Trip the Darkness

di Jade Lee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Seconds, minutes and hours spill over ***
Capitolo 2: *** What a day, I can barely keep my eyes wide open ***
Capitolo 3: *** I don't wanna see straight ***
Capitolo 4: *** Feels like my breath is heavy again and I'm totally faded ***
Capitolo 5: *** I see beauty in everything but the world is still fading away ***
Capitolo 6: *** I, awake from madness, just in time ***



Capitolo 1
*** Seconds, minutes and hours spill over ***


Seconds, minutes and hours spill over

 
26 Settembre 1998, tarda mattinata.
 
Sono in caduta libera, dall’elicottero con il logo della Umbrella Corporation verso il suolo. E’ il momento che preferisco, quello in cui si svuota la mente e l’intera attenzione si focalizza nei secondi che si dilatano all’infinito. Tanto che quando le suole degli anfibi toccano terra mi sembra di aver volato per ore. Sgancio il moschettone di sicurezza che mi tiene ancorato alla corda e mi metto alla testa del Plotone Delta, i cui membri stanno ancora terminando la loro discesa. Quando l’elicottero si allontana i ranghi sono già serrati, le squadre divise in file ben organizzate, le armi pronte a far fuoco. Sguardi duri, composti, malinconici, sfregiati, spigolosi; giovani o meno. I miei soldati, i miei uomini.
 
La missione per il recupero dei civili superstiti alla tragedia che sta distruggendo la cittadina di Raccoon City non può attendere oltre. La gente ha bisogno di noi. Dobbiamo essere rapidi, spezzare le ore in minuti e i minuti in secondi, poiché in un misero istante una vita ci può sfuggire dalle mani, come uno sbuffo di fumo.
 
Finché, ad un tratto, anche il nostro tempo diventa contato: l’orrore ci travolge inaspettato. La nostra fine ha l’aspetto di mani sanguinanti tese alla spasmodica ricerca di un corpo da sbranare, di carne in putrefazione animata da chissà che spirito animale, di grida che fanno ghiacciare il sangue nelle vene.
 
Un giorno fa avevo un plotone. Un’ora fa avevo la certezza di un facile e rapido successo. Un minuto fa, l’uomo vicino a me è caduto preda della più cupa paura e si è sparato alla testa prima che una di queste cose lo potessero raggiungere. Un secondo fa, ho sentito alle mie spalle un gemito strascicato troppo vicino. Tra un secondo, non so se sarò ancora in grado di respirare.

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Capitolo 2
*** What a day, I can barely keep my eyes wide open ***


What a day, I can barely keep my eyes wide open

 
27 Settembre 1998, alba.
 
- Vaffanculo! -
 
La mia voce è l’unica compagnia che mi è rimasta, nonostante la presenza di un altro uomo al mio fianco possa testimoniare il contrario. David Cory fa parte del mio Plotone, è uno degli ultimi ad esservi entrati. E a quanto pare sarà anche uno degli ultimi ad uscirne. Dopo la disastrosa disfatta contro la folla di non morti che pareva non avere una fine, ho dato l’ordine di ripiegare. Pochi avevano ancora la lucidità necessaria ad ascoltare i miei ordini, alcuni probabilmente non riuscivano neppure a capire cosa stessi dicendo. Ripercorrere gli avvenimenti di questa giornata mi risulta praticamente impossibile. Nella confusione del momento mi sarò addirittura trovato a bestemmiare in russo. Di questo sono praticamente certo.
 
Ho afferrato David per la giacca sottraendolo dalle grinfie di una donna zombie, prima che gli divorasse totalmente l’avambraccio. Cristo. Ho ancora quella scena davanti agli occhi. Una donna, che magari qualche giorno prima compilava indisturbata qualche documento in un ufficio della zona industriale, stava letteralmente mangiando David. Come se... No. non mi è possibile trovare un paragone per rendere accettabile quell’immagine fissa nel mio cervello. David ha perso i sensi da circa mezz’ora.
 
