La lettera

di JeffMG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera I ***
Capitolo 2: *** La lettera II ***
Capitolo 3: *** La lettera III ***
Capitolo 4: *** Lettera IV ***
Capitolo 5: *** La lettera VI ***



Capitolo 1
*** La lettera I ***



                                                                       Lettera I. 


Caro amico, ti sto scrivendo dopo che un vortice di anni e mesi ci ha diviso.
Mi chiedo come tu possa stare dopo quello che hai passato quando vivevi qui a Monte Claro,
quando passavamo le serate a correderci il fegato con il whisky o a parlare dell'ultima
partita di baseball 
vista in quella vecchia televisione del locale sotto casa mia. 
Ma a parte questo mi domando seriamente come possa essere il tuo stato d'animo,
se le tue nottate sono ancora accompagnate dagli incubi,
dopo quello che hai fatto, dopo il grande "incidente".
Ti avevo promesso che non ne avrei mai parlato con nessuno e così ho fatto,credimi,
ma il peso di questo segreto mi corrode l'anima. 
Non ti sto scrivendo per questo, ti scrivo perché almeno un po' di affetto per te è rimasto,
in questo cuore consumato dai tarli. 

 
Qui le giornate si fanno più lunghe, la primavera è alle porte.
Dopo giornate passate sotto la pioggia posso finalmente affermare che sta nascendo
in me un briciolo di amore per quel grande sole.
Ora mi alzo la mattina, mi infilo la camicia bianca, mi spruzzo un po' di quel profumo che mi piaceva tanto quando eravamo piccoli e poi esco di casa, innondato dalla luce solare.
E' un gioia quando il calore mi riscalda la pelle, pensa che ora sono color cappuccino,
ho perso quel colorito bianco da malato e ora mi scambiano persino per uno che la vita se l'è giocata bene.
Quando invece, non è così.
 
Sai, ho perso il mio lavoro, quello al giornale, te lo ricordi? 
In quel posto pidocchioso ci lavoravo persino quando vivevi qui. 
Quando tempo è passato?
Secoli, eppure mi sembrano minuti. 
Cristo, avevamo solo diciotto anni e tutta la vita d'avanti quando hai preso
quel treno e ti sei giocato tutto. 
Comunque, mi hanno licenziato perché dicono che ho esaurito ogni inventiva,
che i miei articoli sono cibo per i cani e 
che dovrei imparare a fare lo spazzino per campare.
Ma io non demordo, continuo a scrivere ogni santo giorno e così farò finché
Dio non mi chiamerà a lui. 
Se le mie idee non gli piacciono, che vadano a farsi fottere.
Allora un giorno il capo mi chiama nel suo ufficio, mi fa sedere, mi versa persino un po' di whisky in quei bei bicchieroni di cristallo e me lo sbatte sotto il naso. 
Mi dice che mi deve parlare e  comincia a passeggiare su e giù per la stanza
come se qualcuno gli avesse 
chiesto di misurarla in passi e così comincio a capire...
E' sottopressione, cristo anche lui è un cazzo di essere umano! 
Non avrà mai licenziato nessuno e i miei articoli così schifosi lo incuietano
così tanto che non riesce 
nenche a dirmi che sono fuori dal giro. 
Fa un discorso preparatorio e boom!
La spara: ti licenziamo.
Dopo il colpo si sente svuotato, la canna è libera e ne dice delle altre,
arricchisce il tutto con abbellimenti strepitosi, 
quali che non sono bravo nel mio mestiere,
che una volta pensava che nella vita avrei fatto faville ma che ora sono come un malato terminale che chiede ancora un po' di vita. 
Così mi mantengo con i risparmi di dieci anni di lavoro in un pidocchioso giornale di provincia,
dove scrivevo articoli di assassini fuori di testa che ammazzano altra gente che la testa se l'è fatta saltare in aria con una magnum. 
 
