Restart

di EleNicka_MM
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovi arrivi e nuovi segreti ***
Capitolo 2: *** Amori e risvegli ***
Capitolo 3: *** L'amore è per sempre ***
Capitolo 4: *** La morte del cigno ***
Capitolo 5: *** Non è detta l'ultima parola ***
Capitolo 6: *** In manette ***
Capitolo 7: *** Ritorno alle origini ***



Capitolo 1
*** Nuovi arrivi e nuovi segreti ***


La donna entrò nell'atrio. Il direttore del Princeton Plainsboro si affacciò dal suo ufficio e, sorridendo, le fece segno di entrare.
<< Piacere, Eric Foreman>>
<< McRory, Eileen McRory >> rispose lei stringendogli la mano, senza sorridere.
<< Vedo che è specializzata in immunologia, neurologia e oncologia e leggo anche che aveva fatto domanda per entrare nel team del dottor Chase. Perché questa scelta? >> chiese Foreman sfogliando velocemente il suo dossier, dopo essersi seduto dietro la scrivania.
<< All'università mi hanno parlato molto bene di lui >> rispose semplicemente.
<< Ok >> fece il direttore alzandosi << Qui è d'uso far fare una settimana di prova ai nuovi dipendenti e poi valutarne il rendimento >>.
Uscì dall'ufficio e la accompagno a conoscere il team.



Una macchina. Due uomini: uno guidava, l'altro russava con la testa appoggiata al finestrino appannato.
Appena entrarono in Princeton l'uomo alla guida sorrise fra sé e sé e pensò che ce l'avevano fatta, avevano vinto la battaglia e ora, da buoni soldati, stavano ritornando in patria.


<< Ragazzi, vi presento la nuova componente della squadra, la dottoressa Eileen McRory. Eileen loro sono Chi Park, Chris Taub, Jessica Adams e, naturalmente, il dottor Robert Chase >>.
Eileen rivolse a Chase uno sguardo adulatore, cosa che, senza sapere il perché, sembrò infastidire molto Foreman: un' ombra velò per un attimo i suoi occhi in modo strano.

Mentre uscì dalla stanza si soffermo un attimo a guardare la ragazza mentre si relazionava col team e si accorse, per la prima volta, di quanto era bella: i capelli biondi e ricci che le ricadevano sugli occhi, di un vivido azzurro ghiaccio, davano al suo viso pallido e alle sue piccole labbra rosse un senso di disordine e, allo stesso momento, di eleganza che la faceva sembrare molto più attraente di quello che era.
A Eric sembrò di averla sempre conosciuta: quei bei lineamenti le erano stranamente familiari.
Gli ricordavano... beh, no, si disse: era solo uno scherzo della sua stupida immaginazione!


<< House! Svegliati, che siamo arivati! >> disse Wilson cercando di svegliare il suo migliore amico, senza ottenere successo << House? House? HOUSE! >>. Ecco: si era svegliato!

Gregory House si stropicciò gli occhi, ancora cisposi di sonno e mostrò il dito medio a Wilson.
Poi aprì la portiera e, sorreggendo la gamba malata, scese dalla macchina.
Guardò la porta verde di quella che era stata la sua casa, e che lo era ancora e tirò fuori le chiavi pensando che, se non ci fosse stato Wilson, che aveva comprato l'appartamento due settimane dopo la presunta morte di House, in quel momento non avrebbe avuto dove vivere.

<< Allora si ricomincia >> disse Wilson, scaricando i bagagli dalla macchina.
House non rispose, non sapendo se sarebbe riuscito a ricominciare!


Due mesi dopo
Eileen stava tornando a casa, per poter cambiarsi e poi andare a cena con il team. Chase aveva prenotato quella mattina un tavolo in un ristorante della città, pregando Eileen di portare anche sua figlia Julia. Dapprima lei aveva rifiutato: non voleva che sua figlia si annoiasse, ma cambiò idea quando Taub le disse che avrebbe portato anche le sue due bambine, coetanee di Julia.
Percorrendo la strada per tornare a casa dall'ospedale pensò che mai si era sentita così bene da quando era morta sua madre, che, anche se li conosceva da poco tempo, i ragazzi del team erano come una famiglia per lei.
Svoltando con la macchina nella via in cui aveva affittato un appartamento si accorse che, dalle finestre del piano terra della casa di fronte alla sua, al numero civico 221B, si intravedeva uno spiraglio di luce. Pensandoci un po' su lo trovò alquanto strano, perché da quando si era trasferita lì (ormai da qualche mese), non aveva mai visto nessuno affacciarsi a quelle finestre, o scostare le tende.
Lasciò la macchina davanti al portone e entrò in casa. Congedò la baby-sitter, che era lì dal mattino presto e iniziò a preparare la figlia. Dopo averla lavata e vestita lasciò che andasse a sedersi sul divano a guardare i cartoni animati delle sette, dicendole che sarebbe andata a prepararsi e che poi sarebbero uscite. Era contenta di sua figlia: sapeva comportarsi bene a tavola e non faceva le solite storie sul cibo che erano solite dei bambini di quell'età.
Riuscì ad essere fuori casa per le otto meno un quarto, auto-congratulandosi per la sua capacità di non essere mai in ritardo.
In macchina impostò il navigatore satellitare sulla via che Chase le aveva comunicato via SMS e si avviò verso il ristorante.


Nel frattempo nella casa di fronte House e Wilson stavano “litigando” sulla cena: uno voleva ordinare due pizze e mangiarle beatamente seduti sul divano guardando i Monster Truck, mentre l'altro voleva cimentarsi in cucina.
La cosa strana era che colui che avrebbe voluto cucinare era House, che voleva provare una delle ricette che aveva imparato in Giamaica, mentre Wilson era impegnato con le sedute della cura che aveva fatto ridurre il suo tumore. In clinica avevano deciso che avrebbe potuto finire i cicli a casa e che poi si sarebbero risentiti per programmare l'intervento per rimuovere il timoma.


Il Gennaro's Restaurant era a soli dieci minuti da casa sua.
Eileen lo aveva consigliato a Chase, che non aveva mai provato la cucina italiana. Lei la adorava: era semplice e non era pesante come la cucina americana. L'aveva sperimentata per la prima volta da sua nonna Doriana, originaria di Firenze: aveva incontrato Kimberly McRory in un locale ed era subito rimasta folgorata dalla bellezza di questo ragazzo americano. Dopo due anni di fidanzamento con lui aveva lasciato la sua città e si era trasferita nel New Jersey con lui.
Intravide la macchina di Park nel vialetto adiacente al ristorante e decise di scendere.


Un buon profumino si era sparso per la casa, tanto buono che Wilson si alzò dal divano e andò a sbirciare in cucina. Lo sformato era in forno e House stava preparando la gustosa salsa d'accompagnamento. Mentre era lì ad ammirare il lavoro del suo migliore amico ebbe un giramento di testa che lo costrinse a ritornare sul divano. Aveva appena finito un ciclo del farmaco che, seppur non potente come la chemio lo faceva comunque stare male. Provò a distendersi, ma la strana sensazione di avere la testa compressa tra due mattoni non passava: non aveva mai avuto questo effetto collaterale. Si misurò le pulsazioni che erano sotto i 50. Ebbe solo il tempo di chiamare House che sprofondò nell'oblio dell'incoscienza


Al Gennaro's i sei occupanti del tavolo nell'angolo a destra della sala stavano chiacchierando tranquillamente, buttando ogni tanto un occhio alle tre bambine che stavano giocando lì vicino. Eileen McRory notò con piacere che sua figlia si stava divertendo con le bambine di Taub.
Il discorso, senza sapere bene come, era stato spostato sulla famiglia. Alla domanda di Foreman: “I tuoi genitori sono del New Jersey?” si riscosse dai suoi pensieri: << Sì, mia mamma è nata nel Jersey, ma è cresciuta nel Tennessee, dove i miei nonni avevano una fattoria. >>.
<< E tuo padre, invece? >> chiese Adams.
<< Mio padre abbandonò mia madre dopo averla messa incinta. Io non l'ho mai conosciuto. So solo, da cosa mi raccontava mia madre, che era un medico e che era un gran bastardo. >>
Non disse, però, che lei sapeva il nome di suo padre e che era venuta a Princeton per cercarlo.
Un
bip, più precisamente il bip del cerca-persone la fece sobbalzare.
Anche quelli dei suoi colleghi suonarono. Dopo aver guardato il messaggio, di Foreman, Chase e Taub si scambiarono un'occhiata che non riuscì subito a decifrare, ma di cui, tempo dopo comprese il significato. 

