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Era da troppo tempo che non
pubblicavo qualcosa. Anzitutto, ringrazio (e ringraziate) Cheche
per avermi spronata a scrivere questa allegra Bakuryu, altrimenti non mi sarei
mai cimentata in una simile impresa. Anzi, sicuramente sarei rimasta nell’ombra
per un bel po’ di tempo, se non fosse stato per lei.
Questa sarà una raccolta di Bakuryu, ripeto, BAKURYU,
perché ultimamente Sandra e Gold stanno diventando la mia ossessione.
Ovviamente non ho dimenticato la Dragon, sia ben chiaro, ma in questi ultimi
giorni non riesco a fare altro che pensare a questi due amori. Indi per cui,
dovrete sopportare questa mia parte fangirlistica (?) per un bel po’.
Il titolo della raccolta, Di
Venerdì sera in Venerdì sera, è ispirato al game: difatti, in HG/SS, il
protagonista può chiamare Sandra per sfidarla il venerdì sera, momento in cui
lei ha del tempo libero a disposizione. Nella mia testa, tutto è farcito con
qualcosa pieno di love. Curatemi.
Difatti, questa prima flash è improntata proprio su questo fatto.
Mi auguro che questa
raccolta sia di vostro gradimento, sinceramente parlando. Grazie di cuore a chi
mi segue, a chi mi seguirà e a chi recensirà! Grazie!
Questa raccolta è dedicata a Carolina, Greta e Federica,
perché sento di non fare mai abbastanza per loro. Thanks,
girls. I love you.
Prima Settimana:
Segreto
Tutti
i Venerdì sera era sempre la stessa storia. Nessuno riusciva a comprendere per
quale oscuro motivo la completa attenzione della Capopalestra
di Ebanopoli fosse catalizzata sul suo Pokègear, stretto convulsamente tra le sue mani inguantate,
né perché trascorresse ore intere a fissare il piccolo schermo scuro
nell’attesa che si illuminasse.
Sandra
giaceva sempre lì, seduta in un angolo remoto della Tana del Drago, aspettando
che un trillo allegro giungesse alle sue orecchie come un coro angelico. Allora
il suo volto si dipingeva di una gioia quasi infantile, mentre premeva
rapidamente il pulsante per accettare quella
chiamata importantissima e la sua voce assumeva un tono dapprima austero e solenne,
per poi divenire via via sempre più cordiale e gentile.
Scambiava
poche parole con il suo interlocutore, chiare e dirette, e si limitava a
parlare a bassa voce, pur di non farsi sentire da quei curiosoni dei suoi
compagni di battaglia che, di tanto in tanto, tendevano le orecchie per
origliare la conversazione – facendo ben attenzione a non farsi cogliere in flagrante,
altrimenti erano dolori. Doveva trattarsi sicuramente di qualcosa inerente a
combattimenti e lotte, se era capace di esaltarla in quel modo. Eppure, qualche
voce più maliziosa e romantica azzardava un’opinione ben diversa: che la Domadraghi avesse finalmente trovato la sua anima gemella?
Una possibilità che a stento si addiceva alla figura orgogliosa e mascolina
della futura Maestra Drago, ma non poi così irrealizzabile.
Tuttavia,
nessuno avrebbe mai scoperto la verità, né chi fosse la persona a cui la
giovane dai capelli azzurri si rivolgeva in modo amichevole: si trattava di un
segreto che quella ragazza avrebbe custodito gelosamente, senza permettere che
qualcuno potesse rovinare la sua gioia; un segreto che riguardava e legava in
modo indissolubile solamente lei, un Allenatore misterioso e il Dojo Lotta di Zafferanopoli.
Come avevo promesso,
ecco a voi la terza shot
sulla Bakuryu!
Devo ammettere che l’idea di pubblicare ogni Venerdì si è rivelata piuttosto dannosa, essendo una scadenza difficile
da rispettare dati i miei impegni; tuttavia, la prendo come una sfida personale ed essendo tale voglio
impegnarmi per vincerla.
Comunque
sia, diciamo che mi sono scervellata molto per produrre qualcosa di
buono. Mi sento in dovere di ringraziare di cuore Cheche, che mi ha sopportata nel
mio momento di mancanza di ispirazione e
idee. Povera donna, mi sopporta sempre. Tanto love a lei. ♥
Inoltre,
permettetemi di ringraziare di cuore tutti coloro che seguono questa storia. Come farei senza di voi, dears? Spero che questa storia
sia di vostro gradimento, per quanto apparentemente possa sembrare priva di
senso logico.
Buona lettura a
tutti!
Terza Settimana:
Speranza
Gold
aveva aspettato quel Venerdì sera con trepidazione. Ogni mattina, dopo essersi
alzato, aveva istintivamente puntato lo sguardo sul calendario e aveva contato
mentalmente i giorni che lo separavano dal prossimo incontro con Sandra. Le sue
labbra si curvavano sempre in un sorriso radioso, mentre pensava e fantasticava
su ciò che sarebbe accaduto durante il loro successivo appuntamento. Chissà che
cosa aveva inventato la bella Domadraghi per
stupirlo; sicuramente, aveva potenziato le sue capacità combattive per
stracciarlo una volta per tutte, data la sua implacabile sete di vendetta.
Eppure
mai avrebbe immaginato, però, che sarebbe arrivata a tanto. Quando si presentò
davanti alla porta di casa sua, vestita in modo sportivo e leggero,
l’Allenatore stentò a credere ai suoi occhi. Per quanto la sua attenzione fosse
completamente concentrata sul suo corpo sensuale, coperto da quelle vesti
aderenti che accentuavano le sue curve prosperose, le parole con le quali
esordì la Capopalestra lo sconvolsero alquanto.
«Tu.
Io. Una corsa fino ad Ebanopoli. Ora» esclamò decisa,
senza concedergli neppure il tempo di salutarla e domandare spiegazioni sulla
sua improvvisa visita. Dopotutto, si era recata di sua sponte a Borgo Foglianova senza che lui l’avesse chiamata per invitarla a
duellare con lui. «Un po’ di sano esercizio fisico farà bene anche a te, Nano.
Sai, ti aiuterebbe a sviluppare i muscoli e a mettere su qualche centimetro».
Davvero
gli aveva appena chiesto di andare a fare jogging con lei lungo il Percorso
Montano, nonostante il tardo orario? Sicuramente doveva trattarsi di
un’allucinazione uditiva: il sole stava ormai per tramontare, entrambi avevano
appena concluso una dura giornata di allenamenti; come poteva avere ancora le
energie – e il coraggio – per proporre una corsa?
«Stai
scherzando, vero?» ribatté infatti, inarcando un sopracciglio e squadrandola
dall’alto al basso con dubbio, badando a non farsi scoprire mentre soffermava
lo sguardo su certi aspetti del suo fisico formoso. «Ci metteremo una vita per
arrivare fin lì. Se è per tornare a casa per cena, puoi sempre fermarti da me.
Posso dire a mia madre di aggiungere un posto a tavola».
Nonostante
la proposta invitante ed allettante, la posizione della futura Maestra Drago
era irremovibile. Incrociò le braccia al petto, lasciandosi sfuggire un sospiro
esasperato e trattenendosi a stento dall’insultare il ragazzo che aveva
difronte. Pareva davvero irritata dalle sue parole, sebbene nascondessero
intenti gentili. «Se vuoi piacere a delle donne belle come me, prima devi avere
un fisico presentabile, Tappo!» sbottò, afferrando improvvisamente la mano del giovane
per trascinarlo con lei in una corsetta a passo veloce e sostenuto.
Quell’affermazione
catturò l’interesse completo di Gold. Si fermò improvvisamente, interrompendo
quel suo allenamento extra, per osservare la Capopalestra
mentre avanzava verso il Percorso 29 con rapidità e al contempo leggiadria. Sinceramente
parlando, all’Allenatore non avrebbe affatto dispiaciuto diventare soggetto di
interesse per Sandra, ancor più di quanto non lo fosse già. Forse, dando retta
al suo consiglio e iniziando a dedicarsi un po’ al suo aspetto, un giorno
sarebbe riuscito a farsi notare da lei come uomo e non come semplice compagno
di battaglia o rivale. Anche a costo di compiere ulteriori fatiche e di
spendere il suo tempo libero in allenamenti extra, si promise che sarebbe
riuscito nel suo intento.
«Allora,
ti muovi o no?!» lo richiamò la Domadraghi, fermatasi
apposta per lui a qualche metro di distanza.
Ridendo,
Gold riprese a correre fino a raggiungerla. «Quindi mi stai dicendo che, se
avessi un “fisico presentabile”, faresti un pensierino su di me?» la
punzecchiò, un po’ per provocazione un po’ per curiosità, ansioso di scoprire
il modo in cui avrebbe reagito la sua compagna. Molto probabilmente l’avrebbe
picchiato, oppure l’avrebbe gettato nel primo laghetto nelle vicinanze per
regalargli un gelido bagno.
Eppure,
a dispetto delle aspettative, la ragazza dai capelli azzurri si limitò a
scuotere il capo e ridacchiare tra sé e sé. «Passeranno anni luce, prima che tu
riesca a svilupparti in modo decente, Nano».
Non
gli aveva risposto. Né sì, né no.
L’aveva lasciato lì, con una speranza nel cuore e un incentivo per raggiungere
il suo agognato traguardo. Il giovane si sforzò di mantenere la sua velocità, affiancandola
anche nei passi più ripidi e difficili da attraversare in corsa, pur di
dimostrarle di essere degno delle sue attenzioni.
Poco
importava quanto tempo ci avrebbe messo per farsi notare da lei. Prima o poi ci
sarebbe riuscito e bastava questa certezza a donargli la forza necessaria per
non arrendersi.
Ed eccoci qui. Ho
deciso che pubblicherò una shot a settimana,
precisamente il Venerdì sera, giorno
della Bakuryu.
Anzitutto, volevo dedicare questa shot a tutti coloro
che mi seguono, in particolare a: Carolina,
Greta, Federica e… a Valerio,
il mio Fratello ritrovato. Se la meritano, anzi
si meritano molto di più, perché hanno fatto e stanno facendo tanto
per me. In secondo luogo, volevo ringraziare chi ha commentato la precedente shot: mi spiace solo di non essere riuscita a rispondere,
ma sappiate che vi ho tutti nel mio cuore!
Non mi sono affatto dimenticata di voi.
Questa
storia può sembrare nonsense, ma a me
piace tanto. Anzi, fin troppo. Trovo i personaggi particolarmente IC (EVVIVA!)
e la situazione piuttosto… insolita,
ma proprio Bakuryosa
(?). Insomma, l’idea della confessione in
stile Sandresco mi ispirava un sacco, quindi ecco
qualcosa di particolare.
La
canzone a cui faccio riferimento nel testo è You’re gonna go far, kid dei The Offspring.
Mi auguro che questa shot sia di vostro gradimento! Buona lettura a tutti!
Seconda Settimana:
Confessione
Per
un breve istante, Gold temette di aver sbagliato numero. Dopo aver udito la
risposta di Sandra alla sua proposta di lotta, aveva strabuzzato gli occhi,
domandandosi che cosa fosse successo alla Capopalestra
combattiva e grintosa che conosceva. Davvero aveva appena rifiutato di
combattere con lui, preferendo invece invitarlo a trascorrere quel Venerdì sera
nella taverna di Ebanopoli con lei?
Forse
la Domadraghi aveva escogitato un losco piano per
sconfiggerlo e umiliarlo davanti a tutti i suoi concittadini, trovando così
l’occasione perfetta per riscattarsi e per vendicarsi di chi aveva osato
macchiare la sua carriera semi-perfetta con una sconfitta. Eppure, secondo il
buon animo dell’Allenatore, un piano così subdolo non si addiceva affatto alla
Divina – in realtà si addiceva perfettamente al suo carattere, ma era sempre
bene concederle il beneficio del dubbio, pur di non incappare nella sua ira
funesta.
Per
questo motivo, Gold varcò la soglia con passo esitante e incerto, cercando la
compagna con lo sguardo. Curvò le labbra in un sorriso raggiante e a tratti
malizioso, non appena posò gli occhi sul bel corpo della giovane donna. Era la
prima volta che non la vedeva indossare la sua solita divisa e dovette
ammettere che quella camicia scollata e quei jeans le donavano davvero tanto,
per quanto fossero indumenti semplici.
«Sei
davvero bella, stasera» ammise, annuendo tra sé e sé mentre continuava ad
ammirare il suo fisico formoso e muscoloso.
Sembrava
non essere in grado di smettere di guardarla, almeno fino a quando la sua voce
– in quel momento più che mai melodiosa – catturò la sua completa attenzione.
«Che ne dici di smettere di fare il ruffiano e cominciare a divertirci?»
esclamò, un sorriso gioioso che tradiva la sua felicità nel sentire quelle
lusinghe rivolte alla sua persona.
«Che
hai intenzione di farmi, stasera? Non ho la mia squadra con me, sarebbe
un’occasione perfetta per umiliarmi» disse l’Allenatore, tradendo una certa
curiosità, non appena la Domadraghi lo afferrò per
mano per condurlo fino ad unposto vuoto
accanto al suo; un posto dove già c’era un bel bicchiere colmo di birra, che
poco dopo avrebbe usato per brindare con lei.
«Questa
sera ti risparmio, tappo. Ringrazia la mia bontà, altrimenti ti farei nero
davanti a tutta questa gente. No, questo pubblico non è qui per vederti
umiliato e sconfitto: questo pubblico aspetta solo la Divina!» rispose,
facendogli l’occhiolino, dando libero sfogo alla sua vena narcisistica. Afferrò
una chitarra folk, per poi iniziare a strimpellare qualche nota. «Stasera avrai
l’onore di sentirmi cantare, nano. Ritieniti fortunato».
La
voce di Sandra sovrastò quella dei presenti, costringendoli a restare zitti,
catturandoli con le sue parole melodiose. Immediatamente, nella taverna
cominciò ad aleggiare un’aria di festa. Tanta gente cominciò a ballare, altri iniziarono
a battere le mani, alcuni perfino si aggregarono al suo canto. Un tripudio di
musica, alcool, divertimento e risate: ecco che cos’era quella serata. Ecco
qual era la vera Ebanopoli, quella gioiosa e allegra
che si mostrava solo il Venerdì sera, in quella taverna.
«Now dance,
fucker, dance. Man, I never had a chance! And
no oneevenknew, itwasreallyonlyyou!» cantò la Capopalestra,
spostando lo sguardo verso il ragazzo. Curvò le labbra istintivamente in un
sorriso, mentre il suo corpo si muoveva a ritmo della musica. Si avvicinò al
giovane, portando il viso a pochi centimetri dal suo, per soffiare il
ritornello a pochi passi dalle sue labbra: «And
nowyou’lllead the way. Show the light of day! Nice work you did. You’re gonna go far, kid. Trust,
deceived!».
Si
scostò immediatamente da lui, lasciandolo a dir poco inebetito e con le guance
imporporate di rosso – per l’alcol o per la vicinanza di Sandra? Non sapeva
dirlo neppure lui. Il ragazzo non poté fare a meno di sorriderle di rimando,
non appena lei gli fece l’occhiolino: sì, aveva perfettamente capito che quella
canzone era riferita a lui.
A
lui, che era arrivato a tanto, che aveva fatto tanto, che era riuscito a scacciare lo spettro di un amore peccaminoso e doloroso dal suo cuore.
A
lui, che aveva rallegrato ogni suo Venerdì sera con la sua presenza.
A
lui, che era stato in grado di scoprire la sua vera natura.
E
così si unì al suo canto, spalleggiandola e battendo le mani a ritmo della
musica, trascorrendo così quella serata all’insegna del divertimento,
dell’allegria e di un amore nascosto.
Buon Venerdì sera a
tutti! Per vostra somma (no) gioia, ecco a voi la quarta shot di questa raccolta. Ammetto
che è piuttosto lunga, però la adoro
particolarmente. Ho la febbre e non
capisco un accidente, però ci tenevo particolarmente a mantenere la mia
promessa e farvi leggere questo delirio racconto. Perciò, se trovate
degli errori, non inseguitemi con il machete. Non era mia intenzione farli,
sappiatelo.
Inizialmente
avevo intenzione di fare qualcosa di
allegro, come era valso per i due capitoli precedenti a questo. Invece, per
vostra disgrazia, è uscita questa… cosa.
Non so neanche io come definirla. Ne vado in parte fiera, dato che c’è un pezzo di me in questa quarta shot, però so che potrebbe non essere comprensibile a
tutti. C’è tanta Bakuryu, ma c’è anche…
qualche accenno di Dragon (onesided). Sì,
ora merito davvero tante botte. ♥
La
canzone cantata da Sandra è Drumming Song
di Florence and the Machine (nel testo,
però, la canzone ha come titolo un suo verso. Il motivo? Semplice, il
significato di quel verso). I versi non sono in ordine, li ho selezionati in
base a quello che volevo far dire alla Capopalestra.
Sì, non sono coerente. Lo ammetto con
estrema sincerità. Mi auguro che questa shot sia di
vostro gradimento!
Ultima
cosa, ma non per importanza: voglio
ringraziare di cuore quello che recensiscono,
quelli che mi seguono e chi ha messo
questa raccolta nelle preferite.
Grazie di cuore a tutti, davvero! Inoltre, ci tenevo a dedicare questa shot a Carolina,
che si merita molto più di tutto questo. ♥
Quarta Settimana:
Canta per me
«Canta
per me».
Così
aveva esordito Gold, quel Venerdì sera, lasciando Sandra letteralmente di
stucco. Inizialmente colpita e meravigliata, decise di non domandare alcun
chiarimento riguardante quell’inaspettata richiesta, per poi afferrare tra le
mani la sua amata chitarra.
Qualche
canzone avrebbe mai potuto dedicargli? Ormai le aveva ascoltate praticamente
tutte, durante i loro incontri, ad eccezione di una e una soltanto: Untilthere’snothing inside my soul.
Le
sue dita, dapprima impegnate ad accordare lo strumento, si bloccarono
improvvisamente, non appena quel titolo crudele e il testo di quella melodia
cominciarono a riecheggiare assordanti nella sua testa. Si trattenne a stento
dall’esibire una smorfia di dolore e soffocò un gemito, non appena ricordo con
malinconia l’ultima volta in cui l’aveva cantata – e per chi l’aveva cantata, poi.
«Lance»
mormorò debolmente, in un sussurro impercettibile e quasi inudibile,
scordandosi di come Gold si trovasse a pochi centimetri di distanza da lei.
Aveva
cantato e aveva suonato con allegria per il Campione, l’ultima volta che le
aveva fatto visita e nello stesso momento in cui le aveva promesso che le
avrebbe fatto visita molto più spesso; giuramento che si era tramutata in
bugia, la stessa menzogna da cui aveva tratto nutrimento e che l’aveva illusa
per tanto tempo.
Scosse
velocemente il capo, nel vano tentativo di scacciare gli spettri di quel
passato tormentato e tentatore, per poi tornare a concentrarsi sul suo compito.
Si schiarì la voce e raccolse il coraggio a due mani, pronta ad affrontare
quella difficile sfida. Non seppe spiegarsi per quale motivo stesse facendo
tutto questo per Gold, per quell’insulso ragazzino che era comparso
improvvisamente nella sua vita, occupando i suoi giorni e farcendoli di nuove emozioni.
A suo tempo non gli avrebbe mai permesso di scoprire aspetti tanto intimi del
suo animo, eppure in quel momento non riuscì a resistere alla tentazione di
scoprire nuove carte davanti a lui.
«There’s a drumming noise
inside my head» cominciò a cantare flebilmente,
mentre pizzicava alcune corde della chitarra. Chiuse gli occhi e fece
ondeggiare la testa al ritmo crescente e incalzante della musica, completamente
persa in quell’atmosfera nostalgica che si apprestava a rievocare ad ogni frase
pronunciata. «Thatstartswhenyou’rearound».
