È sempre estate sotto il mare

di myricae_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 5 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 38 ***
Capitolo 39: *** 39 ***
Capitolo 40: *** 40 ***
Capitolo 41: *** 41 ***
Capitolo 42: *** 42 ***
Capitolo 43: *** 43. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Marco la notò subito. Dapprima di sfuggita, come se fosse un cambiamento d’aria, ma Marco era attento ai dettagli e la notò.
Era seduta sulla spiaggia, con la schiena appoggiata agli scogli e il piccolo libro tra le mani. Non alzava mai lo sguardo e voltava lentamente le pagine, quasi accarezzandole. Indossava dei pantaloncini di jeans e un costume azzurro. I capelli erano raccolti in una treccia, qualche ciocca ribelle le sfiorava il viso e il collo. Non riusciva a vederle il viso, china com’era su quel libro, come se volesse essere risucchiata da quelle pagine.
 
«Marco!» il suo amico Davide lo chiamò.
 «Cos…?» cercò di dire mentre riceveva la palla da Giulia.
 
«Tocca a te battere!» gli urlò. Marco annuì e si mise in posizione. Prima di colpire la palla diede un’ultima occhiata alla ragazza… così sola.
 
«Ti muovi?!» gli urlarono in coro i suoi compagni di squadra. Stava per battere, quando lasciò cadere la palla dicendo: «Devo fare una cosa» e si allontanò dal campo.
 
«Ma dove va?» chiese Giulia osservandolo allontanarsi e avvicinarsi a una ragazza seduta vicino agli scogli.
 
«Qualcuno ha fatto conquiste!» scherzò Davide. Tutta la combriccola prese a sghignazzare, tranne Giulia che fece una smorfia di disapprovazione.

 

Alis era immersa nella lettura e ne avrebbe avuto ancora per molto. Il rumore delle onde che si infrangevano dolcemente sulle rocce la calmava, la melodia perfetta per leggere. Una melodia lontana, quasi irreale che…
 
«Ciao!» esclamò qualcuno al suo fianco.
Alis sussultò impercettibilmente, poi alzò lo sguardo verso la voce che l’aveva interrotta, imponendo a se stessa di essere gentile.
 
«Ciao» rispose lei senza entusiasmo, osservandolo brevemente. Nella testa le riecheggiavano le ultime parole che aveva letto.
 
«Ti ho vista qua da sola e mi sono chiesto se volessi venire a giocare» disse, indicando il campo da beach volley.
Alis guardò prima il campo poi di nuovo lui, questa volta più a lungo. Naso troppo grande, decretò. «E non ti sei chiesto che magari voglio stare da sola?» rispose lei, senza sforzarsi di nascondere una punta di acidità nel tono controllato.
Lui si passò una mano tra i capelli castani, schiariti dal sole. «Io…volevo solo essere gentile».
 
«Ecco, allora potresti essere così gentile da andartene?» disse. Pensando di essere stata troppo dura, aggiunse un debole sorriso.
Il ragazzo stava per andarsene quando notò il libro che lei teneva in mano. «Nicholas Sparks» sussurrò.
Lei lo guardò, curiosa e sorpresa che un ragazzo conoscesse un autore simile. Lui capì la sua domanda inespressa. «Mia madre. Lei adorava i libri di Sparks».
 
«E piacciono anche a te?».
 
«Sinceramente, non ne ho letto nemmeno uno».
 «I tuoi amici ti stanno aspettando». Alis indicò il campo dove i suoi amici guardavano incuriositi nella loro direzione. Lui fece loro un cenno che fece capire che non aveva più intenzione di giocare, poi ritornò con lo sguardo verso la ragazza. «Ora non più» disse, sorridendo.
Alis si ritrovò a fissare quel sorriso. Non aveva nulla di speciale, niente fossette, niente linee perfette. Eppure su di lui stava bene.
 
«E non lascio perdere nulla» aggiunse il ragazzo.
Una qualsiasi ragazza si sarebbe sentita lusingata, avrebbe chiuso il libro con un gesto secco e ricambiato il sorriso.
 
«Hai appena lasciato perdere la partita» osservò  invece Alis, in tono neutro.
 
«Mi correggo: non lascio perdere nulla di interessante» disse lentamente, piegandosi sulle ginocchia guardandola dritto negli occhi.
Non sono interessante, rispose una vocina nella testa di Alis lasciando una scia di amarezza. Si stampò un sorriso e, ostentando sicurezza, rispose: «Bene, signor Non-Lascio-Perdere-Nulla, visto che non hai intenzione di andartene preparati alla conversazione più noiosa della tua vita».
 
«Non vedo l’ora. Però preferirei che mi chiamassi Marco» disse, porgendole la mano.
Alis la strinse con forza. «Alisea».
 
«Davvero un bel nome» commentò, sorridendo e sedendosi accanto a lei quel tanto che bastava per riuscire a sentire il suo profumo delicato. 



Lo so, lo so, lo so. Il capitolo è corto e i due personaggi, in questo primo capitolo, non sono ben caratterizzati. Ne sono consapevole, è una cosa voluta. Le loro rispettive personalità

- e caratteristiche fisiche -

verranno svelate nel corso della vicenda. Volevo scrivere un primo capitolo un po' innovativo. 
Ah, un'altra cosa: lo so, Alis in questo capitolo è un po' acida, ma... personalmente, se qualcuno mi interrompe mentre leggo anch'io sarei acida. 
Carissimi lettori, 
grazier di cuore per aver aperto la mia storia. 
Ho scritto un'infinità di racconti e fanfiction che non sono riuscita a portare a termine. E poi, all'improvviso, ecco l'ispirazione per questa storia. Così ho eliminato tutte le fanfiction che avevo pubblicato su questo sito per concentrarmi unicamente su È sempre estate sotto il mare.
Questa storia nasce il 25 febbraio 2013. Non sono solita a ricordare la data esatta dei miei scritti, ma È sempre estate sotto il mare occupa un posto speciale nel mio cuore. Spero che lo occuperà anche nei vostri.
Insomma, ora sono nelle vostre mani: non vedo l’ora di ricevere vostre recensioni, commenti, messaggi (sulla pagina FB, ASK o TUMBLR).
A presto.

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Capitolo 2
*** 2 ***


 
2
 
Marco non ci stava provando.
Per tutto il tempo con cui parlò con lui, Alis non aveva smesso di sorridere. Era brillante, divertente e sembrava ascoltarla con sincero interesse.
Avevano iniziato con le noiose domande: “di dove sei?”
 «Como» rispose la ragazza.
 «Roma» fu la risposta dell’altro.
“Che scuola frequenti?”
 «Liceo scientifico» lui.
E «Liceo delle scienze umane» lei.
 «Sei una psicologa?» scherzò Marco alla sua risposta.
 «Studiare psicologia sei ore a settimana non significa essere una psicologa».
 «Più o meno».
  «E poi per me le persone sono incomprensibili».
Marco ci rifletté per un istante; poi Alis sorrise e la conversazione si alleggerì.
Alis scoprì che era un appassionato di fotografia e registrazione; nel tempo libero gli piaceva girare piccoli filmati.
«Insomma, una specie di regista» disse Alis, affascinata. Com’era possibile che un suo coetaneo – sì, perché anche lui aveva diciassette anni – occupasse il tempo libero in modo così interessante?
 «Mi sento onorato ad essere definito così» disse, con un sorriso che comprendeva gli occhi. E Alis non poté fare a meno di sorridere di rimando. «Sì, una specie di regista» continuò, con voce leggera e sognantrice.
 «Ti piacerebbe diventarlo?» chiese.
 «Sì» rispose guardandola negli occhi, intensamente.
 «Un’altra cosa che abbiamo in comune» notò Alis.
 «Anche a te piacerebbe essere regista?» domandò lui, sorpreso.
Alis tamburellò le unghie sulla copertina del libro: «Regista, sceneggiatrice,… qualunque cosa riguardi il cinema» confessò, anche lei con la stessa aria sognante.
 «Ce la farai» la rassicurò lui.
 «Mi accontenterei anche di girare filmati pubblicitari».
 «Allora non ce la farai mai».
Alis abbassò lo sguardo. Le stava dicendo di puntare in alto, quando lei per tutta la vita si era limitata a volare a bassa quota.
Tornò a guardarlo. «Ce la farò. E anche tu».
  «Certo». 
Per un piccolo insignificante attimo, quelle parole diventarono pesanti di promesse e speranze perché entrambi ci credevano.
Rimasero qualche istante in silenzio, contemplando il sole che stava per immergersi nell’immenso lenzuolo d’acqua. «È bellissimo» fu il commento che sfuggì come un respiro dalle labbra di Alis.
 «È malinconico» ribatté Marco al suo fianco.
 «Ma pur sempre bellissimo».
 «Mai quanto l’alba» insisté lui, e per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare non furono d’accordo su qualcosa.
 «L’ho vista raramente» confessò Alis. Poi lo sguardo le cadde sul piccolo orologio che teneva al polso: le sette e mezzo. Alis scattò in piedi dicendo: «Devo andare al lavoro».
 «Lavoro?» chiese, inarcando un sopracciglio. Alis trovò buffa quell’espressione e a fatica trattenne un sorriso: «Sì, devo preparare l’animazione per questa sera e sono già in ritardo».
 «Non è proprio un lavoro».
 «Lo so. Devo andare. È stato… » Alis cercò un termine per descrivere quella conversazione, ma non trovandone uno alla fine disse: «… bello».
Marco ripeté quella parola, sussurrandola. «È stato? Non parlare al passato».
 «E tu non programmare il futuro» rispose Alis, con una punta di acidità nella voce.
Lui la ignorò: «Quando potrò rivederti?».
Alis si fermò un attimo di fronte a lui: «Come ho detto, non programmare il futuro». Si allontanò dalla spiaggia, verso la strada. Lui rimase seduto, guardandola mentre la distanza cresceva tra loro.
Marco non era andato da lei con l’intenzione di provarci e non ci aveva provato nemmeno per tutto il tempo in cui avevano parlato. Non si era sforzato di piacere. Avevano semplicemente parlato, da estranei quali erano. E si erano semplicemente confidati i propri sogni, non per liberarsene ma per rafforzarli.
Marco non ci aveva provato. Ma da quell’istante avrebbe iniziato.
 
Ma che mi è preso?, si chiese Alis mentre avanzava con passo deciso verso il centro del villaggio turistico. Che si affacciava sull’enorme Golfo di Marinella. Aprirmi così a uno… sconosciuto? E solo perché mi ha fatto gli occhi dolci! Arrabbiata con se stessa, continuava a camminare velocemente finché giunse alla pizza principale; il palco era già allestito.
 «Finalmente!» esclamò Eva, andandole incontro e abbracciandola.
 «Scusate il ritardo» disse Alis rivolta agli altri ragazzi che la salutarono calorosamente. Si misero a provare i passi delle nuove canzoni ridendo e scherzando. Per pochi attimi Alis sembrò dimenticarsi di quello che era accaduto quella giornata. La cena fu veloce – mangiarono dei panini-   e alle nove i bambini erano già radunati sotto il palco. Ballarono e si divertirono come tutte le sere: fecero palloncini e organizzarono giochi per i bambini. Alis adorava stare in mezzo a loro; e tutti i bambini l’adoravano: l’abbracciavano forte urlando il suo nome. Erano gli abbracci più belli e veri che si potessero ricevere, quelli che ti scaldavano il cuore gratuitamente. 
Alis tornò a casa tardi, i suoi genitori stavano già dormendo. Velocemente e senza far rumore si mise il pigiama, si lavò i denti e si infilò sotto le lenzuola. Si girò e rigirò più volte, non riuscendo a prendere sonno. Accese la piccola lampada sul comodino di fianco al letto, la fioca luce illuminò debolmente metà parte della stanza. Cercò il suo libro e quando ebbe cercato ovunque capì di averlo dimenticato in spiaggia quel pomeriggio. Rimase per alcuni instanti immobile, seduta sul letto indecisa se sdraiarsi o recarsi alla spiaggia per andare a riprenderlo. Dopo interminabili minuti di indecisione, balzò giù dal letto, indossando una felpa e dei pantaloncini.
Dopo aver chiuso lentamente la porta, corse alla spiaggia stringendosi nella larga felpa. Arrivò agli scogli, le onde si infrangevano a un ritmo regolare e alcuni spruzzi raggiunsero Alis. Si mise a cercare il libro, inutilmente. 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3


Era sbagliato tenere quel libro. Non sapeva neanche il motivo che l’aveva spinto a prenderlo. Voleva leggerlo? No.
Voleva rivedere la ragazza? Sì.
Come metodo per rimorchiare doveva ammettere che non era stato dei migliori che gli fossero venuti in mente. Ma che altre soluzioni aveva? Alis non gli aveva lasciato niente. Non un numero di cellulare. Nessun indirizzo su dove alloggiasse. Gli aveva lasciato solo quel libro. Anche se era quasi sicuro che non l’avesse lasciato di sua spontanea volontà. Ma gli sembrava altrettanto impossibile che se lo fosse dimenticata.
Marco si infilò sotto le coperte, nascondendo il libro sotto il cuscino quando sentì bussare qualcuno: «Chi è?».
 «La donna delle pulizie» scherzò Davide, imitando in modo orribile una voce femminile.
Marco alzò gli occhi al cielo e l’amico fece capolino nella stanza: «Che vuoi?».
 «Io e gli altri andiamo a fare un giro. Vieni con noi?» chiese, appoggiandosi alla porta con una spalla, le braccia conserte.
 «No, non ho voglia».
 «Stai bene?» chiese Davide, con una punta di preoccupazione nel suo solito tono scherzoso.
 «Sì».
Davide gli si avvicinò e stringendogli una spalla disse: «Domani cercheremo quella ragazza».
Il ragazzo rimase spiazzato dall’affermazione dell’amico e da come riuscisse a capirlo così bene.    «Non mi interessa!» esclamò Marco con voce un po’ troppo acuta, sgranando gli occhi.
 «Ah ok» si arrese Davide. Prima di uscire dalla stanza si girò ancora verso l’amico: «Sai…» iniziò, esitando per qualche istante sulla porta «…quando menti, sgrani gli occhi».
Marco afferrò il cuscino e glielo scagliò addosso.
Il mattino seguente, Marco si svegliò con il libro aperto al suo fianco. Aveva letto finché i suoi occhi non si erano chiusi su quelle pagine. Posò il libro sul comodino e si alzò andando alla finestra: il caldo sole estivo si rifletteva sulla superficie del mare tranquillo; il cielo era un lenzuolo blu senza nuvole; sullo sfondo, di fronte a sé, si stagliavano le morbide curve delle colline punteggiate di piante basse. Alla fine della spiaggia, nel campo da beach volley, i suoi amici stavano giocando una partita che sarebbe durata ancora per un po’. Aprì la finestra e l’aria gli accarezzò la pelle nuda, scaldandogli le ossa. Marco si stiracchiò, poi prese il libro e se lo rigirò tra le mani. Le pagine della nostra vita, lesse più volte mentalmente. Accarezzò la copertina, avrebbe dovuto ridarglielo. E dopo? Cosa sarebbe successo? “Non programmare il futuro”, le parole della ragazza gli risuonarono nella mente.  
L’aveva osservata per giorni; si svegliava ogni mattina verso le undici, passeggiava sul bagnasciuga fermandosi ogni tanto per raccogliere un sasso o una conchiglia. Nel pomeriggio faceva parecchie immersioni e Marco tratteneva il fiato, immobile, per tutto il tempo in cui lei rimaneva sott’acqua. E quando riemergeva, il ragazzo sentiva una piacevole e indescrivibile sensazione di sollievo allargarsi nel petto. Una volta era salita in superficie dopo dieci minuti e Marco aveva represso a fatica la tentazione di tuffarsi in acqua.  Talvolta Alis si sedeva sugli scogli e, con le cuffie nelle orecchie, osservava con sguardo assente il mare. Quanto avrebbe voluto sapere a cosa stesse pensando o quale canzone stesse ascoltando. Quanto avrebbe voluto entrare nel suo mondo, imparare a conoscerla così tanto da capire i suoi pensieri.
La sera la ragazza usciva verso le sette e mezzo rincasando a mezzanotte o giù di lì. Marco lasciava la finestra aperta e non si addormentava finché non la vedeva tornare; seguendola con lo sguardo capì dove abitasse in quel villaggio. Proprio di fronte a casa sua, solo cinque villette a sinistra.
 Buona notte, Alisea, si ritrovò a sussurrare mentalmente una volta osservando la ragazza che entrava in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Le mancava.
Fu allora che decise che era arrivato il momento di restituirle il libro.
 
Alis camminava lentamente sulla via lastricata, guardando dritto davanti a sé. Mancava poco alla mezzanotte, ma non aveva fretta. Quella sera aveva deciso di passare per la spiaggia, passeggiava a piedi nudi tenendo le scarpe in una mano. Mentre camminava osservava la grande distesa scura sulla quale si rispecchiava pallido il riflesso della mezzaluna e delle stelle. Non le piaceva il mare di notte e per questo si teneva a debita distanza dal bagnasciuga, vicino alla luce confortante dei lampioni. Dopo qualche passo imboccò la via che portava alla sua casa e si rimise le scarpe. Quando giunse alla porta, notò un biglietto spiegato sullo zerbino. Lo raccolse guardandosi intorno; lo aprì e lesse la scrittura poco ordinata:
Spero mi raggiungerai all’alba.
Sogni d’oro, Alisea.
Marco.
Alis si guardò ancora intorno e per un istante pensò di gettare il biglietto, invece lo strinse in una mano a pugno ed entrò in casa.
Trovò la madre in cucina: «Mamma. È tardi. Non riesci a dormire?» chiese Alis, preoccupata.
 «Oh, tesoro, tranquilla. Avevo solo sete» spiegò indicando il bicchiere d’acqua che teneva in mano. «Tu sei stanca?».
 «Un po’» rispose, sentendo le palpebre pesanti. «Anch’io ho sete». La madre le versò l’acqua in un bicchiere e glielo porse.
 «Sembri sconvolta» commentò, guardando la figlia con apprensione.
 «Sono stanca» la corresse, bevendo una sorsata.
La madre continuò ad osservarla, poco convinta, e alla fine chiese: «È successo qualcosa?».
Alis le raccontò di Marco e le fece leggere il biglietto che aveva trovato poco prima. «Perché l’hai respinto?» chiese la madre, porgendole il foglio dopo averlo letto.
 «Perché… non mi interessa».
 «Ti fa bene conoscere qualcuno».
 «Non un ragazzo e non in questo momento».
 «Non sono tutti stronzi» il tono di voce era pacato.
 «La maggior parte sì» ribatté Alis, con convinzione. «Sono molto stanca, buona notte» e le schioccò un bacio sulla guancia. La madre rimase in silenzio per alcuni secondi prima di chiamarla. Alis si girò verso di lei, seduta ancora al tavolo di legno scuro: «Sì?».
 «Non respingere le persone».
Alis fece un sorriso forzato, le augurò ancora la buona notte e si mise sotto le coperte con in mano il biglietto di Marco. Lo rilesse più volte, lentamente. Quando immaginò la voce del ragazzo pronunciare quelle parole, si ritrovò a sorridere involontariamente. Si mise a sedere, prese il suo cellulare dal comodino e regolò la sveglia alle cinque e mezzo: pochi minuti prima dell’alba.
Alis era immersa in un sonno senza sogni quando il suo cellulare cominciò a squillare con insistenza. Con gli occhi ancora chiusi, spense quel rumore assordante. Si girò a pancia in su e si stiracchiò, le palpebre ancora pesanti. Si lavò e si vestì con i capelli ancora umidi. Fuori il cielo era costellato da flebili stelle che davano il loro ultimo saluto alla notte. Alis sbadigliò e si strinse nella felpa quando uscì di casa. Le gambe erano pesanti e si costrinse a rimanere sveglia, maledicendo il ragazzo per aver scelto un orario così assurdo. D’altronde, si ritrovò a pensare, anche il loro incontro era stato a dir poco assurdo.
Dopo poco raggiunse la spiaggia e i lampioni si spensero uno dopo l’altro. Alis si diresse verso gli scogli; lui la stava già aspettando. La sentì arrivare e la salutò con un gran sorriso. «Ciao, Alisea».
 «Ciao» rispose lei senza entusiasmo, squadrandolo con aria diffidente. Indossava dei pantaloni che gli arrivavano al ginocchio e una felpa chiusa che aderiva al corpo.
 «Pensavo non saresti venuta» iniziò lui.
 «L’idea iniziale era quella» rispose Alis, spostando per un attimo lo sguardo sul mare.
 «E cosa te l’ha fatta cambiare?» sembrava sinceramente incuriosito.
 «Hai qualcosa che mi appartiene» rispose sicura di sé, tenendosi sempre a distanza dal ragazzo.
Marco sorrise dicendo: «Il libro».
 «Perspicace» commentò lei, sarcastica lasciando trapelare la sua irritazione crescente.
Marco si guardò intorno, non sapendo cosa dire. Poi il suo sguardo si posò sul piccolo porto vicino alla scogliera. «Va bene. Ti darò il libro, se prima vieni a fare un giro in barca con me».
 
Alis non aveva saputo ribattere e così dopo una decina di minuti si era ritrovata seduta su una barca, dietro di lei Marco armeggiava con il motore.
 «Dove andiamo?» chiese lei. Il ragazzo indicò la piccola isola davanti a loro. La barca partì e il viaggio lo trascorsero in silenzio. Marco la osservò come era solito fare dalla sua finestra; lei guardava l’orizzonte, era tesa anche se cercava di non darlo a vedere. I capelli che formavano un mantello color ebano alle sue spalle.
Arrivarono alla spiaggia che il sole stava per salire, emanando flebili raggi che dipingevano il cielo di un rosa pastello. Alis scese dalla barca e si fermò ad osservare l’alba, con un’espressione meravigliata disegnata sul volto ancora assonnato. Marco la imitò avvicinandosi a lei, ma non troppo per paura che potesse allontanarsi aumentando ancora di più la distanza. «Hai ragione, è bellissima» ammise la ragazza continuando a guardare dritto di fronte a sé. Due gabbiani si alzarono in volo sfiorando la superficie del mare con le ali candide.
 «Più del tramonto» rispose lui.
 «Non saprei dirlo» ammise, sincera. Erano entrambi spettacoli incredibili. Alis si ricompose e si rivolse al ragazzo con un tono di ghiaccio: «Adesso dammi il libro».
 «Cosa?».
 «Hai detto che me l’avresti restituito se avessi fatto un giro in barca con te. Be’, l’ho fatto» spiegò velocemente.
Marco si voltò girò verso la ragazza dicendo: «Vieni». Lei cercò di protestare ma alla fine lo seguì.
 «Dobbiamo proprio camminare?» esclamò la ragazza dietro di lui, sentiva le gambe più pesanti a ogni passo.
 «A meno che tu non sappia volare» rispose Marco sarcastico. E per l’ennesima volta si fermò ad aspettare che lo raggiungesse.
 «Se non volessi camminare?» chiese, fermandosi all’improvviso. Te ne andresti?, era la sua domanda inespressa. Rimasero per alcuni interminabili istanti immobili, guardandosi a vicenda. In quel momento Marco si accorse di quanto fosse bella, ferma in mezzo all’erba bassa, una figura solitaria che si stagliava verso il cielo che piano piano si dipingeva d’azzurro. Non era una bellezza provocante, no. Era una bellezza semplice, particolare,… delicata, che accarezzava qualcosa dentro di lui. Nessuno dei due aveva abbassato lo sguardo, né avevano intenzione di farlo. Alis pensò che si girasse e se ne andasse, come aveva fatto … il bastardo. Marco invece avanzò verso di lei, con passo deciso, e porgendole una mano le chiese: «Vuoi venire con me?». Nessuno dei due si mosse. Marco fissava gli occhi della ragazza: un verde acceso screziato di marrone. Alis spostò lo sguardo sulla mano aperta del ragazzo. Per tutta risposta posò la sua, titubante. Marco la strinse forte. Alis sorrise tra sè, nessuno l’aveva mai presa così. Nemmeno il bastardo.
Camminarono in silenzio lungo il pendio, che saliva serpeggiando su per una collina. L’erba era secca e le più grandi piante erano dei cespugli che correvano in modo irregolare lungo il sentiero. Il caldo sole estivo era attenuato dal soffio di una leggera aria fresca che aumentava a mano a mano che salivano. Le loro mani non si staccarono mai, nemmeno quando la salita si faceva a tratti più ripida. Rallentavano, ma mai si separarono l’uno dall’altra.
Le dita non erano intrecciate, si tenevano come se fossero due bambini, strette intorno al dorso della mano dell’altro; senza accarezzarla, perfettamente immobili. 

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Capitolo 4
*** 5 ***


5
 
Stupida! Stupida!, si ripeteva Alis mentre chiudeva violentemente la porta della camera alle sue palle. Prese a calci il letto e tutto ciò che le capitò a tiro. Come ho potuto cascarci di nuovo?, si ripeteva prendendosi a schiaffi mentalmente. Oh, quanto sono stupida! Perché non gli ho chiesto se è fidanzato? Era una domanda così ovvia! Stupida, stupida!
Alis si fermò all’improvviso guardando l’orologio che segnava le sette di sera. Doveva prepararsi; andare ad organizzare un’animazione, divertirsi e dimenticarsi di Marco.
Si lavò e l’acqua fredda la svegliò totalmente, lavando via ogni tocco le aveva donato Marco in quella giornata. Indossò un top dai colori vivaci, degli pantaloncini di jeans e un paio di scarpe da ginnastica bianche.
Sì, quella sera si sarebbe dimenticata di Marco. Era solo uno sconosciuto, non sapeva nulla di lui come lui non sapeva nulla di lei. E così doveva essere.
 
 «Lei dov’è?» chiese lui, uscendo dalla camera con in mano il libro. Si guardò intorno, trovando solo Giulia che lo fissava seduta al tavolo.
 «Ciao anche a te» disse lei.
 «Lei dov’è?» domandò di nuovo, scandendo ogni lettera.
 «Se n’è andata» rispose Giulia, come se fosse una cosa ovvia.
Il cuore di Marco perse un colpo: «Cosa significa? Cosa le hai fatto?» continuò lui, trattenendo a fatica… cosa? Rabbia? Delusione?
 «Perché devo sempre passare per la cattiva!» brontolò lei, offesa. O forse faceva finta di essere offesa per spostare l’argomento sulla cosa che amava di più al mondo, se stessa.
 «Cosa le hai fatto?» urlò Marco, dando un pugno al tavolo che tremò al suo colpo.
Giulia si fece piccola sotto il suo sguardo. «Niente! Se n’è andata appena sono arrivata e…».
 «Bugiarda!» esclamò lui, correndo fuori di casa.
 «Dove vai?» gli urlò dietro, seguendolo fino alla soglia. «Se n’è andata, non ti vuole».
 «Bugiarda!» ripeté, chiudendo violentemente la porta alle spalle. Giulia rimase immobile davanti alla porta chiusa, poi scoppiò a ridere.
 
Marco corse a casa della ragazza, schiumante di rabbia. Bussò alla porta, aspettò un po’ prima che gli venisse ad aprire una donna sulla quarantina. «Ciao» lo salutò sorridendo.
 «Buonasera» disse Marco con il fiato corto. «Sono Marco, un amico di Alisea. Posso parlare con lei?».
La donna gli regalò un ampio sorriso e rispose dolcemente: «Mi dispiace, ma Alis non è in casa».
 «Oh» troppo tardi, pensò tristemente. Sapeva dov’era andata, sapeva dove trovarla. Oppure avrebbe potuto aspettare fino a mezzanotte, l’orario in cui rincasava.
 «Le dirò che sei passato» lo rassicurò la donna. Marco la ringraziò e, lentamente, a testa bassa, con gli occhi vuoti si allontanò da quella casa.
Rimase seduto tutta sera sulla scogliera; le braccia che abbracciavano le ginocchia strette al petto, il libro di Alis posato al suo fianco. La mente prese a viaggiare, ripercorrendo la giornata trascorsa. Le era parso che Alisea si fosse aperta con lui quel pomeriggio. Quante volte l’avrà fatta ridere? Dieci? Risolini compresi? Se chiudeva gli occhi riusciva a rivedere il sorriso della ragazza che aveva illuminato quella giornata.
Marco si costrinse ad aprire gli occhi. Guardò il sole tuffarsi nel mare; il rosso fuoco che si fondeva con violenza con il dolce azzurrino delle onde. Sì, il tramonto è decisamente malinconico, disse sorridendo tra sé mentre le braccia della notte avvolgevano il paesaggio intorno a lui.
 «Hai intenzione di rimanere qui seduto fino alla prossima estate?» chiese Davide, sedendosi vicino all’amico.
Marco gli sorrise debolmente. Dopo pochi minuti si ritrovò a raccontare la giornata trascorsa con Alisea. «E poi ha incontrato Giulia» concluse, scagliando un sasso lontano di fronte a sé.
Davide gli strinse una spalla. «Andrà tutto bene».
 «Lo spero».
 «Ti ho portato un panino».
 «Non ho fame» rispose Marco, disgustato all’idea di ingerire qualcosa. Gli si era formato un nodo alla gola, non aveva nemmeno voglia di parlare se non con lei. Davide lo capì, ma non se ne andò. Rimasero in silenzio ad osservare la notte avanzare lenta, con calma.
 
Marco si svegliò all’improvviso e la prima cosa che sentì fu il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli. Sfilò dalla tasca di Davide il cellulare per sapere che ora fosse: le undici meno dieci. Scattò in piedi come una molla; prese il libro al suo fianco e scese dalla scogliera di corsa. E la vide. Avanzava  veloce verso la propria casa, il suo sguardo non era mai rivolto verso il mare.
 «Alisea!» la chiamò correndo verso di lei.
La ragazza si girò in direzione della voce. «Ciao» lo salutò con tono neutro. Nei suoi occhi verdi il ragazzo lesse diffidenza. Seppur così vicina da poterla sfiorare con una mano, non l’aveva mai sentita tanto distante. «Te ne sei andata».
 «Ti ho lasciato in buona compagnia» commentò lei, le braccia intrecciate davanti a sé.
 «Cosa? Perché pensi questo?» chiese Marco, in quel momento avrebbe voluto abbracciarla dicendole che non desiderava nient’altro che stare con lei, recuperare il tempo perso da quando era scappata. Ma non osò farlo.
 «Perché ho visto la tua amica bionda!» sbottò, la voce strozzata.
 «Non è un’amica» la corresse lui, prontamente.
Alis sentì gli occhi pizzicare. «Come pensavo» sussurrò, facendo per andarsene.
Marco la trattenne per un braccio: «Non intendo in quel senso! Giulia non è niente per me! È la sorella del mio migliore amico, tutto qua». 
Alis si sottrasse a quel contatto, fissandolo intensamente.
«Ti assicuro che non è niente per me».
La ragazza rimase in silenzio, guardandolo senza abbassare lo sguardo. Marco si avvicinò a lei; e, abbracciandola con lo sguardo, disse lentamente: «Lei non è niente in confronto a te».
Alis trattenne il respiro, schiudendo le labbra. Ma non si sarebbe fatta incantare un’altra volta. «Devo andare, è tardi».
Marco abbassò lo sguardo, indietreggiando. «Questo è tuo» e le porse il libro. Lei lo prese ringraziandolo.
 «Ciao, Alisea» la salutò accarezzando il nome della ragazza con la voce.
 «Addio, Marco».
Il ragazzo rimase immobile mentre la osservava allontanarsi velocemente, con il libro stretto al petto.
 
Alis non pianse. La sua tristezza non comprendeva le lacrime; si sentiva vuota, ma non leggera. Come ha potuto affezionarsi a qualcuno in così poco tempo? Ripensò al pomeriggio trascorso insieme al ragazzo; lui la faceva ridere e lei ne aveva bisogno. Non aveva riso così tanto come quel pomeriggio da… mesi. Il bastardo non l’aveva mai fatta ridere in quel modo. Scacciò quei pensieri: doveva dimenticarlo. Non importava quanto l’avesse fatta star bene, avrebbe dovuto fingere che non fosse mai esistito. Decise di smettere di pensarci, indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte. Movimenti meccanici; lo sguardo vuoto e il cuore in silenzio. Capì che se avesse provato ad addormentarsi avrebbe finito con il pensare a lui, così decise di rimanere sveglia a leggere finché non fosse crollata sul libro. La sua mente smise di pensare a Marco, anche se neanche quelle pagine riuscirono a colmare il vuoto che sentiva allargarsi dentro di lei. Si costrinse ad ignorare quella sensazione spiacevolmente familiare, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene. Doveva solo rimanere concentrata sul libro.
Lesse per un’ora, due, tre… finché non arrivò all’ultima pagina che girò lentamente assaporando le ultime parole di quella storia. Girò ancora la pagina e il suo cuore perse un colpo quando vide quello che c’era scritto al centro del foglio:
Non possiamo programmare il futuro, ma forse questo ha programmato qualcosa per noi.
Capì subito chi l’aveva scritta e gli occhi iniziarono a pizzicarle improvvisamente, senza preavviso e senza alcun motivo apparente. In un impeto di rabbia scagliò il libro contro la parete opposta, che cadde aprendosi sul pavimento. Alis spense la luce, sotterrandosi sotto le coperte.
 
 «Ciao, tesoro».
 «’Giorno» mugugnò Alis, andando verso il frigorifero e tirandone fuori un cartone di latte. Ne riempì un bicchiere e si sedette al tavolo di fronte a sua madre.
 «Ieri sera è venuto a cercarti un ragazzo».
Per poco Alis non si soffocò con il latte. «Marco?».
La madre annuì e la ragazza alzò gli occhi al cielo. «Perché quell’espressione?» chiese la donna, preoccupata e curiosa.
 «Perché non voglio più vederlo» tagliò corto Alis, senza guardare la madre negli occhi. In quel momento arrivarono suo padre e suo fratello. Le salutarono per poi schizzare in spiaggia portandosi dietro un canotto ancora sgonfio.
 «Allora?» continuò sua madre. Alis sapeva che non si sarebbe arresa, così decise di raccontarle tutto. La donna ascoltò attentamente; rimase in silenzio per alcuni istanti prima di dire: «Quel ragazzo ti vuole bene, lo sai?».
 «No, non mi vuole bene» rispose la ragazza e mentre lo diceva sentì la sensazione di vuoto della sera prima.
 «Sì, invece. Ma tu sei troppo assorta nelle tue paranoie per rendertene conto».
 «Ti sei dimenticata cos’è successo dieci mesi fa?» chiese Alis, con una punta di irritazione nella voce.
La madre osservò i polsi della figlia, coperti di braccialetti, poi ritornò a guardarla negli occhi: «Il passato è passato».
Alis sospirò, esasperata, si alzò e lavò la tazza dando le spalle alla madre. La donna si alzò dicendo: «Devo andare a fare delle commissioni».
 «Va bene» rispose Alis finendo di asciugare la tazza.
 
Marco guardava fuori dalla finestra aperta; l’aria estiva che soffiava delicatamente. Quella notte non era riuscito a prendere sonno, avrebbe voluto andare a casa della ragazza, farle capire che non desiderava nessun’altra. Non era evidente? Nei suoi brevi momenti di sonno rivedeva Alis allontanarsi da lui.
I suoi amici erano usciti e lui non ne aveva voglia, non finché la ragazza non sarebbe tornata. Era disposto ad aspettarla alla sua finestra per tutto il giorno, non gli importava, voleva solo che tornasse. Si promise che se fosse tornata non le avrebbe più permesso di andarsene.
Marco rivolse gli occhi verdi al cielo, verso qualcosa che riusciva a vedere solo lui. Ti prego, fa’ che torni!, fu il grido che gli salì. E dopo pochi minuti la vide uscire dalla casa: indossava un costume blu acceso; i capelli che le ondeggiavano sulle spalle. Marco non riuscì a reprimere un sorriso. Torna, le disse mentalmente sperando che lei riuscisse a sentire i suoi pensieri. Ma lei corse veloce e leggera verso la scogliera. Era di una bellezza esotica mentre si arrampicava agilmente sugli scogli, sempre più in alto. In un attimo fu sulla cima, a cinque metri d’altezza. Marco trattenne il respiro quando capì cosa aveva intenzione di fare. Stupida!, esclamò mentalmente. Alis prese la rincorsa e senza pensarci troppo si lanciò in acqua con poca eleganza. Le gambe scalciavano nel vuoto mentre lei continuava a cadere, un punto indefinito contro il cielo limpido. Lo spruzzo che formò era alto circa un metro. Marco stava ancora trattenendo il fiato, pregando che riemergesse. Ma i cerchi, che si erano formati nel punto in cui si era tuffata, svanirono e lei non era ancora riaffiorata. Il ragazzo fissava il mare con occhi sbarrati, ansimando come se non avesse respirato per minuti interi. Il punto in cui si era tuffata era ora calmo e piatto, ma lei non riemergeva. 
 

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Capitolo 5
*** 4 ***


4


«Quanto manca?» chiese Alis, un po’ per curiosità, un po’ per rompere il silenzio che si era creato.
Marco ci pensò per qualche secondo prima di rispondere: «Una decina di minuti. Siamo a metà strada». E vedendo che lei si limitò ad annuire chiese: «Non ti piace molto camminare, eh?».
Assorta com’era, rispose: «No… ehm… cioè sì». Vedendo l’espressione interrogativa del ragazzo precisò: «Sì, mi piace».
 «Ma?».
 «Dovrebbe esserci un “ma”?» domandò lei, guardando dritto davanti a sé. Ogni tanto gli lanciava qualche occhiata di sfuggita e quando i loro sguardi si incrociavano, Alis sentiva un piacevole calore irradiarsi sulle guance.
 «Credo di sì. Altrimenti non ti saresti lamentata» spiegò e Alis si accorse di quanto fosse attento ad ogni particolare.
La ragazza sospirò. «Sono solo una pigrona. Ma non tanto».
 «Ammettilo: sei andata a passeggiare, hai fatto una caduta a dir poco imbarazzante e magari ti sei rotta qualcosa».
Alis scoppiò a ridere e il suono della sua risata alleggerì il cuore del ragazzo. «Malgrado il mio equilibrio poco stabile, mi dispiace informarti che non sono mai caduta» rispose con una punta d’orgoglio nella voce.
 «C’è sempre una prima volta». Prima che potesse ribattere, le fece perdere l’equilibrio per poi farla atterrare tra le sue braccia forti con un gridolino soffocato in gola. Rimasero immobili, i respiri trattenuti e le labbra schiuse come i petali di una rosa, mentre si perdevano uno negli occhi dell’altra. «Così non vale» sussurrò lei, sentendo un piacevole calore nel punto in cui il ragazzo l’aveva afferrata. Marco la teneva senza fatica, sembrava piccola e fragile tra le sue braccia. 
 «Posso sempre lasciarti cadere» mormorò lui, senza pensarlo veramente.
 «Non lo farai» rispose lei, decisa.
 «Questo non puoi saperlo». 
Alis lo guardò intensamente e, sfidandolo, disse: «Allora lasciami cadere». Marco imitò una caduta, ma lei non si scompose né gridò. Il ragazzo la rimise lentamente a terra, sfiorandole la schiena. Le loro mani si trovarono immediatamente, felici di riabbracciarsi di nuovo.
 «Ti sei fidata di me» commentò, guardandola per un momento.
 «Non sono così stupida! Mi sono fidata del mio istinto».
 «E cosa diceva il tuo formidabile istinto?» la prese in giro, sorridendo.
 «Che non mi avresti lasciata cadere» rispose lei, guardandolo negli occhi. «E, come sempre, aveva ragione».
 «Sono ancora in tempo per dimostrare al tuo istinto che si sbaglia» la sfidò, con una punta di presunzione velata dal tono scherzoso.
Lei fece scivolare la sua mano dalla sua sentendo già la mancanza di quel contatto, gli si parò davanti costringendo il ragazzo a fermarsi ed esclamò: «Prima devi riuscire a prendermi!».
 «Corri. Ti do un po’ di vantaggio» rispose lui, reprimendo a fatica un sorriso.
 «Gentile da parte tua, ma non ne ho bisogno».
 «Corri».
E lei corse dalla parte opposta, giù per la collina. Ma non per molto; Marco correva molto più veloce di lei e dopo pochi secondi le si parò davanti con un sorriso trionfante dipinto sul volto. Alis fece una finta a destra, per poi spostarsi velocemente a sinistra; ma lui l’anticipò. L’afferrò per i fianchi morbidi e caddero sulla terra arida rotolando per un paio di metri, abbracciandosi e ridendo. Quando si fermarono, Alis si ritrovò sopra di lui.
 «Ti ho presa» disse, trionfante.
 «E io ti ho atterrato»  rispose, sorridendo.
Marco, senza fatica, la sollevò da terra e lei emise un gridolino soffocato. «Dicevi?» chiese, posandola a terra dolcemente, senza smettere di sorridere. Lentamente, avvicinò una mano verso la ragazza e le tolse un paio di rametti che si ero incastonati nei capelli. Mentre ritirava la mano, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi smeraldini, le sfiorò il viso. E quel quasi contatto bastò a imporporare le guance di Alis.
Si alzarono e camminarono verso la spiaggia, ridendo, scherzando, punzecchiandosi e tenendosi per mano. Alis rideva di gusto; gettando la testa all’indietro lasciando che i capelli le ricadessero come una cascata scura. Marco si scoprì adorare quel suono che proveniva dalle labbra di lei. Scesero alla spiaggia verso le undici e mezzo e lo stomaco di Alis brontolò.
 «Hai fame?» chiese il ragazzo, aiutandola a salire sulla barca.
« Sei perspicace!» esclamò lei, sarcastica. Marco alzò gli occhi al cielo, sorridendo, e il motore partì con un rombo acuto. «Ti porto a mangiare qualcosa», non era una domanda.
 «Ok. Ma sbrigati che ho fame» rispose lei, ridendo.
Marco accelerò improvvisamente e si ritrovò Alis tra le braccia, la testa sulla sua spalla. «Rallenta!» esclamò lei a voce alta per sovrastare il rumore del motore. Ma anche quando il ragazzo rallentò, Alis rimase tra le sue braccia.
 
La bar-ristorante Il porto si affacciava sul piccolo molo dove partivano e rientravano continuamente moto d’acqua e barche. Il vento soffiava più leggero in quel punto, una brezza piacevole e salmastra. Scelsero un tavolo all’aperto, nel giardino del ristorante. Marco si sedette di fronte a lei e ordinarono due pizze margherite.
 «Optiamo per il semplice, eh?» disse Marco quando il cameriere si fu allontanato.
Alis annuì e alzò il suo bicchiere di Coca-Cola. Non aveva mai bevuto alcolici. «Alla semplicità».
Marco le fece eco sorridendo: «Alla semplicità».
La pizza non era male, solo un po’ troppo sottile. Mangiarono parlando animatamente, come se fossero amici che non si vedevano da tempo immemore. Nessuno dei due si sforzava di trovare argomenti, arrivavano e basta, uno dopo l’altro. Dicevano qualsiasi cosa passasse loro per la testa, senza sforzarsi di piacersi a vicenda perché, anche se ancora non lo sapevano, erano già pazzi l’uno dell’altra. Marco e Alis erano semplicemente in sintonia.
Marco pagò e la ragazza, lusingata, lo lasciò fare. Entrarono nella gelateria poco distante dal ristorante. Il ragazzo scelse un pallina di gelato alla fragola e Alis alla nocciola. Si spostarono verso la spiaggia, a quell’ora poco affollata: i bambini sarebbero arrivati nel tardo pomeriggio, quando i raggi del sole erano più deboli per la loro pelle delicata. Gli ombrelloni color panna del bagno Marana Playa erano quasi tutti aperti. Una coppia si riposava all’ombra dell’ombrellone, scambiandosi dolci effusioni. Ora una carezza, ora un leggero bacio sulla bocca. Una comitiva di ragazzi era uscita con delle moto d’acqua, facendo a gara a chi arrivasse primo chissà dove. Le ragazze, ridendo e spettegolando tra loro, si scaldavano ai raggi del sole del primo pomeriggio.
Marco sporcò la guancia della ragazza con un po’ del suo gelato e lei fece lo stesso. Il gruppo di ragazze si voltò verso di loro per dare un’occhiata veloce, per poi riprendere a parlare fitto fitto. Alis e Marco non si accorsero nemmeno della coppia di anziani sul bagnasciuga che si era fermata a osservarli con un’espressione di dolce malinconia. Non c’erano per nessuno; immersi in un mondo parallelo che apparteneva solo a loro.  Marco pulì delicatamente la guancia della ragazza con un fazzoletto, godendosi il contatto anche se attraverso un pezzo di stoffa. Lei per tutta risposta lo sporcò di nuovo con il gelato… ed entrambi scoppiarono a ridere ancora, e ancora, e ancora.
Si tennero per mano tutto il tempo, camminando sugli scogli e sedendosi per ammirare il mare di fronte a loro. Rimasero in silenzio e, nel silenzio, furono i loro sguardi a parlare. Alis appoggiò la testa sulla sua spalla e lui la lasciò fare, stringendole ancora più forte la mano. La ragazza chiuse gli occhi e inspirò il profumo del ragazzo misto a quello salato del mare. Marco girò la testa verso di lei, osservandola mentre teneva gli occhi chiusi. Come se avesse sentito la sua presenza, Alis riaprì lentamente gli occhi e gli sorrise. Lui le rispose con un sorriso tenero avvicinando ancora di più il suo viso a quello della ragazza. Alis arretrò e si alzò in piedi all’improvviso. Marco rimase disorientato e la guardò perplesso. Lei ignorò il suo sguardo; si tolse le scarpe e i vestiti, rimanendo in costume. Marco ammirò il suo corpo perfetto baciato dai raggi del sole. Lei gli sorrise prima di prendere la rincorsa e tuffarsi con molta poca grazia in acqua. Il ragazzo si alzò in piedi e guardò giù dalla scogliera: nel punto in cui si era tuffata si formarono dei cerchi concentrici che si allargavano. Marco trattenne il fiato finché non la vide riemergere poco distante dal punto in cui si era tuffata. E rideva, forte. «Buttati!».
 «Torna su!» le urlò, sollevato di constatare che stava bene.
 «No! Dai, buttati!».
Testarda, pensò alzando gli occhi al cielo. Si tolse i vestiti velocemente e compì un tuffo perfetto dalla scogliera alta un paio di metri. Riemerse accanto a lei esclamando: «Non farlo mai più!».
 «Perché? È divertente!» rispose lei ridendo e schizzandolo.
 «È pericoloso!» la corresse lui.
 «Quanto sei noioso» commentò, senza smettere di ridere. Senza dire una parola, si immerse e nuotò lontano da lui. Marco fu costretto a seguirla. In acqua era di poco più veloce di lui, si fermò dopo una ventina di bracciate. «Ho vinto io!» cantilenò lei contenta, battendo le mani come una bambina.
 
Alis uscì dall’acqua, seguita da Marco. I capelli bagnati del ragazzo erano incollati alla fronte e lei trovò la cosa buffa. «Cosa ti diverte tanto?» chiese lui, fingendosi irritato perché, in realtà, adorava il suo sorriso.
 «I tuoi capelli!» esclamò scoppiando a ridere. Marco per tutta risposta si avvicinò a lei e le scompigliò i capelli, dolcemente.
Marco le avvolse l’asciugamano intorno alle spalle e lei gli sorrise teneramente. Si asciugarono velocemente, poi il ragazzo le disse: «Devo darti il libro». Lei annuì mentre le prendeva la mano e la trascinava a casa sua. «Ti aspetto qui» disse Alis quando si accorse che la stava trascinando in camera. Lui non protestò e sparì nella stanza. La ragazza si appoggiò al tavolo del soggiorno, guardando fuori dalla portafinestra il mare calmo.
In quel momento qualcuno fece capolino nella stanza, Alis si girò e quando vide una ragazza di fronte a sé il sorriso che le si era dipinto sul volto svanì.
 «Chi sei? Cosa ci fai a casa mia?».
 «C-ciao… io…» balbettò, non sapendo cosa dire. Era più bassa di lei e i capelli biondi le ricadevano sulle spalle, i grandi occhi da cerva. La sicurezza che emanava conferiva a darle quel fascino da capogiro.
 «Esci da casa mia».
Ad Alis venne in mente l’immagine della bionda e Marco insieme. Non seppe il motivo. D’altronde Alis non sapeva se fosse fidanzato. In realtà, non sapeva nulla di Marco.
 «S-scusa» e uscì da quella casa, di corsa. Si girò un attimo, il tempo per vedere quella ragazza bionda appoggiata alla porta osservarla e intimorirla con il suo sguardo che lanciava disprezzo.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6
 
Il cuore di Marco prese a battere lentamente, rimbombandogli nelle orecchie, scandendo i secondi che passavano da quando Alis si era tuffata. Dopo pochi minuti che non la vide riemergere uscì dalla finestra con un salto e corse in spiaggia togliendosi i vestiti mentre correva, abbandonandoli sulla sabbia calda. L’acqua fredda gli penetrò fino alle ossa, ma Marco non si fermò. Nuotò velocemente fino agli scogli, dove si immerse più volte chiamando il nome della ragazza.  Ogni volta che si immergeva la speranza sembrava perdersi tra quelle onde che avevano inghiottito Alis. Si avvicinò ancora di più agli scogli, dove la corrente era più forte; anche se non riuscì a spostarlo. Nuotò con cautela sempre più vicino alle rocce, immergendosi e…
…Alis riemerse, a poca distanza da lui.
 «Che cosa ci fai qua?» domandò lei, visibilmente stupita.
Marco stava per rispondere, quando un’onda, più alta delle altre, trascinò Alisea verso le rocce. Il ragazzo la vide sbattere la testa sulla scogliera. Un istante dopo il mare si chiuse sopra di lei. Marco la raggiunse a nuoto; si immerse e afferrò il braccio di Alis.  Il corpo della ragazza risalì in superficie lentamente, come un palloncino che vola verso il cielo. Marco la trascinò a riva e uscì dall’acqua con la ragazza tra le braccia, sostenendole la testa. Il viso era di un pallore marmoreo; il colore roseo delle labbra schiuse era sostituito da uno violaceo e gli occhi erano ancora chiusi. L’adagiò sulla spiaggia e la sabbia si incollò ai suoi capelli bagnati; Marco iniziò a fare pressione con le mani sul petto di Alis, senza togliere gli occhi dal suo viso. Dalle labbra schiuse di Alis uscì un rivolo d’acqua, che le accarezzò lentamente la gola. Alis aprì gli occhi piano, si piegò da un lato tossendo acqua e sangue. Lui fu subito al suo fianco sostenendole la testa. La ragazza si sdraiò di nuovo, sbattendo le palpebre più volte. Marco le accarezzò dolcemente il viso, felice di vedere gli occhi della ragazza che mai erano stati più belli. Alis gli rivolse un debole sorriso e si mise a sedere. La testa prese a girarle e quando vide il cielo confondersi con la terra si appoggiò al petto del ragazzo, che l’accolse nel suo abbraccio.
 «Come stai?» le chiese, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sfiorandolo.
 «Una favola!» esclamò la ragazza, come se la risposta fosse ovvia.
 «Vedo che il sarcasmo non ti manca mai» commentò lui, con una punta di irritazione nella voce.
 «Mai» confermò lei, allontanandosi dal ragazzo.
 «Te l’ho detto che è pericoloso tuffarsi dalla scogliera» sbottò, perdendo la calma che lo caratterizzava.
Alis non si fece intimidire e gli fece il verso.
 «Mi stai facendo il verso?».
La ragazza ripeté la frase cercando di imitare la voce del ragazzo.
Marco alzò gli occhi al cielo, esasperato. «È vero: è pericoloso!».
 «Non sei mia madre!».
 «E tu ascoltami!».
 «Ti sto ascoltando! Ho capito, mi dispiace. Non lo farò più».
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli e indicò le rocce alle sue spalle. «Ti dispiace?! Alisea, forse non hai capito che avresti potuto non farcela! E hai ancora il coraggio di usare il sarcasmo!» sbottò perdendo definitivamente la calma, il volto imporporato di rabbia.
La ragazza non si fece intimidire dal suo tono di voce, anche se non seppe cosa dire. Odiava chiunque alzasse la voce, chiunque la rimproverasse in quel modo. «Non urlare» sussurrò, alzandosi. La caviglia cedette e si ritrovò ancora una volta tra le braccia del ragazzo.
 «Vieni, devo curarti la caviglia» disse prendendola in braccio senza tante cerimonie.
 «Sto bene!» esclamò Alis, anche se una parte di lei voleva rimanere tra le braccia di Marco.
 «Oh, l’ho notato», questa volta fu lui a usare una punta di sarcasmo.
 
 «Ahi!» esclamò lei quando il ragazzo le disinfettò la caviglia.
 «Stai ferma!» le ripeté per l’ennesima volta stringendo la presa intorno alla sua gamba.
 «Ma brucia!» si lamentò lei.
Era seduta sul letto del ragazzo, tesa come una corda di violino e osservava diffidente i movimenti di Marco davanti a sé. I capelli scuri bagnati erano incollati alla schiena e solitarie goccioline ne accarezzavano il profilo.
Marco Lui le rivolse uno sguardo severo. «Ho quasi finito, stai ferma».
Alis incrociò le braccia davanti al petto, guardando ora la caviglia, ora lui. Sussultò quando lo vide avvicinare il disinfettante alla ferita.
 «Non muoverti» l’ammonì.
 «Scusa» mormorò con un filo di voce.
 «Per cosa? Per esserti mossa o per aver tentato il suicidio?» rispose lui, alzando la voce di un paio di ottave.
 «Non volevo uccidermi!».
 «Ti ho detto che era pericoloso! Perché sei così dannatamente testarda?»
Alis non sopportava quando le persone alzavano la voce con lei, ma non aveva la forza di litigare. Si sentì improvvisamente stanca; le gambe intorpidite e le palpebre pesanti.
 «Non essere arrabbiato con me» lo supplicò dolcemente.
Marco si fermò a guardarla. Gli occhi grandi, verdi della ragazza erano puntati su di lui; le labbra che avevano riacquisito il loro solito colore roseo erano schiuse. Si accorse che tremava. «Copriti».
 «So di non essere bella, ma non pensavo che ti facesse così schifo vedermi in costume». Anche se il suo tono era scherzoso, Marco riuscì a cogliere una sfumatura di tristezza.
Alis si pentì immediatamente di ciò aveva detto e si avvolse con il lenzuolo candido, abbassando lo sguardo. Marco la guardò sbarrando gli occhi. Come fa a non vedere quanto è bella?, si chiese continuando a tamponare la ferita. Una volta disinfettata fasciò la caviglia con un pezzo di stoffa e una garza. «Fatto» disse con una punta d’orgoglio nella voce.
 «Posso andare». Alis fece per alzarsi.
Lui la fermò sedendosi al suo fianco.  «Devi riposare». In effetti Alis era stanca, quella notte non era riuscita a prendere sonno per colpa… per colpa dei pensieri e delle paranoie su Marco. E ora le stava di fronte! Aveva decisamente bisogno di dormire.
 «Io…» cercò di protestare, ma Marco la fece sdraiare sul letto. I capelli umidi bagnarono il cuscino e Alis si raggomitolò tra le lenzuola chiudendo gli occhi. Il ragazzo le rimboccò le coperte dolcemente, chiedendosi ancora perché non riuscisse a vedersi bella. In quel momento era così piccola e vulnerabile, infagottata fino al mento dalle coperte. Avrebbe tanto voluto accarezzare il suo viso, le sue guance di pesca, ma non osò. «Dormi, bellissima» le sussurrò con voce talmente flebile che dubitò l’avesse sentito. Fece per alzarsi, ma lei allungò una mano verso di lui che la prese tra le sue senza pensarci due volte. Era fredda al contatto con la sua pelle e il ragazzo gliela scaldò accarezzandone piano il dorso, l’unico contatto che poteva permettersi. Si risedette al suo fianco, senza mai lasciarle la mano. Calò il silenzio nella stanza, interrotto dal respiro leggero e regolare della ragazza. Sentì le palpebre farsi pesanti e si sdraiò al fianco di Alis, inspirando il suo profumo delicato. Quel profumo dolce e leggero gli faceva pensare una primavera che faticava a sbocciare.
Le strinse ancora di più la mano, portandosela al cuore. Avrebbe tanto voluto stringere Alis al petto, ma quello era l’unico contatto che gli era concesso e se lo fece bastare. Marco prese ad accarezzarle lentamente e con estrema dolcezza il braccio, abbassò lo sguardo sui suoi innumerevoli braccialetti. Iniziò a giocarci, rigirandoseli tra le dita; finché il respiro non gli si fermò quando vide le cicatrici candide che nascondevano. Alcune erano più evidenti di altre, non dovevano essere recenti visto che erano già cicatrizzate e sbiadite. Ne accarezzò una a una con il pollice, chiedendosi cosa l’avesse spinta ad arrivare a tanto.
Alis si mosse e aprì lentamente gli occhi, incontrando quelli del ragazzo. Fece per ritrarre il braccio, ma lui non glielo permise. Portò il polso della ragazza alle labbra; depositando leggeri baci su ogni cicatrice. Alis sbarrò gli occhi e trattenne il respiro mentre lo lasciava fare, nervosa e irrequieta. Marco passò al polso sinistro, compiendo la stessa operazione. Ogni bacio era una benedizione, una promessa di speranza. Quando finì, senza lasciare la sua mano, guardò la ragazza sorridendo; gli occhi che brillavano come illuminati da milioni di piccole stelle invisibili.
 «Sei bellissima. Ti ho detto di coprirti perché stavi tremando» sussurrò lui, imporporandosi le guance. Alis si ritrovò a sorridere tanto che gli zigomi iniziarono a farle male.
 «Pensi che sia pazza?» chiese, indicando i polsi con un cenno della testa. Lui le stava ancora stringendo le mani.
 «Ti conosco poco, ma non sei pazza».
 «Non essere arrabbiato con me» disse, supplichevole.
Marco non riuscì a resistere a quello sguardo pieno di richiesta di protezione; come lo sguardo innocente di un bambino. Sì, perché era una bambina e lui l’avrebbe protetta che lei lo volesse o meno. Trattenne a fatica l’impulso crescente di abbracciarla. «Non sono arrabbiato».
 «Prima lo eri».
 «Sì, perché mi importa di te» le parole gli vennero fuori senza che se ne accorgesse. Ed era vero: non era più arrabbiato con lei; o forse non lo era mai stato veramente.
Alis sorrise e con un filo di voce, timida, gli chiese: «Mi abbracci?».
Marco sorrise di rimando e il suo cuore prese a fare le capriole nel petto, mentre l’accoglieva tra le sue braccia. A dividere i loro corpi c’era solo il sottile lenzuolo; Marco la strinse forte come nessuno aveva mai fatto.
 «Grazie» mormorò contro di lui, ad occhi chiusi.
 «Di cosa?».
 «Di avermi salvata». 

