La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente

di gig_gig
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incroci di sguardi ***
Capitolo 2: *** Ho solo bisogno di essere lasciato in pace! ***
Capitolo 3: *** L'amico ***
Capitolo 4: *** Cosa farebbe Neal se fosse al mio posto? ***
Capitolo 5: *** John Wayne ***
Capitolo 6: *** Primo contatto ***
Capitolo 7: *** L'accordo ***
Capitolo 8: *** Cosa c'è che non va Neal? ***
Capitolo 9: *** Rinchiusi ***
Capitolo 10: *** Poteva andare tutto bene, oppure tutto male ***
Capitolo 11: *** Ho voglia di Marshmallow ***
Capitolo 12: *** Ventiquattr'ore ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni ***
Capitolo 14: *** Visite ***
Capitolo 15: *** Margherite ***
Capitolo 16: *** Solo ***
Capitolo 17: *** Buone notizie ***
Capitolo 18: *** Visita inaspettata ***
Capitolo 19: *** Countdown ***
Capitolo 20: *** Casa Burke ***
Capitolo 21: *** Presi ***
Capitolo 22: *** Pensieri e parole ***
Capitolo 23: *** Always with me, always with you ***
Capitolo 24: *** Non oggi e forse non domani ***



Capitolo 1
*** Incroci di sguardi ***


Quella mattina Neal si era svegliato allegro. La primavera era nell'aria e a Neal piaceva un sacco questo periodo dell'anno, quando i colori si risvegliano.
Lui e Peter avevano appena chiuso un caso impegnativo. Peter gli aveva dato due giorni liberi per riposarsi. Anche Peter aveva bisogno di riposo e sarebbe stato a casa. Neal aveva passato questi due giorni dipingendo e facendo lunghe passeggiate in Central Park. Insomma aveva ricaricato le batterie e quella mattina era pronto per una nuova giornata di lavoro.
Preparò per lui e per June una lauta colazione che consumarono finalmente in terrazza, godendosi i primi tepori e conversando amabilmente di partite a poker e di jazz.
Arrivò in ufficio alle nove in punto e si diresse alla sua scrivania sulla quale vide che erano stati posati una serie di fascicoli, Casi probabilmente da visionare per un parere professionale. Pensò prima di iniziare di riempirsi la tazza di caffè ma prima diede un'occhiata veloce all'ufficio di Peter per vedere se era arrivato. Sì lui c'era e non era solo. Due persone erano sedute alla sua scrivania. Lui non poteva vedere chi fossero perché dalla sua posizione le vedeva solo di schiena. Erano sicuramente un uomo e una donna. Probabilmente erano lì per discutere un nuovo caso, così curioso si diresse alla scrivania di Jones per avere maggiori informazioni.
Jones gli disse che erano una coppia, i signori Woods, che avevano qualche problema e che avevano chiesto l'aiuto dell'FBI. Non ne sapeva molto di più.
Woods... no non può essere! Pensò Neal. Chissà quanti Woods ci sono negli Stati Uniti e poi i Woods che conosceva lui stavano a Saint Louis. No erano altri Woods. Ciò nonostante iniziò a fissare l'ufficio di Peter con crescente angoscia. Fino a che la donna si girò leggermente così che Neal potè vederla.
Jones che gli era accanto a Neal si accorse che qualcosa non andava, Neal era sbiancato.
"Va tutto bene? Stai bene?" gli chiese prontamente.
"No, effettivamente no! Questa notte ho avuto un po' di fastidi. Poi questa mattina sembrava andasse meglio ma mi rendo conto che non è così. Non mi sento gran che bene! Lo so che sono mancato due giorni. Ma non ce la posso proprio fare. Me ne andrò a casa. Dillo tu a Peter. Proprio non mi sento bene!".
Neal si girò in fretta e si diresse verso l'uscita lasciano Jones di stucco.
La signora Woods, nell'ufficio di Peter si era girata per parlare con il marito che le era seduto accanto e con la coda dell'occhio vide un ragazzo con i capelli neri e gli occhi blu cobalto. Il loro sguardo si incrociò con quello del ragazzo solo per un istante. Cercò di nascondere il suo imbarazzo guardandosi le mani. Ma poi dovette rialzarlo per accertarsi di non aver solo immaginato qualcosa che non era. Ma a quel punto il ragazzo stava già uscendo dall'ufficio ed era di schiena. Era però sicura, lo aveva riconosciuto, sì aveva visto un fantasma, un fantasma del suo passato!



Peter si svegliò quando sua moglie Elisabeth si presentò in camera con un vassoio con sopra il caffè e la tazza dei suoi cereali preferiti. Amava quella donna, sapeva sempre come tirarlo su di morale. In realtà non era depresso solo, dopo due giorni di ferie, proprio non aveva voglia di tornare in ufficio. Avrebbe voluto rimanere ancora a casa, magari a letto, abbracciato a sua moglie. Il dovere però chiamava. La Callway era stata trasferita e al momento la White Collar era sotto la sua responsabilità, almeno finché non avessero preso una decisione sulla nomina del nuovo capo. Certo Peter sarebbe stato onorato di essere nominato capo ma non ci sperava, sapeva che con la sua gita a Capo Verde prima e l'accusa, seppure lasciata cadere, di omicidio di un senatore, lui non era nella posizione per ambire ad un posto di comando.
Così dopo colazione e un po' di sane coccole alla moglie, Peter si alzò, si vestì e si recò in ufficio.
Appena arrivato l'agente Regal gli si avvicinò dicendo che si erano presentati i signori Woods e che dovevano parlare con il responsabile. L'agente li aveva fatti accomodare nell'ufficio di Peter e aveva offerto loro una tazza di caffé.
Peter ringraziò l'agente e si diresse verso l'ufficio per sentire cosa volessero i signori Woods. Diede uno sguardo alla scrivania di Neal ma sapeva che era ancora troppo presto, erano le otto e trenta e Neal, spaccato come un orologio, faceva il suo ingresso alle nove.
"Buongiorno signor Woods, buongiorno signora Woods! Spero non abbiate dovuto attendere troppo. Sono l'agente speciale Peter Burke e sono il responsabile dell'ufficio. Cosa vi porta qui all'FBI e alla White Collar?".
"Buongiorno agente Burke. Grazie per averci ricevuti!" disse prontamente il signor Woods. "Noi siamo arrivati ieri da Saint Louise dopo che nostro figlio Karl ci ha mandato questo". E nel mentre il signor Woods porse a Peter una busta con dentro dei fascioli. "Nostro figlio sta frequentando l'università qui a New York, facoltà di Economia. A luglio prenderà la laurea. Nel frattempo sta facendo uno stage presso la Greenhill & Co. Allegato al plico c'è una lettera in cui ci spiega che durante il suo stage ha avuto modo di visionare i bilanci della società e di avervi trovato delle anomalie. Ha provato a parlarne con il suo supervisore che però gli ha imposto di non parlarne con nessun altro e che ci avrebbe pensato lui. Solo che due settimane dopo il suo supervisore, il signor Mortison, ha avuto uno strano incidente di macchina ed è morto. Strano perché hanno riferito che i freni si erano rotti e che era stato questa la causa dell'incidente. Karl però era sicuro che Mortison avesse fatto revisionare la macchina solo un mese prima perché lo aveva accompagnato dal meccanico a ritirare la macchina."
"Sì questo sembra abbastanza strano" disse Peter.
"A questo punto Karl ha iniziato a sentire un po' le voci di corridoio ed è venuto fuori che tra incidenti e suicidi nell'ultimo anno erano già morti otto dipendenti della Greenhill. Lui ha paura a questo punto ad esporsi maggiormente ed è per questo che non è venuto direttamente lui alla White Collar, però ha fotocopiato tutto quello che ha potuto e lo ha spedito a noi perché ve lo portassimo".
"Bene, vostro figlio ha fatto bene. Ora prendiamo in mano tutto noi e approfondiremo. Il nome di Karl non comparirà da nessuna parte, e neanche il vostro, almeno per il momento. Se c'è qualcosa che non va noi lo troveremo".
A questo punto prese la parola la signora Woods. "Può capire che noi siamo abbastanza spaventati da questa cosa. Noi stavamo pensando di assumere una guardia del corpo per nostro figlio, o comunque qualcuno che lo tenesse d'occhio. Io... io... non posso pensare di perderlo...". In quel momento la signora Woods si girò verso suo marito quasi come per avere un conforto o un sostegno da lui. A Peter la signora Woods sembrò vivamente sconvolta. Avere un figlio e saperlo in un potenziale pericolo doveva essere un dolore straziante per una madre.
"Signora Woods stia tranquilla, per il momento nessuno sa dei sospetti di suo figlio. Se continua così non gli succederà niente. Noi, d'altro canto, per fare le nostre ricerche dovremo comunque mandare una persona come infiltrato che nel mentre potrà tenere d'occhio suo figlio".
"Grazie agente Burke" rispose il signor Woods. "Vedi cara, non devi preoccupati, abbiamo fatto la cosa giusta e tutto si sistemerà".
"A proposito, vado a chiamare Neal Caffrey, il nostro consulente. È un ragazzo in gamba e sarà contento di avere qualcosa da fare e di non rimanere qui a lavorare alle scartoffie" dicendo questo Peter si alzò dalla sedia e uscì dall'ufficio.
La signora Woods non proferì parola, era quasi come pietrificata.
Peter guardò in direzione della scrivania di Neal ma la vide vuota, allora girò lo sguardo nella saletta dove si trova la macchinetta del caffè, ma neanche lì c'era Neal. Allora si girò verso Jones e lo chiamò.
"Sì capo!" disse Jones alzandosi e raggiungendo Peter.
"Sono le nove passate e Neal non è ancora arrivato, controlla un po' i dati della cavigliera per sapere dov'è".
"Non è necessario capo. Era qui un attimo fa ma poi ha detto di sentirsi male, che in realtà era già stato male questa notte ma che sembrava andasse meglio, e invece si è sbagliato. Era bianco come un cencio e così ha deciso di andare a casa. Mi ha detto di riferirtelo quando fossi stato libero".
"Neal malato. Da quando ha iniziato a lavorare qui non è mai stato malato a parte quando voleva starmi lontano per combinare qualcosa alle mie spalle. Non mi fido! Controlla i dati della cavigliera. Se va a casa oppure no. E continua a monitorarlo tutto il giorno, se dovesse uscire di casa, avvertimi!". Poi dopo un attimo continuò "intanto raduna la squadra nella sala conferenze abbiamo un caso e se Neal sta veramente male, questa volta dovremmo fare senza di lui!".
"Non l'ho mai visto così pallido capo, penso stia veramente male. Anche se mi è parso un po' strano, un attimo prima mi sembrava allegro come al solito e un attimo dopo... beh in ogni caso controllo, e se vedo qualcosa di strano ti avverto".
"Grazie Jones!" fece Peter e poi chiamò Diana e insieme si diressero nell'ufficio.
"Signori Woods questa è l'agente Berrigan, sarà lei ad infiltrarsi alla Greenhill. Neal, il nostro consulente di cui vi parlavo, si è dato malato. In ogni caso Diana è più che all'altezza del compito e in più le è autorizzata a portare una pistola".

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Capitolo 2
*** Ho solo bisogno di essere lasciato in pace! ***


Peter passò tutto il giorno a studiare i fascicoli che Karl aveva fotocopiato, insieme agli agenti della sua squadra. Un lavoro di per se noioso ma che a Peter piaceva particolarmente. Gli ricordava quando lui stesso studiava contabilità all'università. Peter era un vero segugio, se c'era qualcosa di sbagliato in un bilancio o qualcosa di falsato lui la stanava. E di cose in questi fascicoli ne aveva già stanate un bel po'. Ora dovevano solo cercare di infiltrare Diana alla Greenhill per capirci qualcosa di più. Stava ormai diventando buio fuori, non erano ancora le giornate estive in cui la luce del sole rischiarava lo skyline serale di New York. Decise che era ora di tornare a casa ma prima doveva accertarsi con Jones dove fosse stato tutto il giorno Neal e magari fare un salto a trovarlo, giusto per vedere che non stesse combinandone una delle sue.
"No, capo! Dopo che è uscito dall'ufficio si è diretto subito a casa e non si è mosso di lì per tutto il giorno" disse Jones vedendo arrivare Peter.
"Bene, comunque faccio un salto, voglio essere sicuro che stia veramente male! Vorrei fidarmi di più di lui ma ogni volta che provo a farlo lui combina qualcosa".
"Già" risposte Jones.
Peter uscì, si diresse alla macchina e guidò fino a casa di June. Gli venne ad aprire la porta June stessa.
"Sono venuto a vedere come sta Neal e se ha bisogno di qualcosa, che so un po' di brodo di pollo".
"È stato di sopra tutto il giorno e non ha voluto mangiare niente a pranzo. È pallido e avrei voluto che lo vedesse un medico ma lui dice che non è niente, solo un po' di febbre che passerà e che non devo preoccuparmi! Io però mi preoccupo, non l'ho mai visto così!".
"Bene, vado su io e vedo se riesco a capire cos'ha".
Peter salì le scale e bussò due volte alla porta.
Un pallido Neal gli si presentò davanti. "Entra!".
"Sono venuto a vedere come stai!".
"Mi sembra molto più plausibile che tu sia venuto a vedere cosa stavo combinando. Mi dispiace deluderti. Non sto combinando niente. Sto male!" lo interruppe Neal.
"Beh anche! Però sono passato principalmente perché mi dispiace che tu stia male e se io o Elisabeth possiamo fare qualcosa, sai, Elisabeth sa fare un ottimo brodo di pollo che è un toccasana per l'influenza. Me lo prepara sempre quando sto male…".
"No, grazie Peter non ho fame e ho un grandissimo mal di testa. Mi dispiace ma vorrei solo dormire e se tu e June e Mozzie continuate a venire a chiedermi se mi serve qualcosa, è la volta che taglio la cavigliera e scappo. Ho solo bisogno di essere lasciato in pace!".
Così facendo Neal aprì la porta facendo un palese gesto di uscire a Peter.
"D'accordo ti lascio dormire, la cosa migliore è il riposo. Vedrai che domani starai meglio. In ogni caso sai dove trovarci".
"Sì, grazie Peter e scusa se sono stato un po' brusco".
"Non c'è problema!" disse Peter mentre usciva dall'appartamento. June ha ragione, non è da Neal comportarsi così! Peter non sapeva se fosse dovuto ad un'influenza o a qualcos'altro, ma decisamente c'era qualcosa che non andava.
Sapeva però che ad insistere con Neal non si cava un ragno dal buco e quindi decise di provare in un altro modo. Telefonò a Mozzie e fissò un incontro con lui la mattina seguente.


Mozzie come ogni pomeriggio si era recato da June per fare quattro chiacchiere. Al suo arrivo vide che il viso di June era un po' preoccupato. Le chiese subito cosa avesse e June gli rispose che era per Neal. Era uscito la mattina che stava bene e dopo poco più di mezz'ora era tornato con una faccia spettrale dicendo di sentirsi la febbre. Era passata da lui verso l'ora di pranzo per chiedergli se voleva qualcosa da mangiare e lui le aveva risposto che no, non se la sentiva di mangiare. Era ripassata verso le tre e lo aveva trovato ancora peggio. Si era offerta di chiamare il suo medico per farlo visitare ma lui aveva rifiutato dicendo che non era niente.
Mozzie allora decise che sarebbe andato lui a vedere. Salì le scale che portavano all'appartamento di Neal, bussò e come al solito entrò senza aspettare un cenno. Trovò Neal a letto. Pensava stesse dormendo ma avvicinandosi si accorse che non era così.
"La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente".
"Schopenhauer" rispose Neal.
"Sono contento di vedere che pur non stando bene il tuo cervello funziona ancora".
"Beh! Un po' di influenza non ha mai ucciso nessuno".
"Siamo sicuri che sia solo influenza, sai non mi fido, tu vai tutti giorni nel quartier generale dell'FBI... magari stanno testando qualche arma biologica... magari un nuovo ceppo di qualche virus strano... forse sarebbe il caso ti facessi visitare da un medico! Ne conosco uno di cui ci si può fidare. In realtà lui cura gli animali, ma è proprio per questo che ci si può fidare!".
"Piantala Moz, oggi non sono proprio in vena".
"Lo vedo!" disse Mozzie. "Voltaire disse anche l'arte della medicina consiste nel divertire il paziente mentre la natura cura la malattia. Potrei raccontarti di quella barzelletta…".
"Ho detto piantala!" rispose in modo brusco Neal. Poi cambiando tono di voce "Scusa, ma adesso ho mal di testa e non riesco ad ascoltare nessuna barzelletta o nessuna altra citazione. Se vuoi rimanere non è un problema ma ti prego stai zitto!".
"No, forse è meglio che me ne vado. Potrei ammalarmi anche io. Forse è proprio quello che vuole il governo e sta usando te per arrivare a me…".
Neal stava per aprire bocca ma Mozzie fu più veloce nel rispondere "vedi di riprenderti in fretta, ciao!" ed uscì rapidamente chiudendosi la porta alle spalle.
Parlò un po' con June cercando di rassicurarla. Neal era un po' strano ma lui non è abituato ad essere malato. Essere malato per Neal è una scocciatura e sicuramente era quello il motivo del suo nervosismo.
Più tardi ricevette una telefonata.
"Quante volte ti ho detto di non chiamarmi!".
"Ah! Ok! È per Neal!".
"Si, ci vediamo domani mattina".
"Al parco alle otto".
"Conosci la procedura, portati il giornale, aprilo e leggi la pagina dello sport, non altre pagine e poi…".
"Ah! Ha riagganciato. Mr. FBI proprio non riesce a capire l'importanza delle mie procedure".


Peter si incontrò con Mozzie la mattina seguente. Parlarono un po' delle condizioni di Neal e tutti e due convennero che l'atteggiamento di Neal fosse un po' strano, scostante. Peter chiese a Mozzie se stavano combinando qualcosa o se Neal gli aveva parlato di qualche problema in particolare. Ma Mozzie gli rispose che no, Neal dopo la faccenda di suo padre e dell'arresto di Peter stava cercando di rigare diritto. Per Peter, per non metterlo ulteriormente in difficoltà. Lui non voleva essere come James. Voleva essere migliore. Decisero entrambi di tenerlo d'occhio ma di non stargli troppo addosso. Magari aveva solo bisogno di un po' di spazio.
Mentre Peter si stava recando in ufficio sentì che il telefono vibrava nella giacca. Lo prese e vide sul display NEAL. Rispose. Dall'altra parte del telefono una voce esitante gli disse che non si sentiva ancora bene e che anche oggi sarebbe rimasto a casa. Che gli dispiaceva e che sperava passasse in fretta.
Peter cercò di non essere troppo invadente. Si limitò a dirgli di riposarsi e di sforzarsi di mangiare qualcosa per non rimanere troppo debilitato.
Arrivato in ufficio ci fu subito la riunione con la squadra. Dovevano mettere a punto i dettagli per l'operazione alla Greenhill. Costruirono un buon curriculum a Diana e le fissarono un appuntamento con il capo del personale. In fondo c'erano state otto uscite di scena di dipendenti e quindi la Greenhill era in cerca di personale nuovo.
Diana ebbe il lavoro in un baleno. Non solo aveva un curriculum di tutto rispetto ma era anche una ragazza in gamba, intelligente e con un carattere forte e deciso. Tutte le aziende vorrebbero avere una dipendente come Diana.
La giornata per Peter passò tranquilla tra bilanci, relazioni e dati di borsa.
La sera avrebbe voluto passare da Neal ma preferì lasciarlo tranquillo. Telefonò invece a June per avere notizie. June gli disse che non era cambiato gran ché dal giorno precedente.

