She never dies.

di EmaEspo96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono stata dimenticata. ***
Capitolo 2: *** Cena al sapore di verbena. ***
Capitolo 3: *** Il ritorno. ***
Capitolo 4: *** La tentazione della fame. ***
Capitolo 5: *** Sarò sola stanotte. ***
Capitolo 6: *** Mi hai salvato. ***
Capitolo 7: *** L'incubo di Klaus. ***
Capitolo 8: *** Inspiegabili risvolti. ***
Capitolo 9: *** Fantasmi. ***
Capitolo 10: *** Un'amara delusione. ***
Capitolo 11: *** Punto di svolta. ***
Capitolo 12: *** L'incantesimo. ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 14: *** La messa nera. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Sono stata dimenticata. ***


 

Mugolò assonnata in quel posto stretto e chiuso. Quasi sentiva di non riuscire a respirare quando iniziò ad aprire lentamente gli occhi, regalandosi un’immagine scura ed offuscata di un posto dal tetto davvero basso e totalmente privo di luce. Gli esseri umani avrebbero potuto trovare qualche difficoltà nel riuscire a vedere lì dentro, ma lei vedeva perfettamente anche al buio.
Mosse le mani spingendo verso l’alto avvertendo l’oppressione della strettezza, ma ciò che le impediva di vedere la luce di un ipotetico giorno non voleva spostarsi in alcun modo. Restò sorpresa e leggermente spaventata mentre provava continuamente a liberarsi, spingendo contro quelle mura scure che la racchiudevano in ogni lato. Solo dopo essersi lamentata in maniera sommessa, solo dopo aver provato in tutti i modi di aprirsi un varco verso l’esterno, comprese l’identità di quel qualcosa in cui era rinchiusa: una bara.
– Aiuto… – mormorò con poca voce, premendo i palmi delle mani e le ginocchia magre contro il coperchio di quell’oggetto. Iniziò a spingere anche con i piedi mentre graffiava con quelle unghie lunghe contro il legno della bara.
– Aiuto! – esclamò, con più decisione. In poco tempo il panico si impossessò di lei spingendola ad agitarsi maggiormente in quel posto poco accogliente, poco luminoso e in cui faticava davvero a respirare. Chiamò l’aiuto di qualcuno con tutta la voce che aveva in corpo permettendo alla sua voce delicata, ma spaventata, di risuonare in quella bara risultando un fastidio perfino per le sue orecchie, continuò a dimenarsi cercando di rompere quel legno che la teneva rinchiusa presumibilmente sottoterra e si domandò, nella sua testa, per quale motivo l’avessero rinchiusa in un posto del genere.
All’esterno, nel buio di quel cimitero, una figura stringeva una vecchia torcia alimentata dal fuoco mentre correva cercando di capire da dove provenissero quelle urla. Avrebbe giurato di essere da solo, in quel posto, insieme al suo collega e pensò davvero in un primo momento che si trattasse di un fantasma. Ma l’insistenza, la paura palpabile in quelle urla nascoste dal terreno sporco, gli avevano permesso di comprendere la realtà dei fatti. Si avvicinò velocemente alla tomba vicino alla quale le urla ed i rumori sembravano più forti ed in cuor suo sperava intensamente non si trattasse di morti viventi. Afferrò una pala che si era portato dietro ed iniziò a scavare con una certa velocità, non osando affermare nei confronti di quella voce che era riuscito a sentirla e che era corso in suo aiuto.
Lei sussultò sopra la rigida morbidezza che la bara le offriva quando sentì lo scricchiolio del legno provocato dal coperchio che andava spostandosi e strinse gli occhi quando quel minimo di luce notturna la investì. L’uomo le tese prontamente la mano spaventato e colpito dalla presenza di una persona viva in quel cimitero in cui la morte regnava sovrana, la aiutò ad alzarsi in piedi in quella bara ed a scavalcare il muro di terreno che l’aveva tenuta rinchiusa lì sotto per chissà quanto tempo.
– Sta bene, signorina? – le domandò l’uomo preoccupato e lei gli si aggrappò addosso con entrambe le mani una volta fuori. Tremava dalla paura, si guardava intorno con insistenza scorgendo solo tombe, ma quando riportò lo sguardo sull’uomo ricordò il motivo per cui era finita lì sotto: lei era morta. Una mano dell’uomo s’intrufolò premurosamente tra i boccoli biondo platino che le popolavano la testa mentre s’infilava con lo sguardo preoccupato in quegli occhi verdi ed arrossati dal pianto che si era fatta scappare. Era bianca, sembrava una bambola di porcellana. La vide annuire lentamente, ancora tesa.
– Ricorda come è finita lì sotto? – le domandò curiosamente, guardando verso la tomba scoperchiata. Lei scosse il capo avvertendo una forte stretta allo stomaco, alla gola e ai denti. Osò imprimere più forza in quelle prese che aveva su di lui scorgendo lo stupore nel suo sguardo preoccupato.
– Va tutto bene? – le chiese precipitoso ma lei scosse sinceramente il capo, schiudendo le labbra rosee e carnose quel tanto che bastava per permettere all’uomo di intravedere qualcosa di strano nella sua dentatura. Lui chinò lo sguardo a fissare quei canini aguzzi che cercavano di sporgere dalle labbra della ragazza ma quando lo riportò nei suoi occhi non vi scorse più il verde che aveva sino a qualche istante prima, perdendosi nei meandri dell’oscurità mostruosa nei quali si erano trasformati e rabbrividendo a quelle strane ed incomprensibili venature che partivano dalle palpebre e terminavano alle gote tonde e morbide.
– Oh mio Dio… – mormorò l’uomo incredulo e spaventato al contempo – Ho fame. – asserì la ragazza con tono teso e l’uomo non ebbe il tempo di urlare che lei gli si aggrappò al collo privandolo inevitabilmente della sua vita. Succhiò quel sangue alimentando la forza sulle prese che aveva su di lui ed accompagnandolo al suolo quando capì che gli aveva strappato le capacità per restare in piedi e quando sentì le sue gambe afflosciarsi. Si chinò su di lui sotto il tonfo della pala che gli era caduta dalle mani e quando il suo battito cardiaco cessò, sollevò il capo a fissarlo con paura. Deglutì leccandosi le labbra arrossate da quel sangue di cui si era inspiegabilmente nutrita.
– Oh no… – mugolò in un singulto sommesso smuovendo il nuovo cadavere che lei stessa aveva generato come se si aspettasse un qualche miracoloso risveglio – Oh no…no…no… – continuò comprendendo che quell’uomo non si sarebbe mai più svegliato. Si portò di nuovo in piedi e si guardò intorno mossa dalla paura. Calpestò ripetutamente quel terreno sporco coi suoi piedi nudi e intravide una luce fioca abbastanza distante, ma che ugualmente la spinse ad assottigliare lo sguardo come per nascondere la delicatezza dei suoi occhi. Sollevò una mano mossa dall’istinto e la agitò.
– Aiuto, aiutatemi! – gridò a squarciagola attirando l’attenzione di un individuo che iniziò ad avvicinarsi preoccupato. Ne intravide la sagoma, ne distinse i lineamenti e solo quando lui le si avvicinò si accorse di quel rossore sulle sue labbra.
– Cos’è successo? – osò domandare. Probabilmente era anche lui un responsabile di quel cimitero stupito dall’improvvisa mancanza di cupa serenità che di solito regnava in quel posto. Lei lo fissò intensamente, poi scosse il capo mugolando. Non riuscì a trattenersi, nemmeno con lui…

 
– Signorina? – le domandò la voce incuriosita del signor Saltzman. Lei sollevò lo sguardo verso di lui immergendo i suoi occhi di quel verde intenso nello sguardo dell’insegnante, cessando quel moto giocoso che aveva impresso sulla penna che aveva tra le mani. Il professore se ne stava semiseduto su un angolo della scrivania a guardarla, attirando la sua attenzione.
– La prego, venga a presentarsi alla classe. E’ sempre bene farsi conoscere dai propri compagni, soprattutto quando si tratta di una straniera come lei. – affermò Alaric con tono educato e gentile e lei gli sorrise piegando quelle carnose labbra tinte di un rosso acceso in un mezzo sorriso. Appoggiò la penna sul banchetto dietro il quale sedeva e si portò in piedi avvicinandosi con passi misurati alla scrivania prima di iniziare a dare le spalle all’insegnante per guardare la classe. Si passò istintivamente una mano tra i boccoli biondo platino e fece scorrere lo sguardo sui compagni con una certa timidezza.
– Il mio nome è Sofia. Sofia Fiorentini. Vengo dall’Italia, precisamente da Firenze e… – si bloccò per alcuni istanti volgendo lo sguardo ad Alaric che continuava a fissarla, cercando nel suo sguardo un qualche parere sull’inizio della sua presentazione, dopodichè ritornò a guardare davanti a sé.
Ridacchiò imbarazzata – Beh, non credo ci sia tantissimo da dire su di me. – mormorò timidamente, ma un compagno di classe sollevò la mano improvvisamente attirando la sua attenzione.
– Per caso sei la sorella minore di Marylin Monroe? – domandò ironico, facendo sghignazzare buona parte della classe. Lei rimase allibita non sapendo se ridere insieme a loro o offendersi.
– E’ un complimento, somigli davvero molto a Marylin Monroe. – commentò Alaric, informandola. Lei annuì facendosi scappare un sorriso indecifrabile che venne, subito dopo, indirizzato alla classe.
– Se ti interessa, non lo sono. – rispose lei con un movimento delle spalle, impacciata. Scorse i sorrisi divertiti sui volti dei compagni e deglutì per darsi maggiore forza e sostenere quella presentazione – Mi piace molto la storia, e non lo dico solo perché c’è il signor Saltzman dietro di me, è uno dei motivi per i quali mi sono trasferita a Mystic Falls. Poi, ho sempre sognato di venire a vivere in America, e questo ne è un altro. – si fermò per un paio di istanti indagando sui suoi nuovi compagni di scuola, strinse le mani davanti ai jeans attillati mostrando quanto si sentisse nervosa – E Mystic Falls mi sembra una cittadina davvero tranquilla, vivibile e l’aria che si respira è decisamente migliore dell’aria di una città grande come quella dalla quale provengo. – ammise sorridendo imbarazzata.
A quelle sue parole, il signor Saltzman sembrò trattenere dei commenti permettendole soltanto di ritornare a posto. Avrebbe dovuto recarsi in quella cittadina un anno prima per ricredersi veramente su quello che aveva detto. Quando la campanella della fine delle lezioni suonò, lei raccolse tutte le sue cose e si sollevò dalla sedia avviandosi verso l’uscita dell’aula con un fugace saluto verso il professore. Raggiunse il suo armadietto frugandovi distrattamente all’interno e posandovi parte del suo materiale scolastico. Un colpo secco, ma ugualmente delicato, portò l’armadietto a richiudersi ma non fu il rumore da esso provocato a spaventarla bensì la figura di Caroline che era apparsa al suo fianco.
– Allora? Com’è andato il primo giorno di scuola? – le domandò incuriosita non badando alla esile mano della ragazza che veniva portata al petto per riportare regolarità al suo battito cardiaco. Sofia abbassò lo sguardo timidamente e si sistemò la borsa su di una spalla.
– Bene, direi. Questa scuola non è male ed il signor Saltzman è davvero una brava persona. – ammise lei con tutta la sincerità di cui era capace. Caroline sorrise contenta.
– Elena? – domandò Sofia, guardandola interrogativa mentre iniziava ad avviarsi verso l’uscita della scuola. Caroline l’affiancò senza troppi problemi e sorrise maggiormente.
– E’ tornata a casa con Stefan. – le rispose guardandola con uno sguardo complice – Hanno da poco litigato ed avevano bisogno di riappacificare. – aggiunse Caroline e Sofia spostò lo sguardo da lei.
– Mi dispiace. Penso che Stefan sia davvero un ragazzo di buon cuore, mi chiedo come facciano a litigare così spesso. – si domandò la ragazza sperando in una qualche risposta dal cielo, o anche da Caroline.
– Beh vedi, sono cose che succedono. Io penso che i loro litigi non siano indice di mancanza d’amore, anzi. Ad ogni modo, oggi ti accompagno io a casa. – affermò la ragazza uscendo nel parcheggio della scuola seguita da Sofia. Quest’ultima scosse il capo, opponendosi un minimo.
– Oh dai, Caroline. Non ho bisogno che mi accompagni a casa. Non finirò per perdermi a Mystic Falls e, soprattutto, ho bisogno di camminare e conoscere queste strade per potermi reputare effettivamente un’abitante. – mormorò la ragazza, guardandola con un sorriso. Ma la bionda non sembrò desistere.
– Io insisto, Sofia. Non mi piace l’idea che tu torni a casa da sola, sembri una pecorella sperduta. – rispose Caroline. Inizialmente l’altra non sembrò comprendere il paragone ma non vi diede peso, scuotendo il capo.
– Se non mi fai tornare a casa da sola, chiamo lo sceriffo e le dico che mi hai rapita. – continuò Sofia, guardandola con finta superiorità.
Caroline rise divertita – Oh, tesoro, dimentichi che lo sceriffo è mia madre. – le rispose. Solo alla fine sospirò, avvicinandosi alla sua auto – Sei sicura di voler tornare a casa da sola? – le domandò.
Sofia annuì sorridendole gentilmente. Apprezzava la sua insistenza e la sua preoccupazione, ma era davvero disposta a non recarle disturbo con un passaggio fino a casa. – Non preoccuparti, conosco la strada. Ed oggi è una bella giornata, c’è davvero molto sole. Potrei anche decidere di fermarmi da qualche parte a fare un po’ di shopping solitario. – le rispose sicura.
Caroline mosse il capo mostrando una certa, seppur finta, tentazione – Oh, così mi tenti. Quasi quasi ritornerei a piedi con te. – sorrise incalzando maggiormente quelle parole. Sofia sorrise di rimando e poi si avviò salutandola lì.
 
Camminava lungo quella strada di Mystic Falls che l’avrebbe condotta a casa con quegli occhi stretti ed un’espressione apparentemente tranquilla. Era una bella giornata, voleva godersela, ma non riuscì a negare quanto il sole le stesse dando fastidio in quel momento. Il passo rallentò lentamente quando si ritrovò a scrutare le fredde lapidi del cimitero della cittadina dalle quali veniva separata da una bassa ringhiera che circondava interamente quel posto. Perse la sua limpida espressione perdendosi immancabilmente nei meandri dei suoi pensieri, con quei ricordi che le attraversarono tempestosamente la testa sino ad essere cancellati da un’improvvisa mano che si posò su una sua spalla, un tocco che la spaventò inducendola a voltarsi di scatto con un’espressione buffa ed indecente. Jeremy Gilbert la guardò un po’ incuriosito e poi sghignazzò sommessamente.
– Non dovresti arrivare alle spalle in questo modo! – gli urlò leggermente offesa, portandosi una mano al cuore. Sin da quando era arrivata in quella cittadina, pochi mesi prima, non aveva potuto evitare di notare come quelle persone apparissero dal nulla magicamente.
– In realtà eri tu ad essere soprappensiero. – le rispose Jeremy convinto, scostandosi leggermente da lei. La ragazza lo guardò e poi sorrise gentilmente sfilandosi la maschera di inadeguata offesa e riprese la sua camminata verso casa ammettendo, ancora una volta, che il sole le dava fastidio.
– Come mai hai rifiutato l’invito di Caroline a farti accompagnare a casa? – domandò Jeremy, tradendo un leggero tono di voce preoccupato. Lei scosse il capo impacciata.
– Volevo semplicemente fare due passi. Vi ho già disturbati per tutta l’estate per farmi accompagnare di qua e di là, questa volta faccio da sola. – confessò lei, sorridendogli.
Lui si perse in quel sorriso rosso come il sangue cercando di portare lo sguardo sulla strada che stava percorrendo solo qualche istante dopo.
– Però, il sole non ti fa bene. – mormorò Jeremy un po’ titubante – Insomma, per la tua malattia… – continuò ma lei lo interruppe scuotendo il capo.
– Non è un problema, non può rinchiudermi in casa. E poi mi dà solo fastidio messo così, non è niente di grave. C’è un po’ d’ombra ogni tanto, posso fermarmi lì quando capita. – rispose cercando di alleviare le sue preoccupazioni.
Jeremy sospirò rassegnato. In tutti quei mesi che aveva trascorso in compagnia di lei, aveva appurato quanto fosse testarda quella ragazza e stava iniziando ad accettarlo, seppur poco volentieri.
– Ti accompagno io a casa, comunque. – affermò Jeremy, sorridendole. Lei sospirò tradendo una certa contentezza e si sistemò meglio la borsa sulle spalle.
– Mi chiedo quando la smetterete di preoccuparvi per me. Non c’è poi niente di pericoloso a Mystic Falls. – affermò lei con una certa decisione. Jeremy scosse le spalle poco convinto continuando ad avanzare al suo fianco, trattenendo eventuali commenti sulla cittadina. Probabilmente avrebbe dovuto saperlo degli scontri tra vampiri, delle numerose morti che lui ed i suoi cari avevano affrontato, dei licantropi, degli ibridi, del soprannaturale in generale. Ma dirglielo significava allontanarla dalla normalità delle cose, pertanto optò per il trattenere per sé tutto ciò che sapeva.
– Beh, mi preoccupo semplicemente che tu possa sentirti male. In realtà, non riesco ancora a capire come mai i tuoi genitori ti abbiano fatta venire qui da sola senza preoccuparsi della tua salute. – mormorò Jeremy con un certo disappunto.
Lei scosse il capo ridacchiando in maniera sommessa, rallentando il passo quando ormai mancava davvero poco a destinazione. Si fermò davanti a quel piccolo cancello che chiudeva il giardino della casa che si era procurata e lo aprì con cura percorrendo il vialetto che conduceva alla porta d’ingresso. Jeremy la seguì con tranquillità e quando lei l’aprì mostrando l’oscurità dell’interno della casa si portò di un paio di passi in essa. Lui si fermò alla soglia non osando oltrepassarla.
– Allora, io sono arrivata. – mormorò lei, con un sorriso stampato sulle labbra.
Lui annuì – Io adesso vado, allora. – aggiunse Jeremy sorridendole. Fece per voltarsi ma Sofia attirò nuovamente la sua attenzione.
– Ah, ci sono le cascate stasera. Non le hai dimenticate vero, Jer? – gli domandò ridacchiando sommessamente. Lui scrollò le spalle scocciato e si volse nuovamente verso di lei.
– Speravo te ne fossi dimenticata tu. – ammise, incassando la testa nelle spalle. Lei rise cristallina e poi scosse il capo facendogli notare l’evidenza, lei non l’aveva dimenticato.
– Spero di vederti lì stasera, allora. – commentò infine. Jeremy non sembrava esserne convinto eppure il sorriso radioso e colorato della ragazza gli fece dimenticare quanto odiasse quel tipo di feste tra adolescenti. Annuì leggermente vedendola chiudere la porta e rintanarsi all’interno della casa.
Lei lo sentì allontanarsi e richiudere il cancello del giardino così come era stato aperto e lei si appiattì con la schiena contro la porta, come se temesse una sua improvvisa apertura. Socchiuse gli occhi premendo la nuca dorata contro la superficie dell’ingresso e lasciò cadere la borsa al suolo. Stava scaricando tutto ciò che si era tenuta dentro per l’intera giornata ammettendo a sé stessa che non si era ancora abituata ad essere circondata così tanto da umani. Sospirò dispiacere riaprendo gli occhi ed immergendo il verde intenso che li caratterizzava nel soffitto lontano oscurato dalla penombra della casa. Bastò un attimo prima che lei si lasciasse cadere sfregando con la schiena contro la porta e finendo col sedersi al suolo, rannicchiata in quell’angolo di casa. Le mani si portarono alla testa ammaccando i boccoli dorati contro di essa; respirava così faticosamente da sentire il respiro risuonare per l’intera casa. Doveva essere così che si sentiva lui, quando era in sua compagnia. Ogni punto del corpo sembrava pesante quando iniziavi a cadere nella tentazione, si faticava perfino a camminare quando i canini reclamavano il cibo. Doveva per forza essere così che lui si sentiva e lei solo in quell’istante capì quanto fosse forte la tentazione della fame.
Alzò lo sguardo cupo e si sollevò dalla pavimentazione riportandosi nuovamente in piedi. Avanzò con passi veloci e decisi verso la cucina dentro la quale s’inoltrò senza nemmeno accendere la luce, preferendo oltremodo il buio. Aprì il frigo scrutando ciò che esso conteneva: cibarie di ogni tipo ed un’infinita serie di bottiglie bianche. Ne prese una e la tirò fuori richiudendosi il frigo alle spalle e dirigendosi verso il lavello. Aveva lasciato alcuni bicchieri lì dopo averli lavati la sera precedente e fu lì che li trovò, prendendone uno. Lo appoggiò sul bancone ed aprì la bottiglia venendo investita inevitabilmente dal dolce profumo che proveniva dal suo interno. La chinò versandosi un bicchiere di liquido vermiglio riempiendo quasi tutto il bicchiere. Richiuse la bottiglia e la lasciò sul bancone prendendo il contenitore in vetro che aveva riempito e iniziando a berne il contenuto in una maniera alquanto tesa, stringendo il vetro con dita tremolanti che vennero fermate solo quando il gusto fresco e ferreo del sangue le inondò la bocca. In realtà, il sangue aveva diversi sapori per una come lei, il sangue aveva diversi sapori per un vampiro, ed in quel momento sapeva di dolce soddisfazione.
 
Il volume alto della musica le rimbombò nella testa più e più volte man mano che si avvicinava alla festa. Era il primo anno per lei e si sentiva alquanto estranea, soprattutto dopo aver tardato un bel po’ al suo incontro con Caroline. Avanzò con passi lenti e misurati avvicinandosi alla figura della ragazza che l’attendeva con un bicchiere in mano intenta a scambiare qualche parola con una compagna di scuola, una ragazza che Sofia aveva intravisto più e più volte nei corridoi. Si avvicinò cautamente e si fermò a pochi passi da Caroline sentendola salutare l’amica ed avvicinarsi a lei.
– Sai Sofia, quando una persona ti dice di presentarti ad un determinato orario, è buon educazione rispettarlo – l’ammonì la bionda, sorseggiando un po’ del suo drink.
Sofia incassò la testa nelle spalle sinceramente dispiaciuta – Piccolo imprevisto. – mormorò in risposta – Non avevo la minima idea di cosa abbinare ai miei vestiti. – ammise, nascondendo una menzogna dall’odore del sangue.
Era per quello che aveva tardato, per riempirsi di sangue ed evitare di avere fame durante la serata. Venne accompagnata da Caroline a prendersi qualcosa da bere, e lei sperava in qualcosa che non fosse alcolico, ma tutto ciò che trovò fu del punch. Lo sorseggiò con calma camminando lungo quel piccolo ponte in legno dal quale ci si affacciava per guardare le cascate. I riflessi delle stelle e della luna rendevano quelle acque maggiormente incantevoli. La sua attenzione, però, venne catturata da Caroline che si fermò al suo fianco.
– Allora? Perché non ti sei fatta accompagnare da nessuno a questa festa? – le domandò maliziosamente, Sofia scrollò le spalle ridacchiando.
– Sono nuova a scuola, preferisco conoscere qualcuno prima di gettarmi nel mondo degli inviti alle feste. – ammise, strappando un altro sorso al punch. Caroline scosse la testa e bevve un altro goccio della birra che aveva all’interno del suo bicchiere nascondendo oltre il bordo dell’oggetto un malizioso sorriso.
– Chi ha mai detto che avresti dovuto invitare uno di loro? Potevi invitare Matt, per esempio. – commentò Caroline una volta scostato il bicchiere guardandola alla ricerca di un giudizio.
– Matt è un bravo ragazzo. – mormorò Sofia in risposta.
– E allora? Perché non l’hai invitato? – domandò ancora Caroline strabuzzando gli occhi incredula.
– Perché… – stava dicendo Sofia, ma l’arrivo improvviso di Elena e Bonnie interruppe interamente la scena. La Gilbert e la piccola strega si avvicinarono a loro sorridendo, non riuscendo a percepire nemmeno una parola della conversazione.
– Ciao ragazze. – disse Bonnie, guardandole entrambe. Sofia sorrise a tutte e due nel tentativo di ricambiare il loro saluto.
– Sofia, hai per caso visto Jeremy? – domandò Elena tradendo un minimo di preoccupazione. C’erano davvero tante persone lì che era facile perdere qualcuno. Sofia si guardò intorno come se cercasse di scorgerlo, ma da lì era davvero difficile trovarlo, nel caso fosse davvero venuto alla festa come lei gli aveva chiesto nel pomeriggio.
– In realtà no. – rispose con tono di voce basso, ritornando a guardare Elena. La Gilbert si avvicinò al bordo del ponte appoggiandosi ad esso per cercare di vedere meglio la scena, ma finì col graffiarsi proprio nel palmo della mano a causa del legno ben poco curato. Si scostò immediatamente guardandosi la piccolissima ferita appena nata. Caroline la guardò tranquilla ammettendo di essere finalmente riuscita a controllare pienamente la sua natura, ma la stessa cosa non fu per Sofia. Si fermò a guardarla intensamente schiudendo le labbra carnose e rosse e deglutendo pesantemente.
– Allora, io vado a cercarlo. – affermò velocemente, attirando l’attenzione delle altre tre – Se è venuto alla festa, non dovrebbe essere lontano. Se lo trovo gli dico che lo stai cercando. – disse iniziando a muovere alcuni passi per allontanarsi da lì, passi che Elena avrebbe voluto interrompere semplicemente chiamandola, ma non ottenendo i risultati desiderati. Sofia si allontanò dal gruppetto immergendosi nel pieno della festa. Assottigliò le palpebre nell’avvertire quella pressione alla testa ed allo stomaco che le portava la fame, deglutendo più e più volte insieme al punch per riuscire a trattenersi. Ed era stata l’intero pomeriggio a nutrirsi per evitare una situazione del genere, con palesi scarsi risultati. Bevve ciò che restava del punch tutto d’un sorso sospirando di seguito come per cacciare fuori ogni residuo di tentazione che l’aveva attanagliata. Si fermò nel mezzo del posto socchiudendo gli occhi e respirando profondamente prima che qualcuno le prendesse una mano improvvisamente facendola sussultare. Sgranò gli occhi perdendo ogni presa sul bicchiere che cadde al suolo rovinosamente e lei venne trascinata verso il bosco da qualcuno che inizialmente nemmeno aveva riconosciuto.
Quando volse lo sguardo spaventato, confuso e incredulo verso la figura che la trascinava riconobbe la nuca scura di Jeremy che la guidava all’interno del bosco adiacente nascondendola nel buio della vegetazione.
– Jeremy! – esclamò, strattonando la sua mano e costringendolo a fermarsi. Lui si voltò verso di lei con un grande sorriso stampato sul volto.
– Seguimi, Sofia. – le disse semplicemente.
– Dove? – domandò lei immediatamente, ma lui le tirò la mano con più decisione per cercare di convincerla a seguirlo. Non disse altro, quegli occhi scuri del piccolo Gilbert la spinsero a seguirlo lungo quel tratto buio di bosco che li avvicinava sempre di più al sonoro rumore delle cascate. Si ritrovarono poco dopo davanti alle stesse ad ammirare quelle acque cristalline che cadevano verso il basso oscurandosi per la notte. Solo in quel momento Jeremy le lasciò la mano lasciandola sorpresa della vicinanza che aveva con quell’acqua e di quanto potesse essere bella.
– Sono bellissime. – constatò in un sussurro, incantata. Jeremy sorrise ulteriormente e le fece cenno di seguirlo verso quei massi nei pressi dello specchio d’acqua in cui le cascate andavano interrompendosi. Lei lo seguì accomodandosi morbidamente al suo fianco, un po’ titubante, e si guardò intorno notando il silenzio e la solitudine che c’era in quel posto in cui lui l’aveva portata.
– Ti piace qui? – le domandò guardandola contento. Lei annuì ricambiando per brevi istanti il suo sguardo, dopodichè ritornò a guardare intensamente l’acqua. Anche Jeremy sollevò lo sguardo ammutolendosi per alcuni minuti.
– Elena ti stava cercando. – gli sussurrò non distogliendo lo sguardo dalle cascate. Jeremy calò lo sguardo su di lei ammirando silenziosamente il delicato profilo che caratterizzava il volto della ragazza e perdendosi numerose volte su quelle labbra tinte di quel rosso acceso che parevano invitarlo. Sofia notò il silenzio da parte del ragazzo e si voltò col viso verso di lui accorgendosi del modo incantato col quale Jeremy la fissava.
– C’è qualche problema? – domandò accennando un sorrisino inadeguato alquanto divertito, un sorriso che venne rotto dal moto improvviso del viso di Jeremy. Lo notò avvicinarsi improvvisamente e pericolosamente perdendo i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei. Le labbra della ragazza si schiusero leggermente per mostrare quanto fosse sorpresa e confusa ma fece per portare una mano contro una spalla di Jeremy per cercare di tenerlo indietro, impedendogli di avvicinarsi ulteriormente.
– Non va bene, Jeremy. – mormorò con un tono dispiaciuto. Il Gilbert si fermò, abbassò lo sguardo sentendosi ridicolo e volse lo sguardo altrove mostrando una certa offesa. Fece per ritirarsi completamente e rimettersi al suo posto lasciandola titubante e dispiaciuta per la reazione avuta.
– Sono il fratellino di Elena dopotutto, giusto? – domandò lui senza guardarla, perdendo il suo sguardo nell’oscurità della vegetazione a loro adiacente. Lei scosse il capo prontamente.
– No, Jeremy è che… – si interruppe, abbassando lo sguardo. Scostò le mani da lui e cadde nel silenzio. Trovava stupida qualsiasi giustificazione le passasse per la testa in quell’istante. Avrebbe dovuto dirgli che c’era un altro? Che c’era sempre stato un altro negli ultimi trent’anni, un uomo che le era entrato dentro e non era mai più uscito. Un uomo che, molto probabilmente, in quel momento l’aveva dimenticata credendola morta. Sospirò rassegnata sotto lo sguardo di Jeremy che la studiava attentamente.
– Vado a casa adesso, scusa. Mi fa piacere che tu sia venuto come ti avevo chiesto. – gli sussurrò, sorridendogli e si sollevò dal masso passandosi una mano sulla corta gonnella che aveva indossato per l’occasione. Jeremy la guardò portandosi in piedi.
– Ti accompagno. – disse prontamente ma lei scosse il capo.
– No no, non preoccuparti. Goditi la festa. – rispose lei. Ma senza attendere altre sue parole si incamminò verso il boschetto con un passo tanto veloce da impedire a Jeremy di raggiungerla. Si perse nella vegetazione ammirando il silenzio che regnava e senza temere il buio si incamminò cercandone l’uscita per raggiungere casa sua.
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Note dell'autrice:
Eccomi qui con una nuovissima fanfiction. :D
Ovviamente questo, essendo il primo capitolo, era più che altro un capitolo per presentarvi il nuovo personaggio.
Come avrete potuto notare, inoltre, questa Mystic Falls è alquanto modificata rispetto all'originale. Alcuni personaggi
non saranno morti, come invece è successo nella trama, e qui i cattivi si sono momentaneamente allontanati
lasciando i protagonisti alle prese con una normale e monotona vita umana. In poche parole, ho voluto modificarla
in base a come mi piaceva, ecco. :D
Detto questo, mi farebbe molto piacere leggere qualche commento, anche se negativo. :)
Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e mi seguiranno in questa nuovissima impresa di scrivere qualcosa di decente!

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Capitolo 2
*** Cena al sapore di verbena. ***


Alaric aprì lentamente la porta della sua aula anticipandosi rispetto all’orario delle lezioni come faceva tutte le mattine da, ormai, molto tempo. Ma quella mattina fu diversa dalle altre poiché, invece di trovare la solita e buia solitudine in quell’aula, vi trovò una persona che sedeva comodamente dietro la sua scrivania con le gambe alzate ed incrociate sopra la superficie della stessa. Restò leggermente sorpreso oltre che titubante quando portò lo sguardo su Damon Salvatore che sfogliava alcuni fogli trovati, molto probabilmente, nei cassetti della scrivania del professore.
– Tu non dovresti essere qui. – gli disse lui richiudendo la porta con cautela. Damon sorrise in maniera sarcastica e portò giù i piedi battendoli sulla pavimentazione, posò i fogli sulla scrivania e si alzò con calma.
– Un “buongiorno mio caro amico Damon”, lo avrei preferito. Comunque, Rick, ti stavo aspettando. – mormorò Damon allargando platealmente le braccia. Alaric si avvicinò alla scrivania rimettendo in ordine ciò che Damon aveva spostato, senza nemmeno guardarlo.
– Avresti potuto aspettarmi al Grill stasera, non c’era bisogno di venire a scuola. – rispose Alaric sicuro di sé. Damon lo fissò assumendo un’espressione offesa.
– Non ti fa piacere che io sia passato a trovarti? – gli domandò, fingendosi dispiaciuto. Alaric sollevò lo sguardo verso di lui mostrandogli quanto fosse sconvolto, un’espressione tanto incredula da far ridere Damon di gusto. Il professore scosse il capo sconcertato e Damon si appoggiò nuovamente alla scrivania, proprio al fianco del compagno.
– Allora, Rick. Come sta andando con la Marylin italiana? – domandò il Salvatore mostrando la sua curiosità. Alaric si riportò eretto dopo essere stato chino sulla scrivania a sistemare quanto messo in disordine da Damon, dopodichè spostò verso di lui lo sguardo e lo fissò confuso. Riuscì a prendersi una decina di secondi prima di capire di chi stesse parlando il vampiro.
– Ah, Sofia. Beh, sta andando bene. E’ molto intelligente ed è davvero un’appassionata di storia. Inoltre, non sa niente che non dovrebbe sapere. – affermò sicuro, guardando Damon negli occhi.
Il vampiro sogghignò – Intendi che non sa per filo e per segno guerre civili o cose del genere come Stefan quando si presentò a scuola i primi giorni, anni fa? – domandò, ridacchiando sommessamente.
– Si, mi riferisco proprio a quello. Credo che le tue paranoie siano inutili. Inoltre, Elena è stata chiara. Si fida di lei e si sta affezionando, non vuole che chiunque metta piede in città venga immediatamente visto come un nemico. – commentò Alaric guardando Damon con l’espressione di chi, silenziosamente, cercava di fargli capire di non mettersi nei guai con la Gilbert. Damon roteò gli occhi scocciato scostandosi dalla scrivania e muovendo qualche passo verso la porta d’uscita della classe.
– Se Elena non vuole preoccuparsene non significa che non dovrò farlo neanche io. Scoprirò cosa nasconde quella ragazza. Insomma… – iniziò a dire, voltandosi ed allargando le braccia platealmente – …Ha una malattia che la rende vulnerabile al sole! Più chiaro di così non si può. – affermò Damon in maniera sarcastica sebbene nella sua espressione si leggesse una certa confusione; come potevano i suoi compagni non sospettare di una cosa del genere?
Alaric sbuffò non osando pronunciare altre parole quando sentì il trillante suono della campana che permetteva agli studenti di fare il loro ingresso a scuola. Damon si voltò sorridendo sarcasticamente ed aprì la porta uscendo in corridoio. Fu grazie alle sue capacità da vampiro che riuscì a sentire la flebile voce di Elena accompagnata da un’altra che ormai, in tre mesi, aveva imparato a riconoscere. Si voltò scorgendo Elena varcare l’ingresso della scuola insieme a Sofia ed avvicinarsi lentamente ai loro armadietti vicini. Sogghignò avanzando verso l’uscita e non preoccupandosi di farsi vedere.
– Una cena? – domandò Sofia, richiudendo tranquillamente l’armadietto. Elena annuì.
– Si certo. Stasera a casa mia. Ci saremo io, tu, Caroline e Bonnie. Sarà divertente. – commentò la Gilbert annuendo e raccogliendo alcune cose dal suo armadietto – Insomma, una serata tra ragazze. – aggiunse entusiasta.
Sofia sembrò pensarci su un paio di secondi – Jeremy non ci sarà? – domandò curiosamente. Elena scosse il capo.
– Va a cena al Grill con Matt ed Alaric ogni giovedì sera, quindi non ci sarà. – ammise la ragazza, sorridendole.
Sofia sospirò e poi le sorrise – E sia, una cena a casa Gilbert. – accettò.
Damon varcò l’uscita della scuola sotto gli sguardi ammaliati di alcune piccole studentesse. Sul viso aveva stampato un ghigno contento che sparì poco dopo insieme alla sua figura.
 
Jeremy scese velocemente le scale dopo aver sentito la porta suonare. Era già pronto per andare al Grill e quando all’esterno della casa aveva visto Alaric dalla finestra di camera sua, aveva deciso di avviarsi verso l’ingresso. Elena si avvicinò alle scale vedendolo precipitarsi verso la porta.
– E’ Alaric. Ci vediamo più tardi. – disse il ragazzo verso la sorella guardandola con un’espressione calma. Elena gli sorrise facendo sfumare nel suo silenzio le risate che provenivano dalla cucina. Il piccolo Gilbert riuscì ad affacciarsi da lì e scorgere le figure di Caroline, Bonnie e Sofia nei pressi del bancone della cucina. Si soffermò sull’ultima guardandola intenta a preparare la loro cena insieme alle altre. Era ancora imbarazzato per quanto successo alle cascate, tanto che abbassò lo sguardo timidamente ed uscì fuori senza far attendere ulteriormente Alaric. Elena si apprestò a raggiungere di nuovo le altre in cucina appoggiandosi al bancone e guardandole prima di soffermarsi su Sofia.
– Non sapevo sapessi cucinare. – affermò con un sorrisino contento. Sofia sorrise divertita dalle sue parole mentre teneva lo sguardo basso sul salame che stava accuratamente tagliando per la pasta.
– Mi ha insegnato mia madre un po’ di tempo fa. Mi piace cucinare, a dirla tutta. – rispose tranquilla. Caroline la sentì e sorrise.
– Almeno a te! Io odio occuparmi della cucina. – commentò strappando una risatina a tutte quante. Tutto il salame che Sofia aveva tagliato venne riposto in un piatto che diede a Bonnie mentre Elena e Caroline si preoccupavano di iniziare ad apparecchiare. Tra una risatina e l’altra si ritrovarono tutte quante al lungo tavolo nella cucina dei Gilbert e Sofia e Bonnie si occuparono delle porzioni dei piatti che portarono anche ad Elena e Caroline. Sofia si accomodò al fianco di Elena prima di iniziare a mangiare. Non disprezzava il cibo nonostante non ne avesse bisogno, lo mangiava sebbene ormai il suo palato non accettasse più gusti del genere.
– Mmh, sono stupendi! – affermò Elena – Mi complimento con le cuoche. – affermò verso Bonnie e Sofia facendole ridere.
Caroline, dal canto suo, si sforzò di mangiare qualcosa che non le piaceva. Aveva tanti problemi quanto Sofia. Ad un certo punto, la calma e la serenità che si era venuta a creare nella stanza venne interrotta dalla porta che suonò inaspettatamente. Elena sollevò lo sguardo curiosa e confusa.
– Strano, non aspettavo nessuno. – commentò ripulendosi elegantemente le labbra e sollevandosi educatamente dalla tavola per avvicinarsi alla porta. La aprì e restò sorpresa della persona che si era recata lì a quell’ora e con una torta in mano. Damon Salvatore sorrideva alla sua maniera stringendo la torta che porse, senza troppi complimenti, ad Elena.
– Damon, tu non dovresti essere qui. – mormorò la Gilbert temendo di essere sentita dalle ospiti.
– Dai Elena, ho portato il dolce. Non dirmi che ti dispiace cenare in mia compagnia. – sussurrò il vampiro fingendosi offeso. Ma non attese che Elena lo invitasse ed entrò dentro scostandola delicatamente. Lei richiuse la porta infastidita ma si limitò a voltarsi e seguirlo immediatamente verso l’interno della cucina. Sofia sollevò lo sguardo dal piatto che stava lentamente consumando avvedendosi del vampiro. Lo sentì nell’aria, il suo odore, mischiarsi a quello di Caroline che era già presente. Accennò un cordiale sorriso verso di lui non badando alle espressioni poco gentili di Caroline e Bonnie che avevano smesso di mangiare.
– Vi dispiace se ceno con voi? – domandò Damon. Nessuna rispose eccetto Sofia che gli sorrise.
– No, non preoccuparti. – affermò istintivamente. Quando si accorse del silenzio delle altre non poté non cadere in una sorta di confusione che la spinse a guardarle stranite. Non si lasciò scappare l’occhiata che Bonnie regalò ad Elena, un’occhiata alla quale la Gilbert rispose scuotendo il capo rassegnata mentre appoggiava la torta portata dal vampiro proprio sul tavolo. Sofia seguì Damon con lo sguardo vedendolo accomodarsi al suo fianco, dall’altra parte rispetto ad Elena.
– Allora? Chi ha cucinato? – domandò Damon distruggendo il silenzio che si era venuto a creare.
– Vado a prendere la cola. – sentenziò Elena sbuffando. Damon tese un braccio verso di lei.
– Aspetta, aspetta! Vado io! Finisci di mangiare, tu. – commentò portandosi immediatamente in piedi e facendo segno alla ragazza di accomodarsi. Sofia osservò la scena incuriosita smettendo mangiare. Elena si accomodò nuovamente e si volse verso di lei.
– E’ sempre stato così, Sofia. Lo so che te lo stai chiedendo. – commentò sbuffando nuovamente.
Sofia sorrise e scosse il capo – Non mi dispiace se è venuto anche lui, non preoccuparti. – mormorò in risposta. Pochi minuti dopo Damon sbucò fuori dalla cucina con una bottiglia fresca di cola che agitava al vento trionfante.
– Eccola qui, la nostra bibita preferita! – affermò, ritornando ad accomodarsi. Quando Sofia prese il bicchiere e tese la mano per prendere la bottiglia, Damon scosse il capo.
– Tranquilla, provvedo io. – sussurrò galante e prese delicatamente il suo bicchiere. Restò sorpresa per alcuni istanti durante i quali lo vide versare della cola all’interno di quel vetro circolare fino a riempirne metà. Riprese l’oggetto ringraziando con un cenno del capo quando lui glielo tese.
– Danne un po’ anche a me. – disse Elena, sorridendogli divertita leggermente dalla scena buffa che il vampiro stava mettendo in atto. Probabilmente la compagnia del fratello più grande dei Salvatore non era tanto male. Sofia deglutì prima di accostare morbidamente il vetro del bicchiere alle labbra rosse e strapparne un ampio sorso. Le era sempre piaciuta, anche quando era in vita, eppure quando quel liquido frizzante iniziò a discenderle lungo la gola, avvertì un senso di bruciore davvero forte. Sgranò gli occhi deglutendo e scostando il bicchiere dalle labbra cercando di non destare sospetti. Appoggiò il bicchiere sulla tavola e si portò una mano dinanzi alla bocca tossendo sommessamente.
Damon la fissò studiandola, poi sorrise – Com’è? – domandò, malefico. Elena sussultò vedendola tossire, una tosse che in poco tempo Sofia non riuscì più a controllare. Sentiva come se avesse bevuto fuoco e la sensazione non accennava a passare nemmeno se provava ad ingoiare la sua stessa saliva. Sentì una mano di Elena appoggiarsi sulla propria schiena mentre tossiva. Gli occhi arrossati dagli sforzi e dal bruciore si sollevarono verso Damon come se cercasse di fulminarlo con lo sguardo.
– Damon! Cos’hai fatto? – domandò Elena tradendo una certa rabbia. Bonnie afferrò la bottiglia d’acqua e ne versò un bicchiere tendendolo verso Sofia.
– Verbena, Elena. Ho messo solo un pizzico di verbena nella cola. – rispose Damon, sicuro di sé. Sofia afferrò il bicchiere teso da Bonnie e ne bevve tutta l’acqua contenente prima di portarsi in piedi, appoggiando il vetro sul tavolo e guardando Damon. Elena era rimasta perplessa davanti a quell’affermazione, perfino Bonnie e Caroline, ed il Salvatore la fissava tranquillo.
– Vampira. – mormorò lui. Lei stava per parlare nonostante il respiro affaticato dal bruciore che la verbena le aveva portato, ma non ebbe il tempo di pronunciare nemmeno una parola che Damon scattò velocemente verso di lei e le afferrò la gola, spingendola con la schiena contro un muro della stanza.
– Damon! – esclamò Elena.
– Ho sempre sospettato di te, dolcezza. – le sussurrò Damon stando a pochi centimetri dal suo viso. Lei cercava di spingersi indietro ma nella sua espressione non sembrava esserci astio, sembrava piuttosto spaventata.
– Che…vuoi? – si sforzò di domandargli e lui sorrise.
– No, carissima ragazzina dalle malattie strane. Qui le domande le faccio io. – sentenziò il vampiro. Sentì una mano di Elena appoggiarsi su una sua spalla nel tentativo di scostarlo da Sofia, ma lui non accennava a farlo.
– Chi sei tu? – le domandò, serio e furioso.
– Ti ho già detto tutto ciò che devi sapere. – rispose lei faticando a parlare con quella mano che gli premeva la gola.
Lui rise di gusto – Eh no, per esempio non avevi detto che eri una vampira. – rispose Damon, sorridendo.
Lei aggrottò la fronte e si mosse afferrandolo per le braccia e catapultando la situazione. Si mosse così velocemente che le altre non riuscirono a vedere niente. In pochissimo tempo Damon si ritrovò disteso al suolo con la figura di Sofia che lo sovrastava, fissandolo seria.
– Nemmeno tu me l’avevi detto, o sbaglio? – domandò lei, spingendolo al suolo con una certa prepotenza. Fece per riportarsi in piedi scrutando i volti sconvolti di quelle che avrebbe voluto considerare le sue prime amiche. Lo sguardo cadde su ognuna di loro prima di abbassarsi definitivamente. Damon stava per riportarsi in piedi ma Elena lo fulminò con lo sguardo paralizzandolo in quel punto della stanza. Sofia accennò un sorrisino sghembo.
– Scommetto che questo cambierà tutto, vero? – domandò retoricamente alle altre. Elena lanciò un’occhiata a Bonnie e Caroline che parvero piuttosto sorprese, ricambiando lo sguardo dell’amica.
 
– Quindi tu sapevi di ogni vampiro in città? – domandò Caroline sorpresa, accomodandosi sul divanetto nel soggiorno dei Gilbert. Sofia annuì incassando la testa nelle spalle.
– Si. Riesco a sentire i vampiri dal loro odore, è molto differente da quello degli umani. – rispose, fissando la bionda intensamente – Tu non riesci a farlo? – domandò, guardandola dubbiosa.
Caroline guardò Damon come se cercasse di capire se lui ne era o meno capace, ma nessuno dei due parve acconsentire. Scosse il capo verso Sofia lasciandola senza parole.
– Perché sei venuta a Mystic Falls? – domandò Elena, attirando la sua attenzione. Damon batté un piede al suolo e guardò la Gilbert sgranando gli occhi.
– Ma è ovvio, Elena! Non pensi che il fatto che sia arrivata subito dopo l’addio di Klaus sia un minimo sospetto!? – esclamò il vampiro. Sofia sollevò di scatto lo sguardo verso di lui fissandolo incuriosita e sorpresa.
– Klaus? Intendi dire…Niklaus? – domandò lei. Venne colta da un improvviso brivido che la spinse a stringere le mani tra loro sulle sue stesse gambe. Tutti voltarono nuovamente lo sguardo verso di lei, Damon parve soddisfatto dimostrando ancora una volta che aveva ragione.
– Lo conosci? – domandò Bonnie, sospettosa. Lei abbassò lo sguardo scuotendo prontamente il capo. Se solo avesse potuto, il cuore avrebbe battuto emozionato sapendo tutto ciò. Si stava davvero avvicinando alla persona che stava cercando da ormai troppo tempo.
– Solo per sentito dire. – rispose con un fil di voce. – Non sono per lui a Mystic Falls. Stavo cercando…una persona che lo conosceva. – rispose alla domanda, solo adesso.
– Una persona? – domandò Elena, incuriosita.
– Si, una persona che ho conosciuto nel 1973. O meglio, un vampiro. – commentò, sollevando lo sguardo verso la Gilbert.
– 1973? Ma…Quanti anni hai? – domandò Caroline, sorpresa. Immaginava centinaia di anni, dopotutto, a parte lei, tutti i vampiri che avevano conosciuto erano davvero vecchi.
– Sono nata nel 1956. – rispose lei tranquilla. Deglutì. Damon continuava a fissarla leggermente incerto e si voltò sbuffando sonoramente. Si allontanò senza dire nemmeno una parola ed uscì dalla casa nella convinzione che non aveva ottenuto nulla di ciò che credeva di ottenere quando aveva suonato a quella porta, poco tempo prima. Elena sospirò e si portò in piedi.
– Io…non ti biasimo per avercelo nascosto. E sento di potermi fidare di te. – mormorò Elena, sorridendole – Non è cambiato niente, per quanto mi riguarda. – aggiunse. Lanciò un’occhiata anche alle altre due e Bonnie sorrise, alzandosi anche lei in piedi e scuotendo il capo.
– Ti preferisco a Damon, quindi è già un buon punto. – rispose ironica. L’ultima fu Caroline che sorrise e si avvicinò a Sofia stringendola in un morbido, ma soffocante, abbraccio.
– Oddio, piccola Marylin Monroe. Adesso fai parte del gruppo, non ti possiamo mica abbandonare. E poi, tra bionde vampire ci si intende, non credi? – domandò, facendole l’occhiolino. Sofia sgranò gli occhi incredula a quell’affermazione della bionda e quando si scostò, si portò anche lei in piedi sorridendo contenta a tutte e tre.
– Vi ringrazio, ragazze. – affermò.
 
Richiuse lentamente la porta dietro di sé premendo l’interruttore della luce principale nella sua casa. Si guardò intorno avvertendo la solitudine di tutti gli altri giorni e sospirò pesantemente. Le faceva strano pensare che, ormai, Elena e le altre sapevano che lei era un vampiro. Dopotutto, non era mai andata a Mystic Falls per farsi dei nuovi amici ed aveva cercato di avvicinarsi a loro solo per avere informazioni in più riguardo Klaus. Mosse alcuni passi verso l’interno raggiungendo il morbido divano beige nel salotto sopra il quale si lasciò cadere stanca, più psicologicamente che fisicamente. Fissava il vuoto della stanza ammirando la penombra dalla quale l’intera casa era avvolta. Socchiuse lentamente gli occhi lasciandosi andare ai ricordi che le attanagliavano la mente.
– Il mio nome è Sofia. – gli disse improvvisamente mentre avanzava lungo quel marciapiede di Firenze al fianco di quell’individuo. Indossava vecchi abiti risalenti agli anni ‘70 che le davano l’aria di una bambola di porcellana. Il vampiro volse lo sguardo verso di lei notando il suo tentativo di rompere il silenzio, un tentativo che era andato piuttosto bene.
– Elijah. – le rispose freddo, guardandola di sottecchi. Lei sorrise piegando le labbra di quel rosso acceso in un sorriso e socchiudendo gli occhi per pochi istanti.
– Da dove venite, Elijah? Dal vostro modo di parlare non mi sembra siate di queste parti. – mormorò sicura di sé guardandolo per pochi istanti. 
– L’America. Vengo da lì. – rispose lui. Gli occhi di quel verde intenso della ragazza si accesero, illuminandosi entusiasti.
– E’ bella? Sogno di andare in America, un giorno. – affermò con un tono di voce un po’ infantile. Si fermarono davanti ad una casa dall’aspetto semplice ed Elijah appoggiò la grande valigia della ragazza al suolo. La vide voltarsi e aprire la porta e quando lei si avvicinò per riprendersi la valigia, lui la guardò intensamente.
– Trovo che Sofia sia uno splendido nome. – affermò, complimentandosi con lei.
Lei sorrise divertita ed abbassò timidamente lo sguardo – Io invece penso che Elijah sia un nome davvero strano. – commentò, offendendolo.

Sollevò lo sguardo da quel divano e ritornò a fissare il vuoto. Se solo fosse esistito un modo per ritornare indietro, se solo fosse esistito un modo per impedire ad Elijah di andarsene dimenticandola, lo avrebbe sfruttato senza pensarci due volte.

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Note dell'autrice:
Nuovo capitolo! Con questo spero di avervi presentato tutto ciò che dovevo presentare. o_o
Quindi penso che dal prossimo capitolo entreremo nel vivo della storia. Non so, vi state chiedendo
perché Sofia sia tanto diversa da loro come vampira? Vi ho accennato un flashback che fa parte
di un'altra storia, alla fine, che risale al 1973. :) Detto questo, ringrazio feditrimb e elyforgotten per aver lasciato una recensione
al precedente capitolo. Ringrazio, inoltre, coloro che hanno aggiunto la storia tra le Seguite!
Mi farebbe molto piacere leggere qualche altro commento, almeno
per sapere se vi ho incuriosite. :) Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Il ritorno. ***


Si mosse lentamente sotto quelle coperte, le aveva sollevate sin sopra la testa scura. Quando la sveglia iniziò a trillare sonoramente nella sua testa decise di far sporgere una mano a zittirla, scocciata. La voce di Jeremy risuonò direttamente dal corridoio.
– Ehi, sorellina! Svegliati o farai tardi a scuola! – gridò seguito subito dopo dal sordo rumore dei suoi passi sugli scalini che portavano al piano di sotto. Elena si mosse ancora nel letto e poi si scoprì con decisione, si portò in piedi e si diresse verso il bagno. Riuscì a guardare attentamente il suo riflesso all’interno dello specchio ammettendo quanto fosse orribile di prima mattina, con quei capelli scuri scombinati e quegli occhi gonfi dal sonno. Sbadigliò mentre prendeva lo spazzolino pronta a darsi una ripulita, a partire dai denti. Quando uscì da quel bagno sembrò nuova ed iniziò a scendere le scale tranquillamente raggiungendo Jeremy in cucina, fermo a prepararsi la colazione. Lo raggiunse ancora assonnata.
– Buongiorno. – mugolò, per niente pronta ad affrontare l’ennesima giornata di scuola. Il fratello scosse il capo sorridendo divertito.
– Com’è andata ieri con Sofia? – domandò Jeremy, incuriosito. Elena sollevò lo sguardo verso di lui inizialmente confusa, poi scosse il capo.
– E’ andata bene. Abbiamo cenato, fatto un po’ di cose… – stava dicendo, rendendosi conto di quanto suonassero brutte quelle bugie – …poi sono tornate tutte a casa e sei ritornato tu. – confermò, afferrando il toast pronto e caldo e spalmandoci sopra della marmellata all’albicocca. Jeremy si allontanò riponendo il bicchiere sporco d’aranciata all’interno del lavello.
– Lei. Ha parlato di me? – domandò, dando le spalle alla sorella. A quel punto Elena parve maggiormente confusa e dopo aver deglutito quel pezzo di toast che aveva accuratamente staccato coi denti, batté una mano sul bancone attirando l’attenzione del fratello.
– Capisco perfettamente quando c’è qualcosa che non va in te. – disse. Jeremy volse lo sguardo verso di lei; sapeva dove la sorella voleva arrivare e non glielo fece ripetere due volte.
– Ho provato a baciarla alle cascate. – rispose tutto d’un fiato. Mancò poco affinché Elena si strozzasse con la sua stessa saliva, ringraziando il cielo per non aver staccato un altro pezzo di toast mentre aspettava delle parole da parte del fratello. Non riuscì a dir niente poiché Jeremy andò avanti.
– Mi ha evitato. – continuò voltandosi completamente verso la sorella – Mi ha respinto e poi è scappata via. Da allora mi sta evitando. – ammise dispiaciuto. Elena appoggiò il toast sul bancone e strofinò i palmi delle mani uno contro l’altro.
– Probabilmente non era pronta. Jeremy, quando stai per affrontare qualcosa, non gettarti dentro a capofitto. Dalle il tempo di capire e di agire di sua spontanea volontà, senza forzarla. – disse lei verso di lui immergendo i suoi occhi in quelli del fratello in uno scambio di sguardi solido. Dopodichè si voltò avvicinandosi alla sua borsa e raccogliendola su una spalla.
– Appena arrivi a scuola, parlale. Ma parlale da amico, senza spaventarla. Ok? – gli disse, sorridendogli. Jeremy sorrise divertito e la porta suonò. Elena si voltò avviandosi verso la stessa convinta di ritrovarsi Stefan davanti, dato che avrebbero dovuto andare a scuola insieme come ogni altra mattina, eppure quando aprì la porta riuscì a malapena a sentire il suo cuore battere ancora venendo assalita da un forte brivido di timore ed insicurezza. Elijah accennò un sorriso gelido.
– Elena Gilbert. Che piacere rivederti. – commentò. Elena parve restare immobile davanti all’ingresso e Jeremy la raggiunse.
– Vado a chiamare Stefan. – affermò, ingenuamente.
– No! – esclamarono all’unisono sia Elijah che Elena, bloccando immediatamente l’incedere del piccolo Gilbert. Riportarono i loro sguardi ad incrociarsi ed Elena deglutì pesantemente.
– Posso entrare, Elena? – le domandò educatamente il vampiro nonostante potesse già farlo da moltissimo tempo. Jeremy parve sconvolto al vedere la sorella spostarsi dall’ingresso e permettere all’Originale di portare il suo corpo all’interno. Lo vide fermarsi nel mezzo del salotto a guardarsi intorno prima di interrompere gli spostamenti portando lo sguardo su Elena.
– Cosa ti porta qui, Elijah? – gli domandò la Gilbert, guardandolo titubante. Lui accennò un ennesimo sorriso freddo, un sorriso che durò davvero pochi istanti prima che andasse sfumando lasciando spazio ad un’espressione seria e dura.
– E’ ritornato. – affermò – Niklaus è ritornato. Non vuole più rispettare l’accordo fatto mesi fa ed ha deciso di tornare. Sono venuto da te il prima possibile ma è già in città. – commentò ancora sotto gli sguardi preoccupati e spaventati dei due Gilbert. Volse lo sguardo intorno sistemando un quadro messo male contro una parete della casa e solo alla fine ritornò su Elena che si stringeva nelle spalle con timidezza ed insicurezza, tradendo una certa paura.
– E perché è tornato? Cosa vuole? Insomma, gli avevamo dato quello che voleva. E’ diventato un ibrido, ha portato via un po’ del mio sangue e… – si fermò, interrotta dall’Originale – E’ questo il problema, Elena. Il tuo sangue non poteva durare per sempre e lui l’ha già terminato. Adesso è tornato per pretenderne altro, con la differenza che vuole portarti via da Mystic Falls. – rispose il vampiro, guardandola con quell’espressione seria e gelida che lo caratterizzava – Non sono riuscito a tenerlo lontano per molto. Ho dovuto condurlo qui di mia spontanea volontà per non irritarlo. Se scoprisse che sono passato ad avvertirti, sappiamo tutti come reagirebbe. – commentò Elijah, spostando lo sguardo per la casa. Elena venne attraversata da un brivido gelido che le risalì lungo tutta la colonna vertebrale. Era davvero stressante e preoccupante essere l’ultima doppelganger delle Petrova, sotto quel punto di vista. Non riuscì a dire nient’altro, a malapena le venne da pensare che si era goduta l’estate pensando di non avere più problemi, e invece era stato solo un breve ed insignificante sogno.
 
Sofia richiuse lentamente l’armadietto notando l’ingresso di Elena all’interno della scuola. Non poté non accorgersi di Stefan che la seguiva, in abiti sportivi, con un’aria lontanamente preoccupata. Lei si sforzò di piegare le labbra in un sorriso morbido, tinto di quel rosso acceso, ferma nei pressi dell’armadietto ad attendere che Elena la raggiungesse.
– Ehi, come va? – le chiese, apparentemente tranquilla. In realtà, dalla sera precedente, era abbastanza difficile sostenere lo sguardo degli altri sapendo che loro erano a conoscenza del suo segreto. Quando Stefan le fu vicino, sentì inevitabilmente il suo odore riempirle il naso ed istintivamente volse lo sguardo verso di lui. Ritornando su Elena qualche secondo dopo notò quel sorriso assolutamente forzato che le piegò le labbra.
– Ehi, va tutto bene. Oggi c’è il test di storia, giusto? – domandò la ragazza, raccogliendo i libri. Sofia inarcò entrambe le sopracciglia stranita dal tono di voce basso ed insicuro che la Gilbert stava usando.
– Elena, c’è qualcosa che non va? – domandò, perdendosi l’inevitabile sussulto che ebbe Stefan a quella domanda. Elena sostenne tranquillamente il suo sguardo e le sorrise con più decisione.
– Ah no niente. Diciamo che… – si fermò pochi istanti non trovando una scusa plausibile – …Ieri ho completamente dimenticato di studiare e stamattina Stefan mi ha fatto notare che oggi avevamo il test. Non credo che Alaric ci passerà sopra tenendo conto dell’affetto familiare. – mormorò la ragazza cercando di dare una certa convinzione in quelle parole. Sofia sollevò lo sguardo fingendo di aver capito, ma in effetti scorgeva nello sguardo della ragazza qualcosa di molto più grave di un test che sarebbe andato male.
– Il signor Saltzman è una brava persona, credo che se gli spiegherai un motivo plausibile per non aver studiato, lui ti verrà incontro. – confermò la ragazza. Stefan la guardò insicuro, dopodichè ritornò su Elena.
– Posso aiutarti io con il test, Elena. – le disse sicuro. E non perché credeva che il vero problema della ragazza fosse quello, ma nel suo sguardo verde lasciò intendere che l’avrebbe protetta anche a costo della vita davanti ad un Klaus che faceva il suo ritorno. Elena sorrise e richiuse l’armadietto.
– Beh allora, io inizio ad andare in classe. – commentò la Gilbert guardandoli entrambi e poi allontanandosi. Sofia restò lì, nei pressi di Stefan, guardandola allontanarsi e poi soffermandosi su di lui. Il fratello più piccolo dei Salvatore sorrise, capendo dallo sguardo della ragazza cosa pretendesse sapere.
– Me l’ha detto. – rispose con tono gentile – Che cosa sei. – aggiunse, facendole capire. Lei scrollò le spalle imbarazzata – E ti chiedo scusa per i modi barbarici usati da mio fratello. – commentò, abbassando lo sguardo. Sofia scosse il capo sorridendogli.
– Non preoccuparti, lo capisco. Era semplicemente preoccupato per i suoi amici ed io sono arrivata nel momento meno opportuno tanto da costituire una nuova minaccia. – gli rispose facendogli capire che non tramava vendetta nei confronti del fratello o provasse odio. Stefan sorrise sospirando in una risatina sommessa.
– Già, e siamo abbastanza paranoici da sospettare immediatamente. Ma Elena no. Lei si è fidata di te subito. – le disse Stefan tenendo un confronto solido con lo sguardo di Sofia che lo guardava attenta, udendo ogni sua parola – Quindi mi fiderò anch’io di te, Sofia. – terminò, passandole gentilmente una mano su una spalla ed iniziando ad allontanarsi verso l’aula di storia. Lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava fino a vederlo sparire all’interno dell’aula. Decise anche lei di avviarsi dopo aver sentito il trillo assordante della campanella che affermava l’inizio delle lezioni.
La giornata passò tranquilla e Sofia non poté non notare un Elena avvolta dai suoi pensieri che sembrava trascorrere l’ora di ogni lezione in maniera assente. Quando la campanella che annunciava il termine delle lezioni suonò, la ragazza fece in fretta a riportarsi in corridoio alla ricerca di Elena. La ritrovò all’uscita, immersa tra i tanti studenti, al fianco di Bonnie e Stefan. Durante tutta la giornata il vampiro non sembrava essersi allontanato da lei nemmeno per un secondo. Lei affrettò il passo e cercò di raggiungerla arrivando in tempo per salutare Bonnie che faceva una strada diversa dalla loro.
– Ciao Bonnie. – le disse, sorridendole gentilmente e sentendo il saluto che la streghetta le ricambiò. Dopodichè si concentrò su Elena avanzando verso l’auto di Stefan.
– Elena, com’è andato il test? – le domandò, sicura che non era quello il problema. Elena la guardò, elaborò una risposta velocemente e poi ritornò a guardarla.
– Bene credo, ricordavo alcune cose spiegate in classe. – affermò la Gilbert cercando di essere convincente. Ma Sofia non sembrava essersela bevuta ed allo stesso tempo non voleva pressare troppo l’amica affinché lei glielo dicesse. Guardò Stefan cercando nel suo sguardo un accenno di complicità che non fu mai ricambiato, Stefan sembrava profondamente preoccupato per la mora lì presente. Sofia le prese una mano invogliandola a voltarsi.
– Elena. – la chiamò, e la ragazza volse a lei lo sguardo – Qualsiasi cosa sia, puoi parlarmene okay? Non ti giudicherò. Se è possibile, voglio cercare di darti una mano. – affermò la vampira verso la mora. Si bloccò per alcuni istanti ricordando l’ultima volta che aveva pronunciato quelle parole e, soprattutto, nei confronti di chi l’aveva fatto. Deglutì osservando gli occhi scuri della mora farsi improvvisamente lucidi in quelle smorfie che mostravano un tentativo riuscito bene di trattenere delle lacrime amare. Nonostante fosse morto, davanti a quella scena Sofia sentì una stretta al cuore che la fece sussultare.
– Ehi. – le mormorò all’unisono con Stefan che si avvicinò maggiormente ad Elena. La vide farsi forza e trattenere delle lacrime inutili.
– E’ che proprio adesso non mi va di parlarne, Sofia. – ammise Elena e la bionda scosse il capo.
– Non importa. – affermò Sofia, Elena scosse il capo. Sofia la forzò a ricambiare ancora il suo sguardo verde.
– Stasera ti va se andiamo a mangiare al Grill insieme? – domandò, cercando di sviare il discorso alla serata – Magari può venire anche Stefan. – disse, guardando il vampiro. Lui sorrise sommessamente cercando un accordo nelle parole di Elena. La vide mordicchiarsi il labbro ed annuire.
– Okay allora, ci vediamo stasera alle otto al Grill. – confermò la Gilbert. Sofia le sorrise dolcemente.
– Ti sono vicina Elena, okay? – le domandò retoricamente, guardandola e vedendola iniziare ad allontanarsi verso l’auto rossa fiammante insieme a Stefan. Elena le sorrise aprendo la portiera.
– Grazie. – le mormorò, sicura che la ragazza potesse sentirla perfettamente grazie alle sue capacità vampiriche.
– Ah, io vado a casa a piedi, prima che tu possa domandarmelo! – esclamò Sofia verso la mora strappandole una risatina che venne consumata all’interno dell’auto.
Avanzava con passi calmi lungo quel marciapiede riscaldato dal sole autunnale. Avrebbe dato tutto pur di avere un minimo di pioggia in quella cittadina o, quantomeno, un po’ di nuvole che le avessero permesso di camminare più tranquilla. Aveva le palpebre ridotte a due fessure mentre avanzava con quella borsa appoggiata ad una spalla. Si voltò, fermandosi ancora una volta nei pressi del cimitero di Mystic Falls. Si soffermò su quelle lapidi osservandone la vecchia lucentezza della pietra illuminata dai raggi del sole, ma ne approfittò solamente per restare un po’ di tempo parcheggiata ai piedi di un albero le cui foglie impedivano un minimo ai raggi solari di filtrare. Avrebbe dato davvero tutto per la pioggia e non riusciva a toglierselo dalla testa. Fu perché accompagnata da quel pensiero che non si accorse dell’improvviso odore che invase le sue narici, un odore che venne notato solamente quando la persona che lo scatenava la obbligò con una mano a voltarsi facendola sussultare dallo spavento. Un urlo le morì in gola, pensandolo troppo esagerato, ma sgranò gli occhi davanti a quel sorriso sornione dell’individuo davanti a sé.
– Buongiorno. Perdonami, ti ho spaventata? – le domandò l’uomo, fissandola da capo a piedi. Scostò la mano continuando a sorriderle e lei non l’aveva mai visto in vita sua, cosa che le impedì di etichettarlo come Klaus.
– Oh, beh. Non importa. Ero…soprappensiero. – affermò la ragazza in risposta, leggermente imbarazzata. Klaus la fissò per lunghi istanti sollevando una mano a carezzarle i boccoli biondi. Lei lo aveva capito, o meglio lo aveva sentito, cos’era. Sentiva il suo odore così inevitabilmente diverso invaderla e spaventarla al contempo perché dall’odore di un vampiro poteva capire davvero molte cose; quanto fosse forte, ad esempio. Tenne testa al suo sguardo cercando di non destare sospetti.
– Non ricordavo che a Mystic Falls ci fosse una creatura così bella. – ammise Klaus, scostando una mano dal suo boccolo. Sofia forzò un sorriso imbarazzato.
– Mi sono trasferita da poco. – disse, ingenuamente. Una delle cose che aveva imparato in tutti i suoi anni di vita era essere sé stessa davanti ad una persona che avrebbe potuto staccarle la testa nello stesso momento in cui si sistemava la barba.
– Oh, capisco. Somigli davvero molto a Marylin Monroe. – affermò lui, sorridendole. Sofia sorrise di rimando indietreggiando di un unico passo.
– Ah, me lo dicono in molti. – rispose, ridendo leggermente. Klaus la vide indietreggiare ma non sembrò seguirla.
– Devi andare? – le domandò, inclinando la testa. Sofia annuì sorridendo imbarazzata.
– Eh si. Scusami, ma devo tornare a casa. Grazie comunque per il complimento. – commentò indietreggiando ulteriormente ed infine voltandosi. Klaus sollevò il mento scrutandola.
– Allora alla prossima, Sofia. – le disse, parole che vennero trasportate dal vento. Lo stesso vento che portò la ragazza a sussultare e voltarsi di scatto alla ricerca di quello sguardo. Non gli aveva mai detto il suo nome né tanto meno accennato ed era fermamente sicura di non averlo mai incontrato. Quando si voltò, però, alla ricerca di quello sguardo trovò il nulla accompagnato da un venticello gelido che stonò esageratamente con il sole pesante ed autunnale che incombeva su Mystic Falls. E l’unica cosa che le venne da fare in quel momento fu avanzare verso casa con passi più veloci e spediti.
 
La sera la preferiva. Le luci dei lampioni lungo le strade della cittadina le apprezzava nonostante non ne avesse bisogno. Il venticello della sera le trasportava i boccoli in movimenti lenti e scomposti senza mai disordinarli mentre lei con passo ben poco tranquillo, dopo l’incontro pomeridiano, avanzava verso il Mystic Grill. Mancava poco alle otto e dentro sé temeva d’aver tardato. Si fece spazio fra le persone varcando decisa l’ingresso del locale. La prima persona che scorse fu Matt, intento a portare le ordinazioni ai tavoli con una certa diligenza. Mosse il capo in un cenno di saluto che venne immediatamente ricambiato dal ragazzo prima di vederlo avviarsi verso altri tavoli. Era ancora convinta che Matt fosse davvero un bravo ragazzo, come quasi tutti gli altri in quella cittadina d’altronde. Si guardò intorno posando lo sguardo tinto di quel verde intenso sulle diverse testoline che sbucavano dai tavoli ed al bancone, non riuscendo a scorgere la figura di Elena. Magari era stata proprio lei ad aver fatto tardi e magari non le restava che aspettare. Stava pensando di prendere un tavolo nel momento stesso in cui posò lo sguardo sulle schiene di Damon ed il signor Saltzman accomodati al bancone. Pensò, dentro sé, di dover sfruttare l’occasione per mettere le cose in chiaro anche con Damon. E se Elena aveva detto del suo segreto a Stefan, l’aveva sicuramente rivelato anche ad Alaric. E se non era stata Elena, avrebbe potuto riferirglielo Alaric. In un modo o nell’altro, era consapevole che il suo professore poteva benissimo essere a conoscenza del suo segreto. Venne accompagnata da tutti quei pensieri sino a raggiungere lo sgabello al fianco del vampiro sul quale si accomodò, appoggiandosi al contempo sulla superficie del bancone.
– Buonasera. – affermò verso di lui, quindi guardò il professore di storia con una nota in più di rispetto ed educazione. Lui aveva un bicchiere di whisky in mano, magari era pure mezzo ubriaco, ma lei non poteva non essere educata nei suoi confronti.
– Oh, la televisione si è persa una diva? – commentò Damon sarcastico, guardandola con sorpresa. Lei si appoggiò allo sgabello e sosteneva con forza lo sguardo gelido di Damon.
– Damon. Posso chiamarti così? – domandò, sentendosi stupida qualche secondo dopo.
– No, io per te sono il signor Salvatore, grazie. – rispose Damon immediatamente strappando un altro sorso di bourbon dal bicchiere che teneva il mano. Alaric chinò il capo sconsolato dall’atteggiamento infantile e stupido del suo compagno di bevute. Sofia strinse le labbra intimidita e spostò lo sguardo.
– Ecco, allora. Volevo dirti che mi dispiace per averti buttato a terra ieri sera. – disse, tutto d’un fiato, nei confronti del vampiro. Lui la guardò nuovamente.
– Oh tranquilla, hai solo ferito il mio orgoglio. – rispose Damon, portandosi una mano al petto. Alaric accennò un sorriso divertito ed oltrepassò la figura di Damon con il capo  per poter intravedere gli occhi della bionda.
– Non preoccuparti, è ubriaco. – le disse. Lei parve tradire una certa sorpresa, tanto da riportare lo sguardo su Damon che, di rimando, colpì il professore con una tenera gomitata.
– Oh suvvia Rick, tu sei più ubriaco di me. – commentò il vampiro, facendo ridere l’altro. Lei non poté non guardare la scena leggermente sconvolta. Era pronta a sostenere una seria conversazione ed aveva davanti due persone mezze ubriache. Ma sospirò, accennando un sorrisino ed appoggiandosi con più decisione al bancone. Damon sollevò un braccio sventolandolo verso Matt che gli si avvicinò velocemente.
– Fammi indovinare Damon, vuoi che te ne porto un altro. – commentò il ragazzo roteando gli occhi divertito. Damon scosse prontamente il capo.
– No, assolutamente. Voglio che me ne porti altri due. Uno per me ed uno per Marylin. – rispose, indicando la bionda al suo fianco. Matt la guardò un po’ scettico.
– Non posso darglielo. – commentò il ragazzo sotto lo sguardo fulmineo di Damon. Quando capì che Damon non avrebbe accettato un vero e proprio rifiuto da parte del cameriere, Sofia posò una mano sulla spalla di Matt invogliandolo ad allontanarsi.
– Tranquillo, io non bevo. Portane solo uno a lui. – intervenne, facendolo andare via. Damon la fissò e bevve tutto d’un sorso gli ultimi gocci di bourbon.
– Quindi, sei qui per chiedermi scusa. – mormorò Damon guardandola. Lei annuì prontamente.
– Mi dispiace per come si è evoluta la situazione ieri sera, non volevo reagire in quel modo ma…quella cosa, bruciava davvero. – disse lei rammentando il bruciore che le aveva provocato la verbena. Damon sogghignò ed appoggiò il bicchiere sul bancone.
– Lo so, funziona così su di noi. – commentò il vampiro facendo roteare il bicchiere sul tavolo vagamente annoiato. Sofia abbassò lo sguardo un po’ imbarazzata.
– Quindi, sei ancora arrabbiato con me? – domandò fissandolo di sottecchi. Damon sussultò sullo sgabello voltandosi istintivamente verso di lei, quasi spaventandola.
– Oh ma al diavolo! Io non sono mai stato arrabbiato con te! Sono arrabbiato con le decisioni di Elena. Fidarsi di te come se nulla fosse… – stava dicendo, ma si interruppe quando Matt arrivò portandogli l’ennesimo bicchiere di bourbon. Aveva perso il conto di quanti ne aveva ordinati quella sera – …è da stupidi. – terminò bevendo un’altra buona dose di quell’alcolico.
Sofia lo guardò per altri lunghi istanti un po’ intimidita dalla situazione che si era venuta a creare. Si guardò intorno alla ricerca di Elena nella speranza che fosse arrivata durante tutto quello scambio di parole che era avvenuto tra i tre, ma di lei nemmeno l’ombra. O anche l’odore.
– Tu e Stefan siete proprio l’uno l’opposto dell’altro. – commentò la ragazza, cercando di apparire gentile. Damon socchiuse gli occhi nel momento in cui aveva avvicinato il bordo vitreo del bicchiere alle labbra.
– Grazie del complimento. – mormorò, bevendo altro bourbon. Lei diede un’altra occhiata all’orologio del locale notando che era passata una bella mezz’ora ed Elena non era ancora arrivata. Probabilmente, col passare del pomeriggio, si era convinta che non aveva voglia di andare in un luogo pubblico a parlarne con lei. Scese dallo sgabello.
– Allora io ritorno a casa. – annunciò la ragazza già pronta ad avviarsi ma i movimenti di Alaric la interruppero; lo vide scendere dallo sgabello e portarsi in piedi in maniera scomposta.
– Ti accompagno io. – disse il professore verso Sofia, battendo una mano su una spalla di Damon – Stasera paghi tu, ho dimenticato i soldi a casa. – aggiunse verso il vampiro sentendo lo sguardo glaciale che l’altro gli regalò.
– Come no, lo dimentichi ogni sera. – affermò. Sofia fissò l’insegnante un po’ titubante. Non sembrava tanto ubriaco ma lei sperava vivamente che il professore non avesse l’auto.
– Oh, signor Saltzman, ma non si preoccupi. Posso tornare a casa da sola. – insistette, sorridendo gentilmente. Alaric scosse il capo e la invogliò ad incamminarsi.
– Forza, andiamo, non è male che io faccia due passi adesso. – commentò il professore. Eppure quando guardò l’ingresso del locale e notò quella marmaglia di persone che bloccavano la porta, optò per prendere la ragazza per le spalle e guidarla verso l’uscita sul retro. Lei capì immediatamente il motivo di quel cambio di programma e non accennò a controbattere.
– Io però devo andare a casa di Elena. – commentò la ragazza verso di lui ed Alaric sorrise.
– Oh, che coincidenza, anche io. – mormorò in risposta. Lei sospirò rassegnandosi al fatto che avrebbe dovuto sopportare quelle insistenze volendo restare a Mystic Falls. Alaric si scostò da lei lentamente mentre si avvicinavano alla porta sul retro e quando furono abbastanza vicini ad essa, fu lui ad aprirla con calma facendo uscire la ragazza per prima, in maniera galante. L’aria notturna la tranquillizzò. Era nella sua natura apprezzarla fino allo sfinimento. Sospirò socchiudendo gli occhi una volta fuori ma quel completo relax mentale le permise di sentire delle voci che provenivano da un punto proprio di fronte a loro. Riuscì a riconoscerne una, quella che stava parlando nel momento in cui lei aveva iniziato a sentirle, e fu contenta di aver udito la voce di Elena. Aprì gli occhi guardando nella direzione dalla quale proveniva quella voce e riconobbe la Gilbert con un vago sorriso rassicurato e subito dopo di lei anche Alaric la riconobbe, ma non proferì parola. Ma più della voce di Elena, fu l’altra voce a paralizzarla, ferma davanti alla porta sul retro del locale. In quella penombra illuminata dalle luci del Grill, lo sguardo verde di Sofia si spostò lentamente, come fosse spaventato, verso la persona che era al fianco di Elena. Era lui, doveva essere per forza lui. Quella era la sua voce, il suo tono, il suo accento. Sentì di nuovo il battito cardiaco, quel battito che da ormai trent’anni non aveva più battuto, quel battito che era sparito egoisticamente tra le braccia di quello stesso individuo. Non dette conto ad Alaric che la invogliava a muoversi, confuso dall’atteggiamento della ragazza. Posò lo sguardo su quel volto, su quei lineamenti, posò il suo sguardo su Elijah.
– Elijah… – mormorò, immobile. Lo guardava, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Non era assolutamente cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto, probabilmente aveva solo i capelli un po’ più corti rispetto ad allora. Elijah, grazie al suo udito, riuscì vagamente a sentire una voce pronunciare il suo nome. Mantenne quella freddezza che l’aveva caratterizzato per anni o secoli anche nel momento in cui si voltò a guardare la persona che l’aveva silenziosamente chiamato. Ma si paralizzò quando la vide. Lui non l’aveva mai dimenticata. Si perse in quegli occhi di quel verde intenso che erano divenuti più lucidi con l’emozione che percorreva il corpo della vampira. Ma lei non restò più ferma. Iniziò a scendere quegli scalini velocemente sotto lo sguardo sconvolto ed il silenzio tombale di Elijah che non riusciva a credere ai suoi occhi. Fu inevitabile che quando se la vide venire incontro, ignorò totalmente Elena ed avanzò anche lui verso di lei allargando le braccia ed accogliendola in una stretta forte in cui le mani di lui andarono a perdersi tra i boccoli biondi di lei. Quando la strinse le sue narici vennero invase dal profumo dei suoi capelli; era davvero il suo profumo.
– Sofia… – mormorò incredulo, senza badare agli sguardi indagatori della Gilbert e del professore. Sofia lo strinse con gioia avvinghiandosi a lui come non aveva mai fatto, con quelle braccia esili ed ormai più forti di una volta. Perse il viso in una spalla spessa del vampiro riconoscendone l’odore macchiato dal suo essere un vampiro.
– Oh mio Dio…ti ho…trovato finalmente. – annunciò in un singulto sommesso, silenzioso. Non voleva che lui la vedesse piangere in quel momento, nonostante fossero lacrime di gioia. Lui la allontanò quel tanto che bastava per vederne il viso scrutandola con occhi sgranati colmi di una felicità antica, una felicità che quel vampiro non provava da tempo.
– Tu dovresti essere morta. – disse, perdendosi nei suoi occhi verdi. Li aveva sempre trovati così dannatamente belli, quegli occhi. Lei raccolse il suo viso impedendogli di interrompere quel contatto visivo.
– Sono qui, Elijah. Sono qui. – sussurrò, cercando di convincerlo. Una goccia umida e calda le percorse una guancia pallida e morbida, una goccia che Elijah raccolse con un dito tremolante. Non era reale, tutto quello, non poteva esserlo. Lui non l’aveva mai trasformata.
– Non è possibile. – continuò. La vide battere le palpebre e far colare altre due lacrime colme della felicità che stava provando prima di sorridere, quello stesso sorriso che l’aveva ammaliato trent’anni prima. E non riuscì più a resistere, la strinse ancora una volta premendole il volto contro il suo petto. Gli sembrò di ritornare indietro nel tempo, nel momento in cui poteva riaverla di nuovo tra le sue braccia. Ma lei era lì, lei era tornata ed era viva.

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Note dell'autrice:
Buonasera a tutti! O dovrei dire, buonanotte? o.o Sono le 0.37 ed io fino a cinque minuti fa ancora scrivevo!
Okay, allora, arrivati fin qui posso solo dirvi che mi sto appassionando parecchio a scrivere questa FF. u.u
Credo che in questo capitolo quello che volevo farvi capire è abbastanza comprensibile. Ma
la cosa più importante è che loro due si sono incontrati di nuovo, dopo tanto tempo. Mentre scrivevo
ho provato ad immaginare un Elijah che perdeva ogni pizzico della sua freddezza come aveva fatto con lei
molto tempo prima, nonostante vi fossero delle altre persone davanti. E mi è venuto da pensare "chissà che non
lo sto facendo troppo OOC, al mio Originale preferito". Per cui esprimetevi bene su questo punto!
Ad ogni modo, colgo l'occasione per ringraziare feditrimb ed elyforgotten per aver recensito i precedenti capitoli!
Inoltre ringrazio ladyselena15 che ha aggiunto la storia tra le preferite e TUTTE le persone che l'hanno aggiunta
tra le seguite. :D Non esitate a farmi sapere cosa ne pensate, i vostri commenti sono davvero importanti!
Con questo, vi auguro buonanotte, nonostante voi leggerete quando ormai sarà giorno. :) Alla prossima!

