Two fingers.

di thehurtlocker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I drink to remember, I smoke to forget. ***
Capitolo 2: *** An old country song. ***



Capitolo 1
*** I drink to remember, I smoke to forget. ***


Ero in un pub. Un normalissimo pub. Frequentato solamente da alcuni anziani e giovani ubriachi. 
Uno di quelli di periferia. Un classico pub britannico.
Il perché mi trovassi lì non saprei spiegarvelo, ma so solo che non avevo intenzione di tornare a casa mia, quel giorno.
E infatti non lo feci.
Quindi, ero in quel pub alle otto del mattino. In quel pub dove mi recavo spesso quando la mia vita sembrava essere inutile.
Non prendetemi per un'alcolizzata, ma mi piace rallegrarmi tra bicchieri di wisky, scotch e vodka!
Ero seduta sul vecchio sgabello di pelle, ormai scadente e rovinata, di fronte al bancone; cigolava ogni volta che muovevo un muscolo.
Bo, il barista, ormai invecchiato col suo locale, mi servì il solito - un mix di vodka e Guinness - scuotendo la testa nel vedere la sacca vicino lo sgabello.
- Che succede, piccola?
'Piccola'. Mi chiamava sempre così. In fondo, mi conosceva da quando mi muovevo ancora a gattoni; era il migliore amico di mio nonno.
- Niente.. - mi morsi un labbro e sospirai.
- E quella a che ti serve? - domandò allungando lo sguardo.
- Mi trasferisco da una mia amica per un po'.- mentii - Le cose non vanno molto bene a casa.
Bo capì, ma non si dilungò nel discorso; l'unica cosa che fece, fu di lasciarmi dei cubetti di ghiaccio avvolti in un pezzo di stoffa vicino al bicchiere.
Lo guardai confusa, e lui furtivo mi indicò il labbro che mi ero morsa, sanguinante.
Lo ringraziai con lo sguardo e poi tornai a bere, tamponando cautamente il labbro.

'Vodka, Guinness e sangue. Wow'.

Forse ancora non ve l'ho detto, ma non mi trovavo a Londra - come tutti avrete pensato. No.
Mi trovavo nella mia città natale, Nottingham; più precisamente in uno dei suoi quartieri, Clifton.
Sì gente, quel luogo dove un uomo in calzamaglia rubava i soldi ai ricchi per donarli ai poveri.
E' un posto tranquillo: poche macchine, pochi negozi o centri commerciali, ma tanto lavoro.
Le uniche a sentirsi a disagio qui sono le figlie di mamma, viziate e sempre alla moda.
Dio santo, meno male che non sono così.
In ogni caso, io ci vivevo bene lì. Davvero.
La porta del locale si aprì e un ragazzo entrò.
Non sentii il bisogno di girarmi per vedere chi fosse, ma un fremito dentro di me mi obbligava a farlo, e io obbedì.
Prima lo lasciai passare oltre me e sentì il suo profumo invadermi compleamente.. Il dolce profumo della sua candida e delicata pelle.
Finalmente mi volsi, anche se lo vidi solo di spalle: indossava un semplice jeans blu scuro, una giacca di pelle nera, e nella mano sinistra portava la custodia di una chitarra; i capelli erano un poco folti, di un castano noce.
- Kennedy! - Bo lo salutò, ed egli ricambiò alzando l'indice e il medio destro in contemporanea; Bo rise e annuì.
'Chissà mai cosa vuol dire..', pensai.
Il misterioso ragazzo spalancò poi la porta del retrò e sparì dalla mia vista. Ricomparse solo pochi minuti dopo, ma decisi di non guardarlo - e non so perché non lo feci.
Bevvi l'ultimo sorso del mio meraviglioso matrimonio di alcolici, poi sentii della musica provenire dal fondo del luogo, dove si trovava il palco per gli spettacoli.
Ci pensai su pochi secondi, ma era ovvio che a suonare fosse quel ragazzo.
Il ronzio del microfono continuava indisturbato, finché non venne interrotto da una calda e profonda voce che percorse ogni parte del mio corpo e mi fece rabbrividire.
 
- Questa canzone s'intitola ''Note To Self''.
 
