Zero Positivo: le bugie di Alexander Christopher Howl

di Rebel Girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fine Prologo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il giudice Cotton non riusciva a credere ai suoi occhi quando quella mattina, chiamato in fretta e furia dalla segretaria del suo ufficio penale, aveva fatto fermare la lussuosa macchina nera davanti ai gradini del tribunale e una folla rumorosa e sbraitante di vampiri di ogni età l’aveva accolto.
Il signor Cotton si asciugò la fronte madida di sudore, allentandosi un po’ il colletto della camicia con le dita bianche e scarne.
“Per l’amore del cielo, ma che diavolo sta succedendo al mondo sotterraneo? Non vedevo una folla così inferocita dal giorno in cui il re dei Vampiri , sir Kingston,  fu ucciso da un gruppo di ribelli durante una delle sue parate nei quartieri nobili della città” esclamò l’uomo, osservando con occhio spaventato la folla di gente che si era radunata tutta attorno alla macchina, battendo i pugni sui finestrini anneriti. Il buon signor Clepton, maggiordomo e autista di fiducia del giudice, si voltò verso i sedili posteriori, abbozzando un sorriso pacato che mise in evidenza i denti bianchi e ben curati.
“Dovrebbe sentirsi onorato, giudice Cotton. Oggi è un gran giorno per il mondo sotterraneo. Avere il privilegio, no ma che dico, la fortuna di poter essere colui che manderà al patibolo quel ragazzino sfrontato che ha ridotto il nostro mondo in macerie.”
“Se la gente mi ritiene così fortunato perché diavolo sta battendo come un branco di bestie selvagge i pugni sulla mia macchina? Ah, sono fortunato hai detto? Fortunato un accidenti! Potrà pure avere la faccia di un ragazzino ma quel sfrontato, come lo chiamate voi, è più vecchio di me e di lei messi insieme, William.”
Il giudice aprì con mani tremanti la valigetta di cuoio, affondando le mani al suo interno ed estraendone una scatoletta di metallo. L’aprì velocemente, quasi facendone rovesciare il contenuto sui pantaloni gessati. Afferrò una sigaretta, portandosela alle labbra e cercando l’accendino nella tasca della giacca.
“Non dovrebbe fumare, signore. Ne va della sua salute.”
“Sciocchezze, William. Quando mai ha sentito un vampiro morire di cancro ai polmoni?” disse Cotton, aspirando il fumo biancastro, il gusto del tabacco gli solleticava la lingua. Posò una mano sudata sulla fronte, massaggiandosi lentamente le tempie. La folla all’esterno della macchina si faceva sempre più numerosa. Sentiva delle urla provenire proprio dietro alla sua testa, grida adirate di persone che urlavano in continuazione le stesse frasi. Chiedevano giustizia,  rispetto, vendetta e ( quelle erano le grida più forti) un esecuzione. 
Cotton trasalì, facendo quasi cadere la sigaretta sul pavimento dell’auto, quando la porta posteriore si aprì, facendo entrare le voci della folla all’interno dell’abitacolo. Un uomo anziano con dei grandissimi baffi grigi si sedette accanto a lui, chiudendo la porta con forza.
“Giornata intensa, vero Cotton? Tutti in delirio per la grande udienza!” esclamò l’uomo, battendo le mani e sfregandole una contro l’altra, il tono della voce eccitato.
“Lo sarà per te, McFadden, lo sarà per te!” rispose stizzito il giudice, prendendo un’altra boccata dalla sigaretta e lanciando occhiate veloci all’esterno dell’auto.
“Non dirmi che ti spaventa tanto quel ragazzino, vero?” disse McFadden, voltandosi verso l’amico e posandoli una mano sulla spalla “ Vuoi che ti tenga la mano durante il processo?”
“Al diavolo te e il tuo stupido umorismo, McFadden! Ti sei dimenticato cosa ha combinato quel ragazzo? Ha tradito il consiglio dei vampiri, ucciso metà dei nostri compagni schioccando solo le dita! Ci ha preso in giuro per tutto questo tempo e noi non ce ne siamo nemmeno accorti. Ma io dico, ha ucciso il re maledizione!”
Cotton sentiva il cuore battergli a mille per l’agitazione. O meglio, se avesse avuto ancora un cuore che batteva, molto probabilmente gli sarebbe schizzato fuori dal petto. McFadden rise divertito, prendendo l’orologio da taschino dalla giacca e controllando l’ora segnata dalle sue lancette d’orate.
“Ed è proprio per questo che non vedo l’ora di far sbranare quello sporco impostore dai L-0. Imbrogliati così da un Rehab, un mezzo vampiro. Quello non è della nostra razza, è il male assoluto. Ma ora sbrighiamoci, il consiglio ci sta aspettando.” e detto questo il signor McFadden aprì la porta dell’auto, scendendo velocemente da essa.
“Davvero non hai paura di lui?” gli urlò Cotton, sovrastando le voci della folla inferocita.