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Capitolo 4
*** La tentazione della fame. ***



 

Era ritornato da lei nel pieno della notte, di nuovo. Non era per nutrirsi o spezzare una dolce vita umana, ma lui doveva essere ascoltato. Voleva essere ascoltato. Entrato da quella finestra come un animale notturno, si era fermato ai piedi del letto stretto in quegli abiti eleganti a fissare un corpo dormiente che non c’era. Assottigliò lo sguardo verso il letto ancora ordinato, come se non fosse mai stato usato, guardandosi immediatamente attorno alla ricerca della ragazza. Si sorprese notando la stranezza della situazione. Lei era sempre lì ad attenderlo in camicia da notte, pronta a sorridergli in quella maniera angelica e ad ascoltare le pene che un vampiro come lui avrebbe dovuto affrontare per l’eternità, ad ascoltare i suoi rimpianti e i suoi pensieri; come sempre, da quando si erano conosciuti. Ma lei non c’era, quel letto era limpido e sistemato e lui non riusciva nemmeno ad avvertire la presenza di lei nella stanza. L’attese per pochi minuti, pensando ad un eventuale ritardo da parte di lei, ma non arrivò nessuno. Elijah si insospettì muovendosi verso l’uscita della stanza e dirigendosi verso il piano inferiore. Discese velocemente le scale, come se fosse casa sua, e l’unica luce che trovò accesa fu quella della cucina. Sentiva ancora il profumo della carne bollita che, molto probabilmente, lei aveva consumato durante la cena. Rallentò il passo varcando l’ingresso con calma.
– Sofia. – la chiamò guardandosi intorno. Nonostante la luce soffusa, fu in grado di intravedere quel minuto corpo pallido e magro adagiato al suolo fra schegge e rimasugli di vetro di un piatto rotto. Gli occhi dell’Originale andarono sgranandosi mentre scattava verso la ragazza al suolo accovacciandosi al suo fianco e sollevandola preoccupato. Quando la voltò ammirando i lineamenti del suo volto pallido scorse il pallore aumentato e quelle occhiaie da far raggelare perfino il suo animo.
– Sofia! – la chiamò ancora avvertendo un leggero movimento da parte di lei. Le palpebre della ragazza si mossero in maniera quasi impercettibile prima di aprirsi abbastanza da mostrare quegli occhi di quel verde quasi spento. La visione sfocata di Elijah la tenne per qualche istante sospesa in un silenzio confuso.
– Elijah… – mormorò, muovendo appena le labbra carnose. Lui stava per sollevarla prima che la ragazza si rendesse conto del macello che aveva causato.
– Oh, che stupida… – mormorò – …ho rotto un altro piatto. – continuò piegando le labbra in un leggero sorrisino. Elijah la fissava incredulo e confuso davanti all’aspetto poco curato che la ragazza aveva, sembrava stesse morendo. Sofia si scostò da lui portandosi in ginocchio sulla pavimentazione ed iniziando a raccogliere i pezzetti di vetro e radunarli tutti in un sol punto.
– Sofia, devo portarti da un dottore. – le disse Elijah preoccupato. Lei scosse bruscamente il capo.
– No, va tutto bene! – disse, forzando un sorriso che regalò direttamente al vampiro – Ci sei tu qui adesso, va bene. Scusami per il disordine. – disse tradendo un tono di voce vagamente spaventato. Iniziò a raccogliere i pezzi di vetro più velocemente sentendo gli occhi inumidirsi dalle lacrime che avrebbe dovuto versare, ma non voleva. Tirò su col naso più e più volte avvertendo il ferreo sapore del sangue che andò a macchiarle anche la bocca. Sollevò di scatto un polso e se lo sfregò contro il naso ma non riuscendo ugualmente ad impedire a quella gocciolina di sangue di colare per finire direttamente sulla pavimentazione. Il naso di Elijah venne inondato da quel dolce odore che sapeva di spavento, avvicinandosi ulteriormente a lei.
– Sofia! Andiamo dal dolore, subito. – affermò nuovamente il vampiro in un ringhio, ma lei fece per afferrare il tessuto della sua giacca cercando di tenerlo fermo.
– No Elijah, ti prego. Restiamo qui, per favore. – lo implorò lasciando il vampiro ancor più confuso di prima. Quando lui immerse i suoi occhi scuri in quelli verdi di lei scorse che il suo vero desiderio era quello e si perse in quel sorriso candido ma forzato che lei andò regalandogli. Non obbiettò, sebbene avesse voluto farlo. La sollevò raccogliendola tra le braccia come fosse una principessa ed iniziando a salire quegli scalini avvicinandosi sempre più alla stanza della ragazza prima di entrarvi e appoggiarla delicatamente su quel letto candido. Lei socchiuse gli occhi al contatto con la morbidezza del cuscino, ma non era quel tipo di morbidezza che stava cercando. Lo invogliò a sedersi al suo fianco facendo del petto di lui il proprio cuscino, arrampicandosi su di lui alla ricerca di un sostegno che la tenesse ancora legata alla vita. Elijah la guardava incredulo, avvertendo l’aspra sensazione del dispiacere. La stava perdendo, riusciva a sentirlo. E quell’umana sensazione che per uno come lui avrebbe dovuto essere cancellata, la sentiva premere sotto la pelle fredda. La vide sorridere soddisfatta a quel contatto e mantenere gli occhi ancora socchiusi.
– Perché? Perché non me l’hai mai detto? – gli domandò lui, riferendosi a quello che le stava accadendo. Lei andò a guardarlo con quegli occhi stanchi e spenti.
– Non saresti rimasto. – mormorò cercando una mano di Elijah con una propria. Erano entrambi freddi, per motivi che stavano andando eguagliandosi; lui era morto, lei stava morendo e lui riusciva a percepirlo. Lei strinse la mano di lui e l’altro fece altrettanto godendo di quei contatti come aveva sempre fatto. Ogni cosa di quella ragazza gli dava la vita, permettendogli di sentirsi nuovamente umano.
– Questa è l’ultima notte. – sussurrò lei non scorgendo gli occhi di Elijah che stavano inevitabilmente ed involontariamente diventando lucidi. Scosse il capo incredulo.
– No, Sofia, posso trasformarti. – intervenne subito stringendo maggiormente la sua mano, stando sempre ben attento a non farle del male. Non più di quanto lei già stesse soffrendo.
– Non voglio. – disse, prontamente, sebbene con un tono di voce basso – Non voglio trasformarmi in una vampira. Non voglio tormentarti per l’eternità. – aggiunse, lui scosse il capo.
– Non lo faresti. – le disse, colpito dalla sua risposta. Non poteva perderla, non in quel momento, non quando aveva finalmente potuto trovare un appiglio per la sua vita passata, non quando aveva finalmente trovato qualcuno per il quale valesse la pena vivere. Lei sorrise e lo guardò negli occhi accarezzando debolmente la sua mano.
– Va bene così. – gli disse, tossendo sommessamente. – Era il mio destino. Però, Elijah…stanotte voglio che sia tu ad ascoltarmi. – commentò. Lui strinse le labbra stringendola a sé maggiormente. Davanti a quelle parole, davanti alla richiesta da parte di Sofia di non trasformarla, non poteva far altro che incidere indelebilmente il ricordo della sua voce, del suo sguardo e dei suoi sorrisi nella sua mente; una mente che avrebbe dovuto vivere per l’eternità. Annuì, pronto ad ascoltare qualsiasi sua parola, provando sensazioni che aveva temuto di non riuscire più a provare.
– Non dovevo andare da mia madre, l’altro giorno. Volevo andarmene, volevo partire per l’unico posto che avevo sognato. Volevo morire a modo mio. Eppure, quando ti ho visto ho capito che il mio posto era qui con te. – sussurrò lei, tenendo gli occhi socchiusi ed il capo appoggiato al suo petto. Elijah teneva una mano fra i suoi boccoli biondo platino accogliendoli tra le dita così da non dimenticare la loro morbidezza, godendo il dolce profumo che lei ancora emanava.
– Sono stata così egoista ad aver deciso di voler morire tra le tue braccia. Sapevo che non avrei resistito a lungo, ma volevo godermi ogni piccolo istante fino a quando non sarebbe arrivato questo momento. – mormorò. Elijah scosse il capo facendole comprendere che fra i tanti rimpianti che le aveva raccontato, quello di averla conosciuta non era incluso. Lei lo capì e sorrise riaprendo gli occhi lentamente e cercando quelli scuri del vampiro.
– Però, Elijah. Adesso…voglio che tu mi prometta che andrai avanti. – gli chiese con un tono di voce sempre più forzato. Lui la guardò per lunghi istanti non riuscendo a credere a quanto lei gli stesse chiedendo – Voglio che tu mi prometta che mi dimenticherai, che vivrai la tua lunga vita senza il mio ricordo. – continuò a chiedergli e lui continuava a fissarla incredulo. Gli sorrise ancora una volta mostrando quel sorriso di cui il vampiro si era tanto invaghito. Non le disse niente, consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscito a dimenticarla così facilmente.
– E poi…Elijah. – iniziò a dire lei, ancora – Perdonalo. Perdona Niklaus. Lui è tuo fratello, non sai quanto pagherei per avere il mio ancora con me. Tu hai avuto la fortuna di poterlo avere al tuo fianco per l’eternità. – gli sussurrò, lui annuì prontamente col capo. – Non importa qualsiasi cosa lui abbia fatto. Promettimi che cercherai di mettere le cose a posto con lui, Elijah. – gli chiese, fissandolo con due occhioni intensi. Elijah la guardò accarezzandole il viso.
– Te lo prometto, Sofia. Te lo prometto. – le sussurrò, vedendola sollevarsi e cercare di avvicinare i due volti. Lei gli raccolse il viso guardandolo con quegli occhi spenti e lui la vide richiuderli nascondendo il verde che gli era tanto piaciuto mentre appoggiava delicatamente la sua fronte a quella della ragazza, senza pesargli troppo.
– Ti aspetterò, Elijah. Attraverserò qualunque cosa ci sia dall’altra parte, solo per trovarti. – gli disse, appoggiandosi a lui anche con le mani. Elijah socchiuse gli occhi prima di stringerla e portare il suo volto al petto, permettendole di stare più comoda. – Grazie. – gli disse lui, impedendo a lei di dirlo. La strinse perdendosi col viso nei suoi capelli. La sentì spegnersi lentamente, silenziosamente, in quella notte fredda e cupa di una lontana Firenze del 1973.

 
Fu il ricordo che gli era balenato in mente in quel momento mentre la guardava seduta di fronte a lui, su quel divano nel soggiorno di casa Gilbert. Non riusciva ad ascoltare nemmeno una parola di quello che Elena gli stava dicendo, concentrandosi sul volto limpido di Sofia. Una mano era nascosta all’interno di una tasca del completo elegante nutrendosi del disagio che la ragazza stava provando in quell’istante. Non riusciva ancora a credere di poterla avere ancora davanti a lui, non riusciva a credere di aver potuto abbracciarla ancora una volta.
– Elijah? – lo chiamò Elena, attirando la sua attenzione. Improvvisamente il volto dell’Originale si virò verso la Gilbert mostrando una certa sorpresa, cogliendo l’espressione stranita della ragazza sommergerlo.
– Oh, Elena. – disse, insicuro, non riuscendo a trovare le parole adatte per risponderle. Infondo nemmeno sapeva di cosa la ragazza stesse parlando fino a qualche minuto prima. Elena andò a ricambiare lo sguardo del professore di storia posto proprio dietro il divano scorgendo anche in lui la sua stessa perplessità. Sofia continuava a guardarlo stringendosi nervosamente le mani; non riusciva a credere di averlo finalmente trovato. Fissava il suo sguardo sorridendogli, ammettendo a sé stessa quanto lui le fosse mancato. E si rese conto in quel momento che aveva apprezzato la promessa non mantenuta di Elijah, aveva apprezzato il fatto che lui non l’aveva dimenticata. Elena allargò le braccia accettando il fatto che non era il momento adatto per discutere dei suoi problemi permettendo ad Elijah di ritornare a guardare la bionda.
– Sofia, era lui che stavi cercando? – domandò Elena sviando il discorso verso di loro. Probabilmente era meglio lasciarli parlare, con quello che Sofia le aveva raccontato dovevano essersi persi per un periodo di tempo molto lungo per un umano, seppur decisamente breve per un vampiro. Sofia voltò di scatto lo sguardo verso di lei facendo smuovere i boccoli biondi dalla prepotenza con la quale si era mossa. Le sorrise timidamente.
– Io, ecco. Si, era lui. – ammise, imbarazzata – L’ho cercato per così tanto tempo che adesso non mi sembra vero, Elena. – ammise la bionda, stringendosi le mani. Elijah sorrise trattenendo il desiderio di stringerla ancora una volta. Elena si mosse leggermente sul posto.
– Beh, Elijah. Forse è meglio se torni domani a parlare di Klaus. Avrete bisogno di parlare adesso, immagino. – affermò Elena guardandoli entrambi. Elijah la guardò allargando un sorriso sul volto.
– Ritornerò domani, Elena. – le disse Elijah e Sofia si portò in piedi con calma.
– Ecco allora, ci vediamo domani a scuola Elena. – la salutò anche Sofia mantenendosi imbarazzata mentre seguiva Elijah verso la porta d’uscita della casa. Fu lui ad aprirla iniziando ad uscire fuori, pronto ad accompagnarla a casa, quando Sofia restò impalata sotto la soglia sentendo i passi di Jeremy scendere velocemente le scale. Si voltò verso di lui sorpresa.
– Sofia, aspetta, aspetta. – la chiamò il piccolo Gilbert, portandosi davanti a lei. Quando la raggiunse s’avvide dell’Originale all’esterno della casa che lo guardava con quello sguardo gelido.
– Stai andando via? – le domandò e lei annuì leggermente. Alaric gli si avvicinò.
– Forza, Jeremy, lasciala andare. E’ tardi per lei. Sono sicuro che qualsiasi cosa voglia dirle potrai benissimo farlo domani a scuola. – gli mormorò il professore avvolgendogli le spalle con un braccio ed invogliandolo a restarsene fermo e zitto. Sofia gli sorrise delicatamente.
– A domani, Jeremy. – gli disse e si allontanò dalla casa sotto lo sguardo incredulo di Jeremy. Quando la porta fu chiusa, il piccolo Gilbert si volse verso il professore di storia.
– Stava tornando a casa con Elijah? – gli domandò, confuso. Alaric sorrise guardando verso la porta.
– Storia lunga. Adesso vai a nanna, Jeremy. Sbaglio o domani hai un test da consegnarmi? – gli disse, fissandolo con un sorriso sarcastico. Jeremy si scostò da quel suo mezzo abbraccio e gli mostrò un’espressione scocciata.
– Oh Alaric, non farmi la paternale, ti prego. – rispose, prima di avviarsi verso le scale e salire al piano di sopra. Alaric lo guardò sorridendo fino a vederlo sparire e voltare lo sguardo verso Elena.
 
Gli camminava al fianco a disagio, respirando in maniera quasi faticosa. Per un istante le sembrò di essere tornata nel 1973, quando camminavano ore intere per le strade come fossero due amici di vecchia data. Lui portò una mano verso di lei cingendole dolcemente una spalla e costringendola a voltarsi, con una certa morbidezza. La guardò perdendosi nei suoi occhi prima di riuscire finalmente a dirle qualcosa.
– Come puoi essere viva? – le domandò facendo ricadere quella mano lungo la sua spalla. Era una vampira, a differenza del loro ultimo incontro, riusciva a sentire diversamente i contatti di Elijah. Inclinò la testa verso la sua mano rabbrividendo. Se avesse avuto un cuore ancora vivo, sarebbe stato sicuro un immediato battito perso da parte sua. Sentiva la mano di Elijah riuscire ad accarezzarle non solo la pelle, ma ogni singolo nervo facendola percuotere da un brivido umano. Doveva essere così che si sentiva lui, a quel tempo, doveva essere quello il motivo per cui era rimasto con lei. Aveva ritrovato la sua umanità nel momento stesso in cui aveva visto il suo sorriso. Ritornò a guardarlo quando la mano dell’Originale si scostò da lei.
– Sono una vampira. – rispose lei, d’un fiato. Elijah si guardò intorno un paio di volte, dopodichè ritornò su di lei non nascondendo la confusione e la felicità che stava provando in quell’istante.
– Non sono stato io. – disse, ma non si stava discolpando. Lui avrebbe preferito trasformarla.
– Lo so. – rispose lei, sorridendogli dolcemente – Mi avevi assicurato che non l’avresti fatto. – aggiunse. Elijah sospirò fissandola con insistenza. Il ricordo della morte di Sofia gli sembrava inspiegabilmente così vicino, come non lo era mai stato.
– Era diventato uno dei miei rimpianti. – disse lui, come volesse rammentarle quelle lunghe chiacchierate a notte fonda di molto tempo prima. Lei non poté fare a meno di sorridergli ulteriormente, nonostante sentisse una strana sensazione all’altezza della bocca dello stomaco. Una sensazione che la prese quasi totalmente facendole tremare il labbro inferiore. Batté le palpebre sugli occhi che avevano iniziato a pizzicarle.
– Mi sei mancato. – disse d’un fiato, senza riuscire a guardarlo negli occhi, avvertendo il tremolio che l’intero corpo aveva avuto a quella dichiarazione. Avrebbe voluto morire una seconda volta prima di quel momento, aveva rimpianto l’essere risorta trent’anni prima convincendosi che non l’avrebbe mai più trovato. Elijah sembrò immobilizzarsi a quell’affermazione ma poi sorrise, sollevando una mano e sfiorandole freddamente una guancia.
– Devi averne passate tante. – ammise il vampiro, lei socchiuse gli occhi a quel tocco. Lui comprese il motivo delle sue reazioni e ne fu inspiegabilmente contento.
– Me la sono cavata. – gli rispose, sollevando una mano e carezzando quella di lui. Riaprì gli occhi posando il verde intenso che caratterizzava le sue iridi negli occhi scuri di Elijah. Lui non disse più niente. Ammirò la sua presenza illuminata dalla notte per altri brevi istanti, prima di riaccompagnarla definitivamente a casa. Come i vecchi tempi.
 
La prima parte della giornata scolastica era passata bene, tra le solite lezioni di ogni giorno, e durante la pausa pranzo avevano deciso di sedersi ad uno dei tavoli in legno del lungo spiazzo d’erba che circondava la scuola di Mystic Falls. Caroline non sembrava riuscire a credere alle sue orecchie davanti a quell’affermazione. Sofia che era andata a Mystic Falls per cercare Elijah. Elijah Mikaelson. Il fratello di Klaus. Il cattivo Klaus. Elaborava tutte quelle frasi nella sua testa fissando attentamente Sofia intenta a parlare e sorridere verso la Gilbert, al tavolo con loro.
– No, non è stato lui a trasformarmi. – rispose Sofia verso Elena che la fissava in maniera sempre più incuriosita. Elena aveva davanti a sé una ciotola in alluminio piena di semplice pasta riscaldata con la quale si stava cibando da svariati minuti. Seguiva così attentamente la sua conversazione con Sofia che non riusciva nemmeno a toccare un boccone.
– Perché no? – domandò ulteriormente a Sofia, la quale abbassò timidamente lo sguardo. Quest’ultima ancora aveva il nitido ricordo di quella notte, dell’ultima notte, stampato nella mente. Sofia esitò qualche istante prima di risponderle, sospirando profondamente.
– Gli avevo detto di non farlo. – sussurrò, con tono macchiato di malinconia. Caroline parve sussultare e ritornare alla realtà solo in quel momento, con un’espressione intimorita e stupita stampata sul viso.
– Ma quindi conosci anche Klaus? – domandò, sporgendosi sul tavolo. Sofia volse lo sguardo verso di lei notando l’improvviso e comprensibile silenzio da parte di Elena concentrandosi, stavolta, sulla domanda posta da Caroline. Sembrava piuttosto colpita e, in fin dei conti, probabilmente riusciva anche a capire cosa stesse minacciando in quel momento la sanità mentale della Barbie Vampira.
– No. Elijah me ne parlò ma non l’ho mai incontrato in prima persona. – rispose, particolarmente convinta di quello che stava dicendo. Caroline sembrò tirare un sospiro di sollievo e nella sua testa continuava a ripetersi che, effettivamente, Sofia non si perdeva nulla di eclatante. Elena sollevò lo sguardo incrociando la figura del suo piccolo fratellino in piedi a svariati metri alle spalle di Sofia. Voltò immediatamente lo sguardo verso Caroline.
– Ah, Care! Noi dobbiamo ripetere per il TEST! – esclamò, sottolineando l’ultima parola con un tono molto più marcato. Caroline parve cadere dalle nuvole non comprendendo di cosa Elena stesse parlando, ma ancor prima che potesse chiederglielo Elena si era alzata dalla sedia e l’aveva presa frettolosamente per un polso trascinandola via sotto lo sguardo sconvolto di Sofia.
– Ma…Elena! – esclamò proprio quest’ultima nel momento stesso in cui stava per riportarsi in piedi, fissando la figura delle due amiche che si allontanavano sempre di più. Non parlavano, le avrebbe sentite, altrimenti. Stava per seguirle quando una mano la raggiunse invogliandola a fermarsi, una mano maschile e spessa che le strinse gentilmente un braccio senza provocarle dolore ma attirando semplicemente la sua attenzione. Quando volse lo sguardo verde verso la figura alle sue spalle scorse un Jeremy sorridente ed incappucciato che col solo sguardo le chiedeva di restare. Lei gli sorrise in maniera forzata, ancora imbarazzata dopo l’ultimo avvenimento che li aveva visti coinvolti, e si riportò a sedere vedendolo accomodarsi al proprio fianco. Aveva tra le mani un sacchetto che appoggiò sulla superficie lignea del tavolo.
– Va tutto bene? – le chiese lui, continuando a sorriderle dolcemente. Sofia lo fissò titubante qualche altro secondo prima di sorridergli con più convinzione.
– Si certo. Tu come stai? – gli domandò lei di rimando guardandolo mentre frugava all’interno di quel sacco estraendo un paio di toast ben impacchettati. Scostò il sacchetto volgendo a lei l’attenzione e porgendole uno dei due toast ancora rinchiuso nello strato sottile di alluminio. Lei ringraziò silenziosamente raccogliendo il cibo da lui offertole con tanta gentilezza e ritornò di nuovo a guardarlo negli occhi mentre scartava con attenzione l’alluminio. Jeremy sembrò incassare la testa nelle spalle mentre se la scopriva dal cappuccio.
– Non tanto bene, sono andato male nel test di Alaric. – affermò, ricordandosi del brutto voto. Lei piegò le labbra carnose e di un rosso acceso in un sorriso tranquillo.
– Sbaglio o il signor Saltzman ti aveva detto di studiare? – domandò. Il piccolo Gilbert la guardò dubbioso soffermandosi più volte sul suo viso candido.
– Eri già andata via quando me l’ha detto. – rispose, mostrando la sua confusione. Il problema fu proprio provocato dal fatto che lei aveva dimenticato di essere andata via e di essere riuscita a sentire le sue parole tramite l’udito sviluppato.
– Ah. – mormorò, intimorita – Beh, me l’ha raccontato Elena, non ti pare? – disse mentendo in maniera anche abbastanza scarsa. Jeremy la guardò per lunghi istanti come se cercasse un qualsiasi suo movimento che gli portasse ad avere la certezza sulla sua menzogna.
– Ti va di venire da me, dopo la scuola? – le domandò, riprendendo a sorridere. Lei sollevò lo sguardo di scatto.
– Venire da te? – chiese, incuriosita.
– Certo, a casa mia. Studiamo un po’ insieme o magari iniziamo a preparare una bella cena, dato l’orario. Sono bravo a cucinare, o quantomeno a preparare. – aggiunse, convinto. Lei parve rifletterci un po’ prima di sorridere nuovamente.
– Per me va bene. – gli disse, iniziando ad alzarsi in piedi – Grazie per l’invito, adesso devo ritornare in classe. – ammise, strappando solo in quel momento un morso educato al toast morbido e ripieno di insalata e prosciutto che lui le aveva offerto. Aveva un sapore diverso, non buono ma sicuramente possedeva quella nota in più rispetto a qualsiasi cibo avesse assaggiato. Jeremy le sorrise sinceramente contento e la salutò con un cenno del capo. Si voltò dirigendosi verso l’ingresso della scuola accompagnata da una sensazione di strana confusione. Aveva capito, ormai, che Jeremy non nutriva della semplice simpatia nei suoi confronti ma nonostante questo, nonostante fosse il fratello minore di Elena, lui ancora non era al corrente del proprio segreto.
 
Camminava lungo quel marciapiede, il solito di ogni giorno, affiancata da Jeremy ed Elena. Si sistemò la borsa sulla spalla mentre guardava davanti a sé con quelle palpebre strette atte a proteggere quanto poteva gli occhi dal sole, assolutamente fastidioso. Elena la fissava curiosa, come se la stessa studiando, mentre Jeremy le era accanto cercando di non essere invadente.
– Beh, Sofia, mi sembra che tu ti sia particolarmente affezionata a casa nostra, eh? – domandò Elena in maniera retorica sorridendo contenta al pensiero di un’altra cena in compagnia della bionda, non dimenticando cos’era successo durante la precedente. Sofia sorrise volgendo a lei lo sguardo.
– Beh, è una casa davvero carina. – rispose, perfino Jeremy ridacchiò in maniera sommessa. Ma la risata dei due Gilbert venne interrotta da una presenza apparsa all’improvviso nel mezzo del marciapiede, proprio di fronte a loro. Il naso di Sofia fu invaso dal suo forte odore, un odore che sapeva di vampiro e presunzione, lo stesso odore che aveva sentito alcuni giorni prima ma di cui si era completamente dimenticata. Volse lo sguardo verso Klaus che li fissava con un sorriso sornione e teneva le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri ed eleganti che indossava. Elena e Jeremy si bloccarono istintivamente un paio di passi più indietro rispetto a Sofia e lei sentì appena la mano del piccolo Gilbert sfiorare la propria. Sofia guardò attentamente Klaus che la fissava, ignorando ancora la sua identità.
– Oh, che piacere incontrarvi tutti qui. – mormorò l’Originale sfilando le mani dalle tasche e facendo un paio di passi verso di loro.
– Klaus. – bisbigliò Elena, quasi nascondendosi dietro la vampira lì presente. Si era sentita improvvisamente minacciata sentendo il sangue fluire con più prepotenza nelle vene davanti alla presenza di Klaus. Sofia si voltò per metà verso di lei restando sorpresa dal nome che la Gilbert aveva pronunciato e di scatto ritornò a fissare Klaus che aveva platealmente allargato le braccia.
– Oh già! L’altra volta non mi sono presentato e dubito che Elijah ti abbia fornito un’accurata descrizione fisica mentre ti parlava di me. – affermò Klaus, sinceramente divertito. Sofia sentì lo sguardo pressante di Jeremy posarsi su di sé e tutto ciò che lui vide sul volto di lei fu un’espressione sorpresa e vagamente spaventata.
– Sofia, di quale incontro sta parlando? – domandò immediatamente il piccolo Gilbert, non riuscendo però a ricevere risposta. Lo sguardo verde di Sofia era concentrato su quella figura. L’aveva sempre immaginato diversamente con le descrizioni di Elijah, aveva sempre immaginato fosse un uomo dal volto cupo sebbene per niente spaventoso, eppure sentiva di avere davanti a sé, in quel momento, Satana in persona.
– Come fai a conoscermi? – gli domandò, facendosi coraggio e mostrando un’espressione determinata. Klaus sorrise lasciando ricadere nuovamente le braccia lungo i suoi fianchi.
– Sei una creatura magnifica anche con quell’espressione, Sofia. – mormorò Klaus, colpito e malizioso. Jeremy avanzò di un passo battendo il piede al suolo.
– Vai via, Klaus. – ordinò il piccolo Gilbert macchiando il suo tono di voce di un certo astio. Klaus sorrise maggiormente ed in pochi attimi gli fu vicino, con un braccio intorno alle sue spalle. Elena sussultò e Sofia si voltò di scatto scrutando il viso minaccioso dell’Originale.
– Lascialo stare! – esclamò la Gilbert ma Klaus non parve farselo ripetere due volte che spintonò Jeremy contro la sorella.
– Non sono qui per il sangue di tua sorella, piccolo Gilbert. – gli disse, con una nota di disprezzo nel suo tono. Klaus si voltò un’ultima volta verso Sofia, fissandola intensamente.
– Ti saluterò Elijah, dolcezza. Credo di voler restare a Mystic Falls molto più tempo di quello che avevo progettato. – affermò, prima di sparire nel nulla. Solo in quell’istante Elena ritornò a respirare regolarmente stringendo a sé il fratello in maniera premurosa e Sofia fissava il vuoto immaginandosi ancora la figura di Klaus davanti a lei. Aveva chiesto ad Elijah di perdonarlo, nel 1973, eppure nel momento in cui aveva avuto l’opportunità di averlo davanti a sé si era convinta che quell’uomo era totalmente avvolto dalla cattiveria.
 
Raccolse delicatamente la sottile fetta di cetriolo che aveva tagliato tenendo lo sguardo basso sul bancone della cucina dei Gilbert. Jeremy era al suo fianco avvolto in un silenzioso spaventoso e tombale, un silenzio che interruppe nel momento in cui Sofia finì per sfiorarlo involontariamente allungandosi verso un recipiente posto lì sopra. La fissò confuso e dubbioso e lei ricambiò il suo sguardo.
– Cosa c’entri con Klaus ed Elijah? – gli domandò con tono basso e lei trasalì, speranzosa fino a quel momento di riuscire a tenere a freno le curiosità degli altri. Lei non aveva niente a che fare con Klaus, temeva pensassero esattamente il contrario.
 – Conobbi Elijah un po’ di tempo fa. Mi raccontò un po’ di cose, fra cui Klaus. Fu l’unico momento in cui ne sentii parlare. – ammise, cercando di restare nel vago. Jeremy lo notò ma si concentrò sull’insalata di cui si stava occupando.
– Ho capito che tu non sembri conoscerlo eppure, lui ti conosce. Non è possibile che Elijah gliene abbia parlato? – domandò il piccolo Gilbert, curioso. Sofia si fermò, andando a guardare Jeremy in viso. Aveva un’espressione indecifrabile, un’espressione che voleva essere tranquilla ma che era irrimediabilmente tesa, nervosa, intimorita.
– Se qualcuno mi avesse parlato di te anche descrivendoti, non riuscirei mai a riconoscerti. Non se tu non mi dicessi prima il tuo nome o mi accennassi al particolare rapporto che hai con la persona che mi ha parlato di te. – spiegò cercando di essere quanto più chiara possibile. Dopodichè abbassò lo sguardo nascondendosi dallo sguardo incerto di Jeremy. Lo sentì improvvisamente gemere e far ricadere il coltello che aveva tra le mani nel lavello della cucina, stringendosi una mano. Eppure, ancor prima che lei sollevasse lo sguardo sentì il naso essere invaso dal dolce ed inebriante profumo del sangue di Jeremy. Il viso venne alzato lentamente verso il Gilbert che si avvicinò ulteriormente al lavello ed iniziò a sciacquarsi accuratamente la ferita sulla mano.
 – Sono davvero imbranato, è capitato di nuovo. – mormorò, preso. Sofia lo fissò con le labbra schiuse sentendo inevitabilmente i denti premere. Trent’anni non erano bastati per riuscire a trattenersi davanti ad una scena del genere.
– Va tutto bene? – chiese con voce roca. Jeremy si voltò verso di lei incuriosito vedendola stringere il marmo del bancone con più forza.
– Io sto bene Sofia ma tu… – interruppe la frase perdendosi nei suoi occhi verdi così spaventati ed insicuri. Lei strinse le labbra.
– Ho bisogno del bagno. – si affrettò a dire incamminandosi verso l’uscita della cucina e verso le scale che l’avrebbero condotta al piano di sopra. Si richiuse nel bagno premendosi le unghie della mano destra dentro lo stesso palmo. Socchiuse gli occhi appoggiandosi al lavandino e respirando profondamente. Non era tornata a casa, non era riuscita a mangiare come si deve per prepararsi alla cena con i Gilbert e la tensione che le aveva messo addosso Klaus le impediva di tenere un perfetto autocontrollo su qualsiasi sensazione le si parasse davanti. Strinse le prese sul lavandino e riaprì gli occhi solo per avvedersi dell’incredibile sforzo al quale era stata sottomessa.
 – Sofia, va tutto bene? – domandò la voce di Elena all’esterno, ovviamente era stata messa al corrente da Jeremy. Lei si mosse e guardò verso la porta chiusa.
– Oh si, Elena, verrò giù fra un attimo! – esclamò, cercando di apparire convincente. Si passò una mano sul viso e solo in quel momento decise di aprire la porta ed iniziare a scendere le scale per ritornare al piano di sotto. Quando si ritrovò Jeremy davanti sentì di nuovo la tentazione crescere dentro di sé avvertendo l’insaziabile fame desiderosa del sangue del piccolo Gilbert.
– Ehi, che ti è preso? – le domandò il ragazzo fermandola ai piedi delle scale. Lei gli sorrise avvertendo la presenza di Elena che preparava i piatti. Sentiva i rumori da lei stessa provocati ed il suo odore.
– Nulla, non preoccuparti. Tu? Come sta la mano? – gli chiese, abbassando lo sguardo verso quella. Sentì improvvisamente lo sguardo pressante di Elena posarsi su di lei, come se si aspettasse una qualche sua reazione.
– Oh, bene. Mi capita piuttosto spesso quando sono alle prese coi fornelli. – disse, sorridendo ironico. Lei forzò un sorriso di rimando.
– Avevi detto di essere abbastanza bravo con i preparativi per una cena. – disse, spostandosi dalle scale e facendosi seguire verso l’interno della sala ove li attendeva Elena.
– Infatti lo sono, solo un po’ più imbranato del normale. – affermò in risposta. E lei guardò quei piatti pronti sul lungo tavolo dei Gilbert con una certa fame, ma non era di quelle prelibatezze che avrebbe voluto cibarsi. Non in quel momento.
 
Aprì lentamente la porta della sua casa dopo aver affrontato la cena a casa Gilbert con una certa difficoltà. Entrò dentro senza nemmeno accendere la luce e si diresse con passi pesanti verso la cucina. Accese la luce e si avvicinò velocemente al frigo prendendo una di quelle bottiglie bianche che esso conteneva e la ripose sul bancone, voltandosi a prendere un bicchiere. Faceva tutti quei movimenti velocemente, con una certa impazienza, e quando il sangue iniziò a scorrere all’interno del bicchiere si rese conto di quanto avesse realmente sofferto tutto il pomeriggio costringendo il suo corpo ad adattarsi ai voleri umani. Afferrò con forza il vetro del bicchiere e ne bevve il contenuto come fosse una droga, ma non le bastò. Se ne versò un altro bicchiere con la stessa precedente impazienza. Ed andò avanti in quel modo fino a consumare l’intera bottiglia e sentire improvvisamente il corpo riscaldato dalla ferrea e saziante presenza del sangue. La notte era appena cominciata ed aveva odiato adattarsi agli orari degli esseri umani, gli orari che anche lei un tempo rispettava, per poter abituare il suo corpo e la sua mente a restare perfettamente svegli durante il giorno. Ma avrebbe preferito la notte, avrebbe preferito vivere alla luce della luna come un animale notturno come la sua natura le imponeva di fare. Ma si preparò infilando quella pallida camicia da notte che la accompagnò fin dentro la sua camera con un’espressione sicuramente più tranquilla di quella che aveva quando aveva varcato l’ingresso di casa sua. Ma quando aprì la porta della camera buia v’intravide una figura dalle spalle spesse posta nei pressi della finestra, una figura che sembrava attenderla. Ne sentì l’odore, sapeva di buono, e restò sorpresa. Elijah si voltò lentamente a guardarla sorridendole in maniera gelida, probabilmente preoccupato. La attese mentre lei entrava lentamente all’interno della camera richiudendosi la porta alle spalle. Come i vecchi tempi, come a Firenze, nel 1973.
– Klaus me l’ha detto. – disse lui, avvicinandosi a lei con passi veloci – Avrei preferito non scoprisse assolutamente niente di te. – affermò, fermandosi nei pressi di lei. Ma Sofia gli sorrise nel tentativo di fargli passare la preoccupazione. Ancora sembrava strano, per entrambi, potersi incontrare di nuovo. Un posto diverso rispetto a quello in cui si incontravano prima ma aveva il solito letto comodo e la solita finestra che filtrava la luce della luna. C’era tutto e c’erano loro.
– Adesso sono il suo pretesto per minacciarti? – domandò, fissandolo. Elijah parve annuire silenziosamente ed in maniera impercettibile ma lei sapeva che la risposta era quella, lo sentiva. Sentiva la palpabile tensione che si era formata tra loro, una tensione che Elijah scacciò immediatamente. Le sorrise, nel buio della stanza, e lei fece altrettanto.
– Non gli permetterò di minacciarti, Elijah. – disse lei, con una nota di coraggio maggiore rispetto a quanto ne aveva in passato. Lui sembrò ridacchiare in maniera sommessa.
– Perché adesso sei più forte? – domandò, falsamente incuriosito. Non aveva ancora avuto il modo di appurare quanto lei fosse cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista, eppure lo sentiva.
– Penso sia molto più perché non voglio permettergli di intromettersi fra di noi. Ho disprezzato questa mia nuova natura per anni e l’unica cosa che mi mandava avanti era il pensiero di riuscire a comprendere finalmente ogni tua parola, ogni tua sensazione e di poter riuscire, un giorno, ad incontrarti di nuovo. – ammise, senza nessuna vergogna.
Lui annuì – Se l’avessi saputo prima non sarei andato via, riesco ad immaginare come tu ti sia sentita per tutto questo tempo. – mormorò il vampiro, guardandola. E più fissava i suoi occhi verdi, più riusciva a scorgervi molta più umanità di quanto ne avesse mai vista negli occhi di un altro vampiro.
– Ma ora sto bene. – affermò lei, sorridendogli – Ora siamo qui, di nuovo, io e te. No? – continuò sentendo la mano di Elijah afferrare un suo boccolo biondo.
– Ho molte cose da raccontarti, Elijah. – affermò lei, rammentando le notti che avevano passato a parlare ed ascoltare a vicenda ogni loro problema.
L’Originale annuì – Sono pronto ad ascoltarti, Psicologa Vampirica. – commentò Elijah. Non aveva mai dimenticato l’affermazione di Sofia, nel 1973, non aveva mai dimenticato come lei si fosse sentita ascoltando nel minimo dettaglio ogni particolare della vita di Elijah. Una psicologa vampirica; ed ora potevano capirsi con molta più intensità di quanto avessero mai potuto fare anni prima.

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Note dell'autrice:
Okay, ci ho messo tantissimo per preparare questo nuovo capitolo!
Ma voglio cercare di fare le cose con calma senza gettarvi immediatamente nella storia vera e propria.
Qui ho cercato di far scoprire quale fosse il rapporto fra Elijah e Sofia ma, soprattutto,
vediamo Klaus ancora assolutamente calmo. :)
Jeremy? Oh no, Jeremy non è stupido. Non è che lui non capisce, Jeremy non vuole
capire. Voi come vi sentireste se ogni volta che iniziate a provare qualcosa per qualcuno, questa
persona si rivelasse sempre e solo un morto dalla forte tentazione della fame?
Ma detto questo, spero di non avervi annoiato con questo capitolo particolarmente semplice
e calmo, fatemi sapere cosa ne pensate!
Passando ai ringraziamenti:
Ringrazio immensamente elyforgotten e Anonymous Dreamer per aver recensito il capitolo precedente.
Ringrazio ladyselena15, morgan_le_faye e SaraIS che hanno aggiunto la storia tra le preferite e, inoltre,
ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite. :D Spero di poter leggere un vostro
commento riguardo ciò che scrivo, presto o tardi! Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Sarò sola stanotte. ***


Caroline la fissò per alcuni istanti, ferma nei pressi del suo armadietto. Lei immergeva i suoi occhi verdi in quelli chiari di Caroline ancora palesemente titubante.
– Si tratta di raccolta fondi, no? – domandò Sofia, incerta. L’altra le sorrise annuendo ed appoggiandosi con una spalla all’armadietto.
– Certamente. Lo facciamo ogni anno per guadagnare fondi per la scuola. E di te ho bisogno. Da quando sei arrivata sei praticamente diventata la piccola diva della scuola. Sei davvero bellissima ed attireresti migliaia di clienti. – affermò Caroline, allargando platealmente le braccia. Sofia sembrò ancor più titubante nascondendo l’imbarazzo dietro la porta dell’armadietto che aprì, coprendo la visuale di Caroline.
– E’ imbarazzante. – disse non riuscendo a vedere Caroline scuotere il capo.
– E’ divertente. Hai paura che Elijah possa non gradire? – domandò Caroline maliziosamente. Vide improvvisamente il volto corrucciato ed infantile di Sofia spuntare dalla porta dell’armadietto per affacciarsi verso di lei con le guance gonfie.
– Elijah non c’entra niente in tutto questo! – esclamò Sofia, ritornando a nascondersi timidamente. Stava frugando nel suo stesso armadietto con disinteresse alla ricerca di qualcosa; o forse si stava solo nascondendo dal viso della ragazza lì presente. Il fatto che Caroline le stesse chiedendo di mettersi mezza nuda a pulire auto per raccogliere soldi, la metteva a disagio. Riuscì, però, a sentire l’odore umano di Matt distinguersi da quello vampirico di Caroline mentre si avvicinava a loro con quel passo tranquillo.
– Ehi, ciao. – salutò lui, sorridendo alla sua maniera. Sofia si voltò anche verso di lui richiudendo l’armadietto dopo aver raccolto il libro contenente gli appunti della lezione di matematica. Caroline fece saettare il suo sguardo sulla figura del quaterback sorridendo ancor più maliziosamente.
– Oh, Matt! Proprio del tuo parere avevamo bisogno! – esclamò, facendolo rabbrividire. Matt sorrise forzatamente e si voltò a guardare Sofia la cui pelle bianca diventava sempre più rosea, mescolandosi al rosso.
– Oh, Caroline, non credo ce ne sia bisogno. – mormorò lei. Caroline scosse il capo afferrando il braccio di Matt.
– Allora, Matt. Sai della raccolta fondi, no? – domandò la Barbie Vampira e Matt annuì debolmente col capo – Dillo anche tu che Sofia sarebbe perfetta! Insomma, te la immagini con solo il bikini immersa nella schiuma delle auto? – domandò Caroline allargando l’unico braccio che aveva libero, dato che l’altro era arpionato allo stesso ragazzo. Matt sussultò abbassando lo sguardo e nascondendo il viso fattosi prevedibilmente rosso pomodoro. Anche Sofia arrossì, ma sgranò gli occhi e spalancò la bocca per lo stupore.
– Non…credo…lei gradirebbe se io la immaginassi così. – sussurrò Matt deglutendo forzatamente.
– Matt! – esclamò Sofia, incredula.
– Oh, si è imbarazzato. Vedi Sofia che ogni maschietto vorrebbe vederti così? Già immagino quante auto entreranno nel cortile della scuola solo per farsi lavare da te. – affermò Caroline sorridendo radiosa. Sofia deglutì respirando faticosamente e si strinse al petto il libro di matematica.
– Ti farò sapere. – mormorò, voltandosi ed allontanandosi di scatto. Quando la vide andare via, Caroline lanciò un’occhiata poco simpatica a Matt che incassò maggiormente la testa nelle spalle.
– Non è colpa mia! – si discolpò lui quasi subito ma l’altra non parve voler dargli ascolto e si allontanò anch’ella.
 
Uscì fuori l’edificio raggiungendo i campi sportivi della scuola in cui le diverse squadre facevano allenamento. C’era quello per le cheerleader e quello per i giocatori di football. Riuscì a sentire nell’aria un odore non molto distante, l’odore di un vampiro. Si fermò nel mezzo di uno spiazzo a guardarsi intorno riuscendo a vedere Stefan stretto in quella divisa sportiva che correva avanti ed indietro per il campo. Strinse maggiormente il libro al petto e sorrise raggiungendo i posti adiacenti al campo per gli spettatori delle partite. Si accomodò su uno di essi appoggiando il libro e la borsa al suo fianco guardando tranquillamente quegli allenamenti. Ma fu in quell’istante che Stefan s’accorse di lei e si allontanò dal campo, avvicinandosi agli spalti occupati dalla sola presenza di Sofia. Li salì avvicinandosi a lei con un falso fiatone ed il casco da football sottobraccio.
– Giochi bene. – disse lei, sinceramente. Lui sorrise ironico e si accomodò.
– Faccio sempre fatica a contenere la forza quando gioco. Sai come funziona, non siamo totalmente delicati, anche nel minimo tocco. – rispose lui. Lei comprese e sorrise abbassando lo sguardo. Aveva le palpebre semichiuse a causa del sole e faticava ad essere perfettamente lucida.
– Sofia, devo chiedertelo. – iniziò Stefan facendosi improvvisamente serio – Tu non porti alcun anello per il sole, vero? – domandò costringendo Sofia a sollevare di nuovo lo sguardo verso di lui. Lei si guardò le mani prive di anello e scosse debolmente il capo.
– Posso restare al sole. Anche se è fastidioso e aumenta la mia fame. – mormorò lei, in risposta, causando un’ulteriore curiosità nel vampiro.
– Sei diversa da noi. – ammise lui, ma lei parve non pensarci. O almeno, ne era consapevole e non riusciva a spiegarselo. Abbassò di nuovo lo sguardo riflettendo e poi ritornò a guardarlo di nuovo.
– Devo chiederti una cosa. – disse, scorgendo l’acconsentire di Stefan nel solo sguardo – Tu conoscevi Klaus prima di tutti, vero? – domandò – Elena me l’ha detto. –.
Stefan posò il casco accanto a sé rammentando gli anni venti. – E’ stato molto tempo fa, ed io non ero totalmente in me. – rispose. Lei scosse il capo come a cercare di scacciargli l’idea che lei volesse giudicarlo.
– Sarebbe capace di minacciare suo fratello o di fargli del male in qualche modo? – chiese la vampira, tradendo un leggero tono di voce preoccupato.
– Ti preoccupi per Elijah? – domandò Stefan, fissandola intensamente. Lei strinse le labbra annuendo impercettibilmente.
– Ho paura che lui mi usi per minacciarlo, o che in qualche modo la mia presenza a Mystic Falls possa intralciare i vostri piani. – affermò lei, sinceramente. Stefan la guardò a lungo prima di allungare una mano verso una gelida di lei, stringendogliela in maniera rassicurante. Lei andò a guardarlo sorridendogli. Era davvero l’opposto di Damon. Quell’uomo era la reincarnazione della gentilezza e della bontà, e probabilmente nemmeno se avesse visto il lato Squartatore di Stefan avrebbe cambiato idea sul suo conto.
– Non permetteremo a Klaus di fare del male ad Elijah, non preoccuparti. L’abbiamo contrastato molte volte, sappiamo come agire ormai verso di lui. E fra queste cose c’è il fatto che non dobbiamo farci innervosire dalla sua presenza. Elena mi ha raccontato del vostro incontro dell’altro giorno e riesco a capire come tu ti stia sentendo in questo momento. – le disse, prima di lasciarle la mano e farla sorridere.
– Grazie, Stefan. – commentò lei con un tono di voce basso, capendo che non doveva farsi spaventare da quello che stava accadendo. Lei era più forte e più coraggiosa, avrebbe contrastato Klaus con tutte le sue forze se solo fosse stato necessario. Vide Stefan rialzarsi lentamente e rimettersi il casco.
– E’ arrivato il momento che io ritorni agli allenamenti. – le disse, prima di allontanarsi. Lei gli sorrise fino a vederlo riportarsi nel campo ma restò ferma sugli spalti per quei minuti in più, prima di sparire.
 
Ancora non riusciva a capire come avesse fatto a farsi convincere da Caroline. Forse il fatto che aveva parlato con Stefan e che le aveva chiaramente detto di non preoccuparsi le aveva permesso di acconsentire alla pazza idea della bionda, quella stessa idea che le aveva messo al corrente proprio quella mattina. Una giornata intera senza lezioni vestita con un semplice bikini a lavare auto, sotto il sole per giunta. Avrebbe preferito una giornata di pioggia o addirittura fingersi malata. Ma chi mai avrebbe creduto alle sue malattie? Si lasciò andare con la testa sul cuscino pensando a come sarebbe trascorso il giorno seguente, pensando a quel sole cocente che le avrebbe bruciato i capelli mentre lei si macchiava di schiuma. Ma fu nello stesso momento in cui le tende della finestra si mossero ed Elijah poté fare il suo ingresso palesandosi nella sua elegante e spessa figura ai piedi del letto. La vide pensierosa e distesa con indosso la solita camicia da notte e le si avvicinò accomodandosi sullo stesso letto, stando attento a non farle del male.
– Giornata pesante? – le domandò. Lei sollevò la testolina prima di iniziare a sorreggere il busto con i gomiti, ritirando le gambe per dargli più spazio su quel letto.
– Oh, pesantissima. Caroline mi ha costretta a fare una cosa davvero troppo imbarazzante. – affermò, chinando la testolina indietro. Sentì Elijah ridere in maniera silenziosa ma la cosa non la infastidì, era davvero ridicola in quel momento. Non si è mai costretti a fare qualcosa se non lo si vuole in prima persona, e questo Elijah lo sapeva dubitando fortemente che Caroline le avesse puntato un paletto al petto pur di convincerla.
– E cosa sarebbe? – domandò lui incuriosito. Apprezzava ogni singolo secondo trascorso in compagnia di quella ragazza rammentando quanto fosse piacevole sin dall’inizio. Aveva sentito una sorta di legame con lei sin dal primo momento in cui scorse il suo sorriso. Sorrise involontariamente ricordando e sentì il letto scuotersi sotto i movimenti leggiadri della ragazza che la portavano a sedersi ai piedi del letto insieme a lui. Lo affiancò silenziosamente, prima di rispondergli.
– Per domani la scuola ha organizzato un autolavaggio per la raccolta fondi. – iniziò a dire lei ed Elijah non parve comprendere quale fosse il problema.
– Non sai lavare le auto? – le chiese, e lei scosse prepotentemente il capo facendo ondeggiare quei boccoli adorabili sotto lo sguardo del vampiro.
– Il problema sta nel fatto che dovrò avere addosso solo un bikini mentre lo faccio! – esclamò, premendosi le mani al petto. Lui sollevò entrambe le sopracciglia stranito dalle strambe idee che quelle generazioni pensavano man mano che andavano avanti con gli anni. Non seppe più cosa rispondere, nemmeno un modo per consolarla. Immaginava soltanto quanto potesse essere imbarazzante per lei, e piacevole per sguardi umani e maschili.
– Avresti potuto rifiutarti. – disse, freddo.
– L’avevo fatto, ma lei ha insistito così tanto. – ammise la ragazza, incassando la testa nelle spalle. Elijah sospirò, facendo passare avanti il discorso. Vi furono attimi di silenzio che parvero interminabili, ma in realtà compresero i seguenti cinque minuti.
– Com’è andata la tua giornata? – gli chiese lei, fissando il profilo del suo viso rivolto verso la pavimentazione. Sembrava stanco.
– Sto cercando in tutti i modi di comprendere cosa Klaus voglia fare. E’ ritornato a Mystic Falls per Elena, eppure sta esitando ancora. – mormorò il vampiro, sospirando. Lei sollevò una mano posandogliela dietro le spalle come volesse rassicurarlo.
– Ehi, qualsiasi cosa lui voglia fare, non gliela permetteremo. – commentò, sorridendo fermamente convinta delle parole pronunciate in quell’istante. Elijah ritornò a guardarla con un’espressione indecifrabile che si distorse in un sorriso dopo pochi attimi.
– Non sei affatto cambiata. – le disse, sincero. Lei sorrise maggiormente, appoggiando la testa ad una spalla di lui. Avrebbe dovuto addormentarsi per affrontare appieno la giornata seguente, ma non ne aveva intenzione. Non quando c’era lui.
 
La scuola era ancora desolata, essersi alzata presto ed aver raggiunto l’edificio scolastico prima di un ipotetico inizio dell’orario di lezioni, non era stata una bella idea. Ma almeno si sarebbe messa in pace con i suoi pensieri, almeno avrebbe chiarito con sé stessa per quale motivo aveva davvero accettato di fare una cosa del genere. I corridoi erano cupi e solitari illuminati dai soli raggi solari mattutini che filtravano dai vetri delle finestre. Si guardò intorno quando una sorta di scricchiolio raggiunse il suo udito. Avrebbero dovuto esserci i responsabili della scuola o dell’igiene della stessa, eppure la curiosità la costrinse ad avvicinarsi con passi felpati e lenti verso la porta d’ingresso di un’aula, ancora chiusa. Toccò la maniglia con le dita fredde e l’abbassò velocemente quando si sentì pronta a spalancare la porta. Non contò di riuscire a spaventare la persona che era all’interno, infatti Alaric nel momento in cui aveva sentito la porta aprirsi, aveva mollato sotto la scrivania il borsone dentro il quale stava frugando senza farsi vedere. O almeno, ne era convinto. Si voltò di stucco verso di lei immergendo i suoi occhi in quelli verdi ed increduli di lei.
– Signor Saltzman? – domandò lei, curiosa e sorpresa.
– Sofia! Che cosa ci fai qui a quest’ora? – chiese a sua volta il professore parandosi davanti alla scrivania nella convinzione che in quella maniera riuscisse a nascondere il borsone pieno di armi che stava controllando. Ma un paletto sbucò facendo intravedere il suo profilo agli occhi verdi ed ancor più confusi della ragazza.
– Ehm…io, ecco. Sono in anticipo e…quello è un paletto? – domandò la ragazza, battendo velocemente le palpebre per mostrare la sua confusione. Il professore calciò il paletto sotto la scrivania.
– Ah no è. Ecco. Sai, di prima mattina si è molto confusi. – disse, sventolando una mano. Lei entrò dentro l’aula socchiudendo appena la porta dentro di sé, dimenticando per quei pochi istanti le buone maniere.
– Lei ha qualche problema coi vampiri? – domandò lei, fissandolo sorpresa ed incerta. Solo il quel momento Alaric sbuffò facendole segno di richiudere totalmente la porta e si chinò a raccogliere il borsone stando ben attento a rimettere tutto al suo interno.
– Non sapevo se Elena te l’aveva già detto o meno, ma forse è meglio che non l’ha fatto. – mormorò l’insegnante facendole ancora segno di avvicinarsi. E lei lo fece, fermandosi in piedi nei pressi della scrivania.
– Il mio problema coi vampiri è che io li caccio. O almeno, li cacciavo. Adesso sono finito proprio tra le loro braccia. – disse, rimettendo il paletto all’interno del borsone. Vi erano armi rotonde, paletti, ed armi secche e lunghe con tanto di aghi contenenti dello strano liquido verde. Non riuscì a pensare, in quel momento, che fosse verbena.
– Perché li cacciava? – domandò lei curiosamente cercando nello sguardo del professore un qualche segno che le facesse capire se era troppo invadente o meno.
– Perché mia moglie era diventata una di loro. O meglio, io l’avevo vista essere uccisa da uno di loro e quindi avrei voluto scoprire tutto ma poi mi sono imbattuto in Mystic Falls. Ho scoperto che mia moglie era la madre di Elena e che si era fatta trasformare apposta, che era diventata una stronza e che era in combutta con Katherine. – disse il professore tutto d’un fiato. Solo quando s’accorse dell’espressione maggiormente sorpresa della ragazza, sorrise in maniera ironica e scosse leggermente il capo.
– Scusami per la volgarità. Ma è questa, comunque, la storia di un cacciatore fallito. – aggiunse lui, richiudendo la borsa e depositandola al suo posto. Lei lo fissò in silenzio a lungo prima di accennare un ampio sorriso nei confronti dell’insegnante. Lui lo scorse e parve un po’ incerto.
– Si prende cura di Elena e di Jeremy, di questa città. Li protegge dai veri vampiri cattivi e questo la rende il miglior cacciatore del mondo. – affermò lei, scostandosi dalla cattedra leggermente. Alaric sorrise, senza sapere che parole aggiungere. Ma il momento fu interrotto dal trillo sonoro della campanella e lei iniziò ad avviarsi verso la porta.
– Devo andare a prepararmi per la giornata. – disse, sbuffando leggermente.
– Autolavaggio? – comprese Alaric, fissandola ed accomodandosi dietro la scrivania. Lei gli dedicò il profilo del viso per alcuni istanti, dopodichè sorrise ed annuì avviandosi verso l’esterno. Quando richiuse la porta, Alaric si perse con lo sguardo nel vuoto. In quegli occhi aveva visto la vera umanità di cui perfino gli uomini erano sprovvisti. Sorrise, silenziosamente, e si mise a giocherellare con una penna.
Caroline le aveva preso il braccio così bruscamente da spaventarla mentre la trascinava all’esterno della scuola.
– Care, Care! Non c’è bisogno di essere così cattiva! – esclamò Sofia piagnucolante. Caroline sorrise.
– Oh no, mi mollerai sul più bello, lo so. Allora prima che tu possa farlo, ti spoglierò con le mie stesse mani! – affermò in risposta, attirando gli sguardi curiosi di un gruppo di ragazzi all’ingresso.
– Caroline! – esclamò Bonnie, sentendola. Stefan ed Elena li rincorrevano con un sorrisino divertito stampato in viso e così faceva anche la streghetta, intenta ad ammonire il comportamento troppo infantile dell’amica bionda. Quando furono finalmente fuori, nei pressi dell’autolavaggio messo su nelle prime ore della giornata scolastica, Caroline voltò Sofia totalmente inerme e le afferrò la maglietta sollevandogliela velocemente. Gliene privò in pochissimo tempo e se la stese su una spalla ammirando il costume nero e merlettato che le copriva il petto.
– E’ perfetto! – esclamò Caroline indicando Sofia con entrambe le braccia a Bonnie, Stefan ed Elena che li avevano finalmente raggiunti.
– Oh suvvia Caroline, non dovresti trattarla così. Ha bisogno del suo tempo. – mormorò Stefan, guardando la Barbie Vampira. Sofia sollevò le braccia stringendosele al petto ed osservando offesa il volto dell’amica bionda, che di rimando le sorrideva alquanto contenta.
– Ma dai, Stefan, lei lo sa che sto scherzando. – commentò. I pantaloncini corti, tra l’altro, che aveva indossato Sofia per l’occasione non facevano altro che aiutare la situazione. Si dispersero nel momento in cui iniziarono ad arrivare le auto e vennero date le spugne. Sofia si avvicinò esitante ad un auto trascinandosi dietro il secchio d’acqua con la quale avrebbe dovuto lavare l’auto. I sorrisi e gli sguardi delle persone che erano nelle macchine la mettevano terribilmente in imbarazzo. Appoggiò il secchio al suolo bagnando la spugna all’interno dell’acqua in esso contenuto e quando si riportò in piedi si ritrovò davanti, dall’altra parte dell’auto, una figura che non si aspettava.
– Sei uno schianto. – le sussurrò Tyler, con un sorriso compiaciuto ed ironico. Lei gonfiò le guance.
– Non ti ci mettere anche tu, Tyler. – mormorò, fingendosi offesa.
– Dai, Caroline non può averti fatto un torto così grande. Se non ci pensi, ti diverti. – le disse il ragazzo guardandola con un gran sorriso. Lei si chinò sull’auto titubante ed iniziò a strofinare la spugna sul vetro.
– Va bene, ti farò divertire io. – affermò Tyler, sfilandosi la maglietta e riponendola altrove. Afferrò la sua spugna e si chinò sull’auto iniziando a strofinare insieme a lei.
– Cerca di lavare bene l’auto e…Oh, al volo! – esclamò lui, sollevandosi di scatto e lanciandole debolmente la spugna. Ma lei si sollevò di scatto e con degli ottimi riflessi l’afferrò. Lui restò sorpreso, ma sorrise.
– Wow, sei brava. – commentò, battendo leggermente le mani. Lei gli lanciò la sua spugna e sorrise, vagamente divertita. Forse molto più dal fatto che Tyler si fingeva uno stupido, piuttosto che l’atto in sé.
– Non mi sottovalutare, Lockwood. – disse lei, in segno di sfida. Ma Tyler la colse impreparata ed afferrò un cumulo di schiuma che le lanciò direttamente contro, ridendo poi.
– Ah, ma questa non vale! – esclamò lei, ripulendosi. Scosse il capo lanciandogli contro della schiuma, ma con scarsi risultati. Ritornarono a sfregare sull’auto e lei, solo in quel momento, sentì il peso del sole cocente batterle nel pieno della testa. Iniziò a muoversi con più lentezza respirando faticosamente. Passò la lingua sulle labbra sentendole leggermente secche. Tyler la fissò.
– Va tutto bene? – le chiese, chinandosi maggiormente sull’auto per poterla vedere. Lei gli sorrise in maniera rassicurante e lui fece altrettanto.
– Ehi, il piccolo Gilbert ti sta guardando. – bisbigliò l’ibrido indicandole col capo Jeremy intento a ripulire un’auto in maniera assente, molto più concentrato su Sofia. Lei si voltò a guardarlo incrociando il suo sguardo lontano, ma accennò un leggero sorrisino che il Gilbert ricambiò pienamente, dopodichè ritornò a guardare Tyler davanti a sé.
– Oh, quindi è una cosa seria. – mormorò l’ibrido, ridacchiando.
– Smettila, Tyler. – commentò lei, gonfiando le guance. Si scostò dall’auto quando ormai la riteneva lavata abbastanza e sospirò rumorosamente appoggiandosi una mano alla fronte. Il sole pesante e continuo la stava stancando ed intanto la fame si faceva anche sentire. Strinse le labbra sotto lo sguardo di Tyler.
– Sei sicura di stare bene? – le chiese lui, avvicinandosi a lei e sfiorandole una spalla. Lei trasalì e si sottrasse da quel tocco, guardandolo.
– Sto bene, non ti preoccupare. Vado a prendere qualche altro asciugamano. – affermò sorridendogli rassicurante. Ma erano quegli occhi stanchi, quella pelle pallida e quelle occhiaie rosse che stavano venendo a crearsi sotto gli occhi di lei a non convincere Tyler, che però la lasciò andare fissandola avviarsi con passo svelto verso la scuola. Jeremy gli si avvicinò immediatamente toccando la sua spalla ed invogliandolo a voltarsi.
– Ci stavi provando, Tyler? – domandò lui, ma dall’espressione non sembrava molto amichevole. Tyler sorrise in maniera stanca.
– Tranquillo, non ci stavo provando. Ma mi pare non stesse tanto bene. Corri da lei, cavaliere! – esclamò l’ibrido spingendolo verso la scuola. Il piccolo Gilbert sembrò inizialmente titubante, prima di avviarsi effettivamente verso l’edificio.
 
Camminava lentamente lungo quel corridoio cercando, di tanto in tanto, un sostegno nelle pareti. S’inoltrò nella palestra notandola vuota e camminava con passi ancor più lenti. Quella confusione che aveva in testa e quel calore che la bruciava da capo a piedi le impedì di sentire qualcuno avvicinarsi, almeno fino al momento in cui una mano s’accostò gentilmente a lei invogliandola a voltarsi. Lei sollevò lo sguardo cercando quel viso ma quando lo vide sgranò gli occhi facendo nascere un sorrisino sornione sul volto di Klaus.
– Hai un aspetto orribile, dolcezza. – le disse, trattenendola per una spalla e carezzandole il viso con l’altra.
– Niklaus. – mormorò lei con un fil di voce.
– Oh, non preoccuparti, non voglio farti del male. – la rassicurò lui immediatamente, o almeno ci stava provando. Lei non sembrava dello stesso parere. Lui le scostò un boccolo biondo da una spalla ed ammirò quel collo. Se fosse stata un’umana, non le avrebbe permesso di tenerlo così limpido.
– E’ colpa del sole? – domandò Klaus, perdendo il suo sorriso. Lei deglutì pesantemente.
– Che vuoi da me? – gli domandò, tradendo una certa tensione. Non riusciva a mantenere la calma, non quando aveva Klaus davanti a sé ed una fame che la consumava dall’interno.
– Non voglio niente da te, Sofia. O almeno, niente che tu non possa darmi. Mi dispiace approfittarmi del tuo malore, riesco a sentire quanto sia stanca e sconfitta in quest’istante, ma la tua mente è anche più debole. – mormorò Klaus, avvicinandosi minacciosamente a lei. Quando lo vide inaspettatamente vicino, si sottrasse da lui indietreggiando di alcuni veloci passi, una cosa che lui non gradì.
– Stammi lontano. – gli disse con tono autoritario. Ma lui corse e le fu nuovamente vicino senza che lei se ne rendesse conto, sentiva le sue stesse gambe afflosciarsi, avrebbe voluto cadere ma lui le afferrò bruscamente le spalle e la trattenne in piedi, aveva gli occhi ridotti a due inquietanti fessure.
– Da questo momento in poi, fino a quando non te lo dirò io, risponderai con sincerità a tutte le mie domande. – ordinò l’Originale, entrando direttamente nella sua mente. Lei si sentì penetrare col solo sguardo, sentì la sua mente aprirsi come un libro aperto e le labbra schiudersi. Gli occhi lo fissavano incantata, e lei si fermò inerme ed immobile sotto le strette del vampiro.
– Con chi era Elijah quando l’hai incontrato? – le domandò e lei mosse le labbra.
– Con Elena. – rispose lei, senza che se ne rendesse conto.
– Di cosa stavano parlando? – continuò lui, fissandola intensamente in quegli occhi verdi.
– Non lo so. – rispose lei ancora una volta, senza fargli attendere nemmeno un secondo.
– Lui sta organizzando piani alle mie spalle? – chiese ancora l’ibrido, per nulla gentile nel tono di voce. Aveva il sospetto che Elijah lo stesse tradendo, entrare nella testa della vampira con cui il suo stesso fratello si confidava più di chiunque altro la trovava un’idea davvero magnifica.
– Si. – rispose Sofia, venendo attraversata improvvisamente da un brivido. Tutto ciò che voleva sapere l’aveva saputo, gli bastava. Sorrise verso di lei e le raccolse il viso avvicinandosi minacciosamente. Appoggiò morbidamente le labbra carnose alla fronte pallida della ragazza.
– Grazie mille, Sofia. Adesso trova qualcuno da cui nutrirti, sei davvero stanca. – le sussurrò, spingendole il viso al petto. Sembrava essere caduta in trance anche nel momento in cui si ritrovò tra le braccia di Klaus, ma poi lui sparì nel nulla così come era arrivato. Fissò il vuoto per lunghi istanti, prima di ritornare in sé. Si guardò intorno per lunghi istanti, sentendo un cuore morto spalpitare nel petto come non faceva da anni, ormai. La porta si aprì improvvisamente e bruscamente palesando l’ingresso di Jeremy che le si avvicinò velocemente.
– Ehi, Sofia. Stai bene? – le chiese, prendendola per le spalle e scuotendola. Avrebbe voluto dirgli di aver incontrato Klaus, del pericolo che stava correndo Elijah, ma l’unica cosa che riusciva a pensare in quell’istante era il sangue di Jeremy che voleva essere bevuto. Lei sollevò una mano verso di lui aggrappandoglisi con forza.
– Jeremy… – sussurrò, col tono di voce di chi voleva intimargli di allontanarsi. E lui glielo leggeva negli occhi, con dispiacere, cosa lei stesse provando. L’aveva capito dal momento in cui lei era scappata via vedendo il suo sangue, dalla famosa malattia del sole, dalla sua strana amicizia con Elijah.
– Vieni con me. – le disse, trascinandosela all’interno di uno sgabuzzino della palestra. Ne aprì la porta e vi entrò all’interno subito dopo di lei. Era un posto abbastanza stretto, ma era meglio restare chiusi lì dentro.
– Non è…non è una buona idea, Jeremy. – gli disse lei, scostandosi appena. Ma riusciva a sentire la parete subito dietro di sé mentre spingeva contro il petto del piccolo Gilbert.
– Sofia, Sofia! Guardami negli occhi. – la intimò lui, ricambiando intensamente il suo sguardo.
– Ne hai bisogno, ed io voglio che tu lo faccia. Non mi importa, non mi importa che cosa sei o se rischio di morire. – le sussurrò, ma lei scosse il capo e lui le raccolse il viso.
– Andrà tutto bene, adesso muoviti. – le intimò, scoprendosi velocemente un polso. Lei fece cadere il suo sguardo proprio sul polso del ragazzo e sentì i denti premere all’interno della bocca dalla voglia che avevano.
– Non avresti dovuto saperlo. – gli disse lei, mostrandogli quanto fosse convinta fino a quel momento che Jeremy non sapesse assolutamente niente.
– Voglio conoscerti per come sei, Sofia. – le disse, accarezzandole il viso. Le avvicinò il polso alle labbra e lei parve resistere per pochissimi istanti, prima che l’ultimo ordine di Klaus le martellasse il cervello. Raccolse la mano di lui e se la avvicinò al viso chinandosi inevitabilmente contro il suo petto, voleva nascondere il volto che stava andando deformandosi con quegli occhi che si stavano iniettando di sangue ed i canini che carezzavano per nulla gentili la pelle del ragazzo. Lo sentì rabbrividire ed immergere una mano all’interno dei suoi boccoli biondi, incitandola ulteriormente a nutrirsi. Era pronto, se l’era chiesto per tutta la notte se fosse pronto ad affrontare un’altra situazione del genere, con una vampira, ed in quel momento capì che per lei sarebbe stato pronto in qualsiasi momento. Strinse i denti dolorosamente quando sentì i canini della ragazza ferire il proprio polso e la sensazione del sangue che veniva raccolto da lei, gli stava dando alla testa. Socchiuse gli occhi tenendosela premuta al petto, rammentando ciò che provava quando ancora Anna era viva. Ma in quel momento, con quei denti e quei boccoli profumati che gli accarezzavano una mano, lui sentiva il cuore sbattergli nel petto in una maniera così intensa da convincerlo che Sofia, era meglio di chiunque altra.
 
Uscì fuori dalla scuola di fretta sorpassando perfino Tyler. Stringeva una mano di Jeremy senza nemmeno rendersene conto. Seguiva l’odore di Elena, doveva assolutamente trovarla. La testa le pulsava per dimostrare quanto fosse tesa e il piccolo Gilbert la seguiva senza spiccicar parola, fissando la sua nuca come se ne fosse incantato. L’aveva tenuta così vicina, in quello sgabuzzino, da non essere riuscito a dimenticare le sensazioni provate. Quelle stesse sensazioni che avevano vinto il dolore del morso. Quando Sofia s’avvicinò ad una Elena sorridente e presa dal suo lavoro d’autolavaggio, le prese il braccio voltandola con impazienza. Elena si fermò a guardarla sorpresa, non immaginandosi un simile comportamento da parte di lei. Dall’espressione pallida della ragazza sembrava molto più che nervosa.
– Hai sentito Elijah? – le chiese subito Sofia, fissandola con quegli occhioni verdi ed intensi. Stefan si scostò dall’auto per avvicinarsi a loro riuscendo a sentire odore di sangue. Non era di Sofia, era quello di Jeremy e riusciva a scorgerlo dall’espressione del Gilbert. Elena fissò Sofia per molto tempo cercando di scorgere i suoi pensieri attraverso lo sguardo.
– E’ successo qualcosa? – le chiese la mora a sua volta, portandosi completamente di fronte a lei. E Sofia le lasciò il braccio continuando, però, a stringere gentilmente la mano di Jeremy. Ma non le rispose, voleva prima una risposta alla propria domanda.
– Io si, l’ho sentito. – disse Elena.
– E cosa ti ha detto? – chiese a sua volta la bionda, apparendo ancor più tesa di prima.
– Che stasera verrà da me. Per parlare. – rispose ancora Elena. Fu solo in quel momento che il cuore morto di Sofia riuscì a sentire sollievo. Non c’era da temere, infondo, Elijah non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da Klaus.
– Si può sapere cosa sta succedendo? – chiese Elena, fissandola con aria interrogativa e vagamente preoccupata.
– Io non… – stava dicendo Sofia, iniziando ad indietreggiare – Ho avuto una brutta sensazione. – mormorò, cercando di sviare il discorso in quel modo. Stefan avanzò di qualche passo verso di lei sorridendole rassicurante.
– Non preoccuparti Sofia, ti ho già detto che proteggeremo Elijah in qualsiasi modo. –le disse e lei ricambiò quel sorriso, sforzandosi a suo modo. Dopodichè con un cenno del capo li salutò allontanandosi da lì insieme a Jeremy. Si nascosero sotto gli spalti del campo di football, al buio, dove lei avrebbe potuto trovare la pace della notte. Una notte che non era ancora arrivata, ovviamente.
– Come sta il polso? – chiese a Jeremy, preoccupata. Lui la rassicurò col solo sguardo ma la sua mente era occupata da ciò che avrebbe dovuto chiederle prima.
– Perché non gliel’hai detto? – chiese Jeremy. Lei lo fissò, rimuginando un attimo. Le menzogne le facevano male, non era mai stata il tipo da mentire in quel modo alle persone alle quali voleva bene.
– Non voglio che Elena si preoccupi, sarebbe andata in panico se avesse saputo che Klaus è stato qui. E lui non era qui per lei. – affermò Sofia, abbassando lo sguardo dagli occhi accusatori di Jeremy. Lui la fissò avvicinandosi ulteriormente ma tenendo a riposo il polso. Non era guarito, l’aveva coperto con bende per evitare l’ulteriore fuoriuscita di sangue, ma quei due fori erano ancora lì.
– Era qui per te, Sofia. – mormorò Jeremy fissandola negli occhi. Cercava di farle capire che affrontare uno come Klaus, da soli, era da stupidi. Ma lei abbassò lo sguardo raccogliendogli gentilmente il polso ferito e scoprendolo dai vestiti.
– Ti fa male? – gli chiese, sentendo l’odore del suo sangue invaderle il naso. Avrebbe voluto dissanguarlo, non era ancora sazia, non lo sarebbe mai stata.
– Non tanto. Ti senti in colpa? – chiese lui sorridendo in maniera ironica. Lei mosse le labbra nascondendo il loro tremolio, non riusciva ancora a credere di aver morso Jeremy, di essersi nutrita di lui senza farselo ripetere due volte.
– Ho sempre odiato nutrirmi dalle persone. Non mi piace. – affermò, sollevando il viso verso di lui.
– Sei magnifica. – le sussurrò Jeremy, sorridendole. La fece avvampare dall’imbarazzo e lei gli si scostò velocemente.
– Ritorno all’autolavaggio. – gli disse, prima di allontanarsi frettolosamente. Ma lui non la inseguì.
 
Raccolse il bicchiere di tea dopo esserselo versato e ne sorseggiò un goccio ammirando la perfezione con la quale era stato preparato. Ma quel momento di pace e tranquillità venne interrotto da alcuni passi che si mossero dietro di lui e riuscì a percepire il sorriso sornione di Klaus. Si voltò lentamente.
– Niklaus. – lo chiamò, come fosse una domanda alla ricerca di una qualche risposta. Klaus allargò platealmente le braccia.
– Fratellino, non sai cosa sta combinando la tua piccola Marylin Monroe in questo momento? Mezza nuda a pulire auto, chissà quanti le stanno sbavando dietro. – affermò Klaus, ridacchiando sommessamente. Elijah abbassò lo sguardo e posò il bicchiere sul piccolo ripiano dietro di sé.
– Quello che fa quando non siamo insieme, non mi riguarda. – affermò voltandosi e mettendo in ordine tutto ciò che aveva spostato. Un maniaco dell’ordine e della perfezione, poteva reputarsi così. E senza che lo vedesse, Klaus aveva già perso quel sorriso da poco di buono.
– Perché, cosa fate quando siete insieme? Ho appurato che non giocate a carte, o passiate tutto il tempo a sbaciucchiarvi come due mielosi fidanzatini. – commentò sarcasticamente, storcendo le labbra in una smorfia. Elijah si voltò nuovamente verso di lui con una lentezza da far raggelare l’animo di chiunque, con quello sguardo freddo che ormai dipingeva il suo viso.
– A cosa stai cercando di arrivare, Niklaus? – le chiese Elijah, voltandosi nuovamente e completamente verso di lui. Klaus mosse leggermente le spalle.
– Oh, a niente credo. Penso solo che tu la lasci troppo libera. Sai, se non ti interessa potresti lasciarla a me. Mi farebbe molto piacere… – si fermò, sogghignando per sottolineare quelle parole – …prendermi cura di lei. – terminò. Il suo tono di voce, quel tono di voce malefico ed insensibile, entrò nelle orecchie di Elijah come fossero delle lame portandogli automaticamente in testa il pensiero che lui avesse potuto farle del male.
– Che cosa le hai fatto? – gli chiese frettolosamente, ma il fratello scosse il capo.
– Niente, cosa vuoi che le faccia? – domandò, di rimando. Ma Elijah non resistette né tanto meno riusciva a credere alle sue parole. Quello sguardo colmo di incontrollabile odio e rabbia nei confronti gli fecero stringere i pugni.
– Che cosa le hai fatto!? – urlò con molta più foga prima di correre verso il fratello con l’intenzione di stritolargli il cuore. Ma Klaus aveva previsto quella sua mossa tanto che appena lo vide vicino a sé mosse le braccia impugnando un pugnale ed infilzandolo nel petto di Elijah. Vide gli occhi e la bocca del fratello sgranarsi mentre la pelle iniziava a rinsecchirsi, uccidendolo. Lo lasciò cadere al suolo con quel pugnale infilzato nel petto, gli unici pugnali capaci di uccidere gli Originali, almeno fino a quando essi restavano nei loro petti. Klaus mosse le spalle e sorrise.
– Sei diventato prevedibile, fratello. – affermò, sorridendo compiaciuto. Si era tolto il peso del tradimento e sebbene fosse ferito dalla delusione, si sentì più libero.
 
Tirò un sospiro di sollievo quando si trovò davanti allo specchio del bagno, con addosso la pallida camicia da notte. Elijah sarebbe arrivato a breve, come ogni sera, come ogni notte. Quando la luna iniziava ad illuminare le strade, lui entrava da quella finestra come un animale notturno e trovava appoggio sul suo stesso letto. Socchiuse gli occhi abbandonandosi a quei pensieri, al profumo di Elijah che non riusciva a sparire dal suo naso. Sorrise uscendo di fretta dalla stanza da bagno e spense la luce avviandosi verso la propria camera, quella stessa camera in cui lui l’avrebbe aspettata. Si fermò davanti alla porta afferrando con delicatezza la maniglia e calandola. Quando la aprì palesandosi l’immagine buia della propria stanza, sentì il venticello entrare dalla finestra e rinfrescarle le gambe nude. Era appena iniziata la notte ed ogni suo momento le portava inspiegabili e piacevoli sensazioni. Lei apparteneva alla notte, ormai. Ma quando entrò nella stanza, tutto ciò che di bello la notte e la presenza di Elijah avrebbe portato, sparì. Perché Elijah, non c’era. E non sarebbe arrivato.

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Note dell'autrice:
Allora, ammetto che questo capitolo mi è uscito davvero lungo. x°D
Ma Sofia doveva scoprire un po' di cose e dovevano succederne altre per i prossimi capitoli.
E vediamo Elijah essere messo al tappeto dal suo cattivissimo fratello oltre che un Jeremy
assolutamente tenero. Insomma, le ha offerto il suo sangue **
Visto che ormai posso prevedere cosa voi ne pensiate del rapporto di Sofia e Elijah, voglio porgervi
un'altra domanda. Cosa ne pensate del particolare rapporto che si sta creando tra la nostra vampira protagonista ed il fratellino della doppelganger? :)
Spero di ricevere delle risposte!
Adesso voglio dedicarmi ai ringraziamenti. :)
Ringrazio ladyselena15 e elyforgotten per aver recensito il precedente capitolo. Inoltre le ringrazio anche per avere aggiunto la storia tra le preferite così come ringrazio haroldseyess, morgan_le_faye e SaraIS per aver fatto la stessa cosa!
Infine ringrazio immensamente coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite e spero, un giorno, di ricevere un commento anche da parte vostra! :D Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Mi hai salvato. ***


Aveva fissato il vuoto per almeno un’ora, rannicchiata su quel letto come fosse una bambolina con addosso una pallida camicia da notte lunga fino alle ginocchia. La nuca morbidamente appoggiata al muro posto dietro il letto e lo sguardo verde, annebbiato dalla preoccupazione, rivolto verso la finestra la cui tendina si smuoveva per mano del vento facendo filtrare i raggi lunari. Ma l’attesa la stava distruggendo e la consapevolezza che Elijah non sarebbe passato da lei quella notte a causa di Klaus le rimbombava dolorosamente nella testa. Afferrò il cellulare e compose velocemente il numero di Elena portandosi l’apparecchio all’orecchio quando improvvisamente la voce della Gilbert le invase l’udito in maniera assonnata.
– Pronto? – domandò e Sofia sospirò affranta.
– Elena, scusami per l’orario. – le sussurrò ed Elena dall’altra parte parve preoccuparsi.
– Ehi, Sofia, è successo qualcosa? – domandò.
– No, no niente tranquilla. Io, ecco, volevo solamente chiederti se oggi Elijah è venuto a quell’incontro. – mormorò ancora mantenendo un tono di voce alquanto basso. Elena restò in silenzio per un po’ di tempo e lei, tramite il telefono, riuscì a sentire il rumore del letto mentre la Gilbert si muoveva probabilmente mettendosi seduta.
– In realtà no. Quando stamattina mi hai chiesto di lui e poi lui non si è presentato all’appuntamento, pensavo fosse venuto da te. – commentò immediatamente Elena giustificandosi. Le labbra di Sofia si schiusero mentre nella sua testa si mescolavano le risposte della Gilbert e quelle domande di Klaus.
– Oh mio Dio, Sofia. Si può sapere cosa sta succedendo? – le domandò Elena preoccupata.
– Oggi, a scuola, ho incontrato Niklaus. – rispose Sofia tutto d’un fiato. Avrebbe giurato di sentire Elena smettere di respirare a quell’affermazione.
– Non so cosa mi sia successo. Elena…Io, non riuscivo a fare a meno di rispondere alle sue domande. Lui mi aveva detto di farlo e poi…gli ho detto tutto. Dei vostri piani, del fatto che Elijah stava collaborando con voi. – le si bloccarono in gola le restanti parole immaginandosi cosa avesse dovuto affrontare Elijah con suo fratello, a causa sua.
– Sofia, non preoccuparti. Ti prometto che faremo il tutto per salvarlo. Posso immaginare cosa Klaus gli abbia fatto, ci prepareremo e domani andremo a salvarlo. O almeno, appena sorgerà il sole. – affermò Elena dall’altra parte. Sofia si fermò allungando lo sguardo verso il telefono nonostante l’avesse all’orecchio.
– Domani? – chiese la bionda con un tono di voce strozzato. Elena mugugnò dall’altra parte del telefono rispondendo silenziosamente alla sua domanda. E Sofia deglutì, stringendo le labbra. Non avrebbe aspettato il sole per correre a salvare Elijah, non avrebbe aspettato il sole per riconciliarsi con l’uomo che l’aveva gentilmente accompagnata verso la morte anni prima e che, dopo troppo tempo, aveva finalmente ritrovato. Sospirò.
– Capisco. Allora a domani, Elena. – mormorò. Non riuscì a vederla ma Elena sorrise gentilmente, come volesse rassicurarla.
– Sofia, non ti preoccupare. Elijah sa come comportarsi con Klaus, andrà tutto bene. –  le mormorò, prima di agganciare. Sofia annuì più volte quando ormai la voce di Elena era sparita, come se cercasse di convincersi che lei avrebbe dovuto aspettarli, che non sarebbe stata capace di affrontare Klaus da sola o almeno i suoi ibridi. Non aveva mai lottato contro esseri del genere, non aveva mai combattuto in vita sua. Ma se si fosse trovata lei in una situazione come quella aveva la certezza che Elijah sarebbe andato a salvarla senza battere ciglio.
 
La porta bussò così rumorosamente che Alaric balzò dal sonno nel suo morbido letto. Si alzò imprecando e si avviò verso la porta non riuscendo a capire chi mai potesse essere ma quando aprì la piccola porta del suo appartamento, restò stupito di ritrovarsi davanti proprio Sofia.
 – Sofia. Che ci fai qui? – le chiese, perplesso. Lei rimase alla porta, incapace di entrare, e strinse i pugni con quell’espressione affranta ma egualmente risoluta.
– Signor Saltzman, posso entrare? – gli chiese, facendogli capire dal tono di voce usato quanto la situazione fosse grave. E lui non esitò. Bastarono pochi minuti per spiegargli tutta la situazione ed Alaric si avvicinò ad un armadio spalancandolo ed estraendo un borsone nero che poggiò prepotentemente sul tavolo.
– Capisco la tua preoccupazione, Sofia, ma non posso permetterti di andare da sola. – le disse aprendo frettolosamente il borsone per rivelare una quantità di armi che lei nemmeno si aspettava. Alaric sollevò lo sguardo verso di lei.
– Verrò con te. – sentenziò, come se non si aspettasse rifiuti. Lei scosse debolmente il capo smuovendo appena i boccoli biondo platino.
– No, Signor Satlzman. Non posso. E’ la tana nel lupo ed io non posso permetterle di correre alcun rischio. Inoltre ho paura che non riuscirei a proteggere nemmeno me stessa. – rispose, deglutendo.
– So proteggere me stesso. – affermò il professore e lei annuì sorridendo forzatamente.
– Si, lo so. E non è lei il problema, ma sono io. Ho paura che finirei col concentrarmi troppo su di lei e non riuscirei a tenere testa a ciò che mi aspetterà lì dentro. – gli spiegò, cercando di sembrare il meno offensiva possibile. Si fermò a guardarlo con quegli occhioni verdi ed allungò esitante una mano verso il borsone nero.
– Ma le prometto che tornerò. Salverò Elijah e poi andrò via, giuro. – commentò, sorridendo gentilmente verso il professore. Alaric la fissò per lunghi istanti stringendo la presa sul borsone nel dimostrare apertamente la sua titubanza. Dopodichè abbassò lo sguardo.
– Dovrai chiamarmi appena tornerai a casa. So che sei forte e che riuscirai a farcela, però non farmi pentire di questa scelta. – le disse il professore in maniera autoritaria prima di infilare le mani all’interno del borsone ed estrarre alcune armi.
– Queste sono delle bombe alla verbena. Se riesci a lanciarle prima che possano esplodere, non avranno effetto su di te. – disse, prendendone due e porgendogliele. Sofia deglutì rigidamente davanti a quell’affermazione, ricordando l’ultima volta che è entrata in contatto con la verbena. Il bruciore ch’essa provocava non poteva essere dimenticato facilmente. Raccolse quei due oggetti a forma d’uovo e se li sistemò sul tavolo, in disparte. Dopodichè Alaric tirò fuori due paletti perfettamente affilati e li infilò in un oggetto che Sofia non riuscì a riconoscere. Lo studiò attentamente prima che Alaric le chiedesse un braccio e lei glielo porgesse senza attendere troppo. La invogliò a scoprirsene metà e gli permise di avvolgere quell’oggetto freddo tanto quanto la propria pelle intorno al proprio avambraccio.
– Se imprimi la giusta pressione colpendo un oggetto, il primo paletto parte da solo. – le disse il professore guardandola negli occhi. Lei coprì l’arma con la manica della stessa maglia e fissò i movimenti di Alaric che volevano mostrarle come usare l’arma, e lei durante quel momento non fece altro che annuire. Continuava a chiedersi se ce l’avrebbe fatta, a liberare Elijah e sopravvivere allo stesso tempo, e temeva un insuccesso.
– La ringrazio signor Saltzman. – mormorò verso l’insegnante prima di allontanarsi. Sapeva dove a Klaus era permesso di vivere in quella cittadina senza che nessuno potesse fargli del male, lo stesso posto in cui anche Elijah poteva stare quando non era con loro. La dimora dei Mikaelson.
 