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Capitolo 3
*** L'amico ***


Passò una settimana. Diana era sempre infiltrata. Stava tentando di agganciare la segretaria del direttore, aveva subito capito che era una... attratta più dalle donne che dagli uomini e così il giorno dopo avrebbe provato ad invitarla per un caffé.
Neal non si fece vedere in ufficio. Non telefonò più a Peter e Peter non lo cercò. Continuò però a monitorare i dati della cavigliera. Non si era mosso di casa.
Peter pensò che questa volta si era sbagliato non fidandosi, doveva stare proprio male.
Se da una parte non avere Neal in ufficio permetteva a Peter di concentrarsi di più e meglio sul lavoro, dall'altra parte non aveva nessuno con cui parlare, con cui bere insieme il caffé, nessuno che faceva giochi di prestigio in ufficio, nessuno che raccontasse aneddoti, nessuno… si sentiva solo e annoiato. In realtà non era solo, aveva tutta la squadra a disposizione a parte Diana, ma con lui erano tutti troppo formali. Neal portava guai ma anche una ventata di freschezza, di gioia, di allegria. Lui era sicuramente fuori dagli schemi dell'FBI ma il suo ruolo di collaboratore e non di agente glielo permetteva.
Due volte quella settimana i Woods tornarono per fornire delle informazioni raccolte dal figlio. Visto che erano venuti a New York, vedevano il figlio regolarmente. In fondo è abbastanza normale che ogni tanto i genitori vadano a trovare i figli se questi sono lontani e questo non poteva in alcun modo insospettire nessuno alla Greenhill. La signora Woods aveva insistito con Karl che lasciasse perdere lo stage, ma lui continuava a ripetere che i crediti che guadagnava con uno stage in una delle più grandi imprese finanziarie di New York gli sarebbero serviti non solo per la laurea ma anche per accedere ad un buon corso di specializzazione.
Karl era un bel ragazzo di 23 anni. Fisico slanciato e asciutto. Capelli neri, occhi verdi. Assomigliava terribilmente a suo padre ma aveva il sorriso della madre. Era cresciuto a Saint Louis. La sua famiglia era benestante. Il signor Woods era medico psicoterapeuta, come suo padre prima di lui. Tra i suoi pazienti c'erano politici, medici, sportivi. Anche perché le sue parcelle, decisamente alte, le persone comuni non se le possono permettere. Karl aveva sempre frequentato le migliori scuole e sempre con ottimi voti, in parte perché era intelligente in parte per la considerazione che tutti avevano per suo padre. Aveva avuto la borsa di studio per Princeton ma la sua ragazza del liceo, Katy, sarebbe andata alla New York University e lui aveva deciso di seguirla. I signori Woods non erano proprio d'accordo con la sua scelta, ma lui era bravo a trattare con i suoi genitori, alla fine capitolavano sempre e lui riusciva a fare quello che desiderava, e poi il corso di Economia della New York University è uno dei migliori degli Stati Uniti. Con Katy finì come prevedibile al primo anno di università. Karl era un bel ragazzo e non gli sarebbero potute mancare nuove storie amorose, ma lui voleva concentrarsi sullo studio e sulla sua carriera per cui al momento era single.
In ufficio aveva fatto amicizia con tutti e anche con la nuova arrivata Diana Morris.
Intanto la squadra di Peter monitorava tutti coloro che entravano e uscivano dalla sede, i dipendenti, e tutti coloro che avevano rapporti con la Greehill. Di ognuno era stata fatta un'indagine accurata su chi fossero, da dove arrivassero, se avevano precedenti penali e così via. Una mole di lavoro enorme che aveva tenuta la squadra impegnata con svariate ore di straordinario. La figura che più era tenuta sotto controllo era il Direttore Generale, Martin Konroy. Lui era seguito ventiquattr'ore su ventiquattro e viste le discrepanze di bilancio rilevate da Peter, il giudice ne aveva autorizzato anche le intercettazioni telefoniche.
Diana dal canto suo non aveva scoperto molto, solo si era incuriosita perché un piano degli uffici era inaccessibile ai dipendenti. Poteva entrare solo Konroy, lui aveva la chiave dell'ascensore. Secondo i dipendenti che erano lì da più tempo, Konroy aveva realizzato la sua personalissima zona relax con sauna, attrezzi da palestra e buca artificiale da golf. Konroy ci entrava sempre da solo e di solito ci passava qualche ora. A quanto pare però una volta ogni tanto arrivava quello che Konroy definiva un amico e ci entravano insieme. Neanche quelli della ditta di pulizie avevano accesso. Veniva un adetto apposta per pulire quella zona. Sempre lo stesso da sempre! Un omone dai modi un po' rudi e poco incline alla socializzazione.
Questo Diana lo aveva riferito a Peter. Purtroppo però non si era trovato nulla che rigurdasse l'amico di Konroy, non un nome, non una foto. Fino a quel mattino quando arrivò un messaggio dal cellulare di Diana con una foto di un uomo e sotto una frase sbrigativa: "l'amico è qui!".
Peter stampò la foto e la passò a Jones che iniziò subito a fare ricerche. A fine giornata non si erano fatti passi avanti. L'amico era un fantasma. Non avevano trovato neanche un nome.
Quella mattina Peter aveva parlato con Elisabeth di Neal e secondo Elisabeth era arrivato il momento che lui andasse a vedere come se la passava Neal con la scusa di parlare del caso della Greehill.
Quando furono le cinque di pomeriggio Peter prese tutti i fascicoli del caso, salutò Jones e la squadra e si diresse a casa di June.
Neal venne ad aprirgli subito. Peter lo fissò con attenzione. In una settimana era sicuramente dimagrito, il colorito era sempre pallido e portava una barbetta incolta di qualche giorno. L'umore del ragazzo però gli sembrò buono, infatti lo accolse con uno dei suoi sorrisi smaglianti.
"Allora come va il malato?".
"Meglio grazie. Mi spiace, ti ho lasciato solo in ufficio, chissà quanto ti sarai annoiato senza di me!".
"Direi di no... al contrario, finalmente non avevo nessuna mosca che mi ronzava intorno. E poi sono stato parecchio impegnato con il nuovo caso".
Intanto Peter era entrato e aveva posato i fascicoli sul tavolo. La casa non era ordinata come al solito e sul ripiano della cucina c'erano diversi contenitori di cibo, tutti pieni, alcuni lì riconobbe, li aveva di sicuro portati Elisabeth.
"Ma hai mangiato qualcosa in questi ultimi giorni?".
"Nuovo caso? Qualcosa di interessante?".
"La Greehill… ne hai sentito parlare?".
"Sì, certo. Cosa c'è che non va?".
"Per il momento abbiamo riscontrato qualche problema sui bilanci… ma tu come al solito stai cercando di cambiare discorso". Fece Peter e poi continuò secco quasi come quando impartisce gli ordini alla squadra "Allora hai mangiato qualcosa in questi giorni?".
"Te lo detto che non stavo bene… ma ora va meglio… mammina" fece Neal in tono divertito.
"Intanto ti ho portato i fascicoli del caso. Ho pensato che se ti sentivi un po' meglio potevi iniziare ad annoiarti in casa tutto il giorno senza uscire. Magari puoi dargli un'occhiata e dirmi cosa ne pensi!".
"Insomma, manco una settimana e già siete persi".
"Hmmm!" grugnì Peter. "Non illuderti, l'ufficio va avanti anche senza di te!".
Peter iniziò a spiegare il caso a Neal, gli parlò di Karl e dei Woods, delle incongruenze di bilancio e del signor Konroy. Nel farlò tirò fuori i fascicoli. Neal non aveva voglia di guardare i numeri così prese il fascicolo con le foto che erano state fatte alla Greenhill e iniziò a sfogliarle una per uno guardando le note a margine... la maggior parte sotto riportavano la scritta Nulla di significativo da segnalare. Pinzata alla foto di Konroy c'erano invece diversi fogli con note su chi fosse e su come fosse arrivato ad essere Direttore Generale di una importante azienda finanziaria di New York. Ma anche qui non c'era poi nulla di così strano, Konroy era una persona che aveva lavorato sodo e che alla fine era riuscito ad emergere.
L'ultima pagina però colpì immediatamente Neal, era una foto con scritto in calce Amico di Konroy... Sconosciuto!
Peter notò che sebbene il colorito di Neal fosse già pallido per il suo stato debilitato, vedendo la foto, era sbiancato ulteriormente.
Neal a quel punto disse: "Sai chi è?".

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Capitolo 4
*** Cosa farebbe Neal se fosse al mio posto? ***


"Christie?… Christie?… Christie?…"
Una luce accecante, era solo questo che vedeva e Christie davanti a lei che correva!
"Christie?… Fermati, non riesco a raggiungerti! Perché corri?".
Ma Christie continuava a correre, davanti a lei, senza girarsi, senza dire niente!
Diana sapeva che c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Di solito era lei che correva avanti, lei è quella più veloce e con più resistenza. A Christie piace correrre ma per divertimento e quindi lo fa con calma, va ad un passo regolare che le permette di salutare gli altri runner o di sorridere ai bimbi che giocano vicino al sentiero. Per Diana invece è un allenamento e quindi dà sempre il cento per cento. Se Christie faceva un giro dell'annello di corsa del parco, lei ne faceva almeno tre.
Diana non ce la faceva più a correre tanto che dovette fermarsi, aveva troppo male al costato per continuare. Ora era sola in questa luce accecante. Si sentiva spaventata, non capiva dove potesse essere e non le piaceva che qualcosa fosse fuori dal suo controllo.
"Respira…" pensò "respira!".
Le sembrò di sentire una voce lontana, ma non riusciva a capire cosa stesse dicendo.
Si accorse che il dolore al costato era veramente forte!
Cavolo ma dove sono?
"Sei al mare" una voce familiare arrivò da dietro le sue spalle.
"E che cavolo ci faccio al mare con te Neal? E Christie… dov'è Christie? L'hai vista? Stava correndo ma non sono riuscita a raggiungerla e lei non si è fermata…"
Intanto Diana si era voltata e aveva indicato con la mano la direzione dove era scomparsa Christie.
"Lei se ne è andata… e non tornerà più… è colpa tua… se ne è andata per colpa tua…" Neal stava ridendo, ma non con il suo solito sorriso allegro, il suo era più un ghigno.
"Non è colpa mia… io avevo paura… avevo solo paura di dire PER SEMPRE… lei non ha capito che mi serviva solo un altro po' di tempo… un po' di tempo ancora…".
Ma improvvisamente Neal non c'era più, anche lui era scomparso.
"Neal ti prego, non mi lasciare sola…".
Cavolo ma dove sono? Sono al mare... ma allora perché ho freddo, al mare fa caldo, il sole ti avvolge e ti scalda, invece io sto tremando… ho freddo… ho un gran freddo…
A questo punto divenne tutto buio, la voce che prima era lontana ora si era fatta più vicina.
"Stai bene? Diana svegliati! Diana forza svegliati".
Diana aprì finalmente gli occhi. Si sentiva confusa, la luce di prima era diventata buio, ma il freddo, quello che sentiva fino alle ossa, quello non era andato via e neanche il male, quello che la faceva respirare male, era andato via anzi si era fatto più acuto. Poi appena i suoi occhi si furono abituati alla penombra vide una persona seduta di fianco a lui. Era Karl che le stava parlando.
"Diana rispondimi… Stai bene?".
"Non so… credo… dove siamo?".
"Non ricordi?".
"Nooo…" così dicendo Diana si portò una mano alla testa, anche questa faceva male. Un grumo di sangue era rimasto incollato ai capelli. "Devo aver sbattuto la testa… e mi fanno male le costole".
"Ti devono aver picchiato… quando ti hanno portato qui eri priva di sensi e lo sei stato per un po'… non so quanto… non ci sono orologi in questa stanza e ci hanno tolto i nostri".
"Tu stai bene?".
"Sì, io sì".
Diana cercò di alzarsi e un "Ahi!" di dolore le sfuggì dalla bocca. Tuttavia riuscì, con l'aiuto di Karl, a mettersi seduta.
L'ultima cosa che ricordava era di essere negli uffici della Greehill, stava facendo straordinario con la scusa di mettersi in pari con il lavoro, visto che era l'ultima arrivata, in realtà voleva aspettare che Konroy e il suo amico uscissero dalla zona riservata per poi seguire l'amico di Konroy.
Poi il vuoto più assoluto.
HO SBATTUTO LA TESTA, MAGARI CONTRO UN MURO O CHISSÀ COS'ALTRO, È NORMALE CHE IO NON RICORDI NIENTE!
Così però si sentiva in posizione di inferiorità verso chiunque l'avesse rinchiusa in quel posto. Non sapeva chi era stato, come aveva fatto e dove l'aveva portata. Controllò per scrupolo, ma non credendoci veramente, se aveva ancora la pistola legata al polpaccio. Non c'era.
"Sai come sei arrivato qui?".
"Quando sono uscito dall'ufficio sono andato alla macchina. Sembrava tutto normale, l'ho aperta e sono salito. Quando ho messo in moto dal sedile posteriore è sbucato un uomo con un passamontagna e la pistola. Mi ha solo detto di spegnere la macchina, poi mi ha infilato un cappuccio in testa, ho solo sentito che qualcuno ha aperto la portiera. Mi sono sentito tirato fuori e poi mi hanno fatto salire su un furgone… penso. Non ho visto niente. Mi hanno tolto il cappuccio in questa stanza. Erano due uomini, uno mi puntava la pistola. Non hanno detto niente, sono usciti e hanno chiuso a chiave". Karl era visibilmente spaventato mentre raccontava l'accaduto. "Dopo un po' ho sentito la porta aprirsi e hanno buttato dentro te svenuta. Fino ad un attimo fa quando ho sentito che iniziavi a lamentarti. Ho provato a svegliarti e per fortuna ce l'ho fatta".
"Purtroppo non siamo in una buona situazione… ma se volevano ucciderci l'avrebbero già fatto. Ora dobbiamo solo capire come uscire".
COSA FAREBBE NEAL SE FOSSE AL MIO POSTO? COME FAREBBE AD USCIRE DI QUI?
Questa era l'unica cosa che riusciva a pensare Diana in questo momento, aveva un gran mal di testa, faceva freddo e respirava male, ma almeno era ancora viva!

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Capitolo 5
*** John Wayne ***


"Devo dedurre che invece tu sai chi sia?" disse Peter.
Neal teneva in mano il fascicolo Konroy e stava gurdando la foto, scattata da Diana la mattina, dell'amico sconosciuto.
"Ne so poco, veramente poco!". Disse Neal prendendo il cellulare.
"Devo parlare con Mozzie".
"Vuoi dirmi cosa sai!" lo incalzò Peter.
"Te lo detto, non molto. L'ho visto qualche volta con Adler quando lavoravo per lui. Ai tempi si faceva chiamare Rooster Cogburn… ma sicuramente era un nome falso!" disse distrattamente Neal mentre mandava un sms a Mozzie. "VIENI SUBITO! NEAL!"
"Se non lo sapessi il nome è preso in prestito da un film di John Wayne. Era ossessinato da John Wayne. Diceva di avere una collezione di cappelli originali di scena dei film di John Wayne, e qualche volta li usava anche. Comunque a me non è piaciuto fin dalla prima volta che l'ho visto così, io e Mozzie, cercammo di raccogliere qualche informazione, per saperne di più".
"Cosa eravate riusciti a scoprire su di lui?".
"Come ti ho detto molto poco ma una cosa l'avevamo capita, non avremmo voluto incrociare la sua strada… è pericoloso, molto pericoloso!".
"Ma se veramente è una persona pericolosa, perché noi non abbiamo trovato nessuna segnalazione, niente di niente. E perché tu non me ne hai mai parlato".
"Perché ti avrei dovuto parlare di niente. Dopo la vicenda con Adler scomparve da New York fino ad ora. È un tipo furbo! Molto furbo. Lui non fa niente, di sicuro non si sporca le mani e di sicuro non appare mai. Lui è uno che però conosce! Lui sa sempre tutto su tutti e sfrutta le sue conoscenze per manipolare la gente e far fare loro quello che lui vuole. Ai tempi sospettammo che fosse stato lui a dire ad Adler che non ero Nick Holden. Chiama Diana, non deve più tornare alla Greenhill! Potrebbe sapere che è un agente dell'FBI!".
"La chiamo subito!". Peter prese immediatamente il telefono e compose il numero di Diana.

BIP BIP BIP BIP BIP!

Niente.

BIP BIP BIP BIP BIP!

Di nuovo niente.
Allora Peter chiamò Jones.
"Sei ancora in ufficio?… Ok… Traccia immediatamente il cellulare di Diana… No, non risponde… Sono da Neal, vengo subito in ufficio… Potrebbe essere nei guai!".
Poi rivolgendosi a Neal "non mi piace, vado in ufficio!".
"Neanche a me ma io devo aspettare Mozzie, è importante che gli parli!".
"Tienimi informato".
"Ok, anche tu Peter!".

Dopo circa mezz'ora Neal sentì bussare alla porta. Mozzie entrò come sempre senza aspettare nessun cenno.
"Allora, ti sei ricordato di me? Non ti sei fatto vivo per una settimana. Pensavo non fossimo più amici. Cosa c'è di così urgente!".
"Scusa Mozzie, lo so, ma questa è un'altra storia!" e intanto Neal mostrò la foto a Mozzie.
"Lui è qui?!".
"Così sembra".
Mozzie si girò immediatamente e si diresse verso la porta. "Io me ne vado! Credo che sia ora di farsi un viaggetto… per un po'… se vuoi venire con me tagliamo la cavigliera e…".
Neal lo raggiunse e si parò davanti alla porta che nel frattempo Mozzie stava per aprire.
"Diana è sottocopertura. Questa mattina è comparso Rooster e ora non risponde al cellulare".
"Mi dispiace, ma è una federale… il rischio è il suo lavoro, non il mio!".
"Mozzie!" disse Neal gurdando Mozzie con occhi supplichevoli.
"Non mi guardare così…".
"Mozzie!" disse ancora Neal.
"Ok… va bene! Non me ne vado… mi chiudo qui da te e non esco finché non si sarà trovata Diana e poi prendo il volo!".
"Cosa avevi scoperto su Rooster?! Lo so che non mi avevi detto tutto!".
"Lo sai Neal… è passato del tempo… non mi ricordo quasi niente!".
"Ma se tu hai una memoria fotografica… e non ti dimentichi di niente!".
"Senti non voglio che finisca male, né per me, né per te!".
"Dimmi solo quello che avevi scoperto su di lui!".
"Beh, prima di tutto quello non è il suo vero nome, ma questo lo sai già. Ho trovato altri suoi due alias, ma nessun nome reale. Però ad uno di questi alias era intestata una società di pulizie industriali alla quale era intestata una società di sgombero macerie alla quale era intestata una società di… beh c'erano almeno altri dieci passaggi tra società e prestanome, fino ad arrivare ad un magazzino a Brooklyn. L'avevo tenuto d'occhio per un po' ed era frequentato da brutti tipi! Trafficanti di armi, di droga, di persone".
"Quali erano gli alias?".
Mozzie stava esitando. Poi si alzò, andò a prendere una bottiglia di Chateaux Lafitte dalla scorta di Neal, lo aprì, riempì il bicchiere e se lo bevve tutto d'un fiato. Stava già riempiendosi il secondo bicchiere, ma Neal lo interruppe. "Gli alias!".
"Se devo parlare fammelo almeno fare in maniera inconsapevole. Così avrò la scusa di essere ubriaco e di non sapere quello che sto facendo" e così svuotò d'un fiato anche il secondo bicchiere.
"Will Andersen e Henry Thomas. Li avevo trovati perché sono nomi di personaggi interpretati da John Wayne. Il magazzino comunque si poteva collegare a Thomas. Ma è da anni che Rooster non si vede a New York, dal fatto di Adler, potrebbe aver venduto tutto". Finalmente Mozzie si era deciso.
Il telefono di Neal vibrò sul tavolo.
"È Peter".
"Ehi! Novità su Diana?… Ok… Io potrei avere qualche informazione… ci vediamo in ufficio tra un po'".
Poi rivolgendosi a Mozzie. "Hanno trovato il cellulare di Diana, era in un cestino della spazzatura dietro alla Greenhill, la società in cui si è infiltrata. Non si preannuncia nulla di buono!".
"Non si preannuncia nulla di buono!" ripetè Mozzie.

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Capitolo 6
*** Primo contatto ***


Neal entrò in ufficio. C'erano tutti. Ed erano tutti agitati. Ognuno cercava di portare a termine il proprio compito nel minor tempo possibile. Un'agente sottocopertura era irreperibile e questo non è mai una cosa gradita all'FBI.
Neal si diresse subito all'ufficio di Peter, senza salutare nessuno e nessuno sprecò il suo tempo a salutarlo.
Peter però non era solo. Nell'ufficio c'era quella coppia che già aveva visto una settimana prima, i signori Woods. E come una settimana prima il suo primo istinto fu quello di girarsi e andarsene. Ogni passo che faceva verso l'ufficio era uno sforzo incredibile, tutto il suo corpo gli urlava girati e vattene. La sua testa però sapeva che doveva parlare con Peter e anche in fretta. Diana era in pericolo e lui aveva informazioni. Bussò alla porta, era sfinito come se avesse corso una maratona, ma sapeva che questo non era il momento di fermarsi, doveva andare avanti.
Da dentro l'ufficio sentì un "Avanti!".
"Ciao Peter, scusa se interrompo, ma devo parlarti".
"Sì, anche io. Entra. Questi sono i signori Woods, te ne ho parlato oggi pomeriggio. Purtroppo sono qui perché Karl, il figlio, è scomparso".
Neal fece un cenno con la testa ai signori Woods, ma non disse niente.
La signora Woods stava fissandosi le mani in grembo e non si girò per guardare il nuovo arrivato.
Poi Peter continuò "Lui è Neal Caffrey il mio consulente".
"Buona sera signor Caffrey" disse il signor Woods alzandosi dalla sedia e porgendo la mano a Neal.
"Buona sera". Neal in quel momento aveva un groppo in gola e faticava a parlare.
"Verso le 19,00 dovevano incontrarsi in centro" continuò Peter "ma Karl non si è fatto vedere. Dalla Greenhill è uscito alle 18,00. Lo hanno cercato al cellulare che però suona a vuoto. I nostri agenti lo stanno tracciando.".
La signora Woods che fino ad ora si era trattenuta aveva iniziato a piangere. Il marito le prese le mani, ma non disse niente. Pur essendo uno psicoterapeuta e pur avendo in repertorio una serie di frasi per ogni brutta occasione, in quel momento non riuscì a proferire parola per consolare la moglie.
Peter si alzò e rivolgendosi ai signori Woods disse "Scusateci, noi dobbiamo fare il punto della situazione. Voi potete rimanere qui. I vostri cellulari sono già sotto controllo caso mai Karl o qualcun altro telefonasse. Se gradite un caffè o del the ve lo faccio portare".
"No, grazie. Non abbiamo bisogno di niente" disse triste il signor Woods.
Peter si diresse verso l'uscita e fece cenno a Neal di seguirlo. In quel momento la signora Woods alzò lo sguardo e fissò Neal. Neal si sentì lo sguardo di lei addosso, ma cercò di ignorarlo, e uscì dall'ufficio dopo Peter.
Andarono nella sala riunioni.
"Allora cosa hai saputo?". Disse Peter.
"Mozzie aveva trovato un altro alias di Rooster, ovvero Will Andersen. Un altro nome usato da John Wayne nei suoi film, Mozzie lo aveva scoperto così. Non sappiamo però se lo stia ancora usando o se ne stia usando altri e con che criteri li abbia scelti. Come ti ho già detto, dopo la fuga di Adler, Rooster ha cambiato aria e quindi non c'è stato motivo per continuare a scavare".
"Darò questo nome a Jones e vediamo se salta fuori qualcosa. Cosa faceva per Adler?".
"Erano amici. Giocavano a golf insieme, erano iscritti entrambi al Country Club e si trovavano tutti i giovedì mattina. Sicuramente Adler da lui ricavava un bel po' di informazioni e di contatti sulla gente che conta. Politici, avvocati, manager. Così ha ampliato la sua rete di persone da truffare".
"Può darsi che lo schema ponzi lo avessero ideato e messo a punto insieme?".
"Non so, ma sicuramente Rooster ne avrà tratto un profitto. Non è uno che fa niente per niente. Ma è abbastanza furbo da non essere mai implicato in niente".
"Tu sei sicuro che sia stato lui a rapire Diana e, a questo punto, forse anche Karl?".
"È molto probabile. Certo non lui direttamente. Lo avrà fatto fare a qualcuno che gli doveva qualche favore. Questo rende tutto più difficile perché anche se si riesce a scoprire qualcosa in più su di lui difficilmente ci porterebbe a Diana e a Karl!".
"Cosa suggerisci?".
"Di contattarlo. O meglio che io lo contatti".
"Se lui sa di Diana, sa anche di te. Non potrai usare Nick Holden".
"No, niente Nick Holden. Lui sa esattamente chi sono ed è per questo che sono convinto di riuscire ad ottenere la sua attenzione. Nessun trucco con lui, nessun raggiro. Bisogna solo fargli capire che per lui è meglio lasciar andare Diana e Karl, che gli conviene. Che da tutto ciò può guadagnarci".
"Mhhhh! Sai come contattarlo?".
"Tramite Konroy. Ma niente FBI al seguito. Vado io!".
"E cosa potresti offrire tu in cambio di Diana e Karl, sempre che siano ancora vivi".
"Se è furbo prima di ucciderli vorrà sapere cosa sanno e cosa sa l'FBI di Konroy e di lui. Per quello che posso offrirgli in cambio… qualcosa c'è, ma non te ne posso parlare al momento. Se l'FBI viene a conoscenza di questa cosa, poi sarebbe obbligata ad indagare e niente più merce di scambio".
"Insomma non mi hai detto tutto quello che sai su di lui. Tu taci alcuni particolari a noi e lui in cambio rilascia Diana e Karl".
"Più o meno, sì".
"E come fai a sapere che non decida di uccidere Diana e Karl, e poi anche te, così quello che sai te lo porti nella tomba".
"Perché quello che so io lo sa anche Mozzie".
"Ma così anche Mozzie è in pericolo".
"Sì, ed è per questo che lui non è più a New York in questo momento. Diciamo che è irreperibile. Insomma è andato in un posto sicuro".
"Non mi piace. È troppo rischioso e ci sono troppe variabili".
"Se hai un modo migliore… Fammi provare e se non riesco ti dico tutto quello che so".
"Sempre se Rooster non ti uccide prima!".
"Beh, in questo caso Mozzie dovrà farsi un giro all'FBI!" disse infine Neal con un sorriso stampato in faccia "e sai quanto lui odi venire qui!".
"Già…" disse Peter in tono meno allegro. "Oltretutto tu non sei neanche in piena forma".
"Se stiamo ancora qui a parlarne si perde solo tempo prezioso".
"Va bene, ma non rischiare. Fa attenzione e se qualcosa non gira nel modo giusto…".
"Lascio stare e ti dico tutto! Hai il cellulare di Konroy?".
Peter si alzò e andò verso la porta. "Jones vieni qui!".
Subito arrivò Jones.
"Dai a Neal il numero di telefono di Konroy e intanto dovresti indagare su un nome".
"Will Andersen" disse Neal.
"Sì capo". Jones prese due fogli bianchi dalla scrivania. Su uno si appuntò il nome, sull'altro scrisse un numero di telefono e poi lo diede a Neal. Dopo di che uscì dall'ufficio.
Neal prese il foglietto e compose il numero sul suo cellulare.

