Best thing I ever had.

di artemix_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - today is the day. ***
Capitolo 2: *** - before the storm. ***
Capitolo 3: *** - gift of a friend. ***
Capitolo 4: *** - dark side. ***
Capitolo 5: *** - take me along. ***
Capitolo 6: *** - rabbit hole. ***
Capitolo 7: *** - all this time. ***
Capitolo 8: *** - dancing. ***
Capitolo 9: *** - my life would suck without you. ***
Capitolo 10: *** - everything. ***
Capitolo 11: *** - all the right moves. ***
Capitolo 12: *** - the call. ***
Capitolo 13: *** - right now. ***
Capitolo 14: *** - right here, right now. ***
Capitolo 15: *** - last first kiss. ***
Capitolo 16: *** - it's time. ***
Capitolo 17: *** - shine on. ***
Capitolo 18: *** - wanna say. ***



Capitolo 1
*** - today is the day. ***


Best Thing I Ever Had.

chapter one:

Today Is The Day.

That was a time, I thought that you did everything right.

 

Mi guardai allo specchio con terrore. Le pupille dilatate per l’ansia, la faccia di un pallore tendente al giallo. Il pigiama verde con i coniglietti che mi copriva il corpo.
Le sentivo le voci degli amici miei, dall’altra stanza. Il bagno era piccolo: uno specchio rettangolare copriva una parte di muro dalle mattonelle blu-azzurrine.

 

- Là, hai finito?
- Sono appena entrata – dico e mi passo una mano tra i capelli. Arianna divideva la stanza con me, quell’estate.
Con il desiderio di sviare la monotonia che ci aveva accompagnati durante tutto l’anno, avevamo deciso di frequentare da giurati il Giffoni Film Festival.

Giffoni Valle Piana era un paese piccolino, una landa sperduta, rispetto alla Napoli cui ero abituata.
Eravamo in quindici in quell’hotel, otto dei quali facevano parte della mia combriccola.
Sorrisi. Ero felice di essere lì, quell’anno sarebbe stato diverso. Quel giorno sarebbe stato diverso.
Mi feci una doccia e poi tornai a sciogliermi i capelli, che ora mi arrivavano ai gomiti.
Mi pettinai e li legai in una coda di cavallo. Uscii dal bagno con l’accappatoio e col sorriso stampato in faccia.

- Finita l’ansia?
- No – dissi e risi. Il mio viso era ancora del pallore di prima, ma con un po’ di trucco avrei aggiustato tutto.
- Entro io – mi disse.
- Ragazze, uscite? Sono già le 8 - sentii urlare Fabio fuori la porta.
- Un attimo! - strillai di rimando.
Una cosa che odio è che mi mettano fretta. Sospirai.

Quell’anno avevamo deciso di iscriverci perché la maggior parte degli attori e degli ospiti erano le persone che con loro film e canzoni ci avevano accompagnato fino a quel momento.
Toccava a tutti. Tutti speravano d’incontrarle, quelle persone che sono un po’ come noi, famose, ma umane.
Ed era talmente impossibile che quel giorno fosse arrivato, che quasi mi sentivo male. Quella notte le farfalle non solo avevano campato nel mio stomaco, ma le sentivo vorticare attorno a me assieme alle zanzare.
Oggi è il terzo giorno di Giffoni. E tocca a me.
 
 
Mi truccai e, dopo che Arianna mi ebbe intrecciato i capelli con la coda di cavallo che mi ero fatta io, indossai la maglia rossa e il pass che aveva già due giorni di vita.
Nella hall del bed & breakfast vi erano Sonia, Gianluca, Benedetta, Manuele e Martina e Francesca. Fabio continuava a parlare. Mi teneva un braccio sulle spalle e io cercavo di controllare il respiro.

- Calma, Là – mi dicevano quest’ultimo e Arianna.
- Buongiorno – sussurro agli altri.
- Ragà, v’ho preso il cornetto -, sorride Benedetta e ci consegna una bustina bianca con dentro tre croissant.
- Alla Nutella? -, chiede Fabio con sguardo torvo.
- Alla Nutella -, conferma lei.

E insieme sorridiamo per quella nuova giornata.
 
 
Dopo la colazione ci dirigiamo all’entrata dei teatri del festival. Il bed & breakfast era poco distante. Mandai un messaggio a mia madre dicendo di stare per entrare.
Sospirai e mi tremò persino il fiato.
Arianna mi tiene stretta e io l’abbraccio.
Mi sentivo morire sul serio. Avevo paura fosse tutto sbagliato, che i programmi fossero cambiati e che quel giorno non ci sarebbe stato nessun incontro.
Entrammo nella piccola casa di legno e ci ritrovammo di fronte al grande giardino.
Manuele non smetteva di parlare, Gianluca e Francesca sorridevano a 42 denti e Benedetta se ne stava in silenzio con Sonia, Martina e Fabio.
Mi sentivo strana, non solo perché avessi l’ansia più del solito, ma perché di solito mi contengo. Invece per poco non inciampavo nell’aiuola.
Ero nervosa.
Cosa positiva: continuavo a sorridere.
Quell’anno mi ero impegnata a scuola in attesa di quel giorno. Mi ero impegnata nell’attesa dell’ansia, mi ero impegnata nel sentirmi libera, mi ero impegnata nel stare bene.
Forse  era servito, forse no.
Ci sedemmo sull’erba e rimanemmo ad aspettare.
Di lì a poco, sarebbero dovuti venire a chiamarci per le prime proiezioni.
Presi a guardarmi attorno. Ragazzi di ogni età si affollavano attorno alle ombre degli alberi, sui  marciapiedi che avvolgevano il giardino, c’era chi fumava, o semplici bambini accompagnati dalle madri che giocavano a rincorrersi. Qualcuno si dirigeva verso il bar per la colazione o per il caffè che non avevano ancora bevuto.
In lontananza si poteva sentire la canzone dell’estate. L’ennesima.
Martina ciondolava la testa; con la coda dell’occhio vedevo i suoi lunghi capelli tremare.
La treccia che tutte le mattine mi faceva Arianna mi stava comoda e non dovevo sorbirmi i capelli sul collo sudato.

- Martì, ma non hai caldo con i capelli sciolti? – chiedo.
Tutti si voltano a guardarla.
- Sì, però sono più figa – ammette. Ridemmo.

Cominciarono a chiamare i gruppi in base all’età. Toccò a noi. Io, Arianna e Martina eravamo nello stesso gruppo.
Ci alzammo e ci dirigemmo alla sala 5. Il grande schermo era spento e ci sedemmo nelle ultime file. In poco tempo l’intero cinema si riempì di vocii e persone.
 
 
Fu nel primo pomeriggio che il mio cuore prese un volo enorme. I miei occhi cominciarono a tremare. La mia testa prese a girare e il mio corpo si riempì di adrenalina.

- Il primo ospite! – sentii urlare da qualche parte.
Tutti si agitavano e l’unico punto di riferimento era Arianna che mi teneva per mano.
Le file si sfasciarono e mi ritrovai compressa nella massa.
- E’ lui! – urlò qualcun altro.
Lui chi? Mi chiedevo io.
- E’ lui – mi confermò Arianna, con calma.

Sul mio viso si dipinse un'espressione di stupore e nervosismo. Le sopracciglia si corrugarono e strinsi forte gli occhi.
Arianna mi strattonò, dritta nel teatro, dove di lì a poco si sarebbe svolta l’intervista.
Respiravo a malapena, specialmente per il caldo. Arianna prese i primi posti del nostro gruppo, verso il centro.
Sentii Martina correrci dietro, affannata.
- Ragà, ma che cosa fate? -, strillò arrabbiata.
Il teatro rosso si dipinse di altro rosso. Le persone cominciarono ad entrare.
Non capii in principio il perché Arianna mi avesse portato via dal Red Carpet, ma mi ritrovai a poche file di distanza dal palco.

- Là, respira -, mi disse ancora Arianna.
E poi lo vidi. Quando la folla si fu calmata e i corridoi furono sgombri dagli ultimi arrivati, lui apparve, seguito dal presentatore.
E quando si sedette sul bordo del palco, pronto, guardandosi intorno, li vidi. Quegli occhi che non avrei dimenticato mai più. 

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Capitolo 2
*** - before the storm. ***


chapter two:

Before The Storm.

I'm standing here but you don't see me, I'd give it all for that to changes

Dalla tribuna, sorrisi. Il presentatore/organizzatore, che si chiamava Marco, prese a parlare.
- Logan Lerman, per la prima volta al Giffoni Film Festival! – esclamò.
Gli chiese. cosa ne pensasse dell’Italia, visto che era la prima che veniva; gli chiese di Percy Jackson e il mare dei mostri che a breve sarebbe uscito; gli chiese dei progetti che avesse in mente, dei film che aveva in programmazione. Lui rispondeva e poi si ammorbidiva le labbra, strofinandole l’una contro l’altra. Lo faceva sempre, quando recitava o quando semplicemente parlava. Adoravo poter confermare ciò da vicino. Stare attenta a quei dettagli che altrimenti non avrei mai potuto osservare.
Quando l’intervista finì, Logan si alzò e ci guardo uno a uno. Sorrise e annuendo, ci fece un cenno di saluto con la mano.
- Grazie -, disse, in un italiano contorto.

E scoppiammo in un applauso.
Marco si congedò e le guardie si avvicinarono a Logan. Il nostro gruppo si alzò e in silenzio provò a raggiungerlo, con il dovuto rispetto che eravamo tenuti a portare lì e, con calma, formammo una sorta di fila. Molti dei presenti uscirono dal padiglione, mentre io, Arianna e altri rimanemmo dentro.
Marco ritornò e prese il microfono. - Adesso con calma, ma con sveltezza, facciamo in modo che voi possiate ‘incontrare’ Logan. Per piacere, uscite dal teatro con calma.
Ero felice di averlo visto, osservato e vissuto. Ero felice di essere lì.
Ma quando si allontanò con sua madre, tutto mi sembrò come se non fosse mai accaduto.

Il cortile si riempì di persone. I bambini che non sapevano neanche chi fosse Logan, si avvicinavano alle madri o prendevano di nuovo a giocare.
Martina affannava dietro me ed Arianna, la quale piuttosto si impegnava a seguirmi. Non mi andava di essere una delle ritardatarie.
Marco si aggirava nella casetta di legno. Comprò una bottiglietta d’acqua e uscì. Io lo aspettavo là.

- Marco! – lo chiamai.
- Ciao, dimmi – disse cordiale.
Mi avvicinai. – Ascolta, come funziona la cosa dell''incontro Logan e sono felice a vita’?
Rise. – Funziona che verranno sorteggiate delle persone, ovviamente, non posso farvi entrare tutti – indicò l’interno della casetta.
- E’ lì? -, chiesi.
Annuì. Deglutii.
- Ma non sei riuscita a vederlo? – mi chiede.
Mi trovo spiazzata. Ma non mi va di mentire solo perché potrei fargli pena. – Sì – dico piano.
Lui sorrise. – Tranquilla, vedi che esce il tuo nome -.
Ma ho l’impressione che stesse solo cercando di consolarmi.

 

Tornata dagli altri, le mie dita presero ad arricciarsi. Mi lanciai letteralmente sull’erba.
Abbiamo tanti sogni noi, quelli impossibile e quelli ad un passo di noi.
Mi sono sentita stupida pensando a queste cose. Ma non poteva andare peggio di Fabio, che adesso stava ascoltando le canzoni di Shrek.
Ridemmo tutti a quella scena.
L’ansia mi prese con sé di nuovo, quando Marco entrò nel cortile, con una cartellina e un microfono.

- In fretta, forza, sono stati estratti questi nomi per l’incontro con Lerman -, proclamò. – Dopo ciò, abbiamo per voi un altro progetto che si incentra sulla creazione di un copione con trama fantasy -.

Non sapevo si facessero queste cose al Giffoni, ma annuii decisa.
Marco passò lo sguardo su di noi e poi calò gli occhi sulla cartellina.
Arianna mi strinse la mano e sorrise. Più per me che per lei.
Il presentatore lesse un paio di nomi. Una ragazza del mio gruppo età, un ragazzo del gruppo dei +18, un bambino dalla testa riccia del gruppo dei +8, un altro ragazzo del mio gruppo e poi lesse altri tre nomi.
- Questo è l’ultimo -, disse. – Arianna Giuliani.
Silenzio. Il movimento ansioso di Arianna, tacque. Mollò la presa dalle mie mani. Mentre si alzava, nei suoi occhi c’era un dispiacere che si tuffò nei miei.
Abbassai lo sguardo.
- Forza, svelti! -, incitò Marco.
Il bambino corse dietro il ragazzo del mio gruppo. Sospirai e alzando gli occhi, provai a sorridere. Mi tremavano le labbra. Non avrei potuto dire grazie a Logan. Non quel giorno. Mai.
 - Andiamo -, disse Marco a prese per le spalle Arianna, facendola entrare in fretta. – Dai, che dobbiamo leggere i nomi di coloro che faranno parte del secondo gruppo.
 


Sfigata quanto sono, non potevo certo essere fortunata per il sorteggio dei secondi. Arianna uscì dalla casetta di legno saltellando.
- Ragàààà, com’è strano da vicino – disse e io le sorrisi, mio malgrado.

Quando scelsero i nomi del secondo gruppo, si alzarono anche Benedetta e Manuele. Marco mi vide tra le persone e mi sorrise.
Cosa ridi?
Mi alzai e andai al bar nella casetta di legno, per poter augurare a Benedetta un bel ‘divertitevi’. Comprai una Big Babol e, per distrarmi, cominciai a fare bolle.
Benedetta mi guardò entrando e poi guardò Marco fuori. Risi perché nel suo sguardo vi era qualcosa di sadico. Manuele guardò prima lei e poi me.
Lei mi prese per un braccio e mi gettò davanti a loro.

- Statti ferma, zitta e giù – mormora.
- Se mi acchiappano che succede? – sussurro.
- Tu cammina, prova a far finta di essere un borsone rosso con il pass appeso al collo – dice Manuele.
Scoppiai a ridere. – Ssssth! – dicono entrambi.

Cominciano a camminare e io davanti a loro provo a stare accovacciata e a mettere un piede dopo l'altro. C'era qualcosa di masochista nel provarci comunque.
Una porta blu alla fine della stanza. Marco è dietro di noi e io per poco non inciampo. Alzo lo sguardo su Betta e Manuele e li vedo sicuri di sé, quando la porta si apre e una signora bionda ci accoglie. La madre di Logan. Vede uno del gruppo dei +14 e sorride.
Poi vede me, a terra, caduta, sulla soglia della porta e Benedetta e Manuele che ridono imbarazzati. E, lo vedo, Logan tiene le mani in tasca e la T-Shirt blu cobalto. E ride, con la testa inclinata, guardandomi. La madre spalanca gli occhi e, posso giurarlo, faceva un incredibile sforzo nel trattenere le risate.

