This last time at Second City (The Second City Monologue)

di zorrorosso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pt.1 ***
Capitolo 2: *** pt.2 ***
Capitolo 3: *** Pt. 3 ***
Capitolo 4: *** Pt.4 ***
Capitolo 5: *** Pt.5 ***
Capitolo 6: *** PT1eng ***
Capitolo 7: *** PT2eng ***



Capitolo 1
*** Pt.1 ***


Ho deciso di ri-pubblicare  e riscrivere questa FF in quanto correggere ed aggiornare l’originale, scritta nel 2004, sembrava un’impresa impossibile.
(Reviewed 2013)
 
 
This last time at Second City.
Pt.1
 
Toronto, Settembre 1998.


Un timido lamento nasale.
Scuote la testa e fa una serie di strane boccacce.
 
E’ allenamento, direbbero gli esperti di teatro, quelli che girano con le giacche di velluto e i maglioni a collo alto, fumando magari una pipa, ma per i normali passanti non e’ nient’altro che un altro pazzo. Come se non ce ne fossero gia’ abbastanza in giro.
 
E’ un ragazzo altissimo, tratti nordici, porta degli strani pantaloni a zampa, non sono fuori moda, sono quelli che stanno tornando proprio in quegli anni, dopo un ventennio di risvolti e jeans alla caviglia attillati. Solo che quelli sembrano sdruciti, vecchi.
La stoffa, si direbbe di tweed, ha quel tipico spacco colorato che contraddistingue i pantaloni come capo originale. Questi che rifanno nuovi, di solito, lo spacco non ce l’hanno.
Gli occhi sono coperti da un paio di grossi occhiali, risalenti almeno ad un ventennio precedente.
 
Se non fosse cosi’ giovane, si direbbe che sia rimasto rinchiuso almeno vent’anni in galera e che ne sia uscito proprio ora. Forse e’ un costume di scena, o forse veste proprio cosi’. Difficile a dirsi, ma vicino al teatro tutto e’ possibile.
 
E’ appena sceso da un’auto francese di seconda mano.
Anche questo gli dona un’aurea di follia e stranezza agli occhi dei passanti.
 
Chi si metterebbe a contrattare un’auto straniera tanto vecchia e tanto piccola come quella? Di sicuro non una persona alta come lui. Poi le auto americane sono ineguagliabili, lo sanno tutti. Perche’ importarle dall’estero? Forse solo per il parcheggio, sempre a scapito delle sue povere ginocchia.
Quei commenti riecheggiavano nella sua testa nella forma di mille personaggi: conosceva bene le loro voci ed i loro corpi, i loro costumi, che lui stesso aveva inventato, e che ogni tanto faceva parlare durante le sue interpretazioni.
 
I critici lo giudicavano come un attore versatile.
Gli psichiatri, forse, come disurbo dissociativo di identita’.
 
***
Entra nell'auditorium.
Per quanto non fosse una star, quello non e’ un teatro qualunque.
Non si tratta di un auditorium sconosciuto.
Si tratta di una delle istituzioni della commedia nordamericana: Second City.
 
I migliori comici canadesi sono passati da qui, e tanti anni prima molti di loro hanno poi sfondato nella televisione e nel cinema nordamericano per essere poi conosciuti in tutto il mondo.
Le vecchie glorie che vestivano alla moda di allora.
La stessa che veste lui in quel momento, piu’ di vent’anni dopo.
Un omaggio ad un tempo ormai finito.
Uomini e donne che nel corso degli anni erano morti, erano profondamente cambiati, o avevano fatto la storia del cinema ed ora la stavano imbarazzando nel tentativo di rievocarla, bella e selvaggia come era stata allora.
Per questi,  Second City fu un trampolino di lancio perfetto.
 
Non per lui, pero’, che guarda l’orologio e continua questo strano allenamento nell’oscurita’.
 
E’ l'ultimo arrivato nella scena vuota illuminata solo dall'occhio di bue.
Non vede i suoi spettatori.
Non toglie gli occhiali. Anzi lo aiutano contro quella luce forte dei riflettori.
Seppure non viene annunciato, ne’ riesce a capire quanti e quali sono i suoi spettatori, incomincia subito a parlare:
 
 «Questa e' una storia che vocifera alla stazione di polizia di Chicago, forse la conoscete gia’...
 
Chicago, Park District, il trillo di un telefono cellulare, e un ragazzo scarno, con le occhiaie scavate in un viola profondo, ed il colorito gillastro risponde a bordo di un auto, una Crysler 1990 nera, nei pressi del parco:
"Dimmi tutto. Dove sei John?" – la voce gracchia dall’amplificatore di quell’aggeggio nero con una lunga antenna, che quasi gli copre tutta la faccia.
"Sono... sono al parco, Fred, voi dove siete?"- chiede guardandosi attorno. Non sembra aver alcun tipo di sentimenti, sembra pero’ preoccupato o desideroso di qualche cosa in particolare.
"John sei un idiota! Il parco e’ grosso piu’ di ottomila acri! Per fortuna ti ho visto. Io e il mio amico siamo qui vicino, lascia la macchina e aspetta li'!" – scricchiola nuovamente il marchingegno, prima di emettere altri suoni. La luce di un verde malato, si accende e si spegne sotto numeri neri. Magari e’ anche rotto.
 
 "Ma avro' quello che ho chiesto?"- chiede John, indifferente agli insulti della voce.
Sembra del tutto indifferente a qualunque cosa.Questi junkies...
"Certo che lo avrai! Avrai tutto John, siamo di parola io e Nilsen! Scendi da quell’auto."-
la voce e’ lenta e scandita, con una strana rassicuranza.
 
L’uomo sembra credere a quel gracidio del telefono nero con cieca obbedienza, ma in men che non si dica, Fred, la voce gracchiante, balza come dal nulla, pistola alla mano, e spara un colpo nella sua direzione.
Un altro uomo piu’ anziano, probabilmente quello che Fred chiamava Nilsen, sale al volante e l'auto sgomma a tutta velocita’.
 
John, giace a terra, dolorante. Il colpo sembra non essere andato completamente a segno perche’ l’uomo sembra ancora respirare, seppur sommerso in un lago di sangue.
 
***

Piove.
 
Non e' un'ottima mattina per andare al lavoro.
 
Poi, chissa’ perche’, proprio quando piove la gente sembra tutta piu’ sgarbata; sotto i loro ombrelli, le persone camminano indistintamente nella citta’ grigia.
Quando piove tutto e’ grigio. Tutto dello stesso, umido, grigio.
 
Una Buik Riviera 1972 verde metallizzato parcheggia nei pressi di un palazzo di parecchi piani piu’ alto degli altri e scende un uomo abbastanza alto: porta un trench lungo e dei pantaloni abbastanza larghi per la sua taglia, ha gli occhi verdastri e grandi, pochi capelli e uno strano naso, anche lui quel giorno e’ vestito di grigio.
Si mimetizza bene in quella citta’, Ray.
 
Entra nel palazzo e si dirige verso un ufficio specifico che ricerca piu’ volte con attenzione, il palazzo e’ grande e lui c’e’ gia’ stato numerose volte. Sbuffa.
Un sacco di gente che aspetta fuori in una lunghissima coda.
Gli piacerebbe fare quello che fa di solito in questi casi, ovvero mostrare il distintivo e tagliare la coda passando per primo, e’ uno sbirro e deve andare al lavoro.
Sta gia’ infilando la mano in una tasca interna del trench, tira fuori il distintivo dorato e prima di mostrarlo al pubblico, lo lucida sul fianco del cappotto e ripete mentalmente quello che ha gia’ spesso detto e che dira’ tra qualche attimo: Chicago PD! Fate largo!
E’ sempre un sistema perfetto per tagliare qualunque coda.
Questa volta, pero’, qualche cosa lo blocca.


C' e’ una donna vestita di blu non molto distante da lui, e’ giovane e le ricorda qualcuno: alta, castana, capelli dritti e lunghi sulle spalle, una brutta frangia, che ricade sugli occhi di un certo blu, il naso dritto, dalla punta arrotondata, le dona un bel profilo. Tutte cose che ha gia’ visto su qualcun altro a lui familiare. Qualcuno che vede quasi tutti i giorni, per quanto non possa rievocare quelle fattezze al primo colpo.
Forse e’ per questo che Ray si sbriga a rimettere il distintivo in tasca.
 
La donna si guarda attorno per ammazzare il tempo che non passa mai, guarda ogni singolo volto con attenzione, ne studia la fisionomia, pieghe del viso e umore di quel momento.
Ha un'aria cosi’ trasognata che sembra quasi non appartenere a quella grigia citta’, alla pioggia, ai grigi palazzi e a tutto quello che la circonda, Ray compreso.
 
Ultimamente le donne, per Ray, non sono state il suo primo interesse. Premettendo che una bella donna non e’ mai sfuggita ai suoi occhi verdastri, ce n’e’ sempre stata un’altra, in realta’, nel suo cuore.
Forse restera’ li’ per sempre.
Una donna che lo ha ferito talmente tanto da temere in un certo senso tutte le altre. Eppure senza volerlo. Velava i suoi occhi di dolore, sorridendo sul sedile della Riv. Allora, non era ancora la sua Riv, ma la loro. Pioveva anche allora.
Quel sorriso: una delle cose piu’ belle e brutte della sua vita allo stesso momento.
 
Non che questa sia quel tipo di bella donna che lo spingerebbe incondizionatamente a voltarsi, solo si distacca facilmente dalla folla circostante.
La fila non scorre, i due impiegati incaricati alla riscossione tributi sono entrambi indaffarati con degli errori al server centrale.
Le linee sono occupate... Questi modem telefonici sono un’architettura complessa del futuro che ancora fatica ad arrivare tra la gente comune.
Arrivano le fotocopie. La luce bianca della fotocopiatrice fa avanti e indietro ininterrottamente nel retro dell’ufficio.
 La gente sbuffa a quella visione. I moduli saranno compilati a mano per il momento.
 
Cosi’ almeno dicono le persone davanti, mentre passano penne di plastica e incartamenti quasi illeggibili dal tanto che sono stati copiati e ricopiati a quella luce abbagliante.
 
Ray non se ne cura troppo, prende una di quelle fotocopie senza commentare, come penna usera’ la sua stilografica che mai lo ha tradito. Tranne quella volta, quando lascio’ una brutta macchia viola sulla sua camicia bianca di fresco inamidata, glie l’aveva sbiancata la mamma... Ma e’ stata l’unica, pensa guardandola, e cercando di leggere quel modulo. Dopotutto apparteneva ad una persona molto importante per lui.
 
Intimamente, pero’, sta solo aspettando con impazienza che lo sguardo di quella donna incroci il suo. Continua a pensare di averla vista da qualche parte, o qualcuno che conosce molto bene, qualche cosa nei modi, nei gesti.
Non parla con nessuno, non sembra conoscere nessuno attorno a lei. Di sicuro non puo’ essere la sua voce, o il suo accento, a renderla cosi’ particolare.
 Si dice che quando fissi intensamente una persona questa e’ come se lo sentisse in qualche modo. Ray non sa se questa cosa sia vera, non sa neppure di stare fissandola intesamente, ma la donna ora lo sta guardando: lo sguardo trasognato e’ anche tinto di qualcos’altro, il rossore di lacrime piante, la tristezza di un momento, la fiducia persa in qualche cosa o qualcuno, ma anche la speranza di ritrovarla presto.
La sua espressione cambia quando, al nuovo incontro dei loro sguardi, gli occhi blu di lei sembrano avere trovato in lui una vaga speranza nel grigiore e stranamente accenna ad un sorrisetto formale.

La fila ricomincia a scorrere, i due si ritrovano presto a consegnare i loro moduli e pagare quelle ultime tasse arrivate. La donna e’ prima di lui, ma agli uffici i due giungono contemporaneamente ed ascoltare la sua conversazione non gli risulta alquanto facile.
Il suo tono di voce e’ calmo, scandito e molto silenzioso. Troppo. Soprattutto mentre la sua voce alta e lagnante copre quasi tutti i suoni emessi da lei, mentre si lamenta animatamente con gli impiegati dell’ufficio per la loro lentezza.
Per Ray, quelle lunghe ed impegnate rimostranze, blaterate per ore a voce alta, non sono affatto scontate: sono parte della sua eredita’ genetica.
Deve rivendicare in qualche modo le sue origini italiane.


Il fatto che non avesse orecchie per lei, non significa che tenesse anche lo sguardo troppo occupato. Dopotutto non  e’ difficile per uno sbirro tenere d’occhio la gente.
Ci mette davvero poco a rendersi conto che la donna esce dal palazzo e si dirige decisa verso la fermata del tram a pochi metri, piove ancora a dirotto e lei non ha con se nemmeno un ombrello, ma non cerca di ripararsi, incrocia solo le braccia e aspetta appoggiata al cartello con particolare ordine.
 
Ray la segue e cerca di parlarle:
"Non ha un ombrello?" –dice avvicinandosi.
La donna di volta indietro verso l'uomo, la sua figura composta non sembra affatto rovinarsi sotto lo scroscio dell'acqua. Abbozza un mezzo sorriso di ringraziamento quando Ray apre il suo ombrello, anch'esso grigio, e tira un lento sospiro: "la ringrazio infinitamente"- dice annuendo.
 
Quella risposta in quell’accento ha un qualche cosa di gia’ ascoltato.
Piu’ di una volta:
"Le tasse sono un vero tormento, non trova?"- chiede Ray, cercando di familiarizzare.
 La donna stringe lo sguardo con fare leggermente indagante:
"Si, ma anche un nostro dovere nei confronti dello Stato."- dicendo cosi’, si aggiusta i capelli e si strofina la giacca bagnata, i suoi occhi ora sono piu’ distratti e sembrano aver perso quel barlume di speranza che notava prima.
"Se almeno tutelasse i cittadini come dovrebbe... eh*..."- continua fissando gli occhi di Ray con un'espressione un po' delusa.
Quell’ultima sillaba, cosi’ sospirata, non lascia a lui nessun dubbio. Non e’ di sicuro di Chicago. O per lo meno non vive qui da molto.
 
"Comunque il mio nome Ray, la mia macchina parcheggiata qui vicino, vuole che le dia un passaggio, cosi’ non perde tempo ad aspettare il tram?"- chiede lui indicando la strada.
 
Queste sono le rare volte in cui i pregiudizi su un determinato accento e nazionalita’ sono positivi, non negativi, come al solito. Se e’ veramente come crede non ha nulla da temere da lei ed un passaggio non puo’ essere che un semplice favore.
Se si sbagliasse, e’ pur sempre uno sbirro, l’arma d’ordinanza e’ sempre a portata di mano.
 
 "Molto lieta, mi chiamo Alexandra. Sono grata della sua gentilezza, ma non ho intenzione di approfittarmi troppo di lei, signor Ray! Dovro’ andare in altri uffici, compilare altri moduli, attendere altre persone. Avro’ un po' da fare con tutto questo traffico. Chissa’ perche’, ma quando piove, in tutte le citta’ del mondo, il traffico si congestiona allo stesso modo..." .
 
Ray cerca di prenderla con filosofia:
"Hehe, come vuole... Alexandra! Le lascio l'ombrello?" –sorride lui, non ha cosi’ tanta importanza.
Alexandra lo guarda con le braccia conserte e i capelli bagnati, accenna un tremore, forse per il freddo o l'umidita’, il vento dal Michigan non perdona in autunno, dalle ciglia cola un po' di nero.
"No grazie, non si preoccupi, questa mattina non mi aspetta nessun appuntamento galante!"- risponde distogliendo lo sguardo e sorridendo gentilmente.
 
Ray la riprende preoccupato:
"Ma se la lascio cosi’ si prendera’ un malanno!" –lei sembra far finta di non ascoltarlo.
"Scusi la mia domanda, Ray, lei e’ di Chicago?"- chiede Alexandra dubbiosa.
"Si, perche’?"- risponde mentre i suoi occhi cadono sulle gambe e sulle scarpe, anch'esse blu, pare un' hostess vestita cosi’.
Le mancano solo i distintivi di una qualche compagna aerea del mid-west a basso costo, lo chignon, un'inutile camice a righe e il carrello delle vivande. La donna, abbassa gli occhi, inarca le sopracciglia e raddrizza un po' le spalle.
"Perche’ di solito le persone da queste parti non si preoccupano troppo dei malanni degli altri"- risponde sincera.
Ray ci pensa solo un attimo: era vero. Anche lui anni prima non avrebbe esitato a lasciarla sotto la pioggia, sara’ stato sicuramente il frequentare Fraser a farlo cambiare. Fraser... Sara’ solo quell’accento e quell’abuso di parole gentili che gli fanno leggermente accostare la donna al suo compagno. Scuote leggermente la testa dal ribrezzo. Troppe, troppe, troppe parole gentili. Non c’e’ ancora abituato. 
 
