Quando la neve diventa letale

di Merlins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non sempre é quel che sembra ***
Capitolo 2: *** Se non é zuppa é pan bagnato ***
Capitolo 3: *** Addio, monti sorgenti dall'acque.. ***
Capitolo 4: *** Ti ricordi di me, amore? ***
Capitolo 5: *** Principessina dal cuore d'oro ***
Capitolo 6: *** Sul far del tramonto ***
Capitolo 7: *** I morti non camminano..? ***
Capitolo 8: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 9: *** Incertezze ***



Capitolo 1
*** Non sempre é quel che sembra ***



«Dai mamma muoviti!!»

Quella mattina dell’anno 1983 fui svegliata da mio figlio, Daniel, che continuava a correre e saltare sui letti.

«Ma sei impazzito?! Torna a dormire Daniel, sono solo le sei di mattina!» dissi, riportandolo in camera.

«Ma io credevo.. nonsono le otto? »

«No Daniel, mancano ancora due ore.. e adesso torna a dormire, altrimenti a scuola ti addormenterai sul banco!»

«Va bene mamma.. però quando sono le sette e mezza svegliami, non dimenticartelo.»

«Certo, tesoro. Notte»

Mi rinfilai sotto le coperte, il clima autunnale portava il freddo in casa; per giunta dovevo far riparare il riscaldamento, anche se avevo chiamato gli addetti più di una settimana fa.

Da quando mio marito ci aveva lasciati, morto mentre salvava delle vite in un incendio, vivevamo soli: era molto difficile, spesso il mio lavoro non era sufficiente per le spese familiari e dovevo assumere una badante che si prendesse cura di mio figlio.

In realtà, quella che ora non riusciva a dormire ero io. Pensavo a Daniel: domani era il suo primo giorno di scuola, per questo era così agitato. Sei anni.. stava crescendo il mio piccolo ometto.

Alle sette e mezza precise vidi arrivare un bambino un po’ sonnambulo, che si buttò sul letto, lasciandosi andare.

«Cosa ti avevo detto eh?» lo presi in braccio, portandolo in cucina.

Gli preparai del latte, aggiungendoci anche cacao in polvere, assieme a un pacchetto di biscotti.

«Allora, sei emozionato per il primo giorno?» gli chiesi, sorseggiando una tazza di tè.

«Si si certo.. però ho tanto sonno.. » si addormentò con la faccia nella scodella.

Presi tutte le sue cose e le riordinai. Dieci minuti dopo si sentì il clacson dell’autobus richiamare tutti i bambini.

Svegliai Daniel, gli diedi un bacio, poi lui si avviò verso il pullman, salterellando con il suo zaino sulle spalle.

«Mi raccomando Daniel! Non parlare con gli sconosciuti e comportati bene a scuola!» lo salutai.

Rientrai in casa. L’aria era leggermente più calda della scorsa notte, tuttavia il vento soffiava a grande velocità. Mentre stavo sistemando la cucina, suonò il telefono.

«Pronto?» sbadigliai.

«Pronto.. capo? Mi spiace averla svegliata, ma un anziano signore é passato in centrale, dicendo che aveva un problema. Mi ha pregato di avvisarla e di invitarla a raggiungerlo a casa sua e.. capo? Si sente bene?» era Lenzi, mio fido aiutante e investigatore.

«Oh si, scusami ma questa notte non ho dormito per niente.. dicevi?»

«Le stavo dicendo di questo signore, Sir Edwick Morgan, che ha richiesto la sua consulenza. La prega di raggiungerlo alla sua abitazione in Viale Italia 2. Penso sia importante.»

«Bene, sarò da lui tra mezzora. Ti dispiace accompagnarmi?»

«Oh no capo, si figuri!»

«Grazie mille, Lenzi. E non chiamarmi capo» dissi, riagganciando la cornetta.

Esattamente mezzora dopo, una macchina si fermò davanti a casa mia: una Volksvagen blu metallizzato, perfettamente pulita e senza un graffio.

Suonò il campanello, così andai ad aprire.

«Ah! Eccola qui, signor Lenzi. Bella macchina, nuova?»

Lui si limitò ad annuire con un cenno del capo, nascondendo le mani nel cappotto per il freddo.

Salimmo in macchina, dove mi avvolse un fresco odore di pino. Alberelli profumati per auto.

«È molto taciturno oggi. Va tutto bene?» chiesi al mio assistente.

«Non faccia caso a me, capo. Sono solo un po’ assonnato, ma è normale con questo tempo uggioso..»

«Già. A proposito, dove si trova la casa del signor Morgan?»

«Viale Italia 2, è qui vicino. Mi pare di aver capito che sua moglie sia una vera signora.. non so se mi spiego.. una di quelle ricche e potenti, che sono consapevoli della loro superiorità» abbassò lo sguardo.

«Agli occhi della legge siamo tutti uguali. Hai altre informazioni su questa donna?»

«Non molto in realtà. So che è vedova, ha due figli e vive in una grande villa, proprio nella zona meridionale di Livorno. La casa è molto bella, artistica, e in famiglia sono tutte persone perbene.»

«Angeli, insomma. Perfetto Lenzi, grazie delle informazioni.»

Cinque minuti dopo giungemmo a destinazione: una grande villa color ambra si ergeva in tutta la sua imponenza, illuminata dalla luce soffusa del sole.

«Sembra proprio che siamo arrivati nel posto giusto!» disse Lenzi, stiracchiandosi.

«Sì, senza dubbio. Tuttavia ho un brutto presentimento...» mi avvicinai al cancello d’entrata e suonai.

Neanche il tempo di terminare la frase che vidi un uomo sui quarant’anni correre verso di noi, ansimante.

«Salve, siamo gli investigatori Lenzi e Corsini. Siamo lieti di conoscerla e..»

«Sisi d’accordo molto piacere però adesso sbrigatevi, venite di qua, presto!» l’uomo correva e si disperava, ogni tanto lanciando imprecazioni e voltandosi per vedere se lo seguivamo.

«Diamine, che maleducazione!» Lenzi mi sussurrò all’orecchio.

«Non farci caso, ci deve essere un problema molto serio se si comporta così»

«Lo spero per lui, perché l’ultima cosa che voglio è farmi prendere in giro da un..»

Si bloccò. Lo spettacolo che si presentava ai nostri occhi era sconcertante. Il corpo giaceva li, inerme in mezzo alla stanza. Sangue sul tappeto e una pallottola nel petto. Era morta.

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Capitolo 2
*** Se non é zuppa é pan bagnato ***


«Ma cosa diavolo..?» mi precipitai vicino al corpo; ormai era già morta da molto tempo, le membra erano fredde.

«Era per questo che vi avevo mandata a chiamare con così tanta urgenza..» disse un anziano signore che comparve da dietro la porta. Si reggeva con un bastone e avanzava sorretto anche dall’uomo che ci aveva condotti lì.

«Ma che vi salta in mente?! Non avete chiamato un’ambulanza, la polizia o i soccorsi?! E noi cosa dovremmo fare ora??» Lenzi si disperava.