- What are you doing? – ci dice.
Marco si avvicina incuriosito. E mi trova a terra.
- Veramente ero caduta e mi hanno spalata fino a qui – dico rossa di vergogna.
- Con i piedi – aggiunge Manuele.
Marco mi prende per un braccio e mi alza. Poi ride.
- Forza, entra – e mi spinge dentro.

 
 

comunicazione interna:
(da questo capitolo in poi,
dialoghi/conversazioni/chiacchierate/parole
saranno scritti in italiano,
anche se tecnicamente sono fatte/dette in inglese).

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Capitolo 3
*** - gift of a friend. ***


chapter three:

Gift Of A Friend.

and when your hope crashes down shattering to the ground [...] you're not alone.

Sul piccolo balconcino vi erano Logan, la madre e altri due uomini. Marco chiude la porta e prende a parlare con Lisa.
Mi avvicinai a Logan piano. Sul suo volto vi era ancora l’espressione divertita di prima. I capelli abbastanza corti, porta il ciuffo alla Percy, probabilmente perché stava girando il terzo film della saga.
Gli sorrido e mi faccio da parte. Betta prende la macchina fotografica dallo zainetto, sua fedele amica. Manuele sorride e fa qualche battutina indicando gli altri ragazzi, il bambino e le loro reazioni.
Quando il ragazzino si sposta, Betta si avvicina.

- Ciao! – gli dice. – Foto! Però in this way – e si porta un dito sul naso, tirandolo a mo’ di porcellino. Logan ride e si mette nella stessa posa.

Io sono nell’angolo della terrazzina e aspetto.  Mi piaceva osservare quello che facevano, c’era del coraggio e del divertimento nei loro gesti che io non avrei mai sognato d’avere. Ciò nonostante divertivano anche me.
Manuele gli tende la mano, con l’altra si aggiusta gli occhiali spessi sul naso. Logan sorride e gli stringe la mano.

- Sono Manuele -, gli dice in inglese.
- E io Logan - gli risponde l'altro.

Fortunata io, che a parlare inglese non mi fermavo alle presentazioni. Ero sufficientemente brava. Credo.
Mi avvicinai di un altro passo. Betta già pronta, prese a scattare qualche foto.
Io pronta non ero. Ma dovevo ringraziare loro per essere finita lì. Per sbaglio, sì, diciamo così. E andava bene così. Andava bene quando facevi qualcosa per sbaglio e alla fine andava bene a tutti.
Ma non mi aspettavo quella mia reazione. Sapevo di essere emotiva, ma non di scoppiare a piangere all’improvviso, senza pronunciare alcuna parola. Senza avere forza di dirgli grazie, mi portai le mani al viso, ma cercai di non peggiorare le cose, per via del trucco.
L’espressione di Logan era cambiata, eravamo faccia a faccia. Adesso mi guardava quasi preoccupato. Forse non si era mai ritrovato in una situazione del genere.

Provo a sorridere. – Posso abbracciarti? Ti prego – singhiozzo.
Lui rinviene. – Oh, certo! – dice e sorridendo allarga le braccia.

Quasi gli salto in braccio. Gli allaccio le mani dietro il collo e mi tengo stretta a lui finché non mi calmo. E ci vuole qualche minuto. Un braccio di Logan è dietro la mia schiena, la mano sinistra invece è poggiata sulla mia testa.

- Bella treccia -, mi sussurra e sento il suo sorriso che si allarga nel mio orecchio.
- Grazie – dico e mi distacco. – Scusa.
- Di cosa? – fa lui.

Mi volto e vedo i volti dei presenti addolciti dalla scena.
Cerco di riprendermi, perché non mi andava di essere … sì, insomma, okay, mi sentivo stupida ad aver pianto, ad essere stata quattro minuti abbracciata al mio attore preferito. Però ero felice.
Il mio sorriso si allargò.

- Forza, andiamo – cercò di dirci Marco. Ma ero occupata a fissare gli occhi di Logan che si riflettevano nei miei mentre si avvicinava. Sfiorò col fiato il mio orecchio destro e mi disse: - Non piangere per me, non devi.

Io sorrido alla sua richiesta sussurrata e allontanandosi da me, messosi di nuovo le mani in tasca, mi sorride a sua volta. E indietreggiando, provo ad andarmene, ma sono ancora lì. Con lui.
 

Prima che Marco chiudesse la porta, mi voltai un’ultima volta. E lo sentivo ancora sulle spalle quello sguardo azzurro.
La mia faccia è trionfante.  Arianna mi corre incontro, la guardo e indico Manuele e Betta, prima di stringerli a me.

- Grazie – dico sincera, dalla spalla di Betta. – Grazie davvero.
Betta ride ed è Manuele a rispondere. – Quando vuoi.

Sono felice lì, in quel momento. E quasi non sopporto il fatto d'andarmene, di separarmi dalle cose che mi fanno stare così bene, da quei giorni che chissà per quanto avrei ricordato, per quanto tempo dura la memoria, per quanto tempo ci resistono i ricordi nella mente. E io ero stanca di aspettare ancora.
Ma la mia vita era vuota e i miei obiettivi, in quel momento in cui mi sentivo così leggera, mi sembravano inutili.

 
Quando la settimana finì, mi resi conto che quelle giornate passate erano state sì divertenti e piene di persone da conoscere, attimi da vivere, ma non con il desiderio che mi aveva spinto ad essere presente al Giffoni Film Festival di quell’anno.
Prendemmo tutti lo stesso autobus per arrivare a Salerno; arrivati alla stazione comprammo il biglietto per la metro e il treno partì.
Arianna e Manuele erano seduti di fronte a me, al mio fianco c’era Sonia.
Poggio la testa contro la testiera del sediolino, guardo il tunnel che scorre, il sole che va e viene. Ascolto il rumore prodotto dal condizionatore all’interno della cabina, il silenzio dei miei compagni, la musica nelle cuffie appese al mio collo. Mi scappa un sorriso e torno ad esser triste. L’estate a quel punto mi sembra quasi finita.
 
Alla stazione centrale c’è mio padre. Saluto gli altri con abbracci calorosi e salgo in macchina.
Con gli occhi ci diciamo grazie dal finestrino e poi torno a casa.
 
Provo a raccontare tutto a mia madre, mi sembra di aver vissuto una vita intera con quest’esperienza.
Accendo il pc e ci sono già le foto, che Betta, da promessa, ha postato.
Scorro piano l’album, ma già so cosa sto cercando. E poi la trovo quella foto.
Ci siamo io e Logan.
Il suo sorriso da sopra la mia spalla e il mio dalla sua. La lunga treccia che gli sfiora il naso. E sento anche il suo profumo, in quell’istante.
Tasto destro, salva immagine.
Sorrisi. Era così bello tenere per sé i ricordi, che alcune persone non riescono mai ad aprirsi con nessuno, così bello tenere per sé le opinioni, come simbolo di autonomia, solitudine, dimostrante di una forza che sanno di non avere. E io questa forza non ce l’ho e ho bisogno di un aiuto, un supporto, sorrisi degli altri. Per me.
Così stava bene quella foto nel mio profilo Facebook e Twitter. Una pagina su Logan mi condivide, condivide la mia felicità.
Twitter, Logan Lerman.
“L’Italia è fantaaaastica (: gli Italiani sono gente che sorride sempre!!”
Rido e faccio la stronzata del secolo.
“Piango un po’ per me e un po’ per te, ricordi? (:”,  DM, Invia. E non aspetto nulla.
 

Il giorno dopo è il compleanno di Arianna. La mezzanotte scorsa le ho mandato un messaggio d’auguri. Leggo la risposta e ringrazia. Mi dice che mi vuole bene. E io sorrido.
Mamma non c’è, è al mercato. Papà è al lavoro. Accendo il pc e giro per i social network. Come ogni giorno visito il profilo di Logan. Nessuna novità.
Mi accorgo che la casella dei DM è illuminata e ci do un’occhiata. Il primo messaggio è uno di quei virus rompiscatole che elimino subito. Il secondo mi sembra un fake e sto per eliminare il messaggio, ma poi scorgo le parole: “You look so beautiful in this, girl haha!!”
E non mi sembra più un fake. Non lo è.

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Capitolo 4
*** - dark side. ***


chapter four:

Dark Side.

So don’t give up on me, please, remind me who I really am. [...] Do you love me? Can you love mine?

Quando ripresi fiato, mi sentii ancor peggio. Non solo aveva risposto, tra le migliaia di spam, tra le migliaia di fan, tra le parole che tutti si accingevano a dirgli. Aveva scelto me e basta. E magari ero una delle poche ad aver ricevuto quel privilegio.
Restai con le mani sulle tastiera senza scrivere nulla per parecchio, parecchio tempo. 

Partii da un:  "Starai scherzando" "Chi sei?" "Oddio non capisco più un cazzo" "Ops, scusa non volevo inviarlo a te" ma alla fine optai per un:
"Tu non mi hai risposto davvero aha, non è possibile"

Sospirai. Ma cosa cazzo. Mi affrettai a cancellare il messaggio. Ma la nuvoletta di disposta apparve subito dopo. 

Mi disse: "E’ vero invece".

Forse fui fortunata e parecchio, ma in quel momento mi sentii a disagio.


"Tra due settimane scendo a Napoli per la premiere di Percy Jackson", mi dice. 
"Come puoi dirmi una cosa del genere e aspettare che ti risponda?"
"Mi hai appena risposto"
"Logan"
"haha :))"

Erano passati due mesi e mezzo. E ci capitava di parlare a distanza di giorni, di ore, pochi minuti. I pensieri c'erano e anche lui.

“Ciao, come stai?”
“Oggi cosa fai?”
“E quanti anni hai?”

“Ma perché parli con me?” e i “Non lo so” che ne seguono. Le parole scritte, le domande fatte, le mille cose ancora da dirci. Il suono della sua risata a distanza di due mesi che già svaniva. Era una eco che riascoltavo volentieri nella mia testa ma che sentivo sempre più lontana, soffice, invisibile.
L’abbraccio che mi mancava e il cuore che mi batteva quando ancora non ci credevo, ancora non volevo crederci. Quando mi scrisse per la prima volta senza che io lo volessi, che ci pensassi, che le cose a desiderarle non accadono mai, come quando credi nell'esistenza di una sola possibilità che possa cambiarti la routine quotidiana che poi ti stanca e ti pesa. E adesso non ci penso più, perché mi accontento e va bene così. 
 

E così quel giorno mi stavo preparando, due settimane dopo. E capite come ci si sente quando la mattina vai a scuola e invece il pomeriggio che incombe sarà uno dei migliori. Non avevo bisogno di altro per stare bene.
Mesi erano già passati e mi sembrava ieri quando mi sentivo morire per la sua risposta su Twitter e il suo "Sei una brava persona".  
Non capii di primo acchito se ciò significasse automaticamente essere speciale. Per lui. In qualche modo. 
E poi lui mi manda un dm e tutto ciò che mi dice è: "Ti aspetto sotto l'hotel". Ed io già sono pronta. 
Intorno alle tre, dopo il suo dm ‘d'arrivo’ ("Siamo a Capodichino"), io, Betta e Sonia siamo sotto l'edificio di fronte al porto di Mergellina.
C'è già qualcuno: Simona, Marianna e Denise, anche Anna e Verena che noto poco dopo. Non sapevo cosa aspettarmi dall'incontro, se le mie mani sudate o il mio cuore che batte contro il suo petto mentre lo abbraccio. E se le altre faranno come me e se saranno felici e io so che sarà così. 
Loro erano in hotel e la première si sarebbe svolta alle sei. Controllo su Twitter con la connessione internet comunale. Nessun dm. Resto zitta, Simona ha gli occhi che le brillano, Marianna mi abbraccia. Arrivano altre quattro o cinque persone e poi un gruppo di dieci. Non pensavo ci fossero tante fan. E poi altre quattro ragazze e un ragazzo. Arriva Gianluca. Si mette accanto a noi.
Aspetto, le mani fredde, il cuore e le gambe che mi tremano nel freddo e nell’ansia. 
E poi Verena parla: - Alexandra …  
Le vedo, tutte le teste che alzano lo sguardo. La Daddario ha i capelli neri sciolti sulle spalle, esce e sorride e noi ricambiamo.

- Alexandra! - dicono gli altri. Lei ci guarda e non sa da dove cominciare.
- Ragazzi, calmi! - dico contro le loro spinte che minacciano di farmi cadere. Non ci sono transenne e i turni nessuno sa mai rispettarli.
Alexandra si avvicina a Marianna e lei scoppia a piangere.  - Sei bellissima - le dice. E lei ringrazia. Le carezza i capelli prima di allontanarsi.

Fa autografi anche a Simona e ad alcune delle ultime arrivate.
La chiamo e non ho intenzione di lasciarmi sfuggire l'occasione.

- Arrivo! - urla e si avvicina.
Le do la mia agenda e lei me la firma. - Una foto? - le chiedo.
- Sicuro! -
Betta si prepara e scatta.
- Grazie -
- A te - risponde.

Poi si rivolge a Sonia e Betta che la aspettano.
Io attendo. Sono lì che batto il piede a terra.
Simona che ricordo non ci fosse a Luglio, comincia a piangere. Sorride e io guardo dove guarda lei. E ci vedo lui, sulla soglia delle porte scorrevoli che ci guarda con le mani nelle tasche e il cappotto grigio e i capelli corti e le fossette nelle guance, gli occhi più blu, che rispecchiano le onde  del mare che ci sono di fronte a noi. 
Il vento ci sferza i capelli. Gianluca lo chiama e tutti esplodiamo in risatine nervose. Logan fa un passo avanti e si avvicina alle prime ragazze.
Autografo, foto. E la sequenza si ripete.
Mi accorgo del vuoto che avevo e che ora non c'era più.  Un vuoto che non mi ero accorta di avere, una mancanza che non sapevo di poter sentire.
Tremo mentre lui inclina la testa di lato e annuisce ad una domanda di Simona, non so cosa gli stia chiedendo.
Fa un passo indietro e ci guarda. Cerca i nostri sguardi, ascolta le parole che non comprende. Lo chiamano e lui si avvicina. Si scontra con Alexandra a metà strada, mentre torna indietro, e si sorridono. 
Lui è di fronte a Marianna. Lei piccolissima, ha il tremolio nelle mani mentre gli porge il diario e lui prende e l'abbraccia. È impacciato come sempre ma c'è tenerezza in quello che fa. 
Mi accorgo che inclina di nuovo la testa e guarda il gruppo di fan che si trova davanti. Sorrido e Sonia lo chiama. Io abbasso lo sguardo e lei è qui affianco e aspetta che Logan si accorga di me.
E tengo gli occhi bassi, per il coraggio che non ho, per la paura che sento, paura di aver deluso chissà quali aspettative.
Ma io ero quella che parlava con Logan quasi tutti giorni, quella a cui lui diceva che fosse una brava persona, quella che non desiderava più nulla, perché andava bene così.
Logan udì le chiamate di Sonia. Con le mani nel cappotto, gli sguardi degli altri che lo seguono nei gesti, nei passi, nelle espressioni, si spostano, attratti.
Mi passa avanti e prende il pennarello di Sonia e le firma il foglio, sorridendo a Benedetta che gli scatta foto. Quando alza lo sguardo io sono lì, gli occhi incastrati nel suo sorriso.
E lui è lì, gli occhi incastrati nel mio viso.
Sospira e io mi sento bene. Il mio respiro accelera e mi sento pesante e piena.
E lui così veloce da non accorgermene, mi abbraccia e appoggia il mento contro la mia tempia destra. E le braccia le tiene strette dietro alla mia nuca e non respiro contro la sua spalla e mi piace non respirare se mi fa così bene. Non ho bisogno d'ossigeno. Non c'è ossigeno migliore del profumo suo.



ancoloh autriceh:

ciao cuccioli, so che vi sembrerà una delle
solite fanfiction dove, guarda caso, l'attore
si innamora proprio della protagonista, ma non 
voglio rendere le cose così semplici, ho bisogno 
di articolare, perché lo faccio sempre.
Spero di non deludervi, spero mi leggiate e che
apprezziate. Non giudicate le prime parole.