McFadden alzò le spalle, sorridendo.
“Chi ha paura di un vampiro già morto?”
 
Il tribunale era brulicante di persone. Donne fasciate in tubini elegantissimi e con grandi capelli sul capo, sedevano tra le prime file, chiacchierando ad alta voce l’uno con l’altra. Uomini in giacca e cravatta, appostati vicino alla porta semi aperta, si davano pacche sulle spalle e sorridevano divertiti.  La pioggia batteva sulle grandi finestre di legno, le goccioline di acqua scendevano copiose lungo i vetri, lasciando al loro passaggio lunghe strisce bianche. Il grande lampadario di cristallo illuminava la sala. L’atmosfera allegra tradiva il vero motivo per cui tutta quella gente era riunita nel tribunale. Dopotutto, chi mai poteva perdersi la condanna di un impostore che aveva sterminato un numero quasi indefinito di vampiri del mondo sotterraneo? Le donne che presiedevano all’udienza, però, erano attirate solo dalla parte romantica della vicenda del giovane imputato. Gli uomini, invece, erano presenti solo per un motivo esclusivamente politico. Quando quel ragazzo sarebbe morto, molte tra quelle persone potevano ritrovarsi ricoperte di ricchezze e titoli nobiliari che prima potevano solo sognare di possedere.
Il grande consiglio dei vampiri, una delle cariche più alte del mondo sotterraneo, sedeva silenzioso sopra alla pedana sistemata in fondo alla sala.  Le  grandi sedie di legno massiccio scricchiolavano sotto al peso dei vecchi vampiri fasciati nelle loro tuniche nere lucide. Il più vecchio di loro, il signor Thomas,  alzò il pesante martello di legno e, dopo aver battuto alcuni colpi per richiamare all’ordine l’aula, disse ad alta voce: “ Che le guardie portino dentro il traditore.”
L’aula calò nel silenzio più assoluto, interrotto solo da qualche sussurro da parte di un paio di signore sedute vicino alla porta. Il giudice Cotton aveva l’inferno che gli bruciava la pelle del viso. Si sistemò la parrucca bianca da magistrato sopra alla testa,  stringendo con forza la penna tra le dita sudaticce e chiedeva a quel Dio che era solito pregare quando era ancora umano,  di velocizzare la sentenza.
La porta si spalancò, andando a sbattere con teatralità contro il muro bianco e ben verniciato. Due guardie fasciate in una divisa nera entrarono nella stanza. Erano alte e con un fisico muscoloso che veniva evidenziato dalla giacca della divisa. I volti, pallidi e scarni, erano nascosti da una maschera rossa. L’unica cosa che si intravedeva erano gli occhi rossi come il sangue che erano in netto contrasto con la pelle diafana dei due vampiri. Una donna lanciò un urlo disgustato, nascondendo la bocca dietro ad un fazzolettino bianco di pizzo, non appena intravide il corpo che le due guardie stavano sorreggendo. Eccolo lì l’imputato di cui tutti parlavano. Il ragazzo,  che a mala pena si reggeva sulle proprie gambe, teneva la testa bassa. I capelli erano neri come la pece, una frangia scompigliata gli copriva la fronte. Erano bagnati, quasi fradici. Del sangue colava lungo la tempia, scorrendo lungo la guancia pallida e andando a morire nell’incavo del collo scoperto.  Gli occhi erano nascosti dai capelli neri, impedendo ai presenti di vedere il viso del ragazzo. Il colletto della camicia che indossava era sporco di rosso, sangue ormai incrostato che si doveva trovare lì da chissà quanto tempo. I pantaloni neri erano sporchi di terra, chiazze grigie avevano letteralmente logorato il tessuto di quello che doveva essere, almeno in parte, un completo da festa. La pelle delle mani, le cui dita avevano assunto un colore violaceo, era ricoperta da tagli profondi e da abrasioni. Le manette che portava ai polsi tintinnavano ad ogni suo passo strascicato. Sembrava quasi che dovesse cadere da un momento all’altro, inciampando nelle sue stesse converse rovinate. Una delle due guardie lo strattonò violentemente, urlandogli qualcosa nel dialetto incomprensibile che solo alcuni vampiri parlano. Il dialetto dei Rehab, i mezzi vampiri.  Più il ragazzo avanza, più il giudice Cotton tremava nella sua tunica nera. Arrivanti davanti alla grande pedana del consiglio , le guardie spinsero con una tale violenza il ragazzo che quello perse l’equilibrio e cadde  sulle ginocchia.
Il signor Thomas si schiarì la voce, sporgendosi appena dal tavolo.
“L’imputato dichiari nome e stato davanti al gran Consiglio.”
Nessun suono provenne dal ragazzo. Se ne stava inginocchiato a terra, la testa bassa. Il signor Thomas si sistemò gli occhiali sopra al naso, lanciando qualche occhiata al resto dei membri del consiglio. Quelli risposero allo sguardo rimanendo in silenzio. Il giudice parlò di nuovo, alzando di più la voce.
