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di _Syriana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Engaged ***
Capitolo 2: *** Masquerade ***
Capitolo 3: *** Family portrait ***
Capitolo 4: *** Xander ***



Capitolo 1
*** Engaged ***


A chi, come me, cammina sotto la pioggia con un sorriso.
A Giusi, che c’è sempre anche quando non lo ricordo
A Cris che mi fa ridere ogni giorno
A Ross. Semplicemente a Ross.
 

 

Amor ogni cosa vince, 
Leonardo da Vinci 

 
 

Engaged

 
Caroline guardava la sorella e i cugini ridere e chiacchierare insieme e pensava che quella era la sua famiglia. Poi, chiudeva gli occhi e quel pensiero confortante spariva, lasciando il posto ad un altro pensiero, più doloroso: quella non sarebbe più stata la sua famiglia, tra poche settimane.
Voltò lo sguardo, per incontrare quello del cugino che la fissava preoccupato – Tutto bene, Carol? –.
No, nulla andava bene.
Ma si sforzò di sorridere.
 
Suo padre l’aveva chiamata per parlare quella mattina. L’aveva trovato nel suo studio, seduto alla scrivania, sommerso da centinaia di carte. L’aveva guardata un paio di secondi quando era entrata, poi era ritornato alle sue carte – Siediti, Caroline – le aveva detto, da dietro un foglio, facendole un piccolo cenno con la testa verso una delle poltrone dello studio.
Carol si era seduta ed aveva aspettato qualche minuto, prima che suo padre si alzasse dalla sua sedia e andasse a sedersi nella poltrona davanti alla sua. Poggiato comodamente allo schienale , sembrava totalmente a suo agio in quella situazione. Al contrario di Carol, che si contorceva le mani, agitata. Era raro che suo padre la chiamasse per parlare, e quando succedeva quasi mai era per dare belle notizie: nelle ultime ore si era chiesta molte volte il motivo di quella richiesta, e non aveva mai trovato una risposta che la soddisfacesse.
- Caroline, quello che ti dirò è molto importante e ti riguarda da vicino – iniziò suo padre, guardandola negli occhi da dietro la sottile montatura d’oro degli occhiali – tra poche settimane unirò la nostra famiglia ad una delle più importanti famiglie del Granducato di Navalle – proseguì, e nella sua voce si poteva sentire tutta la sua soddisfazione per quella notizia.
Caroline si chiese in che modo avrebbe potuto questa notizia riguardarla da vicino, poi spalancò gli occhi.
Lei era la maggiore, la primogenita. Quante volte si era vantata di essere la maggiore?
Ma suo padre non avrebbe mai potuto…
- Tra sei settimane sposerai il figlio maggiore della famiglia di Navalle – le annunciò suo padre.
E il mondo si colorò di nero.
 
Sei settimane. Sei settimane prima di salire all’altare con un ragazzo che nemmeno conosceva. Sei settimane prima di lasciare la sua casa ed andare ad abitare con una famiglia che non conosceva, in una regione che non conosceva.
Sei settimane e non avrebbe conosciuto più nulla. Nemmeno se stessa.
Ed era stato suo padre a permetterlo. Anzi, era lui che l’aveva voluto.
Mentre guardava fuori dalla finestra della sua stanza, dove si era rifugiata dopo l’annuncio di suo padre, pensava a quello che le aveva detto dopo l’annuncio.
- E’ molto importante questa unione, Caroline. Comportati bene, comportati come una donna adulta che deve saper fare dei sacrifici per il bene della sua famiglia. Ora vai – l’aveva liquidata con un gesto della mano – ho molto da fare. Avrai un matrimonio degno di una regina, Caroline -.
E lei era uscita.
Nei giardini del palazzo Justin e Dreyden si stavano allenando con la spada, sotto gli occhi di Alexandria e Gabriel: i primi divertiti, i secondi attenti e pronti a notare qualsiasi imperfezione nei movimenti.
Concentrata nel guardare i gemelli che si battevano, si spaventò quando qualcuno bussò alla porta.
- Avanti – disse voltandosi, e sorrise vedendo la sorella chiudersi la porta alle spalle.
- Vieni a vedere i gemelli che se le danno di santa ragione? – chiese Fayette, guardandola. Carol scosse la testa, sorridendo. Non aveva nessuna voglia di stare insieme ad altre persone. Aveva solo bisogno di stare sola a pensare.
Fay accettò con una smorfia quella decisione – Se cambi idea, noi siamo tutti giù – le disse, prima di voltarsi e avviarsi verso la porta. Solo quando fu con una parte del corpo fuori dalla stanza, la guardò – Cosa voleva nostro padre? – chiese.
Carol si irrigidì e deviò lo sguardo – Ayen. Nulla di cui preoccuparsi, sorellina – rispose.
La sorella annuì ed uscì dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.
Caroline uscì nel balcone e si sporse verso il giardino, dove Fayette stava correndo verso tutti gli altri cugini. Guardò verso l’orizzonte, dove un falco stava volando veloce, in cerca di prede.
Come sarebbe stato, saper volare? Essere come quel falco, poter scappare lontano, senza tornare più?
Abbassò lo sguardo e incontrò quello di Gabriel, che la stava fissando dal basso: strinse la presa sulla cornice del balcone, chiudendo gli occhi. Rientrò nella stanza dopo pochi minuti, una lacrima solitaria che le rigava la guancia.
Lei era un falco a cui avevano spezzato le ali. Non avrebbe potuto volare mai più.
 
Era seduta sotto un grande albero, le gambe al petto e la faccia affondata dentro le pagine di un grande libro ingiallito dal tempo.
Caroline era quel tipo di ragazza che preferiva starsene da sola con un buon libro, quando non voleva pensare a qualcosa.
A lei pensare, però, piaceva. Riusciva a vedere tutto nella giusta prospettiva, pensandoci un poco, e riusciva ad assimilare tutto più facilmente.
Era immersa nella lettura di una principessa dormiente in attesa del suo principe, quando sentì un rumore alla sua destra. Alzò la testa per vedere chi era: Gabriel si stava sedendo comodamente vicino a lei.
- E così la strega malvagia la maledì: all’età di sedici anni si sarebbe punta con un fuso e sarebbe morta… - recitò a memoria il ragazzo, guardando il libro che Carol teneva sulle ginocchia e sorridendo aggiunse – Non ricordo quante volte te l’ho letto, prima che andassi a dormire, da piccola. E’ sempre stata la tua fiaba preferita -.
Carol sorrise, chiudendo il libro – Io ricordo che cambiavi sempre il finale, o qualche dettaglio nella storia; ed ogni volta io te lo facevo notare, così tu mi rispondevi: E’ sempre la stessa storia, così la rendo interessante, altrimenti mi addormento! -. Gabriel rise e allungò una mano per prenderne una di lei, per giocare con le dita come da piccoli, per poi stringerla.
- Ho parlato con tuo padre, Carol. Tutti noi abbiamo parlato con lui – la mano che Gabriel teneva si irrigidì sotto il suo tocco.
- Ebbene? – chiese, la voce secca e leggermente tremula, lo sguardo fisso davanti a se.
- Carol… - la voce di Gabriel era dolce – Mi dispiace così tanto. Mi dispiace per quello che tuo padre vuole farti fare, perché non posso fare nulla per impedirlo, perché… -
- Basta così – lo interruppe lei, con voce secca – non sta per morire nessuno, Gabriel. Io sicuramente non morirò: è solo un matrimonio -. Gabriel la guardò negli occhi, e lei vi poté leggere tutta la sua sorpresa: sicuramente non si era aspettato questa reazione da lei.
- Ma… ma, Caroline!, hai solo diciassette anni! – esclamò sconvolto – e poi credevi nell’amore -. Caroline scosse la testa.
- Mi confondi con Fayette. Ho accettato questo matrimonio, ho accettato di fare come mi è stato chiesto, - guardò il cugino e la sua faccia sconvolta – Ti prego, accettalo tu come ho fatto io. E… imparerò ad amarlo, Gabriel. Chiunque sia – sussurrò.
Gli occhi del ragazzo si addolcirono, mentre l’abbracciava posandogli il mento sulla spalla.
- E se non ci riuscissi? Non si ama a comando, Caroline – le chiese all’orecchio.
- Almeno saprò che ci ho provato, Gabriel – rispose in un sussurro. Non parlarono più, per il resto del pomeriggio, ma rimasero in silenzio.
Quel silenzio pieno di parole che tra loro c’era sempre stato.
 
Tornarono al palazzo insieme, mano nella mano, come da piccoli quando Gabriel la tirava per farla correre più velocemente per scappare dall’inseguimento dei cugini, parlando di come Justin e Dreyden fossero così tediosamente adorabili quando litigavano.
Caroline si sentiva più leggera, dopo quel pomeriggio con il cugino. Stavano parlando di come Gab avesse sconfitto da solo i gemelli, quando videro Fayette correre loro incontro.
- Caroline, Gabriel! Pensavamo vi foste persi nella radura, non tornavate più dalla vostra passeggiata! – disse, poggiandosi una mano sul petto ansante per la corsa.
- Come facciamo a perderci a casa nostra? – chiese Carol, storcendo la bocca, metre al suo fianco Gabriel era scoppiato a ridere.
- E io cosa ne posso sapere? – chiese irritata Fay, alzando le mani al cielo – hanno detto loro che dovevo venire a cercarvi! – aggiunse irritata, mettendo il broncio.
- Tu sola? – chiese ridendo Gabriel, scompigliandole i capelli, mentre anche Carol  scoppiava a ridere. Fayette, per tutta risposta, mostrò loro la lingua e si girò con fare irritato, incamminandosi verso la casa.
- Andiamo, forza – disse ridendo Caroline, spingendo un poco il cugino a seguire la sorella,e presto l’affiancarono.
Carol sorrideva tranquilla, quando si sentì toccare una mano dalla sorella e voltò la testa verso di lei, guardandola interrogativa. Fayette, al contrario la guardava con un espressione che era un misto tra il curioso e il timido, le gote leggermente rosse.
- Ho saputo, Carol. Non so nemmeno cosa pensare. Mi spiace per quello che nostro padre vuole farti fare. Mi sembra tutto così assurdo – scosse piano la testa, mentre sul viso di Carol spariva il sorriso spensierato per lasciare il posto sempre ad un sorriso, ma dolce – Non importa, Fay. Sul serio. Ho accettato tutta questa situazione, anzi volevo chiederti una cosa: ti andrebbe, insieme ad Alexandria, di essere la mia damigella d’onore? – le chiese e vide la sorella tentennare.
- Ne sei sicura? – chiese timida e alla sua risposta affermativa si aprì in un sorriso
- Sarà un onore, sorellina – disse, abbracciandola.
- Ehi!, sono sempre io la maggiore!, – esclamò ridendo Caroline, poi sospirò, guardando entrambi i suoi parenti – ma ancora mi chiedo quando lo conoscerò – disse.
Fayette e Gabriel aggrottarono le sopracciglia e fecero una faccia perplessa – Vuoi dire che tu non lo sai? – chiese Fayette, guardando la sorella.
- Sapere cosa? – chiese a sua volta Carol, fissando i due.
- Arriverà qui sabato – rispose Gabriel – Lui. Arriverà qui sabato -.
 