E lei, all’estremo di quella cortesia, con le gambe allineate e i suoi piedi uniti, i suoi capelli bagnati, mentre si pulisce il mascara e lo guarda a volte curiosa, a volte delusa e a volte distratta . Il blu di quegli occhi sembra prendere accenti sempre nuovi ad ogni occhiata. E’ di sicuro la pioggia. In realta’ e’ lo stesso identico blu.
 
Ray non demorde e ci riprova:
"Di certo non fa caldo. Vuole un caffe’? C'e’ un bar qui vicino che fa dell'ottimo espresso... Ecco io, vorrei accompagnarla, non ci metteremo molto. Dopotutto l’espresso e’ servito in tazzine molto piccole, non le portera’ via tanto tempo!"- sorride lui, cercando di distenderla.
 
Alexandra gira la testa stupita prima verso la strada e poi verso di lui, d’impulso gli prende le mani, muove le gambe, come se si fosse immediatamente scongelata:
"La ringrazio infinitamente, ma le ho gia’ detto di no, ecco che sta arrivando il mio tram, ci vediamo al... Prossimo pagamento?"- sorride lei anche se gli occhi continuano a tradirla, e’ un sorriso grazioso, sembra solo per lui.
Ray guarda il tram andare via con lei dentro, fa un cenno con la mano e lei risponde, poi sale di nuovo in macchina. L’espresso sara’ per un’altra volta.

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Capitolo 2
*** pt.2 ***


This last time at Second City.
Pt.2

                                                         
 
Comincia una nuova mattinata di duro lavoro...
Ray e’ un detective della polizia di Chicago. E' molto impegnato.
 
Alla stazione di polizia c'e' un po' di confusione, ci sono alcuni agenti ed alcuni medici che vanno e vengono.
Ray, allarmato da quei camici bianchi, entra di corsa, si toglie il trench e controlla alcuni fogli sulla sua scrivania: "Elaine che succede?"- chiede velato di preoccupazione.


"Oh niente Ray, hanno solo rubato un' auto e Welsh vuole vederti, corri, ti cerca da piu' di due ore..."- risponde lei.
Elanie, la sua collega dell'archivio, scrive a macchina e lo segue con lo sguardo, abbastanza curiosa. Il fatto di per se era banale, ma la preoccupazione di Welsh e quei medici lo rendono importante.
Ogni detective impegnato, dev'essere sempre in confidenza con un agente dell'archivio. E’ una regola che si e’ imposto lui stesso per non sprecarsi nel fare troppe ricerche nei database e negli archivi personalmente.
Quegli spessi computer grigi sono ancora troppo lenti per i suoi gusti.
 
Quando entra nell'ufficio del capo, con Welsh ci sono due poliziotti e un infermiere: Welsh, il suo capo. Ogni detective impegnato ha un capo seccatore.
Welsh volge lo sguardo da quelle persone a Ray:
"Bene questo e’ il detective che si occupo’ del caso di Boe tre anni fa, si chiama Ray Vecchio"- dice il capo con tono serio.


Uno dei due poliziotti lo guarda severo:
"Uhm... Vecchio, si ricorda di Alfred Boe, l'uomo che ha arrestato e incarcerato?"- Ray lo guarda con una profonda ruga in mezzo alla fronte.
"Certo, era un famigerato spacciatore di Chicago, lo conoscevano in tanti... Perche’?!"- la domanda e’ in parte retorica, teme gia’ quale possa essere la risposta.

"E' evaso, Ray. Si e’ fatto aiutare da un altro spacciatore, non che omicida, un certo Nilsen. Si sospetta che quest’ultimo sia canadese, ha avuto modo di avere un'auto grazie a un certo John Suoper, un tossicomane, presumibilmente in cambio di eroina. In realta’, una volta presa l'auto i due l’hanno immobilizzato con un colpo, fortunatamente per noi, non e’ mortale.
Ora Suoper e’ricoverato. E’ in condizioni critiche, comunque ci aspettiamo che possa parlare"- spiega Welsh guardando i camici bianchi in cerca di conferme, ma questi non sono del tutto convinti della sua affermazione.
 
Ray da’ subito per scontato il fatto che avrebbe dovuto interrogare Suoper. Nella buona o nella cattiva sorte, sapere tutto quello che c'e’ da sapere su questo Nilsen e capire quali interessi avrebbero legato Boe a Nilsen e dove i due si sarebbero diretti sull'auto rubata.
Allontanatosi dall’ufficio di Welsh, si avvicina alla scrivania di Elaine con il collo allungato verso l’ufficio, assetata di informazioni e pettegolezzi:
"Un furto d’auto, Elaine, proprio come ti hanno detto!”- sbotta Ray verso la donna curiosa.
Continua aggiungendo:
“Trovami tutto quello che puoi sugli ultimi anni di Alfred Boe e John Suoper, Boe era in carcere, ma potrebbe aver trovato contatti all’esterno. E voglio sapere anche se e’ stata rintracciata l'auto rubata da Suoper..."- gli ordini di Ray sono precisi.
Sa lavorare seriamente, quando vuole.
"Che auto, Ray?"- chiede lei, rievocando la serieta’ richiesta da lui.


Ray, pero’, distoglie lo sguardo da Elaine, come distratto da qualche cosa che sta accadendo.
"L'auto e’ una Crysl..."- la sua voce rallenta fino ad interrompersi, poi continua,  ma viene distratto da una voce bassa e femminile proveniente da un'altra scrivania.
"...Una Crysler del 1990 nera, targata Illinois A5N48T"- dice la voce. Una conversazione tenuta li’ vicino da altre persone sulla stessa macchina.
E' Alexandra, che sta descrivendo la stessa macchina che aveva rubato Suoper:
"Puo’ ripetere? Mi sono distratto! Una Ford?"- chiede una voce maschile, affatto interessata alla descrizione cosi’ fondamentale.
 "No agente non una Ford, una Crysler: Charlie, Romeo, Yankee , Sier..."- la voce di Alexandra accennava alla cantilena. Manteneva la calma abbassandola.
Prima in quell’ufficio ed ora in questo: sembrava relativamente provvista di pazienza, quando si trattava di questioni burocratiche cosi’ tediose.
 "Si una Crysler ho capito! Non sono sordo! E la targa?"- dice l’agente con insofferenza.
"Illinois A5N48T"- risponde la donna, apparentemente ancora calma.
"Un attimo signorina attenda. Si?! Pronto... Oh ciao Jake, Si sto lavorando..."- l’agente sembra subito distrarsi e la telefonata non sembra affatto importante.
Alexandra abbassa lo sguardo rassegnata, e ricomincia quel suo strano gioco degli sguardi, lo stesso che sembrava fare nell’altro ufficio, poche ore prima. Sbuffa, o fa soffiare un po’ d’aria dalla bocca, come se sbuffasse e poi guarda l'agente con vaga impazienza. L'agente riattacca il telefono fissandola.
"Dicevamo? La targa?"-  chiede annoiato.
"Gregon, ormai te la potrebbe tatuare sul braccio quella diavolo di targa!"- urla Ray dall'altra scrivania, ha sentito tutto e il numero di targa di quell’auto e’ lo stesso che lui tiene in mano e legge subito da un foglietto.
"I-l-l-i-n-o-i-s-A-5-N-4-8-T!"- grida l’uomo, impaziente, sbattendo il foglietto sul piano. Alexandra si alza in piedi e lo guarda sorpresa:
"Signor Ray! Lei qui? E' un agente?"- chiede voltandosi quasi di scatto.
"Detective Vecchio, piacere di conoscerla..."- dice lui tendendole la mano.
Alexandra sorride, batte i talloni ed abbozza una formalita’ comune:
"Alexandra Danielle Turner della R...”- si interrompe stranamente- “Ah lasci stare! molto lieta.”- esclama.
Come notando qualche cosa che non avesse alcun senso attorno a lei, Alexandra interrope quell’accenno di saluto militare per una piu’ normale stretta di mano.
“Beh vede, questa notte mi hanno rubato la... La macchina..."- dice interrotta e non del tutto serena.
"Adesso capisco il tram e la pioggia!”- esclama Ray.
“Avrebbe dovuto accettare quel passaggio!”- la rimprovera l’uomo con soddisfazione.
“Venga con me, ho alcune domande da farle... Riguardo a quell’auto e alla persona che l’ha rubata..."- continua cercando di invitarla verso la sua scrivania ed abbandonare quella del collega distratto.
 "Mi spiace Vecchio, non puoi. La signorina Turner ha omesso di dirti che appartiene al corpo speciale della Reale Polizia Canadese per la regione dell' Ontario, non puo’ rilasciare interrogatori al di fuori del territorio canadese. E’ coperta da immunita’ diplomatica. Hai presente, Ray?"- risponde Gregon, con gli stessi modi che poco prima lui gli aveva rivolto.
 
Alexandra guarda l'agente, prima cosi’ distratto, ma adesso cosi’ attento nel provocare il temperamento di Ray, con un arrabbiato stupore.
Tuttavia, Ray non sembra affatto turbato da quelle affermazioni, rimane quasi del tutto  indifferente, anzi soddisfatto, solleva le spalle e sorride:
"E a me cosa mi importa? Allora sbrigati! Finisci questo verbale in fretta e ci penso io a la portarla sul suolo canadese, se e’ li’ che deve essere interrogata!"- dice contento.
 
***
 
Al Consolato quel giorno le cose vanno piu’ o meno come al solito.
 
Thatcher e’ uscita, forse non e’ neppure rientrata.
 
Il piantone rimane immobile, nonostante l'acqua.
 
Ben e’ da poco rientrato, per accertarsi che il suo capo non abbia lasciato nulla in sospeso.
 
Notando quel vuoto degenerante, stava anche cercando di uscire passando del tutto inosservato.
Non c’e’ molto da fare al Consolato.
Cammina in avanti, voltandosi spesso indietro con cautela, gli stivali sul tappeto di lana rossa sono morbidi e silenziosi, e’ facile essere silenziosi per uno come lui, certo e’ piu’ difficile non farsi notare con quell’uniforme addosso.
 
Ray entra veloce, senza bussare o suonare, senza fermarsi davanti al piantone, corre sulla gradinata ed apre subito la porta quasi urtando contro Ben, voltato ancora indietro, che sta cercando di uscire quasi allo stesso momento, senza fare troppa attenzione a quello che accade di fronte a lui.
 
"Oh Fraser, ti stavo cercando! Ho bisogno di te..."- dice veloce ed affrettato, come se stesse parlando ad un amico di sempre.
Fraser, un uomo forse dell'eta’ di Ray, forse qualche anno di piu’, porta pero’ meglio i suoi anni.
Ray, al contrario, li dimostra tutti e forse qualcuno di piu’, ma Ben ha il dono di avere un volto eternamente giovane. Ha superato di lunga i trent’anni, ma mai un capello bianco e sempre una folta chioma. E’ piu’ basso di lui e di corporatura piu’ robusta, ma quella rossa uniforme ufficiale, che porta praticamente sia di giorno che di notte, lo slancia e lo fa sembrare molto piu' alto.
Sembra quasi un soldatino di piombo: impeccabile simbolo di uno stato non troppo lontano, fatto di lande gelide e desolate, di tundra, licheni, di laghi e di acque a volte ghiacciate, di lupi e di orsi, di leggende Inuit e di sciroppo d'acero.
 
"Si Ray?"- si sorprende Ben, cercava di allontanarsi in fretta e forse proprio lui e' la scusa che stava cercando.
"Dovresti interrogare una persona per me... Qui!"- Ray e’ abbastanza serio e non sembra aver certo voglia di perdere tempo.
"Mh?!"- si sorprende Ben, quel sogno di allontanarsi dal Consolato prima che il suo capo, Thatcher, tornasse e lo mettesse in qualche compito noioso e imbarazzante, e’ subito infranto.
"Fa parte di un corpo speciale della vostra polizia... E dice di non potermi parlare nemmeno in via ufficiosa perche’ illegale... Siete proprio tutti cosi’ ligi al dovere dalle vostre parti?"- dice Ray spiegando meglio la situazione.

Ben pensa che tutto questo sia una formalita’ necessaria. Con un mezzo sospiro risponde veloce: "Va bene. Andiamo nel mio ufficio."- si allontana, pronto per andare a prendere un mangianastri, alcune tazze, ed una caraffa nera di caffe’.


Ray fa cenno ad Alexandra di scendere dalla macchina e lo segue con sicurezza, il passo ordinato e scandito, non si guarda attorno, come se conoscesse quel posto da sempre, si siede ordinatamente su una delle due sedie dell’ufficio e si alza come se fosse sull'attenti quando entra Fraser con il registratore a cassette per l’interrogatorio.
Ray non la perde d'occhio.
"Le da fastidio se registramo l’interrogatorio?"- chiede Ben, pronto anche a far parlare Ray se necessario.
 "No signore"- risponde lei, quasi senza guardarlo.
"Perche’ non mi ha detto subito di essere un’agente?"- chiede Ray con un sospiro.
"Ray, davvero, deve scusarmi immensamente... Ho pensato di riferirlo, ma ho trovato la cosa superflua in quel momento..."- Alexandra scuote la testa rattristata da qualche cosa.
 
 "Sono il Constable Benton Fraser della Reale Polizia canadese a Cavallo. Inizialmente venuto a Chicago sulle tracce..."- comincia a presentarsi Ben.
Ray puo’ continuare quel discorso come se lo avesse sentito cento volte: "...degli assassini di suo padre poi rimasto per motivi che non starai qui a spiegare vero?! E ora corrispondente per il consolato... Bla, Bla, Bla. Bene, andiamo avanti".
Ben e Ray sono solo collaboratori di vecchia data. La loro amicizia sembra andare avanti da diversi anni. Lo si puo’ capire da tante cose e, probabilmente, quel suo modo di restringere i discorsi dell'amico e’ la prova di quanto i due siano in confidenza.
Due amici sinceri e determinati che non si preoccupano di sembrare patetici dimostrandolo agli altri, ma solo di esprimere a loro stessi quell’ innato senso di lealta’ e fiducia reciproca, chiamato buon senso, che spesso tra gli uomini manca.
Sono adulti, ma le ricordano due ragazzini. Quando anche lei credeva in una fedele amicizia come la loro, lei, suo fratello Tom ed un loro amico di vecchia data. Si sofferma solo un secondo sugli occhi di un blu chiaro di quella giubba rossa, sono piu’ chiari dei suoi, i capelli castani ben pettinati e tagliati, leggermente piu’ scuri ed un profilo tecnicamente impeccabile.
Al confronto non sembrano parenti, ma si nota come una vicinanza.
C’e’ qualcos’altro, oltre la nazionalita’, che li accomuna.
 
Alexandra guarda Fraser sorpresa e sorride a quella ricordando bene il ritmo del suo passo scandito sul tappeto di lana.
"Il mio nome e' Alexandra Danielle Turner del Reale corpo di Polizia speciale dell' Ontario”- fa un completo cenno di saluto, battendo i tacchi. Poi si interrompe meccanicamente, aspettando domande.
 
Ray e’ un tipo scaltro, ma e’ Ben quello affascinante.
All’assistere a quella presentazione, Ray sembra quasi non avere dubbi.
Anche questa donna, sembra fissarlo come tutte le altre. Anzi no, lo guarda in un altro modo: gli occhi sono stretti in una sorta di rievocazione e la bocca accenna ad essere aperta, il dito indice vagamente rivolto verso di lui.
Anche Ben sembra ricordare qualche cosa nell'ascoltare quella presentazione.
Ray e’ un tipo scaltro. Rievocando l’irritante memoria di come sua sorella Francesca non parli d’altro quando c’e’ attorno Ben, o quando questo si allontana, l’azione viene subito istintiva: meglio interlomperli finche’ e’ in tempo, non si sa mai.
 
“Siamo qui per parlare di quello che e’ successo questa notte. Come avra’ notato lei stessa, Alexandra, la macchina che ha denunciato per furto e’ un’auto coinvolta nell’evasione di uno spacciatore statunitense. Questo sta collaborando con uno canadese. Puo’ gentilmente riferire le sue informazioni in proposito?”
Con quelle frasi, Ray ha quasi superato se stesso e la sua piu’ che formale cortesia, mai rivelata prima d’ora.
 
Alexandra allunga il collo. Anche lei sembra considereare quelle sue parole come un passo appena piu’ lungo della gamba, sembra chiedersi come sia riuscito a dire quel gentilmente con tanta naturalezza. Lo segue con lo sguardo, ma rivolta verso Ben con fare dubbio dice:
“Polizia di Chicago, eh*?”
“Non a caso siamo collaboratori, eh*...”- risponde Ben, anche lui fissando Ray, quasi senza espressione. Tra i due sembra essere nata un'intesa istantanea. Troppo, sembrano in realta' essersi gia' conosciuti.
 
Ray li guarda. Nota benissimo, ora, qualche cosa di simile tra i due, ma non riesce a focalizzare ancora di cosa si tratta.
Alexandra risponde alla domanda di Ray, dopo una lunga pausa.
“Sono sulle tracce di uno spacciatore che si fa chiamare Nilsen, scappato da Ottawa lo scorso anno: ha ucciso mio fratello. Anche se non sarebbe di mia competenza, ho fatto delle indagini e sono venuta a Chicago come libera cittadina, sapendo proprio che, negli ultimi sei mesi, si trovava qui."- dice veloce ed emette un sospiro corto e pesante.

