Sleeping Awake

di Sashuras
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo. ***


Primo Capitolo.


Il castello di mattoncini Lego cadde in un tonfo che riecheggiò per tutta casa. L’imponente costruzione si distrusse, spargendo i suoi componenti per tutto il salotto: sotto il divano, dietro i mobili, sotto il televisore e raggiungendo gli angoli più remoti della stanza. Il lavoro di un intero pomeriggio s’era dissolto in un attimo. Sbuffò, arrabbiato, alzandosi in piedi e cominciando raccogliere man mano i vari pezzi. Al piccolo Joseph non piaceva dover ripetere la stessa operazione mille e mille volte, ma l’errore nel costruire la torre era stata sua e non poteva lamentarsi con nessuno. Mentre riordinava il salone, un profumo caldo e ricco di aromi andava via via spargersi e riempire anche le sue piccole narici. Seppur minuto, era un tipetto molto goloso. Non resistette oltre e andò correndo in cucina.
Due mani vellutate danzavano tra i fornelli, movendo le stoviglie, i piatti e cibarie varie con grande maestria. La ricetta la sapevano a memoria ed ormai si spostavano in automatico. Lasciarono cadere un po’ di origano e del sale sulla teglia, stracolma con dell’ottima carne, e poi, senza fermare la loro danza, dritta dritta sui fornelli.
Il piccolo Joey osservava attonito il lavoro della madre, gli piaceva guardarla in silenzio, mentre preparava qualche altro suo delizioso piatto. Si avvicinò e le strattonò leggermente il gonnellino, attirando così la sua attenzione.
- Mamma, mamma, che si mangia? – Ella si inginocchiò, quanto bastasse per raggiungere l’altezza del piccoletto.
- Uno dei tuoi piatti preferiti, amore. Carne in padella! Ed indovina un po’ ? –
- Cosa, mamma? –
- Visto che hai fatto il bravo questa settimana, ho comprato anche un’ottima torta al cioccolato dal pasticcere qui vicino. Cosa ne dici? – gli chiese, facendogli l’occhiolino.
- Sarà tutta mia! Non ve ne lascio neanche un pezzetto! – le rispose, facendo linguaccia. La donna, con dei gesti buffi ed incrociando le braccia al petto, finse di essere triste.
- Non lasci un pezzetto neanche alla tua mamma? –
- Mmmh – pensò il piccolo, poi aggiunse. – solo se tu è papà mi portate al parco dei divertimenti ! –
- Affare fatto! Domenica tutti al Luna Park! – lo prese in braccio e cominciò a farlo girare vorticosamente per la cucina. Joey rideva, era felice, d’altronde era questo di cui aveva bisogno. Di divertimento, affetto e, soprattutto, cioccolata.
- La smettete di fare casino?! – una voce maschile e rabbiosa sgridò i due, i quali si fermarono di colpo facendo cadere la cucina in un assoluto silenzio. Adrienne poggiò suo figlio per terra.
- Mamma, papà è ancora arrabbiato? – sussurrò  il piccoletto.
- No, amore, è solo molto stanco. Ora vado da lui, su, torna a giocare. – e con uno di quei suoi grandi ed incoraggianti sorrisi spinse Joseph verso la stanza affianco. Egli corse, tornando alla sua disperata ricerca dei mattoncini colorati. Avrebbe ricostruito quella torre, costi quel che costi!
 