Il mio collega era solito avere attacchi di panico quando c’era di mezzo un delitto, guai con la legge o la sua amata Volksvagen.  «È l’orgoglio del suo papino» diceva sempre.

«Siamo terribilmente desolati! Ma il telefono.. la corrente, non andava.. e il panico..  insomma non è stata colpa nostra! Non ci posso ancora credere che sia morta..» aveva mormorato l’uomo in piedi, che avevamo scoperto essere il figlio della signora.

«Certo.. comunque un medico bisognerà pur chiamarlo, almeno per stabilire intorno a che ora è morta» emisi un sospiro, cominciando ad esaminare il resto della stanza.

«Oh, certo.. se volete scusarmi, vado subito a chiamarlo» il figlio si dileguò nel lungo corridoio.

Mentre io e Lenzi esaminavamo la scena del crimine, l’anziano signore rimasto vicino alla porta ci scrutava con i suoi occhietti furbi e indagatori.

«Forse sarebbe meglio portarlo fuori..» ed entrambi ci girammo a fissare la figura di quell’uomo, che rimaneva appoggiato alla porta e ci osservava attentamente.

«Va bene capo, ci penso io» Lenzi si alzò, dopodiché prese per un braccio l’anziano e lo condusse nel soggiorno.

Intanto io continuai ad esaminare il luogo del delitto: la signora era stesa a pancia in su con le gambe divaricate, sul suo viso un’espressione contorta simile a un ghigno malefico. Era raccapricciante.

Dietro la nuca, una scia di sangue secco che probabilmente era fuoriuscito dalla schiena. Non c’erano impronte di alcun tipo, l’arma del delitto era sparita e sul tavolo una lettera di poche righe scritte a macchina: «Me ne devo andare. Spero che il mio sacrificio varrà la pena».

Molto singolare come suicidio. Ovviamente se davvero di questo si tratta.

Il resto della stanza era stato messo in disordine, probabilmente una rapina andata a male.

«Anche se» mormorai tra me e me «i soldi sono ancora nella cassaforte e i gioielli pure. Qualcosa non quadra..» mi avvicinai alla finestra.

Scostai le tende e vidi che stava nevicando. Era successo già due giorni fa, nonostante fossimo in pieno autunno.

«Capo, i parenti della donna si sono riuniti giù in salotto, se vuole possiamo incominciare ad interrogarli» Lenzi si presentò alla porta e con un cenno mi fece segno di seguirlo.

«D’accordo, andiamo pure.. ma cosa? Aspetti un secondo, Lenzi..»

«Trovato qualcosa capo?»

«Si anche se non si capisce cosa sia.. si, sembra un ciondolo d’oro, a forma di angelo»

«Uff, beh almeno abbiamo qualcosa per le mani..»

Finalmente giunse il medico, che si mise immediatamente al lavoro.

«Come mai ci avete messo così tanto a chiamarmi? Questa poveretta è morta da più di quarantotto ore!»

Il medico girò il corpo dell’anziana signora e chiamò i suoi due assistenti, che arrivarono con la barella.

«Piacerebbe anche a noi saperlo.. può darci qualche altro ragguaglio sulle circostanze di morte?» chiesi al dottore, mentre Lenzi, come un provetto Sherlock Holmes, esaminava tutto minuziosamente con una lente d’ingrandimento e prendeva appunti sul suo taccuino.

«Per adesso posso solo dirvi che è morta per emorragia interna. Guardi, il proiettile ha mirato dritto al cuore e direi che l’ha proprio centrato. Considerando la temperatura della pelle e il colore direi che il fatto è accaduto due giorni fa, naturalmente sarò in grado di fornirvi maggiori dettagli solo dopo l’autopsia»

«Grazie mille intanto dottore».

Scesi giù in salotto, dove trovai i parenti riuniti attorno al tavolo centrale, evidentemente tutti in preda ad un nervosismo cronico.

«Bene signori e signore» annunciai «sarò lieta di sentirvi circa gli avvenimenti di oggi nello studio qui accanto. Prego, entrate uno alla volta seguendo le istruzioni del mio collega».

Mi sistemai nello studio del signor Morgan: una stanza molto ampia, con scaffali traboccanti di libri e antichi manoscritti. Al centro, un grande tavolo di mogano scuro e una poltrona in pelle color borgogna.

Le pareti erano dipinte di un grigio sbiadito, che davano all’ambiente un’aria un po’ trascurata.

«Il signor Morgan ha una certa età, non penso sia ancora in grado di occuparsi dell’intonaco delle pareti» pensai tra me e me.

Stavo immersa nelle mie riflessioni quando sentii bussare alla porta. «Avanti» dissi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Addio, monti sorgenti dall'acque.. ***


Mi voltai e vidi entrare questa dolce ragazza, capelli raccolti in una treccia e avvolti in un delicato aroma al gelsomino. Aveva occhi chiari come il ghiaccio, sorriso perfetto e i piedi da ballerina.

«Salve, sono l’ispettore Corsini. Piacere di conoscerla»

«Piacere, io sono Emma Morgan, la figlia dei coniugi» feci per stringerle la mano in segno di saluto, ma lei stette ad osservarmi con uno sguardo svanito, per poi toccarmi con la delicatezza di una piuma.

«Inizio subito col dire che mi dispiace per la sua perdita. Immagino debba essere molto difficile..»

«In effetti, sarà dura andare avanti senza di lei, ma ci proveremo» tolse il fazzoletto dal suo vestito vermiglio e si asciugò le lacrime.

«Mia cara, se non se la sente, posso far chiamare qualcun altro, se ha bisogno di riprendersi..»

«No, va tutto bene. Mi dica, cosa vorrebbe sapere?»

«Innanzitutto, perché avete aspettato tanto tempo per chiamare un medico? La signora è morta quasi da tre giorni ormai..»

«Si, ha ragione. Ma il fatto è che ultimamente abbiamo avuto problemi con il telefono, la corrente eh.. beh, tutto necessita di essere riparato.»

Adesso stava muovendo freneticamente le mani, le tremavano le gambe e leggevo i suoi occhi: erano sconvolti.

«In tal caso.. non potevate chiedere ai vicini? Oppure andare direttamente all’ospedale?»

«Si, è vero, però non avevamo tempo ed eravamo terrorizzati, poi abbiamo trovato il suo numero e l’abbiamo chiamata, contando ovviamente sulla sua discrezione.»

«Naturale, anche se penso sarebbe meglio informare le autorità.. tornando all'omicidio, quando l’avete trovata?» cambiai discorso, notando che era sempre più restia a parlare.

«Due giorni fa.. è stato mio fratello Louis a trovarla, può immaginare che shock per un ragazzino di appena diciassette anni.. l’abbiamo trovata esattamente così, non abbiamo spostato nulla da allora.»

«Mmh, bene. Un’ultima cosa.. so che sembra una domanda fuori luogo ma.. ecco, lei dove si trovava al momento dell’omicidio?»