“L’imputato dichiari il suo nome davanti al gran Consiglio!”
“Che sia già morto?”
“Non mi stupirei, chissà cosa diavolo gli avranno fatto quelle guardie?”
“Oddio, l’odore del suo sangue mi sta dando la nausea!”
La gente cominciò a parlare a sotto voce dal fondo della sala, rompendo il silenzio che era calato nel tribunale. Il signor Thomas sbuffò, lanciando occhiatacce al ragazzo inginocchiato davanti al suo tavolo. Batté il martello con forza, ripristinando il silenzio. Dopodiché fece un segno alla guardia che, al quel gesto, afferrò il ragazzo per i capelli, facendolo alzare in piedi.
“Ti vuoi decidere a parlare oppure no, sporco Rehab?” urlò la guardia, piegando con forza la testa del ragazzo all’indietro. Quello, in risposta, non mosse un muscolo.  A quel punto l’altra guardia, che per tutto quel tempo era rimasta in disparte, afferrò una pistola argentata che portava appesa alla cintura e la puntò sul torace del ragazzo.
“Le pistole non posso uccidere i vampiri ma tu,  essendo un Rehab , dovresti comunque provare dolore, non è vero?”
Il giudice Cotton assisteva alla scena pietrificato. Voleva andarsene da quella stanza, al più presto possibile. I suoi pensieri furono interrotti dal suono di uno sparo e da un grido straziato di dolore che echeggiò nel tribunale. Il ragazzo era a terra, inginocchiato con la fronte appoggiata al freddo pavimento. La guardia, ripose la pistola nel fodero e benché le sue labbra fossero nascoste dalla maschera nera, si poteva intuire che stesse sogghignando. Il ragazzo urlava come un forsennato, le mani stringevano la stoffa della camicia all’altezza dello stomaco. Del sangue cominciò a colare sul pavimento, formando un piccola pozzanghera sotto alle sue ginocchia. Il signor Coleman sorrise, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita delle mani.
“Avete visto? Siete tutti testimoni che nessun vampiro può mettersi contro il grande potere del Consiglio. Non vuole dire per quale motivo è qui davanti a noi? Bene, risponderò io per lui.”
Si alzò in piedi e la sedia di legno gracchiò al contatto con il pavimento.
“L’imputato è accusato di alto tradimento e omicidio. Ha ucciso il nostro re, ha fatto nascere una guerra nel nostro mondo sotterraneo! E, solo pronunciare questa frase mi fa inorridire, ha salvato un umana. Un’umana, una schiava! Secoli e secoli per imporre il nostro potere sugli sporchi esseri umani che vivono nel mondo in superficie e lui ha osato sfidare il consiglio salvando un’umana? Ma a che punto può arrivare la pazzia, signori? Ha complottato alle nostre spalle e……” la voce li morì in gola non appena un altro suono superò quello delle sue parole. Tutti i presenti, anche quelli che se ne stavano andando, puntarono gli occhi sul ragazzo inginocchiato per terra. Nessuno ci aveva fatto caso all’inizio, ma il prigioniero non stava più urlando. Il giudice Cotton sgranò i grandi occhi marroni, reggendosi alla sedia e sudando freddo. Una risata, una risata divertita aveva preso il posto delle urla strazianti che pochi secondi prima facevano contorcere il ragazzo dal dolore.
Il vampiro alzò la testa dal pavimento, le mani pallide all’altezza del viso. Stava battendo le mani.
“Io ve l’avevo detto, stupidi vecchi vampiri!” pensò Cotton che, tremante come una foglia, si stava pian piano rimpicciolendo nella sua grande sedia. Coleman si sporse dal tavolo, la mascella serrata e un ghigno alquanto scocciato aveva piegato verso l’ingiù le labbra raggrinzite.
“Tu osi prenderti gioco di me?” esclamò l’uomo, la voce che tremava a causa della sfumatura di rabbia con cui accompagnava ogni minima sillaba. “Tu sta ridendo di me?”
Il ragazzo smise di ridere e alzò il viso. Una donna in prima fila si lascio scappare un gridolino stupito. Due occhi color nocciola, taglio asiatico, osservavano silenziosamente ogni singolo membro del consiglio. Il ragazzo si fece scappare una risata, un sorriso sghembo piegò le belle labbra.
“Lei crede, mio signore? A da che cosa l’avrebbe capito?”
“Alexander Christopher Howl, lei non è nelle condizioni di prendersi gioco di noi!”