Passi lenti e rumorosi, l’odore di rosmarino ancora forte, piano spinse la porta verso l’interno, aprendo la stanza del primo piano.
- Ehy … – disse Adrienne con un leggero tremolio nella sua voce. Guardava fisso il marito, il quale era curvo su se stesso, o meglio, sulla sua chitarra acustica. Lui, Billie Joe Armstrong, era ben conosciuto nel quartiere. Front-man di una delle band emergenti nel mondo del punk-rock americano, ora sedeva davanti la sua scrivania, plettro e chitarra alla mano, come un soldato con le sue armi, a fare ciò per cui era destinato: comporre. Ed era infatti troppo preso da quella melodia per poter sentire la voce della moglie, che intanto lo chiamava. Si voltò, alla fine, sentendo del brusio alle sue spalle.
- Ehy … - disse solo, poi distolse lo sguardo e lo rivolse al suo strumento, noncurante della presenza della donna.
- Volevo dirti che la cena è pronta … e che vorrei parlarti di una cosa importante. – Ma Billie non sembrava darle retta, così ella aggiunse - … riguarda nostro figlio Joey. – e di colpo il suono della chitarra si fermò. Finalmente decise di interrompere il lavoro, posò lo strumento per terra, e, girando la sedia stiracchiandosi, prese a fissare la moglie.
- Domenica è il suo compleanno e avevo pensato di portarlo al Luna Park che si trova all’altro lato della città. – disse lei, mentre rigirava freneticamente i pollici. Billie Joe se ne accorse, stava per chiedergli qualcosa, ne era certo.
- Mi sembra una splendida idea. – rispose l’uomo, accennando un sorriso.
- Sì … ma vedi, vorrei che … insomma, venissi pure tu con noi. –
- Non posso. – tagliò corto lui – e lo sai, Adrienne. Ho un live quella sera e non posso mancare, né perdere tempo dietro cose simili. Ho bisogno di riposarmi. -
- Tuo figlio ti sembra una perdita di tempo … ? – chiese adirata e con tristezza lei. Billie allora si alzò e le si parò dinnanzi con aria imponente. Lo sguardo perso e spento, tipico di chi è stanco e stressato e di chi è altrove col pensiero. Messo così era minaccioso, riusciva quasi ad incutere paura.
- Chi credi che porti a casa i soldi, e Adie?! Questo si chiama lavoro, io lavoro, giorno e notte, per sostenere te e Joseph, per sostenere questa band, le bollette, il mutuo e tutto ciò che ne deriva! Passo le notti insonne cercando di trovare l’ispirazione e dormo di giorno per caricarmi per la serata successiva. –
- Parli di Joseph come se non ti appartenesse, come se noi non facessimo parte della tua vita, come se fossimo un peso! Ma davvero vuoi mettere il tuo ‘lavoro’ al di sopra di tutto, al di sopra di noi? E metti caso che mi succeda qualcosa?! Scommetto che preferiresti andare a suonare piuttosto che correre in ospedale per sapere cos’ho! – la donna alzò ad ogni parola il suo tono di voce, sempre più, fino quasi ad urlare. E l’uomo rispose con lo stesso tono.
- Cosa diamine stai blaterando, Adrienne?! Pensi sia facile? Pensi che sia facile, a 28 anni, sostenere tutto questo? –
- Se non volevi perché allora mi hai sposato? – Adie ormai era rossa dalla rabbia, cominciava a dire cose che neanche pensava, giusto per sapere la risposta del marito. Così succedeva quand’era arrabbiata, ogni singola volta.
Ma Billie Joe a quella domanda non rispose. Era indeciso su cosa dirle: se non darle un minimo di soddisfazione e mentire spudoratamente, dicendo che era stato tutto uno sbaglio, uno scherzo della sua mente impregnata di alcol; oppure raccontarle la verità, ovvero che la amava sopra ogni cosa. Ma gli avrebbe creduto? Molto probabilmente no. Così preferì restare in silenzio e sfidare gli occhi scuri di lei. Lo feriva terribilmente vederla così arrabbiata; faceva di tutto per rendere felice lei e il suo piccolo, ma non bastava mai, non era mai abbastanza. Joseph era arrivato all’improvviso, ma non lo considerava uno sbaglio, i figli non lo sono mai e di questo lui ne era convinto; era stata solo una scelta  imprudente ed affrettata ma della quale non aveva mai avuto rimpianti. Era lui il problema: a 22 anni gli erano cadute addosso responsabilità che spesso neanche un trentenne è capace di assumersi.
 
Driiiiiiiiiin, Driiiiiiiiiiin.
Il trillo avvertiva che la cena era pronta, e suonava già da diversi minuti. Ma nessuno se n’era curato, meno che Joey, rannicchiato in un angolo del soggiorno con le orecchie tappate dalle mani. Il trillo ripetitivo era nulla in confronto alle urla provenienti dal piano superiore. Spesso faceva finta di niente, ma lui li sentiva bene e sentiva bene ogni singola parola, li ascoltava con attenzione e, seppur avesse solo 5 anni, capiva e capiva fin troppo. Non era niente di nuovo in casa Armstrong, ma sentire che il motivo del litigio era lui lo rendeva tremendamente triste ed angosciato. Si strinse ancora di più, raggomitolandosi su se stesso. Non doveva piangere, se l’avesse fatto i suoi se ne sarebbero accorti e forse l’avrebbero sgridato o fatto decine e decine di domande alle quali si sarebbe rifiutato di rispondere. Troppo piccino, lui, per un sentimento così grande. Di non ferire ulteriormente i suoi genitori, di questo si preoccupava, convinto che loro, infondo, si amassero e che non tutti i sorrisi che riceveva erano falsi.
 