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Capitolo 2
*** Amori e risvegli ***


Appena arrivarono in ospedale, Adams, Park e Eileen ancora in abito da sera, trovarono Eric Foreman che li aspettava nell'atrio.
Chase gli scoccò uno sguardo interrogativo e, con un cenno del capo indicò al direttore sanitario e a Taub un posto tranquillo in cui parlare.

<< Come sarebbe a dire: “Wilson è arrivato qui d'urgenza, House è con lui”? >> urlò un isterico Chase, non appena la porta si fu chiusa dietro ai colleghi.

<< Lo so, quando ho visto anche io stentavo a crederci. Pensavo di avere le allucinazioni! >> rispose Foreman.
<< Cioè >> cercò di farlo ragionare Taub << Tu mi stai dicendo che un morto ha accompagnato in ambulanza una persona che sarebbe dovuta morire un anno fa? Sei sicuro di stare bene? >>

E allora Eric, con un sospiro, raccontò ai due amici la storia così come House gliel'aveva riferita.

House guardava Wilson. Per cinque, fatidici minuti House aveva combattuto con la dura realtà, aveva avuto paura di perdere il suo migliore amico per sempre.
Ora la paura si era attenuata, non di molto, ma quel che bastava per far spazio ad un orrido e opprimente senso di colpa: lui aveva proposta la cura a Wilson, lui lo aveva spinto a sottoporsi a quelle sedute, lui era il responsabile, sua era la colpa se il suo amico aveva avuto un infarto.

Il medico era seduto con il cellulare in mano. Avrebbe voluto chiamarla. Avrebbe voluto che la sua voce lo confortasse, gli dicesse che tutto sarebbe andato bene. Ma lei non c'era. Lisa Cuddy era andata per la sua strada, lo aveva abbandonato tanti anni fa per stare con quell'essere insignificante che era Rachel. E poi, comunque, cosa le avrebbe detto; lei lo credeva morto, come lo credeva Foreman e tutti quelli che avevano provato un minimo d'affetto per lui.

<< Lisa, sono Eric. Appena senti questo messaggio chiamami. Si tratta di Ho...... di Wilson. >>

Dopo la sesta chiamata Foreman aveva lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica della Cuddy. Stava quasi per commettere l'errore più grande: stava per dire che la cosa trattava House e sapeva che, se non si fosse corretto, lei non avrebbe mai risposto.

Cinque minuti dopo aver lasciato il messaggio vocale, il cellulare di Eric squillò: << Pronto? >>

<< Foreman, sono Cuddy. Cos'è successo a Wilson? >> chiese preoccupata.

<< È stato portato qua d'urgenza. Ha avuto un infarto. >>

<< Oh, mamma mia. Vengo a vedere come sta. Arrivo fra cinque minuti. >>

<< Lisa, ma sono le undici! >>
<< Zitto Eric. Tanto ho capito che si tratta anche di House. >>

Lisa Cuddy salì in macchina e guidò come un razzo, superando anche i limiti di velocità, per arrivare al Princeton Plainsboro al più presto possibile.
Lei lo aveva sempre saputo: House non avrebbe mai potuto suicidarsi, men che meno quando Wilson aveva bisogno di lui.

Mentre guidava si sentiva frenetica, agitata e spaventata: non sapeva cosa avrebbe provato nel rivedere House e aveva paura per Wilson.

Quando scese dall'auto, parcheggiata davanti all'ingresso dell'ospedale, intravide subito la grande e scura sagoma di Foreman che l'aspettava dietro al grande portone di vetro.
Non si salutarono, la tensione era troppa; lei gli fece solo il gesto di accompagnarla da loro, che lui comprese.

Quando House vide la sua ex fidanzata e il suo ex capo venirgli in contro pensò di avere le allucinazioni. Dopo un breve calcolo si accorse che non poteva essere possibile: per la tensione non aveva preso neanche un Vicodin.

<< Come sta? >> chiese la Cuddy, cercando di far sembrare la sua voce calma e sicura.

<< Ora è stazionario, ma non si è ancora svegliato.

Lisa Cuddy guardò il viso della persona, dopo Rachel, più importante per lei e notò che, per la prima volta, House era fragile. Quando si accorse che i sui occhi si stavano pian piano riempiendo di lacrime, lei corse ad abbracciarlo e lasciò che le sue lacrime le bagnassero le spalle.

Non parlarono, ma con quel lungo abbraccio si dissero tutto quello che non erano riusciti a dirsi in quasi quindici anni. Si confermarono che nessuno aveva dimenticato nessuno, che il loro amore continuava a vivere, seppur nascosto, ma continuava a vivere. Si rassicurarono: niente sarebbe mai più riuscito a separarli.

Quando si staccarono e si guardarono negli occhi House seppe che, con lei al suo fianco, non avrebbe più dovuto aver paura e che tutto sarebbe andato bene.
<< Sarai distrutto, Greg. Vai a casa a riposare, sto io qui. Se si sveglia ti chiamo. >>

Si scambiarono un bacio, per salutarsi e poi lui andò a prendere la moto.

Quando arrivò a casa era ormai passata la mezzanotte. Eileen ingraziò la baby-sitter, che aveva aspettato paziente che lei tornasse e aveva messo a letto Julia. Lei però non aveva sonno e quindi iniziò ad esaminare attentamente la cartella del paziente e il sito della clinica giamaicana in cui aveva seguito la cura per il cancro: “James Wilson, 44 anni, infarto miocardico acuto, diagnosi di un timoma al terzo stadio nel dicembre del 2012. Fino alla data del ricovero stava sostenendo una cura a base di principi attivi naturali che, come verificato 3 mesi fa, aveva ridotto il timoma del 25 %”.
Guardando gli effetti collaterali del farmaco, Eileen si accorse che l'infarto non era nella lista: la prima ipotesi dei suoi colleghi, quindi, era esclusa. La radiografia aveva anche escluso un repentino ingrossamento del tumore.

Eileen chiuse la cartella clinica del paziente e decise che, al resto, avrebbe pensato il giorno dopo.

James Wilson si svegliò seduto su una panchina bianca, circondato da una fitta nebbia bianca che gli impediva di guardarsi in torno. Si accorse di avere addosso la camicia da notte. Perché? Si ricordava di avere addosso i jeans e la camicia hawaiana che gli aveva regalato House.

Poi, come flashback gli tornarono in mente delle voci: House che urlava il suo nome e che chiamava un'ambulanza, le voci degli infermieri che cercavano di rianimarlo... ah, sì: aera stato a lungo incoscente. Ma, come aveva fatto ad arrivare lì? Si provò ad alzare in piedi, ma una voce, una voce lontana e famigliare, chiamò il suo nome. All'improvviso la nebbia bianca si dissolse e James si trovò coricato in un letto d'ospedale, con Lisa Cuddy di fianco che gli stringeva la mano.

<< Grazie al cielo ti sei svegliato. Come ti senti? >> chiese lei, quando lui la guardò.