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Capitolo 7
*** 7 ***


7
 
Si addormentarono avvolti uno nelle braccia dell’altra, cullati dai loro respiri.
Marco si svegliò all’improvviso, scosso da un incubo del quale si dimenticò appena vide la testa della ragazza appoggiata sulla sua spalla. Sorrise, accarezzandole con lo sguardo i lineamenti e le labbra schiuse. Le loro mani non si erano lasciate neanche nel sonno e Marco prese a disegnare cerchi invisibili su quelle della ragazza. Alis aprì lentamente gli occhi assonnati e gli sorrise.
 «Ben svegliata».
La ragazza si guardò intorno, stiracchiandosi. «Che ore sono?».
 «Le due e dieci» rispose indicando l’orologio sulla parete bianca. Lo stomaco di Alis brontolò e il ragazzo sorrise. «Vado a prepararti qualcosa da mangiare». E si alzò.
 «Devo farmi una doccia» disse mettendosi a sedere, avvolta ancora nel lenzuolo. Marco le indicò il bagno e l’accompagnò. La caviglia le faceva ancora male, anche se riusciva a reggersi in piedi. Il problema era camminare; il dolore si propagava fin sopra il ginocchio costringendola a fermarsi. Così, seppur riluttante, si fece accompagnare in bagno dal ragazzo che poi sparì in cucina. Alis fece cadere il lenzuolo, che si raggomitolò ai suoi piedi. Si tolse il costume, strizzandolo e mettendolo ad asciugare fuori dalla finestra. Entrò in doccia, l’acqua fredda le accarezzò la pelle nuda; una benedizione per la sua caviglia in fiamme. Quando uscì trovò dei vestiti puliti sul comodino. Alis fece una smorfia quando capì che dovevano appartenere alla bionda. Come si chiamava? Ah, Giulia. Che nome banale, pensò fulminando i vestiti con lo sguardo. E si ricordò il motivo per cui era arrabbiata con Marco. Si rimise il costume ormai asciutto e si avvolse il lenzuolo intorno al corpo.
 «Perché non hai messo i vestiti che ti ho portato?» chiese Marco, sbalordito quando la vide entrare in cucina avvolta ancora nel lenzuolo leggero.
 «Perché non mi piacciono» tagliò corto. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, uscendo dalla stanza e tornando con una sua felpa. «Questa ti piace?».
Alis la prese; superava una sua maglietta di due taglie abbondanti. La indossò senza protestare; era di un rosso cupo e le arrivava poco sopra il ginocchio. La ragazza si sentì subito a proprio agio.
 «Grazie» disse stringendosi nella felpa. «Mi piace il rosso» commentò mentre lui le serviva un piatto di pasta al pomodoro.
 «Anche a me» rispose sedendosi di fronte a lei. Tra un boccone e l’altro lanciava rapide occhiate ad Alis. I suoi occhi. No, non gli occhi. Lo sguardo. Lo sguardo di Alis che variava come l’aria.
 «Era buonissimo» si complimentò Alis, posando la forchetta nel piatto non appena ebbe finito di mangiare.
 «Sono contento che ti sia piaciuto. Vuoi altro?».
 «No, grazie. Devo andare a casa». Alis sentiva che era sbagliato stare in quella casa, da sola con… chi? Un amico? Uno sconosciuto? Era ancora più sbagliato il fatto che stesse indossando la felpa dell’amico-sconosciuto. Eppure dovette ammettere che si sentiva così semplicemente bene. Poteva una cosa sbagliata renderla felice? Scosse la testa mentalmente, provando a dissipare quella piacevole sensazione. Ma non ci riuscì, forse perché le piaceva sentirsi così. A chi non sarebbe piaciuto essere felice?
 «Devi o vuoi andare?» la domanda del ragazzo interruppe il suo monologo interiore.
Alis sospirò, esasperata, appoggiando i gomiti sul tavolo; la testa tra le mani e lo sguardo fisso sul pavimento. Non poteva semplicemente mandarla via? Rifiutarla? Non poteva preferire quella bionda a lei? Sarebbe stato tutto più semplice perché la decisione sarebbe spettata solo a lui. Si sarebbe arrabbiata, ma poi sarebbe passata. Perché Marco non recitava il ruolo del ragazzo cattivo? Perché Marco non era come tutti gli altri?  Sarebbe stato più facile dimenticarlo. Tutto sarebbe stato più facile.
Invece così era tutto diverso. Aveva il controllo della situazione e non le piaceva. «Non posso. Non posso stare qui. Non posso!».
Marco provò a prenderle una mano, ma lei la ritrasse; senza abbassare lo sguardo, l’unica connessione tra loro, l’unica cosa che li univa.
 «Non posso» sussurrò lei, con un filo di voce. Marco si alzò e lentamente si mise davanti a lei. Alis si coprì gli occhi, scuotendo la testa. Il ragazzo gliele spostò delicatamente, accarezzandole il dorso delle mani. Lo guardò con le labbra strette in una linea sottile; scuotendo lentamente la testa. Marco si inginocchiò di fronte a lei che distolse lo sguardo.
 «Guardami».
 «Ti prego, alzati…».
 «Guardami» ripeté, stringendole il ginocchio con una mano. La ragazza percepì un piacevole brivido salirle lungo la gamba; provò ad ignorarlo. Marco si avvicinò ancora di più accarezzando le parole: «Alisea, guardami». E la sua voce dolce fu come un richiamo. Alis lo guardò incrociando gli occhi di lui brillanti di un sentimento che la ragazza non sapeva decifrare. Si sentiva in imbarazzo a vedere qualcuno in quella posizione, ma allo stesso tempo una parte di lei si sentiva quasi lusingata.
 «Non andare» le disse semplicemente, stringendo le mani morbide della ragazza pensando che fosse l’ultima volta.
 «Perché?» chiese lei, senza ricambiare la stretta. Perché dovrei restare?. Sapeva perché, anzi ne sapeva a milioni: perché insieme stavano bene; perché lui era una delle poche persone che riusciva a farla sorridere; perché quando era con lui si dimenticava di tutto e soprattutto di ciò che aveva passato.
 «Lo sai perché» rispose come se fosse una cosa ovvia; lo era? Alis trasalì alla sua risposta, prendendo in considerazione l’idea che sapesse leggerle nel pensiero. O forse lei era troppo espressiva.
 «È sbagliato».
Marco rimase sconcertato, non sapeva più cosa dire o fare. Perché doveva andarsene rendendo tutto così complicato? Resta, resta, resta! Le urlò mentalmente con il cuore che stava impazzendo nel petto. «L’unica cosa sbagliata è ignorare quello che ci sta accadendo».
 «E cosa ci sta accadendo?» chiese in un sussurro, senza accorgersi di trattenere il respiro. Marco le rivolse un sorriso tenero e la sua lucidità l’abbandonò. Si avvicinò lentamente, o meglio; entrambi si avvicinarono. Sentivano uno i respiri dell’altra sulla pelle; occhi negli occhi. I loro cuori impazzirono scalciando dentro di loro.
 «Sta accadendo…» iniziò accarezzandole il viso, le guance si imporporano a contatto con le dita del ragazzo «…la cosa più bella di tutte».
Alis ricordò della notte trascorsa; per la prima volta i suoi incubi le avevano dato pace. Il bastardo non l’aveva tormentata quella notte perché a difenderla c’era quella forza che superava qualsiasi torto avesse subito. Pensò ai leggeri baci sulle cicatrici e un brivido le corse lungo la schiena.
 «Io… » iniziò, ma si interruppe subito, non sapendo cosa dire.
Marco le prese una mano posandola sul proprio petto, all’altezza del cuore che batteva all’impazzata. «Senti». La ragazza aprì la mano, stendendola sul petto del ragazzo. Alis si inginocchio di fronte a lui, adesso erano allo stesso livello.
«Se non ti fidi di me, fidati di questo» e premette la mano della ragazza. Rimase in silenzio spostando lo sguardo dal petto agli occhi del ragazzo. «Se senti la stessa cosa, non andartene». Immobile continuò a sentire i battiti di Marco che impazzivano dentro di lui. Prese la mano del ragazzo, portandosela al petto. Rimasero per un po’ immobili; i respiri trattenuti ad ascoltare i loro cuori che si rincorrevano senza sosta. Le labbra di Marco si allargarono in un sorriso sincero comprendendo gli occhi che brillavano in quelli della ragazza. Con un unico movimento l’attirò a sé, stringendosi a lei. Si persero in quell’abbraccio, cullandosi a vicenda.
«Sento la stessa cosa» sussurrò Alis, ammettendo ad alta voce quello che provava. Caddero sul pavimento freddo, la ragazza sopra di lui. Marco le scostò il capelli dal viso, sfiorandolo con le dita, accarezzandole il labbro inferiore. Alis si alzò aiutandolo a fare lo stesso, Marco l’abbracciò da dietro facendola volteggiare. La ragazza emise un gridolino che si trasformò subito in un sorriso sincero e poi in una risata.
 «Ti fa ancora male la caviglia?» chiese lui, preoccupato, posandola delicatamente a terra; senza mai lasciare la sua mano.
 «Un po’» ammise «ma penso di riuscire a camminare».
 «Non devi sforzarla troppo».
 «E tu non devi rompere le scatole!».
 «Così sarei un rompi scatole?».
 «La maggior parte delle volte!» gli urlò contro, con una punta di acidità.
 «E tu sei maledettamente testarda ed esasperante la maggior parte delle volte!».
Alis non si lasciò intimidire. Cercò di ritrarre la mano, ma lui non glielo permise. Marco non avrebbe mai lasciato la sua mano; non importava quanto si fosse arrabbiato.
 «Allora vattene!».
 «Questa è casa mia» rispose alzando gli occhi al cielo.
 «Allora me ne vado io!». Ma lui l’attirò a sé, prendendole il viso tra le mani e stampandole un bacio all’angolo della bocca, nel punto in cui le sue labbra si incurvavano in un sorriso. Alis non si mosse; i nasi che si sfioravano e i respiri che si confondevano. Marco le accarezzò con i pollici le guance che si imporporarono. La mente di Alis era ovattata, non vedeva più nulla se non il viso del ragazzo che si avvicinava sempre più.
E poi Alis rovinò tutto ritraendosi a quella presa e allontanando il volto da quello di Marco. Il ragazzo stava per chiedere spiegazioni quando la porta si aprì e vi entrarono     quattro ragazzi. Si salutarono, guardando Alis con crescente curiosità.
 «Lui è Davide» le presentò un ragazzo alto e biondo, con due grandi occhi color nocciola. «…lui Luca» e le indicò il ragazzo vicino a Davide. «E loro due sono Claudia e Giulia». Claudia si avvicinò a lei abbracciandola calorosamente, Alis ricambiò l’abbraccio per nulla imbarazzata. Giulia rimase immobile a fissarla, squadrandola da capo a piedi. Marco le riprese la mano, stringendola forte nella sua. «E lei…» iniziò abbracciandole le spalle con un braccio «… è Alisea, la mia ragazza».
Alis lo guardò, ancora più confusa quando lui le sorrise con calore.

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Capitolo 8
*** 8 ***


8

 
Alis sbatté più volte le palpebre. Marco la stringeva forte a sé e quella stretta quasi la soffocò. Perché si sentiva così? Ogni ragazza avrebbe fatto qualsiasi cosa per sentire quella frase, ma Alis non era ogni ragazza. Alis era semplicemente complicata. Non fece in tempo a ribattere che Claudia la travolse in uno dei suoi calorosi abbracci, facendole i complimenti. Per cosa poi? Gli altri fecero lo stesso, compresa Giulia.
 «Posso parlarti un attimo?» chiese la ragazza quando fu di nuovo di fronte a Marco. Gli altri andarono a giocare a pallavolo e per la prima volta Alis fu contenta di essersi quasi rotta la caviglia. Marco uscì mano nella mano con la ragazza. Camminarono sul bagnasciuga, schizzandosi a vicenda. Ma Alis non riuscì a dimenticare le parole di lui. La mia ragazza.  Un piacevole brivido le corse lungo la schiena.
 «Di cosa dovevi parlarmi?».
Alis guardò il mare, cercando coraggio, poi spostò lo sguardo sul ragazzo. «Prima mi hai presentata ai tuoi amici come la tua ragazza».
 «Non è così?» chiese lui, stringendole più forte la mano.
 «Io… non lo so» abbassò lo sguardo sulle loro mani abbracciate. «Io… so che due persone stanno ufficialmente insieme da…» prese un gran respiro terminando la frase: «…da quando si baciano».
Alis osò alzare lo sguardo, sentiva le guance in fiamme. Marco aveva un’espressione confusa e divertita dipinta sul volto e in quel momento la ragazza ebbe l’impulso di prenderlo a schiaffi. Lo divertiva tanto?
 «Chi te l’ha detto?» esclamò il ragazzo prorompendo in una risata.
Il bastardo, pensò. Scacciò il pensiero che le stava rabbuiando il volto. Marco si accorse della sua espressione persa e vuota; la prese per le spalle e si abbassò per guardarla negli occhi: «Stai bene? Non volevo ridere di te, scusa».
Alis gli sorrise, sotterrando il ricordo del suo primo bacio. «Va tutto bene».
Marco inclinò la testa di lato. «Sei sicura?».
Lei annuì e il ragazzo continuò: «Alisea, ascoltami, io voglio stare con te ma solo se anche tu lo vuoi». Alis rimase in silenzio a fissarlo mentre parlava lentamente. «Lo vuoi? Vuoi essere la mia ragazza?».
 «Non sono la ragazza che cerchi» sospirò. Quando lui inarcò un sopracciglio, lei continuò: «Avanti! Hai capito come sono!», gli occhi iniziarono a pizzicarle mentre pronunciava queste parole.
 «Non l’ho ancora capito e non mi importa» sussurrò lui, accarezzandole una guancia.
 «Davvero?».
Il ragazzo annuì, «Ti voglio e basta». Alis sorrise gettandogli le braccia al collo, credendo in quelle parole. Marco ricambiò l’abbraccio, seppellendo la testa tra i suoi capelli e facendola volteggiare quando rispose: «Anch’io ti voglio».
Il ragazzo sorrise stringendola forte a sé. Quelle parole riempirono il cuore di Marco che prese a battere come impazzito. Le prese il viso tra le mani, come se fosse fatto di vetro. Le accarezzò le guance facendola arrossire; sentiva il suo respiro accelerato contro la pelle… e Alis si ritrasse, schizzandogli addosso l’acqua fredda e salmastra. Marco prese a schizzarla a sua volta mentre il sole si tuffava nell’orizzonte, proiettando giochi di luce sulla superficie cristallina.
Uscirono dall’acqua, abbracciati e felici. «Perché ti sei allontanata?» chiese il ragazzo mentre l’accompagnava a casa.
 «Quando?».
 «Quando ho provato a baciarti» rispose, arrossendo impercettibilmente.
Alis abbassò lo sguardo, sussurrando. «Ti ho deluso?».
Quelle parole, pronunciate con voce innocente, fecero commuovere il ragazzo che si rese conto ancora una volta di quanto fosse fragile. «Questo mai» la rassicurò, contento che quella frase le fece ritornare il sorriso.
 «È che non so se sono capace» ammise, senza guardarlo negli occhi. La situazione era già fin troppo imbarazzate. Perché devo essere sempre così ridicola? Chissà cosa penserà di me!
Marco pensava che al mondo non esisteva creatura più buffa e attraente al tempo stesso. «Non mi importa».
 «Mi dispiace, io non volevo… cioè, sì lo voglio… però….» iniziò lei, con la voce che si faceva sempre più acuta, gesticolando animatamente sembrando impazzita e questo pensiero la rese ancora più nervosa. Lui se si parò davanti, posandole l’indice sulle quelle labbra che avrebbe voluto baciare; ma si trattenne. Alis si ammutolì, avvampando.
Marco le sorrise e i suoi occhi brillavano mentre parlò: «Anche se in questo momento stia morendo dalla voglia di baciarti, non ho intenzione di forzarti perché non avrebbe senso. Se dovrà succedere, succederà. E ti assicuro che sarà fantastico».
Poi le depositò un leggero bacio sulla fronte, sfiorandola con il suo respiro caldo e rassicurante.
 
 «Non l’hai baciata?!» ripeté incredulo Luca, mentre uscivano dal locale che si affacciava sul molo.
Le ragazze dietro di loro chiacchieravano animatamente. Davide era al fianco di Marco, gli occhi sbarrati e increduli.
 «Ti ho detto di no!» rispose Marco, alzando gli occhi al cielo. «Cosa c’è di tanto strano?» chiese alzando il tono della voce di un paio di ottave. I due ragazzi si scambiarono un paio di occhiate perplesse. Marco sospirò passandosi una mano tra i capelli.
 «Voglio solo fare le cose per bene, ok?».
 «Come vuoi» rispose Luca.
Davide lo guardò intensamente e i suoi grandi occhi parvero dire: Ti interessa davvero, eh?
, risposero prontamente quelli di Marco, illuminandosi pensando alla… sua ragazza? Poteva definirla tale? Un piacevole brivido gli corse lungo la schiena, costringendolo a stringersi nella felpa. Marco si chiese cosa stesse facendo la ragazza, la sua ragazza, in quel momento. Avrebbe voluto che uscisse con lui e i suoi amici quella sera. Avrebbe voluto tenerla per mano mentre faceva battute sciocche con Davide sperando che le scappasse quel sorriso che fermava il mondo intorno e che gli faceva salire i battiti. Oh, quanto avrebbe voluto! Ma doveva lasciarle i suoi spazi, i suoi tempi. Le voleva bene e avrebbe aspettato. 
Guardò l’orologio sul display del telefonino: le ventitré e un quarto. Sarebbe tornata a casa tra meno di un’ora. E in quel momento crebbe sempre più forte il desiderio di vederla e renderla sua. Definitivamente.
 
Alis si trascinò sotto le coperte, le gambe si erano fatte improvvisamente pesanti. Tirò fuori da sotto il cuscino la felpa del ragazzo e la indossò con un unico movimento. Il suo profumo le annebbiò la mente, facendo riaffiorare ogni ricordo che aveva di lui. Lo vedeva così vivo e reale nei suoi pensieri che il cuore prese a battere sempre più forte, mentre un altro ricordo prendeva forma… poi un altro e un altro ancora. Stava per abbandonarsi alle amorevoli braccia del sonno quando sentì un rumore sordo provenire dalla finestra. Sussultò liberandosi bruscamente delle coperte che finirono raggomitolate ai piedi del letto. Accese la piccola lampadina sul comodino e spalancò le tende chiare. Fuori il cielo notturno si confondeva con il mare; la mezzaluna era l’unica sovrana di quel drappo nero. L’aria era fresca e immobile; l’unico suono che Alis udiva era quello delle onde che si infrangevano sugli scogli.
Abbassò lo sguardo verso la spiaggia e il suo cuore perse un colpo quando riconobbe Marco, in piedi, che le sorrideva, gettando alle spalle il piccolo sasso che teneva in mano. Ma la cosa che la fece letteralmente rimanere senza parole fu ciò che vide di fianco al ragazzo: un enorme telo candido che sembrava brillare nella notte buia. Sopra il telo le parole:
Vuoi essere la mia ragazza?
E, improvvisamente, ogni dubbio svanì; come se fosse penetrato un raggio di luce a dissipare la fitta e angosciante nebbia della paura. Ancora senza parole, con il cuore che impazziva nel petto scese velocemente i gradini e senza disturbarsi di non far rumore uscì chiudendosi la porta alle spalle. Marco la osservava mentre si avvicinava a lui e l’attimo successivo era immersa nell’abbraccio del ragazzo. Lui la fece volteggiare dolcemente, i piedi nudi che sfioravano la sabbia.
 «Sì! Sì! Sì!» esclamò Alis. La posò a terra, continuando a tenerla tra le sue braccia, cullandola. «Sì» sussurrò di nuovo, guardandolo negli occhi.  Marco le cingeva il fianco con un mano; l’altra la testa, giocando con i suoi capelli.
 «Quindi sei ufficialmente mia?» le chiese in un sussurro. Alis sprofondò il viso nel petto del ragazzo che continuava ad accarezzarle dolcemente i capelli. Prese un respiro profondo, provando a calmarsi, mentre il cuore le scoppiava nel petto e i suoi occhi erano bagnati di lacrime di gioia. Alzò il viso per incontrare il dolce sguardo di Marco.
 «Non desidero essere di nessun altro» e gli depositò un tenero bacio all’angolo della bocca, mandando in fiamme quel punto con le sue labbra morbide. Marco non si accorse di aver trattenuto il respiro finché il viso della ragazza non si fu allontanato dal suo.
Lui le posò un leggero bacio sulla fronte facendola sorridere e in quel momento il ragazzo si rese conto che avrebbe fatto pazzie per non farla mai smettere di sorridere.
 «Che c’è?» domandò Alis inclinando la testa di lato; lo sguardo perso di Marco iniziava a metterle soggezione.
 «Hai un sorriso bellissimo».
A quella risposta la ragazza sorrise ancora di più e lui le sfiorò l’angolo delle labbra, sulla ruga profonda che creava il sorriso di Alis.
Per un istante si domandò se Marco fosse reale, se non fosse solo il frutto della sua mente contorta. Perché quel ragazzo era, con tutti i suoi irritanti difetti, ciò che più si avvicinava alla perfezione di quel mondo imperfetto. 

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Capitolo 9
*** 9 ***


9
 
Alis non si mosse, non voleva rovinare quel momento. Non aveva né freddo né sonno tra le braccia di Marco; era come se i suoi sensi si fossero assopiti.
 «Sei stanca?» le chiese, allontanandosi per guardarle il viso.
Alis scosse la testa, sorridendo. 
 «Nemmeno io» continuò prendendole la mano. «Facciamo una passeggiata?» domandò indicando il mare di fronte a loro. Alis osservò la superficie scura che diventava un tutt’uno con la notte. Tutto era spaventosamente nero intorno a lei. Marco la guardò preoccupato vedendo gli occhi smeraldini della ragazza attraversati da un’ombra. Improvvisamente la sentì lontana, persa chissà dove. Cosa ancora peggiore, non sapeva come riportarla da lui. Alis sussultò quando sentì la grande mano del ragazzo stringerle la spalla.
 «Dobbiamo proprio camminare sulla spiaggia?».
 «Sì».
 «A quest’ora?».
«Sì. Perché?».
 «Perché… fa paura» rispose abbassando di molto la voce, non sopportava passare per una codarda. I codardi erano deboli e Alis disprezzava qualsiasi forma di debolezza.
 «Ci sono io!» esclamò Marco cingendole le spalle con un braccio.
 Alis non poté reprimere un sorriso.
 «Appunto!» rispose in tono canzonatorio. Marco si finse offeso ritirando il braccio; ma entrambi già sentivano la mancanza di quel contatto. Per un folle, spaventoso istante che parve interminabile, la ragazza pensò che si fosse offeso e che non la volesse più. Le parole di scuse le morirono in gola quando Marco le afferrò le gambe e la sollevò di peso senza il minimo sforzo. Alis vide il mondo ribaltarsi in un secondo; i capelli le caddero a cascata mentre prendeva a pugni la schiena del ragazzo.
 «Mi fai il solletico» la prese in giro e questo la infastidì ancora di più.
 «Mettimi giù!» gli gridò, ma l’istante successivo scoppiò in una risata nervosa che colmò di gioia il cuore del ragazzo.
 «No, non penso che lo farò». E continuò a camminare a passo deciso verso il mare. Si fermò che l’acqua gli arrivava poco sopra i polpacci. Posò la ragazza. Alis stringeva gli avambracci di lui come se fossero la sua ancora di salvezza. L’acqua era scura e fredda. Si guardò intorno: nero. Nero come un baratro senza fine, come i suoi incubi più terribili. Il respiro era accelerato; voleva scappare, ma al tempo stesso un’infondata paura la incatenava.
  «Ehi» sussurrò lui, stringendole le spalle. Quando alzò lo sguardo gli occhi di lei erano sbarrati. Era così… fragile. Di nuovo la sentì terribilmente distante; una sensazione che voleva evitare con tutto se stesso.
 «Guardami» le sussurrò dolcemente, accarezzandola come se fosse un piccolo animale impaurito… da cosa? Da lui? Marco pensò se aveva detto o fatto qualcosa che l’avesse turbata.
Lei ubbidì e nel momento stesso in cui i loro sguardi si incrociarono, la ragazza non vide nient’altro che i suoi occhi verdi che riflettevano la luminosità delle stelle. E tutto il nero sparì, illuminato dal sorriso timido del ragazzo.
 «Cosa ti spaventa?».
Il nero, il mare di notte che sembra un baratro senza fine, pensò senza distogliere lo sguardo. «Niente» mentì.
Marco inclinò la testa da un lato con un’espressione perplessa dipinta sul volto. L’acqua intorno a loro era immobile; e, tranquilla, in lontananza incontrava gli scogli. «Niente» ripeté, c’era uno fondo di verità.
Marco non chiese altro e la strinse a sé, affondando la testa tra i suoi capelli. «Sei così fragile» le mormorò all’orecchio, stringendola forte.
Quelle parole furono come una doccia fredda. Riluttante, si allontanò da lui con uno spintone. «Ti sbagli».
 «No».
 «Invece sì! Come ti permetti di dire una cosa simile?! Tu non mi conosci! Non sai niente di me! Niente!» quasi urlava. Non sopportava sentirsi definire debole. I deboli piangono e Alis non conosceva le lacrime. «Sono molto più forte di quanto tu creda, razza di sbruffone egocentrico troppo pieno di sé!»
Marco sorrise, come se gli insulti della ragazza lo divertissero.  
«Perché ridi?» esclamò lei, infastidita.
Il ragazzo a fatica trattenne una risata. 
 «Idiota» sibilò Alis, facendo per andarsene.
Marco la fermò afferrandole le braccia e stringendole in una morsa d’acciaio. Alis provò a liberarsi, ma nulla poté contro quella presa. Era perfettamente immobile mentre i suoi occhi si incatenavano a quelli di lui.
 «Lo sai che sei maledettamente irresistibile quando ti arrabbi?».
Alis provò a rimanere seria mentre il cuore le scoppiava nel petto e un dolce sorriso le si disegnava sul volto. Cercò di reprimerlo, ma era qualcosa di troppo forte persino per lei.
 «E tu rimani un’idiota!» scoppiò, ormai ridendo.
 «Il tuo idiota» sussurrò lui attirandola a sé.
 «Mio» lo rassicurò lei  con un sussurro, allacciando le braccia intorno ai suoi fianchi. Marco le depositò un leggero bacio sulla fronte, facendola sorridere.
Le diede un altro bacio, un altro e un altro ancora, evitando le labbra. Alis scoppiò in una risatina imbarazzata, arrossendo all’improvviso.
Camminarono sul bagnasciuga per un po’ e poi si ritrovarono sdraiati sulla sabbia, abbracciati. Si coprirono con il lenzuolo candido sul quale Marco aveva scritto quella frase. I capelli neri della ragazza erano sparsi come un’aura scura intorno al viso sorridente.
 «Wow» sussurrò Alis ammirando il cielo notturno spruzzato di innumerevoli puntini luminosi.
 «Già, wow» convenne Marco stringendola ancora di più. «Quella è l’Orsa Maggiore» continuò indicando il cielo.
 «Conosci tutte le costellazioni?».
 «Un po’».
 «Mostramele».
Il ragazzo ubbidì indicando e spiegando pazientemente. Alis lo ascoltava affascinata, ammirando il drappo stellato sopra di loro.
 «Dove hai imparato a riconoscere le costellazioni?».
 «Mio nonno è un appassionato di astrologia».
Marco posò lo sguardo su di lei, accarezzandole con gli occhi i lineamenti delicati.
 «Be’? Perché mi stai guardando?» domandò Alis con una punta di acidità nella voce sottile.
 «Perché sei bellissima» rispose, come se fosse ovvio. E quando lei sorrise, Marco le depositò un leggero bacio sulla piega del sorriso. Alis trattenne il fiato quando sentì il respiro del ragazzo sfiorare le sue labbra. Rimasero abbracciati; perfettamente immobili. Marco l’avvolse tra le sue braccia e lei posò la testa sul petto del ragazzo. Lui prese a giocare con i suoi capelli, avvolgendoseli tra le dita, inconsapevole degli effetti che le provocava. Marco capì che si era addormentata quando il respiro le divenne calmo regolare. Non poté fare a meno di ammirare la ragazza mentre sognava, anche se già conosceva a memoria ogni lineamento del suo viso.  Perfino mentre dormiva, la sua fragile bellezza non l’abbandonava. Sei mia, pensava incredulo mentre l’accarezzava con lo sguardo. Non smise di guardarla finché le palpebre non divennero pesanti e le braccia del sonno ebbero la meglio.
Alis fu svegliata dal fastidioso verso dei gabbiani che rincorrevano l’alba.
Alba?
La ragazza scattò a sedere guardandosi intorno, sentendo le ossa indolenzite. Marco, al suo fianco, dormiva profondamente, il viso illuminato dei deboli raggi del sole mattutino. Non riuscì a capacitarsi di essersi addormentata sulla spiaggia… insieme a lui. Alis si mise le mani nei capelli arruffati dal vento e dai granelli di sabbia.
In quel momento il ragazzo si svegliò abbracciandola da dietro. «Buongiorno» le sussurrò all’orecchio.
Alis si girò a guardarlo e capì che non avrebbe potuto desiderare di essere in nessun altro luogo.
 «’Giorno» rispose, appoggiandosi a lui.
 «Dormito bene?».
 «Dormire su una spiaggia non coincide con la mia idea di notte perfetta».
 «Dormire con te, invece, coincide con la mia idea di notte perfetta» rispose baciandole una guancia. Alis chiuse gli occhi, assaporando quel momento di pura felicità.
 «A cosa stai pensando?» le domandò, scostandole una ciocca dalla fronte.
 «A quanto sono fortunata» rispose, aprendo gli occhi per incontrare quelli del ragazzo.
Marco l’abbracciò forte, appoggiando la testa sulla sua spalla: «Sono io quello fortunato, piccola». Alis si irrigidì sentendosi chiamare in quel modo e il ragazzo percepì quel cambiamento perché chiese: «Che c’è?».
Alis si voltò per guardarlo negli occhi. «Non chiamarmi “piccola”» scandì ogni parola, come se stesse parlando a un bambino.
 «Perché no?».
 «Perché non sono piccola!» sbottò, come se fosse una cosa ovvia. Non le era mai piaciuta essere chiamata in quel modo, la faceva sentire vulnerabile. E non lo era.
 «E come dovrei chiamarti?».
 «Con il mio nome, magari?», Non si sforzò di nascondere l’acidità nella sua voce.
Marco alzò gli occhi al cielo. «Sei sempre così insopportabile al mattino?».
 «Be’, tu lo sei tutto il giorno!».
Marco scoppiò a ridere, trovando buffa quella discussione insensata.
 «Perché ridi?!» esclamò, iniziando a gesticolare in preda alla rabbia; cosa che alimentò la risata del ragazzo. Improvvisamente l’avvolse tra le sue braccia attirandola a sé. «Un giorno o l’altro mi farai impazzire».
Alis non poté reprimere un sorriso. «Sono ancora arrabbiata!».
Marco la prese in braccio con un movimento fluido dicendo: «Vediamo se l’acqua fredda ti farà sbollire la rabbia».
E corse verso il mare gettandola in acqua. Lei riemerse subito, schizzandolo.
Presero a giocare e a lottare come due bambini e ben presto il suono delle loro risate si unì al canto dei gabbiani. Fu proprio mentre scherzavano che avvenne, quasi per gioco. Erano sott’acqua quando le loro labbra si trovarono. Ogni rumore era ovattato, distante, astratto. Loro, invece, erano reali.
 

•••••••

Grazie di cuore a tutti per essere arrivati fin qui! Un grazie particolare a chi recensisce (ma anche ai lettori silenziosi che aumentano sempre di più). ♥ Semplicemente, GRAZIE!

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Capitolo 10
*** 10 ***


10
 
Quando riemersero le loro labbra erano ancora unite.
I loro cuori impazzirono, rincorrendosi a vicenda. Quando la mente di Alis realizzò che cosa stava accadendo, il suo corpo fu attraversato da un tremito. Per tutta riposta lui la strinse ancora più forte. Si sentiva leggera e… felice. Marco le depositò un casto bacio sulle labbra, prima di allontanare il viso da quello della ragazza. Si guardarono a lungo, accarezzandosi con lo sguardo. Marco la strinse forte a sé e lei ricambiò l’abbraccio, sentendosi piacevolmente protetta. Anche se non l’avrebbe ammesso neanche a se stessa, aveva un disperato bisogno della protezione che solo lui sapeva darle.
  «Non ho mai baciato qualcuno sott’acqua» gli sussurrò.
  «Nemmeno io. Come non ho mai dormito su una spiaggia». La strinse ancora più forte, questa volta senza curarsi di essere delicato. Ed Alis dovette ammettere che adorava quel piacevole dolore.        «Due prime volte in meno di ventiquattr’ore». Poi le prese in il viso tra le mani, delicatamente. Le accarezzò una guancia con la mano, mentre i loro sguardi si incatenavano in quell’affascinante perdizione.
 «Mi sorprendi» le sussurrò, accarezzando le labbra rosee della ragazza con il suo respiro. Le depositò un bacio all’angolo della bocca, facendola arrossire. Alis era perfettamente immobile; non si accorse che stava trattenendo il respiro per paura di rovinare quel momento. Non sapeva cosa fare, cosa dire. Sapeva che il ragazzo si aspettava una risposta, ma le parole le vennero meno. Gli gettò le braccia al collo, sorridendo così forte che quasi provò dolore. Si aggrappò a quel momento di pura felicità; come se fosse la sua ancora di salvezza.
 «Tu mi hai sorpresa» rispose, depositandogli un leggero bacio sulla guancia. Poi guardandolo negli occhi, continuò: «Non smettere mai».
 «Sorprenderti sarà il mio unico scopo, d’ora in poi». E la baciò di nuovo, lentamente, assaporando le labbra della ragazza con le sue.
 Quando si staccarono, lo stomaco di Alis brontolò.
Marco sorrise mentre le prendeva la mano dicendo: «Ti porto a mangiare qualcosa». Si asciugarono con il lenzuolo bianco, avvolgendosi insieme; solo la sottile stoffa separava i loro corpi. Quando il ragazzo fece per asciugarle i capelli lei lo fermò. «Sono capace di asciugarmi da sola».
  «È discutibile. E, comunque, voglio farlo io».
  «Scordatelo! Ti ho detto che ce la faccio da sola!».
  «È discutibile» ripeté, sarcastico.
Alis gettò il lenzuolo a terra. «Non sono una bambina! Quando lo capirai?» sbottò,          all’improvviso. Primo difetto: è irascibile, registrò mentalmente Marco. Alis per un momento pensò che se ne volesse andare, come aveva fatto il bastardo. Ma Marco rimase immobile, senza dire niente. La ragazza non sapeva che non se ne sarebbe andato neanche se gli avesse urlato contro perché quel ragazzo era dolce e tenace. Ancora una volta Marco pensò a quanto fosse fragile e si accorse che era proprio quella fragilità ad averlo fatto innamorare di lei. Oh, piccola, la chiamò mentalmente sapendo che non avrebbe apprezzato il nomignolo. Il ragazzo si avvicinò con cautela, come se avesse a che fare con un animale braccato. Alis indietreggiò, vedendolo che si avvicinava. Al diavolo la cautela!, pensò Marco e con un unico, veloce movimento si ritrovò a pochi centimetri da lei. Prima che potesse allontanarsi le prese, rapido, il viso tra le mani e la baciò accarezzando lentamente le sue labbra, come se ogni carezza fosse l’ultima. Solo quando Alis iniziò a ricambiare il bacio assecondando le sue carezze, il cuore del ragazzo si calmò concedendo una pausa al suo petto ormai dolorante. Quando si staccarono, Marco teneva ancora il suo viso di lei tra le mani; i nasi che si sfioravano e i respiri immobili. 
«Chi bacerai quando mi avrai fatto impazzire?» le sussurrò.
  «I baci dei pazzi sono i migliori».
  «Allora» iniziò avvicinandosi tanto finché sembrò fosse il suo respiro a parlare «diventerò pazzo solo per te».
 Alis sorrise, non sapendo cosa dire o come sentirsi. Sapeva solo che per la prima volta da tanto tempo si sentiva bene. Perché in quel momento non c’era nessuno a chiederle ‘come stai’? Gliel’avevano domandato in tanti e tante volte in quel periodo buio e lei si era trovata costretta a mentire. E adesso che finalmente poteva dire, urlare, ‘sto bene’ non c’era nessuno a chiederglielo; nessuno a cui importasse. Perché adesso che voleva gridare la sua gioia al mondo poteva solo sussurrarla a se stessa?
  «Cosa c’è? Stai bene?».
  «Sto bene». Il sorriso che le si dipinse sul volto fu il segno che era la verità.
 
  Quando passarono dalla casa del ragazzo, videro gli amici di Marco uscire. «Ehi, Marco! Dov’eri finito? Non sei tornato per la notte!» lo salutò Davide.
Marco finse di non sembrare in imbarazzo. «Ero…in giro» e scambiò un’occhiata di intesa con Alisea, facendola arrossire. Giulia arricciò il naso alzando gli occhi al cielo, disgustata. Luca la notò e senza pensare esclamò: «Quando Marco passava tutta la notte con te non ti faceva schifo, eh, Giulia!». La ragazza avvampò improvvisamente, scoccando a Luca uno sguardo omicida che non gli fece alcun effetto. Alis sgranò gli occhi e schiuse le labbra, poi guardò Marco; il quale stava fulminando Luca. La ragazza fu travolta da un’onda di gelosia insensata. Perché reagiva così? Era ovvio che Giulia tenesse ancora a Marco; Alis l’aveva letto nel suo sguardo la prima volta che l’aveva vista. Erano occhi di un marrone così chiaro da essere superficiale; occhi di una persona che si innamorava senza lasciarsi travolgere. O forse era solo una sua impressione? Ne dubitava, Alis era sempre stata brava a capire le persone.
 «Volete giocare a beach volley?» domandò Davide, per smorzare la tensione crescente.
Tutti furono d’accordo. «La tua caviglia non è…» le sussurrò Marco mentre gli altri correvano verso il campo.
 «Ce la faccio a giocare» tagliò corto lei.
 «Invece non dovresti…».
Alis gli si parò davanti. «Adesso stai zitto e mi ascolti molto attentamente!» lo zittì. Marco rimase a guardarla, alzando le mani in segno di resa. Alis continuò, gesticolando. Il ragazzo l’avrebbe trovata buffa se non fosse per il suo sguardo che sprigionava scintille.
 «Io non rimarrò a ferma a guardare la finta bionda della tua ex mentre ti lancia occhiate provocanti, dovessi fratturarmi entrambe le caviglie». In realtà Giulia era bionda naturale, ma Alis aveva parlato senza pensare. Senza aggiungere altro si avviò con passo deciso verso il campo. Marco rimase a guardarla mentre camminava sicura di sé. In quel momento era un vulcano di energia e determinazione pronto a eruttare in tutto il suo inquietante splendore.
Alis si avvicinò a Giulia, sfilandosi la felpa in modo provocante. «Allora? Maschi contro femmine?» le chiese, con un sorriso felino stampato sul viso ingenuo. Un’inquietante combinazione, disarmonica e affascinante al tempo stesso. Una bambina che giocava a fare l’adulta. Un cucciolo che provava a difendere il territorio.
 Giulia rise, gettando i capelli all’indietro. «Goditelo finché puoi».
 Alis la guardò con espressione interrogatoria, ma senza lasciar cadere quella maschera di sicurezza che si era creata. Giulia la guardò come se fosse una bambina, cosa che fece infuriare Alis ancora di più; ma non esplose, lasciò sbollire la rabbia a fuoco lento.
 «Non sei altro che un flirt estivo, tesoro. Fra tre mesi si dimenticherà di te».
Alis ignorò lo spiacevole nodo alla gola che la stava assalendo mozzandole il respiro. Stava per rispondere quando arrivò Marco. Il ragazzo stava tirando dritto, Alis lo prese per un braccio e senza dire niente lo attirò a sé baciandolo. Fu un bacio disperato; le loro labbra si muovevano velocemente, come in preda a una tempesta di emozioni che esplodevano intorno a loro.
 Non lasciarmi!, urlavano le labbra della ragazza mentre con una mano gli accarezzava la schiena, ben consapevole che Giulia li stava osservando.
 Mai!, risposero veloci quelle di Marco.
 «Marco, hai intenzione di metterla incinta in questo momento, per caso?» esclamò Luca, con un fischio. I due scoppiarono a ridere, staccandosi. Le depositò un leggero bacio sulle labbra; un soffio  leggero in confronto all’esplosione di emozioni che avevano appena provato. Alis lo guardò sorridendo finché raggiunse i suoi amici.
 «Non pensavo ti piacesse giocare sporco» commentò Giulia, acida; incrociando le braccia al petto.
 Alis le rivolse un sorriso radioso e spavaldo. Si sentiva di nuovo potente, come se il bacio di Marco le avesse dato nuova sicurezza. La squadrò, sorridendo.
 «Bel costume» disse infine, indicando il completo blu elettrico.
 «Peccato che non possa dire lo stesso del tuo».
Alis inclinò la testa da un lato e sorridendo. «Oh, non essere gelosa. Ti vengono le rughe». E se ne andò a testa alta, facendo ondeggiare alle sue spalle i capelli scuri. Giulia la stava fissando quando notò che portava innumerevoli braccialetti. Aveva visto solo una sua amica che portava così tanti accessori e non perché le piacessero.
 
La partita iniziò, ragazzi contro ragazze. Marco continuava a lanciare teneri sguardi in direzione di Alis che sorrideva audacemente ogni volta. La sicurezza della ragazza lo spiazzò, facendolo impazzire.
Quando le ragazze vinsero, si abbracciarono come se fossero amiche da una vita. Alis sentì delle grandi braccia avvolgerla da dietro. La ragazza gli stampò un veloce bacio sulle labbra, sotto lo sguardo di Giulia.
  «Posso rubarti?» le sussurrò all’orecchio, il suo respiro le accarezzò la pelle.
 Alis lo guardò negli occhi e sorrise. «Fallo e basta».
  «E se andassimo a mangiare tutti insieme?» si intromise Giulia, avvicinandosi a loro con Claudia al seguito.
Marco guardò Alis, che stava fulminando Giulia con lo sguardo. Davide e Luca li raggiunsero pochi secondi dopo. Marco le sfiorò il braccio cercando di attirare la sua attenzione, ma nemmeno il suo tocco riuscì ad abbattere il muro di sicurezza che aveva innalzato. Il suo comportamento andava oltre la semplice gelosia; stava difendendo il territorio. In quel momento Marco ne fu quasi lusingato, sicuro che lei lo volesse e che appartenesse solo a lei.
 «Per noi va bene» risposero Davide e Luca, che andò subito ad abbracciare Claudia.
 Marco spostava lo sguardo dai suoi amici ad Alis, che continuava a fissare Giulia con occhiate tutt’altro che amichevoli.
 «Sì, anche per noi» rispose alla fine, enfatizzando volontariamente l’ultima parola.                Marco stava per dire qualcosa quando Alis lo zittì stringendogli forte la mano. Aveva paura? Non lasciarmi, sembrava dicessero le sue dita. Per tutta risposta lui ricambiò la stretta e lei sembrò calmarsi. 

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Ciao a tutti ^_^
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!
Volevo fermarmi un attimo a ringraziare TUUUTTE le persone che sono arrivate fin  qui.
Ringrazio di cuore tutti i recensori che sono stati così gentili da lasciare un commento ♥
Grazie di cuore, ricambierò appena possibile :)
Un enorme grazie anche ai lettori silenziosi che aumentano giorno dopo giorno ♥
Grazie di cuore, siete fantastici :)

 

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Capitolo 11
*** 11 ***


11
 
Il locale era lontano dalla spiaggia, al centro del villaggio turistico che dava sulla piazza. Alis sentì uno spiacevole senso di disagio, così lontana dal mare e dal dolce suono delle onde che adorava. Represse quella sensazione, stampandosi un sorriso che sprigionava una dolcezza inquietante.
 «Vado in bagno» disse, alzandosi dal tavolo dopo aver ordinato.
Stava per uscire quando Giulia le si parò davanti. Alis sussultò.
 «Ti ho spaventata? Scusa, non volevo» la provocò, sorridendo.
 «Che vuoi?».
 «Parlarti».
 Alis alzò gli occhi al cielo. «Non ho tempo. Sai, io ho un ragazzo che mi aspetta».
 Giulia non disse niente. Rapida, si avvicinò a lei e le afferrò un braccio. Alis non fece in tempo a divincolarsi dalla presa che la ragazza aveva già abbassato quasi tutti i braccialetti scoprendo le pallide cicatrici. «Hai ancora fretta, autolesionista?».
Con un movimento rapido Alis ritirò il braccio, coprendosi con i braccialetti. «Ex-autolesionista» precisò prontamente «E comunque non sono affari tuoi».
 «Marco lo sa?».
 «Come ho detto, non ti riguarda».
 «Ascoltami bene» disse, in tono serio, fermandola. La guardò negli occhi catturando la sua attenzione: «Sparisci e lascia stare Marco».
 «Perché dovrei?».
 «Prendilo come un consiglio da un’amica».
 «Non sei mia amica e non ho paura di te» sibilò Alis, incrociando le braccia al petto.
 «Lo so. Non hai neanche paura di quello che potrebbero pensare gli altri se parlassi dei tuoi favolosi tagli?».
E in quel preciso istante, il muro si sicurezza crollò. Spazzato via come un castello di carte. Alis sapeva fin troppo bene come venivano considerati gli autolesionisti: pazzi. Non importava il fatto che lei non si facesse più del male, la gente l’avrebbe giudicata ugualmente.
 «Puoi usare la porta sul retro per uscire».
 «Tu…» iniziò puntandole un dito contro. Cosa? Niente avrebbe potuto ferirla. Si sentì improvvisamente impotente; quando si trattava del suo passato la sicurezza l’abbandonava, nascondendosi chissà dove. Lasciò la frase a metà, sentendo gli occhi pizzicarle mentre correva fuori.
 
 «Dov’è Alisea?» chiese Marco quando Giulia ritornò al tavolo.
 «L’ha chiamata sua madre ed è corsa a casa. Vi saluta tutti» mentì spostando lo sguardo su ognuno e abbassandolo quando incontrò quello di Marco.  Il ragazzo aprì la bocca poi la richiuse e tirò fuori il cellulare dalla tasca.
 « Che fai?» squittì Giulia.
Lui la ignorò e compose il numero. Ti prego, rispondi, pensò mentre il cellulare continuava a squillare a vuoto. Riprovò una, due, tre… dieci volte. Alla fine gettò il cellulare sul tavolo, con rabbia.
 «Perché non risponde?» chiese Davide.
 «Non lo so!» sbottò il ragazzo, battendo un pugno sul tavolo che tremò. «Non so perché si comporta così!».
 Giulia abbassò lo sguardo provando a reprimere un sorriso compiaciuto.
 
Il suo cellulare vibrava nella felpa, ininterrottamente. Avrebbe voluto rispondere ma sapeva che Marco si trovava con lei e che lei avrebbe parlato. Ti prego, perdonami, pensò mentre rifiutava la decima chiamata. Corse a lungo senza voltarsi indietro, sentendo gli occhi pizzicare sempre di più per poi offuscarsi lentamente. Spalancò gli occhi al cielo ricacciando indietro le lacrime imminenti; poi ricominciò a correre. Il vento le scompigliava i capelli, ma non le importava; voleva solo tornare a casa e dimenticare tutto.
Maledisse le notti in cui si era procurata quei tagli. Ma come faceva a sapere che una cosa che considerava passata l’avrebbe perseguitata? Si ricordò del giorno in cui Marco aveva visto le sue cicatrici.  Lui era l’unico che non l’aveva considerata una pazza, l’unico che non se n’era andato nonostante quei stupidi segni. Lui sapeva, lui avrebbe capito. Ma i suoi amici no. E non voleva rovinargli la reputazione. Non voleva essere una vergona, una delusione.
I suoi polsi iniziarono a pulsare, oppure era tutto nella sua testa?
Velocemente, aprì la porta di casa sospirando quando scoprì di essere sola. Come diceva il biglietto che la madre aveva lasciato sul tavolo, erano appena usciti. Alis si avvicinò al frigorifero prelevando pomodori e insalata. Non aveva molta fame, ma sapeva di aver bisogno di mangiare qualcosa. Quando si accorse di avere ancora addosso la felpa di Marco capì che avrebbe dovuto rivederlo per restituirgliela. Forse domani. O il giorno dopo. Prima doveva pensare a se stessa. Mangiò velocemente. Si costrinse a fare un sorriso forzato mentre si convinceva che sarebbe andato tutto bene. Si spogliò della felpa, rimanendo in costume intanto che lavava i piatti. Dopodiché si trascinò fino alla sua camera, affondando nelle coperte. Ma quando chiuse gli occhi vide vivido e reale il volto di Marco. Spalancò gli occhi all’improvviso, a costo di non dormire per il resto della sua vita. Si alzò di malumore; prese il libro dal comodino e si costrinse a leggere. Ma puntualmente i suoi pensieri si perdevano in quello che per la prima volta le sembrò soltanto inchiostro su una pagina bianca, parole vuote.
Persino gli abbracci dei bambini sembravano impalpabili, privi di qualsiasi significato quella sera. O forse si era stancata di trovare un significato per ogni cosa? Era solo un monotono ripetersi di azioni e parole senza un reale significato. Semplicemente, era così e basta. Quella sera Alis era lontana, persa nei meandri dei suoi pensieri e delle sue domande che non avrebbero mai trovato risposta. E più cercava di non pensare, più la sua mente le inviava immagini dei giorni trascorsi con lui. Sembrava di vedere fotogrammi sparsi di un film. Senza che lo volesse, si trovò persa a ricordare il loro bacio. Schiuse la labbra e trattenne il respiro; come se lo stesse rivivendo con una sola eccezione: senza di lui. Poi si trovò a porsi la domanda che inconsapevolmente continuava ad evitare. Perché se n’era andata?
 
 «Quindi, cos’hai intenzione di fare?» gli chiese il suo migliore amico quando si sedettero nel locale affollato a causa della partita. Gli altri si misero a seguirla, tranne Marco.
 «Cosa?» domandò, cadendo dalle nuvole.
 «Con Alisea».
 «Io…» iniziò, lasciando la frase a metà.
 «Ti piace».
 «Non lo so».
 «Non era una domanda» disse appoggiandogli amichevolmente una mano sulla spalla.
Marco sospirò, prima di bere una lunga sorsata della sua birra. Ne ordinò un’altra che arrivò subito.
 «Non ti ha risposto?» continuò Davide, che non stava seguendo la partita. Giulia intanto origliava la discussione, senza darlo a vedere.
Marco scosse la testa, portandosi il bicchiere alla bocca.
 «Si farà sentire, non preoccuparti» lo rassicurò l’amico cercando di essere convincente. Per tutta risposta Marco finì la sua birra e ne ordinò un’altra. Il locale scoppiò in un boato quando una delle due squadre segnò il primo punto della partita. Marco applaudì senza entusiasmo, mentre Luca esultava come un pazzo insieme alla sua ragazza.
Molti goal e birre dopo, Marco a malapena sentì il cellulare vibrare nella tasca dei jeans. Lo tirò fuori, fiacco, ma si svegliò appena lesse il nome sul display. Come se l’effetto dell’alcol fosse svanito  e la sua mente fosse tornata lucida all’improvviso. Ma il mal di testa gli segnalava che quella sera aveva esagerato con le birre. Con il cuore che gli pulsava nel petto, lesse più volte il messaggio:
Ho bisogno di te.
-A.
Marco rilesse quelle parole così tante volte che quasi persero significato, non riusciva a crederci. Quando realizzò che tutto era reale, scattò in piedi come una molla sotto lo sguardo perplesso del suo migliore amico. «È lei!» esclamò per tutta risposta.
Il volto di Davide si illuminò: «Allora vai da lei!».
Giulia, ancora incredula, si alzò in piedi. «Vai dall’autolesionista?».
Tutti si fermarono a quelle parole. Persino Luca e Claudia smisero di seguire la partita.
 «Ma di cosa stai parlando?» domandò Davide, pensando che la sorella avesse bevuto troppo.
Prima che la ragazza potesse ribattere, Marco collegò tutto. Incredulo che fosse capace di una cosa del genere.
 «Stronza» sibilò, a occhi socchiusi. La ragazza si fece piccola sotto il suo sguardo, la situazione non stava andando come aveva previsto.  Marco le si avvicinò lentamente. «Ascoltami bene, non osare mai più provare a ferire Alisea, è chiaro?». Non aspettò nemmeno la risposta, non gli importava. Corse fuori dal locale digitando veloce il messaggio:
Dove sei?
La risposta arrivò pochi minuti dopo.
Al molo.
 
Non aveva resistito, improvvisamente era come se non importasse di nulla se non di Marco. In un momento di follia che durò pochi secondi si era dimenticata dell’avvertimento di Giulia, che sembrava quasi innocuo. Pochi secondi, il tempo sufficiente per inviare il messaggio al ragazzo.
Era seduta sul ponte di legno, le gambe sospese nel vuoto e la schiena appoggiata al basso palo. Le stelle si rispecchiavano sulla superficie scura dell’acqua che si increspava quando incontrava le rocce.
Prima sentì, tra quel ritmico rumore delle onde, i passi; poi venne la voce.
 «Alisea!».
La ragazza scattò sentendosi chiamare. Si alzò, rimanendo immobile a pochi metri di distanza da Marco. Non poté fare a meno di sorridere appena incontrò i suoi occhi smeraldini, che sembravano più luminosi sotto la luce della pallida luna. Quando le sorrise, Alis non poté fare a meno di correre ad abbracciarlo. Lui ricambiò l’abbraccio sollevandola da terra con estrema facilità, mentre lei allacciava le gambe intorno ai suoi fianchi. Il ragazzo affondò il viso tra i suoi capelli, inspirando il dolce profumo come se fosse diventato il suo ossigeno. La ragazza si strinse forte a lui. Si sentì una sciocca ad essersene andata e si promise che non l’avrebbe rifatto. Niente avrebbe potuto spegnere la forza di quel sentimento che stava nascendo rapido come un fuoco che divampa e lentamente consuma anima e corpo.
I loro volti si allontanarono di pochi centimetri necessari per perdersi uno negli occhi dell’altra, parlando parole impronunciabili. Alis gli scompigliò teneramente i capelli, facendolo sorridere.   «Non andartene mai più, altrimenti sono costretto a venire a prenderti ogni volta» scherzò depositandole un bacio all’angolo della bocca.
Lei fece per incontrare le sue labbra, ma il ragazzo si spostò. Ci provò un’altra volta, ottenendo lo stesso risultato. Per tutta risposta, Marco le depositò un bacio sulla curva del suo sorriso; senza toccarle le labbra che ardevano di desiderio crescente. 
 «Baciami» gli sussurrò, quasi implorandolo; bramando le sue labbra.
 Marco sorrise, accarezzandole una guancia. «Non ancora».
 «Per favore» le uscì in un sussurro. «Mi dispiace di essermene andata! Non lo farò più!»
 «Mai più?».
 «Mai più!» rispose lei, disperata. «Ma adesso, per favore, baciami!».
 Marco le sorrise, facendole perdere la lucidità. Avvicinò le labbra al suo orecchio sussurrando: «Ti bacerò». A quelle parole il cuore delle ragazza impazzì nel petto. Marco le depositò un dolce bacio sotto l’orecchio, sussurrando: «Ma a modo mio». 
 

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Capitolo 12
*** 12 ***


12
 
Prima che potesse emettere suono le labbra del ragazzo si posarono sulle sue. Senza che si staccassero, Marco iniziò a camminare piano fino a raggiungere la fine del ponte. Alis se ne accorse solo quando lui si allontanò quel che bastava per guardarla negli occhi. «Pronta?».
 «Come sempre» rispose, stringendosi ancora di più a lui. Nonostante avesse paura, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sentire di nuovo le labbra del ragazzo. E ben presto le sentì premere sulle sue, delicate e possessive al tempo stesso. Quel contatto scatenò un vortice di emozioni che la stordì. Non aveva mai fatto uso di droga, ma immaginò che la sensazione non doveva essere molto diversa da quella che stava provando. Marco la strinse forte prima di fare un altro passo. Per un attimo i due divennero un’unica, indistinta ombra che si stagliava contro il drappo stellato un istante prima di cadere in acqua con un tonfo sordo, accompagnato da piccoli spruzzi. Riemersero poco dopo, le braccia di Alis intorno al collo del ragazzo. I capelli di entrambi bagnati con alcune ciocche incollate alla fronte. Sorrisero guardandosi negli occhi.
 «Tu sei pazzo!».
 «Però questo pazzo è riuscito a farti tuffare nel mare di notte».
Alis si ammutolì. Guardò rapidamente il mare intorno a sé, un lenzuolo nero che li avvolgeva. Trattenne il respiro quando realizzò dove si trovava, ma lo sguardo luminoso del ragazzo spazzò via ogni dubbio. Forse la pazzia era tutto ciò di cui aveva bisogno. Gli depositò un leggero, riconoscente bacio sulle labbra. Lui rispose con un sorriso timido, che fece impazzire il cuore della ragazza.
Marco la prese in braccio, mentre uscivano dall’acqua. Alis si rannicchiò al petto del ragazzo per scaldarsi.
 «Dove mi stai portando?» chiese con una punta di preoccupazione quando notò che Marco stava risalendo sul ponte.
 «Ti devi asciugare» spiegò brevemente.
Si fermarono davanti a una barca di medie dimensioni ormeggiata a uno dei grandi pali che delimitavano il ponte. L’imbarcazione era di un bianco brillante, con decorazioni blu acceso.  Onda si chiamava.
 «È tua?» gli chiese.
 «Di Davide».
 Marco la posò a terra, tirando fuori la chiave da una tasca dei pantaloni.
 «Sei sicuro che possiamo?».
 «Certo!» esclamò, trovando la chiave. La infilò nella serratura, spalancando la porta tonda. Prima che Alis potesse fare un passo, con un movimento fluido la sollevò da terra. La ragazza soffocò a fatica un gridolino di sorpresa.
 «Ti diverte così tanto prendermi in braccio?».
 «Almeno sono sicuro che non scapperai».
 «Perché dovrei scappare?».
 «Non ne ho idea, però lo fai spesso». Un’ombra di tristezza percorse il suo sguardo.
 La ragazza gli depositò un leggero bacio all’angolo delle labbra prima di rispondere: «Se scapperò ancora, fermami».
Le loro labbra si incontrarono mentre varcavano la soglia della porta, chiudendola alle loro spalle con un calcio. Marco la fece sedere sul tavolo della cucina, prima di staccare lentamente le labbra. Giocò con una ciocca dei capelli scuri della ragazza, sfiorandole il collo con le dita fredde. Piacevoli brividi iniziarono a correrle lungo la schiena facendola rabbrividire involontariamente.
 «Hai freddo» disse lui.
 «No» si lamentò.
 «Non era una domanda».
 «Non ho freddo» protestò, con più decisione. Come poteva spiegargli che quei brividi non erano causati dal freddo senza apparire patetica?
 «Sì, invece. Ti porto un asciugamano, aspettami qui».
Alis non ebbe il tempo di protestare che lui era già sparito in un’altra stanza. Iniziò a guardarsi intorno: era seduta sul tavolo di legno bianco della piccola cucina, formata da un fornello e da un frigorifero in fondo alla parete. La cucina era collegata al salotto, dominato da un divano a cinque posti color panna; un tappeto blu e una televisione di medie dimensioni addossata alla parete. Dietro al divano, una grande vetrata dava sulla prua dell’imbarcazione. Stava per andare alla finestra, quando Marco fece capolino nella stanza portando degli asciugamani candidi.
 «Scommetto che non ti farai asciugare da me».
 «Hai scommesso bene» rispose lei, prendendo un asciugamano e avvolgendoselo addosso. Si sedette sul divano, rannicchiandosi in un angolo.
 «Perché?» continuò, sedendosi vicino a lei con un asciugamano avvolto intorno al corpo.
 «Perché so asciugarmi da sola. Non sono una bambina» esclamò, come se fosse ovvio.
 «Va bene, donna matura» sospirò, abbandonandosi sul divano.
 «Non chiamarmi così» sbottò, come se fosse un’offesa.
Marco si drizzò a sedere, inarcando un sopracciglio. «Allora, mi dici come dovrei chiamarti?».
«Be’, sai, ho un nome!».
«Un bellissimo nome, Alisea» sussurrò, avvicinandosi a lei.
«Ecco, allora usalo».
«Sarà fatto» acconsentì, attirandola a sé. Alis lo lasciò fare, appoggiando la testa sulla sua spalla. Chiuse gli occhi, sentendo solo il regolare respiro del ragazzo. E in quel momento le parve la melodia più bella che avesse mai sentito, tutte le sue canzoni preferite insieme.
Quando riaprì gli occhi si ritrovò tra morbide e profumate lenzuola candide con delicati ricami azzurri. Scattò seduta, svegliando il ragazzo.
 «Tutto a posto?» le chiese, attirandola a sé.
 «Che ore sono?!».
 «Le quattro del mattino, circa».
Alis si passò una mano tra i capelli, rendendosi conto di indossare un pigiama di due taglie più grandi.
 «Il pigiama è mio» la rassicurò prontamente.
 «È tardi».
 «Perspicace. Torna a dormire, devi essere in forze per domani».
«Domani?».
 «Poi lo scoprirai, adesso dormi» le disse dolcemente, con la voce assonnata.
Ad Alis tornarono alla mente gli avvenimenti del giorno prima. Giulia. La ragazza incrociò le gambe, guardandolo negli occhi. «Vuoi ancora stare con me?» la voce ridotta a un sussurro.
 «Certo. Perché me lo chiedi?».
 «Be’… Ieri sono scappata perché… » lo guardò negli occhi facendosi coraggio prima di proseguire «Altrimenti Giulia avrebbe … insomma… parlato di …». La flebile voce che vacillava, le dita che tremavano. Il ragazzo non si mosse e non disse nulla. Alis prese un respiro profondo: «Avrebbe parlato di questi». E indicò le cicatrici sulle braccia, per poi coprirli velocemente.
 «Lo so» rispose abbracciandola più forte.
 «Ha parlato? Dopo che hai ricevuto il mio messaggio, intendo» continuò lei, con il cuore che le batteva forte.
 «Sì».
 Alis si passò la lingua sulle labbra. «Davanti a tutti?».
 «Sì».
 «E tu sei venuto lo stesso da me» concluse, con un sorriso.
 «Perché non mi importa di quello che pensano gli altri» disse chiudendola nel suo abbraccio.
 «Dovrebbe, perché sono tuoi amici!».
 «Ero preoccupato per te»,
Alis lo guardò e, accarezzandogli i capelli, disse: «Grazie».
Lui alzò la testa, perplesso: «Di cosa?».
«Di essere venuto da me».
Per tutta risposta, Marco premette le sue labbra su quelle della ragazza che sorrise dolcemente. Senza staccarsi da lei, la fece sdraiare; i capelli che disegnavano sinuosi raggi scuri sul cuscino bianco. Marco si sdraiò al suo fianco, stringendola a sé.
«Posso chiederti una cosa?» le domandò dopo un attimo di silenzio, in cui solo i loro respiri erano sovrani. La ragazza annuì.
Marco prese a giocare con i capelli di lei, formulando la domanda: «Perché quei tagli?».
Improvvisamente, Alis fu sveglissima. Il cuore che le batteva all’impazzata nel petto. Quando l’immagine del bastardo si presentò nitida di fronte a sé, un impercettibile tremito le attraversò la schiena. Non voleva parlare del bastardo. Né in quel momento né mai. Né con Marco né con nessun altro. Desiderava solo seppellirlo e soffocarlo dentro di lei, come se non fosse mai esistito. Ma il bastardo era esistito e ancora esisteva; le cicatrici sui suoi polsi ne erano la prova.
 «Per… sfogarmi» tagliò corto, era una mezza verità.
Marco annuì lentamente, capendo che non le avrebbe detto di più. Si sollevò su un gomito, le accarezzò il viso e guardandola negli occhi disse: «Ascoltami bene».
Alis alzò lo sguardo verso il volto di lui improvvisamente grave. Quando fu sicuro di avere la sua attenzione, continuò: «Se dovessi ancora sentire il bisogno di sfogarti fallo in altri modi. Prenditela con me. Se devi fare del male a qualcuno, fallo a me. Hai capito?».
 Ciao!
Grazie ancora una volta di essere arrivati fin qui.
GRAZIE ai lettori silenziosi.
GRAZIE a tutti coloro che si fermano a lasciare un commento.
GRAZIE DI CUORE ♥

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Capitolo 13
*** 13 ***


13
 
Alis si stava scaldando sotto i raggi del sole.
Stava per assopirsi quando Marco la svegliò gettandole addosso dell’acqua gelida.
 «Tu! Razza di…» esclamò scattando in piedi e rincorrendo il ragazzo per tutto il perimetro della barca. Marco scoppiò a ridere, mentre cercava un posto in cui nascondersi.
 «Tanto ti trovo!».
Alis entrò in salotto cercando di fare meno rumore possibile. Controllò in bagno e poi, cautamente, entrò nella piccola camera da letto. Avanzò senza fare rumore, trattenendo il respiro. Controllò nell’armadio, spostando velocemente i vestiti. Stava per uscire, quando Marco le piombò alle spalle e la gettò con molta poca delicatezza sul letto. Alis soffocò un gridolino e il ragazzo prese a farle il solletico. Lei afferrò il cuscino al suo fianco. Riuscì a farlo smettere solo dopo una ventina di cuscinate.
Crollarono entrambi sul morbido materasso, gli sguardi fissi sul soffitto. Si scambiarono una veloce occhiata, per poi scoppiare a ridere senza motivo. La loro ilarità fu interrotta dal cellulare del ragazzo, che prese a suonare fastidiosamente.
I due si alzarono a sedere e Marco, riluttante, afferrò il telefonino posato sul comodino. Aggrottò le sopracciglia quando lesse il nome sul display. «Scusa» disse ad Alis, uscendo dalla stanza per rispondere.
La ragazza sentì la porta chiudersi e vide Marco uscire sul ponte della barca. Passeggiava nervoso avanti e indietro, con brevi pause ogni tanto. Più volte si passò la mano tra i capelli, alzando lo sguardo al cielo. Alis non l’aveva mai visto così preoccupato e nervoso. Uscì dalla stanza e poco dopo fu subito al suo fianco. Marco non la vide, girato di spalle e concentrato sulla conversazione.
 «No, no! Non è possibile!» ripeteva, la voce che si spezzava e diventava più acuta.
Alis sentì gli occhi pizzicarle, si avvicinò di più lui. Era così vicina che se avesse allungato una mano sarebbe riuscita ad accarezzargli la spalla per… dargli conforto? Non lo sapeva nemmeno lei. Sentiva la voce soffocata e concitata che giungeva dall’altro capo del telefono, ma senza distinguere le parole.
 «Arrivo, arrivo. Sto arrivando, non preoccuparti. Andrà tutto bene, andrà tutto bene». Marco chiuse la conversazione.
Alis stava per avvicinarsi, quando Marco scagliò con forza il cellulare oltre la vetrata che dava sul salotto. Il cellullare atterrò su soffice tappeto. La ragazza vide per la prima volta gli occhi verdi di lui arrossati e gonfi. Lo strinse forte a sé.
 «Calmati» gli sussurrò accarezzandogli i capelli con le dita. Alis gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi. «Chi era?».
Marco si morse il labbro inferiore.
 «Chi era?».
Il ragazzo non rispondeva ancora, ora il suo sguardo guizzava da Alis a qualcosa di indistinto dietro di lei.
 «Era Davide? Luca? Dobbiamo andare da loro?».
Marco scosse la testa. «Devo andare a casa». 
Alis annuì decisa, prendendo il controllo della situazione. «Ok, va bene. Guido io la barca, tu… tu vai dentro».
Ma Marco scosse la testa, accennando un sorriso amaro. «No, Alisea». La ragazza stava per protestare quando lui proseguì: «Devo tornare a casa, a Roma».
Alis aprì la bocca, ma dalle sue labbra non uscì alcuna parola. Gli occhi di Marco pizzicavano di una cieca disperazione.
 «Chi era al telefono? Dimmelo, per favore» lo supplicò.
Marco le diede le spalle, prima di rispondere: «Mio nonno».
Lei gli accarezzò dolcemente una spalla, senza dire una parola, aspettando che continuasse. Quando si girò verso la ragazza, il suo corpo fu attraversato da un brivido impercettibile. «Mia nonna ha solo una settimana di vita».
Alis trattenne il respiro, coprendosi la bocca con entrambe le mani. Le gambe diventarono della consistenza della gelatina e dovette appoggiarsi alla balaustra per non vacillare. Gli gettò le braccia al collo, cercando di catturare il suo dolore.
Poi entrambi esplosero in violenti singhiozzi.
 