Siamo arrivati a stento in questo magazzino e mi sono subito premurato di sbarrare porte e finestre. E’ una specie di deposito utilizzato da una società edile per accatastare materiali da costruzioni. Ha mura spesse e un neon ancora funzionante.: da qualche parte ci sarà un generatore d’emergenza che lo mantiene in vita. Il mio compagno - ormai le formalità date dal grado paiono piuttosto inutili - borbotta nel sonno qualcosa di incomprensibile. Soffre, è evidente. Probabilmente la ferita avrà fatto infezione, ma non ho trovato nulla di meglio di qualche straccio e una mezza bottiglia abbandonata di alcool etilico da usare per medicarlo. In realtà, non avevo neppure idea di cosa fare dato che mancava la carne fino all’osso. Comunque per un po’ siamo al sicuro, anche se presto dovrò uscire per tentare di recuperare qualche cosa da mangiare e da bere.
 
Faccio ormai fatica a restare sveglio. Non appena le mie palpebre si abbassano, però, l’oscurità prende a mutare in forme sanguinanti e gemiti morenti. Tormentato da quelle visioni, seduto a terra con la schiena contro la parete, passo la notte a vegliare David.
 
Nonostante riesca a malapena a tenere gli occhi aperti.
 

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Capitolo 3
*** I don't wanna see straight ***


I don't wanna see straight 

 
27 Settembre 1998, mezzogiorno.
 
Le strade della zona sono fortuitamente sgombre, anche se dietro le finestre degli edifici brancolano indistinguibili ombre scure. Non ho ovviamente chiuso occhio ma il mio corpo non pare più percepire quell’incredibile stanchezza che lo permeava ieri sera. Di certo non posso dire la stessa cosa per il mio spirito. Nel cortile di un condominio a circa due isolati dal deposito in cui ho lasciato David  ho riconosciuto tre membri UBCS andati ad ingrossare le file dei non morti. Mi è difficile descrivere il senso di colpa che mi ha pervaso come un male incurabile. Sto rientrando dalla ricerca di viveri, attività che mi ha impegnato un paio d’ore circa. Non sono più in grado di distinguere lo scorrere del tempo con lucidità.
 
Stringo la presa sul fucile quando un grido mi scuote bruscamente. L’urlo di una persona viva. Senziente e disperata. Corro immediatamente verso la fonte, rendendomi conto con orrore crescente che si tratta proprio del magazzino in cui giace David. Eppure ero sicuro di aver sbarrato la porta con delle assi ben solide. Ho sottovalutato quelle creature? Se David morisse a causa della mia incuria, non me lo perdonerei mai.
Le mie falcate si allungano con le mie preghiere: per favore, fa che non sia lui.
 
Ma è ancora tutto al suo posto. Entro, puntando l’arma contro ogni ombra dello stanzone. David è rannicchiato in un angolo, ben lontano dal punto in cui lo avevo lasciato addormentato. Si stringe il braccio ferito con sguardo allucinato.
 
- David? -
 
I suoi occhi sono vitrei, vuoti. Si alza a fatica e, quando mi avvicino di un passo alla sua figura sconvolta per sorreggerlo, mi ritrovo la sua pistola d’ordinanza puntata contro.
Le sue dita tremano.
 
- Calmati, David. Siamo vivi, ne usciremo... -
 
Le mie parole si perdono nella sua pazzia.
Quando fa fuoco verso di me non me ne rendo neppure conto. Il proiettile mi attraversa il torace, perforando poi una parete divisoria di cartongesso alle mie spalle. Il dolore arriva con la confusione di un mondo che sta ormai girando davanti ai miei occhi. Mi porto le mani a livello della gabbia toracica solo per sentire il tessuto dei guanti impregnarsi del caldo flusso del sangue. David si accascia pochi istanti dopo, battendo pesantemente la testa sul pavimento di cemento. Scende il silenzio. Respirare mi è reso praticamente impossibile dal trapassante dolore che mi schiaccia crudelmente il petto.
 