<< Bene, un po' debole, ma bene. Da quant'è che sono qua? >>
<< Due giorni. House è ritornato a casa adesso, vuoi che lo chiami? >>

<< Sì, grazie. Che mi è successo? >>
<< Hai avuto un infarto mentre eri da House. Stanno cercando di scoprire cosa te l'ha provocato; hanno escluso la cura e l'ingrossamento del tumore, ma non sono ancora riusciti a scoprire che cos'hai. >>

Poi Cuddy si avvicinò alla borsa e prese il telefono, per comporre il numero di House.
Wilson, intanto, ripensava ancora alla voce che proveniva dalla nebbia bianca. Erano ormai passati quattro anni da quando aveva sentito per l'ultima volta la voce di Amber. Girò la testa di lato per nascondere le lacrime allo sguardo vigile della Cuddy: pensare a lei faceva ancora male. Avrebbe voluto ritornare da lei, avrebbe voluto non svegliarsi per rimanere per sempre con la donna che amava, senza preoccuparsi di cosa avrebbe lasciato sulla terra.

House stava cercando un paio di scarpe più comode: le continue notti a dormire sulla poltrona nella stanza di Wilson gli avevano aumentato in maniera assurda il dolore alla gamba.

Quando Lisa aveva telefonato per dirgli che Wilson si era svegliato, lui era ancora a letto e, quando aveva provato ad alzarsi, la gamba non gli aveva retto ed era quasi caduto sul pavimento.

Ingoiò tre Vicodin tutti in una volta, prese la giacca il bastone e, in moto, si avviò verso il Princeton Plainsboro.

<< Hey, Wilson. Come ti senti? >> chiese House non appena fu entrato nella camera dell'amico.
<< Ciao House. Io vado bene, sono un po' debole, ma vado bene. >>
House iniziò a scrutarlo con l'aria attenta che riservava solo a lui, come per cercare ai raggi x la prova che mentisse. Quando si accorse che andava tutto bene si avvicinò alla Cuddy e le stampò un bacio sulla bocca.

Wilson rimase esterrefatto da quel gesto e iniziò a balbettare come un bambino piccolo che aveva trovato una rara carta di YugiOh.
<< Ah, stai un po' zitto >> sbottò House a Wilson, un attimo prima di continuare a baciare la fidanzata.

Il team del dottor Chase era seduto al lungo tavolo di vetro. Ogni medico aveva una copia della cartella clinica di Wilson e stava pensando in silenzio. Tutte le opzioni dei ragazzi erano state scritte sulla lavagna bianca e poi, in un secondo momento, tutte sbarrate con una grande 'x'.
Mentre stava cambiando la flebo al paziente Eileen aveva notato quell'uomo che era sempre con lui. Aveva una faccia.... No, non era possibile che... Lui era... Erano ormai tre giorni che lo incontrava nei corridoi e ne sentiva parlare dai colleghi, ma non aveva mai collegato il nome di Gregory House a Gregory House, suo padre.
 

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Capitolo 3
*** L'amore è per sempre ***


<< Lasciatemi andare.... lasciatemi! Lasciatemi! >>

<< Wilson, che succede? >>

<< Lasciatemi andare! Lasciatemi! Aiuto, lasciatemi! >>
<< Lisa. Ha la febbre alta, sta delirando! >> urlò House.

La Cuddy entrò di corsa nella stanza: Wilson tremava, nonostante la temperatura all'interno della stanza fosse nella norma. Delirava, urlava e si dimenava, come se qualcuno lo stesse tenendo fermo o lo stesse legando con delle funi. Aveva tutto il torace rosso e infiammato, come se si fosse tirato addosso una pentola piena di acqua bollente. Pigiò il pulsante delle emergenze; Chase e Eileen si precipitarono nella stanza, già con una fiala di paracetamolo, che in poco tempo fece abbassare la febbre a Wilson.

Chase fece segno ad House di seguirlo nel suo ufficio.
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<< Cosa può provocare un infarto miocardico, seguito a ruota da febbre alta e porpora al torace? >> chiese Chase non appena fu entrato nella stanza.
Il team si scambiò sguardi perplessi, nel vedere che anche House era presente alla differenziale.

House era la prima volta che si trovava davanti alla sua vecchia squadra al completo. Era una sensazione strana rivederli tutti lì e constatare che nessuno era cambiato.

Il suo sguardo però si concentrò sulla nuova dottoressa: aveva sentito Chase chiamarla Eileen, ma non era certo sul cognome. La cosa certa era che, quando era in giro lei, inspiegabilmente Foreman spuntava nei corridoi e, cosa ancora più strana, se le doveva parlare insieme iniziava a balbettare e metteva su una faccia talmente da ebete che si trasformava nel sosia di Mister Bean.

Ad House quella ragazza ricordava qualcuno, ma si disse che probabilmente assomigliava ad una delle tante prostitute.

<< Potrebbe essere vasculite >> stava dicendo intanto Park.
<< Spiega tutto: l'infarto, la febbre e la porpora! >> constatò Adams, ottenendo l'assenso degli altri tre.

<< Sì, potrebbe essere vasculite. Fate gli esami ematochimici e una radiografia di conferma >>.
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Mentre prelevava un campione di sangue al paziente, Eileen posò ancora lo sguardo sopra a quell'uomo che, di sicuro, era suo padre. Si ricordava benissimo la sua immagine stampata nelle foto che sua mamma teneva nella grossa scatola dei ricordi.

Avrebbe voluto avere la forza per parlare a quell'uomo, raccontargli chi era e vedere se si ricordava di sua madre, ma non era ancora pronta.
Finito il prelievo uscì dalla stanza e, come al solito, vide comparire la muscolosa figura di Foreman da dietro il bancone delle infermiere.

<< Ciao, Eric! >> gli disse.

<< Ciao >> rispose lui, visibilmente a disagio.
Non si erano mai trovati così vicino, a parte quando lei era venuta al Princeton la prima volta.
Eileen lo osservò attentamente: si sentì arrossire, accorgendosi, ma non per la prima volta, di quanto era bello.
<< Senti >> iniziò lui visibilmente in imbarazzo << È da un po' che te lo volevo chiedere: cnedcdiusnasra? >>

<< Scusa? Non ho capito. >>

<< Volevo chiederti: che ne dici di uscire una sera? >> ripeté Foreman riuscendo a scandire le parole.
<< Ok. Va bene! Facciamo stasera? >> rispose lei, contenta di avere un pretesto per non stare a casa tutta la sera.

<< Ok. Allora alle otto al tailandese >>

Poi ognuno svoltò dalla parte opposta: Forema a destra e Eileen verso le ascensori, per poter scendere in laboratorio e analizzare le provette.

Mezz'ora dopo Eileen uscì dal laboratorio con i fogli delle analisi in mano: aveva ragione, era vasculite.
Aveva azzeccato tutta da sola la sua prima diagnosi al Princeton e quella sera avrebbe cenato con Foreman: la giornata più bella della sua vita!
Entrò trionfante nello studio di Chase con i referti in mano: << Gli esami sono positivi per la vasculite e anche la radiografia! >>
<< Brava, giusta intuizione. Gli somministro il prednisone e, minimo una settimana può uscire.>>

Si avviò verso la stanza numero 339 non solo per dare a Wilson il farmaco, ma anche per fare una comunicazione importante.
<< Avevamo ragione, era vasculite! Ha causato l'infarto, la febbre e la porpora >> disse, non appena fu entrato << Ah, e c'è ancora una cosa, Wilson: la radiografia ha evidenziato una riduzione del timoma del 50%: non appena ti sarai rimesso fissiamo l'intervento. >>
House guardò Wilson, che si mise a piangere dalla gioia. Era tutto finito, pensarono i due amici, potevano ricominciare veramente a vivere, senza pensieri, come era sempre stato.
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Un mese dopo

Nonostante mancassero più di tre ore all'appuntamento Eileen era già pronta da un secolo.
Saettava per la casa come un'ossessa, dispensando di tanto in tanto la tata di Julia di informazioni: << Mi raccomando, a letto alle nove. Non fare il sugo con il pomodoro, perché Julia è allergica >> finché un bel momento il campanello suonò.
Eileen guardò fuori dal nottolino della porta e vide Eric che la aspettava. Salutò Julia e la baby-sitter e uscì. Un brivido la pervase quando le sue labbra toccarono quelle di Foreman: il ricordo dell'ultimo appuntamento era ancora vivido!

