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«Io ti amerò sempre Peter Pan!» questo gli sussurrai quando lui si era già allontanato dalla mia finestra, dopo averci riportato a casa.
E lui non mi aveva sentito. E lo sapevo. Eppure sentivo un enorme groppo in gola nel vederlo andare via. Sapevo che non l'avrei più rivisto e questo mi intristiva. Mi ero innamorata di lui a poco a poco, del suo carattere ribelle, dei suoi modi sbarazzini, della sua risata, della sua allegria. Tutto di lui mi aveva conquistata.
Avevo vissuto la più incredibile delle avventure e ne ero rimasta scottata. Perché l'avventura vera non era essere andata all'Isola Che Non C'è, era stato innamorarmi di lui. Stupida! Stupida! Non avrebbe mai potuto ricambiare, non conosceva il significato dell'amore, perché eravamo solo bambini, ai tempi e lui non avrebbe mai potuto vivere nel mio mondo. Perché lui era Peter Pan, il bambino che non sarebbe mai cresciuto, che amava giocare e che volava da una parte all'altra dell'isola come un uccellino. Lui che vedeva tutto come un gioco.
Era stato così difficile lasciarlo andare via, così complicato e sbagliato. Avrei voluto passare altro tempo con lui, avrei voluto rimanere a vivere nell'Isola Che Non C'è, con lui, ma sarebbe stata una vita difficile. Perché in un modo o nell'altro lui non avrebbe mai provato ciò che sentivo di provare io.
John aveva guardato la finestra un'ultima volta prima di andare a dormire e Michael, beh, Michael era subito corso da Nana, e poi da mamma e papà che l'avevano messo a letto dopo averlo coccolato e stretto come non facevano da anni.
Io invece ero rimasta accovacciata davanti a quella finestra, a fissare il punto in cui l'avevo visto sparire, accanto a quella stella. La stella a destra. L'Isola Che Non C'è.
Come avrei potuto tornare a vivere nel mio mondo quando mi sentivo terribilmente legata al suo? Quanto sarebbe stato difficile crescere quando sapevo che lui non poteva farlo? Mi sarei sposata, avrei avuto figli, e non l'avrei rivisto più. Non ero pronta a lasciarlo andare, ma dovevo farlo, per lui.
«Wendy, cara, vai a dormire tesoro... è molto tardi.» mia madre si era avvicinata a me e aveva iniziato ad accarezzarmi i capelli come faceva quando ero piccola. Anche allora me ne stavo le ore a fissare il cielo stellato oltre quella finestra, nel desiderio di vederci qualcosa. Inventavo mille storie da raccontare ai miei fratelli e ora so che lui era lì ad ascoltarle. Da quel momento avrei raccontato di lui: delle sue avventure con i pirati, dei bimbi sperduti, delle sirene.
Non scorderò mai il suo sorriso luminoso come le stelle, rimarrà scolpito nella mia memoria finché avrò vita.
Ascoltai mia madre e mi alzai, dirigendomi al mio letto. Quello dove ci siamo incontrati per la prima volta. Dove aveva cercato di ricucirsi la sua ombra addosso usando il sapone. Forse avevo iniziato ad amarlo da quel momento, da quando i suoi occhi grigi avevano incotrato i miei per la prima volta.
Adoravo tutto di quel bambino: i suoi capelli birichini biondi come il grano, i suoi occhi del color del mare in tempesta, le sue labbra sempre arcuate in un sorriso caldo come il sole...
Avevo avuto l'occasione di sfiorarle quelle labbra. E gli avevo salvato la vita. Ricordo ancora la potenza di quel ditale. Il nostro.
Guardai un'ultima volta la stella a destra prima di addormentarmi. I miei fratelli giacevano tranquilli nei loro letti mentre mia mamma gli regalava un bacio, il suo bacio nascosto che aveva passato a me perché potessi condividerlo con l'amore della mia vita. Avevo scelto di regalarlo a lui. Era suo. E gli sarebbe appartenuto per sempre.
***
Sono passati quattro anni ma appena sento uno spiffero mi volto immediatamente verso la finestra, pronta a scorgere la sua figura minuta con le mani sui fianchi, un sorriso sul volto e occhi pieni di chi ha vissuto mille avventure. Ma lui non c'è mai.
Sono cresciuta, ora ho diciassette anni e sono adulta. A discapito di ciò che pensavo, non è poi tanto male crescere. Ma crescere significa dimenticare e io non voglio dimenticare. Non lui. Non Peter Pan.
John e Michael parlavano ancora di quell'avventura, a volte. Molto di rado, stavano crescendo anche loro e dimenticavano. Erano più piccoli di me ed era difficile mantener vivo quel ricordo.
Dormivo ancora nella stessa camera, nello stesso letto, ma sola. Ero adulta e dovevo avere una mia camera, finalmente zia Millicent era stata ascoltata! Aveva pensato lei a come arredare la stanza. Se ne andava in giro avanti e indietro per tutta l'area blaterando su quanto fosse importante per una ragazza avere una camera propria dove poter crescere. Aveva anche pianificato il mio futuro, ma non è di quello che voglio raccontarvi.
Mio padre era stato riaccolto a lavorare nella banca e aveva assunto un ruolo prestigioso e importante agli occhi del suo capo, Sir Edward Quiller Couch. Dopo l'incidente con Nana aveva dovuto iniziare tutto d'accapo!
A volte Piumino tornava a farci visita ogni tanto, adesso si faceva chiamare Robert, perché per trovare lavoro, Piumino non era uno tra i nomi migliori! L'aveva scelto zia Millicent e a lui era piaciuto fin da subito.
Anche lui riviveva a volte quella avventure e spesso si domandava che fine avesse fatto l'eterno bambino biondo.
Successe tutto una sera di Novembre, proprio nello stesso mese in cui lui era apparso per la prima volta. Stavo riordinando lo scrittoio in camera mia, mettendo a posto le piume e chiudendo la boccetta di inchiostro nero che mi aveva regalato mamma al mio compleanno.
Avevo lasciato la finestra aperta, più per abitudine che per il caldo, e le tende candide svolazzavano a ritmo del vento producendo splendidi giochi di ombre. Quasi non lo sentii tanto il suo passo era leggero.
Mi voltai con il mio libro preferito in mano, quello che narrava le avventure di Cenerentola e i Pirati, e lo vidi. Se ne stava lì in piedi come al solito: mani sui fianchi e sorriso birichino. Il libro mi cadde dalle mani producendo un piccolo tonfo del quale nessuno dei due si curò.
Lo osservai per tutta la sua altezza e la prima cosa che mi colpì furono gli occhi, come allora. Pensai di sognare ma, una volta chiusi gli occhi e strofinati a dovere li riaprii e lui era ancora lì. Sorrisi a mia volta.
Ma aveva qualcosa di diverso dall'ultima volta. Era più alto e in qualche modo più maturo, più grande. Il suo fisico era il fisico di un ragazzo, più o meno della sua età sembrava...
«Peter?» azzardai con la voce strozzata per l'emozione.
Lui sorrise e annuì «Ciao Wendy.»
Feci fatica a rimanere seduta sulla sedia senza cadere. Lui era lì, era veramente lì, per la prima volta da anni non lo stavo sognando.
Peter sorrideva e si guardava intorno, proprio come faceva da bambino. Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai con un braccio alzato, intenta ad accarezzargli una guancia.
Appena fui ad un passo da lui, Peter indietreggiò bruscamente e assunse un'espressione alquanto spaventata.
«Peter» lo chiamai dolcemente «Peter sono io!» lui ancora aveva la paura nello sguardo e lacrime negli occhi, sembrava confuso.
«Non sei tu.» mi disse e questa volta fui io ad indietreggiare «Lei non era così. Sei cambiata!» mi urlò contro superandomi e andando a sedersi sul soffitto, come faceva sempre, prendendosi la testa tra le mani.
Corsi alla base del muro sotto di lui e gli sorrisi «Sono io Peter, sono sempre io. Sono solo cresciuta...» lui alzò lo sguardo e incrociò il mio. Poi, lentamente, volò giù da me, fino a sovrastarmi un poco con la sua altezza.
«Com'è possibile...?» domandò osservandomi in ogni minimo particolare. Prese una ciocca dei miei capelli tra le dita e la studiò con attenzione; prese le mie mani e mi passò un dito sulle labbra.
Mi era mancato.
Mi era mancato così tanto che sentirlo accanto a me mi fece venire i brividi.
«Peter... è passato del tempo e i bambini crescono in questo mondo.»
«Me l'avevi promesso!» urlò nuovamente in lacrime «Mi avevi promesso che non saresti mai cresciuta!»
«Ed è così!» gli dissi prendendogli le mani e stringendole tra le mie «Sono cresciuta fuori, ma non dentro, non qui.» gli misi una mano sul cuore e gli sorrisi «Anche tu, Peter, sei diverso...» lo guardai perplessa e lui pure.
«Sembri più... grande, Peter. Sei cresciuto anche tu.» gli accarezzai i capelli biondi scomposti, il profilo del volto più marcato e i muscoli tonici delle braccia.
«Non sono diventato grande!» sbottò lui e mi ricordai del fatto che questo fosse il suo tasto dolente, così provai a sistemare le cose «Hai ragione!» gli dissi «Non sei cresciuto, sei solo maturato. Ma sei rimasto uguale...» c'era dolcezza nella mia voce, me ne accorsi, ce n'era anche troppa.
«Dove sono John e Michael?» mi domandò guardandosi intorno «Non vedo i loro letti.»
«Sono cambiate molte cose, Peter, in questi anni. Questa ora è la mia camera, solo mia. John e Michael ne condividono una al piano di sotto...» lui sembrò rifletterci su e poi annuì convinto.
«Andiamo!» mi disse all'improvviso prendendomi per mano e tirandomi verso la finestra.
Io puntai i piedi e gli chiesi di fermarsi «Dove andiamo?» gli domandai e lui mi regalò il suo ghigno birichino che, anche se l'aspetto era diverso, non l'aveva mai abbandonato.
«All'Isola Che Non C'è!» mi disse allegro «A casa...»
«Questa è casa mia, Peter.» abbassai lo sguardo e sottrai la mano dalla sua presa
«Non vuoi più venire?» mi chiese confuso, con occhi grandi e pieni di curiosità.
«Sì, sì che voglio! Ma come faremo poi? È stata dura per me vivere qui senza più vederti; se ora vengo con te, come potrò sopravvivere una volta tornata a casa, di nuovo?» lui parve pensarci ma poi sorrise
«Non tornerai! Rimarrai per sempre... con me...» mi avvicinai a lui e lo guardai negli occhi. Sentivo il suo sguardo nel mio e con la mano sinistra andai a toccare la sua guancia, a sfiorarla fino a raggiungere il contorno delle labbra, dove c'era il mio bacio. Il suo bacio.
Era ancora lì, ne ero certa; su quelle labbra morbide e ingenue. Era ancora lì e aspettava ancora. Non avevo dimenticato le sue labbra, avrei voluto, ma non ci ero riuscita.
«Ci saranno i Pirati?» gli chiesi distogliendo lo sguardo dall'angolo destro delle sue labbra per posarlo nei suoi occhi.
«Sì...» sussurrò lui
«E gli Indiani?»
«Sì... e le sirene!»
«Le sirene?!» esclamai e sentì la mia bocca distendersi in un sorriso, subito seguito dal suo.
«E Trilli!» mi prese le mani e mi tirò verso la finestra «Tutto come quando siete andati via.»
«Tutto?»
«Beh, qualcosa è cambiato ma credo di sì; vieni, Wendy...»
«John e Michael non verranno mai...»
«Li convincerò! E se diranno di no, verrai solo tu.» annuii convinta. Morivo dalla voglia di andare con lui, anche da sola, volevo sentire di nuovo il senso dell'avventura sulle spalle e il mio cuore esplodere di gioia per lui.
Avrei voluto chiedergli dei suoi sentimenti, di cosa provava, ma mi fermai prima di rovinare tutto. C'era tempo per fare domande scomode. Se fossi andata con lui, ci sarebbe stato.
«Devo parlare con i miei fratelli, e inventare una scusa per non fare preoccupare i miei genitori.» Peter annuì
«E Piumino?» domandò con gli occhi luccicanti
«Adesso si chiama Robert; sta bene, lavora sai?»
«In un ufficio?» chiese con ribrezzo e io risi
«Sì...» lui scrollò le spalle e poi andò a sedersi sul mio letto.
«È sempre morbido.» disse saltellando sul materasso
«È sempre lo stesso letto.» risposi sedendomi accanto a lui.
«Racconti ancora le storie dei Pirati?» domandò con aria sognante
«Molte cose sono cambiate Peter, ma le racconterò a te se vorrai.» lui balzò in aria entusiasta e poi mi sollevò con lui.
«Tornerò domani notte e vorrei che venissi con me.» annuì e gli diedi un bacio sulla guancia.
«A domani.» mi lasciò le mani e volò verso la finestra. Improvvisamente gli corsi dietro mentre lui usciva dalla finestra «Tornerai, vero?» lui si voltò verso di me e sorrise
«Per ascoltare le favole che parlano di me!» una lacrima mi scese sulla guancia e l'asciugai veloce, ricordando di quando ci eravamo salutati l'ultima volta.
Lo osservai volare via fino a che divenne un puntino lontano nel cielo, che volava verso la seconda stella a destra nel cielo scuro.
***
Non riuscii a dormire quella notte; avevo troppa paura che cedendo al sonno, tutto si sarebbe rivelato uno stupido sogno creato dal mio subconscio ferito.
In una notte, tutti i miei sentimenti erano tornati a galla; tutto il mio stupore per le meraviglie dell'Isola Che Non C'è, -le sirene, i Pirati- che avevo difficilmente cercato di reprimere, erano tornati a galla, sopraffacendomi, così come lo fecero i miei sentimenti per lui.
In fondo, non ero mai riuscita a dimenticarlo davvero.
La mattina dopo, all'alba, corsi come una furia nella camera dei miei fratelli e li svegliai con forti scossoni «John! John!» lo chiamai e poi cambiai letto «Michael! Mike!» Michael aprì gli occhi chiari assonnati e mi guardò confuso. John si mise a sere e inforcò i suoi occhiali.