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Capitolo 5
*** - take me along. ***


chapter five:

Take Me Along.

I watched you leave, I’m awake tonight and I’m ready to go for the last time and through the tears I say goodbye [...]

Silenzio. Nessuno si aspettava reazioni del genere.
Lui si stacca e non gli importa e nei suoi occhi ci sono io, che si specchia.
E ho i capelli sconvolti e il sorriso spento e gli occhi accesi, una ventina di sguardi addosso.

- Eccoti - mi dice.
"Chi è" sento dire da qualche parte, "e perché" da un'altra.
Lui ignora quelle parole, aspetta che risponda. - Tu sei qui - gli dico. E scontro la mia fronte col suo petto e lì ci resto e non mi importa degli sguardi. In quel momento sento Beyoncè che canta nelle mie orecchie e tutte le sue parole hanno un senso.
- Resta qui - mi dice.

Faccio come dice e guardo Sonia e Betta che tifano come ad uno stadio e rido. E non mi sono sentita mai così viva.
Va a firmare altri autografi e io mi avvicino alle altre. Tutti cominciano a farmi domande e ne fanno anche a lui.

- Come lo conosci? - dice uno. "Perché ti ha abbracciata?" 
Mi scoppia la testa.
- Non lo so - dico. - È successo -
Logan si avvicina. - Grazie ragazzi - urla agli altri. - Vado alla première, si è fatto tardi! - 

Boato di dispiacere. Mi accarezza un braccio e si allontana. Mi sembrava quasi si stesse portando via tutta la pienezza che avevo provato.
Betta è fomentata. Le sembra di essere il Cupido della storia. Mi metto a ridere, ansiosa.
Una jeep nera si avvicina al marciapiedi e una delle guardie apre la porta ad Alexandra.
Logan batte il pugno sulla mano, segno di nervosismo, mentre sta per salire. È di spalle, ma si volta di poco e gli vedo l'incrinatura che ha assunto la sua bocca.
Gli si allargano le narici e si lecca le labbra. Quando recita significa che è indeciso, che sta pensando, che è nervoso. 
Ma poi corre indietro. Alexandra si sporge dall'auto per vedere che succede, cosa lo trattiene. Lui corre verso di me e mi prende la mano e la freddezza della mia si unisce al calore della sua. E mi riscalda tutta intera.

- Ti va? - mi chiede svelto.

Annuisco senza pensare. Non mi interessa cosa dice la testa. E mi tira con sé verso l'auto.
Dal finestrino noto le facce di Betta, Sonia e gli altri. Chi ride, chi è sconvolto. Mi sento il petto che vuole scoppiare, quasi non respiro.
Volto lo sguardo verso Logan, seduto alla mia sinistra, poi verso Alexandra alla mia destra. Lei mi sorride, Logan invece guarda davanti a sé e ha l'espressione soddisfatta. E ha il fiatone come me. E chissà se gli batte forte il cuore come batte a me.

 

- È lei allora? - chiede la Daddario. - Pazzo! -
La guardo offesa. Logan annuisce. Lei nota la mia espressione. - Tranquilla, non intendevo dire nulla su di te - cerca di scusarsi e io le sorrido di rimando, a disagio.

Logan poggia la mano destra sulla mia gamba. Sta fermo, lo sguardo fisso fuori dal finestrino e adesso porta un sorrisetto pensieroso e imbarazzato, la forma degli occhi riflette la sua espressione divertita e con la coda dell'occhio mi piace guardare quei dettagli. Nuvolette di condensa nell'auto che inizia a riscaldare il freddo della stagione autunnale. Alexandra sorride guardando la mano di Logan che attende e poi guarda me, curiosa.

- Quanti anni hai? - mi chiede.
- Diciassette - rispondo e lei guarda di nuovo Logan. Con la coda dell'occhio lo vedo sorridere. Doveva esserci stata qualche battuta precedente alla mia presenza; lei tiene fisso in viso un sorriso gentile.

Durante il tragitto, Logan si volta verso di me e si lecca le labbra come fa sempre, accompagnandoci poi un sorrisetto. Lo guardo e non posso fare a meno di pensare e di chiedermi il perché, o semplicemente lo ignoro e invece so tutto. Deglutisco e i minuti passano.

- Quanto tempo ci vuole? - chiedo dando un occhiata al traffico e al vento che scuote i pochi alberi lungo le strade.
- Mh - risponde Logan - poco, è per via del traffico.
- È vicino - risponde l'autista in un inglese stentato.
- Non è straniero? - chiedo a Logan.
- No - risponde e guarda dal parabrezza. "Napoletano, credo"
- Sì - risponde l'uomo. Annuisco.

Dopo qualche altro minuto, raggiungiamo il piccolo hotel dove vi era la conferenza, poiché non era stato possibile convocarla in quello dove alloggiavano Logan e Alexandra (così mi rispondono).
Scendiamo dall'auto.
Alla premiére, proprio lì fuori, vi sono abbastanza fan da riempire una piccola sala.

- Buonasera ragazzi! - dice loro Logan - ci vediamo dopo!

Ed entriamo.
L'hotel è piccolo, di bassa categoria, non come il primo.
Moquette coperta da persiani rossi e marroni, banconi di legno e piccole lampade appese alle pareti.
Un uomo alto e brizzolato ci fa cenno di proseguire lungo il corridoio. Entrati in una sala abbastanza grande, danno delle indicazioni al management dei ragazzi e poi Logan mi dice di mettermi di fianco alla piccola pedana per le conferenze che sta in fondo alla stanza.
Mi siedo sul bordo e aspetto il suo ritorno. Col cellulare mando un messaggio a Sonia che, curiosa, mi aveva chiesto novità.

"Stiamo arrivando" mi risponde poco dopo.

Logan torna e si siede accanto a me. Tengo le gambe incrociate e non mi muovo, la mano poggiata sul palco che per poco non sfiora la sua gamba.

- Come stai? - mi dice.
- Bene - e non so se sia la verità quando sono sullo sfiorare la sua mano che, proprio in quel momento, poggia di fianco alla sua gamba. Le mie dita fremono, ma resto ferma. - E tu?
Annuisce. - Tutto bene -. Parla piano.
- Se posso, che c'è?

Tiene gli occhi persi nel vuoto, la testa china. Fissa e non fissa i tappeti e i piedi delle sedie nella sala.

- Non lo so - risponde sincero. - Ti capita mai di sentirti strano e di non sapere perché? Anche poiché non hai bisogno di parole per spiegarlo a qualcuno, specialmente a te stesso.
Lo guardo, muta annuisco. Mi accorgo di quanto umane possano essere le persone anche quando non lo sembrano. - A me capita per la sicurezza che non ho, per ciò che rimane nascosto dentro di me e allora mi riempie lo stomaco e io non so più parlare.

Alza lo sguardo dai suoi pensieri e rivolge gli occhi blu nei miei. Un silenzio rotto soltanto da coloro che parlano nel corridoio lontano. Lui tiene su ancora il cappotto, la camicia blu e la cravatta nera sotto.

- Capita a me quando non sono sicuro delle mie capacità - annuisce dopo un po' e continua a tenere gli occhi fissi nei miei.

E in quel momento vorrei essere sicura quanto dovrei per potergli dire di restare così, a guardarci senza dire più niente.
Alexandra scaccia il silenzio ed entra col rumore dei tacchi che ha eco nel pavimento di legno. Logan sposta subito lo sguardo da me.

- Ehi, mancano venti minuti e iniziano ad entrare nella hall i fan col pass - avverte. Ci guarda, poi esce.
Logan ride e io sorrido. Torna a guardarmi e nella porta dello stomaco le farfalle cominciano a sfasciare la fila e ad entrare: ne sento la morsa.
- Cosa c'è che non ci siamo detti?
- Tutto, e quanto tempo abbiamo?
Guarda l'orologio. - Un'ora - alza gli occhi soddisfatto.
Grazie al cielo, penso io.

 

Qualcosa tira nel mio stomaco, lo sento mentre sospiro piano, mentre provo a dare un senso alle cose che ci diciamo, nei sussurri che ci facciamo.
Sorride ad intervalli irregolari, poi riassume l'espressione che sa di pensieri e comincia a smettere di parlare. 
Tiene la mano affianco alla mia e non la muove mai anche quando i discorsi cominciano ad accendersi e c'è un rincorrersi nelle parole, per capirsi, per esserci anche in ciò che non abbiamo vissuto assieme.

- Come stai? - mi richiede dopo un po'.
- Bene - confermo.


Quell'ora passa, dopo che lui mi ebbe chiesto come stavo e se quella foto con lui ce l'avessi ancora come preferita, come gli avevo detto, se l'intenzione di contattarlo fosse stata dettata da una speranza o da una tentazione.
Gli ho risposto che quando si è a conoscenza dei fatti, e ci si è già arresi, bisogna agire e basta. Ho bisogno di farlo, di essere presente, perché ne ho il rimorso, come quando il nervosismo ti divora la pancia e il cuore. Io quella sensazione l'ho sentita prima di mandargli il messaggio. E quella spiegazione sembra soddisfarlo.

Alexandra entra e mi sorride ancora. - Mi hanno offerto un croissant! - esclama e noi ridiamo.
Dopo prende per un braccio Logan e lo fa alzare. - Pronto? I fan devono entrare a breve - dice. 

Logan annuisce e si morde le labbra con i denti. Quando si volta nella mia direzione, sorride un’ultima volta.

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Capitolo 6
*** - rabbit hole. ***


chapter six:

Rabbit Hole.

And I can't fall asleep without a little help [...] I said I would, but then I saw your shivered bones, they didn't want me to.

Aspetto seduta sulla pedana. Il comitato stampa comincia ad accomodarsi nei primi posti (non riconosco nessun marchio giornalistico). I fan li seguono subito dopo.
Sonia e Betta sono fuori, mi dice il messaggio.
Quando le persone presero ad entrare già mi sentivo come se non fossi lì, con Logan e Alexandra e il comitato stampa e le mie amiche e il biglietto della première che non avevo.
Sonia mi mandò un altro messaggio dicendomi che mi aspettava fuori con Betta. Neanche loro avevano un biglietto. Hanno diciotto anni e il freddo da trattenere fuori di lì. Dopo la première e dopo aver aspettato Logan un altro po', saremmo dovute andare da Mc Donald's, ma forse neanche ci pensavano più a questo, forse erano un tantino felici per me. 
Qualche minuto dopo, le persone presero a chiedere chi fossi, seduta sotto il palco, a guardare i microfoni già montati e le poltroncine già pronte.
Io chi ero? Un'amica? Una fan? La drammatica conclusione era: niente. Neanche io sapevo il perché mi trovassi in quella sala, a guardare i microfoni già preparati e le poltroncine già pronte, con le persone che si chiedevano di te nei sussurri, di chi fossi.

Non appena i presenti si furono accomodati, le fan si fermarono negli ultimi posti vuoti nella stanza. Un uomo dai capelli rosso-rame uscì dalla porticina al mio fianco, dove erano entrati i ragazzi. Si abbassò di fronte a me e mi sussurrò in italiano: - Dovresti spostarti, mettiti lì. - E gentilmente mi indicò il muro accanto alla porta. - Purtroppo qui dobbiamo passare, non possiamo offrirti un'altra sedia.
- Si figuri - dico e mi alzo. Logico.

L'uomo sale sul palco e annuncia i due protagonisti della saga.
Esce prima Logan, adesso senza cappotto, la camicia azzurra e le mani in tasca come sempre. Alexandra lo segue, ha tolto il cappotto lungo e nero e una gonna del medesimo colore le arriva alle caviglie, con una camicia bianca a circondarle il busto.
Lei sorride, Logan anche e saluta con una mano. I fan in fondo alla sala scoppiano in un applauso e in preda alle urla, chiamano i due attori. Sorrido, al fatto che io sia lì e sia così fortunata. 
L'uomo comincia a parlare con loro, in inglese, e si rivolge ai presenti nella sala, in italiano. Dopo un benvenuto generale, parte il trailer del film. Le immagini si susseguono, parlano, mostrano. 
Le luci si riaccendono e si alzano le prime mani. Le fan sono con i cartelloni, li alzano, incitano a leggerli. Logan si alza e prova ad interpretarne qualcuno e sorride.
Le domande dei giornalisti sono dirette, puntano alla tecnica. Nessuno bada alle emozioni. Fanno il proprio lavoro freddamente, forse senza neanche passione. L'uomo dai capelli rosso-rame traduce, ascolta. 
Annunciano l'anteprima, il film parte. La stanza si rabbuia nuovamente e i muri si riempiono del bianco e dei colori della luce che riflette lo schermo posto sulle teste di Logan e Alexandra. Questi ultimi si voltano di spalle e incuriositi riguardano il recitato per l'ennesima volta. Vi erano state soltanto due première in Europa, una a Londra, alla quale parteciparono Brandon e Jake, e una a Napoli, mentre in America vi avevano partecipato ad Agosto. L'Europa e specialmente l'Italia restavano le ultime tappe. Come sempre.
Durante la proiezione, la sala è muta in un'attenzione generale tangibile. Guardo Logan e continuo a chiedermi cosa stia succedendo, la mia presenza lì e ciò che lo abbia spinto ad attirarmi nell'auto.
Sono ferma lì, poggiata contro il muro e lui distoglie lo sguardo dallo schermo e osserva i giornalisti, i fan, poi me. Corruga le sopracciglia e scuote la testa come a chiedermi cosa avessi. In risposta, scrollo le spalle e sorrido e i suoi occhi ricambiano. 
Quando il film finisce, la sala esplode in un applauso migliore di quello per il trailer. Era fantastico, con effetti speciali che riuscivano a riprodurre esattamente le scene del libro. 
Mi scosto dal muro e mi metto dritta, le gambe intorpidite dalla scomoda posizione. Applaudo e guardo i volti sorpresi dei fan che la pensano come me.
Logan e Alexandra si alzano e assaporano gli applausi e si risiedono per le ultime domande; i giornalisti alzano l mani, parlano, incuriositi dagli effetti scenici, dalla trama avvincente. Qualcuno chiede delle affinità con il libro, qualcuno domanda di un'eventuale relazione tra i due attori. 
Prendo il cellulare e controllo l'orario: 20:46.
La première si conclude con l'ultimo applauso e i saluti. Alexandra e Logan stavano per entrare nella stanza al mio fianco, lui mi lancia un sorriso soddisfatto e stanco.
Col cuore in gola, esco dalla sala come mi dicono. I fan mi guardano da capo a piedi mentre passo fra di loro: nessuno ha voglia di parlare, forse hanno perso le parole, e spero sia per il film.
Mi alzo la sciarpa fin sulla bocca e sospiro, allontanandomi piena e sazia di quella giornata. Io ero quella a cui andava bene così.
Mi sentii a disagio mentre oltrepassavo la soglia dell'hotel. Sonia e Betta sono lì, mi guardano speranzose e io annuisco sorridendo.