Quella donna, il suo nome, suo fratello, entrambe poliziotti all’inseguimento di uno spacciatore: nella testa di Fraser in quel momento tutto sembra quadrare. Quei vestiti, l’uniforme e gli anni passati hanno nascosto solo per qualche secondo la verita’, ora piu’ evidente che mai. Ben sospira con un leggero lamento, ma senza esitare piu’ a lungo dice:
"T-Tom? Tom morto? Oh no..."- riesce a pronunciare, abbassando lo sguardo.


Alexandra, senza dire nulla, gli tende un abbraccio di conforto. Ben risponde a quell’abbraccio accarezzandole delicatamente la testa e i capelli che le ricadevano sulle spalle in larghe ciocche.
Ray si guarda spaesato, il nastro della cassetta scorre con un rumore costante simile ad un fruscio continuo, mentre i tre rimangono in silenzio.
 
"Vi conoscete?"- dice rompendo quella situazione di imbarazzo nella quale si trovava.
A quelle parole, Alexandra si distoglie da quell’abbraccio per tornare all’attenzione di Ray e lasciare Ben in una triste espressione di sconcerto.
"Suppongo di si, Ray."- dice lui severo.
Alexandra ha le lacrime agli occhi.
"Non posso credere che stia usando la mia macchina per scappare!"- lei stringe i pugni e forse ricorda quando, l'anno prima, il fratello stava ammanettando un socio di Nilsen ad Ottawa. Lui lo prese, lo trattenne con loro poche ore e poi lo colpi’ alla nuca con un revolver.
La donna guarda Ray e Fraser con gli stessi sentimenti che la divorarono al momento della morte di Tom, scuote la testa, si asciuga gli occhi con quel modo a Ray cosi’ familiare, per poi stringersi le mani l’una con l’altra, nervosamente.
 
"Dobbiamo parlare al junkie. Quello che ha rubato per primo l’auto ieri notte: Suoper. Se troviamo Boe arriveremo presto anche a Nilsen, sono scappati assieme. Mi domando come abbia fatto questa volta a mancare il colpo e a lasciarlo in vita..." Alexandra non cede a quei tristi ricordi e, pochi attimi dopo, rivolge di nuovo i suoi occhi verso i due, con ritrovato impeto.
In quel momento, non e’ la morte del fratello il suo dolore piu’ grande, ma la beffa di Nilsen.
Per queste cose, Ray non ha bisogno di spiegazioni.
Sa gia’ sia del junkie e di Boe da Welsh, ed ora Alexandra ha gia’ spiegato di come Boe e Nilsen stanno collaborando.
Ulteriori spiegazioni sono del tutto inutili per lui: e’ ora di entrare in azione.

I tre salgono sulla Riv, caricano anche l’inseparabile Dief che li stava aspettando vicino al piantone, badando bene, pero’, di rimanere all’asciutto.
 Si dirigono in fretta verso l'ospedale.
 
Dief, il lupo, perlomeno mezzo lupo, e’ anche sordo. Tuttavia sa leggere le labbra.
 
Si calcola che l'ottantacinque percento dei Mounties posseggano un lupo.
O, quantomeno, presunto tale. Benton fa parte di questa maggioranza.
Alexandra, invece, che vive piu’ Sud, fa parte del restante quindici: coloro che posseggono una tartaruga da giardino.
 
Alexandra siede sul sedile anteriore, vicino a Ray. Non ha alcun tipo di giudizio verso i due.
Il fatto che dia cenno di conoscere meglio Ben e di essere accomunati insieme da un dolore, non significa molto di piu’. Considerando che Ben sembra non averla mai menzionata in precedenza, non dovrebbe correre buon sangue tra i due, oppure non si sentono da anni.
Ray sta solo facendo il suo lavoro e sembra davvero interessato a quel caso di junkies, apparentemente futile per la gente comune, ma cosi’ importante per le loro vite.
 
Una mano le accarezza la spalla e lei si volta di colpo:
"Al non temere Ray, e’ un buon amico e un bravo poliziotto..."- e’ Ben, lei sembra quasi ritrarsi da quella presa improvvisa.


Ray, distogliendo chiaramente gli occhi dalla strada, si volta indietro verso Ben:
"Al?! siete gia’ cosi’ in confidenza voi due?"- chiede venato di una particolare invidia. Ray ha sempre ambito un po’ al fascino di Ben, questa non e’ la prima volta.
 
Fraser si allontana dallo schienale e si volta verso il finestrino posteriore. Dief emette un ululato d’intesa, nel tentativo di consolarlo.
Alexandra guarda indietro verso il mezzo lupo ed il suo impeccabile amico seduto nel sedile posteriore, forse si aspettava che l'uomo lo correggesse, spiegando come stavano le cose, ma Ben non dice nulla.
Lascia solo andare le braccia ed accenna un’espressione dispiaciuta.
 
"E' strano ritrovarti qui a Chicago Ben, non la trovo una citta’ che ti si addice."- afferma lei con un leggero rancore.
Se solo fossero rimasti ancora amici, forse Tom... Forse..., pensa lei, vorrebbe dirglielo, ma quelle parole non riescono ad uscire dalle sue labbra.
 
"Neanche il tuo abito ti si addice, eh*!"- sbotta lui. I due sembrano essere legati nel compianto di Tom, ma anche distaccati da qualche cosa.
 
"Ma come? Sta cos bene con quel... "- mente Ray, mentre cerca di prendere la parte di Alexandra.
Non capisce come mai un uomo cosi’ gentile come Ben, debba darle contro proprio in un momento cosi’ critico della sua vita, come la perdita di una persona cara.
Poi, non ricorda averlo mai sentito sminuire una sola donna, prima d’ora. Neppure una donna qualsiasi, anche quelle a cui complimenti non potevano essere dati, se non cercando veramente a fondo.  
Va bene: questa Alexandra non sara’ la donna piu’ affascinante e quel vestito e’ troppo banale, ma non c’e’ bisogno di farglielo notare cosi’.
 
Tuttavia, Ben, prima di essere un uomo, e’ un Mounty e non si lascia certo sfuggire nessun particolare. Cosi’, con piacevole precisione, ricorda all’amico:
"Ray, se hai notato, sia la gonna che la giacca hanno delle cuciture strappate. In piu’ ha le scarpe sporche e le punte rovinate. Per quanto, sia la pelle delle scarpe, che il tessuto, non siano rovinati da lavaggi e dall'uso, che denoterebbero una reale vecchiaia del capo.
 
Questo e’ dovuto anche al il fatto che Al, molto tempo fa, non era abituata a portare questo genere di vestiti, e non credo abbia imparato in questi anni. E’ piu’ facile per lei rovinarli.
Da quello che posso notare, poi, ritengo anche che Alexandra abbia corso dietro all'auto e sia rimasta attaccata al tettuccio per almeno un miglio... Ha il... Il colletto sporco di nero..."- continua  Ben osservando quell’ultima macchia, cercando di spolverarla via dalla camicia della donna, ma che risulta per Ray quasi impercettibile.
 
Alexandra lo allontana nuovamente, scostando la sua mano come se fosse un insetto caduto per caso sulla sua spalla.
 
Un’altra cosa si puo’ dire dell’agente Vecchio: conosce bene strade e scorciatoie, la citta’per lui e’ come il palmo della sua mano, non sara’ difficile districarsi nell’ultimo tratto di traffico.
Cosi’, esperto com’e’ al volante, lascia la vista alla strada per lunghi tratti, senza mai perdere il controllo. Certo quando si tratta di investigare in quei modi strani, Fraser e’ quasi imbattibile ed e’ un piacere per lui sapere se anche questa volta, il suo caro amico con i suoi strani particolari, ha indovinato o meno. Sbotta un sorriso verso Alexandra e chiede:
“E’ tutto vero?”
"Piu’ o meno, Ray.”- risponde lei con le sopracciglia aggrottate.
“Ho vissuto nello Yukon per parecchi anni e non e’ che lassu’ si sta tutti i giorni ad indossare una divisa da impiegata.”- continua cercando di spiegare quel legame che i due sembrano avere.
 
“Tom e Ben andavano a scuola assieme, Tom era mio fratello maggiore. Allora eravamo molto legati."- Alexandra si interrompe rievocando quei momenti di tanti anni prima. Alcuni, in realta’, sembrano essere forse troppo infantili o imbarazzanti per essere raccontati apertamente.
 
"Io, Al e Tom abbiamo svolto insieme parecchie escursioni estive: partivamo da Dawson per arrivare nei pressi di Aklavik. I primi tempi eravamo accompagnati dai nostri padri, e gli ultimi anni da soli."- precisa Ben, ricordando anche lui qualche cosa forse troppo immatura per essere raccontata a Ray.

"Eh si, attraversavamo la parte settentrionale dello Yukon fino alla foce del Mackenzie... Praticamente a piedi"- sospira Alexandra sorridendo a quei ricordi, come se fossero stati veramente piacevoli.
Per Ray, l’idea di percorrere da ragazzino cosi’ tante miglia a piedi, nel freddo sembrava invece, ulteriorente dolorosa.
"Ah... Voi da ragazzi, invece di scorrazzare con le macchine dei genitori, organizzare feste di  nascosto, conoscere le ragazze, oppure arrovellarsi su chi invitare o meno al ballo della scuola, attraversate lo Yukon a piedi?"- chiede con falso stupore.
"Uhm... per noi e’ stato cosi’, Ray."- si giustifica Ben.

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Capitolo 3
*** Pt. 3 ***


This last time at Second City.
Pt.3

 

La Riv frena con un celebre sibilo.
Le sospensioni la puntano prima in avanti e poi indietro, facendo sobbalzare tutti quanti.
Ray parcheggia proprio sotto all’ospedale, distintivo alla mano.  
"Su scendiamo!"- esclama ai due stupiti e terrorizzati da quella frenata.

"Ho una cosa da dirvi"- sbotta Alexandra scendendo dall’auto.
“Se e’ solo il mal d’auto, non c’e’ problema, siamo gia’ in ospedale...”- sorride Ray, quasi per sdrammatizzare quel momento cosi’ pesante.
 
"Suoper. Mi dispiace tantissimo dirlo, ma credo di non dovervelo nascondere"- Alexandra esita nel continuare quell’ammissione.
Dief rimane in macchina e i tre si dirigono all'atrio dell'ospedale.
"Non sei rimasta a Chicago per quasi un anno senza ragione: sapevi gia’ tutto. Volevi tendere una trappola a Nilsen"- dice Ben senza guardarla.
Non conosce queste cose d’intuito, ma sa che al suo posto, avrebbe proprio fatto cosi’, e’ interdetto solo da un breve rancore.
 
“Sapevi dov’ero. Un intero anno a Chigago... Mi avresti potuto contattare!”- dice Ben cambiando tono.
“Sono passati piu’ di quindici anni!”- esclama Alexandra stupita da quelle parole.
“Non mi hai piu’ scritto!”- Ben e’ serio ed il suo sguardo deluso.
“Da quando ti sei arruolato, Ben, non mi hai scritto piu’. Che avrei dovuto fare?”- si giustifica la donna.
 
Ben sospira e i due incrociano nuovamente un lungo sguardo, intenso come quella conversazione, prima di essere interrotti da Ray:
“Le vostre storie canadesi, lasciatele pure in Canada! Dicevi, di Suoper?”- chiede serio.
 
"Suoper viveva proprio sopra di me. La prima volta che ho visto Boe non sapevo chi fosse, ma poi ho capito. Credo di aver visto di sfuggita anche Nilsen. Non ho avvertito subito la polizia o il consolato perche’ volevo farcela da sola. Si sarebbe creata una perdita di tempo tra lo scambio della droga e quello dell'auto e ne avrei approfittato per rivendicare la morte di Tom contro Nilsen.
E’ bastato lasciare la macchina aperta e nascondermi. Non ho con me armi d’ordinanza, ma negli Stati Uniti, trovarne una non e’ affatto difficile. Suoper non ha esitato, ma neanche io, come lui, avevo previsto la sparatoria a quella distanza.
Quando sono uscita Nilsen era gia’ al volante e la macchina guidava a tutta velocita’. Non ho potuto fare altro che correre e aggrapparmi."- ammette la donna, ricordando con quei modi, gli stessi di Ben.
 
"E... E dopo sei andata a pagare gli arretrati delle tasse?"- Ray rimane esterrefatto da quelle affermazioni, in quel lasso temporale cosi’ breve, poco prima di averla vista all’ ufficio delle tasse. Al inarca le sopracciglia e fa un cenno di raccomandazione:
"Certo! La sai una cosa Ray?! Quelli ti beccano, ti beccano sempre!"- risponde lei in tono veritiero.
 
I tre arrivano presto nella stanza di Suoper, l’odore di disinfettante e bendaggi e’ molto forte. Le sue condizioni sono ancora critiche. Ray fa vedere il distintivo e vengono lasciati passare, nonostante le gravi condizioni.
L'uomo e’ steso sul letto, ha il petto bendato, fatica a respirare e adesso non sembra riuscire neppure a parlare. Alcuni infermieri si allontanano dalla branda e lasciano i poliziotti soli. Segno che le sue condizioni sono comunque stabili e che non necessitano ulteriori cure.
  
"Lei il Signor John Suoper? Il mio nome Constable Benton Fraser della Reale Polizia canadese a Cavallo, lei l'agente speciale Turner del Reale corpo di polizia dell'Ontario e lui il detective Ray Vecchio"- a quelle parole, il junkie spalanca e muove gli occhi in segno di noia. A peggiorare la sua condizione, piu’ della ferita provocata dal colpo di pistola, sembra la sua astinenza.
 
“Polizia di Chigago”- aggiunge veloce Ray a quella profusione di Reali polizie.

"Uhm, saro’ gentile con lei, signore, non le faro’ del male. Ci dica tutto, se vuole anche lentamente. Penso che loro due..."- indica velocemente gli altri due con un cenno della mano- “...Sono gia’ una sufficiente tortura!”- afferma quelle frasi scherzose, in un tono piuttosto serio. Non sta scherzando: intende veramente quello che ha appena detto: sarebbe stato torturato dalla troppa gentilezza e dai troppi titoli ufficiali.

La voce di John, fuoriesce quasi sussurrata, muove la testa e ansima un po' prima di cominciare a dire qualche cosa:
"Tutto quello che so, e’ che Boe voleva scappare nei boschi a Nord, Nilsen li conosce bene quei posti e si nasconderanno almeno fino alla prossima partita di droga su cui riesce a mettere mano. Forse la Mafia o forse i colombiani o qualcun altro... Non hanno padroni, al momento."- le condizioni dell’uomo sembrano peggiorare, le macchine su cui e’ attaccato incominciano ad emettere suoni ripetitivi, ma i medici tardano ad arrivare.
 
Ray fa cenno agli infermieri di entrare nella stanza dell’uomo, ma subito corre verso l’uscita dove Alexandra si e’ gia’ affrettata a passare. Solo Ben, tarda:
"La ringraziamo infinitamente, e speriamo si rimetta al piu’ presto possibile! Arrivederci!" dice seguendo gli altri nel corridoio dell'ospedale.
 
Alexandra e Ray si fermano solo un secondo, per aspettarlo.
"Quindi sono diretti..."- pronuncia lei rivolta verso l’uomo.
"...In Canada! In qualche posto inaccessibile che Nilsen conosce bene!"- esclama Ray entusiasta di quella scoperta.
 
"Presto. Non abbiamo tempo!”- si affretta Ben incitando gli altri due a correre.
I tre saltano di nuovo sulla Riv e ripartono immediatamente.
Si preparano velocemente prima di partire: Ray da un’ultima occhiata alla Riv, controlla soprattutto olio e benzina, ma anche le gomme, sempre un po’ sgonfie.
Al si cambia in una piu’ familiare giacca di montone, blue jeans ed alti stivali di cuoio. Ora Ray capisce bene cosa intendeva  Ben qualche ora prima.
 
Benton fa scorta di strani strumenti, Ray avverte Welsh della loro partenza, lui non sembra pero’ tanto soddisfatto di quell’annuncio:"Te li sei lasciati sfuggire?!"- dice scettico.
"Avevano una macchina signore, ed erano diretti in un posto chissa’ dove del Nord-America, secondo lei che potevo fare?"- risponde Ray con ampi gesti.
 
"Allora vai se devi andare, pensero’ io ad avvertire le autorita’ di Michigan, Wisconsin e Minnesota, ma fai in fretta! Altrimenti..."- Welsh si interrompe minacciando Ray con uno strano sguardo.
 
... e Dief raccoglie qualche provvista da far scivolare nello zaino di Ben.
 