Passano pochi istanti quando un gemito si leva a pochi metri da me, facendomi voltare in direzione di David. Le sue dita stanno strisciando subdolamente nella mia direzione, seguite dal suo sguardo morto e affamato, solcato da un rivolo di sangue. Stavolta è la mia arma a fare fuoco, dopo una brevissima esitazione. Un colpo dritto in mezzo agli occhi per fermare la sua folle avanzata verso di me e poi il nulla.
 
Vorrei poter perdere i sensi per non vedere, udire, provare più niente. Le percezioni invece vengono amplificate dal silenzio che mi circonda come un confortevole abbraccio materno, cullandomi verso uno stato di catatonica immobilità.
 
Perché sono ancora così lucido?
Perché sono vivo e i miei uomini no?

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Capitolo 4
*** Feels like my breath is heavy again and I'm totally faded ***


Feels like my breath is heavy again and I'm totally faded 


27 Settembre 1998, primo pomeriggio.
 
- Capitano Victor? Mikhail? -
 
Una voce dal forte accento ispanico mi riscuote da un tormentato dormiveglia in cui non ricordo neppure di essere scivolato. Apro gli occhi a fatica, trattenendo un gemito di dolore quando tento di risollevarmi un po’.
- No, non si muova. La ferita è grave e ha già perso molto sangue. -
Seguo docilmente il consiglio. Mi sento totalmente sfinito, come se gli ultimi anni della mia vita si fossero solidificati in un pesante ammasso di poche ore pronte a schiacciarmi il petto. Non so come un uomo possa giungere alla conclusione che sì, il suo tempo è ormai giunto al termine. Eppure adesso questa consapevolezza non mi abbandona. La ferita mi sta uccidendo. Metto a fuoco l’uomo che mi sta aiutando a risollevarmi. Prima la divisa, poi il volto. Carlos Oliveira. Un indescrivibile senso di sollievo mi pervade: non tutto è perduto per il mio plotone. Per me, sì.
Non mi da’ retta quando gli chiedo di lasciarmi qui. Fa passare il mio braccio attorno al suo collo e mi sorregge, incoraggiandomi a resistere ogni volta che un respiro pesante mi abbandona le labbra. Non so se questo mantra rassicuri più me o lui.
 
A quanto pare non è cambiato granché nelle ore passate. Continuiamo a muoverci tra esseri marcescenti, lenti ma determinati ad afferrarci. Oliveira è preciso quando deve liberarsi la strada. Un colpo in testa e via, finalmente il riposo eterno giunge anche per quelle sfortunate persone, vittime di chissà quale diavoleria.
Il mio, di riposo, invece? Sono totalmente sfinito, ogni muscolo che mi compone è intorpidito.
 
Quasi muoio di sollievo - ed è imbarazzante ammetterlo - quando mi sento appoggiare su una superficie imbottita, decisamente più morbida del pavimento di cemento su cui ho precedentemente dormito. Non capisco dove sono.
 
Alcune voci mi fanno intendere di non essere più solo con Carlos. Una di queste è femminile, dolce e rassicurante. Accompagnata dal tocco di una mano gentile, mi invita a scivolare nel sonno per trovare sollievo dalle grinfie del dolore, dato che ci troviamo in un posto sicuro in cui finalmente posso riposare. Mi fido. Non mi serve altro..
 
Jill, Carlos e Nicholai. I nomi dei sopravvissuti mi lambiscono la coscienza, ancora pronta a captare parte della loro conversazione.
 
Mi sta salendo la febbre. Un caldo soffocante mi fa boccheggiare. Il mio respiro è di nuovo pesante.

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Capitolo 5
*** I see beauty in everything but the world is still fading away ***


I see beauty in everything but the world is still fading away 


28 Settembre 1998, tardo pomeriggio.
 
Fuoco. La città sta bruciando. David si muove alla mia sinistra troppo lentamente mentre Nicholai e il resto del plotone, alle mie spalle, tentano di ripiegare per liberarsi dalla morsa dei non morti. Paiono materializzarsi dal nulla, i maledetti, pronti a strappare carne senza esitazione, mossi dal solo istinto della fame. I miei ordini si fanno concitati, urlo per tentare di sovrastare il panico generale.
 