«E’ buffo, sa? Non ho un alibi per quel momento. Posso dire che ero fuori per una passeggiata, ma come potrà verificare nessuno ne sarà sicuro.»

«In effetti, questo complica un po’ le cose.» dissi, accompagnandola fuori. Mi rivolsi poi a tutti i presenti: «Scusatemi, un attimo di attenzione. Mi sembrate tutti alquanto scossi dall’accaduto e, francamente, preferisco lasciarvi tempo per riprendervi. Continueremo nel tardo pomeriggio. Intanto, grazie a tutti per la disponibilità.»

I presenti si allontanarono. Riuscii però a scorgere il figlio del signor Morgan, Louis, che entrava nello studio. Incuriosita, mi avvicinai, e posai l’orecchio contro il portone.

«Allora, è tutto pronto? Si, certo.. tranquillo, ormai non dobbiamo più preoccuparci di quella.. assolutamente, concluderò l’affare.. e la riunione?Dimmi.. ah,tra una settimana all’Hotel Continental.. d’accordo, ci sarò.. a presto.»

Sentii i suoi passi avvicinarsi alla porta, così mi appiattii contro il muro. Lui uscì, si guardò intorno per assicurarsi che nessuno lo stesse spiando, e se ne andò via raggiante. Credeva di fregarmi, quel furbacchione.

Guardai l’ora. Era passato mezzogiorno, infatti il mio stomaco cominciava a brontolare.

«Lenzi!LENZI!» urlai dal fondo della scala.

«Eccomi capo! Che succede?» scese tanto in fretta le scale che mancò il gradino, capitombolando giù come un sacco di patate.

«Accidenti! Lenzi, come sta? Mi risponda!» lo scuotevo energicamente.

«Starei sicuramente meglio se la smettesse di sbatacchiarmi come una pallina da ping-pong..»

«Ops, mi scusi.. le va di andare a mangiare qualcosa?»

«Sto bene capo, e sì, accetto volentieri l’idea!»

«Ti ho già detto di non chiamarmi capo.»

Rientrammo poco dopo, giusto un quarto d’ora per mangiare un panino, quando sentimmo un urlo.

«Ohh no, e adesso cosa succede?!»

«Signora, la prego faccia presto! Emma è sul balcone e si vuole buttare nel vuoto!» la cameriera prese i lembi della sua veste e cominciò a correre su per le scale, seguita da noi due.

Spalancata la porta, vedemmo tutti i parenti riuniti nella stanza di Emma. La ragazza si trovava sull’orlo del balcone: indossava un vestito di tulle color grigio perla, i capelli color ebano raccolti in una coda di cavallo e le mani protese verso il cielo.

«Per carità! Emma non faccia sciocchezze!» urlò il maggiordomo di famiglia.

«Emma.. che stai facendo?» mi avvicinai lentamente a lei.

«Vado a trovare la mamma, chissà come sta adesso.. sono stufa di questo mondo, persone che odiano senza provare ad amare, chi di loro ha tutto e chi niente, persone che hanno dimenticato le storie e la magia delle favole antiche e proseguono solo con gossip e scandali.. l’amore puro, ormai nemmeno quello esiste più.»

Mentre parlava le lacrime le rigavano le guance, sorrideva d’un amara dolcezza e fissava il cielo, come se avesse voluto aver le ali e fuggire via.

«Hai ragione, Emma, ti capisco. Ma non puoi sacrificarti per peccati che non hai commesso.. non è colpa tua, e lo sai.»

Non feci in tempo a finire la frase che Emma si lanciò nel vuoto. Vidi le sue lacrime cadere come goccioline di pioggia, vidi il suo sguardo, perso, amareggiato, mentre sfidava il destino lasciandosi andare. Attimi che sembrarono un’eternità.

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Capitolo 4
*** Ti ricordi di me, amore? ***


Non sentii il fragore del suo corpo contro il pavimento.

So solo che mi precipitai al balcone e la vidi: era stata afferrata in tempo da un ragazzo, che la guardava con gli occhi gonfi di lacrime. Almeno era salva.

Corremmo tutti in direzione dell’ingresso, dove trovammo i due abbracciati.

«Emma, tesoro stai bene?» il vecchio Morgan fece per avvicinarsi, ma lei gli fece cenno di bloccarsi.

«Ti prego, lasciami stare ora. Ho bisogno di rimanere sola con Nico. Scusatemi, adesso ci ritiriamo e gradiremmo non essere disturbati» detto questo prese per mano il ragazzo e sparirono.

Strana ragazza, quella. Ormai tutto in quella famiglia mi sembrava anormale. Telefonate in segreto, tentativi di suicidio e continui bisbigli.. qualcosa di oscuro che non riuscivo a comprendere.

«Edwick, lasciala perdere, sai come sono gli adolescenti!» disse una donna accanto al maggiordomo.

Ah, certo, gli adolescenti.. peccato che quella ragazza abbia già venticinque anni, penso proprio che l’adolescenza ormai sia terminata per lei. Ignorai quel commento, rivolgendomi a tutti i presenti.

«Bene gentili signori e signore, mettendo da parte questo spiacevole evento, vorrei sentire il prossimo parente della vittima.» e mi avviai verso lo studio.

Poco dopo sentii bussare energicamente alla porta: ne entrò un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati e occhialetti tondi, il naso aquilino e un vago odore di grappa addosso.

Era talmente brillo che mancò la sedia su cui si doveva accomodare, finendo con il sedere in terra.

«Tutto bene?» dissi, aiutandolo ad alzarsi.

«Ma certo tesoro! Dai, facciamo questo bel colloquio che poi posso tornarmene in camera!» aveva il singhiozzo e continuava a tossire.

«D’accordo.. dunque, per prima cosa, qual’e il suo ruolo qui?»

«Il mio che?! Ahaha signora mia, il mio ruolo potrebbe essere responsabile della dispensa e delle cantine! A parte quesssto, sono Paul, il fratello di Edwick.. o meglio, del signor Morgan, anche se tutti qui lo chiamiamo Ed»

«Ah, molto chiaro.. e lei ha visto o sentito niente quando è avvenuto l’omicidio?»

«Lei ha detto.. omicidio? Ma è impossibile! La porta era chiusa a chiave, come avrebbe fatto l’assassino poi ad uscire?»

«Sta nevicando molto anche se siamo in autunno!»

«E adesso questo cosa c’entra?»

«Senta, andrò dritta al punto. Qui c’è qualcosa che non mi convince, il suicidio perfetto,la lettera con l’addio, la pistola nella mano destra nonostante la signora fosse mancina.. no, sembra tutto troppo perfetto, come architettato da qualcuno.. perciò ora mi vuole dire dove si trovava tre giorni fa?!»

« Stavo facendo una passeggiata con Marley, il nostro cane.. può chiedere alla cameriera Jessica se non mi crede.»