"Il posto migliore dove nascondersi a Nord sono i boschi. Non dobbiamo permettergli di raggiungere Duluth. Se Nilsen conosce bene la zona e la pioggia continua fino a domani potremmo perderlo nelle prossime ore. Dopotutto da quelle parti non e’ difficile attraversare il confine senza essere visti..."- dice Ben controllando la cartina stradale che maneggia con dubbia esperienza.
Per quanto sia perfetto nell’orientarsi in ambienti desolati e selvaggi, Ray dubita del suo compagno in citta’, oppure su strade ampie e molto trafficate, come l’interstate.
 
L'acqua scende a rivoli sui finestrini della Buik Rivera: i tergicristalli mandano uno strano cigolio e la pioggia non accenna a smettere.
 
Dief, adagiato sulle ginocchia di Ben,  muove le orecchie all'indietro, Al guarda fuori dal finestrino un po' appannato, fa uno starnuto si volta indietro verso Ben e poi al suo fianco, dove Ray sta guidando e portando avanti un discorso fiume:
"Come ho detto, io non capisco e non capiro’ mai che razza di nome sia Tore e che diavolo c'entri il tuo discorso dei colonizzatori islandesi in Canada con il fatto che Tore sia un nome inutile lo sai solo tu. Pero’ ormai ci siamo dentro fino al collo e dobbiamo andare avanti... Ben. Benny?..."- Ray richiama l’attenzionde di Ben, che sembra non rispondere.
La sera arrivera’ presto, ma la pioggia continua a battere.
 
Al sbuffa un pochino: "Siamo in macchina da ore ormai! E voi due non parlate d’altro." – dice rivolta verso Ray.
"Bene. Siamo gia’ in Wisconsin. Abbiamo appena attraversato Kenosha!"- esclama lui soddisfatto in un mezzo sorriso.
 
Al torna a guardare fuori dal finestrino, dentro il suo giubbotto di pelle imbottito, non perde quel suo modo nervoso di stringersi le mani, in cerca forse di una giustizia che non appartiene a Veccho o Fraser, ma solo a lei e non c'entra affatto con tutto il senso di giustizia e correttezza accademico imparato per anni in una stupida scuola di cadetti in divisa.
 
In breve tempo, il suono del motore, quella sorta di rumore uniforme che si viene a creare dai suoi sguardi rassegnati ai discorsi polemicamente inutili e cantilenanti di Ray, la portano ad abbandonarsi con la testa sul sedile della macchina, gli occhi chiusi, il paesaggio che scurisce e cambia lentamente e una nuova realta’.

"Al?! Hey Al?! Ma mi stai a sentire quando parlo?" – la riprende Ray senza successo.
"Al dorme..."- sussurra Ben guardandola in volto.
 "Cinque minuti fa era sveglia!"- esclama Ray cambiando repentinamente il tono della voce.
Ray la guarda per un attimo, le sue mani ora mostrano i loro palmi e la tensione apparentemente svanita.
 
“Sono decenni che non vi vedete.”- afferma Ray sotto voce, riferendosi al rapporto strano che correva tra Al e Ben.
“E’ vissuta a Chicago per un anno e non ha nemmeno cercato di contattarti?”- chiede a lui, cercando di non svegliarla.
Ben non risponde, ma si lascia andare con la schiena sul sedile e sospira ricordando qualche cosa che li aveva allontanati tempo prima.
“Non dirmi che tu e lei...”- continua Ray, abbastanza curioso di conoscere quei particolari, al momento irrisori.
 
Ben non sembra, pero’, cosi’ desideroso di rivelare tutto.
"No Ray."- dice sommesso.
"Neanche..."- incalza lui.
"No Ray."- la voce di Ben ricala rassegnata.
"Solo un..."- Ray non si da per vinto.
"No Ray."- conferma ancora Ben.
Ray non puo’ credere alle sue orecchie. Se fosse stato lui, al posto di Ben, forse la cosa sarebbe risultata plausibile. Un semplice sorriso dai denti dritti e bianchi, leggermente troppo lunghi nella bocca forse troppo larga, avrebbe potuto essere un motivo di rifiuto.
Quello e’ Benton Fraser: nessuno gli dice di no.
Senza neanche pensarci, comincia ad elaborare una scusa:
"Perch tu..."- dice trovando le parole.
Ben sospira e la guarda dormire:
"No."- risponde ricordando quei momenti trasognato.


"Vuoi dire che lei ti ha detto di no? Benny? E' la prima donna della tua vita che ti abbia detto di no? Questa si che una notizia! Finalmente una donna che non sia caduta agli stivali di cuoio dell'aitante Benton Fraser! Ora si che avro’ di che parlare alle cene coi colleghi!"- Ray sorride, pensando a quella storia rara e affascinante, che avrebbe potuto riempire con dettagli piu’ o meno creativi.
 
"Ray... Eravamo due ragazzini! E’ passato tanto tempo... Credo fosse il nostro sesto anno di campeggio sul Mackanzie. Forse non avevo neppure sedici anni. Quell'anno Tom torno’ indietro prima, Al era anche piu’ giovane di noi. Tuttavia, diceva di potercela fare da sola. Cosi’ rimase con me, in quel momento ho capito che era cresciuta: era diventata forte ed indipendente. Una sera stavamo tutti e due vicino al fuoco aspettando di addormentarci, e le parlai, lei arrossi’ e disse che era ancora troppo presto.
Quell'inverno la sua famiglia si trasferi' nell'Ontario.
Ci siamo scritti per diverso tempo, quell’episodio lontano non fu mai piu’ rievocato. Almeno fino a quando mi sono arruolato anni dopo."- racconta Ben, appena sopra il suono del motore. Non avrebbe certo voluto farsi sentire da Al mentre pronuncia quelle parole.


Ray guida a velocita’ regolare. In silenzio e pensa alla storia dell'amicizia tra Ben e Al cosi’ triste: tre amici inseparabili si dividono per quasi una ventina  d'anni e quando si riuniscono, uno dei tre e’ morto e gli altri due stentano a riconoscersi l'un l'altra, nei loro nuovi panni.
 
 Dall'altra c'e’ lui e il suo lavoro, che si incrocia con la vita privata di lei.
Incuriosito, dalla mattina alla sera, di quella donna fatta di piccoli gesti, di grazie, di sguardi e di assenze, di vendetta e di gentilezza.
Si sente un po’ stanco. La notte e’ ancora lunga.
 
"Benny?! Ti va di guidare?"- chiede rassegnato. Vorrebbe dormire, ma la fiducia in Ben come guidatore e’ piuttosto scarsa: deve rischiare.

"Va bene Ray..."- afferma con ritrovato orgoglio Ben. Adora guidare.
 Si chiede spesso perche’ Ray non gli affidi quasi mai il volante quando sono in macchina. Mentre tutti gli altri, si chiedono se e quando mai abbia preso la patente in vita sua.
 
Dief alza la testa e fa un rumore simile ad un guaito.
"Non temere Dief, fidati di me!"- risponde lui sereno, ma le auto non sono come i cavalli o le slitte trainate da husky.
 
Ray assiste alla scena con l'aria di uno che sa di non rivedere piu’ la sua macchina integra.


C'e’ infatti da specificare che il diciotto percento dei Mounties che vive tra lo Yukon e i territori di Nordovest, a meno che non si sia casualmente trasferito a Chicago per questioni personali, ha avuto a che vedere mediamente con dieci veicoli, escludendo le slitte trainate dai cani, in tutta la sua carriera professionale.
 
Di questi dieci, solo tre potrebbero definirsi propriamente autovetture.
E nessuna di queste avrebbe mai potuto materialmente infrangere i limiti di velocita’.
 
Una volta nel sedile posteriore, Ray prova a tenere d’occhio il volante, sotto la sua dubbia guida, ma si addormenta velocemente appoggiato alla schiena della bianca pelliccia Dief, dall’odore incerto.
L’animale si scosta irritato, lasciando la testa cadere sul sedile.
 
Quella che deve percorrere Ben, e’ l'ultima parte dell'Interstate prima di Duluth.
 Ray ed Al ora dormono e Dief alza leggermente la testa, tirando indietro le orecchie.


"Tom era un brav'uomo ed e' morto ingiustamente"- dice un uomo anziano dai capelli bianchi, comparso dal nulla, proprio a fianco di Ray. Anche lui porta l’uniforme.
 
"Ah sei tu, Pap?"- chiede Ben mentre guida proteso in avanti.
 
Si calcola che solo tre Mounties su mille riescano a parlare con il fantasma immaginario del proprio padre. L'effetto si verifica specialmente se egli, a sua volta, era un Mounty.

"Mi ricordo della famiglia di Al, sembrava brava gente. Mi sono sempre chiesto come mai si trasferirono. Alexandra lo e’ ancora, vedo.”- dice guardando Al muoversi leggermente nel sonno-“ Ho sentito Tom."- continua rivolto verso a Ben.

"E cosa ti ha detto?"- chiede Ben affatto perplesso o spaventato. Pap va e viene quando vuole. Un bel modo per ricordarlo ancora in vita e non sentire troppo la sua mancanza.

"Ha detto che gli dispiace di non aver potuto vedere ne te e ne Al prima di morire. Non avrebbe mai voluto vedervi cos lontani, ma sta bene."- dice con un sospiro.
“Se lo dici tu, Pap.”- afferma Ben serio.
 
L'uomo guarda Al dormire con i suoi palmi aperti e la testa appoggiata tra finestrino e sedile.
 "Non la trovi adorabile, figliolo?"- dice con un sorriso d’intesa al figlio.
 "Pap: sono passati quasi vent’ anni, come puoi pensare che io..." – Ben lo rimprovera subito.
 
Al era tutto quello che avrebbe potuto sognare, allora, vent’anni prima, nello Yukon. Una ragazzina dai capelli dritti e le guance rosse. Ora Al non era piu’ la stessa ragazzina.
 
E’ lui, soprattutto ad essere cambiato.
Qualcun’altra c’era stata dopo di lei, in tempi d’amori piu’ maturi e passioni travolgenti, una donna che non avrebbe mai potuto essere sua e che pure per un attimo lo era stata...
 La voce di Fraser Sr. discosta Ben dal pensiero di quei lunghi boccoli neri, le guacie bianche ricadere sul suo petto e dita magre avvinghiare le sue braccia alla luce di mille candele.
 
"Beh lo sai! Prima di ritrovare tua madre e sposarla passarono piu’ di 10 anni..."- dice alzando le spalle.
"Era un'altra cosa..."- il tono di Ben si fa piu’ serio.
"No che non lo era!"- risponde.
"Piantala!"- Ben sembra veramente irritato.


"Ah... anche tua madre mi ha fatto aspettare tanto..."- sospira Fraser Sr, guardando da un’altra parte.
"Mh... Aspettare cosa?"- chiede ingenuamente Ben.
"Lasciamo perdere... E comunque io la trovo adorabile e sarei molto contento se fosse mia nuora. Se potessi scegliere per te..."- sussurra di nuovo Fraser Sr, ma Ben non vuole sentire quella discussione un minuto di piu’.
 
"Pap!"- sbotta severo, mentre la figura di lui sparisce nella foschia e l’alba di un nuovo giorno sembra arrivare all’orizzonte.

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Capitolo 4
*** Pt.4 ***


 
This last time at Second City.
Pt.4


L'auto frena bruscamente davanti al cartello con le indicazioni per Duluth.
Ray viene scaraventato in avanti, Al apre gli occhi stordita.
 
"Mi dispiace immensamente..."- dice Ben imbarazzato. Distogliendo il particolare della sua conversazione con Pap.


"Siamo a Duluth. Accendi la radio..."- gli ordina Al, strofinandosi gli occhi e guardando Ray.
“Dovevi svegliarmi, Ray, sono io quella che e’ vissuta tra la gente piu’ anni!”- dice lei, presumendo di come le abilita’ di Ben si limitino molto in campo stradale.
 
Ben e Ray accendono la radio in attesa di notizie da parte degli altri colleghi.
 
"Qui Vecchio, seguiamo una Crysler nera del 1990 targata Illinois, mi sentite, passo?"- dice a voce alta, seduto ancora sul sedile posteriore.
La radio gracchia un pochino ed una voce risponde.
"Qui la mobile 56: no, abbiamo avuto la segnalazione da Chicago sette ore fa e non abbiamo ancora segnalato posti blocco. Ancora niente, chiudo!" – la radio si ferma bruscamente in uno strano silenzio.
Al piega la testa in avanti poi guarda Ray:
"Dobbiamo andare avanti ed in piu’ il confine non e’ lontano!"- dice determinata.
“Dannazione!”- dice Ray, mentre sbatte il microfono sul cruscotto con violenza.
Gli altri due lo guardano fino a che non si ferma e si accorge di essere osservato: lancia un'occhiata prima a Ben poi ad Alexandra.
"Beh che c'e’?"- chiede sorpreso fermandosi del tutto.
"Stai... Stai rompendo mh... La radio. Una volta rotta, non potremo mai sapere se Boe e Nilsen sono passati di qui. Lo sai questo, vero?"- chiede Al alzando le sopracciglia.
"Non sono passati di qui..."- dice Ben aprendo il finestrino ed annusando l’aria attorno a lui.
"Come?!"- chiede Ray perplesso da quella vista.
"Mh...possibile. Se fossero passati di qui, quei poliziotti l'avrebbero vista..."- riflette Al, facendo le stesse mosse di Ben.
 
Ray li guarda stupito a destra e a sinistra: "Adesso non mi direte che..."- pronuncia lamentandosi, ma viene interrotto da Al.

"Hey guardate li’ quella e’ la mia auto!!"- Al indica la Crysler al lato della strada che sta sfondando il guard rail in direzione dei boschi circostanti, con relativo successo. Non si cura affatto dell’auto cosi’ maltrattata. Ben rimette in moto e la segue in direzione degli alberi verso una strada sterrata.
 
"Che diavolo fai!”- strilla Ray battendo una mano sul sedile anteriore –“ Questa e’ la mia auto! Sai quanto costa cambiare le sospensioni in una Rivera? E ricromare il paraurti?"- chiede drammaticamente.

"Non dirmelo! La tua macchina non ha mica sfondato il guard rail!"- lo riprende Alexandra, cercando di lasciare Ben guidare avanti tra gli alberi, per qualche metro, fino a che l'auto urta in un cespuglio e si ferma: non riesce piu’ a metterla in moto.
"Non parte..."- spiega Ben preoccupato.
 
"Lo so..."- risponde Ray visibilmente atterrito.
"Mi dispiace"- sussurra lui, forse riferendosi piu’ ad Alexandra che a Ray e la sua Riv.

Al e Ray lo guardano perplessi, Al prende la radio e cerca di contattare qualche altra volante.
 
"Qui Turner siamo fermi in un bosco del, confine mi sentite?" – dice a voce alta, il suono rimbomba nei finestrini e nei timpani dando un leggero fastidio.
La radio gracchia qualche cosa, ma non si sente niente. Alza gli occhi verso Ray, non ha paura delle prime luci dell'alba in quel bosco dove scende una prima neve autunnale, a qualche miglio dal Canada.
Seppur con lentezza, Fred e Nilsen li hanno superati e li stanno seminando.


"Ray ascolta: non possiamo stare dietro alla tua macchina, dobbiamo scendere e continuare a piedi. Ora non ti arrabbiare, la torneremo a prendere... Ok?"- Alexandra mette insieme la voce piu’ delicata che puo’, cercando di calmare i nervi di Ray, decisamente provati dallo stato della sua auto. Lui non risponde subito.
 
"Ray... Ray stai bene?"- lo riprende Ben, notando quello strano silenzio.
Ray rimane impassibile, almeno fino a quando un proiettile infrange all’improvviso il finestrino della Riv, che si stacca e cade a pezzi, seguito a raffica da un'altra serie lanciata da un'arma automatica.

I tre scendono dall’auto con cautela usandola come scudo contro i proiettili via via piu’ radi. Segno che i criminali si stanno allontanando.
Al comincia a rispondere al fuoco, anche Ray comincia e finalmente riprende la parola:
"La Riv, la mia Riv... quei bastardi..."- dice a voce alta alzando la testa.
"Sta attento, quelli sono armati fino ai denti!!"- Alexandra lo tira verso il basso, mettendogli una mano sulla testa e riabbassandolo sotto lo sportello.
"Tu non sai quanto costa aggiustare vetri e sportelli in una Riviera vero? No, non lo sai altrimenti non saremmo qui, in mezzo al bosco a farci scudo con la mia auto!"- esclama lui protestando e prendendo la mira in direzione dei proiettili.

Gli uomini smettono di sparare e scappano in auto, Ben e Al cominciano a correre piu’ velocemnte, seguiti da Ray e Dief.
Sembra impossibile continuare quel percorso in automobile, ma i due, abbastanza atletici e veloci, sembrano abilmente riuscirci.
All’improvviso, Al inciampa in un ramo, ma Ben non se ne accorge subito e si trova da solo all’inseguimento dei due uomini.
Pocopiu’ avanti, Ben scopre l'auto piantata in un albero e le loro tracce fresche nel fango.
Si muovono piu’ lentamente di lui, quindi  e’ facile raggiungerli.
Riesce a prendere Boe per una gamba e a bloccarlo, avrebbe poi preso un braccio ed immobilizzato fino all’arrivo di Ray, ma non continua perche’ c'e’ Nilsen alle sue spalle, che gli ha gia’ puntato la pistola alla nuca.
***
 
In breve tempo, Ray trova Al per terra nel bosco che si sta rialzando, le porge le mani, ma lei salta subito in piedi e si pulisce la giacca dalle foglie.
Si guarda attorno: "Stai bene Al? Dov' Benny?"- chiede Ray affannato.
"Benny ..."- sussurra Al, ma e’ interrotta.
Si sente un'esplosione e si vedono le fiamme non molto lontane .
 