Per
lunghi anni, la Capopalestra non aveva fatto altro
che stare nell’ombra di suo cugino, nell’attesa che si voltasse e la degnasse
di un miserrimo sguardo. Lo aveva seguito e desiderato morbosamente, spinta da
un motivo che neppure lei era in grado di spiegare. Che si trattasse di amore
era fuori discussione, forse: come poteva definirsi amore ciò che invece si manifestava come una vera e propria
ossessione? Come poteva chiamarsi amore
qualcosa che annichiliva e consumava la propria anima?
«I swearthatyoucouldhearit» proseguì, con
il tono di voce accentuate dal dolore represso e soffocato in recesso isolato
del suo cuore. Rabbia cieca si accese nel suo corpo, mentre le parole
sgorgavano a fiotti dalle sue labbra, come un fiume in piena portatore di
distruzione. «It makes such
an all mighty sound!».
Gold
riusciva perfettamente a udire quel rumore, di questo ne aveva l’assoluta
certezza. Nonostante fosse un ragazzino inesperto riguardo un simile campo, era
riuscito ad intuire che cosa si celava dietro quelle parole apparentemente
innocenti e pacifiche. Dopotutto, per quanto paradossale e insolito potesse
sembrare, era sempre stato capace di leggere il suo animo come se fosse un
libro aperto, senza mai sbagliare.
Forse,
dopo aver decodificato alla perfezione quel messaggio, sarebbe stato in grado
di salvarla. Ma come ci sarebbe riuscito un ragazzino di sedici anni? Come
avrebbe potuto strapparla da quell’agonia interiore e disintossicarla da quella
droga malsana? Era a dir poco impossibile riuscirvi; perfino lei, così
determinata e dotata di grande forza di volontà, aveva fallito nell’intento.
«As I move my
feet towards your body, I can hear this beat it fills my head up» riprese, mentrel’Allenatore la fissavaassorto e serioso come non mai. La
Domadraghi pregò con tutto il cuore che il suo volto
non stesse tradendo alcuna espressione, in modo tale che quel Tappo maledetto
non riuscisse a sorprenderla in quell’istante di debolezza. Forse avrebbe
dovuto smettere di cantare, ma come riuscirvi, quando le emozioni prendono il
sopravvento sulla ragione? «…And getslouder and louder».
Le
sue iridi color ghiaccio si posarono su quelle dorate di Gold, intrecciando lo
sguardo con il suo nel tentativo di leggere la sua mente. Non vi trovò alcuna
traccia di compassione o tristezza, a differenza di altri che solevano
guardarla in quel modo quando qualcuno aveva la malaugurata idea di nominare
Lance in sua presenza. Lui la osservava in modo apparentemente impassibile, rispettando
i suoi sentimenti, e si limitava a stare in religioso silenzio, in attesa che
lei continuasse a deliziarlo con il suono della sua voce.
«Itfillsmy head up and getslouder and louder» mormorò la
giovane donna a pochi centimetri dal suo viso, con voce leggermente tremante.
Per un inspiegabile motivo, quell’Allenatore la stava mettendo a dir poco in
soggezione. Smarrita nei suoi begli occhi oro, faticò a ricordare il testo
della canzone e le parole che avrebbe dovuto proferire. «Itmakessuch an allmighty so-!».
Ma
non fece in tempo a concludere il verso, che le sue labbra si ritrovarono
improvvisamente impegnate in un bacio inaspettato. Trattenne il respiro, non
appena la bocca del ragazzo si posò sulla sua in modo dolce e delicato,
mettendo a tacere il suo tormento e regalandole un fremito lungo la schiena.
Dopo
svariati secondi di indugio e confusione, Sandra mollò la presa sulla chitarra,
per intrecciare le dita nei capelli corvini dell’amico. Lo avvicinò a sé con
fare possessivo, permettendogli così di approfondire quel contatto puro e
intimo, fino a quel momento tanto desiderato – seppur inconsciamente – da entrambi.
«San,
dimmi la verità» ansimò Gold, dopo essersi allontanato a malavoglia dalla Capopalestra per l’esigenza di aria. Appoggiò la fronte
contro la sua e la guardò negli occhi, sfidandola a rispondere alla sua prossima
domanda in modo sincero. «Concentrati. Senti ancora quel rumore? Ti sta ancora
assordando?».
Il
volto della Domadraghi si dipinse all’improvviso di
un’espressione di puro stupore e le sue guance si velarono di rosso. Per quanto
si sforzasse di focalizzare tutta la sua attenzione sui suoi pensieri,
nonostante cercasse di udire anche un solo piccolo suono, la calma regnava
sovrana nel suo animo. Non vi era più nulla capace di stordirle i sensi, di
sfiancarla e di costringerla a scivolare a terra, sopraffatta dal peso
insopportabile del dolore. Inaspettatamente, ogni ricordo di tormento appariva
sfocato e confuso, quasi avvolto da una nebbia fitta e alquanto fastidiosa.
«Non
sento più nulla, Gold» sussurrò lei in risposta, mentre lacrime calde
sgorgavano traditrici dai suoi occhi. Dovette portarsi una mano alla guancia,
per accorgersi di quelle perle salate che le stavano rigando il volto, in
manifestazione di somma gioia. Finalmente, dopo anni di agonia, quell’incubo
era giunto finalmente al termine.
«Non
permettere mai a nessuno di trattarti ancora in questo modo» asserì serio l’Allenatore,
asciugando quel pianto silenzioso con due dita. Le sorrise dolcemente, con il
cuore traboccante di gioia e felicità. In quel momento, dire che si sentiva l’uomo
– o, per meglio dire, il ragazzo – più felice della terra era solo un mero
eufemismo.
«Se
te ne andassi, ti verrei a cercare» replicò la futura Maestra Drago,
socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due fessure ghiacciate alquanto
minacciose. «Sappi che, una volta che ti avrò trovato, non garantirò la tua
incolumità».
Ed
entrambi risero, prima di tornare a sugellare quelle promesse con altri dolci baci
e carezze delicate.
Allora. Partendo dal fatto
che a momenti mi dimentico che oggi è
Venerdì, eccomi qui con una shot davvero delirante. Anzitutto, permettetemi di
ringraziare di cuore Carolina, che si
è presa la briga di ascoltare i miei deliri mentre cercavo di salvare il salvabile e di inventarmi
qualcosa di decente per questa serata. Se non fosse stato per lei, forse oggi
non avreste nulla da leggere! Difatti, volevo dedicare a lei questa storia. Grazie di cuore, amore mio! ♥
Questa
storia è delirante, vi avverto. Non ha il benché minimo senso, dato che
è ispirata a Call Me Maybe
della Jepsen.
C’è un’ovvia ripresa della prima shot, che sicuramente noterete, nonché della quarta. In ogni caso, vi auguro sia di
vostro gradimento, miei adorati lettori! ♥
Ultima
cosa, ma non per importanza: ci
tenevo a ringraziare di cuore anche Greta
e Beatrice, nonché tutti i lettori
che mi seguono e che vanno matti per questa raccolta! Grazie di cuore! ♥
Pi esse: Alex e Megan mi appartengono. Gli “affissi”
(o secondi nomi, chiamateli come volete) che compaiono accanto ai nomi di
Sandra, Alex e Megan sono fonte della mia mente malata, unita a un generatore
di nomi di draghi. Eh no, non fate domande, accettatemi così come sono.
Quinta Settimana:
Messaggi
Il
trillare allegro del Pokègear riecheggiò per tutta la
Tana del Drago, catturando immediatamente l’attenzione dei Domadraghi
presenti. Da una settimana precisa, a cadenza regolare di cinque minuti, il
silenzio della grotta veniva spezzato in modo brusco dalla suoneria del
cellulare di Sandra.
Per
un oscuro motivo, la Capopalestra viveva in perfetta
simbiosi con quell’aggeggio rumoroso, senza mai separarsene per un solo
secondo. Molti erano stati tentati dal porre qualche quesito in merito a
quell’improvvisa dipendenza, eppure tutti vi avevano rinunciato, pur di non
incappare nell’ira funesta della loro superiore; se fino a quel momento lei non
aveva fatto parola con qualcuno, sicuramente doveva trattarsi di qualcosa di
privato e intimo.
Ignorare
l’espressione felice, che si dipingeva sul volto della futura Maestra Drago
ogni volta che riceveva un messaggino da parte di un mittente sconosciuto, era
praticamente impossibile. Le sue guance si velavano di rosso, per quanto le
labbra tradissero solo l’accenno di un sorriso imbarazzato. La giovane si
guardava sempre attorno con aria circospetta, prima di concentrare tutta la sua
attenzione su ciò che compariva sullo schermo acceso solo e solamente per lei.
Tuttavia,
in quel momento, il suo Gear giaceva miracolosamente incustodito su una roccia
fungente da ripiano improvvisato. Alex la Grande Fiamma, che in quel momento si
trovava poco distante dall’oggetto incriminato, fu colto dall’improvvisa
tentazione di prenderlo e risolvere il grande mistero che incuriosiva molti.
Purtroppo, non appena protese la mano per afferrarlo, una voce tuonò alle sue
spalle e lo colse in flagrante: «Lex! Passami il
Gear, subito!» ordinò la Domadraghi, che si trovava
nei pressi del grande lago interno.
Sospirando
e rassegnandosi all’idea di non poter compiere quella grande impresa, il
giovane prese la mira e scagliò il cellulare tra le mani della superiore. Il Pokègear atterrò con precisione magistrale tra le mani
della donna ma, sfortunatamente, schizzò via poco dopo dalla sua presa come se
fosse una saponetta.
Sandra
sbarrò gli occhi ghiacciati, mentre un sorriso nervoso si dipingeva sulle sue
labbra, ammirando il cellulare affondare nell’acqua scura del lago.
E
Alex cominciò a pronunciare le sue ultime preghiere, per poi impallidire sotto
lo sguardo assassino della Capopalestra.
Gold
sembrava sul punto di impazzire. Stando sulla soglia del Dojo
Lotta di Zafferanopoli, fissava lo schermo nero del
suo Pokègear con ansia, nell’attesa che Sandra
rispondesse a uno dei dieci messaggi mandati durante quei dieci minuti di
panico.
Da
quando si erano scambiati il loro primo bacio la settimana precedente, non
avevano fatto altro che tenersi in contatto tramite sms. Si scrivevano
praticamente ogni ora del giorno, a volte perfino di notte, rimpiangendo di
essere eccessivamente impegnati anche solo per incontrarsi alla taverna di Ebanopoli. Eppure, per qualche oscuro motivo, proprio
l’unica sera in cui potevano stare insieme per tanto tempo, Sandra non
rispondeva.
L’Allenatore
tremò, al solo pensare di averle detto qualcosa capace di urtarla o, peggio,
che le fosse successo qualcosa di grave durante l’allenamento.
Che
si fosse fatta male? Impossibile, lei avrebbe continuato a combattere fino allo
stremo.
Che
un drago l’avesse aggredita? Inammissibile. Era lei a fare paura ai Draghi, non
il contrario.
Che
qualcuno l’avesse aggredita? Un attimo, davvero qualcuno aveva il fegato di sorprendere
una come lei? Esisteva sul serio un simile pazzo?
Tuttavia,
per quanto quest’ipotesi si smentisse da sola, un brutto presentimento lo
assordava e gli contorceva le viscere. Con l’ansia che cresceva nel suo animo,
lanciò a terra la ball di Togetic,
risvegliando il povero volatile da un sonno profondo, e spiccò il volo,
dimenticandosi di portare con sé un Typhlosion che
protestava indignato.
«Dove
pensi di andare, bambolo?».
Una
mano si posò improvvisamente sulla spalla di Alex, in quel momento intento a
sgattaiolare via al più presto dalla Tana del Drago. Il Fantallenatore
volse leggermente la testa di lato, quel poco che bastava per scorgere il volto
iroso e scuro della sua Maestra a pochi centimetri dal suo. Tremò e un gemito
di paura sfuggì dalle sue labbra, non appena i suoi occhi si posarono su quelli
di brace della Capopalestra.
«S-sì,
mia Signora…?» balbettò con voce tremante, mentre la presa sulla sua spalla si
faceva sempre più ferrea.
«Per
colpa della tua pessima mira, non ho potuto leggere un messaggio di vitale
importanza!» sbraitò con voce rabbiosa la giovane donna, assordandolo e stordendolo.
Orgogliosa
come sempre, non aveva voluto ammettere le sue colpe. Piuttosto di confessare la
sua incapacità, aveva scaricato tutta la responsabilità sul suo allievo. Alex
la Grande Fiamma provò a controbattere ma, a giudicare dal modo in cui lei lo
stava squadrando, constatò che fosse meglio tacere.
«Adesso
tu vai immediatamente a prenderlo. Non riemergere fino a quando non lo trovi!».
Detto
questo, Sandra lo spinse con vigore nel lago, ignara del fatto che Alex non
sapesse nuotare.
Gold
fece il suo ingresso nella Tana del Drago, gridando a gran voce il nome di
Sandra. Sudato e con il fiato corto, si fece largo tra gli allievi intenti ad
allenarsi - che in quel momento lo stavano guardando come se fosse un pazzo
uscito dal manicomio -, alla disperata ricerca della Domadraghi.
Esplorò
ogni centimetro della grotta con lo sguardo, con il terrore di scovare da un
momento all’altro il corpo esanime della sua amata. Eppure, di lei non vi era
alcuna traccia.
Stanca
di sentirlo urlare come un disperato, senza proferire alcuna parola, la Fantallenatrice Megan lo afferrò bruscamente per un
braccio, ignorando le sue proteste e conducendolo dalla diretta interessata.
Inarcò un sopracciglio, non appena lesse commozione negli occhi di Gold, che si
era immediatamente precipitato da Sandra. In quel momento, per quanto strana
potesse sembrare quella situazione, era intenta a cercare qualcosa nel lago con
l’ausilio di un retino.
L’Allenatore
l’abbracciò e la strinse a sé con vigore, come se fosse stata una cosa
preziosissima che aveva rischiato di perdere. Inutile dire quanto si fosse
preoccupato per lei, non avendola vista né sentita per ben mezz’ora.
«Come
mai non hai risposto?» esclamò il giovane, mentre la strattonava con vigore. «Avevo
paura che ti fosse successo qualcosa!».
«Se
non fosse stato per un idiota» ringhiò sommessamente la Domadraghi
in risposta, indicando con stizza un corpo galleggiante in mezzo al laghetto,
apparentemente esanime «ti avrei risposto immediatamente. Ha lanciato il mio Gear
dentro l’acqua».
«Ma
quel tizio è ancora vivo?» domandò Gold, strabuzzando gli occhi e
preoccupandosi nel non vedere alcun movimento da parte di quello che a suo
parere sembrava un cadavere.
«Pensavo
sapesse nuotare. Comunque sì, è ancora vivo. Penso. Credo. Spero» rispose
Sandra, facendo spallucce, mentre ordinava con un cenno di capo a Megan di
andare a recuperare il suo collega. «Se muore, guai a lui. Mi deve ripagare i-».
Senza
che potesse aggiungere altro, Gold intrappolò le sue labbra in un bacio
ansioso, per scacciare tutta la paura che fino a quel momento l’aveva tormentato.
Assaporare le sue labbra fu la conferma che lei c’era ancora, che non l’aveva
abbandonato e che non l’aveva dimenticato. Sandra ricambiò con altrettanta passione quell’intimo
contatto, rilassandosi sotto quell’attenzione tanto affettuosa e bramata e
dimenticandosi di tutti i presenti che, in quel momento, li stavano fissando
stupiti e sconcertati.
Trascorsero
una manciata di secondi, prima che l’Allenatore la prendesse per mano e la
conducesse verso l’uscita della Tana. «Andiamo a comprare un altro Pokègear, presto! La battaglia può aspettare!».
Nel
frattempo, Megan dal Respiro di Fuoco si accinse a soccorrere il suo collega,
caricandolo sul dorso della sua Dragonair, mentre
osservava i due fidanzatini allontanarsi; alla fine, per quanto Sandra fosse
ben diversa da lei e dalle altre ragazze, era una donna innamorata e come tale
si comportava.
Sorrise,
sporgendosi e recuperando il Gear che galleggiava poco distante da lei, per poi
premere un pulsante e leggere il messaggio stagliato sullo schermo.
Ed eccomi qui con
un’altra shot! L’orario della pubblicazione è
improponibile (23:54! Mi faccio
molto schifo), però almeno sono riuscita a postarla ancora di Venerdì! Mi sento molto potente (NO).
Inizialmente avevo intenzione di scrivere qualcosa di demenziale – e avevo già
in mente cosa -, ma poi ho optato per qualcosa di più angst e introspettivo. Non preoccupatevi, il comico è rimandato alla
settimana prossima! Non temete.
In
questa fic, Sandra
è molto lunatica e molto emo, lo ammetto:
ultimamente avevo trascurato tanti aspetti di questo personaggio, che ho voluto
riprendere in questa fic. Tutti tendono a
considerarla insensibile e arcigna, ma non penso affatto che sia così (e lo ha
dimostrato più volte sia nel game sia nel
manga, eh). Anzi, in fondo, penso sia perfino fragile – ma questo non significa che sia arrendevole, anzi! Comunque sia, vi avverto: in questa fic, a volte Sandra userà termini un po' scurrili. Quindi, non sorprendetevi troppo, mi raccomando!
Per
quanto riguarda la storia, sappiate che il primo pezzo è un flashback, che mi auguro sia di vostro
gradimento! L’intera shot è ispirata alla canzone War of Change
dei ThousandFootKrutch. Detto questo, vi auguro buona lettura!
Edit del 30: Ho corretto ogni errore della fic, o almeno quelli più evidenti. A chi avesse letto ieri,
mi scuso per il disagio! Adesso spero sia tutto a posto. Se ci sono altri
sbagli, siete pregati di segnalarli!
Sesta Settimana:
Amare
«Non è giusto!».
L’urlo della giovane Fantallenatrice riecheggiò
per tutta la Tana del Drago, destando irrimediabilmente l’attenzione di tutti i
presenti. I Domadraghi interruppero
all’improvviso il loro allenamento, per poi voltarsi in direzione della giovane
e ammirare l’inferno che si sarebbe scatenato a breve.
Lacrime bollenti scorrevano lungo il volto di Sandra il Drago
Divino, in chiara dimostrazione della rabbia che divampava nel suo animo come
un incendio indomabile. Le sue iridi ghiacciate parevano accese dal fuoco
dell’astio, capace di bruciare e tramutare in cenere ogni cosa.
«Come hai potuto…?!» sibilò indignata in direzione di colui che
l’aveva appena sconfitta nella battaglia più importante della sua vita. Digrignò
i denti, mettendosi in posizione di attacco, pronta a sorprendere il suo
avversario e punirlo per quel simile affronto.
Lance il Drago Valoroso aveva appena infranto il suo sogno,
distruggendolo e tramutandolo in polvere in balia del vento. L’aveva privata di
un futuro e aveva distrutto il suo avvenire, vanificando ogni sforzo fatto per
giungere fino a quel punto. L’aveva umiliata e aveva ottenuto quella maledetta
approvazione che neppure lei non era stata in grado di ricevere.
Suo cugino aveva appena raggiunto il tanto agognato traguardo
della ragazza, strappandole di mano quel ruolo fino ad allora tanto bramato.
Sarebbe diventato ilCapopalestra della città e
nessuno sarebbe stato in grado di impedirglielo, tanto meno lei. In barba a
tutti i sogni che gli aveva confessato durante i viaggi e gli allenamenti,
l’aveva appena privata di ciò per cui aveva impiegato anima e corpo.
Senza badare a tutti gli sguardi puntati su di sé, Sandra scattò
in avanti, pronta a cimentarsi in un duello corpo a corpo con il parente
traditore. Rapida e precisa, gli assestò un violento pugno sulla mascella,
costringendolo ad indietreggiare di qualche passo e facendolo perfino scivolare
a terra. Si avventò senza pietà su di lui, in quel momento inerme, pronta a
scaricare un’altra raffica di pugni. Il Fantallenatore,
nonostante si trovasse in serio pericolo, non oppose alcuna resistenza.