Mandai a chiamare la ragazza, che entrò timidamente nello studio mentre il signor Paul la fissava con uno sguardo da pesce lesso. La povera ragazza avrà avuto sui vent’anni, capelli biondi sciolti sulle spalle e occhi verdi color smeraldo. Mi confermò che aveva accompagnato Paul Morgan nella passeggiata. La ringraziai e congedai anche il mio interrogato, che nell’uscire si scolò un'altra bottiglietta di grappa.

Sprofondai nella sedia e chiusi gli occhi. Certe volte il lavoro mi esauriva.

Guardai fuori dalla finestra. Nevicava ancora, ma vedevo un bambino in giardino con una donna sui trent’anni. Appena mi vide, il bimbo mi salutò con la mano e io ricambiai.

«Aha! E quelle? Mmh, si, sembrano proprio impronte!» le notai anche se erano leggermente sbiadite, pianta decisamente corta e tacco a punta: direi proprio scarpe da donna.

Più tardi avrei mandato Lenzi ad esaminarle, adesso mi predisponevo per accogliere il prossimo parente.

Bussarono di nuovo alla porta. Non dissi nemmeno avanti, ma Emma entrò lo stesso.

«Commissario, credo di doverle delle spiegazioni..» si sedette. Emanava profumo di aroma all’arancia.

«Se possibile, si, gradirei che mi chiarissi perché hai..»

«Già. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto. Il ragazzo di prima si chiama Nico Gori, era il mio fidanzato fino a due anni fa.. se ha voglia, le racconterò la storia. »

«Ti prego, dammi del tu. Vai pure avanti» incrociai le gambe.

«Nico è sempre stato un bravo ragazzo: lavorava nell’industria meccanica, in un’officina nel centro della città. Ci siamo conosciuti all’università, e da lì ci siamo innamorati. Parlava di una storia seria, della famiglia che avremmo avuto, con tanti figli...»

«Bei piani, bei progetti.. poi che successe?»

«Fu arrestato dalla polizia»

«Che aveva fatto?»

«La cosa più orribile.. venne accusato di omicidio»

«Oh.. e chi aveva ucciso quel povero sciagurato?»

«In realtà.. si trattava di mia sorella».

 

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Capitolo 5
*** Principessina dal cuore d'oro ***


Deglutii, incapace di proferire parola.

«Già, mia sorella Gwen.. Fu tutto uno sbaglio. Nico allora aveva diciott’anni, come me. Mia sorella Gwen aveva solo otto anni, era ancora molto piccola. Mi ricordo quel giorno come se fosse ieri..».

«Emma, quando torna la mamma?»la mia piccola Gwen giocava con le bambole sul tavolino nella veranda, io da fuori la osservavo mentre giungevano le prime ombre della sera.

«Presto, tesoro. Dai, vieni con me al parco, potremo guardare meglio il sole che scompare.. e poi, ci siederemo sull’altalena che ti piace tanto e voleremo in alto, fino alle stelle!»

«Ti voglio tanto bene Emma, sei la sorella migliore del mondo!»e, detto questo, mi prese per mano e la accompagnai al parco, proprio dove stava la sua altalena.

«Guarda il sole.. chissà dove va tutto solo» quella principessina dal cuore d’oro sorrideva e volava su, su e ancora più su.

Proprio allora vidi giungere Nico, il mio ragazzo, che correva e ansimava a causa della corsa.

«Che sta succedendo Nico?»

«Devi.. aiutarmi, loro sono qui! Mi uccideranno!» farfugliava parole insensate.

«O Dio, Nico, che cos’hai combinato?!» piangevo, perché ogni volta che lo incontravo era immischiato in faccende più grandi di lui, tipo dovere soldi agli spacciatori o aver rubato nei negozi.

«Non c’è tempo! Aiutami, ti prego!» ma prima che potessi chiamare qualcuno un omaccione col volto coperto gli fu addosso. Nico allora tirò fuori la pistola.

«Santo cielo! Ti prego, non farlo!» corsi a tutta velocità verso mia sorella Gwen, mentre lei, dopo aver sentito quelle grida, correva verso di me.

Fu allora che accadde. Nico sparò un colpo verso il suo aggressore, ma questi  era riuscito a piegargli il polso di lato mentre il proiettile era appena partito.. quando mi voltai, Gwen era a terra.

«Gwen! GWEN!» urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, tanto che feci scappare quell’uomo, poi corsi verso Gwen e presi il suo corpicino inerme tra le braccia.

«Sono riuscita a toccare le foglie dell’albero prima sull’altalena. Hai visto, ce l’ho fatta finalmente..» chiuse dolcemente gli occhi, finchè le sue labbra non emisero più alcun suono e il suo battito si fermò.

Nico era corso vicino a me. Sapevo che non era colpa sua, ma in quel momento il mio cuore e la mia mente erano pieni di odio nei suoi confronti. Aveva strappato metà del mio cuore, il mio piccolo angelo.

«Emma.. io.. mi dispiace..»

«Vattene! Non ti voglio vedere mai più, sparisci dalla mia vita!»

«Ma cosa racconterai alla polizia?»

«E’ meglio se ti costituisci.. se non altro chiariranno che si tratta di omicidio involontario»

«Però io volevo-»

«Vattene.»

Nico se ne andò, sparendo nel bosco, mentre io, portando in braccio il corpo sanguinante della mia piccola sorellina, mi  diressi al commissariato, con l’intenzione di spiegare tutto l’accaduto.

Fu una tragedia. Mia madre e mio padre mi chiusero in camera, proibendomi di uscire per mesi; a mio fratello Louis fu affidata una tata e per tre giorni sparimmo dalla circolazione.

Al funerale mi permisero di uscire. Non volevo che la seppellissero nel cimitero, troppo spoglio e cupo.

«Ma tutti i defunti vengono seppelliti nel cimitero! Non puoi cambiare questa cosa!» sbraitò mio padre.

«Gwen non è un defunto qualunque! E’ una principessa, e pertanto merita di essere seppellita in un posto speciale..».

Fu dura, ma ottenni che seppellissero Gwen nel parco, proprio vicino all’albero che per tanto tempo l’aveva accolta e protetta. Per anni continuai a recarmi davanti a quell’albero, ogni volta portando una rosa bianca, la sua preferita.

Stavo piangendo. Non me ne rendevo conto, ma ero in lacrime.

«Ancora oggi mi reco a quella tomba, ogni giorno al tramonto.»

«E in quanto a Nico?» dissi, asciugandomi con un fazzolettino di stoffa.

«Non ne seppi più nulla. Gli avevo raccomandato di costituirsi, ma fu sempre irreperibile. Una volta lo trovarono, ma lui scappò invece di arrendersi. Allora venne incriminato per omicidio colposo, e la caccia contro di lui divenne frenetica: guardia forestale con i cani, polizia, agenti speciali e guardia costiera. Alla fine lo trovarono e lui fu costretto ad arrendersi. Nonostante la mia testimonianza, venne incriminato, almeno per omicidio involontario aggravato per resistenza all’arresto e fuga: si beccò cinque anni.

E adesso è di nuovo qui.. scommetto che se papà avesse un po’ più di forza lo avrebbe già ammazzato.»