Questa è la conversazione che ne seguì:
"Pronto!".
"Buona sera. Mi chiamo Neal Caffrey… io e lei abbiamo un amico in comune…".
"Un amico… non capisco quale amico… e poi io non la conosco".
"No, lei non mi conosce, ma il suo amico sì".
"Senta è tardi e vorrei dormire e non capisco cosa vuole!"
"Voglio che gli riferisca che, per il suo bene, è meglio non faccia del male all'agente Berrigan e al giovane Woods. Voglio che gli riferisca che Neal Caffrey vuole parlargli. Voglio che mi faccia richiamare su questo numero di telefono al più presto!".
Neal mise giù il telefono.

Poi Neal rivolgendosi a Peter disse "ora non resta che aspettare".
"Richiamerà?".
"Vediamo!".
Intanto l'agente Regal entrò nella sala conferenze.
"Che c'è?" disse Peter.
"Abbiamo trovato il cellulare di Karl Woods. Era nella sua macchina che è nel parcheggio della Greenhill. Di Woods nessuna traccia. L'auto è a posto a parte che le portiere non erano chiuse a chiave. Non ci sono segni di collutazione o sangue. I tecnici stanno provando a rilevare le impronte".
"Tienimi informato se trovano qualcosa".
"Sì capo!" disse Regal e poi uscì dalla sala.
Peter si alzò e si diresse al suo ufficio.
Neal rimase nella sala riunioni in attesa che il telefono squillasse, ma soprattutto perché non voleva rischiare di incorciare i Woods. La sua testa era immersa in mille pensieri e in mille ricordi, per lo più dolorosi, di un passato ormai lontano, di un ragazzo che non esiste più.
Dopo appena cinque minuti però il telefono lo riportò alla realtà.
Un numero sconosciuto era apparso sul display.
Rispose.

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Capitolo 7
*** L'accordo ***


"Neal Caffrey… è da tanto che non sento questo nome".
"È da tanto che non ti vedo in giro per New York… Rooster… sempre se questo è ancora il tuo nome".
"No, in effetti non lo è… Cosa vuoi Caffrey".
"Devo proporti un scambio!".
"Senti, senti, e cosa vorresti scambiare?".
"Beh, hai richiamato quindi sicuramente sai benissimo cosa voglio!".
"Forse so cosa vuoi, ma non so cosa offri".
"Tempo!".
"Tempo?" disse Rooster in maniera sarcastica "Sai pensavo fossi più in gamba di così!".
"Mi dispiace deluderti. Quando lavoravo per Adler ho preso informazioni su di te e nonostante sia stato difficile… beh, qualcosa ho trovato. Qualcosa che forse è meglio non venga riferita all'FBI… per te ovviamente… perché tu lo sai che ora collaboro con l'FBI, vero?".

SILENZIO.

"Sai c'è un certo posto a Brooklyn…" disse Neal.

SILENZIO.

"Ti ho messo in difficoltà?" continuò Neal.
"Come faccio a sapere che non ne hai già parlato a Burke!".
"Perché tutto l'FBI non è a Brooklyn a rivoltare come un calzino tu sai cosa. Sai, tu sei bravo, molto bravo e questo ti da molta sicurezza. Ma la troppa sicurezza alle volte può farti cadere. Avresti potuto, non solo cambiare aria dopo Adler, ma anche cambiare il tuo luogo sicuro. È invece eri convinto che nessuno potesse trovarlo per preoccupartene".
"Ma se io ti do quello che vuoi… poi tu puoi spifferare tutto a Burke".
"Per questo io non ti offro silenzio, ma tempo… il tempo per cambiare aria e per cancellare quello che potrebbe portare a te!".
"Per colpa tua Adler è morto… lui era mio amico! Ho pensato per lungo tempo di cancellare il tuo nome per sempre da questo mondo… ma, per tua fortuna, ero lontano da New York quando Adler è morto e i miei affari mi hanno impedito di tornare, fino ad ora! Ora ho un motivo in più per farlo e sono molto tentato!".
"Veramente ora sei tu a deludermi. Pensi proprio che io sia uno sprovveduto! Ho una polizza d'assicurazione…".
"Chi?l piccoletto pelato? Lui non è un problema, prima penso a te e poi penserò a lui!".
"Sì, ma prima devi trovarlo… non è certo rimasto a New York con un bersaglio sulla schiena… e, se io muoio, lui non esiterà a far avere tutto all'FBI".
"Io però avrò comunque guadagnato tempo".
"Forse per Brooklyn… ma potrei avere dell'altro…". Neal non voleva giocare, riteneva Rooster troppo furbo per fare giochetti, ma in questo caso azzardò un po' dato che in realtà lui e Mozzie avevano solo le informazioni sul magazzino di Booklyn. Sperò che ci cascasse.
"Allora mi hai messo con le spalle al muro".
"Così sembra" disse Neal.
"Già, così sembra, ma l'hai detto prima tu che ad essere troppo sicuri di se poi si cade in errore".
"Senti, comunque la metti, non ti conviene avere un agente dell'FBI morto sulla coscienza. Ora che sanno della tua esistenza, ti ritroveresti l'intero Bureau addosso senza contare l'Interpol e tutte le agenzie del mondo. Avresti pochi posti dove nasconderti. Ma se l'agente e il ragazzo tornano sani e salvi e tu, nel frattempo, avrai fatto piazza pulita di tutto quello che potrebbe comprometterti, potresti uscirne come piace a te, pulito, no tracce, no coinvolgimenti. Decidi e decidi infretta! Voglio che mi fai chiamare entro un'ora su questo telefono e voglio sentire la voce dell'agente Berrigan e di Woods. Dopo di che, ti do tempo fino a mezzogiorno di domani. Ce la dovresti fare!".

SILENZIO.

"Allora?!" lo incalzò Neal.
"D'accordo. Domani alle undici ti dirò dove potrai trovare il pacco, ma dovrai venire tu a ritirarlo e devi venire solo. Se viene qualcun altro, o se non sarai solo, l'accordo salta, il pacco salta, tu salti!".
"Perfetto… e ricordati hai tempo un'ora per farmi richiamare!".
Rooster terminò la conversazione.
Neal si alzò e si diresse all'ufficio di Peter. Peter era solo.
"Ha richiamato. Ha accettato l'accordo. Gli ho detto che entro un'ora voglio sentire le voci di Diana e Karl. E poi domani a mezzogiorno vado a prenderli".
"E poi a quel punto, se tutto è andato liscio, mi darai le informazioni che sai".
"Sì".
"Per allora, però, avrà cancellato tutte le sue tracce e così la farà franca. Lo sai che questo non mi piace".
"Lo so, ma so anche che tu sei Peter Burke. Sei quello che mi ha preso, due volte. All'inizio non sapevi neanche che faccia avessi eppure mi hai trovato. Magari ci vorranno anni, ma prima o poi lo troverai, e troverai anche delle prove per mandarlo in galera".
"Ti ha detto dove dovrai andare a prenderli?".
"Me lo dirà domani mattina alle undici. Dovrò andare io e andare da solo".
"Però possiamo seguirti con la cavigliera".
"Ma dovrete rimanere a distanza. Prenderà le sue precauzioni. Se ci sarà anche l'FBI non ne usciremmo vivi".
"Continua a non piacermi per niente".
"Entro un'ora però, saremo sicuri che Diana e Karl sono ancora vivi e che stanno e bene e, cosa non meno importante, che li abbia fatti rapire Rooster. Tra l'altro mi ha detto che non usa più quel nome".
"Hai il numero da cui ti ha chiamato!".
"No, era un numero SCONOSCIUTO".
Allora Peter si alzò e si diresse fuori dall'ufficio "Jones, metti sotto controllo il telefono di Neal e prova a vedere se riesci a rintracciare l'ultima chiamata che ha ricevuto".
"Subito capo!" rispose Jones.
Poi Peter notò i Woods che erano nella saletta dove c'è la macchinetta del caffé. Si diresse da loro e disse "Abbiamo trovato il cellulare di vostro figlio, era in macchina e la macchina non ha mai lasciato il parcheggio della Greenhill".
La signora Woods che già aveva gli occhi gonfi e rossi ricominciò a piangere.
"Signora non deve piangere. Siamo riusciti a prendere contatti con il presunto rapitore. A breve dovrebbe richiamarci per darci la prova che vostro figlio e la nostra agente stanno bene. Al momento tutto fa pensare che vostro figlio sia vivo".
I Woods si abbracciarono, ora anche il signor Woods stava piangendo.
Intanto Neal aveva osservato la scena cupo dall'ufficio di Peter. Jones era entrato nell'ufficio con tutta l'apparecchiatura per monitorare il telefono di Neal. Giusto in tempo perché dopo qualche minuto il telefono squillò di nuovo. Neal fece cenno a Peter che corse subito nel suo ufficio seguito dai signori Woods.
Neal rispose al telefono mettendo il vivavoce. Dall'altra parte una voce alterata disse "eccoti quello che volevi!". Poi nulla solo un rumore di fondo come di una porta che si apre e dopo un po' una voce femminile. "Ehi!".
Rispose Neal "Diana sono Neal tutto bene? Sei in vivavoce, ci sono anche Peter e Jones".
"Sono contenta di sentirvi… sono un po' ammaccata, ma viva!".
Peter, vedendo i signori Woods sull'orlo di una crisi di nervi, chiese "C'è anche Karl con te?"
"Sì, capo. Lui sta bene!".
A questo punto il signor Wood disse "Karl?".
"Ehi! Papà. Tutto bene non ti preoccupare" e poi sentendo la madre piangere in sottofondo "Mamma non ti agitare, sto bene!".
Peter interruppe la conversazione tra Karl e i suoi genitori, ora servivano informazioni. "Sapete dove vi hanno portato?".
A questo punto si sentì di nuovo il silenzio, poi un rumore di porta che si chiude e la voce alterata che disse "hai avuto quello che volevi!" rivolgendosi palesemente a Neal. E poi la telefonata si interruppe.
I nervi della signora Woods a questo punto crollarono definitivamente e dovettero reggerla il marito e Jones perché non finisse a terra svenuta. La portarono fuori dall'ufficio fino alla sala caffé dove c'era un piccolo divano e la fecero stendere.
Neal osservò la scena muto e non fece il minimo gesto per aiutare. Peter pensò che fosse un comportamento strano da parte sua. "Tutto bene?".
"Sì, perché?" rispose Neal.
"Niente, mi sembri stanco".
"No, sto bene. Non ti preoccupare". Ma chissà come mai a Peter era ricominciata a girare in testa quella vocina che sempre aveva quando Neal ne stava combinandone una delle sue. Però non volle insistere e disse solamente "Ok!". Poi andò da Jones per sapere se era stato rintracciato il numero di telefono da cui era partite le due chiamate.
Neal rimase dov'era. Pensò che sarebbe stata una lunga notte.

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Capitolo 8
*** Cosa c'è che non va Neal? ***


Un'ora dopo Neal era alla sua scrivania con tutti i fascicoli del caso. Jones e la squadra avevano continuato ovviamente ad indagare su Rooster, sull'alias che aveva fornito loro, sulle chiamate, fornendo a lui e a Peter copia di tutto quello che trovavano. In più voleva controllare tutto il dossier su Konroy e sulla Greenhill. Sarebbe stato utile capire perché Rooster era tornato a New York, quali erano i suoi legami con Konroy… doveva rivedere tutto. Stava però iniziando a sentire la stanchezza, era una settimana che non riusciva a mangiare quasi niente, e ora stava iniziando a pagarne il prezzo. Era stata una brutta settimana per Neal. Aver rivisto la signora Woods aveva fatto riaffiorare molti ricordi e alcuni incubi che non lo lasciavano dormire la notte. Ormai erano trascorsi molti anni e Neal pensava di aver cancellato quel dolore della sua infanzia, ma si era accorto, a sue spese, che non era così. Lo aveva solo chiuso in un cassetto e, ora che si era riaperto, stava fuoriuscendo tutto. Ma questo non era il momento di pensarci…
Molti in ufficio avevano saltato la cena e quindi avevano mandato un agente, uno appena arrivato e che stava facendo il suo apprendistato, a comprare panini e ciambelle. Il nuovo arrivato li aveva sistemati nella saletta del caffè. Neal pensò che doveva sforzarsi di mangiare qualcosa e magari bersi un caffè. Si alzò e si diresse alla saletta. Si prese una tazza dall'armadio e si versò il caffè. Doveva essere stato fatto da poco perché fumava ancora. Ne bevve subito un sorso. Sentì il liquido caldo scendergli in gola. Questo gli provocò una sensazione piacevole e per un attimo si sentì decisamente meglio. Stava prendendosi un panino quando sentì che qualcuno entrava nella saletta.
Una voce alle sue spalle disse "Ciao, Neal".
Era la signora Woods.
Neal si girò ed in tono duro disse "Se sei qui per assicurarti che non dica niente, non ti preoccupare non dirò niente. Io non parlo, tu non parli, domani ti riporto tuo figlio e poi ve ne ritornate a Saint Louis e sarà come se non ci fossimo mai visti".
"No, Neal. Non sono qui per questo, degli agenti ci scorteranno in albergo, ma, prima di andare, volevo dirti grazie" rispose lei. "E volevo anche dirti che mi dispiace".
"Ormai è tardi per dispiacersi…". E così dicendo Neal prese panino e tazza di caffè e ritornò alla sua scrivania lasciando la signora Woods da sola.
Neal cercò di calmarsi, non voleva certo far capire quanto fosse agitato, soprattutto a Peter. Posò il panino e la tazza sulla scrivania e decise che doveva concentrarsi sui faldoni. Ma a Peter non sfuggì la scena. La sua vocina in testa continuava a dirgli che qualcosa non andava, forse conosceva i Woods, in fondo Neal aveva vissuto a Saint Louis fino a diciotto anni. Forse… decise che non poteva lasciar correre. Così andò alla scrivania di Neal e gli disse "Ti devo parlare!". Neal si alzò e lo seguì nel suo ufficio.
"Cosa c'è che non va Neal?" disse franco Peter. "Lo so che c'è qualcosa che non va. Ti ho visto un attimo fa nella saletta del caffè con la signora Woods, non so chi dei due fosse più sconvolto. Devi dirmi qualcosa! Vi conoscete?".
"Mi ha solo voluto ringraziare perché ha potuto sentire suo figlio e no, non c'è nulla che ti devo dire".
"Non hai risposto alla mia domanda però, vi conoscete?".
"Peter, perché pensi sempre che ci sia qualcosa che non va!".
"Lo penso quando non rispondi alle mie domande".
"Te l'ho detto, non c'è niente che non va! Peter, ora dobbiamo pensare a Diana, lascia stare". Così dicendo Neal uscì dall'ufficio di Peter e tornò alla sua scrivania.
Neal sapeva che Peter non avrebbe lasciato stare e sapeva anche che qualunque scusa poteva tirare fuori non sarebbe servito a fargli cambiare idea. Sperava però che Peter lasciasse stare almeno per il momento.
Peter intanto chiamò l'agente Siver, quello che prima era andato a fare rifornimento di cibo. Non voleva togliere uno degli agenti della squadra dalle ricerche di Diana e di Karl. Gli disse "Ho un compito per te. Devi fare delle ricerche sui signori Woods, tutto quello che trovi. Quando hai finito relazioni a me".
"Perfetto agente Burke" disse Siver felice perché finalmente aveva un'assegnazione reale e non solo il compito di portare il cibo e stare appiccicato ad uno degli agenti della squadra.

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Capitolo 9
*** Rinchiusi ***


La stanza era illuminata solo da una vecchia lampadina. C'era una poltrona, anch'essa vecchia e rovinata, un piccolo frigo che probabilmente non funzionava più da anni, una sedia e un tavolino. Su una parete c'era una finestra, che però non lasciava vedere cosa ci fosse all'esterno perché chiusa con delle assi di legno inchiodate. Vi erano due porte, una era quella da cui era entrato l'uomo con il passamontagna che aveva portato il telefono con il quale Diana aveva potuto parlare per un istante con Peter e Neal. L'altra porta, che era aperta, dava su un bagnetto. Diana era appoggiata contro una parete, aveva provato ad alzarsi, ma aveva iniziato a girare tutta la stanza e ad avere una fortissima nausea. Per cui tornò a sedersi per non svenire nuovamente. Karl l'aveva pregata di starsene tranquilla. "Non sono un medico, ma penso tu abbia una commozione celebrale. Quando ero più giovane sono caduto sciando e ho battuto la testa. Ho avuto mal di testa, nausea e giramenti di testa per qualche giorno. I medici mi avevano diagnosticato una commozione celebrale e mi avevano intimato di stare il più possibile a riposo e sdraiato!".
"Sai sciare?" disse Diana tanto per spezzare un po' la tensione.
"I miei genitori hanno una casa ad Aspen, ho imparato a sciare da bambino. Tu scii?".
"No, io no! Però devo alzarmi, magari c'è un modo per uscire di qui!".
"Ho già controllato tutto diverse volte. La finestra è sbarrata e in bagno c'è solo una piccola finestrella, ci passa a malapena un gatto e comunque non vuole saperne di aprirsi. Possiamo provare a rompere le assi di legno, ma faremmo un gran chiasso e se i rapitori sono nell'altra stanza lo sentirebbero. L'altra via d'uscita è la porta che però è chiusa e comunque c'è sempre il problema che se i due sono nell'altra stanza non ci lascerebbero certo scappare".
"Sei in gamba per essere uno studente di economia" disse Diana.
"Non poi così tanto, ma non mi piace starmene con le mani in mano e quindi ho perlustrato la stanza centimetro per centimetro almeno cinque volte prima che ti svegliassi".
In quel momento si sentì aprire la porta, uno dei rapitori entrò con la pistola puntata dicendo "Fermi contro il muro o vi sparo!".
"Anche volendo non potrei muovermi grazie al ricordino che mi avete lasciato in testa" disse Diana.
"Se ne vuoi un altro basta che chiedi!" disse il rapitore in tono sarcastico.
Karl dal canto suo si diresse vicino a Diana e si sedette.
Dopo il primo rapitore entrò anche il secondo. Aveva in mano un vassoio con due bicchieri di caffé posati sopra, due hamburger e due bottiglie d'acqua.
"Ci hanno detto di non farvi morire di fame! Ma fate una mossa sbagliata e sarete morti in un baleno". Così dicendo posò il vassoio per terra e poi entrambi i rapitori uscirono chiudendosi la porta alle spalle.
Karl prese il vassoio e lo portò vicino a Diana. Entrambi erano affamati così mangiarono e bevvero tutto. Mentre mangiavano cercarono di chiacchierare del più e del meno per tenere a freno l'agitazione.
"Cosa ci faranno?" disse Karl un po' rinfrancato dal cibo e dal caffè.
"Non so. Probabilmente Konroy ha capito che sono un agente dell'FBI… e tu… beh, tu ci hai fornito i dati per iniziare l'indagine, anche se attraverso i tuoi genitori".
"Tu sei dell'FBI?".
"Sì, agente speciale Diana Berrigan".
"Quindi quelli con cui hai parlato al telefono erano altri agenti dell'FBI?".
"Sì, Peter è il mio capo e Neal… beh, lui non è proprio un agente… ma è uno in gamba".
"In che senso non è un agente?".
"Diciamo che piuttosto di scontare la pena in carcere collabora con la White Collar per risolvere i crimini".
"Ma quindi è un criminale anche lui".
"Falsario, truffatore e ladro d'arte, ma tremendamente in gamba. Certo non bisogna dirglielo perché il suo ego è già sproporzionato così, se lo si elogia troppo… figuriamoci!".
"Allora loro ci troveranno e… magari ce la caveremo!".
"Peter è decisamente il migliore, se qualcuno può aiutarci, questo è lui".
"Allora non ci resta che aspettare!".
"Magari è meglio provare a riposarsi un po'. Non giova di certo a nessuno essere stanchi" disse infine Diana.
Cercarono di sistemarsi il più comodamente possibile, anche se era difficile stare comodi sul pavimento.
Karl si addormentò dopo poco. Diana invece aveva mal di testa ed ebbe un sonno agitato.
Forse era passata un'ora, forse cinque, forse di più. Dalla finestra non entrava neanche un filo di luce che potesse scandire il passaggio dalla notte al giorno.
La porta sì aprì di botto. Entrarono i due rapitori e in modo tutt'altro che delicato fecero svegliare Karl e Diana. "Forza voi due! È il vostro giorno fortunato! È ora di andare".
Presero Karl, gli legarono le mani dietro la schiena e lo incappucciarono. Poi fecero la stessa cosa con Diana, ma lei dovettero alzarla di peso e sorreggerla perché non ricadesse per terra. La trascinarono fuori dalla stanza e dal luogo dove erano rinchiusi e la fecero salire sul sedile posteriore di una berlina. "Stai buona lì se non vuoi morire!". Dopo un minuto circa fecero sedere anche Karl. Chiusero la portiera della macchina. Si accomodarono sui sedili anteriori. Uno dei due accese il motore. L'altro disse "Non pensate di fare scherzi, anche se non potete vedermi ho una pistola e la sto puntando dritta su di voi. Muovetevi e sparo!".
Poi l'auto partì.