"Oh no! Corri, andiamo!"- dice Ray correndo dietro a Dief che abbaia in quella direzione, ma quando raggiungono l'auto di Al, questa e’ gia in fiamme, poco avanti Dief sulle rive di un ruscello con in bocca il cappello della divisa di Ben.
 
La donna si guarda attorno e nota alcuni particolari, prima di voltarsi verso di lui gridando: "Sono vivi, Ray!".
 
Nel bosco l'aria e’ umida e non si sente nessun rumore, anche la neve ha smesso di scendere quasi subito, e’ solo un velo bianco indistiguibile.
"Lo hanno preso..."- dice risoluta.

"Come lo hanno preso? Che se ne fanno di un Canadese svitato come ostaggio?"- chiede Ray perplesso.
"Tecnicamente nulla... Ma ho il timore di credere che fino a quando Nilsen e Boe lo terranno con se, io e te non potremo fargli nulla.
Cosi’ Nilsen ha fatto anche con Tom, ma io ho chiamato rinforzi e quando la polizia li ha trovati quello ha fatto subito fuoco ed e’ fuggito approfittandosi del fatto che sapeva esattamente come mi sarei distratta ad assistere Tom.
Ray: dobbiamo seguirli!"- Alexandra rievoca la storia velocemente, sempre con molto dolore.
 
 "Come seguirli? Non abbiamo niente! La radio e’ fuori uso, niente coperte, niente mappe..."- Ray teme quell’idea.
"Ma io ho i cerini! Su andiamo!"- dice lei senza guardarlo scuotendo la scatoletta nella sua direzione.
 Ray comincia a camminare dietro di lei: "Ma dalle vostre parti siete tutti cosi’ o e’ solo prerogativa della gente dello Yukon?"- chiede sospetto.

I due ed il lupo guadano il ruscello guidati da Dief e continuano a camminare, al freddo, nel bosco, per parecchie ore.
E’ qui che Ray spicca molto di piu’ nel suo trench di citta’. Tuttavia e’ relativamente magro ed agile, quei terreni per lui non sono una comodita’, ma nemmeno un problema insormontabile. Certo tenere d’occhio Alexandra nel suo ambiente naturale, non sara’ cosa facile.


Ray sbuffa: "Al... Dove stiamo andando? Sai che comincio ad avere freddo?"- dice stringendosi nel trench, buono per la pioggia ma non per il freddo.
Alexandra si volta indietro con fare pensoso: "Sto seguendo Dief, ma qualche cosa mi dice che ha perso le tracce".
Dief si accovaccia nel mezzo del sentiero e li guarda mugugnando.
"Ho capito Dief, ci penso io"- risponde lei a quel lamento.
 
A quanto pare, e’ una cosa comune, tra i Mounties, parlare coi lupi.
 
Al comincia ad annusare l'aria attorno a lei, e a guardare le cortecce degli alberi da vicino. Ray sospira tra se, e scuote la testa guardando Dief: "Non ce ne bastava uno..."- conclude sommessamente rivolto all’animale. E’ sordo, ma sa leggere le labbra, dicono.
Al continua a caminare indisturbata da quelle parole, sembra quasi che non lo stia neppure a sentire. Ray e il mezzo lupo la seguono.
 
"Mh..."- mugugna Al.
 "Trovato qualche cosa?"- chiede Ray guardando la punta delle sue scarpe.
"Mh... mh..."- risponde lei.
"Non mi piacciono i canadesi quando dicono Mh..."- la rimprovera Ray.
"Mh..."- annuisce.
“Ah... Maledizione! Alexandra!"- dice lui lamentandosi di quei modi che conosce troppo bene.
 "Guarda che ho trovato Ray!"- esclama lei come illuminata da una strana traccia.
"Un diapason?"- Ray stringe gli occhi e arriccia il naso, sospetto.
"Non un diapason come tutti gli altri!"- lo riprende lei con un accenno di entusiasmo.
 
"Ah no?"- risponde lui in finto stupore.


"E' un diapason da taschino..."- specifica lei, tenendo conto delle piccole misure dello strumento.


Ray la guarda senza parlare.
Al raccoglie lo strumento e si guarda attorno.  
Ray si lamenta di nuovo di tutte quelle stranezze:
"Chi diamine si porterebbe un diapason da taschino nei boschi?! Ben?"- si sorprende ricordandosi tutti i suoi strani strumenti ed i suoi modi piu’ o meno investigativi.
 
"Gia’. Devono essere andati da quella parte! Ma ormai e’ quasi buio... Non possiamo andare piu’ avanti"- dice lei sicura.

“E adesso?"- chiede Ray, lungi dal vedere un albergo in qualsiasi direzione si voltasse.


"Su Ray! Non fare quella faccia! Adesso troviamo una soluzione. Innanzi tutto ci vuole qualche cosa da mangiare e un fuoco..."- Al fissa Ray negli occhi e punta la pistola dietro di se ammazzando in fretta un coniglio selvatico.
Ray la guarda stupefatto:
"Hey Hey Hey piano con quella! Se fai cosi’ ci sentiranno!"- la rimprovera.
"Si, voglio rassicurare Ben, credo che se sapesse che lo stiamo seguendo, ci lascerebbe piu’ tracce. Tieni i cerini, accendiamo un fuoco!"- ammette Alexandra.
 
Ray si scalda tra le fiamme mentre Al cucina i pezzetti di carne del povero animale, la guarda mentre Dief mordicchia i resti.
"Ne vuoi un po'?"- chiede Alexandra afficinandogli un fuscello.
Ray guarda lo spiedo a cui e’ attaccato un pezzo di carne animale. Ha ancora in mente la scena di quando Al lo ripuliva dalla pelle e dalle interiora e, come un brivido, sta per dire di no, povera bestia, ma non mangia da piu’ di un giorno e l’odore di quella carne arrosto e’ gia’ invitante.
"No io n...Eh..."- balbetta confuso dalle immagini che scorrono nei suoi occhi, contrastanti con l’acquolina nelle sue papille.
 
Al tende lo spiedo ancora piu’ vicino e Ray non puo’ piu’ dire di no. In fondo e’ un po’ come andare in campeggio.
I due stanno in silenzio mentre i rami del fuoco bruciano, Al sorride e accarezza Dief.
"Grazie coniglio! La tua morte non stata vana..."- sussurra lei, forse in ricordo di una lontana preghiera indigena.
 
"Ma tu non fai come Ben? Non mangi... le ...euh ...ecco..."- sparlotta Ray, a bocca piena, non riesce neppure a pronunciare quella parola con qualche cosa in bocca.
"Le larve dici? No, non mi piacciono. Sono ricche di vitamine e proteine, ma di solito lascio che le mangino gli altri..."- si stringe le ginocchia al petto e guarda Ray.
 
Con la testa un po' piegata, Alexandra ricomincia il suo gioco degli sguardi, si ferma su tutte le pieghe del volto di Ray, su tutti i piccoli particolari, il bel mento, il naso strano e gli occhi un po'stanchi dal colore particolare, chiari come il muschio vecchio o le nocciole verdi. Scendono sulle mani e le ginocchia magre coperte dal suo trench grigio.
Un uomo di citta’, che si lamenta come un italiano, ma alla fine della giornata e’ orgoglioso di quello che ha fatto e non ha paura di dormire nei boschi.
 
Quello sguardo profondo mette Ray in imbarazzo, il fuoco cala un poco ed il freddo del bosco, in autunno comincia a farsi sentire. Ray distoglie i suoi occhi da quelli blu di Al; scende sul naso dalla punta arrotondata tra le guance rosse, sulle mani un po' rovinate, sulle ginocchia piegate e i jeans sporchi di fango, fino al fuoco dalla fievole luce, mette dell'altra legna, ma presto finira’.
 
"Vieni qui"- dice lei risoluta. Non c’e’ suadenza o spudoratezza in quello che sembra un ordine.
"Cosa?"- chiede lui ritornando alla realta’.
"Avvicinati. Sai che la legna sta per finire e abbiamo camminato per tutto il giorno, ci converrebbe allontanarci domani mattina.
Dobbiamo stare vicini: per il freddo e per gli animali."- Alexandra a quelle parole e’ seria ed obiettiva, ma Ray ha piu’ paura di Al che degli animali dei boschi o del freddo autunnale.
 
Potrebbe volentieri avere a che fare con tutte le donne di Chicago, ma una Mountie che ha gia’ rifiutato un uomo bello come Ben, forse non e’ considerabile come donna alla sua portata.
Non puo’ negare un certo interesse, ma sa gia’ che una canadese che ammazza conigli senza guardarli e salta sui tettucci delle auto in corsa non ha molto in comune con uno come lui. Meglio evitare inutili equivoci.
Non avvicinandosi, da ad intendere ad Alexandra un suo rifiuto.
"Ok, allora vado a predere dell'altra legna. Dief mi raccomando tienilo d'occhio..."- dice lei rivolta al lupo, affatto turbata dalla sua espressione.

Al ritorna dopo quasi un'ora, il fuoco quasi spento e Ray addormentato, lo ravviva con la nuova legna e si affianca a lui e Dief.
 
E' l'alba, quando Ray sente qualche cosa di caldo e umidiccio sulla sua faccia, Dief.
Sente anche tanto freddo e umido. Di fronte a lui, ma qualche cosa, dietro di lui, lo tiene fermo.
Un respiro sul suo collo, ha le ossa rotte da quella nottata per terra.
Notando il calore provenire dalle sue spalle , apre gli occhi e si volta indietro. Le falde del giubotto di montone lo coprono in parte, mentre Al e’ ancora appoggiata a lui: le guance rosse dal freddo, i guanti di pelliccia che ricordava averle visto appoggiare sul cruscotto della Riv, ora le coprono le mani chiuse in pugno appoggiate su uno dei suoi fianchi. Le sposta, senza che lei se ne accorga, emette solo leggero lamento, come se stesse ancora sognando.
Ray si china su di lei, al timore si e’ sostituito un senso di dolcezza.
Accennerebbe ad un tenero sorriso, ma Alexandra apre gli occhi istantaneamente, ed e’ in piedi in un attimo.
"Buon giorno Ray! Su forza andiamo!"- dice Al rimettendosi la giacca che li copriva e gli porge la mano per alzarsi.
 Lui la prende senza pensarci troppo. Scricchiola un po' e si stiracchia. Con Dief di nuovo in testa, ricominciano subito a camminare.
 
Alexandra va a passo svelto, deve seguire Dief, ma non solo. Sta cercando qualche altra traccia di Ben e sperando che sia riuscito a mettere in difficolta’ i due uomini. 
Ogni tanto si volta indietro per vedere se Ray la sta ancora seguendo, ha il passo rallentato e gli occhi un po' spenti.
Forse sta ancora pensando alla Riv o al fatto che invece di seguire Nilsen e Boe avrebbero potuto facilmente ritornare a Duluth e lasciare l'inseguimento a qualcun altro, invece di imbattersi loro stessi, in mezzo ai boschi e senza mezzi.
 
Se Ben ed Al non si fossero messi in quell’inseguimento...
Al rallenta il passo e gli prende un braccio.
 
"Ray e’ vero: non abbiamo niente, abbiamo anche pochi proiettili e la cosa migliore sarebbe uscire da questo bosco e cercare rinforzi. Vedi laggiu’?"- chiede indicando un sentiero battuto abbastanza lontano e continua- "Quel sentiero sicuramente potrebbe portarci ad un centro abitato, potremo sicuramente chiamare rinforzi e, se non avessero preso Ben, ti giuro che lo avrei fatto. Dopotutto la mia spietata vendetta contro Nilsen non ridarebbe certo la vita a Tom. Ma io conosco Nilsen e lui conosce me: so che lui lo uccidera’ se vedra’ nuovamente la polizia, e lui sa che ci ha in pugno se tengono vivo Ben!".
 
Ray guarda il sentiero e il suo viso serio, le mani di lei sulle sue spalle, il suo respiro caldo sulla faccia, sente come una sorta di forza provenire da lei ed animarlo. Ricominciano a camminare dietro a Dief, fino a che Alexandra si ferma esaminando un albero:
"Al...?"- chiede Ray da lontano.
"Si Ray?"- si domanda la donna.
"Che succede? Perche’ ti sei fermata?"- chiede lui.
"Vieni, guarda tu stesso"- conferma Alexandra, sapendo che quel segnale era riconoscibile anche da lui.

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Capitolo 5
*** Pt.5 ***


This last time at Second City.
Pt.5

 
 
Un coltello da tasca e’ piantato sul tronco.
 E’ relativamente grosso ed affilato.
Alcune incisioni sul manico di legno, ricoperto da qualche lista dorata, sembrano inuit.

"E' il coltello di Benny! Non se ne separa mai..."- esclama Ray, trovando in quel gesto del coltello piantato nel legno dell’albero, l’idea di Ben non molto lontano ed ancora vivo.
 
"Credo sia un regalo di suo padre... Ben lo adorava. Guarda ne ho uno identico!"- Al lo tira fuori dalla tasca e lo mostra a Ray, la fattura e’ molto simile, solo le incisioni differiscono di poco.
 
“Era il primo anno che partivamo da soli. Quell'anno il signor Fraser ci regalo’ un coltello simile a tutti e tre!"- sorride mentre osserva l’arnese.
 
"Era un brav'uomo. Dev’essere stato un duro colpo perderlo.”- disse rievocando il dolore della perdita di Tom. 
“Amava suo figlio. Come tutti i padri del resto. Non trovi Ray?"- continua Alexandra maliconicamente. Ray non risponde subito. Quella sembra solo una domanda retorica, ma era una questione che, di solito, lo lacerava.
 
D’istinto, per rassicurarsi, Ray cerca nella sua tasca quella vecchia stilografica.
E’ ancora li’. Non lo abbandona mai, al contrario del suo originale proprietario.
 
"No Al. Non ho mai trascorso molto tempo in compagnia di mio padre. Stava solo al biliardo e a bere. La sua morte non mi ha ne’ sconvolto, ne fatto soffrire di piu’ di quando era in vita.”- dice tra i denti.
Ray non vuole ricordare quelle cose.

"Mi dispiace. Anche mio padre beveva parecchio e per anni ho sempre pensato che io e Tom fossimo solo un fastidio per lui, ma mi sbagliavo.
Lui ci voleva molto bene, non riusciva a dimostrarcelo, e l'alcool lo allontanava ancora di piu’... E' il male di vivere che ci rende agli occhi degli altri quello che non vogliamo essere. Sei una brava persona Ray, tuo padre sarebbe orgoglioso di te, non sentirti odiato solo perche’ sei uno sbirro!"- Alexandra accenna un sorriso di compassione. Sa quello che significa.
 
"Ben diceva che quando andavate in campeggio d'estate..."- Ray rievoca le parole di qualche giorno prima, ricordandosi di come dicesse che passavano tanto tempo nella natura.
 
"Ben non ha mai conosciuto mio padre, ma mio zio..."- afferma lei con leggera sincerita’.
Ray fissa il terreno, imbarazzato dalla domanda che le ha appena posto.
Forse quelli non erano affari suoi, ma adesso avevano anche loro qualche cosa in comune.
Un segreto da non rivelare a Ben.
 
"Andiamo!"- lo incita lei -"Comunque penso che non siano lontani, dobbiamo proseguire da questa parte"- continua camminando.


C'e’ un silenzio pesante nell'aria.
Forse dettato dalle ultime frasi di Alexandra.
 
Si sentono distintamente i loro passi sulle foglie fredde.
Ray continua a guardare per terra.
Al si volta indietro: c'e’ qualche cosa di strano adesso nell'aria.
 
Come un odore di polvere da sparo, legna bruciata e sangue, che sembra ora scaldarsi, come se in quel punto gli animali fossero scappati, e ci fossero state delle persone da non piu’ di tre ore. O forse erano ancora nei paraggi. Al si guarda attorno.


"Vedi qualche cosa Ray?"- chiede a voce bassa.
"Mi sembra di no... Ma cos'e’ questo strano odore?" – dice lui annusando per la prima volta l’aria.
"Boe non e’ cosi’ tanto esperto di vita nei boschi, sembra. Qualcuno sta tenendo acceso un fuoco."- gli ricorda Alexandra.
"Non siamo lontani..."- afferma lui con concentrazione.
"No... Tieniti pronto, guarda laggiu’!"- Al indica un punto piu’ rado all’orizzonte: la frontiera.