«E lei.. lo ha perdonato?»

«In un certo senso.. sì. Ho promesso che gli parlerò ancora e ci terremo in contatto, ma per ora non me la sento di stare ancora con lui.»

«Emma, Emma cara.. grazie per avermene parlato. Al tramonto, se non ti dispiace, vorrei venire con te»

«Assolutamente. Appena sarò pronta, la manderò a chiamare» disse, e se andò. Il volto coperto da un velo di tristezza, le mani fredde come il ghiaccio e il vestito di tulle che ondeggiava, accompagnando ogni suo passo.

 

Vi piace il capitolo? Fatemelo saperee, voglio tantissime recensionii <3 (anche negative s'intende)

Per questa settimana non riuscirò a pubblicare niente, domani vado in Spagna per una settimana :D

Comunque.. niente, solo vi amo tutte/i <3

 

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Capitolo 6
*** Sul far del tramonto ***


In poco tempo si erano fatte le quattro: dovevo andare a prendere Daniel.

Presi la macchina del mio collaboratore e mi diressi verso la scuola elementare: fuori trovai moltissime mamme che spettegolavano sugli ultimi scoop della giornata, cinguettando come canarini. Io non mi interessavo molto di moda e tv, meglio leggere un libro o uscire per una passeggiata.

«Ciao cara!!» appena vidi che si rivolgevano a me capii che non c’era via di scampo.

«Salve! Che si dice in giro?» tentai di introdurmi nelle loro conversazioni.

«Non ne sei al corrente?! La amatissima, e soprattutto ricchissima, signora Morgan è stata uccisa!»

E menomale che i giornalisti dovevano stare alla larga da quella casa, pensai.

«Davvero? Ma chi è questa donna? Non credo di averla mai sentita nominare..» finsi di essere all’oscuro di tutto, per il momento non avevo neanche l’intenzione di rivelargli che ero un’investigatrice.

«Come come? Non la conosci?! Mia cara Sophie, dove vivi? In una caverna? Devi sapere che..» e qui iniziò la lunga serie di sproloqui che non sto nemmeno a raccontarvi.

Sgusciando tra le signore dei quartieri alti, vestite con abiti in lino, cappellini di seta, pochette in mano e trucco impeccabile, riuscii a mettermi davanti alla folla e attesi il suono della campanella.

«Bambini! Fate piano! Mi raccomando, domani siate puntuali!» la porta si aprì e ne uscì una donna dinoccolata con capelli ingrigiti, probabilmente la preside.

«Ciao mamma!» vidi il mio piccolo, vivace bambino correre verso di me.

«Daniel!» lo abbracciai forte, scoppiando a piangere.

«Mamma, perché piangi?»

«Non è niente.. solo, grazie di essere ancora qui con me».

Come di consueto lo portai dalla nonna paterna, lì sarebbe stato infatti fino alle otto.

Tornai alla villa, trovando un’orda di paparazzi incollati davanti al cancello.

Mi feci largo tra la folla ed entrai in casa: tutti i parenti erano ancora riuniti nel salotto, Emma compresa.

«Bene, dopo aver sentito Emma e il caro signor Paul, vorrei parlare con Louis.»

Mi sedetti sulla poltrona dello studio, ormai era diventata un’abitudine, poi entrò un ragazzo: capelli neri pieni di gel rizzati in piedi, due dilatatori nelle orecchie, occhi di un azzurro intenso e vestiti stracciati. Chissà se Daniel nel futuro sarebbe diventato come lui. Speravo proprio di no.

«Allora, Louis.. innanzitutto, quanti anni hai?»

«Diciassette.»

«Beh, sei ancora piuttosto giovane.. riguardo all'accaduto, mi dispiace molto per la tua perdita.»

«Ce ne faremo una ragione.. la cosa più strana è che sia stata.. uccisa, qui.»

«C’era qualcuno che poteva volere la morte di tua madre?»

«Non che io sappia. Ma è sicuro che sia un omicidio? Voglio dire, niente impronte, niente indizi, nessun testimone.. non sono queste le informazioni che quelli come lei devono cercare?»

«Si, abbiamo già alcuni elementi che vanno a favore dell’omicidio. Parlando d’altro, stamattina ho sentito che chiamavi qualcuno.. posso sapere di chi si trattava?»

«Adesso non si può nemmeno avere un po’ di privacy?»

«Si, ovvio.. tuttavia quella telefonata mi ha incuriosita..»

«Era per la scuola. Una mia amica mi chiedeva dei compiti»

Masticava rumorosamente il chew-gum e sedeva con gambe e braccia incrociate, chiaro segno di impazienza.

«Capisco.. e dove ti trovavi al momento dell’omicidio?»

«Ero fuori nella veranda con il mio migliore amico.»

«Per adesso è tutto.. ma tieniti a disposizione, avrò ancora bisogno di te»

Lui se ne andò, senza prestare minimamente attenzione a quello che gli avevo detto. Nascondeva qualcosa, ormai era chiaro come il sole; toccava a me scoprire cosa.

Fuori aveva smesso di nevicare. La coltre bianca ricopriva i tetti delle case e si sfaldava a contatto con qualsiasi cosa. Mi avvicinai verso il punto in cui avevo visto quelle impronte: poiché quell’area era parzialmente riparata dalla tettoia, le impronte erano ancora abbastanza nitide. Erano scarpe con tacco, e a giudicare dalla lunghezza direi numero trentasette. C’erano anche delle piccole macchioline di sangue.

Fu in quel preciso momento che me ne accorsi: qualcuno mi stava osservando. Primo piano, seconda finestra a destra. Non riuscivo a capire chi fosse, fatto sta che appena mi voltai la figura sparì nell’ombra.

C’era qualcosa di profondamente sinistro e cupo in quella casa.

...

Il tramonto arrivò, circa alle sette.

Scesi dalle scale del piano superiore e trovai Emma ad aspettarmi al pian terreno.

«Emma! Grazie per avermi aspettata»

«Si figuri ispettrice..»

«Ti prego, chiamami Sophie»

«Sophie.. magari in quel luogo potrai trovare qualche indizio per l’indagine».

Accompagnate dal fedele maggiordomo ci incamminammo verso il parco, lungo una stradina lastricata in pietra costeggiata da palme e oleandri in fiore.

«E’ bellissimo questo posto.. dovrei tornarci più spesso con mio figlio»

«Ha dei figli Sophie?»

«Si, Daniel, di sei anni»

«Che piccolo.. scommetto che è un angioletto..»

Attraversammo un ponticello e giungemmo in un grande prato.

Eccolo là, il parco. Ed ecco il maestoso albero, che in realtà era una quercia di dimensioni gigantesche. Sotto l’albero, una rosa bianca e una piccola lastra in pietra, con una dedica.

“Qui riposa in pace Gwen, piccola stella che ha illuminato i nostri cuori e che ora brilla nel firmamento”

 

 

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Capitolo 7
*** I morti non camminano..? ***


Capitolo VII

Emma s’inginocchiò, in lacrime.

