelle parole, perché mi rendo conto che potrebbero risultargli offensive, ma mio padre non si lamenta, né alza la voce per rimproverarmi, dice soltanto: - Avrei voluto offrirti lo stesso –fa una pausa poi si gira nella mia direzione e butta fuori un lungo sospiro: - Sì, Peeta, io mi rendo perfettamente conto che la nostra bella casa è piena soltanto di inutili ninnoli e brutti ricordi, credimi figlio mio, avrei voluto che le cose andassero diversamente. Non c’è cosa più importante al mondo del calore di una famiglia, dell’amore di una donna che ti sorride appena i vostri occhi si spalancano al mattino… Ti auguro che tu un giorno possa provare un calore simile…-
Il suo discorso mi lascia letteralmente spiazzato mentre una folata di vento freddo ci investe, quasi a volerci riportare al presente, o almeno a riportarci mio padre. Ignoro totalmente quali siano stati i suoi trascorsi giovanili in fatto di gentil sesso, so soltanto che ha amato con tutto se stesso una sola donna e quella non è mia madre.  

 

- Papà io – tento di rispondere, senza sapere bene che cosa dire. Lui mi spiazza ulteriormente con una semplice domanda sussurrata nel vento: - Tu la ami, Peeta? –

- Sì - Non ci penso, rispondo soltanto.

Allora lui mi sorride e mi dà una sonora pacca sulla spalla. Ci alziamo e ci incamminiamo verso la piazza, per andare finalmente a consegnare un sacchetto di pane. Stiamo quasi rincasando quando torniamo a dialogare tra noi. Sono io a rompere il silenzio imbarazzato che mi opprime: - Lei deve venire a trovarmi oggi – confesso.
 

Mio padre non dice nulla neanche stavolta, mi trascina soltanto per un braccio e in pochi istanti, abbiamo di nuovo cambiato direzione. Penso, preoccupato, che si sta facendo tardi e che vorrei tornare subito a casa, ma mio padre sembra risoluto e così ci dirigiamo al mercato. Resto senza parole quando lo vedo rivolgersi al fruttivendolo più caro della città e chiedere delle arance, per poi acquistare subito dopo una cesta piena di verdure di ogni tipo, patate, funghi… Infine ci dirigiamo dal macellaio e mio padre gli chiede un costassimo filetto di maiale, che se ben ricordo, l’ultima volta, devo averlo mangiato per festeggiare il diploma di mio fratello maggiore Kurt ( e cioè: un evento più unico che raro!).  – Papà, che stiamo facendo? E i soldi? Come lo spieghiamo alla mamma? Perché hai comprato tutta questa roba? –
Ho le braccia piene di sacchetti stracolmi di ogni tipo di alimenti, compreso un sacchetto di stoffa ricamata all’uncinetto contente caramelle alla menta e liquirizia. Lui invece trasporta “il grosso” della spesa, visto che ha in mano una cassa piena di frutta e verdura. Mi sorride. – Peeta, a volte nella vita bisogna fare qualche pazzia e in questo modo si finisce per rischiare di essere felici. Niente pazzie, niente felicità –

 

Lo fisso stranito, non sapendo se rallegrarmi o preoccuparmi per le conseguenze di tutto questo. – Ma papà – replico subito, pieno di ansia – in effetti lei dovrebbe venire a portarmi il cappotto ma non credo che accetterebbe di restare a cena. E’ molto orgogliosa sai.. e poi la mamma?! – insisto, esternando ciò che più mi preoccupa. Ieri sera, quando ho fatto ritorno a casa, mi sono detto che avrei fronteggiato mia madre e non le avrei permesso di impedirmi di vederla. Ora però, che ho le braccia cariche di quella che, a occhio e croce, è la spesa più costosa della mia vita, sento che mi sale un terrore profondo. Anzi, più che terrore è imbarazzo. Non mi sono mai sentito così vulnerabile. Già me li vedo Perry e Kurt che si piegano in due dalle risate mentre Katniss mi sbatte la porta in faccia dopo avermi tirato addosso il cappotto. Anche se ho avuto modo di parlarle per la prima volta soltanto ieri pomeriggio, credo di conoscerla abbastanza per sapere che se la invitassi a cena a casa mia, non accetterebbe mai. Per di più sia io che mio padre sappiamo bene che la mamma farebbe fuoco e fiamme, per cui mentre cammino verso casa, non posso fare a meno di sentirmi sempre più in ansia e sempre più confuso dall’atteggiamento del mio genitore.     
Quando siamo ormai nel retrobottega posiamo ogni cosa su un tavolo e ci mettiamo ad ascoltare i rumori provenienti dal negozio. La mamma sta servendo una donna anziana con la quale chiacchiera sempre di abiti e gioielli. Questo la terrà occupata per un po’, penso, mentre mi rivolgo di nuovo a mio padre, sottovoce: - E adesso? Vuoi dirmi finalmente che cosa vuoi che faccia con tutta questa roba? –

 

Mio padre, mi dice solamente di stare al gioco, di rispondere sì ad ogni sua domanda senza aggiungere altro. Il mio cuore inizia a martellarmi all’impazzata quando lo vedo raggiungere e chiamare mia madre, che per l’interruzione gli lancia subito uno sguardo irritato, mentre la vecchia signora è costretta a lasciare in sospeso la sua spiegazione sul velluto più charmant che abbia mai visto.  – Che c’è adesso? – è il commento seccato di mia madre. Che vuole fare? Forse mio padre vuole dirle ogni cosa? Sta per dirle del mio amore impossibile e mi sta consegnando al mio carnefice? No, non sarebbe da lui. E tutti quei bei discorsi poi, dove andrebbero a finire? Ho il cuore in gola e le mani strette a pugno. Sono così teso che riesco ad ascoltare soltanto la fine della loro breve conversazione mentre vedo mia madre esplodere. Istintivamente mi ritraggo quando lei si avvicina pericolosamente a me, gridando come suo solito.


Katniss’POV (Punto di vista di Katniss):

Sto male. I miei piedi obbediscono e avanzano uno dietro l’altro lungo la via, ma sento le gambe dure come se fossero di legno. Mi costringo a continuare perché so che ormai soltanto poche decine di metri mi separano dalla mia destinazione. Ormai ho raggiunto la stazione. Tossisco, inspiro profondamente dal naso e poi li vedo: Gale sta abbracciando una ragazza dai capelli lunghi e biondi, ben vestita, che a sua volta lo stringe forte a sé.  Devo essere in ritardo, perché ormai lui è già con un piede sulla scaletta del treno. Si scioglie dall’abbraccio di lei, non prima di averle dato un leggere bacio su una guancia, dopodiché afferra la sua valigia e sparisce nello scompartimento di destra. Le mie gambe stanche si afflosciano e mi ritrovo in ginocchio a fissare il treno che se ne va. Da questa distanza non credo mi abbia vista, nascosta com’ero dalla foschia del mattino e da un cespuglio di ribes che spunta proprio ai lati della strada. Mi ci sono tuffata non appena li ho visti. Mi alzo soltanto quando sento che il treno è ormai partito, non mi volto perché non voglio vedere in viso la ragazza che sono certa essere ancora lì a sventolare il suo fazzolettino bianco, in stile “perfetta mogliettina”. E mi sento una stupida mentre sento la gola andarmi a fuoco e avverto il mondo girare attorno a me. Mi avventuro verso casa, mentre un vento freddo si insinua in profondità nelle mie ossa. Sto per dirigermi verso il Giacimento quando l’odore di buono che mi accompagna, mi ricorda anche il mio secondo impegno della giornata. So che dovrei tornare subito a letto, perché le mie condizioni, credo siano peggiorate. Per di più vorrei soltanto gettarmi sotto le coperte e sfogare la rabbia e la tristezza che adesso sembrano invadermi da capo a piedi. Tuttavia una voce dentro di me, mi dice che adesso voglio andare a trovare il ragazzo del pane e restituirgli il cappotto, perché sono stanca di sentirmi in debito e perché da questo momento in poi ho deciso che non mi appoggerò mai più a nessuno. Mi arrangerò. Ce la posso fare benissimo da sola, non ho bisogno neanche delle cure di mia madre, so badare a me stessa. Gale è un’idiota se crede che morirò di dolore per la sua partenza. Devono essere quasi le sette quando mi ritrovo di fronte alla Panetteria dei Mellark, con la fronte madida di sudore e la sgradevole sensazione di avere un incendio acceso nella gola. Il negozio è già aperto, quindi mi basta spingere la porta e un sonoro dling-dlong annuncia la mia entrata. Il calore di questo nuovo ambiente mi rincuora e riesce a fermare il tremito del mio corpo. Soltanto ora mi rendo conto che stavo letteralmente battendo i denti dal freddo, eppure mi sento così calda… La testa mi gira e mi sento la lingua asciutta, così come gli occhi, che sbatto ripetutamente per inumidirli. Fatico perfino a tenerli aperti ormai. E mentre aspetto che qualcuno mi venga incontro, non posso fare a meno di sprofondare su uno sgabello che sta accanto al bancone. I miei occhi si chiudono, sono pesanti. Non arriva nessuno. Penso che potrei semplicemente lasciare qui il cappotto e tornare a casa, ma il pensiero dell’aria gelida che c’è fuori mi impedisce di attuare questa mossa. Per di più non posso certo andarmene prima di ricevere indietro la giacca di mio padre! Non so bene come, ma su quello sgabello sento che il sonno mi coglie ed io, del tutto impreparata, mi addormento.

 

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Spazio autrice: Cosa sarà successo a Peeta? Perché Katniss non trova nessuno ad attenderla? Vi piacerebbe sapere che cosa ha pensato Gale quella mattina?  Ok, ok, così sembra quasi che io stia scrivendo un romanzo giallo o che – peggio!- si tratti di una sorta di telenovela! Forse non si discosta molto da una soap, tuttavia l’intento sarebbe più scrivere una semplice ma appassionante storia d’amore. Comunque, nel prossimo capitolo cercherò di farvi avere tutte le risposte e molto di più :) Se vi piace o anche se non vi piace, lasciate un commento, ve ne sarei grata. Anche le critiche sono costruttive! Perdonate gli errori di battitura che sicuramente saranno presenti!  :) a presto!
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Febbr'eccitante (seconda parte) ***


 I ragazzi innamorati: “Febbr-eccitante” (seconda parte)


(Punto di vista di Peeta):
 


Mia madre grida al mio indirizzo parole che non capisco. Mio padre mi ha chiesto di non aggiungere nulla, di annuire soltanto, per cui, quando lei scoppia quasi in lacrime e mi stringe forte in un abbraccio mozzafiato, resto paralizzato. – Peeta! Oh finalmente ti sei dato una mossa! Nostro figlio ne ha fatta una giusta! – esclama con voce quasi trionfante mentre continua a strapazzarmi tutto. Lancio uno sguardo interrogativo a mio padre. Sto per dire qualcosa quando lui mi precede, rivolgendosi a sua moglie: - Tesoro adesso però dobbiamo lasciare spazio ai ragazzi. Che ne dici se telefoniamo a tua sorella e le chiediamo di ospitarci da lei fino a domani? Non dici sempre che vuoi andarla a trovare? Così daremo modo a loro due di conoscersi. Al negozio ci penserà Peeta, è capacissimo di farcela da solo. Perry e Kurt possono venire con noi – , mia madre replica subito: - Si, ma non vorrei che Peeta combinasse qualche disastro, non è poi così bravo come dici! E poi non credi sarebbe inopportuno lasciare da soli due ragazzini così giovani e inesperti?!-
Mio padre sorride a quel commento e aggiunge: - Sono soltanto ragazzi! E poi il nostro Peeta non è certo quel tipo di persona, figuriamoci –
Mia madre però non sembra convinta: - Dicono tutti così! Ma l’occasione fa l’uomo ladro, diceva sempre mia nonna! E poi c’è ancora quella storia che gira!–

 

- Quale storia? – domanda subito mio padre

- Ma come quale storia? Peeta ha insediato una donna sposata! Lo sanno tutti in paese ormai. La signora Trumphbell avrà passato un momento terribile quando quelle voci sono state messe in giro! – poi si rivolge a me – spero che tu abbia fatto tesoro della strigliata che ti ho dato quella volta! – rabbrividisco al ricordo. Per di più so che non c’era niente di fondato in quelle voci, e questa è forse la cosa che mi fa più male, assieme al fatto che nessuno in casa mia, mi ha mai creduto. Almeno, tutti tranne mio padre che adesso infatti replica: - Che dici Rosmary! Ancora con quella storia?! Lo sai benissimo che non c’è nulla di vero!-

Li vedo battibeccare a lungo, ancora senza riuscire a comprendere del tutto. Capisco solo  che mio padre ha intenzione di lasciarmi da solo a casa, portarsi via mia madre e i miei fratelli. Ma perché? E quel discorso: “il nostro Peeta non è così!” Che c’entra adesso la signora Trumphbell?
Fino a poco fa pensavo che mia madre mi stesse venendo per darmi qualche ceffone, poi il giubilio, la gioia nei suoi occhi, e adesso questa assurda discussione. Sono tentato di andarmene quando mio padre mi chiede: - E’ vero che la ami? –
Mi si blocca il respiro mentre gli occhi di mia madre si fissano su di me, rapaci, proprio come quelli di un falco che sta per fiondarsi sulla sua preda non appena questa compie un passo falso. Mi mancano le parole. Poi vedo mio padre fare di “sì” con la testa, mentre mia madre non può vederlo perché sta guardando me. Ricordo la sua raccomandazione e così mi arrischio a dire semplicemente di sì. Mia madre però non sembra ancora soddisfatta. – Sì, ho capito! Ma lei che cosa ti ha detto?- chiede con veemenza. Adesso sono davvero in alto mare. Di chi parlano? Della Trumpbell? Di Katniss? Non può essere un discorso riferito a Katniss… non avrebbe alcun senso, mia madre di certo non ne sarebbe felice!
Interviene mio padre: - Lei ha detto che non vede l’ora di conoscerti meglio, non è così Peeta? – io annuisco con la testa, sorridendo debolmente, pregando che quello che sto facendo sia la cosa giusta. Non oso aggiungere altro. Sento mia madre esplodere in gridolini acuti e melensi. Adesso però sto scoppiando, devo assolutamente riuscire a capirci qualcosa. Lancio un muto grido d’aiuto a mio padre, che per mia fortuna, lui coglie al volo. – Si! Madge Undersee è venuta giusto stamattina, prima che ti svegliassi. Stamattina ti sei alzato tardi se ricordi. In questo periodo dovrebbe esserci scuola ma tu sei a casa per dare una mano dato che i tuoi fratelli si sono presi l’influenza. Oggi Madge è venuta poco prima di andare a scuola per portarti gli appunti delle lezioni che hai perso la scorsa settimana. E’ rappresentante di classe, ma credo che l’avrebbe fatto comunque per te, ti trova “carino e simpatico”, parole sue! Per cui, visto che si è offerta molto gentilmente di aiutarti a rimetterti in pari con il programma, le ho detto che poteva venire nel pomeriggio e magari fermarsi a cena – spiega.
La rivelazione di mio padre mi provoca sconcerto, stupore e un misto di orrore d incredulità. Quindi tutta quella roba non era per Katniss, ma per Madge!, penso.
 Madge Undersee è la figlia del sindaco della nostra città. Non è una cattiva ragazza, né tantomeno brutta, anzi, potrei dire che è davvero molto carina. Ha i capelli biondi e lunghi che le ricadono sulla schiena, due occhi vispi e molto dolci. Non è una gran chiacchierona ma quando vuole sa il fatto suo. A Madge non piace circondarsi di molte persone, quelle poche che frequenta le sceglie con cura. Questo mi riporta al presente e al fatto che mio padre ha appena tentato di convincere mia madre ad andare a trovare zia Clotilde almeno fino a domani, per lasciarci soli. Non ha alcun senso! Anche se fosse come dice mio padre, perché mai loro due dovrebbero andarsene? Non sarebbe molto più normale se Madge cenasse assieme a tutti noi e mia madre si mettesse subito a preparare la tavola con il servizio “buono” per le grandi occasioni, i fiori come centrotavola e quant’altro? Mio padre sa che so cucinare, ma non ai livelli del tacchino arrosto di mia madre con le patate in agrodolce o del suo filetto di maiale. Perché vuole lasciarci soli? E finalmente capisco: o meglio, inizio forse ad intuire che cosa mio padre ha tentato di dirmi per tutta la giornata. Io e lui abbiamo parlato di Katniss, sa che oggi verrà da me e forse sa anche qualcosa di più perché è da quando mi ha chiesto di fare due passi che lo trovo più strano del solito. Mio padre ha quello sguardo serio ma composto, lo stesso che ha quando nel gioco degli scacchi riesce a vedere due o tre mosse in avanti rispetto al tuo avversario. Me l’ha insegnato lui: il bello di quel gioco è proprio riuscire a capire la prossima mossa dell’altro. Cosa vedi adesso papà? Che dovrei fare? E’ ovvio che vuole mettere in scacco mia madre. Allora è Katniss che verrà qui a cena?

 

- Quindi tu non sapevi ancora niente? – è mia madre a smorzare il flusso incessante dei miei pensieri. Mi fissa. – E adesso che lo sai, non pensi che tuo padre si sia del tutto ammattito a volervi lasciare soli, due ragazzini in casa senza genitori e senza controlli, per di più con la tua reputazione! – mi sbraita contro.

- Adesso stai di nuovo esagerando Rosmary! – la rimbecca mio padre. Il viso di mia madre prende la tonalità del rosso accesso. In 17 anni di vita non avevo mai assistito ad una cosa del genere: mio padre che alza la voce?

- Se ci pensi bene si tratta soltanto di fare qualche compito assieme… - le spiega, poi abbassa la voce e le si avvicina per parlarle nell’orecchio: - e poi se vuoi che la preziosa figlia del sindaco si prenda una vera cotta per nostro figlio, non credi sarebbe sbagliato restare? Con noi attorno si sentirebbe sotto pressione e in imbarazzo. Non ti ricordi quando avevamo la loro età? Prova a metterti nei suoi panni! E’ un’occasione unica! Fidati di me: meglio lasciarli soli. Peeta la conquisterà e sarà sistemato per sempre…Noi saremo sistemati per sempre –

Sebbene stia sussurrando riesco chiaramente a leggere il labbiale, ma ora sono sicuro che stia cercando in tutti i modi di convincere mia madre e che quello che dice in realtà non sia vero. Non può esserlo.
Mia madre emette un lungo sospiro, mi soppesa con lo sguardo e poi si rivolge a mio padre: - Arold vai a fare la valigia, svelto! Io vado a chiamare Zoe e mi faccio noleggiare una carrozza! Dillo tu ai ragazzi-
La schiena di mia madre scompare mentre si lascia chiudere la porta del negozio alle spalle. E’ uscita a cercare uno stalliere. Non ci sono molte auto nella nostra città, e la nostra famiglia, pur stando bene economicamente, non può certo permettersene una. Gli unici mezzi con i quali ci muoviamo sono il treno, la bicicletta e a volte una carrozza trainata da un paio di vecchi cavalli. Per andare a trovare zia Clotilde, la carrozza è il mezzo più veloce e meno costoso.
Sono esterrefatto. Sta succedendo davvero?

 

- Peeta, vieni di sopra con me – mi dice mio padre, facendomi un largo sorriso.

- Papà, mi vuoi dire cos’hai in mente? –

- Tra un attimo lo scoprirai – risponde e mi dice di seguirlo.

Gli tengo dietro percorrendo le scale che portano al piano di sopra, gradino dopo gradino, con il cuore a mille e un’ansia così profonda che mi divora. Quando apre la porta della mia stanza e mi invita ad entrare non posso fare a meno di fissarlo con sguardo confuso, finché il mio sguardo non si posa sul letto: - Katniss! –


Katniss’ POV (Punto di vista di Katniss):


Sto correndo nel bosco accanto a laghetto insieme a mio padre. Poi un forte boato viene a rovinare la bella giornata di primavera, carica di luce e sole. Mi sento ricoprire di cenere. E’ come se un enorme vulcano avesse appena eruttato lava bollente e adesso mi stesse colando addosso. Non trovo più mio padre, la cenere nella mia bocca mi soffoca, la gola mi brucia…

 

- Katniss – sento una voce che mi chiama, ma non è la sua. Dove sei papà?  - Katniss! – e allora mi sveglio.

Quando apro gli occhi, davanti a me c’è il fornaio, il signor Arold Mellark, che mi fissa con sguardo benevolo da quei due angoli di cielo che sono i suoi occhi azzurri. Mi rendo subito conto della situazione: sto seduta sul suo sgabello, sicuramente ho un aspetto orribile perché mi sento veramente male. Ho la fronte sudata e i capelli appiccicaticci. Quando provo a scusarmi la voce mi esce graffiata, come se le mie corde vocali fossero state annodate. – Signor Mellark! – dico. Vedo che si china verso di me, mi appoggia una mano sul viso e sente che scotto. – Signor Mellark – ripeto – tentando di riacquistare un po’ di voce – mi scusi, io non volevo disturbare, ma suo figlio ha lasciato da me il suo cappotto ieri… -
L’uomo mi fissa con sguardo indecifrabile, così continuo – si era sporcato per colpa mia. Sa, ho distrutto la sua torta. Mi dispiace. Era per mia madre vero? Vorrei ringraziarla, ma voglio anche che sappia che noi non abbiamo bisogno di una torta ogni anno… -
Non so nemmeno io perché mi sono messa a tirare fuori questa storia proprio adesso. In fondo, se vuole regalarle una torta, chi sono io per impedirglielo? Solo che, visto di quante cose abbiamo bisogno, mi sembra un tantino superfluo come regalo… Vedo il fornaio arrossire e solo adesso mi accorgo che forse non avrei dovuto parlare ad alta voce. Se sua moglie sentisse potrebbe essere un grosso problema, visto che non credo sia al corrente di questa storia.  – Mi scusi – dico subito, ma lui mi aiuta ad alzarmi, mi sfila il cappotto e mi dice di non preoccuparmi. A quanto pare non sono ancora le sette e in casa dormono tutti visto che a sfornare il pane ci pensa lui. Più tardi verrà raggiunto dalla moglie e dai figli. Li vedo spesso servire i clienti quando Prim mi trascina a guardare le torte decorate nella vetrina del suo negozio. Un paio di volte ho anche sorpreso Peeta a guardarmi. Sono certa abbia pensato che eravamo troppo povere per comprare qualsiasi cosa. Ho sempre distolto lo sguardo perché non avrei sopportato di leggere nel suo altra compassione o sdegno. Anche se, quella notte, la notte in cui mi lanciò il pane, in quelle iridi azzurre, credo di aver letto soltanto tristezza. Mi sento fuori posto qui, davanti a quest’uomo così sobrio e gentile se ripenso a come mi trattò sua moglie.

 

- Bene – dico sentendomi la testa sempre più pesante e le gambe molli – io ora tolgo il disturbo –

Non voglio restare un momento di più. – Dica a suo figlio se può portarmi indietro la giacca di mio padre, per favore. Lo aspetto –
Faccio per andarmene quando le gambe mi crollano e finisco in ginocchio sul pavimento. Sento le braccia del fornaio che mi sollevano.

 

- Ehi! Aspetta! Non crederai che ti lascia andare a casa così! Tu scotti e per di più voglio che tu sappia che non arrechi nessunissimo disturbo. E’ un piacere per me averti qui in casa mia. Conosco bene tua madre e beh…conoscevo anche tuo padre – confessa mentre mi aiuta a sedermi di nuovo sullo sgabello. La sua rivelazione mi lascia senza parole. – Lei e mio padre eravate amici? – tutto ciò che ricevo come risposta è un sorriso sincero, velato soltanto da un po’ di tristezza.

- Si sta alzando il vento – dice – e tu non sei nelle condizioni di muoverti a piedi fino a casa. Vorrei accompagnarti ma so che tra pochissimo la mia famiglia si alzerà ed io devo comunque finire di sfornare del pane… -

Lo fisso imbambolata cercando di capire dove vuole arrivare. Perché si preoccupa tanto?
 

- Quindi adesso tu vai di sopra e ti sistemi nella camera degli ospiti finché tutti non saranno scesi. Però mi raccomando: conosci mia moglie, sarebbe meglio non farle sapere che sei qui – conclude.

Quello che dice è semplicemente assurdo. Perché dovrei fermarmi qui? Mia madre e Prim presto si accorgeranno della mia assenza e si preoccuperanno. Avevo intenzione di andare e tornare in tempo per non farmi beccare. Poi Gale e quella ragazza…e la mia decisione di riportare il cappotto… Non ha senso! Voglio tornare a casa! Quest’uomo ha un’aria strana, mi scruta quasi divertito ed io non so di preciso che cos’abbia in mente, e non mi importa.
 

- Mi spiace ma io devo proprio tornare a casa – dico risoluta e mi alzo di nuovo. Non voglio avere a che fare con questa famiglia. Non voglio vedere nemmeno Peeta. Esco incurante delle parole dell’uomo che tenta in tutti i modi di convincermi a restare. Cammino lentamente e sento l’aria gelida insinuarsi tra le pieghe del mio maglione. Il cappotto l’ho lasciato sullo sgabello e adesso sento le mie braccia tremare quasi quanto le mie gambe. Devo aver percorso appena una decina di metri quando mi ritrovo nuovamente per terra, piegata sulle ginocchia in preda al tremore.

Un cappotto caldo, due braccia forti e l’odore del pane appena sfornato sono tutto ciò che ricordo prima di ripiombare di nuovo nel sonno.

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Spazio autrice: la storia ormai ha preso una piega particolare. Nel caso non vi piacesse molto ho un avvenimento alternativo in mente. Io sono fatta così, ho cento idee e vorrei scriverle tutte, ma richiederebbe molto più tempo e molta più fatica... Spero che almeno questa vi piaccia. Se la trovate troppo inverosimile ditelo :) se la trovate noiosa perché ancora non si arriva al "dunque" beh...ditelo pure, ma ci vuole pazienza :P







 

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Capitolo 7
*** Febbr'eccitante (Terza parte) ***


Febbr'eccitante (Terza parte):

 

Peeta's POV (Punto di vista di Peeta):

Fisso imbambolato la ragazza bruna sdraiata sotto le coperte del mio letto. Sbatto più volte le palpebre. Sono ancora qui a chiedermi se non sia la mia immaginazione che mi fa un brutto scherzo, quando mio padre mi invita a seguirlo nella stanza. Entriamo e ci chiudiamo la porta alle spalle. - Katniss – mi esce dalla bocca quasi in un sussurro. - E' arrivata stamattina- esordisce mio padre - quando ancora dormivate tutti. L'ho trovata addormentata sullo sgabello che sta vicino al bancone, frebbricitante. Voleva tornarsene a casa ma mi è praticamente svenuta tra le braccia – spiega. I miei occhi guizzano da tutte le parti: sul letto, sul viso di mio padre, verso la porta, sul viso di lei che mentre dorme sembra così tranquilla che mi risulta difficile credere sia la stessa ragazza impetuosa che ho conosciuto solo ieri. - Ma...ma....- balbetto mentre realizzo finalmente il piano di mio padre. Mille domande si fanno strada dentro di me. Comincio da quella che per prima riesco a tirar fuori: - ma come hai fatto a nasconderla...cioè, voglio dire, dov'era stamattina? Ero in camera mia e poi siamo usciti assieme io e te...? -

Mio padre sembra divertito dal mio stupore. Sta per rispondermi quando un grido si leva dal piano di sotto: - Arold! Mia sorella ci aspetta per l'ora di pranzo! Muoviti a preparare la valigia! -

Lo sento emettere un sospiro mentre esce dicendomi – aspetta che tua madre sia salita in carrozza e poi prova a svegliare Katniss. Le ho dato una medicina per far scendere la febbre e credo che tra un po' si sveglierà con una fame da lupi – sorride - ai tuoi fratelli ci penso io -

E così mi ritrovo solo nella mia stanza, con la ragazza che da tempo non faccio che osservare da lontano. Mio padre l'ha pensata bene. Chissà che grosse risate sotto i baffi si sarà fatto mentre passeggiavamo. Lui sapeva tutto fin dal principio, mi dico, ma ha voluto esserne sicuro al cento per cento, per questo mi ha chiesto quelle cose. Avverto in lontananza lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli che annunciano l'arrivo della carrozza. Sento mia madre rimproverare Kurt che, controvoglia si trascina a fatica giù dalle scale. - Zia Clotilde no...ti prego! L'ultima volta ci ha fatto recitare le poesie come se avessimo ancora 5 anni... - lo sento protestare. Il rumore che segue è quello di un sonoro ceffone, che presumo mia madre abbia tirato al suo indirizzo. Osservo Katniss. Ha ancora gli occhi chiusi. Dorme rannicchiata come una bambina: un ginocchio piegato, un braccio avvolto intorno al mio cuscino, del tutto incurante rispetto a quello che le succede attorno e del caos che è scoppiato al piano di sotto. Osservo le sue labbra, sembrano screpolate. Mio padre le ha messo una pezza umida sulla fronte. Mi avvicino esitante al mio letto, sedendomi in un angolo. Con delicatezza le scosto una ciocca di capelli dalla fronte, prendo il fazzoletto di stoffa e lo immergo in una bacinella che mio padre ha posizionato sul comodino, ricolma di acqua fredda. La strizzo per bene e poi, dopo averle sfiorato delicatamente la fronte con una carezza per saggiarne la temperatura, gliela torno a mettere. E' ancora parecchio calda. La sua pelle sembra ancora più bollente al tocco delle miei mani fredde. La fisso estasiato per un momento e poi mi dirigo deciso verso il mobile nel quale tengo calzini e altri vestiti. Lì so che dovrebbe esserci un termometro e infatti lo trovo senza fatica. Torno a sedermi sul letto col termometro tra le dita e in quel momento realizzo che, se dorme, non posso riuscire a provarle la febbre. Indossa un maglione di lana che la fascia fino al collo e non posso certo aprirle la bocca e ficcarci dentro il termometro senza rischiare di svegliarla. Mi dico che forse farei bene a toglierle il maglione quando qualcuno apre la porta della mia stanza.


 

Gale's POV (Punto di vista di Gale):

L'orologio da taschino che ho in mano segna quasi le sei. Il treno è arrivato in anticipo, ma ho chiesto al macchinista di aspettare qualche minuto in più. Dove sei Katniss?Davvero non verrai?, penso mentre cammino avanti e indietro sulla banchina. Un cielo grigio e vuoto mi circonda, sento un vento freddo arrivare da nord, mi scompiglia i capelli e rabbrividisco. Decido che se continuo a fissare il quadrante di quest'orologio, le lancette finiranno per consumarsi, così lo metto in tasca e sospiro. Apparteneva a mio padre, ricordo. E' forse l'unica cosa veramente preziosa che c'è rimasta di lui e mia madre non ha mai voluto darlo via, nemmeno nei momenti peggiori, quando le nostre pance reclamavano disperatamente un pasto caldo. Passa un'altra manciata di minuti che mi sembrano eterni. Vedo il macchinista venirmi incontro dicendo: - Spiacente ragazzo ma dobbiamo partire, ti concedo altri cinque minuti - sorride amichevole e poi fa dietro front. A questo punto credo proprio che non verrà, mi dico mentre afferro la valigia. Proprio mentre sto per salire, una voce femminile mi raggiunge: - Gale! Gale! Aspetta! - il mio cuore si mette in moto e inizia a martellarmi nel petto, ma soltanto per un istante, perché non impiego molto a capire che quella voce non è la sua. Infatti, quando mi volto verso la banchina, davanti a me trovo una ragazza bionda dagli occhi di un marrone ocra inconfondibile. - Madge! - mi esce dalla bocca in quello che sembra più uno sbuffo che un'esclamazione di felicità. La figlia del sindaco in persona è qui davanti a me con uno sguardo inspiegabilmente triste. - Gale! - mi dice – E' terribile che tu stessi partendo e io non ne sapessi nulla. Se non fosse stato per una banale coincidenza, non sarei potuta venire qui a salutarti – mi rimprovera.

Ora che la osservo meglio sembra quasi imbronciata, mi punta il dito contro e le si arrossano le guance mentre prosegue in quella che è chiaramente una ramanzina – promettimi che mi scriverai! Promettilo! - . La guardo stupito perché proprio non mi aspettavo che Madge Undersee tenesse in qualche modo al sottoscritto, ma la ringrazio. - Mi spiace Madge. Spero di rivederti presto – le dico mentre ci salutiamo con un abbraccio. Sento che sorride mentre io guardo oltre le sue spalle e mi sciolgo velocemente dall'abbraccio. Madge mi fissa un po' stupita dalla rapidità con cui l'ho allontanata. - tutto bene? - mi chiede. Mentre ci penso so che la risposta esatta sarebbe no. No, non sto affatto bene, perché sono quasi certo di aver visto Katniss laggiù. Poi mi dico che in realtà devo essermela immaginata, anche se quella treccia di capelli, quegli occhi, non li confonderei con nessun'altra al mondo. Scuoto la testa sperando inutilmente di poterla liberare dai fantasmi che la assillano. Getto un'ultima occhiata in direzione dei cespugli di ribes che circondano la strada che porta alla stazione, ma non vedo niente. Così volto le spalle a Madge dopo averle indirizzato un ultimo e fugace saluto. Salgo sul treno e non mi volto. Non appena ho posato le mie cose nello scompartimento, sento il rumore di motori che si accendono e i vetri dei finestrini che cominciano a vibrare. Stringo le mani a pugno mentre inspiro profondamente e l'odore della polvere dei sedili di cuoio mi riporta al presente. Il treno parte fischiando e mi allontano sempre di più da quella che è stata la mia casa per ben diciotto anni. Prometto a me stesso che tornerò dalla mia famiglia il prima possibile, che farò di tutto per aiutarli e proteggerli. E poi mi dico che forse avere la mente impegnata laggiù non sarà un male. Essendo distante da lei diversi chilometri, forse riuscirò a fare chiarezza nel mio cuore riguardo a quello che provo per Katniss. Mia madre mi ha sempre detto che “la lontananza è come il vento. Spegne i fuochi piccoli ma accende quelli grandi. Quelli grandi” [cit. Domenico Modugno]. Insomma, è il modo migliore per renderti conto di quanto di mancano le persone e quanto sono importanti per te. Sorrido e con questa certezza nel cuore mi sento finalmente pronto a ricominciare.


 

Peeta's POV (Punto vista di Peeta):

Ho quasi un infarto quando vedo la porta spalancarsi. Mi rilasso immediatamente quando scopro che è soltanto mio padre che torna a salutarmi. Mi dice che sono tutti già pronti e mi chiede di aprire la mani per poi lasciarci cadere dentro una manciata di caramelle di zucchero che deve aver preparato con la roba che usiamo per le torte. - Nel caso avesse di nuovo mal di gola. Ho visto che le piacciono parecchio -. Io annuisco senza dir nulla. Il termometro è finito per terra, mi è scivolato per lo spavento e adesso un liquido argenteo macchia il tappeto bianco che sta ai piedi del letto. Mio padre non se ne cura, mi fa appoggiare le caramelle sul comodino e mi chiede di scendere solo un momento perchè mia madre vuole farmi le ultime raccomandazioni. So già che sarà l'ennesima lavata di capo. Lancio un fugace sguardo a Katniss prima di scendere assieme a lui. Mia madre mi strilla subito di raggiungerla e i suoi occhi rapaci si fissano su di me. Squadro la donna che mi sta di fronte. Gli occhi di ghiaccio, i capelli scuri raccolti una crocchia sulla testa, le spalle larghe. Immagino la madre di Katniss e dal confronto risulta evidente che non si somigliano affatto. Ciò nonostante, riconosco che anche mia madre, da giovane, non deve essere stata affatto brutta. Prova ne è che io e i miei fratelli siamo cresciuti piuttosto bene. Mi capita spesso di sentirmi dire che sono bello ma non do molto peso a queste cose. A volte infatti, la bellezza conta ben poco, e questo credo sia il caso di mia madre. Il tempo poi, assieme all'aver messo al mondo tre figli e le fatiche quotidiane, l'hanno resa decisamente meno avvenente di quanto non fosse in prima. Eppure sarebbe ancora una bella donna, penso, se solo il suo viso non fosse perennemente corrugato in una maschera di cattiveria e rancore. - Peeta – esordisce – ancora questa storia non mi convince del tutto ma visto che hai un'occasione vedi di coglierla al volo, capito? Tuo padre ha speso una fortuna al mercato per non farci sembrare dei pezzenti agli occhi di quella ragazza. Guai a te se mi combini qualcosa di stupido! Ci siamo capiti? - 

Tutto ciò che riesco a fare è rispondere: – Sì mamma. Non preoccuparti – aggiungendo poi un mezzo sorriso per sembrare il più convincente possibile. In risposta ottengo una botta sulla schiena – E stai dritto! Dannazione! -

Nel giro di un paio di minuti sono partiti tutti quanti. Esco per prendere una boccata d'aria, ma rientro subito e mi siedo sullo sgabello. Aspetto che la presenza inquietante di mia madre se ne sia andata del tutto dal mio cuore, poi osservo l'orologio a pendolo. Sono quasi le undici. Dei passi leggeri attirano la mia attenzione mentre scorgo la sua figura comparire lungo le scale. Katniss. Alza lo sguardo e mi vede. Non faccio in tempo a dire o fare qualcosa che la vedo inciampare sulle scale e finire a terra con un tonfo.

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Spazio autrice: Spero proprio che la parte su Gale non vi risulti odiosa. So che molti di voi non lo amano molto come personaggio, ma avevo in mente di mettercelo fin dall'inizio. La citazione della canzone di Modugno mi è venuta così... spero non vi sembri inopportuna. Secondo me ci stava, visto che nemmeno lui sa ancora cosa prova per Katniss :) Le parti in cui ho diviso il capitolo "Febbr'eccitante" sono quarttro. Volevo che fossero solo tre, ma per aggiornare prima ho deciso di dividerlo ancora... Aspetto commenti, critiche e quant'altro :) un bacio 

 


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Capitolo 8
*** Febbr'eccitante (quarta parte) ***


Febbr'eccitante (quarta parte)
 

 Katniss’ POV (Punto di vista di Katniss):
 

Quando apro gli occhi mi sento meglio. Non capisco subito dove mi trovo, ma poi ricordo il fornaio, la medicina, il letto e la paura per questo nuovo ambiente sembra attenuarsi. Lentamente mi metto a sedere e sento una pezza di stoffa scivolarmi sul viso. Me la tolgo da davanti agli occhi e finalmente sento che sono abbastanza in forze per alzarmi. O almeno credo. Mi levo di dosso le coperte calde per scoprire che sotto sono ancora vestita, l'unica cosa che mi ha tolto sono gli scarponi di pelle che uso sempre per andare a caccia, gli stivali di mio padre. Mi alzo per raggiungerli quando avverto una fitta di dolore sotto i piedi e una strana sostanza viscida. Mi allarmo quando mi accorgo che qualcuno ha rotto un termometro ed io l'ho appena pestato. Aiah!

