Once I was Real…

di virgily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Fatale Monstrum ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - Vedo l'inferno nei tuoi occhi ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Chi diavolo sei tu veramente? ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Caos will kill us after all ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Lo vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici? ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 – So change your mind and say you're mine. ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 – This is not what it is, only baby scars ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 – Tell me who will make it out alive ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - You know I make you wanna scream ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 –Bury all your secrets in my skin ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 - Right Here In My Arms ***
Capitolo 12: *** Cap.12 - When you feel love like you never did ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 - Fatale Monstrum ***


Once I was Real…
Cap.1 - Fatale Monstrum

 
29-03-2013 ore: 00.53

Seduta con le gambe strette al petto, la testa riversata contro la seggiola, gli occhi rivolti verso il soffitto. Sono spersi nel vuoto, fissavano un punto indefinito della parete senza dargli alcuna importanza. Erano svuotati. Pesavo, elaboravo frammento per frammento scene di una storia che sapevo probabilmente non avrebbe letto mai nessuno. La massiccia scrivania di legno massello mi delimitava, quasi abbracciandomi, sostenendo un misero quaderno dalla copertina di pelle scura. Sulle pagine ingiallite vi erano piccole macchie di inchiostro nero. Poche parole accostate assieme: “Once I was Real…” , “Joker”. Non sapevo con certezza per quale assurdo motivo avessi deciso di scrivere una storia su di lui. No, non storia: Fiction. Beh, era sempre stata chiara a tutti la mia curiosa propensione per il principe clown di Gotham City. Mai mi ero risparmiata di ostentare il fascino che quel personaggio riusciva a suscitarmi. E quella notte, una di quelle in cui non riuscivo a prendere sonno perché il temporale era troppo forte, un pensiero bizzarro e, al contempo, assai intrigante aveva sorvolato la mia mente: “Perché non scrivi?” mi domandai “Beh, di sicuro mi concilierà il sonno…” e di tutta fretta, senza neanche infilare una vestaglia per coprire le braccia nude e le gambe scoperte dal piccolo pantaloncino di cotone, mi ero appollaiata accanto alla scrivania con la penna alla mano e un grosso dilemma nella testa: “E ora?”. Attesi minuti estenuanti, quasi interminabili, ascoltando il suono della pioggia battere con violenza contro la liscia parete vitrea della mia finestra, lasciandola tempestata di minuscole gemme incolore che luccicavano alla misera carezza della luce fioca dell’abat-jour accesa. Poi, improvvisamente, una voce vellutata e agghiacciante si era fatta largo nella mia mente, sbaragliando in un sol colpo tutti i miei pensieri confusi. Una risata cattiva, gustosa… inconfondibile. Buttai giù il primo titolo che mi venne in mente in quel breve attimo di ispirazione, e poi scrissi il suo nome. Piano, badando alla mia calligrafia che spesso poteva diventare confusa e disordinata. Cinque lettere che facevano salire un brivido lungo tutta la mia colonna vertebrale. E in quel momento, quasi cadendo in trance, riucivo a vedere davanti a me un mondo che non mi apparteneva: notte, oscurità, esplosioni… Se mi concentravo un poco, potevo sentire l’odore della benzina, l’odore del sangue. Abbozzai su carta una veloce mind map, giusto per dare un senso logico a quelle “visioni” a cui avevo preso parte. Senza rendermene conto, stavo creando lo scheletro della mia trama. L’Arkam Asylum, Batman, le lotte, le scorribande. Tutto era lì, nero su bianco, non mancava proprio nulla. Feci per posare la penna, quando un secondo lampo attraversò spietato il mio cranio da parte a parte. Tornai a scrivere, questa volta con continuità, quasi sotto flusso di coscienza se non fosse stato per la presenza della punteggiatura:

“Tu non mi appartieni, pertanto spero con la mia penna di essere all’altezza dell’audace impresa che mi sono riproposta, e di valorizzarti al meglio senza porre modifiche. Tu che saresti in grado di convertire chiunque, anche l’animo più puro, alla tua dottrina del caos. E io, in un certo qual senso, ci credo.

Virgily”

Rilessi quelle poche righe con cura. Prendendomi in giro. Era tardi, ero decisamente stanca, e stavo scrivendo ad un personaggio inesistente, lodandolo del suo essere malsano e meschino. Sorrisi, quasi ghignando. Probabilmente, se Joker fosse stato reale e avesse letto quello che avevo appena scritto, mi avrebbe uccisa con le labbra tirate in un bel sorriso. Un bel taglio netto alla gola. Sbadigliai rumorosamente e socchiusi il mio quaderno, ormai colmo di appunti e abbozzi di storie che non ero mai stata in grado di terminare. Per quanto amassi scrivere, non riuscivo a conciliare il tempo della stesura, della “magia” con quello della mia vita, con i miei ritmi e i miei doveri. Tornai a letto, camminando a piedi scalzi lungo il parquet che mi separava dall’ampio letto matrimoniale, disfatto ma ancora caldo. Spensi la luce, e quando il buio mi avvolse mi rannicchiai in posizione fetale tra le soffici coperte di morbida flanella. Chiusi gli occhi, godendo del solleticante formicolio che con tepore sfiorava la mia pelle. E nella quiete più totale, un nuovo irrefrenabile pensiero giunse al mio conscio, facendomi quasi sperare: “Se solo fosse reale e potessi restare a contatto con lui, certamente la mia storia sarebbe realistica. Un vero capolavoro di sopraffina follia” con uno scatto irrequieto mi stesi supina nel centro del letto, prendendo un respiro profondo: “Magari fosse vero. Sentire l’adrenalina scorrere a fiotti nelle vene. Avere la paura costante di poter morire da una secondo all’altro, godendo di ogni singolo istante passato con la sua nobile malvagità…” mi morsi le labbra, cercando di dare un freno alla strana piega che stava prendendo la mia immaginazione: “Smettila Virgily. Dormi. Sei pazza.” Tornai ad aggomitolarmi sul fianco sinistro, carezzando la fodera del cuscino. Respirai piano, abbandonandomi dolcemente al sonno, chiedendo al mio inconscio di aprire le sue porte, e concedermi almeno il privilegio di vivere un’avventura, che al mattino, sarebbe rimasta segregata in una anticamera irraggiungibile dalla mia memoria.

***

Il giorno sembra infinito, soprattutto quando gli studi e il lavoro mi impediscono di sognare ad occhi aperti. Giostrarsi la giornata tra libri pesanti e documenti da smistare non era mai stato facile, ma era il giusto prezzo da pagare per mantenermi l’appartamento in periferia e l’università. Certo, potevo sempre chiedere un contributo finanziario ai miei genitori, ma non amavo particolarmente chiedere prestiti che sapevo non sarei riuscita a risanare. E poi mi avevano abituata all’idea di essere indipendente, perciò era colpa loro se il mio orgoglio mi vietava di chiedere una mano anche quando ne avevo bisogno. Quel giorno lo stage era durato più del previsto, e archiviare quelle centinaia di pratiche di divorzio mi avevano letteralmente fatto venire la nausea oltre che a un gran mal di testa. Fosse stato poi un argomento utile per i miei studi! No, tutto il contrario. Uscii dalla cancelleria che orami era sera inoltrata, avevo mangiato poco e niente, e come se non bastasse, avevo letto solo una trentina di pagine del volume da trecento che mi ero portata a presso per le ore libere. Montai in macchina con un fastidioso bruciore alle gambe dovuto al freddo accompagnata alla stanchezza di star sui tacchi per più di nove ore di fila. Sistemai lo specchietto retrovisore, dando un’occhiata alla mia faccia smorta, pallida: gli occhi verdi erano cupi, contornati dal trucco ormai colato, accentuando le sue piccole occhiaie. Le labbra screpolate e i capelli bruni e arruffati colavano disordinati lungo le sue spalle. Decisamente un aspetto orribile, degno di una donna vissuta stanca della sua vita monotona, l’unico problema era che io non avevo da poco superato i vent’anni. Tra il traffico, la fila per mettere benzina e i simpatici semafori sempre piazzati sul rosso fisso, arrivai a casa tardissimo. Non era il quartiere dei più raccomandabili della città, ma per lo meno gli alloggi erano vivibili e con un basso costo di affitto. Presi le mie cose e cominciai a salire i cinque allegri piani di scale, che in mancanza dell’ascensore funzionante, parevano una lunga, lunghissima scalata verso la cima di una montagna. Le luci a basso consumo spesso gracchiavano, emettendo un suono poco rassicurante, ma dopo mesi mi ero abituata ad ascoltarle senza farci più caso. Piuttosto, giunta a destinazione con il mazzo di chiavi pronte tra le mani, ciò che mi lasciò di stucco fu il fatto che la porticina d’ingresso era socchiusa. Immediatamente mi arrestai sulla soglia, chiedendomi se fosse il caso di entrare o di chiedere aiuto a qualche vicino. Il cuore mi parve galoppare nel petto mentre afferravo la maniglia ottonata per spalancarla appena, permettendomi di ammirare lo spettacolo orribile che mi si presentò davanti: i mobili rovesciati a terra, una baraonda confusa, come se un uragano fosse casualmente passato di lì.
-Ci mancavano solo i ladri. Che bella giornata del cazzo…- imprecai cominciando a dare uno sguardo in giro, facendo una cernita degli oggetti di valore che potevano essere stati trafugati. Il televisore, lo stereo, i gioielli e i soldi nella cassaforte, tutto era al suo posto. “Che razza di ladro entra in una casa senza rubare nulla?!” mi domandai entrando in camera mia, verificando che fosse tutto apposto. il comodino, le lampade e la maggior parte delle mie cosa parevano essersi fuse con il pavimento. La finestra era aperta, e lasciava entrare una sottile brezza gelida che mi lasciò increspare la pelle al di sotto della camicetta chiara. Anche qui però, tutto sembrava essere rimasto più o meno intatto, fino a quando il mio sguardo non cadde sulla scrivania: il quaderno. Sparito. Ora cominciai ad agitarmi. C’era il mio mondo dentro quel quaderno, e forse era l’oggetto a cui tenessi di più. “Calma, Virgily… Calma…” mi dico cercando di respirare profondamente per non lasciarmi soggiogare dalla rabbia e dall’ansia. Immediatamente, a martellarmi il cervello, deconcentrandomi, il telefono cominciò a trillare alto. Sbuffo scocciata, uscendo ad ampie falcate per tornare nel modesto salottino ancora immerso nel disordine. Pochi istanti di ricerca, e trovai il telefono di casa nascosto tra i cuscini del divano e le sedie del tavolo mal disposte sul suolo. Neanche lessi il nome sulla schermata che subito risposi:
-Pronto?-
Silenzio.
-Pronto? Chi parla?-
Ancora silenzio. E il mio cuore mancò un battito.
-P-Pronto?- sussurrai piano.
-Tesoro? Sono io!- la voce femminile dall’altro capo del telefono mi rassicurò, facendomi sospirare di sollievo.
-Ciao mamma…-
-Tutto bene?- fu la sua classica domanda fatidica…
-Veramente… Mi sono entrati i ladri in casa…- risposi preparandomi al peggio
-Oh dio, ma stai bene?- “Hmm strano, si è trattenuta”
-Sì mamma tranquilla. Non hanno preso nulla…-
-Menomale. Chiuditi a chiave piccola. Ma vuoi che venga da te?- era preoccupata, e come biasimarla? Dopotutto non doveva essere facile sapere che alla sua piccola erano entrati degli estranei in casa frugando fra le sue cose. Sorrisi appena.
-No mamma, stai tranquilla…- risposi cercando di rassicurarla quando tutto a un tratto, la corrente, assieme alla linea, caddero. Un blackout totale, scandito dal suono prolungato che si propagava dalla cornetta portatile del telefono.
-Ma porca…- non feci in tempo a finire la frase che sentii qualcosa. Un suono strano. Come dei passi. E venivano dalla mia camera da letto. Mi si raggelò il sangue, tornai a tremare. Non vedevo bene al buio, ma riuscii ad afferrare il primo oggetto potenzialmente contundente che mi capitò a tiro: una gamba del tavolino rotto. A passi lenti ed incerti mi avviai per lo stretto corridoio, brandendo il pezzo di legno massiccio tra le mani. Avevo lasciato la porta aperta, e sporgendomi appena, nell’oscurità, riuscii ad intravedere una figura seduta al ciglio del mio letto. La luce della luna che filtrava dalla finestra aperta metteva il risalto la sua sagoma imprecisa, difficile da decifrare. Presi un respiro profondo, facendo un primo passo all’interno della stanza. Poi, un secondo rumore curioso: carta, pagine che venivano sfogliate. “Il mio quaderno!” pensai fremendo, quasi perdendo l’equilibrio. Mi scontrai contro il comodino, provocando un suono sgraziato e impacciato, cogliendo all’istante l’attenzione dell’intruso in casa mia. Ormai scoperta, tanto valeva farsi sotto e tentare di dargli una bella botta in testa e stenderlo. Così sollevai il bastone e mi scagliai contro di lui. Pochi passi, giusto il tempo di scorgerlo in volto quando si voltò contro di me. Impetrai, senza fiato, lasciandomi scivolare la gamba del tavolo dalle dita: volto ricoperto da cerone bianco, occhi freddi, spietati e profondi come due buchi neri che mi trapassarono da parte a parte. Sulle labbra, storpiate da due lunghe cicatrici in un ghigno malevolo, il segno scarlatto di un  rossetto corallo.
-Santo dio…- il mio fu un sussurro lieve, quasi impercettibile. Tuttavia, il sorrisino sadico che si disegnò sul suo viso quasi spettrale mi fece intendere che mi aveva sentita, e anche bene. Rise, e per la prima volta quella sua voce parve come la carezza molesta di una lama sulla schiena
-Dunque sei tu Virgily. Chissà perché non sei come ti avevo immaginato…- sorrise tornando a leggere tra le pagine del mio quaderno
-Bella sviolinata da parte tua. Tuttavia per quanto tu possa essere capace di scrivere frasi di senso compiuto e forbito… La tua trama pecca di superbia. È scontata. Banale… orrenda. Sotto ogni punto di vista, sì sì!- continuò sfiorando con le mani guantate gli angoli delle piccole pagine ingiallite. E nel frattempo, il mio cuore e la mia testa procedevano a funzionare per inerzia con un ritmo piuttosto confuso. Cosa diavolo stava succedendo?! LUI, era lì, innanzi a me… e stava insultando il mio lavoro neanche cominciato.
-N-Non è possibile…- mi tremavano le labbra, e la voce faticava ad uscire dalla mia gola,
-Cosa?- domandò a sua volta sollevando lo sguardo, fissandomi nuovamente con i suoi pozzi scuri e glaciali
-Tu… Non esisti…-
Silenzio. E i suoi occhi, in quei lunghissimi secondi che trascorsero a rallentatore, non si staccarono mai dai miei, scrutandomi con curiosità. Una risata acuta e inquietante scoppiò nuovamente sulla sua bocca. Con estrema facilità si portò una mano alla giacca, continuando a ridere, puntandomi una pistola contro. Non pensai, non c’era più tempo per farlo. Mi gettai a terra non appena fece fuoco, serrando le palpebre più forte che potevo. Un boato, lo sgretolarsi di polveri sottili. Mi voltai appena, osservando con occhi sgranati il maestoso buco che attraversò la parete che si trovava alla mi spalle. Se mi avesse colpita, come minimo, sarebbe riuscito a farmi esplodere la testa, lasciando schizzi cremisi e materia grigia ovunque. Cercai di riprendere fiato, di tenere i nervi saldi, sebbene sentissi i suoi occhi pesare su di me come un’incudine. Sollevai lo sguardo, ora era in piedi, e torreggiava su di me esponendo quel magnifico ghigno che riusciva ad incutermi una paura più profonda e malata del semplice terrore. Si chinò appena, accorciando le distanze fra noi. Faccia a faccia per la prima volta, Joker mi inchiodò con il suo sguardo, facendomi fremere mentre il suo fiato caldo sfiorava le mie gote pallide, madide di sudore freddo
-Allora, sono abbastanza reale per te, adesso?- soffiò sulle mie labbra, inumidendosi la bocca con un movimento repentino della lingua, gesto che trovai spaventosamente sensuale, mentre portava la canna della pistola sul mio viso, usandola per aggiustarmi una ciocca castana dietro l’orecchio, facendomi vibrare. Annuii lentamente, trattenendo a forza le lacrime “Non fare cazzate. Lui ti ammazza per davvero” disse una vocina nella mia testa.
-Bene. Adesso alzati… dobbiamo discutere- rispose sollevandosi, invitandomi a fare lo stesso. Sentivo le gambe cedere, eppure trovai la forza di ubbidirgli e seguire i suoi ordini, d'altronde ci tenevo, e non poco, a restare in vita.
-D-Di cosa dovremmo discutere di preciso?- osai chiedere. Rise, ancora. E più l’ascoltavo, più quel suono melodioso e tetro mi faceva rivoltare le viscere
-Ma della mia storia, sciocchina- affermò afferrandomi saldamente per la mandibola con una forza tale da provocarmi un intenso dolore. Mi fece indietreggiare, lentamente, continuando a mantenere i suoi occhi puntati contro i miei, lasciandomi disarmata e persa in quelle due pozze enigmatiche. Senza rendermene conto, Joker mi aveva messa a sedere sulla seggiola adiacente alla scrivania ancora intatta. Annullò nuovamente le nostre distanze, togliendomi il fiato:
-E la scriveremo a modo mio…- mollando la presa, lasciò cadere il mio taccuino sul tavolo, aprendolo frettolosamente su una pagina ancora bianca. Strinsi forte i pugni, mentre la mia cassa toracica si sollevava freneticamente. L’uomo dalla lurida chioma verdastra si posizionò accovacciato all’angolo dello scrittoio, incurvandosi contro di me, con la pistola alla mano, il ghigno nuovamente tirato.
-Dunque…- cominciò porgendomi una delle penne rimaste adagiate sulla superficie del tavolino massiccio. Titubante, allungai la mano ancora tremante, sfiorando con un movimento quasi impercettibile, le sue dita affusolate e vigorose al di sotto dei spessi guanti di pelle scura
-C’era una volta…- mi intimò, invitandomi a scrivere. Mi morsi un labbro, stendendo le prime lettere con cura. Per quello che potevo intuire, sarebbe stato capace di farmi fuori per la mia  brutta calligrafia. Ero piuttosto incerta della sua decisione, sebbene non avesse esitato a criticarmi per la mia banalità, stava cominciando quella che doveva essere la sua storia con l’introduzione più scontata del mondo delle favole
-Qualcosa non va?-
-N-No. Mi chiedevo solo se…-
-Se, cosa?- i lineamenti del viso affilati, contriti. L’arma da fuoco sollevata contro la mia tempia
-Se magari la scelta del “C’era una volta” non fosse…- mi fermai. Aveva caricato il colpo in canna, e le parole mi morirono in gola. Abbassai lo sguardo, terminai di scrivere in fretta, accontentandolo
-Bene- disse –Ora come possiamo continuarla? C’era una volta… chi?-  sfiorandosi il meno con il pollice e l’indice, il criminale  assunse un’espressione pensosa, cupa pur essendo concentrata. “Come diavolo è possibile” pensai “E perché mi sta facendo questo?”. Un silenzio pesante, quasi asfissiante, calò su di noi, mettendo in risalto tutti i rumori della città notturna, inconsapevole del fatto che per un motivo sconosciuto, l’irreale era diventato reale, e il mio “Fatale Monstrum” era comparso dall’ombra per trascinarmi via con sé.
-C’era una volta… hmm c’era una volta…- sentivo la sua voce ripetersi nella mia testa, mentre con lo sguardo sperso nel vuoto, e gli occhi gonfi di lacrime che a stento riuscivo a trattenere, fissavo un punto indefinito nella speranza di fare una previsione del mio imminente futuro: vivere o morire.
-… Un uomo che mi ha rovinato la vita…- le mie labbra si mossero quasi inconsciamente, la mia voce pareva una carezza flebile di morbido velluto. Doveva avermi sentita, mi guardava… questa volta era serio, sbigottito.
-Come siamo cattive…- ridacchiò cucciandosi sul mio viso, immergendo le mani tra i folti capelli scuri, costringendomi ad inarcare il capo contro di lui, che con le labbra appena umide di saliva e rossetto mi sfiorarono appena il lobo scoperto dell’orecchio
-Però ti confesso che mi piace- sghignazzando con voce rosa e viscida, facendomi fremere come una foglia secca ai suoi piedi.
“Virgily… Questa per te è la fine”
Tornai a scrivere, osservandolo di sottecchi nella sua maschera atroce quanto affascinante
“No. Non la fine. Ma l’inizio”.   

*Angolino di Virgy*
Vi presento la mia prima Fan Fiction su Joker. Ho avuto l'ispirazione giusto la scorsa notte. Ho pensato di scrivere qualcosa di diverso, di portare Joker alla realtà e confrontarsi con una giovane autrice dalla vita monotona e priva di emozioni. Spero che vi piaccia, in verità è solo un esprimento e sarete voi a dirmi se merita di essere continuata o meno. 
Grazie mille per la lettura, se volete lasciatemi una recensione. 
Un bacio
-V-

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Capitolo 2
*** Cap. 2 - Vedo l'inferno nei tuoi occhi ***


Cap. 2- Vedo l’inferno nei tuoi occhi

 
Faceva freddo, e le mie mani appena macchiate d’inchiostro nero tremavano piano, persistendo seppur stremate a stare dietro all’andazzo imprevedibile, e spesso sconclusionato, dell’uomo armato che sedeva ancora all’angolo della scrivania, torreggiandomi con occhi guardinghi e sadici. Dopo due intense ore, il pavimento era tempestato da piccole palle di carta accartocciata, dovute ai repentini sbalzi d’umore del clown che non appena cambiava idea mi prendeva il taccuino dalle mani, strappandone la pagina, facendomi ricominciare tutto da capo. Sentivo gli occhi secchi, le palpebre faticavano a mantenersi dischiuse. Per quanto sperassi che si trattasse tutto di un incubo spaventosamente realistico, le armi del criminale tornavano a ricordarmi il fatto che purtroppo era tutto vero.
-Stop!- gridò improvvisamente facendomi sobbalzare dalla seggiola. Sollevai appena lo sguardo, perdendomi inevitabilmente nelle sue grandi pozze scure che mi fissavano sornione ed euforiche, decisamente troppo euforiche. Ghignò rumorosamente, e dal canto mio deglutii silenziosamente, respirando piano.
-Leggi tutto- ordinò solennemente. Sospirai, e sfiorai con due dita i bordi arricciati del fragile foglio ingiallito, compilato con calligrafia imprecisa, piena di cancellature e solchi corvini. Riuscivo ancora a sentire l’odore dell’inchiostro fresco entrarmi nelle narici, quasi stordendomi.
-C’era una volta…- la mia voce faticò ad uscire. Sentii la mano pesante e calda dell’uomo posarsi sulla mia spalla, stringendola appena mentre le sue labbra giungevano ad altezza lobo:
-Ad alta voce ragazzina. Con intonazione…- ridacchiò sollevandosi poi compiaciuto dal mio brevissimo cenno d’assenso. Le labbra cominciarono a tremarmi, ma presa una bella boccata d’aria finalmente riuscii a parlare:
-C’era una volta una mocciosa assai superba che credeva di poter curare la follia di un uomo. Profonda era sua arroganza, tale da farle credere di trovare la sua anima perduta…- mi morsi con forza il labbro inferiore, rabbiosa. Era impossibile non intendere le sue allusioni, e il fatto che mi stesse costringendo a leggere ad alta voce ciò che pensava di me, e che mi aveva forzato a scrivere nero su bianco, faceva vacillare anche quella misera autostima che mi impediva di sentirmi inutile.
-Continua… Ti prego è musica per le mie orecchie!- rise, crudele.
“Sul serio, cosa ti aspettavi da lui?” pensai mentre continuavo a lasciarmi torturare dal suo sguardo affabile e dal suo sorriso tirato, come una misera pedina nelle sue abili mani da criminale spregiudicato
-Ma la sua insulsa presunzione di poterlo cambiare non la portò molto lontano…-gli occhi erano gonfi, potevo sentire le lacrime amare bruciarmi le guance, come acido, rigandole finemente. Sentivo la testa scoppiare, e il mio orgoglio urlare. Quella non ero io...
-Basta!- affermai seria, trattenendo i singhiozzi, arrestandomi tutto a un tratto. Il clown sbatté più volte le ciglia, colto alla sprovvista.
-Prego? Non credo di aver sentito bene…- affermò riducendo le palpebre in due piccole fessure, scrutandomi intensamente. Ricambiai lo sguardo, per la prima volta senza timore, ma con sprezzo. Sentivo il cuore battere forte nel petto, l’adrenalina avvelenarmi il sangue nelle vene.
-Ho detto basta. Non ho la minima intenzione di continuare a farmi umiliare da uno come te…- le parole mi erano fuoriuscite d’impeto, fluide e decise. Ero stata coraggiosa tutto sommato, e proprio quando Joker fece per aprir bocca, inevitabilmente mi chiesi se sarei stata nuovamente capace di fronteggiarlo. Dalle labbra scarlatte dell’omicida, un risolino divertito fuoriuscì languido, accompagnando le sue mani che prontamente mi afferrarono per il viso. Mi sollevò con forza dalla sedia, stringendomi al suo corpo. Il calore sprigionato dal suo petto e dalle sue occhiate roventi, andavano in netto contrasto con il gelo della sua voce ben modulata e la pistola premuta contro la mia tempia:
-Uno come me eh? Dimmi allora, bambolina, come sarei?- si inumidì le labbra, lucidando il trucco vistoso su di esse. Rimasi per qualche istante a fissare il perimetro di quella bocca sinuosa, intravedendo le lunghe cicatrici prolungate sulle gote ricoperte di trucco. Quante volte avevo sognato una vicinanza così spaventosa con lui? Poterle ammirare cercando di scorgere la verità celata al di là di esse, di scoprire la radice del “male” impiantato in lui, non per estirparlo… Solo per comprenderlo.
-Ebbene? Io sto ancora aspettando. Non vorrai mica dirmi che i tuoi bollenti spiriti si sono già sopiti…- aggiunse stringendomi con veemenza, costringendomi a guardarlo dritto negli occhi, così che potesse penetrarmi dentro, e svuotarmi, smontarmi pezzo per pezzo, studiandomi. “Non fare stronzate Virgily. Te ne pentirai, lo sai…” la razionalità persisteva nel dissuadermi dall’aprir bocca, tornando mansueta e servizievole, passiva. Ma i conati di parole che inasprivano e otturavano il mio esofago erano più forti, e non avevo la minima intenzione di tenerli nascosti ancora per molto
-Sei un essere viscido, senza scrupoli. Amorale, imprevedibile, menefreghista. Sei ciò di più schifoso che possa esistere sulla faccia della terra. La tua anima, se ne hai mai avuta una, è andata a farsi benedire tempo fa. Ma a me non mi è mai importato nulla di tutto questo. Sai, ti stimavo perché sei grande nella tua malvagità, perché paradossalmente sei “giusto”. È vero, forse sono stata arrogante nel propormi di scrivere una storia su di te, ma ciò non ti da il diritto, adesso che sei reale, di giudicarmi come persona perché tu non mi conosci, Joker. Io sì- un vomito di parole era sgorgato a fiotti, e con occhi feroci gli lanciai uno sguardo di sfida, non curante delle conseguenze. Me lo dicevano sempre “sei troppo impulsiva” e per la prima volta mi ero letteralmente disinteressata alle conseguenze delle mie azioni, pur avendo una pistola puntata contro da un personaggio instabile e incline agli omicidi a sangue freddo. Joker rimase in silenzio, senza tuttavia togliermi gli occhi di dosso. E quella quiete austera e spettrale quasi mi preannunciava il peggio, perché il volto dell’uomo si era tramutato in una maschera priva di espressioni. Riuscivo a sentire il sibilare del vento, il ticchettio dell’orologio appeso al muro. Tik-tak; tik-tak. E gli angoli della sua bocca si sollevarono verso l’alto. Tik-tak; tik-tak, le sue dita mi entrarono nella carne, stringendomi la gola, impedendomi di respirare regolarmente.
-Sai cosa?- disse, passando il ferro congelato della sua arma da fuoco sui solchi invisibili delle mie lacrime,
-Non sei affatto quella bambinetta priva di carattere che pensavo tu fossi- abbozzai la linea sottile di un sorriso. “Dovrebbe essere un complimento?”
-Anche un genio può sbagliare…- risposi affilata, prendendo quasi meccanicamente iniziativa, come se in realtà sfidarlo mi piacesse più di quanto pensassi.
-Non darti troppe arie, bambolina. Non vuol dire che non ti ucciderò, prima o poi-
-Tutti dobbiamo morire. È destino- rise, questa volta di gusto
-Queste perle di saggezza non ti renderanno la permanenza con me più facile-
-Chi ti ha detto che non sia quello che io voglio?- domandai spavalda, facendomi quasi paura da sola per la tonalità bassa e suadente che la mia stessa voce aveva di punto in bianco assunto,
-D'altronde, se sei qui forse è perché il mio desiderio iniziale era quello di capirti…- Joker, cogliendomi di sorpresa, abbassò la pistola, sollevando divertito e beffardo il sopracciglio sinistro
-In molti hanno tentato di capirmi, tesoro. E nessuno ci è mai riuscito- rispose sicuro di sé, accorciando le distanze tra i nostri visi, come se desiderasse mettermi in difficoltà. Inevitabilmente le mie guance pallide arsero non appena il suo fiato carezzò la mia pelle. Il mio cuore mancò un battito. Sapeva essere un diavolo tentatore quando voleva, e con quegli occhi languidi e ammalianti sicuramente sarebbe riuscito a farmi sciogliere in poco tempo. Raccolsi le mie ultime energie, ricambiando la seduttrice premura:
-Io non sono come quei “molti”. Io sono io- soffiai sulle sue labbra con il fiato mozzato dalla sua presa. Una risata tempestosa scoppiò fragorosamente, propagandosi per l’intera stanza. Lasciò la presa, scostandosi dal mio corpo frettolosamente, quasi come se miracolosamente fossi riuscita a tentare il tentatore. Si aggiustò una ciocca dei suoi riccioli verdognoli dietro l’orecchio, asciugandosi poi la fronte madida di sudore
-Devo ammetterlo, bambolina. Ti basta una carica con la giusta chiave, e quella tua aria da innocentina farebbe fare carte false anche al più virtuoso degli uomini…- sogghignò afferrandomi audacemente per il mento, questa volta con una presa gentile ma al contempo salda, vigorosa. Ci scrutammo nuovamente, e questa volta ero compiaciuta della mia presa di posizione. “Una volta ogni tanto allora la mia impulsività ripaga”
-Bene- affermò infine lasciandomi definitivamente, strappando la pagina del mio quaderno per accartocciarla e gettarla al suolo
-Credo che sia ora che tu vada a letto- sgranai gli occhi
-C-Cosa?- domandai incredula
-Non ti reggi in piedi e poi, ho ottenuto la reazione che volevo…- sbalordita una seconda volta, le mie labbra si spalancarono di colpo. Mi aveva presa in giro per tutto il tempo.
-Mi stai dicendo che mi hai fatta sentire uno straccio affinché reagissi contro di te?-
-Ma era ovvio mia cara!- ridacchiò –Se non avessi visto qualcosa in te a quest’ora saresti in obitorio- canzonatorio mi diede un buffetto sulla testa, invitandomi a mettermi a letto. In quel preciso instante, una seconda scarica violenta di conati di insulti mi otturò l’esofago, ma con un respiro profondo riuscii a trattenermi dal inveirgli contro. Meglio non esagerare, altrimenti sarei riuscita davvero a fargli perdere la pazienza. Dovevo arrendermi, mi aveva fregata. Velocemente allora, afferrai il pigiama da sotto il cuscino e feci per correre in bagno quando la sua voce mi inchiodò sulla soglia della camera:
-Da domani cominciamo a fare sul serio. Se la storia si scrive, lo si fa a modo mio. Ma questo già lo sai…-
-Sì, lo avevo intuito-  effettivamente sarebbe stato difficile dimenticare cosa si prova a scrivere sotto dettatura con un clown psicopatico che minaccia di ucciderti. Mi voltai nuovamente. Con ampie falcate allora Joker mi prese per un braccio, facendomi volteggiare contro di lui. Andai a sbattere dritta contro il suo ampio petto, rivestito da tessuti morbidi e sgargianti. Istintivamente posai una mano sul suo torace, quasi con l’intenzione di scostarlo da me, sebbene all’atto pratico non effettuai alcuna pressione. Sollevai lo sguardo, e i suoi occhi mi penetrarono spietati,
-Non interferirò con la tua vita. Ma fai qualcosa di sbagliato, signorinella, e io ti ammazzo- "che significa?" impetrai, diventando immobile come una statua quando un brivido mi percosse da capo a piedi. E tuffandomi nelle sue iridi scure per la prima volta vidi l’inferno.


*Angolino di Virgy*
Ecco a voi il secondo capitolo. Onestamente è piuttosto breve ma spero che vi piaccia, ci sono molti avvenimenti che devono ancora succedere, incontri ancora da fare, storie da raccontare e sopratutto una fic da scrivere.
Recensite in molti, mi piacerebbe sapere come sto andando, dove devo ancora migliorare e sopratutto se la trama per ora vi piace o anch'essa deve essere modificata.
Ringrazio di cuore ary_cocca88 per aver inserito la storia tra le seguite e Chihiro per averla inserita tra le ricordate :3 
Un bacio
-V-

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Capitolo 3
*** Cap. 3 - Chi diavolo sei tu veramente? ***


Cap. 3 – Chi diavolo sei tu veramente?



Una volta barricatami nel bagno, posai le spalle contro la parete lignea della piccola porticina chiusa a chiave. Pesantemente mi lasciai scivolare a terra, con le ginocchia portate al petto e il cambio appallottolato disordinatamente sul grembo. Respirai profondamente, cercando di fare mente locale, ringraziando tutte le divinità esistenti per il fatto che fossi ancora viva. Era stato orribile sentirsi trattare in quella maniera fredda, distaccata; eppure mi ero ripresa bene, mi ero lanciata a capofitto nel vuoto, incurante del pericolo. E gli ero piaciuta.
“Se non avessi visto qualcosa in te a quest’ora saresti in obitorio” la sua voce rimbombò più volte nella mia testa, facendosi mano a mano sempre più fragorosa e tagliente. Cosa voleva dire? Cosa aveva visto in me? Che fosse stata davvero la mia sola sfuriata a convincerlo di meritarmi la vita? “No, impossibile. Non ci credo… Non può essere stato per questo” pensai portandomi una mano sul capo, inoltrando le dita tra i colti capelli bruni, massaggiandoli appena prima di cominciare a grattarmi quasi nervosamente “E allora per cosa?” mi morsi le labbra, stropicciandogli gli occhi che nel frattempo mi bruciavano per la stanchezza. Come mio solito, alle mie domande non trovai risposta, così sollevandomi impacciatamente dal pavimento, mi posizionai di fronte al lavabo, facendone fuoriuscire un bel getto d’acqua freddo. Mi sciacquai più volte il viso, cercando di alleviare la stanchezza che mi si aggrappava saldamente al collo portandomi giù con sé. Sollevai lo sguardo, incrociando il riflesso opaco dei miei cupi occhi verdi: il pallore delle gote, le macchie scure nelle palpebre inferiori, le labbra screpolate, solcate da piccoli tagli che gli conferivano il colore del sangue. Sollevai beffarda l’angolo sinistro delle labbra, Joker aveva ragione, ero uno straccio. Mi cambiai in fretta, redendomi conto che ci stavo impiegando troppo tempo. Ammucchiai i vestiti in una cesta accatastata al fianco della piccola doccia, e spengendo la luce mi avviai ad ampie falcate per lo stretto corridoio che mi separava dalla camera da letto. A piedi nudi, fremendo per il freddo contatto con il pavimento liscio, l’aria carezzava le mie gambe, scoperte dal corto pantaloncino. Mi portai le braccia al petto, anch’esse nude a causa della canottiera scura, riscaldandole con le mie stesse mani. Avevo lasciato la porta d’ingresso alla stanza semi aperta, così che mi potessi affacciare per spiare la situazione prima di entrare direttamente: buia, fredda… Proprio come l’avevo lasciata. E lui era seduto sulla seggiola, con le gambe posate sulla scrivania e le braccia a sostenergli il capo. Mi dava le spalle, ma sapevo, o meglio sentivo, che si era accorto della mia presenza:
-Ci hai messo un po’… Mi stavo giusto chiedendo se non fossi scappata- affermò senza neanche voltarsi, continuando a fissare imperterrito al di là della piccola finestra.
-Dubito che, in una situazione del genere, scappare serva a qualcosa…- risposi abbozzando un sorriso amaro, consapevole della mia misera condizione. Mi avviai sul ciglio del letto, sollevando le coperte, senza accorgermi che l’uomo si era voltato a guardarmi. Soltanto quando riuscii a percepire i suoi occhi quasi toccarmi, per quanto fossero intensamente fissati su di me, mi permisi allora di guardarlo. La luce della luna gli tagliava una diagonale sul viso, mettendone il risalto l’iride scura e il rosso delle cicatrici; sedeva composto, con la giacca posata sulle gambe, e le maniche della camicia sollevate sino ai gomiti, mettendone il risalto la linea delle spalle e delle forti braccia. Mi lasciai scrutare mentre scivolavo appena sotto le lenzuola incapace di dire una sola parola che il mio cuore cominciava a battere forte. Perché mi guardava così? Pareva curioso, come se non mi conoscesse. Effettivamente non mi conosceva, però nei suoi occhi mi sembrava come se mi stesse guardando veramente per la prima volta, osservando con minuziosa attenzione ogni mio piccolo movimento. Studiandomi e non solo.
-Beh, vedo che l’intelligenza non ti manca…- constatò freddamente tornando alla sua posizione precedente. Un sottile velo di silenzio ci avvolse, e io rimasi per attimi interminabili a mirare la sua figura di schiena.
-Vai a letto ragazzina. Tra poche ore sarà l’alba…- affermò schietto irrompendo violentemente in quella quiete piena di interrogativi nell’aria che ancora non avevo il coraggio di porgli. Sobbalzai appena, colta alla sprovvista. Sollevai le coperte sino alle spalle, poi sollevandomi sui gomiti l’osservai per un’ultima volta con il fiato corto, il cuore a mille e le labbra socchiuse
-Tu non vieni?- così, d’impeto, avevo nuovamente dato fiato alla mia bocca senza pensarci. Io, prigioniera in casa mia, che chiedevo ad un supercriminale di coricarsi al mio fianco. Una risata colorì la stanza, e voltandosi di scatto mi espose un ghignetto sghembo, viscido, carico di desiderio e al contempo di scherno
-Cos’è la mia bambolina ha paura del buio?- si sollevò piano, adagiando la lunga giacca violacea sullo schienale della sedia, avvicinandosi al mio giaciglio. Quasi inevitabilmente, ad ogni suoi passo, strisciavo arretrando fin quando non trovai la testiera del letto ad impedirmi ogni movimento. Non mi piaceva il suo sguardo, mi rifiutavo perfino di decifrarlo, sebbene fosse quasi impossibile non vedervici dello sporco e lurido desiderio puramente carnale e meschino. Giunse al mio fianco, torturandomi con i suoi occhi, togliendomi il fiato man mano che s’incurvava contro di me:
-O magari, hai soltanto voglia di qualcuno che ti faccia… “compagnia”- ridacchiò soffiandomi sulle labbra, gustando la mia espressione contrita e spaventata. La vicinanza tra noi era a dir poco inquietante, tuttavia c’era qualcosa dentro di me, difficile da spiegare. Era come una forza, un fuoco che mi logorava il petto, e più le mie iridi si scontravano sulle sue, più una bramosia dentro mi me premeva costantemente, soffocandomi. Sembrava quasi che la sua presenza scatenasse il lato peggiore di me stessa “Ma dopotutto è con Joker che hai che fare…”. Respirai profondamente, ricercando un qualsiasi appiglio alla razionalità che mi riesumasse da quell’abisso scuro e voluttuoso nel quale stavo affogando. Inarcai poi un sopracciglio verso l’alto, ritrovando quell’impulsiva voglia di sfidarlo che già mi aveva permesso di disfarmi di una situazione scomoda:
-Sei uno schifoso…-
-Lo so. Ma non mi sembra che ti dispiaccia…- ghignò sfiorandomi appena il viso con la punta delle dita. Immediatamente lo discostai, e ignorandolo scocciata mi gettai con il capo sul cuscino, dandogli le spalle. Divertito dalla mia reazione, il clown rise ancora.
-Idiota…-Cercai di mantenermi il più seria possibile, ma dopo poco tempo mi accorsi di avere a mia volta lo stimolo del riso che mi faceva tremar le labbra. continuò a ridere, e io con lui. Poi, quietandosi, mi lasciò un buffetto leggero sul capo, sollevandosi dal letto per tornare a sedere sulla sedia
-Buonanotte- dissi rannicchiandomi in me stessa, accoccolata tra le morbide lenzuola. Pazientai quasi con ansia una sua risposta, ma le mie palpebre erano troppo pesanti, e alla fine ebbero la meglio. Volevo aspettarlo, ascoltare la sua voce. Ma non sentii proprio nulla.