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Capitolo 10
*** Poteva andare tutto bene, oppure tutto male ***


Neal e Peter, insieme alla squadra avevano lavorato tutta la notte e ormai la mattina era già inoltrata. I litri di caffè bevuti non si contavano più, però tutto il lavoro aveva portato a delle sostanziali novità, finalmente c'era una traccia per i falsi in bilancio di Konroy. C'erano diversi conti off shore riconducibili a Konroy. Si trattava di appropriazione indebita per svariati milioni di dollari, ma al momento nulla che potesse portare a Rooster, o a dove tenesse prigionieri Diana e Karl.
Ormai mancavano dieci minuti alle undici. Neal era nella sala conferenze con Peter e Jones. Stavano aspettando la telefonata di contatto con i rapitori.
Peter per smorzare la tensione andava avanti e indietro per la sala.
"Peter ti prego fermati… mi fai venire il capogiro!" disse Neal ad un certo punto.
"Stai bene? Sei sicuro di farcela?".
"Sì, certo, sarà la decima volta che me lo chiedi. Più che altro sei tu che mi innervosisci…".
"Non vorrei dare ragione a Neal, ma innervosisci anche me capo!" disse Jones.
"Sì, hai ragione!" disse Peter sedendosi. Ma poi iniziò a tamburellare sul tavolo con la matita.
Neal allora allungò la mano fino a sottrarre la matita a Peter.
"Scusa, ma ho bevuto troppo caffè questa notte per stare sveglio e ora non riesco a stare fermo" disse Peter.
"Fai dei bei respiri lunghi e profondi… servono a tranquillizzarti sai" disse Neal.
Fu in quel momento che il telefono squillò.
Sul display comparve la scritta SCONOSCIUTO.
Jones allora accese l'apparecchiatura per l'intercettazione telefonica e poi diede il segnale a Neal di rispondere.
La solita voce alterata disse "Vieni all'angolo tra la Broadway e la 14a! Solo! No FBI! Tra un'ora".
Neal non ebbe tempo di parlare che dall'altra parte misero giù la conversazione.
Jones disse "Troppo veloce, non è stato possibile tracciarla".
Neal guardò l'orologio, avevano un'ora per recarsi sul luogo dell'appuntamento.
"Non ti ha detto di togliere la cavigliera, se sa che collabori con l'FBI, sa anche che ce l'hai. Non ha paura che ti seguiamo" disse Peter. "Tieni, mettiti l'orologio così potremo sentire quello che succede, noi staremo sul furgone a una distanza di due chilometri con la squadra di pronto intervento. Se ci sono problemi non insistere, arriviamo noi".
"Qual è la parola concordata per chiedere aiuto?".
"Ho voglia di Marshmallow".
"Seriamente?" disse Neal in tono di scherno.
"Beh, ora è quello che vorrei proprio mangiare" disse Peter. "Andiamo!".
"Andiamo" gli fece eco Neal.
Stavano uscendo quando arrivò l'agente Regal. Peter disse a Neal e a Jones "Iniziate a scendere, io vi raggiungo immediatamente!".
Poi all'agente Regal "Dimmi!".
"Ecco tutto quello che sono riuscito a trovare" e gli consegnò una cartellina con dei fogli dentro. "Ho avuto un po' di problemi…" e stava per esporre a Peter tutto quello che era riuscito a fare, orgoglioso del suo lavoro.
Peter però lo fermò "Grazie agente. Ora però devo andare. Li guardo appena riesco". Posò la cartellina sulla scrivania e poi si diresse verso l'uscita lasciando l'agente Regal deluso. Quest'ultimo voleva esporgli quanti problemi avesse avuto e come fosse riuscito ad ottenere ciò che cercava.
Peter era ovviamente curioso di vedere cosa conteneva la cartellina sui Woods, ma ora non c'era tempo, l'avrebbe guardata dopo. Uscì dal Bureau e salì sul furgoncino per gli appostamenti dove Neal e Jones, più due agenti, lo stavano aspettando. Si diressero verso Broadway e si fermarono a due isolati di distanza dall'incrocio.
Neal scese e fece l'ultimo pezzo di strada a piedi. Arrivò con dieci minuti di anticipo così nell'attesa si mise ad osservare la gente.
New York era un ricettacolo di persone differenti, di culture diverse, di etnie. Lo colpì una signora vestita tutta griffata con al guinzaglio un barboncino bianco che indossava una giacchetta coordinata con quella della padrona, una coppia di cinesi che parlavano con un tono molto alto tra di loro, nonostante camminassero a diversi metri di distanza da Neal, lui potè sentire distintamente quello che dicevano, peccato che il cinese non era una delle lingue che lui conosceva, doveva essere una conversazione interessante. Poi lo colpì un ragazzo sullo skate che faceva lo slalom tra le persone rischiando di gettarne a terra qualcuna. Ad un certo punto notò un ragazzino che veniva nella sua direzione correndo. Correva talmente forte che non poté fermarsi in tempo e gli andò a sbattere contro. Neal cercò di trattenerlo per non farlo cadere a terra. Il ragazzino, con il fiatone, disse "Un signore mi ha dato cinque dollari per darti questo". Gli porse un foglio ripiegato e poi fuggì via.
Neal rimase spiazzato in un primo momento ma poi si riprese e lesse il contenuto del foglio ad alta voce perché potesse sentire anche Peter.
"Un ragazzino mi ha consegnato un foglio dove c'è scritto: prendi la metro e vai fino all'Hudson River Park all'altezza di W Houston St. Lì c'è un parcheggio dove troverai i tuoi amici! Avete sentito? Vado a prendere la metro. Con il traffico che c'è vedete di spicciarvi".
Così Neal si avviò. Due isolati più in la uno degli agenti si mise al volante del furgone e partì più velocemente possibile. Sapevano che Neal con la metro sarebbe potuto arrivare all'Hudson in circa mezz'ora. Loro, con il furgone e il traffico di New York, sarebbe stato buono se ci mettevano un'ora.
Neal scese le scale della metro. Andò alla biglietteria, prese il biglietto e si diresse ai treni. Il viaggio fu abbastanza rapido e senza intoppi. Dovette cambiare linea una volta ma, dopo trentacinque minuti, era a destinazione. Risalì in superficie e si diresse a passo svelto verso il parcheggio indicato nel foglio. Era decisamente stanco, ma l'adrenalina lo aiutava a non cedere. Non sapeva a cosa stava andando incontro. Poteva andare tutto bene, oppure tutto male.

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Capitolo 11
*** Ho voglia di Marshmallow ***


Quando arrivò al parcheggio vide che era deserto, non c'era nessuno.
Cercò di vedere se da qualche parte ci fossero Diana e Karl. Poi notò una berlina scura con all'interno, sui sedili posteriori, due persone incappucciate. Erano sicuramente loro. Si guardò intorno per vedere se c'era qualcuno e per assicurarsi che non fosse una trappola. Si avvicinò all'auto in maniera circospetta, ma sembrava che non ci fosse proprio nessuno e così aprì la portiera posteriore.
"Diana? Karl?".
"Neal! Toglimi il cappuccio!" disse Diana.
Neal tolse il cappuccio ad entrambi e poi iniziò a slegare Diana e successivamente Karl.
"State bene? Tu devi essere Karl" disse Neal guardando il ragazzo. "Ciao, io sono Neal".
"Ciao Neal, Diana mi ha parlato di te!" disse Karl con un sorriso.
"Spero abbia detto solo cose positive!" scherzò Neal.
"Noi stiamo bene, grazie" disse invece Diana. "A me gira ancora un po' la testa, mi hanno dato una botta bella forte. Dove sono gli altri?".
"Stanno arrivando" rispose Neal mentre aiutava Diana ad uscire dalla macchina.
"Ci hanno caricati in macchina e poi prima di scendere ci hanno detto di restare seduti se non volevamo morire. Loro sono scesi. Non sappiamo se siano andati via oppure no" continuò Diana.
"Io non ho visto nessuno, ma è meglio non rimanere qui troppo a lungo casomai decidessero di tornare indietro" disse Neal.
Poi un telefono squillò. Era quello di Neal e sul display comparve di nuovo SCONOSCIUTO.
Neal prese il telefono e mentre si guardava intorno per essere sicuro che non ci fosse nessuno in giro rispose.
"Cosa vuoi Rooster?".
La voce alterata disse "Caffrey non crederai vero che te la faccia passare liscia. Adler è morto per colpa tua…".
"Veramente è stato lui a rapirmi e a cercare di uccidermi due volte! Mi pare che se la sia cercata" disse Neal in tono sarcastico.
"Sei morto Caffrey!".
In quel momento si sentì un rumore sordo di uno sparo.
Neal non vide da dove era partito il colpo. Sentì solo un forte bruciore al braccio destro. Istintivamente Neal si buttò per terra, cosa che fecero anche Diana e Karl. Si nascosero tra una macchina e l'altra in modo da non essere un facile bersaglio.
Neal prese il telefono e disse solo "Bersaglio mancato!" e terminò la chiamata.
Poi disse "Dobbiamo andarcene di qui!".
Diana e Karl lo stavano fissando in maniera preoccupata. Neal allora guardò il braccio che gli bruciava e vide che la manica della giacca si stava macchiando di sangue. Il proiettile lo aveva ferito al braccio.
Diana gli disse "Dammi la cravatta!".
"La cravatta? Non vorrai mica rovinarmi la cravatta".
"Neal stai sanguinando e anche tanto. Il proiettile deve averti preso l'arteria, bisogna mettere un laccio emostatico!".
Il telefono di Neal suonò di nuovo. Questa volta però era Peter che aveva sentito lo sparo e le parole di Diana.
"Dove siete? Perché ho proprio voglia di Marshmallow" disse Neal.
"Stiamo arrivando, siamo lì in quindici minuti. È stato furbo, sapeva che ci avremmo impiegato molto più tempo di te ad arrivare! Dovete cercare di andarvene" disse Peter al telefono, poi rivolto all'agente alla guida "Dannazione. Vai più veloce!".
Diana strinse la cravatta intorno al braccio di Neal talmente forte che lui disse "Ahi! Fa piano!".
"Ti lamenti come una femminuccia!" lo rimproverò Diana. Poi continuò "Peter ha ragione, dobbiamo andare via di qui, ho visto che la macchina è senza chiavi, ce la fai a metterla in moto con il braccio ferito?".
"Ci provo" disse Neal. Aprì la portiera e si intrufolò sotto il cruscotto per collegare i cavi. Il braccio ora gli faceva un male cane e notò che la macchia di sangue si era allargata notevolmente. Stava sudando e ad un certo punto pensò anche di svenire ma, nonostante tutto, riuscì a far partire la macchina.
Diana stava per salire davanti quando Karl la fermò. "Hai una commozione celebrale e lui è ferito. Meglio se guido io. Sono bravo, sai!". Diana allora fu aiutata da Karl a salire dietro, poi salì Karl al posto di guida e infine Neal.
Diana disse solo "Vai! Vai!". Karl partì a tavoletta e fece lo slalom tra le macchine parcheggiate per raggiungere l'uscita prima possibile.
"Ho fatto qualche rally e una volta ho provato a guidare una auto da Nascar su un circuito. Insomma me la cavo!".
Si sentì un colpo di fucile e poi ancora un altro, ma il tiratore, grazie allo zizagare di Karl, non centrò il bersaglio.
"Te l'ho già detto che sei un ragazzo in gamba" disse Diana.
Neal non disse niente ma lo guardò ammirato. Stava iniziando a sentirsi debole, il laccio emostatico aveva rallentato l'uscita del sangue, ma non l'aveva fermato del tutto. Passò il telefono a Diana. Dall'altro capo c'era Peter che urlava "State bene? Rispondetemi!".
"Peter, siamo riusciti a fuggire. Non sembra che ci seguano. Voi dove siete?".
"Siamo tra decima e l'ottava".
"Veniamo nella vostra direzione! Neal è ferito ad un braccio e sta perdendo molto sangue! Serve un'ambulanza!".
"Ok!" disse Peter. Poi urlò a Jones. "Chiama i paramedici e dagli le coordinate del gps di Neal".
Neal si sentiva sempre più debole, cercava di stare sveglio, cercava di concentrarsi su Karl, su quanto fosse bravo a guidare, su quanto assomigliasse a sua madre, su quanto assomigliasse…
Diana si accorse che Neal era svenuto. Cercò di scuoterlo e di chiamarlo. Poi vide il furgoncino e disse a Karl di frenare e di accostare. Dal furgoncino scese di corsa Peter che si diresse verso la macchina. Aprì la portiera a cui Neal era appoggiato privo di sensi. Dovette sostenerlo perché non cadesse a terra. Cercò di svegliarlo. "Neal! Neal! Svegliati!".
"Ehi! Peter, ci hai trovato!".
"Si, vi ho trovato!".
"Devo dirti una cosa… nel primo cassetto della mia scrivania ci sono tutte le informazioni su Rooster…".
"Neal va bene, me lo dirai dopo!".
"Voleva uccidermi…  dà la colpa… a me della morte di… Adler!".
"Non ti ha ucciso però, ha perso! E ora lo prendiamo. Non la passerà liscia!".
"Peter…" disse Neal con la voce sempre più flebile!
"Non ti preoccupare, adesso arriva l'ambulanza. Senti le sirene?".
"No…" disse Neal prima di svenire nuovamente.
"NEAL! NEAL! SVEGLIATI! FORZA!".
Da dietro due paramedici scesi dall'ambulanza spostarono Peter dicendo "Ora lo lasci a noi! Ci lasci lavorare!".
Peter si scostò anche se di malavoglia e mentre lo faceva notò che c'era tanto sangue sul braccio di Neal e che anche lui si era sporcato con il suo sangue.
Intanto Jones aveva preso Karl e lo aveva portato verso il furgone chiedendogli se stava bene e poi si era diretto da Diana che intanto era scesa dalla macchina, ma che aveva dovuto sedersi per combattere i giramenti di testa.
Arrivarono altri paramedici che la caricarono su un'altra ambulanza.
Neal invece dovette essere intubato e gli dovettero applicare una flebo di plasma prima di caricarlo in ambulanza. Peter disse a Jones "Occupati tu di Karl e di organizzare i rilievi al parcheggio sull'Hudson. Io vado in ospedale con Neal". Poi salì sull'ambulanza che partì a sirene spiegate.
Il viaggio fu breve ma a Peter sembrò interminabile. Neal era pallidissimo, ma ancora vivo. Un paramedico iniziò a fargli delle domane.
"Come si chiama il paziente?".
"Neal Caffrey?".
"Età?"
"33 anni".
"Sa qual è il suo gruppo sanguigno?".
"Zero negativo".
"Ha allergie a farmaci?".
"Non che io sappia".
"Patologie?".
"No… è sano come un pesce!". Peter guardò Neal e gli venne un groppo in gola pensando che il quel momento era tutt'altro che sano. Poi continuò "Si stava riprendendo da un periodo di malessere. Però non era ancora in piena forma!".
Il paramedico segnava i dati su un foglio che probabilmente avrebbe consegnato in ospedale.
Finalmente arrivarono in ospedale. L'ambulanza si fermò davanti alle porte del pronto soccorso. C'erano già una serie di medici fuori che aspettavano l'ambulanza.
Scesero. I paramedici iniziarono a descrivere lo stato del paziente ai medici. Peter li seguiva cercando di captare cosa stessero dicendo. Ad un certo punto qualcuno fermò Peter dicendo che lui non poteva entrare, che i medici dovevano lavorare e di aspettare fuori che lo avrebbero tenuto aggiornato.
Peter vide le porte chiudersi e lui rimase solo. Doveva chiamare Elisabeth, doveva dirle cosa era successo, voleva sentire sua moglie e il suo innato ottimismo. Sapeva che El avrebbe detto: "Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Neal è un ragazzo forte!". E infatti furono proprio quelle le sue esatte parole. Poi aggiunse "Passo da casa a prenderti un cambio di vestiti e poi vengo in ospedale!".
Dopo circa quindici minuti che Neal era dentro, uscì un medico.
"Lei è un parente?"
"No, ma è sotto la mia tutela".
"Bene. Il paziente è stabile. La ferita di per se non è grave, ma il proiettile ha reciso un'arteria. Dobbiamo operarlo per ripararla altrimenti morirà dissanguato. Purtroppo c'è un però. Al momento, visto che ha perso molto sangue, è molto debole e potrebbe non reggere l'anestesia e l'operazione".
"Faccia quello che deve!" disse Peter.
"La terrò aggiornata" furono le ultime parole del medico prima di rientrare nella sala emergenze.

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Capitolo 12
*** Ventiquattr'ore ***


"Si sente bene?" chiese un'infermiera del pronto soccorso a Peter, vedendolo sporco di sangue e in evidente stato di angoscia.
La voce dell'infermiera fece trasalire Peter. "Sì, sì, grazie!".
"Vuole cambiarsi?".
"Grazie, ma sto aspettando mia moglie che mi porti dei vestiti puliti. Dovrebbe essere qui a momenti. Però vorrei chiederle un favore. È arrivata un'ambulanza con un'agente dell'FBI, Diana Berrigan, sa dove posso avere informazioni?".
"Lei è un parente?".
"No, sono il suo capo!".
"Mi informo e le faccio sapere".
"Grazie, molto gentile!".
Passarono diversi minuti poi l'infermiera tornò da Peter. "L'agente Berrigan sta facendo la TAC. La tengo informata quando verrà spostata in reparto".
"Grazie!".
Passò altro tempo. L'ospedale era tutt'altro che silenzioso, c'era via vai di infermieri, medici, persone. Peter però non percepiva i rumori, si sentiva distante, fuori dal mondo, solo e vuoto; preoccupato che potesse accadere qualcosa a Neal, in colpa per averlo lasciato andare, per non averlo fermato. Una mano gli toccò la spalla, un tocco familiare, era Elisabeth. Si girò verso di lei e l'abbracciò forte. Elisabeth ricambiò l'abbraccio.
"Ciao, tesoro!" disse Elisabeth.
"Ciao, tesoro!" rispose Peter.
"Ti ho portato dei vestiti. Ho visto che all'inizio del corridoio c'è un bagno, puoi cambiarti lì. Andiamo, ti accompagno". Elisabeth prese la mano di Peter e con delicatezza lo guidò verso il bagno. Peter non oppose resistenza, si sentiva svuotato e senza forze.
"Cosa hanno detto i medici?" chiese Elisabeth.
"Lo stanno operando, il proiettile ha reciso un'arteria e devono ripararla. Hanno detto che l'operazione è semplice, ma che lui è molto debole e potrebbe non reggere l'operazione".
Elisabeth strinse forte la mano di Peter come per dargli un po' di forza, poi disse "Andrà tutto bene, ne sono sicura".
Poi entrarono nel bagno. Elisabeth aiutò il marito a togliere la giacca, la cravatta, la camicia e la maglietta. Poi Peter si lavò le mani, anch'esse sporche di sangue, e infine si infilò una maglietta e una camicia pulite.
Uscirono dal bagno e incrociarono l'infermiera di prima. "Ah, era qui. La stavo cercando!".
"Mi dica" disse Peter.
"L'agente Berrigan è stata trasferita nella stanza 152, al primo piano".
"Grazie, è stata molto gentile".
Poi rivolto alla moglie "Devo andare da Diana a vedere come sta, ma… non… se esce il medico per Neal…".
Allora Elisabeth disse "Senti tu resta qui, vado io da Diana".
"Grazie tesoro".
Elisabeth si diresse verso gli ascensori che portavano ai reparti.
Era passata circa un'ora da quando il medico era rientrato nella sala emergenze per predisporre l'operazione di Neal quando arrivò Jones.
"Ehi, capo! Come va? Come sta Caffrey?".
"È ancora in sala operatoria!".
"Diana?".
"Le hanno fatto una TAC e poi l'hanno trasferita in reparto. Elisabeth è andata dal lei e dovrebbe tornare a dirmi come sta".
"Sai il numero della camera?".
"Sì, la 152 al primo piano".
"Bene, allora salgo, dobbiamo parlare del rapimento. Stanno finendo i rilievi al parcheggio. Hanno trovato il posto da cui hanno sparato a Neal e i bossoli del fucile che hanno usato. Cerchiamo impronte e tracce di DNA. Intanto abbiamo chiesto un mandato al giudice per perquisire la Greenhill e avere i libri contabili".
"Grazie Jones, sapevo di poter contare su di te! Hai già interrogato Karl?".
"No, era abbastanza sconvolto. Lo hanno portato all'albergo dei genitori. Verrà domani mattina in ufficio per rilasciare le sue dichiarazioni".
"Perfetto. Neal prima di… perdere conoscenza mi ha detto che nel primo cassetto della sua scrivania ci sono delle inforamazione su Rooster. Vorrei che, dopo aver parlato con Diana, andassi in ufficio e dessi loro un'occhiata".
"Consideralo fatto… e non ti preoccupare, non ce lo togliamo ancora dai piedi Neal".
"Grazie, Jones".
Dieci minuti dopo tornò Elisabeth.
"Novità?".
"No, non ancora. Come sta Diana?".
"La TAC ha evidenziato una lieve commozione celebrale. La tengono qui una notte in osservazione e domani la dimettono. Deve però stare a riposo assoluto per una decina di giorni. Ora c'è Christie con lei, era ancora segnata come persona da avvertire in caso di necessità e così l'hanno chiamata, e poi è arrivato anche Jones".
"Bene, così non è sola".
Passò un altro quarto d'ora e poi finalmente uscì il medico dalla sala.
"L'operazione è andata bene. Ora lo stiamo trasferendo in terapia intensiva. Il fisico, come ho già detto prima, è molto provato, quindi lo teniamo in coma farmacologico per ventiquattr'ore, per evitare qualsiasi stress. Se supera queste ventiquattr'ore senza problemi lo sveglieremo".
"Ma è fuori pericolo?".
"Per il momento non si può ancora dire, però il ragazzo è forte e ci sono ottime chance che si riprenda".
"Grazie" ebbe solo più la forza di dire Peter.
Elisabeth chiese "Possiamo vederlo?".
"Sì, ma, come ho detto, lui non è cosciente al momento, e non lo sarà per le prossime ventiquattr'ore. In ogni caso vi mando un'infermiera così vi accompagna".
"Grazie" disse Elisabeth, poi rivolgendosi a Peter "Hai sentito ci sono ottime chance! Mozzie lo sa che Neal è qui?".
"Mozzie non penso sia neanche in città, per la sua sicurezza è andato in un posto sicuro. Poteva esserci anche lui qui con Neal, se non peggio".
"Bisognerebbe avvertirlo".
"Sì, forse sì, ma non so come raggiungerlo".
"Provo a chiamarlo".
"Non penso sia raggiungibile sul cellulare" disse rassegnato Peter.
"Beh, io provo a chiamarlo lo stesso".

BIP! BIP! BIP!

"Ehi! Moz!… Volevo dirti una cosa… Neal è stato ferito, hanno appena finito di operarlo… l'operazione è andata bene… sì, sì, siamo al New York Downtown Hospital… quando arrivi… certo ti tengo informato… sì domani mattina da noi! Ciao"
"Doveva essere irrintracciabile e tu lo trovi al primo colpo! Devi darmelo questo numero di telefono magico, chissà che non mi possa servire!".
"In effetti mi ha fatto promettere di non divulgare questo numero a nessuno, non di sicuro a te e neanche a Neal" disse Elisabeth in tono divertito.
Passarono altri cinque minuti e arrivò l'infermiera che li portò al reparto di terapia intensiva e poi nella camera di Neal.
Lui era sdraiato sul letto.
"El, se gli succedesse qualcosa, io…".
"Non succederà…" disse Elisabeth.
"Grazie per essere qui, per essere nella mia vita, sei la mia ancora di salvezza" disse Peter.
Elisabeth non rispose, non c'erano bisogno di parole in quel momento. Si avvicinò al letto di Neal e gli strinse la mano e poi allungò l'altra mano in direzione di Peter perché lui gliela prendesse a sua volta. E rimasero così, per un periodo indefinito, quasi come se questa catena potesse dare forza ed energia a tutti quanti.

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Capitolo 13
*** Rivelazioni ***


Peter ed Elisabeth decisero che rimanere in ospedale non sarebbe servito a niente. I dottori li avevano assicurati che, se le condizioni di Neal cambiavano, li avrebbero avvertiti immediatamente, e comunque Neal non si sarebbe svegliato, non ancora, così Elisabeth tornò a casa e Peter andò in ufficio per sapere a che punto fosse l'indagine.
Jones gli fece una relazione dettagliata. Il procuratore aveva emesso un mandato di arresto per Konroy che però era introvabile. Lo avevano segnalato negli aeroporti e alle stazione di treni e autobus, più ai comandi di polizia e alle stazioni di confine. Gli avevano messo sotto sequestro le tre barche di sua proprietà e l'aereo privato. Su Rooster stavano ancora indagando. La cartellina che aveva lasciato Neal nella scrivania conteneva dati interessanti, che stavano portando a nuovi sviluppi. Avevano anche trovato impronte sui bossoli di proiettile che avevano ritrovato nel parcheggio, appartenevano ad un pregiudicato, erano già sulle sue tracce, poteva essere la stessa persona che aveva rapito Diana e Karl. Insomma tutto procedeva. Quando Jones uscì, Peter si concentrò sulla cartellina riguardante i Woods. Non aveva voglia di leggere, era stanco e aveva mal di testa, così chiamò l'agente Regal perché gli facesse un riassunto a voce.
L'agente Regal era su di giri, finalmente poteva dimostrare quanto fosse in gamba. Gli piaceva la White Collar, provava una forte ammirazione per Peter e sperava quindi di entrare a farne parte.
Iniziò parlando del signor Woods.
"Nome di battesimo, Eric. Una vita normale, famiglia benestante, studi nelle migliori scuole, laurea in psicologia con buoni voti, ha fatto tirocinio in alcuni centri di recupero, e poi è diventato socio nello studio del padre. Sposato con Eveline, ha un figlio, Karl. Niente da segnalare, neanche una multa per eccesso di velocità".
Poi passò alla moglie. Finalmente l'agente Regal poteva dare sfoggio del suo operato e quindi fece una pausa teatrale, inspirò profondamente e iniziò.
"Il nome da nubile della moglie è Eveline Brooks".
Quando Peter sentì questo nome gli prese quasi un colpo, stava sorseggiando il caffè, che quasi gli andò di traverso, tanto che dovette risputare nella tazza quello che aveva in bocca. Brooks era il cognome di Neal, quando era nella protezione testimoni.
"Tutto bene?" chiese l'agente Regal.
"Sì, sì, colpa del caffè, è più brodaglia del solito. Continua". E dicendo così posò la tazza sulla scrivania.
"Con lei è tutto un altro discorso. Quando ho provato a prendere informazioni, mi sono trovato di fronte al quasi nulla, dato che i suoi dati sono secretati dai marshall".
"Allora quel cognome non è una coincidenza" pensò Peter, fra se e se, cercando di mantenere un certo contegno anche se si sentiva bruciare dentro.
"Non ho però perso le speranze. Ho fatto delle ricerche all'anagrafe di Saint Louis. Si è trasferita lì circa trent'anni fa. Al momento del trasferimento aveva già un figlio, Danny".
Peter ascoltava senza fare alcun cenno, era troppo questa cosa per essere affrontata a caldo. Doveva riflettere.
Intanto Regal continuava il suo resoconto. "Ho poi cercato nei registri della polizia. Eveline Brooks ha tentato il suicidio quattro anni dopo il suo trasferimento. Il figlio, Danny, l'ha trovata in bagno con le vene tagliate e ha chiamato il 911. Dai registri dell'ospedale ho trovato che le è stato disposto un trattamento sanitario obbligatorio presso un centro di recupero, la clinica Harvall, la stessa dove il signor Woods stava facendo il praticantato. Risulta che si siano sposati otto mesi dopo il ricovero, due anni dopo è nato Karl. Prima del suo trasferimento a Saint Louis non vi è traccia di Eveline e di suo figlio. Questo, più i file secretati dai marshall, fanno pensare che lei sia nella protezione testimoni" disse infine l'agente Regal.
"Grazie. Sei stato in gamba. In ogni caso, queste informazioni non sono pertinenti con il caso e, visto che ci sono di mezzo i marshall, non dovranno neanche essere rese note alla squadra. Tieni tutto per te. Ora puoi andare".
"Spero di esserle stato utile" disse l'agente sentendo di aver fatto un lavoro inutile… non era pertinente con il caso.
"Sì, mi sei stato molto utile. Grazie ancora. Puoi andare" disse infine Peter.
L'agente Regal infine uscì. Era stato molto utile, così gli aveva detto Burke, era al settimo cielo.
Peter invece era atterrito! I pensieri gli affollavano la mente.