Un pezzo di vetro mi si è conficcato nel tallone. Lo estraggo velocemente senza troppe cerimonie. Non è niente di che... mi è capitato di farmi molto, molto più male. Struscio i piedi sul tappeto tentando di ripulirli dal mercurio, che per fortuna non mi brucia la pelle. Infilo calze e stivali e mi avvicino lentamente alla porta della stanza. Prima di uscire noto la giacca di mio padre su una sedia  e me la metto indosso. Perfetto, penso, così non ci sarà bisogno che torni qui di nuovo. Accosto un orecchio alla porta. Non sento niente. Apro l'uscio con circospezione, tentando di non fare rumore. L'ultima cosa che voglio è ritrovarmi di fronte la moglie del panettiere che mi sorprende a girare per le stanze di casa sua. Suo marito mi ha fatto capire chiaramente che lei non doveva sapere nulla di me. Osservo il corridoio deserto. Ancora nessun rumore. Comincio a scendere le scale e lì mi accorgo che le mie gambe ancora non mi tengono su del tutto. Mi fermo e respiro lentamente. Avanti Katniss, devi tornare a casa. Poi però sento ancora la testa girare. Mi tengo al corrimano e già sento di avere di nuovo la fronte imperlata di sudore. Mancano pochi gradini quando mi accorgo che qualcuno mi sta fissando. Ho un sobbalzo e non so come, mi ritrovo con il sedere per terra. Subito sento accorre Peeta Mellark nella mia direzione. - Tutto bene? - mi chiede preoccupato aiutandomi a rimettermi in piedi. Gli permetto di afferrare il mio braccio ma poi lo scosto subito. Lo vedo incupirsi per il mio gesto. Sospiro. Poteva andarmi peggio in effetti, penso. Tanto meglio, ora mi congedo, lo ringrazio di tutto e me ne torno a casa. Il pensiero che adesso al mio debito con lui si va ad aggiungere quello che ho con suo padre, mi mortifica. Ma non posso evitare di sentirmi a disagio in sua presenza. So che dovrei mostrarmi più gentile, ma riesco soltanto a sentirmi di peso. - Non preoccuparti – rispondo abbozzando quello che penso essere il migliore tra i miei sorrisi – io ero venuta soltanto per il cappotto e per la giacca...ora come vedi ce l'ho e visto che ho disturbato abbastanza... - non riesco a terminare la frase che la testa mi torna a girare come una trottola. Lui sembra capirlo e mi fa sedere sullo sgabello sul quale un attimo fa era seduto. E' lo stesso sgabello sul quale mi sono addormentata stamattina, penso. E allora ecco che mi viene in mente che mia madre e Prim saranno preoccupatissime per me. Peeta mi parla ma io non riesco ad ascoltarlo. - Che ore sono adesso? - chiedo con un tono decisamente brusco. Lui ci pensa un secondo e poi risponde : le undici e un quarto... Comunque non ti senti ancora bene, dovresti davvero tornare a letto! -. Mi fissa con uno sguardo che reputo indecifrabile, un misto di preoccupazione e agitazione. - Mia madre e mia sorella non sanno che sono qui – rispondo – saranno preoccupate, e poi voglio tornare a casa – spiego. Lui mi porta una mano alla fronte con naturalezza e mi dice categorico: - Hai la febbre alta! Aspetta....vado a prendere il termome... - Si blocca. - Intendi quello rotto che ho pestato? - gli chiedo divertita mente i suoi occhi mi squadrano. - L'hai pestato? Io cioè...mi dispciace...sono stato un'idiota a lasciarlo li... - La sua espressione preoccupata mi fa capire che deve sentirsi davvero molto in colpa. - Tranquillo, non mi sono fatta niente...Adesso tolgo il disturbo – insisto di nuovo. Mi alzo e ancora sento le gambe tradirmi. Mi fanno male tutte le ossa e la gola mi brucia come prima. Se non è influenza questa...  - Non sei ancora in condizioni di uscire… dovresti tornare a letto! – mi dice Peeta. E so che ha ragione. La forza per protestare viene a mancarmi. Lo studio con lo sguardo. – Ok…tuo padre mi ha detto che potevo restare, te lo concedo, ma tua madre? – chiedo con tono irritato. Lo vedo fissare il pavimento e portarsi una mano dietro la nuca con fare imbarazzato. – Ecco…loro sono in viaggio adesso, stanno andando a trovare mia zia. Quindi puoi tornare a letto finché non ti sarà sparita del tutto la febbre. Dopo prometto di riportarti a casa – dice. – Non ho bisogno di essere riportata a casa, non sono un pacco postale o una torta da consegnare! – è la mia replica immediata. Peeta mi guarda e colgo una nota di esasperazione nei suoi occhi: - Certo che non sei un pacco postale! Ma visto che mi sento responsabile vorrei accompagnarti…ecco cosa dovevo dire: “accompagnarti!” – Lo vedo scuotere impercettibilmente la testa. – Si ma mia madre e Prim non sanno dove sono! – insisto. Sto per afferrare la maniglia della porta e uscire quando lui mi si para davanti e mi dice quasi rassegnato: - Ok ok… ho capito! Vado io ad avvertirle, tu però torna di sopra! –
 

La situazione si sta facendo incredibilmente strana. Questo ragazzo sembra volermi trattenere qui ad ogni costo e questo non mi sembra del tutto normale, non mi piace… D’altra parte però, si sta offrendo di correre personalmente ad avvertire mia madre, però non capisco come mai lo stia facendo. Così glielo chiedo direttamente: - Senti, si può sapere perché lo fai? Ieri la storia della torta e adesso… - Lui sembra avere un illuminazione. Spalanca gli occhi e la bocca ed esclama: - Già…la torta! Me ne sono completamente dimenticato! – . Lo fisso esterrefatta. – Non hai capito, non me ne importa niente della torta, voglio soltanto sapere perché ci tieni tanto? E perché tuo padre regala una torta a mia madre? Scusa se mi permetto, ma voi due siete strani… -. Non faccio tempo a concludere il mio discorso che lo vedo girare il cartello che sta sulla porta di ingresso della panetteria. La scritta “Aperto” viene sostituita immediatamente da quella che le sta dietro: “Siamo chiusi”, poi Peeta chiude la porta d’ingresso con una chiave che nasconde dentro un cassetto del bancone, tira giù la serranda e mi conduce nella stanza attigua al negozio, afferrandomi per un polso. Non oppongo resistenza, lo seguo e basta, senza riuscire a capire. – Che ti salta in mente? – gli chiedo. Non mi risponde. Ecco allora che una paura recondita si fa strada in me. All’improvviso la sua stretta, il fatto che siamo soli in casa sua, lui che chiude il negozio e il mio stato precario di salute mi portano a pensare che non dovrei essere qui. Che vuole fare? Senza riuscire a fermarlo un ricordo mi assale. Ho 12 anni, mi trovo in una cantina buia, le mani immerse in una tinozza piena d’acqua gelata e bolle di sapone. Accanto a me ho una pila di panni sporchi. Sono stanca, ho freddo e fame, ma continuo a strofinare dei vecchi pantaloni da uomo con i rimasugli di una saponetta. Rabbrividisco quando due mani mi cingono i fianchi e con forza mi sbattono a terra. Ho appena il tempo di voltarmi per vedere in faccia il mio assalitore: è l’uomo per il quale sto lavorando da ore. In qualche modo riesco a liberarmi. Nonostante i suoi palpeggiamenti, sono salva. Da quella volta non ho più lavato i panni a casa di nessuno, ho imparato a portarli a casa mia. Allontano il braccio da quello del ragazzo biondo, forse con troppa forza, perché lo vedo voltarsi verso di me e iniziare a fissarmi con sguardo interrogativo. Voglio andarmene, penso. Voglio andarmene adesso! – Peeta, io adesso me ne vado – corro indietro verso il bancone e apro il cassetto in cui so che ha infilato la chiave della porta. – Katniss, aspetta… - sento che mi corre dietro. Infilo più rapidamente possibile la chiave nella serratura, ma le mani mi tremano per l’agitazione, o forse è la febbre? Quando sento che mi afferra per le spalle non posso fare a meno di emettere un grido. Lui si ritrae, ma non abbastanza in fretta. Lo colpisco dandogli un pugno dritto sul naso e poi mi affretto a cercare di aprire la porta. Lo sento emettere un piccolo gemito di dolore mentre si porta una mano sul viso. La porta si apre, ma quando sto per fiondarmi all’esterno vengo bloccata dalla serranda ancora abbassata. Il mio cuore, che già mi martella in petto, accelera ancora di più. Ed è allora che la stretta forte del figlio del fornaio mi costringe a tornare da lui.

 

 Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):

 

Katniss urla e mi tira un pugno dritto in faccia. Il dolore non è forte quanto lo stupore. Ci metto un po’ a realizzare cosa sta succedendo. La vedo armeggiare con la chiave nella toppa e poi arrestarsi solo quando si rende conto che c’è la serranda abbassata. Perdo sangue dal naso, ma credo che non sia rotto, visto che quando mio fratello Kurt se lo ruppe, lo sentimmo strillare a distanza di chilometri. E’ una vecchia storia, comunque in sostanza, se fosse rotto penso che farebbe molto più male. Il dolore è comunque abbastanza forte da farmi venire le lacrime agli occhi. Osservo Katniss che sembra in preda ad una sorta di attacco di panico e provo a tranquillizzarla afferrandola per le spalle, per tentare di fissare i suoi occhi nei miei. E’ un piccolo trucco che si usa con i cavalli. Mio padre mi ha insegnato tante altre cose oltre a cuocere e preparare pane e torte, da giovane gli piaceva un sacco cavalcare e per un periodo ha fatto lo stalliere. Questo, quando era ribelle e la vita gli sembrava ancora facile. Poi arrivò mio fratello maggiore e lui dovette mettere la testa a posto e tornare al negozio a dare una mano a mio nonno. Si era ripromesso che quando fosse morto suo padre, avrebbe riprovato a lavorare con i cavalli, visto che ormai Kurt era un po’ più grande. Ma quando il nonno morì, mia madre rimase incinta di Perry… Sono quasi sicuro che mio padre sia ancora convinto che lei lo abbia fatto apposta, perché una vita a tener a bada dei cavalli, non le era mai andata bene. Mio padre comunque non volle mollare, si mise a poco a poco da parte un gruzzoletto con il quale avrebbe comprato un piccolo pezzo di terreno. Ci sarebbe riuscito soprattutto grazie ai soldi della vendita del negozio. Per sua sfortuna però, un anno dopo nacqui io, così dovette rinunciare in modo definitivo. “Tre figli sono troppi per arrischiarsi in un’impresa simile” era quello che costantemente gli ripeteva mia madre. Nonostante tutto l’amore che mi ha sempre trasmesso mio padre per tutto quello che fa, mi ha fatto crescere con la convinzione che se ami qualcosa, la amerai per sempre, nonostante tutto. Mi riscuoto dai miei pensieri quando la ragazza bruna che ho di fronte grida di nuovo, ancor prima che io possa riuscire a vederla in viso. - Adesso tu mi fai uscire se non vuoi che ti tiri un calcio dritto in faccia! – minaccia. I suoi occhi sono lucidi, forse per la febbre, ma il suo tono deciso stona con il grido strozzato che ha appena emesso. – Katniss…scusami, ma non capisco… Non voglio farti del male se è questo che credi – le spiego facendo lentamente un passo indietro. Lei sembra rilassare impercettibilmente i muscoli nel vedermi arretrare. Non dice nulla, quindi, col tono più calmo che riesco a trovare le spiego: - volevo soltanto mostrarti una torta alla quale mio padre stava lavorando, per sostituire quella che si è rovinata –
Lei non cambia espressione ma resta ad ascoltare. Poi un lungo silenzio ci avvolge. Ci fissiamo dritti negli occhi e finalmente la vedo tirare una specie di respiro di sollievo. – E allora perché non mi lasci tornare a casa? Perché hai chiuso la serranda? – mi chiede, ora con tono più calmo. – Perché mio padre voleva che io e te avessimo occasione di conoscerci meglio e perché visto che mi avevi chiesto di andare da tua madre, non potevo certo lasciare il negozio aperto…- butto fuori, quasi d’un fiato. Lei si blocca quasi dallo stupore, ma non le lascio il tempo per replicare – di là nel retrobottega volevo soltanto mostrarti la torta che mio padre ha preparato come sostitutiva. Dopo sarei andato direttamente a casa tua con quella in mano… -
La mia voce si è fatta un po’ brusca, perché in effetti, una reazione del genere da parte sua, oltre a sorprendermi, mi ha ferito. Davvero pensava volessi farle chissà cosa? Mi chiedo. Poi realizzo la stranezza della situazione e ricordo infine l’esistenza della mia “cattiva reputazione” e mi detesto perché, tutto questo ora mi sembra troppo forzato. Sarebbe stato meglio se avessi semplicemente provato a rivolgerle la parola in un giorno qualunque. Così sembra proprio che io abbia architettato una specie di piano malefico per trattenerla a tutti i costi nella mia camera da letto. Mi sento la testa nel pallone, inspiro ed espiro con il cuore che inizia a martellarmi nel petto. Sono certo di aver rovinato tutto quando Katniss si avvicina al mio viso con una mano e con delicatezza mi sfiora il naso. – Non è rotto – dice – sennò a quest’ora staresti urlando di dolore –. Mi viene da ridere per l’assurdità della situazione, non riesco a trattenermi. Forse la mia è una risata nervosa, ma anche se in principio penso che sarebbe meglio evitare di sorridere, vedo che lei scoppia a sua volta in una risata leggera. – Scusami…io… davvero, scusami… - mi dice. Adesso sono certo che sia più tranquilla, perché mi si avvicina ancora e mi chiede: - Allora, dov’è questa torta? –


Katniss’ POV (Punto di vista di Katniss):


Quando il fornaio mi ha condotto nella camera degli ospiti, ero così debole che mi sono lasciata spostare in braccio come una bambola. Poco dopo mi ha raggiunta con un vassoio sul quale aveva messo pane caldo farcito con un formaggio tenerissimo e un bicchiere d’acqua. Mi sono fiondata sul bicchiere. Avevo la gola così secca che mi sentivo soffocare, poi ho divorato pane e formaggio e soltanto dopo mi sono resa conto davvero di dove mi trovavo. Ho scrutato imbarazzata lo sguardo del fornaio in cerca di un segno di insofferenza nei miei confronti, ma non ne ho trovati, anzi: mi ha dato una pastiglia da mandare giù identica a quelle che solo il giorno prima avevo fatto ingoiare a Prim, una di quelle per far abbassare la febbre alta. L’ho ingoiata e mi sono ritrovata con la lingua amarissima, allora quell’uomo gentile mi ha offerto subito un pugno di caramelle di zucchero. Ne ho succhiate un paio lentamente, poi il fornaio mi ha detto di provare a dormire, ma ancor prima che lo facesse ero già sprofondata nel mondo dei sogni. Poco dopo l’ho visto arrivare da me per svegliarmi, un po’ più agitato di prima: - Mi spiace ma adesso devi spostarti – mi ha detto. Ho pensato subito che volesse che levassi le tende e invece mi ha semplicemente condotto dall’altra parte del corridoio e mi ha lasciata sdraiare su un letto ancora caldo. Il suo sorriso rassicurante mi ha impedito di andarmene via, complice la debolezza del mio corpo. Tuttavia, se non mi fossi sentita sicura, non sarei mai rimasta.
Ora che guardo Peeta sorridere dopo che gli ho tirato un pugno sul naso, mi sento terribilmente in colpa. Un attimo fa ho temuto volesse farmi qualcosa di terribile, ed ora mi ritrovo a ridere senza motivo mentre capisco quanto sono stata stupida. Ha detto che suo padre voleva che ci conoscessimo meglio. Mi sembra assurdo visto che io sono del Giacimento, i suoi genitori certo non approverebbero mai qualcosa come una relazione tra noi due. Eppure il comportamento di quell’uomo mi sembra inequivocabile. Mi scuso come posso tentando di verificare i danni che ho causato. Per fortuna non ha il naso rotto. Peeta arrossire vistosamente al mio tocco. Il suo imbarazzo adesso è così evidente che devo per forza cambiare discorso: - Allora, questa torta? – chiedo senza un reale interesse.  Sorride e mi chiede di aspettarlo seduta sullo sgabello mentre si reca nell’altra stanza per mostrarmi infine la torta che ora intende consegnare – si spera con successo – a mia madre e a Prim.  Lo osservo: il suo naso adesso sembra a posto, a parte un rivolo di sangue che gli macchia un po’ la camicia. Dovrò lavare anche quella, penso.E così saremo punto e a capo. Sorrido mentre sento che Peeta si perde nei suoi discorsi sulla glassa e sulla crema. Non ci vuole molto perché capisca che non lo sto ascoltando, infatti mi chiede: - Katniss…ti sto annoiando vero? Forse è meglio se vado subito e tu torni a letto – conclude, chiudendo la scatola con la torta. – No…scusami, io stavo ancora pensando a quello che hai detto – gli spiego. Lui mi guarda incerto. – Ok rimango ancora un po’…In fondo sento che non sto affatto bene. Tu porti la torta a casa e dici a mia madre che entro stasera sarò di ritorno però, ok? –
Lo sguardo di Peeta si illumina. – Ok…Però che cosa ti dà da pensare di ciò che ho detto? – chiede, ora più incerto di prima.  – beh… tuo padre voleva a tutti i costi che restassi per farci conoscere…Lo sa che sono del Giacimento! D’accordo che i padri spesso scelgono con chi devono sposarsi i loro figli, ma perché scegliere me? – ridacchio quasi, per la domanda ridicola. E’ imbarazzante, ma dovevo chiederglielo. Peeta guarda altrove e senza rispondere mi ripete: - Torna a letto Katniss… Sarò di ritorno entro mezz’ora! -  


Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):


Perché sa che io ti amo da sempre. E’ la risposta che mi risuona in testa mentre esco di casa con la torta. Sono queste le parole che non ho avuto il coraggio di dirle, che ancora adesso scelgo di tenere al sicuro nel cuore. Ho recuperato il cappotto che Katniss mi ha riportato. Ha il suo profumo, penso. E mentre inforco la bicicletta e mi dirigo verso casa sua, il dolore che ancora avverto al naso è l’unica cosa in grado di farmi restare con i piedi per terra. I miei pensieri volano a lei, a tutto quello che sta succedendo, ai mille dubbi e alle mille paure che mi assillano. Ha accettato di restare, ma cosa succederà quando tornerò a casa? Non scapperà vero? Mio padre mi ha proprio messo in una bella situazione stavolta…
 
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 Spazio autrice: Salve a tutti. So cosa voglio scrivere e ho in mente un seguito finalmente più romantico, lo prometto. Forse mi odierete per questo capitolo "violento" ecco... Ma mi serviva per quello dopo :) Un bacio a tutti
P.S. La mia Katniss è diffedente, forse troppo, ma l'ho immaginata sempre così. Ricordo comunque che siccome il titolo è: "I ragazzi innamortati" quello che vi potete aspettare è che le cose prendano presto una piega diversa. Avrei voluto scriverlo già in questi capitoli ma per un motivo o per l'altro mi sono dilungata. La storia sui cavalli, per esempio, ho pensato fosse fuori luogo e forse lo è, ma a voi i commenti :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 9
*** La tormeta che scoppiò quella notte ***


 La tormenta che scoppiò quella notte - prima parte -

Katniss’ POV (Punto di vista di Katniss):
 

 

Rimango da sola quando Peeta esce per raggiungere Prim e mia madre. L’intera situazione mi è scivolata di mano. Ora che mi ritrovo a percorrere di nuovo le scale fino alla sua stanza da letto, non posso fare a meno di ripensare alla stranezza del suo comportamento, al rossore sul suo viso mentre se n’è andato poco fa. Apro lentamente la porta, ancora con addosso una sorta di timore reverenziale per questa casa che so essere estranea, finalmente sollevata all’idea di essere l’unica ad abitarla, almeno per il momento.  Entro e mi siedo sul letto, giusto il tempo per rendermi conto che in realtà, questa stanza, a differenza di tutte le altre, mi infonde una piacevole sensazione di calore. Il mio sguardo si sofferma su una scrivania sulla quale vedo in bella vista alcuni fogli bianchi. Osservando con maggiore attenzione scorgo anche diversi scarabocchi su un paio di pagine che devono essere state strappate da un quaderno che sta nella libreria, in mezzo a due grossi tomi. La copertina di pelle nera è piuttosto logora. Le pagine ingiallite che spuntano denotano che deve trattarsi di un quaderno piuttosto vecchio. Penso che somiglia moltissimo a quello che mio padre e mia madre hanno scritto per la nostra famiglia. Mio padre amava i boschi, le piante e gli animali. Complice la provenienza di mia madre, figlia di un farmacista, decise di lasciare in un quaderno ogni sua conoscenza riguardo ad erbe e arbusti del bosco. Io consulto spesso quel libro, grazie ad esso sono riuscita a sopravvivere. Chissà cosa ci sta scrivendo Peeta, penso. Mi avvicino lentamente alla libreria, quasi in trance. Incolpo la febbre del mio stato, anche se quello che mi guida, ne sono certa, è un fortissimo sentimento di curiosità. Mi dico che non dovrei mettermi a ficcare il naso negli affari del figlio del fornaio, ma prima di riuscire a fermarmi, le mie mani sono già sul quaderno. Lo apro e tutto un mondo mi si presenta davanti agli occhi. E’ un mondo fatto di disegni incredibilmente belli, sfumature di grigio, bianco e nero che vanno a raffigurare cose mai viste, meravigliose…Ma quello che riesce a togliermi davvero il fiato è che, in ogni pagina, è disegnata sempre la stessa ragazza. Peeta l’ha raffigurata sorridente, seria, addirittura imbronciata. Tiene per mano una bambina con le trecce, poi corre, salta. E’ vestita nei modi più diversi, addirittura, mentre sfoglio le pagine, scopro che l’ha disegnata coperta soltanto di foglie, di vento. Sbatto gli occhi alla ricerca di una risposta per quei disegni: quella sono io!


Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):


Arrivo in poco tempo nel Giacimento. Dal camino della casa di Katniss spunta un fumo leggero che sparisce subito, confondendosi nel grigiore del cielo. Delle nuvole nere si fanno avanti all’orizzonte. Il vento freddo si fa sempre più forte, e mentre scendo dalla bicicletta inizio a pensare che probabilmente entro qualche ora verrà a piovere. Mi prometto mentalmente di sbrigarmi, anche perché il mio cuore desidera fortemente fare ritorno a casa adesso che lei ha accettato di restare. Busso alla porta, con la scatola contenente la torta tra le mani. Mentre aspetto che qualcuno venga ad aprire, elenco mentalmente le pietanze che ho deciso di preparare per pranzo. La carne che ha comprato mio padre è sicuramente buona e fresca ma il mio unico piatto forte, da sempre, è lo stufato di agnello con le prugne. Se non ricordo male, anche quelle erano nella cesta, mi dico. Per quanto riguarda l’agnello, mia madre ne ha acquistato un po’ di carne giusto ieri e di sicuro l’ha messo in dispensa per utilizzarlo per qualche “occasione speciale”. Rifletto molto sul fatto che con tutto ciò che mio padre ha comprato stamane, potrei preparare per un reggimento, ma scelgo comunque di andare sul sicuro. Infatti, a parte pane e torte, ai fornelli ci sta sempre mia madre e non sono poi così ferrato. Il pensiero successivo che mi si presenta è quello di invitare anche Prim e la madre di Katniss a pranzo… Ma lo scarto subito. Mio padre ha fatto i salti mortali per garantirci un po’ di intimità. Passare del tempo solo con lei è un’idea ancora così irreale e meravigliosa, che non posso proprio pensare di rinunciarci. Così, mentre qualcuno mi apre la porta, decido che lo stufato di agnello come primo piatto andrà bene, per il resto vedrò di utilizzare la roba fresca comprata stamattina, infine quando accompagnerò a casa Katniss, la convincerò in qualche modo ad accettare il resto della spesa. Tutto quello che non utilizzerò per noi due, andrà alla sua famiglia, compresa la carne fresca che il macellaio ci ha confezionato oggi. La porta d’ingresso cigola mentre si spalanca. Ad aprirmi trovo la sorellina di Katniss. Quando mi vede sgrana gli occhi ed esclama subito: - Mamma! –
Mi fanno accomodare in salotto, dopodiché mentre comincio a spiegare ciò che ho da dire, vedo che i loro visi preoccupati si rilassano. Mi ci vuole un po’ per tranquillizzarle visto che l’assenza di Katniss le ha decisamente allarmate. Dico loro che lei si trovava a casa mia per restituirmi il cappotto e che si è sentita male e mio padre l’ha messa a letto – evito volutamente la parte in cui i miei genitori se ne vanno lasciandoci soli- e racconto che la febbre alta ancora non le permette di alzarsi dal letto. La signora Everdeen allora si offre subito di venirla a prendere perché  non vuole arrecare disturbo, ma insisto sul fatto che ha la febbre molto alta. Non è del tutto falso, ma i suoi occhi azzurri forse riescono a cogliere che c’è qualcosa di più, sotto questa strana vicenda.  Ma anche se lo pensa, non lo dice. Mi consegna un vasetto di vetro con dentro una specie di intruglio fatto di erbe, che mi chiede di farle bere non appena fatto ritorno a casa. Le spiego che abbiamo delle medicine, ma dice che comunque quello potrebbe aiutare a farla star meglio. Infilo in tasca il vasetto e consegno loro la torta. Sento due occhi che mi scrutano: - Posso chiederti che cosa hai fatto al naso? – domanda la donna cogliendomi del tutto alla sprovvista. Arrossisco un po’ quando la madre di Katniss mi guarda negli occhi. Decido di mentire per non creare confusione. Cosa penserebbe se le dicessi che sua figlia ha avuto  paura di me e mi ha tirato un pugno? – Niente, ho solo sbattuto contro la porta, ero al buio…-. Lei non dice nulla, poi si allontana e mi porta un piccolo vasetto con una pomata che so essere adatta per sfiammare, la si usa per diminuire il gonfiore dovuto agli urti. – Grazie, ma non ce n’era bisogno – dico. – Anche della torta se è per questo, ma mi ha fatto molto piacere riceverla comunque – mi dice. Prim sembra entusiasta della piccola torta, non fa che esclamare dalla gioia e dallo stupore, additando con la piccola mano le decorazioni colorate, mentre la madre le sorride. Resto a chiacchierare con loro per un po’ mentre mi chiedono di tagliare la torta e gustala con loro. Non vorrei privarle nemmeno di un boccone ma la loro insistenza è tale che alla fine accetto. Nonostante io prepari spesso dei dolci, li mangio raramente, perché mia madre dice che sarebbero soldi sprecati. Le uniche occasioni in cui ho avuto modo di mangiarne sono i compleanni. Mio padre non ne ha mai dimenticato né trascurato uno. Osservo Prim: è una bambina dolcissima. Divora letteralmente la sua fetta di torta, leccandosi anche le dita. Le sorrido. Mi parla a lungo di sua sorella maggiore e rido quando racconta la storia di quando Katniss prese paura di una piccola ranocchia che le era finita nel letto, questo quando aveva sette anni. Mi chiedo come faccia lei a ricordarlo. Prim parla a ruota libera ormai da un po’, quando mi rendo conto che è mezzogiorno passato. – Mi dispiace ma adesso devo tornare… - dico con un sorriso alzandomi dalla sedia. – Katniss vuole tornare stasera prima dell’ora di cena – spiego – ma non disturba affatto, stia pure tranquilla signora Everdeen… nel caso dovesse stare male ancora potrebbe fare ritorno domani -. Il mio viso si tinge di rosso mentre lo dico. Loro ovviamente non sanno che saremo completamente soli. Mi dicono di non preoccuparmi, che sanno che Katniss è in buone mani, anche se non mi sfugge lo sguardo preoccupato della madre, che sicuramente starà tentando di immaginare come deve aver fatto mio padre a convincere la moglie a far restare la ragazza. Sto per congedarmi definitivamente quando Prim esclama, quasi parlando più a se stessa che a noi – E’ strano però che non sia andata a salutare Gale alla stazione -. Un brivido mi percorre la schiena. Sua madre ci pensa un momento e poi risponde – in effetti anche io fino a poco fa ero certa che fosse andata da lui…-. Sento lo stomaco contorcersi in una morsa. Gale è probabilmente quel ragazzo bruno che ieri ha avuto una discussione con lei. Doveva andare da lui?, penso. Poi ricordo la frase che Katniss gli ha rivolto poco prima di accogliermi in casa sua: “Non contarci Gale”ha detto. Non riesco a formulare nemmeno una parola che Prim attacca: - Anche tu li hai sentiti mamma? –
-Si, le loro grida hanno svegliato anche me…per questo ero sicura…-. La madre di Katniss si interrompe e comincia a fissarmi con occhi un po’ colpevoli. Non termina la frase e mi rivolge un sorriso largo. – Comunque poco importa adesso, sappiamo dove si trova e che presto tornerà a casa. Grazie di tutto Peeta… - mi dice. Io annuisco e sorrido debolmente, ma il pensiero di quel ragazzo, Gale, mi fa rabbuiare. Esco dalla vecchia casa salutandole con la mano, inforco la bici e volo verso casa, giusto in tempo perché leggeri fiocchi di neve cominciano ad ammantare le strade. Quando entro nel negozio dalla porta sul retro, sulla testa e sulle spalle  ne ho già diversi residui, un vento gelido soffia da nord-est. Altro che pioggia, mi dico. Di questo passo, Katniss sarà costretta a restare fino a quando la tormenta che è appena iniziata, non si sarà placata. E forse non solo lei… I miei genitori saranno ormai a diverse ore di distanza da qui. Se questa notte dovesse continuare a cadere la neve, probabilmente non riuscirebbero a fare ritorno prima di domani sera… Guardo l’orologio: è tardissimo, Katniss sarà affamata! Poggio sul bancone la roba che mi ha dato lla madre di Katniss e corro su per le scale, pensando alle parole giuste per scusarmi del ritardo. Quando busso alla porta della mia stanza però, non ricevo risposta, così entro aprendola lentamente. Ciò che trovo è una ragazza bellissima, con i capelli sciolti, sdraiata sul mio letto, che dorme teneramente. Ha il naso un po’ arrossato e gli occhi un po’ gonfi e si è messa di nuovo una pezza bagnata sulla fronte. Dev’essere la febbre. Mi avvicino per sentire la sua temperatura e con il dorso della mano le sfioro una guancia, avvertendo scintille nello stomaco per quel breve contatto. Sembra più fresca però. Così cercando di non fare rumore, torno al piano di sotto, non prima di averla contemplata per qualche secondo però. L’ho coperta per bene, visto che le lenzuola erano ricadute da un lato ed ora sospiro mentre mi avvio verso la cucina. Mi metto ai fornelli e comincio a prepararle quello che spero sarà un pranzo prelibato, sorridendo tra me e me e facendo bene attenzione a non commettere errori. Preparo anche la tavola. Circa mezz’ora dopo, ho finalmente finito. Sto per correre a svegliarla ma non ce n’è bisogno, il profumo dell’agnello stufato ha attirato Katniss fino a me. Le sorrido quando incrocio il suo sguardo e lei ricambia. Mi sembra di scorgere in lei qualcosa di molto diverso rispetto a prima, sembra quasi…imbrazzata? Il mio cuore comincia a martellarmi nel petto – Stavo giusto per chiamarti… Buon appetito Katniss – .



 Katniss’ POV (Punto di vista di Katniss):


Sfoglio e risfoglio quelle pagine. Non riesco a credere di essere io il soggetto di tutte quelle raffigurazioni, eppure: la bocca, gli occhi, le guance… E’ il mio viso quello! E non solo! Anche il mio corpo corrisponde in modo perfetto a quello della modella dei disegni. Mi sento pervadere da un calore mai provato, che si irradia dal centro del mio petto fino alla punta delle dita. Ringrazio il cielo di non essere osservata perché devo essere diventata rossa come un pomodoro. Che significa questo? Ho appena scoperto che Peeta Mellark oltre ad avere un grosso talento per il disegno ha anche una sorta di chiodo fisso per la sottoscritta. Eppure stavolta non mi sento pervadere dall’inquietudine che ho provato solo pochi minuti fa, prima di tirargli quel pugno. Ciò che sta scritto su questi fogli, non è perversione. Me lo dice ogni singolo tratto, ogni linea…questo è…Amore? Ricaccio dentro di me quella parola. Non può essere! Ed ecco che però mi tornano alla mente le parole di Peeta. Più o meno il succo era che suo padre voleva che passassimo del tempo assieme. Quando gli ho chiesto perché non ha risposto… Possibile??! Possibile che suo padre abbia capito che cosa prova per me e… Chiudo il quaderno con una manata e lo rimetto al sicuro nella libreria, dopodiché mi fiondo nel letto e mi copro fin sopra la testa. No…Ci mancava anche questa! Non sono spaventata adesso, ma fino a stamattina, se avessi dovuto pensare a qualcuno come mio aspirante fidanzato, quello sarebbe stato Gale! Sì…Gale… Una lacrima inizia a solcarmi il viso, seguita a ruota da altre. In meno di un secondo mi ritrovo in lacrime, nascosta solo da un lenzuolo e qualche coperta pesante. Per tutto il tempo ho cercato di non pesnarci, ma il vero motivo per cui sono venuta qui, non era Peeta e nemmeno il cappotto. Nella mia testa l’immagine di Gale abbracciato a quella ragazza dai capelli biondi mi porta a singhiozzare e ansimare come mai prima d’ora. Finalmente riesco ad essere sincera con me stessa. I disegni di Peeta mi hanno ricordato tutte le volte in cui mi sono soffermata a fissare il profilo di Gale, a studiare la linea del suo naso, i suoi occhi profondi, grigi come i miei, la sua schiena dritta… La testa mi fa male e la tosse ancora non se n’è andata. Mi sciolgo la treccia con fare nervoso e asciugo le mie lacrime come posso. Non sono il tipo che piange per una cosa del genere io… Tutto il calore provato poco fa sembra voler abbandonare il mio corpo, ho i brividi. Mi accoccolo tra le coperte dicendomi che non devo più pensare a Gale e che Peeta Mellark con me non ha speranze… Non che io abbia niente contro di lui, ma non voglio avere un ragazzo, perché posso farcela benissimo da sola. Non voglio una famiglia tutta mia, non voglio figli da dover sfamare…Non voglio niente di niente. Gale era speciale perché mi poteva capire. Ma forse anche la gelosia per lui era insensata, dopotutto. Però qualcosa dentro di me, alla vista di quei disegni, sembra essersi mosso, perché quando mi addormento sogno la ragazza degli schizzi abbracciata ad un giovane dagli occhi chiari che le sorride. Non sono io, o almeno, lei è uguale a me, ma non è me. Si baciano mentre si tengono per mano. Quando mi sveglio un profumo di cibo mi riempie subito le narici. Mi sento decisamente meglio per cui senza pensarci troppo scendo al piano di sotto dove trovo Peeta con un grembiule bianco avvolto intorno alla vita e un cucchiaio di legno in mano. Non appena mi vede mi fa un sorriso a dir poco radioso, i suoi occhi sembrano colmi di gioia. Immediatamente mi irrigidisco, perché ora so che cosa si cela dietro quegli occhi, o almeno credo… Lui sembra deluso, quasi preoccupato, così abbozzo un sorriso a mia volta, che però, a causa del suo che è davvero un sorriso contagioso, si trasforma ben presto in una risata. Osservo la sala da pranzo che sta accanto alla cucina. Una tavola di legno, davvero bellissima, è stata preparata con cura. Peeta ha messo uno splendido centrotavola floreale e ha adornato i tovaglioli di seta con una specie di “fermaglio per tovagliolo” dorato, che non ho mai visto prima. I piatti sono raffinatissimi, così come i bicchieri, anche se tutti ancora rigorosamente vuoti. In compenso, vedo sul tavolo una grandissima quantità di pane e di frutta, tutta disposta secondo uno schema preciso che rende il tutto davvero armonioso. Tartine ricoperte di qualche strana salsa, sono state posizionate vicino al centro tavola, assieme a fette di pane caldo ricoperto di tenero formaggio fuso. Ma è la vista delle arance a lasciarmi a bocca aperta. In vita mia ne ho assaggiata soltanto una e neanche ricordo che sapore abbia. E’ forse il frutto più costoso dalla nostre parti, dove scarseggia un po’ tutto e l’unica vera risorsa di cui disponiamo è il carbone. Far arrivare le arance dai paesi più a sud costa un occhio della testa! Sono ancora imbambolata quando sento Peeta che mi dice: - Accomodati pure -. Subito volto la testa verso di lui e lo guardo con stupore. – Vuoi…vuoi dire che questo è per me? -. Dev’essere uno scherzo. Non può aver comprato e preparato tutto apposta per la sottoscritta. Resto immobile, a pochi passi di distanza dalla sedia che sta attorno a quel sontuoso tavolo imbandito, con l’acquolina in bocca e lo stomaco che reclama, irremovibile. Peeta risponde semplicemente di si. – No, mi dispiace ma non posso accettare tutto questo – replico. Lui allora sospira e commenta –Beh allora vorrà dire che dovrò buttarlo perché a casa ci siamo soltanto tu e io…e non credo di essere in grado di mangiarmi tutto da solo. I miei probabilmente torneranno domani, ma forse nemmeno vista la tormenta di neve, quindi… -. La mia attenzione per le sue parole si arresta quando lo sento dire: “tormenta di neve”.  - Che cosa? – esclamo con voce allarmata. Subito mi fiondo verso la finestra del soggiorno che dà sulla strada. I miei occhi si stringono per mettere a fuoco qualcosa, ma tutto ciò che vedo non è altro che neve bianca: sulle strade, sulle case, sulle persone, e ancora continua a cadere! Non può essere… Peeta mi raggiunge alla finestra. – Mi sa che i miei genitori non faranno ritorno tanto presto – mi dice – ah..comunque ho parlato con tua madre e tua sorella. Sanno che sei qui, perciò puoi stare tranquilla – sorride. Vorrei protestare ma la testa torna improvvisamente a farmi male. Mi sento stanca come se avessi corso per ore invece di dormire e l’idea di tuffarmi nella tormenta a stomaco vuoto per raggiungere casa, avvolta solamente dalla vecchia giacca di pelle di mio padre, è un’idea così ripugnante da farmi accettare la ragionevole proposta di Peeta. Mi siedo sulla sedia, che scopro essere comodissima, mentre mi rendo conto che anche senza la tormenta di neve, il discorso di Peeta mi avrebbe convinta ad accettare. Se c’è una cosa che non sopporto è lo spreco di cibo. Sono davvero affamata, ma me ne accorgo solo adesso, proprio mentre Peeta mi serve uno stufato con le prugne che inizio a buttar giù senza riuscire a smettere. Il mio modo di fare non deve essere per niente educato, è evidente da come Peeta mi guarda. In effetti prima ho rifiutato e un attimo dopo mi sono fiondata sul cibo come un lupo affamato. – Scusami – gli dico allora, imbarazzata, proprio mentre lui sta per portare il primo boccone alle labbra. Sorride. – Tranquilla, mangiane pure quanto ne vuoi, l’ho cucinato apposta per te – . La sua risposta genuina è così diretta che il mio imbarazzo aumenta in modo esponenziale. Provo a resistere alla tentazione di tuffarmi di nuovo sullo stufato, che trovo a dir poco delizioso, provando a chiedergli se ha veramente cucinato tutto da solo. Lui annuisce e mi sorride di nuovo. Ricambio il sorriso e mi fiondo ancora sul mio piatto. Ne svuoto due prima di sentirmi davvero sazia. Peeta mi invita ad assaggiare dell’altro ed io, nonostante mi senta già la pancia piena, non posso resistere. Assaggio le tartine e le mie papille gustative sembrano esplodere di piacere, ma quando addento pane e formaggio mi sembra di stare in paradiso. Non ci diciamo molto, forse perché io ad un certo punto, sono così presa dal cibo, da non riuscire a pensare ad altro. Privarsi per anni di qualcosa e poi ritrovarti ad un banchetto del genere. Sono molti quelli del Giacimento a cui avrebbe fatto lo stesso effetto… Come Prim e mia madre! Quasi mi affogo quando realizzo che loro oggi staranno mangiando le solite gallette rancide e il solito tè fatto di aghi di pino. Peeta mi versa dell’acqua nel bicchiere ed io torno a respirare per poi dire subito:- Non ho pensato a mia madre e a Prim! – La mia voce è carica di imbarazzo e di vergogna per non averci pensato prima. Sto per aggiungere dell’altro ma Peeta mi blocca con un gesto della mano. – Tranquilla, prometto che anche la tua famiglia potrà avere un pasto caldo come questo…Mio padre ha comprato un sacco di roba al mercato. Non appena sarà finita la tormenta ti “accompagnerò” a casa carica di viveri –
Lo scruto esterrefatta e se possibile, dopo avere udito le sue parole, mi sento ancora peggio. Non voglio godere soltanto io di questo cibo, ma non voglio nemmeno farmi mantenere da un ragazzo che so che non amerò mai. Tuttavia non trovo il coraggio per apri bocca, o forse non trovo il tempo, perché il figlio del fornaio ha già portato in tavola una torta magnifica, carica di crema e frutta d’ogni tipo. Mi posa una fetta nel piatto e sorride dicendo che “va bene così”. Mi chiede come mi sento e quasi non lo capisco, poi ricordo: - Ah…la febbre è quasi sparita! – dico. Mi invita ad assaggiare la torta e così finisco di nuovo per cadere nella sua trappola. Mi sento come una mosca nella tela di un ragno… Come si può rifiutargli qualcosa? Non è soltanto il cibo, ma il suo modo di porsi, le sue parole, a catturarmi in un sentiero proibito, di non ritorno. Peeta Mellark potrebbe convincere chiunque a fare qualsiasi cosa, penso, mentre lo ascolto chiacchierare e affondo i denti nella crema. E’ un ragazzo dalle mille risorse. Non potrò mai fidanzarmi con lui, anche con l’approvazione di suo padre, tuttavia…Mi piacerebbe conoscerlo meglio. E sicuramente ne avrò l’occasione visto che il destino sembra volerci unire nonostante tutto.

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Spazio autrice: Scusate se vi ho fatto aspettare di più per questo capitolo. I vari impegni e problemi quotidiani purtroppo possono essere d'ostacolo ma spero vi piaccia anche questo capitolo, anche se lo trovo un po' "povero" ecco.. Non mi sono sentita poi così ispirata mentre srivevo. Mi è addirittura venuto in mente di scrivere una versione da rating arancione o addirittura rosso, un po' diversa...ma avrebbe stonato con tutto il resto ecco. Questa storia è romantica, e non so voi, ma io le storie romantiche le immagino lunghe, travagliate e difficili... Katniss ama Gale o forse sta già cominciando a provare qualcosa per Peeta? In ogni caso il suo cuore "apparentemente" di ghiaccio sta finalmente cominciando a battere e a sanguinare per amore...Un bacio a tutti e aspetto opinioni, critiche ecc...
 


 

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Capitolo 10
*** Avances - parte uno - ***


– Capitolo 10 : “Avances” – parte uno -
 


 

Salve a tutti! Scusate tantissimo per il ritardo ma ero a corto di due cose fondamentali per scrivere fan fiction: tempo e idee. Devo dire che forse il tempo l’ho trovato ma le idee… Beh giudicate voi! Un abbraccio a tutti quelli che mi seguono. Scusate perché questo capitolo è davvero breve. Posterò il seguito al più presto! Se la storia vi piace, non vi piace più… sarei felice che lasciaste un commento :)



 

Peeta’s POV (Punto di vista di Peeta):
 

Il cuore mi martella nel petto. Sto accendendo la stufa nella mia stanza mentre Katniss adesso si trova nel bagno, credo più da tre quarti d’ora. La fiammella prende lentamente vita, mentre fuori sento il rumore del vento che ulula. La tempesta di neve, del tutto inaspettata, ha colto tutti di sorpresa, soprattutto noi due che già ci siamo ritrovati fin troppo vicini nelle ultime ore. Ormai è pomeriggio inoltrato. Dopo aver pranzato, Katniss ha insistito per lavare i piatti ed io ho dovuto fare i salti mortali per convincerla a tornarsene a letto a riposare, inutilmente, perché alla fine ha fatto di testa sua. Subito dopo infatti, si è sentita male e ha cominciato a battere i denti dal freddo. Nonostante viviamo in una casa riscaldata per la maggior parte del tempo dai forni che usiamo per fare il pane, l’acqua che usiamo per lavarci è sempre gelida se non la scaldiamo prima sul fuoco. Era praticamente un pezzo di ghiaccio, così, poco fa, l’ho convinta a farsi un bagno caldo per riprendersi. Sono piuttosto teso ora che posso vedere i suoi vestiti appoggiati sopra il mio letto. La stufa ha preso vigore e così mi avvicino di più al letto per accarezzare una manica della camicia che Katniss portava sotto il maglione. Nell’armadio di mia madre ho trovato una vestaglia bellissima che le ho visto indossare soltanto un paio di volte. So che non avrei dovuto, ma gliela ho preparata per quando uscirà dalla vasca. Intanto ho dovuto combattere con me stesso per non fantasticare troppo su quello che sta succedendo a pochi metri di me… Ho provato addirittura a buttare giù qualche schizzo per ammazzare il tempo, ma mi sono fermato quando ho realizzato cosa stavo disegnando. Curve morbide, capelli setosi e modelle in atteggiamenti non troppo casti, dall’aspetto decisamente troppo simile a quello di Katniss. Non  vedo l’ora che esca per far cessare questo tormento!