***

-Buonanotte- uno squittio sottile, quasi melodioso giunse alle spalle del clown, cogliendolo di sorpresa. S’arrestò di colpo, con lo sguardo sperso nel vuoto. Era sincera, lo riconosceva dal tono pacato e sereno della sua voce. Buonanotte. Da quanto tempo non se lo sentiva dire? Troppo, decisamente troppo. Scosse il capo, sgrullandosi di dosso quella grigia malinconia che stonava con i colori della sua follia. Era rimasto di stucco, doveva ammetterlo. Fece retro front, costeggiando nuovamente il grande letto dalle lenzuola scure. Con cura, trattenendo il fiato per non cogliere la sua attenzione, l’uomo si chinò su di lei, osservandola riposare. Era crollata in un sonno profondo, in posizione fetale rannicchiata in se stessa con le braccia strette al petto. Il suono dei suoi respiri era soffice, regolare, tranquillo. Le labbra appena dischiuse, dalle quali poteva ancora sentire quel buon augurio uscire fuori per colpirlo. Ed eccolo lì, Joker, l’agente del caos, disarmato da un insignificante “Buonanotte” pronunciato da una mocciosa che certamente non sapeva quello che faceva, quando con il suo desiderio lo aveva trascinato nel suo mondo. Chi mai sarebbe stato così coraggioso da chiamare proprio lui, un omicida schizofrenico, che ama vedere le proprie vittime contorcersi sotto la lama del suo coltello? Nessuno. Tranne lei.
Al mattino, poche ore più tardi, quando piccoli raggi ocra s’insinuarono nella buia camera, Joker giaceva su quel grande letto, con le mani posate sul petto, gli occhi spalancati rivolti contro il bianco soffitto. La giacca sostava sulle sue gambe, come una coperta. Non ci aveva neanche pensato, non appena fu pienamente certo che Virgily si fosse addormentata, il clown con passo felpato era silenziosamente scivolato al suo fianco; vicino, mantenendo al contempo una rigida distanza di sicurezza. E per le ore che seguirono era rimasto lì, immobile come una statua, facendo quasi attenzione ad ogni suo piccolo movimento, dal respirare all’aggiustarsi il guanciale sotto la testa. Era calmo, lo si capiva dal fatto che non aveva ancora qualcuno, ma non era annoiato. Ripensandoci bene, tutta questa situazione assurda era eccitante, dopotutto. Catapultato in un’altra dimensione, “legato” chissà per quale motivo alla ragazza che dormiva al suo fianco, sepolta sotto le coperte. Questa, con un mugugno flebile e soffocato, si voltò quasi svogliatamente, posizionandosi supina, portando le braccia al difuori del suo caldo rifugio, allungate morbide lungo i fianchi, delineando la soffice silhouette nascosta sotto le tiepide lenzuola. Eccola, Virgily, la causa di tutto. “Come mi ha portato qui? E come può una creatura così debole provocare tutto questo?” si domandò voltandosi sul fianco destro, puntando il gomito per potersi sostenere il capo sul palmo aperto. Da quella posizione poteva avere una visuale più appropriata: lunghe onde color ebano che si diramavano a raggiera sul cuscino, gli arti scoperti, l’ovale rilassato come se si fosse dimenticata di chi avesse dentro casa. Si morse appena il labbro inferiore, ancora sporco di trucco, e fece camminare l’indice e il medio della sua mano sinistra lungo un percorso invisibile che lo portò dritto dritto sul braccio della giovane. Indossava ancora gli spessi guanti di pelle, e pur non potendo percepire direttamente quel lieve contatto, l’uomo immaginò che dovesse essere morbida, calda e vellutata. Un tepore genuino, innocente. Poi, cogliendolo di sorpresa, un’immagine veloce come un flash percosse la sua mente. Un ricordo: i suoi occhi verdi, scuri ed enigmatici puntati contro di lui, la bocca piccola e sottile si muoveva sinuosa. Parole affilate, argute. Spavalda, impulsiva, combattiva. Joker sbatté più volte le palpebre, guardando nuovamente la donna al suo fianco chiedendosi da dove provenisse quella audacia. Senza pensarci, l’uomo ritirò la mano, portandosela alla tasca dei pantaloni, estraendone un coltello a scatto. Con un suono deciso e metallico la lama fuoriuscì immediatamente, brillando sotto la luce del sole ormai sorto. Era lucida e pulita, tanto che il Joker poteva specchiarvici al suo interno. Fece passeggiare le sue dita nuovamente su di lei, questa volta portandosi dietro la fida compagna. Con bramosia si passò la punta della lingua per tutto il perimetro delle labbra, e sorridendo con gli occhi colmi di una luce estranea e malata, il criminale cominciò dispettosamente a passare la punta del suo pugnale sulla pelle candida della ragazza ancora dormiente. Non effettuò alcuna pressione, semplicemente tracciava linee invisibili sul suo copro, salendo dal braccio con linee sinuose sino alla spalla, dove vi tracciò sottili circonferenze concentriche. Il vero divertimento cominciò quando notò la superficie liscia della sua carne cominciare ad incresparsi, facendole venire la pelle d’oca. Doveva essere piacevole, perché sul viso della bruna vide l’angolo delle labbra sollevarsi piano. Joker ghignò e volendo approfondire quel gioco affascinate, si avvicinò ulteriormente, deciso a verificare fino a che punto poteva provocare quella bella pelle sottile e delicata. Passò il filo della lama lungo la sua clavicola, facendole calare una bretella fina del pigiama lungo la spalla. Con una parte del decolté in vista, si ritrovò compiaciuto con molto più spazio su cui lavorare. La carezzò sadico, punzecchiandola appena. E rise, rise spassionatamente quando la vide dimenarsi assonnata , inconsapevole di trovarsi sotto la sua mano armata. Poi, uno scatto improvviso, probabilmente dovuto all’imminente risveglio, e dal suo amabile coltello venne tracciata una sottile linea cremisi che si prolungò per dieci centimetri proprio sotto l’incavo della clavicola. Il ghigno dipinto sulla faccia di Joker si spense nel momento esatto in cui vide piccole gemme liquide colare dense, macchiando il petto della bella addormentata, che sospirando sommessa spalancò gli occhi.

***

Ero ancora frastornata, sentivo i brividi corrermi lungo tutto il corpo, e un bruciore fastidioso tartassarmi la spalla e il petto. Trattenni a stento un gridolino per il dolore che si propagò a macchia d’olio sul mio petto subito dopo. Le mie palpebre si spalancarono violentemente, per poi richiudersi, provate dal cambio improvviso di luminosità. Mi sollevai piano, poggiandomi sulla testiera del letto, stropicciandomi gli occhi. Sbadigliai, mentre la brezza del mattino penetrava dalla finestra venendomi a svegliare. Sentii freddo e solo allora mi accorsi di essere fradicia. Portai una mano al petto, tastando una sostanza viscosa che al solo sfiorarla fece aumentare il bruciore. Strinsi forte i denti e osservai incerta di cosa si trattasse: Sangue. Avevo il seno e la maglietta completamente sporco, ma i miei occhi non fecero altro che fissare sconcertati le mie dita tinte di rosso. Inevitabilmente cominciai a tremare, fremendo come una foglia mentre voltavo il capo verso sinistra, osservando gli occhi scuri e languidi del clown al mio fianco. Aveva i lineamenti del viso rigidi, seri, tra le mani un coltello. Rabbrividii, indietreggiando impacciatamente non appena lo vidi avvicinarsi
-C-Che cosa hai fatto?- domandai in un sussurro. Avrei voluto piangere ma non ci riuscivo. Ero sconcertata, avevo paura. Eppure nel suo sguardo non vi era alcuna traccia di quello spirito sadico e assetato di sangue che spesso e volentieri si impossessava di lui. Senza dire una parola, Joker lasciò il coltello, e afferrò la sua giacca. “Cosa prenderà adesso? Dio ti prego fa che non sia un coltello più grosso” pregai sentendo il cuore galoppare nel mio petto, quasi sul punto di cedere. Poco dopo, da quella giacca ne tirò fuori un fazzoletto di stoffa e una fiaschetta di acciaio. Stappò energicamente il piccolo contenitore e ne riversò buona parte del suo aspro contenuto sul brandello di stoffa sgargiante. Sollevò lo sguardo, fissandomi intensamente, avvicinandosi piano. Portò l’impacco contro di me, e imprudentemente feci per assestargli uno schiaffo. Ma i suoi riflessi erano assai più preparati dei miei, e con un movimento repentino e ben piazzato, riuscì non solo ad immobilizzarmi contro il suo corpo, ma anche ad inchiodarmi con i suoi occhi grandi e ammalianti, facendomi perdere nel vuoto.
-Shh…- Posò l’indice guantato sulle mie labbra, sfiorandole appena. Portò poi il fazzoletto sulla ferita, e immediatamente sentii come una fiamma viva sciogliermi i tessuti e la carne. Cacciai un urlo, e prontamente l’uomo mi strinse a se, soffocando le mie grida nel suo ampio petto. Strinsi la stoffa del suo gilet, quasi conficcandogli le unghie nella schiena, e una lacrima mi scese calda sulle guance. Cominciai a respirare profondamente, pian piano abituandomi a quella strana sensazione straziante che mi stava letteralmente lacerando. Alzai a fatica il capo dai suoi pettorali, ritrovandomi senza alcuna via di scampo a pochi centimetri dal suo viso. Il trucco ormai rovinato lasciava intravedere il colorito dolce della sua pelle chiara, e anche i suoi capelli rivelavano sotto tutta quella melma verde dei sottili riccioli d’oro. Affogai le mie iridi sulle sue, in cerca di qualcosa di cui nemmeno sapevo di cosa, di preciso, si trattasse
-Volevo solo giocare un po’…- ammise, corrucciando le labbra. Forse mi stava porgendo le sue scuse, cosa che mai avrebbe fatto direttamente, e in quel piccolo istante, riuscivo a vedere nei suoi occhi una piccola scintilla: era preoccupato? Davvero era dispiaciuto per me?
-Non importa…- sussurrai abbozzando un piccolo sorriso. Socchiusi gli occhi, lasciandomi scappare un’ultima lacrima trasparente, e abbandonai il viso nuovamente sul suo corpo, lasciandomi avvolgere dal suo curioso tepore. Aveva un buon odore, non sapevo descriverlo, ma era piacevole. Dolce, non sapeva di sangue. E il suo cuore, Batteva! Forte e vigoroso, andava come un treno. Sentii improvvisamente le sue dita inoltrarsi nella mia folta chioma, non mi fece male, al contrario mi carezzò la testa con gentilezza. Sbuffò, forse scocciato, o magari confuso proprio come me, che mi nascondevo tra le braccia di un assassino,
-Ma chi diavolo sei tu veramente?- la sua bocca sfiorò appena il mio orecchio, procurandomi dei lunghi ed estenuanti brividi che mi spinsero a cercare ulteriore riparo contro il suo petto. Indugiai. Non sapevo cosa dire. Tum-tum. Tum-tum. Il suo cuore, nella mia testa. Sospirai, carezzando con la punta del naso la stoffa sottile che mi separava dalla sua pelle.
-Potrei farti la stessa domanda, Joker-

*Angolino di Virgy*
Eccomi con il terzo capitolo!
Spero vivamente sia di vostro gradimento, ce la sto mettendo tutta!
Ne approfitto per fare un paio di ringraziamenti :3
Ringrazio di cuore ary_cocca88 per aver recensito il capito 2.
Fra_Jones per aver inserito la storia tra le seguite e Chihiro per averla inserita tra le ricordate.

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Capitolo 4
*** Cap. 4 - Caos will kill us after all ***


Cap. 4 – Caos will kill us after all



Ero a lavoro, ma solo fisicamente. Restavo immobile, seduta alla mia postazione con due pile di scartoffie e pratiche processuali da poco terminate che aspettavano solo di essere archiviate. Picchiettavo l’estremità della penna sul piccolo blocco di fogli gialli sul quale stavo scrivendo qualcosa, prima di perdermi nella serie sconclusionata dei miei pensieri, mescolati ad una buona dose di ricordi. La sua voce pareva un sussurro che traversava la mia testa da parte a parte: “Ma chi diavolo sei tu veramente?”. Era una domanda curiosa, e certamente inaspettata. Sospirai piano, cominciando seriamente a pensare di mettermi a lavoro: afferrai le prime cartelle, cominciando a catalogarle con cura sebbene fossi ancora frastornata dai mille punti interrogativi a cui non riuscivo a darmi una risposta. Portai una mano al viso, scostandomi una ciocca da davanti agli occhi. Leggero, difficile da percepire, il suo odore sembrava essere rimasto lievemente intaccato tra i miei capelli. Non ne ero sicura, ma li annusai appena giusto per rendermi conto se fossi io ad essere fusa oppure no. Aspirai profondamente, solleticandomi le narici con una sottile ciocca bruna: aroma suadente, particolare… Semplicemente suo. Fu più forte di me, ma rimasi quasi in uno stato di estasi, dovuto all’inevitabile rimembrare: io, stretta fra le sue braccia mentre disinfettava alla buona la ferita che “per gioco” mi aveva procurato. In quel momento mi era sembrato impacciato, come se fosse stato un gesto innaturale, e beh… forse lo era. Dopotutto quando mai il principe clown si era degnato a carinerie del genere nella sua vita di agente del caos? A quanto mi risultasse, mai. Ecco allora che un lampo di genio mi fece sibilare: “Forse è proprio per questo che mi ha domandato chi sono. Magari…” non feci neanche in tempo a finire di pensare che intravidi una figura sostare innanzi alla mia scrivania, fissandomi intensamente. Sollevai lo sguardo, osservando ancora stordita il giovane che cominciò a sorridere beffardo: capelli scuri, occhi azzurri e languidi, un portamento e un atteggiamento affabile e loquace. In altre parole, Andrew Night.
-Abbiamo fatto le ore piccole eh?- ridacchiò afferrando alcune delle pratiche che tenevo sulla scrivania. Lui era uno degli avvocati divorzisti per cui ero alle dipendenze. Intraprendente, ingamba e sapeva sempre come soddisfare il suo cliente. E sebbene in un aula di tribunale sapesse bene come farsi valere, appena usciva fuori con un altro successo intascato riusciva a diventare quell’adorabile imbranato per cui andavo pazza da due anni a questa parte.
-Diciamo di sì…- risposi facendo la vaga tornando al mio lavoro. L’uomo era rimasto lì, a leggere le sue schede osservandomi di sottecchi. Lo faceva spesso, avvolte tentando di distrarmi dal lavoro per convincermi a sgattaiolare in caffetteria per fare due chiacchere, illudendomi spesso e volentieri con battutine audaci; e oramai ci ero quasi abituata, conscia del fatto che scherzava e basta.
-Tutto bene Virgily?- domandò improvvisamente, cogliendomi alla sprovvista. Non era una domanda che mi sarei aspettata, soprattutto quella mattina, costretta in vestiti larghi e coprenti che potessero mascherare la vistosa fasciatura che mi stringeva la spalla e il petto.
-Sì, tutto bene…- mi limitai a rispondere tentennando appena. D’altronde come potevo spiegargli la mia situazione? Sicuramente non avrebbe reagito bene al mio : “Mah, sai cosa? Joker, sì l’arcinemico di Batman, è reale e minaccia di uccidermi in ogni singolo istante della mia permanenza sulla terra perché volevo scrivere una fiction su di lui. Quindi no, non va tutto bene”
-Okay. Facciamo finta che ti credo- sogghignò posando nuovamente le sue pratiche assieme al blocco che dovevo ancora terminare di archiviare. Poi, aggirando la scrivania, mi fiancheggiò, incurvandosi su di me quasi per potermi parlare più da vicino, come se non volesse che nessuno ci ascoltasse. Non mi era mai capitata una cosa del genere. Certo, Andrew era sempre stato particolarmente gentile, ridevamo e scherzavamo volentieri, ma mai si era avvicinato così tanto a me, con i suoi occhi grandi e cristallini che mi puntavano con ardore e dolcezza.
-Finisci queste e vai a casa. Non hai una bella cera- Cucciato su di me, le sue labbra si mossero piano, le sue parole cominciarono a sgorgare limpide e vellutate al mio udito. Inevitabilmente, un brivido mi fece trasalire. Ebbi un dejà vu, e nella mia testa occhi neri come l’oscurità e labbra rosse come il sangue si fecero largo nei miei pensieri, sbaragliando facilmente anche quel briciolo di euforia che la vicinanza del giovane avvocato mi aveva procurato. Senza rispondere annuii impacciatamente. L’avvocato Night sorrise amaramente, voltando le spalle e tornando nel suo ufficio. Mi diedi della stupida. Avevo Andrew al mio fianco, bello come il sole, che si era preoccupato per il mio stato. E io ero stata fredda, insicura… Ma peggio ancora, stavo pensando a Joker.

Qualche ora più tardi, quando finalmente mi resi conto di aver finito anche l’ultima parcella che era rimasta da archiviare, mi sollevai pesantemente dalla mia postazione dirigendomi ad ampie falcate verso l’appendiabiti posto all’angolo del grande ufficio che condividevo assieme ad altri archivisti, con i quali non amavo particolarmente conversare. Mi avvolsi nella calda giacca di lana cotta nera e salutai cortesemente gli altri prima di uscire. Il suono dei miei passi faceva da sottofondo per l’intero corridoio che mi separava dall’uscita alla cancelleria. Strinsi appena il collo della giacca attorno alla gola, poiché non ero in grado di guidare, a causa dei forti giramenti di testa dovuti alla perdita di sangue di quel mattino, dovevo prendere i mezzi e già sapevo che avrei preso molto freddo.
-Virgily? Aspetta!- sentii una voce familiare chiamarmi ad alta voce, e quando mi voltai, Andrew mi stava seguendo con un cappotto lasciato sbottonato e una valigetta di pelle scura tra le mani. Arrestai immediatamente, aspettando che mi raggiungesse. Aveva il viso radioso, e mi osservava con entusiasmo, il che mi stordì e non poco:
-Stai tornando a casa?- mi domandò una volta riuscito a fiancheggiarmi
-Beh, sì…- risposi ovvia, dopotutto era stato lui stesso a darmi il permesso di uscire prima,
-Vuoi che ti riaccompagni a casa? Sta facendo buio e sei molto pallida…- affermò premuroso sorridendomi amorevolmente. Il mio cuore mancò di un battito e le mie palpebre cominciarono a sbattere ripetutamente per la sorpresa. Mi aveva davvero proposto di accompagnarmi a casa? Volevo sciogliermi.
-Hem, e-ecco io n-non vorrei, insomma…- non sapevo cosa dire, o come comportarmi. Mi aveva disarmata, e soprattutto mi stava ancora fissando con i suoi grandi occhi blu che da sempre mi avevano fatta palpitare
-Dai Virgily, non farti pregare. Guarda che non è un disturbo! E poi lo faccio per te. Davvero mi preoccupa il tuo pallore, e non vorrei che ti sentissi male strada facendo…- affermò quasi scongiurandomi, sebbene fosse riuscito a convincermi al “Dai Virgily”.
-Okay. Grazie mille Andrew…- risposi imbarazzata abbassando appena lo sguardo. L’uomo al mio fianco rise appena, genuinamente, afferrandomi prontamente a braccetto come se volesse sostenermi, e al contempo ricevere la mia attenzione
-Guarda che non mi devi ringraziare. Lo faccio con piacere- disse facendomi l’occhiolino prima di scortarmi verso la sua vettura.
Viaggiavamo a velocità stabile per i lunghi viali illuminati della città che si preparavano ad accogliere la notte. Tenevo il capo poggiato pesantemente sulla superficie trasparente del finestrino, osservando con occhi spersi nel vuoto il mondo al di là del vetro. Insegne al neon, persone comuni che camminavano lungo gli affollati marciapiedi. Tutto sembrava così tranquillo, così normale. La realtà era completamente diversa da quella che avevo creato nella mia mente. Nel “mio” mondo spesso e volentieri accadevano cose strane, avvolte terribili, altre volte solo bizzarre, ma fortunatamente nessuno ne rimaneva coinvolto. Poi però, mi resi conto che ora realtà e finzione si erano congiunte, e probabilmente nessuno sarebbe stato pronto alle conseguenze che questa unione avrebbe portato. Sospirai piano, Andrew si era fermato al semaforo che delimitava l’incrocio con la banca centrale. Cominciai a chiedermi cosa sarebbe successo una volta tornata a casa. Cosa dovevo aspettarmi? Certamente non la tavola apparecchiata con la cena pronta. Forse era solo rimasto ad aspettarmi. Beh, ovviamente mi attendeva, ma non inteso nel senso che stavo sperando. Avvertendo il collo indolenzirsi lentamente, tornai composta sul sedile, lanciando uno sguardo fugace al giovane alla guida: guardava dritto con una espressione serena e gentile.  Era bello, senza dubbio. Mi piaceva, certo. Era sempre stato così infondo. Ma allora… Perché quando cercavo di spaziare con l’immaginazione ecco che una strana sensazione di angoscia mi attanagliava lo stomaco?
Semaforo verde, Andrew sollevò il piede dalla frizione per accelerare piano, gradualmente. Attraversammo l’incrocio quando con una frenata improvvisa la nostra vettura inchiodò: il suono lungo e prolungato di un clacson mi intasò le orecchie, mentre venivo sospinta in avanti contro il cruscotto, e poi di nuovo sbattuta contro il sedile dalla forte pressione applicata dalla cintura di sicurezza, che inevitabilmente mi andò a premere sulla ferita non ancora rimarginata. Sollevai appena lo sguardo, accertandomi che Andrew stesse bene: era accanto a me, le mani saldamente aggrappate al volante, gli occhi sbarrati che osservavano sconcertati al di là del vetro. Lo imitai, restando a mia volta immobilizzata dalla scena, che pur trascorrendo velocissima, immaginai e scrutai quasi a rallentatore, dando una sua importanza ad ogni singola immagine: un furgoncino dei gelati ci aveva tagliato bruscamente la strada, inchiodando a sua volta a pochi centimetri dalla nostra macchina. In lontananza si scorgevano le sirene della polizia illuminare la zona e avvicinarsi anch’esse ad alta velocità. Il folle alla guida del piccolo furgone bianco aveva letteralmente immerso il capo tra le sue braccia e il volante, ma si riprese subito, e non appena sollevò lo sguardo contro di noi mi sentii raggelare tutta, e il cuore cominciare a galoppare all’impazzata nel petto: occhi scuri, marcati dal trucco; labbra intrise di rossetto, storpiate da un sorrisetto divertito, che non appena posò lo sguardo su di me si tramutò in un viscido ghigno. Pochi attimi che sembrarono durare una eternità. Cosa ci faceva lui lì? E perché aveva rubato un furgone dei gelati? Mi domandai mentre lo osservavo sfrecciare via all’arrivo della polizia, che immediatamente si gettò alle sue calcagna
-Stai bene?- mi domandò il giovane al mio fianco. Non fui in grado di rispondergli, ero ancora confusa, tutta un tremito.
-Virgily?- mi chiamò nuovamente, cogliendomi alla sprovvista: mi afferrò prontamente la mano, stringendola nella sua. Sussultai appena, e subito mi voltai a fissarlo
-Sì. S-Sì sto bene…- risposi lasciando frettolosamente la presa, portando lo sguardo ai miei piedi. Cominciai a sentire le gote ardere, e il cuore riprendere la sua folle corsa. Ma che cosa diavolo mi stava succedendo?

***

Rientrai a casa di tutta fretta, chiudendomi la porta alle spalle. Per tutto il resto del tragitto un fitto silenzio era calato su di noi, e quella quiete onestamente dovevo ammettere che mi aveva messa piuttosto a disagio, soprattutto dopo quello che era successo. Quasi non facevamo un incidente con Joker, e peggio ancora lui mi aveva vista con Andrew. “E cosa gli dovrebbe importare?” Nulla, ne ero consapevole. Ma allora perché sentivo quasi un’ansia struggente attanagliarmi e soffocarmi? Sospirai rumorosamente, dando uno sguardo generale alla casa, era ancora tutta messa a soqquadro, proprio come il criminale l’aveva lasciata. Decisi che dare un minimo di ordine a quel povero appartamento sarebbe stata una buona idea per non pensare. O almeno così mi auguravo. Fatto sta che mi ritrovai a rassettare alla buona almeno l’ingresso e il salotto con una sola ed unica domanda che mi martellava le meningi: “Che cosa ha combinato per avere tutte quelle volanti della polizia dietro?”. Quarantacinque minuto dopo, avendo esaurito le mie ultime “volontà di pulizia”, affondai nel divano afferrando il telecomando della Tv. Con un rumore sgraziato e metallico lo schermo si accese, e come pensavo su tutti i canali non facevano altro che parlare del “Misterioso clown che ha terrorizzato la città”: cinque morti, svariati feriti, una banca in fiamme… Ecco a cosa gli serviva il furgoncino dei gelati.
-Mio dio…- sussurrai appena portandomi le mani in viso, nascondendomi dal televisore. Non volevo guardare. Spesso e volentieri avevo immaginato avvenimenti del genere, con morti, sparatorie, esplosioni in grande stile… Ma solo nella mia testa. E sapere che invece adesso era tutto vero, che delle persone innocenti avevano perso la vita… Faceva male, malissimo. Ma cosa potevo aspettarmi? Certamente non che sarebbe rimasto buono buonino su quella seggiola a giocherellare con la sua pistola e i suoi amati coltelli. No, Joker era fatto così, voleva solo divertirsi, a modo suo ovviamente. Un sorriso amaro si dipinse leggero sulle mie labbra; volevo piangere ma non ne avevo la forza. Cominciai a farmi paura da sola, e non sapevo se per il fatto che, in un certo senso, ero stata io a portarlo alla realtà, oppure perché era proprio il suo essere “portatore di Caos e distruzione” ad affasciarmi tanto. Comunque volessi vederla, avevo una buona fetta di responsabilità anche io. La porta, tutta a un tratto, si spalancò di colpo, andando a sbattere contro la parete provocando un grande boato che si propagò per l’intera abitazione. Doveva averla aperta con un calcio. Mi voltai appena, affacciandomi dal grande divano che mi faceva da scudo: eccolo lì, in piedi con una sacchetta tra le mani, il suo abito buono e quel riso instancabile. Entrò ridacchiando ritmicamente, quasi intonando una canzoncina. Con la stessa grazia con cui era entrato, l’uomo chiuse la porta facendola nuovamente sbattere; continuò a sfilare per l’ingresso con il volto ricoperto da tutto quel trucco che cominciava inesorabilmente a sciogliersi e a colare lungo le sue guance. Fiancheggiò il divano, fissandomi intensamente. “E ora?” mi domandai senza dire una parola, limitandomi a guardarlo mentre sollevava la sacchetta di plastica che teneva tra le mani:
-Ho portato la cena!- sogghignò stravaccandosi pesantemente al mio fianco, svuotando sull’ampia seduta del divano quella sacca che conteneva una marea di gelati e altri dolciumi semifreddi che ben presto si sarebbero sciolti,
-Vediamo… Ho il cono alla vaniglia, lo stecco ricoperto di cioccolato…- cominciò ad elencarmi il suo bottino, con voce allegra, leggera, come se tutto quello che era successo, o meglio che aveva fatto, gli fosse scivolato addosso
-Non ho fame…- risposi seria, attirando la sua attenzione. Ecco che i suoi grandi buchi neri mi penetrarono ancora una volta. Mi scrutò con attenzione, e dall’indecifrabile espressione del suo viso potevo aspettarmi di tutto
-Hmm, ho capito. Tu sei una più da ghiacciolo…- fece una bella pausa ridendo gustosamente. Afferrò un pacchettino che lasciava intravedere il colorito roseo del ghiacciolo, e facendosi pericolosamente vicino me lo porse, esponendomi due occhi viscidi e languidi
-È alla fragola. Tutto bello da succhiare…- sussurrò con una voce roca e bassa bagnandosi le labbra con la punta della lingua, tutt’altro che una visione pura e casta. Mi venne un brivido caldo che mi percosse tutta, facendomi vibrare. Scossi la testa, lasciando roteare le palpebre fino al soffitto. Era incorreggibile, se ci si metteva sapeva bene come mettermi a disagio:
-No, Joker- risposi seria, scostando bruscamente la sua mano con un piccolo movimento della mia,
-Piuttosto spiegami questo…- gli indicai il televisore che ancora mandava in onda il servizio che lo riguardava.
-Beh…- cominciò mettendosi comodo al mio fianco: -Sono andato a fare un prelievo-
-Oh certo. E visto che c’eri gli hai dato fuoco e sei scappato con un furgoncino dei gelati!- risposi secca incrociando le braccia al petto
-Magari la situazione mi è sfuggita dalle mani…- rispose facendomi spallucce. Trattenni a stento il fiato, mentre il sangue mi stava letteralmente andando al cervello
-Magari?! Hai ucciso cinque persone! Cristo Joker! Non sei a Gotham!- gli urlai contro senza neanche rendermene conto. E stranamente, il clown mi sorrise divertito
-Già, non sono a Gotham. Ma la tua società e la mia sono molto simili… Un po’ di caos non gli farà altro che bene…- rispose lasciando scivolare una mano lungo la mia coscia, carezzandola al di sopra del pantalone sottile,
-Cominciamo a scaldarci eh? Signorinella…-
-Non mi toccare!- risposi burberamente scostandolo via, mi sollevai di scatto, pronta per andarmene in camera mia. Ero arrabbiata, non c’era verso di ragionare con lui, e la solitudine almeno per qualche minuto sicuramente mi avrebbe fatta tornare con la mente lucida.
-Come sta Andrew?- domandò improvvisamente, azzerando quel sottile silenzio che si era creato. Mi arrestai di colpo, voltandomi di scatto. Adesso era seduto composto, con le gambe accavallate e le braccia allungate lungo i bordi dello schienale del sofà. Mi fissava con un certo interesse, forse era certo di avermi colpita in uno dei miei punti deboli. E ci era riuscito. Dovevo essere impallidita di colpo, perché il pagliaccio aveva ricominciato a ridere, e questa volta facendomi crescere l’ansia nel petto.
-Perché hai quella faccia? Non è il ragazzo che ti ha riportata a casa?-
-Come fai a sapere…- non riuscii neanche a terminare la domanda che l’uomo mi zittì di colpo
-Comincio a conoscerti, bambolina. E a prendere le adeguate precauzioni…- rispose freddo. Cominciai a respirare a fatica, mentre la rabbia tornava goccia dopo goccia ad avvelenarmi il sangue, e l’adrenalina cominciava a scorrere fluida, sciogliendo quel poco di razionalità che mi impediva di abbassarmi al suo livello. Feci retro front, e tornai verso il divano, fermandomi proprio davanti a lui. Il mio cuore batteva a mille, e cominciavo a credere di essere diventata pazza per avere la sfrontatezza di fare quello che nella mia testa stavo progettando di fare. Forse era proprio questo il suo gioco, confondermi, farmi perdere la testa… Perché in quel preciso istante io non ero più io, ma una donna accecata dalla collera.
-Tu. Non ti azzardare a toccare Andrew…- sibilai in cagnesco, digrignando i denti
-Altrimenti?- mi domandò fissandomi con due occhi e con una voce che preannunciavano una succulenta quanto torbida sfida
-Io… Ti ammazzo…-
Silenzio.
Proprio quando mi sarei aspettata lo scoppio ardente di una fragorosa risata, lui non disse nulla. Al contrario accentuò ulteriormente quell’occhiata rovente che cominciava a farmi ribollire, e lentamente si sollevò dal dolce poggio, accorciando le distanze tra noi. Era almeno quindici centimetri più alto di me, e sentivo il suo fiato solleticarmi le guance. Mi andò il cuore in gola quando dal nulla scattò la lama di un coltello proprio innanzi al mi viso. Tremai piano, indietreggiando appena finché non sentii la sua mano circondarmi i fianchi e stringermi a lui,
-No, non scappare. Fammi vedere…- cominciai ad effettuare una forte pressione contro il suo petto, tentando invano di discostarlo mentre le sue parole giungevano al mio orecchio
-C-Cosa?- Joker prese la mia mano destra nelle sue, e guidandomi riuscì a farmi impugnare il sul pugnale
-Hai detto che mi avresti ammazzato… Fammelo vedere…- soffiò sul mio viso con fare tentatore e meschino
-Non riuscirai a farmi scendere al tuo livello. Non adesso- affermai seria, tentando di dimenarmi quanto più potevo, dopotutto non sapevo se realmente avesse fatto qualcosa al mio amico. Ma la sua presa si fece ancora più salda e possente, era come se non avessi alcuna via di scampo
-Oh andiamo bambolina- rise, costringendo la mia mano armata contro la sua gola
-È più facile di quanto pensi. Non vorrai farmi credere che adesso ti vuoi tirare indietro…- il mio sguardo altalenò dai i suoi occhi alla sua gola messa in bella mostra, servita su di un piatto d’argento. Potevo vendicare quelle povere persone innocenti, potevo liberarmi, porre fine a tutti quei problemi che mi sarei risparmiata se lui non fosse mai entrato nella mia vita, potevo evitare che facesse del male a Andrew, mettere la parola fine al regno terrore e del caos del leggendario Clown di Gotham. Ma era davvero  questo quello che volevo?
-Avanti. Fallo!- mi invitò abbassando di qualche tono la voce, lasciando scorrere le dita lungo la mia schiena, avvicinandomi ulteriormente al suo petto. Cominciavo a sentire la sua carne tenera premuta contro il filo della lama…
-Fallo…- ripeté, quasi in un sussurro. Presi un respiro profondo, quasi cercando di scacciare via dalla mia testa un intero flusso di pensieri che avevano già sentenziato il caso. Mi morsi il labbro inferiore con forza.
-Fallo!- gridò forte e vigoroso, come un ruggito. Di rimando il mio corpo agì totalmente autonomo: abbassai il coltello e con tutta la forza che avevo spinsi l’uomo contro il divano. Veloce, senza neanche pensarci, montai a cavalcioni sul suo grembo, immobilizzandolo sotto il mio corpo. Avevo l’adrenalina a mille, il cuore oramai sembrava impazzito; la punta del coltello era conficcata appena sotto l’incavo della sua clavicola, e l’avevo tirata per tracciarne una lunga ferita, del tutto speculare alla mia. Soltanto quando vidi una chiazza di sangue espandersi a macchia d’olio sulla sua camicia scura allora mi resi conto di quello che avevo appena fatto. Non un grido, non un gemito… Sollevai immediatamente lo sguardo, e con esso l’arma lievemente sporca di liquido cremisi. Joker mi stava riservando uno dei suoi sguardi impossibili da comprendere: rabbia, stizza, gioia, follia, divertimento. Potevo leggervici tutto e niente. Deglutii rumorosamente, chiedendomi cosa sarebbe successo adesso. Lo avevo ferito sì, ma non lo avevo ucciso… Non volevo. L’angolo sinistro delle sue labbra si sollevò piano, tracciando la linea purpurea di un sorriso storpio ed inquietante. Si portò le mani al petto, battendole. Stava applaudendo, per me. Allibita, indignata dal mio gesto del tutto sconsiderato e pazzo, al contrario suo mi agitai, e con uno scatto deciso e quasi impaurito lanciai via quel coltello che stava per scatenare un lato di me stessa che neanche conoscevo. La mia cassa toracica cominciò a gonfiarsi ritmicamente, avevo il fiato corto. Sentivo la testa esplodere per la marea di cori contrastanti che si stavano sollevando nella mia mente. Forse stavo impazzendo, perché sebbene sentissi i sensi di colpa cominciare a divorarmi l’anima, nel cantuccio più remoto della mia interiorità provavo un certo brivido di eccitamento. Abbassai appena lo sguardo, sentivo gli occhi gonfiarmisi di lacrime amare, e pregai che non se ne accorgesse.
-Guardami…- sottile, morbida come la carezza di un panno di velluto la sua voce mi fece tremare. No, non potevo guardarlo… Avevo gli occhi lucidi, madidi dal pianto che stava per farmi scoppiare in una valanga di singhiozzi, non avevo la forza di sostenere un ennesimo incontro con i suoi grandi buchi neri, sempre euforici, sempre sprezzanti.
-D-Devo medicarti altrimenti ti si infetterà…- risposi nascondendomi al di là della folta frangia scura. Mi sollevai dalle sue gambe, ma con un movimento repentino e immediato, le sue mani si aggrapparono ai miei fianchi, rivoltandomi con le spalle contro il divano. Mi ritrovai dunque spalmata sul sofà, incastonata tra i cuscini e il peso del suo corpo prestante sul mio. La distanza tra i nostri volti era veramente minima, e adesso nulla gli impediva di guardarmi, ora che l’ardore si era spento. I riccioli verdastri quasi mi solleticavano le gote, i suoi occhi mi penetravano intensamente, entrandomi dentro
-Ho affidato la mia vita nelle tue mani…-
-Non ho il diritto di togliertela- sussurrai piano, mentre una lacrima sgusciò via dal mio autocontrollo, rigandomi la pelle con una invisibile scia cristallina
-No?- domandò incuriosito, cogliendo quella mia lacrima solitaria con la punta delle dita, inumidendosi il guanto di pelle scura. C’era qualcosa nel suo sguardo: non era malato, non presentava alcun segno di squilibrio. Era sincero, genuino. Non avevo paura, non più della sua spaventosa vicinanza almeno.
-Tu una volta hai detto che il caos è equo… Ed è proprio in virtù di questo che né io, né altri possiamo toglierti la vita. Sarà il caos stesso ad annientarti, quando sarà arrivato il momento…- rimanemmo immobili a fissarci per secondi estenuanti, eterni. Senza dire una parola, semplicemente guardandoci. Cominciai a chiedermi se avevo fatto bene a fare quella riflessione. Ero stata sincera, sì… Ma a quale prezzo?
-Virgily…- necessariamente mi mancò un battito. Aveva detto il mio nome, non si era limitato ad uno squallido “Bambolina”. No, era proprio il mio nome, e lo aveva detto con una voce talmente soffice che pareva quasi dolce, stupito al tempo stesso di averlo detto. Socchiusi appena le labbra, feci per dire qualcosa ma immediatamente le parole mi morirono in gola. Sentivo la testa girare, le budella rivoltarsi nelle mie membra, forse stavo diventando paonazza. Non riuscivo più a ragionare razionalmente. Ero un vegetale. Un vegetale totalmente fuso, impazzito dopo uno scontro ravvicinato con un clown. Sogghignò, e a quel suono che mi pareva tanto sgradevole cominciavo a farci l’orecchio. Era parte di lui, di quell’essere complesso ed affascinante che riusciva a farmi vedere l’inferno, il purgatorio e il paradiso semplicemente standomi accanto:
-Sapevo di aver fatto bene a non ammazzarti subito appena incontrata, bambolina…- risi alla sua affermazione beffarda e canzonatoria, al che mi sollevai appena sui gomiti, accorciando ancora quella misera distanza fra noi
-Mi basta una carica con la giusta chiave, e farei fare carte false a chiunque. Vero?-
Il principe Clown di Gotham rise, e io con lui. Poi tornammo a fissarci, a riesumare il nostro abituale gioco di sguardi. No, non era finita lì. Decisamente no.