Dio mio. Era.. così attraente.
Intonò le prime frasi, e mi sentii morire dentro per quanto vere fossero. Quelle frasi, parole.
 
«Girl, you've been forgetting
  Just how special you really are
  And I try to remind you
  Sometimes I can't find you
  But the truth is in your heart».
 
Il modo in cui disse 'Girl' con la tipica cadenza del Nottinghamshire.. E la sua voce. Quella sua voce nasale, ma ammaliante..
 
«So write a note to yourself».
 
Chiusi gli occhi.
Cazzo, volevo piangere. Le pupille erano lucide e bruciavano da impazzire.
Non ce la feci; corsi in bagno rumorosamente e freneticamente, attirando l'attenzione di tutti, e anche del giovane musicista  che s'interruppe e, ne sono sicura, mi guardò.
Vomitai la cena della sera prima e anche il mio mix.
Merda!
Possibile che una canzone potesse farmi quest'effetto?!
Vomitai quanto più mi fosse possibile, e alla fine ebbi come la sensazione di essermi sviscerata, e la mia pancia fosse stata ora vuota da tutto.
Arrivai traballante al lavandino; mi guardai allo specchio storto e rovinato.
 
Erano davvero vere per me quelle strofe?
 
Mi sciaquai il viso e chiusi gli occhi bagnandomeli con l'acqua fredda.
Poco dopo sentii la porta del bagno sbattere.
- Piccola! Stai bene? - era Bo, ovviamente.
- S-si, arrivo.
Presi un fazzoletto e mi asciugai di fretta; aprii la porta girando la chiave e Bo mi avvolse in un abbraccio caloroso.
Davanti al mio viso si trovava ora lui. Quel ragazzo. Quel ragazzo che mi aveva fatto rabbrividire solo col suono della sua voce. Quel ragazzo che mi aveva procurato dei conati di vomito solo con una sua canzone. Quello stramaledettissimo ragazzo!
Lo vidi finalmente in viso, ed era.. stupefacente.

I capelli non solo erano folti, ma gli coprivano la fronte dandogli quell'aria stile 'fratelli Gallagher', quasi strafottente; i raggi del luminoso Sole ricadevano sui suoi ciuffi mori, e io cercai di immaginarmi alcune sue ciocche tra le mie dita: ruvide, ribelli, secche, profumate come l'erba appena tagliata.
La fronte, anche se coperta da quei capelli anni '60, era visibile, liscia e piatta; immaginai di poggiarci sopra la mia, e di trovarmi faccia a faccia con lui e i suoi splendidi, meravigliosi, incredibili occhi di un verde perla - ma più scuro vicino la pupilla - contornati da delle piccole e timide ciglia, poco visibili. 
 
In quegli occhi trovai tutta la serenità che cercavo da tempo.
Erano indimenticabilmente profondi. Unici. Perfetti.
 
Il suo naso era un po' grosso, ma a pensarci su, era comunque ben proporzionato a quel visetto così incantevole; potevo sentirlo sfiorare il mio naso delicatamente, come il tenero bacio che si danno gli eschimesi - almeno così mi pare.
Le labbra, poi, erano grandi e carnose, un po' screpolate e di un rosa opaco; e me le immaginai morbide e calde sulle mie: volevo baciarlo.
Mentre studiavo quelle sue imperdibili labbra, lui le inumidì con la rosea lingua, facendola scorrere lentamente e pizzicandosi infine il labbro inferiore coi denti bianchi e puliti - tutto ciò mi procurò una cosiddetta 'ovaries explosion'.
Il mento era piccolo e ancora un po' infantile; il collo non era molto lungo, ed era pallido come il resto del suo corpo; s'intravedeva il Pomo D'Adamo muoversi ogni volta che deglutiva.
Le spalle erano grandi - non molto - e imponenti, e delineavano una schiena dritta e solida.
Piano piano spostai lo sguardo sulle sue braccia, che erano voluminose e forti - sicuro faceva palestra - e potevo osservare le vene tendersi a ogni minimo movimento.
Il petto era ben messo e potevo scorgere la forma solida degli addominali sotto quella semplice t-shirt bianca.
La vita combaciava perfettamente con i jeans stretti, che gli scendevano giù per quelle lunghe e sensuali gambe, per poi finire in un bel paio di comode Adidas grigie.