I due ed il lupo si avvicinano. Il confine canadese, in quel tratto di bosco e’ solo un filo metallico non custodito.
"Ah! E cosa succede dopo quella riga?"- chiede Ray aggrottando le sopracciglia.
"Niente di interessante. Saremo nella mia giurisdizione: saro’io da li’ in avanti a catturare i criminali!" – risponde Al mentre cammina lentamente tra gli alberi, cerca di fare il meno rumore possibile.
 
Ray le copre le spalle, ormai e’ questione di metri: l'odore si fa sempre piu’ acre.


Ancora qualche metro tra gli alberi fitti e Al si ferma, fa cenno a Ray di fare piano, mentre Dief si accovaccia.

"Sono li’ dentro!"- Ray indica il rifugio a pochi metri, appena visibile, coperto quasi totalmente dagli alberi.
 
Al si tiene per un attimo al suo braccio in assoluto silenzio, dal silenzio di qualche mattina prima sembra provenire Alexandra e in quel silenzio vive il momento: lui, la barba lunga di due giorni, le ossa indolenzite e le mani ruvide dal freddo. Percepisce quella vicinanza.
 
L’odore di citta’ e di marmitta della Riv e’ ormai nascosto da quello delle foglie e del muschio sul quale giaceva il suo trench.
C'e’ qualche cosa che li tiene fermi dietro a quell'albero a pochi passi dalla meta; c'e’ qualche cosa che li attrae in quel silenzio.
 
Ray non esita a baciarla. Le sue labbra sanno di guazza mattutina e di fuoco campestre. Odora di quel bosco e di corteccia verde.
Sono cosi’ diversi, i loro ambienti naturali sono cosi’ lontani.
E poi c’e’ sempre stata un’altra nel suo cuore.
La sua aria e’ rinchiusa ancora, religiosamente, nella Riv. Prende tutto lo spazio, come se non si potesse permettere di amare ancora.
Eppure lei ha una nuova vita, un nuovo amore. Sicuramente non troverebbe niente di male se incontrasse una donna come Alexandra.
Si presenterebbe educata. Le stringerebbe la mano, la rassicurerebbe con un pacifico sorriso e le presenterebbe suo marito con fare accomodante. Com’era sempre stata.
La stringe a se con passione, in modo da sollevarla da terra qualche centimetro. Non puo’ fare a meno di notare le sue guance rosse e la sua brutta frangia scompigliata, gli occhi chiusi in quel dolce silenzio.
Il suo nome suona romantico quando sussurrato da lei.
 
Teme che quell’attimo possa finire cosi’ in fretta.
E’ solo un addio tra due anime appena incontrate.
Alexandra non si ritrae.
Quell’emozione li congiunge in quell’attimo.
Sembra chiaro per lui che di una come Al non si possa fare a meno.
Se potesse concederselo, troverebbe sicuramente spazio nel suo cuore per lei.
 
Ma cosa ne sara’ di lei una volta catturato Nilsen?
Una volta che Ben verra’ liberato, forse potrebbe farle la corte come ai vecchi tempi?
Vuole che lei sappia quello che sta provando, e che il non ritrarsi fosse come il segno del fatto che anche a lei voglia comunicare la stessa cosa a Ray.
Dief morde il soprabito di Ray e i due ritornano alla realta’, al bosco, al rifugio a pochi metri e a quell'acre odore di fumo.
Si rimettono presto in cammino verso quel rifugio.
 
***
 
Ben rinviene con un po' di mal di testa, ferito ad una gamba.
La solita gamba.
E' legato e imbavagliato.
Boe e Nilsen gli danno le spalle e stanno accendendo un fuoco, ma non li teme: origliano chiaramente, ha sentito dei passi nel bosco qualche minuto fa e anche se non ne e’ sicuro, rimane convinto che si tratti di Ray, e la cosa migliore da fare e’ aspettare: perche’ Ray arrivera’ e sfondera’ quella porta, pistola alla mano, i due saranno distratti.
Avra’ il tempo di liberarsi.

Se invece Ray non arrivasse, la sua vita forse sarebbe finita in un proiettile di Boe.

Nilsen si volta verso di lui con una bottiglia in mano:
"Hei giubba rossa! A me non piacciono i Mounties... Tu non sai che fine ha fatto l'ultimo che mi e’ passato tra le mani? Quell'idiota della sorella sta ancora scrostando le sue cervella dal muro... Hehe..."- dice voltandosi verso Boe, ridendo quasi sereno.
 
Boe sembra non cogliere la sottile ironia e rimane in silenzio. E’ uno spacciatore di citta’: un pezzo abbastanza grosso da non consumare quella roba, magari solo un po’ di coca per tenere il ritmo, ma riesce a venderne molta di piu’, per fare profitto.
La vita nei boschi e’ l’ultimo dei suoi pensieri.   
"Se le cose stanno cosi’, perche’ questo lo tieni vivo?"- chiede Boe perplesso, giocherellando con il calcio di un fucile.
Nilsen sorride: "Fred! Ci divertiremo un sacco in Canada! Un po' di freddo ma... Va bene cosi’! Se questo soldatino rimane vivo, quell’altra che ci e’ alle calcagna ci penser due volte prima di chiamre rinforzi... Hehe...Hehe! Glie ne ho gia’ fatto fuori uno... Di Mounty!"- la risata e isterica e l’incoerenza di Nilsen spaventano un po’ Boe, che non giudica troppo il suo agire. Dopotutto hanno un obiettivo in comune. Meglio tenerlo buono.
 
Nilsen si avvicina a Fraser che sta seduto a terra e gli sferra una serie di calci, Ben geme tra i denti, ma tiene quel dolore il piu’ possibile per se.
 Boe lo sgrida:
"Tore! lascialo in pace! Non vedi che e’ ferito?"- Boe non e’ schizzinoso, ma ha in testa ancora gli occhi sgranati di quello sbirro italiano che lo ha messo dentro qualche tempo prima ed un vago senso di disturbo.
 
 "Se mi terrete prigioniero ancora per molto non farete che peggiorare la vostra situazione, sono un poliziotto della Reale Polizia Canadese a cavallo e..."- continua Ben con voce strozzata.
 "Per favore, taci. Lo abbiamo capito."- Boe gli porge un bicchiere d'acqua. Non ne puo’ piu’ di quella storia. Sbirri. Tutti sbirri.
Poi si rivolge a Nilsen:
 "Senti Tore, io non ammazzo la gente. Metti gi la pistola! Se questo qui perisce prima di lei, e’ certo che quella ci fa secchi. Ci beccherebbe subito, anche solo da lontano, potrebbe ucciderci come ha fatto con quel coniglio! Ha la mira di un cecchino!"- gli ricorda l’uomo preoccupato.
Boe si ferma un attimo e guarda Fraser bere lentamente:
"Poi scusami, Tore: che razza di nome e’?"- si chiede perplesso.
"E' un nome originario dell'insediamento islandese in..."- Nilsen inarca le folte sopracciglia grige e biondastre, guarda in basso verso Fraser, fa una strana mossa con i baffi, poi sbotta: "Danese, stupido, di origine danese!"- Boe si rende subito conto di come Nilsen e un Mounty ferito nella stessa stanza, siano una miscela micidiale.
 
“Abbandoniamolo e andiamocene!”- esclama Boe in un ultimo tentativo di soffocare le idee assurde di Nilsen- “Senza di lui ci allontaneremo piu’ in fretta e potremo dileguarci in citta’”- continua Fred, trovando la scomodita’ dei boschi e i suoi modi abbastanza irritanti.
 
 Appena finisce di parlare, pero’, si sente un cigolio dal tetto.
Fuori, infatti, in corrispondenza della porta ci sono Al e Ray.
"Sta a sentire: adesso io scendo e la sfondo, tu mi copri le spalle ok?"- dice Ray, nel tentativo di proteggere Alexandra dai suoi stessi incubi.
 "No Ray! Vado prima io e tu mi guarderai le spalle! Nilsen potrebbe ucciderti subito e neppure Boe esiterebbe a vendicarsi di te!”- esclama Alexandra.
"Al, non posso. Se ti succede qualche cosa chi lo sente Ben, eh?"- la donna lo guarda leggermente stupita.
"Andremo tutti e due insieme allora: io Nilsen e tu Boe. Ben si libera e..." -Al annusa l'aria
"...Oh no, Ben, quello ferito!"- continua preoccupata.
 
"Ben se la cavera’: saremo due contro due. Pronta?"- dice lui.

Contemporaneamente saltano e sfondano la porta all'improvviso.
Ubriaco, Nilsen aveva abbassato la guardia, ma subito cerca di sparare a Ben, cercando di giustiziarlo e fuggire proprio come aveva fatto con Tom, l’anno prima.
La pistola, pero’, non ha piu’ colpi ed Al si avventa verso Nilsen, ma Boe cerca di spararle ad un braccio. Distratto nel mirare alla donna, quasi non si accorge di Ray spingerlo a terra, facendo in modo che il colpo non vada a segno.
Il proiettile si conficca alla parete, colpendo la donna solo di striscio.
Nonostante la ferita abbastanza leggera, lei non molla Nilsen che la colpisce piu volte col calcio della pistola, entrambe cadono a terra, Al cerca di tenerlo fermo, ma lui si libera e le sferra un altro colpo.
 
Quando vede che la sua forza di lei sta cedendo, trova il tempo di recuperare una pistola e puntargliela in fronte, sta per premere il grilletto quando Al riapre gli occhi e lo fissa: i due sguardi si incrociano e Tore ha un sussulto, per un attimo rivede Tom, era li’ proprio davanti a lui e aveva lo stesso sguardo ed era ancora giovane, piu’ giovane di lui...
 
Si dice che quando stai per uccidere qualcuno non devi pensarci troppo su, o il rimorso uccidera’ piu’ di mille vendette. Quando Tore incrocio’ quegli occhi disperati un anno fa, ebbe come una fitta, ma fece la sua strada, bevve i suoi shot velocemente e dimentico’ presto tutto.
Ora quegli stessi occhi erano davanti a lui e non era una sfida, era il caos: la testa gira e si ritrova a terra in preda ai fumi dell'alcool.
 
Ben lo blocca con un ginocchio sulla schiena e lo ammanetta velocemente.
 "Al stai bene?"-chiede veloce.
"No!"- Al si guarda attorno spaesata alla ricerca di Ray.
Nel frattempo, Boe era riuscito a rialzarsi e scappare pochi passi all’esterno del rifugio notando in lontananza quella frontiera che avevano oltrepassato con soddisfazione e facilita’.
Ray e Dief si avventano su Boe, ma lui alza subito le mani:
“Mi ricordo di te...”- dice Boe con uno strano sorriso. Scuote la testa.
"Non puoi arrestarmi."- continua Boe soddisfatto. Ray si ritrae.
"Giusto. Qui siamo tutti e due uomini liberi: io non sono un poliziotto e tu non sei un carcerato, per il momento. Allora vai."- dice Ray distogliendo lo sguardo un solo secondo, per notare qualche cosa con la coda dell’occhio.
Boe non se lo lascia ripetere due volte: "Allora addio Ray, E' stato un piacere rivederti!"- esclama sorridendo.
Boe volta le spalle a Ray, non si rende direttamente conto di quello che sta succedendo dietro di lui, cammina a passo svelto senza correre troppo e senza mai attraversare la frontiea, prende un respiro a pieni polmoni, credendo di essere finalmente libero.
Si ferma un attimo, pensando di essere lontano dalla vista di Ray e del rifugio.
Sta ancora sorridendo quando Ray, che lo aveva prontamente seguito, lo colpisce alle spalle col calcio della pistola e lui si ripiega su se stesso privo di sensi.
Al lo raggiunge velocemente, tentata dall'impulso di fermarlo, ma assiste alla scena senza reagire.
“E’ stata una mossa troppo facile, Ray. Che cosa gli hai detto?”- chiede la donna perplessa.
“La verita’!”- risponde lui, orgoglioso di quella mossa e pronto per consegnarlo. Per un uomo come lui, cosi' abituato a mentire, quella parola suscitava una sensazione speciale.

"Ah dimenticavo!" aggiunge lui infilando un foglio di carta scritto a mano. Avrebbe fatto in modo che diventasse presto un mandato di estradizione.  
In lontananza si scorgevano le prime case.
"Forza Ray, dammi una mano, torniamo da Benny!"- dice tirando il corpo di Fred per un braccio.
"Sei ferita!"- esclama lui, facendosi carico di tutto il peso di Boe.
I due camminano verso il rifugio sostenendo quel corpo senza sensi.
 
Ray non sapeva quello che stava provando e non sapeva di preciso da quale parte si trovava il suo cuore.

Forse in quel momento non aveva importanza. Sentiva un forte odore di resina nell’aria d'autunno e cominciava a di nuovo a piovere...
Questa volta la pioggia aveva i colori del rosso, del verde, del marrone e del giallo, del cielo grigio-blu...
 
In un bosco forse un po' troppo fuori dalla civilta',  c'era ora una donna contro cui non doveva combattere.
 
Una volta trovato l’aiuto delle autorita’, finalmente catturati i loro uomini, Ben e Ray ritornarono a Chicago. Dove, come molti sapranno, lavorarono insieme fianco a fianco, da amici fraterni ed inseparabili per qualche tempo.
 
E se vi state chiedendo il destino di Al, se sia tornata a svolgere il suo dovere di poliziotta in Ontario o sparare ai conigli, sia poi finita davvero con Ray questo non lo so.
Ormai sono passati piu' di un paio d'anni da allora e la cosa migliore da fare sarebbe scriverle una lettera.
Una di quelle lunghe lettere che Ben adorava spedirle prima di diventare un Mountie.
E se non e' troppo impegnata a correre dietro ad un'auto con la targa sporca, chiedendogli per favore di accostare, forse vi rispondera'.»
 
Il sipario si chiude a Second City, le luci si alzano finalmente sul pubblico che applaude.
Non sembra proprio uno spettacolo comico.
Strano questo monologo.
Le luci si spengono con un rumore secco e quel ragazzo alto vestito come vent’anni prima, se ne va.
Fa un sospiro profondo, alza le spalle e sorride soddisfatto salendo nel buio su quell'auto francese di seconda mano.
 
 
*nota per tutta la FF: i due stanno parlando in accento canadese.
Il telefilm punta proprio sulla gentilezza “caricaturizzata” fino all’estremo evitando accenti di sorta (tentativo gia’ utilizzato nella versione del 2004), che ho provato ad enfatizzare ed arricchire in questa versione.
Ad esempio ci sono parole che i canadesi pronunciano proprio in maniera diversa (tipo about) e che non posso utilizzare a livello scritto.
Una presa in giro da parte degli statunitensi e’ proprio questo “Eh-Ehy” alla fine di ogni frase, che dicono in continuazione, ma essendo lo show prodotto in Canada, gli autori sembrano averlo un po’ omesso, dando spazio ad un inglese “per famiglie” sia dalla parte US che da quella Canadese.

 
OC’s- Lars (l’attore del monologo), John Suoper (il junkie), Gregon (collega distratto), Alexandra Turner, Tom Turner, Alfred Boe e Tore Nilsen.

Genere: Drammatico/ Romantico/
 
Altre note: Musica (del 2004), la storia stata scritta ascoltando "Split the difference" dei Gomez ed in particolare "Meet me in the city", "These 3 sins", "Catch me up", "Nothing is Wrong", "Me, you and everybody".
 
-Luoghi e tempi: so per certo di avere fatto errori geografici e generalita' sommarie, giustificatemi. Sicuramente ci saranno anche una serie infinita di altri errori di vario tipo: fatemeli notare.

Dedico questo racconto al vero Tore Nilsen, alla sua insana e mortale aggressivita' scandinava, alla sua violenza e cattiveria e al suo cronico alcolismo e spero di non avere piu’ niente a che fare con lui.
(2013, TN era il mio landlord in uno studytour, per fortuna sono passati 9 anni e non ho davvero avuto piu’ nulla a che fare con lui.)
Prima scrittura,
 
Settembre 2oo4

La versione originale di questa fic e’ pubblicata sull’archivio delle fanfictions di Due South.

Postilla di rivista e traduzione:
A seguito di questi capitoli, incomincero’ a pubblicare una seconda stesura tradotta in inglese.
La fic presenta un sacco di incongruenze ed errori di tipo burocratico e legale che sto correggendo.
Le nuove correzioni sono rivolte quasi esclusivamente alla versione inglese e quella italiana per il momento rimane cosi’ e/o verra’ cancellata in seguito.
Altre due storie, probabilmente legate in una serie comune, saranno legate a questa vecchia fanfiction. (quindi la terza di queste storie al momento e’ sospesa per completare le altre due).

Le fonti che sto utilizzando per la scrittura e la riscrittura in inglese sono (oltre ai dvd originali):
come fonte non fic.

http://home.hiwaay.net/~warydbom/duesouth.htm

come fonte fic
I lavori dell’autrice Butterfly Ghost, (che consiglio a tutti di leggere)

http://www.fanfiction.net/u/3729945/butterfly-ghost

Episodi della serie: un po’ tutti, come vengono, ma il personaggio di Al e’ vagamente ispirato a quello di Maggie dell’episodio “Hunting Season”.
Dimenticavo! Per correzioni di draft Tom e Steve sono la stessa persona.