*Angolino di Virgy*
Finalmente posto il nuovo capitolo! Ci ho messo un po' scusate, ma la scuola mi sta uccidendo! T_T
Tornando a noi, spero vivamente che anche questo capitolo vi piaccia, non potete neanche immaginare quanto mi fa piacere sapere che la mia storia vi interessa, finalmente!
Un bacio, alla prossima!
-V-       

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Capitolo 5
*** Cap. 5 - Lo vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici? ***


Cap. 5 – Lo vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici?

 
Ora che ci facevo caso, fuori si era fatto buio molto in fretta. Più tempo passavo dentro quella casa assieme al clown, più mi sembrava di perdere ogni cognizione del tempo, e dello spazio. Era come passare in una realtà parallela soltanto facendo una sosta da una camera all’altra. Pazzesco. Svuotavo il piccolo compartimento che usavo per tenerci dentro le medicine e tutti gli altri strumenti utili per un primo soccorso, andando alla ricerca di un rotolino di garza e del disinfettante; non mi ero mai trovata in condizione di usarlo quindi non mi meravigliai del fatto che la piccola bottiglia ne fosse ancora piena. Afferrai tutto l’occorrente e uscii dal bagno di tutta fretta, dirigendomi verso la mia camera da letto dove sapevo che Joker mi stava aspettando. La porta era socchiusa, da essa potevo intravederci uno spiraglio di luce che fendeva la piccola penombra del corridoio. Aveva acceso le luci, strano. Afferrai la maniglia e spalancai la porta di colpo, senza neanche annunciarmi. La luce dell’abat-jour era soffusa, molto debole. Donava a quella camera da letto un’atmosfera tranquilla, quasi seducente. Forse era proprio lui a rendere il tutto così accattivante: tutto era stranamente in ordine; le lenzuola rifatte, i mobili al proprio posto. La sua giacca viola e il gilet verde restavano ben piegati sulla sedia che affiancava la mia scrivania; lui era in piedi, e mi stava dando le spalle. Non si era accorto della mia presenza, altrimenti si sarebbe subito voltato a guardarmi. Sembrava avere il viso appena incurvato, intento a fare qualcosa. Capii che si stava sbottonando la camicia soltanto ad opera conclusa, quando con  un sinuoso movimento coordinato delle braccia, lasciava scivolare l’indumento bluastro dalle sue spalle lungo la schiena. Forse era la luce giallognola della lampadina accesa, o forse era la mia mentalità distorta e malata ma la sua pelle mi parve di uno splendido color ambrato. Liscia, compatta, decisamente tonica. La linea delle spalle era ampia, elegante, maestosa. Si sbottonò i polsi, voltandosi appena di tre quarti, mostrandomi buona parte del petto scoperto, anch’esso scultoreo. “Buon dio, non sopravvivrò a questo”. Pensai sospirando piano, posando tutto l’occorrente che avevo tra le mani sul comodino a fianco al letto. Sollevò lo sguardo, posandolo su di me. Ricambiai, abbozzando un timido sorriso
-Sei rossa…- affermò canzonatorio lasciando cadere la camicia al suolo, avvicinandosi con disinvoltura, mostrandomi le sue grazie in bella mostra
-Sicuramente è la luce…- risposi grattandomi impacciatamente la testa, fissandomi i piedi. Sentii la sua mano, per la prima volta priva di guanti, sfiorarmi il viso. Aveva delle dita lunghe e affusolate, morbide ma vigorose. Mi afferrò per il mento, costringendomi a fissarlo. I suoi occhi scuri, marcati dall’ombretto scurissimo, rendevano le sue iridi ancora più penetranti
-Sei diventata pudica tutto insieme?- domandò sfiorandomi con la punta delle dita la curvatura del collo, facendomi fremere
-Ti metto a disagio? Magari… Ti eccito?- immediatamente sgranai lo sguardo, allibita “Lo ha detto davvero?!”.
-M-Ma stai zitto!- sbuffai scocciata, camuffando l’imbarazzo disarmante in cui mi aveva fatto sprofondare. Posai una mano sul suo petto, spingendolo appena, facendolo allontanare da me e al tempo stesso farlo sedere sul ciglio del mio letto. Rise, divertito mentre cominciavo a medicarlo con cura; non era molto profonda grazie al cielo, ma era pur sempre una bella ferita. La tamponai per bene, assicurandomi di ricoprirla bene con il disinfettante. Doveva bruciare, e non poco, perché pur mostrandomi una espressione seria e rilassata, notavo lo stimolo di una smorfia fargli tremare l’angolo delle labbra.
-Posso provare a smacchiarti la camicia… anche se il sangue non è facile da lavar via…- affermai cambiando discorso, raffreddandomi i bollenti spiriti
-Non importa… Era solo una camicia- rispose facendomi spallucce mentre cominciavo a fasciarlo con cura, affinché le bende restassero ben strette.Dal canto mio, annuii finendo di annodargli le due piccole estremità della fasciatura.
-Ti va di scrivere?- domandò improvvisamente, cogliendomi alla sprovvista
-È una domanda, oppure me lo stai implicitamente ordinando?- domandai a mia volta posandomi al suo fianco, osservandolo di sottecchi, era tranquillo… Troppo tranquillo, e questo non mi piaceva, anzi forse mi faceva ancora più paura.  Teneva le mani sulle ginocchia aperte, e lo sguardo basso. Sembrava pensoso, o forse era semplicemente annoiato. Alzò il capo, guardandomi fissa negli occhi. Si morse appena il labbro inferiore mentre si chinava lentamente  verso di me, fermandosi a pochi centimetri dal mio viso, facendomi salire un brivido lungo la schiena
-Beh, se proprio lo preferisci posso sempre domandartelo una seconda volta con una pistola contro la testa…- disse inarcando il sopracciglio destro verso l’alto
-Credo di poterne fare anche a meno- risposi secca, facendolo scoppiare in una fragorosa risata. Sospirai appena, esponendo un mezzo sorriso. Ero rilassata, non so come ma mi sentivo trasportare da un flusso di emozioni contrastanti che formavano un connubio perfetto tra oblio e follia. Mi sollevai, andandomi a sedere affianco alla scrivania. Posizionai innanzi ai miei occhi una penna, sfogliando velocemente le pagine del mio quaderno nero fino a giungere ad una nuova pagina da scrivere. Appuntai la data, era mia consuetudine datare tutto ciò che scrivevo su quel piccolo taccuino, perché non erano soltanto parole d’inchiostro steso su fogli ingialliti dal tempo… Quelli erano anche i miei ricordi.
-Virgily? No…- mi chiamò piano, ridendo appena. Era quasi tenero il suo tono di voce, come un qualunque uomo che rimprovera un bambino: lo fa con dolcezza, addolcito dall’ingenuità dell’infante. Lo scrutai stordita e confusa. Mi aveva chiesto lui di scrivere! Cosa potevo aver mai fatto di sbagliato? Era ancora seduto sul letto, la luce calda dell’abat-jour gli illuminava una parte del viso ancora truccato, mettendone in risalto le zone in cui vi si intravedeva il colorito naturale della sua pelle
-Vieni qui… -disse battendo appena il palmo della mano contro il copriletto scuro, inevitabilmente, sentii il mio cuore mancare un battito. La sua voce, in quel esatto istante aveva assunto un connotato particolare; tentatore, provocante… La voce di un diavolo che mi accarezzava l’anima, pretendendo qualcosa. Afferrai il blocco e la penna, li strinsi al petto mentre tornavo all’angolo di quel letto che ci avrebbe accolti per una nuova sessione di “scrittura creativa”.
Non stavamo seguendo una trama precisa, semplicemente ci limitavamo ad ideare scene sconclusionate che prima o poi io avrei dovuto ricostruire secondo un qualche ordine logico. C’era tuttavia un fattore che accumunava tutti quei brevi frammenti: una donna. Non era stata una mia creazione, ma opera del folle clown, che fin da subito aveva parlato di questa fantomatica figura. Nessun accenno alla sua fisicità, neanche un nome… soltanto due grandi occhi verdi.
-Neanche lei sa chi sia. Tocca al lettore scoprire la sua identità…- mi aveva detto l’uomo. Non potevo sapere cosa passasse per la mente del criminale, ma di sicuro c’era un motivo se la “protagonista”, se così potevo definirla, della fiction era lei. Stavo descrivendo una scena in cui la suddetta ragazza era stata rapita da Joker, e quando aveva ripreso conoscenza, la povera mal capitata si era ritrovata legata ad una sedia con un bavaglio che le serrava le labbra. Ero ancora seduta al suo fianco, e ogni tanto mi distraevo involontariamente, guardandolo di sottecchi: guardava nel vuoto, cercando l’ispirazione. Spesso e volentieri capitava anche a me quando mi veniva l’estro creativo… ma la sua visione era certamente più piacevole, ora che sembrava essersi “calmato”. Improvvisamente si chinò appena su di me, con gli occhi rivolti al mio blocchetto:
-No!- Esclamò burbero facendomi trasalire –No! No! Non puoi limitarti a descrivere la situazione in cui si trova!- mi rimproverò –Devi mostrare al lettore anche le sue emozioni. Il dolore, la paura. Si tratta sempre di un ostaggio maledizione! Abbi un po’ di rispetto per lei!- affermò canzonatorio dandomi dei buffetti sul capo, facendomi irritare, dopotutto ero io la sua “mano d’opera” e certamente non mi stava dando molti indizi sulla stesura…
-Oh mi scusi signor agente del caos dei miei stivali, ma le ricordo che la sottoscritta non è mai stata in una condizione del genere! Insomma, per trattare una sensazione del genere a trecentosessanta gradi bisognerebbe averla vissuta.- gli risposi a tono, incrociando le braccia al petto. Sollevò l’angolo sinistro delle labbra, esponendomi quella sua occhiata di sfida che, malauguratamente, non preannunciava nulla di buono:
-In questo caso allora…- lasciò la frase sospesa a metà, alzandosi dal giaciglio per dirigersi a passi lenti contro la mia finestra, analizzando con cura gli spessi cordoni che decoravano le tende violacee e al tempo stesso che tenevano separate l’una dall’altra. Sbarrai gli occhi, cominciano a tremare
-C-Che intenzioni hai?- domandai allarmata, “Adesso sì che sono cazzi tuoi Virgily” mi dissi maledicendomi in tutte le lingue del mondo, deglutendo rumorosamente,
-Hai detto di non esserti mai trovata in una situazione del genere giusto? Io dico che c’è sempre una prima volta per tutto…-
-Oh no! Non mi coinvolgerai in questo- feci uno scatto in avanti, pronta per uscire dalla camera, scappare ovunque se necessario. Un suono metallico, sgraziato, qualcosa di velocissimo mi passò affianco alla testa, scompigliandomi i capelli. Mi arrestai di colpo, sbattendo le palpebre: un coltello conficcato contro la porta. Se avesse preso meglio la mira mi avrebbe presa dritta al cervello. Indietreggiai di qualche passo, sbattendo contro il suo petto ancora nudo. Si era avvicinato a me con ampie falcate, e le sue mani prontamente mi avevano rivoltata per costringermi a guardarlo in faccia: gli occhi folgorati da una luce flebile ma possente, le labbra tirate in un inquietante sorriso. Eccoli là, i segni della follia:
-Tranquilla bambolina, vedila come un gioco. E poi, tecnicamente ti sto aiutando a fare nuove esperienze…- rise, afferrandomi saldamente i polsi per potermeli legare con quelle corde lilla che forse non avrei mai dovuto comprare. E non si risparmiò neanche di legarle il più strette possibile, così da farmi divincolare per il dolore. Un gridolino straziato mi socchiuse le labbra, e udito il mio lamento sentii le sue mani posarsi sul mio mento, trascinando il mio volto ad una distanza millimetrica dal suo. Sentivo gli occhi gonfiarmisi dalle lacrime. Ero una stupida. Ero riuscita a cacciarmi nei pasticci un’altra volta. Forse era più forte di me. Il suo fiato caldo mi entrò quasi in bocca, facendomi sussultare, mentre sbattendo frettolosamente le palpebre, una lacrima incolore colò lungo le mie gote pallide:
-Sarà divertente. Te lo prometto- sussurrò piano, facendomi vibrare sotto di lui.  Eravamo così vicini, troppo vicini. Presi un respiro profondo, elaborando alla svelta un qualche piano di fuga. Quel “sarà divertente” non mi piaceva affatto. Stavo per muovermi, spingerlo e correre via quando le sue dita salirono lentamente, arrampicandosi tra le mie braccia, le spalle, il collo. Mi carezzò il viso, con dolcezza, aggiustandomi capelli dietro le orecchie, scoprendomi il volto, quasi per metterlo in risalto mentre sentivo le mie gote cominciare ad ardere. Non parlava, restava immobile, con lo sguardo puntato sul mio, tracciando una linea invisibile sul contorno delle mie labbra con la punta delle dita. Trasalii non appena quel misero contatto divenne reale. Un tocco soffice, delicato quanto maledettamente sensuale.
-Scusami…- aggiunse poi, osservandomi con uno sguardo disarmante, cogliendomi alla sprovvista
-Per cos…- non terminai la frase, non ne ebbi il tempo. Il suo profumo, come le sue braccia, mi avvolsero rapide, stordendomi, proprio come il colpo alla testa che ricevetti subito dopo. Una testata dritta in fronte. Non urlai, neanche un gemito o un sussulto. Barcollai appena, cadendo a peso morto sul suo ampio petto, affondando nell’incavo del suo collo, percependo ad uno stato più elevato il suo odore, il suo calore. Vedevo tutto sfocato, le gambe stavano cedendo piano. Stavo perdendo i sensi, e tutto ciò che ricordai di quel esatto istante furono le sue braccia forti che mi sollevarono da terra. Poi il buio mi avvolse totalmente, e della sua voce non seppi più nulla.

***

Quando ripresi conoscenza ero ancora stordita. Una forte emicrania batteva contro le pareti delle mie meningi, e gli occhi si aprirono a fatica. Tutto si era fatto più scuro, freddo e vuoto. Un’atmosfera tetra, inquietante che immediatamente mi fece spavento. Ero legata, sentivo ancora le spesse corde stritolarmi i polsi, e stavolta anche le caviglie.  Come se non bastasse, qualcosa, forse un fazzoletto di stoffa, era stato saldamente annodato dietro la mia nuca, dischiudendomi le labbra, lacerandomi appena gli angoli di esse. Dovevo trovarmi nel mio letto, sebbene la fitta penombra mi impedisse di vedere, riconoscevo la mia camera. Era dunque per questo che si era sentito in dovere di “neutralizzarmi”? Rendermi partecipe di uno squallido gioco di ruolo che cominciava a farmi salire l’ansia con una veemente agonia. Improvvisamente, impetrai. Una carezza gentile, soffice, impalpabile. Un fiato caldo che mi sfiorò il collo… Era lui, era vicino
-Ben svegliata…- le sue labbra sul mio lobo mi fecero fremere, mi sentii debole, inerme. Voltandomi di scatto mi ritrovai torreggiata dalla possente figura del clown semisdraiato al mio fianco. Il volto era sollevato sul mio, lo sosteneva con la mano aperta e il gomito puntato contro il materasso. I suoi occhi brillavano di un luccicore rovente, oscuro, madido di una euforia insana. Cominciai a bofonchiare svelta qualcosa come “Liberami, cazzo!” e “Ti prego!” ma ovviamente non si capì neanche mezza parola di quello che stavo urlando. Mi dimenai cominciando a dondolare a destra e sinistra, nella speranza di rotolare da qualche parte, il più lontana possibile. Rise, divertito dai miei movimenti impacciati, dalla mia pelle accapponata dai brividi freddi.
-Sei proprio uno spasso bambolina…- affermò immobilizzandomi sotto di lui per le spalle. Urlai, questa volta a pieni polmoni. Sebbene la mia voce risultasse ovattata a causa del bavaglio alla bocca, il mio grido di terrore era comunque alto e potente. Agonia, smarrimento. Quella non era paura, era pura oscurità che mi si iniettava liscia nelle vene. Mi serrò le labbra con la mano, intimandomi di smetterla. Il tono ora era più basso, grave. Mi zittii in un batter d’occhio, respirando faticosamente. Mi scrutò in cagnesco fin quando non fu certo che la mia crisi fosse passata.  Sollevò gli angoli delle labbra, e in quel momento un minuscolo spiraglio di luce, forse proveniente dalla finestra appena dischiusa, gli illuminò le profonde cicatrici, che sotto tutto quel rossetto, si mostravano in tutta la loro candida natura macabra e grottesca. Doveva essersi reso conto che gliele stavo fissando, perché da quel momento, assunse nuovamente quella sua espressione spensierata da pazzo psicopatico ingenuo e a tratti infantile, con la bocca tirata in un lurido sorriso e gli occhi dilatati.
-Ti piacciono? Lo vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici?- sussultai, trattenendo quasi meccanicamente il fiato dentro i miei polmoni, crollando in una apnea involontaria. “Non me lo ha chiesto davvero…” pensai sconcertata osservandolo cucciarsi lentamente su di me. Quella domanda, per quanto mi fossi immaginata nella mia testa una scena simile, mai avrei pensato di viverla davvero. Afferrò le mie mani serrate, e facendo inoltrare il capo tra le mie braccia, lasciò che i miei arti gli incorniciassero il collo. Poi mi afferrò di peso, sollevandomi così che una volta messo seduto con la schiena contro la testiera del letto io mi ritrovassi accovacciata sul suo grembo, le mani strette dietro il suo collo, il viso a stretto contatto con il suo. Immediatamente abbassai lo sguardo, ascoltando il battito cardiaco accelerato del mio cuore. Rude mi afferrò prontamente il viso, sollevandolo contro il suo
-Voglio che tu mi guardi negli occhi…- soffiò serio sulle mie labbra, facendomi vibrare tra le sue mani. E oramai non avevo più alcuna via di scampo. Ero la sua preda, la sua umile bambolina. In balia delle catene, schiava dei suoi occhi. La mia cassa toracica si sollevava freneticamente e sebbene i miei respiri fossero ancora pesanti, marcati dallo sconforto, lentamente il mio cuore riprendeva il suo battito regolare. dal mio collo e il mento, le sue dita scivolarono morbide e veloci sino ad inoltrarsi tra i miei capelli, carezzandoli  morbidamente, arricciandoli attorno alle dita affusolate e tiepide. Neanche aveva cominciato a parlare e già mi aveva rapita, facendomi assaporare ogni misera goccia di quell’adrenalina che mi faceva bruciare le membra.
-Hmm, dunque… C’era una volta mio padre che era un mostro, ed un maniaco- cominciò mordendosi appena la labbra, sospirando
-E mia moglie. Lei era bellissima… E io l’amavo. Ma anche lei era un mostro, e una troia…- mi sussurrò, digrignando i denti
-Infine c’era mia madre, un’anima pia, buona… Innocente. Morì avvelenata, sotto il complotto di mio padre che indovina? Si scopava mia moglie. Chissà, forse il divorzio costava troppo, e di certo se la toglievano di mezzo alla “vecchia maniera” mio padre si sarebbe risparmiato fior di quattrini. E invece sai lei che cosa mi ha detto, quando ho scoperto che mi tradiva? Lo vuoi sapere come si è giustificata? “io non ti amo. Tu sei troppo serio, troppo cupo per me”. Ero stato tradito da mio padre e da mia moglie, dalle persone più vicine che avevo. Così ho preso un rasoio e mi sono fatto queste…- affermò mostrandomi le sue cicatrici lasciando schioccare la lingua con il palato
-E dopodiché, li ho raggiunti nel loro squallido nido d’amore, e con un coltello gli ho inflitto la pena che ambedue si meritavano. Una morte lenta e dolorosa, come espiazione per i loro peccati. Devo ammetterlo, ero piuttosto impacciato, ma alla fine ci ho preso gusto. Saranno stati contenti, il mio eterno sorriso è stata l’ultima cosa che hanno visto…- ero paralizzata, colta da una scarica violentissima di brividi. Il cuore batteva rumorosamente contro la mia cassa toracica. Non sapevo se quella fosse effettivamente la versione originale della faccenda, fatto sta che era una storia orribile. Provavo una rabbia impronunciabile, e un forte dolore; quella storia, raccontata per sommi capi, era riuscita a scatenarmi un vero e proprio uragano, dentro. Sentivo gli occhi gonfiarmisi velocemente, così strinsi i denti e evitai il più a lungo possibile di sbattere le palpebre. Non volevo piangere davanti a lui, non potevo. Un silenzio sottile, quasi affilato come la lama tagliente di un pugnale, aleggiò su di noi, avvolgendoci in un abbraccio smorto, oscuro, pieno di rancore.  I suoi occhi si facevano sempre più cupi, e profondi. Ci si poteva annegare al loro interno, perire in un mare di ombre nere che erano capaci di soffocare anche la luce più luminosa e candida.
-Allora…- sogghignò diventato probabilmente dalla mia espressione sconvolta e dal pallore preoccupato del mio incarnato, sfidandomi con uno sguardo beffardo mentre sollevava il sopracciglio destro contro l’alto.
-Ti è piaciuta la favola della buona notte?- domandò facendomi inarcare il capo contro il suo, prendendomi con il pollice e l’indice per il mento. Mi tuffai a capofitto nuovamente in quelle sue occhiate acute e ammalianti, perdendomi nella disperata ricerca di trovarci un qualcosa, una qualsiasi cosa, al di là di esse. Non risposi, in primis perché ero impedita dallo stretto bavaglio, e inoltre non avevo nulla d dire. Forse non trovavo le parole, o forse non esisteva nulla di adatto che valesse la pena di dire in un frangente come quello. Decisi ben presto, che l’unica via di uscita da quella scomoda situazione di mutismo forzato in cui mi ero impelagata era proprio fare quello che avevo appreso in quelle svariate ore passate assieme al principe clown di Gotham: agire, senza pensare. Presi un respiro profondo, chinandomi appena su di lui. Posai le mie labbra, dischiuse dal fazzoletto ben stretto attorno al capo, sull’angolo delle sue labbra, lasciando l’invisibile impronta di un bacio vellutato proprio sull’estremità interna della sua cicatrice. Trattenne appena il fiato, questo riuscii a percepirlo. Divertita da questa sua anomala reazione, prolungai allora quel castissimo tocco, avvicinando tuttavia il suo corpo contro il mio sfruttando il fatto che le mei mani erano costrette proprio attorno al suo collo e le spalle. Socchiusi gli occhi, ascoltando in quelle fittissima quiete, il sussurro del nulla che strepitava un qualcosa di ignoto, di inusuale. Con la stessa delicatezza di discostai dal suo viso, tornando a fissarlo negli occhi con lo stimolo dell’incertezza che scalpitava nella mia mente. Avevo osato, e chissà cosa mi spettava ora. Tentai con tutte le mie forze di mantenere saldo il mio autocontrollo, sebbene sapevo che in caso contrario, un vulcano di emozioni sarebbe eruttato dentro di me segnando la mia stessa fine. Portò le mani al viso, sfilando il bendaggio dalle mie labbra, lasciandolo scivolare morbido attorno al mio collo, conferendomi nuovamente la libertà di parola,
-Perché lo hai fatto?- mi domandò cogliendomi di sorpresa. In quel preciso momento infatti, quella domanda sembrava quasi fuori luogo, se pronunciata da lui. Respirai piano, moderando la voce affinché non mi tremasse come le labbra, che quasi autonomamente vibravano dal terrore di dire qualcosa di sbagliato. Feci per dire qualcosa ma mi bloccai di colpo, lasciando morire le parole nel fondo della mia gola.
-Perché? Virgily perché?!- stavolta mi colse il viso con ambedue le mani, scuotendomi appena, invitandomi a parlare, quasi scongiurandomi. Mi morsi la lingua, e in quel lieve ed acuto dolore trovai il coraggio di dar fiato alla mia bocca:
-Perché ho visto il lato buffo di questa vicenda.- affermai quasi riprendendo fiato, cose che il suo sguardo e la sua vicinanza mostruosa da me fossero riusciti a togliermi la forza anche dolo sole poche parole messe in fila.
-Adesso sorridi sempre…- flebile, un sussurro lievissimo, quasi impercettibile.
Silenzio. I suoi occhi parvero per un qualche istante svuotati, privi di alcuna luce o emozione. Cominciai a temere il peggio.
-Hai ragione…- disse poi, ridendo e rassicurandomi, in un certo qual verso. Si mise una mano in tasca, e ne estrasse un coltello a scatto. Abilmente mi portò sotto il suo corpo, stendendomi sul grande giaciglio per recidermi le corde che mi tenevano ben stretta. Mi carezzai i polsi, marcati da spessi solchi provocati dalla forte pressione esercitata dalle corde. Joker afferrò poi una delle mie mani nelle sue, e con la punta delle dita, tracciò il contorno di quelle chiazze rosse e livide che erano rimaste impresse nella mia pallida pelle. Era un tocco gentile, quasi premuroso
-Sai, nella mia vita sono quasi sempre stato circondato da codardi. Persone che disprezzano al tal punto l’idea di morire da averne una paura fottuta…- affermò senza togliere gli occhi dalle mie mani, continuando a toccarle, ora con un modo di fare più audace, autentico e conforme alla sua persona.
-Tu invece sei molto coraggiosa, bambolina…- sollevò il palmo della mia mano, scoprendomi il braccio dalla lunga manica della maglietta chiara, e portandosela al viso il clown impresse il marchio cremisi di un bacio sui vistosi rossori dei miei polsi. Al contrario delle mie, le sue labbra erano bollenti, quasi corrosive. Non provai alcun dolore, ma immediatamente un fuoco arse nel centro pieno del mio petto
-E questo, mi fa impazzire…- roca, bassa, suadente. Mi sentii pervadere da una scossa violentissima che mi folgorò in un istante. I suoi occhi mi perforarono da parte a parte, facendomi perdere dei battiti. E allora mi chiesi a cosa realmente non sarei stata in grado di sopravvivere: alla sua follia o alla sua passione? Non ne ero certa, ma se prima o poi dovevo morire, allora tanto valeva soccombere per entrambe.

*Angolino di Virgy*
Eccomi!! Finalmente! Ci ho messo un po', ma spero che ne sia valsa la pena.
Parlando del capitolo, non volendo ripetere le varianti che oramai tutti conosciamo del nostro amato Joker, le ho fuse insieme formandone una nuova, di cui nessuno (né io, né Virgily, né Joker stesso) sa se si tratta della vera storia (ma tanto a lui piace avere molte versioni del suo passato, e credo anche a noi, dopotutto). Mi rende molto felice che la fic pian piano comincia a piacere, e che appreziate i miei sforzi :)
Spero la leggerete in molti
Un bacio
-V- 
     

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Capitolo 6
*** Cap. 6 – So change your mind and say you're mine. ***


Cap. 6 –So change your mind and say you're mine.


La scusa del pigiama era stata una trovata assai ingegnosa, soprattutto perché mi aveva permesso di sgusciare via da quella situazione malsana e accattivante che, sicuramente, si sarebbe evoluta in un qualcosa di più concreto di una misera provocazione. Il bagno di casa mia oramai sembrava essersi trasformato nell’unico ambiente neutrale della casa, un luogo dove potevo rifugiarmi a riflettere con calma e sangue freddo, senza correre il rischio di perdermi e lasciarmi soggiogare dalle occhiate roventi del clown. Con cura mi ero lavata gli avanbracci, non più lesi per le corde con cui mi aveva legata stretta, e neanche per i segni del rossetto che aveva lasciato per baciarmi i rossori. Sentivo ancora la sua voce roca e suadente bisbigliarmi qualcosa nei miei ricordi, e il solo pensiero mi faceva tremare tutta. Mai in vita mia avrei pensato che dalla paura, e una buona dose di incoscienza, potesse nascere un desiderio così incontrollato e spaventosamente spontaneo. Tuttavia, dovevo mantenere l’autocontrollo. Non potevo lanciarmi in un gioco più grande di me, non a questo punto. C’erano ancora molti quesiti che necessitavano di essere risolti: in principio, come aveva fatto Joker a diventare reale e a trovarmi; ma soprattutto: sarebbe rimasto così, per sempre? Voglio dire… Sarebbe mai tornato a Gotham? Questo, principalmente era il problema che più struggeva il mio animo e la mia naturale propensione nei confronti del clown. Mi stava succedendo qualcosa, era evidente, ma cosa sarebbe successo se davvero mi fossi… diciamo “innamorata” di Joker? Certo, l’agente del caos numero uno di Gotham non aveva mancato di mostrare un certo interesse nei miei riguardi, fatto sta che ero ancora viva. Ma sul serio sarebbe potuta scoccare la scintilla tra me, e uno psicopatico assassino dedito alle bombe e alle sparatorie? Respirai profondamente, cercando di lasciare tutta quella miriade di domande che tartassavano le mie meningi, e tornare in camera da letto. Joker aveva acceso nuovamente l’abat-jour quando terminammo il nostro breve “gioco”, e adesso sostava sul mio letto, con le gambe allungate e la schiena poggiata sulla testiera, giocando con una vecchia penna dalla manifattura elegante che tenevo sempre dentro il porta penne ma che mai avevo usato. Era un regalo, e non volevo sprecarla. Restai sul ciglio della porta, e lo osservai passarsela tra le mani con lo sguardo assorto, quasi come se stesse studiando quella piccola penna.
-È una bella penna…- disse improvvisamente Joker –Se la conficcassi nel collo di qualcuno, probabilmente potrei ucciderlo…- ridacchiò divertito volgendo appena i suoi grandi occhi scuri contro di me, esponendo un ghignetto fanciullesco ma tutt’altro che ingenuo. Di rimando, sbuffai fintamente esasperata dalle sue continue allusioni omicide, e scuotendo appena il capo incrociai le braccia al petto.
-Era un regalo di mio fratello. Mi piacerebbe che non la usassi come arma contundente…- gli dissi sorridendo appena, sperando che non cominciasse a farmi domande. Che strano, era passato così tanto tempo da quando Jim era scomparso… Eppure parlarne era ancora così difficile per me…
-Dal broncio che hai messo, deduco che non sia un argomento che tu voglia trattare. Non è vero, bambolina?-
-Già- risposi secca, e sotto certi versi anche fredda mentre mi avvicinavo al letto, dandogli le spalle mentre mi sedevo comodamente per sfilarmi nervosamente le ciabatte. Per qualche istante rimasi immobile in quella posizione, senza guardarlo… Ma fissando il vuoto. Solo guardandomi aveva capito il mio sconforto, e questo mi aveva fatto piacere. Sorrisi timidamente, ringraziando dio che in quel esatto istante lui non potesse vedermi.
-Bene…- la sua voce calda giunse morbida alle mie spalle, proprio come le sue braccia forti e muscolose che strette si erano annodate ai miei fianchi, lasciando aderire la superficie della mia schiena contro il suo petto, ancora nudo e fasciato. Un brivido mi fece fremere tra le sue braccia, e il cuore perse un colpo per la sorpresa e lo spavento al tempo stesso. Sentii il suo naso carezzare la curvatura del mio collo, provandomi una violenta scarica di brividi, e immergendosi tra i miei capelli, le sue labbra soffiarono nel mio orecchio un unico ordine che mi lasciò totalmente spiazzata e terrorizzata:
-Spogliati-
-C-Cosa?-
-Hai capito bambolina-
-Che intenzioni hai?- domandai piano, cominciando ad agitarmi parecchio
-Non voglio scoparti. Se è di questo che hai paura…- sussurrò divertito dalla mia più che ovvia reazione, lasciando scivolare le dita della mano destra sulla mia spalla, facendone calare lentamente la bretella fina del mio pigiama, scoprendomi appena il decolté.
-Vaffanculo!- immediatamente cominciai a dimenarmi tra le sue braccia, scalciando e scuotendomi nel vano tentativo di liberarmi. In sottofondo, la sua risata inquietante e poco rassicurante. Purtroppo Joker era molto più forte di me, e senza alcun problema riuscì con una sola mossa a stendermi sul mio materasso, la guancia premuta contro il cuscino e le mani strette dietro la schiena. Torreggiava sopra di me, e io ero del tutto inerme.
-Credo proprio che dovrò fare tutto da solo…- rise, cercando di sollevare la stoffa fina della canottiera per scoprirmi la schiena. Tornai subito a muovermi e a gridare
-Lasciami!- ringhiai tentando in ogni modo di scrollarmelo di dosso senza alcun successo. Improvvisamente, cogliendomi alla sorpresa, il criminale si cucciò su di me, immobilizzandomi del tutto sotto il peso del suo corpo. Bloccata con la schiena seminuda sotto di lui, non potevo guardarlo in viso, ma potevo percepire il grande calore che scaturiva dalla sua pelle. Era bollente, un fuoco. E sebbene mi avesse sempre stuzzicata una situazione del genere nelle mie più remote fantasie, al tempo stesso sentivo le lacrime gonfiarmi gli occhi. Con tutte quelle volte che avevo rischiato di morire per mano sua, avevo paura di questo.
-Fidati di me, bambolina…-
-P-Perché dovrei?-
-Te l’ho già detto. Non voglio farti del male…-
-Detto da uno che vuole usare una penna come pugnale non mi suona molto rassicurante…- risposi di tutto punto, mentre la sua mano mi scostò delicatamente una ciocca di capelli bruni da viso. Sentivo che mi stava fissando, e con la coda dell’occhio riuscì a scorgere un piccolo sorriso beffardo sulle sue labbra scarlatte.
-Te lo prometto. Virgily…- pronunciò il mio nome con una dolcezza disarmante, innaturale quasi, ma fottutamente convincente. Cominciai a maledirmi da sola. “Non fidarti. Non lo fare…” mi dicevo. Poi però
-V-Va bene- risposi tremando appena, continuando ad insultarmi. Senza neanche rispondermi, invece, Joker lasciò che le sue mani penetrassero nella mia canotta, sfilandomela di dosso con una facilità meccanica. I suoi polpastrelli poi, carezzarono appena la superficie della mia schiena, facendo increspare la mia pelle al suo solo tocco. Trattenni il respiro, cercando di far rallentare il preoccupante battito cardiaco che mi bussava nel petto. Chiusi gli occhi, pregando. Chiedendo aiuto… Chiedendo la forza per potermi davvero fidare di lui. E durante tutto questo, un pizzico quasi mi fece il solletico. Non sapevo di cosa si trattasse, ma era come se il clown stesse carezzando la mia schiena con qualcosa di appuntito. Non provavo dolore, solo un leggero fastidio.
-Hai una pelle bellissima- disse, facendomi arrossire violentemente –E l’inchiostro di questa penna si stende una meraviglia- rise, mentre cominciavo a fare mente locale, e nella mia testa un solo mezzo pensiero: “Ma che cazzo…?”
-Stai scrivendo sulla mia schiena?- domandai scioccata, sollevando appena la testa dal cuscino, volgendomi appena per osservare il suo ghignetto felice
-Sì- rispose semplicemente
-Non ricordavo di essere a corto di fogli!- Joker rise ancora
-Certe parole- mi spiegò –Sono sprecate per essere gettate su un lurido pezzo di carta…- rimasi in silenzio. Senza parole. Cosa mi stava scrivendo di così importante allora?
-Ho finito…- poco dopo finalmente smontò dal mio corpo, e sollevandomi con le mani strette al petto, coprendomi dal suo sguardo indagatore e rovente, tornai seduta al mio posto dandogli le spalle.
-Che cosa mi hai scritto?- gli chiesi guardandolo appena mentre si stendeva dall’altro capo del giaciglio,
-Non te lo dico. Lo leggerai tu. Domani- rispose, tamburellando le mani sul morbido copriletto scuro, quasi facendomi segno di raggiungerlo. Cercai la mia canotta, accartocciata ai miei piedi e velocemente mi rivestii. Solo allora mi distesi al suo fianco. Tenevo lo sguardo basso, nervosa, intimidita da quello che mi aveva appena detto, incuriosita da cosa potesse avermi scritto. Con il pollice e l’indice, Joker mi afferrò prontamente il viso per il mento, facendomi sollevare lo sguardo contro il suo. Quasi riuscivo ad intravedere il colore ambrato della sua pelle al di sotto dei rimasugli di trucco, e i suoi grandi occhi nocciola, per la prima volta, mi rivelarono un leggero luccicore verdastro. Mi persi in quegli occhi cupi e misteriosi, senza rendermi contro che le distanze fra noi si erano notevolmente accorciate, e che il suo fiato oramai riusciva ad entrarmi in bocca. Quando poi le sue labbra sfiorarono le mie, come un impulso irrefrenabile, mi allontanai di botto, dandogli le spalle. Serrai gli occhi, rannicchiandomi in me stessa, cominciando a temere che il mio fosse stato un passo falso. Le sue braccia allora tornarono a stringermi, ma questa volta, la sua fu una morsa gentile:
-Imparerai a fidarti di me. Bambolina- soffiò sulla mia pelle, lasciando l’impronta di un bacio nell’incavo del mio collo, facendomi fremere. Non risposi, ma sperai. Volevo fidarmi di lui, con tutte le conseguenze che questo avrebbe portato. E ci sarei riuscita, un giorno.
Al mattino, sebbene non dovessi andare a lavoro, mi svegliai comunque presto, e senza sorpresa mi ritrovai sola nel grande letto vuoto. Sollevandomi di scatto i miei occhi si puntarono automaticamente contro lo specchio addossato alla parete. Tre lettere marcate in malo modo con del rossetto cremisi mi balzarono immediatamente agli occhi: B.R.B
Risi, non sapendo come comportarmi. Poi, mi ricordai delle sue parole e ponendomi innanzi allo specchio, sfilai la maglia di dosso e con tutta l’adrenalina e la curiosità del mondo sollevai i capelli e mi girai di tre quarti, cercando a tutti i costi di leggere ciò che mi aveva scritto e che così a lungo mi aveva tenuta sulle spine. In realtà erano poche lettere, finemente disegnate sulla mia schiena. Certo lo specchio non mi aveva reso un lavoro facile, ma persino al contrario riuscii a capire il significato di quelle parole:
“Mi piace pensare, che tu un giorno possa essere mia”. Sorrisi e al contempo avevo il fiato mozzato e le gambe tremanti. Non sapevo se essere felice o preoccupata del suo messaggio, ma di una cosa ero sicura, il quel momento, sebbene tutti i miei dubbi e le incertezze, provai una profonda e purissima estasi.