'Spettacolare', mi dissi nella mia piccola testa con la stessa voce di Kevin Spacey in American Beauty, quando vide in sogno la bella e giovane Angela Hayes.
Già, spettacolare.
 
Bo si decise finalmente a mollarmi dalla sua stretta; mi appoggiai al muro ancora scossa da tutto quanto e respirai cautamente.
- Mi hai fatto preoccupare!- urlò Bo - Che ti è preso??
- Ehm.. niente. - ritornai al mondo reale - Non avevo fatto colazione e l'alcool di prima mattina mi ha fatto male - mentii nuovamente, poi guardai il ragazzo involontariamente.
- Lui è Jake. - Bo lo presentò, come se mi avesse letta nel pensiero - Jake Bugg.
Jake mi fece un enorme sorriso e protese la mano destra in segno di saluto.
 
La osservai curiosa, quella mano.
Era grande e pallida; nel palmo aveva assunto quel colorito rossastro che hanno tutte le mani calde  e sudaticcie dopo uno sforzo qualsiasi - aveva suonato la chitarra, giusto ?
Ce l'avevo davanti, quella mano. Ferma a mezz'aria aspettando di congiungersi con la mia.

Probabilmente, Jake notò il mio sguardo assorto sulla sua mano perché, quando mi ripresi, una delle sue disordinate sopracciglia era inarcato all'insù, e il suo volto aveva un'aria confusa.
- Piacere.. ?
- Candice Mills. Ma puoi chiamarmi Sol, se vuoi. E' così che tutti mi chiamano.
- Sol?- chiese sempre più confuso, aggrottando la fronte.
- La mia nota preferita.
Appena lo dissi il volto del giovane cambiò espressione e s'illuminò; sorrise e spostò lo sguardo sul pavimento.
- Ehm.. io dovrei andare, Bo.. dalla mia amica.. - mentire era una mia dote, ormai; avrei potuto fare tranquillamente l'attrice.
- Kennedy, potresti accompagnarla, per favore? - mi girai con gli occhi spalancati verso il mio vecchio amico. Ma che diavolo stava combinando?!
- Non voglio che questa bellezza giri da sola per i quartieri.. Ho saputo che ci sono dei ragazzacci in giro di questi tempi.
Jake arrossì in viso e sorrise ancora, mantenendo però lo sguardo basso.
- Va bene. - lo alzò verso il mio - Però non ho la macchina ora.. E' distante il posto? - mi domandò con una nota d'imbarazzo.
- No, no, si arriva tranquillamente a piedi.- dissi, abbassando anch'io il capo.
Salutai Bo, che non mi fece pagare - come sempre - il conto, e mentre agguantavo la mia sacca, Jake rimise la chitarra nella sua custodia, come se stesse custodendo un oggetto di inestimabile valore.
Era una classica Martin D-18VS; color nocciola chiaro, liscia e sinuosa, con quella bellissima e particolare 'goccia' marrone scuro.