Se non fosse stato per l’intervento di alcuni veterani, che
afferrarono bruscamente Sandra per le spalle e la trascinarono via da lui,
forse Lance sarebbe perito sotto la sua furia – perché sì, accecata com’era
dall’ira, sarebbe arrivata perfino ad uccidere il suo amato cugino. In quel
momento, la gelosia e l’invidia avevano prevalso su sentimenti e legami.
«Maledetto bastardo!» sbraitò, cercando inutilmente di
divincolarsi dalla salda presa dei Domadraghi.
«Dovevi proprio rovinare tutto?! Tu sapevi quanto era importante per me! Lo hai
sempre saputo!».
Sconfitta, si lasciò cadere con le ginocchia a terra,
singhiozzando sommessamente per la furia e per il dolore. Umiliata e
rassegnata, continuò a chiamare il nome del ragazzo con voce flebile, sebbene
si potesse rintracciare un certo astio nel suo tono.
«Perché lo hai fatto?» mormorò poco dopo, interrompendo quella
litania, non appena tutti si allontanarono da loro. «Sapevi quanto desideravo
diventare Capopalestra. Perché mi hai tradito?
Perché?».
«Sandra, calmati» le ordinò serioso Lance, cercando invano di
tamponare il labbro sanguinante con la manica della sua divisa. Avrebbe tanto
voluto avvicinarsi a lei e abbracciarla, per calmarla e rassicurarla, ma
constatò come fosse poco salutare farlo – a meno di non voler rimediare qualche
altro ematoma.
«Come faccio a calmarmi?!» ringhiò la Fantallenatrice,
fulminandolo con lo sguardo, seriamente tentata dall’avventarsi nuovamente sul
suo corpo, ora che non vi era nessuno nelle vicinanze. Avrebbe tanto desiderato
strangolarlo e poco le importavano le conseguenze; aveva già perso tutto: che
cosa poteva esserci di peggio di quella umiliazione? Solo una condanna
all’esilio, forse. Ma l’avrebbe anche gradita, dopo un simile colpo inferto al
suo orgoglio. «Mi hai portato via tutto! Tu e quella dannata approvazione! Tu e
quel maledetto di mio Nonno, con le sue stronzate sull’amore e sull’affetto!».
«Ringrazia che queste stronzate esistono davvero» replicò seccato
l’altro, discostando lo sguardo dal suo volto astioso. Facendosi leva sulle
braccia, si rialzò a fatica, per poi mettersi le mani in tasca e guardarla
dall’alto. «Altrimenti il tuo sogno non si sarebbe realizzato».
«Di che cosa parli?! Io non desideravo essere umiliata da un
idiota come te!».
«Piacere di conoscerla, Capopalestra Sandra».
La Fantallenatrice sbarrò gli
occhi, sinceramente colpita. Che cosa significavano quelle parole? Erano
veritiere, oppure erano canzonatorie? Difficile dirlo, date le loro condizioni
in quel momento; fraintendere era semplice e risultava davvero complicato
comprendere ciò che realmente pensavano.
Pietrificata, non trovò nemmeno la forza di rimettersi in piedi.
Rimase a terra, confusa e frastornata come non mai, mentre scrutava in silenzio
il viso triste del cugino.
«Che cosa diavolo significa?» sussurrò a voce bassa, in modo tale
che potesse udirla solamente lui. «Se è l’ennesima presa per il culo, giuro che
ti annego nel lago».
«Significa che il Maestro, approvazione o meno, ha deciso di darti
questo incarico» spiegò brevemente il Fantallenatore,
porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi - mano che venne immediatamente
scostata in modo brusco, con un sonoro schiaffo, dalla Capopalestra in
questione.
«E tu?» domandò la giovane Domadraghi,
talmente sconvolta da non riuscire neppure a gioire di quella fantastica
notizia. Davvero il suo sogno di bambina era divenuto realtà? In quel momento,
però, la sua attenzione era completamente focalizzata sul suo adorato parente.
«Perché non ha dato quell’incarico a te?».
«Perché io non lo voglio» rispose semplicemente Lance, per poi
scompigliarle affettuosamente i capelli. Le rivolse un sorrisetto beffardo,
prima di voltarle le spalle e avviarsi lentamente verso l’uscita della grotta.
«Ambisco a qualcosa di più grande, San!».
«Ma vaffanculo, montato» fu la replica della ragazza,
immediatamente seguita da una risatina bassa e malinconica.
«Un simile linguaggio scurrile non si addice ad una potenza
di Ebanopoli, cara Sandra» rise quello che un
giorno sarebbe diventato Campione, salutandola con un cenno di mano. «E vedi di
impegnarti per ottenere quella benedetta approvazione! Attendo quel momento con
ansia, sappilo. Voglio essere il primo a sapere del tuo successo».
«Te lo prometto. Buona fortuna» fu l’ultimo sussurro di Sandra,
indirizzato al giovane a cui sinceramente doveva tanto. Augurio che non giunse
alle sue orecchie, dato che aveva abbandonato la grotta ancor prima di poter
udire queste sue ultime parole. «E ci riuscirò prima di quanto tu pensi,
maledetta carogna!».
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio d’acqua, scrutando
con attenzione il suo bel volto dipinto di una smorfia di rabbia e di dolore.
Sandra guardò con disprezzo se stessa, accusandosi con lo sguardo di essere un
fallimento, di essere inferiore a quel maledetto cugino che anni addietro si
era comportato in modo nobile. L’aveva umiliata, spiazzata, privandola
dell’onore e dell’orgoglio: eppure, se non fosse stato per lui, in quel momento non
sarebbe stata Capopalestra.
Come poteva dire di essersi guadagnata quel maledettissimo titolo,
se le era stato praticamente ceduto? Era una seconda scelta, un ripiego sul
quale il Maestro Drago aveva dovuto fare affidamento per il controllo di Ebanopoli - una maledetta ruota di scorta,
ecco cos’era. Fino a quando non avrebbe ottenuto quella dannatissima
approvazione, sarebbe rimasta per sempre nell’ombra di Lance.
Digrignò i denti, infrangendo un pugno sulla superficie del lago e
distruggendo quella figura elegante che si mostrava davanti a sé. Seduta in un
angolo remoto della Tana del Drago, alla larga da occhi indiscreti, si ritrovò
a piangere sommessamente - per la rabbia, per l’onore, per il dolore, ma
soprattutto per se stessa.
Anche quel giorno, aveva impiegato anima e corpo per superare la
prova del Maestro, pur di dimostrare a tutti – e in primo luogo a lei – di
essere davvero degna del suo titolo. Si era perfino studiata a memoria le
risposte corrette da pronunciare ad ogni domanda posta, eppure non era servito
a nulla: Si vede che le risposte non vengono dal tuo cuore si
era limitato a replicare suo nonno, scuotendo la testa con tristezza, prima di
congedarla e darle in dono l’ennesima sconfitta.
Dove aveva sbagliato? Che cosa le mancava per essere una
vera Domadraghi? Sinceramente, Sandra non ne
aveva la benché minima idea. Possedeva tutte le migliori qualità di un vero
Maestro Drago: orgoglio, onore, forza, abilità, velocità, arguzia e astuzia;
doti che erano state sviluppate al meglio e che erano di gran lunga migliori
rispetto a quelle di Lance. Che cosa aveva, allora, in più di lei? Perché lui
era uno dei prescelti e lei no?
I saggi dicevano che il suo cuore era in carenza di amore, che non
voleva bene a sufficienza alla sua squadra. Tutte stronzate, a
detta sua, inutili valori con i quali non avrebbe mai raggiunto la vittoria.
Chi nutriva pietà nei confronti del nemico veniva sconfitto e raggirato dallo
stesso. Non c’era vita per i buoni samaritani, su questo Sandra non nutriva
alcun dubbio.
Eppure suo cugino era stato in grado di sconfiggerla proprio
grazie a quei valori. E, ironia della sorte, non era stato il solo. Qualcun
altro, sempre grazie a quegli ideali, l’aveva stracciata e umiliata,
deponendola dal suo alto trono e macchiando la sua gloriosa carriera con una
sonora sconfitta.
Un qualcun altro che, nonostante fosse Venerdì sera, non aveva
ancora chiamato, presa com’era dall’ennesimo fallimento.
«Sapevo di trovarti qui» la sorprese improvvisamente una voce
familiare e conosciuta, destandola dai suoi oscuri pensieri e costringendola a
distogliere lo sguardo dalla sua immagine riflessa nel lago. «Ti avrò chiamata
come minimo una ventina di volte. Mi farai morire dalla preoccupazione, prima o
poi».
Parli del diavolo… pensò la Capopalestra, prima
di curvare le labbra in un mesto sorriso. Gold possedeva l’innata capacità di
comparire davanti ai suoi occhi proprio nel momento del bisogno. Forse era
dotato di un grande sesto senso, oppure era fortunato e si trovava sempre al
posto giusto nel momento giusto.
«Come vedi, sono ancora tutta intera» esclamò la giovane donna,
facendo leva sulle braccia e rialzandosi, per poter guardare l’Allenatore negli
occhi. «Sono pronta a conciarti per le feste con un duello, se è questo che
desideri».
Effettivamente, lottare avrebbe giovato al suo umore. Furibonda
con se stessa com’era, sicuramente avrebbe dato anima e corpo in quella
battaglia e, forse, sarebbe perfino riuscita a prendersi la sua rivincita sul
ragazzo una volta per tutte. Poco importava la loro relazione, in quel momento:
aveva un animo ferito da curare e poco importava il modo in cui avrebbe sanato
quelle ferite profonde. Lui avrebbe certamente capito la sua esigenza.
Eppure, nonostante quella provocazione aperta, l’altro rimase
impassibile. Serioso come non mai, la fissò in modo inespressivo, intento a
studiare la sua espressione e ciò che traspariva dalle sue iridi ghiacciate.
Avrebbe letto i suoi pensieri e avrebbe intuito quasi sicuramente la fonte del
suo malumore; non sapeva dire se fosse una cosa buona o meno: il fatto che il
suo ragazzo si impicciasse nei suoi affari le donava un piacere immenso, in
quanto si sentiva amata e considerata, ma la irritava al contempo.
«Non ho passato l’esame» asserì la Domadraghi,
antecedendo la domanda ormai imminente del suo ragazzo. Distolse lo sguardo dal
suo volto, furibonda, per posarlo sul tempio poco distante da loro. Socchiuse
gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, mentre serrava i pugni.
«Ancora. Sarà la centesima volta, ormai».
Gold rimase in rispettoso silenzio, nell’attesa che la giovane
concludesse il suo discorso. Come sempre, l’avrebbe lasciata sfogare, cercando
nel frattempo le parole giuste in grado di placare il suo animo tormentato: per
quanto fosse più giovane di lei, sapeva sempre come sopire la sua ira e domarla
– forse era lui il vero Domadraghi tra i
due, effettivamente, se era capace di controllare un animo indomito come il
suo.
«Se non lo passo, non potrò mai considerarmi una Capopalestra a tutti gli effetti! E non potrò mai
diventare la futura Maestra Drago!» sibilò a bassa voce, in modo freddo e
tagliente, con voce rotta dalla furia. «Lance prenderà il posto di mio nonno,
di questo passo. Rivestirà un ruolo che voglio io! Ma che diavolo ha in più di
me, quel maledetto idiota?! Il saper amare l’altro?! È una stronzata!».
Una risatina ilare sfuggì dalle labbra dell’Allenatore, nonostante
l’aura pesante di dolore e rabbia che aleggiava attorno a loro. Sandra si voltò
di scatto in sua direzione, provando estremo disappunto nei confronti del suo
divertimento: stava gioendo della sua disperazione, forse?
«Rido perché hai appena dato della stronzata a una cosa che sai
fare benissimo anche tu» si giustificò il ragazzo, sorridendole di cuore.
«Lance non ha nulla in più di te, sappilo. Anzi, forse ora ha qualcosa in meno
di te, sicuramente».
«Che cosa stai dicendo…?» domandò confusa la giovane donna,
inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto. Le parole
dell’altro suonavano criptiche e impossibili da comprendere, all’apparenza.
Gold accese il suo PokéGear, per
poi mostrare alla sua ragazza uno dei tanti messaggi ricevuti da lei stessa. “Prova
solo a sparire e io ti inseguirò per il mondo intero, pur di trovarti”,
citava il testo “Sei troppo importante per me”.
«Sei capace di amare, Sandra» aggiunse successivamente, per poi
riporre il suo cellulare in tasca. Accarezzò il suo volto con dolcezza,
guardandola negli occhi. «Forse non sei capace di mostrare completamente i tuoi
sentimenti, ma io sono qui apposta per aiutarti. Che ne dici se cominciamo ad
allenarci insieme, così magari ti insegno come ci si comporta con chi si vuole
bene?».
Istintivamente, la Capopalestra inclinò
leggermente il capo, interrompendo improvvisamente il discorso di Gold per
intrappolare le sue labbra morbide in un bacio lento e dolce, ma anche
passionale. Intrecciò le dita nei suoi capelli corvini, attirandolo a sé per
approfondire quel contatto intimo, e accolse il suo corpo tra le braccia,
stringendolo in un abbraccio caldo e carico di affetto.
Quando interruppero quell’unione, entrambi ansimavano, alla
ricerca di aria.
«Questo è già un ottimo inizio, direi» mormorò il giovane, mentre
le sue guance si imporporavano di rosso.
Ed entrambi scoppiarono a ridere, per poi prendersi per mano e iniziare
la loro prima lezione.
Buona sera a tutti
quanti, carissimi lettori! Come ogni Venerdì
sera, ecco a voi una bella (no)Bakuryu! Anzitutto, comincio col dire che questa storia non ha senso.
È frutto di un delirio della settimana scorsa, nato per caso e creato per… per cosa? Boh. ♥
Doveva
essere una cosa delirante e comica, ma alla fine ho combinato tanti casini ed è nato qualcosa di indefinibile.
Tutto nella norma, insomma. Volevo dedicare questo capitolo a Greta e Carolina, perché fanno davvero
tanto per me. Troppo. Grazie di cuore, dolcezze. ♥
Ho
scritto questa shot ispirandomi alla canzone Va vavoom di NickiMinaj (sebbene non ami questo genere di canzoni, ci sta
perfettamente. Non chiedetemi perché). Inoltre, c’è una ripresa della quinta
settimana, data anche l’apparizione dei personaggi Alex Grande Fiamma (click!)e
Megan Respiro di Fuoco (click!). Non
chiedetemi come ho tirato fuori l’idea del combattimento corpo a corpo, perché non lo so neppure io. Ultimo appunto: i
vestiti che Sandra indossa sono quelli che aveva all’epoca di O/A/C, ossia
quella tutina microscopica blu (notte?).
Se non l’avete presente, pazienza.
Concludo
ringraziando ancora quei poveri diavoli che seguono questa raccolta! Mi auguro
che questo capitolo sia di vostro gradimento, dolcezze.Buona lettura! ♥
Settima Settimana:
Manifestazione
Gold
controllò un’ultima volta che tutte le sue Pokéball
fossero nella cintola, prima di addentrarsi nella fitte tenebre della Tana del
Drago. Quel Venerdì sera si stava preannunciando insolito e ricco
di sorprese: Sandra aveva appena rifiutato la sua sfida a Zafferanopoli,
per invitarlo invece a combattere nella grotta, ove lei soleva allenarsi ogni
giorno.
L’Allenatore
procedette a tentoni nell’oscurità, fino a quando non si ritrovò nei pressi del
grande lago: tutto attorno a lui era illuminato da torce accese, che donavano
al luogo un’atmosfera mistica e al contempo inquietante. Chissà quali insidie
si celavano nell’ombra. Per un breve istante, il ragazzo non poté fare a meno
di domandarsi come la sua compagna fosse capace di esercitarsi in un posto simile,
specie durante la notte.
Inspirò
profondamente, lasciando che i polmoni si riempissero di quell’aria cruda e
pungente, per poi riprendere ad avanzare lentamente e con circospezione. Il
rumore dei suoi passi riecheggiava in modo sinistro tra le pareti rocciose e
ciò non fece altro che alimentare l’ansia del giovane.
Dov’era
la sua Domadraghi? Perché quel luogo sacro pareva
deserto, quando di solito era gremito di Fantallenatori
intenti a duellare tra loro? Nessuno lo aveva accolto, né si era mostrato: una
situazione alquanto insolita, dato che ad organizzare quell’incontro era stata
la Capopalestra. Si sarebbe aspettato un’accoglienza
calorosa, accompagnata anche da un beffardo “Ora ti concio per le feste, Nano malefico”, invece di quel silenzio
tombale.
Che
fosse successo qualcosa a Sandra e ai suoi compari, mentre lui si trovava in
viaggio alla volta di Ebanopoli? Ipotesi da non
trascurare, sebbene fosse consapevole di quanto fosse grande la potenza della
sua adorata: non si sarebbe lasciata sottomettere da nessuno, né si sarebbe arresa
a qualcuno.
Nonostante
questo pensiero in parte confortante, non poté fare a meno di esibire una certa
preoccupazione – che immediatamente scemò, non appena giunse nel luogo dove
solitamente si trovava con la futura Maestra Drago.
Un
sospiro di sollievo sfuggì dalle sue labbra, quando scorse la figura di Sandra
a pochi passi da lui. Fiera e potente come non l’aveva mai vista, in piedi e
con le braccia conserte al petto, fissava in modo inespressivo lo specchio d’acqua
stagliato di fronte a sé.
«Serata
perfetta per un bel combattimento, vero?» esordì la Domadraghi,
non appena Gold la affiancò, anticipando il suo saluto. Un sorriso beffardo e
compiaciuto si dipinse sul suo volto, mentre scrutava la figura del suo amato
con la coda dell’occhio. «Allora, siamo pronti per dare inizio alle danze?».
«Ma
come mai non c’è nessuno?» domandò invece il ragazzo, mostrandosi sinceramente
perplesso. Effettivamente, trovava insolito il fatto che solo la Capopalestra si trovasse nella Tana del Drago: dov’erano
finiti tutti quei Fantallenatori, curiosi di vedere
lo sviluppo della loro strana storia d’amore?
«Non
siamo soli, Gold» esclamò la giovane donna in risposta, schioccando le dita.
Immediatamente, decine di persone si
mostrarono alla luce fioca e morbida delle torce, pubblico improvvisato – o forse
non così tanto – della sfida ormai prossima. «Sono tutti qui, come puoi vedere,
pronti ad assistere alla tua disfatta».
Sandra
alzò le braccia verso l’alto e, poco dopo, un boato di urla si levò alle sue
spalle. Il suo nome, gridato a gran voce da tutti i presenti, riecheggiava tra
le pareti rocciose della grotta. Bella e terribile, si sbarazzò del suo
mantello, per poi avvicinarsi a passo leggiadro ed elegante al suo fidanzato. L’Allenatore
strabuzzò gli occhi, incantandosi per qualche istante di fronte a quella
stupenda e letale visione: divina come sempre, la ragazza indossava una tuta
aderente diversa da solito, color notte, che metteva in evidenza le sue curve
prosperose – un’immagine ammaliante che accendeva i suoi desideri, spingendolo
a desiderare di gettarsi tra le sue braccia e intrappolare la sua bocca in un
bacio poco casto.
«Quando
vuoi cominciare, io sono pronto» rispose, riscuotendosi a forza dai suoi
pensieri, carico ed esaltato come non mai. Afferrò la Pokéball
di Typhlosion dalla cintola, pronto a chiamare in
gioco il suo fedele amico.
Tuttavia,
la mano inguantata della sua avversaria gli bloccò il polso, impedendogli così
di fare alcunché. «Che cosa significa?» chiese lui, colpito e incapace di
comprendere che cosa stesse succedendo.
La
Domadraghi sorrise a pochi centimetri dal suo viso. «Significa
che questa non ti serve. Non vedi? La nostra battaglia è già cominciata».
Il
ragazzo non fece in tempo a domandare a che cosa si stesse riferendo: la Capopalestra gli assestò un colpo secco su una spalla e gli
fece lo sgambetto, facendolo cadere rovinosamente a terra. Ancora in posizione
d’attacco, rise beffardamente, canzonandolo e deridendolo con lo sguardo. «Alzati
e comportati da uomo, Tappo».