Penso che andrò in giro a distribuire giornali, mi dicono che pagano bene. 
Tu che ne pensi?
Giornali la mattina, passi con la bici e un cane ti morde le chiappe,
un signore ti urla contro perché il giornale non lo vuole...
M
a almeno quei 30 dollari te li sei fatto, dopo che hai girato
come una trottola per tutto l'isolato. 

 
Di cane ne ho uno, si chiama Spike, è un incrocio con un cane da caccia ed è apparentemente inutile ma quel bastardo mi fa più compagnia di quanta me ne potrebbero fare dieci persone.
Se dovessi andare a buttare giornali nelle case della gente, potrei infilarlo nel cestino della bici,
come fanno quelle signore con i loro cagnolini di razza, che li prendono e gli infilano cappottini e fiocchetti come se fossero delle bambine. 
Quelle sono le persone che eviterei come la peste, i vestitori di cani. 
Certo, se un cane a pelo corto ha freddo, allora che cosa c'è di male? 
Gli infilo un cappotto e lo porto a spasso, ma quando diventa una questione seria e lo vesto come se fosse il mio primo genito allora diventa una malattia. 
 
Ad ogni modo, come ti ho detto sono solo. 
Non ho amici, non ho una donna, non ho persino i parenti, poiché alcuni sono lontani ed altri sono andati a farsi un ballo nell'Ade. 
Ogni persona sembra evitarmi ed io evito loro con accurata gentilezza. 
Quando magari incontro un vecchio compagno di scuola che mi sbatte in faccia la sua vita perfetta, con primo piatto a base di verdoni, un secondo di moglie,
contorno di figli e dessert di casa con giardino. 
Se ci fossi tu non ti eviterei, passerei l'intera giornata a parlare dei vecchi tempi e di quei sogni che mi raccontavi, poi li hai realizzati? 
 
Comunque sono diventato uno studioso, un osservatore, ma non di libri o paesaggi,
ma di persone. 
Io mi siedo a un qualsiasi tavolo di un bar  e ascolto i discorsi di altri. 
Le donne usano consumarsi con chiacchiere da parrucchiera, quali l'ultima vicina di casa, quell'amica che è troppo sfacciata, l'ultimo vestito orribile che indossava l'amante
del vicino di casa o persino l'ultimo colore di smalto più alla moda:
chiacchiere inutili e superficiali come la faccia di un politico sulla testata del giornale. 
Gli uomini si limitano ad insultarsi, a parlare di sport e magari in un angolo remoto del locale,
troviamo il fumatore accanito che se ne esce con l'insulto per la società.
Mentre i giovani, i giovani non esistono... 
Sono completamente risucchiati dalla loro tecnologia che se li sta portando via con bagagli
e tanto di fazzoletto sventolato in aria per la mamma. 
Sono diventati preda dei loro oggetti, che ora se li rigirano tra le mani come pupazzetti. 
Tra loro non c'è più dialogo poiché la tecnologia gli permette di sviare alla ricerca di se stessi,
al confronto. 
Così io faccio da spettatore a tutto questo trambusto, poiché penso che ormai le parole siano diventate futili per gli altri e perché ormai i discorsi sono tutti uguali. 
Ora ti saluto, devo andare a spiare altri discorsi.
Ti scriverò presto, ma spero che tu risponda a questa lettera.
Attendo tue notizie, Pierr.

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Capitolo 2
*** La lettera II ***


                                                   
                                                                         Lettera II.


Sono passate settimane e non ho ricevuto tua risposta,
forse una famiglia che ormai abita nella tua vecchia casa,
legge le mie lettere e si fa qualche risata al posto tuo.
Ma sono un uomo ostinato, l'hai sempre saputo, quindi continuerò a scriverti
e un giorno una qualsiasi risposta la riceverò.