Uscimmo, infine, dal pub. Quel normalissimo pub. Frequentato solamente da alcuni anziani e giovani ubriachi. Uno di quelli di periferia. Quel classico pub britannico.
Prima di incamminarci, Jake si fermò e estrasse dalla tasca della giacca un accendino e un pacchetto di sigarette 'Silk Cut', le classiche col quadratino viola.
Tirò fuori due sigarette e me ne offrì una che accettai volentieri; le accese, e dopo aver aspirato una volta e buttato fuori il fumo, cominciammo a camminare verso sinistra.
- Così, lavori da Bo?
- Sì, ogni tanto. Solo per suonare la mia musica.
Posai lo sguardo su di lui incuriosita.
- Sei un cantante?
- Cantautore, più precisamente. - risi silenziosamente.
- Sei bravo. - mi sorrise - Quella canzone, ''Note To Self'' è molto bella.
- Ti ringrazio.
- Sono vere? - gli chiesi inconsciamente, lasciando parlare i miei pensieri.
- Cosa?
- Quelle strofe..
- Dipende da cosa intendi per 'vere'.
Ecco. Ero indecisa su cosa dire.
Non potevo certo raccontargli tutta la mia vita, solo per fargli capire cosa intendevo con 'vere'.. no?
- Be'.. hai scritto quella canzone in ricordo di qualcosa in particolare?
Jake si fermò un attimo, sospirò e ricominciò a camminare.
Capii dal suo sguardo rigido di aver toccato un tasto dolente.
- No.. - era chiaro che stesse mentendo, ma lasciai stare - Scrivo solo frasi che stanno bene insieme. Tutto qui.
- Capito. - mi ricomposi, ma ero comunque delusa dalla sua risposta.
- Tu che fai?- mi chiese.
- Io.. ? Be', faccio un po' di cose.- mi portai le mani dietro la schiena, come faceva sempre mio nonno.
- Tipo?
- Disegno, scrivo, suono, canticchio, dipingo, ballo, recito, leggo, penso, viaggio..
- Wow. Quasi quasi t'invidio!
- Fidati. Ci sono comunque cose negative in tutto ciò. E oltretutto, ho appena cominciato il primo anno al College.- aggiunsi scocciata.
- E cosa studi?
- Cinema. Per la sceneggiatura.
- Bello! Io ho mollato il liceo per la musica..
. Ora sono io ad invidiarti! - ridemmo insieme.
- Hai detto che suoni. Cosa?
- Il pianoforte, da quando avevo cinque anni.
- Cavoli, allora sarai una piccola Mozart!
- Piccola Liszt o Debussy, please. Sono i miei preferiti. Mozart è banale. E scontato. E decisamente troppo chiaccherato.
- Preferisci l'anonimato?
- Non esattamente. Preferisco quel qualcosa che la gente non ascolterebbe tanto volentieri.
- Allora, benvenuta nel mio mondo. - mi disse aspirando il fumo dalla sigaretta.
Analizzai quel suo semplice gesto, ed era così attraente il modo in cui lo faceva.

Portava la sigaretta sulle labbra lentamente, e aspirava altrettanto, chiudendo gli occhi e assaporando il fumo nelle vie del suo corpo. Poi apriva sempre più lentamente la bocca, e il fumo usciva fuori elegante e appannato, sparendo completamente una volta scontrato con la fresca aria di Clifton.
Volevo fumare e fumare e fumare, e me l'aveva scaturita lui questa voglia incombente.

Ogni suo gesto mi seduceva sempre di più.

Continuammo a camminare e io non ancora idea di dove stessimo andando.
Come facevo a spiegare a questa splendida creatura che non avevo intenzione di tornare a casa mia perché i miei avevano litigato violentemente e mio padre mi aveva cacciata da casa senza che mia madre si opponesse, e che non c'era un'amica dove poter recarmi?
Arrivammo vicino la fermata del bus che porta fuori Clifton.
- Ecco. Siamo arrivati, bello.
- Cosa??- chiese stranito - E dov'è la casa della tua amica?
Che imbarazzo, accidenti.
- Non c-c'è.. ma.. ecco.. - feci una pausa - noncivogliotornareacasamia! - glielo dissi così, tutto d'un fiato, e lui stranamente non si scompose.
- Perché?
- E' troppo lungo da spiegare..
- Ma non posso lasciarti qui.
- S-si che p-pu-..
- No. - era serio e deciso a farmi restare - E' pericoloso, e scommetto che non sai nemmeno dove andare.
Arrossii dalla vergogna e abbassai il capo, muovendo un piede avanti e indietro sull'asfalto, ciondolandomi col corpo.
Jake sorrise e si avvicinò.
- Visto che la tua storia è così lunga da raccontare e non hai un posto per la notte, potresti venire a vivere da me per un po', non distante da qui..
Lo guardai meravigliata.
- Stai scherzando?- mi guardò dritto coi suoi occhi impressionanti, e in quel momento mi sarei potuta sciogliere come un ghiacciolo d'estate.
- Ti sembro uno che scherza?
Accettai con insolita allegria, e tutt'e due c'incamminammo verso quella strada, verso una nuova vita, un nuovo futuro.
Verso una nuova storia.