 

Katniss’ POV (Punto di vista di Katniss):

 

Soffio sulle bolle di sapone mentre mi stendo più comodamente nella vasca. Sento che il mio intero corpo inizia a rilassarsi soltanto adesso. Trattengo il respiro prima di immergermi completamente nell’acqua bollente. Riemergo e sospiro di piacere. Peeta mi ha scaldato dell’acqua e ha acceso una stufa praticamente in ogni stanza. Mi chiedo se questa sia per lui la normalità. Qui nel bagno c’è un grosso caminetto che adesso sta ardendo e scoppiettando, irradiando calore nella piccola stanza. Dopo pranzo, il figlio del fornaio ha voluto che prendessi un’altra pastiglia per far abbassare la febbre e credo proprio che ci sia riuscito, infatti mi sento decisamente meglio. Tuttavia, avevo proprio bisogno di un po’ di calore… Non mi sarei mai permessa di approfittare della sua ospitalità in questo modo se non avessi capito che senza scaldarmi non avrei potuto reggere a lungo. Mentre l’acqua mi avvolge dolcemente tra le sue braccia, non posso fare a meno di ripensare alla stranezza di tutta la situazione. Chi l’avrebbe mai detto che il figlio del fornaio aveva una cotta per me? Fino a ieri nemmeno mi ero accorta della sua esistenza. Già… Fino a ieri nella mia vita c’erano poche certezze e una di queste era Gale. Invece ora eccomi qui, intrusa, nella casa di un ragazzo pronto a regalarmi qualunque cosa io desideri, che è talmente gentile da farmi venire i nervi… Soffio di nuovo sulle bolle, forse più che altro sbuffo. La cosa più strana è che la cosa non sembra dispiacermi così tanto in realtà… E così mi ritrovo ad ammettere con me stessa che una parte di me è felice di questa situazione. Arrossisco violentemente mentre formulo il pensiero e per schiarirmi le idee, comincio a sciacquarmi la faccia con veemenza. Non serve. Il mio viso è pulito come non mai, è la mia mente che avrebbe bisogno di una insaponata chiarificatrice. Che cosa sto facendo? Gale, Peeta… Da quando sono diventata una ragazza romantica? Anzi, da quando ho cominciato a pensare a me stessa come una donna? Prima non c’erano problemi di sorta in proposito. Tutto ciò a cui pensavo era sopravvivere e mantenere Prim e mia madre. Poi quella stupida lettera, il treno, l’incidente della torta e questo ragazzo dagli occhi azzurri che sembrano essere anche incredibilmente dolci. Sorrido al ricordo di quando gli ho tirato un pugno e mi immergo di nuovo nell’acqua, sopraffatta dalla vergogna. Mi sento tremendamente a disagio adesso, sola in questo bagno, sapendo che lui è a pochi metri da me. La tempesta che imperversa là fuori, la febbre… Sembra fatto apposta per far succedere qualcosa che invece non succederà. Se questa sera non potrò fare ritorno a casa, vorrà dire che lo farò domani e nulla cambierà, mi dico. Non appena arriverà la bella stagione, ripagherò il mio debito grazie al mio lavoro che in estate aumenta sempre, e Peeta Mellark se ne farà una ragione… Spero soltanto che non mi faccia qualche brutto tiro. In fin dei conti siamo pur sempre due sedicenni, completamente soli in una grande casa… Dopo un tempo interminabile, decido di lasciar perdere questi assurdi pensieri, mi alzo e afferro l’asciugamano che Peeta ha preparato per me. Profuma di lavanda. Mentre inalo la dolce fragranza dei fiori e mi avvolgo in quel soffice abbraccio, non posso però fare a meno di sentire uno strano groviglio all’altezza dello stomaco. Che mi sta succedendo?

  
      
 

 

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Capitolo 11
*** Avances -seconda parte - ***


 E per la serie: “ a volte ritornano” eccomi di nuovo qui! Salve a tutti coloro che hanno letto la mia storia fin qui e un ringraziamento speciale a quelli che hanno trovato anche un po’ di tempo e voglia per commentarla. Grazie di tutto, davvero. Spero vi piaccia anche questo capitolo, e vi chiedo scusa per l’enorme attesa, ma come capiterà anche a molti di voi, gli impegni purtroppo mi hanno assorbita. Buona lettura!
 



 

Punto di vista di Peeta:

E' con uno starnuto che Katniss mi annuncia il suo arrivo nella mia stanza. Socchiude leggermente la porta mentre io accartoccio un paio di fogli stringendoli a pugno nelle mani.  – Scusami…dovrei vestirmi adesso – dice semplicemente ed io capisco al volo. Deve avere addosso soltanto l’asciugamano che le ho lasciato. – Si, certo…Ah a proposito, per stanotte, pensavo di sistemarti nella stanza degli ospiti – le dico d’un tratto, con voce frenetica senza riuscire a fermarmi. La situazione imbarazzante che ci vede protagonisti mi fa sentire a dir poco a disagio, che tento di mascherare per sembrare sciolto e tranquillo, ma ovviamente Katniss sembra essersi accorta che in realtà sono teso, infatti replica subito: - Sta tranquillo Mellark…non ti mangio -. A quelle parole il mio viso si accende di una tonalità di rosso, per cui volto subito la testa, prima che lei che ora sta entrando nella stanza, possa rendersene conto. – Ok…Allora è meglio che io vada in cucina a preparare qualcosa per cena, intanto tu potrai vestirti con tutta calma – le dico subito facendo per uscire e tenendo gli occhi bassi sul pavimento. Sebbene il mio sguardo riesca a cogliere la sua sagoma soltanto con la coda dell’occhio, il profumo della sua pelle mescolato con quello del sapone mi riempie le narici non appena si avvicina a me. Sono così distratto da questo che neanche mi accorgo che Katniss ha mi sta parlando finché lei non cambia tono e con voce aspra mi riporta alla realtà: - Ehi…hai sentito quello che ho detto? -. A questo punto mi viene spontaneo alzare lo sguardo su di lei, che intanto prosegue il suo discorso: – ho detto che non resterò qui a dormire -  spiega mentre io provvedo immediatamente a riabbassare gli occhi, puntandoli sull’uscio della mia stanza con una strana bramosia di fuga. Forse è strano, ma vorrei poter imboccare al più presto l’uscita perché non ce la faccio più a reggere la pressione di questa situazione, tuttavia le sue parole adesso che hanno preso un senso logico nella mia testa, so che meritano di essere controbattute. Non faccio in tempo però a mettere insieme una frase che Katniss mi rimprovera: - insomma…puoi anche guardarmi in faccia adesso -. Inevitabilmente rialzo lo sguardo e la vedo indossare già la vestaglia di mia madre.  Non mi sono nemmeno reso conto che si fosse tolta l’aciugamano e vestita…Beh tanto meglio…Così almeno posso parlarle guardandola in viso, penso. I suoi occhi grigi si fissano nei miei. Sembra ancora che vogliano rimproverarmi. Vedo Katniss sedersi sopra il mio letto ed iniziare a sfiorare la coperta con i polpastrelli. – Scusami…- sospira - davvero per me questo è troppo. E’ stata una lunga giornata e la situazione è…Insomma prima ti ho anche tirato un pugno ecco… – dice mentre si lascia scorrere la stoffa tra le dita, osservandola con attenzione, con gesti lenti, mentre io mi ipnotizzo a fissare le sue spalle e il collo, scoperti, mentre lei se ne sta lì a pochi centimetri da me, con l’aria di non avere più alcun timore. Fino a qualche ora prima sembrava un animale impaurito e bisognoso di cure, ora invece si comporta come se ci conoscessimo da sempre. Tutto questo mi confonde e mi rallegra allo stesso tempo. – Sì…ma devi stare al caldo se vuoi guarire e poi quel pugno non era neanche così forte – le dico semplicemente in risposta. Le labbra di Katniss sembrano incurvarsi in un sorriso per un istante, sembra divertita. – Ma se sei praticamente scoppiato a piangere per il dolore? – risponde. Ora sono praticamente certo che mi stia prendendo in giro, ma decido di stare al gioco perché finalmente sento che inizia ad esserci sintonia tra di noi e a poco a poco la mia voglia di uscire da questa stanza diminuisce fino a sparire. - Comunque ho deciso di tornare a casa, tormenta o no… - insiste Katniss. – Ma dai! Ormai ci saranno almeno trenta centimetri di neve lungo le strade e prima di arrivare a casa tua saresti un blocco di ghiaccio…Ho promesso a mio padre che ti avrei trattata con riguardo…e poi perché tanta ostinazione?- replico subito. Ci fissiamo per diversi secondi senza che nessuno dei due aggiunga niente, finché lei cede. – Va bene…te lo concedo, è da pazzi avventurarsi fuori con questo tempo… Speravo smettesse… - sbuffa. Dentro di me un moto di trionfo mi fa sentire felice come non mai, tuttavia  la magia si rompe quasi subito, perché ad un tratto lei sembra uscire da quella sorta di pacifica trance: - Ok adesso però vorrei vestirmi…finiamo dopo la discussione -  dice con fare imbarazzato ed io mi ritrovo a dover uscire dalla stanza, rosso in viso, dicendole che vado a preparare la cena. Mentre mi allontano, riesco solamente a pensare che è davvero bellissima, e riesco appena a scorgere il suo viso mentre si liscia i lunghi capelli scuri, che le ricadono morbidi sulla schiena in una criniera di seta nera.


Punto di vista di Katniss:

Scendo lentamente le scale per poi arrivare in cucina. La vestaglia morbida che ho addosso mi infonde uno strano senso di protezione. La sensazione sgradevole dell’essere un estranea in questo posto c’è ancora, ma Peeta è capace di farmi sentire stranamente a mio agio. La bufera di neve è perfino peggiorata, per cui ormai mi sono rassegnata all’idea che dovrò trascorrere qui la notte. Non mi piace, ma dopo le follie di stamattina, sono abbastanza lucida adesso per sapere che l’unica cosa sensata che posso fare è aspettare. Il problema è che il figlio del fornaio mi dà sui nervi. Da un lato le sue premure mi lasciano intimorita, diffidente, dall’altro uno strano calore ha cominciato ad irradiarsi dal petto. Da quando mio padre è morto, nessuno si era mai preso cura di me, perché sono sempre stata io quella forte. Adesso che Gale, la mia sicurezza, il mio confidente, se n’è andato, mi sorprendo a pensare che in realtà, forse, quello che mi dava lui non era vero affetto. Mentre osservo Peeta versarmi la minestra nel piatto con un sorriso imbarazzato stampato in viso, non so perché ma mi sento felice. Sono successe così tante cose oggi però, che il mio unico desiderio è quello di mettere a tacere tutte queste voci dissonanti che ho nella testa. Sono ancora combattuta perché restare qui non mi va, però in fondo, potrei anche approfittarne per rifocillarmi un pochino, guarire e riposare, senza altre implicazioni. In fin dei conti, se avesse voluto farmi del male, l’avrebbe già fatto. Peeta non ha reagito male neppure dopo che l’ho preso a pugni e poco fa ci abbiamo anche riso sopra. Non posso temere qualcosa da lui, penso mentre sorseggio una cucchiaiata dietro l’altra di un delizioso brodo di carne. L’appetito non mi manca mai, soprattutto d’inverno, quando la fame si fa sentire. Stavolta non bado molto all’aspetto delle pietanze, ingurgito tutto con voracità mentre il mio sguardo va a posarsi sulle ciglia bionde del ragazzo che mi sta di fronte. Lo osservo mentre si serve da bere e mi dico che in effetti è piuttosto diverso da Gale, ma che probabilmente anche lui deve essere un tipo che piace molto alle ragazze. Se Gale era il bel tenebroso, Peeta ha più l’aria da tenero cucciolo da coccolare. In entrambi i casi: carne fresca di prima scelta sulla quale puntare per un roseo futuro da casalinga e madre di almeno tre bambini, cioè nuove bocce da sfamare… Insomma, mi vengono i brividi al solo pensiero.  Come fanno le ragazze della mia età a non capirlo? L’uno o l’altro non cambia. Finirei soltanto per mettermi nei guai… ed io non voglio certo dare vita ad una povera creatura affamata e senza prospettive, già fatico a sfamare Prim… Il problema è che non tutte le ragazze hanno avuto la fortuna di avere una madre che per lo meno spiegasse loro che cosa fare per non aspettarsi brutte sorprese. Stare alla larga dai bei tipi col sorriso, la casa accogliente e la buona cucina, per esempio, poteva essere un buon modo per tenermi lontana dai guai. Ecco perché mi sento a disagio e non vedo l’ora di fare ritorno a casa. Per di più sembra che il fornaio mi voglia a tutti i costi vedere assieme a suo figlio, me che sono del Giacimento…insomma, tutto questo ha dell’assurdo! Non dovrei proprio essere qui.   – Non ti piace? – La voce di Peeta, all’improvviso, rompe il silenzio della nostra cena, nonché il filo dei miei pensieri. Siamo ormai arrivati al dessert, e sebbene questa sia una torta speciale ed io non abbia avuto occasione di mangiare torte da almeno 5 anni a questa parte, la cosa non sembra allettarmi e Peeta deve essersene accorto da come ho giocherellato con la forchetta negli ultimi dieci minuti. Solo ora realizzo che, in effetti, durante tutta la cena, non ci siamo affatto parlati, perché io ero troppo occupata a mangiare, pensare, preoccuparmi insomma. – Oh…io…scusami…dev’essere buonissima, ora la assaggio – dico semplicemente, sperando che non mi faccia altre domande. Voglio salire in camera, chiudermi a chiave e ficcare la testa sotto un cuscino, non pensare più a niente. E invece il figlio del fornaio mi colpisce con un sorriso a trentadue denti e mi dice candidamente che se non mi piace la torta posso anche non mangiarla. In questo momento vorrei strozzarlo. Perché so che se è così gentile con me è soltanto perché si aspetta qualcosa, probabilmente anzi sicuramente qualcosa che non potrò ne vorrò dargli. Non ce la faccio a far finta di niente… I disegni nella sua stanza, tutte queste attenzioni, il cibo...Credo di avergli fatto capire abbastanza chiaramente che non sono un tipo del tutto indifeso, piuttosto però temo che la cosa peggiore che potrei fare ora è illuderlo. Non sono una sfruttatrice. E’ bene che sappia che il massimo che potrò fare sarà ripagarlo con i soldi che guadagnerò durante l’estate. E così mi decido ad aprire bocca e finalmente glielo dico: - Senti mi dispiace…non è la torta che non mi va, è che oggi il mio migliore amico è partito per entrare a far parte dell’esercito e ieri quando sei arrivato tu avevamo appena litigato… - faccio una pausa ma Peeta non dice niente, aspetta paziente che io continui il discorso e così faccio – lui per me era speciale – aggiungo con il tono più neutro che riesco a trovare, anche se dirlo ad alta voce mi fa un certo effetto. Peeta sembra impassibile ma mi sembra di notare che con quest’ultima affermazione si sia irrigidito un poco, proseguo – per di più, come una stupida avevo pensato di andare a salutarlo e l’ho fatto, ma sono arrivata tardi perché ero arrabbiata e ci ho messo un po’ a decidere se andare o no. Insomma…per farla breve, non che tra me e lui ci fosse qualcosa, ma ho visto che a salutarlo c’era già un’altra ragazza, per cui ho lasciato perdere… - concludo. Il silenzio si è fatto imbarazzante perché Peeta è rimasto di nuovo di sale. D’un tratto sembra ridestarsi – Ah…beh, Gale è il ragazzo bruno vero? – chiede parlando forse più con sé stesso che a me. Si guarda attorno quasi cercasse un appiglio per dire qualcosa - forse avresti dovuto salutarlo comunque, visto che avevi deciso di farlo. E’ per questo che stamattina eri li fuori al freddo? -. Ancora una volta, le parole del figlio del fornaio hanno il potere di farmi innervosire. – Si ma non importa più ormai…- taglio corto – il punto è che anche se fosse rimasto qui, non saremmo potuti essere che buoni amici. Mi ha dato fastidio il fatto che mi abbia tradita e lasciata sola, il mio unico amico, tra l’altro senza preavviso. Quindi ho deciso che starò da sola. Tuo padre può sperare quanto gli pare, ma io non ho bisogno qualcuno che mi mantenga. Forse tu lo dai per scontato, però avere da mangiare due pasti caldi al giorno è una fortuna che noi del Giacimento non abbiamo e adesso che Gale non ci sarà ad aiutarmi, non vedo perché dovrei immischiarmi con te in questa cosa… - confesso, fissandomi le mani che stringono forte un lembo della tovaglia. - Forse a undici anni non ero abbastanza forte per camminare sulle mie gambe e accollarmi il peso di mantenere mia madre e mia sorella, ma ora ce la posso fare benissimo da sola. Voglio approfittare della sua partenza per rendermi autonoma del tutto, non ho bisogno di questo e sono sicura che non ti potrò mai dare quello che ti aspetteresti da una qualunque altra ragazza… Perciò è meglio se ti metti il cuore in pace, ok? -.
Il mio tono di voce ha preso una sfumatura pesantemente accusatoria. Mi sono sfogata però… tenermi tutto dentro stava cominciando a pesarmi e confidarlo a qualcuno, adesso mi fa sentire leggera. Peeta Mellark però, non sembra del mio stesso avviso.  


Punto di vista di Peeta:

La cena è andata avanti silenziosamente fino a quando Katniss ha deciso di raccontarmi che cosa le è passato per la testa durante tutta la giornata. Le parole riferite a quel ragazzo hanno avuto su di me un impatto simile ad un pugno nello stomaco, ma spero di averlo mascherato. Non capisco molto bene che cosa intenda dire quando parla di “tradimento”. Nella mia mente questa parola evoca le più svariate situazioni…forse prima di giudicarla però dovrei capire che tipo di rapporto hanno o avevano loro due. L’idea che lui sia partito per arruolarsi però, un po’ mi rincuora perché vorrà dire che non si rivedranno molto presto, anche se la parte migliore di me si vergogna di un pensiero come questo. Ciò che segue però è un discorso pesante e i toni che usa sono talmente duri da mozzarmi il fiato. La magia che avevo serbato dentro di me, si spegne a poco a poco, mentre ascolto Katniss rifiutare il mio intero essere ancor prima che io abbia avuto occasione di avvicinarla davvero, di farle sapere chi sono. E’ quando conclude dicendomi di mettermi il cuore in pace che proprio non ce la faccio più e allora decido si sfogarmi anch’io. La vedo alzarsi da tavola con passo svelto e dirigersi verso le scale. La seguo e subito lei si volta nella mia direzione e mi fissa - aspetta – le dico – io… cioè… - balbetto un poco mentre provo a mettere ordine nei pensieri – Katniss, io non voglio nulla da te – questa frase sembra catturare la sua attenzione e il suo viso accigliato si rilassa impercettibilmente. Proseguo: - Voglio dire… Se ti ho chiesto di restare è perché volevo semplicemente conoscerti, non mi aspettavo né mi aspetto niente. Sai, forse avrò avuto occasione di avere la pancia piena per tutti i giorni della mia vita ma per tantissimo tempo mi sono sentito morto dentro perché avrei voluto fare di più per te…-. Lo sguardo di Katniss mi trafigge. – E’ da quando ti conobbi il primo giorno di scuola che mi presi una terribile cotta per te. Ti farà ridere ma soltanto il suono della tua voce, quando cantavi, era capace di farmi sentire vivo come non mai. La tua compagnia è sufficiente per rendermi felice… Ho passato undici anni della mia vita a cercare il coraggio per dirtelo…Mio padre ha soltanto forzato le cose per darmi l’occasione di fartelo sapere… E se non ricambierai questo sentimento me ne farò una ragione ma di certo non ti negherò più nulla. Ti porterò sempre del pane, da domani prometto che lo farò tutti i giorni…Adesso vorrei soltanto che ti rimettessi ok? -. Quando finisco di parlare l’espressione della ragazza bruna che mi sta di fronte, mi sembra davvero indecifrabile. Ci fissiamo di nuovo fino a quando lei risponde – Sei uno sciocco Peeta…trovati una brava ragazza figlia di commercianti e vedrai che la tua vita sarà di nuovo rose e fiori, d’accordo? -. Fatico a credere a quello che sento. Dopo quello che le ho appena confessato, è così che risponde? Non avevo mai detto parole simili ad una ragazza prima d’ora, e non so di preciso cosa mi aspettassi, ma la sua voce arrabbiata, piena di scherno, mi ferisce. – Insomma, perché dici questo? Credi forse che il mio sia un capriccio? Non stavo scherzando…Non ci si dimentica di una persona della quale sei innamorato da una vita in un batter d’ali…come porei…-
-Tu neanche mi conosci. Non sono quella che credi… la ragazzina che cantava allegra e spensierata è morta con suo padre anni fa! – risponde. Sta per salire le scale quando la voce di qualcuno la blocca. La vedo voltarsi verso di me, stavolta con un’espressione più dolce, ma più che altro davvero sbalordita. – Ti amo -. Riesco a sentire il cuore che mi martella nel petto mentre mi rendo conto che quella voce era la mia.



Punto di vista di Katniss:

La furia che mi ha attraversata fino ad ora, si spegne come la fiammella di una candela spazzata via da un soffio di vento. Questo soffio ha il suono di due parole che mai avuto ascoltato prima, almeno non rivolte a me. – Ti amo -. Osservo il viso arrossato del figlio del fornaio, gli occhi azzurri come il cielo d’estate, la bocca rosea con le labbra screpolate e una strana luce che mi fa stare male e si irradia da quelle iridi chiare fino alle mie. Onestamente, non pensavo fosse serio fino a questo punto. E’ sincero, ne sono certa. Sento le gambe che quasi mi abbandonano e mi reggo per un secondo al corrimano. Sarò una ragazza ma non sono mai stata una donnicciola, non c’è bisogno di farsi venire la gambe molli per queste cose. Peeta Mellark sta sfoderando tutte le armi che ha a disposizione per farmi delle avances, ma non cambierò idea. E’ un ragazzo premuroso, appetibile per la maggior parte delle ragazze, ci scommetto, ma non fa per me. E allora perché mi sto muovendo verso di lui? Perché mi avvicino al suo viso e lo fisso dritto negli occhi? Per un istante la mia mente visualizza un’immagine: io che mi getto a capofitto tra le sue braccia e mi lascio coccolare e consolare come facevo da bambina con mio padre. E’ un desiderio profondo questo, che mi dilania, ma mi costringo a non fare sciocchezze e restare ferma nella mia posizione di poco fa. Scaccio quell’immagine dalla testa e tento di rispondere con qualcosa che riesca, spero, a restituire a questa casa, un’atmosfera meno opprimente, ma non mi esce nulla. E adesso?

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Il bacio che non ti ho dato ***


  Questo capitolo potrà piacervi o non piacervi. A me piace tantissimo... Ammetto che dirmelo da sola suona idiota, ma nel scriverlo mi sono divertita un sacco. Ovviamente sono sempre pronta ad eccettare critiche e pareri vari. Buona lettura!
 

I ragazzi innamorati – capitolo 12 – Il bacio che “non” ti ho dato
 



Punto di vista di Peeta:
 

I nostri visi sono così vicini che per colmare la distanza mi basterebbe fare soltanto un passo verso di lei. Ha gli occhi lucidi e mi sembra quasi che stia tremando, forse le è tornata la febbre? Per un attimo ho strizzato gli occhi mentre mi si avvicinava, quasi temevo che mi tirasse di nuovo un pugno, ma questo non è arrivato.
Posso chiaramente avvertire l’odore della sua pelle fresca e così mi ritrovo a boccheggiare, senza riuscire a decidermi sul da farsi. Katniss non si sposta, resta immobile come me e non risponde.
Il silenzio si è fatto così imbarazzante che sommato alla posizione in cui ci troviamo, fa si che il cervello mi ripeta in modo ossessivo che devo fare qualcosa.
A questo punto o faccio un passo indietro, sennò… Sennò che faccio? Mi sta fissando. Ma non indietreggio, perché l’impulso che sento è così forte che neanche mi rendo conto  che i miei piedi si sono mossi, un po’ come poco fa, quando le ho detto “ti amo” di getto.  
Le mie labbra si vanno a premere sulle sue.
Dura solo un istante, giusto il tempo di sentire quanto quelle di Katniss sono screpolate ma dannatamente dolci e ricevere quel ceffone che poco fa non è arrivato.
Mi tasto la guancia. Devo avere l’espressione di uno che è appena caduto da un albero ed è atterrato in piedi, sento il dolore svanire velocemente e abbandonare il mio zigomo per poi andare ad investire un'altra parte di me che sta più in basso, nel petto.
– Katniss io… - è tutto ciò che riesco a dirle.
La sua mano destra è ancora alzata in aria e dai suoi occhi capisco che presto raggiungerà di nuovo il mio viso. Non mi sposto però, rimango lì a scusarmi finché lei non mi afferra il viso tra le mani e… mi bacia a sua volta.


Punto di vista di Katniss:



 

Il lampo che mi attraversa il cervello è così potente da farmi perdere il controllo per un secondo.
Lui mi ha baciata, si è avvicinato a me senza permesso e il mio braccio si è mosso involontariamente, quasi fosse una trappola con scatto automatico e l’ho colpito.
Senza fiato l’ho fissato negli occhi e sono certa di aver comandato al mio braccio di replicare quanto l’istinto mi aveva appena suggerito di fare, eppure ora mi ritrovo premuta contro le labbra del figlio del fornaio, a realizzare la sciocca fantasia di poco fa, tanto che mi accorgo di avergli buttato praticamente le braccia al collo, solo quando, recuperata la ragione, mi allontano di almeno dieci passi da lui.
– Che fai…? – gli urlo – sei forse impazzito? -.
La mia accusa suona ridicola dopo quanto è successo, ma non posso fare a meno di prendermela con lui. Peeta sembra spaesato mi ribatte subito – Cosa? -.
Senza lasciargli il tempo di dire altro, torno ad avvicinarmi a lui e gli tiro un altro schiaffo, senza troppa energia in verità.
Lui lo prende in pieno viso e si lamenta, fa un passo indietro – scusami, però mi sembrava che… Non capisco… - balbetta mentre si massaggia la guancia.
Poi lo vedo riacquistare un po’ di coraggio, mi squadra dalla testa ai piedi.
– Perché mi hai picchiato? – chiede con un misto di stupore e di rabbia.
– Perché tu mi hai baciata senza permesso – rispondo.
– Sì, e poi io mi sono scusato e tu sei tornata a baciarmi…e poi mi hai picchiato. Perché? -.
La sua affermazione risulterebbe comica se non mi sentissi così agitata – Non è vero… Non ti ho baciato! -, - Oh sì invece! -, - ti dico di no! - .
Continuiamo a battibeccare per un tempo indefinito, finché Peeta non si arrende  - d’accordo…non mi hai baciato – conferma - …hai soltanto premuto le tue labbra contro le mie mentre ti gettavi tra le mie braccia, ok? Così suona meglio? -.
Il rossore del mio viso che riceve in risposta lo costringe a trattenere una risata. Gli tiro immediatamente una di quelle occhiate che parlano da sole e lui nasconde a fatica il suo sorriso per tornare serio.
Mi fissa.
– Che c’è adesso? – gli chiedo aspra mentre lui si ricompone  - niente…a parte: che cos’era quello? -.
– Quello cosa? – domando.
– Quell’espressione truce… dove l’hai imparata? Che vuol dire? Che se non farò il bravo mi manderai a letto senza cena? -.
La sua certamente voleva essere una battuta, ma il riferimento ad un pasto mancato mi risulta così fuori luogo che mi incupisco subito e per un attimo dimentico ciò che è appena successo.
Lui sembra capirlo infatti lo sento immediatamente sprofondarsi in mille scuse.
– Non fa niente – gli dico – smettila di scusarti sempre…-.
– No, sono un’idiota io…non dovevo dirlo… - risponde, poi forse per cambiare argomento o forse per riprendere da dove avevamo interrotto, replica: - comunque mi hai baciato eccome… -.
– No, io… -.
Non so cosa dire. Peeta sbuffa, si siede sul primo gradino della scala e mi tende la mano per invitarmi a fare altrettanto.
Esito, ma poi non posso fare altro che sedermi. Adesso siamo l’uno accanto all’altra. Fuori posso sentire distintamente il rumore del vento che ulula tra le case e porta con sé altra neve.
Sospiro.
Non riesco più a capire me stessa, mi sembra di non conoscermi. Una parte di me è ancora qui che si chiede se non sia il caso di aprire quella porta e correre verso casa, l’altra è inspiegabilmente legata a questo ragazzo come una calamita e non solo per la tormenta.
Le nostre braccia si sfiorano. Peeta mi posa una mano sulla fronte in modo inaspettato ma delicato, sussulto e inizialmente mi ritraggo, ma poi lo lascio fare. – Non ho la febbre, sto bene! – spiego risoluta rispondendo alla sua muta domanda.
Lui indugia comunque con la mano sulla mia fronte – strano, perché se non è la febbre a farti straparlare, allora non so spiegarmi come mai insisti nel dire che quel bacio non c’è stato…Insomma, c’ero anche io sai? -.
Il suo tono adesso pare piccato, insistente. Se fino a poco fa il figlio del fornaio mi dava un senso di pace e conforto, ora mi sento messa sotto accusa e la cosa non mi piace. Una voce nella mia testa però mi ricorda che la colpa è soltanto mia.
L’ho baciato, è vero, e adesso insisto nel volerlo negare, senza un perché.
E’ normale che lui pretenda una risposta o quantomeno una spiegazione dopo quanto è successo.
Dopo la sua confessione, un bacio poteva valere di certo come una risposta positiva, come un “ok, possiamo provarci Peeta”.
Il primo schiaffo è stato un sonoro “no” e quello probabilmente lo avrebbe accettato senza discutere. Il secondo bacio però cambia un bel po’ le carte in tavola… Non posso credere di averlo fatto, di avergli dato una falsa speranza…io… forse è per questo che lo sto negando. Buon cielo! Lo sto negando anche a me stessa… Sei forse impazzita Katniss? Dì qualcosa… - Io non sono sicura –.
Quello che ho appena detto non ha senso.
Doveva essere qualcosa in grado di farmi fare retrofront e cancellare il bacio di prima e invece gli sto servendo su un piatto d’argento una via che sembra portare dritta dritta al mio cuore.
– Non sei sicura…?- ripete lui tranquillamente.
Nella sua voce adesso non leggo né scherno né rancore, soltanto una gran voglia di capire.
– Sì…io non sono sicura che sarebbe una buona idea…cioè… tu e io…avanti, siamo troppo diversi…- spiego o almeno tento di spiegare.
Peeta anziché rabbuiarsi per il mio “no” sembra quasi contento. – Ma allora tu potresti provare qualcosa per me…Stai dicendo che la cosa ti spaventa ma che io ti piaccio! – e scoppia in una risata che fa crollare ogni mia ultima speranza di far andare le cose per il verso che avevo sperato.
Peeta ha fatto bingo.
E il mio tentativo di smorzare il suo entusiasmo non fa che confermargli che in realtà, una speranza gliela ho appena data – No, no, no… io volevo dire che – insisto – tu volevi dire esattamente quello che hai detto! – risponde lui sempre sorridendomi – perciò signorina Everdeen, se non le dispiace, il figlio del fornaio questa sera vorrebbe festeggiare con lei l’avvenimento...-.
Così dicendo Peeta mi scocca un fugace bacio su una guancia e mi aiuta ad alzarmi dalle scale. – Mettiti pure comoda dove preferisci. Aspettami qui, voglio mostrarti una cosa – dice mentre si dà lo slancio verso il piano di sopra. Tutto quello che posso fare è continuare a ripetere a vuoto: - ma io non ti ho baciato!!! –
 
 

 

 
   
 
 
  
 

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Capitolo 13
*** Scintilla ***


Spero che questo capitolo non vi deluda. La storia va avanti e di strada i nostri protagonisti ne devono ancora fare... Un ringraziamento a chi mi segue e commenta :)


 

I Ragazzi innamorati - Capitolo 13:  - *Scintilla*

 




Punto di vista di Peeta:

Corro verso la mia stanza. Pochi passi e sono già intento a frugare nel cassettone dove tengo i vestiti. Non pensavo che le cose avrebbero preso questo tipo di piega…Ora però mi sono ricordato di una cosa e voglio mostrargliela.
Sposto i calzini con fare febbrile finché non lo trovo.
E’ un po’ rovinato purtroppo. Scendo rapidamente le scale e trovo Katniss seduta sul divano del salotto, le game appoggiate di lato e le braccia conserte.
Sta giocherellando con i cepelli, poi appena mi vede smette – Non so cosa tu abbia lì nel palmo della mano, ma sbrigati a mostrarmela perché voglio andare a dormire…sono stanca – taglia corto lei col tono più brusco che riesce a trovare.
Poi riprende a giocare con i capelli e non mi guarda. Silenziosamente le appoggio l’oggetto sulle ginocchia.



Punto di vista di Katniss:

Peeta mi guarda con occhi languidi mentre tengo tra le mani il cavallino intagliato nel legno che mi ha portato.
In un primo momento mi chiedo cosa voglia significare questa cosa, dopodiché un flash mi fa ricordare e lui se ne accorge subito perché mi vede spalancare tanto d’occhi.
– Allora te lo ricordi, vero? –.
Io resto lì a boccheggiare per un momento…
- Non è possibile… Quel bambino eri tu? – grido quasi come se fosse un’accusa. Devo dire che nel corso della mia vita sono davvero pochi i ricordi gioiosi che ho potuto serbare nel cuore. Uno di questi risale a mille anni fa, o così mi sembra adesso che mi è venuto in mente.
Avevo circa 5 anni e con me c’era mio padre…
Era il periodo in cui mi ero fissata con gli animali e volevo a tutti i costi fare un giro su un cavallo, così mio padre chiese ad un uomo (che solo ora identifico con il fornaio) se poteva trovarci una bestia tranquilla con cui provare.
Lui a quanto pare se ne intendeva.
Così ci recammo tutti fuori città, in un immenso prato verde dove io mi sono divertita a correre e raccogliere fiori mentre mio padre e l’altro uomo sellavano il cavallo per me.
Fui così entusiasta che subito mi affezionai all’animale…poi però venne abbattuto per farci delle bistecche e ricordo che quando me lo dissero scoppiai a piangere a dirotto.
E’ ridicolo, mi sembro Prim se ci penso.
E’ lei quella con la passione per gli animali… O forse…beh forse per me è stato così doloroso sapere del cavallo che da quel giorno sono diventata  più dura… Comunque, mio padre per consolarmi mi intagliò un cavallino di legno. Ricordo che lo adoravo e lo portavo a passeggio con me fingendo di cavalcare. Finché quel giorno… L’ennesimo rossore mi paralizza sopra il divano.
– E’ tuo…avrei dovuto restituirtelo anni fa.
Mi dispiace separarmene, non sai quanto – confessa Peeta. – Io…io…- balbetto.
Lui intanto si è seduto accanto a me, sta per dire qualcosa ma lo blocco immediatamente – quindi tu saresti innamorato di me da allora? -.
Sono così stupida da tale rivelazione che non mi sembra vero.
- Ebbene sì…- confessa.
– Ma non ti sei mai interessato ad altre ragazze? – insisto.
– Sì, mi sono interessato ma nessuna è riuscita a lasciarmi un segno duraturo come te – risponde [cit. Libro: “Hunger games”].
– Quel giorno mi sono ritrovato innamorato cotto – continua Peeta – e lo sono tutt’ora…Pensa che ogni anno, quando mio padre mi dava la torta da consegnare, ho sempre sperato di incontrarti, di poterti parlare…-.
– E perché non l’hai fatto? – chiedo, senza parole.
– Perché non sono mai riuscito a trovare il coraggio…- abbassa lo sguardo e fissa il pavimento – ma adesso ce l’ho… Katniss…Non posso certo costringerti ad amarmi ma per lo meno potremmo provarci….- attacca lui. Un segnala d’allarme grosso come una casa comincia a lampeggiarmi davanti agli occhi.
E’ il momento di svignarsela.
Tento di alzarmi dal divano ma lui mi afferra un polso e mi supplica di restare ad ascoltarlo fino alla fine. – Quel giorno, quando ti ho trovata stavi piangendo perché Danny Lofte ti aveva strappato di mano il cavallino di legno – ricorda. – Io ero un bambino piuttosto pacifico allora, però non sopportavo già i bulletti, quindi… -.
– Quindi ti sei avvicinato e hai detto a Danny di restituirmelo e in risposta ti sei beccato un cazzotto in pancia – aggiungo subito dopo.
– Sì, è vero… Poi però ero così arrabbiato che mi sono buttato su di lui…Qulla sera mia madre mi ha fatto vedere le stelle perché mi ero sporcato tutto di fango, ma almeno mi ero tolto la soddisfazione di vedrelo abbassare la cresta…- dice.
– Già…la tua testata lo ha mandato praticamente k.o. però poi non siamo riusciti a trovare niente in quella melma fangosa…- aggiungo io.
– Già…il giorno dopo però sono tornato a cercare, e ovviamente mi sono di nuovo sporcato e le ho di nuovo prese, ma l’ho trovato…Volevo restituirtelo invitandoti fuori a giocare, ma tua madre mi disse che eri a letto con la febbre e poi… Poi non ho più trovato il coraggio di venirti a trovare un’altra volta, perché quel giorno ti ho sentita cantare assieme a tuo padre mentre ti rimboccava le coperte ed è stato lì che ho capito che ero fregato! -  conclude Peeta.
Il silenzio ci avvolge per pochi secondi, non so più che dire, finché una risata fragorosa non mi esce dalla bocca.
Sento che sto ridendo come una pazza e Peeta ride con me. Ridiamo finché non mi rendo conto di quanto siamo vicini, di come la sua mano destra si sia pericolosamente avvicinata alla mia nella quale sto stringendo il cavallino di legno con tanta forze che temo potrebbe spezzarsi.
I suoi occhi azzurri e limpidi sembrano riuscire  a leggermi dentro. Prima che succeda qualunque altra cosa, perciò intervengo: - Ok… Direi che per oggi è sufficiente. Mi è venuto un bel mal di testa, sai…Vorrei andare a dormire -.
Scosto la mano dalla sua, forse un po’ troppo bruscamente, ma lui non insiste.
Ci alziamo e così termina la nostra serata “speciale”. Peeta non aggiunge nulla di più, mi accompagna semplicemente nella stanza per gli ospiti e mi dà la buonanotte da stare sul pianerottolo.
– Ok… allora, Buonanotte Katniss – mi sorride. Io mi chiudo la porta alle spalle, appoggio il cavallino sopra il comodino e mi tuffo sotto le coperte.
Per un momento di ritrovo a domandarmi come mai non abbia provato di nuovo a baciarmi, quasi mi dispiacesse.
Poi però mi dico, risoluta che domani, tornerò alla mia vita di sempre e che quel bacio in realtà è stato solamente un attimo di debolezza, che forse è stata davvero la febbre a farmi agire in quel modo… Ma come raggiungo il mondo dei sogni, teneri baci, cavalli e occhi azzurri sono lì ad attendermi, tanto che quando mi sveglio mi riscopro più agitata e confusa di prima.
Quantomeno, mi sento decisamente guarita e ancora meglio, vedo subito che un pallido sole comincia a spuntare dalla finestra. Niente più tormenta.