- Fuoco... Fuoco! -
 
David cade mentre io arretro. Vorrei allungare la mano e prenderlo. Tendo il braccio in avanti ma non riesco a muovermi, non riesco a sottrarre David alla donna che lo sta divorando. David sussulta violentemente mentre il sangue schizza dalla sua giugulare e in pochi istanti il suo corpo non è più visibile, dato il numero di non morti che si accalca su di lui per nutrirsene. Un passo all’indietro e il mio anfibio urta un qualcosa che produce uno strano suono umidiccio. Sobbalzo e mi volto. I miei uomini sono tutti morti.
Sono l’ultimo, circondato da ogni lato, spacciato. Una mano gelida si posa sulla mia spalla. Lentamente, incontro lo sguardo di una persona. Una ragazza giovane, di cui non riesco pienamente a cogliere i lineamenti, ma che mi sembra essere bella. Jill. Così la immagino, dato che non sono riuscito a metterla bene a fuoco. Ma quando? La conosco?
Lei mi guarda, nonostante i suoi occhi siano vuoti. Poi, con un grido trionfante, si getta sul mio collo.
 
Una mano sulla mia mi sveglia bruscamente. Apro gli occhi. Stavolta ci vedo bene, l’intorpidimento ha lievemente abbandonato il mio corpo, nonostante mi bruci la gola. Devo aver urlato nel sonno.
 
- Andrà tutto bene. -
 
E’ Jill. Ora che la vedo, non pare poi così diversa da come l’ho sognata. A parte il fatto che è viva, ovviamente.
Non credo alle sue parole, ma le apprezzo comunque.
Mi trovo su quello che pare un tram, adagiato su un sedile rosso. Il finestrino si apre su un parchetto dalle siepi curate. Gli alberi svettano verso il cielo, esponendo con orgoglio le foglie ormai percorse da venature rubizze o color oro. L’autunno è alle porte, la stagione che preferisco, con strascichi di caldo e brezze d’inverno. Il cielo tende al blu scuro, deve essere ormai quasi sera. Una sfumatura tanto profonda che pare quella degli occhi di mia moglie, quel giorno in cui l’ho incontrata per la prima volta e non ho più potuto fare a meno di lei.
 
E’ sempre stato così bello il mondo? La polvere che vortica pigra sotto le luci artificiali è sempre stata tanto ipnotica? Mai avevo colto tanti meravigliosi dettagli attorno a me. Persino le escoriazioni sul volto di Jill paiono renderla più bella.
 
Eppure, nel preciso momento in cui lo riscopro, il mondo sta continuando a declinare verso la sua rovina. Le fiamme si spandono ingoiando tutto ciò che esiste.
 
Anche l’Inferno, a quanto pare, ha il suo fascino. 

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Capitolo 6
*** I, awake from madness, just in time ***


I, awake from madness, just in time 

28 Settembre 1998, tardo pomeriggio.
 
Quanto manca? Forse un’ora. Anche meno, non è che in realtà mi rimanga tutta questa forza. Le immagini dei miei incubi si fanno sempre più corpose, sempre più calde e reali. Sempre più terrificanti. Una pesantezza amplificata all’infinito dalla mia totale inutilità. Non ho potuto impedire che i miei uomini venissero brutalmente massacrati e adesso non posso neppure essere d’aiuto a chi sta tentando di fare qualcosa anche per la mia, di salvezza.
Ho provato a rialzarmi, a fare fuoco contro quelle cose, a muovermi, a respirare. Ma sono stato riportato al punto di partenza da Jill.
 