Eveline Woods è la madre di Neal e Karl è suo fratello!
Il malessere di Neal ha avuto inizio quando ha visto la signora Woods nel mio ufficio, quindi non era influenza… ma un'angoscia profonda.
Ma cosa è successo? Perché madre e figlio si ignorano di proposito.
Centra forse il tentato suicidio? Per un bambino di quanti… sette anni… trovare la madre riversa in una pozza di sangue…
E il signor Woods? Come può non conoscere il figlio di sua moglie? Ma forse lo ha riconosciuto e ha fatto finta di niente anche lui!
E ora? Che devo fare?
Tacere! Fare finta di non aver mai chiesto a Regal di approfondire, o parlarne a Neal?
Chiedergli cosa sia successo tra loro, perché quell'ignorarsi reciproco, perché lei non si è minimamente preoccupata che suo figlio è ricoverato in condizioni critiche in ospedale.
Che razza di madre è una così!
Neal non ha mai amato parlare di se e del suo passato! Ci ha messo quasi tre anni anche solo per dirmi che suo padre era un poliziotto corrotto e, se non fosse dovuto andare da Ellen per recuperare il Raffaello, probabilmente quella sarebbe ancora l'unica rivelazione concessami.


Guardò l'orologio. Erano ormai le otto di sera, chiuse il fascicolo Woods e lo ripose in un cassetto, che poi chiuse a chiave. Si alzò ed uscì dall'ufficio per andare a casa, aveva bisogno di una notte di riposo e di parlare con Elisabeth di tutta la situazione, insieme avrebbero deciso cosa fare.

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Capitolo 14
*** Visite ***


Sembrava stesse dormendo, tranquillo, Neal però era in una stanza di ospedale, attaccato al respiratore, con dei sensori sul petto collegati ad un monitor.
BIP! BIP! BIP!
Era il battito regolare del suo cuore.
Eveline si avvicinò al letto. Era stanca e molto provata. Tutto quello che era successo, rivedere Neal dopo anni, il rapimento del figlio e ora questo… Non era mai stata una donna forte, anzi, dopo il divorzio da James era caduta in una spirale depressiva che ora teneva sotto controllo grazie ai farmaci e alle sedute dallo psicoterapeuta. Lei aveva sempre avuto bisogno dell'appoggio di qualcuno, i suoi genitori, James, Neal ed Ellen, Eric. Quando avevano arrestato James era come se le fosse franata la terra da sotto i piedi. Per lei, James, era il suo sostegno, la sua roccia.
Sapeva di non essere stata una madre per Neal, di aver sbagliato tutto e sapeva che Neal aveva pagato per colpe non sue. Gli accarezzò la fronte e gli scostò una ciocca di capelli che ricadeva disordinata, poi gli prese la mano e gliela strinse forte. Rimase così per un po', madre e figlio finalmente riuniti, eppure così distanti.
Eveline avrebbe voluto rimanere, ma Eric e Karl erano andati all'FBI perché Karl doveva rilasciare le sue dichiarazioni. Lei, con la scusa dei suoi nervi deboli, era rimasta in hotel e aveva sfruttato l'occasione per venire in ospedale, ma doveva tornare. Eric e Karl si sarebbero preoccupati se non l'avessero trovata in hotel al loro ritorno. Posò un mazzo di margherite che aveva con se sul tavolino di fianco al letto e uscì dalla stanza.

"Moz, calmati!" disse Elisabeth.
Erano appena entrati nella stanza di Neal.
"Come faccio a calmarmi… gli hanno sparato e ora è lì… in coma e chissà se si risveglierà mai… e io… lui…".
"Lo so, Moz, ma i medici hanno detto che va bene. È in coma farmacologico, è voluto per lasciare il tempo al suo fisico di riprendersi. Oggi lo sveglieranno e tutto andrà bene!" disse Elisabeth cercando di calmare Mozzie.
"Come sai io sono orfano… lui non è solo il mio migliore amico, lui è la mia famiglia!".
"E tu sei la sua Moz. Senti, quando si sveglierà, non sarà contento di trovarsi in una grigia stanza di ospedale. Perché non pensiamo un po' come abbellirla. Magari dei fiori… guarda c'è già un mazzo di margherite sul tavolo, peccato che non sia nell'acqua, così si seccherà velocemente. Ho visto un negozio di fiori, qui, fuori dall'ospedale. Vado a fare qualche acquisto".
"Io rimango con lui".
Elisabeth uscì dalla stanza.
Mozzie prese la sedia che stava nell'angolo della stanza, l'avvicinò al letto e si sedette.
"Ehi! Lo sapevo che non dovevo lasciarti, guarda cosa mi combini quando non ci sono. Lo sai che senza di te io poi devo trovarmi un altro socio e non è facile… lo sai… nel nostro campo è difficile trovare qualcuno di cui fidarsi, fidarsi veramente!". Mozzie si strofinò gli occhi, poi rivolto a Neal, quasi potesse vederlo "Non sto piangendo, mi si è infilato qualcosa in un occhio!".
Per non pensare troppo, Mozzie iniziò a fargli il resoconto di tutte le teorie complottistiche sull'undici settembre, sullo sbarco sulla luna e sull'omicidio di John Lennon.
Era passata una mezz'ora di monologhi di Mozzie quando entrò un'infermiera. Era una donna piccolina e magra, non più giovanissima, con i capelli biondi cotonati, ma aveva lo sguardo di chi sa il fatto suo. Disse "Devo cambiare la flebo al paziente e rifare la medicazione al braccio, se può aspettare fuori".
"Come si chiama lei?" disse Mozzie.
"Cindy Mayer, perché?" chiese l'infermiera un po' stupita.
"Vorrei prima controllare che lei lavori in questo ospedale, come faccio a sapere che non è una pazza, magari lo vuole avvelenare o vuole toglierli il respiratore o… chissà cos'altro…".
In quel momento ritornò Elisabeth, aveva un vaso vuoto in una mano e un vaso di tulipani rossi nell'altra. Vedendo lo sguardo tra lo stupito e l'incavolato dell'infermiera, posò i vasi sul tavolino poi, rivolgendosi all'infermiera, disse "Lo scusi, è agitato per Neal" e rivolgendosi a Mozzie in tono deciso "Ora basta, fai fare all'infermiera il suo lavoro, tu vieni con me, ho comprato il vaso per le margherite, andiamo a metterle nell'acqua".
Mozzie si lasciò convincere e lasciò la stanza con Elisabeth.

Peter arrivò in ospedale dopo essere passato in ufficio per prendere la testimonianza di Karl. Era di pessimo umore, aveva passato ore a parlare con Elisabeth di quello che aveva scoperto. Insieme avevano deciso che, per il momento, non ne avrebbero fatto parola con Neal, ora lui doveva riprendersi, doveva stare tranquillo. Questo però non rendeva più semplice la situazione, rimandare non voleva dire che il problema non esistesse. Arrivato in reparto vide Mozzie ed Elisabeth fuori dalla stanza di Neal.
"Ciao tesoro… Mozzie".
"Ciao tesoro. Dentro c'è un'infermiera, sta rifacendo a Neal la medicazione al braccio" rispose Elisabeth.
Mozzie invece fece solo un cenno con il capo.
"Hanno detto niente i medici?".
"Sì, ha passato la notte bene, i valori sono buoni, quindi oggi pomeriggio gli riducono i sedativi".
"Bene. Gli hai preso le margherite?".
"No, non io, erano già in camera quando siamo arrivati, ma erano senza vaso e così ne ho preso uno e le ho messe nell'acqua".
"Io non posso restare, sono solo passato per sapere come sta, ma dobbiamo ancora trovare chi gli ha fatto questo. Ritorno questa sera, sperando che sia già sveglio" disse infine Peter, baciò Elisabeth e si diresse verso l'uscita.

Dopo circa dieci minuti l'infermiera uscì dalla stanza. Guardò Mozzie dall'alto verso il basso e con tono solenne disse "Spero tu non debba mai finire in ospedale qui da me… penso che mi divertirei un mondo a farti, diciamo così… ispezioni… dove di solito non batte il sole!" e così dicendo si allontanò dalla stanza sghignazzando.
"Lo sapevo io, quella non è un'infermiera, è una megera, dobbiamo portare via Neal da questo ospedale…" iniziò Mozzie.
Ma come al solito Elisabeth riuscì a calmarlo e a farlo ragionare.
Entrarono nella stanza. Elisabeth posò il vaso con le margherite vicino ai tulipani. Guardò l'ora, era quasi mezzogiorno e così disse a Mozzie: "Che ne dici di andare a mangiare qualcosa. Lui sta bene, starà bene. Torniamo dopo! Se invece vuoi restare potrei andare a prendere dei panini dalla mensa dell'ospedale, ma non so… con le tue allergie…". Elisabeth voleva convincere Mozzie ad andare un po' fuori, se rimanevano lì avrebbe fatto impazzire lei, le infermiere, sarebbe riuscito a far impazzire anche Neal, nonostante fosse sedato, e sapeva su cosa fare leva per convincerlo. Il cibo dell'ospedale era un buon argomento.
"No, no, meglio che andiamo a cercare qualcosa di commestibile e non dannoso per la mia salute. Potremmo anche passare da June, anche lei sarà in pensiero per Neal e magari prendiamo qualche libro, poi avrà bisogno del suo spazzolino, di qualcosa di commestibile da mangiare per quando avrà fame, già quando ti svegli hai la nausea, e io ne so qualcosa, se poi ancora ti propinano brodaglie e gelatine, e poi potremmo portargli l'ultimo Rembrandt che ha dipinto, gli sembrerà un po' di più di essere a casa…".
Così dicendo uscirono dalla stanza.

Mozzie ed Elisabeth tornarono verso le quattro del pomeriggio con due borse piene di oggetti personali di Neal e libri. Elisabeth aveva evitato di far portare a Mozzie anche del cibo, almeno per il momento. Iniziarono a sistemare la stanza per renderla più accogliente. Dopo circa mezz'ora entrò Diana. Era seduta su una carrozzina e dietro Krystie la spingeva.
"Ehi! Come sta il nostro malato!" disse.
"Ciao Kristy, che piacere rivederti. Ciao Diana. Lui è stabile, al momento non ci sono novità" rispose Elisabeth. "E tu come stai? Sei stata dimessa?".
"Sì, Krystie mi sta portando a casa, starò un po' da lei, il medico mi ha prescritto riposo assoluto per qualche giorno, non mi permettono neanche di cammianare, Krystie è molto fiscale su questo, ma prima di andare a casa ho insistito per passare a salutare Neal".
Krystie intanto aveva preso la cartella di Neal per dargli un'occhiata. Poi disse "Sì, i parametri sono buoni, gli hanno già ridotto i sedativi. Il prossimo step è togliergli il respiratore ed eliminare del tutto i sedativi. Il fisico però ci metterà un po' a smaltirli quindi non vi aspettate che si svegli immediatamente, ci vorrà un po', all'inizio alternerà momenti di coscienza con momenti di incoscienza, ma alla fine andrà bene. Ora però andiamo, Diana non deve affaticarsi troppo".
"Sì, capo" disse Diana felice. Era felice perché lei amava Krystie, si era sentita soffocare con tutta la storia del matrimonio e questo le aveva allontanate, ora però aveva un'opportunità per provare a riallacciare quel rapporto interrotto.

Più tardi, nel pomeriggio, Elisabeth e Mozzie stavano giocando a carte per passare il tempo, quando entrò il medico che aveva operato Neal con l'infermiera Cindy.
"Ora togliamo il respiratore al signor Caffrey. Non c'è bisogno che usciate" e così dicendo si diressero di fianco il letto dalla parte dove stavano i monitor e le varie apparecchiature. Controllarono i parametri due volte e annotarono tutto sulla cartella clinica, il medico fece il giro del letto e si posizionò sul lato di testa. Staccò il tubo del respiratore e poi con calma, ma con decisione, estrasse la parte di tubo che entrava, attraverso la bocca, nella trachea di Neal. Tornò sul lato del letto, gli sistemò un sondino nasale per dargli ancora un po' di ossigeno e con lo stetoscopio stette in ascolto nella zona dei polmoni. "La respirazione è buona, saturazione al 96%". Intanto l'infermiera continuava a scrivere quello che il medico le diceva sulla cartella. Cindy cambiò di nuovo la flebo. Poi il medico rivolgendosi a Elisabeth e Mozzie disse "Ora non ci resta che attendere, potrebbe svegliarsi subito o potrebbero volerci alcune ore, dipende da quanto il suo fisico impiega a smaltire i sedativi".
"Grazie" disse Elisabeth.
Medico ed infermiera uscirono, quest'ultima prima di uscire fissò Mozzie con lo sguardo più duro che poteva fare, e poi ricominciò a sghignazzare.
Ma questa volta Mozzie non si fece prendere dall'angoscia per quello sguardo. Vedere Neal senza respiratore in gola lo aveva rassicurato. Ora non restava che attendere e poi sarebbe andato tutto bene.

Peter era ritornato in ospedale verso le sei e trenta. Aveva mandato a casa Elisabeth dicendole che l'avrebbe avvertita se Neal si svegliava. Mozzie non ne aveva voluto sapere di andarsene, ma aveva deciso che aveva assolutamente bisogno di bere un caffè, era quindi andato alla caffetteria. Peter gli aveva chiesto di portarne uno anche a lui.
Mozzie ed Elisabeth avevano fatto proprio un bel lavoro di decorazione della stanza. Peter per ammazzare il tempo aveva preso uno dei libri portati da Moz, aveva scelto il Mastino di Baskerville, tutti gli altri erano di autori russi oppure avevano un numero di pagine infinito. Insomma erano dei veri mattoni. Peter pensò che, visto dove si trovava Neal, forse avrebbe gradito delle letture più leggere.
Stava leggendo la ventesima pagina del libro quando sentì che Neal si stava muovendo nel letto. Gli si avvicinò. "Neal?".
Neal aveva ancora gli occhi chiusi, forse si era sbagliato.
"Ehi!" disse Neal.
No, non si era sbagliato.
"Ciao, Neal!".

Finalmente Neal aprì gli occhi. Era ancora intontito e non capiva dove fosse, si sentiva disorientato, non poteva muovere il braccio destro, era incastrato in un tutore rigido, mentre il braccio sinistro era collegato alla flebo.
Si ricordò dello sparo, il sangue, Karl che guidava, poi più niente.
"Sei in ospedale" disse Peter. "Ti hanno sparato ad un braccio, ti ricordi?".
"Sì".
"Ti hanno operato, il braccio ora è ok, ti riprenderai presto!".
"Presto!".
Così dicendo Neal richiuse gli occhi. Potevano essere passati due minuti o due ore. Neal non aveva la percezione del tempo. Quando li riaprì c'era una donna di fianco a lui, doveva essere un'infermiera.
"Era ora che si svegliasse il nostro bel principe, aveva ragione Kelly, l'infermiera del pronto soccorso, i tuoi occhi sono blu come il mare, qui sarà dura, si prefigge una vera e propria lotta tra le infermiere per averti come paziente, farai girare la testa a tutte!".
Neal non capiva quello che la donna gli diceva, principe, lui non è un principe, e poi perché le infermiere dovrebbero litigare per lui!
Poi si riaddormentò. Al risveglio successivo c'era Mozzie con lui.
"Mi hai fatto prendere un bello spavento, tu e la tua voglia di fare sempre il valoroso paladino salvatore degli innocenti. Io lo avevo detto che dovevi lasciar stare, e invece no, e poi ti ritrovi in un letto d'ospedale, quasi morto".
"Moz, non sono morto! Mi dispiace che tu ti sia dovuto preoccupare per me".
"Ok! Ok! Tu stai male e io ti faccio la predica, che razza di amico sono! Ora riposati".
"Ok!". Neal chiuse gli occhi e si riaddormentò.
Quando li riaprì doveva essere passata qualche ora. Era tutto buio. Peter era seduto a leggere di fianco a lui sulla sedia mentre Mozzie era disteso su una poltroncina più in fondo che dormiva.
"Non dovresti andare a casa da tua moglie?" disse Neal.
"Ah! Ti sei risvegliato. Fra un po' vado, ma mi sono fatto prendere da questo libro" e così dicendo girò il libro in modo che Neal potesse vederne la copertina. "Ho sempre amato i libri gialli!".
"Arthur Conan Doyle… un classico!".
"Già. Come stai?".
"Ho avuto giorni migliori! Il braccio non riesco a muoverlo!".
"Perché non devi muoverlo. Il proiettile ha reciso l'arteria, hanno dovuto operarti per riparare il danno, l'operazione è riuscita ma perché guarisca devi tenerlo immobile per qualche giorno", non voleva dirgli che in realtà doveva tenerlo immobile per almeno quindici giorni e che poi avrebbe dovuto fare riabilitazione per un po' prima di tornare ad usare il braccio perfettamente. Un'altra cosa di cui era meglio non parlare, almeno per il momento!
Neal intravide un alone di tristezza negli occhi di Peter e capì.
"Ti avevo chiesto di lasciar stare… ma tu ovviamente non lo hai fatto vero?".
"Lasciar stare cosa?" disse Peter cercando poi di cambiare argomento. "Sai Mozzie ha già fatto impazzire le infermiere, è meglio se ti riprendi presto, così lo portiamo via di qui!".
"Peter… di solito sono io quello che cambia argomento… Lo sai di cosa parlo, te lo leggo negli occhi".
"No, non l'ho fatto, ma Neal ora devi riprenderti, ne parleremo più avanti, quando starai meglio e quando te la sentirai, ok? Ora cerca di dormire, devi riposare, e non pensare a niente!".
"Non era pertinente con il caso, era una cosa personale, per questo non te ne ho parlato…".
"Sì, lo so Neal. Non ti preoccupare, veramente, ne parliamo poi, senza fretta. Ora dormi, chiudi gli occhi e dormi!".
Neal chiuse gli occhi e si riaddormentò. Dormì tutta la notte senza più svegliarsi. Peter rimase ancora un'ora in ospedale e poi andò a casa da sua moglie.

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Capitolo 15
*** Margherite ***


Neal si risvegliò la mattina successiva. Doveva essere ancora presto perché Mozzie stava ancora dormendo sulla poltroncina e in reparto c'era un relativo silenzio. Il sole però illuminava già la stanza. Neal si sentiva spossato, nonostante avesse dormito tutta la notte. Provò a muovere il braccio, ma non ci riuscì e si ricordò del tutore che gli impediva qualsiasi movimento. Non voleva svegliare Mozzie però sentiva un po' di fastidio in gola, come quando si ha il mal di gola e in più era secca, un po' d'acqua gli avrebbe giovato. Così schiacciò il tasto di chiamata.
Dopo circa un minuto entrò un'infermiera.
"Ben svegliato!".
"Posso avere dell'acqua?" chiese Neal.
"Sì, ora gliela porto" disse l'infermiera. Uscì e ritornò quasi subito con un bicchiere di plastica e una cannuccia.
"Non beva tutto di colpo, rischierebbe di vomitare, piccoli sorsi, un po' alla volta" e così dicendo, alzò la testiera del letto e poi gli tenne il bicchiere in modo che potesse bere. "Fra mezz'ora circa le portiamo la colazione, anche con la colazione deve fare attenzione, la faccia lentamente, altrimenti vomita. In mattinata la facciamo scendere dal letto, non va bene che rimanga troppo sdraiato".
Neal bevve qualche sorso d'acqua, poi, però, iniziò a girargli la testa. Doveva essere sbiancato perché l'infermiera disse "Le gira la testa vero?".
"Sì".
"È normale, faccia dei bei respiri profondi e vediamo se passa".
Intanto Mozzie sentendo parlare si era svegliato.
"Tutto bene?".
Fu l'infermiera a rispondere. "Sì, certo".
Poi Neal aggiunse "Va meglio".
"Bene!" poi rivolgendosi a Mozzie. "Se ha sete gli dia pure da bere. Se ci sono problemi mi chiami, se no, torno tra mezz'ora".
Posò il bicchiere sul tavolino e uscì dalla stanza.
Mozzie si strofinò gli occhi e poi si avvicinò a Neal. "Come ti senti?".
"Stanco".
"Non ti preoccupare, passa!".
A quel punto Neal iniziò a guardare la stanza. "Ehi! Ma quello non è il Rembrandt che ho dipinto io?".
"Sì, sì, è proprio lui. Io ed Elisabeth abbiamo pensato di appenderlo che così ti saresti sentito più a casa, poi ti abbiamo portato un po' di libri, quelli li ho scelti io dalla libreria" e intanto indicò una pila di libri poggiati sul davanzale della finestra "e poi ti abbiamo preso dei fiori".
Neal si girò verso il tavolino e vide due vasi, uno di margherite, uno di tulipani.
"Avete comprato le margherite?" chiese subito.
"No, solo i tulipani, le margherite le abbiamo trovate già qui, non so chi te le abbia portate, non c'è biglietto".
"Lei è stata qui" pensò Neal senza però esternare il suo pensiero ad alta voce.
Mozzie poi continuò "Vuoi ancora acqua?".
"No, grazie. Fra un po' magari".
"Ok, allora vado a prendermi un caffé, torno tra cinque minuti, tu non andartene mi raccomando" e così facendo si diresse verso la porta.
"E dove potrei andare conciato così" disse solo Neal.