Punto di vista di Peeta:

Stamattina il risveglio è un po’ più amaro del solito. Sono felice che Katniss sia qui a casa mia, e ancora non mi sembra vero di averle parlato, di averle addirittura confessato i miei sentimenti di… averla baciata.
Non sono riuscito ad addormentarmi fino all’alba a causa del calore rovente di quei baci sulle mie labbra.
Ovviamente era tutta immaginazione, cioè, le nostre bocche si saranno appena sfiorate e di certo i baci non bruciano, ma è come se questi lo facessero…
Ho continuato a mordermi il labbro inferiore in maniera febbrile, quasi maniacale, mentre rievocavo ancora e ancora e ancora quei pochi attimi di dolcezza.
Poi finalmente devo essermi addormentato.
Per un attimo mi sono chiesto se avevo sognato e la consapevolezza che era successo davvero, mi ha fatto esplodere dentro un mare in burrasca… Almeno finché non ho realizzato che oggi dovremo separarci.
L’orologio mi avverte che è pericolosamente tardi, mentre sono intanto a preparare la colazione. Le strade sono ricoperte di neve, ma entro stasera saranno certamente percorribili. Katniss sta ancora dormendo, per cui la lascio riposare.
Mi armo di buona volontà e spazzo via tutta la neve che posso dal marciapiede davanti al negozio. Sì, purtroppo, il tempo è decisamente migliorato. In ogni caso mi dico che prima che i miei possano fare ritorno, ci vorrà almeno mezza giornata, per cui, nella peggiore delle ipotesi, saranno qui entro stasera. Mentre sono intento a rimuovere gli ultimi cumuli di neve, però, sento dei passi alle mie spalle e vedo Katniss, già vestita, venirmi incontro per uscire dal negozio.
– Buongiorno – dice con un leggero sorriso.
Devo sembrarle allarmato perché aggiunge subito – Non preoccuparti, sto bene e non ho intenzione di scappare, volevo solo aiutarti con la neve – spiega.
– Oh… no, ho già finito e poi tu è meglio che non ti affatichi…Ho preparato la colazione, ti va? – chiedo più imbarazzato che mai. Lei pare a sua volta a disagio.
Che cosa pensa, cosa ha deciso di fare? Vorrà rivedermi oppure dopo questa colazione io e lei non ci rivolgeremo più la parola? Questa situazione mi sta dilaniando.
Eppure ieri mi ha baciato..Mi ha picchiato, dice che non c’è storia, ma quel bacio c’è stato.
L’ho sognato tutta la notte…

Rientriamo in casa e io le servo subito una tazza di latte caldo con l’aggiunta di un goccio di miele e alcuni biscotti al cioccolato che mi ho padre ha fatto giusto ieri prima di partire. Lei scruta il vassoio e poi dice – non preoccuparti, soltanto il latte andrà bene -.
Incredulo le rispondo – guarda che non c’è problema, vorrei che li assaggiassi, per favore… -.
Lei mi fissa con lo stesso cipiglio di ieri sera e la cosa non mi piace affatto.
– Katniss, per favore… cosa c’è che non va?- le chiedo con aria disperata. Lei prende un biscotto e se lo rigira tra le dita – c’è che ieri era ieri e oggi…-.
Non la lascio finire perché intervengo io: - e oggi è oggi. E allora? –.  
– Allora mi sento già abbastanza in debito con te Peeta.
Ci ho pensato…non voglio più niente. Il cibo ce lo procureremo da sole, come sempre – dice.
La sua ostinazione mi lascia senza parole.
– Va bene, come vuoi… tuttavia voglio che tu sappia che qualunque cosa succeda potrai bussare alla mia porta quando vorrai, ok? Non ti lascerò più morire di fame…E prima che tu dica qualche altra cosa, sappi che lo faccio per me, ok? Perché non posso più lasciare che la ragazza che amo rinunci ad un pasto, che patisca il freddo, che… -.
Non riesco a finire che Katniss mi si scagli addosso come una furia, si alza dal tavolo e infila la giacca di suo padre – Ok…continua pure a vivere delle tue fantasie, ma io adesso me ne torno a casa…Addio Peeta Mellark! Grazie di tutto… Prometto che ti ripagherò ogni cosa! – e così dicendo imbocca la porta d’ingresso.
E’ perfino peggio di come l’avevo immaginato, il nostro addio.
Ha qualcosa di crudele dopo i baci appena accennati di ieri sera. Non posso fare altro che guardarla andar via, perché le mie gambe sembrano paralizzate. Tuttavia, voglio credere che questo sia soltanto un inizio. So che quella scintilla che le ho visto negli occhi in quell’istante, non me la sono immaginata, c’era! E troverò un modo per farla diventare un incendio!

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Capitolo 14
*** Come siamo arrivati a questo punto? ***


 
 

Fan di Peeta Mellark, vi prego non odiatemi ma….purtroppo sì, in questo capitolo c’è ancora Gale… e non solo! XD Dopo un momento di stallo in cui, bloccati in casa, i due piccioncini, si conoscevano, dovevo assolutamente dare una svolta alla cosa. E in questo capitolo di svolte dovreste trovarne parecchie… Perdonate la mia scarsissima conoscenza della storia americana, ma soprattutto della sua geografia. Avrei voluto arricchire il racconto di un milione di particolari ma poi mi sono detta che era meglio lasciare perdere, onde evitare di dire corbellerie! XD Diciamo che qui non è importante per quello che ci interessa ok? Come in Hunger Games, immaginatevi un posto che è “più o meno lì e fatto così e cosà”… Buona lettura! Non odiatemi! XD




I ragazzi innamorati - Capitolo 14:

"Come siamo arrivati a questo punto?" – prima parte -   


                   

Sul Confine dello Stato – Base militare di New Terras [luogo di fantasia] - Punto di vista di Gale:

Il sole si è già alzato da un po’ quando mi sveglio. Oggi non ho dovuto affrontare la solita levataccia solamente perché il comandante ha chiesto di vedermi personalmente per ora di pranzo e mi ha concesso la mattinata libera. Sbuffo mentre mi infilo gli stivali allacciando per bene le stringhe. Sono già trascorsi sei mesi dal mio arrivo qui e non è passato giorno in cui io non mi sia sorpreso a pensare a Katniss. Ovviamente tra marce forzate, addestramento e quant’altro, ho bene poche occasioni per pensare a casa mia, tuttavia, la sera mi è capitato spesso di chiedermi se il modo in cui mi sono comportato non sia sbagliato… Lei contava su di me, in fin dei conti… Le ho scritto diverse lettere ma fino ad ora non o ricevuto risposta. Nella migliore delle ipotesi deve averle semplicemente lette evitando di rispondermi. Qualche ora più tardi sono davanti al comandante. – Soldato Gale a rapporto – dico con voce ferma mentre i miei muscoli si tendono per prendere posizione. In poche settimane sono riuscito a dimostrare il mio valore ai miei superiori, mi sono distinto in diversi campi, soprattutto quando si trattava di sparare: non ho mai mancato un bersaglio. Non penso tuttavia che il motivo per cui sono stato convocato sia questo, quanto piuttosto a causa di un mio commento riguardo alle armi che ci forniscono in dotazione che non deve essere passato inosservato al mio superiore. Ma che potevo farci… quel dannato fucile si sarà inceppato almeno un milione di volte! Ho subito notato l’occhiataccia del sergente Rendolf, ma chi se lo aspettava che sarebbe stato così canaglia da fare la spia?! Quello che arriva però non è una ramanzina, ma una strana richiesta. I giri di parole che il comandante mi sta facendo sono decisamente troppi… finché non lo sento concludere non capisco, poi un’ondata di stupore mi coglie del tutto impreparato: - soldato Hawtron…Le nostre truppe oramai si stanno preparando al peggio. I nostri “vicini di casa” non sembrano più disposti a trattare riguardo al passaggio delle risorse al di là dei loro fondini. Se la situazione prendesse una brutta piega come sembra, dovremo tenerci pronti al peggio. Mi è giunta voce che lei è piuttosto abile in quanto a strategia militare...le andrebbe di aiutare l’esercito a progettare una nuova e segretissima arma da guerra?-



Intanto nella placida cittadina americana di “Twelve” - Punto di vista di Katniss:


E’ maggio inoltrato. Mi sveglio all’alba e mi metto subito al lavoro. Rifaccio i letti, do aria alla casa, lavo i piatti della cena di ieri e poi finalmente posso dedicarmi al bucato. E’ praticamente una valanga, per  mia fortuna. Praticamente tutte le signore più ricche della città si fanno lavare il bucato da me. Mia madre adesso mi dà una mano quando può e così anche Prim, anche se ovviamente non le permetto mai di stancarsi troppo, né tantomeno di trascurare lo studio. Saremo pure povere ma lei è intelligente e merita di avere la possibilità di realizzarsi. Sospiro mentre sfrego con energia un paio di vecchie e grosse mutande dal colore grigiastro. L’acqua nella bacinella è così nera ormai che mi dico che è giunto il momento di sostituirla, così mi trascino dietro il contenitore e la faccio sgocciolare verso un piccolo canale di scolo. E’ mentre osservo le bolle di sapone sparire lentamente e sto già per azionare la pompa dell’acqua che una voce familiare mi riscuote. – Ehi Katniss! –. Mi asciugo velocemente le mani bagnate nel grembiule che ho indosso, poi me lo sfilo con un unico movimento veloce. Le mie dita si infilano subito tra le pieghe della mia treccia di capelli per disfarla e riaggiustarmela in fretta e furia. Sono gesti automatici, non so perché lo faccio visto che da qui, lui, può tranquillamente vedermi. Solo che, ecco, preferisco essere in ordine in sua presenza, tutto qui. – Ehi – lo saluto a mia volta andandogli in contro. Ormai da un po’ di tempo, siamo soliti incontrarci nel grande giardino che c’è sul retro della mia casa. A parte il fatto che come posto è parecchio tranquillo e rinfrescante, visto il prato verde e gli alberi che lo circondano, è anche ottimo per non essere osservati e starcene un po’ da soli a parlare in santa pace. Visto che è mattina e che c’è ancora scuola, Prim non è in casa, e così mia madre che credo sia andata al mercato a fare un po’ di spesa. – Katniss…sempre al lavoro eh? Dovresti riposare un po’ di più – mi dice il giovane ragazzo con gli occhi chiari mentre mi si avvicina per scalcare la staccionata che ci separa. – E tu invece? Niente lavoro oggi? – replico immediatamente io. Lui sembra rifletterci qualche secondo prima di rispondere – veramente sì, avrei dovuto aiutare mio zio a falciare il prato, ma sai… avevo l’occasione di trascorrere una bella  giornata in compagnia della ragazza più bella del Giacimento – replica lui sorridendo. – Sei sempre il solito scemo Jess! – ridacchio mentre gli tiro addosso la saponetta e mi dirigo verso casa. – Ci metto un minuto ok? Potevi avvisare…adesso mi devo cambiare…tu aspetta qui! – e con un sorriso stampato in viso mi dirigo verso la mia stanza. Mentre scelgo il vestito da mettermi, frugando tra le mie cose nel cassettone, spunta un piccolo cavallino di legno. Quasi sorpresa mi ritrovo a rigirarmelo tra le mani. E proprio come un flash, il ricordo della notte della bufera di neve trascorsa a casa Mellark mi riporta alla mente il ricordo di un bacio. Mi sento arrossire al ricordo e una strana sensazione, quasi di nostalgia mi invade, ma dura solo un secondo. Quanto tempo è passato ormai? Se c’era la neve…dev’essere stato prima di natale, mi dico, poco prima di rimettere piede in giardino e sorridere a un Jess impaziente che mi fa l’occhiolino.



Punto di vista di Peeta:

-Ehi fannullone, ti decidi o no a venirmi a dare una mano? -. La voce angelica di mia madre mi giunge alle orecchie mentre sto già infilandomi il grembiule da lavoro. – Sto arrivando! – è ciò che le dico in risposta. Con tutti gli incubi che mi sono venuti a trovare stanotte, non sarei riuscito a dormire comunque, infatti sono sveglio da almeno tre ore. Ad accogliermi al piano di sotto c’è il sorriso un po’ spento di mio padre, che mi dà una pacca sulla spalla mentre mi siedo sul mio solito sgabello e comincio lentamente a decorare le torte appena sfornate. – Alla buon’ora! Sempre con la testa fra le nuvole lui! Proprio come suo padre! – dice mia madre mentre sbraita ai quattro venti. – Ieri sera mi era sembrato di dirti che dovevi buttare la spazzatura, si o no Peeta? –. Io la fisso con occhi vuoti, decisamente troppo imbambolato per i suoi gusti, mentre tento di fare mente locale. Lei ovviamente non la prende bene – insomma Arold! Dì qualcosa a tuo figlio! Se ne sta lì con quell’espressione affranta da quanto?...sei mesi? Un anno? Che diamine gli è successo da rincretinirlo così? – borbotta di nuovo mia madre mentre mio padre emette un leggero sospiro da stare al suo posto dietro al bancone. – Suvvia, non ha niente che non va…sarà stanco – taglia corto mio padre. – Stanco un corno! E’ così distratto che l’altro giorno per poco non mi ha tirato addosso un intero sacco di farina mentre gli avevo chiesto di prendere dallo scaffale un po’ di zucchero per la signora Densbury! – insiste lei –  per non parlare di quella volta che si è quasi tagliato un dito… se non fosse stato per la nostra profonda amicizia con il Dottor Hadson, non so chi te lo avrebbe risistemato! – dice di nuovo rivolta a me. – E tutto da quando lo abbiamo lasciato solo durante quella tormenta di neve – conclude. Sia io che mio padre sospiriamo sonoramente. Lui probabilmente perché non ne può più di quella rompiscatole di mia madre, io perché so che  infondo lei ha ragione. Il ricordo di quella giornata trascorsa in compagnia di Katniss è così vivido da farmi pensare che sia impossibile che siano trascorsi più di sei mesi. Un’altra parte di me però, non è della stessa idea. Ha contato giorno, dopo giorno, dopo giorno, sentendo la pesantezza e il dolore del distacco ad ogni singolo respiro. Prima non pensavo di poter provare dolore fisico nel non avere qualcuno accanto, nel saperla lontano. Ora si.

 

 Se solo non ci fosse stata di mezzo quella stupida festa… Basta però! Non voglio più pensarci. Servirebbe a poco comunque. Eppure il ricordo di quei baci mi brucia ancora dentro. Smetto di decorare il dolce solamente quando mi rendo conto del pasticcio che sto facendo. Troppo tardi, mia madre ci è arrivata prima di me e ora mi sta urlando come una pazza. – Che hai nella testa, segatura?! -. Sobbalza quando le sbatto la porta in faccia e corro via dal negozio senza riuscire a fermarmi. Questo è troppo anche per me. Perché mi hai fatto questo Katniss?
 

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Spazio autrice:
Eccomi qui pronta a ricevere i vostri insulti XD No, scusate… ma questo è un “leggero” salto nel tempo, che ho voluto fare, azzardando un pochino. Ovviamente verrete presto messi al corrente di come e perché siamo giunti a questo punto. Le storie d’amore non sono belle se non c’è un po’ di suspance… Il capitolo vi piace, lo odiate? Sono sempre pronta a rimediare a eventuali errori perché ci tengo ai miei lettori affezionati e nel scrivere questa storia vorrei divertirmi così come vi divertite voi (spero) nel leggerla... Aspetto risposte! Quelle che volete! :) Faccio un po' di spoiler: comunque, nel caso vi fosse proprio preso un coccolone nel leggere questo capitolo: sappiate che fin dall'inizio la mia intenzione è sempre stata quella di far sbocciare l'amore tra Katniss e Peeta...e non ho affatto cambiato idea. Dunque spero continuerete a seguirmi. Un bacio!



 

 

 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Non ti scordar di me ***


  

Capitolo 15 : "Non ti scordar di me"

Dopo un breve scorcio del futuro, torniamo alla nostra storia, per scoprire poco alla volta, come i due ragazzi sono arrivati a quel punto. Buona lettura. Sperando che il capitolo non vi risulti noioso…
Scusate se non è molto lungo.
Ovviamente ogni parere, critica,commento è bene accetto! Grazie mille!

Punto di vista di Katniss:

Quando mi alzo per preparare la colazione a Prim lei è già sveglia. – Buongiorno paperella – le dico mentre le aggiusto la camicetta che le fuoriesce dalla gonna.
 In questa stanza fa un freddo cane. Mia madre non si è alzata ad accendere il camino.  – ‘giorno! – saluta lei un po’ assonnata.
– Ti sei alzata presto – commento mentre con un fiammifero inizio a fare ardere un po’ di legna. Per tutta risposta Prim mi fa un grande sorriso: - sì, stamattina la nostra insegnante ha detto che decoreremo un albero di natale da tenere in classe -.
– Ah, davvero? – chiedo mentre mi sposto verso l’altro lato della stanza. Sto ancora rimuginando sul vuoto che trovo nella credenza quando mi rendo conto di ciò che ha appena detto. Quando mi volto verso di lei riesco chiaramente a scorgere l’eccitazione che si cela dentro il suo sguardo.
Prim non ha mai avuto un albero di natale da decorare in vita sua. Io sono stata più fortunata, quando c’era mio padre, a natale lui andava nel bosco e ce ne portava a casa uno enorme che profumava tantissimo. Ricordo ancora l’odore del pane caldo e del minestrone bollente che mangiavamo seduti accanto al caminetto, con il nostro albero di natale a decorare la stanza, pieno di pigne e nastri colorati.
 – Sono felice che tu possa decorare finalmente un albero di natale – le dico facendole una carezza sulla testa. – Per colazione purtroppo c’è solo qualche foglia di tè, ora metto su l’acqua -.
Prim non si lamenta, è così felice per quello che l’aspetta oggi, da dimenticarsi dello stomaco che brontola per la fame. Questa settimana non è andata molto bene con il lavoro e anche se mia madre prepara i più vari ricostituenti per curare i mali di stagione, la maggior parte di quelli che vengono qui da lei è messo perfino peggio di noi, così lei non si fa pagare.
– Vai piano! Scotta! – le dico mentre vedo mia sorella afferrare la tazza bollente con le manine fredde. – Sì, ma almeno mi scaldo le mani – risponde. Sono passate all’incirca due settimane dalla mia disavventura a casa Mellark. Per fortuna la febbre non si è ripresentata. Neanche Peeta, se è per questo, penso, mentre sorseggio un po’ di te. E’ un pensiero che mi corre di sfuggita nel cervello, rievocandomi diverse immagini, ma decido di accantonarlo subito.
 – Vuoi che ti accompagni a scuola? E’ piuttosto presto, non vorrei che ti succedesse qualcosa – chiedo a Prim mentre lei si sistema sulle spalle l’elastico con i libri. – Hai tempo? – mi chiede in risposta. Le sorrido – sì, oggi ho tempo…non ho molto lavoro da fare, purtroppo – spiego.
 Così ci prepariamo. Prim si infila il suo cappotto di lana, troppo grande ma comunque bello caldo, e io mi preparo a mia volta. Sto ancora infilandomi gli stivali che Prim è già sulla porta ed esclama qualcosa. – Katniss! Katniss! Corri! – mi urla.
 Mi muovo velocemente verso di lei, quasi inciampando, per poi ritrovarmi a fissare un cesto che qualcuno ha posizionato sui gradini dell’ingresso di casa mia. – Che cos’è? Non ti avvicinare! – le intimo, afferrandole un braccio prima che possa scoprirne il contenuto.
 – Cosa credi che sia? Non può mica mangiarmi! Anzi, fa un buon profumo!– replica immediatamente Prim. – Non si sa mai…- dico quasi divertita per il coraggio dimostrato dalla mia sorellina e per la mia eccessiva circospezione.
Mi avvicino e scopro che il cesto contiene una quantità esorbitante di pane e panini d’ogni genere. Ci sono anche dei biscotti sistemati in un sacchetto azzurro, chiusi da un bel nastro blu. Addirittura noto che il sul sacchetto di stoffa è stato disegnato un fiore blu che riconosco a prima vista. – E’ un ‘non ti scordar di me’ – sussurro quasi rapita.
Prim nel frattempo ha cominciato a saltellare per la gioia. – Katniss! Guarda quanta roba! E’ per noi? -. Mia madre giunge improvvisamente alle nostre spalle. – Che succede? – chiede nel vedere entrambe a bocca aperta mentre ce ne stiamo sulla porta con il cesto lì in bella vista.
 – Credo che il fornaio…io… - balbetto. Gli occhi celesti di mia madre sembrano perdere per un attimo quel velo d’ombra che spesso li avvolge. – C’è un biglietto – dice chinandosi per afferrare il cesto e posarlo sul tavolo della cucina.
Io e Prim rientriamo chiudendo la porta e ci avviciniamo subito a mia madre. – Leggi tu – dico semplicemente con lo stomaco che quasi sfarfalla. Lei legge senza obiettare mentre il ricordo di quando tornai a casa e le dissi della giornata trascorsa con Peeta mi provoca un fortissimo senso di disagio ed imbarazzo. Quel giorno mia madre mi guardò con occhi diversi dal solito, il suo sguardo era preoccupato ma al tempo stesso pieno di un sollievo che ancora adesso non sono riuscita a spiegarmi.
Un po’ la stessa espressione che sta facendo ora mentre legge: “Una promessa è una promessa. Peeta”. In un impeto di nervosismo le strappo il foglietto di mano e lo rileggo almeno cinque volte di seguito. Nel mentre Prim ha cominciato a emettere piccoli gridolini eccitati.
– Katniss! Ma allora lui è il tuo ragazzo? – chiede infine lasciando mia madre senza parole da aggiungere. Adesso mi stanno fissando entrambe. – No!- rispondo decisa. Tutte e due non sembrano molto convinte dalla mia repentina negazione. Mia madre in particolare sembra piuttosto preoccupata. Cosa crede che significhi? Adesso non penserà che mi sono venduta per un po’ di pane…Non lo sopporterei. Così insisto. – Ho detto di no! Lui ha una specie di cotta per me, ma gli ho già spiegato che non deve portarmi dei regali…ce la facciamo da sole… - dico e proprio in quel momento il pancino di Prim brontola così forte che mi ritrovo a dover decidere se negarle il pane per pura cocciutaggine o accettarlo e restare in debito con il figlio del fornaio.
Ovviamente mia sorella ha la precedenza su qualsiasi specie di orgoglio io abbia. Afferro una pagnotta ancora calda e gliela porgo. – Avanti, la mangerai strada facendo, sennò arriveremo tardi – e così dicendo mi affretto a mettere più distanza che posso tra me e quel maledetto cesto di vimini.


 Punto di vista di Peeta:


Oggi finalmente mi sono deciso a portarle del pane. Mi sono impegnato affinché capisse che dentro a quel cesto c’era un pezzo del mio cuore insieme ad una muta richiesta. Non dimenticarmi. Non allontanarti da me adesso che ti ho conosciuta. So che probabilmente si arrabbierà, perché Katniss è fatta così, ma non mi importa. Il giorno dopo la tormenta, i miei familiari sono arrivati a tarda notte perché le strade erano largamente impraticabili.
Mia madre ovviamente era di pessimo umore. Quella sera è voluta andare a dormire subito e credo si sia addormentata non appena la sua testa ha toccato il cuscino. Tanto meglio, perché così sono riuscito a scambiare quattro chiacchiere con mio padre.
E’ stato un po’ imbarazzante ma gli ho raccontato tutto: del pugno, del termometro, del bacio… Al solo ricordo avverto le mie guance andare a fuoco.  – Ehi Peeta…sai per caso dov’è lo stampo grande per le torte? -. Mio fratello più grande è appena entrato in camera mia, trovandomi immerso nei miei pensieri mentre scarabocchi d’ogni tipo prendono forma sul foglio che mi sta davanti.
– Non ne ho idea veramente… - rispondo un po’ scocciato. Oggi mio padre ha deciso di darmi la giornata libera e io la sto passando chiuso in questa stanza a perder tempo, fantasticando di lei invece di andarle a parlare. E visto che io non sono al lavoro, alle torte ci deve pensare Kurt, che in tale campo è decisamente negato. Sospiro quando lo vedo lanciarmi uno sguardo supplichevole. – Ok vengo…- dico mentre mi affretto a chiudere il mio quaderno dei disegni. Lui però sembra studiarmi. – che c’è? – domando. – Niente…- risponde lui evasivo.
Stiamo ormai uscendo dalla mia stanza quando lui attacca di nuovo – solo, mi stavo chiedendo… -. Mi blocco a fissarlo perplesso. – mi chiedevo cioè, come ti è andata con quella ragazza alla fine? Ti sei dichiarato? -. La sua domanda, fatta con tanta naturalezza è una specie di doccia fredda. – Come scusa? -. – Katniss Everdeen…com’è andata? – ripete Kurt senza riuscire a capire quanto io sia sconvolto. – Come, come lo sai? – gli chiedo infine. Lui si sorprende per la mia sorpresa, in un delirio di imbarazzo totale. – Te l’ha detto papà vero? – intuisco infine. Lui annuisce.
– Scusa, non volevo farmi gli affari tuoi, e neanche papà… solo che la storia di lasciarti qui da solo non era molto credibile, l’abbiamo capito – spiega – e poi basta guardarti, cioè…hai sempre la testa altrove -. – Non è affatto vero! – replico un po’ risentito. – Invece sì Peeta… allora, ti va di confidarti un po’con il tuo fratello maggiore? – domanda di nuovo.
 Ci rifletto per un momento e infine decido che ormai non c’è molto che io possa fare per evitare questa conversazione. Se gli dicessi di no, attaccherebbe a chiedermelo ancora e ancora. Annoto mentalmente di fare un discorsetto con mio padre riguardo alla riservatezza di certe confidenze e attacco a raccontare tutto anche a Kurt.  – Quindi – conclude lui in fine – vi siete baciati ma lei poi è sparita… -.
 – Esatto…- sbuffo. – E tu le hai portato un cesto stamattina – continua lui facendo il sunto della situazione, poi si alza dal mio letto e mi dà una pacca sulla spalla.
 – Questo è un incoraggiamento a non mollare. Anche se… beh, se fossi in te io la cercherei di persona invece di lasciarle cestini pieni di cibo davanti casa! -. Così dicendo si congeda aggiungendo che lo stampo per dolci lo troverà da sé. Ed io penso che a questo punto, quella fosse soltanto una scusa per venirmi a fare il terzo grado. Mi rimetto alla scrivania e continuo a scarabocchiare.
Quando ho finito mi rendo conto che quello che c’è sul foglio è praticamente un messaggio che il mio cuore sta inviando ininterrottamente al cervello. Vorrei fare qualcosa, andarla a trovare, vederla… Sono passato tutti i giorni davanti casa sua senza trovare mai il coraggio di bussare, immaginando sempre che lei non ne sarebbe stata felice… Strappo il foglio di carta e lo getto sul letto accartocciato. Una piccola piantina, un fiore, dai petali simili alle punte di una stella, sembra mettersi a piangere mentre le pieghe grinzose che ha preso la carta lo abbruttiscono. Non ti scordar di me Katniss…

 

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Capitolo 16
*** L'incontro ***


I ragazzi innamorati – capitolo 16  L’incontro

Sono tornata ragazzi! Mi scuso moltissimo ma “Esami all’università” + “tonsillite acuta” = niente più tempo/ispirazione per scrivere, in più sto portando avanti diverse long contemporaneamente, il che implica che per ognuna ho un tempo ancora più limitato in cui posso dedicarmi alla scrittura. Colpa mia, ma posso solo dire che la passione per Hunger Games mi ha fatto avere un eccesso di zelo e mi ci sono buttata, e ho tutta l’intenzione di portarle tutte a termine! Ringrazio tutti quanti per l’attesa e la pazienza, in particolar modo ringrazio coloro che leggeranno anche questo capitolo e non si sono ancora stancati di me e delle mie storie. Spero vi piaccia anche se è un po' corto  Aggionerò presto. Un bacio
AllePanda

Punto di vista di Katniss:

Fa freddo. Prim è appena entrata in classe ed io sono rimasta impalata qui fuori con lo sguardo vuoto a fissare la neve sui miei stivali. Non ha molto senso che io rimanga qui a congelarmi dalla testa ai piedi, ma ho il terrore di fare ritorno a casa perché nella mia mente si è appena insinuato un nuovo pensiero. Fame. Ho dannatamente fame. L’idea di un cesto colmo di pane appena sformato, biscotti e altre cose da mangiare, è così allettante da tenermi inchiodata qui.
E mentre gli ultimi bambini spariscono da dietro la porta della scuola, la mia testa vaga e fantastica su come potrei spalmare sul quel pane così morbido un delizioso formaggio, grasso e burroso, di come il cacao e la marmellata potrebbero riportarmi alla vita. Scuoto la testa e mi risveglio da quella trance, giusto in tempo per ricordarmi che io sono stata quella che ha insistito per riportare indietro parte di quella roba. Mia madre ha provato a dissuadermi ma l’ho costretta a promettermi che avrebbe tenuto per sé e per Prim soltanto un altro paio di pagnotte e nient’altro. Lei poco convinta, non ha obiettato oltre. Infatti, quando torno a casa il cesto di vimini contente le prelibatezze che Peeta mi ha portato stamattina, è ancora al suo posto sul tavolo della cucina. Controllo il suo contenuto e mi accorgo che mia madre non è caduta in tentazione. Ha fatto come le ho detto.
– Bene – esordisco afferrando il cesto per il manico, accorgendomi soltanto ora del suo peso – Io vado di corsa alla panetteria a riportare indietro queste cose… -.
Mia madre ha uno sguardo indecifrabile. – Katniss – dice quasi in un sussurro – secondo me non dovresti prendertela così, è soltanto un regalo -. Io la fisso stranita aspettando di sentire dove vuole andare a parare, bloccandomi sulla porta. – Voglio dire… Non ho mai creduto che tu ti saresti venduta per del cibo – spiega mia madre. Le sue parole un po’ mi confortano, però non mi va di parlare di queste cose adesso, voglio soltanto che tutto torni alla normalità, come prima del nostro incontro. Sono stata una stupida quella notte, non avrei dovuto parlare con lui di quelle cose, né tantomeno avrei dovuto…Baciarlo.  Il ricordo di quel tocco morbido e sfuggente mi provoca un forte senso di imbarazzo, così decido di tagliare corto. – Sono felice che la pensi così – dico. – Tuttavia non voglio essere mai più in debito con lui. Non posso accettare questa roba senza dargli nulla in cambio, non voglio che si aspetti niente…ecco… - concludo e mi affretto ad uscire. Quando il mio viso si scontra con l’aria gelida che sta all’esterno e con le prime gocce, emetto un sonoro sospiro e rientro in casa. – Sta iniziando a piovere – dico a mia madre. Lei, per tutta risposta mi allunga un vecchio ombrello.
– Fossi in te non ci andrei Katniss…resta a casa, mangiamo qualcosa assieme…è pur sempre un regalo. Vedrai che Peeta Mellark è un bravo ragazzo e capirà, non ti devi sentire in debito -. Il tono di voce di mia madre è quasi supplichevole. Posso immaginare come si sente, perché è esattamente come mi sento io adesso: affamata. Tuttavia mi impongo di non cambiare idea. – No, non sarà la piogga a farmi desistere…- le rispondo. – Ma il pane è ancora caldo…si fredderà, non lo potranno vendere comunque… - è la sua replica successiva. Sospiro. – Allora vorrà dire che lo mangeranno loro – concludo e afferrando l’ombrello in una mano e il cesto nell’altra, mi fiondo di nuovo per strada.

 
Punto di vista di Peeta:

Questa dev’essere la giornata delle sorprese penso, mentre mia madre mi pettina di nuovo i capelli, impomatandomeli con una non ben precisata lozione.  Perché non solo ho dovuto raccontare a mio fratello Kurt quanto è successo tra me e Katniss, visto che praticamente già lo sapeva, ma adesso ci si è messa anche mia madre. Sospiro mentre lei mi aggiusta uno stupidissimo farfallino al collo e mi sistema il colletto della camicia. – Mamma è ridicolo! – sbotto. Lei mi lancia immediatamente un’occhiata di rimprovero – Ma non capisci che è la tua occasione, Peeta? Madge Undersee è giù che ti aspetta… è venuta apposta per invitarti alla festa che si terrà durante il cenone natalizio che la sua famiglia organizza ogni anno. Sicuramente ha puntato gli occhi su di te, sennò non mi avrebbe chiesto di parlarti in prima persona, non credi? – mi chiede con voce squillante e melliflua mentre fantastica a più non posso. – E lascia stare quel papillon, va benissimo così com’è! – esplode dandomi una sonora pacca sulla mano per impedirmi di allentare un poco il colletto che adesso mi soffoca. A dire la verità non so se a soffocarmi non siano in realtà questi discorsi. – Mamma, perché dovrei piacerle? E comunque non… - le dico senza riuscire a terminare la frase, tanto che lei risponde subito – ma è ovvio! Non hai nessuna dote particolare, né sei tantomeno particolarmente intelligente o carismatico, ma hai un bel viso, degli occhi stupendi e un fisico niente male. Non ce ne sono molti di ragazzi avvenenti e di buona famiglia come te, nei paraggi… tsè… - elenca quasi incredula mia madre, schiaffeggiandomi moralmente. Secondo lei sono praticamente un buono a nulla, con l’unico pregio di avere un bel corpo sano e robusto e un bel viso, il che praticamente non mi attribuisce alcun merito, anzi, semmai il merito è suo visto che mi ha messo al mondo. Tutto questo è semplicemente assurdo oltre che mortificante. Ma la cosa peggiore credo sia che per lei questo è assolutamente ovvio e incontestabile. – Avanti Peeta! E’ di sotto che ti aspetta! Non sta bene che pensi che sei pure un ritardatario…Ah e ti sei lavato i denti vero? -. Faccio per allontanarmi da lei a dalla sua crudele e insana visione del mondo, ma mia madre mi afferra il viso tra le mani e mi costringe a mostrarle la lingua e l’intera arcata dentale. – Sono puliti! – sbotto, allontanando da me le sue mani fredde. Giuro che una delle sue unghie mi ha quasi cavato un occhio. Scendo le scale di malavoglia, con il chiaro intento, nella mia testa, di porre fine a questa agonia il prima possibile. E pensare che quando mia madre mi ha urlato che c’era una ragazza che voleva vedermi, poco prima di questa tortura, per un attimo ho davvero creduto che fosse lei. Katniss. La mia Katniss. Dove sei? Hai ricevuto il mio cesto? Hai mangiato, vero, non hai fame? Perché non sei venuta tu a trovarmi? Penso e sospiro, preparandomi mentalmente ad affrontare la “perfetta” figlia del sindaco, a recitare la mia parte per fare contenta mia madre. E poi la vedo. Resto paralizzato sul posto senza respiro per almeno un secondo, poi mia madre giunge alle mie spalle e anticipa ogni mia reazione, perché esclama – Ma…che succede qui?!-. Mio padre le si avvicina alzando le mani in un chiaro tentativo di spegnere la miccia prima che esploda. – Dov’è Madge, la graziosa figlia del sindaco Undersee? Che…- balbetta mia madre cominciando a far correre lo sguardo in lungo e in largo. – Non sarà mica andata via?! – la voce di mia madre è un misto di incredulità, indignazione, collera e disperazione. Io osservo la scena in silenzio, non riuscendo a prestarle veramente attenzione perché di fronte a me c’è la ragazza che desideravo incontrare per davvero. – Katniss – esclamo rivolto a lei, con voce entusiasta. Sento un sorriso spuntarmi sul viso e riesco finalmente a rilassarmi un po’ quando lei lo ricambia. – Ciao Peeta -.


Punto di vista di Katniss:


Il mondo è davvero piccolo. E’ solo questo che riesco a pensare quando incontro per la seconda volta la ragazza bionda che ho visto quel giorno alla stazione. Non ci siamo mai incontrate per una vita, ed ecco che la ritrovo qui a casa di Peeta. Sono venuta di corsa, sotto la pioggia e contro il vento gelido di Dicembre, con il cesto che Peeta mi ha gentilmente regalato, per restituirglielo, almeno in parte. Quando mi sono ritrovata davanti all’ingresso del negozio non ho pensato a granché, volevo solo liberarmi del peso del cesto e liberare le braccia, senza il rischio di bagnarmi ulteriormente, dato che la pioggia mi ha comunque inzuppato tutti i pantaloni dal momento che veniva giù lateralmente. Brividi freddi non facevano che percorrermi la schiena di cima a fondo, e non vedevo l’ora di potermi riscaldare per qualche secondo nel tepore della panetteria. Così sono entrata e in quello stesso momento mi sono anche scontrata con una ragazza che ho poi scoperto essere la figlia del sindaco. Il padre di Peeta, il signor Mellark è venuto ad accogliermi con calore e ha invitato tutte e due a rimanere a fare due chiacchiere. Ci siamo presentate e io l’ho subito riconosciuta, ma non ho detto nulla perché sarebbe stato a dir poco bizzarro dire: “ehi, ma tu sei quella che ha abbracciato Gale alla stazione! Come fai a conoscerlo?”. Gale. Conosceva la figlia del sindaco dunque? Non sapevo che frequentasse gente così altolocata, penso, mentre la ragazza mi parla, senza realmente riuscire ad ascoltarla. Mi basta osservare i suoi bei capelli raccolti in una crocchia altrettanto bella, dorata e ricoperta di disegni raffiguranti dei fiori, i suoi orecchini, fatti con due pendenti che hanno alla fine una pietra bianco-rosata che emana riflessi argentei, per sentire la rabbia che mi ribolle nello stomaco. Quindi è questo il genere di ragazze che piacciono a Gale? Lui voleva una bambola bionda tutta agghindata…per di più ricca e ben istruita ed educata…Tutta un’altra cosa rispetto… Mi mordo il labbro quando realizzo che i pensieri che mi attraversano adesso la mente sono degli assurdi paragoni tra la mia treccia scura e sfatta e quei riccioli dorati e perfetti, le mie labbra secche e screpolate, e quei petali setosi e pieni che ha lei al posto della bocca. - …ma certo, ne sarei onorata. Tu che ne dici Katrinne? -. La domanda della ragazza-bambola mi giunge del tutto inaspettata. Per di più mi ha perfino chiamata con il nome sbagliato e questo nella mia testa suona quasi come un pretesto per detestarla ancora di più. – Mi chiamo Katniss… Sucusa, che hai detto? – rispondo seccata, non riuscendo per niente a mascherare il mio astio come avrei voluto. – Oh scusami…Dicevo, sarei onorata di averti come mia ospite per il cenone di natale organizzato a casa mia per il 25 Dicembre. Sai, quel giorno è anche il mio compleanno, così mio padre mi concede di invitare chi voglio per festeggiare assieme, ma io non conosco molte persone, quindi finisce sempre che non invito nessuno, ma quest’anno vorrei davvero che venisse qualcuno. Infatti sono qui per invitare Peeta. Sua madre e mia madre erano compagne di scuola, ma a dire il vero io non l’ho neanche mai visto credo… Suo padre però ha detto che sarebbe bello se venissi anche tu e io sono d’accordo – spiega, lasciandomi letteralmente senza fiato per il lungo discorso e per le implicazioni delle sue parole. Io, a casa del sindaco per il cenone di natale, a gustare prelibatezze e a sfoggiare un vestito da festa che non ho, in compagnia di questa ragazza e di Peeta? Sembra assurdo solo a pensarci. Eppure, adesso che ha parlato e che la guardo meglio negli occhi, questa ragazza non sembra poi così antipatica o spocchiosa come l’avevo immaginata, anzi, sembra molto modesta e gentile. Non credo che il suo sia soltanto un invito formale, stranamente sembra davvero contenta ed entusiasta di potermi avere come nuova amica. La testa sembra volermi cominciare a girare, ma mi impongo di restare calma. Nel frattempo il fornaio ha cominciato a dire: - Katniss, a proposito, come va con la salute? Questo cesto…Non hai gradito qualcosa, per caso il pane era troppo duro? – dice facendomi confondere ancora di più. – No, no… il pane è perfetto, solo che io… - balbetto. Nel frattempo Madge ficca una mano nel cesto ed estrae il piccolo sacchetto azzurro dipinto da Peeta che contiene i biscotti al cacao. – Oh ma questo sacchetto e questo nastro li conosco! Non ho dubbi! Sono opera di Peeta! – esclama eccitata, tirando fuori il sacchetto. – Ne ho visto un altro fatto da lui una volta, a casa della mia amica Delly, soltanto che non c’era raffigurato un ‘non ti scordar di me’ ma un bel girasole!- prosegue Madge. Ad ogni parola sento crescere in me la voglia di allontanarmi da tutto questo. Chi è Delly? Peeta ha dipinto un fiore e cucinato biscotti anche per lei? Come ha fatto Gale a conoscere questa ragazza, e perché sembra essere così dannatamente socievole? Sono stata ignorata da gente come lei per tutta la vita, perché adesso deve invitarmi ad una festa, senza neanche conoscermi? E perché il padre di Peeta ne sembra entusiasta? Troppe domande, troppa confusione. Mi sento strana. Sembra che ogni volta che la mia vita di incrocia con quella del figlio del fornaio, qualcosa di bizzarro mi debba succedere, qualcosa che mi provoca scariche di sentimenti contrastanti nel petto. – Io…non… - tento di riprendere il controllo, ma Madge fa tutto da sola – Oh…quindi tu e Peeta siete buoni amici se ti ha regalato questo sacchetto, perché Delly mi disse che Peeta è così, lui è timido e esterna i suoi sentimenti solo con chi davvero lo colpisce-. Questa ragazza sembra implacabile. – Oh quasi dimenticavo! E’ tardissimo! Signor Mellark io devo proprio scappare, dica a sua moglie e a Peeta che mi dispiace ma ho le prove del coro e il signor Dalton non ama i ritardatari. Dica a Peeta che lo aspetto a casa mia per le sette il 25 e, Katniss – rivolgendosi a me – mi raccomando, voglio che ci sia anche tu, ok? A presto! -. Così dicendo Madge sparisce facendo tintinnare il campanello dell’entrata del negozio. Io rimango senza parole a fissare la porta, almeno finché alcuni passi pesanti attirano la mia attenzione di nuovo verso le scale che portano al primo piano. Peeta Mellark, mi si presenta davanti quasi irriconoscibile, e non riesco a trattenere un sorriso per il buffo modo in cui è conciato. Mi apostrofa quasi incredulo, di sicuro non si aspettava di vedere me. Mi sento un po’ confusa e anche un po’ infastidita dalla sua presenza. Non mi ha fatto niente, ma per qualche motivo, sentire quella ragazza raccontare che il fiore che ha dipinto per me, in realtà, non era un regolo esclusivo, mi irrita. E’ come se mi avesse presa in giro. Che succede Peeta, è così che fai con tutte le ragazze che ti piacciono? Le conquisti a suon di fiori dipinti e biscottini? Così quando lo saluto la mia voce, ancora una volta, non appare affatto neutra e disinteressata quanto vorrei. 