Avevano mangiato e poi lui l'aveva invitata a casa sua. Inutile dire che avevano scoppiato i fuochi d'artificio fino a tarda notte e che poi si erano addormentati abbracciati nel letto.
Ripensandoci il giorno dopo, le uniche due volte che con il suo ex marito si era sentita bene così, era stata la notte che aveva preceduto il concepimento di Julia e quello di suo figlio Fergus che era in Italia per studiare.
Con Eric si era sentita giovane come non mai, nonostante lei avesse solo 35 anni.
Sì, c'erano cinque anni di differenza fra lei e lui, ma in confronto ai vent'anni di differenza con suo marito...
Ritchie Tomlinson, il suo professore di ginnastica al college. L'aveva sempre attratta: le piacevano i suoi muscoli, la barbetta ispida, i lunghi capelli biondi... Anche lui era attratto da lei e un giorno, l'aveva invitata ad uscire e avevano poi fatto sesso. Qualche mese dopo lei aveva scoperto di essere incinta e, visto che l'amava molto, lui le aveva chiesto di sposarla. Avevano vissuto insieme per ben
diciassette anni, fino a quando lei non lo aveva trovato nel letto con la moglie del suo fratellastro.

Quella sera, però, Eric era strano: << È successo qualcosa? >> gli chiese lei con dolcezza.
<< È morta mia mamma, stasera alle sette. >> rispose lui.
<< Mi dispiace molto. Posso fare qualcosa? >>
<< Basterebbe solo che mi accompagnassi al funerale, lunedì mattina, e che non ne facessi parola con nessuno >>.
<< Va bene. Stasera non andiamo da nessuna parte: ordiniamo due pizze e guardiamo un bel film in TV. Ok? >>
<< Ok. Grazie. >>
<< Grazie? E di cosa? >>
<< Grazie d'esistere, Eile. >>
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Intanto, a casa House...

La casa era irriconoscibile: House e Wilson avevano spolverato, lavato e passato la cera tutto il giorno per accogliere Lisa e Ratchel.
Cuddy e House sarebbero andati a convivere e con loro, il “piccolo mostriciattolo” come piaceva ad House chiamare Ratchel.

Wilson, da dopo l'operazione per poter togliere il tumore, era ritornato a casa sua, con, in più, la presenza di Lisandre, una carinissima infermiera di oncologia, e del loro bambino o bambina, nella pancia della mamma da un mese e mezzo.

Quando alle otto le chiavi di Lisa Cuddy aprirono la porta, si ritrovarono immersi nel buio più totale. Era la prima parte del “PPM”, il Progetto Proposta di Matrimonio, che House e Wilson avevano stilato la mattina. Poi, dal buio, in un angolo imprecisato del salone, un pianoforte iniziò a suonare e poi una voce:
There's a calm surrender to the rush of day
When the heat of the rolling world can be turned away
An enchanted moment, and it sees me through
It's enough for this restless warrior just to be with you”

“Can you feel the love tonight, ha proprio pensato a tutto”. Poi pensandoci bene, le venne da piangere: qualche giorno prima House le aveva chiesto quale canzone avrebbe voluto che incoronasse il momento in cui un uomo le avesse fatto la proposta di matrimonio e lei aveva risposto che le piacevano molto le canzoni della colonna sonora de “Il Re Leone”
Lasciò cadere le valigie a terra e guardò Ratchel che era seduta nel passeggino e osservava la scena con sguardo incuriosito.

Nel frattempo una candela si era accesa sul pianoforte: la fiammella non illuminava il viso di House, ma un piccolo pacchettino con un fiocco bianco.
Lei si avvicinò e lo prese. House si alzò in piedi e si mise in modo da essere illuminato dalla luce.
Poi guardò Lisa, a cui era colato il mascara per via delle lacrime, e disse, prendendole le mani: << Vuoi tu, Lisa Cuddy, mio ex capo, mia ex fidanzata, mia ex rottura di scatole unirti a me nel matrimonio e rompere il mio voto di scapolo a vita? >>

Lei non rispose, ma si limitò a baciarlo sulla bocca.
Un urlo da stadio, però, la fece saltare in aria: la luce si accese e tutti i loro amici comparvero da dietro il divano.

Lisa sorrise; anche se avrebbe voluto che quel momento fosse stato unico e condiviso solo da loro due era stata un po' in pensiero: non era da House fare una cosa intima!
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Salve, lettori e lettrici.
Come vi pare il terzo capitolo? La maggiorparte dei nostri conoscenti ha detto che fa schifo, ma abbiamo bisogno di un secondo parere!
Grazie mille
By Lily_e_Sev

  

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Capitolo 4
*** La morte del cigno ***


House guardava Rachel: si era appisolata sul divano di fianco a lui. Le piaceva quella bambina. Era intelligente, non faceva mai capricci...
Lisa era al lavoro, per l'ennesima riunione e lui era rimasto a casa.
Era ormai quasi un mese che condividevano la stessa casa e lei aveva preso l'adorabile abitudine di chiamarlo “pà”. Lui la considerava la sua bambina, le voleva bene come una figlia.
Decise che era ora di portarla a letto: fece per prenderla in braccio, ma una fitta alla gamba lo costrinse a rimettersi seduto: da qualche giorno il dolore era aumentato così tanto da costringerlo a letto tutto il giorno. L'unica sua consolazione era la costante compagnia di Rachel, a casa dall'asilo per le vacanze estive, che lo rallegrava sempre.
Riprovò ad alzarsi e, una volta accertato che la gamba lo reggesse, svegliò Rachel e la condusse verso la sua camera. Poi uscì e prese dalla tasca della giacca il porta-pillole e ingoiò tre Vicodin. Lisa non avrebbe mai dovuto saperlo: non voleva che prendesse tante pillole in una volta.
Si avviò con passo malfermo verso la sua camera: sarebbe andato a dormire presto perché il giorno dopo lui e Lisa sarebbero andati in giro per agenzie di viaggi per cercare un'offerta conveniente per il viaggio di nozze. Buttò di nuovo giù un paio di pillole e si addormentò.
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Eileen McRory e Eric Foreman tornarono a casa insieme, dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro. Quella sera li avevano chiamati dal pronto soccorso: un bus era stato coinvolto in un incidente. Tutti i venti passeggeri, bambini di età compresa tra i sette e i quattordici anni, avevano bisogno di una visita di controllo.
Seduta in macchina a guardare fuori dal finestrino Eileen pensava a suo padre: non aveva ancora rivelato il suo segreto a Eric, però, si disse, quella era la sera giusta.
Scesa dalla parte del passeggero e si avvicinò al fidanzato, intento ad armeggiare con la serratura.
Dopo essere entrata in casa, Eileen si mise in pigiama e iniziò a scaldare l'arrosto del giorno prima.
Mangiarono in silenzio, tutti e due assorti nei propri pensieri. Fu solo quando ebbero finito e si furono seduti sul divano a guardare il notiziario della sera che Eileen parlò: << Eric, sai che ti ho detto che mio padre mi aveva abbandonato quando ero molto piccola? E che io ero venuta qui a Princeton anche per cercarlo? Ecco, penso di averlo trovato. >>
Lui si girò e la guardò sbigottito: << È una cosa bellissima! Dove lo hai incontrato? >>
<< L'ho incontrato in ospedale, qualche mese fa. >>
<< Ma lavora al Princeton? >>
<< Beh, no, non più. >>
<< Ah, sì. E come si chiama, magari lo conosco! >>
<< Eric. Mio padre è Gregory House! >>
Lo disse così, decisa, talmente tanto che a Foreman andò la birra di traverso.
Urlandolo così, si sentì libera.
Lui la guardava con l'aria di chi ha bisogno di un ceffone per essere svegliato da un sogno.
Non lo sopportava quando la guardava così.
Lo lasciò seduto con un palmo di naso e portò Julia a dormire.
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Gregory House si sedette sul letto. Erano ormai due ore che era sveglio per il dolore alla gamba.
Entrò in bagno per darsi una sciacquata al viso, ma quando si tirò su per asciugarsi vide un ombra passare davanti alla porta, riflessa nello specchio. Si girò, pensando che Lisa si fosse alzata, ma lei stava dormendo profondamente. Uscì dal bagno per andare in camera di Rachel, ma quando vi fu, la trovò nel suo lettino.
Allora andò in cucina. Mentre camminava sentì una voce, flebile e sottile, come un pianto di un bambino. Man mano che si avvicinava si accorse che la voce si stava tramutando in una risata, una risata maschile fredda e malvagia. A quella risata si aggiunse la voce di una donna che lo chiamava per nome, lo invitava in modo sensuale ad andare da lei.