 
Sai chi era un uomo davvero ostinato? 
Un tale che per un anno si appostava sotto casa sua, convinto che la moglie avesse un amante. 
Si era licenziato dal suo lavoro da contabile solo per andare a vedere se durante il giorno in quella cazzo di casa sarebbe entrato un uomo. 
E aveva ragione il bastardo: nel 26 settembre del 1993,
un uomo sulla sessantina entrò in casa  - così dichiarò alla stampa - e boom.
Li fece fuori, sua moglie e l'amante, quattro colpi a testa e per chiudere in bellezza e poi
li ha murati in salotto. 
I corpi sono stati trovati due anni dopo, perché il bastardo si è confessato al suo compagno di cella e quello per avere il contentino dalle guardie, ha fatto la spia. 
Neanche fosse un racconto del vecchio Poe! 
Quello era un uomo ostinato, aspettare così tanto per trovare qualcosa
che non sei sicuro che esista. 

 
Ieri pensavo che la vita è un continuo sopravvivere,
non ci riposiamo mai e anche quando dormiamo il nostro cervello lavora, 
elabora notizie, le immagazina, tutto continua ad esistere e ad operare
mentre noi continuiamo a perire nel mondo. 
Visione nichilista, dirai. 
Ma non abbiamo tempo di spegnerci e resettare tutto, solo la morte ce lo consente
e allora perché temerla? 
Più che mai sono convinto che ci sia il nulla dopo di essa, che ci spegnamo come robot con i circuiti rotti e il nero pece ci avvolga. 
Il nostro corpo si disfa, le ossa divengono polvere ed è finita. 
Dico in giro di essere cristiano, ma apparte la mia fede che vacilla,
sento c he il mio Dio è sempre più lontano. 
Vorrei essere come Socrate, lui che la morte la bramava e non ne temeva l'avvento. 
Tu cosa ne pensi? Dopo quel giorno...
Vedo ancora il sangue che scorre sotto le ruote della tua auto, le tue urla, il suo volto ceruleo. 

Non voglio torturarti con questo ricordo, quindi ti dico che ho trovato un lavoro. 
Stavo camminando per il corso, quando ecco che vedo il cartello -Cercasi Personale-
sulla porta di un vecchio bar del centro.
Entro e un uomo minuto mi guarda come se fossi l'ultimo uomo sulla terra.
 
"Che vuole?" e io per tutta risposta dico
"Cercate personale?" 
"Sa servire ai tavoli?"

Gli rispondo di si, ti ricordi quando ti ho raccontato che da
diciassettenne lavoravo in un ristorante? 
Mi hanno messo in prova per una settimana e poi hanno deciso che
avrei fatto parte della famiglia. 
Il mio ozio è finito, ma non lo rimpiango. 
Sentivo che la mente si stava lacerando senza avere uno scopo nella giornata. 
Il proprietario del locale è un vecchio cubano di settant'anni,
non ne vuole sapere di andare in pensione e di imparare l'italiano. 
Quando mi vede, mi chiede

"Cosa preoccupa?" e io
"Niente, capo"

Gli piace quando lo chiamo Capo, vedo che sul suo volto nasce una smorfia di piacere. 
Ho anche un collega, Maurizio. 
Uno studente dell'università di economia.
A volte penso che lui sappia vivere più di me, anche se passa il 50% della sua vita in quel locale, 
a passare lo straccio o a rifare un caffè che prima non andava bene. 
 
Venerdì, dopo il lavoro, siamo andati in spiaggia per una bevuta e quel paesaggio marino che tanto detesto, ha catturato il mio interesse. 
Forse perché il buio della notte, le luci in lontananza e il luccichio dell'acqua rendono affascinante ciò che di giorno mi puzza di salsedine. 
Ci siamo seduti su uno scoglio e scolati due birre a testa. 
Mi ha raccontato che ha problemi in famiglia, che la sua vita non è più frivola
da quando il padre è stato licenziato e lui deve lavorare per pagarsi gli studi. 
Lo ascoltavo in silenzio, preda delle sue dolci lamentele. 
In lui vedevo quella parte di me che ha rinunciato alla giovinezza,
imparando a crescere in fretta. 