Erano riuniti tutti nel salotto, gli sguardi persi nel vuoto.
Marco e Alis seduti vicini sul divano si tenevano per mano. Ogni tanto il ragazzo si passava una mano tra i capelli, ma mai lasciò le dita di lei.
 «Quando partirai?» gli chiese Luca, abbracciando Claudia.
 «Domani mattina alle otto».
 «Vengo con te» continuò Luca.
 «No, non è necessario».
 «Sei sicuro?».
 Marco annuì deciso. Poi si alzò dicendo: «Vado a preparare la valigia». Alis lo seguì, senza lasciargli la mano. Una stretta tremante, ma costante.
Prepararono la piccola valigia in silenzio, con movimenti vuoti e meccanici.
 «Devo ridarti la tua felpa» disse la ragazza chiudendo la valigia.
 «No, tienila pure».
 «È tua» protestò con voce sommessa, non aveva la forza per discutere.
 «Appunto, è mia e decido io cosa farci».
Alis gli accarezzò i capelli, costringendolo ad alzare gli occhi. Si scambiarono un breve sorriso, poi la ragazza si sfilò uno dei suoi braccialetti di pizzo e lo porse al ragazzo. Marco lo prese sbattendo più volte le palpebre, perplesso.
 «Se io terrò la felpa, voglio che tu tenga il mio braccialetto» gli spiegò velocemente, sedendosi accanto a lui. Marco prese ad accarezzare il bracciale; era sottile, di stoffa, bianco. Se lo legò al polso con l’aiuto della ragazza, per poi depositarle un leggero bacio sulle labbra come ringraziamento.
 «Andrà tutto bene» lo rassicurò lei, abbracciandolo più forte che poté. Lui ricambiò l’abbraccio, sdraiandosi sul lenzuolo bianco.
 «Mi mancherai» le sussurrò accarezzandole i capelli.
 «Non pensare a me».
Marco le sorrise, prima di rispondere, spostandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio: «Non posso farne a meno».
Alis sorrise debolmente, accarezzandogli il viso per portarlo più vicino al suo.  Il ragazzo le diede un tenero bacio sulla fronte. Lei si rannicchiò al suo petto, stringendolo come se fosse l’ultima volta che lo facesse. Era così? All’improvviso la sua mente fu assalita da innumerevoli domande senza risposta. Come se tutte le sue paure fossero state improvvisamente liberate. La paura di non rivederlo mai più, la paura che lui soffrisse troppo, la paura di essere sostituita, dimenticata. Era così spaventata che non riusciva nemmeno a parlare. E poi… lui aveva già altro a cui pensare e Alis non si sarebbe comportata da egoista con lui, né in quel momento né mai. Così provò a soffocare da sola la sua paura, ma quest’ultima stava avendo la meglio. Tutto quello che riuscì a fare fu stringersi ancora di più a lui.
 «Posso rimanere con te stanotte?» chiese, la voce ridotta a un sussurro.
 «Ma… devi preparare l’animazione per stasera».
Lei si alzò a sedere per guardarlo negli occhi. «Non hai risposto alla domanda. Vuoi che resti con te stanotte, o no?».
Marco le prese una mano e la strinse tra le sue. «Sì, ti prego».
 
 «Non era necessario che venissi».
 «Oh, sì invece! Altrimenti ti saresti perso» scherzò lei e sul volto del ragazzo vide dipingersi un sorriso dal sapore amaro.
Scesero dal bus, tenendosi per mano. Camminarono in silenzio fino all’aeroporto; un’enorme distesa grigia in un deserto di bassa vegetazione. Il sole sorto da poche ore illuminava il paesaggio della sua luce dorata. Ancora pochi passi e furono all’ingresso. Era poco affollato a quell’ora del mattino e quel giorno. Di solito la gente partiva durante il fine settimana.
 «Che ore sono?» chiese Marco, la voce che cercava di non lasciar trapelare alcuna emozione.
 «Le otto e mezzo» rispose la ragazza, abbassando lo sguardo sul suo cellulare. «Il tuo volo è tra trenta minuti» aggiunse, alzando lo sguardo.
 Il ragazzo posò a terra la valigia e, delicatamente, sfilò gli occhiali da sole della ragazza agganciandoli alla canottiera bianca.
 «Hai degli occhi bellissimi» le sussurrò, accarezzandole il viso. Glielo aveva detto tante volte, ma ogni volta era sorprendente come la prima. Il labbro inferiore di Alis tremò e nascose il viso nel petto del ragazzo per non scoppiare. Lui le prese il volto tra le mani, baciandola lentamente.
Le loro labbra si staccarono poco dopo, interrotti da una voce femminile che annunciava: «Prossimo volo: Olbia-Fiumicino».
 «Vai» sussurrò lei, non sapendo dove trovò il coraggio per pronunciare quella parola.
 «Guardami».
Lei scosse la testa; ma lui le depositò un leggero bacio sulla fronte, mormorando con dolcezza:  «Alisea, guardami».
Quelle parole, pronunciate così teneramente, furono come un richiamo per lei; che alzò la testa incrociando gli occhi del ragazzo con i suoi. Marco le prese il viso tra le mani, mentre lentamente diceva: «Non è un addio. Io tornerò». Poi con un sorriso aggiunse: «Tornerò sempre da te».
Alis gli sorrise, quelle parole erano la cura a tutte le sue paure, la risposta a tutte le sue domande.
 «Vai» ripeté, senza però riuscire a lasciare le mani di lui.
 «Al tre».
Alis annuì, mormorando: «Uno…».
Un bacio sulla fronte.
«Due…».
Un bacio sulle labbra.

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Ed eccoci qua, alla fine di un altro capitolo.
Spero vi sia piaciuto.
Come ormai di rito passiamo ai ringraziamenti:
GRAZIE a tutti i lettori silenziosi ♥
GRAZIE a tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ecc... ♥
GRAZIE a tutti coloro che recensiscono e per i bellissimi commenti che ricevo ♥

Sono contenta che vi piaccia!!

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Capitolo 14
*** 14 ***


14
 
Mancavano una manciata di minuti a mezzogiorno quando Marco bussò alla porta dell’appartamento in via Bocca di Leone. Appena fu sceso dall’aereo,
Si aprì lasciando vedere un uomo anziano, la fronte venata da sottili rughe, gli occhietti scuri infossati.
  «Nonno!» scoppiò Marco, lasciando cadere la valigia per abbracciarlo.
  «Oh, ragazzo mio…».
  «Sono qui, nonno. Va tutto bene, sono qui».
Si staccarono dall’abbraccio, entrando nel piccolo appartamento.
 «Hai fame?».
Marco scosse la testa, sentendo lo stomaco attorcigliarsi. «Solo sete».
L’uomo annuì, prendendo un bicchiere dalla credenza. «Allora, cosa mi racconti? Come stanno andando le vacanze?». Era tipico di nonno Giovanni, fare finta che andasse tutto bene. Ma in quella circostanza fingere non sarebbe servito a niente, così Marco cambiò argomento. «Come sta la nonna?».
L’anziano scosse la testa mentre porgeva il bicchiere al nipote. «Non bene. Sono tornato stamattina dall’ospedale».
Marco si lasciò cadere sulla sedia di legno, appoggiando i gomiti al tavolo. «Ma com’è successo? Insomma, stava migliorando!».
L’uomo si limitò a scuotere la testa. «I tumori sembrano migliorare, concedendoti brevi e intensi attimi di felicità per poi dare il colpo di grazia» lo sguardo era perso nel vuoto mentre parlava.
Il ragazzo sentì gli occhi pizzicare; prese un profondo respiro e lanciò uno sguardo in alto in una supplica silenziosa per ricacciare indietro le lacrime. La stanza pareva chiudersi su di lui, diventando sempre più piccola e soffocante. Avrebbe voluto uscire, prendere un po’ d’aria o forse correre fino a consumare tutta l’aria che aveva in corpo. «Lei lo sa?». Sa che sta per…?
 «L’ha intuito».
Marco prese un profondo respiro, facendosi coraggio. «Non ci credo».
 «Marco…».
 «Dobbiamo sperare! Me l’hai insegnato tu!».
Il nonno si lasciò andare ad un sospiro.
 «Voglio vederla» risolse, Marco.
 «Prima devi mangiare».
Ma Marco si era giù chiuso la porta alle spalle.

 
Le pareti dell’ospedale  cardiologico San Camillo-Forlanini erano impregnate del fastidioso odore di disinfettante.
L’avevano messa in una piccola stanza privata, di un colore giallo sbiadito, nel reparto “cardiopatie in età avanzata”. I raggi del sole estivo penetravano attraverso le pesanti tende candide che sfioravano il letto quando il vento soffiava. L’infermiera che aveva accompagnato il ragazzo,  se ne andò appena Marco entrò. Rimase per alcuni istanti fermo sulla soglia della porta, senza muoversi. Il ritmico bip dell’elettrocardiogramma collegato al corpo della donna era l’unico suono sovrano di quella stanza.  Il respiro gli venne meno quando la vide cosparsa di innumerevoli fili.
Una parte di lui avrebbe voluto non vedere  mai il corpo che si nascondeva sotto quel lenzuolo, avrebbe voluto ricordare la nonna come la donna che prendeva il sole sotto la veranda e passeggiava con passo lento al parco durante i primi giorni di primavera.
 Soffocato da questi pensieri, si fiondò fuori dalla stanza sbattendo la porta alle sue spalle. Senza notare i medici e gli infermieri che si giravano a guardarlo, si precipitò  fuori. Corse verso il piccolo prato dietro l’ospedale, superando le finestre del pianterreno. C’erano dei bambini accompagnati da un uomo travestito da pagliaccio.
Marco si appoggiò con la schiena al tronco di un grande albero di quercia, lasciandosi cadere. Il volto sepolto nelle ginocchia, le mani tra i capelli, il respiro affannoso e irregolare. Sentì gli occhi pizzicare sempre più forte e si lasciò andare in un silenzioso pianto, troppo stanco per combattere le lacrime. Quando pensò a dove – e se mai – avrebbe trovato il coraggio di rimettere piede in quella stanza, il cellulare vibrò nella tasca dei suoi jeans. Si asciugò velocemente gli occhi, prima di leggere il messaggio.
 Spero che tu stia bene. Mi manchi. -A.
Il cuore gli balzò nel petto, come se avesse preso improvvisamente vita. Le labbra si piegarono in un dolce sorriso mentre rispondeva.
 Grazie d’avermi scritto, adesso sto meglio. Anche tu mi manchi. -tuo M.
E dall’altra parte, un cuore sorrise.
 
Alis riprese a leggere, cercando di rimanere concentrata sul libro.
Lui stava bene. Anzi, come aveva detto? “Adesso sto meglio”.
Questa era la cosa più importante.
 «Hei, Alis» si sentì chiamare. La ragazza si girò in direzione della voce, incontrando i grandi occhi verdi di Davide.
 «Ciao» lo salutò lei con un sorriso.
 «Posso sedermi?» chiese, educatamente.
La ragazza annuì, sorridendogli con gentilezza. Davide si sedette sulla scogliera, accanto a lei.
 «Come stai?» le chiese in un sussurro.
 «Bene».
 «Tipica risposta» commentò lui, con un sorriso sghembo.
 «Se rispondessi in modo diverso, cambierebbe qualcosa?».
 «No. Credo di no» e il sorriso si spense dal volto del ragazzo, come una fiamma esposta a una brezza gelida.
 «Ma grazie d’avermelo chiesto» continuò lei, pentendosi di essere stata così dura. Si sentiva nervosa, ma Davide stava solo cercando di aiutarla. O forse anche lui stava cercando aiuto.
 «Pensavi a lui?» chiese con gentilezza.
Alis abbassò lo sguardo, annuendo. «Mi manca» ammise, sentendo gli occhi bruciare. «Non voglio che passi tutto questo da solo» continuò, senza pensarci. Davide la lasciò parlare, senza commentare, ascoltandola semplicemente. «So che non è solo, però penso che non possa parlarne con nessuno. Suo nonno deve essere fuori di sé, come anche i suoi genitori e…lui…lui non si sfoga mai».
Davide si voltò a guardarla con un’espressione indecifrabile. Era… incredulo? Stupito? Imbarazzato?
 «Che c’è? Perché mi guardi così?».
 «Oh, niente, niente. Ero sovrappensiero». Distolse lo sguardo.
Alis lo colpì con il libro. «Davide, guardami!».
 «Ahia! Ti ho detto che non è niente!».
 «Cosa è niente?».
 «Non so se posso dirtelo» risolse.
 «Riguarda Marco, vero?».
 «Sì, ma è una… faccenda privata».
Alis fu tentata di colpirlo di nuovo, aveva i nervi a fior di pelle. «Sono la sua ragazza, ho il diritto di sapere».
 «No… cioè, sì… meglio che te lo dica lui».
 «Marco non c’è! Oh, Davide, so così poco di lui. Per me è un mondo ancora da scoprire».
Davide si limitò a scuotere la testa.
 «Aiutami» lo supplicò. «Più cose so e più posso aiutarlo. Aiutami a non farmi sentire distante da lui più di quanto non lo sia già».
Davide la guardò serrando le labbra. «I suoi genitori…»
 «Cosa?».
 «Non ha genitori. Non più».
 Alis schiuse le labbra, gli occhi sgranati e il respiro trattenuto. «Co-come?» la sua voce era ridotta a un tremante sussurro appena udibile.
 «I suoi genitori morirono in un incidente d’auto quando lui aveva appena dieci anni».
Tutto intorno a lei era ovattato e sbiadito mentre nelle sua mente prendeva vivida forma la figura di un bambino di dieci anni dagli occhi verde spento, perso.
 «Da quel momento visse con i nonni paterni. All’inizio era taciturno e aggressivo. Be’… lo fu per molto tempo».
  «È…orribile»
Davide annuì lentamente.
 «E adesso sta perdendo anche sua nonna…» sussurrò rivolta più a se stessa che al ragazzo. Gli si formò un nodo in gola che parve soffocarle il respiro. Nascose il viso con le mani, mentre Davide le cingeva le spalle con un braccio. «Hei, tranquilla. Va tutto bene».
 Alis si lasciò cullare da quell’abbraccio.
«Lui non vorrebbe vederti così» le mormorò dolcemente, con fare fraterno.
 «Marco non è qui!» esclamò con tutta la poca forza che le rimaneva.
«Tornerà. E sono sicuro che vorrebbe vederti felice. Sai, continuava a rompermi le palle parlando del tuo sorriso».
Le guance di Alis andarono in fiamme e le lacrime che non era riuscita a versare parvero fermarsi. «Ti ha detto cosa?» esclamò, la voce acuta.
 «Marco ti adora» le rispose, tornando serio. «E non vorrebbe vederti così». Sul viso di Davide comparve il suo solito sorriso spensierato. «E io, in quanto suo migliore amico, non permetterò che tu stia seduta su questi scogli a deprimerti!».
 «Posso deprimermi stando seduta da qualche altra parte?».
 «Non te lo permetterò. Marco mi ucciderebbe».
Alis non riuscì a reprimere una risata, pensando quanto fosse fortunato Marco ad avere un amico come lui. Si trovò per un momento ad invidiare il suo ragazzo.
 
Marco varcò la soglia della porta, chiudendosela alle spalle. Con passi lenti ma decisi si avvicinò al letto sfiorando il lenzuolo candido. La donna si mosse lentamente sotto le coperte, sbattendo più volte le palpebre per poi mostrare un paio di grandi occhi celesti. Le labbra sottili si piegarono in un sorriso quando lo riconobbe. «Marco, tesoro…». Per tutta risposta lui l’abbracciò delicatamente.
«Alla fine sei venuto».
 «Sono qui, va tutto bene» Sciolse l’abbraccio sedendosi sulla sedia di legno vicino al letto. Si fermò ad osservarla. Aveva perso quasi tutti i suoi capelli biondo acceso, il viso era più scarno, le guance avevano perso il solito colorito roseo fresco. L’unica cosa che la malattia non era riuscita a corrompere erano gli occhi che sembravano aver rubato un pezzo di cielo.
 «Parlami di te, raccontami qualcosa» gli chiese, quasi implorandolo.
 «Preferirei che mi dicessi cosa ti è successo».
La nonna agitò la mano come se stesse cacciando una mosca fastidiosa. «Oh, quello possono dirtelo i medici!».
«Cosa vuoi che ti racconti?» si arrese.
 «C’è qualche ragazza?».
Marco avvampò improvvisamente, abbassando lo sguardo. «Eh? No, no!» mentì, mentre nella sua mente prendeva vita l’immagine vivida, sorridente di Alisea.
 «Sei sempre stato un pessimo bugiardo» sospirò la donna.
 «Si chiama Alisea».
 «Bel nome».
 «Già». Non sono quello.
 «E com’è?».
Il ragazzo sorrise, mentre iniziava la descrizione della ragazza. Le raccontò tutto, come si erano conosciuti e ciò che aveva fatto per conquistarla.  «Lei è… fantastica» concluse, non riuscendo a trovare un termine migliore.
 «Sei fortunato, ragazzo mio».
Marco annuì, sorridendo.
 «Ascoltami bene: non lasciartela scappare per nessuna ragione al mondo, hai capito? Non importa quanto sia difficile la situazione, ma non permetterti di perderla».
 «Ma abita vicino a Milano e io qui a Roma. Quando finirà l’estate, finirà tutto» e per la prima volta diede voce alle sue paure. Era ciò che aveva intenzione di fare. Non aveva pensato alla possibilità di una relazione a distanza. Avrebbe rotto con lei prima di settembre, per quanto difficile sarebbe stato.
«Quando l’estate finirà, finirà solo una stagione! Non voglio sentirti usare una scusa del genere. Sarà difficile, ma finché sarete insieme passerai i momenti più belli della tua vita».
Marco annuì senza convinzione, non aveva intenzione di approfondire la questione.
Parlarono per un’altra ora come erano abituati a fare da sempre. Fu come quei lunghi pomeriggi di primavera, quando Marco si fermava a parlare con lei sulla sedia a dondolo sul balcone. Osservavano i passanti che percorrevano via Bocca di Leone commentando le loro movenze, i loro vestiti con battute leggere. 
Sentirono la porta aprirsi e fare capolino nonno Giovanni con un mazzo di fiori dei più svariati colori in mano.

  

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Come sempre, i miei più sinceri ringraziamenti a:
tutti i lettori silenziosi che aumentano sempre di più ♥
tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ecc... ♥
tutti quelli che recensiscono ♥

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e... alla prossima!

 

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Capitolo 15
*** 15 ***


15
 
Marco si lasciò andare sul letto con un sonoro sospiro. Un sorriso amaro gli solcò il volto mentre ripensava alla chiacchierata di quel pomeriggio. Una tra le più piacevoli che abbia mai avuto, o forse la considerava tale perché era una delle ultime? Improvvisamente sentì il cuore farsi pesante nel petto, sprofondando chissà dove. Non riusciva a credere a quello che stava accadendo, era troppo da sopportare… da solo.
In quel momento sentì il cellulare vibrare nella tasca, lo tirò fuori svogliatamente.
Se hai bisogno, chiamami. –A.
Era come se la ragazza gli avesse letto nel pensiero anche se c’erano parecchi chilometri a dividerli. Il ragazzo compose velocemente il numero e quando dall’altra parte sentì la dolce e familiare voce di Alis non si sentì più solo.
 «Come stai?» gli chiese, davvero interessata.
 «Bene» rispose lui. «L’ho vista, le ho parlato di te».
 «Di me?» la ragazza parve sorpresa e… lusingata.
 «Sì, per me le piaci» scherzò amaramente.
Rimasero in silenzio per un attimo, interrotto da un singhiozzo trattenuto a fatica.
 «Non piangere…» le disse con dolcezza.
 «Voglio esserci!» esclamò lei. Si ricompose prima di continuare: «Voglio esserci quando… quando… accadrà».
 «Alisea, non…».
 «No, ascoltami! Non sei solo, ok? Io sono qui per te e voglio esserci». La determinazione della ragazza lo sconcertò per qualche attimo. Non sembrava più la bambina indifesa che conosceva, sembrava quasi una donna. La sua piccola donna, pensò con un sorriso.
 «Non penso sia una buona idea». La ragazza non c’entrava con il suo dolore e non poteva essere egoista, non con lei.
 «Non mi importa di quello che pensi tu!».
 «Non so se avrò voglia di parlare con qualcuno quando… succederà» provò.
 «Allora vorrà dire che sarà la prima conversazione telefonica in silenzio!» insistette con fermezza.
 
I genitori di Alis erano ancora in spiaggia quando la ragazza terminò la telefonata con un sonoro sospiro. Sentì dei passi veloci nel corridoio, poi la testolina di suo fratello Giacomo sbucare nella stanza.
Gli sorrise. «Tutto bene?».
 «Papà e mamma non sono ancora tornati».
 «Sono ancora in spiaggia» lo rassicurò.
 «Ma io ho fame!».
 «Sono appena le sette».
 «Ho fame!» ripeté, battendo i piedi sul pavimento.
 «Mangia i biscotti, ma pochi».
 «Non ci sono!».
Alis sospirò. «Va bene, ti preparo un panino con prosciutto».
Scesero in cucina. Alis mise sul bancone un piattino, il pane e il coltello. Giacomo si sedette sulla sedia di legno di fronte a lei, osservandola. Alis aprì il frigorifero e lo trovò vuoto. Conteneva solo un cartone di latte, piselli e un paio di bottiglie d’acqua.
 «Vado a fare la spesa. Vuoi venire?».
Giacomo, con lo stomaco che brontolava, annuì. Alis tirò su la borsa e uscì di casa seguita dal fratello che le trotterellava intorno.
Passarono di fronte alla casa di Davide, il ragazzo stava rientrando in casa. Indossava solo il costume e doveva essersi appena tuffato in mare.
La salutò. «Dove stai andando?».
 «A fare la spesa».
 «Cavolo!».
 «Che c’è?».
 «Me ne sono completamente dimenticato! Oggi toccava a me fare la spesa».
 «Vieni con noi».
 «Mi aspetteresti solo un paio di minuti?».
Alis annuì e lui si allontanò. Giacomo cominciava a diventare impaziente.
Davide uscì di casa con i capelli ancora umidi, indossando una maglietta e un paio di pantaloni che gli arrivavano alle ginocchia.
 «E tu chi sei?» chiese a Giacomo, sorridendo.
 «Mio fratello».
 «Aliii! Ho fameee!» si lamentò, attaccandosi al braccio della sorella.
Giacomo camminava davanti a loro mentre parlavano. «Ho sentito Marco» gli disse.
 «Come sta?».
 «Non lo so. Era appena tornato dall’ospedale quando l’ho chiamato».
Davide annuì lentamente. «Tornerà presto».
 «Sì». Alis sfiorò con la mano gli oleandri bianchi e rosa che costeggiavano la strada. Ma quando tornerà sarà sempre quello di prima?
Entrarono nel piccolo supermercato che comprendeva appena cinque scaffali. Il primo al quale si trovarono di fronte fu quello dei biscotti. Giacomo ne prese di tutti i tipi, mettendoli nel carrello. «Giacomo, scegli solo un pacco di biscotti!» lo rimproverò la sorella.
«Non starla a sentire. Scegli quelli che vuoi» lo incoraggiò Davide. Alis si voltò a guardarlo. «Offro io» si strinse nelle spalle.
 «Davide, non devi».
 «Non lo faccio per te, lo faccio per tuo fratello» scherzò.
Alla fine Davide pagò più di Alis, cosa che la fece infuriare. «Ti devo dei soldi» gli disse, mentre uscivano. Giacomo aveva tirato fuori dal carrello un pacco di biscotti.
 «Io non credo».
 «Ti ripagherò, lo prometto».
 «Oh, Alis, smettila!» la sollevò di peso e la mise dentro al carrello. Alis provò a liberarsi, ma alla fine scoppiò a ridere mentre lui e Giacomo la spingevano.
 «Tocca a me!» esclamò Giacomo che finì dentro al carrello. Spingendolo, le dita di Davide sfiorarono la mano morbida di lei che parve non accorgersene, impegnata com’era a ridere.
 «Il tuo ragazzo è troppo forte!» le disse il fratello una volta che Davide li lasciò.
 «Non è il mio ragazzo» ribatté, posando le borse sul bancone della cucina.
Giacomo pareva davvero confuso. «Ma…?».
 «Ho già un ragazzo, ricordi?».
 «E allora dov’è?».
 «È tornato a casa per un po’ ». Il sorriso di lei si incupì.
Giacomo rimase in silenzio, ruminando tutti i vari tipi di biscotti che Davide aveva comprato. «Strano» disse alla fine, con aria seria.
 «Cosa?». Alis si era messa a riordinare il frigorifero.
 «Papà non lascia mai la mamma per un po’».
 
 «Sono bellissimi» commentò  annusando ancora una volta i fiori colorati che le aveva portato il marito.
 «Come te» sussurrò Giovanni stringendole ancora di più la mano morbida.
L’anziana sorrise a quel complimento, abbassando la testa. E per un attimo le sembrò di essere tornata ragazza; quando arrossiva timidamente abbassando lo sguardo.
Ad Arianna piacevano i fiori. Non un fiore. Tutti. Giovanni aveva impiegato un po’ di tempo a capirlo e aveva esclamato: «Ci deve essere un fiore che preferisci!».
 «Ti ho detto che mi piacciono tutti».
 «Ma come…?».
 «La rosa perché è rossa. La viola perché è viola. Il …».
 «Anche la lavanda è viola».
 «Ma ha un profumo più forte!» aveva ribattuto come se stesse parlando a uno stupido.
 «Ti fermi anche stanotte?» gli chiese.
 «Anni fa promisi davanti all’altare che avrei passato con te ogni notte».
 «Sei un uomo d’onore, fedele. Ecco perché ti amo».
 «Ti amo anch’io».
Rimasero in silenzio per qualche istante, lei fu la prima a romperlo: «Ti ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?».
 «Sì. Eri al parco, sotto l’albero di quercia a leggere. Da sola. Come potrei dimenticarlo? All’ora appartenevi a un altro».
 «Adesso appartengo a te» commentò stringendo forte la mano del marito. L’uomo le accarezzò dolcemente il viso mormorando: «Ci apparteniamo».
Arianna sentì gli occhi pizzicarle e, prima che potesse fermala, una lacrima solitaria le rotolò lungo la guancia solcata da profonde ruga.
 «Ho paura» confessò con un flebile sussurro.
Anche lui ne aveva, come mai pensava potesse provarne. Però l’avrebbe sostenuta come aveva promesso cinquant’anni prima davanti all’altare.
 «Sono qui» ma la voce lo tradì venendogli a mancare. Si rese conto di non essere forte abbastanza per superare quel momento e che mai lo sarebbe stato. Si abbracciarono in un’amara stretta perché preannunciava il senso di perdita che, sapeva, lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.
 «Ti sarò sempre vicina, lo sai? Vivrò nei tuoi ricordi, dentro di te. E finché le tue labbra pronunceranno il mio nome non sarai mai solo. Ti proteggerò come ho sempre fatto e… ti aspetterò» un triste sorriso illuminò gli occhi di Arianna mentre parlava.
Giovanni rimase senza parole e non riuscì più a frenare le lacrime. Si avvicinò a lei posandole un leggero bacio sulle labbra delicate come carta velina, per poi sedersi accanto a lei. Le loro mani non si lasciarono mai quella notte.
Giovanni dormì poco e quando le sue palpebre si chiudevano era tormentato da incubi. Per la seconda volta, si svegliò sussultando. Il costante bip dell’apparecchiatura era l’unico suono che regnava in quella stanza. Alzò gli occhi sulla moglie che dormiva beata tra quelle candide coperte; le labbra schiuse lasciavano fuoriuscire leggeri respiri. Come farò senza di te, amore mio?, pensò piangendo lentamente le lacrime che aveva trattenuto. Una a una, scendevano silenziose lungo le guance. Sole come lo sarebbe stato lui.
Stringendo con entrambe le mani quella della donna, iniziò una disperata preghiera. Finì con l’addormentarsi a mani giunte intorno a quelle di lei. Scosso da un altro incubo, si svegliò all’improvviso. La prima cosa che notò fu che c’era un silenzio inquietante che regnava nella camera.  Dopo un paio di minuti un lampo estivo illuminò il volto sereno della donna e Giovanni si accorse che il bip era svanito.
 
La mattina seguente, Marco uscì presto di casa.
Non aveva dormito molto quella notte per colpa del temporale e degli incubi. L’aria fresca trascinava nella mattina soleggiata il ricordo della tempesta passata. Il ragazzo correva per il parco con le cuffie nelle orecchie. Si era svegliato intontito e nervoso, sentendo il bisogno irrefrenabile di scaricare la tensione accumulata in quei giorni. Per tutta la durata della corsa lo accompagnò quello strano, brutto presentimento. Neanche la doccia bollente era riuscito a staccarlo. Era successo qualcosa ad Alisea? Guardò l’orologio, con tutta probabilità la sua ragazza stava ancora dormendo. Alla nonna? Il nonno l’avrebbe avvisato.  Si convinse che le persone che amava erano al sicuro.
Fece colazione con i capelli ancora bagnati e incollati alla fronte. Prese il suo cellulare e rimase deluso quando non trovò alcun messaggio da parte di Alis. Decise di scriverle lui:
Buongiorno, tesoro. 
Ps: stai alla larga dagli scogli!
E fu ancora più deluso quando non ricevette risposta. Sta dormendo.
Lavò la tazza e poi uscì infilandosi il cellulare nella tasca dei pantaloni. Si sorprese di sperare che quello stupido oggetto vibrasse. Non pensava che le sarebbe mancata così tanto. Se fosse stata lì l’avrebbe presa per mano, passeggiando per le vie di Roma, visitando musei e piazze. L’avrebbe portata al parco, magari l’avrebbe spinta sull’altalena e lei avrebbe riso come una bambina.
Questi felici pensieri si spensero appena varcò la soglia dell’ospedale, fu come se quel posto avesse risucchiato in un secondo tutta la sua felicità, lasciandolo vuoto. I medici camminavano per i corridoi, tutti simili in quei camici bianchi. E le infermiere dalle stesse malinconiche facce uscivano ed entravano da una stanza all’altra. Passò davanti a una vetrata, dove all’interno giocavano i bambini dell’ospedale. In quel posto erano gli unici che riuscivano a ridere.
Quando si ritrovò di fronte alla porta pallida esitò per qualche secondo con la mano sulla maniglia. Voci. La maggior parte erano fastidiosi bisbigli; una voce maschile e controllata sovrastava le altre. Appena Marco aprì la porta, tutti gli occhi dei presenti furono su di lui. C’erano quattro infermiere e un dottore disposti intorno al letto. I loro sguardi vuoti, dispiaciuti, amareggiati… mai aveva visto espressione più finta. Marco avanzò verso il letto, senza guardare nessuno.
Eccola. Con quell’espressione beata sul volto. La pelle pallida e le labbra violacee. Quel violaceo che avevano le labbra di Alisea quella volta che si era tuffata dalla scogliera. Ma la ragazza si era ripresa un attimo dopo, la donna che giaceva sul letto sarebbe stata imprigionata in quell’immobilità per sempre. Ed eccolo, il dolore che avrebbe fatto fatica a sparire. Un dolore nuovo, scioccante, che andava oltre le lacrime.
Sentì una mano posarglisi sulla spalla, poi la voce calma del dottore: «Mi dispiace, abbiamo fatto il possibile…». 
L’uomo non si accorse neanche del pugno di Marco se non quando si ritrovò con la guancia rossa e pulsante. Le infermiere trasalirono all’unisono.
 «Voi medici del cazzo non sapete più cosa dire! Ma, provi ad indovinare, non c’è niente da dire. C’era solo da fare e voi non avete fatto! Il possibile?!  Se fosse stato un suo parente a sedere su questo letto avrebbe fatto anche l’impossibile per salvarlo! Siete solo un branco di incapaci insensibili ed egoisti. Io non…».
 «Marco, smettila!» tuonò suo nonno seduto vicino al letto. Non l’aveva visto fino a quel momento. E non l’aveva mai visto più sconvolto, perduto. Le pareti della stanza sembravano chiudersi sul ragazzo, mozzandogli il respiro. Senza dire una parola, mentre il dottore si riprendeva, uscì a grandi passi dalla camera.
Si sedette in corridoio, sul pavimento gelido. Stava per abbandonarsi alla lacrime quando sentì il cellulare vibrare nella tasca. Alisea gli aveva risposto.
Mi sono svegliata adesso. Come stai? Chiamami se hai bisogno.
PS: non devi preoccuparti per me. 
Le aveva promesso che l’avrebbe chiamata quando fosse successo. Ed era successo, ma lui non la chiamò. Non poteva. Almeno, non in quel momento. Il dolore apparteneva a lui e a lui soltanto. Non sarebbe stato così egoista da condividere la propria sofferenza con una delle persone alle quali teneva di più. Prima di lasciarsi andare in un pianto disperato gli tornò in mente l’espressione sofferente del nonno. Un’espressione che avrebbe mascherato per il resto dei suoi giorni.  Era l’unica persona che si era preso cura di lui. L’aveva visto crescere, commettere errori e aiutarlo. Gli doveva tutta una vita. Il ragazzo doveva rimanere al suo fianco, stargli vicino. Anche se questo significava che non avrebbe mai più rivisto Alisea.
 Perdonami, pensò mentre spegneva il cellulare.

---
Ancora una volta ringrazio infinitamente:
i lettori silenziosi,
quelli che hanno aggiunto la storia nelle preferite/seguite/da ricordare,
coloro che recensiscono.
GRAZIE DI CUORE!
 
Devo dire che scrivere questo capitolo mi ha distrutta. La parte di Arianna e Giovanni è stata molto impegnativa e trovare le parole giuste  non è stato facile. Senza che me ne accorgessi è scesa una lacrima anche a me quindi spero di avervi trasmesso qualcosa.

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Capitolo 16
*** 16 ***


16

 «Ha spento il cellulare!» sbottò Alis.
 «Deve essersi scaricato» le disse Davide.
Da quando Marco era partito, i due avevano passato molto tempo insieme. Davide era simpatico e molto premuroso nei confronti della ragazza. Più volte, in quei giorni, le aveva fatto tornare il sorriso con una delle sue sciocche battute.
 «Da tre giorni?! Esiste una cosa chiamata caricabatteria!». Non riusciva più a controllarsi. Si lasciò andare con la schiena alla scogliera. Lei e Davide passavano la maggior parte del tempo in quel posto. Aveva un qualcosa di sicuro che in un certo senso tranquillizzava Alis.
 «Adesso calmati!».
 «Come posso calmarmi? Eh? No, spiegamelo, perché proprio non riesco a capirlo! Hai idea di quanto sia preoccupata in questo momento? Non riesco… non riesco ancora a realizzare il fatto che lui sia lontano centinaia di chilometri da me e che… » aveva iniziato a gesticolare in una maniera che Davide trovò alquanto buffa.
Il ragazzo la prese per le spalle facendola voltare verso di sé, interrompendo così il fiume di parole. «Calmati – scandì prima di proseguire -. Siamo tutti preoccupati quanto te e non…» Davide si interruppe osservando il viso della ragazza. Le labbra erano pallide; gli occhi verdi erano arrossati e circondati da violacee occhiaie.
 «Che c’è?».
  «Alis, hai dormito stanotte?».
La ragazza abbassò lo sguardo, mentre dalle sue labbra usciva un debole «sì».
 «Sei una pessima bugiarda».
 «Senti…» iniziò alzando gli occhi su di lui.
 «No, ascoltami tu. Adesso vai a casa a risposare».
 «Ma io…».
 «Nessun ma. Hai bisogno di dormire».
La ragazza sbuffò.
«Posso… dormire nella camera di Marco?». Aveva bisogno di qualcosa che le facesse capire che lui esisteva, che c’era e che sarebbe tornato.
 «No» e quando la ragazza sgranò gli occhi lui spiegò: «Hai bisogno di una pausa. Da tutto. Vai a riposare, a casa tua».
 «Ma ho bisogno…».
 «Tutto ciò di cui hai bisogno è riposare!».
Alis si staccò dalla presa di Davide. «Tu non sai quello di cui ho bisogno» commentò, acida.
 «Oh, sì, invece».
 «Non trattarmi come una bambina!» sbottò allontanandosi ancora di più dal ragazzo.
 «In questo momento lo sei!».
 «Non capisci niente» continuò lei, sempre più tagliente.
 «Ah, invece tu sei quella che capisce sempre tutto, non è vero?» esclamò Davide, visibilmente esasperato.
 «Vattene».
 «E tu vai a casa a risposare».
 «Vattene» ripeté.
Il ragazzo si girò di spalle e fece per andarsene quando continuò: «L’hai voluto tu». Andò verso Alis e la sollevò di peso scendendo dalla scogliera. La ragazza si dimenò per tutto il tragitto. Davide entrò in casa di Alis portandola in camera da letto sotto lo sguardo basito del fratello. La poggiò sul letto con molta poca delicatezza. Alis incrociò le braccia al petto, infuriata. «Ecco fatto» si disse il ragazzo, visibilmente compiaciuto.
 «Perché ti comporti così?» gli chiese dopo che si fu calmata.
 «Così come?».
 «Come se… fossi preoccupato per me».
«Non voglio lasciarti sola in un momento simile. O forse, sono io che non voglio rimanere solo».   
 
Marco li contò rapidamente. Arrivavano a malapena a una dozzina. 
Tutti gli altri erano amici e vicini di casa. Era venuto persino il dottore, con la guancia ancora arrossata.
Erano radunati intorno alla bara, nel cimitero del santuario Divino Amore, pronta per essere calata nella fossa spalancata. Marco strinse il foglio che teneva in mano e si avvicinò alla cassa. Lo aprì e cominciò a leggere con voce strozzata: « Voglio ricordati bella come lo sei sempre stata, con quella voglia di sorridere contagiosa. Voglio ricordati con quegli occhi che sembravano avessero rubato un pezzo di cielo. Voglio ricordare i tuoi consigli, le lunghe chiacchierate sul balcone. Voglio ricordare i tuoi lunghi capelli al vento. Voglio ricordare ogni singola parola che hai detto. Registrarle, per poi custodirle nel mio cuore Vorrei abbracciarti, non per l’ultima volta ma per sempre. A te piaceva, il per sempre. Quelle storie belle da impazzire che piacciono solo ai bambini. Ma tu me le hai raccontate anche mentre crescevo. Tu vivrai per sempre. Vivrai, quando le nostre labbra pronunceranno il tuo nome. Vivrai, per ogni lacrima versata per te. Vedi? Tu sei come il per sempre, come le favole a lieto fine. Ciao, nonna».
Sotto gli sguardi in lacrime dei presenti, arrotolò il foglio da quale a aveva letto per incastrarlo in uno dei fiori posati sulla bara. Calde e lente lacrime caddero su alcuni petali, come rugiada primaverile. Marco non provò neanche a fermarle, mentre si rimetteva al fianco del nonno.
 
Dopo che la funzione ebbe termine, Marco diede un’ultima occhiata alla fossa ormai colmata ricacciando indietro le lacrime.
«Andiamo a casa» disse suo nonno prendendogli la mano. Il ragazzo annuì lentamente, lasciandosi guidare. Fuori dalle mura del cimitero trovò il dottore. Giovanni lo salutò cordialmente, mentre Marco lo ignorò.
 «Marco» lo chiamò. «Posso parlarti un minuto?».
 «Ti aspetto al parcheggio» gli disse il nonno, lasciandogli la mano. Marco lo guardò allontanarsi, prima di riportare l’attenzione sull’uomo che aveva di fronte. Quel  indossava un vestito dai toni scuri, anonimo.
 «Non ho intenzione di chiederle scusa» iniziò il ragazzo con tono tagliente.
 «Mia moglie morì per la stessa malattia di Arianna» arrivò subito al punto. «Cancro al cuore. Colpisce una cinque persone su un milione. E la maggior parte delle volte è benigno. Invece no, non nel mio caso. Ti assicuro che feci l’impossibile per trovare una cura. Studiavo ogni libro di medicina mi capitasse di trovare. Ero arrivato al punto di non riuscire a dormire la notte e di trascurare mia figlia. Portai mia moglie in diversi ospedali per paura che io non fossi sufficiente per guarirla. E quando morì mi arrabbiai con uno degli ultimi medici che l’avevano seguita».
 «Mi dispiace per sua moglie».
 Il dottore rise, alzando gli occhi chiari al cielo. «Buffo. È la stessa cosa che ti ho detto io qualche giorno fa».
Marco serrò la mascella. «Mi dispiace davvero».
«Ti credo, ragazzo» rispose prontamente l’uomo. «Se ti fa sentire meglio, prenditela pure con me. Insultami, se questo ti fa stare bene».
 «Ero… arrabbiato».
 «No. Eri ferito e distrutto».
«Mi dispiace» disse con voce strozzata. E, senza un motivo preciso, calde lacrime bagnarono il suo viso. Il dottore lo strinse a sé, mentre era scosso dai singhiozzi.
 
Mangiarono poco quella sera, nonno e nipote. Dalla finestra aperta soffiava dolce aria estiva e le risate di alcuni ragazzi sul marciapiede.
 «Quando parti?» chiese Giovanni, rompendo il silenzio.
 «Come?».
 «Quando ritorni al mare, dai tuoi amici?».
Marco si rabbuiò. «Non parto più». All’espressione interrogativa dell’anziano, Marco proseguì: «Voglio rimanere qui con te».
«Io me la caverò».
«Non posso lasciarti solo» tagliò corto il ragazzo, alzandosi. «E ora, scusami, ma sono molto stanco». Andò a chiudersi in camera sua dove, per la prima volta dopo due giorni, accese il cellulare. Aveva almeno una ventina di messaggi non letti e chiamate senza risposta. Tutte di Alisea.

Alis stava tornando a casa quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloncini. Il suo cuore perse un battito quando vide il nome di Marco brillare sul display.
 «Marco! Finalmente ti sei deciso a richiamare! Hai idea di quanto mi abbia fatto preoccupare? Come stai? Sono così contenta di sentirti!» le parole le uscirono una dopo l’altra, senza controllo.
 «Mi dispiace, non volevo farti preoccupare» la voce del ragazzo era stanca; velata di malinconia; tremendamente distante e fredda come… per un attimo Alis le parve di star parlando ancora una volta con il bastardo.
 «Marco, che succede?!».
 «Io… sono tornato dal funerale».
 «Oh, tesoro, perché non mi hai chiamata?».
 «Perché non avevo nulla da dirti».
Un pungo nello stomaco, ne era certa, avrebbe fatto meno male di quelle parole. Ad Alis parve di ritornare indietro di un anno. Non era Marco, non era il suo Marco.
 «Ma cosa…? Marco, che cosa dici?».
 «Alisea, ascoltami» il suo tono era supplichevole. Lei rimase in silenzio aspettando che proseguisse. «Io…» un sospiro, poi: «… non tornerò».
Quelle parole la stordirono così tanto che per un attimo le sembrò di barcollare, di cadere. Dovette sedersi sulla sabbia per calmarsi.
 «Non posso abbandonare mio nonno. Ha bisogno di me, lo capisci?».
 «Mi avevi promesso che saresti tornato!» gli ricordò, rifiutandosi di accettare il fatto di non rivederlo mai più.
 «Lo so».
 «E allora? Quella promessa non vale niente per te? E noi? Io! Io non valgo niente, vero? Tutto quello che mi hai detto era una bugia!».
 «Alisea, tu sei… unica».
 «Bugiardo!».
 «Ti prego…» sussurrò lui con voce spezzata. «Mi dispiace davvero, credimi».
Aspettò. Ma dall’altra parte non sentì niente, a parte deboli respiri.
 «Alisea?».
 «Ti odio!» gli urlò senza contegno, senza pensarci, senza cuore.

---
Eeeed eccoci qua!
Partiamo dai ringraziamente:
-ai lettori silenziosi ♥
-a quelli che hanno aggiunto la storia nelle preferite/ricordate/seguite ♥
-e ai miei adorati recensori, "vecchi" e nuovi ♥ 
GRAZIE MILLE AD OGNUNO DI VOI.

I capitoli verranno pubblicati nell'arco di 10 giorni. 

E adesso la parola a voi!
Vi è piaciuto?
L'avete trovato noioso, interessante? 
Sono migliorata, peggiorata?
Cosa pensate della coppia Alis e Marco?
E di Davide, questo nuovo personaggio che è sempre più presente?



 

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Capitolo 17
*** 17 ***


17
 
«Sapevo che ti avrei trovata qui».
Alis sorrise debolmente appena sentì la voce familiare di Davide. Il ragazzo le si sedette acconto sulla scogliera.
 «Cosa ascolti?» le chiese, gentilmente. Per tutta risposta la ragazza gli passò una cuffietta e il mondo del ragazzo fu inondato da una lunga e straziante melodia.
 «Siamo allegri, stamattina!» scherzò, passandole la cuffietta che Alis arrotolò insieme all’altra.
 «Ho sentito Marco» disse senza entusiasmo.
 «Davvero? Fantastico! Visto? Avevo ragione, aveva il cellulare scarico» esclamò. Anche lui non vedeva l’ora di sapere qualcosa sull’amico.
Alis lo guardò negli occhi, dicendo: «Non tornerà». Poi abbassò lo sguardo. Era come se lo avesse sempre saputo.
Davide sgranò gli occhi, sorpreso. «Co-come? Ma…lui…».
 «Lui non tornerà» ripeté, più a se stessa che al ragazzo.
 «Perché?».
 «Deve occuparsi di suo nonno».
 «Mi dispiace».
 «Non importa. Non sarebbe durata comunque. Meglio così, per entrambi».
 «Perché dici questo?».
Alis sospirò, prima di rispondere con voce strozzata: «Perché finita l’estate lui ci sarebbero stati i chilometri a separarci. E… non sarebbe durata».
 «Non è vero, avreste lottato e ce l’avreste fatta».
 «Ma lui non vuole più lottare e io non posso costringerlo».
Davide rimase in silenzio per un po’, vagando con la mente. Ripensò al modo in cui Marco guardava Alisea, come le parlava, come la trattava. Non aveva fatto lo stupido con lei – non che con le altre ragazze l’avesse mai fatto- ma con Alisea si era comportato da uomo.  Davide scattò in piedi, sotto lo sguardo interrogativo di Alis.
 «Dove vai?» gli chiese.
 «A far ragionare il mio migliore amico».
 
L’aveva detto nel modo più semplice, urlandolo con tutta se stessa. Ti odio!. Due parole che erano in contrasto con tutto ciò che avevano provato quando stava insieme a lei.
Stava correndo nel parco, quando il suo cellulare prese a suonare. Fu una delusione quando sul display lesse il nome di Davide.  Sul serio ti aspetti che lei ti richiami? Si fermò, prima di rispondere. «Ehi, ciao. Come…?».
 «No, dico, ma sei totalmente impazzito?» esplose Davide dall’altra parte del telefono.
 «Cosa intendi?».
 «Che cosa hai detto ad Alisea?».
 «Quello che è successo tra me e lei non ti riguarda».
 «Oh, invece sì, dato che siete entrambi miei amici!».
 «Non ti intromettere».
 Davide lo ignorò e proseguì: «Stai commettendo un grande errore, amico. E lo sai, perché ci stai male».
 «È la cosa giusta da fare».
 «No. È la cosa più stupida che tu abbia mai fatto».
 Marco si passò una mano tra i capelli, nervoso e frustrato. «Non posso tornare».
 «Sì che puoi».
 «Non posso abbandonare mio nonno».
 «Finita l’estate lo rivedrai! Alisea no» stava per perdere la pazienza.
Marco esitò per qualche momento. «Ti prego, non insistere. E poi lei mi odia» e la voce gli mancò di nuovo.
 «Non dire cazzate!» sbottò.
 «È la verità. Me l’ha detto lei» gli spiegò, alzando lo sguardo al cielo di un azzurro spento.
 «Credi sul serio che lei ti odi?».
 «Sì».
 «Allora sei più idiota di quanto ricordassi!» esclamò Davide.
 «E comunque non posso tornare. Adesso devo andare, grazie d’aver chiamato».
 La voce di Davide era seria quando, dopo un attimo di silenzio, disse: «Stai commettendo un grande errore e non vuoi ammetterlo. Spero solo che quando te ne renderai conto, non sarà troppo tardi per rimediare».
 
Alis si stava preparando per la serata che l’aspettava quando qualcuno bussò alla porta. Dopo qualche minuto sua mamma la chiamò: «Alis, è per te!».
La ragazza scese velocemente le scale, trovandosi di fronte a Davide. «Entra pure» lo invitò.
 «Devo parlarti».
 «Andiamo in camera». Il ragazzo la seguì su per le scale e aspettò che chiudesse la porta prima di parlare.
«Ho sentito Marco».
A sentire quel nome fu come su qualcuno stesse rigirando il dito nella piaga, lentamente.
 «Bene. Io mi stavo preparando» disse, indicando i vestiti sparsi sul letto.
 «Non fare finta che non ti importi» tagliò corto Davide.
 «Mi ha lasciata! Perché dovrebbe importarmi?».
 «Ho provato a convincerlo a tornare. Ti giuro che ci ho provato» .
Alis capì. Solo in quel momento riuscì a realizzare che non lo avrebbe rivisto mai più. Gli occhi presero a bruciarle di nuovo, non voleva crollare. Non davanti a Davide. «V-voglio stare da sola» sussurrò abbassando lo sguardo.
 «Così potrai farti del male?».
Alis impallidì, non aveva pensato a…
 «Non posso permetterlo» continuò.
 «No, così posso prepararmi per uscire».
 «Dove vai?».
 «Non ti riguarda e adesso esci dalla mia camera!» sbottò, aprendo la porta. Davide esitò, poi le scoccò un’occhiata e uscì.
Alis si accasciò sul pavimento, lasciando che le lacrime corressero lungo il suo viso e che i singhiozzi spietati le attraversassero la schiena. Per un momento pensò che non sarebbe mai riuscita a smettere. Sprofondò la faccia nel cuscino candido, urlando con tutto il fiato che aveva. Una, due,… quattro, più volte. Si chiuse nell’armadio dove, gridando, pianse finché la testa non le esplose. Poi, lentamente, rotolò fuori dall’armadio rimanendo sdraiata sul pavimento per minuti che le parvero interminabili.
 
«Cosa significa che non tornerà?» esclamò Giulia, scattando in piedi.
Luca e Claudia si limitarono a rimanere senza parole.
 «Proprio così. Marco non tornerà».
 «Ma… tu hai provato a fargli cambiare idea?».
Davide annuì. «Non vuole sentire ragioni».
 «Alis come sta?» chiese Claudia, visibilmente preoccupata.
 «Non bene, anche se non lo da’ a vedere».
 «Mi dispiace per lei» concluse Claudia, stringendosi ancora di più a Luca. Davide si sedette sul divano, accompagnato da un sonoro sospiro.
 «Ma se gli dicessimo che Alis non sta bene, lui tornerà sicuramente!» esclamò ancora Claudia, piena di entusiasmo.
 «Io non credo che…» iniziò Davide, poco convinto dell’idea dell’amica.
 «Possiamo provare» Luca appoggiò Claudia, afferrando il cellulare sul tavolo.
 «Che stai facendo?» gli chiese Giulia, in tono tagliente.
 «Chiamo Marco».
Perfino Giulia si ammutolì quando dall’altra parte del telefono sentirono la voce stanca di Marco: «Luca, come stai?».
 «Io sto bene. Tu come te la passi?».
 «Bene, dai. I ragazzi come stanno?».
 «Stiamo tutti bene» rispose spostando lo sguardo sugli altri. Poi proseguì: «È solo Alis che non sta bene».
 «In che senso? Cosa le è successo?» la voce di colpo preoccupata.
 «Niente di grave» iniziò Luca guardando gli altri in cerca di aiuto.
 «Cosa è successo ad Alisea?» scandì Marco in un tono che non ammetteva repliche.
 «Nulla di cui preoccuparsi, solo che… ecco…» il ragazzo scoccò un’altra, disperata occhiata agli amici che non seppero cosa fare.
Giulia alzò gli occhi al cielo, esasperata. Poi con un movimento fulmineo prese il cellulare a Luca, iniziando: «Alis sta bene, okay? Esce tutte le sere e rientra tardi. Si comporta normalmente, come se nulla fosse successo. Tu, invece, cerca di riprenderti!». Senza aspettare risposta, passò il telefono a Luca e corse in camera sua.
 «Mi dovete delle spiegazioni. Alisea sta bene o no? E voglio la verità».
Luca sospirò, mentire non avrebbe avuto più alcun senso. «Quello che ha detto Giulia è vero: Alis si comporta normalmente. Ma se sta bene, be’, di questo non se sono certo».
Un respiro profondo, poi: «Sono contento per lei». Marco le avrebbe sempre augurato il meglio, anche se il suo meglio non era lui.
 
 «Giulia!» la chiamò il fratello, raggiungendola in camera.
 «Vattene!» gli urlò contro. La trovò raggomitolata in un angolo del letto, abbracciata al cuscino color sabbia.
 «Si può sapere perché hai detto quelle cose a Marco?». Davide si sedette sul letto.
 «Perché è la verità».
 «Pensavo che volessi che tornasse».
Giulia roteò gli occhi color cioccolato e sorrise amaramente. «Non capiresti mai».
 «Prova a spiegarmi».
Giulia sospirò, si mise a sedere e parlò cercando di controllarsi: «È ovvio che voglio rivederlo, ma non insieme ad Alis». Non c’era acidità né cattiveria nella sua voce, solo una sottile venatura di tristezza.
 «Devi accettare il fatto che adesso lui è…».
 «Non ci riesco!» sbottò lei, scagliando il cuscino dall’altra parte della piccola stanza. «Ogni volta che lo vedo con lei… io…io… non so cosa fare. Mi manca, mi manca da morire. Ma non posso permettergli di tornare, perché vederlo insieme a lei sarebbe troppo» ammise, gli occhi da cerbiatta che chiedevano di essere capiti.
 «Allora perché l’hai lasciato?».
Giulia si strinse nelle spalle. «Ho commesso un errore e non sai quanto me ne stia pentendo. Mi mancano tutti i momenti passati con lui».
 «Dovevi pensarci prima» fu l’unica cosa che venne in mente a Davide.
 «Perché stai sempre dalla sua parte? O dalla parte di Alis? Questi giorni li hai trascorsi con lei e…».
 «Non sto dalla parte di nessuno. Hai sbagliato a lasciare Marco e hai sbagliato anche con Alis. Trattare male lei non ti farà amare da lui».
 «Smettile di accusarmi!» sbottò, scossa da un violento singhiozzo. «So di aver sbagliato e ne sto pagando le conseguenze. Ho solo bisogno di…» e si fermò. Sapeva quello di cui aveva bisogno, qualcuno che le stesse vicino. Qualcuno che la facesse sorridere e che non la trattasse come se fosse un completo disastro. Qualcuno da amare così tanto da star male al solo pensiero di separarsene. Aveva bisogno d’amore. Lo vedeva accadere intorno a sé, talmente vicino da sfiorarla, da illuderla che un giorno potesse succedere anche a lei.
 «Troverai qualcuno che ti amerà alla follia» le sussurrò, come se fosse una cosa ovvia.
 «Come fai ad esserne sicuro?».
 «Perché te lo meriti».

---
Ciao a tutti!
Allora, come avete notato sono cambiate un po' di cose. 
Prima di tutto, il titolo! Non so se rimarrà questo oppure lo cambierò ancora. Vedremo.

Vorrei soffermarmi sul personaggio di Giulia. 
Ho aggiunto questa scena da una parte per "riempire" il capitolo e dall'altra parte per dare un po' di spessore a questo personaggio che voi tutti (me compresa) odiate così tanto. Non voglio dei personaggi stereotipati: solo cattivi o solo buoni. Esistono le sfumature, usiamole no? 

E ora i ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-ai recensori che sono stati con me dall'inizio e a quelli che sono arrivati più tardi ♥
-alle persone che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥
GRAZIE MILLE!

PS: ho creato una pagina FB della storia che sarà attiva a un po' di "mi piace", con aggiornamenti e le frasi più belle di questa storia. E' solo un esperimento, se non dovesse funzionare la pagina FB verrà cancellata. 

https://www.facebook.com/pages/Nonostante-tutto/189100337929543 

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Capitolo 18
*** 18 ***


18
 
A Marco le stelle erano sempre piaciute. Fin da bambino quelle piccole luci del cielo lo avevano sempre affascinato.
 «Notte fantastica per ammirare le stelle. Non se ne vedono così spesso qui in città, di notti così limpide» commentò suo nonno piegato dietro il cannocchiale.
 «Sono bellissime» si limitò a dire il ragazzo, pensando a quella volta che lui e Alisea avevano ammirato insieme le stelle.
Conosci tutte le costellazioni? Mostramele.
Atterrò lo sguardo.
 «Vuoi guardare tu adesso?».
Marco annuì, prendendo il posto del nonno. L’anziano si sedette sulla sedia di plastica. Il ragazzo puntò a caso lo strumento su un pezzo di cielo, spostandolo lentamente.
 «Chi è Alisea?» chiese improvvisamente il nonno.
Il cuore di Marco perse un battito e impiegò qualche attimo per calmarsi. «Come fai a conoscere questo nome?».
 «L’hai nominata al telefono, questa mattina. Allora, chi è?».
Marco sospirò, continuando a spostare lentamente il cannocchiale e isolando le stelle in piccoli gruppi luminosi. «È… una ragazza» rimase sul vago.
 «Questo l’avevo capito. È carina?».
 «Molto più che carina» ammise mentre le sue guance si tingevano di rosso.
 «Bella?».
 «Molto di più».
 «Bellissima?».
 «Ancora di più».
 «Descrivimela» lo incoraggiò, incuriosito.
Marco sorrise timidamente, smettendo di guardare le stelle. «È la ragazza più testarda, irascibile e lunatica che abbia mai conosciuto». Con le guance in fiamme, ritornò a osservare il cielo dal cannocchiale.
 «Ti sei innamorato, ragazzo mio» concluse l’anziano.
 «Può darsi».
Nonno Giovanni si alzò e, posando una mano sulla spalla del ragazzo, chiese: «Ti manca?».
 «Da morire».
 «Allora vai da lei!» esclamò, senza pensarci.
 «Non posso» si costrinse a dire Marco.. «Le… mi odia». Eccolo, quel nodo alla gola che pareva impedirgli di respirare.
 «Tu non vuoi, ragazzo!».
 «Non è vero!» sbottò lui, alzando la voce di parecchie ottave.
 «Oh, sì, invece. E so anche il motivo: la paura».
 «Io non ho paura di niente» ribatté, come se fosse ovvio.
 «Ah, no? Neanche di essere rifiutato?».
A quella domanda, Marco si ammutolì. Il viso assunse un colore pallido e gli parve di precipitare.
 «Visto? Questa si chiama paura! È la paura a corrompere un rapporto».
 «Non posso tornare! Mi odia!» ripeté Marco, alzando la voce… per farsi capire o per far finta di non aver sentito l’affermazione dell’anziano?
 «Amore, odio. La differenza è sottile». Giovanni non si sarebbe dato per vinto. Sospirò, dicendo: «Siediti». Si sedettero uno di fronte all’altro sulle sedie vicino al cannocchiale che indicava il cielo, senza nessuno che ci guardasse attraverso.
 «Se vuoi vedermi felice, ti prego, vai da Alisea. Tutti commettiamo errori, ma un vero uomo sa come farsi perdonare. Torna da lei e lotta per la persona che ami» Finché hai la fortuna di averla accanto, avrebbe voluto aggiungere ma non volle turbare il nipote.
 «Questo ti renderebbe felice?».
 «Marco, per me sei come un figlio. Nulla mi renderebbe più felice di vederti correre dietro ai tuoi sogni e realizzarli».
Il ragazzo distolse lo sguardo, si alzò e si appoggiò alla balconata osservando i passanti che camminavano sui marciapiedi. Amici che ridevano, coppie che si nascondevano nei vicoli. Alzò gli occhi al cielo stellato e ancora una volta gli tornò in mente quando aveva guardato le stelle insieme ad Alisea. Tutto ciò che faceva, gli ricordava lei. Era come vivere in un nostalgico ricordo che sembrava non avere fine. O forse era Alisea il ricordo che continuava a tormentarlo, che vedeva prendere vita in ogni cosa gli stesse intorno.
 «Quindi, secondo te devo andare da lei?».
 «La domanda corretta è: vuoi andare lei?».
, rispose prontamente il suo cuore iniziando a battere come impazzito. La sua mente visualizzò il dolce viso della ragazza: l’immagine era chiara, quanto irraggiungibile. Arrossì violentemente. Il suo corpo voleva tornare da Alisea, ma la sua mente era bloccata dalla paura del rifiuto.
 «Ti brillano gli occhi quando pensi a lei» disse il nonno, sorridendo.
Marco sentì le guance in fiamme, abbassò lo sguardo.
 «Partirai domani mattina con il volo della una» continuò l’anziano in tono risoluto.
Il ragazzo alzò la testa e fece per protestare: «Cosa? Ma…».
 «Quindi ti conviene riposare, domani ti aspetta un lungo viaggio» lo ignorò, facendo per entrare in salotto.
 «Ma… io non ho i biglietti per l’aereo!».
 «A quelli ho pensato io, adesso vai a dormire». E con questo sparì in casa.
Marco lo seguì dopo qualche minuto, raggiungendo la propria stanza. Si lasciò cadere sul letto, la testa affollata da innumerevoli pensieri che giravano intorno all’immagine di Alisea. Si alzò e tirò fuori dall’armadio la valigia semi vuota, la aprì sul letto tirando fuori tutte le magliette. In una delle piccole tasche interne trovò il braccialetto di stoffa bianco che le aveva regalato la ragazza il giorno della partenza. Sembrava sapere del dolce e delicato profumo di Alisea. Si sedette sul bordo del letto e rigirò più volte il braccialetto tra le dita. Poi lo sguardo cadde su una piccola macchia scura della stoffa candida del bracciale. La osservò attentamente: era di un rosso, ora slavato, che un tempo dev’essere stato cupo. Cupo come il colore del sangue. E all’improvviso si ricordò delle cicatrici pallide sui polsi della ragazza. In quel momento seppe esattamente che doveva tornare da lei. Doveva tornare per salvarla da un passato che ancora la tormentava. In quel momento la paura svanì con la stessa facilità con cui era comparsa, come se non avesse mai albergato nel suo cuore.
 