- Il film è fantastico - dico loro. E sono felici per me.
Restammo un altro po' lì, finché non chiamò mia madre.
- Dove sei?
- Sotto l'hotel.
- Che fai?
- Aspetto.
- Quando torni?
- Non lo so.
- Come torni?
- Non lo so.
Eccola che comincia. - Come non lo sai?! Muoviti, chiedi!
- Chiamami dopo.

Stacca e sbuffo. Sul serio non sapevo come tornare, dubitavo che qualcuno potesse riaccompagnarmi, ma Betta sorride e dice che mi darà un passaggio.
La folla lì fuori si anima all'improvviso. Logan passa dentro l'auto in cui ero stata prima, Alexandra al suo fianco. Guarda dal finestrino scuro che i flash delle macchine fotografiche illuminano; saluta con una mano e col cellulare nell'altra. La macchina corre via lungo la strada. E io non mi muoverò mai più di lì.

ancoloh autriceh:

questo qui è più un capitolo riempitivo,
mi serve per creare della suspance al corso
della storia, che poi tanto suspance non è,
ma vabbè ahahah. Mi serviva un momento tipo
di distacco. Oc oc, spero di riuscire a stupirvi.
OK, prego di riuscire a stupirvi D: tenerezza.

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Capitolo 7
*** - all this time. ***


chapter seven:

All This Time.

All this time we were waiting for each other. All this time I was waiting for you.

“E’ solo un messaggio, solo un messaggio” penso quando oramai avevo deciso di arrendermi. Non so se descrivere i momenti passati come una benedizione, un ricordo, qualcosa da tenere stretto, da accettare. E’ proprio vero che noi esseri umani non ci accontentiamo mai, siamo assetati di ciò che non abbiamo ancora conquistato. Assetati delle cose che non potremo mai avere.
Il messaggio in questione era questo dm che avevo mandato circa quattro mesi fa, quando la mia mente malata mi aveva spinto a non credere in nulla, a fare un gesto che simboleggiasse quanto mi stesse a cuore quell’attore di cui ero fan da ben cinque anni. Lo seguivo ed era capace di farmi versare le lacrime che nessuna persona, nessun altro film avrebbe potuto.
Per quanto potessi trattenermi, desideravo con tutta me stessa che quella giornata non fosse mai finita.
 
Le parole che ci eravamo detti erano intime, private: non avrei mai potuto pensare di poterle vivere, di poterlo ascoltare. Non bastavano le conversazioni su Twitter a compensare ciò che gli altri avrebbero voluto sentire, conferme e scoperte che nessuno s’aspettava, muri di sicurezze distrutti da distanze che non riusciremo a vedere riempite. Riempite almeno quanto me che mi sentivo scoppiare, come se il mio obiettivo principale fosse stato quello di incontrare Logan Lerman e poi andarsene. Giornata che avrebbe reso complete anche le altre, al solo pensiero di averla vissuta. Ma poi? Adesso a due giorni di stanza vuota e fredda d’autunno, sentivo già che la sensazione alla bocca dello stomaco svaniva, come quella della sua stretta dietro la schiena.
Le labbra mi tremano come soltanto due giorni fa facevano le gambe. Odiavo il fatto che di una persona di cui ti consideri fan sia sempre così lontana dalla tua nazione, che sia lontano fisicamente. Odiavo il fatto che non ci fosse abbastanza tempo, possibilità per viaggiare e vivere qualcosa di diverso, anche soltanto col pensiero. Ma io quel pensiero dovevo rimuoverlo, io sapevo, non lo ignoravo più.

 
 
POV LOGAN.

Marzo, un mese dopo.

Sono ventunenne, gli sguardi di chi mi guarda mi si impregnano nel cappotto, nella camicia blu, nei grazie sussurrati e poi urlati. Gli occhi miei fissano i volti di chi mi vede per la prima volta e poi non mi scorda più. Li vedo i sogni nelle palpebre che sbattono, nelle stelle che brillano nelle iridi dai colori diversi. Sorrido nervoso, io che non so sopportare tutto questo. Io che odio il fatto di dover far perdere tempo alle persone soltanto per me. Sono un attore che recita per sé stesso e gli sta bene emozionare, ma non desidera altro. Va bene così.
Non so se possa trovare delle similitudini in questo mare di corpi che sono accorsi solo per me. Toronto mi è qui davanti, io sul tappeto rosso sfilo accompagnata da Emma Watson. “Noah” ci ha uniti per l’ennesima volta. La première è qui, assieme allo schermo già montato nell’hotel che mi sovrasta, coi microfoni pronti a riprodurre la eco delle nostre voci mentre rispondiamo alle domande che senza voglia o con eccessivo euforia ci vengono rivolte.
Sorrido di nuovo. Una fan si avvicina e si annusa il mio profumo addosso come una reliquia. E’ quel tipo che non si laverà mai più la faccia solo per il fatto che l’abbia scontrata contro il mio cappotto.
Entriamo dentro e nessuno parla più, le voci si affievoliscono, l’unico suono lo riproduce il condizionatore acceso con l’aria calda che emana, stanco delle stagioni che si susseguono, senza sapere perché.
Emma si siede sul divanetto blu accanto a me.  Attendiamo che ci venga dato una sorta di permesso per tenerci pronti. Ci arrivano due caffè che accettiamo volentieri, Emma lo riempie di zucchero, io resto a guardarla e non necessito di tutta quella dolcezza.
Non ho pensieri, né voglie particolari. Ho bisogno di andare avanti con la mia carriera. Sorridere il giusto, apprezzare i fan che sono lì fuori e annuire ai loro pianti, perché c’è bisogno di consolare e di rimediare alle lacrime che facciamo versare. Non c’è di certo tristezza nelle loro, ma c’è abbastanza tormento da farle liberare di quell’acqua salata in più.
Sotto la doccia ci pensavo al fatto che le lacrime sono il migliore mezzo per riempire i vuoti dell’anima. Mi scioccai della profondità, tanto da appoggiare la testa contro il vetro coperto di gocce che schizzavano. I capelli bagnati lasciavano l’alone di quel gesto, che resto a guardare, pensando ad una nuvola.
Sospiro e resto a guardare il management che corre a destra e manca, euforica del nuovo film da proiettare per la prima volta.
Qui è Toronto, e c’è la sensazione che tutto possa sfuggirci dalle mani se non ce lo teniamo stretto.

 
 

Scrollo le spalle quando Emma mi chiede come sto. Rispondo che sto bene e che non vedo l’ora di vedere le loro facce. Lei sorride e batte le mani, entusiasta. Rido della sua gioia. Emma è una così bella ragazza. Mi chiedo il perché sia ancora qui a fissarla, senza fare niente. E mi chiedo se possa approfittare della situazione di Toronto, che corre a destra e a manca perché le sfugge tutto dalle mani.
Siamo seduti su delle sedie alte e poste davanti ad uno schermo centrale su un palchetto base. Una donna dai capelli legati in uno chignon sale sul palco, ci sorride. E’ pronta a presentarci: la folla in risposta comincia ad applaudire.
Questo film è frutto della passione tra religione e recitazione. Nessuno sa cosa aspettarsi.
Quando dalla sommità della piattaforma le incitazioni si spengono, partono i benvenuti, seguiti dal trailer, seguito dalle prime domande, seguite dalla proiezione del film. Una routine che va ripetendosi ogni volta che mi trovo a fare i conti col particolare periodo della pubblicizzazione. Sto zitto mentre l’unico rumore che non siano i suoni del film, sono i respiri dei presenti mentre attenti, tra la suspense e il momento clou della scena, sembrano immersi completamente nelle nostre parti, nel nostro copione, nell’intera storia.
Qualcuno si commuove, persone che sono personaggi della storia quasi quanto lo ero stato io, mentre la recitavo.
Quando il film termina, nessuno osa parlare. Un momento in cui non mi ero mai trovato a fare i conti. La voglia di restare senza parole, si accavalla a quella di entusiasmo ed euforia che sanno d’applausi che tutti iniziano a dare. Sorrido felice di quel momento. Erano questi i momenti che apprezzavo, però. Quando sapevo di aver fatto parte di quel qualcosa che entrava nel cuore dello spettatore, che impregnava il loro cuore delle scene che anche io avevo dato modo di completare.
Le lacrime, che non capivo, assumevano contorni di comprensione quando arrivavano quei momenti di immensa soddisfazione.
I giornalisti si risiedono sulle proprie poltroncine blu che riempiono la sala.
Quando le domande sono terminate, la sala si svuota. Io e Emma seguiamo il management fuori dall’hotel, dove ad aspettarci vi sono ancor più fan di prima.
Il parlottio che prima era svanito, ricompare. Chiamano me da un lato, Emma dall’altro.
Scene che si ripetono quasi sempre; ci sono abituato al fatto che tutti facciano una fila per me, ma non riesco ad accettarlo. Sono un ragazzo, che fa l’attore, riservato, che il più delle volte non sopporta sparlottare della sua vita privata al primo giornalista che gli rivolge la domanda. La gente non mi conosce. Non riesco a parlare con le persone che non siano amici o miei colleghi; scherzo con i giornalisti, ma non con il rapporto intimo che mi piace avere, ovviamente.
Tengo le mani in tasca, guardo un foglio che mi mostra una fan, rido del disegno.

- Carino – sorrido e lei trema.

Un’altra fan mi chiama. Comincio a scorrere il pennarello sui fogli e i diari protesi. Una foto stampata attira la mia attenzione e alzando gli occhi non vedo altro che i mesi passati, un senso di colpa che mi stringe lo stomaco.
Mi sentii tremendamente colpevole quando lei mi guardò negli occhi in quel preciso istante. Lei che aveva aspettato, io non avevo neanche scelto da che parte stare. Decisioni che inaspettatamente si rivelavano significative per assumere un comportamento di minore disagio, lì davanti a lei che sorrideva e ricordava e io che non avevo ricordato fino a quel momento. Lei era lì. A Toronto.

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Capitolo 8
*** - dancing. ***


chapter eight:

Dancing.

So I put my arms around you and I know that I’ll be living soon [...] And I hope that I will do no wrong.

POV LAURA.

Il suo sguardo tradisce sorpresa. Sono a Toronto dove non si aspettava, tra le fan canadesi che attendono di passare avanti per cogliere l’opportunità di un piccolo momento con lui.
La situazione strana è equivalente per entrambi quando con espressività lo guardo e non so che dire, con i diciotto anni compiuti da un mese e il permesso d'esser lì assieme alla voglia che mi aveva spinto all'estremo viaggio, che non aveva spiegazioni, se non di averlo fatto con il desiderio che mi schiacciava il cuore. Ho colto l'opportunità di amare per un'altra volta i nostri sguardi che si incastrano e non si sciolgono più nei miei pensieri. Tutto questo tempo era passato con l'attesa di un momento mai più tornato.
L'ultimo ricordo risale alle sue dita che stringono un cellulare che non ha più mandato messaggi, attraverso un vetro scuro di una jeep sotto un hotel, in un autunno che sapeva di sale e della freddezza di un auto che cercava di riscaldarsi, guidata da un uomo italiano che parlava a stento inglese e capiva ciò che ci dicevamo e due paia di occhi azzurri che mi parlavano distrattamente nell'abitacolo.
Sono dimagrita. Ho i capelli più corti. La carnagione è più pallida rispetto a mesi fa, che aveva ancora scarsa abbronzatura dei mesi estivi precedenti al nostro incontro. Sorrido all'ormai uomo che mi è davanti. Ha ventun anni adesso, i capelli neri corti, un leggero pizzetto a coprirgli le labbra che non riescono a parlare.
Io sono lì davanti a lui e lui sta pensando a cosa dire, gli occhi che traboccano di sorpresa e non parlano o non so decifrare ciò che dicono. Non ora, quando sono ancora pietrificata. 

 

- Ciao - gli dico e attendo ancora una volta.
- Sei qui - mi dice e gli manca il fiato, la bocca che è una porta di parole che non riescono ad uscire.
- Sei qui - ripeto e mi sento tanto come cinque mesi fa. 


Quando sembra riaversi da quello che considero sconforto, mi guarda la spalla coperta da una treccia più corta rispetto all'ultima volta.

- Resta comunque una bella treccia - dice.

I fan non parlano, osservano i nostri scambi di battute. 
Il mio accento è lo stesso, la pronuncia italiana si identifica dal mio balbettare nervoso.

Sputa una risata. - Che c'è? - chiedo scherzosamente. 
- Dove sono finiti i tuoi diciassette anni? - chiede e incrocia le braccia.
- In un pacco regalo il mese scorso.

È sorpreso. Annuisce e mi studia. Non ci eravamo mai fatti domande del genere, riguardo compleanni, festività. La sua assenza in questi tempi ha tracciato il separé di un rapporto che era come era e non sarebbe stato. Ammetto che l'illusione mi era passata per la testa dal secondo dm, ma la sera del nostro ultimo incontro e il saluto stentato ha definito il rapporto idolo-fan. 
Sto di fronte a lui e non aspetto altro. Con me c'è Sonia, inseparabile amica di follie. Lui capisce che di fronte a sé ha una maggiorenne che è lì per lui, per vederlo e per seguirlo e per essere sua fan. 

Sorride. - Come stai? - chiede e porta una mano al mento. 
- Bene - rispondo - sei qui.
- E tu sei qui - dice e mi prende la punta della treccia in mano.

Dopo aver firmato altri autografi e fattosi le ultime foto, Logan mi cinge le spalle con un braccio. Ha ventun anni e si sente nei muscoli delle braccia e nella barba che mi sfrega l'orecchio quando mi sussurra: - Scusa.
Non fa cenni di ulteriore senso di colpa. Semplicemente mi chiede scusa e non so perché e deduco sia per non aver parlato in questi mesi.

- Non è colpa tua, è normale - rispondo - Tu sei la mia celebrity crush, ma io non sono la tua morbosa ragazza.

Ride e rido anch'io. La sua vicinanza mi ricorda Novembre e la sua richiesta nervosa e il sorriso soddisfatto circondato dalla nebbia di condensa che gli formava il fiato nell'auto. 
Arrivati di fronte all' automobile che lo attende, dove Emma è già seduta, si volta e curioso, mi rivolge uno sguardo che temo debba riprovare a decifrare. Odio il silenzio degli occhi. 