***

In realtà le ore erano passate assai veloci quel giorno, e con un battito di ciglia era già sera, ed io ero rivestita da un vestitino corto senza spalline che bevevo un drink in un locale del centro con la mia amica, Laura. In realtà ero stata piuttosto indecisa sul da farsi: aspettare Joker e discutere di “quella faccenda”; oppure uscire con una amica dopo più di un mese che non mi facevo vedere? Alla fine a decidere in realtà fu il mio buon senso. Dovevo comunque vivere la mia vita, lasciare che tutto scorresse nel flusso inesorabile del tempo, godere della mia normalità quando potevo, e al contempo deliziarmi della follia quando quel maledetto clown sadico e spietato era nei paraggi.
-Sul serio Vi, ti vedo cambiata…- mi disse improvvisamente la mia amica, cogliendomi di sorpresa
-Perché dici questo?- domandai sorseggiando nervosamente il cocktail.
-Non so. Sembri quasi più sicura di te…- rise dolcemente
-Grazie…- risi al contempo abbassando appena lo sguardo. Forse, era l’influenza di un certo criminale ad avermi cambiata.
-C’è per caso qualcosa di cui vorresti parlarmi? Che so, ragazzi?- mandai di traverso la bevanda, quasi strozzandomi. Dovevo ammetterlo quando voleva Laura sapeva essere un’impicciona. Ma come biasimarla? Ero io quella che era “sparita”.
-Hem, ecco…- cominciai facendo la vaga –Oh mio dio ma è tardissimo!- esclamai guardando distrattamente l’orario sul cellulare.
-Virgily?-
-Sai sono molto stanca, forse sarebbe meglio andare….-
-Ho capito. Se avrai mai voglia di parlarmene me lo dici okay?- rispose Laura esasperata.
-Ricevuto- risi mentre lei mi scompigliava i capelli dispettosamente
-Ah, mi farai diventare matta tu! Dai andiamo…-
Quella sera il locale era molto affollato, e persino le vie strette e scoordinate adiacenti al club erano un via vai continuo di giovani che sghignazzavano e ridevano con i propri compagni di avventure. Strano, non ero mai stata una grande frequentatrice della movida della mia città, ma forse un ricambio d’aria non era poi così male. E poi le stelle quella sera brillavano, come un mantello decorato con veri diamanti che rivestiva il cielo. Laura non aveva parcheggiato molto distante, la non si poteva certo dire che la strada, una viuzza poco illuminata e silenziosa, non era proprio delle migliori. Dei ragazzi passeggiavano dietro di noi. Non ci feci proprio caso, solo che dopo svariati minuti di cammino, chissà forse mi stavo sbagliando, ma ebbi la netta sensazione che ci stessero seguendo.
-Ragazze? Tutto bene?- disse uno –Dove ve ne andate di bello?- disse l’amico. No, non mi sbagliavo affatto.
-Laura, aumenta il passo- dissi seria
-Volentieri. Mi sembrano ubriachi marci- rispose aumentando le sue ampie falcate e io feci lo stesso. Proseguimmo dritte, mantenendo il nostro andazzo veloce e ben sostenuto. Riuscivano a vedere la macchina di Laura posteggiata non troppo distante da noi, e fortunatamente i due giovani parevano essersi dileguati. Camminammo ancora finché da un angolo remoto della strada uscirono due ragazzi, dai volti sghembi, le pupille dilatate e un sorrisetto viscido,
-Certo che sapete correre con quei tacchi- rise uno, portandosi una mano sul folti capelli scuri
-E siete pure molto carine…- sogghigno l’altro
-Spiacente per voi ma non siamo dell’umore adatto…- rispose schiettamente Laura, afferrandomi per mano e trascinandomi con sé. Pensavamo fosse finita lì, il classico tentativo di abbordaggio da ubriachi. Ma uno di questi, afferrandomi per i fianchi mi strappò dalla presa della mia amica, e con forza mi strinse contro il suo petto. Puzzava di alcool, tanto da farmi venire il volta stomaco, e il modo in cui lasciava scorrere le sue mani su di me mi fece tremare
-Non fare la timida…-
-Non mi devi toccare!- ringhiai sfilandomi dalla sua presa, assestandogli uno schiaffo in pieno viso. Feci per tornare da Laura, ma il secondo si era proprio avvicinato a questa, strattonandola contro il muro. Tremando come una foglia Laura cacciò un grido di terrore, dimenandosi e spingendo via il ragazzo che tentava a tutti i costi di darle un bacio. Con tutte le cattive intenzioni mi avvicinai per aiutare la mia amica, dimenticandomi del giovane che avevo schiaffeggiato e che adesso, non più molto tranquillo, mi fissava in cagnesco. Schivai piuttosto bene il suo secondo tentativo di afferrarmi, ma perdendo la pazienza le sue mani grandi e callose mi afferrarono per i capelli. Gridai a mia volta, e successivamente mi ritrovai accasciata a terra. Con le braccia fortunatamente ero riuscita a proteggere la testa dal forte impatto, ma mi sorreggevo a malapena quando l’uomo ubriaco fu su di me scuotendomi e gridando
-Stai ferma puttana!- ma al contrario continuai a scalciare e a scuotermi come una gazzella attaccata dal suo predatore, e urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni. L’adrenalina densa e calda scorreva nelle mie vene, proprio come le mie lacrime che bagnavano le mie guance mentre sentivo le labbra screpolate e putride del tipo agguantarsi come ventose contro il mio collo. Serrai gli occhi, fortissimo, fino a farmi male, sperando che tutto questo fosse soltanto un incubo. Se solo fossi stata più forte, o armata. Se solo non fossi stata così debole, inutile. Davo per scontato che per noi era già finita. E dopotutto, non potevamo fare altro per migliorare la nostra situazione, quando uno sparo scoppiò come il rombo di un tuono. Sentii un corpo accasciarsi, e Laura gridare ancora una volta. Immediatamente spalancai le palpebre, e il mio assalitore si sollevò dal mio corpo. un odore acre mi andò dritto nel naso, e ricercando la mia amica la ritrovai stretta contro il muro con un cadavere ai suoi piedi. Dei passi, come il rintoccare di quei secondi lunghissimi ed estenuanti, si fecero avanti mostrando una figura diabolica e maligna. Occhi scuri e spiritati, labbra scarlatte e deformi, un riso inquietante, preannuncio di morte. Non riuscivo a crederci ma Joker era lì. E ci stava salvando.
Il mio aggressore si sollevò di scatto dal terreno e scappò via, ma il clown sapeva prendere la mira egregiamente. Un ennesimo colpo di pistola. E anche il secondo corpo cadde a terra senza vita. E io, non curante del fatto che Laura mi stesse chiamando implorandomi tremante di alzarmi e scappare, fissavo gli occhi dell’assassino che adesso ricambiava il mio sguardo con vigore e veemenza. Un brivido caldo mi percosse tutta, e quando Joker rise nuovamente trasalii, afferrando la mano di Laura e scappando via a bordo della sua macchina.
Non parlammo per tutto il tragitto fino a casa mia, e forse fu un bene. Ci salutammo, restando una decina buona di minuti a stringerci, facendo finta di essere forti, ricordandoci che una bella dormita ci avrebbe di certo aiutate a dimenticare. Ma io non avrei mai dimenticato. Anzi, appena varcata la soglia di casa, tutto sarebbe tornato alla mia memoria.
La porta si chiuse rumorosamente alle mie spalle, e sospirando posai la testa pesante su quella liscia parete lignea. Il vestito era strappato in più parti, le caviglie gonfie mi pulsavano dolorosamente, i capelli selvaggi non avevano più una forma e il trucco colato aveva macchiato le mie guance arrossate. Deglutii silenziosamente, prendendo un respiro profondo. Mi voltai piano, e come in un incubo lui era alle mie spalle. Lo sguardo fisso su di me, imperioso, forte. Ed io ero così piccola e inerme in quel momento. Una gemma incolore rinnovò i solchi che le lacrime precedenti avevano tracciato sul mio viso, e a malapena riuscii a trattenere i singhiozzi, soffocandoli nella profondità della mia gola. Violentemente abbassai lo sguardo, lasciando che i miei capelli, come uno scudo mi proteggessero da quella occhiata che pareva inchiodarmi alla porta. Con uno scatto repentino e vigoroso, Joker mi costrinse a sollevare lo sguardo; a fissarlo dritta negli occhi, perdendomi in quei pozzi scuri e pericolosi. Con la punta delle dita, raccolse la mia lacrima e l’assaggiò:
-Nessuno…- disse con voce bassa e infuriata: -Non permetterò a nessuno di toccarti…- sospirai, piangendo e stringendomi al suo petto. Le sue mani mi abbracciarono protettivamente. E fu proprio in quel caldo abbraccio che sentii una fitta dolorosissima al cuore. Stavo facendo tutto quello che mi ero ripromessa di non fare: mi stavo innamorando di lui. E non mi importava nulla. Riemersi dai suoi pettorali, fissandolo in preda ad un attacco di euforica consapevolezza.
-Dillo…- mi ordinò spietato, stringendomi così forte da farmi trasalire mentre le sue dita quasi potevano modellare i miei fianchi
-Dillo!- ringhiò una seconda volta, lasciando combaciare la mia fronte con la sua. Presi un respiro profondo mentre il cuore mi galoppava nel petto. Socchiusi gli occhi e con un sussurro leggerissimo e sollevato mi levai finalmente un enorme peso dal cuore:
-Io sono tua…-         
 
*Angolino di Virgy*
E dopo un bel, bel beeel periodo di astinenza, finalmente torno a scrivere questa fiction. Le vacanze sono finite quindi posso tornare a dedicarmi alla mia amata scrittura. Spero vivamente che il capitolo vi piaccia, è molto che non aggiorno e non vorrei deludere le vostre aspettative. 
Buona lettura.
Un bacio
-V-

 

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Capitolo 7
*** Cap. 7 – This is not what it is, only baby scars ***


Cap. 7 – This is not what it is, only baby scars
 

Un boato scoppiò nel bel mezzo dell’appartamento, accompagnando il mio esile corpo che lentamente andò a schiantarsi contro la porta d’ingresso. E nel momento in cui realizzai di essere compressa tra quella misera parete lignea e il corpo del clown, inevitabilmente mi si mozzò il fiato, e socchiusi le labbra per la sorpresa. Le mani di Joker erano ancora saldate ai miei fianchi, il suo viso ad una vicinanza millimetrica dal  mio. Provavo un fortissimo calore nel petto, seguito da un brivido gelido che, non appena sentii la sua mano salire lungo la mia schiena, mi fece inarcare ulteriormente contro il suo ampio torso. Avevo le guance ancora umide dal pianto, il fiato corto e il cuore che galoppava all’impazzata nella mia cassa toracica. I suoi occhi mi inchiodavano in una spirale bollente e pericolosa dalla quale non sapevo come liberarmi.
-Tu…- sussurrai piano, lasciando scivolare le mie mani lungo il suo petto fasciato dal gilet verdognolo e dalla camicia scura,
-Hai ucciso per me…- conclusi con un mezzo sorriso amaro che si sollevò sulle mie labbra. Si era sporcato le mani per me, e me ne sentivo lusingata, pur essendo pienamente cosciente di ciò che aveva fatto. Ma cosa potevo pretendere? Che la mia concezione di moralità sarebbe rimasta perfettamente intatta, pur restando per così tanto tempo a stretto contatto con un pazzo criminale come lui? Un ghigno divertito si dipinse sulla bocca martoriata del clown, che ridendo appena portò una delle sue mani al mio viso, afferrandolo quasi con dolcezza sebbene si trattasse comunque di una presa piuttosto vigorosa.
-E lo farò ancora, bambolina…- rise cucciandosi piano, nascondendo il viso tra i miei folti capelli ancora spettinati e aggrovigliati dallo scontro con i due maniaci. Il suo fiato caldo, come le sue labbra, mi sfiorarono appena il lobo sinistro, facendomi vibrare, inerme, tra le sue braccia:
-Devo proteggere ciò che è mio-
-J-Joker…- feci per dirgli qualcosa quando sentì il suo dito indice posarsi sulla mia bocca,
-Shh… basta parlare…- sogghignò affondando ulteriormente tra i miei capelli, posando le labbra appena dietro l’attaccatura dell’orecchio, cominciando a lasciarmi un’umida scia di baci roventi per l’intera curvatura del collo. Fu così che mi ritrovai ad annaspare per un poco d’aria mentre paradossalmente legavo le braccia attorno al suo collo, avvinghiandomi a lui proprio per timore che potesse lasciarmi andare, che interrompesse bruscamente tutta quella valanga di brividi che mi aveva travolta, spietata, in un’ascesa al peccato che aveva tutte le carte in regola per tramutarsi, evolversi in un piacere più forte e corrosivo. Sentivo il cuore battere all’impazzata, a tal punto che pensavo che prima o poi sarei andata in autocombustione se non fosse che improvvisamente, proprio come temevo, la bocca calda e vorace del clown si sollevò spietata dalla mia pelle. Con un certo disappunto, i miei occhi istintivamente cercarono i suoi: scuri come la pece, e parevano proprio ribollire dal desiderio, mentre sul suo viso storpiato il suo eterno sorriso si sollevava ancora una volta. I nostri occhi si scrutarono avidi, lasciando trapelare in quello sguardo una sottile accezione di sfida. Già sentivo mancarmi il fiato, prefigurando cosa sarebbe potuto succedere tra me e il criminale numero uno di Gotham city di lì a breve. Mi morsi piano il labbro inferiore, stritolando la stoffa del suo soprabito viola tra le mie mani. Probabilmente avevo totalmente perso il lume della ragione, ma ciò non mi impedì di annullare quella breve distanza che così ingiustamente ci separava, prendendo possesso delle labbra di Joker di mia spontanea volontà. Fu un bacio famelico, passionale, anticonvenzionale. Nessuna canzone smielata o il canto di uccellini e campane che suonano a festa come sottofondo. Nessuna prospettiva da film davanti a noi. Lui non era un principe venuto a salvarmi ma un folle ricercato, e io ero la sua vittima succulenta. Le nostre labbra si fondevano assieme con lo stesso vigore con cui ci fronteggiavamo poderosamente per guadagnarci la supremazia sull’altro. Intrecciai le dita attorno ai suoi morbidi riccioli verdastri, mentre sentivo le sue mani scendere tentatrici lungo la mia schiena per afferrarmi le gambe, e strattonandomi a sé con la giusta forza mi fece mancare la terra da sotto i piedi. Automaticamente le intrecciai attorno ai suoi fianchi, sussultando tra le sue labbra ancora tinte di rossetto scuro quando sentii le carezze lascive e dispettose del clown infilarsi sotto la morbida gonna del vestito che ancora mi fasciava.
-Oh, bambolina…- sospirò piano, inarcando appena il collo così da potermi ben scrutare in viso.
-C’è questo tuo piccolo lato focoso che mi è del tutto nuovo…- constatò chinandosi appena per lasciarmi l’impronta scarlatta di un soffice bacio sulla gola, facendomi salire un generoso brivido di piacere che mi fece venire la pelle d’oca.
-Non sembra dispiacerti…- risposi a mia volta, scostandogli una ciocca verdognola dal viso, ancora lievemente truccato sebbene riuscissi a intravedere il naturale colore del suo incarnato al di là del cerone. Un ghignetto malevolo e divertito allora si scolpì tra le sue labbra marcate:
-Ma è proprio questo il punto: mi sta facendo diventare pazzo- automaticamente inarcai un sopracciglio verso l'alto,  compiaciuta del sospiro bramoso e caldo del criminale che mi carezzò morbidamente le guance. Fu allora che tornai a baciarlo, ma questa volta con un tocco più delicato. Le nostre labbra si muovevano in sincronia, e mano a mano che quel contatto andava prolungandosi, riuscivo a sentire il suo sapore invadermi completamente. Non sapevo con precisione di cosa si trattasse, tuttavia non riuscivo a smettere di saggiarlo. Avevo portato le mani al suo viso, tenendo le sue guance tra le dita, assicurandomi che non si separasse ancora una volta dalla mia bocca tanto facilmente. Si trattava di una forza che non sarei mai stata in grado di combattere, era più forte di me. E anche se sapevo che, a lungo andare, la sua presenza avrebbe man mano corrotto la mia anima e la mia ragione, sentivo in verità come una vocina nel profondo della mia mente: il lamento straziato di una piccola me che pregava per averne ancora, e ancora...
Senza interrompere quello stesso bacio che progrediva in un climax ascendente verso un ritmo via via più passionale, Joker si staccò dalla porta d'ingresso che ci sosteneva, trasportandomi tra le sue braccia sino alla camera da letto. Ad occhi chiusi, indaffarato a mordermi e succhiarmi le labbra con ingorda malizia, il clown sapeva perfettamente come destreggiarsi nei meandri del mio piccolo appartamento,  come se oramai la conoscesse a memoria in ogni suo singolo anfratto. Da qualche tempo avevo cominciato a chiedermi se Joker avrebbe mai preso seriamente in considerazione l'ipotesi di restare nel mio mondo. In realtà cominciavo a chiedermi come sarebbe stato convivere con lui, ora che ero "sua". Ci saremmo svegliati nello stesso letto al mattino? O come al solito mi sarei ritrovata sola? Certo non potevo sperare in un radicale cambiamento, no... Non sarei riuscita a sopportare un Joker diverso dalla schizofrenica canaglia che mi stava letteralmente rubando il cuore. Eppure, avevo il presentimento che d’ora in poi la mia vita non sarebbe diventata più facile. Tutt’altro. Non ebbi il tempo di ponderare a dovere quei mille pensieri, che come al solito si affollavano nella mia mente, quando finalmente giungemmo in camera da letto. Aveva calciato la porta, facendola sbattere conto il muro. Si fermò soltanto una volta arrivato davanti al grande materasso dalle coperte scure, e con un sogghigno fuoriuscito a forza dal nostro bacio, sentii le sue mani spingermi con una discreta forza, costringendomi a staccarmi dal suo corpo. Sussultai dallo spavento quando, perdendo l'equilibrio, caddi a peso morto sul letto, rimbalzando più volte sul materasso sotto i suoi occhi raggianti e colmi di una greve euforia. Rimasi completamente immobile, stesa sul copriletto con gli occhi rivolti contro di lui. Sapevo cosa stava per succedere, o almeno lo immaginavo, poiché trattandosi di lui, tutto poteva effettivamente accadere. Portandosi le mani alle tasche, ne estrasse qualcosa che in un primo momento non capii con precisione di cosa si trattasse. Soltanto quando vidi la lama del coltello a scatto fuoriuscire dal suo astuccio, con un suono sordo e metallico, sbiancai come un lenzuolo. Sussultai, e il mio stesso fiato mi perì in gola.
-Perché sei così seria, bambolina?- ridacchiò cucciandosi appena su di me. Con uno balzo improvviso, cercai immediatamente di indietreggiare per raggiungere l'altro capo del letto, e forse scappare se ne avessi avuto l'occasione.  Potevo sentire le farfalle nello stomaco per lui, ma saperlo armato a una vicinanza così ristretta e in un momento così intimo e delicato, inutile dirlo, ma mi metteva i brividi.
-Dove pensi di scappare?- rise quasi a perdi fiato mentre mi afferrava poderosamente per le caviglie, portandomi a sé facendomi scivolare sul letto per tutta la sua lunghezza, incastrandomi proprio sotto al suo stesso corpo prestante e asciutto. Tentai di dimenarmi, sebbene fosse molto difficile data la sua forza, ma quando lo vidi avvicinarmi il coltello al viso, sentii tutti i miei muscoli mutarsi in pietra.
-Non devi avere paura- disse sfiorandomi appena la guancia con la lama, facendomi accapponare la pelle anche al di sotto dei vestiti.
-Soprattutto quando ho un coltello in mano- aggiunse portando la lama seghettata del suo pugnale contro la scollatura a cuore che rivestiva il mio petto, il quale custodiva un cuore galoppante in preda alla tachicardia. "Tutto ciò non ha senso" pensai, prestando poca attenzione al sorriso diabolico che si era dipinto sulla bocca del clown: con uno scatto deciso infatti, Joker aveva tracciato con il coltello uno squarcio piuttosto lungo che in pochi secondi scoprì, quasi per intero, tutto il mio torso. Un gridolino di spavento, quasi uno squittio, si fece largo tra le mie labbra mentre il folle terminava la sua opera, facendo a pezzi il resto del mio abito, lasciandomi con nient'altro che la biancheria addosso. Sentii allora i suoi occhi cominciare a vagare sulla mia pelle, scrutandomi dalla testa ai piedi con una seria e al tempo stesso inquietante espressione in volto. Dal canto mio, avevo cominciato a tremare. Non era la prima volta che avevo temuto per la mia incolumità, ma dal modo in cui i suoi grandi pozzi neri continuavano a osservare il mio corpo, tutt'altro che asciutto e scolpito come quello di una modella, sembrava essere rimasto compiaciuto dalla mia reazione.
-Dio, Virgily...- ringhiò cucciandosi violentemente, strappandomi via un bacio breve ma intenso, un morso che cominciò a bruciarmi le labbra.
-Adesso sei decisamente bella-
-Se non avessi distrutto il mio vestito probabilmente ti avrei ringraziato- risposi tutto d'un fiato, senza neanche rendermi conto di averlo fatto.
-I vestiti non sono altro che un guscio. Ma a me è ciò che celano quello che mi interessa- disse tracciando una leggera scia di baci lungo tutta la curvatura del collo,
-E non c'è nulla di più eccitante di scoprire che ciò che ho immaginato al riguardo corrisponde alla realtà- sussurrò pianissimo tra un bacio e l'altro,  facendomi letteralmente ardere le guance. Sentivo sciogliermi fra le sue morbide carezze e le sue labbra carnose, come un fuoco che stava divampando violentemente nel mio petto. La bocca del criminale stava ancora lavorando sul mio collo, mordendomi, come se volesse assaggiare ogni centimetro della mia pelle. E quando lo sentii affondare piano nella carne, feroce ma al contempo delicato, dispettoso per un certo verso; nulla riuscì a evitare che un mugugno sottile sgusciasse dalle mie labbra, facendomi meccanicamente allacciare le braccia attorno alle spalle e al collo di Joker. Sfiorai allora la stoffa morbida e violacea del suo soprabito, e fu in quell’essatto momento che decisi che il clown stava indossando troppi vestiti per i miei gusti. Scivolai allora con le mani sul suo ampio petto, lasciandolo divorare le mie labbra, intrufolando le dita nello scollo della sua lunga giacca scura, calandogliela dalle spalle. Sollevandosi a cavalcioni sul mio grembo, Joker si sfilò definitivamente il soprabito da dosso, lanciandolo in un angolo della camera. Sotto di lui, mi limitai a sollevarmi appena, poggiandomi sui gomiti, osservandolo in ogni suo piccolo movimento, mordendomi il labbro inferiore con foga al solo pensiero di mettere mano sui suoi vestiti.
-Cos'hai?- domandò corrucciando le sopracciglia, intuendo che lo stavo letteralmente squadrando in tutta la sua magnificenza, ignaro del fatto che in realtà fantasticavo sulle fattezze del suo corpo nudo sul mio.
-È il mio turno…- sussurrai afferrandogli il gilet con forza, trascinandolo sul letto al mio fianco. Dovevo ammettere che era stato fin troppo facile scavalcarlo e rivoltare le nostre posizioni, ma evidentemente il fatto che fossi io a torreggiare mezza nuda su di lui doveva intrigarlo parecchio. Ma a differenza sua, la mia tattica era ben diversa: rubandogli un piccolo bacio a fior di labbra, scesi sul suo collo, lasciando che le mie dita nel frattempo sbottonassero lentamente il gilet e la camicia, così che scoprendo man mano più lembi di pelle senza alcuna fretta, ma anzi con sadica lentezza, mi ritrovai a tracciare un’invisibile scia di baci lungo tutto il suo torso, soffermandomi sulla sua pancia piatta e tonica mentre mi destreggiavo con l’allacciatura dei suoi pantaloni. La sua cassa toracica aveva cominciato a sollevarsi ritmicamente, e anche il suo respiro mi sembrava più gravoso ed affannato. Lo sentivo irrigidirsi sotto di me, accaldarsi. E con una presa salda le sue mani forti e grandi si aggrapparono lungo I miei fianchi, massaggiandoli con vigore, carezzandomi la schiena. Sbottonando I suoi pantaloni con cura, lasciandoli calare assieme ai boxer, rivelai la sua nudità nella penombra della mia camera da letto. Con un unico movimento, rapidissimo e veemente, volteggiai a mezz'aria, atterrando nuovamente sul letto, e l’uomo sopra di me con impazienza finiva di spogliarsi completamente. Dalla sottile e fredda luce che filtrava dalle finestre, tutto ciò mi sembrava ancora surreale. Tutto, tranne quello sguardo rovente che i suoi occhi color pece riservavano solo per me. Da quel momento, ricordo soltanto che ci fu un lungo silenzio, e la sua bocca premeva con forza sulla mia, aprendosi un passaggio con la lingua, succhiandomi le labbra; e le sue mani vagavano, esploravano il mio corpo privandomi di quegli unici indumenti che ci impedivano di gustare l’uno il calore dell’altra. Sussultai piano, stringendolo forte per il collo e le spalle quando fu per la prima volta dentro di me, facendomi inarcare contro il suo ampio petto. I nostri respiri pesanti e affannati risuonarono per l’intero ambiente, e mentre i nostri corpi cominciavano a muoversi in completa sincronia, cominciai a sentire un familiare nodo allo stomaco: un fuoco ardente che lentamente mi corrodeva con facilità, facendomi conficcare le unghie appena laccate nella sua schiena, lasciandogli dei purpurei segni del vivo desiderio. Il movimento di Joker cominciò gradualmente a farsi più accelerato e passionale, e sollevando le labbra dalle mie, scese sino al petto, baciandomi il seno, irradiando tutta una serie di scosse elettriche che contribuirono soltanto a farmi cacciare un grido di piacere, mentre rotolando sulla schiena, il clown mi concesse di poterlo sovrastare, accompagnandomi nei movimenti. Le sue mani grandi e calde guidavano I miei fianchi, manipolando la mia pelle come morbida argilla tra le sue dita. Chinai il capo, baciandogli e succhiandogli il lobo del’orecchio, ascoltando come il suo respiro diventasse più roco e suadente. E con un nuovo bacio, mi ritrovai nuovamente sotto di lui, patendo un brivido sadico e bollente che mi fece cacciare l’ultimo grido della passione non appena giungemmo entrambi all'apice del nostro amplesso. Restammo in quella posizione per qualche istante, ascoltando i nostri battiti cardiaci rimbombare l’uno sul petto dell’altra, pazientando che anche i nostri respiri tornassero regolari. Aveva sollevato le lenzuola scure per coprirci appena, tornando poi a posare il capo sul mio petto, stringendomi in un forte abbraccio senza dire nemmeno una parola. I suoi boccoli arruffati mi impedivano di poterlo guardare in viso, così mi limitai ad accarezzargli teneramente il capo, intrecciando I suoi soffici capelli attorno alle dita.
-Forse…- disse spezzando il sottile silenzio tra noi –Questo non dovremmo scriverlo-
-Come?-
-Parlo della storia- intrecciò le sue lunghe dita a quelle della mia mano libera, baciandomi il dorso con dolcezza,
-Nessuno deve sapere che ho un punto debole adesso…- sibilò sulla mia pelle. Alle sue parole mi si gelò il sangue in un istante.    
-Ma allora…- mi sollevai appena, pazientando che anche il clown facesse lo stesso così da poterlo guardare dritto negli occhi:
-La ragazza di cui mi hai fatto scrivere, ero io?- domandai quasi incredula
-Sì- rispose secco gattonando verso di me, torreggiandomi nuovamente senza mai annullare il nostro contatto visivo.
-Tu sei la mia unica debolezza, Virgily. Lo sei sempre stata… Fin dal primo istante- un piccolo sorriso mi si dipinse automaticamente in viso, mentre il mio cuore ricominciava a battere forte. Era la confessione più sincera e genuina che un uomo potesse farmi.
-Da quando avere qualcuno da cui tornare è sintomo di debolezza?- gli domandai carezzandogli il viso, sfiorandogli la cicatrice sulle labbra,
-Da quando sono il mostro che sono-
-Tu non sei un mostro, Joker. Tu sei un uomo. L’uomo che ho intenzione di aspettare tutte le sere, sperando che non si faccia del male in uno dei suoi folli piani per portare il caos nel mio mondo. Sei l’uomo che accetto per i demoni che si porta dentro-
Un silenzio tombale calò pesantemente su di noi, ma i suoi occhi scuri, per qualche momento, sembrarono farsi sempre più grandi, inghiottendomi in uno sguardo non riuscii a decifrare. Un sogghigno leggero sgusciò dalla sua bocca, mentre si cucciava quel tanto che gli serviva per rubarmi un ennesimo bacio. Poi, sollevando ulteriormente le lenzuola sui nostri corpi, si distese al mio fianco, avvolgendomi tra le sue forti braccia, ridacchiando sottovoce:
-Ahh, bambolina…- sospirò lasciandomi l’impronta di un bacio tra i capelli,
-Tu sei completamente fuori di testa- sorrisi a mia volta, tenendo il viso sepolto nel petto di Joker. Probabilmente aveva ragione, ma a me non importava.

***

Forse ero crollata dal sonno senza neanche rendermene conto. Oramai era mattina, e senza alcuna sorpresa mi ritrovai sola, avvolta tra le coperte del mio letto. Mi chiesi in quale luogo si sarebbe diretto a creare scompiglio, quanti soldi avrebbe rubato, quante persone ferito, se non addirittura ucciso. Avevo molte domande nella mia testa, e un grande vuoto che pareva divorarmi. Mi sollevai allora dal letto, sistemando appena il caos che la notte precedente avevamo creato in quella modesta camera. Il mio vestito era un cumulo di stoffa strappata e sfilacciata che finì dritta dritta nella spazzatura. Ciò che mi incuriosì tuttavia era il fatto che via via mettessi in ordine, mi ritrovai a piegare i suoi vestiti. “Se i suoi vestiti sono qui, allora lui dov’è?”. A venirmi in soccorso, il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia mi colse letteralmente alla sprovvista. Che ci faceva ancora a casa? Che io mi fossi svegliata troppo presto? I miei occhi vagarono alla ricerca del piccolo orologio che sostava sul comodino: 11:00 a.m. Dio mio quanto avevo dormito! Certo di domenica questo era un lusso che potevo concedermi, ma il fatto che anche lui fosse ancora a casa era quasi allarmante. Mi vestii di tutta fretta, infilando le prime cose che trovai aprendo l’armadio. A piedi nudi mi avviai lungo il corridoio, avvicinandomi verso il bagno la cui porta sembrava essere stata lasciata volutamente socchiusa. Sospirando, mi morsi il labbro inferiore. La tentazione di entrare a dare una sbirciatina era tanta, ma proprio quando stavo per afferrare la maniglia, il trillo metallico del campanello mi fece quasi sobbalzare. Filai dritta in salotto, dirigendomi verso l’ingresso. Affacciandomi dallo spioncino della porta tutto quello che vidi furono due uomini che restavano completamente immobili, aspettando che gli aprissi. Il primo era un signore piuttosto grande, portava dei grandi occhiali da vista; il secondo al contrario era piuttosto giovane, e restava In silenzio a fissarsi le punte dei piedi con le mani nelle tasche del lungo cappotto beige. Di una cosa ero certa: quelle due persone non le avevo mai viste in vita mia. Considerando il fatto che c’era un criminale in casa mia mi chiesi se valesse la pena fidarmi o fare finta che non ci fossi. Chi potevano essere quei due? Dei complici di Joker? In realtà l’unico modo per trovare risposta era proprio aprire quella porta e chiederglielo. Afferrai allora la maniglia ottonata e creai un breve varco che mi permettesse di sporgermi quel tanto che bastava per poter comunicare con loro senza però uscire totalmente allo scoperto.
-P-Posso esservi di aiuto?- domandai osservando queste due paia di occhi grandi fissarmi.
-Lei è la signorina Virgily Carter?- mi domandò a sua volta l’uomo dai grandi occhiali,
-Sì, sono io..-
-Signorina io sono il commissario Champman e lui è il detective Collins. Ci scusi per il disturbo, ma stiamo investigando sulla morte di Peter Baker e Martin Price, due giovani che sono stati ritrovati senza vita questo mattino in un vicolo nei pressi del pub Spread Eagle…- “Cazzo…” alle sue parole inevitabilmente mi si mozzò il fiato.
-Oh, capisco…- dissi cercando di ricompormi più in fretta possibile, sebbene sentissi il cuore in gola.
-Le dispiace se entriamo e le facciamo qualche domanda?- mi domandò il giovane detective, avvicinandosi appena, scrutandomi appena come se avesse intuito il mio sconforto.
-C-Certo, prego…- annuii spalancando la porta, maledicendomi mentre li facevo entrare. Il cuore mi batteva a mille, quasi faticavo a respirare mentre mi sforzavo ad ogni costo di non apparire troppo tesa ai loro occhi vigili ed attenti. La polizia era in casa mia, e il colpevole sotto la doccia. Come diavolo sarei uscita da questa situazione!? Ci accomodammo sul divano, e aspettai che cominciassero con le domande:
-Dunque, le spieghiamo subito la situazione: la signorina Hall, in chiaro stato di shock, questo mattino ci ha spiegato le dinamiche dell’accaduto- “Laura! Maledizione!” pensai annuendo piano,
-Tutto quello che vogliamo è soltanto ascoltare la sua versione dei fatti per poter ricostruire l’evento e proseguire con le indagini- terminò il detective con tono rassicurante, quasi volesse tranquillizzarmi. Cosa che tuttavia risultò del tutto inutile.
-Beh..- cominciai schiarendomi la gola, cercando di mantenere i nervi saldi ancora per un po’ di tempo.
-Io e la mia amica, Laura, avevamo deciso di passare una serata insieme allo Spread Eagle. Abbiamo bevuto un cocktail e verso l’una abbiamo deciso di tornare a casa…- feci una piccola pausa, aggiustandomi appena una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ascoltando nel frattempo il suono dell’acqua della doccia che continuava a scorrere. “Magari, se mi sbrigo se ne andranno senza rendersi conto di nulla…” pensai.
-Nel tragitto dal pub fino alla macchina abbiamo notato due ragazzi che ci seguivano cercando di attaccare bottone con noi, ma siccome ci sembravano piuttosto ubriachi abbiamo proseguito dritto per la nostra strada. Tuttavia i due hanno continuato a venirci dietro. E quando abbiamo espresso il nostro disinteresse ci hanno strattonato in un vicolo interno. Sebbene cercassimo di ribellarci, io ero stata scaraventata a terra, Laura invece venne spinta contro un muro…-  e al ricordo di ciò il mio cuore perse un battito, interropendomi dal racconto,
-Prego, continui…- mi esortò gentilmente il commissario dai grandi occhiali.
-Stavo cominciando a perdere le speranze, pensando che ci avrebbero fatto del male. Poi ho sentito un primo sparo, e immediatamente il ragazzo che teneva la mia amica cadde a terra, con un foro sulla tempia. Il secondo ragazzo che era sopra di me allora fece per scappare, ma sentii un  secondo colpo di pisola, e vidi anche lui accasciarsi al suolo. Non eravamo i soli in quel vicolo. C’era un uomo che si stava avvicinando con la canna della pistola ancora fumante. Sul volto aveva del trucco: gli occhi marcati di nero e le labbra erano disegnate con un enorme sorriso rosso e innaturale. Io e Laura non abbiamo perso tempo e siamo scappate via. Ma credo che fosse proprio questo il suo intento…- terminai il racconto abbassando appena lo sguardo, respirando profondamente,
-Perché pensa questo?- mi domandò incuriosito il giovane uomo seduto all’altro capo del divano,
-Beh, credo che se quell’uomo non avesse voluto lasciarci andare adesso non sarei qui a dirvelo…- un sottile silenzio calò per l’intero ambiente, quando con un roco colpo di tosse il commissario si sollevò dal mio divano dicendo:
-Bene signorina. La ringraziamo per la sua disponibilità. Faremo tutto il possibile per trovare il colpevole. Questo clown da strapazzo sta creando fin troppi guai in giro…- comment infine avviandosi verso l’uscio.
-Me lo auguro…- mentii spudoratamente
-Arrivederci signorina- il commissario mi strinse la mano uscendo per primo,
-Se le venisse in mente qualche dettaglio, qualsiasi cosa, non si faccia problemi a contattarmi- il detective Collins mi lasciò il suo bigliettino, sorridendomi appena.
-Senz’altro- risposi appena con un timido sorriso. Ci stringemmo silenziosamente la mano quando improvvisamente sentii la sua presa farsi più salda, facendomi fremere. Ora che ci facevo caso, il rumore della doccia non c’era più. Questo significava soltanto una cosa: Joker vagava libero e indisturbato e c’era ancora un detective in casa.
-Pensavo fosse sola…- mi disse fissandomi dritta negli occhi. Aveva delle grandi iridi chiare, quasi glaciali.
-Non l’ho mai detto- risposi tutto d’un fiato, giustificandomi. I suoi occhi indagatori mi scrutarono una volta ancora, guardinghi.
-Oh beh, in questo caso… Arrivederci, signorina Carter- mi lasciò la mano, e di tutta fretta uscì chiudendosi la porta alle spalle. Un sospiro di sollevo mi gonfiò le labbra. Me l’ero vista brutta, ma grazie al cielo potevo ben dire di essermela cavata. Feci allora per tornare in camera mia quando a metà strada sentii nuovamente il campanello trillare. “Ma cosa diavolo sta succedendo questa mattina?!” mi domandai tornando all’ingresso, questa volta aprendo senza neanche controllare dallo spioncino:
-Sorpresa!- una voce squillante ed euforica mi travolse completamente. Sbiancai non appena riconobbi la donna dai lunghi capelli castani e i grandi occhi verdi che reggeva la scatola di una pasticceria tra le mani.
-M-Mamma?!- esultai lasciandomi abbracciare, esponendo un sorriso forzatamente tirato.
-Sai stavo facendo spese in centro e sono passata davanti alla tua pasticceria preferita, e allora ti ho portato una tortina!- ridacchiò andando dritta sparata verso la cucina. Chiusi la porta roteando gli occhi contro il cielo, seguendola poi in cucina, osservandola mentre scartava una piccola terrina con una torta al cioccolato e fregole. Vedendola immediatamente sorrisi; questa volta però ero sincera, non tanto per il fatto che fossi golosa quanto più per mia madre, che pur avendo un pessimo tempismo, aveva comunque trovato modo di venirmi a trovare dopo il mio trasloco.
-È bellissima mamma, grazie. Ma non dovevi!- ridacchiai abbracciandola,
-Non dovevo? Santo cielo sei mia figlia! Ho tutto il diritto di farti sorprese se voglio- rispose ricambiando l’abbraccio, accarezzandomi dolcemente la testa,
-E poi te ne stai qui tutta sola…-
-A dire il ver…- non feci in tempo a terminare la frase che sentii una terza voce, a me molto familiare, provenire dal salotto.
-Che bella torta, festeggiamo qualcosa?- sentii mia madre irrigidirsi tra le mie braccia e voltarsi di scatto. Con il cuore in gola e un principio d’infarto mi voltai a mia volta, osservando il giovane uomo dagli umidi riccioli dorati e due grandissimi occhi nocciola fissarci con un tenero sorriso, ampliato dalle chiare cicatrici agli angoli della bocca. Inutile dirlo, ero rimasta a bocca aperta. Letteralmente. Aveva indossato la sua camicia e il pantalone, senza però truccarsi o tingersi i capelli. Non era allora il mio Joker l’uomo innanzi a me. Almeno non al momento.
-Oh..- Riprendendosi appena dalla sorpresa, vidi mia madre osservarmi in un primo momento, portando poi lo sguardo all'uomo innanzi a noi, e incredula tornò nuovamente a fissarmi, ma questa volta arrossendo:
-Oops, tesoro scusami! Non pensavo…-
-N-No mamma, tranquilla non devi scusarti- risposi a mia volta in totale imbarazzo mentre l’uomo, al contrario, con grande nonchalance si avvicinò a noi, cingendomi con un braccio per la vita e allungando l’altra mano a mia madre,
-Piacere di conoscerla, signora. Mi chiamo Jack Napier…- Si presentò esponendole un dolce sorriso, lasciandomi basita. Probabilmente stavo sognando: “Joker” si stava presentando a mia madre. No! IMPOSSIBILE!
-Anne. Piacere mio…- rispose a sua volta con un grande sorriso, stringendogli la mano.
-Suppongo che abbiate molto di cui parlare. Prego, accomodatevi  in salotto, io taglio qualche fetta di torta- affermò improvvisamente il biondo. Immediatamente lo fulminai con lo sguardo, sciogliendomi quando di tutta risposta Jack mi fece un’occhiolino divertito. Accompagnai allora mia madre nel salottino, posandomi al suo fianco sul divano.
-Non pensi che la mamma dovrebbe saperle certe cose?- sussurrò a mezza bocca sogghignando quando ci ritrovammo sole a confabulare in salotto, osservando entrambe di sottecchi il giovane uomo che si destreggiava egregiamente per la mia cucina.
-Ehm… ecco- cercai le parole più adatte: -Sai, ci frequentiamo da poco…-
-Capito… Beh, per lo meno sembra un ragazzo molto affascinante-
-Lo è- risposi secca, lanciando uno sguardo al ragazzo che silenziosamente affettava la torta con minuziosa cura. Stentavo ancora a crederci; era così che Jack viveva prima di diventare Joker? Non potevo saperlo, ma vederlo così sereno, così diverso mi spaventò al quanto. Per come stavano le cose, Jack Napier era un completo sconosciuto per me. Da non credersi, mi spaventava l’idea di un ragazzo normale piuttosto che di un pazzo omicida. Joker aveva ragione: ero completamente fuori di testa.
-Se non sono indiscreta- cominciò mia madre facendomi tornare con i piedi per terra,
-Posso chiederti come mai ha quelle cicatrici in viso?- sussurrò piano per non farsi sentire. Un brivido mi percosse la schiena per tutta la sua lunghezza:
-Sono le cicatrici di un passato difficile…- mi limitai a dire, abbassando la voce di qualche tono,
-Sono le cicatrici di un bambino ferito dal mondo, e che ha fatto di tutto per far sì che ciò non accadesse di nuovo. Sono molto fiera di lui- sollevai appena lo sguardo da Jack per portarlo a quello di mia madre. I suoi occhi verdi mi guardavano con una affettuosità di cui avevo sentito la mancanza. Non disse nulla, si limitò a sorridermi, cucciandosi quel tanto che le bastava per lasciarmi un casto bacio sulla tempia. Fu proprio in quel momento che anche il giovane uomo ci raggiunse con delle fette di torta adagiate su piccoli piattini. Era strano pensarlo, ma forse qualche ora di normalità nelle nostre vite non ci avrebbe fatto del male.