 

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Capitolo 2
*** An old country song. ***


Camminammo per dieci minuti parlando del più e del meno, facendoci domande stupide per conoscerci meglio, finché le nostre sigarette divennero minuscole e inutilizzabili.
Arrivammo davanti a questo piccolo palazzetto più in stile statunitense che britannico, dove egli viveva.
La porta d'ingresso era di un rosso scuro, quasi bordeaux, e sembrava proveniente da un'epoca passata con quelle rifiniture stile anni '40 - possibile mai che questo ragazzo non avesse niente di moderno a parte le scarpe??
Jake tirò fuori dalla tasca del jeans un paio di chiavi; cercava quella di casa, scartando le altre accuratamente etichettate 'box', 'mamma', 'studio' ecc ecc..
Quando le trovò, le chiavi di casa, - le uniche senza nome - le girò accuratamente nella serratura e la porta si aprì con un scatto veloce e poco rumoroso.
Entrammo e mi sentii catapultata in un mondo completamente diverso.
 
Sì, questo ragazzo non aveva nulla di moderno a parte le sue grigie Adidas.
 
Era tutto in disordine, un ''casino'' se posso permettermi certe parole.
Notai imbarazzo sparso per tutto il suo viso; si portò una mano dietro la nuca ed esclamò con un finto sorrisetto 'Scusa il disordine..', e io, ovviamente, risposi con un altrettanto sforzato 'Figurati'.
Ma in fondo, era tutto ok. Non si aspettava certo l'arrivo di una sconosciuta a casa - anche se aveva insistito lui.
Non mi fece fare il 'Tour Around The House', - anche perché l'avrei fatto io senza il suo aiuto, poi - ma mi indicò direttamente la stanza dove avrei dovuto alloggiare.
 
Per un momento mi sentii come Mr. Bean a casa della vecchia acida Julia Wicket.
 
Mi lasciò lì, in quella stanza che puzzava di chiuso e polvere, e poi se ne andò in cucina.
Lo sentii aprire il frigo e esclamare a bassa voce un 'Dannazione'; all'improvviso mi urlò qualcosa che compresi e realizzai soltanto dopo che udii la porta d'ingresso chiudersi.
 
«Il frigo è vuoto.. Vado a fare la spesa! Se succede qualcosa le chiavi sono sul tavolo all'ingresso vicino un biglietto col mio numero di telefono».
Non so perché ma risi.
 
Poggiai la mia sacca sul letto, il quale cigolò un pochino e sbuffò polvere dal copriletto arancione e mi fece pensare al tramonto autunnale per le strade di Parigi - città meravigliosa che avevo visitato intorno gli otto anni.
 
Mi guardai attorno, un poco spaesata: la mia stanza era forse la più ordinata - sporca - della casa, e anche la più vuota. Vi era solo il letto, un comodino di legno scuro, una cassettiera e un armadio dello stessa manifattura del comodino e un'appendi abiti/cappelli di legno chiaro.
Ovviamente vi era anche una finestra, grande e in quel momento chiusa dalla taparella che lasciava entrare pochi barlumi di luce.
Tutto sapeva così di vecchio.
 
Diedi una pulita, giusto per sentirmi meglio con me stessa e evitare al povero cantautore altre figuracce.
Dio, quanta polvere invase le mie narici! Di fatti, decisi di farmi una doccia dopo aver pulito tutto. A Jake non avrebbe dato fastidio, no? Speravo solo che non tornasse proprio in quel momento - cosa che infatti non avvenne.

Il bagno si trovava in fondo al corridoio, appena uscita dalla mia stanza.
Lo percorsi lentamente, sbirciando qua e là tra le stanze che sorpassavo; quando raggiunsi il bagno notai che questo era il locale più pulito e in ordine - dopo la mia camera ovviamente. Ci si poteva specchiare, tanto era lucido. Forse era anche l'unica stanza non old style della casa.
 