«Deve sapere, Sophie» mi disse lei alzandosi «che non c’è stato giorno in cui non mi sentissi colpevole della sua morte. Mamma e papà da quel giorno mi guardano con occhi diversi: torno a casa, loro mi ignorano, si limitano a fissarmi, senza dire nulla. Il peggio è stato stamattina, quando mi sono ritirata nella mia stanza con Nico.»

«A volte capita..» sussurrai io.

Emma mi guardò stranita.

«Intendo che a volte capita di sentirsi colpevoli per un avvenimento, quando invece in realtà non potevamo fare niente per evitarlo..»

«Lei capisce, Sophie?»

«Si. Anche quando mio marito è morto in un incendio io, per un mese o forse di più, ho continuato a rimproverarmi. Ogni mattina, quando mi alzavo dicevo “hai fatto morire tuo marito, sei una creatura ignobile”..»

«Mi dispiace..» Emma mi mise le mani sulle spalle, i suoi occhi incrociarono i miei.

«Ormai è passata.. fidati, tu non hai colpa, smetti di tormentarti».

Emma mise la rosa bianca sulla tomba, le foglie di quercia si rimescolarono in un piccolo vortice d’aria creato dal vento.
Girai attorno all’albero: una grossa quercia di quasi cinquecento anni, con un tronco robusto e molto ramificata sulla cima. Probabilmente il proiettile non aveva oltrepassato il corpicino della piccola Gwen, altrimenti ci sarebbe tuttora un forellino nel tronco.
Fu allora che lo vidi: una parte cava nel tronco, dentro la quale si poteva scorgere una lettera. D’istinto la presi e la infilai in tasca, probabilmente l’avrei letta dopo.
Continuai a ispezionare il terreno, ma non trovai nulla che potesse essermi d’aiuto.

«Sophie, se lei ha finito, io me ne andrei» Emma comparve alle mie spalle.

«Si, direi che qui non c’è più nulla da fare».

Ormai era diventato buio e non si vedeva a un palmo dal naso: il maggiordomo accese una torcia e proseguimmo anche aiutate dalla luce dei lampioni.
A casa, tutti attendevano il nostro ritorno con ansia.

«Era ora! Sapete che ore sono?!» sbottò il signor Morgan.

«Papà stai calmo, come vedi siamo ancora vive e vegete» Emma lo guardò seccata, per poi sbuffare.

«Cari signori miei, oggi è stata una giornata davvero intensa. Torneremo domani per ascoltare i rimanenti, intanto grazie a tutti e buonanotte» mi congedai con eleganza.

Tutti i parenti si mossero verso le loro stanze, però ad un certo punto Louis si bloccò sulle scale, fissandomi: feci finta di non accorgermene, anche se quel ragazzo diventava un enigma sempre più complicato col passare dei giorni.
Presi la macchina, guidando abbastanza spedita poiché erano già le otto e venti. Ad un incrocio passai con il verde, ma mentre mi trovavo nel punto d’intersezione delle quattro direzioni una macchina sfrecciò a tutta velocità davanti a me, quasi tamponandomi. Stavo per imprecare contro quell’idiota, ma guardandolo meglio mi accorsi che alla guida c’era la signora Morgan.

«Ma che diavolo..?!» proruppi in un’esclamazione di sorpresa, mentre dietro di me gli automobilisti suonavano i clacson perché mi togliessi dalla strada.
No, non c’era dubbio, quella era la signora Morgan. E a questo punto, o i morti camminano da soli, o c’è qualcuno che si sta facendo beffe di tutti.
Arrivai dalla nonna ancora scioccata, con una bella rigata frontale sulla Opel Corsa nera.

«Mamma, sei in ritardo» mio figlio era offeso perché ero arrivata mezzora dopo.

«Lo so amore scusami, mamma ha avuto tanto da fare al lavoro.. che ne dici di una bella crêpe?»

«Con la nutella però!» Daniel corse verso l’auto e si cacciò dentro.

Salutai la povera Agnese, che aveva perso il figlio e il marito quasi contemporaneamente, dandole un bacio e porgendole una scatola di cioccolatini.
Avevo sentito sempre parlare di mogli che erano in un eterno conflitto con le suocere, tutto un tirarsi le mine e giudicarsi a vicenda. La mia cara suocera, invece, era un angelo.
Ci fermammo da Mc Donald’s sulla strada accanto, dove Daniel prese due crêpes enormi: Dio solo sa come avremmo fatto a mangiarle.

«Come va al lavoro, mami?» si voltò verso di me, la bocca tutta sporca di cioccolato.

«Bene tesoro, oggi ho parlato con molte persone»

«Cosa è successo?»

«Oh niente.. pensavamo che una signora fosse morta, invece me la sono ritrovata poco fa che guidava come una pazza»

«Ma mamma, i fantasmi non esistono!»

«Hai ragione.. magari è solo colpa mia, sono un po’ stanca e potrei avere avuto un’allucinazione.»

Daniel scese dalla macchina in tutta fretta, e andò a giocare in camera con l’aereoplanino che Aldo gli aveva regalato.  Mi parlava sempre di lui, era il vicino di casa della nonna.
Preparai la cena, anche se nessuno di noi due osò toccare cibo dopo la scorpacciata di prima.
Così arrivò il momento fatidico: presi la lettera, un po’ spiegazzata per colpa del disordine che avevo in borsa. Quel pezzo di carta mi fissava, era come se mi dicesse «Dai, aprimi.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Vecchie conoscenze ***


Il foglio di carta era stropicciato e l’inchiostro un po’ sbavato, probabilmente per colpa dell’acqua piovana.
Nonostante tutto, le parole si leggevano ancora chiare e concise.
«Oh, piccola Gwen, sapessi quanto mi dispiace. Mi sento un mostro, forse lo sono addirittura davvero, ma niente può giustificare quello che ti ho fatto. E’ stata tutta colpa mia, non posso biasimare Emma e i suoi parenti. Spero che almeno tu, con quel sorriso contagioso che t’illuminava ogni giorno e con quella purezza d’animo tipica di un angelo, possa perdonarmi..»
Alla fine non si riusciva a distinguere la firma, ma immaginavo fosse di Nico.
Quello era un sincero pentimento, un umile costernazione, chiamatela come volete, ma il ragazzo deve aver vissuto tutti questi giorni con un immenso senso di colpa, autopunendosi per ciò che aveva fatto. Il carcere dev'essere stato un inferno per lui.
Mi addormentai sulla poltrona, le mani lasciarono cadere la lettera che, svolazzando a destra e sinistra, si adagiò sul tappeto in filigrana.

 . . .