*Angolino di Virgy*

Santo cielo! Quanto tempo! Lo so, lo so volete linciarmi. Ma prima di farlo, spero che vi piaccia il nuovo capitolo. XD
So di essermi assentata per molto tempo, ma tra università, scleri, cali di fantasia e cataclismi vari sono stata costretta a non toccare le mie fic per molto tempo. Non posso promettere degli aggiornamenti più rapidi purtroppo, ma posso solamente pregarvi di non perdere la fiducia in me. Amo questa fan fiction come se fosse figlia mia, (e in un certo senso lo è). Detto questo passiamo al capitolo: confesso che il momento "clou" (sappiamo tutti di cosa sto parlando no?) purtroppo non è venuto come avrei voluto. In realtà il loro "affaire" sarebbe durato svariate pagine mooooolto particolareggiate, ma capite bene che per amor vostro ho tagliato delle descrizioni per evitare di dover poi alzare il rating a rosso. Spero che non mi farete fuori per questo (anche se me lo merito! Suvvia tutti vogliono fare sconcerie con Joker non facciamo le santarelline! *__* ). Mi auguro di aver mantenuto anche questa volta il carattere del nostro clown coerente fino alla fine, anche se non ne sono molto sicura. Volevo creare un capitolo intenso... ne avevo bisogno. 
Lasciatemi una recensione e fatemi sapere se vi garba o meno. Sentitevi liberi di lasciarmi dei suggerimenti per migliorare il mio stile o altro. 
Grazie per la lettura!
Un bacio
-V-  
                         

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Capitolo 8
*** Cap. 8 – Tell me who will make it out alive ***


Cap. 8 – Tell me who will make it out alive
 
Per quanto assurdo fosse passare qualche ora chiaccherando con mia madre, ignara del fatto che il mio compagno fosse un sociopatico criminale, dovevo ammettere che in fondo non mi era dispiaciuto affatto vedere Joker nella parte di un uomo normale. Era interessante osservarlo in quelle vesti che chissà per quanto tempo aveva smesso di indossare: Jack aveva tutta l’aria di essere un uomo buono, premuroso e dall’animo gentile. Certo, poteva facilmente ammaliare l’innocente ingenuità di mia madre, ma non me. No, nel profondo dei suoi grandi occhi scuri io vedevo il cupo barlume della follia mano a mano crescere dentro di lui. Come se portando  avanti la sua sceneggiata, il suo egocentrico io interiore cercasse di riprendere il possesso del suo stesso corpo. Mi colse allora un brivido, lunghissimo ed estenuante non appena il suo sguardo incrociò il mio: rovente, magnetico. Erano gli occhi di un amante impaziente, due pozzi scuri che lasciavano ben intendere cosa avesse intenzione di farmi.
-Oh, santo cielo ma che ora si è fatta? Meglio tornare a casa! Sai com’è fatto tuo padre…- ridacchiò mia madre spezzando il breve silenzio che era calato nel salotto,
-Oltretutto, non vorrei rubarvi altro tempo…- e sollevandosi appena dal divano espose un piccolo ghignetto malizioso, quasi come se anche lei, in fondo, avesse intuito qualcosa di losco nelle occhiate che il giovane Jack mi stava riservando,
-M-Mamma…- bofonchiai abbassando immediatamente lo sguardo, mascherando con qualche ciocca ribelle di capelli l’imbarazzo nel quale mi aveva fatto spofondare.
-Oh si figuri Anne- intervenne Jack, sollevandosi a sua volta per poterle stringere la mano
-É stato davvero un piacere-
-Altrettanto caro. Non ho mai visto Virgily così allegra da quando Jim… beh- a questo suo tentennamento sollevai di scatto lo sguardo, cercando quello della mia genitrice che in pochi secondi si era rabbuiato con una fitta malinconia che sapevo mi avrebbe travolta senza lasciarmi alcuna via di fuga.
-Oh non pensiamo a queste brutte cose! Non oggi. Conosco la strada non vi preoccupate. Passate una bellissima gionata ragazzi!-
-Ciao mamma- la salutai appena, cercando di trattenere lo sconforto, che come avevo previsto, mi aveva leteralmente soggiogato in tempo record. La scomparsa improvvisa di mio fratello era un argomento difficile da trattare in famiglia, e sapere che anche mia madre faticava a pronunciare il suo nome quasi accentuava il dolore per la sua mancanza. La porta si chiuse lentamente alle sue spalle, lasciandoci nuovamente soli, finalmente in “pace”, se così si poteva definire. Sollevai appena lo sguardo, andando immediatamente alla ricerca di quell’uomo enigmatico e affascinante che, come previsto, restava ancora in piedi, osservandomi intensamente. Sebbene si trattasse ancora di “Jack”, i suoi occhi riuscivano a scavarmi dentro, ma vedevo una leggera sfumatura di apprensione in quello sguardo che quasi mi fece sciogliere quando, a passo lento, tornò a sedersi al mio fianco, sollevando appena l’angolo sinistro delle labbra. Il suo era un ghigno vagamente somigliate a un piccolo sorriso: amaro, malinconico. Sembrava volermi dire qualcosa, ma di cosa si trattasse proprio non ne avevo alcuna idea.
-Ti sei rattristata, bambolina…- disse improvvisamente, cercando il mio sguardo anche quando tentai di evitarlo, di impedirgli di leggermi dentro con la stessa facilità con cui intuiva sempre cosa provassi e perché.
-Non è niente- mentii spudoratamente –Sto bene-.
-Io invece suppongo che sia per via di tuo fratello- rispose a tono chianando appena il capo, pazientando che sollevassi di scatto lo sguardo per potermi scontrare, attonita, contro il suo.
-Jim, giusto?-
-S-Sì- risposi appena schiarendomi la gola, senza rendermene conto avevo già la voce tremante e gli occhi gonfi. Voltandomi appena portai allora una mano al viso, mascherando i singhiozzi e stringendo le palpebre nel vano tentativo di non lasciar trapelare una minima goccia.
-Virgily…- Joker mi chiamò piano, accorciando ulteriormente le distanze tra di noi, ma non ebbi il coraggio di voltarmi. Cominciai a respirare piano, soffocando l’imminente crisi di pianto che stava per scoppiare.
-So che non è un argomento che ami trattare, ma vorrei che tu sappia che se senti la necessità di parlarne…-
-Se n’è semplicemente andato. Tutto qui- risposi schiettamente, troncandolo nel bel mezzo della frase.
-Un bel giorno è sparito senza lasciare tracce. Non amo parlarne perché il ricordo di come ci ha lasciati mi provoca molta rabbia…- terminai continuando a voltargli le spalle. Per un po’ un inquietante silenzio tombale calò su di noi. A furia di trattenere i singhiozzi cominciavo a sentire la gola bruciare, e le meningi farmi male. Poi, con un gesto del tutto improvviso e che mai mi sarei aspettata, sentii le braccia di Joker avvolgersi attorno al mio corpo, facendomi voltare con destrezza così che potesse stringermi forte al suo petto. Mi ritrovai allora con il volto protetto dai suoi pettorali, racchiusa in un abbraccio talmente intenso e caloroso che in men che non si dica mi sciolsi in una pioggia di lacrime amare, boccheggiando come una bambina.
-Ovunque lui si trovi, sono certo che gli manchi- sussurrò pianissimo, quasi cullandomi mentre lasciava la morbida impronta di un bacio sulla mia testa. Per un certo verso, la sua frase mi aveva spiazzata, ma rapidamente pensai che fosse un modo come un altro per cercare di consolarmi. Sentii allora un brivido percorrermi tutta, facendomi fremere. Questa sua dolcezza per un attimo mi fece palpitare, tanto che quando sollevai il capo dal suo torso, quasi dubitai del fatto che fosse lo stesso uomo che per tutto questo tempo avevo nascosto in casa mia.
-Perché mi guardi così?- sogghignò asciugandomi le ultime lacrime carezzandomi premurosamente.
E cosa potevo dirgli ora? Che avevo bisogno di sentirmi dire quelle parole? Che stavo maledettamente bene tra le sue braccia, lasciandomi stringere, come mai nessuno aveva fatto prima? La verità era che non avevo il coraggio di dire nulla. Oh mio dio, ero paralizzata, travolta dalla cosapevolezza che probabilmente mi stavo innamorando di lui anche più del dovuto.   
-Virgily?-
-Grazie- mi limitai a rispondere, ritornando bruscamente con i piedi sulla terra ferma. Carezzandomi appena il viso con la punta delle dita, Jack mi acconciò una ciocca bruna dietro l’orecchio. Un picolo sorriso si dipinse tra le sue labbra, lasció scivolare le mani sulle mie guance, sollevandomi appena lo sguardo, facendo sí che le nostre iridi s’incontrassero a mezz’aria in un’occhiata loquace e complice.
-Sei stata brava prima…- affermò improvvisamente, cogliendomi alla sprovvista. Onestamente non avevo compreso a cosa si riferisse, e il mio buon senso sperò che non si trattasse di uno squallido commento post prestazione sessuale tipico di una qualche commedia serie “z”. Notata la mia espressione sconcertata, ammirai con un certo fastidio lo stimolo del riso pizzicare l’angolo sinistro della sua bocca, costringendolo a soffocare il sogghigno nella gola.
-Intendevo con la polizia, bambolina- rispose trattenendo a stento una risatina perfida e maligna;
-Però- sussurrò piano, accorciando ulteriormente le distanze tra i nostri volti, sguinzagliando le mani lungo il mio corpo, aggrappandosi saldamente ai miei fianchi,
-Se devo essere sincero, a letto non te la cavi per niente male…- il suo tono aveva assunto un connotato più basso e roco, provocandomi un brivido caldo che automaticamente mi portò a mordermi il labbro inferiore, quasi in un vano tentativo di ricompormi, o di non sciogliemi al solo ricordo dalla nostra prima volta. Che stesse cercando, a modo suo, di distrarmi dal triste pensiero di mio fratello? Difficile dirlo; ma se questo era effettivamente il suo piano, beh… Ci stava riuscendo.
-Che ti devo dire…- sbuffai mascherando un risolino divertito –Magari è un talento naturale- alla mia affermazione, gli occhi scuri dell’uomo si dilatarono con sorpresa, macchiandosi di quello stesso desiderio con il quale mi stava squadrando qualche momento prima che mia madre ci lasciasse nuovamente soli.
-Intendevo con la polizia, signor Napier- risposi beffarda imitando la sua voce prima di scoppiare a ridere tra le sue braccia.
-Goditi il “signor Napier” finchè sei ancora in tempo- affermò beffardo scompigliandomi i capelli con fare dispettoso prima di afferrarmi prontamente il viso, uno scatto del tutto impulsivo e sgraziato, quasi bramoso, fissandomi con uno sguardo serio e al contempo glaciale:
-Dubito che “l’altro” ti permetterà di prenderlo in giro con così tanta leggerezza- soffiò sulle mie labbra, inumidendosi lievemente la bocca con la punta della lingua quasi con fare malizioso e tentatore,
-Sempre che tu non voglia essere punita…- terminò, adottando nuovamente quel tono grave e roco che altro non faceva che provocarmi lunghi ed estenuanti brividi lungo tutta la schiena. E fu proprio mentre sentivo la pelle incresparsi appena sotto la canotta fina che una malsana idea, come se fossi stata in parte contagiata dalla follia del clown, si fece largo tra i miei pensieri.
-Dipende dal genere di punizione…- risposi appena mordendomi il labbro inferiore:
-Per esempio- continuai sollevandomi appena dal divano, quel tanto che serviva per permettermi di scavalcare la sua figura con una gamba. Mantenendo il contatto visivo perennemente costante, le sue mani grandi e affusolate immediatamente si posarono attorno ai miei fianchi, aiutandomi nella mia discesa, cosentendomi con più facilità di potermi posare a cavalcioni sul suo grembo.
-Cosa potrebbe farmi Joker se mi trovasse tra le sue braccia? Eh, signor Napier?- legai allora le braccia attorno al suo collo. Giocavo con i suoi morbidi ricci ancora umidi, esponendo uno sguardo fintamente innocente, cosciente del fatto che il nostro piccolo gioco di ruolo solo ora stava cominciando a entrare nel vivo della partita.
-Conoscendolo ci farebbe fuori entrambi- soffiò a pochi centimetri dalle mie labbra, lasciando scorrere i polpastrelli lungo la mia schiena, lanciandomi piccoli brividi che mi fecero istintivamente inarcare la schiena contro di lui, accorciando ulteriormente le distanze tra i nostri petti.
-Oh…- sogghignai appena, rubandogli un piccolissimo bacio a fior di labbra -Allora deduco che sia meglio che me ne vada…-
-Giusta osservazione- disse, tornando a stringermi forte un fianco con una mano, quasi manipolandomi tra le sue dita forti e callose, mentre con quella libera mi afferrava in viso, tenendomi saldamente a pochissmi millimetri dalle sue labbra cicatrizzate,
-Peccato che io non abbia la minima intenzione di lasciarti andare, bambolina…- digrignò tra i denti, avventandosi sulla mia bocca in un bacio rovente e famelico. Ancora una volta eravamo tornati a darci battaglia per la supremazia di uno sull’altra, e sibilando appena tra i suoi morsi passionali tremavo al solo contatto delle sue lunghe dita sulla mia pelle, infilandosi sotto la mia canottiera. Le mie mani, scivolando lungo il suo petto, cominciarono a sbottonargli la camicia scura con una certa dimestichezza. Spezzai il nostro bacio per lasciargli un’umida scia di baci lungo la mascella e l’incavo del collo, fremendo non appena un suo sussulto sottile giunse al mio orecchio. Decisi di approfondire il mio lavoro sul suo collo, succhiandogli la morbida pelle, mordendolo dispettosamente per stimolarlo ulteriormente. La sua mano grande s’inoltró tra i miei capelli, e con un gesto impulsivo tiró appena la mia folta chioma facendomi staccare la bocca dal suo collo e, al contempo, innalzare lo sguardo contro di lui. I suoi occhi neri mi penetrarono da parte a parte con una forza tale da farmi tremare le labbra. Si avventó famelico nuovamente sulla mia bocca stringendomi forte al suo petto, accompagnandomi in un unico movimento che aveva lo scopo di farmi stendere sotto il suo corpo lungo tutta la superficie del divano sul quale stavamo amoreggiando. Immediatamente percepii che c’era un qualche oggetto che si puntava contro la mia schiena, facendomi inevitabilmente inarcare contro il mio amante; tuttavia, compresi che doveva trattarsi del telecomando del televisore soltanto quando quest’ultimo, cogliendoci alla sprovvista, si accese improvvisamente risuonando per l’intero ambiente.

“Giovani esponenti della malavita trovati assassinati in un vicolo della cittá”.

 E nella frenesia del nostro bacio, i nostri occhi si sgranarono di colpo. Io e Joker ci guardammo per qualche istante senza proferire alcuna parola. Ancora in quella posizione, portammo entrambi lo sguardo contro lo schermo acceso della Tv, osservando la scritta in sovraimpressione sul telegiornale pomeridiano. La giornalista fece il nome dei due ragazzi per cui la polizia era venuta a cercarmi, e inevitabilmente anche il mio nome e quello di Laura, in quanto testimoni, comparve sul teleschermo. Sbiancai di colpo, e con un gesto impreciso mi sfilai dalla presa del clown per tornare in una compostezza meccanica e innaturale. “Perfetto” pensai, “Come se Joker non fosse giá sulla bocca di tutti…” abbassai violentemente lo sguardo, cercando di non andare in escandescenze e perdere il controllo, sebbene dovessi ammettere che vista la situazione era pressoché impossibile. Una risatina stridula e irrequieta si fece largo sulle labbra tirate del clown, facendomi rabbrividire. Probabilmente doveva essere divertito da tutta questa “notorietá”, perdendo di vista il fatto che lui non appartenesse al mio mondo. No, questa era la realtá, e Joker non sapeva a cosa andava in contro. Senza dire nulla, l’uomo al mio fianco si sollevó pesantemente dal divano, sogghignando appena:
-Credo sia ora di andarsi a preparare- disse cominciando ad avviarsi con ampie falcate verso la camera da letto. Senza neanche pensarci, cominciai a seguirlo con un passo agitato e irrequieto.
-E ora dove pensi di andare?- gli domandai entrando in camera dopo di lui, osservandolo sconcertata dalla sua inquietante calma,
-Semplice, vado a sistemare le cose con le famiglie di quei simpatici ragazzi che ho ucciso- mi rispose senza neanche degnarmi di uno sguardo, mentre dalla tasca del suo cappotto violaceo estraeva del cerone e il resto dell’occorrente per reallizare la sua maschera.
-Sistemare le cose?!- urlai furibonda –Santo dio Joker, questa è una follia! Come diavolo puoi pensare una cosa del genere dopo aver ucciso due dei loro?Non ti faranno mai tornare a casa vivo!-
-Tu sottovaluti le mie potenzialitá, bambolina- mi rispose, sempre con la sua calma disarmante, mentre finiva di truccarsi accuratamente. Lo osservai passarsi piú e piú volte il rossetto scartlatto lungo le sue labbra allungate, e sebbene quella scena fosse maledettamente sensuale ai miei occhi, non potevo fare a meno di avere paura.
-No Joker…- sospirai piano –So benissimo di cosa sei in grado di fare, è solo che…- non riuscii a terminare la frase, sentendo che le lacrime stavano tornando a gonfiarmi gli occhi, e che come una mocciosa stavo per scoppiare nuovamente a piangere. Non potevo farci nulla, mi sentivo impotente. Non volevo che succedesse tutto questo, ma non potevo certo pretendere che un folle psicopatico abbandonasse la sua indole. Mi morsi appena il labbro inferiore, cercando di trattenere tutto il mio sconforto quando, con una presa ben salda ma gentile, Joker mi avvolse tra le sue braccia forti in una stretta calorosa e rassicurante.
-Non devi avere paura Virgily. Io staró bene. Sto facendo tutto questo per proteggerti…- sussurró piano, lasciandomi una piccola impronta di un bacio sulla tempia per poi sciogliere appena il nostro breve abbraccio sfilandosi qualcosa dalle tasche dei pantaloni: uno dei suoi coltelli.
-M-Ma che…- non riuscii a terminare la frase che prendendomi la mano, Joker mi fece stringere il suo fido compagno tra le dita:
-Non è da trascurare il fatto che quei bastardi verranno a cercarti. Dopotutto tu e la tua amica siete le uniche testimoni-
-Sí, ma…-
-No, Virgily, ascoltami. Finché non saró rientrato voglio che tu resti qui in casa. Niente ospiti, niente telefonate. Non devi essere raggiungibile per nessuno e soprattutto non aprire la porta a qualcuno, neanche a tua madre. E se dovessero arrivare, Virgily io voglio che tu ti difenda, a qualsiasi costo. Sono stato chiaro?- il suo sguardo era cupo, il suo tono greve e serio. Sentii un brivido percorrermi interamente la schiena, facendomi fremere. Aveva ragione, per quanto fosse assurdo. Annuii piano, stringendomi impulsivamente al suo corpo; avevo il bisogno di sentire il suo calore e il suo odore ancora una volta prima di lasciarlo andare.
-Brava la mia bambolina-

***
Erano passate quattro ore da quando Joker aveva lasciato la mia abitazione, e rannicchiata in posizione fetale sul letto osservavo un punto invisibile nel vuoto. Per tutto il tempo non avevo fatto altro che dondolarmi, stringendo il piccolo coltello a scatto tra le mani. Mi chiesi cosa gli avrebbe fatto una volta trovati, mi chiesi che cosa sarebbe successo dopo. Tutte incognite alle quali non potevo dare una risposta. Tutto quello che dovevo fare era asspettare, e cercare di non lacerarmi le membra per l’angoscia durante quella lunga attesa. Improvvisamente il trillo del campanello della porta mi fece istintivamente sobbalzare dal letto. Il mio buon senso mi diceva di andare almeno a controllare di chi si trattasse tramite lo spioncino della piccola porta laccata, ma in quell’esatto frangente ero rimasta totalmente paralizzata. Suonarono nuovamente al campanello. E ancora, e ancora… poi ci fu silenzio. Feci un breve sospiro di sollievo quando, cogliendomi totalmente alla sprovvista, un forte boato mi fece mancare un battito. “Merda…” pensai: avevano sfondato la porta. Senza pensarci scivolai silenziosamente sotto il letto. Certo, non era uno dei posti più originali per nascondersi, ma onestamente non avevo modo di pensare a un piano migliore di quello. Non riuscivo a sentire nulla tranne che l’adrenalina scorrere nelle mie vene come densa cicuta che mi avvelenava l’anima. Il cuore mi batteva talmente forte da spaccarmi la cassa toracica. La fronte madida stillava gelide gocce di sudore che andarono a colarle lungo la mia pelle increspata dai brividi. Poi il suono di passi cominció a farsi riconoscere al mio orecchio; qualcuno stava entrando in camera mia.Con le palpebre spalancate, sentivo le pupille seccarsi velocemente mentre finalmente osservavo la punta di un paio di scarpe nere lucide sfiorare i merletti del copriletto. Il fiato mozzato e l’istinto di urlare cominció ad arrampicarsi nella mia gola, quasi gonfiandomi le venature del collo. L’uomo tuttavia sembrava non essersi accorto della mia terrorizzata presenza, e pertanto si allontanó dal mio giaciglio spoglio. Dopo secondi interminabili quei piedi uscirono dal mio campo visivo, e a giudicare dal suono pesante che arrancava lento fino a scemare in un flebile sussurro, pensai, con un sospiro di sollievo, che probabilmente se ne fosse andato. Posai la fronte sul polveroso parquet, conitnuando a respirare pronfondamente mentre attendevo con ansia che il mio battito cardiaco rallentasse. Una lacrima sgusció dal mio autocontrollo, rigandomi la guancia pallida. Cominciavo ad abituarmi all’aria rarefatta che circolava là sotto. Un formicolio intrigante poi mi solleticó i piedi, carezzandomi le caviglie. Forse mi stavo abbandonando a una sorta di sonnolenza nervosa, o forse erano delle mani grandi e forti ad agguantarmi le gambe. Immediatamente spalancai di colpo gli occhi, e sbarrandoli osseervai di sottecchi che delle dita tozze affondavano nella mia carne. Cacciai un grido straziato che squarció quel silenzio che per ore aleggiava per casa. Aggrappandomi con tutte le mie forze rimaste al pavimento, sentii le mie unghie rompersi e sgretolarsi nel vano tantativo di sfuggire alla sua presa ma trascinandomi per i polpacci, chiunque fosse, era riuscito a farmi uscire allo scoperto.

*Angolino di Virgy*
So di avervi fatto attendere a lungo, ma purtroppo si sono verificati degli imprevisti che mi hanno impedito di scrivere. Uno di questi, oltre al blocco dello scrittore dal quale sono affetta patologicamente, é sicuramente il fatto che mi si é rotto il computer, di conseguenza mi sono dovuta arrangiare con un vecchio computer fisso con la tastiera internazionale (quindi sono quasi sicura che molti accenti saranno sbagliati, e vi chiedo perdono di ció). Passando alla storia, beh... posso dirvi che é cominciata la vera e propria azione. Purtroppo non posso promettervi, come al solito, che aggiorneró presto. Tuttavia, posso dirvi che d'ora in poi la storia diventerá sempre piú assurda, LETTERALMENTE! (dopotutto é risaputo che io sia completamente fuori di testa). Vi ringrazio dal profondo del cuore per il grande seguito che la mia storia sta raggiungendo, sono commossa! 
Fatemi sapere se questo capitolo é di vostro gradimento o se per voi dovrei migliorare qualcosa!
Un bacio,
-V-   

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Capitolo 9
*** Cap. 9 - You know I make you wanna scream ***


Cap. 9 – You know I make you wanna scream


Non appena ripresi conoscenza, con un movimento convulso le dita, pallide e affusolate, mi si arcuarono come artigli. Le unghie si spezzarono nel forte attrito con il pavimento ruvido e freddo, e un tremore mi percosse tutto il corpo, lasciando che lentamente una piccola chiazza purpurea cominciasse a espandersi sulle mie vesti; dovevo essermi ferita in un qualche modo all’addome ma non ne avevo memoria. Frastornata, tenevo gli occhi quasi serrati, e per quanto forte fosse il dolore mi sembrò di non essere neanche più in grado di pensare. Un urlo straziato squarció quell’angoscioso silenzio. Chi era? Sollevando appena il capo dal lurido giaciglio, mi portai una mano al viso: era solcata da scie cremesi che il sangue aveva tracciato prima di seccarsi. Lentamente mi stropicciai alla buona gli occhi e il naso, pervasi dalla fastidiosa presenza di grumi di polvere che mi irritavano l’intero volto. Poi, facendo leva con le mani tentai faticosamente di mettermi seduta, poggiando la schiena contro la colonna di cemento a cui ero legata. Avevo la caviglia serrata da un catenaccio, e a stento riuscivo a sentire il sangue scorrermi nel piede sinistro. Tremai, un po’ per l’umida temperatura che mi stava congelando i lembi scoperti di pelle, e un po’ per l’insopportabile angoscia dell’attesa. Mi portai le ginocchia al petto, stringendomi in me stessa alla ricerca di calore e conforto. Nascosi poi il viso tra le braccia conserte. Ero stordita, ancora mi faceva male la testa. È così che mi avevano presa: un bel colpo alla dietro la nuca e nel giro di pochi secondi ero K.O. E ora ero lì, in quell’angolo d’inferno senza capire dove mi trovassi e soprattutto perché proprio io. Beh no, in realtà potevo ben immaginare per quale motivo mi trovassi lì: Joker.
 Improvvisamente dei singhiozzi, affannati e accelerati, mi colsero alla sprovvista. Allora sollevai appena il capo, volgendo lo sguardo alla ragazza legata al mio fianco: tremava come una foglia, aveva le gambe livide, le labbra screpolate, gli occhi stanchi. “oh Dio…”
-L-Laura?- non volevo crederci. Per tutto questo tempo lei era lì e non me ne ero minimamente resa conto. Posai le mani a terra e cercando di fare il meno rumore possibile mi avvicinai al suo fianco, trascinandomi la pensante catena che scricchiolava ad ogni mio minimo movimento. Era così pallida e il suo sguardo era smorto, forse non era ancora del tutto cosciente.
-Laura?- la chiamai piano, trattenendo a stento le lacrime. Avrei voluto urlare, chiamare aiuto. Ma percepivo che quello era soltanto l’inizio di un lungo ed estenuante tormento. Lasciai una carezza gentile sul viso della ragazza, scostandole appena i capelli. Probabilmente fu proprio quel contatto a darle la forza di guardarmi. Laura non disse nulla, ma nel suo sguardo vidi il terrore: la paura di morire. Non ebbi il coraggio di dirle qualcosa per rassicurarla. Sapevo bene, purtroppo, che nulla avrebbe potuto darci conforto in una situazione del genere. Neanche pregare poteva servire a qualcosa. La giovane si strinse ulteriormente al mio petto spaventata più che mai, e cominciò a piangere, soffocando tra i singhiozzi di un vero e proprio attacco di panico. Ricambiai l’abbraccio, incapace di poter proferire alcuna parola. Persino tra i miei pensieri c’era un silenzio quasi tombale. Quasi. Effettivamente c’era un sussurro sottile che mugugnava qualcosa: “è tutta colpa tua”. Era la mia coscienza e a stento trattenni le lacrime.
Sentii improvvisamente un suono di passi avvicinarsi a quella specie di cella nella quale eravamo state rinchiuse, e un brivido mi fece accapponare la pelle.    
-Laura non piangere…- Dissi – O attirerai ancora di più la loro attenzione- e con la coda dell’occhio, feci finta di non vedere quelle figure di nero vestite affacciate alla piccola apertura sulla spessa porta di acciaio. E sebbene cercassi con tutte le mie forze di ignorarli, di non dargli la soddisfazione di scrutare la mia espressione contrita, riuscii comunque a sentire il peso incessante dei loro viscidi occhi sempre puntanti su di noi. Bisbigliavano, sogghignavano. Erano uomini, e dio solo sapeva cosa diavolo volessero farci. Con uno scricchiolio metallico si aprirono i cancelli della nostra cella, e con ampie falcate due giovani uomini estremamente ben vestiti e curati si fecero avanti verso di noi. Non riuscivo a definire con precisione il volto di ciascuno dei due, probabilmente a causa della fitta penombra che incupiva l’intero ambiente; ma certamente dubito che alla prima occhiata buona avrei potuto mai considerarli come esponenti della malavita. Non parlarono, ma i loro occhi ci scrutavano attentamente, e questo non preannunciava nulla di buono. Poi, uno dei due, quello più basso e dalla stazza meno prestante, indicò la giovane donna al mio fianco, e immediatamente sentii un brivido farmi trasalire. L’altro allora si cucciò su di noi, liberando la caviglia della mia amica non curante del fatto che lo stessi fissando intensamente. Ero paralizzata, non sapevo cosa avrei potuto fare: gridare? Mi avrebbero zittita. Lottare? Mi avrebbero picchiata. E più tempo sprecavo a pensare, più l’angoscia dentro di me cresceva incessantemente. L’uomo sollevò Laura di peso, strappandomela dalle braccia e fu soltanto in quel momento che si degnò di guardarmi: occhi scuri, viscidi. Erano cattivi, ma non malizioni. Erano spietati. Mi fulminò con un solo sguardo austero e glaciale, ma ciò non mi distolse dal pensiero di aggrapparmi alla sua caviglia in un vano tentativo di impedirgli di portarmela via. Laura era solo una povera vittima innocente in tutta questa storia, non potevo permettere che le facessero del male per causa mia. Così mi decisi e mi prostrai al suolo con un unico slancio ben deciso, e annoidai le braccia attorno alle sue gambe forti e robuste. In cambio ricevetti unicamente un calcio ben assestato in pieno addome, e mentre sentivo la voce flebile della mia amica chiamarmi senza sosta mentre la trascinavano via, non riuscii a trattenere i conati di sangue che mi esplosero in bocca, facendomi riversare una buona dose di quel vistoso liquido cremisi sul lurido pavimento. Mi sentivo così debole, impotente. Io, che fino a qualche ora prima ero sospesa tra realtà e follia, nelle grazie di uno schizofrenico criminale, adesso mi ritrovavo a dover far i conti con un nemico sconosciuto e, senza ombra di dubbio, più sadico e spietato di quanto potessi pensare. Mi sentii una miserabile, ma ciò che davvero mi faceva male, era la consapevolezza che neanche la mia amica sarebbe riuscita a sottrarsi a questo ignobile destino.
-P-Prendete me…- bofonchiai appena, tossendo le ultime gocce di sangue denso e caldo. Non sapevo se la mia mossa sarebbe valsa a qualcosa, ma dovevo provarci… per Laura. La ragazza fra le braccia dei due si dimenava quanto più poteva, lasciando vorticare i soffici boccoli ambrati per aria. Ma non appena udì la mia timida e flebile richiesta, la giovane si bloccò, puntando le sue grandi iridi chiare contro di me, che ancora riversata a terra la osservavo con occhi languidi, e il sangue che mi colava dagli angoli delle labbra. I due uomini si guardarono attoniti. Evidentemente neanche loro sapevano come reagire alla mia iniziativa perché mi parvero, giusto per qualche istante, come spaesati. Poi si lanciarono un’occhiataccia complice, e fissandomi l’uomo robusto che teneva tra le braccia la mia amica tornò sui suoi passi, lasciando a terra il corpo di Laura.
-No! No vi prego! Non abbiamo fatto nulla, vi prego non fatelo! - pianse fortissimo la giovane nell’angolo della sua cella, quasi paralizzata mentre le mani forti e gonfie dell’uomo mi afferrarono di peso per le braccia, trasciandomi e forzandomi a camminare al suo fianco, non curante delle mie gambe doloranti e tremanti.
-Virgily! Virgily!- riuscivo ancora a sentire le grida di Laura sebbene fossi  ormai lontana dalla nostra cella. C’era un lungo corridoio, stretto e asfissiante. La luce era fredda, talmente luminosa che mi fece male agli occhi per cinque minuti buoni, impedendomi di vedere con lucidità dove effettivamente mi stessero portando. Inciampai più e più volte sui miei stessi passi, con le labbra dischiuse ma incapaci di dare fiato alle mie frustrazioni. Con una spinta decisa l’uomo che mi stringeva a sé mi fece svoltare a destra, in una piccola saletta spoglia e dall’aspetto sterile e inquietante: una piccola lampadina dalla luce giallognola sovrastava quattro mura grigiastre e vuote. Era un ambiente completamente privo di mobilia, tranne che per una vecchia barella multilivello, dallo schienale rigido e sollevato, accostata a un piccolo carrelletto di acciaio. La confusione che immediatamente mi annebbiò il cervello mi fece rallentare talmente tanto che sentii le mani del mio aggressore quasi entrarmi nella carne quando mi sollevò di peso per posizionarmi su quella fredda barella. Impacciatamente cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma le dita tozze e vigorose dell’uomo mi agguantarono il viso, portandomi ad una vicinanda millimetrica dal suo: aveva la pelle chiara, solcata da qualche piccola ruga attorno agli occhi. I capelli scuri gli incorniciavano un viso squadrato, spigoloso e arrossato. Mi mostrava i denti come un animale rabbioso e con un semplice –Stai zitta- mi costrinse a seguire i suoi ordini. Una volta distesa lungo tutta la superficie rigida e metallica della portantina, l’uomo si sfilò dalle tasche del pantalone gessato due paia di manette che utilizzò per immobilizzarmi i polsi alle protezioni laterali della barella. Soltanto dopo essersi assicurato che le mie nuove costrizioni fossero fissate a dovere, mi diede le spalle allontanandosi di qualche passo da me, giusto il tanto che gli serviva per fiancheggiare la porta d’ingresso alla stanza, portandosi le mani dietro alla schiena in un tipico atteggiamento di guardia, sbandierando i suoi grandi occhi scuri e roventi senza mai darsi pace. Sospirai piano, lasciando sfuggire una piccola lacrima incolore dal mio autocontrollo. Sentivo il cuore battermi all’impazzata nel petto, rimbombare talmente forte che temevo che prima o poi mi avrebbe spaccato le costole, infrangendo la cassa toracica. Abbassai appena lo sguardo, lasciandomi prendere l’attenzione da quel piccolo carrellino di acciaio che mi sostava accanto. C’erano diverse fiale, dal contenuto liquido e incolore, e delle siringhe. Un brivido mi fece accapponare la pelle, e il cuore mi andò in gola. Cosa stava per accadermi?
-Signorina Carter…- una voce mascolina e vellutata giunse improvvisamente al mio orecchio. Era una voce che non mi parve nuova, sebbene non riuscissi a relazionarla ad alcun volto conosciuto. Proveniva dallo stesso ingresso nel quale mi avevano spinta pochi minuti prima, e quasi voltantomi di scatto mi ci vollero poco più di dieci secondi per riconoscere il giovane uomo ben vestito che lentamente si avvicinava a me: aveva i capelli castani ben pettinati, e un sorrisetto sornione e soddisfatto impresso sul suo visetto sbarbato e affilato. I suoi occhi chiari erano fissi su di me, osservandomi beffardi.
-D-Detective Collins…- sussurrai in un fil di voce, confusa. Il risolino divertito del giovane uomo alla mia reazione quasi si ampliò in un ghigno sadico e inquietante:
-A dire il vero, qui mi chiamano tutti Harry Baker… O boss nella maggioranza dei casi- puntualizzò afferrando un piccolo sgabello in legno scolorito, sedendosi al mio fianco.
-Sai, Peter era mio fratello…- affermò in seguito, con una calma quasi disarmante sebbene dal tono della sua voce potevo percepire che stesse trattenendo la sua rabbia. I miei occhi si sgranarono di colpo. Ora cominciavo a capire:
-S-Sono un’esca?- e i suoi grandissimi occhi azzurri quasi s’illuminarono alla mia domanda,
-Perspicace la ragazza…- sogghignò scivolando il suo sguardo su tutta la mia figura stesa e legata su quella vecchia barella.
-E anche molto bella- mi sorrise nuovamente –Sai, di solito una ragazza normale dopo aver subito un’aggressione, e aver assistito a un duplice omicidio, è sotto shock per giorni. Tu invece eri così calma, e oltrettutto in dolce compagnia. Ammetterai anche tu che c’erano fin troppe coincidenze per far reggere la tua storia…-  constatò tamburellandosi i polpastrelli sulle ginocchia, mostrando un sorrisetto tutt’altro che ben intenzionato sulle labbra sottili.
-Ma allora perché anche Laura…- non mi fece terminare la frase che immediatamente mi zittì,
-E perché no? Dopotutto è a causa di entrambe se mio fratello e il suo amico sono stati ammazzati da quell’animale…- sogghignò quasi digrignando i denti.
-Tuttavia mi chiedo…- lasciò la frase a metà, accorciando appena la distanza tra i nostri volti, penetrandomi con uno sguardo malizioso e malevolo:
-Perché una brava ragazza come te si scopa un mostro del genere?-  affermò canzonatorio facendomi ardere il sangue nelle vene,
-Sono cazzi miei- risposi piano, a denti stretti senza neanche rendermi conto di aver aperto bocca. Immediatamente mi maledii appena vidi il suo risolino divertito allungarsi ulteriormente sul suo volto, assumendo un’accezione sgradevole e viscida:
-Oh, ora capisco…- il suo tono di voce si fece basso e roco, e quasi annullando del tutto le distanze immerse il viso tra i miei capelli –All’apparenza sembri un fiore candido e innocente, e invece hai delle spine belle accuminate…- sentii precisamene le sue labbra quasi sfiorarmi il lobo sinistro, facendomi fremere ad ogni sua parola,
-Scommetto che in fondo ti piace farti fottere dai cattivi ragazzi…-
-V-Vaffanculo- sibilai quando le sue dita lunghe a affusolate si allungarono sui miei capelli, afferrandoli con decisione, tanto da obbligarmi a mordermi le labbra per trattenere un gridolino di dolore. Tirandomeli con forza, il giovane uomo mi costrinse a sollevare il capo e lo sguardo: nelle sue grandi iridi grigie mi parve di vedere un fuoco ardere bramoso. Mi venne un brivido mentre sentivo i conati di vomito cominciare ad inasprirmi la bocca dello stomaco.
-Eh sì…- sbuffò appena –Sei proprio il tipo di donna per cui mio fratello andava matto… E adesso lui è morto- e con questa frase finale, tra di noi calò un lungo e pesantissimo silenzio. Il mio cuore oramai aveva acquisito un ritmo frenetico ed inarrestabile, e sembrava non aver intenzione di rallentare. Mi faceva male la testa, sentivo le meningi scoppiare. Tutti i miei muscoli erano intorpiditi, e certo l’ansia di non sapere cosa ne sarebbe stato di me non aiutava affatto la mia situazione. Una valanga di pensieri sconclusionati e privi di alcuna logica si susseguirono nella mia mente. Laura era ancora imprigionata, Joker era sparito. Ero sola, e non avevo la più pallida idea di come comportarmi. Quasi sperai che tutto questo fosse soltanto un brutto sogno, e che al mio risveglio tutto sarebbe tornato alla normalità, salvo per Joker. Lui era l’unica eccezione, e tutto ciò era a dir poco paradossale: con tutto quello che mi stava succedendo a causa sua, io ancora non mi capacitavo di ritornare a vivere una vita priva del medesimo brivido che quel clown schizofrenico mi aveva causato dal momento del nostro primo incontro. Anzi, nel profondo del mio cuore ero certa che anche se si sarebbe fatto aspettare, il mio clown sociopatico sarebbe venuto a prendermi. Non era presunzione la mia, dopotutto io ero sua.  
E al solo pensiero, l’angolo destro delle labbra mi si sollevò automaticamente, e questo mio piccolo e apparentemente insignificante gesto non passò affatto inosservato:
-Cos’è quel sorrisetto, eh?- domandò improvvisamente, tornando ad afferrarmi i capelli
-Lascia che ti dica una cosa, troietta- e la sua bocca fu nuovamente incollata al mio orecchio, aumentando ulteriormente il mio senso di nausea e ribrezzo.
-Se pensi davvero che il tuo clown da strapazzo sopravvivrà nel tentativo di venirti a salvare anche questa volta, ti sbagli di grosso. Però consolati…- e lasciando in sospeso la frase, l’uomo mi strinse appena, mordicchiandomi dispettosamente il lobo, provocandomi un brivido congelato che mi fece fremere e dimenare dalla sua salda presa, nel vano tentativo di scostarmi il più possibile dalla sua molesta persona.
-Mi sento talmente benevolo che ho deciso di lasciarti in vita. Sarebbe un vero peccato ucciderti senza averti assaggiato prima…- le sue mani lentamente erano scese al mio viso, lasciandomi delle carezze lascive e inquietanti. Con i polpastrelli, tracciò lentamente il contorno della mia bocca, mordendosi appena il labbro inferiore con desiderio. Strinsi le mani costrette nelle manette in un pugno, e sentendo l’adrenalina cominciare a scorrermi nel sangue azzardai un piccolo morso a quelle dita moleste che cominciavano a causarmi un serio voltastomaco. Sfortunatamente il bastardo aveva i riflessi pronti, e il mio colpo andò a vuoto:
-Uhh… la cagnetta sa mordere- rise scostandosi da me, quasi concedendomi il privilegio di poter prendere un respiro di sollievo. Tuttavia, quando i miei occhi cominciarono a studiare i suoi movimenti, mentre lentamente afferrava una siringa contenente un liquido trasparente dal banchetto posizionato affianco alla barella sulla quale ero legata, i miei occhi si sbarrarono di colpo. Le pupille dilatate e eccitate dell’uomo mi scrutarono con attenzione, e rise al mio evidente pallore.
-Lo sai che cos’è il Penthotal? Agisce sul sistema nervoso centrale e in piccole dosi, come queste, abbatte tutti i freni inibitori. Certo, il corpo umano riesce a tollelarlo solo per venti minuti… Ma ti assicuro che saprò come sfruttare a dovere il tempo a nostra disposizione- sogghignò divertito conficcandomi l’ago in vena senza alcuna precauzione. Un dolore pungente e imprevisto mi fece scalciare d’improvviso, facendomi cacciare un’urlo dettato per lo più dallo spavento.
-Oh sì, comincia a scaldarti perché ho intenzione di farti urlare un bel po’ prima che perderai i sensi- sentii tutta quella robaccia penetrarmi fredda nel corpo, cominciando quasi da subito a entrarmi in circolo. La testa allora mi si fece pesante, cominciò a girare, come quando bevevo troppi alcolici di diversa gradazione, annebbiandomi quasi la vista. Il battito cardiaco finalmente cominciò a rallentare la sua forte corsa, probabilmente a causa del penthotal, e neanche mi resi conto del fatto che il giovane avesse estratto l’ago della siringa dal mio braccio, buttandola non curante a terra prima di avventarsi su di me. Cercai di dimenarmi con tutte le forze, ma dovevo ammettere che quella roba che mi aveva iniettato aveva fatto rallentare ulteriormente i miei movimenti, impedendomi anche di pensare con la lucidità e la razionalità necessaria per scampare alle sue luride mani. Sentii le sue dita affusolate ovunque, tastando e palpandomi al di sopra dei vestiti. Scivolò lentamente sul mio ventre, solleticandomi appena prima scendere ulteriormente e cominciare a massaggiarmi l’interno coscia, facendomi venire la pelle d’oca per il disgusto.
-Toglimi le mani di dosso!- avevo cominciato ad urlare, scalciando per quanto la mia debolezza mi rallentasse nei riflessi. Più il tempo scorreva e più mi sembrava di perdermi, di smarrire ogni briciolo di coscienza di me stessa, ma non potevo permettergli di prendersi ciò che non gli spettava, di prendersi gioco di me, usandomi a suo piacimento.
-Altrimenti?- rise, cucciandosi di colpo per potermi stampare l’impronda di un umido bacio sulla base del collo
-Morirai- mormorai appena. Avevo la testa pesante che quasi cominciava a dondolare lungo la mia spalla, le mie ultime forze mi stavano abbandonando e probabilmente prima o poi nemmeno sarei riuscita più ad ascoltarmi quando avrei aperto nuovamente bocca.
-Ah davvero?- strinse i miei capelli bruni tra le sue dita, tirandomeli con forza per portarmi il viso alla sua altezza, così che il suo fiato tiepido e affumicato potesse entrarmi in bocca.
-E come pensi di uccidermi, eh?- domandò canzonatorio, beffeggiandomi –Perché invece non ti rilassi? Giuro che cercherò di essere il più delicato possibile-
-Va a farti fottere- fu tutto quello che uscì dalle mie labbra quando improvvisamente, interrompendoci nel bel mezzo della mia tortura, spezzando quell’aria elettrica e rovente che era calata tra di noi, degli scagnozzi del giovane boss fecero il loro ingresso irrompendo con una certa fretta in quella misera stanza degli orrori:
 -Che diavolo succede?! Vi avevo detto che volevo restare solo con la nostra giovane ospite- con voce roca e burbera Harry Baker si sollevò appena dal mio corpo, e mettendosi a braccia conserte agrottò le sopracciglia, fissandoli in cagnesco in attesa di una loro risposta:
-Tutte le guardie dell’ingresso principale sono state uccise!- affermarono quasi all’unisono in un pallore cadaverico e preoccupante.
-Che significa che sono stati uccisi?! Non è possibile!- alla sua escalamazione, automaticamente scoppiai in una fervida risata piena di gusto. L’uomo dinnanzi a me aveva spalancato leggermente le labbra nello stupore, restando immobile per svariati secondi mentre continuavo a ridere. Finalmente l’ora stava giungendo. Era Joker, ne ero certa. E proprio quando cominciai a sentire il rumore di molteplici colpi da arma da fuoco in lontananza, il mio cuore perse un battito.
-Che cazzo restate lì impalati?! Andate! E sparate a vista!!- aveva ordinato a denti stretti, cominciando a perdere anche la sua ferrea sicurezza oltre che la calma.
-Te lo avevo detto: morirai- ghignai divertita. Oramai non potevo più contenere quel vomito di parole che il mio buon senso aveva censurato per tutta la mia sofferta permanenza; e in balia della sostanza con la quale mi aveva drogata mi ero lasciata andare in una risata acuta e spassionata. Un riso talmente liberatorio da farmi ardere le guance e farmi scalpitare il cuore nel petto. Improvvisamente però, costretta a dover bruscamente terminare il mio piccolo momento di libero sfogo, mi ritrovai il capo girato verso il lato destro, e una sensazione fastidiosamente dolorosa sulla guancia, accompagnata da un lieve bruciore all’angolo delle labbra. Mi passai allora la punta della lingua sulla parte lesa, non stupendomi del fatto che quel liquido caldo che aveva cominciato a colarmi dalla piccola ferita fosse il mio stesso sangue. Lanciai allora uno sguardo freddo e spietato alla persona piegata davanti a me, a quell’uomo apparentemente intoccabile: la mano con cui mi aveva colpita era ancora chiusa a pugno, e non smetteva di tremare.
-Oh, ora sì che ti sei fottuto con le tue stesse mani- ridacchiai nuovamente –Questo a Joker non piacerà affatto…-
-Stai zitta! Troia!- portò nuovamente il suo pugno all’indietro, pronto per caricarmi nuovamente. Immediatamente serrai fortissimo le palpebre, preparandomi a ricevere un ennesimo colpo, ma il rombo sordo di uno sparo mi fece quasi sobbalzare della barella, facendomi spalancare gli occhi di colpo: e in quell’istante, sebbene percepissi che il tempo a disposizione per restare cosciente era ormai poco, sentii il mio cuore accellerare d’improvviso, in un ultimo sprint prima del vuoto: lui era lì, con il sorriso tirato sulle guance e uno sguardo truce sul viso inconrniciato dai riccioli verdastri; la sua pistola fumava ancora. E sebbene Harry fosse uscito dalla mia visuale quando cadde a terra, riuscivo ancora a sentire il suo respiro affannato e gravoso. Gettando la pistola sul pavimento, il clown si fece lentamente avanti, affondando una mano guantata all’interno del suo soprabito violaceo, estraendo quello che riconobbi subito essere un coltello. Poi, arrestandosi di colpo, lo vidi cucciarsi lentamente, quasi a raccogliere qualcosa dal pavimento che sostava a pochi centimetri dal corpo stremato e sanguinante del mio rapitore: il contenitore del penthotal. Allora l’angolo destro delle sue labbra storpiate si sollevò lentamente, dipingendo sulla sua maschera immortale un ghigno sadico e malevolo.
-Uhh, ci sei andato pesante con la mia bambolina eh?- il suono della sua risata andava in netto contrasto con l’oscurità che trapelava dal suo sguardo serio e folle al tempo stesso. Raggiunse allora il corpo quasi esanime dell’uomo i cui respiri, mozzati dai conati di sangue che gli colavano dagli angoli delle labbra, sembravano morirgli in gola.
-Tuo fratello per lo meno era ubriaco. Ma tu sei veramente patetico…- non riuscivo a vedere bene cosa stesse succedendo, poiché la schiena di Joker mi copriva completamente la visuale, ma a giudicare dall’urlo acuto e straziato che spezzò quel breve silenzio che ci aveva avvolti, il mio clown doveva aver cominciato a punirlo.
-La tua morte è il prezzo da pagare per la tua stupidità. Per aver rubato ciò che è mio…- riuscii a percepire il suono della carne che veniva tagliata di netto, finchè un ringhio soffocato fece tacere quella tetra e inquietante sinfonia; allora socchiusi appena gli occhi, sentendo le palpebre cominciare a chiudermisi pesantemente. Poi, una mano mi sfiorò con estrema delicatezza la guancia. Sollevai lentamente il viso, non vedevo molto bene a causa della mia vista annebbiata dalla droga, ma ero sicura che quei due pozzi scurissimi che mi facevano vacillare nel buio erano proprio i suoi occhi. Distesi le labbra, e il sorriso che ne venne fuori non fu come quelli precedenti; adesso non stavo sfidando nessuno, ma ammiravo con sospiri sommessi quel pazzo uomo che per l’ennesima volta era venuto a salvarmi.
-Ciao bambolina- mi disse appena, e con la mano ancora posata sulla mia gote Joker passò il pollice con accortezza sulla mia ferita all’angolo della bocca, probabilmente per ripulirmi dal sangue che ancora fuoriusciva da essa.
-Sei stata bravissima…- sussurrò con dolcezza e un ghigno amareggiato scolpito sul suo volto. Scossi appena la testa, in disappunto
-S-Sapevo che saresti arrivato…- sbadigliai piano, sentendo gli occhi farsi sempre più stanchi, e la mia vista peggiorare in pochi istanti. Con lo sguardo socchiuso e stremato, percepii come le sue mani si posarono delicatamente sui miei polsi, liberandomi dalle manette che mi costringevano su quella lurida barella. Poi, mi sentii sollevare, stretta al suo petto, con le gambe a ciondoloni tra le sue braccia. Fu il calore del suo corpo ad accompagnarmi lentamente verso la mia incoscienza forzata. E quasi cullata in quella morbida presa, finalmente potevo rilassarmi, crogiolarmi in quella familiare sensazione di protezione che avevo bramato durante tutta la permanenza in quell’incubo che pareva quasi infinito. Sussurrai qualcosa, ma non ricordai che cosa avevo detto di preciso, perché non appena diedi fiato alla mia bocca tutto divenne improvvisamente nero, e sentii le sue braccia stringermi ancora più forte.