Ora che era solo, il suo pensiero andò a un tempo lontano, quando era ancora bambino, avrà avuto circa sei anni. Ripensò a quando faceva la strada per tornare a casa da scuola, aveva scoperto che c'era un parco poco distante dove, in primavera, fiorivano le margherite, così ogni giorno allungava la strada e ci andava per raccoglierne una. Poi correva di corsa a casa, entrava e andava nella stanza della madre.
"Ciao mamma!".
"Uhm".
"Anche oggi non ti sei alzata vedo!".
"Non mi sento bene!".
"Guarda non è bellissima?" e così facendo dava a sua madre la margherita appena raccolta.
"Ora ti aiuto ad alzarti, andiamo in bagno, ti preparo l'acqua nella vasca e poi ti pettino i capelli ,così posso decorarli con la margherita".
E così dicendo aiutava la madre ad alzarsi e ad andare in bagno, la obbligava ad entrare nella vasca e a lavarsi. Stava sempre con lei perché, una volta che l'aveva lasciata sola, per cinque minuti, l'aveva trovata immersa nella vasca completamente, anche la testa. Neal non era certo che volesse morire quella volta, ma si era spaventato molto.
Finito il bagno, lei si sedeva e lui, salendo su uno sgabello, le pettinava i capelli, le faceva la coda di cavallo e con una molletta le metteva la margherita un po' sopra l'orecchio destro.
Ogni giorno finiva il tutto dicendo "Sei bellissima mamma, non ti devi preoccupare, ci sono io, ci penso io a te!" e poi l'abbracciava forte.
Quando lei stava un po' meglio ricambiava l'abbraccio e diceva "Sei il mio ometto, sei la mia vita, ti voglio bene".
Quando invece la depressione era più forte, non reagiva neanche all'abbraccio, guardava il vuoto assorta, in chi sa quale pensiero.
Poi Neal la portava in cucina e preparava la cena. Lei difficilmente cucinava qualcosa, non faceva la spesa, non puliva la casa, la depressione, come spesso succede a chi ce l'ha, l'aveva praticamente annientata.
Neal aveva dovuto imparare ad arrangiarsi presto, Ellen lo aiutava, certo, ma lei lavorava tutto il giorno e non poteva essere sempre presente.
Ellen passava da loro quando usciva da lavorare. Di solito era lei che si occupava di fare la spesa, anche perché Eveline non lavorava e quindi dovevano farsi bastare quel poco che i marshall passavano loro per essere nel programma testimoni, che serviva per pagare l'affitto e le spese della casa, non certo per il cibo.
Quando Ellen arrivava aveva sempre qualcosa da sistemare in frigo e nella credenza. Poi, insieme, mangiavano, e dopo, mentre Ellen lavava i piatti, Neal aveva un po' di tempo per fare i compiti.
Verso le dieci, Neal ed Ellen mettevano Eveline a letto e poi Ellen se ne andava. Non abitavano nello stesso alloggio, Ellen stava a due isolati di distanza, ma tutti i giorni, dopo il lavoro, lei era lì.
Un giorno Neal era tornato a casa, era andato in camera di sua madre, non trovandola, era andato in bagno felice, perché, pensava, oggi sua mamma si era alzata dal letto da sola.
La felicità però durò solo qualche secondo perché, entrando in bagno, l'aveva trovata svenuta per terra, con dei tagli sui polsi e sangue ovunque.
Da quel giorno si era trasferito a casa di Ellen, aveva portato lì tutta la sua roba e nel vecchio appartamento non ci mise più piede.

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Capitolo 16
*** Solo ***


Mozzie era ritornato con il caffè e il New York Times e si era messo a leggere ad alta voce i vari articoli del giorno.
Neal stava con gli occhi chiusi, ma non dormiva, ascoltava le notizie.
Dopo un po' entrò l'infermiera con un vassoio della colazione. Pane tostato, budino di tapioca, succo d'arancia e caffè.
"Mi raccomando, mangi lentamente, ma mangi, non deve esagerare altrimenti rischia il vomito, ma neanche digiunare se no, non si riprende" così dicendo posò il vassoio sul tavolino, alzò ancora un po' la testiera del letto di Neal in modo che rimanesse in posizione quasi seduta, poi controllò la flebo che intanto era finita e disse "Torno per cambiarla, lei intanto provi a mangiare qualcosina".
Neal non aveva una gran fame, ma si sforzò comunque di mangiare almeno un po' di pane tostato e di bere un sorso di succo d'arancia, quando entrarono Peter ed Elisabeth.
"Ciao, ti vedo meglio!" fece Peter.
"Sì, un pochino" disse Neal.
"Ciao Miss Suit…" disse Mozzie che  però ignorò Peter. Lo incolpava un po' per aver permesso che sparassero a Neal e con lui non aveva proprio voglia di essere cortese.
Peter non ci fece troppo caso e fece finta di niente. Era più sollevato sapendo che Neal sarebbe guarito e che sapesse che lui sapeva.
Elisabeth prese i fiori e cambiò loro l'acqua, poi diede un bacio sulla guancia a Neal e disse che doveva scappare al lavoro, il giorno prima lo aveva passato in ospedale ed era quindi rimasta in dietro. Promise però di passare per pranzo e di portargli qualcosa di buono da mangiare.
Peter invece rimase un po' con Neal, parlarono del più e del meno, ma di niente di importante, non parlarono dei Woods e neanche delle ricerche di Konroy e Rooster. Peter pensò che non doveva dare troppi grattacapi a Neal e Neal si sentiva troppo esausto per pensare a qualsiasi cosa.
Mozzie rimase in disparte quasi tutto il tempo.
"Ora devo proprio andare al lavoro, ma ripasso questa sera" e così dicendo uscì dalla stanza.
Neal era abbastanza stanco così chiuse gli occhi e si addormentò.
Lo risvegliò un'infermiera un'oretta dopo. Era ora di provare ad alzarsi, o meglio a sedersi in sedia a rotelle. Poi Mozzie lo spinse fuori dalla camera per fargli fare un giro. Fu allora che lì notò, due agenti stavano piantonando la sua stanza.
Mozzie disse "Sono i tuoi angeli custodi o forse i tuoi controllori, se hai notato non hai la cavigliera, te l'hanno tolta prima di entrare in sala operatoria e così Peter si accerta che tu non decida di fare qualche fuga".
"Potrei sempre calarmi dalla finestra!" disse in tono allegro.
"Beh, se tu stessi bene fisicamente certo, ma penso che Peter confidi sul fatto che nelle tue condizioni tu non ce la possa fare! Comunque sono lì anche per controllare che non entri qualcuno che ti vuole fare la pelle, Rooster ce l'ha con te, ti voleva morto, chi ci assicura che non ci riprovi, finché non lo trovano…".
Fecero un giretto per il reparto con i due agenti che li seguivano. Stettero in giro mezz'oretta poi Neal iniziò a sentirsi di nuovo stanco e così chiese a Mozzie di tornare in camera. Andò a letto e si addormentò quasi subito.
Mozzie prese carta e penna e scrisse:

DEVO FARE UNA COMMISSIONE
TORNO PRESTO
M.

Poi uscì.

Neal era a casa di Ellen, stava cercando di falsificare la firma di sua madre su una richiesta per una gita scolastica al museo d'arte moderna di Saint Louis. Non era la prima volta che falsificava la sua firma, erano anni che lo faceva, per la verità, ed era diventato abbastanza bravo. Il problema non era quello, ma trovare i soldi per pagare la gita, pulmino ed ingresso al museo con guida. Non erano tanti soldi, ma a lui non piaceva chiederli ad Ellen, già faceva così tanto, soprattutto ora che ce l'aveva in casa. Sua madre erano sette mesi che era in casa di cura, andava a trovarla una volta a settimana e finalmente sembrava stesse molto meglio. Sperava che presto sarebbero potuti tornare a vivere insieme.
Comunque doveva trovare un sistema per reperire i soldi, non poteva non andare al museo d'arte. La sua maestra aveva fatto diverse lezioni sull'arte e sulla pittura e lui ne era rimasto folgorato.
Ad un certo punto qualcuno bussò alla porta. Ellen non poteva essere, mancava ancora un'ora al suo rientro dal lavoro. Andò alla porta e chiese "Chi è?".
"Neal, sono io, tua mamma".
"Mamma?" e così aprì la porta. "Che ci fai qui, sei fuggita dalla casa di cura?".
"No, mi hanno dimessa tre giorni fa!".
"Come dimessa… tre giorni fa?" disse Neal mentre l'abbracciava. Era contento che fosse stata dimessa anche se non capiva perché aveva fatto passare tre giorni prima di venire a riprenderlo.
"Sì, ora sto meglio, anzi ho delle grandi novità. Ti ricordi di Eric?".
"Sì, quel medico giovane che lavora alla casa di cura!".
"Beh, lui!" e così dicendo Eveline arrossì. Poi continuò "Sai ci siamo innamorati, lo so lui è più giovane di me, ma è un ragazzo maturo e ci vogliamo molto bene".
Neal non sapeva che dire. Era felice che sua madre finalmente stesse meglio, ma gli sembrava una cosa un po' affrettata.
"Lo sai…" continuò Eveline. "Abbiamo deciso che una volta uscita sarei andata ad abitare da lui, ora sto a casa sua, ma la notizia bomba è che tra un mese… noi ci sposiamo!".
Neal continuava a tacere.
"Lo so che è un colpo per te, ti sei sempre occupato tu di me, ora non ce ne sarà più bisogno, ora ci penserà lui a me!".
"Io penserò sempre a te, mamma!" disse Neal deciso.
"Lo so, lo so" e così dicendo lo abbracciò forte.
"Allora vengo a vivere anche io a casa di Eric?".
Eveline rimase un attimo in silenzio. Poi disse "No, Neal, tu rimmarrai con Ellen. Sai Eric è giovane, ha solo ventisei anni, e non se la sente di fare da padre ad un ragazzino di otto anni".
"Ma mamma, io non ho bisogno di un padre, me la cavo da solo!" disse Neal.
"Lo so… e appunto per questo non ci saranno problemi se rimani da Ellen. Ne abbiamo parlato io e lei insieme ieri e abbiamo convenuto che va bene così. Lo sai che io ti voglio un mondo di bene, ma ora ho la possibilità di rifarmi una vita, di stare bene, e so che anche tu vuoi che io stia bene, non è vero Neal?".
"Sì, certo mamma!".
"E poi ci vedremo, organizziamo delle cene tutti insieme, io tu ed Ellen, ti verrò a trovare spesso e, se ci sarai tu, Ellen non rimarrà sola".
Poi Eveline si alzò e si diresse alla porta dicendo "Ora devo andare, ho solo un mese per organizzare il matrimonio, e pochissimo tempo, ma ritorno presto a trovarti! Vieni qui, abbracciami!" così dicendo madre e figlio si abbracciarono, Eveline con il cuore colmo di felicità, Neal con il cuore colmo di tristezza. Poi lei uscì.

MAMMA! MAMMA! MAMMA!

Neal si stava agitando nel letto. L'infermiera Cindy era entrata in camera con un mazzo di margherite in mano consegnate per lui da un fiorario. Posò le margherite sul tavolino e poi con gentilezza gli sfiorò la spalla dicendo "Signor Caffrey! Signor Caffrey! È solo un sogno!".
Neal si svegliò di soprassalto, sudato e triste.
"Stava sognando qualcosa di brutto vero?" disse l'infermiera Cindy. "Guardi sono arrivate delle margherite per lei, questo le potranno portare un po' di allegria. Non c'è però nessun biglietto!".
Neal disse solo "Non c'è bisogno, so chi me le manda!".
Allora l'infermiera le mise nel vaso insieme a quelle del giorno prima, poi uscì.
Neal era solo in camera, solo, come era rimasto solo dopo l'incontro con sua madre venticinque anni prima, la stessa angoscia, la stessa tristezza, la stessa paura.
Avrebbe avuto voglia di urlare, di prendere le margherite e buttarle nella spazzatura, come sua madre aveva buttato lui nella spazzatura quando lo aveva lasciato da Ellen. Ma poi si calmò e pensò, non è colpa sua, lei mi vuole bene, mi vuole ancora bene… grazie mamma, le margherite sono bellissime!

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Capitolo 17
*** Buone notizie ***


Era quasi mezzogiorno. Peter era in ufficio, ma presto sarebbe uscito per incontrarsi con Elisabeth e, insieme, andare a trovare Neal in ospedale.
Il telefono squillò.
"Pronto".
"Quanti tatuaggi ha Miss FBI?".
"Mozzie… Certo che sei tu Mozzie… Cosa vuoi?" disse Peter tra il divertito e lo scocciato.
"Prima dimmi quanti tatuaggi ha Miss FBI… devo essere sicuro di parlare con Peter Burke e non con un qualche agente che utilizza un replicatore vocale per…".
"Uno", tagliò corto Peter. "Ma non ti dirò dove… e tu poi come fai a sapere del suo tatuaggio?".
"Me lo ha rivelato durante uno dei nostri the pomeridiani!" disse Mozzie.
"Va bene, ora che sai che non sono un replicatore volcale, dimmi… che vuoi?".
"Vediamoci tra dieci minuti nel solito parco al solito posto".
Così dicendo interruppe la conversazione.
Peter stava per chiedergli perché, ma non fece a tempo. Era sempre un po' tra il divertito e il frustrato quando aveva a che fare con Mozzie. Questa volta però la voglia di strozzarlo era tanta. Sarà anche tutta la stanchezza e la tensione accumulata. Poi però pensò che forse voleva parlargli di Neal e così decise che sarebbe andato all'appuntamento.
Prese il telefono e compose il numero di Elisabeth "Ciao, tesoro!"
"Ciao, tesoro! Ho un impegno improvviso, inizia pure ad andare in ospedale senza di me, spero di metterci poco e ti raggiungo direttamente lì!".
"Ok, non ce problema. Sono da Barney, ho pensato che Neal avrebbe gradito qualcuno dei suoi fantastici tramezzini", disse Elisabeth.
"Bene, apprezzerà di sicuro, visto il cibo che passano in ospedale. Allora ci vediamo lì. A dopo!".
"A dopo!" rispose Elisabeth.
Peter prese la giacca e uscì per andare all'appuntamento con Mozzie.
Quando arrivò si sedette alla solita panchina, per fortuna negli ultimi incontri Mozzie non aveva più preteso tutta la procedura con il giornale.
Mozzie sbucò da dientro un albero e si sedette di fianco a Peter.
"Che c'è?" disse Peter.
"Ti ricordi di Sally vero?".
"Sally… la tua fidanzata… l'avvoltoio…".
"Non è la mia fidanzata, ma è una mia amica. Quando Neal mi ha detto che Rooster si era rifatto vivo ho avuto una brutta sensazione così mi sono rivolto a Sally… insieme abbiamo hackerato le telecamere del magazzino di Rooster prima che Neal gli telefonasse, quando ancora lui non sapeva che l'FBI gli stava alle costole, fino a quando non lo ha svuotato, o meglio non lo ha fatto svuotare e ripulire. Tieni". E così dicendo gli sporse una chiavetta USB. "Qui ci sono i filmati".
"Non ne hai parlato con Neal?".
"Ovvio che no, è quasi morto e ha bisogno di riprendersi. Non vorrai mica che torni al lavoro così presto…".
"No… ovvio che no! Io vado in ospedale, se vuoi ti dò un passaggio" disse Peter.
"Io… salire su una macchina federale… no grazie! Preferisco la metro!".
"Come vuoi, forse ci vediamo lì".
"Forse!". Così dicendo Mozzie si alzò e si diresse all'uscita del parco.
Anche Peter, a distanza di qualche secondo, si alzò e se ne andò.

Elisabeth arrivò in ospedale verso la mezza. Neal si era appisolato. In silenzio, per non svegliarlo, spostò il vassoio con il cibo dell'ospedale per fare posto ai tramezzini sul tavolino del letto. Stava per controllare i fiori, se avevano bisogno di un cambio d'acqua quando Neal si svegliò.
"Ciao Elisabeth".
"Scusa non volevo svegliarti! Come ti senti?".
"Meglio grazie, forse ancora un po' stanco, i medici dicono che è normale dopo l'operazione e i sedativi!".
"Penso di sì. Guarda ti ho portato i tramezzini di Barney. Hai fame?".
"Beh! Ora che ci penso un po' sì".
"Bene. Ti aiuto!".
Così dicendo tolse i tramezzini dal cellophane, e con un coltello di plastica che era sul vassoio lì divise in quattro pezzi ciascuno in modo che fosse più semplice per Neal mangiarli.
Neal effettivamente aveva fame e li finì abbastanza in fretta.
"Grazie! Erano proprio ottimi!".
"Lo sapevo che avresti apprezzato!".
"Non ne avete lasciato nessuno per me?" disse Peter mentre entrava in camera.
"Amore… tu se vuoi puoi mangiarti i cavolini di Neal… così le infermiere non protesteranno che non ha mangiato!" disse Elisabeth ridendo.
"Facciamo così, i cavolini li butto nel bidone fuori dall'ospedale, e io mi prendo un Hot Dog prima di tornare in ufficio".
"Ma come Peter… questo vuol dire ingannare le infermiere… è più da me che da te!" disse Neal in tono allegro.
"Vedo che stai decisamente meglio!".
"Sì, grazie".
"Ti hanno detto quando ti dimettono?".
"No, non ancora, ma spero presto!" disse Neal speranzoso.
"Vado a vedere se posso parlare con il tuo medico". Così dicendo uscì.
"Dov'è Moz?" chiese Elisabeth?
"Non so, mi sono addormentato e quando mi sono svegliato c'era solo quel biglietto sul tavolino", così dicendo indicò il biglietto di Mozzie.
In quel momento Mozzie entrò.
"Ehi! Dove sei stato?" chiese Neal.
"Neal, Miss FBI, sono andato dal mio ipnotista di fiducia!".
"Da quando ti fai ipnotizzare Moz?" chiese Neal un po' scettico.
"Oh, beh, lui non ipnotizza me, ma non sai quante cose vengono fuori da chi si fa ipnotizzare… è una fonte inesauribile di informazioni".
"Ma è un reato per un medico rivelare cose personali dei pazienti!" disse Elisabeth.
"Per un medico sì… ma lui non è un medico… è più un santone… e poi io non mi interesso degli affari personali… più che altro di affari generali".
Tutti e tre risero.
"Di cosa state ridendo?" chiese Peter entrando.
"Meglio che tu non lo sappia!" rispose Elisabeth.
"Ho parlato con il medico. Ti dimettono domani a patto che tu abbia qualcuno che ti possa aiutare a casa!".
"Beh, c'è Mozzie" disse Neal felice per la bella notizia.
"No, non se ne parla, non andrai a casa di June, ne abbiamo già discusso io ed El e verrai per un po' di giorni a stare da noi!" disse Peter.
"No, Peter, non voglio darti problemi e Elisabeth ha il suo lavoro e…" cercò di controbattere Neal.
"Quando El sarà fuori verrà Mozzie. Noi abbiamo la camera degli ospiti vuota, è comoda e c'è il bagno. Non è un problema per noi, anzi! Orami è deciso" disse Peter in tono perentorio, quel tono che non ammetteva repliche.
"Perfetto, è tutto deciso" disse Elisabeth.
"E io sono a disposizione per stare con lui di giorno, quando sarete al lavoro!" disse Mozzie.
"Chissà perché questo mi sa tanto di congiura nei miei confronti!" disse infine Neal.
Passarono una mezz'oretta a pianificare le dimissioni e la convalescenza di Neal. Poi, quando tutto era stato deciso, Peter ed Elisabeth se ne andarono per tornare al lavoro. Peter sì imboscò il piatto di cavolini sotto la giacca e se lo portò via.
"Ti va un partita a scacchi?" chiese Mozzie a Neal.
"Sì, certo!".
Mozzie tirò fuori la scacchiera da un borsone che aveva portato insieme ad Elisabeth, la sistemò sul letto e iniziarono una delle loro combattute partite.

Peter tornò in ufficio.
"Jones!".
"Sì, capo!".
"Mozzie mi ha dato questa chiavetta, ci sono i filmati del magazzino di Rooster, il giorno prima e il giorno dello scambio. Meglio se non sai come li ha ottenuti. In ogni caso non potremmo usarli in tribunale, ma nulla vieta di guardarli e vedere se troviamo qualcosa di interessante".
Così dicendo infilò la chiavetta USB nel computer e passarono il pomeriggio a guardare e riguardare i filmati. Poterono così identificare quattro persone che facevano parte della criminalità organizzata che entravano e uscirono a più riprese dal magazzino. All'interno del magazzino le immagini mostravano diversi scatoloni chiusi. Non si vedeva cosa contenessero. Ma la cosa più interessante fu il camion che caricò tutto il contenuto del magazzino, era visibile la targa così, con le telecamere del traffico, poterono seguirlo fino alla sua nuova destinazione. Una struttura abbandonata nell'East River. Poi videro alcune persone che ripulivano il magazzino con macchinari industriali per cancellare ogni traccia di qualsiasi cosa.
Non era granché ma ora avevano un punto di partenza. La nuova destinazione. La segnalarono alla divisione Crimine Organizzato.

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Capitolo 18
*** Visita inaspettata ***


Neal aveva iniziato una partita a scacchi con Mozzie e all'inizio era riuscito anche a concentrarsi, ma dopo circa un'ora, si era di nuovo addormentato. Mozzie allora aveva preso un libro e iniziato a leggere.
Aveva dormito per più di un'ora.
Poi si era risvegliato. "Scusa, mi sono di nuovo addormentato, vero?".
"Sì, ma non ti preoccupare, io ne ho approfittato per leggere un po'! Se vuoi ora tocca a te!".
"Dove sei andato questa mattina? Dai, un ipnotista, questa non l'avevi ancora usata come scusa!" disse Neal.
"Avevo una commissione da fare, tutto qui!".
"Non ti fidi di me?".
"Ovvio che mi fido di te, lo sai che sei l'unico di cui mi fido, ma tu ora devi riprenderti. Non devi pensare ad altro. La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente!".
"Ti piace ripeterti ultimamente?".
"Certo che sì".
In quel momento entrò nella stanza un uomo, vestito con il camice verde e con un enorme sorriso stampato in faccia.
"Buongiorno, sono Cary, sono fisioterapista e mi occuperò di lei signor Caffrey" disse rivolgendosi a Neal. "Il suo braccio starà fermo per un po', gomito e spalla ne risentiranno sicuramente per cui dovremo vederci un po' di volte per fare esercizi specifici per riprendere la funzionalità del braccio".
"Come un po' di giorni, quanti giorni?" chiese Neal un po' in apprensione.
"Quindi giorni con il tutore, poi le togliamo il tutore e ci andrà un mesetto per tornare a muoverlo senza limitazioni. Purtroppo le articolazioni se stanno immobilizzate a lungo ne risentono".
"Avevano detto qualche giorno non quindici!".
"Cercano sempre di indorare la pillola, soprattutto i parenti apprensivi!".
Neal si sentiva frustrato e arrabbiato.
Mozzie cercò di tirare su il morale all'amico "Guarda il lato positivo della cosa, in fondo hai ancora il braccio tutto attaccato e tornerà come nuovo, non presto come potevi sperare, ma cosa vuoi che sia un mese e mezzo! Passa in un attimo!".
Neal fissò Mozzie con fare incavolato. Che ne sa Mozzie di cosa sia essere menomato, non poter scrivere, disegnare o fare la ben che minima operazione, come vestirsi, anche se solo per un tempo limitato!
Cary se ne accorse e con il suo tono sempre allegro disse: "Ha ragione il suo amico, sa? Ora però basta vittimismi, la faccio alzare e insieme ci facciamo una bella passeggiata per i corridoi! Non fa bene stare distesi a letto, non fa bene al fisico e non fa bene allo spirito". Cary era sempre sorridente. Neal non aveva proprio voglia di fare una passeggiata, ma il modo di fare accogliente e confortante di Cary lo mise di buon umore nel giro di poco e così lasciò che lo aiutasse ad alzarsi e che lo accompagnasse in giro per il corridoio del reparto, seguiti da Mozzie e dalle sue guardie del corpo personali.
Ben presto passarono dal lei al tu come si conoscessero da una vita.
"Domani sarai dimesso. Devi tornare tra cinque giorni per farti togliere i punti al braccio e poi tra undici giorni avremo un primo incontro di fisioterapia. Ti toglierò il tutore e inizieremo a fare un po' di massaggi e di esercizi. Poi gli esercizi potrai farli, anzi dovrai farli anche a casa. Avremo penso ancora due incontri in cui valuterò i miglioramenti e eventualmente ti insegnerò nuovi esercizi da fare. Più ti impegni con me, meno ti lamenti che fa male, e prima tornerai come nuovo".
La voce di Cary era calmante e rassicurante al tempo stesso. Doveva essere abituato nel suo lavoro a trattare situazioni difficili, sia fisiche che psicologiche di chi doveva affrontare disabilità a volte anche pesanti.
Poi ad un tratto cambiò discorso.
"Hai notato che le infermiere si girano tutte a guardarti quando passi?".
"Mi dicono che ho un certo fascino con le donne!".
"Ah!". Si sentì solo quest'esclamazione da dietro. Era Mozzie ovviamente.
Continuarono a chiacchierare del più e del meno per tutta la durata della passeggiata.
Tornarono in camera dopo circa mezz'ora.
"Come ti senti?" chiese Cary dopo che Neal si era rimesso a letto.
"Bene dire! Forse un po' stanco".
"Stanco va bene! Domani alle dimissioni ti daranno gli appuntamenti per i punti e la prima seduta fisioterapica. Ci vediamo e mi raccomando il braccio, non fare l'eroe, ci sarà tempo per usarlo!".
"Sì, ho capito! A presto!".
Cary uscì con lo stesso sorriso stampato in faccia di quando era entrato. Un uomo eternamente felice.
Neal e Mozzie passarono il resto del pomeriggio a finire la partita a scacchi. Neal si sentiva realmente meglio così riuscì a dare del vero filo da torcere a Mozzie.