Varcò la soglia con una lentezza innaturale camminando lungo l’ingresso per raggiungere il salone. Le mani si adagiavano morbidamente lungo i fianchi rendendo impossibile conoscere la tensione che la stava percorrendo da capo a piedi. Si ritrovò nella dimora dei Mikaelson senza la necessità di un invito constatando che lì dentro non alloggiava alcun umano, e la cosa le aveva fatto comodo. Quando raggiunse il salone, lo sguardo si perse su due figure nottambule intente a versarsi da bere o più semplicemente perdere tempo standosene seduti su di una poltrona. L’uomo barbuto e dai capelli scuri, abbastanza muscoloso, che stava ad un tavolo versandosi una sana dose di whisky che lei riconobbe dall’odore, si voltò verso di lei con un sorrisino affabile e compiaciuto.
– Ehi, bellezza, non capita tutti i giorni che una ragazza bella come te si presenti qui nel pieno della notte. – affermò cingendo il bicchiere con noncuranza e sorseggiando tranquillamente il suo drink. L’altro uomo, decisamente più snello ma dallo sguardo glaciale, la fissò con attenzione. Lei trasalì davanti a quegli sguardi mantenendo comunque un’espressione risoluta e tranquilla. Non rispose a quelle parole, e le mani rimasero lungo i fianchi.
– Hai bisogno di qualcosa? – domandò scorbutico l’uomo sulla poltrona e lei volse a lui lo sguardo. Riusciva a sentire il loro odore anche stando a quella distanza, quella casa era piena del nauseante ed innaturale odore degli ibridi. Lo stesso odore che Klaus si portava dietro, con la differenza che riusciva ad avvertire la differenza della forza di quei due individui con il loro stesso creatore.
– In effetti si, sto cercando una persona. – rispose Sofia con un tono di voce calmo, basso e  determinato. L’ibrido col whisky sorrise immaginando immediatamente la persona che la biondina stava cercando.
– Klaus? – chiese, già pronto ad una risposta affermativa. Lei li fissò entrambi. Quello sguardo verde perse la sua dolcezza, quegli occhi sembravano fulminarli entrambi accendendo un fuoco incontrollabile nel suo stesso corpo. Era la forza del vampiro che c’era in lei.
– No, Elijah. – rispose. Le mani si mossero velocemente, con quella velocità disumana e vampirica, ad afferrare le bombe di verbena che si era portata dietro. Le attivò tanto velocemente da coglierli impreparati e con la stessa velocità le lanciò accuratamente verso di loro, così lontano che l’aria pregna di verbena non riuscì a coglierla. Il rumore del vetro del bicchiere infranto e le urla di entrambi gli ibridi che andavano mescolandosi, le fecero capire che era riuscita a colpirli ancor prima di riuscire a vederli piegarsi in due e sfiorarsi il corpo con tocchi delicati per alleviare quel dolore che li bruciava. Scattò verso di loro apparendo improvvisamente davanti all’ibrido col bicchiere di whisky e, caricando il braccio con l’arma nascosta, lo colpì con un pugno in pieno petto tanto forte da sentire il rumore della sua gabbia toracica fracassarsi ancor prima che il paletto fosse partito a perforargli il cuore. Le sue urla si fermarono ed il corpo, ormai privo di vita, s’accasciò al suolo. L’altro ibrido ringhiò cercandola con due occhi arrossati e gonfi dal dolore. Lei ricambiò il suo sguardo da lontano per pochi istanti, prima di scattare nei suoi pressi. Quando lo vide cercare di colpirla, sollevò una gamba e gli piantò violentemente la suola della scarpa contro il petto con una forza tanto elevata da scaraventarlo indietro, contro la poltrona, e farlo capitombolare con la testa al suolo. Scattò ritrovandosi su di lui e tenendogli la gola con la mano libera.
– Puttana! – le urlò l’ibrido.
– Mi dispiace. – sussurrò Sofia, prima di caricare nuovamente il braccio e sferrare un altro forte pugno che causò l’immediata partenza del paletto il quale finì per perforare il cuore di quell’ibrido. Sentì sprecare il suo ultimo respiro e si portò in piedi guardandosi intorno. L’aria puzzava di verbena e morte, in quel momento. Si mordicchiò il labbro inferiore, comprendendo che le lotte non le piacevano, non quando doveva appesantirsi l’anima con altri omicidi. Deglutì il groppo che le si era formato in gola e si avviò verso l’interno della casa facendosi guidare dall’odore di Elijah sempre più vicino. Lo riconosceva, era lì, ma non era vivo. Il suo odore era macchiato dalla morte e lei si sentì improvvisamente attraversare da un brivido freddo. Aveva i sensi così attenti che se Klaus le si fosse avvicinato, l’avrebbe trovata pronta a colpirlo. Ma lui non c’era, lo sentiva. Aprì una porta scendendo una serie di scale con una velocità disumana e ne aprì ancora un’altra ritrovandosi in una stanza in cui l’odore della morte aleggiava molto più rispetto al resto della casa, e non era solo il profumo di Elijah ad essere presente, ma ve ne erano molti altri. Si sentì percorsa da un brivido freddo scorgendo quella serie di bare sistemate una di fianco all’altra, sigillate. Storce la bocca in una smorfia sentendo improvvisamente una stretta cingerle lo stomaco, ricordando ogni singolo istante trascorso in uno di quegli oggetti. Ma si fece coraggio e cercò Elijah annusandone il profumo morto attraverso il gelido legno della bara che rinchiudeva cadaveri, probabilmente altre vittime dello stesso Klaus. Si accostò ad una con le mani tremanti non riuscendo ad immaginare cosa potesse aspettarla lì dentro. Il timore più forte che le assillava fortemente la testa era di ritrovare Elijah completamente morto, irrecuperabile, lontano da lei. Non l’avrebbe sopportato, non in quel momento. Scoprì la bara stando attenta a non fare troppo rumore e sussultò quando vide il corpo dormiente di Elijah dalla pelle rinsecchita e quelle mani adagiate al petto, poco sotto il pugnale che gli perforava il petto.
– Oh mio Dio…Elijah… – mormorò, allungando una mano verso il suo viso e rabbrividendo a quel tocco che lei stessa stava donando al corpo dell’Originale. Discese verso il pugnale e lo afferrò con forza estraendolo dal suo petto. Lui gliene aveva parlato, tempo prima, di armi in grado di tenerli uccisi. E che loro, gli Originali, non potevano morire. Lo cinse a mezz’aria fissando il cadavere di Elijah che, però, non dava alcun segno di vita. Schiuse le labbra lasciandosi scappare un respiro pesante, spaventato e teso. Un nervosismo tanto forte da tenerle lo sguardo e l’attenzione inchiodata sul corpo dell’Originale che non accennava a smuoversi. Si sollevò in piedi con l’intento di allontanarsi, convinta del fatto che non vi fosse nessuno in casa oltre lei e quei morti, e magari cercare qualche sacca di sangue da porgergli al suo risveglio. Immaginava la sua fame, dopo la morte. Si voltò ma non ebbe il tempo di avviarsi verso la porta poiché si scontrò contro qualcosa di massiccio e carnoso, qualcosa che non si era mosso di un millimetro al suo tocco. Sollevò di scatto lo sguardo perdendosi nei meandri della cattiveria e la delusione che albergava negli occhi accusatori di Klaus.
– Niklaus. – mormorò Sofia, venendo improvvisamente attraversata da un brivido di terrore.
– Non avresti dovuto farlo. – sentenziò Klaus con un tono di voce decisamente poco simpatico, sollevando di scatto le mani ed afferrandole la testa violentemente. Il sordo rumore che seguì annunciava la rottura di un collo, il collo di lei.
 
Il collo le doleva mentre smuoveva leggermente la testa appoggiata comodamente su qualcosa di irrimediabilmente morbido. Sollevò una mano massaggiandosi la fonte di quel dolore ed aprì lentamente gli occhi dandosi una visione sfocata di un tetto pallido ed illuminato. Mugolò dolorosamente prima che questo stesso dolore andasse scemando grazie alle sue capacità da vampira. Si sollevò pian piano seduta accorgendosi di essere a casa sua, sul suo stesso divano. Si guardò intorno prima che una voce non troppo distante attirasse definitivamente la sua attenzione, spaventandola.
– Finalmente ti sei svegliata. – mormorò Klaus, seduto sulla poltrona poco distante nel salone della casa di Sofia. Lei scattò in piedi non riuscendo a nascondere la tensione ed il nervosismo che le stavano crescendo dentro. Lo sguardo cadde su un oggetto che Klaus aveva in mano, un affilato paletto col quale giocherellava distrattamente senza nemmeno guardarla. Ma trascorsero davvero pochi secondi prima che lui sollevasse lo sguardo e la fulminasse, logorandola con quegli occhi e perforandole il petto come se le stesse strappando il cuore solo guardandola. Nonostante l’espressione determinata che le si era stampata in viso, il fatto che fosse spaventata non riusciva a nasconderlo. Klaus si sollevò in piedi platealmente sorridendo sarcastico.
– Ti facevo più intelligente ma a quanto pare la tua bellezza non equivale alla tua furbizia. – commentò, avanzando di un unico passo. E lei maledì l’essere troppo vicina al divano mentre studiava un modo per sviare un prevedibile attacco da parte dell’Originale. Improvvisamente l’espressione di Klaus mutò, perdendo quel sorriso e lasciando soltanto spazio ad un’espressione gelida ed incattivita.
– Hai ucciso la mia famiglia. – ringhiò, riferendosi agli ibridi che lei aveva sacrificato per raggiungere Elijah.
 – Sei stato tu a farlo. Hai ucciso Elijah, era lui la tua famiglia! – esclamò verso di lui alzando appena il tono della voce. Klaus sgranò gli occhi furibondo davanti a quell’affermazione e con uno scatto le fu addosso, piantandola bruscamente sul divano con una mano alla gola. Gliela stringeva col chiaro intento di soffocarla.
– CHE COSA NE SAI TU DI FAMIGLIA!? – le gridò contro, piantando le unghie della sua mano nella carne soffice della sua gola. E lei strinse gli occhi ed i denti aggrappandosi con entrambe le mani al polso di lui, cercando in qualsiasi modo di contrastare la sua immensa forza con la propria.
– Mi hanno deluso più e più volte, ormai loro non sono più la mia famiglia. Ma tu non c’eri, non lo puoi sapere. – disse ancora l’Originale calando appena il tono della voce. Se solo lei avesse avuto un cuore, in quel momento sicuramente sarebbe scoppiato dal terrore. Si sentiva ridicola a non essere coraggiosa come avrebbe voluto, ma l’anima umana non era stata totalmente corrotta da quella vampirica.
– Ma non vivrai abbastanza per scoprirlo, mia cara Marylin Monroe. – commentò gelido Klaus. Lei sgranò gli occhi agitandosi appena sotto quella stretta ed ancor prima che se ne rendesse conto, sentì il paletto col quale giocherellava Klaus poco prima perforarle bruscamente il petto. Gli occhi si aprirono maggiormente rivelando un verde che si sbiadiva sempre di più mentre la bocca si spalancò strozzando un urlo che avrebbe dovuto emettere, e che parve semplicemente un ringhio sofferente. Lui vide la pelle di lei rinsecchirsi ed allentò la presa sorridendo in maniera compiaciuta quando ormai s’accorse di averla uccisa definitivamente. Era un vampiro, dopotutto, e nessuno più di lui sapeva come ucciderli. Si chinò appena su di lei posandole un morbido bacio sulla fronte secca e la distese sul divano.
– Sarai la mia bella sorpresa per Elijah, piccola Sofia. – sussurrò, carezzandole una guancia e sparendo nel nulla così come era venuto.
 
Era passato troppo tempo e, ovviamente, il professore non era riuscito a chiudere occhio pensando la scelta di Sofia, quella di andare a casa Mikaelson armata di poche armi e di buona volontà. Era uscito così di corsa da casa da dimenticarsi di sfilarsi il pigiama sopra il quale aveva indossato un lungo giaccone marrone e si era infilato nell’auto mirando direttamente a casa della sua studentessa. Era arrivato lì in pochissimo tempo ritrovandosi davanti una porta d’ingresso chiusa male e una luce accesa che filtrava attraverso le tendine delle finestre che davano verso l’esterno.
– Sofia? – la chiamò Alaric nel mentre apriva la porta timorosamente. Una marea di pensieri piuttosto negativi iniziarono ad invadergli la mente impedendogli di vedere almeno un aspetto positivo in tutto quello. Quando si ritrovò nel salone immerso in una calma spaventosa, lo sguardo si posò su quel corpo adagiato sul grande divano beige. Sgranò gli occhi divenendo sempre più pallido.
– Sofia! – esclamò, correndo verso il cadavere. Si inginocchiò ai piedi del divano raccogliendole una mano invano, smuovendo il suo viso, come se cercasse di scorgere anche solo il minimo movimento. Ma lei sembrava perfettamente e definitivamente morta. Gli occhi di Alaric divennero inevitabilmente lucidi mentre stringeva le labbra per darsi un contegno.
– Oh Dio, oh Dio. – mormorò passandosi entrambe le mani sulla faccia. Venne assalito dai sensi di colpa mentre il solo pensiero di una fine diversa per lei nel caso lui l’avesse accompagnata gli trafiggeva dolorosamente la mente. E non sapeva nemmeno se era riuscita a salvare Elijah o si era sacrificata per nulla. Con una mano afferrò il paletto in legno che ancora era conficcato nel petto della fanciulla e lo estrasse delicatamente, nel timore che il corpo morto della vampira potesse avvertire il dolore. Si sollevò in piedi guardandosi intorno. Non aveva il coraggio di dirlo ad Elena o agli altri, non aveva il coraggio di ammettere a sé stesso di essersi dimostrato ancora una volta un inutile cacciatore di vampiri che aveva preferito starsene a casa ad attendere una chiamata invece di accompagnare Sofia nella sua chiara missione suicida. Ma nel mentre si lasciava sopraffare dai sensi di colpa, la pelle di Sofia ritornò immediatamente pallida e liscia come lo era prima mentre i suoi occhi si sgranavano annunciando un verde intenso. Si sollevò di scatto seduta sul divano cercando aria da donare ai suoi polmoni ed Alaric si voltò di scatto sgranando gli occhi spaventato, incredulo e confuso. Lei si portò una mano al petto carezzandosi la ferita che andava rimarginandosi e rammentando ancora le urla di Klaus che venivano sputate violentemente su di lei. Volse lo sguardo verso Alaric mentre cercava aria e lo guardò non comprendendo la sua confusione.
– Sofia? – domandò lui, in cerca di risposte. Lei scattò in piedi passandogli accanto senza nemmeno farsi vedere grazie alla sua velocità vampirica ma non riuscì nemmeno a raggiungere la cucina appoggiandosi dolorosamente allo stipite della porta di quella stanza. Il professore si voltò cercandola e trovandola con lo sguardo ma ancor prima che potesse domandare qualcos’altro, lei era sparita all’interno della stessa cucina e si era aggrappata al frigo. Lo aprì prepotentemente ed afferrò bruscamente una delle bottiglie bianche che aveva lì dentro, ne strappò con forza il tappo e se la portò alla bocca bevendone il contenuto con avida fame. Strinse gli occhi chinando la testa all’indietro mentre beveva sotto lo sguardo incredulo del suo stesso insegnante. Immaginava la fame che avrebbe potuto provare Elijah nel momento del risveglio poiché era la stessa fame che provò lei in quell’istante. Le dita si stringevano intorno alla plastica della bottiglia ripiegandola sotto la sua forza quando s’accorse che il sangue al suo interno si era consumato e la gettò in terra aggrappandosi ancora una volta alla porta del frigo. Alaric era rimasto fermo sotto la soglia della cucina con ancora in mano il paletto e la fissava con occhi sconvolti, confusi. Lei si voltò a guardarlo non vergognandosi dei rivoli di sangue che le erano colati dalle labbra e si portò una mano allo stomaco come se sentisse un’improvvisa e dolorosa stretta proprio in quel punto.
– Non sono riuscita a salvarlo. – mormorò, deglutendo. Gli occhi erano diventati lucidi, lo sguardo si era macchiato di un’incomprensibile tristezza ed il cuore avrebbe preferito essere rimasto bloccato sotto il dolore e la punta di quel paletto. Richiuse lentamente la porta del frigo nello stesso momento in cui Alaric le si avvicinò cautamente.
– Sofia, avevi il paletto nel cuore. Com’è possibile che non ti abbia ucciso? – domandò lui, perplesso. Lei virò lentamente lo sguardo verso di lui. Si passò una mano al petto ricordando il dolore provato sotto lo sguardo tagliente e maligno di Klaus.
– Non lo so. – rispose, con un fil di voce. Si voltò avvicinandosi a raccogliere la bottiglia che aveva gettato in terra poco prima e l’appoggiò sul bancone della cucina. Era lenta in ogni movimento mentre pensava al viso rinsecchito e morto di Elijah.
– Sofia. Lo salveremo. Elijah è un Originale, non può morire. – affermò Alaric riponendo il paletto sullo stesso bancone ed appoggiandosi ad esso. Lei lo guardò accennando un sorriso forzato, come se credesse davvero a quelle parole, eppure dopo quelle parole che Klaus le aveva gridato contro sentiva il timore di mettersi ancora contro di lui. Ma strinse un pugno sorridendo in maniera molto più convincente ed annuendo, dando ragione a quanto detto dal professore. Fu nello stesso momento che la porta d’ingresso sbatté improvvisamente sotto una forza sconosciuta ed entrambi sussultarono. Alaric si voltò verso la porta della cucina cercando di scorgerne l’origine ma da lì non riusciva ad intravedere molto dell’ingresso. Lei sentì improvvisamente un odore, un piacevole odore vivo e dolce. Restò sorpresa e incredula, ma non attese che la persona si avviasse verso la cucina per trovarli, fu lei a scostarsi dal bancone e muovere lunghi passi veloci verso l’uscita. Quando si affacciò nel salone riuscì a vederlo, in piedi ed apparentemente spaventato, a due passi dalla porta.
– Elijah… – mormorò incredula, chiamandolo. L’Originale voltò velocemente lo sguardo verso di lei e solo in quel momento riuscì a sentirsi sollevato.
– Sofia. Stai bene. – constatò in un sussurro e scattò verso di lei allargando le braccia e stringendola.
– Io…Io credevo che Klaus non ti avrebbe permesso di scappare. – sussurrò lei stringendo le sue braccia intorno al busto massiccio di Elijah e cercando irrimediabilmente i suoi occhi come se cercasse di cancellare quella preoccupazione. Vide Elijah scuotere il capo e raccoglierle il viso dopo aver disciolto quell’abbraccio.
– Come ti è venuto in mente? – domandò con un tono che voleva essere aggressivo, un tono che voleva ammonirla
– Come ti è venuto in mente di venire a cercarmi, da sola? – chiese. Lei sembrò sorpresa e mosse le labbra in un paio di smorfie impercettibili avendo in testa mille risposte, ma nessuna che facesse pienamente comprendere il motivo per cui si era precipitata lì senza attendere l’aiuto di chi gliel’aveva offerto. Alaric spuntò dalla cucina, indecente, e li fissò. Aveva ancora il pigiama addosso e quel giaccone a coprirlo. Ma non riuscì a dire alcuna parola davanti all’espressione gelida che nacque sul volto di Elijah quando lo vide lì.
– Ero venuto a vedere come stava. – affermò l’insegnante giustificandosi. Sofia annuì portando le mani ad altezza del petto dell’Originale.
– Elijah, è vero. Mi ha aiutato, mi ha prestato delle armi e… – ma non riuscì a finire la frase perché Elijah era sparito riapparendo nei pressi del professore. Gli aveva afferrato prepotentemente il collo e l’aveva premuto bruscamente con la schiena contro una parete.
– Le hai prestato delle armi ma non l’hai accompagnata, sei davvero una brava persona Alaric Saltzman. – ringhiò il vampiro, infastidito.
– Dovresti ringraziare che non le è successo niente. – continuò, lasciando volontariamente in sospeso la frase per permettere all’insegnante di immaginare cosa sarebbe successo in caso contrario. Alaric strinse i denti vedendo di sottecchi Sofia che si avvicinava a loro velocemente prendendo il braccio di Elijah e cercando di scostarglielo.
– E tu dovresti ringraziare in maniere meno violente. – rispose il professore sforzandosi nel parlare. Ma sotto la pressione che Sofia stava mettendo in quel tentativo di allontanare Elijah da Alaric, l’Originale gli mollò il collo lanciandogli occhiate gelide e feroci.
– Dovresti andartene, adesso. – disse verso l’insegnante che di rimando si portò una mano al collo massaggiandoselo dolorosamente. Lo guardava con astio non accettando i suoi modi di fare.
– Elijah! – esclamò Sofia sotto quelle parole.
– No, tranquilla Sofia. A domani. – rispose Alaric scostandosi dalla parete e muovendo la mano in cenno di saluto prima di avviarsi verso l’uscita della casa. Sofia lo seguì con sguardo incredulo fino a vederlo sparire e solo dopo lanciò lo sguardo verso l’Originale non potendo non notare quel suo sguardo gelido che aveva seguito il professore di storia fino all’uscita. Quando ritornò su di lei quasi non credeva all’occhiata che lei gli stava regalando.
– Come hai potuto trattarlo in quel modo? Mi ha aiutata. – gli disse, non alzando mai troppo il tono della voce.
– Certo, e come? Lasciandoti andare verso il suicidio senza nemmeno accompagnarti? – domandò sarcasticamente.
– Sai benissimo che non avrebbe potuto fare niente. E sono stata io a dirgli di non farlo, mi avrebbe solo intralciata. – rispose sinceramente. Elijah la guardò per lunghi istanti con un’espressione indecifrabile, non riuscendo a credere a quello sguardo accusatorio che lei gli stava donando. Scosse il capo guardando altrove.
– Niklaus crede che tu sia morta. – commentò improvvisamente destandola dai pensieri precedenti. Lei abbassò lo sguardo massaggiandosi il punto del petto in cui i vestiti erano squarciati.
– Mi ha uccisa. – iniziò a dire con un filo di voce.
– Ma lo ha fatto quando ero con te. Mi ha preso la testa e poi penso mi abbia spezzato il collo. – aggiunse, accennando un sorrisino ironico. Ma era nervosa, tesa e spaventata al pensiero di quello che era successo.
– Quando poi mi sono ritrovata qui mi ha conficcato un paletto nel petto ed ho pensato di morire, ma non l’ho fatto. Alaric era venuto qui per controllare credo, e mi ha sfilato il paletto dal petto. – spiegò, sollevando lo sguardo verso di lui. Elijah la guardava con due occhi increduli. Era impossibile che un vampiro potesse sopravvivere a quello e comprendeva come il fratello potesse esserne così convinto.
– Non è possibile, Sofia. Non deve averti centrato il petto. – affermò Elijah abbassando lo sguardo verso il punto in cui la esile mano di lei indicava, quel punto del petto in cui i vestiti si aprivano in un varco mostrando la pelle sottostante. Ed era lì, era lì che bastava colpire per ucciderli. Scosse il capo stranito e riportò lo sguardo verso di lei per brevi istanti prima di ritornare a guardarsi intorno.
– Non dovrà saperlo, Sofia. Niklaus non dovrà sapere che tu sei ancora viva, non voglio dargli la possibilità di usarti di nuovo. – le sussurrò chinandosi con lo sguardo verso di lei ma Sofia scosse il capo. Lo fissò a lungo e sospirò allargando istintivamente le braccia per potersi stringere al suo corpo ancora una volta.
– Credevo di averti perso ancora una volta. – annunciò ridacchiando in maniera nervosa col viso premuto contro il suo petto. Lui sollevò una mano infilandola fra i suoi capelli biondi. E mentre la stringeva al suo petto, non riusciva a negare la consapevolezza che quella ragazza fosse diventata un suo inevitabile punto debole.
– Resta qui con me, Elijah. – gli sussurrò lei, senza guardarlo. Lui chinò lo sguardo verso la sua testa non potendone incontrare lo sguardo.
– Non voglio che torni lì, da Niklaus. Io non… – stava dicendo, ma lui la interruppe.
– Resterò qui, Sofia. Resterò con te. – sussurrò, costringendola ad allontanarsi da quell’abbraccio per poter incrociare i suoi occhi verdi.
 
– Avresti potuto aspettare noi, Sofia. – mormorò Elena con un tono di voce incredulo. La affiancava mentre avanzavano con passi tranquilli ed eleganti  verso l’ingresso di casa Lockwood. Il sindaco Lockwood, la signora Carol, sembrava non poter fare a meno di organizzare feste, anche nei momenti meno opportuni.
– Scusami Elena, sono stata impulsiva. – rispose Sofia alle parole della Gilbert sinceramente dispiaciuta. Elena sospirò accertandosi col solo sguardo che Sofia stesse bene. Dopo aver saputo di quella sua bella idea di andare a fronteggiare da sola Klaus per salvare Elijah, non aveva potuto fare a meno di farle notare quanto fosse stata stupida. E lei sembrava darle ragione in tutto e per tutto. Tyler aspettava all’ingresso della dimora dei Lockwood e si scostò dallo stipite della porta quando le vide arrivare. La sua espressione parve stupita ed incantata al contempo davanti a due belle damigelle in abito da sera che stavano varcando la soglia di casa sua.
– Wow, buonasera. – si lasciò scappare quando loro gli furono abbastanza vicino.
– Ciao Tyler. – disse Elena e Sofia gli sorrise. Il vestito lungo e viola che indossava lasciava uno spacco spudorato al lato della gamba destra e la mostrava sin da sopra il ginocchio. Privo di spalline, lei si copriva le spalle con un elegante coprispalle dello stesso colore sopra il quale cadevano i boccoli biondi. Varcò la soglia d’ingresso guardandosi curiosamente attorno ed ammirando la grandezza e la maestosità con le quali la signora Lockwood preparava le sue feste. Socchiuse gli occhi quando sentì l’odore di Elijah e volse lo sguardo verso di lui quando la vide fissarla nonostante lo sceriffo Forbes gli stesse parlando. Era al bancone degli stuzzichini con in mano un bicchiere di un probabile ma sconosciuto champagne. Lei gli sorrise e lui fece altrettanto limitandosi ad attenderlo lì dove si era fermata. Elena la guardò e le sorrise nonostante sentisse una certa pressione ad altezza dello stomaco. Era quella spiacevole sensazione che provava nei confronti di Jeremy poiché era ormai consapevole che il suo piccolo fratellino si fosse innamorato ancora una volta di una persona che non sarebbe stata in grado di ricambiarlo come lui desiderava.
– Sofia, vado da Stefan allora. – le disse in un mormorio leggero e lei voltò lo sguardo verso la Gilbert.
– Ah, si certo. Salutamelo. – annunciò con tono cordiale ed Elena annuì sparendo poco prima che Elijah le si avvicinasse parandosi davanti a lei.
– Non pensavo venissi. – le sussurrò, sorridendole. Lei scrollò le spalle e gli sorrise di rimando perdendosi involontariamente nei suoi occhi scuri.
– Tyler è un mio amico, non ho potuto rifiutare quando mi ha invitata. – gli disse, annuendo leggermente col capo. Elijah sollevò una mano come volesse avvicinarla al suo viso, ma non ne ebbe il tempo. Il sindaco Lockwood si avvicinò a loro battendo le mani in un gesto di sorpresa ed obbligò il vampiro a ritirare la sua mano e farla ricadere lungo il fianco, volgendo a lei lo sguardo. Sofia fece altrettanto scrutando educatamente il volto della madre di Tyler.
– Oh, Sofia. Non sai quanto mi faccia piacere che tu sia venuta. – ammise, sorridendole.
– La ringrazio, sindaco Lockwood. – rispose muovendo il capo in una sorta di elegante inchino.
– Ah no, chiamami solo Carol per favore. Sei un’amica di mio figlio, d’altronde. – le disse e Sofia le sorrise maggiormente. A quel punto lo sguardo del sindaco si volse verso Elijah.
– Buonasera signora Carol. – disse l’Originale, tendendole una mano e raccogliendone una della donna. Si chinò col busto posando le sue labbra sul dorso della mano del sindaco in un perfetto ed elegante baciamano. Sofia trasalì a quel gesto e ne sembrò sorpresa riuscendo a scorgere il leggero rossore che si era formato sul volto della donna.
– Buonasera, Elijah. – rispose la donna. Quando ritirò la mano le venne in mente di un altro particolare della festa.
– Oh, nel nostro salone abbiamo allestito una sala da ballo. Sarei molto lieta di farmi accompagnare, se è disponibile. – commentò la signora Lockwood naturalmente rivolta ad Elijah. L’Originale sorrise affabile ma lanciò lo sguardo in direzione di Sofia come volesse cogliere ogni sua espressione.
– Purtroppo avevo già promesso alla signorina Fiorentini di accompagnarla. La prego di perdonarmi. – rispose il vampiro, mantenendo quel gelido tono educato ed elegante che lo caratterizzava perfettamente. Ed a quell’affermazione Sofia sgranò gli occhi verdi nascondendosi sotto il suo stesso imbarazzo, un imbarazzo che andava mostrandosi maggiormente sul suo viso pallido attraverso quel rossore.
– Oh, ma non si preoccupi allora. Vi auguro una buona serata. – aggiunse la signora Lockwood dileguandosi acidamente. Solo in quell’istante Sofia sollevò lo sguardo nuovamente verso Elijah avvertendo i suoi occhi fissi sulla sua figura.
– Allora, signorina Fiorentini? Non vuole accompagnarmi a ballare? – domandò l’Originale sorridendole. Se solo lei avesse avuto un cuore ancora vivo, probabilmente sarebbe morto in quel momento. Le labbra tinte di un rosso acceso si piegarono in un sorriso verso il vampiro e si lasciò prendere elegantemente la mano.
– Non potrei desiderare di meglio, signor Mikaelson. – ammise lei, sorridendogli. Lui la accompagnò verso la sala da ballo e la cinse approfittando del ballo lento che era in atto. Non avevano mai avuto un’occasione del genere, in tutto il tempo in cui si conoscevano, e Sofia non riuscì a negare quanto le piacesse.
– Trovo che quell’abito ti stia d’incanto, Sofia. – le sussurrò l’Originale improvvisamente sorprendendola. Lei lo guardò e sorrise maggiormente.
– Io trovo che tu sia davvero elegante, come sempre. – gli rispose, cercando in qualche modo di ricambiare. Elijah sembrò trattenere una risata sollevando lo sguardo ed allontanandolo dagli occhi di lei.
– Oh, finalmente. – disse, lasciandola sbigottita.
– Cosa? – domandò lei curiosamente, continuando a muoversi in quel ballo lento e fissando il suo viso.
– La prima volta che ti ho fatto un complimento mi hai offeso. – ammise l’Originale chinando nuovamente lo sguardo su di lei. E sebbene in un primo momento Sofia sembrò cadere dalle nuvole, le bastò poco per comprendere a quando lui si riferisse.
 – Ah, oddio. Non l’hai ancora dimenticato? – gli chiese, ridendo cristallina. E lui sembrò deliziarsi a quella risata, una risata che in fin dei conti gli era sempre piaciuta.
– Non avevo dimenticato niente di quello che era successo a Firenze, in quei giorni. – sussurrò Elijah. Lei si lasciò scappare un sospiro stupito.
– Davvero? – chiese incuriosita, ma comunque divertita. Sembravano rilassati, nessuno poteva negarlo.
– Mettimi alla prova. – commentò Elijah come fosse una sfida. Lei sollevò il mento sorridendo e si guardò distrattamente intorno.
– Allora, dove ci siamo incontrati la prima volta? – domandò e lui sembrò pronto alla domanda.
– In stazione. – rispose. Sofia ritornò a guardarlo.
– E cosa… – stava chiedendo, ma lui non la fece finire.
– Mi hai detto che a quell’ora il treno non sarebbe più passato. – rispose prontamente. Lei lo guardò stupita.
– Come facevi a sapere che ti avrei chiesto questo? – domandò. Elijah scrollò le spalle.
– Sei prevedibile. – rispose. La vide gonfiare teneramente le guance come fosse offesa.
– Bugiardo. – lo ammonì infantile. Fu lui quella volta a ridere, in una maniera che a lei era davvero mancata. Sospirò come fosse compiaciuta dalla situazione e si appoggiò col capo ad una sua spalla deliziandosi di quel contatto che stavano avendo. Ma Elijah scorse Elena poco più in là intenta a parlare con Stefan.
– Ti dispiace se smettiamo per ora? – domandò Elijah, abbassando lo sguardo su di lei e sentendola distanziarsi da lui e fissarlo interrogativa.
– No, certo che no. Abbiamo ancora un’intera serata davanti. – ammise lei interrompendo quei contatti e scorgendo lo sguardo di Elijah che si alternava tra lei ed Elena.
– Allora io nel frattempo vado a prendere qualcosa da bere. – gli disse sorridendogli e comprendendo perfettamente la situazione e lui annuì avviandosi verso la Gilbert. Sofia si avvicinò al bancone degli stuzzichini cercando qualcosa di dissetante che non fosse sangue. L’unica cosa che riuscì a trovare fu del punch verso il quale allungò una mano, ma un’altra maschile gliela afferrò bruscamente tirandola e costringendola a voltarsi. Si ritrovò a fronteggiare l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare, sgranando gli occhi. Klaus la fissava con astio tenendole il polso con forza.
– Che cosa ci fai tu qui? – domandò in un ringhio.
– Io…mi hanno invitata. – rispose lei, cercando di sviare il discorso della presunta morte.
– Oh, che genio! Intendevo che cosa ci fai tu qui, ancora viva. – ringhiò ancora una volta. Sofia assottigliò lo sguardo guardandolo e cercando di strappare quella mano dalla sua presa, invano.
– A quanto pare nessuno di noi due muore tanto facilmente. – rispose con una voce quasi aggressiva.
– Vieni con me, adesso. – ringhiò ancora una volta Klaus alimentando la forza impressa in quella stretta sul polso di lei ed iniziò a trascinarsela via.
– Lasciami! – affermò sommessamente lei, e la cosa più strana fu non riuscire ad incontrare nessuno che potesse offrirle aiuto. La portò al piano di sopra e la spinse in una stanza buia, un presunto studio, di cui richiuse immediatamente la porta dietro di sé. Solo in quel momento le lasciò la mano e la guardò con uno sguardo pieno di incomprensibile odio.
– Che cosa vorresti farmi adesso? – lei gli domandò massaggiandosi leggermente il polso il cui dolore svanì man mano che il tempo passava.
– Com’è possibile che tu non sia morta? Cosa stai cercando di nascondermi, dolcezza? – domandò l’Originale perdendo improvvisamente la sua espressione arrabbiata e disegnandone una sarcastica ed incredula.
– Niente. – rispose lei sorpresa dalla sua lunaticità.
– Non mentirmi! – le urlò contro facendole incassare la testa nelle spalle ed indietreggiare leggermente. Lui le fu addosso nuovamente col petto che riusciva a sfiorare quello di lei e la guardava dall’alto verso il basso.
– Che cosa vuoi da me? – gli domandò lei, stringendosi le mani al petto. Lui la fissò a lungo.
– Hai osato sfidarmi, ed ora voglio che tu la paghi, Sofia. – le sussurrò Klaus in una maniera malefica, un tono di voce che le entrò dentro facendola rabbrividire.
– Speravo di averti uccisa, ed invece no. Sei ancora qui, ma la cosa non mi dispiace. Significa che mi divertirò per molto più tempo. – aggiunse ghignando e sollevando una mano a raccogliere un boccolo di lei per attorcigliarselo intorno all’indice.
– Ho tutto il tempo prima di scoprire cosa sei veramente. – sussurrò  con voce sempre più cupa e lei rabbrividì, continuando a premersi le mani al petto.
– Stai mentendo. – gli disse, stringendosi le labbra e lui inarcò un sopracciglio.
– Non è questo il vero motivo per cui stai perseguitando tutti senza ancora prendere quello per cui sei venuto qui a Mystic Falls ed andartene. Il fatto è che tu sei solo, Klaus. Sei solo perché tuo fratello ha di nuovo scelto di stare coi buoni, perché tu hai lasciato che la tua famiglia marcisse dentro delle bare. Ed è per questo che fai di tutto per confondere gli altri, almeno ti assicuri la loro attenzione. – bisbigliò Sofia con tono convinto ma comunque intimorito. Klaus la guardò per lunghi istanti allontanando la mano dai suoi capelli, poi rise. Ma fu una risata velata di nervosismo.
– Io sono solo? Ho i miei ibridi, ho la mia nuova famiglia, e sono sicuro che loro non mi tradiranno mai! – affermò, scostandosi da lei. Ma di rimando Sofia scosse il capo.
– Sai quanto me che è sbagliato. I tuoi ibridi non potranno mai sostituire la tua famiglia, ma tu vuoi convincertene. – gli rispose. L’espressione di Klaus divenne glaciale e infastidita, avrebbe voluto spezzarle il collo di nuovo ma qualcosa glielo impedì. O meglio, qualcuno. La porta alle sue spalle si aprì rivelando la figura di Jeremy che aveva fatto qualche passo verso l’interno.
– Che sta succedendo qui? – domandò, ancor prima di accorgersi di Klaus. Lui si voltò a guardarlo, quindi ritornò a guardare Sofia con un sorriso gelido stampato sul volto, un sorriso pregno di cattiveria. Ma non disse niente. Si limitò a sparire e riapparire al fianco di Jeremy grazie alla sua velocità vampirica e non gli diede il tempo di ribattere che le sue mani afferrarono saldamente la testa del piccolo Gilbert.
– Comincerò a divertirmi, Sofia. – pronunciò Klaus.
– No… – mormorò Sofia sgranando gli occhi. La sua espressione divenne supplichevole, ma fu una supplica che l’Originale non volle accettare. Difatti contorse la testa di Jeremy fino a spezzargli il collo, tanto velocemente che Sofia non poté fare nulla per impedirlo.
– NO, JEREMY! – gridò lei con tutta la voce che aveva in corpo scattandogli contro ed afferrandolo con entrambe le braccia prima che il corpo ormai morto dell’amico potesse cadere al suolo. Lo accompagnò verso la pavimentazione sorreggendogli la testa. Sentì gli occhi pizzicarle, inumidirsi e  gonfiarsi dalle lacrime che voleva e che doveva versare davanti ad una simile cattiveria. Klaus la fissò ancora, sorridendo maligno, prima di sparire nel nulla.
– Jeremy… – lo chiamò lei singhiozzando. Inevitabilmente aveva battuto le palpebre e dagli occhi erano colate delle lacrime amare, lacrime colpevoli.
– …Ti prego, Jeremy. Risvegliati. – lo supplicò accarezzandogli delicatamente il viso con una mano e fu sulla stessa guancia sulla quale aveva posato le dita che cadde una lacrima, umida e fredda. Non riuscì a sentire alcuni passi che si muovevano velocemente lungo il corridoio esterno ma si accorse di Stefan che entrò seguito subito dopo da Elijah. Lei sollevò lo sguardo verso di loro con quelle labbra contorte in una smorfia distrutta.
– L’ha ucciso. – mormorò in un singulto. Elijah le fu immediatamente vicino e Stefan si chinò verso Jeremy raccogliendogli una mano.
– E’ stato Niklaus? – domandò l’Originale, accovacciandosi al fianco della ragazza. Lei strinse le labbra annuendo leggermente col capo e quando strinse gli occhi sentì altre lacrime colare indisturbate.
– E’ stata colpa mia, l’ho provocato. Non avrebbe dovuto vedermi, non avrei dovuto essere qui. Ed ora Jeremy è morto per colpa mia. – sussurrò lei stringendo maggiormente il capo di Jeremy al suo petto. Stefan sollevò lo sguardo verso di lei e scosse il capo.
– Ha l’anello, si risveglierà fra poco. – ammise, fissandola serio. Lei lo guardò stranita abbassando lo sguardo verso la mano che Stefan sorreggeva avvedendosi di quello strano anello a cui non aveva mai dato tanto peso prima di allora.
– Lo protegge da esseri sovrannaturali come noi. Se Klaus l’ha ucciso, si risveglierà. – aggiunse, cercando di farle comprendere, ma lei sembrava sempre più confusa. Allentò lentamente ogni presa sul piccolo Gilbert quando lo sentì muoversi leggermente e poi sollevarsi di scatto cercando aria. Era di nuovo vivo, e gli occhi di lei andarono sgranandosi sempre più sorpresi.
 

Si sfilò il coprispalle gettandolo sul letto della sua camera guardandosi intorno con aria assente. Elijah l’aveva seguita, ritenendo ormai che quella casa fosse anche casa sua, e si richiuse la porta della camera alle spalle vedendola crollare sul letto come fosse stanca. Sapeva che non era stanchezza fisica, un vampiro come lei non era in grado di provarla, ma era stanchezza psicologica. Le si avvicinò lentamente scostando il coprispalle ed accomodandosi sul letto al suo fianco, cingendole leggermente le spalle con un braccio.
– Stai bene? – le domandò, lei annuì leggermente. Finì col premersi contro di lui socchiudendo gli occhi e perdendosi col viso contro il suo petto, senza nemmeno preoccuparsi di sporcargli la camicia o la giacca coi cosmetici che le dipingevano il volto.
– So perfettamente che stai mentendo. – la incalzò Elijah, accarezzandole i capelli.
– Jeremy sta bene, Niklaus è momentaneamente sparito, quindi sto bene. – ammise lei parlando con tono velato di preoccupazione. Quella non riusciva a nasconderla. Elijah sospirò non cessando il moto della sua mano fra i suoi capelli.
– Sei molto affezionata a quel ragazzo. – le disse, senza nemmeno pensarci. Solo in quel momento lei scostò il viso dal suo petto e si mise a guardarlo come fosse incuriosita.
– E’ un mio amico. – gli rispose.
– Anche il lupacchiotto lo è, ed anche il piccolo umano. Quello del Grill. Riesco a vedere la differenza dei rapporti che hai con ognuno di loro. – ammise l’Originale guardandola nonostante la tenesse ancora stretta.
– Jeremy è il fratellino di Elena. Mi ha aiutata quando sono arrivata a Mystic Falls e… – si fermò, poiché lui la interruppe scuotendo il capo facendo intuire che non stava veramente ascoltando.
– Hai bevuto il suo sangue. – le disse, sicuro. Viveva da molti anni, nulla passava inosservato ai suoi occhi. Lei si paralizzò come se Elijah l’avesse appena pugnalata ed allentò le prese su di lui. Dallo sguardo del vampiro non sembrava entusiasta di quello che lui stesso aveva detto, e che lei non voleva etichettare come bugia. In fin dei conti, lei aveva davvero bevuto il sangue di Jeremy.
– Non volevo farlo, è stato lui ad insistere. Il sole mi stava distruggendo e lui mi ha aiutata. Non avrei voluto. – affermò scuotendo continuamente il capo. Anche Elijah lo fece, cercando a modo suo di farle capire che non la stava incolpando.
– E’ nella nostra natura, Sofia. Non te ne sto dando una colpa, semplicemente mi chiedevo perché tu non me l’avessi detto. – le spiegò, raccogliendole il viso in entrambe le mani. Sofia iniziò a fissarlo indecisa, deglutendo continuamente. Elijah sospirò lasciandola andare e portandosi in piedi.
– Dovresti andare a dormire, a quest’ora gli umani lo fanno. – disse l’Originale. Ma non le diede tempo di ribattere, si avviò verso la porta ed uscì richiudendosela alle spalle. La lasciò da sola, seduta ai piedi del letto, con un sospiro morto sospeso nell’aria. Nessuno dei due l’aveva detto, ma Sofia l’aveva capito. L’aveva letto negli occhi di Elijah, la gelosia ed il fastidio che lui stesso aveva provato davanti a quella rivelazione.

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Note dell'autrice:
Ehilà!
Eccovi il nuovo capitolo!
Spero non sia troppo lungo o noioso. :) Non credo di avere molto da dire al riguardo, vi dico solo che per la felicità
di elyforgotten credo di aver trovato un'attrice capace di interpretare la mia Sofia! Scarlett Johansson, fatele solo i capelli
un po' più corti, almeno fino alle spalle. u.u'' Detto questo voglio passare ai ringraziamenti, come al solito!
Ringrazio Anonymous Dreamer ed elyforgotten per aver recensito il capitolo precedente! Inoltre ringrazio infinitamente
elyforgotten, haroldseyess, ladyselena15, morgan_le_faye e SaraIS per aver aggiunto la storia tra le preferite e ringrazio tutti coloro l'hanno aggiunta tra le seguite! :D Spero recensirete in molti. :3

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Capitolo 7
*** L'incubo di Klaus. ***


Sofia si avvicinò lentamente all’armadietto di Jeremy dopo averlo visto frugare al suo interno. Stringeva al petto un libro e gli si avvicinò senza problemi attirando la sua attenzione.
– Ehi, Sofia. – la salutò Jeremy vedendola e sorridendole subito in maniera radiosa. Lei forzò un sorriso tenendo ancora in testa l’immagine del suo collo che era stato spezzato da Klaus senza battere ciglio.
– Come stai? – gli domandò la ragazza, appoggiandosi con una spalla all’armadietto accanto a quello del piccolo Gilbert. Jeremy sorrise richiudendo l’armadietto e si perse continuamente in quegli occhi verdi totalmente ammaliato.
– Io sto bene, sei ancora preoccupata? – domandò Jeremy assottigliando lo sguardo come se potesse leggerle la mente. Lei sorrise in maniera più convinta e spostò appena lo sguardo altrove cercando di nascondere il nervosismo che teneva le labbra piegate in quel sorriso.
– Beh, Jeremy, mi sei morto proprio davanti agli occhi! – esclamò la ragazza sospirando poi pesantemente. Deglutì e ritornò a guardarlo non accorgendosi di Elena che era a pochi passi da loro ad origliare segretamente tutta la conversazione.
– Avrei voluto proteggerti. – sussurrò lui, continuando a sorriderle.
– A proposito, Sofia. Manca poco ad Halloween e la scuola organizza una festa. Ci sarai? – le domandò lui. Lei sembrò sorpresa da quelle parole avendo completamente dimenticato della festa di cui le aveva parlato Caroline proprio quella mattina.
– Ah beh, immagino di si. Caroline non mi permetterebbe di restarmene a casa. Però devo ancora decidere cosa indossare. – mormorò Sofia in risposta, guardandosi attorno.
– Se sei disponibile oggi pomeriggio, posso accompagnarti a comprare qualcosa. – affermò Jeremy prontamente. Ma fu nello stesso momento in cui Elena si mosse avanzando verso di loro ed affiancando velocemente la bionda.
– Ehi ehi, Sofia te la rubo io oggi pomeriggio. Ho anch’io da comprare qualcosa per Halloween, quindi l’accompagno io. – intervenne e sia Jeremy che Sofia parvero sorpresi. Ma lui non si lasciò scoraggiare.
– Posso accompagnarvi entrambe, allora. – disse, ma Elena gli stava regalando uno sguardo da dolce cerbiatto nel tentativo di farlo desistere. Lui sospirò e guardò Sofia che gli sorrideva dispiaciuta, non osando intervenire in una conversazione tra i due Gilbert.
– Ho capito, giornata tra donne. Va bene, ci vediamo a casa allora, Elena. – disse Jeremy voltandosi immediatamente ed allontanandosi scocciato. Solo in quel momento Elena perse quell’espressione e si voltò verso Sofia guardandola attentamente.
– Allora, a che ora ci vediamo oggi? – domandò la Gilbert.
– Penso che verso le quattro vada bene. Oggi le lezioni finiscono prima, no? – domandò Sofia curiosamente e quando la vide annuire, le sorrise e si allontanarono l’una dall’altra. Eppure nel momento in cui il viso di Sofia era nascosto al volto di Elena, riuscì a scapparle un’espressione stupita. Non riusciva a spiegarselo, ma era come se Elena fosse intervenuta solo per tenerla lontana dal fratello. E nel momento in cui s’accorse di essersi lasciata andare a simili pensieri, scosse bruscamente il capo allontanandosi.
 
Aprì la porta di casa con calma non sorprendendosi davanti alla figura di Elijah dinnanzi allo specchio del salone che sembrava sistemarsi elegantemente il colletto della camicia.
– Stai uscendo? – gli domandò, avviandosi con passi lenti e spediti verso la cucina. Lui si voltò lentamente.
– Si, devo incontrare la signora Lockwood. Mi ha chiamato proprio poco fa dicendomi che dovevo passare a casa sua. – rispose, guardandola. Lei gli si avvicinò tranquilla posando le mani sul suo colletto e glielo tirò sistemandoglielo adeguatamente sotto lo sguardo sorpreso ed incuriosito di Elijah.
– Fra poco è Halloween, la scuola organizza una festa. – disse lei, battendo delicatamente i palmi di entrambe le mani contro il suo petto come se volesse appurare che tutto fosse a posto, dopodichè si distanziò e si avviò verso la cucina. E nonostante Elijah l’avesse lasciata con un enorme interrogativo la sera precedente, non osava chiedergli niente.
– Pensavo che potresti venire anche tu. – continuò urlando direttamente dalla cucina mentre apriva il frigo raccogliendo una di quelle bottiglie bianche. Stavano andando inevitabilmente consumandosi, man mano che passavano i giorni. Elijah si sporse col suo viso gelido appoggiandosi con una spalla allo stipite e la scrutava incuriosito. Sofia gli porse la bottiglia come se lo stesse invitando, ma lui scosse il capo.
– Non penso accettino persone che non fanno parte della scuola. – rispose l’Originale, sorridendo freddamente. Lei scosse il capo privando la bottiglia del suo tappo.
– Ho parlato con Caroline, ha detto che non c’è alcun problema se vieni anche tu. L’importante è che tu sia travestito. – gli disse, guardandolo di sottecchi. Dopodichè si avvicinò al ripiano sopra il quale poneva i bicchieri e ne raccolse uno riempiendolo del sangue contenuto nella bottiglia. Elijah aggrottò la fronte come fosse infastidito dalle parole di lei.
– Non mi travestirò. Non credo di avere più l’età adatta per farlo, non credi? – le disse con tono freddo. Lei rise leggermente ripulendosi con la lingua le labbra dal sangue, prima di voltarsi verso di lui.
– Dai, non è una cattiva idea. E’ un modo per divertirci, no? – rispose con tono alquanto tranquillo, sentendo l’Originale sbuffare infastidito. Davanti agli occhi verdi di lei ed a quello sguardo che cercava di convincerlo, riusciva ad avere qualche tentennamento.
– Ci penserò. Intanto devo andare. Tu esci? – le chiese spostandosi dallo stipite della porta e facendo per allontanarsi.
– Si, esco con Elena. Vado a fare acquisti per Halloween. – gli rispose ancora una volta, sorridendogli gentilmente. Ma nonostante cercasse di apparire gentile, calma e concentrata su Halloween, ogni qualvolta si perdeva in quegli occhi scuri del vampiro non riusciva a non pensare al fastidio da lui provato davanti alla rivelazione di lei, quella in cui gli aveva detto di aver bevuto il sangue di Jeremy. Elijah annuì prima di salutarla ed avviarsi verso la porta d’uscita. Lei sospirò bevendo tutto d’un sorso quel sangue e poi sciacquando accuratamente il bicchiere. Si preparò frettolosamente per avviarsi all’appuntamento con Elena.
 
Camminavano l’una accanto all’altra lungo quel marciapiede di Mystic Falls. Il sole andava sempre  più attenuandosi con l’arrivo della sera nonostante le picchiasse sulla pelle dandole un certo fastidio, ed obbligandola a battere le palpebre come fosse accecata. Eppure di tanto in tanto quello sguardo finiva timido e fugace sul volto della Gilbert al suo fianco.
– Okay, Elena, devo chiedertelo. Jeremy ti ha detto qualcosa di me? – domandò curiosamente bloccando l’avanzare della mora e costringendola a guardarla in maniera sorpresa.
– Cosa intendi? – chiese Elena di rimando. Sofia sospirò nel timore di poter dire qualcosa di sbagliato.
– Insomma, oggi mi sei sembrata strana. Quando Jeremy mi ha invitata sei comparsa all’improvviso dicendo che sarei dovuta venire con te, come se non volessi che io stessi con tuo fratello. – affermò incassando la testa nelle spalle. Elena abbassò lo sguardo imbarazzata ma ritornò a guardare Sofia dopo qualche attimo.
– Sofia, io non ho niente contro di te. Te l’ho già detto, mi fido. Ma… – stava dicendo Elena ma l’altra la interruppe.
– …Ma Jeremy ti ha detto che io l’ho… – e si fermò, non riuscendo a terminare la frase. Elena inarcò un sopracciglio prima di comprendere.
– Non mi dice più niente di voi due da quando ha scoperto che sei una vampira. E credo di aver capito come ha fatto, dato che non era difficile comprenderlo. – mormorò la Gilbert vedendo Sofia incassare ancora una volta la testa nelle spalle.
– E…sei arrabbiata per questo? – domandò intimorita. Elena scosse debolmente il capo.
– Posso capirlo. Certo, non è che sia felice che tu abbia morso mio fratello però…Jeremy è capace di scegliere da solo, non credo tu l’abbia costretto a farlo. – rispose. Sofia scosse bruscamente il capo facendo ondeggiare quei boccoli biondi.
– No no, assolutamente no. E’ stato lui a dirmi di farlo, ha insistito e… – stava dicendo, ma non riuscì a terminare la frase che Elena le fece cenno di smetterla, sorridendole però in maniera gentile.
– Non preoccuparti, non te ne sto facendo una colpa. Va tutto bene. – la rassicurò, continuando a sorriderle. Sofia sospirò ancora una volta avvertendo un senso di tranquillità salirle dentro. La conversazione si chiuse lì e loro ripresero a camminare con calma. Quando Elena si bloccò nei pressi di una vetrina, anche Sofia bloccò il suo passo.
– Mi sono ricordata che dovrei comprare anche la cena per stasera. Dubito che Alaric lo farà. – mormorò Elena sorridendo divertita nei confronti della bionda. Sofia sorrise di rimando guardando l’ingresso di quel negozio con una certa esitazione.
– Io credo che resterò qui fuori. Ti aspetto nel vicoletto qui accanto. – disse verso la Gilbert indicandole quel vicolo proprio accanto al negozio.
– Come mai proprio lì? – le domandò Elena curiosamente, dimenticando il particolare effetto che le dava il sole. Ma ci arrivò qualche istante dopo quando Sofia le sorrise ed indicò silenziosamente l’alto.
– Va bene allora, ci metto davvero poco. – le disse Elena prima di inoltrarsi in quel negozio. Sofia avanzò verso il vicoletto e venne invasa dall’ombra che i due edifici che circondavano quel luogo provocavano. Socchiuse gli occhi sospirando ed appiattendosi con la schiena contro un muro adorando l’effetto di relax che la lontananza dal sole le portava. Si sistemò la borsa su di una spalla ma non ebbe il tempo di godersi maggiormente quelle sensazioni che un odore improvviso le invase le narici. Un odore che, purtroppo, riconobbe quasi immediatamente e che in quel periodo era costretta a sentire troppo spesso. Lo sguardo scattò verso Klaus che si era adagiato al muro proprio di fianco a lei e la guardava con un sornione sorriso stampato in faccia. Lei si spostò come se cercasse di allontanarsi ma Klaus le afferrò un polso prontamente e la tenne vicino a sé.
– Dai, dolcezza. Non mi saluti nemmeno? – domandò lui, fingendosi offeso. Sofia aggrottò la fronte infastidita nel tentativo di nascondere il nervosismo che le stava crescendo dentro.
– Che cosa vuoi ancora? Non ti basta aver ucciso Jeremy? – gli chiese con un tono che avrebbe voluto essere aggressivo. Lui sorrise debolmente ed allentò la presa su di lei.
– E’ per questo che sono qui, riesco a leggere nei tuoi occhi il desiderio di uccidermi. Lo sai che non mi piace per niente su un viso tanto carino come il tuo? – le disse l’ibrido allungando istintivamente una mano verso il volto di lei, ma al minimo tocco lei rabbrividì cercando di scostarsi. Eppure Klaus le afferrò ancora una volta un polso strattonandola verso di sé.
– Dai Sofia, non essere scontrosa. Volevo solo proporti di seguirmi. Abbiamo bisogno di parlare. – sussurrò Klaus in tono affabile nonostante il suo volto facesse presagire intenzioni tutt’altro che gentili.
– Chi mi dice che non mi farai del male appena ne avrai l’occasione? – domandò lei rendendo ancor più aggressivo lo sguardo. Lui allentò nuovamente la presa su di lei.
– Ti basterà non essere così antipatica ed io ti do la mia parola che non ti farò del male. – le sussurrò. La bionda scosse più volte il capo iniziando nuovamente ad indietreggiare spinta maggiormente dallo sguardo gelido che si stava formando sul volto di Klaus. Uno sguardo infastidito ed innervosito dal suo comportamento.
– Sparisci, Niklaus, per favore. – le disse lei, sperando che per una buona volta lui le permettesse di stare tranquilla. Non poteva negare, infatti, che da quando l’aveva incontrato aveva iniziato a passarne di tutti i colori. Venne invasa improvvisamente dal sole e si voltò lentamente come se sperasse davvero che lui la stesse lasciando andare, pregando dentro sé che Elena non uscisse dal negozio proprio in quel momento. Ma Klaus non aveva intenzione di lasciarla andare. Approfittò del momento in cui lei si era voltata e gli fu dietro con uno scatto. Un colpo brusco, forte e violento le arrivò dietro la nuca e nonostante fosse ormai una vampira, si sentì mancare. Si accasciò al suolo lentamente e perse i sensi, non accorgendosi di quelle mani che le avevano impedito di cadere totalmente e che l’avevano raccolta in una maniera alquanto gentile.
Mugolò leggermente aprendo lentamente gli occhi accorgendosi di avere la fronte appoggiata a qualcosa di freddo. Quando riuscì a riavere pienamente il senso della vista riconobbe quell’oggetto come un vetro prima ancora di accorgersi di essere in un’auto. Scattò immediatamente portando lo sguardo verso la persona al volante e Klaus sembrava piuttosto tranquillo con quel suo solito sorriso sornione stampato in faccia e le mani adagiate al volante.
– Ti ho fatta male? – domandò Klaus ancor prima che lei potesse aprir bocca regalandole uno sguardo veloce.
– Dove diamine mi stai portando? – chiese lei bruscamente aggrappandosi con le mani al finestrino per spiaccicarsi con la schiena contro esso. Klaus sorrise maggiormente.
– In realtà da nessuna parte, volevo solo parlare con te in privato. – rispose, battendo un’unica volta una mano sul volante, gentilmente.
– Allora, so portare bene l’auto? – domandò, lanciandole un’occhiata. Lei assottigliò lo sguardo come volesse fulminarlo.
– Hai detto che vuoi parlare, no? Allora parla in fretta, non voglio restare qui. E voglio tornare indietro. – sibilò Sofia con un tono di voce misto tra terrore e nervosismo. Klaus sbuffò sonoramente.
– Tu proprio non mi sopporti, eh? – domandò lanciandole un’occhiata.
– Ah! Potrei farlo? Hai ucciso Elijah, hai ucciso Jeremy, mi hai chiaramente detto che vuoi regalarmi un bel po’ di tempo di sofferenza ed io dovrei apprezzare tutto quanto? – gli disse tutto d’un fiato. Klaus rise leggermente guardandosi intorno. L’auto percorreva una strada adiacente a Mystic Falls, ormai fuori da essa, ed era circondata da campi desolati e natura. L’Originale, però, perse il suo sorriso divertito dopo qualche attimo assumendo un’espressione beffarda.
– Quindi vorresti uccidermi? – domandò incuriosito, eppure lei non riuscì a rispondergli. Come poteva volere la morte di qualcuno?  
– Elijah non te l’ha mai raccontato, Sofia? Di quello che succede alla discendenza degli Originali se quest’ultimo muore? – domandò falsamente incuriosito. Dall’espressione che si disegnò sul volto della ragazza capì immediatamente che Elijah non gliene aveva mai parlato. Rise leggermente.
– Beh, te lo dico io allora. Tutti i vampiri trasformati da quell’Originale, tutta la sua discendenza, muore. E sai a quale discendenza appartengono Stefan ed i suoi amici? – chiese ancora, ridendo di gusto. Lei sgranò gli occhi rabbrividendo. La risposta le balenò in mente e nemmeno riuscì a trattenerla.
– Sei stato tu. – disse appiattendosi maggiormente contro il vetro dietro di sé, fortunatamente chiuso.
– Esatto! Hai indovinato, Sofia! Adesso vuoi un premio? – le chiese prendendola platealmente in giro. Lei scosse il capo.
– Stai mentendo. – gli disse – Lo stai dicendo solo per impedirmi di odiarti. Non è così? – aggiunse lei mostrando astio. Klaus svoltò improvvisamente con l’auto, in maniera brusca, e parcheggiò con la stessa nel bel mezzo di un ampio campo vuoto. Spostò le mani dal volante e l’espressione di lui si fece improvvisamente seria, voltandosi a guardarla.
– Ti sembrano gli occhi di una persona che mente? – le chiese. Sofia impallidì senza nemmeno rendersene conto.
– Voglio andarmene. – mormorò.
– E dove te ne vai? – le domandò Klaus sorridendo nuovamente in maniera beffarda.
– Via. Via di qui. Lontana da te. – affermò voltandosi ad aprire la portiera ed uscendo frettolosamente. Ma Klaus si mosse più veloce e si ritrovò subito davanti a lei bloccandola in piedi proprio fuori l’auto.
– Adesso non vuoi più uccidermi? – le domandò ancora, e lei trasalì. Strinse le labbra aggrottando la fronte come fosse offesa. E davanti a quell’espressione, davanti al volto offeso e dispiaciuto che si era venuto a creare sul volto di lei, davanti a quelle labbra che si stringevano tra loro rosse come il sangue, Klaus sembrò paralizzarsi. Abbassò lo sguardo verso quel labbro che veniva martoriato dagli stessi denti di lei e per un attimo si lasciò andare ad una strana sensazione. Lo stava travolgendo in maniera tanto forte che lui stesso non si accorse delle mani di Sofia che si mossero velocemente ad afferrarlo ed a scaraventarlo via con tutta la forza che aveva in corpo. Quando l’Originale ritornò in sé si ritrovò a rotolare al suolo fermandosi dopo essersi aggrappato contro il terreno. Sollevò lo sguardo verso la bionda come un animale furioso desideroso di squarciarle il collo con tutta la forza che aveva in corpo. Ma la prima cosa che vide furono i piedi di Sofia che si sollevarono al suolo. Sgranò gli occhi portandosi velocemente in piedi avvertendo la paura e la tensione davanti alla figura di Mikael, il suo stesso padre, che sorreggeva Sofia per il collo stritolandoglielo.
– Mikael. – mormorò, incredulo. Riuscì a capire solo in quel momento il motivo per cui la ragazza l’aveva spinto via, accorgendosi di quel paletto di quercia bianca che il suo stesso padre brandiva. Ed alle orecchie di Sofia non sfuggì quel nome, lo stesso nome che aveva spesso sentito da Elijah, quell’unico nome che terrorizzava a morte Klaus dopo sua madre.
– Scappa, Niklaus. Scappa. – ringhiò lei col fiato corto sentendo irrimediabilmente la presa di Mikael sulla sua gola farsi più forte. Avrebbe giurato di morire da un momento all’altro. Un sorrise si dipinse sulle labbra di Mikael mentre fissava suo figlio con gli occhi di un padre contento di rivederlo dopo tanto tempo.
– Ciao, Niklaus. – gli disse. Ma Klaus non si lasciò ripetere le parole di Sofia e corse via sparendo dalla vista del padre in pochissimi istanti. Solo in quel momento la presa di Mikael sul collo della ragazza venne meno fino a farla ricadere al suolo, seduta. Tossiva sommessamente e si teneva il collo dolorosamente con una sola mano, la forza degli Originali era davvero spaventosa. Mikael si accovacciò davanti a lei fissandola.
– Come puoi collaborare con un tipo come mio figlio? – le domandò, serio. Lei trasalì, non riuscendo a trovare una risposta adeguata. L’unica cosa che riuscì a pensare era che in quel momento, più di qualsiasi altro, voleva che Klaus sopravvivesse. Una mano di Mikael le afferrò bruscamente un braccio e la portò in piedi in maniera rude, lo sentì anche sbuffare.
– Adesso vieni con me. – le ordinò, obbligandola a seguirlo mentre la strattonava con forza lontana dall’auto. La stessa auto in cui aveva lasciato la borsa, con tanto di cellulare. Strinse i denti, non poteva andare peggio di così.
 
Elena bussò alla porta della casa di Sofia con impazienza. Dopo aver trascorso una buona mezz’ora a chiamarla senza ricevere risposta, aveva deciso di catapultarsi a casa sua furiosamente. Il pugno batteva contro la superficie lignea sempre più forte ed alla fine la porta si aprì mostrando un Elijah sconvolto ed infastidito.
– Elena, che ti prende? – le domandò nervoso. Elena indietreggiò sotto quello sguardo gelido che l’Originale le stava regalando.
– Dov’è Sofia? – gli chiese, deglutendo il groppo che le si era formato in gola. Elijah sembrò stranito a quelle parole, era rincasato da poco ma la casa era vuota già in quel momento.
– Mi aveva detto che dovevate fare le compere per Halloween. – le rispose. E nonostante sembrasse semplicemente stranito dalle parole della Gilbert, dentro di lui stava nascendo un imprevedibile senso di preoccupazione.
– Siamo andate, ma poi è improvvisamente sparita. – esclamò Elena, incredula. La presa di Elijah sulla porta divenne d’un tratto forte, come volesse spezzarla e distruggerla sotto la pressione della sua mano, ed Elena parve paralizzarsi davanti allo sguardo cupo che si era formato sul volto dell’Originale.
– Niklaus. – mormorò il vampiro, ma ancor prima di poter avviarsi verso la dimora dei Mikaelson con la consapevolezza che era sicuramente stato il fratello a farle qualcosa, lo stesso Klaus camminava con passo spedito, ma non tranquillo, lungo il marciapiede davanti alla casa. Si fermò all’ingresso del giardino, con le mani nelle tasche.
– Elijah, dobbiamo parlare. – gli disse. L’espressione era seria e intimorita, ma non ebbe nemmeno il tempo di varcare l’ingresso del giardino di quella casa che Elijah gli fu addosso. Lo aveva scaraventato al suolo con facilità e gli aveva arpionato una mano alla gola con disprezzo.
– Dov’è Sofia? – gli ringhiò contro con lo sguardo pieno di odio. Klaus aveva sgranato gli occhi per pochi istanti, avrebbe voluto sorridere beffardo ma col pensiero di Mikael di nuovo a dargli la caccia, proprio non gli riusciva. Non gli rispose, e la presa di Elijah su di lui si fece maggiore. Gli avrebbe staccato la testa da un momento all’altro se avesse continuato in quel modo.
– Dov’è!? – gli urlò contro. Elena, che era rimasta alla porta, si portò una mano alla bocca indietreggiando verso l’ingresso e spaventata dalla situazione.
– Elijah, non penso ti risponderà se continui così. – gli disse, restando comunque al suo posto. L’espressione furibonda ed aggressiva si rivolse verso di lei per alcuni istanti facendola sussultare dalla paura, si strinse le mani al petto deglutendo in maniera forzata. Klaus sorrise, stavolta, quando gli occhi di Elijah ritornarono a guardarlo. Sentì il fratello spostarsi e permettergli di alzarsi nuovamente in piedi proprio davanti a lui.
– Prima che tu possa accusarmi e magari piantarmi qualcosa nel petto… – iniziò a dire Klaus, alzando le mani in segno di arresa – …le avevo solo chiesto di accompagnarmi in un posto. Non era mia intenzione farle del male. – continuò, scrollando le spalle. Elijah aveva un’espressione gelida, una mano si era infilata all’interno di una tasca della giacca; era chiaramente teso.
– Ormai non credo più alle tue volgari parole, Niklaus. Vai immediatamente al sodo e dimmi dove posso trovarla. – gli ordinò con tono infastidito. Klaus lo guardò a lungo e sentiva anche lo sguardo di Elena su di sé.
– Mikael è tornato. – rivelò al fratello tutto d’un fiato. L’espressione di Elijah mutò improvvisamente mostrando una certa perplessità.
– Nostro padre è tornato? – domandò ancora, come se sperasse di non aver udito bene.
– Esatto. Sofia era con lui quando me ne sono andato. – aggiunse Klaus. Elijah s’irrigidì a quella rivelazione.
– Hai lasciato Sofia nelle mani di nostro padre e sei scappato via? – domandò Elijah, ancora una volta, sperando anche questa volta di non aver sentito bene. Il tono di voce era gelido, marchiato dall’odio che stava provando verso il fratello, dalla rabbia che avrebbe voluto sfogare su di lui.
– Beh vedi, lei mi aveva detto di scappare. E’ una così brava ragazza, non potevo ignorarla. – rispose Klaus prendendosi gioco del fratello. Una mano di Elijah scattò verso lo steccato proprio accanto a loro staccandone un grosso pezzo che andò ad infilare direttamente nello stomaco del fratello. Klaus sgranò gli occhi accusando il dolore improvviso e si piegò su sé stesso tenendosi il pezzo di legno con il quale Elijah l’aveva colpito. Elena sussultò come se avesse anche lei provato del dolore.
– Meriteresti la morte, ma voglio sperare che se Sofia ti ha lasciato in vita, abbia avuto un buon motivo. – ringhiò Elijah verso il fratello.
– Adesso sparisci dalla mia vista, Niklaus. Provo vergogna ad avere un fratello come te. – aggiunse l’Originale fissando Klaus che si sfilò dolorosamente il pezzo di steccato dallo stomaco e lo lasciò cadere al suolo privo di qualsiasi intenzione cattiva. Fissò Elijah con astio.
– Elijah, non farmi rimpiangere l’averti lasciato in vita. Posso ucciderti da un momento all’altro. – ammise l’ibrido ghignando. Elijah sorrise beffardo, in qualche modo divertito dalle parole dell’altro.
– Non ho più paura delle tue minacce, Niklaus. Adesso sparisci. – gli disse in modo poco amichevole. Klaus strinse le labbra carnose in un ringhio sommesso. Probabilmente le parole del fratello gli erano entrate dentro in maniera molto più dolorosa di quello che lo stesso Elijah si aspettava. Batté un piede al suolo e poi sparì in pochissimo tempo lasciando al suo posto nient’altro che vento mosso dal nulla. Elijah si abbassò a raccogliere il pezzo di steccato insanguinato e si voltò verso un’Elena intimorita e tremante.
– Chiama immediatamente la tua amica strega, muoviti. – le ordinò con tono glaciale ed autoritario. La preoccupazione che gli stava crescendo dentro lo stava martoriando. Cosa doveva aspettarsi da suo padre? Se avesse sospettato che Sofia ra dalla parte di Klaus, l’avrebbe uccisa senza battere ciglio. E lui non doveva permetterlo, non in quel momento, non dopo averla creduta morta per troppo tempo.
 
Bonnie arrivò in pochissimo tempo ma non era sola. Al suo fianco c’era Stefan dal volto dipinto dalla preoccupazione. Durante tutta l’attesa, Elijah non aveva fatto altro che andare avanti ed indietro per il salone della casa di Sofia immerso in interminabili pensieri. Elena si era martoriata le dita di entrambe le mani inviando insistenti sms all’amica strega in cui le chiedeva quanto tempo ancora mancava prima di giungere. E fu proprio Elena ad aprire la porta quando essa bussò rivelando le figure di Bonnie e Stefan che si precipitarono all’interno. Elijah sollevò solo in quel momento lo sguardo fissandoli in maniera assente eppure, quando si soffermò su Bonnie, sul suo volto si formò la glacialità che lo caratterizzava in precedenza.
– Siamo venuti il prima possibile. – affermò la strega.
– So che esiste un incantesimo per rintracciare le persone. – iniziò a dire l’Originale, lasciando sottinteso dal tono che usava che lui pretendeva che Bonnie lo conoscesse e sapesse usarlo. La stessa Bonnie annuì e si avvicinò al tavolo del soggiorno.
– Procurami qualcosa di Sofia, qualsiasi cosa. Una mappa e del sangue. – disse. Ma non riuscì nemmeno a terminare la frase che Elijah, impaziente, era sparito lasciando al suo posto nient’altro che una folata di vento. Stefan si avvicinò ad Elena fissandola preoccupato.
– Come diamine è potuto accadere? – domandò, respirando a fondo.
– Io…non avrei dovuto lasciarla da sola. Non pensavo che si arrivasse fino a questo punto. – mormorò Elena tradendo i sensi di colpa che sentiva crescere dentro di sé. Ma Stefan le si avvicinò premuroso e la strinse al suo petto marmoreo cercando in qualche modo di rassicurarla. Quando Elijah riapparve appoggiò sul tavolo dinnanzi a Bonnie la mappa che lei aveva chiesto ed un ciondolo che aveva trovato nella camera della vampira.
– Il sangue. – pretese Bonnie distendendo la mappa di Mystic falls e dintorni sul tavolo e raccolse il ciondolo cingendolo in entrambe le mani. Era pronta. Avrebbe usufruito di tutti i suoi poteri per trovarla. La tensione che si era innalzata in quella stanza era palpabile ed Elijah, fra tutti gli altri, pareva sentirne il peso. Si scoprì un polso ferendolo con un unico canino e poi seguì le indicazioni della strega. Impresse abbastanza forza sullo stesso polso da far in modo che una goccia del suo stesso sangue colasse prima che la ferita iniziasse a rimarginarsi. Bonnie annuì e strinse gli occhi stringendo il ciondolo tra le mani. Le labbra si schiusero iniziando a pronunciare parole a tutti sconosciute, parole sussurrate al vento. Elijah era rimasto lì in piedi a fissarla attentamente nell’attesa di un qualsiasi esito che potesse condurlo al posto in cui suo padre aveva portato Sofia. Scorse il suo stesso sangue iniziare a muoversi sulla mappa tracciando una scia rossa che si dirigeva verso un unico punto. Quando quella goccia si fermò, Bonnie finì col rilassarsi ed abbassò lo sguardo.
– E’ il vecchio cimitero. – disse quasi all’unisono con Elijah. E l’Originale stava per avviarsi quando ad un tratto Stefan lo bloccò.
– Aspetta, Elijah. – lo chiamò e lui si voltò a fissarlo interrogativo, infastidito. Cos’altro voleva ancora? Che li ringraziasse? L’avrebbe fatto a dovere, ma in quel momento proprio non poteva perdere tempo. Stefan si paralizzò davanti allo sguardo nero e glaciale che il vampiro gli regalò.
– Vengo con te. – pronunciò frettolosamente.
– Saresti solo un peso. – rispose Elijah, non apprezzando la sua proposta.
– Cercherò di non esserlo. Non posso restare con le mani in mano quando sono al corrente di quello che sta accadendo quindi, per favore Elijah, permettimi di venire con te. – disse Stefan avvicinandosi a lui di un paio di passi. Elijah lo scrutò gelido nascondendo una mano all’interno della rispettiva tasca della giacca. L’insistenza del Salvatore non gli piaceva, lo infastidiva, eppure portarlo con lui avrebbe sicuramente giovato la situazione. Si spostò nuovamente verso la porta e fece per avviarsi.
– Qualsiasi cosa ti succeda, io non me ne prenderò le responsabilità. – commentò l’Originale, lasciando sottinteso il consenso. E si avviarono insieme verso l’esterno, lasciando Bonnie ed Elena a guardarsi l’un l’altra preoccupata.
 
Aveva sbattuto più volte le porte che apriva e chiudeva, aveva sentito le parole di Elijah perseguitarlo fino a quando aveva fatto il suo ingresso all’interno della dimora dei Mikaelson. Gli ibridi, i suoi prediletti, che gli si erano parati davanti erano stati cacciati via con brutalità. Come se solo in quel momento fosse stato capace di etichettarli come abominio. Klaus scese delle scale velocemente ritrovandosi davanti ad una porta scura, quella stessa porta che non troppo tempo prima aveva trovato aperta, quella stessa porta davanti alla quale aveva spezzato il collo di Sofia senza nemmeno battere ciglio. La aprì titubante ritrovandosi davanti a quelle fredde bare. Lo sguardo divenne più cupo a quel senso di preoccupazione che gli stava nascendo dentro. Entrò in quella stanza e passò di fianco alla bara di Finn, carezzandone il legno con le dita di una mano, ma non era a quella che mirava. Si avvicinò alla sottile bara in fondo e la aprì delicatamente scrutando il viso rinsecchito ed inguardabile di Rebekah, quello stesso viso morbido che molti uomini avevano guardato con ammirazione davanti ai suoi stessi occhi. Glielo carezzò sorridendo gentilmente nei confronti della sorella alla quale lui stesso aveva bloccato la vita e la mano discese priva di preoccupazione verso quel petto dentro il quale il pugnale si era infilzato a tenerle bloccato il cuore. Lo afferrò e lo tirò fuori bruscamente sollevandosi appena dalla bara sulla quale si era chinato a guardare il viso incorniciato da quei secchi capelli biondi.
– Ritorna, Rebekah. Ho bisogno della mia sorellina, in questo momento. – sussurrò, come se sperasse che Rebekah potesse sentirlo e perdonargli qualsiasi atto passato. In quell’istante nemmeno ricordava perché l’aveva rinchiusa ancora una volta lì dentro. Ma poi lo ricordò, il tentativo di Rebekah di uccidere Elena qualche mese prima, e lui ne era rimasto così deluso da rinchiuderla lì dentro. Mentre la guardava scrutando attentamente i leggeri movimenti che le dita e le palpebre della vampira stavano avendo, avvertì una strana preoccupazione percuoterlo. Sapeva che se ne sarebbe pentito entro breve. Rebekah sgranò improvvisamente gli occhi guardandolo con astio. Balzò fuori dalla bara arpionandosi con le unghie lunghe e curate al collo del fratello, senza proferir alcuna parola, ma Klaus era sicuramente più forte di lei. E non perché fosse un ibrido, ma perché Rebekah era stata indebolita dalla morte. Le afferrò le spalle e la spinse al suolo ritrovandosi sopra di lei. La vampira deglutì trattenendo a stento le lacrime ed il dolore che provava e Klaus si perse in quegli occhi gonfi.
– Come hai potuto? Come hai potuto mettere la vita di Elena prima della mia? – domandò Rebekah incredula, rammentando il giorno in cui lo stesso Klaus l’aveva tradita ed uccisa senza alcun rimorso. Klaus sollevò una mano a carezzarle uno zigomo.
– Non capiterà più, Rebekah. – le sussurrò affabile, allentando qualsiasi presa sulla sorella e dandole la possibilità di riportarsi in piedi proprio come stava facendo lui. La bionda si sollevò appoggiandosi alla stessa bara dentro la quale era stata rinchiusa per troppo tempo.
– Che cosa vuoi da me, stavolta? Perché mi hai risvegliata? – domandò la biondina guardandolo con un’espressione delusa, triste. Ma Klaus non sembrò desistere davanti a quell’espressione e sospirò pesantemente.
– Avevo bisogno della mia sorellina. – rispose lui, senza troppe cerimonie. Rebekah parve ridere amaramente indietreggiando di un paio di passi.
– Come no. Piuttosto, immagino tu ti sia già stufato di Elijah. Quando organizzerai la sua morte? – gli domandò lei in maniera sarcastica. Klaus incupì lo sguardo come fosse infastidito ma si limitò a richiudere la bara.
– Non organizzerò un bel niente. – rispose, secco – Come ti ho detto, avevo solo bisogno della mia adorata sorellina ora che anche Elijah mi ha abbandonato e Mikael è tornato. – aggiunse, guardandola di sottecchi. Lei allargò platealmente le braccia.
– Lo sapevo che c’era il trucco! Mi hai risvegliata per farmi uccidere da nostro padre, lo sapevo! – esclamò la bionda macchiando il suo tono di una delusione che non aveva uguali e senza nemmeno rendersene conto i suoi occhi erano di nuovo gonfi dalle lacrime. Klaus sembrava non riuscire a reggere molto il gioco del bravo fratello ma le si avvicinò comunque e la strinse, abbracciandola morbidamente.
– Non permetterò che qualcuno ti faccia del male, Rebekah. – sussurrò Klaus con tono affabile. Rebekah trasalì tra le sue braccia e ricambiò l’abbraccio, sentendo uno strano calore percorrerla. Era quel calore portato dall’affetto familiare e, per quanto Klaus l’avesse negato per anni, lei lo ritrovò in quel tocco.
– Ti accompagno a mangiare qualcosa. – le disse lui porgendole un braccio ed accompagnandola all’esterno della dimora. Lei sorrise in un ghigno dolce, ma che non faceva presagire nulla di buono. Chissà quante persone sarebbero morte quel giorno, sotto i canini affilati ed affamati di una vampira appena sollevatasi dalla morte.

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Note dell'autrice:
Allora! Ecco il nuovo capitolo!
Ci ho messo un bel po' a pubblicarlo perché non ne sono molto sicura, come anche dei
capitoli che vedrete prossimamente. Ho tante idee in testa, cose che devono assolutamente accadere,
ma devo riuscire a trovare un filo logico che le colleghi tutte senza che sembri una cosa troppo forzata.
Pertanto, se avete qualche critica da fare, FATELA. Le accetto volentieri, per migliorarmi >.<
Inoltre, qui vediamo il ritorno di Mikael. Io vi avevo detto che molti personaggi che dovrebbero essere morti,
nella mia fic non lo saranno. Ma voglio avvertirvi che non ricordo molto bene gli episodi in cui c'era quest'Originale,
quindi potrei anche errare con la sua caratterizzazione. :3
Passiamo ai ringraziamenti:
Ringrazio Anonymous writer e elyforgotten per aver recensito il capitolo precedente. Inoltre ringrazio anche meiousetsuna per aver recensito il primo capitolo e Pipia per aver pazientemente recensito TUTTI i capitoli in una sola serata. :D
Ringrazio, dunque, elyforgotten - iansblueyes - ladyselena15 - morgan_le_faye - SaraIS per aver aggiunto la storia nelle preferite!
Infine ringrazio le tredici persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite!
E per questo capitolo voglio anche consigliarvi alcune storie che sto leggendo io, e che sono belle davvero. :D
- My story with an Original...with Elijah! ... Di elyforgotten.
- Over The Deception Of Life ... Di elyforgotten, che è il seguito di quella di sopra. :3
- Half Blood ... Di Pipia.
- Dark World ... Di Anonymous writer
- Ritorno al Futuro ... Di meiousetsuna.