Palazzo Mayfield sembrava posseduto, in quei tre giorni che precedevano quel famoso sabato, quel giorno in cui sarebbe arrivato il futuro marito della figlia maggiore Mayfield. Caroline guardava i servi correre da un ala all’altra del palazzo con panni lavati e freschi tra le braccia, fiori per decorare le varie stanze, spazzole per lavare i pavimenti e l’argenteria. Svariate volte era incappata in cameriere che nemmeno la consideravano, troppo prese dal loro lavoro per accorgersi della sua presenza.
Ovviamente, insieme ai panni e le stoviglie, le cameriere si passavano anche i pettegolezzi. Così, correvano svariate voci, per la casa: una voleva che stesse per arrivare a palazzo un qualche principe; un'altra voleva che Gabriel, ormai fidanzato ufficialmente con l’ultima erede della famiglia Blackmore, Sophia, stesse per proporsi a lei.
Quando aveva sentito questa diceria, Gabriel era diventato di un bianco candido e aveva iniziato a balbettare, come mai gli era successo, tra l’ilarità dei cugini, soprattutto i due gemelli.
Alcuni, però, la verità la sapevano: se n’era accorta quando, passando per un corridoio, alcune serve avevano smesso di parlare tra loro e l’aveva guardata passare bisbigliando qualche parola, per poi abbassare lo sguardo.
A Caroline, però, non importava molto: cosa cambiava saperlo uno o due giorni prima che il resto delle persone?
- Lo odierò, a prescindere – commentò Alexandria, mentre si pettinava i capelli. Erano nella biblioteca della casa: Gabriel se ne stava seduto sulla poltrona, una gamba al dì la del bracciolo e un braccio piegato dietro lo schienale, gli occhi chiusi;  i gemelli erano seduti sul tappeto e giocavano a carte: sarebbe stato impossibile dire chi dei due stesse barando di più. Fayette era seduta alla scrivania e leggeva un libro, mentre Caroline era seduta sulla stessa scrivania e guardava alcuni spartiti.
Alzò lo sguardo verso la cugina, sbattendo le palpebre – Come, Sandria? – chiese, confusa. Sapeva che adesso l’attenzioni di tutti era rivolta verso lei ed Alexandria.
- Ho detto che lo odierò a prescindere – disse di nuovo Alex, alzando le spalle.
- perché dovresti? – chiese Carol, aggrottando le sopracciglia.
- Perché tutto questo è assurdo! Come puoi sposare un ragazzo che nemmeno conosci? Come puoi accettarlo? – sbottò Alex, allargando le braccia e guardandola fissa. Carol sapeva che tutti loro si erano fatti quella domanda. Cercò con lo sguardo quello di Gabriel, per trovare il suo appoggio.
Sospirò – So che tutti voi vi siete fatti questa domanda, e sinceramente non so se ho una risposta. Almeno, non so se ho una risposta che a voi basti. Non sempre si può scegliere nella vita, Alexandria, alcune cose capitano senza che ci si possa opporre,- alzò una mano, prima che la cugina, che aveva già aperto la bocca, potesse parlare
- so che avrei potuto opporti. Dire di no. Ma non sarebbe cambiato comunque nulla: una di voi avrebbe preso il mio posto, non avrebbe fatto differenza. Io, te oppure Fayette -.
- Sandria, - riprese – tu e Gabriel avete avuto la fortuna di incontrare persone magnifiche che vi amano per quello che siete e voi amate loro; Fay, Justin e Dreyden le incontreranno. Io, dal mio canto, imparerò ad amare la persona che mi è stata destinata. E se non ci riuscirò, pazienza. Avrei comunque voi, con il vostro affetto. Mi basterà – concluse.
Alexandria la guardava stupita, mentre Fayette si era alzata per abbracciarla. Gabriel le fece l’occhiolino, i gemelli le sorrisero dolci.
- Mi stai dicendo che non devo odiarlo? – chiese Alex, guardandola con un sorriso sulle labbra. – Preferirei cercaste tutti di trattarlo in modo amichevole. Entrerà comunque a far parte della nostra famiglia – rispose.
- E la famiglia è tutto – disse Gabriel.
- Brutto bastardo, stai barando! Adesso le prendi! – urlò Dreyden, avventandosi contro il gemello.
Ci furono solo risate, dopo.
 
Era giunto il grande giorno: Caroline era stata svegliata molto presto quella mattina, non che in realtà avesse dormito molto, e fin da subito era stata riempita di impegni. Dal bagno alla scelta dell’abito. Dalla scelta dei gioielli all’acconciatura dei capelli.
- Sembri una bambola di porcellana, Caroline! – aveva commentato ridendo Gabriel, quando l’aveva incontrata nei corridoi.
Portava un lungo vestito blu scuro, impreziosito da file di perle bianche nel corpetto e le stesse perle le impreziosivano i capelli, che erano stati raccolti in un elegante chignon formato da una treccia. Quando si era guardata allo specchio, pensava che sarebbe sembrata una donna molto più vecchia di quello che era, invece sembrava sempre lei, anzi il vestito le metteva in risalto gli occhi e le illuminava il viso.
Fayette, che era entrata proprio in quel momento, le aveva detto che sembrava una principessa, mentre, passando per il salotto dove stavano facendo colazione, i suoi genitori l’avevano guardata con fierezza. Sua madre aveva sussurrato un – Bellissima – mentre suo padre le aveva solo fatto un cenno.
Lei aveva sorriso ed era uscita in giardino, dicendo a tutti che aveva bisogno di un po’ d’aria fresca.
Stava passeggiando per il viale laterale del giardino, quando sentì il rumore degli zoccoli sul vialetto. Erano almeno dieci cavalli.
Era arrivato. E Carol sentì montare l’agitazione dentro di lei, tale da farle tremare le gambe mentre si voltava per tornare in casa ed accogliere i suoi ospiti.
- Caroline! Sono arrivati. Vieni! – la chiamò Fayette e Caroline notò che anche lei era stata agghindata come una bambola.
Salì gli scalini che l’avrebbero portata all’atrio con il cuore che martellava come un forsennato nel petto.
Arrivò nell’atrio già popolato di persone: i suoi cugini e sua sorella, che si stavano presentando a un gruppo di uomini e donne, e i suoi genitori, che invece davano il benvenuto ad un solo ragazzo.
Caroline non riusciva a vederlo in faccia, dalla posizione in cui era, ma solo un giovane ragazzo alto, con le spalle discretamente larghe ma non eccessivamente muscoloso, e una folta chioma di capelli marrone scuro.
- Eccola! – trillò sua madre guardandola e tendendole la mano – Caroline, tesoro, vieni – le disse e Carol si avvicinò piano, mentre il ragazzo si girava verso di lei. Caroline gli avrebbe dato vent’anni o poco più, e anche da quella distanza emanava una tale fierezza da intimidirla.
Posò piano la mano verso quella testa del padre, che dopo qualche secondo la fece scivolare su quella del ragazzo.
La sua stretta era delicata, ma la mano era grande e forte, le dita erano lunghe ma ance callose, forse dall’uso della spada.
Si chinò per baciarle il dorso della mano, mentre suo padre le diceva – Caroline, ti presento Alexander Christopher Liar di Navalle –.
Caro, chinò appena la testa, per poi rialzare lo sguardo e incontrare due occhi incredibilmente verdi che la guardavano attenti.
- Piacere mio, Caroline – sussurrò lui, sulla sua mano.
 

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Capitolo 2
*** Masquerade ***


A Francesco, che non leggerà mai,
ma a cui voglio dire, ancora una volta
che andrà tutto bene. Ti voglio bene.

 
 

Dopo tutto, una bugia cos'è?
Nient'altro che la verità in maschera.
 