«Mamma svegliati! Perderò il bus!»
Socchiusi leggermente gli occhi, trovando Daniel che sbracciava davanti a me e mi scuoteva energicamente. «Oh santo cielo! Che ore sono?» dissi, buttando i miei vestiti di ieri sera nella cesta per i panni. Nella fretta non mi accorsi che avevo calpestato quella povera lettera più volte.
«Mancano cinque minuti alle otto! Dai mamma sbrigati!» mio figlio salterellava per la stanza cercando di infilarsi i calzini, mentre ingoiava a fatica una brioche intera.
«Daniel calmati! E smettila di ingozzarti così, finirai per soffocare!» sbottai di colpo.
I suoi occhi diventarono cristallini e una goccia cadde dal suo occhio sinistro. Daniel, non devi piangere. Io ci sto male, mi si stringe il cuore ogni volta che lo vedo triste.
«Scusami.. non l’ho fatto apposta..» disse, cominciando a strusciarsi le maniche del giubbino sugli occhi pieni di lacrime.
«Su, non è niente. Adesso preparati, vedo che sta per arrivare il bus»
Infatti in due minuti si sentì il suono di un clacson, che richiamava i bambini ai loro doveri. Daniel mi scoccò un bacio sulla guancia e corse verso i suoi compagni di scuola.
Finii di pulire gli ultimi mobili, poi mi sistemai raccogliendo i capelli in uno chignon laterale, che metteva in risalto il biondo miele dei miei capelli. Uscii in fretta, decisa a raggiungere il mio collega, che a quest’ora doveva già trovarsi alla villa.
«Bene, bene, bene chi abbiamo qui?» disse una voce alle mie spalle, proprio mentre stavo per salire in macchina.
«Bè, di sicuro sono molto più sorpresa io di vederti qui.. Luca» risposi senza neanche voltarmi per vedere se fosse lui. Ah già, Luca. Storia un po’ vecchia: già da pochi mesi dopo la morte di mio marito aveva cominciato a vessarmi, chiedendomi di dargli una possibilità oppure di passare una sera a casa sua. Certo, quell’uomo voleva solo portarmi a letto, vivere l’avventura di una notte per poi scaricarmi come un avanzo. Eh no, per il mio onore di donna non avrei mai permesso questo. Comunque, anche quel don Giovanni era diventato commissario, ma da quando si era trasferito a Roma non ne avevo più sentito parlare.
E invece ora eccolo qui, proprio davanti a me.
«Che vuoi adesso, specie di depravato sociale?» dissi, poi lo osservai dalla testa ai piedi: era invecchiato, e anche parecchio. Era pieno di rughe e i capelli bianchi cancellavano ogni segno del Luca di dieci anni fa.
«Questo depravato sociale qui presente, se la signora mi concede, è stato incaricato dal R.I.S. a Roma di investigare sul caso di omicidio scoperto ieri» sorrise con aria beffarda.
«Scordatelo! Questo caso è in mano al mio commissariato!» lo affrontai tenacemente.
«Sarà anche cosi, ma da oggi siamo costretti a collaborare, zuccherino. Che ne dici di una bella cenetta stasera a casa mia, per inaugurare il nuovo duo?»
«Vuoi sapere una cosa? Vai al diavolo!» gli voltai le spalle e salii in macchina.
«Vedo che non sei cambiata, sei tuttora la stessa donna irascibile e focosa di alcuni anni fa. In ogni caso, ci si vede sul posto dolcezza!» disse quasi urlando, dato che io avevo premuto l’acceleratore ancora prima che iniziasse la frase. Tsè, sbruffone, egoista e prepotente. Vada a farsi fottere.
Ad accogliermi all’ingresso della villa una dolce e gentile Emma, in procinto di raccogliere deliziosi crisantemi dalle tonalità pastello.
«Ciao Emma!» la salutai con un ampio movimento del braccio.
«Salve Sophie! Finisco di raccogliere questi fiori e la raggiungo!» disse, scomparendo tra
piccoli arbusti di cerato stigma, che in quel periodo avevano un colore blu intenso.
«Ah, eccola qui capo! Il signor Morgan la cerca, si è offerto volontariamente per parlare con lei» Lenzi accennò a un sorriso, poi tornò ad occuparsi del rilevamento di impronte nella stanza da bagno.
Lo studio del signor Morgan era insolitamente al buio, solo un pallido spiraglio di luce si faceva strada nelle persiane delle finestre. Spinsi leggermente la porta. Silenzio.
«Così, si è decisa a venire finalmente» bisbigliò una voce nell’ombra.
Quel suono, e quella flebile folata di vento proveniente dall’armadio mi fecero trasalire: d’istinto misi la mano sul cane della pistola, pronta a sparare quantunque qualcuno mi avesse colpito alle spalle.
«La metta giù commissario, non è necessaria» disse una figura piuttosto bassa che fu illuminata dalla luce.
«Venite avanti, prego, così potremo parlare»ribadii io, sedendomi sulla poltrona davanti alla scrivania.
Piano piano si fece avanti l’esile corporatura del signor Morgan, seduto su una sedia a rotelle.
«Signor Morgan! Cosa è mai accaduto?» mi sporsi dalla poltrona per vedere meglio.
«L’età è quella che è, mia cara, e la verità è che le mie gambe ormai sono deboli, fiacche, così necessito di un piccolo aiuto per muovermi.»
Prese un bastone dal pomello d’argento, il legno finemente intagliato e lavorato. Notai anche due iniziali, A.C., proprio sul pomello luccicante.
«Sa, commissario, ci sono molte cose di cui lei è all’oscuro.. tuttavia vorrei prima avere la sua parola che non diventeranno oggetto di diffamazioni giornalistiche o di gossip» iniziò il signor Morgan.
«Signore, posso darle la mia parola, ma comprenderà che alcuni elementi sono essenziali per le indagini, pertanto alcune informazioni dovranno essere rivelate, almeno alla polizia..»
«E va bene, accetto. Dunque, le stavo dicendo..»
Prima che potesse proferire parola, una sgommata di un’auto da corsa ci fece sobbalzare. Notammo che i giornalisti di fuori si stavano raggruppando in cerchio attorno a qualcosa.. o a qualcuno.

Ehilà scrittori!

Vi piace come prosegue il capitolo? Fatemelo sapere nelle recensioni, è davvero molto importante per me :'D

A parte questo.. sciau a presto, vi amo tutti beliiii <3

-Merlins

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Capitolo 9
*** Incertezze ***