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Capitolo 8
*** Inspiegabili risvolti. ***


La sera stava calando lentamente. In una maniera anche troppo lenta, per lei. Il sole che andava tramontando non era tiepido, rilassante o meraviglioso. Era stancante e accecante, ogni suo tenue raggio si moltiplicava in incessanti formicolii sulla sua pelle la quale diveniva estremamente pallida. E Mikael non se ne preoccupava, aveva malamente preso il braccio di Sofia e la trascinava in maniera brusca tra quelle lapidi ammuffite e vecchie i cui nomi apparivano illeggibili. Le labbra rosse e secche della vampira si erano schiuse per rendere quel respiro morto molto più utile. Di certo ritornare a Mystic Falls a piedi, trascinata da quell’individuo, non le stava giovando nonostante fosse una vampira. Solo d’un tratto Mikael si fermò e si voltò a guardarla senza allentare minimamente la presa su di lei, scrutando quegli occhi verdi che stavano andando scurendosi.
– C’è qualcosa che non va, tesoro? – le domandò, fissandola glaciale ed incuriosito. Lei lo guardò con astio senza recargli risposta. L’Originale sorrise, come fosse divertito, e si guardò intorno prima di ritornare su di lei.
– Niklaus non arriverà. – affermò lei con un fil di voce, continuando a fissarlo.
– Dici? Allora sarai tu a portarmi da lui, che dici? – domandò Mikael. Il suo sguardo sembrava trafiggerle l’anima. Strinse le labbra ed i pugni cercando di contenersi e mostrarsi ugualmente determinata nonostante il senso di disagio in cui lui la stesse facendo affogare.
– Non ti permetterò di uccidere Niklaus. – sussurrò verso l’Originale, ingoiando quel seguente groppo che le si era formato in gola. Mikael sorrise beffardo.
– Sei talmente legata a mio figlio da proteggerlo fino a rischiare la vita? – chiese l’Originale. Sofia lo guardò a lungo con un’espressione persa. Non era per Klaus che lo stava facendo, non dopo tutto quello che le aveva fatto. Stefan, Damon, Caroline, erano loro il motivo per cui in quel momento era alle prese con un vampiro estremamente più forte di lei senza preoccuparsi del suo cuore morto che avrebbe potuto essere strappato dal petto da un momento all’altro.
– Non è per lui che lo sto facendo. Se tu uccidi Niklaus, uccidi anche i miei amici. Ed io non posso permetterlo, Mikael. – gli confessò in un sussurro che il vampiro colse pienamente. Fu scosso dalla determinazione e l’altruismo di quella ragazza ma non parve accennare a diminuire la sua presa su di lei. Spostò la mano portandola al collo di Sofia e lo afferrò bruscamente spingendola contro i resti di una parete del vecchio cimitero di Mystic Falls la cui superficie gelida, umida ed ammuffita la fece rabbrividire al solo contatto. La presa dell’Originale divenne improvvisamente forte e lei gli si aggrappò debolmente con ambo le mani stringendo i denti nel tentativo di non soccombere.
– La tua determinazione ti fa onore, ma io non posso permetterti di ostacolarmi. Quindi ora o mi dici dove trovare Niklaus oppure potrai dire addio alla tua piccola testolina bionda. Andiamo, vorresti dirmi che i tuoi amici sono più importanti della tua vita? – canzonò l’Originale. Lei strinse i denti guardandolo con disprezzo nonostante il dolore che stesse provando. Ma non osò rispondergli. Non le importava, avrebbe potuto staccarle ogni cosa, lei non avrebbe mai provocato la morte dei suoi amici. Ma quando Mikael fu sul punto di irritarsi sul serio, dei passi lo destarono. La sua presa sul collo di Sofia s’alleviò permettendole di riappoggiare completamente i piedi a terra e di sospirare compiaciuta. Perfino le sue dita artigliate al polso di Mikael allentarono la loro presa. Sgranò maggiormente gli occhi quando sentì Elijah avvicinarsi. E non solo fu in grado di sentirlo grazie ai suoi passi pesanti, eleganti e tesi che calpestavano il terreno umidiccio del vecchio cimitero, ma lo riconobbe dal suo inconfondibile odore. Lo guardò corrugando la fronte, dispiaciuta. Mikael si voltò a guardarlo mostrando il suo stupore davanti alla figura di uno dei suoi figli che gli si avvicinava con un’espressione minacciosa. E quello che Elijah provò fu inspiegabile. Incontrare di nuovo suo padre, rivivere ogni singolo ricordo avesse di lui con quell’incomprensibile paura che provava sotto lo sguardo severo del padre.
– Padre. – mormorò. La mano di Mikael scivolò via dal collo di Sofia e lei riuscì a scorgere la figura di Stefan qualche passo più indietro rispetto ad Elijah.
– Elijah, figlio mio. – rispose Mikael incredulo. Si voltò completamente verso il figlio coprendo in parte la figura di Sofia, la quale sollevò una mano a massaggiarsi dolorosamente il collo. Il corpo diventava più fragile con la stanchezza e la fame dovuta dal sole. Ma Elijah non tenne testa molto tempo allo sguardo del padre che i suoi occhi scuri si portarono sulla figura di Sofia. Vederla lì, ferma e spaventata alle spalle di Mikael gli portò una strana stretta al suo cuore morto.
– Lasciala stare. – sentenziò Elijah, gelido. Mikael si voltò a guardare Sofia per brevi istanti, perdendo quel suo sorriso beffardo e lasciando spazio ad un’espressione indecifrabile.
– Pensavo che Niklaus ti tenesse ancora nella bara. – rispose Mikael, senza badare al suo dire riguardo la vampira.
– Quello è un capitolo vecchio della mia vita ma, non sono qui per questo. Sono qui per riprendermi lei. – quasi ringhiò il figlio, in risposta. Sofia si scostò lentamente dalla parete umidiccia ed avanzò con passi lenti e misurati cercando di sorpassare la figura di Mikael. E lui non glielo impedì. Se la sentì passare accanto e la vide di sottecchi superarlo ed accelerare il passo fino a raggiungere definitivamente Elijah e Stefan. E fu nel Salvatore che riuscì a trovare un appiglio per reggersi in piedi aggrappandosi con quelle mani gelide agli indumenti del vampiro. Elijah la guardò di sottecchi, strinse un pugno all’interno di una tasca della giacca e ritornò a sostenere lo sguardo del padre.
– I tuoi fratelli? – domandò Mikael. Elijah abbassò il capo per brevi istanti, poi accennò un sorriso divertito.
– Ti preoccupi della tua famiglia solo adesso, padre? Hai passato mille anni a perseguitare tuo figlio e renderlo quello che è adesso. – affermò Elijah, ma il suo discorso fu interrotto dalle parole dello stesso Mikael.
– Ho passato mille anni a cercare di liberarvi da lui. Dall’essere che vi teneva imprigionati come foste le sue bambole. – rispose. Elijah strinse maggiormente il pugno. Alle sue spalle Stefan sosteneva Sofia invogliandola numerose volte a seguirlo verso la vettura con la quale avevano raggiunto il cimitero, eppure lei non riusciva a staccare gli occhi stanchi dalla scena che si ritrovava davanti o da Elijah. Quello sguardo severo, gelido, deluso e ferito. Sembrò entrarle dentro e marchiarle profondamente l’anima. Provava dispiacere per lui, per averlo costretto a fronteggiare suo padre solo per andare a salvarla. E si sentiva in colpa. Elijah calò nuovamente lo sguardo, iniziando ad indietreggiare.
– Sei stato tu a volerlo. Rebekah aveva ragione, sei stato tu a distruggere la nostra famiglia, non Niklaus. – rispose, serrando duramente la mascella. Non aveva altro da dire, si voltò e si avviò verso l’auto seguito da Stefan e Sofia. Mikael lo guardò a lungo prima di dileguarsi nell’aria, sparendo a velocità vampirica. Quel viaggio di ritorno a Mystic Falls venne accompagnato dal silenzio.
 
Sofia si aggrappò alla maniglia della porta d’ingresso aprendola ed inoltrandosi nella sua casa. Elijah la seguiva come fosse la sua ombra.
– Elena e Bonnie sono state qui? – domandò curiosamente dopo aver sentito nell’aria il loro odore ed avanzando con passi lenti verso la cucina. Elijah non le rispose se non con un monosillabo sospirato mentre si accingeva a richiudere la porta. Aveva obbligato Stefan a tornare a casa dicendogli che da quel momento in poi avrebbe potuto badare lui alla bionda, ma nonostante questo la sua mente sembrava persa nei meandri dei suoi pensieri. Lei lo guardò per poco tempo prima di raggiungere il frigo ed aprirlo. Si sentiva stanca, ferita e affamata. I canini avevano reclamato cibo per tutto il viaggio e lei era rimasta incantata a fissare colli scoperti di persone che passavano lungo le strade. Raccolse una di quelle bottiglie bianche e sorrise debolmente.
– Ho quasi finito le mie scorte. – confermò delusa. Si avviò verso i bicchieri e ne raccolse uno versando quel liquido vermiglio all’interno del vetro. Lo raccolse con dita tese e tremolanti ed Elijah la fissava assente restandosene sotto la soglia della porta della cucina. Lo notò ma preferì accostare quel vetro freddo alle labbra rosse e strappare numerosi sorsi del sangue contenuto nel bicchiere. Era affamata, fin troppo affamata. Strinse gli occhi mentre si nutriva sino a scostare bruscamente il bicchiere dalla bocca e riempirlo di nuovo sangue. Tenne lo sguardo lontano da quello di Elijah come fosse imbarazzata, ma lui non sembrava nemmeno badare a lei. Quando la bottiglia terminò lei non fece altro che richiuderla e tirare un profondo sospiro immersa nel calore che il sangue le portava in tutto il corpo. Solo in quel momento portò lo sguardo su Elijah, il cui sguardo era basso verso la pavimentazione, restandosene nei pressi del bancone.
– Elijah… – lo chiamò con voce tenue e rammaricata e lui sollevò piano lo sguardo cupo verso di lei.
– Mi dispiace. – mormorò ancora lei. Premette le dita sottili sulla superficie marmorea del bancone e quasi non riusciva a sostenere lo sguardo dell’altro.
– Di cosa? – domandò l’Originale. Sofia sorrise affranta, un sorriso che agli occhi del vampiro stonava incredibilmente con il viso angelico che si ritrovava.
– Avrei dovuto restarmene al mio posto. Permettere a Mikael di sbrigarsela con Niklaus come voleva e… – stava dicendo, ma una folata di vento improvvisa ed una mano la invogliarono a girarsi immediatamente. Elijah le si era avvicinato velocemente cingendole un braccio con una mano e costringendola a voltarsi verso di lui, la guardava dall’alto verso il basso. Lei rabbrividì a quello scambio di sguardi improvviso e non poté non perdersi in quegli occhi scuri del vampiro.
– Non pensare che sia stata colpa tua, non lo è. Hai fatto la scelta che ritenevi giusta ed io la accetto. – sussurrò Elijah con tono calmo, affabile e rassicurante. Sofia batté le palpebre tenendo le labbra distorte in una smorfia leggera.
– Ma… – mormorò, eppure lui la interruppe nuovamente, scuotendo il capo.
– Va tutto bene. – le disse, sollevando le braccia e cingendola delicatamente fino a portarle il viso su una sua spalla.
– A me dispiace per quello che ti è successo oggi. – ammise debolmente appoggiando delicatamente il viso alla testa bionda della vampira. La sentì muoversi per scuotere il capo contro la spalla e chinarsi ad appoggiare un orecchio al suo petto.
– L’ho sentito di nuovo. – commentò lei, nascondendo un sorriso alla visuale dell’Originale. Elijah si insospettì allentando la sua presa su di lei e chinando appena il capo, per quanto gli fosse possibile. Non osava spingerla via in alcun modo eppure lei riuscì a notare la sua espressione interrogativa pur non guardandolo.
– Un battito del tuo cuore, l’ho sentito di nuovo. – affermò. Elijah le prese gentilmente le spalle e la tirò indietro allontanandola dal suo petto. Sbuffò ma non sembrava scocciato, quello sbuffo sembrava il vano tentativo di trattenere una risatina.
– E’ colpa del sole, deve averti dato alla testa. – commentò e lei sorrise perdendo i suoi occhi verdi in quelli di lui.
– Grazie per essere venuto a salvarmi, oggi. – gli sussurrò flebilmente.
– Tu hai fatto lo stesso con me. – ammise Elijah mentre la guardava. Le mani scesero lungo le braccia di lei prima di scostarsi definitivamente. Il dolore e la delusione che aveva provato davanti alla visione del padre erano svaniti nel verde di quegli occhioni angelici che lei si ritrovava. E lui lo sapeva, ma non riusciva ad ammetterlo a sé stesso.
 
Era Firenze. Era la solita giornata colma di sole. Era il solito abbaiare dei cani che risuonava nelle orecchie dell’Originale. Era il solito parco. Erano sempre loro. Adagiato comodamente sulla panchina del parco, teneva lo sguardo sollevato per permettere a quella testolina bionda di stare spudoratamente appoggiata al suo petto.
– Credo che tu debba rassegnarti. – mormorò Elijah improvvisamente – E quella signora è laggiù a fissarti già da un po’. – aggiunse, sorridendo affabile verso l’anziana signora seduta su una panchina di fronte. Sofia era appoggiata al petto del vampiro con gli occhi chiusi, nascondendo il verde che li caratterizzava, e lui la lasciava fare.
– Shh! – sibilò lei improvvisamente, intimandolo a restare in silenzio. – C’ero quasi! – esclamò come una bambina sollevandosi dal suo petto e ricambiando il suo sguardo. Le guance gonfie in maniera offesa e la fronte corrugata strapparono ad Elijah un sorriso divertito.
– E’ morto, Sofia. Non batterà. – ammise Elijah guardandola a lungo. Lei scosse bruscamente il capo facendo oscillare quei boccoli biondo platino.
– Invece io so che c’è. Devi solo costringerlo a battere. – rispose, chinandosi nuovamente con l’orecchio sul suo petto. Elijah sospirò rassegnandosi al fatto che non l’avrebbe smossa da lì se non soggiogandola o facendole sentire qualche battito inesistente. Ma nessuna delle due idee sembrava piacergli.
– Parlami ancora della tua famiglia. – disse la bionda, socchiudendo gli occhi e  restandosene contro il suo petto, ignorando gli sguardi dei curiosi che passavano nel parco fiorentino. L’Originale chinò appena il viso verso di lei incuriosito da quelle sue improvvise parole.
– Mi hai sempre parlato di Niklaus, ma hai anche detto di avere altri fratelli e sorelle. Parlamene. – commentò ancora. Le labbra di Elijah si schiusero per pochi istanti lasciando spazio ad un sospiro. Evitava sempre di parlare della sua famiglia, l’averla persa era una delle cose che disprezzava di più di ciò che era.
– E’ vero, avevo altri fratelli, ed una sorella. Rebekah era la donna di famiglia, dopo mia madre. Lei era… – si fermò per alcuni istanti fissando il vuoto davanti a sé. Una mano si strinse a pugno a quei ricordi. L’umanità, la famiglia e tutto ciò che li riguardava era andato irrimediabilmente distrutto.
– …Una ragazza bellissima. Sapeva essere dolce, dispettosa, cocciuta. Più di tutti lei era affezionata a Niklaus ed odiava il comportamento di mio padre nei suoi confronti. – sussurrò perso nei ricordi che albergavano nella sua mente.
– Le volevi bene? – gli domandò Sofia improvvisamente, premendosi maggiormente con l’orecchio contro il suo petto.
– Amavo tutta la mia famiglia. – rispose Elijah prontamente. Solo in quel momento Sofia sussultò cogliendolo impreparato.
– L’ho sentito! – esclamò, gioiosa. L’Originale corrugò la fronte fissandola dubbioso – Un battito, l’ho sentito. Te l’avevo detto io che è vivo, basta solo costringerlo a farsi sentire. – affermò estremamente convinta. D’improvviso il vampiro si sollevò in piedi.
– Sarà stata solo un’impressione. Vieni, ti accompagno a casa. – le disse.
– Ma dico sul serio, Elijah! – esclamò lei alzandosi velocemente in piedi per iniziare a seguirlo.

 
La musica assordante della festa organizzata dalla scuola le entrava in testa con prepotenza. Era avvinghiata al braccio di Elijah dolcemente mentre avanzava lungo quel corridoio allestito scansando gruppetti di ragazzi sempre più ubriachi.
– Caroline non si lamenterà di sicuro del tuo costume. – affermò lei rompendo il silenzio che si era creato con l’Originale. Lui la sentì facilmente nonostante la musica e volse lo sguardo verso di lei.
– Non lo farà. – rispose Elijah col tono di voce di chi non sembrava accettare repliche. Lei sorrise sommessamente piegando quelle labbra di un rosso acceso in un sorriso e trascinandolo con calma verso la sala principale in cui la festa si stava svolgendo attivamente. Era il suo primo anno in quella scuola e non poté non restare stupita davanti all’accuratezza con la quale la scuola era stata risistemata. Una foschia di nebbia artificiale ricopriva la pavimentazione, luci verdastre accecavano i presenti alternandosi con colori bluastri e rossastri. Le pareti erano cosparse di strane sostanze vermiglie che avrebbero dovuto rispecchiare il sangue, ma lei sapeva benissimo che non lo era. Caroline l’attendeva proprio alla fine di quel corridoio e sorrise ampiamente al vederla.
– Sofia! Quel vestito ti sta d’incanto! – le urlò entusiasta ammirando il corto vestito nero che la vestiva raggiungendo la metà delle cosce in cui si apriva in una corta gonnella. Due ali nere stanziavano dietro la schiena mentre quelle calze scure le rabbuiavano la pelle pallida delle gambe terminando in un paio di scarpette dal tacco troppo alto e troppo scomodo, per lei. Caroline allargò le braccia accogliendola in una stretta morbida ed affettuosa.
– Io non mi aspettavo ti vestissi da strega. – rispose Sofia ricambiando delicatamente il suo abbraccio e poi fissandola sorridendo, sotto lo sguardo di Elijah che era rimasto al suo fianco per tutto il tempo. Caroline mosse le spalle.
– Colpa di Bonnie. Lei vuole fare la strega e devo farla anche io, solo perché l’anno scorso l’ho costretta a fare la stessa cosa. A proposito… – si interruppe guardando Elijah di sottecchi scorgendo quel sorriso sghembo che era andato formandosi sul volto di lui. Notò quel semplice e lungo mantello che l’Originale aveva preferito indossare coprendo il suo solito abito elegante.
– …non sei riuscita a fargli mettere niente di meglio? – domandò Caroline in un bisbiglio che sperava di tenere lontano dalle orecchie del vampiro, ma quando lo vide perdere quel sorriso e fissarla in maniera glaciale incassò la testa nelle spalle.
– Oh, andiamo Caroline. Sta benissimo! – esclamò Sofia. L’altra bionda annuì sorridendo timidamente verso l’Originale.
– Diciamo che avresti potuto impegnarti di più. – sussurrò Caroline debolmente nei confronti di Elijah. Ma lo sguardo duro e severo che lui le stava regalando non accennava a sparire.
– Preferisco così. – rispose, glaciale.
– Ad ogni modo, Sofia. Godetevi la festa, a fine serata voglio assolutamente sapere cosa ne pensi. E’ il tuo primo anno qui, il tuo giudizio vale più di tutti per me, che sono l’organizzatrice. – commentò Caroline guardandola con le labbra piegate in un tenero sorriso. Sofia annuì prima di avvicinare una mano ad una di Elijah e prendergliela morbidamente, iniziando ad allontanarsi fra la folla. Lo trascinava facilmente tra quegli studenti che puzzavano di alcolici, almeno fino a quando il corpo dell’Originale non s’irrigidì. Si fermò voltandosi a guardarlo notando quell’espressione confusa, perplessa r sorpresa che aveva disegnato il suo volto. Gli occhi di Elijah erano fissi su una chioma bionda che camminava tra la folla, un volto candido sopra il quale stanziava perennemente un rosso e carnoso sorriso malizioso.
– Rebekah. – mormorò lui. Sofia lo guardò cercando di sporgere lo sguardo in quella direzione.
– Cosa? – gli domandò.
– Seguimi. – le disse il vampiro cingendole la mano con più decisione e trascinandosela con impazienza verso la vampira Originale che si era fermata nei pressi dello spiazzo del ballo a sorseggiare un drink. Quando vide il fratello sbucare dalla folla, sorrise maggiormente.
– Elijah, da quanto tempo. – affermò con finto stupore. Solo in quel momento Elijah lasciò la mano di Sofia tenendola comunque accanto a sé.
– Rebekah, cosa ci fai tu qui? – domandò Elijah, fissandola. Lei strappò un sorso del suo drink prendendosi il suo tempo per rispondere
– Sai, Elijah, ogni tanto mi piace svagarmi. La bara inizia a starmi stretta. – rispose Rebekah sventolando una mano per dare più enfasi alla sua risposta, prima che il suo sguardo saettasse sulla spettatrice che se ne stava silenziosamente al fianco del fratello.
– Oh, tu devi essere Sofia. Nik mi ha parlato molto di te ma pensavo che il suo paragone con Marilyn Monroe fosse esagerato. Eppure eccoti qui. Piacere, io sono Rebekah, la sorella di Elijah e Klaus. – si presentò con un tono di voce e un sorriso presuntuoso e acido. Sofia sembrò stupita inizialmente prima di sorridere in maniera molto più decisa e gentile, piegando quelle carnose labbra rosso sangue.
– Piacere di conoscerti Rebekah. Anche Elijah mi ha parlato molto di te e sei anche più bella di come ti avevo immaginata. – rispose, con tutta la sincerità di cui era in possesso. Elijah la guardò per qualche istante prima di ritornare sulla sorella la quale storse la bocca in una smorfia prima di sorridere nuovamente, palesemente forzata.
– Già. Come sta Mikael? Ho saputo dell’adorabile incontro che hai avuto con lui. Deve essere stato divertente, spero sia andato via da Mystic Falls. Vero? – la incalzò Rebekah iniziando a fissarla con un’espressione tremendamente gelida. Elijah avanzò di un unico passo verso di lei, come volesse intimarla a cambiare discorso.
– Rebekah, sai benissimo che non amo i tuoi giochetti. Dimmi subito cosa state architettando tu e Niklaus o sarò costretto a scoprirlo da solo. – ordinò Elijah con due occhi cupi e gelidi. Rebekah lo fissò con astio, disapprovazione e disprezzo.
– Perché? Così puoi chiudere il capitolo della famiglia anche con me oltre che con Nik? Spero almeno che te la spassi bene con Marilyn per trattare in questo modo la tua famiglia. – sputò fuori Rebekah stringendo maggiormente la presa sul drink. Sofia sussultò a quelle parole avvertendo un’improvvisa stretta allo stomaco mentre fissava l’altra bionda con un’espressione confusa ed affranta. Elijah irrigidì la mascella a quelle parole ed avanzò minacciosamente verso la sorella.
– Elijah. – lo chiamò Sofia, allungando le mani verso di lui come volesse intimarlo a lasciar perdere. Non era quello il luogo o il momento adatto. Ma lui spostò la mano ancor prima che lei potesse sfiorarla e non la degnò nemmeno di una risposta.
– Lascia stare, Elijah. Non è il caso… – continuò a dire in un sussurro. Rebekah sorrise compiaciuta nonostante lo sguardo minaccioso ed infuriato che Elijah le stava regalando.
– Va pure, Sofia. Va a divertirti dalle tue amiche. – le disse l’Originale impedendole di controbattere. Sofia iniziò ad indietreggiare stringendo i denti ed i pugni e si voltò allontanandosi da Elijah e sua sorella. E chissà perché le parole di Rebekah le rimbombavano nella testa continuamente, senza darle alcuna tregua. Senza nemmeno rendersene conto raggiunse il bancone allestito per il rinfresco. Lo scrutò con aria assente guardandosi indietro per alcuni istanti, ma di Elijah non c’era più nemmeno l’ombra. Ma quando ritornò a voltarsi verso il bancone sussultò nel notare quell’improvvisa figura sbucata dal nulla. Corrugò la fronte guardando Klaus che si era appoggiato al bancone con noncuranza, standole proprio accanto, prima di voltare lo sguardo ad immergere i suoi occhi in quelli verdi di lei.
– Non devi darle ascolto. – le sussurrò lui, vedendola serrare nervosamente la mascella – Mia sorella Rebekah dice cose senza senso quando è ubriaca o infastidita. E stasera penso ci siano un po’ entrambe le cose. – la rassicurò, guardandola intensamente. Ma l’espressione di Sofia non parve cambiare.
– Ti diverti a raccontare gli affari degli altri a chiunque ti capiti a tiro? – gli domandò. Klaus si voltò completamente verso di lei sorridendo sornione.
– E va bene, non avrei dovuto farlo. Mi dispiace. Ti basta? – rispose lui, sorridendo divertito. Ma lei parve innervosirsi ancora di più.
– No, non mi basta. – commentò secca. L’Originale si fece scappare una risatina mentre afferrava uno di quegli stuzzichini decorati per l’occasione e glielo tese con eleganza.
– Trovo che le ali nere non si abbinino alla tua personalità. Indicano un’anima corrotta ed impura, tu non lo sei affatto. E volevo ringraziarti per quello che hai fatto con Mikael. – le disse nonostante provasse un certo fastidio nel vederla rifiutare quello stuzzichino da lui teso.
– Mi dispiace per quello che sta succedendo tra te ed Elijah. – rispose lei voltando timidamente lo sguardo a quelle parole che nemmeno avrebbe dovuto pronunciare, non verso quel vampiro. Klaus sorrise soddisfatto.
– Vedrai che Rebekah cambierà presto opinione su di te, non ha ancora avuto modo di conoscerti. – le disse Klaus. Lei strinse le labbra. Non era il fatto che Rebekah non l’accettasse, il problema. Dopotutto lei non pensava di poter piacere a tutti. Ma un improvviso odore, che si mescolava alla puzza di alcolici che popolava il loco, la destò. Sollevò lo sguardo di scatto sentendo Klaus irrigidirsi inevitabilmente al suo fianco. Mikael si avvicinò con calma estrema al tavolo ammirando con poco piacere ciò che era appoggiato su di esso.
– Sento aria di tenerezza da queste parti. – mormorò, andando a guardare Klaus e Sofia.
– Oh, ci si rivede Niklaus. Speravi che avessi lasciato Mystic Falls? – domandò verso il figlio con finta sorpresa. Sofia indietreggiò giusto un po’ finendo inevitabilmente per imbattersi nella figura di Klaus, in quel momento alle sue spalle.
– Mikael. Cosa sei venuto a fare qui? – domandò Klaus pieno di odio, disprezzo e paura. Il padre sorrise amaramente.
– Tre dei miei figli sono ad una festa organizzata da adolescenti, sono qui per controllare che non alzino troppo il gomito. A proposito, dove sono Elijah e Rebekah? – domandò, appoggiandosi con una mano al bancone. Solo dopo aver pronunciato quelle parole abbassò lo sguardo su Sofia, sorridendole.
– Che sorpresa incontrarci di nuovo. I miei figli non ci hanno presentati come si deve. Tu sei Sofia vero? – le domandò, educatamente. Lei strinse le labbra annuendo impercettibilmente col capo.
– Andiamo, non avere paura. Il gatto ti ha mangiato la lingua? – aggiunse, ghignando beffardo. Klaus guardò la scena pietrificato scostandosi da quella Sofia che aveva timore di essere troppo vicina all’altro vampiro. Il padre Originale sbuffò e quando sollevò lo sguardo Klaus era sparito nel nulla. Sorrise beffardo e ritornò a guardare la biondina.
– Ti ha lasciata di nuovo qui tra le mie mani. – affermò, riportando il busto perfettamente eretto.
– Un padre che minaccia di uccidere suo figlio, spaventerebbe chiunque. – ammise Sofia solo in quel momento, deglutendo il groppo che le si era formato in gola. Mikael scosse il capo.
– Se ti può consolare, ho cambiato idea. Non ho più intenzione di uccidere mio figlio. – affermò l’Originale, guardandola con un’espressione seria. E lei divenne improvvisamente interrogativa e dubbiosa, come se cercasse la verità in quelle parole. Ma lui sembrava più sincero di chiunque altro in quel momento.
– Perché? – gli chiese istintivamente.
– E’ mio figlio, dopotutto. Ho fatto di tutto per tenere in vita la nostra famiglia ed ora cercherò di rimediare agli errori che ho fatto durante tutti questi anni. Ma questa è una cosa che riguarda la mia famiglia, Sofia. Tu stai pure tranquilla. – sussurrò Mikael, prima di voltarsi ed allontanarsi evitando ulteriori domande da parte della ragazza. Sofia corrugò nuovamente la fronte guardandosi intorno istintivamente. Si spostò dal bancone immergendosi nuovamente tra la folla di studenti cercando nell’aria l’odore di Elijah, in silenzio.
Aprì la porta d’ingresso di quell’enorme scuola allestita per uscire all’esterno, ammirando l’aria della notte. L’oscurità interrotta dai soli lampioni delle strade sembrava rassicurarla. Sentì l’odore di Elijah non troppo distante e si voltò scorgendone la figura di spalle nei pressi di Klaus e Rebekah, accanto ad una parete della scuola. Sembravano parlare. Lei non si avvicinò ma istintivamente alimentò il suo udito riuscendo a sentire appena la voce di Klaus, ma non riuscì a fare in tempo a sentire le parole da lui pronunciate che un braccio l’avvolse per le spalle e la costrinse a voltarsi.
– Ehi guarda Elena, sono riuscito a trovarla. – affermò Damon con un tono di voce beffardo. Se la strinse contro il petto mentre lei batteva le palpebre confusa cercando con gli occhi verdi la figura di Elena che si avvicinava con un gran sorriso stampato in viso.
– Sofia, eccoti finalmente. Che fine avevi fatto? – domandò la Gilbert sorridendole gentilmente. Stefan la seguiva subito dopo.
– Io… – iniziò a dire la bionda, cercando irrimediabilmente una scusa che potesse servirle.
– Abbiamo visto Mikael alla festa. Va tutto bene? – domandò Stefan premurosamente. Damon non spostò il suo braccio da lei.
– Almeno abbiamo appurato che non l’ha rapita di nuovo. Avanti, Marilyn, di cosa avete parlato tu ed il papà Originale? – chiese ulteriormente il fratello maggiore dei Salvatore. Ma non ebbe il tempo di ricevere risposta poiché una mano gli afferrò il polso del braccio avvolto intorno alle spalle della vampira e glielo spostò bruscamente spintonando lontano da Sofia la figura di Damon.
– Credo che tu debba restare al tuo posto, Damon Salvatore. – ringhiò Elijah con tono gelido. Damon si risistemò la giacca.
– Oh, suvvia Elijah, ho fatto molto di peggio alle ragazze. – ammise il vampiro, sorridendo in maniera maliziosa. Elena e Stefan gli regalarono un’occhiata furiosa quasi all’unisono ed Elijah non fece altro che fulminarlo con lo sguardo. Rebekah, non troppo distante insieme a Klaus, sorrise divertita dalla scena che si era venuta a creare. Elijah si fermò nei pressi di Sofia squadrando i due Salvatore e la Gilbert.
– Non penso ci sia bisogno di preoccuparvi. Questa è una cosa che riguarda la nostra famiglia e, inoltre, terrò d’occhio io Sofia. Adesso, con permesso. – mormorò elegantemente Elijah scorgendo l’appena percettibile annuire del capo di Elena, la quale comprendeva pienamente la situazione. Ella sorrise nei confronti di Sofia e subito dopo si allontanò con passi insicuri e lenti insieme ai due Salvatore. Ormai aveva imparato a non impicciarsi negli affari degli Originali fino a quando non si ritrovava ad essere la diretta interessata e dal comportamento di Elijah aveva ben capito che lui non voleva alcun aiuto. Sofia si avvicinò a Klaus e Rebekah insieme ad Elijah e fu proprio Klaus a guardarla con un’espressione incerta. Ancor prima che loro potessero farle delle domande, lei schiuse le labbra per iniziare a parlare.
– Ha detto che non vuole più uccidere Niklaus. – affermò sicura sebbene il tono di voce lieve. Rebekah sembrò sorpresa ma allo stesso tempo estremamente contenta. Elijah, insieme a Klaus, non parve molto convinto di quelle parole.
– Ti ha spiegato il motivo? – domandò Elijah. Gli occhi verdi di lei si spostarono tranquillamente sul volto dell’Originale.
– Ha detto che vuole farsi perdonare per quello che ha fatto in tutto questo tempo. E penso voglia rimettere in piedi la vostra famiglia. – rispose ancora una volta Sofia facendo saettare lo sguardo sui tre volti gelidi che si trovava davanti. Klaus sussultò a quelle ultime parole.
– Non vorrà risvegliare Kol e Finn? – domandò istintivamente. Elijah e Rebekah lo guardarono eppure lui parve soffermarsi sull’espressione gelida che stanziava sul volto del fratello.
– Hai paura delle loro reazioni dopo che li hai rinchiusi in una bara per così tanto tempo? – domandò Elijah e Klaus sembrò ringhiare infastidito.
– Non ci sarò quando dovrai affrontarli. – ammise ancora una volta Elijah incitando Sofia ad allontanarsi insieme a lui, di nuovo verso la scuola. Sorrise in una maniera terrificante e glaciale voltandosi insieme alla bionda ed avviandosi verso l’ingresso. Lei strinse la testa nelle spalle.
– Non dovresti accompagnarlo? Sei suo fratello, dopotutto. – mormorò la vampira guardandolo di sottecchi. Lui varcò velocemente l’ingresso della scuola riportandosi in quel corridoio sonoro che portava alla sala in cui tutti gli studenti si erano ammassati per la festa. E quando quegli occhi verdi posarono sul viso di Elijah, riuscì a vedere il modo con cui teneva serrata la mascella e come sembrava teso.
– Non ti fidi di quello che ha detto tuo padre, vero? – gli chiese lei riprendendo a guardare davanti a sé.
– Conosco mio padre da molto tempo. Perdonare Niklaus così facilmente, non è da lui. – rispose lui ma si fermò improvvisamente e la costrinse a fare altrettanto – Ma tu non dovrai crearti alcun problema, Sofia. Non permetterò che gli succeda niente per salvaguardare la vita dei tuoi amici. E per stasera dovrai solo goderti questa festa. Per quanto riguarda la mia famiglia, provvederò a tutto io. – le disse, fissandola intensamente negli occhi. Era serio, teso e quei suoi occhi scuri quasi facevano paura nella penombra, eppure lei piegò le labbra rosse in un sorriso. Si era sempre fidata di Elijah, sin dall’inizio.
 
Mikael si guardò intorno ammirando la grandezza e la maestosità con cui i suoi figli erano riusciti a mettere su una casa, la dimora dei Mikaelson. Sorrise amaramente prima di riuscire a sentire il vento gelido della morte carezzargli la schiena. Si voltò riuscendo a malapena a scorgere la figura sfocata e debole di Esther, sua moglie.
– Mio amore. – disse il vampiro, fissandola. Esther restò seria e concentrata, cercando di mantenere il contatto che era riuscita ad avere con il mondo dei vivi grazie ai poteri delle streghe.
– Mikael, marito mio. Sei riuscito a prendere in mano la situazione? – domandò Esther, con quella sua voce cupa e lontana. Mikael annuì, continuando a guardarla.
– Mi sto riavvicinando alla famiglia, manca solo il tuo ritorno. – confermò il vampiro. Esther sorrise in maniera tenue apparendo sempre meno visibile.
– Non manca molto ma per interagire nel pieno delle mie capacità con il mondo dei vivi ho bisogno di un corpo in cui depositare la mia anima. Quello di Rebekah. – disse la donna fantasma senza tanti giri di parole.
– Vuoi usare nostra figlia Rebekah? – domandò Mikael, forse incredulo. La donna annuì.
– Mi farò rivedere quando tutto sarà pronto. Mikael, mio amore, non dimenticare che lo stiamo facendo per i nostri figli. – sussurrò debolmente Esther. Lui scosse il capo.
– Non lo dimenticherò. – rispose, guardandola sparire e lasciando nella casa nient’altro che un silenzio. Quando si voltò, ammirò i cadaveri degli ibridi ammassati all’ingresso e raccolse un pallido fazzoletto dalla tasca del suo elegante completo per ripulirsi la mano sporca del loro sangue, accuratamente.

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Note dell'autrice:
Oddio, questo capitolo non mi piace per niente. PER NIENTE.
Ci sono stata praticamente una settimana intera a scriverlo, cancellarlo e riscriverlo ancora una volta
e nonostante questo continua a non piacermi. Ma dovevo farlo, purtroppo avevo esaurito le idee, l'ispirazione
e la pazienza. Ringraziate vivamente che non siete la mia compagna di banco, nonché mia migliore amica, costretta
ad ascoltare i miei problemi su questo capitolo per ben sei ore di fila ogni mattina. Detto questo, voglio lasciare a
voi qualsiasi tipo di commenti, e me ne aspetto molti di negativi a dirla tutta. Passiamo direttamente ai ringraziamenti. u.u''
Dunque, ringrazio Anonymous writer, Iansom e Pipia per aver recensito il precedente capitolo. Inoltre ringrazio vivamente Iansom per aver recensito tutti i capitoli della storia ed aver iniziato a seguirla. **
Ringrazio elyforgotten, iansblueyes, ladyselena15, morgan_le_faye e SaraIS per aver aggiunto la storia nelle preferite ed infine ringrazio le quindici persone che l'hanno aggiunta tra le seguite. :D E voglio fare un ringraziamento speciale a meiousetsuna che sta leggendo pian piano la mia storia e la recensisce nonostante non abbia molto tempo, grazie. :3 Ah, ho anche modificato tutti i titoli dei capitoli passandoli in italiano. Il mio inglese fa davvero schifo, lo ammetto, e quindi ho preferito metterli così anche se non rendono benissimo l'idea come avrebbe fatto l'inglese. u.u'' Detto questo, a voi la parola!

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Capitolo 9
*** Fantasmi. ***


Sofia girò lentamente su sé stessa ammirando la stanza del piccolo Gilbert. Aveva spesso passato intere giornate in quel posto eppure non aveva mai messo piede all’interno della camera di Jeremy. Sollevò lo sguardo curioso verso l’alto prima di accomodarsi elegantemente sul bordo del letto di lui. Jeremy la guardò sorridendo, ammirando quel tenero sorriso che lei portava disegnato sul suo viso.
– Sembri una bambina in un parco giochi. – affermò il ragazzo riponendo il libro che aveva tra le mani su di uno scaffale della stanza, prima di avvicinarsi a lei ed accomodarsi al suo fianco. Lei rise leggermente e lui si deliziò di quella risata così perfetta. La guardò attentamente e Sofia ricambiò il suo sguardo. A Jeremy parve di perdersi nel verde intenso di quegli occhi e schiuse le labbra incantato, prima che lei spostasse lo sguardo.
– Jeremy, una volta hai detto di volermi conoscere per quella che sono veramente, giusto? – domandò lei calando leggermente lo sguardo imbarazzata. Il piccolo Gilbert sussultò a quelle parole rammentando il giorno in cui si era fatto mordere da lei, in quello sgabuzzino.
– Si, Sofia. – rispose in un sussurro. Solo in quel momento la bionda sollevò nuovamente lo sguardo verso il ragazzo. L’espressione era seria, incredibilmente seria, ma macchiata di una certa dolcezza mentre scrutava gli occhi scuri del Gilbert. Un’esile mano della vampira si sollevò a raccogliere il viso di lui smuovendo le dita contro la sua guancia nell’intento di carezzargli morbidamente la pelle. Jeremy rabbrividì a quel tocco. La situazione stava prendendo una strana ed inspiegabile piega e lui corrugò la fronte incredulo, ma non ebbe il coraggio di spostarsi. Lei piegò le labbra rosse in un sorriso gentile prima che le mani del Gilbert l’afferrassero per le spalle tenendola ferma. Lei sgranò appena gli occhi stupita da quel gesto.
– Stavolta non spostarti, Sofia. – mormorò lui a due passi dalle labbra carnose di lei. Sofia lo fissò avvertendo un leggero tremolio nelle labbra mentre alternava gli occhi verdi tra quelli di lui e le labbra del ragazzo che sembravano sempre più vicine a quelle di lei. Ma non si spostò. Jeremy raggiunse le labbra della vampira raccogliendo il suo volto tra le mani e sostenendolo in alto verso il proprio, socchiuse gli occhi al tocco con lei. Rabbrividì, ancora una volta, ed inevitabilmente sentì il cuore iniziare a battere con molta più intensità all’interno del petto. Fu lei a schiudere le labbra rendendo quel contatto maggiormente intenso, maggiormente passionale nel mentre gli occhi venivano tenuti chiusi per gustarsi maggiormente quel momento. Afferrò Jeremy con una velocità ed una forza vampirica distendendolo del tutto sul letto e portandosi sopra di lui, senza mai interrompere quel bacio. Jeremy spostò le sue mani afferrando dolcemente i fianchi della vampira. Sentì lentamente le labbra di lei andare distaccandosi riaprendo gli occhi per ammirare i suoi perfettamente verdi. Non vi fu parola in quell’istante, Sofia si chinò su di lui percorrendo con le sue labbra carnose il profilo del viso del ragazzo sino a discendere verso il suo collo strappandogli un altro brivido, un brivido che sembrava aver compreso chiaramente le intenzioni della ragazza. Socchiuse gli occhi, non accennava a voler impedirglielo. Lo avrebbe fatto, solo per lei, ogni volta che glielo avrebbe chiesto. Strinse i denti quando sentì quella fitta lancinante al collo trattenendo dolorosamente un gemito di dolore. Eppure, sebbene avesse donato il suo sangue a Sofia già una volta prima di quel momento, quel morso era doloroso, tremendamente doloroso, e privo della gentilezza da lei usata la prima volta. Le toccò timorosamente le spalle, come se temesse di spezzarla.
– Sofia, aspetta, mi fai male. – ringhiò Jeremy sommessamente avvertendo la fitta lancinante al collo sotto i canini dalla ragazza.
– Sofia! – esclamò. L’afferrò bruscamente per le spalle e la tirò indietro allontanandola dal suo collo, ma quando riaprì gli occhi ad incrociare quelli della ragazza sembrò perplesso. Quegli occhi iniettati di sangue non appartenevano a lei. Quello sguardo minaccioso e ferale non faceva parte della personalità della bionda. Il sorriso distorto dai canini e quei capelli corvini e lisci non appartenevano a lei.
– Anna. – Jeremy dette voce ai suoi pensieri confusi davanti alla visione di Anna, sopra di lui.
– Sei un traditore, Jeremy. – il sorriso dalle labbra della ragazza svanì nel pronunciare quelle parole. A velocità vampirica la bocca ed i canini della ragazza gli perforarono di nuovo il collo strappandogli uno straziante e sonoro urlo.
Lui spalancò gli occhi alzando il busto e sedendosi nel letto fissando il buio della stanza. Una mano di Jeremy scattò sul suo stesso collo ritrovandolo liscio e privo di segni mentre il suo cuore batteva nel petto in maniera decisamente veloce. Si passò una mano sulla fronte impregnata dal sudore prima di rendersi effettivamente conto di aver sognato. E non riuscì più a prendere sonno per quella notte, con le parole di Anna che gli rimbombavano sonoramente nella testa.
 
– Si è trasferito a casa loro, come se nulla fosse. – stava dicendo Sofia mentre riponeva i libri dell’ultima lezione all’interno dell’armadietto. Caroline, Elena e Bonnie erano proprio a due passi da lei intente a guardarla e ad ascoltarla.
– Vuole rimettere le cose apposto con la sua famiglia, rimediare ai suoi errori. – aggiunse richiudendo l’armadietto e guardando le altre tre incuriosite dalle sue parole. Caroline sospirò.
– Ma mi chiedo perché questo Mikael sia venuto proprio a confidarsi con te. – ammise appoggiandosi con una spalla all’armadietto accanto a quello di Sofia. La bionda scrollò le spalle.
– Forse perché voleva che io lo facessi sapere ad Elijah, quindi a tutta la famiglia. Magari è troppo orgoglioso per ammetterlo così su due piedi. – ipotizzò guardando le altre tre dubbiosa. Bonnie sbuffò pesantemente.
– Quasi quasi, sto rimpiangendo l’estate. Sto rimpiangendo quel bel periodo che abbiamo trascorso. – ammise la strega sistemandosi la borsa sulla spalla. Sofia abbassò appena lo sguardo mentre Caroline portò sulla streghetta lo sguardo prima di guardare Elena e sorridere maliziosamente.
– Beh, possiamo staccare la spina per una bella serata, non pensi? – domandò Caroline a Bonnie nonostante quelle parole fossero rivolte anche a Sofia che sollevò incuriosita lo sguardo verso la bionda e la Gilbert.
– In che senso? – chiese Bonnie. Elena sorrise maggiormente.
– Io e Caroline stavamo organizzando un pigiama party per stasera. Noi quattro insieme a casa Salvatore. – affermò la Gilbert guardando anche l’altra bionda presente e cercandone una possibile risposta nello sguardo. Sofia parve sorpresa a quelle parole, tanto che le labbra rosso acceso si schiusero leggermente.
– Perché proprio a casa Salvatore? – domandò Bonnie.
– Perché a casa mia c’è mia madre, che è una guastafeste. A casa di Elena ci sono Jeremy ed Alaric, quindi abbiamo scelto il pensionato Salvatore. Grande, ospitale e adatto a una festa tra ragazze, possiamo cacciare fuori a calci i due fratelli e tenere la casa tutta per noi. – ammise Caroline scrollando delicatamente le spalle.
– Aspetta, non saremo un disturbo, no? – domandò Sofia improvvisamente. L’ultima cosa che voleva era disturbare i due fratelli. Elena scosse prontamente il capo.
– Avevo già accennato una cosa del genere a Stefan, e Damon non si lamenterà di certo. – rispose la ragazza guardandola con un sorriso rassicurante. Sofia si sistemò la borsa sulla spalla guardando Bonnie che aveva accennato un sorriso proprio sul volto.
– Per quanto mi riguarda, ci sto. – confermò la strega. Sofia piegò le labbra in un carnoso e rosso sorriso.
– Verrò anch’io, allora. – rispose, iniziando a spostarsi dall’armadietto.
– Dove vai? – le domandò Caroline vedendola intenzionata ad allontanarsi.
– Volevo passare a casa di Elijah. Non preoccupatevi, ci vedremo direttamente lì. – affermò Sofia salutandole con un cenno della mano ed avviandosi verso l’uscita della scuola. Mentre le tre la guardavano, Caroline sorrise maliziosamente, ma non proferì parola.
 
Sofia raggiunse lentamente la porta d’ingresso della maestosa casa che i Mikaelson si ritrovavano. Le palpebre socchiuse a causa del troppo sole si rilassarono quando venne investita dall’ombra che la grande casa emanava. Sollevò una mano bussando con calma. Corrugò la fronte quando s’accorse che nessuno sembrava aprirle ma, soprattutto, restò stupita quando la porta scricchiolò aprendosi leggermente da sola. La aprì del tutto inoltrandosi lentamente nella casa.
– Permesso? – domandò educatamente ritrovandosi in un ingresso enorme e perfettamente pulito. L’ultima volta che aveva ammirato la bellezza e l’eleganza di quella dimora, aveva poi sparso sangue. E la cosa ancora la feriva. Si richiuse la porta alle spalle avanzando verso l’interno mentre si guardava intorno.
– Elijah? – lo chiamò quando all’improvviso sentì un odore minacciosamente vicino a lei. Si voltò di scatto ritrovandosi davanti il sorriso elegante di Elijah. Lei indietreggiò di un paio di passi prima di piegare le labbra in un sorriso.
– Nessuno era venuto ad aprirmi quindi… – stava cercando di giustificarsi ma l’Originale scosse debolmente il capo.
– Non ti preoccupare. – la rassicurò il vampiro. Ma in pochissimo tempo l’espressione di lui divenne più seria.
– Cosa ci fai qui? – le chiese. Lei sembrò sorpresa da quel repentino cambio di atteggiamento e si guardò intorno incuriosita, prima di ritornare a guardarlo.
– Volevo dirti una cosa. Ma, c’è qualcosa che non va? – domandò la vampira vagamente preoccupata. Elijah scosse prontamente il capo.
– Nulla. Cosa volevi dirmi? – le chiese, con un tono macchiato della sua solita freddezza.
– Le ragazze hanno organizzato un pigiama party stasera. Dormirò con loro. – gli disse, col tono di voce di una bambina contenta. E lui sorrise per questo, avvertendo la palpabile felicità ch’ella emanava da ogni poro.
– Invaderanno casa tua? – domandò lui, lasciando sfumare appena il sorriso mentre parlava. Sofia scosse il capo.
– In realtà staremo dai Salvatore. – gli rispose. E l’espressione del vampiro divenne nuovamente una lastra di ghiaccio.
– Parteciperanno anche i Salvatore? – domandò con tono di voce glaciale. L’espressione ancor più stupita di lei non si fece attendere.
– Oh, no! Ci saremo solo io, Elena, Caroline e Bonnie. – si accinse a rispondere prontamente la vampira. Elijah strinse le labbra annuendo debolmente col capo.
– Posso offrirti qualcosa? – le domandò allargando un braccio per indicare l’ampio salone proprio al fianco dell’entrata. Sofia piegò le labbra in un sorriso ancor più ampio.
– Non preoccuparti, non voglio recarti altro disturbo. – ammise lei in un tono gentile ed educato. Elijah sollevò una mano carezzandole leggermente il viso. La sentì sussultare a quel tocco.
– Tu non disturbi mai. – ammise, facendole cenno di seguirlo. Raggiunsero il salone e lui le versò un bicchiere di tea ancora caldo, segno che era stato preparato da poco.
– Sei solo in casa? – domandò la vampira curiosamente, affiancandolo.
– Niklaus cerca di essere poco presente da quando anche nostro padre ha deciso di vivere qui. E Rebekah e mio padre sono usciti presto oggi. – rispose il vampiro raccogliendo la raffinata tazza di tea appena versato e gliela porse. Le piccole dita di lei la raccolsero ringraziandolo con un tono di voce basso e accostò il vetro alle labbra strappandone un caldo sorso. In poco tempo il sapore del tea le invase la bocca, deliziandola. Quando lo scostò finì per guardare il vampiro.
– E’ buonissimo. – si complimentò ed Elijah sorrise appena.
– Ehi, Elijah. – lo chiamò lei, attirando maggiormente la sua attenzione.
– Sai benissimo che qualsiasi cosa ti turbi, puoi dirla a me. – lo rassicurò. Per un attimo Elijah parve ritrovarsi nel 1973, quando le aveva confessato la sua natura di vampiro. Spostò lo sguardo osservando la casa vuota e silenziosa e sentendo il rumore del vetro della tazza di lei che veniva appoggiato sul bancone proprio lì di fianco.
– Ho una brutta sensazione. – ammise l’Originale. Lei annuì, comprensiva.
– Mio padre è strano. Troppo apprensivo. Nemmeno da umano si comportava in questo modo. – continuò il vampiro ritornando a guardarla. Si perse in quegli occhi verdi che lo scrutavano attentamente.
– Pensi che tuo padre stia nascondendo qualcosa? – domandò lei.
– Se non è così, non so cos’altro pensare. – le rispose il vampiro. Dopodichè sorrise.
– Ma non c’è bisogno che te ne preoccupi. Qualsiasi cosa stia accadendo, io lo scoprirò. – commentò sicuro. La vampira lo guardò a lungo.
– Cerca solo di non metterti nei guai. – gli chiese lei. Sentì una mano di Elijah sfiorare ancora una volta una propria gote con quel suo tocco freddo, elegante e delicato.
– Divertiti stasera con le tue amiche. – le sussurrò il vampiro, sorridendole.
– A proposito, forse dovrei iniziare ad andare. – commentò lei sorridendogli gentilmente. Lui annuì più volte e l’accompagnò alla porta.
– Vuoi che ti accompagni? – le chiese, aprendole la porta ma lei scosse il capo.
– Non ce n’è bisogno, tranquillo. Passa una bella giornata, Elijah. – gli disse, sorridendogli ed iniziando ad uscire. Lui le sorrise elegantemente e la guardò mentre avanzava per raggiungere nuovamente la strada.
 
Caroline lanciò a Bonnie uno dei pacchetti di patatine che lei stessa aveva recuperato e la strega l’afferrò. Elena si lasciò cadere sul grande divano nel salone del pensionato Salvatore proprio al fianco di Sofia che sgranocchiava dei salatini con un’aria tranquilla.
– Oppure, Elena, ti ricordi di quella volta in cui Bonnie si era presa una cotta per Chris, quello che veniva dalle Hawaii? – chiese Caroline intenta a raccontare aneddoti passati per rendere l’atmosfera maggiormente tranquilla e rilassante. Elena rise al ricordo e Bonnie gonfiò le guance.
– Era prima del liceo! – esclamò la strega. Anche Caroline rise e si voltò verso Sofia.
– Avresti dovuto vederla, Sofia. Era davvero troppo buffa. – esclamò la Forbes con un tono assolutamente divertito mentre la strega consumava le patatine ancor più offesa.
– E tu, Sofia? Hai mai avuto cotte adolescenziali? – domandò Elena guardandola maliziosamente. Sofia sollevò lo sguardo di scatto verso la Gilbert imbarazzandosi al silenzio che si era creato nella stanza e agli sguardi indagatori delle altre due.
– Beh… – iniziò a dire con tono imbarazzato. Caroline rise cristallina.
– Andiamo! Hai sentito praticamente tutte le nostre cotte, ora vorremmo conoscerne di tue. – affermò estremamente curiosa. Sofia deglutì giocherellando timidamente con la bustina dei salatini.
– Mai avute, in realtà. Non mi sono mai relazionata con le persone, o almeno non così tanto. – rispose, tenendo lo sguardo chino, ancora imbarazzata.
– Uhm, allora mi sa che dovremo rimediare. – commentò Caroline portandosi in piedi. Si avvicinò ad una mensola del salone dei Salvatore raccogliendo una bottiglia di tequila.
– Intanto penso che dovremo divertirci un po’. – mormorò la bionda, voltandosi verso le altre. Elena scosse prontamente il capo.
– Non credo che Damon gradirà se tocchi i suoi alcolici. – disse la Gilbert alzandosi in piedi. Ma sorrideva, nonostante quelle parole.
– Ne prenderemo solo una. E poi hanno deciso di prestarci la casa, quindi non vedo perché dovrebbero lamentarsi se prendessimo in presto anche una di queste. – commentò ulteriormente la bionda. Sofia sorrise divertita dalla situazione. C’era da ammettere che la compagnia di quelle tre alleviava qualsiasi tipo di tensione. Bonnie scosse il capo ridacchiando e si avviò a prendere dei bicchieri.
– Ah, per me no. Io non bevo. – commentò Sofia. Caroline la fulminò giocosamente con lo sguardo.
– Andiamo, c’è sempre una prima volta! Mi tocca rimediare anche su questo. – continuò a dire Caroline mostrando quanto fosse, in effetti, loquace. Bonnie raccolse i bicchieri e li distribuì ad ognuna di loro prima che Caroline passasse a versare un po’ di tequila. Sollevarono i bicchieri in alto e Sofia le seguì impacciata.
– Alle cotte del liceo. – disse Caroline, sorridendo. Le altre la seguirono e quando i bicchieri batterono tra loro, tutte accostarono i vetri alle labbra sorseggiando l’alcolico mentre Sofia esitò duramente. Non aveva mai bevuto alcolici in tutta la sua breve ed innocente vita. Ma si trattava di loro, si trattava delle sue amiche e del fatto che potesse essere davvero rilassata in quel momento. Avvicinò il bicchiere alle labbra macchiandosele col sapore della tequila. Era molto più buona di quanto s’aspettasse e strappò un altro sorso che le riscaldò la gola. Le guardò e sorrise. Arrivò un momento in cui la vivacità di Caroline era davvero palese, quando si ritornò sull’argomento degli amori. Parlare riusciva bene a tutte. Rilassava tutte. Sembravano il classico gruppo di ragazze che non avevano altri problemi per la testa se non quale borsa abbinare ai loro abiti. E lei si sentì incredibilmente a suo agio, dopo tanto tempo. Ripose il bicchiere dimezzato della sua tequila sul tavolo davanti a sé mentre le altre parlavano, finché non venne tirata nuovamente in causa.
– Dunque, Sofia, come va la pratica con Elijah? – domandò la bionda maliziosamente. Le altre due sorrisero.
– La pratica? – domandò Sofia incuriosita e confusa.
– Si ovvio. Insomma, sembrate così intimi. E non credo di aver mai visto Elijah così da quando lo conosco. Andiamo, hai detto che non hai mai avuto una cotta adolescenziale. Sarà perché sei finita direttamente alla parte dell’amore epico con il vampiro Originale? – domandò ancora Caroline dando sfogo a tutta la sua personalità invadente. Bonnie rise all’unisono con Elena.
– Andiamo Caroline! – esclamò la Gilbert, ma non sembrava ammonirla in maniera severa. Sofia rise seppur fosse imbarazzata.
– Ma non c’è niente da dire. – ammise, stringendo la testa nelle spalle. Caroline strabuzzò gli occhi.
– Vorresti dirmi che non c’è mai stato nessun bacio tenero al chiaro di luna o una toccatina veloce in tutti questi anni? – domandò perplessa. Sofia schiuse le labbra sorpresa da quella domanda.
– Caroline! – la ammonì Bonnie.
– No, davvero. Nemmeno un bacetto veloce veloce? – chiese ulteriormente la bionda fissandola incuriosita. Sofia deglutì.
– Non abbiamo mai messo il nostro rapporto su quel piano. – ammise la vampira sinceramente, nonostante restasse imbarazzata. Elena la guardò.
– Beh, non è obbligatorio che dobbiate farlo. Insomma, capisco che siano passati davvero tanti anni ma se non siete pronti o proprio non ne avete intenzione, non vedo perché dobbiate forzare le cose. – commentò la Gilbert sorridendole. Ma l’improvviso suono del cellulare di Sofia attirò l’attenzione di tutte facendo crollare il silenzio nella stanza.
– Scusatemi. – mormorò la ragazza. Sembrò confusa, dopotutto non aspettava alcuna telefonata in quel momento. Si portò in piedi raccogliendo il cellulare ed allontanandosi appena da lì per non recare disturbo alle altre.
– Pronto? – domandò una volta portatasi il cellulare all’orecchio. Dall’altro lato, però, non riuscì a sentire nulla. Il tipico rumore di una chiamata disturbata la lasciò incredula.
– Chi è? – domandò ulteriormente. Nel disturbo ed i fischi che sentiva dall’altro capo del telefono, riuscì a percepire il vano tentativo di qualcuno di riuscire a farsi sentire, ma non ne riconobbe la voce. Corrugò la fronte maggiormente confusa e senza che se ne rendesse conto venne attraversata da un brivido. D’un tratto la voce dall’altro capo del telefono divenne più nitida fino ad essere perfettamente chiara.
– Sono io, Sofia. Sono Molly. – sentì. La voce era quella di una bambina di poco più di cinque anni, teneramente macchiata dalla giovane età, non sembrava contenere il tono vivace e contento che caratterizzava la voce di una bambina. Sembrava morta. Sofia si paralizzò strabuzzando gli occhi. Non poteva essere quella bambina, non poteva essere la Molly che conosceva. Quella Molly era morta. Le labbra si schiusero come volessero pronunciare delle parole, ma riuscì a stento ad emettere versi insensati e spaventati. Perse ogni presa sul cellulare che cadde al suolo provocando un rumore che venne udito anche dalle altre nel salone.
– Sofia, va tutto bene? – domandò Elena sporgendosi improvvisamente col viso verso di lei. La vedeva di spalle, con una mano sollevata ad altezza del viso ed il cellulare ai suoi piedi, ancora aperto. Gli occhi verdi e sgranati puntavano un punto vuoto della stanza. Elena le si avvicinò e la sentì sussultare. La vampira si voltò di scatto chiudendo definitivamente le labbra tremolanti. Quando incrociò lo sguardo della Gilbert piegò le labbra in un sorriso teso e si chinò a raccogliere titubante il cellulare. Ridacchiò nervosa.
– Non avrei dovuto bere quella tequila. – mormorò, cercando di giustificarsi. Tremò di nuovo conducendo i suoi pensieri alla voce che aveva sentito. Era lei, non poteva metterlo in dubbio, era Molly.
 
La porta in legno scuro della stanza si aprì lentamente. Lo sguardo verde di Sofia si sollevò a incrociare gli occhi chiari e tondi della bambina che stava facendo il suo ingresso. Lei era distesa in un letto con aria assente. Accennò un sorriso quando vide quello radioso della bambina avvicinarsi al letto abbracciata ad un peluche. Aveva una cascata di capelli lisci e rossastri che le arrivavano fino alla fine della schiena, guance tonde distorte dal sorriso che osava regalare alla vampira nel letto. Si accostò alle lenzuola e ci si appoggiò lentamente guardandola con quegli occhioni azzurri e chiari.
– Stai bene, Sofia? – domandò la bambina con la sua candida voce infantile. Sofia forzò un sorriso e spostò lo sguardo.
– Si, Molly, sto bene. – le rispose. Molly sorrise ulteriormente appoggiando l’orsacchiotto in piedi al fianco della bionda.
– La mamma ha detto che ti porterà presto da mangiare. Hai fame? – domandò la bambina. Solo in quel momento Sofia ritornò a guardarla con un’espressione persa. Il labbro inferiore le tremò ma cercò di nasconderlo stringendolo all’altro. Aveva sempre fame da quando si era risvegliata, perfino in quel momento. Perfino mentre guardava Molly giocare col suo orsacchiotto in maniera totalmente pura ed innocente. Al suo silenzio, la bambina sollevò lo sguardo verso il viso della vampira e la guardò incuriosita.
– Non hai fame? – le domandò ulteriormente la bambina, con un tono di voce leggermente stupito. Sofia forzò un sorriso tenue ma ancor prima che potesse rispondere la porta della stanza in cui l’avevano messa a riposare si aprì di scatto. Margaret, la madre di Molly, era una donna alta dagli occhi chiari come la figlia ed i capelli scuri.
– Molly! Ti avevo detto di non disturbarla! – l’ammonì severamente la madre che le si avvicinò frettolosamente scostandola con delicatezza dal letto. Solo in quel momento Sofia sollevò una mano incitandola a calmarsi.
– Oh no, Margaret, tranquilla. Non stava facendo nulla di male. – le disse con tono lieve e Margaret alleviò le sue prese sulla bimba che, dal canto suo, sorrideva tranquilla. La donna si accovacciò al fianco del letto e guardò la bionda.
– Sei sicura? Ti senti bene adesso, Sofia? – domandò e Sofia annuì, o almeno si sforzò a farlo.
– Sto bene. – disse. Margaret sorrise sinceramente contenta.
– Ne sono felice. Sappi che potrai restare a casa nostra fino a quando ne avrai bisogno. Non è vero Molly? – domandò Margaret finendo per guardare il sorriso radioso della figlia. Molly annuì platealmente stringendo al petto il suo pupazzo. Sofia sorrise e calò appena lo sguardo. Ma quel sorriso si perse quando sentì qualcosa premere all’interno della bocca, quando sentì quel qualcosa che reclamava il cibo più di qualsiasi altra cosa esistesse. Strinse i denti cercando di trattenersi, non avrebbe strappato altre vite, non voleva più farlo.
– Stai bene, Sofia? – le domandò Margaret, appoggiandole una mano su una spalla. Sofia annuì bruscamente facendo oscillare quei boccoli biondo platino e la donna si sollevò in piedi.
– E’ meglio se la lasciamo riposare. Vieni, Molly. E’ ora che vada a letto anche tu. – le disse premurosamente la madre prendendo la mano della figlia e trascinandosela verso l’esterno. Quando Sofia sollevò nuovamente lo sguardo, quegli occhi iniettati di sangue puntarono famelici la porta d’ingresso della stanza ormai chiusa dalla stessa Margaret. Aveva fame, troppa fame. Le labbra finirono per piegarsi in una smorfia sofferente mentre cercava con forza di trattenere il suo istinto. Ma quando fu sul punto di farcela, scostò bruscamente le coperte e si portò in piedi. Si avviò a piedi nudi verso la porta della stanza e la aprì, ritrovandosi nel corridoio. Sentiva il loro odore, sentiva i loro cuori pulsare nuovo sangue, sentiva le loro voci perdersi nel silenzio della casa. Camminò lungo il corridoio appoggiandosi con una mano al muro adiacente alla ricerca di un sostegno che l’aiutasse a tenersi in piedi. Si fermò quando sentì la porta di una stanza aprirsi e sollevò lo sguardo incrociando Margaret che la guardò sbigottita.
– Dovresti riposare. – le sussurrò richiudendo silenziosamente la porta, attenta a non far troppo rumore così da evitare di svegliare la bambina.
– Si è addormentata? – domandò la bionda e la donna annuì sorridendo.
– Ho fame. – ammise la vampira, premendo le dita contro la parete. Margaret sorrise premurosamente e le fece segno di seguirla mentre si avviava verso la cucina della casa. Sofia la seguì in silenzio sino a quando si ritrovò in quella stanza rettangolare e silenziosa in cui l’odore del cibo albergava indisturbato.
– Adesso ti preparo qualcosa da mangiare. – commentò la donna. Sofia si appoggiò al tavolo al centro nella stanza come se davvero faticasse a tenersi in piedi. Fissava la donna di spalle intenta a preparare del cibo che non l’avrebbe saziata e più volte si soffermò sui lineamenti del collo di lei. Schiuse le labbra perdendosi un sospiro che sembrava molto più un ringhio affamato, sommesso.
– Ancora mi chiedo come mai ti trovassi sul ciglio della strada, quella notte. – disse la donna continuando a darle le spalle.
– E per giunta semi-nuda con questo freddo. – continuò, lanciandole un’occhiata fugace. Sofia era lì in piedi a guardarla con aria assente, molto più concentrata alla brama di sangue che sentiva accrescere sempre di più dentro di sé.
– Ti ringrazio per avermi ospitata, Margaret. – quasi ringhiò, invogliando la donna a voltarsi totalmente verso di lei. Stava sorridendo permettendo a Sofia di scorgere la bontà del suo animo.
– Sei una ragazzina, Sofia. Eri sola per strada quella notte. Non hai un posto dove stare, non hai più nessuno con cui stare. Il minimo che io possa fare, è questo. – commentò Margaret allargando platealmente le braccia ad indicare tutto ciò che la circondava. Sofia sorrise ma il suo sorriso durò davvero poco. Le labbra si contorsero in una smorfia dolorante mentre sollevava una mano a coprirle. I canini reclamavano il cibo con violenza e lei sentiva l’intera bocca invasa dal dolore. Sentì la voce della donna ed i suoi passi farsi sempre più vicini e quando sollevò lo sguardo verso di lei, Margaret sembrò stupita da quegli occhi verdi gonfi dalle lacrime. Lacrime che vennero sostituite dall’oscurità della sua anima ormai corrotta, dalle venature che si fecero spazio sulle gote e dal sangue che riempì il verde.
– Oh mio Dio, perdonami. – mormorò Sofia, con la voce strozzata dalle lacrime e dalla fame che aveva. La donna strabuzzò gli occhi impreparata, spaventata e confusa. Eppure, ancor prima che potesse dire anche solo una parola, la bionda l’aveva afferrata bruscamente piegandole il viso e piantando quei lunghi ed affamati canini nella sua carne. Il sangue di Margaret le invase la bocca e le strappò un lungo e sonoro mugolio di piacere che venne coperto dalle urla strazianti della donna alla quale stava velocemente strappando la vita. Sentì le mani di Margaret batterle contro la schiena con una forza che andò sempre più alleviandosi sino a quando le gambe della donna non finirono con l’afflosciarsi. L’accompagnò al suolo restando chinata sul suo collo a nutrirsi delle ultime gocce di sangue rimaste nel corpo di lei. Si sollevò, con ancora quegli occhi scuri dalla mostruosità che era diventata, guardando quella donna ormai priva di vita distesa al suolo in maniera scomposta.
– No… – sussurrò, scuotendo Margaret debolmente. Ma non rispondeva, non poteva farlo. Strinse gli occhi permettendo ad un paio di lacrime calde di rigarle le guance ma non ebbe il tempo di continuare che un improvviso profumo la destò. Si sollevò in piedi lentamente voltandosi con ancora quegli occhi iniettati di sangue ed affamati, incontrando lo sguardo shockato di Molly.
– Molly... – mormorò guardandola. La bambina strinse al suo petto l’orsacchiotto.
– Mamma… – la chiamò con voce debole sotto lo sguardo sconvolto e colpevole della bionda. Sofia scosse ripetutamente il capo come se non riuscisse a credere a quello che aveva appena fatto. Una scena del genere era troppo per una bambina di poco più di cinque anni e dall’espressione che Molly aveva stampato sul viso, lo capiva. Le si avvicinò con passi lenti e la bambina sembrò paralizzata mentre la guardava spaventata. Le lacrime avevano solcato il suo viso e gli occhi si erano arrossati e gonfiati sotto le lacrime. Non si preoccupava di quel sangue che ancora le stava macchiando le labbra. Si accovacciò davanti alla bambina la quale avrebbe voluto allontanarsi, ma era letteralmente paralizzata dal terrore. Le scostò una ciocca di capelli rossi impedendo alle lacrime della bimba di bagnarli.
– Mi dispiace, Molly. Davvero. Mi dispiace tantissimo. – singhiozzò Sofia mentre la guardava.
– Ma adesso andrà tutto bene. Non sentirai il dolore. – pronunciò quelle parole in sommessi singulti, ma nonostante quelle lacrime le stessero colpevolmente bagnando il viso, gli occhi erano fissi in quelli chiari della bambina raggiungendo la sua mente giovane e soggiogandola. La bambina annuì stringendo le labbra e asciugandosi le lacrime con i polsi. L’orsacchiotto cadde al suolo ormai privo di sostegno. Sofia la guardò, ma quei denti reclamavano ancora cibo. Non era sazia, non sarebbe mai stata sazia come il suo corpo voleva.
– Non farà male. Andrai dalla mamma, adesso. – continuò e la bambina ancora una volta annuì, ripetendo sistematicamente le sue parole. Fu in quel momento che gli occhi della bionda si iniettarono nuovamente di sangue e, senza la minima pietà apparente, lei si avventò sul collo della bambina perforandolo coi suoi stessi canini. Ma Molly non urlò o si agitò, s’irrigidì semplicemente tra le braccia di lei mentre il sangue le veniva portato via con forza. Pian piano quel piccolo corpo perse la sua vitalità, e il suo cuore si spense.

 
Una voce le risuonava morbidamente nella testa. Bonnie aprì lentamente gli occhi ritrovandosi nel salone di casa sua, distesa al suolo. Fissò il soffitto per brevi istanti prima di portarsi in piedi. La voce offuscata, tenue e irriconoscibile continuava a chiamarla con decisione. Quando la strega si ritrovò in piedi, si guardò intorno confusa. La voce si fece sempre più nitida fino a diventare perfettamente comprensibile, palesando infine la figura di una donna alta e dalla pelle scura, dalla testa tempestata da riccioli morbidi. Bonnie sgranò gli occhi indietreggiando di un unico passo, per la sorpresa.
– Nonna? – la chiamò, e la donna sorrise.
– Tesoro. – le rispose, prima che la sua espressione diventasse nuovamente di una serietà palpabile.
– Stai attenta, tesoro. Sta per accadere qualcosa di spiacevole a Mystic Falls. – le sussurrò con tono cupo e Bonnie sussultò, nella consapevolezza che quella cittadina mai sarebbe potuta essere tranquilla.
– Cosa sta accadendo, nonna? – le domandò la streghetta restando in piedi davanti a lei.
– Qualcosa ha aperto i cancelli che dividono il mondo dei vivi dall’altra parte. – affermò la donna continuando a fissarla.
– Gli spiriti delle streghe non faranno niente al riguardo ma, soprattutto, i fantasmi delle persone morte che erano dall’altra parte hanno deciso di scendere sulla terra. – continuò, scorgendo la confusione che era nata sul volto della nipote.
– Perché? – domandò Bonnie in un sussurro sconvolto ed incredulo.
– Per vendetta. – terminò la donna. All’improvviso Bonnie si ritrovò a sgranare gli occhi ammirando il soffitto del salone del pensionato Salvatore. Era distesa su quel letto improvvisato che lei e le sue amiche avevano fatto, accampandosi nell’enorme salone in cui avevano parlato tutta la sera. Gli occhi sgranati fissavano il vuoto. Si portò seduta guardandosi intorno confusa ed intimorita. Volse lo sguardo verso le ragazze che dormivano al suo fianco. Elena era stretta alle sue lenzuola e dormiva profondamente così come Caroline, eppure il posto che avrebbe dovuto occupare Sofia, era vuoto.
– Elena. Caroline. Svegliatevi, forza! – esclamò improvvisamente la strega, balzando in piedi.
 

La serata con la famiglia era stata stancante. Mikael sembrava tranquillo, Klaus eternamente irritato dalla presenza del padre e la ciliegina sulla torta era dovuta dagli strani comportamenti di Rebekah. Sospirò, mentre apriva la porta della camera che gli era stata offerta nella dimora dei Mikaelson ed entrò lentamente, con lo sguardo chino e stanco. La richiuse delicatamente e quando sollevò lo sguardo restò stupito e confuso nel vedere quella esile figura in camicia da notte seduta rigidamente sul suo letto.
– Sofia? – la chiamò Elijah, corrugando la fronte. Lei sollevò lo sguardo lentamente perdendosi negli occhi scuri dell’Originale. Non sorrise, l’espressione della ragazza sembrava affranta e lui ne fu sinceramente colpito.
– Va tutto bene? Non dovresti essere al pigiama party con le tue amiche? – le domandò avvicinandosi con passi veloci. Lei si sollevò in piedi sistemandosi la camicia da notte lungo le gambe e sorrise debolmente.
– Stavano dormendo. – mormorò in un sussurro. Elijah era a pochissimi passi da lei intento a guardarla sempre più confuso.
– Va tutto bene, Sofia? – le domandò ancora una volta. Sofia strinse le labbra annuendo più volte, ma nessuna di quelle la fece apparire convinta. Non stava bene, non quando i ricordi erano riemersi prepotentemente nella sua testa distruggendola.
– Avevo bisogno di te, Elijah. – gli disse con voce strozzata sollevando lo sguardo verso di lui. Si perse nell’oscurità degli occhi dell’Originale, scorgendo la sua fronte corrugata. Quelle parole l’avevano lasciato spiazzato.
– Avevo paura che se avessi pianto davanti a loro, avrei dovuto spiegare tutto quanto. Ma io non voglio spiegare niente, Elijah. Non voglio che conoscano questa parte di me. – continuò a dirgli fermandosi nel parlare per lasciare spazio ad un singhiozzo. Gli occhi lucidi vennero nascosti dalle palpebre che una volta riapertesi lasciarono spazio a lacrime amare e colpevoli che le rigarono le guance. Lei sollevò le mani portandole davanti al viso, come volesse nasconderlo, ma quando le vide le sembrarono sporche, sporche della vita che aveva strappato a persone innocenti.
– Loro non c’entravano niente, volevano solo ospitarmi. Ma allora perché, perché le ho uccise Elijah? Io non volevo farlo, non volevo il loro sangue, ma non sono riuscita a fermarmi. – sussurrò, sollevando lo sguardo verso l’Originale e non vergognandosi del pianto che le stava bagnando il viso. Elijah sembrò distrutto a quella visione, come se quelle lacrime avessero minato ogni cosa dentro di lui. Le si avvicinò ulteriormente allargando le braccia e stringendola a sé, costringendola ad appoggiare il viso contro una sua spalla. Una mano s’inoltrò tra i suoi capelli biondi carezzandola con delicatezza, nel tentativo di confortarla. Quei sibili che fuoriuscivano dalle labbra del vampiro sembravano invogliarla a non parlare, eppure il pianto di lei si ruppe immediatamente in singhiozzi sempre più sonori.
– Non volevo farlo, non volevo ucciderle. – continuava lei ovattando la sua voce contro la spalla spessa e rigida del vampiro.
– Ho ucciso una bambina, Elijah. Sono un mostro. – piagnucolò ulteriormente. Lui riusciva a sentire le piccole spalle della ragazza tremare sotto i singhiozzi sempre più forti e frequenti. La scostò dalla sua spalla improvvisamente afferrandola con delicatezza per le spalle e guardandola negli occhi. Il suo sguardo gelido, era macchiato da un incredibile dispiacere.
– Non è così, Sofia. Guardami. – le disse, costringendola ad alzare quegli occhi arrossati dalle lacrime sul suo viso.
– Hai solo fatto quello che la tua natura ti diceva di fare, non è colpa tua. – continuò il vampiro, riuscendo facilmente a comprendere di cosa lei stesse parlando. Trenta lunghi anni di solitudine per un vampiro novello equivalevano ad anni di morte per gli umani e comprendeva l’inferno che lei stava sentendo. Lei lo guardava con quelle labbra schiuse e bagnate dalle sue stesse lacrime, le mani tremolanti sollevate a mezz’aria.
– Io non volevo essere così. Non volevo… – sussurrò lei singhiozzando ed Elijah annuì, stringendosela nuovamente al petto.
– Lo so. So anche che il senso di colpa è difficile da sopportare. Ma adesso ci sono io qui, Sofia, non permetterò che ricapitino cose del genere. – le mormorò lui, socchiudendo gli occhi. Sapeva quanto potessero essere forti i sensi di colpa e conosceva lei, conosceva la sua anima limpida ed innocente, riusciva ad immaginare cosa lei stesse provando in quel momento.
– Va tutto bene. – continuò a dirle accarezzandole i boccoli biondi. Se la tenne premurosamente al petto lasciandola sfogare quelle lacrime di dispiacere contro di lui. Era pronto sin dal momento in cui l’aveva incontrata da vampira, era pronto ad affrontare la fragilità dell’animo troppo buono che lei portava dentro di sé. Era pronto a vedere le conseguenze della trasformazione.


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Note dell'autrice:
Ecco qui il nuovo capitolo! Ho deciso che pubblicherò un capitolo ogni mercoledì.
E' il giorno in cui so per certo di essere libera ed, inoltre, è il giorno in cui trasmettono
la seconda stagione di The vampire diaries su Italia 1 *-*
Poi ho deciso che i flashback li metto in corsivo, così risultano più chiari (credo) o.ò
Detto questo, penso che le cose siano abbastanza comprensibili in questo capitolo ma qualsiasi cosa, chiedete pure!
Passiamo ai ringraziamenti:
Ringrazio immensamente Iansom, elyforgotten e Pipia per aver recensito il capitolo precedente. Inoltre ringrazio meiousetsuna che, nonostante non abbia tanto tempo, sta leggendo e recensendo poco alla volta tutti i capitoli <3
Ringrazio, poi, elyforgotten, iansblueyes, ladyselena15, morgan_le_faye e SaraIS per aver aggiunto la storia nelle preferite ed, infine, ringrazio tutti coloro che l'hanno aggiunta tra le seguite. **

Passando alle storie che vi consiglio, di leggere, invece eccole qui:
This love never dies ... di morgansglasses.
Blue Moon ... di S u n s e t.
Segreti pericolosi ... di penelope07
Half-Blood ... di Pipia
My story with an Original...with Elijah! ... di elyforgotten.
Over The Deception Of Life ... di elyforgotten

--- Detto questo, sono in un periodo in cui tutto quello che scrivo è assolutamente sbagliato ed orribile v.v'' La mia migliore amica lo chiama "periodo della scrittrice depressa"(?). Non vi nascondo che sarei felicissima di leggere vostri commenti su questo capitolo, positivi o negativi che siano. >///< Per il prossimo, ci vediamo il 26. :D

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Capitolo 10
*** Un'amara delusione. ***


Il silenzio sovrastava la dimora dei Mikaelson. Non che non vi fosse nessuno, semplicemente non manifestavano la loro presenza. Ed Elijah camminò spedito e apparentemente tranquillo fino all’enorme salone della casa avvicinandosi ad un bancone. Iniziò ad armeggiare con una serie di oggetti presenti su quella superficie con la chiara intenzione di prepararsi un tea caldo e, magari, di prepararne un po’ anche per la vampira che aveva premurosamente lasciato di sopra, nella sua camera, dopo una notte a raccoglierne i pezzi che erano andati infrangendosi. Sollevò lentamente lo sguardo quando una serie di passi si erano avvicinati a lui affiancandolo. S’irrigidì scorgendo il sorriso sornione di Klaus che, dal canto suo, s’appoggiò morbidamente al bancone.
– Allora, come sta? – domandò l’ibrido, rompendo il silenzio pacifico che si era venuto a creare nella dimora. Elijah lo guardò per lunghi istanti prima di ritornare alle sue cose, ignorando la domanda che gli era appena stata fatta. Klaus sorrise maggiormente a quella reazione che, in fin dei conti, sembrava aspettarsi.
– Avanti, non potrai odiarmi per sempre Elijah. – commentò l’ibrido sogghignando e scostandosi dal bancone. Elijah fece un sorriso sghembo, spostando la sua attenzione dalle tazzine e la caraffa che aveva davanti per volgere lo sguardo buio e colmo di fastidio verso il fratello.
– Invece posso, Niklaus. – rispose il vampiro. Klaus rise appena continuando a sostenere con facilità lo sguardo del fratello.
– Infrangerai la sua promessa, se lo fai. – sibilò l’ibrido sottolineando maggiormente quelle parole. Elijah trasalì. Il sorriso che gli si era dipinto sul viso andò sfumando velocemente, stupito ed infastidito al contempo davanti alle parole che l’ibrido aveva pronunciato.
– Come fai a saperlo? – chiese in un sussurro gutturale. Klaus sorrise maggiormente, soddisfatto.
– Pensi davvero che avrei lasciato che mio fratello passasse un bel periodo in Italia senza che qualcuno dei miei lo seguisse? – domandò retorico l’ibrido. Elijah irrigidì la mascella serrando a pugno una mano, come se in quel modo cercasse di sfogare quella rabbia senza attaccare il fratello.
– Quindi, mi hai fatto seguire? – chiese ulteriormente il vampiro, fissandolo con astio, disprezzo e rabbia.
– Vampiri soggiogati. Non ero sicuro che se tu avessi trovato Katerina me l’avresti davvero consegnata come avevi detto. Ma hai trovato di meglio fratello, o sbaglio? – parlò Klaus, continuando a sorridergli tranquillamente.
– Deve essere stato un peccato che lei sia morta, in quella maniera poi. Avresti potuto trasformarla, però. – aggiunse, marcando leggermente quelle parole. Fu in quel momento che il vampiro scattò verso l’ibrido afferrandogli bruscamente il colletto della maglia e ringhiandogli a due centimetri dal viso. Klaus non si scompose. Ogni sua parola avrebbe portato a quello, ne era consapevole.
– Non sei stato tu a trasformarla, vero Niklaus? – ringhiò Elijah stringendo i denti ed immergendo i suoi occhi neri carichi di odio in quelli chiari del fratello. Klaus sospirò in una risatina soffocata.
– Mi uccideresti per questo, Elijah? L’hai tutta per te, adesso. E’ scappata dal pigiama party con le amiche per piangere sulla tua spalla. – mormorò Klaus, ma quelle parole furono interrotte da uno scatto e un ringhio da parte di Elijah. La sua presa sul colletto dell’ibrido si era fatta ancora più forte e furiosa e in poco tempo Klaus si ritrovò scaraventato via con rabbia. Impattò contro un tavolino del salone e si riportò in piedi in fretta serrando la mascella verso il fratello, ma sorridendogli ugualmente.
– Come pensi possa averla trasformata, Elijah? Lei non è come noi, dovresti averlo capito. – affermò Klaus osservando attentamente qualsiasi movimento da parte del fratello.
– Oh, Niklaus. Se scopro che c’entri qualcosa con la trasformazione di Sofia, sarò io personalmente a strapparti il cuore dal petto. – ringhiò Elijah ancora una volta prima che una serie di passi morbidi lo destassero. Anche Klaus spostò il suo sguardo corrugando la fronte nello scorgere Sofia scendere l’ultimo scalino e affacciarsi nel salone. Quella bianca camicia da notte le ricadeva delicatamente sulle forme del corpo lasciando una parte delle gambe scoperta e quei piedi nudi calpestavano timidamente la pavimentazione della casa. Elijah la fissò a lungo, incantato dalla visione angelica che lei aveva in qualunque momento, e lei li guardò uno alla volta stringendo le labbra imbarazzata.
– Elijah, dobbiamo parlare. – disse la bionda in un sussurro. Klaus serrò la mascella spostando lo sguardo verso il fratello. Sparì in pochissimo tempo lasciando spazio a nient’altro che una folata di vento che si disperse nel silenzio della stanza. Elijah si avvicinò alla vampira frettolosamente.
– Tu dovresti vestirti. – le sussurrò l’Originale premurosamente, guardandola da capo a piedi. Una mano esile di lei mosse leggermente un suo stesso boccolo come a dimostrare un certo imbarazzo.
– Si, beh, prima devo parlarti. Ma è successo qualcosa con Niklaus? – chiese lei. Elijah scosse il capo facendole capire che quell’argomento non era importante. Dalle labbra rosee di lei partì un sospiro prima che gli occhi verde intenso si perdessero in quelli scuri del vampiro.
– Ho chiamato Bonnie. – iniziò a dire, senza specificare che aveva usato il cellulare dell’Originale, ma lui questo lo sapeva.
– Mi ha detto di un sogno che ha fatto stanotte. Pare che la nonna morta l’abbia avvisata su una cosa che sta accadendo qui a Mystic Falls. – continuò a dire facendo vagare gli occhi verdi lontani dallo sguardo di Elijah. Si passò una mano tra i boccoli biondi, ancora una volta.
– Sembra che qualcosa abbia stravolto l’equilibrio della natura, o una cosa del genere, e abbia aperto i cancelli del mondo dei morti. In questo modo gli spiriti dei morti possono interagire coi vivi. Deve essere per questo che… – si fermò, deglutendo il groppo che le si stava fermando in gola.
– …che hai sentito Molly al telefono, ieri sera. – terminò l’Originale al posto suo.
– Quindi vorresti dire che i fantasmi stanno scendendo nel mondo dei vivi? – domandò Rebekah, sbucando alle spalle della bionda e fissandoli entrambi con un’espressione seria. Sofia si mosse velocemente affiancando timidamente Elijah e voltandosi verso l’altra bionda. Elijah la fissava con insistenza, perfino i movimenti di Rebekah non sembravano appartenere a lei. La rigidità con la quale restava ferma in un solo punto non ricordava assolutamente il modo di comportarsi di quella che era sua sorella. Dal silenzio che si era venuto a creare, la vampira Originale comprese chiaramente la risposta.
– Vi aiuterò. – disse tutto d’un fiato verso gli altri due. Elijah corrugò la fronte.
– Ed in che modo pensi di aiutarci, Rebekah? – domandò il vampiro. Solo in quel momento sul volto della vampira Originale andò disegnandosi un sorrisino, ma non di quelli maliziosi che di solito decoravano il volto della ragazza, sembrava un sorriso premuroso.
– Pensavo di non riuscire ad ingannare anche te, figlio mio. – disse la vampira. Perfino Sofia corrugò la fronte a quell’affermazione, alternando lo sguardo verde tra l’altra bionda ed Elijah al suo fianco. Lo sguardo di Rebekah si posò sul candido volto di Sofia sorridendole gentilmente.
– Mi dispiace non essermi presentata prima, ma questa situazione è piuttosto spiacevole. Io sono Esther, la madre di Elijah. – sussurrò educatamente. Lo sguardo confuso di Sofia balzò verso il viso di Elijah scorgendone stupore ed incredulità.
– E’ impossibile. – bisbigliò il vampiro. Gli occhi di Rebekah si spostarono su Elijah.
– Perché Niklaus mi ha uccisa? Elijah, figlio mio. Sono tornata per voi grazie all’aiuto di vostro padre e di vostra sorella. Avevo bisogno di un corpo, almeno fino a quando Niklaus non avesse svelato dove nasconde il mio. – continuò a dire la vampira, restando ferma sotto la soglia dell’ingresso del salone.
– Niklaus nasconde il corpo di tua madre? – domandò Sofia improvvisamente. Era confusa tanto quanto il vampiro al suo fianco, davanti a quell’affermazione. Sul viso di Rebekah si disegnò un sorriso, e ovviamente era Esther a sorridere.
– Sono certa che questa discesa degli spiriti sulla Terra sia dovuta alla mia presenza tra i vivi. Sono in grado di bloccare tutto, ma ho bisogno del mio corpo per farlo. Sai benissimo com’è tuo fratello, non me lo svelerà mai. Ma forse potrebbe ascoltare lei. – annunciò Esther, indicando col capo Sofia. Quest’ultima scosse il capo.
– Io non credo che… – mormorò, bloccandosi subito dopo davanti al sorriso che era andato disegnandosi sul volto di Rebekah.
– Ed ho bisogno di una strega che sia in grado di fare l’incantesimo per portarmi nel mio corpo. – continuò la strega, guardando entrambi. Elijah scosse debolmente il capo, ancora incredulo. Era impossibile credere che sua madre fosse tornata dal mondo dei morti possedendo il corpo di sua sorella.
– Perché sei ritornata? – sibilò il vampiro, corrugando ancora una volta la fronte. Sul viso di Rebekah si disegnò un ennesimo sorriso.
– Sono tornata per voi, Elijah. Io e vostro padre rimedieremo a tutti i nostri errori. Potremmo vivere insieme, da ora in poi. Ma ho bisogno di te affinché questa cosa possa andare bene. – rispose Esther. Elijah annuì debolmente portando lentamente il suo sguardo su Sofia che lo fissava vagamente preoccupata.
 