George Gordon Byron, Don Giovanni

 
Caroline stava camminando verso il suo solito rifugio, un libro in mano e la testa piena di pensieri.
Christopher Nathan Liar di Navalle soggiornava da una settimana nella loro casa, ma quasi mai si erano parlati, in quei giorni: a cena lui parlava quasi sempre con i genitori di Carol, mentre durante il giorno sembrava preferire la compagnia della sua scorta oppure quella dei gemelli Sinclair, che sembravano anche gli unici che lo avessero preso realmente in simpatia.
Gabriel le aveva riferito di una sua chiacchierata con Christopher, come lui amava farsi chiamare, e le aveva detto che sembrava un ragazzo intelligente e posato, oltre che molto dotato con la spada; nonostante questo, comunque, Gabriel continuava a guardare il ragazzo con espressione dura: proprio non riusciva a mandare giù il fatto che sua cugina dovesse sposarsi senza la sicurezza di essere amata.
Anche Alexandria sembrava della stessa opinione: per quanto si fosse sforzata in quei giorni di rivolgere parola al futuro parente, le parole le uscivano a stento dalla bocca, tanto che qualche volta Fayette aveva dovuto darle delle gomitate per farle augurare il buongiorno.
Al contrario, Fayette sembrava incredibilmente a suo agio a rivolgere parola a Christopher e molte volte l’aveva vista rivolgergli dei sorrisi entusiasti misti ad imbarazzo: più di una volta Carol si era chiesta se la sorella non si fosse presa una cotta per il suo futuro marito. Quando le aveva esposto i suoi dubbi, Fayette era scoppiata a ridere e le aveva detto – Vorrei solo che quel ragazzo si sentisse un po’ più a suo agio in questa casa. In fondo, diventerà mio cognato – poi aveva scosso la testa ancora ridendo ed era uscita dalla stanza.
Comunque, a conti fatti, l’unica che mai aveva parlato con Christopher era proprio lei: a parte le presentazioni del primo giorno, ogni volta che Carol si era trovata nella stessa stanza di lui, o erano rimasti entrambi completamente muti a guardarsi finchè uno dei due non decideva di andarsene, oppure lei era subito sfuggita, lo sguardo basso e timido, prima che lui potesse anche solo accorgersi della sua presenza.
Si era sempre data della stupida in quelle occasioni: lei era una Mayfield, aveva un carattere forte; eppure, davanti a lui, tutte le sue barriere e la sua forza cadevano al suolo, sbriciolate.
Scosse la testa, infastidita da quei pensieri, stringendo il libro al petto.
Ad un tratto, qualcosa le toccò la spalla: un contatto così inaspettato da farla urlare per lo spavento e farla girare di scatto.
Incontrò due occhi verdi che la guardavano cauti, ma sereni – Mi dispiace avervi spaventato. Pensavo aveste sentito i miei passi dietro di voi. O comunque le mie ripetute urla per attirare la vostra attenzione, lady Caroline -. Christopher sorrise, mentre Carol lo guardava con gli occhi spalancati e la bocca cucita.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, vedendola muta – Devo pensare che siate diventata muta dopo il mio arrivo? – chiese, la voce seria, ma la piega della bocca e gli occhi che ridevano.
Le sopracciglia le scattarono in alto a quella frase, mentre un espressione ironica le si disegnava sul volto – Davvero credete che la vostra sola presenza sia abbastanza per zittirmi? – chiese, guardandolo negli occhi.
Troppo verdi. Troppo profondi E lei, che ogni volta ci annegava.
Inaspettatamente, sul viso di Christopher, si aprì un sorriso luminoso, che la lasciò un po’ stordita – Oh, finalmente sento nuovamente la vostra voce, lady Caroline. Pensavo di non poter più avere questa possibilità, anche perché ogni qualvolta mi vedete scappate come se foste davanti ad una fiera inferocita, prima ancora che io possa rivolgervi anche solo un saluto – disse.
- Non sembravate così interessato a me, dal momento che passate ogni momento libero che avete avuto finora appresso ai miei cugini, o alla vostra scorta o con mio padre – commentò secca Carol, irrigidendo le spalle e riprendendo a camminare verso la sua meta.
- Solo perché tutti voi sembrate odiarmi! – le gridò lui, correndole dietro e affiancandola in pochi secondi e lei si girò interrogativa – Come? Io non vi odio e non vi tratto come se vi odiassi! – esclamò, sorpresa.
Lo vide scuotere la testa e guardarla negli occhi – Invece lo fate! Forse nemmeno ve ne rendete conto, ma sembra che ai vostri occhi io sia un diavolo. E lo stesso vale per vostra cugina Alexandria e vostro cugino Gabriel. Fayette e i gemelli Sinclair sono gli unici che mi trattano come una persona normale, che parlano con me. In quanto ai vostri genitori, - si passò una mano nei capelli – sono loro ospite, come potrei non rivolgere loro la parola? – chiese, ma Carol sapeva che quella domanda non richiedeva una risposta.
Si sentì, però, colpita dalle parole del giovane: era stata lei stessa a dire ai cugini e alla sorella che non voleva che il suo futuro marito si sentisse un escluso, quando era lei per prima a non rispettare quel desiderio.
- Mi spiace – sussurrò – non volevo farvi sentire indesiderato o odiato – abbassò lo sguardo e girò la testa: sentiva le guance in fiamme dall’imbarazzo. Sentì due dita posarsi sotto il suo mento e girarle il viso: gli occhi di lui erano sorridenti e dolci, cosa che la spinse a sorridere di rimando e rilassarsi un poco.
- Non importa – sussurrò lui, mentre la sua mano scivolava sulla guancia in fiamme di lei – Cosa dite, se iniziamo a rimediare da ora? Dove stavate andando? Potrei accompagnarvi, se per voi non è un problema – le disse, guardando verso il bosco verso il quale lei si stava dirigendo.
Carol tentennò: stava andando al suo rifugio, quello che solo sua sorella e i suoi cugini conoscevano. Era il luogo dove tutti loro si rifugiavano quando avevano bisogno di pensare e stare soli: nessuno vi aveva mai portato qualcuno di estraneo.
Alla fine, però, decise che era giusto che lui vedesse quel luogo: era colui che sarebbe diventato suo marito, avrebbe dovuto sapere tutto di lei.
- Venite – disse, prendendolo per mano e guidandolo nel mezzo del bosco. Lui la seguì docile, senza parlare, mentre le loro dita si intrecciavano in una stretta forte.
 
- Quindi, hai vent’anni? – chiese Carol, guardando il suo accompagnatore, che se ne stava comodamente appoggiato contro il tronco di un albero, lo sguardo perso nelle acque cristalline del lago davanti a loro.
Era una tiepida giornata: timidi raggi di sole filtravano tra le chiome degli alberi e si scontravano con la superficie del lago, creando incantevoli giochi di luce sull’acqua. Erano seduti in quello spiazzo da qualche ora e il tempo sembrava passare troppo velocemente.
- Ti sembravo più vecchio? – chiese lui, ridendo e strappò un filo d’erba per metterselo in bocca.
Avevano deciso di darsi del “tu”, abbandonando quel tono formale che secondo lui non avrebbe dovuto esserci tra marito e moglie.
In realtà, a Caroline lui sembrava molto più giovane di quel che diceva: i capelli scuri come il mogano erano leggermente lunghi e disordinati, tanto che alcune ciocche gli cadevano ribelli sugli occhi, che invece erano di un verde brillante. Lei sapeva di adorare già quegli occhi: quel loro colore intenso, quella luce che si accendeva quando lui rideva; e la bocca, atteggiata a smorfie divertite o ghigni altezzosi.
Era bello, e più lo guardava e più bello diveniva.
- No, non sembravi più vecchio. In realtà, più giovane – rispose lei, sistemandosi meglio addosso all’albero e ridendo piano.
- Sei molto bella, Caroline – sussurrò lui, avvicinandosi e sfiorandole il viso con un dito, mentre le guancie le andavano a fuoco per il complimento.
- Grazie – balbettò, mentre la mano di lui tracciava il profilo del suo viso – E’ dalla prima volta che ti ho visto che lo penso, che volevo dirtelo. Sei bellissima – le sussurrò, facendosi sempre più vicino, sfiorandole l’orecchio con le labbra, mentre una mano saliva a prenderle il mento.
Caroline si alzò si scatto,  lasciando il ragazzo con un espressione stupita sul volto, e si girò, mentre anche lui si alzava.
- Caroline… - iniziò a dire, tendendo una mano verso di lei, che però si girò e si ritrasse – Credo sarebbe meglio andare, adesso – lo interruppe lei, voltandosi e iniziando a camminare verso la casa senza nemmeno aspettare una sua risposta.
Lo sentì sospirare dietro di lei, prima di iniziare a seguirla e affiancarla, rimanendo in silenzio: guardava fisso davanti a sé, una mano sopra l’elsa della spada, che lei nemmeno si era accorta avesse con sé, l’altra dentro le tasca. Era nervoso, lo si notava dalla tensione della mandibola: stringeva così tanto i denti che un muscolo guizzava nella mascella.
Dal suo canto, Caroline continuava a chiedersi perché avesse reagito a quel modo: le era capitato spesso di ricevere complimenti da un uomo, ma mai era scappata davanti ad essi. Anzi, aveva sempre sorriso e ringraziato, con quella vanità tutta femminile che aveva.
Ora, mentre tornavano verso la casa, quel silenzio che era calato tra loro, dopo un pomeriggio passato a ridere e parlare, le pesava addosso come un macigno: avrebbe tanto voluto che lui parlasse di qualcosa, qualsiasi cosa, anche del tempo. Guardava Christopher di sottecchi, e vedeva che era nervoso; lo era anche lei, continuava a torturarsi le mani e a mordersi il labbro inferiore, guardando in basso.
Lo sentì emettere un mugolio irritato, prima di sentirsi prendere per un braccio e voltare – Caroline, – disse, una punta di impazienza nella voce – vi prego. Cosa ho fatto perché siete diventata così fredda con me, quando solo pochi minuti fa eravate così dolce e allegra? – chiese, guardandola negli occhi.
E lei non riuscì a reggere quello sguardo. Voltò la testa, fuggendo con lo sguardo e puntandolo verso gli alberi , non sapendo rispondere a quella domanda.
La presa sul suo braccio si fece ancora più intensa, mentre le prendeva il mento e le girava la testa e incatenava di nuovo lo sguardo al suo.
- Cosa vi ho fatto, lady Mayfield? – chiese di nuovo, la voce più dolce, ma sempre irritata. Ma lei ancora non aveva una risposta.
Guardò il suo braccio, stretto nella sua presa, poi negli occhi. Lui sembrò capire e la lasciò, mentre indietreggiava di un passo.
- Mi spiace. Non ho la risposta alla vostra domanda – sussurrò lei, prima di voltarsi e correre verso la casa, lasciandolo da solo in mezzo al bosco, lo sguardo vuoto fisso sulle sue spalle.
 