Ciao Peeta -  
 
 
 

 

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Capitolo 17
*** La festa - prima parte - ***


 I ragazzi innamorati. Capitolo   17: La Festa – prima parte -

 

Ciao a tutti ragazzi. Dopo una assenza lunga per sempre, torno a pubblicare un nuovo capitolo per questa storia che amo molto. Spero vi piaccia e voglio che sappiate che il prossimo arriverà fra brevissimo, quindi spero non resterete delusi se non è particolarmente lungo ma ho voluto dividerlo in due parti. Grazie di cuore a tutti voi che mi seguite per essere arrivati fin qui. Buona lettura :)


Punto di vista di Peeta:
 

- Ciao Peeta – è il suo saluto. Sono ancora troppo incredulo per badarci ma il tono di voce di Katniss mi sembra un po’ duro.

- Ciao Katniss – rispondo. Mi basta un altro secondo per accorgermi che qualcosa non va. Katniss ha praticamente le guance scavate, il suo viso è molto più pallido dell’ultima volte che ci siamo visti e le sue mani, la pelle è così rossa e screpolata. Probabilmente a causa di tutti i vestiti che deve lavare ogni giorno, con le mani immerse nell’acqua gelida. Anche i suoi capelli sembrano scarmigliati più del solito. Tutta la sua figura esprime trascuratezza e il mio cuore si stringe nel constatare quanto è dimagrita da quando ci siamo persi di vista. Mi ero ripromesso che l’avrei aiutata, probabilmente non avrei dovuto attendere tanto tempo per portarle quel cesto. E io con questi capelli impomatati e la camicia buona per le grandi occasioni in dosso, devo sembrarle davvero un’idiota. Sei uno stupido Peeta, mi dico.  Ma mentre sono ancora intento a darmi mentalmente dello stupido, mia madre interviene bruscamente a smorzare i miei pensieri. Lo sguardo di Katniss si scosta rapidamente da me per fissarsi preoccupato sulle figura imponente che giunge alle mie spalle.

- Cosa ci fa qui una delle ragazze Everdeen? – chiede mia madre minacciosa al marito. Per tutta risposta, papà sospira e le si avvicina per metterle un braccio sulle spalle nel tentativo di placare la sua veemenza. Sa quanto mia madre detesti la donna che un tempo era il suo cruccio. Sta per dirle qualcosa quando Katniss anticipa qualsiasi discorso lui stesse cercando di mettere in piedi. – Mi chiamo Katniss. Sono venuta qui per riportare una cosa a Peeta – dice semplicemente. L’espressione di mia madre si fa improvvisamente seria. Sono già pronto ad un’ennesima esplosione ma lei rimane zitta ad ascoltare quanto Katniss le sta dicendo. – Scusate se vi sembrerò sfacciata, ma a me non serve ricevere regali. Il vostro pane è ottimo e così immagino i biscotti, ma verrò qui a prenderli quando potrò pagarli. Fino ad allora io non posso accettare, sono già abbastanza in debito con il signor Mellark – dice. Mia madre degluitisce. Poi Katniss si rivolge a me. – Apri le mani per favore – mi chiede. Senza obiettare faccio come mi ha detto, spalanco il palmo della mano sinistra, senza realmente ancora immaginare cosa farà Kaniss. Quando però sento che lei vi posa un paio di monete, realizzo cosa sta facendo. – No – replico immediatamente facendo per restituirle quei pochi centesimi che mi ha dato. – No! Tienili! – insiste lei ricacciandomi indietro la mano. – Non sono tutti. La prossima settimana ti porterò il resto. Ti sarei grata se ti dimenticassi quanto è successo quella sera ok?  Ah e puoi dire alla tua amica che non ho niente contro di lei, ma alla sua festa non ci vengo– spiega. Nel mentre i suoi occhi restano incollati al pavimento. Non solleva il viso neanche quando sparisce fuori dal negozio facendo tintinnare la campanella. Sto già per dirigermi fuori e rincorrerla quando mi sento afferrare saldamente per un braccio, tanto che mi cadono di mano le monete. Mia madre mi costringe a guardarla dritta in viso mentre in preda ad una furia inaudita continua a fare pressione sul mio braccio. Fa male ma non mi importa. La ignoro e strattonandola lontano da me riesco finalmente ad uscire in strada. Katniss però è già sparita e non ho la minima idea di dove fosse diretta. Sto giusto penando di incamminarmi verso casa sua quando mia madre mi apostrofa nuovamente e torna ad afferrarmi saldamente. – Peeta, sei forse  impazzito? Adesso pretendo delle spiegazioni! Tu e tuo padre mi state nascondendo qualcosa che riguada quella ragazza. Che è successo? Perché si è addirittura permessa di chiamarti per nome? Da quanto la conosci? Non ti sarai compromesso con lei vero? “quello che c’è stato tra voi”…Non vorrai dirmi che è incinta vero? Peeta dannazione, mi vuoi rispondere?! – strilla mia madre più isterica che mai. Con le sue urla nelle orecchie non riesco più nemmeno a pensare. Per fortuna interviene mio padre, che la allontana rapidamente da me e la convince a sedersi e bere un bicchiere d’acqua. Per tutta risposta lei comincia ad inveire anche contro di lui e a tirargli oggetti. Nel mentre osservo la signora Tweet entrare per comprare le solite pagnotte al sesamo, quando la vedo indietreggiare impaurita di fronte alla scena. Sospiro fissandomi con tristezza le mani che tengono strette le monete di Katniss. Sarà una lunga giornata.


Punto di vista di Katniss:

E’ ormai sera inoltrata quando Prim ed io ci mettiamo a leggere una storia sedute accanto al fuoco del camino. Lei frigna sempre perché vuole che sia io in persona ad inventarmi qualche storia, ma impiego sempre almeno un’ora per convincerla che non ne sono capace, così alla fine si rassegna e mi chiede di leggerle il suo libro. I casa non ne abbiamo tanti, anzi, si potrebbe dire che, a parte il libro sulle piante che ci ha lasciato mio padre, di cose da leggere adatte ad una ragazzina di dodici anni, non ce ne siano affatto. Prim però si accontenta di poco e di fronte ai miei continui dinieghi, le basta sentir parlare di come si allevano le caprette di montagna, oppure come cresce il frumento. E’ una brava bambina e mi si stringe il cuore nel sentire il suo stomaco brontolare. – Ehi Prim…hai guardato per bene nella dispensa? Credo che la mamma abbia tenuto da parte per te ancora un pezzetto di pane e forse c’è rimasto anche un po’ di latte – le dico quando so che non potrò più reggere quel mugolio incessante senza impazzire. Prim per tutta risposta si fa seria. – Ho controllato, ci sono. Ma volevo tenerli per domani, visto che stamattina ho già fatto una colazione abbondante – dice. Le sue parole, dette in modo così candido e naturale mi provocano una fitta al petto. Così giovane e già così saggia. No, così giovane e già così sfortunata piuttosto. – Prim, va a mangiare quella roba. Ora di domani non sarà nemmeno più buona. Quel lette è lì da giorni – la incito. Il mio stomaco però mi tradisce perché proprio in questo momento decide di fare a sua volta i capricci. – Hai fame vero? Oggi hai mangiato Katniss? – chiede e la domanda di Prim è più che altro un rimprovero, so già cosa sta per dire, così tento di deviare il discorso: - allora vuoi che ti legga questo libro oppure no, peperella? – chiedo con il tono più tranquillo che riesco a trovare. – Katniss! – sbuffa mia sorella. – Mangialo tu il pane rimasto e bevi il latte, io sto bene, devi mantenerti in forze anche tu. Lavori tanto – mi dice infine Prim. Poi resta un momento in silenzio a pensare e infine esclama  - peccato per tutto quel ben di Dio. Secondo me Peeta è un bravo ragazzo, non avrebbe preteso nulla in cambio – dice mentre uno sbadiglio la coglie. Io ho un sussulto al ricordo del nostro incontro di stamattina. – Prim… - comincio ma lei non mi fa proseguire. – Katniss potresti almeno dargli una possibilità. Come fai a dire che non ti piace? Lui ha detto che ti ama! -. Le parole di mia sorella mi sorprendono provocandomi confusione. – Che dici? Lui non mi ama. Si è solamente preso una cotta senza neanche sapere quello che fa. Sua madre è una strega e praticamente mi odia. Anche volendo non potrebbe mai funzionare…- le spiego con calma, anche se la parola “amore” sembra aver risvegliato qualcosa dentro di me. – Ma Katniss, lui ha questa cotta per te da una vita. Si ricorda anche del vestito che portavi il primo giorno di scuola… - le scappa di bocca, poi Prim si zittisce di colpo. Strabuzzo gli occhi e inarco le sopracciglia. – Ehi, un momento, io questo non te l’ho mai raccontato e… come fai a dire una cosa simile? – le chiedo mentre le sistemo meglio addosso la coperta di lana. – Scusami, avevo promesso che non te l’avrei detto – dice amareggiata, quasi mettendosi a piangere per la vergogna. – A chi l’hai promesso, Prim? – le chiedo, sempre più stupita. Lei fissa il fuoco acceso nel camino, tentanna, ma cede quasi subito. – L’ho promesso a Peeta. Ha detto che ti saresti arrabbiata- confessa. Resto interdetta per qualche secondo, dopodiché le chiedo: - tu hai parlato con Peeta? Quando? -. – Oggi, dopo la scuola. Lui era lì. Ha detto che sperava di incontrare te. Pensava saresti venuta a prendermi. Così abbiamo parlato – spiega Prim con un fil di voce – mi ha raccontato di stamattina. Dice che è molto dispiaciuto per il modo in cui ti ha trattata sua madre e che vorrebbe convincerti a partecipare alla festa il giorno di natale. Sai, non vuole che tu patisca più la fame… - racconta. A quelle parole, di fronte al visetto pallido ed emaciato di Prim, non posso che sentirmi di nuovo male. Come sorella maggiore io non dovrei farle mancare niente e invece, stamattina le ho apertamente negato un buon pasto per almeno due settimane e adesso Prim sa anche se le negherò le prelibatezze che sicuramente ci saranno a quella stupida festa natalizia e che lei non potrà mai assaggiare perché io non ho intenzione di parteciparvi. Se decidessi di andare sono certa che Peeta insisterebbe per far venire anche Prim e quella strana ragazza probabilmente accetterebbe con la stessa facilità con la quale ha invitato me stamattina. Sbuffo, senza trovare le parole mentre le scosto una ciocca di capelli dal viso e lentamente le accarezzo una guancia. – Quindi secondo te dovrei andare? – le chiedo infine rassegnata. – Esatto. Ma non dovresti prenderla come un dovere. Lo so che lo faresti soltanto per me, per farmi mangiare, ma io vorrei che tu ti affezionassi davvero a Peeta – dice amorevolmente Prim emettendo un altro piccolo sbadiglio. Le sorrido istintivamente senza sapere che cosa risponderle. Alla fine però trovo le parole che da troppo tempo tenevo per me. – Sarebbe molto più facile se Gale non mi mancasse così tanto -.

 

La notte trascorre lenta mentre io fatico così tanto a prendere sonno che alla fine mi rassegno e mi alzo per dirigermi verso la dispensa. Stacco un pezzetto di mollica dal pane del forno dei Mellark e me lo metto in bocca. Vorrei gustarmelo come si deve, ma sono così affamata che il boccone va giù in un baleno. Sospiro nel lanciare un ultimo sguardo atterrito alla dispensa. Sto tremando dal freddo. Per risparmiare sul carbone e sulla legna, di notte il camino rimane spento e fuori dalle coperte si gela. E la mia mente non può fare a meno di ritornare al comodo letto caldo di Peeta e alla sera della tormenta. Certo, sarebbe molto più facile se ne fossi innamorata, penso. Cioè, probabilmente in realtà sua madre continuerebbe ad odiarmi, ma suo padre sembra un brav’uomo e ha già dimostrato di volermi bene a suo modo. Quanto a Peeta, infondo sembra solamente un po’ timido al primo impatto, ma una volta che lo conosci scopri che ha almeno un migliaio di pregi e… beh… Se mi amasse davvero così tanto e la sua non fosse solamente una cotta, allora vorrebbe dire che… insomma, non sarei più sola. Poi però mi torna in mente mio padre morto nelle miniere, mia madre e la sua depressione, Gale e la sua guerra. Tutti prima o poi si allontanano da me. Non si può fare affidamento su nessuno, perché prima o poi tutti se ne vanno... è questa la realtà. Torno a sdraiarmi accanto a Prim e la osservo mentre dorme tranquilla. Però se decidessi di andare a quella stupida festa, almeno potrei regalare a Prim un vero natale. Quale altra occasione potrebbe mai avere? E se era così eccitata per via di quello stupido albero da decorare, figuriamoci una vera festa con tanto di regali, cenone e dolci d’ogni tipo. –Sono così stupida ed egoista? – sussurro a me stessa mentre le accarezzo la testa delicatamente con le dita. La stanchezza alla fine ha la meglio anche sulla fame e sui cattivi pensieri. Mi addormento e sogno di risate e cibi a volontà. Nella mia testa Prim indossa un bellissimo abito bianco costellato di pizzi e merletti e allegramente gusta un pezzetto di tacchino arrosto con patate calde e burrose. Al mio risveglio il volto scavato di mia sorella non aggiunge nulla di più a quello che il sogno e la nostra conversazione della sera precedente hanno smosso dentro di me. Così, poco prima di accompagnarla a scuola le dico: - Ho deciso di chiedere a Peeta se siamo ancora in tempo per partecipare a quella festa -.
 

 

 
 

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Capitolo 18
*** La festa - seconda parte - ***


 Capitolo 18: - La feste seconda parte –
 


Punto di vista di Katniss:

Oggi proprio non riesco ad avere pace, tutto ferve per i preparativi. Da quando sono andata a trovare Peeta, qualche sera fa, per dirgli che ero stata troppo frettolosa nel rifiutare l’invito, non ho più avuto la stessa tranquillità. E’ stato a dir poco imbarazzante ritrattare così rapidamente, visto che solamente il giorno prima gli avevo sbattuto in faccia un “no” che non ammetteva repliche. Nonostante tutto lui ha capito e non mi ha fatto domande. Gli ho spiegato comunque che se lo facevo era soltanto per Prim e ho subito aggiunto che in ogni caso, tutto il resto restava come avevamo concordato. Io gli avrei restituito i soldi del pane e l’avrei ripagato per l’aiuto prestatomi la sera in cui sono stata male. Poi ognuno per la sua strada. Ad avvertire Madge, la figlia del sindaco ci avrebbe pensato lui. Quando alla madre di Peeta, beh, lui mi ha raccontato che involontariamente le mie parole le hanno messo in testa delle strane idee e che adesso secondo lei, noi due dovremmo decisamente viaggiare a chilometri di distanza l’uno dall’altra. Tuttavia a Peeta pare non importare. – Mia madre può dire quello che vuole. L’unica che può tenermi separato da te sei tu Katniss…Non voglio certo costringerti – ha detto Peeta con un sorriso. Poi non ci siamo più visti, ma ho saputo da Prim che è passata al negozio, al ritorno da scuola, che come previsto, per la festa non ci sono problemi di sorta. Anzi, saremo le invitate “speciali” visto che pare Madge abbia una cerchia di amici davvero ristretta. Ad ogni modo, stasera è la sera. Mia madre ha dovuto tirare fuori dal suo armadio uno dei vestiti di quando era ragazza, uno di quelli che non mette più da anni, per farmelo mettere in occasione della cena di oggi. A Prim invece ha dovuto confezionarne uno tagliandone due diversi per adattarli a lei, e devo dire che ne è uscito un lavoro coi fiocchi. La vecchia cucitrice di mia madre fa ancora miracoli, e Prim non potrebbe essere più bella e raggiante di così. La osservo mentre saltella di qua e di là, dopo avere appena indossato il suo abito. Quando era ragazza, mia madre, poteva permettersi di comprare spesso vestiti di questo tipo, ora che è una del Giacimento, per di più vedova, ha dovuto adattarsi ad una vita più modesta. A Prim è dispiaciuto un sacco farle rovinare due vestiti per crearne uno per lei, ma mia madre l’ha fatto volentieri, infondo quelli che ha usato erano così pieni di piccoli e grossi difetti da essere ormai inservibili, ed ora invece eccoli lì, a comporre un abito da principessa per la mia sorellina. – Ehi paperella, hai visto per caso la mia spilla? la scollatura qui è troppo ampia, voglio chiuderla un po’… – le chiedo d’un tratto, cercando di non sembrare troppo frustrata. – Intendi quella con le perline? Dev’essere dentro al cassetto! – risponde. Poco dopo vedo arrivare Prim con i mano la mia vecchia spilla. Anche questa era di mia madre, ma poi lei me l’ha regalata per il mio dodicesimo compleanno. Da allora credo di averla usata soltanto una volta: quando il sindaco ci ha ricevuto in occasione della morte di nostro padre. D’improvviso mi chiedo se lui sappia chi sono, cioè se mi riconoscerà e che cosa dirà. Una forte ansia si impossessa di me mentre appunto la spilla al vestito. – Sei stupenda – esclama estasiata mia sorella. – Tu sei bellissima paperella – le dico con il tono più dolce che riesco ad usare. Le mi sorride. Quando finalmente siamo pronte per andare e osservo di nuovo Prim realizzo che è perfino più bella di come l’avevo immaginata nel sogno. E’ buffo, ma a volte la realtà ti sa sorprendere molto di più della fantasia. Sono quasi le otto ormai, e come d’accordo Peeta deve venire a prenderci. Sarei voluta andare direttamente a casa di Madge. So bene dove si trova la casa del sindaco, ma Peeta ha insistito per accompagnarci. Purtroppo il vestito di mia madre è quanto di meglio sono riuscita a rimediare, le scarpe sono vecchie ma ancora in buono stato. Sono scarpe da sera che lei usava sempre quando usciva con mio padre. I tacchi non sono certo il mio forte, ma erano l’unico paio che non fosse troppo logoro che si intonasse col vestito. Al posto del cappotto sono costretta ad usare la giacca di pelle di mio padre, ma questo anziché intristirmi mi rassicura e mi tranquillizza come poche altre cose. Prim indossa il suo cappotto troppo grande e insieme aspettiamo mentre mia madre finisce di sistemarci i capelli. – Sei bellissima Katniss – mi dice anche lei con un sorriso. Mi chiedo se anche a Peeta piacerò…
 
 
 
Punto di vista di Peeta:


Quando arrivo a casa di Katniss e la vedo per poco non rischio di inciampare nei gradini del portico. E’ semplicemente stupenda. Entro in casa per salutare la madre. Noto subito che anche Prim ha un vestito nuovo per l’occasione, anche se devo costringermi di tanto in tanto a distogliere lo sguardo da Katniss, perché lei è talmente bella che potrei restare imbambolato a fissarla tutta la sera, ma non posso dare questa impressione. Durante il tragitto, che facciamo tutti e tre a piedi, Prim mi racconta della scuola, della sua maestra che lei adora e fa domande curiose su posate e galateo.

 

- Peeta! – esclama ad un tratto tutta allarmata. – Mi sono dimenticata di dirti una cosa! Posso chiederti se ci saranno dei carciofi stasera? – domanda Prim bloccandosi d’un tratto in mezzo alla strada.  La guardo perplesso e così fa anche Katniss – Carciciofi? – chiedo. – Sì! – conferma – sai, una volta un bambino mi ha detto che era andato a cena a casa di amici dei suoi e questi si sono risentiti perché lui non sapeva come si tagliano i carciofi! Quindi, ecco, non vorrei che capitasse anche a me. Non potrei perdonarmi di rovinare la serata a Katniss per le mie cattive maniere…- spiega Prim. Io la fisso ancora un po’ e poi rido perché è buffo che una ragazzina così piccola si dimostri così curiosa ed intelligente ma allo stesso tempo abbia tanta paura di fare una figuraccia perché non ha idea di come si tagliano i carciofi. – Tranquilla Prim. Non so se ci saranno dei carciofi, ma credo che come ortaggio sia decisamente primaverile, quindi in teoria non corriamo rischi – rispondo – ma in tal caso, sai che facciamo? Li lasciamo lì dove sono e non se ne parla più. Tanto non sono poi così buoni, sono amari. A te piacciono i carciofi? – chiedo. – Non tanto – risponde lei. – Allora siamo a posto – le sorrido e lei fa altrettanto di rimando. Posso sentire lo sguardo di Katniss su di me.

In brevissimo tempo siamo già arrivati a destinazione.
Suoniamo il campanello, ad aprirci la porta arriva subito Madge. Anche lei indossa un abito da sera. E’ davvero carina con i capelli raccolti in una crocchia dorata, ma Katniss per me non potrebbe avere rivali anche se fosse vestita di stracci, figuriamoci così bella com’è ora.

 

- Katniss! – esclama entusiasta Madge raggiungendola sulla porta. Osservo Katniss abbozzare un sorriso mentre Prim comincia a sgranare tanto d’occhi mentre comincia a familiarizzare con la casa. Non c’è bisogno di specificare troppo che razza di reggia sia la casa del sindaco Undersee. Lancio un ennesimo sguardo a Katniss e so per certo che in questo momento si sente profondamente a disagio. Non so bene cosa fare per cercare di metterla a suo agio. Sto per intavolare una conversazione leggera su carciofi e galateo con lei e Madge quando alle mie spalle sento qualcuno cingermi la schiena. – Ciao Peeta! Da quanto tempo che non ci si vede! -. La voce della ragazza che mi ha appena abbracciato è inconfondibile. – Delly! Ciao, come stai? – mi volto verso di lei e l’abbraccio come si deve. In tutto questo mi sembra di notare con la coda dell’occhio che Katniss faccia una sorta di smorfia, ma Delly è così piena di energie da farmi per forza distogliere l’attenzione da lei. Per ora siamo solamente noi cinque, ma in breve vedo arrivare altri invitati, molti dei quali sono decisamente bizzarri. Katniss nel mentre cerca di concentrarsi su Prim. La sala da pranzo è così ampia che un enorme tavolo, lungo almeno una decina di metri è stato imbandito di cibi e bevande di ogni tipo per il rinfresco iniziale. Dopo ci siederemo tutti a tavola per la vera cena a base di tacchino arrosto, patate e quant’altro. Prim pare disorientata da tutta quella roba, così mi avvicino a lei e le dico – Visto? Non vedo carciofi in giro, abbiamo le spalle coperte! -. Lei sorride ma sembra ancora che non riesca a credere ai suoi occhi. – Katniss – invoca l’aiuto di sua sorella – davvero tutta questa roba è per noi? Cioè possiamo mangiarla? –chiede con la voce più ingenua che io conosca. Katniss sembra a sua volta senza parole. Si volta verso Madge e quest’ultima le sorride un po’ imbarazzata. – Beh certo, questo rinfresco è forse un tantino esagerato ma i miei genitori, sapete, ci tengono molto a fare bella figura con i loro ospiti. Prego, prendete pure quello che volete. Laggiù ci sono piatti a posate, servitevi – le incita. Nel frattempo Delly si è letteralmente avvinghiata al mio braccio destro. – Allora Peeta come va alla panetteria? – mi chiede. Sono un po’ imbarazzato con lei che mi si appiccica in questo modo addosso, visto quanto c’è stato tra noi l’ultima volte che ci siamo visti. In realtà credo dovrebbe essere lei quella più imbarazzata tra i due, ma pare che il pensiero non la sfiori. Sospiro cercando di non farmi sentire da lei. Da quando eravamo bambini io e Delly siamo sempre stati buoni amici. Io e lei siamo praticamente cresciuti assieme. Lei è la figlia del negoziante che ha la sua bottega esattamente di fronte alla nostra panetteria. I suoi vendono stoffe e confezionano abiti, infatti anche Delly stasera ha un aspetto davvero invidiabile. I chiari occhi azzurri mescolati con la vistosa scollatura del suo abito, non passano certo inosservati. Per un periodo non nego di essermi interessato a lei, visto che praticamente lei era sempre lì a cercarmi. Tuttavia ho scoperto a mie spese che Delly non è proprio il genere di ragazza che fa per me. Sembra quasi ridicolo da parte mia, ma sebbene lei sia il tipo di persona affabile con cui ti puoi aprire, parlare e confidarti, sotto certi aspetti è decisamente “troppo precoce” per i miei gusti. L’anno scorso ha praticamente tentato di saltarmi addosso dopo aver tranquillamente trascorso un pomeriggio con me a fare biscotti. L’ho trovata semi spogliata dentro il mio letto e ho dovuto farle capire in mille modi che quello che cerco io non è quello. Che quello che voglio è una ragazza che mi ami davvero, non un’amica con cui ecco, sfogare gli ormoni. Delly però non l’ha presa affatto bene, dato che per più di 12 mesi non mi ha più rivolto la parola. Per cui ecco, ora come ora non posso che sentirmi a disagio con lei qui che si comporta come se nulla fosse. E con Katniss che mi fissa in quel modo…

(…)
 

______________________________________________
Spazio autrice: continua con la terza parte…
Se vi va lasciate un commento o una critica. Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate. Al più presto il seguito e tante sorprese, promesso!

 

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Capitolo 19
*** La festa - parte tre - ***


 Capitolo 19 I ragazzi innamorati
 

Salve a tutti! Questo capitolo NON è finito...cioè, ho deciso di postarlo già da ora ma non comprende tutto quello che volevo metterci. La parte "saliente" verrà con il prossimo. Mi dovete scusare ma ho davvero poco tempo per scrivere, anche se il seguito è già quasi finito, quindi spero che intanto vi piaccia questo, non uccidetemi se la conclusione vi lascerà un po' "straniti", ma sappiate che ho fatto del mio meglio per finire il prima possibile. Buona lettura! Un bacione enorme a tutti voi che mi seguite e che mi mandate anche messaggi privati (addirittura!) per incitarmi a scrivere e leggere le mie storie. Non ho parole e beh, grazie davvero a tutti. Per me è importante sapere cosa ne pensate, quindi se vi va lasciate un commento e vi risponderò uno per uno. :)

P.S: Lo so che non so usare l'html. E' una sciocchezza magari, ma mi rendo conto che può dare anche molto fastidio. Abbiate pazienza...anche stavolta non ho avuto il tempo per presentarvelo meglio di così. Baci

 

Punto di vista di Katniss:

La casa del sindaco è immensa. E’ tutto quello che riesco a pensare, almeno finché Prim non mi riporta alla realtà strattonandomi praticamente per un braccio. Un cameriere ci fa accomodare e raccoglie i nostri soprabiti. Sono restia a lasciargli la giacca di mio padre, ma alla fine non credo potrebbe succederle niente di male. Lo osservo da lontano mentre sistema tutto in una grossa cabina armadio. Per terra è stato sistemato un tappeto verde pieno di intarsi e disegni.
Un paio di grossi caminetti accesi riscaldano l’ambiente e lo rendono, se possibile, ancora più accogliente. Resto in silenzio, senza riuscire a dire una parola mentre mia sorella mi indica ogni singolo oggetto che riesce ad attirare la sua attenzione. Sono davvero contenta che Prim trovi entusiasmante ogni cosa, è soltanto per lei che ho accettato di partecipare a questa serata.
Devo dire che perfino io fatico a non restare di stucco di fronte all’arredamento sontuoso e all’enorme tavola imbandita che mi trovo di fronte. Il mio stomaco fa le fusa mentre i miei occhi si posano su ogni genere di prelibatezza. Patate burrose, spiedini di carne e verdura dall’aspetto a dir poco invitante. Un tacchino servito su un enorme piatto d’argento, contornato da foglie di agrifoglio, è stato praticamente affogato nel suo stesso grasso, in modo da formare un sugo denso e speziato. Ripenso alla cena a casa di Peeta di qualche tempo fa. Sebbene io abbia pensato che fosse il pasto più abbondante e sostanzioso della mia vita, quello che c’è adesso davanti ai miei occhi non è nemmeno paragonabile. La quantità di roba che occupa i vari piatti è così ampia che se anche volessi assaggiare tutto credo che non ce la farei a trattenere dentro un solo boccone per ciascuna pietanza. Mi rendo presto conto di starmene impalata a fissare la tavola imbandita come una specie di animale famelico, quindi mi costringo a distogliere lo sguardo per posarlo verso i miei ospiti. Mia sorella intanto sembra più interessata al gigantesco albero di natale che è stato posizionato in un angolo della vasta sala da pranzo per prestare attenzione perfino al cibo. Madge ci accoglie in casa sua con grande calore e io per sembrare quantomeno riconoscente, nonostante il profondo disagio che provo nel trovarmi qui senza avere un vero legame con lei, ricambio la sua ospitalità con enormi sorrisi che spero mi eviteranno di dover parlare troppo. Da quando è venuto a prenderci, mi sento addosso lo sguardo di Peeta. Ogni volta che i miei occhi incrociano i suoi però, lui distoglie immediatamente lo sguardo. Ora che ci rifletto, io e lui non ci siamo praticamente scambiati altro che un semplice saluto in tutta la sera. L’attenzione di Peeta è infatti stata catturata totalmente da Prim e dai suoi drammi esistenziali sui carciofi fino a poco fa. Sto per tentare di dirgli qualcosa, giusto per rompere il ghiaccio che si è creato tra noi, quando alle sue spalle, una ragazza dai capelli biondo-dorati gli piomba praticamente addosso. Non riesco ancora a capire chi sia, quando Prim torna a strattonarmi per portarmi verso il caminetto e ammirare una fotografia. “Guarda Katiss…non è bellissimo?”. Va avanti così per un po’. Mentre io osservo con la coda dell’occhio la scena di Peeta che sprofonda un abbraccio forse troppo forte rivolto a quella strana ragazza bionda. Ha una scollatura davvero vertiginosa. Io fingo di essere interessata ad ogni cosa che Prim mi mostra. A dire il vero qualche oggetto merita davvero di essere ammirato. E’ solamente dopo il venticinquesimo “Guarda Katniss”che decido di provare a frenare un poco il suo entusiasmo per ricordarle che è meglio fare prima il giro dei saluti, per non sembrare scortesi. Gli ospiti infatti, iniziano a farsi numerosi, a poco a poco. Prim si dirige mestamente verso gli altri, anche se il sorriso che fino a poco fa le ha increspato le labbra, per fortuna, non è affatto sparito. -Dopo possiamo chiedere a Madge di fare un giro della casa Katniss?- chiede. -Certo paperella- le rispondo con un sorriso tirato. Intanto vedo che la bionda è ancora avvinghiata a Peeta. Noto che lui sembra un poco a disagio ma forse è solamente perché io lo sto guardando. Faccio come fa lui. Quando i suoi occhi azzurri mi vengono a cercare io mi volto dall’altra parte. Sto per dirigermi verso un gruppetto di ospiti sconosciuti quando Prim mi trascina letteralmente verso i due piccioncini. Peeta sembra visibilmente a disagio, ma non fa commenti quando Madge mi presenta cordialmente la loro amica Delly. Quel nome mi ricorda qualcosa ma subito non realizzo di che si tratta. E’ Madge a farmi tornare la memoria dopo aver affrontato un lungo discorso sul nome di mia sorella“Primrose”, che a quanto pare lei trova davvero incantevole. Dopo aver tirato fuori almeno un centinaio di discorsi astrusi su quanto siano meravigliosi certi fiori rispetto ad altri e come certi colori si abbino bene tra loro per confezionare i costosi vestiti che producono i genitori di Delly al loro negozio, finalmente mi si ripresenta alla mente l’immagine del sacchetto di stoffa raffigurante i “non ti scordar di me” disegnati da Peeta. Quei delicati petali azzurri e blu, dipinti con tanta maestria, mi fanno assentare per un po’ dalla conversazione, tanto che quando Delly mi rivolge la parola, io quasi non me ne accorgo. – Cosa? – mi esce, dopo essere tornata finalmente tra di loro. Peeta mi osserva con attenzione mentre deglutisco e rivolgo a tutti un sorriso imbarazzato. A lui concedo solamente un’occhiata veloce, giusto per perdermi un momento a considerare che quella particolare sfumatura di blu che ha usato per il disegno, somiglia molto a quella dei suoi occhi.  – Che buffo! – esclama intanto Madge – è la seconda volta che ti incontro ed è anche la seconda volta di fila che quando ti parlo sembri cadere dalle nuvole… - dice. La ragazza ha sicuramente pronunciato quelle parole con leggerezza e senza il minimo astio, ma forse Madge non si rende conto di quale impatto possano avere su un tipo come me. Già sono una pessima parlatrice, per nulla loquace e decisamente schiva. Che dovrei dire? “scusate ma i vostri discorsi su vestiti colorati e quant’altro, sono troppo noiosi per me, tanto che non riesco a seguirvi?”. Delly nel frattempo si è messa a ridere per la battuta che Madge mi ha appena rivolto. Mi sento fremere. Vorrei scappare da qui seduta stante. Soltanto ora realizzo pienamente quanto sia forte il disagio che provo a stare in loro compagnia. Mi basta guardarle per capire che mi considerano inferiore, se non addirittura ridicola. E allora perché invitarmi? Credevo che Madge fosse semplicemente una ragazza un po’ strana che invita gente sconosciuta alla sua festa solo per riempire una stanza di ospiti e fare contento il padre, ma adesso che ci penso meglio, riesco già a contare almeno una trentina di invitati e il loro numero sta progressivamente aumentando. – Che c’è Katniss? Ti sei forse offesa? – chiede d’un tratto Madge con tono apprensivo – Scusami, io non avevo intenzione di metterti in imbarazzo. Vorrei solo che ci conoscessimo meglio – sorride. Più la guardo e più sento che c’è qualcosa di strano nel suo modo di porsi nei miei confronti. Ho imparato con l’esperienza ad avvertire in anticipo le situazioni pericolose. Ne ho passate così tante che ormai credo di avere affinato una specie di radar per le persone che si fingono quello che non sono. Madge Undersee non ha minimamente intenzione di diventare mia amica, ne sono quasi certa. Delly, dietro di lei, ammicca divertita al mio indirizzo, sorride anche lei. Mi sembra quasi di stare al cospetto di un paio di serpenti dalla lingua biforcuta, la sensazione di malessere è esattamente la stessa. – Oh avanti Madge, non è molto cortese da parte tua rivolgerti a Katniss in quel modo – . La voce di Peeta Mellark risuona limpida alle mie orecchie mentre lui si sposta rapidamente lontano da Delly.  Ci manca solo che adesso si metta a fare l’avvocato del diavolo. – Tranquillo – rispondo prontamente  con il tono più calmo che riesco ad usare – è vero, ogni tanto mi assento perché penso troppo e beh, non mi capita spesso di parlare con la gente, tutto qui – sorrido. Poi, dopo una pausa abbastanza breve durante la quale faccio un profondo respiro, mi concedo finalmente di mettere le cose in chiaro – Ma quando c’è bisogno di dire qualcosa, state pur certe che non mi tiro mai indietro -. Questo è un messaggio che mando direttamente alle due ragazze, le quali si lanciano immediatamente un’occhiata d’intesa e i sorrisi di poco fa lasciano spazio alle loro bocche tirate. Quella di Delly pare quasi una smorfia, ma dura solo per un secondo, un battito d’ali di una farfalla. Peeta mi osserva esitante ma non aggiunge altro. Ci avviciniamo al tavolo del buffet e la mia attenzione ballerina, se così possiamo chiamarla, viene immediatamente catturata da ben altre faccende. In fondo, che mi importa se Madge e Delly mi destano profondamente? Se sono venuta qui questa sera è soltanto per accontentare Prim e farle avere un natale come si deve, oltre ad uno stomaco bello pieno, almeno per una serata. Abbiamo trascorso tante di quelle notti insonni per la fame, ultimamente, che anche io non vedo l’ora di avventarmi come un falco su quel cibo così invitante. Peeta e Prim sembrano davvero affiatati e adesso sono intenti a fare una specie di gioco che consiste nel vedere chi ne sa di più a proposito delle maniere degli snob. Peeta sa prendersi in giro come nessun’altro. E’ divertente, spiritoso e sembra che mia sorella Prim gli piaccia un sacco. Lei, per parte sua, trova Peeta interessante e intelligente e si diverte un mondo a punzecchiarlo. Non mi stupirei se questa sera, tornando a casa, mi dicesse che si è presa una specie di cotta per lui, sprofondandosi poi in mille scuse e tirando fuori chissà quali preoccupazioni per me. In realtà Prim con una cotta è qualcosa di troppo buffo per essere anche solo immaginato. Infatti, non lo saprei se non fosse capitato qualche mese fa, di trovarmela accucciata nel letto a sospirare e chiedere consigli riguardo ad un certo Toby che va a scuola con lei. Adesso però sorride spensierata e forse lei vuole già bene a Peeta come se fosse una specie di fratello maggiore. In ogni caso, se si piacessero per me sarebbe un problema solamente perché dovrei preoccuparmi del fatto che la mia sorellina dodicenne vorrebbe frequentare un diciassettenne. Fra me e Peeta non ci potrebbe essere altro, ne sono certa. E credo che lo strozzerei con le mie stesse mani se dovesse far soffrire Prim… Li osservo, ancora immersa nei miei pensieri, dando le spalle alle due arpie che nel frattempo, si sono appollaiate ai piedi della grande scalinata di marmo che sta nell’entrata e che porta ai piani superiori. Gli invitati si sono fatti ancora più numerosi. Mi avvicino di più al tavolo imbandito, passeggiandovi accanto per poter divorare tutto con gli occhi. Alla fine mi decido e scelgo una specie di tartina di pane e non so che altro. Lì accanto vedo almeno una trentina di piccoli contenitori di ceramica ripieni di condimenti dai colori più diversi. Per un attimo esito nuovamente perché non so quale scegliere tra uno rosso scuro e un altro verde erba. Poi opto per quello rosso. Ho già il cucchiaino in mano e sto per versare la salsa sul pane quando una voce alle mie spalle mi fa trasalire. – Quello è grandioso con quella salsa laggiù – esclama d’un tratto un uomo barbuto e spettinato – lascia perdere quella che hai in mano, coprirebbe tutto il sapore. Mi indica la salsa verde che avevo scartato e con un movimento fluido del braccio, afferra il recipiente e me la porge. – Grazie – rispondo quasi in un sussurro. – Non c’è di che, dolcezza – è la sua risposa decisamente singolare. Distoglierei volentieri lo sguardo dall’uomo che mi sta davanti, ma lui adesso mi sta osservando con così tanto interesse che mi è impossibile far finta di niente. Ha gli occhi scavati da profonde occhiaie e il colletto della sua camicia è storto, per di più, ora che ci faccio caso, emana un fortissimo odore di alcool. I lunghi capelli, lasciati incolti, gli danno un’aria a dir poco trasandata e forse non è nemmeno del tutto sobrio. Deve avere più o meno sulla quarantina anche se dal suo aspetto potrebbe sembrare più vecchio. - Da queste parti si trattano bene – continua intingendo un pezzo di pane dentro la salsa che ha preso dalle mie mani, poi lancia un’occhiata verso la sala - a giudicare dalle guance scavate di tua sorella invece, a te la vita non sembra avere riservato delle buone carte – ridacchia, masticando e sputacchiando in giro pezzetti di pane. Giro la testa di scatto e osservo Prim. Bene. Se fino a poco fa avevo voglia di scappare, adesso invece vorrei proprio prendere a calci qualcuno e perché non cominciare da questo simpatico ospite sconosciuto che si permette di ridere di me senza neanche conoscermi. Inoltre, come sa che Prim è mia sorella? Ci ha osservati o ascoltati mentre ci presentavamo a Delly? – Lei non sa di cosa sta parlando – gli dico con tono brusco. Lui pare totalmente catturato dal cibo e mi ignora mentre mi avvicino per guardarlo fisso negli occhi. Sono già sul punto di esplodere quando Peeta interviene. – Katniss – esordisce -vedo che hai avuto la disgrazia di fare la conoscenza di Haymtich -. Mi volto verso Peeta, stupita per quelle parole dette con tono tanto leggero, lui sorride sereno e senza aggiungere altro dà una sonora pacca sulla spalla a quell’uomo tanto sgradevole. – Piacere di conoscerti, dolcezza – è la sua risposta svenevole.    