 
Oggi, disteso sul letto, mentre la radio andava a tutto volume trasmettendo una canzone degli anni 80, pensavo che la natura è una bastarda. 
Nasciamo con un aspetto e quello ci teniamo per tutta la vita. 
Se qualcuno nasce brutto, sarà brutto per sempre, lo stesso per uno bello,
ma questo non gioca a suo sfavore. 
Maurizio è un brutto ragazzo e così sarà per sempre, salvo che non accorra alla chirurgia estetica -arma dei vanitosi-.
Ma che cos'è la chirurgia estetica, se non una maschera che cela noi stessi,
un balordo trasvestimento?
Allora hanno ragione alcuni, quando dicono che alla fine quello che conta è l'anima? 
Ma l'anima deve avere uno specchio e questo non può essere sporco, rotto o così via...
Per cui la bellezza aiuta nel mondo.
La bellezza evita l'isolamento. 
E' diffiile da accettare, si vuole trovare una via di fuga, come in tutto del resto,
ma secondo il mio onesto parere, essa conta molto. 
La bellezza ci ricorda l'immortalità, l'assenza di ciò che è negativo
o di ciò che può nuocere allo spirito. 
Prendiamo gli antichi greci, non veneravano in maniera ossessiva la bellezza? 
Quando guardi le loro statue, non senti una piacevole sensazione di smarrimento
in qualcosa che non è effimero, ma perfettamente eterno e perfetto?
Mi ricordo di quando andavo a scuola e tutti i più belli erano circondati da persone
e gli sfigati erano da soli o con gli sfigati.
Io ero uno sfigato. 
Se mi avessi conosciuto alle superiori, probabilmente non mi avresti nemmeno parlato. 
Avevo problemi di peso, sovrappesso, navigavo nell'ira, poi nella solitudine
ed in fine affogavo nella rassegnazione ad una vita vuota. 
Non parlavo con nessuno e nessuno parlava con me, convinti che non avessi niente da condividere, mentre invece dentro me esplodeva un mondo di parole e sensazioni.
Ma conoscevo l'uso della parola solo per un dialogo interno.

Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? 
Mi hai offerto una sigaretta e io ti ho fatto un lungo discorso sul fumo che nuoce alla salute,
tutto per poi mandare a fanculo la mia coerenza. 
Per colpa tua, sono un fumatore. 
Lo dico con ironia, sai che sostengo che i nostri errori, se così li vogliamo chiamare,
siano solo di nostra responsabilità, ne di una parte divina ne di una parte umana esterna a noi.

Dovrei smettere di fumare, ma proprio non ci riesco. 
Una mia ineluttabile debolezza. 
Strano come si sia consapevoli del fatto che ci sono mille sostanze nocive
in quella piccola cosa e che possa portare alla morte, ma che nonostante questa consapevolezza si continui a fumare senza contegno, senza vergogna e senza timore. 
Forse noi fumatori siamo dei presunti suicidi. 
Non potrei mai rinunciare alla mia piacevole - pausa sigaretta-. 
Mi siedo sulla poltrona, accendo la piccola e guardo fuori dalla finestra la vecchia Milano. 
Te la ricordi? 
 
L'altro giorno in un vicolo ho trovato un negozio dell'usato. 
Ho sempre amato gli oggetti usati.
Hanno la loro storia, sono vissuti e consentono alla mia fantasia di esercitarsi. 
Immagino la vita dei loro ex proprietari e ciò che li ha spinti ad abbandonarli. 
Entrato nel locale, la proprietaria mi ha chiesto se avevo bisogno di aiuto
e terrorizzato le ho risposto di no, che avrei esplorato da solo. 
Perché terrorizzato?
Perché sembrava uscita da un film dell'orrore, era agghiacciante,
vestita con un completo di Chanel di almeno 40 anni prima. 
Sfoggiava con eleganza un collier di perle e il suo portamento sembrava
quello di una ballerina in pensione. 
Pensai che era uno spettro uscito dagli anni 50.
So che sembra un pensiero assurdo, credere in uno spettro,
ma l'illusione era accresciuta da quel posto sinistro e pieno di polvere, 
da quegli specchi ai muri che sembravano riflettere solo il niente
e da quelle foto in bianco e nero appese alle pareti. 