All'improvviso si accorse che aveva preso in mano il bastone come una mazza da baseball e che non stava zoppicando.
Il dolore lo fece uscire dall'allucinazione: aveva pestato un pezzo di vetro, i resti di un bicchiere che si era rotto la sera prima. Poi qualcuno lo toccò su una spalla: Lisa Cuddy lo guardò spaventata: << Va tutto bene? Ti ho sentito urlare! >>
Lui la guardò di rimando: << Ho le allucinazioni! >>
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<< James! James! Ti vogliono al telefono! È urgente! >>
Lisandre passò il telefono al fidanzato, che era appena entrato in scivolata nel soggiorno di casa, rischiando di rompersi una caviglia inciampando nel filo della lampada a piantana.
<< Pronto? >>
<< Wilson, sono Lisa. Possiamo vederci tra mezz'ora all' Oliver's? Devo parlarti di una cosa. >>
Il tono grave di Lisa Cuddy, dall'altra parte della cornetta non lasciava prevedere nulla di buono e non ammetteva rifiuti.
<< Ok. Dammi il tempo di vestirmi e arrivo. >>
Mezz'ora dopo l'auto di James Wilson parcheggiò rombando nel vialetto del bar “Oliver's”.
Wilson intravide Cuddy sorseggiare il suo cappuccino con aria assorta. Quando si avvicinò al tavolino si accorse che aveva le occhiaie e gli occhi e il naso rosso. Era lampante che non aveva dormito e che aveva pianto.
<< Cos'è successo >> le chiese preoccupato.
<< Ha di nuovo le allucinazioni. Ieri sera era di nuovo strafatto di Vicodin. >>
<< Quando è successo? >> le chiese lui, stancamente.
<< Stanotte sentiva delle voci, che ha visto della gente in casa, che non c'era.>>
Poi scoppiò a piangere: << Io non ce la faccio. Stanotte sono stata per tutto il tempo in camera di Rachel: avevo paura che le facesse qualcosa. Questa volta aspetto che sia lui a dirmi che vuole cambiare, non devo essere io la sua balia, neanche adesso che mi ha chiesto di sposarlo. >>
Si alzò di scatto e afferrò la borsa e senza lasciare a Wilson il tempo di dirle qualcosa per rassicurarla, per dirle che sarebbe andato tutto bene, gli fece con aria furibonda: << Gli do tre giorni. Se avrà preso una decisione entro lo scadere del terzo giorno io gli darò una mano a disintossicarsi; altrimenti verrò a prendere le mie cose e non gli permetterò neanche di stare a due chilometri da me. >>
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Intanto...
<< Tu hai scoperto di essere la figlia di Gregory House e me lo dici solo adesso, dopo tutto questo tempo? >> urlò Eric Foreman alla fidanzata.
Era in piedi appoggiato al tavolo della cucina e, con sguardo minaccioso osservava Eileen che era seduta di fronte a lui e gli inviava occhiate truci.
<< Io, non... >>.
Eric la interruppe subito: << Non ti fidavi, magari? >>. Poi continuò, con fare ironico e sprezzante: << Ma no, perché fidarsi della persona con cui stai insieme da quasi cinque mesi. Ti è già passato di mente che io ci ho lavorato insieme per sette anni? >>.
<< Eric, ora smettila. Non ero sicura. Ho dovuto rivedere anni e anni di foto di mia madre per poter essere certa di essere sua figlia. Adesso, però, ho un'unica certezza: sei la persona più egocentrica e insensibile che io abbia mai conosciuto >>.
Prese la giacca e la ventiquattr'ore; poi aprì la porta e piangendo disse: << Stasera prendo una stanza in un motel e poi ritorno a casa mia >>.
Lo sbattere della porta non riuscì a soffocare i suoi singhiozzi mentre si avvicinava alla macchina.
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Gregory House era coricato e abbracciava, piangendo, il pigiama della sua fidanzata.
L'aveva delusa; le aveva promesso che non avrebbe abusato più di Vicodin, che avrebbe solo preso lo stretto indispensabile per calmare il dolore. Aveva paura di ritornare a vedere Amber e  Kutner, aveva paura di sprofondare di nuovo nell'oblio della droga.
Però, si disse, questa volta non avrebbe più sofferto. Non sarebbe più stato male. Sì, si sarebbe comportato da egoista ì, ma era l'unica cosa intelligente da fare.
Si alzò in piedi, come in trance. Scrisse un biglietto di scuse indirizzato a Cuddy, a Wilson, a rachel e alla bella ragazza che aveva tanto attirato la sua attenzione in ospedale, la nuova componente del team. Nel foglietto le spiegava che era suo padre, e che aveva amato tanto sua madre.
Decise di soffrire ancora un po': lasciò il bastone vicino al tavolo e, zoppicando, salì le scale fino alla terrazza, sul tetto del palazzo. Si arrampicò sulla ringhiera e, quando arrivò nel punto più alto, si drizzo in piedi, aprì le braccia e si lasciò cadere.


Eccomi. Scusate se non ho rispettato le scadenze, ma senza Sev ci ho messo un po' di più.
Allora? Su, che ve ne pare?

 

Baci Lily ^_____________^ 

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Capitolo 5
*** Non è detta l'ultima parola ***


La prima cosa che gli venne in mente? In quel posto faceva freddo.

<< Ah, sì? >> rispose la voce di una donna, quasi leggendo i suoi pensieri << Allora, se hai freddo, va bene. È la prima parte del gioco >>.

Gregory House si svegliò in un posto tutto nero. Non capì come ci fosse arrivato. Aveva ancora in dosso gli abiti che aveva il pomeriggio.

E così, era morto. Però, pensò, che schifo che faceva la morte: non c'erano neanche delle belle donne da palpare.

<< E belle donne siano >> disse la voce.

In un attimo comparvero tre bellissime ballerine che che facevano la lap-dance, contorcendosi attorno ad un palo. Lui fece per avvicinarsi, ma andò a sbattere contro un muro invisibile.

La donna invisibile rise, in modo gelido e la sua voce rimbombò dappertutto.

<< Ecco, ti piace così? >> sghignazzò << No, vero? Ah, ok... allora va bene! >>

Un vento forte accompagnò la seconda risata, tanto forte da farlo cadere.

All'improvviso un vociare indistinto gli affollò la mente. Un urlo lacerante, una forte sirena. Un uomo parlava in modo agitato con una donna, cercava di rassicurarla, mentre lei piangeva disperatamente. Poi un bip continuo e dei rumori, come di una scarica elettrica. Una luce bianca lo accecò, poi ridivenne tutto nero e silenzioso.

Mentre era lì in quello spazio buio pensò che, tutto sommato, lì stava bene: nessuno che gli rompeva le scatole, che gli diceva cos'era giusto fare, soprattutto, stava bene senza il dolore alla gamba.