Sua madre, una donna alquanto stravagante ma incredibilmente posata e soggetta a frequenti emicranie che la costringevano per giorni a letto, aveva deciso che il ballo che si sarebbe tenuto a palazzo Mayfield in programma per quella sera sarebbe stato rigorosamente in maschera. Caroline, a quella notizia, aveva gioito.
Amava i balli in maschera: i volti coperti di pizzi e piume a celare il volto, creando quell’atmosfera di mistero e maliziosa curiosità che l’attraeva da sempre.
Dietro a quella maschera sarebbe potuta essere chiunque.
Ma, soprattutto, sarebbe potuta sfuggire da lui: dalla sua fuga dopo la chiacchierata al lago, Caroline aveva evitato tutti i luoghi in cui ci sarebbe potuto essere anche lui.
Che era diventato il suo incubo alla notte; ma non uno di quegli incubi spaventosi che ti svegliano tra le grida: lui era un incubo dolce, da cui volevi farti sopraffare, in cui vuoi annegare anche se sai che morirai.
Si guardò la mano, quella su cui lui aveva posato le labbra qualche giorno prima, al momento delle presentazioni: ricordava distintamente la sensazione che l’aveva colta a quel tocco, paura mescolata ad una strana voglia di implorarlo affinché quel contatto non terminasse. Quando lui aveva alzato gli occhi e li aveva incatenati ai suoi per la prima volta, aveva sentito la voglia di scappare lontano, insieme a quella toccarlo per sentire se era reale.
Lui la spaventava e l’attraeva al tempo stesso, come una creatura della notte attrae la sua preda con il suo dolce Richiamo prima di ucciderla. Caroline sapeva che sarebbe morta, metaforicamente, perché se lui l’avesse chiamata, lei non avrebbe potuto far altro che rispondere.
Scosse la testa, proprio mentre nella stanza entravano sua sorella e sua cugina, già pronte per la festa: Alexandria portava un lungo vestito rosso scuro, il corpetto stretto sul petto e la gonna a balze, i capelli erano raccolti sulla testa in un elegante chignon che lasciava qualche boccolo ai lati del viso; Fayette, invece, portava un lungo abito verde bosco con le maniche lunghe di pizzo e seta, che cadeva leggero, mentre i capelli erano acconciati in una treccia laterale.
Entrambe tenevano in mano delle mascherine intonate agli abiti: quella di Alexandria si legava con un lungo nastro nero, mentre quella di Fayette era provvista di bastone per tenerla.
Carol sorrise – Siete stupende – commentò, tornando a guardarsi allo specchio: il vestito blu le stringeva sul petto ed era impreziosito sull’attaccatura della gonna a balze da una cintura di diamanti, intrecciati alla stoffa. Aveva tenuto i capelli sciolti, raccolti solo da un lato da un fermacapelli a forma di rosa.
Guardò distrattamente la maschera poggiata sulla scrivania, pizzo e seta e brillantini sullo sfondo nero e vi poggiò vicino una mano.
- Anche tu sei splendida, Carol – disse Fayette, sedendosi sul letto; Alexandria le fece un largo sorriso, annuendo.
- Andiamo, – disse Carol, alzandosi dalla sedia e prendendo la maschera – speriamo di divertirci – commentò poi, uscendo dalla stanza.
 
La sala da ballo era un agglomerarsi di nobili e stoffe colorate: alla luce dell’immenso lampadario, donne e uomini, d’età indistinguibili a causa della maschera, si muovevano nel salone, persi nei loro discorsi.
Carol si muoveva sorridente per il salone: aveva riconosciuto Gabriel, che teneva al braccio Sophia Blackmore; sospettava che a quella serata stessero partecipando anche i parenti di lei, i redivivi della famiglia Blackmore, probabilmente a protezione della ragazza. Aveva visto anche Alexandria, al braccio del suo fin troppo biondo fidanzato, un sorriso così luminoso sul volto che probabilmente se si fossero spente le candele, la stanza sarebbe comunque rimasta illuminata.
Non le era mai stato chiesto di ballare tanto come quella sera: uomini d’ogni età si inchinavano davanti a lei e le chiedevano di poter avere l’onore di un ballo. E lei non l’aveva mai rifiutato a nessuno: aveva sempre sorriso e preso quelle mani inguantate, lasciandosi guidare nei balli.
Aveva addirittura ballato con Justin, che era famoso per la sua allergia al ballo: diceva sempre che si trovava più a suo agio in mezzo ad una rissa con il labbro spaccato. Drayden, al contrario, pur condividendo la passione del gemello per risse e simili, ripeteva spesso che i balli gli erano congeniali; Caroline sospettava che questo era dovuto, più che alla passione del ragazzo per le danze, all’abbondanza di donne in corsetti attillati.
In tutta la serata, comunque, era riuscita nel suo scopo: non aveva ancora incontrato Christopher, ed era una vittoria di cui andava fiera.
Era affacciata al balcone della sala, in quel momento: aveva deciso di uscire a prendere una boccata d’aria, troppo accaldata dai balli per sopportare di rimanere ancora nella stanza. Il venticello autunnale era un balsamo sulle sue guance in fiamme; guardava di sotto, dove suo cugino Gabriel e Sophia stavano facendo una passeggiata in giardino. Era strano vedere Gabriel, capitano delle Guardie di Altieres e Primo Cavaliere dell’Ordine della Croce, camminare mano nella mano con una ragazza.
L’amore, si disse, cambia anche gli animi più ribelli e rigidi.
Troppo immersa nei suoi pensieri, non sentì i passi dietro di lei, né le forti braccia che le passavano attorno alla vita; solo quando sentì il petto d’un uomo contro la schiena, realizzò che qualcuno l’aveva intrappolata in una gabbia fatta di carne ed ossa. Si preparò ad urlare e dimenarsi, quando un respiro le sfiorò l’orecchio, insieme ad una voce leggermente roca e dolce – Lo concedete anche a me un ballo, Lady Mayfield?-.
Caroline si irrigidì e cercò di liberarsi da quella stretta, ma le mani di Christopher la tenevano stretta all’altezza dei fianchi contro il suo corpo e non le lasciavano nemmeno la possibilità di provarci.
- Lasciatemi – disse, la voce leggermente tremula, le mani che cercavano di scacciare le sue dal corpo.
- Non credo lo farò. Non voglio e non posso farlo, Milady – replicò lui, le labbra sempre vicine al suo orecchio e il fiato che sapeva di vino fruttato.
- Siete ubriaco. Lasciatemi andare – disse di nuovo lei, spingendo più forte le sue mani lontane da lei – Posso assicurarvi che non sono mai stato più lucido di così – commentò lui, posando le labbra sul suo collo, in un bacio freddo che le lasciò dei brividi caldi lungo la schiena.
Trattenne il fiato, il cervello che lottava su due fronti opposti: lasciarsi andare a quelle carezze oppure fuggire.
Bruciare all’Inferno o scappare dal Paradiso.
Vinse la prima parte: le mani che prima lo respingevano ora lo stringevano, la testa lascivamente piegata da un lato, per lasciare più spazio alle labbra di lui. Quelle labbra che adesso scorrevano calde sulla sua pelle, accendendole piccoli brividi lungo la schiena, mentre dei sospiri le uscivano dalle sue labbra.
La fece girare, senza staccare le labbra dal suo collo, per poi salire verso le labbra, arrivando a pochi millimetri da quelle di lei.
Fu un bacio lento, un semplice sfiorarsi di labbra all’inizio, di una tale dolcezza da farle venire voglia di piangere; le mani le salirono ad intrecciarsi ai capelli di lui, mentre il bacio si trasformava in pura passione: la lingua di lui le accarezzò e poi le forzò dolcemente le labbra, per affondare nella sua bocca e giocare con la sua lingua ed accarezzarle il palato.
La spinse delicatamente contro il muro, intrappolandola tra il suo corpo e la parete, continuando a baciarla e accarezzarla lentamente.
Una mano che scendeva giù, verso il nastro che legava il corpetto…
Un grido divertito squarciò la notte e infranse la bolla di calma e passione in cui si erano rifugiati. Caroline si irrigidì, mentre lo spingeva per le spalle e lo allontanava da sé, gli occhi spalancati; Christopher la guardò confuso, non capendo perché lo avesse respinto così all’improvviso.
- Caroline…- la chiamò lui, avvicinandosi di un passo e allungando una mano a toccarle il viso, e che lei allontanò con un colpo deciso del dorso della mano.
- No! Vi prego, no! – esclamò lei, ritirandosi e allontanandosi da lui, la schiena rigida.
-Perché? – chiese lui, con la voce appena alterata dall’ira; Caroline lo guardò negli occhi, spaventata da quella reazione.
Non rispose, voltando la testa e sobbalzò quando un vaso si ruppe sotto la violenza di un suo calcio.
- Cosa devo fare con voi, Caroline?  Io vi desidero, vi ho desiderato dalla prima volta che vi ho messo gli occhi addosso, e non l’ho mai nascosto! Voi, al contrario, prima siete fredda, poi ad un mio tocco vi sciogliete, poi ritornate fredda come l’inverno. Ve lo chiederò una volta, - si avvicinò a lei e le prese il polso – e voglio una risposta sincera. Cosa volete Caroline? – chiese.
La stretta al suo polso era forte, tanto da farle male, ma quello che più la feriva era lo sguardo che lui le rivolgeva, guardandola negli occhi, quasi trapassandola con lo sguardo.
Le si riempirono gli occhi di lacrime, che lei cercò di trattenere, inutilmente: le scivolarono lungo le guancie, piccoli fiumi di dolore.
- Lasciatemi – singhiozzò, cercando di togliere il polso dalla sua stretta.
- Non finché non mi avrete risposto – ringhiò lui, la voce trasformata dall’ira – Vi prego – disse ancora lei, la voce rotta dal pianto.
- Fossi in voi, farei come dice la ragazza, Milord. Non vorrei mai colpire un uomo di spalle, ma se non mi lascerete altra scelta, potrei sempre decidere di andare contro i miei principi e colpirvi senza un attimo d’esitazione -. La voce di Justin era bassa e calma, ma alzando lo sguardo, Caroline poté leggere negli occhi del cugino tutta la collera che stava cercando si reprimere. Una spada era puntata alla schiena di Christopher, che si era irrigidito. La guardò negli occhi qualche secondo, un misto di rabbia e disperazione, poi le lasciò il polso e si girò verso Justin.
- Scusatemi, devo aver perso un attimo la lucidità – commentò, poi si avviò a passo rigido dentro la sala.
- Caroline – disse Justin, voltando lo sguardo verso di lei, la voce dolce, mentre rinfoderava il pugnale. Lei si asciugò le lacrime e si sistemò il vestito, evitando il suo sguardo. – Va tutto bene, Jus. E’ tutto a posto – rispose lei alla sua muta domanda, la voce che cercava d’esser ferma, alzando finalmente lo sguardo verso di lui. La guardò qualche secondo; se anche avesse trovato prove contrarie a quanto diceva, sapeva che farle di nuovo la stessa domanda non avrebbe fatto altro che irritarla.
- Cosa voleva? – chiese, invece, voltando lo sguardo verso il punto in cui Christopher era sparito dentro la sala.
- Voleva sapere cosa… - le tremò la voce – voleva sapere cosa voglio – concluse piano, quasi sussurrando, tanto che Justin dovette avvicinarsi per sentirla.
- E cosa vuoi, Carol? – chiese lui, poggiandole una mano sulla spalla, in una stretta dolce e rassicurante.
Caroline volse lo sguardo verso i giardini, dove Drayden stava rincorrendo una ragazza, che rideva beata.
Era una notte nuvolosa, senza stelle o Luna che potessero illuminare il mondo e le vite dei mortali.
- Non lo so nemmeno io – rispose piano, rientrando nella sala.
Era stato il mentire, il suo peggior sbaglio quella sera?
 
 

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Capitolo 3
*** Family portrait ***


Ai diavoletti della Tasmania.
Perché in fondo sono animaletti coccolosi.
 