Il soffitto e le pareti erano bianchi, mentre il pavimento era fatto di piastrelle azzurrine; c'erano solo la doccia, il water, una vasca e il lavandino con uno specchio di forma ovale, incastrato in un mobiletto bianco con cassettini.
Prima di svestirmi sbirciai tra quei ripiani, e trovai le solite cose che un uomo possiede: rasoio, schiuma da barba, dentifricio, alcuni spazzolini ancora impacchettati, deodorante, colluttorio e medicine varie. Nulla di interessante, insomma.
Poi, mi volsi verso la cabina della doccia, che non era trasparente come quella che vi era a casa mia, ma di un azzurro simile a quello delle piastrelle; aprii l'acqua per lasciarla riscaldare - un gesto che eseguivo da sempre prima di lavarmi - e mi spogliai completamente.
Aspettai due o tre minuti e poi entrai, facendomi avvolgere completamente da quel fiume d'acqua industriale, l'unica disponibile nelle case d'ognidove.
Chiusi gli occhi e mi rilassai quei pochi secondi che potevo permettermi; mi lavai nell'ordine che mi era stato insegnato: Shampoo, balsamo e doccia schiuma.
Non ci misi molto, cinque minuti direi, anche se in un'altra realtà o luogo avrei potuto impiegare anche un'ora.

Sì gente, sono una sprecona di prima categoria.

Strizzai i miei lunghi capelli in una stretta delle mani e poi uscì.
E l'accappatoio?
Ok. Lo ammetto: non ci avevo pensato.
Davanti a me ce n'era solo uno, e senza neanche tirare a indovinare, sapevo per certo che era quello di Jake.
Mi guardai intorno imbarazzata.
Se Jake fosse tornato in quel momento, mi avrebbe trovata nuda nel suo bagno e senza niente con cui coprirmi.
Sarebbe stato troppo umiliante.
Chiusi il bagno a chiave, e mi asciugai i capelli giusto dieci minuti, stando attenta nel caso Jake tornasse.
Poi, agguantai lo stesso il suo accappatoio e lo usai soltanto per raggiungere la mia stanza; una volta arrivata, chiusi la porta a chiave e mi asciugai il corpo con un'asciugamano che, grazie al cielo, mi ero portata da casa mia.
Mi sentivo così impacciata!
Feci tutto di fretta: agguantai delle mutandine semplici blu abbinate ad un reggiseno push up; poi un paio di pantaloni stretti con un motivo a quadri giallo e verde scuro, che arrivavano poco sopra la caviglia. I miei preferiti.
Misi una canotta di un verde più acceso, non troppo lunga, su cui era presente la scritta di una delle mie canzoni preferite.
 
«Because maybe, you're gonna be the one that saves me
 And after all, you're my wonderwall»
 
Già. 'Wonderwall', Oasis, Ottobre 1995.
Meravigliosa.
Indossai, infine, delle calzine sotto le mie Vans marrone scuro - quelle classiche, non sportive e una giacca di pelle del medesimo colore, che arrivava poco sotto il mio seno.
Un seno neanche tanto prosperoso. Seconda abbondante.
Comunque, raccolsi i miei capelli color biondo cenere spento in una coda alta e resistente, usando un elastico verde militare.
Presi la mia collana porta fortuna dalla taschina interna della sacca: era il simbolo di Batman. Il mio ero da quando ero piccina.
Sopra vi avevo fatto incidere il nome del regista - inglese, ovviamente - della saga di questo uomo-pipistrello: Christopher Nolan.
Ah! E, guarda caso, l'attore che interpretava Batman era il mio inglesino preferito Christian Bale.. Dio mio, lo adoro!
Peccato sia già sposato e abbia anche una figlia..
 
Tirai fuori, inoltre, dalla sacca anche una boccetta di profumo Penhaligon's. Il mio preferito.
Non so se l'avete presente, ma è quella storica boccetta impreziosita da un piccolo fiocco in tessuto..
In ogni caso, quel profumo è uno tra i sovrani indiscussi nel regno dei profumi inglesi.
Ogni volta che lo spruzzavo sul mio tenero collo, chiudevo gli occhi e immaginavo di trovarmi in un grande bosco affollato da alberi e fiori.
Un autentico paradiso.
Vi consiglio di comprarlo.
 
Insomma, ero pronta. Ma per cosa? 
Non lo so. 
 