<< Hai visto, il dolore è sparito! >>. La donna aveva di nuovo parlato, ma questa volta la voce arrivava da più vicino e non era forte come prima. Un soffio caldo sul collo lo fece rabbrividire. Si girò e una mano potente lo afferrò per la gola, stroncandogli il respiro. Le unghie penetravano nella carne, l'ossigeno era sempre di meno. Poi, come prima, ricomparve la luce.

Sentiva di nuovo delle voci. Questa volta gli sembravano famigliari. E di colpo si ritrovò a guardare dal vetro di una sala operatoria. Vedeva Chase, Foreman e Taub affaccendarsi attorno ad un corpo, steso sopra al tavolo di metallo. Stavano cercando di tamponare delle emorragie. Dopo un po' il bip che segnava la frequenza cardiaca si fece sempre più veloce.

<< E' in tachicardia >> urlò Taub << Defibrillatore! >>

Cercarono di rianimare il corpo per più di cinque minuti, senza successo.

Dopo quella che poteva benissimo essere la milionesima scarica il battito del cuore ritornò normale.

La mano che lo stava cercando di soffocare si allontanò dal suo collo e lui seppe perché: quell'uomo sul tavolo era lui. Ed era ancora vivo.

Il pavimento sotto di lui si aprì di colpo, come una botola e lui cadde di sotto.

Da ormai tre ore Lisa Cuddy e James Wilson aspettavano nella sala d'aspetto davanti al reparto di chirurgia. Avevano quasi perso le speranze, anche se sapevano che House era una roccia e che i loro colleghi avrebbero fatto di tutto per riuscire a salvarlo.

Quando videro Chase uscire dalla sala operatoria, però, i loro animi si riaccesero. Lui si avvicinò a loro e, anche se era molto stanco, riuscì a sorridere: << Ce l'ha fatta. Non avrà danni permanenti. >> Poi si rivolse alla Cuddy, che era scoppiata a piangere sulla spalla di Wilson << Lisa, fra un po' l'effetto dell'anestesia svanirà. Vai da lui. >>

Eileen uscì dall'ospedale, ancora scossa per l'accaduto. Aveva avuto paura di non essere arrivata in tempo per poter riabbracciare suo padre. Quando arrivò a casa non si accorse della magra figura che la guardava dall'uscio. Solo quando suo figlio la chiamò per nome si destò dai suoi pensieri.

<< Fergus! Ma cosa ci fai qui? >> disse, correndogli in contro.

<< Il preside della scuola è morto e ci hanno mandato a casa... diciamo un po' prima! >> rise lui, abbracciando la madre. Un po' prima era tutto dire: la scuola sarebbe finita a giugno e, di certo, lei non si aspettava di trovarselo davanti a metà gennaio.

Riabbracciare Fergus non avrebbe potuto fargli più piacere, adesso che lei era così triste e abbattuta per il litigio con Foreman e l'incidente ad House.

Fergus era il suo migliore amico, il suo unico confidente e con lui non aveva segreti. Era una persona estremamente sensibile e dolce: quando lei gli aveva detto che si sarebbero dovuti trasferire per cercare House lui non aveva battuto ciglio e l'aveva aiutata a comprare casa e a fare delle ricerche su Princeton. Lui era stata la prima persona che Eileen aveva chiamato dopo la lite, quella che si era sorbita tutti i suoi pianti e l'unica persona che era stata capace di dargli dei consigli veri.

<< Hai già mangiato? >> le chiese.

<< No, ma a pensarci bene, ho un certo languorino. >>

<< Qui all'angolo c'è un ristorantino in cui si mangia da dio. Che dici? >>

<< Ok, fammi solo fare una doccia e arrivo. >> scostò la tenda per vedere fuori dalla finestra << Nel frattempo, esci che c'è qualcuno che ti aspetta! >>

A Lisa piaceva guardare House dormire. Era stata più di un'ora, dopo che l'anestesia era scomparsa, a scusarsi per cosa aveva detto a Wilson su di lui e a dirgli che l'avrebbe aiutato.

Anche House si era accorto di aver fatto una cosa stupida, ma fu grato a Lisa: non l'aveva sgridato o non si era arrabbiato con lui per cosa aveva fatto; l'aveva solo accarezzato in silenzio i capelli, rassicurandolo che sarebbe andato tutto bene e che nulla avrebbe più potuto separarli.

<< Hey, ciao amore. >> gli disse dolcemente, al suo risveglio.

Lui provò a parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un rantolo.

<< Ssh, non è il caso. Non parlare, non serve. Sappi solo che io sono qui e che non ti abbandonerò mai. >>

La mano di House si mosse debolmente verso i punti che chiudevano le due grandi ferite presenti sul suo addome.

<< Chase ha detto che sono riusciti a fermare tutte le emorragie e che entro una settimana potrai ritornare a casa. >>

Si misero entrambi a piangere e si guardarono negli occhi. Lui le prese la mano e lei gliela strinse forte.

Continuarono a guardarsi per tanto tempo. Più volte Wilson fece per entrare nella stanza, ma non volle interrompere quella strana e affascinante conversazione mentale che andava avanti da tutto il pomeriggio; si limitò ad osservarli dal vetro.

Ogni tanto House guardava Wilson al di là della porta, cercando di capire cosa il suo migliore amico avesse in serbo per lui una volta che la Cuddy si fosse allontanata. Non riuscì a capire molto, ma dai sorrisi che Wilson gli inviò scoprì che non avrebbe avuto niente da temere: non ci sarebbe stata la ramanzina, almeno non subito!

<< Perché sei qui? E perché hai preso mia figlia dall'asilo? >> disse Eileen ad Eric Foreman, non appena aver mandato Fergus e Julia a fare una passeggiata nel parco.

<< Volevo farti un piacere. >> rispose lui con gli occhi bassi.

<< No, io non ho bisogno dei tuoi “piaceri”. E non ti voglio più vedere qui. Adesso dimmi cosa vuoi e vedi di andartene al più presto! >>

<< Ti voglio chiedere scusa per come mi sono comportato e per quello che ti ho detto l'altra sera. Sono uno scemo di proporzioni cosmiche.>> le rispose.

<< Ah, finalmente ne ne sei acc... >> cercò di interromperlo lei con tono aspro.

<< Fammi parlare. Io ho bisogno di te, in questi giorni avrei preferito morire. No, aspetta! >>

Ma ormai Eileen aveva già chiuso la porta di casa.

Allora Eric si avvicinò all'auto, ma non entrò: aprì il bagagliaio e tirò giù la scatola di un materasso gonfiabile e una coperta e urlò: << Sappia, McRory, che io qui ci pianterò radici fino a quando lei non si degnerà di accettare le mie scuse. >>

Eileen, da dentro l'appartamento, sogghignò. Lei lo aveva perdonato, ma... non avrebbe mai più avuto un'occasione come quella! Lo avrebbe fatto penare un po'; d'altronde, quale uomo non ama la donna che si fa desiderare!


Ok.... ariecchime!
Che dite? Vi piace?
Di certo non scrivo come Lily, ma... possiamo dire che me la cavo!
RECENSITEEEEEEEEE -________________________________-
By Sev

 

Ok... alzino la mano quelli che mi ucciderebbero perché ho lasciato da sola Lily...

Che dite? Vi piace? Sinceramente, non ce l'abbiamo fatta, io e Lily, a far morire House e così, diciamo che l'abbiamo preso per i capelli!! -__________________________-

By Sev 

Ok... alzino la mano quelli che mi ucciderebbero perché ho lasciato da sola Lily...

Che dite? Vi piace? Sinceramente, non ce l'abbiamo fatta, io e Lily, a far morire House e così, diciamo che l'abbiamo preso per i capelli!! -__________________________-

By Sev 

Ok... alzino la mano quelli che mi ucciderebbero perché ho lasciato da sola Lily...

Che dite? Vi piace? Sinceramente, non ce l'abbiamo fatta, io e Lily, a far morire House e così, diciamo che l'abbiamo preso per i capelli!! -__________________________-

By Sev 

Ok... alzino la mano quelli che mi ucciderebbero perché ho lasciato da sola Lily...