«Wendy! Ma che succede? Non ci svegli così da quando...» lasciò la frase in sospeso ma capii che si riferiva all'ultima volta che Peter era venuto, così gli sorrisi e lui si illuminò «È tornato?» mi domandò e io annuii.
Michael si girò dall'altra parte, sicuramente non aveva capito di cosa stessimo parlando, assonnato com'era.
«Michael!» si fiondò John giù dal suo letto per andare su quello del fratello «È tornato! Peter è tornato!» il mio fratellino minore aprì un occhio e ci guardò, poi aprì anche l'altro e si mise seduto.
«Peter quello della posta? Ho ricevuto qualcosa?»
«Ma non il postino!» imprecò John «Peter Pan!» Michael svenne.
Non mi aspettavo una reazione simile, non da lui, perciò rimasi molto sorpresa. John si picchiò la fronte con la mano, in un gesto esasperato.
«Mi ha chiesto di tornare all'Isola Che Non C'è...» dissi quando anche Michael si fu ripreso «Ieri notte.»
«Wendy, non è che tu... sì, insomma... tu abbia sognato?»
«Ero sveglissima John! Lui è arrivato davvero!» lui si tranquillizzò e valutò le diverse ipotesi.
«Ci ha chiesto di tornare?» domandò Michael incredulo.
«Verrà stasera.» dissi annuendo.
«Stasera?» mi fece eco John «Ma Wendy! Cosa faremo con i nostri genitori? Morirebbero di infarto se sparissimo di nuovo! E poi c'è la scuola e le lezioni di pianoforte!»
«Non ti preoccupavano queste cose quattro anni fa!» lo rimproverai
«Ero solo un bambino all'epoca... ora prendo le cose più seriamente. È stata l'avventura più bella della mia vita, Wendy, ma non credo di volerla rifare. E poi, l'immagine di me nudo appeso ad un albero davanti a Giglio Tigrato mi perseguita ancora!»
«Tu non capisci John! È Peter! È tornato per noi! Vuole che noi andiamo con lui...»
«Mi trovo costretto a rifiutare questa volta, Wendy, ho già avuto la mia avventura.» per tutto il tempo Michael era rimasto a far vagare lo sguardo da me a John con sempre minore convinzione.
«Perché vuole noi?» chiese tutto d'un tratto
«Siamo i suoi amici.» risposi «Ci vuole accanto...»
«Non si è fatto vivo per anni... perché adesso?»
«Sapeste com'è cresciuto! Non è rimasto il bambino che abbiamo conosciuto, è un ragazzo maturo adesso, e credo che lui non sappia quanto tempo è passato veramente.»
«Ma... come può essere cresciuto? Insomma, lui vive in un posto dove non si cresce...» domandò John e io alzai le spalle.
«Non so come sia possibile, ma è successo. E sappiamo che le cose impossibili non sempre lo sono. Dico bene?» entrambi i miei fratelli annuirono.
«Verrò a salutarlo,» iniziò John «ma non andrò con lui. E non dovresti farlo neanche tu.»
«Non potrei mai John, l'ho aspettato per così tanto!»
«Non avresti dovuto! Avresti dovuto andare avanti, crearti una nuova vita e una nuova avventura.»
«Era lui la mia avventura! Non potevo volargli le spalle in questo modo!»
«John ha ragione.» intervenne Michael «Cosa faremo quando saremo tornati a casa? Lo aspetteremo nuovamente prima di capire che sarà impossibile vivere così?!»
«Michael...» esclamai piangendo
«Mi dispiace Wendy, ma ora voglio vivere la mia vita qui...» da quando era diventato così terribilmente saggio? Mi faceva sentire un irresponsabile egoista.
Ma loro non potevano capire, lui era l'amore della mia vita, come potevo voltargli le spalle?
«Ragiona Wendy, non puoi continuare a rimanere attaccata a lui!»
«Non capite... non capite!» urlai uscendo a grandi falcate dalla stanza.
Sbattei con violenza la porta della mia camera e mi sedetti sul letto stringendomi il corpo con le braccia.
Forse avrei dovuto declinare l'offerta «No, Peter» dissi a me stessa «Sai, devo diventare grande in un mondo dove la magia non esiste e le sirene sono solo miti da raccontare ai bambini. Devo crescere e dimenticarmi che esiste un mondo più bello di questo, dove potremmo divertirci. Quindi non posso accettare, no.»
«No?» non mi ero accorta di una presenza finché non aprì bocca «Parli da sola?» mi voltai verso la voce e vidi mia madre in piedi sulla porta che i guardava.
«No, mamma, inventavo una nuova storia...» Ms. Darling si accomodò sul mio letto e mi fece segno di sedermi accanto a lei.
«Cosa c'è che ti turba, mia cara?»
«Se qualcosa che aspetti da tanto tempo all'improvviso arrivasse alla tua porta, offrendoti un'avventura, che faresti?»
«Si tratta della stessa avventura da cui siete tornati quattro anni fa?» chiese mia madre con un luccichio negli occhi. Io annuii. «Beh, mi chiederei cos'è che voglio davvero...»
«E se quello che vorresti non coinciderebbe con quello che dicono gli altri?»
«Imparerei a fare di testa mia...» mi sorrise e si alzò dal letto, avviandosi verso la porta. Prima di sparire, si voltò e mi guardò. «Per quanto?» mi chiese
«Non lo so...» risposi e lei annuì. Si chiuse la porta alle spalle e sparì.
Tutti i Bimbi Sperduti erano stati sistemati in case diverse quando i vicini avevano minacciato di farci causa, l'anno scorso, ma andavamo a trovarli ogni giorno. Erano cresciuti tutti, Ricciolino -ora George- studiava il violoncello. Pennino -Jack- voleva diventare stratega militare, e tutti gli altri avevano trovato qualcosa che potesse interessargli. Avevamo parlato spesso dell'Isola e di Peter, ma nessuno aveva fatto parola di volerci tornare... solo io mi ritrovavo legata a quel posto e a lui. Solo io.
***
Non lo sentii arrivare quella sera, era così leggero e silenzioso che quasi presi un colpo quando me lo ritrovai dietro. Mi stavo allacciando il vestito e lui si voltò imbarazzato.
«Sei tornato...»
«Ciao Wendy» finii di allacciarmi il corpetto e mi voltai a guardarlo. Spalancò la bocca dalla sorpresa e mi guardò incantato.
Forse mi trovava bella.
«Verrete con me?» mi domandò
«John e Michael hanno deciso di vivere la loro avventura qui.» dissi camminando per la stanza, un po' a disagio «Ne abbiamo parlato ma sono stati irremovibili. Ti salutano tanto però...» lui sorrise.
«E tu verrai?» chiese con paura nella voce avvicinandosi al mio orecchio prima di fare una pausa «Dimenticali Wendy, dimenticali tutti, vieni con me dove non dovrai mai, mai più pensare alle cose dei grandi...»
«Mai è un tempo seriamente lungo.» quella scenetta mi era diventata famigliare, lo sentii irrigidirsi contro di me «Ma non è un buon motivo per restare...» e poi sorridere.
Mi prese per mano e mi condusse alla finestra, mi soffio addosso della polvere magica e mi librai in aria tenendolo per mano. Non riuscivo a smettere di sorridere e il cuore mi batteva all'impazzata.
Il volo non mi
era mai parso così bello. La prima volta
era stato così emozionante che avevo usato gli occhi soltanto per non andare a
sbattere contro qualcosa, non essendo abituata a volare. Ma questa volta era
diverso; ero abituata a volare -o meglio- mi ricordavo come si faceva. Era come
andare in bicicletta.
E Peter non
smise un attimo di sorridermi. Il mio cuore era un tripudio di emozioni tutte
così forti da farmi sentire in paradiso, anche se in qualche modo, era lì che
stavo andando.
Strinsi la mano
di Peter con tale forza che avevo paura di fargli male, ma lui non si lamentò
mai.
«Ci siamo quasi»
mi disse guardandomi negli occhi
«È proprio come
lo ricordavo...» mormorai al ragazzo, ricambiando il suo sguardo.
«Tieni forte la
mia mano.» mi ordinò. Mi ricordavo cosa stava per succedere: Peter avrebbe
acquisito velocità e saremmo entrati nella dimensione dell'Isola Che Non C'è.
Chiusi gli occhi
mentre sentivo Peter tirarmi forte e quando li riaprii, vidi davanti a me il
meraviglioso ed enorme profilo del luogo che avevo sognato tutte le notti, che
avevo disegnato i pomeriggi solitari e che non avevo mai dimenticato.
«Wow... è
magnifico» esclamai.
«Lo è.» rispose
Peter lasciando delicatamente la mia mano. Doveva essere davvero felice in quel
momento, perché il sole illuminava l'Isola come non mai. Era così splendente da
rendere persino le nuvole dorate. Ci sedemmo su una nuvola che dava lo sguardo
sulla parte degli Indiani e mi ricordai di Giglio Tigrato.
Chissà se tra
lei e Peter c'era stato qualcosa in quel tempo...
«Ben tornata
Wendy...» mi disse Peter mostrandomi con le braccia tutto ciò che avevo davanti
agli occhi.
«Sono felice di
essere qui.» gli confessai. Il suo sorriso svanì e il suo viso si rabbuiò, era
arrossito. Arrossito?! Peter Pan?!
L'unica volta
che era arrossito c'era stata un'enorme esplosione! Automaticamente mi coprii
gli occhi con le mani e aspettai.
Non successe
niente.
Anzi. Lo sentii
ridere.
«Perché ridi?»
gli domandai confusa.
«Perché sei
buffa.» arrossii io. «Non esplodo più... credo...» aggrottò le sopracciglia
confuso «E comunque, non c'è più qualcuno da combattere!»
Capitano Giacomo
Uncino, comandante della Jolly Roger, era stato inghiottito da un coccodrillo
dopo aver sfidato Peter ad un duello all'ultimo volo. E proprio quando le cose
per il ragazzo si stavano mettendo male, io... beh, gli ho regalato il mio
Bacio.
«Vuoi dire che i
Pirati sono innocui?» chiesi esaltata e lui annuì.
«Stanno
tranquilli nel loro territorio.» rispose Peter svolazzandomi attorno
«Devi esserti
sentito solo in questo tempo, senza Bimbi Sperduti, senza nessuno da
combattere...» constatai amareggiata. Era un po' colpa mia se era rimasto da
solo, noi avevamo portato via tutti i suoi amici.
«Beh, c'era
Trilli. E gli Indiani! Non ero sempre solo» voleva essere allegro ma un lampo
triste attraversò i suoi occhi verdi e mi fece intuire il contrario.
«A proposito,
dov'è Trilli?» non che mi interessasse proprio saperlo, ma già una volta quella
fatina mi aveva quasi uccisa, perciò iniziai a guardarmi intorno per non cadere
in qualche sua trappola.
«È alla Tana, ci
aspetta.» mi prese per la vita e mi fece scendere dalla nuvola.
«Cioè lei sa che
sono tornata?» sentire le sue mani sui fianchi era una forte emozione ma mi
costrinsi a rimanere calma. Peter annuì alla mia domanda e sorrise beffardo.
«Immagino come
sarà contenta!» gli dissi aggrappandomi al suo collo. Era morbido e più grande
di come era all'epoca. Non potevo credere che fosse realmente cresciuto.
Era un mistero
alquanto segreto.
«In effetti era
un po' arrabbiata quando le ho detto che sarei venuto a trovarti, ma poi le ho
fatto cambiare idea ricordandole che anche tu le hai salvato la vita...» era
vero.
Trilli aveva
rischiato di morire bevendo il veleno che Capitano Uncino aveva destinato a
Peter. E lui dalla Tana e noi dalla barca, le avevamo salvato la vita.
«Speriamo che se
lo ricordi ancora.» borbottai
«Lo ricorderò io
per lei...» si fece improvvisamente serio e mi fissò incantato. Il sole stava
calando e la sola luce della luna corse a rischiarare i nostri volti, mentre le
stelle ci spiavano curiose.
Ricambiai il suo
sguardo con eguale ardore. I suoi occhi così magnetici, le sue labbra
morbide... spingere il mio viso verso il suo fu un attimo.
Chiusi gli occhi
e mi avvicinai. Lui chiuse i suoi e si avvicinò. Mi accarezzò la schiena con
una mano mentre io mi strinsi maggiormente sul suo collo. Sentivo il suo
respiro affannato e corto. Sentivo il suo tremito. Così, spinta dalla
curiosità, aprii gli occhi nello stesso istante in cui lui aprì i suoi.
Mi sorrise. Gli
sorrisi.
Era un momento
perfetto. Volevo assaggiare di nuovo quelle labbra, ricordare cosa si provava.
Senza Pirati a spiarci, senza Bimbi Sperduti schifati. Senza prigionieri, senza
cattivi. Solo la luna e le stelle a farci da sfondo sulla volta celeste tinta
di blu e screziata di viola.
«Peter...»
sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra.
Lui, che
guardava le mie, volse lo sguardo verso i miei occhi e poi mi sorrise, prima di
staccarsi e di afferrare la mia mano e portarmi via.
Sapevo non ci
saremmo baciati, perciò non rimasi molto delusa; ma quella parte -quella
piccola parte- che lo aveva sperato, iniziò a piangere. Lacrime dolci per un
doloroso tormento.
Cercai di non
pensarci e in un attimo arrivammo alla Tana.
Era proprio come
la ricordavo, nulla aveva subìto l'insolente forza del tempo, rendendo quel
posto -oltre che magico- immortale.
Mi fece fare un
giro senza mai lasciarmi la mano e mi mostrò il mio letto. Quello dell'ultima
volta.
«È sempre stato
tuo.» mi sussurrò all'orecchio destro «E non sarà mai di nessun altro» continuò
verso l'orecchio sinistro.
Il mio cuore
fece un'immensa capriola e mi voltai lentamente verso di lui, trovandomelo ad
una distanza molto ravvicinata.
«Non sai quanto
io sia felice.» gli confessai abbracciandolo, incastrando la mia testa
nell'incavo del suo collo. Sembrava si fosse creato un buco proprio per me. Sul
suo cuore.
«Ti ho pensata
tanto...» mormorò sui miei capelli «Mi sei mancata»
«Pensavo mi
avessi dimenticato» sussurrai con gli occhi brucianti
«Non potrei mai!