Alis camminava sugli scogli lentamente, godendosi il vento del mattino che le scompigliava i capelli. Ora saliva, ora scendeva. Da quando Marco le aveva detto che non sarebbe tornato, aveva voglia di stare sola. Perfino la compagnia di Davide non le era gradita e aveva fatto di tutto per evitarlo, non lo vedeva da un paio di giorni. Alis scese con cautela, atterrando sulla sabbia bagnata della minuscola spiaggetta che aveva trovato. Appoggiò la schiena contro la roccia, lasciandosi cadere.
Poi, come sempre, vennero le lacrime.
Perché?, urlò nella sua mente, senza trovare risposta.
Il sole era sorto da circa un paio d’ore e lei si era persa l’alba che Marco tanto adorava.
 
 «Comportati bene» gli disse il nonno dandogli una scrollata di spalle con le mani rugose.
 «Abbi cura di te» gli rispose Marco, posando la valigia per abbracciarlo per pochi istanti.
 «Lo farò».
Una voce femminile, penetrante, rimbombò per tutto l’aeroporto, annunciando: «Prossimo volo: ore 13.10. Fiumicino-Olbia.».
 «Vai» lo incoraggiò l’anziano, porgendogli la valigia.
Marco la prese con un sorriso: «Ti chiamo appena arrivo».
 
Alis camminava lentamente sul bagnasciuga, le scarpe in una mano, le cuffiette del I-Pod nelle orecchie. Una canzone malinconica dipingeva il suo mondo di un pallido grigio incolore. Continuava a camminare, sentendo la sabbia bagnata sotto i piedi. Ogni tanto qualche onda riusciva a raggiungerla.
Camminò per mezz’ora prima di fermarsi davanti ad un ristorante in riva al mare. Non era un ristorante qualunque, era quel ristorante. Al molo, diceva l’insegna rosa elettrico. Quello in cui l’aveva portata Marco. Quello in cui avevano riso e scherzato. Sembrava che il suo corpo la stesse portando in qualsiasi posto le ricordasse il ragazzo. Si tolse le cuffie lentamente e, sospirando, entrò.
 
Marco rigirava il braccialetto bianco lentamente, ogni tanto lo stringeva forte nella mano. Ogni volta che i suoi occhi cadevano sulla piccola macchia di sangue, il ragazzo sentiva un nodo alla gola. Piccola, pensò. Poi sorrise pensando a quella volta che l’aveva chiamata “piccola” e si era arrabbiata. In effetti, Alisea si arrabbiava spesso. In quel momento si rese conto che a mancargli maggiormente erano proprio i difetti della ragazza. Quei difetti insopportabili che la rendevano magnificamente unica ai suoi occhi.
 
 «Un frappè al cioccolato» annunciò il cameriere, posandole il bicchiere sul tavolo.
 «Grazie».
Alis si rimise le cuffie, lasciandosi cullare dalla solita, malinconica canzone. Anche il frappè parve avere un sapore amaro quel giorno. Era seduta proprio aldove era stata con Marco. Se chiudeva gli occhi, riusciva a vederlo di fronte a sé. Ma prima o poi avrebbe dovuto riaprire gli occhi e affrontare quella sedia vuota, quel posto vuoto che Marco aveva lasciato nel suo cuore.
 
Appena scese dall’aereo, l’aria calda del primo pomeriggio gli scaldò le ossa. Marco si infilò gli occhiali per schermarsi gli occhi dal sole accecante. Il suo umore era alle stelle e il suo cuore batteva come un tamburo rimbombandogli nelle orecchie. Marco uscì velocemente dall’aeroporto, recandosi alla fermata dei bus. Lo zaino in spalla e il bracciale di Alisea in mano.
 
 «…e questo è l’acceleratore» concluse il ragazzo indicandole una manopola con il dito.
 «Ti ringrazio» rispose lei, salendo sulla piccola moto d’acqua.
 «Grazie a te» la salutò. E Alis partì, sfrecciando incontro alle onde. Il vento salmastro le scompigliava i capelli, gli occhiali la schermavano dal sole del primo pomeriggio. Sorrise, rievocando un dolce ricordo nella sua mente, mentre il piccolo isolotto si ingrandiva davanti a sé.
 
Marco scese dall’autobus, sfrecciando oltre la strada. In pochi minuti raggiunse l’ingresso del villaggio turistico e vi entrò, con il cuore che accelerava i battiti a ogni passo. Si accorse che era giunto alla spiaggia quando le sue scarpe da ginnastica affondarono nella soffice sabbia. Continuò ad avanzare fino a raggiungere la porta di casa. La aprì senza tante cerimonie e fu accolto da un entusiasmo generale. Davide fu il primo a riprendersi: «Sei… tornato».
 «Tu che dici?» rispose Marco, gettando lo zaino lontano.
Gli altri gli si avvicinarono e lo abbracciarono. Tranne Giulia, ma il ragazzo non se ne accorse.
 «Devo andare!» esclamò dopo i brevi saluti.
 «Ma sei appena arrivato!» brontolò Luca.
 «Devo andare da Alisea» spiegò, come se fosse una cosa ovvia. A sentire il nome della ragazza, Giulia uscì silenziosamente dalla stanza, sparendo di scena prima che gli occhi le diventassero lucidi.
 «Non è a casa. L’ho vista noleggiare una moto d’acqua quasi mezz’ora fa» gli disse Davide.
 «Hai visto anche dove andava?» Marco non resisteva più, il bisogno di vederla lo stava divorando lentamente.
L’amico scosse la testa, dispiaciuto.
Non importa, la troverò. E corse fuori dalla casa.
 
Alis raggiunse la riva dove lasciò la moto. Era arrivata nella piccola isola dove Marco l’aveva portata. Un posto di Marco, pensò iniziando a camminare lentamente.     Salì la ripida collina, senza fretta, come un sacchetto vuoto soffiato svogliatamente dal vento. Stesso percorso dell’ultima volta, ma con una piccola differenza: adesso era sola.
Raggiunse la cima della collina, sdraiandosi nell’erba tra i bassi cespugli che crescevano rigogliosi. Chiuse gli occhi ai raggi del sole che le scaldavano le ossa, lasciando vagare la mente. Sempre a occhi chiusi, accarezzò con le dita l’erba intorno a sé. E, senza che se ne accorgesse o che lo volesse, una lacrima solitaria le rotolò sulla guancia.
Quando si decise a rialzarsi si sentiva ancora più vuota di quando si era sdraiata, per quanto potesse essere possibile. Si trascinò giù per la collina. Inciampò su una radice che spuntava dal terreno, rotolando per un paio di metri. Urtò contro qualcosa – anzi no, contro qualcuno– continuando a rotolare. Quando si fermò su una piccola piana, si voltò verso lo sconosciuto per scusarsi di averlo trascinato giù insieme a lei. Ma quello che vide la lasciò disorientata, mentre il suo cuore si fermava solo per riprendere a battere più velocemente.
 «Sapevo che eri maldestra, ma in fondo mi piaci anche per questo» disse Marco.
---
Ciao, caro lettore.
Grazie di essere arrivato fin qui.
 
Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-alle persone che hanno aggiunto la storia alle preferite/ricordate/seguite ♥
-ai miei fedeli recensori che spendono il loro tempo a lasciare un commento ♥
-e un piccolo ringraziamento a nonno Giovanni per aver convinto Marco a tornare ♥
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se volete fatemi sapere cosa ne pensate. Ho spezzato molto in questo capitolo, lo so, l’ho fatto apposta. Spero di non aver appesantito la lettura, era un esperimento. 
 
PS: vi lascio il link alla pagina facebook della storia
https://www.facebook.com/pages/Nonostante-tutto/189100337929543

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Capitolo 19
*** 19 ***


19
 
Marco continuava a sorriderle, in quel modo che l’aveva fatta innamorare di lui.
Si divincolò dal ragazzo con la stessa rapidità con cui scacciò quel pensiero dalla mente. Sbatté più volte le palpebre, ma Marco era sempre lì davanti a lei. Per un attimo pensò di aver perso il senno, ma… lui era lì. Tutti i suoi sensi lo percepivano: gli occhi che ricordavano a memoria i suoi lineamenti; le orecchie che avevano riconosciuto la sua voce calda e il suo profumo che aveva sentito mentre rotolavano quasi abbracciati.
 «Che cosa ci fai qui?» scandì Alis, lentamente. Un po’ perché non riusciva a crederci e un po’ perché non voleva nascondere la sua ostilità.
 «Anch’io sono contento di vederti, Alisea».
Lo sono! Lo sono!, esclamò qualcosa dentro di lei. Qualsiasi cosa fosse, la ragazza la mise subito a tacere. Lo stesso però non riuscì a fare con il proprio cuore. Ogni battito  si faceva sempre più pesante, solenne.
 «Che cosa ci fai qui?» ripeté Alis.
 «Davide mi ha detto che hai preso la moto d’acqua e io… sapevo che ti avrei trovata qui» spiegò velocemente Marco, non vedendo l’ora di abbracciarla. Erano ancora seduti a sulla terra arida e sabbiosa.
Alis non rispose, non sapeva cosa dire né come comportarsi. Una parte di lei non vedeva l’ora di gettargli le braccia al collo, ma voleva delle spiegazioni. Meritava delle spiegazioni.
Rimasero in silenzio per alcuni momenti, guardandosi come se non si fossero mai visti prima.
 «Mi dispiace, Alisea».
 «Le scuse non servono più a niente! Dovevi pensarci prima!» le parole strariparono violente come un fiume di dolore in piena.
Doveva immaginare una risposta simile. Ma non era arrivato fin lì per essere ricacciato da dove era venuto. Con lei non si sarebbe arreso mai.
 «Mi sono comportato da idiota, lo so».
 «Oh, puoi ben dirlo!».
 «E ti giuro che mi dispiace. È stato l’errore più grande che potessi fare». Cercò di avvicinarsi, ma quando vide che lei si allontanava decise che era meglio rimanere dov’era.
 «Cosa dovrei farmene delle tue scuse?».
 «Accettarle, forse?».
 «Certo! Per te è facile, no? Andartene facendomi credere che fosse per sempre; ritornare con delle patetiche scuse e avere anche la faccia tosta da pensare che io ti perdoni! Per te è stato facile lasciarmi andare».
È delusa. Frugò nella sua mente alla ricerca della frase giusta da dire, della cosa giusta da fare. Ma la mente era annebbiata e il cuore impazzito. Tutta la sua determinazione era andata in fumo. Decise che non doveva farsi prendere dal panico, prese un profondo respiro prima di continuare in modo calmo: «Ti ho promesso che sarei tornato da te ed eccomi. Ho mantenuto la mia promessa».
 «Sì, ma non senza farmi soffrire per mantenerla» rispose lei quasi in un sussurro. Inspiegabilmente era più calma. Marco sapeva che bastava poco per riaccendere la scintilla della collera.
 «Anch’io sono stato male» ammise.
 «Davvero?»
Marco annuì.
 «Allora perché mi hai lasciata?».
 «Per proteggerti».
 «Da cosa?».
 «Da una relazione a distanza che forse ti avrebbe fatto soffrire ancora di più».
Per alcuni minuti calò ancora il silenzio tra loro. Non si osservavano più come sconosciuti. Cercavano di indovinare cosa stesse pensando l’altro, annegando nei loro stessi sguardi.
 «Non ci credo», lo disse come se avesse annunciato una sentenza.
Prima che lui potesse rispondere, Alis continuò: «E non starò qua un minuto di più a farmi prendere in giro da te».
Detto questo, gli concesse un ultimo sguardo sprizzante disprezzo prima di andarsene. Marco non l’avrebbe lasciata andare un’altra volta. Le avrebbe dimostrato che lasciarla andare non era facile. Senza dire una parola le corse dietro fino ad esserle abbastanza vicino da afferrarla per un braccio. La girò verso di sé e, rapido, la baciò di un bacio mancato. Una mano che affondava nei capelli e l’altra che le stringeva il fianco; spingendola contro il proprio corpo, contro la propria anima.
Per pochi attimi Alisea parve assecondarlo, ma fu solo un breve momento prima che iniziasse a opporre resistenza. Lui non lasciava, perché lasciare quelle morbide e calde labbra avrebbe significato perdizione.
Marco non si accorse dello schiaffo finché non sentì la guancia andare in fiamme. Si ritirò, costringendo le labbra a staccarsi da quelle della ragazza. Si portò una mano alla guancia che si stava arrossando sempre più, sentendola pulsare sotto le dita.
 «Be’…» iniziò quando si riebbe «… ne è valsa la pena». Se fosse tornato indietro mille volte l’avrebbe rifatto milleuno volte.
Alis non rispose, continuava a massaggiarsi la mano che l’aveva colpito. I suoi occhi erano di un verde infuocato. Era soddisfatta di averlo colpito? Si sentiva in colpa?
 «Toccami un’altra volta, una sola ancora, e ti gonfio anche l’altra».
 «È una sfida?» chiese, avanzando di un passo. Si sentiva più determinato. Era come se il bacio lo avesse scosso, scoppiando la bolla di insicurezza che gli si era creata intorno. E poco importava del prezzo che aveva pagato per quelle labbra.
 «Vedila come vuoi» .
Quel bacio le era piaciuto e staccarsi era stato quasi come a rinunciare a un momento di felicità atteso da lungo tempo.
 «Ti è piaciuto» disse semplicemente lui.
 . «No!» esclamò, con voce acuta.
 «Sai, quando menti la voce ti diventa acuta».
 «Sei troppo sicuro di te!» esclamò, avvicinandosi e puntando un dito contro di lui. «Il mondo non gira intorno a te, mettitelo in testa! E tu…» la ragazza si avvicinava sempre di più, la sicurezza che tornava a impossessarsi di lei «… tu non puoi andare e tornare quando ti pare! Io ti sarei stata vicina, ti avrei aspettato per settimane, se non per mesi, perché credevo nella promessa! Mi fidavo di te! Di uno sconosciuto!». Concluse dandogli uno spintone con tutta la forza che aveva.
 «Non siamo sconosciuti. E ora sono tornato! Sono qui, Alisea! Sono qui perché ti voglio». Le prese delicatamente le mani, stringendole tra le sue prima di continuare: «Ho sbagliato. Ma chi non commette errori? Forse tu no, perché tu… tu sei la creatura più perfetta che esista e io sono pazzo di te». Fece una pausa e lei lo lasciò fare, senza dire niente stupita com’era da quelle parole.
«Se non mi vuoi più allora me ne andrò, ma questa volta per sempre. Se invece non è così allora lasciati baciare».
Alis sbatté più volte le palpebre, sconcertata. Era serio. Lo voleva perdere per sempre? Solo a pensarci le sembrò che il cuore le sprofondasse. Ma non poteva neanche perdonarlo così facilmente.
 «Devo pensarci» risolse.
 «No, Alisea. Devi darmi una risposta, adesso».
 «Te lo dirò tra pochi giorni, te lo prometto».
 «No. La risposta la sai già, devi solo trovare il coraggio di pronunciarla». Quegli occhi verde scuro erano immobili  come la voce di Marco.
 «Ti prego, dammi solo…» tentò.
 «No! Ora, in questo momento».
 «Altrimenti?».
 «Me ne andrò per sempre».
Gli occhi di Alisea divennero improvvisamente lucidi. Se le voleva bene doveva concederle un po’ di tempo per prendere la decisione giusta. Quanto tempo nemmeno lei lo sapeva. Non era abituata a perdonare.
 «Ho bisogno di tempo» supplicò.
 «E io ho bisogno di te!» esclamò, stringendo le mani della ragazza.
Lacrime irrefrenabili e proibite iniziarono a rotolarle lungo le guance. Voleva scappare, nascondersi da lui. Più si imponeva di non piangere e più le lacrime diventavano implacabili. Si sentì maledettamente fragile, provando una travolgente voglia di abbandonarsi a lui. E fu tra un singhiozzo e l’altro che riuscì a rispondere.
 «Baciami».
La osservò ancora un’istante, contemplando il suo viso bagnato dal pianto e i suoi occhi che parevano splendere a causa delle lacrime che ancora tratteneva. L’attirò a sé con forza. I loro corpi aderirono perfettamente, come se fossero sempre stati attratti l’uno dall’altra. Le labbra si unirono in un linguaggio che non potevano esprimere a parole. La ragazza gli avvolse le braccia intorno al collo. Il ragazzo rispose posando le mani sui suoi fianchi, stringendo, impossessandosene. La sollevò di peso e lei chiuse le gambe attorno ai fianchi di Marco. Senza staccarsi, lui la fece sdraiare dolcemente sull’erba rada. Una mano abbandonò il fianco della ragazza per accarezzare la sua coscia. A quel contatto, Alis fu scossa da un piacevole tremito. L’altra mano scivolò dolcemente sotto la canottiera. Questa volta il brivido fu così inaspettato che Alis sussultò morendogli il labbro inferiore. Marco sorrise, prima di rispondere con un altro delicato morso, succhiando dolcemente. E Alis, per una volta, fu lieta di essersi abbandonata a lui.
Al resto avrebbero dopo.
 
E il dopo arrivò.
Era accoccolata a lui che giocava con i suoi capelli, arricciandoli. Nessuno dei due riusciva a parlare dopo un bacio come quello. E anche perché rimanendo in silenzio non rischiavano di ferirsi a vicenda.
Avevano tante cose di cui discutere, eppure era così bello rimanere semplicemente abbracciati lasciando che i propri corpi parlassero per loro.
 «Sono ancora arrabbiata, sai» iniziò Alis. Di tutte le cose inopportune da dire quella era forse la prima della lista.
 «No, sei delusa» la corresse.
Alis non poté negarlo.
 «Però non vuoi che me ne vada e questo è un passo avanti» le sorrise in modo così confortante che per la durata di un attimo Alis fu certa che sarebbe andato tutto bene. La ragazza si ritrovò a sperarlo con un’intensità che non sapeva le appartenesse.
Quando il sole iniziò a nascondersi dietro la collina capirono che era il momento di tornare a casa. Marco la aiutò ad alzarsi. Scesero dal sentiero in silenzio, le loro mani che pulsavano dal bisogno di intrecciarsi. Arrivarono alle moto d’acqua.
 «Ti è piaciuto?» domandò il ragazzo, parandosi davanti a lei.
 «C-come?».
 «Ti è piaciuto il bacio? Devo saperlo» continuò lui, dolcemente.
 «Sì» fu l’unica parola che uscì dalle sue labbra, mentre il cuore batteva forte ripensando al bacio.
Marco sorrise, aiutandola a salire sulla moto. Quando montò sulla sua, le disse: «Questo è un altro passo avanti».
Alis serrò le labbra in un’espressione frustrata. Strinse forte il manubrio della moto d’acqua tanto che le nocche sbiancarono. Si era concessa troppo e lui le aveva fatto ballare la danza che voleva. Si sentì impotente e fragile, provando una rabbia cieca per Marco. Chi era quello sconosciuto che le faceva perdere il controllo?
Avviarono il motore delle moto. Alis partì a tavoletta, superandolo. Più avanti si fermò per tornare indietro, tagliando la scia a Marco e facendolo cadere in acqua.
Lui riemerse subito. «Ma che…?».
 «Il fatto che ti abbia concesso di baciarmi non significa niente. Niente!».
 «Come? Cosa stai dicendo?».
 «Non osare pensare che ti abbia perdonato».
 «Non l’ho mai pensato!» sbottò, saltando sulla moto. «E comunque devi calmarti. Mi hai quasi ammazzato».
Esagerato!
 
Riportarono le moto al proprietario, ringraziandolo e pagando quanto aveva chiesto. Il sole si stava tuffando nel mare quando Marco l’accompagnò a casa.
 «Non era necessario che mi accompagnassi».
 «Ora che ti ho ritrovata, voglio starti il più vicino possibile».
 «Grazie» rispose, abbassando lo sguardo per non mostrare il rossore delle sue guance.
Marco le si avvicinò, alzandole la testa con le mani. «Non abbassare lo sguardo, hai degli occhi bellissimi».
Anche tu, pensò mentre il cuore impazziva e le guance avvampavano.
Le accarezzò il viso con una mano, senza fretta come se non si decidesse a lasciarla andare. «Mi sei mancata».
Anche tu! Anche tu!, ma quelle parole non presero mai vita. Si limitò a rimanere immobile, senza decidersi a varcare la porta di casa per paura di perderlo, per paura che se ne potesse andare di nuovo.
 «A domani, Alisea».
Stava per andarsene quando lei lo chiamò. Marco si girò, era ferma sulla soglia della porta, le mani intrecciate e lo sguardo fermo su di lui.
 «Sì?».
 «Quando domani mi sveglierò ti troverò di nuovo qui?».
 «Ma certo».
 «Sai, non è così scontato».
 «Vuoi che te lo prometta?».
 «Non ho bisogno di promesse». Poi sparì in casa.
---
Ciao! Come sempre ringrazio:
-i lettori silenziosi ♥
-le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ ricordate ♥ (siete tantissimi, sono commossa!)
-i recensori che hanno commentato fin da primo capitolo e quelli che si sono aggiunti a poco a poco ♥
 
E ora, parliamo del capitolo! *yeee*
A me è piaciuto molto (cosa rara!) ed è uno tra i miei capitoli preferiti. Quindi spero che sia piaciuto anche a voi. Ditemi voi, aspetto vostri commenti :)
 
Potete seguire la storia (aggiornamenti, frasi, ecc...) su questa pagina facebook -->  https://www.facebook.com/pages/Nonostante-tutto/189100337929543
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E ADESSO LA PAROLA A VOI, MIEI ADORATI LETTORI ♥

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Capitolo 20
*** 20 ***


20
 
 «Allora, com’è andata?».
 «Ma i fatti tuoi mai?».
Davide chiuse la porta con un calcio, raggiungendo Marco in balcone. Era bella da lassù, la vista. Il mare nero della notte si perdeva all’orizzonte e pallide stelle si specchiavano timide sulla superficie.
 «Mai. Dovresti conoscermi. Avanti, parla».
 «Bene, credo» rispose Marco aggrottando la fronte. Sì, si erano baciati. Ma questo poteva significare tutto e niente al tempo stesso. Aveva bisogno di risposte chiare e non di baci confusi.
 «Sono stato un idiota» continuò serrando le mani a pugno.
 «Già».
Marco lo fulminò con lo sguardo. «Non aiuti così, sai?».
Davide sospirò. «Lo so. Ma, Marco, lo sei stato».
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata raggelante: «Quante volte dovete ripetermelo? Lo so bene». Si fermò, tirando un pugno alla balconata di metallo. «Ma adesso sono qui!». Tutti commettono errori, ma solo i veri uomini sanno come farsi perdonare. Le parole del nonno gli rimbombavano nella testa, pressanti. Marco non sapeva come farsi perdonare. E più ci pensava più la sua mente sembrava rifiutarsi di voler trovare una soluzione.
Davide gli posò una mano sulla spalla. «Scusa».
Scusa. Se fosse stato così semplice anche per Marco chiedere semplicemente scusa.
 «Non pensarci troppo» continuò.
Dovrebbe essere un consiglio?, si domandò alzando gli occhi sull’amico. «Come?».
 «Non devi pensarci troppo. Va’ da lei, adesso».
Per quale motivo tutti continuavano a ripetergli di andare da Alisea? Era davvero l’unica soluzione? E se lo era, come aveva fatto a non pensarla lui stesso? Appena era arrivato era andato subito da lei, senza sapere cosa fare o cosa dire. Ma appena l’aveva vista, le parole gli erano uscite da sole. Marco dubitava che la cosa si sarebbe ripetuta. O forse si sbagliava?
 «È tardi adesso» rispose, accennando alle stelle sopra di loro, come se l’amico non se ne fosse accorto.
Davide si fece improvvisamente serio. «No, non lo è. E tu lo sai».
Per l’orario o per farsi perdonare? Marco sospirò, poi si passò una mano nei capelli, scompigliandoli. Pensava che Alisea meritasse il meglio di ogni cosa, per questo si sentiva insicuro in quel momento. Un’idea prese forma nella sua testa, piano, come un fiore appena sbocciato. Ma era una cosa piccola, troppo insignificante. Poi pensò che forse Alisea aveva bisogno proprio di piccole cose.
 «Mi serve il tuo aiuto. E anche quello di Luca».
 
La notte arrivò, calma e silenziosa, avvolgendo tutto ciò che incontrava tra le sue braccia scure.
Ma quella notte era diversa per Alis. Era una di quelle notti che non lasciavano spazio al sonno. Una di quelle in cui i pensieri regnavano sovrani nella mente della ragazza. Si girò e si rigirò più volte nel letto, realizzando ciò che era accaduto. Scoppiava a piangere senza un motivo, per poi sorridere l’attimo successivo. Era persa e confusa, quella notte. Magari se Marco fosse stato con lei, o forse no.
L’aveva perdonato? No, certo che no. Lei non perdonava facilmente, sperò che il ragazzo l’avesse capito.
Lo voleva? Quella domanda era il dilemma. No, la risposta lo era.
Alla fine, le palpebre si fecero pesanti e la testa più leggera. I pensieri si dissiparono lentamente come nebbia al sole, uno dopo l’altro, concedendole un sonno senza sogni…
… che fu di breve durata. O, almeno, così le parve. Fu svegliata da un ritmico bussare che proveniva dalla finestra. Alis sussultò nelle lenzuola. Accese la luce, ma il suono non cessò. Con il cuore in gola e le gambe che tremavano, si avvicinò piano alla finestra. Afferrò una delle tende che ricadevano sul pavimento e l’aprì con decisione.
Alis trattenne un gridolino quando riconobbe il ragazzo, in piedi dietro il vetro della finestra. Marco indossava un paio di jeans scuri che gli arrivavano fino al ginocchio; una maglietta bianca e una leggera giaccia nera.
Alis aprì la finestra, raggiungendolo sul balcone.
 «Cosa ci fai qui?» gli chiese rudemente, cingendosi le spalle con le mani. Il suo corpo trattenne un brivido quando venne a contatto con l’aria fresca della notte.
Marco la squadrò con i suoi penetranti occhi smeraldini. La ragazza sentiva il peso di quello sguardo addosso e non sapeva se esserne lusingata o spaventata. Era ancora in pigiama: pantaloncini che le arrivavano fin sopra il ginocchio e una canotta decisamente troppo leggera; niente reggiseno. Si sentiva nuda davanti a lui, sferzata dall’aria salmastra.
 «Hai freddo?» chiese lui. Adesso il suo sguardo era sul viso di lei. Era sulle sue labbra; sui suoi occhi verde brillante e sulle guance spruzzate di lentiggini. Alis scosse la testa, ma il suo corpo la tradì rabbrividendo.
 «Non starò fuori molto».
 «No, infatti» le sorrise. «Per caso, hai la televisione in camera?».
Alis aggrottò le sopracciglia arcuate. «No. Ma cosa…?».
 «Un computer?».
 «Sì. Perché?».
 «Posso entrare?».
 «No!» sbottò senza pensarci. Ha bevuto o è impazzito?
Marco non sembrò offeso. Tirò fuori dalla tasca interna della giacca quello che sembrava un DVD, ma Alisea non riuscì a leggerne il titolo. Non che le importasse. «È un peccato. Pensavo potessimo vedere questo film insieme».
 «Io… No, Marco, non possiamo!».
 «Okay. Sì, certo, capisco». Si avvicinò a lei, porgendole il DVD. «Tieni. Guardalo tu. Avrei preferito che lo guardassimo insieme».
Alis osservò il DVD. Cenerentola. Aveva scelto un cartone animato. Trovò il pensiero così dolce che pensò che non ci sarebbe stato nulla di male. «E va bene! Ma tu ti siedi sul pavimento».
Marco sorrise, entrando dentro. Alis si avvicinò alla scrivania, accese il computer portatile e inserì il disco. Marco intanto aveva ubbidito, sedendosi sul pavimento ai piedi del letto. Alis saltò sul materasso.
 «Perché hai scelto proprio Cenerentola?».
 «Alisea, tu cerchi di trovare una motivazione per ogni cosa. Ecco perché sei sempre depressa» scherzò, scoccandole una veloce occhiata.
 «Io non sono depressa!» ribatté, lanciandogli addosso un cuscino.
 «Shh. Sta iniziando».
Alis si avvolse nel lenzuolo leggero. Da quanto tempo non vedeva quel cartone animato? Anni. Marco riusciva a rendere speciali le piccole cose. Sorrise ascoltando una delle canzoni di Cenerentola. Sentì Marco canticchiare prima sommessamente poi alzando sempre di più la voce. «I sogni son desideriiii».
 «Marco, vuoi smetterla? Sei incredibilmente stonato!».
 «Di felicitààà».
 «Vuoi svegliare i miei?».
 «Tu sogna e spera fermamente, dimentica il presente, e il sogno realtà diverààà».
 «Ancora una parola e finisci fuori».
Marco si ammutolì, canticchiando le altre canzoni sottovoce. Alis si ritrovò a mormorare il testo insieme a lui. E allora cosa importava se entrambi erano stonati se si sentivano in sintonia?
Ad Alis parve che il film finì troppo velocemente, trascinando con sé la magia. Marco si girò a guardarla, sorridendole. Lei abbozzò un sorriso timido.
 «Vestiti e vieni con me» le disse con dolcezza.
«Sono stanca, è tardi. Ci vediamo domani».
 «Ti prego, vieni con me».
 «Dove?».
 «Abbiamo il nostro ballo, principessa».
Alis sorrise. «Solo un ballo però!».
Lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino: 3.41. È pazzo, e io devo essere più pazza di lui per aver accettato. Prese le prime cose che le capitarono: un paio di leggins e una maglietta stampata a fiori.
Scesero dal balcone grazie alla scala di ferro che Marco aveva usato per salire. Come Romeo e Giulietta, pensò sorridendo guardando in alto il balcone sopra di lei.
Marco l’abbracciò da dietro prima di sussurrarle all’orecchio: «No, noi siamo un’altra storia». Per un folle attimo Alis pensò che il ragazzo riuscisse a leggerle il pensiero, ma poi capì di aver parlato a voce alta.
La ragazza sciolse l’abbraccio e lui la prese per mano. «Marco…».
 «Sì?».
Alis indicò con lo sguardo le loro dita intrecciate. «Noi non stiamo insieme».
Sentì il ragazzo irrigidirsi a quelle parole. «Non posso prenderti la mano?».
Non lo so. «Meglio di no» si costrinse a dire, non poteva più tornare indietro. Ma nel momento stesso in cui le dita di Marco scivolarono velocemente via dalle sue, si pentì di averlo detto. Rimasero in silenzio per qualche istante, camminando lungo la strada verso il centro del villaggio.
 «Dove stiamo andando?» gli chiese.
 «È una sorpresa» rispose, sorridendo timidamente.
Sbucarono in una via semibuia. A una ventina di metri davanti a loro si trovava la piazza, dalla quale veniva una luce resa fioca dalla distanza. Le case della strada che stavano attraversando erano buie all’interno, sembravano disabitate.
Dopo qualche passo qualcosa cadde ai piedi di Alis. Era un palloncino bianco, a forma di cuore. Lo prese tra le mani con delicatezza, come se fosse stato un cuore vero. Se lo rigirò tra le mani finché non lesse su di esso: Mi perdoni?.
Alis guardò il ragazzo al suo fianco che le sorrideva.
Un altro palloncino a forma di cuore cadde vicino a lei, questa volta di colore rosso con un altro messaggio: Ti adoro.
Un altro palloncino scivolò tra loro. Un altro e un altro ancora. Rossi e bianchi.
Alis alzò lo sguardo: su ogni tetto c’erano un paio di persone che gettavano palloncini colorati da enormi sacchi. La ragazza riconobbe Luca tra quelli.
Perdonami. Ho sbagliato. Sei perfetta. Sii mia. Mi vuoi?. Torniamo insieme. Ti voglio. Mi manchi.
Alis ne lesse un po’ prima di tornare a guardare Marco che le sorrideva dolcemente. In poco tempo fu circondata da una marea di palloncini rossi e bianchi. Amore e purezza volteggiavano sopra di lei, posandosi a terra. Sentì gli occhi inumidirsi e le sue labbra che si lasciavano andare in un enorme sorriso.
 «Vieni» le disse Marco.
La ragazza lo seguì, continuando a sorridere. La strada era piena di palloncini soffiati dolcemente dal vento.
Sbucarono nella piazza, passando attraverso il bar. La piazza era interamente di mattoni rosa pastello. Non c’era nessuno a quell’ora. Era vuota a parte per un ragazzo seduto sui gradini, con in mano una chitarra. Quando Marco la portò al centro, il ragazzo prese a suonare una musica lenta. Nel momento in cui alzò lo sguardo su di loro, Alis capì che era Davide il chitarrista.
 «Vuoi ballare?».
Alis annuì. Fece per prendergli la mano, ma lui la ritirò spiegando: «Hai detto niente mani». La ragazza si pentì una seconda volta.
Marco alzò le mani e Alis fece lo stesso ponendole di fronte a quelle di lui; sfiorandole, senza toccarle.
Davide continuava a suonare e Alis riconobbe subito le parole.
 I ricordi che sembrano lame fanno male, ma forse li cerco io per rivivere, per ricordare…
Davide iniziò a cantare, accompagnando meravigliosamente le parole alla musica.
 ... ogni instante accanto a te, una vita accanto a te…
Continuarono a ballare quella strana danza. Si muovevano in tondo, lentamente, senza mai toccarsi.
…E il cervello sa che è complicato, ciò che è rotto ormai non si riparerà…
Marco le sorrise.
…Però il cuore me l’ha giurato, sa che un giorno tornerai, dice presto tornerai…
 Prima che partisse il ritornello, Marco avvicinò le labbra all’orecchio di lei sussurrandole: «Guarda in alto».
E saremo quel che tutti sognano, quell’amore che i cantanti cantano…
Alis ubbidì. Il cielo era nero come il nulla.
...tanto forte, potente, immenso che sembra esagerato ed impossibile…
Un rombo e poi un esplosione. E i fuochi d’artificio dorati nel cielo che dicevano: “Alisea”.
…con il petto che sembra esplodere…
Un secondo che diceva: “Marco”. I loro nomi scritti nel cielo.
…che non serve altro in più per vivere…
Un terzo che formava un cuore enorme che esplodeva in tante piccole scintille dorate. Anche Alis si sentiva esplodere in quel modo, un’esplosione così piacevole… Marco si avvicinò a lei.
…che potrebbe scomparire l’universo…
 «Marco…»
 «Sì?».
 «Prendimi la mano».
…tranne noi….
 
---
Ciao a tutti!
I ringraziamenti:
-Ai lettori silenziosi ♥
-alle persone che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥
-ai recensori vecchi e nuovi ♥
 
Vi ringrazio di cuore uno ad uno ♥
 
Informazioni di servizio (?)
Mio ask (ricambio le domande) à  http://ask.fm/starstripes
Pagina facebook della storia à https://www.facebook.com/pages/Nonostante-tutto/189100337929543
 
Come avrete notato il titolo è ancora in versione provvisoria (non riesco ancora a trovarne uno che mi convinca quindi per ora lascio questo).
 
E adesso lascio la parola a voi ♥ spero vi sia piaciuto

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Capitolo 21
*** 21 ***


21
L’estate passò.
Forse troppo velocemente per Alis e Marco, ma passò comunque.
L’estate passò, ma non i ricordi. Quelli sarebbero stati per sempre bloccati in una qualche parte profonda dentro di loro.
L’estate passò, ma non il loro amore. “Una storia estiva”, l’avrebbero definita molti. Eppure questi due giovani cuori non erano intenzionati a separarsi tanto facilmente.
Il momento dei saluti fu straziante per entrambi, anche se erano determinati a non farlo vedere.  «Non è un addio» le ripeté Marco, stringendola a sé.
 «Lo so».
 «Ci vedremo presto, te lo prometto».
Erano le stesse parole che si erano ripetuti la notte precedente…
 
…sdraiati sull’enorme divano candido, nella barca di Davide, guardando un film senza realmente vederlo. Alis spense la televisione. «È tutto a posto?» chiese lui, abbassando lo sguardo su di lei.
 «Sì. Stavo solo pensando» iniziò, nervosa, giocando con la maglietta del ragazzo.
 «A cosa?» la incoraggiò dolcemente, accarezzandole i capelli.
Quel gesto sembrò calmarla almeno per un po’. «Stavo pesando… a noi; a cosa ne sarà di noi da domani».
 «E cosa pensi succederà?».
Alis diventò ancora più nervosa e lui la strinse ancora di più. «Io… so solo che…» rispose, cercando le parole giuste «… finirà tutto questo».
Marco la girò verso di sé, facendola sedere sopra le sue gambe. Fu allora che notò che tratteneva a fatica le lacrime. Si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare. «Non devi neanche pensarlo» la rassicurò, passandole una mano sul viso. Le accarezzò una guancia, poi il labbro tremante che lei stava torturando.
 «Ma ci penso!» sbottò, ma non era rabbia.
 «Non dovresti, perché non accadrà nulla di tutto ciò!».
Alisea lo guardò con i suoi occhi verdi, sbattendo le palpebre. «Cosa intendi?».
 «Intendo che non voglio lasciarti!» rispose, come se fosse una cosa ovvia.
 «Ma… ci saremo distanti…» si incupì.
 «Non mi importa. Io non ti lascio».
 «…E ci vedremo pochissime volte».
Marco la strinse forte a sé, finché i loro corpi non aderirono. Le accarezzò i capelli con entrambe le mani, arruffandoli teneramente. «Io non ti lascio» ripeté con decisione, scandendo ogni parola.
Alisea sorrise, schioccandogli un leggero bacio sulle labbra. «E io non voglio che tu lo faccia». Al solo pensiero la ragazza sentiva qualcosa contorcersi dentro di lei.
Rispose al bacio, sussurrando a fior di labbra: «Non lo farò. Te lo prometto. Troveremo un modo, lo troveremo sempre». Sempre. Quella parola rimbombò nella mente della ragazza per tutta la notte; la vedeva prendere forma nei brevi momenti in cui si concedeva al sonno.
Era quasi l’una, quando Alis sentì il ragazzo sgusciare fuori dal letto. «Dove stai andando?» mugugnò.
 «Sei sveglia?» era sorpreso.
 «Tu che dici?» rispose, alzandosi a sedere tra le lenzuola. «Dove vai?».
 «Ho fame».
La ragazza sorrise. «A quest’ora?».
Marco annuì. Lei lo seguì in cucina, sedendosi sulla penisola. Indossava un vestito da notte rosa pastello che le arrivava poco sopra il ginocchio. Lui solo un pantalone leggero. Alis osservò quel bellissimo ragazzo che aveva fame all’una del mattino e che cercava qualcosa nel piccolo frigorifero. Quel bellissimo ragazzo che – faceva ancora fatica a crederci – apparteneva a lei. Marco si accorse che lo stava guardando e lei sentì le guance andare in fiamme. Ringraziò il buio della notte che le oscurava il volto. «Tu vuoi qualcosa?». Aveva preso un panino, che tanto piccolo non era, con prosciutto.
 «Un bicchiere di latte».
Marco le lanciò il cartone del latte che lei prese al volo, era mezzo pieno. Questa volta era lui ad osservarla.
 «Cosa c’è?» chiese lei, dopo un po’, sentendo lo sguardo del ragazzo farsi pesante.
 «Sei bellissima». Marco lasciò cadere il panino sul pavimento prima di avvicinarsi a lei, prenderle il viso tra le mani e appoggiare le labbra sulle sue. Alis rispose dolcemente al bacio, allacciando le gambe intorno alla vita di lui. Senza che se ne accorgesse si ritrovò sdraiata sul letto, sotto il corpo del ragazzo. Si staccarono quel tanto che bastava per guardarsi negli occhi. «Come farò senza di te» mormorò depositandole un bacio sulla fronte, sulla guancia e poi sull’altra.
 «Ce la farai» rispose lei.
 «No, Alisea», la strinse ancora di più come a voler sottolineare le sue parole. «Tu…», le accarezzò il labbro inferiore con un dito, «Tu hai scombussolato tutto».
Alis rimase a guardarlo per lunghi momenti, chiedendosi se dicesse il vero. Per lei era la stessa cosa? Sì, ne era certa. Quel ragazzo era arrivato nel momento in cui ne aveva più bisogno. Senza di lui sarebbe stato tutto diverso, lei stessa sarebbe stata diversa. Forse più forte e più indipendente.  La verità era che le piaceva il modo in cui l’aveva fatta diventare quel ragazzo. Con lui poteva fare la bambina capricciosa che aveva bisogno d’affetto. Poteva arrabbiarsi senza paura di perderlo; sporcarsi le mani con il gelato e ridere in modo sbracato fino a scoppiare.  Non aveva mai pensato che appartenere a qualcuno potesse farla sentire così libera.
 «Non è un addio» sorrise, improvvisamente speranzosa.
 «Lo so, piccola».
 «Come mi hai chiamata?» sbottò Alis.
 «Hai sentito» rispose, trattenendo una risata.
 «Non sono piccola!».
 «Ah, sul serio?». Era divertito dalla reazione della ragazza, cosa che la fece arrabbiare ulteriormente. Provò a divincolarsi, ma lui la teneva stretta. «Non chiamarmi mai più così!».
 «Altrimenti?».
Ci pensò su un attimo, poi: «Non farlo e basta».
Marco avvicinò le labbra all’orecchio di lei, sussurrando: «Sei la mia piccola donna». Alis rabbrividì sentendo il respiro del ragazzo sul proprio collo.
Per tutta risposta, Alisea si alzò con un sorriso stampato in faccia e uscì dalla stanza. Ritornò dopo pochi minuti con un vaso pieno d’acqua gelata. Marco sgranò gli occhi, scattando in piedi come una molla: «Non ci provare».
Lei si avvicinò lentamente, mentre lui si allontanava aggirando il letto. «Altrimenti?». Adesso era Alis quella divertita.
 «Alisea, ti prego».
Ma Alisea non lo ascoltò e presto si ritrovò bagnato fradicio. «E va bene. Hai iniziato tu». Dopo aver represso un paio di brividi si avvicinò a lei, prendendola di peso e dirigendosi verso il bagno. Alis si ritrovò dentro la grande doccia, Marco era fuori reggendo la canna dell’acqua. «Marco, no!» scoppiò a ridere. Ma anche lui non le diede ascolto, puntando il getto d’acqua contro di lei. 
 
Quella sera indossava un pigiama più pesante.
Non aveva ancora sistemato la valigia; aveva tirato fuori solo il suo laptop posizionandolo sulla scrivania. «Ciao, tesoro» sentì quando la schermata si illuminò facendo comparire il viso del ragazzo.
 «Come stai?» chiese lei, felice di rivederlo. Avrebbe desiderato essere lì con lui, in quel piccolo appartamento. In qualsiasi posto, con lui.
 «Bene. Domani inizi?» le ricordò.
Il suo più grande incubo. Il luogo in cui non voleva tornare. Il luogo in cui si sentiva più sola che mai. La sua espressione si rabbuiò e annuì fingendo un sorriso.
 «Sicura che è tutto a posto?». Come faceva a capirla anche a chilometri di distanza e dietro ad uno stupido computer?
 «Sì, solo che… non ho voglia di tornare a scuola, tutto qua» e ancora accompagnò la frase con un sorriso sperando che fosse più credibile del primo.
Marco aggrottò le sopracciglia folte, in quel suo modo che stava a significare che non credeva ad una sola parola di quello che aveva detto la ragazza. Ma Alisea non aveva voglia di parlarne, non in quel momento. «Mi manchi» questo era vero. «E so che è l’ennesima volta che lo dico!».
Il ragazzo sorrise: «Non mi importa quante volte lo dici. Mi manchi tanto anche tu».
 «Etcì!».
 «Sei raffreddata?».
 «Chissà come mai!» esclamò lei.
 «Avevi iniziato tu» si difese, senza reprimere un sorriso.
Parlarono per un’ora, ricordando la bellissima estate trascorsa insieme. Risero, e quando ridevano era come se si sentissero meno distanti. Come potevano due cuori che battevano come uno solo rimanere separati? Ma entrambi erano convinti che ce l’avrebbero fatta. Cosa potevano significare 635 chilometri di distanza in confronto a quello che provavano uno per l’altra?
 «È tardi, amore» disse lui.
 «E quindi?».
 «E quindi devi dormire».
 «No, posso aspettare ancora un po’» protestò lei.
 «Adesso».
Gli occhi di Alis iniziarono a pizzicare. «Voglio parlare con te, anche a costo di addormentarmi sulla tastiera!».
 «Anch’io voglio parlare con te. Ma devi essere riposata per domani».
 «Non me ne frega niente di domani!» sbottò lei. No, non voleva litigare con Marco. Non gliene importava della scuola, dei suoi compagni e della tipica “sfilata” del primo giorno di scuola. Alisea possedeva la cosa più preziosa di tutte.
 «Non fare così».
 «Così come?».
Marco sospirò sonoramente. «Se fossi con te ti porterei a letto di peso».
 «Se tu fossi con me andrei a letto volentieri» rispose, senza pensarci. Ma quando pensò quanto stupide suonassero quelle parole, avvampò violentemente.
Marco sorrise dolcemente. «Anch’io» rispose, soffiandole un bacio dallo schermo. «Vai a letto, Alisea».
E lei, riluttante, obbedì. Però, una volta che fu a letto, il sonno non arrivò; o forse era lei a rifiutarlo girandosi e rigirandosi su se stessa. Strinse la maglietta del ragazzo, chiudendo gli occhi e immaginando che fosse lì con lei. Per un attimo le parve così reale finché il cellulare non prese a vibrare rumorosamente al suo fianco.
Il nome del ragazzo sul display era l’unica cosa che illuminava quella stanza buia.
 Stai dormendo?
Alis non poté fare a meno di sorridere.
Se ti dicessi di “sì”?
La risposta arrivò dopo un paio di minuti.
Dormi! 
Alis roteò gli occhi.
 Ci sto provando!
  Provaci meglio!
Dormi anche tu.
 Sto pensando a te…
La risposta la fece sorridere nel buio.
Rispose: Dimmi che ce la faremo, mi manchi, amore.
E lui:
Ce la faremo, te lo ripeterò sempre. Buona notte, ti adoro.

---

Ciaooo!!
Capitolo con un giorno di anticipo *yee*
come sempre, iniziamo con i ringraziamenti:
-alle persone che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥ (siete tantissimi!!).
-ai lettori silenziosi che aumentanto ogni giorno ♥
-alle persone che hanno recensito ♥  a voi che avete "sprecato" il vostro tempo a lasciare un commento
GRAZIE DI CUORE A TUTTI. 

domandina per i lettori:
tra poco il titolo della storia non sarà più provvisorio, ma - più o meno - definitivo (forse, credo). sono indecisa tra due titoli, quindi lascio la scelta a voi:
1) "contro ogni possibilità"
      oppure
2) "è sempre estate sotto il mare"
Scegliete e scrivetelo nella recensione. HO BISOGNO DEL VOSTRO AIUTO :) 

Altri indirizzi (?) 
pagina FB della storia --> https://www.facebook.com/pages/Nonostante-tutto/189100337929543
pagina del mio ask (ricambio) --> http://ask.fm/starstripes

E ORA....
...la parola a voi! :)
                        Vi è piaciuto, non vi è piaciuto?
                                                                        Sì, no?
                                                                                    Perché? 








 

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Capitolo 22
*** 22 ***


22

«Tu sei pazzo! E io che ti supporto anche!».
 «Per questo sei il mio migliore amico» rispose Marco, stringendo con una mano la spalla di Davide.
 «Ripetimi perché lo sto facendo» sbuffò, alzando un ciuffo biondo.
La stazione Roma Termini era affollata come sempre; gente che andava e veniva da ogni parte.
 «Mi lasceresti sul serio andare da solo?» il ragazzo finse un’espressione offesa, per poi scoppiare a ridere.
 «Tu sei pazzo, pazzo!» ripeté Davide, distogliendo lo sguardo e stringendosi nelle spalle.
Solo di Alisea, si ritrovò a pensare sorridendo. Aveva avuto altre ragazze, ma mai come Alis. Mai così fragili da spingerlo a starle vicino il più possibile.
 «Eccolo» disse, indicando il treno. Salirono con i loro piccoli zaini; Marco aveva promesso all’amico che sarebbero rientrati in giornata. Quando si sedettero, Davide si addormentò quasi subito, mentre Marco tirò fuori dallo zaino l’I-Pod.
 «Arrivo Como Lago previsto per le 12.38».
Marco scoccò un’occhiata all’orologio che aveva al polso: le 8.00. Sorrise; sì, forse era davvero pazzo. Solo dei folli è l’amore, pensò prima che la musica invadesse il suo mondo.
 
Fu solo quando Alisea si trovò davanti all’Istituto, in mezzo a quella marea di studenti starnazzanti, che trovò arduo respingere l’impulso di andare via. Era vestita di una semplice maglietta bianca, cardigan grigio, un paio di jeans strappati sulle ginocchia e le Converse rosse. A tracolla, portava una vecchia borsa color marrone scuro.
Quando le sue compagne la videro, la salutarono per cortesia. Niente baci, niente abbracci. Non che li desiderasse. Così rimase in un angolo in silenzio, con le dita intrecciate in grembo.
Stava per decidersi a varcare la porta della scuola, quando sentì delle braccia avvolgerla da dietro in una forte presa. Ebbe un sussulto, prima di girarsi. Le labbra si curvarono in un naturale sorriso quando i suoi occhi incontrarono quelli blu mare di lui.
 Christian!
Alisea ricambiò l’abbraccio, stringendolo forte a sé.
«Mi sei mancata» disse, quando si staccarono.
Christian era di una bello da togliere il fiato con quei suoi lunghi capelli corvini che gli ricadevano sugli occhi celesti. La maglietta color grigio scuro metteva in risalto il suo fisico perfetto; superava Alis di un paio di spanne.
 «Anche tu. Come stai? Cosa hai fatto quest’estate?» chiese, mentre si dirigevano in palestra.
 «Calma, calma» sorrise lui.
 «Scusa. Dai, racconta!».
L’espressione di Christian si rabbuiò improvvisamente; lo sguardo rivolto al pavimento. Si fermarono al centro del piccolo corridoio dove gli studenti continuavano ad affluire. Alis gli si parò davanti: «Che succede, Chris?».
Christian si guardò attorno, prima di afferrarle un braccio trascinandola lontano dagli altri. «Devo dirti una cosa».
 «Mi sto preoccupando».
 «Si tratta di Andrea».
In quel momento fu come se il cuore di Alisea fosse totalmente, completamente impazzito. Si sorprese di ciò che stava provando; pensava di averlo dimenticato. Di aver dimenticato lui e tutto quello che le aveva procurato amarlo. O forse era per rabbia che si sentiva così? Sì, era così. Doveva essere così. Cercò di calmarsi; mentre la sua mente si chiedeva che cosa volesse il bastardo da lei. Detestò se stessa per aver reagito in questo modo. Lei aveva Marco, l’unica cosa che avesse mai desiderato. E in quel momento desiderò di avere il ragazzo al suo fianco, con lui vicino a tenerla per mano non avrebbe temuto più nulla.
Prese un profondo respiro, prima di riuscire a dire: «Vai avanti».
 «Mi ha contattato l’altro giorno e…».
 «Come ha fatto?!» esclamò lei con voce acuta.
 «Facebook» tagliò corto, prima di proseguire: «Mi ha parlato di te».
 «Cosa vuole da me?».
Christian si strinse nelle spalle. «Non vuole qualcosa da te, vuole te».
Il respiro di Alisea divenne improvvisamente affannoso, ma costrinse se stessa a mantenere la calma. «Be’, io non voglio lui».
Christian inarcò un sopracciglio. «Sul serio?».
Alis annuì con decisione.
 «Ma… quattro mesi fa eri persa per lui e…».
 «Adesso è cambiato tutto, io sono cambiata» rispose, in modo pacato, abbozzando un sorriso.
Christian la guardò socchiudendo i grandi occhi blu scuro. «Mi nascondi qualcosa. C’è un altro?».
 «Sì» rispose con un sorriso che comprendeva gli occhi. Pensare a Marco la fece sentire decisamente meglio; quel ragazzo – il suo ragazzo – era il meglio.
 
 «Lo sapevo! Ci siamo persi!» esclamò Davide, osservando la mappa che teneva in mano.
 «Questo è perché stai tenendo la cartina al contrario» sorrise Marco.          
 «Dove hai detto che si trova la scuola di Alisea?».
 «Via Balestra» ripeté con un sospiro.
Davide piegò la cartina sul tavolo al quale si erano seduti. «E noi dove siamo?». Si guardarono intorno, dietro di loro c’erano affiancate una libreria e un negozio di vestiti. Davanti, torreggiava una chiesa a mattoni bianchi. «Piazza San Fedele» rispose ancora Marco, finendo il caffè in un sorso. Davide si piegò chino sulla mappa, seguendo con un dito le linee indicate su di essa. «Eccola! È qui vicino!» esclamò, con una punta di orgoglio nella voce.
 «L’hai detto anche dieci minuti fa».
 «No, no, questa volta ho capito davvero; guarda».
Marco si sporse in direzione dell’amico, osservando la cartina. «Noi siamo qui» iniziò Davide, indicando un cerchio sulla mappa «dobbiamo risalire verso questa via e girare a sinistra».
 «Perfetto, andiamo» disse, alzandosi in piedi.
E questa volta non si persero. Dopo una decina di minuti si ritrovarono davanti ad un edificio color grigio sporco e panna. Un cartello appeso a destra diceva:”ISTITUTO PARITARIO M. DI CANOSSA. LICEO DELLE SCIENZE UMANE. LICEO SCIENTIFICO. ISTITUTO TECNICO PROFESSIONALE”.
Marco si appoggiò al muretto di fronte alla scuola, dando un’occhiata all’orologio: 12.57. Alisea sarebbe dovuta uscire a momenti da quella porta finemente decorata.
Difatti, dopo una manciata di minuti il suono prolungato della campanella rimbombò anche fuori dall’edificio. Dalla porta, adesso spalancata, fluirono fuori studenti dopo altri. Marco si staccò dal muretto, il cuore che impazziva nel petto all’idea di rivedere Alisea di nuovo.
E la vide.
La vide su quella piccola scalinata.
Ma non era sola. Di fianco a lei c’era un ragazzo dal fisico scolpito, dai folti capelli neri e grandi occhi color cielo. Marco sentì il cuore sprofondare e gli occhi pizzicare quando vide che si stavano abbracciando. Fece per andarsene, ma Davide lo tenne fermo dov’era scoccandogli un’occhiataccia.
E lei lo vide.
Sgranò i suoi occhi smeraldini, sbattendo più volte le palpebre.
Un attimo prima era sugli scalini di pietra, quello dopo tra le sue braccia.
Marco ricambiò debolmente l’abbraccio. Faceva male pensare che meno di un minuto prima lei si trovava tra le braccia di un altro. Il profumo delicato della ragazza lo avvolse, stordendolo, ma non servì ad attenuare il dolore che si stava facendo largo dentro di lui. Alisea gli scoccò un bacio sulle labbra.
Fu lui a interrompere quel momento. «Chi era quello?».
Alisea si staccò da lui quanto bastava per poterlo guardare negli occhi. «Chi?».
 «Il tipo che stavi abbracciando prima!» sbottò, allontanandola da sé.
Quel gesto fu quasi come una pugnalata per la ragazza. «Non è come pensi, Christian è…».
 «Faccio un viaggio di quattro ore e mezzo per vedere la mia ragazza che…!».
 «Marco, fammi spiegare, ti prego». Come aveva fatto a dimenticarsi di quanto fosse cocciuto?
 «Non c’è niente da spiegare! Mi è bastato vedere e sinceramente…».
 «È gay! Christian è gay!» esclamò interrompendo il fiume di parole del ragazzo.
Marco si fermò ad osservarla, aprendo e richiudendo la bocca un paio di volte. «Oh» fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Alisea incrociò le braccia al petto. «Sei incredibile! Davvero pensi che io possa dimenticarti?».
 «Io non… Alisea, scusami, non volevo…io… sono un’idiota!».
 «Sì, lo sei» e detto questo si allontanò verso il centro. Marco non perse tempo a seguirla, senza accorgersi che Davide stava facendo lo stesso ma tenendosi a debita distanza.
 «Alisea, aspetta!» le urlò dietro.
Ma lei non si fermava, continuava a camminare a passo deciso davanti a lui; i capelli gettati dietro le spalle. Marco le corse dietro fino a quando le fu vicinò da afferrarle un braccio e farla voltare verso di sé. Erano arrivati in prossimità di un edificio basso che doveva essere un ex-teatro, con delle panchine di pietra intorno ad esso. «Lasciami, Marco!» sbottò.
 «Sai che non ti lascerò mai» le strinse ancora più forte il braccio, come a sottolineare quelle parole.
 «Sei venuto qui per spiarmi?».
 «No!» esclamò lui «Sono qui perché mi manchi». Le afferrò entrambe le braccia. «Non volevo pensare male, perdonami».
 «Be’, invece l’hai fatto!» sbottò lei.
 «L’ho fatto perché non sopporto l’idea di vederti tra le braccia di un altro!».
 «Quel qualcun altro è gay!».
 «Non lo sapevo!» si difese.
 «Hai ragione» la ragazza si divincolò dalla sua presa. «Tu non sai niente».
  «Una cosa la so, invece!» esclamò, quando Alisea si era già voltata. La ragazza non si girò, ma lui continuò: «Io ti amo!».
In quei giorni aveva pensato al modo e al luogo migliore per dirglielo. Sussurraglielo? E dove? In camera? Sdraiati su un prato? Ma quelle parole erano uscite da sole, come se fossero dotate di vita propria, senza un avvertimento, senza permesso. Gli era bastato schiudere le labbra per lasciarle uscire. Proprio lì, proprio in quel modo. Erano rimaste nascoste per troppo tempo dentro di lui, rischiando di appassire e spegnersi.
E per lei? Era così anche per Alisea? Sì, sentiva che era così. Altrimenti non si sarebbe girata lentamente verso di lui. «Ti amo» ripeté, con più convinzione.
Alisea si avvicinò con passo deciso.  Lo voleva. Anche lei provava lo stesso. Ogni passo verso di lui era una conferma. Gli prese il viso tra le mani, accarezzandogli una guancia prima di sussurrare a fior di labbra: «Anch’io ti amo». 
---
ed eccomi qui con il commentone (?) di fine capitolo.
prima di tutto partiamo con i ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥
-ai recensori che si fermano a commentare la mia storia ♥
GRAZIE DI CUORE A TUTTI VOI ♥

Parliamo del titolo: alla fine ho optato per "è sempre estate sotto il mare". SO che non è facile da capire, ma con il tempo tutto vi sarà svelato non temete. Spero di non avervi deluso con la mia scelta. 