 
 

La famiglia è la patria del cuore,
G.Mazzini

 
Non aveva mai odiato tanto un viaggio come odiava quello. Già di per se, Caroline odiava viaggiare, specialmente dentro quelle cassette con le ruote trainate dai cavalli, soffocanti per quanto strette, e con i suoi vestiti che quasi le impedivano i movimenti. Decisamente, preferiva viaggiare in sella al suo cavallo, poterlo lanciare al galoppo, correre per i sentieri come se fosse inseguita da mille demoni e ridere della facce preoccupate dei suoi parenti.
Comunque, Caroline odiava viaggiare, se poi si viaggiava in due, lo spazio diminuiva esponenzialmente; ad aggiunta, se la compagnia era taciturna come il ragazzo che sedeva di fronte a lei in quel momento, il tutto diventava decisamente insopportabile.
Christopher, da quando era salito in quella carrozza insieme a lei, non aveva mai proferito nessuna parola e continuava a guardare fuori dal finestrino, lo sguardo perso nel susseguirsi dei paesaggi.
Caroline l’aveva guardato molte volte, aveva guardato il paesaggio mutare dentro quelle iridi e aveva studiato nei minimi particolari ogni aspetto del suo viso. Occhiaie profonde gli ornavano il contorno degli occhi, macchie scure in un incarnato che sembrava aver perso qualsiasi traccia di colore in una notte.
Sembrava malato e più volte Caroline si era sorpresa con una domanda pronta ad uscirle dalle labbra, ma ogni volta l’aveva trattenuta sulla punta della lingua, temendo che il suono della sua voce potesse rompere gli argini che lui stava cercando di costruire tra loro due.
Carol sapeva bene che lui stava cercando di trattenersi: lo capiva dalla linea dura e severa delle sue labbra; lo capiva dalle sue mani strette a pugno poggiate sulle sue ginocchia e dalla postura rigida della schiena.
Quella situazione, però, pesava incredibilmente a Caroline, perché ricordava distintamente che solo il giorno prima quelle mani l’avevano stretta contro di lui; che quella bocca si era posata sulla sua con dolcezza e passione.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentirne il calore sulla pelle del collo e le sue braccia che passavano attorno ai suoi fianchi per intrappolarla contro il suo corpo.
Ricordava le risate in riva al lago, i racconti della loro infanzia, così diversi ma anche incredibilmente simili.
Guardò fuori dal finestrino: il sole stava lasciando il suo posto, calando lentamente sulle colline all’orizzonte e colorava il cielo di rosso e giallo. Dovevano essere vicini alla loro destinazione, e Caroline iniziò a sentire una stretta allo stomaco, data dall’agitazione.
Era pronta a conoscere i genitori del ragazzo che sarebbe diventato suo marito e che in quel momento sembrava odiarla?
Avrebbe tanto voluto che Fayette l’avesse accompagnata in quel viaggio, ma i suoi genitori gliel’avevano proibito. Le avevano detto che doveva cavarsela da sola con i suoi futuri suoceri, perché non ci sarebbe stata sempre sua sorella a sostenerla.
Una voce la distolse dalle sue riflessioni: il cocchiere stava sbraitando a proposito del fatto che erano arrivati alla villa della famiglia Liar.
Caroline sentì improvvisamente un nodo allo stomaco: non aveva ancora realizzato appieno che stava per incontrare i genitori di Christopher, e iniziò a domandarsi se l’avrebbero accettata, cosa avrebbero pensato di lei. L’insicurezza prese il sopravvento, e iniziò ad avere caldo, così si sventolò un poco con la mano, mentre le sue guance raggiungevano la tonalità dei papaveri in primavera. Guardò fuori dalla carrozza, e vide che stavano percorrendo un lungo viale alberato, che terminò in una rotonda con al centro una fontana.
Dietro alla fontana faceva bella mostra di se un enorme villa; Carol spalancò gli occhi. Era davvero bellissima: la facciata era composta in tre ordini di colonne, ognuno corrispondente ad un piano della casa e l’entrata era preceduta da due grandi scalinate circolari.
Caroline vide Christopher alzarsi appena e guardare fuori poco prima che la carrozza si fermasse. Si alzò, sistemandosi le gonne, quando una mano le strinse il polso.
- Sorridete, giovane Mayfield. Fate finta che ieri notte non sia successo nulla, o loro se ne accorgeranno – le sussurrò Christopher all’orecchio, con voce piatta. Suo malgrado, Caroline si ritrovò a rabbrividire sentendo il respiro fresco del ragazzo sulla pelle del suo collo.
La lasciò, e scese dalla carrozza, porgendole poi la mano per aiutarla a scendere. Carol posò la mano su quella del ragazzo solo qualche secondo, solo per scendere e si ritrovò davanti una folla di persone, che attendevano il loro arrivo, e che le puntarono addosso gli occhi addosso appena fu scesa.
Sentì un braccio che passava attorno alla sua vita, e prima che potesse rendersene conto, Christopher l’attirò a se e l’accompagnò verso le persone che l’attendevano, con un sorriso sul volto. Lo vide staccarsi da lei appena il tempo per baciare tutti su una guancia e salutarli a bassa voce.
Caroline si prese il tempo per guardali, mentre non stavano guardando lei ma erano presi da Christopher. Una donna sulla quarantina lo stava abbracciando in quel momento: aveva gli stessi capelli color mogano di Christopher e Carol immaginò quella fosse sua madre, mentre un uomo gli dava delle pacche su una spalla. Un uomo più anziano guardava la scena con un sorriso divertito sul viso, mentre due ragazzi, una ragazza e un ragazzo, sghignazzavano tra di loro e qualche volta le lanciavano occhiate maliziose.
Caroline si sentì arrossire e distolse rapidamente lo sguardo, puntando lo sguardo sulla fontana del viale, finché la voce di Christopher non la indusse di nuovo a riportare la sua attenzione al gruppo di persone.
- Questa è Caroline Louisia Mayfield, - disse, porgendole la mano e lei vi posò sopra la propria, facendosi trascinare più vicina al gruppo – questa, mia cara, è la mia famiglia – annunciò.
 
Come Caroline scoprì quel giorno, la famiglia di Christopher era molto numerosa. Nella villa, oltre i genitori di Chris, vivevano anche i suoi nonni e i suoi fratelli.
Suo nonno si chiamava Micheal Liar ed era, nonostante l’età avanzata, incredibilmente allegro e attivo. Assomigliava a Christopher in modo incredibile: aveva gli stessi occhi color verde e lo stesso portamento fiero. Anche la signora Liar, la nonna, viveva nella villa, ma Caroline non aveva avuto l’onore di incontrarla perché, le avevano riferito, era stata trattenuta per delle questioni importanti e non aveva potuto presenziare alla cerimonia di benvenuto. Le avevano anche detto che però la buona donna era ansiosa di incontrarla e che le avrebbe fatto visita il prima possibile.
Il padre di Christopher, Robert, invece non assomigliava quasi in nulla al figlio. Aveva i capelli color del grano, leggermente striati di grigio in alcuni punti e due profondi occhi color del mare. Era poco più alto di Christopher e il suo portamento era molto più rigido e posato rispetto a quello del padre e del figlio maggiore.
La madre, Charlotte, era una bella donna. I capelli color mogano facevano da cornice ad un viso pulito e fresco, simile a quello di una giovane donna e non a quello di una donna adulta come lei. Quello che più spiccava in quel viso erano gli occhi di un verde brillante, illuminati sempre da una luce divertita e dolce. Era davvero bella e ora Carol capiva da chi Christopher avesse preso quell’innata bellezza.
Erano stati tutti molto simpatici e gentili con lei, fin da quando era arrivata, avendo premura che avesse tutto quello che le serviva per stare bene nella loro casa. Le avevano fatto molte domande, ma senza mai essere troppo invadenti o senza farla mai sentire sotto pressione.
L’unico ad essere stato, qualche volta, invadente era stato il fratello minore di Christopher, Sebastian.
Sebastian aveva solo un anno in più di Caroline; aveva capelli biondi come il padre e gli occhi blu come il nonno. Era molto alto, di corporatura longilinea, ma non assente di muscoli che gli delineavano le braccia e le cosce.
Quello che più attirava Carol, però, era il sorriso che c’era sempre sulle sue labbra: era un misto tra il malizioso e il furbo, e lo stesso sorriso si espandeva anche agli occhi, che erano permeati sempre da una strana luce divertita.
Ed era anche per il fatto che sembrava una di quelle persone a cui piace sempre scherzare che Caroline non si era arrabbiata quando le aveva fatto delle domande imbarazzanti o invadenti. Semplicemente aveva sorriso e lasciato che i suoi famigliari lo riprendessero, cosa che a lui sembrava però non importare troppo. Infatti, alzava solo le spalle e le sorrideva ribelle prima di chiudersi nel silenzio. Che non durava mai, comunque, più di qualche minuto.
Chi, invece, non aveva mai davvero parlato era la sorella di Christopher, Vivianne. Da quando gliel’avevano presentata, la ragazza non le aveva mai rivolto la parola, se non le solite frasi di circostanza quando si viene presentati e a cui è obbligatorio per educazione rispondere.
Era una ragazza dalla rara bellezza. I capelli biondo platino non facevano altro che mettere in risalto gli occhi di un azzurro chiaro come il cielo senza nuvole. Non era molto alta, ma aveva una corporatura esile che la faceva assomigliare ad una bambola di porcellana.
Ma non era fragile come la porcellana, Vivianne. Aveva un carattere forte almeno come il fratello maggiore, e uno spirito ribelle che si poteva notare anche solo guardandola negli occhi. Brillavano di una fiamma ribelle e vitale.
Ma, a quanto pareva, non aveva preso in simpatia Caroline, anzi, ogni volta che il suo sguardo si posava su di lei, Carol vi leggeva un' ostilità marcata.
Si era chiesta se erano questo tipo di occhiate che Christopher si era visto rivolgere quando stava ad Altieres da parte dei suoi cugini, e se ne dispiacque, perché non era una bella sensazione. Ci si chiedeva se si avessero commesso degli errori o se si avesse fatto delle azioni sbagliate.
La verità, era che non lo sapeva e quelle occhiate pesavano su di lei come dei macigni.
 