Il giudice Coleman aveva assunto un colorito rossastro sulle gote. Le vene sul collo si erano gonfiate in modo a dire quasi disumano, dandogli le sembianze di una vecchia teiera pronta ad esplodere. Alexander, il vampiro che aveva fatto incollerire il vecchio giudice, era stato colui che aveva acceso il fuoco sotto a quella teiera e non dava segno di volerla spegnere, benché il vapore stesse anticipando l’imminente esplosione del utensile. Cotton  cominciò a sudare freddo. La bocca gli si era impastata e si sentiva soffocare, seduto su quella sedia che dava l’impressione di essere instabile e traballante. Con le mani sudaticce prese il fazzoletto di raso rosso da dentro il taschino della giacca e con un gesto quasi meccanico si asciugò il sudore sulla fronte. Passò così tante volte il fazzoletto sulla viso che la pelle cominciò a diventargli rossastra. Strinse la mano libera sul bracciolo di legno della sedia, gli occhi scuri puntati sul ragazzo che rimaneva immobile, palesemente divertito nel vedere che la sua sfacciataggine stava facendo irritare il signor Coleman. L’uomo in questione si aggrappò ai bordi del tavolo nero, stringendo così forte il legno che le nocche scarne gli diventarono bianche.
“Riproviamo un’altra volta e veda di rispondere nel modo permesso ad uno sporco Rehab.”
Alexander si limitò ad inclinare la testa di lato, inumidendosi le labbra rovinate e screpolate.
“Le piacerebbe riformularmi la domanda, signor Coleman? Credo….credo di non averla pienamente compresa prima.”
Coleman sospirò appena, cercando di controllare la rabbia.
“L’imputato dichiari nome e stato davanti al gran Consiglio.”
Alexander spostò lo sguardo dall’uomo e lo poso sul pavimento per riportarlo, in una frazione di pochi secondi, nuovamente  verso la giuria.  Giocherellava distrattamente con le manette che gli stringevano i polsi magri,  il tintinnio del metallo produceva un dolce suono che abbracciava l’intera stanza.  Non sembrava che stesse esitando a rispondere alla domanda del giudice. Sembrava, piuttosto, che si divertisse a creare quei lunghi momenti di silenzio che facevano spazientire il vecchio vampiro.  Alexander portò la sua attenzione verso le manette. Le alzò all’altezza del viso, spostandole quel tanto che bastava per vedere i profondi solchi rossastri e violacei che il metallo aveva provocato sulla sua pelle. Fece schioccare la lingua, corrugando la fronte in un’espressione scocciata.
“Nanda Kore ya?” mormorò sotto voce. Aveva utilizzato il dialetto dei Rehab, un dialetto poco noto ai vampiri di alto rango. Coleman sbatté le mani sul tavolo, facendo traballare le lampade ad olio sopra di esso.
“Vuole rispondere alla mia domanda?!”
“Alexander Christopher Howl, lei non è nelle condizioni di prendersi gioco di noi!”  urlò Alexander, la voce roca in un palese tentativo di imitare il tono di voce usato poco prima dal giudice. Coleman strabuzzo gli occhi, serrando la mascella.
“Cosa?”
Veda di rispondere nel modo permesso ad uno sporco rehab.” Continuò il ragazzo, gli occhi ancora puntati sui suoi polsi malconci.
“Cosa diavolo sta cercando di dire?!”
“Rispondevo alle sue domande, signor Coleman.”
“Imitando la mia voce?”
“ Le mi ha chiesto il mio nome e il mio stato sociale.  Non rispondendo, lei mi ha ripreso chiamandomi per nome.  Scocciato dal fatto che io non stessi rispondendo alla sua domanda ma bensì, secondo a quando dice lei, la stavo semplicemente prendendo in giro, lei mi ha invitato a rispondere educatamente ricordandomi che sono un Rehab.”
Per tutto il tempo Alexander aveva continuato a giocherellare con le manette, evidentemente più interessato ai lividi sulla sua pelle che al viso del signor Coleman.
“Ora mi dica, signor Coleman, perché mai io dovrei presentarmi davanti ad una persona che conosce già sia il mio nome che il mio stato sociale? Ah, mentre citavo le sue parole, poco prima, mi sono permesso di togliere l’aggettivo sporco. Spero che non le dispiaccia.”
Il labbro inferiore del signor Coleman cominciò a tremare. Qualche goccia di sudore gli stava colando lungo la tempia, ma lui non sembrava prestargli attenzione. Era, piuttosto, molto seccato nel vedere che Alexander si stava palesemente prendendo gioco di lui. E questo, ad una persona rispettata e importante come il signor Coleman, proprio non voleva andar giù.
“Lei un pazzo.”
“Definisca la parola pazzia, signor Coleman.”
“Perché dovrei?”
“Se utilizzo i miei strumenti d’analisi, dire che il pazzo è lei.  Tutti in questa sala stanno pensando che lei sia un pazzo. Si stanno chiedendo: “Oddio, si sta mettendo contro Howl. Ma è pazzo?”.  Se però utilizzassimo i suoi strumenti d’analisi,  il pazzo in questione sono io. Lei starà pensando: “Un rehab, incatenato, di rango inferiore e pure con una sentenza di morte sulle spalle, mi sta sfidando con un contorto gioco di parole invece di cadere a terra in ginocchio e supplicarmi di risparmiarlo. Ma è pazzo?” Ora, signor Coleman, chi crede che sia veramente il pazzo?”