NOVITA' NELLA STORIA! (?)
-sappiamo il nome del bastardo :) 
-rapporto Davide/Marco. Cosa pensate di loro due?
-nuovo personaggio: Christian (che ho intenzione di approfondire perché penso sia molto interessante)! Considerazioni su di lui? 
Vi è piaciuto il capitolo?
Sì? No? Perché? 
Lascio la parola a voi, miei cari lettori ♥

[....e vi lascio anche il link della pagina FB della storia, se vi interessa https://www.facebook.com/pages/%C3%88-sempre-estate-sotto-il-mare/189100337929543 ]


 

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Capitolo 23
*** 23 ***


23

 
Davide era furioso.
Lo capì dal modo in cui i suoi occhi erano sembrati rimpicciolirsi mentre parlava. «Avevi detto che saremmo tornati a Roma in giornata».
 «Lo so. E ti ho detto che mi dispiace» provò a calmarlo.
Camminavano fianco a fianco sul marciapiede di mattoni; il rumore delle macchine alla loro destra era irritante e al loro passaggio innalzavano ventate d’aria fresca; aria di fine estate. Quell’estate che era stata una delle migliori per Marco.
 «Non mentirmi! Quando si tratta di quella ragazza non ragioni più».
 «Quella ragazza ha un nome e…».
 «Ok, va bene, Alisea» concesse con un sospiro schiumante esasperazione.
 «E…» continuò Marco, ma le parole gli morirono in gola. Come poteva spiegare che Alisea aveva bisogno di lui? E che lui aveva bisogno di lei? O, ancora, come spiegare quel piacevole brivido al cuore che provava quando la ragazza lo stringeva? Quando le loro labbra si incontravano? Se c’erano parole per esprimere tutto questo, in quel momento Marco non le trovò.
 «Visto?» sbuffò Davide. «Ti viene quel sorriso da idiota e non capisci più niente!». La sua voce grondava irritazione.
Marco gli si parò davanti. «No, sei tu che non capisci niente». Lei ha bisogno di me, tu non hai visto la sua fragilità; sei tu quello che non capisce avrebbe voluto dirgli, ma si limitò ad osservarlo serrare la mascella.
 «Io so solo che Alisea ti ha cambiato».
A Marco scappò un sorriso. Sì, si sentiva diverso. Non lo aveva mai desiderato un amore così travolgente, ma era arrivato ugualmente. E si sentiva come se la vita non potesse fargli regalo migliore.
 «Lo so» disse, riprendendo a camminare.
Davide gli afferrò il braccio, facendolo voltare. «Marco, lei non è tutto».
 «È qui che ti sbagli».
 «Marco, stai delirando…».
 «Io l’amo».
 «Ho capito, ma ricordati che non esiste solo lei».
Marco gli strinse la spalla e, aprendo le labbra in un gran sorriso, rispose: «Lo so. Ci sei anche tu, gelosone».
Davide gli assestò un pugno amichevole all’altezza del petto e la discussione si risolse con una sonora risata.
 
Gli occhi di Alisea si posarono sul display del cellulare per leggere l’orario. Le diciannove e ventisette. Marco sarebbe arrivato a momenti. Sua madre l’aveva accompagnata davanti al ristorante che si affacciava sul lago: Crotto dei Platani, annunciava l’insegna finemente decorata . Indossava un abito di pizzo bianco, lungo più di metà coscia, con un fiocco marrone pallido allacciato all’altezza della vita. Aveva guadagnato una decina di centimetri con i tacchi color perla di sua madre. L’aria di metà settembre portava con sé una sorta di malinconia, provando a scompigliare svogliatamente i capelli scuri di lei, perfettamente lisci quella sera. Ogni passante le lanciava occhiate di sottecchi. Qualcuno le aveva perfino fischiato e Alis si era limitata a fingere di scrivere un messaggio sul cellulare. Marco arrivò poco dopo, bellissimo nella sua giacca blu notte che si apriva su una maglietta candida.
Era da tempo che sognava un appuntamento come quello che stava per vivere, un appuntamento un po’ da adulti e un po’ da film. Il ragazzo la salutò posando le labbra sulle sue, il braccio intorno alla vita di lei. «Sei incantevole» le sussurrò. Forse fu la sua voce, il modo in cui il respiro del ragazzo aveva sfiorato il suo collo; o forse furono semplicemente quelle parole che le fecero andare le guance in fiamme.
 «Grazie» riuscì a dire. 
Perché si sentiva timida e impacciata? Sentiva che c’era qualcosa di diverso quella sera, piacevolmente diverso. Non era il luogo e non era nemmeno lui. Era la consapevolezza di essere amata. Ti amo. Incredibile come l’anima dell’uomo diventi fragile a quelle due parole. Parole che le erano rimbombate come un’eco nella testa tutto il pomeriggio, mentre faceva i compiti, la doccia, si vestiva e si pettinava. Si erano ancorate dentro di lei come se avessero paura di essere dimenticate. Marco le depositò un bacio sulla guancia prima di entrare nel locale, tenendole la mano. Scelsero un tavolo sulla balconata che dava sul lago. Un cigno solitario vagava triste sulla superficie. Le luci lungo la riva facevano risaltare il profilo della distesa d’acqua nera davanti a loro. La luna si affacciava timida da dietro un collina.
 «È bellissimo» disse, prendendo posto.
Marco si sedette accanto a lei. «Sono contento che ti piaccia» rispose, senza lasciare la sua mano. «Cosa ordini?» continuò lui.
 Alis prese il menù alla sua destra, facendo vedere anche al ragazzo. Alla fine optarono per degli spaghetti ai funghi porcini e carrè d’agnello in crosta di pistacchi. «Dov’è Davide?».
 «In albergo» rispose, arrotolando gli spaghetti con la forchetta. «Com’è andato il tuo primo giorno di scuola?».
Alisea era così felice che lui fosse lì che si era quasi dimenticata dell’inizio della scuola. «Oh. Bene, bene». E nella sua mente riaffiorò ciò che Christian le aveva detto riguardo ad Andrea. Al solo pensiero le venne il voltastomaco. Non devo pensarci, si impose, adesso ho Marco ed è solo lui che voglio!
 «Sicura?» chiese, aggrottando le folte sopracciglia.
 «Certo. Tu quando inizi?».
 «Lunedì. Magari questo week-end posso venire ancora a trovarti».
Alis gli scoccò un’occhiata. «Davvero?».
Lui annuì.
 «È un lungo viaggio e devi riposarti. Non saresti dovuto venire oggi» disse lei, preoccupata.
 «Ti da’ fastidio che io sia qui?».
 «No!» esclamò Alis. «Non ho detto questo. Solo che è un lungo viaggio».
Marco prese la mano della ragazza tra le sue, guardandola negli occhi. «Voglio trascorrere più tempo possibile con te, hai capito?».
Alis non poté fare a meno di sorridere a quelle parole. «Anch’io. Potrò venire a Roma un giorno?».
 «Ma certo, quando vuoi».
La ragazza avvicinò il suo viso al suo, sussurrando con il cuore che le impazziva nel petto: «Io vorrei sempre».
Marco sorrise di rimando, depositandole un leggero bacio sulle labbra. Le accarezzò i capelli, spostando una cioccia dietro l’orecchio. «Hai i capelli lisci, stasera».
 «Sì. Ti piacciono?».
 «Alisea, ti ho vista al mare con i capelli al vento, appena sveglia, dopo la doccia e in pigiama. Tu mi piaci sempre».
La ragazza sorrise finché gli zigomi non presero a farle male, e nemmeno allora smise pensando a quanto fosse fortunata. Si chiese quale così grande, buona azione avesse fatto per meritare un simile dono. Aveva la piacevole sensazione che per una volta era la vita che si abbassava a compiere una buona azione per lei.
E dopo cena ci fu la musica. Marco si alzò, tenendole la mano per invitarla a ballare. Alisea odiava qualsiasi tipo di ballo, ma quel ragazzo le faceva venire voglia di ballare, di vivere. Così prese la mano che gli veniva offerta senza ripensamenti, facendosi guidare. Era un melodia lenta, ma non malinconica. O almeno, per lei non lo era. Ballarono abbracciati, cullandosi a ogni passo.
 «Grazie» gli sussurrò all’orecchio.
 «Per cosa?».
 «Per la serata. Vorrei che non finisse mai». Solo quando l’ebbe pronunciata, si rese conto di quanto suonasse infantile quella frase. Ma stare con lui le faceva venire in mente idee così romanticamente assurde.
 «Ho una richiesta da farti» disse Marco, stringendola ancora di più a sé.
 «Dimmi». E in quel momento fu certa che qualsiasi cosa le avesse chiesto, lei l’avrebbe esaudita perché non conosceva gioia più grande di vederlo felice.
 «Passa la notte con me, per favore» sussurrò come se ne avesse davvero bisogno.
 
L’hotel era a una decina di minuti dal centro storico. Ma partendo dal lago, i minuti si erano raddoppiati. Era semplice come un albergo a tre stelle poteva esserlo, sopra il tendone azzurro spiccava l’insegna: HOTEL COMO, illuminata anch’essa da una pallida luce bluastra. L’interno era ancora più semplice; mobili di legno chiaro con poltrone color rosso conferivano all’ambiente un qualcosa di intimo e accogliente. E fu proprio su una di quelle poltrone che videro Davide. Appena li vide si alzò per avvicinarsi a loro; salutò Alis con un paio di baci affettuosi su entrambe le guance, poi si rivolse a Marco: «Ti stavo aspettando».
 «Ho notato». Il ragazzo teneva ancora la mano di Alisea stretta nella sua.
Ad Alisea non sfuggì lo scambio di sguardi tra i due. La situazione stava per diventare imbarazzante per la ragazza, ma Davide ruppe il silenzio: «Va bene, va bene» iniziò alzando le braccia al cielo in segno di resa «prenderò una camera singola. Ma paghi tu! Buona notte, Alisea».
Una volta che se ne fu andato, la ragazza si rivolse a Marco: «Non voglio creare problemi tra voi due».
Marco le circondò le spalle con un braccio. «Tu non sei affatto un problema». Presero una camera per due persone. La stanza era piccola, calda e accogliente. Il letto matrimoniale, coperto da lenzuola scarlatte, dominava l’intera camera. Una piccola televisione era appoggiata sopra un comodino, proprio davanti al letto. Alla loro destra si trovavano un piccolo bagno e un balcone altrettanto piccolo che dava sulla piscina.
Alisea si tolse le scarpe che iniziavano a dolere e si avvicinò alla finestra che dava sulla balconata. Scostò le pesanti tende rosa pallido, aprì la finestra e uscì fuori respirando l’aria fredda della sera di fine estate. Alis alzò lo sguardo e fu delusa di scoprire di guardare un cielo con poche, fioche stelle. Sentì il ragazzo posarle la giacca sulle spalle nude, e lei lo lasciò fare. Marco la abbracciò da dietro, depositandole un bacio sulla guancia. «È meglio se vieni dentro».
 «Non ci sono stelle» rispose, invece.
Marco guardò in alto. «Ti sbagli. Qualcuna c'è» .
 «Ma sono poche. Mi manca il cielo d'estate, mi manca il mare e mi manchi tu. Sempre».
 
«Anche tu. Mi manca la nostra spiaggia, l'isola, la barca di Davide, svegliarmi all'alba con te,...»
 «Marco, mi svegliavi prima dell'alba!» scherzò lei.
 «E ti lamenti? Non era uno spettacolo bellissimo? Anzi, sai cosa penso? Penso che ogni scenario sia bellissimo, purché noi due ci siamo dentro». 
La ragazza sorrise. «Hai ragione.
È una notte bellissima».
Marco la sollevò da terra.
---
Ciaooo, adorati lettori.
dunque, dunque, dunque, procediamo con i ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia nelle preferite/seguite/ricordate ♥
-ai miei recensori ♥
GRAZIE DI CUORE A TUTTI ♥

Bene. Considerazioni sul capitolo (?):
spero vi sia piaciuto. 
ho dovuto informarmi molto sui luoghi, ristoranti, alberghi, sulle distanze, ecc... ci tengo a dirvi che sono dovuta informarmi andandoci fisicamente, nel vero senso della parola. lo so, non ho tutte le rotelle a posto ahaha

E dopo questo breve aneddoto, lascio la parola a voi miei adorati lettori ♥

E vi lascio anche l'indirizzo della pagina facebook della storia --> https://www.facebook.com/pages/%C3%88-sempre-estate-sotto-il-mare/189100337929543

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Capitolo 24
*** 24 ***


24
 
 
 «Mi stai dicendo che avete guardato il cielo tutta la notte?» esclamò Christian, alzando gli occhi al cielo; azzurro che si rifletteva in un azzurro ancora più intenso.
 «Non solo» ridacchiò lei.  Ai piedi degli alberi piantati lungo il viale la pioggia aveva formato piccole pozzanghere. «Abbiamo parlato, parlato, parlato e parlato» aggiunse con fare sognante. Attraversarono la strada, accostandosi alle mura in direzione della scuola. Alis si era svegliata presto insieme a Marco, si erano fatti portare la colazione in camera e poi lei si era vestita per uscire. Il treno di Marco sarebbe partito alle otto e un quarto, mancava poco meno di mezz'ora. 
 «Dov’è ora?» volle sapere.
 «Sta per partire». Alis pensò che stava per lasciare l'albergo, la loro camera, il letto sul quale avevano dormito abbracciati come quell'estate. 
 «Ah».
Si fermò davanti agli scalini di pietra che portavano all’ingresso della scuola. Christian ne salì un paio, si voltò e, vedendo che imboccava la strada principale, esclamò: «Adesso dove vai?».
 «Alla stazione».
Christian le corse dietro. «Le lezioni inizieranno tra dieci minuti!».
 «Chi se ne frega della scuola».
 
La stazione era deserta quanto le strade, ma Alisea sapeva che non avrebbe tardato a popolarsi. «Lo vedi?» le chiese Christian.
Alis guardò la tabella degli orari sopra di sé. Como-Torino; Como-Milano;… Como- Roma Termini.
 «Arriva tra tredici minuti» lesse lui.
La ragazza iniziò a guardarsi disperata intorno, quando dalla biglietteria alla sua destra uscirono due ragazzi e lo vide, era insieme a Davide. Le sue gambe la portarono dritta da lui. Prima che Marco potesse dire qualcosa, Alis gli prese il viso tra le mani attirandolo a sé. «Pensavo non saresti venuta» disse, sorridendo, ancora incredulo che lei fosse lì. Si erano salutati quella stessa mattina, alle prime luci dell’alba. «Non hai lezione?».
 «Dovevo salutarti, amore mio. Fai un buon viaggio e torna presto»
Per tutta risposta lui l’attirò a sé, con braccia tremanti.  
 «Ti amo».
Marco le accarezzò dolcemente i capelli. «Ti amo anch’io, Alisea. Non hai idea di quanto ti ami».
 Alisea si allontanò da lui tanto quanto bastava per poterlo guardare negli occhi. «Tomerai a trovarmi questo fine settimana?».
 «Certo» rispose, con un sorriso.
Un’apatica voce femminile annunciò l’arrivo del treno. Marco, senza lasciare andare la mano di Alisea, si rivolse a Christian: «Prenditi cura di lei mentre non ci sono».
 «Certo, lo farò».
  «So badare a me stessa!» bofonchiò.
 «Questo…» disse, depositandole un dolce bacio sulle labbra «…è discutibile, combinaguai». L'abbracciò ancora mentre il treno stava per fermarsi.
 
«Alis!» le urlò Christian, durante l’intervallo.
«Cosa vuoi?» chiese bruscamente, mentre si avvicinava alle macchinette in fondo al corridoio.
 «La tua attenzione!».
 «Scusami, Chris, è che…».
 «Ti manca» concluse lui.
Alisea non rispose, prese una bottiglietta d’acqua e poi si allontanò insieme all’amico. «Lo rivedrò presto» disse con un sorriso carico di speranza.
Appena imboccarono le scale, qualcuno le afferrò un braccio da dietro. Alis si voltò, sorpresa di vedere la persona che l’aveva fermata. «Che cosa vuoi, Peverelli?».
 «Ciao, Alis. Ascolta, devo parlarti di una cosa» gli occhi neri, puntati su di lei.
 «Non mi importa».
 «Riguarda Eleonora».
 «Come ho detto: non mi importa». Eleonora, insieme al suo ragazzo lì presente, erano le ultime persone al mondo con cui volesse avere a che fare. Be’… dopo il bastardo ovviamente.
 «Ti prego, ascoltami. È importante».
 «Ho scelta?» chiese, con un sospiro. «Fai in fretta». Non si accorse neanche che Christian si era allontanato.
Roberto Peverelli si avvicinò a lei. I capelli neri che gli ricadevano sulla fronte ampia. Per l’ennesima volta trovò quel ragazzo ripugnante. O forse era per quello che lui e la sua ragazza avevano fatto. «Eleonora sta male».
 «E quindi?».
 «A causa tua. Le manchi. Le manca la tua amicizia. Piange in continuazione e ho paura che…».
 «Sai cosa mi ha fatto la tua ragazza, vero?» lo interruppe.
 «Sì, ma è pentita».
 «Avrebbe dovuto pensarci prima, adesso è troppo tardi».
 «Alis, non è vero e tu lo sai. Manca anche a te».
Presuntuoso!, pensò con rabbia. «No, invece». Non dopo quello che ha fatto, la consideravo più di un’amica, per me era come una sorella.
 «Sì, fidati, lo so io. Tu sei come me».
Ah, davvero? Va bene, nano presuntuoso… «Va’ avanti» disse, con un gesto spazientito della mano.
 «Lei…vorrebbe ricominciare a parlarti».
 «Be’, può farlo».
 «Davvero?».
 «Certo, non la mangio mica». O quasi… 
 «Un’altra cosa: scusami, per tutto ciò che ti ho detto quando…».
Alisea aveva raggiunto il limite di sopportazione. «È passato».
 
«Grazie d’avermi lasciata sola con Peverelli!» sbottò Alis sedendosi accanto a Christian.
L’amico si stava torturando un labbro con i denti. «C’era Bianchi».
 «Chi?».
 «Quel ragazzo che sta sempre con Peverelli».
 «Quello biondo?» chiese, ricordandosi del ragazzo accanto a Roberto. Non l’aveva quasi visto.
 Christian annuì, abbassando lo sguardo.
 «Chris…? Oddio…».
 «Che c’è?».
Le labbra si Alisea si piegarono in un dolce sorriso quando realizzò a cosa – o meglio, a chi – era dovuta l’improvvisa timidezza di Christian.  «Ti piace!» esclamò, portandosi le mani alla bocca per lo stupore.
 «Grazie di non aver urlato». 
---
Ringraziamenti 
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia nelle preferite/seguite/ricordate ♥
-ai tutti quelli che lasciano una recensione ♥
GRAZIE DI CUORE A TUTTI, A OGNI SINGOLO DI VOI ♥

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Mi ha emozionato particolarmente la frase che ho scritto:
«Non ti colpirò mai più».
 «No, non devi scappare mai più. Se mi colpisci significa che ci sei, è quando te ne vai che fa male».

Sì, mi emoziono con le mie stesse parole.
Sì, non sto bene. 

Ma andiamo avanti:
nuovo capitolo, nuovi personaggi (?)
Roberto Peverelli e, vi anticipo il nome, Matteo Bianchi!
Lo so, possono sembrare personaggi inutili ma (altra anticipazione) non è assolutamente così. 
Basta, non parlo più :)
Lascio la parola a voi ♥

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Capitolo 25
*** 25 ***


25
 
«Più veloci!» sbraitò minacciosamente l’allenatore, dall’altro lato del campo. Era un tipo atletico; sotto quell’enorme felpa si nascondeva un fisico scolpito.
Marco corse, più veloce di quanto pensava potesse fare.
 «Un altro giro e poi negli spogliatoi!» l’ordine fu seguito dal fastidioso, prolungato suono del fischietto. Marco concluse il giro con uno scatto, per poi fermarsi lentamente. Stavano uscendo dal campo, quando l’allenatore lo chiamò da sé: «Bertotti, tu resta». Con il fiato corto, Marco si avvicinò all’uomo: «Sì?».
 «Ottimo allenamento».
 «Grazie».
 «Ci sono delle partite questo week-end. Nulla di serio, però penso che dovresti partecipare». I baffi a manubrio, chiazzati di bianco, gli conferivano un aspetto ancora più autoritario.
 «Certo. Non mancherò» disse, con un sorriso e si congedò.
 Quella sera, non fu altrettanto facile dare la notizia ad Alisea. «Non posso venire da te. Tesoro, mi dispiace così tanto».
 «Non preoccuparti» disse lei, in un tono comprensivo che celava una venatura di tristezza.
 «Sei sicura? Se vuoi posso rifiutare di giocare» continuò, abbandonandosi sul letto, stremato dall’allenamento.
 «Non pensarci neanche!» sbottò. Le parve di vederla; mentre gesticolava e gli diceva di giocare la partita. Quel pensiero lo fece sorridere.
 «Grazie» sussurrò.
Qualche istante di silenzio, poi: «Potrei venire io a Roma».
Quella frase lo fece scattare a sedere come una molla, il cuore che gli rimbalzava nel petto. «Dici sul serio?».
 «Certo» rispose con determinazione. «Se vuoi » aggiunse prontamente.
 «Ti voglio sempre».
 «Ci vediamo presto».
Appena chiuse la conversazione, Alisea si fiondò giù dalle scale alla ricerca di sua madre. La trovò in cucina, intenta a preparare la cena. Dal profumo si prospettava minestrone. «Mamma» esordì, entrando nella stanza calda a causa dei fornelli. «Tesoro» la salutò di rimando. «Hai bisogno di qualcosa?» chiese, posando i suoi premurosi occhi verdi sulla figlia.
 «Si tratta di Marco. Vedi, avremmo dovuto vederci nel week-end ma deve giocare alcune partite e quindi non può venire qui a Como. Così, pensavo, che magari sarei potuta andare io da lui, a Roma» spiegò velocemente, ansiosa di ricevere il permesso…
…che non arrivò.
La madre distolse lo sguardo dai fornelli, per soffermarsi sulla figlia. «Scordatelo».
In quel momento fu come se il pavimento si fosse aperto sotto i suoi piedi. «M-ma perché?».
 «Non vai a Roma da sola!».
 «Mi accompagna una mia amica» la bugia le uscì con tanta rapidità, da sembrare vera perfino alle sue orecchie.
  «È no. Siete minorenni».
 «Sono solo due giorni!» esclamò.
 «E i compiti? Devi tenere alta la media per i crediti».
 «La scuola è appena iniziata, non ho compiti».
 «Alisea, è no e basta!» sbottò, gli occhi smeraldini che lampeggiavano.
 «Che succede qui?» domandò il padre, facendo il suo ingresso in cucina.
 «Alis vuole andare a Roma questo week-end, per vedere Marco» spiegò la madre mentre riportava l’attenzione sulla cena.
 «È fuori discussione» decretò. 
Io lo amo!, avrebbe voluto urlare, ma le parole le morirono in gola. Il telefono della casa prese a squillare furiosamente. «Alisea, sii gentile, vai a rispondere» la liquidò la madre.
Con un sonoro sospiro, Alis rispose. Dall’altro lato, la voce squillante della zia, la salutò calorosamente. «Ciao, zia».
 «Tutto bene, tesoro?».
 «Sì».
Qualcosa nella sua voce dovette averla tradita, perché la zia rispose: «Non mi sembra».
 «Discussione con mamma» spiegò brevemente, allontanandosi dalla cucina per non farsi sentire.
 «Che è successo?».
Così, Alisea le spiegò brevemente quanto era accaduto. Si accorse che la voce le tremava, suo malgrado, per rabbia e tristezza.
 «Che problema c’è? Ti porto io!» risolse in tono radioso.
Ad Alis servirono un paio di minuti per realizzare il tutto. «D-dici sul serio?».
 «Certo! Roma è fantastica, posso approfittarne per fare shopping!» esclamò, più raggiante di quanto lo fosse la ragazza.
 «Grazie, grazie, grazie! Non sai quanto significa per me! Grazie di cuore!».
 «Non c’è di che, dolcezza. Passo a prenderti alle 7! Adesso passami tua madre, devo chiederle un favore».
 
E così accadde.
Alisea aveva detto ai suoi che avrebbe trascorso il fine settimana a casa di Christian e il ragazzo l’avrebbe coperta.
Quella mattina indossava un pantalone di jeans; una felpa color panna e delle semplici Converse rosse. Zia Nadia arrivò alle sette in punto, con la sua Polo nera. Quando salì in macchina, Alisea fu sopraffatta dal forte profumo della donna. I capelli castani erano legati in una coda alta; gli occhi anch’essi scuri erano coperti da grandi occhiali neri firmati RayBan.
 «Grazie di cuore, zia!» esclamò, quando parcheggiarono vicino alla stazione.
 «Alisea, sarà la millesima volta che mi ringrazi!».
 «Lo so».
 Presero il treno delle sette e trenta, puntuale come sempre. Alisea era euforica, quella notte non aveva quasi chiuso occhio un po’ per paura di essere scoperta dai suoi genitori e un po’ per il pensiero di rivedere Marco.
 «Dovresti riposare, è un lungo viaggio» le disse la zia sedendosi di fronte a lei. Aveva ragione.
Però prima inviò un messaggio a Marco: sto arrivando xx.
Stava per addormentarsi quando ricevette risposta: non vedo l’ora. Un bacio.
E, cullata dal pensiero del ragazzo, si addormentò…
…e quando si svegliò era davanti a lei.
O meglio, quando scese dal treno lo trovò davanti a sé, con le braccia aperte, pronte ad accoglierla. Quando l’avvolsero, l’attraversò il pensiero che tra quelle braccia ci sarebbe vissuta. Tutto intorno a sé, sparì. Sparirono le persone che di solito le erano sempre accanto, sua zia, i suoi genitori, Christian; allo stesso modo in cui sparì il luogo in cui si trovavano. Esistevano solo loro, Marco e Alisea, che abbracciavano lo spazio tra loro diventando una cosa sola.
A interrompere quel momento fu proprio la zia, che si presentò a Marco. Il ragazzo le strinse la mano, impacciato. Alisea trovò la scena alquanto buffa.
 «E non darmi del “lei”, ragazzo! Non sono così vecchia!» lo apostrofò scherzosamente.
 «Ehm… va bene» fu tutto quello che riuscì a dire il ragazzo.
Alisea gli prese una mano tra le sue, schioccandogli un affettuoso bacio sulla guancia. «Hai fame?» le chiese, riacquistando la sua solita sicurezza e circondandole le spalle con un braccio.
Alis annuì, solo in quel momento si rese conto di non aver toccato cibo dalla sera prima.
 «Vuole, ehm, vuoi unirti a noi?» chiese, rivolgendosi a mia zia.
 «Oh, no, caro grazie. Alis, vado a portare le valigie in albergo. Ci vediamo stasera» e si congedò con passo deciso.
 «I tuoi genitori sanno che sei qui?» le domandò con fare inquisitorio.
 «È necessario che lo sappiano?».
Per tutta risposta, Marco scosse la testa arruffandole teneramente i capelli.
Il ristorante con l’insegna Il Gladiatore dava sul Colosseo; la piazza era affollata di turisti che scattavano foto e si guardavano intorno meravigliati. «Non era necessario un ristorante così…raffinato» disse lei, sedendosi a uno dei tavoli decorati con tovaglie color bianco e porpora.
 «Alisea, quando capirai che meriti il meglio di ogni cosa?».
Alis si limitò ad arrossire, sorridendo timidamente quando Marco le depositò un leggero bacio sulle labbra. Ordinarono due pizze, lei una semplice margherita e lui una capricciosa con coca-cola.
 «Sei pronto per la partita?».
 «Sì» rispose, afferrandole una mano tra le sue.   
«Sono contenta di essere qui», disse quando ebbe posato gli occhi verdi sul ragazzo.
 «Anch’io lo sono» rispose accarezzandole il viso. «A volte… è difficile quando non sei qui» confessò, attirandola a sé.
Alisea si strinse a lui. «Sono qui. Ce la stiamo facendo».
 «Ne dubitavi?» chiese, inclinando la testa da un lato.
La ragazza scosse il capo, prima di avvicinare il viso a quello di lui. Quando si staccarono, lui la strinse forte, le labbra che si sfioravano come se fosse il respiro stesso del ragazzo a sussurrare: «Un giorno, non so quando, non saremo più distanti chilometri. È una promessa, Alisea».
E, come a suggellare quelle parole, le loro labbra si incontrarono di nuovo.
 
In piazza Quitti, che non era niente di meno di una piccola piattaforma circolare decorata con qualche pianta e aiuola, era stato allestito il campo da calcio. Intorno al quale erano posizionare delle sedie di plastica su cui erano iniziate a cadere fragili foglie trasportate dall’aria di fine estate.
Marco aveva raggiunto i compagni di squadra, lasciandola sola con Davide, Luca, Claudia e… Giulia. Le ragazze si erano scambiate rigidi baci di fredda cortesia, poi Giulia si era allontanata raggiungendo un gruppo di ragazze lì vicino. Per contro, quando gli altri la videro l’abbracciarono calorosamente. E adesso erano seduti su quelle sedie di plastica, pronti ad acclamare il loro amico. Le squadre fecero il loro ingresso, Figene contro Cisco. Marco, vestito di maglietta a mezze maniche a righe bianche e rosse, giocava in quest’ultima. Quando individuò Alisea le soffiò un bacio, facendola sorridere.
 La partita iniziò e il Cisco cadde in svantaggio della squadra ospite dopo cinque minuti dal fischio d’inizio. Alcuni passanti si erano fermati ad osservare, alcuni per brevi istanti, l’incontro. Qualcuno di loro aveva innalzato urla di incoraggiamento… che aumentarono quando il Cisco segnò il primo punto della partita, pareggiando. Luca si era alzato in piedi, battendo le mani e fischiando attraverso la piccola trombetta colorata. Il primo tempo si concluse mantenendo il pareggio… e il secondo pure. Durante i supplementari, il Cisco segnò dopo un paio di minuti e la piazza parve tremare a causa delle grida d’esultanza, alle quali si era unita anche Alisea, ma che scemarono immediatamente quando il Figene riportò il pareggio. Si passò ai rigori. Uno degli attaccanti fu proprio Marco… che sbagliò, colpendo la traversa destra. I suoi compagni dopo di lui fecero meglio, tanto meglio da portare la squadra alla vittoria. Luca prese di nuovo a fischiare nella sua trombetta; Davide si alzò così velocemente da far cadere la sedia e Alisea lo imitò battendo le mani. I capitani delle due squadre si strinsero la mano prima di entrare negli spogliatoi. Alisea vide che Marco era stato fermato da un uomo sulla quarantina, con buffi baffi a manubrio… probabilmente doveva essere l’allenatore. Lo congedò con delle affettuose pacche sulla spalla, accompagnato da un sorriso amichevole. La ragazza raggiunse Marco prima che potesse rientrare nello spogliatoio, gettandogli le braccia al collo. «Siete stati bravissimi!» esclamò, schioccandogli un bacio. Per tutta risposta Marco la sollevò di peso facendola volteggiare.
 «Scusate il disturbo» una voce maschile pose fine ai loro festeggiamenti. Si allontanarono quel tanto che bastava per rivolgere lo sguardo alla persona che aveva parlato. Era un uomo sulla trentina, alto e con un fisico asciutto. I capelli castani erano arruffati sopra il viso squadrato; indossava dei pantaloni di jeans e una giacca blu notte. Era accompagnato da una delle ragazze più belle che Alis avesse mai visto. Avrebbe dovuto avere l’età di Alis, anche se era decisamente più alta. Indossava un vestito a fiori che le arrivava sopra il ginocchio; il viso a forma di cuore era incorniciato da lunghi capelli scuri; gli occhi erano di un color nocciola acceso. In confronto a lei, Alis si sentì improvvisamente goffa dentro quella felpa.
 «Ho bisogno di parlare con te» continuò l’uomo, rivolto a Marco.
 «Mi dica» rispose, senza lasciare la mano di Alis.
 «Sono Simone Pagani, direttore della rivista Star bene. Questa è la nostra modella Natasha».
 «Piacere» si presentò con voce melliflua, allungando una mano verso di lui. Marco la strinse educatamente presentandosi a sua volta, mentre Alis rimaneva a guardare.
 «Cercavamo un modello che insieme a Natasha potessero presentare i nostri prodotti».
 «Che genere di prodotti?».
 «Oh, giusto. Attrezzi sportivi. Quanti anni hai?».
 «Diciotto il mese prossimo».
 «È perfetto» disse la ragazza chiamata Natasha, squadrandolo con i suoi grandi occhi scuri. Ad Alis il tono della modella le faceva attorcigliare lo stomaco. O forse era per il modo in cui stava guardando – anzi, mangiando con gli occhi – Marco? Alisea strinse le labbra in una linea dura, stringendo ancora di più la mano del ragazzo.
 «Io…» iniziò, arrossendo al complimento.
Per Alisea fu troppo. Tirando fuori tutta la rabbia che riuscì a trovare, disse: «Marco non ha bisogno di…!».
Marco la interruppe afferrandola per le spalle rivolgendosi all’uomo: «Mi scusi solo un momento». E la trascinò abbastanza lontano per non farsi sentire: «Posso sapere cosa ti prende?».
Un lampo di furore attraversò lo sguardo smeraldino della ragazza, prima che rispondesse indicando il direttore e la modella con un cenno della testa: «Dimmi che non vuoi accettare sul serio!».
 «Perché non dovrei?» il ragazzo parve sinceramente perplesso.
 «Perché non fa per te» risolse abbassando gli occhi che iniziarono a pizzicare.
 «Alisea, non mentirmi» le disse, alzandole il viso con una mano.
La ragazza si ritrasse a quel contatto. «Non voglio e basta!» ma appena pronunciò quelle parole si rese conto di quanto suonassero infantili.
 «Perché?».
 «Perché non me ne starò qui ferma a guardare mentre           quella Natasha ti si strofinerà addosso!» esclamò, gesticolando.
 «Sei gelosa» risolse, abbracciandola e depositandole un dolce bacio sulla fronte.
 «Non farlo. Non accettare». La sola idea di vederlo accanto a un’altra che non era lei le faceva salire le lacrime. Ti sto supplicando, gli disse mentalmente sperando che sentisse quanto dolore nascondevano le parole che aveva pronunciato.
 «Ho un’idea» disse, accarezzandole i capelli. E prima che lei potesse dire qualcosa, il ragazzo era già andato. Alisea si avvicinò a lui abbastanza da sentire ciò che stava dicendo.  «Accetto. Solo se la modella sarà lei» e indicò Alisea con un gesto della testa.
Il direttore e la modella posarono lo sguardo sulla ragazza in piedi davanti a loro e tutto ciò che videro fu una ragazza con le dita intrecciate in grembo. Natasha si limitò a storcere in modo impercettibile il naso piccolo. L’uomo si schiarì la voce prima di dire: «Non credo sia… appropriata».
Alisea voltò le spalle al direttore, alla modella ma soprattutto a Marco iniziando a correre non per fuggire da loro ma da una semplice parola.
Inappropriata.
 
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Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia ai preferiti/ricordate/seguite ♥
-a tutti, tutti, tutti i recensori ♥
GRAZIE DI CUORE ♥
 
Come sempre lascio il link della pagina facebook della storia (prometto che sarò attiva in pagina) à https://www.facebook.com/pages/%C3%88-sempre-estate-sotto-il-mare/189100337929543
 
Adesso lascio la parola a voi.
Nuovo personaggio (questi nuovi personaggi saltano fuori come fiori a primavera :D ): Nathasha. Cosa ne pensate?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima. 
ps: *piccola anticipazione* nel prossimo capitolo scopriremo che cosa ha combinato il bastardo ad Alis.

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Capitolo 26
*** 26 ***


26
 
Il sole si stava tuffando nel fiume, incontrando le stelle della notte che avrebbero fatto presto la loro comparsa. Fu quella la direzione che scelse Alisea, rincorrendo il crepuscolo. Dopo non molto, arrivò al muretto di mattoni color cremisi slavato del Lungo Tevere. E fu lì che si fermò, lasciandosi cadere lentamente a terra, la schiena contro il muro, le mani immerse nei capelli arruffati. Non come quelli di Natasha. Sì, Natasha. Lei sì che era adatta. Non ricordò l’ultima volta che si era sentita così sola. Era in un paese che non conosceva; lontano dalle persone che conosceva, ma soprattutto lontana da Marco.
In quel momento il cellulare della ragazza si mise a squillare fastidiosamente. Marco fu la scritta che lampeggiò. Accettò la chiamata, portandosi il telefono all’orecchio, schiuse le labbra tremanti ma senza proferire parola.
 «Alisea, dove sei? Ti sto chiamando da un’ora!».
La ragazza trattenne un singhiozzo, che sfociò in una lacrima solitaria.
 «Alisea? Che succede? Parla!» la voce del ragazzo traboccava preoccupazione.
Alis avrebbe parlato, se solo avesse saputo cosa rispondere. Inappropriata. Però non disse nemmeno quello.
 «Alisea, cazzo, parla! Dimmi dove sei!».
Questa volta invece le sfuggì un singhiozzo, cosa che fece preoccupare ancora di più il ragazzo.
 «Alisea, sei tu? Ti prego, rispondi! Parla! Cazzo, dove sei andata?».
Fu Alis a terminare la chiamata, spegnendo il cellulare.
 
 L’insegna “Hotel Gerber” spiccava sopra l’alto edificio, lampeggiando a intermittenza. Il nome dell’albergo era finemente ricamato anche sui tendoni color panna. Marco entrò con passo deciso; con i polsi che tremavano. Forse è tornata all’albergo, sperò mentre si avvicinava a un signore sulla cinquantina seduto dall’altra parte del grande bancone. «Posso aiutarti in qualche modo, ragazzo?».
 Marco esitò un attimo, prima di rispondere: «Cerco una ragazza. Sarebbe dovuta arrivare oggi in questo albergo».
L’uomo, dalla faccia tonda e dagli occhietti vivaci, prese a digitare alcuni tasti sulla tastiera di un computer vicino, dicendo: «Controllo subito nei registri d’entrata».
 «Grazie» mugugnò.
 «Il nome della ragazza?».
 «Alisea Galeazzi. È stata accompagnata da una donna, sua zia» aggiunse, con il cuore che impazziva nel petto. Controllò ancora una volta il cellulare: sul display appariva soltanto l’orario, mancavano una decina di minuti alle nove di sera. Nessun messaggio, nessuna chiamata di Alisea. Il nulla del nulla, come se non fosse mai esistita.
 «Marco!» lo chiamò una voce femminile dietro di lei.
Il ragazzo si voltò per incontrare una donna con un’elegante camicia da notte color rosa pastello che le ricadeva fino alle caviglie; i capelli castano scuro acconciati in una morbida coda; i grandi occhi color nocciola riflettevano la sua incredulità. «Cosa ci fai qui? Dov’è Alisea?».
Marco si avvicinò alla zia di Alis. «Pensavo che Alisea fosse tornata in albergo» spiegò brevemente.
 «Non è con te?» chiese la donna con voce acuta, sgranando gli occhi.
Alisea, dove sei? Pensò disperatamente, sentendo le gambe cedergli. Marco scosse la testa come risposta alla donna e un po’ per ricomporsi. La zia impallidì improvvisamente: «Allora, dov’è? Cos’è successo?».
 «Non so dov’è!» e così le spiegò brevemente l’accaduto, tralasciando alcuni particolari quali l’incontro con il direttore della rivista e della sua modella Natasha.
Prima che la donna potesse rispondere, il cellulare le prese a suonare della tasca dell’enorme camicia. Aggrottò le sopracciglia quando lesse il numero che lampeggiava sul display dell’ultimo modello di I-Phone, poi rispose con voce decisa: «Pronto? Chi parla?».
Marco rimase immobile di fronte a lei, vedendo la sua espressione accigliarsi sempre di più per poi rilassarsi e dire chiudendo la chiamata: «Certo, arrivo immediatamente».
 Dove deve andare? Dobbiamo trovare Alisea!, pensò. La donna gli rivolse uno dei suoi più dolci sorrisi prima di dire: «L’hanno trovata».
 
La centrale di polizia si trovava in una delle vie parallele alla stazione Termini.
E fu lì che la trovarono, raggomitolata su una sedia di fronte ai due poliziotti che l’avevano portata alla centrale. Quando Marco spalancò rumorosamente la porta i due uomini si voltarono verso di lui, lanciandogli occhiate perplesse. Il ragazzo li ignorò incontrando con lo sguardo gli occhi verdi impauriti di Alisea, che si stringeva seduta su una sedia di legno. La ragazza si alzò in piedi lentamente senza distogliere lo sguardo da quello di Marco, finché lui le corse incontro e l’abbracciò come mai aveva fatto; come se fosse la cosa più preziosa che possedesse e avesse paura che qualcuno potesse portargliela via. Ma quella volta nessuna l’aveva portata via, era semplicemente scappata, se n’era andata di sua spontanea volontà. Alis ricambiò l’abbraccio, non trovando il coraggio di guardarlo negli occhi. Solo in quel momento i cuori di entrambi parvero calmarsi, solo a contatto l’uno con l’altra. Marco sospirò, affondando il viso nei capelli arruffati di lei. «Io…» iniziò, prima che il ragazzo la interrompesse con un leggero bacio sulle labbra fredde.
Subito dopo, entrò la zia i jeans e giacca color blu notte. Marco fu costretto a staccarsi dalla ragazza, per lasciar passare la donna che abbracciò la nipote. «Si può sapere cosa ti è saltato in testa?!».
 «I-io… m-mi dispiace» balbettò, scoccando una veloce occhiata a Marco. Lo sguardo del ragazzo era indecifrabile. Sollevato? Impaurito? Arrabbiato? Preoccupato? O forse tutte queste emozioni insieme, che facevano a botte dentro di lui? Alisea resistette all’impulso di abbracciarlo nuovamente.
Sua zia si rivolse a uno dei due poliziotti, in tenuta da lavoro, risultavano entrambi giovani; uno biondo e l’altro moro. «Dove l’avete trovata?».
 «Sul Lungo-Tevere».
 «Cosa ci facevi lì?» chiese Marco, a denti stretti, gli occhi smeraldini che lampeggiavano…d’ira?
 «M-mi sono persa» si difese debolmente dallo sguardo accusatore del ragazzo.
 «Torniamo a casa» decretò la zia. Marco si avvicinò alla ragazza; afferrandole forte – troppo forte – un braccio e spingendola fuori.
Alisea su percorsa da un brivido quando incontrò l’aria gelida della notte. Marco dovette essersene accorto, perché si tolse la giacca per posarla sulle spalle di lei. Ma quando Alis mugugnò un “grazie”, il ragazzo si limitò a distogliere lo sguardo spingendola dentro al taxi che li aveva portati fin lì. Zia Nadia si sedette sul sedile anteriore, indicando al conducente l’albergo dove alloggiavano.
Alisea e Marco erano invece sul sedile posteriore. Il ragazzo aveva lasciato il braccio di lei e adesso stava guardando la notte nera fuori dal finestrino, le mani strette a pugno. Guardami, pensò Alisea osservando il ragazzo seduto accanto a lei. Ma non la guardò per tutto il viaggio, finché non giunsero proprio di fronte all’albergo. La zia acconsentì a pagare per i due ragazzi una camera singola, scoccando alla ragazza uno sguardo che diceva “io e te parleremo domattina”. «Non sei costretto a rimanere» gli disse Alis, in modo che solo lui potesse sentirla.
 «Prendi le chiavi, Alisea» si limitò a dirle il ragazzo precedendola sulle scale che conducevano alle stanze. Quando furono davanti alla camera 125, il ragazzo la spinse dentro bruscamente, chiudendo la porta alle spalle. «Marco, non fare così» disse, arretrando fino al letto con il ragazzo che incombeva lentamente davanti a lei.
 «Così come, Alisea?» le chiese a denti stretti.
 «Non essere arrabbiato, ti prego».
 «Arrabbiato? E da che cosa capisci che sono arrabbiato?» urlò, scaraventando le chiavi sulla parete dall’altra parte della stanza; le pesanti tende attutirono il suono. «La mia ragazza è scappata per non so quale cazzo di contorto motivo, ma hai ragione non sono arrabbiato! Sono incazzato, Alisea!».
La ragazza schiuse le labbra, non l’aveva mai visto così. La mascella gli fremeva; le mani che si aprivano e si chiudevano continuamente a pugno; e gli occhi erano come pervasi di un’inquietante fiamma smeraldina. Si avvicinò ancora di più a lei, afferrandole entrambi i polsi e scaraventandola sul letto. «Cosa cazzo ti è passato per la mente in quel momento? Se ti avesse trovata qualcun altro al posto della polizia? Se ti avesse trovato…? Perché continui a scappare? Perché?» le urlò, con gli occhi che pizzicavano.
 «Marco, mi stai facendo male…» gli disse, indicando i polsi con lo sguardo. Il ragazzo allentò la presa, rotolando sul letto al suo fianco.
 «Perché?» le chiese più pacatamente  ma i suoi occhi continuarono a lampeggiare di rabbia e frustrazione.
 «Perché… sono inappropriata» confessò in un sussurro, come se fosse un segreto.
 «È per quello che ha detto il diretto di quella rivista? Alisea, non devi…» il ragazzo parve sollevato del motivo.
 «Me lo diceva anche il bastardo, Andrea» confessò, distogliendo lo sguardo. Quel nome parve fluttuare tra loro, facendo calare il silenzio per qualche attimo.
 «Alisea, è passato».
La ragazza scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore. «Q-quando…» continuò, facendosi coraggio «…q-quando, secondo lui ero inappropriata, mi mostrava foto di modelle prese da riviste o da alcune foto. “Prova a somigliare a loro” m-mi diceva “fallo per me, se non lo fai significa che non mi ami”».
E tutti i ricordi dei momenti trascorsi con Andrea riaffiorarono, prima lentamente poi prorompendo come un fiume in piena. Quella volta che passeggiavano lungo il lago ed erano passate di fianco a loro due ragazze con un fisico da invidiare e Andrea le aveva seguite con lo sguardo finché non avevano voltato l’angolo. E questo era solo all’inizio. Poi arrivarono altri ricordi, uno più orribile dell’altro. Quella volta che l’aveva obbligata a vomitare, era successo nel bagno a casa di lui. O peggio ancora, quella sera che avevano deciso di farlo. Alisea si ricordò della felicità che aveva provato quando Andrea gliel’aveva chiesto. Si era spogliata lentamente davanti a lui; i vestiti sparsi sul pavimento mentre le guance le si tingevano di un tenero color porpora. E si ricordò il suo sguardo deluso. Si era alzato in piedi, dicendole di stare ferma mentre lui aveva iniziato a toccare ogni parte del suo corpo, mormorando:” No, no e no. Amore, mi deludi. Forse è bene che tu riguardi qualche altra foto”.
E adesso stava raccontando tutto questo a Marco, a volte tremando a volte con voce ferma come se stesse narrando la storia di un’altra persona. Con Andrea era stata un’altra persona.
 «Oh, amore» le mormorò attirandola a sé. Ogni traccia d’ira sembrava fosse sparita dal volto e dagli occhi del ragazzo. Alisea si accoccolò contro di lui, trovando quella protezione che solo il ragazzo sapeva donarle. Marco si sorprese a provare un odio cieco e irrazionale nei confronti di quel ragazzo che le aveva fatto del male. 
 «I-io voglio solo essere perfetta per te. Perfetta» gli sussurrò contro il petto, sputando fuori l’ultima parola che aveva pronunciato.
Marco le prese il viso tra le mani, accarezzandola dolcemente prima di dirle: «Tu sei perfetta. E a volte la tua perfezione mi confonde al punto da domandarmi se sei reale».
Alisea gli depositò un dolce bacio sulle labbra, stringendolo forte a sé. «Ti amo».
 «Ti amo anch’io, non dubitarne mai».
La ragazza appoggiò la testa sul petto di lui, prendendogli una mano fra le sue; Marco prese a giocare con i suoi capelli, arruffandoglieli ancora di più.
 «Grazie per non aver accettato la proposta di oggi» gli disse, guardandolo negli occhi.
Marco aggrottò le folte sopracciglia in un’espressione perplessa. «Chi ti ha detto che non ho accettato?».
Alisea si alzò a sedere, lasciandogli la mano. «Non hai accettato, vero?» il cuore che le martellava nel petto mentre attendeva la risposta del ragazzo.
Marco si sedette sul letto a sua volta. «Alisea, io... veramente ho accettato». 

 
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Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/ricordate/seguite ♥
-ai recensori, RICAMBIERO' ♥
GRAZIE AD OGNUNO DI VOI ♥

Considerazioni riguardanti il capitolo (?)
Vi è piaciuto?
Sì?
No?
Perché?
Abbiamo saputo cosa ha fatto il bastardo. Vi immaginavate qualcos'altro? Spero di non avervi deluso, in caso contrario cercherò di migliorare :) 

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Capitolo 27
*** 27 ***


27
 
L’aria tra di loro parve immobilizzarsi come lo sguardo della ragazza, fisso e indecifrabile. Si divincolò lentamente dalla sua stretta prima di chiedergli: «Come hai potuto?».
 «Io…».
 «Perché hai accettato?» quasi urlò, allontanandosi ancora di più da lui, fino ad alzarsi in piedi.
 «Alisea, non fare così» rispose, facendo per prenderle le mani tra le sue, ma la ragazza si ritrasse con un rapido movimento.
 «Rispondi alla domanda».
 «Per favore, siediti…».
 «Rispondi!» esclamò, lanciandogli un’occhiata che non ammetteva repliche.
Marco sospirò. «Mi servono soldi». E sperò che quella risposta bastasse a farla calmare.
La ragazza si limitò a rimanere immobile, sbattendo le palpebre. «Avresti potuto accettare un altro… lavoro».
 «Non ne ho l’età» disse pacato, scuotendo la testa. «E i soldi mi servono il prima possibile».
 «Perché?».
 «Non so ancora per quanto tempo potrò vivere con mio nonno. Prima o poi si ammalerà e voglio che riceva le migliori cure, se lo merita dopo tutto quello che ha fatto per me». Gli occhi di Marco furono attraversati da un impercettibile lampo di malinconia. Alis non trovò da controbattere, così lui proseguì alzando lo sguardo su di lei: «E, anche se non ci crederai, l’ho fatto anche per te».
Il cuore di Alis prese ad accelerare. «Per me?». Non ho bisogno di gioielli o regali costosi, ho bisogno di te avrebbe voluto dirgli, ma era troppo arrabbiata.
 «Per noi» si corresse. 
 «Non capisco» disse, guardandolo con fare perplesso.
Marco non le staccò gli occhi di dosso, nemmeno quando disse: «Per… il nostro futuro».
Il ragazzo lasciò che quella frase vagasse tra loro per istanti interminabili, penetrando nella parte più profonda di lei in modo tanto delicato quanto impetuoso. La stravolse così improvvisamente che da quel momento si trovò costretta a rivalutare il proprio futuro. Per un breve, forse folle, istante pensò a Marco come la persona che avrebbe voluto avere al proprio fianco per tutta la vita. Il pensiero la lasciò senza fiato.
 «Alisea» il ragazzo si alzò in piedi, prendendole le mani tra le sue «di’ qualcosa».
Alis si ritrasse bruscamente a quel contatto. «Come puoi pensare a un ipotetico futuro se stiamo già litigando?».
 «Perché voglio anche questo!» esclamò, gli occhi sgranati. «Voglio ogni singolo momento con te, bello o brutto che sia!». Si avvicinò, accarezzandole dolcemente una guancia: «Che poi, nessun momento può essere veramente brutto con te».
Alisea non si lasciò incantare da quelle parole, anche se dovette ammettere che l’avevano scossa come mai prima. «Invece, passerai dei brutti momenti con me se non rifiuti la proposta!».
Questa volta fu il ragazzo a ritrarsi da lei, gesto che la turbò ancora di più ma si sforzò di non darlo a vedere. «Perché? Cosa c’è di male?».
 «Non voglio che il mio ragazzo stia con gente come quella! È un ambiente di merda!».
 «Tu cosa ne sai?».
 «Quanto basta per dirti che se non rifiuti…» lasciò che la frase le morisse in gola.
 «Se non rifiuto, cosa? Mi lasci?» lo sguardo glaciale, distante.
Il cuore di Alis sprofondò a quelle parole. «Forse» sentì dire la sua voce. Detto questo, distolse lo sguardo ed entrò nel letto voltando le spalle al ragazzo.
 «Quando fai così non ti capisco!» esclamò lui, in tono esasperato sdraiandosi sul letto.
 «Ammesso che tu mi abbia mai capita» sussurrò, spegnendo la luce.
Si addormentarono, o almeno provarono, così; distanti, senza alcun abbraccio a cullarli. Alis si rannicchiò nelle coperte, le lacrime erano frenate solo dalla rabbia che lentamente scemava lasciando posto a una tristezza nuova che non riusciva a comprendere.
Verso mezzanotte sentì Marco muoversi sotto le coperte, dall’altro lato del letto. Quando sentì la mano del ragazzo accarezzarle dolcemente la testa, con le dita che si intrecciavano nei suoi capelli, Alis non riuscì a trattenere un singhiozzo. Non voleva perdere tutto questo.
 «Sei sveglia?».
 «Sì» mormorò sommessamente.
Sentì il ragazzo avvicinarsi a lei, fino a riuscire a cingerle la vita con una mano e ad affondare il viso nei suoi capelli. Alis fece per divincolarsi, ma debolmente.
 «Non riesco a dormire» le sussurrò a un orecchio «lasciati abbracciare».
Fu in quel momento che Alis si voltò verso di lui, rannicchiandosi contro il suo petto. Provò immediatamente quella piacevole e familiare sensazione di pace che offuscò la rabbia che ancora provava. «Non è vero che ti lascio».
 «Dici sul serio?» il ragazzo sembrava sinceramente stupito. «Allora perché l’hai detto?».
 «Ero arrabbiata».
 «Adesso lo sei ancora?».
 «Un po’, credo». Nemmeno lei sapeva cosa sentiva.
Marco sospirò, stringendola ancora di più a sé. «Mi ami?».
 «Sempre».
 «Allora riusciremo a superare anche questo».
 «Lo so» rispose lei, improvvisamente sicura che sarebbero riusciti a trovare una soluzione, insieme. «Non accettare» quelle parole, mormorate in modo così flebile, suonarono più come una supplica che un’accusa.
 «Dormi, adesso».
 «No, ne voglio parlare, adesso» continuò lei, ad occhi chiusi.
Marco sorrise, depositandole un leggero bacio sulla fronte. «Sei stanca, dormi».
E, finalmente, si addormentò.
 
Alis appoggiò la testa sul banco, socchiudendo gli occhi, mentre la professoressa davanti a lei continuava a parlare. Christian le toccò un braccio, facendola girare verso di sé: «Allora, com’è andata?».
 «Cosa?» chiese lei, sbadigliando.
 «Il fine settimana!».
 «Ah. Bene, bene» e all’improvviso le tornò in mente tutto ciò che aveva passato negli ultimi due giorni, insieme a Marco. Si ricordò di quando era scesa dal treno trovandosi il ragazzo di fronte a lei, le braccia aperte pronte ad accoglierla; ricordò la partita e di come si era divertita insieme agli amici di Marco e, infine, ricordò la proposta che il ragazzo aveva ricevuto. Ho accettato, aveva detto. Quelle parole erano ancorate dentro di lei, lacerandola lentamente. Aveva bisogno di uscire da quella classe e subito. Chiese alla professoressa il permesso di andare in bagno, la quale accettò non senza prima aver arricciato il naso in segno di fastidio. Alis uscì, dirigendosi in fretta verso il bagno, si chiuse dentro accasciandosi a terra, le mani immerse nei capelli ricci. Sferrò un calcio distratto al gabinetto, soffocando un urlo di rabbia.
«Alisea?» la chiamò una voce dal suono sottile.
Alis sbatté le palpebre, alzandosi lentamente in piedi.
 «Alisea, stai bene?» chiese sempre la stessa voce.
La ragazza uscì dal bagno, scontrandosi con la persona che aveva parlato: Eleonora. I corti capelli biondo chiaro le ricadevano ordinatamente appena sopra le spalle; gli occhi chiari riflettevano una sincera preoccupazione. «Che c’è?» sbottò Alis, in modo brusco.
 «La p-prof… è stata lei a mandarmi a cercarti visto che sei fuori da almeno dieci minuti» spiegò velocemente.
Dieci minuti? Alis aggrottò le sopracciglia; davvero era rimasta in bagno per così tanto tempo? Come aveva fatto a non accorgersene?
 «Stai bene?» continuò Eleonora.
 «Sì» rispose Alis, distratta.
 «Stai mentendo».
Alisea si maledì mentalmente per essere stata così espressiva. Poi pensò che Eleonora era stata la sua migliore amica per anni; forse era normale che riuscisse a capirla subito. Ogni tanto le mancava la sua compagnia, ma poi il ricordo di ciò che aveva fatto – di ciò che aveva detto – tornava a tormentarla. «Scusa, non avrei dovuto…» disse prontamente Eleonora, abbassando lo sguardo.
 «Va tutto bene» rispose più a se stessa che alla ragazza. «Torniamo in classe» continuò, abbozzando un sorriso. Da quel momento riuscirono a riavvicinarsi, ogni tanto persino a ridere insieme; ma, quando Alis provava ad aprirsi a lei, le tornò in mente ciò che Eleonora aveva detto. L’ha fatto per aiutarti, era preoccupata per te le sussurrò una vocina interiore che Alis zittì prontamente, giurando che un giorno sarebbe riuscita a vendicarsi.
 
Appena uscito da scuola, Marco controllò il cellulare: nessun messaggio. Sospirò.
 «Marco, che succede?». Era Davide.
 «Eh? Oh, niente».
 «Non avete ancora chiarito tu e Alis?» capì immediatamente.
Marco scosse la testa. Il giorno prima l’aveva accompagnata alla stazione, l’aveva salutata con un bacio ma il ragazzo era sicuro che Alis era ancora arrabbiata e glielo confermava il fatto che non gli aveva lasciato alcun messaggio quella mattina. Solo che non poteva rifiutare un’offerta simile; aveva provato a spiegarglielo innumerevoli volte in quei due giorni che avevano trascorso insieme. Non c’era cosa peggiore che averla distante, in quel momento.
Quando il cellulare prese a vibrargli insistente nella tasca, il cuore di Marco prese ad accelerare… per poi rallentare improvvisamente quando lesse il numero sul display. «Pronto?».
 «Ciao, parlo con Marco Bertotti?».
 «Sì, sono io» rispose.
 «Sono Mattia Decanti, il fotografo della rivista Star bene. Vorremmo scattare qualche foto a te e a Natasha oggi pomeriggio alle quattro, vicino al Colosseo».
 «Oggi?».
 «Sì, alle quattro» ripeté «mi dispiace per il poco anticipo, ma funziona così».
 «Ehm... ok, non c’è problema. Ci sarò». E detto questo, chiuse la telefonata, sospirando.
 «Era il direttore della rivista?» chiese Davide, continuando a camminare al suo fianco.
 «Il fotografo» lo corresse bruscamente.
 «Glielo dirai ad Alis?».
 «Deve sapere» rispose, sapendo che la ragazza sarebbe andata su tutte le furie.
 «Occhio non vede,…».
 «Oh, sta’ zitto!» esclamò, assestandogli una gomitata amichevole per poi superare l’amico, avviandosi verso casa da solo. Tirò nuovamente fuori il cellulare, chiamando Alis che rispose dopo un paio di squilli. «Ciao, amore» la salutò.
 «Ciao, come stai?» la sua voce era spenta.
 «Io bene. Devo dirti una cosa». Non voleva girarci intorno.
 «Che cosa?».
Marco prese un respiro profondo, prima di dire tutto d’un fiato: «Oggi pomeriggio devo fare un servizio fotografico, volevo che lo sapessi».
Silenzio. Dall’altro lato riusciva a sentire, flebile, il respiro della ragazza.
 «Bene, divertiti» la voce di Alis era priva di sentimento, o se provava una qualche emozione cercava di nasconderla dietro una maschera di finta indifferenza.
 «So che non approvi».
 «Non posso impedirtelo».
 «E non devi perché è la mia vita e questa è una mia scelta! Non puoi intrometterti in tutto ciò che faccio, hai capito?» quando capì che il tono che gli uscì era più duro del previsto, se ne pentì subito. «Alisea, scusami, non volevo…».
 «Adesso devo andare» rispose lei con voce strozzata.
 «Amore, ti prego, scusami. È solo che tutta questa situazione mi innervosisce e non averti qui non migliora le cose».
 «Ho capito, Marco. Come ho detto, ora devo andare» e senza dargli tempo di rispondere, chiuse la chiamata lasciandolo immobile e senza parole.
 
Alis stava per abbandonarsi sul letto, quando il cellulare prese a vibrare di nuovo. Per un attimo pensò che fosse ancora Marco. «Ti ho detto che adesso non ho tempo!» esclamò.
 «Alis?» la chiamò la voce di Christian.
 «Oh, scusa. Pensavo fosse un’altra persona».
 «È tutto a posto?».
 «Sì» rispose frettolosamente.
 «Da come mi hai risposto non sembrava».
Alis sospirò; non aveva voglia di parlarne. «Hai bisogno di qualcosa, Chris?» si affrettò a cambiare argomento.
 «In realtà volevo chiederti se ti andava di uscire tra mezz’ora».
 «Dove?» domandò, sedendosi sul bordo del letto.
 «Al bowling. Ci sono anche Roberto, Eleonora e Matteo» l’amico indugiò qualche attimo sull’ultimo nome.
Alis sorrise. Anche se in quel momento non aveva voglia di uscire, sapeva che le avrebbe fatto bene e quantomeno glielo doveva a Chris.
 
---
Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a chi ha aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥
-e… ai recensori ♥ prometto che appena troverò tempo, passerò anche nelle vostre storie, alcune (come quelle di rosaRosa) le ho aggiunte alle preferite ma non le ho ancora aperte.
Causa: davvero troppo poco tempo.
 
E adesso la parola a voi.
Eleonora… che avrà fatto ad Alis perché la odi così tanto?
Finalmente Matteo e Chris riescono a """uscire"""... non aggiungo altro xD
E la proposta di Marco ad Alis? Aawww non è dolcissimo? *--* ahaha ok, dopo questa me ne vado.
 
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Capitolo 28
*** 28 ***


28
 
 «Marco, che ti prende?» quasi gli urlò il fotografo, davanti a lui.
 «Ehm, scusate» riuscì a rispondere.
 «Va bene, dieci minuti di pausa» annunciarono il resto dei fotografi.
Marco si divincolò da Natasha, la quale lo afferrò per un braccio chiedendo: «Stai bene?».
Per tutta risposta, il ragazzo si limitò ad annuire e ad allontanarsi da lei. Entrò nel piccolo furgone in cui si era cambiato e nel suo camerino cercò il cellulare. Scrisse: Sei ancora arrabbiata?. Quando, dopo cinque minuti, non ricevette risposta da Alis prese a chiamarla una, due volte; ma a vuoto. Alla terza telefonata, dopo un paio di squilli, la ragazza rifiutò senza rispondere. Marco scagliò il telefono dall’altra parte della stanza.
 