Che dite? Vi piace? Sinceramente, non ce l'abbiamo fatta, io e Lily, a far morire House e così, diciamo che l'abbiamo preso per i capelli!! -__________________________-

By Sev 

Ok... alzino la mano quelli che mi ucciderebbero perché ho lasciato da sola Lily...

Che dite? Vi piace? Sinceramente, non ce l'abbiamo fatta, io e Lily, a far morire House e così, diciamo che l'abbiamo preso per i capelli!! -__________________________-

By Sev 

Ok... alzino la mano quelli che mi ucciderebbero perché ho lasciato da sola Lily...

Che dite? Vi piace? Sinceramente, non ce l'abbiamo fatta, io e Lily, a far morire House e così, diciamo che l'abbiamo preso per i capelli!! -__________________________-

By Sev 

 

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Capitolo 6
*** In manette ***


<< Ciao, tesoro. Spumeggiante, eh, stanotte? >> disse Eric Foreman a Eileen non appena aperti gli occhi.

<< Forse un po' troppo. >> urlò di rimando Fergus con la bocca ancora impastata di sonno.

<< Fatti i fatti tuoi! >> lo rimbeccò sua madre affacciandosi alla porta.

E così iniziava una nuova giornata a casa McRory. Erano passate ormai tre settimane da quando Eric, per farsi perdonare, si era messo a dormire sul marciapiede.

Eileen si era riappacificata con il fidanzato e poi, insieme, erano andati a parlare con House. Lui confidò loro di sapere già tutto. Eileen però, non appena lo sentì parlare, si accorse che anche se a volte pensava di assomigliare, nel carattere a suo padre, loro erano completamente opposti.

<< Fergus, preparati che sennò faremo tardi! >> disse Eileen mentre indossava l'abito da cerimonia.

<< Ok mamma. Adesso vesto anche Julia! >>

<< Eileen >> disse Foreman con la sua voce profonda << Sono le sette e House si sposa alle undici. Ora rilassati, andiamo in cucina, ci facciamo un bel caffè e poi, fra un po' ci vestiamo.>>

McRory guardò l'orologio, il compagno e poi fece un rapido calcolo. Si accorse di essere molto in anticipo e disse: << Ragazzi, è presto. Tornate a dormire. >>

Un grugnito proveniente dalla camera dei ragazzi le fece intendere che avevano già ubbidito.

Nell'appartamento di fronte era panico più totale: la sartoria aveva fatto un errore con l'abito di House, scambiandolo con uno più stretto di due taglie. Lo sposo aveva chiamato Wilson quasi sull'orlo delle lacrime, il quale era partito ed era andato a prendere quello giusto.

Nel compenso però la mattinata passò bene e, alle undici meno un quarto i due si trovarono davanti alla chiesa. Era anche arrivata Lisandre, con un vestito coperto da un ampio scialle, per coprire il “pancino” che, piano piano, cresceva.

Alle undici arrivarono tutti gli invitati. House non conosceva più di due terzi di loro, ma tra la folla intravide alcune persone: tutti i colleghi, Eileen e, stranamente, anche Lucas.

L'ufficiante si affacciò alla porta, facendo segno a tutti di entrare. Dieci minuti dopo arrivò la sposa: era bellissima, con l'abito bianco, il velo e lo strascico lunghissimo, sorretto da Rachel e Julia. Sulla marcia nuziale camminò fino all'altare, sorridendo radiosa.

Dopo la cerimonia si ritrovarono tutti al ristorante. Quando scese dalla macchina trovò sua figlia ad aspettarlo.

<< Mamma mia quanto sei bella! >> le disse quando si fu avvicinato. Lei lo abbracciò e poi, con fare scherzoso disse: << Non farmi troppi complimenti: guarda che la sposa si sta ingelosendo. >>

Tutta la piccola folla di parenti e amici accalcati attorno all'auto proruppe in una fragorosa risata e si decise ad entrare nel locale.

Nel frattempo Foreman e Taub cercavano di convincere Chase, chiuso in bagno a doppia mandata, ad uscire e ad andare a sedersi nel tavolo vicino a Cameron: << Dai, Chase, esci. Mi metto io di fianco a lei. Lo sai com'è House: neanche nel giorno del suo matrimonio riesce ad essere serio. >> disse Taub.

Passarono altri dieci minuti buoni prima che, con un sonoro botto, la porta del bagno cadesse sotto il peso di Foreman e che, quest'ultimo, portasse fuori di peso Chase.

Due settimane dopo

Mentre stava preparando la valigia, House guardava fuori dalla finestra. Splendeva il sole, su Roma, la prima volta dopo quindici giorni di pioggia incessante.

Era stata l'Italia la meta del loro viaggio di nozze.

Anche se non lo aveva dato a vedere quei giorni di camminate e visite ai monumenti avevano provato la sua gamba, la quale lo teneva sveglio tutta la notte. In quelle settimane aveva buttato giù tre flaconi di Vicodin ogni due giorni. Aveva anche litigato con Cuddy e, al termine della sfuriata, le aveva promesso che una volta tornati a casa avrebbe cercato di ridurre il dosaggio, fino poi a smettere.

Ma House aveva paura: non voleva più stare male come lo era stato durante i suoi primi giorni al Mayfield. Aveva paura che, una volta smesso avrebbe sfogato il dolore su Lisa o su Rachel o, peggio ancora su Eileen.

Cuddy gli aveva suggerito di ricominciare le sedute con Nolan, in modo che lo aiutasse durante il processo di disintossicazione, che avrebbe seguito a casa.

Lui non aveva ancora deciso... A pensarci bene, non era ancora tutto fatto come la scorsa volta: non aveva visto nessun morto, per l'amor del cielo!

Sapeva che se avesse dovuto ritornare al Mayfield i vecchi ricordi sarebbero riaffiorati e il passato avrebbe gettato un'ombra oscura sulla sua nuova vita. Lui odiava il passato!

Mise gli ultimi abiti in valigia e la richiuse. Poi prese il telefono e sfogliò la rubrica fino alla lettera N. Mentre cercava il numero il cellulare squillò: << House, sono Foreman. Hanno arrestato Chase, lo stanno portando adesso al comando di polizia di Trenton. >>
<< Arrestato? Chase? Ma cosa diavolo è successo? >> rispose House stupefatto.
<< Cameron ha parlato. Ha rivelato tutti i segreti sulla morte di Dibala. Adesso stanno facendo ancora degli accertamenti, ma pare che non ci andrà solo di mezzo lui, ma verrà indagata tutta la squadra. E anche Lisa >>.
<< Ma com'è possibile? Scusa, ma su quella cartella c'era solo la SUA firma. L'esame era a suo carico. >>
<< Ti sbagli. C'era la mia, anche. E poi tu eri il capo del team e Lisa il direttore sanitario. >>
<< Ma perché quella cretina ha dato fiato alla bocca? Cazzo, è il suo ex-marito e ci ha fatto sesso dopo il divorzio. Sono passati, quanto, tre anni? Più che altro, perché l'ha fatto solo adesso? >>
<< Non lo so, House. Ora devo staccare. Tu parlane con Lisa. >>
<< Ok, poi ti richiamo. Saluta Eileen e la bambina! >>

 


 

Buoooooon giorno.
Siamo di nuovo qui con la nostra FF.
Questa volta il capitolo è un po' più short, ma non volevamo rovinarvi l'effetto sorpresa!!!!! =D
Buon divertimento e buona lettura,
Lily_e_Sev

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Capitolo 7
*** Ritorno alle origini ***


Se tutto il dolore del mondo si potesse concentrare in una sola persona, quello era successo in Gregory House. Era al secondo giorno del suo speciale 'programma di ri-disintossicazione', con il supporto di Cuddy e Wilson.

Era disteso sul letto, raggomitolato sotto le coperte e gemeva e tremava dal dolore.