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Capitolo 6
*** PT1eng ***


This last time at Second City.
Pt.1

Toronto 1998

A shy nasal whine.
He shakes his head and makes a series of strange faces.

It’s exercise, would say the experts in theater, those wearing velvet jackets and turtlenecks, smoking a pipe, maybe, but for ordinary passers is nothing more than another crazy fool. As if there were not enough around.

It is a very tall guy, Nordic traits, he's wearing strange flares, these pants are not out of fashion, are the ones that are coming back in those years, after twenty years of lapels and skinny ankle jeans. Only those seem torn, old.
The fabric, probably tweed, has that typical gap of coloured fabric that distinguishes those pants as the original head. That usually lacks in those who refer new.
The eyes are covered by a pair of large glasses with a thin metal frame, also those are dating back at least twenty years earlier.

If he wasn’t so young, he would seem to have remained locked up at least twenty years in jail and that is out right now. Maybe it's a costume for the theatre, or perhaps he just like to dress like this. It’s hard to say, but close to the theater, everything is possible.

He just got out of a French second hand car.
Even this gives him an aura of madness and strangeness in the eyes of the people passing by..

Who would negotiate in a foreign car so old and so small like that? Certainly not a tall person like him. American cars are unsurpassed, everyone knows that. Why import from abroad? Maybe just for parking, always at the expense of his poor knees.
Those comments echoed in his head in the form of a thousand characters, he knew their voices and their bodies, their customs, which he had invented, and every now and then let them speak out during his performances.

Critics would judge this behaviour as the one of a versatile actor.
Psychiatrists, perhaps, as a man with Dissociative identity disorder.

***
He enters the auditorium.
Even if he was not a star, that is not a theater like any other.
This is not an auditorium unknown.
This is an institution of the American comedy: Second City.

The best Canadian comedians have gone from here, and many years before many of them then broke into television and in North American cinema only to be known all over the world.
The older riders who wore fashionable then.
The same fashion that sees him at that time, more than twenty years later.
A tribute to a time long passed away.
Men and women who over the years had died, were deeply changed, or had made the history of cinema and now they were embarrassing it, in an attempt to bring it back, beautiful and wild as it was then.
For these actors, Second City was a perfect springboard.

Not for him, though, that looks at the clock and continues this strange exercise in the dark.

He is the latest in the empty stage lit only by one bullseye spotlight.
He does not see his audience.
He doesn’t  take off his glasses. Indeed they help him against the bright light of the spotlight.
Although not announced, nor can figure out how many and what are its audience, he begins to speak:

"This is a story that rumors to the police station in Chicago, perhaps you already know ...

Chicago Park District, the trill of a mobile phone, and a skinny boy with dark circles carved in a deep purple, with a yellowish skin colour, answers on board of a car, a black 1990 Chrysler, near the park:
"Tell me everything. Where are you John?" - The voice crackles from the amplifier of that thing black with a long antenna, which almost covers his face entirely.
"I'm ... I'm at the park, Fred, where are you?" - Asks him, looking around. He does not seem to have any kind of feelings, it seems only worried or anxious about something in particular.
"John you're an idiot! The park is roughly more than eight thousand acres! Luckily I saw you passing by. Me and my friend stayed near, leave the car and wait there!" - Creaks again that thing, before making other sounds. It shines a light of a green ill, and turns on and off in black numbers. Maybe it's also broken.

"But I will have what I asked for?" - John asks, indifferent to the insults of the voice.
It seems completely indifferent to anything. Those junkies...
"Of course you will! You'll get it all John, you have my word and Nilsen’s! Now, get out of that car." -the voice is slow and marked with a strange reassurance.

The man seems to believe what the croaking black phone says with blind obedience, but in no time at all, Fred, the croaking voice, jumps out of nowhere, gun in hand, and fires a shot in his direction.
Another older man, probably the one that Fred called Nilsen, get in scoured the steering wheel and the car at full speed.

John, is now lying on the ground in pain. The shot does not seem to be on spot, because the man seems to still breathe, submerged in a pool of blood though.

***

It's raining.

It is not a good morning to go to work.

Then, for some reason, just when it rains all the people seem unkind, under their umbrellas, they’re walking in the city indiscriminately gray.
When it rains everything is gray. All the same, wet, gray.

A Buik Riviera 1972 metallic green parks near a building of several floors higher than the others and a quite tall man alights: is wearing a long gray trench coat and trousers quite wide for his size, he has big greenish eyes, sparse hair and a strange nose, he is dressed in gray that day.
Blends well in that city, Ray.

He enters the palace and goes to a specific office looking carefully at the signs several times, the building is quite big and he's already been there a number of times before. He snorts a little.
A lot of people are waiting outside in a very long tail.
He would like to do what he usually does in such cases, that means to show the badge and cut the tail through the first: is a cop and has to go to work.
Is already putting his hand into an inside pocket of the trench coat, to pull out his golden badge and, before showing it, he rubs it a little on the side of the coat, while mentally repeats what has already often said and will say in a  few moments: Chicago PD! Out of the way!
It is always a perfect system for cutting any tail.
This time, however, something stops him.


There is a woman dressed in blue not far from him, she's young and reminds him of someone: she is tall, brown and straight hair that fall long on the back, they frame her face with a bad fringe, which falls on the eyes of a kind of blue, a straight nose, the rounded tip, gives her a nice profile. He would mind that nose. No two people have the exactly same one. All these details that he has already seen on someone else very familiar to him. Someone who sees almost every day, as whose features cannot recall at the first sight.
Maybe that's why Ray hurries to put the badge in his pocket.

The woman looks around to kill the time that never goes out, she looks at each face carefully: she studies its appearance, facial folds and the mood of the moment.
She looks so dreamy that seems not to belong to that gray city, the rain, the gray buildings and everything that surrounds it, including Ray.

To Ray, women haven’t been his first interest lately. Assuming that no beautiful woman has ever escaped his greenish eyes glance, there was always been somebody else different, in fact, in his heart.
Maybe she will stay there forever.
A woman who has hurt him so much to fear, in a way, all the others. Yet unintentionally. He veiled his eyes in pain, smiling to her on the seat of the Riv. It was long time ago in a black night.
Then, it was not yet his Riv, but theirs. It was raining then too.
That smile: he remembers it like one of the most beautiful and saddest moments of his life at the same time.

Not that this is the kind of beautiful woman who drives him unconditionally to turn around, she only detaches herself easily from the surrounding crowd.
The queue does not flow, the two employees responsible for tax collection are both busy with errors to the central server.
The lines are busy ... These telephone modems are a complex architecture of the future that still struggle to get among the common people.
Photocopies start to turn around hand in hand. The white light of the copier goes back and forth continuously in the back of the office.
People snorts and grown that vision. The forms shall be completed manually for the moment.

At least that is what people before him are saying, as they pass plastic pens and papers almost illegible so many times that have been copied and recopied to the beam.

Ray doesn’t care too much, he takes one of those copies without a comment, as will use his fountain pen that never betrayed him. Except that time, when it left a nasty purple stain on his white, freshly starched, shirt. Ma’ bleached it for him... But it was the only time, he thinks, by looking at it, and trying to read that module. After all, it belonged to someone that was somewhat very important to him.

Inwardly, however, he's just looking forward to the gaze of that woman crossing his. He continues to think that he saw her somewhere, or someone he knows very well, it’s something in the manner and gestures she has.
She doesn’t talk to anyone, she didn’t talk yet, and does not seem to know anyone around her. Certainly can not be her voice, her accent, to make her so special.
It is said that when a person stares intently to someone is like that the glance could be felt, in some way. Ray does not know if this thing could be true, he does not even know that he is staring her intently, but she felt something, maybe, and now is looking at him: the dreamy look is also tinged with something else, the redness of tears cried, the sadness of a moment, the confidence lost in something or someone, but also a little hope to find it back soon.
Her expression changes when at the meeting of their glances, her blue eyes seem to have found in him a vague hope in this gray and strangely refers to him a formal smile.

The line starts to flow, the two find themselves soon to deliver their forms and pay those taxes last arrived. In the queue, the woman is little before him, but at the counters the two come together and listen to her conversation by his chair, it is not very easy task.
Her voice sounds calm, marked and very quiet. Too much. Especially when his loud and whiny voice covers almost all the sounds from her, while complaining heatedly with the employees of the office for their slowness.
For Ray, those long and involved grievances, jabbered for hours in a loud voice, are not implied: they are part of his genetic inheritance.
He must claim somehow his Italian origins.

The fact that he had no ears for her, does not mean that would take even the looks too busy. After all, it is difficult for a cop to keep an eye on the people.
It takes very little to him, to realize that the woman leaves the building and goes hasty to the tram stop just a few meters, it is still raining cats and dogs and she even doesn’t have an umbrella with her, but she doesn’t attempt to repair from it. She just cross her arms resting and waiting at that stop sign with a peculiar posture.

Ray follows her and tries to talk to her:
"Do you have an umbrella?" -he says approaching.
The woman looks back at the man, her figure made does not seem to ruin under the rushing water. She sketches a half-smile of thanks when Ray opens his umbrella, also gray, and throws a slow sigh: "thank you kindly" - she says, nodding.

That response has something of already well heard.
More than once, too many times:
"Taxes are a real pain, isn’t it?" - asks Ray, trying to familiarize..
The woman holds a slightly inquisitive gaze to him:
"Yes, but we have an ough to the State." - Saying so, adjusts her hair and rubs her jacket, now wet, her eyes are now more distracted than before and seem to have lost that glimmer of hope that he noted earlier.
"If only it would protect citizens as it should ... ey ... " - continues staring eyes to  Ray with an expression of little disappointment.
That last syllable, so longed for, he does not leave any doubt. It’s no Chicago talk. She’s not from here, or at least she didn’t live here for long.

"Anyway, my name Ray, my car is parked nearby I can give you a ride, if you want, so you don’t waste time waiting for the tram?" - He asks pointing at the way he parked.

These are the rare times when the prejudices of a particular accent and nationality are positive, not negative, as usual. If it really is as he thinks she is, he has nothing to fear from her. And a lift is only but a simple favor.
If he's wrong, he's still a cop, the weapon of order is always at hand.

"Very pleased, my name is Alexandra. I'm Grateful for your kindness, but I'm not too keen on bothering you by take advantage of it, Mr. Ray! I'll have to go to other offices, fill out many other forms, wait for other people. It will surely take a while with all this traffic. I wonder why, but when it rains, in all the cities of the world, traffic is always congested in the same way ... "- she says calmly .

Ray tries to take it with philosophy:
"Hehe, as you wish... Alexandra! Can I leave you the umbrella at least?" -He smiles, it is not such important matter.
Alexandra folds back the umbrella and hands it to him, while looking at him, she folds her arms.
“No! That means you could keep it!”- he insists.
She only raises  her shoulders and comb her wet hair with the fingers, mentioning a slight tremor, perhaps because of the cold or the humidity. The wind from the Michigan is unforgiving in autumn. A fine line of black mascara is leaking a little from her eyelashes.
"No thanks, do not worry, this morning I do not expect any special date!" - she answer looking away and smiling kindly.

Ray warn her little worried:
"But if I leave you like that, you’ll gonna be sick!" -she seems to pretend not to hear him.
"Excuse my question, Ray, are you from Chicago?" - asks Alexandra doubtfully.
"Yes, why?" - he says as his eyes fall on her legs and shoes, also blue, she looks like a flight hostess dressed like that.
She lacks only the features of a cheap, low cost, Mid-Western airlines, the bun, an unnecessary striped shirt and the cart of food.
The woman lowers her eyes, raises his eyebrows and straighten her shoulders a little.
"Because usually people around here do not care too much about the ills of others" - replys her honestly.
Ray thinks about it only for a moment: it was true. Even he himself, years before, would not hesitate to let her in the rain. It must have been all that time spent with Fraser to made him change, for sure. Fraser ... It must be just the accent and the abuse of all those kind words, that make him slightly compare that woman to his companion. At this thought he shakes his head slightly embarrassed. Too many, too many, too many kind words. He’s not used to it yet.

And she, in the extreme of that courtesy, the legs aligned and her feet together, her wet hair, while she’s cleaning the mascara from her cheecks and looks at him sometimes curious, sometimes disappointed and sometimes distracted. The blue of her eyes seems to take ever new ways at every glance. It's probably the rain. It's actually the exact same blue all the time.

Ray doesn’t give up and tries again:
"It’s not hot, for sure. Would you like a coffee? There is a bar nearby that makes an excellent espresso ... So... I, I wish I could go there with you, it won’t take long. After all, the espresso is served in very small cups! "- he smiles, trying to lose her up.

Alexandra turns his head toward the road with a surprised look and then towards him, impulsively takes his hands, moving her legs as if she was thawed immediately:
"Thank you kindly, but I said no, that's my tram it’s coming, see you at ... The next payment?" - She smiles, even though her eyes still betray it, it's a pretty smile, it seems only just for him.
Ray looks at the tram driving away with her inside, he waves his hand in a quick gesture and she replies back, then he gets back in the car.
The espresso will be for another time.

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Capitolo 7
*** PT2eng ***


This last time at Second City.
Pt.2


A new morning of hard work starts...
Ray is a detective for the Chicago PD. He’s a very busy guy.

At the police headquarters, this morning there’s quite a bit of confusion, there are some agents running around and he clearly noticed some MD’s coming and going, if they’re not doctors, they’re probably nurses.
Ray, alarmed by those white coats, rushes in, takes off his trench coat and quickly checks the papers on his desk, it seems there’s nothing related to that in there.
"Elaine, what’s going on?" -  he calls her, his voice is veiled in concern.

"Oh nothing so special Ray, somebody just stole a car and Welsh really wants to see you, Hurry! He’s looking for you for more than two hours..." - she says.
Elanie, his link to the archive, is writing some documents with a typewriter and follows him with his eyes, quite curious. The fact in itself was just trivial, but the concern of Welsh and the doctors makes it quite important.
Every busy detective, as busy as Ray, must always be familiar with an agent working in the archive. It is a rule that he imposed on himself to not waste time in doing too many searches in those big databases and archives personally.
Those thick gray computer are still too slow for his tastes.

When he enters the chief’s office, with Welsh there are two other police officers, unknown to him, and a nurse.
Welsh, his boss. Every detective so busy must have a head bore as a boss.
Welsh turns his attention again to those people from Ray:
"Well this is the detective who dealt with the case of Boe, three years ago, Ray Vecchio" - says the chief with a serious tone.


One of the two policemen looked at him sternly.
"Um ...Vecchio, do you remember Alfred Boe, the man who you arrested and imprisoned?" - Ray looks at him with a deep wrinkle on his forehead.
"Sure, he was a notorious drug dealer in Chicago, he was quite known back then... Why?" - The question is partly rhetorical, he already fears what might be the answer.

"He just escaped. He found the help of another drug dealer, a murderer as well, a fellow named Nilsen. It is suspected that the latter is Canadian, they got a car by a guy named John Suoper, a drug addict, probably one of their customers, presumably in exchange for heroin. Actually, once they got the car, the two shot him instead of the giving him the drugs, fortunately for us, the shot wasn’t deadly.
Now Suoper is in hospital. It is critical, however, we expect that it will still speak "- says Welsh watching at the white coats expecting confirmation, but these are not entirely convinced of his claim.

Ray immediately gives for granted the fact that he should interrogate this Suoper junkie. For better or for worse,he have to know everything there is to know about this Nilsen and see what interest would have for Boe, to be linked to him and where the two were going to drive with the stolen car.

He departs immediately from Welsh office, Elaine approaches his desk with his neck stretched, thirsting for information and gossip:
"A car theft, Elaine, just like you said, just like they told you!" - Ray blurts out to the curious woman.
There’s more, but he can keep it for himself.
Then he continues:
"Find me everything you can about the last years of Alfred Boe and John Suoper. Boe was locked in jail, but he may have found contacts in the outside. And let me know if they have traced the stolen car... "- Ray orders are accurate.
He knows how to work seriously, when he wants.
"What Car, Ray?" - She says, recalling the seriousness required of him.