Mai!» mi strinse anche lui con le sue braccia tornite e forti.
«Con tutte le
avventure che avrai vissuto, gli ostacoli che avrai affrontato, come potevi
ricordarti di me?»
«La vita può
essere una grande avventura» aveva sempre pensato alla morte come ad
un'avventura, ma quando le si era ritrovato accanto, aveva capito che era la
vita a meritarsi le sue attenzioni. Mi aspettavo quella risposta, ma
decisamente non mi aspettavo quella che seguì «Tu sei stata una grande
avventura.» alzai il viso verso di lui e gli comunicai tutto il mio amore con
gli occhi. Sperai che capisse ciò che volevo così disperatamente dirgli ma
venimmo interrotti da un forte luccichio dispettoso.
Trilli.
Svolazzò tra i
nostri volti cercando di attirare l'attenzione di Peter. Lui rise e mi lasciò
andare, dedicandosi alla fatina, che intanto mi guardava con aria pericolosa.
Cercai di
sorriderle per essere gentile e iniziare subito col piede giusto. Lei
inizialmente sorrise, ma poi mi fece una rumorosa pernacchia a pochi centimetri
dal viso.
Peter
sghignazzava alle sue spalle, cercando di coprirsi la bocca con la mano.
«Trilli è
davvero felice di vederti» mi disse. Lo sguardo che, sia io sia Campanellino,
gli rivolgemmo fu più che eloquente; tanto da fargli spalancare gli occhi dalla
paura.
«Volevo essere
gentile!» disse a mo' di scusa. Io risi di cuore e guardai Trilli volare via
con grazia.
«Magari un
giorno le piacerò.» decretai con falsa convinzione.
«Un giorno, ma
non oggi. Si è fatto tardi e voglio che tu sia riposata per quello che faremo
domani!» mi spinse delicatamente verso il letto.
«Cosa faremo
domani?» gli chiesi mentre si voltava per andarsene.
«Visiteremo
l'Isola ovviamente!» rispose gioendo come un bambino.
Cercavo di
ricordarmi come fosse prima; il bambino che prendeva tutto uno scherzo e che
voleva sempre e solo divertirsi, che era ingenuo ma tremendamente dolce.
Ma più cercavo
nella mia mente, più lui mi sfuggiva.
Ora mi sembrava
lo stesso bambino ma irrimediabilmente diverso; il suo modo di parlare era più
maturo, i suoi occhi non erano più solo le finestre dell'immorale verità, erano
anche specchi coperti di condensa su quei sentimenti che aveva così
disperatamente cercato di negare e che l'avevano portato alla solitudine.
Sentimenti che non avevo mai smesso di provare e per i quali avevo pregato per
quattro anni affinché lui non li dimenticasse.
Tutto in
quell'albero casa - la Tana- mi sembrava famigliare eppure così sconosciuto.
Confortevole e spaventoso. Allegro e triste.
Non sentivo più
gli schiamazzi dei Bimbi Sperdute e le loro risate con Peter. Non sentivo John
e Michael giocare agli indiani con loro. Non li sentivo più.
Immaginai i miei
fratelli nei loro letti, a Londra, e mi venne un profondo senso di tristezza e
di egoismo.
Come mai ero la
sola ad aver desiderato ardentemente di tornare in quel posto? Perché i miei
fratelli non avevano voluto venire?
La risposta
apparve nitida nella mia mente, ma non sapevo se mi piaceva come rivelazione:
desideravo tornare perché ero innamorata di Peter e non potevo dimenticarlo.
Loro non si
erano innamorati; erano ancora troppo piccoli per capire davvero che fortuna
avevamo avuto andando lì.
E tutto perché
Peter voleva il lieto fine. Voleva le favole. Voleva qualcuno che gliele
raccontasse.
Senza pensarci
mi alzai dal letto e lo cercai per la Tana.
Se ne stava
seduto su uno dei rami più alti dell'albero ad ammirare le stelle. Il nasino
impertinente rivolto verso la volta celeste e un braccio penzoloni.
«Non avevi detto
che dovevamo essere riposati per domani?» gli domandai facendolo spaventare,
tanto che cadde dal ramo e atterrò davanti a me planando dolcemente.
«In teoria sì.»
mi sorrise e mi soffiò in viso la polvere di fata. Mi sollevai insieme a lui e
non persi un attimo il contatto con i suoi occhi.
«Perché sei
tornato proprio ora?» gli domandai con una punta di amarezza nella voce
«Sentivo il
bisogno di tornare. Mi mancavate...» mi ritrovai a sperare che quel plurale
servisse a nascondere il vero intento, cioè che gli mancavo, io. E solo io.
Mi avvicinai
lentamente annuendo e gli accarezzai una guancia «Sei cresciuto Peter, dico sul
serio.»
«Non voglio
essere cresciuto!» rispose stizzito.
«So che l'idea
non ti piace, ma non è poi tanto male...» cercai di rassicurarlo.
«Lo dici tu.
Cosa farò quando sarò diventato grande e invecchierò e morirò?»
«Tu non morirai
Peter, mai. Anzi, penso che tu non diventerai mai grande.» lui parve
riacquistare felicità e mi prese le mani.
«Vuoi ancora
vedere le sirene?» sussurrò avvicinandosi al mio orecchio. Sentivo il tremito
nella sua voce.
«Sì.» risposi.
Lui cambiò orecchio e sorrise «E gli Indiani?»
«Sì.» sentivo il
controllo venir meno e desiderai che si staccasse. Poi mi pentii di averlo
pensato perché non era affatto quello che volevo.
«Vorrai volare
con me?» la sua voce si incrinò un poco ma ero troppo distratta per notarlo.
Annuì contro la
sua guancia e poi, presa dall'istinto, gli afferrai il viso e lo avvicinai al
mio.
Le nostre labbra
si incrociarono e si scontrarono. Lui parve sorpreso e rigido, così cercai di
infondergli dolcezza e lui riprese a respirare.
Non avevo più
baciato nessuno oltre a lui, ma in quel momento sentii di non avere bisogno
della pratica. I miei sensi mi dicevano cosa fare e lui rispondeva
perfettamente, forse anche troppo.
Le sue labbra
morbide arcuate in sorriso mi baciarono con così tanto affetto che sentivo
avrei potuto affogarci dentro. Gli occhi chiusi, intenti a nascondere un
segreto profondo e... segreto che era lui.
Sentivo il suo
corpo accalorarsi, le sue mani sui miei fianchi farsi bollenti e capii che era
alquanto su di giri. Ma non mi spostai. Non ne volevo proprio sapere.
E lui neanche...
Così com'era
venuto, il calore scomparve e optai di continuare a baciarlo senza soffermarmi
più di quel tanto che, in realtà, non mi interessava.
Si staccò un
attimo da me e con ancora gli occhi sussurrò il mio nome come una dolce litania
capace di salvarlo in qualunque occasione «Wendy...» mi costrinsi ad aprire gli
occhi e quel ce vidi non potei più dimenticarlo.
I suoi occhi
erano accessi da una luce così abbagliante che per un poco mi spaventò. Ma poi
lui sorrise e allora capii che era felice.
«Le tue
labbra...» iniziò disegnandone il contorno con il pollice. Era concentrato nel
guardarle e io nel guardare lui che non mi resi conto dello scorrere -si fa per
dire- del tempo.
«Continua...» lo
incitai.
«Il tuo
Bacio...» continuò infatti lui; e sopracciglia aggrottate e una ruga di
concentrazione sulla fronte «... mi ha salvato.» concluse tornando ai miei
occhi.
«Il tuo l'ha
fatto per primo.» ricordavo perfettamente quella ghianda che mi aveva donato e
che mi aveva salvato dalla freccia di uno dei Bimbi su ordine di Trilli. Era
stato il suo regalo più grande.
«Grazie» Peter
Pan che ringraziava?! Le cose erano davvero cambiate. Ma arrossii violentemente
come una bambina e abbassai lo sguardo.
Avrei voluto
baciarlo ancora.
Ma lo fece lui,
sorprendendomi. Un bacio a fior di labbra, ma intriso di tutta la dolcezza che
quel ragazzo era capace di provare.
«Buona notte Wendy»
mi disse e io mi accorsi che eravamo a terra.
Lo salutai e mi
diressi al mio letto volteggiando per la stanza.
Mi svegliai alle prime luci di un sole alto e caldo. Quasi
presi un colpo quando, davanti ai raggi lucenti del sole, scorsi due iridi
verde chiaro screziato d'oro che mi osservavano. Cacciai un gridolino e nascosi
il mio volto sotto le coperte. Lo sentii ridere.
«Peter!» urlai divertita. Una mano del ragazzo afferrò un
lembo della coperta e lentamente la scostò dal mio volto, liberando i miei
occhi azzurri. Lo guardai attentamente: volteggiava leggero sopra di me con il
suo sorriso birichino e i capelli ricci scomposti.
«Sveglia.» mi disse «Le sirene ci aspettano!» se fosse stato
coi piedi a terra, sarebbe caduto dalla foga con cui mi alzai dal letto. Corsi
decisa fino alla parete opposta al letto, convinta che ci avrei trovato un
armadio; ma quella non era la mia camera e non c'era alcun armadio.
«Andrò sempre in giro in camicia da notte?» domandai
sospirando profondamente, di spalle rispetto a Peter.
Lo sentii scendere a terra e muovere qualche passo «Ho
chiesto a Trilli di trovarti qualcosa di adatto da indossare. Arriverà fra
poco...» mi voltai verso di lui e lo guardai poco convinta.
«Hai chiesto a Trilli... arriverà con una corona di spine?!»
Peter sorrise in quel modo che amavo.
«Abbi fiducia in Trilli, è cambiata...» rispose prendendomi
le mani. Accarezzai la sua pelle rugosa e i calli sulle sue mani grandi.
«Ma mi odia comunque, perché sto con te.» dissi senza
pensarci. E poi mi pentii; non avrei dovuto dire quello, non proprio a Peter.
Noi non stavamo insieme, non come si conveniva ad una vera coppia.
«Ah... quindi ora stai con me...» rispose infatti il
ragazzo, più divertito che mai. Lo fissai sbalordita.
«Ma dov'è finito il mio dolce e ingenuo Peter?» lui per
tutta risposta mi tirò a sé e premette le sue labbra sulle mie. Lo assaporai
fino all'ultimo e lo scostai dolcemente quando il letto di fece molto -troppo-
vicino. Lui capì e poi si allontanò verso un luccichio lontano. Trilli.
Subito dopo tornò da me con qualcosa nelle mani: era un
vestito! Un vero vestito di stoffa che proveniva sicuramente dal mio mondo; era
verde e sicuramente doveva essere molto costoso. Aveva un'ampia gonna a balze e
ricami su tutto il corpetto, arricchiti da fiori profumati di tutti i colori.
Peter me lo porse «È cresciuto Wendy, non sono più quel bambino.» presi il
vestito dalle sue mani e mi diressi dietro ad una parete di foglie accanto alla
porta.
«Ancora non capisco come sia possibile una cosa così,
insomma, non si cresce sull'Isola Che Non C'è!» tolsi la camicia da notte sfilandola
dalla testa e mi accinsi ad indossare il nuovo vestito. Era davvero profumato!
«Non so come sia accaduto ma, un giorno, mi sono svegliato e
mi sono reso conto che i giorni stavano passando e io sentivo il tempo
scorrere. Giorni, poi mesi e infine anni: mi sono ritrovato più grande. Sono
maturato...» uscii dal mio guardaroba improvvisato e lo vidi fissarmi incantato
«Ma Peter, parli come se fossi andato a scuola, come se
avessi vissuto nel mio mondo...»
Lui mi sistemò una ciocca di capelli sulla spalla «Forse
qualcosa di te è rimasto con me, dopo...»
Tacqui.
Non sapevo cosa rispondere. Non sapevo come affrontare
quella situazione né cosa dirgli. Ogni cosa mi sembrava fuori posto, inadatta.
Feci l'unica cosa che sapevo fosse giusta: perché tra noi
sarebbe sempre stata giusta. Lo baciai. Sentivo le sue mani stringermi in un
modo che avevo sempre sognato e le sue labbra cercarmi come avevo desiderato.
Si scostò e mi prese una mano «Dobbiamo andare ora.» annuì
distratta con le guance in fiamme e lo seguii. Stavo per muovere un passo
quando lo sentii sghignazzare. Allora capii: non avremmo camminato. Infatti,
lui si sollevò in aria e io con lui. Non sapevo se fosse a causa sua o no, ma
mi sentivo così leggera da sentirmi libera.
Mi soffiò un po' di polvere in viso, come aveva fatto la
notte che c'incontrammo per la prima volta. Iniziai a volteggiare con lui e
uscimmo dalla Tana.
Eravamo veloci, come schegge, attraversammo la foresta, i
laghi, sorpassammo l'accampamento degli Indiani e arrivammo alla Baia delle Sirene.
«Eccoci...» mi disse mentre mi aspettava già a terra «Fai
attenzione. Le sirene tendono ad essere un pochino... ecco... gelose.»
«C'è qualche creatura che non cada ai tuoi piedi su
quest'Isola?!» domandai ironica dandogli un buffetto sul braccio. Lui scosse
energicamente la testa e si accucciò su una roccia. Tirò fuori il suo flauto e
suonò una melodia silenziosa che doveva essere il richiamo per le sirene.
Aspettammo per alcuni minuti e poi vedemmo scorgere qualcosa
sott'acqua muoversi a tutta velocità. Notai diverse paia di pinne... ero
elettrizzata all'idea di rivedere creature che non avevo mai dimenticato, anche
se volevano affogarmi dolcemente.
La prima a raggiungerci aveva i capelli blu elettrico, occhi
a mandorla neri e dita delle mani palmate. La coda non la vidi nitidamente, ma
doveva essere blu anche quella. Era stupenda. Sorrise a Peter e lo guardò
lasciva. Provai gelosia, una forte gelosia. Forse non mi piacevano più così
tanto.
«Eccole Wendy, le sirene. Come ti avevo promesso...» Peter mise
un braccio intorno alle mie spalle e mi avvicinò dolcemente alla creatura che
mi fissava curiosa.
«È bellissima...» mormorai silenziosamente, per paura di
spaventarla.