Alis rifiutò la terza chiamata da parte del ragazzo, spegnendo il cellulare. La partita si era conclusa e lei aveva perso. In quel momento erano seduti tutti e cinque al piccolo tavolo del bar. Roberto e Eleonora si scambiavano affettuosi baci sulle labbra di tanto in tanto; Christian aveva legato subito con Matteo. E lei? Lei sorrideva cortesemente a tutti, quando avrebbe voluto correre via. Lei aveva rifiutato la chiamata del suo ragazzo, dell’unica persona che teneva a lei. Ovunque andasse, qualunque cosa facesse, il ricordo della discussione avuta con Marco la tormentava perché non riusciva a vedere una via d’uscita.
Alis diede uno sguardo all’orologio che aveva al polso: le 19.01. Si sorprese dell’orario. «Devo tornare a casa» annunciò agli altri, facendo per alzarsi dal tavolo. Gli altri la imitarono. «Anche noi» dissero all’unisono Roberto e Eleonora.
 «Come torni a casa, Alis?» le chiese Chris.
 «Oh, chiamo mia madre, non preoccuparti».
 «A me serve un passaggio invece» disse Matteo, scoccando un’occhiata a Chris.
 «Ti accompagno io, non c’è problema» si offrì prontamente Christian.
E così fecero.
Matteo era seduto in una posizione rilassata sul sedile anteriore dalla Polo nera di Chris, che guidava, teso. Quando furono ormai sulla via di casa, Matteo prese la parola: «Sabato sera do’ una festa. Vuoi venire?».
 «Dove?» chiese Chris, lanciandogli una veloce occhiata.
 «Alla festa».
 «L’avevo capito, ma dove?».
 «A casa mia. I miei non ci sono» rispose, con un sorriso astuto appena accennato.
 «Ci sarò» disse Chris, senza pensarci due volte. E anche se avesse avuto qualche impegno, sapeva fin dall’inizio che non avrebbe rifiutato.
 
Alis era sdraiata sul letto, avvolta nelle coperte; stringendo il cuscino a sé. Stava per addormentarsi quando il suo cellulare prese a vibrare. Ebbe un tuffo al cuore per poi sentirsi delusa quando sul display lesse il nome di Christian. Riluttante, aprì il messaggio dell’amico.
-Sabato sera ore 7 festa a casa di Matteo.
Alis sbuffò; anche se non aveva voglia di andare sapeva che il suo migliore amico non l’avrebbe lasciata a casa da sola di sabato sera.
-Dove abita?
-Domani a scuola ti spiego. Allora ci sarai?
-Sì, ci sarò.
Posò il cellulare sul comodino, ripensando a ciò che era accaduto quel giorno, ma a ogni cosa pensasse la sua mente la riportava a Marco… che non si era ancora fatto sentire. Ma era stata lei a rifiutare le sue chiamate. Certo, il ragazzo avrebbe potuto richiamare. O forse avrebbe potuto chiamarlo Alisea, in quel momento. Alis scacciò il pensiero… per poi riprenderlo. E se l’avesse disturbato? O peggio, se era con quella modella, Natasha? Solo a pensarci le parve che il cuore le sprofondasse nel petto. Con un gesto fulmineo, con le lacrime agli occhi, afferrò il cellulare digitando il numero del ragazzo. Ti prego, rispondi…
 «Alisea?» fu sufficiente sentire la sua voce per farla scoppiare a piangere in un pianto che stava trattenendo da tutto il giorno.
 «Amore?» la chiamò di nuovo.
 «Scusa» mormorò lei, lasciandosi scappare un singhiozzo.
 «Stai piangendo?».
 «Non importa» cercò di ricomporsi.
 «Sì che importa, invece! Perché stai piangendo?».
 Perché hai accettato la proposta del direttore, anche se non sono nessuno e tu per me sei tutto. Perché sono uscita con i miei amici oggi pomeriggio e non mi sono mai sentita più sola. Perché hai fatto un servizio fotografico con quella modella straniera. Perché continuiamo a litigare. Perché…«Mi manchi».
 «Anche tu, amore, fidati. Mi dispiace per quello che ti ho detto in questi giorni, questa situazione… è difficile».
La ragazza ebbe un tuffo al cuore. «Lo sapevamo che non sarebbe stato facile». E, invece, solo in quel momento si accorsero che, quando si erano promessi che avrebbero continuato la relazione a distanza l’ultima sera d’estate, non potevano neanche immaginare a cosa stavano andando incontro… o cosa stava precipitando loro incontro.
 «Ce la faremo» la rassicurò lui.
 «Sì, ce la faremo» ripeté la ragazza, con un po’ più di convinzione.
 «Vieni a trovarmi questo fine settimana, amore?».
Stava per accettare quando si ricordò l’invito di Christian. «Ho una festa sabato sera».
 «Alisea…» la chiamò lui, dolcemente, con una punta scherzosa nella voce.
 «Sì?».
 «Tu odi le feste».  
Alis non poté fare a meno di sorridere. «Perché non vieni tu da me?».
 «È che Davide sabato sera suona in un locale e…».
 «È la prima volta che suona in un locale?».
 «Sì. Mi dispiace tanto».
 «Non preoccuparti» lo confortò, per poi aggiungere: «Verrò io».
 «Dici sul serio?» la voce del ragazzo era accesa da una nota di sincero stupore e… felicità.
 «Certo. Andremo a sentire insieme Davide suonare». Sebbene fosse ancora arrabbiata con il ragazzo, questo non cancellava l’immensa voglia di vederlo. E poi, finché fossero rimasti lontani non avrebbero mai potuto riappacificarsi veramente.
 «Grazie» fu tutto quello che riuscì a dire Marco.
In quel momento, Alis sentì il citofono squillare fastidiosamente al piano di sotto e sua madre che apriva la porta. La ragazza non ricordava se avessero invitato qualcuno a cena. Poi la voce di sua madre che urlò: «CHE COSA CI FAI TU QUI?!».
Allarmata, Alisea chiuse la chiamata: «Amore, devo andare ci sentiamo più tardi» e corse giù lungo le scale fino a raggiungere la porta di ingresso alla quale era appoggiata sua madre. «Mamma? Che succede? Perché hai urlato?».
 «L’hai invitato tu?!» gridò la donna, posando gli occhi sulla figlia.
 «Chi?» chiese, inquieta, sbattendo le palpebre e avvicinandosi alla porta.
Alis provò un’emozione strana a vederlo lì, di fronte a sé. In un primo momento le parve impossibile, poi insensato e infine ancora impossibile. Sentì i polsi tremare contro la sua volontà e le gambe che parevano cederle; dovette afferrare saldamente la porta con una mano per riuscire a controllarsi.
 «Ciao, Alis». Solo quando il bastardo parlò, la ragazza realizzò che non era affatto un sogno – o meglio, un incubo. 

 
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Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/ricordate/seguite ecc... ♥
-ai recensori, con le loro bellissime parole ♥
GRAZIE DI CUORE AD OGNUNO DI VOI ♥

E adesso, veniamo a noi:
grandi novità! 
Il bastardo è finalmente e, sfortunatamente per la povera Alis, tornato! 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)

ps: mettete'mi piace' in tanti alla pagina facebook della storia :) 
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Capitolo 29
*** 29 ***


29


Quantomeno aveva la decenza di apparire contrito; chiuso nelle spalle e i  grandi occhi neri come il nulla che ora guardavano il pavimento e ora Alisea. Non era cambiato molto dall’ultima volta che l’aveva visto, mesi prima. I capelli scuri erano cresciuti e sembrava dimagrito.
 «Che cosa vuoi?» chiese Alis, acida.
 «Io…posso parlarti?» la guardò negli occhi per un breve attimo, forse più per educazione che per interesse.
 «Vattene» sibilò la madre dietro Alis; lo sguardo che lanciava fiamme.
 «Va tutto bene» la confortò la ragazza posandole una mano sulla spalla, più rivolta a se stessa che alla donna. Poi, spostando l’attenzione su Andrea, proseguì in tono aspro: «Non voglio parlare con te». La  presenza del ragazzo la turbava più di quanto non osasse ammettere e il suo atteggiamento – anche se a ben ragione – improvvisamente umile era qualcosa di così estraneo a lui da farlo sembrare non reale.
 «Non devi parlare, solo ascoltarmi» le assicurò. 
Non riesce a guardarmi negli occhi, constatò, perplessa. Possibile che l’Andrea arrogante e presuntuoso che tanto aveva amato – e poi odiato – fosse scomparso? E se così fosse, chi era il nuovo ragazzo che le stava di fronte che si vergognava a guardarla negli occhi?
 «Per favore» le disse con fare quasi implorante…. quasi.
Alis lanciò un’occhiata a sua madre, mormorando: «Lo sistemo e poi torno. Non ci metterò molto». Detto questo, la ragazza si chiuse la porta alle spalle uscendo e conducendo Andrea nel piccolo cortile dietro la casa. Alis sussultò sentendo l’aria di fine settembre avvolgerla nella sua morsa fredda. Anche se il sole era calato da tre ore nel cielo sopra di sé era coperto da cupe nuvole scure che soffocavano le stelle. Si sedettero su delle sedie di plastica, uno di fronte all’altra; mantenendo una certa distanza. La ragazza intrecciò le braccia al petto e si strinse nelle spalle per sfuggire al freddo. Con un brusco gesto del capo diede ad Andrea la parola…
... «Hai freddo?».
Alis stava per rispondere di no, seccamente; ma Andrea si tolse la giacca posandola sulle spalle di lei in modo goffo. Era decisamente grande, era impregnata del profumo del ragazzo, ma era calda.
 «Christian mi ha parlato di te» esordì lei, ricordando il primo giorno di scuola. “Andrea vuole te” le aveva detto l’amico. Ma io voglio Marco, si disse e quel pensiero la fece sorridere tra sé.
 «Christian era l’unico modo per mettermi in contatto con te» spiegò, la voce che trasudava tensione. Alisea scoprì che il nervosismo del ragazzo era l’unica cosa che le permetteva di comportarsi in modo distaccato e autoritario nei suoi confronti. Dovette ammettere che però provava una sorta di perverso piacere a vederlo in quello stato.
  «Perché volevi metterti in contatto con me?» domandò di nuovo, apparentemente senza mostrare emozione alcuna.
Andrea alzò lo sguardo su di lei; gli occhi ancora più neri sotto il riflesso delle nubi scure. Esitò, emettendo un flebile sospiro. «Perché mi manchi».
Questa volta fu Alis a distogliere lo sguardo, maledicendosi mentalmente non appena lo fece. Era stato il modo in cui aveva pronunciato quelle parole; come se fosse qualcosa di ovvio, di cui non serviva ulteriore spiegazione; come se fosse stato il suo assioma, evidente per sé e in sé. Si impose di controllarsi e di guardarlo negli occhi; e così fece, lanciandogli un’occhiata così carica delle più contrastanti emozioni da risultare quasi indifferente.
 «È tardi ormai».
Andrea aggrottò le folte sopracciglia nere. «Perché?».
 «Sono impegnata».
La cosa non parve turbarlo e anche se così fosse stato non lo diede a vedere. O forse era che Christian aveva parlato dicendogli di Marco?
 «Lui è qui?».
 «Chi?».
 «Il tuo nuovo ragazzo, o almeno così dici».
 «Questo non ti riguarda» rispose, riconquistando il suo tono acido.
 «Non è qui» concluse, concedendosi un sorriso; quel sorriso sghembo che illuminava i suoi occhi di una malcelata presunzione. In fondo, si rese conto Alisea, non era cambiato. Marco è sempre con me.
 «Lui è sempre con me e in questo momento, come in qualsiasi altro, mi è più vicino di quanto lo sia mai stato tu» pronunciò quelle parole lentamente, come un coltello che rigira in una ferita. Decise che non avrebbe menzionato il nome di Marco davanti a lui. Se le parole della ragazza avessero sortito un qualsiasi effetto, Andrea fu così abile a non mostrarlo che Alis pensò che non fosse capace di provare alcuna emozione.
Andrea si limitò ad alzarsi dalla sedia per poi dire, trovando chissà dove il coraggio di guardarla negli occhi: «Io sono qui, per te».
 «Non ho dimenticato ciò che hai fatto» rispose, glaciale «e non penso ci riuscirò mai».
 «Tu mi odi» comprese, sorridendo.
Alis non seppe cosa ci fosse di tanto buffo da farlo sorridere. «Non immagini quanto».
 «Perfetto» sorrise.
La ragazza non sapeva cosa volesse dire e non era sicura di volerlo; desiderava solo che lui se ne andasse, dimenticando che era entrato nella sua vita anche se solo per pochi minuti. Si alzò togliendosi la giacca dalle spalle e porgendogliela.
 «Puoi tenerla».
 «Non saprei cosa farmene» e la gettò a terra.  Andrea la raccolse e la pulì velocemente con una mano. Lei proseguì: «Vattene! Sparisci dalla mia casa e soprattutto dalla mia vita!». La voce che si era alzata di parecchie ottave.
Andrea sorrideva ancora, quasi fosse felice di averla fatta arrabbiare, di aver suscitato una qualsiasi reazione in lei.  «Ci rivedremo» e suonava come una promessa. Ma lui era Andrea, il bastardo, e non manteneva mai le promesse. Non lo aveva mai fatto e Alis non capiva il motivo per cui avrebbe dovuto cominciare in quel momento.
 
La settimana trascorse lentamente; il pensiero di Andrea tornava a tormentarla di quando in quando. Glielo aveva raccontato a Christian che era rimasto sinceramente sorpreso.  «Ho detto io ad Andrea che eri impegnata, ho sbagliato?» le aveva chiesto Chris. Alis aveva scosso la testa, non vedeva che problema ci fosse. Chris pensava che quella notizia sarebbe bastata a tenere Andrea lontano da Alis, ma si sbagliava; il ragazzo non aveva ancora abbandonato la sfrontatezza che lo caratterizzava. No, non è cambiato, si convinse Alisea. Non aveva raccontato a Marco di quello spiacevole incontro; il ragazzo era felice di rivederla e non voleva farlo preoccupare per niente perché con Andrea non era successo niente. Anche Christian era felice in quei giorni; non vedeva l’ora di andare alla festa di Matteo. Era rimasto male quando la ragazza gli aveva detto che non sarebbe potuta venire, ma sapeva quanto Marco contasse per lei e non si arrabbiò, o almeno non tanto. «Te la caverai benissimo alla festa anche senza di te» l’aveva rassicurato lei, stringendogli una spalla.
Quel giorno incontrarono Matteo nel corridoio. I due ragazzi si salutarono e poi il biondo domandò: «Allora, per sabato? Non hai cambiato idea, vero?».
Christian gli assicurò che ci sarebbe stato.
Poi Matteo rivolse lo sguardo ad Alis, chiedendole: «Verrai anche tu?».
 «No, mi dispiace».
 «Oh. Come mai?» si informò gentilmente.
 «Vedrò il mio ragazzo» rispose Alis, sentendo le guance scaldarsi.
 «Può venire anche lui alla festa».
 «Sei gentile, ma non è possibile; vive a Roma».
Una volta che Matteo se ne fu andato, Alis si rivolse all’amico chiedendo: «Mi coprirai tu questo fine settimana, mentre sarò a Roma?».
 «Certo. I tuoi non lo sanno ancora?».
Alisea scosse la testa; non poteva dirlo ai suoi genitori perché sapeva che glielo avrebbero proibito. In realtà non ne era sicura, ma preferiva non correre rischi. Se glielo avesse chiesto, e loro glielo avrebbero negato, si sarebbero insospettiti ancora di più; il che avrebbe complicato le cose.
 «Alis!» esclamò Eleonora raggiungendola non appena la ragazza entrò in classe.
 «Eleonora» la salutò, con un sorriso forzato.
Eleonora le strinse entrambe le mani con le sue. «Devi aiutarmi!». A quelle parole Alisea sbatté le palpebre e la bionda si affrettò a precisare: «Cioè, no che non devi, però avrei bisogno del tuo aiuto».
 «Di che si tratta?» chiese Alis, decisa.
 «Della festa di Matteo».
 «E io cosa c’entro?».
 «Avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a scegliere il vestito».
Alisea non capì perché avesse accettato; per compassione e perché non aveva nulla di meglio da fare diceva a se stessa, rimase il fatto che il pomeriggio seguente si trovarono a passeggiare insieme per le vie di Como. Erano uscite da scuola da mezz’ora e si erano fermate a mangiare ad un self-service. A quell’ora le strade non erano ancora affollate come lo sarebbero state tra meno di tre ore. Camminavano fianco a fianco, parlando di qualunque cosa passasse loro per la mente; senza preoccupazioni, come se nulla fosse cambiato nel loro rapporto. E per un breve, surreale, istante Alisea si sorprese a sperare che fosse così. Scacciò quel pensiero. Entrarono in un piccolo negozio d’abbigliamento che andava dall’intimo a dei vestiti da sera molto semplici. Una commessa si avvicinò a loro, chiedendo se avessero bisogno d’aiuto. Loro risposero di no.
 «Che ne pensi di questo vestito, Alis?» le chiese Eleonora indicando un abito lungo fino alle ginocchia, la gonna era ricamata in pizzo nero così come le spalline. Non era niente male, ma Alis non era convinta.
Arricciò il naso, rispondendo: «Non mi piace il colore».
 «C’è anche il modello bianco».
Eleonora aveva la carnagione chiara, se avesse indossato qualcosa di bianco sarebbe sparita. «Neanche» disse Alis, allontanandosi e continuando a cercare…
…finché lo trovò. «Dovresti provare questo» disse a Eleonora che annuì e corse in camerino. Dopo un paio di minuti, uscì con indosso il vestito che Alisea le aveva consigliato… giustamente. L’abito color azzurro pastello le ricadeva in morbide pieghe sui fianchi e scendeva a balze fino al ginocchio. Le spalline erano in pizzo bianco e il cinturino di pelle anch’esso bianco. Era perfetto, Alisea lo sapeva. Eleonora aveva dei bellissimi occhi azzurri che dovevano essere evidenziati.
 «È fantastico» le disse Alis, sorridendo.
 «Sì, lo penso anch’io. Grazie mille». Poi prima di sparire di nuovo nel camerino, disse: «Adesso tocca a te scegliere il vestito».
 «A me non serve».
Eleonora aggrottò le sopracciglia. «Perché?».
 «Non ci sarò alla festa».
 «Oh, come mai?».
Alisea esitò qualche istante prima di rispondere, pensando se era la cosa giusta dirglielo e alla fine decise. «Sarò dal mio ragazzo questo fine settimana» disse, sorridendo.
 «Non hai chiesto a Matteo se poteva venire anche il tuo ragazzo?».
La ragazza scosse la testa. «Eleonora, il mio ragazzo abita a Roma». Alisea si sarebbe fermata a quella frase se non fosse stato per la ragazza che continuava a chiederle di Marco. Dove vi siete conosciuti? Come si chiama? È gentile con te? Da quanto tempo state insieme? Alisea si ritrovò a rispondere a ognuna di queste domande e a molte altre. Rispondeva sorridendo, educatamente, ricordando l’estate più bella che avesse mai trascorso. Alla fine, si ritrovò felice di aver condiviso quella gioia con qualcuno. E in quel momento capì quanto Eleonora le fosse mancata.
Ciò che ha fatto l’ha fatto solo perché era preoccupata per me. Voleva solo aiutarmi, si ritrovò a pensare quella sera mentre si rigirava nelle coperte.   
        
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Ciaooo a tutti!!
Ringraziamenti:
_ai lettori silenziosi ♥
_a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥
_ai fantastici recensori ♥
GRAZIE DI CUORE AD OGNUNO DI VOI

Questo capitolo non è niente di che, in realtà. Mi sono concentrata molto sulla scena iniziale tra Andrea e Alisea; devo dire che ne sono davvero soddisfatta.Spero sia piaciuta anche a voi :)
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Ne approfitto per augurare a tutti voi un BUON NATALE ♥

 

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Capitolo 30
*** 30 ***


30

Quel giorno una pioggia leggera cadeva sulla città.
Alis scese dal treno verso mezzogiorno; aveva raccontato ai suoi che avrebbe trascorso il fine settimana da Christian, che quella sera sarebbero andati insieme alla festa di Matteo, che avrebbe dormito da Chris e che sarebbe tornata a casa verso le sei di domenica. Anche se si fidava ciecamente di Christian, la paura che avrebbero potuto scoprirla non l’aveva abbandonata…
…almeno non finché i suoi occhi incrociarono quelli di Marco e finché le braccia del ragazzo non l’avvolsero. Quando le loro labbra si incontrarono in un leggero bacio capì che non le sarebbe importato se i suoi genitori sarebbero venuti a sapere dov’era in quel momento; Alis non trovò niente di umanamente possibile che potesse sostituire un singolo istante trascorso con Marco.
 Il ragazzo l’attirò a sé, sorridendole e Alis credette che il suo cuore sarebbe impazzito da un momento all’altro. La strinse sotto il suo ombrello, chiedendole di raccontare la settimana appena trascorsa.
 «Mi dispiace che tu non sia potuta andare alla festa» le disse.
 «Non devi dispiacerti». Poi avvicinando il suo viso a quello di lui, proseguì: «Sono contenta di essere qui».
 «Anch’io lo sono, Alisea» le prese il viso tra le mani e posò le sue labbra su quelle di lei. «Vieni con me, voglio farti conoscere una persona».
 La persona in questione si trovava in un appartamento al quinto piano di un edificio che dava su Piazza Quitti, dove Marco aveva giocato la partita settimana precedente. Salirono su per i gradini; quando furono quasi in cima il ragazzo la sollevò di peso, Alisea non riuscì a reprimere un gridolino. Si fermarono per qualche istante davanti alla porta, la ragazza ancora tra le sue braccia. Lo sguardo smeraldino di Marco aveva assunto una sfumatura sognante, ma non distante. La ragazza stava per chiedergli cosa ci fosse che non andava, ma lui l’anticipò: «Un giorno varcherai un’altra soglia tra le mie braccia, vestita di bianco». Le guance si tinsero di un dolce color porpora.
Alis si strinse ancora più forte a lui, sussurrandogli contro il petto: «Ti amo».
 «Ti amo anch’io» rispose posandola a terra e depositandole un dolce bacio sulla fronte. Le accarezzò una guancia, poi le prese una mano tra le sue e insieme entrarono.
L’appartamento era piccolo, ma accogliente. Entrando si accedeva a una graziosa sala-cucina color cielo che dava su un’ampia terrazza. Un uomo sulla sessantina si alzò dalla poltrona in fondo a destra, avvicinandosi a loro. «Marco» lo abbracciò l’anziano. Aveva un dolce viso tondeggiante; i capelli corti candidi; gli occhi scuri e profondi. Indossava una tuta blu scuro e un maglione di un paio di taglie più grande.
 «Nonno, volevo presentarti una persona» gli disse Marco, quando si furono staccati. Prese la mano di Alisea, incitandola ad avvicinarsi.
 «Salve. Mi chiamo Alisea».
 «Alisea» l’anziano soppesò quel nome per qualche istante, prima di sorridere: «Ho sentito molto parlare di te».
La ragazza sorrise a quelle parole. «Marco mi ha parlato di lei».
 «Oh, davvero?» chiese, guardando prima il nipote e poi di nuovo Alisea. «Ti prego, chiamami Giovanni. E dammi del tu. Ora, devi sapere che tutto ciò che ha detto il mio caro nipote di me non è vero, si sarà lamentato come al solito del suo vecchio». Sorrise di nuovo.
 «Al contrario» disse prontamente la ragazza. Si ricordava il giorno in cui Marco le aveva parlato di lui, stavano ammirando insieme il cielo estivo. Il ragazzo le aveva indicato tutte le costellazioni che sapeva dicendo che le aveva apprese da suo nonno.  Alisea non aveva mai sentito nessuno parlare con così tanta stima di qualcuno. «Ho saputo che lei è, ehm, sei un appassionato di astrologia».
 «È così. Anche tu lo sei, cara?».
 «No» ammise «ma mi affascina».
 «E chi non è affascinato dal cielo? È strano. Siamo soliti a lasciarci attrarre da ciò che non saremo mai in grado di comprendere».  E per qualche ragione Alisea capì che non si riferiva solo alle stelle.
Marco venne in suo aiuto. «Alisea ha fatto un lungo viaggio, nonno e…».
 «Oh, giusto, giusto. Preparo qualcosa da mangiare».
Il ragazzo afferrò il braccio di Alis, trascinandola per uno stretto corridoio fino in camera sua. La stanza era ancora più piccola del salotto e disordinata. C’era una finestra sulla parete di fondo, sotto la quale era posizionata una scrivania. Addossato al muro di destra c’era un letto di una piazza e mezza, ricoperto da soffici lenzuola blu scuro; a sinistra incombeva un enorme armadio di legno scuro. Le pareti erano di un colore azzurro, come il cielo d’estate.
Senza una ragione apparente, Alisea si gettò tra le braccia di Marco che la strinse forte accarezzandole la schiena con una mano. «Mi sei mancato».
 «Anche tu, non hai idea quanto».
La ragazza ricordava ancora che Marco aveva accettato la proposta del direttore. Sapeva che quella settimana aveva avuto un servizio fotografico – con quella modella – e sapeva anche che prima o poi avrebbero dovuto affrontare l’argomento. Alis si staccò da lui quel tanto che bastava per guardarlo in viso. «Marco, io… non ho dimenticato che hai accettato la proposta».
Il ragazzo roteò gli occhi verdi al cielo. «Dobbiamo parlarne adesso?».
 «E quando altrimenti?».
 «Ascoltami» iniziò passandosi una mano nei capelli «io non cambierò idea».
Alisea arretrò di un paio di passi da lui. «Perché?».
Marco le prese una mano tra le sue e la fece sedere sul letto al suo fianco. Non voleva litigare, non avrebbe resistito a un’altra discussione, perciò parlò nel tono più pacato che riuscì a trovare. «So che stai male per questa mia decisione» le accarezzò teneramente una guancia, sistemandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio. «E vederti soffrire è peggio che soffrire per qualunque altra cosa». Alis fece per ribattere, ma lui la zittì posandole un dito sulle labbra. Si inginocchiò di fronte a lei, prima di proseguire: «Non devi mai, nemmeno lontanamente, credere che tu non sia sempre con me perché ti amo come pensavo non fosse possibile». La ragazza sentì gli occhi pizzicare, ma si impose di mantenere il controllo lasciandolo proseguire. «Tu sei la cosa più vicina a una famiglia che mi è rimasta» questa volta furono gli occhi di Marco a divenire lucidi. Alis gli accarezzò una guancia. «E la famiglia non viene sostituita, né ora né mai, da nessuno. E tantomeno da una modella che, a essere sincero, ha solo da invidiarti!» terminò la frase che una calda lacrima rigava il volto di Alisea, depositandosi all’angolo della bocca. «Ora, hai capito? Perché sarei disposto a ripetertelo milioni di volte con la testa dura che ti ritrovi. Quindi se…» La ragazza lo interruppe attirandolo a sé in un bacio che sapeva di lacrime, di loro due che si amavano come non poteva essere altrimenti.
 «Non piangere» le sussurrò una volta che furono sdraiati uno sopra l’altra.
 «Piango di gioia».
 «Sorridi di gioia».
Alis lo strinse più forte che poté, sorridendo. Le labbra di Marco si spostarono lentamente lungo il collo della ragazza, mentre l’attirava a sé con le braccia. Fu in quel momento che il cellulare di lui prese a squillare fastidiosamente. Marco si fermò, alzando gli occhi al cielo e allontanandosi da lei con un sonoro sbuffo. «Ciao, Davide. Tempismo perfetto» rispose, con una punta di sarcasmo nella voce.
 «In questo momento sono impegnato» continuò Marco, una volta che l’amico ebbe parlato.
Alisea aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi a lui chiese: «C’è qualcosa che non va?».
 «Mi ha chiesto se posso andare in giro per la città a distribuire i volantini per la sua esibizione di stasera» spiegò.
 «E perché non puoi aiutarlo?».
Marco allontanò il cellulare dal viso, prima di rispondere in un bisbiglio: «Voglio stare con te».
 «Possiamo distribuire volantini insieme» continuò lei. Sapeva- o almeno, immaginava – quanto Davide tenesse all’esibizione di quella sera. Davide le era stato vicino nel periodo in cui Marco si era allontanato da lei e si sentiva in dovere di ricambiare il favore.
 «Ma…» iniziò Marco.
 «Niente ma».
 
Era alla festa da più di due ore ormai.
E non poteva dire che non si stava divertendo. Aveva conosciuto tanta gente, qualche ragazza gli si era avvicinata e lui educatamente le aveva respinte una dopo l’altra. Roberto spariva dalla sua vista continuamente; una volta era di fronte a lui e l’altra era in un angolo attaccato alle labbra di Eleonora. Mentre Matteo…
… doveva avere in mano la terza bottiglia di birra; ma non sembrava accusare colpi. Si avvicinò a Chris. «Vuoi?» chiese, allungandogli la birra.
Il ragazzo ne bevve un lungo sorso.
 «Ti piace la festa?» continuò a chiedere.
 «Sì!» esclamò, sovrastando il rumore che proveniva dalle casse agli angoli della sala.
 «Hai adocchiato qualche ragazza?». Un sorriso malizioso gli si dipinse sul volto, illuminando gli occhi.
 «No» ammise.
Matteo aggrottò le sopracciglia. «Non ti piacciono le mie amiche?».
Christian sospirò. «No, non è per quello…».
 «E allora per cosa?».
 «Non mi piacciono le ragazze». Ormai tutti sapevano del suo orientamento sessuale; a scuola, almeno, ne erano a conoscenza persino alcuni professori. Per questo si stupì che Matteo non lo sapesse. Al contrario di molti altri, Christian non aveva problemi ad ammettere la propria omosessualità.
 «Oh». Matteo sbatté più volte le palpebre, ma il ragazzo non se ne curò; aveva affrontato reazioni peggiori di quella. Si limitò a sorridere, bevendo un altro sorso di birra.
Il biondo si guardò intorno, prima di afferrare Christian per un braccio e condurlo in un’altra sala e poi in un corridoio.
 «Matt, che succede?»
Matteo non rispose; attraversò un lungo corridoio, la musica della festa giungeva ovattata alle loro orecchie come un ricordo sbiadito… o forse era a causa dell’alcool. Matteo aprì una piccola porta per poi chiudersela alle spalle una volta che Christian fu dentro… a un bagno. «Dicevi sul serio?» gli chiese Matteo, sgranando gli occhi.
 «Dicevo sul serio cosa?».
 «Della tua… be’… insomma, che sei…» gesticolò, in imbarazzo.
Christian sorrise. «Che sono gay. Puoi dirlo. E sì, ero serio».
 «Ma, come fai ad essere così tranquillo mentre lo dici?». L’espressione di Matteo era indecifrabile.
 «Perché non dovrei?». 
 «Perché io non ci riesco» e prima che potesse ribattere in qualsiasi modo, Matteo era davanti a lui; le mani sul suo viso e le labbra morbide sulle sue.
 
 Il locale era un enorme capannone allestito vicino a un campo da basket, ma per Davide sembrava un’arena; glielo si leggeva nello sguardo. L’interno era stato addobbato da decorazioni che pendevano dal soffitto e da un lungo bancone sul lato destro. Il palco, una piattaforma più alta di un paio di metri rispetto al pavimento, era addossato in fondo decorato da una moltitudine di luci proiettavano i propri colori per tutta la stanza, alternandosi continuamente tra loro.
Il figlio del proprietario, un ragazzo sulla ventina, aveva presentato Davide alle persone – ragazzi più che altro – lì riuniti. Alisea era contenta di aver contribuito, seppure in minima parte, alla realizzazione della serata. In fondo, era stato divertente distribuire volantini per le strade; alcuni Marco li aveva attaccati ai muri, ad alberi e ai lampioni. Quel lavoro era costato loro tutto il pomeriggio e, rientrati in appartamento stanchi, non si resero conto che di lì a poco sarebbero dovuti uscire nuovamente. Il capannone si riempiva a mano a mano che passavano le ore, anche dopo molto che Davide aveva iniziato a suonare. Aveva presentato due inediti e le altre canzoni erano cover che suonava insieme alla sua band, i Good Time. Alisea e Marco ballavano senza sosta; la ragazza non riusciva a smettere di ridere quella sera. C’erano anche Luca, Claudia e Giulia, quest’ultima era accompagnata da un ragazzo che sembrava più grande di lei. A volte, Alisea li vede assentarsi per minuti interi, per poi ritornare all’interno del capannone. Giulia sembrava felice della compagnia del ragazzo. La band stava suonando la cover di Play Hard e i presenti stavano impazzendo sulla pista. La canzone si concluse con un’ondata di urla, fischi e applausi. Qualcuno, tra cui Marco, gridava il nome di Davide il quale prese il microfono salutando e presentando la band composta da lui, Giacomo alla batteria e Jessica alla chitarra.
 «E adesso rallentiamo un po’, gente! Luci, grazie!». Quando le luci illuminarono un punto in mezzo alla pista, Davide continuò: «Fate spazio a Marco e Alisea! Questa canzone è per voi due, ragazzi!». Marco afferrò la mano di Alisea, ancora stordita dall’annuncio, e la trascinò nel cerchio di luce al centro della pista; intanto la folla si era aperta per lasciarli passare.
Alisea aveva già ballato una volta con Marco, quell’estate; ma non con così tanti occhi puntati su di loro. Il ragazzo dovette aver intuito il suo disagio, perché la strinse a sé sussurrandole: «Guarda me».
E così fece.
Marco le cinse la vita con un braccio mentre iniziavano a muoversi sulle note di Thousand Years. Alisea non distolse mai gli occhi da quelli di Marco; annegando piacevolmente in quel verde reso cupo dalle luci al neon. 

 
---
Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate ♥
-ai fantastici recensori ♥
GRAZIE DI CUORE ♥
Ormai non ho più parole per esprimere la mia immensa gratitudine.
Se posso ricambiare in qualche modo, non esitate a chiedere :)

Ora che ho sono in vacanza ho un po' di tempo per concentrarmi sulla storia (finalmente!) e quindi ho voluto aggiornare il prima possibile, visto che in molti avete richiesto un nuovo capitolo. 
Quindi eccolo qui :) spero vi piaccia! 

BUON ANNO AD OGNUNO DI VOI!!

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Capitolo 31
*** 31 ***


31
La canzone sfociò nell’ultima nota.
Marco la strinse a sé con un braccio, depositandole un leggero bacio sulla fronte, mentre la folla esploda in un applauso che i due ragazzi non sentirono tanto erano incatenati uno dallo sguardo dell’altra. Si allontanarono dal centro della sala che il cuore di Alis batteva ancora forte nel suo petto. Sorrise tra sé, mentre stringeva la mano di Marco.
 «Stai bene?» le chiese con dolcezza.
Alis annuì.   
 «Vuoi andare a casa?» le accarezzò un braccio.
 «Ma… Davide…io non credo che…» protestò debolmente.
 «Davide sta finendo. Suonerà un paio di altre canzoni al massimo, ma se vuoi restare non c’è problema».
Ma Alisea non voleva rimanere. Tutto ciò che desiderava era stare con Marco, lo voleva con un’intensità e in un modo a lei estranei.
Gli strinse la mano. «Andiamo a casa».
Salutarono Luca e Claudia prima di uscire; Giulia sembrava scomparsa. E con lei anche il ragazzo che aveva portato quella sera. Marco la trascinò fuori, avvolgendola nel suo abbraccio come a proteggerla dall’aria fredda che sferzava, insieme ai capelli della ragazza, i ricordi di quell’estate magica. Alis si strinse a Marco, chiudendo gli occhi per pochi istanti.
 Stavano attraversando il campo di basket quando videro una nera figura raggomitolata su se stessa sopra una panchina. Il vento le scompigliò i capelli dorati. «Giulia?!» esclamò Marco, tra lo stupito e il sorpreso.
 «È da sola? O sbaglio?» continuò Alis. Ricordava bene che alla festa, Giulia aveva portato un ragazzo con se.
 «Sì, Diego si sarà assentato per qualche minuto».
Solo quando la sentirono singhiozzare capirono che forse quel ragazzo – Diego – non sarebbe tornato. Si avvicinarono alla panchina sulla quale era seduta; le gambe piegate e la testa che sprofondava tra esse. Quando li sentì, Giulia alzò i suoi grandi occhi da cerbiatta. «Che ci fate qui? Andatevene!» la voce strozzata dalle lacrime che provava a fermare.
 «Cosa ci fai tu qui da sola?» iniziò Alis.
 «Non ti riguarda!».
 «Dov’è Diego?» chiese Marco, brusco.
 «Lasciatemi in pace!» esplose, gli occhi arrossati di nuove lacrime.
Marco roteò gli occhi al cielo, afferrò Alisea per un braccio dicendo: «Andiamo». Ma Alis non si mosse; si divincolò dalla stretta del ragazzo e si inginocchiò davanti a Giulia domandandole dolcemente: «Vogliamo solo aiutarti. Dov’è Diego?».
 Nessuna risposta, solo altre lacrime.
 «Accompagniamola a casa» disse Alis rivolta a Marco che sbuffò.
 «Non voglio tornare a casa! Io resto qua! Aspetto Diego! Tornerà, so che lo farà! Abbiamo litigato ma poi torna!» quelle parole pronunciate così ad alta voce sembravano rivolte a se stessa piuttosto che a Marco o ad Alis.
«Hai bisogno di andare a casa» ricominciò Alisea.
 «E se Diego torna e non mi trova? Io resto qua!» la voce resa stridula dall’alcool.
 «Parlerò io con Diego, gli spiegherò tutto».
Giulia parve calmarsi per un attimo, quanto bastava per rispondere in un sibilo: «Mi hai già preso Marco. Non avrai anche Diego».
Alisea sbatté più volte le palpebre, schiudendo le labbra incapace di proferire parola. Marco le venne in aiuto: «Alisea sta solo cercando di aiutarti!».
«Marco, portiamola a casa» disse Alis.
L’espressione del ragazzo trasudava perplessità. «Ma hai sentito cos’ha detto? Come puoi…?».
 «Ho sentito cos’ha detto. Adesso, ascoltami tu; dobbiamo portarla a casa» il suo tono calmo non ammetteva repliche.
Giulia camminava in mezzo a loro, chiusa nelle spalle e lo sguardo fisso sulle scarpe col tacco. Aveva legato i capelli dorati in una coda morbida; il trucco le era colato sotto i grandi occhi scuri facendola sembrare ancora più sofferente. Ogni tanto dalle sue labbra scappava un singhiozzo soffocato. Arrivati di fronte alla casa della ragazza, una villetta a schiera che si affacciava sulla strada che dava sul Lungo-Tevere, Alis disse rivolta a Marco: «La porto dentro».
 «Non vuoi che ti accompagni?».
 «Non è necessario» gli accarezzò una guancia per poi seguire Giulia. Il salotto era semibuio, illuminato solo da una piccola bajoure in un angolo. «Puoi andare» disse Giulia, dandole le spalle.
 «Voglio assicurarmi che tu stia bene».
Giulia si voltò, trafiggendola con lo sguardo. «Perché?». Si avvicinò. «Perché ti comporti così? Non sai cosa provo, tu… tu hai una vita perfetta». Quasi sputò l’ultima parola.
 «So cosa si prova ad essere abbandonati, a non essere accettati. E so che sei stanca di questa situazione e che vuoi star bene. So che non vedi l’ora di essere amata». Le strinse le mani con dolcezza. «E te lo auguro, Giulia, te lo auguro veramente».
 «Ma… perché?».
 «Perché so che tutto ciò che mi hai fatto, l’hai fatto solo perché amavi Marco». E che cerchi quello che c’è in lui in un’altra persona, ma questo non lo disse.
 
Marco non le chiese nulla.
 «Quello che hai fatto per Giulia, non lo capisco, ma… è stato gentile da parte tua» fu tutto quello che disse quando Alis uscì. Marco non riusciva a capire il comportamento di lei. Non sembrava più la ragazzina acida che aveva conosciuto qualche mese prima; era come se avesse abbassato le sue difese. Non che ne avesse avuto bisogno; Marco capiva che era lui la sua protezione quando erano insieme. Le avvolse un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé finché non raggiunsero l’appartamento. La ragazza si sorprese di trovarlo vuoto.
 «È sabato sera. Mio nonno è sceso al bar a giocare a carte e ne avrà ancora per molto» le spiegò. «Hai sete?».
Alisea scosse il capo. «No, ho solo sonno». A quelle parole, Marco le afferrò le mani trascinandola in camera da letto. Alisea andò in bagno per prima, portandosi con sé il pigiama. Con grande sorpresa da parte di lei, Marco fece scorrere il piccolo armadio di fronte a loro scoprendo una porta che conduceva a un bagno privato. Alis entrò, indossando velocemente il pigiama per poi tornare da Marco sdraiato sul letto. La ragazza si gettò su di lui, che l’accolse a braccia aperte. Prima che il ragazzo potesse dire qualcosa, le labbra di lei furono sulle sue nel più lento e bramoso dei baci.
 «Pensavo fossi stanca» riuscì a sussurrarle, accarezzandole i capelli scuri.
 «Non più».
E quando le loro labbra si incontrarono in un nuovo bacio, Marco percepì il desiderio della ragazza crescere in lei. «Sei sicura?».
 «Ho mai fatto qualcosa che non ero certa di volere?» gli sorrise.
 «Ma non ho…»
 «Ci ho pensato io». Detto questo si alzò, avvicinandosi alla borsa che si era portata dietro tirandone fuori un preservativo. «Tu, piuttosto, sei sicuro di volerlo?».
 «Vieni qui» e una volta che fu tra le sue braccia le sussurrò «Ti voglio, Alisea».
La ragazza fu percorsa da un brivido mentre Marco la spostava sotto di se, baciandola disfandosi delicatamente dell’enorme maglia del pigiama. Le labbra di lui scesero, percorrendo il suo corpo fino alla pancia. Alis sentì le dita del ragazzo sfilargli i pantaloni e gli slip. Marco si allontanò quel tanto che bastava per osservarla – o meglio, contemplarla – per qualche istante. I capelli color ebano erano sparsi sul cuscino; le guance arrossate e le labbra gonfie, consumate dai baci. «Sei bellissima» le parole uscirono senza che lui se ne accorgesse, un attimo prima erano pensieri e quello dopo avevano preso vita.
Alis sorrise prima di dire con fare lezioso: «Tu sei ancora vestito». Con un rapido movimento Marco tolse la felpa e la ragazza lo aiutò a sfilare i pantaloni. Altrettanto velocemente, il ragazzo infilò il preservativo per poi sdraiarsi sopra di lei, reggendosi sulle braccia per non essere un peso. Anche se si sforzò di essere il più delicato possibile, Alis non riuscì a trattenere un gemito di dolore quando lo sentì dentro di lei. «Ti faccio male?».
La ragazza scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore. «Sei l’ultima persona al mondo in grado di farmi male». L’attirò a sé, sentendosi per la prima volta assolutamente ed indiscutibilmente completa, perfetta.
 
Alis era appoggiata al petto del ragazzo, che dolcemente le insaponava la schiena spargendole leggeri baci lungo il collo.  «Vorrei rimanere per sempre qui, così» gli confessò, aprendo gli occhi per guardarlo in viso.
 «Anch’io. Ti vorrei sempre con me». Le accarezzò i capelli bagnati. «Forse un giorno».
 «È una promessa?».
 «Lo è. E si avvererà solo se lo desideri anche tu».
 «Sai che non ho bisogno di nient’altro».
 «Ti amo» le sussurrò come il più prezioso dei segreti.
 «Ti amo anch’io» rispose ad occhi chiusi, lasciandosi cullare dalla sensazione di pace che solo lui era in grado di donarle; solo lui era capace di calmare la tempesta dentro di lei.
 
Sognò un bel sogno. E quando aprì gli occhi quella mattina capì di essersi svegliata in un altro sogno.
I deboli raggi del sole filtravano dalle tende color cielo, scaldando la pelle nuda di Alisea. In quel momento, Marco entrò nella stanza vestito di una semplice tuta e una felpa. «Buongiorno» la salutò con un sorriso radioso, sedendosi sul letto accanto a lei. La ragazza gli depositò un leggero bacio sulle labbra. 
 «Stai bene?» le chiese, mentre Alis si infilava velocemente una maglietta a maniche lunghe.
 «Mai stata meglio. Dov’eri?».
 «Sono sceso al bar a prendere la colazione». E gli tese un piccolo sacchetto contenente un paio di brioche calde. «Sono alla marmellata di albicocche».
 «Perfetto» commentò lei, attirandolo a sé in un dolce bacio.
Seduti sul letto, consumarono velocemente la colazione. Dopodiché, Alisea si alzò frugando nella sua borsa alla ricerca di un paio di jeans, sentendo il cellulare che vibrava furiosamente nella tasca interna. Lo afferrò, leggendo sul display: MAMMA. Non se ne preoccupò più del dovuto; era sicura che Christian l’aveva coperta.
 «Ciao, ma’» rispose, allegra.
 «Ti ho chiamata un milione di volte ieri sera!» sbottò la donna.
 «Ero alla festa di Matteo. Te l’avevo detto» la menzogna venne fuori con aria di noncuranza.
 «Non mentire a me! So benissimo dove ti trovi!».
Alisea si impose di rimanere calma; sentì le mani di Marco sulle spalle. «Certo che lo sai, te l’ho detto venerdì sera che sarei rimasta da Christian questo weekend». 
 «Sei a Roma, Alisea!».
Per un istante, la ragazza rimase senza parole. Si rifiutava di pensare che Chris l’avesse tradita. «Io… non…».
 «Sei a Roma, non mentirmi ancora. Andrea mi ha detto tutto».

---
Ringraziamenti:
-ai lettori silenziosi ♥
-a coloro che ggiungono la storia alle preferite/ricordate/seguite ♥
-e ai fantastici recensori ♥

Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) 
da questo momento le cose si complicheranno per i due innamorati.
Adesso lascio la parola a voi ♥

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Capitolo 32
*** 32 ***


Ringraziamenti: ai lettori silenziosi; a coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate; ai recensori ♥ GRAZIE DI CUORE AD OGNUNO DI VOI. 
Ho messo in ringraziamenti in alto questa volta perché mi sembrava più ordinato :) Maaa, a parte questo, spero che il capitolo possa piacervi e di ricevere tante recensioni... 

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Buona lettura. 
32

«Perché non mi hai detto che Andrea è tornato?!» esplose Marco, una volta che Alisea ebbe terminato con sua madre.
 «Perché non mi importa niente di lui». Era ancora scioccata.
 «Be’ ma a lui importa di te a quanto pare! Che cosa ti ha detto quando è venuto a casa tua?».
 «Mi ha chiesto scusa».
Ecco come Andrea riusciva a distruggere momenti perfetti. Alis si promise di prenderlo a schiaffi non appena fosse tornata a casa, insieme alla persona che l’aveva tradita raccontandogli dove si trovava. Non poteva essere stato Christian, si fidava ciecamente di lui. In quel momento il cellulare prese a vibrare nuovamente. CHRISTIAN.
 «Alis, stai bene?» gli chiese l’amico, non appena lei accettò la telefonata attivando il vivavoce.
 «Sì, più o meno. Che cosa è successo? Come ha fatto mia madre a sapere dove mi trovo?».
 «Non ne ho idea. Ieri sera mi ha chiamato appena tornato dalla festa, era furiosa».
 «Ha detto che è stato Andrea».
Quel nome aleggiò tra loro per qualche istante.
 «Andrea? A quante persone hai detto di Marco?».
 «Solo a te» rispose velocemente.
 «Alis, pensaci bene».
 «Andrea non sa nulla di Marco, non da me almeno». Alisea rifletté per qualche istante, ripercorrendo suo malgrado la conversazione avvenuta con il bastardo quella settimana. Era sicura di essere stata attenta a non pronunciare il nome di Marco. Poi le tornò in mente il pomeriggio trascorso con Eleonora e si maledì di averle raccontato tutto del ragazzo di Roma. Eleonora conosceva Andrea, era stata lei che li aveva fatti incontrare mesi prima.
 «Eleonora» sussurrò in un sibilo.
 
Erano le sei del pomeriggio quando scese dal treno. Una fitta pioggia cadeva dal cielo color piombo. Ma non era ancora tempo di tornare a casa.
Prese il bus, fermandosi davanti alla via di Eleonora. Era una villetta graziosa, con un portico in vernice bianca. Alis bussò alla porta, decisa, che si aprì mostrando un’Eleonora senza trucco; i capelli biondi legati in una crocchia disordinata; indossava una felpa enorme e il suo più largo sorriso. «Alis!» la salutò, radiosa. «Vuoi entrare?»
 «Sei una stronza, sai?».
La ragazza sgranò gli occhi celesti. «Di che cosa stai parlando? Che succede?».
 «Tutte quelle domande su Marco, dovevo immaginare che avessi un secondo fine».
 «Alis, non capisco».
 « D’altronde l’hai già fatto una volta, no? Ti ricordi? Quando dicesti a mia madre di questi» e sollevò la manica per mostrarle i tagli. In qualche modo, si rese conto amaramente, il suo passato tornava a tormentarla senza tregua.
 «Quella volta lo feci perché ero preoccupata per te, lo sai» al ricordo i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Alis non si impressionò. «Lo facesti per rovinarmi la vita! E adesso, ancora? Non mi interessa sapere perché hai raccontato di Marco ad Andrea, voglio solo che tu capisca che questa volta non te la caverai così facilmente».
 «Non parlo con Andrea da mesi! Da quando avete rotto!» rispose concitatamente, uscendo nel portico.
 Bugiarda, pensò Alisea. Le guance erano rigate dalle gocce di pioggia, fredde lacrime che non avrebbe pianto.
 
Lo sguardo dei suoi genitori quella sera era incendiato dalla rabbia, le voci tagliente. Dopo aver consumato una cena a base di “ci hai deluso”, Alisea si ritirò in camera. Non si lasciò andare alla tristezza e se proprio doveva provare un’emozione, be’, sarebbe stata rabbia. Per Eleonora.
In quel momento, Marco la chiamò per assicurarsi che stesse bene.
 «Mi dispiace che ti abbiano scoperto».
 «Anche a me. D’ora in poi sarà tutto più difficile». Come se fino ad oggi fosse stato facile, si ritrovò a pensare.
 «Troveremo una soluzione». La sua voce era così determinata che Alis non poté fare a meno di sorridere.
 «Come sempre».
 «Vengo a trovarti io sabato, va bene?».
 «Non vedo l’ora».
Quella notte si girava e rigirava, arrotolandosi nelle coperte, senza riuscire a prendere sonno. L’odio e il disprezzo che provava verso Eleonora erano riusciti a farle dimenticare la notte trascorsa con Marco. Non capiva perché la ragazza si fosse comportata così e forse non le interessava, tutto ciò che le importava era fargliela pagare. Capì che non avrebbe trovato pace finché non avesse trovato un modo per vendicarsi. Si stupì di quei pensieri, lei che era sempre stata facile al perdono.
Ma Eleonora le aveva rovinato la vita. Di nuovo.
E, piano piano, un’idea si fece strada nella sua mente.
 
CHRISTIAN
 «Scusa per l’orario, ma non potevo aspettare».
Era domenica sera, l’indomani ci sarebbe stata la scuola. Ma a Chris non importava. Avrebbe trascorso tutta la notte con Matteo se necessario. Appena aveva ricevuto il messaggio Christian aveva guidato fino al parco, qualche strada dietro la villa di Matteo. L’aria soffiava fredda tra loro e il cielo diventato di un blu talmente scuro da sembrare quasi nero. Qua e là qualche lampione illuminava il parco; un’altalena, un paio di scivoli colorati e un castello di plastica.
 «Non preoccuparti. Di che cosa si tratta?» Chris avrebbe voluto avvicinarsi, ma si impose di rimanere dov’era.
 «Di quello che è successo alla festa».
 «Non capisco» mentì Christian.
 «Invece hai capito perfettamente» sembrava a disagio, lo sguardo ora su Christian, ora sulle proprie scarpe.
 «Voglio sentirtelo dire» lo incoraggiò con un sorriso.
Matteo si guardò rapidamente intorno, poi tutto d’un fiato rispose: «Il bacio».
Ci siamo, pensò Chris. Aveva ripensato più volte al momento in cui le loro labbra si erano incontrate, sperando con tutto se stesso che non fosse stato un errore, che Matteo non fosse ubriaco… ma se fosse stato ubriaco non se ne ricorderebbe, giusto? E poi Christian non capiva come potesse essere stato uno sbaglio. E se anche il primo bacio era stato un incidente, il secondo – era una delle poche cose di cui Chris fosse assolutamente certo - era stato tutt’altra cosa; le loro lingue non potevano essersi toccate per sbaglio.
 «Io…» continuò Matt, passando una mano tra i capelli biondi, arruffandoli.
 «Te ne sei pentito?» chiese Chris in un sussurro, temendo la risposta.
Gli occhi di Matt si spalancarono. «No! No, assolutamente!».
 «E allora cosa ti preoccupa?».
 «È che… cosa accadrà adesso?».
 «Nulla che tu non voglia» lo rassicurò Chris, avvicinandosi con cautela.
 «E tu che cosa vuoi?».
Te, rispose una vocina nella sua testa. Chris sorrise, prendendogli una mano tra le sue. «Facciamo una passeggiata, ti va?» si sforzava di mostrarsi sicuro di sé.
Matteo annuì, stringendogli la mano per poi lasciarla lentamente.
Camminarono fianco a fianco, percorrendo il perimetro del parco, fermandosi di quando in quando ad annegare uno nello sguardo dell’altro. «I tuoi genitori lo sanno?» chiese Matteo.
 «Che cosa? Di te?».
 «No. Intendo, del fatto che sei gay».
Lo sguardo di Christian si incupì. «Sì, lo sanno. E i tuoi?» chiese di rimando, un po’ perché era desideroso di spostare l’argomento.
 «No e forse non ne sono sicuro nemmeno io».
Anche se quelle parole erano state pronunciate con dolcezza, Christian si sentì ferito ugualmente; ma decise di non darlo a vedere. D’altronde, anche lui aveva passato quella fase confusionaria un tempo. In parte lo capiva, e forse era proprio questo che lo faceva soffrire più di ogni altra cosa. «Da quanto tempo pensi di essere gay?» chiese, invece.
 «Poco. È una questione di mesi. E tu?».
 «Questione di anni» sorrise Chris.
 «Quanti?».
 «Cinque».
Matteo si sedette sull’altalena, mentre Chris rimase in piedi di fronte a lui. «Sei mai stato con un ragazzo?».
 «No, mai. Ho avuto qualche storia durante l’estate, ma nulla di serio».
Matteo annuì, dondolandosi lentamente.
 Chris sospirò sonoramente. «Perché mi hai chiamato, Matt?».
 «Come?» il ragazzo alzò gli occhi su di lui.
 «Perché volevi che venissi qui? Solo perché ti dessi qualche consiglio? Per curiosità? Perché?».
 «Cazzo, non lo so!» sbottò, prendendosi la testa tra le mani.
 «Matt, dimmi solo una cosa» Chris si inginocchiò di fronte a lui, afferrando con le mani le corde dell’altalena per mantenersi in equilibrio accucciato com’era. «Perché mi hai baciato?».
 «Perché in qualche modo tu mi attrai».
 «Quindi, vuoi stare con me?».
Matteo abbassò gli occhi, scuotendo la testa per poi alzare lo sguardo su Chris. Nei suoi occhi erano attraversati da un’ombra di smarrimento. «Io…non lo so».
Christian strinse le labbra mentre sentiva il cuore sprofondare. «Bene» disse, con tono secco, alzandosi. «Quando sarai sicuro di ciò che vorrai ne riparleremo».
Si voltò dandogli le spalle e si allontanò.
 
ALISEA
Sebbene Alis avesse previsto tanto scalpore, l’idea non aiutò a prepararla a ciò che avrebbe dovuto affrontare. Aveva pensato ad ogni particolare, rimanendo sveglia fino a tardi. E quando finalmente ebbe finito, dormì poco e male. Non aveva raccontato nulla nemmeno a Marco. Sapeva che il ragazzo non avrebbe approvato. Nessuno avrebbe approvato.
Eleonora seduta dietro di lei non riusciva a frenare le lacrime mentre la preside, che era in classe da una decina di minuti, aveva iniziato uno dei suoi sermoni chilometrici.
 «Ciò che è successo è un fatto molto grave. Non dirò che al colpevole non verrà fatto nulla. Non sarebbe il vero. Ma se confesserà di sua spontanea volontà gli sarà garantito l’anonimato. È vergognoso e provvederò affinché in futuro non si ripeterà».
Ma Alis non si sentiva né in colpa e nemmeno provava vergogna. Scrutava la preside con espressione impassibile, come se l’accaduto non l’avesse scossa minimamente. «Eleonora, vieni con me» la chiamò la preside che stava uscendo. La ragazza si alzò scossa da un paio di violenti singhiozzi.
La professoressa di latino stava per prendere la parola, quando suonò la campanella che segnava l’inizio della ricreazione. Christian le si avvicinò. «È uno schifo. Intendo, ciò che è successo».
 «Se l’è meritato».
Christian roteò gli occhi prima di rispondere: «Alis, non sappiamo se è stata lei a parlare con Andrea. E comunque ciò che è successo questa mattina non c’entra nulla con te e anche se sei arrabbiata con lei devi riconoscere che chi le ha fatto quella cosa è stato un infame».
Alis sorrise, gli occhi illuminati di una luce maligna in contrasto con i lineamenti del suo viso. «Perché sorridi?» chiese, seccato.
La ragazza si avvicinò a lui, sussurrandogli all’orecchio: «Grazie di avermi dato dell’infame».
Chris si allontanò da lei, le labbra schiuse e gli occhi sgranati dallo… stupore? No, era repulsione. Ed era così chiara e lampante che era come se avesse trafitto Alis in pieno petto. «No… Alis che cazzo hai fatto? Ti rendi conto? Sei stata un’idiota».
 «Due insulti in cinque minuti. Grazie, Chris» rispose lei, ironica.
 «Sono serio, Alisea».
 «Anch’io».
 «Perché l’hai fatto? Per la storia di Marco? Ti ho già detto che non sei assolutamente certa…».
 «È stata lei a raccontare tutto ad Andrea» tagliò corto.
 «E tu per vendicarti hai stampato delle foto ritoccate di lei nuda e le hai distribuite in giro per la scuola? Spiegami che cazzo ti passava per la testa in quel momento».
 «Chris…» non aveva previsto questo, pensava che lui l’avesse capita. Non aveva nemmeno sperato in Marco, solo in Christian. Il suo migliore amico, suo fratello non di sangue ma di segreti.
 «Anzi, non spiegarmi nulla. Tu sei pazza». 

 
 

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Capitolo 33
*** 33 ***


33

Da quel momento le cose peggiorarono, irrimediabilmente e con una velocità tale da far passare i piccoli attimi di felicità come un’illusione.
 «Sei sicura di stare bene?».
«Sì, amore».
Anche se erano solo davanti a uno schermo, Alis riconobbe la preoccupazione nello sguardo di Marco.
 «Mah» sospirò, poco convinto della risposta della ragazza.
Alisea non aveva raccontato nulla di quella giornata a Marco. Le parole di Christian di quella mattina erano state taglienti come una lama che continuava a rigirarsi dentro di lei, allargando la ferita. Tu sei pazza, aveva detto. Non voleva che Marco si infuriasse con lei come aveva fatto il suo migliore amico, anche se non era sicura di poterlo ancora definire tale. Non voleva perdere anche Marco. Sapeva perfettamente che il ragazzo non avrebbe approvato il suo comportamento, perciò decise di soffocare quell’avvenimento non parlandone. I problemi nelle relazioni sono causati dai segreti, pensava a volte pur non trovando mai il coraggio di parlargliene. Sperava solo di poter dimenticare.
 «Allora, questo fine settimana vieni a trovarmi? Ho intenzione di prenotare una barca per fare un giro sul lago, poi potremmo…» iniziò Alis, desiderosa di spostare l’argomento.
 «Alisea, non potrò venire a trovarti per questa volta».
 «Come? Ma avevi detto che saresti venuto. Perché?». La ragazza sentì il cuore sprofondare insieme alla speranza di rivederlo.
 «Ho un servizio fotografico».
Alis non reagì. Qualsiasi reazione lui si fosse aspettato non avvenne. Non pianse, non gli urlò contro, qualsiasi cosa sarebbe stata meglio del silenzio in cui era caduta in quel momento.
 «Ti assicuro che mi dispiace davvero tanto».
 «Va bene» si limitò a dire. Ma non andava bene niente.
 «Non fare così, ti prego».
 «Così come? Perché non sto facendo assolutamente nulla!». Sapeva che le lacrime sarebbero arrivate; lo percepiva dalla morsa che le stava attanagliando il cuore.
 «Appunto. Di’ qualcosa».
 «Spero che tu possa trascorrere un piacevole fine settimana. Buona notte».
 
Il giorno seguente a scuola non andò meglio. Eleonora era assente; Christian non le rivolse la parola, limitandosi a ignorarla. Che cosa ho fatto?, pensò più volte. Quel mattino non aveva ricevuto nemmeno un messaggio da Marco. La notte precedente il ragazzo l’aveva chiamata più volte finché non si era decisa a rispondere; la telefonata era sfociata ben presto in una litigata furiosa. Marco non aveva finito di urlarle contro nemmeno quando lei aveva iniziato a piangere pregandolo di smetterla. 
Alis si lasciò andare in un sospiro di sollievo quando suonò la campanella che indicava la fine delle lezioni. Una volta infilata la giacca, tirò fuori dallo zaino l’I-Pod mettendosi le cuffiette nelle orecchie. Cambiò prontamente canzone quando sentì le prime note di Thousand Years. Fu l’ultima a uscire dalla classe, scendendo lentamente le scale che portavano all’uscita. Camminava atterrando lo sguardo sulla strada quando urtò contro qualcuno. «Scusa» si affrettò a dire, alzando lo sguardo e incontrando un paio di occhi scuri. Roberto.
 «So che sei stata tu, lurida troietta».
 «Di che cosa stai parlando?».
 «Rob, non ci avevi detto che era anche stupida» commentò una voce alle spalle di lei. Alis si girò; due ragazzi, uno biondo e l’altro castano scuro, si stavano chiudendo su di lei. Sentì il cuore galoppare nel petto.
 «Lasciami andare. Non so di che cosa stai parlando».
Roberto l’afferrò per le spalle, mentre gli altri ragazzi continuavano ad avvicinarsi. «Non ti dicono nulla le foto ritoccate di Eleonora in giro per la scuola?».
A quelle parole Alis impallidì, sgranando gli occhi. «Io non c’entro niente!» mentì, con voce stridula.
 «Bugiarda! Sei una stronza bugiarda!» le urlò contro. «Hai minacciato Eleonora per una cosa che non ha fatto e poi hai stampato quelle maledette foto!».
 «La tua ragazza non è innocente e adesso lasciami andare!».
Alis provò a superarlo, ma questo la spinse indietro contro i suoi amici. Uno di loro la colpì con un calcio talmente forte sulle gambe da farla cadere a terra. Quando cercò di rialzarsi, Roberto la schiaffeggiò più volte, spaccandole il labbro inferiore.
Il sapore metallico del sangue le entrò in gola.  
 