Quella
situazione stava diventando a dir poco assurda. Per quale motivo la futura
Maestra Drago aveva deciso di cimentarsi in una sottospecie di combattimento
corpo a corpo, pur sapendo di trovarsi in netto vantaggio rispetto al suo
nemico? Era una lotta impari, di questo ne erano ben consci entrambi. Eppure,
nessuno dei due aveva intenzione di fermarsi o di prestare attenzione a questo
dettaglio.
«Ma
fare una lotta Pokémon non sarebbe stato più
semplice?» propose il giovane, rialzandosi. Si mise sulla difensiva, senza
abbassare la guardia, in attesa della mossa successiva della sua bella.
Il
pugno dell’altra saettò in direzione del suo volto, per poi fermarsi a pochi
centimetri dalla radice del suo naso. «Non sarebbe stato altrettanto divertente»
soffiò sulle sue labbra, suadente e sensuale come sempre. «E poi qui tutti
vogliono vedere un bel combattimento come si deve. Sii uomo e dimostra di
essere degno di me».
Con
le gote imporporate di rosso e incitato da quella chiara provocazione, Gold
raccolse il coraggio a due mani e fece affidamento a tutta la sua forza,
sferrando così un attacco in direzione del bel corpo sinuoso dell’amata – attacco
che, inevitabilmente, venne intercettato e bloccato senza alcuna fatica.
Sandra
scosse il capo con estremo disappunto. «Vedi di impegnarti, se vuoi perdere con
almeno un briciolo di onore!».
L’Allenatore
socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, pronto a
dimostrarle il suo vero valore. La sua sconfitta non era poi così scontata:
sarà anche stato più giovane dell’avversaria e non avrà ricevuto il suo stesso
addestramento, però in qualche modo avrebbe potuto darle filo da torcere – o almeno,
provava inutilmente a convincersi di questo.
Attese
l’arrivo della sua innamorata, cercando di studiare i suoi movimenti e di
capire con quale mossa avrebbe cercato di sorprenderlo. Avrebbe sicuramente
provato ad ingannarlo, pur di umiliarlo, magari ricorrendo ad una finta prima
di attaccarlo sul serio.
E
così accadde. La ragazza scattò verso il giovane uomo, minacciando di colpirlo
con un montante. Pronto all’ultimo secondo, però, girò su se stessa e si
abbassò, pronta a fargli uno sgambetto capace di spingerlo nel lago.
Prontamente, lui fece un balzo all’indietro, evitando così la sua azione appena
in tempo.
«Notevole»
mormorò alquanto stupita, con una nota derisoria nella sua voce. Saettò ancora
in direzione della sua preda, pronta a colpirlo. Proprio quando era sul punto
di assestare un attacco sul petto del giovane, si trovò costretta a inclinare
leggermente il capo di lato, appena in tempo per evitare di essere colpita in
viso dal pugno dell’Allenatore. L’aria smossa fece ondeggiare leggermente i
suoi capelli azzurri e le solleticò il collo.
Le
labbra di Sandra si curvarono in un sorriso nervoso e denotante irritazione.
«Ora
comincio a fare sul serio, Nano. Puoi dichiararti ufficialmente defunto».
C’era
chi chiamava a gran voce il nome della Capopalestra,
incitandola a vincere quella sfida.
C’era
chi cantava l’inno dei Domadraghi e batteva il tacco
dello stivale a ritmo, per regalare un’atmosfera adrenalinica a quella sfida.
C’era
chi sembrava vivere quella lotta sulla propria pelle, urlando consigli –
inutili, data la sua esperienza in combattimenti – alla futura Maestra Drago.
E
c’era chi, invece, tifava silenziosamente per Gold.
Alex
la Grande Fiamma scrutò la scena senza proferire parola, studiando il modo in
cui Sandra il Drago Divino sferrava ripetuti attacchi a un povero Allenatore,
che in quel momento indietreggiava e cercava di evitare quella raffica di colpi
letali.
Povero
ragazzo, gli faceva quasi pena. Ancora faticava a comprendere come si fosse
innamorato della loro superiore e quanto la amasse, per essere disposto a
sopportare tutto questo. Lo guardava sorridere, mentre schivava con timore ma
al contempo divertimento tutti i pugni della sua amata. Nonostante il rischio e
la situazione a dir poco assurda, lui pareva essere felice come non mai. Negli
occhi di entrambi gli sfidanti si leggeva gioia, nonché adrenalina.
«Sembra
che stiano danzando» mormorò alle sue spalle Megan dal Respiro di Fuoco, cogliendolo
alla sprovvista. Una risatina sfuggì dalle labbra della giovane Fantallenatrice, non appena l’altro sobbalzò per lo
spavento. «Non pensi anche tu?».
«Penso
che Sandra avrebbe anche potuto evitare tutto questo» mormorò a bassa voce, portandosi
una mano al viso non appena vide il ragazzo scivolare a terra per l’ennesima
volta.
La
sua compagna di allenamenti curvò le labbra in un sorriso sincero, mentre si
soffermava ad osservare i due combattenti. «Stiamo sempre parlando del nostro
Capo, Alex. Lei ha un modo tutto particolare di amare le persone. Un modo
speciale, che Gold a quanto pare apprezza» giustificò, per poi voltarsi verso l’altro
e deriderlo con lo sguardo. «E poi, se tanto la critichi, perché fino a poco
tempo fa hai fatto il tifo per lei? Non aveva cercato di annegarti, due
settimane fa?».
«Appunto
per questo l’ho fatto!» replicò il giovane dai capelli biondi, innervosendosi e
tremando al solo ricordo di quell’orribile esperienza. «Se non mi sente fare il
tifo per lei, è la volta buona che mi annega davvero».
Il
Fantallenatore arrossì leggermente, non appena una
risata cristallina sfuggì dalle labbra dell’amica. E tornò a fissare gli altri
due, riflettendo sulle precedenti parole dell’altra e scorgendo effettivamente
Amore che si manifestava anche in quella situazione a dir poco assurda.
«Dì
la verità, San: li hai pagati molto bene, per assistere a tutto questo e farti
pure il tifo» esclamò Gold, scartando l’ennesimo colpo in sua direzione. Ci mancò
poco che un pugno lo colpisse in pieno volto, dato che aveva appena abbassato
la guardia per via di tutte quelle grida che non facevano altro che distrarlo. «Che
cosa hai promesso in cambio di questo coro da stadio?».
Sandra
rise, per poi fermarsi un breve istante e scuotere il capo con disappunto. Puntò
le mani sui fianchi e interruppe la sua scarica di attacchi, dando così tregua
a un martoriato e affannato Allenatore. «Lo stanno facendo solo perché credono
in me, mica per altro».
Il
giovane si passò una mano nei capelli corvini, sospirando: a chi sperava di
darla a bere? Era evidente che tutti quei Fantallenatori
si trovavano lì per timore di incappare nell’ira funesta della loro superiore.
Forse erano davvero interessati alla sfida, magari qualcuno considerava davvero
la Domadraghi un idolo da ammirare, eppure era troppo
strano che proprio tutti – perfino quel poveretto che aveva quasi annegato
poche settimane prima! – gridassero a gran voce il suo nome all’unisono.
«Ma
poi, dimmi, perché stiamo facendo tutto questo?» domandò il ragazzo,
sinceramente incuriosito. Era da quando avevano iniziato a combattere che non
aveva fatto altro che chiederselo. «Non avremmo potuto semplicemente schierare
i nostri Pokémon?».
La
Capopalestra fece scrocchiare le nocche delle mani,
per poi fare un po’ di stretching con le braccia. Esibì un’espressione beffarda,
alzando gli occhi verso l’alto. «Lo faccio per farti un favore. In pochi hanno
avuto l’onore di allenarsi in questo modo con me, sappilo» ridacchiò, per poi
rimettersi in posizione di attacco. «Consideralo un regalo da parte mia, come
amica».
«Ringrazio
di non essere tuo nemico, allora» rispose l’altro, indietreggiando impaurito.
Eppure, il suo sorriso sereno e sincero non scomparve dal suo volto. Ogni volta
che incrociava lo sguardo di Sandra, per quanto temesse di incassare qualche colpo
da parte sua, non smetteva mai di mostrarsi contento, anche se si trovava in
una situazione simile. Il solo stare al suo fianco lo gratificava alquanto.
«Ti
amo, quando fai così» mormorò la Domadraghi, per poi
portarsi una mano alle labbra e arrossire imbarazzata, non appena si accorse di
ciò che aveva appena affermato. Socchiuse gli occhi fino a farli divenire due
fessure minacciose, fulminando Gold con lo sguardo, e caricò l’ennesimo
montante, pronta a colpire con tutta la sua forza il giovane. «Maledizione a
te! Guarda che razze di cose mi fai dire!».
E
Gold non poté fare a meno di ridere, mentre evitava l’ennesimo attacco di
Sandra. Poco importava quanti ematomi avrebbe dovuto curare, una volta tornato
a casa: se questo serviva per spingere la sua bella a confessare il proprio
amore, allora valeva la pena subire ogni cosa, pur di godere di quella felicità
che in quel momento traboccava dal suo cuore.
Io dovrei essere a studiare, ora, ma chissenefrega. Sapevo di dover
scrivere questa Bakuryu,
quindi neanche la genetica è stata capace di fermarmi. Eh, io mica voglio
deludere i miei lettori. E poi questa raccolta mi sta particolarmente a cuore, data la coppia amorevole.♥
Inizialmente
avevo intenzione di fare qualcosa di fluff-comico
ma, siccome la mia testa bacata fa il contrario di ciò che voglio, sono
arrivata a scrivere qualcosa di introspettivo
(angst?). E vabbè, accontentatevi. Ultimamente
sono così tanto incasinata che non so neppure da che parte sono girata. Wow.
La
prima parte della storia riguarda un flashback,
quindi ecco spiegato perché nell’icon qui a fianco
compare Sandra bambina. Finalmente
voi lettori conoscerete i genitori di
Sandra(tranquilli, non sono schizzati come la figlia) o, per meglio
dire, almeno verranno introdotti. Diciamo che avranno un ruolo di rilevante
importanza nella raccolta, ecco. ♥
Io
li immagino così e così. Ovviamente queste sono immagini di come sarebbero da
giovani, ancora prima della nascita di
Sandra. Però almeno vi fate un’idea di come sono, no? Inoltre, ho scritto
questo capitolo mentre ascoltavo questa canzone, che ho individuato come
tematica per la famiglia di Sandra. Non so, per me è perfetta per loro. ♥
Ci
tenevo a dedicare questo capitolo alla mia Famiglia,
in particolare a Aki, Cre e
Koh! Buona lettura a tutti! ♥
Ottava Settimana:
Ricordi
La bambina dai
capelli azzurri gonfiò le guance a palloncino, mentre una smorfia di disappunto
si dipingeva sul suo volto latteo. Scoccò un’occhiata di fuoco nei confronti
dell’uomo che le stava di fronte, puntando i suoi occhi ghiacciati in quelli
smeraldini dell’altro.
«Perché non
posso venire con te, papà?» protestò la piccola, per poi afferrare il mantello
del padre e strattonarlo più volte con forza – un gesto infantile e buffo che
suscitò una certa ilarità nell’adulto, che a stento soffocò una risatina
divertita. «Voglio partecipare anche io alla missione!».
Il Capopalestra di Ebanopoli si
chinò all’altezza della figlia e curvò le labbra in un sorriso carico di
dolcezza, quando le scompigliò i capelli con affettuosa giocosità. Il volto
della sua piccola era rosso e iroso, contratto in un’espressione di profonda
rabbia. Per quanto il suo carattere fosse piuttosto indomabile, specie quando
faceva i capricci, la trovava a dir poco adorabile. «San, è troppo pericoloso. Non
voglio che ti faccia male».
«Ma io non
voglio restare qui» sbuffò Sandra, rifiutando le carezze gentili del genitore.
Strinse le piccole mani in due pugnetti, furibonda come non mai. «Voglio venire
con te!».
Edgar scosse la
testa, mentre dalle sue labbra sfuggiva un sospiro esasperato. Per quanto
adorasse il carattere determinato e irruente della pargola, in quel frangente
lo considerò come un ostacolo fastidioso e difficile da superare. Conosceva
bene il sangue del suo sangue e sapeva benissimo che difficilmente avrebbe
retrocesso: pur di ottenere ciò che desiderava per capriccio, non avrebbe
esitato a seguirlo anche senza il suo permesso. Sebbene fosse un’infante di
pochi anni di vita, aveva già dimostrato in passato di essere in grado di
compiere simili gesti – cosa che aveva suscitato lo stupore e al contempo l’ira
del suddetto papà.
«Non puoi
lasciare sola la mamma» le ricordò, giocando la carta del sentimentalismo e del
legame che correva tra madre e figlia. Toccando quel punto sensibile del suo
animo, forse l’avrebbe convinta a restare a Ebanopoli
e attendere il suo ritorno. «E poi qualcuno deve pur proteggere il paese, no? E
tu sei l’unica in grado di farlo».
L’orgoglio della
bambina crebbe a dismisura, come da previsione del Domadraghi.
Con gli occhi luccicanti di gioia e di entusiasmo, annuì con vigore,
mostrandosi combattiva come non mai. Suo padre stava riponendo enorme fiducia
in lei, affidandole perfino famiglia e cittadini! Non avrebbe potuto desiderare
di meglio.
«E va bene, lo
farò» esclamò la piccola, mostrandosi però ancora insoddisfatta. L’idea di
dover trascorrere le giornate al fianco della madre Draigen
senza potersi allenare con il suo Maestro la disturbava alquanto. Ammiccò con
un cenno di capo al piccolo Pokémon al suo fianco,
mentre le sue labbra si curvavano nell’accenno di un sorrisetto beffardo. «Horsea ed io proteggeremo il villaggio, ma solo perché ti
voglio bene».
Ed entrambi
scoppiarono a ridere fragorosamente, prima di abbracciarsi un’ultima volta con
calore e affetto.
«Che
cosa stai guardando, San?».
La
giovane donna sobbalzò per lo stupore, colta alla sprovvista da quella domanda
inaspettata. Volse il capo verso la porta, dove sulla soglia si trovava un Gold
sorridente e felice come non mai. A quanto pareva, non aveva sentito il suo
arrivo. Magari aveva perfino bussato alla porta, eppure lei era stata troppo
concentrata sui suoi ricordi da isolarsi da tutto ciò che la circondava.
Il
suo volto si dipinse di un’espressione radiosa, mentre il suo sguardo si
fondeva con quello carico d’affetto dell’altro. Scrutò quegli occhi color miele
con una certa curiosità, per poi confrontarli con quelli smeraldini dell’uomo
che compariva in un’immagine dell’album fotografico che ancora reggeva tra le
mani. Non si mostrò stupita, quando constatò come il suo ragazzo e suo padre
fossero così simili tra loro. Seppur fieri e di animo nobile, erano dotati di
un’innata sensibilità e di grande dolcezza – caratteristiche che l’avevano
sempre attratta e che amava con tutto il cuore, sebbene lo avesse sempre omesso
per orgoglio.
«Sembra
un album dei ricordi, a giudicare dalla copertina» dedusse l’Allenatore, non
udendo alcuna risposta dalla parte della Capopalestra.
Una volta avvicinatosi a lei, aguzzò la vista, per poter scorgere ciò che la
sua fidanzata osservava con tanto interesse. La sua espressione, per quanto
assorta e beata fosse, tradiva una certa tristezza.
«Stavo
pensando di aggiornarlo con nuove fotografie» confessò lei, riscuotendosi dai
suoi pensieri. Cominciò a sfogliare le pagine sottili e ingiallite di quel
libro prezioso, osservando di sfuggita quelle immagini ormai antiche
raffiguranti frammenti del suo passato. «E ho cominciato a riguardare le
vecchie, così, per curiosità».
Mai
avrebbe ammesso davanti al suo caro che, invece, a spingerla a rievocare gli
anni trascorsi era stata la malinconia. Per quanto alcuni scatti suscitassero
il suo divertimento, in quanto buffi ed esilaranti, un’ombra di tristezza era
calata sul suo cuore. Senza farsi cogliere in flagrante dal suo amato,
accarezzò il volto di suo padre con un dito, ammirando la determinazione che si
leggeva in ogni suo gesto, in ogni sua posa, in ogni sua espressione.
«Quelli
sono i tuoi genitori?» domandò ingenuamente Gold, ammiccando con un gesto del
capo alle figure giovani di Edgar e Draigen. «Somigli
tanto a loro».
Sandra
sondò l’espressione dell’Allenatore, in quel momento assorto nello studio di
tutti quelle fotografie che si presentavano davanti a lui. Annuì
impercettibilmente, dopo aver scorto gioia e curiosità dipinte sul suo volto.
«Un
giorno mi piacerebbe conoscerli» esclamò di conseguenza lui, per poi invitarla
a sedersi al suo fianco sul divano. «Non li ho mai visti, fino ad ora, e non mi
hai mai parlato di loro».
Effettivamente,
lei non lo aveva mai fatto, per riservatezza. L’idea di parlare a Gold dei suoi
genitori non le aveva mai sfiorato la mente neanche per un secondo. Tuttavia,
non si mostrò affatto stupita di fronte a quella legittima curiosità. Dopotutto,
era diritto del ragazzo conoscere quelli che – con tutti i se e i ma di rito –
forse un giorno sarebbero diventati i suoi suoceri.
«Un
giorno ti farò conoscere mia madre, allora» ridacchiò la giovane donna, mentre
nella sua mente già si formava la prima fantasia di un ipotetico incontro con
tra le genitrice e il ragazzo. «Ti piacerà, vedrai. Sarebbe felice di fare la
tua conoscenza».
Draigen avrebbe gradito sicuramente l’idea di
incontrare e confrontarsi con colui che aveva preso possesso del cuore di sua
figlia. Dato il carattere del suo compagno, poi, la Domadraghi
dava quasi per certo che sarebbe piaciuto alla madre. Forse lo avrebbe messo
inizialmente in soggezione, ma tutto si sarebbe risolto con una risata e la
tensione sarebbe svanita come d’incanto.
«E
tuo padre, invece?» chiese ingenuamente lui, urtando – seppur non volendolo – l’animo
della futura Maestra Drago.
Lo
sguardo della ragazza tornò a posarsi sul volto di quell’uomo che un tempo era
stato il suo modello. Un’ombra di tristezza opacizzò le sue iridi color
ghiaccio, tramutando immediatamente la sua gioia in antico dolore. Le sue
labbra curve in un mesto sorriso preoccuparono alquanto il giovane, che temette
di aver compiuto un atroce errore ponendo quella domanda.
Prima
che lui potesse scusarsi e farsi perdonare, la Capopalestra
posò un dito sulle sue labbra morbide, costringendolo a non fiatare. «Il fatto
che non sia qui e non possa presentartelo non significa necessariamente che sia
morto» mormorò tutt’un fiato, mostrandosi improvvisamente fiera e seriosa come
non mai. Incrociò le braccia al petto e sollevò lo sguardo verso il soffitto, come
per non permettere al fidanzato di leggere ciò che traspariva dai suoi occhi mentre
parole tristi sgorgavano a fiotti dalla sua bocca. «Manca a Ebanopoli da un bel po’ di tempo, ormai. È partito per una
missione quando io avevo solo undici anni circa. Nonostante avesse promesso a
me e a mia madre che sarebbe tornato presto, fino ad ora non l’abbiamo visto. C’era
perfino stato un momento in cui avevamo pensato che fosse morto».
Edgar
aveva anteposto la sicurezza del suo paese a ogni cosa. Quando era piccola, Sandra
aveva più volte ascoltato i suoi discorsi di pace e speranza con una certa
ammirazione, incantata dalle sue parole toccanti. Eppure, mai avrebbe pensato
che quell’ideale di benessere sarebbe stata la rovina della sua famiglia. Sua madre
e lei erano persone forti e erano state in grado di cavarsela perfettamente da
sole, ovviamente, però la mancanza di quell’uomo, di quella guida e del suo
sorriso era impossibile da ignorare.