«Lei è la Principessa Iranya. Ha avuto una cotta per me
qualche anno fa...» lo guardai torva e guardai torva anche lei. Mi strinsi a
Peter e mi allontanai da lei. Lui rise, voleva solo provocarmi.
«Tutta l'Isola ti adora: non può essere altrimenti.» sapevo
di che natura fosse il rapporto tra lui e l'Isola, l'avevo visto davanti ai
miei occhi più volte. Ma sapevo che non l'avrei mai capito; Peter sembrava
essere nato per vivere lì, per permettere all'Isola di vivere.
Senza di lui, tutto ciò che avremmo visto, sarebbe morto. Si
sarebbe fermato come il tempo e mai più magico.
«Riesco a percepire ogni foglia degli alberi, ogni goccia
dei mari e ogni sasso della terra. È casa mia questa ed è compito mia
proteggerla. Io ne faccio parte.» mi rammaricai sapendo che per me invece non
era così. Vivevo in un mondo che non dipendeva da me e al quale appartenevo,
eppure non mi ero mai sentita così fuori luogo come da quando ero tornata
dall'Isola Che Non C'è. Però non appartenevo neanche a quel mondo. Non come
Peter.
Una lacrima mi scivolò su una guancia e poi sentì qualcosa
di strano, prima di vedere il luccichio di Trilli: aveva raccolto la mia
lacrima e l'aveva buttata via.
Mi guardava dalla sua piccola misura e mi suggeriva -mi
pregava- di non piangere. E io non piansi.
«Grazie Trilli» lei emise un gridolino di sorpresa e poi mi
fece una pernacchia prima di rifugiarsi sulla spalla di Peter.
Scossi la testa: alcune cose rimanevano sempre le stesse.
Osservammo le sirene per tutto il giorno e Peter mi spiegò
la storia della Principessa Iranya, la quale aveva combattuto contro i Pirati e
aveva rivendicato il trono del suo popolo, per poi sposare il Tritone Meliorn
che amava da tutta la vita. Era bello sentir parlare di quell'amore. Una
persona -o una creatura marina in questo caso- è per sempre.
Mi chiesi cosa sarebbe accaduto a me e a Peter col passare del
tempo. Quando la nostalgia di casa avrebbe iniziato a farsi sentire, mista al
rancore verso i miei fratelli e all'egoismo che avevo avuto lasciandoli tutti
per inseguire il mio sogno? Peter era il mio sogno, il mio desiderio. E io ero
dannata.
«Stai tranquilla, non permetterò che le facciano del male.»
mi voltai verso Peter e lo osservai mentre parlava con Trilli, rannicchiata
sulla sua spalla. Lei gesticolava con le piccole mani e sbatteva le aluccie in
segno di protesta. Lui rise.
Era sempre così allegro, così pronto a divertirsi come se
tutto fosse un gioco: aveva quell'ingenuità infantile che non l'avrebbe mai
abbandonato e mi chiesi se era possibile esserne contagiati.
«Hai... hai avuto relazioni con qualcuno mentre ero via?»
non riuscii ad aspettare oltre; avevo bisogno di sapere subito. Lui parve
sorpreso dalla mia domanda e confuso. Credo stesse pensando a cosa significasse
"una relazione" e poi cercare di capire se ne aveva mai avuta una.
«No» disse alla fine e mi sentii sollevata «C'è sempre stata
una e una sola persona per cui provavo dei sentimenti.» Uncino, pensai. Il suo
nemico. Lasciai cadere il discorso e mi concentrai sui cerchi nell'acqua che le
mie dita creavano.
«Sarà meglio tornare alla Tana prima che faccia buio. La
notte è comunque fredda...» disse Peter tendendomi una mano, la accettai e mi
alzai in volo con lui, silenziosamente.
Non passai una buona giornata. Avevo bisogno di solitudine e
quindi declinai l'invito di Peter di visitare gli indiani. Lui era volato via alla
ricerca di qualcosa e io ero rimasta in spiaggia a guardare le onde infrangersi
sugli scogli. Puntavo lo sguardo dove avrebbe dovuto esserci la Jolly Roger,
imponente e confusionaria. E invece non c'era. E non c'era il suo capitano.
Ero invasa da una profonda tristezza a cui non sapevo dare
una spiegazione: avevo tutto ciò che avevo sognato negli ultimi anni. Eppure
non ero felice.
Vidi un luccichio lontano che mi raggiunse in un batter
d'ali «Ciao Trilli» le dissi senza neppure alzare lo sguardo. La sentii sedersi
sulla mia spalla e borbottare qualcosa.
«Sto bene Trilli» la vidi scuotere la testolina bionda
«Veramente! È solo una giornata storta.» lei mi guardò impettita e incrociò le
braccia in segno di rassegnazione.
Sapevo che non si sarebbe arresa, e continuavo a domandarmi
per quale motivo fosse venuta a consolarmi: sapevo perfettamente di non essere
nelle sue simpatie.
Trilli però ne sembrava dimentica e iniziò a giocherellare
con i miei capelli lunghi, cercando di farmi alzare.
Decisa -e scocciata- mi alzai e lei dovette aggrapparsi per
non cadere. «Scusa» le mormorai. Ma prima che potesse rispondere, ecco Peter
che volava verso di noi. Era raggiante; il suo sorriso era così luminoso e
sincero che mi contagiò e gli sorrisi anche io.
Planò davanti a me e mi prese le mani «Sono andato alla Tana
ma tu non c'eri.» abbassai lo sguardo «Ma sapevo dove trovarti...» lo guardai
confusa. Lo sapeva veramente?
«Avevo bisogno di riflettere...» confessai
«Wendy, cosa c'è che non va? Credevo saresti stata felice
qui. Con me.» e il suo sorriso si spense; allarmata gli strinsi le mani tra le
mie e gli parlai con voce dolce.
«Oh Peter!» gli dissi cercando i suoi occhi «Io sono felice!
Sono felice qui e lo sono con te. È tutto ciò che ho desiderato dall'ultima
volta che ci siamo visti.» lui sembrò risollevarsi «Solo mi chiedo se sia giusto
e che futuro avremmo mai noi due»
Non ero sicura di ciò che avevo appena detto. L'ultima volta
che avevo provato a parlargli di sentimenti era scappato via terrorizzato!
Eppure questa volta rimase.
Per la prima volta sentivo di potergli parlare a cuore aperto,
finalmente.
«Futuro? Ancora non abbiamo vissuto il presente Wendy!» mi
rimproverò lui, scherzosamente. Non potei fare a meno di ridere.
Poi, senza preavviso, mi avvolse nelle sue braccia e mi
ritrovai con le labbra sulle sue. Sentivo pervadermi da scosse elettriche che
mi facevano venire la pelle d'oca; era come una sensazione ultraterrena. Capii
che era Peter... era lui che provava quelle cose e le trasmetteva.
Le sue labbra erano morbide, i suoi capelli serici sparavano
in ogni direzione. Senza rendermene conto mi ritrovai deposta a terra con Peter
che mi sovrastava continuando a baciarmi. Stava per succedere? Ero pronta? Ebbi
un secondo per pormi la domanda prima di lasciar perdere e godermi il momento.
Peter si scostò dolcemente alcune ciocche di capelli dal petto e mi baciò il
collo. Io lo attirai a me; volevo sentire la sua pelle sulla mia. Quando le sue
labbra scesero fino ad incontrare l'ostacolo del vestito, lui sorrise. E fu
facile slacciare il corpetto e continuare la discesa fino al seno. Io chiusi
gli occhi mentre le sue mani mi accarezzavano delicate e vogliose...
Chiusi gli occhi.
Ci risvegliammo al tramonto, abbracciati. Lo vidi mentre mi
guardava e ci sorridemmo, e poi lo baciai.
«Peter...» lui mi bloccò
«È stato incredibile, meraviglioso.» mi strinse a sé e io
ripassai nella mente tutte le sensazioni che avevo provato: nessun dolore, solo
un fastidio iniziale e poi l'avevo sentito dentro di me. Ed era stato
magnifico. Si era mosso piano, con dolcezza, e quando aveva capito che potevo sopportarlo
aumentò il ritmo senza mai staccare le labbra dalle mie. Si era bevuto tutti i
miei gemiti e io i suoi. Avevamo fatto l'amore ed era come se fossimo ancora
più legati di prima.
«Ti amo Wendy» com'era possibile che quel ragazzo che
quattro anni prima non sapeva niente dei sentimenti ora fosse in gado di amare?
Cos'era successo? Non lo sapevo ma ero felice.
«Anche io ti amo Peter... e ti amerò per sempre.» ecco.
L'avevo detto. Ed ero riuscita finalmente a dirlo a lui.
Sembrava sul punto di piangere, aveva un'aura intorno a sé
di un tenue color oro che sfrigolava: i suoi sentimenti. Non era mai stato
capace di nasconderli...
«Cosa sei andato a fare prima?» gli domandai mentre mi
stringevo a lui sistemandomi meglio sulla sabbia.
«Dovevo avvisare gli Indiani che tu eri tornata. E che
saresti rimasta qui, con me.»
«E loro?»
«Erano felici. Hanno approvato e capito. Mi hanno detto che
un amore come il nostro si trova difficilmente.» annuì contro il suo petto. «E
gli ho anche chiesto se posso andarmene dall'Isola Che Non C'è.» quasi mi
strozzai con la saliva mentre deglutivo.
«Tu non vuoi rimanere qui per sempre. Lo leggo nei tuoi
occhi. Tu hai un mondo a cui tornare, un mondo in cui hai sempre vissuto. Chi
sono io per portartelo via?» abbassai lo sguardo, colpevole. «E quando vorrai
tornare a casa, io verrò con te.» spalancai gli occhi, incredula.
Sarebbe venuto via con me?! Avrei vissuto una vita con lui!
«Ma Peter, tu ami questo posto. Tu sei questo posto. L'Isola
non esiste senza di te...»
«Voglio trovare il modo.»
«Ma cosa ti hanno risposto gli Indiani?»
«Che era una pazzia e che faranno qualche ricerca perché non
sono sicuri che sia possibile. E se non lo fosse...» si interruppe.
«Se non lo fosse?» lo incitai
«...se non lo fosse ti riporterei indietro.»
«E vivere ancora senza di te? No! Rimarrei qui per sempre
piuttosto... che è quello che voglio.»
«Lo vuoi ora. Non sappiamo se col passare del tempo lo
vorrai ancora.»
«Io voglio te, Peter Pan, incondizionatamente dal posto.»
«Lasciando tutto? La tua famiglia? I tuoi amici? I tuoi
fratelli...?» ci riflettei su.
«Perché non lasciamo le decisioni e le ricerche a quando
vorrò andarmene e non ci godiamo il momento?» lo baciai sulle labbra e gli
sorrisi.
Vedemmo Trilli volare fino a noi con una mano sugli occhi e
l'altra tesa in avanti per evitare eventuali ostacoli. Peter rise.
«Scusa Trilli... qualcosa non va?» la fatina scosse la testa
e borbottò qualcosa che Peter preferì non tradurmi. Si congedò con un battito
d'ali.
I giorni seguenti furono vissuti all'insegna del
divertimento e della calma. L'Isola era davvero un posto tranquillo e
silenzioso senza spari di cannoni o urla di bambini.
Mi chiesi come avesse fatto Peter a vivere nella solitudine
per quattro lunghi anni. E poi mi diedi della stupida: lui era Peter Pan!
Una mattina mi svegliai sola nel letto alla Tana, non vidi
Peter da nessuna parte, così mi vestii e uscii; ad aspettarmi fuori c'erano
nuvole plumbee e vento freddo che mi scompigliava i capelli.
«Peter?» chiamai. Lo vidi appollaiato su un ramo alto di un
albero. Era preoccupato, si vedeva dal tempo dell'Isola. Volevo raggiungerlo,
da sola, volando. Insomma, ero lì da molto ormai, potevo volare anch'io no? Con
tutta me stessa mi concentrai sulla sensazione di leggerezza che mi investiva
ogni volta, mista al sentimento di voler andare da lui. I miei piedi,
faticosamente, si librarono in aria e arrivai in un istante al ramo sul quale
Peter stava suonando il suo flauto. Quando mi vide smise e mi sorrise. Mi
sedetti davanti a lui e lo ascoltai suonare.
«Peter, che succede?» lui mi guardò e sorrise di un sorriso
finto.
«Credo che stiano per arrivare dei nuovi Bimbi Sperduti...»
non capii l'origine del suo malumore. «Significa che qualcuno è stato
abbandonato. E non reclamato.» in quel momento la consapevolezza si palesò
chiara nella mia mente. A lui dispiaceva che qualcuno venisse abbandonato...
«Peter... non possiamo farci niente. Capita che qualche
madre...»
«Cosa?» mi interruppe «Capita che una madre si dimentichi
del proprio figlio?!» si stava arrabbiando. Vedevo le nubi scurirsi e sentivo i
tuoni espandersi nell'aria. Gli presi una mano.
«Qui saranno amati Peter... non verranno mai dimenticati
qui. Si divertiranno.»
«E poi vorranno andarsene, come... come gli altri.» non
avevo mai capito davvero quanto l'abbandono dei suoi amici lo avesse ferito;
ora invece lo vedevo nei suoi occhi e mi sentivo responsabile per tutto.
«Mi dispiace Peter... è tutta colpa mia. Se non fossi venuto
a Londra...» ricacciai le lacrime indietro mentre lui mi afferrava il mento e
lo sollevava. Mi passò il pollice sullo zigomo e mi costrinse a guardarlo.
«Non è stata colpa tua. E sono felicissimo di essere venuto
a Londra per sentire le tue storie. È lì che...» che? «Che mi sono innamorato,
solo che non lo sapevo ancora e avevo paura. Erano sentimenti nuovi, per me era
tutto un gioco! Persino Uncino adesso mi manca!» sorrise amaramente e lo
seguii.
«Vedrai che quei bimbi staranno bene.»
«Avranno un padre e una madre!» io spalancai gli occhi.
«Oh no Peter! Non affrettiamo le cose...»
«Ma l'altra volta...»
«L'altra volta era un gioco» lo interruppi «e sappiamo com'è
finito.»