Tornai in bagno e rimisi l'accappatoio al suo posto, così che Jake non avrebbe sospettato di nulla.
Girovagai per la casa, passando per la sala, e la cucina, e lo studio. Finché non raggiunsi camera sua, di Jake. Jake Bugg.
Era disordinatissima. Un disastro unico.
Vi era il letto, coperto da una moltitudine di capi d'abbigliamento - tutti old style ovviamente: calzini, jeans, tute, maglie, camicie, canottiere, cravatte, giacche, e anche delle mutande.
L'armadio era vecchio, rovinato e quasi vuoto - ci credo, i vestiti erano tutti sul letto!
C'era una grande cassettiera che non osai aprire; tre o quattro chitarre qua e là; molte paia di Adidas - l'unica cosa contemporanea che amava, probabilmente; fogli di spartiti e canzoni incomplete sparsi ovunque sul pavimento; e una foto.
Esclamai un versetto stupefatto - non so dirvi se positivo o negativo - nel vederla, quella foto.

C'erano lui, Jake, e una ragazza.

Lui era decisamente più giovane; non so quanti anni avesse in quel momento, ma ipotizzai sui quindici o sedici.
Lei era davvero una bella ragazza: capelli rossi e mossi; occhi piccoli e azzurri; sorriso grande e contagioso.
Sembravano entrambi così felici..
 
In quel momento la porta d'ingresso si aprì col suo scatto veloce, e la luce del Sole inondò la buia casa.
Uscii immediatamente dalla stanza e corsi in salotto.
Jake era in cucina a sistemare la spesa.
 
- Eccoti.- mi sorrise con quelle labbra, e io volevo svenire.
- Eccomi. 
- Ti sei cambiata, vedo.
- Si!- non mi passò neanche per l'anticamera del cervello di dirgli della doccia.
- Stai molto bene.. - arrossii e abbassai la testa - Ti piacciono gli Oasis?- chiese indicando probabilmente la scritta sulla maglia.
- Si, li adoro. Poi la canzone è scritta da Noel che è il mio preferito tra i due.
- Ahah, anche il mio! Liam ha il mono ciglio e quell'espressione da perennemente incazzato! - e cercò di imitare il più vecchio dei fratelli Gallagher. 
- Cosa cucinerai?- mi avvicinai con passo curioso.
- Una mia specialità.- ammise compiaciuto.
- Davvero? Voglio sapere cos'è.- dissi quasi come fosse un ordine.
- 'Filetto di bue in crosta di sale'.- a sentirlo così, pronunciato dalla sua voce assuefante.. sembrava squisito - E' una ricetta che ho imparato in Francia due anni fa.
- Sei stato in Francia?
- Ho vissuto lì per tre anni, ospitato da una gentilissima signora che mi ha fatto lavorare nel suo ristorantino. E' lì che ho imparato a cucinare, e cose non per niente di cattivo gusto.
E' stata la cuoca del presidente.
- Wow..! Quindi, oltre che cantautore e musicista, sei anche cuoco!- il tono in cui lo dissi era forse un po' troppo scherzoso.
- Sì, una specie.- ridacchiò.
- Come si prepara questo.. filetto?
- Allora, servono 650 grammi di filetto di bue; 2 kili di sale grosso; prezzemolo, salvia e alloro. Poi, si fa una salsa particolare, con yogurt greco, senape e pepe verde in salamoia.- annuii - Ma io faccio sempre una salsa diversa, più semplice, che non ti svelerò perché è il mio segreto.- rise spudoratamente.
- Sembra molto difficile preparare questo piatto, ma credimi non lo è. Sul fondo di una teglia bisogna mettere una parte di sale e adagiarci sopra il filetto, tagliato in due metà. Poi, si ricopre la carne coi vari aromi e la si ricopre col sale, aggiungendo qualche goccia d'acqua perché si solidifichi. Infine, si mette nel forno a 180° per un'ora circa.
Si prepara poi la magica salsa, e il tutto è pronto!
Rimasi scioccata e meravigliata di quel suo discorso così culinariamente dettagliato; mi invitò a lasciarlo lavorare e, se non mi dispiaceva, di preparare la tavola.
Eseguì tutto con diligenza e silenzio, abbandonandolo a quella che sembrava essere la sua seconda passione oltre la musica.
 