 

Punto di vista di Peeta:

La serata sta prendendo una piega alquanto strana. Me ne accorgo subito. Non è soltanto Delly. Anche l’atteggiamento di Madge nei confronti di Katniss è a dir poco stravagante e sto per intervenire e dire qualcosa, ma Katniss sembra cavarsela bene anche da sola, così desisto. Vorrei avvicinarla e farle sentire che ci sono per lei, che in questa marea di estranei e gente con la puzza sotto il naso, ha comunque qualcuno che la spalleggerà per tutta la sera e non la farà sentire indesiderata, anzi. Poi però osservo il corpo di Katniss, ha la schiena dritta come un fuso, un sorriso così tirato che credo mia nonna saprebbe fingersi più entusiasta. Le si legge in faccia chiaro e tondo che non vuole essere infastidita da nessuno e infatti, nessuno ha più il coraggio di rivolgerle la parola. Se ne sta in disparte, ad un angolo del tavolo, poi comincia a fare avanti e indietro per osservare meglio le pietanze. Sospiro quasi di sollievo quando la vedo abbandonare a poco a poco quell’espressione corrucciata che aveva prima. Intanto Prim è così piena di energie e chiacchierare con lei delle sciocchezze più varie sta diventando estenuante. Essendo io unicamente un fratello minore, starmene qui ad insegnarle quelle poche cose che so sul bonton, mi fa sentire quasi importante, è bello per una volta sentirsi come una guida, un mentore, ma ora vorrei tanto porter parlare con Katniss. Vorrei che mi dicesse qualcosa, che almeno mi rispondesse insomma. Ha riportato il cesto alla panetteria e non ha aggiunto altro. Vuole davvero continuare a far finta di non avermi baciato? – Guarda Peeta! Quello che cos’è? – mi chiede d’un tratto Prim puntando il dito su quella che sembra una fonduta al formaggio ricoperta di polvere di peperoncino e spezie. Sospiro e sto per risponderle nel modo più originale e interessante che mi viene in mente, quando una scena alle sue spalle attira la mia attenzione.Mi affretto a raggiungere l’altra parte del tavolo, congedando Prim con un  - torno subito, vado un momento da Katniss per presentarle un amico -. Prim sorride e non fa domande. Arrivo giusto in tempo. Katniss pare una pentola a pressione e qualcosa mi dice che Haymitch non ha smorzato il suo animo, già abbastanza acceso per i commenti di Madge. Più tardi cercherò anche di capire il motivo di quelli.  – Oh ho, ma chi abbiamo qui?! – è la risposta sinceramente entusiasta di Haymtich quando mi vede – come sta il mio personale angelo custode? Ehi, per caso conosci dolcezza-musona qui? – chiede piuttosto divertito, sorridendo al mio indirizzo. Si riferisce senza dubbio a Katniss. Lei senza fare una piega gli lancia un’occhiata omicida ma aspetta delle spiegazioni. – Tu lo conosci? – mi chiede, come se fosse la cosa più assurda che potesse immaginare. A giudicare dalla sua espressione scioccata è come se avesse appena scoperto che conosco il Grinch. – Se ci conosciamo? Ma se ti ho detto che è il mio angelo personale, non ce le hai le orecchie dolcezza? – ribatte secco Haymtch, ingoiando nel mentre del cibo in salsa rosa, probabilmente un tramezzino con tonno e gamberi. Sospiro. – Io faccio le consegne a domicilio – comincio a spiegare - per la panetteria. Lui è un nostro cliente fisso da anni ormai. Non esce mai di casa, per questo sono stupito di vederlo qui –  dico. – Già – interviene lui – se non fosse per te sarei già morto di fame da almeno un secolo -. – E allora perché stavolta ha deciso di uscire? – domanda caustica Katniss mentre lo fissa con le braccia conserte. – Beh, tanto per cominciare amo molto i rinfreschi… - risponde Haymtich continuando a portare cibo alla bocca. Il suo modo di fare è davvero disgustoso, mastica a bocca piena, addirittura gli scappa qualche rutto, ma a lui non sembra importare. – e poi questa è una serata speciale, no? – domanda. E capisco che l’interrogativo è rivolto a me, perché Haymitch mi lancia un’occhiata eloquente e Katniss subito inarca un sopracciglio. Penso a cosa potrebbe riferirsi lui. – Beh, certo, è il compleanno di Madge, la tua unica nipote – butto lì. Eppure lo capisco dal suo sguardo che la risposta più ovvia è quella sbagliata. Infatti la replica che ricevo è negativa. – Sei fuori strada ragazzo… Ad ogni modo godetevi pure la serata, gli adulti ora devono discutere – dice, e nel mentre mi accorgo che un paio di strani uomini vestiti con una divisa, si avvicinano a noi. Haymtich rivolge loro un sorriso, ma è un sorriso spento, rassegnato. Sta già per allontanarsi da noi quando si volta di nuovo e mi scompiglia i capelli con una mano, fino a quando me li ritrovo talmente in disordine da fare un passo indietro per farlo smettere. – Che fai? – sbuffo. – Niente, volevo solo ricordarti che sei ancora un bamboccio e devi andarci piano con certe cose, siamo intesi? – e così dicendo lancia uno sguardo a Katniss. – Tu mio caro hai le ali fatte di cera, quindi attento a non avvicinarti troppo al sole, ne rimarresti ustionato – ride e infine raggiunge i due uomini in divisa in fondo alla sala. Tento di ricompormi mentre un silenzio imbarazzante si insinua tra me e Katniss. Gli altri invitati chiacchierano, ovviamente non è un vero e proprio silenzio, ma nessuno dei due adesso sa cosa dire. – Scusalo, è un po’ brusco nei modi e non sa assolutamente cosa siano le buone maniere, ma ha sofferto parecchio e non ha nessuno. Perfino Madge lo vede si e no una volta l’anno. Lui e suo padre sono fratelli sai…ma è come se non lo fossero. Deve essere successo un episodio spiacevole che li ha fatti allontanare – le dico spiegandole quelli che mi sembrano i punti più salienti della vita di Haymitch sperando che si convinca a non andarsene per causa sua. Inoltre, non so perché ma ci tengo a perorare la causa di Haymtich. Per tutta la città sarà pure un vecchio ubriacone buono a nulla, ma io so che non è così, lui me l’ha raccontato. Strano però che si trovi qui in mezzo a tutta questa gente, lui odia le belle case affollate. Probabilmente quest’anno ha preferito trascorrere il natale con qualcuno, insomma, con quello che gli resta della sua famiglia, piuttosto che starsene solo a tracannare una bottiglia. Dev’essere certamente così, mi avrà certamente canzonato e basta perché detesta ammetterlo, penso mentre la smorfia incredula di Katniss mi fa sorridere. – Garda che non mi devi spiegare un bel niente su quel tipo, tanto non mi interessa, non ci rivedremo mai più – mi dice lei pratica, poi sospira. – Spero proprio che Prim si stanchi presto di questo posto, mia madre è sola a casa la viglilia di natale e molto probabilmente starà piangendo perché si sente sola o perché le sarà venuto in mente mio padre, del tempo in cui eravamo una famiglia e ci bastava un piccolo abete decorato con qualche nastro o delle pigne per essere felici. E intanto io sono qui che mi faccio insultare da chiunque in questo posto per far credere a Prim che la vita le potrà offrire di nuovo qualcosa di bello…Io…scusa, ora la raggiungo, mi sta chiamando – si sfoga infine con uno sguardo che pare di ghiaccio, dopodiché percorre a grandi falcate metà della sala, lasciandomi lì impalato a dar il benvenuto ad uno stratosferico senso di impotenza.



 

Punto di vista di Katniss:

Raggiungo Prim. E’ intenta a masticare qualcosa con tanto appetito che quasi mi vengono le lacrime agli occhi nel guardarla, ma mi trattengo. Non voglio dare a nessuno la soddisfazione di vedermi in questo stato. Peeta mi osserva da lontano. E’ chiaramente preoccupato per me. Avrei dovuto trattenermi. Non so perché, con lui mi capita sempre di parlare di cose che di solito tengo solo per me. Forse perché lui non giudica, né si permettere di dare stupidi consigli, ascolta e basta. Però non devo dimenticare che non posso fare sempre affidamento su di lui, anzi, dovrei proprio cercare di evitarlo. Ma come posso, con in giro tante gente così strana che vorrei soltanto evitare? Rifletto, ironica. Dentro di me riesco a sentire solo tanta rabbia. Rabbia per mio padre, morto troppo presto. Rabbia per mia madre, che è stata assente e lo è tutt’ora. Rabbia per il mio amico Gale che mi ha abbandonata a sua volta…

Rabbia verso me stessa, perché non riesco a fare abbastanza per non far avere a mia sorella le guance scavate, per farla mangiare abbastanza. E quindi penso a quante ragazze del Giacimento, che sono cresciute con me, mi è capitato di vedere davanti alla porta del vecchio Craig. Quante di loro hanno venduto il proprio corpo per un po’ di pane, per… Sono così furiosa che quasi non mi accorgo che Peeta si è avvicinato a me di nuovo. Sussulto quando me lo ritrovo accanto. – Lasciami in pace, adesso Peeta – gli grido. E mi sorprendo io stessa della freddezza della mia voce. Poi il ricordo di lui che mi getta il pane, riaffiora prepotente alla mente. Lui che si prende cura di me con la febbre, lui che mi bacia, io che ricambio e poi… Peeta ci sarebbe davvero per me? Mi starebbe vicino, come sta cercando di fare adesso, anche se lo maltratto e lo respingo sempre? Gli sguardi di molte persone si sono posati su di me. Su di noi. Anche quello preoccupato di Prim. – Katniss, non devi trattare male Peeta – mi dice, semplicemente, come solo lei sa fare, con voce dolce ma convinta. L’attenzione di tutti, presto viene rivolta altrove, ma io non resisto più qui dentro. – Scusa, io… - biascico rivolta a Peeta che a malapena afferra le mie parole, poi mi avvicino a Prim e chinandomi davanti a lei per osservarla meglio negli occhi le dico –  Scusami -. Lei rimane in silenzio. – Non devi chiedere scusa a me, ma a Peeta – risponde con voce chiara e tranquilla. – Non serve, Katniss si sente a disagio e io non la sto aiutando, starle appiccicato purtroppo non è una grande idea – interviene inaspettatamente Peeta. Deglutisco e ricerco dentro di me quel pizzico di riconoscenza che mi porta a chiedere scusa anche a lui. – Non devi essere tu a scusarti Peeta – dico. -  - Invece sì… senti, facciamo che se hai bisogno mi fai un fischio ok? – dice e poi senza attendere una risposta lo vedo spostarsi in direzione delle scale. Intanto Prim continua a scrutarmi seria, così lascio andare Peeta e mi rivolgo a lei – beh, comunque…ti stai divertendo? -. Lei mi sorride – scommetto che tu non vedi l’ora di andartene – risponde. Ma nella sua voce non c’è astio, semplicemente, la sua è una constatazione. Mi conosce bene. – Già… - confesso. Lei sembra farsi pensierosa per un momento, poi mi sussurra nell’orecchio – se vuoi possiamo anche tornare a casa -. Prim mi fissa con tanta intensità da fare male. Sarebbe disposta a rinunciare anche al natale pur di non vedermi in questo stato.  Lancio uno sguardo in direzione di Madge che è ancora in un angolo intenta a chiacchierare con Delly. – sinceramente preferirei evitare quelle due per il resto della serata, ma non mi tirerò indietro, non ti farò rinunciare al natale – faccio una pausa. - Sai, credevo di stare simpatica almeno a Madge, ma a quanto pare mi trova noiosa -. Prim sembra non credere alle mie parole. – Piuttosto direi che è gelosa – mi dice convinta. Per un attimo non capisco. – Gelosa di chi? – dico ad alta voce. Poi un flash mi attraversa il cervello come un lampo. Madge alla stazione tra le braccia di Gale. Ma non può essere così…insomma, lei non sa che rapporto c’era tra me e Gale. Non può saperlo. O può? Ma allora che senso ha avuto per lei invitarmi qui facendo finta di nulla? – Lei proprio non lo so, ma Delly secondo me ce l’ha con te per via di Peeta. Lo sta fissando da tutta la sera e quando ci ha visto arrivare assieme giurerei che ha assunto una sfumatura di verde – prosegue Prim mimando l’espressione affranta di Delly. Tutto questo ha dell’incredibile. Madge gelosa di Gale e Delly gelosa di Peeta. Gelose di me?! Mi verrebbe da chiedergli se qualcuna di loro ha idea di quanto sia assurdo tutto questo. Gale. Mi viene da pensare che in realtà non l’ho mai conosciuto. Mi ha mentito sulla sua partenza, e chissà che cosa c’è tra lui e Madge. Forse lei crede che tra noi due ci sia stato qualcosa di più di un’amicizia profonda che si è rotta. E Delly deve aver saputo di quella sera, forse dal signor Mellark o dalla moglie, o da Madge che ha riconosciuto il fiore del sacchetto. Non so. Ad ogni modo, deve aver viaggiato con la fantasia per arrivare ad odiarmi in una sola sera, anzi, in un’ora visto che la serata ahimè è appena cominciata. Tutto questo è semplicemente ridicolo. Due ragazze che hanno tutto dalla vita sono davvero gelose di me che ho soltanto una sorella affamata a cui badare e nessunissima intenzione di dipendere più da qualcuno in vita mia. Se dipendi da qualcuno e quel qualcuno di abbandona o muore, tutte le tue certezze, il tuo mondo, vanno in pezzi. Non voglio il tipo di rapporto che ogni ragazza normale vuole con un ragazzo. Non voglio una famiglia…Rischierei comunque di ritrovarmi sola in una stanza gelida la notte di natale a piangere lacrime amare, per averci creduto, per aver scommesso che non sarebbe mai potuto capitare a me. – Madge e Delly sono delle sciocche bambocce viziate…- è tutto quello che riesco a dire a Prim.  – Kanitss – la voce di Peeta mi manda in fibrillazione.  Ma non aveva detto che mi avrebbe lasciata in pace? – Scusa, io… E’ solo che mi chiedevo se magari ti andava di accompagnarmi un momento a casa, ho scordato una cosa che avevo in mente di far avere ai genitori di Madge – dice con voce speranzosa, senza riuscire quasi a guardarmi negli occhi. – A casa tua? -. Sono perplessa. Che cosa gli salta in mente adesso? – Sì. In realtà, non l’ho proprio dimenticata. Non ero sicuro di portarla e così ho deciso di lasciar perdere ma, ci ho ripensato – spiega. – D’accordo, ma perché lo chiedi a me? – insisto senza capire quale sia il punto. Prim, per tutta risposta, mi fa uno sguardo di disapprovazione. – Lo chiedo a te perché sai meglio di me che ti farebbe bene prendere una boccata d’aria in questo momento e perché voglio sinceramente che tu mi dia il tuo parere, prima di decidere se portarlo o no. Casa mia lo sai, non dista molto, solo due isolati -. La risposta di Peeta è così sincera che in qualche modo rompe la mia corazza. Sarebbe bello se tutti fossero sempre così schietti. La vita sarebbe più semplice. Forse Peeta ha già capito quanto mi diano fastidio le bugie e le cose non dette, oppure semplicemente è molto bravo e sa come prendermi. Fatto sta che decido di accompagnarlo. – Ok, vengo. Prim, prendi il cappotto – le dico seduta stante, smorzando sul nascere il sorriso di Peeta. – Ma Katniss, io posso aspettarvi qui – obietta subito lei. – Infatti, ci vorrà solo qualche minuto – aggiunge immediatamente anche Peeta. Sbuffo. Lasciare Prim in questa gabbia di leoni non mi sembra affatto un buona idea. – Mi metterò buona buona a chiacchierare con Delly, per favore Katniss! – insiste mia sorella con voce supplichevole. Di male in peggio. Battibecchiamo ancora per un po’, ma alla fine cedo.  Mi sento così soffocata da questo posto che l’idea di schiarirmi le idee con una sana camminata non può che sembrarmi come una specie di miraggio. Senza farci vedere da nessuno sgattaioliamo fino all’armadio dove ci sono i cappotti e ce li infiliamo, dopodiché Peeta apre la porta e una folata di vento gelido mi sferza immediatamente le guance.

Percorsi almeno quaranta o cinquanta metri in perfetto silenzio, la voce di Peetami risveglia di nuovo dal torpore nel quale mi sono trincerata.  – La serata non sta andando come ti aspettavi suppongo – dice. La sua osservazione mi sembra tanto stupida che vorrei urlarglielo, ma Peeta prosegue – beh, sappi che anche io mi ero immaginato qualcosa di diverso – sospira ficcandosi le mani in tasca per proteggerle dal freddo. Sono quasi certa che stia per sprofondarsi in mille spiegazioni per giustificare l’atteggiamento ostile di Magde e Delly, come ha fatto poco prima davanti ad Haymitch quando Peeta, dal momento che io resto in silenzio, continua  e sorprende non poco. – Beh per dirne una, non mi aspettavo tanta indifferenza da parte tua -. Mi volto di scatto verso di lui. Quelle parole arrivano davvero inattese – Che vuoi dire? – gli chiedo gelida. Lui fa un sorriso strano e sembra ricercare le parole, si ferma e mi guarda. Mi fermo anche io, con la punta delle scarpe già tutta infangata a causa della neve fresca che anche adesso ha preso a cadere giù dal cielo. – Voglio dire…- dice lui riprendendo le mie parole – mi sembrava di averti detto delle cose, cioè, aspettavo delle risposte e tutto quello che ho ricevuto stasera è la stessa considerazione che avresti potuto dare alla ghiaia sulla quale cammini -. Fantastico, penso. Ora non solo dovrò affrontare le due giovani ragazze gelose ed innamorate, sarebbe stato troppo poco. Adesso ho qui di fronte anche il ragazzo innamorato che ti manda i cestini con i biglietti che dicono “Mi piaci tanto, tu cosa pensi?”. In realtà sono abbastanza sicura che il messaggio non fosse esattamente questo, ma il senso logico in fin dei conti è lo stesso. Negli occhi di questo ragazzo però trovo qualcosa che mi turba profondamente. Mi perdo a fissarli e nel giro di mezzo secondo ogni mia certezza sembra vacillare. – Non è affatto così – ribatto, comunque ferita. – Io credevo di essere stata chiara l’altro giorno al negozio. Ti ho riportato il cesto e ti ho detto che sarei venuta soltanto per Prim, non voltare le carte in tavola Peeta! – mi difendo. Sono quasi convinta di essere riuscita a cavarmela bene quando lui contrattacca – quella non era una risposta! Io non volevo farti pressione e capisco come ti senti, ma se davvero non ti interesso vorrei almeno sentire una spiegazione, vorrei che me lo dicessi chiaramente -. La sua voce è roca e piena di tensione. Tossisce più volte per schiarirsela. – Quindi mi hai chiesto di accompagnarti a casa per dirmi queste cose? – la mia è quasi una affermazione. Lui pare stupito e anche un po’ offeso dalla domanda. – No, ti sbagli. L’ho fatto perché ho capito che ne avevi bisogno e perché veramente dovevo prendere una cosa. Anzi, è meglio se ci muoviamo – risponde e nel mentre prosegue a camminare a mi distanzia presto dandomi le spalle. – Ehi aspetta – gli vado incontro. – Peeta… - lo chiamo. Lui non si volta e neanche mi risponde, continua semplicemente a camminare mentre la neve scende sempre più forte. Le strade sono deserte e profondamente buie. Mai come quelle del giacimento perché qui siamo in pieno centro città, ma riesco comunque a scorgere alcune stelle brillare luminose, tra le nuvole scure nel cielo. – Peeta…- lo chiamo ancora. – Fammi sapere quando avrai deciso qualcosa – risponde aspro lui – ma voglio una vera risposta. Perché io e te non potremmo stare assieme? – mi chiede, o meglio, grida al vento. Poi finalmente si gira verso di me. – Perché io e te non dovremmo provarci? Lo sai, a me non importa niente dei soldi, sarei disposto a condividere una coperta logora per dormire ogni notte con te sotto le stelle, senza casa, senza niente… Ma quello che proprio non riesco a mandare giù è che per te sia più importante la questione economica rispetto ai tuoi sentimenti – spiega con voce amara – se almeno mi dicessi che non ti interesso per come sono, credo che starei meglio, almeno me ne farei una ragione-. Sono rimasta senza parole. Peeta riesce a mettermi in imbarazzo con poche semplici parole. Non so se la cosa più difficile da assimilare sia la sua confessione così aperta, semplice e profonda, oppure la consapevolezza che in realtà lui non ha capito niente di me. Non è solo quello, non solo una questione economica. E’ che non credo più a niente che assomigli neanche lontanamente al “vissero felici e contenti”. Prima o poi succede qualcosa, e tu rimani sola a cercare di rimettere insieme i cocci di te. Ma non ho la forza per dirgli queste cose, non ho voglia di affrontarle adesso. Però non posso evitare di muovere le labbra, di pronunciare delle dannate parole vuote, che però hanno il potere di stravolgere tutto. – Beh ti sbagli. Se anche tu mi piacessi, questo non cambierebbe le cose – balbetto tremante. Il freddo pungente sembra avermi raggiunto le ossa e ora mi avvolge da capo a piedi mentre mi stringo nella vecchia giacca di mio padre. Quando alzo lo sguardo da terra, due occhi azzurri come il cielo estivo mi fissano con una intensità che non ha eguali.
 

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Capitolo 20
*** Che confusione, sarà perché...? ***




Capitolo 20:   "Che confusione, sarà perchè...?"
 


Punto di vista di Peeta:


Katniss è davanti a me, lo sguardo fisso nei miei occhi. Non riesco a credere che abbia appena detto quello che ha detto.

– Beh, anche se tu mi piacessi questo non cambierebbe le cose -.

La fisso a lungo. Quindi quel bacio aveva un senso, insomma, qualcosa dentro di lei si è mosso davvero.  La vedo stringersi le braccia attorno al petto e capisco che sta morendo di fretto, d’istinto mi avvicino di qualche passo.

– Che significa che non cambia le cose? Certo che cambierebbe! – sbotto.

Lei per tutta risposta sgrana gli occhi ma non aggiunge nulla.

– La scorsa volta hai detto che non eri sicura. Ho aspettato a lungo una risposta e adesso mi stai di nuovo rispondendo senza realmente rispondermi! Se non ti piaccio abbastanza, se non mi trovi carino o simpatico o mi vedi come un amico è un conto… ma cosa significa che se anche ti piacessi non cambierebbe? insomma… - mi rendo conto che sto straparlando, ma sono davvero furioso con lei.

Prima non mi risponde, poi quando la metto alle strette se ne esce con una frase ambigua che fa intendere tutto e niente. Voglio chiarire, voglio sapere. Se ho anche solo una possibilità di averla per me, insomma, vorrei che me lo dicesse chiaramente. Insomma, il suo comportamento è così contraddittorio che potrei impazzire se non mi chiarisse le idee. So che adesso le sto facendo fin troppa pressione e il mio tono è concitato e per niente gentile ma non mi importa, deve sapere come mi sento. Katniss di rimando, si incammina in direzione dalle casa di Delly.

– Scusa, io…ho capito…sono una stupida, avrei fatto meglio a stare zitta… - balbetta e sfreccia via di corsa. Stavolta però non la farò fuggire, non più.
La inseguo ma la corsa è davvero breve, infatti ad un certo punto rallento perché lei è caduta scivolando nella neve a faccia in giù. Mi chino accanto a lei.

– Katniss – la chiamo incerto su cosa dirle.

– Mi dispiace io…sono stato troppo aggressivo –.

Le porgo un braccio per aiutarla ma lei lo ignora e per tutta risposta si rialza da sé.

– Sto bene…Le ginocchia mi hanno solo giocato un brutto scherzo perché sono tutta congelata. Sto bene…- dice continuando a tenere il viso rivolto verso la strada per non permettermi di vedere la sua espressione. Restiamo in silenzio un momento.

- Devo farcela da sola Peeta – sussurra d’un tratto Katniss, quasi stesse parlando con il vento - alla fine si rimane sempre da soli, quindi tanto vale abituarsi – dice.

Non riesco a capire. Ha così tanta paura di restare sola da non volersi avvicinare a nessuno? E’ per questo che sembra tanto tormentata? Ripenso a quanto mi disse mio padre riguardo alla sua famiglia. Il padre morto in miniera, sua madre che non si è ancora ripresa, la responsabilità di sua sorella, così tenera e fragile.
E poi mi torna in mente anche il suo amico Gale e quello che lei mi ha detto su di lui. “Lui per me era speciale” ha detto. Probabilmente la sua partenza è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Lui era tutto per lei: amicizia, sostentamento e… a quanto pare anche molto di più. Possibile che a lui non sia importato nulla di tutto questo? L’ha lasciata sola a piangersi addosso e a morire di fame, a decidere di non voler amare nessuno perché se sei solo non rimarrai deluso visto che nessuno ti abbandonerà. Ma non si può restare soli per sempre. Non riesco a credere che lei stia veramente ragionando in questo modo.
E’ solo una ragazza di diciassette anni, e come me ha tutta una vita davanti per imparare a credere di nuovo nelle persone. Ma per quante ne ha passate è più fragile di quanto non sembri.
Mi accuccio accanto a lei, sulla neve fredda. Katniss ha il vestito fradicio e sporco di fango, inoltre senza preavviso i suoi occhi si fanno lucidi e temo che stia per scoppiare in lacrime

– Katniss - sussurro.

– No! – dice brusca e poi inizia a blaterare una serie di frasi senza nessun senso.

– Lasciami perdere Peeta! Davvero…io non sono come le altre ragazze. Non la voglio una famiglia… Devo solamente pensare a Prim e a mia madre – grida.

– Ok…ma tua sorella crescerà e tua madre non ci sarà per sempre – obietto cercando di farla ragionare –.

Lei volta finalmente la testa. Ha il viso tirato e stanco e purtroppo scopro che non mi sbagliavo: una lacrima le scivola leggera sulla guancia destra. Katniss la asciuga subito utilizzando una manica della giacca, e tira su col naso. Poi sospira.      

  -  Quando mia sorella sarà cresciuta e mia madre morta, beh…starò da sola sì, ma è quello che voglio – fa una pausa. Poi mi guarda direttamente negli occhi e capisco che è sincera mentre lo dice: -  tu potresti avere Delly o altre cento ragazze in questa città -.

– Ma io voglio solo te – ribatto subito interrompendola. – Hai regalato i biscotti nel sacchetto colorato anche a lei – insiste. Questa risposta mi sembra così infantile da lasciarmi basito visto la piega che aveva preso la conversazione.
Dunque le dà fastidio che io abbia regalato i biscotti a Delly anche se stiamo parlando di una vita fa?.

– Solo perché siamo amici da quando eravamo bambini – ribatto – sai, fingevamo sempre di essere fratello e sorella. Per me lei è questo: una sorella – continuo cercando di spiegarle nel modo più chiaro possibile ogni cosa.

– Lei ha cercato di ottenere da me qualcosa di più, ma sai, non sono mai riuscito a togliermi dalla testa una certa ragazza bruna… - concludo infine con un sospiro.

– Perché non mi dici sinceramente quello che pensi, Katniss? -. Il vento freddo che soffia tra di noi diventa per un po’ l’unico rumore percepibile. Katniss si alza in piedi lentamente.

– Penso che tu sei davvero pazzo ad amare una come me. Nel frattempo mi sono alzato anche io. Dai suoi occhi cominciano a scendere altre lacrime, che ormai non tenta più di nascondere.

– Per me non ci sarà mai una vita migliore di questa – continua.

– Katniss, ti prego, smettila di dire sciocchezze – le dico e non riesco a fermare le mie mani mentre afferrano saldamente le sue. Sono perfino più fredde di quanto avessi immaginato. Mi aspetto che da un momento all’altro lei si ritragga ma non lo fa.

– Davvero resteresti per sempre al mio fianco? -. La sua voce è quasi un sussurro tanto è flebile. Il viso nascosto da ciuffi di capelli ribelli che ondeggiano a causa del vento freddo.

– Davvero lo farei – confermo con il cuore che batte all’impazzata per questa sua domanda che ha così tante implicazioni sottese.

– Non ti lascerei mai, lo giuro. A meno che tu non voglia – dico e sento che anche lei adesso sta stringendo le mani nelle mie. – Sono cose che si dicono sempre nei romanzi, ma non finiscono mai bene – ride ad un certo punto lei, nervosa. Sorrido anche io.

– Ma non siamo i protagonisti di un romanzo Katniss, e io non sono un duca o un principe…io decoro le torte -. A queste parole ci fissiamo e scoppiamo a ridere di gusto, finalmente più leggeri, quasi ci fossimo liberati di una specie di peso. Non dura molto però perché l’espressione di lei torna a farsi seria quasi subito.


– Già… suppongo che rispetto a fare la guerra, la tua sia un’aspirazione meno complicata – afferma infine Katniss. Il riferimento a Gale è palese e ora come ora mi colpisce un po’.


– Non…dovresti paragonarmi a lui. Non credo ci somigliamo molto – dico con sguardo  ferito pur mantenendo un tono di voce neutro. Le sorrido ancora. Katniss sembra realizzare la portata delle proprie parole.


– Scusa…io…lui non c’entra – balbetta. Io però non ci voglio pensare più. Mi avvicino a lei di un altro passo, i nostri visi sono a pochi centimetri di distanza l’uno dell’altro.


– Non è che in realtà stai facendo tutto questo per arrivare a Prim? Lo sai che potrei ucciderti – esclama Katniss d’un tratto. Se non avesse usato un tono leggermente ironico, direi che fa sul serio.

– Certo, è il mio sport preferito quello di abbordare delle dodicenni fingendo di essere interessato alle loro sorelle maggiori – mi schermisco a mia volta con ironia. Sembra quasi che ormai le parole non debbiamo più servire tanto i nostri visi sono vicini, poi Katniss scioglie dalla stretta e fa qualche passo indietro, lontano da me. Sono quasi certo che abbia cambiato idea quando lei dice: - d’accordo… proviamoci -.


Resto in silenzio a guardarla mentre schiarisce la voce. – Però questo non implica che io voglia dipendere da te. Resterà tutto come adesso, solo che…- si interrompe, forse per cercare di nuovo le parole – insomma, saremo innamorati – conclude. Giuro che il suo viso è diventato color rosso acceso nel pronunciare quella parola.

– Innamorati – ripeto, e la mia voce mi sembra così stupida e meccanica mentre lo dico, come quella di un pappagallo ammaestrato. – Faremo un tentativo cioè… ma non ti prometto niente ok? – prosegue immediatamente lei, quasi si fosse accorta di avere dimenticato qualcosa di importante.

– A meno che non cambi idea, le condizioni restano queste, cioè… non dovrai aspettarti che facciamo certe cose…non voglio una famiglia…- insiste. Poi si guarda in giro e infine osserva di nuovo me.

– Ora che ti ho detto tutte queste cose, sei ancora disposto a stare con me, sul serio? – chiede.

– Non sarebbe certo come nei romanzi una relazione del genere, né tanto meno somiglierebbe ad una storia normale – esordisco e dalla smorfia di Katniss capisco che non era la risposta che si aspettava. Diavolo però! Come si può accettare tutto questo, quando l’unica cosa che vorresti fare con la persona che ami è mettere su famiglia e stare con lei ogni giorno, toccarla, baciarla e sentirla tua? Si possono mettere delle catene del genere ad una relazione, soltanto perché si ha paura?

– ma tu mi stai dicendo – proseguo - che mi dai anche l’occasione di farti cambiare idea…Non è così?- chiedo. Lei annuisce. – Non ti prometto niente però. Le persone non cambiano tanto facilmente – dice. – Beh ma adesso tu l’hai appena fatto, hai detto “proviamoci Peeta”- le faccio notare imitando quella che secondo me sarebbe la sua voce. Lei sorride e scuote la testa.

– E quella chi sarebbe?- scuote la testa, poi prende un respiro.

– Allora accetti? – chiede quasi avesse fretta di concludere un contratto d’affari.

– Accetto – rispondo. E senza avere il tempo di realizzare quanto è successo,  la vedo avvicinarsi e tornare a me di nuovo, pur mantenendosi sempre a distanza di sicurezza.

– Ok…hem…allora andiamo, fa freddo – dice. E così ci incamminiamo verso casa mia. Restiamo in silenzio a riflettere, ciascuno con i propri pensieri nella testa. Faccio per stringerle una mano nella mia ma lei si ritrae. – Mi scaldo da sola – dice. La situazione non promette granché ma io non demordo.

– Volevo solo tenerti per mano, adesso che stiamo assieme posso anche farlo, no? O rientra tra le cose che non mi è concesso chiedere? – domando. Lei mi guarda e risponde languidamente – Ok…puoi farlo, credo che andrà bene – e avvicina il polso al mio. L’irritazione però comincia a impadronirsi di me.

– No, non devi farlo se non vuoi – ribatto allontanando il braccio. – Ma io voglio – risponde lei seccata. – Beh non sembra però – replico subito. Per tutta risposta, Katniss afferra la mia mano in una presa d’acciaio.

– Voglio! – sbuffa. Ed io non oso replicare ulteriormente. Qualche metro dopo ogni traccia di cocciutaggine sembra essere sparita dal viso di Katniss, lasciando il posto però a due guance rosso vivo.
– Sei imbarazzata? Non ci vede nessuno – le chiedo stupito per tanto pudore.

– Non importa, io so che ti sto tenendo per mano e… non l’ho mai fatto – dice. Ci blocchiamo di nuovo in mezzo alla strada.Va avanti così per un po’ finché tutti e due non la smettiamo di dirci cose a caso e ci rendiamo conto di essere semi assiderati.

– Senti, perché non raggiungiamo casa mia? Ormai siamo arrivati, poi torniamo da Prim –. Lei acconsente senza aggiungere altro.  Il tragitto da percorrere è così breve che senza nemmeno accorgercene siamo già nel retrobottega. Un timido tepore ci rinfranca le membra.

– Aspetta qui, ok? Ci metto un attimo – le dico.

I miei familiari sono di nuovo andati a trovare altri parenti per la vigilia di Natale, ma dovrebbero rincasare stanotte o al più tardi domattina per il pranzo di natale. La casa è vuota esattamente come la sera della tormenta. Katniss annuisce e si siede su una vecchia sedia. Mentre cerco il regalo per il sindaco Undersee, sento i suoi occhi che mi attraversano. Apro le ante di un vecchio armadio in legno dentro il quale siamo soliti mettere vecchi indumenti o i grembiuli che usiamo quando facciamo il pane. Estraggo una tela dipinta. – Che ne pensi? - 


Punto di vista di Katniss:

Peeta mi mostra il più bel quadro che io abbia mai visto. E’ la rappresentazione di casa nostra, delle montagne rocciose dove viviamo, circondate dai boschi e con un corso d’acqua dolce che lo attraversa. I colori sono stati distribuiti in modo tale da sembrare che la tela li abbia risucchiati direttamente dagli alberi.

– E’ stupendo…ti sarà costato una fortuna – commento. Lui per tutto risposta inarca un sopracciglio. – Solo qualche soldo per le tempere a olio in realtà, mio padre ha barattato la tela e alcuni colori per un po’ di pane- spiega. Ci metto un po’ a capire cosa significa la sua risposta, ma quando realizzo non riesco a credere a quello che dice. Ricordo i disegni in camera sua.

– L’hai fatto tu Peeta? – domando esterrefatta e il suo sorriso raggiante me ne dà la conferma.

– Sai, ho sempre avuto una predilezione per il disegno. Mi riesce facile e così ho pensato che forse potevo riuscire anche a dipingere un quadro. E’ un po’ come glassare le torte…- racconta sedendosi accanto a me su uno sgabello.
Tutta la storia sarebbe davvero interessante se non ci trovassimo entrambi così in imbarazzo. Il mio cuore viaggia a mille battiti al minuto o giù di lì da almeno venti minuti, ne sono certa. E’ un miracolo che io non sia ancora collassata. Che diamine mi è preso? Perché ho detto quelle cose? E lui ha detto sì, cioè…adesso stiamo assieme. Come possiamo stare assieme se fino a qualche ora fa ero determinata a tenerlo alla larga? Mentre Peeta parla, io non riesco a distogliere lo sguardo dalle sue labbra rosee, lo fisso imbambolata e quando mi sfiora una mano per tornare a stringermela nella sua, ho un sussulto. E’ questa dannata sensazione di calore umano che non riesco ad abbandonare. Sento che mi avvolge da capo a piedi e mi fa fremere.

– Katniss – sussurra, per poi deglutire e cercare forse le parole giuste – non devi essere spaventata ok? Non ti salterò addosso o roba del genere, quindi niente pugni sul naso – dice. 
Gli sorrido.

– Quella volta te l’eri cercato, va bene? Facevi troppo il misterioso – sbuffo.

– E a quanto pare a te non piacciono le cose poco chiare, ottimo, la penso esattamente come te – replica subito Peeta.

– Meglio – rispondo. Non so che altro aggiungere. Mi sembra che stiamo facendo discorsi a caso ormai. Che dovrei dirgli ora che ho accettato di… Già, di preciso cosa ho accettato di essere per lui? Ho accettato di provare a non respingerlo forse, ecco tutto. Voglio soltanto conoscerlo meglio e beh gli ho anche promesso che potrei forse cambiare idea sul fatto di non avere una famiglia, ma non credo potrebbe succedere. E allora che voglio da lui? Cosa voglio da Peeta Mellark visto che ho espressamente rifiutato qualsiasi tipo di aiuto economico? Perché gli ho detto “proviamoci”…Io sono, sono una stupida. Sei una stupida Katniss!

– Ehi, guarda che non scappo – la voce di Peeta mi risveglia dai miei pensieri travagliati. Io invece  scapperei sedutastante. – Non c’è bisogno che mi stritoli la mano – sorride. Adesso gli dico che mi sono sbagliata, che poco ero completamente ammattita, isterica, in crisi come non mai e che mi sono totalmente bevuta il cervello.
Le labbra di Peeta si muovono ma non riesco più ad afferrare una sola parola, sono troppo presa da me stessa per capire quello che sta dicendo. Io non posso avere un ragazzo. Devo essere impazzita.
– Peeta – esclamo, ma le parole mi muoiono in bocca perché due labbra calde si vanno a serrare sulle mie.  


Punto di vista di Peeta:

 

- Meglio – aggiunge Katniss, dopodiché sembra perdersi nei suoi pensieri. Le sue mani non sembrano più così fredde adesso. Il quadro ormai l’abbiamo preso, quindi potremmo anche tornarcene a casa di Madge. Prim sicuramente sarà in pensiero, sarà già trascorsa più di mezz’ora.

Tuttavia vorrei davvero poter restare qui da solo con lei come quella notte, chiudere fuori tutto il resto del mondo. Se non fosse per Prim lo farei, adesso che lei e io, insomma, abbiamo deciso di provare a stare assieme. Mi viene l’impulso irrefrenabile di baciarla, di nuovo, come la volta precedente. Poi però penso a quanto sia timida e restia ad effusioni del genere, tanto da negare apertamente di avermi baciato. Così sospiro e glielo chiedo. Rovinerà la magia, ma almeno non mi prenderò un pugno sul naso. Lo faccio con tutta la tranquillità che riesco a metterci.

– Katniss… posso baciarti? – chiedo in un sussurro. Lei per tutta risposta se ne resta ferma a fissarmi le labbra. Così decido di avvicinarmi davvero e poso la mia bocca sulla sua. E’ un bacio strano. All’inizio sembra quasi sorpresa, come se non glielo avessi appena chiesto. Poi però sembra ammorbidirsi e la tensione in lei svanisce quasi. Mi stacco da lei per fissarla negli occhi, ma le labbra di Katniss mi cercano quasi subito.

Ci baciamo ancora. Stavolta non potrà negare di averlo fatto. La stringo forte in un abbraccio finché lo sgabello sopra il quale sono seduto cede. Finisco per trascinare Katniss a terra, sopra di me.

– Scusa, era parecchio vecchio e…- dico. Lei intanto sembra ridestarsi come da un sogno. Mi alzo, giusto il tempo di piegare le ginocchia e rimettere le gambe distese in piedi, e lei è sparita. La porta del retrobottega è aperta e avvicinandomi posso scorgere chiaramente le prime impronte nella neve. - Non posso crederci, è scappata di nuovo…- dico, a ad ascoltarmi c'è solo il vento.

Continua...

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Capitolo 21
*** ...ti amo??! ***



Ciao a tutti! Grazie per la costanza dell'attesa e grazie a tutti voi che avete aggiunto questa storia tra i preferiti o tra le seguite o avete lasciato qualche commento. Sono commossa, davvero. Mi fa un immenso piacere sentirvi appassionati a qualcosa che scrivo, anche se è soltanto una fanficion e i personaggi non sono i miei... Insomma, grazie GRAZIE, grazie a tutti di cuore!
 

Vi dico subito che questo capitolo è stato un parto. Quasi neanche mi ricordo più cosa c'è scritto perché ne ho scritte diverse versioni e nessuna mi soddisfaceva.Forse questa è "la meno peggio" ma non ho proprio saputo fare di meglio... il clou, la vera "rivelazione" sarebbe sempre "dopo", perché ahimè sono riuscita a riempire due capitoli (anzi tre) di "quasi niente" di quel mare magnum di idee che ho nella testa. Aspettatevi DI TUTTO adesso! Bene, ciò premesso: vi auguro buona lettura :)
 

vostra Allepanda
 



Capitolo 21: i ragazzi innamorati : "... ti amo??!"