Improvvisamente un raggio di sole penetrò la coltre di nubi
e si posò su di noi, illuminandoci e scaldandoci col suo calore. I suoi occhi
brillavano... sì, brillavano davvero! E i capelli riflettevano la luce: oro su
oro. E poi, eccolo lì. Vidi ciò che avevo dimenticato e capii. Avrei dovuto
capirlo sin dall'inizio. Era quello il motivo, la soluzione ai misteri, era lì,
all'angolo destro. Il mio Bacio.
NOTE:
Non ho assolutamente scusanti per il ritardo eccessivo e
vergognoso di questa pubblicazione, a dirvi la verità però, ho avuto un blocco
per questa storia. Un blocco abbastanza serio... ci ho impiegato un'eternità a
scriverlo. Spero possiate perdonarmi. Alla prossima!
Come avevo fatto a non accorgermene prima?! Era iniziato
tutto da lì, da quel giorno sulla Jolly Roger, durante il mio quasi
arruolamento coi pirati, alla morte di Trilli...
Lì, dopo lo scontro, costretta da Uncino avevo regalato
-anzi no, donato- il mio Bacio a Peter, il nostro ditale.
E lui era esploso.
Ecco perché le cose erano cambiate per lui! Ero stata io:
baciandolo l'avevo indissolubilmente legato a me; e con me era cresciuto, aveva
cambiato aspetto, era maturato. Come me. Il tempo sull'Isola doveva aver
iniziato a scorrere o esisteva indipendentemente da Peter. Che non fosse più un
tutt'uno con l'Isola?
«Credo di aver capito, Peter» gli dissi un mattino. Avevamo
dormito sulla spiaggia e le onde del mare ci avevano cullati sotto le stelle.
Lui si appoggiò su un gomito e mi fissò con gli occhi pieni di luce.
«Che cosa hai capito?» appena sveglio i suoi capelli erano
ancora più scomposti del solito, la tentazione di sistemarli era fortissima, ma
costrinsi la mia mano a rimanere accanto al fianco.
«Tu avresti dovuto rimanere bambino. Per sempre. Il tempo
non esiste qui...»
«Ed è così; però io non sono un bambino» c'era un velo di
rimorso dietro aquello sguardo, come se
ci fosse ancora tristezza nascosta. E lo capivo. Lo capivo benissimo, era pur
sempre stato l'Eterno Bambino fino a quattro anni prima!
«Esattamente... credo che sia colpa mia» lui si agitò ma lo
quietai con un gesto della mano «del mio Bacio. Quando credevo che fossi
spacciato, io ti ho baciato, ricordi?» lui annuì «In quel bacio io avevo
riposto tutti i miei sentimenti, e il desiderio di tenerti sempre con te,
ovunque. Credo di averti in qualche modo legato a me, così che saresti sempre
stato con me anche stando lontano.»
Peter mi ascoltò attentamente «Quindi se non fossi tornato,
avrei potuto diventare uomo senza accorgermene e sarei morto!» fece un verso di
schifo e io risi ma non ero felice l'umore di Peter era peggiorato in un lampo,
il cielo si stava oscurando.
«Meno male che sei tornato, Peter.» ci alzammo e andammo
verso l'accampamento degli Indiani per parlargli dei nostri pensieri. Il fatto
che non volasse la diceva davvero lunga su ciò che provava in quel momento. E
io non riuscivo a guardarlo in faccia.
«Quindi sei stata tu...» pensavo mi stesse accusando,
incolpando, così nascosi lo sguardo abbassando il viso ancora di più. Avrebbe
avuto tutte le ragioni per odiarmi adesso: se era davvero come temevo, allora
ero stata io a portargli via l'immortalità, l'infanzia, il divertimento per
sostituirli con cose come il tempo. Non era stato un bell'affare...
Camminammo insieme ma distanti fino alla tenda del Capo
degli Indiani; Peter ebbe udienza con lui, da solo, e gli espose tutte le
nostre teorie sperando in un consiglio o in un chiarimento sulla faccenda.
« Giovane Pan tu non hai più il dono del Tempo; l'Isola lo
sente, lo avverte, e reagisce. Giovane ragazza te tolto tutto... mortale tu sei
ora e nulla potrai fare. La scelta è tua però: rimani o vattene. Se prima
l'Isola non poteva vivere senza di te, ora può, perché tu all'Isola non sei più
legato. Ma a lei» disse indicando me «Se crescerà, crescerai. Se morirà,
morirai. Il luogo di tutto questo e le circostanze sono una tua scelta, giovane
Pan...»poi gli sussurrò qualcos'altro e
si ritirò nella sua tenda.
Peter non volle dirmi cos'altro gli aveva sussurrato e
decisi di non insistere.
Mi avvicinai al ragazzo sperando in qualche parola che non
arrivò «Dunque adesso sei mortale Peter... mi dispiace così tanto.» una lacrima
scese sulla mia guancia. Peter non riusciva a guardarmi.
«Non ho più nulla, mi hai portato via tutto.» un tuono
rimbombò nel cielo plumbeo «Wendy mi hai portato via tutto!» non lo disse con
cattiveria né con rabbia, e la calma con cui pronunciò quelle parole mi ferì
più di una spada.
«Peter io...» la gola bruciava e la voce graffiava e usciva
rotta.
«Avevo degli amici prima, avevo dei nemici, mi divertivo,
non avevo pensieri... non avevo sentimenti... tu mi hai portato via tutto
questo e mi hai dato tutto ciò da cui sono sempre scappato.»
«Peter!» piansi
«Ti prego Wendy, lasciami solo...» e volò via da me. Lo
guardai sfrecciare via da me e mi inginocchiai a terra piangendo lacrime
salate.
Diversi minuti dopo mi alzai e mi recai alla tenda del Capo
Toro Seduto e gli chiesi udienza.
«Come posso spezzare l'incantesimo? O qualunque cosa sia...»
mi asciugai le lacrime e fissai Toro Seduto negli occhi neri con decisione, per
fargli capire che non avrei lasciato perdere.
«Non sono sicuro che soluzione ci sia. Mai visto nulla di
simile prima in vita mia...»
«Ma deve pur esserci un modo!» urlai trattenendo a stento le
lacrime.
«Provare a cercare io devo, parlare con Spiriti. Torna da me
tra tre giorni. Non ti assicuro nulla giovane ragazza...» e si ritirò.
Non era molto, ma avevo ancora la speranza di poter liberare
Peter da quel legame che avevo creato. Non avevo idea di dove trovarlo; morivo
dalla voglia di parlargli.
Mi mancavano i suoi abbracci, i suoi baci, i suoi sorrisi...
ma voleva stare solo e almeno quello glielo dovevo. Aveva ragione, maledizione!
Aveva ragione su tutto... ero arrivata lì per caso e gli avevo portato via
tutto.
I Bimbi Sperduti, compagni di giochi, i Pirati... per poco
non perdeva anche Trilli e tutto perché mi aveva portato lì.
Vidi Trilli passare di lì e nemmeno mi salutò, me
l'aspettavo d'altronde.
«Trilli...» la chiamai «Vieni qui per favore» si avvicinò
riluttante e non mi guardò negli occhi «Ho bisogno di sapere se sta bene,
dov'è?» lei borbottò qualcosa che ovviamente non riuscii a capire ma sembrava
tanto che mi stesse facendo la predica... da una fata non me lo sarei mai
immaginato.
«Trilli! Non capisco! Vuoi portarmi da lui?» lei scosse
violentemente la testa. Capii anche lei: dopotutto lei amava Peter...
E quei sentimenti mi provocavano un gran fastidio e li
sentivo molto più puri e profondi dei miei.
Tornai alla Tana, a piedi, non riuscivo a volare: non avevo
alcun pensiero felice.
Non lo trovai lì, né sul suo letto, né sui rami più alti...
così mi rannicchiai alla base del tronco e mi strinsi le ginocchia al petto.
Il giorno successivo non vidi Peter, lo cercavo ovunque
pensavo potesse trovarsi: all'Accampamento, dalle Sirene, sulla spiaggia, nella
Tana... niente, lui non c'era mai.
Quando non parli con nessuno per tanto tempo e non fai altro
che piangere la gola brucia e le parole escono a fatica dalla bocca. Non che
avessi molti conversatori...
Mi ripetevo che aveva solo bisogno del suo spazio, le cose
su cui riflettere erano molte e non era sempre facile mandare giù bocconi così
amari. Sperai che non ce l'avesse a morte con me. Avrei dato qualsiasi cosa per
parlargli, per sentirgli dire qualunque cosa rivolta a me, anche che mi odiava
e che non voleva più vedermi; avrei sopportato tutto pur di sentire la sua
voce.
Trilli andava e veniva dalla Tana ma non si era mai
preoccupata di dirmi dove si trovava Peter o se gli aveva parlato. Nemmeno mi
salutava, volava tranquilla e faceva le sue solite cose senza preoccuparsi
minimamente di cosa stavo provando. Dannate fate!
Dopo tre giorni di solitudine, pianti e silenzi mi
incamminai verso la tenda di Toro Seduto armata di speranza. Camminavo
guardando in alto ogni tanto, aspettandomi di vederlo sfrecciare tra le nuvole
ma non lo vidi mai.
Toro Seduto mi aspettava seduto davanti alla sua tenda.
Meditava...
Non feci in tempo ad annunciare la mia presenza che mi fece
segno di farmi avanti
«L'Isola in questi giorni è stata instabile, deduco che non
hai parlato col giovane Pan...» scossi la testa «Parlato con gli Spiriti ho.»
mi agitai sulle gambe «Un modo per spezzare incantesimo c'è.» lasciai che un
sospiro di sollievo uscisse dal mio corpo e mi feci più vicina, tutt'orecchi. «Quando
tu baciato giovane Pan incantesimo si è creato, avevi ragione; gli Spiriti per
spezzarlo dicono che serve un altro bacio. Un bacio d'addio.» non capii
«Non capisco» dissi
«Se vuoi che l'incantesimo venga spezzato un bacio d'addio
dovrai dargli. Un bacio con cui tu lo lascerai, per sempre.»
«Per ridargli tutto dovrei perderlo?!» mi alzai, in preda al
panico, Toro Seduto annuì.
«Se convinta tu sarai, dall'incantesimo lo libererai.» avrei
preferito non capire.
Quella sera, come le precedenti d'altronde, le stelle erano
coperte da branchi di nuvole dense e scure. Tornai alla Tana zuppa d'acqua, dato
che aveva piovuto durante il tragitto. E là, sui rami più alti, sedeva Peter.
Con il flauto in mano.
La gioia di rivederlo mi sopraffece e non mi importò più
della pioggia o del freddo che sentivo.
Lui sapeva che ero lì. Aspettai che dicesse qualcosa o che
scese ma per diversi minuti nessuno dei due parlò.
«Dove sei stato?» domandai con la voce rotta
«Al Castello Nero» beh, almeno mi aveva risposto.
«Peter... io...»
«Non è stata colpa tua.» non me l'aspettavo, così mi
ammutolii lui scese dal ramo e mi guardò negli occhi «Non era tua intenzione.
Mi hai solo dato un ditale, Uncino ti aveva costretto e non potevi fare
altrimenti.»
«Mi dispiace così tanto...se non avessi provato quei
sentimenti ora non saremmo qui...»
«E tu non saresti felice.»
«Non posso essere felice se tu non lo sei! Mi sembra di
rivivere la storia: io che non riesco a fare a meno di te e tu che hai paura.»
«Io non ho paura» distolse lo sguardo
«Tu hai paura Peter! Ai paura di cosa potrebbe succedere a
te, all'Isola... hai paura ed è normale.» provò a volare via ma glielo impedii.
«Peter non andartene!»
«Cosa vuoi adesso Wendy? Io morirò! Vuoi sapere cosa mi ha
detto Toro Seduto all'orecchio? Che non avrei potuto vivere qui, che l'Isola mi
distruggerà!» spalancai la bocca, senza parole «Quindi, cosa vuoi fare? Tutto è
perduto...»
Lo presi per mano e lo costrinsi a guardarmi «...Peter vieni
qui, baciami.»
NOTE:
Ieri mi sono decisa a prendere in mano il computer e a
scrivere questo capitolo. Devo dire che, contrariamente alle aspettative, si è
scritto da solo e molto velocemente.
Grazie mille a tutti voi che ancora seguite questa favola...
e che la recensite, mi fa immensamente piacere! Alla prossima!
Strinsi le sue mani con forza, per impedirmi di scoppiare in
lacrime. Avvicinai il mio viso al suo. Ero pronta; ero finalmente pronta a
lasciarlo andare... sentivo che era giusto, che doveva andare così. Chiusi gli
occhi...
Lui
si ritrasse «Wendy io ti amo.» non era ciò che mi aspettavo così lo guardai
senza capire «Può sembrare che io dia tutta la colpa a te ma in realtà non è
così; tu mi hai permesso di vivere Wendy, di crescere. Senza di te non sarei
ciò che sono ora, non avrei...»
«Consapevolezza,
Peter... tu vivevi nell'ignoranza di un bambino, con le sue gioie e i suoi
dolori. Eri felice e io ti ho portato via tutto questo. Ma un modo per
rimediare c'è: Peter baciami...» ma lui si scostò scuotendo la testa
«No
no! Io ero un bambino che voleva scoprire come fosse finito lì. Voglio sapere
da dove sono arrivato. Se anch'io come gli altri non sono stato reclamato dopo
sette giorni. Ho bisogno di saperlo.»
Dimenticai
il bacio per un attimo «E come?» domandai
«Si
dice che le Sirene siano delle cantastorie, che conoscano passato presente e
futuro. Andrò da loro e mi farò dare delle risposte.» pensai che fossi una
pessima idea.
«Peter!
No!» gli camminai dietro «Le Sirene sono famose per le loro menzogne, non puoi
fidarti...»
«Quelle
sono gli elfi, le Sirene sono obbligate a dire la verità come le fate.»
«Non
cambia niente, non puoi andare lì e fare domande sul tuo passato,
potrebbero...» mi interruppi
«Potrebbero?»
mi incalzò Peter
«...potrebbero
dirti qualcosa che non ti farà piacere.»
«Affronterò
la verità, come ho sempre fatto.» e quel ghigno birichino con cui lo disse mi
fece capire che lo avrebbe fatto, avrebbe affrontato tutto con leggerezza e
spensieratezza. Come avrebbe fatto Peter Pan.