 
Ho cucito una storia su di lei:
Era un pomeriggio piovoso del '55 , la proprietaria era in negozio
- una volta sede di articoli al passo con i tempi -.
Ecco che l'orologio rintocca le quattro e la donna sfoglia un giornale di alta moda. 
Quando entra un uomo sulla trentina, si aggira con grazia tra gli scaffali,
sorride alle donna e dal lungo cappotto di pelle, estrae una pistola. 
La proprietaria avvolge tra le mani una croce appesa al collo.
 
"Dammi tutti i soldi" dice l'uomo e lei obbedisce, svuotando la cassa.
"Non mi spari, la prego" e l'estraneo per tutta risposta le regala un colpo in testa.

 
La donna cade sopra il giornale, ormai imbrattato di sangue.
Un edizione di Vogue andata perduta sotto rivoli rossi. 
Se fossi stato un giornalista dei tempi ci avrei scritto un articolo:Colpo all'alta moda!
Avrei fatto faville! 

 
Oppure potrei sotterrare la mia fantasia e pensare che è solo una donna
nostalgica degli anni '50 e che il suo vestito consumato era della madre 
o che l'ha trovato tra i suoi articoli dell'usato. 
Decisamente un taglier che ha colpito la mia fantasia, ringrazio Coco Chanel,
in grado di suscitarmi interesse in ciò che non dovrebbe procurarmene. 
Allora giravo per il negozio e tutti gli oggetti mi attraevano, creando mille storie che si intrecciavano tra loro e i loro personaggi si incontravano e discutevano.
Poi in un angolo remoto del negozio, l'ho trovato. 
Un vecchio libro con un titolo francese. 
 
Permetti il mio interesse per la letteratura francese?
Fose leggermente ossessivo, ma innoquo. 
Ho preso in mano la reliquia, anno di stampa 1930,
sfogliai le pagine ingiallite e un odore di fiori secchi mi giunse alle narici. 
Son certo che apparteneva ad una giovane donna,
un' affascinante giovane di origini francesi,che ha trovato in quel libro un po' della sua patria. 
Poi ha deciso di venderlo per comparsi un vestito e ha lasciato in esso un po' del suo profumo.
Allora mi avvicino fremente alla proprietaria e le chiedo il prezzo.
Sai che cosa ha fatto? Me l'ha regalato! 
Ha detto che i giovani lettori sono rari, ma se sapesse che non sono poi così tanto giovane,
forse mi avrebbe tolto il libro dalle mani. 
Sono uscito dal negozio fiero del mio bottino di guerra, in quel negozio degli orrori.
Presto ti racconterò di cosa parla. 

 
Ti saluto, vado a fumarmi una sigaretta.
Pierr. 

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Capitolo 3
*** La lettera III ***




                                                                               Lettera III.


E' il 30 marzo e la pasqua è vicina, caro amico mio.
Tu la festeggierai o sprecherai la giornata come se fosse un giorno normale e insegnificante,
come se in questa domenica santa nessuno abbia passato la storia?
La primavera dovrebbe essere arrivata, avrebbe dovuto mettere capello e cappotto
sull'attaccapanni e levarsi le scarpe per infilarsi il pigiama
e invece la poverina è ostacolata da pioggia e vento.
Ma apparte queste notizie sul tempo, ho deciso di continuare ad esporti in maniera probabilmente assilante, le mie questioni di vita.