Mangiarono insieme allo stesso tavolo, alle 9 di sera, in un completo silenzio. Ci fu solo lo stupore di Joey nel vedere quant’era bella quella torta al cioccolato comprata dalla madre. E Billie lo seguì a ruota.
- Guarda com’è bella Joey! Secondo me è anche dannatamente buona! – e cominciò a tagliare il dolce e a distribuirlo a grandi fette nei tre piattini in tavola, per poi ricadere di nuovo nel silenzio. Tra un boccone e l’altro, Joseph guardava e sorrideva prima al padre, poi alla madre, i quali ricambiavano ma con un finto entusiasmo. Di certo la loro relazione aveva passato momenti migliori.
 
Erano quasi le dieci e la sera incombeva su casa Armstrong, situata appena fuori città.
Billie Joe prese il cappello, la sciarpa, si buttò addosso una giacca pesante ed uscì, nonostante il freddo gelido di Febbraio. Adrienne non lo fermò, aveva imparato a conoscerlo fin troppo bene e sapeva che non avrebbe tardato a rientrare.
Quando era su di giri faceva così, andava a passeggio per le vie della cittadina con un pacchetto di sigarette in tasca. Pensava, rifletteva; l’aria fresca e ghiacciata era in contrasto con la sua mente bollente, che in quella lunga camminata era in continuo fermento. Tutto ciò gli donava un senso di calma e stabilità (per quanto lui potesse averne!). Si accese una sigaretta e cominciò a fumare. Una, due, tre, il numero variava in proporzione allo stress accumulato dalla litigata con lei.
 
Guardò l’orologio e d’improvviso s’accorse che erano già passati tre quarti d’ora. Decise quindi di tornare a casa, percorrendo il tragitto al contrario. S’era preso fin troppo tempo libero, infondo era sposato, non voleva far preoccupare sua moglie, aveva un figlio e tutta questa libertà non poteva prendersela.
Sarebbe stata una notte come tutte le altre: si sarebbe infilato sotto le coperte del suo letto matrimoniale, una volta che Joey si fosse addormentato, e avrebbe chiesto scusa alla moglie, poi l’avrebbe abbracciata, accarezzata. Si sarebbe rifugiato un’ennesima volta in quegli occhi scuri, che sempre l’avevano perdonato e mai avevano smesso d’amarlo. Al solo pensiero sorrise ed aumentò il passo. Perché sapeva che sarebbe finita così, che non avrebbero continuato il litigio, surclassando i problemi che si accumulavano sulle loro spalle. Erano più forti di tutto, o meglio, il loro amore lo era.
 
In un batter d’occhio si trovò sull’uscio della dimora ed aprì impaziente la porta.
- Tesoro, sono a casa! – urlò, con più euforia di quando se n’era uscito. Non ricevette risposta.
- Adrienne, amore, sono a casa! – riprovò, ma niente, nessuno rispose. D’un tratto sentì Joey urlare il suo nome.
- Papà, papà! – Urlava, si dimenava, come un pazzo in preda alle convulsioni! Billie Joe corse in salone, da dove sentì provenire le urla disperate del ragazzino. Era seduto in un angolo, ansimante, piangendo disperatamente, terrorizzato. Billie lo strinse forte per tenerlo fermo, nonostante egli si dimenasse ancora di più. Smise di scalciare ma era ancora in preda alle lacrime e gridava con tutto il fiato che avesse in corpo. Era nel panico più totale.
Billie Joe gli circondo il viso rosso e rigato da fiumi di lacrime ed esclamò:
- Cos’è successo Joey?! Che cos’hai?! – Il figlio di appena 5 anni non fece altro che alzare il braccio tremante dallo shock, ed indicò la cucina.
Billie seguì le sue indicazioni e si diresse nella stanza vicina.
Mille lame trafissero il suo corpo in un nanosecondo. Indietreggiò di colpo, urtando contro mensole e scaffali, i piatti si ribaltarono frantumandosi in mille pezzi sul pavimento. Il fiato gli si mozzò e perse la voce, il tatto, l’udito. Le labbra d’improvviso gli si fecero di ghiaccio e gli occhi si spalancarono. Non sapeva cosa fare, se piangere o morire in quello stesso momento. Sentiva lacrime nere di disperazione scendergli giù per il volto, mentre osservava il tetro scenario a cui era sottoposto. Si infilò le mani nei capelli, con rabbia se li strappò via. D’improvviso cacciò un urlo, un grido forte, acuto, che gli portò via la voce. Le mani gli tremavano, l’intero corpo tremava, e scoppiò in un pianto convulsivo e violento. Gli venne meno anche la forza nelle gambe, cadde per terra, in ginocchio, e prese a sbattere i pugni violentemente sul pavimento.
 