Dimenticai
il bacio, e tutto quello che avrebbe comportato. Ora che sapevo qual era il
mistero mi sembrava di riuscire a vederlo lì, sull'angolo destro della bocca.
Ci vedevo ciò che avevo sempre visto in me prima di donargli tutta me stessa.
Ripensai al bacio della mamma.
Mi
mancava. Mi mancavano tutti e avrei voluto abbracciarli, portarli con me; ma
non sarebbero mai venuti, non avrebbero capito. Nemmeno John e Michael
riuscivano più a capire e ciò che avevamo vissuto sembrava quasi una delle
storie che ero solita raccontare.
Chissà
come stava andando la loro vita adesso...
Senza
rendermene conto eravamo arrivati alla Baia delle Sirene. Quel posto mi metteva
i brividi. Ormai il sole era calato e la notte e il buio avevano preso il
sopravvento. La luce della luna, alta nel cielo, si rifletteva sulle acque del
mare, creando dei giochi di luce meravigliosi e magici. Il mare era calmo e
questo mi spaventò anche di più.
Peter
si accovacciò a riva e chiamò le sirene. Aspettammo per qualche minuto, lui
sulla riva e io più indietro, ben lontana dall'acqua, quando sentimmo lo
scroscio dell'acqua e una sirena non spuntò dinanzi a noi.
«Ciao»
la salutò Peter e la sirena fece un cenno col capo «ho bisogno di sapere della
mia vita. Della mia vita prima dell'Isola.»
Ora,
dato che le sirene non comunicano a parole, ma solo a suoni, vi riporterò ciò
che Arden -questo era il suo nome- ci disse:
«Saluto
te, Peter Pan,signore dell'Isola e
delle stelle. La tua domanda è una domanda interessante perché posta con tanta
serietà e voglia di conoscere, di sapere. Cosa che sempre è stata parte di noi
creature del mare che conosciamo la verità e non proferiamo falsità. Or dunque
la verità eccoti servita, giovane Pan, che tu possa farne buon uso.» e iniziò
il racconto «Ci fu un tempo in cui l'Isola non era altro che un cumulo di
materia inesistente ma viva; la sua nascita può essere paragonata a quelle delle
fate: dal primo sorriso di un bambino. La Natura sapeva che ci sarebbe dovuto
essere un Guardiano dell'Isola, qualcuno che potesse viverci per sempre e
curarla e custodirla. Ma non poteva scegliere una creatura abitante dell'Isola,
per paura che diventasse tiranna sulle altre. Così cerco in altri mondi,
vagando in lungo e in largo alla ricerca di "qualcosa". Finché non si
abbatté sulla Terra, un mondo lontano e popolato da umani. Tutti i bambini del
mondo avrebbero potuto essere "il Guardiano" eppure nessuno sembrava
adatto al compito. Un giorno, lo sguardo della Natura si posò su un piccolo
bimbo, appena nato e assisté alla nascita della sua fata dal suo primo sorriso.
Questa fata era diversa dalle altre: aveva grandi ali dorati, capelli di grano
e occhi dolci e, cosa insolita, una grande aura di luce. Fu in quel momento che
capì che era quello il bimbo giusto. Perché da lui era nata una fata speciale a
cui diede il nome di Trilli. Passarono diversi anni e quando il bambino ebbe
raggiunto l'età adatta per assumersi il compito di Guardiano senza aver perso
l'ingenuità e la spensieratezza dei bambini, la Natura lo strappò alla sua
famiglia e lo portò sull'Isola, cancellando ogni traccia della sua presenza
sulla Terra e i suoi ricordi di quel mondo. Una volta arrivato, l'Isola lo
riconobbe come Guardiano e venne legata indissolubilmente a lui. E dato che
l'Isola era un posto senza tempo e fuori dallo spazio, il bambino non crebbe
mai; fino a che una mortale, una bambina, venne portata qui. La prima in assoluto.
La custode di una grande magia, forte quasi quanto l'Isola...»
La
sirena tacque e Peter si prese qualche minuto per metabolizzare la cosa.
«Quindi
io avevo una famiglia... dei genitori... magari dei fratelli! E tutto mi è
stato portato via» la sirena annuì e io mi accorsi di stare piangendo.
«Chi
ha dato il permesso di fare questo?! Insomma, ha sottratto un bambino dalla sua
vita, dai suoi genitori! E lo ha relegato a vivere su un'isola che non esiste
che...»
«Non
dire ancora una parola, Peter Pan» lo interruppe la sirena «Ti è stato dato
molto. Non sei come gli altri bambini, puoi fare delle cose a loro estranee e
sei qualcuno che ha grandi responsabilità. E ti sei preso cura di tutti quelli
che hanno trovato il modo di raggiungere l'Isola. Molto ti è stato tolto ma
molto ti è stato dato.» e con queste parole la sirena sparì nelle profondità
della Baia.
Peter
rimase immobile e in silenzio per diverso tempo e così io, per paura di
interferire coi suoi pensieri.
All'improvviso
si alzò e mi guardò. Restammo in silenzio e poi lui mi prese il viso e mi
baciò. Non pensai a lasciarlo andare ma a volerlo ancora più vicino. Le sue
labbra a contatto con le mie erano morbide e fresche ma sapevano di sale, dalle
lacrime di entrambi. Ci sdraiammo a terra e facemmo l'amore. Lì, nella radura,
alla luce delle stelle e delle lucciole. Mi amò come se non ci fosse un domani
e io bevvi tutti i suoi sospiri e mi aggrappai al calore della sua pelle a
contatto con la mia.
«Peter
devo dirti una cosa» lui alzò lo sguardo e mi guardò. Gli occhi penetranti e
brillanti. «C'è un modo per farti tornare chi eri prima...»
Lui
mi guardò incuriosito e si puntellò sui gomiti, mentre io sdraiata sotto di lui
prendevo coraggio «Toro Seduto mi ha detto che se io ti baciassi e fossi pronta
a lasciarti andare, questo porterebbe me a casa e te ad essere il Peter di
quattro anni fa.» lasciai il fiato che avuto trattenuto.
«Quindi
è per questo che prima volevi baciarmi... eri pronta a lasciarmi andare?»
distolsi lo sguardo dal suo e mi concentrai su una fogliolina accanto alle mie
dita.
«Credevo
di sì ma... non riesco ad immaginare la mia vita senza di te, Peter Pan» una
lacrima al ricordo del vuoti che avevo provato scese sulla mia guancia. «Mi
dispiace.» Peter mi accarezzò i capelli e mi baciò la lacrima.
«Non
farlo.»
Dopo
aver udito il racconto della sirena capì perché Trilli fosse tanto legata a
Peter e a lui soltanto. Era grazie a lui se era nata e lo amava. Ed era giusto
che fosse così.
Ma
che dire dell'Isola? Se la storia delle sirene era vera -e molte cose mi
dicevano che era così- Peter non avrebbe mai potuto lasciarla senza
distruggerla. E mi chiesi perché proprio io dovevo essere la causa di tanto
caos. Ero forse così speciale da spezzare un legame durato secoli, forse
millenni?
Venni
divorata dai sensi di colpa. Peter era una creatura magica, umana, ma non per
questo lo era meno delle fate o delle sirene e aveva su di sé una grossa
responsabilità: la vita di popoli interi. Sembrava come quel Dio di cui mi
avevano sempre raccontato.
«Wendy!»
a quanto pare ero distratta così il ragazzo mi richiamò più forte «Allora, che
ne pensi?»
«Scusami
Peter ma non ti stavo ascoltando, ero persa nei miei pensieri» lui sorrise e mi
baciò la mano.
«Ho
chiesto se ti andava di andare sulla Terra» tutti i miei nervi si tesero e mi
scostai da lui inconsciamente.
«Sulla
Terra? Perché?» domandai impaurita.
«Non
vuoi vedere come stanno andando le cose? Non sei curiosa? Non ti mancano i
tuoi?» la risposta era sì a tutte le domande. Eppure temevo che una volta
arrivati Peter sarebbe tornato indietro senza di me.
«Vuoi
lasciarmi a casa?» così, con la voce rotta e spaventata, chiesi.
Peter
sembrò veramente sorpreso dalla domanda e sorrise, intuendo le mie paure «No,
amore mio. Assolutamente no. Volevo solo darti la possibilità di sapere che la
tua famiglia sta bene e di vederlo con i tuoi occhi.» sorrisi, grata, una volta
aver capito le sue intenzioni. Sentire nominare la mia famiglia era veramente
strano: non li sentivo più come la mia famiglia; ora era Peter la mia famiglia.
Eppure sentivo sempre la mancanza della mamma o del papà e di John e Michael.
Se solo avessero capito... avrei voluto riportarli sull'Isola un'ultima volta.
«Peter...
pensi che sia possibile portare qui John e Michael ancora una volta?» lui
sembrò rifletterci su e poi annuì scuotendo i capelli biondi.
«Tutto
è possibile se si crede!» e volò via.
NOTE:
Mi dispiace. È più corto del solito capitolo ma è più un
capitolo di transizione per ciò che verrà dopo, anche se viene descritta una
profonda verità.
Ovviamente la storia narrata sull'origine di Peter è
puramente inventata da me, così come la nascita di Trilli. Chiedo scusa, ma
serviva per il racconto che ho in mente. Alla prossima!
Il viaggio verso Londra fu più corto del previsto.
Eravamo partiti presto, cosparsi di polvere fatata avevamo
volato attraverso il tempo e lo spazio e ora eravamo arrivati in prossimità
della città a me tanto famigliare come il mio profilo allo specchio. Anche se
era da molto che non mi specchiavo.
Il Big Bang si stagliava nel cielo buio come un faro sulla
città e lo aggirammo con molta facilità. Peter davanti mi guidava verso casa e
sapeva la strada molto meglio di me. Com'era possibile che del tempo sull'Isola
mi avesse fatto dimenticare la mia vera casa, quella in cui ero cresciuta?
Arrivati in prossimità della villetta in cui abitavo
riconobbi la zona: era inverno. Volammo fino al balcone di quella che era stata
la mia camera negli ultimi quattro anni. Era esattamente come l'avevo lasciata.
Ma questa volta non vidi mia madre addormentata sulla poltrona davanti alla
finestra, gli occhi affaticati dal tanto scrutare in cielo... ebbi una fitta al
cuore.
Ovviamente, come d'abitudine, la finestra era aperta ed
entrammo nella stanza. Il mio letto era perfettamente intatto, i miei vestiti
ordinati nei cassetti e nell'armadio, la mia toeletta pulita e lucidata.
Mi guardai attorno e mi sentii un'estranea.
«Pensi che mi abbiano dimenticato?» domandai a Peter senza
smettere di fissare ciò che era mio ma sembrava non avere più nulla di me.
«No, non potrebbero mai.» rispose lui, posandomi le braccia
sulle spalle.
Mi diressi di corsa alla porta e la spalancai, diretta alla camera
dei miei fratelli. Bussai con impeto e attesi per qualche secondo, poi una
testa rossiccia apparve sulla soglia «Mamm... Wendy!» Michael strabuzzò gli
occhi e subito mi abbracciò come non faceva da tempo. Non si erano dimenticati.
Anche John apparve da dietro la porta e mi fissò sbalordito.
Ricambiai lo sguardo.
«Wendy... sei... bellissima» sorrisi imbarazzata e lo tirai
a me per un abbraccio. Un po' restio anche John mi strinse e mi parve che le
cose non fossero mai cambiate, che noi tre eravamo quei ragazzini di allora.
«Dove sei stata? Mamma e papà erano preoccupatissimi!
Credevano che fossi scappata!» Michael parlava senza riprendere fiato e dovetti
scuoterlo per farlo calmare.
«Ha ragione. Stavano dando di matto. Dove sei stata?» John
teneva le mani sulle spalle di Michael, come a proteggerlo, quanto era
diventato alto! Aveva le fattezze di un uomo ora.
«Ragazzi... io...» non sapevo cosa dire. Non ero pronta a
spiegare dove ero scappata e cosa era successo da allora «C'è qualcuno che
vuole vedervi...» dissi non poco emozionata. Mi scansai e rivelai la presenza
di Peter, rimasto nell'ombra ad osservare per tutto il tempo.
Quando i miei fratelli lo videro quasi caddero a terra
svenuti. Michael con la bocca spalancata dallo stupore non riuscì a distogliere
gli occhi dal ragazzo con i capelli sbarazzini di fronte a lui; John invece
cadde a terra con un tonfo. Da cui si riprese subito.
«Ciao ragazzi» Peter li salutò e quasi si misero ad urlare.
Ne seguirono abbracci e milioni di domande poste a raffica alle quali proibii a
Peter di rispondere «Dategli tregua!»
Così, dopo due ore eccoci lì, sul letto e per terra, a
condividere i nostri ultimi mesi.
«Quindi sei stata sull'Isola!» concluse John guardandomi con
ammirazione. Annuii. «Wow! Ed è come la ricordiamo?» sembravano così entusiasmi
di parlare nuovamente della nostra avventura, come se tutta l'enfasi fosse
tornata all'improvviso. Allora non erano davvero persi come sostenevo!
«Peter ma tu sei...» ecco quel che temevo. L'ora delle
spiegazioni. Michael era un buon osservatore «Sei diverso. Sei più grande.
Pensavo che non si crescesse sull'Isola...»
Peter si adombrò «È così Michael. Non si cresce sull'Isola.»
«Ma tu...»
«Io sono cresciuto, sì. Perché un'antica magia mi ha
legato.» e mi guardò. In quello sguardo lessi la muta domanda che non poteva
pormi: posso spiegare cosa è successo? Posso dire che tutto questo è successo a
causa tua? Annuii, affranta.
«Il Bacio di vostra sorella sulla Jolly Roger mi ha legato
indissolubilmente a lei. Come cresceva lei, crescevo anch'io e l'Isola con me.
Le cose sono un po' cambiate.» il tempo per le spiegazioni ci sarebbe stato, ma
non era quello il momento.
«Quindi sei tornata a casa...» il piccolo Michael aveva gli
occhi che brillavano. Gli ero mancata quanto lui era mancato a me.
«Non capisci, Michael?» rispose brusco John «Lei non rimarrà
qui. Lei ama Peter e se ne andrà con lui.» si alzò di scatto e così feci io.