E’ stato in quel fallimentare - e diciamocelo, patetico - tentativo che devo aver perso definitivamente ogni energia. Fluisce via con il sangue dalla ferita ormai infetta. Tutto il dolore purtroppo non è sufficiente a spazzare via anche i ricordi, i pensieri. Le grida della mia squadra, decimata da qualcosa totalmente contraria ad ogni buon senso, contro natura. Sembrava così facile l’idea di salvare i civili... ma chissà se davvero c’erano ancora dei superstiti a Raccoon City.
Da quanto ho capito, anche Nicholai non è riuscito a cavarsela. Un altro volto da aggiungere a quelli che mi tormentano. Mani che si protendono nella mia direzione aggrappandosi con disperazione alle mie braccia, conficcando nella mia carne unghie e nel mio cuore schegge di sofferenza. Li guardo morire e non posso oppormi. Tento di girarmi su un fianco ma uno scossone mi fa desistere. Neppure mi ero reso conto della partenza del trenino. Il paesaggio in fiamme scorre lentamente dallo scorcio di finestrino che posso cogliere dalla mia posizione supina, aumentando il mio senso di nausea. Richiudo gli occhi.
 
La strada è sgombra e silenziosa, si estende davanti a me a perdita d’occhio. Muovo un passo in avanti poggiando con cautela il piede a terra. Il suono rimbomba per lunghissimi secondi e arriva quasi a coprire il battito accelerato del mio cuore. Un respiro profondo e anche quelle incontrollate palpitazioni paiono riprendere il loro ritmo naturale. Ma perché non c’è nessuno? Dove sono finiti i soldati, i mostri, i rumori? Il silenzio è di certo molto più inquietante e non riesco ad impedirmi di mantenere all’erta ogni senso. Un sospiro potrebbe farmi scattare in modo incontrollato e vorrei stringere convulsamente il mio fucile tra le mani. E’ lì che mi rendo conto di essere assolutamente disarmato e indifeso, alla mercé di qualunque cosa mi attenda al fondo della via.
Non cerco di scampare al mio destino.
 
Con un sospiro spezzato, inizio a camminare deciso lungo la strada, che lentamente prende a stringersi. Quando sono iniziati gli edifici? Non mi sono accorto dei loro profili stagliati contro il cielo senza stelle. I primi movimenti che giungono dalle finestre prive di vetrate, spalancate come una bocca urlante, sono quelli barcollanti dei non morti. Un istante solo e poi molti di loro iniziano a sporgersi, graffiando l’aria. Perdono l’equilibrio e cadono giù. Uno schianto umido al suolo, nauseabondo, ma rieccoli subito in piedi o comunque pronti a riprendere a strisciare verso l’unica cosa ancora dotata di vita propria: io.
 
Corro lasciandomi alle spalle quei lamenti accompagnati dal tanfo della carne in avanzato stato di decomposizione. Sono quasi alla fine del vicolo, lo sento. Le mura si stringono e inizio a intravedere una porta. La mia salvezza? La mia fine?
So solo che, sopra tutto quel silenzio, si leva un orribile urlo che mi blocca sul posto. Non ho mai udito nulla di tanto inumano e ho il terrore che la mia mente già debole possa vacillare in modo definitivo nel caso mi voltassi a guardare chi l’ha lanciato. Un segnale predatorio, violento e sanguinario tanto potente da lasciarmi totalmente inerme.
 
Spalanco gli occhi tentando di mettermi seduto, risvegliato bruscamente dal mio delirio; ovviamente il mio corpo protesta con una fitta di dolore tale da farmi salire le lacrime agli occhi.
Un dettaglio del mio incubo - ma sarò davvero sveglio? Ormai non so più affermarlo con certezza - si è materializzato nella cabina con un fragore di vetri infranti e un ululato ferino. Cos’è che cerca quel mostro umanoide? Non ho più tempo per pensare.
Sollevo il fucile al mio fianco e sparo senza prendere la mira, rendendomi conto solo marginalmente che sto urlando contro la bestia più oscena che abbia mai potuto immaginare. Come se non fossi altro che un insetto fastidioso da scacciare, questo mi frusta con un tentacolo facendomi perdere l’equilibrio e cadere a terra. Mi rimetto seduto facendo forza sul fucile nel momento in cui Jill spalanca la porta e prende a far fuoco contro il mostro.
 