«Ma che..?»
Entrambi corremmo fuori dalla stanza, diretti verso il cancello d’entrata. Eccolo li, quel farabutto.
«Certo, la polizia di Roma provvederà a risolvere il caso.. si, signori miei, me ne occuperò personalmente.. sicuro, collaborerò con la polizia locale.. per adesso non ho altre dichiarazioni da fare, vi terremo aggiornati sullo sviluppo delle indagini.» disse l’ispettore Luca Esposito.
Entrò con quel suo fare da spavaldo, facendosi fotografare accanto alla casa e sorridendo con una faccia da ebete.
«Se proprio vuoi renderti utile comincia con l’ispezionare la villa» lo affrontai.
Lui si girò, con il sorrisetto malizioso che copriva sempre il suo volto e mi mandò un bacio; dopodiché salì le scale, mentre io corsi a chiudere, o piuttosto a sbattere, la porta in faccia a quei ficcanaso dei giornalisti.
«Chi è quell’individuo?» mi chiese il signor Morgan dalla sala principale.
«Un gradasso dei R.I.S di Roma. Purtroppo dovrà collaborare in quest’indagine, sempre che ne abbia l’intenzione!» risposi, dirigendomi verso il primo piano. Lenzi mi salutò dal fondo del corridoio, indicando il luogo del delitto; quando entrai vidi Esposito che stava tastando il pavimento, forse alla ricerca di qualcosa che aveva perso. Un mio movimento brusco gli fece alzare lo sguardo.
«Ah, eccoti qui Sophie..»
«Stai cercando qualcosa in particolare?» dissi, chinandomi accanto a lui.
«No, però.. avete trovato qualcosa accanto al corpo?» mi chiese, mentre il contatto ravvicinato tra i nostri visi aveva acceso le sue goti d’un colorito purpureo.
«Niente di particolare purtroppo.. a parte questo» gli mostrai il ciondolo.
Tutt’ora non riesco a descrivere l’espressione del suo volto, ma mi ricordo che i suoi occhi si illuminarono e prese tra le mani quell’indizio con un fazzoletto di stoffa.
«Questo potrà essere molto utile! Lo porto subito in commissariato!» disse, più euforico che mai.
«E il resto delle stanze? Non ti fermi ad analizzarle?» esclamai, non senza un po’ di sorpresa.
«Più tardi mia cara, adesso questo ciondolo dorato ha la precedenza! Ti chiamo io oggi pomeriggio»
 Lo fulminai con lo sguardo, mentre lui mi mandava un altro bacio. Eh no, adesso basta! Si sta  prendendo decisamente troppa libertà per i miei gusti.
«Cosa voleva quel mentecatto?» Lenzi entrò nella stanza e si sedette accanto a me.
«Deduco che nemmeno a te sia simpatico, giusto?» gli sorrisi dolcemente.
«E’ troppo spavaldo e si fa beffe di tutti.. e il modo in cui le si rivolge, capo! E’ inaudito!»
«Non ti preoccupare, basta non badarci. Stasera ti andrebbe di venire con me a prendere Daniel da sua nonna?» gli proposi.
Daniel giocava a calcio nel tempo libero, di solito tutti i sabati e le domeniche. Anche Lenzi da giovane aveva giocato a calcio, così avevo fatto incontrare i due un giorno d’estate: adesso erano migliori amici e regolarmente si divertivano con due tiri al pallone per passare del tempo insieme.
«Certo capo! Mi manca tantissimo quel furbetto di Daniel!» rispose, sorridendo a trentadue denti.
Ci alzammo entrambi dal pavimento, per poi andare lungo il corridoio alla ricerca di qualche traccia: c’era del sangue per terra. Sangue essiccato.
«E questo? Non mi sembra ci fossero macchie quando siamo arrivati la prima volta» considerò il mio collega.
«No, infatti..» confermai, apprestandomi a seguire quelle chiazze: portavano dritte alla stanza del signor Paul. Grazie alle ante di vetro dell’armadio sistemato accanto alla porta, riuscii a intravedere il diretto interessato che mi fissava nell’ombra.
«Avanti, venga fuori, mi dovrà spiegare un paio di cose..» mi voltai e fissai l’oscurità dell’altra stanza, sapendo che li in mezzo si nascondeva lui.
Infatti poco dopo il bell’imbusto di cinquanta e passa anni uscì con uno sguardo da gattino indifeso: vedesse che cambiamento da quando faceva il cascamorto con la cameriera.
Entrammo nello studio e, di malavoglia, chiusi la porta a chiave. Lui mi guardò terrorizzato.
«Stia calmo, non ho intenzione di torturarla o di legarla alla sedia elettrica. Solo desidero che non se ne vada da questa stanza fino a quando non mi avrà raccontato tutto per filo e per segno.
Si tranquillizzò, mentre io gli porsi una tazza fumante di tè caldo; poi mi sedetti di fronte a lui.
«L’alcol è uno dei miei peggiori problemi, mia cara Sophie.. posso chiamarla Sophie, ispettore?»
«Assolutamente si. Vada pure avanti»
«Capita molto raramente che io non sia ubriaco.. e di questo la signora Morgan se ne era accorta.» e qui notai che la sua voce assumeva un tono sempre più grave.
«Cos’è successo tre giorni fa?» lo incoraggiai.
«Lucia, ovvero la signora Morgan, mi aveva beccato in camera mia con una cameriera. La scena doveva essere raccapricciante, me ne rendo conto, fatto sta che si infuriò molto. La raggiunsi nella sua stanza, cercando di spiegarle; ma lei non volle sentire scuse, disse che avrebbe detto tutto a mio fratello..»
«E per la sua dignità, lei non poteva permetterlo, giusto?» intervenni io.
«In parte si.. ma capisce, in quel modo avrei perso l’affetto di mio fratello, l’unica persona che è stata buona con me! Così presi una statuetta e la colpii sulla schiena.. lei cadde a terra, esanime.»
«Capisce che questa è una confessione in piena regola, vero?»
«Si, e sono pronto a confermare tutto quanto: io ho ucciso Lucia.» disse, scoppiando a piangere.
Lenzi, che per tutto quel tempo era rimasto accanto a me, fece chiamare due agenti che ammanettarono Paul.
«Un’ultima cosa, signor Morgan.. era lei che mi osservava dalla finestra ieri, mentre ero di fuori?»
«No, commissario. Ieri sono rimasto tutto il tempo in camera mia, che si trova sul lato opposto rispetto al giardino»
«Grazie Paul, mi è stato di grande aiuto» mi venne l’istinto di abbracciarlo, ma alla fine gli strinsi solo la mano; sarà stato anche un ubriacone e un donnaiolo, ma il suo cuore in fondo era buono.
«E così, il caso è chiuso..» Lenzi fece per andarsene, ma io lo bloccai.
«Direi di no, invece.. insomma non ci ha detto nulla del ciondolo, abbiamo trovato la signora con un proiettile conficcato nel corpo, mentre lui ci ha detto di averla colpita con una statuetta.. no, qualcosa non quadra.»
«Magari per assicurarsi che fosse morta potrebbe aver sparato un colpo, in seguito potrebbe aver gettato via la pistola, completando la messa in scena con una lettera.»
«Io non mi fermo qui. C’è qualcun altro implicato in questa faccenda, e voglio scoprire chi.»
«In questo caso, capo.. sono con lei! Qual è la nostra prossima mossa?»
«Vediamo di interrogare quella donna.. come si chiama? Ah si, Anita , la sorella della vittima. Ho il sospetto che anche lei ci stia nascondendo qualcosa»
«Ed ecco la nostra investigatrice Corsini che si lancerà in un'altra entusiasmante avventura, accompagnata dal suo fido collaboratore.. riuscirà anche questa volta a districare il nodo di enigmi e domande irrisolte? Restate con noi!» urlò Lenzi, imitando la voce del presentatore del telegiornale mattutino.
«Cretino!» risi, dandogli un colpetto sulla testa.

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