Rientrò in auto dopo essere stata a casa, giusto il tempo di cambiarsi. Ritornò a sedersi al fianco di Elijah che teneva le mani sul volante e lo sguardo assente puntato su tutto fuorché su di lei. Quando richiuse la portiera, l’auto partì sfrecciando sulla strada silenziosamente. Sentiva la pressione del silenzio pesarle sulle spalle, una parte di lei non riusciva a sopportare la tensione che Elijah teneva su di sé.
– Magari è una cosa positiva che sia tornata. E’ tua madre, dopotutto. – mormorò Sofia timorosamente, senza ottenere risposta. Elijah teneva la fronte corrugata, lo sguardo serio ed assente puntato sulla strada davanti a sé. Lei abbassò lo sguardo fissando le sue stesse gambe.
– Tu stai bene? – le domandò Elijah improvvisamente interrompendo il silenzio che si era venuto a creare nell’auto. Fu in quel momento che lei sollevò di nuovo lo sguardo, perdendosi negli occhi neri che si erano voltati verso di lei per quel poco tempo. Il vampiro la vide stringere le labbra e annuire più volte, ma era come la sera precedente; stava mentendo. Preferì non aggiungere altro quando finalmente raggiunsero il pensionato Salvatore in cui, come da accordo, il resto della combriccola li stava attendendo. Lui fermò l’auto e la vide scendere tenendo lo sguardo chino. La affiancò raggiungendo presto l’ingresso della casa contro cui un pugno del vampiro iniziò a battere con l’intenzione di farsi sentire. La porta si aprì dopo non molto palesando la figura di Caroline, e nella sua espressione sembrava leggersi nient’altro che preoccupazione.
– E’ successo qualcosa? – domandò prontamente Sofia facendo il suo ingresso nella casa seguita subito dopo dall’Originale. Lo sguardo di entrambi cadde su un Damon seduto rigidamente sul divano e una Elena che sfregava un panno bianco e umido contro il petto nudo del vampiro.
– E’ stata Lexi. – rispose Stefan al posto di Caroline e lo sguardo verde di Sofia si portò su di lui, vedendolo in piedi con le braccia incrociate al petto, nei pressi del fratello.
– Lexi? – domandò Sofia di rimando. Damon fece un sorriso sghembo.
– Ha cercato di strapparmi il cuore, che razza di amica era? – chiese nervosamente sentendo, subito dopo, lo sguardo infastidito del fratello puntare sulla sua figura.
– L’hai uccisa, Damon. – l’ammonì il fratello minore dei Salvatore. Le espressioni di Sofia e di Elijah divennero maggiormente incerte ma, chissà perché, sul volto dell’Originale si disegnò un sorriso sghembo. Caroline si avvicinò a Sofia posandole una mano sulla spalla.
– Lexi era una vampira, la migliore amica di Stefan. Damon l’ha uccisa tempo fa e a quanto pare il suo spirito è tornato per vendicarsi. – affermò la Forbes carezzando morbidamente il braccio di Sofia.
– Tu come stai, Sofia? Ieri notte sei sparita, ci hai fatto preoccupare. – ammise la vampira e Sofia strinse le labbra timidamente.
– Mi dispiace. – mormorò. Bonnie la guardava restando nei pressi del divano quando all’improvviso Elena si portò in piedi lanciando un’occhiata a Stefan, come volesse fargli segno di calmarsi, ma Stefan sembrava oltremodo infastidito e dispiaciuto.
– Dunque? Quando avete detto di riunirci qui pensavo aveste già in mente come risolvere la situazione. – affermò Elijah, guardandoli uno a uno con un’espressione glaciale. Eppure Sofia riusciva ancora a vedere quanto fosse scosso per l’improvviso ritorno della madre. Bonnie si mosse appoggiandosi ulteriormente all’enorme divano nel salone dei Salvatore.
– Devo consultare i grimori e cercare qualche incantesimo che possa aiutarci. – disse la strega, mostrando una certa sicurezza. Elijah fece un altro sorriso sghembo, per lo più nervoso.
– Ah no, piccola strega. Ho bisogno che tu risolva la situazione, subito. – intervenne Damon sollevandosi in piedi di scatto per lanciare un’occhiata furente alla Bennett che, di rimando, lo fissò con astio.
– Perché, Damon, hai paura che tutte le persone che hai ucciso possano organizzare una rivolta contro di te? – domandò Caroline acidamente, intervenendo nella discussione.
– Ragazzi, ragazzi. Non andremo da nessuna parte se partiamo in questo modo. Daremo del tempo a Bonnie per cercare una soluzione, poi risolveremo tutto. – commentò Elena guardando per ultimo tra tutti Damon, che corrugò la fronte innervosito. Sofia sollevò le mani stringendosele al petto intimidita.
– Noi potremmo avere la soluzione. – commentò sentendo improvvisamente lo sguardo di Elijah saettare verso di lei. Incassò la testa nelle spalle senza ricambiarlo direttamente. Lo sentiva nervoso e severo senza la necessità di guardarlo. Elijah era contrario a chiedere l’aiuto della madre e lei riusciva a percepirlo.
– In che modo? – domandò Bonnie fissandola e avvicinandosi a lei di un paio di passi. Gli occhi verdi della vampira si spostarono su Elijah vedendo l’espressione severa che lui le stava regalando e lei ricambiò con un paio di smorfie dispiaciute. L’Originale scosse il capo e si allontanò da lei di un paio di passi, avvicinandosi distrattamente a un tavolino e iniziando ad armeggiare con ciò che era appoggiato su esso, tenendo lo sguardo chino. Solo in quel momento Sofia ritornò a guardare Bonnie.
– Esther, la madre degli Originali, ci offrirà il suo aiuto. Sa come risolvere la situazione ma ha bisogno del tuo aiuto, Bonnie, e ha bisogno di ritornare nel suo corpo. – disse tutto d’un fiato.
– Aspetta, nel suo corpo? – domandò Elena, corrugando la fronte perplessa.
– Si. Lei ha…posseduto quello di Rebekah. Ma ha bisogno del suo per… – stava dicendo Sofia ma si bloccò improvvisamente. Lo sguardo di tutti si portò verso l’alto dove le luci avevano iniziato a spegnersi e riaccendersi continuamente e velocemente. Bonnie si guardò intorno immediatamente.
– Sono loro. – mormorò. Damon la fissò aggrottando la fronte. Sapeva di non poter contrastare gli spettri e, probabilmente una delle pochissime volte in tutta la sua vita, si sentii intimorito. Se fosse tornata Lexi sicuramente gli avrebbe strappato il cuore dal petto. Elijah sollevò lo sguardo incerto prima di posare gli occhi neri sulla figura di Sofia. D’improvviso il vetro delle lampadine penzolanti dal lampadario in alto nel salone si ruppero sonoramente in mille pezzi costringendo i presenti a coprirsi con le mani. Bonnie rabbrividì avvertendo la forza con la quale quello spettro stava cercando di entrare in contatto con il mondo dei vivi ancor prima di sentirlo presenziare nella stanza. Sollevò di scatto lo sguardo quando s’accorse che una donna era apparsa proprio alle spalle di Sofia.
– Sofia, attenta! – urlò la strega. La bionda sollevò immediatamente il capo voltandosi verso lo spettro. Quando incrociò il volto minaccioso e furioso di Margaret schiuse le labbra spaventata.
– No… – mormorò come fosse un piagnucolio.
– Hai ucciso mia figlia. Sei un mostro. – sussurrò Margaret. Ma Elijah si spostò di scatto dal tavolino correndo con quella velocità sovrumana verso la bionda e cingendola con entrambe le braccia per allontanarla dal fantasma. La spostò in tempo affinché quello spostamento d’aria provocato dallo spettro non la colpisse. La fiamma del camino s’accese improvvisamente spaventando perfino Stefan e Damon, che erano i più vicini. Elena indietreggiò e Caroline osservò pietrificata la scena. Non si poteva combattere contro qualcosa che non poteva essere colpito, ma che poteva benissimo colpire chiunque. Bonnie strinse i pugni coraggiosamente e fissò lo spettro cercando di farsi venire in mente qualche incantesimo che potesse contrastarlo. Sofia strinse le sue dita contro la camicia dell’Originale battendo velocemente le palpebre nel tentativo di allontanare quel punzecchiare che avvertiva all’interno degli occhi. Si sporse dalla spalla del vampiro, che intanto si era voltato verso lo spettro pronto a proteggere la bionda tra le sue braccia in qualsiasi modo.
– Margaret… – sussurrò Sofia sotto lo sguardo della donna.
– Hai ucciso la mia bambina. – continuò Margaret, serrando i pugni.
– Aveva solo cinque anni, come hai potuto farlo Sofia? – chiese lo spettro assottigliando lo sguardo.
– No… – piagnucolò Sofia. Sentì le prese di Elijah farsi più forti su di lei alla vista di quegli occhi lucidi che stavano offuscando il verde intenso che caratterizzava le iridi di quella vampira. L’Originale si voltò verso lo spettro.
– Va via. – ordinò. Non poteva colpirla, questo lo sapeva. Bonnie socchiuse gli occhi schiudendo le labbra e sussurrando parole incomprensibili. Strinse i pugni per darsi più forza quando improvvisamente il volto dello spettro mutò. Margaret si portò le mani alle tempie urlando in maniera agghiacciante. La casa venne percossa da una scossa che terminò nel momento stesso in cui lo spettro sparì. Tutti volsero lo sguardo verso Bonnie, tutti tranne Sofia che fissava il vuoto attraversata da sensi di colpa.
– Come hai fatto? – domandò Damon alla strega.
– Era un incantesimo. Posso allontanarli temporaneamente ma, prima che tu possa chiedermelo, non serve per chiudere questo varco che loro hanno verso il nostro mondo. – rispose la strega respirando ansante poco prima di ricomporsi.
– Sofia. – la chiamò Caroline, sollevandosi di scatto dal divano sul quale era caduta durante l’accaduto. Elijah abbassò il suo sguardo sulla chioma bionda che ancora teneva contro di sé allentando leggermente le prese che aveva sulla vampira. Le spalle di lei iniziarono a tremare per i singhiozzi che si teneva dentro, strinse i denti per trattenerli ma quelle lacrime avevano iniziato a colare incontrollate. Una mano di Elijah s’inoltrò premurosamente tra i suoi boccoli biondi cercando di nascondere il viso di lei contro il suo petto. Lo sguardo gelido dell’Originale saettò verso la strega.
– Aiuteremo mia madre. L’aiuterai a ritornare nel suo corpo e poi le faremo risolvere questa situazione assurda. – sembrò ordinare il vampiro verso la strega. Quasi tutti annuirono, a parte Bonnie stessa.
– Non lo farò. – disse sollevando il mento in direzione dell’Originale, dimostrando che non lo temeva.
– Cosa? – domandarono Elijah e Damon all’unisono.
– Bonnie. – la chiamò Elena.
– Cosa diamine stai dicendo Bonnie? – domandò Caroline, corrugando la fronte verso la strega.
– Perché non dovresti farlo? – chiese Stefan avanzando di un unico passo verso la strega. Bonnie li guardò uno ad uno prima di soffermarsi sullo sguardo verde di Sofia che si era spostato dal petto dell’Originale per portarsi sulla Bennett, come se neanche lei credesse alle sue orecchie. Bonnie iniziò a donarle un’espressione di disprezzo mentre scuoteva il capo, serrando i pugni.
– Hai davvero ucciso una bambina, Sofia? – domandò.
– Bonnie! – urlarono all’unisono Caroline ed Elena, ma lei parve ignorarle. Elijah si sentì attraversare da un improvviso nervosismo. Riuscì a trattenere a malapena la voglia di staccarle la testa dal collo in quel preciso istante.
– Non ero in me, Bonnie. – singhiozzò Sofia scostandosi dall’Originale per voltarsi meglio verso la strega. Bonnie si morse il labbro inferiore.
– Perché l’hai fatto? – le chiese ulteriormente la strega.
– Bonnie, non è il momento di fare l’ipercritica. Aiutaci a risolvere questa situazione e ti regalerò una bacchetta magica. – intervenne Damon quasi ringhiando verso la strega che, di rimando, gli donò un’espressione furiosa prima di ritornare sulla bionda tra le braccia dell’Originale.
– Bonnie… – mormorò Sofia, scostandosi del tutto da Elijah – …Non sono riuscita a controllarmi. – confessò la vampira. Era inutile tenerselo dentro, in quel momento. Le sue amiche avrebbero dovuto sapere.
– Era più forte di me… – mormorò.
– La fame? – domandò Bonnie ulteriormente.
– Bonnie, dovresti smetterla. – disse Elena mantenendo il suo tono calmo, ma era preoccupata. Elijah fissava la strega stringendo i denti in un ringhio sommesso, un ringhio che Bonnie temeva ma cercava di non darlo a vedere. Sofia strinse le labbra e annuì timorosamente, convinta che Bonnie potesse capirla.
– Perché dovrei farlo allora? Per rendere la vita di voi assassini migliore? – domandò la strega. Caroline scattò verso di lei col viso, come volesse azzannarla.
– Bonnie! – esclamò, serrando i pugni.
– E’ la verità, Caroline! – esclamò a sua volta Bonnie. Elena scosse il capo.
– Non puoi dire questo, Bonnie. Non ci credo. – mormorò la Gilbert stringendosi una mano al petto.
– Avrei potuto aspettarmelo da Damon, ma non da te Sofia. – continuò la strega, fissandola con disprezzo. Sofia indietreggiò.
– Smettila, strega. – sentenziò Elijah ringhiando verso la Bennett.
– No Elijah, ha ragione. – mormorò Sofia. Elijah sussultò a quelle parole voltando di scatto lo sguardo verso di lei.
– Ha ragione. E’ successo perché me lo meritavo. – sussurrò ancora la bionda. – Andiamo. – affermò verso l’Originale, voltandosi ed avviandosi frettolosamente verso la porta d’uscita del pensionato Salvatore. Elijah la fissò incredulo lanciando un’ultima occhiata a Bonnie prima di allontanarsi definitivamente da lì. Avrebbe risolto la situazione con quella strega più tardi, in quel momento doveva seguire Sofia. Il silenzio calò nel pensionato quando la porta sbatté e tutti portarono lo sguardo su Bonnie.
– Bonnie, come hai potuto dirle quelle cose? – domandò Caroline furiosa.
– E voi come potete fare finta di niente? Ha ucciso una bambina, di cinque anni. Caroline, una bambina! – esclamò la strega voltandosi verso la bionda che in uno scatto veloce le fu a due passi.
– E pensi che lei ne sia contenta? Hai visto come ha reagito? – domandò Caroline, urlando quelle parole e sventolando le mani per tutta la rabbia che quella reazione di Bonnie le aveva portato dentro. Bonnie serrò nuovamente i pugni.
– Caroline ha ragione, Bonnie. Non avresti dovuto trattarla in quel modo. Dimentichi che lei non voleva essere una vampira? Dimentichi che ha passato davvero molto tempo da sola? E’ già tanto se non ha ucciso anche noi. E’ una vampira, dopotutto. – intervenne Elena, fissando la strega con un’espressione incerta ed incredula. Bonnie scosse il capo.
– Certo. Essere un vampiro giustifica e perdona tutto quello che fai? Se tu, Elena, hai intenzione di giustificare e perdonare tutto questo, io non posso farlo. Non me lo aspettavo, non da lei. – affermò la strega.
– Allora perché hai perdonato noi? Perché hai perdonato me, Stefan e Damon? – domandò Caroline mantenendo comunque un tono di voce alto. Bonnie indietreggiò di un unico passo.
– Infatti non vi ho perdonati, ci ho semplicemente messo una pietra sopra. – rispose la strega, mordendosi il labbro inferiore. Stefan la fissò, sembrò sinceramente colpito da quell’affermazione ma dentro sé capiva come doveva sentirsi Bonnie.
– Allora puoi farlo anche con lei. – si limitò a dire. Damon rise, muovendosi per la stanza ed avvicinandosi al bourbon.
– Oh andiamo, ragazzi. Adesso è inutile convincerla. Elijah ritornerà a staccarle la testa e se non lo fa lui, lo farò io. – sussurrò il fratello maggiore dei Salvatore versandosi un bicchiere di bourbon e bevendoselo velocemente. Bonnie gli lanciò un’occhiata fulminante assottigliando le palpebre verso di lui. D’un tratto Damon si piegò su sé stesso sputando i residui di bourbon che non era riuscito a mandare giù e perdendo ogni presa che aveva sul bicchiere, il quale cadde rovinosamente al suolo rompendosi in piccoli cocci. Le labbra del vampiro si schiusero lasciando spazio a versi di dolore mentre le mani venivano portate alle tempie.
– Bonnie! – gridarono gli altri tre all’unisono quando la strega interruppe la sua magia. Sorrise soddisfatta mentre guardava Damon che le regalava un’espressione sofferente e furiosa.
– Un giorno te la farò pagare per i tuoi giochetti da strega, Bonnie. – ringhiò il vampiro carezzandosi la testa.
– Ritorno a casa. – affermò la strega avviandosi verso la porta d’uscita e abbandonando velocemente il pensionato. Stefan afferrò bruscamente il braccio del fratello prima che lui potesse partire verso Bonnie rendendo concrete le parole pronunciate poco prima.
– Resta fermo, Damon. – gli ordinò. Caroline spostò il suo sguardo sconcertato su Elena.
– E’ shockata, Caroline. – sussurrò la Gilbert.
– No, Elena, è impazzita! – esclamò la bionda.
– Per una volta sono d’accordo con la Barbie. – cantilenò Damon. Elena strinse le mani dinnanzi al ventre.
– Dobbiamo darle del tempo. Anch’io non riesco a credere che Sofia abbia davvero fatto una cosa del genere. – mormorò Elena prima di sentire una mano di Stefan posarsi su una sua spalla.
– E’ una vampira, Elena. Tutti noi abbiamo ucciso almeno una persona. Lei si è ritrovata da sola in una situazione del genere. – sussurrò il vampiro guardandola ed Elena ricambiò timorosamente il suo sguardo.
– Io lo so, Stefan, e lo capisco. Ma Bonnie lo sapete come si comporta. Deve essere stata una delusione per lei. – deglutì Elena chinando nuovamente lo sguardo prima che il silenzio calasse improvvisamente nel salone.
 
Sofia aprì la porta con impazienza gettando la sua piccola ed esile figura all’interno della casa. Fu nel momento in cui varcò quella soglia che lasciò spazio alle lacrime che si era trattenuta durante tutto il viaggio in auto con Elijah. Ma non erano lacrime di dolore, non quando aveva sul viso un’espressione furiosa che veniva bagnata dal suo pianto, un’espressione che nascondeva all’Originale dandogli le spalle. Avanzò con passi veloci e spediti verso la cucina sentendo appena la porta richiudersi sotto le mani di Elijah. Si avvicinò al frigo aprendolo con forza, senza nemmeno preoccuparsi della possibilità che potesse romperlo. La porta del frigo si aprì tanto da sbattere contro il muro adiacente e ritornare indietro, venendo bloccata dalla figura di lei. Elijah la sentì e volse lo sguardo incuriosito verso la cucina. Avrebbe voluto staccare la testa di Bonnie ma qualcosa dentro di lui gli diceva di contenersi.
– Sofia? – la chiamò, corrugando la fronte. Ne intravide la figura infilare una mano all’interno del frigo e in quel momento pensò che volesse semplicemente sfogare ogni suo problema nel sangue, era una vampira dopotutto. Ma sgranò gli occhi scuri quando vide la ragazza voltarsi di scatto e lanciare quella piccola bottiglia bianca contro una parete della cucina.
– Sofia! – esclamò l’Originale scattando verso di lei con quella velocità vampirica e afferrandole entrambi i polsi così da bloccarla.
– Calmati! – le disse con un tono di voce alto mentre la sentiva agitarsi sotto le sue prese. Sentì una stretta al petto quando vide quel pallido e piccolo volto inzuppato delle stesse lacrime che la ragazza stava versando. Voltò appena indietro il capo per guardare quella parete bianca sporca del sangue schizzato fuori dalla plastica della bottiglia ricaduta rovinosamente al suolo. Ritornò a guardarla per spingerla contro la parete adiacente al frigo e impedirle di sfuggirgli.
– Bonnie ha mentito, Sofia. – le sussurrò continuando a tenerle stretti i polsi. Lei lo guardò corrugando la fronte.
– Perché ha mentito? Non ho forse ucciso davvero quelle persone? – chiese lei singhiozzando.
– Ed adesso sono il motivo per cui tu non potrai aiutare tua madre, Damon rischierà di farsi strappare il cuore e chissà che altro! – continuò la vampira alzando appena il tono della voce.
– Troveremo un’altra strega. – s’intromise Elijah, fissandola intensamente. I suoi occhi neri, apparentemente glaciali, puntavano decisi il volto della ragazza cercando di nascondere il dolore che lui stesso provava davanti a ogni lacrima che la vampira versava. Quasi credeva di non esserne capace, non più. Lei lo fissò stringendo le labbra e immergendo i suoi occhi verdi in quelli scuri del vampiro come se riuscisse a leggere ogni sensazione lui stesse provando in quell’istante, nonostante l’Originale stesse cercando di nasconderlo.
– Lei mi odia, Elijah. – gli sussurrò con un fil di voce. Il vampiro scosse il capo e dentro di sé sentiva crescere la voglia di strappare il cuore dal petto di Bonnie, sentiva crescere la voglia di ucciderla. Non riuscì a risponderle, riuscì a malapena a lasciare le prese su di lei e guardarla appiattirsi contro la parete. Lei si morse il labbro inferiore con più decisione.
– Lasciami sola, per favore. – gli chiese con tono basso. Elijah si fermò davanti a lei fissandola con un’espressione indecifrabile.
– Ti prego, Elijah, vai via adesso. – continuò la vampira. L’Originale strinse le labbra annuendo più volte e iniziando a indietreggiare. Non proferì alcuna parola mentre usciva dalla cucina avviandosi spedito verso la porta d’uscita della casa. Sofia incassò la testa nelle spalle quando sentì il legno della porta sbattere sotto la forza dell’Originale e finì col scivolare lungo la parete accovacciandosi al suolo, in quel piccolo angolino della cucina. Le parole di Bonnie le rimbombavano nella testa, la voce di Margaret la stava torturando ma per qualche strano motivo, il solo sguardo afflitto di quel vampiro l’aveva mandata in frantumi.
 
Bonnie rabbrividì quando, aprendo la porta di casa sua, incontrò lo sguardo gelido di quell’Originale. Avrebbe dovuto prevederlo, ma una parte di lei cercava di pensare l’opposto. Elijah la fissava con un’espressione gelida mentre teneva quelle mani immerse nelle tasche degli eleganti pantaloni scuri che indossava.
– Ti serve qualcosa? – domandò gelidamente la strega. Il vampiro avanzò di un unico passo squadrando l’intera porta che gli rendeva impossibile l’accesso, comprendendo in quel momento che non era mai stato invitato a casa di Bonnie.
– Posso entrare? – gli chiese accennando un sorriso sghembo e riportando lo sguardo su di lei. Scorse il timore nascere nell’espressione della ragazza e, come fosse un predatore, si sentì soddisfatto. Aveva sempre cercato di tenere a bada la natura predatrice che caratterizzava il suo essere, ma davanti alla paura si sentiva potente. Proprio come suo fratello Klaus. Bonnie scosse il capo indietreggiando di un unico passo verso l’interno della casa facendo partire dalle labbra dell’Originale una risatina sommessa.
– Metti a dura prova la mia pazienza e poi ti chiudi in una gabbia in cui non posso raggiungerti? E’ patetica codardia la tua, Bonnie Bennett. – sussurrò Elijah ritornando nel tono e nell’espressione gelido come una lastra di ghiaccio. Osservò la casa come la stesse studiando e corrugò la fronte attento.
– Ma potrei comunque buttarla giù e costringerti ad uscire fuori con la forza. – pensò ad alta voce, indietreggiando di un passo per studiare bene quella umile dimora. Bonnie strinse la sua presa sulla maniglia della porta.
– E pensi che Sofia prenderebbe bene questa tua azione? – domandò la strega cercando di non mostrarsi intimorita. Elijah spostò il suo sguardo dalla casa per ritornare su di lei donandole un’espressione nervosa e omicida. La Bennett incassò la testa nelle spalle.
– Posso aspettare che tu esca di casa, Bonnie Bennett. Non è un problema per me. – ringhiò il vampiro avanzando col viso ma venne inevitabilmente bloccato dall’ingresso.
– Io ho solo detto quello che dovevo dire. – disse la strega, come se quelle parole potessero giustificarla. Perfino una parte di lei non sopportava l’idea di aver trattato Sofia in quel modo, eppure non riusciva a perdonarle ciò che aveva saputo. Aveva potuto mettere una pietra sopra su ciò che avevano fatto Caroline, Stefan e Damon. Ma lei, quella che era l’innocenza fatta persona, era riuscita a deluderla come nessuno era mai riuscito a fare e non riusciva a sopportarlo.
– No, hai solo detto quello che non dovevi assolutamente dire. Ma osa parlarle in quel modo un’altra volta e io ti strapperò il cuore dal petto, Bonnie. – sussurrò intensamente il vampiro. Le sue parole entrarono nella testa di Bonnie rimbombando spaventosamente ma lei, almeno apparentemente, non si scompose.
– Non ho paura di te, Elijah. – ammise la strega.
– Oh, lo vedo. Allora se non hai paura di me, quanto ancora mi farai aspettare qui fuori? – chiese l’Originale divaricando platealmente le braccia, come fosse un invito. Fece un sorriso sghembo.
– Non sei poi tanto diverso da tuo fratello, in fin dei conti. – sputò fuori Bonnie corrugando nervosamente la fronte. Elijah perse immediatamente il suo sorriso mascherandosi nuovamente di quella glacialità che aveva indossato per secoli. Abbassò le mani facendole ricadere lungo i fianchi ed osservò incerto la strega.
– Ti ho detto quello che dovevo dirti. Trattala di nuovo in quel modo, Bonnie, e io ti ucciderò. – commentò infine il vampiro, voltandosi e avviandosi verso l’auto con la quale aveva raggiunto la casa di Bonnie. La sentì chiudere la porta prepotentemente e sentì i sospiri tesi che la ragazza si lasciò scappare una volta lontana dal suo sguardo. Con sguardo fiero, per quanto teso, aprì la portiera e si inoltrò nell’auto.
 
Aveva passato una buona mezz’ora a guardare quella goccia di liquido vermiglio colare lungo la pallida parete di fronte. Lo disprezzava, quel sangue, lei non avrebbe mai dovuto bere del sangue. Solo all’improvviso, però, qualcuno aveva rotto il silenzio che regnava nella casa spingendo lo sguardo di Sofia a portarsi verso la porta. Schiuse le labbra in un sospiro di sollievo. Non riusciva a perdonarsi l’aver mandato via Elijah quando ogni parte di lei sapeva che aveva bisogno di lui più di chiunque altro. Si tirò in piedi trascinandosi verso la porta d’ingresso e aprendola. Restò sinceramente stupita quando, al posto di Elijah, si trovò davanti Stefan e Damon. Il fratello minore dei Salvatore la guardava con un’espressione premurosa e preoccupata mentre Damon portava con sé il solito sorriso sghembo che dava un’aria di strafottenza alla sua figura.
– Possiamo entrare, Sofia? – domandò Stefan scorgendo l’espressione sorpresa della ragazza. Damon sospirò una risata sommessa mentre spingeva via il fratello.
– Oh andiamo, fratello. Ovvio che possiamo farlo. – commentò entrando nella casa e guardandosi intorno curioso. Stefan scosse il capo sconcertato e la bionda mosse una mano facendogli segno d’entrare per richiudere la porta poco dopo. Damon fece il suo ingresso in cucina sorridendo sarcastico alla visione di quel sangue contro la parete.
– Con chi altro ti sei scontrata adesso? – domandò indelicato. Stefan gli lanciò un’occhiata omicida.
– Damon! – l’ammonì severamente, corrugando la fronte infastidito verso di lui, e il vampiro dagli occhi di ghiaccio mosse le spalle sventolando le mani in segno di resa.
– Okay, okay, resto zitto. – disse avvicinandosi alla poltrona del salone ove si accomodò perfettamente tranquillo. Stefan si guardò intorno prima di andare a guardare la bionda, incrociando le braccia al petto come se non sapesse precisamente da dove iniziare.
– Stai bene? – le chiese, immergendo i suoi occhi verdi in quelli di lei, dello stesso colore. La vampira calò lo sguardo stringendo leggermente il tessuto dei suoi vestiti con entrambe le mani. Damon sogghignò.
– Fratello, una domanda più appropriata? – commentò sarcastico. Stefan lo guardò maggiormente infastidito.
– Quando mi hai detto che volevi accompagnarmi, speravo avessi buone intenzioni, Damon. – gli rispose il fratello minore dei Salvatore. Damon si riportò in piedi velocemente.
– Infatti le ho. Ed è per questo che, Sofia, ti dirò che non devi assolutamente ascoltare le parole di quell’ipercritica di Bonnie. – commentò Damon agitando una mano nel tentativo di dare più convinzione alle sue parole. Sofia lo fissò, ma lo sguardo azzurro del vampiro si spostò presto verso il fratello cercando di fargli vedere tutta la sua buona volontà, eppure qualsiasi cosa Damon facesse sembrava una presa in giro. Stefan sospirò sonoramente attirando l’attenzione della bionda.
– Dunque, Sofia. Siamo qui per dirti che ci dispiace per quello che è successo oggi. Ma devi capire, Bonnie è…così. Le passerà, prima o poi. – confermò il vampiro sciogliendo l’intreccio tra le sue braccia e avanzando di un paio di passi verso di lei.
– No, Stefan. Non è quello il punto. Il problema è che io ho davvero ucciso quelle persone. Lei aveva ragione. – rispose lei con un fil di voce. Stefan si passò la lingua sulle labbra sotto lo sguardo pressante del fratello.
– Anch’io, Sofia, ho ucciso delle persone. Anche Damon l’ha fatto. E’ per quello che siamo, e siamo costretti a farlo. Però tu adesso lo eviti mi sembra, no? Non bevi più da loro, non uccidi più le persone. – spiegò il fratello minore dei Salvatore.
– Insomma, guarda me. Ho ucciso delle persone ma non sto a piangere tutto il tempo. – affermò Damon allargando platealmente le braccia e sogghignando sarcasticamente. Stefan gli regalò un’ennesima occhiata innervosita reputando ogni parola del fratello inopportuna.
– Ed è questo che ti rende migliore di noi, capisci? Tu stai male per quello che hai fatto e cerchi di non commettere più i tuoi errori. Damon lo fa senza pensarci due volte. Insomma, è Damon d’altronde. – ribadì Stefan ed il fratello corrugò la fronte falsamente offeso.
– Io cerco di trattenere ogni giorno questa parte di me. – stava dicendo Stefan ma Damon lo interruppe.
– Gli tocca mangiare coniglietti. Capisci? Poveri, piccoli e indifesi coniglietti. – commentò sarcasticamente. Stefan s’irrigidì trattenendo l’impulso di stampargli un pugno in pieno viso.
– Perché se non lo faccio divento di nuovo lui, divento di nuovo quel vampiro orribile di cui Elena ti ha parlato. – disse Stefan sicuro che Sofia capisse ciò che lui cercasse di spiegarle.
– Ma tu no. Tu sei più forte. Riesci a reprimere questa cosa senza diventarne dipendente. Gli errori che hai commesso in passato non puoi correggerli, ma puoi farli restare nel passato. Capisci cosa intendo? – continuò Stefan restandole proprio a due passi. Lei si morse il labbro inferiore e annuì debolmente. Riusciva a capire ciò che Stefan stava cercando di dirle e apprezzava il suo tentativo di tirarle su il morale.
– Grazie. – sussurrò la vampira verso i due Salvatore. Stefan le sorrise e Damon si lasciò scappare un’espressione indecifrabile, come se non si aspettasse quella piccola parola pronunciata con elevata sincerità. Lui storse le labbra in una smorfia spostando altrove lo sguardo stupito e scrollando le spalle quando d’un tratto l’attenzione di tutti venne catturata dalla porta d’ingresso che fu improvvisamente aperta. Gli occhi di Sofia si sgranarono sorpresi quando incrociarono quelli gelidi di Elijah. Lo vide avanzare di un paio di passi verso l’interno e spostare i suoi occhi neri sulle figure dei due Salvatore. Stefan lo salutò con un cenno del capo e Damon sorrise ancora una volta sarcastico.
– Oh, Stefan, hai visto l’ora? Noi dobbiamo proprio scappare! – esclamò avvinghiando le spalle del fratello con un braccio e spintonandolo verso la porta.
– Allora ci vediamo, Sofia. – esclamò Stefan mentre veniva trascinato via dal fratello maggiore e lei forzò un debole sorriso annuendo col capo. Elijah lasciò lo spazio necessario per passare e li sentì richiudere la porta alle sue spalle. Quando lo sguardo del vampiro Originale ritornò su di lei, Sofia si sentì trafiggere l’anima. Schiuse le labbra come volesse parlare ma lui la precedette.
– Quando hai detto che volevi restare sola, pensavo intendessi totalmente sola e non con i due Salvatore. – commentò Elijah con un tono di voce freddo. Lei si voltò completamente verso di lui muovendo le labbra in una serie di smorfie indecifrabili.
– Erano qui da poco. Volevano…confortarmi. – sussurrò debolmente la vampira. Lui annuì spostando lo sguardo altrove.
– Già. – mormorò, soffermandosi con lo sguardo e con le mani sul tavolino del soggiorno.
– E’ divertente sentire che Damon Salvatore abbia cercato di confortarti. – ammise l’Originale, lanciandole un’occhiata fugace. Riuscì a scorgere quella smorfia che si era creata sul volto di lei prima che la stessa vampira calasse lo sguardo intimidita da quello del vampiro.
– Mi dispiace… – mormorò la bionda in un sussurro che riecheggiò nel silenzio della casa. Elijah parve stupito di quelle parole, nonostante avesse dovuto aspettarsele, finendo col serrare un pugno.
– Sono almeno riusciti a confortarti? – domandò ulteriormente l’Originale tenendo gli occhi scuri sollevati sulla figura della ragazza. La vide stringere i pugni lungo i fianchi e irrigidirsi nel tentativo di trattenere delle nuove lacrime.
– Oh, no. Perché io ho mandato via l’unica persona che poteva farlo. – rispose lei continuando a tenere lo sguardo basso. Elijah s’irrigidì a quelle parole, serrando nervoso la mascella.
– Sofia… – mormorò in una sorta di dolce richiamo. Lei scosse bruscamente il capo prima di sollevarlo e immergere i suoi occhi verdi in quelli scuri di lui. Elijah deglutì rigidamente guardandola poco prima di allargare le braccia in un chiaro invito.
– Vieni qui. – le mormorò premurosamente. La fissò mentre la vampira avanzava verso di lui con passi incerti sino a finire tra le braccia forti del vampiro che andarono serrandosi intorno alla figura di lei, premendo una mano contro la sua magra schiena e l’altra venne inoltrata tra i boccoli biondi.
– Non importa per quello che hai fatto prima. – le sussurrò lui avvertendo il tremolio dei singhiozzi di lei contro una propria spalla.
– Quando ti ho guardato negli occhi ho pensato che…fosse meglio non coinvolgerti nei miei problemi. – rispose la vampira ovattando la sua voce contro il tessuto della camicia del vampiro, senza preoccuparsi di bagnarlo con le sue lacrime. Lui sibilò nei pressi dell’orecchio di lei incitandola a restare in silenzio. Lei lo fece, serrando le labbra rosee mentre spingeva il viso al fianco di quello del vampiro.
– Non importa. – ribadì Elijah. La mano di lui si mosse incerta tra i boccoli di lei in una delicata e morbida carezza che cercava di tranquillizzarla.
– Capisco quello che stai provando in questo momento, Sofia. – affermò il vampiro in quei sussurri seri che lei accoglieva immersa nel totale silenzio.
– Quando ci siamo incontrati di nuovo, qui a Mystic Falls, e avevo capito che eri una vampira, sapevo che prima o poi tutto questo sarebbe accaduto. Non i fantasmi, ma i tuoi sensi di colpa. Perché ti conosco e perché conosco la natura dei vampiri. – iniziò a dire l’Originale fissando con insistenza la parte del salone di quella casa che si trovava oltre le spalle della vampira che aveva tra le sue braccia.
– Ed odio il fatto che tu sia stata costretta a vivere tutto questo tempo con un simile peso. Ma, Sofia. – la chiamò, prendendole delicatamente le spalle e scostandola per poter guardare il viso pallido di lei bagnato dalle lacrime.
– Tu sei di nuovo qui adesso solo per quello che sei. Posso riaverti di nuovo qui solo perché tu sei una vampira. Puoi avere una vita qui a Mystic Falls solo per questo. – continuò il vampiro perdendosi numerose volte negli occhi verdi e sorpresi che lo stavano scrutando, ancora umidi.
– Elijah… – la sentì mormorare.
– Qualunque cosa tu abbia fatto in tutto questo tempo, qualsiasi omicidio tu abbia commesso, non era causato da te. Ma continuare a ricordarlo e ad accusarti non farà altro che distruggerti. – continuò.
– E’ parte del tuo passato, quindi lascialo nel passato. – terminò. Erano le stesse parole pronunciate da Stefan poco prima che quello stesso Originale varcasse la soglia di quella casa, eppure pronunciate da lui sembravano avere tutt’altra intensità. Sofia deglutì facendo cadere le mani lungo i rispettivi fianchi. Per un attimo le parole di Elijah avevano preso a rimbombarle sonoramente nella testa. Abbassò lo sguardo verso il basso nel momento stesso in cui sentì le mani del vampiro scivolare lungo le braccia sino ad allontanarsi definitivamente.
– Forse dovresti riposare un po’, è stata una giornata pesante. – sussurrò Elijah ripresentando il suo tono macchiato dalla fredda serietà che lo caratterizzava. La vide annuire e risollevare il viso. Trasalì nel vedere le rosee labbra di lei piegate in un piccolo sorriso, che quasi stonava con gli occhi ancora gonfi e quelle guanciotte inumidite. Sofia avanzò verso di lui di quei pochi passi che li separavano e si sollevò appena sulle punte dei piedi per sporgere il viso verso quello del vampiro. Si sentì mossa dall’istinto. Socchiuse appena gli occhi mentre le sue labbra si appoggiavano delicatamente a quelle del vampiro e una mano di lei raccoglieva il viso di lui smuovendo le dita in piccole carezze. Fu un tocco fugace e freddo prima che lei si ritirasse indietreggiando e riaprendo gli occhi per poter scrutare quelli scuri e sbigottiti di lui.
– Grazie. – mormorò a due centimetri dal viso di lui facendo scivolare quella mano lungo il rispettivo fianco e voltandosi per allontanarsi, avviandosi verso la porta del bagno in cui si rintanò. Elijah la fissò con quegli occhi scuri, ancora confusi, almeno fino a quando gli fu possibile. Strinse le labbra passandosi subito dopo la lingua sulle stesse, come potesse cogliere il sapore di quelle di lei ancora stampato sulle proprie. 

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Note dell'autrice:
Ecco qui il nuovo capitolo! Sono stata puntuale, come vi avevo promesso. :D
Dunque, ho riscritto questo capitolo mille volte, soprattutto l'ultima parte. Il vostro parere, stavolta, conta davvero tantissimo. >///<
Voglio passare direttamente ai ringraziamenti, ma se c'è qualcosa che non vi è chiaro, fatemelo sapere. :3
Ringrazio Pipia, Iansom e elyforgotten per aver recensito il capitolo precedente. Ringrazio anche meiousetsuna che, nonostante
il poco tempo a disposizione, sta leggendo e recensendo tutti i capitoli <3
In più ringrazio elyforgotten, iansblueyes, ladyselena15, morgan_le_faye e SaraIS per aver aggiunto la storia tra le preferite.
Infine ringrazio le sedici persone che l'hanno aggiunta tra le seguite, sperando di poter leggere anche vostri pareri in futuro. Ne sarei molto felice! :D
Con questo vi auguro anche buone feste, sperando abbiate passato un bel Natale e una bella vigilia!
Ah, ma lo sapete che stasera su Italia 1 ci sarà la seconda stagione di The vampire diaries? *-* La 2x08, finalmente rivedrò il mio amato Elijah! <3 A mercoledì prossimo!

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Capitolo 11
*** Punto di svolta. ***


Appoggiò delicatamente il cucchiaino metallico sul bancone in vetro della cucina dei Mikaelson mentre la sua attenzione era catturata dal caffè che si stava accuratamente preparando. Mikael portò i suoi passi cadenzati all’interno della stanza varcando l’enorme porta ad arco. Solo in quel momento gli occhi della ragazza, la cui anima dormiente era sostituita da quella della sua stessa madre, si sollevarono per incrociare quelli del vampiro.
– Esther. – la chiamò lui con un tono di voce scandito dalla dolcezza e la gentilezza che riservava unicamente a sua moglie. Lei sorrise indietreggiando rispetto al bancone e raggiungendo il mobile all’interno del quale i bicchieri puliti venivano accuratamente conservati, e ne raccolse uno che portò con sé. Lo appoggiò sul bancone insieme a quello preparato precedentemente per sé stessa, donando nuovamente la sua attenzione alla figura di Mikael che si era fatta sempre più vicina.
– C’è nessun altro in casa? – domandò la donna, appoggiando le esili mani al fianco dei bicchieri ancora vuoti davanti a lei. Mikael scosse morbidamente il capo.
– Elijah non è tornato, ieri sera. Klaus è ancora fuori; mi chiedo cosa combina quando non è in casa. – commentò il vampiro distogliendo lo sguardo dal volto candido di Rebekah. Su di esso si disegnò il sorriso rassicurante di Esther, il sorriso di una moglie e di una madre premurosa, mentre una mano di lei si sollevava ad accarezzare con gentilezza una spalla dell’uomo in quell’istante vicino.
– Risolveremo anche questo, mio amore. – sussurrò lei. Mikael sollevò lo sguardo. Sapeva che quella era sua moglie, lui stesso aveva partecipato al rituale per portarla nel corpo di sua figlia, ma sentire quelle parole pronunciate da Rebekah gli mettevano addosso uno strano disagio.
– Pensi davvero che il piano funzionerà? – domandò Mikael raccogliendo la piccola e morbida mano di Rebekah in una sua per poter constatare maggiormente la presenza di Esther in quel corpo. Lei annuì facendo sfumare il suo sorriso.
– Ne sono sicura. Quando ho sentito Elijah e la sua amica parlare degli spiriti, ero sicura che si trattasse dell’incantesimo. Sono contenta che abbia avuto successo. – constatò la donna sfilando la sua mano dalla presa del marito e dedicandosi al fumante caffè che versò all’interno dei due bicchieri davanti a sé. Ne porse uno a Mikael che lo accettò volentieri.
– Ho fatto in modo che solo alcuni spiriti potessero scendere nel mondo dei vivi e con le mie conoscenze dell’Altra Parte, ho saputo ben scegliere quali. – affermò ancora Esther avvicinando il bordo del bicchiere alle labbra e macchiandosi la bocca del sapore dolciastro del caffè. Troppo zucchero, pensò. Lo allontanò dalle labbra riportando gli occhi sulla figura del marito.
– Ho la situazione sotto controllo. Elijah non sembrava contento di aiutarmi ma ho letto la speranza nel volto della sua amica. – disse ancora, Mikael annuì.
– Si chiama Sofia. – commentò lui. Anche Esther annuì, conoscendo già il suo nome.
– Quindi gli spiriti che hai richiamato quand’eri dall’altra parte, saranno assetati di vendetta? – domandò Mikael, ricevendo nuovamente un movimento del capo da parte della donna che ancora una volta annuì.
– Sono esseri privi di consistenza, qualcosa che nessuno può contrastare a parte la strega stessa che li ha richiamati. – commentò ancora Esther appoggiando delicatamente il vetro del bicchiere sul bancone davanti a sé e porgendo il suo sguardo agli occhi del marito. Mikael la fissava cercando, a suo modo, di comprendere pienamente il piano della moglie e cercare di trovare eventuali buchi da tappare.
– Si renderanno conto che sono un pericolo per le loro vite e ovviamente verranno da me. Ma dato che non posso effettuare incantesimi stando nel corpo di Rebekah, chiederanno aiuto alla loro amica, Bonnie Bennett. La ragazza, Sofia, si farà dire dove Niklaus nasconde il mio corpo e alla fine potremo di nuovo mettere in piedi la nostra famiglia. – affermò ancora Esther dipingendo un nuovo sorriso sul volto, stavolta soddisfatto. Un sorriso che perse a causa di un dubbio che le assalì la mente.
– Tu sei davvero sicuro che Niklaus dirà facilmente dove nasconde il mio corpo, a quella vampira? – domandò. Mikael annuì prontamente appoggiando anche il suo bicchiere, il cui contenuto appariva dimezzato, sulla superficie del bancone.
– Quando ho attaccato Niklaus durante il mio ritorno, c’era anche lei. Conosco mio figlio, sente qualcosa quando gli è vicino. Sono sicuro che quando saprà del pericolo che lei sta correndo, smetterà di essere così impulsivo e testardo, e cercherà di aiutarla. – pronunciò quelle parole tutto d’un fiato. Esther annuì.
– Ricorda che lo stiamo facendo per i nostri figli. Quando tutto sarà pronto, potremo risvegliare anche Kol e Finn. Non sai quanto dolore io stia provando al pensiero che sono ancora rinchiusi in quelle bare. – mormorò Esther avvicinandosi a lui. Mikael si scostò dal bancone posizionandosi proprio davanti alla donna e sollevando una mano fredda a carezzare quel viso che apparteneva a sua figlia.
– Non sarebbe stato più facile e veloce se tu avessi localizzato il tuo corpo in qualche altro modo? – domandò Mikael, dubbioso. Esther scosse il capo facendo oscillare i capelli lisci e biondi di Rebekah.
– Purtroppo non posso fare nulla senza i miei poteri, Mikael. Non ho potuto trasportarli con me in questo corpo, ho bisogno del mio. – affermò in risposta la donna. Mikael annuì, spostando lo sguardo altrove. Sembrava pronto a tutto per rimettere in piedi quella famiglia che lui stesso aveva distrutto.
 
La tensione era stata in qualche modo alleggerita la sera prima. Aveva sentito Elijah presenziare nella stanza tutta la notte, aveva sentito il suo odore accompagnarla tra le braccia rigide del sonno ma mai una volta aveva alzato lo sguardo per cercare il suo. Riaprì gli occhi lentamente sfregando il viso pallido e asciutto sulla morbidezza del cuscino avvertendo un leggero odore di cioccolato invaderle il naso. Sollevò il viso passandosi una mano tra i boccoli biondi e si guardò intorno. Pochi raggi solari filtravano nella stanza, attraverso la finestra, ostacolati dalle tendine che oscuravano buona parte della stessa, permettendo a Sofia di stare lontana da quello che, ormai, era diventato il suo peggior nemico. Cercò Elijah fra quelle piccole quattro mura ma riuscì solamente a sentirne l’odore lasciato dalla sua presenza notturna mentre gli occhi verdi si posavano indagatori sulla sedia della toletta rivolta verso il letto. Non era così la sera prima e capì, in poco tempo, che era la sedia sulla quale Elijah era stato seduto tutta la notte probabilmente a osservarla. Le cadde addosso un senso di timidezza che aumentò quando rammentò gli avvenimenti della sera prima. Quel tocco, semplice e fugace, le aveva mandato in subbuglio ogni pensiero. Ancora poteva sentire il sapore dolce che aveva strappato alle labbra del vampiro. Mentre una mano reggeva il suo busto sollevato standosene depositata sul letto, l’altra si sollevò a carezzare le labbra carnose e rosee che si piegarono presto in un timido sorriso. Chinò lo sguardo verso il basso, osservando la pallida camicia da notte che le copriva il corpo. Alcuni rumori provenienti dalla cucina la destarono portandola a spostare prontamente lo sguardo verso la porta della stanza, in quel momento socchiusa. Solo allora le ritornò in mente l’odore di cioccolato che l’aveva svegliata e che ancora riusciva a sentire. Scostò le pallide lenzuola e si portò in piedi in fretta avvicinandosi con passi misurati alla porta che aprì, accompagnata dal cigolio inquietante del legno. Fece capolino all’esterno scorgendo la luce accesa della cucina che contrastava col buio padrone dell’intera casa. Tutte le finestre presenti erano chiuse durante il giorno, un’abitudine che lei stessa aveva imparato ad avere dopo la trasformazione. Man mano che si avvicinava alla cucina, però, non era il cioccolato l’unico odore che sentiva. Riuscì a sentire l’adorabile odore del tea caldo mescolarsi candidamente all’odore perfetto che Elijah portava con sé. Accelerò il passo per sbucare sotto l’arcata che caratterizzava la porta d’ingresso della cucina e s’affacciò verso l’interno. Elijah era proprio nei pressi del bancone al centro della cucina, con le maniche della camicia tirate su fino ai gomiti, e lo sguardo attento sul vassoio che stava elegantemente sistemando. Sollevò lo sguardo quando si accorse della presenza della bionda e non tardò a far apparire sul suo viso un sorriso cordiale.
– Buongiorno. – le sussurrò. Sofia sussultò leggermente facendo scivolare la mano lungo lo stipite al quale si era appoggiata inutilmente, piegando le labbra in un sorriso timido.
– Che stai facendo? – gli chiese. Elijah sembrò sorpreso da quella domanda e con un gesto plateale delle braccia indicò il vassoio che aveva davanti.
– Ho pensato che avresti gradito una colazione, appena sveglia. – le rispose. Lo sguardo verde della vampira si portò su ciò che Elijah aveva davanti a sé. Un vassoio sopra il quale un’elegante tazzina conteneva del tea ancora fumante e con essa un cornetto caldo sembrava lamentarsi della troppa cioccolata che era stata messa al suo interno. Lei si avvicinò al bancone velocemente, portandosi di fronte al vassoio e a Elijah stesso.
– Ma non dovevi. – mormorò lei gentilmente, sollevando gli occhi verso quelli del vampiro. Quasi si perse nel buio ch’essi avevano. Strinse le labbra avvertendo una strana sensazione invaderle il corpo. Ogni qualvolta ricambiava lo sguardo del vampiro, sentiva il ricordo della sera prima rientrarle in testa e questo la emozionava. Si ammutolì accomodandosi su uno dei piccoli sgabelli che circondavano un lato del bancone e trascinando con sé il vassoio, stando ben attenta a non rovinare nulla di ciò che il vampiro stesso aveva preparato per lei. Elijah la fissò intensamente durante ogni suo movimento.
– Come stai? – le chiese premuroso. Lei sollevò lo sguardo nuovamente verso di lui.
– Meglio. – gli rispose, prontamente, abbassando di nuovo il viso sul cornetto caldo che afferrò delicatamente con una mano.
– Ma ci hai messo davvero tanta cioccolata! – esclamò, come fosse una bambina. Un’esclamazione che strappò una risatina dalle labbra dell’Originale.
– A te piace la cioccolata. – constatò il vampiro, sicuro di ciò che diceva. Aveva potuto conoscere molto tempo prima l’amore che quella ragazza provava per la cioccolata. Lei sorrise maggiormente avvicinando il cornetto alle labbra e strappando un grande morso che vide subito dopo colare una piccola parte della cioccolata verso l’esterno. Lei si ritirò, masticando quanto aveva in bocca ma sentendo quel liquido caldo e dolce colarle verso il mento. Elijah la vide e, divertito dalla scena buffa, si voltò a prendere un fazzoletto di carta che le porse prontamente. La vide ripulirsi accuratamente dalla cioccolata che le aveva sporcato il viso e la fissò quasi incantato.
– Sei rimasto qui tutta la notte. – constatò la vampira, riportando il suo sguardo verso di lui. Lui annuì.
– Volevo tenerti d’occhio. – rispose. Lei scosse leggermente il capo mentre il suo sguardo ritornava a dedicarsi al cornetto, cercando di capire dove doveva mordere per non imbrattarsi maggiormente di cioccolata.
– Mi dispiace averti recato disturbo. – mormorò riflessiva. Elijah divenne quasi più serio, una serietà che lei avvertiva ma che non riuscì a vedere tenendo lo sguardo lontano dal volto del vampiro.
– Non è stato un disturbo, Sofia. – le rispose. Solo in quel momento gli occhi verdi della vampira si portarono di nuovo in quelli scuri di lui, colpita dalla serietà con la quale lui aveva pronunciato quelle parole.
– A proposito di disturbo… – iniziò a dire la bionda, sebbene con una certa titubanza – …ieri sera io… – continuò, ma i suoi sussurri incerti e timidi vennero interrotti dall’improvviso suono del suo stesso cellulare proveniente dalla camera. Gli occhi di entrambi si volsero verso l’esterno della cucina e lei appoggiò accuratamente il cornetto all’interno del suo piatto.
– Scusami un attimo. – disse verso il vampiro portandosi frettolosamente in piedi e avviandosi verso la camera. Sorpassò il letto raggiungendo il cellulare riposto sul comodino lì accanto e lo raccolse, leggendo il nome di Elena. Rispose, portandosi l’apparecchio all’orecchio.
– Elena? – domandò, curiosa. Dall’altra parte la Gilbert sembrava affannata e spaventata, sensazioni che la bionda riusciva a leggere dal respiro che avvertiva soffiare sul telefono dell’altra.
– Sofia, ti prego. Corri qui. Jeremy…è stato attaccato! – esclamò Elena. Sofia sgranò gli occhi schiudendo le labbra in una smorfia incredula e improvvisamente spaventata che non voleva pronunciar parola. Si scostò dal letto.
– Jeremy? Come sta? Elena, arrivo subito, non muovetevi! – esclamò, avvicinandosi all’armadio e aprendolo con prepotenza per raccogliere i primi vestiti che le capitavano a tiro.
– Adesso sta bene. L’ho trovato morto, Sofia. Non mi aveva detto che anche lui aveva problemi con i fantasmi, pensavo di averlo perso per sempre invece l’anello l’ha salvato. – disse Elena tutto d’un fiato nascondendo i singhiozzi.
– Sto arrivando, Elena. Non preoccuparti. – rispose Sofia prontamente. Quando riagganciò la chiamata, lanciò il cellulare sul letto correndo verso l’uscita. Sbatté contro Elijah che nel frattempo l’aveva raggiunta, sentendo le parole da lei pronunciate.
– Che sta succedendo? – le chiese immediatamente preoccupato. Lei indietreggiò di alcuni passi vedendolo scostarsi dall’ingresso della stanza.
– Dobbiamo correre a casa di Elena. Jeremy è stato attaccato da un fantasma. – gli rispose la vampira. Sembrava spaventata, lui riusciva a leggerglielo in faccia insieme alla preoccupazione.
– E che cosa credi di fare andando lì? – domandò il vampiro prontamente. Lei stessa era già stata attaccata da uno spettro e lei stessa aveva potuto capire che, a parte Bonnie, nessuno di loro era in grado di contrastarli con le loro maniere. Le mani di Elijah le strinsero le spalle obbligandola a ricambiare il suo sguardo.
– Voglio aiutarli, Elijah. Non riesco a pensare che ad attaccare Jeremy potrebbe essere stata Margaret, o Molly. Non voglio pensare che le persone a cui voglio bene possano rischiare la vita a causa mia. Se Jeremy non avesse avuto l’anello, a quest’ora sarebbe morto. – disse lei frettolosamente. Elijah deglutì pesantemente, colpito dalla determinazione della bionda.
– Corri a vestirti, risolveremo la situazione. – sussurrò lasciandola avviarsi verso il bagno. La seguì con lo sguardo finché lei si richiuse al suo interno. Lei si ritrovò a guardare il suo stesso riflesso nello specchio del bagno, una volta all’interno. Tirò un profondo sospiro. Ancora una volta gli occhi le pizzicavano, ancora una volta avrebbe voluto piangere, ma si convinse che doveva essere forte. Strinse i pugni prima di afferrare i bordi della camicia da notte e sollevarla per sfilarsela immediatamente. La appoggiò sul bordo della vasca mentre le sue mani correvano verso i pantaloni lì vicino, quando un improvviso e fastidioso suono le fracassò i timpani. Ritirò le mani portandosele dolorosamente alle orecchie accorgendosi dei mutamenti che lo specchio del bagno stava avendo. Il vetro si graffiava, senza rompersi, formando alcune lettere sulla sua superficie vitrea. Il suono acuto che ciò procurava le entrò nelle orecchie come fosse l’insieme di una miriade di lame. Riuscì a malapena a sentire la voce di Elijah che gridava il suo nome all’esterno della porta e i rumori che il suo battere contro la superficie lignea della stessa procurava. Sentì la porta aprirsi quando ormai il suono era andato scemando e lei ancora si teneva le orecchie perplessa. L’Originale si avvicinò a lei portando lo sguardo incredulo verso la scritta che si era formata sul vetro dello specchio mentre con le braccia la cingeva premurosamente. Lesse quella scritta non riuscendo a capirla e lei sembrava ignorarla tanto quanto l’altro: “Stai lontana da lui”.
 
La mano di Elena smise di sfregare contro la stessa guancia della ragazza mentre la Gilbert si voltava verso Jeremy. Era ancora scossa. La presenza dei due Salvatore non l’aveva in alcun modo calmata e il fatto che suo fratello le avesse nascosto una cosa tanto grave non rendeva la situazione migliore.
– Come hai potuto non dirmi di Anna? – iniziò nuovamente a dire la ragazza volgendo il suo sguardo severo al fratellino seduto stancamente sul divano. Jeremy le lanciò un’occhiata dura.
– Cosa avrei dovuto dirti, Elena? Che un fantasma mi perseguitava? Oh, ma se voi mi aveste aggiornato anche solo un pochino su tutte le cose che stavate affrontando senza tenermi, come al solito, nascosto tutto quanto forse non sarebbe finita così. – rispose Jeremy portandosi di scatto in piedi. Elena aggrottò la fronte davanti a quelle parole e Damon ne sembrò incredibilmente infastidito.
– Non parlare in questo modo a tua sorella. – ordinò il fratello maggiore dei Salvatore con un tono di voce severo ma che, almeno apparentemente, non parve infastidire il piccolo Gilbert.
– Vedi, Jeremy, abbiamo cercato di non coinvolgere troppe persone. Questi spettri sono pericolosi e vendicativi, potrebbero minacciare chiunque. – intervenne Stefan usufruendo del tono più calmo e comprensivo che possedeva, fissando premurosamente Jeremy. Quando d’un tratto la porta suonò, i loro sguardi saettarono verso l’ingresso ed Elena si mosse con passi svelti per raggiungere la porta. La aprì compiendo una smorfia col viso quando i suoi occhi incontrarono quelli di Bonnie.
– Oh mio Dio, Elena. – disse la strega abbracciandola in maniera veloce. Si spostò da lei per entrare e avvicinarsi a Jeremy. Il suo sguardo scuro cadde sullo squarcio che la maglietta del ragazzo aveva proprio ad altezza del petto.
– Stai bene, Jeremy? – domandò lei.
– Si, adesso si. – rispose frettolosamente il piccolo Gilbert.
– Non sapevo che anche tu fossi in pericolo a causa di questi spettri. – disse la strega prima di scorgere l’espressione incredula che andò disegnandosi sul volto di Jeremy.
– Anche io? Chi altro? – chiese lui, voltandosi completamente verso la strega. Però il suo sguardo vagò anche sugli altri tre. Scorse il sorriso beffardo che andò creandosi sul volto di Damon.
– Oh beh. Io, tu, Sofia. I soliti, insomma. – disse con un movimento delle spalle. Jeremy sussultò a quelle parole, incredulo, e il suo sguardo duro e furioso scattò verso Elena.
– Anche Sofia è perseguitata dai fantasmi? Perché non me l’hai detto, Elena? – domandò con un tono di voce alto e aggressivo. Elena schiuse le labbra ma non riuscì a proferir parola, poiché fu Damon ad interromperla. Il vampiro scattò verso Jeremy con quella velocità disumana e lo mise a sedere sul divano con una spinta.
– Resta calmo, piccolo Gilbert. Qualsiasi cosa Elena abbia fatto, l’ha fatto per te. – ringhiò restando in piedi davanti a lui. Stefan si avvicinò al fratello invogliandolo a calmarsi.
– Sta calmo, Damon. Non peggiorare la situazione. – gli chiese, quasi gentilmente. Damon si scostò bruscamente dalla presa del fratello e si allontanò di pochi passi.
– Comunque non potresti fare nulla, Jeremy. – intervenne Bonnie. Sembrava afflitta, nell’espressione, oltre che confusa e preoccupata.
– Nessuno può contrastare quegli spettri ed io non conosco gli incantesimi giusti per tenerli definitivamente lontani. Mi dispiace. – mormorò chinando il capo. Damon si voltò di scatto verso di lei quasi fulminandola con lo sguardo.
– L’unico aiuto che ci è stato offerto, l’hai rifiutato! – gridò furioso. Bonnie aggrottò la fronte verso di lui apparendo irrimediabilmente infastidita dal suo tono di voce.
– Non ho intenzione di collaborare con gli Originali. – rispose di getto quando improvvisamente la porta suonò di nuovo. Elena si passò una mano tra i capelli scuri e lisci e si avviò verso la porta aprendola. Incontrò lo sguardo preoccupato di Sofia.
– Dov’è Jeremy? – le domandò la bionda. Lo sguardo di Elena cadde anche sulla figura di Elijah proprio alle spalle della vampira e li fece accomodare. Jeremy scattò dal divano guardandola. Non parve importargli della presenza dell’Originale, si avvicinò a lei di qualche passo allargando platealmente le braccia.
– Stai bene? – chiese lei, guardandolo preoccupata. Lui, solo in quel momento, sorrise.
– Adesso si. – mormorò, guardandola da capo a piedi.
– E tu? Me l’hanno detto. – disse il Gilbert. Sofia si strinse le mani al petto. Il suo sguardo si spostò su Bonnie, non troppo distante, ma riuscì per poco tempo a tenere gli occhi fissi su di lei. Nonostante il suo cuore fosse fermo da un bel po’, sentì una strana fitta percorrerle il petto. Ignorava le occhiate serie e gelide che Elijah stava donando alla strega, la quale di rimando cercava di ignorarle. Fu solo in quel momento che gli occhi verdi della vampira si posarono sullo squarcio sulla maglia del Gilbert. Il tessuto era ancora macchiato di sangue fresco, riusciva a sentirne l’odore invaderle il naso nel momento in cui Jeremy si era fatto ancora più vicino. Non si accorse degli sguardi interrogativi che si erano posati su di lei, si accorse soltanto della fame che le stava crescendo dentro. La colazione preparata da Elijah quella mattina non aveva di certo calmato il cosiddetto vampiro che albergava in lei. Indietreggiò di un unico passo deglutendo pesantemente. Strinse appena gli occhi, rammentando il sapore delizioso che aveva il sangue di Jeremy. Quando un sospiro pesante partì dalle sue labbra e lo sguardo ritornò sul volto confuso del piccolo Gilbert, sentì la fame scemare. Non stava sparendo, la stava semplicemente controllando.
– Sto bene. – gli rispose in quel momento, nonostante fosse poco convinta. Elijah, alle sue spalle, la scrutava pronto ad intervenire avendo compreso quale fosse il problema.
– Forse dovresti cambiarti. – commentò con voce fredda verso Jeremy. Sofia si voltò appena verso l’Originale prima di ritornare sul Gilbert e sorridergli gentilmente.
– Elijah ha ragione. La maglia rotta non ti dona. – mormorò, sollevando una mano ad indicare il petto di lui. Damon, che aveva osservato tutta la scena innervosendosi, intervenne avvicinandosi a Jeremy e scostandolo.
– Allora? Finita questa buffonata, parliamo delle cose serie? – domandò.
– Chiama qualche strega, poi tua madre e alla fine mandiamo questi spettri nel loro mondo! – affermò, rivolgendo i suoi occhi color ghiaccio a Elijah che lo fissava con un sorriso sghembo. Bonnie abbassò leggermente lo sguardo prima di sollevarlo.
– Vi aiuterò io. Non è necessario che chiamiate un’altra strega. – disse tutto d’un fiato attirando improvvisamente l’attenzione di tutti.
– Davvero lo faresti? – domandò Elena. La strega annuì portando infine il suo sguardo su Sofia la quale si volse verso di lei.
– Non posso incolparti per qualcosa che hai fatto contro la tua volontà, so per certo che non ti ripeteresti. – disse verso la bionda. Aveva visto proprio poco prima quanto lei fosse in grado di controllarsi. Sofia la fissò inizialmente incredula, sentì gli occhi pizzicarle e inumidirsi mentre la fissava sorpresa. La strega piegò le labbra in un sorriso.
– Mi dispiace per come mi sono comportata. Nessun rancore? – chiese con un tono di voce incredibilmente affettuoso. Sofia piegò le sue labbra rosee in un nuovo sorriso e avanzò verso di lei quasi gettandosi fra le sue braccia. La strega ricambiò l’abbraccio riuscendo a scorgere la figura di Elijah proprio oltre la spalla della vampira e lo fissò intensamente, come volesse fargli capire che non era per la minaccia di lui che aveva accettato. Elijah sembrò leggerle lo sguardo e si lasciò scappare un ennesimo sorriso sghembo. L’abbraccio andò scemando nel momento stesso in cui Stefan si avvicinò maggiormente a Elijah, attirandone l’attenzione.
– Quindi, cosa dobbiamo fare? – domandò, serio.
– Adesso che abbiamo la strega, è molto semplice. – iniziò a dire l’Originale, nonostante il suo tono di voce fosse alquanto ironico – Convinceremo Niklaus a dirci dove nasconde il corpo di mia madre. Dopodichè Bonnie l’aiuterà a passare dal corpo di Rebekah al suo e solo alla fine mia madre sarà in grado di bloccare tutto quanto. – disse. Il tono e l’espressione erano tornati gelidi e seri mentre guardava i volti di ognuno di loro. E chissà perché, ogni speranza si era spenta nei loro occhi.
– Convincere Klaus? – domandò Damon, incredulo. Elijah annuì, sorridendo in maniera ironica.
– Vedremo di fare il possibile, Damon. Risolveremo la situazione al più presto, promesso. – intervenne Sofia guardando il vampiro dagli occhi di ghiaccio in maniera premurosa.
– Non sarebbe meglio lasciar fare solo a Elijah? – domandò Jeremy verso la bionda tradendo una leggera preoccupazione. Sofia si volse verso di lui sorridendogli rassicurante.
– So quello che faccio, Jeremy, non preoccuparti. – gli sussurrò. La tensione caduta nella stanza era assolutamente palpabile. Elijah distolse lo sguardo cercando di ignorare il fastidio che sentiva dentro ogni qualvolta Jeremy e Sofia provassero anche solo a parlare.
– Allora, io ritorno a casa. Studierò l’incantesimo dello scambio dei corpi e voi mi farete sapere come va a finire con Klaus. – intervenne Bonnie rompendo il silenzio che si era venuto a creare. Dai movimenti del capo di ognuno di loro, tutti sembravano essere d’accordo, tanto che la strega si avviò verso la porta d’uscita e se ne andò lanciando a ognuno di loro un ultimo e veloce saluto.
– Io posso provare a parlare con Klaus. – disse Stefan rivolgendosi nuovamente ad Elijah. L’Originale sollevò lo sguardo verso di lui e scosse debolmente il capo.
– Posso vedermela io con mio fratello. – rispose freddamente.
– Nel frattempo bisogna soltanto stare attenti a qualunque spettro si presenti. – constatò Elena, stringendosi le mani al petto. Fu solo in quel momento che lo sguardo di Elijah si portò su Jeremy, ancora intento a portare molto spesso il suo sguardo sulla figura della bionda presente.
– Chi è lo spettro che ti sta perseguitando? – domandò, diretto, verso il Gilbert che portò il suo sguardo sull’Originale.
– E’ importante? – chiese Jeremy di rimando, aggrottando la fronte verso l’Originale. Elijah accennò un sorriso sghembo dinnanzi a quella reazione.
– Lo è. – rispose. Sofia li guardò entrambi prima di soffermarsi su Jeremy. Anche lei voleva saperlo, doveva sapere se era stata Molly, o Margaret, ad aver ucciso Jeremy. Ma il piccolo Gilbert non sembrava intenzionato a rispondergli.
– E’ stata la sua ex, Elijah. E’ così gelosa di lui anche da morta che è tornata a ucciderlo per farli vivere insieme per sempre nel mondo dei morti. – intervenne Damon con tono sarcastico. Elena e Stefan si voltarono verso di lui fissandolo con sguardo severo, uno sguardo che lui ignorò bellamente. Elijah annuì e si portò verso la porta.
– Andiamo da Niklaus, allora. – affermò lanciando il suo sguardo verso Sofia. L’espressione di lei si fece improvvisamente determinata.
– Fate attenzione. – sussurrò lei, prima di allontanarsi insieme all’Originale dopo aver lanciato un’ultima occhiata premurosa e rassicurante verso il piccolo Gilbert.
 
Si mise comoda sul sedile accanto a Elijah quando la macchina partì nuovamente, iniziando a sfrecciare rumorosamente sulla strada. Il sole filtrava attraverso i vetri della vettura ma lei cercava di non dargli peso. Elijah la fissò per alcuni istanti prima di concentrarsi sulla strada.
– Quindi abbiamo appurato che non è colpa tua se Jeremy è stato attaccato. – le disse, rompendo il silenzio che si era venuto a creare. Lei lo guardò incuriosita prima di piegare le labbra in un sorriso.
– E’ per questo che gliel’hai chiesto? – domandò lei, curiosamente. Elijah non rispose ma lo sguardo che le regalò riuscì a farle capire, era per quello che lui l’aveva chiesto.
– Però adesso so anche cos’era quella strana scritta nel tuo bagno. – sussurrò, riflessivo.
– Pensi che sia stata lei? – domandò la vampira. L’Originale annuì.
– Chi altri potrebbe essere stato, altrimenti? – rispose. La bionda calò lo sguardo sospirando pesantemente.
– Sai già dove potremo trovare Klaus? – domandò verso il vampiro mentre scrutava l’esterno dell’auto attraverso il vetro accanto a lei.
– E’ al Grill. Ho scoperto che è lì che passa buona parte del suo tempo quando non è in casa. – rispose prontamente il vampiro. L’auto venne guidata direttamente verso il centro della città prima di essere parcheggiata proprio di fronte al Mystic Grill. Entrambi uscirono dall’auto ed Elijah affiancò velocemente Sofia, avviandosi verso l’ingresso del locale. A quell’ora del giorno il locale era sicuramente abbastanza popolato da chiunque volesse pranzare fuori casa. Varcarono l’ingresso velocemente e lei si soffermò a guardarsi intorno. Storse il naso. Una miriade di odori le invasero le narici ma cercò di non dargli peso, sfregandosi il palmo di una mano sulla punta del naso. Elijah cercò con lo sguardo la figura dell’ibrido senza buoni risultati, inizialmente.
– Lo vedi? – domandò verso di lei.
– No, ma lo sento. – rispose Sofia. Il particolare odore che gli ibridi emanavano risaltava su qualsiasi altro e lei lo sentiva pizzicarle fastidiosamente le narici. Quasi istintivamente prese una mano di Elijah guidandolo verso l’interno del locale popolato da una buona quantità di persone e seguì la scia di odore che Klaus aveva lasciato dietro di sé, una volta stato lì dentro.
– Se non è qui, non deve essere andato via da molto. – mormorò la vampira lanciando un’occhiata fugace all’Originale al suo fianco. Solo quando fu sicura che non l’avrebbe perso tra le tante persone presenti, la sua presa sulla mano di lui venne meno. Lo sguardo verde di lei cadde sulla figura di Matt che le si stava avvicinando incuriosito e la vampira gli sorrise fermandosi nei pressi di lui quando lo vide abbastanza vicino.
– Ciao Matt. – lo salutò velocemente e gentilmente. Matt forzò un leggero sorriso.
– Che ci fate qui? – domandò. Sofia portò i suoi occhi verso Elijah come se cercasse un consenso nel rispondere sinceramente a quella domanda, ma lui riuscì ad anticiparla.
– Hai visto mio fratello Niklaus? – domandò, diretto e perennemente gelido sia nel tono che nell’espressione. Matt si passò frettolosamente una mano tra i capelli.
– E’ qui. A quel tavolo. – rispose, indicando un tavolo non molto distante, in un angolino, in cui Klaus sedeva accompagnato da una graziosa ragazzina bionda e dal sorriso ebete. Entrambi annuirono.
– Grazie Matt. – disse frettolosamente la vampira quando vide che l’Originale aveva iniziato ad avanzare verso il tavolo ma Matt la fermò prontamente.
– Che sta succedendo, Sofia? Da quando ti fai coinvolgere da loro? – domandò il ragazzo, preoccupato. Sofia piegò le labbra in un sorriso rassicurante.
– Non è nulla di cui aver paura, Matt. Ti spiegherò tutto la prossima volta, adesso non posso parlartene e tu devi ritornare a lavoro. – rispose la vampira. Matt annuì, sebbene poco convinto, e lasciò la sua presa su di lei. Sofia gli sorrise un’ultima volta prima di seguire Elijah che, nel frattempo, si era avvicinato al tavolo. Una mano del vampiro si avvicinò a un braccio della ragazzina seduta insieme al fratello, il cui sguardo sorpreso ma ambiguo si portò su di lui, costringendola a portarsi in piedi.
– Adesso va a casa. – le sussurrò. Quell’ordine sembrò entrare nella testa della bionda che lo eseguì senza obiettare, allontanandosi verso la porta d’uscita del locale con uno sguardo vacuo. Elijah si voltò verso Sofia facendola accomodare per prima, sedendosi accanto a lei subito dopo. Klaus li aveva osservati in silenzio per tutto questo tempo, piegando le sue labbra carnose in un sorriso sornione.
– A cosa devo questa fastidiosa interruzione? – domandò l’ibrido, non mostrando il fastidio che quel gesto gli aveva fatto crescere dentro. Elijah lo fissò con un’espressione seria, sedendosi comodamente e appoggiando distrattamente una mano sulla superficie del tavolo.
– Abbiamo bisogno di parlare, Niklaus. Preferirei andare in un posto un po’ più appartato. – ammise Elijah. Sofia si ammutolì, alternando semplicemente il suo sguardo tra i due. Klaus sembrava tranquillo mentre appoggiava comodamente la sua schiena allo schienale della sedia e le sue braccia venivano allargate platealmente a indicare ciò che li circondava.
– Qualcosa che riguarda nostro padre? Perché se si tratta di lui, non ho intenzione di ascoltarti Elijah. – rispose prontamente l’ibrido, munendosi della sua solita aria ambigua. Elijah lo fissò, apparentemente calmo.
– Si tratta di nostra madre. – rispose di conseguenza il vampiro. Lo sguardo di Sofia si portò su Klaus scorgendo quell’espressione mutare improvvisamente. La sorpresa che era nata negli occhi dell’ibrido sorprese perfino lei. Sembrava sconcertato.
– E’ tornata. – continuò Elijah, scorgendo i mutamenti dell’espressione del fratello.
– Stai mentendo. – ringhiò Klaus sporgendosi col viso verso gli altri due. Sofia scosse prontamente il capo.
– No, Niklaus. Tua madre è davvero tornata, è nel corpo di Rebekah. – intervenne la vampira in un sussurro che cercava di non farsi udire da orecchie indiscrete. Klaus volse a lei il suo sguardo, quasi fulminandola, poi sorrise nuovamente.
– E perché questa cosa dovrebbe interessarmi? Non ditemi che siete venuti qui solo per questo. – rispose Klaus armandosi nuovamente della sua calma apparente. Elijah distolse lo sguardo per brevi istanti.
– Oh, non siamo qui solo per questo. Purtroppo, per quanto mi dispiaccia, siamo qui per chiederti un favore. Dovrai dirci dove nascondi il corpo di nostra madre così che lei possa lasciare in pace quello di Rebekah. Abbiamo bisogno dei suoi poteri. – ammise Elijah. Probabilmente se Sofia non fosse stata una delle persone coinvolte in tutto quel casino degli spettri, non avrebbe mai chiesto l’aiuto del fratello. Non l’aveva ancora perdonato, dopotutto. Sofia guardò il vampiro per alcuni istanti prima di ritornare su Klaus scorgendo l’espressione ambigua e quel sorriso falsamente contento, piuttosto beffardo, che era nato sul volto dell’ibrido.
– Dimmi per quale motivo dovrei aiutarti, Elijah. Mi pare sia stato tu a decidere che il nostro rapporto fraterno è finito e che non hai intenzione di ritornare ad essere il mio fratello preferito. – mormorò Klaus scrollando le spalle. Nascondeva perfettamente la tensione e il nervosismo che gli stavano crescendo dentro, non voleva credere che sua madre fosse davvero tornata. Elijah si sporse sul tavolo avvicinandosi col viso al fratello, seppur l’oggetto continuasse a separarli, come volesse incutergli timore. L’espressione si era fatta gelida e minacciosa ma Klaus sembrava disinteressato.
– Non hai capito, Niklaus. Tu DEVI aiutarmi. – marcò quelle parole, ma l’ibrido non fece altro che sorridere.
– E perché mai? Sai benissimo che lei non vuole far altro che arrivare a me. Non ho intenzione di aiutarvi. – rispose sicuro l’ibrido, alternando il suo sguardo sui suoi due interlocutori. Sofia si sporse sul tavolo portando una mano su un braccio di Elijah facendogli intuire che avrebbe parlato lei.
– Fallo per Rebekah, Niklaus. Credi che sia divertente avere il corpo posseduto dalla sua stessa madre? – intervenne nuovamente la bionda, fissandolo con un’espressione quasi supplichevole. Un’espressione che voleva essere gentile. Klaus storse le labbra in una smorfia divertita.
– Sicuramente più divertente di rimettersi a dormire nella bara in cui la getterò una volta tornato a casa. – rispose. Elijah stava per intervenire ma la bionda lo invogliò a lasciarla parlare, di nuovo.
– Come puoi parlare in questo modo di tua sorella? – gli chiese, infastidita.
– E voi come potete chiedermi di dirvi dove nascondo il corpo di mia madre? Sai, Sofia, non so se il tuo amato Elijah ti ha accennato la cosa durante le vostre sdolcinate confessioni notturne, ma ho strappato il cuore dal petto di mia madre molto tempo fa. Pensi che questo suo ritorno, dopo quello di Mikael, sia per una bella e affettuosa riunione familiare? – domandò con tono di voce beffardo prima che la sua espressione diventasse più seria.
– E’ tornata per me. E’ tornata perché vuole uccidermi. Ma io non ho ancora intenzione di morire, mia adorata Marilyn Monroe. Non vi aiuterò. Grazie per avermi detto dove trovarla, ho buone possibilità di ucciderla ancora una volta se resta ancora nel corpo di Rebekah. – commentò, facendo per alzarsi, ma Elijah allungò il suo braccio verso di lui bloccandolo a sedere ancora una volta. Klaus lo guardò con un’espressione infastidita.
– Non te lo chiederò un’altra volta, Niklaus. Dimmi dove nascondi il corpo di nostra madre. – ringhiò il vampiro.
– Non provocarmi, Elijah. Sai benissimo che farmi arrabbiare in un luogo pubblico non ti porterà da nessuna parte. – rispose l’ibrido presuntuoso – Potrei uccidere qualcuno. Magari proprio il cameriere. – sogghignò indicando con un cenno del capo Matt che girovagava per il locale. Sofia lo fissò e ancor prima che potesse chiederlo, Elijah aveva lasciato le sue prese sul fratello permettendogli di alzarsi e allontanarsi. Aveva capito che Klaus l’avrebbe fatto sul serio e non era per la vita di Matt che si preoccupava, piuttosto non avrebbe permesso a quell’ibrido di fare qualcosa che Sofia non avrebbe gradito. La guardò leggendo la delusione nel suo viso. La vide alzarsi in piedi.
– Lo convinceremo, Elijah. Vieni. – gli disse, invogliandolo a seguirla verso l’esterno del locale. Il sole la colpì una volta varcata quella soglia, ma cercò di non preoccuparsene. Annusò l’aria circostante cercando l’odore dell’ibrido, un odore che trovò facilmente. Fece segno all’Originale di seguirla mentre si avviava lungo il marciapiede prima di vedere la figura di Klaus che camminava tranquillo di fronte a loro. Accelerarono il passo sino a raggiungerlo e fermarlo. Sofia gli si posizionò davanti tramite quella velocità vampirica e gli poggiò una mano al petto impedendogli di allontanarsi, portando lo sguardo nei meandri di fastidio e nervosismo di cui erano pieni gli occhi dell’ibrido.
– Aspetta, Niklaus. – gli disse.
– Cosa non ti è chiaro delle parole che ti ho detto lì dentro? Non vi aiuterò a liberare Esther. – ringhiò Klaus verso di lei prendendole il polso e spostando quella mano dal suo petto. Elijah sembrava già pronto ad intervenire, attento a ogni movimento da parte del fratello.
– Chi ti dice che io le permetterò di ucciderti, Niklaus? Mi serve che tu mi dica dove nascondi il corpo di tua madre. – disse frettolosamente la bionda facendo ricadere la mano lungo il fianco.
– Perché ti serve? – domandò l’ibrido, con un’espressione seria. La vampira deglutì lanciando una fugace occhiata a Elijah lì nei pressi, un Elijah che avrebbe voluto intervenire se solo non avesse letto nello sguardo di lei la disapprovazione.
– Solo lei è in grado di risolvere un mio problema. Se non vuoi farlo per Rebekah o per la tua famiglia, fallo almeno per me. Dimostrami che ho fatto la scelta giusta a perdonarti dopo tutto quello che hai fatto. – mormorò lei, quasi intimidita. Klaus la fissò a lungo mantenendo quell’espressione infastidita. Ma più la guardava, più si sentiva incerto.
– Sei egoista, Sofia. Mi stai chiedendo di consegnarti un’arma che potrebbe mettere fine alla mia vita? – stava dicendo Klaus ma ancor prima che le sue parole potessero ulteriormente continuare, la vampira lo interruppe.
– Non le permetterò di ucciderti, Niklaus. – intervenne, mostrando un’elevata determinazione nel suo tono di voce, una determinazione che parve scuotere internamente l’ibrido.
– Perché no? Dopotutto sono il cattivo che ha minacciato la vita del tuo amichetto umano, il cattivo che ha ucciso il suo stesso fratello e il cattivo che ha ucciso te. – ringhiò l’ibrido. Sofia scosse bruscamente il capo smuovendo i boccoli biondi.
– Perché morirebbero anche i miei amici. – iniziò a dire. Per un istante Klaus provò l’istinto di strapparle la testa dal collo, provò l’insopportabile sensazione di ritrovarsi ancor più solo di quello che pensava. Davvero, quella bionda, voleva proteggerlo da chiunque soltanto perché morendo avrebbe ucciso i suoi amici, non perché contasse davvero la sua vita.
– E perché nemmeno tu meriti di essere ucciso dalla tua famiglia, nonostante tutto. – continuò la vampira. Quelle parole furono in grado di sorprendere sia Klaus che Elijah lì nei pressi, prima che un sorriso piegasse le labbra rosee della bionda. Voleva essere gentile, voleva cercare di convincerlo e fargli capire che, nonostante tutto, lei l’aveva davvero perdonato e l’avrebbe aiutato non solo per il bene dei suoi amici, ma anche per il suo. Klaus la fissò a lungo stringendo le labbra. Aggrottò la fronte, non si sarebbe lasciato convincere così facilmente, non lo voleva. Eppure quel sorriso che decorava il volto candido della vampira stava seriamente minando ogni sua convinzione senza che lui riuscisse a capirne il motivo. Si voltò di getto verso Elijah fissandolo con astio e rabbia.
– La radura, i cunicoli sotterranei in cui Rebekah adorava giocare da piccola. E’ lì sotto, e non vi dirò altro. – pronunciò quelle parole tutto d’un fiato ed Elijah si lasciò scappare un’espressione sorpresa. Klaus ritornò a guardare Sofia, deglutendo prepotentemente.
– Fa pure quello che devi fare, troverò il modo per uccidervi tutti e liberarmi di voi. – disse infine prima di sparire, lasciando al posto suo una semplice e fredda folata di vento. Sofia portò il suo sguardo su Elijah, sorpresa, e lui la fissò a lungo.
– Ce l’abbiamo fatta? – domandò la bionda.
– Potrebbe averci mentito. Credevi davvero in quelle parole, Sofia? – chiese Elijah di conseguenza, fissandola con un’espressione indecifrabile. Lei chinò il capo prima di risollevarlo verso di lui.
– Si, Elijah. Per quanto io ci abbia provato, non riesco a odiarlo, e non dovresti farlo nemmeno tu. E’ come se leggessi la solitudine nel suo sguardo, ed è una cosa che c’è sin dalla prima volta in cui l’ho incontrato. – rispose la vampira intrecciando le dita dinnanzi al ventre. Le palpebre andarono socchiudendosi a causa del fastidio che il sole le stava procurando ed Elijah annuì distrattamente, spostando altrove lo sguardo.
– So dove possiamo trovare il corpo di mia madre, se Niklaus ha detto la verità. – affermò Elijah, vedendola annuire. Molte volte, in un passato decisamente lontano, era stato segretamente in quel posto insieme ai suoi fratelli, quando ancora era un umano.
 