Pensavo che la maggior parte di noi gioca la sua vita per gli altri,
senza neanche rendersene conto, forse senza volerlo.
Come quando ci mettiamo il profumo, sappiamo che non lo sentiremo nel giro di pochi minuti,
ma profumiamo per chi ci sentirà.
Dipendiamo dal giudizio degli altri,
come stupide falene giriamo attorno alle nostre calde lampade.
Tu sei una lampada o una falena?
Io penso di essere una falena e ho il corpo pieno di bruciature, martoriato e sconfitto.
Rassegnato dal passato che sembra non volermi lasciare, come tutte queste immagini di quando avevamo diciotto anni e la vita ci sorrideva ancora, poiché c'era di fronte a noi il vuoto e non quest'avvenire che mi ha deluso e forse ha deluso anche te.
Ripenso a quante cose avrei potuto cambiare e quante avrei potuto evitare,
come questa maledetta dipendenza dalle sigarette.
Quando ero giovane mi sedevo su un muretto e ne fumavo una,mi sentivo eterno e immortale, mi sentivo come un ragazzino.
Ma ora sento che il fumo sta nuocendo alla mia salute e mi rendo conto di non essere più eterno.
Tutti ci sentiamo eterni quando siamo giovani, non credi?
Le cazzate che ci ritroviamo a fare sono infinite, tutto perché pensiamo di avere un corpo indistruttibile e forse è vero ma poi è la psiche che ne risente.  

Oggi piove, mi mancava la pioggia, ti scrivo e fuori cade l'ira di Dio.
Ho acceso una sigaretta e dalla finestra aperta mi arriva l'odore dell'asfalto bagnato.
Anelavo questi momenti confusi e ovattati in cui il tempo sembra fermarsi e che continui solo a scorrere acqua, ma il resto del mondo resta immobile.
Non so se ti capita di voler entrare nella testa della gente per sapere che cosa pensano di te. Forse lo desidero solo io, per quanto dipendo dal giudizio degli altri o forse perché una risposta per quello che sono non la ho neanche io e la cerco negli altri. 
Come quando mi guardo allo specchio e sento che qualcosa è cambiato,
che qualcosa si muove dentro di me.
Capisco che non sono più lo stesso, con il tempo si cambia dicono, ma io non volevo cambiare. Volevo restare il ragazzino che ero una volta e continuare a giocare come se niente esistesse all'infuori di me. Forse soffro della sindrome di Peter Pan, forse è l'età che avanza e ho una crisi di mezzà età, anche se la mezzà età non la ho, sarà in anticipo.
Forse è solo nostalgia dei vecchi tempi, perché scrivendoti queste lettere sto ritornando indietro con la memoria e sto ricordando quanto erano belle quelle giornate a fingere di stare bene mentre eravamo annoiati dal dolce far niente.
Ma ti sto scrivendo io, non ti do nessuna colpa del mio malessere.


Perché ti ho scritto?
Perché ho trovato delle vecchie foto che ci eravamo fatti al ponte.
Eravamo andati a vedere quella gara di motociclette,
con tutti quei vecchi incelofanati in chiodi troppo stretti e in capelli troppo bianchi.
Ci eravamo divertiti, con poco e con niente, ma avevamo trovato la gioia di vivere guardando solo delle moto che sfrecciavano sull'asfalto e forse non ce ne importava niente di loro.
Amico mio, tu nascondi  il segreto della felicità, come se il tempo si fosse fermato e intrappolato dentro di te e spero che quando mi risponderai, un po' di questa gioia tu me la possa donare. Non sono un opportunista, sono solo un nostalgico. 

 
Ieri sono andato a vedere la precessione, le strade erano illuminate dai lumini e camminando tra le vecchie vie del mio paese, non riconoscevo le strade e mi sembrava di essere in un libro di Anne Rice. C'erano molte persone, tutti a recitare l'ave maria e mi sono vergognato per essere un cristiano in pensione.
Li ho guardati con ammirazione, sorretti dagli invisibili fili della fede,
non si lasciano andare e continuano a credere in qualcosa che forse non esiste, ma lo fanno, credo per abitudine o perché qualcuno è davvero convinto.
Li ammiro e mi provocano tenerezza, nelle loro convinzioni nelle quali io non credo.
Con l'età cominci a farti domande su tutto, persino sul perché ci sono gli alberi e continui ad andare sempre più in profondità e tutto quello che da piccolo ti hanno raccontato all'improvviso non sembra più importante.
Capisci di averlo superato e di essere andato avanti in un percorso che non dovevi percorrere. Queste persone si fermano alla soglia di casa, non si pongono domande, non ricercano se stessi e credono in ciò che gli è stato insegnato, senza obbiettare.
Ed è comodo così, hai la portata pronta e nessuno te la può levare di mano,
mangi i tuoi spaghetti e sei felice, perché ti hanno insegnato così.
E' come se la mente andasse in un'unica direzione e non si evolvesse.
Tu che ne pensi della religione cristiana? O di tutte le religioni?
Perché alla fine è di questo che stiamo parlando, della religione,
una parola che indica una sola via d'uscita, un solo modo di vedere la vita
che ti fa escludere gli altri.