Più tardi, nel pomeriggio, Neal ebbe una visita inaspettata.
Karl bussò alla porta e poi entrò.
"Ciao!".
Neal non se lo aspettava proprio di rivedere Karl e riuscì solo ad esprimere questa sua incredulità. "Non mi aspettavo che venissi!". Poi vedendo che Mozzie era sul chi va là aggiunse "Lui è Karl Woods, il ragazzo rapito" e poi a Karl. "Lui e Mozzie un mio amico".
"Salve. Beh, sono solo passato per ringraziarti. Ero proprio finito in un bel guaio, ma tu ci hai trovato, me e Diana. Se non lo avessi fatto penso che non si sarebbe messa bene per noi".
"Diana mi ha tolto dai guai un sacco di volte, non potevo non fare qualcosa! E comunque l'FBI non ti avrebbe abbandonato, avrebbe fatto tutto il necessario per trovarti e riportarti a casa sano e salvo, con o senza di me!".
"Penso di sì, ma chissà se sarebbe andata altrettanto bene. Come va il braccio?".
"Meglio anche se ci vorrà un po' prima che torni a posto".
"Mi dispiace!".
"Beh, anche io ti devo ringraziare, in fondo hai guidato la macchina fuori dal parcheggio, io non penso avrei fatto molta strada e se guidava Diana rischiavamo di finire tutti in mare, sei stato bravo". Neal lo pensava veramente. Karl era dannatamente bravo a guidare.
"Beh, mi è sempre piaciuto, da piccolo facevo le gare con i kart, ma poi mia madre si preoccupava troppo e così ho cambiato sport. Ora sono nella squadra di nuoto dell'università, mi piace molto il nuoto".
"Anche Neal è un bravo nuotatore" disse Mozzie inserendosi in una conversazione alla quale non si sentiva di appartenere.
"Sì, ma lo faccio solo per tenermi in forma" aggiunse Neal.
"Eri in qualche squadra al college?".
"Non sono andato al college, ma al liceo sì, ho vinto anche qualche gara ai tempi!".
"Fra due settimane ho le gare di qualificazione per le Nazionali Juniores, se ti va, puoi venire a fare il tifo. Lo scorso anno le ho mancate per un soffio, ma quest'anno mi sono allenato parecchio e il mio tempo sui duecento è buono, il mio allenatore mi ha detto che ho la qualificazione in mano! Io cerco di non pensarci troppo!".
"Sei bravo allora! Non penso di avere impegni, mi sa che non mi faranno tornare al lavoro presto" disse cercando di muovere leggermente il braccio nel tutore, "quindi magari vengo".
"Bene, ti faccio avere il programma delle gare, te lo posso mandare all'FBI?".
"Sì, direi di sì".
"Lo mando anche a Diana, magari potete venire insieme! E ovviamente se vuole venire anche Mozzie, più persone ci sono a fare il tifo, più noi ci carichiamo e diamo il meglio".
"Non sono un che ama il sudore e la fatica io" disse Mozzie poco convinto.
"Quando ti dimettono?".
"Domani!".
"Bene, allora spero tu riesca a venire, e grazie ancora!".
"Grazie a te!".
Karl uscì salutando ancora e ringraziando.
Neal e Karl, erano passati un sacco di anni dall'ultima volta che erano stati così vicini. Karl non avrebbe potuto riconoscerlo, era troppo piccolo, non certo per ricordarsi di avere un fratello, ma per riconoscere che quel fratello era lì davanti a lui.
Mozzie si era accorto che Neal era strano, ma non disse niente. Fu Neal invece ad introdurre il discorso.
"Io non ti ho mai parlato della mia famiglia, o meglio ti avevo parlato di James e poi lo hai conosciuto, ma non ti ho mai detto niente su mia madre!".
"No, ma so che per te questo è un argomento delicato".
"Già, beh, sì, però mi sembra giusto che tu sappia… insomma… che Karl è mio fratello… o meglio fratellastro!".
"Fratello?".
"Sì, sua madre, è anche mia madre, ma lui non sa niente, l'ultima volta che ci siamo visti, beh lui aveva sette anni, era un bambino, era venuto a vedermi ad una gara di nuoto, con sua… con mia madre!".
"Ma non vivevi con tua madre?".
"No, non dopo che si è risposata, io stavo con Ellen, lei però veniva a trovarmi ogni tanto e qualche volta portava Karl. Però veniva spesso alle gare di nuoto con Karl, e beh, gli ho insegnato io a nuotare".
"Una madre che non vuole il proprio figlio?! Inaccettabile!".
"Lei ha detto che era per il marito, che lui non se la sentiva di allevare il figlio di un altro ma la ragione vera è che lei non sopportava me, o meglio non sopportava il mio assomigliare a James, il mio metterlo sul piedistallo dell'eroe quando invece non era così, non sopportava di fingere, James le aveva fatto molto male… L'ho capito tardi, l'ho odiata perché pensavo non mi amasse, ma non era così. Lei non odiava me, ma la parte che c'era in me di James e che io, con il volergli assomigliare a tutti i costi, con il voler essere come lui, ho accentuato. Ora l'odio è passato, lei si è rifatta una vita, una famiglia, e io me ne sono fatta una mia".
Mozzie rimase in silenzio, non disse niente, non c'era niente da dire. Solo accettare che le cose vanno come devono andare e non si può tornare indietro per cambiarle.

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Capitolo 19
*** Countdown ***


Finalemente! Neal era ansioso come un bambino la sera prima del Natale! Stava aspettando che arrivasse Peter per fare le pratiche di dimissione dall'ospedale.
Mozzie aveva già radunato tutte le sue cose in un borsone e alcune borse.
Era già passata l'infermiera per togliere la flebo dal braccio ed era passato il medico per l'ultima visita e per fare le ultime raccomandazioni. Ora mancava solo Peter. Erano le undici del mattino, Peter sarebbe arrivato verso le unidici e mezza. Ancora mezz'ora di attesa.
Neal fissava l'orologio sulla parete, mentalmente aveva iniziato il conto alla rovescia sperando che Peter non avesse contrattempi al lavoro.

-29 minuti…

Mozzie stava leggendo seduto sulla poltrona, sapeva che Neal era sulle spine e preferiva non stargli troppo addosso.

-28 minuti…

Fuori c'era il sole, Neal poteva vedere la luce che entrava e riscaldava la stanza.

-27 minuti…

Avrebbe dovuto parlare con Peter di sua madre, di suo fratello, ma non sarebbe stato troppo duro farlo, ora si sentiva più leggero, appena aveva visto i Woods nell'ufficio di Peter, immediatamente aveva sentito un peso, un macigno, venirgli addosso e non andarsene più, ora invece quel macigno era sparito. Sì, avrebbe parlato con Peter una volta a casa.

-26 minuti…

Entrò l'infermiera Cindy.
"Ehi! Oggi è il grande giorno! Ti dimettono vero?".
"Sì, sì, aspetto solo che Peter mi venga a prendere, presto!".
"Bene. Mi raccomando riguardati e se passi da queste parti passa pure a salutarci!".
"Grazie Cindy" disse Neal.
"Ciao Caro".
Poi l'infermiera si girò verso Mozzie, lo squadrò con il suo sguardo intimidatorio, e disse "La cosa non vale per te! Piccoletto!".
"Dillo che sotto sotto mi ami, signora Cindy!" disse Mozzie in tono ironico.
"Ah! Amare te! Non ti amerei neanche se fossi l'ultimo uomo sulla terra!" e così dicendo si diresse alla porta.
Mozzie disse ancora prima che lei uscisse "Questo è amore!".
L'infermiera uscì sbattendo la porta con un sonoro "AH!".

-24 minuti…

"Certo che Peter potrebbe arrivare anche in anticipo" pensò Neal. "Potrei provare a chiamarlo e vedere dov'è".

"No, meglio di no". Neal decise di lasciar perdere la telefonata.

-23 minuti…

Neal chiuse gli occhi, cercò di non pensare, di rilassarsi, iniziò a fare respiri lenti e profondi, si concentrò sullo scorrere delle pagine del libro di Mozzie, i battitti del suo cuore, il ticchettio dell'orologio, già il ticchettio dell'orologio. Riaprì gli occhi.

-21 minuti…

"Senti, io sto dando di testa. Stare qui ad aspettare che arrivi Peter è un'agonia".
"Me ne ero accorto, cosa vuoi fare? Tiro fuori la scacchiera, così ti concentri su qualcos'altro".
"No, al momento non penso di riuscire a concentrarmi".
"Se vuoi ci sono le parole crociate del Times da fare, prendo giornale e biro!".
Mozzie si alzò, andò a frugare in una delle borse e ne estrasse il Times, poi frugò ancora e tirò fuori una matita. Tornò a sedersi, aprì il giornale e disse "Uno orizzontale, capitale del Pakistan, 9 lettere!".
Non aspettò la risposta e iniziò a scrivere, Neal comunque disse "Islamabad".

-20 minuti…

"Antica civiltà precolombiana, 4 lettere inizia per I", di nuovo Mozzie non aspettò la risposta e scrisse.
"Inca" disse Neal.
"Celebre canzone di Bob Dylan incisa nel 1965, inizia per L ed è lunga uno, due, tre…"

-19 minuti…

"… 17 lettere. Uhm... magari questa la lascio per dopo".
"Like a Rolling Stone" disse Neal. "Bob Dylan era il cantante preferito di Ellen, aveva tutti i suoi dischi e me li faceva sentire in continuazione!".
"Like a Rolling Stone… sì, va bene".

-18 minuti…

Si sentì bussare alla porta poi due uomini entrarono nella stanza. Avevano il distintivo dei Marshall appeso alla giacca e uno di loro aveva una cavigliera in mano.
"Neal Caffrey?" rivolgendosi a Neal.
"Sì".
"Abbiamo avuto ordine dall'agente di Burke ti portarti un regalino, visto che esci di qui!" e così dicendo quello con la cavigliera in mano la sventolò a mo' di bandiera.
Neal tirò indietro il lenzuolo e mostrò la caviglia.
L'agente che aveva la cavigliera in mano si avvicinò e la chiuse attorno alla caviglia, poi infilò la chiave e la cavigliera si attivò.
"Grazie per il regalino" disse Neal ai due agenti.
"Non c'è di che" risposero loro, poi uscirono dalla stanza.

-15 minuti…

Mozzie che era stato zitto e aveva cercato di mimetizzarsi con la sedia e il giornale il più possibile ora disse "Visto che vai a casa di Peter non pensavo te la mettessero subito".
"Già, ma Peter non sarà a casa tutto il giorno a controllarmi, così potrà stare tranquillo che non mi faccio passeggiatine fuori casa, però chissà perché non me l'ha messa lui direttamente!".
"Mister FBI dovrebbe quasi arrivare, chiediglielo!".
"Spero non tardi, non ce la faccio più, voglio andarmene di qui".
"La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce".

-14 minuti…

"Continuiamo con le parole crociate!".
"Ah. Sì. Allora vediamo... ah sì questa dovresti saperla... città in cui è nato Pablo Picasso, 6 lettere".
"Malaga" disse Neal senza esitazione.
"Vediamo, vediamo, la prossima…"
In quell'istante entrò Elisabeth nella stanza.
"Ciao".
"Ciao Elisabeth" dissero Neal e Mozzie in coro.
"Peter mi ha telefonato, è rimasto incastrato al lavoro e non riesce a venire, ma non ti preoccupare, ci sono io!".
"E posso uscire anche senza Peter?!" disse Neal un po' preoccupato.
"Sì, certo, ho già parlato con le infermiere, è tutto pronto, devi solo passare da loro e firmare il foglio di dimissioni, con la sinistra non verrà la tua firma migliore, ma… la accettano lo stesso anche perché il braccio destro non lo devi usare!".

-13 minuti…

"Facciamo così, Mozzie aiutami a portare in macchina le borse. Poi torniamo su, prendiamo la sedia a rotelle e andiamo dalle infermiere!" Elisabeth era bravissima ad organizzare tutto, come sempre.
Neal si alzò aiutato da Elisabeth e Mozzie. Insieme lo aiutarono a togliersi il camice e a vestirsi. Poi lui si sedette sul letto e gli altri due presero i borsoni e uscirono dalla stanza.

-8 minuti…

Non aveva più tanto senso fare il conto alla rovescia. Elisabeth era qui, presto sarebbe tornata in camera e insieme sarebbero usciti. Tuttavia Neal doveva concentrasi su qualcosa e quel conto alla rovescia lo aiutava a stare tranquillo e non iniziare a camminare avanti e indietro per la stanza. Stava meglio sicuramente, ma si sentiva ancora debole e forse non era la cosa migliore da fare. Cercò allora di fissare nella memoria tutti i particolari della stanza. Le apparecchiature, il letto, il tavolino, la poltrona dove Mozzie era stato quasi tutto il tempo.

-5 minuti…

Mozzie per lui era più di un amico, un fratello maggiore, anche se la maggior parte delle volte lo portava su cattive strade mentre un fratello maggiore dovrebbe dare il buon esempio, era insieme fratello maggiore e diavoletto sulla spalla. Ora lui e il suo vero fratello si erano incontrati. Neal di Karl sapeva però veramente poco, si ricordava quel bambino che aveva paura dell'acqua e che lui aveva portato in piscina. Karl si aggrappava a Neal come a una boa di salvataggio, poi piano piano aveva acquisito fiducia e Neal gli aveva insegnato a nuotare, Karl aveva cinque anni e Neal quindici. Era una delle poche cose che gli aveva lasciato. Era però fiero che avesse continuato con il nuoto e che ora era pure nella squadra dell'università e si stava giocando le nazionali.

-1 minuto…

Non si aspettava che Elisabeth e Mozzie arrivassero con la fine del conto alla rovescia, così cercò di concentrarsi di nuovo su qualcos'altro. Chissà come mai Peter non era venuto. Non gli aveva parlato di nessun caso in particolare, ma forse era perché non voleva stancarlo o forse… forse stava dietro a chi gli aveva sparato… e non gli aveva detto niente perché non voleva preoccuparlo! Sì, doveva essere così! Anche la sparizione di Mozzie il giorno prima, senza un vero motivo, doveva avere a che fare con Rooster! In questi giorni all'ospedale non aveva più pensato a lui, ma ora lo assalì l'idea che non fosse ancora finita.

+3 minuti…

L'odio con il quale gli aveva parlato… sicuramente la voglia di vendicarsi era molto forte. No! Non avrebbe lasciato correre tanto facilmente.
Anche i poliziotti a guardia della stanza, erano un segno che Peter non era tranquillo! Ma allora perché farlo andare a casa sua, così avrebbe messo in pericolo anche Elisabeth, se solo ci avesse pensato prima che gli mettessero la cavigliera, poteva andarsene dall'ospedale, andare in uno dei posti sicuri di Mozzie e intanto pensare sul da farsi. Avrebbe comunque potuto parlarne con Peter, sì, doveva parlargli.

+5 minuti…

Pensò che il cellulare era in una delle borse, non poteva neanche chiamarlo.
In quel momento entrarono Elisabeth e Mozzie.
Neal, cercando di essere più rilassato possibile, disse "Elisabeth, volevo chiamare Peter, ma il mio cellulare è nelle borse che avete già portato in macchina… però volevo parlargli… insomma, prima di uscire… volevo dirgli una cosa!".
"Non ti preoccupare, gli puoi parlare dopo. Ti porto a casa, lui torna per pranzo, avrai tutto il tempo di dirgli quello che devi… e poi non eri impaziente di andartene?".
"Sì, ma pensavo…".
"Dai siediti e andiamo" dicendo così Elisabeth spinse la carrozzina fino vicino al letto dove Neal era seduto.
Neal sembrò esitare.
"Neal tutto bene?" chiese Mozzie.
"Sì, sì, solo che pensavo una cosa, ma niente".
Neal si sedette sulla sedia e insieme si diressero fuori dalla stanza fino al bancone delle infermiere dove Neal firmò come riuscì i moduli di dimissione. Le infermiere lo salutarono tutte calorosamente e poi si diressero all'uscita.
Neal notò che i due poliziotti di guardia lo seguirono e pensò che ora che aveva la cavigliera, l'unico motivo per cui Peter lo faceva ancora seguire, era la preoccupazione che Rooster, o qualcuno dei suoi scagnozzi, riprovasse ad ucciderlo. Ora ne era sicuro. Quindi non si stupì che all'uscita dell'ospedale ci fosse Jones ad aspettarli.
"Ehi! Jones! Mi fa piacere vederti!" disse Neal.
"Vedo che stai meglio, Peter mi ha chiesto di passare a controllare che ti avessero messo la cavigliera".
Neal fece l'ormai classico gesto di tirare su il pantalone per mostrare a Jones l'apparecchiatura. In realtà bastava che tracciasse il segnale per vedere che era attivo, la sua era una scusa. Non volevano fargli pesare la loro preoccupazione. Ne avrebbe parlato con Peter a pranzo, non era la soluzione ideale stare a casa Burke, era troppo pericoloso per Elisabeth e anche per Peter. Al momento non poteva fare granché per cui decise di godersi il sole che gli accarezzava la pelle mentre aspettava che Elisabeth facesse il giro con la macchina per parcheggiare di fronte all'uscita dell'ospedale.

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Capitolo 20
*** Casa Burke ***


La macchina di Elisabeth procedeva nel traffico di Manhattan, dietro seguiva l'auto su cui c'erano Jones e un altro agente della squadra, che era alla guida, e dietro ancora una pattuglia della polizia. In macchina c'erano Elisabeth alla guida, di fianco Mozzie e sul sedile posteriore Neal. Elisabeth, sapeva della scorta e sperava che Neal non se ne accorgesse, non doveva agitarsi, ma non si illudeva più di tanto, lo aveva fatto notare a Peter ma avevano convenuto che per Neal era ancora troppo presto, doveva non agitarsi per riprendersi fisicamente.
Elisabeth guardò nello specchietto, Neal sembrava si fosse assopito, aveva gli occhi chiusi, la radio era sintonizzata sul suo canale preferito che trasmetteva musica Jazz, stavano suonando un pezzo di Paul Desmond e Dave Brubeck.
Era l'ora di pranzo, un momento molto trafficato, per cui procedevano abbastanza lentamente. La cosa peggiore del traffico, o almeno quello che più di tutto dava fastidio ad Elisabeth, erano gli automobilisti che trombettano per un non nulla, e oggi in giro ce n'erano parecchi, nervosi, irascibili, senza un minimo di pazienza. Erano fermi al semaforo da un po' e, a un certo punto, una macchina dietro iniziò a trombettare in continuo, senza ragione.
Mozzie tirò giù il finestrino e urlò, sperando che l'automobilista lo sentisse "Ma che ti trombetti... il semaforo è rosso! Ti converrebbe tornare a prendere qualche lezione di guida!". Altri automobilisti iniziarono anche loro a trombettare in risposta creando un vero e proprio concerto di suoni non proprio gradevoli. Il semaforo sembrava non diventare mai verde, ormai erano diversi minuti che erano fermi.
Elisabeth sentì aprirsi la portiera, era Jones "Il semaforo è rosso da troppo tempo, passa dietro, guido io!".
Elisabeth non se lo fece ripetere due volte, scese e salì dietro di fianco a Neal, che nel frattempo si era ridestato e stava chiedendo "Cosa succede?".
"Niente Neal, c'è un ingorgo, il traffico di New York! Jones si è offerto di guidare lui!" rispose Elisabeth mentre si sistemava le cinture di sicurezza. "Chiudi gli occhi e riposati, tra poco siamo arrivati, traffico permettendo!".
Poi guardò fuori e si accorse che Jones stava facendo inversione di marcia, una manovra non proprio da codice della strada, ma almeno si toglievano dall'ingorgo. L'auto poi girò a destra su una strada meno trafficata. Dietro le due auto di scorta li seguirono. Elisabeth sapeva che cambiando strada avrebbero allungato il tragitto, Jones però aveva un guida più decisa della sua e ora stavano procedendo agilmente.
Neal si era di nuovo appisolato o così almeno sembrava, Elisabeth invece ogni tanto si girava indietro per controllare, un terza auto li seguiva, così si sporse in avanti verso Jones e sottovoce disse "L'hai vista?".
"Sì, l'ho vista, sembra ci stia seguendo!" rispose Jones.
"Fra due incroci, gira a sinistra" disse Mozzie.
"A sinistra? Ma così mi infilo in un vicolo cieco…".
"Tu fallo, so cosa sto dicendo, ma di ai tuoi compari dietro di non seguirci, loro devono andare dritto!".
"Sì, ma ci vedrà comunque girare".
"Ovvio che ci vedrà, fidati, gira!".
Elisabeth non sapeva cosa volesse fare Mozzie, ma si fidava di lui, almeno per le situazioni come queste, così disse anche lei, sempre piano per non svegliare Neal "Moz hai in mente qualcosa?".
"Certo che sì!".
Jones si convinse a girare, disse rivolto all'auricolare "Noi giriamo a sinistra al prossimo incrocio, voi proseguite dritti, se la berlina scura che sta dietro segue voi seminatela e poi ci vediamo dai Burke".
Arrivato all'incrocio fece una rapida svolta, giusto in tempo per evitare una fila di macchine provenienti dall'altro senso di marcia.
"Ora vai fino in fondo e poi gira a destra" disse Mozzie.
"Ma non c'è niente sulla destra!".
"Sì che c'è, anche se non si vede, dopo le scale di emergenza del palazzo!"
Effettivamente non si vedeva niente, nessuna apertura, ma Elisabeth e Jones, dovettero constatare che invece c'era un varco dove la macchina passò giusta giusta, era un corridoio stretto ma senza ostacoli. Si doveva procedere con cautela per non far toccare gli specchietti retrovisori ai muri. Il corridoio era lungo una quindicina di metri e sbucava su una strada. Appena l'ebbero superato Mozzie disse "Ora fermati!".
Jones si fermò, Mozzie uscì dall'auto dicendo a Jones "Vieni e aiutami!". Spostarono dei bidoni dell'immondizia che erano sull'angolo dell'incrocio in modo da ostruire l'uscita, ne misero diversi in modo che la macchina non potesse decidere di arrivare a tutta velocità per farli saltare. Per passare chi era sull'auto doveva uscire e spostarli a mano ma visto il vicolo molto stretto era praticamente impossibile aprire le portiere.
L'auto che li seguiva, una berlina scura, stava arrivando.
Jones lesse la targa e se la memorizzò bene in testa. Poi risalirono di corsa sull'auto e Jones ripartì. Così li avevano seminati.
Elisabeth non era abituata a questo e aveva il cuore che batteva a mille. In tutto questo Neal non sembrava essersi accorto di niente. Per fortuna.
Quando arrivarono a casa, senza più intoppi, le due auto della scorta erano già lì.
"Neal, svegliati siamo arrivati!" disse Elisabeth.
Neal a quel punto si svegliò, Jones stava già aprendo la portiera e lo aiutò a scendere.
Entrarono in casa, Satchmo arrivò di corsa per fare le feste alla sua padrona, Elisabeth come sempre ricambiò con un sacco di coccole. Poi disse "Vado a preparare il pranzo, Jones ti fermi con noi?".
"Non vorrei disturbare!".
"Non disturbi, allora è deciso, le borse di Neal puoi portarle su nella camera degli ospiti, sali le scale, la prima porta sulla destra". Poi rivolgendosi a Neal "Sei stanco? Ti senti bene? Vuoi salire a riposare un po' prima di pranzo?".
"No, no. Sto bene, ho dormito in macchina credo. Potessi ti aiuterei con il pranzo…".
"Non dirlo neanche per scherzo, siediti sul divano nel frattempo che preparo! Se hai bisogno di qualcosa basta che lo dici!".
"Ti aiuto io" disse Mozzie, "non sono bravo come Neal ai fornelli, ma un po' me la cavo!".
Elisabeth e Mozzie andarono in cucina. Intanto Jones era sceso e disse "Esco un attimo, devo fare una telefonata di lavoro!" e uscì.
Elisabeth mise sul fuoco una pentola per l'acqua e poi iniziò ad affettare cipolle per il sugo. "Pasta con il pomodoro va bene?" disse rivolgendosi a Neal che era sul divano del salotto.
"Va benissimo!".
Finito di preparare anche il sugo, Elisabeth iniziò a preparare la tavola con l'aiuto di Mozzie. Ad un certo punto arrivò Neal in cucina "Peter starà arrivando?".
"Ora lo chiamo". Elisabeth prese il telefono. In quel momento si sentì aprire la porta e la voce di Peter che diceva "Ehi! Sono arrivato!".
Elisabeth si diresse verso l'entrata, diede un bacio al marito e poi disse "Ciao tesoro!".
"Ciao tesoro!" fu la risposta di Peter. "Tutto bene?".
"Sì, non siamo arrivati da molto, sto cucinando la pasta!".
"Sono proprio affamato".
Dietro Peter era entrato anche Jones.
"Ti ha detto tutto Jones?".
"Sì, mi ha riferito!".
"Bene".
Si diressero tutti e tre in cucina.
"Ehi, Neal! Mi dispiace non essere venuto io a prenderti, ma sono stato bloccato. Tutto bene? È andato bene il viaggio?".
"Sì, credo, un po' di traffico, ma io ho dormito!".
"Hai fame?".
"Beh, dopo quattro giorni di ospedale, mangiare un pranzetto cucinato da tua moglie... è tutto quello che si può desiderare".
"Allora signori sedetevi a tavola, fra cinque minuti la pasta è cotta, Moz apri il vino per favore" e così dicendo passo a Mozzie una bottiglia di vino rosso.