L’auto si fermò immerso nel verde del bosco che circondava Mystic Falls, lo stesso bosco in cui le parole di Klaus li aveva portati. Le portiere si aprirono ed entrambi scesero dall’auto. Da quel momento in poi la strada andava percorsa a piedi, ma ovviamente nessuno dei due se ne lamentava.
– E’ qui che venivamo da piccoli. – mormorò Elijah, interrompendo il silenzio che si era venuto a creare. Sofia annuì, consapevole di ciò che il vampiro le stava dicendo. Ne avevano già parlato, tempo prima, ma vedere quel posto coi suoi occhi era decisamente diverso. I raggi solari faticavano a filtrare attraverso le foglie ma illuminavano comunque il loco, l’odore della natura le invadeva dolcemente il naso ed i suoi occhi si perdevano nell’immensa distesa di alberi e verde che si era parata davanti a loro. Piegò le labbra in un sorriso.
– Chissà com’eri quando eri piccolo. – sussurrò la bionda, lanciandogli un’occhiata, mentre i loro passi avevano iniziato a guidarli tra gli alberi. Lei, naturalmente, seguiva attentamente Elijah. Le labbra del vampiro si piegarono in un sorriso a quell’affermazione della ragazza e le lanciò un’occhiata fugace.
– E tu? Com’eri quando eri una bambina? – le domandò, quasi curioso. Il sorriso di lei divenne quasi più malinconico a quella domanda, ma era comunque uno di quei sorrisi tranquilli e gentili che tanto caratterizzavano il viso della vampira.
– Ero come tutte le altre bambine, in un certo senso. Pasticciona, innocente, qualche volta anche dispettosa. Piangevo sempre, te l’ho mai detto? Ogni cosa era una buona scusa per piangere. – ammise, guardando l’altro. Elijah sorrise nuovamente camminandole accanto, con le mani immerse nelle tasche dell’elegante giacca che aveva indossato. I loro passi lenti ricordavano piuttosto una romantica passeggiata invece che la ricerca di un corpo che, molto probabilmente, nemmeno avrebbero trovato.
– Non me l’avevi mai detto. – constatò l’Originale, ma non sembrava offeso. Sorrise verso di lei, e lei fece altrettanto, prima che raggiungessero una grande grotta immersa nel verde.
– E’ qui. – ammise Elijah, perdendo quel suo sorriso e armandosi di un’espressione seria e pacata. Perfino le labbra di lei ritornarono a distendersi lasciando sfumare quel sorriso, quando si ritrovarono davanti a quell’ingresso. La bionda annuì ma qualcosa attirò la sua attenzione, insieme a quella di Elijah. Alcuni movimenti nel verde che li circondava portarono i loro sguardi a vagare intorno a loro.
– C’è qualcuno. – ammise lei, nonostante l’Originale potesse capirlo da solo. Gli occhi scuri del vampiro scrutavano il loco con attenzione mentre lei aveva preso ad annusare l’aria. L’espressione si fece più dura quando sentì quell’odore.
– Sono ibridi. – constatò. Riusciva a differenziarli dall’odore che si portavano dietro, molto diverso da quello dei vampiri. Quando improvvisamente due figure sbucarono dal nulla pronti ad attaccarli, Elijah partì prima di lei apparendo proprio davanti a loro e distendendo prontamente quelle mani che andarono trafiggendo i loro petti cercando quell’organo spento che afferrò tra le dita. In pochissimi secondi, sfilò fuori i loro cuori mantenendo quell’espressione impassibile e pacata a decorargli il viso. Lasciò cadere al suolo i loro corpi insieme ai loro stessi cuori, prima di voltarsi nuovamente verso la bionda a incrociare lo sguardo perplesso di lei.
– Se Niklaus sperava di intralciarmi con due semplici ibridi, credo abbia fatto male i conti. – mormorò l’Originale, sviando lo sguardo dagli occhi di lei. Sfilò un pallido fazzoletto da un taschino della giacca sfregandoselo attentamente tra le dita.
– Non capisco. Gli ho detto di non preoccuparsi, ma allora perché cerca di contrastarci? – domandò Sofia, ancora incredula. Solo in quel momento gli occhi gelidi di Elijah ritornarono su di lei immergendosi in quelli chiari della vampira.
– E’ Niklaus, Sofia. E’ fatto così. Ho cercato il lato buono di lui per molto tempo ma, ormai, non fa altro che pensare a sé stesso. Aveva ucciso tutta la nostra famiglia temendo di essere contrastato. – sussurrò intensamente il vampiro. La bionda deglutì ritornando a guardarsi intorno. Elijah le fece cenno di seguirlo addentrandosi nell’oscurità di quell’apertura nella roccia e avanzando subito dopo in uno stretto cunicolo umidiccio. Il buio non era un problema per nessuno dei due. Gli occhi di lei quasi furono entusiasti dell’oscurità dentro la quale si stavano immergendo ma il buio, la strettezza, le riportava alla mente la paura provata quando si era risvegliata dentro quella bara proprio sotto terra. Strinse i pugni mentre si guardava intorno attenta a qualsiasi movimento e odore, ma quel turbamento che stava provando non sembrò passare inosservato agli occhi scuri del vampiro.
– Stai bene? – le domandò, premuroso. Gli occhi verdi di lei si spostarono portandosi su di lui e annuì, cercando di apparire convincente.
– Si, certo, va tutto bene. Pensi davvero che abbia nascosto qui sotto il corpo di vostra madre? – chiese lei di conseguenza, cercando di sviare il discorso. Elijah spostò il suo sguardo ritornando a guardare la strada che stavano percorrendo e annuì. Allungò una mano verso di lei prendendole dolcemente un polso.
– Da questa parte. – la intimò, quando la strada si divise a sua volta lasciando la possibilità di scegliere per due vie diverse. Lo spazio era ancor minore della strada che stavano percorrendo prima e lei, pur di evitare di sfregarsi coi vestiti contro le pareti rocciose, umide e sporche, si avvicinò ulteriormente a lui quando sentì il braccio del vampiro avvolgerle morbidamente le spalle per cingerla protettivo.
– Se è davvero dove lui dice di averlo nascosto, vuol dire che lo ha lasciato dove un tempo lui e Rebekah adoravano nascondersi da mio padre. – mormorò il vampiro sentendo la sua voce riecheggiare nel silenzio che regnava intorno a loro. Solo improvvisamente la strada si interruppe aprendosi in un grande spazio circolare al centro del quale era stata riposta una bara. Fu in quel momento che, usciti dal cunicolo, si allontanarono ritornando uno accanto all’altro. Gli occhi verdi di Sofia si fecero perplessi, deglutì pesantemente sentendosi improvvisamente percorrere da una strana sensazione.
– E’…quella. – mormorò, e non era una domanda. Elijah s’irrigidì quando vide il legno di quella bara, perfettamente identica a quella in cui Klaus aveva spesso e volentieri messo a dormire i suoi fratelli, immaginandosi il volto dormiente della madre morta. Seppur apparentemente sembrasse tranquillo, dentro sé sentì una serie di emozioni entrare in contrasto. Si avvicinò con passi esitanti, ma pur sempre eleganti, alla bara al centro della stanza di pietra. Ne sfiorò il legno della parte superiore con i polpastrelli di entrambe le mani e Sofia gli si avvicinò con passi lenti e intimoriti. Una sua mano sfiorò appena una di quelle dell’altro, come se in qualche modo avesse scorto negli occhi dell’altro il turbamento provato davanti a quella scena. Era pur sempre sua madre, dopotutto. Elijah la guardò per brevi istanti senza proferir parola, sentendo il tocco freddo della mano di lei accarezzargli la pelle con gentilezza prima di allontanarsi. Solo in quel momento i suoi occhi scuri ritornarono sul legno della bara mentre le sue mani afferrarono i bordi del coperchio. Provò a tirarlo su, ma rimase sorpreso e confuso quando la bara non sembrava aprirsi.
– C’è qualcosa che non va? – domandò lei, improvvisamente. L’Originale provò nuovamente a sollevare il coperchio della bara, ma ottenendo gli identici scarsi risultati.
– Non si apre. – commentò in risposta alla domanda di lei, apparendo confuso. Sollevò di scatto le mani piantando un pugno proprio sulla parte superiore della bara, un pugno carico di tutta la forza che aveva in corpo, ma il legno nemmeno sembrò scalfirsi – E nemmeno si distrugge. – affermò, piegando le labbra in un sorriso sghembo – Sapevo che ci avrebbe ingannati, in qualche modo. E’ un incantesimo. – mormorò Elijah con un tono di voce ironico, mentre volgeva i suoi occhi scuri, ma che nascondevano un profondo fastidio e nervosismo, verso gli occhi chiari della vampira al suo fianco.
– Un incantesimo? Ne sei sicuro? – domandò lei, alternando lo sguardo tra gli occhi del vampiro e il legno della bara.
– Ne avevo sentito parlare tempo fa, da una strega. Evidentemente anche Niklaus ne era al corrente e ha pensato bene di sigillarela bara. – constatò l’Originale.
– Provo a chiamare Bonnie. – rispose lei prontamente estraendo il cellulare dalla tasca. – Aspettami qui, magari prova ancora ad aprirla, io cerco di sentire lei per sapere se c’è una soluzione. – disse la bionda verso di lui. Elijah annuì guardandola mentre si avviava verso l’esterno. La strada era semplice da ripercorrere per tornare all’esterno e vi mise poco prima di ritrovarsi nuovamente immersa nel verde nella natura, sotto i deboli raggi del sole pomeridiani. Compose velocemente il numero di Bonnie, guardandosi attorno mentre attendeva una risposta da parte della strega.
 
Avvertì il sonoro rumore del motore di un’auto risuonare nel bosco fin quando la stessa vettura si spense. Sebbene distante, riuscì a sentire l’odore dolciastro che Bonnie si portava dietro. Guardò tra gli arbusti vedendo improvvisamente la figura scura della strega sbucare e sorriderle per pochi istanti.
– Sofia. – la chiamò e la bionda piegò le labbra in un sorriso roseo.
– Da questa parte. – le disse, abbassando lo sguardo sul grande libro bianco e sgualcito che la strega stringeva al petto, insieme ad una piccola torcia. Si inoltrarono all’interno della grotta e la bionda seguì il particolare odore di Elijah per ritrovare di nuovo e facilmente la strada. Quando il vampiro le vide spuntare nella stanza di pietra, si scostò dalla bara permettendo a Bonnie di guardarla. La strega strinse maggiormente il libro al petto sentendo lo sguardo scuro del vampiro puntare la sua figura, avvertendo ancora il disagio dinnanzi a lui e sentendo improvvisamente la sua minaccia rimbombarle nella testa. Si era promessa che non avrebbe aiutato gli Originali, non sarebbe scesa a patti con loro, eppure in quel momento aveva dovuto mettere da parte qualsiasi cosa pur di mettere in salvo i suoi amici. Deglutì pesantemente illuminando i dintorni con la luce artificiale della torcia.
– E’ un incantesimo di sigillo. Ho letto che ce ne sono di differenti. – constatò la strega avvicinandosi alla bara e inginocchiandosi nei pressi della stessa. Appoggiò al suolo il grimorio che aveva portato con sé estraendo dal suo interno una sottile candela che aveva usato come segnalibro per mantenere la pagina degli incantesimi di cui stava parlando. Elijah e Sofia la fissarono in tutto questo tempo.
– Tu sei in grado di fare un incantesimo per…sbloccarla? – domandò la bionda avvicinandosi leggermente alle spalle della strega. Bonnie fissava le scritte sul grimorio ma ascoltava ugualmente le parole pronunciate dall’altra.
– Ci posso provare. – rispose distrattamente, porgendole la torcia per poter avere le mani libere e allo stesso tempo una luce con la quale poter illuminare la stanza. Socchiuse gli occhi concentrandosi e schiudendo leggermente le labbra quando, a un tratto, la candela posizionata in piedi proprio davanti a lei si accese, illuminando ancor più quel piccolo angolino della stanza di pietra. Riaprì gli occhi portandoli sugli altri due, pochi istanti, prima di rivolgerli sul libro e concentrarsi. Le labbra carnose della strega si schiusero per lasciar fuoriuscire da esse parole incomprensibili, esercitando l’incantesimo scritto su quella pagina del libro. La fiammella della candela si agitò appena spingendo la bionda presente a indietreggiare di un unico passo. Gli occhi di Bonnie si chiusero nuovamente mentre il suo mento veniva sollevato e lei ricercava più potere per poter effettuare quell’incantesimo. Gli occhi verdi della bionda erano fissi sul volto di lei, scorgendo i mutamenti che subiva la sua espressione quando a un tratto la fronte della strega si aggrottò. La vide stringere i pugni sulle pagine sgualcite del grimorio e istintivamente cercò lo sguardo di Elijah alle sue spalle, come volesse sapere se lui stava capendo pienamente ciò che Bonnie stava facendo, ma tutto ciò che ottenne fu un’espressione stupita tanto quanto la propria. Riportò gli occhi verdi su Bonnie per vederla tremare. L’espressione concentrata della strega stava sfumando in qualcosa di sofferente. L’odore del sangue invase improvvisamente le narici della vampira ancor prima che gli occhi scorgessero quella gocciolina di liquido vermiglio colare dal naso della ragazza.
– Bonnie? – la chiamò, avvicinandosi di un passo a lei e affiancandola. Anche Elijah si mosse, senza avvicinarsi troppo.
– Bonnie, ferma. Che stai facendo? – continuò a chiamarla Sofia, ma la strega non sembrava sentirla.
– Bonnie, fermati! – esclamò, facendo risuonare la sua voce all’interno delle pareti rocciose della stanza. La torcia cadde al suolo rovinosamente provocando un sordo rumore mentre le mani della vampira afferravano bruscamente le spalle della ragazza smuovendola con forza. Fu in quel momento che gli occhi della strega si sgranarono di scatto e le labbra si spalancarono alla ricerca di aria. La fiammella della candela si mosse nuovamente, prima di spegnersi.
– Che diavolo stai facendo, Bonnie? Stai sanguinando! – la rimproverò Sofia permettendo agli occhi scuri di Bonnie di volgersi verso il suo viso pallido e attanagliato dalla preoccupazione. La strega la fissò respirando ansante e sinceramente dispiaciuta.
– E’ troppo forte. Non ci riesco. – mormorò la strega. Sofia sollevò una mano sfregando il tessuto scuro della maglia contro il sangue colato dal naso di Bonnie. Deglutì rigidamente resistendo a malapena all’istinto di aggrapparsi al suo collo, ma non le avrebbe fatto del male.
– Non preoccuparti. Noi…troveremo un’altra soluzione Bonnie, non c’è bisogno che ti spingi fino a questo punto. – le mormorò rassicurante la bionda.
– Avresti potuto fermarti prima, quando hai capito che non riuscivi. – intervenne Elijah, fissandola dall’alto della sua figura. Bonnie volse a lui gli occhi scuri fissandolo in una maniera profonda; non aveva ancora dimenticato le minacce che lui era andato a rifilarle. Ma l’Originale non si scompose davanti a quello sguardo. La vampira si riportò in piedi aiutando la debole Bonnie a seguirla, cosa che la strega fece senza lamentarsi.
– Ho poco potere per affrontare un incantesimo del genere. – sussurrò Bonnie, volgendo i suoi occhi alla bionda. Sofia scosse il capo piegando debolmente le labbra in un sorriso.
– Probabilmente, però, conosco una persona alla quale possiamo rivolgerci. – intervenne Elijah ancora una volta, fissandole entrambe con un’espressione seria e fredda, nascondendo il nervosismo nato a causa dell’ennesimo trucchetto di Klaus. Entrambe le ragazze volsero lo sguardo verso di lui, sorprese da quelle parole.
– Una volta, mio padre fu sigillato all’interno di una tomba da una strega Bennett. Avrebbe dovuto essere ancora lì dentro ma, per qualche strana ragione, è riuscito a liberarsi. Potrebbe essere ancora viva, ma questa è una cosa che dovresti sapere tu, Bonnie, dato che appartiene alla tua stessa famiglia. Possiamo provare a chiedere a lei. – affermò Elijah, facendo scivolare distrattamente l’indice di una mano sulla superficie lignea della bara al suo fianco. Bonnie lo fissò incuriosita.
– Qual è il nome di questa strega? – domandò, scostandosi da Sofia sulla quale era riuscita a trovare un sostegno quando fu consapevole che le sue gambe sarebbero riuscite a mantenerla in piedi. Elijah portò i suoi occhi gelidi in quelli scuri della strega, inoltrando la mano libera all’interno di una tasca della giacca.
– Abby Bennett. La conosci? – rispose l’Originale. Bonnie si pietrificò davanti a quel nome, facendo cadere le braccia lungo i rispettivi fianchi.
– Abitava qui a Mystic Falls una volta, ma ti parlo di anni fa. Potrebbe essere andata via. – continuò Elijah, aggrottando morbidamente la fronte davanti all’espressione sconcertata che era andata crescendo sul volto della strega.
– La conosco. – iniziò a dire lei in un sussurro debole. Non tanto per la stanchezza dell’incantesimo effettuato prima, piuttosto per lo shock in cui la sua mente stava cadendo. Conosceva quella donna, la conosceva probabilmente meglio di chiunque altro. Conosceva i suoi pregi, i suoi difetti. Conosceva la sua codardia, più di tutto.
– E’ mia madre. – continuò, sostenendo lo sguardo scuro e freddo del vampiro. Uno sguardo in cui andò formandosi la sorpresa e la convinzione che avrebbero ottenuto l’aiuto molto più facilmente di quanto si aspettasse.


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Note dell'autrice:
Ecco qui il nuovo capitolo. :3
Dunque, penso sia doveroso chiarire alcuni particolari per non incasinarmi con la storia del telefilm.
Partiamo con la seconda stagione: arriva Elijah, scende a patti con la combriccola dei nostri protagonisti, arriva Klaus possedendo Alaric e poi ritorna nel suo corpo. Organizza tutto il sacrificio come conosciamo noi la storia ecc. Stefan non ha mai spento i sentimenti, ma si è scoperta comunque la sua storia. Elijah, è vero che non uccise Klaus durante il sacrificio per sapere dove nascondeva la sua famiglia e poi c'è stato il tranello, ma l'ha liberato dopo non molto insieme a Rebekah. Una volta riunitisi i tre fratelli, Klaus parte con l'intenzione di prendere Elena e andarsene, ma si fa il famosissimo patto in cui lei dona un bel po' del suo sangue e li fa andare via. Ecco, se devo collocare la storia in un determinato tempo, direi fra la seconda e la terza stagione, per cui molte scoperte le sto facendo fare a modo mio. Se c'è qualcosa che manca o qualche chiarimento che volete, dite pure. Ah, l'anno è il 2012!

Detto questo, vorrei passare ai soliti ringraziamenti verso le persone che mi seguono e che, magari inconsapevolmente, mi sostengono <3
Ringrazio Ria_27, elyforgotten, Iansom e Pipia per aver recensito il capitolo precedente.
Ringrazio meiousetsuna che, nonostante il poco tempo, sta leggendo e recensendo ogni capitolo ed allo stesso modo ringrazio debby_88.
Ringrazio debby_88, elyforgotten, iansblueyes, ladyselena15, morgan_le_faye, polo e SaraIS che hanno aggiunto la storia tra le preferite.
E ringrazio le diciassette persone che l'hanno tra le seguite :D Spero che il capitolo possa piacervi e spero di ricevere commenti al riguardo. :3
Al prossimo capitolo e...BUON ANNO NUOVO A TUTTI  <3

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Capitolo 12
*** L'incantesimo. ***


La portiera dell’auto venne chiusa con accortezza da Elena, dopo ch’ella si fosse accomodata sul sedile del passeggero proprio al fianco di Bonnie.
– Lo sceriffo Forbes è stato davvero gentile a darci l’indirizzo di tua madre. – mormorò la Gilbert verso la strega, prima di lanciare un’occhiata indietro. Sofia sedeva comodamente sul sedile al centro tra i tre posteriori dell’auto, con lo sguardo verde fermo sulla figura della strega. La fissava preoccupata non riuscendo a leggere nient’altro che incertezza nel volto scuro di Bonnie. Ricambiò l’occhiata di Elena sentendo i suoi occhi castani puntare sulla propria figura e le sorrise morbidamente, vedendola poco dopo ritornare a guardare davanti a sé. Gli occhi ritornarono su Bonnie sporgendosi appena verso il suo sedile.
– Bonnie. – la chiamò, con voce delicata, obbligando la strega a lanciarle un’occhiata tramite lo specchietto retrovisore all’interno dell’auto per evitare di distogliere troppo tempo lo sguardo dalla strada che la vettura percorreva velocemente.
– Non sei obbligata. – continuò la bionda. Elena la guardò e comprese, annuendo col capo. Bonnie strinse le labbra e le prese che aveva sul volante, e scosse debolmente il capo facendo oscillare i suoi boccoli scuri.
– Non mi sento obbligata, infatti. Ho molte cose di cui parlare con mia madre, questa è una buona occasione per farlo. – mormorò la strega puntando i suoi occhi sulla strada che stavano percorrendo. Abby abitava appena fuori Mystic Falls, tanto che la campagna che circondava le strade venne subito notata. Sofia la riconobbe, rammentando di averla già vista prima di allora, da un finestrino diverso e un’auto diversa. Ma soprattutto, era in compagnia di una persona diversa. Ritornò ad appoggiare la schiena contro lo schienale del sedile volgendo il capo verso il finestrino a osservare l’esterno attraverso il vetro trasparente. Man mano la campagna all’esterno andava riducendosi lasciando spazio a un paio di casette caratterizzanti la periferia di Mystic Falls. Strinse gli occhi quando un raggio di sole la infastidì accorgendosi in ritardo che Elena la stava fissando, attraverso il retrovisore.
– Questa cosa del sole, l’avevi già quando eri umana? – le domandò improvvisamente la Gilbert costringendo la bionda a volgere gli occhi verdi e stanchi della luce verso di lei. Mosse il capo scuotendolo in risposta alla domanda della mora.
– No, ovviamente non l’avevo. E’ normale per un vampiro non amare la luce, credo. – rispose Sofia, sinceramente convinta di quelle parole.
– Si ma, di solito i vampiri bruciano alla luce del sole. Tu hai una sorta di protezione parziale che ti porta semplicemente disturbo. – mormorò la Gilbert palesando le sue riflessioni, prima di portare lo sguardo verso la strega che l’ascoltava curiosamente.
– Potremmo provare a fare un anello anche per lei. Magari eliminiamo anche questa cosa. In fin dei conti, mi pare di aver capito che il sole… – stava dicendo, volgendosi nel frattempo indietro verso Sofia – …ti stanca. – continuò, alternando i suoi occhioni castani tra le due. Sofia annuì per farle capire che, effettivamente, il sole la stancava. E non solo, più era frequente, più la indeboliva. Bonnie annuì in risposta.
– Possiamo provarci, magari con uno di quelli che hanno Stefan, Damon o Caroline. – disse Bonnie con tono pensieroso quando d’un tratto l’auto venne fermata in prossimità di una casa circondata da un giardino che si estendeva per un buon numero di ettari di terreno. Alcuni sguardi vennero scambiati all’interno dell’auto prima che tutte e tre le ragazze si decidessero ad aprire le portiere e uscire alla luce del giorno. A quell’ora il sole batteva con più forza sulle strade e Sofia non poté non sentirsi incredibilmente infastidita. Vide Bonnie ed Elena avviarsi verso la casa e le seguì sollevando stancamente una mano per fare un po’ d’ombra sul pallido viso. Si fermarono davanti alla bianca porta in legno e fu Bonnie a bussare, con quel pizzico di incertezza, sospirando pesantemente. Elena e Sofia si guardarono prima di portare i loro sguardi sulla figura della strega.
– Non c’è nessuno. – constatò Bonnie quando s’accorse che nessuno si apprestava ad aprire la porta. Provò nuovamente a bussare dopo aver lanciato un’occhiata alle ragazze appena dietro di lei.
Fu un – Arrivo subito! – a destarle dai loro pensieri. La voce che proveniva dall’interno era maschile, seppur giovane. La porta si aprì lentamente palesando la figura di un ragazzo più o meno sui diciotto anni sul cui viso andò presto disegnandosi un sorriso cordiale.
– Buongiorno, serve qualcosa? – domandò lui. Gli occhi scuri di Bonnie si sgranarono perplessi insieme agli sguardi sorpresi delle altre due. La strega si destò appena, scuotendo il capo.
– Stiamo cercando Abby Bennett. – mormorò, insicura. Il ragazzo sorrise.
– Abita qui, chi la cerca? – domandò. Bonnie esitò qualche istante, stringendo i pugni ai lati del corpo.
– Sua figlia Bonnie. – pronunciò quelle parole come se facessero male. Riuscì a percepire gli sguardi preoccupati di Elena e Sofia dietro di lei e il ragazzo alla porta perse il suo sorriso lasciando spazio ad un’espressione di puro stupore.
– Dici sul serio? Sei Bonnie Bennett? – domandò lui. Bonnie annuì, sollevando poi il mento.
– Ho bisogno di parlarle, è in casa? – domandò ulteriormente la strega. Il ragazzo annuì e si scostò dalla porta in un palese invito, un invito che venne semplicemente accettato. Elena sorrise cordialmente verso il ragazzo seguendo Bonnie verso l’interno senza quei problemi che, invece, incontrò Sofia. L’invito non era stato pronunciato, tant’è che quando si avvicinò di quei pochi passi verso l’interno incontrò quel blocco invisibile che le rendeva impossibile l’accesso. Si sentì immediatamente in imbarazzo vedendo le altre due entrare facilmente e rimanendo bloccata lì fuori, al sole. Il ragazzo la guardò curiosamente, come se non capisse il motivo per il quale non era ancora entrata, e lei chinò lo sguardo inventandosi una scusa che avesse potuto giustificarla. Sfregò la suola delle scarpe contro lo zerbino posizionato sotto i suoi piedi cercando di far capire che, al contrario di come si poteva pensare, lei era ancora lì fuori solo perché fissata con l’igiene.
– Non preoccuparti, puoi entrare. Mia madre non è molto fissata con queste cose. – le disse il ragazzo, fissandola con un sorriso. Fu in quel momento che Sofia sollevò di scatto lo sguardo verso di lui piantando i suoi occhioni verdi in quelli scuri del ragazzo.
– Tua madre? – domandò, varcando la soglia con facilità, al contrario di prima. Anche Bonnie ed Elena si voltarono verso il ragazzo guardandolo sorprese. Solo all’improvviso una figura oltrepassò la porta ad arco che dava dal salone all’ingresso della dimora.
– Bonnie? – pronunciò quella donna appena giunta. La sua voce era ovattata dalla sorpresa, l’incertezza e indubbiamente la vergogna. Tutti voltarono lo sguardo verso di lei mentre Sofia richiudeva educatamente la porta alle sue spalle, nascondendosi dal sole che entrava da essa.
– Mamma. – la chiamò Bonnie, riconoscendola. Davanti a lei, quella donna dai capelli riccioluti e scuri strinse le labbra intimidita dalla presenza della figlia.
– Ciao Elena. – sussurrò Abby riconoscendo la Gilbert al fianco di sua figlia. Elena forzò un debole sorriso cordiale.
– Salve signora Bennett. – ricambiò il suo saluto con titubanza lanciando continue occhiate verso Bonnie al suo fianco.
– Che cosa ci fai qui, Bonnie? – domandò immediatamente Abby verso la figlia. Bonnie incrociò le sue mani dinnanzi al ventre stringendole nervosamente.
– Anch’io sono felice di rivederti, sai? – disse con astio e sarcasmo sostenendo facilmente, almeno in apparenza, lo sguardo severo e dispiaciuto della madre.
– Bonnie, permettimi di spiegarti. – mormorò Abby.
– No, non hai nulla da spiegare. Sei qui, felicemente. Vivi con…tuo figlio? – commentò Bonnie con aria interrogativa e critica indicando il ragazzo presente con un cenno di una mano. Abby schiuse le labbra in una smorfia colpevole.
– Sono qui solo per chiederti un favore, null’altro. Dimmi solo se sei disposta a farmelo, poi andrò via. – continuò la streghetta. Elena la guardò sussurrando il suo nome e sfiorandole una spalla con una mano, in un gesto comprensivo e al contempo rassicurante. Vide Bonnie battere le palpebre velocemente per allontanare il pizzicare fastidioso che si era venuto a creare in essi.
– Prima voglio che tu mi ascolti, Bonnie. E’ passato tanto tempo, ho bisogno di giustificarmi per essere andata via improvvisamente. Per favore. – mormorò ulteriormente Abby guardando intensamente la figlia. Gli sguardi degli altri si alternavano tra le due streghe presenti prima che Elena attirasse nuovamente l’attenzione della streghetta.
– E’ tua madre, Bonnie. Parlale. Io e Sofia ti aspetteremo. – sussurrò la Gilbert guardando l’amica con sguardo rassicurante. Istintivamente Bonnie cercò un consenso nello sguardo verde della vampira presente portando lo sguardo verso di lei. Sofia la guardò a lungo con quell’espressione preoccupata prima di sorriderle gentilmente e annuire. Anche Bonnie sorrise, seppur debolmente, volgendo subito dopo lo sguardo verso la madre e seguendola in un’altra stanza. Elena si avvicinò a Sofia sospirando e il ragazzo le guardò a lungo.
– Mi dispiace molto per la vostra amica. – ammise, dispiaciuto. Elena e Sofia scossero il capo quasi nello stesso momento.
– Sei davvero suo figlio? – domandò Elena. Il ragazzo la guardò.
– Figlio adottivo, in un certo senso. E comunque, il mio nome è Jamie. – disse il ragazzo disegnando un cordiale sorriso sul volto.
– Io sono Elena Gilbert. E lei è Sofia Fiorentini. – rispose la mora, presentando anche la vampira.
– Piacere. – aggiunse la bionda.
– Posso offrirvi qualcosa? – domandò Jamie, guardandole entrambe. Scossero il capo.
– No grazie. – rispose Elena dopo aver lanciato un’occhiata interrogativa a Sofia, ricevendo la risposta col solo sguardo. Il ragazzo annuì.
– Beh, allora. Noi non disturbiamo oltre. – iniziò a dire la bionda, titubante.
– Aspetteremo Bonnie qui fuori. – aggiunse Elena, lanciando un’occhiata a Jamie. Lui annuì ancora una volta facendo loro cenno di seguirlo nel salone.
– Potete mettervi qui comode, prego. Se vi serve qualcosa, sarò in cucina. – affermò il ragazzo guardandole entrambe e sorridendo. Sia Elena che Sofia sorrisero in risposta alle parole di lui e lo guardarono mentre si allontanava verso un’altra stanza. Sofia sospirò pesantemente scorgendo Elena avvicinarsi al grande divano in pelle rossa lì nei pressi e accomodarsi.
– Cosa sai tu della madre di Bonnie? – domandò Sofia, rompendo improvvisamente il silenzio che si era venuto a creare. Elena sollevò il volto verso di lei ricambiando il suo sguardo quasi immediatamente.
– La madre di Bonnie è sempre stata una brava persona. Si può dire che fosse un’amica di famiglia, ecco. Molto attaccata alla famiglia, a sua figlia. Non sapevo fosse una strega, credo di essere rimasta stupita tanto quanto Bonnie quando Elijah ha rivelato questo particolare. – spiegò Elena spostando spesso lo sguardo prima di ritornare a guardare il volto limpido della vampira che, di rimando, la fissava attentamente.
– Perché è andata via? – le domandò la bionda immergendo le sue mani all’interno delle tasche della felpa chiara che indossava, continuando a restarsene in piedi dinnanzi alla mora.
– E’ la stessa domanda che ci siamo fatti in molti, a Mystic Falls. Ha abbandonato Bonnie, suo marito, senza nemmeno lasciare una motivazione valida. Un giorno è semplicemente sparita. Poi Caroline ha scoperto che lo sceriffo si manteneva ancora in contatto con lei, ma Bonnie non ha mai più voluto incontrarla. Diceva che se la madre avesse voluto, sapeva dove trovarla. – continuò Elena, finendo con l’immergere definitivamente i suoi occhi marroni all’interno di quelli verdi di Sofia. La bionda annuì più volte.
– Mi dispiace. Credo si sia sentita obbligata a incontrarla prima del tempo. – mormorò, distogliendo lo sguardo. Elena abbassò lo sguardo annuendo distrattamente.
– Non stai ascoltando quello che si stanno dicendo? – domandò la Gilbert chinandosi col busto in maniera tale da appoggiare i gomiti sulle sue stesse ginocchia. Sofia la fissò prima di scuotere il capo. Non aveva intenzione di ascoltare la discussione che stava avvenendo in quel momento tra Bonnie e Abby. Chinò appena il capo e si mosse distrattamente sul posto quando all’improvviso qualcosa attirò l’attenzione di entrambe. La luce artificiale accesa nella stanza aveva iniziato a tremare, come se facesse fatica a restare accesa. Proprio come al pensionato Salvatore. Elena scattò in piedi guardandosi intorno allarmata.
– Sono loro? – domandò istintivamente ma Sofia non seppe cosa risponderle. La bionda si avvicinò di qualche passo alla mora guardandosi intorno attenta; avrebbe captato qualsiasi movimento intorno a loro. Ma sebbene cercasse di mostrarsi pronta e determinata all’esterno, dentro sé sentiva di temere un altro incontro con Margaret, o addirittura con Molly. Deglutì pesantemente appoggiando distrattamente una mano su un braccio di Elena quando all’improvviso la luce si riaccese, stabile, ritornando quella di prima. Sofia volse il suo sguardo a Elena proprio al suo fianco, donandole un’occhiata sorpresa e confusa. Fu dopo qualche secondo che la Gilbert prese a sorridere nervosa e apparentemente divertita.
– Potrebbe essere stato un semplice problema, non dobbiamo sempre pensare al peggio. – commentò ironica la mora, stringendosi le braccia al petto nervosamente. Sofia la fissò scorgendo il timore da lei provato e nascondendo egregiamente il proprio, quando all’improvviso un forte tossire proveniente dalla cucina le fece sussultare. Non era una tosse normale, sembrava piuttosto che qualcuno stesse sputando fuori tutta la sua anima. Sofia mosse il capo guardando Elena per pochi secondi, prima di avviarsi a passo spedito verso la cucina e oltrepassarne la porta ad arco seguita subito dopo dalla Gilbert. Lo sguardo di entrambe cadde sulla figura di Jamie piegata sul bancone della cucina mentre tossiva con forza.
– Ehi, va tutto bene? – domandò Elena, avvicinandosi a lui di un paio di passi. Il ragazzo respirò pesantemente prima di riuscire a calmarsi, portandosi una mano alla gola nell’avvertire una sorta di fastidioso bruciore. Teneva gli occhi e le labbra strette e annuì delicatamente in risposta alla domanda della mora. Anche Sofia gli si avvicinò fissandolo confusa. Le labbra della Gilbert si piegarono in un morbido e premuroso sorriso.
– Ti senti bene, adesso? – domandò la vampira, sporgendosi appena sul bancone. Solo in quel momento Jamie riaprì gli occhi spostandoli lentamente sulla figura della bionda. L’iride marroncina che caratterizzava gli occhi del ragazzo, era totalmente assente. Sofia s’irrigidì vedendo quel bianco espandersi nell’integrità degli occhi di lui mentre le labbra di lui si piegarono in un inquietante sorriso.
– Mai stato meglio. – mormorò lui in risposta alla precedente domanda della vampira. Una mano di Sofia scattò verso Elena prendendole una spalla e spingendola indietro.
– Corri, Elena. – le sussurrò la vampira mentre cercava di prendere le distanze da Jamie che, nel frattempo, si scostò dal bancone posizionandosi proprio di fronte a loro. La Gilbert fissava il ragazzo paralizzata dalla paura.
– Oh, andiamo. Non dovete avere paura di me, sono io. Sono Anna. – commentò Jamie piegando le sue labbra in un ghigno poco rassicurante. Dopodichè una mano di lui scattò verso uno dei coltelli da cucina riposti sul bancone, afferrandone saldamente l’impugnatura.
– Corri, Elena! – gridò Sofia spingendo la Gilbert verso la porta. Solo in quel momento Elena prese a muoversi velocemente verso l’esterno sorpassando la porta ad arco e ritrovandosi nuovamente nel salone. Sofia la seguì. Avrebbe potuto contrastare Jamie facilmente, dopotutto lei era una vampira. Ma sapeva di non poter usare la sua forza disumana contro un essere umano innocente. Elena sorpassò presto il salone mentre Sofia si fermò al centro dello stesso, iniziando a darle le spalle.
– Vai a chiamare Bonnie, Elena. Muoviti! – le disse, fissandola per pochi istanti durante i quali Elena la fissò, annuì e si avviò correndo per raggiungere la strega. Jamie si fermò sotto la soglia della porta ad arco che dava dalla cucina al salone e guardava la vampira con quel suo sorriso poco rassicurante, stringendo ancora il coltello in una mano.
– Avanti, Sofia. Attaccami. – mormorò lui in una cantilena raccapricciante che, sommata a quegli occhi totalmente bianchi, la fece rabbrividire.
– Smettila, Anna. Lui non c’entra in tutto questo. – commentò Sofia indietreggiando di un unico passo. Le labbra di Jamie si piegarono in un sorriso ancor più inquietante.
– Lui no, ma c’entri tu. Jeremy deve sapere quello che sei. Avanti, nutriti di questo ragazzo. – affermò Jamie, stringendo maggiormente la presa sul coltello. Sollevò lentamente il braccio libero e vi puntò sopra la lama, pronto a usarlo sul suo stesso arto. Sofia sgranò gli occhi davanti a quella scena e scattò in avanti, usufruendo della sua velocità vampirica per raggiungere presto Jamie e afferrare bruscamente le sue spalle. Lo sbatté con ben poca delicatezza contro una parete della stanza allontanando il coltello da quel braccio.
– Non farlo, Anna. Pensi che a Jeremy piacerebbe tutto questo? – domandò Sofia con un tono alquanto supplichevole, fissando Jamie in quegli occhi bianchi. Sentì il corpo del ragazzo tremare sotto le sue prese e tossire, faticando a respirare. Sofia riuscì a sentire l’odore del sangue prima che una gocciolina di liquido vermiglio colasse lentamente da una delle narici di lui.
– Cosa gli stai facendo!? – esclamò la vampira, corrugando la fronte preoccupata. Sebbene il corpo di Jamie accusasse un dolore a lei del tutto sconosciuto, le labbra di lui si piegarono in un sorriso forzato.
– E’ debole, non riesce a tenermi dentro di sé. – mormorò Jamie faticosamente, volgendo nuovamente i suoi occhi bianchi sul volto pallido della bionda. Sorrise, di nuovo, notando la preoccupazione che si stava allargando sempre più sul viso della vampira. Sofia si volse appena verso la porta dalla quale sperava di vedere presto arrivare Elena con Bonnie, mentre teneva il ragazzo premuto per le spalle contro la parete. Ma lui approfittò di quel momento di distrazione per sollevare la mano con la lama e conficcare il coltello in una spalla della vampira. Gli occhi verdi di lei si sgranarono avvertendo quell’improvvisa e lancinante fitta mentre la sua bocca si spalancò lasciando fuoriuscire un unico e agghiacciante urlo di dolore. Afferrò Jamie quasi d’istinto scaraventandolo lontano da lei. Il ragazzo finì con l’impattare contro il divano e, infine, sulla pavimentazione accusando con dolore l’impatto con essa. Lei sollevò una mano, respirando ansante, per afferrare l’impugnatura del coltello ancora conficcato nella spalla e sfilarlo bruscamente. Sentì la ferita rimarginarsi lentamente imbrattando il tessuto chiaro della felpa con il sangue colato da essa. Jamie si portò in piedi a fatica. Dal suo naso avevano iniziato a colare altre gocce di sangue, finendo col macchiargli anche le labbra. Quel dolce profumo che aveva iniziato a macchiare l’aria, stava risvegliando in lei sensazioni e istinti che aveva sempre cercato di calmare. Quella voglia, quella fame. Sentì i canini premere dolorosamente all’interno della bocca mentre i suoi occhi verdi puntavano famelici sulla figura del ragazzo.
– Avanti, mordimi. – continuò Jamie, divaricando platealmente le braccia. La presa che Sofia aveva sull’impugnatura del coltello divenne maggiore mentre stringeva i denti, indietreggiando. Non l’avrebbe morso, sebbene ne avesse voglia, non doveva farlo. Non era da lei.
– Non lo farò. – ringhiò in risposta alle parole del ragazzo mentre i suoi occhi chiari sostenevano con rabbia lo sguardo di Jamie. Quest’ultimo sollevò una mano raccogliendo su di essa il sangue che stava copiosamente colando dalle narici, tendendo poi la mano sporca verso la vampira in un palese invito. Fu nello stesso momento in cui Bonnie varcò velocemente la porta ad arco che dava nel salone e guardò la scena. Gli occhi scuri della strega si sgranarono quando incontrò la figura di Jamie, palesando il suo stupore. Sofia volse a lei lo sguardo riuscendo a vedere anche Abby ed Elena sporgere dietro Bonnie. Abby sussultò nel vedere suo figlio conciato in quella maniera.
– Jamie! – esclamò la donna. Stava per sorpassare Bonnie e raggiungere il ragazzo quando Elena la bloccò, fermandola.
– Non è Jamie, Abby! – esclamò la Gilbert, fissandola profondamente. La donna trasalì a quelle parole, spostando immediatamente lo sguardo verso il figlio. Nel frattempo, Bonnie strinse i pugni ai lati del corpo per cercare una piena concentrazione. Jamie si paralizzò in quel punto quando le labbra della streghetta si schiusero, lasciando fuoriuscire da essa parole incomprensibili e sussurrate al vento. All’improvviso l’espressione del ragazzo venne investita dal dolore, si piegò su sé stesso premendo le mani ai lati della testa lasciando che la bocca si spalancasse a far fuoriuscire quelle urla agghiaccianti. Elena trattenne maggiormente Abby impedendole di intervenire ed essere d’intralcio a Bonnie, quando d’un tratto le urla del ragazzo si calmarono. Sofia scattò verso di lui con quella velocità vampirica quando lo vide rischiare di cadere al suolo, mollando il coltello sulla pavimentazione e afferrando premurosamente il ragazzo per accompagnarlo al suolo delicatamente. Era svenuto. Deglutì con forza, trattenendo l’istinto di morderlo nel momento in cui si era ritrovata così vicina a quel sangue. Solo in quel momento Elena lasciò Abby, permettendole di superare Bonnie e avvicinarsi al figlio accovacciandosi nei suoi pressi. Raccolse premurosamente la testa di Jamie mentre Sofia si riportava in piedi, volgendo lo sguardo alle sue amiche. Bonnie sembrava stanca mentre respirava ansante ed Elena aveva ancora i residui dello shock sul viso. La vampira vide quest’ultima avvicinarsi a lei nel momento in cui gli occhi scuri della ragazza si portarono sul sangue che macchiava il tessuto chiaro della felpa della vampira.
– Stai bene? – le domandò la Gilbert in un mormorio premuroso mentre gli occhi verdi della vampira si portavano sul volto dell’amica.
– Si, si è rimarginata. – constatò la bionda, sollevando una mano e scostando il tessuto per accarezzare la pelle liscia e rimarginata sottostante, lì dove prima vi era una profonda ferita. Solo dopo ciò lo sguardo verde della vampira si portò su Bonnie, vedendola avvicinarsi di un paio di passi.
– Starà bene? – le domandò, indicando con un cenno del capo Jamie. La streghetta annuì, avvicinandosi ulteriormente alla madre ed al ragazzo. Abby sollevò gli occhi lucidi sulla figlia, stringendo le labbra in un palese sforzo; stava cercando di trattenere le lacrime.
– Si può sapere cosa diavolo sta succedendo, Bonnie? – domandò la donna in un leggero singhiozzo. Bonnie strinse le labbra, facendo cadere il suo sguardo sul volto di Jamie.
– Era proprio quello di cui ti volevo parlare. Qualcosa ha alterato l’equilibrio della natura e gli spettri stanno scendendo nel mondo dei vivi per tormentare le persone. Una persona è in grado di bloccarli, ma abbiamo bisogno che tu ci aiuti a liberarla. Io ne ho bisogno. – mormorò Bonnie, fissando intensamente la madre. Abby la guardò, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Sentì Jamie iniziare a muoversi, segno del suo risveglio, e calò su di lui lo sguardo.
– Ho sempre pensato che andando via, avrei potuto lasciarti fuori da tutto questo. E invece. – sussurrò Abby, tenendo gli occhi fissi sul figlio. Bonnie annuì distrattamente.
– Invece sono più dentro di quello che pensi. – constatò la streghetta, guardando attentamente la madre. Solo in quel momento la donna sollevò lo sguardo verso di lei.
– Sei dalla parte dei vampiri? – domandò Abby. Quelle parole furono ascoltate anche da Elena e Sofia, in piedi non troppo distanti da loro. Il modo in cui Abby pronunciò quella domanda fece sussultare la bionda. Sembrava che l’appellativo “vampiri” fosse un’offesa. Bonnie corrugò la fronte e abbassò lo sguardo. Lei era dalla parte dei vampiri, era consapevole del fatto che una strega non doveva aiutare quegli abomini. Eppure, una parte di lei sapeva benissimo che lei era dalla parte giusta.
– Io sono con quelli buoni. – mormorò Bonnie, con tono incerto. Dopo ciò che aveva detto a Sofia e ai suoi amici qualche giorno prima, sentiva di essere un’ipocrita. Abby annuì, sollevando lo sguardo verso la bionda al fianco di Elena. Gli occhi verdi di Sofia vennero abbassati timidamente nel momento in cui gli occhi scuri della donna si portarono su di lei, nascondendosi. Nello stesso momento, Jamie riaprì lentamente gli occhi tossendo sommessamente. Lo sguardo di Abby si portò di scatto su di lui.
– Jamie. Stai bene? – gli domandò la donna, vedendo il ragazzo aggrapparsi a lei alla ricerca di un sostegno che avrebbe potuto aiutarlo a portarsi eretto. Anche Bonnie lo aiutò, fino a quando riuscirono a portarlo sul divano in pelle rossa sopra il quale il ragazzo si accomodò scosso.
– Cos’è successo? – domandò Jamie, guardando tutti. Abby si sedette al suo fianco, guardandolo preoccupata.
– Va tutto bene adesso, Jamie. Non preoccuparti. – lo rassicurò la donna, raccogliendo premurosamente una sua mano e carezzandogliela rassicurante. Jamie la guardò, sollevando l’altra mano e sfregandola sul naso. Si macchiò del suo stesso sangue, rabbrividendo improvvisamente.
– C’era una ragazza, in cucina. E’ apparsa all’improvviso. Mi ha detto delle cose, ma non l’ho capita. Poi…non ho visto nient’altro. – mormorò il ragazzo facendo sfregare i polpastrelli delle dita sporche di sangue mentre il suo sguardo vagava sui volti delle presenti.
– Va tutto bene ora, Jamie. E’ passato. – disse Abby – Adesso devi soltanto riprenderti. – lo rassicurò la madre, piegando le labbra in un sorriso premuroso. Anche Jamie sorrise, sebbene accusasse dolore in tutto il corpo. Fu in quel momento che Abby sollevò lo sguardo verso Bonnie, in piedi nei pressi del divano.
– Come posso aiutarti, Bonnie? – domandò Abby, fissando attentamente la figlia. La sua espressione divenne seria, quasi quanto quella della streghetta. Bonnie annuì, guardando Elena e Sofia prima di ritornare a guardare la madre.
 
Bonnie aveva impiegato più di mezz’ora per spiegare esattamente tutto quello che la madre avrebbe dovuto sapere. Solo alla fine Abby aveva veramente accettato di aiutare la figlia. Sofia si era avvicinata alla finestra estraendo il cellulare e digitando velocemente il numero di Elijah, prima di portarsi l’apparecchio a un orecchio. Aveva avvisato l’Originale dicendogli che l’avrebbe chiamato per fargli sapere della situazione, pertanto Elijah non ci mise molto a risponderle.
– La madre di Bonnie ci aiuterà. – disse sicura la vampira, mentre fissava la campagna espandersi all’esterno della casa attraverso la finestra del salotto. Le altre si erano spostate in cucina, dalla quale sentiva provenire il dolce profumo del tea.
– A quanto pare gli spettri stanno diventando più forti, per cui si è deciso che faremo l’incantesimo oggi stesso. – continuò Sofia. Elijah, dall’altra parte, era fermo nel grande salone della dimora Mikaelson. Annuì, sebbene la vampira non potesse vederlo.
– Bene. Ricordi il posto in cui Niklaus tiene il corpo di mia madre? – domandò Elijah, mentre si muoveva per il salone raggiungendo presto il bancone sopra il quale erano riposti i suoi accessori per preparare il tea.
– Si. – rispose Sofia e lui annuì nuovamente.
– Ci vediamo lì, allora. – continuò il vampiro, prima di riagganciare la telefonata. Posò il cellulare all’interno di una tasca degli eleganti pantaloni che indossava ammirando il silenzio che regnava nell’intera dimora. Un silenzio che durò ben poco, prima che alcuni passi tranquilli lo interrompessero. Elijah si voltò lentamente verso la sua fonte, corrugando la fronte nello scorgere il sorriso sornione di Klaus. L’ibrido si fermò sotto la soglia dell’ingresso ad arco sorseggiando tranquillamente il whisky contenuto all’interno del bicchiere che cingeva in una mano. Deglutì, prima di iniziare a parlare.
– Ho sentito che andrete a fare una bella scampagnata nel bosco. – affermò l’ibrido, apparentemente divertito.
– Non è una cosa che ti riguarda, Niklaus. E mi sembra tu abbia altre cose da fare. – rispose prontamente Elijah, voltandosi totalmente verso di lui e facendo scivolare distrattamente le dita di una mano sulla superficie del bancone dietro di lui. Klaus ampliò il suo sorriso a quelle parole, mentre avvicinava il bordo del bicchiere alle labbra strappando un altro sorso.
– Mi pare volessi ucciderci, o sbaglio? – continuò Elijah, con tono freddo. La sua espressione seria e apparentemente tranquilla, nascondeva perfettamente la rabbia in crescita dentro di lui. Da un po’ di tempo, ormai, la sola presenza di Klaus non faceva altro che innervosirlo.
– Andiamo, Elijah. Sei mio fratello. Pensi davvero che io possa ucciderti? – chiese sarcasticamente Klaus, scostandosi dalla porta e avanzando di alcuni passi verso il vampiro. Elijah continuò a fissarlo, irrigidendo la mascella.
– Magari tu no. Ma hai i tuoi giocattolini, gli ibridi. – rispose Elijah, scostandosi dal bancone e iniziando ad avviarsi verso la porta ad arco che dava nell’ingresso della dimora, fermandosi un’unica volta nei pressi del fratello.
– La prossima volta, fai bene i tuoi conti Niklaus. Mandare due piccoli ibridi contro di me, non è una saggia scelta. – sussurrò il vampiro lanciando un’unica occhiata all’ibrido. Klaus serrò la mascella davanti a quelle parole, volgendo gli occhi chiari e stupiti verso Elijah. Quest’ultimo lo superò, avviandosi con passi spediti e decisi verso l’ingresso della casa prima di aprire la porta e uscire. La fronte dell’ibrido venne corrugata mentre le labbra si distesero perdendo inevitabilmente il sorriso sornione che costantemente teneva esse piegate. Quando si voltò per porgere domande al fratello, Elijah era già sparito oltre la soglia della porta della casa. Lo sguardo di Klaus cadde sul liquido contenuto all’interno del bicchiere. Lui non aveva mai mandato nessun ibrido contro il fratello, né tanto meno in quel periodo.
 
Stefan si avvicinò lentamente alla porta d’ingresso del pensionato Salvatore dopo averla sentita bussare. La aprì, corrugando la fronte sorpreso davanti alla figura di Alaric.
– Non dovresti essere a scuola? – domandò il fratello minore dei Salvatore. Alaric sorrise sarcastico, spostando leggermente Stefan ed entrando in casa.
– Oh, dovremmo essere tutti a scuola ora. Ma a quanto pare abbiamo avuto tutti la stessa idea. – constatò Alaric, raggiungendo il salone del pensionato e fermandosi per voltarsi nuovamente verso Stefan. Quest’ultimo lo guardava sorpreso mentre gli si avvicinava con piccoli passi, prima di fermarsi e incrociare le braccia al petto.
– Oh, il mio professore di storia preferito! – esclamò Damon mentre scendeva tranquillamente le scale che conducevano al piano superiore del pensionato, per avvicinarsi al suo caro compagno di bevute.
– Stai cercando Elena? – domandò improvvisamente Stefan, verso il professore. Quest’ultimo scosse il capo, guardando entrambi in una maniera alquanto titubante.
– In realtà no, stavo cercando voi. E’ un bene che Elena non ci sia, lei non vuole che qualcuno di noi osi dire certe cose. – rispose prontamente il professore facendo scorrere i suoi occhi sui due Salvatore presenti. Li incuriosì entrambi, facendo nascere sul volto di Stefan un’espressione seria.
– E’ successo qualcosa? – domandò il fratello minore dei Salvatore. Alaric si mosse un po’ sul posto facendo vagare altrove il suo sguardo, prima di posarlo sugli altri due.
– Vi ricordate quando, un po’ di tempo fa, Elijah fu di nuovo ucciso da Klaus e Sofia andò a salvarlo? – iniziò a dire il professore, vedendoli subito dopo annuire.
– Vai subito al sodo, Ric. – intervenne Damon, corrugando la fronte in un’espressione seria. Alaric sospirò.
– Le avevo dato delle armi e le avevo detto di chiamarmi una volta ritornata a casa, ma lei non lo fece. Per cui andai a casa sua per accertarmi che stesse bene e…la trovai morta. – sussurrò il professore. Si fermò per alcuni istanti guardando attentamente le espressioni degli altri due. Stefan spostò i suoi occhi verdi sul fratello mentre Damon piegò le labbra in un sorriso sghembo.
– Dato che non l’hai ancora capito, genio, noi SIAMO morti. – constatò il fratello maggiore dei Salvatore allargando platealmente le braccia. Alaric scosse subito il capo davanti a quelle parole.
– No, Damon. Lei era COMPLETAMENTE morta. Aveva un paletto conficcato nel petto che, se non erro, è letale per voi vampiri. – rispose il professore, guardandoli entrambi. Stefan restò stupito da quelle parole tanto quanto il fratello.
– Quindi si è risvegliata? – domandò il fratello minore dei Salvatore.
– Le tolsi il paletto dal petto e si risvegliò dopo poco. – rispose Alaric, fermando i suoi occhi in quelli di Stefan. Damon cercò lo sguardo del fratello mentre deglutiva rigidamente.
– Vuol dire che è un Originale? – domandò il fratello maggiore dei Salvatore, cercando in qualche modo di giustificare l’accaduto. Alaric scosse il capo, passandosi una mano sul viso.
– Ho consultato le ricerche di Isobel e quelle di Jonathan Gilbert. Oltre gli Originali che già conosciamo, non ne risultano altri. E non mi sembra che Sofia sia in qualche modo imparentata con i Mikaelson. – rispose Alaric, ritornando a guardare gli altri due. Sul viso di Damon andò disegnandosi un sorriso sghembo, mentre si avvicinava alla bottiglia di bourbon e se ne versava un bicchiere, in totale tranquillità.
– Sapevo che quella ragazzina aveva qualcosa da nascondermi. – commentò il fratello maggiore dei Salvatore, sorseggiando un po’ di quell’alcolico. Alaric si voltò verso di lui, scuotendo prontamente il capo.
– Potrebbe non essere a conoscenza di questo particolare, Damon. Potrebbe non nasconderlo, ma semplicemente ignorarlo. – gli disse il professore vedendo, subito dopo, Stefan annuire.
– Cerca di non fare le tue solite cavolate, Damon. Cercheremo di scoprire quante più cose possibili al riguardo. – affermò il fratello minore dei Salvatore, verso il quale Alaric si voltò subito dopo.
– Elena non deve saperlo. Si fida ciecamente di Sofia e ogni volta che si cerca di metterla sotto una cattiva luce, sai bene come reagisce. – affermò subito l’insegnante, voltandosi di scatto verso Stefan. Quest’ultimo scosse il capo, sebbene non gradisse nascondere una cosa del genere alla sua ragazza. Damon fece un altro sorriso sghembo, mentre terminava definitivamente il bicchiere di bourbon.
– Non preoccuparti, Stefan, non farò le mie solite cavolate. Parlerò civilmente con la nostra Marilyn Monroe e scopriremo qualcos’altro al riguardo. – disse Damon, scrollando appena le spalle mentre posava il bicchiere al suo posto. Stefan e Alaric lo guardarono, del tutto contrari.
– Damon. – lo ammonì Stefan e Damon scosse immediatamente il capo.
– Fidati di me, per una volta. Niente verbena, giuro. – continuò il fratello maggiore dei Salvatore, sollevando entrambe le mani in segno di resa. Stefan corrugò la fronte guardando Alaric, un’ennesima volta.
– Qualcun altro sa di questo piccolo particolare? – domandò Stefan verso l’insegnante. Alaric abbassò lo sguardo per alcuni istanti, come se temesse a dirlo, dopodichè lo sollevò di nuovo verso Stefan.
– Probabilmente Elijah. Insomma, è arrivato lì e l’ha trovata con uno squarcio nel petto. Credo ci siano buone possibilità che lui le abbia chiesto qualcosa al riguardo. – affermò lui in risposta. Stefan si paralizzò ma allo stesso tempo il sorriso di Damon divenne molto più marcato.
– Va bene. Cercheremo di scoprire qualcosa, anche se sono sicuro che Sofia non abbia nulla da nascondere. – disse Stefan, con tono sicuro. Damon scrollò nuovamente le spalle lasciandosi cadere seduto sulla poltrona dell’enorme salone.
– Oh, lo avete detto spesso anche quest’estate, e abbiamo scoperto che è una vampira. Ah no, aspetta, io l’ho scoperto. – rispose Damon sarcastico, sorridendo sghembo nei confronti del fratello. Stefan gli regalò un’occhiata di rimprovero, prima di ritornare a guardare il professore.
 
L’auto si fermò una volta immersa tra quegli alti alberi verdi che caratterizzavano il bosco. Le portiere si aprirono una dopo l’altra, permettendo a Sofia, Bonnie, Elena e Abby di uscire dalla vettura. Elijah le avrebbe attese lì, o almeno era ciò che lui aveva detto a Sofia al telefono. Fu la bionda a guidare le altre tra quegli alberi, lungo il sottile sentiero che si formava tra essi, per avviarsi direttamente verso quello spiazzo del bosco che ospitava l’umida e rocciosa entrata per i cunicoli di pietra in cui i vampiri Originali, quando ancora erano umani, erano soliti giocare una volta lontani dallo sguardo del padre. Sofia, sebbene ancora distante, riuscì a percepire l’adorabile profumo di Elijah invaderle le narici e si fece strada con esso per raggiungere, in poco tempo, il luogo prestabilito. Piegò le labbra in un sorriso rosso acceso quando incrociò gli occhi scuri e gelidi del vampiro, fermo nei pressi di una bara. La stessa bara che Klaus aveva nascosto all’interno della grotta proprio lì vicino. Elijah mosse il capo in un leggero cenno mentre Abby, incontrandone lo sguardo, raggelò nascondendosi maggiormente nei pressi della figlia. Elena guardò Bonnie, cercando in qualche modo di capire se era o meno pronta per affrontare un simile incantesimo. La strega ricambiò il suo sguardo e sorrise, voltandosi verso la madre.
– La bara sigillata è quella, riesci a sentire quanto è forte l’incantesimo di sigillo? – domandò Bonnie, facendo segno ad Abby di seguirla nei pressi della bara. Elijah si spostò lasciando liberamente le due streghe a lavoro, avvicinandosi di qualche passo alla bionda. Fu nello stesso momento in cui notò quell’evidente strappo sporco di sangue dietro la spalla di lei.
– Cosa hai fatto alla spalla? – le domandò prontamente il vampiro, attirando subito l’attenzione di Sofia e tradendo, seppur involontariamente, la nota di preoccupazione che era nata nel suo tono. Sofia lo guardò inizialmente sorpresa, prima di sorridere e scuotere debolmente il capo. Era ancora scossa per quell’incontro con Anna, ma cercava in tutti i modi di non darlo a vedere.
– Siamo state attaccate da Anna. – gli rispose in un leggero sussurro che cercava in tutti i modi di non disturbare le due streghe alle prese con la bara. Infatti, Bonnie e Abby erano proprio nei pressi dell’oggetto. Elena, pazientemente, le aiutava a sistemare quelle candele che si erano portate dietro a formare un cerchio intorno all’oggetto. Il vampiro mantenne gli occhi scuri puntati sulla figura della bionda al suo fianco, scrutandola dall’alto della sua figura.
– Fra poco la situazione sarà risolta. – le disse, mantenendo comunque un tono pacato. Lei annuì, sorridendogli in maniera fugace.
– Lo so. – gli rispose in un altro sussurro, guardando attentamente Bonnie e Abby. Vide la streghetta voltarsi verso di loro, mostrando un’espressione totalmente determinata.
– Siamo pronte. – affermò Bonnie, lanciando un’occhiata fugace ad Abby.
Si misero l’una davanti all’altra stringendosi le mani a vicenda. I loro sguardi si incrociarono determinati, mentre cercavano un contatto con la natura che le circondava. Le candele si accesero tutte insieme disegnando un cerchio di fuoco intorno a loro e intorno alla bara. Elena si avvicinò ai due vampiri, allontanandosi di alcuni passi dal piccolo spazio che l’incantesimo occupava. Gli occhi di Bonnie e Abby andarono chiudendosi, le loro labbra si schiusero lasciando fuoriuscire da esse parole incomprensibili per le orecchie di tutti i presenti. L’intero luogo circostante venne percosso da una fredda ma delicata folata di vento che mosse rumorosamente le verdi foglie degli alberi e scosse le piccole fiammelle delle candele. Bonnie corrugò la fronte sentendo, improvvisamente, le forze mancarle ma Abby strinse maggiormente le sue mani trasmettendole più potere. Era una strega da molto tempo, ogni parte di lei era in pieno contatto con la natura. Elijah teneva i suoi occhi scuri fermi sul legno della bara, attendendo pazientemente un qualche risvolto positivo mentre immergeva lentamente una mano all’interno di una delle tasche della giacca elegante. Sofia, ferma al suo fianco, osservava la scena con stupore. Aveva sentito parlare di molti incantesimi simili, ma vederne uno dal vivo la emozionava come una bambina davanti al suo primo giocattolo. Socchiuse appena gli occhi quando vennero investiti da una folata di vento più forte che annunciò l’apertura della bara. Difatti, il suo coperchio si sollevò facendo scorgere appena l’oscurità che vi era all’interno. Elijah si mosse, avanzando di un unico passo, ma si avvicinò effettivamente alla bara solo quando vide le fiammelle delle candele spegnersi del tutto e gli occhi di Abby riaprirsi, al contrario di quelli di Bonnie. Quest’ultima cercò un forte sostegno nella madre, appoggiandosi a lei mentre respirava ansante cercando di recuperare le forze messe in quell’incantesimo. Elena si avvicinò subito a lei.
– Stai bene, Bonnie? – domandò la madre, guardandola premurosamente. La streghetta riaprì gli occhi incrociando quelli della madre, e annuì. Sofia si accertò che la strega stesse veramente bene prima di avvicinarsi alla bara, al fianco di Elijah, e fissarla con incertezza. Vide il vampiro afferrare il coperchio dell’oggetto e sollevarlo lentamente, rivelando sempre più il corpo contenuto al suo interno. Erano passati anni, secoli, millenni ma quel corpo era ancora perfettamente intatto. Una donna, più o meno sulla quarantina, era rigidamente distesa lì dentro con le mani incrociate al petto e una cascata di capelli biondo scuro a incorniciarle il viso. Sofia sentì Elijah irrigidirsi al suo fianco una volta scorto il volto ancora dormiente della madre. Lui serrò la mascella, poi annuì voltandosi verso le due streghe.
– Mia madre ha parlato di un incantesimo di scambio di corpi, sapete come farlo? – domandò il vampiro rivolgendosi a Bonnie e Abby, vedendo i loro sguardi scuri voltarsi verso di lui.
– Io so farlo, ma è un incantesimo molto forte. Potrei farmi aiutare da Bonnie, ma è meglio se per oggi si riposa. – fu Abby a prendere la parola, in quel momento, lanciando un’unica occhiata a Bonnie. Quest’ultima scosse il capo spostandosi definitivamente da lei.
– Posso farlo, è meglio se questa situazione viene risolta il prima possibile. Oggi abbiamo di nuovo rischiato la vita a causa di uno spettro, sai quanto me che diventano ogni giorno più forti. – si ribellò la streghetta, posando i suoi occhi scuri sulla figura della madre. Abby scosse il capo, chiaramente in disaccordo.
– Bonnie, pratico la magia da molto più tempo. Ascoltami quando ti dico che compiere quell’incantesimo potrebbe portare a te molti danni. – commentò la donna, guardando intensamente la figlia. Sofia avanzò di un unico passo verso Bonnie, guardandola con un’espressione premurosa.
– Bonnie, non c’è bisogno che ti sforzi. Per oggi riposa, poi farai l’incantesimo un altro giorno. – le sussurrò, piegando le labbra in un sorriso. Bonnie corrugò la fronte, stringendo i pugni e sbuffando sonoramente. Non amava particolarmente sentirsi la strega debole della situazione.
– Sofia ha ragione, Bonnie. Siamo sopravvissuti fino ad ora, continueremo a farlo. – commentò la Gilbert, liberandosi del silenzio in cui era inevitabilmente caduta. Bonnie le rivolse un’occhiata e poi scrollò le spalle, chinandosi a raccogliere le candele che avevano posto al suolo. Quasi istintivamente, Sofia ed Elena si avvicinarono a lei aiutandola e dirigendosi, subito dopo, verso l’auto. Elijah richiuse la bara ritrovandosi da solo con Abby. La donna lo fissava con insistenza, stringendosi le mani al petto, un’insistenza che attirò l’attenzione del vampiro. Lui volse il suo sguardo scuro e gelido verso il viso della strega, guardandola con aria interrogativa.
– Bonnie mi ha parlato dell’incantesimo e del problema che avete. – iniziò a dire Abby mentre Elijah la ascoltava elegantemente in silenzio.
– Quella donna, è la persona che può aiutarvi a risolverlo? – domandò ulteriormente la donna, mantenendo un’espressione seria. Elijah guardò la bara per pochi secondi prima di ritornare sulla strega.
– E’ la persona che ci aiuterà a risolverlo. – ribadì lui, con tono gelido. La strega annuì.
– Ho già sentito parlare di problemi con gli spettri. Potrebbe non essere vero, ma sono in giro da abbastanza tempo da poter dire che la maggior parte delle informazioni che posseggo sono di natura veritiera. – commentò Abby ulteriormente. Elijah corrugò la fronte, voltandosi completamente verso di lei.
– A cosa stai cercando di arrivare? – le domandò. Il suo tono parve macchiarsi di una lieve nota di minaccia che, nonostante tutto, non preoccupò la strega.
– Le cosiddette porte che collegano il mondo dei vivi con quello dei morti possono essere aperte soltanto tramite incantesimo, non vi è altra cosa esistente che possa farlo. Anche se qualcosa avesse alterato incredibilmente l’equilibrio della natura, non intaccherebbe in alcun modo con l’apertura di queste porte. – spiegò la strega pazientemente, immergendo con serietà e determinazione i suoi occhi in quelli scuri e freddi del vampiro che, di rimando, la stava ascoltando con attenzione.
– Di conseguenza, una volta aperte tramite quell’incantesimo, possono essere richiuse soltanto dalla strega che ha forzato la loro apertura. Nemmeno una delle prime streghe potrebbe. – continuò Abby, attorcigliando nervosamente le dita delle mani dinnanzi al ventre. Elijah si paralizzò davanti a quelle parole, seppur cercasse di non dare a vedere il turbamento che si stava scatenando dentro di lui.
– Voglio dire che se questa persona che vuole aiutarvi è così sicura di poter risolvere la situazione, è la stessa persona che ha permesso agli spettri di scendere nel mondo dei vivi. Altrimenti tutto questo sarà nient’altro che un ennesimo buco nell’acqua. – annunciò infine la strega, spostando poi lo sguardo per notare Bonnie camminare tra gli alberi e avvicinarsi sempre di più insieme a Sofia. Abby iniziò a muoversi avvicinandosi alla figlia con la quale se ne andò, dopo aver lanciato un fugace saluto alla bionda. Quando gli occhi verdi della vampira ritornarono su Elijah, il rumore del motore dell’auto risuonò nel bosco annunciando l’allontanamento di Bonnie, Elena e Abby.
– Perché non sei andata via con loro? – le domandò il vampiro, guardandola con quei suoi profondi occhi scuri. Apparentemente sembrava calmo, eppure lei corrugò la fronte riuscendo a notare quella maschera che lui stava indossando. Si avvicinò alla bara carezzandone distrattamente il legno chiaro, ripensando al volto dormiente di Esther all’interno di essa.
– Non ti fa piacere che io sia rimasta qui con te? – domandò di rimando Sofia, volgendo istintivamente lo sguardo verso di lui. Quando scorse quell’improvviso stupore farsi strada nel volto del vampiro, piegò le labbra in un leggero sorriso.
– Ho pensato che ti sarebbe servito un aiuto per spostare la bara. – si corresse lei, facendo scivolare entrambe le mani lungo i fianchi. Elijah spostò lo sguardo immergendolo tra gli alberi che si abbracciavano colorando di verde i dintorni. Sofia lo fissò, quel sorriso andò sfumando e gli occhi verdi puntavano diretti sul volto dell’Originale cercando, a suo modo, di leggerne l’anima.
– Cosa c’è che non va, Elijah? – gli domandò in un mormorio intenso e preoccupato che costrinse il vampiro a spostare i suoi occhi scuri per ritornare a guardare i perfetti lineamenti del viso di lei. Scosse morbidamente il capo avvicinandosi ad un lato della bara per farle silenziosamente segno di aiutarlo a trasportarla via da lì, sebbene non ne avesse bisogno.
– Nulla, stavo solo pensando che sarebbe meglio portare questa bara dove anche mio padre può tenerla sotto controllo. – sussurrò il vampiro, muovendo il capo per farle cenno di raccogliere l’altra estremità dell’oggetto. Lei lo fece, senza problemi.
– Intendi che la porterai a casa tua? E pensi che ci entrerà nella tua macchina? – domandò lei curiosamente, fermando i suoi occhi verdi sulla figura di lui. Elijah sembrò forzare un sorriso sghembo.
– Non sono venuto qui con la mia auto. Stavo già pensando di portare il corpo di mia madre via di qui, per cui sono venuto con il camion di Niklaus. Non sono riuscito a farlo entrare nel bosco, ma non è comunque molto lontano da qui. – affermò il vampiro gelidamente, stando ben attento alla strada che stava percorrendo a ritroso per evitare di imbattersi con la schiena contro qualcosa, come per esempio il tronco di un albero. A quella rivelazione, Sofia sgranò appena gli occhi sorpresa del fatto che Klaus possedesse una simile vettura. Non la vedeva adatta a lui, in quel senso.
– Davvero Niklaus possiede un camion? Non ci credo. – commentò lei, piegando subito dopo le labbra in un sorriso divertito. Un sorriso che stranamente divertì anche lui, costringendolo a lasciarsi scappare un altro sorriso sghembo sebbene dentro di sé si sentisse particolarmente scosso per quella rivelazione avuta da Abby. Sapeva che sua madre era al corrente di quel piccolo particolare riguardo il problema degli spettri, ne era certo, per cui non si spiegava il motivo per il quale si era proposta di aiutarli. O meglio, riusciva a spiegarselo, ma il fatto che si trattasse di sua madre lo spingeva a credere che lei non avrebbe mai potuto mettere in pericolo delle persone vive liberando degli spettri.
 
Non appena Sofia varcò la soglia della porta della sua stessa casa, le dita raggiunsero velocemente l’interruttore per accendere la luce e illuminare il piccolo salotto, lasciando ad Elijah il compito di richiudere la porta d’ingresso. Erano passati alla dimora Mikaelson per mettere a posto la bara e poi lui si era gentilmente offerto di riaccompagnarla a casa.
– Ho sentito Bonnie. – disse lei improvvisamente, rompendo il silenzio che regnava sovrano in quel posto. Elijah si voltò verso di lei vedendola avanzare spedita verso la cucina e superare quella porta ad arco. Non poté non notare quanto sembrasse tranquilla, probabilmente il pensiero di riuscire finalmente a risolvere quella situazione le infondeva una certa calma.
– Mentre tu eri con tuo padre, ho parlato con lei. Ha detto che domani farà sicuramente l’incantesimo per aiutare tua madre a ritornare nel suo corpo. – continuò lei aprendo il frigo e tirando fuori da esso una di quelle bottigline bianche. La appoggiò sul bancone della cucina e richiuse il frigo, avviandosi a prendere un bicchiere. Aprì la bottiglina iniziando a versare una buona quantità di quel liquido vermiglio all’interno del vetro, guardandolo scorrere con un certo desiderio. Deglutì, trattenendo forzatamente quei pensieri e quegli istinti che sentiva di non dover possedere. Elijah, intanto, varcò la porta della cucina avvicinandosi al bancone. Lo sguardo verde di Sofia si portò su di lui per brevi istanti, piegando le labbra in un delicato sorriso. Rivederlo lì le portava alla mente quella colazione che lui le aveva amorevolmente preparato qualche mattina prima, e la cosa la emozionava. Corrugò la fronte ripensandoci. Perché si emozionava così tanto a quel pensiero? E perché si sentiva scuotere dentro ricordando quel delicato e fugace contatto che avevano avuto le loro labbra qualche sera prima? Deglutì, voltandosi di scatto verso il frigo per rimettere a posto la bottiglia.
– Noto con piacere che Bonnie ha messo da parte il suo astio nei tuoi confronti. – commentò Elijah, interrompendo improvvisamente quel silenzio che lei stessa si era imposta mentre lasciava la sua mente vagare verso quei ricordi. Sofia sussultò a quelle improvvise parole e, dopo aver richiuso il frigo, si voltò verso l’Originale.
– A me fa piacere. – mormorò lei impacciata, non sapendo precisamente cosa avrebbe dovuto dire. Abbassò timidamente lo sguardo raccogliendo il bicchiere e bevendone un po’ del contenuto. Fu quasi istintivo, per lei, socchiudere gli occhi quando sentì il delizioso calore che il sangue le portava in tutto il corpo. Per quel breve istante in cui esso scorreva lungo il corpo, era possibile sentirsi nuovamente vivi. Li riaprì per incontrare gli occhi scuri di Elijah fissi su di lei. Sofia scostò il vetro dalle labbra, deglutendo, tenendo gli occhi verdi persi in quelli di lui.
– Ne vuoi un po’? – gli domandò lei, indicando il bicchiere pieno di sangue con un cenno del capo. Elijah scosse prontamente il capo.
– Forse dovresti cambiarti. – iniziò a dire lui, scostandosi dal bancone per posizionarsi proprio davanti a lei. Sofia corrugò la fronte, sentendolo così irrimediabilmente vicino da avvertire il profumo di lui pizzicarle il naso, mentre una mano di Elijah scorreva tranquillamente sul tessuto rotto della felpa, proprio dietro la spalla di lei. Riuscì a sfiorare la pelle bianca e gelida di lei tramite i polpastrelli delle dita ma fu un gesto del tutto involontario. La sentì sussultare e, curiosamente, corrugò la fronte cercando di nuovo lo sguardo verde della vampira.
– Va tutto bene? – le domandò lui, tradendo quella nota di preoccupazione nel tono. La vampira annuì prontamente, piegando le labbra in un timido sorriso.
– Effettivamente dovrei togliermela. Mi dispiace, era una delle mie felpe preferite. – mugolò lei, appoggiando il bicchiere sul bancone e indietreggiando di un paio di passi, abbastanza da attirare la curiosità di Elijah. Volontariamente, la vampira allontanò lo sguardo da lui concentrandosi sullo squarcio insanguinato che nasceva nel tessuto dietro una sua spalla. Si carezzò la pelle ad esso sottostante, senza un motivo in particolare.
– Sai…E’ da un po’ che ci penso. Insomma, quando non penso ai miei sensi di colpa. – iniziò a dire lei ironicamente, piegando le labbra in un sorriso divertito. Ma lui non sembrò divertirsi a quelle parole. Si limitò a fissarla restandole nei pressi, incapace di inoltrarsi negli occhi verdi di lei visto che la vampira li teneva puntati da tutt’altra parte.
– Probabilmente quella sera sono stata un po’ troppo impulsiva. Magari non avrei dovuto farlo e avrei dovuto prima capire se anche tu ricambiavi in qualche modo. – continuò lei, abbassando il tono della voce timidamente man mano che andava avanti con le parole. Ma in qualsiasi caso, per lui era semplice sentirla. Elijah corrugò la fronte stranito, non riuscendo chiaramente a comprendere a cosa la vampira stesse cercando di arrivare. Solo in quel momento Sofia riportò gli occhi a puntare sulla figura di lui, esitando prima di risalire verso il suo sguardo e sostenerlo con imbarazzo.
– Ero così felice che fossi tu a consolarmi, che ho pensato che quello fosse un buon modo per ringraziarti. Solo dopo mi sono resa conto che magari avrebbe potuto infastidirti. – sussurrò lei ancora, mordicchiandosi il labbro inferiore subito dopo. Fu in quel momento che Elijah capì mostrando una certa sorpresa nell’espressione. La conosceva da abbastanza tempo per capire di cosa lei stesse parlando senza che lo dicesse direttamente. Quel bacio, quel fugace tocco che lei stessa gli aveva regalato la sera in cui lui era ritornato da lei per accertarsi che stesse bene, beccandola insieme ai due Salvatore.
– Pensi che io non volessi baciarti? – domandò lui, diretto, quasi sorpreso del pensiero che lei si era fatta. Sofia lo fissò, stringendo istintivamente le dita sulla spalla sopra la quale la mano si era appoggiata per cercare di capire se quello squarcio nel tessuto era o meno recuperabile. Non riuscì più ad aprire la bocca per proferir parola davanti a quella domanda, si limitò a fissarlo intensamente, e si sentì davvero stupida in quel momento. Schiuse le labbra lasciando fuoriuscire un mugolio incerto, prima che le ritornasse effettivamente la capacità di parlare.
– E’…strano, Elijah. So che c’è qualcosa, so che c’è sempre stato qualcosa. Ma è come se solo adesso me ne stessi davvero rendendo conto. Come se tutto si fosse…amplificato. – mormorò lei, sospirando poi pesantemente. Stava per aggiungere altro quando improvvisamente si sentì travolgere da qualcosa di più forte e più grande di lei, qualcosa che la accompagnò delicatamente contro la parete che le stava dietro. L’espressione di puro stupore, e vagamente spaventata, si portò su Elijah quando si rese conto che lui, con velocità e forza sovrumana, le aveva impedito di continuare a parlare imprigionandola contro il muro. Sofia si perse in quegli occhi scuri che la stavano attentamente scrutando, colmi di serietà, e rabbrividì.
– E’ questo che significa essere vampiri. – sussurrò Elijah, intensamente. Lei strinse le labbra, sentendo le mani delicate del vampiro tenerla prigioniera contro quella superficie marmorea, e non le dispiaceva in alcun modo. Una mano di lui risalì lungo il braccio di lei lasciando soffici carezze che riuscivano a penetrare il tessuto dei vestiti per farsi sentire dalla pelle di lei, prima che quella stessa mano raggiungesse liberamente il viso della vampira raccogliendolo sul suo palmo.
– Pensi davvero che possa essere stato un fastidio, per me? – gli domandò l’Originale, tenendo gli occhi scuri immersi in quelli verdi di lei. Sofia deglutì, socchiudendo appena gli occhi. La piega che stava prendendo la situazione le sembrava strana, ma assurdamente piacevole. Prima ancora che potesse rispondergli, il viso di Elijah le si avvicinò minacciosamente macinando in fretta quella distanza che separava le loro labbra. Sofia sentì quelle di lui adagiarsi sulle proprie e di istinto socchiuse gli occhi, cogliendo al volo quelle dolci sensazioni che si risvegliarono percorrendole il corpo. Sentì ogni parte del suo corpo rilassarsi sotto quel bacio durante il quale le loro labbra si sfioravano in piccoli tocchi timidi, prima che fosse l’Originale stesso a richiedere una maggiore intensità. Lei si scostò dalla parete sfilandosi dalle prese che lui aveva sul suo corpo, costringendolo a spostare quelle mani per avere le proprie braccia libere. Lui le adagiò delicatamente sui fianchi della vampira sentendo, invece, una mano di lei appoggiare il suo palmo contro il proprio viso mentre l’altra avvolgeva, in parte, il suo braccio intorno al collo dell’Originale. Schiuse le labbra contro le sue perdendosi in quel bacio colmo di morbida tenerezza, e a lui sembrò che ogni problema stesse scivolando via. Come se non dovesse preoccuparsi di Klaus, come se sua madre non potesse aver architettato qualche piano alle loro spalle, come se non fossero perennemente perseguitati dagli spettri. C’era soltanto lei, e quelle labbra che sentiva di aver desiderato sin dall’inizio. Elijah sentì una strana sensazione crescergli dentro, una sensazione che non avrebbe dovuto provare, non più. Mentre per lei quell’emozione non era nuova o sconosciuta, era semplicemente familiare. Perché c’era sempre stata, fin dal primo momento.

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Note dell'autrice:
Oh mamma! D:
Va bene, lo so, ci ho messo anche fin troppo per aggiornare. Questo capitolo avrebbe dovuto arrivare mercoledì scorso, e invece ve lo pubblico solo adesso. Ma i motivi posso spiegarveli benissimo ç_ç Scuola stressante, lavoro stressante, influenza stressante, momentanea poca ispirazione stressante. Quindi, ecco il risultato di tutto questo. Non so come sia uscito fuori questo capitolo, per cui lascio a voi il giudizio. Se non vi piace, siete liberissimi di dirlo! °^°
Intanto, voglio passare ai ringraziamenti <3
Ringrazio elyforgotten, Ria_27, Iansom, Pipia e Anonymous_Dreamer per aver recensito il capitolo precedente. Inoltre ringrazio meiousetsuna e TheSensitiveGirl94 che piano piano stanno leggendo tutti i capitoli. **
Ringrazio, in più, le sette persone che l'hanno aggiunta tra le preferite, le due persone che l'hanno aggiunta tra le ricordate e le venti persone che hanno la mia storia tra le seguite. :D
Detto questo, volevo anche avvisarvi che credo di non riuscire ad aggiornare ogni mercoledì, per cui non so quando aggiornerò di nuovo >.< Ma alla prossima!