- Dove alloggi? - mi chiede.

Gli dico il nome dell'hotel, inceppandomi con la lingua perché non so pronunciarlo, e annuisce.
Sfila il braccio dalle mie spalle e mi manca calore e fiato per il vuoto che già sento.
Sorride ed entra in macchina; ha di nuovo il cellulare in mano.
Mentre mi volto, la macchina corre via e già col pensiero torno in Italia.

ancoloh autriceh:

ringrazio coloro che recensiscono e che
mi fanno intuire che questa storia possa
piacere. vi chiedo umilmente di fare attenzione
ai titoli dei capitoli, sono canzoni per chi non
l'avesse capito. ascoltatele mentre leggete,
sono le stesse usate mentre scrivevo.

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Capitolo 9
*** - my life would suck without you. ***


chapter nine:

My Life Would Suck Without You.

You’re standing at my door, [...] but you’re pretty messed up too. [...] I really shouldn’t miss you, but I can’t let go.

Tornata indietro da Sonia, mi sento dire ridendo: - Checazz - non riuscendo a trattenersi. 

Sospiro e sorrido. Le luci rosse fuori l'hotel mi illuminano il viso. Il cellulare trema e nelle notifiche ce n'è una di Twitter.
Nessun dm.
"@LoganLerman @xxartemis mi ha fatto piacere rivederti." scrive e non nasconde. 
Sospiro e la sensazione allo stomaco riconosce madre in quelle parole; le farfalle ricominciano a fare la fila, pronte a tuffarsi di nuovo in esso.


La mattina dopo, io e Sonia alle otto siamo già sveglie. Quel giorno avremmo visitato la città. Fisso il soffitto bianco e il lampadario appeso e le abat-jour sopra le nostre teste. Le tende sono aperte, il cellulare trema sul comodino.
Papà chiama. Rispondo senza pensare. 

- Là - dice mio padre, agitato.
- Ehi - rispondo, la bocca impastata di sonno.
- Che stai facendo?
- Dormivo - dico in inglese, ma mi correggo subito dopo.
- Già t' stai 'mbrugliann e cerevell? (Già fai confusione?)
- Sto dormendo - rido.
- Fai la brava, divertiti.
- Sì.
- Ciao, a papà! - riattacca.

Sonia si alza e annuncia di andarsi a fare una doccia.
Mi alzo a sedere e guardo davanti a me. Lo specchio di fronte mi chiede pietà, ho i capelli strani, una faccia di sonno. Mi passo una mano in viso e miagolo qualcosa. 
Prendendo il cellulare e controllando su twitter, mi accorgo che mi sono aumentati i follower e già so perché.

La città è grande ai nostri occhi poco abituati a quei posti così popolati, con un clima dagli sbalzi d'umore come quello.
Compriamo due cappelli e qualche maglioncino. Sonia perde la testa per un paio di scarpe.
Sedute ad un bar sorseggiamo il caffè che non sa del napoletano. Sonia fuma una sigaretta, io mi guardo attorno. Ripenso al tweet di Logan e allo sguardo indecifrabile.

Tornate all'hotel verso sera e salite in camera, guardiamo un po' di tv. 

Il telefono della camera squilla:
- Miss, la desiderano nella hall.
- Chi è? - rispondo con la bocca piena di pop-corn mentre sono in piedi di fronte allo specchio e cerco di pulirmi la tuta dalle briciole.
Lancio uno sguardo esasperato a Sonia.
Il tizio alla cornetta parla di nuovo. - Un certo Logan, miss - dice poco dopo.
Tossisco perché sto per soffocare con il mais. 
- Tutto bene, Miss? 
Mi lacrimano gli occhi quando rispondo: - Lo fa-cia.. salire.

Riattacca. E comincio a correre avanti e indietro. Mimo a Sonia il nome di Logan e bevo un sorso d'acqua.
Dovevano definirci ruoli interscambiabili. Cos'era? Era lui a cercare me ora?
Sonia mi guarda in preda al panico e scoppia a ridere perché in tuta sono inguardabile. Cade a terra e rotola dalle risate.
Sono senza voce e ancora tossisco. Bevo di nuovo.

- Che cazzo fai?! - urlo ridendo.

Quando bussano alla porta, io afferro la prima cosa che mi capita davanti.



ancoloh autriceh:

capitolo riempitivo; aspetto recensioni per
postare il prossimo. ho nuove ispirazioni ma
devo anche studiare, inoltre ho un sorriso 
ebete da stamattina con quelle nuove foto. 
spero in un'acclamazione ceneraleh, ciaoh.

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Capitolo 10
*** - everything. ***


chapter ten:

Everything.

And you light me up, when you ring my bell, you’re a mystery, you’re from outer space, you’re every minute of my everyday.

Ero un letto a baldacchino ambulante. Apro la porta e sono avvolta fino alla testa dal copriletto beige di Sonia. Ho buttato gli occhiali da qualche parte. 
Logan mi guarda con un'espressione divertita in volto.  Ha le sopracciglia alzate e poi mi ride in faccia. Spinge la porta che mantengo stretta e la apre del tutto. Vede Sonia a terra, ancora piangendo dalle risate e poi guarda me.

- Posso partecipare al pigiama party? - chiede divertito.

Entrando, si accomoda sul letto spoglio e ci studia. È curioso.

- Scusami un secondo - dico imbarazzata e corro in bagno (piuttosto saltello, visto che sono un tubino dorato e di piume).

Strillo quando mi rendo conto dello stato in cui sono. Mi sciolgo i capelli e me li smuovo con le dita. Meglio così. Mi tolgo il copriletto ed esamino la tuta. Faccio la stupidata di togliermi la giacca e rimango con la canottiera blu, ma forse sto meglio.
Quando esco dal bagno, Logan e Sonia ancora ridono. 

Lui mi guarda. - Immagino tu avessi freddo e perciò ti sei coperta.
Sorrido imbarazzata. - Sì, diciamo così.

E rido anch'io.


- A cosa dobbiamo questa visita? - chiede Sonia, guardando prima me poi lui. Stiamo finendo di mangiare una pizza che abbiamo ordinato e siamo seduti sul tappeto, in cerchio. 
Lui ingoia il pezzo di pizza e risponde: - Sincero? 
Sonia annuisce e lui beve dalla sua lattina. - Non mi pareva giusto che voi foste qui per me e io non mi facessi vedere - e si passa la lingua fra i denti.
- Che gentile - rido e addento la mia fetta.
- Gentile - brontola - Ho dato buca a Dean - e guarda Sonia con sguardo attento. - E agli altri.

Alla porta del mio stomaco, le farfalle, esaminato quello sguardo, cominciano a spingere. Le transenne stanno per cedere.

- Mi dispiace - dico e non lo sono affatto - l'importante è che fai compagnia a noi.

Lui sorride e col tovagliolo si pulisce gli angoli della bocca e il maglioncino color prugna. 

- Ma lui è venuto qui solo per me - prolunga la 'o' del 'solo', guardandomi da sotto le lunghe ciglia nere.

La prima farfalla ha rotto i cancelli ed è dentro allo stomaco e gira talmente veloce che non capisco quante altre ne stiano entrando.
Lui e i suoi occhi blu si aggiustano seduti sotto alla mia occhiata.
La confidenza che si sta creando tra noi è leggermente accentuata. Mi piace il fatto che sia qui, nella mia stanza d'albergo, a mangiare una pizza con me e Sonia che siamo solo due sue fan. 
Ma va bene così. Eccome. Mi manca il perché e vorrei tanto scoprirlo.


 

A fine serata, si alza e non parla. Sanno di silenzio di nuovo i suoi occhi che non si accingono a parlare e a raccontare qualcosa, storie che ascolterei con piacere.
Timore che ammutolisce, pensiero che pietrifica o semplicemente mente vuota. Non c'è intenzione tendente all'esagerazione.
Si alza e ci guarda. Data un'occhiata al cellulare, indossa il cappotto e torna da noi, ancora sedute per terra, davanti alla vetrata che dà sul balcone. 
Sonia si alza e dà la scrollata alle tende necessaria a far entrare le luci della città.
Mi alzo e guardo il collo di Logan, dove arrivano i miei occhi. Li tengo fissi sulla V del suo scollo e non accenno ad alzarli.
Sorrido mio malgrado, per il fatto che lui fosse venuto a trovarmi e che non si fosse fatto problemi.

- Adoro voi fan italiane, siete simpatiche e adoro anche quando inceppate la lingua perché non ricordate alcune parole.
E abbassa la testa nella mia direzione, cercando di ridermi negli occhi.
- Tanto io conosco anche il francese! - irrompe Sonia.
- Ma io no! - ride lui.
Il suo cellulare squilla e lui dà un'occhiata allo schermo. - È Dean -annuncia e risponde. Da quello che mi pare di capire, sta venendo a prenderlo.
- Bello il vostro obbligo, giudizio o verità - dice riattaccando.

Verità quali il perché sia lì, quanti anni avesse il primo bacio che ha dato, il nome della sua prima ragazza, come si è sentito la prima volta che ha recitato. Giudizi: se ricordasse il miglior film mai fatto. Obblighi quali tenere gli occhi aperti senza sbattere le palpebre mentre noi lo fissavamo cercando di farlo ridere. E ha riso tre volte. 
Toccato a me, mi ha chiesto l'anno del mio primo bacio e cosa avessi provato quando me lo sono ritrovato fuori la stanza. A quest'ultimo sono scoppiata a ridere ed evidentemente ero di uno strano colore violaceo.
Cose, insomma, da pigiama party, da ragazzine nevrotiche che passano il tempo a mangiare popcorn dopo una giornata a Toronto, con il proprio attore preferito nella propria camera. Ma lui sembrava divertirsi. E mi bastava vedere le sue guance che si tingevano di rosso in un momento di imbarazzo o quando semplicemente rideva parecchio. Ci ha raccontato di quel momento quando si era trovato a dare un bacio ad Ezra e quest’ultimo aveva volontariamente spostato le labbra sulla guancia e sembrava quasi sgamato; Logan insisteva nella ripetizione della scena ma Ezra, guardandolo torvo, gli aveva detto: - Va bene che faccio l'attore, amico, ma tu sei straordinariamente sexy stasera e potrei scoparti dietro il cespuglio. Non esageriamo - e lì Logan continua dicendoci, mentre ride, che dovette metterci tutta la buona volontà per non ridere per tutta la durata delle riprese.
Altri aneddoti divertenti che ovviamente solo una vita diversa come la sua poteva trattenere.


- Grazie - mormoro guardandomi le mani che minacciano un ultimo abbraccio.

Lo sento sorridere e mi avvolge la testa con le braccia. Il suo affetto mi scorre lungo la spina dorsale mentre mi sorride ancora e abbraccia Sonia nello stesso modo. Lei mi guarda dalla sua spalla e agita le mani, contenta.
Io incrocio le braccia e li guardo, mentre sorrido e capisco che tra un giorno partiremo e non ci vedremo per un bel po'.
E mi mancherai, Logan Lerman. 

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Capitolo 11
*** - all the right moves. ***


chapter eleven:

All The Right Moves.

They’ve got all the right things in all the wrong places [...] everybody knows where we’re going.

POV LOGAN.

Quando esco dalla stanza, chiudo piano la porta. Non mi guardo attorno, semplicemente schiaccio le mani nelle tasche del cappotto e tirando su col naso, scendo le scale.
Serate del genere sono rare. Non sento sensi di colpa ora che ho dato a Laura l'opportunità di un perdono a cui forse neanche pensava. Immagino si sia chiesta cosa mi passasse per la testa, quando invece di andare al locale da Dean che aspettava con gli altri, ho girato verso quest'hotel. Qui nessuno mi riconosce, passo inosservato. Mentre per quelle due resto impresso nel cartone della pizza che stanno accartocciando, nell'impronta lasciata dalle mie labbra sulla lattina, nelle cose che gli ho detto che adesso hanno memorizzato, come il mio profumo con quella ragazza ieri.
Oltrepasso la soglia delle porte scorrevoli e saluto Dean con la mano, che mi aspetta dall'altro lato della strada.
Sorrido al mio amico di sempre, dandogli un abbraccio.

- Ehi, amico, posso sapere cosa hai combinato?
- Ci sono due mie fan lì dentro - proclamo ciondolando la testa ed indicando l'edificio con la mano ancora nella tasca, il cappotto segue il suo movimento.

Dean si volta e mi guarda corrugando la fronte. I capelli biondi brillano sotto la luce del lampione che ci sovrasta.

- Sei andato a trovare tu - comincia con tono accusatorio - due fan?!

Si è capovolto il mondo, starà pensando.
Annuisco anche se lui si aspetta una risposta più dettagliata.

- Sono italiane - mi giustifico, ma quella scusa pare inaccettabile persino a me.

Lui si appoggia al lampione e mi guarda, le mani in tasca anche lui.

- Italiane - mugugna e dopo scoppia a ridere. - Okay, te la do' vinta stasera, ma poi ho bisogno di una migliore spiegazione. 

Guardo il mio migliore amico e mi ripeto che in fondo mi merito una vera spiegazione anche io.




A piedi raggiungiamo il locale, ad aspettarci ci sono Emma e Max, al suo fianco c’è Cooper con la sua ragazza.

- Bella Toronto stasera, vero, bro? - mi dice Cooper, ridacchiando. Dà una pacca a Dean non appena si avvicina e ride anche a lui. Non riesco a trattenere una risata. 
- Bello il tuo senso dell'umorismo, amico.
- Non sono io quello che molla i suoi amici per passeggiate notturne - si difende alzando le mani. Mi guarda da capo a piedi, curioso e divertito al tempo stesso. Si passa la lingua tra i denti e poi continua a bere il suo bicchiere di birra.

Emma gli dà uno spintone sulla spalla sinistra. Mi sorride e ride delle battutacce del mio amico.
Ha le gambe accavallate, degli stivali beige e i capelli sciolti, coperti in parte dalla sciarpa blu che le avvolge il collo.

- Bella gente - le dico e vado a sedermi vicino a lei.

Non posso negare che il look jeans-maglioncino le doni. È oggettivamente una bella ragazza e guardarla mi dà pace. Il suo sorriso é caldo e in viso suo scorgo lineamenti che mi fanno completamente sentire altrove, non in quel locale, né con le battute degli altri.
Mi poggia una mano sul ginocchio e mi guarda con tenerezza. Quando i miei occhi si scontrano con i suoi sento una fitta allo stomaco che si propaga per il resto del corpo. Sì, soggettivamente è una bella ragazza.


Tra un bicchiere di birra e l'altro, alterno stati d'animo ad altri, facendo capolino e ritornando in me di tanto in tanto. Dimentico quello che dico mentre lo dico e non mi importa, okay?
Forse il pensiero di un me distratto mi fa stare bene e allora mi lascio andare.
Ciononostante mi diverto, perché odierò anche i miei amici per le stronzate che fanno e quando mi fanno perdere le partite a poker e quando mi prendono in giro, ma sono un'isola su cui naufrago volentieri.