 

“… e se mi succedesse qualcosa, Billie Joe?”

 

** Spazio autrice **
Quindi, buon salve a tutti!
Ho deciso di intraprendere questo nuovo e irto cammino con una nuova fanfic a più capitoli. Cuuulo!
Non c'è molto da dire, se non che 'spero che il primo capitolo vi sia piaciuto' 'spero che seguirete questa storia' e bla bla bla, insomma, le solite cavolate!
No, davvero, spero vi ci affezionate perché, strano a dirsi, mi ci sono già affezionata io. E sono ancora ai primi capitoli, lol
Sappiate solo che vi amo tutte e che vi amo ancora di più se lasciate un segno del vostro passaggio!
Un 'long kiss goodnight' a tutti!
Sashuras

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


Secondo Capitolo.

Gli occhi verdastri di Billie si incrociarono con la luce fioca che traspariva dalle diafone persiane. Era in piedi, pietrificato davanti alla finestrella quasi sbarrata della stanza operatoria numero 14. Senza muovere un muscolo, aspettava, non sapendo neanche lui cosa; un segno, una sentenza, una qualcosa che avrebbe deciso il resto della sua intera vita. Segretamente sperava solo di svegliarsi, di ritrovarsi sudato ed ansimante sul letto, in preda ad un orrendo sogno. Ed invece era lì, l’incubo, invece che sognarlo, lo stava vivendo tra quelle lunghe mura sbiadite. La paura di una vita s’era materializzata, ed ora non gli restava che attendere.
D’improvviso un rumore incalzante di passi pesanti ruppe il silenzio dei corridoi del 1° piano. Voltandosi, Billie lo vide. Correva a perdifiato verso di lui, finché non lo raggiunse, stremato.
- Ho fatto … ho fatto in più fretta possibile. – rispose, quando ancora il fiato gli mancava. Era Michael, l’amico di una vita. Colui che c’è sempre stato e, almeno per quando Billie sperasse, sempre ci sarà. Era alto, biondo, muscoloso, con un sorriso mozzafiato, e tutta la sua bellezza raggiungeva il culmine nell’infinito degli occhi suoi azzurro cielo. Billie ne rimaneva affascinato ogni qual volta li vedesse, sin da quando lo acchiappò per puro caso nella caffetteria del loro liceo, dove si erano conosciuti. E cosa era lui in confronto a quella bellezza? Uno sgorbio, ecco cosa si riteneva, uno sgorbio salvato grazie alla musica e a quegli occhi furbetti che si ritrovava
Finalmente il biondo alzò il capo e solo allora capì la disperazione dell’amico, quando finalmente lesse il suo sguardo. Tutta la vivacità di quegli occhietti verdognoli s’era spenta, come se un velo scuro li avesse coperti. Non piangeva, ma si potevano udire le urla della sua anima, straziata. 
A quel punto, Mike non sapeva che fare. Un abbraccio sarebbe stato troppo poco, un sorriso anche. Tutto era niente in confronto a ciò che l’amico provava. Così gli venne spontaneo, gli prese le mani e gliele strinse forte.
- Non so cosa sia successo, ma Adrienne è una donna forte, ce la farà, vedrai. – e gliele strinse talmente forte da colorargliele di rosso. 
Dopo un breve silenzio, Billie esclamò – Mike, dov’è mio figlio? -. La sua voce non aveva tono o accento. Era un suono monotono, dal quale non traspariva alcuna emozione.
- E’ in pediatria. Lo stanno visitando e credo che le infermiere lo terranno a bada mentre il procuratore distrettuale … -
- Il procuratore distrettuale?! – Billie Joe spalancò gli occhi.
- Hanno chiesto di vederti, Billie, vogliono la tua versione dei fatti. – 
Il caro Armstrong non aveva mai provato una grande simpatia per qualunque cose riguardasse la polizia. Magari avrebbero scavato nei loro archivi e avrebbero trovato qualche fascicolo dove spiccavano multe per assunzione di sostanze stupefacenti o per guida in stato di ebbrezza. Ma, d’altro canto, non aveva altra scelta. 
 