Punto di vista di Katniss:

Corro. Corro di nuovo nella neve, sferzata dal vento freddo. Corro perché voglio scappare da quello che sento. Lo sento gridare il mio nome, ma non mi fermo. Poco dopo però il suo braccio arriva prontamente a ad afferrare il mio per fermarmi. Se avessi voluto veramente distanziarlo ci sarei riuscita, ne sono certa. Allora perché sono così sollevata di trovarmelo di fronte, tutto affannato, in attesa dell’ennesima risposta. – Certo che ti piace proprio lasciarmi senza fiato eh? – esordisce Peeta con una battuta.  – Scusa – rispondo senza sapere bene cos’altro dire. Senza aggiungere altro Peeta, visto che gli do le spalle, mi afferra ancora più saldamente e mi costringe a girami verso il suo viso. Ha un gran sorriso anche se per la corsa sta ancora respirando affannosamente. Abbiamo praticamente percorso un intero isolato con le ali ai piedi. Tanto meglio, così faremo prima a tornare a casa di Madge. Non posso andare in giro a baciare Peeta dopo aver lasciato sola mia sorella. Anzi, mi correggo: non posso andare in giro a baciare Peeta. Punto. Anche se è stato lui a cominciare, stavolta qualcosa dentro di me si è davvero acceso e per smorzarlo sono dovuta correre via. – Dovevo rinfrescarmi le idee – è la sciocchezza più stupida che io abbia mai detto, ma è l’unica scusa che trovo di fronte al suo sguardo accigliato ma divertito. – Beh direi che la stagione è quella giusta – replica lui pratico. – No…io intendevo dire che non sono più sicura che sia una buona idea – spiego. Alle mie parole Peeta cambia velocemente espressione. Il sorriso abbandona le sue labbra e ha lo sguardo un po’ smarrito – che intendi? – chiede con apprensione. – Dimenticati quello che ho detto, dimenticati che ci siamo baciati, dimentica tutto…- comincio ad elencare senza riuscire a stare ferma, gesticolando come una pazza, incapace di guardarlo di nuovo in viso. Peeta sospira esasperato. – Non puoi fare così… Non sono stato solo io a baciare te, tu mi ricambi – dice. Non so che rispondergli. Se gli dicessi ancora una volta che non l’ho baciato, credo che mi consiglierebbe un buon strizzarcervelli. Così confesso. – Sì, forse ma…– rispondo sempre più agitata. Lui senza aspettare che io finisca mi prende le mani nelle sue e ancora una volta io mi perdo dentro i suoi occhi. – Non avere dubbi riguardo a questo: io voglio solo te, e non mi importa delle conseguenze – dice. – Adesso è sicuro che non ti lascio, ora che so che anche tu provi qualcosa – insiste. Quello che dovrei fare in questo momento è controbattere,  liberarmi le mani e lanciargli una palla di neve sul naso o qualsiasi altra cosa. Dovrei dirgli che si sbaglia, che io mi sono sbagliata stasera. Invece quello che faccio è un’altra cosa. Lo stringo forte. Affondo il viso nell’incavo del suo collo e scoppio a piangere. Peeta pare disorientato forse quanto me, per il mio gesto. Presto però avverto le sue mani accarezzarmi lentamente la schiena. Ad ogni tocco sento la tranquillità che si infonde dentro di me. Non ricordo da quanto tempo l’abbraccio di qualcuno non mi faceva sentire così protetta. Io e mia sorella ci abbracciamo spesso per farci coraggio o per scambiarci un segno d’affetto, ma  questa è tutta un’altra cosa. Le braccia di Peeta è come se fossero una specie di rifugio sicuro. Così purtroppo realizzo che ormai ho già perso ogni speranza di tornare sui miei passi. Ho davvero bisogno di questo ragazzo, non c’è più dubbio. Peeta Mellark non mi è indifferente, anzi. La cosa davvero pazzesca però è che lui vuole me. Me lo dice praticamente ogni volta che ci vediamo, me lo fa capire in mille modi e adesso è qui con me a dimostrarmelo. Qualunque cosa io provassi per Gale, in questo momento, non sembra avere importanza. Vorrei che il figlio del fornaio restasse a cullare il mio sonno quando è tormentato dagli incubi, vorrei potergli confidare quando sono triste o preoccupata, vorrei essere circondata sempre così dalle sue braccia. Vorrei. Ma posso davvero permettermi di cedere? Trascorriamo così una manciata di minuti. Peeta gioca con una ciocca dei miei capelli mentre mi accarezza la testa. – Resta con me – gli sussurro. Peeta sembra sorpreso per il mio ennesimo cambio di registro, ma senza farsi pregare avvicina il viso al mio e mi stampa un bacio sulla fronte.  - Tu non scapparmi sempre – dice - non dire che hai cambiato idea..tanto ormai sono tuo ok? Non riuscirei ad amare un’altra così in mille anni di vita – dice. Sorrido, nascosta dalla sua sciarpa e dal suo sguardo. Per un po’ ce ne stiamo abbracciati, in piedi, sotto la neve e riesco a non pensare più a nulla, solo al tepore che il corpo di Peeta mi infonde, stretto al mio. – Katniss – sussurra lui d’un tratto – mi sa che è meglio andare o tua sorella me la farà pagare per non essere stato capace di rispettare le buone maniere ed essere arrivato in ritardo mostruoso – sorride. – A parte gli scherzi, mi sa che siamo davvero in ritardo – dice. Mi scosto da lui e quasi mi sembra di riemergere da quello strano universo fatto di quiete che la mia mente stanca era riuscita a creare. – Peeta…secondo te sono pazza? – gli chiedo, tirando su col naso e asciugandomi gli occhi. Lui mi porge un fazzoletto che tira fuori da una tasca. Sospira. – Non più di tutte le altre persone che conosco – dice – però tu sei l’unica abbastanza speciale da spingermi a volerti restare appiccicato nonostante tutto -.  Detto questo mi invita a prenderlo per mano. Esito, ma alla fine insieme ci incamminiamo, mano nella mano, verso la casa del sindaco. Siamo praticamente già sulla soglia quando mi accorgo che manca qualcosa. – Peeta, e il quadro? – gli chiedo, guardandomi in giro, quasi sperando che lo stia nascondendo dietro alla schiena. Lui emette uno sbuffo rassegnato. – Te ne accorgi adesso? Beh, o portavo quello o ti raggiungevo…Mi sembra ovvio cosa ho scelto di fare – risponde senza troppi giri di parole. Resto basita, pensando a quale scusa potremo inventarci adesso, per essercene andati in giro noi due soli e aver ritardato tanto, quando lui si avvicina di nuovo e mi fissa. – Katniss… - sussurra. – Ora che siamo arrivati, che succederà? – . Dal tono di voce capisco che è preoccupato. Che succederà? Io stesso non ne ho la minima idea. Non capisco nemmeno più cosa siamo adesso. Gli stessi di poco prima che ce ne andassimo a casa sua? Due fidanzati? Due estranei? Tutte e tre le risposte potrebbero essere vere, ora come ora. – Peeta io…- cerco di dire, ma lui interviene coprendo la mia voce – come vuoi che ci comportiamo, insomma? Delly, credo tu l’abbia capito, mi sta appiccicata come un polipo stasera e adesso che stiamo insieme… Isomma, credo dovrebbe saperlo – spiega cercando di risultare più chiaro possibile. Certo che Peeta non gira molto attorno alle cose, va dritto al sodo. – No! – mi esce di bocca quasi senza controllo. – Cioè…non mi sembra il caso di dire loro una cosa del genere…e poi non stiamo ancora proprio insieme… - balbetto. – Katniss…!- è il rimprovero secco di Peeta. Mi lancia un’occhiataccia tale che sono costretta a ritrattare immediatamente. – Ok, ok…stiamo insieme. Ma da quanto? Due secondi, tipo? E tu vorresti gettare questa cosa in pasto ai leoni, ancora prima che nasca? – sto quasi gridando, tanto che mi ritrovo a mettermi da sola le mani davanti alla bocca, timorosa di essermi fatta sentire. – Tu ti preoccupi troppo, ok? – risponde lui vago. – Veramente quello che si proccupa troppo sei tu. Non mi importa un fico secco di Delly – replico. Peeta alza gli occhi al cielo. – Dille semplicemente che sei già impegnato, non c’è bisogno che sappia…insomma… lo sai… - le parole mi muoiono di nuovo in gola. – che stai come – conclude Peeta per me. – Da un minuto e mezzo – aggiungo per sottolineare di nuovo il fatto, che sto ancora assimilando la cosa e a fatica. – Adesso è un minuto e mezzo? Che ne è dei due secondi di prima? – chiede lui divertito, tenendomi il gioco. – Beh qui non facciamo altro che parlare, siamo arrivati da non so quanto e siamo ancora davanti alla porta d’ingresso. Il tempo scorre – dico avvicinandomi di più per bussare. Lui mi sorride. – Sono un po’ preoccupato. Quando arriverà il nostro anniversario dovrò tenere a mente tutto questo? – chiede lui ironico. Senza volere, le parole di Peeta mi fanno arrossire. E’ già così avanti con la testa? Io non so se arriveremo a domani… Comunque per tutta risposta sbuffo e lui si avvicina al batacchio della porta prima di me. – Ok, ti prometto che resterà un segreto per un po’, almeno finché tu non ti sentirai pronta di condividere questa cosa -. Dicendo questo Peeta mi dà un lungo bacio che non faccio in tempo a prevedere e quindi subisco in pieno, malgrado tutto dentro di me, stia urlando che questo non potrebbe essere il posto più sbagliato, che potrebbero vederci, che… Peeta di scosta da megiusto in tempo perché una Delly decisamente scocciata e una Madge infastidita, ci aprano la porta.
– Ci stavamo giusto chiedendo dove foste… - esordisce Madge con una punta di acidità nella voce, che non riesce a passare inosservata. Ma non avevano un cameriere per queste cose? Penso irritata, imbarazzata, scioccata e con il cuore che mi tamburella nel petto, dopo essermi immediatamente scostata da Peeta facendo qualche passo indietro. – Peeta, ma che significa, perché non ci avete detto nulla? – è la voce stridula di Delly a rincarare la dose. In questo momento vorrei sprofondare. Per peggiorare la situazione, Prim ci raggiunge rapidamente, saltellando quasi sulle punte dei piedi. – Oh eccovi, finalmente… - dice, poi scruta meglio le facce tirate di Delly e Madge e capisce che c’è qualcosa di strano. – Che succede? -. – A..Aa-ba…Aah…- mi esce dalla bocca, mentre il mio cervello pensa rapidamente a quale scusa potrei mai inventare per giustificar la nostra assenza. – Scusateci, Katniss non si sentiva tanto bene e così l’ho accompagnata a fare due passi finché non si è ripresa- viene in mio soccorso Peeta. Madge e Delly però sono ancora lì che aspettano una spiegazione più credibile e concreta per quello che interessa loro veramente. Prim si intromette di nuovo. – E la sorpresa? – chiede, del tutto ignara del polverone che sta per sollevare. – Quale sorpresa? – domanda Madge secca – perché non ne sapevo niente? Il rinfresco è quasi terminato e tra poco verrà servita la cena e…-. Sento distintamente Peeta fare un bel respiro, poi prende la parola – Oh beh, una sorpresa è una sorpresa soltanto se non si rivela di cosa si tratta fino alla fine – esordisce. – Te ne parlerò più tardi – sorride. Prim sembra delusa, ma per fortuna pare anche accontentarsi di questa misera spiegazione. Mi avvicino a lei e le scosto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tentando di nascondere il mio rossore e i mille pensieri che mi attraversano la mente. – Ehi, allora, hai fatto amicizia con qualcuno? Che hai assaggiato di buono? E’ rimasto qualcosa anche per me? – chiedo fingendomi interessata. – Oh veramente sì, laggiù c’è un bambino di nome Simon che non sta mai zitto, ma è troppo montato per i miei gusti, ah e c’è una cosa che devi assolutamente assaggiare…vieni…- risponde lei eccitata. Prim mi trascina lontano dal temporale che sta scoppiando sulla porta. Mi sento in colpa a lasciare Peeta in balia di quelle due. Più che altro, dopo tutto quello che è successo, dopo anche quest’ultimo bacio, allontanarmi fisicamente dal figlio del fornaio mi fa uno strano effetto. Avrei potuto tenerlo per mano per tutta la sera…


Punto di vista di Peeta:

 

- Peeta… non ci potevo credere. Quando sei sparito e Madge mi ha detto di averti visto uscire in compagnia si quella senza salutare, mi è venuto un colpo… - mi rimprovera immediatamente Delly non appena Katniss si allontana da me. Madge mi fa strada nella stanza accanto, mentre Delly mi trascina letteralmente per una manica. – Peeta, ma quella è una ragazza del Giacimento! – rincara subito Madge. – E’ poverissima. Lo sai che probabilmente ti ha messo gli occhi addosso soltanto per garantirsi un pasto caldo al giorno, vero? No vorrai mica farti abbindolare dalle sue moine? – dice. Delly emette una specie di grido strozzato e stringe ancora di più la sua presa attorno al mio braccio.  Sospiro.  – Sentite – esordisco serio cercando di far capire a Delly che il braccio destro mi servirà ancora – io non so cosa vi siete messe in testa o cosa pensate voi ma io…- sto per dire loro di me e Katnis ma poi mi blocco. Accidenti! Lei non vuole ancora che si sappia di noi, ma i loro commenti sono così fastidiosi che la tentazione di sbattergli in faccia come stanno le cose, è fin troppo forte. Ma mi trattengo. – insomma – deglutisco mentre le due ragazze mi fissano dritto negli occhi – Katniss sarà pure una ragazza del Giacimento, ma vi assicuro che non vuole dipendere da nessuno, credo che piuttosto si taglierebbe un braccio – sorrido, ma Delly e Madge non cambiano espressione. I loro visi sono ancora induriti da una rabbia che mi sembra davvero immotivata. – E poi, scusa Madge se mi permetto – proseguo – ma, se non sbaglio l’hai invitata tu alla festa, no? Perché farlo se la tua opinione di lei era così bassa fin dal principio? -. Le mie parole sembrano lasciarla basita, mentre su Delly hanno come l’effetto di un catalizzatore. Il viso di Madge si infiamma mentre l’amica si lascia immediatamente scappare di bocca le parole che, ne sono certo, lei non avrebbe mai voluto sentire pronunciare – Oh ora capisco! E’ per via di Gale! Lui ti ha parlato di Katniss dopo che tu l’hai invitata…-. Delly ha la bocca spalancata per la sorpresa mentre Madge cerca di zittirla. – Taci Delly! Queste sono cose personali… - balbetta imbarazzata. Io però ho già sentito abbastanza. E finalmente qualche lampadina comincia ad accendersi nella mia testa. Gale? Se non ho le allucinazioni uditive, giurerei che solo qualche minuto fa ho sentito pronunciare quel nome direttamente dalle labbra di Katniss. – Gale? – mi esce quindi involontariamente di bocca. Madge se possibile arrossisce ancora di più. Non riusciamo però a continuare la conversazione, perché un paio di compagne di scuola di Madge si fanno avanti verso di noi e fanno cadere il discorso. Delly cerca di trattenermi con sé. Resto giusto per accontentarla un po’ ma presto sento un paio di occhi grigi  fissarsi su di me, dall’altra parte della sala. Katniss è stupenda mentre aiuta sua sorella a scegliere se mangiare questo o quest’altro e le sistema i capelli con una carezza. La osservo mentre distoglie, imbarazzata lo sguardo dal mio, per poi posarlo di nuovo sui piatti. Vorrei andare da lei, ma ancora una volta, qualcuno sopraggiunge a trattenermi. – Peeta! – esclama una giovane voce maschile. Lo riconosco immediatamente. – Finnick? – chiedo incredulo mentre constato che si tratta proprio di lui. Un giovane ragazzo dalla pelle color del bronzo,un po’ più grande di me, mi sorprende con la sua presenza del tutto inaspettata. – Sarà passato un secolo – prosegue lui nel mentre. La mia testa è pervasa da mille pensieri e mille domande. Sono così confuso che quasi non noto Katniss che fa per avvicinarsi a noi, poi però la vedo fare due passi indietro, e ripensarci. – Come te la passi cugino? Chi è quella mora dallo sguardo imbronciato che ci sta squadrando? – chiede immeditatamente lui senza troppi peli sulla lingua. – Cugino? – arriva alle mie spalle Delly. – Finnick! – esclama poi Madge entusiasta saltandogli letteralmente al collo per abbracciarlo. Le due ragazze sono così entusiaste di rivedere il nostro vecchio compagno di giochi, che sembrano addirittura scordarsi di ogni altra cosa. Gale, Katniss, la cena… Io…

Insomma, dopo un infinito numero di chiacchiere tra noi, che per anni siamo stati a giocare assieme ogni estate, che siamo cresciuti assieme e abbiamo imparato a conoscere assieme il mondo, finalmente Madge ci comunica che è arrivato il momento di prendere posto a tavola per la cena. Finnick… Spero solo che non si faccia riconoscere come suo solito, penso mentre prendo posto a sedere.  
 

 

Punto di vista di Katniss:
 

Finalmente la cena sta per essere servita, dopodiché potrò tornarmene a casa a riflettere sulle follie di questa serata. Prim è raggiante mentre prende posto a tavola. Posate d’argento e piatti di cristallo sono qui a ricordarci che per una sera saremo come delle principesse, servite e riverite. Il mio stomaco è ancora relativamente vuoto visto che durante il rinfresco io e Peeta ce ne siamo andati a zonzo e poco fa ero così tesa da non sapere nemmeno più di avere una bocca…anzi, forse il problema sono proprio le labbra. Le mie labbra che adesso sembrano così prive di senso senza quelle di Peeta premute sopra… Mi sistemo il tovagliolo sulle ginocchia, come nostra madre ci ha insegnato a fare. Inavvertitamente prendo contro alla forchetta che cade in terra. Perché Peeta deve insinuarsi in ogni mio pensiero adesso? Ok, cioè…io e lui abbiamo uno strano rapporto che si sta definendo lentamente e a fatica, e io sono confusa, ma i suoi baci… - Ecco qua, ma faresti bene a fartela cambiare con un’altra- dice il ragazzo biondo cenere che ho visto poco fa parlare con Peeta e gli altri. Se non ho capito male deve essere una specie di cugino di Peeta. d’un tratto porgendomi la forchetta. Mi sorride. – Katniss giusto?-. – Esatto…tu sei? – rispondo io impacciata – Finnick – replica subito lui – quindi tu sei la fidanzata di Peeta? -. La sua ultima domanda, così a bruciapelo, provocando in me una immediata reazione di panico. Che dice? Cioè, come lo sa? Peeta glielo ha detto? Nel frattempo Finnick prende posizione accanto a me, dal lato opposto rispetto a Prim. – Come scusa? – replico quasi incredula. Per fortuna Delly e Madge sono intente ad intrattenere gli altri ospiti e sono anche abbastanza lontane da noi tanto da non sentire quanto mi ha chiesto Finnick. Peeta però è a portata d’orecchio e stranamente pare scioccato quanto me, nel sentire Finnick domandarmi di noi. Quindi non è stato lui a dirglielo? E adesso? Che dovrei fare? Negare? Oh, sono certa che Peeta in qualche modo non la prenderebbe affatto bene, anche se abbiamo già concordato di non dirlo a nessuno almeno fino a quando non avrò le idee più chiare. Confessare? E poi che cosa? Nemmeno io so di preciso che cosa c’è adesso tra di noi… Ancora una volta è Prim quella che riesce a smuovere la situazione. – Oh no, Peeta è un nostro nuovo amico, ha conosciuto Katniss consegnando una torta – sintetizza Prim rendendolo partecipe del suo punto di vista. Se solo le cose fossero così semplici, mi dico, non mi sentirei come sui carboni ardenti adesso. Peeta annuisce e sorride a Prim. I suoi occhi mi cercano e infine sorride anche a me. – Katniss è una ragazza speciale, ma ancora non ci conosciamo molto – spiega. Finnick sembra compiaciuto della risposta. – Oh, allora sei per caso impegnata con qualcuno? – insiste rivolto a me. – Perché me lo domandi? – sbotto infine, evitando accuratamente di rispondere. – Beh, perché da quando sei entrata da quella porta stasera, ho pensato che fossi la più bella creatura che io abbia mai visto e poi però ho notato che sgattaiolavi via in compagnia di…- spiega poi facendo un cenno con la testa rivolto a Peeta. Quest’ultimo sembra affogarsi con un sorso d’acqua a causa di quella rivelazione. – Finnick! – sbotta Peeta – sei sempre il solito tu…- balbetta, ma quest’ultimo scoppia a ridere fragorosamente. – tranquillo cugino, vi sto prendendo in giro… - sta per continuare quando Peeta gli tira il tovagliolo addosso. -  Sei sempre il solito Finnick! -.

 Segue una cena davvero sontuosa, fatta di piatti prelibatissimi e riccamente accompagnati da vini e bevande d’ogni genere. Dei camerieri fanno avanti e indietro dalla cucina alla grande sala da pranzo. Prim affonda la forchetta nella carne tenera, nelle patate fumanti e filanti di formaggio fuso e mi sorride, mentre io faccio a poco a poco la conoscenza di Finnick. Lui è una specie di pescatore stando a quanto dice. E’ venuto a festeggiare il natale qui nella nostra cittadina ma vive sul mare con i genitori. Ha all’incirca 22 anni ed è decisamente loquace. Anche se  al primo impatto potrebbe sembrare superficiale, dai discorsi che fa pare essere un ragazzo fin troppo serio. Quando poco prima che servano il dessert fa un annuncio ufficiale a tutta la sala, dicendo che presto si sposerà con una certa Annie, parte una ovazione generale. Tutti quanti applaudono. Madge ha le lacrime agli occhi e Peeta sembra davvero felice. Quando infine, viene servito il dessert, tutta l’eccitazione di Prim, lascia spazio alla stanchezza. Dopo l’ennesimo sbadiglio comincio a pensare che sia ora di fare ritorno a casa. La serata nel complesso si è rivelata piacevole, e ho lo stomaco pieno come un uovo. Peeta ha continuando a lanciarmi occhiate di fuoco, tra un boccone e l’altro. Occhiate che io, ho tentato di ignorare bellamente, nonostante il mio cuore mi tamburellasse sempre più forte nelle orecchie. Poi è stata la volta delle canzoni di natale e dei balli accanto al caminetto. Mia sorella aveva uno sguardo del tutto impagabile mentre il musicista suonava il pianoforte. Poi Finnick le ha mostrato come strimpellare qualche nota e il suo visto, se possibile, si è illuminato ancora di più. Ora però si sta facendo  tardi. Sto quasi per chiedere a Peeta di riaccompagnarci a casa, ho intenzione di costringermi a salutare tutti, perfino Madge, quando tutti nella grande sala cominciano ad agitarsi. – Che succede? – chiedo disorientata a Peeta, che adesso è in piedi vicino a me.  – Beh, è mezzanotte passata – dice quasi volesse significare qualcosa di ovvio. - I regali- spiega infine con un cenno della testa rivolto ad un angolo della sala. Sotto la fitta rete di rami del grande abete addobbato a festa, ci sono dei pacchetti incartati con carta colorata. Già. La notte di natale ci si scambiano i regali. Noi però non lo abbiamo mai fatto, non da quando papà è morto e dovevamo lottare per sopravvivere. L’unica cosa che cercavo di fare per Prim il giorno di natale era farla mangiare qualcosa di più sostanzioso, quando potevo.  Avrei dovuto portare un pensiero per Madge? Sicuramente sì… Oltretutto questa è anche la sua festa di compleanno, ma non mi è balenato alla mente nemmeno per un momendo di dover pensare a qualcosa del genere. E che cosa avrei potuto regalarle comunque? Qualche erba medica? Qualche bel sassolino raccolto per strada? Andiamo! Se anche mi fossi impegnata per portare qualcosa di serio, sicuramente non lo avrebbe apprezzato. Lei è abituata a oggetti costosi e non a quelli confezionati in casa. D’improvviso il viso di Gale illuminato dal tiepido sole di Aprile che ride di gusto per un regalo impacchettato malamente dentro un foglio di carta, mi fa avere una fitta allo stomaco. Quella volta era appena guarito da una brutta influenza che lo aveva costretto a letto per quasi tre settimane. Gli regalai una sciarpa, cucita da me, con l’augurio di non ammalarsi più come prima. Quella volta ho creduto che volesse baciarmi, invece Gale mi ha abbracciata forte e ha mi ha sussurrato nell’orecchio  un “grazie” che mi ha fatto venire la pelle d’oca. Poi il mio cervello viaggia altrove. Il quadro! Peeta non ha portato il suo regalo per causa mia e ora potrebbe fare una brutta figura con la figlia del sindaco. La mia mente è così veloce che neanche lo sento mentre ripete il mio nome per rimportarmi alla realtà. – Katniss… -. Due occhi azzurri si fissano nei miei e le sue mani si posano leggere sulle mie spalle. – Non posso che agitarmi, sebbene il suo sia un tocco estremamente leggero. Gale mi prese in giro per quel regalo mal riuscito. Era cucita così male. Invece Peeta, ne sono certa, non la smetterebbe di adularmi nemmeno per un secondo se gli presentassi un oggetto del genere fatto con le mie mani. La differenza è che Gale sarebbe realista, Peeta gentile. - Non devi preoccuparti per questo – mi dice il figlio del fornaio con tono tranquillo -  Non credo che Madge si aspettasse niente da parte tua e poi neanche Finnick le ha fatto un regalo e io ho dimenticato il mio a casa… – taglia corto lui tranquillo. Vorrei andarmene ora, ma Prim mi prega di rimanere ancora un po’. Così osserviamo la festeggiata Madge sorridere radiosa mentre scarta due enormi pacchi regalo, contenenti un vestito elegante (sicuramente da parte di Delly) e una bella trousse di cosmetici per ragazze di città. Prim è  sembra mangiarsi con gli occhi ogni cosa. Quando sono orami convinta che presto spunterà l’ennesimo pacchetto da scartare, Madge ringrazia tutti per la bella serata e presto, dopo una cascata di saluti e frivolezze, riusciamo a congedarci. Arriviamo a casa nostra con i piedi stanchi e le pance piene come non capitava da secoli. – E’ stata una festa meravigliosa. Grazie mille Peeta, per averci accompagnate e averci dato questa occasione – esordisce Prim sulla soglia. Mia madre ha lasciato il caminetto acceso, ma dalla luce fioca che spunta dalle tendine della sala da pranzo deduco che ormai è lì lì per spegnersi. Peeta sorride  a mia sorella che lo abbraccia forte per salutarlo. E’ sorprendente come lei si sia affezionata così tanto al figlio del fornaio. Lei e Gale a malapena si sono parlati in più di cinque anni di frequentazione. Forse perché Prim, allora era troppo piccola e Gale troppo spaventoso, alto e scorbutico per lei. Però Posy, la sorellina minore di Gale non ha certo paura di lui… E a dirla tutta, non credo che nemmeno Prim lo temesse. Peeta è tutta un’altra cosa… Peeta è sempre sorridente, allegro, divertente, brillante. Ha sempre la battuta pronta e non è mai sboccato o fuori luogo. Insomma, l’esatto opposto di Gale…
Mia sorella con un saltello si tira dietro la porta di casa, prima ancora che io possa muovere un passo verso di essa. – Prim! – dico, stupita. Lei per tutta risposta dice: - prima dai la buonanotte a Peeta -. La porta si chiude e io e il figlio del fornaio restiamo lì impalati a fissarci, un po’ increduli, un po’ imbarazzati.

Cosa dovrei fare adesso? Cosa dirgli? La via più semplice sarebbe di nuovo scappare. Ma posso davvero congedarlo con un “ciao” come se nulla fosse? No… non stavolta. Senza dire una parola faccio un passo verso di lui, che è qui di fronte a me, qualche centimetro più in basso visto che i suoi piedi poggiano sul primo gradino del portico mentre io sono in cima. Sto per dire qualcosa quando lui mi precede. – E’ stato terribile stasera, non è vero? – e dal suo sguardo capisco che non potrebbe essere più evidente. – Si vede tanto? – chiedo. Lui ride. – Finnick mi ha addirittura chiesto se...– tossicchia imbarazzato – …cioè, niente. -. Ma come? Che stava per dire? – Che ha detto Finnick? Tu e lui siete cugini da quel che ho capito…- chiedo. – Di terzo grado. Non ha detto niente comunque – ribatte subito Peeta. – Avanti, che stavi per dire Peeta?! -. Non riesco proprio a lasciar correre. – Beh, pensava che tu fossi in quei giorni – sussurra quasi, timoroso delle sue stesse parole. – Quei giorni? – ripeto. Intanto la neve che sembrava essersi fermata, adesso pare voler riprendere la sua danza verso il suolo. Peeta sembra approfittarne per cambiare rapidamente argomento – fa freddo, faresti meglio a rientrare, non dovresti rimanere sotto la neve per me – dice stringendosi le braccia attorno alla vita. Io faccio altrettanto. Ha ragione: fa un freddo cane qui fuori. E allora perché non faccio come dice, perché non rientro? Per un attimo sono delusa. E’ così che si concluderà questa bizzarra serata? Con un “ciao, vai in casa, fa freddo!”. Io e lui allora, cosa siamo? Forse Peeta ha cambiato idea vista il mio comportamento scostante… Forse non dovrei neppure restarci così male. Sì, insomma, il discorso sui “ragazzi innamorati” non reggeva, dai. Che mi è venuto in mente? Poi però lo vedo avvicinarsi a me con una lentezza impressionante. Mi stringe una mano nella sua ed è come se solo adesso il sangue tornasse a circolarmi in corpo. Le mie vene ghiacciate sembrano riaprirsi, sento il sangue pulsare forte nelle tempie e una strana sensazione alla bocca dello stomaco. – Buon natale Katniss – sussurra. Poi apre leggermente la mano e sento cadere qualcosa nella mia. Stupita, osservo lo strano oggetto metallico. – Buon…natale – balbetto. Ho in mano una splendida spilla d’oro, costituita da un cerchio al centro del quale è incastonato un piccolo uccello in volo. – E’ una ghiandaia – spiega Peeta senza che io gli abbia ancora chiesto niente. – E’ un oggetto semplice, ma ho pensato potesse piacerti – prosegue con voce un po’ tesa – mia nonna me lo ha dato tempo fa. Diceva che era un potente portafortuna, che a lei aveva salvato più volte la vita e che…beh, avrei dovuto conservarlo per una ragazza speciale -. Non riesco a credere a quello che sento. Davvero Peeta sta regalando a me un oggetto tanto prezioso?  - Adesso non dire che non lo vuoi, per favore. Non sono rimasto qui a congelarmi per litigare… Conservalo e basta, ok? E sappi che sono convinto di quello che faccio – così dicendo il figlio del fornaio non aspetta più di chiedermi il permesso, semplicemente mi dà un bacio leggero sulle labbra e io non oppongo resistenza. – Sei uno stupido – gli dico di rimando a pochi centimetri dal suo viso. Lui ride. – Com’è romantica la mia ragazza – e nel dirlo mi bacia di nuovo. Stavolta però non resto semplicemente impalata. Gli appoggio una mano sulla spalla e ricambio il suo bacio. Le nostre labbra premute hanno il sapore del freddo di Dicembre, dei dolci allo zenzero che abbiamo appena mangiato e poi…poi c’è il sapore tutto particolare di Peeta mescolato col mio… Quindi lui mi ama a tal punto? – Non credo sarò mai romantica – gli sussurro sulle labbra, ancora rapita da questa sensazione che mi avvolge da capo a piedi. – Non importa – dice lui per poi tornare a cercare le mie labbra – l’importante è che tu sia follemente innamorata di me -. Sta per tornare all’attacco quando io gli lancio un’occhiata torva e ribatto – al massimo “innamorata”. Non ricordo di aver mai aggiunto quel “follemente” – rido. – Beh, però suonava bene – ride anche lui. E mi bacia di nuovo. Questo ragazzo sembra andare matto per i baci. A me non hanno mai detto granché, anche adesso sono qui che mi dico di esserne un po’ stanca, quando mi sorprendo di me stessa. Lui si allontana e io immediatamente lo vado a cercare. Peeta però mi blocca con una mano davanti alla bocca – Mi sa che ora è meglio che vada…Non mi sento più i piedi, giuro…- dice. – Vuoi entrare un momento a scaldarti? – mi esce quasi senza riflettere dalla bocca. – non preoccuparti, resisterò fino a casa. Tu copriti bene questa notte ok? -. La sua espressione è così seria che gli scoppio a ridere in faccia. – Va bene mammina, ti prometto che mi coprirò per bene – rispondo ironica. Peeta mi saluta infine con un ultimo bacio caldo e mi appunta la spilla alla vecchia giacca di mio padre. E’ un gesto così tenero che mi ritrovo a fissarlo imbambolata mentre lo fa. – Sei sicuro che posso tenerla? –  chiedo di nuovo, timorosa. Lui sbuffa. – Tienila tu Katniss – isiste. – Buonanotte – sussurra. – Buonanotte – rispondo. Mi dà un rapido bacio sulla fronte e poi comincia a correre verso il vialetto. D’un tratto però torna sui suoi passi. Ha forse cambiato idea sulla spilla? – Domani! – dice – ci vediamo domani vero? -. Già. Non avevo minimamente pensato a questo. Adesso siamo in qualche modo legati, quindi è normale che voglia vedermi… E ora che provo ad essere sincera con me stessa, voglio rivederlo al più presto anche io. – Domani? -. – Sì…dobbiamo organizzarci per la festa della sera di Capodanno. Va bene se vengo a trovarti domattina? Il giorno di natale mio padre sforna biscotti in quantità industriale, per non parlare di tutte le torte e le altre cose che avanzerebbero se noi non le mangiassimo…- continua. Sono confusa. – Spiegati meglio…-. Peeta scuote la testa e poi sorride. – Domattina vengo qui e facciamo colazione assieme. Porto i biscotti e guai a te se non li assaggi tutti! Non transigo! – ciò detto mi molla un ultimo bacio a stampo sulle labbra e poi scappa via, letteralmente, quasi avesse paura di una eventuale replica. E così me ne resto lì, come un’ebete a lasciare che la neve mi scivoli addosso. Ho la testa vuota. Alla fine, quando mi decido ad entrare e ad infilarmi nel letto accanto a Prim, mi sorprendo a premermi le dita sulle labbra quasi a voler ricercare il contatto con quelle di Peeta. Mia sorella ha un’espressione beata che non le vedevo da molto. Mia madre, stranamente, sembra a sua volta serena e non tormentata come l’avevo immaginata. Fa freddo ma io sotto le coperte sento più caldo che mai. E’ il pensiero del figlio del fornaio a regalarmi tutto questo. La spilla riluce sotto i raggi di una pallida luna che adesso sbuca tra le nuvole, mentre la vecchia giacca di mio padre sembra volerla avvolgere con la sua aura protettiva. Infine mi addormento cullata dal pensiero che forse, il mondo, non è un posto così brutto, che domani passerò di nuovo del tempo con il figlio del fornaio e che probabilmente questo non risolverà i nostri problemi ma è come se finalmente, dopo mesi, stessi tornando a repirare. Ed è questo che è Peeta per me: ossigeno. Non so ancora se lo amo davvero, ma lui non mi è affatto indifferente, ormai è innegabile. E che cos’è l’amore in fin dei conti? Qualcuno lo sa?... Mi piacerebbe davvero scoprirlo però. E per la prima volta sento di volermi davvero lasciare andare.   

 Continua.....


P.S: commenti e critiche sono sempre bene accetti :) GRAZIE a tutti!!!
 
 

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Capitolo 22
*** Fuochi d'artificio - prima parte - ***


Capitolo 22: I ragazzi innamorati – Fuochi d’artificio – parte uno
 

Salve tributi!!! XD Hehe...ho aspettato un po' prima di decidere di postare questo capitolo. Qui finalmente la storia prenderà una certa piega che, senza volervi anticipare nulla, temo ad alcuni non piacerà. Ad ogni modo sono sempre qui pronta a ricevere critiche, pareri, recensioni positive....Anzi, colgo l'occasione epr ringraziarvi di cuore per tutti i commenti positivi e i messaggi privati che mi mandate. Grazie davvero. Ciò premesso: vi auguro buona lettura :)
 


     Punto di vista di Katniss:

Oggi la mattina sa di fresco e biscotti. Il profumo non è intenso come a casa di Peeta, ma è comunque invitante e più che altro, sa di qualcosa di nuovo che sento crescere dentro di me. Che cos’è questa strana sensazione? Mia madre ci serve del latte caldo in una tazza mentre io, Peeta e Prim ce ne stiamo seduti attorno al tavolo circolare del nostro soggiorno.

Davanti a me campeggia una torta alla crema  ricoperta di fragole e mirtilli con l’aggiunta di scaglie di cioccolato. E’ quanto di più goloso io abbia mai visto.
Ogni singolo pezzo di frutta è stato sistemato con tanta cura che mi fa quasi rabbia il pensiero che io non riuscirei ad ottenere un simile risultato in due vite.

 – Katniss – mi chiama mia sorella guardando il dolce ancora con incredulità – la assaggi anche tu vero? -.
 Sbuffo sonoramente mentre Peeta mi porge la mia porzione di torta, accuratamente sistemata su un vecchio piatto sbrecciato.

 – Tanto che potrei farci ormai?… Peeta dice che bisogna saper accettare i regali – rispondo piccata, cercando di lanciargli una specie di frecciatina. Lui sorride ma scuote leggermente la testa.

– Tranquilla Prim, tua sorella prima o poi la smetterà di torturarci se vogliamo sbafarci una torta -.

Prim ride e così anche mia madre, che si siede a sua volta attorno al tavolo e comincia ad assaggiare anche lei l’opera d’arte di Peeta. Inventarmi qualcosa per non destare sospetti non è stato affatto facile.
Le ho detto che Peeta si è offerto di portarci la colazione e di restare in nostra compagnia il giorno di natale, perché dovevamo organizzare qualcosa per il Capodanno e comunque i suoi genitori sarebbero stati impegnati al negozio fino all’ora di pranzo.

I fratelli di Peeta scansano spesso parecchie fatiche. Dunque il signor Mellark per premiarlo lo lascia sempre libero di dormire la mattina di natale, mentre loro lavorano per non far mancare niente a nessuno anche in un giorno così importante.

La maggior parte dei cittadini benestanti si reca a sentire la messa ma non i signori Mellark, che mettono sempre il lavoro davanti a qualsiasi cosa. Questo non è dunque malvisto dalla comunità.
Io, Prim e nostra madre invece, abbiamo smesso di fare qualunque cosa con la morte di papà. E questo nella comunità non è stato affatto ben visto, ma poco importa.

Ormai non do più alcun peso a quello che pensano gli altri. Quindi se anche quest’anno ce ne staremo qui a casa nostra nessuno dirà nulla.
Mia madre però non è stupida e credo che la scusa del Capodanno sia un po’ povera dopo tutto quello che le avevo detto riguardo alle mie intenzioni con Peeta.

Per organizzare assieme una festa dovremmo quantomeno essere amici, non due semplici conoscenti come io le ho fatto intendere.
Gli occhi azzurri di mia madre, mi dicono che ha intuito perfettamente che c’è qualcosa sotto, ma per ora non pare voler giocare a carte scoperte, quindi si limita ad accettare la presenza di Peeta senza chiedermi nulla di più. E’ cordiale con lui e beh…oggi sorride molto anche lei.

 Non c’è bisogno che insista nel dire quanto Prim sia a sua volta entusiasta che il figlio del fornaio abbia preso a frequentarci. Più che altro, mi chiedo cosa si sia inventato Peeta con sua madre per venire qui.
 Glielo ha detto? Le ha detto di noi? E’ difficile che si sia già spinto a tanto, quindi presumo che si sia dileguato in fretta e furia senza spiegazioni oppure deve aver fatto finta di restare a letto. Magari lo credono ancora addormentato. No, sicuramente non glielo ha detto.

 Avrebbe certamente scatenato una discussione e litigare il giorno di natale non è certo da Peeta. Sospiro. Più che altro, sono le farfalle nello stomaco che sto sentendo adesso il vero problema.
La sola vicinanza di Peeta mi provoca una innaturale agitazione. Ho quasi paura che di punto in bianco potrebbe avvicinarsi e baciarmi come ha fatto più volte ieri sera. In tal caso, che dovrei fare? Urlare? Ricambiare e basta? Arrabbiarmi? Perché continuo a pensarci?

 Peeta ha anche portato un grosso sacchetto di stoffa nel quale ha messo assieme diverse decine di biscotti, tutti con un sapore e un aspetto diverso. Lo apre e ci invita ad assaggiarli mentre io sono ancora qui a tentare di finire la mia fetta di torta.
Prim mi chiede di inzuppare un biscotto speziato dentro il latte per rendermi conto di quanto sia buono. Sto per assecondarla quando un rumore assordante viene  a squarciare la tranquillità della nostra mattina di natale.

 Qualcosa fa tremare la casa a tal punto che dalla credenza cominciano a cadere quei pochi piatti e bicchieri ancora intonsi che possediamo. Nessuno però sembra capire che cosa stia succedendo. Sembra un terremoto e quindi d’istinto afferro mia sorella per un braccio e la metto con la testa sotto il tavolo.

– State giù – grido. Mia madre fa altrettanto e Peeta lo stesso. Gridiamo tutti e poi finiamo per terra con la testa sotto il tavolo. Si avvicina a me protettivo a mi fa da scudo contro non si sa cosa, mentre quella che sembra un’infinità di polvere e calcinacci comincia a piombare giù dal tetto.

Pochi secondi dopo la terra sembra di nuovo essersi fermata. I vetri delle finestre nel mentre si sono frantumati a terra. La cosa strana però è che sono certa di averli sentiti esplodere all’interno, come se un vento fortissimo li avesse raggiunti tutto in una volta.

Quale terremoto potrebbe generare una cosa del genere? Mi tiro su da terra lentamente, tossendo per la polvere, mentre cerco di capire cosa possa aver causato un simile disastro e se siamo ancora in pericolo. Mia madre è pallida come la morte e trema.
Prim comincia a piagnucolare ma Peeta la rassicura subito come può e quindi presto la vedo smettere di agitarsi.

– Che cosa può essere stato? – esclama infine Peeta rompendo il silenzio irreale che adesso sembra circondarci.

– Non lo so – dico – un boato, i vetri, la terra che trema…- rifletto ad alta voce. Queste cose adesso che mi sono uscite di bocca, suonano crudelmente familiari e così finalmente ci arrivo.

– La miniera – si lascia uscire di bocca mia madre, poco prima di me, quasi con un rantolo soffocato. La vedo portarsi le mani davanti alla bocca, gli occhi lucidi.

Un’esplosione? Senza attendere oltre decido di uscire per capire qual è la situazione. Le miniere non sono più attive da anni… - Katniss…aspetta! – la voce di Peeta mi raggiunge ma io gli do le spalle e corro in strada dove finalmente riesco a vedere l’enorme nuvola di fumo e cenere che si è alzata in cielo.
 Torno dentro giusto quando Peeta ha raggiunto la soglia. Mi dirigo verso mia madre che adesso se ne sta raggomitolata sotto il tavolo a piangere. Prim è lì impalata, sotto choc.

– State calme ok? Niente pianti, dobbiamo capire cosa è successo… nessuno si farà male stavolta ok? Siamo tutti qui adesso – dico cercando di mantenere la calma e di apparire serena come pochi attimi prima, ma il riferimento a mio padre che manca all’appello non fa che ridestare in tutte noi un terrore arcano.   
Sento i muscoli del mio viso rigidi come se fossero fatti di pietra. Ogni singola cellula del mio corpo grida, è in preda al panico.

 Un’esplosione. Mio padre è morto sottoterra a causa di una esplosione già diversi anni fa. Da allora non è più successo.
Come è possibile? Per di più oggi è il giorno di natale e laggiù non ci va anima viva da quando è crollato tutto.

 – Mamma. Sta tranquilla ok? Tranquilla… – comincio a dirle con il tono più rassicurante che riesco a trovare, accarezzandole un braccio.