Alexander alzò il viso, puntando gli occhi scuri su quelli infuocati di rabbia del giudice. “ A me piace credere alla prima teoria, se non le dispiace.”
Il giudice Coleman lanciò un’occhiata ai vampiri seduti al suo fianco. Spalancò le braccia, attirando l’attenzione di tutti verso di se.
“Mie cari consiglieri, perché attendiamo oltre? Uccidiamo questo sporco Rehab!”
“Signor Coleman, non abbiamo ancora finito il processo.”
L’uomo che parlò era piccolo e minuto. La tunica nera sembrava un vestito usato da un gigante.
“Perché dovremmo andare oltre?” disse il signor Coleman, sbattendo una mano sul tavolo. Si voltò nella direzione di Alexander, puntandogli un dito magro contro. “Se l'inferno potesse accoglierlo, c sarei ben lieto di gettarvici dentro!”
Alexander sorrise appena, abbassando nuovamente lo sguardo sulle manette.
“ L'inferno non ha posto per me, mio buon Consigliere. Se lei mi ci buttasse dentro, i demoni sarebbero troppo invidiosi della mia malvagità e mi caccerebbero fuori seduta stante. Come ha detto lei, ho macchiato il buon nome dei vampiri, ho deriso i nobili, ucciso coloro che potevano ostacolarmi la strada, macchiato la mia anima già di per sé dannata con il sangue di uomini e donne innocenti e per quale scopo? Il puro divertimento..... Non sono i vampiri fatti di tali sentimenti? Non sono mossi dall'odio, dal rancore, dalla passione?
Non provano essi rabbia per gli esseri umani anzi, peggio, per i loro simili? Non uccidono solo per il piacere del calore delle donne? Sentire il loro respiro, vedere il dolore e il terrore nei loro occhi pochi secondi prima della loro morte?”
IL tribunale era caduto in silenzio quasi religioso. Tutti pendevano dalle labbra dal ragazzo, volenti o non volenti. Alexander sorrise, continuando a giocherellare distrattamente con le manette.
“Io sono un vampiro e il mio animo è tinto di tale colori scuri e agghiaccianti che voi ritenete “ inopportuni” , voltate lo sguardo dall'altra parte quando mi vedete, ritenete un taboo quello che faccio, arrossendo come una ragazzina al primo amore. Io amo amo uccidere, sentirmi potente, terrorizzare la gente, sedurre le donne......orrore per voi, piacere per me”
Una donna in fondo alla fine si fece scappare un sospiro stupito. Un’altra strabuzzo gli occhi e si portò una mano alla bocca in segno di orrore. Alexander si inumidì le labbra, ridendo appena.
“....Si avete capito bene, miei cari signori.... Non strabuzzate gli occhi in quel modo, non servirà a niente...Avete intuito e, allo stesso tempo, riconosciuto ciò di cui sto parlando...
      Non rinnego i miei peccati, e nemmeno la mia natura piuttosto meschina. Ma voi, signori, mi additate contro chiamandomi “Sporco traditore” ,reclamate con tanto ardore quella     costituzione a cui vi appoggiate. Ma io vi rispondo, non è la nostra natura ingannare e uccidere? Puntate il dito nella mia direzione ma davanti non avete altro che uno specchio e inevitabilmente vi incolpate.”
       “Per l’amor del cielo, qualcuno lo faccia star zitto!” urlò uno dei giudici, sistemandosi la parrucca bianca sopra alla testa che dall’impeto gli era caduta su una spalla. Alexander smise di giocare con le manette e si volto verso il gruppo di persone che era venuto ad assistere all’udienza. 
      “IO sono un vampiro, sono di sangue nobile, non un Rehab. Ho servito il vostro paese con devozione”
A queste parole il ragazzo si fermo per alcuni istanti, inclinando la testa di lato. Si morse un labbro, annuendo fra se e se.
 “Cercando ovviamente di raderlo al suolo come Sodoma e Gomorra..... Gridate a quattro venti  le mie sfortune e i miei sbagli, ma bisbigliate le mie vittorie.....non fui io ad battere i cacciatori? Non fui io a rendere docili e impauriti come pecore coloro che bramano di uccidervi da secoli? Re tiranno, dite voi? Forse in questo vi appoggio....Non vi piaccio, eppure il popolo là fuori invoca il mio nome a gran voce. “Ridateci il nostro RE!”dicono. …... Non esiste più un re, miei signori.”
Detto ciò si sedette per terra con un tonfo, incrociando le gambe. Appoggiò il mento sul palmo della mano destra, voltando le spalle alla gente.
“Chiudetevi nella vostra reggia ed proclamate il vostro nuovo sovrano, io non ho più nulla da dire.”
Posò lo sguardo sul signor Coleman, sorridendo.
“Sono Alexander Christopher Howl, ho ucciso la mia amata e sono un dannato senz'anima ....e personalmente, il pazzo è lei, non io.”