Quella sera stessa Caroline si ritrovò a vagare da sola per gli immensi giardini che circondavano la villa. Aveva detto ai suoi ospiti che aveva bisogno di stare qualche momento da sola, e loro l’avevano accontentata, suggerendole di fare una passeggiata in giardino per potersi distendere i nervi.
Quei giardini erano davvero meravigliosi, ovunque guardasse Caroline poteva scorgere fontane o aiuole  oppure piccoli gazebo dove ci si poteva sedere e prendere un the.
La brezza fresca della sera le accarezzava il volto e le scompigliava i capelli, facendole anche svolazzare le gonne all’indietro. Si strinse le braccia davanti al petto, cercando di riscaldarsi con le mani le braccia ricoperte dalla pelle d’oca. Aveva dimenticato il mantello dentro la villa, ma non era tornata dentro perché non credeva che ne avrebbe avuto bisogno. Ora, malediva se stessa per quella decisione.
Stava morendo di freddo.
Proprio mentre quel pensiero si affacciava alla sua mente e un altro brivido di freddo le attraversava la schiena, sentì qualcosa che si appoggiava alle sue spalle. Sobbalzò e si voltò, per incontrare gli occhi calmi e profondi di Christopher, che si era appena sfilato la giacca e l’aveva poggiata sulle sue spalle.
Carol lo guardò qualche secondo, chiedendosi come avesse fatto a sapere che lei aveva freddo o come avesse fatto a trovarla. Lei si era persa dopo qualche minuto in quei giardini immersi. Gli sorrise, riconoscente, prima di voltarsi di nuovo e riprendere a camminare.
- Caroline, ti prego – la voce di Christopher la fece bloccare e si voltò, per guardare il ragazzo che le stava di fronte con gli occhi sbarrati. Non l’aveva mai chiamata per nome dalla sera prima, e non gli aveva mai sentito pronunciare nessuna parola con quel tono di supplica che aveva ora.
Lui la stava guardando dritta negli occhi, le labbra strette in una linea retta e dopo qualche secondo fece un passo verso di lei, una mano tesa. Le sfiorò un braccio, in una lieve carezza, prima di prenderle una mano e attirarla verso di se in un abbraccio stretto. Lo sentì sospirare e respirare tra i suoi capelli e rimase immobile, troppo shoccata per staccarsi.
Non avrebbe dovuto accettare quell’abbraccio, non dopo quello che era successo la sera prima, non dopo che lui aveva perso il controllo.
Ma non poteva mentire a se stessa: amava quell’abbraccio, sentire le sue braccia passare attorno alla vita, al calore che il suo corpo emanava, al suo respiro fresco tra i capelli. Semplicemente, amava i suoi abbracci.
Si sentiva protetta e al sicuro, nonostante quello che era successo.
Sentì le sue labbra posarsi vicino al suo orecchio qualche secondo prima che le sue parole la raggiungessero, così basse che fece fatica a sentirle – Mi spiace, Caroline. Solo Dio sa quanto mi dispiace di aver perso il controllo ieri sera. Non era mia intenzione ferirti, non era mia intenzione farti del male, non era mia intenzione approfittare di te. Avevi ragione, ero ubriaco, mi sentivo ferito per come ti eri comportata quel pomeriggio e non capivo se fosse stata colpa mia, se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Ma non devi credere, ora, che quello che ti ho detto fosse solo dettato dalla rabbia: io ti desidero davvero, Caroline. Sin dalla prima volta che ti ho vista. Volevo posare le mie labbra sulla tua pelle per saggiarne la freschezza, respirare tra i tuoi capelli per sentirne il profumo, che ho immaginato da subito come quello di un fiore esotico. Sono attratto da te, Caroline – la guardò negli occhi, posando entrambe le mani ai lati del suo viso, mentre lei rimaneva immobile, annegando di nuovo in quegli occhi – Non odiarmi, Caroline. Ti prego, non odiarmi – la implorò. Carol non avrebbe mai creduto possibile che un ragazzo come lui, così fiero e orgoglioso, potesse mai implorare qualcuno, implorare il perdono.
Eppure stava accadendo, e lei non trovava la forza di rispondere, perché era troppo impegnata ad annegare dentro i suoi occhi, a sentire il calore del corpo di lui abbracciato al suo.
Ad agognare un suo bacio.
- Non vi odio – rispose, dopo qualche momento, e vide nei suoi occhi, che si stavano riempiendo di preoccupazione ogni secondo di più per il suo mutismo, illuminarsi di sollievo. Sorrise a quella vista, e ne rimase affascinata. I suoi occhi sembravano ancora più belli con quella luce che li illuminava.
- Grazie – le prese le mani e le portò alle labbra, lasciandoci un bacio lieve, prima di allontanarsi di un passo, tenendole comunque le dita di una mano saldamente intrecciate alle sue. Cosa che fece sentire meno a Caroline il vuoto dell’assenza del suo abbraccio.
- Mi spiace aver interrotto la tua passeggiata in solitaria – disse, riprendendo a camminare per i giardini, insieme a lei, con un sorriso sulle labbra. Sembrava un bambino la mattina di Natale, quando deve scartare i regali e sa già che tra di essi c’è quel giocattolo che ha sempre desiderato.
Carol scosse le spalle – Non importa. In realtà, credo che se non fosse venuto qualcuno a recuperarmi, difficilmente sarei riuscita a ritrovare la via per la villa. Questi giardini sono immensi -.
Christopher rise, indispettendola. Mise il broncio e si fermò, lasciando la sua mano e incrociando le braccia al petto. Lui si voltò, continuando a sorridere e le si avvicinò.
- Sarei venuto a cercarti, Caroline. Saremmo venuti tutti. Sebastian non avrebbe sicuramente perso l’occasione per iniziare la vostra nuova amicizia con una storia ilare da poter raccontare ai parenti nei pranzi di Natale per gli anni a venire – scherzò, porgendole di nuovo la mano – Il tuo broncio è assolutamente adorabile, non te l’ha mai detto nessuno? – le sussurrò poi, e Caroline sentì le guance andare a fuoco a quel commento. Lui rise di nuovo, accarezzandole una guancia con il dorso di una mano, prima di alzare lo sguardo oltre di lei e puntarlo verso la villa.
- Dovremmo rientrare – disse, all’improvviso, ritirando la mano e incamminandosi verso la villa, con passo veloce.
Caroline rimase un secondo immobile, non capendo cosa potesse aver indotto Christopher a decidere di rientrare così velocemente. Non si stava poi così male lì fuori, e Carol aveva iniziato ad apprezzare quella passeggiata.
Scosse la testa, prima di iniziare a seguirlo.
Non parlarono, finché non arrivarono davanti alla stanza che avevano riservato a Caroline. Solo allora Christopher la prese delicatamente per un braccio e la fece voltare verso di se. La intrappolò in un abbraccio stretto, prima di posarle un bacio dolce sulla fronte.
- Buonanotte, Caroline – le sussurrò, prima di lasciarla, e senza nemmeno lasciarle il tempo di replicare, si allontanò nel corridoio.
 
La mattina dopo Caroline si svegliò molto presto. In realtà, non aveva dormito molto quella notte: un po’ la colpa era dovuta a quella stanza e quelle mura a lei sconosciute e a cui ancora non si era abituata, un po’ perché ogni volta che chiudeva gli occhi la sua mente si perdeva nel pensiero di lui.
Nella dolcezza che aveva saputo dimostrare la sera prima e che Caroline pensava non esistesse in quel ragazzo. Pensava alle sue braccia che la stringevano, alle sue dita intrecciate alle proprie. Pensava ai brividi che scorrevano sulla sua pelle ogni volta che lui la toccava e al suo respiro fresco sulla pelle.
Si era alzata e vestita mettendoci più tempo del solito, per fare tutto con cura. Si sentiva stranamente euforica al pensiero che lo avrebbe rivisto.
Aveva quasi completamente dimenticato quello che era successo due notti prima, ma sapeva che se lo avesse scritto alla cugina Alexandria, questa le avrebbe risposto solo con una serie di raccomandazioni e maledizioni all’indirizzo di Christopher e ancora raccomandazioni sullo stare attenta.
Ma Caroline sapeva che quello che era successo al ballo in maschera non sarebbe successo di nuovo. Lo sentiva dentro. Sapeva che Christopher non le avrebbe mai più fatto del male.
Almeno, non fisicamente.
Uscì dalla camera e scese le scale distrattamente e velocemente. Sull’ultimo gradino, però, inciampò e finì dritta su una persona che stava ferma ai piedi della grande scalinata che portava ai piani superiori.
Si sentì afferrare di riflesso per i fianchi da due mani forti e grandi, e quando alzò lo sguardo per ringraziare guardando in faccia il suo salvatore, rimase per qualche secondo senza parole. Letteralmente senza fiato per lo stupore.
Colui che l’aveva salvata aveva lo stesso taglio degli occhi e della bocca di Christopher, ma a contrario di quest’ultimo, gli occhi dello sconosciuto erano di un blu scuro che poteva essere paragonato al colore brillante di un zaffiro. I capelli, però, erano dello stesso colore di quelli di Christopher, come anche la forma del viso, ma era leggermente più alto e muscoloso, non eccessivamente.
- Scusatemi – disse, riprendendosi e raddrizzandosi, abbassando appena la testa in segno di scuse. Il ragazzo sorrise, scuotendo appena la mano.
- Figuratevi. Salvare giovani donzelle è il mio sport preferito di prima mattina – scherzò, passandosi una mano tra i capelli, rendendoli così ancora più spettinati di quanto già non fossero, poi scoppiò a ridere, seguito subito da Caroline.
- Voi dovete essere la deliziosa Caroline Mayfield di cui ho tanto sentito parlare – disse poi, dopo essersi ricomposto. Caroline lo guardò, incuriosita dal fatto che lui sapesse il suo nome e che qualcuno gli avesse parlato di lei.
- Sono io, – confermò – e se posso chiederlo, voi siete…? – chiese poi, guardandolo incuriosita. Lui si aprì in uno strano sorriso.
- Immagino dunque che non vi abbiano parlato di me. La cosa non mi stupisce più di tanto – fece un piccolo inchino – Mi presento. Il mio nome è Xander James Liar. Sono il fratello gemello di Christopher -.

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Capitolo 4
*** Xander ***


Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, volevo scusarmi immensamente per l'attesa. Chiedo scusa a tutti, immensamente.
Mi scuso anche per eventuali errori, ma non ho avuto tempo per rileggere il capitolo. Era finito e volevo lasciarvelo, prima di tornare a studiare.
Detto ciò, buona -spero- lettura.
Fra. 