– Prim, tu resta con la mamma ok? Per sicurezza non alzarti da terra. Le finestre ormai sono andate, quindi se anche avvenisse un’altra esplosione, non dovreste correre pericolo. Io torno subito ok? Devo andare a vedere che cosa è successo – dico risoluta con un tono che non ammette repliche.
– Vengo con te – risponde prontamente mia sorella.

– No, tu resterai qui. Ecco tieni – dico porgendole la vecchia scopa che sta nello sgabuzzino – spazza via i vetri e attenta a non tagliarti. Non è successo niente ok?-.
Prim però non è disposta a cedere tanto facilmente, scosta lontano da sé la scopa. – Katniss…è pericoloso. Non sappiamo cos’è successo. Non voglio che tu vada da sola – piagnucola Prim. –
Tranquilla, ci sono io con lei – la voce di Peeta mi fa sussultare e mi ricordo della sua presenza soltanto adesso, come se il pericolo e la paura per me e la mia famiglia mi avessero completamente fatta estraniare da tutto il resto. Ed è così.

Vorrei prendermi un po’ di tempo per pensare se questo atteggiamento da parte mia sia del tutto normale ma ho bisogno di sapere subito che cos’è capitato là fuori.
 – No, vado da sola. Tu resta qui con Prim e mia madre – replico mentre Peeta si è già incamminato verso la porta. Volta la testa nella mia direzione.

 – Katniss, seriamente: vengo con te. Non ti lascerei mai andare via così e poi voglio vedere che cos’è successo. La mia famiglia potrebbe avere bisogno di me – dice.
Alle prime obiezioni avrei anche saputo come controbattere, ma di fronte alla preoccupazione per i suoi parenti, non posso che acconsentire. Per di più ora che tutto sembra essersi calmato, l’adrenalina che mi aveva dato la carica sta lasciando il posto lentamente all’angoscia.
 
– Andiamo? – Peeta spalanca la porta e insieme ci avviamo verso la grossa nuvola di cenere che sovrasta le nostre teste. Man mano che ci avviciniamo avverto sempre più forte l’odore del carbone e della cenere, lo stesso di alcuni anni fa…
Una spessa cortina di fumo nero ci impedisce di capire chiaramente cosa abbiamo di fronte, ma mi pare di intravvedere delle sagome in piedi, di fronte a quella che un tempo era la miniera più profonda della città. La tomba di mio padre.

Respiro affannosamente, alla ricerca di aria. Le mie narici si riempiono dell’odore della fuliggine ed è come se anche il mio cervello si annebbiasse.
 Ho le gambe che tremano, la gola secca…Non mi accorgo di avere una mano intrecciata saldamente in quella di Peeta, fino a quando una voce alle nostre spalle ci sorprende, stranamente stupita e allora stringo ancora più saldamente il ragazzo del pane.

– Ehi…che ci fate voi qui?! -. Peeta ed io ci giriamo contemporaneamente. Di fronte a noi c’è il viso barbuto e un po’ strafottente di Haymtich.

- Intanto, una piccola folla di persone si sta lentamente radunando tutta attorno alla miniera. - Ehi…Ho sempre pensato che prima o poi avresti fatto andare a fuoco casa tua con tutto quell’alcool e il camino acceso, ma far saltare in aria una intera città mi sembra troppo perfino per te -  esordisce Peeta rivolto ad Haymitch, probabilmente cercando di strapparmi un sorriso per alleggerire la tensione. In realtà lui stesso è così pallido che giurerei si stia impegnando come non mai per non iniziare a dare di matto.

A differenza mia, a casa Mellark non devono essere troppo abiutati alle disgrazie, quelle che ti mozzano il respiro e ti fanno mancare la terra sotto i piedi. Chissà come si deve sentire uno che ha sempre vissuto una vita di certezze in un  momento del genere? Questo pensiero un po’ mi fa vergognare di me. Peeta nonostante sia vissuto molto più negli agi della sottoscritta, non è certo uno snob come Madge, né tantomeno è incapace di comprendere lo stato di bisogno o indigenza in cui possono versare gli altri. Tuttavia non posso fare a meno di invidiarlo per tutti gli anni di tranquillità che a me invece, sono stati negati. Ora però qualcosa di inaspettato è venuto a scuotere l’intera città.

 – Che succede Haymitch? – chiedo immediatamente, ancora con il fiato corto per la corsa fino a qui. Mi sento troppo tesa perfino per aspettare una risposta. Lui ride. Ha il viso ricoperto di fuliggine, così come la camicia e i pantaloni che indossa. Si volta verso Peeta.

– Beh ragazzo, dovresti saperlo che sono un tipo esplosivo – risponde a Peeta  -ma non fino a quel punto! - Io nel frattempo sono sconcertata per lo scambio di battute e per il fumo.
 Sto per fiondarmi verso di lui e impormi a muso duro per farmi dire qualcosa di serio legato a quanto sta succedendo, quando due uomini escono tossendo dalla miniera.
Completamente avvolti dal fumo, si fanno strada fino a noi, dopodiché uno di loro si accascia a terra, sembra ferito ad una mano. Posso vedere il suo sangue tingere di rosso quel che resta della neve bianca caduta dal cielo la notte scorsa.

– Presto! Zacary è ancora là sotto! – dice quello sano dei due uomini, cominciando a chiedere aiuto a perdifiato. – Che è successo?- urlo di nuovo, sperando in una risposta.
 – Adesso non c’è tempo Dolcezza…a dopo le spiegazioni! – taglia corto Haymtich. – Ma tu perché sei qui? – gli chiede subito Peeta. Lui per tutta risposta sbuffa  e risponde con un’altra domanda – e voi, perché siete qui? Comunque, se ve la battete adesso, la famiglia di quel poveretto non passerà certamente un gran ben natale – spiega.

– C’è bisogno d’aiuto qui! Fatevi sotto – urla alla piccola folla che si è radunata qui intorno. A parte Haymitch però, gli uomini presenti in forze abbastanza coraggiosi da addentrarsi in una miniera che è appena esplosa e che potrebbe esplodere di nuovo, si contano sulle dita di una mano. Anzi.
Nessuno sembra voler morire durante la mattina di natale per salvare una vita. Nessuno tranne Peeta Mellark e quel vecchio pazzo di Haymtich, e naturalmente la sottoscritta.

 All’inizio Peeta tenta di farmi allontanare, non vuole rischiare che mi succeda qualcosa, dice, ma io non voglio sentire ragioni e così si arma di coraggio e comincia a scavare. Non me lo aspettavo davvero così tanto coraggio da parte sua. Io invece ho le gambe molli e vorrei solamente scappare da qui a gambe levate.  

Sarà il ricordo atroce della morte di mio padre, sarà che non sopporto di restarmene con le mani in mano a guardare qualcuno in difficoltà che rischia la vita, fatto sta che invece mi ritrovo con le mani piene di terra a scavare tra i detriti. Ad aiutarci c’è solamente uno dei due uomini riemersi da quella voragine poco prima.

Le persone che se ne stanno impalate a fissarci mentre spostiamo rocce e cenere mi danno la nausea, mi ricordano la me stessa di qualche anno fa, ancora troppo ingenua, ancora troppo debole. Nonostante la paura che mi attraversa, non posso proprio fermarmi.

Il cuore mi martella nel petto e vorrei tanto sapere che cosa è successo, perché quell’uomo rischia di morire sepolto vivo. Sono domande queste che dovranno attendere, perché adesso dobbiamo agire.
La terra è dura a causa del gelo, la pelle delle mie dita è così fragile che presto comincio a perdere sangue a mia volta, ma vado avanti. Dopo un tempo che sembra un’eternità, quando ormai sto per gettare la spugna perché nessuno potrebbe riuscire a trattenere il respiro così a lungo, ecco spuntare un braccio.
Allora Haytmich e Peeta aiutano l’uomo a riemergere definitivamente dalla terra.

Come previsto non respira più. Non so che fare. Il tempo sembra fermarsi quando Haytmich, dopo averlo steso a terra, si arrende e lo lascia lì, a fissare il cielo con occhi vuoti. E’ morto, penso. Non c’è più niente da fare, e qualcosa dentro di me sembra sprofondare. Ma non c’è tempo nemmeno per disperarsi.
 Una seconda esplosione arriva e inghiotte le terra, le rocce e parte della piccola montagna che ci sta di fronte. Il rumore è assordante mentre la terra esplosa ci piove addosso e l’onda d’urto ci scaglia poco lontano. Purtroppo sento che sbatto la testa contro qualcosa.

L’ultima cosa che ricordo prima di perdere i sensi sono le braccia di Peeta che mi stringono forte e il suo corpo premuto sopra il mio, probabilmente intenzionato a proteggermi. Sei uno sciocco, penso. Pensa a salvarti. Tanto finisce sempre così…Ogni volta che credo di poter essere felice, finisce che porto solo guai a quelli che mi stanno vicino. Dopodiché i miei occhi si perdono a scrutare il cielo e in mezzo al fumo nero mi sembra di vedere delle luci colorate. Dei fuochi d’artificio.
     

 

Fine prima parte. Continua…

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Capitolo 23
*** Fuochi d'artificio - parte due - ***


I ragazzi innamorati capitolo 22

Fuochi d’artificio - SECONDA PARTE- 

Punto di vista di Katniss:

Il sonno nel quale piombo è tormentato. Addirittura mi capita di chiedermi se sto veramente sognando, se invece sono sveglia o magari morta. La testa mi gira e quando mi pare di riemergere riesco a sentire delle voci attorno a me, ma sono soltanto suoni ovattati e non capisco cosa vogliano da me. I miei occhi restano chiusi. Le mie palpebre sembrano pesanti come macigni. Per un po’ ho la mente così annebbiata che sono sicura di essere ancora una ragazzina di undici anni, una ragazzina spaventata che cerca suo padre. Lo invoco. Poi di nuovo l’oblio.
Quando finalmente mi sveglio, la prima cosa che registro è che sono seduta su quella che sembra una poltrona.
Ho la vista annebbiata ma appena metto a fuoco quello che mi circonda riconosco l’ambiente gradevole e  rassicurante della casa di Peeta.
Poi ricordo: l’esplosione, la miniera, Peeta. Peeta!
 – Peeta, Peeta…! – invoco il nome del figlio del fornaio e faccio per alzarmi ma non appena mi ritrovo in piedi comincio ad avere la vista annebbiata e un forte senso di vertigine mi fa ricadere all’indietro sulla poltrona.  Respiro in modo affannato e capisco subito che qualcosa non va. La testa mi pulsa in modo anormale e sembra che qualcuno me l’abbia fasciata con una benda. Sto per provare a rialzarmi una seconda volta quando la voce gracchiante di un uomo mi intima di non farlo. – Resta seduta! -.
Un uomo sulla sessantina, con una folta barba ispida e gli occhi da indemoniato mi si avvicina. Dallo stetoscopio che porta sulle spalle deduco immediatamente che si tratta di un dottore. Un aggeggio simile lo usa di tanto in tanto mia madre per curare le persone, per questo lo riconosco. Chi altro potrebbe averne uno con sé? Ma la vera domanda è: che ci fa un dottore a casa di Peeta? Rifletto un secondo sulle mie condizioni e capisco subito che per una semplice botta in testa non si sarebbero mai scomodati a chiamare un vero dottore. Forse è per l’uomo che abbiamo estratto dalla miniera, forse è ancora vivo, mi dico, ma scarto subito l’idea. Quell’uomo non può avercela fatta, aveva già le labbra blu quando lo abbiamo estratto. La paura dentro di me aumenta mano a mano che il cerchio si restringe. Il fornaio e sua moglie non possono avere chiamato un medico vero, un dottore con tutti i crismi, se non per una persona: loro figlio. – Che è successo? Io…sto bene, io sto bene…dov’è Peeta? – chiedo con voce semi disperata. Per tutta risposta un grido strozzato mi fa sobbalzare. L’uomo dimentica presto la mia presenza e corre verso la stanza da cui provengono quelle grida, non prima di avermi di nuovo intimato di stare ferma al mio posto.
Ovviamente non gli do ascolto, e dopo un paio di passi incerti riesco a trascinarmi fino a quella che sembra essere la cucina. Comincio a sentire i suoni sempre più ovattati, le luci si fanno più intense e lo sguardo si offusca ma mi impongo di resistere e di non svenire. Poi due braccia salde mi afferrano e mi aiutano a sostenermi. E’ il fornaio. Ancora una volta il suo intervento è provvidenziale, sembra che debba salvarmi sempre dalla mia debolezza, un po’ come il figlio… - Che succede? – mormoro, confusa. Non riesco a vedere bene. Perché non riesco più a mettere a fuoco? Ho forse subito danni irreparabili alla vista a causa dell’esplosione? La paura cresce dentro di me mentre respiro affannosamente avvolta dalle braccia del signor Mellark. Intravedo solo un tavolo e delle sagome attorno ad esso. – che ci fa lei qui? Arold! Allontanala immediatamente…è colpa sua se nostro figlio…- le grida della madre di Peeta finiscono in un singhiozzo e solo allora realizzo che quello sdraiato sul tavolo della cucina è lui, il ragazzo gentile e premuroso che solo la sera prima ha insistito per fare di me la sua fidanzata. Ora giace prono sul legno scolorito del tavolo, con il viso contratto in una smorfia di dolore. Quindi non me lo sono immaginata, Peeta mi ha veramente protetta dall’esplosione facendomi scudo con il suo corpo! Sono così sconvolta che neanche riesco a prestare attenzione alle invettive della strega che mi punta il dito contro, tra un insulto e l’altro. Cos’ho fatto? Lo sapevo! Non avrei dovuto coinvolgerlo e farlo entrare a far parte della mia vita…Io…

- Katniss…- la voce di Peeta mi raggiunge. E’ sofferente ma sembra molto più lucido di me – Katniss…non dovevi alzarti! La tua ferita alla testa ha bisogno di rimarginarsi. Io sto bene! Non preoccuparti! Pensa a guarire…- dice. Ecco. Ho parlato troppo presto. Per quello che ha appena detto non posso fare altro che pensare che Peeta sia tutto meno che lucido. – Peeta! Ma ti rendi conto che tu… - replico immediatamente. Poi mi accorgo di non sapere nemmeno che cosa abbia. La mia testa è così annebbiata da farmi spavento. La sua di testa invece, per fortuna sembra a posto, ma se l’hanno fatto sistemare lì sul tavolo e hanno chiesto l’intervento del dottore, deve esserci per forza qualcosa che non va.  – Che cos’hai? – domando, come una povera stupida. Nel frattempo la signora Mellark mi afferra per un braccio con forza e tenta di trascinarmi lontano da lui. Suo marito è l’unico appiglio che ho per non rovinare a terra, mi aiuta a restare in piedi e la allontana immediatamente da me. – Tu! Con che coraggio… –  grida.  - Insomma! Datti una calmata! Katniss non ha colpa per quanto è successo! – sbotta infine il fornaio. Intanto io approfitto del battibecco che si crea fra i due per fare altri due passi incerti verso il tavolo e stringere le mani di Peeta. E’ allora che dopo aver strizzato più volte gli occhi, riesco finalmente a mettere a fuoco la sua gamba e la signora Mellark mi grida in faccia la mia colpa.

 
Punto di vista di Peeta:

Un enorme boato si sprigiona dalla terra. La miniera di fronte a noi ruggisce e l’unica cosa che riesco a pensare è Katniss. Sono terrorizzato ma mi getto ugualmente verso di lei per proteggerla. Una forza spropositata ci sbalza lontano qualche metro. Il rumore è assordante. Purtroppo quando mi alzo da terra a esplosione finita, Katniss sembra avere perso i sensi. La scuoto lentamente ma non risponde e il mio cuore perde un battito quando mi rendo conto che sta perdendo sangue dalla testa. Nel frattempo Haymitch e gli altri due uomini che sembrano avere a che fare con l’esplosione, stanno trasportando quello che resta del loro amico lontano da qui. – Haymitch – grido e la mia voce risuona ben più impaurita di quanto vorrei. Ma d’altra parte, che potrei fare? Doveva essere una mattina spensierata, trascorsa con la ragazza che desidero da sempre, non un inferno fatto di terra, esplosivo e morte. Quando il mio amico mi raggiunge e mi mette una mano sulla spalla, mi accorgo che sto tremando e che qualcosa decisamente non va. – Tutto bene figliolo? – chiede, poi lancia un’occhiata a Katniss e quando torna su di me il suo sguardo si fa serio.  - Ce la fai a muoverti? – domanda. Sul momento sono sorpreso per la richiesta, poi volto lo sguardo nella stessa direzione in cui è diretto il suo. E mi sento mancare il respiro. La mia gamba sinistra è stata completamente schiacciata da un enorme masso staccatosi dalla montagna. La cosa strana è che non sento alcun dolore, ma soltanto una scarica di adrenalina che mi pervade da capo a piedi. Almeno fino a quando Haymtich, dopo aver soccorso Katniss e averla trascinata qualche metro più in là, non si avvina e comincia a cercare di spostare la roccia che mi impedisce di muovermi. E’ una sofferenza indescrivibile. E’ come se adesso che non c’è più quella roccia a tenere il sangue al suo posto, il mio corpo avesse deciso di liberarsene tutto in una volta. Ne perdo così tanto da formare un piccolo lago tutto attorno al grosso taglio che mi squarcia la gamba. Forse per lo shock, forse per il dolore o per il sangue che sgorga a fiotti, perdo conoscenza. E’ il dolore a ridestarmi. E mi ritrovo sdraiato sul grande tavolo della cucina. I miei genitori e i miei fratelli, sconvolti, stanno parlando concitati di qualcosa. Il mio primo pensiero però va a Katniss. – Lei dov’è? – chiedo fissando il mio sguardo in quello di mio padre. Lui per tutta risposta mi fa un sorriso carico di tensione – è di là in soggiorno figliolo, se la caverà con qualche punto – risponde ed io so che non sta mentendo perché mio padre non lo farebbe, non l’hai mai fatto. Non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo che un dolore lancinante cattura nuovamente la mia attenzione. – La gamba…- dico stringendo i denti mentre i miei occhi minacciano di riempirsi di lacrime. – Tranquillo, il dottore dice che non è grave… - mi conforta lui, mia madre però interviene bruscamente per contraddirlo – Arold! Ma se ci ha appena detto che probabilmente… - poi mi lancia uno sguardo carico di compassione e si interrompe. Le tremano le labbra. – Mamma, non preoccuparti – replico. Lei però scoppia a piangere e grida di nuovo – Insomma, dottore! -. Poi d’improvviso ecco Katniss. Sembra stordita e ha una benda sulla testa pericolosamente tinta di rosso. Stringe gli occhi, quasi non riuscisse a mettermi bene a fuoco e per un attimo temo stia per svenire a terra ma mio padre interviene prontamente per sorreggerla. Quello che segue è un grosso battibecco tra lei e mia madre. – Tu! Mio figlio ora perderà una gamba per causa tua! – grida quest’ultima a Katniss. Non so se a farmi trasalire di più sia il contenuto della sua affermazione o il modo orrendo in cui mia madre ha appena attaccato la ragazza che amo, fatto sta che non le permetterò di andare oltre. Con uno sforzo di volontà considerevole mi costringo ad alzarmi dal tavolo e appoggio per prima cosa la gamba sana a terra. Afferro le estremità del tavolo con le braccia e lentamente appoggio il peso del mio corpo sulla gamba destra. Inaspettatamente non sento dolore perciò decido di provare ad appoggiare leggermente anche l’altra. Quando il piede sinistro tocca terra però è come se una scarica di corrente mi trapassasse. Il dolore è profondo, sordo e accecante. Stringo i denti con tanta forza da sentirli stridere tra di loro e le dita delle mie mani si fanno bianche, tanto stringo forte il tavolo della cucina per non crollare dal dolore. – PEETA FERMO! – è il coro che ricevo subito in risposta. Sia mia madre che Katniss si sono protese verso di me e hanno gridato all’unisono. La cosa sembra spazientire entrambe ma nessuna delle due fa commenti al riguardo. Piuttosto, Katniss sembra interessata ad approfondire la questione – come sarebbe a dire che perderà la gamba? – e dal suo tono di voce trapela tanta disperazione che io stesso non avrei saputo mettercene altrettanta. Ora che l’ho sentito dire anche dalle sue labbra però l’ida comincia a farsi più chiara anche ai miei occhi. Un brivido freddo mi attraversa da capo a piedi. La spina dorsale percorsa da scariche elettriche mentre il mio cuore martella rapidamente nel petto. Senza pensare, mi trovo a fissare lo sguardo in quello di mio padre. – E’ vero? – bisbiglio. Katniss, per tutta risposta, si mette a fissare mio padre con la stessa intensità. Lui sospira. Sta per rispondere ma mia madre sovrasta la sua voce – certo che è vero! Il dottore dice che se non la tagliamo subito il male si estenderà-. Lei e il suo solito tatto sembrano farmi piombare nel tumulto più totale. – Non è del tutto vero – replica prontamente mio padre, riaccendendo in me una seppur flebile speranza. – Dice che potremmo anche aspettare e provare a curarlo con le medicine -. Mia madre sta già per dire che è una follia quando Katniss si rivolge direttamente al dottore, che nel frattempo è rimasto in silenzio in un angolo della stanza. – E’ vero che basterebbero le medicine? – chiede concitata. Un vecchio con la barba ispida si avvicina a noi e grattandosi il mento risponde – potrebbe essere una soluzione, ma l’amputazione è più sicura – spiega. –Vivendo qui ho fatto in tempo a fare esperienza di minatori i quali erano rimasti schiacciati sotto le macerie delle esplosioni in miniera. I sopravvissuti ai quali sono rimasti schiacciati braccia e gambe per ore, possono riportare una sindrome cosiddetta “da schiacciamento”, che non è qualcosa di troppo diverso da quanto è successo al ragazzo – racconta. Poi fa un respiro mentre noi tutti, siamo rimasti col fiato sospeso.  – Tale sindrome è caratterizzata da shock ipovolemico e insufficienza renale acuta. Tuttavia, occorre che lo schiacciamento si sia protratto per ore…Ma può comunque accadere che dallo schiacciamento derivi un edema che rimanendo bloccato all’interno delle fasce muscolari porta ad una diminuzione del sangue in circolo ed un forte rischio di shock con conseguenze irreversibili sui reni… - dice. Il suo discorso è troppo complicato e poco chiaro, ma da quanto ho capito non è niente di buono. Katniss stringe i pugni. I suoi occhi grigi sembrano determinati e non disperati o colmi di pietà come quelli di mia madre, e quando il dottore ha terminato dice – mia madre non è un medico ma l’ho vista curare qualche paziente del genere, prima che mio padre morisse…e beh, sono certa di non averla mai vista alle prese con tagli di gambe o braccia… - dice. Nella sua voce c’è una evidente nota polemica. – Lei stesso poi sostiene che occorrono ore di schiacciamento per arrivare a tali conseguenze…la gamba si può salvare! -. La sua risoluzione è forte. Io però sono costretto nel frattempo a tentare di sedermi sul tavolo.  A fatica mi appoggio mettendo entrambe le gambe a penzolare, il dolore però non accenna a diminuire. – Se c’è una possibilità di salvare la gamba direi che opto per questa soluzione – intervengo cercando di ostentare un tono tranquillo, quasi stessimo parlando del tempo invece di una cosa tanto tragica. – A meno che tu non aspiri ad avere un figlio che ti zoppica in giro per casa, se ci fosse una possibilità voglio tentare – dico subito dopo rispondendo al muto dissenso di mia madre, che adesso mi fissa come se fossi pazzo. I suoi occhi azzurri sono glaciali. A guardarli mi si profilano, inevitabilmente, nella testa diversi scenari agghiaccianti di quella che potrebbe essere la mia vita da qui in poi nel caso mi sottoponessero ad una cosa del genere. Io che me ne sto costretto a letto per tutta la vita, oppure seduto da solo in  una stanza da qualche parte. Mia madre che mi costringe a mangiare una minestra disgustosa mentre mi imbocca quasi fossi un bambino malato invece di un giovane uomo senza una gamba…Non sarei nemmeno più in grado di lavorare, dipenderei da tutti e poi Katniss… che se andrebbe e si troverebbe qualcun altro… Già, Katniss… Che ne sarà di me? Una paura viscerale mi attanaglia lo stomaco mentre mia madre non si fa attendere oltre e grida di preferire un figlio storpio ad un figlio morto e nuovamente incolpa Katniss per quanto successo alla miniera. La miniera. Ora basta. – Smettila! – grido proprio mentre mia madre sferra un poderoso ceffone a Katniss. La sua treccia bruna di capelli, già abbastanza sfatta, si scioglie per l’impatto e i lunghi capelli corvini di Katniss vanno ricoprirle il lato del viso colpito. La vedo portarsi una mano sulla guancia arrossata, i capelli a celare l’espressione sconvolta che certamente deve avere assunto il suo viso. A quel punto dimentico perfino la gamba dolorante e muovo un passo verso di lei. Il risultato è presto detto. Un dolore lancinante mi attraversa e senza neanche accorgermene mi ritrovo a terra a tenermi la gamba con le braccia, la testa nascosta tra le ginocchia. – Peeta! – Katniss è subito accanto a me, inginocchiata, con gli occhi grigi che minacciano di buttare fuori lacrime amare da un momento all’altro. Mio padre a quel punto decide di prendere l’iniziativa e senza dire una parola trascina mia madre nella stanza accanto e le chiude la porta in faccia per poi tornare velocemente da noi. Le proteste della donna sono inutili. Riusciamo a sentire le grida, prima di rabbia e poi di disperazione, farsi sempre più sommesse e rassegnate. – Arold! E’ mio figlio! Non puoi farmi questo! Allontanala subito da lui! Arold!!! – grida. Mio padre però fa finta di non sentirla. Aiutato dal dottore mi prende in braccio e mi posiziona di nuovo sul tavolo. Il dolore purtroppo non accenna a diminuire, Katniss mi stringe forte una mano per farmi coraggio mentre due calde lacrime cominciano a scorrermi lungo le guance. – Sta tranquillo Peeta. Non faremo niente finché non saremo certi che non c’è più speranza…- mi rassicura subito mio padre, posandomi amorevolmente una pezza umida sulla fronte per rinfrescarla. Non mi sono accorto di avere la febbre, almeno fino ad ora. Adesso che finalmente mi sento meno sotto pressione comincio lentamente a crollare, fa un caldo pazzesco qui e sono certo che non dipenda dal forno. In casa mia non c’è mai stato freddo ma sto sudando talmente tanto che deve essere per forza febbre. Katniss ora che mia madre è stata allontanata, sembra ricomporsi e ritrovare un po’ di lucidità, anche se il ceffone di mia madre deve averle riaperto la ferita alla testa perché la sua benda sta lentamente tingendosi di uno spaventoso rosso acceso. – Mi dispiace – sussurro con voce rauca mentre lei mi inumidisce di nuovo la pezzuola che ho sulla testa. – Non dirlo…è a me che dispiace – risponde, dopodiché la vedo risistemarsi velocemente i capelli in una treccia. Il gesto è così automatico che sembra rassicurarla un po’, la riporta alla realtà anche se dal suo viso capisco perfettamente che è sconvolta tanto quanto me. – Grazie – sussurro. Lei per tutta risposta mi accarezza dolcemente una guancia dopo avermi rimesso in testa la pezza bagnata. Se non ci fossero il dottore e mio padre, gamba ferita o no, credo che potrei anche azzardarmi a chiederle un bacio. Le sue labbra così vicine alle mie, sono screpolate ma mi attirano come se fossero miele.  – Dovresti sdraiarti – le dice d’un tratto il dottore attirando la sua attenzione. Soltanto adesso noto che lo sguardo di Katniss è rimasto puntato nel mio per più di dieci minuti. – Sto bene – risponde, ma ha il viso sempre più pallido e quando anche mio padre le dice di ascoltare l’uomo, sembra rassegnarsi e cedere un momento alla stanchezza. – Va bene, ma andrà bene qui – taglia corto sedendosi su una vecchia sedia di legno accanto al tavolo dove sono sdraiato io. – Dovresti stenderti – ribatte il medico. – Sto bene così -. Il battibecco prosegue ancora un po’, poi mio padre sbuffa e mettendo una mano sulla spalla del dottore sospira – lascia perdere, questa giovane donna ha la testa dura, in tutti i sensi -. L’anziano medico pare contrariato, io invece non posso fare a meno di sorridere per la sua battuta. Anche Katniss sorride, ed è il primo momento leggero da quando… - Papà- dico attirando subito la sua attenzione – che è successo? Perché la miniera è esplosa? -. Katniss sembra drizzare le orecchie, in ansia quanto me e in attesa di una risposta. Una risposta che possibilmente non ci terrorizzi. I due uomini sembrano studiarsi per un momento, poi il dottore sbuffa sonoramente emettendo una specie di strano grugnito e infine si siede accanto a Katniss, cominciando ad aggrovigliarsi nervosamente i peli ispidi della lunga barba. – Non è giusto che proprio a voi tocchi una cosa del genere – esordisce mio padre, alla ricerca evidente del modo più indolore per spiegare qualcosa che indolore non può né potrà mai essere. Katniss si tende come una corda di violino, da stare sdraiato sul tavolo, girando lentamente la testa, la vedo a sua volta che si tocca nervosamente la treccia. – Oggi non è un giorno come gli altri – prosegue, poi sembra ripensarci. – Ma ora dovremmo occuparci di te Peeta… Questo può aspettare…- tentenna. – No, voglio sapere! Quell’uomo è morto? Chi altri? Stanno tutti bene? – incalzo. – Che vuol dire che oggi non è un giorno come gli altri? E’ natale sì, ma… - aggiunge Katniss confusa. – Io non credo che…- la voce di mio padre viene inaspettatamente sovrastata da quella del medico. – Dobbiamo andarcene, o finirà male. Siamo in guerra -. E nella stanza cala il silenzio.



Punto di vista di Gale:

Il braccio destro non mi fa quasi più male, constato mentre mi cambio la fasciatura. La garza sterile ormai è quasi finita. Siamo in viaggio da un paio di giorni e comunque non posso permettermi di tardare ancora per fermarmi da qualche parte a cercarne di nuove. Poco male, per fortuna il taglio non è profondo e la ferita si sta già rimarginando. Purtroppo il treno merci sul quale sto viaggiando impiegherà ancora qualche giorno prima di raggiungere Twelve City. La mia squadra non sembra passarsela troppo male, nonostante l’attacco a sorpresa che due notti fa ci ha colto durante il sonno, posso ritenermi soddisfatto. Siamo vivi, abbiamo delle armi e una missione da portare a compimento. Il sergente Judith è perfino riuscita a captare il segnale radio del nemico mentre Jess e Philip si sono dimostrati davvero indispensabili grazie alle loro conoscenze sulle armi a lunga gittata. Tanya invece sembra aver perso la testa. Continua a camminare avanti e indietro nel nostro vagone, tenendosi la testa con le mani mentre si martoria i lunghi capelli rossi, annodandoseli, rigirandoseli tra le dita in modo febbrile. Ora che ci penso, non credo abbia dormito affatto da quando è successo. Non ce la faccio più a vederla così. – Ehi – le dico attirando la sua attenzione su di me – bevi…devi tenerti idratata -   e così dicendo le lancio la mia fiaschetta dell’acqua. Per fortuna almeno di questa ne abbiamo in abbondanza grazie al carico che abbiamo trovato qui sul treno. L’unica cosa che ci manca davvero è il cibo. I nostri stomaci brontolano da diverse ore, ma fermarsi sarebbe troppo pericoloso. Possiamo restare senza mangiare, probabilmente ci toccherà farlo per altri due o tre giorni. Ma resisteremo. Senz’acqua invece non so come avremmo potuto sopravvivere. Ringrazio mentalmente il cielo per questo colpo di fortuna. Per il mangiare, dovrò per forza pensare a qualcosa, ma c’è tempo. Tanya intanto mi fissa con i suoi occhi grandi e azzurri come il ghiaccio, smarriti. – Gale – la sua voce è rauca  - credi davvero che ce la faremo? Voglio dire…La tua città è persa…Quando arriveremo saranno tutti già morti – dice e le sue parole sembrano dare voce al mio più grande incubo. – Non succederà. Li aiuteremo a scappare. Haymitch ha già fatto saltare la miniera…- bofonchio buttando giù qualche sorso d’acqua a mia volta. Jess si unisce a noi sedendosi accanto a me con le ginocchia raccolte tra le braccia. Sospira. – Anche se riuscissero a scappare attraversando da sotto la montagna, non credo che ce la farebbero tutti. Più della metà moriranno…Lo sai questo vero? – mi chiede. Il mio sguardo però è indecifrabile. – Lei potrebbe non essere tra quei fortunati – conclude arrivando finalmente al punto. Io continuo a fissare un punto qualsiasi di fronte a me, senza fiatare. – E anche se ce la facesse probabilmente morirebbe di fame o di sete…- interviene Philip con il suo solito tono irritante. – Per non parlare del fatto che la gente si ammazzerebbe a vicenda pur di sopravvivere – aggiunge presto Tanya tremante. A quel punto sbotto. – Volete finirla?! – grido alzandomi in piedi di colpo – Se siete tanto ansiosi di morire e lascarci le penne, si può sapere perché vi siete uniti a me in questa specie di missione suicida? – sbraito tirando un calcio al fieno che mi circonda, che era stato sistemato qua sul treno per essere portato altrove e fungere fa cibo per gli animali. Inaspettatamente mi faccio male, ma non ci bado… La rabbia è più forte perfino del dolore. – Hai ragione, scusaci… - balbetta Jess, portandosi una mano tra i capelli neri e ricciuti. – Non ti garantisco niente, ma se capiterà l’occasione farò in modo di trovarla e portarla da te – dice. Poi il silenzio cala di nuovo tra noi. – Certo che questa Katniss deve essere davvero tanto speciale per farti rischiare la vita in questo modo…- interviene d’un tratto Tanya che adesso sembra essersi un po’ calmata. – Anche a me sarebbe tanto piaciuto trovare qualcuno che mi amasse in questo modo – a quelle parole Philip e Jess scoppiano a ridere mentre il mio viso si tinge impercettibilmente di rosso. Già… Peccato che mi ci sia voluto tanto per capirlo, penso amaramente mentre il treno sfreccia nella notte. Spero soltanto di fare in tempo.


Punto di vista di Katniss:

Avverto distintamente i battiti accelerati del mio cuore pulsare nelle tempie. La testa mi gira ed è vero, dovrei proprio sdraiarmi per riprendermi ma non posso. – Che significa che siamo in guerra? Con chi? – grido. In quel momento, quasi a farlo apposta, qualcuno bussa alla porta. Non è la madre di Peeta. La strega sembra essersi rassegnata e forse si è perfino data una calmata. No. E’ Haymitch, seguito a ruota da Madge, Delly, mia madre e Prim. Si tratta di un gruppo così mal assortito che quasi mi par di sognare. Dietro di loro c’è anche la signora Mellark che dopo aver chiesto al marito il permesso di entrare, si fa strada verso il tavolo dove è sdraiato Peeta senza attendere veramente una risposta di assenso. Sento il signor Mellark sospirare e vorrei prenderla a schiaffi, ma quando noto le lacrime che le rigano il viso mi dico che, in fondo, anche lei è solamente preoccupata per Peeta. Intanto Prim mi corre incontro e mi stringe forte. Io la stringo a mia volta e subito dopo abbraccio anche mia madre mentre due alti ragazzi biondi si fanno strada verso il tavolo dove già Delly e Madge sono protese verso Peeta. Questa stanza è decisamente troppo piccola per tutte queste persone, penso, mentre Haymitch mi si avvicina e mi mette un braccio attorno alle spalle. – Sei tutta intera vedo, dolcezza… - commenta rivolto a me. – Lui è messo un po’ peggio – fa cenno con la testa rivolto a Peeta. Il gesto mi dà altamente sui nervi ma cerco di mantenere la calma. – Tranquillo, sopravviverò…almeno spero – risponde Peeta, un po’ rianimato alla vista di parenti e amici. Delly gli stringe forte la mano ed esclama: - certo che ce la farai Peeta! Sta tranquillo, andrà tutto bene! Sono corsa appena ho saputo…- dice cominciando a singhiozzare.  Haymitch sospira. – Non avevo dubbi, sei uno tosto – dice. Peeta intanto cerca di tranquillizzare una Delly sempre più sconvolta senza mai mollare il contatto visivo con me. Sono io a rompere il nostro contatto, per scrutare meglio negli occhi di Haymitch. Il suo sguardo è freddo, distaccato, la bocca impastata. Solo ora noto le grosse borse che ha sotto gli occhi. – Che è successo Haymitch? Cosa significa che siamo in guerra? È vero? Che c’entra con la miniera? – chiedo tutto d’un fiato. Lui deve saperlo. Era lì. E poi se non sbaglio, Peeta mi ha detto che lui era un militare…Sì, Haymitch deve saperne qualcosa. Lo osservo e mi aspetto quasi che non voglia parlare oppure che neghi, dicendo di non saperne nulla. Invece l’uomo ci trafigge tutti con parole così taglienti da lasciare a bocca aperta. – La miniera è esplosa per causa mia. Ho ricevuto una soffiata sicura riguardo a New Capitol. Hanno intenzione di sterminarci. L’unica via di fuga è sotto la montagna… - spiega con un sorriso amaro. Restiamo tutti in silenzio e proviamo ad assimilare quanto ci ha detto, ma la mia testa sembra rifiutarsi di funzionare come si deve. Non è possibile. Sterminarci? Che significa? La madre di Peeta è la prima a schiodarsi dalla trance in cui siamo caduti. – Che sta dicendo? Le sembra il caso di terrorizzare questi poveri ragazzi con simili invenzioni! E poi se scopro che è stato davvero lei a far esplodere quella miniera io le giuro che la farò impiccare all’albero più alto della città!! Mio figlio perderà una gamba! SI RENDE CONTO?!!! – grida. I due giovani ragazzi biondi che, a giudicare dalla somiglianza, devono essere i fratelli di Peeta, si avvicinano rapidamente alla donna per trattenerla dal saltare al collo di Haymitch. Ammetto che non mi dispiacerebbe, in questo momento, vedere quelle mani ossute dalle unghie lunghe, avvolgersi attorno al collo di Haymtich e stringere forte, ma così non saprei mai se quanto dice è davvero la terribile realtà. – Si calmi…se si agita così sembra un tacchino che sta per strozzarsi da solo – è il commento ironico di Haymtich rivolto alla madre di Peeta. – Ehi, come si permette? – interviene subito uno dei figli a sua difesa. Nel frattempo io incrocio gli occhi ambrati di Madge che subito vanno a posarsi altrove quasi potessero scottarsi a causa mia. – Che c’è? – le chiedo spazientita afferrandola per un braccio per costringerla a guardarmi in faccia. – Niente – pigola  per poi farsi rossa in viso – è che purtroppo è tutto vero…Per fortuna LUI ci ha avvisati in tempo, ma ora chissà se riuscirà a raggiungerci. Non ti senti anche tu in pena? – mi chiede, con una nota di terrore nella voce. Provo a riflettere sulle sue parole, ma proprio non capisco a che si riferisce. – Di cosa parli? – replico. Madge prende a singhiozzare come una bambina – Oh avanti, non vorrai farmi credere che adesso ti sei davvero scordata di lui, che è Peeta quello che vuoi… - dice e inevitabilmente gli occhi azzurri di Delly finiscono per fissarsi su di me. Ha una mano che affonda nei capelli biondi e sudati di Peeta, l’altra stretta al tavolo della cucina. Le osservo meglio entrambe. Non sembrano meno stravolte di me, i capelli in disordine, i vestiti sporchi di non si sa cosa, terra, forse cenere… - Io…- balbetto, ma prima di riuscire a formulare una risposta, la voce di Peeta raggiunge le due ragazze. – lei sta con me. Di chiunque voi stiate parlando, di sicuro Katniss non ti farà alcuna concorrenza Madge! - sospira. Quelle parole hanno un effetto devastante su Delly che scoppia a piangere sempre più forte, mentre diverse paia di occhi increduli vagano alla ricerca dei miei. Le mie guance si fanno rosse, non reggo all’occhiata di mia madre e abbasso il mento rivolgendolo a terra. Madge invece sta trattenendo il respiro e sembra che uno strano sorriso si stia formando sulle sue labbra. Non ci sto capendo più niente, penso, ormai è ufficiale. Sbuffo. – Insomma, si può sapere di che parli Madge? – e poi rivolta a Peeta, ancora sdraiato sul tavolo – e tu perché hai deciso di parlarne proprio adesso? – sbraito. Sono a dir poco furiosa. Questa giornata non è andata affatto come mi aspettavo, non c’è che dire. La testa mi pulsa.  Alla fine Madge si sbottona – Gale Hawthrone… lui ha avvertito Haymtich dell’attacco. Dice che se non scappiamo subito tempo una settimana e New Capitol arriverà qui con le sue truppe armate per sterminarci. Pensavo che avesse scritto anche a te…- spiega. La terra sembra franarmi sotto i piedi. Gale? Le ha scritto? Pericolo di morte… avvertita? Ma quando mai?! Un moto di rabbia mi sconvolge e vengo anche assalita da un terrore irreale. La madre di Peeta ha giusto il tempo di sconvolgersi per le parole del figlio. Ovviamente lei non crede ad una parola riguardo alla guerra, a lei importa che Peeta abbia detto a Madge e Delly che sta con me. La testa mi si fa sempre più leggera. Faccio appena in tempo a vedere altri fuochi d’artificio colorati che mi si formano davanti agli occhi, prima di svenire di nuovo con un solo pensiero nella testa: “non può essere…”  

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Spazio autrice: chiedo venia ma ho dovuto litigare con l'editor perché l'hanno cambiato e non sapendolo usare non riuscivo neanche a postare la storia. Quanto al capitolo attenderò con ansia i vostri commenti/critiche. Grazie mille :)

 

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