«John!» tentai di rabbonirlo ma lui sembrava in collera.
«Credevo che ti fossimo mancati, che saresti tornata a casa
per stare con noi! Avrei preferito sapere che eri scappata dalla nostra casa e
non sull'Isola Che Non C'è con lui!» inspiegabilmente il disappunto di John si
rivolse su Peter.
«John, ascolta, lei è tornata perché le mancavate!» disse
Peter cercando di ragionare con lui. Erano alti uguali ormai. «Così l'ho
portata qui. Ed è tornata per rimanere.» a quella frase fui io a sentirmi
sorpresa e raggirata. Fissai Peter che ricambiò il mio sguardo con mille scuse.
«Cosa?» esclamai.
«Lei rimarrà qui con voi. E io tornerò sull'Isola.» John si
ammutolì e mi fissò. Avevo le lacrime agli occhi e un macigno dentro al petto.
Scossi violentemente la testa capendo solo allora cosa aveva fatto Peter: mi
aveva riportata a casa per farmi tornare a vivere la mia vecchia vita. Lo odiai
con tutta me stessa.
«Come puoi farmi questo, Peter?» lui non rispose.
«Wendy... qui abbiamo bisogno di te. La mamma è in pensiero
e papà non dorme più. Continuano a domandarsi in cosa abbiano sbagliato e si
incolpano di tutto...» John era disperato e con disperazione mi chiedeva di
restare. «Cosa ti trattiene là?»
Il mio sguardo corse a Peter.
E non era nemmeno il momento per la domanda di John, che
aveva capito tutto «Siete innamorati?» perché doveva essere così dannatamente
sveglio?! Peter ed io ci guardammo. E all'unisono rispondemmo «Sì.»
Michael fece un verso di disgusto e John annuì. «Per questo
te ne sei andata. Non hai mai saputo vivere senza di lui.» abbassai lo sguardo
e Peter mi fissò, pieno di rammarico e amore.
«Ma lo hai fatto. Tu non appartieni a quel mondo, Wendy...
tu appartieni a questo mondo!» sentii
il mio cuore andare in frantumi. Come cocci di vetro irrecuperabili.
Caddi sulle mie ginocchia., improvvisamente non volavo più e
nemmeno Peter.
«Cosa potrei mai avere da questa vita, John?» domandai con
voce rotta. La gola mi bruciava dalle lacrime.
«Una famiglia, dei figli, un lavoro! Tutte queste cose non
potrai averle con... lui.» la verità mi schiacciò a terra. Peter si sentiva
inutile e infuriato. Lui sapeva già queste cose. Le aveva sempre sapute, prima
di me.
«Forse non è quello che voglio...» cercai di mentire.
«Oh per favore Wendy! Ti conosciamo. Sappiamo cosa volevi
fin da bambina...»
«Io voglio lui!» esplosi e corsi a prendere la mano di
Peter, morta nella mia. John mi fissava come si fissa un cane prima che venga
soppresso, con pietà. Michael se ne stava seduto sul letto, in disparte. Ma
sapevo che in fondo la pensava come John perché voleva avermi accanto.
«Lui è Peter Pan, Wendy! Non essere egoista...»
«Egoista? Egoista?!» urlai «So benissimo chi è, e non
pensare che non abbia sofferto ogni minuto di ogni giorno da quando siamo
tornati. Ma andare con lui mi ha ridato un po' di felicità e non ci ho
riflettuto due volte!» John si ammutolì e ci fissammo per diversi secondi,
quando, finalmente, Peter parlò «Io la amo.» John rimase sconvolto.
«La amo davvero e non riuscivo a vivere senza di lei. E non
riesco a vivere ora nella consapevolezza che mi lascerà. Sapendo che l'Isola
dipende da me e che non posso andarmene senza distruggerla. E sapendo che il
mio egoismo priverebbe tutti i Bimbi Sperduti di una casa, un posto dove poter
vivere. E per quanto vorrei abbandonare Peter Pan per cercare la mia famiglia,
per sapere quanto mi sono realmente perso; ma non posso, John. Non posso. Ma
non l'ho scelto.»
«Peter io ti capisco e mi dispiace per te. Ma Wendy non è
del tuo mondo, è del nostro.»
«Non parlate come se io non ci fossi!» urlai attirando
l'attenzione «Sono qui e vi sto ascoltando. Ora ascoltate me. Tu, John, saresti
stato il primo a dirmi di andarmene con lui se era quello che volevo, cosa ti è
successo?! E tu Peter, avevi detto che non mi avresti lasciato qui. Ero pronta
a lasciarti andare, lo ero davvero, ma tu me lo hai impedito facendomi tornare
a non poter vivere senza di te. Perché nemmeno tu puoi vivere senza di me!» le
lacrime scendevano a fiotti «Io ti amo Peter Pan, e ti amerò per sempre!» corsi
da lui e lo attirai a me, baciandolo con trasporto. Un bacio di sale.
Quando ci staccammo non lo lasciai andare, lo abbracciai
stretto e fissai John da sopra la sua spalla. Ora aveva capito. Vedevo la
comprensione sul suo volto.
«Sono contento di rivederti, Peter.» gli strinse la mano, da
vero uomo e Peter, non sapendo cosa significasse, rimase confuso. «Puoi
rimanere tutto il tempo che vorrai.»
La discussione non era finita, era solo rimandata
all'indomani.
Quando l'ora fu tarda, andammo a dormire. Ma non riuscii a
prendere sonno, così raggiunsi John seduto davanti alla finestra della mia
stanza mentre osservava le stelle «Andrò via con lui.» gli dissi e lui annuì
«Sono felice che tu sia tornata, Wendy. Mi sei mancata molto.» appoggiai la
testa sulla sua spalla. «Ti ama. E spero possiate vivere una vita meravigliosa.
Vorrei solo che prima di andartene di nuovo, salutassi mamma e papà e gli
spiegassi tutto. Non ce la faccio più a vederli così.»
«Lo farò John. Ma tu e Michael potete venire con noi. Venite
via con me!»
«Per fare cosa? Non c'è futuro per me là, e nemmeno per
Michael. Noi non abbiamo un amore con cui stare, là; io voglio crescere Wendy.
Diventare adulto, sposarmi, trovare un lavoro e invecchiare. Non sarò mai come
Peter.»
«Tu sei John Darling! Sei un uomo meraviglioso...» John
sorrise nella penombra, alla luce della luna. Rimanemmo abbracciati per molto
tempo e ci assopimmo così, davanti al gelo dell'aria invernale che entrava
dalla finestra. Ero contenta di essere di nuovo a casa.
NOTE:
Buona sera! Non volevo che John fosse il "cattivo"
della situazione, perciò non odiatelo. Il suo punto di vista è importante
perché è ciò che ancora lega Wendy al suo mondo. Non so voi ma io sono sempre
più innamorata di Peter. Forse sto creando un mostro!
Dormire nel mio letto fu più strano di quanto immaginassi,
svegliarmi e trovare un soffitto sopra la testa fu quasi ansioso. Abituata
com'ero a tutte le stelle dell'Isola. Gira lo sguardo e trovai Peter assopito
ai piedi del letto, con il viso nascosto nelle braccia... lo rividi bambino e
il cuore mi si riempì di tristezza. Mi avrebbe lasciato a Londra.
«Peter...» lo svegliai dolcemente «Peter!» lui alzò la testa
di scatto e si guardò intorno. Quando mi vide sorrise «Buongiorno...» disse con
la voce impastata di sonno. Si strofinò gli occhi e poi venne verso di me, gli
feci segno di sdraiarsi nel letto.
«I tuoi fratelli potrebbero vederci» disse lui di rimando.
«Qui si usa bussare alla porta prima di entrare, Peter, non
entreranno.» lui si grattò la nuca e poi accettò, un po' restio. Mi domandai
perché.
Mi appoggiai sul suo petto una volta che si fu sistemato,
con un braccio dietro la testa. Chiusi gli occhi e sentii il sonno invadermi
completamente.
Quando mi risvegliai Peter era esattamente nella stessa
posizione di prima e capii che qualcosa non andava.
«Peter, che succede?» lui guardava fisso, sembrava in trance
«Peter!»
E allora lui si decise a parlare «John ha ragione. Tu devi
restare qui.»
Quasi scoppiai in lacrime, sentivo la gola bruciare «Ancora
con questa storia, Peter? Credevo...»
«No. Tu devi restare qui...»
«Peter! Ma...»
«Come puoi pensare di essere così egoista?! I tuoi genitori
soffrono per la tua scomparsa e i tuoi fratelli ti vogliono accanto a loro. Come
puoi essere così egoista e scegliere ancora me?» inizialmente mi ero arrabbiata
eppure adesso sentivo la rabbia scemare e il senso di colpa prenderne il posto.
Mi concessi alle lacrime.
Piansi e piansi.
Ero combattuta. Peter aveva ragione: come potevo essere così
cieca? Come potevo fare del male alle persone che amavo, volontariamente?
Gli presi la mano e feci un profondo respiro.
«Non sono ancora pronta a lasciarti andare Peter...» gli
confessai.
«Ieri hai detto che lo eri, qualunque cosa significhi.»
«Ed era così. Ma ora... ora so che è reale. Potrei liberarci
entrambi, Peter, potrei liberarti dalla magia del Bacio.» lui non ne fu così
sorpreso come avevo sempre immaginato.
«Come?» sembrava che parlare gli costasse un enorme fatica.
«Se tu mi baciassi quando te lo chiederei, saresti libero e
potresti tornare chi eri prima: un bambino che amava divertirsi.»
«Quindi serve un bacio per annullare un bacio?» io annuì «Ma
ti ho sempre baciata e non è mai cambiato nulla...» era confuso e si passò una
mano tra i capelli spettinandoli maggiormente.
«Dipende da me. Ogni volta che mi baci non desidero altro
che averti, non lasciarti andare. È questo il segreto...» Peter si alzò dal
letto e iniziò a camminare avanti e indietro.
«Mi stai dicendo che solo tu hai questo potere?!» sembrava
deluso o in qualche modo... preoccupato. Annuii di nuovo.
Bussarono alla porta «Wendy? Peter? Siete lì?»
«Entra pure John» risposi alzandomi dal letto.
Mio fratello entrò cautamente con la testa bassa e
strisciando i piedi. Venne verso di noi e sorrise. Strano.
«Volevo sapere... ecco... se vi andava di andare a fare un
giro. Shopping!» John che proponeva di fare shopping?! Il mondo si era
capovolto.
«Shopping?» domandai stupita
«Shopping?» ripeté Peter perplesso. Sorrisi.
«John che ti salta in mente?»
«Vorrei che parlassi con la mamma. Lei sta per tornare e
sarebbe felicissima di vederti.» all'improvviso raggelai. Se la mamma mi avesse
visto mi avrebbe impedito di andarmene di nuovo. Era stata una mia decisione
andarmene e non ne avevo parlato con lei.
Scossi violentemente la testa «No! Assolutamente no!»
«Ma Wendy...» tentò John
«No, John. Ci sarebbero troppe cose da spiegare mamma e papà
non capirebbero...»
«Qualcuno vuole spiegarmi che state dicendo?» intervenne
Peter sempre più confuso. Lo spinsi dolcemente sulla schiena e scusandomi lo
chiusi fuori dalla finestra. Lo vidi strabuzzare gli occhi e levitare davanti
alla nostra finestra incavolato.
«Ascoltami John...»
«No Wendy ascoltami tu. Sono stanco... sei mancata per mesi
nei quali ti credevamo persa o addirittura....morta; abbiamo pensato il peggio
e ora che sei di nuovo qui vuoi lasciarci di nuovo per stare con Peter. Ma non
capisci che se tu andrai con lui ucciderai mamma e papà e contrariamente che
Peter non rimarrà mai qui? Non potrà mai rimanere qui!» per la prima volta in
vita mia la verità mi schiaffeggiò in pieno volto lasciandomi dolorante e caddi
in ginocchio.
Facevo fatica a respirare, sentivo tutto questo opprimermi
in maniera irreparabile mentre John mi assisteva e Peter batteva sui vetri per
raggiungermi.
Avrei tanto voluto non avere possibilità di scelta. Perché
ogni scelta avrebbe comportato dolorequalcuno: o ai miei genitori se me ne fossi andata o a me se fossi
restata.
Ma alla fine sapevo che la decisione giusta da prendere,
quella moralmente più giusta, era sempre stata lì, in un angolo della mia
mente. Solo che non volevo vederla...
Passammo il pomeriggio in silenzio. Mia madre era tornata e
io ero riuscita a non farmi vedere; John e Michael avevano mantenuto il
silenzio a malincuore.
Peter mi teneva tra le braccia e stava in silenzio, sapeva
cosa avevo deciso. Ormai mi conosceva piuttosto bene. Ciò che mi sorprese fu
che accettò senza sollevare questioni, da vero uomo.
Sorrisi al pensiero di lui come uomo, alla vita che avremmo
potuto vivere... alle avventure che ci aspettavano. Strinsi la sua mano e le
mie guance si rigarono di lacrime.
«Andiamo a giocare con la neve!» mi propose Peter. Annuii ma
i miei fratelli avevano degli impegni: John a pianoforte e Michael a teatro.
Era uno scrittore provetto. Le avventure del bambino che non cresceva mai e che
poteva volare fecero il giro di Londra in poco tempo.
Così uscimmo io e Peter a giocare. La neve era fredda tra le
mie mani.
Avevo il naso rosso per il freddo e Peter ne baciò la punta
affettuosamente, prima di lanciarmi una palla di neve addosso. Lo guardai
sorpresa e ricambiai il lancio. Mancandolo ovviamente...
«Non vale volare Peter Pan! Combatti da umano!» lui aggrottò
le sopracciglia e atterrò con un tonfo sordo sulla neve.
Mi guardò intensamente e il suo sguardo mi accese,
sciogliendomi il cuore. Corsi da lui e mi buttai sul suo collo e cademmo
entrambi sulla neve, ridendo.
Ci guardammo e poi unimmo le nostre labbra in un bacio
freddo e al contempo caldo d'amore.
«È bello giocare con la neve sapendo che non sono stato io a
farla cadere...» sorrisi e mi persi nei suoi occhi verdi «Ti amo Wendy» pensai
di essermelo immaginato e la mia decisione sembrò pesare sul cuore.