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Capitolo 13
*** Rivelazioni. ***



Era almeno mezz’ora che era ferma lì, distesa comodamente su quel letto, a fissare attentamente il bianco soffitto della sua stanza. Ed era rimasta così sin da quando Elijah aveva lasciato quella casa, lasciandola avvolta nel solo ricordo di quel bacio. Una parte di lei avrebbe voluto tenerlo al suo fianco per tutta la notte, probabilmente anche per tutta la vita, ma la realtà dei fatti era che nel momento in cui il cellulare dell’Originale aveva preso a squillare annunciando la voce di Rebekah, ancora posseduta da Esther, che chiedeva al vampiro di fare il suo ritorno alla loro dimora per parlare di alcuni dettagli, lei aveva dovuto lasciarlo andare. Le esili mani di Sofia stringevano il tessuto delle pallide lenzuola sino al petto, mentre gli occhi verdi erano sognanti e fissi sul soffitto. Li socchiuse solo ad un tratto, lasciando che il ricordo di quel bacio si facesse spazio nella mente per accompagnarla tra le braccia del sonno. Si girò su un fianco, affondando i soffici capelli biondi ed il capo nella morbidezza del cuscino. Le labbra si piegarono involontariamente in un sorriso mentre si raggomitolava su sé stessa cercando definitivamente di addormentarsi. Avrebbe dovuto affrontare un’estenuante giornata di scuola la mattina seguente, vista la sua decisione di seguire una vita assolutamente normale; di certo non voleva perdere l’anno. Ma gli occhi si sgranarono quando sentì alcuni rumori provenire dall’esterno della stanza. Si voltò di scatto verso la lignea superficie della porta chiusa della stanza, cercando in qualche modo di capire la fonte di quei rumori. Sembrava che qualcuno stesse spostando l’intero divano del salone, il tavolino e le sedie. Si portò subito in piedi infilando le piccole ciabatte e avviandosi, subito dopo, verso la porta. La aprì lentamente guardando l’esterno intimorita. Il salone sembrava normale, tranquillo, se non fosse stato per quei mobili spostati sui quali si estendeva una scia di sangue che li sporcava completamente. Il beige del divano aveva lasciato spazio ad un rosso scuro che colava sino alla pavimentazione mentre sul tavolino al centro della stanza si presentava un’enorme macchia di liquido vermiglio che anch’essa andava macchiando anche il pavimento. Sofia corrugò la fronte sconvolta, intimorita, perplessa e spaventata mentre apriva ulteriormente la porta per portarsi interamente nel salone.
– Oh mio Dio… – mormorò, guardandosi intorno alla ricerca della fonte di quel sangue. La stanza era completamente buia, ma lei riusciva a vedere perfettamente grazie alle sue capacità vampiriche. Si avvicinò al punto del salone in cui quel sangue si concentrava, colando dal mobilio, e fissava la scena sconcertata. Quel sangue, però, non aveva odore. La porta della camera alle sue spalle cigolò e lei si voltò di scatto. Il suo corpo si pietrificò quando incontrò col solo sguardo quegli occhi chiari e gonfi che la scrutavano con dispiacere.
– Molly… – balbettò Sofia, indietreggiando istintivamente e scontrandosi con la poltrona che la bloccò in quel punto della stanza. Molly la fissava vestita di quella piccola, pallida e sgualcita camicia da notte. La stessa camicia da notte che indossava la sera della sua morte. Gli occhi azzurri puntavano spaventati sulla figura della vampira, mentre il pallore del viso era quasi inquietante. Le manine piccole della bambina ricadevano lungo i fianchi e su un lato del collo si apriva una profonda ferita dalla quale colava copiosamente sangue, imbrattando il tessuto della camicetta da notte di lei.
– Ho freddo, Sofia. Voglio la mamma. – piagnucolò la bambina, sollevando le sue manine sporche di sangue verso la vampira. Erano distanti, non poteva nemmeno toccarla pur volendo, ma con quel gesto sembrò in qualche modo supplicare un aiuto.
Sofia scosse il capo davanti a quella scena, gli occhi sgranati mostravano nient’altro che paura e stupore. Non poteva credere di rivederla, non con quella ferita che lei stessa aveva procurato. Fu mossa dall’istinto e dal timore, ed in poco tempo si ritrovò davanti alla porta d’ingresso della casa, grazie a quella velocità vampirica.
– Sofia! – esclamò Molly. Nel momento stesso in cui la vampira spalancò la porta di casa, totalmente intenzionata ad andare via nella consapevolezza che non poteva contrastare uno spettro, l’urlo del fantasma riecheggiò, come fosse un eco, nella dimora sino a sparire. Ma lei non riuscì nemmeno ad uscire dalla casa che si ritrovò ad impattare con l’intero corpo contro qualcosa di marmoreo ma morbido al contempo. Due mani la afferrarono per le spalle impedendole di perdere l’equilibrio, e lei sollevò lentamente lo sguardo spaventato verso quel viso. Erano quegli occhi, ed erano del tutto inaspettati.
– Dolcezza, dove stai correndo? – domandò la voce ambigua di Klaus, mentre la fissava e la teneva, sorridendole sornione. Lei si scostò improvvisamente e bruscamente, indietreggiando verso l’interno e sottraendosi da quelle prese che lui aveva sul proprio corpo.
– Niklaus, cosa ci fai qui? – gli chiese lei, corrugando la fronte timorosamente. Sebbene avesse voluto tenere su Klaus tutta la propria attenzione, non poté fare a meno di voltarsi verso l’interno della casa ritrovandosi a guardare nuovamente quel salone. Il sangue era sparito, e con esso anche la figura di Molly. Ma la vampira sentiva ancora la paura salirle dentro con forza, soprattutto in quel momento che lo sguardo poco rassicurante di Klaus puntava su di lei.
– C’è qualcosa che non va, piccola Marilyn? Stavi correndo da Elijah dopo aver fatto qualche brutto sogno? – le domandò lui ironico e divertito delle sue stesse parole. Sofia corrugò la fronte ritornando a guardare l’ibrido. Le ritornarono alla mente i due ibridi che avevano assalito lei e Elijah qualche giorno prima, e il disprezzo che aveva provato nei confronti di Klaus. L’espressione della vampira divenne improvvisamente pungente, mentre stringeva timorosamente le mani al petto, indietreggiando verso l’interno e distanziandosi da lui.
– Dovresti andare via. – gli disse lei, macchiando il suo tono di una nota di acido disprezzo. Nello stesso momento, però, il volto dell’ibrido perse ogni sorriso lasciando spazio ad una rigida espressione seria.
– Invece credo che abbiamo bisogno di parlare, io e te. – intervenne Klaus, avanzando di un unico passo verso la porta. Lei, di conseguenza, afferrò prontamente la superficie di quest’ultima intenzionata a richiudersi all’interno. E stava per farlo, fino a quando il palmo di una mano di lui impattò con forza contro il legno sbattendolo nuovamente indietro e facendo il suo ingresso. Sofia indietreggiò sotto la forza che lui aveva messo in quel colpo e lo fissò con due occhi sorpresi e perplessi, quanto spaventati. Klaus la guardava mentre richiudeva la porta alle sue spalle, tenendo la fronte corrugata e la mascella irrigidita.
– Non ho niente da dirti, adesso vattene Niklaus. Ti prego. – ringhiò lei, distanziandosi da lui di altri passi. Gli occhi dell’ibrido si immersero involontariamente in quelli verdi di lei e scorse facilmente la paura che lei stava provando. Non seppe spiegarsi se quella paura era stata creata da lui o la stesse semplicemente alimentando. Ammorbidì la sua espressione, distogliendo istintivamente lo sguardo da lei.
– Non chiamarmi in quel modo. – le sussurrò l’ibrido intensamente, sebbene tenesse lo sguardo lontano da lei – Se proprio vuoi pronunciare il mio nome, preferisco Klaus. – aggiunse, ritornando a guardarla. Sofia si paralizzò, sollevando le mani e stringendosele al petto mentre lo guardava con la fronte corrugata e gli occhi attenti a qualsiasi movimento di lui. Quella serata che era iniziata davvero benissimo, con il bacio di Elijah, stava prendendo una piega del tutto negativa. Klaus continuava a fissarla e solo in quel momento piegò nuovamente le sue labbra carnose in un sorriso, provocando la nascita di quelle adorabili fossette sul suo viso.
– Avanti, Sofia. Hai così tanta paura di me? – le domandò, curiosamente.
– Sai, penso sia un po’ strano che tu ti presenti a casa mia durante la notte. – rispose la vampira, con tono sprezzante. Klaus rise, sebbene lievemente, voltandosi verso il resto del salone e andando ad accomodarsi su una delle due poltrone presenti. Distese le braccia sui braccioli, elegantemente, fissando la bionda ancora in piedi e ancora paralizzata da una paura che lui non riusciva a giustificarsi.
– Dovevo aspettare che Elijah tornasse a casa. Ho pensato che non fosse di suo gradimento sapermi a casa tua, e non volevo che ci fosse tra i piedi. – rispose l’ibrido sinceramente. Sofia strinse i pugni mentre lo fissava, ma non riuscì a controllare il sussulto che seguì il nome di Elijah. Anche sentirlo pronunciarlo da qualcun altro, quel nome le portava inspiegabili sensazioni in tutto il corpo. Klaus sembrò scorgere quell’improvviso cambiamento e sorrise maggiormente, piegando il busto in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia per sporgersi verso di lei.
– Oh, vedo che ho toccato un bel tasto. Qualcosa mi fa pensare che avresti preferito Elijah lì fuori, e non me. – ammise l’ibrido, fingendo un’espressione offesa. Sofia assottigliò lo sguardo verso di lui.
– Dovresti farti gli affari tuoi, Klaus. – lo ammonì, mostrando un tono di voce infastidito. Ma fu una reazione che divertì Klaus maggiormente.
– Avanti, prova a confidarti anche con me. Ti assicuro che sono bravo ad ascoltare. – affermò l’ibrido, sicuro di sé.
– Non ho alcuna intenzione di dirti niente. Avevi detto tu di voler parlare, quindi dì quello che volevi dire e vattene via. – rispose la vampira prontamente, fissandolo con astio.
A quelle parole l’espressione di Klaus divenne nuovamente rigida e infastidita. Irrigidì la mascella mentre la fissava. Si riportò in piedi guardando distrattamente ciò che lo circondava, la sua espressione era diventata semplicemente seria. Sfiorò un oggetto presente sulla superficie del tavolino al centro della stanza, prima di ritornare a guardare lei.
– Oggi, Elijah mi ha detto una cosa riguardo due ibridi. – iniziò a dire l’Originale, guardando l’altra intensamente. Sofia si irrigidì sotto quello sguardo, restando ferma nello stesso punto della stanza, ma a sentire quelle parole la sua espressione divenne nuovamente dura. Odiava l’essersi fidata di lui, odiava l’avergli dato più di una possibilità ed odiava il fatto che lui era andato lì solo per sbattergli in faccia l’evidenza: aveva cercato di ucciderli come aveva promesso.
– Non mi ha spiegato tutto, ma ho capito poco dopo quello di cui lui stava parlando. E sono stato io ad ordinare a quei due ibridi di tenere d’occhio il corpo di mia madre e uccidere chiunque si avvicinasse a quella grotta. – ammise l’Originale, continuando a guardarla. Sofia sorrise nervosamente davanti a quella confessione.
– Sapevo che eri stato tu a mandarli, che senso ha venire qui a dirmelo? – domandò lei con aria critica. Klaus piegò le sue labbra in un nuovo sorriso ambiguo, continuando a fissarla.
– Pensi che avessi voluto farvi del male? – chiese l’ibrido curiosamente.
– Non lo penso, io so che tu vuoi farci del male. Sei stato tu stesso a dirlo, no? Mi pento soltanto di essermi fidata di te, mi pento di averti dato una nuova possibilità. Ti avevo chiesto di dimostrarmi di aver fatto la scelta giusta, ma a quanto pare mi ero sbagliata. – affermò Sofia, corrugando la fronte verso di lui. Klaus la fissò per lunghi istanti, dopo quelle parole, prima di riuscire nuovamente a pronunciarne altre. Non doveva darle importanza, non aveva mai fatto una cosa del genere, eppure ogni cosa lei gli dicesse riusciva a colpirlo fino in fondo. Non smise di sorridere in quella maniera ambigua e, velocemente, corse verso di lei afferrandola delicatamente per le spalle e spingendola verso una parete della stanza. Lo fece con forza e velocità vampirica, tanto inaspettato che lei si rese conto della situazione solamente quando si ritrovò ad impattare con la schiena contro il muro, sussultando sonoramente. Gli occhi si sgranarono fissando intimoriti quelli dell’ibrido che, in quel momento, si ritrovavano a pochi centimetri da lei. La situazione era praticamente identica a quella vissuta con Elijah, ma Klaus non le trasmetteva alcuna piacevole sensazione. Lei si sentì percorrere da un gelido brivido di paura nel momento stesso in cui si perse in quegli occhi chiari dell’ibrido, stringendo i denti per quella vicinanza.
– Io so che tu non pensi davvero questo di me. – affermò Klaus improvvisamente, interrompendo quel silenzio. Sussurrò quelle parole in una maniera profonda, da far gelare l’anima di lei, paralizzata contro quella parete.
– E comunque, avevo ordinato tempo fa a quegli ibridi di controllare mia madre. Quando tu e Elijah mi avevate chiesto di svelarvi dove la nascondevo, avevo completamente rimosso quel particolare. Se lo avessi saputo, avrei impedito a quegli ibridi di attaccarvi. – confessò l’ibrido, continuando a guardarla. Sebbene non ne sapesse il motivo, dentro sé Sofia sapeva di potersi fidare di quelle parole. Lo sentiva, più di qualsiasi altra cosa. Klaus si scostò bruscamente da lei lasciandola ferma contro quella parete, con quegli occhi verdi perplessi puntati sulla sua stessa figura.
– Al contrario di quello che Elijah pensa, non gli farei del male. E’ mio fratello, dopotutto. – continuò lui, senza lasciarle la possibilità di commentare al riguardo. Si voltò verso la porta della casa e si avviò verso quest’ultima, aprendola e facendo entrare quella fioca luce che apparteneva alla notte.
– Con questo ti auguro buonanotte, Sofia. – terminò lui.
– Klaus, aspetta! – esclamò Sofia. L’ibrido stava per andarsene quando quelle parole lo bloccarono, costringendolo a voltare nuovamente gli occhi verso la figura della bionda. Lei nel frattempo si era scostata da quella parete avanzando di alcuni passi verso di lui.
– Perché me lo stai dicendo? – gli domandò, timorosamente. Klaus piegò le labbra in un nuovo sorriso ambiguo scrollando le spalle con aria indifferente.
– A quanto pare il tuo parere su di me conta più di quello che pensi, piccola Marilyn. – le rispose semplicemente, avviandosi definitivamente all’esterno della dimora e richiudendosi la porta alle spalle. La lasciò tra le braccia della solitudine in quella casa buia. Quando Sofia si rese conto di essere nuovamente sola nello stesso salone in cui poco prima aveva visto Molly, venne percorsa da un nuovo brivido di timore.
 
Le faceva strano ritornare a sedersi dietro quel banchetto, dopo tutti gli strani avvenimenti che stavano accadendo. Sebbene i suoi occhi verdi posassero falsamente attenti sulla figura dell’insegnante, davanti agli occhi aveva ancora stampate le immagini della sera e la notte precedente. Caroline era seduta un paio banchi più dietro, nella fila centrale, mentre Sofia era sfortunatamente seduta al primo banco di una delle file a lato. Non riuscì a percepire, durante tutta la durata della lezione, lo sguardo della Forbes puntato su di sé. Quando la campanella di fine lezione trillò fastidiosamente nei corridoi della scuola, Sofia raccolse tutto ciò che aveva sul banco e si portò in piedi. La classe si svuotò velocemente ma lei non fece nemmeno in tempo ad avviarsi verso la porta che una mano la bloccò, afferrandola delicatamente per un braccio. Virò velocemente il capo incrociando facilmente gli occhi di Caroline.
– Ehi. – le mormorò, sorpresa. La Forbes la guardò, non mutando la sua espressione preoccupata.
– Ehi, sembri stanca, va tutto bene? – le domandò Caroline premurosamente. Sofia piegò le labbra in un leggero sorriso, sentendo la mano di Caroline scostarsi lentamente dal proprio arto, ed annuì cercando di apparire convincente.
– Ho dormito un po’ male stanotte, ma niente di preoccupante. – rispose Sofia, poco dopo. Si avviarono verso l’uscita della classe portandosi in quel corridoio affollato. Ma affollato non solo per il cambio d’ora, in cui tutti gli studenti uscivano dalle classi per raggiungere i loro armadietti ed i loro compagni, ma anche per i preparativi che si stavano mettendo in atto per la festa a tema di fine anno, prima delle vacanze natalizie. Infatti, numerosi addetti a ciò avanzavano avanti e indietro per la scuola trasportando l’occorrente.
– Andiamo, siamo vampire Sofia. Non abbiamo molto bisogno di dormire. – commentò Caroline dopo poco, costringendola ad accompagnarla verso il proprio armadietto. Sofia la seguì, tenendo comunque lo sguardo lontano da lei per nascondere quel vano tentativo di nasconderle la verità, appoggiandosi stancamente all’armadietto accanto a quello di Caroline. La Forbes aprì il proprio, frugandovi attentamente all’interno.
– Sputa il rospo, muoviti. Sei preoccupata per questa situazione dell’incantesimo? Hai paura che possa non funzionare? – la incalzò nuovamente Caroline, richiudendo l’armadietto e fissandola intensamente negli occhi. Sofia ricambiò quello sguardo deglutendo rigidamente. Cosa avrebbe dovuto dirle? Tutto ciò che era in grado di spiegare gli avvenimenti della sera prima, non le sembrava in alcun modo adatto. Distolse lo sguardo dal viso dell’altra per pochi secondi, prima di fissarla e piegare le labbra in un leggero sorriso.
– Io ed Elijah ci siamo baciati, ieri sera. – rispose. Caroline si irrigidì contro l’armadietto sgranando gli occhi chiari e fissandola perplessa. Non si aspettava una rivelazione del genere, era palese, ma le bastò poco prima di disegnare un ampio e radioso sorriso sul volto.
– E qual è il problema allora? Ti ha tenuta sveglia tutta la notte? – domandò la Forbes maliziosamente, continuando a sorriderle. Fu un sorriso che coinvolse anche Sofia, costringendola a piegare le labbra rosse in un sorriso più largo.
– No…solo che sono confusa. E’ strano, non so come comportarmi. E’ la prima volta che mi ritrovo in una situazione come questa. – mormorò Sofia titubante, spostando nuovamente lo sguardo. Caroline sorrise maggiormente in quella maniera premurosa. Ai suoi occhi, la piccola Marilyn italiana che aveva davanti era estremamente tenera. Le si avvicinò quasi d’istinto, divaricando le braccia e stringendola in un abbraccio inaspettato. Un abbraccio che sorprese Sofia, costringendola a sgranare gli occhi quando si ritrovò improvvisamente tra le braccia dell’amica. Durò pochi secondi, prima che Caroline sciogliesse quell’unione mantenendosi comunque davanti a lei e tenendole le spalle. La fissava con un sorriso contento e due occhi emozionati.
– Sii semplicemente te stessa. Segui l’istinto e fai quello che senti. E’ così che ho fatto io. – commentò Caroline. Si scostò definitivamente da Sofia quando riuscì a vedere Bonnie e Elena avvicinarsi a loro con passo spedito. Anche Sofia si voltò verso di loro, piegando le labbra in un nuovo sorriso cordiale verso le sue amiche.
– Ehi Bonnie, come stai? – domandò la vampira immediatamente, voltandosi verso la strega. Bonnie la fissò intensamente, annuendo col capo.
– Io sto bene. Ho sentito mia madre, oggi faremo l’incantesimo. – affermò la streghetta, guardando subito anche le altre due presenti.
– Sei sicura di farcela, Bonnie? Non voglio che ti succeda qualcosa. – commentò Sofia, fissandola con sguardo preoccupato. Bonnie ritornò a fissarla, annuendo ancora una volta.
– Sono sicurissima, Sofia. Posso farcela. – rispose, prontamente. Il suo tono di voce era determinato, non voleva che gli altri pensassero di lei come una strega debole. Piegò le labbra carnose in un sorriso coinvolgendo anche le altre, prima che Caroline portasse la sua attenzione su Elena lì nei pressi.
– Ah, ma lo sapete cos’è successo alla nostra adorabile Sofia? – esclamò improvvisamente la Forbes, piena di entusiasmo. Gli sguardi delle altre si portarono su di lei, in particolar modo gli occhi verdi della vampira bionda si sgranarono quando capirono di cosa Caroline volesse parlare. Non ebbe il tempo di ribattere che l’altra bionda riprese tranquillamente il suo discorso.
– Ieri sera ogni mio tentativo di far sbocciare una nuova coppia a Mystic Falls, sono serviti a qualcosa! Come avrete capito, finalmente Sofia e il vampiro dai bei capelli si sono baciati. – affermò Caroline di nuovo. Elena e Bonnie sgranarono gli occhi al sentire quelle parole. Elena sorrise sinceramente colpita e contenta, portando il suo sguardo sul volto di Sofia che andava sempre più nascondendosi timidamente mentre Bonnie cercava di mostrare anche solo un pizzico dell’entusiasmo che stava provando. Dopo quanto accaduto in passato, proprio non riusciva a farsi piacere Elijah.
– Mi fa piacere, Sofia. – iniziò Elena, sorridendole – Allora? Com’è stato? – domandò ulteriormente la Gilbert, fissando Sofia con un sorrisino malizioso. Quest’ultima incassò la testa nelle spalle, distogliendo immediatamente lo sguardo dalle amiche.
– Beh…è stato…insomma… – balbettò la bionda.
– A proposito di fidanzatini, Elena. Dov’è Stefan? – domandò curiosamente la Forbes, guardandosi intorno con aria interrogativa prima di ritornare a guardare la Gilbert. Elena spostò su di lei il suo sguardo, scrollando debolmente le spalle.
– Non so. Stamattina mi ha chiamata dicendo che aveva delle cose da fare non troppo importanti ma che non poteva rimandare, quindi ho deciso che passerò a casa sua subito dopo la scuola. – spiegò Elena, spostando subito dopo il suo sguardo su Bonnie. – Ovviamente, se per voi non è un problema. – terminò, riferendosi all’incantesimo da attuare quel pomeriggio. Bonnie sorrise e scosse il capo nei confronti dell’amica.
– Non preoccuparti, va pure da Stefan. – le disse la streghetta, sorridendole sinceramente.
 
Stefan aprì con cautela il piccolo cancello che chiudeva il giardino della casa di Sofia. Aveva riflettuto tutta la notte su quella decisione, e alla fine era arrivato alla conclusione che avrebbe agito prima di Damon. Ormai conosceva il fratello da troppo tempo, sapeva come si sarebbe comportato dopo le parole di Alaric del giorno prima, e lui doveva precederlo scoprendo che Sofia non aveva nulla da nascondere e chiudendo definitivamente quella storia. Raggiunse la porta d’ingresso della casa con passi tranquilli, avvicinando una mano alla maniglia. Sofia era a scuola ed Elijah non sarebbe sicuramente stato lì ad attenderla, o comunque Stefan lo sperava. Si guardò intorno con aria attenta, ancora all’esterno della casa, cercando di scorgere eventuali occhi indiscreti. Quando fu certo di non essere visto, la sua mano forzò la maniglia della porta costringendo quest’ultima ad aprirsi e permettergli di fare il suo ingresso in quella casa. Era silenziosa, tranquilla ed immersa nel buio. Richiuse la porta alle sue spalle prima di premere l’interruttore apposito ed illuminare i dintorni. Era stato spesso in quella casa, ma in quel momento sentì di aver completamente sbagliato a varcare quella soglia. Sospirò pesantemente, iniziando a muoversi veloce tra quelle pareti. Avrebbe frugato tra le cose della vampira bionda nel tentativo di trovare qualcosa che avesse potuto dimostrare il contrario di quello che Damon stava pensando, perché dentro di lui sentiva che Sofia non avrebbe mai potuto nascondere loro qualcosa. Raggiunse la porta della camera da letto della vampira, entrandovi senza tante cerimonie. Il timore che Elijah, o anche solo Sofia, potessero arrivare e beccarlo, lo sovrastava in ogni piccolo movimento. Si avvicinò alla bianca toletta sopra la quale vi erano alcune piccole bottigline di profumo ed una spazzola, prima di aprire uno dei cassettini a lato. Cosmetici, fermargli per capelli, gioielli. Niente che potesse servigli. Si voltò a scrutare la stanza con ansia, avvicinandosi al letto e chinandosi per scorgere ciò che vi era posto sotto di esso. Ma nulla. Si risollevò guardandosi intorno ancora e ancora. Ogni piccolo dettaglio in quella casa era totalmente semplice, nulla lo stava conducendo a quello che avrebbe voluto raggiungere. Sospirò ancora una volta, avvicinandosi subito dopo al grande armadio presente nella stanza ed aprendone le ante. Vestiti su vestiti cadevano lì dentro maniacalmente ordinati. Ne scostò alcuni distrattamente, come se sperasse di vedere qualche nascondiglio sbucare dal nulla ma tutto ciò che scorse, curiosamente, fu un grande scatolone adagiato sul fondo dell’armadio e nascosto in buona parte dagli abiti. Stefan si chinò, scostando definitivamente i vestiti per sfilare lentamente lo scatolone dall’armadio. Lo adagiò sulla pavimentazione davanti ai suoi piedi e lo aprì. La fronte si corrugò quando scorse il suo contenuto. Lettere, vecchie e nuove, si ammassavano l’una sopra l’altra senza nemmeno essere richiuse. Le spostò leggermente, sfilandone delicatamente una dal fondo. La sua carta era secca, rigida e vecchia. Sembrava risalente a molti anni prima. Scartò lentamente la busta, la quale non era stata definitivamente chiusa come se non dovesse essere inviata, e sfilò accuratamente il foglio ch’essa conteneva. Al tatto dava l’impressione di essere stato bagnato ed asciugato alla bene e meglio. Le labbra di Stefan si schiusero debolmente per lo stupore quando riuscì finalmente a leggere ciò che era scritto ordinatamente su quel foglio, tramite una perfetta calligrafia nera.
 
“Cara mamma,
questo è il quinto giorno dopo la trasformazione. Dopo i due guardiani al cimitero, non ho più ucciso persone. Non voglio più farlo, devo imparare a resistere se voglio sopravvivere. Se voglio restare la persona che ero. Oggi ho chiesto ad un ragazzo di darmi un po’ del suo sangue, l’ho soggiogato. L’ho costretto a fare una cosa che probabilmente non voleva fare e mi sento in colpa per questo. Tanto che alla fine gli ho dato un po’ del mio sangue per rimettersi in sesto. Ma se morisse adesso? Diventerebbe come me, diventerebbe anche lui un orribile mostro della notte. Non posso permetterlo, non voglio obbligarlo a vivere un’esistenza del genere.
 
Sono stata da quel ragazzo, l’ho soggiogato di nuovo. Gli ho detto di non uscire di casa per nessun motivo e di evitare di morire o di essere coinvolto in incidenti. Sono ansiosa, e spaventata. No, mamma, la realtà è che io sono totalmente sola. Sono totalmente sola ad affrontare una cosa che non voglio affrontare, ogni giorno riapro gli occhi chiedendomi se vale o meno la pena di continuare a vivere così. Ma poi penso a Lui, penso che voglio trovarlo. Ho bisogno di Elijah, mamma, ho bisogno di lui più di qualsiasi altra cosa. Non posso morire…non voglio…
 
P.s.: sono una stupida, ho pianto di nuovo ed ho bagnato la lettera. Ma sono ancora più stupida se penso che questa cosa ti preoccuperà, tu non leggerai mai queste lettere. Ti voglio bene, mamma.”
 
Gli occhi verdi di Stefan erano rimasti incollati su quelle parole, ripetendosele nella testa. Una parte di lui la capiva, comprendeva il senso di colpa che Sofia provava. Riusciva a sentire di aver sbagliato a leggere quella lettera molto più di prima, sentiva di essere a conoscenza di pensieri che probabilmente Sofia non avrebbe mai voluto rivelargli. Eppure, nonostante questo, richiuse quella lettera e la ripose nello scatolone al suo posto estraendone un’altra. Erano tutte destinate alla stessa persona, ognuno di quei fogli racchiudevano i pensieri di una vampira che non voleva vivere come tale, racchiudevano le sue paure, i suoi sensi di colpa, i nomi delle sue vittime. Stefan deglutì rigidamente richiudendo velocemente lo scatolone e riponendolo al suo posto nell’armadio. Si passò una mano sul viso, sospirando affranto. Richiuse immediatamente l’armadio e si allontanò definitivamente da lì, cercando di rimettere a posto la casa per evitare di lasciare tracce. Sofia non aveva nulla da nascondere, lo sentiva, e probabilmente riusciva a comprenderla più di chiunque altro.
 
Gli occhi color ghiaccio di Damon si portarono sul fratellino al vederlo entrare in casa con un’espressione indecifrabile.
– Ehilà, Stefan. Ho appena saputo che stamattina hai saltato la scuola. Come fratello maggiore dovrei sgridarti, lo sai? – commentò sarcasticamente il fratello maggiore dei Salvatore sventolando il bicchiere pieno di bourbon che aveva in mano e restandosene nei pressi del tavolino nel salone del pensionato. Stefan gli si avvicinò portandosi proprio davanti a lui, guardandolo con quegli occhi verdi ancora colmi di stupore e compassione.
– Sono stato a casa di Sofia. – disse improvvisamente Stefan, cancellando il sorriso sghembo che era andato formandosi sul volto del fratello.
– E cosa hai scoperto? Dalla tua espressione, suppongo sia qualcosa di forte. Avevo ragione? – rispose Damon prontamente, sorseggiando un po’ del bourbon dal bicchiere. Sembrava ancora apparentemente tranquillo, ma si era sentito scuotere dentro quando aveva saputo quel piccolo particolare. Probabilmente avrebbe dovuto immaginarlo.
– No, Damon. Hai totalmente torto. Penso che dovremmo lasciarla stare, Sofia non ha nulla da nascondere. Smettiamo di essere paranoici e, soprattutto, di ficcarci negli affari degli altri. Non muore? Non è un problema nostro. – rispose Stefan, tirando un profondo sospiro. L’espressione di Damon s’indurì davanti a quelle parole.
– Stai scherzando, suppongo. Quella ragazza potrebbe essere qualsiasi cosa, magari un alieno venuto per sterminarci, e tu vuoi chiudere così presto un occhio? Cosa diavolo hai trovato in casa sua? Chi ti ha soggiogato? O magari hai paura di Elijah, hai paura che se scopre che stiamo indagando sulla sua fidanzatina ci strappa il cuore ad entrambi. Beh, io non ho paura, fratellino! – ribatté Damon appoggiando violentemente il bicchiere sul tavolino a lui adiacente. Stefan scosse il capo, distogliendo lo sguardo per alcuni istanti.
– Non ho paura di Elijah. O meglio, ce l’ho ma non è lui il motivo per cui dobbiamo tirarci fuori da tutto questo. Voglio che tu la lasci stare, Damon. Sono certo che Sofia non stia nascondendo un bel niente. Stiamo sbagliando. – continuò Stefan, sollevando le mani ad afferrare morbidamente le spalle del fratello. Damon ringhiò a quel tocco.
– E’ arrivata in città in un momento davvero strano, si è avvicinata ad Elena, è una cara amica degli Originali e chissà per quale motivo è l’unica che può tenere a bada Klaus. Oh no, è una persona assolutamente brava e che sicuramente non ha segreti! – cantilenò Damon sarcasticamente, scostandosi bruscamente dalla presa del fratello.
Fu nello stesso momento che la porta d’ingresso del pensionato Salvatore si aprì rivelando la minuta figura di Elena, il cui sguardo si macchiò di una leggera confusione nel notare l’espressione visibilmente arrabbiata di Damon e quella visibilmente sconvolta di Stefan.
– Che sta succedendo qui? – domandò la Gilbert, corrugando la fronte. Damon sorrise sghembo, lanciando un’occhiata di sfida a Stefan.
– Scoprirò cos’ha da nasconderci, a qualunque costo. Ti consiglio di non interferire, Stefan, o mi costringerai a fare cose poco carine. – sussurrò Damon minacciosamente, prima di avviarsi verso la porta della casa ed ignorare completamente la domanda di Elena, uscendo da lì per richiudersi violentemente la porta alle spalle.
Intanto l’espressione di Elena si era fatta ancora più confusa mentre si avvicinava a Stefan con passi decisi.
– Stefan, si può sapere cosa sta succedendo? – gli domandò insistente, avvicinandosi a lui e mettendogli una mano su una spalla per costringerlo a voltare i suoi occhi verdi verso di lei. Stefan la guardò dubbioso, storcendo le labbra in una smorfia.
– Dobbiamo parlare, Elena. Di Sofia. – sussurrò il fratello minore dei Salvatore, immergendosi in quegli occhi scuri che tanto amava.
– Di Sofia? – domandò ulteriormente la Gilbert. Stefan le cinse dolcemente le spalle guardando i suoi occhi con determinazione e serietà.
– So che questa cosa potrebbe non piacerti, ma ti prego ascoltami attentamente. – disse lui. Elena lo guardò per alcuni istanti, schiudendo le labbra per la confusione che la percorreva, prima di annuire con convinzione.
 
Appena finite le lezioni, avevano avuto giusto il tempo di passare a casa di Abby per recuperarla. Bonnie sedeva al volante, tenendo lo sguardo attento sulla strada che la sua auto stava percorrendo, mentre al suo fianco sedeva Sofia e sul sedile centrale tra quelli posteriori, sedeva tranquillamente Abby. Gli occhi verdi della vampira puntavano sullo schermo acceso del cellulare che mostrava direttamente l’sms appena ricevuto. Le sue magre dita iniziarono a toccare i tastini virtuali che quel touch possedeva, digitando la risposta. Bonnie le lanciò un’occhiata tranquilla e breve, prima di ritornare sulla strada.
– E’ Elijah? – domandò curiosamente la streghetta. Sofia annuì distrattamente.
– Loro sono già pronti, manchiamo soltanto noi. – mormorò la vampira, sollevando gli occhi verdi verso la strega al volante. Quest’ultima sorrise.
– E cosa ti ha scritto? Qualcosa come “Amore, dove sei? Noi siamo già pronti. Mi manchi.”? – domandò Bonnie, sorridendo divertita. Sofia sussultò a quella domanda e le regalò un’occhiata incredula e veloce prima di abbassare timidamente lo sguardo e riposare il cellulare.
– Non iniziare anche tu! Sono già abbastanza confusa. – mormorò la vampira. Abby le ascoltava in silenzio, almeno fino a quel momento. Si sporse verso i sedili anteriori, guardando le due davanti a lei.
– Oh, posso partecipare anch’io alla conversazione? Sono una donna adulta, sono sicura che potrò aiutarvi. – commentò la donna, sorridendo cordialmente verso le due. Per alcuni secondi Bonnie perse il suo sorriso, scrutando la madre attraverso lo specchietto retrovisore posto all’interno dell’auto. Avrebbe avuto molto da ridire riguardo quell’affermazione ma preferì restarsene in silenzio ed annuire distrattamente, ritornando a fissare la strada. Sofia, intanto, sollevò lo sguardo per incrociare gli occhi scuri di Abby.
– Non si preoccupi, non è nulla di importante. – mentì la vampira, sorridendole di rimando – Piuttosto, siete davvero pronte ad affrontare quest’incantesimo? – domandò Sofia, guardandole entrambe.
Abby annuì prontamente prima di lanciare un’occhiata preoccupata alla figlia al volante, vedendo Bonnie annuire a sua volta.
– Prontissima. – constatò la streghetta, sorridendo tranquilla. – A proposito, Sofia. – iniziò a dire Bonnie fermando l’auto nell’ampio giardino della dimora dei Mikaelson. Il suo sguardo scuro si portò sull’amica accanto, fissandola intensamente.
– Ti ricordi quella volta in cui Mikael ti rapì? – domandò la strega e Sofia corrugò la fronte sorpresa, annuendo subito dopo. – Per effettuare l’incantesimo di localizzazione, Elijah mi diede una tua collana. Dimenticai di rimetterla a posto, per cui volevo restituirtela adesso. – affermò la streghetta, piegando le labbra in un leggero sorriso.
– Una collana? – domandò Sofia, incuriosita. Possedeva diverse collane, ma non aveva mai notato la mancanza di nessuna.
– Si, solo che ho apportato una piccolissima modifica. – ammise la strega, infilando una mano all’interno della borsa ed estraendo una sottile catenina dalla quale penzolava un piccolo topazio azzurro. Gli occhi verdi della vampira restarono sorpresi al vederlo lì, maledicendosi per non aver notato prima la mancanza di quella collana. La stessa collana che apparteneva a sua madre, l’unica collana che aveva conservato dal giorno della morte della donna che l’aveva messa al mondo. Piegò le labbra in un sorriso leggermente nervoso.
– Una modifica? – domandò Sofia, raccogliendo delicatamente la collana in una mano ed alternando i suoi occhi tra essa e gli occhi scuri della streghetta lì vicino.
– Funziona come gli anelli di Stefan, Damon e Caroline. Se tutto è andato bene, dovrebbe proteggerti dal sole. O comunque dovrebbe impedirgli di darti tutto quel fastidio. – ammise la strega sorridendole premurosamente. Sofia annuì, infilando la collana in un taschino della giacchetta che indossava.
– Grazie mille, Bonnie. – mormorò la vampira gentilmente, piegando le labbra in un ampio e rosso sorriso. Dopodichè uscirono dalla vettura avviandosi a passi spediti verso l’ingresso dell’enorme casa dei Mikaelson. Abby era sicura di poter incontrare nuovamente lo stesso Mikael che aveva imprigionato tempo prima, e pertanto si sentì percorrere da uno strano brivido. Sperava, almeno, che lui avesse messo da parte i rancori. Si fermarono davanti alla porta d’ingresso permettendo a Sofia di bussare, ma ancor prima che potesse farlo la porta si spalancò. La bionda sussultò sgranando appena gli occhi quando essi caddero sul volto palesemente nervoso ed infastidito di Klaus. Lui la guardò per pochi istanti, mantenendo la fronte corrugata, poi la scostò bruscamente facendosi strada tra loro per superarle ed allontanarsi da quella casa con passo veloce. Anche Bonnie e Abby lo seguirono con occhi sorpresi prima di guardare Sofia ed infine verso l’interno, scorgendo Rebekah, Mikael e Elijah fermi al centro dell’ingresso. Le labbra di Rebekah, o per meglio dire Esther, si piegarono in un morbido sorriso.
– Benvenute, stavamo aspettando proprio voi. Vorreste accomodarvi? – domandò la ragazza cordialmente, avvicinandosi di alcuni passi alla porta. Sofia guardò le due streghe dietro di sé prima di annuire e varcare la soglia. Mikael concentrò il suo sguardo sul volto scuro di Abby, guardandola con un’espressione indecifrabile. Sorrise gelido verso di lei, mettendo da parte i rancori. Sapeva che quella donna era di fondamentale importanza per sua moglie, non le avrebbe tolto nemmeno un capello. E mentre le due streghe scambiavano i loro saluti falsamente cordiali nei confronti dei due genitori lì presenti, gli occhi di Sofia sembrarono incollarsi a quelli scuri di Elijah. Le sembrò di ritornare alla sera prima mentre quell’emozione ritornava a percorrerle interamente il corpo. Piegò le labbra in un sorriso che Elijah ricambiò con un sorriso gelido, mentre si avvicinava a lei di alcuni passi.
– Cos’è successo con Klaus? – domandò lei, vagamente impacciata. Elijah spostò il suo sguardo per alcuni istanti.
– Nulla di importante. – rispose Elijah freddamente, facendo annuire la bionda. Le bastò quella risposta per capire che la rabbia di Klaus era provocata sempre dalla solita cosa: lui non voleva i suoi genitori tra i piedi. Gli occhi verdi di lei si spostarono verso le due streghe e gli altri due vampiri Originali che intanto avevano deciso di avviarsi nella stanza in cui avevano lasciato la bara contenente il vero corpo di Esther. Quando li vide iniziare a muoversi, scrollò le spalle tesa. Era preoccupata per Bonnie, non riuscendo a togliersi dalla testa il pensiero che avrebbe potuto non reggere la forza di quell’incantesimo. Ma proprio mentre ci pensava, sentì una mano appoggiarsi gentilmente alla propria schiena per invogliarla a seguire il resto del gruppo. Gli occhi verdi si sgranarono appena si rese conto che quella mano apparteneva ad Elijah, il quale la sospinse gentilmente verso la sala in cui gli altri si stavano radunando. Anche quel piccolo gesto la fece sussultare, mentre prendeva a muoversi ed a seguire il resto del gruppo. Il lungo tavolo posto al centro del salone era stato spostato verso una parete, lasciando quindi un ampio spazio al centro della stanza. Quest’ultimo veniva occupato dalla bara dal legno scuro, adagiata al suolo ed ancora chiusa, intorno alla quale si formava un cerchio di candele spente. Mikael si fermò non troppo distante da tutto ciò, osservando Rebekah, o comunque la moglie, avvicinarsi tranquillamente alla bara ed aprirla. Bonnie, vicina alla madre, si fermò a guardare ciò che gli stessi Originali avevano preparato in onore dell’incantesimo e deglutì rigidamente. Temeva di non riuscire nell’intento, ma mai l’avrebbe ammesso. Rebekah si riportò eretta ritornando a guardare le due streghe Bennett. La sua espressione era seria, ma ugualmente gentile, mentre scrutava le due donne che le avrebbero permesso di ritornare nel suo corpo e lasciare stare definitivamente quello della figlia.
– Credo voi sappiate già come agire. – disse la bionda Originale, interrompendo l’improvviso silenzio che si era venuto a creare. Bonnie e Abby annuirono quasi nello stesso momento, colme di una certa sicurezza. Il sorriso gentile e cordiale che piegò le labbra di Rebekah apparì quasi inquietante. Mentre quest’ultima si posizionava in piedi nei pressi della bara e veniva raggiunta da Abby, che tramite i suoi poteri aveva permesso alle candele di accendersi tutte nello stesso momento, Bonnie si voltò ad incrociare gli occhi verdi dell’amica ferma sotto la soglia del salone nei pressi di Elijah. Cercò in essi una sorta di appoggio, un appoggio che trovò facilmente nel sorriso che piegò le labbra rosse di Sofia. Le fece capire, in quel modo, che credeva in lei e che sapeva benissimo che ce l’avrebbe fatta. La streghetta annuì e sorrise di rimando avvicinandosi alla madre.
– Ricordi tutto perfettamente, vero? – domandò Abby alla figlia, vedendola assentire lentamente.
– Concentrati su di loro. – sussurrò Abby, guardando intensamente Bonnie – Concentrati su Rebekah e poi su Esther. – continuò. Per un attimo temette di aver errato i nomi, ma quando nessuno sembrò correggerla capì di averli rammentati nella maniera giusta.
La stessa Abby sollevò le sue mani afferrando delicatamente quelle della figlia e cingendole morbidamente, in quell’unico contatto fisico che le avrebbe permesso di trasmetterle abbastanza potere durante tutto l’incantesimo. Che Bonnie potesse non reggerlo era una delle sue paure, ma volette credere nelle capacità della figlia. Bonnie annuì, sospirò ed infine socchiuse gli occhi poco prima della madre. Quando le labbra delle streghe Bennett si schiusero permettendo a quelle strane, antiche ed incomprensibili parole di fuoriuscire, gli occhi di Sofia, Elijah e Mikael si concentrarono su di loro.
Elijah teneva la fronte aggrottata, una mano nascosta all’interno di una tasca dell’elegante giacca che indossava e l’altra si era comodamente appoggiata ad una spalla di Sofia in un gesto quasi involontario. Sebbene cercasse di non darlo a vedere, agli occhi della biondina imbarazzata che aveva al suo fianco, quell’espressione nascondeva qualcosa. Qualcosa che Elijah non voleva dirle. Lei serrò la mascella mentre lo fissava spudoratamente, costringendo l’Originale a virare curiosamente lo sguardo verso di lei.
– Possiamo andare da un’altra parte ad attendere che l’incantesimo finisca, se non ti va di restare qui. – sussurrò lui, e lei scosse bruscamente il capo ritornando con gli occhi verdi sulla figura di Bonnie. Mikael riuscì a sentirli, o almeno sentì Elijah parlare, e quasi incuriosito voltò i suoi occhi gelidi a fissarli per alcuni istanti prima di ritornare a guardare la scena.
Nel frattempo, le fiammelle delle candele si agitarono vorticosamente. La luce artificiale accesa in alto nel salone, iniziò a spegnersi e riaccedendersi ripetutamente. Bonnie strinse maggiormente le mani della madre cercando di incalanare il potere dalle fiamme e di contare sulla forza di quell’elemento senza dipendere troppo da Abby, come una buona strega dovrebbe fare. Il viso di Rebekah si corrugò improvvisamente quand’ella avvertì una sorta di scossa percorrerle il corpo. Fu una sensazione veloce, prima che la sua mente si spegnesse. La luce ritornò stabile, le Bennett smisero di pronunciare quelle incomprensibili parole, le candele si spensero e Rebekah cadde al suolo priva di sensi. Solo in quel momento Elijah scostò la sua mano dalla spalla della bionda e si mosse a passi veloci verso la sorella, superando il cerchio di candele, ormai consumate e spente, e perfino le streghe Bennett. Anche Mikael si mosse, lasciando ad Elijah il compito di prendersi cura di Rebekah ed avvicinandosi al corpo della moglie ancora adagiato all’interno della bara. Sofia, di conseguenza, si avvicinò all’amica strega.
– Bonnie, stai bene? – le domandò prontamente guidandola, insieme alla madre, all’esterno del cerchio. Bonnie riaprì gli occhi ed assentì, piegando le labbra in un sorriso.
– Ce l’ho fatta. – mormorò la streghetta, tradendo un pizzico di felicità. Anche Sofia, insieme ad Abby, sorrise a quell’affermazione.
– Sapevo che ce l’avresti fatta. – le disse, sicura, carezzandole morbidamente una spalla. Dopodichè i suoi occhi verdi saettarono verso Abby, decisamente molto più in salute rispetto alla figlia. – C’è il divano di là, potete riposarvi lì. – commentò Sofia usufruendo di un’espressione seria. Abby annuì, aiutando Bonnie a camminare verso l’altra stanza in cui avrebbero potuto trovare il divano. Sofia le seguì con lo sguardo per poco, prima di voltarsi verso Elijah ed avvicinarsi a lui. Lo vide raccogliere delicatamente la sorella, come fosse una principessa.
– Sta bene? – gli domandò prontamente. Elijah le lanciò un’occhiata fugace, prima di spostare i suoi occhi scuri sul volto ancora dormiente della madre.
– Lo spero. – sussurrò lui semplicemente. Mikael guardò il figlio e mosse il capo in un cenno, per fargli chiaramente capire di badare a sua sorella. Quando Elijah iniziò a muoversi, Sofia lo seguì varcando la soglia della porta del salone ed avvicinandosi sempre di più alle scale. Lo vide iniziare a salire probabilmente diretto verso la camera di Rebekah, ma lei si fermò proprio al primo scalino.
– Avviso un secondo Bonnie e sua madre, ti raggiungo fra poco. – gli disse Sofia, fissandolo dal basso. Elijah si fermò per alcuni istanti al centro della scalinata, virando il capo indietro per quanto poteva. Annuì, piegando le labbra in un mezzo sorriso gelido, prima di riprendere a salire e raggiungere definitivamente il piano di sopra. Sofia si mosse velocemente raggiungendo l’altra enorme stanza in cui riuscì a vedere Bonnie e Abby sedute comodamente su un elegante divano, intente a riposare. Si avvicinò a loro con passi incerti, sollevando le mani e stringendosele al petto.
– Io resterò qui un altro po’, se volete ritornare a casa. State bene? – disse Sofia interrompendo il silenzio che era nato tra le due. Abby annuì, guardando poi Bonnie che assentì debolmente con la testa. Quando Sofia piegò le labbra in un morbido sorriso, le due Bennett si portarono in piedi. Bonnie si avvicinò alla bionda guardandola con un sorriso amichevole.
– Ti ringrazio, Bonnie. – commentò Sofia. Bonnie scosse piano il capo, prima che si abbracciassero in una maniera veloce. Il fatto che Bonnie l’avesse definitivamente perdonata, fece nascere in Sofia una sorta di emozione. Si scostò da lei portando il suo sguardo su Abby.
– La ringrazio, signora Bennett. – mormorò verso di lei, ed anche Abby scosse il capo in risposta. Dopodichè si allontanarono dalla casa. Erano arrivate fin lì per aiutare Esther a ritornare nel suo corpo, il loro compito era terminato. Sofia le seguì fino alla porta d’ingresso prima di salutarle definitivamente. Richiuse lei stessa la porta della casa e si voltò, accorgendosi che Esther e Mikael sembrarono spariti dalla sala. Si guardò intorno curiosamente ma percepì nient’altro che silenzio. Per cui si mosse velocemente verso le scale salendole frettolosamente per raggiungere il piano di sopra. Il corridoio che si aprì davanti a lei, ornato da porte chiuse ai lati, la costrinse a cercare Elijah e Rebekah dall’odore che lui si era portato indietro. Fu in quel modo che ci mise davvero poco a ritrovarlo. Si avvicinò alla porta socchiusa di una delle prime stanze dentro la quale sentiva una sorta di strozzato singhiozzare. Una delle sue mani si era sollevata pronta ad aprire definitivamente la porta, ma qualcosa dentro di lei le disse di non farlo. Di restare fuori dagli affari di quella famiglia, di restare in quel corridoio ad attendere un eventuale ritorno di Elijah. Indietreggiò di un paio di silenziosi passi, appiattendosi definitivamente con la schiena contro la parete accanto. Da lì fuori, riuscì a sentire Rebekah parlare, o comunque provarci mentre quei singhiozzi le strozzavano le parole, e cercare conforto nelle braccia del fratello. Sentì Elijah assentire, cercare in qualche modo di fare la parte del bravo fratello maggiore e di confortarla per quel che gli riusciva. Sofia, lì fuori, appoggiò la nuca alla parete corrugando la fronte. Si pentì, in quel momento, di aver dato troppa importanza agli spettri e ai loro tormenti, tanto da aver dimenticato che una delle vittime era proprio Rebekah. Aveva sempre pensato che la vampira fosse d’accordo sul prestare il suo corpo alla madre fino a quando non avrebbero risolto il problema del corpo di Esther, ma da quel che stava sentendo sembrava esattamente l’opposto. Gli occhi verdi di Sofia puntavano verso un punto indefinito del corridoio quando sentì una sorta di stretta al cuore, quello stesso cuore ormai morto da tempo, e istintivamente sollevò una mano a carezzarsi il petto. D’un tratto Rebekah smise di parlare, dalla stanza provenivano soltanto singhiozzi ovattati, e Sofia sussultò quando sentì improvvisamente la porta scricchiolare ed aprirsi. Elijah corrugò la fronte sorpreso di vederla lì fuori ferma come un’estranea. La guardò dubbioso per alcuni istanti prima di richiudersi la porta alle spalle.
– Sta bene? – domandò lei, scostandosi dalla parete e fissando l’Originale lì nei pressi. Quest’ultimo scosse il capo, distogliendo lo sguardo. Solo in quel momento Sofia corrugò maggiormente la fronte.
– Cosa c’è che non va, Elijah? – domandò ulteriormente lei. Per un istante, un piccolissimo istante, nella sua testa si fece spazio l’idea che quell’improvviso malessere e disagio del vampiro potesse dipendere dal loro bacio della sera precedente.
– Nulla, perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? – chiese lui freddamente ritornando a guardarla, immergendo i suoi occhi neri in quelli verdi di lei. Era una sfida, quella di guardarla direttamente negli occhi. Lei più di tutti sapeva scavare a fondo nell’oblio di quello sguardo per leggerne i reali pensieri. Sofia deglutì, in qualche modo intimorita da ciò che lui stava cercando di nasconderle.
– Stai mentendo. – gli disse lei, sinceramente convinta. L’espressione si fece quasi più dura. Elijah sembrò restare stupito da quelle parole, piegò le labbra in un sorriso divertito e distolse lo sguardo per alcuni istanti prima di ritornare a guardarla.
– Mi stai dando del bugiardo? – le domandò, falsamente incuriosito. Sofia scosse il capo.
– Sto solo dicendo che mi stai nascondendo la verità. E non è solo ora, anche ieri lo hai fatto. – pronunciò lei, fissandolo con un’espressione dura. Tralasciò il motivo per cui non si era preoccupata il giorno prima di quel senso di disagio che Elijah si stava portando dietro, e capì in quel momento che non poteva dipendere dal loro bacio. L’Originale perse nuovamente il suo sorriso, passandosi distrattamente la lingua sulle labbra.
– Non voglio parlarne. Non ora. Non qui. – sentenziò lui gelidamente, regalandole un’occhiata autoritaria. Sofia corrugò la fronte a quell’affermazione. Stava per obiettare ulteriormente quando una mano di Elijah si sollevò raccogliendo il viso di lei nel suo palmo. D’un tratto, l’espressione dura e la voglia di sapere che erano in lei andarono sciogliendosi, quando i suoi occhi entrarono davvero in contatto con quelli di Elijah. Sentì il desiderio di baciarlo, di nuovo, come la sera prima. Un desiderio che l’Originale sembrò ricambiare, dandone dimostrazione nel momento in cui si chinò col viso verso di lei appoggiando le sue labbra a quelle rosse di lei. Quasi istintivamente, Sofia socchiuse gli occhi sollevando una mano a carezzare il dorso di quella di lui che ancora le teneva il viso. Ma fu un bacio veloce, un bacio che diede giusto il tempo di farsi sentire prima di interrompersi. Lui si ritirò, riaprendo gli occhi a guardarla da quella breve distanza, avvertendo un’inspiegabile sensazione di relax salirgli dentro. La fissò in silenzio per alcuni istanti, prima di far scivolare la sua mano lontana dal suo viso.
– Forse dovresti ritornare a casa adesso. – le sussurrò lui. Sofia tenne i suoi occhi fermi in quelli dell’Originale, godendosi le meravigliose sensazioni che ogni suo tocco, ogni loro scambio di sguardi e ogni suo bacio riuscivano a portarle dentro. Annuì debolmente, lanciando un’ultima occhiata al legno della porta chiusa che dava direttamente alla camera di Rebekah.
– Vieni, ti accompagno io. – continuò Elijah, invogliandola a muoversi.
L’ultimo pensiero che balenò nella testa di Sofia riguardò la sua scarsa utilità in quella casa, avuta quel giorno. Era rimasta lì per aiutare Rebekah, e non era riuscita a farlo. Avrebbe voluto essere con Bonnie e non era riuscita nemmeno in quello. Ma la cosa positiva, la cosa che le permise di sentire una sorta di sollievo, fu il pensiero che si stavano sempre più avvicinando alla risoluzione dei loro problemi.
 
Erano rimasti in silenzio durante tutto il viaggio. In onore dei vecchi momenti trascorsi a Firenze, sotto il buio della notte appena giunta, Elijah e Sofia avevano deciso di raggiungere la casa di lei a piedi. Elijah aveva mantenuto un passo elegante durante tutto il tragitto e, per un motivo che la bionda ignorava, aveva evitato l’argomento chiuso precedentemente nel corridoio alla dimora dei Mikaelson.
– Mi dispiace per Rebekah. – ammise la vampira, alternando lo sguardo tra il lungo marciapiede che stavano percorrendo e il profilo perfetto che Elijah le stava freddamente donando. L’Originale annuì distrattamente.
– Si riprenderà. – sussurrò lui, mentre le faceva varcare il piccolo cancelletto del giardino della casa di lei, percorrendo subito dopo il piccolo sentiero che li guidava alla porta ed infine raggiungendo quest’ultima. La bionda sospirò debolmente mentre apriva la porta della casa, inoltrandosi in essa. Premette l’interruttore per illuminare il salotto spoglio e permise anche all’Originale di seguirla verso l’interno. Fu lui a richiudere la porta mentre lei si privava di quell’inutile giacchetta riponendola sullo schienale del divano ed avviandosi a passi spediti verso la cucina. Elijah la seguì con lo sguardo in ogni piccolo movimento, avanzando di altri passi per il salone. Si guardò intorno distrattamente facendo scorrere i polpastrelli di una mano sul tessuto morbido dello schienale di una poltroncina. Sentì Sofia prepararsi da mangiare come ogni volta che tornava a casa, armeggiare con bicchieri e bottigline. Attese che lei consumasse la sua cena, prima di sollevare gli occhi scuri e puntarli sulla figura della bionda oltre il bancone della cucina. La vide appoggiare il bicchiere ormai vuoto del suo sangue sulla superficie del bancone, mentre ricambiava il suo sguardo con un’espressione assorta, compiaciuta, probabilmente soddisfatta di essersi appena nutrita. Ed in effetti Elijah riusciva a leggerglielo in faccia, sebbene lei cercasse in tutti i modi di nasconderlo, quale elevata soddisfazione lei riuscisse a provare nel momento in cui si nutriva. Era perfettamente una vampira. L’Originale si scostò dalla poltroncina, superandola ma mantenendosi comunque di fronte alla vampira.
– Mia madre potrebbe aver organizzato tutta questa storia dei fantasmi. – disse lui improvvisamente, fissando l’altra con un’espressione seria. Sofia corrugò la fronte perplessa e sconvolta, non aspettandosi una simile rivelazione.
– A detta della madre della tua amica Bonnie, se mia madre può davvero riportare i fantasmi nel loro mondo è perché è stata lei stessa a richiamarli. – continuò lui, sostenendo facilmente lo sguardo confuso della vampira. Sofia si mosse dal bancone per uscire dalla cucina ed avvicinarsi ulteriormente ad Elijah.
– Non potrebbe semplicemente essere forte? – domandò lei. Capiva ben poco di magia, ma pensava semplicemente che la madre di Elijah potesse affrontare un incantesimo del genere solo perché esageratamente potente. L’Originale distolse lo sguardo da lei, fissando un punto indefinito della stanza.
– E’ un incantesimo potente. Può essere attivato da un’unica strega, ed annullato sempre dalla stessa. Non vi è altra strega che potrebbe, in quel caso. – rispose lui, ritornando a guardarla. Sofia mantenne la fronte corrugata per dimostrare quanto fosse sorpresa, confusa e perplessa. Si mosse sul posto passandosi distrattamente una mano nei capelli biondi, battendo velocemente e continuamente le palpebre nel vano tentativo di allontanare quei pensieri. Era strano perfino per lei venire a conoscenza di una cosa del genere, e non riusciva ad immaginare come potesse sentirsi Elijah. Si voltò nuovamente verso di lui.
– Magari potrebbe essere stato un errore. Magari è ritornata in vita, si è portata dietro qualche fantasma e solo lei può allontanarli perché sono tra di noi solo per colpa sua. Non deve essere stata per forza lei direttamente. – spiegò la vampira, agitando le braccia in maniera confusionaria. Elijah la guardò ed annuì debolmente col capo. Una parte di lui voleva credere tutto questo. Non riusciva nemmeno a pensare che sua madre avesse potuto scatenare una cosa del genere. Sofia lo guardò a lungo, cercando nei suoi occhi una qualsiasi reazione. E alla fine Elijah piegò le labbra in un sorriso, appoggiandosi ancora una volta con una mano allo schienale della poltroncina nei suoi pressi, per puro gesto involontario.
– Alla fine hai saputo quello che volevi sapere. – affermò lui, sorridendole. Sofia sorrise di rimando.
– Vedrai che non è come pensi, che tua madre non sta facendo altro che aiutarti. – sussurrò lei, facendolo annuire.
– Vedremo. Adesso va a prepararti, ti aspetto qui. – le disse Elijah, allargando le braccia per indicare platealmente le poltrone del salotto. Lei piegò le labbra in un sorriso più ampio, annuendo distrattamente e vedendolo accomodarsi elegantemente sul grande divano. Si voltò lentamente avviandosi verso la sua camera da letto, aprendone la porta ed entrandovi all’interno. Ma quando fu all’interno, un piccolo particolare attirò la sua attenzione. Il viso pallido di lei perse il suo sorriso mentre gli occhi verdi si muovevano per la stanza indagando. Un odore familiare le aveva invaso il naso, un odore che sapeva di vampiro. Entrò all’interno con passi titubanti mentre si guardava intorno. La fronte si corrugò quando riuscì a riconoscere quell’odore, quando capì a chi appartenesse. Era di Stefan, ed era un odore nitido. Un odore che si concentrava nei pressi del grande armadio della stanza. Stefan era stato lì, non molto tempo prima. Il fratello minore dei Salvatore era stato in quella casa, mentre lei non c’era.
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Note dell'autrice:
Salve!
Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo ed a postarlo. :3 A me, come al solito, non convince molto. Sto un po' accelerando i tempi per questa cosa degli incantesimi, vanno fatti. Ma non preoccupatevi, poi ci saranno altre cose che i nostri protagonisti dovranno affrontare. u.u E Elijah? Non sto uscendo troppo dal personaggio, vero!? >.< Mi farebbe piacere sapere vostri commenti al riguardo, e un commentino veloce su tutte le restanti caratterizzazioni. :3 Insomma, siamo al tredicesimo capitolo. >w<
Ma detto questo, termino coi soliti ringraziamenti <3
Ringrazio elyforgotten, Ria_27 e Iansom per aver recensito il capitolo precedente. E ringrazio anche meiousetsuna e TheSensitiveGirl94 che stanno leggendo e recensendo i capitoli poco alla volta, grazie! <3
Inoltre ringrazio le sette persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite, le due persone che l'hanno aggiunta tra le ricordate e le venti persone che l'hanno aggiunta tra le seguite!

Infine, per coloro che hanno Facebook (suppongo tutti v.v) vorrei chiedervi qualche piccolo semplicissimo favore.
Pagina Facebook - Questa è la mia pagina facebook. :3 Diciamo che è più un passatempo che altro, se vi va di seguirmi anche qui, basta un mi piace!
Immagine Concorso - Quest'immagine l'ho fatta io, appunto per questo concorso. Mi farebbe moltissimo piacere se voi mi lasciaste un 'mi piace' (un voto) a questa foto. :D E' per vincere, ecco. u.u

Credo di aver detto tutto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

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Capitolo 14
*** La messa nera. ***



Rabbia. Collera. Fastidio. Delusione.
Erano tutte emozioni che andavano mescolandosi dentro di lei al pensiero che Stefan aveva realmente letto quelle lettere, scoprendo in quel modo pensieri che lei stessa cercava di nascondere perfino ad Elijah. E ciò non faceva altro che alimentare il suo disagio e il suo stress. Non le bastavano i fantasmi, i sensi di colpa, un passato che in qualunque caso continuava a perseguitarla. Doveva anche affrontare quelli che reputava i suoi amici, probabilmente i suoi primissimi amici.
Richiuse l’armadietto con un colpo secco, estremamente nervoso, stringendo al petto il libro di matematica dal quale avrebbe dovuto studiare per la lezione che veniva subito dopo il pranzo. La mano usata per chiudere l’armadietto scivolò lungo la superficie dello stesso, prima di spostarsi e cingere morbidamente con le sue dita il piccolo ciondolo penzolante dal collo di lei. Aveva indossato la collana di sua madre, quella trasformata da Bonnie in un talismano che avrebbe dovuto proteggerla dal sole, e sebbene si sentisse estremamente su di giri aveva comunque notato che il sole non era più fastidioso come prima. Si voltò lentamente mantenendo quell’espressione corrucciata, incrociando gli sguardi disattenti di alcuni studenti della scuola che si preoccupavano di raggiungere frettolosamente i loro amici per consumare il pranzo. Pensò, per pochi secondi, che probabilmente anche lei avrebbe dovuto farlo; ma non voleva farlo. Strinse maggiormente il libro al petto e sospirò sonoramente, socchiudendo gli occhi per pochi istanti. Pensava davvero che in quel modo potesse alleviare la tensione che le stava crescendo dentro, ma si rese presto conto che perfino quel metodo appariva totalmente inutile. Riaprì gli occhi e si voltò per dirigersi verso un ipotetico posto isolato della scuola che avrebbe dovuto cercare, per sfogare i suoi problemi nella matematica, ma finì col bloccarsi ritrovandosi improvvisamente davanti Matt e Stefan. Sofia si paralizzò sgranando appena gli occhi sorpresa, notando immediatamente il sorriso cordiale che piegava le labbra dei due ragazzi.
– Ehi ciao! – esclamò Matt per primo, sistemandosi lo zaino su una spalla – Elena e le altre ci aspettano fuori per il pranzo, vieni anche tu? – domandò il quaterback.
Gli occhi verdi della bionda si soffermarono sul Donovan per pochi istanti, schiudendo appena le labbra per la sorpresa. Ma il suo sguardo si spostò lentamente verso il viso apparentemente tranquillo di Stefan, ancora in silenzio. Quello che turbava lei non sembrava essere un problema di lui, e la cosa la infastidiva maggiormente. Richiuse le labbra, cercando di contenere le emozioni troppo forti e violente che le crescevano dentro, e scosse il capo freddamente ritornando a guardare Matt.
– Per questa volta passo. Godetevi pure il pranzo. – rispose lei con un cenno del capo nervoso mentre si voltava intenzionata ad allontanarsi da lì.
Stefan corrugò la fronte insieme a Matt, mentre si donavano sguardi perplessi che ritornavano puntualmente sulla figura della bionda che si allontanava. Stefan fu percosso da uno strano presentimento e fece segno a Matt di iniziare a dirigersi verso gli altri. Quando fu sicuro che il quaterback non l’avrebbe seguito, avanzò con ampie falcate avvicinandosi alla bionda in pochissimo tempo. Le cinse gentilmente una spalla costringendola a fermarsi ed a voltarsi subito dopo.
– C’è qualcosa che non va? – le domandò prontamente il fratello minore dei Salvatore, con quella sua aria interrogativa. Sofia lo fissò con astio premendo maggiormente il libro al petto, sino a piegarlo leggermente sotto la sua forza sovrannaturale, stringendo le labbra come se in qualche modo stesse cercando di non dare troppo a vedere il suo stato d’animo.
– Dovrebbe? – chiese la bionda di rimando, sottraendosi a quella presa del vampiro. Stefan la guardò preoccupato. Dopo aver letto il contenuto di alcune di quelle lettere, aveva iniziato a sentirsi irrimediabilmente simile a lei, aveva capito di riuscire a capirla molto più di prima, ed inspiegabilmente ogni minima cosa lo portava a preoccuparsi. Perfino in quel momento.
– Non saprei, mi sembri strana. – commentò Stefan, alquanto incerto. Lei sorrise freddamente, sebbene si sforzasse a farlo.
– Se per strana intendi offesa e delusa, allora si. Oggi sono proprio strana. – ribatté lei, con un’espressione adirata. Stefan sembrò irrigidirsi, come se una parte di lui temesse il motivo per cui lei reagiva in quel modo. Schiuse le labbra consumando il vano tentativo di voler spiccicare parola, ma tutto ciò che uscì dalla bocca del Salvatore fu un verso sommesso privo di significato.
– Spero almeno tu abbia motivazioni adeguate per averlo fatto, perché pretendo di sentirle. – continuò lei, battendo le palpebre più volte per allontanare quel continuo pizzicare negli occhi. Stefan alimentò la sua presa sull’appiglio che lo zaino aveva sulla sua stessa spalla, sentendosi improvvisamente sotto pressione. Si guardò intorno più volte prima di ritornare a guardarla. Una parte di lui sapeva benissimo a cosa lei si stesse riferendo, l’altra non voleva credere che lei l’avesse scoperto. Ignorava totalmente che lei avesse potuto sentirlo a causa dell’odore che lui si lasciava dietro. Ma restava in silenzio, privo di adeguate parole da pronunciare in quella situazione.
Sofia strinse le labbra, corrugando la fronte in un misto di rabbia e dispiacere, mentre fissava quel silenzioso Stefan che aveva davanti a sé.
– Non è come pensi. – mormorò il fratello minore dei Salvatore, in un sussurro appena percettibile che lei riuscì a sentire facilmente grazie alle sue capacità sviluppate. La bionda deglutì spostando lo sguardo dal volto del vampiro.
– No, Stefan, io non so proprio cosa pensare. – iniziò a dire lei, riportando i suoi occhi verdi sul volto dispiaciuto del vampiro – Odio quello che hai fatto, e non ti nascondo che vorrei prenderti a pugni in questo momento pur di cancellartelo dalla testa. – ammise la bionda, sebbene nel tono di voce sembrasse molto più dispiaciuta che minacciosa.
– No, Sofia. Mi dispiace, va bene? Non avrei mai dovuto farlo, ma non ero lì per quello. Senti, ti spiegherò tutto. Ma non qui, andiamo da qualche altra parte. – disse Stefan avanzando di un nuovo passo verso di lei e fissandola con occhi premurosi, dispiaciuti, buoni e compassionevoli. C’era qualcosa in quello sguardo che la portava a leggere compassione. Lo guardò, schiudendo leggermente le labbra e non nascondendo quegli occhi verdi leggermente lucidi. Lentamente, allentò le strette che aveva impresso sul libro di matematica ormai sgualcito e, poco dopo, si allontanò dal corridoio affollato insieme a Stefan.
 
La casa si popolava sempre di più, ma c’era sempre quell’amabile silenzio a fargli da padrone. Per Elijah, che aveva appena fatto il suo ingresso in casa, era qualcosa di irrimediabilmente divino rispetto al caos che la presenza di suo padre e di Klaus avrebbe portato. Si guardò intorno con aria interrogativa, sapendo benissimo chi doveva trovare, e richiuse la porta d’ingresso alle sue spalle avanzando verso l’interno. Con quel silenzio, riusciva perfettamente a sentire il respiro equilibrato di sua madre e ci mise davvero poco ad individuare la sua locazione. Si voltò verso il salone ed avanzò con passi eleganti in esso scorgendo la chioma bionda di sua madre che sporgeva dalla poltrona. Esther, seduta su quest’ultima, sollevò appena il capo allontanando lo sguardo dalla tazza dalla quale stava silenziosamente sorseggiando il suo caffè, quando si rese conto dell’ingresso di Elijah. L’Originale si avvicinò lentamente alla poltrona, appoggiando una mano sul suo schienale una volta raggiunta ed abbassando i suoi occhi scuri e freddi sul volto della madre che, intanto, si era sollevato verso di lui.
– Va tutto bene, madre? – domandò con un sussurro pacato. Esther annuì distrattamente, sollevandosi in piedi subito dopo. Si allontanò dalla poltrona avvicinandosi al tavolino più vicino sopra il quale appoggiò morbidamente la tazza ancora piena.
– So già perché sei qui, Elijah. – disse la strega voltandosi lentamente verso il figlio. Elijah, fermo nei pressi della poltrona, la guardò apparentemente tranquillo. Nascondere tutto ciò che lo turbava era uno dei suoi migliori trucchetti.
– Farò oggi stesso l’incantesimo. Credo di aver recuperato abbastanza forze per attuarlo, ed il vostro problema sarà definitivamente risolto. – continuò Esther, portando i suoi occhi in quelli del figlio. Elijah la fissò a lungo, poi scosse il capo.
– Non è per questo che sono qui. Avevo bisogno di parlarti. – rispose l’Originale – So che sei stata tu a richiamare i fantasmi. – continuò.
Esther parve irrigidirsi a quelle parole. Era già consapevole che suo figlio Elijah non era uno stupido, e che presto l’avrebbe capito, ma cercò ugualmente di nascondere il suo turbamento.
– Saprai anche che era fondamentale. – affermò la strega, restando nei pressi del tavolo. Elijah si scostò dalla poltrona sollevando la mano che aveva dapprima appoggiato sullo schienale dell’oggetto, e gesticolando con essa distrattamente. La sua espressione si fece sarcasticamente confusa.
– Mi spieghi come una cosa che può mettere a rischio milioni di persone possa essere fondamentale? – domandò lui, infilando l’altra mano all’interno di una tasca dell’elegante giacca scura che indossava. Esther abbassò il capo per pochi istanti prima di ritornare a sostenere con forza lo sguardo del figlio.
– Se avesse messo a rischio milioni di persone, non l’avrei fatto. Conosco perfettamente le persone messe a rischio per questo motivo. – commentò Esther, tenendo quell’espressione seria. Elijah si irrigidì, guardandola sorpreso e maggiormente confuso. La sua mano, quella che aveva sollevato per gesticolare, cadde nuovamente lungo il rispettivo fianco.
– Cosa? – domandò, sbigottito. Esther avanzò di un unico passo.
– Ho scelto io le persone da colpire, ho scelto io i fantasmi da fare entrare in atto. – continuò Esther, con tono neutro. Elijah corrugò la fronte, avanzando di qualche passo verso la madre.
– Come hai potuto fare una cosa del genere? – domandò lui, avanzando di altri passi sino a ritrovarsi minacciosamente davanti a lei. Era la madre, la donna che lo aveva messo al mondo, la donna che lo aveva reso immortale e la donna che era morta per molto tempo. Ma davanti a quella rivelazione, qualunque cosa dentro Elijah gli diceva di scattare verso di lei ed azzannarla. Esther non temette in alcun modo una reazione da parte del figlio, ma sorrise gentilmente cercando di calmarlo.
– Non preoccuparti, Elijah. Capisco perfettamente quale sia la cosa che ti turba, e posso assicurarti che non permetterò a nessuno di farle del male. Io e te vogliamo la stessa cosa, figlio mio. – mormorò Esther premurosamente, sollevando una mano ed appoggiandone il palmo contro una guancia del figlio. Un gesto che irrigidì il vampiro. Si paralizzò per alcuni istanti, prima che lui stesso decidesse di sottrarsi a quel tocco.
– Eppure non hai esitato a metterla in pericolo. Ha rischiato la vita più volte, e tuttora la sta rischiando. – stava dicendo lui, ma Esther lo interruppe.
– Lo so. Ed è per questo che risolverò questo problema oggi stesso. – commentò Esther. Elijah scosse debolmente il capo.
– Preparerò l’incantesimo, tu nel frattempo vai da lei. Ogni secondo che passa, gli spettri diventano sempre più forti. E’ un bene che tu le sia vicino il più possibile. – continuò la strega, ignorando platealmente il ringhio che fuoriuscì dalle labbra del figlio. Quando Esther si rese conto della collera che dipingeva il viso di Elijah, lo guardò con dolcezza.
– Ho bisogno del tuo aiuto, Elijah. Sei il migliore dei miei figli, non deludermi anche tu. – gli chiese. Elijah sollevò anche l’altra mano e la infilò all’interno della tasca della giacca, fissando la madre con astio.
– Ti aiuterò, ma non per te. Lo farò solo per lei. – affermò il vampiro, iniziando lentamente a voltarsi verso l’ingresso. Avanzò verso esso di un paio di passi prima di fermarsi e guardare la madre per altri pochi istanti, ancora inferocito. – Sarò anche il migliore dei tuoi figli, ma tu non hai in alcun modo dimostrato di essere la migliore delle madri. – le disse, diretto e pungente come una lama, prima di abbandonare una volta per tutte la casa e la sua stessa madre.
 
Quando Stefan aveva smesso di parlare, Sofia aveva abbassato lo sguardo sul libro di matematica che aveva adagiato sulle sue stesse gambe. Piegava distrattamente un angolo della pagina aperta del libro senza preoccuparsi di rovinarlo, si preoccupava soltanto di ciò che il più piccolo dei Salvatore le aveva appena rivelato. Stefan la guardava, cercando di scorgere eventuali reazioni in lei, ma tutto ciò che lesse fu ulteriore dispiacere e delusione. D’un tratto lei sollevò lo sguardo, restando seduta su uno degli spalti al fianco del vampiro, e cercò lo sguardo di lui.
– Io non so perché i paletti non mi uccidono. Non so perché…sono così diversa da voi. Ma questo non vuol dire che io sia una minaccia. – disse lei con un fil di voce. Stefan scosse immediatamente il capo.
– Io lo so, Sofia. Ed anche Elena lo sa, ma avevo bisogno di una qualche prova che potesse convincere anche Damon. Lui è mio fratello, e lo conosco meglio di chiunque altro. So quanto sia impulsivo, testardo e paranoico. Soprattutto quando si tratta di Elena. – spiegò ancora Stefan, appoggiando una mano sulla spalla più vicina di lei – Lui cerca di proteggerla, qualsiasi cosa pensi di te non lo fa con cattive intenzioni. Vuole soltanto che lei sia al sicuro perché…la ama. – continuò il Salvatore, sebbene il suo tono divenne più debole nel pronunciare le ultime parole. Non era ancora riuscito ad accettare quel forte sentimento che suo fratello aveva iniziato a provare per la sua ragazza, proprio come con Katherine. Sofia annuì nel sentire quelle parole.
– Lo so. – disse, spostando lo sguardo – Lo avevo capito. Ho passato molto tempo della mia vita a guardare le persone. Questo mi ha permesso di imparare a capire tutto dei loro gesti. E qualsiasi cosa faccia Damon, qualsiasi sguardo posi su Elena, dimostra l’amore che prova nei suoi confronti. Proprio come te. – commentò lei, sollevando lo sguardo verso il cielo. Istintivamente, sollevò una mano a carezzarsi il topazio blu al collo per accertarsi di averlo ancora. Poteva sentire il sole, sebbene non fosse piacevolmente caldo, poteva convivere con quella luce senza che essa le facesse del male.
Stefan, al sentire quelle parole, calò lo sguardo nascondendo il suo disagio, prima di risollevarlo per guardarla.
– Comunque, ti capisco perfettamente. – iniziò a dire lui, spostando lo sguardo verso il campo di football in quel momento vuoto. – Capisco quello che senti e perché tieni quelle lettere. Io conservo i nomi delle mie vittime, da molto tempo. – sussurrò lui, senza guardarla. Sofia lo fissò con uno sguardo colmo di dispiacere e compassione.
– Mi dispiace. – mormorò, costringendo il vampiro a voltare i suoi occhi verso di lei.
– Per cosa? – le domandò Stefan, confuso.
– Per aver reagito in quel modo prima. Io…mi dispiace, ecco. Avrei dovuto capirlo che non avevi cattive intenzioni. Sei mio amico, dopotutto. Ed io mi fido di te. E’ solo che sono così…stressata ultimamente per questa storia dei fantasmi. – continuò lei chinandosi col busto ed appoggiando i gomiti sul libro messo sulle sue stesse ginocchia. Si mise la testa tra le mani premendo i capelli biondi sotto i palmi.
– Ed a volte penso che se non ci fosse Elijah, non riuscirei a superare tutto questo. – sussurrò ulteriormente, socchiudendo gli occhi. Stefan piegò le labbra in un sorriso, istintivamente.
– Vedrai che andrà tutto bene, Sofia. Perché ho visto abbastanza da poter dire che qualsiasi cosa faccia Elijah, lo fa per proteggere te. – confermò il vampiro, sorridendole gentilmente. Lei sollevò nuovamente il viso ricambiando lo sguardo dell’amico e sorrise di rimando.
Ma il suo sorriso durò ben poco. Presto la sua espressione rilassata e contenta lasciò spazio alla paura. Si sollevò di scatto in piedi indietreggiando verso l’estremità degli spalti lasciando Stefan confuso.
– Sofia, che ti prende? – le domandò prontamente, sentendo il rumore provocato dal libro di lei che le era caduto dalle ginocchia nello stesso momento in cui lei si era portata in piedi.
Gli occhi verdi e sgranati della vampira si tenevano fissi su una figura posta nei pressi dell’altra estremità degli spalti. Quella figura alta, longilinea, minacciosa. Quando Stefan si rese conto che Sofia stava fissando un punto in particolare, si voltò. Riuscì immediatamente a vedere la figura di Margaret ferma sugli spalti, non molto distante da loro, e si paralizzò comprendendo subito il timore della bionda. La prima cosa che gli venne da pensare fu Bonnie, doveva assolutamente chiamare Bonnie.
– No… – mormorò Sofia. Margaret la guardava con quegli occhi inquisitori, la fissava con odio e desiderio di ucciderla.
– Hai ucciso mia figlia. – sussurrò lo spettro, ma quelle parole giunsero direttamente alle orecchie dei due vampiri come fossero sussurrate dal vento. Poi accadde tutto velocemente: Margaret era sparita e riapparsa proprio nei pressi della bionda, frapponendosi fra Stefan e la vampira. Gli occhi del minore dei Salvatore si sgranarono quando vide Margaret sollevare le mani velocemente verso la bionda, e subito dopo Sofia precipitò indietro.
– No! – riuscì a gridare lui.
Margaret scomparve, come fosse trasportata dal vento, e Sofia cercò disperatamente un appiglio negli spalti che le impedisse di cadere definitivamente al suolo. Probabilmente mettersi a sedere su quelli più in alto non era stata una bella idea, anche se comunque era quasi sicura che non sarebbe morta nell’impatto; ma avrebbe fatto comunque male. Gridò perfino il nome di Stefan, ma tutto ciò che trovò a cui aggrapparsi fu la speranza che nessuno la vedesse spezzarsi il collo e risvegliarsi qualche attimo dopo. Ma l’incontro col terreno non avvenne. Un paio di braccia forti la cinsero protettive, raccogliendola per la schiena e per le gambe come fosse una principessa. La vampira riaprì gli occhi lentamente e li perse in quegli occhi scuri che la fissavano preoccupati. Elijah era lì che la teneva, senza preoccuparsi degli sguardi che avrebbero potuto vederlo correre qualche attimo prima dall’auto sino agli spalti in quella maniera innaturale, ma preoccupandosi soltanto di quello sguardo verde e spaventato che stava fissando con insistenza.
– Elijah? – mormorò lei. L’Originale l’adagiò lentamente al suolo.
– Sono qui, Sofia. Non ti preoccupare, sono qui. – le sussurrò profondamente, passandole una mano tra i capelli in una docile carezza.
Nel frattempo Stefan li raggiunse, avendo sceso gli spalti come avrebbero fatto i normali esseri umani consapevole che avrebbero potuto vederlo, non dopo essersi accertato che nessuno avesse visto Sofia cadere direttamente giù. Si bloccò anche lui quando incontrò lo sguardo scuro di Elijah che, quando si era accorto della presenza del Salvatore, si era voltato a guardarlo.
– Chiama tuo fratello ed il fratello di Elena. Risolviamo definitivamente questo problema. – commentò Elijah freddamente, guardandosi infine intorno per assicurarsi che quanto accaduto non fosse stato visto da nessuno.
– Cosa? Come? – domandò Stefan immediatamente avanzando di alcuni passi verso di lui.
– Voi non dovete fare nulla. E’ importante che presenzino solo tuo fratello ed il piccolo Gilbert. Al resto penserà mia madre. – rispose prontamente, tenendo ancora un braccio stretto intorno alla figura della bionda, protettivo. Lo sguardo della vampira si era perso sull’Originale, fissando la sua espressione distaccata rivolta a Stefan e cercando di alleviare la paura che le era cresciuta dentro durante il precedente accaduto. Stefan annuì a quelle parole.
– Sei sicuro, Elijah? Che possiamo fidarci di tua madre. – osò domandare il minore dei Salvatore, incassando appena la testa nelle spalle nel timore che avesse potuto chiedere qualcosa di troppo.
Sofia sentì Elijah irrigidirsi a quelle parole, senza capirne il motivo.
– Non solo possiamo, ma lo faremo anche. – rispose Elijah freddo e distaccato, prima di spostare i suoi occhi scuri sul volto di Sofia. – Andiamo. – le disse, allentando la presa che aveva su di lei sino a farla sparire, tenendola semplicemente al suo fianco.
– Dove andiamo? – domandò Sofia, improvvisamente.
– E’ meglio che tu stia con me, adesso. – le rispose l’Originale, voltandosi a guardarla per pochi secondi. L’espressione di Sofia si fece sorpresa e leggermente confusa.
– Non posso. La scuola non è… – stava dicendo lei, in un mormorio debole, ma Elijah la interruppe prontamente con un solo cenno del capo. Gli occhi scuri del vampiro si volsero verso Stefan, ancora lì nei pressi.
– Dì a tuo fratello ed a Jeremy che li aspetto a casa mia. Che non facciano tardi. – commentò Elijah, freddamente. Stefan annuì ed iniziò ad indietreggiare, sino a voltarsi e ad allontanarsi con passi spediti. Gli occhi scuri dell’Originale ritornarono sul viso della vampira, fissandola intensamente.
– Ho parlato con mia madre. Faremo oggi l’incantesimo, ed avremo finalmente risolto questo problema degli spettri. Prima vieni con me, prima faremo. – le sussurrò lui. Sofia lo guardò con un’espressione incerta, poi piegò le labbra tinte di quel rosso acceso in un morbido sorriso ed infine lo seguì. Stefan avrebbe sicuramente trovato il modo per giustificare la sua improvvisa scomparsa dalle lezioni.
 