  Metto il primo capitolo come prova, spero che piaccia a qualcuno ^^ 
 

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Capitolo 2
*** Fine Prologo ***


Il vecchio tribunale di sottomondo, quella mattina, stava assistendo al più interessante processo degl’ultimi secoli. Alexander sedeva sul pavimento impolverato, lo sguardo puntato verso la giuria. I giudici, dal canto loro, parlottavano sottovoce li uni con gli altri, lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci al ragazzo e additandolo come facevano i bambini davanti ad un leone allo zoo. Il signor Cotton, il cui cuore non dava segno di volersi calmare, stava discutendo in modo concitato con il vecchio Persly. L’uomo in questione sembrava condividere la sua folle idea. Idea che nessuno, all’interno della sala, sembrava voler ascoltare.
“Ci deve spiegare che cos’è avvenuto. Non possiamo dichiarare a morte una persona senza che questa non spieghi prima la sua versione dei fatti!” esclamò Johnson, nascondendo la bocca dietro alla mano, cercando in questo modo di non farsi vedere da Alexander.
“La sapete anche voi la versione dei fatti! Volete farvi prendere in giro ancora? Lui e suoi stupidi giochetti di parole rimarranno in questa stanza non un minuto di più!” esclamò stizzito Coleman, battendo una mano sul tavolo, attirando, in questo modo, l’attenzione di tutti i presenti su di se. Si appoggiò al tavolo, sporgendosi quel poco che bastava verso i giudici seduti al suo fianco.
“Ha ucciso il vero Re e si è preso gioco di noi per tutto questo tempo. La sua sfacciataggine è la prova della sua colpevolezza. Signori miei, finiamo questo processo e per il bene di sotto mondo, uccidiamo questo impostore seduta stante. Non vedete come si sta divertendo sotto ai nostri occhi?”
“Non possiamo ucciderlo! Vi rendete conto di che cosa ci succederà se lo facciamo? Se lui muore, qualcuno lo vendicherà a suo nome!” . La voce del signor Cotton uscì quasi traballante dalla sua gola. Non era il tipo di persona che imponeva la sua idea durante i processi. Era solito starsene in disparte, leggendo il giornale e battendo di tanto in tanto le mani. Ora, però, aveva troppa paura del imputato per starsene zitto in un angolo a guardare i suoi colleghi che si firmavano la condanna a morte con le proprie mani. Il signor Coleman spostò l’attenzione su Cotton, strabuzzando gli occhi dallo stupore.
“Come dici Cotton?”
“Io….io dico…” farfugliò l’uomo, cercando l’assenso di Persly “…. Che sarebbe un grande errore uccidere il ragazzo. Non subito, almeno. Era un personalità molto conosciuta a sotto mondo, se non dire molto rispettata.”
“E’ solo uno scrittore con idee libertine e profane. Come può una persona del genere essere rispettata dagli abitanti del nostro mondo?” esclamò stizzito Johnson, sistemandosi gli occhiali sopra al lungo naso storto.
“ Già, Johnoson ha perfettamente ragione. E’ solo uno scrittore da quattro soldi, non può farci del male.”
“Ma signori mie, lui potrebbe essere pieno di seguaci?”
“Seguaci? Vorrai dire membri di qualche club del libro.”
Alla battuta del vecchio giudice l’intero consiglio scoppiò in una fragorosa risata. Cotton agitò le mani sudaticce davanti agli occhi, scuotendo la testa.
“Non è solo uno scrittore, signori miei. Avete visto come ci ha ingannati? Il  nostro sovrano era il vampiro più potente di tutto Sotto Mondo. Ha subito un mucchio di attentati e vi ricordate tutti come sono finiti? Bastava uno sguardo e gli assassini cadevano al suolo come mosche. Non alzava nemmeno un dito, il nostro vecchio Re. E ora guardate il ragazzino che vi sta di fronte.”
Cotton puntò un dito verso Alexander che lo stava osservando in silenzio. I suoi bei occhi marroni erano puntati verso il giudice e non davano segno di volersi staccare dalla sua figura. Cotton deglutì nervosamente, riportando la sua attenzione verso i membri della giuria.
  “Ha ucciso il Re e se non l’avesse apertamente affermato a quest’ora non sapremmo nemmeno che il nostro Re è morto. Ha finto di essere lui per tutto questo tempo e noi non l’abbiamo nemmeno smascherato. Se è riuscito ad uccidere lui, cosa credete che non possa farlo anche con noi?”
“E quindi noi dovremmo starsene seduti in silenzio e non condannarlo? Lasciarlo a piede libero aspettando che di notte ci salti alla gola e ci uccida? Ma io dico, ti sei rammollito Cotton?!” esclamò Coleman, prendendo l’amico per le spalle e stringendo forte il tessuto della toga dell’uomo tra le dite ossute.
“Io non dico questo ….. io…. dico…..perché non patteggiamo con lui?”