«Per
fortuna un giorno mia madre ha ricevuto una chiamata da parte sua, così abbiamo
saputo che non avrebbe mai più fatto ritorno da noi. Anche adesso sta facendo
il guardiano a non voglio sapere cosa. In questi dodici anni non mi sono
minimamente interessata agli sviluppi della loro missione e ho lasciato che
fosse mio nonnoa farlo» proseguì, alzandosi
poi dal divano ove era seduta e avviandosi verso la finestra, per guardare il
panorama primaverile che si stagliava davanti ai suoi occhi. «So che i miei
genitori si tengono sempre in contatto via telefono, però mi sono rifiutata
categoricamente di parlare con lui. Io sto ancora aspettando il suo ritorno e
non intendo accettare l’idea che forse lui rimarrà lì dov’è per sempre».
Le
braccia di Gold avvolsero inaspettatamente il suo corpo, stringendolo con
dolcezza. Lacrime calde accennarono a sgorgare dagli occhi della Domadraghi, mentre il suo ragazzo la cullava e cercava di lenire
il forte dolore che avvertiva nel petto. Ricambiò quel contatto con un certo
vigore, sentendo l’urgenza di averlo al suo fianco, di essere certa che almeno
lui fosse lì e che non se ne sarebbe mai andato. Non te ne andare, avrebbe voluto sussurrargli, se solo non avesse
temuto di singhiozzare da un momento all’altro.
Le
labbra dell’Allenatore cercarono le sue, intrappolandole in un bacio lieve e
carico di promesse taciute. Quel contatto intimo bastò per sugellare quel
giuramento silenzioso, che testimoniava la loro eterna unione. Lui non sarebbe
mai partito, non sarebbe mai svanito nel nulla, a differenza di come aveva
fatto suo padre. Bastò questa certezza per permettere alla Capopalestra
di scacciare ogni pensiero oscuro e di dedicarsi solo al suo grande amore.
«Giusto
per cambiare argomento» mormorò il ragazzo sulle sue labbra, ridacchiando
divertito tra sé e sé. «Eri già bellissima da piccola. E molto buffa, anche. Un
amore».
«Smettila
di dire ovvietà» replicò l’altra, tra una carezza e l’altra, mostrandosi
leggermente scocciata di fronte a quell’affermazione. «È ovvio che io fossi divina
anche da piccola, no? Si nasce così, non lo si diventa. Comunque sia, ora
abbiamo molto da fare».
«Che
cosa?» domandò l’altro, facendosi curioso. Mai si sarebbe aspettato una simile
affermazione da parte della sua bella, o almeno non in quel momento. «Vuoi
combattere proprio ora?».
Sandra
sospirò, portandosi una mano al viso e scuotendo il capo con vigore. «Ma no,
idiota» mugugnò, per poi afferrare la macchina fotografica dal tavolo e
sbattergliela praticamente in faccia. «Abbiamo un album di ricordi da riempire
con la nostra storia».
«Ci
sto. Basta solo che non cominci a metterti in pose provocanti e invitanti» - altrimenti potrei saltarti addosso, avrebbe
voluto aggiungere, ma optò per il silenzio.
E,
dopo avergli assestato un leggero schiaffo sulla nuca, la futura Maestra Drago
si unì alla sua fragorosa risata.
In questo preciso
istante, mentre voi state leggendo queste note, io mi trovo a Firenze, armata di Mp3, macchina
fotografica e di tanta fantasia. Come
diavolo ho fatto a postare la Bakuryu
di questa settimana, allora? Beh, ringraziate quella gran donna di Cheche se potete leggere anche questo
capitolo. Ebbene sì, lei ha postato questa mia storia, che ho scritto prima
della partenza; inizialmente volevo pubblicare in anticipo, ma poi ho pensato… “E’ la raccolta del Venerdì sera, quindi si pubblica il Venerdì sera!”. Allora ho dato alla
grandissima Caro i codes necessari per postare. Essendo in gita, non posso
rispondere a MP, né fare recensioni. Se vedete un mio aggiornamento, ripeto, è
solo perché quella santa donna di Cheche ha accettato di farmi il piacere di
aggiornare al posto mio.
Ammetto
di aver scritto questo capitolo un po’ di fretta, dovendo fare le valigie per
la gita. Questa volta ho voluto concentrare la mia attenzione sulla figura di Gold, lasciando Sandra un po’ marginale. Difatti, anche Gold avrà i suoi santi
problemi, durante lo sviluppo di questa raccolta. Non sarà solo la Domadraghi a
dover fronteggiare grandi ostacoli.
Con questo, penso di aver detto abbastanza!
Perché
c’è Cetra nell’icon? Lo capirete
molto presto, dolcezze. Che non me ne
vogliano le fan di questo personaggio e di una certa coppia (HeartGold), ma
questo capitolo tratta un tema piuttosto triste. Ed ora, inseguitemi pure con
un machete.
Un
saluto dalla bella Florence,
dolcezze! …Ora che ci penso, devo andare a visitare la casa di Dante Alighieri…
Nona Settimana:
Lacrime
Gold
rivolse lo sguardo verso il cielo, in quel momento tinto di sfumature ambrate e
rosee. Assorto e completamente perso nei suoi pensieri, puntò i suoi occhi
dorati verso quel commovente tramonto e lo contemplò in religioso silenzio,
mentre sul suo volto si dipingeva un’espressione leggermente ansiosa. Gettò più
volte rapide occhiate verso il suo Pokégear e osservò i minuti scorrere in modo
lento e straziante: l’ora dell’incontro con Sandra sembrava non arrivare mai.
Pareva che tra il giovane Allenatore e la tanto attesa chiamata vi fosse
l’infinito.
L’ora
di cena si stava avvicinando, a giudicare da come Fiorpescopoli brulicava di
persone, intente a correre verso la propria abitazione per consumare la lauta cena.
Il ragazzo li osservò distrattamente: c’erano bambini affiancati dai loro
Pokémon, anziani che lentamente attraversano la piccola piazza, mariti che
tornavano a casa e salutavano le loro mogli, che li aspettavano stando sulla
soglia della porta. Istintivamente e involontariamente, nella sua mente si
crearono immagini di piccoli quadretti famigliari, con protagonisti lui e la
sua amata Domadraghi. Curvò le labbra in un tenero sorriso, immaginandosi quel
futuro felice e carico di gioia – e in quel futuro vi era perfino un bambino
dai capelli color notte e dagli occhi di ghiaccio, che stava in braccio alla
sua mamma.
Erano
pensieri un po’ troppo azzardati e seri, troppo frettolosi, data la sua giovane
età. Tra breve avrebbe compiuto solamente diciassette anni: un’età decisamente
troppo precoce, per poter desiderare di avere un figlio con la sua fidanzata.
Eppure, si concesse di fantasticare ancora un po’, forse per capriccio. Dopotutto,
sognare era lecito, no?
Improvvisamente,
l’armonia di quel momento si ruppe, non appena due braccia avvolsero da dietro
il suo corpo. Gold sbarrò gli occhi, sorpreso da quel gesto inaspettato, e
volse la testa quel poco che bastava per poter riconoscere il suo misterioso
“assalitore”. Si stupì alquanto, non appena notò Cetra alle sue spalle, e
inarcò un sopracciglio con certo stupore.
«Ce?
Che cosa ci fa qui?» domandò sorridente, mentre le sue mani armeggiavano per
liberarlo dall’abbraccio saldo della giovane. Non che quel contatto gli desse
fastidio, però essere sfiorato in quel modo da una ragazza al di fuori di
Sandra gli donava un senso di disagio. «Ti credevo ancora a Borgo Foglianova».
Una
risata armoniosa sfuggì dalle labbra della sua amica di infanzia. Sciolse quel
contatto affettuoso, liberando così il ragazzo dalla sua morsa micidiale, per
poi rivolgergli la più radiosa delle espressioni. «In effetti ci sono stata
fino a poco fa» confessò, mentre si sistemava l’enorme cappello bianco che
portava sul capo. «Adesso dovrei essere a cena, ma ho chiesto a mamma di
aspettare un po’ prima di cucinare, perché prima dovevo fare una cosa».
La
curiosità dell’Allenatore crebbe a dismisura. Doveva trattarsi di una cosa
davvero importante, se aveva costretto Cetra a rinunciare al cibo: per quanto
non volesse ammetterlo, adorava mangiaree Gold lo sapeva bene, date tutte le giornate che aveva trascorso al suo
fianco prima della sua avventura a Johto. «E come mai sei qui, allora? Devi
fare qualcosa di davvero importante, per esserti allontanata dalla tavola».
«Spiritoso»
sbottò Cetra, gonfiando le guance a palloncino e assestando una lieve pacca
sulla nuca del ragazzo. Si finse offesa, cercando inutilmente di ostentare
un’espressione divertita. Le piaceva essere provocata in quel modo dal ragazzo:
le ricordava la loro infanzia felice. «E dire che volevo invitarti a cena da
me, come ai vecchi tempi!».
Da
quando Gold aveva fatto accesso alla Sala d’Onore, raramente si recava a Borgo
Foglianova e solo per salutare sua madre. Ironia della sorte, in quelle
occasioni la giovane non si trovava mai nel suo paese natale. Ogni volta che
veniva a conoscenza della visita del suo migliore amico, malediceva mentalmente
quella sorte avversa, che le impediva di salutarlo e scambiare due chiacchiere
con lui.
Da
molti mesi ormai nutriva il desiderio di poter rievocare il loro passato,
ritornando alle vecchie abitudini e vivendo in simbiosi come facevano allora. Eppure,
tutto sembrava impedirle di portare a compimento quel suo sogno piuttosto capriccioso.
«Tua
madre mi ha detto che tutti i Venerdì sera sei qui a Johto» esclamò la ragazza,
saltellando sul posto per l’impazienza. Quasi sicura di una risposta
affermativa da parte del ragazzo, azzardò la sua proposta: «Che ne dici di stare
un po’ con me? O il grande Campione non ha tempo da dedicare a una sua grande
fan?» lo canzonò giocosamente.
L’Allenatore
non riuscì a soffocare una risata divertita. Proprio quando fu sul punto di
risponderle, il suo PokéGear prese a trillare allegramente, spezzando
brutalmente l’atmosfera magica che li aveva avvolti tra le sue braccia materne.
«Pronto?
Parlo con la donna più bella del mondo?» esclamò Gold, poco dopo aver fatto un
gesto di scuse a Cetra ed essersi allontanato di un paio di passi. Nel
pronunciare queste parole cariche d’amore, il suo sguardo si accese di una strana
luce, sconosciuta ma al contempo nota alla ragazza che lo osservava con il
volto vitreo e apparentemente privo di espressione.
«Neanche
i complimenti – che mi merito – basteranno per salvarti, Nano malefico!» urlò
una voce femminile dall’altro capo del ricevitore, assordando il povero
giovane. Si massaggiò l’orecchio, esibendo una smorfia infastidita, per poi
tornare ad ascoltare la sua interlocutrice. «Vergognati, disgraziato. Sei in
ritardo di ben tre minuti e ventun secondi. Dovresti essere a casa mia da un
pezzo!».
A
giudicare dal modo in cui si stavano parlando, dovevano essere amici intimi.
Per un istante, un moto di rabbia e invidia montò nel corpo dell’Allenatrice,
spingendola a stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. Digrignò i
denti, per poi chinare il capo e puntare il suo sguardo sconcertato sulla
morbida sabbia bianca sotto i suoi piedi.
San. Così si
chiamava la donna che, a quanto pareva, regnava sovrana sul cuore del Campione.
Doveva trattarsi di una persona dal carattere forte e determinato, da quanto
aveva dedotto dal modo in cui discuteva con quello che poteva chiamare
“fidanzato” a tutti gli effetti.
Gold fidanzato. Cetra non
l’avrebbe mai detto. A quanto pareva, non ne aveva fatto parola con nessuno,
men che meno con lei, la sua migliore amica.
«Non
ha senso restare qui» mormorò tra sé e sé, mentre perle salate solcavano il suo
viso niveo, per poi voltarsi e accingersi a ritornare a Borgo Foglianova. Gold
pareva essersi scordato della sua presenza, a giudicare da come si era allontanato
da lei e aveva intrapreso una lunga chiacchierata con il suo “amore”. «E dire
che volevo solo stare con lui ancora un po’. Volevo averlo solo per me come ai
vecchi tempi» sussurrò flebilmente, trattenendosi a stento dal gridare tutta la
sua rabbia.
E
singhiozzò tutto il suo dolore, mentre tornava a casa, desiderando
egoisticamente di trovarsi al posto di quella “San” che le aveva portato via
ciò che di più caro aveva al mondo.
«Muoviti,
sveglia il tuo Togetic e vola subito ad Ebanopoli» ordinò Sandra, ancora
furibonda e indignata per quell’ignobile ritardo. «Se osi sprecare ancora tempo
prezioso, ti faccio nuotare gratis nelle gelide acque della Tana del Drago».
«Adesso
vengo. Lasciami solo salutare una persona» esclamò l’altro, ridendo divertito per
il modo di fare della sua ragazza, pronto a voltarsi verso Cetra e riprendere a
parlare con lei. «Ci vediamo tra poco, San».
Ma,
quando posò lo sguardo nel punto in cui si trovava la sua amica, trovò solo
alcune impronte nella sabbia. Gold si guardò attorno, confuso e attonito, alla
ricerca della ragazza. Chiamò più volte il suo nome, senza però udire alcuna
risposta.
Se
solo si fosse girato prima, avrebbe notato la sua triste uscita di scena. Invece,
dovette accontentarsi di quella scia di lacrime che testimoniava il suo ritorno
a Borgo Foglianova.
Ringraziate di cuore
quelle buone anime di Cheche
e Faint, altrimenti neanche questa settimana avreste
avuto qualcosa da leggere. Mi scuso ancora per il disagio della settimana scorsa. Come vedete, però, il
mio computer è ancora vivo(ma lo
sarà ancora per molto?), quindi da questa settimana in poi riprenderò ad
aggiornare come si deve. Anzitutto, volevo dare un caloroso abbraccio a chi mi
segue, a chi ha messo questa storia nelle Preferite/Ricordate/Seguite. Dolcezze, voi non sapete quanto mi
rendete felice! Risponderò a tutte
le vostre recensioni Domenica, il mio
giorno libero! Promesso! ♥
Qualche
piccolo chiarimento sulla Raccolta, visto che non ne avevo ancora fatti.
Allora, questa raccolta è ambientata sei
anni dopo rispetto agli avvenimenti di HG/SS. Per questo motivo, in questa
settimana, si parla di assenze lunghe sei
anni (e non dico altro). Ciò vale a dire, però, che Gold e Sandra si sono
tenuti in contatto per sei anni,
prima di approfondire la loro relazione. Capito? ♥
Per
quanto riguarda l’icon,
noterete sicuramente qualcosa di strano. Perché c’è Lance, stavolta? Bene, questo personaggio rappresenta un grande ostacolo per la relazione dei nostri
cari nenetti.
In che modo? Beh, lo scoprirete molto presto! Il Campione forse apparirà un po’
OOC, ma il suo comportamento verrà spiegato in futuro. So, non lamentatevi a riguardo! Graffie♥
Detto
questo, vi auguro Buona Lettura!♥
Decima Settimana:
Minacce
Socchiuse
gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, mentre scrutava e
studiava con attenzione l’austera figura del suo avversario. Gold attese con
impazienza la mossa successiva di Lance, pronto a replicare in qualsiasi
momento gli attacchi del temibile Dragonite.
Nonostante
avesse fronteggiato in battaglia il Campione di Johto
più volte, la tensione che aleggiava in quel campo di battaglia era palpabile.
Sebbene i due sfidanti si mostrassero sicuri di sé, i loro cuori battevano
all’impazzata e i loro animi erano vittime di emozioni intense.
Non
si trattava di una semplice battaglia: era una vera e propria guerra per il
potere, nella quale c’era in gioco un titolo importante, e nessuno dei due
aveva intenzione di perire per mano altrui.
Le
labbra del Domadraghi si curvarono in un sorriso
beffardo. Ciò non fece altro che istigare la curiosità dell’Allenatore, che si
fece improvvisamente attento, costringendolo a mettersi sulla difensiva e a
focalizzare tutta la sua attenzione sul nemico. Il Maestro di tipo Drago additò
Typhlosion con certa veemenza, mentre dichiarava a
gran voce la sua azione: «Dragonite, usa Dragobolide!».
Il
ragazzo e il Pokémon Vulcano furono costretti a
spiccare numerosi balzi all’indietro, pur di evitare la raffica di meteore che
minacciava di colpirli e di infliggere loro un ingente numero di danni. Determinati
come non mai, elusero ogni masso cocente, per poi scattare nuovamente in avanti
per prendersi la rivincita. Nulla avrebbe impedito loro di portare a casa una
vittoria, neanche la morte.
«Typhlosion, via con Lavasbuffo.
Ora!» gridò il giovane, per poi portarsi un braccio davanti al volto, pur di
proteggersi dalla cenere e dal calore che quell’attacco comportava. Sapeva bene
di aver utilizzato una mossa poco efficace sul tipo Drago, ma ferire l’avversario
non rientrava momentaneamente nei suoi obiettivi: il suo intento era un altro
e, per attuare il suo piano, era necessario fingere di essere talmente disperato
da dover ricorrere ad un attacco poco efficace.
Gold
pregò mentalmente che Lance cascasse nella sua trappola, preso com’era
sicuramente dall’adrenalina del momento, per poter approfittare del suo momento
di distrazione per poterlo sconfiggere una volta per tutte.
Purtroppo,
se il giovane uomo dai capelli rossi era stato proclamato Campione della
regione, un motivo doveva pur esserci. Non rivestiva quella carica onorevole
solo per fortuna, bensì per merito, e così stava dimostrando anche in quella
lotta, per sfortuna dello sfidante. Difatti, l’Allenatore non si mostrò affatto
sorpreso, non appena vide il Pokémon Drago danzare
nel cielo, evitando con agilità ogni sbuffo di lava e ogni pietra cocente.
«Hai
usato una mossa potente, ma scordi il tipo e l’agilità del mio fedele amico! Nelle
lotte Pokémon non conta solo la forza bruta, dovresti
saperlo » lo schernì il Domadraghi, con un sorrisetto
compiaciuto dipinto sul volto. Incrociò le braccia al petto e si mostrò superiore,
assumendo una posa austera e fiera, che tradiva una certa fiducia in se stesso
e nelle proprie capacità. «Dragonite, facciamola
finita! Iper Raggio!».
Tutto
accadde in meno di un secondo. Un raggio luminoso si scagliò verso il Pokémon Vulcano, minacciando di colpirlo e di sconfiggerlo
sotto la sua immane potenza. Una nube di fumo e polvere invase immediatamente
il campo di battaglia, non appena l’attacco speciale si abbatté contro il corpo
del povero avversario.
Una
risata vittoriosa sfuggì dalle labbra di Lance. Sorrise al suo fedele compagno,
complimentandosi con quest’ultimo per l’ultima, mirabile, performance. «Se tu
non avessi dimenticato che cosa conta davvero in una lotta Pokémon,
Gold, forse non avresti perso. Questa volta ho dimostrato di aver capito meglio
di te che cosa è davvero importante in un rapporto tra Allenatore e squadra. Mi
dispiace che tu, col tempo, l’abbia scordato» dichiarò fiero, mentre osservava
la figura affranta del ragazzo riemergere dalla cortina. A capo chino, non
accennò alcun movimento, né il suo volto tradì alcuna emozione – forse per la
vergogna, forse per l’umiliazione, non era neppure in grado di sollevare lo
sguardo verso lo sfidante.
«Hai
proprio ragione, Lance» mormorò improvvisamente l’Allenatore, cogliendo alla
sprovvista il Maestro Drago e facendolo sussultare per la sorpresa. Gli occhi color
miele del Campione si sbarrarono, all’udire il tono sprezzante con cui erano
state pronunciate quelle parole derisorie. «Forse sto scordando i valori morali
di un vero Campione, però non ho affatto dimenticato che in una lotta Pokémon conta essere astuti ed essere fiduciosi nei
confronti dei propri amici. Questo, invece, lo hai scordato tu».