L'astinenza sommata al dolore impossibile alla gamba lo stavano facendo impazzire.

Lisa era seduta sul letto, di fianco a lui, e lo accarezzava sulla fronte, madida di sudore e bollente per via della febbre.

<< U-uccidimi, Lisa. U-uccidimi, t-ti p-prego! >> implorò alla compagna, che lo abbracciò forte.

<< Shhh, stai tranquillo. Adesso passa. Stai tranquillo. >>

Le faceva malissimo vederlo così. Così fragile, così disperato.

Cuddy stava per andare a prendere la giacca e andare al lavoro ma poi, vedendolo in quello stato pietoso disse: << Oggi telefono per disdire gli appuntamenti e sto con te. >>

Eileen McRory scese dall'auto con passo spedito. Da quando aveva preso il posto di Chase aveva sempre mille impegni e cose da fare. Vide poi il suo ragazzo seduto alla scrivania dell'ex ufficio di Chase, che la guardava con aria grave.
Lei cercò, com'era nella sua natura, di prenderla sul ridere: << Buongiorno, Mister Simpatia. Oggi ti daranno il premio per Il-Sorriso-Più-Smagliante-Di-Tutta-Princeton! >>

<< Non c'è niente da ridere! >> disse Foreman, quasi sull'orlo delle lacrime.

Eileen si fece subito seria, anche perché aveva notato una busta bianca alquanto sospetta in mano all'uomo.

<< Ieri il Consiglio d'Amministrazione si è riunito in segreto, senza di me, per valutare la faccenda dell'arresto di Chase. Hanno deciso, con il 95% dei voti favorevoli, che il reparto di Diagnostica, senza di lui, non ha più ragione di restare aperto, perché toglie troppi soldi all'ospedale e ha troppi pochi pazienti al mese. >>

<< E perché hai una busta inmano? >> chiese Eileen. Sapeva già la risposta, ma sperava che quello non sarebbe mai successo.

<< Perché hanno anche detto che il team era formato da troppi medici, e che alcunio erano inutili. E siccome hanno ritenuto Taub, Adams e Park indispensabili per l'ospedale, ti hanno licenziato. Questa è la tua ultima busta paga. >>

Si protese per abbracciarla e lei si mise a piangere sulla sua spalla: << House non me... non ce lo perdonerebbe mai. Ci potrà essere un modo per tenerlo aperto? >>

<< Un modo ci sarebbe, ma è impossibile. >> disse Foreman, come illuminato.
<< E quale sarebbe? >>

<< Io posso prendermi carico del reparto per un po' di tempo, quello che ti serve per convincere House a tornare. >>

<< Hai detto bene, è impossibile! Non si regge neanche in piedi, in questi giorni e tu vuoi che torni a lavorare! >>

<< Non ho detto subito. Io posso accollarmi il reparto per massimo un mese. << E entro un mese lui sarà di nuovo l'House di sempre! >> disse lui, rassicurandola.
<< Ok. Grazie, amore. Oggi parlo con Lisa e vediamo cosa si può fare! >>

James Wilson si avvicinò al letto del paziente e tirò su il lenzuolo per coprirgli il volto; si stupì come quel piccolo gesto, fatto tante volte in tanti anni, potesse fargli male.

Era il primo paziente a morire dal uo ritorno dalla Giamaica. Ed era il primo, in tutta la sua vita di medico a farlo stare così male.

Sbagliando, Wilson aveva pensato che se lui aveva sconfitto il male, lo potevano sconfiggere anche gli altri.

Ritornò nello studio, come in trance e si sedette alla scrivania. Alzato lo sguardo si aspettò quasi che House fosse lì seduto a guardarlo, con la sua solita espressione corrucciata, per rimproverarlo per la sua ingenuità e cambiare discorso, dopo due secondi.

Ma lui non era lì. Nonostante, i primi tempi, si fosse sentito bene senza la presenza costante di House, adesso iniziava a sentirsi solo.

Certo, stare con Lisandre aveva dato una grande svolta alla sua vita e l'idea di diventare padre da lì a qualche settimana lo divertiva, ma senza il suo amico...

Wilson fu richiamato alla realtà dallo squillo del telefono: << Sì, pronto? >>

<< JAMES! Mi si sono rotte le acque! >> urlò Lisandre, dall'altro capo del ricevitore.

<< Oh, cazzo. E adesso? >> disse lui, come rimbambito.

<< E ADESSO MI VIENI A PRENDRE, pezzo di scemo! >> lo sgridò lei.

<< E dove sei? >> chiese Wilson alla fidanzata.

<< Guarda >> disse lei << avevo voglia di fare due tiri e sono andata al campo da golf! SECONDO TE DOVE SONO?! A CASA! >>

<< Ok, arrivo. Non ti agitare >>

 

Venti minuti dopo erano già in pronto soccorso, e Lisandre aveva già le doglie.

La portarono al piano superiore e in un attimo mezzo Princeton-Plainsboro era arrivato a fare gli auguri al neo-papà, sempre più pallido e sudato.

Foreman si fermò con lui e, dopo mezz'ora e dieci gocce di calmante riuscì a farlo sedere.

<< E' maschio o femmina? >> chiese Wison all'ostetrica.

<< Una è femmina, l'altro non lo sappiamo ancora, non è ancora uscito. >>

<< Come, scusi? >> fece lui alla donna, certo di non aver capito bene. Ma lei non rispose, perché dovette rientrare in sala parto.

Dopo un po' un altro pianto si unì al primo. James, che a stento si reggeva sulle gambe, disse a Foreman: << Ti prego, vai a vedere >>.

Lui si alzò e si avvicinò al vetro della porta della sala parto e cercò di dire qualcosa, ma si zittì non appena vide l'infermiera uscire non con uno, ma con due fagottini in braccio.

Wilson si alzò e pensò di vederci doppio, ma quando l'infermiera disse che eranop due gemelline, si accorse di vedere bene e svenne.

Il cellulare di Lisa Cuddy squillò. Lei rispose e trovò Foreman che disse: << Cuddy, Lisandre ha partorito. Sono due gemelle. >>

<< Ommioddio! Veniamo subito! Ora come sta Lisandre? >> urlò Cuddy, in preda alla gioia.

<< Lei e le bambine stanno bene. Quella che mi preoccupa è Wilson: si sta dando pizzicotti da più di cinque minuti, credendo di stare sognando e non c'è verso di farlo smettere. >>

Qualche secondo dopo Lisa sentì un tonfo provenire dall'altra parte del ricevitore e dopo un po', un Foreman ridente le disse: << Problema risolto! Ci ha pensato Eileen a fermarlo! >>

<< Ciao tesoro >> disse Lisandre, non appena vide entrare il suo fidanzato dalla porta della stanza.

<< Ciao >> rispose lui e poi, con passo incerto si avvecinò alla culla dove le due figlie riposavano.

<< Senti, mentre ero in Sala Parto, ho pensato al nome. No, non mi sono sbagliata: chi sapeva di stare per partorire due gemelle! Comunque, io avevo pensato a Kimberly. Ti piace? Era il nome di mia nonna. >>

<< Amore è bellissimo. Ma l'altra bambina? >> chiese lui perplesso.

<< Il nome glielo darai tu. Deve essere un nome importante per te! >> le rispose lei dolcemente. Aveva già una mezza idea su come avrebbe chiamato la figlia, ma decise di lasciarlo scegliere a James.

Wilson stava pensando ad un nome, un nome che era stato molto importante nella sua vita e che lo era ancora. Cercò di scacciarlo dalla mente, sapendo che, se avesse chiamato sua figlia in quel modo, i ricordi sarebbero riaffiorati e si sarebbero fermati a galeggiare nel suo cuore, come le ninfee sul pelo dell'acqua in un lago.

Alla fine, però, l'amore prevalse su tutto e lui, cercando di ricacciare indietro le lacrime, decise: << la chiameremo Amber! >>
 

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