***

-Non lasciarmi mai più…- la castana, avvolta tre le forti braccia del Clown di Gotham City, aveva sussurrato queste quattro parole con una dolcezza disarmante poco prima di perdere i sensi. Joker impallidì, quasi impetrando sul posto. Stentava a credere a ciò che aveva appena sentito. Lei, dopo essere stata rapita, picchiata, drogata e molestata a causa sua e dei suoi guai, non solo era felice di vederlo ma lo aveva appena supplicato di non lasciarla più. Sogghignò fra sé e sé: quella Virgily era pazza quasi quanto lui. Ed era proprio per questo motivo che lo schizofrenico criminale promise a sé stesso che nessuno gliel’avrebbe mai più portata via.
Perché lei era sua.
Gli apparteneva.
Fino alla fine dei suoi giorni.


*Angolino di Virgy*
Con estremo ritardo, come mio solito, finalmente pubblico questo nuovo capitolo che spero vivamente vi piaccia. 
Probabilmente mi starete odiando con tutta la vostra forza, e non vi biasimo per questo. Sono la prima a maledirmi ogni qual volta che mi riprometto di aggiornare presto senza mantenere poi le mie promesse. In realtà sto avendo parecchi problemi a livello di trama. Perchè cercare di dare un senso alla mia follia è di sé per sé impossibile T.T Comunque, se la mia povera Virgily se l'è vista brutta questa volta, vi assicuro che questo è soltanto l'inizio. Poverina... Mi dispiace troppo.... ma devo farlo. Per me, per Joker, e anche per la stessa Virgily. 
Spero solo che il capitolo vi piaccia, e che il periodo di vacanza dalla sessione estiva mi permetta di scrivere e aggiornare più spesso. 
E adesso sono pronta per le fiaccole e i forconi! Fate del vostro peggio perchè so che me lo merito (Virgily cattiva!)
Un bacio, e si salvi chi può.    

 

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Capitolo 10
*** Cap. 10 –Bury all your secrets in my skin ***


Nota dell'autrice: L'intero capitolo, a differenza dei precedenti, narra una serie di eventi sotto il punto di vista di Joker, e poiché non si tratta di un mio personaggio ho preferito optare per una narrazione in terza persona nel rispetto del personaggio. Spero vi piaccia. Buona lettura. -V-

Cap. 10 –Bury all your secrets in my skin


-Aiuto! Per favore qualcuno mi aiuti! - una voce femminile gridava con tutta la sua forza, e il clown era riuscito a sentirla perfino sotto il rumore degli spari. Non poteva esserne certo, ma in fondo al cuore il Joker sperò che quel richiamo d’aiuto fosse della sua bella bambolina. Se così non fosse stato, nessuno avrebbe poi potuto immaginare come avrebbe dato sfogo alla sua ira funesta. Quella voce proveniva da una piccola cella in fondo al corridoio di quel nascondiglio sotterraneo, dove solitamente i Baker lasciavano marcire le loro vittime prima di torturarle e ucciderle. Con ampie falcate allora l’uomo si diresse contro la piccola porticina metallica, sorpassando con leggiadra nonchalance i corpi delle guardie alle quali aveva appena tolto la vita. Sparò contro la serratura, e con un calcio ben assestato si fece un varco all’interno della putrida e umida cella. Non vi erano né luci, né finestre; soltanto una fittissima penombra che avrebbe fatto rabbrividire chiunque, e non volle immaginare la reazione di Virgily nel rendersi conto di essere diventata il capro espiatorio di un suo vile capriccio. Il pavimento era sporco di polvere e sangue, e fu proprio grazie a quelle piccole goccioline purpuree che il clown riuscì a trovare la giovane accovacciata al suolo. Tremava come una foglia, rannicchiata in sé stessa con gli occhi sgranati per la paura. Ma quelli non erano gli occhi verdi della sua bramata bambolina, e il fatto che in quella stanza non ci fosse nessun’altro a parte quell’insulsa ragazzina subito lo portò a pensare al peggio, facendogli patire una violenta scossa elettrica lungo l’intera colonna vertebrale. Lei intanto lo fissava con terrore e angoscia, e capendo che probabilmente non sarebbe stata in grado di camminare, Joker si cucciò al suo fianco, incurante dei docili squittii della poveretta:
-Dov'è lei? - e alla sua domanda non ci fu alcuna risposta. La giovane donna era impietrita, incapace di muovere alcun muscolo perché paralizzata dalla paura. Ai suoi occhi quel clown maledetto era l’incarnazione del male; follia pura, e questo aveva di nuovo fatto la sua apparizione, provocandole inevitabilmente una ingestibile tachicardia. Spazientito, l’uomo si passò la punta della lingua sulle labbra scarlatte, lasciando roteare gli occhi contro il soffitto in una stremata esasperazione; quella ragazzina gli stava facendo perdere fin troppo tempo.
-Ho detto: dov’è lei? Dove hanno portato Virgily? - e udito quel nome, gli occhi di Laura subito si lucidarono di lacrime amare. Ricordare con quale coraggio la sua migliore amica si era volontariamente fatta trascinare via le procurava un forte dolore al petto. Laura in quel momento, abbassando violentemente lo sguardo, provò vergogna e impotenza. Non capiva cosa le fosse successo, non si capacitava del motivo per cui adesso quel pazzo omicida le stava chiedendo proprio di lei. Aveva soltanto tanta paura, e pregò nuovamente che questo fosse soltanto un brutto sogno. Ma il rimorso fu ben più doloroso della paura:  
-D-Dovevo esserci io lì…- sussurrò poi, piano piano, ricominciando a tremare violentemente –D-Dovevano portare via me. M-Ma lei ha voluto prendere il mio posto…- lacrime incolore avevano cominciato a colarle lungo le gote sporche e arrossate, e singhiozzi violenti le avevano storpiato le labbra. Alla sua descrizione dei fatti, il Joker provò un fortissimo nodo allo stomaco. Non poteva crederci. Non voleva:
-Fammi capire bene- la sua voce era diventata roca e seriosa, e i suoi occhi neri come la pece avevano appena cominciato a bruciare. Con uno scatto improvviso, la mano guantata del clown afferrò il fragile collo della donna con assoluta fermezza, togliendole il fiato di bocca:
-Tu hai lasciato che portassero via la mia Virgily?- Laura fece quasi per urlare ma ogni suo tentativo fu vano: quella mano fissa contro la sua gola a malapena le permetteva di respirare, e il suo cuore aveva cominciato a galopparle frenetico nel petto, facendole girare la testa.
-Sai, pensavo che dopo avervi salvate non ci sarebbero stati più problemi per la mia bambolina. E invece tu hai rovinato tutto…- sussurrò a denti stretti, quasi stesse cercando di trattenere quel suo primordiale e istintivo impulso di strangolarla seduta stante tra le sue mani. Allora accorciò ulteriormente le distanze tra il suo volto deforme e quello sconvolto della giovane, inumidendosi nuovamente le labbra:
-Spero che tu sappia che è soltanto colpa tua se vi hanno rapite. Ma soprattutto, che è a causa tua se adesso stanno torturando la mia bambolina- il folle clown fece una pausa, prendendo un respiro profondo, quasi cercasse di non pensare all’inevitabile. Mettersi nei panni di una vittima era difficile, soprattutto per lui che ne mieteva quotidianamente. Ma pensare a quello che stava provando Virgily… quello era la madre di ogni tormento; la “giusta” punizione per le sue disdicevoli azioni.
-… Sai questo che cosa significa?- Joker sollevò lentamente il sopracciglio, scrutandola con occhi eloquenti e pericolosi, e un ghigno malato e traboccante di follia e vendetta dipinto sulla faccia. E a quella visione i singhiozzi della fanciulla crebbero fino a diventare dei veri e propri affanni angosciati.
-N-Non mi u-uccidere- sussurrò la giovane con un flebile sospiro e gli occhi colmi di pentimento e arrendevole supplica –Ti scongiuro. M-Mi dispiace- e le sue parole parvero un pianto disperato alle orecchie del clown, che al contrario senza minimamente mutare la sua inquietante maschera inespressiva, fece scivolare la mano libera in una delle sue tasche.
-Shh- Shh…- sussurrò a sua volta pianissimo, quasi con tono rassicurante mentre allentava man mano la pressione attorno al suo piccolo collo, allungando le lunghe dita affusolate sulle sue guance madide dal pianto, quasi carezzandola.
-Non ho intenzione di perdere tempo con te- le sorrise semplicemente. Laura sentì l’aria tornare a circolare libera nei suoi polmoni, concedendosi qualche decimo di secondo per socchiudere appena le palpebre stanche, quasi lasciandosi andare ad un timido sospiro di sollievo. Ma ben presto il cuore le tornò in gola, gonfio e pulsante, proprio quando sentì la fredda e metallica canna di una pistola posarsi con delicatezza sulla sua fronte.
-Facciamo una cosa rapida e indolore, ok?- ancora quel sorriso scarlatto e deforme. Un ghigno sadico e audace. Si udì allora una schizofrenica risata piena di follia, e quello fu l’ultimo ricordo di Laura.    


***

Virgily ora dormiva, avvolta tra le morbide lenzuola del suo letto. Era salva, finalmente al sicuro. Il clown si era preso cura di lei, approfittando della sua momentanea incoscienza per poterle pulire le ferite e medicarla a dovere. C’era un taglio superficiale sul suo addome, provocato per spaventarla più che per recarle danno; c’erano poi un’altra ferita alla tempia e dei piccoli tagli sulle mani, probabilmente dovuti alle percosse necessarie per farle perdere conoscenza. E se non era il sangue a sporcarle la pelle candida, macchie violacee si espandevano sulle sue gambe, le braccia e il ventre. Un ghigno amaro si dipinse sul suo eterno sorriso. “E se non fossi arrivato in tempo?” questo unico pensiero riusciva a smuovere il caos isterico all’interno della sua testa. Cosa sarebbe potuto accaderle se fosse giunto ormai troppo tardi? Oh beh, lui lo sapeva fin troppo bene. Dopotutto lui stesso era un criminale, anzi, era il più spietato di tutti. Per prima cosa l’avrebbero stuprata. Probabilmente a turno. Probabilmente finchè non avrebbe perso conoscenza. Poi avrebbero continuato a drogarla, vietandole ogni contatto con del cibo, così da alimentare l’assuefazione. Avrebbero distrutto ogni singola particella di razionalità in lei finchè la sua stessa coscienza non si fosse assopita definitivamente. L’avrebbero annientata, e della sua Virgily non ne sarebbe rimasto altro se non un corpo vuoto e sciupato. Il solo pensiero gli fece ribollire il sangue nelle vene. Si spostò, inquieto, avviandosi in salotto. Non voleva disturbarla durante il suo meritato riposo, soprattutto se la sua fantasia vagava per vie traverse in un percorso buio e macchiato di sangue. Giunto ormai in salotto, quasi a peso morto si lasciò completamente andare lungo il divano, affondando su di esso pesantemente. Joker cominciò allora ad osservare un punto indefinito del pallido soffitto, con i palmi delle mani posati dietro la nuca. Era notte fonda, ma dubitò che sarebbe riuscito a dormire: aveva seriamente rischiato di perdere la sua bambolina; quel piccolo capriccio che lentamente stava prendendo possesso di emozioni che fin’ora gli erano state precluse. Si chiese allora come avesse fatto a sviluppare questa strana “ossessione” per quella ragazza. Dopotutto lui avrebbe potuto farla fuori quella sera, e non era da escludere che effettivamente ci fosse una qualche volontà di ucciderla da parte sua. Tuttavia aveva scelto di non farlo. Ecco, fu proprio in quella scelta che l’uomo si rese conto di aver firmato la sua condanna a morte: prendendo quella decisione, Joker si convinse di essere stato soggiogato da un qualche losco inganno, perché affascinato da quella docile bambolina il clown aveva ufficialmente perso la ragione. Il tempo scorreva lentamente, e tra tutti i possibili piani per creare scompiglio in quella sudicia parodia di Gotham, lei rimase sempre un suo punto fisso. Ormai era quasi inevitabile. Non riusciva ad accettare il fatto che lei lo amasse; e lui lo sapeva, anche se lei non glielo aveva ancora esplicitamente detto. Questa era la verità. Probabilmente lei meritava qualcuno di un rango più elevato. Un uomo buono, e non un cinico clown amante del caos. Eppure il solo pensiero di non averla tutta per sé, di non tenerla nascosta agli occhi del mondo per bearsi del suo dolce calore lo inorridiva. Avrebbe voluto incolpare un suo irrazionale egoismo, ma quello che sentiva andava oltre tutti i suoi sentimenti e i suoi ideali. Era qualcosa di talmente potente e con un livello di astrazione così profondo da essere impossibile da spiegare a parole; eppure era reale, e quasi riusciva a percepirne il peso nel petto.
Forse non riusciva ad accettare il fatto che anche lui l’amasse. E come biasimarlo? Dopotutto lui era il principe clown di Gotham city; il nemico pubblico numero uno. Lui sapeva distruggere, ma di certo non amare.
-J-Joker…- il clown si sentì chiamare da una soffice voce, chiara e piuttosto familiare, come il dolce e malinconico richiamo di una sirena che ti seduce prima di trascinarti verso una morte lenta e inconsapevole. Sollevò appena il capo, osservando con un certo stupore la figura addossata allo stipite della porta che separava il salottino dal corridoio che portava alla camera da letto. Aveva gli occhi ancora mezzi socchiusi per la stanchezza, un inquietante pallore in viso e i bendaggi che le si intravedevano dal pigiama. Era debole, doveva ammetterlo, ma vederla nuovamente in piedi gli ricordò ancora una volta quanto in realtà fosse forte l’animo di quella bambolina.
-Virgily- sollevandosi appena dal morbido divano, Joker la osservò barcollare pericolosamente, mentre ad ampie falcate la bruna accorciava ulteriormente le distanze tra di loro. E allora si sollevò in piedi, deciso ad andarle in contro, spalancando le braccia quel tanto che gli serviva per permettere alla ragazza di affondare il viso nel suo petto, afferrando con decisione il suo gilet verde. Automaticamente poi la avvolse in un abbraccio, senza proferire alcuna parola. Virgily respirava affannosamente, e le sue piccole mani lentamente si stringevano sempre più forti alle sue vesti, aggrappandosi disperate ad esse.
-M-Mi sono svegliata e t-tu…- la giovane boccheggiava, soffocata dai suoi stessi singhiozzi mentre le sue piccole mani vagavano lungo il suo ampio petto, quasi stesse appurando che quello che stava vivendo non fosse più quello spaventoso incubo che aveva appena vissuto. 
-È tutto finito…- Joker le sussurrò piano, carezzandole i capelli con dolcezza –Sei al sicuro adesso- disse continuando a coccolarla in quel modo finchè non si accertò che i suoi respiri tornassero regolari,
-Non lasciarmi più…- bofonchiò la ragazza con il volto ancora infossato tra le sue vesti, -Mai più…- aveva ribadito subito dopo, questa volta esponendogli uno sguardo talmente lucido e serioso che per il clown fu impossibile da ignorare. Non era una supplica la sua, ma una vera e sincera richiesta. E con quello sguardo Joker capì che lei aveva scelto lui, lei voleva lui. Non era l'ossessione a parlare, no… era qualcosa di più potente, quel qualcosa che ancora non riusciva ad accettare.
-Virgily…- l’uomo la strinse a sé nel medesimo istante in cui la più giovane, sollevandosi sulle punte dei piedi scalzi, aveva raggiunto il suo volto, lasciandogli l’impronta di un morbido bacio sulla sua bocca deforme, quasi facendolo vibrare tre le sue docili braccia.
-Stare in quella cella buia mi ha fatto capire una cosa…- sussurrò piano la giovane, soffiandogli appena sulle labbra ancora calde e umide:
-Joker io voglio davvero stare con te…- affermò allora lei, osservandolo mentre gli occhi scuri dell’uomo si dilatavano piano per la sorpresa. Le sue parole lo avevano scosso profondamente, e per la prima volta non riuscì a nasconderlo. Virgily si stava finalmente aprendo, esponendo completamente tutte le sue carte senza alcuna riserva. Non aveva mai pensato a questo momento, non in queste circostanze almeno. Lo aveva immaginato sì, ma mai pensava che potesse diventare reale. Questo quasi appesantì quella strana sensazione nel suo petto, quella vibrazione che lo spingeva a provare cose mai provate prima. E quasi intuendo il suo sconforto, Virgily allora gli afferrò prontamente le mani grandi e guantate nelle sue pù piccole e pallide, lasciando che le loro dita s’intrecciassero assieme. I due allora si guardarono ancora una volta, e fu proprio nell'incontro di quelle grandi iridi verdi che il clown si sentì nuovamente in pace, come se fosse proprio lei a ridonargli la calma che aveva perso:
-Ho avuto paura di morire. Lo confesso, ma non ho mai dubitato che tu saresti venuto da me. Perciò ti prego, lasciamo che quello che ci è successo diventi occasione per rafforzare questo nostro legame. Perché sento che se non ho te…- Virgily fece una piccola pausa, abbassando appena lo sguardo, come se stesse cercando le parole adatte. Era agitata, e questo lo si capiva dalle piccole gemme incolore che scivolarono poco dopo sulle sue gote pallide, mentre i singhiozzi le gonfiavano sgraziatamente le labbra. E Joker attese con pazienza, finchè la sua bella bambolina non tornò nuovamente a penetrarlo da parte a parte con i suoi grandi occhi lucidati dalle lacrime:
-Se non ho te. Non ho niente- concluse allora con un sussurro sottile e tremante, e per la prima volta in quella nottataccia scura e colma di angoscia, il cinico e spietato clown di Gotham vide nuovamente l’ombra di un sorriso sulle labbra screpolate della sua bambolina. E fu proprio questo a muoverlo contro di lei, senza neanche proferire alcuna parola; fu quel piccolo ma incantevole sorriso a fargli prendere possesso delle sue labbra spaccate ma ancora vellutate con un delicatissimo vigore. Immergendo una mano tra i suoi folti capelli bruni, l’uomo prolungò il loro bacio, schiudendole le labbra con la punta della lingua, bramoso di saggiare ulteriormente il suo suadente sapore. Quasi togliendole il fiato, il clown prese il sopravvento, lasciando scivolare la sua mano libera contro la schiena, carezzandola al di sopra della canottiera sottile. La baciò come mai aveva fatto prima, come se tramite quel misero contatto lui le stesse trasmettendo tutte le sue incertezze e i suoi errori. E lei lo aveva accolto, senza alcun timore. Lei lo accettava per quello che era: un uomo tormentato dal dubbio, dal disincanto. Sì, forse lei non era altro che una preziosa quanto fragile bambolina di porcellana ma in quell’esatto istante, quando le loro labbra si fusero assieme per diventare una cosa sola, Joker per la prima volta non mise i discussione i suoi sentimenti. Lei era sua, lui era suo. E tutto gli parve così semplice, addirittura “naturale”. Lasciò scivolare anche la sua seconda mano sulla sue schiena, avvolgendola delicatamente prima di sollevarla a qualche centimetro da terra, quel tanto che gli bastava per consentirle di allacciargli le gambe attorno alla vita. E con Virgily tra le braccia, l’uomo non smise mai di lasciarle l’impronta dei suoi avidi baci scarlatti su tutta da curvatura del collo, avviandosi lentamente lungo il corridoio che li separava dalla loro camera da letto. Le luci erano ancora spente, e il letto era rimasto così come Virgily lo aveva lasciato quando si era alzata a fatica dal suo giaciglio per andarlo a cercare. Eppure l’uomo oramai sapeva benissimo come districarsi in quella fitta penombra; solamente le luci provenienti dal mondo esterno erano le uniche guide per lo sguardo attento di Joker, che con la dovuta accortezza posò il corpo accaldato della sua bambolina sul morbido materasso, incastonandola sotto di lui. Virgily respirava affannosamente, vibrando ogni qual volta che le sue labbra sfioravano la sua pelle. Scese lungo la sua clavicola, spostandosi poi di qualche centimetro per lasciarle soffici baci sul petto, mentre le sue abili mani si erano arrampicate sul suo torso, avvinghiandosi attorno ai suoi morbidi seni, massaggiandoli al di sopra della canottiera chiara. Accompagnò i suoi movimenti rubandole un ennesimo bacio sulle labbra, lasciando che la più piccola si inarcasse contro di lui, annullando ulteriormente le distanze tra i loro corpi. Joker poi, tornando a succhiarle la tenera carne alla base del suo collo, assaporò per qualche brevissimo istante il suo dolce profumo: sapeva di buono, di innocente. Eppure al tempo stesso sentiva ancora la polvere, il sudiciume di quella cella buia. Allora un brivido gelido gli si arrampicò lungo la spina dorsale, e sollevandosi di scatto dal suo corpicino Joker si scontrò nuovamente con gli occhi basiti e curiosi della più giovane: i capelli bruni della ragazza di erano sparpagliati a raggiera lungo tutto il cuscino, incorniciandole l’ovale candido e lievemente macchiato di sangue pesto agli angoli delle labbra; e se osava osservarla più a fondo, scivolando dal suo collo al suo petto fino alla morbida pancia, i suoi occhi potevano ammirare con disgusto i lividi e le bende che l’avvolgevano, mascherando tagli ancora arrossati e pulsanti. Questa era la sua bambolina: delicata, ma non ingenua; lei aveva conosciuto la paura e il dolore, anche se solo per poche ore. E c’era di peggio… Lei ancora non sapeva che lui aveva ucciso quella ragazza, l’unica con la quale aveva condiviso quel terrore a cui non era stato in grado di sottrarla.
-Ehi?- la voce dolce della giovane quasi lo riportò alla realtà, e sollevando nuovamente lo sguardo poté accorgersi del fatto che adesso la castana si era sollevata sui gomiti, e non smetteva di guardarlo: era preoccupata, per lui ovviamente.
-Tutto bene?- gli domandò nuovamente, questa volta scivolando di qualche centimetro per potersi sollevare ulteriormente e poggiare la schiena contro la spalliera del letto. Poco dopo, senza null'altro da aggiungere Virgily allungò la mano contro il suo viso, carezzandogli le guance con una tenerezza disarmante. Probabilmente aveva capito che era turbato per qualcosa, e voleva rassicurarlo. Per quanto la osservasse, per quanto la stuzzicasse, lei era sempre stata buona con lui, dopotutto.
 -Devo dirti una cosa- Virgily non ebbe neanche il tempo di chiamarlo ancora una volta che il clown la zittì con queste quattro parole. Era siero. Troppo serio. E lei lo guardò stranita, non poteva capire cosa stava per dirle.
-Riguarda la tua amica…- aggiunse successivamente, e con quella sua affermazione immediatamente gli occhi della giovane donna si sbarrarono, e le sue labbra sottili cominciarono a tremare. Non era mai stato difficile confessare un omicidio, d'altronde anche lei sapeva bene che uccidere faceva parte della sua routine quotidiana, e in tutto questo tempo quasi sembrava cominciare a farci l’abitudine; ma questa volta come avrebbe fatto a confessargli che lui stesso aveva posto fine alla miserabile vita di quella sua insulsa amichetta? No, questo non lo avrebbe sopportato, soprattutto ridotta in quello stato.
-Laura? … Sta bene?- eccola lì. La domanda fatidica.
-Virgily io…- e per la prima volta le parole gli morirono in gola, proprio a lui: il re dell’arte dell’improvvisazione. Notata quella breve incertezza, immediatamente il clown vide le iridi chiare della giovane dilatarsi velocemente, e i suoi occhi gonfiarsi di lacrime,
-Joker ti prego…- Virgily aveva rapidamente ripreso a respirare con fatica –Io devo sapere...- ci fu un breve lasso di tempo in cui non osarono parlarsi, ma Joker sapeva che lei sarebbe riuscita a capire la gravità della situazione semplicemente guardandolo negli occhi, perdendosi in quelle sue grandi iridi scure ed enigmatiche. Si diede dello stupido, come un novellino alle prime armi stava lasciando trapelare troppi indizi dalla sua maschera inespressiva. E per quanto fosse doloroso ammetterlo, non riuscì a darsi una spiegazione.
-Joker?!-
-Mi dispiace…- affermò velocemente, zittendola di colpo. Per qualche decimo di secondo vide la ragazza smettere di respirare, sbiancando violentemente, mentre a peso morto scivolava nuovamente contro il cuscino, come se non fosse stata più in grado di sorreggersi. Joker l’aveva lentamente accompagnata nella sua discesa, stringendola tra le sue forti braccia. Era sconvolta. Quando riprese a respirare, la sua cassa toracica cominciò a sollevarsi freneticamente, e la ragazza si ritrovò a boccheggiare nel disperato tentativo di non soffocare con i suoi stessi singhiozzi. Non riusciva a parlare. Fissava il vuoto e tremava. Soltanto tre misere parole fu in grado di sussurrare in maniera quasi del tutto impercettibile:
-È colpa mia- leggere come un soffio, queste parole erano riuscite a penetrarlo come una lama affilata nel petto. Fu in quel momento, quando vide la sua bambolina smarrirsi in un baratro di disperazione dal quale non sarebbe riuscita a riemergere da sola, che il clown decise di fare quello che gli veniva meglio: mentire.
-No, Virgily. Non lo è…- le rispose, cucciandosi di qualche centimetro, lasciandole l’impronta di un casto bacio sulla testa,
-Non sono riuscito ad arrivare in tempo. Perciò da a me la colpa- disse allora serio, afferrandole il viso per la mascella con una stretta decisa per cercare il suo sguardo. Doveva guardarla negli occhi, sentiva il necessario bisogno di sapere cosa stesse provando in quel momento. 
-No, non lo farò- I due si guardarono intensamente negli occhi per secondi interminabili. In quell’occhiata, il clown comprese che quella ragazza non era e non sarebbe mai stata come una delle sue vittime. Lei era diversa, era attratta dall’oscurità insita nel suo animo schizofrenico. E il solo prenderne atto gli fece patire nuovamente quello strano peso nel petto al quale non sapeva dare una sua logica spiegazione.
-Perché?-
-Perché mi farebbe troppo male…- rispose lei, pianissimo, nel pieno dello sconforto. Si era poi addossata al suo corpo, stremata, con il capo sul suo torso. Così lui l’aveva avvolta, ancora, in un caldissimo abbraccio.
-Lo so bambolina…- sospirò lui profondamente, baciandole la tempia –Ma dovevi metterlo in conto che standomi vicino qualcuno si sarebbe fatto male…-
-Non mi importa se sono io a rimetterci. Joker, io questo per te posso accettarlo…- scostandosi appena, la castana aveva sollevato il suo viso arrossato dal pianto, penetrandolo da parte a pare con uno sguardo dolce quanto disarmante. Poi, sempre con quella tenerezza quasi infantile che la contraddistingueva da molte altre donne con cui lui aveva avuto a che fare, Virgily portò la sua piccola e tiepida mano al volto sfregiato del clown, e con la punta delle dita gli aveva accarezzato le guance tracciando una linea invisibile sui solchi lasciati dalle sue lunghe cicatrici; un brivido freddo allora si arrampicò lungo la colonna vertebrale dell’uomo che ancora la stringeva.
-Ma non voglio che questo infierisca su chi mi sta a cuore-  ci fu un piccolo lasso di tempo in cui tra i due il silenzio divenne sovrano, accompagnando i loro sguardi a consolidarsi in una intesa ancora più pericolosa.
-Cerca di riposare ora, bambolina. Devi rimetterti in forze…- Joker non disse altro. Cambiò direttamente argomento, sollevandosi quel tanto che gli occorreva per poter afferrare le coperte e avvolgere i loro corpi. Virgily era decisamente provata, non sarebbe riuscita a sostenere altro. E forse era meglio così. Se avesse scoperto la verità sarebbe stato come darle il colpo di grazia che quel bastardo non aveva fatto in tempo a scagliarle; e questo non poteva permetterselo. Lui doveva proteggerla, e se per farlo doveva ometterle come fossero andate effettivamente le cose in quella lurida cella, allora lui era più che disposto a farlo.
Virgily pianse per due ore, anche quando ormai i suoi occhi erano secchi e privi di lacrime. Pianse finché non fu talmente esausta da cadere in un sonno profondo, tra le braccia di quello che doveva essere il suo carnefice, e che invece si rivelò il suo amante più devoto.   