Typhlosion, il cui corpo era ancora sotto l’effetto
di Protezione, spiccò improvvisamente un balzo e riemerse dalla coltre di fumo,
sorprendendo il Domadraghi e il suo amico.
«Gelopugno, Typhlosion!».
L’ultima
cosa che Lance vide fu il pugno coperto di schegge gelide colpire Dragonite in pieno petto. Poi, sconfitto, chiuse gli occhi.
Gold
gettò un’occhiata fugace al suo PokéGear, notando con
orrore di essere in ritardo all’appuntamento stabilito con la sua fidanzata.
Maledicendosi mentalmente, si avviò verso l’uscita della Lega Pokémon, mentre nella sua mente escogitava un modo per
porre rimedio al suo errore. Come avrebbe giustificato quella buona ora di
ritardo a Sandra? Non si era degnato neppure di avvisarla che si sarebbe recato
alla Lega Pokémon, giusto per rivendicare il suo
titolo di miglior Allenatore di Johto. Forse la Domadraghi lo avrebbe perdonato, ma solo perché era
riuscito ad umiliare ancora una volta Lance, cosa che lei non era più stata in
grado di fare dalla notte dei tempi.
Fece
per comporre il numero della sua amata, pronto ad annunciarle il suo prossimo
arrivo, quando una mano calda si poggiò sulla sua spalla. Si voltò di scatto e
si mostrò alquanto sorpreso, non appena scorse la figura di Lance alle sue
spalle.
«Volevo
farti i complimenti per la vittoria» esordì il Campione, anticipando qualsiasi
affermazione da parte dell’Allenatore. Si passò elegantemente una mano nei
capelli vermigli, abbozzando un mesto sorriso, che tradiva però una certa
delusione. «Questa volta pensavo che sarebbe andata diversamente, sai?».
«Per
un attimo me la sono vista molto brutta, questo lo devo ammettere» confessò il
giovane, assetandogli una leggera pacca sulla schiena in modo piuttosto
amichevole. Un po’ gli dispiaceva per lui, nonostante il suo cuore traboccasse
di orgoglio per l’ennesima vittoria conquistata. «Non devi arrabbiarti con te
stesso, su. Qualche sconfitta ci sta, a volte! E poi, se vinci sempre, che
gusto c’è?».
Il
Maestro Drago soffocò un’amara risata e rivolse lo sguardo verso il soffitto,
per poi scuotere il capo con malinconia. «Hai ripetuto la stessa, identica
frase che mi disse Sandra tanti anni fa, quando mi sconfisse per l’ultima
volta. Ricordo ancora di averle dato dell’ipocrita, dopo averle sentito dire
quelle cose» mormorò flebilmente, mentre i suoi pensieri divagavano verso ricordi
ormai lontani e persi nel tempo. Si riscosse improvvisamente, per poi tornare a
concentrarsi sulla figura dell’Allenatore di fronte a sé. I suoi occhi
tradivano una certa curiosità. «A proposito, ho saputo che vi frequentate spesso,
ormai. Dimmi, è la stessa di sempre? È cambiata molto in questi sei anni?».
A
quanto pareva, era a conoscenza della loro relazione affettiva. Istintivamente,
Gold si mise sulla difensiva, mostrandosi inquieto di fronte a quelle domande
apparentemente innocenti. Qualcosa, nel tono di voce con cui erano state
pronunciate, gli diceva che quei quesiti non erano stati posti per pura
casualità – no, ci doveva essere qualcosa di grande sotto, qualcosa capace di
spaventarlo a morte.
Una
volta notata la sua diffidenza, il Domadraghi cercò
di rassicurarlo con un’espressione serena, mentre le sue labbra si curvavano in
un sorriso – per quanto cercasse di sembrare accondiscendente e sincero, quel
sorriso tradiva anche una certa malvagità.
«Siete
più uniti di quanto avessi immaginato, a giudicare da come ti senti minacciato
da queste semplici domande» dedusse il Maestro Drago, incrociando le braccia al
petto e mostrandosi fintamente felice per quel lieto evento. «Da un lato mi fa
piacere saperlo, perché Sandra ha finalmente trovato qualcuno con cui essere
veramente se stessa e di cui fidarsi. D’altra parte, però, non posso fare a
meno di essere triste per te».
Non
si era affatto sbagliato sul suo conto. Giudicando dal suo cambio improvviso di
atteggiamento, l’altro gli stava davvero nascondendo qualcosa di importante,
che riguardava principalmente la sua relazione con Sandra – relazione che
sembrava essere in pericolo, temette l’Allenatore.
«Per
me?» lo incalzò, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due fessure
minacciose. «A cosa ti riferisci?».
Un
profondo senso d’inquietudine prese possesso del suo cuore. Trattenne il
respiro, in attesa di una risposta da parte di Lance, non completamente sicuro
di volerla sentire. Altro che Campione buono e giusto: in quel momento, gli
pareva di aver davanti il demonio in persona, pronto a sgretolare i suoi sogni
da un momento all’altro. Il ragazzo era certo che, dopo aver ascoltato ciò che il
Domadraghi aveva da dire, nulla sarebbe più stato
come prima.
«Ordini
dall’alto mi hanno chiesto di approfondire nuovamente il mio legame con Sandra
e di rafforzarlo, facendolo tornare solido come un tempo» esclamò il Maestro
Drago, facendosi improvvisamente serio e scrutando il suo rivale sottecchi. «Mi
pareva giusto avvertirti, dato che sembri essere molto legato a mia cugina».
«Sandra
ha fatto una scelta» replicò immediatamente il giovane, avanzando
minacciosamente verso l’uomo dai capelli vermigli. Lo additò con rabbia,
trattenendosi a stento dall’assestargli un pugno in pieno viso, pur di punirlo
per la sua arroganza e per tutto il male che aveva recato alla sua amata. «Fossi
in te, non mi illuderei tanto. Non penso ti accoglierà a braccia aperte, dopo
tutti questi anni di lontananza».
«Sei
sicuro che non ti abbia scelto solo per rimpiazzarmi? Dopotutto, lo avrai
notato tu stesso quanto siamo legati. O meglio, quanto lei era ed è legata a me»
rispose con sicurezza l’altro, per poi riprendere ad avanzare verso l’uscita
della Lega, sicuro di sé come non mai. «Ci sono cose che non si possono
dimenticare, per quanto lo si voglia».
«Bastardo»
fu l’ultimo mormorio di Gold, prima di precipitarsi verso di lui, pronto a
fermarlo e fargli capire – anche con metodi poco ortodossi – che cosa aveva
passato la sua Sandra durante quegli anni di solitudine.
Gold
digrignò i denti, pronto ad avventarsi sul corpo di Lance e assestargli un
pugno in pieno viso. La rabbia divampava nel suo petto, conducendolo perfino
sull’orlo della follia. Avrebbe fatto di tutto, sarebbe perfino arrivato a
colpire il Campione e a picchiarlo, pur di proteggere la sua amata da ricordi
tormentati e colmi di sentimenti negativi.
Tuttavia,
proprio quando spinse il corpo del Maestro Drago a terra e fu sul punto di aggredirlo,
una risatina allegra richiamò immediatamente l’attenzione di entrambi. L’Allenatore
sollevò lentamente il capo e trattenne il respiro, sicuro di aver riconosciuto
perfettamente quella voce cristallina che tanto amava. Quando si trovò di
fronte alla bella figura della sua Capopalestra,
stentò quasi a credere che lei si trovasse davvero lì. Per un attimo, pensò che
quell’incantevole visione fosse frutto della sua follia d’amore.
«Potevi
anche dirmelo che avevi intenzione di tradirmi con mio cugino» esclamò con aria
di scherno la giovane donna, avvicinandosi a loro e guardandoli dall’alto della
sua magnificenza. Inarcò un sopracciglio e scrutò con attenzione entrambi i
ragazzi, per poi curvare le labbra in un sorrisetto beffardo e canzonatorio. «Sinceramente
parlando, non vi ci vedo male insieme. Perché non provate ad approfondire il
vostro legame? Potrebbe essere un’esperienza interessante».
Nonostante
avesse voluto gettarsi tra le sue braccia e stringerla a sé, pur di godere e
gioire della sua presenza, Gold si portò una mano al volto e scosse il capo con
disappunto. Per quanto fossero assurde le parole pronunciate dalla Domadraghi, mentalmente le fu grata per avergli impedito di
compiere una pazzia, smorzando la tensione del momento con una battuta – seppur
inappropriata – su loro due. «Alla taverna ti hanno servito birra di pessima
qualità, ammettilo» esclamò, per poi alzarsi e spolverarsi i vestiti. Squadrò la
Maestra Drago dall’alto al basso, mentre le sorrideva con amore e affetto,
lasciandosi però sfuggire una risatina divertita. «Altrimenti non si
spiegherebbe perché sei qui e perché inciti il tuo ragazzo a fidanzarsi con tuo
cugino».
Alla
parola “cugino”, l’attenzione di Sandra si focalizzò immediatamente sulla
figura ancora stesa a terra. Una smorfia disgustata si dipinse sul suo volto,
una volta trovatasi faccia a faccia con il Campione. Nei suoi occhi si leggeva
un certo astio, ma denotavano anche una nota di tristezza, che non sfuggì allo
sguardo attento dell’Allenatore.
«Lance»
mormorò flebilmente la Capopalestra, chinando il
capo. Sembrava quasi sul punto di piangere, se non fosse stato per la sua improvvisa
reazione successiva: afferrò il cugino per il bavero della casacca e lo
strattonò più volte, propinandogli tutti i peggiori insulti presenti sul
vocabolario. «Quando diavolo ti deciderai a muovere il culo e venirci a
trovare, una buona volta?! È da sei anni che tutti ti aspettano, disgraziato!».
È da sei anni
che tu lo hai aspettato, senza che lui tornasse, avrebbe voluto
sussurrare Gold, dispiaciuto per la sua bella. Nonostante gli avesse confessato
quanto aveva patito quella lontananza, sicuramente non gli aveva confessato
quanto fossero tormentati e letali i sentimenti che avevano dilaniato il suo
cuore durante quei periodi bui. Vedere come Lance non cercava di scusarsi o
giustificarsi, poi, riaccese in lui sentimenti di rabbia e odio.
«Stai
tranquilla, San. Verrò a trovarti molto presto» rispose l’altro, dedicandole un
sorriso sincero e carico di affetto. Inaspettatamente, avvolse il suo corpo in
un abbraccio caloroso e la strinse a sé, proprio sotto gli occhi irosi del giovane
Allenatore. «Ho anche intenzione di soggiornare da te per un po’, sempre che tu
non abbia buttato via il mio letto».
Prima
che Sandra potesse replicare in qualche modo, il ragazzo dai capelli color
notte la prese improvvisamente per mano e la costrinse a interrompere il
contatto con il parente, trascinandola vicino a sé. «Non è forse ora di andare?
Si sta facendo tardi. E poi, ci resta poco tempo da trascorrere insieme».
La
Domadraghi alzò gli occhi al cielo, prima di avviarsi
a passo deciso verso la sua Dragonite, fino a quel
momento spettatrice indiretta di quelle scene di amore idilliaco. «Se non fosse
per il tuo ritardo, io non sarei di certo venuta a cercarti» esclamò, salendo
in groppa alla sua fedele compagna, prima di sfoderare un sorriso beffardo. «Vedi
di muoverti ad arrivare ad Ebanopoli, altrimenti ti
faccio fare una nuotata nel lago!».
Gold
si accinse a spiccare il volo con il suo Togetic,
pronto a raggiungere la sua amata e trascorrere con lei una serata romantica - non
prima però di aver rivolto un ultimo sguardo verso Lance, che in quel momento
gli stava rivolgendo un’occhiata capace di incenerirlo e di ucciderlo.
Fu
in quel preciso istante che si capacitò dell’esistenza di una forza superiore,
contraria alla sua relazione con Sandra e pronta a impedirne il compimento.
Quanto fosse pericolosa, però, non sapeva dirlo; l’unica cosa che si permise di
fare, tuttavia, fu di augurarsi di essere abbastanza forte da contrastare ogni
avversione.
Non ho la più pallida
idea di cosa ho scritto. Mi trovo in un momento di sclero assoluto, dove arrivo a scrivere tutto e il contrario di
tutto. Quindi, neanche queste note avranno un senso, sappiatelo.
(?)
Questa
Bakuryu è puramente demenziale. Insomma, non ha il benché minimo senso, ma non ci importa. Sappiate solo che ci
sono Sandra, Gold, tanta gelosia, messaggi
incriminati e GENNARO BULLO. Sì,
avete capito bene, proprio il tizio dell’icon qui
accanto. Non chiedetemi perché ho scelto proprio LUI come argomento di questa
undicesima settimana. Forse, a furia di ascoltare Nyancat, mi è andato in fumana il cervello (ne
avevo davvero uno?).
In
ogni caso, spero che questa cosina sia di vostro gradimento! A presto, miei
carissimi lettori! Buona lettura!♥
Undicesima
Settimana:
Gelosia
Come
ogni fidanzata degna del suo nome, Sandra possedeva numerosi pregi, ma anche
altrettanti difetti. Gold aveva imparato, con il trascorrere delle giornate, ad
apprezzare le virtù della sua amata e sopportare tutti i suoi piccoli, spesso
fastidiosi, vizi.
Più
volte si era ritrovato suo malgrado a fronteggiare la gelosia della Domadraghi, uscendone fortunatamente indenne; in numerose
occasioni si era dimostrata piuttosto possessiva nei suoi confronti, arrivando
perfino a minacciare di morte quelle povere Fantallenatrici
che si soffermavano ad ammirare il bel corpo dell’Allenatore per più di due
secondi netti.
Nonostante
ciò, quell’atteggiamento apparentemente seccante e fastidioso suscitava nel
giovane una certa tenerezza. Era piuttosto raro vedere la Capopalestra
esibire così apertamente i suoi sentimenti e rivendicare a gran voce la loro
reciproca appartenenza. Quel modo di agire, sebbene impulsivo, gli permetteva
di capire quanto fosse grande l’affetto nutrito nei suoi confronti.
Anche
durante i loro appuntamenti settimanali, la Maestra Drago non si smentiva mai.
Spesso il ragazzo la sorprendeva prendere di soppiatto il suo PokéGear, magari approfittando di una sua momentanea
assenza, per controllare messaggi e chiamate; colta sul fatto, non esitava però
a nascondere la realtà dei fatti, negando perfino la sua stessa gelosia.
Tuttavia,
per quanto fosse invadente, Gold non era affatto dispiaciuto di questa
ossessione nei suoi confronti, né la temeva. Dopotutto, non aveva nulla da
nascondere e per cui sentirsi in colpa: il fatto che Sandra lo controllasse
ventiquattro ore al giorno non lo spaventava affatto, né lo irritava.
Purtroppo,
il giovane non aveva tenuto in considerazione quanto fosse fervida
l’immaginazione femminile, che talvolta spingeva le donne innamorate a scorgere
tracce di tradimenti ove non ve n’era affatto l’ombra. Si rese conto di quanto
potesse essere pericolosa una fidanzata gelosa solo quel Venerdì sera, mentre
entrambi trascorrevano il loro tempo tra baci e carezze: per quanto ricambiasse
e accettasse di buon grado quelle effusioni amorose, la Domadraghi
sembrava insolitamente inquieta.
«Qualcosa
non va, San?» domandò difatti l’Allenatore, visibilmente preoccupavo per
l’inspiegabile malumore della sua bella. Raramente si mostrava così afflitta e
turbata, specie quando si trovava al suo fianco, e ciò non fece altro che
preoccupare ancor più l’amante.
In
tutta risposta, la Maestra Drago gli strappò di mano il cellulare, senza
neppure degnarsi di chiedere il permesso di farlo. Con le mani tremanti per il
nervosismo, picchiettò velocemente le dita sui tasti, fino a quando non trovò
ciò che stava disperatamente cercando. Dopodiché, mostrò con irritazione lo
schermo del PokéGear a Gold, per permettergli di
leggere ciò che vi era scritto.
Gold, vieni
immediatamente! Il mio Rattata freme dalla voglia di vederti!
Confuso
e frastornato come non mai, l’Allenatore si domandò che cosa vi fosse di sbagliato
in quel messaggio; ovvio, era stato scritto da un fanatico di Rattata, però non
vedeva per quale motivo dovesse essere l’origine del dispiacere della sua
Divina.
Mai
avrebbe immaginato, però, il modo in cui la giovane donna aveva interpretato
quelle piccole e innocenti frasi.
«Potevi
dirmelo che sei gay, porca puttana! Prima cerchi di adescare Lance, ora organizzi
pure incontri con questo tizio misterioso» sibilò a denti stretti la Capopalestra, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire
due fessure minacciose. Pareva essere sul punto di strangolarlo, tanta era la
rabbia che si leggeva nelle sue iridi ghiacciate. «Allora dimmelo che ho
qualcosa che non va, dannazione! Devo pur avere qualcosa di sbagliato, se hai ripiegato sui maschi!».
Il
ragazzo non seppe come controbattere. La Maestra Drago aveva frainteso
quell’invito nel peggiore dei modi, arrivando perfino a cogliere un doppio
senso dove non vi era affatto – e, sinceramente, non voleva neppure sapere che
cosa avesse capito.
«San,
calmati, non è come pensi…» cercò inutilmente di farla ragionare, nella vana
speranza di spingerla a riflettere in modo oggettivo su quel maledetto
messaggio. Un po’ di sana gelosia era essenziale in un rapporto di coppia, ma
non se questa rasentava l’ossessione!
«Mi
fai perfino dire cose terribili, disgraziato! È ovvio che non sono io ad avere
problemi, eppure ho appena detto il contrario!» sbottò Sandra, ignorando
palesemente ciò che il suo fidanzato aveva appena esalato flebilmente. Lo
additò con rabbia, digrignando i denti fino a farli quasi stridere. «Lo sapevo,
sei tale e quale a quello stronzo di Lance! Mi avete ingannata entrambi!».
Paragonato
al Campione. In quel momento, Gold pensò che non potesse esserci cosa peggiore
di quella. Se la Domadraghi aveva esordito con una
simile affermazione, allora voleva dire che aveva enfatizzato quella situazione
in modo a dir poco abnorme. Aveva così tanta paura di essere abbandonata anche
da lui, da reagire ad ogni minimo sentore di pericolo, anche di fronte a
minacce inesistenti.
«Per
favore, ascoltami. Puoi credere quello che ti pare, ma sappi che io non ti
lascerò mai. Tu sei troppo importante per…». Ma l’Allenatore non fece in tempo
a concludere la frase, che un trillo allegro giunse alle orecchie di entrambi e
catturò la loro attenzione. Posò lo sguardo sullo schermo illuminato del suo PokéGear e, con certo orrore, notò che a chiamarlo era
proprio il mittente del messaggio incriminato.
Prima
che potesse impedirle di fare alcunché, Sandra rispose immediatamente alla
chiamata in arrivo, ignorando le proteste del proprietario del cellulare
maledetto – dopotutto, proteggere il proprio ragazzo da possibili concorrenti
in amore rientrava nei suoi diritti di fidanzata, no?
«Chi
cazzo sei?! E che vuoi dal mio ragazzo?!» strillò a gran voce la Capopalestra, considerando un semplice “Pronto?” troppo
banale per iniziare una conversazione pacifica
come quella.
«Sono
Gennaro!» rispose una voce squillante e fastidiosa dall’altro capo del
ricevitore, per nulla intimorito dal tono di voce e dall’ira funesta
dell’interlocutrice. «Non so se mi conosci, ma non importa. Volevo dirti che ho
un Rattata bellissimo! È così forte e combattivo, capace di sconfiggere
qualsiasi Pokémon, perfino Entei!
E sai, l’altro giorno eravamo sul punto di catturare Caterpie,
ma poi ci è scappato proprio alla fine e…».