CHRISTIAN
Ti aspetto a casa mia. Ore 16.00. Spero di vederti.
Chris lesse il messaggio più volte prima di inserire il cellulare nella tasca della giacca; scese dalla macchina, camminando verso il viale che conduceva alla porta d’ingresso dell’enorme villa. Bussò un paio di volte, con decisione.
«Ciao» lo salutò timidamente Matteo, affacciandosi da dietro la porta semichiusa.
«Ho ricevuto il tuo messaggio» esordì Christian, le mani nascoste nelle tasche dei jeans.
 «Non hai risposto, pensavo non saresti venuto».
 «E invece eccomi qui».
Matteo annuì lentamente, poi: «Entra».
La casa era come se la ricordava; l’ingresso si apriva su un immenso salotto collegato alle altre stanze tramite lunghi corridoi. A destra, delle scale di marmo conducevano alle camere. La mobilia era antica e allo stesso tempo conferiva una sorta di serenità. «Siediti» disse Matteo indicando una poltrona e un divano di pelle color nocciola scuro. Chris si tolse la giacca e si sedette sul divano; le dita intrecciate sulle ginocchia. Matteo prese posto sulla poltrona di fronte a lui.
Christian non riuscì a trattenere una risata. «È buffo. Il giorno prima mi dici che sei confuso e ora… questo».
 «Sono ancora confuso» si difese Matteo.
 «Senti, puoi prenderti tutto il tempo che vuoi per pensare».
 «Non voglio tempo, voglio te» i suoi occhi scuri che si allargavano.
 Chris si impose di mantenere la calma. «Anch’io ti voglio, ma voglio anche che le cose tra noi funzionino e questo non potrà essere finché non avrai fatto chiarezza dentro di te».
 «Puoi aiutarmi tu».
 «In che senso?» Chris inarcò un sopracciglio.
Matteo prese un respiro profondo, imporporandosi le guance. «Sto dicendo che dovremmo uscire, frequentarci. La distanza mi confonde ancora di più».
Le labbra di Christian si aprirono in un sorriso; non era propriamente ciò che aveva sperato, ma si gioì di quella piccola vittoria. «Penso che sia un’ottima idea».
Matteo parve rilassarsi. «Ti va’ una sfida a Call Of Duty?».
 «Non piagnucolare quando ti sconfiggerò».
Mentre giocavano, Matteo si sedette vicino a lui, mantenendo sempre una certa distanza. «Mi dispiace che Alis non sia potuta venire alla mia festa».
Chris serrò le labbra mentre sparava a uno zombie sullo schermo della grande televisione.
 «E non è dispiaciuto solo a me» continuò Matteo.
Christian aggrottò le sopracciglia. «Cosa intendi?».
 «C’era un mio amico che chiedeva di lei» spiegò brevemente senza distogliere gli occhi dalla televisione di fronte a sé.
 «Un tuo…?» la domanda gli si spense in gola. «Questo tuo amico si chiama Andrea?».
 «Sì. Lo conosci?».
«Purtroppo» rispose, impostando la modalità stand-by. «Cosa hai detto ad Andrea quando lui ti ha chiesto di Alisea?».
 «Gli ho detto la verità, che era a Roma dal suo ragazzo. Perché tutte queste domande?» Matteo pareva sinceramente confuso.
 «E tu come facevi a sapere che Alisea era a Roma?».
 «Me l’ha detto lei settimana scorsa, nel corridoio. C’eri anche tu».
Ora Christian ricordava. Alis aveva parlato di Marco anche a Matteo. In che modo quest’ultimo conosceva Andrea non riuscì a capirlo; ma Eleonora non c’entrava nulla.
 
ALISEA
Quando aprì gli occhi, il mondo le vorticò intorno così velocemente che Alisea pensò sarebbe svenuta di nuovo. Impiegò qualche minuto per rendersi conto che la stanza dove si trovava non era la sua, eppure aveva qualcosa di famigliare…
 «Alis» la chiamò una voce al suo fianco. La ragazza sussultò quando vide Andrea seduto sul letto al suo fianco; d’istinto, si allontanò.
 «Ehi, tranquilla» le sorrise dolcemente facendo per prenderle una mano che Alisea ritrasse. Quando la ragazza si alzò dal letto la testa prese a pulsarle ad un ritmo assordante, sentì le gambe cedere. Andrea fu al suo fianco, afferrandola per le spalle.
 «Non dovrei essere qui» mormorò; anche parlare le costava fatica.
Il ragazzo le scostò una ciocca di capelli dal viso, sfiorandole una guancia. «Sei esattamente dove devi essere». La condusse verso il letto; seppur riluttante, si sdraiò.
«Perché?» chiese in un sussurro. Che cosa è successo?
«Qual è l’ultima cosa che ricordi?».
La testa non smetteva di tormentarla mentre cercava di collegare gli avvenimenti. «Roberto. Non era solo».
 «No, infatti» la sua espressione si incupì. «Quando sono arrivato ti ho trovato distesa sulla strada mentre quei tre bastardi…».
Il bastardo sei tu, pensò Alis socchiudendo gli occhi. Una buona azione non poteva cancellare tutto il male che le aveva procurato. Ricordava Roberto che la spingeva a terra e i calci degli altri ragazzi. E poi… un altro dolore alla testa. Nient’altro.
 «Poi ti ho portata a casa mia, ho chiamato un dottore».
 «Per quanto tempo ho dormito? Oppure ero svenuta?».
 «Non lo so con certezza. Sei rimasta senza conoscenza per un’ora e poco più» sembrava che il ricordo facesse più male a lui che a lei. «Adesso come stai?».
 «Sono sveglia e questo è un buon segno».
Andrea sorrise.
 «Riportami a casa».
 «Finché non ti riprendi non esci di qui».
Alis sbuffò. «Posso andare in bagno?».
 «Ti accompagno».
 «So dov’è» tagliò corto. Ricordava tutte le volte che era stata in quella casa; improvvisamente le tornò tutto alla mente. Cose che aveva pensato di aver dimenticato le aveva soltanto sepolte dentro di lei; ma adesso tutto riaffiorava. Le sere trascorse in salotto a guardare un film abbracciati; le notti in quella camera quando si addormentavano accoccolati in quello stesso letto in cui si trovava. A quel pensiero, Alis si alzò subito ignorando il dolore alla testa, dirigendosi in bagno trascinando quasi la gamba destra. Si sfilò i pantaloni quel tanto che bastava per notare l’enorme livido bluastro all’altezza della coscia. Si avvicinò poi allo specchio stentando a credere all’immagine riflessa; i capelli erano ridotti a un cespuglio arruffato; il trucco colato, gli occhi smeraldini arrossati, un brutto livido sulla guancia e parecchi graffi sull’altra. Si pulì il viso, pettinando i capelli in una coda morbida. In quel momento, sentì Andrea chiederle: «Alis, posso entrare?».
 «Sì».
Il ragazzo entrò, porgendole il cellulare. «Tieni. È da un’ora che questo dannatissimo coso continua a vibrare!».
Alisea afferrò il cellulare, accettando la chiamata in arrivo senza nemmeno leggere il nome sul display. Non ne aveva bisogno. 

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Capitolo 34
*** 34 ***


34

La voce arrivò preoccupata.
 «Perché non hai risposto alle mie chiamate?».
Alis si inumidì le labbra. «Ero arrabbiata», mezza verità. Per quanto tempo ancora sarebbe andata avanti a raccontargli bugie?
Sentì Marco sospirare lentamente, lo immaginò passarsi una mano tra i capelli, arruffandoli. «Così non va bene, Alisea». La ragazza sentì il cuore diventare pesante come pietra, mentre cercava qualcosa con cui ribattere.
 «No… io… non accadrà più, te lo prometto».
 «So che sei arrabbiata, ma non puoi evitarmi. Lo capisci?» il suo tono si fece più dolce.
 «E tu non puoi fare quello che vuoi!» sbottò.
 «Ma cosa stai dicendo?».
Alis sapeva che Andrea stava ascoltando la loro conversazione, anche se aveva chiuso la porta della stanza rimanendo sola. Abbassò la voce. «Riguardo al servizio fotografico. Non puoi!» e prima che potesse ribattere, la ragazza proseguì: «So per quale motivo lo sai facendo, ma non chiedermi di capire, Marco. So che lo stai facendo per tuo nonno, per te e per noi; però questa cosa ti sta allontanando da me».
 «Amore, ne abbiamo già parlato».
 «No, tu hai parlato! Non posso perdere anche te!» le parole le uscirono senza che ne rendesse conto.
 «In che senso anche me? Alisea, cos’è successo? È da quando sei tornata a casa che sei strana».
Allora ha capito. Alis si torturò il labbro inferiore con i denti. «Niente» mentì «Non è successo niente».
 «Smettila di dirmi bugie, come se non lo capissi!».
Fu Alis a sospirare questa volta. Era inutile continuare a mentire, alla fine avrebbero litigato ancora di più.
 «Amore, parlarne con me. Parlami, ti prego» la incoraggiò con dolcezza.
La ragazza sentì una lacrima scivolare lungo la guancia per poi depositarsi sulle sua labbra, seguita subito da un’altra. «Voglio vederti».
 «Questo lo so, ma…».
 «Ho bisogno di vederti» singhiozzò, non riuscendo a trattenersi.
 «Calmati, fallo per me» quasi la supplicò.
 «Non riesco! Non ce la faccio più, Marco! Ho bisogno di te!» gli urlò contro.
Silenzio.
Alis pensò di aver esagerato. Si era comportata da bambina capricciosa. Cosa sperava di ottenere?
 «Arrivo domattina» rispose infine Marco.
 «C-cosa?».
 «Vengo a salvarti, resisti».
 
 
 «Chi era?» esordì Andrea entrando nella stanza.
 «Nessuno» tagliò corto.
 «A me non sembrava nessuno» sorrise.
 «Mi hai messo tu in questo casino, lo sai, vero? Ma d’altronde è quello che fai sempre. Te ne vai e poi ritorni rovinandomi la vita» la ragazza si alzò, avvicinandosi a lui. «Non importa quello che hai fatto per me oggi. Per ogni tua buona azione ne equivalgono mille stronze e io non sono più disposta a pagare questo prezzo per stare con te».
 «Non voglio che mi ringrazi per quello che ho fatto oggi, sapevo che mi avresti insultato, ma non mi importava» la tenerezza attraversò il suo sguardo, enfatizzando il dolce marrone dei suoi occhi.
 «Di cosa ti importa veramente?» sibilò, a pochi centimetri dal suo viso.
 «Di te» rispose senza esitazione. «Della tua felicità». Si sedette sul letto.
 «Be’, ti preoccupi per nulla» io ho Marco adesso, ora e per sempre avrebbe voluto aggiungere; ma non osò, come se il semplice pronunciarlo in sua presenza potesse profanare il nome del ragazzo.
 «Nessuno si preoccupa per te, nessuno ti capisce».
Per un folle, breve, intenso attimo Alisea credette a quelle parole proferite con tanta noncuranza da apparire come assolutamente vere.
 «Ti sbagli».
 «Ti riferisci al tuo ragazzo, vero? Marco, mi sembri si chiami. Ebbene, dov’è lui adesso? Sa ciò che è accaduto in questi giorni? Sa delle foto di Eleonora? È stato lui a salvarti oggi?».
Lui mi salva in un modo che tu non potrai mai comprendere. Alisea gli voltò le spalle, decisa a non ascoltare una parola oltre.
 «Sai che ho ragione; o, almeno, una parte di te sa che è la verità».
 «Smettila!» sbottò. «Tu non sai niente di me e di Marco! Non lo conosci! Tu non sai niente per il semplice motivo che sei incapace di amare».
Andrea parve ferito, perché abbassò lo sguardo. «Come puoi dire che non provo amore, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, io e te?».
 «Con te ho trascorso i giorni più orribili di sempre e questi ne sono la prova» sfilò velocemente i braccialetti che caddero sul pavimento, mostrando i tagli sui polsi.
 Andrea si avvicinò, afferrandole il braccio, per poi distogliere lo sguardo con gli occhi che gli pizzicavano. «Ho fatto cose terribili, di cui mi vergogno, ma adesso sono qui. Alisea, guardami, sono qui. Quante persone, che hanno commesso sbagli come i miei, possono dire di essersi pentiti e tornati per sistemare le cose?». Alis lo fissava, trattenendo il respiro. Era incredibile come le sue parole si insinuassero in lei, distruggendo tutte le certezze che possedeva; lasciandola vuota, incapace di reagire. «Sono tornato per te. Sei la parte migliore di me, per il semplice fatto che non sei come me». Alis si lasciò accarezzare una guancia, sentendo le dita di lui sfiorarle le labbra. Quando la sua schiena fu percorsa da un piacevole brivido, la ragazza arretrò quel tanto che bastava per evitare che lui la toccasse di nuovo.
 «Se mai provi o hai provato qualcosa per me, allora lasciami andare».
 «Scappi di nuovo, Alisea? Non siamo poi così diversi, dopo tutto». Andrea chiuse gli occhi, sospirando sonoramente. Gli costò fatica riaprirli, Alis lo capì dal suo sguardo triste e dolce al tempo stesso. «Vai».
La ragazza sbatté le palpebre, sconcertata. L’Andrea che conosceva avrebbe dato di matto; l’avrebbe costretta a forza a rimanere, magari urlandole contro.
 «Vai» ripeté, abbozzando un sorriso «Sei libera».
Era davvero cambiato? Oppure, le persone trovavano facile lasciarla andare?
 
Il giorno seguente, a scuola, Alis attese con ansia il messaggio di Marco. Sarebbe dovuto arrivare a momenti. Quella mattina, fu lei ad ignorare Christian, presa com’era dall’imminente arrivo del suo ragazzo. I battiti del suo cuore scandivano il tempo che mancava per rivederlo. Il messaggio arrivò durante la lezione di storia dell’arte, la penultima ora della giornata scolastica. Alis nascose il cellulare dagli occhi della professoressa, mentre leggeva il messaggio.
SONO ALLA STAZIONE. TI STO ASPETTANDO, AMORE.
La ragazza consegnò il permesso d’uscita, prima di raccattare le sue cose sul banco e uscire dalla classe. Attraversò il corridoio di corsa, scendendo i gradini con altrettanta velocità. Quando uscì, le nubi coprivano il cielo; ma per lei sarebbe stata una bella giornata anche se fosse scoppiata una tempesta. Arrivò alla stazione di fronte al lago dopo una decina di minuti. A quell’ora era quasi vuota; non fu difficile trovare il ragazzo, seduto su una panchina con le mani in tasca. Marco dovette aver percepito la sua presenza, perché sollevò la testa incontrando gli occhi della ragazza con i suoi. Si alzò, spalancando le braccia. Alis lasciò cadere lo zaino a terra, correndogli incontro. Marco la fece volteggiare, mentre le schioccava un leggero bacio sulle labbra.
Alis lo ringraziò un’infinità di volte di essere venuto, era così felice che non le sembrava reale. Si allontanarono dalla stazione mano nella mano, passeggiando il riva al lago. La superficie dell’acqua rispecchiava il colore delle nuvole grigie come piombo, increspandosi appena.
«Mi hai fatto preoccupare ieri» le disse, giocando con i suoi capelli. Si sedettero su una panchina di ferro, contemplandosi a vicenda. Alis si sedette sulle sue gambe, avvolgendogli le braccia al collo.
 «Non era mia intenzione. Ho sbagliato, mi dispiace. Mi sono comportata male».
 «Non devi scusarti. Mi manchi tanto anche tu. Adesso come stai?».
«Adesso?» Alis appoggiò la testa sul suo petto. «Sto perfettamente bene».
Marco sorrise stringendola a sé e depositandole un protettivo bacio sulla fronte. La ragazza alzò il viso per guardarlo negli occhi e in quel momento Marco aggrottò le sopracciglia.
 «Che c’è?».
Il ragazzo le accarezzò una guancia con estrema delicatezza, come se avesse paura di farle male. «Che cosa hai fatto qui?». Alis si era dimenticata dei graffi che le aveva procurato Roberto il giorno prima.
Distolse lo sguardo, osservando il lago. Un cigno planò sulla superficie con le sue ali candide, atterrando con grazia. «Oh, quello? Judo».
 «Da quando fai judo?».
 «Ho ripreso da poco» mentì; aveva abbandonato judo da un paio d’anni.
 «Non me ne avevi parlato».
 «Parliamo poco» si difese, desiderosa di cambiare argomento.
 «Adesso possiamo parlare. Voglio che tu mi racconti tutto».
 «Tutto?».
 «Tutto» ripeté lui, con un sorriso. «Ogni cosa che fai, che mangi, che pensi».
 «Perché?».
 «Cosa significa perché? Voglio conoscere tutto di te» il suo sguardo poi si incupì «Te l’ho detto, sei strana; c’è qualcosa che non va». Le passò una mano tra i capelli. «E vorrei tanto che ne parlassi con me».
Alis sospirò flebilmente. Marco non avrebbe ceduto finché non avesse parlato; ma aveva paura a raccontargli ogni cosa. Tralasciò lo scontro con Roberto e i suoi amici; omettendo anche il salvataggio di Andrea. Gli parlò di Eleonora; delle foto che aveva stampato e della reazione di Christian. Mentre raccontava, la sua voce prese a tremare e gli occhi gli divennero lucidi di nuove lacrime. Ma allo stesso tempo, cominciò a sentirsi libera. Si chiese perché non avesse raccontato subito ogni cosa a Marco… poi scoprì il motivo. Quando vide l’espressione di Marco farsi sempre più severa, sentì il cuore diventare pesante mozzandole il respiro.
 «Ti rendi conto di quello che hai fatto?» la sgridò il ragazzo.
Mai come in quel momento Alis avrebbe voluto tornare indietro nel tempo di pochi minuti per cancellare ciò che aveva appena confessato. Solo di pochi istanti da dimenticare perché tornasse tutto perfetto.
 «Non sgridarmi, per favore».
 «Certe volte non ti capisco proprio! Non sai se è stata Eleonora a parlare con Andrea…».
 «È stata lei» affermò con decisione.
 «Va bene, anche se fosse, tu ti vendichi con delle foto di lei ritoccate?».
 «Tu non capisci».
 «Hai ragione, Alisea. Quando ti comporti così non ti capisco e non sono sicuro di volerti capire. Mi sembra di stare con un estraneo, a volte».
 «Sono sempre io!».
 «Pensavo fossi cambiata, pensavo che fossi diventata…».
 «Diventata come? Più comprensiva? Più dolce? Marco, sono sempre io».
Marco scosse la testa, allentando la presa su di lei. No, non lasciarmi.
 «Non sei pentita di quello che hai fatto?».
 «No» rispose con assoluta decisione, non aveva intenzione di raccontargli altre bugie.
Marco sospirò e lei proseguì: «So ciò che ho fatto, era quello che mi sentivo di fare».
 «E se io mi sentissi di lasciarti per tutte le volte che mi fai incazzare, eh?». 


 

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Capitolo 35
*** 35 ***


35

«E se io mi sentissi di lasciarti per tutte le volte che mi fai incazzare, eh?».
Il tempo parve fermarsi. Rimasero istanti interminabili a guardarsi l’un l’altra. Nei loro occhi correva paura, non di perdersi, ma di non riuscire a ritrovarsi.
 «L’hai già fatto una volta» ribatté lei calma, il suo cuore si era fermato.
 «E me ne sono pentito».
 «Allora non minacciarmi mai più di farlo» disse, glaciale.
 «Mai» avvicinò il viso a quello di lei, baciandole una lacrima che le era scappata. «Sai che non lo penso sul serio» le sussurrò all’orecchio.
 «Non ne sono così sicura ultimamente» confessò, la voce tremante.
Marco la strinse a sé, facendole appoggiare la testa sul suo petto. «Scusa, amore, perdonami».
 «Non dirlo mai più, ti prego» lo supplicò lei.
E in quel momento Marco ritrovò la ragazza di cui era innamorato. Ritrovò quella fragilità di cui amava prendersi cura e proteggere. Quella fragilità che lo riportava da lei per salvarla ogni volta.
 «Sono stato uno stronzo». La lontananza gli aveva fatto dimenticare come dovesse misurare le parole con lei; perché Alis, nella sua adorabile ingenuità, aveva l’abitudine a credere a tutto ciò che le si diceva. «Ti amo, ti amo tanto, lo sai vero?».
 «Ti amo anch’io» gli fece eco.
 «Calmati, sei al sicuro adesso».
Alis sorrise, improvvisamente timida.
 «Così va meglio» sussurrò, depositandole un bacio sulle labbra.
 «Mi sei mancato».
 «Anche tu, combinaguai. Perché non me ne hai parlato prima?».
 Alis si strinse di più a lui. «Avevo paura della tua reazione» confessò «avevo paura che… insomma, sì, tu…».
Marco le prese il viso tra le mani. «Non pensarlo neanche. Non c’è cosa che puoi fare che possa allontanarmi da te».
 «Non vale lo stesso per Christian». La perdita dell’amico bruciava ancora.
 «Alisea, era arrabbiato, sono sicuro che…».
La ragazza alzò la testa per guardarlo negli occhi. «Tu non l’hai sentito. Ha detto che sono pazza. Non hai visto il suo sguardo, provava repulsione; per me» lo disse con incredibile distacco, come se non fosse successo realmente.
 «Be’,... sei un po’ pazza».
Alis si allontanò da lui. «Anche tu la pensi così?».
 «Non condivido quello che hai fatto. Hai sbagliato, Alisea. E non dirò il contrario solo per farti star meglio».
 «Tu non capisci». Nessuno ti capisce, le parole di Andrea si insinuarono nella sua testa, destabilizzandola. Provò a scacciare quel pensiero, ma una parte di lei sapeva che era la verità. Più cercava di spiegare le motivazioni per cui aveva agito in quel modo e più Marco sembrava non comprendere. E prima di lui Christian. Nessuno ti capisce. «Nessuno capisce» mormorò più a se stessa che al ragazzo.
 «Sì, va bene, sono stupido e non capisco» sbottò lui, ironico.
 «Pensavo che almeno tu saresti stato dalla mia parte» che mi avresti sostenuta, mia roccia, mia forza. Ma la roccia che l’aveva salvata si stava sgretolando.
 «Sono sempre dalla tua parte! Lo sono da quando ti ho conosciuta, ma questo non significa che devo essere d’accordo con qualsiasi cosa tu faccia. Ti difendo sempre, e lo sai». Marco faceva fatica a trattenere l’irritazione. Era ferita e non doveva permettere a se stesso di dare sfogo all’ira con lei in quel momento. Alis doveva capire che l’amava, come se se ne fosse dimenticata.
 «Tu non mi difendi sempre».
 «Adesso basta, stai delirando».
 «No, è la verità, ieri non c’eri» la ragazza atterrò lo sguardo, incrociando le mani in grembo.
 «Ieri…?». Marco soppesò quella parola per qualche attimo, il tempo per collegare gli avvenimenti. Loro che litigavano, lui che la chiamava per ore e lei… lei che non rispondeva, perché? Perché era arrabbiata; aveva detto. Socchiuse gli occhi. «Dov’eri ieri mentre ti chiamavo?».
 «Ero arrabbiata, te l’ho…».
 «Smettila di mentirmi! Noi chiariamo sempre, anche quando siamo arrabbiati. Ora, dimmi, dov’eri ieri?».
Quando alzò il viso per guardarlo, i suoi occhi erano lucidi e le sue labbra tremavano. «Mi dispiace tanto, io non volevo. Non è stata colpa mia, io…».
 «DOV’ERI?!» quasi urlò.
 «Ero con Andrea» sussurrò.
Marco chiuse gli occhi, ispirando, per poi riaprirli lentamente. «E perché?».
 «Non è come pensi, te lo giuro!».
 «Dimmi cosa cazzo stavi facendo insieme a quello ieri, Alisea!».
Alis fu percorsa da un brivido gelido, nulla a che vedere come quelli piacevoli a cui era abituata quando era insieme a lui. Balbettando di quando in quando, gli raccontò anche di Roberto e dei suoi amici e di come Andrea l’aveva salvata.
 «Quei graffi… judo, vero? Quanto sono stato stupido a crederti».
 «Amore, mi dispiace davvero tanto. Ti prometto che…».
 «Stai zitta!».
Alis si ammutolì. Poche volte il viso di Marco conosceva la collera.
 «Basta, bugie, basta! Ti lamenti che non condivido le tue scelte, ma ti sei resa conto di quello a cui sei andata incontro? Hai pensato alle conseguenze? Qualsiasi cosa fai ti metti sempre nei guai, sei un fottuto disastro, cazzo! Cresci, Alisea, perché io non posso proteggerti da tutto».
Le parole di Marco la ferirono e come sempre quando era ferita, passò all’attacco. «Non devi preoccuparti, mi ha protetto Andrea perché tu sei troppo occupato a pensare ai tuoi stupidi servizi fotografici!».
 «Sai perché lo sto facendo».
 «Ma questo non significa che io condivida la tua scelta, anche tu non pensi alle conseguenze»     Alis si alzò, avvicinandosi al lago, dando le spalle al ragazzo.
 «Sono due cose diverse; le tue scelte ti distruggono».
Sentì Marco avvicinarsi con cautela, quindi rispose: «Anche le tue».
Il ragazzo sospirò, dando un calcio a un sasso lì vicino per poi passarsi una mano fra i capelli scuri. Si alzò il vento, Alis rabbrividì senza darlo a vedere.
 «Fa freddo» disse lui, cupo.
Alis annuì. Marco si avvicinò stringendole le mani tra le sue. «Sei gelata» commentò «andiamo a bere qualcosa».
Quando una lacrima solcò la guancia della ragazza, Marco la strinse a sé sussurrando: «[Risolveremo anche questa.] Non mi arrendo con te».
 
 Alis teneva gli occhi fissi sulla sua tazza di tè, sentendo lo sguardo di Marco su di sé.
 «Sei bellissima, lo sai?».
La ragazza arrossì violentemente a quel complimento improvviso. Avvicinò la tazza alle labbra, iniziando a sorseggiare il tè per nascondere l’imbarazzo.
 «Sei silenziosa» commentò, spostandole un ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio, sfiorandolo appena. «Che cosa succede?».
 «Vorrei che tu fossi sempre qui».
 «Anch’io. Ma ce la stiamo facendo».
 «Non senza litigare» osò dire.
Marco sospirò. «Forse è perché ci amiamo che litighiamo».
 «Litighiamo perché sono un disastro». Gli occhi le pizzicavano di nuove lacrime.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli. «Mi dispiace per quello che ho detto prima».
 «Non devi scusarti, è la verità».
Lui le afferrò la mano con dolcezza. «Alisea, guardami» la ragazza ubbidì alzando lo sguardo per incrociare i suoi occhi «ho esagerato prima, ma non voglio che ti accada nulla mentre io non ci sono. Un giorno saremo sempre insieme, te lo prometto, però fino ad allora non posso vivere sapendoti in pericolo».
 «Non sono in pericolo» lo rassicurò, accennando a un flebile sorriso.
Marco le accarezzò una guancia, quella segnata ancora dai graffi. «Invece sì, e questi ne sono la prova». Il ragazzo si avvicinò a lei, stringendo ancora più forte la sua mano. «Non riesco a sopportare la loro vista sul tuo viso» e, come a conferma di quelle parole, chiuse gli occhi stringendola a sé; il profumo di lei che diventava il suo ossigeno. «Sei così piccola che ho paura di perderti».
Alis trasalì non per la dolcezza nella sua voce ma perché in quelle parole riconobbe il riflesso delle sue stesse paure. Amarsi significava, dunque, essere talmente in sintonia con l’altro da possedere gli stessi timori? Forse l’amore era anche questo. Gli prese il viso tra le mani depositandogli un dolce bacio sulle labbra.
 «Vieni con me, voglio farti vedere una cosa» disse e, prendendogli una mano, lo condusse fuori dal bar verso il piano superiore del battello. Si muoveva lentamente, mantenendosi vicino alla sponda sinistra del lago. Il cielo sopra di loro minacciava pioggia. Alis si avvicinò alla balconata, Marco la seguì abbracciandola da dietro. «Ti ricordi le giornate trascorse nella barca di Davide?».
Alis annuì, sorridendo al ricordo che stavano condividendo.
 «Chiudi gli occhi» le sussurrò.
La ragazza ubbidì, stringendo le mani di Marco tra le sue.
 «Siamo ancora sulla barca di Davide» le mormorò all’orecchio. «Abbiamo trascorso la notte insieme; io ti ho preparato la colazione e abbiamo guardato un film sdraiati sul divano…».
 «Quale film?» domandò, socchiudendo gli occhi.
 «Troy» rispose senza esitazione. «Non aprire gli occhi»
Una volta che lei li ebbe chiusi di nuovo, Marco proseguì: «E ora ci stiamo dirigendo verso l’isola dove ti ho cercata quando sono tornato da Roma».
Alis si appoggiò al petto del ragazzo, cullata dai piacevoli ricordi che lui le evocava. «»
 
Alis era seduta al suo banco, aveva tirato fuori un libro dallo zaino iniziando a leggere per dimenticarsi del mondo intorno a sé.
Christian lo interpretò come un cattivo segno. Le si avvicinò con cautela; quando le sfiorò la spalla per richiamare la sua attenzione, lei alzò lo sguardo su di lui, visibilmente stupita. «Ciao» mormorò, chiudendo il libro.
Il ragazzo si sedette di fronte a lei. «So chi è stato a parlare con Andrea» esordì, senza prendersi il disturbo di chiederle come stava o cosa fosse successo in quei giorni in cui non si erano rivolti la parola; era ancora arrabbiato con lei. «No, non è stata Eleonora» la fermò, prima che Alis cominciasse a parlare.
 «È stata Eleonora! Chi altri conosce Andrea meglio di lei?». La determinazione con cui parlò suonò ridicola alle orecchie di Chris.
 «Matteo» rispose in un sussurro.
Alis sbarrò gli occhi, le labbra chiuse a formare una linea dura in contrasto con i suoi lineamenti. «Non è possibile» mormorò più a se stessa che a lui.
 «Quale motivo ho per mentirti?».
 «Quale motivo hai per dirmi la verità?».
 «Per farti capire che ti sei sbagliata e che ti sei comportata da stronza».
 «Abbandonare gli amici è da stronzi» lanciò un’occhiata velenosa al suo indirizzo.
 «Alisea, hai sbagliato, cosa pensavi che facessi?» le chiese, sospirando sonoramente.
 «Pensavo che…» la ragazza abbassò lo sguardo, cercando le parole adatte. «che…»
 «Che ti avrei difesa» l’anticipò.
 «In un certo senso» ammetterlo sembrò costarle fatica; ma Christian non avrebbe ceduto. Alis era sempre stata impulsiva, ma mai cattiva o vendicativa. Non era arrabbiato con lei, solo deluso, il che era anche peggio.
 «Alis, hai sbagliato…»
 «Me lo dite tutti!» sbottò all’improvviso. «Magari non avrò agito nel migliore dei modi, ma al posto di aiutarmi a rimediare non fate altro che accusarmi! L’unico che capisce è Andrea!» non si accorse di ciò che aveva detto finché non fu uscito dalla sua bocca; troppo tardi.
 «Andrea è l’unico che merita la tua vendetta! Non Eleonora, non io e nemmeno Matteo nel caso ti venisse in mente di spargere foto anche su di lui. È Andrea il bastardo che ti sta distruggendo di nuovo».
 «Andrea mi ha salvata; qualche giorno fa» lo difese.
Quando Christian aggrottò le sopracciglia, la ragazza proseguì nel racconto. Chris aveva notato i graffi sulle sue guance, ma mai era arrivato a pensare che Roberto e i suoi amici fossero capaci di tanto.
 «Avresti dovuto chiamare me, al posto di Andrea» la sua voce improvvisamente preoccupata e apprensiva; in fondo, non era mai stato arrabbiato con lei, una parte di lui sapeva che l’avrebbe sempre protetta qualsiasi cosa Alis avesse fatto. Ma farle capire che aveva sbagliato equivaleva a proteggerla.
 «Non l’ho chiamato io, mi ha trovata. È stato…molto gentile con me».
 «Gentile? Andrea?».
Quando Alis annuì, lui sbarrò gli occhi. «Stai delirando. Non ti ricordi cosa ti ha fatto quando eravate insieme?».
 «Ricordo, ma le persone cambiano, Chris».
 «Andrea no, perché non è una persona; è un mostro».
Christian era visibilmente stupito dal modo in cui Alis difendeva il suo ex. Capiva che si era preso cura di lei qualche giorno prima; che la ragazza si sentisse in dovere di proteggere il suo salvatore? No, non era possibile. Alis non aveva mai smesso di provare qualcosa per Andrea; quale che l’emozione fosse amore o odio, adorazione o rabbia. In ogni caso, quel ragazzo non le era mai stato indifferente.
 «Non puoi accusarlo! Si è scusato con me! si è preso cura di me e non mi ha giudicata come avete invece fatto tu e Marco».
Christian scandì le parole: «Stai lontana da Andrea».
 

*angolo autrice*
Scusate per l'enorme ritardo, spero che non mi abbiate abbandonata. Grazie di cuore a tutti coloro che seguono e recensiscono la storia ♥ 
Dunque, parlando del capitolo, Alisea inizia a difendere Andrea....... non aggiungo altro :) vi lascio immaginare.

Il prossimo capitolo (che sto rivedendo e correggendo in questi giorni) inizierà con un POV CHRISTIAN =) 
A presto

PS: so che in questo capitolo non accade niente di che, infatti i capitoli 35-36 avrebbero dovuto essere un unico capitolo ma ho preferito dividerli perché temevo che la lettura diventasse troppo lunga e pesante

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Capitolo 36
*** 36 ***


[ATTENZIONE: AVVISI IMPORTANTI NELL' «ANGOLO DELLO SCRITTORE»]
Buona lettura.
 
36


Appena Matteo entrò in macchina sorridendo tutti i suoi pensieri si dipanarono, come se non si fossero mai insinuati dentro la sua testa. In quel momento riusciva solo a pensare allo sguardo caldo del ragazzo seduto al suo fianco. Sentiva il proprio cuore tremare nel petto; aveva voglia di abbracciarlo, invece si limitò a ricambiare il sorriso.
 «Ho parlato con Alisea» esordì Christian, immettendosi in strada.
 «Mi dispiace, Chris. Non sapevo che Andrea fosse il suo ex».
 «Tu non hai colpa» rispose, sincero.
 «Non hai fatto pace con Alis?».
 «Non so se ho voglia di parlare ancora con lei».
Matteo sospirò, appoggiando la testa al sedile. Arrivarono al cinema dopo una manciata di minuti. Scelsero, di comune accordo, di vedere Thor; presero i pop-corn per poi entrare in sala. Chris dovette compiere uno sforzo per trattenersi da prendere la mano del ragazzo tra le sue. Non capiva il motivo per cui si sentiva così insicuro. Con Matteo vedeva tutte le sue certezze crollare, solo per costruirne di nuove, insieme. Come se avesse appena scoperto che la terra è rotonda e il cielo infinito. In compenso, Matteo pareva trasudare sicurezza; parlava, sorrideva e finché avesse continuato a sorridere nel cuore di Chris avrebbe regnato armonia. Non riuscì a calmarsi nemmeno quando il film iniziò, ogni tanto i loro sguardi si intrecciavano in un rapido e muto dialogo, impossibile da esprimere a voce; le parole non ne sarebbero state degne. Le loro dita si sfiorarono timidamente per poi stringersi in un solido abbraccio. Un abbraccio che durò finché le luci non si riaccesero. Chris fu sorpreso da una punta di delusione e da un’infinità di dubbi. Raggiunsero il parcheggio parlando animatamente. Una volta saliti in macchina, Matteo si ammutolì all’improvviso. Chris aggrottò le sopracciglia. Stava per chiedergli se stesse bene, quando il ragazzo si avvicinò a lui e lo baciò. L’insicurezza abbandonò il suo cuore che si gonfiò dall’emozione. Ricambiò il bacio, premendo le labbra contro le sue con decisione; facendogli capire quanto lo desiderasse. Si staccarono solo per continuare a baciarsi con lo sguardo, i respiri che si confondevano. Questa volta fu Chris a rimanere in silenzio; Matteo avrebbe parlato, sapeva che avrebbe parlato.
E Matteo parlò. «Fai pace con Alisea».
Chris fu scosso da un moto di delusione. Come faceva a pensare a lei in quel momento? Possibile che anche quel bacio fosse stato un errore? Se l’errore aveva un sapore così dolce, Chris avrebbe voluto che la sua intera vita fosse uno sbaglio.
 «Perché?» un sussurro.
Matteo sorrise. «Perché anche se non sarà facile, voglio farlo; ma ci servono persone che ci sostengano».
 «Vuoi fare cosa?».
 «Voglio essere il tuo ragazzo».
 
Davvero pensava che non l’avrebbero scoperta? Si maledisse per la sua stupidità. Avrebbe potuto prestare più attenzione. In realtà, erano tante le cose che avrebbe potuto fare per evitare quella situazione.
 «Per quale motivo hai falsificato il permesso d’uscita?!» urlava sua madre, seduta sul sedile del passeggero.
Alis guardava davanti a sé i suoi genitori. «Per Marco. è venuto a Como per me».
Suo padre sospirò sonoramente. La preside quantomeno era stata clemente e le aveva concesso di non essere sospesa; la considerava, a causa dei suoi voti, una studentessa modello.
 «Non puoi rovinarti la vita a causa di un ragazzo!» sbottò il padre.
Non è un ragazzo, gridava una voce dentro di lei.
 «Marco non mi sta affatto rovinando la vita. Mi mancava. Non ci vediamo spesso. Non accadrà più, promesso». Avevo bisogno di lui, pensò puntando lo sguardo fuori dal finestrino, verso il cielo color ferro. La pioggia ticchettava con insistenza sui vetri dell’auto; come se stesse parlando concitatamente un linguaggio incomprensibile.
 Suo padre sospirò. «Che non accada più» concluse la madre, ponendo fine alla discussione con gran sollievo di Alisea. Sarebbe crollata ad un’ennesima litigata; aveva bisogno di tornare a casa il prima possibile, nel silenzio della sua camera. Anche se la sua vera casa era in qualsiasi luogo insieme a Marco. Forse l’avrebbe chiamato più tardi, per sorridere sentendo la sua voce.
 «Ah, Alis, aspetta» la chiamò la madre mentre varcavano la soglia di casa.
 «Sì?».
 «Perché non inviti il tuo ragazzo a cena, magari questo fine settimana? Può fermarsi la notte».
Alis sorrise di cuore, gettando le braccia al collo della madre. «Oh, grazie, grazie, grazie! Verrà sicuramente! Ti piacerà, vedrai! Piacerà anche a papà e a Giacomo».
 «Che cosa mi piacerà, Alis?» si intromise suo fratello, visibilmente curioso come può esserlo solo un bambino di otto anni.
 «Vedrai, è una sorpresa» lo stuzzicò, arruffandogli i capelli e, preso in braccio, lo fece volteggiare.
Andò in bagno, si tolse i vestiti bagnati entrando in doccia. Chiuse gli occhi mentre l’acqua calda correva lungo il suo corpo e il vapore riempiva la stanza. Come uscì, avvolgendosi in un asciugamano, il cellulare prese a vibrare. Sorrise, d’istinto.
 «Ciao, amore, come stai?» la sua voce dolce e profonda completò il suo mondo.
 «Sono appena uscita dalla doccia» rispose con una punta di lascività nella voce.
 «Copriti che fa freddo» disse con fare protettivo.
Ecco perché lo amava. Lo amava perché si prendeva cura di lei sempre, quando litigavano o quando erano distanti. Lo amava perché aveva baciato i suoi polsi prima di arrivare alle sue labbra. Lo amava perché la rispettava; e lui, ancor prima di amarla, la venerava.
E glielo disse. «Ti amo».
 «Ti amo anch’io» le fece eco con dolcezza, come se fosse un segreto che solo lei era in grado di comprendere. «Raccontami di oggi» voleva sapere tutto di lei; in modo da lenire il dolore causato dalla distanza, persino cosa indossava in quel momento.
 «La preside ha scoperto che ho falsificato la firma per riuscire a vederti».
Sentì Marco soffocare una risata. «Combinaguai», l’apostrofò.
 «Non mi hanno sospesa!» si difese, sorridendo.
 «Meno male. Non voglio che ti metti nei guai per causa mia».
 «Me la sono sempre cavata».
Marco sospirò. «Non quando ti sei tuffata dalla scogliera, quest’estate».
Al ricordo, Alis fu percorsa da un brivido. «Be’, in un certo senso, è stato l’evento che ci ha fatto avvicinare di nuovo».
 «Sarei tornato da te lo stesso».
 «Ti avevo rifiutato».
 «Non mi sarei arreso. Dal primo momento che ti ho vista sapevo che saresti stata mia».
 «Non sapevo fossi un sensitivo» scherzò.
 «No, non era questo. Era come una specie… di connessione».
 «Lo sono. Sono tua. Per sempre».
In quel momento Alis, attraverso una specie di connessione, era assolutamente certa che Marco stesse sorridendo.
 «Amore, devo andare, ti richiamo più tardi. Ah, sei invitato a cena da me sabato sera».
 «Ci sarò» e qualcosa, nella sua voce, la fece suonare come una promessa.
 
Alis prese un profondo respiro prima di premere il citofono. Le sembrò che fossero passati minuti interi prima che Eleonora aprisse. Vedendosi, entrambe sbarrarono gli occhi. La ragazza non si aspettava di certo quella visita e Alis non l’aveva mai vista in quello stato. Indossava una felpa di Roberto probabilmente, visto che era decisamente troppo grande per lei. I capelli biondi erano raccolti in una coda disordinata; il viso scavato e gli occhi arrossati.
 «S-so che non dovrei essere qui per…per tante ragioni; ma…».
 «Ma sei qui» concluse, le labbra chiuse in una linea dura. «Perché?».
 «Perché sei innocente» si sentiva piccola sotto il suo sguardo vacuo. «È stato Matteo a parlare con Andrea, non tu».
 «Alis, perché avrei dovuto tradirti? A che scopo?» non le lasciò il tempo di formulare una risposta perché proseguì: «Non sono gelosa della tua vita e nemmeno della tua storia con Marco. Quindi, perché avrei dovuto tradirti?».
 «L’avevi già fatto una volta e pensavo che…».
 «Le persone cambiano, Alisea. Guardati intorno; siamo cresciuti tutti. Christian, Matteo e io. Tu, invece, sei rimasta la stessa».
Alis sentiva gli occhi pizzicare, mentre quelli di Eleonora rimanevano immutabili. «Mi dispiace, ti giuro che mi dispiace. Ho sbagliato e se me ne darai l’opportunità…».
 «È troppo tardi. Ho trascorso giorni di merda chiusa qui dentro per colpa tua. Ora, ho un motivo per tradirti».
 
Alis sussultò quando si sentì afferrare il braccio. Si girò velocemente incontrando gli occhi celesti di Christian. Fu percorsa dal famigliare impulso di gettargli le braccia al collo.
 «Posso parlarti?».
Alis annuì, mentre lo seguiva poco lontano dall’ingresso della scuola. Mancavano pochi minuti all’inizio delle lezioni.
 «Dimmi».
 «Mi manchi. E non so come sia possibile visto che sei una combinaguai di prima categoria e…». Alis non lasciò che terminasse perché fu subito tra le sue braccia; senza stringerlo a sé come faceva con Marco. «Mi machi anche tu» rispose, prima di scogliere l’abbraccio.
 «E… devo dirti anche un’altra cosa» mormorò Chris, abbassando lo sguardo.
 «Devo preoccuparmi?».
 «No, assolutamente!» esclamò, alzando lo sguardo su di lei. «Io e Matteo stiamo insieme».
La ragazza aprì le labbra in un largo sorriso, per poi portarsi le mani alla bocca, visibilmente stupita. «State insieme in che senso? Proprio, insieme insieme?».
Chris non riuscì a trattenere una risata. «Sono suo e lui è mio. Quale altro senso dovrebbe esserci?».
 «Ma è una cosa fantastica! Sono troppo felice per te, cioè per voi!».
 «Lo sono anch’io». E in quello sguardo, Alis scorse una lacrima di pura gioia.
Dopo essersi scambiati un secondo abbraccio si diressero verso l’ingresso della scuola.
«Ho parlato con Eleonora, ieri» disse la ragazza.
 «Cosa le hai detto?».
 «Mi sono scusata, ma … è arrabbiata, Chris, e ha ragione».
 «Le passerà».
  «No, penso mi abbia minacciata».
Chris scoppiò in una fragorosa risata. «Minacciata? Alis, dovresti rilassarti di più. Cosa vuoi che faccia?».
Alis stava per rispondere quando venne loro incontro la preside con passo deciso. Si fermò di fronte alla ragazza, dicendo con voce glaciale: «Galeazzi, nel mio ufficio immediatamente».
 
---
Ciao, caro lettore, e grazie d’essere arrivato fin qui.
prima di tutto, ringrazio di cuore tutti i recensori vecchi e nuovi e a tutti coloro che seguono la storia ♥ Mando un bacio enorme ad ognuno di voi.
Mi sono soffermata a scrivere «l’angolo dello scrittore» per informarvi che la storia, o almeno questa prima parte della storia, finirà con il CAPITOLO 40 circa (capitolo più, capitolo meno).
Dopodiché inizierò la stesura (e pubblicazione) della seconda parte con la revisione della prima.
 
Una seconda informazione, credo più importante: ho intenzione di pubblicare “è sempre estate sotto il mare” come libro vero e proprio. Se tutto va secondo i piani, credo che per quest’estate il libro sarà pronto.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Aspetto vostre recensioni.
Se volete che vi lasci una recensione alla vostra storia, chiedetemi pure o via messaggio oppure nella recensione che scriverete.

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Capitolo 37
*** 37 ***


37


Alis trattenne le lacrime finché non fu in camera sua. Le trattenne durante tutto il discorso della preside e durante la litigata per i suoi. Trattenne il pianto perfino quando suo padre prese ad urlarle contro. Quando, nella fase più acuta della discussione, i suoi occhi iniziarono a pizzicare Alis capì che se avesse parlato le sue parole si sarebbero trasformate in lacrime. Così tacque.
 «Sei un’irresponsabile! Che ti è preso? Perché l’hai fatto?».
Il silenzio fu la risposta della ragazza. Pensò a Eleonora, era felice in quel momento? Gongolava della sua vendetta? Quella mattina presto Eleonora e il suo ragazzo avevano raccontato che le foto di nudo della ragazza sparse per la scuola settimane prima erano opera di un fotomontaggio di Alisea. La preside aveva convocato nel suo ufficio Alisea, insieme a Eleonora e a Roberto. Il ragazzo era più determinato rispetto ad Eleonora, che spostava lo sguardo da Alis al pavimento come se fosse stata lei l’accusata. Gli occhi scuri di Roberto, invece, scoccavano occhiate cariche d’odio e disprezzo contro Alisea. E alla ragazza non era rimasto altro se non confessare. Basta bugie, si era detta, stanca di mentire. Quando la preside aveva chiamato i suoi genitori, Alis aveva iniziato a  vedere la stanza vorticare intorno a lei, ma non si era opposta, non aveva implorato né pianto. Aveva invece preso un profondo respiro e la stanza aveva smesso di girare.
Alisea salì i gradini che portavano alla sua camera lentamente. Le accuse e le grida dei suoi genitori pesavano su di lei, rendendo le gambe all’improvviso troppo pesanti per salire. Si chiuse la porta alle spalle, sedendosi sul pavimento freddo, non sentendo più nulla, fissando il vuoto.
Una settimana di sospensione. I suoi voti in quel periodo non erano dei migliori; quell’anno non aveva aderito a nessuna attività extra per i crediti e adesso questo che andava a pesare sulla valutazione del suo comportamento. Il suo quarto anno di liceo non era iniziato nel migliore dei modi. Da studentessa modello era diventata una ragazzina ribelle, senza neppure volerlo. Non faceva in tempo a superare una tempesta che se ne prospettava subito un’altra all’orizzonte; più forte e più distruttiva.
Appoggiò la testa contro il muro, chiudendo gli occhi, lasciando che le lacrime le rigassero le guance, godendosi il silenzio che la sua camera le offriva. Ecco ciò di cui aveva bisogno: pace. Ma che quello fosse il doloroso percorso per redimersi? Capì in quel momento che chiedere scusa non era sufficiente. Il tuo dispiacere non potrà mai sanare le ferite che le tue azioni hanno provocato agli altri.
E mentre piangeva tutte le lacrime che aveva trattenuto, il suo cellulare prese a vibrare. Appena lesse il nome sul display, si asciugò velocemente le lacrime, tirò su col naso e rispose.
 «Ciao, amore» la salutò Marco, solare.
 «Ciao» ricambiò, sperando che il ragazzo non si accorgesse delle sue lacrime.
 «Che succede? Stai bene?».
Si morse il labbro, esitando. Stava per rispondere che sì, stava bene; quando pensò basta bugie. «No, Marco» singhiozzò suo malgrado.
 «Tesoro, ti prego non piangere. Andrà tutto bene. Ci sono io, ci sono io».
Ma Alisea aveva trattenuto le lacrime per troppo tempo e non riuscì a fermarsi. Marco non si arrese: «Calmati, amore mio. Va’ tutto bene. Non preoccuparti. Io sono qui». E continuò a sussurrarle dolci parole, con dolcezza e pazienza, finché lei non ebbe pianto tutte le sue lacrime.
 «Brava, così» le disse una volta che si fu calmata. «E adesso spiegami che cosa è successo».
La ragazza prese il controllo di sé ed iniziò a parlare con voce ferma. «Ho chiesto scusa ad Eleonora. Questa mattina lei e il suo ragazzo hanno raccontato alla preside che le foto sono opera mia. Sono sospesa per una settimana. Avevi ragione, Marco».
 «Riguardo a cosa avevo ragione?».
 «Sono un fottuto disastro».
 «No, amore. Io sono così orgoglioso di te».
 Alis inarcò le sopracciglia, confusa e lusingata da quelle parole. «Orgoglioso?».
 «Sì. Sono orgoglioso perché hai chiesto scusa a Eleonora quando hai capito di aver sbagliato».
 «Ma adesso…».
 «Adesso devi aspettare. Stai tranquilla, io ci sono. Ci vuole tempo perché le cose si sistemino. Nemmeno un angelo di ragazza come te può fare più di così».
Alisea sorrise per la prima volta quel giorno. «Non vedo l’ora di vederti».
 «Giuro, ti abbraccio e non ti lasciò più».
 
 Quando, quel pomeriggio, si incontrarono Matteo aveva un’espressione malinconica. I suoi occhi cadevano spesso sull’asfalto.
 «Cosa succede, Matt?» gli chiese Christian, avvolgendogli le spalle con un braccio. I passanti non ci fecero caso; per loro appariva come una stretta amichevole.
 «Come hanno reagito i tuoi genitori quando gli hai detto di essere gay?».
 «Bene. L’hanno accettato subito».
A quella risposta, lo sguardo di Matteo si fece nuovamente cupo e Chris preferì lasciarlo in silenzio, confortandolo solo con la sua stretta. Quando si sedettero su una panchina che dava sul lago, Christian osò chiedere: «Hai intenzione di dire ai tuoi che sei gay?».
 «L’ho già fatto» mormorò. Matt proseguì: «Mia madre è scoppiata a piangere».
 «Mi dispiace» sussurrò Christian, stringendogli una mano.
 «Oh, non è lei che mi preoccupa. Ha pianto, ma poi ha capito. Penso che sia stata una reazione normale, la sua».
Christian sospirò prima di osare domandargli: «E tuo padre, invece?».
 «Mio padre è rimasto in silenzio. Si è chiuso nel suo ufficio e non è più uscito» poi guardò Chris e sorridendo aggiunse: «Spero che capisca anche lui».
 «Dagli tempo».
Gli occhi di Matt iniziarono a pizzicare. «Non voglio perderlo, non di nuovo, Chris».
 «Cosa significa “di nuovo”?». Vederlo in quello stato era una tortura, ma sapeva che Matteo aveva bisogno di parlarne.
 «I miei genitori si sono separati per dieci anni. È da cinque anni che mio padre è ancora con noi. Non voglio che se ne vada a causa mia. Io potrei superarlo, ma mia madre non ce la farebbe».
Chris tese le braccia verso di lui, attirandolo a sé. Matt appoggiò la testa sul suo petto. «Sei un bravo ragazzo, Matteo. Sei dolce, simpatico, determinato. E questi sono solo alcuni motivi per cui mi sono innamorato di te».
 «Pensavo ti fossi innamorato di me per la mia bellezza disarmante» scherzò e quando sorrise, Chris sentì il cuore farsi improvvisamente più leggero. Si abbassò per baciarlo e quando le loro labbra si incontrarono il mondo intorno a loro si confuse così tanto che a Christian parve di volare. Avrebbe voluto portargli via il dolore con quel bacio, ma persino l’amore non ha quel potere.
 «Sta per piovere» disse Matt, una volta che si furono staccati.
 «Andiamo in macchina allora».
Camminarono abbracciati fino al parcheggio. A metà strada iniziò a piovere qualche goccia e quando salirono in macchina erano fradici. Chris accese il riscaldamento, poi lanciò un’occhiata a Matteo. I capelli biondi sembravano scuri ora che erano bagnati e i suoi occhi non erano mai stati più luminosi.
 «Dove vuoi andare?» gli chiese Chris.
 «A casa a farmi una doccia, ma a casa tua».
Christian sorrise, immettendosi in strada.
 
Chris uscì dalla doccia entrando in camera con addosso una felpa e una tuta. Trovò Matteo che osservava incuriosito la stanza. Si fermò ad ammirarlo. Indossava i suoi vestiti; una felpa blu e un paio di jeans un po’ larghi per lui. Matt si guardava intorno incuriosito, con quegli occhi grandi che scrutavano qualsiasi cosa. In quel momento gli ricordava un bambino. E forse un po’ lo era, con la sua incontrollabile allegria. Lo vide avvicinarsi allo stereo e sfogliare la numerosa collezione di CD. Ne scelse uno inserendolo nello stereo. Christian non poté fare a meno di sorridere quando riconobbe le note di Same love di Macklemore. Chris gli si avvicinò, abbracciandolo da dietro: «Scusa se ci ho messo tanto».
 «Ora sei qui» gli scoccò un bacio sulla guancia, prendendo a canticchiare: «My love, my love, my love».
Christian gli lasciò un bacio sul collo, per poi spostarsi verso le sue labbra trascinandolo a letto. Matteo stava ricambiando il bacio, quando la madre di Chris entrò nella stanza.
 «Oh, perdonatemi ragazzi!».
 «Mamma» la salutò Chris, alzandosi dal letto. Si avvicinò alla donna depositandole un bacio sulla guancia. «Lui è Matteo, il mio ragazzo».
 «Buonasera, signora Bianchi» le sorrise, allungando timidamente la mano.
 «Oh, chiamami Anna e dammi del tu, ti prego» e detto questo gli diede un veloce abbraccio. «Avete fame? Posso prepararvi qualcosa come merenda».
 «Mamma, sono le sette e mezzo e Matteo deve andare» sospirò Chris, con un sorriso.
 «Quanto è noioso mio figlio! Senti, sei invitato a cena da noi sabato sera, va bene? Sapevo che saresti stato d’accordo! Grandioso!».
Matteo si limitò a sorridere, mormorando un “ci sarò”.
 
Sabato mattina Marco e Alisea, seppure distanti, si svegliarono con il sorriso. Marco si svegliò presto, salutò suo nonno, inviò un messaggio alla sua ragazza augurandole una buona giornata e andò a correre al parco per quasi un’ora. Tornato a casa, fece la doccia e i compiti. Studiò chimica per gran parte della mattinata. Alisea si svegliò tardi quella mattina, rispondendo al messaggio di Marco alle dodici e mezzo. Il ragazzo sorrise, con il cuore che impazziva di gioia dentro di lui.
 «Stasera vai da Alisea?» gli chiese il nonno durante il pranzo.
 «Sì» sorrise «torno domani mattina».
 «Saluta Alisea da parte mia».
 «Lo farò» promise.
 «Falla venire a Roma più spesso. Mi piace quella ragazza».
 «Un giorno verrà a Roma e non andrà più via. Resterà qui per sempre».
Il nonno sorrise nel vederlo così felice.
Dopo pranzo, Marco fece velocemente la valigia ricontrollandola per essere certo di non essersi dimenticato nulla. Salutò il nonno e uscì di casa. L’aria, seppure il cielo fosse coperto da cupe nubi, era ancora pesante. Si diresse dal fiorista più vicino comprando un enorme mazzo di rose rosse e profumate. Si stava dirigendo alla stazione, quando il suo cellulare prese a vibrare fastidiosamente nella tasca dei jeans. Il cuore di Marco perse un colpo quando lesse il nome che lampeggiava sul display. No, no, vi prego; in qualsiasi momento ma non adesso! Il suo primo istinto fu quello di scagliare il cellulare il più lontano possibile.
 «Pronto?» rispose seccamente.
 «Ciao, Marco. Ti aspettiamo tra un’ora al solito posto per un servizio fotografico» disse una voce maschile, probabilmente uno dei fotografi.
 «Come? Tra un’ora?».
 «Anche tra meno, se è possibile».
 «No! Non è assolutamente possibile! Stasera non posso!» quasi urlò.
 «Tu devi venire» rispose, glaciale, senza scomporsi.
 «Non stasera, ti prego. Ti supplico».
 «L’articolo deve essere pronto per lunedì. Abbiamo bisogno di te immediatamente».
E io ho bisogno della mia ragazza, avrebbe voluto ribattere, ma sapeva che con quella risposta non avrebbe ottenuto nessuna concessione. «Facciamolo domani, ti prego. Puoi anche non pagarmi per questa volta».
 «Facciamo che tu vieni entro un’ora oppure con noi hai chiuso».
Marco fece cadere i fiori; il mazzo si sciolse e le rose finirono sparse sul marciapiede. Alcuni petali furono trascinati via dal vento, in dolci vortici. 
---
Ed eccomi qui dopo quasi un mese di pausa!
*yee* 
Vi sono mancata? Ma, soprattutto, vi mancava la mia storia? 
*cri cri cri cri*
Okay, allora, parlando del capitolo... ho pianto scrivendo l'ultima parte e anche la scena di Chris e Matteo T__T quanto sono amabili, quanto? 
Spero di aver fatto emozionare anche voi.
Ne approfitto per augurarvi buona Pasqua.

PS: vi ricordo che mancano 3 capitoli alla fine :)

Aspetto le vostre opinioni sul capitolo.
 

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Capitolo 38
*** 38 ***


LEGGETE-E RISPONDETE- LA DOMANDA SOTTOLINEATA NELL’ANGOLO AUTORE. CI TENGO DAVVERO MOLTISSIMO.
GRAZIE.

BUONA LETTURA.
 
 
38
 
 «Ciao, Alisea» la salutò al telefono.
 «Ciao, amore! Come stai? Sei in treno? Non vedo l’ora di vederti!».
 «No, tesoro, non sono in treno».
 «Ah. Allora stai andando alla stazione?».
Marco sentì gli occhi bruciare. «Ascolta, amore…».
 «Dimmi».
 «Possiamo rimandare la cena a un’altra volta?».
 «Perché? Cos’è successo? Stai bene?» odiava farla preoccupare così tanto, prima l’avesse saputo e meglio sarebbe stato per tutti. Si sarebbe arrabbiata, avrebbe dato di matto, l’avrebbe supplicato di… no, lei non supplicava mai. Gli urlava contro ma non elemosinava mai il tempo con lui.
 «Mi ha chiamato il fotografo e…».
 «Marco, dimmi che è uno scherzo. Uno scherzo di cattivo gusto, certo, ma pur sempre uno scherzo. Dimmi che sei in treno. Dimmi che stai venendo da me» sentiva la voce della ragazza tremare e si odiò per com’era e per le scelte che aveva fatto. Ma non poteva tornare indietro.
 «Non dire così. Mi dispiace tanto, credimi, amore».
 «Non chiamarmi in quel modo! Tu non sai niente né dell’amore né di me! Tu non ci sei mai!».
Marco si sforzò di tenere un tono di voce calmo. «Non dire così solo per ferirmi. Sapevi che questa relazione non sarebbe stata facile. Dobbiamo resistere, essere forti e un giorno…».
 «Basta promesse vuote, Marco. Io voglio essere felice ora. Sono stanca di essere forte» la sentì singhiozzare e non riuscì nemmeno lui a frenare le lacrime che iniziarono a scendere silenziose, una alla volta, lentamente.
 «Puoi essere forte per me? Se non per te stessa, fallo per l’amore che provi per me».
 «Mi stai facendo male» si lamentò come se le stesse contorcendo il braccio, quando il realtà le stava stringendo il cuore, troppo forte.
 «Mi farò perdonare».
 «Non ho bisogno di promesse, ho bisogno di te».
 «Anch’io».
 «No, tu hai bisogno di soldi. Altrimenti adesso saresti sul treno».
 «Ti ho spiegato milioni di volte perché ho accettato» stava per perdere la pazienza, era sbagliato e lo sapeva, ma non riusciva più a trattenersi.
 «Per tuo nonno e per noi. Ma non ci può essere un noi se non sei mai con me».
 «C’è un noi, Alisea. C’è e ci sarà sempre».
 Marco la sentì singhiozzare. «Non ne sono più così sicura».
  «Devi crederci» quelle parole suonavano ridicole alle orecchie di entrambi.
  «Dammi qualcosa in cui credere».
  «Un giorno staremo insieme per sempre, non dovremo più separarci».
  «Basta! Devi smetterla di illudermi!».
  «Non voglio sentirti piangere».
  «Tranquillo, non mi sentirai mai più in assoluto!».
E si ritrovò solo con le sue lacrime.
 