***

Era notte fonda, la città era quasi deserta. Soltanto la luna ebbe il coraggio di accompagnare l’ombra cupa di quello straniero, tra i tetti delle palazzine della periferia. Vagava con scaltrezza e attenzione trascinandosi dietro un pesante fruscio, senza avere alcuna idea di cosa avrebbe trovato a destinazione. Lo aveva immaginato molte volte, durante il viaggio. Cose orribili, innominabili. Eppure, quando la sua folle ricerca ebbe termine, proprio all'apice di un vecchio condominio grigiastro e dalle mura consumate dal tempo, adiacente ad una costruzione dalle medesime fattezze, quello che i suoi abili occhi riuscirono a vedere al di là di una misera finestra andò ben oltre a tutte le sue plausibili aspettative: due figure che condividevano il medesimo giaciglio, e i cui corpi erano avvolti da un pesante copriletto scuro. Stentò a crederci, ma quello non era uno strano scherzo giocatogli dalla vista. E pur avendo temuto il peggio, ora ebbe finalmente la certezza che Virgily fosse ancora viva. Per ora.

*Angolino di Virgy*
Non sono sparita. Non mi hanno rapita. Sto più o meno bene e questa storia mi sta facendo impazzire. Il capitolo non doveva essere questo, in realtà ne avevo scritto un altro, e per colpa sua sono rimasta tutto questo tempo a domandarmi se quello che avevo scritto fosse la cosa giusta. Poi, ieri sera di punto in bianco ho cambiato tutto, e non so grazie a quale miracolo sono riuscita a finirlo. Oramai sento di essere arrivata ad un punto di non ritorno: se non studio ogni scena, ogni battuta, la mia negligenza potrebbe avere effetti devastanti sull'intera trama, e sono troppo coinvolta per lasciare che accada una cosa del genere. Ma passando alla storia, come vi avevo precedentemente annunciato il capitolo, anche se narrato in terza persona, è tutto sotto il punto di vista di Joker (quel maledetto bastardo che amo con tutto il mio cuore): non vi è una ragione precisa, sentivo solo il bisogno di "dargli corda". Spero comunque che vi piaccia lo stesso. Questa Fic per me è una sfida continua, come lo è anche per la mia piccola Virgily, dopotutto.  
Un bacio grande.
-V-

 

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Capitolo 11
*** Cap. 11 - Right Here In My Arms ***


NDA: Nel seguente capitolo sono presenti anche diversi punti di vista narrati in terza persona e circosritti entro tre asterischi  

Cap. 11 – Right Here Hn My Arms


La cella è buia. L‘aria è pesante. Laura urla. Il sangue è caldo. La cella è buia. L’aria è pesante. Laura urla. Il sangue è caldo. Il clown è pazzo. La cella è buia. L’aria è pesante. Il clown è pazzo. La cella è buia. Laura urla. Il clown è pazzo.”

Ripresi conoscenza con il suono delle mie stesse urla. Spalancai gli occhi di tutta fretta, con le labbra dischiuse in un frenetico tentativo di riprendere fiato. Sebbene fosse bloccato dalla salda presa di un braccio attorno al mio torso e di una gamba sopra la mie, il mio corpo tremava e si dimenava in preda agli spasmi e al terrore di quell’incubo che per l’ennesima notte mi aveva travolta.
-shh… shh bambolina…- la voce di Joker giunse subito al mio orecchio, proprio come le sue labbra, che con una delicatezza disarmante si erano posate sulla mia tempia madida di sudore. Cercai di respirare profondamente, in un vano tentativo di far rallentare il mio battito cardiaco. Ora che la vista si era fatta più nitida, riconoscevo la mia camera da letto e il tepore di quell’abbraccio rassicurante che mi aveva completamente avvolta. Erano passati svariati giorni da quando ero finalmente tornata a casa, e a parte i dolori alle ossa e qualche piccolo punto di sutura, il vero tormento della mia riabilitazione erano gli incubi. Da quelli non riuscivo mai a scappare.
-C-Che ore sono?- domandai piano, con la voce ancora impastata dal sonno.
-Non sono neanche le quattro del mattino- sospirò l’uomo al mio fianco, tracciandomi una umida scia di baci dall’attaccatura dell’orecchio dritta per tutto l’incavo del mio collo, facendomi patire dei brividi caldi e decisamente rilassanti.
-Cerca di dormire qualche ora in più bambolina…-
-Non credo di riuscirci- risposi secca, voltandomi lentamente contro di lui. Senza dire alcuna parola, Joker mi accolse al suo ampio petto, ancora nudo e accaldato. Nascosi il viso nella curvatura del suo collo, annusando l’odore intenso della sua pelle. Di tutta risposa le sue dita avevano cominciato ad accarezzarmi i capelli, quasi massaggiandomi la testa mentre la sua mano libera vagava indisturbata lungo tutto il profilo della mia schiena, carezzandomi al di sopra della canottiera fina.
-Gli incubi passeranno presto Virgily…-
-Lo pensi davvero?-
-Te lo posso assicurare, bambolina…- sussurrò piano, socchiudendo appena i suoi grandi occhi mentre con delicatezza mi lasciava l’ennesima impronta di un bacio sulla testa. Restammo in quella posizione, intrecciati l’uno al corpo dell’altra, per minuti interminabili, lasciando che il calore delle coperte scaldasse le nostre membra e ci proteggesse dalla luce della luna che filtrava dalla finestra. Tutto in quel momento era perfetto. Il silenzio accompagnava il suono armonico dei battiti cardiaci, scandendo a tempo i nostri i respiri. Sarei rimasta fra le sue braccia per sempre: niente sparatorie, niente rapimenti, niente morti. Soltanto io e lui. Tuttavia, sebbene questa futile fantasia fosse veramente allettante, sapevo bene che una vita così, ora come ora, non mi sarebbe più bastata. Avevo provato la paura, l’adrenalina. Ora sapevo cosa significasse vivere al fianco di un criminale sociopatico, e questo mi stava incuriosendo più del dovuto. Inevitabilmente mi diedi della folle. Sebbene non approvassi gli omicidi inutili, sapevo che non sarei mai riuscita a cambiarlo. E questo non mi importava. Mi stavo innamorando di lui per la sua indole schizofrenica, possessiva e spietata, e probabilmente non sarebbe mai successo se Joker fosse stato un uomo comune. Forse il clown di Gotham City aveva ragione: ero pazza.
-Sei sicura di voler tornare a lavoro?- mi domandò improvvisamente –Le ferite ancora non sono guarite…- la sua mano continuò ad accarezzarmi la schiena, quasi andando a cercare le bende che da giorni mi fasciavano completamente il petto e l’addome. Riemersi piano dalla sua clavicola, andando a ricercare il suo sguardo. Se li osservavo con cautela, i suoi occhi, scuri e seri, in realtà nascondevano un timido bagliore verdastro dalla sfumatura chiara e limpida. Automaticamente un sorriso si dipinse sulle mie labbra: poteva uccidere chiunque a sangue freddo e senza alcuna esitazione, ma vedere quello sguardo serio e apprensivo era come ammirare, anche se solo in minima parte, l’uomo dietro la maschera.
-Sto bene… Tranquillo- gli risposi piano, posando le labbra sull’angolo cicatrizzato della sua bocca.
-E poi un po’ di lavoro mi farà bene…- aggiunsi subito dopo, posando il capo sulla sua spalla, lasciandomi completamente andare alle sue carezze.
-…Forse hai ragione- sospirò pianissimo, espondendo una smorfia evidente, quasi fosse stizzito dalla frase che aveva appena pronunciato. Di rimando, sgranai quasi lo sguardo di tutta sorpresa
-Il Joker che mi da ragione? Sicuro di star bene?!- ridacchiai dispettosamente, andando a cercare l’incavo del suo collo per poterlo baciare e mordere piano. Un risolino basso e roco dell’uomo accompagnò le sue braccia, che si allacciarono saldamente al mio corpo.
-Ti consiglio di non abituartici, bambolina…- affermò serissimo, quasi sentendosi attaccato alla sua virilità.
-Ohh… Altrimenti?- risposi divertita, provocandolo con lo sguardo. Non ebbi tempo di fiatare che con un movimento impulsivo e del tutto imprevedibile, il clown mi aveva portata sotto il suo suo corpo:
-Altrimenti, bambolina, sarò costretto a farti del male…- torreggiandomi con estremo vigore, la sua mano grande e callosa si era aggrappata alla mia gola, tenendola con spietata fermezza sebbene non stesse applicando alcuna pressione. Più che farmi veramente del male, Joker in realtà cercava di spaventarmi. E probabilmente ci stava riuscendo. Sebbene riuscissi a respirare normalmente, ora avevo il fiato mozzato, e non riuscivo a staccare i miei occhi dal suo sguardo perfido e glaciale. Poi, lentamente, portai ambo le mani alla gola, afferrando con delicatezza le sue dita per intrecciarle alle mie. Stavo per rischiare una mossa molto azzardata, ma quegli occhi fissi su di me mi stavano facendo impazzire, appiccando nel mio petto un fuoco rovente e inestinguibile. Fu proprio così che si accese in me un profondo desiderio, qualcosa di torbido e intrigante che avrebbe finito per corrodermi dall’interno se non avessi fatto qualcosa. Con lui era sempre così. Potevo odiarlo, temerlo… ma infondo al mio cuore sapevo che c’era un legame tra noi. Non ero ancora certa di cosa si trattasse, ma fatto sta che lui, quella fatidica notte, mi aveva risparmiata per una ragione. Aveva visto qualcosa in me tanto da spingerlo ad aprirsi, a bramarmi. E ora che ero rimasta inevitabilmente coinvolta in questo gioco assolutamente pericoloso e letale, certo non potevo deludere le sue aspettative. Scostandola dal mio collo, portai la sua mano al mi viso, così da potergli stampare un’invisibile scia di baci lungo tutto il dorso e il palmo. I suoi occhi erano ancora puntati su di me, e mano a mano che continuavo a stuzzicarlo, il suo sguardo si faceva più cupo e austero, quasi stesse a preannunciare l’inizio di un qualcosa di pericoloso e avvincente. Afferrandogli il dito indice, lo lasciai sfiorare con il polpastrello tutto il disegno delle mie labbra, per poi baciarlo e succhiarlo lentamente. Di tutta risposa, la cassa toracica del Joker aveva cominciato a sollevarsi a ritmo irregolare, mentre una smorfia di orgoglio mista al piacere cominciava a storpiargli il viso.
-Fai del tuo peggio allora…- sussurrai piano, quasi mordendolo appena.
-Dio, Bambolina- sospirò sommesso –Sei dinamite pura…- sogghignai a quello che interpretai come un sincero complimento, mentre con un ringhio grave e roco l’uomo si era cucciato violentemente su di me, strappandomi quello che fu il bacio più intenso e passionale di tutti i tempi. Subito si fece largo con la lingua per potermi schiudere le labbra e mordermi la carne come fosse un animale feroce e affamato. Immediatamente inoltrai le mani tra i suoi riccioli dorati, ancora spettinati e macchiati di tinta verde. Con grande maestria, Joker inoltò una mano fra le lenzuola scure del nostro letto, infilandosi quasi meccanicamente fra i miei pantaloncini di cotone. Mi accarezzò lentamente, percorrendo delle piccole circonferenze sulla superficie del mio intimo in pizzo. Sussultai piano fra le sue labbra, cominciando a patire delle piccole scosse elettriche che misero in tensione tutti i miei muscoli bel basso ventre. Uno squittio acuto fuoriuscì timidamente dalla mia bocca quando il suo tocco si fece più audace e vigoroso, facendomi inarcare ulteriormente contro il suo corpo. Tremavo di piacere al solo contatto delle sue dita, e già pregustavo cosa sarebbe successo da lì a breve. Poi, d’improvviso, il clown si bloccò, sollevandosi di scatto. Non riuscii a trattenere un gemito stizzito e frustrato al suo inaspettato comportamento, ma a giudicare dal suo sguardo, quasi sperso nel vuoto, non riuscii a trattenere un brivido angosciante. C’era qualcosa che non andava, e riuscivo a percepirlo sulla mia stessa pelle. Lo chiamai piano, sorreggendomi sui gomiti, ma lui non mi rispose. Al contrario si voltò di scatto, osservando fuori dalla finestra per qualche secondo interminabile.
-Che succede?- ancora silenzio. E senza neanche degnarmi di uno sguardo, Joker scese di tutta fretta dal letto, dandomi le spalle per potersi meglio affacciare dalla grande apertura che permetteva alla luce della luna di illuminare la mia stanza. Un senso di ansia per pervase tutta, cominciando a provocarmi una nervosa tachicardia. Scostai piano le lenzuola e senza neanche pensarci scesi dal letto, raggiungendolo a piccoli passi. La ferita all’addome non era ancora guarita del tutto e mi tirava, e inoltre anche il dolore alle ossa si era leggermente attenuato solo da pochissimi giorni. Tuttavia, niente riuscì a impedirmi di arrivare alle sue spalle e allacciargli le braccia intorno ai fianchi nudi e tonici. Joker era piuttosto alto, ma allungandomi sulle punte dei piedi, tutto quello che riuscii a vedere fu un’ombra scomparire nella notte. Persi un battito, mi mancò il fiato. Mi strinsi ancora di più al suo corpo, un po’ per paura e un po’ per assicurarmi che anche questa volta fosse tutto reale: qualcuno ci stava spiando, e Joker se ne era accorto soltanto adesso. Cominciò piano, quasi sottovoce, per poi crescere e farsi sempre di più forte e inquietante. La sua intramontabile risata gli schiuse le labbra cicatrizzate, facendogli assumere un ghigno sadico e malevolo. Percepii un brivido gelido arrampicarsi sulla mia colonna vertebrale, facendomi scostare violentemente dal suo corpo. I tremori erano troppo forti, e respirare era diventato molto difficile. Joker rise, rise a perdifiato. E il fatto che non riuscisse a guardarmi in faccia non preannunciava nulla di buono. Tentai di chiamarlo, con la voce strozzata dai singhiozzi, ma non riuscii neanche a sfiorargli un braccio che immediatamente si voltò contro di me, stringendomi per i fianchi come mai aveva fatto prima: la sua mano era nuovamente sulla mia gola, ma questa volta stringeva, tanto da impedirmi di respirare. I suoi occhi erano sgranati, lucidi e dilatati. E in fondo a quelle iridi scure, vidi nuovamente il guizzo della follia avvelenargli lo sguardo. Eccolo lì il nemico numero uno di Batman, il pazzo criminale che non aveva paura di niente, neanche delle sue stesse emozioni.
-Stammi bene a sentire Bambolina…- la sua voce era roca e spietata. Si inumidì la bocca con la punta della lingua, sollevando ulteriormente gli angoli storpiati delle sue labbra in un inquietante sorriso, quasi facesse finta di rassicurarmi:
-Tu… Sei… Mia- sussurrò piano, scandendo ogni parola con la dovta cura. Lasciò poi l’umida impronta di un bacio sulle mie labbra, mentre la sua presa sul mio collo si faceva più salda e vigorosa, facendomi fremere fra le sue braccia.
-N-Non… Ries…o. A Resp…- non riuscii neanche a parlare che immediatamente il clown mi aveva zittita, quasi come fosse stato rapito da uno stato isterico di incoscienza: lui mi guardava… ma la sua mente era altrove, e non poteva sentirmi. Fu in quel momento che compresi, al di là del desiderio, della curiosità e dell’amore, che io avevo paura di lui. Forse ne avevo sempre avuta. Ed era proprio questo ad avermi attratta fin dal principio.
-Ho fatto tanto per averti. E non ti porteranno via da me così facilmente. No, no che non lo faranno- ad ogni pausa, Joker sogghignava malevolo, e la mia testa cominciava a girare. Non capii il senso delle sue parole: probabilmente avrei perso conoscenza, e sapevo bene che con lui in quello stato non potevo permettermelo. Mentre una delle mie mani restava ben aggrappata al braccio con il quale mi stava letteralmente strangolando, lasciai dondolare piano la mano libera, raccogliendo tutte le mie ultime forze. Probabilmente non avrebbe funzionato, ma dovevo almeno tentare. Boccheggiai sommessamente, serrando gli occhi mentre con un scatto del tutto impulsivo colpivo il clown a mano aperta in pieno volto. Si udì un schiocco potente, e senza neanche rendermene conto ero già accasciata in posizione fetale sul pavimento, annaspando nel tentativo di riprendere fiato mentre mi accarezzavo la pelle lesa attorno alla gola.
-Virgily…- la sua voce era calma ora, quasi si fosse risvegliato da un incubo. Joker si inginocchiò immediatamente al mio fianco, cercando di capire la gravità della situazione. Non mi arrivarono delle scuse, ma a giudicare dal suo sguardo, spaesato e del tutto disorientato, intuii perfettamente la sua preoccupazione. Fece per accarezzarmi il viso, ma lo scostai brutalmente, fissandolo in cagnesco.
-M-Mi spieghi che cazzo sta succedendo?- gli domandai tossendo piano, avevo la gola secca e irritata, e ancora faticavo a respirare normalmente. Joker mi scrutò con attenzione. Poi, avvicinandosi con cautela, mi avvolse nuovamente fra le sue braccia. Il mio primo impulso fu quello di scostarlo e urlare, ma quando mi resi conto che si trattava finalmente in una morsa gentile e premurosa, mi lasciai andare.
-Virgily…- sussurò piano, stringendomi al suo petto –Non posso perderti. Non di nuovo- la sua voce sembrava tranquilla, ma i suoi muscoli erano tutti in tensione. Aveva nascosto il visto nell’incavo del mio collo, sfiorandomi appena con le labbra proprio nei punti in cui il rossore, causato dalla sua stretta, si era fatto più vistoso. Joker si era accoccolato come un bambino nella disperata ricerca del calore materno. Sospirai, quasi in preda all’esasperazione. Ero confusa, spaventata. Il cuore mi batteva nel petto, e se mi concentravo un poco, potevo sentire anche il suono frenetico del suo cuore correre all’impazzata. Qualcosa lo stava mandando nel panico, minacciando quel briciolo di sanità mentale che ancora lo teneva stretto a me. E io dovevo scoprire di cosa si trattasse. Dovevo farlo per noi.
-Joker, tu non mi perderai- gli carezzai piano la testa, quasi invitandolo a sollevare il viso dal suo piccolo nascondiglio.
-Te l’ho detto. Io voglio stare con te. Ho bisogno di te…- riuscii a farlo uscire allo scoperto, così gli afferrai il viso fra le mani con dolcezza, cercando il suo sguardo. Era cupo, molto serio. Uno sguardo che decisamente stonava con il suo sorriso immortale.
-Dimmi cosa sta succedendo. Ti prego…-
Silenzio. E ancora una volta i suoi pozzi scuri sembravano fissarmi intensamente, senza mai vedermi. Si sollevò di scatto, lasciandomi completamente interdetta. Fu così che Joker cominciò a vestirsi alla buona, sotto i miei occhi increduli e basiti.
-Dove stai andando?- mi sollevai piano, senza mai perderlo di vista. Con una precisione quasi meccanica, il clown si stava preparando con una cura maniacale, rifornendosi di armi e coltelli.   
-Joker…- cercai di seguirlo lungo il corridoio che separava la camera la letto dal salotto e l’ingresso, ma lui non mi degnò né di uno sguardo, né tantomeno di una risposta. Così allora decisi di arrendermi: restai ferma e immobile mentre lo guardavo aprire la porta. Oramai era troppo tardi. C’era qualcosa di più importante che adesso gli frullava per la testa. E io non sarei mai stata in grado di comprenderla.
-Torno subito- fu tutto quello che il Joker mi disse prima di scomparire, chiudendosi la porta dietro le spalle. Non osai aprir bocca, mentre una lacrima solitaria era finalmente sfuggita al mio autocontrollo. Questa era la mia vita ora che Joker ne faceva parte. Tanti dubbi, poche certezze. Pregai che non si facesse del male. Sperai che sarebbe davvero tornato da me. Eppure, avevo la netta sensazione che questa volta la partita si sarebbe fatta di ardua e pericolosa. Questa volta avrei potuto perderlo per sempre.

***
Il vento era caldo quella notte. Lo sentiva gonfiare il suo pesante mantello, mentre saltando da una palazzina all’altra si allontanava da quella finestra. Erano passate svariate notti da quando l’aveva vista la prima volta in quella misera camera, avvolta fra le sue braccia. Ancora non riusciva a crederci. Virgily era viva. E cosa ancora più grave… sembrava apprezzare la compagnia di quello schizofrenico criminale che avrebbe dovuto ucciderla. Evidentemente qualcosa era andato storto. O peggio ancora: Joker aveva cambiato nuovamente la carte in tavola. Il solo pensiero fece ribollire in lui una rabbia mai provata prima. Il quartiere in cui viveva Virgily era nella periferia della città: era una zona poco abitata e molto tranquilla, e forse era probabilmente il motivo principale per cui Joker aveva deciso di stabilirsi proprio da lei e non in un qualche altro nascondiglio. Arrestando la sua folle corsa, l’uomo ora si era fermato sul tetto di un vecchio edificio in costruzione, ormai dismesso e abbandonato. Non si era allontanato molto, ma credeva che lì probabilmente lei non lo avrebbe visto. Tuttavia aveva la consapevolezza che lui, al contrario, sarebbe presto venuto a cercarlo. I suoi occhi lo avevano mostrato siero, ma non sorpreso. Gli era sembrato, infatti, che una volta affacciatosi dalla piccola finestra, Joker lo avesse sfidato con lo sguardo, mostrando anche una certa impazienza. Sembrava aspettarlo da molto, molto tempo. Sentì improvvisamente dei passi, lenti e ben assestati. Stava salendo le scale, e mano a mano che si facevano sempre più vicino, una piccola risata fece da eco fra le pareti polverose di quel vecchio edificio. Come aveva predetto, lui era arrivato.
-Bene, bene, bene…- quella voce inconfondibile giunse in anticipo, preannunciando il suo ingresso sul tetto della palazzina. Vestito di tutto punto, con l’immancabile ghigno sadico disegnato sul volto, Joker finalmente si era mostrato al suo cospetto con una pistola carica già fra le mani. Era divertito, e forse non poteva biasimarlo.
-Ciao, Batman…- pronunciato da quelle labbra cicatrizzate, il suo nome sembrava assumere un suono incredibilmente lugubre e austero. Il cavaliere oscuro non disse nulla. Si limitò a guardarlo in cagnesco mentre il clown avanzava contro di lui, con un sorrisetto dispettoso stampato sul volto.
-Sai, pensavo che non saresti più arrivato…- fece una piccola pausa, abbassando lo sguardo. Era sperso nel vuoto e sembrava che stesse andando alla ricerca delle parole adatte da pronunciare in quel contesto:
-A quest’ora…- cominciò Joker subito dopo, sollevando nuovamente lo sguardo contro l’uomo mascherato, questa volta senza nascondere una piccola risata beffarda
-Virgily poteva già essere in mille pezzettini…- e accompagnato da una nuova risata isterica, il ringhio di Batman si udì come un tuono, mentre scattando contro il suo nemico, lo afferrava per le spalle per potergli assestare un pugno in pieno volto. Partì un colpo a vuoto dalla pistola del clown mentre questo veniva sbattuto a terra. Tuttavia, senza accennare un minimo segno di dolore, Joker continuò a ridere. Assestandogli un secondo calcio all’addome, il cavaliere oscuro disse:
-Che cosa le hai fatto?-
-Io? Nulla!- Joker sogghignò malevolo –Ma ora capisco perché il tuo piccolo socio voleva tanto tenermela nascosta- affermò inumidendosi piano il contorno delle labbra, macchiate dal rossetto scarlatto:
-È proprio il mio tipo…- rise a squarciagola, incassando un nuovo calcio talmente forte da disarmarlo della pistola che teneva stretta fra le mani guantate.
-Ah, e tanto per la cronaca…- Joker riprese fiato, strisciando piano a terra per poi poggiare la schiena contro il cornicione che delimitava il tetto ampio e poco illuminato di quell’edificio. Senza interromperlo Batman aspettò che finisse la frase, ma era già pronto a cucciarsi e a colpirlo ancora, questa volta in pieno viso.
-Hai appena interrotto qualcosa di molto…interessante. Non so se mi spiego- il clown ridacchiò esponendogli uno sguardo viscido, accompagnato da un dispettoso occhiolino. Sentì come una scossa elettrica percorrergli l’intera colonna vertebrale in un miso tra lo sdegno e il disgusto. Senza neanche pensarci, allora, il cavaliere oscuro mantenne la sua parola: senza fiatare, si cucciò sul suo acerrimo nemico e lo colpì dritto in faccia. Dalle sue luride labbra scarlatte, ora del sangue denso colava lentamente.
-Toglimi una curiosità- dopo essersi sgraziatamente ripulito la bocca con il dorso della mano, il clown di Gotham city tornò a parlare.
-Come mai tutto questo ritardo? Ah no… Non me lo dire. Voglio indovinare- Joker si portò una mano al mento fingendo platealmente di essere indeciso sulla risposta da dare. Poi, schioccando appena le dita, trapassò l’uomo mascherato da parte a parte con uno sguardo cupo e sprezzante, sebbene si trovasse in un momentaneo svantaggio:
-Il tuo piccolo amico ancora non sa dominare il suo potere. Beh… un po’ deludente, non trovi? Ma d’altronde, è grazie a lui che io sono arrivato qui- sogghignò mentre la mano grande e forte del cavaliere si stringeva attorno al suo collo. Con uno scatto del tutto repentino e impulsivo, batman lo aveva portato nuovamente in piedi, inchiodandolo con due occhi più roventi della pece bollente. Non ne era certo, ma Joker vide in quello sguardo rabbia e frustrazione: aveva proprio toccato le corde giuste.
-Quello che conta, ora, è che siamo qui per portare Virgily lontano da te- la sua voce era roca, e sebbene stesse digrignando i denti, quasi a volersi trattenere dall’impulso primitivo di volerlo distruggere con le sue mani, la sua affermazione arrivò chiara e decisa alle orecchie del clown, che al contrario gli sorrise beffardo.
-Ah davvero? E dov’è… com’è che lo chiami?- fece una piccola pausa –Robin?-  fece finta di cercare una conferma nello sguardo di Batman, poi riprese subito a parlare:
-Dov’è il tuo Robin ora? Scommetto che deve ancora riprendersi dal viaggio che avete compiuto. Non saresti qui da solo altrimenti…- Batman sapeva dove volesse andare a parare, così strinse ulteriormente la sua presa attorno alla gola del suo nemico, ma questo non gli impedì di parlare ancora, seppur con la voce strozzata:
-Lo sai che la mia Virgily non verrà mai via con te s-se lui non c’è-
-Lei non è, e non sarà mai, tua!- un ringhio possente aveva schiuso le labbra del cavaliere oscuro, che con uno slancio deciso aveva spintonato via quel clown maledetto che stava stuzzicando fin troppo la sua pazienza. Joker si carezzò piano il collo, schiarendosi la gola prima di poter ricominciare a ridere.
-Oh, è proprio qui che ti sbagli, invece- sorrise, estraendo una seconda pistola dal suo soprabito viola:
-Lei è già mia- i due acerrimi rivali si guardarono intensamente, senza più scambiarsi una parola. Il vento si sollevò ancora una volta sulla cima di quel palazzo ormai abbandonato. Si sentirono degli spari. Poi, nel buio, sparirono entrambi.

***
Il tempo sembrava essersi bloccato. Neanche riuscivo più a percepire il ticchettio freddo e metallico delle lancette dell’orologgio. Ero rimasta immobile, seduta sul mio letto, a fissare oltre quella finestra. Per quanto potessero vagare nel buio, i miei occhi ripercorrevano con precisione l’invisibile sentiero fra i tetti percorso da quella strana ombra nella notte. Avevo sentito degli spari, e mi si era raggelato il sangue. Sperai che non fosse opera di Joker, ma in fondo al cuore sapevo che si trattava proprio di lui. Sospirai, pesantemente. Ripensai agli ultimi tempi: le ansie sul lavoro, le scorribande, l’aggressione al locale, il rapimento, la morte di Laura. E adesso questo. Sembrava quasi come se l’inquietudine e il desiderio, la paura e forse l’amore crescessero tra me e Joker di pari passo. Anzi, l’uno rafforzava l’altra. Mi domandai fino a che punto avrei potuto sopportare tutto questo. Probabilmente, e questa non era una ipotesi del tutto assurda, la felicità mi sarebbe costata la vita. Il cielo si era tinteggiato una una tonalità limpida e luminosa. Il sole stava per sorgere, e facendomi sobbalzare dal letto il suono della porta che si richiudeva in se stessa arrivò come il rombo di un tuono al mio udito. Mi sollevai di scatto, incurante del dolore alle gambe e all’addome, e mi avviai a passo rapido e deciso verso l’ingresso. Avevo il cuore in gola, e la tachicardia che soffocava ogni mio vano tentativo di non piangere. Lui era lì. Per terra, con la schiena addossata alla porta. Sebbene tenesse il mento premuto contro il suo petto, e i suoi riccioli verdastri mi impedivano di poterlo guardare in viso, riuscivo ad intuire che era esausto. Non ebbi neanche il coraggio di pensare a cosa avesse fatto in tutto questo tempo che ero già a terra, inginocchiata al suo fianco mentre lo stringevo fra le braccia. Tenendo il suo viso premuto contro il mio petto, le lacrime scorrevano amare dai miei occhi: aveva le labbra spaccate, e quando scostai le sue ciocche ribelli una ad una, smascherai un volto livido e gonfio, sebbene il cerone e il resto del trucco cercassero di aiutarlo a negare l’evidenza.
-Oh…- singhiozzai piano, mentre il mio sguardo cadeva fra le sue vesti sgualcite e impolverate. Un pensiero cupo attraversò come un lampo la mia mente, e nel giro di pochi secondi le mie mani dal suo visto erano già scese al suo collo. Sfilai la cravatta con agilità, cominciando a sbottonargli con cautela gilet e camicia.
-Virgily…-
-No!- le sue grandi mani guantate fecero per bloccarmi ma lo scostai brutalmente, inchiodandolo con lo sguardo sebbene la vista fosse ancora offuscata dalla lacrime.
-Devo guardare…- singhiozzai piano, continuando a spogliarlo con cura e delicatezza. Proprio come avevo immaginato, sotto quella coltre pesante di stoffa si celava un torso scolpito e tonico, macchiato di chiazze violacee dalle dimensioni spaventose.
-Mio dio…- con le mani posate sulle labbra, e le lacrime che continuavano a sgorgare senza sosta dai miei occhi, pensai immediatamente che lo avessero investito. Tuttavia, vedendo la fitta concentrazione di ematomi spargersi sul suo addome ipotizzai che lo avessero preso a calci fino allo sfinimento.
-Chi ti ha fatto questo?- domandai con un filo di voce. Ma non ricevetti alcuna risposta.
-Joker…-
-Non provare pena per me, Virgily- mi ammonì serioso, cercando il mio sguardo. I suoi grandi pozzi scuri erano vivaci e brillanti, e sembravano ribollire di un impeto mai visto prima.
-Pena?- rimasi interdetta e piuttosto infastidita dalla sua affermazione. Come poteva anche solo pensare che io, dopo tutto quello che avevamo passato assieme, provassi pena per lui? Io che mi ero sforzata di andare oltre le apparenze a mio rischio e pericolo. Io che mi ero spinta al di là dei miei limiti per lui. Strinsi i denti, cercando di non inveirgli contro. Era ferito, e certo una ramanzina ora non gli sarebbe servita a nulla. Respirai profondamente, cercai di calmarmi e poi avvolsi nuovamente le braccia attorno alle sue spalle.
-Non confondere la mia preoccupazione così facilmente. Non provo pena per te, Joker- affermai piano, aspettando che anche lui ricambiasse il mio gesto, allacciandosi attorno alla mia vita.
-Quello che ti è successo è conseguenza delle tue azioni. E questo lo so. L’ho provato sulla mia pelle. Non dimenticarlo…-
-Ti piace punzecchiarmi eh, bambolina?- ridacchio piano sollevando appena lo sguardo. Il sopracciglio sinistro era inarcato verso l’alto, mentre un ghigno malevolo si era dipinto sul suo volto tumefatto.
-No, invece. Ma voglio che tu capisca una volta per tutte che quello che provo per te è sincero. Probabilmente la tua mente contorta non riesce a somatizzarlo, ma tu per me sei importante- la mia voce usciva tranquilla e decisa dalle mie labbra, ma tutti i miei muscoli erano in tensione. Tremavo tutta, il cuore mi batteva all’impazzata. Onestamente ignoravo cosa stesse pensando al momento di me, e francamente neanche volevo saperlo. L’unico mio pensiero era rivolto a questo: che lui capisse la complessità di questo sentimento che ci legava. Che si sforzasse di comprendere le mie frustrazioni. Almeno questo me lo doveva. Ci fu un piccolo lasso di tempo in cui tra di noi il silenzio divenne sovrano, accompagnando i nostri sguardi in una intesa che sembrava diventare sempre più pericolosa. Poi, roca e vigorosa la risata del clown scoppiò dal fondo della sua gola, riecheggiando per l’intero appartamento. Le sue mani scivolarono sulla mia schiena, portandomi nuovamente al suo petto, e con la stessa scioltezza immerse il viso tra i miei capelli scuri, assaporandone l’odore, baciandomi piano sotto l’attaccatura dell’orecchio. A quel contatto, riuscii a percepire un caldo brivido graffiarmi la carne, costringendomi ad inarcare ulteriormente la schiena contro di lui.
-Perché ridi?- gli domandai senza mai scostarmi dal suo corpo.
-Perché sei una sorpresa continua, bambolina- affermò baciandomi la tempia
-E perché c’è più follia in te di quanto mi aspettassi…- aggiunse cercando il mio sguardo. Mi scostò dolcemente una ciocca di capelli, acconciandola dietro l’orecchio mentre con le sue labbra bollenti asciugava i miei occhi, ancora bagnati di lacrime.

***
Nuovamente fra le sue braccia, Virgily lo guardava con una serenità quasi inquietante, considerata la timidezza e la paura dei primi tempi. Malgrado tutto, ora che era sua quella ragazzina mostrava una forza, una sicurezza tale da renderlo fiero e orgoglioso del suo operato. Solo standole accanto Virgily sarebbe diventata più forte, e al contempo lui sarebbe rimasto lucido e concentrato. Lei non era una medicina alla sua pazzia. Lei era lo stimolo, l’impulso che guidava la sua mano armata. Non ne era certo, ma probabilmente lei era il fine del caos isterico dentro la sua testa, e più ne prendeva atto più quel fastidioso peso nel petto si dilatava, corrodendogli le membra.
-Follia… amore. A questo punto, qual è la differenza?- gli domandò lei improvvisamente, cogliendolo alla sprovvista. Stretta al suo petto, Virgily non ricevette alcuna risposta alla sua domanda. Ma se si fosse concentrata, probabilmente la ragazza avrebbe potuto sentire il cuore di Joker perdere un battito.