Mi sveglio tra le lenzuola della camera d'hotel a quattro stelle in cui alloggiamo. I bicchieri di troppo mi fanno girare ancora la testa quando mi alzo di scatto e mi metto a sedere. Sono a petto nudo. Stendo le braccia ai lati del mio corpo e guardo ai piedi del letto. Mi accorgo, solo quando i miei occhi si sono abituati alla penombra della stanza con la tenda ancora chiusa, che non sono solo.
Stivali beige giacciono nell'angolo accanto alla porta. Emma dorme accanto a me. Noto i suoi impercettibili movimenti nel sonno. Mi volto completamente e inclino la testa di lato. Tiro su col naso.
I capelli biondo-ramati le muoiono in volto, l'espressione è serena, con il dorso della mano destra si mantiene la testa sul cuscino. Sorrido debolmente.
È carina di mattina. E mentre dorme.
Siamo tornati a piedi all'hotel, Emma era più ubriaca di me. Max ci arrancava dietro, pur essendo l'unico sobrio. 
Sorrido di nuovo, al ricordo, guardando nel vuoto.
Mi gratto il petto mentre alzo gli occhi verso il soffitto.
È stata una bella notte, in Toronto.



ancoloh autriceh:

eccoci qua, dopo alcuni giorni. ebbene ho
scritto una oneshot dedicata a loro, che
ovviamente posterò solo in caso di richiesta.
grazie di seguirmi :)

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Capitolo 12
*** - the call. ***


chapter twelve:

The Call.

Let your memories grow stronger and stronger ‘til they’re before your eyes, you’ll come back when they call you, no need to say goodbye.

POV LOGAN.

Non tratto tutti allo stesso modo. A volte sento la necessità di amare in parti, diversamente per ognuno, ma con lo stesso affetto o con lo stesso odio. Divido i miei sentimenti, distribuendoli.
Quando Emma si sveglia la guardo negli occhi e non sento più niente, quell'altrove è sparito, è già qui, passato; mi sento un insensibile, ma so di non esserlo, forse lei capisce.
Sorride e mi bacia sulla labbra mentre mi vesto dopo aver fatto la doccia. Ho capelli bagnati, mentre lei sgattaiola fuori.
Allo specchio, chiudo gli occhi e li riapro di scatto. 
So di provare sentimenti e di aver già amato qualcuno. Sicuramente può definirsi un'autodifesa. Divido i sentimenti perché so di poter amare troppo. Ho bisogno di trovare un'altrove in ogni posto e non in un locale, da ubriaco, quando non vedo la strada e non so dove si trova quest'altrove perché lo vedo solo di sfuggita prima di bere la prima birra.
Emma bussa, la sento parlare fuori la porta.
Come posso comprendermi, quando non riesco neanche ad esser lucido nelle decisioni e invece di pensare, agisco? Divertirmi è la cosa che voglio di più, ma ho sentito quella fitta allo stomaco e ora non c'è più. E voglio ritorni.
Dovevo cercare prima di capirmi.
Prima di aprire la porta, metto i pugni sulle tempie e abbasso la testa, facendo un piccola pressione. Maledetto mal di testa, e il ragionare che mi manca e la leggerezza di cui ho bisogno.
Quando apro la porta, lei arrossisce, sorrido di rimando. Anche se lei è soltanto il mio altrove provvisorio, altrove che altrove non è, e anche se non sento ancora fitte allo stomaco, è bella quando dorme ed è bella anche adesso.



POV LAURA.

La cameriera ha ritirato gli scatoloni di pizza ieri sera e le lattine che adesso fanno rumore nella busta che ha trascinato via.
Sospiro e guardo fuori dalla vetrata mentre sorseggio un caffèllatte che Sonia è scesa a prendere.
Lei mi guarda attenta.

- Come si fa a lasciare un posto come questo? - mormoro alla tazza, a me e alla mia amica.

Lei sospira come me e si siede sul letto. Domanda senza risposta. 
Logan Lerman se ne è andato ieri sera da questa stanza che non ospiterà più nessuno. Magari siamo ancora nella stessa città.
E come è strano quando adesso non ci divide più nulla, se non la mancanza del desiderio di vedersi.
 

La giornata escludeva completamente un cambiamento degno di una città attiva come quella.
La pioggia batteva contro i vetri della stanza, rendendo grigie le mura immacolate che rendevano quel posto quasi puro.
Sonia è a terra, prepara il borsone e sceglie i vestiti per quella giornata.
Indosso uno dei pullover comprato il giorno prima e assaporo ancora quell'ultimo caffellatte che già non sa più dell'euforia.
Non ero triste, ma vuota dei conti in sospeso che non accennavano a chiarirsi neanche con le sorprese e le novità. 
Osservo la mia amica seduta e le chiedo cosa pensa.

- Oggi ci divertiamo - dice - come ieri.

Guarda davanti a sé alla ricerca incerta dei ricordi.
Osservo di nuovo il cielo grigio e mi chiedo se è vero che alle persone può piovere dentro.

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Capitolo 13
*** - right now. ***


chapter thirteen:

Right Now.

I'm trying to be strong, but the strength i have is washing away. It won't be long before I get you by my side.

La giornata è spenta e non accenna a cambiare. Sonia mi stringe in testa l'ombrello viola a pallini bianchi e ride del fatto che si stia bagnando, parolacce a parte.
Rido anch'io, perché sono lì e voglio godermela fino in fondo.
Su Twitter i miei follower sono aumentati ancora. Scrollo le spalle.

Siamo sedute nella Starsbucks e mangiamo ciambelle. Fuori piove a dirotto, molte persone si rifugiano al coperto, ad altre non importa se si bagnano.
Uscite dal caffè, Sonia apre l'ombrello.
Indico i taxi gialli e i semafori come una bambina che non ha mai conosciuto tutto questo. Penso alla scuola e alle assenze che sto facendo.
Ma sono solo due giorni e domani è domenica. Non mi importa.
Uno spintone mi fa rinsavire.

- Domando scusa - dice il giovane che si è rifugiato sotto la protezione della nostra scarsità d'ombrello.
- Non è proprio un ombrellone, ma fa' pure - rido. Il ragazzo ride e non lascia intendere di volersi allontanare.
- Giuro che non ci sto provando - ride vedendo l'espressione di Sonia, ha i capelli lunghi inzuppati adesso. - Sono fidanzato.
Alzo gli occhi al cielo. - Tranquillo - gli sorrido.

Ha i capelli castani schiacciati sulla fronte per la pioggia. Ci fermiamo sotto un balcone e lui si scosta dall'ombrello per aggiustarsi il giubbotto sulla testa.

- Vogliate scusarmi - dice e sorride e non posso negare quanto sia un bel ragazzo. - La mia auto - indica una Citroen parcheggiata davanti a noi.
La pioggia batte sulla carrozzeria rossa.
- Ciao - sorride di nuovo e si allontana per entrare al posto di guida.
Lo guardiamo andar via.
- Scrocca-ombrelli - brontola Sonia.

Rido e la incito a coprirmi con l'ombrello per potercene andare.
Dopo aver oltrepassato altri balconi, altre Citroen, altre auto e altre strade alla ricerca di ulteriori sorprese, mi fermo prima di attraversare le strisce pedonali.
Ho sempre pensato che le cose più le aspetti, con lo stomaco in subbuglio e cose così, più non arrivano. Ansie da rimuovere al cento per cento.
Guardo davanti a me e mi rendo conto dell'errore enorme fatto un'ora e mezza fa. Girare la città era quantomeno la mia prima priorità che non mi fa pensare, una città come questa che non si ferma, una delle tante che attiva meccanismi irrefrenabili nei miei desideri.
Il ragazzo della Citroen era Cooper Hefner. 




POV LOGAN.

Zitto non sento, la mano di Emma sul ginocchio che ancora non mi fa sentire nulla che non desiderio.
Affretto le parole in sua presenza, arrossisco quando sorride.
Questa ventitreenne che non fa altro che confondermi.
Amo il fatto che lei non abbia forse la malizia necessaria ad ammaliarmi come una donna adulta o semplicemente poco più grande di me. Non c'è cattiveria nei sorrisi che fa, nei sorrisi che mi getta negli occhi.

- Oggi faceva un freddo boia, cavolo che pioggia - interrompe Cooper che frena nella stanza come un auto impazzita.
Si stringe nelle braccia. - Logie, mi sa che ho conosciuto le tue italiane - ride - mi hanno dato un passaggio con l'ombrello. Certo che gliela si legge in faccia la cittadinanza!

Batto le palpebre e mi ritrovo sulla Terra. Sposto la mano di Emma con gentilezza dal mio ginocchio e mi alzo.
Dean mi segue con lo sguardo. 

- È vero - dico ridacchiando in risposta a Cooper, mentre lui è gettato sul divanetto.

Ero stanco di ricorrere a mezzi come Twitter per comunicare. Erano due fan che mi permettevano di scordare ciò che ero e la confusione che sentivo. Non davano risposte che conoscevo, ma mi davano sprazzi di informazioni già con le cose che non si azzardavano a chiedere per non recare disturbo. Non riuscivo a concentrami. Avevo bisogno di comprendere le reazioni di cui già da un po' mi avvalevo.
Esco fuori dalla stanza e mi passo una mano tra i capelli fino alla nuca. Emma mi segue, libertà vigilata che non mi permette di riflettere abbastanza.
Aria aperta di cui avevo bisogno e che non avevo trovato ancora.
Guardo la fine del corridoio color salmone dell'albergo.
Voltandomi verso di lei, la vedo poggiata al muro, mentre con la testa segue i confini dei miei pensieri che non riesce a raggiungere. La guardo ed entro a prendere il cappotto.
Giù già sento l'aria nuova che inizia a scorrermi dentro. Sentirla da sobrio è diverso, godo di veglia che prima non era presente.
Guardo le auto formare code lunghissime lungo i marciapiedi semivuoti ma pieni di ombrelli colorati.
Attraverso e incrocio gli sguardi di quelli che a stento sanno chi sono, tengo gli occhi puntati a terra e non mi sento abbastanza pronto per altra pressione.
Le mani calcate bene nelle tasche e il cappotto chiuso.
Mi bagno la testa ma non mi importa, le mie labbra descrivono nell'aria nuvolette temporanee che scompaiono quando gli sbatto contro mentre cammino.
Non so dove andare perché un posto mio non ce l'ho mai avuto.
Le gocce scorrono lungo le orecchie che non hanno coperture e i brividi iniziano ad invadermi la schiena.
Non ho bisogno di conforti, solo di posti sicuri. Ma cosa vuoi se non sai aspettare, Logan?
Sono stanco della confusione e vorrei sentirmi libero almeno per una volta, senza le emozioni velate di desiderio che risultano effimere.
Logan, svegliati.

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Capitolo 14
*** - right here, right now. ***


chapter fourteen:

Right Here, Right Now.

I'd wish this moment was ours to own it and that it would never leave. [...] I'm looking at you and my heart loves the view 'cause you mean everything.

POV LAURA.

Sonia ha preso già a camminare quando io mi sono accorta di Cooper e della Citroen.
Mi bagno sotto la pioggia insistente sui cappotti e sulle persone.
C'è la piazzetta di fronte a noi e Sonia già aveva attraversato. Mi chiama e aspetta di sapere cosa ho detto perché lei non mi ha sentita.
Attraverso a mia volta e le parlo. La vedo spalancare la bocca e sentirsi stupida davanti ai miei occhi.
Cosa aspettavi? Si chiede il mio subconscio. Ma cosa credevi di fare, Laura? 
La sua presenza mi ha ricordato che Logan è in quella città. E io non potevo agire.
Mi stringo nelle spalle e mi riparo sotto l'ombrello, stringendomi al braccio di Sonia.
Ma le cose a chiederle, arrivano come? Rilegate in un pacco regalo o ti fregano, consegnandotele già aperte e usate?
E io non ho chiesto. E perché è tutto maledettamente facile quando le cose sai di volerle e non le chiedi? E ti arrivano come capita. Mi scontro con l'unica certezza che abbia mai avuto davanti agli occhi.
Le gocce mi scorrono sul viso quando l'ombrello viene sbalzato via dal vento.
Non provo gratitudine per quell'oggetto, ma mi protegge e guida.
Socchiudo gli occhi contro la pioggia che mi minaccia la vista, il vento comincia a sferzarmi i capelli e rido perché Sonia è con me.
Lei corre appresso all'ombrello e io appresso a lei. Quando lo raggiungiamo, corriamo ai nostri alloggi, oramai stanche. 
Perché di domande me ne ero fatte già troppe, con rispettive risposte che non avevano abbastanza chiarezza.
L'Italia e la distanza avrebbe reso le cose facili. Forse. Ma quel vuoto sarebbe rimasto dentro ancora per un po'. Perché l'unica certezza adesso era che quelli sarebbero rimasti davvero ricordi. E io non lo sopportavo.
Tornate all'hotel, chiamai mamma. Le raccontai di ciò che avevamo fatto e delle brutte giornate governate da un tempo altrettanto impeccabile.
Internet attende mie risposte, tweet stranieri invadono le mie menzioni.


 
 
POV LOGAN.

Lì era a Toronto, dove non dovevi farti sfuggire le cose dalle mani.
Lì era dove non avevi bisogno di crederti vivo per esserlo. La città animava le auto, le persone e i cani al guinzaglio, i clacson suonavano senza fermarsi, la pioggia cadeva senza tacere del suo suono calmo e rilassato.
Lì a Toronto non hai bisogno di scelte, ci passano tutti prima o poi, tutto come noi, i tutti come nessuno, la città accoglie e poi manda a casa. E’ una città di passaggio. E’ una meta al finestrino mentre il treno corre via.
Nessuno guarda mai attentamente ciò di cui abbiamo bisogno. Io non conosco abbastanza, non conosco ancora. Sono la normalità tramutata in qualcosa di più grande che ha bisogno del distacco necessario. Sono qualcosa che ha bisogno di ciò che qui capita sconosciuto, come turisti che fotografano, fan distratte e piene di speranze, donne che sorridono delle cose che vivono, uomini che si divertono con una birra.
Donne e uomini, ragazze e ragazzi che per un po’ stanno insieme e poi si capiscono o non si capiscono affatto. E si mollano, si sfuggono via dalle mani l’un l’altro, non si pentono di ciò che fanno quasi mai, perché ci riflettono. E io non so riflettere, in che girone sto? Dove mi piazzo? In questa piazza di città bagnata di nuvole e persone, bagnata delle mie idee che muoiono, delle mie confusioni.
Alzo la testa e torno indietro.
I piani li faccio a piedi, sorrido ad Emma che mi aspettava e ancora non comprende ciò che mi passa per la testa. E’ docile, simile a me in questo momento, inconsapevole delle scelte che deve fare, dei gesti che potrebbero non costringerla a sbagliare.
Chissà se sente la stretta allo stomaco che io aspetto con tutto me stesso.
Vado nella mia stanza, le dico che arrivo tra un po’. Annuisce e va dagli altri, a ridere e a scherzare. Da ciò che io adesso non riesco a sopportare.
Il cappotto è bagnato, bagna il copriletto del letto rifatto, mi bagna i jeans. Guardo il soffitto e resto così. La finestra è attraversata da lampi, ma la stanza tace.
Mi alzo e vado a farmi una doccia. Guardo lo schermo del cellulare e noto l’orario: le 8,36 di sera.
Lo schermo che è questo specchio nel bagno fa del mio viso una maschera di incertezza.
Sospiro e non mi pento. Agisco.
Qui è a Toronto, dove non devi farti sfuggire le cose dalle mani.