Il sole stava lentamente calando lasciando spazio al buio della notte. Sofia avanzava con passi lenti godendo della presenza di Elijah proprio alla sua sinistra, mentre Jeremy le era alla destra di un paio di passi più indietro rispetto all’Originale. Esther li guidava verso il luogo prestabilito per l’incantesimo e Damon restava sempre qualche passo più indietro.
– Questa spedizione per il cimitero durerà ancora per molto? – domandò il fratello maggiore dei Salvatore, sarcasticamente. Sofia sollevò appena il viso sentendolo, notò come sia Esther che Elijah lo ignorassero completamente durante il tragitto mentre Jeremy si voltò indietro a guardare il vampiro con un’espressione severa.
– Dovresti smetterla di lamentarti, non sei di aiuto. – gli disse con tono autoritario, ricevendo in risposta un sorriso poco rassicurante e sarcastico.
– Andiamo, piccolo Gilbert. Vorrei soltanto sapere dove diavolo stiamo andando. Non ho molto tempo da perdere, ho affari molto più importanti da sbrigare. – rispose Damon, mantenendo quel sorriso sghembo. E quasi immediatamente il suo sguardo corse sulla figura della bionda che aveva davanti, studiandola con attenzione ma sapendo lui stesso ben bene quali fossero gli affari più importanti da sbrigare. Se solo in quel momento fossero stati assenti Elijah e la strega, probabilmente avrebbe fatto a modo suo strappando dalla bocca di Sofia qualunque cosa lei stesse cercando di nascondergli. Perché era questo il punto, lui sapeva che Sofia stava cercando di tenere nascosto qualche segreto, e la cosa non gli piaceva. I pensieri di Damon si interruppero quando si accorse che il gruppo aveva cessato il suo moto, fermandosi dinnanzi alla vecchia struttura di una chiesa diroccata appartenente al vecchio cimitero di Mystic Falls. Elijah sorpassò la madre avvicinandosi all’enorme portone della chiesa e scorgendo il lucchetto che la teneva saldamente chiusa. Lo afferrò e senza neanche battere ciglio, lo strappò dalla catena che teneva unite le due ante facendo in modo che la chiusura andasse in pezzi permettendogli di aprire la porta. La polvere che si sollevò strappò alcuni colpi di tosse ai presenti, ma la cosa non li bloccò. Elijah aprì la porta interamente, spalancandola e permettendo a tutti gli altri di guardare ciò che si all’interno della chiesa. Non era tanto diversa dalle altre chiese, se non fosse stato per quell’aria cupa e tetra che la caratterizzava e quelle numerose panche rivoltate sul pavimento. E le ragnatele penzolanti dal soffitto completavano l’opera. Esther superò Elijah inoltrandosi all’interno della chiesa e dirigersi verso l’altare con passo tranquillo. Elijah si voltò a guardare gli altri tre e fece loro segno di entrare, permettendo quindi a Sofia di fare timorosamente il suo ingresso seguita a ruota da Jeremy. Quando arrivò il turno di Damon, però, Elijah lo bloccò con una mano fermandolo ancor prima che potesse varcare la soglia.
– Non prenderla a male, Damon. Non sei obbligato a restare qui, per quanto mi riguarda puoi anche ritornartene a casa a sbrigare i tuoi affari importanti. – gli sussurrò l’Originale con tono tranquillo e gelido, sebbene sembrasse una sorta di invito ad allontanarsi prima che lui perdesse la pazienza. – Ma fai un favore ad entrambi, stai zitto. O sarò io stesso costretto a mandarti via. Le tue lamentele sono poco gradite, sono stato chiaro? – continuò Elijah, minacciosamente freddo.
Damon lo fissò piegando le sue labbra in un sorriso sghembo, spostando poi lo sguardo altrove.
– Cristallino. – rispose il fratello maggiore dei Salvatore, strappando un falso sorriso cordiale dalle labbra dell’Originale che, di conseguenza, spostò la mano facendogli cenno di fare il suo ingresso all’interno della chiesa. Damon lo fissò, prima di varcare la soglia e percorrere quel lungo corridoio che si estendeva tra le righe di panchine poste ai lati della sala, sino a raggiungere Sofia e Jeremy che si erano fermati davanti all’altare, proprio di fronte ad Esther. La strega estrasse un grande fazzoletto bianco che passò sulla superficie dietro la quale si era posizionata, in piedi, ripulendola dalla polvere che si era ammassata col tempo. Dopodichè sollevò lo sguardo verso gli altri notando Elijah avanzare verso di lei con passo elegante dopo aver accuratamente richiuso le porte della chiesa.
– Credo sia meglio che vi mettiate a sedere, ci vorrà un po’ di tempo. – commentò Esther, allargando platealmente le braccia per indicare l’ampia distesa di panchine, di cui alcune rovesciate al suolo. Sofia si voltò indietro e guardarle, poi guardò Elijah che intanto le si era avvicinato. L’Originale annuì, e lei piegò le labbra in un leggero sorriso. Si accostò a Jeremy facendogli segno di seguirla verso le panchine e si accomodò su una in prima fila proprio accanto al Gilbert. Jeremy non fece altro che guardarla, ammirandola come fosse una bambola pregiata. Damon si guardò intorno prima di posare i suoi occhi azzurri sulla figura della strega.
– Avrei soltanto una domanda, se mi è concesso farla. – iniziò a dire, mantenendo perennemente il suo tono sarcastico. Elijah virò immediatamente il suo sguardo buio verso il fratello maggiore dei Salvatore, quasi fulminandolo, ma Damon parve non farci molto caso.
– Per quale motivo siamo gli unici ad essere qui? Insomma, pensavo che i fantasmi fossero un problema comune. – continuò il vampiro, allargando platealmente le braccia.
Esther lo fissò a lungo, distaccata, prima di chinare lo sguardo e dedicarsi ai preparativi dell’incantesimo. Elijah appoggiò una sua mano su una spalla di Damon accompagnandolo bruscamente, ma comunque elegantemente, a sedere. Damon lo guardò con un’espressione torva, sentendo accrescere dentro sé il desiderio di prenderlo a pugni. Ma sapeva benissimo che in uno scontro contro Elijah, tutto quello che avrebbe ottenuto era qualche oggetto conficcato nel collo. Elijah si mosse sul posto, infilando una mano in una tasca della giacca scura e gesticolando con l’altra. Si fermò davanti ai tre come fosse il loro insegnante e fece passare i suoi occhi scuri sui volti di tutti, ma soffermandosi più volte su quello pallido di Sofia.
– Voi siete gli unici che hanno questo problema. – spiegò l’Originale, senza mezzi termini, mantenendo quel suo tono freddo e distaccato. Per un istante si voltò a guardare la madre alle sue spalle, poi ritornò a guardare gli altri. – Purtroppo, quando mia madre ha cercato di ritornare in vita, qualcosa è andato storto e dei fantasmi si sono liberati. Ma ha controllato lei stessa, e voi siete stati gli unici ad essere colpiti. – mentì spudoratamente.
Esther sollevò lo sguardo sorpresa da quel gesto, deglutendo rigidamente. Quella stessa mattina Elijah l’aveva guardata con occhi omicidi, ed in quel momento invece sembrava cercare di proteggerla dai giudizi altrui. Per un secondo sorrise, concentrandosi subito dopo sull’incantesimo che stava cercando di attuare. Stando in quella chiesa poteva mettersi in contatto con il regno dei morti molto più facilmente.
– Divertente. In poche parole siamo sempre gli stessi sfigati. – intervenne Jeremy, sorridendo sarcasticamente. Sofia volse a lui lo sguardo, vagamente sorpresa, poi scosse il capo. Damon sogghignò, come se non credesse alle parole di Elijah. Non si era mai fidato degli Originali, e mai lo avrebbe fatto probabilmente. Gli occhi scuri dell’Originale si portarono su Jeremy, fissandolo per pochi istanti. Poi spostò lo sguardo riprendendo a guardarli tutti.
– In qualunque caso, risolveremo la situazione adesso. – terminò Elijah, voltandosi a guardare la madre. Esther annuì sotto quello sguardo e poi socchiuse gli occhi, iniziando a pronunciare parole che a loro apparvero sconosciute. Nel momento stesso in cui sollevò le braccia, le candele sporche di polvere ed abbandonate per la chiesa si accesero, illuminando la stanza.
Sofia quasi sussultò, improvvisamente, guardandosi intorno. Si sentiva a disagio. Ogni volta che ci pensava, i fantasmi sembravano essere un enorme problema impossibile da risolvere. Invece la situazione stava per essere risolta, definitivamente. E mentre pensava a tutto questo, il suo sguardo corse sulla figura di Damon seduta al suo fianco. Lo fissò per pochi secondi prima di abbassare lo sguardo, permettendo alle parole di Stefan di quella mattina di rimbombarle in testa.
– Voglio bene ad Elena. – disse improvvisamente, attirando l’attenzione confusa del fratello maggiore dei Salvatore, il quale volse a lei lo sguardo azzurro fissandola sorpreso.
– Anch’io. – affermò lui con sarcasmo.
– So che non ti sono molto simpatica, e che hai paura che io possa farle del male. – continuò lei, immergendo i suoi occhi verdi in quelli azzurri del vampiro. La serietà e la determinazione con cui stava pronunciando quelle parole sorpresero Damon, lasciandolo perplesso, ma allo stesso tempo attirò l’attenzione di Jeremy e di Elijah che potevano benissimo origliare la conversazione. – Ma sappi che piuttosto che fare del male a lei, mi strapperei il cuore dal petto. – continuò lei.
Damon perse il suo sorriso sghembo, quasi perdendosi nel verde di quegli occhi che lo stavano scrutando e trovandosi immensamente d’accordo con le parole che lei stava pronunciando. Lui, che amava Elena più della sua stessa vita, avrebbe preferito morire piuttosto che fare del male a lei.
– Sofia. – la chiamò Jeremy, forzandola a voltare lo sguardo verso di lui. Il piccolo Gilbert le sorrideva premuroso, allugando istintivamente una mano verso una di lei e sfiorandogliela affettuosamente. Lei gli sorrise di rimando, gentilmente.
– Ehi, piccolo Gilbert. Toglile le mani di dosso o potrebbe saltarti la testa. – intervenne Damon sarcasticamente, lanciando subito dopo uno sguardo complice ad Elijah. L’Originale teneva fissi i suoi occhi sul trio, senza privarsi della glacialità del suo sguardo, nascondendo il fastidio che provava nel vedere Jeremy così vicino a lei. A Sofia.
Istintivamente la bionda sollevò gli occhi verso Elijah finendo per ricambiare il suo sguardo. Spostò la mano per interrompere quel contatto con Jeremy e piegò quelle labbra tinte di un rosso acceso in un sorriso amorevole, un sorriso sul quale Elijah posò incantato i suoi occhi prima di spostarsi verso Damon.
– Dovreste evitare di parlare, o mia madre potrebbe sbagliare qualcosa nell’incantesimo. – disse soltanto, spostando nuovamente il suo sguardo altrove.
Sofia sospirò, lasciando sfumare quel sorriso e spostando i suoi occhi sulla figura di Esther. La guardò con attenzione, seguendo quei movimenti e studiandoli curiosamente, come se cercasse davvero di capire in che modo quella donna stesse praticando la magia. Ma d’un tratto l’intera chiesa si scosse, tremando su sé stessa e provocando la caduta di alcuni piccoli pezzi del soffitto o della polvere ammassata in alcuni posti dell’edificio. Istintivamente, la bionda strinse le sue dita contro la panchina facendo scattare il suo sguardo su Elijah, che aveva perso la sua compostezza. Gli occhi scuri dell’Originale si tennero fissi sulla madre vedendola fermarsi improvvisamente. Esther socchiuse gli occhi calando le sue mani lungo i fianchi e per un attimo regnò il silenzio nella chiesa.
– Mamma? – una voce delicata riecheggiò nel loco soffiando dolcemente nelle orecchie di tutti i presenti. Sofia si paralizzò nel sentirla, mentre Jeremy, Elijah e Damon volsero i loro occhi verso la fonte. Una bambina, dalla lunga chioma rossa, camminava apparentemente persa e confusa lungo quel sottile corridoio che si apriva fra le due file di panchine. Si teneva una mano sul collo, senza motivo, mentre quegli occhi chiari correvano lungo tutto il posto alla ricerca di una figura in particolare. Sofia sollevò lo sguardo voltandosi lentamente, vagamente intimorita, sino a quando incrociò la piccola figura pallida che si era fermata al centro della chiesa. Mentre si portava in piedi, i suoi occhi verdi si posarono sulla figura confusa di Elijah. Quella bambina era apparsa dal nulla, quando in quella chiesa non avrebbe dovuto esserci nessuno. Gli occhi dell’Originale cercarono istintivamente la bionda, vedendola camminare verso la bimba.
– Molly. – la chiamò Sofia, timorosamente, superando appena la panchina sopra la quale sedeva qualche istante prima. Gli occhi lucidi della bambina si sollevarono alla ricerca della fonte di quella voce, e quando il suo sguardo si posò su Sofia la bambina parve calmarsi. Quelle sottili labbra si piegarono in un delicato sorriso mentre la sua mano scivolava via dal collo.
– Sofia! – esclamò la bimba, riprendendo a camminare con passo accelerato sino a correre direttamente contro la bionda. E quando la raggiunse, le sue piccole braccia si strinsero intorno al busto della vampira e premette il suo viso contro il petto della bionda. Per Sofia fu come abbracciare una bambina, quel contatto era tangibile e concreto come quello di un essere vivente.
– Mi dispiace, Sofia. – singhiozzò la bambina, sollevando il viso verso il volto della vampira. La bionda la teneva con timore, mostrando nient’altro che un’espressione confusa, mentre fissava il volto di una bambina che doveva essere morta. Una bambina che lei stessa aveva ucciso. – Ti ho vista piangere. Perché stavi piangendo? E’ per colpa della mamma? Ti ha fatto del male? – domandò la bambina, mostrando due occhioni chiari e umidi dai quali colavano indisturbate delle lacrime.
Jeremy scattò in piedi, mentre Damon restava comodamente seduto sulla panchina osservando la scena insicuro.
– Sofia! – intervenne il piccolo Gilbert, ma proprio mentre stava per avanzare verso di lei, si ritrovò una mano di Elijah contro il petto che lo accompagnò nuovamente, e bruscamente, a sedere. Jeremy sollevò il suo sguardo sull’Originale incontrando quegli occhi spaventosi e gelidi che gli ordinavano, silenziosamente, di restarsene zitto ed a posto. Dopodichè ritornò a guardare la scena, pronto eventualmente ad intervenire. Ogni suo senso era attento, ogni piccola parte di lui era pronta a scattare nel caso quella situazione avesse preso una brutta piega. Solo ogni tanto spostava lo sguardo verso la madre per cercarne eventuali reazioni.
Molly sciolse lentamente quell’abbraccio indietreggiando di qualche passo ma restando comunque nei pressi della bionda, e davanti a lei. Sofia scosse debolmente il capo accovacciandosi davanti alla bimba, sollevando una mano a carezzarle delicatamente il viso. Quegli occhi verdi si erano inevitabilmente fatti lucidi, ogni volta che incontrava quel viso era come una dolorosa pugnalata nel petto.
– Ti ho uccisa. – mormorò Sofia con un fil di voce, nascondendo un singulto. Molly sorrise, scuotendo il capo a sua volta e raccogliendo la mano della bionda.
– Sto bene. Stiamo tutti bene. – iniziò a dire, col tono di una bambina contenta – Adesso va tutto bene Sofia, okay? Mi dispiace per quello che ha fatto la mamma, lei era solo arrabbiata. Ma ora è tutto apposto, stiamo bene. – ripetè la piccola, spostando la mano di Sofia ed andando subito dopo a carezzarle la testa.
– Però tu adesso non piangere più. Non piangere mai più, promesso? – chiese Molly, sorridendole. Sofia la guardò a lungo prima di assentire debolmente col capo, permettendo alla piccola mano della bambina di scivolare lungo il suo viso in una morbida carezza.
– Sei una brava persona. – mormorò ancora la bimba, quando d’un tratto quell’innaturale silenzio che veniva interrotto dalle parole basse che pronunciavano le due, venne rotto da un tonfo. Senza che Sofia se ne rendesse conto, Molly andò sfumando nell’aria lasciando spazio al vuoto, e subito dopo Esther riprese ad esclamare quelle parole insensate che scossero nuovamente l’intera chiesa. La bionda si portò in piedi di scatto battendo le palpebre velocemente e voltandosi verso la strega prima di cercare lo sguardo di Elijah, il quale si era allontanato da Jeremy per iniziare ad avanzare verso di lei. Quando Damon vide, di sottecchi, il piccolo Gilbert sollevarsi con la chiara intenzione di avvicinarsi anch’egli a Sofia, gli prese il braccio per impedirglielo. Jeremy si voltò a guardarlo infastidito e Damon scosse il capo sorridendogli sghembo.
– Noi siamo sempre quelli sfigati, ricordi? – mormorò il fratello maggiore dei Salvatore, facendo chiaro riferimento al fatto che entrambi amavano una donna che amava un’altra persona. Il piccolo Gilbert sfilò bruscamente il suo braccio dalla presa del vampiro, colpito da quelle parole.
Improvvisamente la strega tacque e le mezze candele, consumate dal tempo, che si erano accese all’inizio dell’incantesimo si spensero tutte nello stesso momento. Esther riprese fiato abbassando le braccia lungo i fianchi e riaprendo gli occhi per fissare i quattro presenti.
– Ho finito. – disse semplicemente, come fosse la cosa più normale del mondo. Ci fu un’ultima occhiata tra i presenti, sorpresi ed insicuri, durante la quale il silenzio e la tranquillità tetra che aveva regnato per molto tempo in quel posto, ritornò ad invadere la chiesa.
 
Buona parte del pomeriggio l’avevano trascorsa in quella vecchia chiesa impolverata, permettendo ad Esther di porre fine al loro problema con gli spettri. E quando avevano abbandonato il loco, Elijah si era preso la briga di riaccompagnare la madre a casa lasciando la bionda nelle mani del fratello maggiore dei Salvatore e del piccolo Gilbert. Tant’è che Sofia era rimasta per un po’ di tempo a casa di Elena, parlando di quanto accaduto quel giorno, aspettando la notte per fare definitivamente ritorno a casa. Aveva fame più del dovuto, probabilmente per lo stress a cui si era sentita sottoposta quel giorno o probabilmente perché non aveva bevuto nemmeno una goccia di sangue da quella mattina affrontando un’estenuante giornata.
Aprì lentamente la porta d’ingresso della sua stessa casa ma la cosa che più la sorprese fu trovare accesa la luce del salone. Corrugò la fronte sporgendosi verso l’interno quando i suoi occhi verdi si portarono su una figura comodamente seduta su una delle poltrone al centro della sala.
Elijah stringeva un bicchiere riempito di liquido vermiglio che lui stesso faceva oscillare agitando il vetro che lo conteneva. Quando sentì la porta aprirsi, sollevò lo sguardo incrociando gli occhioni verdi della vampira. Le sue labbra si piegarono in un sorriso, osservandola anche mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
– Ci hai messo un bel po’. – si limitò a dire lui, appoggiando il bicchiere sul tavolino nei pressi della poltrona e portandosi elegantemente in piedi.
– Si, Elena mi ha trattenuta più del previsto. – rispose lei, tranquillamente – Non pensavo saresti passato stasera. – affermò lei sinceramente, ma nonostante tutto sorridendogli per mostrare quanto fosse felice di averlo lì. Sofia si sfilò la giacchetta lasciandola incustodita sullo schienale del lungo divano per superare il salone e camminare verso la cucina. Sentiva la profonda necessità di nutrirsi, e questo Elijah lo capì ben presto. La seguì con lo sguardo mentre lei apriva il frigo afferrando una di quelle bottigline bianche dentro le quali nascondeva spudoratamente del sangue, e subito dopo cercò un bicchiere dentro il quale versare una buona dose di quel liquido.
L’Originale la seguì, fermandosi sotto la soglia della porta d’ingresso della cucina ed appoggiandosi con una spalla allo stipite della stessa.
– Ero venuto a vedere come stavi. – ammise il vampiro con semplicità, rinchiudendo una mano all’interno di una tasca della giacca e fissando lei. La vide bere velocemente quel sangue per poi versarsene un altro bicchiere.
– Sto bene. – disse lei, guardando il sangue scorrere di nuovo dentro il bicchiere – Insomma, abbiamo chiuso definitivamente coi fantasmi, no? – continuò lei, sorridendo nervosamente. Bevve di nuovo, obbligando Elijah a spostarsi dallo stipite della porta ed avvicinarsi a lei con passi tranquilli, misurati e perennemente eleganti. Quando Sofia si accorse di averlo irrimediabilmente vicino, con una mano di lui che era scesa a fermarle la mano sulla bottiglia per impedirle di versarsi altro sangue, sollevò gli occhi verdi verso quel viso freddo, indiscutibilmente bellissimo, dagli occhi neri che la scrutavano attenti. Lei si fermò, rilassandosi non appena lui la sfiorò.
– Abbiamo davvero risolto questa situazione? Adesso va tutto bene, no? – mormorò lei, insicura nel suo tono e nella sua espressione.
– Voglio credere che mia madre abbia davvero risolto la situazione. Adesso va tutto bene. – le rispose lui prontamente, fissandola coi suoi occhi scuri. Sofia abbandonò la bottiglia ed il bicchiere sul bancone della cucina e si voltò verso di lui, standogli vicina.
– Mi ha fatto piacere rivederla un’ultima volta. Ed intendo, è stato bello rivederla senza che lei volesse uccidermi. – disse lei ironicamente, sorridendo divertita dalle sue stesse parole. Anche Elijah sorrise, facendo risalire una mano a carezzarle il viso. Lei lo guardò, sorridendo amorevolmente. In un secondo, sentì tutto lo stress della giornata scivolarle addosso. Perché i fantasmi erano davvero andati via, lei poteva davvero vivere in quella cittadina con i suoi amici, con Elijah. Probabilmente per la prima volta in vita sua, fu sicura che quando avrebbe riaperto gli occhi il giorno seguente, non avrebbe visto nulla di negativo ma solo quella vita che aveva sempre desiderato.
– Grazie Elijah. – sussurrò lei, sollevando una mano a carezzare il dorso di quella che il vampiro teneva sul proprio viso. Ma lui non voleva essere ringraziato, sebbene non lo disse. Si limitò a chinarsi verso di lei per avvicinarsi il suo viso a quello della vampira. E quando lei capì, gli andò incontro facendo in modo che le loro labbra si incontrassero prendendo a sfiorarsi delicatamente. Socchiusero gli occhi avvicinandosi maggiormente, e loro finirono con l’incontrarsi maggiormente rendendo quel bacio molto più passionale. Lei gli si spinse debolmente contro, sollevando una mano ed appoggiandola nell’incavo del collo di lui, sino a risalire verso i capelli morbidi dentro i quali le dita si persero. E stettero così per lunghi minuti, prima che quelle bocche si separassero senza il bisogno di riprendere aria, in quanto entrambi vampiri, ma servì affinché i loro occhi si incontrassero per urlare quei sentimenti che dondolavano nell’aria, ma che le parole non si apprestavano a dire.
 
Esther si lasciò cadere sulla grande poltrona dell’immenso salone dei Mikaelson, deliziandosi del silenzio che vi era. Klaus non c’era mai, preferiva di gran lunga stare lontano da lì insieme alla sua adorata sorellina che, da quando la madre l’aveva usata come involucro per ospitare la sua anima, aveva scelto di fare squadra con Klaus. Mai più di quel momento, la strega fu sicura che l’eternità aveva rotto la sua famiglia in tanti piccoli pezzettini ma lei li avrebbe raccolti e rimessi ai loro posti con calma e pazienza. Sospirò, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalla tranquillità. Aveva usato troppe energie quel pomeriggio, sapeva di non essere pronta per affrontare un incantesimo del genere ma lo doveva ad Elijah, dopo gli occhi con i quali il suo stesso figlio l’aveva guardata.
Ma riaprì presto gli occhi quando sentì alcuni passi pesanti entrare nel salone, e si voltò verso l’ingresso dello stesso. Mikael avanzava con passi tranquilli verso la poltrona sopra la quale sedeva la sua stessa moglie e le si avvicinò presto, appoggiando una mano su una spalla di lei.
– Stai bene? – le domandò lui, con amorevole tono premuroso. Esther annuì, sollevandosi in piedi. – Non avresti dovuto esagerare. Forse dovresti riposare. – continuò lui, fissandola. La strega raccolse la mano del marito e gliela spostò, per stringerla in entrambe le sue mani.
– Tu dimmi che hai fatto quello che ti avevo chiesto. – gli disse lei, seriamente. Mikael assentì col capo, voltando poi il suo sguardo verso l’enorme porta ad arco che dava dal salone, in cui loro si trovavano, verso l’ingresso. Ben presto due figure si portarono sotto la soglia, indossanti abiti di epoche diverse ma entrambi consumati dal tempo. Esther lasciò la mano di suo marito sorridendo premurosamente verso i suoi due figli.
– Figli miei. – sussurrò, contenta. Kol disegnò presto un sorriso sghembo sul suo volto, mentre Finn manteneva quella sua espressione fredda ed impercettibilmente infastidita.
– Ciao mamma. – la salutò Finn, riprendendo ad usare la sua voce dopo quasi novecento anni di morte.

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Note dell'autrice
Oh mamma, da quanto tempo! Ebbene si, sono sparita per davvero molto tempo, per cui vi chiedo di perdonarmi. x°D
Inolte ritorno con un capitolo che nemmeno mi piace! C'era da fare questa cosa per risolvere definitivamente il problema dei fantasmi e allora ho voluto farlo in fretta, senza prendermi un altro mese per pensare a come avrei dovuto fargli fare l'incantesimo e tutto il resto.
Non credo ci sia molto da dire, o comunque non ho tantissimo da dire, cercherò di riprendere ad aggiornare presto. :)
Voglio solo ringraziare tutti coloro che, nonostante tutto, sono stati lì ad aspettare che io aggiornassi. Sappiate che vi voglio bene. *-*

Se vi interessa, ho creato la mia pagina ufficiale come autrice di EFP in cui pubblicherò aggiornamenti, spoiler, comunicazioni e quant'altro sulle mie storie. Spero passiate a trovarmi. :D Il link è questo.
Spero di sapere i vostri commenti, anche perché ora come ora sono davvero molto ma molto importanti per me (sono rimasta bloccata per tutto questo tempo ed ora sto affrontando una seria crisi çwç). Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


“Cara mamma,
è passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che ti ho scritto. Sono a Mystic Falls, adesso. Sono cambiate molte cose, davvero molte cose. Ma non sono qui per parlarti dei miei problemi, non voglio più assillarti con questi. Sono qui per dirti che sto bene, questo posto mi piace. Ho dei nuovi amici, tutti molto gentili, tutti molto affidabili. E poi l’ho ritrovato, sai mamma? Elijah. Era qui, a Mystic Falls, ed ho davvero sentito di dover di nuovo respirare quando l’ho visto. Ha i capelli un po’ più corti, sai? Ma a me piacciono comunque. Credo sia uno dei particolari che mi ha spinta a parlargli quella notte, ha sempre avuto dei capelli così belli!
Sto ridendo. E’ la prima volta che ti scrivo e non piango, è già un passo avanti. Non faccio più male alle persone, sto frequentando la scuola, e qualunque cosa accada ho sempre qualcuno al mio fianco. Non sono più la ragazzina che si siede su una panchina a guardare le persone che le passano davanti, non sono più quella ragazzina che passava il tempo da sola in attesa della morte. E tu puoi vedermi, vero? Spero di si. Perché con tutto quello che è successo ultimamente, voglio credere che chiunque sia morto è da qualche parte intorno a me che mi sta osservando. Ho rivisto Molly e Margaret, ho visto i loro fantasmi, ma avrei voluto rivedere anche te. Mi manchi, mamma. Ti voglio bene, ti vorrò sempre bene.”
 
Sofia sollevò lentamente la penna dal foglio pallido sopra il quale aveva appena scritto, senza rileggere nessuna delle parole che aveva inciso su di esso. Era sua abitudine non farlo, per non correggersi o sentirsi ridicola. Posò la penna prendendo subito dopo il foglio e ripiegandolo accuratamente all’interno della busta da lettere che aveva sulla toletta lì vicino. Si portò in piedi, illuminata dai soli raggi lunari che filtravano dalla finestra, e si avviò verso l’armadio con espressione tranquilla. Mai come quel momento si sentì rilassata mentre depositava una nuova lettera all’interno di quell’enorme scatolone dentro il suo armadio. Ed era bello, poter respirare un minimo di serenità dopo tutti quegli anni passati a dannarsi e maledirsi per ciò che era diventata. In quel momento stava bene, e le piaceva.
 
Il sole picchiava forte, nonostante mancasse davvero poco a Natale, su Mystic Falls. Un leggero venticello soffiava fra le vie permettendo comunque agli studenti di pranzare all’esterno dell’edificio scolastico. Come loro stavano facendo. Sofia sedeva ad uno di quei tavoli in legno da giardino insieme a Caroline, Bonnie, Elena e Stefan. L’argomento, grazie alla vivace Caroline, riguardava naturalmente la festa scolastica che si sarebbe dovuta tenere quella sera.
– Insomma, Helen lo scorso ballo indossava un vestito orribile. Spero davvero che questa volta si inventi qualcosa di meglio. – sbuffò Caroline, trafiggendo bruscamente uno dei maccheroni che aveva all’interno della ciotola in alluminio. Elena scosse il capo, avvinghiata dolcemente a Stefan, giocherellando con le carte che restavano del suo pranzo.
– Io penso che non dovresti giudicare così tanto i vestiti degli altri, Caroline. – proruppe la Gilbert. Bonnie sorrise divertita, come se potesse prevedere la reazione della Forbes.
– Io non giudico niente, Elena. – rispose la bionda, agitando la forchetta in plastica che aveva in una mano – Metto solo nero su bianco quello che vedo. Dai, non è mica colpa mia se quella ragazza è un oltraggio alla moda! – sbottò Caroline nuovamente. Quasi tutti risero a quelle parole.
– E sentiamo, tu cosa indosserai stasera? – domandò Bonnie, deglutendo l’ultimo pezzo del suo pranzo e portando i suoi occhi scuri sulla figura dell’amica bionda che aveva accanto, mentre Sofia se ne stava in beato silenzio ad ascoltare attenta tutto ciò che dicevano, quasi come Stefan. Fu come un richiamo per Caroline che, a quella domanda, scattò retta sulla schiena puntando i suoi occhi chiari sull’amica strega. La indicò con la forchetta.
– Eh no, vedrai stasera. E’ una sorpresa! Ti dico soltanto che è stupendo. – affermò la ragazza, andando a guardare subito dopo tutti gli altri. Bonnie scosse il capo mormorando un “Ovviamente” divertito.
– Voi cosa indosserete, invece? – domandò nuovamente Caroline, guardandoli tutti.
– Ehi, tu non hai voluto dirci cosa indosserai stasera, cosa ti fa pensare che lo faremo noi? – domandò Elena ironicamente, puntandola coi suoi occhi scuri e sorridendole amichevolmente. Caroline sorrise.
– Almeno posso darvi un parere. – si giustificò la Forbes, infilandosi in bocca subito dopo una foglia d’insalata. Ma nessun’altra ebbe il tempo di proferir altra parola che Alaric si avvicinò a loro con un’espressione seria. Si accomodò al tavolo, appoggiando su di essi i gomiti ed andando subito dopo a guardare tutti.
– C’è una nuova infermiera nella scuola. – sussurrò il professore, facendo scorrere il suo sguardo su tutti i presenti. – Dice che sta correndo una nuova malattia e lei vuole accertarsi che gli studenti non vengano contagiati, quindi ha intenzione di fare un prelievo a tutti entro oggi. – continuò Alaric, con aria cupa. Stefan inarcò un sopracciglio.
– E qual è il problema? – domandò il più piccolo dei Salvatore, facendo scorrere un braccio sulle spalle di Elena per allontanarlo da lei, poiché l’aveva tenuto a cingerla sino a quel momento. Si sporse sul tavolo per concentrarsi meglio sulla conversazione con Alaric, dato che il professore sembrava seriamente preoccupato.
– Il problema è che ho pensato di avvisarvi. Gli studenti normali non devono di certo temerlo a meno che non abbiano paura degli aghi. Ma voi siete vampiri, ibridi, streghe e non so come funzioni questa cosa. Quindi ditemi se avete voi qualche problema. – continuò Alaric, riprendendo a guardarli uno ad uno. Stefan spostò il suo sguardo incrociando gli occhi confusi e pensierosi di tutti coloro che circondavano il tavolo insieme a lui. Dopodichè ritornò a guardare Alaric scuotendo morbidamente il capo.
– Non credo sia un problema. Insomma, per quanto riguarda i vampiri, basterà nascondere il fatto che le ferite si rimarginano velocemente. – continuò, annuendo poi.
– E noi streghe sappiamo usare la magia, ma non siamo diverse. Quindi per me non c’è problema. – aggiunse Bonnie, con tono sicuro, mentre si sporgeva sul tavolo per appoggiarvi i gomiti ed incrociare subito dopo le braccia sulla superficie.
– E non dovrebbe essere un problema nemmeno per Tyler, credo. – intervenne Caroline cercando un consenso negli altri. – Insomma, lui non è tanto diverso da noi vampiri. – continuò. Stefan annuì alle sue parole, guardando poi Alaric.
Il professore annuì, guardandosi intorno e facendo per alzarsi dal tavolo. – Bene allora, se non ci sono problemi è tutto apposto. Ci vediamo a lezione. – terminò il professore di storia salutando con un cenno del capo ed allontanandosi da lì subito dopo.
E quando il professore sparì, al tavolo cadde nuovamente il silenzio. Sofia sollevò una mano a scostare i resti del suo pranzo, abbassando timidamente lo sguardo.
– E’ possibile che una vampira abbia paura degli aghi? – domandò, sollevando lentamente lo sguardo. E quando lo riportò sugli altri, vide soltanto espressioni sconvolte sui volti dei suoi amici che una volta erano spensierati e sereni. E lo capì: non era possibile.
 
Fece battere dolcemente le nocche delle mani contro la superficie della porta dell’infermeria. Quando sentì quell’ ‘avanti’ esclamato e provenire dall’interno, si apprestò a fare il suo educato ingresso. Gli occhi verdi di Sofia caddero subito sulla figura della donna seduta su una sedia da scrivania, di quelle con le rotelline, frugare attentamente tra alcune carte sulla sua scrivania in acciaio. Ma la prima cosa che la vampira notò non riguardava la nuova infermiera della scuola, bensì l’adorabile profumo del sangue contenuto in alcune fialette che iniziò ad invaderle le narici. Cercò di dimenticarlo, di pensare ad altro e di impedire alla fame di avere il sopravvento. La donna sollevò il suo sguardo dalle scartoffie, mostrando un paio di occhi azzurro chiaro nascosti dietro i vetri dei suoi occhiali da segretaria che andarono a posarsi sulla figura della vampira. Piegò le sue labbra carnose in un sorriso mentre indietreggiava con la sedia.
– Vieni, accomodati. – le disse, indicandole il piccolo sgabello posto nei pressi della scrivania. Solo dopo l’infermiera si passò una mano tra i lunghi capelli rossi dalle sfumature color carota, e le sorrise di nuovo. Sofia sorrise di rimando avvicinandosi allo sgabello ed accomodandosi rigidamente.
– Mi sembri a disagio. – le sussurrò l’infermiera, inarcando un sopracciglio. Era una donna giovane, probabilmente aveva meno di trent’anni, e lei sembrava molto più a suo agio della bionda. Sofia scosse il capo sorridendo imbarazzata.
– Diciamo che non ho molta simpatia per gli aghi. – ammise la vampira, cercando di sembrare quanto più calma possibile. La vecchia paura degli aghi era il problema minore in quel momento. Avrebbe volentieri strappato la giugulare della donna e bevuto ogni singola goccia di sangue dal suo corpo e dalle fialette che la circondavano, ma cercava seriamente di contenersi. L’infermiera le sorrise premurosamente.
– Non preoccuparti, è solo una piccola puntura a fin di bene. – le disse la donna. Sofia annuì e, quasi istintivamente, si passò una mano sul piccolo topazio blu che penzolava dalla collanina per il sole. La raccolse spingendola all’interno della maglia, e l’infermiera notò quel gesto. La vampira la vide corrugare la fronte attratta e confusa al contempo da quel piccolo ciondolo, mentre col viso si sporgeva per guardarle meglio la collanina.
– Quella collana, è davvero bella. Dove l’hai presa? – le domandò l’infermiera. Sofia calò il suo sguardo sulla collana sfilandola nuovamente dalla maglia e guardandola, come se per un attimo avesse dimenticato.
– E’ un regalo di mia madre. – ed in parte mentì. Sua madre non gliel’aveva mai regalata, era stata lei a prendersela dopo la sua morte. – Non so dove l’abbia presa. – continuò. La donna sollevò il capo e sorrise annuendo.
– Capisco. E’ come quel tipo di collane che mi piacciono da morire. – commentò la donna sollevando il mento. Si voltò raccogliendo una delle siringhe preparate per le visite e si preparò per il prelievo.
– Inizia a dirmi come ti chiami, comunque. E che anno frequenti. – annunciò l’infermiera assumendo un’espressione professionale e seria. Si sistemò gli occhiali sul naso e si voltò a guardare di nuovo la vampira mentre, da sola, iniziava a raggomitolare accuratamente la manica del suo maglioncino, scoprendosi un braccio.
– Mi chiamo Sofia Fiorentini, e frequento l’ultimo anno. – si presentò la bionda, tendendole il braccio e fissandola timorosamente. L’infermiera le raccolse gentilmente l’arto, disinfettando accuratamente  il punto in cui avrebbe dovuto infilare l’ago, e piegò le labbra in un morbido sorriso.
– Io mi chiamo Deborah McDowell. – si presentò, ritraendosi per raccogliere la siringa – Adesso non preoccuparti. Cercherò di non farti male. – le disse con premura, sorridendole mentre sfilava la sottile copertura dalla siringa. Sofia le sorrise di rimando, consapevole che non avrebbe avvertito alcun dolore. Essere una vampira portava alcuni vantaggi, ma ricordava benissimo i pianti e le urla assordanti che si lasciava scappare da piccola ogni volta che la madre voleva portarla a fare una puntura.
Sentì presto l’ago penetrarle la pelle ed il sangue fluire fuori dal suo braccio. Non vi era dolore, era abbastanza forte da non provarlo, ma cercò di non apparire indifferente. Deborah sfilò subito dopo l’ago dal suo braccio e si voltò a raccogliere con una mano un piccolo pezzo di ovatta sterilizzata per tamponare la sua ferita, che incontrollata andava rimarginandosi. Era un buchino così piccolo che ci mise davvero pochi secondi a richiudersi, tanto che Sofia cercò di prendere per prima il cerotto che la donna le aveva preparato per metterselo sul braccio e nascondere quell’innaturale ripristino che il suo braccio aveva avuto. E l’infermiera le fece fare senza opporsi, mentre si preoccupava di mettere il sangue della vampira in una fialetta, dalla quale l’avrebbe poi ripreso per analizzarlo. Quando ritornò ad immergere i suoi occhioni chiari, ancora coperti dagli occhiali, in quelli verdi della bionda sorrise contenta.
– Hai visto allora? Ti ho fatto male? – domandò Deborah, battendosi le mani sulle gambe con aria soddisfatta. Sofia sorrise divertita e chinò appena il capo verso una spalla.
– Solo un po’. – le rispose, scherzosa. Si riabbassò la manica della maglia tenendosi il cerotto sul braccio e poi si sollevò in piedi.
– Ritorno a lezione, allora, se non è un problema. – annunciò la vampira, indicando la porta alle sue spalle con un lento movimento del braccio. L’infermiera annuì.
– Dì pure al professor Saltzman che può mandarmi il prossimo studente. E ringrazialo per l’aiuto che mi sta dando. In questa scuola siete davvero tanti! – affermò Deborah, allargando platealmente le braccia. Sofia annuì.
– Certamente, la ringrazio. – le rispose, prima di avviarsi verso la porta per aprirla ed uscire, sparendo in quel modo dalla vista dell’infermiera.
Deborah fissò la superficie della porta facendo lentamente sfumare il suo sorriso. Raccolse la fialetta sopra la quale attaccò il piccolo adesivo con il nome della studentessa che si era appena allontanata, facendo oscillare il vetro per permettere al sangue all’interno di muoversi. Lo osservava con aria attenta e minuziosa, come se in quel liquido vermiglio cercasse di vedere qualcosa di diverso o inusuale.
 
Sofia staccò con delicatezza il piccolo cerotto che aveva messo sul braccio, gettandolo subito dopo nel piccolo cestino che aveva in cucina. Elijah, sotto la soglia della porta d'essa, la osservava mentre faceva oscillare un bicchiere riempito di sangue di cui si stava tranquillamente nutrendo.
– Da piccola avevo paura degli aghi. – ammise la vampira, interrompendo quel silenzio, e voltandosi verso l’Originale per sorridergli. Si avviò verso di lui passandogli accanto per raggiungere la sua camera. Elijah la seguì verso l’esterno, bevendo il contenuto del bicchiere e fermandosi nei pressi del divano.
– Ricordo che mi hai accennato una cosa del genere tempo fa. – le rispose lui con quel suo tono composto mentre si voltava verso la cucina per andare a posare il bicchiere da lui utilizzato.
Sofia, intenta a rovistare nell’armadio, sorrise al sentire quelle parole. Tirò fuori alcuni vestiti, ancora penzolanti dalle loro grucce, e li distese sul letto proprio dietro di lei. Guardò i tre vestiti che aveva preso dall’armadio, quelli che più le piacevano naturalmente, e si passò distrattamente una mano tra i boccoli biondi. Erano tre vestiti eleganti, di cui uno che ricordava i vestiti degli anni 80, che sembravano metterla particolarmente in agitazione. Uno dei tre era rosa pallido, visibilmente corto, dal busto stretto e con una gonna a palloncino che si apriva terminando ipoteticamente sulle ginocchia, mentre un altro vestito era blu notte e liscio, e giungeva sino alle cosce. Privo di spalline, era munito di un adorabile scialle di un celestino appena più chiaro e leggermente trasparente. Lei si chinò ad afferrare delicatamente la gruccia del vestito risalente agli anni 80, sollevandolo dal letto e posizionandolo penzolante dall’armadio. La parte superiore del vestitino, che partiva dalle spalle e terminava sotto il seno, era di un tessuto nero e trasparente, mentre il resto del vestitino, che poteva giungere sin sopra le ginocchia, era caratterizzato da una distesa viola sopra la quale si spargevano svariati motivi floreali, tutti neri. Era già certo che avrebbe indossato quello per la festa della scuola, ma erano gli altri due a renderla indecisa.
Sentì Elijah muovere dei passi all’esterno, ma non accennava ad entrare nella camera. Sembrava invece intenzionato a sedersi sul grande divano del salone, e lei riuscì a vederlo accomodato elegantemente su quest’ultimo. E vista la posizione del divano, lei riusciva soltanto a vedere la nuca dell’Originale dalla sua camera. Sorrise, involontariamente, avvertendo una sorta di piacevole sensazione crescerle dentro.
– Rosa o blu? – gli chiese, improvvisamente, senza che nessuno dei due instaurasse un contatto visivo. Potevano benissimo sentirsi anche stando in due camere diverse per due semplici motivi: la casa non era enorme, ed erano due vampiri. Sofia raccolse i due vestiti dal letto tramite le loro grucce e si diresse verso la porta della camera. La oltrepassò di un paio di passi, sollevando i vestiti e mostrandoglieli quando lui si voltò posando i suoi occhi neri sugli abiti. Li scrutava attento e tranquillo.
– Ho questi due vestiti che mi piacciono davvero molto, ma un solo evento in cui posso utilizzarli. Hai saputo, no, che il sindaco Lockwood organizza una festa per Capodanno? – spiegò lei, alternando i suoi occhi verdi tra il volto di Elijah e i due vestiti che teneva sorretti ai lati del corpo.
– Ha invitato anche la mia famiglia. Penso che quella donna organizzi una festa per ogni minima occasione, non sa davvero come spendere i suoi soldi. – ironizzò lui, sebbene mantenesse una fredda aria calma. Ma Sofia sorrise ugualmente davanti a quelle sue parole. Si spostò e camminò verso il divano, sotto lo sguardo attento dell’Originale, e si portò davanti a lui.
– Allora? Quale pensi sia più carino? – gli domandò lei ulteriormente, appoggiandosi contro i vestiti per dargli un’idea. Elijah continuò a guardarla, restandosene seduto, prima di piegare le labbra in un debole sorriso.
– Potresti indossarli entrambi. – fece notare, gesticolando distrattamente con una mano mentre l’altra si appoggiava comodamente su uno dei braccioli del divano. Sofia corrugò la fronte confusa.
– Nel senso che metto uno per l’inizio della serata e poi mi cambio per mettere l’altro? – chiese, stranita. Di certo non aveva intenzione di prepararsi due volte per un’unica festa. Ad Elijah scappò un sorriso, divertito dall’ingenuità di lei. Si scostò dallo schienale del divano e si sporse verso di lei studiando maggiormente i due vestiti.
– Nel senso che avrai due vestiti per due eventi diversi. – iniziò a dire lui, sollevando i suoi occhi neri definitivamente e perdendoli negli occhi verdi della vampira in piedi davanti a lui. – Anche mia madre darà una festa nella settimana di Natale, ed a me farebbe piacere se tu venissi. – continuò l’Originale. Sofia sgranò gli occhietti, sorpresa da quella rivelazione.
– Tua madre darà una festa? – domandò di nuovo, cercando di assicurarsi che le sue orecchie non l’avessero tradita nel frattempo facendole recepire informazioni sbagliate. Elijah sorrise elegantemente, tirandosi nuovamente indietro col busto.
– Un ballo. Dice che noi siamo i nuovi arrivati, e dobbiamo dare una buona impressione. Sta già preparando tutto, e ha chiesto a me e ai miei fratelli di iniziare a chiamare gli invitati. Ovviamente, nessuno di loro l’ha presa molto bene. – spiegò lui, muovendo una mano a mezz’aria con distrazione.
Sofia lo ascoltò attenta, vagamente confusa e sorpresa, mentre sorreggeva quei due vestiti. Davvero non riusciva a credere ad una cosa del genere, seppur si stesse sforzando. Ma infine decise di sorridere e prese a guardare di nuovo i due abiti prima di ritornare ad immergere i suoi occhi verdi in quelli scuri del vampiro.
– Non credo ci sia bisogno di dirvi che verrò. Non mi negherei mai un ballo con voi, signor Mikaelson. – cinguettò lei con aria dolce, sorridendogli alla stessa maniera. Elijah sorrise di rimando, un sorriso che probabilmente poche volte aveva usato da quando era diventato un vampiro. Un sorriso che riusciva ad utilizzare soltanto con lei, e ne era consapevole.
– Quindi facciamo così. Rosa per il ballo a casa Mikaelson, blu per Capodanno. – annunciò lei, indicando i due vestiti man mano che parlava. L’Originale annuì, d’accordo con lei. Solo in quel momento Sofia si mosse nuovamente riprendendo a dirigersi verso la sua camera ed entrando nuovamente in essa. Posò i vestiti, dato che ormai aveva deciso di indossarli entrambi visti i due eventi imminenti, ed in quel momento non le restava altro da fare che aspettare Caroline per andare a comprare gli ultimi accessori per il ballo scolastico di quella sera. E fu in quel momento che ci pensò, mentre richiudeva l’armadio lasciando fuori da esso soltanto l’abito nero e viola. Si voltò verso la porta della camera ed uscì fuori avanzando verso il divano.
– A proposito di balli. – iniziò a dire lei, attirando ancora una volta l’attenzione dell’Originale. Si accomodò sul divano al suo fianco, guardandolo con aria assorta. – Mi accompagnerai anche al ballo di questa sera? – gli domandò. Elijah ci pensò un attimo, rammentando alcuni eventi avvenuti a casa sua nelle ore prima. Mosse le dita della mano che teneva appoggiata ad uno dei braccioli del divano, accarezzando distrattamente il tessuto e tenendo i suoi occhi lontani da quelli di lei prima di ritornare a guardarla.
– Non credo di poterti accompagnare. – le rispose, composto ed elegante come sempre. Sofia strinse le labbra, ma non riuscì a dire altro poiché l’Originale continuò. – Ho promesso a Rebekah che avrei accompagnato lei. Sai, è molto irascibile ultimamente, e non fa altro che estraniarsi dalla famiglia o reagire male a qualunque cosa le si dica. L’unico con cui sembra essere più calma è Niklaus, ma lui ha asserito che non ha intenzione di accompagnarla ad uno stupido ballo scolastico. Quando l’ho sentita gridare, non ho potuto evitare di dirle che l’avrei accompagnata io. E’ stata molto felice di far notare a Niklaus che si sarebbe divertita comunque anche senza di lui. – spiegò il vampiro, guardandola con aria seria. Sofia schiuse le labbra leggermente sorpresa, poi le richiuse e sorrise debolmente.
– Beh, ma ci sarai comunque. – commentò lei, allungando una mano verso una di lui e carezzandogli gentilmente il dorso di essa. – Ed in fin dei conti penso che la reazione di Rebekah non sia tanto sbagliata. Si è sentita tradita, e probabilmente vuole soltanto che qualcuno le dimostri di tenerci e non…la usi come contenitore dell’anima per ritrovare il suo corpo. – continuò la bionda, piegando le labbra in una sorta di smorfia nel dire quelle ultime parole. Ma fu una smorfia che Elijah non vide, poiché i suoi occhi scuri si abbassarono sulla mano di lei che era rimasta appoggiata su una di lui. Quando sollevò di nuovo lo sguardo, Sofia gli stava sorridendo dolcemente.
– Quindi non è un problema se non mi accompagni alla festa. – continuò lei. Si sporse appena verso di lui raggiungendo ben presto il suo viso ed appoggiando le sue labbra carnose e morbide contro quelle dell’altro. Fu un bacio casto, veloce, gentile ma che Elijah accettò volentieri. Socchiusero gli occhi mentre le loro labbra si incontravano di nuovo, in un secondo bacio innocente, prima che lei si tirasse indietro riaprendo gli occhi ed immergendoli nello sguardo scuro dell’Originale. Elijah la guardò, schiudendo appena le labbra in un fremito che nascose facilmente. La vide con la chiara intenzione di rimettersi seduta comodamente, ad aspettare Caroline in tranquillità e silenzio, ma fu una delle poche volte in cui fu mosso dall’istinto. Una mano dell’Originale si sporse fulminea verso di lei cingendole delicatamente una spalla. La attirò a sé bruciando presto quella distanza che separava i loro volti, e sebbene lei fosse sorpresa inizialmente, non esitò a perdersi contro quelle labbra in un bacio che ben presto si macchiò di passione. La mano di lui si staccò dal bracciolo sopra il quale si era appoggiata per portarsi a raccogliere il viso di lei sul palmo. Nel momento stesso in cui Sofia aveva sentito di nuovo quelle labbra ed aveva socchiuso gli occhi perdendosi maggiormente in quel contatto, aveva sentito inspiegabili sensazioni pizzicarle sotto la pelle in ogni punto del corpo. E quando sentì la mano di Elijah accarezzarle il viso, si sollevò involontariamente in ginocchio sul divano, senza mai interrompere quel contatto, per sporgersi maggiormente verso di lui. Portò entrambe le mani sopra le spalle di lui, mentre continuava a baciarlo, appoggiandosi contro il vampiro e curvando la schiena per spingere il viso contro il suo. La mano libera di Elijah si appoggiò contro un fianco di lei accarezzandoglielo con gentilezza prima che anche l’altra sua mano scendesse dal viso per afferrarle morbidamente l’altro fianco e tenerla vicina. E sebbene nessuno dei due avesse quella necessità di respirare, interruppero quel bacio pur restando in quella posizione. La bionda sollevò il capo quando sentì le labbra di Elijah sfiorarle dolcemente il mento, sentendo la pelle bruciare e fremere al contempo sotto i baci che lui stava disegnando in quei punti. Ed inclinò il capo facendo risalire le mani dalle spalle di lui sino ad immergerle nei suoi morbidi, ed adorabili, capelli neri. Vi perse dentro le dita con una sorta di possessione mentre lui faceva risalire una mano dietro la schiena di lei per avvicinarla ulteriormente, e facendo scendere il viso nell’incavo del suo collo. Lo baciò, con dolcezza, mentre le dita di lei si muovevano tra i suoi capelli in carezze delicate. Elijah riuscì facilmente a sentire un sospiro fuoriuscire dalle labbra di lei e soffiare dolcemente nei pressi della sua testa, ma quando improvvisamente la porta d’ingresso della casa suonò, ogni piccola sensazione si distrusse costringendo i due ad interrompersi, e lei a riaprire gli occhi. Sofia fece scivolare le mani sino a poggiarle sulle spalle di Elijah, accompagnandolo mentre lui indietreggiava col corpo voltandosi con gli occhi scuri verso la superficie in legno che chiudeva l’ingresso della casa.
– Sofia? – la voce di Caroline proruppe nella casa, sebbene la vampira fosse ancora all’esterno, e solo in quel momento Sofia riuscì a ricollegare tutto abbassando i suoi occhi in quelli scuri del vampiro. Li sgranò leggermente, spingendosi indietro e portandosi in piedi velocemente. Elijah si schiarì la voce, portandosi in piedi e sistemandosi con eleganza e compostezza la camicia nascosta dalla giacca scura, e subito dopo anche la giacca. Passò una mano tra i capelli mentre Sofia correva verso la porta, aprendola e sorridendo scombussolata all’amica.
– Ehi Care, eccoti qui finalmente! – esclamò, ridacchiando imbarazzata. La bionda all’esterno della casa sollevò un sopracciglio stranita ma guardando verso l’interno si accorse ben presto della figura di Elijah. Sorrise maliziosamente.
– Ho interrotto qualcosa? – domandò la Forbes in un sussurro che venne ugualmente sentito dall’Originale, ma che sembrò non scomporsi. Sofia si paralizzò prima di scuotere bruscamente il capo.
– Ah, no no! – rispose lei prontamente, agitando una mano. Fu nello stesso momento che sentì una mano di Elijah appoggiarsi su una sua spalla, attirando la sua attenzione. Voltò il capo verso l’Originale, come se temesse sul serio di aver detto qualcosa di sbagliato, ma tutto ciò che vide fu la freddezza tipica che caratterizzava il volto del vampiro.
– Penso sia meglio che io vada ora. – disse lui, apparentemente tranquillo – Divertitevi. – continuò, regalando uno sguardo cordiale alla Forbes che si spostò dall’ingresso permettendo all’Originale di uscire. Sofia posò i suoi occhi verdi su di lui mentre lo guardava percorrere quel vialetto con quella sua postura elegante, infilare una mano all’interno di una tasca della giacca ed infine sparire oltre il cancelletto del piccolo giardino. Aveva un’aria assorta, le labbra schiuse e concentrate sul punto in cui Elijah era sparito, almeno fino a quando Caroline la richiamò.
– Ehi, bella addormentata! Allora? – le disse la Forbes, fissandola con un ampio sorriso macchiato di malizia. Sofia sussultò a quelle parole, ritornando a guardare l’amica. Si passò distrattamente una mano sul collo, lì dove qualche attimo prima posavano indisturbate le labbra di Elijah.
– Dunque…ho trovato il vestito per stasera. Io…ecco, credo che dovresti vederlo per darmi un parere prima di andare a comprare altri accessori. – commentò Sofia, facendo scivolare le mani lungo i fianchi e facendo cenno all’amica di entrare in casa. Caroline la guardò dubbiosa, sollevando il mento.
– Devi dirmi soltanto questo? Sicura? – domandò ulteriormente la Forbes, fissandola con aria indagatoria. Sofia annuì prontamente prima di sorriderle impacciata.
– Solo questo. – mentì. Le serviva un po’ di tempo per rendersi conto di tutto quello che era accaduto prima che Caroline arrivasse.
 
La musica rimbombava ovunque nella scuola in maniera assordante, concentrando il suo frastuono nell’enorme palestra dell’edificio che era stata adibita a sala da ballo anni ’80. C’era da ammetterlo: Caroline e la sua squadra avevano sicuramente fatto un buon lavoro. Sofia fissava con interesse l’orda di studenti, ubriachi e non, che si dimenavano per l’intera stanza al ritmo di musica. Il vestitino le ricadeva morbidamente lungo il corpo, ed i boccoli biondo platino erano lasciati sciolti e liberi, semplicemente molto più sistemati del solito. Volse lentamente lo sguardo verso Caroline al suo fianco, sorridendole dolcemente.
– E’ davvero una bella festa. – si complimentò, intrecciando le mani dietro la schiena con fare bambinesco. Caroline le sorrise solare.
– Già! Ma sai, ancora non riesco a credere che il tuo accompagnatore ti abbia dato buca. – ammise la Forbes, sorseggiando un po’ del ponch contenuto nel bicchiere di carta che aveva in una mano. Si muoveva ogni tanto per seguire la musica, senza mai danzare in una maniera vera e propria. Sofia sospirò arrendevole quando udì le parole dell’amica.
– Non mi ha dato buca, semplicemente verrà alla festa più tardi. Ma ci sarà comunque. – rispose, convincendo anche sé stessa che in qualunque caso avrebbe ballato con Elijah; perché lo desiderava. Sorrise all’indirizzo dell’altra ricambiando lo sguardo poco convinto che Caroline le stava donando.
– Penso che Rebekah avrebbe potuto cercarsi un altro accompagnatore invece di chiedere al fratello. Insomma, potrai anche accontentarti, ma non è carino farti aspettare qui in questo modo. – continuò Caroline, annuendo col capo per darsi maggiore convinzione. Sofia mosse le spalle in un movimento appena percettibile prima di guardarsi intorno con attenzione.
– Anche Tyler sta facendo attendere te, quindi siamo pari. – le rispose prontamente la vampira, e Caroline di conseguenza sollevò le spalle ed il mento in maniera fintamente presuntuosa.
– Tyler è giustificato. Io dovevo terminare gli ultimi preparativi della festa, ed era inutile che venisse a scuola così presto. Sono io ad essere in anticipo, e non lui in ritardo. – disse Caroline, affrettandosi a rispondere. Sofia sorrise divertita dall’atteggiamento dell’amica.
– Anche Elijah è giustificato. – asserì, voltandosi verso la Forbes. Caroline sospirò arrendevole, constatando ancora una volta che quella ragazzina aveva sicuramente una testa dura.
– Dimmi almeno che ti ha chiesto scusa a dovere per non essere venuto. – ed il tono della Forbes parve quasi supplichevole, sebbene sul suo viso andò disegnandosi un sorriso premuroso. Sofia si paralizzò. Continuava a portarsi dietro il ricordo di quel pomeriggio e il dispiacere che provava ogni volta che rammentava di essere stata interrotta. Schiuse le labbra colta da un improvviso imbarazzo, mentre sollevava una mano a passarla tra i boccoli distrattamente. Caroline aggrottò la fronte davanti a quella reazione e si sporse leggermente col viso verso di lei.
– Sofia? – la chiamò, allargando platealmente le braccia – Cos’è? Non ti ha chiesto nemmeno scusa? Ed io che mi ero fatta un’immagine di Elijah totalmente diversa. – sbottò la Forbes, scuotendo il capo in maniera critica e terminando d’un sorso ciò che restava del suo ponch. Sofia sussultò sentendo quelle parole e sgranò gli occhietti verso di lei.
– No no! Mi ha chiesto scusa! – si affrettò a dire, agitando distrattamente entrambe le mani – Forse non a parole, ma…ha sicuramente chiesto scusa. – continuò, annuendo col capo e facendo oscillare bruscamente quei boccoli biondi ordinatamente sistemati. Caroline inarcò un sopracciglio, confusa.
– Stai bene? – le domandò, perplessa. Sofia annuì, forzando un sorriso timido.
– Si, assolutamente. E’ che…non c’è bisogno che incolpi Elijah, ecco. Ha fatto la scelta giusta. – asserì, cercando in tutti i modi di chiudere lì il discorso. Caroline sospirò prima di sorriderle, e fu nello stesso momento che la voce di Tyler sovrastò la musica facendosi udire dalle due bionde presenti, le quali volsero a lui lo sguardo.
– Ehi, Tyler! – esclamò Caroline, poco prima che il suo ragazzo la stringesse con le sue braccia cercando immediatamente un bacio. Caroline non parve nemmeno tanto sorpresa, mentre di conseguenza Sofia strinse la testa nelle spalle indietreggiando di un paio di passi.
– Okay. Io…credo di aver bisogno di bere qualcosa. – si affrettò a dire, sorridendo imbarazzata. Riuscì a ricevere l’attenzione degli altri due, i quali le sorrisero cordialmente salutandola in maniera educata. Non lo dicevano, ma era chiaro che volevano restare da soli, e Sofia lo capì facilmente.
Si voltò incamminandosi velocemente verso i banchetti allestiti per stuzzichini e bevande varie, raggiungendolo in poco tempo. Si guardò intorno per alcuni istanti, cercando di intravedere Elijah o anche solo sentirne l’odore, ma l’unico odore che sentiva era quello degli alcolici che gli studenti avevano segretamente portato alla festa e con i quali si erano liberamente ubriacati. Sospirò, facendo cadere il suo sguardo sul grande recipiente che conteneva il ponch e ne raccolse l’utensile utilizzato per versarlo mentre con l’altra mano prendeva uno dei bicchieri di carta presenti. Ma proprio quando le sue dita sfiorarono il freddo ferro che caratterizzava quell’utensile, alcune dita maschili le sfiorarono il dorso della mano elegantemente facendola sussultare. Allontanò la mano dal ponch, ritraendola verso il petto, e corrugò la fronte quando i suoi occhi caddero sull’ambiguo sorriso che piegava le labbra di Klaus.
– Ho notato che il tuo olfatto inizia ad avere problemi, amore. Di solito mi senti ancor prima che io possa entrare nella tua stessa stanza. – disse lui, sfilandole tranquillamente il bicchiere dalle mani e versandole educatamente del ponch.
– Tu non dovresti essere qui. – commentò lei improvvisamente, sorpresa e sconvolta al contempo. Klaus sollevò le sopracciglia, continuando a sorridere.
– Ah no? So che la tua amica organizzatrice di balli scolastici apprezza tanti presenti. – rispose lui, porgendole il bicchiere. Ma lei non accennò a prenderlo, sebbene lui glielo indicasse continuamente con lo sguardo.
– No. – continuò lei – Avevi detto a Rebekah che non avresti partecipato ad uno stupido ballo scolastico, ed invece ora sei qui. – aggiunse Sofia, mostrando un’aria severa nel suo tono e nella sua espressione. Klaus sbuffò contrariato, appoggiando il bicchiere sul tavolino.
– Rebekah è abbastanza grande per andare ad una festa da sola. E ultimamente è fin troppo appiccicosa. – rispose l’ibrido, con un tono di voce quasi scocciato, allontanando lo sguardo dall’espressione infastidita che si era disegnata sul viso della vampira in poco tempo.
– E’ tua sorella! Come puoi parlare di lei in questo modo? – gli domandò lei, aggrottando la fronte. Klaus ritornò a guardarla, sorridendo ancora una volta.
– Andiamo, tesoro. Hai dei bellissimi occhi, non usarli per giudicarmi. – mormorò l’ibrido, fissandola con uno sguardo quasi dolce, mentre le accarezzava il viso con gli occhi. Sofia gonfiò le guance, ancora offesa, spostando lo sguardo da quello di lui. – Restare a casa era noioso, contando che i miei fratelli non apprezzano la mia presenza. – continuò lui. Per un istante, un momento che la colpì maggiormente, Sofia sentì nel tono di voce usato da Klaus una sorta di dispiacere, o di solitudine. Riprese a guardarlo, scuotendo il capo lentamente.
– Rebekah ti vuole bene. Ed anche Elijah. – gli sussurrò, allungando istintivamente una mano verso una spalla dell’ibrido. Gliela accarezzò con premurosa dolcezza, nel tentativo di allontanare quel senso di solitudine che leggeva in Klaus, e gli sorrise. Quei sorrisi così spontanei e sinceri sembravano essere una delle cose di lei che più attraevano l’ibrido, come in quel momento.
– Facciamo così. Io chiederò scusa a Rebekah per il mio atteggiamento se tu ballerai con me. – asserì Klaus con un tono di voce amichevole. Lei si sorprese, non tanto per la richiesta, piuttosto per il comportamento di lui che non si sarebbe mai aspettata. Scosse il capo bruscamente allontanando la mano dalla spalla dell’ibrido.
– Dovresti chiederle scusa in qualunque caso! – sbottò lei ancora una volta. Klaus rise, sollevando una mano in un palese invito per il ballo.
– Non chiedo scusa facilmente, ma questa volta potrei fare un’eccezione. – continuò lui. Sofia lo fissò per lunghi attimi, titubante, prima che i suoi occhi verdi cadessero sul palmo della mano tesa verso di lei. Non voleva che Klaus chiedesse scusa a Rebekah solo perché lei gli aveva concesso uno stupido ballo, ma allo stesso tempo non voleva restare ferma in un angolo ad attendere che Elijah arrivasse. Sospirò, sollevando una mano ed appoggiandola su quella dell’altro. Klaus sorrise soddisfatto chiudendo le sue dita intorno alla mano di lei, con gentilezza, e la guidò insieme a lui verso la pista da ballo. Ma ciò che sembrò piacere maggiormente a Klaus non fu la sua vittoria, ma la puntuale musica lenta che iniziò a riecheggiare nel loco.
Si voltarono, l’uno davanti all’altro, e mentre l’ibrido sorrideva tranquillo l’altra lo fissava poco convinta. La cinse con dolcezza macinando velocemente la distanza che separava i loro corpi, dopodichè le strinse una mano appoggiando l’altra su un suo fianco. Per un attimo sembrò perdersi nell’odore di vaniglia che lei emanava, così dolce ma forte al contempo.
– Ti dispiace che io ti abbia impedito di concedere il tuo primo ballo ad Elijah? – domandò l’ibrido in un sussurro che venne sospirato direttamente nelle orecchie di lei. Sofia rabbrividì, scuotendo morbidamente il capo.
– Ballerò comunque con Elijah. Sarà qui fra poco. – gli rispose, fissando un punto indefinito oltre la spalla di lui. Klaus annuì in maniera accondiscendente.
– Sei una brava ballerina. – mormorò ancora lui, girando lo sguardo per ammirare il profilo del viso di lei. Sofia immerse i suoi occhi verdi in quelli dell’altro, battendo le palpebre un paio di volte in maniera innocente.
– Anche tu te la cavi. – rispose timidamente, facendo sorridere Klaus maggiormente. Lui le sollevò un braccio, facendola lentamente girare su sé stessa mentre ancora la fissava con insistenza.
– Credo di aver imparato qualcosa in mille anni! – affermò l’ibrido con ironia, lasciandola ancora una volta stupita. Non riusciva a non chiedersi perché non mostrasse al mondo quel lato del suo carattere, invece di essere il Klaus che tutti odiavano. Trovava quasi piacevole stare in sua compagnia. Solo dopo l’ibrido la strinse nuovamente a sé, spudoratamente, seguendo il ritmo di quella musica ormai passata di moda che si abbinava perfettamente alla festa in atto.
– Quando pensi agli anni ottanta, cosa ti torna in mente? – sussurrò Klaus, ad un centimetro dall’orecchio di lei, facendola rabbrividire ancora una volta. Gli occhi verdi di Sofia erano stati fissi verso un punto indefinito oltre la spalla di lui, pur di non accorgersi di avergli concesso un ballo, almeno fino a quel momento. Quando udì quella domanda sollevò il capo portando i suoi occhi ad immergersi in quelli chiari di lui. Era uno scambio di sguardi come qualsiasi altro, eppure nello sguardo di Klaus vi era una certa intensità.
– Michael Jackson. – rispose lei, piegando le labbra rosse in un sorriso limpido – Oh cavoli, quanto lo adoravo. Hai presente Thriller? L’avrò ballata una decina di volte! – esclamò ancora la vampira, cercando di alleggerire la tensione che le stava crescendo in corpo. Era davvero così vicina all’ibrido che aveva ucciso Jeremy, lei ed Elijah senza neanche battere un ciglio? Ma il problema era che quello non sembrava affatto l’ibrido che l’aveva fissata con odio. A quella risposta di lei, Klaus rise.
– Oppure Bon Jovi. C’erano alcune sue canzoni che mi davano seriamente alla testa. – continuò lei, chinando indietro il capo per lasciarsi scappare una semplice risata. Una risata che contagiò anche l’ibrido.
– Non ti facevo un’amante della musica. – affermò l’ibrido, sorridendo in quella sua maniera ambigua. Lei si fece d’un tratto stranita, dopodichè sorrise nuovamente.
– Ed io non pensavo che anche tu potessi essere così. – commentò la vampira, in maniera tranquilla. Sentì Klaus irrigidirsi contro di lei assumendo un’espressione contrariata, seria ed al contempo volse altrove gli occhi.
– Sei piacevole. Divertente. Un bravo ballerino e ti concentri in una conversazione. Perché non mostri questo lato di te alle persone? – mormorò lei con premura, senza preoccuparsi di una possibile reazione di lui fino a quando non la vide arrivare.
Klaus si voltò con un’espressione glaciale, offesa, che le penetrava l’anima incendiandogliela. La spaventò.
– Perché io non sono così. Sono il cattivo, ricordi? – rispose lui – Sono quello che ha ucciso il tuo amichetto, che conserva i suoi fratelli nelle bare e che si serve degli ibridi per poter governare sulle persone. – continuò. Sofia scosse debolmente il capo, intimorita, sentendo le prese di Klaus su di lei farsi sempre più lievi.
– No, queste non sono parole tue, Klaus. – gli sussurrò lei, sentendo le mani di lui scivolare via da lei. Indietreggiò di un unico passo riuscendo comunque a sentire i ringhi sommessi che avrebbero voluto fuoriuscire dalle labbra di lui.
– Questa è una delle cose che odio di te, dolcezza. Il tuo bel visino non ti permette di poter giudicare gli altri. – sibilò lui, avvicinandosi a lei col viso in un atto intimidatorio, quasi animalesco. Sofia indietreggiò, stringendosi nelle spalle e facendolo sorridere ambiguo.
Ma l’ibrido sembrò essere attirato da altro, quando iniziò a sollevare il volto ed a voltarsi lentamente. Il suo sorriso si perse sull’espressione adirata che colorava il viso adorabile di Rebekah, alle sue spalle, stretta in un dolce vestito nero con tanto di cappellino sulla testa.
– Oh, ciao sorellina. Che piacere vederti qui. – affermò l’ibrido, sorridendo platealmente. Rebekah ringhiò, senza badare alla piccola figura semi-nascosta dal corpo di Klaus.
– Sei un bastardo, Nik. – ringhiò la vampira Originale, osservando il fratello con astio. Klaus si finse offeso e sorpreso, guardandosi poi intorno in maniera plateale.
– Oh, andiamo sorellina. Non pensare di iniziare a fare scenate davanti ai tuoi compagni di scuola! – sbottò lui, allargando le braccia ed indicandole tutti gli studenti che li circondavano, di cui alcuni si erano accorti dello scontro verbale e si erano allontanati, o erano rimasti curiosamente ad ascoltare.
– Vai all’inferno! – continuò Rebekah – Hai deciso di non venire alla festa con me perché dovevi andarci con quella sgualdrina? – sbottò ancora la vampira Originale, tendendo un braccio verso l’altra bionda presente. Sofia incassò la testa nelle spalle a quell’affermazione ed indietreggiò di un nuovo passo. Per un attimo, un breve attimo, spostò lo sguardo su Klaus attendendo le sue scuse, o comunque un comportamento che potesse calmare l’altra vampira. Ma Klaus sorrideva, e sorrise anche verso di lei completamente tranquillo.
Non rispose, sorrise semplicemente, e questo provocò in Sofia stupore, incredulità, mentre in Rebekah portò altra rabbia. Gli occhi verdi della vampira lo seguirono mentre passava al fianco della sua stessa sorella e si allontanava per la stanza, sino a sparire. Sofia schiuse appena le labbra, in una maniera incerta, e spostò poi lo sguardo verso Rebekah che continuava a fissarla con dolore e rabbia. Scosse il capo debolmente avanzando di un unico passo.
– No, Rebekah, aspetta. Non è così. – cercò di giustificarsi, ma proprio quando stava per spiegarle tutto, la vampira Originale la interruppe bruscamente.
– No, stai zitta. Non voglio neanche sentirle le tue scuse. – disse Rebekah, fulminandola con quegli occhi chiari. Si voltò, iniziando a darle le spalle, e si allontanò velocemente con passo rigido e nervoso. Sofia ritirò le mani al petto, confusa, non sapendo esattamente come comportarsi.
Sentì gli sguardi dei curiosi che la circondavano e ne ricambiò alcuni, con una certa timidezza, prima di muoversi ed allontanarsi dalla pista da ballo con passo deciso. L’idea era quella di raggiungere Rebekah, trovarla in quella massa di studenti, parlarle, chiederle scusa, o comunque fare qualcosa per risolvere la situazione sebbene dentro sé sentisse una sorta di delusione in merito all’atteggiamento di Klaus. Corrugò la fronte, guardandosi intorno ed iniziando a reputare la musica che rimbombava nel loco decisamente fastidiosa. Doveva seguire l’odore che Rebekah si era lasciata dietro; si sentiva un segugio. Quando, però, stava per uscire dalla palestra una mano la cinse gentilmente per un polso costringendola a bloccarsi. Si voltò di scatto, sorpresa e quasi intimorita, ma quando finì col perdersi in quegli occhi scuri che la fissavano quasi con preoccupazione, ogni piccola goccia di timore si dileguò. Elijah la invogliò a voltarsi verso di lui, guardandola.
– Stai bene? – le domandò, con quella sua voce profonda e composta. Sofia battè le palpebre varie volte, facendo poi scorrere lo sguardo su colui che aveva davanti, come se lo stesse studiando. Deglutì rigidamente prima di ritornare a fissarlo negli occhi, ed annuì.
– Ho fatto un casino. – borbottò lei con tono di voce colpevole. Elijah sibilò, zittendola con gentilezza.
– So cos’è successo, ho incontrato Niklaus. E non è colpa tua. Dov’è Rebekah? – le domandò, facendo pian piano scivolare la mano su quella di lei per allontanare la presa. E nel mentre attendeva risposta, il suo sguardo vagò per l’enorme stanza alla ricerca della sorella.
– La stavo cercando, credo sia andata via. – sussurrò lei. L’Originale riprese a guardarla, annuendo lentamente col capo, dopodichè le sorrise.
– Tu aspettami qui. Cercherò di risolvere questa situazione una volta per tutte. – le disse lui, facendo scorrere lentamente un pollice su una gote della vampira, allontanandosi subito dopo. Sofia lo seguì con lo sguardo vedendolo muoversi con quel suo elegante portamento che lo guidò sino alla porta della palestra, oltre la quale sparì.
 
Si era rigidamente fermata in un angolino dell’enorme palestra guardandosi intorno con attenzione per poter scorgere Elijah tornare. Le dita giocherellavano distrattamente con la lunga gonna viola del vestitino, senza preoccuparsi di rovinarne il tessuto. Sebbene l’espressione fosse dispiaciuta, colpevole e preoccupata per la situazione, dentro di lei sentiva crescere la delusione ed il rancore che provava verso Klaus. Sospirò, quando ad un tratto vide Elijah spuntare dalla folla di studenti che si era formata, con quella sua espressione seria e quella mano che ricadeva puntualmente all’interno di una tasca del suo elegante completo. Sembrava la stesse cercando, e non ci mise molto ad intercettarla con lo sguardo. Lei gli sorrise scostandosi dalla parete ed andandogli incontro sin quando si ritrovarono nuovamente l’uno davanti all’altra. Proprio quando lei schiuse le labbra per parlare, Elijah la interruppe elegantemente, immaginando cosa lei stesse per dire.
– L’ho trovata, ed è tornata a casa. Era parecchio furiosa. – commentò lui, compiendo una smorfia col viso. Sofia rilassò le spalle, sebbene si sentisse ancora in colpa, e strinse le labbra.
– Mi dispiace. – sussurrò, sollevando poi una mano a mezz’aria – Non avrei mai dovuto accettare di ballare con Klaus. Mi aveva anche detto che le avrebbe chiesto scusa, ed invece è scappato via peggiorando soltanto la situazione! – sbottò la vampira, agitando casualmente le mani. Elijah stava egregiamente nascondendo che vederla agitarsi in quel modo lo divertiva, sembrava quasi un’innocente bambina.
– Avrei voluto chiederle scusa ma… – stava dicendo ancora lei, quando fu costretta ad interrompersi. Sgranò gli occhi quando si ritrovò le labbra di Elijah sulle proprie, con una mano di lui che le raccoglieva il viso da un lato. E sebbene lo stupore iniziale, quando capì la situazione si rilassò completamente, socchiudendo gli occhi ed ignorando qualsiasi sguardo si stesse posando su di loro, baciandolo a sua volta. L’aveva praticamente zittita, ed a lei la cosa non dispiaceva affatto.
 
Quel giorno di lavoro era stato a dir poco estenuante per lei, e quell’espressione scocciata e quell’andatura stanca con la quale si stava trascinando verso il suo appartamento, non facevano altro che dimostrarlo. Quando si ritrovò davanti alla porta di quel piccolo appartamento, di un motel scadente, sbuffò sonoramente. Sentiva alcuni rumori provenire dall’interno e non le servì molto per capire chi e cosa fosse. Prese le chiavi che gli addetti al motel le avevano fornito ed aprì la porta velocemente, gettandosi all’interno. Gli occhi chiari della donna si portarono sull’uomo che era in piedi al centro della stanza. Un uomo muscoloso, con addosso solo una canottiera sudaticcia e i lunghi pantaloni di una tuta, prendeva continuamente a pugni un sacco da boxe che penzolava davanti a lui. Deborah, l’infermiera dai capelli rossi, sbuffò sonoramente richiudendosi la porta alle spalle.
– Oh, Connor. Chi diavolo ti ha invitato qui? – domandò, avvicinandosi al letto del monolocale ed appoggiandovi sopra la sua ventiquattrore. Connor sorrise beffardo afferrando il sacco da boxe con entrambe le mani e fermandolo. Non aveva capelli in testa, mentre la sua pelle era scura e dal suo aspetto dimostrava sicuramente meno di trent’anni.
– Vorresti dirmi che non ti fa piacere avermi qui? – chiese lui, sfilandosi i guanti da boxe e riponendoli  lì nei pressi mentre stabilizzava il suo respiro ansante.
– Vorrei dirti che mi fa piacere ricevere tue visite fin quando non trasformi il mio appartamento in una palestra che puzza di sudore. – bofonchiò lei, camminando verso la finestra del monolocale. La aprì, ammirando la notte per brevi istanti, voltandosi in seguito verso l’altro che si era stancamente messo a sedere sulla poltrona beige che era presente nella sala. Lui allargò le braccia platealmente.
– Suvvia, mi farò una doccia. Nel frattempo dimmi, com’è andata la tua giornata? – le domandò, osservando la donna mentre si raccoglieva i lunghi capelli rossi dietro la testa, in una coda alta. Si sfilò gli occhiali da segretaria abbandonandoli sulla cassetteria al fianco del letto e nello stesso momento raccolse la sua fidata valigetta.
– E’ stata stancante! – sbottò con tono infantile, appoggiando la valigetta sul tavolo nei pressi della poltrona e trascinandosi una sedia ove accomodarsi. – Ma ho ottenuto buoni risultati. – affermò, facendosi improvvisamente seria. Connor la guardò, sporgendosi subito dopo col busto verso di lei e donandole tutta la sua attenzione.
– Le informazioni che abbiamo ottenuto sono vere. Questa città pullula di vampiri! – aggiunse la donna, aprendo la valigetta e rovistando fra le cose ch’essa conteneva – Come avevo previsto, sono anche a scuola. – continuò.
Tirò fuori dalla valigetta alcuni campioncini di sangue perfettamente conservati sui quali alcune etichette segnavano dei nomi precisi. Li appoggiò sul tavolo uno ad uno, prima di sfilare una cartella. Connor seguiva attentamente ogni piccolo movimento della donna, fin quando lei spostò definitivamente la valigia dal tavolo e sistemò i campioncini di sangue sul tavolo. Raccolse il primo campioncino ed aprì la cartella.
– Sono riuscita a procurarmi le loro foto, così puoi memorizzare meglio i loro volti. Hai capito? Memorizza. – gli disse, e l’uomo annuì.
Mostrò il primo campioncino, sul quale l’etichetta citava il nome di Caroline Forbes, e raccolse la foto della vampira dalla cartella.
– Lei è Caroline Forbes. Apparentemente diciotto anni, figlia dello sceriffo, assolutamente vampira. – disse Deborah, staccando l’etichetta dal campioncino ed allegandola alla foto, per poi porgerla all’uomo. Connor studiò la foto e cercò di memorizzare, annuendo di tanto in tanto col capo.
Nel frattempo l’infermiera raccolse un nuovo campioncino, sfilando una nuova foto dalla cartella. Quando Connor sollevò il viso, poté intravedere il volto di un ragazzo dagli occhi verdi raffigurato nell’immagine.
– Stefan Salvatore. Fa parte di una delle famiglie dei fondatori, ed ha apparentemente diciassette o diciotto anni. Assolutamente vampiro. – spiegò ancora, sfilando anche quell’etichetta ed allegandola alla foto che poi passò a Connor.
Ne raccolse un’altra ancora, insieme ad un’altra foto, mentre l’uomo studiava attentamente i volti dei ragazzi raffigurati nelle foto. Sollevò il viso di nuovo, per dedicarsi alla spiegazione della donna.
– Tyler Lockwood. Figlio del sindaco, anche lui fa parte di una delle famiglie fondatrici come gli altri due. Qui ho avuto qualche difficoltà, dato che il suo sangue non riporta completamente la parola vampiro. – disse lei, guardando la foto dell’ibrido. Connor inarcò un sopracciglio.
– Spiegati meglio. – le chiese con attenzione, appoggiando sul tavolo la foto di Caroline e quella di Stefan.
– E’ per metà vampiro, e per metà licantropo. – rispose la donna con tranquillità, riprendendo a guardare l’uomo.
– Come puoi esserne sicura? – le chiese lui, quasi dubitando delle parole dell’altra. Deborah sorrise in una maniera vagamente presuntuosa mentre spostava l’etichetta con il nome dell’ibrido dal campioncino alla foto.
– Faccio queste cose da un bel po’ di tempo, Connor. – gli rispose semplicemente, porgendogli l’immagine di Tyler ed andando avanti.
– Sofia Fiorentini. Apparentemente diciassette o diciotto anni, si è trasferita qui da non molto. Ha origini italiane. – spiegò, ma gli occhi di Deborah si soffermarono su quella foto molto più di quanto avesse fatto sulle altre. Connor lo notò. Posò l’immagine di Tyler sul tavolo insieme alle altre due e si sporse sul tavolino.
– Cos’altro c’è? – le chiese, con impazienza. L’infermiera sollevò gli occhi chiari verso il volto dell’uomo e spostò l’etichetta dal campioncino alla foto.
– Il suo gruppo sanguigno. – iniziò a dire, senza guardare l’altro – E’ particolare. Si può dire che una sola persona su dieci lo possiede. Potrebbe essere Lei. – aggiunse, sollevando i suoi occhi chiari dall’immagine per portarli sul volto di lui. Connor sembrò sorpreso da quell’improvvisa rivelazione.
– Vorresti dire che… – stava dicendo, ma l’altra lo interruppe scuotendo bruscamente il capo e facendo oscillare la lunga coda rossa che penzolava dietro la sua testa.
– Non voglio dire niente. Potrei essermi sbagliata. Connor, ti ricordi perché siamo qui, vero? Cercherò di studiarla meglio, di capire se è in qualche modo legata a ciò che stiamo cercando, ma tu devi eseguire il tuo compito. – gli disse seria, allungando una mano verso una di lui e carezzandogli morbidamente il dorso, come se stesse cercando di infondergli sicurezza. Connor annuì.
– Perché hai scelto proprio me? – le domandò, appoggiando la foto di Sofia insieme alle altre. Deborah sorrise dolcemente, ritraendo la mano.
– Non sono stata io a sceglierti, è stata la natura. Sei legato a Lei, tu sei uno di quei Cacciatori. Uno dei Cinque. – gli rispose, guardandolo in maniera premurosa. Connor annuì, guardando il dorso della mano sfiorata da Deborah in precedenza. La donna non poteva vederlo, ma su di essa si estendeva un breve ed incomprensibile tatuaggio.
– Comunque! – esclamò improvvisamente la donna, ritornando ai suoi campioncini. Ne prese un altro, ed in seguito una foto – Lei è Rebekah Mikaelson. Anche lei è una vampira. E questi sono solo i vampiri che si trovano a scuola. – spiegò, spostando l’etichetta dal sangue alla foto e tendendola cacciatore. Connor la prese e la studiò, come le precedenti ma notò che i campioncini di sangue non erano terminati.
– Quelli sono altri vampiri? – le domandò incuriosito, riponendo la foto di Rebekah sul tavolo. Deborah scosse il capo.
– Questi fanno parte di miei ipotesi. – raccolse un campioncino, mostrando il nome di Bonnie Bennett – Lei è una Bennett. Una strega. Non riesco a capirlo dal suo sangue ma ho conosciuto molte streghe in vita mia. – spiegò, porgendogli la foto di Bonnie con tanto di etichetta.
Dopodichè raccolse il campioncino con il sangue di Elena Gilbert e ne staccò l’etichetta.
– Elena Gilbert è la fidanzata di Stefan Salvatore il quale ha un fratello di nome Damon Salvatore. I due fratelli Salvatore ti ricordano nulla? – chiese Deborah, porgendogli la foto di Elena con l’etichetta e fissandolo con attenzione. Connor riflettè attentamente prima che qualcosa gli ritornasse effettivamente alla mente.
– I due Salvatore, i fratelli vampiri che si contendevano Katherine Pierce, la doppelganger. – rispose lui, stupito. Deborah annuì disegnando un sorriso sul volto.
– Esattamente. Katherine Pierce era una donna bellissima, e la sua dinastia non era terminata con lei. Questo mi porta a pensare che questa Elena Gilbert sia l’ultima doppelganger, dopotutto i due fratelli erano davvero ossessionati dall’altra. – bofonchiò la donna, osservando attentamente tutto il materiale che era riuscita a procurarsi.
– Ma non ne sei sicura. – commentò Connor, osservandola. Deborah annuì a quelle parole.
– Terrò d’occhio lei e quella ragazza, Sofia. Tu, nel frattempo, inizia ad occuparti degli altri vampiri. – gli chiese, osservandolo con un’espressione decisa. Connor annuì, sorridendole subito dopo in maniera ironica.
– Sono stupito. Sei riuscita a procurarti tutte queste informazioni in un solo giorno. Domani quanti altri nomi mi porterai? – le domandò con ironia, ridacchiando appena. Deborah si unì alla sua leggera risata, soddisfatta del suo lavoro, e si sollevò dalla sedia per avviarsi verso il letto. Connor si alzò dalla poltrona, facendosi improvvisamente serio.
– Sei davvero determinata nelle tue ricerche. Ma non mi hai ancora spiegato perché vuoi trovare Lei. – le disse, osservandola mentre sistemava le sue cose. Deborah parve irrigidirsi a quella domanda e si voltò per mostrargli solo metà del viso, intravedendolo appena.
– Ho i miei motivi per farlo, Connor. Tu vuoi che il tuo tatuaggio sparisca, io posso fartelo sparire. Ma per farlo occorre prima di tutto completarlo, e completandolo io troverò quello che sto cercando. Ci guadagniamo entrambi, no? – rispose lei, voltandosi nuovamente ed interamente verso di lui.
– Ma perché la stai cercando? Trovarla che tipo di guadagno ti porterà? – le chiese Connor in maniera insistente. Deborah indurì la sua espressione, sollevando una mano ed appoggiandosela al fianco.
– Stiamo lavorando insieme perché abbiamo gli stessi interessi, Connor. Ciò che farò io poi non ti riguarda, così come non riguarda me ciò che farai tu quando il tuo tatuaggio sarà sparito definitivamente. – gli rispose freddamente – Intanto vai a lavarti che la puzza di sudore è insopportabile, ed io devo cambiarmi. – continuò, accennando un leggero sorriso presuntuoso.
Connor sbuffò sonoramente, allargando le braccia.
– Io trovo che ‘la puzza di sudore’ come la chiami tu, sia virile! – esclamò in maniera infantile, dileguandosi infine all’interno del piccolo bagno dell’appartamento.
Deborah sorrise leggermente, prima di diventare improvvisamente seria quando si ritrovò da sola in quella sala. Iniziò a sbottonare la camicia mentre si avvicinava con lenti passi al tavolino sopra il quale Connor aveva lasciato le fotografie da lei procurate. Le guardò, sicura che quel piano avrebbe funzionato. Doveva funzionare.
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Note dell'autrice:
Oh mamma! Ci metto sempre più tempo ad aggiornare. D:
Dunque dunque, vi chiedo umilmente perdono. çwç Ma la mancanza di ispirazione è terribile, è già tanto se sono riuscita a scrivere questo capitolo (il cui giudizio lo lascio a voi, perché il mio giudizio è decisamente negativo).

Volevo anche cogliere quest'occasione per chiedere immensamente scusa agli autori delle storie che seguo e che ultimamente non riesco a leggere. Purtroppo per questo periodo è così, ma spero di recuperare presto. ç_ç Perdonatemi!

In più, se volete ho creato anche la mia pagina Facebook in cui posterò aggiornamenti ed informazioni sulle fic che scrivo, che è QUESTA. Gestisco anche una pagina Facebook in cui tratto di telefilm, svolgo richieste grafiche e chi ne ha più ne metta, che è QUESTA. Vi aspetto in tanti!

Ovviamente ringrazio sempre chi mi segue ancora, chi mi ha sempre seguita e chi recensirà questo capitolo. Vi sono veramente grata. <3
- P.s.: titolo del capitolo ed immagine ad inizio capitolo che prima o poi arriveranno! -

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