Sola. L’aveva lasciata sola, ancora una volta. Era la prima volta che aveva dei dubbi riguardo a Marco. Era certa di amarlo più di quanto amasse se stessa, ma ultimamente quell’amore le procurava solo ferite. Si sentiva sola, confusa e aveva bisogno di un consiglio. Appena si asciugò le lacrime, ne piovvero di nuove sul suo viso.
Non riusciva ad essere forte, gliel’aveva detto. E glielo diceva anche lui quell’estate; “sei fragile”. La verità che aveva paura ad ammettere era che non era abbastanza forte per una relazione a distanza, fatta di promesse di felicità che diventavano irraggiungibili. Questi pensieri la spaventarono, incatenandola al letto, immobile come pietra ma piena di voglia di amare qualcuno che in quel momento non era con lei. Non si era mai sentita così sola ed incompresa da quando stava con Marco. Dov’era finita quella connessione naturale che li aveva legati per tutto quel tempo? Era semplicemente nascosta oppure sparita per sempre? Era solo un periodo o l’inizio della fine? Non riusciva a trovare risposta.
Aveva bisogno di qualcuno. Qualcuno che l’ascoltasse o che la distraesse dalle domande che si accavallavano nella sua mente. E se nessuno fosse venuto da lei, sarebbe andata lei stessa da qualcuno. Ma chi? Christian era a cena con Matteo; con Eleonora aveva litigato e i suoi genitori erano arrabbiati con lei, a buon ragione. Rimaneva solo…
In un primo momento allontanò quel pensiero, per poi riconsiderarlo con calma. In fin dei conti, quella persona era tornata da lei chiedendole scusa, l’aveva soccorsa quando Roberto e i suoi amici l’avevano attaccata e l’aveva ascoltata quando lei gli aveva chiesto di andarsene per sempre dalla sua vita. Però mi ha spiata rivelando ai miei genitori che ero a Roma con Marco. Perché l’aveva fatto? Per proteggermi. Per proteggermi da una relazione che mi sta solo facendo soffrire.
Dopo un’ora di tentennamento si alzò andando in bagno, si fece una doccia lavando via il dolore e indossò una maglietta a righe, jeans e felpa. Si avvicinò allo specchio mettendo solo il mascara; prese la piccola borsa; mise le Converse nere e la giacca. Salutò i suoi genitori promettendo loro che non avrebbe tardato e uscì stringendosi nelle spalle.
 
Christian osservò  Matteo ridere di gusto alla battuta del padre e pensò che non esistesse al mondo melodia migliore. Anna servì la crostata di mirtilli con un bagliore d’orgoglio negli occhi blu.
 «È davvero buonissima, Anna» si congratulò Matteo non appena ne ebbe assaggiata una fetta.
 «Ti ringrazio, caro. Spero ti sia piaciuto anche il resto».
Avevano cenato con il risotto ai funghi e arrosto con patate cotte al forno. Matteo annuì, abbozzando un sorriso.
 «Lo dice solo per gentilezza, mamma» scherzò Chris.
 «Almeno lui è gentile al contrario di te» ribatté Anna con un sorriso, poi rivolta a Matteo: «Come fai a stare insieme a mio figlio? È così…!».
 «Insopportabile?» concluse Matteo con una risata. Christian gli diede un pugno affettuoso su una spalla, poi Matteo gli scoccò un bacio sulla guancia. I genitori di Chris li guardarono sorridendo della loro felicità.
Dopo cena, Matteo aiutò Anna a lavare i piatti; mentre Chris e il padre si sedettero in divano a guardare la televisione.
 «Grazie, caro» disse Anna quando Matteo finì di pulire un bicchiere riponendolo nella credenza.
 «Lo faccio volentieri».
 «Mi riferivo a Christian».
 «Faccio volentieri anche quello».
 «E non sai quanto questo mi renda felice. Sei un bravo ragazzo e Christian è così fortunato ad averti conosciuto».
Matteo distolse lo sguardo, arrossendo. «Sono io quello fortunato» mormorò.
Quando ebbero finito con i piatti, si sedettero tutti e quattro al tavolo in salotto giocando a Monopoli. A metà partita, Christian, che stava perdendo miseramente, andò in cucina tornando con due bottiglie di birra.
 «Devi pagarmi, Chris» gli disse Matteo indicando la casella su cui Chris si era fermato.
 «Di nuovo? Quanto?» sospirò.
 «Centocinquanta euro» sorrise Matt.
 «Ti offro una birra» scherzò Chris.
 «Tienitela pure, la birra e dammi i soldi che mi spettano».
Christian sbuffò lanciandogli le banconote di carta.
La partita si concluse con la vittoria del padre di Christian. Si alzarono salutandosi con calorosi abbracci, poi Chris accompagnò Matteo a casa.
 «Hai conquistato i miei stasera» gli disse Chris una volta che furono in macchina.
 «Ne sono felice. I tuoi genitori sono fantastici».
 «Scommetto che lo sono anche i tuoi» lo consolò stringendogli una mano.
Matteo scosse la testa, per poi cambiare argomento: «Sei pessimo nei giochi da tavolo».
Chris parcheggiò poco distante dalla villa di Matteo. Il ragazzo si sporse verso di lui, premendo le labbra sulle sue.
 «Grazie, amore» mormorò Matteo.
Amore. Christian sorrise mentre le loro labbra si stavano ancora accarezzando e gli passò una mano nei capelli, scompigliandoglieli. «Grazie a te. Buonanotte».
Matteo scese dalla macchina, dirigendosi verso il cancello di casa sua girandosi ad osservare Chris di tanto in tanto. Giunto al cancello salutò Christian con una mano ed entrò. Appena varcò la soglia di casa i suoi genitori gli furono immediatamente addosso. La madre si stringeva tra le braccia del marito in un’espressione angosciata.
 «Mamma, papà, ciao» li salutò, ignorando i loro sguardi accusatori.
 «Eri da Christian?» lo interrogò in padre.
Matteo annuì. «L’altra sera vi avevo detto che sarei stato da lui a cena».
La madre si allontanò dall’abbraccio del marito quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi: «Ti prego, caro, non farlo. Ripensaci. È solo un periodo, gli passerà. Ti prego!». Malgrado la sua voce rotta, i suoi occhi lampeggiarono di determinazione.
 «Fare cosa?» voleva abbandonarli di nuovo? Matteo sentì le gambe tremare e il pavimento sparire sotto di lui.
 «Matt» esordì il padre. I suoi occhi scuri tradivano un senso di colpa che Matteo non riuscì ad interpretare. «Non posso accettare di vederti insieme a un ragazzo, devi allontanarti da lui. Sei solo molto confuso».
 «Se c’è una persona confusa tra noi quello sei tu che scappi da questa casa e ritorni dopo dieci anni come se nulla fosse accaduto!» sibilò Matt.
Il padre lo colpì alla guancia, facendogli piegare la testa da un lato. La madre gridò, ma non fece nulla per fermarlo.
 «Non permetterti di giudicare le mie scelte» disse il padre a denti stretti.
 «E tu non giudicare le mie». Sentiva la guancia in fiamme, ma non osò massaggiarsela. La lasciò pulsare, sostenendo lo sguardo dell’uomo.
 «Sei mio figlio e perciò farai ciò che ti dirò, per il tuo bene».
Per il mio bene…o per il tuo?, ma tenne a freno la lingua.
Il padre proseguì: «Tra un mese lascerai la scuola e prenderai servizio militare a Roma».

 
---
Ed eccomi qui.
Grazie di cuore per tutte le bellissime recensioni, grazie davvero.
Un grazie anche a tutti coloro che leggono.
 
Mancano pochissimi capitoli alla fine
-3 (so che l’ho detto anche nello scorso capitolo; in realtà i capitoli non sono 40, ma 41 anche se quest’ultimo è abbastanza breve rispetto agli altri).
 
Che ne pensate di questo capitolo?
Non trovate che il padre di Matteo sia insopportabile? Cosa sceglierà di fare Matt?
 
Vorrei che rispondeste a questa domanda (sono molto, ma molo curiosa):
Secondo voi, dove – e soprattutto da chi – starà andando Alis?
 
Ci tengo davvero molto alle vostre recensioni.
A presto.

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Capitolo 39
*** 39 ***


39


Andrea era sdraiato sul divano; in una mano stringeva una bottiglia di birra mezza piena e nell’altra il telecomando facendo zapping. Indossava una felpa bianca che risaltava la sua carnagione scura e una tuta comoda. Stava per spegnere la televisione quando sentì qualcuno bussare alla porta. Scoccò una veloce occhiata all’orologio appeso alla parete: le 19.37. Corrugò la fronte, appoggiò la bottiglia sul tavolo, andò ad aprire la porta e sentì il cuore impazzire. Sbatté più volte le palpebre, come ad essere sicuro che non fosse un’allucinazione. Forse ho bevuto troppo, pensò.
 «Ciao» lo salutò Alisea, timidamente.
 «Ciao, Alis» sorrise appena sentì il suono della sua voce. «Stai bene?» la ragazza si stringeva nelle spalle, infreddolita. «Entra, dai».
Alis mormorò un “grazie”. Andrea chiuse la porta, dicendo alla ragazza di dar a lui la giacca che appese in corridoio. Aveva le guance di uno splendido colore purpureo a causa del freddo; le labbra erano gonfie e i suoi occhi verdi luminosi.
 «Scusa il disordine. Non mi aspettavo che venissi» disse facendola accomodare sul divano. Andrea si sedette a una distanza ragionevole da lei.
 «Non preoccuparti. Avrei dovuto avvisarti».
 «Sai bene che non devi avvisarmi, io ci sono sempre per te».
Alis sorrise, abbassando lo sguardo. Andrea osservò affascinato la sua fragilità per qualche istante, prima di chiederle: «Hai freddo?».
 «Un po’» ammise.
 «Ti preparo un tè. Vieni».
Alis si alzò e lo seguì in cucina. Voleva sapere perché fosse venuta da lui proprio in quel momento, proprio quel giorno e quale pensiero l’avesse condotta fin lì. Invece tenne a freno la lingua, prendendo le bustine del tè dalla credenza. Si sentiva il suo sguardo addosso, ma non disse nulla. Lo sguardo della ragazza era confortante.
 «I tuoi non ci sono?».
 «Da una settimana».
 «Oh» fu il commento di Alisea.
 «Sono a Norimberga per delle conferenze».
I genitori di Andrea lavoravano per l’azienda di macchine della Volkswagen ed erano spesso all’estero, in particolare in Germania.  
 «Senti, Alis, io stavo per cenare. Ti va’ di mangiare qualcosa?» le chiese prima di iniziare a preparare il tè.
 «Non ho fame».
Andrea inclinò la testa da un lato, guardandola come si osserva un cucciolo smarrito. «Stai bene?».
Alisea si inumidì le labbra. «In realtà no».
Rimasero in silenzio per qualche momento. Lui la osservava, mentre lei deviava timidamente il suo sguardo. «Vuoi parlarne?».
 «Non sarei dovuta venire».
Andrea le si avvicinò, stringendole le mani con dolcezza. «Sei al sicuro. Sono contento che tu sia venuta da me». Vedendo che lei non rispondeva, proseguì: «Se non vuoi parlarne, non ne parliamo. Se non vuoi mangiare adesso, mangeremo più tardi». Le pettinò una ciocca ribelle dietro l’orecchio e lei alzò lo sguardo mentre Andrea continuava: «Farò tutto ciò che è possibile per farti star bene, tutto ciò che vorrai».
Alis sorrise della sua dolcezza. «Grazie».
 «Ti va’ il tè? Sei gelida».
 «Sì, grazie».
Quando fu pronto si sedettero in divano con le tazze di tè bollente in mano. «Guardiamo cosa c’è in televisione?» propose lei.
 «Ho guardato prima che arrivassi e non c’era nulla di interessante».
 «Avevi qualche impegno per stasera?». Solo in quel momento Alisea si rilassò e la sua timidezza cominciò a scemare.
 «Veramente sì».
 «Mi dispiace di averti disturbato. Di che cosa si trattava?».
Andrea la osservò, sorridendo. «Stirare».
Alis sorrise di rimando. «Sono spiacente di averti scombussolato i piani» scherzò, cominciando a sorseggiare il tè.
 «Puoi farlo tu al mio posto».
 «Posso insegnarti come si fa».
 «So come si fa!» sbuffò lui.
 «Sei un disastro per le faccende domestiche» gli ricordò con un sorriso. Una volta che ebbe finito il suo tè, la afferrò per un braccio e la trascinò in lavanderia. Andrea tirò fuori da un armadio il ferro da stiro e i vestiti che dovevano essere stirati. Prese una maglietta e cominciò mentre Alisea lo guardava scuotendo la testa. «Sei troppo veloce» lo sgridò. Andrea le lanciò una rapida occhiata prima di continuare, rallentando. «E adesso sei troppo lento. Se continui così finirai per bruciare la maglietta». Ecco uno dei difetti di Andrea: nero o bianco, odio o amore, tutto o niente. Non conosceva i compromessi; se non poteva ottenere qualcosa a modo suo, ci rinunciava. Ma era una di quelle poche persone che quando amava donava il suo cuore senza mezze misure. Alisea si chiese se, nel periodo in cui  erano stati insieme, si fossero davvero amati. Certo che no. Avevano appena sedici anni e il loro “ti amo” significava solo “ti voglio tanto bene”.
 «Perché non lo fai tu visto che sei tanto brava?» sbuffò Andrea.
Alis si spostò dietro di lui; posò una mano sulla sua facendogli vedere il giusto movimento. «Visto? È facile».
 «È una noia!».
 «Finisco io, non preoccuparti».
 «Grazie».
 «Ma solo per questa volta» scherzò lei, strappandogli un sorriso. Non ricordava fosse così piacevole la sua compagnia. Anche se era ancora arrabbiata con Marco, si rese conto che il nervosismo stava a poco a poco passando. «Mi sta venendo fame».
Andrea sorrise. «Vado in cucina a preparare qualcosa».
 «Possiamo ordinare le pizze, se non vuoi cucinare».
 «Ottima idea. Che pizza vuoi?».
 «Margherita».
Andrea annuì, componendo il numero sul telefono. Dopo che ebbe ordinato si rivolse ad Alis, sorridendole: «Vieni con me».
La ragazza lo seguì al piano di sotto, verso il garage. Solo quando Andrea salì sulla moto, gli chiese: «Dove?».
 «Cos’è una pizza senza un buon film? Dai, sali».
Un’ora dopo erano seduti sul divano di pelle a guardare The Millers, il film che avevano noleggiato, mentre mangiavano la pizza. Alis non ricordò l’ultima volta che aveva riso così tanto. E ogni volta che la ragazza gettava indietro la testa ridendo di gusto, Andrea si fermava a osservare la sua spontanea bellezza.
Quando il film finì, lavarono insieme i piatti continuando a punzecchiarsi e a scherzare. Una volta che si furono seduti di nuovo in divano, uno di fianco all’altra, Andrea raccolse tutto il suo coraggio: «Alis, penso che mi devi una spiegazione».
La ragazza parve visibilmente perplessa dal suo improvviso cambiamento di voce. «Non capisco».
 «Perché sei venuta da me stasera?».
Alis si prese qualche momento per rispondere, abbassando lo sguardo. Sembrava le costasse fatica ammettere la risposta e Andrea le diede tutto il tempo necessario. La ragazza alzò gli occhi smeraldini su di lui. «Mi mancavi, credo» poi si affrettò ad aggiungere: «Non in quel senso; sono impegnata adesso lo sai. Mi mancava un amico».
Un amico. Se gli avesse urlato in faccia di andarsene avrebbe fatto meno male. Andrea ingoiò il groppo in gola. «Sai che puoi contare su di me».
Alis gli regalò un sorriso affettuoso che gli fece più male di un pugno nello stomaco.
Solo quando lei se ne stava per andare, avvolta nella sua giacca, in piedi di fronte alla porta, capì che non aveva mai smesso di amarla. «Grazie per la serata» gli disse.
 «Sono stato bene anch’io» rispose. Le aggiustò la sciarpa, sfiorandole il viso.
 «Allora, a presto». Si scambiarono un rapido abbraccio, appena il tempo di sentire uno il profumo dell’altra.
Ma una volta che si fu voltata, Andrea sentì già la mancanza del suo viso. «Alis!» la chiamò.
 «Sì?».
 «Domani pomeriggio sei libera?».
 «Credo di sì. Cos’hai in mente?».
 «Vediamoci al lago, vicino al noleggio delle barche, per le tre».
 «Ci sarò. Buona notte».
 «Buona notte, Alis» e la guardò allontanandosi, svanendo nella notte.
Forse era questa la sua punizione; averla per sempre al proprio fianco senza poterla mai baciare, senza poterla mai anche solo abbracciare un attimo di più.
 
Christian sbadigliò; lanciò un’occhiata a Matteo seduto sul sedile del passeggero e perse la pazienza. «Vuoi dirmi che cosa succede o no?» il ragazzo si voltò per guardarlo negli occhi e Chris continuò: «Mi hai chiamato alle sette del mattino dicendomi che mi dovevi parlare di una cosa urgente! Be’, parla».
 «È difficile, Chris» si difese Matt, abbassando lo sguardo.
 «Dillo e basta» sospirò Christian.
 «Mio padre vuole che io vada a Roma a iniziare il servizio militare».
Chris pensò che stesse sognando, ma mai come in quel momento si sentiva più sveglio. Non riuscì a proferire alcuna parola. Matteo continuò: «Non ha accettato il fatto che io sia gay».
 «No! Non puoi partire!».
 «Se non me ne vado io, se ne andrà lui».
Christian sferrò un pugno al volante. Poi un altro e un altro ancora; finché Matt gli afferrò dolcemente le mani stringendole tra le sue.
 «Dimmi che non te ne andrai. Dimmi che non sparirai».
 «Chris, capisci perché lo faccio?». La sua voce era ferma, mentre i suoi occhi tremavano di nuove lacrime.
Christian scosse la testa. «Tu sei felice qui e non solo per causa mia. Sei felice perché ti sei accettato».
 «È solo per qualche anno, poi tornerò da te. E saremo insieme per sempre».
 «Stai dicendo che vuoi iniziare una relazione a distanza?».
Matt annuì lentamente, concedendo al ragazzo il tempo necessario per elaborare la proposta. «Non voglio perderti. Ce la faremo». Strinse ancora più forte le sue mani, come a conferma di quelle parole. Christian si ritrovò a pensare ad Alis e a Marco; a quanto si amavano. Nemmeno la distanza era riuscita a dividerli veramente. Se ce la stavano facendo loro, Chris non vedeva perché non poteva accadere la stessa cosa anche con lui. Sarebbe stato difficile, molto difficile, ma ce l’avrebbero fatta. Avrebbero trovato un modo di farcela, insieme. Se avere Matteo significava superare quell’ostacolo, per quanto grande fosse, Christian voleva farlo perché voleva Matteo.
 «Ti ringrazio per tutto quello che stai facendo per me. Mi sostieni come un amico e mi rispetti come un amante. Ti amo, Christian».
E a quelle parole, il ragazzo cedette. «Ti amo tanto, Matteo» singhiozzò.

 
---

 
 Un grazie davvero speciale a tutti i lettori e recensori ♥ 

Vi è piaciuto il capitolo?? :)
-2 alla fine!

Evito di chiedervi cosa ne pensate di Andrea e Alis.... mi ecclisso, mi nascondo, non mi troverete mai muahahah
Non odiatemi ♥
i love u.
really.

Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia fatto emozionare (anche se penso che vi abbia fatto arrabbiare, ma la rabbia è per sempre un emozione quindi spero di essere riuscita nel mio intento).

Come sempre, aspetto vostri commenti :)




 

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Capitolo 40
*** 40 ***


40

Andrea arrivò puntuale. Salutò Alis, che quel giorno indossava dei jeans stretti e una camicetta vivace, con un rapido abbraccio. Aveva i capelli legati in una coda ordinata; le nuvole color piombo si riflettevano nel suo sguardo.
 «Sta per piovere» protestò Alis.
È romantico. «Ho portato l’ombrello» scherzò.
 «Non è vero».
 «Dai, sarà divertente». E senza attendere risposta la trascinò sul ponte. Noleggiarono una barca a remi bianca, abbastanza piccola. Andrea fece salire Alis tenendole la mano; desiderando di non doverla lasciare mai. Il ragazzo salì a sua volta; afferrò i remi e si diressero in mezzo al lago. C’erano poche barche quel giorno; per lo più erano i traghetti che solcavano quelle acque.
Alis si guardava attorno. Prima osservava le due rive opposte, poi controllava il cielo sopra di loro.
 «Rilassati, non pioverà».
La ragazza gli sorrise e parve calmarsi. «Come mai ti è venuto in mente di portarmi proprio qui?».
 «Be’, hai l’aria di una che ha bisogno di staccare».
Quando Alis inarcò le sopracciglia scure, lui continuò: «Ti conosco e capisco quando c’è qualcosa che non va’. L’ho capito appena sei entrata in casa mia, ieri sera. Non devi parlarne se non vuoi, ma hai bisogno di staccare, stare lontana da tutto anche se per poco tempo». Capì di aver parlato troppo e quindi tacque, aspettando una sua risposta.
Alis lo guardò, stupendosi per quanto la conoscesse. Oppure era lei che era troppo espressiva? Ad ogni modo fu comunque lusingata da quelle parole. «Grazie» le uscì, flebilmente. Poi prese un profondo respiro e iniziò: «Si tratta di Marco».
Andrea annuì lentamente, concedendole tempo perché lei proseguisse. E Alis continuò: «Lui è… davvero incredibile. Lo amo» si concesse un sorriso «Ma … questa relazione a distanza a volte, anzi spesso, è troppo pesante. Pensavo, entrambi pensavamo, di poter sostenere questo rapporto però…». La voce le venne meno e gli occhi si tinsero di dolci lacrime.
Sfogati pure, pensò. Alis tirò su col naso e si riebbe: «Sarebbe dovuto venire a cena da me ieri sera; ma ha avuto un… imprevisto». Indugiò ancora per qualche istante. «Mi sono arrabbiata con lui. Ultimamente litighiamo spesso e io… non so più come andare avanti».
 «Vuoi rompere con lui?» le chiese, con una punta di speranza nella voce. Si pentì di ciò che provava.
 «Io lo amo» rispose con fermezza, come se Andrea non avesse capito.
 «Vuoi sapere come la penso?».
Alis annuì lentamente. Il ragazzo cercò le parole con attenzione. «Penso che Marco sia una persona fantastica solo per il fatto che riesce a farti star bene. E penso che tu non sia adatta per le relazioni a distanza. Hai tanto amore dentro di te che riesci a donare solo alle persone che ti stanno accanto. Tu…» non sei abbastanza forte per un rapporto a distanza «…non sei fatta per questo».
Alis soppesò la sua risposta per qualche istante. «Allora cosa devo fare?».
 «Lo sai».
E quando Alis scosse la testa con fare disperato, lui ripeté: «Sai cosa devi fare. Hai solo paura ad ammetterlo».
 «Un giorno, forse, troverò la forza per decidere».
 «Ti auguro solo che non sia troppo tardi».
 
 Alla fine non piovve. Anzi, ogni tanto, dalle nubi scure si affacciava timidamente il sole d’autunno.
Andrea si fermò su una riva formata da ghiaia sulla sponda sinistra del fiume. Alis scese; prese la coperta dalla barca; la stese sui sassi e vi si sdraiò sopra. Andrea la imitò qualche secondo più tardi. Alis chiuse gli occhi, godendosi la dolce melodia dell’acqua che scrosciava tra i sassi sulla riva più vicina al lago. Andrea voltò la testa ad osservarla. Avrebbe potuto chinarsi e appoggiare le labbra sulle sue così delicatamente che non se ne sarebbe accorta. Il pensiero lo fece arrossire e distolse lo sguardo.
 «Vorrei rimanere qui per sempre».
 «No. Vorresti essere a Roma, dal tuo ragazzo. È lì che vorresti stare per sempre».
Alis aprì gli occhi. «Ma questo non è possibile, quindi è inutile illudersi».
Andrea stava per ribattere, quando la ragazza continuò: «E poi non voglio parlare di Marco, almeno per oggi. Hai detto che bisogno di staccare, giusto?».
Andrea sorrise. «Come vuoi. Allora, hai già fatto i compiti per domani?».
 «Non ho bisogno di farli» rispose, con fare tranquillo.
 «Perché?».
 «Sono sospesa dalle lezioni per una settimana».
 «Che cosa hai fatto per essere stata sospesa?».
Così Alis gli parlò del foto-montaggio di Eleonora. Era l’ennesima volta che raccontava quella storia, ma per la prima volta non sentì giudicata. Forse perché non gli importava granché del giudizio di Andrea oppure perché lui la stava ascoltando attentamente senza corrugare la fronte in un’espressione di delusione. Quale che fosse la ragione, Alis gliene fu grata perché riuscì a sfogarsi apertamente e fu certa di poter archiviare quell’accaduto per ricominciare da capo, in modo migliore. Quando ebbe finito, Andrea scosse il capo. Poi entrambi scoppiarono a ridere.
 
Andrea l’accompagnò a casa. Quando Alis scese dalla moto, ad Andrea parve di notare un lampo di delusione nei suoi occhi. Si riscosse, pensando di esserselo solo immaginato.
 «Grazie», mormorò lei timidamente.
 «È stato un piacere».
 «Domani hai impegni?» gli chiese, mordendosi il labbro non appena ebbe pronunciato quella domanda.
 «No, non credo».
 «Non devi andare in università?».
 «No. Devo studiare per un esame».
 «Oh» Alis abbassò lo sguardo.
 «Ti passo a prendere domani mattina alle nove».
Alis alzò il viso per guardarlo negli occhi. «C-come? Hai detto che devi studiare».
 «Infatti. Io studio».
 «E io?».
 «Ho dei vestiti che devono essere stirati» scherzò, strappandole un sorriso. E ogni volta che sei sorrideva era come se ottenesse una piccola vittoria. Quanto valesse, ancora non lo sapeva.
 
Marco non toccò cibo quella sera. Il nonno corrugò la fronte, solcata da profonde rughe. Scosse la testa e ritirò il piatto, ancora intatto.
 «Devi mangiare» brontolò, mentre lavava i piatti.
 «Lo so» sbuffò il ragazzo. «Vado a dormire».
 «Sono le otto e mezzo».
 «Domani ho scuola, devo alzarmi presto. Ergo, devo riposare» rispose, bruscamente.
 «Buona notte, allora» gli augurò il nonno, con dolcezza.
Marco si trascinò nella sua camera, gettandosi sul letto. Afferrò il cellulare.
Alisea era arrabbiata, ma aveva bisogno di sentirla. Soprattutto di vederla. Le inviò un messaggio chiedendole di chiamarlo. Non rispose subito. Marco fece in tempo a farsi una doccia che lei non aveva ancora risposto. A un quarto alle dieci il ragazzo non resistette e la chiamò. Rispose dopo qualche squillo, con voce dura. «Ciao, Marco».
 «Non hai risposto al messaggio».
 «Non l’ho visto».
 «Come stai? Prima di rispondere “bene”, sappi che io sto di merda».
Alis esitò qualche istante. «Questa situazione non fa star bene neanche me».
 «Quale situazione?».
 «La nostra relazione a distanza. Ho bisogno di vederti, di averti qui con me».
 «Anch’io ho bisogno di te, Alisea, non immagini quanto».
 «Le parole non mi bastano, Marco».
Il ragazzo si guardò attorno, disperato. Poi propose, di getto: «Vieni da me questo fine settimana. Risolveremo tutto».
 «Ci sarò» rispose, prontamente. A Marco parve che la voce della ragazza si fosse, seppur di pochi toni, addolcita. Poi aggiunse: «Sono davvero stanca. Buona notte».
 «Riposati, amore. Sogni d’oro. Ti amo».
 «Ti amo anch’io». Ecco le parole che aveva bisogno di sentire.
 
La mattina la trovò confusa e assonnata che si rigirava tra le coperte. Il suo cellulare prese a squillare fastidiosamente. Allungò una mano verso il comodino; lesse con occhi ancora socchiusi il nome su display e rispose con uno sbadiglio: «Andrea?».
 «Buongiorno, dormigliona» scherzò.
 «Ma che…?».
 «Sono fuori dal tuo cancello».
 «Avevamo detto per le nove, che cosa ci fai…?».
 «Sono le nove e un quarto» annunciò, allegramente. «Anzi, per essere precisi, sono le nove e diciassette».
Alis scattò a sedere sul letto, sollevando le lenzuola. «Andrea, mi dispiace, io … davvero, scusami».
 «Tranquilla, ti aspetto».
Si precipitò in bagno, lavandosi il viso e truccandosi velocemente. Si spogliò del pigiama raggomitolandolo in un angolo della stanza e si diresse verso l’armadio tirando fuori un paio di jeans e una felpa verde che faceva risaltare il suoi occhi. Si pettinò con cura; ma quella mattina i suoi capelli non avevano intenzione di assumere una piega che le piacesse così li intrappolò in uno chignon sopra le testa. Alle dieci meno cinque era fuori di casa, a scusarsi per Andrea del ritardo.
 
 «Hai fatto colazione?» le chiese non appena arrivarono. Alis notò che la casa era più in ordine rispetto a due sere prima.
 «No».
 «Ti preparo un tè».
 «Non è il caso, devi studiare».
Ma Andrea era già in cucina. Alis lo seguì. «Non ti farò morire di fame» scherzò.
 «Penso che sopravvivrò» ribatté lei. «Cosa devi studiare?».
 «Letteratura italiana» sbuffò, facendo scaldare l’acqua su un fornello.
 «Quando hai l’esame?».
 «Fra tre settimane. Hai sentito Marco?».
Alis se l’era quasi scordato. «Sì. Mi ha chiamata ieri sera quando sono tornata a casa». Sorrise al pensiero, prima di proseguire: «Ci vediamo questo fine settimana».
Andrea si sforzò di sorridere. «Sono contento per te. Spero risolviate».
 «Dove sono i vestiti da stirare?».
Andrea sorrise, scoccandole una rapida occhiata. «Alis, non devi farlo sul serio».
 «Mi piace rendermi utile».
 «Non devi. Dico davvero».
 «Allora per quale motivo mi hai portata a casa tua?» gli chiese; una parte di sé temette la risposta.
 «Saresti stata a casa da sola oggi?».
Alis annuì.
Andrea alzò gli occhi su di lei, improvvisamente serio. Le labbra chiuse in una linea dura, lo sguardo penetrante, sincero. «Be’, non voglio che tu sia sola»
.
 

---
Penultimo capitolo!!!

Premetto che a me Andrea non piace - ormai anche i muri sanno del mio infinito amore per Marco - però devo ammettere che questo capitolo mi è piaciuto molto scriverlo.

Cosa ne pensate? Spero vi sia piaciuto. 

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Capitolo 41
*** 41 ***


41
 
Una settimana era stata sufficiente, le disse la preside venerdì mattina. Alis era pronta a ricominciare, anche se per il suo nuovo inizio avrebbe dovuto rinunciare a scelte passate.
 «Spero che tu abbia imparato la lezione» le disse la preside, con voce fiduciosa.
Alis annuì con fermezza. «Ho imparato».
 «Lo vedremo. Lunedì potrai riprendere le lezioni».
Alis le strinse la mano, congedandosi. Era ricreazione quando uscì dall’ufficio della preside e si meravigliò di trovare Christian ad aspettarla, appoggiato al muro del corridoio. Si abbracciarono, senza dire una parola. «Quindi? Ti ha riammessa a scuola?».
 «Comincio lunedì» annunciò, entusiasta.
 «Devo parlarti di una cosa» le disse sottovoce e si spostarono in un corridoio più silenzioso.
 «Di che cosa si tratta?» gli chiese, con una punta di preoccupazione.
 «Di Matteo». Le raccontò della cena della settimana precedente e del padre di Matt che aveva imposto al figlio il servizio militare. «Vogliamo stare insieme. Anche se saremo distanti, noi…».
Alis ormai non l’ascoltava più; lo osservava con occhi sbarrati, le labbra schiuse in qualche parola silenziosa.
 «Alis, di’, qualcosa» quasi la supplicò.
 «Christian, mi dispiace tanto. È orribile. Non c’è un modo per…?».
 «Funzionerà. La relazione a distanza funzionerà. Tu e Marco ce la state facendo. Anch’io e Matt possiamo…».
Lo sguardo di Alis fu attraversato da un’ombra cupa. «Non funzionerà. Io e Marco non ce l’abbiamo fatta».
Questa volta fu Christian a rimanere in silenzio; aprì la bocca per dire qualcosa solo per richiuderla quando capì che non esistevano parole per esprimere ciò che pensava. Fu Alis che parlò: «Io e Marco non ce l’abbiamo fatta. Era una cosa più grande di noi».
 «Vi siete lasciati?».
Alis annuì. «Parlerò con Marco domani» rispose con fermezza. Christian stava per avvolgerla in un abbraccio, ma la ragazza si ritrasse. «Sto bene. Non poteva continuare».
 «Invece sì. Se solo…».
 «Ormai abbiamo deciso».
 «Tu hai deciso» ribatté, incredulo di ciò che stava accadendo. A Christian era bastato vederli insieme solo una volta per capire che Marco e Alisea erano fatti l’uno per l’altra. Marco la guardava senza vedere nessun’altra e Alis lo adorava come se fosse la cosa più bella che esistesse. Lui l’aveva abbracciata come se quell’abbraccio non avesse fine e per un breve attimo Christian aveva pensato che non si sarebbero mai allontanati uno dalle braccia dell’altra.
 «Non fa differenza», il suo sguardo era come cristallizzato in ghiaccio color smeraldo.
 «Stai scappando, Alisea, come sempre».
 
Una settimana era stata sufficiente. Una sola settimana per capire che ciò che desiderava al proprio fianco era una persona pronta ad esserci. Aveva trascorso sette giorni con Andrea; senza allontanarsi e senza staccarsi se non per respirare. Andrea le stava dimostrando che era cambiato. Era gentile, simpatico, dolce, premuroso e paziente. E soprattutto non abitava a trecentosessantacinque chilometri da lei. Piò o meno era ciò che doveva dire a Marco. Oltre al fatto che gli doveva delle spiegazioni per aver ignorato i suoi messaggi e le sue chiamate.
Si lasciò andare sul sedile del treno. Prese il cellulare, rilesse vecchi messaggi di Marco, fissandoli nella mente per poi eliminarne uno dopo l’altro.
“-Dimmi qualcosa di poetico.
-Ho appena finito di correre. Sono sudato e non vedo l’ora di abbracciarti”.
Alis sorrise amaramente, poi cancellò anche quello. Passò alle foto.
Loro due sdraiati sulla spiaggia. Cancella.
Al concerto di Davide. Quella foto l’aveva scattata Claudia. Cancella.
Nel camerino dell’H&M. Cancella.
Si sentiva vuota, come se avesse cancellato qualcosa dentro di lei.
 
 
Scese dal treno con la convinzione che era la cosa giusta da fare, per entrambi. Marco le si avvicinò lentamente, osservandola come se la vedesse per la prima volta. Aveva capito. Una parte di lui aveva capito ciò che stava per accadere e si rifiutava di ammetterlo. Fece per baciarla, ma lei si scansò depositandogli un bacio sulla guancia.
Marco indietreggiò. «Non hai portato la valigia».
 «Non mi fermerò molto».
 «Alisea…» il suo richiamo era disperato. Ma lei non avrebbe ceduto.
 «Ascoltami, Marco» lo interruppe. «La distanza è troppo, per entrambi. Avremmo dovuto chiudere la relazione quest’estate, prima che iniziasse la scuola. Non possiamo continuare così, non può continuare. Non vedo più niente per noi, ormai. Il tuo amore mi acceca tanto da non riuscire a vedere più nient’altro, nemmeno un possibile futuro».
Marco scosse la testa con fermezza, come a non volerle dare ascolto. «Non puoi dire così. Dopo tutto quello che abbiamo passato…».
 «È passato, Marco».
Il ragazzo si passò una mano nei capelli; poi la guardò con occhi pieni di perdizione. «Io ti amo!» esplose, in un impeto di disperazione.
E quando Marco crollò, anche Alisea non resse. Calde lacrime iniziarono a rigarle le guance. «Non capisci? Ti amo anch’io. Sei stato e sarai sempre il mio unico amore. Prima di conoscerti non pensavo di poter amare di nuovo. E ti ringrazio per avermi dimostrato il contrario. Ti amo e proprio perché ti amo devo lasciarti vivere la tua vita».
 «Non c’è vita senza di te» ribatté flebilmente.
 «Non volevo finisse» si torturò il labbro con i denti per fermare le lacrime.
 «Non ti lascerò andare di nuovo». Fece per prenderle le mani, aveva bisogno di sentire il suo calore; Alis ricambiò la stretta solo per un attimo, prima di ritrarsi.
 «Se non finisce ora, finirà domani. O fra dieci anni, ma finirà. Siamo abbastanza grandi per capire che il per sempre non esiste».
Marco rimase in silenzio. L’unica cosa che riuscì a fare fu osservarla scolpendo nella mente la sua immagine, sperando di poterla ricordare per sempre. Voleva davvero ricordare? Non ne era certo, ma non riusciva a distogliere lo sguardo.
 «Ti ho fatto troppo male» gli disse.
 «Tu mi ha salvato e tu adesso mi condanni».
Alis scosse la testa. Marco proseguì: «Non pensare che ti dica di andartene perché non ci riesco».
 «Me ne andrò lo stesso».
 «Ti fermerò».
Alis sospirò e fu scossa dai singhiozzi. «Perché non capisci? Anche tu mi fai male. Non voglio soffrire».
 «Ti prometto che un giorno…» cominciò.
 «Un giorno!» sbottò «Io voglio star bene adesso, Marco! E vorrei star bene con te, ma è impossibile perché le tue scelte mi fanno male. Quindi, ti prego, lasciami andare».
 «Tu vuoi che io stia qui fermo a guardarti partire?» chiese con voce incredula.
 «Posso stare io ferma mentre tu ti giri e te ne vai. Poi parto» rispose, tremando.
Le accarezzò la guancia e lei lo lasciò fare, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, lui le prese il viso tra le mani. La baciò togliendole il respiro.
 «Ti ho fatto un promessa quest’estate» iniziò lui a mo’ di spiegazione «Quando sono tornato a Roma, a luglio, non credevo mi saresti mancata così tanto. Tu non sai com’è stare senza di te. Ho promesso che non ti avrei mai più lasciata scappare e che se ci avessi provato, ti avrei inseguita. Be’, non costringermi a correre» .
Alisea lo detestò perché era un ragazzo d’onore, di parola. Non l’avrebbe lasciata andare, non di sua spontanea volontà.
Alis si sentì meschina per ciò che stava per fare. «M-mi dispiace. È stato un momento di debolezza».
Marco si rilassò. «Mi hai fatto spaventare».
 «È tutto così difficile senza di te».
 «Ora siamo insieme», la strinse a sé provando a dimenticare ciò che gli aveva detto poco prima, convincendosi che lo amava.
Lo baciò alzandosi sulle punte.
Marco la prese per mano e, insieme, si allontanarono dalla stazione. Mangiarono al solito ristorante a cui erano stati la prima volta che Alis arrivò a Roma, Il Gladiatore. Si sforzò di dimenticare ciò che stava facendo, ma non riuscì a non pensare che ogni carezza di lui era l’ultima. E Marco non lo sapeva. Perdonami.
 «Allora, qual è il programma di oggi?».
Invece di rispose, Marco le prese una mano e la condusse verso il Colosseo. «L’hai mai visto?».
Alis scosse la testa, sorridendogli.
Entrarono dopo un paio d’ore, le gambe di Alis dolevano, ma non lo diede a vedere, emozionata com’era.
 «Davide sogna di esibirsi qui, un giorno».
 «Basta che non ci dedica un’altra canzone costringendoci a ballare davanti a tutti».
Marco ridacchiò. «È stata una mia idea».
Alis lo guardò con occhi ridenti, cercando di rimanere seria. «Come hai potuto? Stavo quasi svenendo dall’emozione!».
 «Hai bisogno di ballare. Hai bisogno di vivere».
 «Vivo bene rimanendo nel mio».
 «Ed è qui che ti sbagli!» esclamò Marco. «Dai, seguimi».
Prima che Alis potesse ribattere, lui si stava precipitando giù dalle scalinate. Alis lo chiamava, mentre gli correva dietro. Raggiunsero il palco che lei aveva il fiato corto. «Cosa vuoi … fare?...».
Marco saltò sul palco, posizionandosi al centro. Urlò a gran voce: «IO AMO ALISEA!».
Alis rabbrividì piacevolmente. Marco gridò ancora, finché lei non lo raggiunse sul palco. «Si può sapere che stai facendo? Ci stanno guardando tutti!».
 «Dici che hanno anche sentito?».
 «Marco, non…».
 «IO AMO ALISEA!».
 «Smettila» avvampò lei.
 «Non finché non mi dici che mi ami anche tu».
 «Ti amo!».
 «Oh, ma io lo so. Le altre persone no, e nemmeno i mattoni o i muri qui intorno».
 «È ridicolo…» rise, nervosa.
 «Fallo per me. Vivi, Alisea!».
Prese un profondo respiro, riempì i polmoni prima di urlare la verità. «IO AMO MARCO!».
Qualcuno applaudì debolmente. Poi si alzò un coro di: «BACIO! BACIO! BACIO!».
Marco l’attirò a sé in un bacio che conteneva tutto l’amore del mondo.
 
Cominciò a piovere forte all’improvviso. Alis e Marco arrivarono all’appartamento che erano bagnati fradici. Trovarono il nonno di Marco seduto sul divano a leggere un libro. Alzò lo sguardo, sorridendo. «Cari ragazzi!» esclamò andando loro incontro. «Alisea, quale piacere rivederti!».
 «Il piacere è tutto mio».
 «Vi preparo un ».
Ad Alis tornarono alla mente i pomeriggi di quella settimana passata con Andrea. Quanti tè aveva bevuto? Provò ad ingoiare il nodo alla gola.
Marco la trascinò in camera. Le posò una coperta sulle spalle e lei si strinse contro di lui cercando ancora più calore. Il nonno portò loro il tè in camera, assieme ad alcuni biscotti. Tutto quell’affetto che il nonno e il suo ragazzo provavano per lei le fece salire le lacrime agli occhi, che ricacciò indietro.
 «Com’è andata la settimana?».
 «Mi hanno riammessa alle lezioni di scuola» sorrise. Non poteva certo dirgli che aveva trascorso la settimana con Andrea. Non che avesse fatto chissà cosa – Andrea era solo un amico ora – ma si sentiva in colpa ugualmente. «E tu?».
 «Ho studiato e…».
 «Hai fatto altri servizi fotografici?».
Marco abbassò lo sguardo. Sembrava vergognarsi della sua scelta, quando l’unica che doveva sentirsi in colpa era Alisea.
 «Mi dispiace di essermi arrabbiata, ma… io ci tenevo a quella cena. Desideravo che tu conoscessi i miei genitori, che entrassi in qualche modo a far parte della mia famiglia».
 «Ti avevo comprato un mazzo di rose. Volevo fare colpo sui tuoi. Volevo vedere dove vivi, la tua cameretta. Stringerti la mano durante la cena. Parlare ai tuoi genitori di noi. Di te. Saresti diventata tutta rossa e avrei coperto di baci le tue guance. Come vedi, avevo immaginato ogni cosa».
Alis ormai stava affogando nel senso di colpa. Gli gettò le braccia al collo, nascondendo la testa contro la sua spalla.
 «Amore?».
Lei trovò il coraggio di guardarlo negli occhi. «Sì?».
Marco deglutì, a disagio. «Perché hai detto quelle cose prima? Quanto eravamo alla stazione».
 «Te l’ho detto, ero arrabbiata. Ci tenevo moltissimo a quella cena e pensavo che…». Bugie, bugie e ancora bugie. Non dubitava più che Marco l’amasse, era sicura del suo amore ormai. Pregò che quella giornata finisse presto oppure durasse per sempre.
 «Tesoro mio» la strinse a sé.
 «Non pensavo sul serio quelle cose. Ero davvero furiosa».
 «Mi dispiace. Odio vederti così. Vorrei renderti felice».
Ma brava, Alis, facciamo sentire in colpa lui! «Va tutto bene. Ora ho capito» gli sorrise, rassicurandolo con una carezza. «Non l’hai fatto apposta. Se vuoi continuare a lavorare per quella rivista, fallo. Dico sul serio. Hai dei buoni motivi per farlo».
 «Hai capito sul serio?».
Ho capito che non sei quello che fa per me, che le tue scelte non coincidono con le mie e che ti amo. Ma che devo ascoltare la testa, pensare razionalmente come tu mi hai insegnato. «Ho capito che ti amo» questa era l’unica verità che poteva dirgli.
Dopo qualche minuto, Marco si mise a studiare. La pioggia continuava a cadere, minacciando di non smettere.
 «Mi dispiace».
Alis lo guardò. «Per cosa?».
 «Per la pioggia. Avrei voluto portarti fuori».
 «Io voglio solo stare con te. Cosa studi?».
 «Fisica».
 «Serve una mano?».
Studiarono insieme. Alis non capiva un accidente, ma la voce controllata e calda di Marco faceva suonare come poesia quelle formule astruse.
 «I tuoi genitori sanno che sei qui?» le chiese Marco, all’improvviso.
 «Sì». Perché sanno che è l’ultima volta. «Ma devo essere di ritorno stanotte». Se avesse passato la notte con lui, non avrebbe più trovato il coraggio di lasciarlo.
 «Fantastico!» il suo viso si illuminò. «Hanno capito! D’ora in poi sarà…».
 «Più facile?» suggerì.
 «Forse. Più… serio».
 «Pensavo che la nostra fosse già una relazione seria».
 «Dobbiamo festeggiare!» esclamò, saltando sul letto al suo fianco.
 «Suona tanto come una scusa per non studiare».
 «Solo una piccola pausa». Marco la stava attirando a sé.
 «E tuo nonno?».
 «Faremo piano» le sussurrò all’orecchio, per poi baciarla. Proprio ciò che lei desiderava e voleva evitare.
Più tardi, dopo il solito rito alla fontana di Trevi, alla stazione, Alis lo strinse in un abbraccio disperato. «Non voglio andare» si lamentò, contro il suo petto.
Strano, pensò lui, non aveva mai fatto certe scenate. «Ci rivedremo presto» la rassicurò.
 «Già».
 «Ehi». Le prese il viso tra le mani, guardandola con amore. «Ti amo».
 «Marco» non poté frenare le lacrime. Diglielo! Diglielo! Merita di sapere! «Giuro che ti amo. Non ci sono parole per ringraziarti per tutto ciò che fai per me. Sei il mio amore, ti prego, non dubitarne mai». Perdonami, Marco, ti prego, perdonami. Anzi, odiami e dimenticami.
Lo guardò per l’ultima volta. Le stava sorridendo come la prima volta che si erano incontrati. Ti ho vista qua da sola e mi chiedevo se volevi giocare con noi.
Si voltò e salì sul treno, senza sapere che lui era rimasto fermo sotto la pioggia a guardarla partire.
Quant’è bella, pensò Marco.
---
 
E siamo giunti alla fine (della prima parte).
Iniziamo con i ringraziamenti ai voi, fantastici lettori. Grazie di cuore per tutti i commenti che avete lasciato e per il tempo che avete dedicato alla lettura della mia storia.

Parlando del capitolo,
non odiatemi. Mi è scesa una lacrimuccia mentre lo scrivevo e lo ricontrollavo.
 
Come già detto, questa è la prima parte. Ho iniziato a scrivere la seconda e personalmente la trovo molto più interessante di questa. Nella seconda parte vedremo i nostri personaggi crescere, diventare adulti e maturi. Entreranno in scena personaggi che nella prima parte sono solo citati e altri ci abbandoneranno per sempre.
Ops, ho parlato troppo ;)

Aspetto vostre opinioni.
 
Grazie ancora ♥

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Capitolo 42
*** 42 ***


42
 
Alis era sdraiata di pancia sul letto, con una cuffietta nell’orecchio.
Due settimane
Due settimane da quando aveva visto Marco per l’ultima volta. Non aveva acceso il cellulare per giorni, aveva vietato ai suoi genitori di rispondere al telefono nel caso Marco avesse chiamato e non aveva più acceso il computer per accedere a Skype.
Era finita.
L’indomani sarebbe stato sabato – l'inizio di novembre – e lei non sarebbe andata a Roma. Mai più baci tremanti alla stazione. Mai più Roma. Mai più litigate. Mai più amore.
Alis ingoiò il nodo alla gola, tossendo. La madre entrò nella sua stanza e Alis abbassò il volume.
 «Come va?» sorrise la donna.
 «Bene, grazie. Hai bisogno di qualcosa?».
La madre si sedette sulla sedia girevole, sospirando. «Sai che Marco ha chiamato per sei giorni?».
 «Lo so».
 «Non ho risposto, come hai detto tu».
 «Grazie», la ragazza abbozzò un sorriso.
 «Devi dargli una spiegazione».
 «Forse».
 «Alis, tesoro, devi. Ne ha il diritto».
 Alisea si alzò a sedere sul letto. Come faccio a guardarlo negli occhi e a lasciarlo di nuovo? «Mamma, per favore…» la supplicò.
 «Va bene, va bene. Fa’ come credi. Ah, c’è Andrea fuori dalla porta».
Alis si alzò, andando in bagno per mettersi in ordine.
La madre continuò: «Non sarà che…?».
 «È solo un amico» tagliò corto. Io amo Marco.
 
 «Non ci posso credere».
 «Se n’è andata!».
 «Deve esserci una spiegazione» lo rassicurò il nonno. «Hai provato a chiamare casa sua?»
 «Ho perso il conto». Marco si lasciò cadere sul divano, il cellulare in mano. Il nonno gli lanciò un’occhiata preoccupata, poi disse: «Va’ a riposare».
Marco scosse la testa.
 «Figliolo, ti prego. Si risolverà tutto. Vai a riposare».
Marco si alzò, andò in camera e uscì dopo pochi minuti vestito di una tuta e grosse scarpe da ginnastica. «Vado a correre».
 «Marco?».
 «Sì?».
Il nonno tese il braccio. «Dammi il cellulare».
Marco obbedì e poi uscì.
L’anziano tornò in salotto. Accese la televisione, pure senza prestare molta attenzione al programma che stavano trasmettendo. Era preoccupato per Marco. Sembrava incredibile da credere, ma suo nipote era innamorato di quella ragazza. E pensava che anche Alisea lo corrispondesse. Cosa le era fuggito di quella giovane? L’ultima volta che era stata lì, a Roma, si era comportata normalmente. Il nonno sapeva che lei e Marco litigavano spesso per via della distanza, eppure…  
L’uomo prese il proprio cellulare e, copiando dalla rubrica di Marco il numero di casa di Alisea, chiamò.
 «Pronto?» rispose una voce femminile. Non gli sembrava la voce di Alisea, quella voce aveva un timbro leggermente più grave.
 «Buonasera, signora Galeazzi?».
 «Sì. Con chi parlo?».
 «Giovanni Moretti, il nonno di Marco. La prego, non appenda. Sono molto preoccupato».
 «Mi dica».
 «Posso parlare con Alisea?».
 «Al momento non è in casa».
 «La prego, non menta».
 «È la verità. È uscita un paio d’ore fa. Le dirò che ha chiamato».
 «Sua figlia come sta?».
La donna sospirò e abbassò la voce. «Cerca di andare avanti. E suo nipote?».
 «Lo stesso. Ascolti, sa perché Alisea non si è fatta più sentire?».
 «La distanza era troppo per lei e, ad essere sincera, io non ho mai fatto nulla per incoraggiare questa relazione». Sembrava dispiaciuta.
 «Signora, lei sa che i nostri ragazzi si amano?».
Lei rimase in silenzio per un po’. «Cosa intende fare?».
 
Marco e il nonno arrivarono a Como alle due del sabato pomeriggio. Venti minuti più tardi presero un autobus che portava in periferia e alle tre furono nella via dove abitava Alisea.
L’agente immobiliare li stava aspettando. Era una giovane donna con i capelli castani raccolti in uno chignon ordinato, portava occhiali da vista enormi e vestiva in modo semplice. Strinse loro la mano. «Sono Debora Canesi, avete fatto un lungo viaggio. Sarete stanchi».
Marco non si sentiva affatto stanco; aveva il cuore che batteva forte per quanto era vicino ad Alisea. La casa che avevano intenzione di comprare era proprio di fronte a quella della ragazza, separata soltanto da una stradina deserta. Il ragazzo continuava a lanciare occhiate alla casa di Alis, nella speranza di vederla uscire da un momento all’altro.
 «Speriamo ne sia valsa la pena» rispose il nonno.
 «Allora, procediamo».
La casa era a due piani, senza contare il piccolo garage. La sala dava su una striscia di giardino e un portico minuscolo; la cucina era in un angolo del pian terreno vicino all’unico bagno della casa. Il piano superiore, più piccolo di quello di sotto, era composto solo da due camere da letto. La camera che sarebbe stata di Marco aveva il soffitto in legno. Era perfetta per loro due, e per Alisea qualunque volta avesse voluto rimanere con loro. La cosa che la rendeva davvero perfetta non erano i mobili di legno o il cucinino moderno, ma il fatto che fosse a solo venti passi – Marco li aveva contati – dalla casa di Alisea in linea retta. Trenta passi, se fossero stati quelli del nonno. Mentre visitavano le stanze, il ragazzo si affacciava ad ogni finestra che dava sulla villetta di Alis; sperando di scorgerla in giardino o dietro a una tenda scostata.
Il suo desiderio si avverò quando, un paio d’ore dopo, i tre uscirono dall’abitazione. L’agente stava intrattenendo una discussione sulle spese, ma Marco non l’ascoltava. Non riusciva ad ascoltarla. I suoi sensi erano come impazziti: cercavano qualunque cosa potesse avvertire la presenza di Alis. E fu allora che la vide: avvolta in un maglione di lana decisamente troppo grande per lei, in pantofole e in una tuta scura usciva dal piccolo cancello stringendo un mazzo di chiavi tra le mani. Quando raggiunse la cassetta della posta, Marco le fu subito dietro.
Come se anche la ragazza avesse avvertito la sua presenza, il cuore prese a battere forte, impallidì mentre le guance avvampavano all’improvviso. Con mani tremanti, fece cadere il mazzo di chiavi e le buste che aveva tirato fuori dalla cassetta. Marco l’aiutò a raccogliere tutto, sfiorando le mani screpolate di lei con le sue. Alis, impacciata, si mordeva il labbro mentre i suoi occhi diventavano lucidi.
 «Sei sparita per giorni» disse lui, provando a trattenere rabbia e gioia insieme.
 «Mi dispiace, Marco. Pensavo fosse l’unico modo per farti capire che è finita». Non riusciva a guardarlo negli occhi.
 «Guardami».
 «Devi andare via, devi andartene» tremò lei.
 «Alisea, guardami!».
Lei ubbidì per un breve istante.
Marco le sollevò il viso con le mani. «Dimmelo. Dimmi che è finita! Dimmi che non mi ami! Ma guardami negli occhi», la sua voce vibrava di rabbia, ma la sua presa era delicata.  
 «Ti prego, vai via…».
 «C’è un altro?».
 «No!». Alis si divincolò. Amore mio, come può esserci qualcun altro?!
 «Be’, allora se insisti torno a casa».
Alis si ricompose, mentre il suo cuore cadeva a pezzi. «È la cosa migliore».
Marco si allontanò di un paio di passi, poi la richiamò. Riluttante, Alis si girò.
 «Mi sono dimenticato di dirti una cosa: ora siamo vicini di casa».
Alis non fu certa di aver capito bene. Si avvicinò lentamente a lui e Marco indicò il nonno insieme all’agente immobiliare che li osservavano dall’altra parte della stradina.
Poi Marco aprì le braccia e Alis gli corse incontro, come quel giorno d’estate sulla spiaggia.
 
Dopo aver accompagnato Marco alla stazione e averlo salutato con baci e sorrisi, Alis seguì i binari verso il centro della città. Bussò alla porta dell’appartamento di Andrea e prima che potesse invitarla a entrare, la ragazza disse: «Marco è tornato».
Andrea non rispose.
 «Marco verrà a vivere qui. Per sempre».
 «Capisco. Alis, mi dispiace per ciò che ti ho fatto».
 «Sei… sei un bravo ragazzo. Eravamo giovani, molto giovani».
Andrea annuì.  
Alis gli si avvicinò, accarezzandogli il viso, sentendo la barba punzecchiarle la pelle.
 «Buona fortuna per la tesina» gli disse alla fine, con un sorriso spontaneo.
Andrea la salutò flebilmente, osservandola volare via. Stronza, pensò, pentendosene all’istante e chiedendole scusa con il pensiero. 

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Capitolo 43
*** 43. Epilogo ***


43
 EPILOGO
 
Dopo la “festa d’addio” organizzata da Davide, Marco si trasferì a Como agli inizi di dicembre. Le vie e le case erano illuminate dagli addobbi natalizi e Marco pensò che quello sarebbe stato il Natale più bello dalla morte dei suoi genitori. Durante il trasloco, Alis ronzava intorno al ragazzo, aiutando lui e il nonno.
La casa l’avevano pagata con il denaro della pensione e quello dei servizi fotografici. Appena l’ebbe saputo, Alis gli stampò un bacio sulle labbra, poi un altro, un altro e un altro finché non si ritrovarono a fare l’amore su un materasso sgualcito in mezzo a una stanza piena di scatoloni.
Alis aveva stampato tutte le foto che aveva fatto con Marco, regalandole al ragazzo, che le aveva posizionate sul comodino, di fianco al letto.
Dopo che ebbero finito il trasloco, Alis pensò ad addobbare la sua casa e quella di Marco per Natale. Mai come quell’anno, le due case furono piene di luci e di decorazioni e ogni giorno fino al venticinque di dicembre, Alis aggiungeva qualcosa.
Marco e il nonno cenavano spesso a casa della ragazza. Giacomo, il fratellino di Alis, aveva adorato Marco fin dal primo istante definendolo il suo migliore amico. Alis si commosse fino alle lacrime.
 «Sai, tesoro, puoi continuare a giocare a calcio» gli disse una volta lei. E insieme andarono ad iscrivere Marco alla squadra del paese e ogni sabato pomeriggio le due famiglie – ormai come se fossero una soltanto – andavano a vederlo giocare.
Marco e Alis smisero di litigare, facendo crescere il loro amore a poco a poco. L’ultima discussione più o meno seria, la ebbero quando dovettero decidere il colore delle decorazioni da mettere sull’albero di Natale di casa Moretti. Marco voleva blu e argento; Alis invece rosso e oro. Giacomo si schierò con Marco, ovviamente. Alla fine, all’albero erano appese bocce di ogni colore. A Natale pranzarono a casa di Christian, che aveva lasciato Matteo e si stava frequentando con un altro.
 «Non tutti gli amori sono epici come il tuo», le rispose Christian quando Alis lo trascinò in un angolo per avere delle spiegazioni.
Allo scambio dei regali, Alis diede a Marco una lettera e un maglione cucito da lei stessa. Lei ricevette una nuova edizione de Le pagine della nostra vita e una scatolina contenente della sabbia. Quella notte, nel letto di lui, Marco le lesse il libro finché non si addormentarono uno sopra l’altra.
A Capodanno – con grande sorpresa di Marco e Alis – arrivarono a Como Davide, Giulia e il suo ragazzo Diego, Claudia e Luca. Insieme a Christian, che alla fine non aveva concluso nulla con la nuova fiamma, festeggiarono in un locale prenotato in fretta e furia. A mezzanotte uscirono sulla terrazza, Marco strinse a sé Alis e insieme bevvero champagne dallo stesso bicchiere.
A gennaio, Marco iniziò la scuola frequentando lo stesso istituto di Alis in cui era presente anche l’indirizzo scientifico. Alisea non poteva desiderare di meglio che vivere insieme a Marco, come avevano fatto per tre mesi l’estate precedente.
 
Sei mesi dopo, il nonno osservava Marco e Alis camminare sul bagnasciuga della spiaggia La Playa. L’indomani sarebbero arrivati gli amici di Marco da Roma.
I genitori di Alis si sedettero di fianco all’anziano, sul terrazzo.
«A volte, anche i più grandi amori, hanno bisogno di un piccolo incoraggiamento», sussurrò Giovanni scambiando uno sguardo d’intesa con la mamma di Alis.
Marco sollevò Alisea, la ragazza si divincolò ed entrambi caddero, rimanendo immersi a lungo sott’acqua, dove per loro sarebbe stato sempre estate. 
 
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Nota bene: il finale si interrompe quando i protagonisti hanno ancora diciassette/diciotto anni. Non ho detto “e vissero per sempre felici e contenti”. Sappiamo solo che ora, in questo momento, sono felici e così ho voluto lasciarli. Forse si molleranno più avanti, forse no. Forse avranno una marea di bambini, forse Alis rimarrà incinta a diciassette anni, o forse rimarranno una coppia senza figli perché si scoprirà che lei è sterile oppure, più semplicemente, perché non vogliono averne. Forse vivranno insieme fino alla fine dei loro giorni, forse si lasceranno il giorno dopo in cui è ambientato il finale.
Insomma, la fine della loro storia d’amore non la sapremo mai. Non lo so neppure io. Non mi – ci – è dato saperlo.
 
 
 
Eeeeeeeeeddd eccoci alla fine!!
Lo so, forse non sarà il finale più originale della storia della letteratura e mi dispiace aver deluso gli amanti dei finali tristi. Ci terrei a spiegare il motivo di questa mia scelta:
  1. Alis e Marco si amano troppo per star separati e, facendoli mollare, mi sembrava di forzare troppo i personaggi (cosa che veramente odio);
  2. “è sempre estate sotto il mare” rimane una storia leggera. Il finale “tragico/triste”avrebbe stonato con questo scopo.
  3. Nel mondo ci sono fin troppe tragedie e quindi perché, per una volta, non esaltare l’amore anche se giovane e immaturo come quello dei protagonisti? Perché, per una buona volta, non mandare ai giovani – ma anche agli adulti – un messaggio di positività? Ma questo è solo un mio pensiero filosofico.
 
Spero che il mio stile, i miei personaggi, la mia storia vi siano piaciuti. Se così è, allora questo non è un addio, miei cari lettori.
Presto tornerò con un’altra storia.

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