*Angolino di Virgy*
Proprio quando meno ve lo aspettate, io resuscito dall'oltretomba del lavoro e degli esami. Questo è stato un periodo particolarmente difficile per me e la mia scrittura, e questo lo si evice anche dalla marea di dubbi che tartassa la mente di Virgily. So che è passato molto tempo ma spero di non deludere le vostre aspettative. Un fallimento, proprio a questo punto, non potrei mai perdonarmelo.  Fatemi sapere cosa ne pensate.
Vi ringrazio per la lettura.
Baci
-V-   

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Capitolo 12
*** Cap.12 - When you feel love like you never did ***


NDA: Nel seguenge capitolo sono presenti anche diversi punti di vista, espressi in terza persona e circostritti entro tre asterischi

Cap.12 - When you feel love like you never did

Come morta caddi al suolo, avvolta nell’invisibile abbraccio del vuoto. I secondi viaggiarono ad alta velocità nella mia mente quando sentii un tonfo, seguito da una nuvola di polvere e fuliggine che mi appannarono la visuale. Non potevo esserne sicura, ma mi parve di giacere sul freddo pavimento dissestato di quel palazzo. A malapena riuscivo a sollevare la cassa toracica, e sentivo del liquido denso uscire dalla mia testa e dal mio addome, e colare caldo sulla mia pelle. Sentivo delle voci ovattate raggiungere il mio orecchio, ma non capii che cosa mi stessero dicendo. Dai miei occhi socchiusi, tutto quello che riuscivo a vedere era l’immagine ofuscata di un luogo spoglio e grigio. Sentivo dolore. Tanto dolore in ogni parte del mio corpo, e sapevo che anche volendolo non sarei riuscita a muovermi. La testa lentamente cominciò a farsi leggera, girando come un’inquietante giostra a cavalli nella sua ultima corsa. Avevo la nausea, non capivo più dove mi trovassi e per quale motivo, ma sapevo perfettamente che presto avrei chiuso gli occhi, probabilmente per non riaprirli più. Non volevo perdere conoscenza, restare sola con me stessa nel buio della mia mente proprio quando la vita mi stava abbandonando. Ma il mio corpo oramai faceva tutto da solo, e io non avevo la forza di contraddirlo. Eppure, poco prima di perdere i sensi, riconobbi una figura scura scendere dal cielo verso di me. La vista era calata di colpo, per cui non riuscii a distinguere la creatura, completamente vestita di nero, che mi torreggiava. Per qualche istante pensai che fosse un angelo della morte, se non il diavolo in persona. Forse era venuto a giudicare la mia vita poco prima del grande balzo. In un battito di ciglia ricordai, allora, tutto quello che avevo vissuto con grande malinconia: La mamma, il papà, Jim e poi lui. Joker. Ripensai a quello che era successo, alla paura, al dolore, l’amore che avevo provato e le parole che non ebbi il coraggio di dirgli. Proprio in quell’esatto istante, nella mia mente tornarono le immagini. Quelle “visioni” che in una notte di pioggia scatenarono il mio inferno. In quel momento, quasi cadendo in trance, riuscii ancora una volta a vedere davanti a me un mondo che non mi era mai appartenuto: notte, oscurità, esplosioni… Se mi concentravo un poco, potevo sentire di nuovo l’odore inconfondibile della benzina, l’odore del sangue. Sentii una scossa elettrica pervadermi tutta, questa volta facendomi sussultare in preda alle convulsioni.
-Virgily!- il diavolo, ormai chino su di me, aveva pronunciato il mio nome con voce bassa e cupa. Una luce, quasi come uno spiraglio vorticoso e fiammante era scoppiato alle nostre spalle, sovrastando la figura che, al mio fianco, carezzò lentamente il mio viso. Purtroppo non riuscii a mettere bene a fuoco quel viso maschile che sostava ricuvo verso di me. Ma di una cosa fui assolutamente certa: furono i suoi occhi a ricordami, per l’ultima volta, Gotham City.
***
17 ore prima
La lancetta della piccola sveglia elettronica, poggiata sul mio comodino, aveva appena segnato le sette del mattino. Luci calde e soffuse penetravano dalle persiane socchiuse della mia finestra, mentre un pesante silenzio ci aveva avvolti in un gelido abbraccio. Con i boccoli biondi ancora umidi, e il torso nudo che ne metteva in risalto le contusioni e i lividi, Joker restava immobile sul ciglio del mio letto mentre io, seduta al suo fianco, con una salvietta bagnata finivo di togliere gli ultimi residui di cerone dal suo splendido viso, gonfio e lesionato dai colpi subiti qualche ora prima. Mi concentrai soprattutto sulle sue labbra e le sue cicatrici, che lentamente riemersero nel loro inquietante pallore da tutto quel mare cremisi di rossetto. Fortunatamente aveva solo lo zigomo arrossato e un labbro spaccato: un po’ di ghiaccio avrebbe risolto tutto, ma era il suo petto e il suo addome a preoccuparmi. Poteva avere qualche costola rotta, o peggio ancora un versamento interno… Ma ovviamente l’idea di andare in ospedale era fuori discussione. Dal canto suo, Joker non mostrava alcun segno di cedimento, ma probabilmente si stava trattenendo per non allarmarmi più di quanto non lo fossi già. Quando finii di ripulirgli il viso, posai la salviettina sporca sul comodino per afferrare delle pillole di antidolorifico e un bicchiere d’acqua. Di rimando, l’uomo le mandò giù a secco senza neanche fiatare. Quasi meccanicamente un angolo delle mie labbra si sollevò verso l’alto. Potevo solo immaginare il dolore che stava provando, eppure era così calmo, così sereno. Era inquietante eppure continuava ad affascinarmi. Improvvisamente i suoi occhi si posarono sui miei, e sospirando appena lasciai che questa volta la linea sottile di un sorriso si distendesse sulla mia bocca:
-Ben tornato, signor Napier…- sussurrai piano, accorciando lentamente le distanze dal suo volto che, di tutta risposta, si era avvicinano immediatamente al mio per azzerare il vuoto fra le nostre labbra.
-Ti sono mancato?- domandò con quell’intramontabile sorriso sghembo che, inutile dirlo, mi fece sciogliere. Sogghignai appena mentre con delicatezza coglievo il suo viso con entrambe le mani per poterlo portare nuovamente al mio e lasciarvi impresso un secondo bacio umido e premuroso.
-Un po’…- sussurrai sulle sue labbra, -Ma non dirlo a Joker…- una piccola risata riecheggiò finalmente nella nostra camera da letto, e avvolgendo le sue forti braccia attorno ai fianchi mi strinse al suo petto nudo, questa volta prolungando il nostro bacio in un contatto più intenso e passionale. Lasciò scivolare le sue mani calde e affusolate sotto la stoffa sottile del mio pigiama, e sentii le sue labbra scendere piano dal mio mento sino al collo, giù lungo tutta la sua curvatura per poi lasciarmi un’umida scia nell’incavo della clavicola e sulla spalla.
-Tu non immagini neanche cosa sarei disposto a fare per te…- bisbigliò pianissimo tra un bacio e l’altro, lasciandomi patire un lungo ed estenuante brivido che mi fece accapponare la pelle nel giro di pochissimi secondi.
-Lo immagino, invece. Sono una scrittrice, dopotutto- gli risposi inoltrando una mano fra i suoi soffici capelli ancora umidi, invitandolo a prolungare il contatto della sua bocca sulla mia pelle mentre mi inarcavo istintivamente contro di lui. Un sibilo sottile, molto simile a una risatina dispettosa rombò dal profondo della sua gola. Sollevò appena il capo esponendomi, con tanto di sopracciglio inarcato, uno sguardo divertito e malevolo.
-Cos..?- non feci neanche in tempo a finire la frase che, quasi vorticando a mezz'aria, mi ritrovai compressa fra il suo corpo e il materasso. Lui ora mi torreggiava, serrandomi i polsi tra le sue mani ben premute contro il letto. I suoi occhi, scuri ma al tempo stesso vivaci, sembravano volermi trapassare il cranio da parte a parte. Era serio, vigoroso ma gentile al tempo stesso. Sapevo oramai che avrebbe potuto farmi del male in qualsiasi momento, ma sapevo altrettanto bene che non lo avrebbe fatto. Non mentre era pienamente cosciente del contesto in cui si trovava.
-Grazie…- immediatamente impetrai, patendo una nuova ondata di brividi che mi fecero venire la pelle d’oca. I miei occhi si sgranarono di colpo quando il mio cervello riuscì a decodificare il suo messaggio. Cercai di dire qualcosa. Ma il silenzio fu inevitabile. Inutile dire che ero interdetta e a dir poco allibita. Forse, rivestendo ancora una volta i vecchi panni di Jack Napier, Joker stava lentamente recuperando il modus operandi del suo vecchio “io”. O magari era semplicemente una svista dovuta al suo sdoppiamento della personalità. Eppure mi stava ringraziando, e non osavo pensarne la motivazione. Intuendo allora il mio sconforto, l’uomo a cavalcioni sul mio grembo mi espose un piccolo sorriso:
-Se non fosse stato per te… io no ti avrei mai trovata, Virgily- si spiegò meglio, folgorandomi ancora una volta con quello sguardo che mi fu quasi fatale. Desiderio, bramosia, gratitudine. Guardarlo negli occhi era sempre una sorpresa per me. Tuttavia, non riuscii a fare a meno di notare una cosa strana: “trovata”, aveva appena detto. Non “incontrata” o “conosciuta”.
Trovare allude a qualcosa che lui stava cercando”.
 Questo pensiero mi inquietò per una manciata buona di secondi, lasciandomi muta innanzi alle occhiate dell’uomo che si era cucciato su di me per rubarmi l’ennesimo bacio a fior di labbra. Poi però pensai che, forse, quello era il suo modo per esprimermi i suoi sentimenti. Del resto, e di questo ne ero più che certa, Joker non era tipo da fare “piani”. A lui era sempre piaciuto improvvisare. E certo non poteva conoscermi prima che, chissà ancora per quale motivo, si ritrovasse catapultato nel mio mondo. Istintivamente, sgusciando fuori dalla sua salda presa, allacciai le braccia attorno al suo collo per portarlo a me e stringelo forte in un abbraccio. Joker ricambiò immediatamente, avvolgendomi per i fianchi mentre immergeva il viso ancora livido e gonfio fra i miei capelli.
-Lo pensi davvero?- sussurrai piano, nascondendomi nell’incavo del suo collo per poter meglio sentire il suo odore e il suo calore.
-Sì…- affermò secco, senza mai smettere di carezzarmi la schiena –Sei speciale. Molto di più di quello che pensi, bambolina…- soffiò al mio orecchio con voce bassa e roca, facendomi vibrare sotto il suo corpo accaldato.
-Adulatore!- affermai sogghignando quando le sue labbra cominciarono a torturarmi il lobo dell’orecchio, accrescendo quella marea di brividi che mi stavano facendo letteralmente tremare. Fu questione di pochi secondi prima che la sua bocca trovò nuovamente la mia, zittendomi come solo lui sapeva fare. Istintivamente rafforzai la presa attorno al suo collo, cominciando a scivolare lungo le sue ampie spalle lisce e compatte. Riuscii a percepire come la sua pelle cominciasse ad incresparsi al passaggio lento e dispettoso delle mie unghie, e questo mi permise di esporgli un ghigno beffardo e compiaciuto. Smisi di pensare a quello che era successo quella notte, a quello che gli avevano fatto, alle parole che mi aveva detto e a tutti quei dubbi che non facevano altro che tormentarmi. Quando Joker mi toccava, il mondo smetteva di girare, e noi due cominciavamo finalmente a viverci. Tutto divenne caotico, disordinato e passionale. I vestiti volarono a terra, le lenzuola s’intrecciarono ai nostri corpi nudi. Fu diverso rispetto alla prima volta. Strano per certi versi: più dolce, premuroso. Niente abiti strappati, coltelli o morsi dettati dall’impeto. Senza smettere mai di baciarmi, Joker si muoveva lento e al contempo deciso. I suoi occhi erano costantemente fissi sui miei: erano seri, per un certo verso quasi spietati. Sembravano volermi silenziosamente ricordare “Tu sei mia. Non te lo scordare mai”.
Ci ritrovammo stesi sotto le coperte l’uno accanto all’altra. Sfogliava il mio quaderno dalla copertina nera, quello della nostra storia. Era così assorto nella lettura che quasi mi incantai ad osservare il suo sinuoso profilo. Le luci del pomeriggio mettevano in risalto i suoi boccoli dorati che gli incorniciavano il viso, e in quella circostanza anche le sue cicatrici assumevano un’aria meno inquietante e spettrale.
-Dimmi, Virgily…- mi chiamò piano, cercandomi con lo sguardo. Non appena mi trovò, proprio a pochi centimetri da lui, non riuscii a fare a meno di sorridergli. Dovevo essere impazzita, ma era bello stare con lui.
-Sì?- domandai a mia volta avvicinandomi piano, quel tanto che mi bastava per potergli lasciare l’impronta di un casto bacio sulla spalla nuda:
-Che cosa significa questo?- domandò indicandomi un segno che avevo disegnato su di una pagina: un piccolo palloncino stilizzato a forma di cuore. Onestamente non avrei mai pensato che lo avrebbe notato, e di fatto rimasi al quanto sorpresa della sua curiosità.
-Ah quello?- mi schiarii la gola, abbassando timidamente lo sguardo –Quello sono io…- affermai in un primo momento non riuscendo a nascondere l’imbarazzo nella mia voce appena tremante.
-O meglio: è come mi vedo io. Un piccolo palloncino… a forma di cuore. È stupido lo so…- istintivamente potrai ambo le mani al viso per nascondermi dal suo sguardo indagatore. Ci fu del silenzio che calò come un’incudine sopra di noi, e per qualche secondo persi un battito. Poi però, con grande delicatezza, sentii le sue mani grandi afferrare le mie per scostarmele dal viso. Abbassai allora lo sguardo, ma Joker prontamente mi afferrò per il mento con l’indice e il medio, costringendomi a guardarlo. I piccoli pigmenti verdognoli nascosti nelle sue iridi scure parevano aver cominciato a brillare, e sulle sue labbra storpie il clown finalmente dipinse la linea sottile di un dolce sorriso.
-Ha molto senso, invece- mi disse, stampandomi un piccolo bacio nel mezzo della fronte.
-Un palloncino, molto carino e fragile alla vista, che sfida incoscientemente il cielo per arrivare sempre più in alto. Fino al punto da esplodere. Ti rispecchia abbastanza direi…- specificò avvolgendomi le spalle con un braccio, lasciandomi adagiare con il capo sul suo petto.
-Ma tu sei molto più di un palloncino, bambolina- sospirò piano, cominciando a guardare, pensieroso, il soffitto della nostra camera.
-È per questo che stasera ti porto in un posto…- affermò subito dopo cogliendo immediatamente la mia attenzione.
-Che posto?- domandai curiosa ed euforica al tempo stesso. Ero nervosa dovevo ammetterlo.
-Non essere impaziente. È una sorpresa- disse ghignando dispettosamente-Riposati, ora. Ci aspetta una lunga serata- fu tutto quello che disse prima di tornare a fissare un punto indefinito della stanza. Le sue dita si inoltrarono fra i miei folti capelli bruni, cominciando a massaggiarmi la testa. Oramai sapeva fin troppo bene come farmi rilassare. E io, di rimando, rimasi avvolta fra quelle lenzuola, con la testa poggiata sul suo petto. Mi addormentai piano, cullata dalle sue forti braccia. Finché il cuore gli batteva nel petto, io ero sua e lui era mio. Era così che doveva essere, e mi convinsi che, oramai, il tempo non aveva più alcun un senso.
***
1 ora prima
Era ormai sera quando arrivammo in quel “posto”: una vecchia palazzina in costruzione che il comune non aveva mai terminato. All’ersterno si vedevano ancora le impalcature arrugginite che anni fa avevano lasciato lì, quasi sbadatamente. Il progetto iniziale prevedeva la costruzione di un piccolo centro commerciale di quattro, se non addirittura cinque piani molto ampi e spaziosi, ma i costruttori non andarono mai oltre il terzo piano. Sostanzialmente si trattava di uno scheletro di mattoni e calcestruzzo, senza finestre o protezioni per le scale di cemento. Al suo interno, poi, l’aria era rarefatta e polverosa mentre il tutto era illuminato dalla fioca e pallida luce della luna che filtrava da grandi aperture circolari fatte sui soffitti, probabilmente con lo scopo di contenere un vetro resistente che avrebbe dovuto permettere alle persone di “affacciarsi” al piano inferiore. Non vi era niente, se non desolazione e abbandono. Istintivamente mi portai le mani al petto, per stringere il bavero del cappottino di lana cotta più vicino al collo cercando invano di ripararmi dal freddo mentre Joker, che passeggiava beato come un bambino in gita scolastica, si guardava intorno con aria molto soddisfatta:
-Esattamente, cosa ci facciamo qui?- domandai cercando di seguirlo con cautela, per non inciampare fra le macerie di piccoli resti di mattoni e attrezzi vari.
-Questo posto, bambolina, oltre ad essere abbandonato, è anche piuttosto isolato. Ed è proprio qui, mia cara, che stasera ti insegnerò a sparare!- disse con un inquietante entusiasmo mentre, salendo i primi gradini delle scale cementate, si voltava di tre quarti per porgermi teatralmente la mano e suggerirmi di seguirlo al piano superiore. Ci misi qualche secondo per capire cosa avesse detto:
-N-Non parli sul serio, vero?- domandai un po’ titubante quando le mie dita si strinsero attorno alle sue, più grandi e guantate.
-Ti sembro il tipo da fare scherzi del genere, bambolina?- mi chiese di rimando mentre mi scortava al secondo piano. Due grandi finestroni rendevano l’aria più pulita rispetto al piano terra, ma vi era una grandissima apertura centrale che, del tutto priva di protezioni, avrebbe potuto farci fare un bel volo di cinque o sei metri buoni. Ovviamente non vi erano bersagli a cui sparare, il che mi rese ulteriormente sospettosa.
-Lezione numero uno…- disse il clown estraendo una pistola dal suo soprabito viola:
–Prendere confidenza con la propria arma-
-Confidenza?- domandai stranita mentre, a piccoli passi, Joker si fece sempre più vicino al mio corpo, porgendomi la sua cara amica.
-Più ti senti a tuo agio nel fare una cosa, più ti sarà facile farlo…- alla sua affermazione, quando l’adagiò sulle mie mani, il peso di quell’arma mi parve almeno triplicato. Non avevo mai sparato a qualcuno. Non avevo neanche mai pensato di sparare a qualcuno, prima d’ora. I miei occhi rimasero per secondi interminabili fissi su quell’oggetto. Ero pietrificata e, inutile dirlo, anche piuttosto spaventata.
-I-Io non…- senza riuscire a terminare la frase, le mani grandi di Joker arrivarono alle mie, guidandomi nei movimenti per impugnarla a dovere:
-Se vuoi stare con me, bambolina, devo avere la certezza che saprai difenderti- i suoi occhi ora erano fissi su di me, e parvero ribollire, pervasi dalla fiamma della follia. Senza fiatare allora annuii deglutendo rumorosamente. Joker mi istruì sul modo corretto di tenere le braccia, di guardarmi sempre intorno, specialmente a spalle scoperte. Poi mi disse di cominciare a fare fuoco, lasciandomi interdetta:
-Non importa cosa colpirai, se il muro o il vuoto. Quello che conta, ora, è che tu capisca com'è che funziona l’arma che tieni fra le mani. Devi sentirla rombare. Devi dominarla. Farla tua. La mira non ti serve più di tanto. Non oggi- inevitabilmente il cuore mi andò in gola. Sentivo le mani cominciare a tremare, e sapevo che non era per il freddo. Respirai piano, cercando di regolarizzare il battito cardiaco, che di propria sponte aveva cominciato ad accelerami freneticamente nel petto. Poi, non so di preciso con quale coraggio, feci pressione sul grilletto. Sentii un scoppio, e meccanicamente mi feci indietro portandomi le braccia al petto quasi per proteggermi. Avevo serrato gli occhi, perché non avevo la più pallida idea di dove avessi sparato. Tuttavia, nel giro di pochi secondi, una lunga ed estenuante risata riecheggiò per tutto l’ambiente, facendomi fremere. Con il cuore a mille schiusi lentamente le palpebre. La penombra certo non mi aiutava, ma se mettevo bene a fuoco, potevo vedere un buco aprirsi, lentamente, sulla parete di cemento grezzo a qualche metro di distanza dal mio corpo. Joker continuò a ridere in modo grottesco e inquietante, probabilmente a causa del mio stupore. Se solo ripensavo alla minima pressione che avevo esercitato qualche istante prima, mi veniva la pelle d’oca. Non l’avrei mai pensato, ma sparare era facile. Troppo facile. Mi guardai le mani, e con mio grande stupore avevano smesso di tremare. Neanche mi resi conto del fatto che il principe clown di Gotham avesse nuovamente azzerato la distanza fra i nostri corpi, avvolgendo le sue braccia attorno ai miei fianchi per poter adagiare il petto lungo tutta la mia schiena. Il suo fiato caldo parve una carezza seducente e lasciva sulla mia pelle, e questo mi fece tornare a fremere:
-Allora, bambolina. Come ti senti?- domandò con voce roca e suadente mordendomi appena il lobo destro, facendomi patire un brivido caldo che mi percosse tutta.
-Ti è piaciuto?- pensandoci bene, non ne ero del tutto sicura. Certo, le mani non tremavano più, e anche la tachicardia sembrava essersi placata. Eppure, tutto questo mi spaventava a morte. Premere il grilletto era così semplice. Ma con quale coraggio avrei fatto fuoco su qualcuno? Al solo pensiero, riuscivo a sentire lo stomaco riggirarsi più volte, e la nausea intorpidirmi l’esofago. Tutto d’un tratto la testa mi cominciò a girare, proprio quando sentii il vento al di fuori dell’edificio cominciare soffiare veementemente. Come una tromba d’aria, la polvere, i nostri vestiti e i nostri capelli si sollevarono al passaggio repentino e violento del vento quando, con un scoppio potente e del tutto improvviso, uno spiraglio vorticoso e fiammante comparve innanzi ai nostri occhi ingrandendosi in modo spropositato. Tutto per un istante mi parve sfocato, a causa dell’immensa luce provocata da quell’innaturale deflagrazione. Poi sentii qualcosa, come dei passi pesanti riecheggiare con una certa fretta. Non riuscii a distinguere bene la figura di nero vestita che comparve dal vortice, ma istintivamente cominciai ad urlare quando, senza rendermene conto, mi ritrovai a terra. Joker mi aveva spinta via, lasciandosi travolgere da quell’imponente figura che lo trascinò per almeno un paio di metri, colpendolo in pieno viso. Nel giro di pochi secondi, giusto il tempo di perdere qualche battito, tachicardia, nausea e voltastomaco tornarono a torturarmi, lasciando che il mio corpo cominciasse a tremare come una foglia. A giudicare dal frastuono che stavano provocando, quella losca figura non si stava risparmiando nel malmenare Joker. In un breve lasso di lucidità pensai alla pistola, ma nella caduta doveva essere scivolata giù per l’enorme buco sul pavimento, non troppo distante da me. Cercai allora di respirare profondamente e fare maggiore chiarezza mentale, ma tutto quello che stava succedendo era a dir poco assurdo. Sentii poi due grandi mani agguantarmi per le spalle, e senza neanche pensarci ricominciai ad urlare, questa volta a squarciagola. Una lacrima incolore sgusciò dal mio precario autocontrollo, e serrando gli occhi in preda al panico mi lasciai sollevare di peso. Era la fine. Ne ero totalmente certa.
-Santo dio Virgy stai bene!- una voce molto mascolina e profonda mi entrò in testa, cogliendomi totalmente alla sprovvista. Era come se l’avessi già sentita da qualche parte, ma la mia mente non riuscita a collegarla ad un volto conosciuto. Proprio come quel paio di mani che si avvolsero attorno ai miei fianchi e alle spalle. Confusa e frastornata, contro ogni mio preavviso, mi ritrovai allora stretta in un caldo abbraccio.
-Virgily guardami! Sono io!- ancora tremante di paura, schiusi appena gli occhi, osservando dei pettorali ben definiti, messi in risalto da una sorta di “armatura” molto spessa e resistente. Era quasi familiare, per certi versi, ma la grande “R” impressa all’altezza del cuore mi lasciava piuttosto perplessa. Seguii con lo sguardo un percorso immaginario che dal suo torso mi portò alla curvatura elegante del suo collo, raggiungendo poi una mascella squadrata e affilata, delle labbra sottili e un intenso paio di occhi grigioverdi contornati da una piccola maschera poggiata sul suo naso. Fu in quell'esatto istante, quando posai nuovamente lo sguardo su quelle iridi chiare e sgargianti che mi parve di morire. Trattenendo il fiato, le mie mani si mossero senza alcuna autorizzazione, posandosi tremanti e delicate sopra le sue guance e sui suoi capelli, corti e molto scuri. La sua pelle era liscia, calda… reale.
-J-Jim?- un singhiozzo mi fece quasi storpiare il nome di mio fratello, mentre gli occhi cominciavano a gonfiarsi di lacrime. La testa aveva ricominciato a girare, ma lui era proprio lì, insieme a me. E non sarei svenuta per niente al mondo.
-Sì. Sì sono io!- anche i suoi occhi sembravano essersi lucidati per la commozione. E pur avendo il cuore in gola trovai comunque la forza di stringere le braccia attorno al suo corpo scultoreo, ricambiando il suo soffice abbraccio. Per minuti interminabili piansi a dirotto senza neanche rendermi conto di quello che, nel frattempo, stava accadendo attorno a noi. Dopo anni che lo avevo dato per disperso, mio fratello ora era finalmente tornato da me.
-Ma che cosa ci fai qui?- domandai tutto d’un fiato scostandomi appena, quel tanto che gli serviva per inchiodarmi con uno sguardo glaciale:
-No ascolta, Virgily. Siamo venuti a salvarti- mi disse con tono freddo e serissimo mentre mi afferrava per le spalle con decisione. Un brivido si arrampicò lungo tutta la mia colonna vertebrale facendomi tremare vistosamente:
-Siamo? Ma che…- non riuscii neanche a terminare la frase che i miei occhi caddero quasi meccanicamente su quella curiosa “R” impressa sulla sua armatura.
Silenzio. Pesante e asfissiante, parve quasi un gas letale che mi tolse il fiato.
-O mio dio…- tornando freneticamente con i piedi per terra, cominciai a dimenarmi fra le sue braccia, guardando in lungo e in largo per la stanza quando li vidi, per la prima volta, innanzi ai miei occhi: Batman e la sua nemesi, Joker, si stavano fronteggiando l’uno contro l’altro. Il principe clown di Gotham era steso a terra, e sogghignava sotto i potenti colpi del cavaliere oscuro. Ripensai istintivamente all’ombra che avevo visto la scorsa notte, alle contusioni e alle ferite di Joker. Ora tutto sembrava ricominciare ad avere un senso.
-O mio dio!- divincolandomi dalla presa di Jim, cominciai a correre verso quei due mostri sacri che, per anni, avevano dato vita a folli visioni nella mia mente contorta e malata da scrittrice. Il mio cervello aveva smesso di creare pensieri, ammutolitosi innanzi al miracolo che avevo davanti. E senza rendermene conto, ora ero lì: mi ero lanciata in mezzo fra quei due, come uno scudo umano, e avevo posato ambo le mani sui suoi pettorali massicci e scolpiti, messi in risalto dall’armatura corvina. Ero tutta un fremito, e mi tornò la nausea quando trovai il coraggio di guardarlo in viso: la mascella squadrata, le labbra sottili e ben disegnate. E pur indossando la sua inconfondibile maschera, i suoi occhi riuscivano comunque a scavarmi dentro, aprendomi una voragine che non sarei mai riuscita a risanare.     
-Spostati, Virgily- la sua voce, proprio come me la ero sempre immaginata, era bassa e roca. Un brivido freddo mi fece accapponare la pelle, ma il fatto stesso che conoscesse il mio nome, oltre ad essere “reale”, stava cominciando a diventare assurdo.
-No- risposi secca. C’erano troppe domande nella mia testa, e non mi sarei mossa di lì senza aver ricevuto una valida risposta.
-Voi dovete assolutamente spiegarmi che cosa diavolo sta succedendo!-
-Virgily…- Jim si era fatto avanti ad ampie falcate, fiancheggiando il suo compagno di viaggio. C’era della seria preoccupazione nei suoi occhi chiari, e questo mi trasferì una forte inquietudine.
-Senti. So che è difficile da credere ma cinque anni fa, quando sono sparito, ho scoperto di avere questo…- il moro fu titubante per qualche istante, tanto da abbassare violentemente lo sguardo per osservarsi le mani. Mio fratello stava tremando.
-Potere…- aggiunse infine, cercando il mio sguardo incredulo.
-Quale potere?- domandai corrugando istintivamente la fronte, confusa e frastornata.
-Virgy. Io posso viaggiare fra i mondi. Teletrasportarmi in diverse dimensioni.- fece una piccola pausa, avvicinandosi di un passo.
-Non so come sia stato possibile, ma quella notte io sono finito a Gotham. E non sapevo più come tornare indietro. Batman mi ha trovato e mi ha aiutato a diventare quello che sono ora...- mio fratello aveva cominciato a raccontarmi tutto. A confidarmi quella verità che non mi sarei mai aspettata. Ma il mio cervello sembrava essersi sconnesso. Non riuscivo a crederci. Era impossibile. Doveva. Eppure, per quanto fosse assurdo, forse non aveva tutti i torti. Solo un viaggiatore di mondi possibili poteva aver provocato tutto quel casino.
-Ma Joker scoprì dove mi nascondevo…- la rabbia e il rancore erano talmente evidenti da impedirgli di continuare la frase. Ma era proprio quello il punto del racconto che volevo ascoltare.
-Ha visto una tua foto. Quella che ho sempre portato con me. E ha scoperto così che non ero del suo mondo. Dio… Virgily voleva ricattarmi per aprire il portale e-
-Aspetta un momento!- alzai di tutta fretta una mano per intimargli di tacere. Udite le sue parole, sentii inevitabilmente un dolore acutissimo all’altezza del cuore, come una lama che gelida e tagliente mi trapassò da parte a parte. Stava succedendo tutto così in fretta. E io non mi sentivo pronta per affrontarne le conseguenze. Mi voltai piano, e lui era proprio ai miei piedi, con il volto gonfio e le labbra tinte con il rosso del suo stesso sangue. Non osò parlarmi, ma il ghigno che vidi impresso nella sua maschera spettrale mi fece fremere di rabbia.
-Tu sapevi tutto…- sussurrai piano, cominciando a sentire gli occhi gonfiarsi di lacrime amare, mentre il dolore al petto cominciava a farmi barcollare.
-O mio dio TU SAPEVI TUTTO!- non riuscii a trattenermi dall'urlargli in faccia, quasi perdendo il fiato. La tachicardia riprese immediatamente a farmi sollevare pesantemente la cassa toracica, mentre la testa tornava a girare fortissimo. Tuttavia la rabbia e l’adrenalina, che aveva cominciato ad avvelenarmi il sangue, furono l’antidoto che mi conferì una veemenza spaventosa, tanto che feci quasi per saltargli addosso, ma le solide braccia di Jim mi circondarono prontamente i fianchi per impedirmi mosse azzardate o troppo rischiose. Ma a me, onestamente, non me ne importava più nulla. Joker mi aveva mentito spudoratamente. E questo mi faceva male. Tropo male.
-FIGLIO DI PUTTANA DILLO! PER UNA CAZZO DI VOLTA PARLA CHIARO! HAI RICATTATO MIO FRATELLO PER PASSARE IN QUESTO MONDO?- sbraitai continuando a divincolarmi fra le braccia di mio fratello, e quando i miei occhi caddero sul suo sguardo serio e austero, improvvisamente sentii un fuoco corrodermi le membra.
-Oh, no bambolina- sogghignò, visibilmente divertito alla mia reazione. Joker, proprio come la prima volta, mi espose il più spietato ed inquietante dei suoi ghigni:
-Sei stata tu- e non ebbi più il coraggio di fiatare. Quelle, furono tre parole che mi lasciarono completamente paralizzata. Una risatina perfida gonfiò le sue labbra cicatrizzate, mentre una frase particolare in un attimo mi balenò nella mente, rimbombando fra i miei stessi pensieri:
Se non fosse stato per te… io no ti avrei mai trovata, Virgily
Poi ricordai. Io, quella notte, avevo espresso un solo desiderio ben preciso.
-N-Non è possibile…- sussurrai pianissimo. Tradita. Usata. Così mi sentii in quell’esatto istante. E una lacrima incolore fuoriuscì dal mio controllo, colando solitaria lungo tutto il mio viso.
-Lo è, invece- mi rispose mio fratello, allentando un pochino la presa per tramutarlo in un abbraccio rassicurante.
-Tu sei come me. Lo so che sembra folle ma è così. E se tu verrai con noi…-
-Venire con voi?- scostandomi appena dal corpo, asciutto e prestante, di mio fratello, non riuscii a fare a meno di fulminarlo con lo sguardo. Che diavolo volevano farmi adesso? Non gli bastava avermi sconvolto la vita? Non gli bastava avermi fatto scoprire una verità, talmente amara, che mi stava letteralmente annientando?
-Virgily…- la voce calda e profonda di Batman mi colse alla sprovvista, me era decisamente gentile. Sapevo che forse voleva cercare di rassicurarmi, ma in quell’esatto istante, capii che probabilmente questo trauma mi avrebbe segnata a tal punto da impedirmi di fidarmi.
-Vieni con noi. Possiamo aiutarti a dominare questo potere-
-E a rimettere questo bastardo al suo posto!- aggiunse mio fratello, chiaramente riferendosi al clown accovacciato ai nostri piedi, che osservava la scena con una serenità spaventosa. Tanto da farmi tornare a tremare per la rabbia. Ignorai totalmente le parole dei due paladini della giustizia, e mi ritrovai ad accorciare le distanze fra il mio corpo e quello di Joker. Incurvandomi piano, arrivai a inginocchiarmi a terra per arrivare più vicina all’altezza del suo sguardo. Jim fece per dirmi qualcosa ma non glielo permisi. Io e lui, purtroppo, non avevamo ancora finito:
-Perché non mi hai uccisa quella notte?- domandai piano, cercando di modulare bene la voce, sebbene cominciassi a sentire i primi singhiozzi intorpidirmi l’esofago. Inizialmente, il nemico dichiarato del cavaliere oscuro non mi rispose. Si limitò a guardarmi. I suoi occhi avevano assunto un’aria quasi malinconica, come se stesse cercando di tornare indietro con i ricordi a quella notte piovosa di marzo.
-Perché mi hai lasciato vivere?- riformulai la domanda, aspettando con pazienza.
-Te l’ho detto, bambolina…- mi disse in un primo momento sollevando, quasi in segno di rassegnazione, l’angolo sinistro delle sue labbra scarlatte.
-Ho visto qualcosa in te-
-Cosa?- Joker, per la prima volta abbassò lo sguardo dal mio. Titubò più volte alla ricerca delle parole adatte. Era nervoso, tanto da mordersi il labbro inferiore.
-Me…- sussurrò poco dopo. Non ero quasi riuscita a sentirlo, ma quell’affermazione mi aveva mandato il cuore in gola.
-Ho rivisto me in te…- specificò cercando il mio sguardo, quasi per studiare la mia reazione. Ignoravo l’espressione che dovevo aver assunto, ma sentii con chiarezza una seconda lacrima tracciare un nuovo solco sul mio viso.
-Dio quanto sono stupida…- singhiozzai piano, sentendo gli occhi cominciare ad esplodere, lasciando colare numerose gemme incolore sulle mie guance.
-Virgily…- mi chiamò piano, con una dolcezza quasi disarmante,
-No, Joker!- lo zittii alzando di qualche tono la mia voce mentre mi asciugavo frettolosamente con i palmi delle mani ancora sporchi di polvere,
-Ora basta con i giochetti- gli dissi –Da quando ti ho conosciuto sono stata rapita, drogata, torturata. Hanno ucciso la mia migliore amica. Ma non ho mai fiatato. Non mi sono mai data per vinta, perché sapevo che mi avresti sempre salvata. È allora che mi sono innamorata- sentii mio fratello sussultare alle mie spalle per la sorpresa, ma non gli diedi peso. Oramai ero troppo coinvolta. Anzi. Ero letteralmente a pezzi. Era stato lui a distruggermi. E del resto, lui era Joker. Dovevo aspettarmelo. Presi un respiro profondo, e tornai a fissarlo nei suoi occhi scuri come la pece. Era concentrato, attento, sbigottito. Ma niente in quel momento avrebbe placato la valanga di parole che mi si stavano arrampicando in gola:
-Ma dovevo saperlo che non c’è amore in te. Anzi. Mi hai appena dato la conferma che tu non puoi amare nessun’altro all’infuori di te stesso…- la mia voce fu spezzata da un ennesimo singhiozzo che mi fece rabbrividire tutta. Sollevai appena lo sguardo verso i due uomini alle mie spalle, che senza fiatare mi guardarono attoniti.
-Vengo con voi…- sussurrai piano mentre la linea sottile di un sorriso si dipinse sulla bocca di Jim, che prontamente mi aiutò a rimettermi in piedi. Non so se quello che stavo facendo fosse la cosa più giusta. Ma in quel momento, mi accorsi di non avere più niente da perdere. Joker mi aveva usata, questa era la verità. E io glielo avevo permesso come una stupida. E questo, non me lo sarei mai perdonata. Dandomi una piccola pacca sulla spalla, mio fratello mi superò per cucciarsi contro quell’uomo che non aveva fatto altro che crearci un sacco di problemi. Quell'uomo a cui pensavo di appartenere. Voltandogli le spalle cominciai ad allontanarmi con lo sguardo fisso sui miei passi. Non avevo il coraggio di guardarlo oltre. Volevo soltanto ricominciare, e sperare che presto quel vuoto che cominciava a logorarmi lentamente finisse di mangiarmi le membra. Sentii improvvisamente una mano grande e pesante sul mio braccio, afferrandomi saldamente. Sobbalzai di tutta sorpresa, sbattendo numerose volte le palpebre. Era Batman, e quando misi bene a fuoco i miei dintorni, mi accorsi che non aveva fatto altro che bloccarmi a pochi centimetri da quell’ampia apertura del pavimento che, se fossi stata incauta, mi avrebbe fatta precipitare nel buio.
-Metteremo tutto a posto…- mi disse con tono gentile. Ora che lo guardavo bene, non era poi così spaventosa la sua maschera. Certo, probabilmente avrebbe potuto incutere timore a chiunque dei suoi avversari. Ma quando i suoi occhi scuri s’incontrarono con i miei, non riuscii a far a meno di notare una certa luce nello suo sguardo. Come se anche lui, in fondo, comprendesse a pieno il dolore che stavo provando. Istintivamente sollevai le labbra in un mezzo sorriso, e anche lui fece lo stesso. Poi, il tempo riprese a scorrere a velocità aumentata. Un grido di dolore scoppiò all’improvviso dalle nostre spalle, e quando ci voltammo io e il cavaliere oscuro ci ritrovammo il clown sociopatico di Gotham City a pochi metri da noi, e brandiva una pistola mentre il corpo di mio fratello giaceva a terra privo di sensi. Ci fu uno scoppio, talmente potente da farmi vibrare. Non riuscii nemmeno a fare in tempo a gridare “Attento!” che le mie mani si erano già mosse: in un gesto del tutto impulsivo, i miei palmi avevano spinto via l’uomo al mio fianco con tutta la forza che avevo in corpo. Ci fu un secondo sparo, e cominciai a sentire lo stomaco e la spalla destra bruciare con una intensità spaventosa. Poi, persi l’equilibrio. Come morta caddi al suolo, avvolta nell’invisibile abbraccio del vuoto. I secondi viaggiarono ad alta velocità nella mia mente quando sentii un tonfo, seguito da una nuvola di polvere e fuliggine che mi appannarono la visuale. Non potevo esserne sicura, ma mi parve di giacere sul freddo pavimento dissestato di quel palazzo. A malapena riuscivo a sollevare la cassa toracica, e sentivo del liquido denso uscire dalla mia testa e dal mio addome, e colare caldo sulla mia pelle. Sentivo delle voci ovattate raggiungere il mio orecchio, ma non capii che cosa mi stessero dicendo. Dai miei occhi socchiusi, tutto quello che riuscivo a vedere era l’immagine offuscata di un luogo spoglio e grigio. Sentivo dolore. Tanto dolore in ogni parte del mio corpo, e sapevo che anche volendolo non sarei riuscita a muovermi. La testa lentamente cominciò a farsi leggera, girando come un’inquietante giostra a cavalli nella sua ultima corsa. Avevo la nausea, non capivo più dove mi trovassi e per quale motivo, ma sapevo perfettamente che presto avrei chiuso gli occhi, probabilmente per non riaprirli più. Non volevo perdere conoscenza, restare sola con me stessa nel buio della mia mente proprio quando la vita mi stava abbandonando. Ma il mio corpo oramai faceva tutto da solo, e io non avevo la forza di contraddirlo. Eppure, poco prima di perdere i sensi, riconobbi una figura scura scendere dal cielo verso di me. La vista era calata di colpo, per cui non riuscii a distinguere la creatura, completamente vestita di nero, che mi torreggiava. Per qualche istante pensai che fosse un angelo della morte, se non il diavolo in persona. Forse era venuto a giudicare la mia vita poco prima del grande balzo. In un battito di ciglia ricordai, allora, tutto quello che avevo vissuto con grande malinconia: La mamma, il papà, Jim e poi lui. Joker. Ripensai a quello che era successo, alla paura, al dolore, l’amore che avevo provato e le parole che non ebbi il coraggio di dirgli. Proprio in quell’esatto istante, nella mia mente tornarono le immagini. Quelle “visioni” che in una notte di pioggia scatenarono il mio inferno. In quel momento, quasi cadendo in trance, riuscii ancora una volta a vedere davanti a me un mondo che non mi era mai appartenuto: notte, oscurità, esplosioni… Se mi concentravo un poco, potevo sentire di nuovo l’odore inconfondibile della benzina, l’odore del sangue. Sentii una scossa elettrica pervadermi tutta, questa volta facendomi sussultare in preda alle convulsioni.
-Virgily!- il diavolo, ormai chino su di me, aveva pronunciato il mio nome con voce bassa e cupa. Una luce, quasi come uno spiraglio vorticoso e fiammante era scoppiato alle nostre spalle, sovrastando la figura che, al mio fianco, carezzò lentamente il mio viso. Purtroppo non riuscii a mettere bene a fuoco quel viso maschile che sostava ricurvo verso di me. Ma di una cosa fui assolutamente certa: furono i suoi occhi a ricordami, per l’ultima volta, Gotham City.
***
Con un colpo ben assestato, Joker era riuscito a mettere k.o quel guastafeste di Robin, e senza fiatare sfoderò la sua seconda pistola. Aveva fatto tanto per trovarla, e ora nessuno gli avrebbe portato via la sua bambolina. Lo aveva promesso a sé stesso. E lei, d’altro canto, gli apparteneva. Ma in realtà, era proprio lui che aveva bisogno della sua Virgily. Era diventata il suo unico spiraglio di razionalità. Il fine che guidava tutte le sue deprecabili azioni. Ma le aveva mentito. L’aveva ferita. E ora la stava perdendo. E non glielo avrebbe permesso. Puntò dritto al petto di quell'insulso pipistrello, che per anni non aveva fatto altro che tormentare la sua stessa esistenza. Poi, vide qualcosa di inaspettato: sfoderando un coraggio a dir poco spaventoso, la sua bambolina aveva spinto via Batman per incassare i colpi al posto suo. La vide impallidire tutto insieme, per poi cadere nel vuoto. Con il cuore che gli parve esplodergli nel petto, il folle principe non riuscì a credere ai suoi occhi. Si avviò, a grandi falcate, verso quell’apertura circolare che aveva inghiottito nel buio la sua dolce Virgily. Batman lo aveva preceduto, lanciandosi proprio dietro di lei. Per qualche istante non ebbe il coraggio di abbassare lo sguardo, ma poi lo fece.
-Lei me lo aveva detto- sussurrò piano. La voce della ragazza risuonò, soffice e vellutata, nella testa del clown:
Sarà il caos stesso ad annientarti, quando sarà arrivato il momento…
E quando la vide annaspare in una pozza di sangue proprio ai suoi piedi, Joker capì che forse quel momento era arrivato. Ed era stato lui ad averlo provocato.

*Angolino di Virgy*
Finalmente sono tornata. E questa volta, ho svelato tutte le mie carte. Questo è il capitolo più importante. Per scriverlo ho pianto, ho riso, mi sono strappata i capelli ma, soprattutto, non ho dormito. Detesto fare del male ai miei personaggi, ma era inevitabile. Spero che vi piaccia. Da questo momento possiamo dire che comincia veramente la storia. Senza più trucchetti. Scrivere di Joker diventa sempre più difficile e, come se non bastasse, ora c'è anche Batman.
Non esitate a farmi sapere cosa ne pensate. Il vostro parere è importante.
Grazie per la lettura.
Un bacio.
-V-

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