- Il fratello gemello di Christopher? Non mi aveva mai detto di avere un fratello gemello – disse Caroline, guardando stupita il ragazzo di fronte a se.
Si domandava perché Chris non le avesse mai accennato al fatto di avere un fratello gemello, come si domandava il perché di quel strano sorriso che era affiorato sulle labbra di Xander quando lei gli aveva detto che non lo conosceva.
Dal suo canto, Xander si limitò ad alzare le spalle con noncuranza e puntare lo sguardo sulle scale – Mio fratello non ama parlare molto della mia persona – rispose, in modo enigmatico.
- Quindi deduco che non andate molto d’accordo -.
- Possiamo dire così, sì. Io e Alexander non andiamo molto d’accordo – fu la laconica risposta. Prima che Carol potesse chiedergli di essere un po’ più specifico su quello che intendeva con quel “ Possiamo dire così”, la loro conversazione venne interrotta direttamente da Christopher, che stava scendendo tranquillamente le scale. Le mani in tasca e lo sguardo fisso verso il basso, i capelli ancora leggermente umidi per il bagno che Carol si immaginò si fosse appena concesso, un sorriso appena accennato sulle labbra.
Sorrise spontaneamente anche lei, nel vederlo così rilassato come mai lo aveva visto se non la sera prima, proprio mentre Christopher alzava la testa e i suoi occhi incrociarono quelli di lui. Le sorrise, prima che il suo sguardo si posasse sul ragazzo che stava al suo fianco. Il sorriso gli si spense nel viso come una candela lasciata alle intemperie di una tempesta, la mandibola si tese.
- Xander, – sibilò, fermandosi a qualche centimetro da Caroline e serrandole un braccio con la mano. Era come se volesse allontanarla il più possibile dal fratello gemello, o quantomeno proteggerla da lui – che cosa ci fai qui? – la sua voce era bassa, minacciosa. Sembrava sul punto di saltare al collo del fratello per strangolarlo.
- Come, Alexander, niente “Buongiorno fratello”? – rise ironico Xander, con un ghigno sulla faccia – e calmati, ho semplicemente portato a termine il mio lavoro nei nostri possedimenti al sud – continuò, senza aspettare la risposta di Christopher – inoltre volevo conoscere la bellissima promessa sposa del mio gemello – spostò lo sguardo su Caroline, che arrossì, facendo allargare ancora di più il ghigno sulla faccia del ragazzo. Un lampo passo per quelle iridi blu, mentre la squadrava e c’era qualcosa di pericoloso quando disse – Compimenti, fratello. Davvero una ragazza magnifica -.
Caroline gli rivolse uno sguardo curioso, più per il tono in cui aveva pronunciato quelle parole che per altro, mentre Chris strinse più forte le dita attorno al suo braccio e serrò la mandibola di scatto. Notò, con suo stupore, che Christopher sembrava quasi preoccupato dal fatto che Xander avesse fatto la sua conoscenza.
- Stai lontano da lei, Xander -.
Il ragazzo, a quelle parole, rivolse a Chris un occhiata ironica, prima di ritornare con lo sguardo su Caroline. Le sorrise – Se lei vorrà – mormorò, e a quella risposta, Christopher fu sul punto di saltare addosso al fratello, quando fu fermato da una voce che arrivava dalla cima delle scale – Xander! – urlò una voce femminile, gioiosa, prima che il ragazzo chiamato fosse travolto da una cascata  di capelli biondi.
Xander si trovò intrappolato nell’abbraccio della sorella e rise, stringendola a se.
Fu in quel momento che Christopher decise di trascinare via Caroline, portandola nella sala vicino all’ingresso, deserta in quel momento. Non le aveva ancora lascito il braccio, che iniziava a farle leggermente male per la mancanza di sangue nella parte che lui stringeva.
- Christopher – si lamentò lei, guardandosi il braccio e lui subito lasciò la presa. Sospirò, prima passare una mano dietro la nuca della ragazza e attirarla a se. Fu un bacio appena accennato, leggero, ma abbastanza perchè lei sentisse dei brividi caldi lungo la schiena. La lasciò dopo qualche secondo, lasciandola con un fastidioso senso di assenza e la guardò negli occhi. i suoi erano così verdi e pieni di emozioni che per un attimo Carol rimase stordita.
- Te ne prego, Caroline. Non rimanere mai nella stessa stanza sola con lui. O da qualunque parte sola in sua compagnia – mormorò, appoggiando la fronte alla sua. Sembrava stanco, ma lei si accigliò a quella richiesta per lei così strana.
- Perché? – chiese, prima ancora di fermarsi. L’unica risposta che ebbe fu una scossa di capo – Promettimelo, Caroline – ripeté lui.
Lei voleva sapere di più, voleva sapere il perché di quell’astio che correva come corrente elettrica tra i due gemello, il perché della paura che lei rimanesse sola con Xander. Ma i suoi occhi la fermarono, e la indussero a mormorare – Promesso -.
Lo vide rilassarsi visibilmente a quella sua promessa e le sorrise, prendendola per mano.
- Ora, andiamo a fare colazione – disse lui, tirandola leggermente, come fosse impaziente, ma come Carol notò, non un sorriso era affiorato nel suo volto.
 
Xander camminava lento tra i corridoi della villa, guardando distrattamente i quadri appesi ai muri. Enormi arazzi di battaglie sanguinose o enormi ritratti dei componenti e gli antenati della sua famiglia. Facce sconosciute, ma anche incredibilmente familiari in alcuni tratti del viso. I suoi occhi uguali a quelli di un bis bis-nonno, il cui nome era troppo lungo e pomposo anche solo per essere pensato, oppure le labbra simili a quelle di una prozia il cui nome si perdeva nella memoria del ragazzo. Facce che gli passavano sotto gli occhi, e che sembravano seguirlo con lo sguardo, alcuni arcigno altri altezzoso. E lui alzava il mento e raddrizzava le spalle, nonostante sapesse che quei volti non potessero davvero giudicarlo, che quegli occhi, nonostante fossero incredibilmente vividi, non potevano realmente vederlo.
Quando arrivò alla fine del corridoio, davanti ad un enorme porta di noce intagliata con lo stemma dei Liar, tentennò qualche secondo, poi poggiò la mano sul legno e spinse, facendo un passo in avanti e socchiudendo immediatamente gli occhi, infastidito dalla grande quantità di luce che filtrava dalle vetrate.
La “Stanza di Vetro”, si chiamava quell’enorme salone, ed era dovuto al fatto che tutte le pareti erano costituite da grandi vetrate che davano sul giardino più bello di tutta la villa.
Xander si guardò attorno, constatando che la stanza era rimasta uguale da quando lui era partito, e ciò gli fece apparire un sorriso felice sul volto: da bambino, quella era sempre stata la sua stanza preferita.
Chiudendo gli occhi, poteva vedere Vivianne seduta  sull’enorme poltrona con carta e penna in mano, assorta nella scrittura della sua ultima fantasia; Sebastian, il viso girato verso le grandi vetrate, un pennello in mano gocciolante colore sul pavimento e una tela bianca davanti, assorto nel catturare un dettaglio della natura che a tutti gli altri sarebbe sfuggito; vedeva Christopher seduto sopra il pianoforte, il violino appoggiato alla spalla e l’archetto in mano, mentre ad occhi chiusi suonava una dolce melodia e poi vedeva anche se stesso seduto al pianoforte, mentre accompagnava la musica del fratello.
Era quello uno dei ricordi più cari che Xander aveva della sua infanzia, in cui lui e i suoi fratelli erano uniti nella passione per le arti. In cui Christopher e lui erano uniti.
Si avvicinò al pianoforte, accarezzandone la superficie nera e lucida con la punta delle dita, come un padre che accarezza il figlio dopo essere tornato da un lungo viaggio.
Un flash dietro i suoi occhi chiusi gli rimandò l’immagine di una ragazza bionda  lascivamente appoggiata al pianoforte, la testa gettata all’indietro, le labbra socchiuse e gli occhi chiusi, in un espressione di piacere, il vestito spostato a mostrare la scollatura mentre un ragazzo le baciava appassionato il collo.
Xander chiuse le mani a pugno, aprendo gli occhi irato, mentre un gemito gli risuonava nella mente e l’eco di un antica sofferenza gli riaffiorava nel cuore.
Si sedette al pianoforte, e ne accarezzò i tasti, prima di suonare qualche semplice nota, che risuonò forte e limpida nella stanza vuota. Abbandonò la testa all’indietro, ad occhi chiusi, mentre le sue dita si muovevano sicure sui tasti, quasi dotate di vita propria.
Non si accorse che qualcuno aveva aperto la porta ed era entrato nella stanza, finché non sentì che qualcuno lo fissava intensamente: aprendo gli occhi ebbe la visione di una ragazza che lo guardava con curiosità. Il sorriso si allargò sulle labbra quando riconobbe la persona che aveva di fronte.
Non una ragazza, ma la ragazza.
Caroline era stata attratta dal suono di una bellissima melodia: Christopher era solito suonare il pianoforte e per questo aveva seguito la musica fino alla stanza che ei aveva soprannominato “delle Arti”. Le avevano detto, come se ci fosse stato bisogno di specificarlo, visti il pianoforte, il violino e l’arpa, le tele bianche e lo scrittoio, che quella era la stanza dove i membri della famiglia coltivavano le proprie passioni.
Quella stanza, completamente di vetro, era la parte della casa che preferiva, così, sperando di poter parlare con Christopher a proposito di cos’era successo quella mattina, si era diretta a passo sicuro verso la stanza.
Ma aperta la porta, era rimasta un attimo bloccata dalla scena che le si presentava davanti agli occhi: il ragazzo seduto al piano era senza dubbio simile a Christopher, nei tratti del viso, ma anche incredibilmente diverso da lui. Era rimasta quasi incantata dalla vista di Xander mentre suonava al piano, quasi abbandonato al suono che le sue mani stavano creando. Aveva la testa lasciata all’indietro, gli occhi socchiusi, un espressione concentrata e incredibilmente rilassata sul viso. Era incredibilmente quando in quel momento Xander somigliasse a Christopher: sembravano entrambi due bambini, quando erano rilassati e credevano che nessuno li notasse.
Si avvicinò piano a lui, cercando di non far rumore per non disturbarlo e farlo smettere, mentre studiava con attenzione i tratti del suo viso e prendeva nota di tutte le piccole differenze tra lui e Christopher. Ad esempio, Xander aveva un piccolo neo sotto l’orecchio e una voglia sulla mano destra.
Stava fissando intensamente le sue mani, che si muovevano sicure sui tasti d’avorio del pianoforte, quando smisero di muoversi. Alzò lo sguardo per incontrare quello zaffiro del ragazzo, che le sorrideva. Le venne naturale rispondere a quel sorriso, che sembrava sincero, forse solo con un pizzico di malizia, con un altro sorriso.
- Non volevo interromperti. Mi dispiace, cercavo Christopher e di solito è lui che suona il pianoforte in casa – disse Carol, dopo qualche secondo, vedendo che lui non riprendeva a suonare e non parlava, ma si limitava a fissarla con uno sguardo via via sempre più intenso.
Vide il suo sorriso incrinarsi appena, e un espressione pensierosa aprirsi nel suo viso, ma fu solo un momento, l’attimo dopo lui aveva di nuovo il sorriso sul volto.
- Solitamente, prima che partissi, ero io a suonare il pianoforte. Christopher suonava il violino – disse Xander, poi puntò lo sguardo sulla poltrona – Vivianne scriveva e Sebastian – indicò le tele vuote alle sue spalle – dipingeva. Stavamo insieme delle ore, in questa stanza -. C’era una sorta di nostalgia nel tono della sua voce e Carol si avvicinò leggermente di più a lui. Xander sorrise, vedendola are quel passo, quasi inconsciamente.
Carol accarezzò con la punta delle dita il pianoforte, pensando a quante volte a casa si era seduta davanti ad uno strumento del genere e avesse suonato per ore, con i suoi cugini che l’ascoltavano e con Fayette che l’accompagnava con il flauto o il violino oppure con Alexandria e l’arpa. Un po’ di nostalgia le spense leggermente il sorriso, mentre pensava alla sua famiglia a casa. Ai suoi genitori, a sua sorella, ai suoi cugini. Le mancavano tutti.
- Sai suonare il pianoforte? – le chiese Xander, e Carol alzò lo sguardo, per fissarlo sul suo volto, che sorrideva gentile. Capì immediatamente che lui aveva percepito il suo stato d’animo, e gli fu grata per la distrazione che le stava concedendo.
- So suonare. Ma non come sai suonare tu – Caroline si stupì come avessero deciso di darsi del “tu” senza nemmeno essere d’accordo. L’avevano fatto entrambi naturalmente, come se la cosa fosse ovvia.
Xander rise, alle sue parole e scosse la testa, battendo con una mano sul seggiolino vicino a lui – Sono sicuro che non è vero. Fammi sentire cosa sai fare -.
Carol si sedette vicino a lui e poggiò le mani sulla tastiera, suonando qualche nota, poi più sicura, cominciò a suonare una delle sue melodie preferite di Altieres. Era una canzone incredibilmente dolce e leggera, la melodia di un amore appena nato.
Chiuse gli occhi e lasciò che le sue mani scivolassero da sole sulla tastiera.
- Bellissima – sussurrò una voce vicino al suo orecchio, troppo vicina. Aprì gli occhi di scatto, e le sue mani si fermarono, mentre il respiro freddo di Xander si infrangeva contro la pelle del suo collo. Si irrigidì. – Ti prego, non smettere – mormorò lui, avvicinandosi ancora a lei, con voce bassa.
In quel momento, Caroline si ricordò della promessa che aveva fatto quella stessa mattina a Christopher. Di non stare mai nella stessa stanza sola con lui.
Si alzò di scatto, allontanandosi da lui velocemente, come scottata dalla sua presenza. Xander la guardava, ma lei non avrebbe saputo dire che emozioni si agitassero dietro quelle iridi color zaffiro; rimaneva immobile, lo sguardo fisso su di lei, e Carol iniziò a provare disagio sotto l’attenzione di quelle iridi.
- Devo andare – disse Carol, voltandosi ma prima ancora che potesse muovere anche un solo passo, si sentì stretta per un braccio. Registrò con una punta di fastidio che tutti i membri maschili della famiglia Liar avevano il fastidioso vizio di prendere le ragazze per le braccia, quando non volevano che se ne andassero. Almeno, constatò che entrambi i gemelli avessero questo vizio.
- Cosa ti ha detto, Alexander, per farti scappare da me, non appena io mi avvicino? – le chiese, serio, guardandola negli occhi. sembrava fosse quasi infastidito dal fatto che lei si fosse allontanata. Anche forse un po’ ferito.
- Nulla – rispose Carol, con voce ferma, alzando il mento e fissandolo negli occhi. Non si sarebbe mai piegata a dirgli quello che voleva. Lui sorrise ironico
- Sfacciata – l’accuso bonariamente – stai mentendo guardandomi negli occhi. Davvero notevole. Ma non puoi ingannarmi, Caroline. Allora, cosa ti ha detto su di me il mio caro fratello? – chiese di nuovo e stavolta Carol non mentì quando gli rispose – Nulla – poiché Christopher non le aveva davvero detto nulla del fratello gemello.
Xander parve farsi pensieroso e la guardò – E ti fidi di lui, Caroline? – le chiese di nuovo, fissandola negli occhi. Sembrava volesse quasi sondarle l’anima.
Carol non rispose, e lui sorrise, avvicinando il volto al suo – Non fidarti di lui, Caroline – le sussurrò all’orecchio prima di darle un lieve bacio sulla guancia. La lasciò e lei corse fuori dalla stanza, senza voltarsi indietro.
Xander la guardò uscire e sorrise.
Lei sarebbe stata sua, non gli sarebbe importato calpestare il cuore del fratello.
Quella sarebbe stata la sua vendetta.
 