Ray, however, looks away from Elaine, as distracted by something else that is happening.
"The car is a Chrysl ..." - his voice slows to a stop, then continues, but is diverted by a low female voice, from another desk.
"... A black 1990 Chrysler, Illinois, license plate A5N48T" - says the voice. A conversation held nearby by other people, about the same vehicle.
It’s that cheap-flight attendant lady again, Alexandra, who is describing the same car this Suoper junkie had stolen.
"Could you repeat that? I got distracted! Is that a Ford?"  asks a male voice, not at all interested in the description so basic.
"No agent, is not a Ford. It’s a Chrysler: Charlie, Hotel, Romeo, Yankee, Sier ..." - the voice of Alexandra seems almost a boring melody. She keeps calm, however lowering it a little more.
First in that office and now in his: she seems relatively equipped with patience, even when it was such tedious bureaucracy.
"It is a Chrysler, I get it, I'm not deaf! And the plate?" - Says the agent with impatience.
"Illinois A5N48T" - replies the woman, apparently still calm.
"A moment Miss, wait. Yes! Hello... hello... Oh Jake, I'm working just now..." - the agent just seems distracted and the call doesn’t seem all that important.
Alexandra looks down resigned, and again starts her strange game of glances, which she seemed to do in the other office too, a few hours before. She snorts, or blows a little air from her mouth, as if she snorted and then looks at the agent with vague impatience. The agent hangs up slowly, staring at her.
"We were saying? The plate?" - he asks bored.
"Gregon, by now she would already have made a goddamn’ tattoo of the plate on your forearm!"  Ray yells by the other desk, he heard everything, and the license plate number of that car is the same that he holds in his hand, written in a piece of paper and reads it loud .
"Illinois A-5-N-4-8-T"  shouts the man, impatiently, slamming the paper on the wood. Alexandra stands up and looks at him surprised:
"Mr. Ray! You're Here? Are you a policeman?"  asks her, turning almost suddenly.
"Detective Vecchio, nice to meet you ..." - he says, offering his hand.
Alexandra smiles, claps her heels and outlines a formality quite common:
"Alexandra Danielle Turner from the .."  she stops strangely "Oh, leave it! Very pleased."  exclaims taking his hand.

As she noticed something that did not have any sense to her, Alexandra stops that hint of a military salute to a more normal handshake.
"Well, you see, yesterday night somebody stole my... My car..."- she says, interrupted and not exactly restful.
"Ah Ah! Now I understand the tram and the rain..."  says Ray.
"You should really have had to accept that lift, then!"  Scolds the man with satisfaction.

"Come with me, I have some questions for you... About that car and the person who stole it ... "- he says while is still trying to invite her to his desk and leave that of his absent-minded colleague.

"I'm sorry Vecchio, you can’t. Miss. Turner has failed to tell you that she herself is an officer in leave. She belongs to the Ontario Provincial Police, she cannot release unregistered interviews freely outside of Canada. She is covered by diplomatic immunity. You know , Ray? "- Gregon responds with the same ways that shortly before, Ray had used on him.

Alexandra looks at that agent, before so distracted, but now so attentive in bringing about the temperament of Ray, with a gaze of angry amazement. It looks like she really didn’t want to tell..

However, Ray does not seem troubled by these claims, he also remains almost completely indifferent, rather satisfied, he shrugs his shoulders and smiles.
"And what I do I care? Then hurry! Finish this report about the car quickly and I'll take her to the on Canadian soil, if she’s there that is to be questioned..." - says happily.
***

At the Consulate that day, business is, more or less, as usual.

Inspector Thatcher went out, perhaps she’s not even came back.

The young, steering guard column, Constable Turnbull, stays put, as a statue, despite the weather.

The Constable  has recently returned to make sure that the inspector has not left anything unattended.

But he can see nothing but degenerative void, he is also trying to get out of it, completely unnoticed.
Not much to do at the Consulate, today.
He walks forward, turning back, often cautiously, his boots on the carpet of red wool make a soft, quiet, and padded noise, it's easy for someone like him to be stealthy and make little noise, but it is certainly more difficult not to pass unnoticed, wearing that uniform.

Ray gets there quite fast, push the breaks loudly, slams the car door with a fair noise, dashing through the stairs, without knocking or ringing, without stopping in front of the column, he runs on the steps and opens the door immediately.
There, he bumps into Ben, turned back again, trying to get out at almost the same moment, without making too much attention to what was happening in front of him.

"Oh Fraser, I was looking for you! I need you for a job..." - says Ray fast and rushed away again, as if he was talking to a long time friend.
Fraser, is a man perhaps Ray’s age, maybe a few years older, however, he doesn’t look as old as him, on contrary he seems much younger.
Ray, usually, shows all his springs and maybe a few more, but Ben has the gift of having a face eternally young. In his thirties, exceeded by a while now, but never a white hair and always a good patch of hair on his head.
He is slightly shorter than Ray and the build is more robust than his, but the red official uniform, which he wears almost by day and by night, makes him thinner and makes him seem taller.
He looks like a tin soldier: perfect symbol of a state of cold and desolate plains, tundra, lichens, cold, icy lakes, water and snow, wolves and bears, Inuit legends and maple syrup.

"Yes, Ray?"  says Ben surprised, still trying to getting away, and perhaps he was the excuse he was looking for.
"You should interview a person for me ... Here!" says Ray seriously enough. Certainly does not appear willing to waste any time.
"Mh?" - Ben is concerned. That dream of getting away from the Consulate before his boss, inspector Thatcher, could come back and put him in some tedious and embarrassing task, it is immediately broken.
"It's part of your Police... Or something. She says that I can not even talk to her off the record because it’s illegal ... Are you all just so dutiful in your Country?" - Says Ray trying to explain the situation better.

Ben too agrees, as he thinks this as a necessary formality. With half a sigh answers quickly: "All right. Let's go to my office".
He leaves, ready to pick up a cassette player, a few mugs and a jug of black coffee.


Ray nods to Alexandra, still in the car, telling her to get out.
She follows him surely, her steps are regular, she’s not looking around, as if she always knew that place. She sits neatly on one of the office chairs and stands in attention as  Fraser enters  with the recorder for the interrogation.
Ray doesn’t take an eye off her.
"Do you mind if we record this interrogation, ma’am?" - Ben asks, staring at the recorder. He is also ready to ask the help of Ray if necessary.
"No sir," - she says, almost without looking herself.

"Why you didn’t say to be a policeman, before?"  asks Ray to her with a sigh.
"Ray, you really must excuse me immensely ... I thought I should report it to you, but I found it unnecessary at that time ..."  Alexandra shakes his head, saddened by something.

"I’m the Constable Benton Fraser of the Royal Canadian Mounted Police. Initially came to Chicago on the trail ..."  Ben begins to talk, disturbed by something in her face.
Ray can continue the speech he is telling as if he had heard it at least a hundred times: "... the murderers of his father then left for reasons that you're not here to explain... And now is a correspondent for the consulate... Bla, bla, bla... Okay, let's move on!” he shuts nervously.

Ben and Ray are longtime friends and collaborators . Their friendship seems to go on back several years. It’s understood by a lot of things and probably his way of restricting his speech is proof of how the two are in such confidence.

They’re two real and determined friends. Two guys who aren’t afraid of looking pathetic showing it openly to others, but only to express loyalty and thrust to each other. A thrust missing among other people. That common sense lacking among men.
They are grown-ups, but their trustworthy behaviour, reminds her the one of two boys.
For some reasons, she recalls something from her past, when she herself believed in a true friendship like theirs: she, her brother Steve and a long missing friend of theirs. She stares only a few seconds at the eyes of the mountie, of a blue lighter than hers and the brown dark hair, a profile technically impeccable.
In comparison they do not seem to relatives, but there is something in common between each other..
There is something other than nationality, that gets them closer.

Alexandra looks at Fraser quite surprised and smiles recollecting his presentation, his voice and his regular steps on the wool carpet:
"My name Alexandra Danielle Turner. Ontario Provincial Police” she gestures a complete wave this time, clicking her heels. Then stops, mechanically, waiting for questions.
But it looks having question to make herself.

Ray is a smart guy, but Ben is the charming one..
Looking at that that presentation, Ray seems to have no doubts: this woman is like the others.
She too couldn’t resist him.
No, she looks at him in a different way: her eyes are squinted, caught in a sort of re-enactment expression and the mouth is slightly open, as to say something, the index finger is slightly pointed toward him. Looks like she recalls something.
Ben also seems to remember something, by looking at her more attentively.
Ray is a smart guy.
Evoking the memory of how irritating is, listening to Francesca talking about his charming friend so often, as often as that she doesn’t speak of anything but him when Ben is around, or when he moves away, the action of interrupting their weird staring is just instinctive.
Better to stop them before it’s too late and her brain is already melted by his staring, speechless charm, you never know.

"So, we are here to talk about what happened last night. As you noted yourself, Alexandra, the car you declared stolen, is involved in a process and escaping of a drug dealer here in U.S. This seems working with a Canadian. Could you please report your information about this? "- With those words, Ray has almost surpassed himself and his rather than formal courtesy, never revealed before.

Alexandra stretches her neck as she seems to get these words of his, a shot a little too far for his reach. She looks like she is ready to ask how he managed to say that “please” so naturally. She follows him with her eyes, he’s nervously wandering around, never quiet or still. Then, facing towards Ben, almost motionless, but the twitch of an eye, and she says:
"Chicago Police, ey?"
"We are associates for no coincidence." answers the mountie, also following Ray’s steps, expressionless.
Between the two seems to have been born an instant agreement.
Too much sudden, actually, to not seem to be already established before.

Ray stops and looks at them. He noticed very well, now, that there is something similar between the two, but can not focus on yet what it is.
Alexandra answers the question of Ray, after a long silence.
"I'm on the trail of a drug dealer who calls himself Nilsen, who is escaped from Ottawa last year: he killed my brother. Although it would not be be my responsibility nor jurisdiction, I did some research, took a leave of absence from the service and came to Chicago as a free citizen. Knowing that in the last six months he was living here. " Says her fast and short it with a heavy sigh.

That woman, her name, a brother, both policemen, now in pursuit of a drug dealer: in Fraser's head, at that moment, everything seems to fit. Those clothes, the uniform and the past years have secretly hid the truth just for a few seconds, but now it bursts more evident than ever.
Ben sighed with a slight moan, but without no longer hesitation says:
"S-Steve? Steve died? Oh no ..."  can only say by, looking down.

“Steve?” shouts Ray in full surprise. That was the name Ben called him when they were in the woods, long ago, was he for real? Was he another friend of his?

Alexandra, without saying anything, holds out a comforting hug to him. He responds to the hug by gently stroking her head and her hair that slide over her shoulders in large clumps.
Ray looks kind of lost, remembering his struggle in the woods by carrying him and not much more of a moment, long ago, when Steve was just a loony talk, not a dead person.
The tape cassette runs with a constant noise like a hissing sound, while the three remain in silence.

"Do you know each other?"  says Ray, breaking his embarrassment.
At these words, Alexandra turns away from his hug to return to the Ray’s attention and leaving Ben in a sad, confused expression.
"I suppose so, Ray." He says sternly.
Alexandra still has tears in her eyes.
"I can not believe he's using my car to run away!"  She clenches her fists and maybe remembers when, the year before, his brother was about to handcuff Nilsen in Ottawa.
With a sudden change of happenings, he took her brother, held him prisoner with them for a few hours and then shut a bullet in his head with a revolver.
While watching Ray and Fraser, she feels again that sudden pain felt then, shakes her head, wipes her eyes in that cute way that Ray remembers from some hours ago, and then grasps her own hands with each other, nervously.

"We need to talk to the junkie. The first one who stole the car last night: that Suoper. If we find Boe, we will soon also find Nilsen, they fled together. I wonder how he didn’t manage to hit good this time. How did he miss the shot and let him live ... " says Alexandra rising again her impetus, towards the two.
At that moment, it is not his brother's death his greatest pain, but Nilsen’s mockery.
It finds kinda weird at first that Alexandra knows already that much about his case but for these things, Ray does not need explanation.
He knows both the junkie and Boe from Welsh, and now Alexandra has already explained how Boe and Nilsen are working together.
Further explanations are unnecessary for him: it's time to take action.

The three jump up the Riv, to load also the inseparable Dief who was waiting near the guard, taking care, however, to remain dry.
They rush quickly to the hospital.

Dief is a wolf, at least half wolf is also deaf. However can read lips.

It is estimated that eighty percent of Mounties are in possess a wolf.
Or at least purports to be.
Benton is part of this majority.
Alexandra, however, who lives in the southern part of the Country, belongs to the remaining fifteen percent: those who own a ground tortoise.

She sits in the front seat, next to Ray. Long time no see and they shut their mouths a immediately. At first he has no kind of judgment towards them and their behaviour.
The fact that she seems to know Ben better, and that they’re joined together by a mutual pain has no big influence on his judgement.
Considering that he never mentioned her before, and they’re both Canadian, that silence means that they might also be quite mad at eachother.
It’s not much of a deal for him though: for what it worth, it could be a positive sign for once.
If Ben’s good friends are always a stinking trouble, maybe the bad ones are quite good instead.

Ray is just doing his job and seems really interested in this case of junkies, apparently futile for ordinary people, but so important to their lives.

A hand caresses Alexandra’s shoulder and she turned towards it suddenly:
"To not be afraid of Ray, Al, he is a good friend and a good cop ..."  says Ben, while she try to withdraw herself by his reach.

Ray, averting his eyes from the road clearly, he turns back to Ben:
"Al?! Are you two already so close?"  Asks tinged with a particular envy. Ray has always aspired a bit to the charm of Ben, this is not the first time he gets so close to a woman in a matter of minutes.

Fraser moves away from the back of the front seat and turns his head on the rear window. Dief emits an understanding howl.
Alexandra looks back towards the half wolf and his impeccable friend sitting in the back seat, maybe she expected the man to be corrected by her friend, explaining what was going on, but Ben says nothing. Hang his arms and mentions a sorry gesture.
“Why you don’t tell him, Ben?” she adds bitterly
“Tell what, Al?” he asks embarrassed.
“That we’re not friends anymore, Ben!” she says natural, as something that could happen later in life and not be that special at all.
“Oh, what a pity... Did you stolen your friendship badge?” asks Ray.
“No, Ray. I think it is about the correspondence we held as she and Steve moved from the Yukon. I recall it stopped maybe fifteen or sixteen years ago” explains Ben mechanically.

"It's so strange finding you here in Chicago, in this uniform, Ben. This city doesn’t suit you." She says with a slight bitterness.
If only they were still friends, maybe Steve... Maybe... She thinks, she would tell him, but those words won’t come out of her mouth.

"Ey, not even your dress suits you!" He snaps weirdly. The two seem to be related in longing Steve, but not much more.

"How can you say that? She's so good with that... Thing..."  Ray tries to take the part of Alexandra.
Can not understand how a man so kind as Ben, should give in her own account, in such a critical time in his life, like the loss of a loved one.
Then, he does not remember ever having heard him belittle a woman before. Nor any woman, even those compliments could not be given, if only but looking really deep down.
Right, this Alexandra will not be the most fascinating woman and that dress is too simple for his likes, but there is no need to make such harsh comment.

However, Ben, before being a man is a mountie and does not let for sure any detail unattended. So with good precision, he remembers to his friend:
"Ray, if you've noticed, both the jacket and the skirt have the seams ripped. Moreover, the point of her shoes is dirty and ruined. As both the leather of the shoes, and the fabric of the dress, are not damaged by washing or by use, which would denote any kind of natural aging.
This is also due to the fact that Al, a long time ago, was not used to wear this kind of clothing, and I do not think she has learned how to wear them over the years. It is easier for her to ruin them.
From what I can see, then, I also think that Alexandra has ran after the car and remained attached to the roof for at least a mile ... She has the ... She has black dirt on her collar ... " says Ben while noticing that last spot, and tries to dust it off the shirt of the woman. Something that almost went unnoticed to Ray.

Alexandra waves him away again, pushing his hand as if it were an insect fallen by chance on her shoulder.

Another thing you can tell about detective Vecchio: he is familiar to roads and shortcuts, he knows the city getaways as the back of his hand. And this last mile in the traffic, it won’t be hard for him to drive. Unconventional, but not hard.
Thus, an expert on the wheel, he leaves the sight from the road for long stretches, without ever losing control.
Of course, when it comes to investigating those strange ways, Fraser is almost unbeatable and is a disgusting pleasure for him to know again if his dear friend with his strange details, guessed right or not. Smiles at Alexandra and asks her:
"Is he right again?"
"More or less so, Ray." She admits with a frown.
"I lived in the Yukon for many years and is not that I used to wear a dress or a uniform every day up there." she explains, revealing the bond that the two seemed to have.

"Steve and Ben went to school together, Steve was my older brother. Back then we were very close" Alexandra stops talking as remembers those moments many years ago. Some, in fact, seem to be perhaps too childish now or too embarrassing to be told openly.

"Me, Al and Steve used to go summer camping together: we started from Dawson to get near Aklavik. At first we were accompanied by our fathers, and last year we went alone."  Says Ben, remembering himself too, something he perhaps considers too immature to be told Ray.

"Oh yes I remember, that time we crossed the northern part of the Yukon to the mouth of the Mackenzie ... Just by walking"  sighs Alexandra smiling at those memories, as if they had been really nice.
For Ray, the idea of walking on foot so many miles, as a small kid or a grown up, in the cold, could seem as just painful.
"Ah ... you guys, instead of running around with your parents’ car, having secret parties, chasing girls, or wander about who to invite or not to the prom, used to cross the Yukon on foot?"  Asks Ray with false amazement.
"Um ... for us it was like that, Ray."  Ben explains.

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