La
Maestra Drago, sconvolta e frastornata da quel fiume di parole, si limitò ad
ascoltare in silenzio tutti i successivi sproloqui e annuire meccanicamente
alle sue affermazioni. Mai avrebbe immaginato che il suo rivale in amore – che poi aveva scoperto non essere tale,
fortunatamente per entrambi – fosse un ragazzino esaltato, innamorato pazzo del
suo terribile ratto rognoso.
Dopo
essere stata assordata da un “E ricorda: viva i Rattata!” finale, riagganciò,
mentre esibiva un’espressione a dir poco scioccata. Posò lo sguardo su un Gold
piuttosto divertito - il quale non poteva fare altro che ridere per il modo in
cui si era concluso e chiarito quel malinteso -, per poi scuotere il capo con
imbarazzo e sdegno al contempo. «Dovresti selezionare meglio le tue amicizie,
Tappo» borbottò, prima di restituirgli il PokéGear.
Da
quel giorno, Sandra non osò mai più toccare il cellulare del suo amato.
Sono appena tornata
da Marina di Ravenna, dove ho
trascorso la giornata giocando a beach
volley, quindi sono particolarmente suonata. Indi per cui, premetto
che questo capitolo non è uno dei migliori, per quanto ci abbia lavorato con
impegno. Mi auguro comunque che sia di vostro gradimento! ♥
Questa
settimana ho voluto riprendere in mano la famiglia
Blackthorn (ho deciso di dare questo cognome a
Sandra, Draigen e Edgar. Spero non vi dispiaccia!),
trattando la tematica della mancanza e della lontananza. Qui compare
maggiormente il personaggio di Draigen, anche se lo conoscerete meglio nella Quattordicesima Settimana. Tuttavia, in
questo piccolo capitolo troverete alcune delle caratteristiche che distinguono la madre di Sandra da tutti gli
altri personaggi. Diciamo che è… particolare.
Personalmente, io la adoro. È completamente fuori dagli schemi.
Se
ci sono degli errori, li correggerò domani. Adesso sono troppo stanca per
farlo! Comunque sia, vi auguro buona
lettura! ♥
Dodicesima
Settimana:
Mancanza
Quel
Venerdì sera, Sandra pareva particolarmente assorta. Persa nei suoi pensieri,
sembrava trovarsi in un modo parallelo, a tal punto da ignorare
involontariamente ciò che il suo fidanzato Gold le stava dicendo. Neanche i
numerosi richiami da parte del ragazzo erano in grado di destarla dalle sue
riflessioni: qualcosa di oscuro la stava turbando e non vi era modo per
richiamare la sua attenzione.
Inutile
dire quanto l’Allenatore nutrisse una certa preoccupazione nei suoi confronti. Di
certo doveva essere accaduto un fatto di cui era all’oscuro; prima di quel
momento, la Capopalestra non era mai apparsa così
distratta ai suoi occhi. Nelle sue iridi color cielo si leggeva una certa
preoccupazione, velata da una patina di tristezza. Il suo cuore era vittima di
un profondo turbamento e il compagno era l’unico in grado di sopire il suo
tormento interiore.
«Ehi,
San» mormorò Gold, mentre poggiava una calda mano sul suo braccio, per
scuoterla leggermente e riportarla alla realtà. «Qualcosa non va? Oggi non mi
sembri affatto in forma».
La
Domadraghi annuì meccanicamente, senza tradire alcuna
espressione sul suo volto pallido e vitreo. Per un attimo, l’Allenatore pensò
che non avesse neppure compreso il significato della sua domanda, che fosse
ancora troppo presa dalle sue preoccupazioni per degnarlo di parola. A dispetto
delle sue aspettative, però, esalò flebilmente e freddamente una risposta: «Oggi
è l’anniversario della partenza di mio padre».
Edgar
non aveva più fatto ritorno a Ebanopoli da ormai una
dozzina d’anni, questo il fidanzato lo ricordava perfettamente. Tuttavia, non
si sarebbe mai aspettato che un simile sgradito evento cadesse proprio una
settimana prima del suo compleanno. Si immaginò Sandra piangente per la
mancanza del genitore mentre lui, a distanza di sette giorni, gioiva e
festeggiava assieme ai suoi amici. Quell’orrido contrasto attanagliò il suo
cuore, costringendolo a chinare leggermente il capo in segno di rispetto.
«Stamattina
abbiamo ricevuto una sua telefonata» proseguì improvvisamente la Maestra Drago,
cogliendo alla sprovvista il suo attento ascoltatore. Curvò le labbra in un
mesto sorriso, per poi portarsi una mano alla fronte e sospirare con
rassegnazione. «Ovviamente non ci ho parlato, anche perché in quel momento mi
trovavo in Palestra. Ho promesso di rivolgergli parola solo quando tornerà da
noi. È stata mia madre a riferirmi tutto ciò che ha detto, però, quando sono
arrivata a casa».
«E
che cosa ti ha detto?» domandò ingenuamente il giovane, correndo il rischio di
toccare un tasto dolente.
Per
un attimo, temette di aver compiuto un grosso errore, ponendo quel quesito.
Invece, fortunatamente, la Capopalestra pareva ben
disposta a dialogare con lui su questa vicenda. «Mettiti in una posizione
comoda. Si tratta di una storia abbastanza lunga».
E
le parole cominciarono a sgorgare a fiotti dalle labbra della Domadraghi, mentre i ricordi di quella giornata
riaffioravano nella sua mente.
DraigenBlackthorn aveva versato
poche lacrime nel corso della sua vita e la maggior parte erano state destinate
perlopiù al suo adorato marito. Abituata a vederla come una persona dotata di
una grande forza d’animo, Sandra si trovava sempre confusa e impotente di
fronte a quelle manifestazioni di dolore e affetto sinceri. Per quanto si
sforzasse di consolare quella moglie addolorata, non si sentiva mai all’altezza
di quella situazione. Dopotutto, non poteva ancora comprendere quali fossero i
sentimenti che affliggevano il cuore della genitrice.
Nonostante
quegli attimi di debolezza, spesso dovuti a ricordi dolorosi o alla percezione
della grande lontananza incolmabile, la Domadraghi
veterana cercava sempre di smorzare l’aura di tensione che aleggiava in quella
casa da ormai dodici anni. Attraverso battute e risate, prendeva il controllo
della situazione, riuscendo perfino a sorridere e far sorridere la figlia
nonostante le difficoltà.
Eppure quel
giorno, sebbene avesse cercato di trattenere le lacrime dopo aver chiuso la
chiamata con Edgar, Draigen scoppiò in un pianto
disperato. Non contenne il suo dolore neppure di fronte allo sguardo stupito e
addolorato di Sandra che, appena tornata a casa dalla Palestra, si era ritrova
improvvisamente spettatrice di uno spettacolo tanto unico quanto carico di
agonia.
«Edgy ha appena chiamato» si giustificò la madre, soffocando
un’amara risata. Con un cenno di mano, invitò la ragazza a sedersi al suo
fianco, per poter cercare conforto tra le sue braccia. «A quanto pare, non si
sa ancora quando tornerà a casa. Laggiù la situazione si sta facendo sempre più
difficile e lui deve prestare servizio ventiquattro ore al giorno. Mi ha detto
di salutarti tanto e che… gli manchiamo tanto».
La Capopalestra strinse il corpo della donna a sé, nel
tentativo di infonderle quanta più sicurezza possibile. Per lei, abituata da
sempre a stare al fianco del marito, quei dodici anni di lontananza dovevano
essere davvero insopportabili. Chissà che cosa avrebbe provato lei, se un
giorno a partire fosse stato Gold. Sinceramente, non aveva alcuna intenzione di
immaginarlo.
«Potrebbe anche
venire a farci visita, di tanto in tanto» mormorò in risposta, scuotendo il
capo con estremo disappunto. «Non gli costa poi molto».
«Non può fare
altrimenti, cara San» replicò la Domadraghi veterana,
per poi abbozzare un mesto sorriso. Accarezzò più volte i lunghi capelli della
sua adorata figlia, in evidente dimostrazione di affetto. Sfiorò anche il suo
volto con tocco leggero, ammirandone i tratti e i lineamenti con certa
curiosità. «Là hanno bisogno di lui, quindi non può fare altrimenti. Bisogna
pazientare ancora un po’, poi vedrai che tutto si risolverà».
Nei occhi
cremisi di Draigen si leggeva una certa malinconia. Per
quanto cercasse di mostrarsi forte, erano ancora velati di lacrime represse. Sicuramente
stava cercando di reprimere il suo dolore per non rattristare anche la Maestra
Drago, pur di non contagiarla con il suo profondo dolore. Crogiolarsi e
compatirsi non avrebbe di certo riportato indietro quel marito e padre tanto
mancato.
«Ammettilo, ti
manca davvero tanto» esordì difatti Sandra, mentre le assestava qualche pacca
affettuosa sulla schiena.
«Da morire»
rispose la donna, rievocando nella sua mente l’immagine del bel consorte. «Mi
manca ogni cosa di lui. La sua voce, la sua presenza, il suo amore, il suo
profumo, la sua risata e, soprattutto, il suo bel corpo. Quando tornerà a casa,
dovrà concedermi tutto di lui, pure con gli interessi».
L’allusione era
pressoché ovvia. La Capopalestra alzò gli occhi al
cielo e sospirò con certa esasperazione, mentre ammoniva la genitrice con lo
sguardo. Ogni volta che si ritrovavano a discorrere di un argomento qualsiasi,
lei concludeva con battute di questo genere, suscitando una certa irritazione
da parte della ragazza.
«Perché devi
sempre tirar mano a certe faccende, mamma?» la rimproverò, portandosi una mano
al viso e massaggiandosi le tempie. «A volte sei inopportuna!».
«Ma anche molto
divertente, ammettilo» rispose la madre, ridendo sonoramente. Adorava
particolarmente stuzzicare la Maestra Drago con discorsi simili, specie da
quando aveva saputo dell’esistenza di un certo fidanzato. «Ed è anche un modo
per ricordarti che devi presentarmi il tuo ragazzo. Voglio conoscerlo al più
presto possibile, voglio fargli tante domande! Che aspetti a distrarre una
povera moglie disperata in un modo carino ed efficace?».
«Sei così
ruffiana e pericolosa che mi fai passare la voglia di farlo» borbottò l’altra
in risposta, per poi aggregarsi alle sue risa. «Vedrò di farlo al più presto,
comunque, così la smetti di rompermi le scatole una volta per tutte».
E si
abbracciarono ancora, cercando di distrarsi e confortarsi in quel momento di
reciproca difficoltà, da perfette madre e figlia quali erano.
Non
appena Sandra concluse il suo resoconto, Gold non poté fare a meno di curvare
le labbra in un sorriso gioioso e divertito. A giudicare dal modo in cui la Capopalestra l’aveva descritta, DraigenBlakthorn sembrava davvero una persona dalla mente
aperta, dotata di profondità d’animo ma anche di un certo umorismo – seppur
discutibile, a parere della figlia. Il fatto che fosse interessata a conoscere
il fidanzato della sua adorata San non lo stupiva, anzi: chiunque genitore si
sarebbe mostrato curioso di fronte all’identità di chi aveva preso possesso del
cuore del proprio giovane.
«Sai,
non vedo l’ora di conoscere tua madre. Sembra una donna interessante» esclamò l’Allenatore,
catturando immediatamente l’attenzione e lo sconcerto della Domadraghi.
«Oh,
credimi, tu non lo vuoi davvero» fu difatti la sua risposta, mentre scuoteva il
capo con spavento e nervosismo. «Tu non hai idea di quanto possa essere
pericolosa quella donna».
«Allora
dovrai aspettare minimo ancora due settimane, perché il prossimo Venerdì
abbiamo altro da fare, ti ricordo».
A
quanto pareva, la fidanzata non si era affatto scordata del compleanno del suo
amato. Giudicando dal suo sguardo malizioso e divertito, aveva già in mente
come sorprenderlo e cosa regalargli. La curiosità divampò nel ragazzo, tentandolo
e spingendolo a domandare che cosa l’altra avesse in mente di fare la prossima
settimana. Tuttavia, si trattenne dal farlo, poiché la sua bella aveva appena
dischiuso le labbra per mormorare ancora qualcosa.
«Grazie,
Gold, per avermi ascoltata» soffiò a due centimetri dal suo viso, per poi
intrappolare la sua bocca in un bacio dolce e altrettanto passionale. Strinse
il suo amato a sé con fare possessivo, quasi temesse di perderlo da un momento
all’altro. «Giura che non mi abbandonerai mai» mormorò poi, guardandolo negli
occhi con fare serioso.
«Ribadisco
ancora la promessa che ti ho fatto tempo fa» giurò Gold, mentre la cullava tra
le sue braccia e le donava tutto il suo affetto.
Alla
fine, per quanto fosse triste e doloroso, quell’anniversario si dimostrò carico
di gioia e di affetto.
Ed eccoci alla
fatidica Tredicesima Settimana,
conosciuta da alcuni lettori come la fatidica Settimana. Perché? Beh,
semplicissimo. Date un’occhiatina al rating
della Raccolta. Avete notato il colore?
Perfetto. Se è diventato arancione, un
motivo c’è. Eccome se c’è. Ebbene sì,
carissimi lettori! Questa è la Settimana. È dalle sei di sera che lavoro a questo Capitolo particolare, quindi posso
dire di aver dato l’anima per farlo. Ne
sono soddisfatta, lo ammetto senza pormi troppi problemi. L’unica cosa che
mi auguro è che sia di gradimento anche a voi! ♥
Questa
Settimana è ambientata il 21 Luglio,
ossia il compleanno di Gold, nella cameracasa di Sandra. Il nostro amato
Allenatore compie diciassette anni, almeno in questa raccolta. Non so
quanto tutto ciò che leggerete possa essere di vostro gradimento, ma mi
piacerebbe ricevere opinioni in
merito. ♥
Dopo
tutto ciò, cominciamo con i Ringraziamenti!
Un grazie di cuore a chi mi segue e
recensisce, perché mi date sempre la forza di continuare. Inoltre, ci
tenevo a ringraziare di cuore Cheche e Faint, per avermi spronata a dare il massimo per questo
capitolo!
Detto
questo… Buona lettura!
Tredicesima
Settimana:
Unione
Un’espressione
di puro stupore si dipinse sul volto di Gold, non appena Sandra gli porse un
piccolo pacchetto. L’Allenatore sfiorò la carta del regalo – celeste, come
quelle iridi raggianti che lo osservavano con ansia e al contempo affetto -,
mentre cercava di immaginare che cosa quest’ultimo potesse contenere. Aveva
ricevuto numerosi doni quel giorno – come la PokéBambola
gigante a forma di Snorlax da parte di sua madre, che
pareva essersi scordata del fatto che suo figlio avesse compiuto diciassette
anni, e un set di PokéBall da parte di Cetra -, ma
nessuno di quelli gli aveva fatto traboccare così tanto il cuore di felicità.
«Non
avresti dovuto disturbarti» mormorò senza fiato, indugiando ancora un istante
prima di prendere a scartarlo con certa emozione. La tensione nell’aria era a
dir poco palpabile: che cosa mai poteva esserci dentro quella scatoletta?
«Smettila
di dire idiozie e aprilo» lo rimproverò affettuosamente l’altra, mentre si
fingeva seccata ed esibiva tutta la sua esasperazione. «Non so neanche se ti
piacerà. Sappi, però, che ci ho messo una vita per trovare qualcosa che ti
potesse piacere».
Gli
occhi dorati del giovane si sbarrarono per la meraviglia, una volta eseguito
l’ordine della sua bella. Strinse tra le mani quel nuovo completo da
Allenatore, tastando la morbidezza del tessuto e inspirando profondamente il
suo profumo. Per quanto fosse un pensiero semplice e poco elaborato, l’aveva
lasciato senza fiato; dopotutto, il suo valore simbolico era molto alto.
Ammirò
il volto della Capopalestra sorridente, in quel
momento a dir poco soddisfatta della reazione e dell’emozione suscitate.
«È
stupendo» trovò solo la forza di commentare, ancora troppo stupito per poter
ideare una formula di ringraziamento più curata e idonea alla situazione. Tante
erano le cose che avrebbe voluto dire in quel momento, eppure il fiato per
poterle esalare non era sufficiente.
La
Domadraghi si passò una mano nei capelli, assumendo posa
e atteggiamento superiori. «Ma certo che è stupendo. Infatti, ti è stato
regalato da una persona bellissima come me. Che cosa potevi mai aspettarti?» esclamò
con aria saccente, senza preoccuparsi di essere eccessivamente narcisista e
piena di sé.
Gold
ben sapeva che, dietro quell’atteggiamento arrogante, si nascondeva in realtà
un sentimento di gioia pura. Nonostante la donna cercasse di nasconderlo ai
suoi occhi, doveva essere davvero sollevata e felice di vederlo così
soddisfatto. Dopotutto, non aveva forse detto di aver cercato in lungo e in
largo un regalo in grado degno di essere chiamato tale? Se avesse avuto a che
fare con una persona qualunque, non avrebbe di certo sprecato il suo tempo
prezioso.
Eppure,
Sandra lo aveva fatto: aveva gettato al vento ore di allenamento, pur di poter
godere di quell’istante di meraviglia e contentezza.
«Non
mi chiedi se è tutto qui?» esordì improvvisamente la fidanzata in questione,
destandolo in modo brusco dai suoi pensieri. Lo sguardo della futura Maestra
Drago era fisso su di lui, quasi lo stesse studiando, in attesa di una risposta
da parte sua. Sembrava quasi che si aspettasse qualcosa, un gesto, un’azione,
un segnale.
L’Allenatore
non seppe come rispondere. Interdetto, indugiò per una manciata di secondi,
nell’attesa di trovare le parole giuste per risponderle. Che cosa doveva
rispondere? O meglio, che cosa la Capopalestra voleva
sentirsi rispondere? Se doveva essere franco, non ne aveva la benché minima
idea.
«Non
penso che tu abbia avuto il tempo per pensare a un altro regalo da farmi,
impegnata come sei…» disse il ragazzo, sicuro su ciò che stava affermando. Difatti,
dato che la Domadraghi aveva solo una serata libera
da dedicargli, come avrebbe potuto ritagliare altro tempo libero per cercare
altro per lui? Sarebbe stato impossibile, dati i suoi innumerevoli doveri.
A
dispetto delle sue aspettative, però, una risatina ilare sfuggì dalle labbra della
giovane donna. La futura Maestra Drago scosse il capo con estremo disappunto,
per poi sporgersi leggermente verso di lui. «Fai ancora in tempo a chiedermelo,
Tappo» mormorò sibillina, mentre il suo sguardo si fondeva con quello del fidanzato.
«Se
proprio insisti, allora te lo chiedo» stette allora al gioco, non potendo fare
a meno di domandarsi quali fossero le intenzioni della bellissima e attraente ragazza
di fronte a lui. Per un qualche motivo a lui inspiegabile, il suo cuore prese a
martellare violento nel petto con l’avvicinarsi dell’esperta di Pokémon Drago. Più la distanza tra loro diminuiva, più
sentiva un insolito calore divampare nel suo petto. Nonostante quel tumulto di
emozioni potenti e nuove, che gli infondevano un’insolita e tonificante
energia, trovò la forza necessaria per porre quel quesito con voce sostenuta: «Sentiamo,
che cosa hai intenzione di regalarmi?».
Sebbene
avesse cercato di nasconderlo ai suoi occhi, gli fu impossibile mascherare la
sua quanto mai evidente curiosità. Provocandolo in quel modo e risvegliando
ardori sopiti, Sandra aveva catturato la completa attenzione dell’Allenatore.
Entrambi
trattennero il respiro per un breve istante, non appena il volto della Capopalestra si trovò a un soffio da quello del nuovo
Campione di Johto. Per quanto la tentazione di unire
le loro labbra in un bacio passionale fosse forte, sopirono i loro istinti –
seppur a malavoglia – e si concentrarono sull’intensità di quel momento.