 
 
 
POV LAURA.

I vestiti non sono quelli adatti. Serata fredda che mi gela le dita. La camicetta bianca che avevo messo l’altra sera alla première. Non ho altro. Mi sento ridicola mentre come unica compagnia ho quell’ombrello viola a pallini che mi ha prestato la mia amica. Lei aspetta. Lei mi ha gettata giù per quelle scale. Lei spera.
L’uomo all’entrata dell’hotel è gentile, si offre più volte di mantenerlo per me. Rispondo di no, sorridendo.
La Citroen rossa arriva. Nessuno sa a cosa vado incontro, nemmeno io. Nessuno sa chi c’è in quell’auto. Amici che non ho intenzione di conoscere per la mia maldestra personalità. Ho paura di dimenticarne i nomi e di non comprendere abbastanza. Sono pur sempre un’italiana.
Ma ho accettato.

Un dm di scuse. Una richiesta. “Ti va? Tra un’ora”
“Ci sto” ho detto. Nessuna parola che ha fatto trasparire l’intenzione che nei suoi occhi cercavo. E aspetto di vedere in quegli occhi qualcosa che non ho saputo cogliere già.
Parcheggia. Lui scende, il cappotto grigio chiuso, sulle spalle strette, gli occhi ancora una volta imperscrutabili. Guarda in basso. Si avvicina e poi alza lo sguardo, me lo intesse nelle pupille. Sorride poco, arriccia le labbra a disagio.
Lo guardo e non oso pronunciarmi. Osservo ciò che ha da dirmi. Apre le labbra.

- Volevo cambiare modalità d’approccio.
- Cosa devi cambiare ancora? – sussurro – Hai sconvolto ciò che ero.
- Cosa intendi? – risponde, sorpreso.
L’uomo alle mie spalle ci guarda, curioso.
- Sei il sorriso che non riesco a concedermi quando so di dover partire domani.

Allarga le labbra, sorride lusingato e nella luce fioca dell’insegna dell’hotel, noto il rosso delle sue guance. Lusingata sono io, che gli provoco reazioni del genere.
E’ un uomo. Un ragazzo. Un bambino, Logan.

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Capitolo 15
*** - last first kiss. ***


chapter fifteen:

Last First Kiss.

I wanna know what you think when you're alone. Is it me, yeah? [...] Maybe I just gotta wait, maybe this is a mistake [...] but let me be your last.

Mi fa girare la città con la rossa Citroen che mi ha lasciato basita al semaforo di Toronto stamattina. Mi racconta del film festival, di ciò che ha fatto dopo essere stato da me.
Si ferma d’un tratto, ci pensa su.
Mi dice che gli dispiace che Sonia non sia venuta, anche se lei sarebbe venuta volentieri, Logan aveva chiesto di me.

- Perché me? – gli chiedo mentre guardo il finestrino illuminato dai lampioni.
- Non lo so – risponde.

Mi chiedo cosa ci sia di diverso tra me e Sonia. Guardo offesa questo ragazzo che guida, persino adirata. Lo considero un egoista, adesso. Lei era una fan come me.
Sonia aveva sorriso a ciò che le avevo detto, non aveva chiesto altro. Ha annuito e mi ha spinto a cercare qualcosa da mettere tra i pochi vestiti che avevamo con noi. Sarebbe venuta volentieri, ma aveva rinunciato perché era il mio momento, quello. Così aveva detto.
Ma io non conoscevo il momento giusto. Sono nell’auto con questo ragazzo e non so perché sorrido al solo pensiero, anche se sono arrabbiata. Io non conosco i miei momenti, io non lo so mai. Lei sì, dice. E lui?

 
 
 
POV LOGAN.

Stiamo in silenzio, tacciamo per ciò che non riusciamo a dirci, risposte che non si possono dare. Sospiro e sorrido. Guardo il parabrezza, attento mentre guido.

- Ti porto al lago – così le dico.

Parcheggio davanti al mio hotel. Scendo e le dico di fare lo stesso.
Con leggerezza la raggiungo.
Pochi passi per raggiungere la baia, quel piccolo porto su cui la città si affaccia, l’imponente torre che dà osservazione a questo posto ci sovrasta, ci fa ombra. Alzo gli occhi, mentre cammino lo guardo, perso. Abbasso lo sguardo sui mie piedi e aspetto che lei parli, ma tace. Il silenzio tace.
Di fronte all'hotel e a quei pochi passi, c'è l'Ontario. Riflette le luci, sorride delle stesse intermittenze.
Alza lo sguardo, lei, e se ne accorge che non si tratta di una prateria scura ma di vita marina e dolce. Osserva battendo la palpebre color nocciola. La forma degli occhi è asiatica, sa di straniero riflettendo proprio come questo lago una quasi realtà. Sorride e guarda l'acqua. Non ha mai visto l'Ontario di notte, mi dice. Io annuisco e ricambio il suo sorriso meravigliato da ragazzina metà ragazza che è. Sono contento delle esperienze che le offro. Apprezza. Glielo vedo nelle guance poco truccate e rosse di freddo.
Non attendo e proprio quella lieve fitta allo stomaco arriva, sincera, buona, mossa soltanto non da quello che ci aspettava ma da ciò che semplicemente stavamo vivendo. 
Mi sono mosso d'istinto ancora una volta, con l'unica differenza di aver colto nel segno. Non rifletterò mai, è vero, ma oggi è 20 marzo e sono felice che l'inizio della mia primavera lo trascorra con lei.

 
 
POV LAURA.

Le parole soffrono d’asfissia nella mia gola, arrancano nel buio della mia bocca e non riescono ad uscire. Mi volto e lo guardo ancora una volta, con gli occhi che ringraziano.
Ci rimango a lungo in questi occhi che gelano, che mi fanno rabbrividire.

- Abbracciami - dico. E lui lo fa. Tesse le sue mani nei miei capelli e siamo noi e la stagione che cambia.
 

Logan mi fece salire in ascensore e premette il pulsante del 6° piano.
Ero nervosa e mi torcevo le mani, battendo freneticamente il piede a terra. 

- Calma - mi disse accorgendosene. Sentii le sue parole attraversarmi le ossa.

Arrivati mi circonda le spalle con un braccio e mi indica Emma in fondo al corridoio. Lei ci nota e sorride, con uno sguardo evidenzia la posizione di Logan.

- Ciao - dice lei, dolcemente. Le sorrido, timorosa. Lei mi guarda, forse capisce qualcosa che non so, sorride gentile, abbassando le sopracciglia in un'espressione intenerita.

Mi sento lusingata dalla situazione. Logan toglie  il braccio dalle mie spalle. Mi manca calore. Annuisce. - Andiamo?
Annuisco, io che non aspettavo altro.

Il balcone che si affacciava sul lago in lontananza, illuminato dalle poche stelle, dava alla situazione un tocco drammatico. Ero lì nella stanza d'hotel e con Logan Lerman e senza la benché minima idea di ciò che mi aspettasse.
Sorrido quando si siede di fronte a me su una sedia di vimini e poggia il braccio sul marmo, rilassato.
I brividi tangibili sul mio collo scoperto mi fanno stare immobile a fissare l'orizzonte.

- Perché? - mi limito a chiedere.

Si volta curioso, una domanda che non si aspettava.

- Non lo so - risponde per l'ennesima volta. Mi alzo dalla mia sedia e guardo ancora l'orizzonte. Non so cosa pensa e del perché sono qui.
- Hai gli occhi che parlano, Lerman - sussurro. - Non trattarmi male.

Già avevo perso la paura di agire, già scalavo montagne in attesa della cima, con corde che erano i suoi gesti a tirarmi su.

- Non riusciremo mai a vederci - dice senza connessione alcuna. - Non bisogna certo costringersi a sbagliare.
- Perché? -  ripeto e non lo guardo. Desidero la risposta che aspetto, qualcosa che mi convinca che quello sia il mio posto.

Si alza, mi poggia la mano sulla spalla. 
Non voglio situazioni del genere, non voglio vivere e perdere, con una mancanza con cui mi troverò a fare i conti. Ma meritavo di sapere.

- Le parole tue mi piacciono, come le dici, la pronuncia con cui s'affaticano e poi mi entrano in testa - continua e resta fermo.
- Mi prendi in giro? - rido un po' e mi volto.
- Parli e non dimentico, Laura - sussurra e guarda le mie guance che tremano di rossore. 

Coi primi tocchi che ne conseguono. Gli ultimi e primi tocchi. Come le mani fredde sul collo, i nostri nasi che si avvicinano, i respiri che si mescolano.

- E se andasse bene? - chiedo, millimetri che ci separano, pochi secondi al desiderio. 

Ci gettiamo. Con gli occhi aperti scorgo la sorpresa e il piacere attraverso le sue sopracciglia corrugate. E lì li chiudo che non hanno più bisogno di guardare.
Le mie mani hanno vita propria, con indicazioni dettate non più dalla mente. Stringono e attirano a me il colletto della camicia, c'è silenzio sul balcone, solo schiocchi di labbra che ancora non si chiedono del futuro.

Quando esse, e non noi, prendono fiato nel respiro dell'altro, mentre le nostre fronti sono incollate, io dico soltanto: - I gesti sono quello che ci toccano adesso, le parole puoi anche scordarle, chissà quante te ne dirò ancora.
E lui mi risponde: - Basta che io non dimentichi il suono della tua voce - e mi bacia.

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Capitolo 16
*** - it's time. ***


chapter sixteen:

It's Time.

So this is what you meant when you said that you were spent. [...] It’s time to begin, isn’t it? [...] I don’t ever want to leave this town.

Non mi bacia per un ultima volta, non lo è. Cerco di auto-convincermene.
Sull'aereo guardo la cappelliera senza voglia di dormire, ho paura di dimenticare. sulle labbra sento la sensazione impalpabile delle sue. E vorrei soltanto dimenticarla ma per poi viverla di nuovo. 
Sonia mi guarda compiaciuta, un po' comprende che sono felice e al tempo stesso stremata.
Ci penso su e un po' ci credo, al fatto che lo rivedrò. 

 
POV LOGAN.

Dalle labbra non fuoriesce una parola. L’auto è un silenzio che sa di pensieri puntati al futuro.
Ammetto di agire d’istinto e poi preoccuparmi. E poi? E poi cosa succederà se continuerà, se lei penserà a me e se io non dimenticherò?
Non siamo amici, ci conosciamo appena. Conosco il suono della sua voce studiato per la passione di chi vuole sperimentare. L’ho imparato, come a scuola. Ti ritrovi ad aver memorizzato perché le cose ti vengono dette più di una volta come un concetto ripetuto durante un’interrogazione. L’ho imparata perché me lo ripetevo il suo accento nella testa.
E’ italiana, sa di italiano, ha ragione Cooper: “Glielo si legge in faccia”.
E io sono in questa auto, che guido, che non smetto di guardarla  con la coda dell’occhio, che non ho voglia di accompagnarla e andarmene come sempre succede. Non ho voglia di scappare.
La stretta allo stomaco s’è fatta sentire come una vecchia amica che un po’ ci è mancata.
Tiro su col naso, mi lecco le labbra e stringo un attimo gli occhi, prima di guardare fuori dal finestrino alla mia sinistra e concentrarmi sulla guida.
Forse lei si chiede se io menta. Se mi stia approfittando di lei. E io non so darle risposta. Nella mia testa non c’è.
“Tu cosa senti?” mi chiede la bocca del mio stomaco.

 
 
POV LAURA.

In realtà è soltanto il mio corpo ad essere partito, poiché io restavo attaccata alla vita, a quella che sapevo avrei potuto vivere lontano da qui. Quella che da quando mi ero resa conto di avere un sogno speravo di poter assaporare. Ma sapevo bene che le cose di assaporarle non ci accontentiamo mai.
A Logan ho dato il mio numero. Tieni, chiamami quando hai soldi, altrimenti lascia stare.
Sotto il mio hotel l’ho abbracciato e non l’ho baciato. Sono rimasta lì, con la testa addosso a lui. Non mi volevo muovere più.
Poi mi ha detto: - Se non vai a dormire, domani non parti.
E io non ho risposto, perché io di partire non ne avevo la benché minima voglia.
Non ho pianto, rimango attaccata al ricordo. Sono felice, così.

 

Logan mi chiama alle otto di sera del giorno dopo. Dice che non gli importa del costo di chiamata. Ha trovato ciò che sentiva di volere, non ne è sicuro, dice che potrebbe sbagliarsi, ma vorrebbe provare. 
Non si arrende all'apparenza. Non siamo niente, ovviamente. Neanche il pensiero mi sfiora. E’ successo già troppo. E io apprezzo, come mi dice lui al telefono, "ti accontenti troppo, di troppo poco".
 
 

24 marzo.

Osservo il riflesso del mio viso nel vetro della finestra della cucina, quella che affaccia sulla campagna. La matita sulle labbra mi fa riflettere sulle parole di latino che cerco. La versione non ha senso. Cioè che c’è nella mia mente nemmeno.
Non rimuovo l'ombra delle labbra dalle mie, le sue dita sulla mia nuca.
Sospiro, non ho voglia di studiare. Il  web si concentra sulle foto delle persone che vivono al mio fianco ma non lo sono davvero. Persone che amano guardarsi allo specchio e sanno di piacere, di piacersi. Persone che magari non hanno problemi di ricordi, di sogni di voler vivere, di  labbra che cercano di cancellarsi dalle sensazioni.
Poso la matita, scorro col mouse. Clicco. Twitter.
La TL parla delle stesse cose, nessuno che domanda come sto, le foto con Logan riempiono le mie menzioni.
“Bella!” “Belli!” “Oh che carini!” “Sono felice per te!”
Il resto degli interessati non se ne interessa, di rispondere, di congratularsi, è troppo impegnata ad essere triste per sé.
Sono anche quelle le persone che apprezzo, che sono al secondo posto della mia classifica. Non si preoccupano di piacere, loro sono forti da sé e preferiscono esser forti da soli.
Io non sono forte da me. Io non lo sono con gli altri.
E’ angoscioso pensarci, ma Toronto mi manca e, fortunatamente, non ho rimpianti. Solo mancanze, vuoti.