Caroline fissava con sguardo vacuo il libro che aveva posato in grembo. Era seduta in uno dei tanti giardini della villa, all’ombra di un albero. Si era rifugiata lì subito dopo essere corsa lontano da Xander.
Aveva il cuore in gola, mentre correva per i corridoi della villa, più veloce che poteva, per mettere la maggior distanza che poteva tra lei e l ragazzo che l’aveva sconvolta.
O dalle parole che lui le aveva detto.
Si domandava ancora perché non aveva risposto quando lui le aveva chiesto se si fidava di Christopher. Avrebbe dovuto rispondergli che si fidava, ma qualcosa l’aveva trattenuta. E la infastidiva questa consapevolezza.
Come la infastidiva il fatto che Xander fosse riuscito ad instaurare dentro di lei il dubbio. – Dannato ragazzo – sibilò, voltando rabbiosamente una pagina del libro che teneva sulle gambe.
- Spero che tu non stia parlando di me – disse una voce alle sue spalle e lei sobbalzò, voltandosi di scatto. Sebastian stava appoggiato al tronco dell’albero e guardava in giù verso di lei, con un sorriso sul volto. Le si sedette accanto e le prese il libro dalle gambe, guardandolo qualche secondo, prima di chiuderlo con uno sbuffo.
- Una storia d’amore – disse – dovevo sapere che voi ragazze non leggete altro. Sono quasi deluso, mi sembravi una ragazza da storie di pirati e magia – commentò divertito, appoggiando il libro accanto a se.
Carol sorrise – Ma l’amore è una magia – replicò, sorridendo.
- E questa è una tipica frase da ragazza. Dio, quando capirete che l’amore non è una magia? Anche Vivianne continua a dire che l’amore è qualcosa di magico, ma detto da una ragazza che non ha mai nemmeno avuto una cotta suona un po’ strano -.
- E tu, Sebastian? Sei mai stato innamorato? – chiese Carol,guardandolo curiosa. Sul viso del ragazzo si aprì un sorriso, e si passò una mano tra i capelli biondi.
- Io sono sposato, Caroline – disse, serio e Carol lo guardo spalancando gli occhi        – con la mia divisa da soldato – completò Sebastian, lanciandole un occhiata divertita. Carol gli diede una piccola spinta sulla spalla, ridendo.
- Davvero, nessuna ragazza? – gli chiese, incredula. Sebastian era davvero un bel ragazzo, con capelli e occhi azzurri, e avrebbe di certo fatto strage di cuore al Collegio, se mai ci fosse andato.
Lui scosse semplicemente il capo – No, te l’ho detto. Sono sposato con la mia divisa. Amo fare parte dell’esercito, è davvero la mia strada. E per adesso non mi lamento, della mia vita sentimentale, le donne apprezzano molto gli uomini in divisa – ridacchiò – e poi che me ne faccio di una ragazza? Non vorrei mai fare la fine di Xander e… - si bloccò, alzando lo sguardo e rabbuiandosi.
Carol lo guardò, incuriosita da quella frase lasciata a metà – Come Xander e …? – chiese. – Nulla – rispose lui, brusco, poi addolcì il tono – davvero, nulla, Caroline -.
- Cosa è successo tra Christopher e Xander, Sebastian? – gli chiese, spostandosi davanti di lui per guardarlo in faccia. Una faccia incredibilmente seria, in quel momento, che aveva perso qualsiasi nota di scherzo o sorriso.
- Non è mio compito dirti cos’è successo tra Christopher e Xander, Caroline. È Christopher che deve decidere se dirti o meno quello che è successo – ripose, alzandosi e puntando lo sguardo in lontananza, dove Vivianne stava percorrendo il vialetto per avvicinarsi a loro – ma ascolta un mio consiglio. Non chiedere mai a Christopher cos’è successo. Lui non ama parlarne -.
Carol rimase muta qualche secondo, assimilando quelle pochissime informazioni che lui le aveva dato. Prima che Vivianne fosse a portata d’orecchio, Carol gli rivolse un'altra domanda – Solo un'altra cosa, Sebastian. Perché Xander si rivolge a Christopher chiamandolo Alexander, mentre a tutti lui dice di chiamarlo con il suo secondo nome? -.
A quella domanda, Sebastian rise – Da piccoli, Christopher si lamentava spesso con nostra madre che lei avesse dato a lui e al suo gemello nomi troppo simili. Se ci pensi Alexander contiene di fatto il nome Xander, e la cosa infastidiva Christopher. Già siamo gemelli, diceva, in più abbiamo nomi simili! Era così adorabile quando metteva il broncio. Così iniziò a dire a tutti di chiamarlo Christopher, per poter essere riconosciuto. L’unico che non l’ha mai chiamato con il suo secondo nome è stato proprio Xander. Lui dice che è perché adora infastidirlo, e in parte è vero. Ma io credo che sia per il fatto che così si sente più vicino al gemello. Sai, prima che le cose tra loro crollassero, Xander e Christopher erano praticamente inseparabili. Dove c’era uno, c’era anche l’atro ed uno era sempre pronto ad aiutare e sostenere il gemello. Più volte Xander si è preso la colpa quando era di Christopher e lo stesso valeva all’incontrario – rispose, leggermente nostalgico. Poi, si voltò e si allontanò, lasciandola sola.

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