“Patteggiare?? Patteggiare? Figlio di un cane, io ti….”
Coleman non poté terminare la frase perché un voce calma e pacata sormontò la sua.
“Patteggire….. mi piace patteggiare. Scendere a compromessi, anche questa è una cosa carina.”
Alex sorrise. Piegò le gambe verso il torace ed allungo la mani verso i lacci delle scarpe logore. Cominciò ad annodare i due lacci sciolti della scarpa destra, compiendo ogni azione lentamente e con poco interesse.
“Patteggiate, signori. Vi ascolto.”
Coleman scese dalla pedana, fermandosi a pochi passi dalle guardie.
“ Cosa dovremmo patteggiare? Gli imputati non patteggiano con la giuria.”
“Questo me lo deve dire lei.” rispose Alexander, pulendo con il polsino della camicia la scarpa impolverata.
Coleman stava per ribattere ma venne fermato dalla voce di Cotton : “ Non ci uccida, noi voglio solo questo da lei.”
Alexander storse la bocca, alzando lo sguardo.
“ Non avevo intenzione di farlo, comunque.” . IL ragazzo voltò lo sguardo verso Coleman  “Non tutti voi, almeno.”
“Cosa vuole in cambio per la sua clemenza?” disse Cotton, sporgendosi dal tavolo.
“Stai zitto, codardo. Chiedere la clemenza di questo sporco Rehab? Ma non ti vergogni?” esclamò Coleman, pronunciando ogni minima parola con una dose di veleno. Alexander scosse la testa, concentrandosi sulla scarpa sinistra.
“Se siete così restii a patteggiare, allora mettetemi al patibolo adesso. Odio aspettare e, da quanto posso capire, anche voi siete della mia stessa opinione.”
“No, noi vogliamo patteggiare. La prego, Alexander, ascolti le mie parole e non Coleman. Non è in sé.” Disse Cotton, in un disperato tentativo di riportare l’attenzione del moro su di se.
“E lei ad essere pazzo, non io!” esclamò Coleman. Ritornò a grandi falcate verso il tavolo, afferrando per il colletto COtton. “ Voi, vile codardo, disonorate il nostro nome.”
Cotton cercò di divincolarsi dalla stretta del giudice. “ Io sto cercando di salvarmi la pelle, Coleman! Mia dia ascolto per una buona volta e mi lasci fare!”
“Non ti farò parlare ancora a lungo!”
Coleman spinse Cotton bruscamente che cadette all’indietro con un tonfo. Si avvicino alle guardie, sistemandosi la toga sgualcita.
“Guardie, prendete questo uomo e portartelo in cella. Egli verrà giustiziato oggi stesso.”
La guardia più alta si avvicinò ad Alexander, gli afferrò il braccio bruscamente, affondato le dita nel tessuto della camicia bianca. “Alzati, sporco Rehab.”
Alexander non alzò il viso. Sembra, piuttosto, molto interessato a pulire la punta della scarpa sinistra con la manica della camicia.
“Hai sentito, Rehab? Alzati immediatamente.” urlò la guardia, strattonandolo con più forza.  Alexander si inumidì le labbra, distendendo la gamba sinistra.
“Risolviamola civilmente, signor Coleman.” Disse Alexander , alzando il viso e puntando lo sguardo verso il vecchio giudice. “Se lei non vuole patteggiare, lo faccia fare a Cotton.”
“Io non risolvo civilmente un bel niente, Howl!” esclamò Coleman. Alexander si fece scappare una risata. Strofinò le mani l’una contro l’altra, togliendo i residui della polvere dalla pelle.
“Forse ha ragione lei. Per risolvere un problema civilmente bisogni essere….” Esitò qualche istante sulle parole, per poi aggiungere. “… civili. Qualità che,a quanto vedo, lei non possiede.”
“Come osi sporco…”
“Ora basta!”
Il signor Thomas batté con forza il martello di legno sopra alla scrivania, portando l’attenzione di tutto il tribunale su di se. “Sono stanco di questi continui battibecchi. Io sono il giudice che deciderà il verdetto di Howl, non lei signor Coleman. La pregherei di ritornare al suo posto e di parlare solo, e solo, se io glielo chiederò!”
Il signor Coleman serrò la mascella, furibondo. “Come desidera, giudice Thomas.”
Alexander accennò un sorriso, posando lo sguardo sulla guardia accanto a se.
“Il braccio, ragazzo.”
Quello lasciò il braccio del ragazzo, ritornando al suo posto.
“Molto gentile.” Rispose Alexander, alzandosi velocemente in piedi, pulendosi i pantaloni impolverati.
“Signor Cotton, continui con quello che stava dicendo.” Disse Thomas, invitando l’uomo a parlare.
“S-si….”
Cotton si alzò in piedi lentamente. Lanciò un’occhiata dubitante alla folla di gente all’interno del tribunale, tamponandosi il sudore sulla fronte bagnata. Si schiarì la gola, sistemando nuovamente il fazzoletto ormai completamente bagnato all’interno del taschino della tunica.