 
 
POV LOGAN.
Mi manca una come lei? Mi manca avere la certezza di poterla trovare in quell’hotel anche di sera, perché lei non usciva, che aveva paura della notte in una città così grande?
Mi manca non aver saputo vivere abbastanza di quel bacio? E un po’ di lei?
E insomma: necessito di una come lei?
Al mio ritorno Emma mi fissava, inquisitoria. Desiderava sapere, forse si chiedeva lei stessa che posto avesse in me, che luogo le avessi riservato.
Non domandava, però, cosa fosse successo, forse lo intuiva, capiva. Fatto sta che non ci sono stati più baci, né per me, né per lei, né forzatura o pensieri negativi. Campavo di intenzioni, programmavo adesso. Avevo voglia di vivere con calma, stavolta sapevo di poter cogliere buoni risultati. O almeno lo speravo. La sicurezza s’impadronisce di me di fronte a questo pc.
Il sito è questo, clicco, ordino.
 
 
POV LAURA.

12 aprile.

Le chiamate si rincorrono nei momenti liberi, a volte non ci sentiamo nemmeno. La sua voce saluta il mio buon senso, gli dice addio. Io non sono stabile, crollo ogni volta.
Lo studio prende il posto di quei giorni che sembravano non finire. La pace non c’è. Svanisce la sensazione di ricordo incalzante, che spinge ad agire, a partire. O forse s’è nascosta, questa sensazione, questo desiderio.
 
 
DM.
“Ehi” mi dice lui. Nessuna euforia nelle parole, o sono io che non riesco a coglierla, ma la risposta rispecchia una me che ricorda e che necessita di quei ricordi.
“Ci sono” scrivo.
“Ti chiamo (:”
Il cellulare squilla.
- Dovremmo farci una promozione, ci sta? – scherza.
- Spero – rido. Non sopporto sottostare alla mia mente arresa.  - A quando, noi? – chiedo e sopporto il senso di colpa, l’errore di aver osato troppo. Forse l’illusione aveva giocato sporco stavolta. E’ arrivata con le chiamate, con i messaggi su internet, con le foto che riempiono il mio pc. Però adesso giochicchiava ancora con il lembo di una me troppo fragile. Già mi sento ricrollare.
- Aspetta – dice risanandomi per un secondo.
Un puntino blu illumina la bustina della posta su Twitter.
Una foto. Un biglietto.
Non rispondo.
- Sei viva … spero, stavolta tocca a me, mica ho detto che mi arrendo? - ride, lo ascolto, chiudo gli occhi. Ricordo. Quella foto è come la sua mano sulla mia nuca, come le labbra sulle mie, come lo stomaco che si contorce.
Avvicino lo sguardo al pc, zoommo. 14 aprile.
Due giorni.
- Sono viva - rispondo.



ancoloh autriceh:

mi dispiace non aver postato prima, ma ho
un leggero blocco che non riesce a farmi
scrivere abbastanza. cioè, penso sappiate
cosa significhi. ed è bruttissimo. sto cercando
di riprendermi da questo coma emotivo HAHA
comuuunque, spero di postare presto stavolta
anche perché devo proprio scriverli i capitoli,
non ne ho più di pronti :3 ps. ho cambiato grafica qui,
correggerò anche gli altri a livello grafico :)
cooomunque (2), sono @xselene su twitter, bye.

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Capitolo 17
*** - shine on. ***


chapter seventeen:

Shine On.

Are they calling for our last dance? I see it in your eyes. [...] With your smile just as bright as the sun. [...]
And when silence greets my last goodbye, the words I need are in your eyes.


Seduta al tavolo della cucina fisso il riflesso nella vetrata. Quella che affaccia sulla campagna. Non sorrido, mi limito ad osservare i miei pensieri.
Cinque minuti e vado a prepararmi, sono le quattro del pomeriggio. 
Il 14 aprile. È lunedì. 
Mi chiamo Laura Fontana, ho diciotto anni e frequento il liceo classico. Lui non sapeva cosa significasse, lì in Italia siete diversi, mi ha detto.
Fisso il mio riflesso e i cinque minuti passano. Tra un'ora lui è qui.

L'aeroporto mi ricorda poche settimane fa, ritorno e andata rimasti in pausa nel tempo. 
Non ho richieste, i miei pensieri animano uragani qua dentro, tutto gira e non riesce ad assumere contorni definiti.
Negli aeroporti non ci sono mai certezze, non ci sarà mai nessuno che lascerà un posto senza ricordare ciò da cui si allontana o mente in continuazione, dice che scappa, dice che se ne va, oppure saluta chi ama, lo manda via; siamo comuni denominatori che dividono cuori fatti tutti uguali.
Qualcuno mi spinge, mamma e papà sono fuori, mi hanno accompagnata, io qui da sola non ci venivo, non ci so arrivare, non ho ancora la patente.
Qualche voce di campo annuncia in alcune lingue i voli in partenza, quelli atterrati, aerei arenati su quella pista, pronti ad aprire gli sportelli.
Il vetro dietro di me di quest'aeroporto dà sul parcheggio, chiedo a qualcuno dove si trova l’uscita degli sbarchi. Mi sono persa. 
- Aspetta là, sotto le scale, che arrivano - mi dicono.
Le scale mobili sono in fondo. 
"Parto" mi ha scritto. "Vengo da te perché adesso ho bisogno di parlare"
Mi offendo, è di nuovo quel l'egoista che non sa dove cogliere, se vuole farlo davvero.
Mi gira la testa in questo mare di volti, nessuno è quello che cerco io.
Occhiali da sole che so non sono rivolti a me.
Fisso i sorrisi, non sono sinceri, nessuno parla di me.
Cosa faccio? mi chiedo, ansia che mi invade, lo stesso formicolio. Assaporo nervosismo e sentimento assieme sulla mia pelle che non si scontra ancora con nessuna che la desideri. E lui? Parlarmi qui, non da casa sua, dalla freddezza di un messaggio, dalle parole smorzate in una cornetta. Lui vuole assaporare la carne dei miei sussurri?
Lui cosa vuole da una come me?


POV LOGAN.
Faccio scalo a Milano, non glielo dico, sa a che ora venirmi a prendere. So di sadico in questa armatura di jeans e camicia blu, in questi occhiali neri che porto sempre con me.
Mi passo una mano tra i capelli, mi guardo nel vetro mentre sto per attraversare il metal detector. La mia sacca da viaggio attraversa un tunnel, io una porta.
Sono qui, appena arrivato a Napoli che non vedo da 6 mesi, sento il profumo di persone diverse su questi corpi di persone affrettate.
Di cosa ho bisogno? Cosa voglio fare? Riprendo il cellulare, lo accendo. Lei non c'è nella notifica.
Non importa, lei aspetta. Qua.

Presa la borsa, cavalco quelle scale. Scendo lento da questa montagna che tutto vede, altezza da cui osservo mondi di teste che attendono.
Una di loro, tra le tante, non si nota, io la noto. 
Ha i capelli sciolti, il foulard le copre il collo. Si guarda attorno con la stessa espressione che le ricordo, sa di terrore misto a confusione.
Sorrido, in imbarazzo. Ma cosa mi è venuto in mente? 
Mi verrebbe voglia di tornare indietro, perché di cosa avrei bisogno?
Lei si volta, mi vede, sorride con i suoi occhi lucidi, il viso le si illumina.
Di cosa ho bisogno, qui?

Saltello dall'ultimo scalino, lei non sa che fare. Io le avvolgo le braccia attorno alla testa, il mio naso sopra.
Tiene le braccia lunghe ai lati, sussurrando con le mani, mi imita, mi circonda con quelle mani incerte. Sorrido, sospiro. Mi scosto di poco, gli occhi miei che si riproducono nel riflesso delle sue lacrime.
- Piangi sempre - dico intenerito, ma sono a disagio.
- Sì - ridacchia, a malincuore sposta una mano dalla mia schiena per asciugarsi una lacrima. - Quando succede qualcosa di inaspettato, qui si dice 'hai fatto piovere'. Mi hai fatto piovere gli occhi.
I miei, penso. Sono lì, stampati in quell’acqua di sale, nella sua espressione, nel sorriso che piano mi schiude per togliermi dall'imbarazzo.
Qualcuno spinge, ha voglia di passare, corre, ognuno incontra chi vuole. Io incontro lei oggi, la incontro pure domani e per tutto il tempo che mi dico di volere.
- Ci aspettano - mi dice. Ha voglia di andarsene, ha fretta nella voce.
Le prendo la mano, gliela stringo, intreccio le dita alle sue.
- Non tremare - le supplico. 
Scuote la testa, dice che le dispiace ma non ha capito quello che ho detto. 
- Non avere paura - le intimo scandendo le parole al suo orecchio e per farlo mi avvicino.
Annuisce, quando mi scosto le vedo la necessità nelle labbra. Sono qui, per parlare, per capire, io. E pure lei. La bacio.


POV LAURA.
Non vivo nello zucchero filato, manco di certezza, di terra da toccare con questi piedi sollevati da cemento, fondamenta e pavimenti di questo aeroporto che mi porta lontano da qui.
Le mie labbra tremano come le mie mani, si scontrano contro quest'istintività quasi aggressiva. Spinge il viso contro il mio, crede io sia pronta, non lo sono, ma non ho detto che non lo voglio. Aereo che ha due ali, le sue labbra e le mie.



ancoloh autriceh:

Ammetto di essere stra sdolcinata, ma
adoravo questa parte, sul serio l'ho
progettata per due mesi HAHAHAH nella mia
testa andava così, spero che vi piaccia comunque,
vedrò di essere meno zucchero filato prossimamente.
ho ancora il blocco, mi devo arripigliare, aiuto.
spero vi piaccia, recensite ja! :3 @xselene

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Capitolo 18
*** - wanna say. ***


chapter eighteen:

Wanna Say.

I'm about to lose myself […] Caught up in the moment again: boy, you take my breath away. […]
We'll live out loud, you and me against the world, don't matter how things turn out, we're together now.


Taccio in questa stanza gremita di persone, nessuna si chiede di noi,lui mi tiene per mano, lo fa con la naturalezza di chi è inconsapevole dell'effetto che fa.
Grido dentro, mi guardo attorno, urla nei miei occhi che aspettano di essere ascoltate.
Lo fa lui, lo sente il tremore nelle mie mani per l'insicurezza che lascio trasparire senza aver paura di fargli cattiva impressione. Dovrei controllarmi? Smetterla di sembrare me stessa, quel castello di sabbia che é facile si rompa?
Sono tigre in questa gabbia che a stento sa trattenermi, graffio me stessa con le mie preoccupazioni.
Cosa ha intenzione di fare? È qui. Quando la smetterò con queste domande?
 
 
POV LOGAN.
Andiamo via di qui, raggiungiamo l'auto dei suoi, si scusa in anticipo e le rispondo con un sorriso imbarazzato. Sento il sapore delle sue labbra.
Decido che in fondo non c'è nulla di male, mi ospita, non accetta alloggi in un hotel.
Questo disagio andrà via, me ne assumo la responsabilità. Pensa normale, Logan.
 
 
POV LAURA.
Mia mamma gli sorride, dice 'Ciao' lui risponde allo stesso modo. Papà fa lo stesso, sembra nervoso, lascio correre.
Siamo seduti alle estremità dei sedili posteriori. Lo guardo di sfuggita, mi andrebbe di abbracciarlo mentre lui é distratto dal verde che c'è fuori dal finestrino.
Mi fa strano pensare che lui sia qui, a Napoli.
Oggi è lunedì. Domani a scuola non ci vado, ho bisogno di studiare lui.
Sale impacciato le scale, la sacca sulla spalla, gli occhiali da sole ancora calcati in faccia.
 
 
POV LOGAN.
È felice, le vedo il cuore scoppiare, noto.
Sorrido di rimando, c'è così tanta libertà qui, troppe campagne che sono lontane da quello a cui sono abituato. Palazzine piccole e nessun grattacielo, c'è tranquillità in quest'umilta' che scorgo su queste mura.
Mangiamo cena all'italiana che sa di nuovo.

 
POV LAURA.
Ho fatto promettere a mia madre che Logan avesse dormito nella mia stanza, sull'altro letto.
- Con la porta aperta - ha detto lei. Rido.
La stanza è buia, Dean ha mandato un tweet a Logan, gli ha dato la buonanotte, lì in America è ancora giorno.
Logan s'è messo a ridere, l'amico gli ha allegato la foto fatta con Cooper con un modellino del Colosseo in mano. 
- Adesso tutti sapranno che sono qui - sussurra divertito.
E penso che il sapore della sua risata mi piace proprio, che ci vorrebbe un pasto così ogni giorno. Ha una t-shirt, fa freddo? No, dice.
Qualcosa mi attraversa la spina dorsale.
- Logan - mormoro - grazie.
Alza la testa dal cellulare, mi guarda, la luce della cucina attraversa il corridoio, raggiunge la sua espressione sorpresa che si chiede il perché di quella mia richiesta d'aiuto. È quello che è, le mie parole si riflettono nelle scuse, nei miei vuoti. Lui è il mio aiuto, in quel momento, la cura alla sua stessa mancanza.
Lui lo capisce. Sa bene, adesso glielo vedo, l'effetto che mi fa, li conosce i risultati delle sue scelte che forse vorrebbe persino cambiare. Forse non vorrebbe che una ragazzina appena diciottenne si facesse prendere da uno come lui che non fa mai scelte definitive, ha la vita che gli cambia.
Storce le labbra in un sorriso accennato, pauroso. Poggia il cellulare sulla scrivania, la tuta color cobalto che gli scorre lungo le gambe. Sento l'urto del cellulare sul legno.
Si corica. - Sei stanca? - chiede.
Mi piace quando mi parla, mi fa sentire meno invisibile.
- Un po' - mento.
Poggia la testa sul cuscino. - Buonanotte allora - continua.
Chiude gli occhi, faccio lo stesso.
 
Soffoco risate contro questo cuscino. Affogo in un vuoto silenzio notturno. Accatasto ciò che ho provato e lo metto in quell'angolo laggiù della mia mente. Faccio spazio per nuovi ricordi da scrivere.
Apro gli occhi, la sveglia suona per la settimana scolastica. Logan mugugna qualcosa nel sonno. Ridacchio. Ops, fanculo. Piccoli passetti che poi mi portano quasi a lanciare il cellulare in fretta e furia nel corridoio. Non vedo i tasti su questo touchscreen. Che ore sono? Ah, l'orario scolastico, già l'ho detto.
Per favore non svegliarti, sussurro più a me che a lui che si agita un po' tra le lenzuola. Dormi Logan, è presto. Mi corico.
- Fanculo Laura, ma che - prende fiato per altre parole assonnate da sotto il cuscino - ... che cazzo ci vai a fare a scuola?
Rido, si riaddormenta. Si tira su il piumone, adesso soffoca sotto le coperte. Lo guardo ad occhi semichiusi, mi addormento.
 
Adoro i dettagli, le cose nascoste, i gesti, i messaggi, la polvere che resta nonostante tu continui a pulire, come in quegli angoli del monitor del pc, ccosì come immagini che si incastrano tra le grinze del cervello.
Adesso che lui è qui, vorrei non dover rivivere i miei dubbi. Mi parli, immagine? Dubbio? Chiarisciti. C'è qualcosa che non va in me. Mostrati.

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