Ho visto persino dei miei vecchi compagni di scuola, accompagnati dalle mogli e dai figli
e quei bambini saranno anche loro marchiati dalla religione, senza accorgersene finiranno nel fatidico circolo vizioso.
Da genitori a figli, da figli e così sia.
Tutto non cessa di esistere perché la gente lo tramanda e quest'accozzaglia di presunte verità ce la portiamo dietro da anni perché qualcuno ce l'ha detto e ce l'ha fatto credere e non ci accorgiamo che siamo solo vittime di un lavaggio del cervello.
Sto diventando blasfemo?
Finiremo come i borghesi che si imboccano a vicenda, finiremo col vedere la vita come una grande fatica e il premio finale sarà l'alto dei cieli.
Avremmo le case con i giardini curati, le parolacce saranno vietate e l'arte sarà una volgare forma di corruzione.
Ti saluto, Pierr

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Capitolo 4
*** Lettera IV ***




                                                                     Lettera IV.


Stavo ascoltando una canzone di Paolo Conte e ho incominciato a riflettere sull'amore. 
Ti rendi conto che sta diventando una presa commerciale al sol fine di fruttare soldi? 
Ormai chi si ama è raro come il petrolio e mille nazioni se lo contendono digrigrando i denti.

Guardiamo la televisione, quella benedetta e sacrosanta scatola magica che ci insegna la vita, che la insegna a quei giovani che ora governano le strade al posto nostro.
Lei ci fa vedere amori impossibili, pieni di speranza quando invece la metà della popolazione  
è sola come un cane e li si rincorrono come bambini con il retino e farfalle contente di farsi inchiodare al muro.
L'amore è diventato sesso e il sesso il niente, perché ormai non soddisfa neanche più, diviene parte della routine e del malessere quotidiano, si fa perché si deve,
perché forse poi non si è più uomini ma bestie.

Quanto ci manderanno avanti con questa storia che l'amore è sacro e quella cazzate alla romanzo rosa che ci legano alla solitudine e ai cioccolatini quando ci troviamo inadatti alla solitudine?

Perchè è questa che ci aspetta quando non sappiamo amare noi stessi
e cerchiamo qualcuno che lo faccio al posto nostro.
Ma a parte questa perla di cinismo ti descrivo ancora una volta il tempo: piove.

Ho riflettuto molto bene sul lavoro e su quello che comporta.
Che senso ha vivere seguendo programmi altrui e sprecare tempo prezioso e veloci secondi di vita, un'esistenza che potrebbe spegnersi dopo poco e un futuro che
andrà in direzione opposta ai nostri piani?
Vivo in funzione del soddisfare e fare andare avanti l'economia solo per guadagnarmi un pezzo di pane che non è più pane ma un concentrato di tranquillanti e conservanti. 
Siamo statici nei nostri ruoli, non ci distacchiamo dai nostri doveri
neanche con una pistola puntata alla testa, non ascoltiamo i nostri istinti, 
siamo volatili in gabbia.
E' come se stessimo giocando a un gioco che non ha una vincita,
un susseguirsi di giornate tutte uguali: proseguono senza distinguersi.
Ci illudiamo di essere qui per uno scopo e invece siamo qui per riempire
lo spazio di mondo che ci è toccato.
Quindi ho lasciato il lavoro e penso di continuare a vivere di resti,
come il pollo in frigo di due giorni fa.
Qualcosa mi inventerò, si tratta solo di questo, inventarsi qualcosa.