Passò il tempo, e a l'una e mezza circa mi ritrovai seduta a tavola con quella prelibatezza di filetto davanti ai miei occhi.
L'odore era ottimo e saliva su per le mie narici, andando ad espandersi per tutte le vie del mio sistema.
Ne tagliai un pezzo e lo assaggiai; Jake mi seguiva con lo sguardo, ansimante di sapere cosa ne pensavo.
- Allora?? Ti piace??
- Se mi piace?!- indugiai - E' PERFETTO!- quasi lo vidi lacrimare dalla soddisfazione.
Era buonissimo, non saprei nemmeno come descriverlo.
Mangiammo tutto con benevolenza e Jake mi raccontò della sua esperienza in Francia più dettagliatamente.
Ci fu un momento in cui mi ritornò in mente la foto con la ragazza.. Magari l'aveva conosciuta lì! Ma decisi di non aprire l'argomento.
 
Alle due e mezzo del pomeriggio - sempre di questo fatidico giorno che sembrava riservarmi mille sorprese - Jake mi propose di andare con lui in un posto che gli piaceva molto.
Accettai senza fare domande. 
Prese la macchina dal retro- era una vecchia americana Chevy Impala nera del '67 - e guidò fino al Colwick Park, una incredibile distesa verde con alberi, piante e animali di ogni tipo dove ero stata alcune volte.
Mi portò in una zona desolata e tranquilla.
Ah! Dimentico di dire che Jake aveva portato con sè la sua chitarra, la stessa che aveva al locale di Bo.
 
Ci sedemmo sul prato e mentre Jake tirava fuori lo strumento dalla sua custodia, io mi guardavo intorno e ammiravo le miriadi di piante che si stagliavano in quel luogo e i tanti animali che furtivi passavano da un albero all'altro.
 
- Ti ho portata qui perché voglio cantarti una canzone che ho scritto mentre ero a fare la spesa.
- Mentre facevi la spesa?!- chiesi spaesata - E dove diavolo l'hai scritta???
- Su dei fazzoletti.. Ma me la ricordo a memoria, accordi e parole.
 
Iniziò a suonare e provai di nuovo gli stessi brividi che sentii quando lo avevo ascoltato per la prima volta, quella mattina.
Prima accordo di Sol, poi di Do..
 
«Gonna sing you and old country song
  From the heart
  So I can cry your name and call you when I'm sad
  When you have gone and run so far
  From me in the trees 
  So far
 
  Walking down that old country lane
  Drops of rain
  Call upon the ones who call your name
  Will I see you again? And please come back home
  To me
  So I'm not all alone
 
  Gonna sing you an old country song
  From the heart
  From the strings of this old rusty guitar»  
 
Finì con gli accordi di Re, Sol, Do, Si, La e Sol.
 
Mi guardò col suo dolce faccino sfrontato e mi sorrise pienamente, chiedendo con lo sguardo per un commento.
-Jake.. - ero ammaliata dal suo talento, e da quella voce.. - Jake è.. wow. E' bellissima. - dissi infine - Come hai fatto a.. inventarla lì, sul momento??
- Be', stavo pensando a te e al fatto che fai molte cose artistiche e.. allora ho pensato 'ehi, perché non le scrivo una canzone?' E così.. l'ho fatto!

Stavo per piangere. Di nuovo. Di nuovo per colpa sua. Tutto in una sola giornata.
Lo abbracciai forte e con un gesto improvviso.
Lui ricambiò l'abbraccio e sentì le sue braccia calde e forti avvolgermi; chiusi gli occhi e immortalai quel momento nel mio cuore per sempre.
 
Questo è stato il primo giorno che lo conobbi, Jake.
Il giorno in cui la mia vita cambiò di peggio in meglio, senza passare per il 'bene'.
Il giorno in cui mi innamorai per la prima volta e per sempre.
 
Il giorno in cui io, Candice Mills detta 'Sol', conobbi la felicità.
 
Vorrei raccontarvi di come passammo il resto di quella giornata così particolare, ma ci sono cose ben più importanti che accaddero lì a Clifton, in quel magico periodo della mia vita.
 
Cose che scoprirete.
Presto.
O tardi.


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