Un
sorriso beffardo si dipinse sul viso niveo della donna, non appena lesse
visibile tensione nelle iridi dorate del suo compagno. «Sai una cosa? Mi è
passata la voglia di dirtelo, dato che ci hai messo troppo a chiedermelo» lo
canzonò, con il chiaro intento di stuzzicarlo ancor più di quanto non avesse
già fatto, per alzarsi dalla sedia e allontanarsi in modo sensuale da lui. «Ora
ti arrangi, mio caro Nano».
«C-Cosa?!»
balbettò il ragazzo, dopo essersi ripreso dall’iniziale stordimento, per poi
scattare immediatamente in piedi e raggiungere la sua bella. «Ma se eri tu a
volermelo dire! Per favore, parla, io…».
Tuttavia,
non fece in tempo a concludere la frase. La Domadraghi
si voltò di scatto e intrecciò le dita nei suoi capelli corvini, attirando poi
il corpo del fidanzato a sé e intrappolando la sua bocca in un bacio carico di
puro affetto. L’Allenatore, dapprima con gli occhi sbarrati e ogni muscolo teso
per lo stupore, si rilassò sotto il tocco dell’amata, lasciandosi trasportare
dalla miriade di emozioni e sensazioni che presero a travolgerli in una
tormenta di passione.
«Mi
fido di te» mormorò senza fiato la giovane donna, poco dopo aver interrotto
quel contatto intimo, poggiando la sua fronte contro quella del ragazzo. Fuse il
suo sguardo limpido e sereno con quello del giovane, mentre gli sorrideva con
amore e complicità.
Ventun Luglio,
ore 21:30.
Sandra non avrebbe potuto fargli regalo migliore del suo amore e della sua
cieca fiducia. In quell’istante, a Gold parve quasi di poter spiccare il volo,
tanto grande era la sua felicità. Avvolse l’amata in un abbraccio possessivo e
caloroso, come se fosse la cosa più preziosa che possedeva.
Per
quanto fosse più grande di lui, bellissima, sensuale e dannatamente provocante,
in quel momento gli pareva quasi fragile e delicata. Lesse innocenza e purezza
nei suoi occhi limpidi, che in quel momento gli stavano comunicando quel
sincero sentimento nutrito nei suoi confronti.
E
le loro labbra tornarono a sfiorarsi una volta, poi ancora cento volte, poi
ancora mille volte; un dolce preludio che preannunciava un atto di puro amore.
Sdraiata
sulle coltri morbide del suo piccolo letto a una piazza e mezza, Sandra ammirò il
suo bell’amante sopra di sé. Accarezzò il suo viso più volte, cercando di
infondergli quanta più sicurezza e determinazione possibile, mentre lo incitava
a non indugiare e a lasciare che fossero le sue emozioni a prendere il
sopravvento.
I
vestiti, stoffa ingombrante e superflua, presero ad ammonticchiarsi sul
pavimento freddo di quella piccola e accogliente stanza, mentre l’atmosfera si
faceva via via sempre più pregna di calore ed eccitazione.
Finalmente,
dopo tanto sperare e altrettanto desiderio, il sogno di entrambi gli amanti si
stava tramutando in realtà. Fiducia e amore li spingeva ad agire, a sfiorare
con devozione ogni centimetro di pelle, a studiare e vezzeggiare ogni parte dei
loro corpi, anche i recessi più intimi. Ogni atto si svolgeva lentamente, senza
troppa fretta ed eccessive pretese, dando a ciascuno di loro il tempo di
concentrarsi sulle proprie azioni esulla magia di quel momento – e dando loro il tempo di amarsi sinceramente
e di farlo capire l’uno all’altra, comunicando a gesti ciò che a parole era
impossibile esprimere.
Nascosti
da sguardi indiscreti, lontani da ostacoli, voleri altrui e aspettative, i due fidanzati
cominciarono a procedere a passo sempre più spedito verso il paradiso. Dopo piccole
risate, sorrisi carichi d’affetto, passione, ultimi timori e frasi affettuose
sussurrate con voce ansimante, i loro corpi si unirono fino a divenire
un’entità sola. Ci furono istanti di smarrimento e di tensione, di paura e di
dolore, ma nulla impedì ai due amanti di portare a compimento il loro amore.
Per
quanto imperfetta e scoordinata potesse sembrare, la loro danza passionale era
travolgente e meravigliosa - o almeno, così appariva ai loro sensi, in quel
momento in delirio e completamente assuefatti da emozioni travolgenti. In
quegli istanti di puro affetto, non avrebbero potuto desiderare di meglio.
Entrambi
si trovavano in compagnia della persona amata, protagonisti di un sogno
tramutato incredibilmente in realtà, custodi di un sentimento puro e
intoccabile: nulla avrebbe potuto intaccare in alcun modo la magia di quel
momento intimo, perché loro l’avrebbero difesa anche a costo della vita stessa.
Il legame che li univa era saldo e incorruttibile, tanto che nemmeno la spada
più affilata dell’odio e dell’invidia avrebbe potuto spezzare il filo che li
congiungeva – perché loro l’avrebbero tenuto per sempre unito, qualunque fosse
il prezzo da pagare.
E
in quella certezza, nella loro unione eterna consacrata da quell’amplesso, nell’amore
e nella fiducia, i due amanti raggiunsero il paradiso.
«Ti
amo».
Senza
neanche volerlo, entrambi i fidanzati pronunciarono simultaneamente il loro
giuramento d’amore. Si guardarono negli occhi, leggendovi specularmente gioia immensa
e affetto sincero, mentre le loro labbra rosse per i troppi baci si curvavano
in espressioni felici. Abbracciati e provati dalla travolgente passione che li
aveva colti, si cullarono in quella notte a dir poco magica, proteggendosi
dalle insidie di quel mondo esterno tanto avverso alla loro unione.
Erano
diventati una cosa sola e nulla sarebbe stato in grado di dividerli. Anche se
il mondo intero si fosse opposto alla loro relazione, non si sarebbero mai
arresi, né si sarebbero lasciati vincere dall’invidia e dall’odio.
Con
questa convinzione, entrambi si assopirono, lasciandosi trasportare in un mondo
di pace e serenità.
E anche oggi eccoci
qui, miei carissimi lettori, con una nuova Shot! Anzitutto, ringrazio tutti
coloro che mi seguono, chi recensisce e chi ha inserito la
raccolta nei preferiti o nelle seguite. Vi devo davvero tanto, dolcezze! ♥
Questa
Settimana leggerete le storie di tre
personaggi diversi, ambientate in tre
posti diversi, protagonisti di tre
situazioni diverse: Draigen, Sandra e Megan,
rispettivamente in una camera da letto, in una sala da pranzo e nella Tana del
Drago. Diciamo che mi sono divertita a scrivere tutte queste situazioni, dato
che sono una differente dall’altro per contenuti e sentimenti. So già che,
quando leggerete la terza
situazione, molti di voi vorranno uccidermi. Lo so, il finale è oscuro e
non molto comprensibile, ma vi lascia già capire che… la storia si sta evolvendo. Non vedo l’ora di leggere le vostre
considerazioni nelle recensioni! ♥
Detto
questo, vi ringrazio per continuare a
seguirmi. Ah, un’ultima cosa! Vi consiglio di dare un’occhiatina alla pagina
del mio profilo, più precisamente alla parte “A tutti i miei carissimi lettori”. Ricordatevi: sono sempre
disponibile per aiutarvi in qualche modo! Detto questo… buona lettura! ♥
Quattordicesima
Settimana:
Riunioni
Le
labbra di DraigenBlackthorn
si curvarono istintivamente in un sorriso radioso, non appena scorse dalla
finestra due figure avvicinarsi alla sua abitazione. Si lisciò i corti capelli
color notte con una mano, mentre i suoi occhi cremisi erano fissi sul giovane
al fianco dell’adorata figlia.
Finalmente
avrebbe avuto l’onore di conoscere colui che aveva preso possesso del cuore
della bella Sandra: era solo questione di secondi, poi avrebbe stretto la mano
di quello che un giorno sarebbe potuto diventare suo genero – la sola idea di
incontrarlo la emozionava come una ragazzina al primo appuntamento.
«Sai,
caro Edgy» sussurrò con certa tenerezza, per poi
voltarsi e rivolgersi alla foto del marito, che giaceva sul comodino accanto
all’enorme letto matrimoniale. «Ti stai perdendo un sacco di cose. Ormai la
nostra amata San è diventata una vera donna, non è più la bambina che hai
salutato tanto tempo fa».
Erano
trascorsi ormai una dozzina d’anni da quando il precedente Capopalestra
si era diretto verso le lande innevate di Sinjoh per
prendere parte ad un’importante missione. La Domadraghi
veterana quasi stentava a credere che fossero trascorsi così tanti giorni dalla
sua partenza – il solo pensiero di essere rimasta lontana dal marito così a
lungo la angosciava alquanto.
Il
terrore di non poterlo riabbracciare mai più cresceva a dismisura con il solo
trascorrere dei secondi. Il coniuge le aveva promesso innumerevoli volte di non
perire durante la battaglia, non prima di essersi ricongiunto con i suoi cari –
ed era il minimo che potesse fare, a detta di Draigen,
per farsi perdonare per la sua assenza.
«Il
lato sinistro di questo letto è rimasto vuoto per troppo tempo, quindi vedi di
tornare presto, disgraziato che non sei altro» ridacchiò malinconicamente la
donna, prima di tornare a guardare i due fidanzati ormai prossimi alla meta.
«Dato che oggi non avrai il piacere di conoscere il ragazzo di nostra figlia,
vedi almeno di tornare per il loro futuro matrimonio. È un ordine».
Il
suo cuore perse un battito per la sorpresa, non appena la voce di Sandra giunse
improvvisamente alle sue orecchie. A giudicare da come stava chiamando il suo
nome, il grande momento era in procinto di giungere. La Domadraghi
veterana inspirò profondamente, nel tentativo di restare lucida e composta –
non poteva certo mostrarsi turbata e emozionata in una simile occasione, no?
Ovviamente,
la Capopalestra le aveva gentilmente chiesto di non
essere eccessivamente rilassata,
ossia di non prendere troppa confidenza con l’Allenatore – ma promettere una cosa
simile non sarebbe stato nel suo stile, anzi, avrebbe mentito giurando di non
farlo. Dopotutto, era suo diritto di madre conoscere ogni aspetto della loro
relazione, anche i dettagli più intimi.
Sicuramente
anche Edgar avrebbe rimproverato la sua eccessiva curiosità, ma si sarebbe
rassegnato, permettendole di fare ciò che desiderava con tutta se stessa. Se
solo lui fosse stato al suo fianco, l’atmosfera sarebbe stata meno pregna di
tensione e agitazione. Il solo pensiero di trovarsi sola in una serata così
importante suscitava in lei enorme sconforto, che scacciò e represse con rabbia
– non poteva permettersi di apparire malinconica e triste, non in
quell’occasione, non davanti a Gold, non di fronte a Sandra! Quell’incontro
doveva essere perfetto e lei l’avrebbe reso tale, anche a costo di soffrire
silenziosamente.
«Mi
manchi, Edgar» mormorò infine, rivolgendo un’ultima occhiata al marito
sorridente, in quella foto abbracciato a una giovane donna con in braccio una
neonata di pochi giorni.
Dopodiché,
si richiuse la porta alle spalle.
Sandra
aveva affrontato numerose sfide durante la sua carriera di Domadraghi,
una più impegnativa e difficile dell’altra. In quegli istanti di tensione,
spesso la paura montava nel suo petto, ma lei si era sempre dimostrata in grado
di reprimerla e scacciarla.
Eppure,
ironia della sorte, quella sera non sembrava capace di sconfiggere il terrore
nemico.
Il
suo sguardo si spostava ripetutamente dalla figura del suo fidanzato a quella
della madre, in quel momento entrambi intenti a studiarsi a vicenda senza
proferire alcuna parola. Nessuno di loro aveva osato spezzare quell’opprimente
silenzio, né sembrava volerlo fare.
Bella atmosfera,
complimenti,
pensò con certa irritazione la Capopalestra,
incrociando le braccia al petto e ammonendo con lo sguardo entrambi i suoi
cari. Possibile che nessuno dei due avesse il coraggio di presentarsi per
primo? A giudicare dal loro comportamento, doveva prendere in mano la
situazione e movimentare un po’ le cose.
«Mamma,
ti presento Gold» disse con decisione, cercando impacciatamente di assumere un
tono calmo e di non lasciar trasparire il suo evidente nervosismo. Dopodiché,
si rivolse al compagno, indicando con un cenno di capo la donna seduta davanti
a loro. «Gold, questa è mia madre Draigen».
«Piacere
di conoscerla, signora Blackthorn» esordì
l’Allenatore, dopo aver preso il coraggio a due mani. L’idea di incontrare la
genitrice della sua amata lo aveva reso piuttosto inquieto, specie dopo le
descrizioni fornite dalla Maestra Drago sul conto della veterana.
Dall’interlocutrice
in questione, però, non giunse alcuna risposta. La quarantaseienne si limitò a
posare gli occhi cremisi prima sulla figlia e poi sul giovane ripetutamente,
per poi curvare le labbra in un sorrisetto malizioso. «Avete già portato la
vostra relazione a un livello più intimo, vero, piccioncini?» mormorò in modo
provocante, per poi scoppiare a ridere fragorosamente, non appena i volti degli
innamorati si dipinsero di rosso.
«Tra
tutti gli approcci possibili, perché proprio questo…?!» protestò la Domadraghi, trattenendosi a stento dall’imprecare in modo a
dir poco indecoroso. Sua madre non si sarebbe mai smentita e non avrebbe mai
rinunciato a certi vizi, neppure pregandola in ginocchio. «Ma un semplice Piacere di conoscerti non ti piaceva?!».
«Non
sarebbe stato degno di me» fu la risposta dell’altra, in quel momento intenta
ad ammirare con orgoglio l’effetto provocato dalla sua innocente domanda. «Suvvia, non c’è alcun motivo di cui
vergognarsi. È una cosa così naturale e ovvia!».
Ma non è così
naturale e ovvio il fatto che lo abbia chiesto, avrebbe voluto
replicare Sandra, se solo non avesse fatto affidamento a tutto il suo
autocontrollo, pur di non trasformare quella riunione in una discussione.
L’ultima cosa che desiderava era mettere in soggezione Gold, anche se sua madre
ci era riuscita perfettamente: il povero ragazzo, ancora stupito dal
comportamento di Draigen, non aveva neppure il
coraggio di guardarla negli occhi.
Al
contrario, come da previsione, la madre appariva tranquilla e a suo agio come
non mai. Rivolse un sorriso affettuoso e dolce al diciassettenne, nel tentativo
di rimediare al suo precedente errore. Effettivamente, doveva ammetterlo, aveva
sbagliato iniziando il discorso in quel modo però, così facendo, aveva
sicuramente reso l’idea di essere una persona dalla mentalità aperta. Il suo
intento era far capire quanto approvasse la loro relazione, anche secondo
aspetti privati – anzi, era felice di poter dire che la sua amata figlia era
diventata una donna a tutti gli effetti.
«Battutine
a parte, per me è un vero piacere fare la tua conoscenza, Goldy
caro» esclamò poi la veterana, costringendo così l’altro a sollevare il capo e
osservare il suo viso.
La
sua espressione materna placò il tormento del giovane, arrivando perfino a
calmare il battito impazzito del suo cuore. L’Allenatore dovette ammettere che
la signora Blackthorn assomigliava incredibilmente a
Sandra: nonostante l’età, possedeva una rara bellezza, aveva un modo di fare
garbato e fine, nonché un comportamento determinato e dolce al contempo. In
quel preciso istante, Gold si sentì protetto tra quelle persone care, come se
fosse a casa sua.
«Sono
contenta che mia figlia abbia conosciuto un ragazzo come te. Sembri molto
premuroso e gentile» continuò poi la madre, con un tono di voce alquanto
gioioso, che tradiva una certa emozione. «Era da anni che aspettavo questo
momento. Sono davvero contenta per voi».
Istintivamente,
la mano del ragazzo cercò quella della sua amata, per stringerla in una presa
caldae morbida. Entrambi abbozzarono un
timido sorriso, all’inizio leggermente imbarazzato, di pura gratitudine. Draigen sembrava sinceramente contenta di vederli così
uniti.
«Mi
ricordi molto il mio Edgy, Goldy
caro. Sei proprio un tipo per bene, gentile e garbato, un vero e proprio
figurino. E scommetto che sei pure ben fornito» concluse infine,
complimentandosi a più non posso con il fidanzato della figlia. «Insomma, sei
il ragazzo perfetto per la mia San, in tutti i sensi».
E
la Domadraghi veterana scoppiò a ridere
fragorosamente, ammirando l’espressione imbarazzata di Gold e quella allibita
di Sandra.
Nella
Tana del Drago regnava il silenzio. Per quanto assurdo potesse sembrare, non vi
era alcuna anima viva: tutti i giovani che solevano allenarsi a qualsiasi ora
del giorno si trovavano nelle loro case, oppure in taverna assieme ai compagni.
A ognuno di loro era stato concesso un giorno di riposo – avvenimento più unico
che raro, date le rigide regole del Clan – e tutti ne avevano giustamente
approfittato.
Tutti
meno uno.
Megan
non aveva alcuna intenzione di sprecare il suo tempo. Era solo questione di
poche settimane, poi il Gran Maestro l’avrebbe convocata per farle sostenere
l’esame necessario per diventare una Domadraghi a
tutti gli effetti. Doveva allenarsi duramente e sfruttare ogni occasione per
farlo, se voleva raggiungere il suo traguardo. Stando a contatto il più
possibile con la sua squadra, forse avrebbe capito che cos’era necessario per
diventare un vero Maestro Drago. Inoltre, essendo sola nella grotta, nessuno
avrebbe potuto distrarla in alcun modo.
Improvvisamente,
però, qualcosa catturò la sua attenzione. Un vociare confuso proveniva dal
Tempio, dove parevano esserci delle persone all’interno. All’inizio decisa a
non prestare attenzione a ciò che stava succedendo, passò accanto alla porta
d’ingresso senza degnarla di alcuna attenzione.
Se
stavano parlando di qualcosa di importante, ragion per cui avevano congedato
tutti gli Allievi e gli altri Maestri, di certo doveva trattarsi di un
argomento che non riguardava una semplice Fantallenatrice
come lei.
«Quel
tizio rischia di compromettere i nostri piani. Dobbiamo allontanarlo
immediatamente da Ebanopoli».
La
ragazza arrestò la sua camminata, sinceramente colpita da quelle parole. I
Saggi avevano davvero intenzione di esiliare qualcuno? Era da anni che non si
prendevano simili provvedimenti. Qualcuno doveva essersi macchiato di una
terribile colpa, se l’intero Consiglio era giunto a una simile conclusione.
«Non
è necessario» ribatté qualcun altro, sempre un membro degli Anziani, in tono
maligno. «Basterà solamente che vengano rispettate le tradizioni della Stirpe».
La Stirpe. Megan sapeva
bene che cosa fosse. Si trattava della famiglia più vecchia di Ebanopoli, che da ben otto generazioni comandava e
proteggeva il borgo montano – una famiglia buona e giusta, incorruttibile e
intoccabile, nella quale ogni persona credeva. Tutti portavano rispetto ai
membri della Stirpe, in quanto Domadraghi valorosi e
dotati di grandi virtù, e nessuno poteva ribellarsi alle loro decisioni.
«Il
Drago Valoroso deve congiungersi con
il Drago Divino. Questo è scritto nel
loro destino, questo è necessario per il bene di Ebanopoli.
Nessuno può opporsi a questa sacra unione, tantomeno uno straniero».
Testimone
indiretta di un complotto malvagio, la Fantallenatrice
si portò una mano alla bocca, per soffocare un’esclamazione di stupore e
incredulità. Spaventata e impaurita, indietreggiò a passo svelto, per poi
correre verso l’uscita della Tana del Drago.
Le
sue mani presero a comporre velocemente un numero di telefono, mentre pregava
con tutto il cuore che dall’altro capo rispondesse chi di dovere.
Perché
solo Lui poteva fare qualcosa per
sopire sul nascere quella congiura.