Si ritrovò seduto in una fredda stanza d’ospedale, con una forte luce puntata in faccia e tre (o forse quattro) ometti che lo accerchiavano. Pistole ai fianchi. 
Il procuratore distrettuale Devalos era esattamente di fronte a lui, ma poco riusciva a vedere, a causa della luce accecante che si ritrovava schiaffato in volto. Scorse solo un bel paio di baffi che serpeggiavano su di un viso rotondetto e ben in carne. A primo impatto, sembrava fosse vestito bene, giacca e cravatta; come ogni autorità che si rispetti, impeccabile.
- Allora, signor Billie Joe Armstrong, vediamo di far chiarezza su questa vicenda. – Disse, mentre si accomodava dinnanzi all’interrogato.
- Cosa ricorda di quella sera, Billie Joe? – chiese.
- Avevamo litigato, questo ricordo. Ricordo di essere uscito a prendere un boccata d’aria. Succede sempre così, sa, quando vado su di giri. Esco a fumarmi una sigaretta. Sono tornato a casa e … bhe, il resto l’avete visto. –
- Verso che ho ora è rientrato? –
- Circa le undici. – rispose secco e vago. Adesso il suo unico pensiero era lei, rinchiusa in una sala operatoria, in lotta tra la vita e la morte.
- Bene. – conclude Devalos. – E cosa ci dice della scritta ? –
Billie Joe alzò lo sguardo, stupefatto della domanda.
- Quale scritta? – esclamò.
Il procuratore aggrottò la fronte – Strano che non l’abbiate notata. – disse. Si alzò, cominciando a camminare a passi lenti e felini per la stanza. Tutto ciò non faceva che aumentare l’ansia del moro. – In cucina, esattamente sul muro dell’angolo cottura abbiamo trovato la scritta ‘She is not your wife’. Era stata scritta a sangue, ed era ancora fresca quando gli uomini della scientifica sono arrivati sul luogo. Faremo analizzare la scritta per identificarne il DNA e scoprire a chi appartiene. Possibile che non l’abbiate notata? – e così facendo gli porse una foto, scattata poco prima, in cui figurava a caratteri cubitali proprio quella scritta.
- Quando trova sua moglie in fin di vita in una pozza di sangue, signor Devalos, credo che il piano cottura sia l’ultimo dei suoi problemi.- esordì Armstrong.
D’improvviso, con un gesto della mano, Devalos fece segno ai poliziotti presenti nella stanza di uscire e di lasciarlo da solo con l’imputato. Dopo un breve silenzio, il procuratore si sedette e finalmente spense la luce, ch’era diventata ormai insopportabile agli occhi di Billie Joe. Cominciò così a fissarlo. Billie poté distinguerne le forme: era un ometto sulla cinquantina, a giudicare dal colore grigiastro dei suoi radi capelli, gli occhi scuri e stanchi di chi ha visto ogni sfumatura della vita, grandi mani, una bocca piccola nascosta da dei mustacchi neri. 
- Io la conosco, Armstrong, so chi è lei.  – Billie distolse lo sguardo dalle dita che stava martoriando dall’inizio dell’interrogatorio per poi posarlo sull’ometto - So che non è uno stinco di santo e so anche quante volte sia sfuggito alla polizia. Veniamo al dunque: non faccia un passo falso o la sbatto in galera senza pensarci due volte. –
Al suon di quelle parole, il giovane Billie si alzò e, sbattendo i pugni sul tavolo, avvicinò il viso a quello del procuratore.
- Mi sbatta in galera, allora, cosa aspetta? Ma questo non salverà mia moglie, ne aiuterà a risolvere il caso.  – così dicendo, allentò la presa dal tavolo e si avviò verso l’uscio ma, prima di lasciare la stanza, voltandosi, esclamò – Scoprirò quel che è successo a mia moglie, con o senza l’aiuto della polizia. – e sbatté con rabbia la porta.
 
Stava tornando alla sala operatoria numero 14. Sperava solo di vedere gli occhi di Adrienne riprendere vita, e le sue mani accarezzargli il viso, e le sue labbra sorridergli. E invece scrutò solo Mike, il quale era intendo a parlottare col dottore.
Un momento. Il dottore!
Percorse gli ultimi metri che lo dividevano dai due in un baleno, fino a ritrovarvisi quasi spiaccicato. Sperava gli sorridessero, sperava di trovare conforto in uno degli sguardi dell’amico, sperava che fosse tutto apposto. 
Ma prima guardò Michael, poi il medico, poi di nuovo Michael. Un giro frenetico di pupille che lo stava facendo delirare. Poi vide il volto dell’amico abbassarsi e un brivido gelido gli percorse la schiena.
- Signor Armstrong –
- Sì, dottore?! – rispose Billie, il quale pendeva da quelle labbra.
 
- Dobbiamo parlare … 

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