- S.T.A.R.S. -
 
Finalmente capisco cosa diavolo va blaterando. Cosa vuole. Jill spara senza sosta, con un’espressione disperata a sconvolgerle il bel viso. Quando l’essere mastodontico pare perdere un po’ il suo vigore - Cristo, lo stiamo crivellando di colpi e lui non fa una piega - ho già fatto la mia scelta.
 
- Vattene, Jill! -
 
Quanti colpi avrò ancora nel caricatore? Però... Porto la mano al retro del cinturone e trovo subito ciò che cerco. La fredda consistenza metallica di una granata antiuomo, pronta ad esplodere al minimo contatto violento una volta innescata.
 
- Mikhail! -
 
- Via di qua, presto! -
 
Come lo so io, anche lei sa di non avere scelta. Che possibilità posso ancora avere? Ormai sono allo stremo. Non sprecherò i miei ultimi istanti. Ne ho già persi fin troppi. Un ultimo colpo del mostro e il mondo si capovolge. Sono nel bel mezzo della cabina. Dio solo sa quanto voglio dormire, riposare. Dio solo sa quanto desidero salvare Carlos e Jill.
La granata è tra le mie mani. La sicura tintinna sul pavimento.
 
- Dai, figlio di puttana, avvicinati ancora un po’... -
 
Ma sono io a parlare? Mi sveglierò di nuovo sul sedile, dolorante, però ancora vivo? Spero proprio di no.
 
Eccola l’ombra che mi sovrasta, così vicina che se allungo la mano posso quasi toccarla. In tutta onestà, non ho mai pensato che la morte potesse avere una faccia tanto brutta, cucita e deforme, ma tant’è.
Forse non mi sono ancora risvegliato davvero dalla pazzia che mi attanaglia e ottenebra la mente. Forse l’ho fatto appena in tempo per rendermi ancora utile in un qualche modo.
 
- Hai perso! -
 
Non sono riuscito a cogliere appieno l’esplosione che è seguita. E non chiedetemi cosa si provi a morire.
So solo che, finalmente, sono tornato in quel vicolo e ho aperto la porta.
Buona fortuna, Carlos. Buona fortuna, Jill.
 
 
 
Follow me as I trip the darkness… one more time.

***

24 Settembre 1998, pomeriggio
 
- Sai che non posso tirarmi indietro. -
 
Niente di ciò che ho detto fin’ora è riuscito a cancellare quell’espressione triste e vagamente sconsolata che ha oscurato gli occhi blu di mia moglie.
 
- Non mi piace questo tuo nuovo impiego. Non mi piace l’Umbrella. - sbotta lei, incespicando un po’ su quella parola americana che fa vibrare il suo accento. Mi siedo al suo fianco e le cingo le spalle con un braccio, tentando di rassicurarla con quel gesto così intimo e sentito.
 
- E’ un impiego come un altro. Sarà questione di pochi giorni, come al solito, e poi tornerò da te. -
 
Una smorfia contrariata è il massimo che ottengo in risposta.
 
- Facciamo così... - sospendo la frase, accendendo il suo interesse - Alla fine della missione a Raccoon City chiederò un periodo di licenza. Così potrò stare di più con te. Ok? -
Finalmente mi sembra di essere riuscito a smuovere qualcosa. Lei pare rifletterci seriamente, poi annuisce con un cenno solenne, fissando quegli occhi profondi nei miei.
 
- Vedi di non farti ammazzare, per cortesia. -
 
Sorrido, abbracciandola.
 
- Promesso! -

***

Note conclusive: questa piccola serie mi ha coinvolta molto durante il processo di scrittura, anche se non ne sono pienamente soddisfatta. La canzone che mi ha accompagnata nella stesura  e che costituisce anche i titoli dei vari capitoli è "Trip the Darkness" dei Lacuna Coil, di cui consiglio vivamente l'ascolto.
Il personaggio e il contesto non sono miei e non scrivo a scopo di lucro... XD adoro Mikhail gratuitamente!
Grazie a chi ha letto la storia e, magari, ha pure speso o spenderà un minuto per recensirla...
Un bacio!
Jade

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