“Alexander Christopher Howl, cosa possiamo darle in cambio della sua clemenza?”
Alexander esitò alcuni secondi, osservando il pavimento. Un uomo in prima fila si sporse dalla sedia, cercando di osservare in viso il bel vampiro. Alexander alzò le mano, indicando la giuria. Le manette tintinnarono delicatamente.
“Il consiglio mi accusa di due reati. Il primo è l’omicidio del sovrano, il secondo è l’aver liberato un umana.” disse Alexander, gesticolando lentamente con le mani. “ Voglio scontare solo una di queste due pene.”
Cotton guardò dubitante il giudice Thomas, aspettando una sua qualche risposta. Thomas aggrottò la fronte.
“E sarebbe?”
Alexander accennò un sorriso, alzando il dito indice all’altezza degli occhi.
“Imprigionatemi per aver aiutato una ragazzina, ma scagionatemi nell’altro reato. Mi sembra una proposta accettabile, non trovate?”
Coleman batté un pugno sul tavolo, facendo traballare il povero Cotton. Alexander fece schioccare la lingua, visibilmente stizzito.
“Sporco Rehab, così eviti la pena di morte! Sei un calcolatore!” esclamò Coleman. I tendini del collo erano tesi e gli occhi erano infuocati dalla rabbia.
Alexander gli lanciò un’occhiata disinteressata, inumidendosi le labbra prima di parlare. Il tono della voce era leggermente seccato.
“Non è altro che furbizia, mio buon uomo. Io posso scegliere con che cosa patteggiare, voi invece no a quanto sembra.”
Un mormorio di voci si innalzò nel tribunale. Alexander si voltò leggermente verso la gente alle sue spalle, visibilmente scocciato da tutto quel furtivo parlare. Thomas batté il martello di legno sul tavolo, ripristinando il silenzio. Il martellare del vecchio giudice fece rivoltare il ragazzo verso la giuria. Alexander giocherellò con le manette, visibilmente annoiato. Thomas gli fece un cenno con il capo, invitandolo a continuare. Il moro si limitò a un veloce inchino con la testa, visibilmente disinteressato.
“Sarò sincero, signori. Non voglio morire per un qualcosa che ho ritenuto divertente fare. Se devo morire ammazzato, preferire farlo per mano mia ,non per un boia che si diverte a tagliare teste. Non deve essere un bel vedere la mia testa sanguinante in un cestino di vimini con della gente attorno che per vivere beve sangue.”
Cotton storse la bocca, disgustato. Alexander annuì tra se e se, gli occhi puntati ora su Cotton.
“Signor Cotton, si immagini che scena raccapricciante. La mia povera bella testa sbranata e dilaniata da persone che hanno saltato il pranzo. Da buon scrittore quale io sono, preferirei una morte un po’ più teatrale e non ispirata ad un racconto di Edgar Allan Poe.”
Coleman alzò le spalle, ridendo sarcasticamente.
“Io lo vedrei ben volentieri uno spettacolo del genere.”
Alexander spostò lo sguardo sull’uomo, sorridendo appena.
“Lei non sa quale spettacolo macabro ho in mente per lei e la sua testa.”
“Mi sta minacciando?”
Alexander scosse la testa, spostando nuovamente lo sguardo verso le manette.
“No, puro sarcasmo. Noi scrittori ne abbiamo da vendere.”
Coleman face un gesto vacuo con la mano, alzando le spalle.
“Odio il suo sarcasmo, insulta noi vampiri di alto rango.”
“Se lei si sente insultato significa che si ritrova in quello che scrivo.”
“La ucciderei sul posto.” esclamò il giudice.
“Una cosa su cui entrambi siamo d’accordo.”
Thomas batte le mani, chiedendo il silenzio. Guardò i giudici seduti al suo fianco, la fronte aggrottata. “ Il consiglio accetta la proposta di Howl?”
Alexander si massaggiò il polso destro pieno di lividi, alzando di poco lo sguardo verso la giuria. Johnsons scosse la testa, appoggiando una mano sulla spalla di Thomas.
“Prima dobbiamo sapere per quale reato lo stiamo giustiziando, non le pare, giudice Thomas?”
“Già, vogliamo sentire la storia raccontata dalle sue labbra.” esclamò Kingslay, lanciando un’occhiata concitata verso Thomas. Il vecchio giudice annuì, appoggiando il martello sul tavolo.
“Così sia, allora. Alexander Christopher Howl, ci racconti la storia del suo reato, se non le dispiace.”
Alexander si morse un labbro, abbassando lo sguardo. “Non la sapete già, mio signore?”
“No, credo di no, ragazzino.”
“In questo caso…”. Alexander alzò lo sguardo da terra, facendo cadere le braccia lungo i fianchi. “ Ascoltate la mia storia fino alla fine, ne rimarrete sconvolti dalla sua crudeltà.”





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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