«Vivremo mille avventure» iniziai a dire «Sconfiggeremo i
pirati e il nipote di Uncino! Anzi, i nipoti del nipote di Uncino. E creeremo
una bellissima Tana per gli altri Bimbi Sperduti. Magari con uno scivolo...»
«E un albero di neve!» suggerì Peter «Adoro la neve!»
«Sì! Magari che cambia colore allo scendere della notte...»
«E tanti alberi di frutta... la frutta fa bene.» annuii
«Costruiremo una nostra nave pirata e lasceremo che i nostri figli si divertano
al timone...»
Ci fu un momento di pausa.
«I nostri figli?» gli domandai
«Sì, avremo tanti bambini. Sia maschi che femmine e gli
insegnerò a volare e tu gli racconterai le storie.»
«Storie sul loro papà...»
«...di come si innamorò della mamma e sconfisse il più
temibile dei pirati!» lo guardai con un sopracciglio alzato e lui scoppiò a
ridere.
«Potrai raccontare ciò che vorrai Wendy... te lo prometto
non interferirò né cambierò le tue storie.»
«Promettilo.» lui mi guardò confuso «Prometti, Peter Pan,
che tutto questo di cui abbiamo parlato succederà...»
«Ti prometto, Wendy Moira Angela Darling, che tutto questo
succederà...» e con queste parole suggellammo la nostra promessa con un bacio.
Quanto mi sbagliavo...
Lo sapeva, in ogni caso. Peter sapeva quale decisione avessi
preso e fingere che le cose fossero diverse fu un bel gioco, pieno di mute
bugie ed omissioni. Era volato via durante la notte...
Mio malgrado non ero riuscita a dormire e l'avevo sentito
andar via. Si era avvicinato al mio letto e mi aveva dato un bacio sulla fronte
«Ci rivedremo Wendy...» si voltò per volare via ma non resistetti e lo afferrai
per un braccio.
«Peter... aspetta.» mi guardò confuso, chiedendomi con lo
sguardo se avessi per caso cambiato idea. Purtroppo non era così...
«Che succede?» mi avvicinai e gli accarezzai una guancia.
Dovevo sistemare una faccenda.
«Stare con te, anche se solo per poco, è stata l'esperienza
più bella della mia vita. Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. Ci
siamo amati tanto, noi due, tanto quanto due persone possono amare in una vita
intera; perciò lasciarti è ancora più difficile...»
Lui, con le lacrime agli occhi, mi sembrava quel bambino
tanto sperduto che era all'epoca del nostro primo incontro da cui sembravano
passati secoli...
«Baciami, Peter Pan...»
E con quel bacio suggellai una promessa mai fatta e
rinunciai a lui per sempre.
NOTE:
Buona sera! Non odiatemi! Mettete giù quelle armi improprie
che potrebbero nuocere alla mia salute gravemente! Sì, è andata così. Dispiace
tantissimo anche a me, è stato difficile accettarlo. Ma cercate di capire la
decisione di Wendy... la sua famiglia... il prossimo capitolo arriverà presto
dato che tra poco ci sono le vacanze, promesso! Alla prossima!
Devo ammettere che quella notte non riuscii più a prendere
sonno. Né quella dopo, né quella dopo ancora. Diciamo pure che il sonno mi
portava a lui ed era quello che in quel momento volevo evitare. Dopo
quell'ultimo bacio, il Bacio maledetto -come lo chiamo io-, erano poche le cose
che mi sembravano corrette. C'erano i miei fratelli che cercavano in ogni modo
di tirarmi su il morale e che si rabbuiavano quando questo non succedeva, c'era
mia madre che appena aveva visto che ero tornata mi aveva abbracciata
stritolandomi senza lasciarmi andare. Ero una donna ormai, anche se lei non
poteva saperlo. Avrei tanto voluto dirglielo ma avrei dovuto spiegare molte più
cose di quelle che ero disposta a confessare. Le avevo detto di essere scappata
perché avevo bisogno di capire cosa volessi dalla vita e se l'era bevuta, o
almeno credo. Poi c'era mio padre, altero e composto, che mi aveva abbracciato
e dato un unico bacio sulla fronte, anche se vedevo quanto fosse contento di riavermi
a casa. Nana... beh, Nana era Nana: mi aveva lavato la faccia ogni volta che
entrava in camera mia, praticamente ogni due minuti...
Non ero più la stessa Wendy che aveva conosciuto Peter Pan,
non ero più la stessa Wendy che era andata con lui all'Isola Che Non C'è, non
ero più nessuno senza di lui. Più volte mi chiesi cosa stava facendo in quel
momento, quali ricordi aveva della nostra storia, di me. Ma l'avevo visto
tornare bambino davanti ai miei occhi ed era volato via, guidato da Trilli, in
uno stato di incoscienza totale. Mi aveva fatto tenerezza e mi aveva fatto
sorridere: non ricordavo che fosse così bello da bambino!
Fatto sta che avevo un buco all'altezza del cuore che sapevo
non si sarebbe placato facilmente; mi sentivo morta, mi sentivo ancora peggio
che morta: a metà strada fra le due cose, in un indefinito spazio grigio e
nebuloso senza forme o muri. Sola.
Quel ragazzo mi mancava tantissimo e furono più le volte che
mi pentii del mio gesto che altro. Poi ripensavo al fatto che lui mi stava comunque
lasciando a Londra e mi sentivo meno in colpa, dopo avergli restituito
l'infanzia. Questo però non era lenitivo per me stessa o altro...
John entrava in camera mia quando mi sentiva piangere e si
sedeva accanto a me sul letto, mi abbracciava e mi faceva piangere tutte le mie
lacrime, in silenzio. Michael invece mi raccontava dei suoi giocattoli
preferiti o mi faceva assistere alle sue suonate di pianoforte «Suono per te!»
mi diceva entusiasta e io non potevo fare a meno di sorridergli e girarmi mentre
asciugavo in fretta una lacrima.
Il tempo passava, la normalità aveva fatto ritorno nella mia
vita ma quel buco non accennava a riempirsi. Conobbi molti altri ragazzi, amici
di John, ma nessuno era come lui, ovviamente, e le cose non andavano oltre.
Passò un anno e ancora le cose non andavano bene, erano
migliorate ma continuavo a pensare a Peter; gli avevo scritto una lettera ogni
giorno che non avevo mai inviato -ovviamente- e le custodivo in una scatola di
legno sotto il mio letto. Ogni sera mi affacciavo alla finestra e scrutavo il
cielo alla ricerca della seconda stella a destra o di un bambino volante nel
cielo. Nulla. Sembra che non abbia più fatto ritorno a Londra. Non piangevo
più, non avevo più lacrime da regalargli.
I miei genitori cercavano di trovarmi un buon partito,
essendo in età da marito, ma nessuno sembrava prendermi l'anima. Li invitavano
a cena, chiacchieravamo a tavola e poi, dopo un brandy, se ne andavano e mio
padre e mia madre facevano il punto della situazione. Avevano imparato a non
chiedere il mio parere, sapendo che nessuno mi sarebbe potuto piacere, anche se
non sapevano il perché.
Finché una sera, a cena venne un ragazzo molto
particolare...
No, non era Peter ma gli assomigliava molto. Capelli biondi
e ricci, occhi verdi e vispi, e quel sorriso da furbetto che tanto adoravo sul
bambino che non era mai cresciuto. Era alto, imponente e composto. Il completo
lo fasciava divinamente e metteva in mostra la sua eleganza e alterigia,
tuttavia era molto simpatico e rideva spesso. Sembrava quasi che potesse
piacermi. Spiai lui e mio padre in una conversazione prima della cena, nascosta
dietro lo stipite della porta lanciavo qualche sguardo di tanto in tanto.
Sembrava piacere a mio padre, ridevano molto insieme.
«Come vi chiamate, ragazzo?» domandò mio padre portandosi un
bicchiere alle labbra.
«Jacob Thorn, signore. Ho diciotto anni appena compiuti,
signore.» il ragazzo ostentava sicurezza da tutti i pori
«E cosa studi?»
«Legge. Diventerò un avvocato.» arricciai il naso ma non si
poteva dire che quel tipo non mi piacesse, almeno un pochino.
Non prendetevela con me. È difficile dimenticare Peter Pan,
non c'è che dire, ma stavo tentando di rifarmi una vita... o almeno di
provarci. E non era per niente facile. Non se ogni cosa mi ricordava lui.
Non avrei voluto sposarmi, non a quell'età, ma mia madre
sosteneva che ormai fosse ora e che avrei dovuto crescere e non rimanere la
bambina che non ero più.
«Eccellente! Hai già avuto il piacere di conoscere mia
figlia Wendy?» continuò mio padre.
Il ragazzo annuì «Sì, signore. Eravamo compagni di scuola
due anni fa.» sorrisi impercettibilmente ma non ricordavo di averlo già visto.
Me ne sarei ricordata altrimenti...
«Ah! Magnifico!» mio padre esultò «Jacob sembra che tu sia
un partito eccellente per mia figlia. Spero solo che l'affare si riesca a
concludere senza intoppi...» l'affare era il matrimonio, ma mio padre lavorava
in banca e per lui tutto era un affare. Mi voleva bene, sapevo che non mi stava
propriamente obbligando a sposarmi, almeno lasciava l'ultima parola a me.
I due si strinsero la mano e poi brindarono con un tintinnio
di bicchieri. Scappai nella sala da pranzo e poco dopo ci raggiunsero.
«Wendy» iniziò mio padre «lui è Jacob Thorn, era un tuo
compagno alla scuola. Sono sicuro che tra di voi ci sarà sintonia.» ci lasciò
soli e tra di noi cadde il silenzio.
«Non mi ricordo di averti visto a scuola...» dissi cercando
di rompere il ghiaccio.
«Infatti non frequentavo la tua stessa scuola.» per poco non
ebbi un colpo. Aveva mentito! Rimasi interdetta «Ma allora...»
«Wendy! Ma non mi riconosci?» mi venne più vicino. Mi era
sembrato famigliare ma davvero non riuscivo a capire dove l'avessi.... oh.
«Ricciolino!» esclamai improvvisamente.
Lui rise sommessamente e annuì «Adesso mi chiamo Jacob...»
lo abbracciai affondando il viso nella sua spalla...
«Ma com'è possibile?! L'età...»
«Ero il Bimbo Sperduto più grande sull'Isola. Quando sono
tornato con voi avevo già tredici anni...» rimasi a bocca aperta.
«Ma perché sei qui!? Non dirmi che sei interessato a me in
quel senso...» lui scosse la testa coi riccioli.
«Ho una lettera per te.» okay, in quel momento presi davvero
un colpo! Lui tirò fuori dalla giacca una busta di pergamena, sembrava essere
vecchia di secoli. «Non chiedermi come faccio ad averla, non chiedermi come sia
arrivata qui. Leggila...» me la porse.
La presi e la fissai «Viene dall'Isola Che Non C'è...»
continuò. Il sorriso mi arrivò agli occhi, non so perché fossi così speranzosa
ma la strinsi al petto con forza.
Lui mi fece l'occhiolino e poi se ne andò. Non mi importò di
cosa avrei detto ai miei genitori. Corsi in camera e mi buttai sul letto. La
lettera era davanti a me, tra le mie mani e non resistetti, l'aprii...
Mia cara Wendy,
se stai leggendo questa lettera allora
significa che ho scelto di lasciarti. E così hai fatto tu probabilmente. Avevo
ponderato la mia decisione da tempo e non potevo lasciarti senza niente. Questa
missiva rimarrà nelle mani di Toro Seduto, lui saprà cosa farne... sono
contento che sia arrivata a dire la verità, nutrivo qualche dubbio, ma tu non
dirglielo.
Ti ho sempre amato, Wendy. Ti ho amato
quando ancora non sapevo cosa fosse l'amore e la cosa mi terrorizzava, ti ho
amato quando mi hai salvato la vita e quando mi hai reso debole per via dei
sentimenti. Quella sera magica tra le fate nella radura rimarrà sempre nel mio
cuore... avrei tanto voluto tenerti con me per sempre.
Ma il tempo non è stato dalla nostra
parte e tu pensavi che tornare a casa fosse giusto. Non ti ho mai perdonato per
avermi lasciato e per esserti portata via tutti i miei amici... mi sentivo
terribilmente solo anche se sapevo che loro avrebbero avuto una casa, tutti.
Persino quello scorbutico di Piumino!
Non chiedermi come io abbia fatto a
scrivere questa lettera, dato che non sono mai stato a scuola, sappi che Trilli
mi ha dato una mano. È rimasta sempre con me quando ero solo. Ed ero felice.
Non mi ero reso conto di stare crescendo...
È stato piuttosto strano sentirmi la
"barba", pensavo di essere malato.
Non so cosa mi abbia spinto a tornare a
Londra, da te, quattro anni dopo. A mia discolpa posso dirti che non sapevo
fosse passato così tanto tempo. Avrei voluto tornare prima...
Comunque, sono contento che tu sia
venuta con me anche questa volta, abbiamo condiviso la più magica delle avventure:
la vita!
Ti ho amato così tanto che quasi mi
sentivo il cuore scoppiare e quando abbiamo... come dici tu? Quando abbiamo
fatto l'amore ero così felice che avrei potuto esplodere. E sappiamo bene che
ne sarei stato capace. Non pensavo che si potesse essere legati in un modo così
profondo con un'altra persona. È stato bello scoprirlo.
Spero non starai piangendo e che la tua
vita sia andata avanti. Non ti porterò rancore se un giorno tornerò e troverò i
tuoi figli ad aspettarmi alla finestra. Sarò felice di raccontargli le nostre
avventure. Ti chiedo solo una cosa, mia Wendy, non dimenticarmi. Io non lo farò
mai.
Per sempre tuo nel tempo e nello
spazio,
Peter Pan
Sì, stavo piangendo e tutto mi era caduto addosso come se
non fosse passato neanche un minuto. Eppure ero felice perché sapevo che Peter,
in un modo o nell'altro, sarebbe sempre stato mio.
NOTE:
Buona sera! Siamo arrivati alla fine. Mi dispiace così tanto
lasciare questi personaggi... ma si sa, le cose finiscono prima o poi.
Spero abbiate passato delle buone feste e alla prossima!