Quando mi sono licenziato
-con grande lavata di capo da parte del capo che ormai si crede mio padre-
sono andato dritto ai giardinetti pubblici e ho visto due cose sconvolgenti per il mio piccolo mondo di riflessioni. 
Una donna faceva urinare la figlia di almeno otto anni nel bel praticello verde dove poi forse degli studenti andranno a sdraiarsi dopo lunghe ore di lezioni.
Mi chiedo: dov'è finito il rispetto per la natura? E sopratutto la decenza?
E' andata a farsi benedire, ecco!
Cosa porta una madre a far usare come bagno pubblico un bel praticelo colmo di margherite?
La seconda cosa che mi dice molto sul mondo, è una ragazza che passata avanti a me con dei tacchi da 12 cm, ha rischiato di cadermi addosso.
Non sapeva camminarci, ormai le donne che non sanno camminarci sono molte.
Sai perché?
Perché non sono più donne ma bambine che giocano a farle e ci riescono male.
Immagino che si sia preparata per un appuntamento,
che si sia messa in "tiro" solo per l'amante ed ecco che si cade nei luoghi comuni.
L'aspetto fisico è solo quello che conta.
Perché ormai la nostra povera società si è ridotta a questo,
a un reticolo di luoghi comuni e mal di cenze, ci ritroviamo ad esorcizzare le nostre paure con delle scarpette e delle calze a rete.
Non siamo mai stati così finti e approfittatori di qualcosa che ci porterà al vuoto e all'insicurezza che cerchiamo tanto di evitare con accurata gentilezza.

Ho comprato una bottiglia di whisky, di quello buono e sto qui a fissarla da un'ora e non riesco a concepire come si possa credere che questa deliziosa bevanda possa risolvere qualche potente malessere rintanato nel nostro inconscio o nel pre conscio.
Il bello è che in questa cazzata ci credo anche io e ora mi verso un bicchiere e poi forse un'altro finché la testa non mi cade sul tavolo e mi sveglio con l'emicrania.
Ti lascio con una domanda.
Perché quando una persona è ubriaca tutti diventano gentili?
Altruismo o semplice paura di qualche acido verde sui pantaloni?
Pierr. 

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Capitolo 5
*** La lettera VI ***




                                                                        Lettera VI.


Buongioro Giorgio, mi sono appena svegliato.
Sono solo le sei della mattina e tira un gran vento.
Amo la mattina, è l'unica momento della giornata che promette qualcosa.
Tutto è ancora da realizzare, tutto è possibile.  
Osservo il sole che comincia a sorgere e il vento che dalla finestra mi accarezza il volto,
simile allo sciocco ma più potente e meno caldo.
Il silenzio a momenti è spezzato dal passaggio di una macchina e mi chiedo dove possa andare, da dove torni o dove sia diretta.
Tra poco inizierà la vita, tra poco tutto sarà in moto e a lavoro in questo piccolo mondo.
Intanto il colore del cielo mi infonde sicurezza,
mentre ti scrivo e la cenere della sigaretta cade sul foglio.
Spike si è svegliato, vuole le sue crocchette e la passeggiata mattutina.
Ma non lo accontenterò subito, sarò spietato ed egoista,
perché voglio ricordarti di quando prendevamo le nostre tazze di caffè
e fumavamo le nostre sigarette, pacchetti da dieci che finivano nel giro di mezz'ora. 

Ti ricordi il freddo che c'era d'inverno?
La neve che ci copriva le teste e il vento che tirava e ululava come un pazzo.  
E il pazzo qui sono rimasto io, che sono ancora legato ad un passato che non può darmi risposta, è come se parlassi ad un muro ma mi ostino a farlo
e a non capire che così finirò col farmi male.

Non ricevo ancora tua risposta e comincio a preoccuparmi,
ma come ti ho già detto sono un folle e continuerò a scriverti finché tu non mi dirai basta. 
Pierr.

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