Finito di mangiare Elisabeth e Mozzie stavano ripulendo la tavola, Jones invece si era alzato dicendo "Devo proprio andare, mi stanno aspettando in ufficio, il pranzo era ottimo, grazie Elisabeth!" e così dicendo se ne andò.
Neal si rivolse a Peter "Senti ti devo parlare, magari andiamo di là".
"Va bene, ma ho poco tempo, devo tornare anche io in ufficio".
Si alzarono e andarono in salotto seguiti da Satchmo.
"Cosa c'è?".
"Non abbiamo più parlato di Rooster, ma ho visto le guardie in ospedale, la scorta, dimmi la verità… Jones non è venuto a controllare la cavigliera, in auto ho dormito ma non sempre, un'auto ci seguiva vero? Ecco… io volevo dire… che non mi sembra giusto rimanere qui… se c'è ancora qualcuno che mi vuole uccidere… insomma, metto a rischio Elisabeth e… te!".
"Speravo non ci facessi caso, ma in effetti era un po' un'illusione. Non ti preoccupare, abbiamo preso tutte le precauzioni del caso, ma anche tu dovrai essere cauto, non potrai uscire di casa e farti vedere, almeno per un po', so che non ti piace, ma niente sciocchezze! Stiamo chiudendo il cerchio sui due rapitori, è stato sicuramente uno di loro a spararti! Li prenderemo, presto!".
"Già, ma anche se non esco, per Rooster non sarà difficile sapere che sono qui, potrebbe mandare qualcuno e…".
"Abbiamo messo in giro delle false piste… Non sarà tanto facile per Rooster capire dove sei. In ogni caso ci sono agenti in borghese a sorvegliare la casa. Ora tu non ti devi preoccupare, riposati, mi raccomando, torno questa sera e ti aggiornerò su tutto! Ora non ho tempo, devo tornare in ufficio, il cerchio si sta chiudendo!".
Così dicendo Peter si alzò, andò in cucina a salutare Elisabeth e Mozzie e poi si diresse all'uscita.
"Fa attenzione Peter!" disse Neal.
"E tu ricordati, nessuna sciocchezza!".
"Sì, Peter".
Peter uscì, arrivarono Elisabeth e Mozzie.
"Penso che andrò di sopra, sono un po' stanco" disse Neal.
Mozzie andò con lui e l'aiutò a mettersi a letto poi tornò di sotto.
Elisabeth era pronta per uscire "Allora io vado al lavoro, se c'è qualcosa di cui tu o Neal avete bisogno chiamami pure, se no ci vediamo questa sera".
"Vai tranquilla, a questa sera".
Elisabeth uscì mentre Mozzie mise nello stereo uno dei dischi di Elisabeth di musica Jazz, prese un libro, uno di quelli di Neal che aveva iniziato in ospedale, si accomodò sul divano e sprofondò nella lettura.

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Capitolo 21
*** Presi ***


Quella sera Neal aspettò il rientro di Peter, ma lui arrivò molto tardi, quando Neal stava già dormendo. Il mattino dopo Peter uscì di casa verso le sei, così non si incrociarono. La giornata a casa Burke trascorse tranquilla, Mozzie cercava di non far annoiare troppo Neal coinvolgendolo in diversi giochi e passatempi. Venne anche June nel pomeriggio e insieme trascorsero delle ore piacevoli.
Nel profondo Neal si sentiva irrequieto, non poteva fare niente, il braccio immobilizzato gli impediva di dipingere, di scrivere, di aiutare Elisabeth. Non poteva uscire di casa, anche se una passeggiata lo avrebbe tranquillizzato un po'. In più voleva parlare con Peter, magari poteva essergli d'aiuto, ma non poteva fare altro che aspettare. Tutto questo per lui era molto frustrante, sapeva però che doveva stare calmo, erano tutti lì per lui, June, Elisabeth, Mozzie, Peter, e il minimo che poteva fare lui per loro era di stare tranquillo e calmo il più possibile.
La giornata passò e di nuovo Peter non si fece vedere a cena, arrivò tardi e andò via presto.
Elisabeth scherzando sul fatto che il marito non ci fosse mai disse a Neal "Benvenuto nel mio mondo. Da ora in poi sai cosa provo ogni volta che fate tardi per qualche caso, frustrazione!".
"Peter è fortunato ad avere te!".
"E io sono fortunata ad avere lui, anche se a volte, è difficile!".
Nel pomeriggio arrivò Diana, non si erano più visti dall'ospedale, non era ancora tornata al lavoro, ma la mattina era stata visitata dal medico dell'FBI, sarebbe tornata operativa tra due giorni.
Parlarono del più e del meno, del rapimento e del caso, anche se nessuno dei due era aggiornato sugli sviluppi, anche Diana era abbastanza frustrata da questo fatto, ed era anche molto incavolata con se stessa per essersi fatta rapire così facilmente.
Era però felice perché lei e Kristy avevano ripreso la loro relazione da dove l'avevano interrotta. Al momento era stato accantonato il discorso matrimonio, ne avevano parlato a lungo, avrebbero fatto le cose con calma.
Passarono altri due giorni, senza grandi novità e in cui Neal non riuscì a vedere Peter.
Poi il pomeriggio successivo Peter tornò a casa. Era appena le tre e quindi sia Mozzie che Neal si stupirono di vederlo.
"Ehi, Peter! Tutto bene? Sono quattro giorni che non ti vediamo e oggi torni presto?" disse Neal.
"Sì, tutto bene! Sono stanchissimo, sono stati quattro giorni intensi". Così dicendo Peter si sedette sul divano con Satchmo che gli saltò in groppa per farsi coccolare un po' dal padrone.
Neal e Mozzie non dissero nulla, aspettavano che fosse Peter a parlare che però aveva chiuso gli occhi. Dopo circa un minuto li riaprì e disse "vado a farmi una doccia e poi scendo così parliamo un po'".
Passarono dieci minuti poi Peter, in tuta e maglietta, scese le scale.
Iniziò lui a parlare "Li abbiamo presi!".
"Chi avete preso?".
"I tre che hanno rapito Diana e Karl Woods, uno di loro ha quasi certamente sparato a te, per fortuna non era così esperto come tiratore, altrimenti tu non saresti sopravvissuto!" disse Peter allegro anche se visibilmente stanco. "Devi ringraziare Mozzie se li abbiamo individuati!".
"Moz?" chiese Neal. "Che centri tu, sei sempre stato con me. E poi non mi hai detto niente!".
"Neal, non te ne ho parlato perché non volevo ti preoccupassi, soprattutto dopo che ti hanno sparato… non volevo tenerti all'oscuro, volevo solo che stessi bene!" disse Mozzie.
"È anche colpa mia, anche io ho preferito lasciarti fuori, dovevi riprenderti… e so che sei arrabbiato" disse Peter anticipando le rimostranze di Neal "ma era meglio così. Comunque per farla breve quando tu hai chiesto a Mozzie di Rooster e gli hai accennato dello scambio, lui ha preferito non rimanere con le mani in mano. Ha chiamato la sua amica, quella che si fa chiamare l'Avvoltoio, che ha hackerato le videocamere di sorveglianza del magazzino di Rooster e ha registrato tutto, poi ha consegnato a me i filmati. Abbiamo così identificato tre persone che erano già nel mirino della divisione Crimine Organizzato. Loro hanno spostato diverse casse contenenti armi, più diversi vasi cinesi, abbiamo supposto fossero ripieni di cocaina. Dai filmati abbiamo anche ricavato la targa del furgone che hanno utilizzato per gli spostamenti, potendolo così seguire nel suo percorso con le telecamere del traffico, fino all'uscita di Union sulla Interstatale 78. Così abbiamo segnalato il furgone alla polizia locale. Abbiamo coordinato le ricerche con la Crimine Organizzato fino a che non abbiamo trovato il furgone parcheggiato vicino ad un deposito merci che abbiamo messo sotto controllo fino a che non siamo stati sicuri di cosa ci fosse all'interno. C'è voluto un po' ma quando abbiamo fatto irruzione abbiamo trovato tutto, armi, droga, i tre ricercati, più un fucile di precisione che è ora alla balistica, non lo avevano però ancora pulito, sicuramente ha sparato, quasi sicuramente ha sparato a te. Ma c'è di più, il magazzino di Rooster era anche dove tenevano Karl e Diana, abbiamo il filmato mentre, bendati, li fanno salire sull'auto per lo scambio. La notizia negativa è che non sappiamo dove sia Rooster, i tre non parlano, non c'è niente su di lui, nessuna prova che lo colleghi ai tre a parte il magazzino, non compare da nessuna parte nel video, abbiamo solo una foto con Konroy e la telefonata che lui ti ha fatto".
"E da Konroy non si otterrà niente giusto?".
"No, Konroy è accusato di falso in bilancio e appropriazione indebita, si farà diversi anni di prigione, ma quando gli abbiamo chiesto di Rooster dice che era solo un amico del golf, che di lui non sa poco o niente, che parlavano solo di golf e della loro comune passione per il whisky e per i sigari! Del rapimento lui non sa niente, dice che è un caso che siano stati suoi due dipendenti ad essere rapiti, come con Rooster non ci sono prove. Neanche con una promessa di sconto di pena ha parlato, probabilmente sa che finirebbe male se lo facesse".
"Sapete chi ci ha seguiti quando sono uscito dall'ospedale?" chiese ancora Neal.
"Ah! Dovevo immaginarlo che te ne eri accorto!" disse Mozzie.
"No, l'auto è risultata rubata, l'hanno ritrovata in un parcheggio, ma è stata ripulita, no impronte digitali, nessuna traccia biologica e dai filmati delle telecamere del traffico non si vede la faccia di chi guida!".
Neal rimase in silenzio, avevano preso gli scagnozzi, ma non avevano preso il capo e non avevano neanche idea di dove fosse, gli ritornò in mente la frase che Rooster gli aveva detto al telefono prima che gli sparassero "Caffrey non crederai vero che te la faccia passare liscia". Questa era una minaccia reale, magari non oggi o domani ma prima o poi…
Peter intuì forse quello che pensava il ragazzo "Non abbiamo niente… ORA! Intanto il collegamento con il magazzino c'è, e abbiamo anche una sua foto, è stato segnalato a tutte le agenzie internazionali, alla polizia, alle varie divisioni dell'FBI, è solo questione di tempo prima che si trovi qualcosa su di lui, non si diventa criminali dal giorno alla notte, deve aver fatto anche lui la gavetta, magari non qui, magari all'estero, qualcosa troveremo. Abbiamo ricercato tutti i voli privati, ne è partito uno due ore dopo lo scambio, diretto in Messico, si è imbarcato un unico passeggero, e sai come si è registrato? Cord McNally!".
"Rio Lobo" disse Mozzie.
"Non sapevo fossi un appassionato dei western di John Wayne" disse Peter.
"Infatti non lo sono, ma mi sono documentato!".
"Potrebbe essere un trucco per farci pensare che se ne sia andato!" li interruppe Neal.
"Sì, potrebbe, ma potrebbe anche essersene andato sul serio. Ora però non pensarci. Oggi abbiamo portato a casa una buona vittoria, questa è solo la punta di un iceberg, ora che abbiamo iniziato sarà possibile arrivare fino al fondo e potremmo così interrompere un traffico di armi verso stati dove la guerriglia fa migliaia di vittime e, almeno per un po', di salvare diverse vite umane!".
Detto questo Peter disse "Ho dormito veramente poco in questi ultimi giorni, mi sa che salirò di sopra a riposarmi un po' prima di cena!".
"Quando avrai un po' di tempo vorrei parlarti anche di un'altra cosa" disse Neal a Peter e questi in risposta "Ne sono felice. Che ne dici dopo cena?".
"Perfetto" rispose solo Neal.
Peter salì di sopra.
"Devo ringraziarti Moz!".
"Questo ed altro per un amico!".
"Grazie comunque!".
Detto questo tutti e due stettero zitti e tornarono al loro gioco.

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Capitolo 22
*** Pensieri e parole ***


Più tardi, quella sera, Neal e Peter erano sul portico con Satchmo che dormiva beatamente vicino ai piedi di Neal.
Peter sorseggiava la sua birra preferita, Neal aveva un calice di vino sul tavolo ma non aveva voglia di bere, si sentiva come in una centrifuga di sentimenti, da un lato voleva spiegare a Peter la situazione con sua madre, dall'altra era veramente difficile parlarne. Erano in silenzio da diversi minuti, quando Peter si decise.
"Non capisco, veramente non capisco come una madre possa far finta di niente davanti ad un figlio che non vede da anni!".
"Sai Peter, tu hai avuto una vita lineare, una famiglia unita, i tuoi genitori sono vissuti per darti tutto, affetto, istruzione, una casa, per farti diventare l'uomo che sei oggi e di cui sicuramente sono molto orgogliosi. Non devi pensare che mia madre… solo per il suo atteggiamento… non mi voglia bene! Anche lei, per i primi tre anni, è stata la madre che tutti i bimbi vorrebbero avere, ma lo era perché aveva James su cui fare affidamento, non so come spiegarti, per lei James era il suo porto sicuro, la sua roccia, la sua forza… e poi è crollato tutto e li è crollata anche lei. Io ho fatto di tutto per prendere il posto di mio padre, per cercare di darle quello che a lei mancava… la forza… ma ero un bambino che credeva in un eroe fasullo… e lei è crollata sempre di più fino a…".
Neal non riscì a terminare la frase.
Lo fece Peter per lui. "A tentare il suicidio. Ho letto sul rapporto che l'hai trovata tu e che hai chiamato i soccorsi. Ne vuoi parlare".
"No!". Fu la risposta secca di Neal.
"Ne hai mai parlato con qualcuno, con Ellen… o con uno psicologo…".
"No! Insomma… mi ci mandarono dallo strizzacervelli… ma io non fui mai molto collaborativo! Mi rifiutavo di parlare in quel periodo… dissero che era stress post traumatico… ma semplicemente io non avevo niente da dire!".
"Deve essere stata veramente dura per Neal!" pensò tra se e se Peter. Ma non lo disse, gli chiese invece "Dopo il tentato suicidio fu spedita in clinica e lì conobbe il signor Woods".
"Sì, è stata la sua fortuna. Con Eric è rinata, non me la ricordavo così felice da quando c'era mio padre. Aveva di nuovo un porto sicuro e il resto è venuto di conseguenza".
"Ma…".
"Ma il suo porto sicuro non è stato anche il mio, Eric era giovane e lo capisco, non voleva prendersi in casa il figlio dell'uomo che aveva rovinato la donna che amava. E così riamasi con Ellen. Io però ero arrabbiato, pensavo che mia madre non mi volesse…"
"E non era cosi?".
"No, si stava rifacendo una vita, ne aveva tutto il diritto!".
"Già, ma non a scapito tuo!".
"Lei non aveva rifiutato me, ma quello che io rappresentavo, e non ce la faceva più a mentirmi, a dirmi quanto fosse eroe mio padre, perché io tutti i giorni glielo chiedevo, mi facevo raccontare come fosse mio padre, ne avevo bisogno, avrebbero dovuto dirmi la verità da subito, sarebbe stato tutto diverso. Io l'ho capito ora, ma ai tempi non capivo e così passai dal mutismo alla ribellione. Ellen lavorava e non poteva starmi molto dietro, a scuola avevo voti buoni anche se il pomeriggio non lo passavo sui libri, ma girando per le strade. Ho conosciuto dei ragazzi più grandi, passavamo il pomeriggio nelle sale biliardo o a fare qualche piccola truffa, io ero il migliore al gioco delle tre carte, poi… insomma… beh abbiamo iniziato con qualche furtarello, io facevo sempre il palo… Jeff, Ben e Rob non mi lasciavano partecipare ai furti, dicevano che ero troppo piccolo ma ero bravissimo come palo, riuscivo a distrarre le persone e i poliziotti… lo sapevo che era sbagliato ma era divertente e mi permetteva di fare qualche soldo per aiutare Ellen con le spese. Questo fino all'ultima rapina, quella volta Rob si era procurato una pistola, io ero spaventato, gli dissi, anzi lo pregai, di non portarla, ma lui mi rispose che serviva solo a fare un po' di scena, non aveva comprato i proiettili, non aveva abbastanza soldi anche per quelli. La rapina andò male, il negoziante al posto di spaventarsi reagì e sparò a Rob che è morto sul colpo e poi ha sparato a Jeff e Ben. Jeff è rimasto paralizzato perché la pallottola ha colpito il midollo, mentre Ben se l'è cavata con una ferita lieve".
"Ecco spiegata la tua avversione per le pistole".
"Già. I poliziotti quando arrivarono pensarono che io fossi un testimone, mi portarono in centrale e chiamarono Ellen. Lei però non la bevve. Aveva già dei dubbi visto che si ritrovava dei soldi in più nel barattolo in dispensa. Non disse niente in centrale, ma quando arrivammo a casa mi disse: scegli un sport, uno che ti piace, fai le selezioni ed entra in squadra. Io non potrò venire a controllare se ci vai veramente ma pretendo di venire a vedere le gare o le partite e voglio vedere che ti impegni e ottieni dei risultati. Non mi sgridò, non urlò o fece scenate ma quando lei parlava così, non potevi in nessun modo ribellarti. Iniziai a nuotare e questo mi aiutò molto, con il nuoto scaricavo tutta la mia rabbia e piano piano mi riconcigliai con il mondo, e quando Karl ne ebbe l'età gli insegnai a nuotare!".
"Karl non sa che tu sei suo fratello?!".
"No, sa di avere un fratello da qualche parte nel mondo, ma era piccolo l'ultima volta che mi ha visto per riconoscermi, però ha continuato a nuotare…".
"Dovresti dirglielo…".
"No, lui… lui ha una famiglia e io non ne faccio parte. Non ne ho mai fatto parte, è un ragazzo felice… non sarebbe giusto stravolgere la sua vita…".
"Io comunque penso che dovresti dirglielo, secondo me vorrebbe sapere dov'è suo fratello!".
"Sì, ma suo fratello è Danny Brooks, e quella persona non c'è più! Ormai da diversi anni!".
"Ok, come vuoi!".
"Per tornare a mia madre, sai le margherite in ospedale, quando stavamo ancora insieme e lei era depressa e non si alzava neanche dal letto, io le portavo sempre delle margherite, non avevo soldi per le rose e così raccoglievo margherite e gliele portavo a casa e quando l'aiutavo a pettinarsi le usavo per acconciarle i capelli. Lei non verrà mai da me ad abbracciarmi, non tornerà a far parte della mia vita, ma lei mi vuole bene, me ne ha sempre voluto, e lo dimostrano le margherite che mi ha mandato!".
"Tu quindi la giustifichi!".
"No, ma ora la capisco. Mi ci è voluto molto tempo, ma ora la capisco. Io ho sempre cercato di prendermi cura di lei e anche lasciarla andare è un modo di farlo".
"Dovrebbero essere i genitori a prendersi cura dei figli, non il contrario".
Neal non aggiunse altro. Forse Peter aveva ragione ma lui era sempre stato un bimbo forte, da quando James li aveva abbandonati, lui era diventato l'uomo di famiglia e come tale il suo compito era quello di tenere a galla sua madre, ma non ci era riuscito. Sua madre stava annegando. Eric invece ce l'aveva fatta, l'aveva trascinata fuori dall'acqua e le aveva ridato la terra sotto i piedi e questa era l'unica cosa che contava.
Neal e Peter non parlarono più dell'argomento consci che non avrebbero mai trovato una unione di pensiero, come in tante altre cose, ma erano consapevoli che la loro amicizia non era basata sulla comunione di pensiero ma sull'esserci l'uno per l'altro.
Neal cambiò discorso. "Come mai tu ed Elisabeth non avete ancora figli?".
"Che discorsi sono…" disse Peter un po' imbarazzato.
"Beh, ormai siete sposati da diversi anni ed Elisabeth penso sarebbe felice di diventare madre!".
"Forse perché un bambino da rincorrere ce l'abbiamo già… un bambino tremendo… che ne combina di tutti i colori… che non riconosce l'autorità… a cui non piacciono le regole… posso andare a vanti così per almeno mezz'ora!".
"Non puoi dare a me la colpa!".
"Ci abbiamo pensato, io sono un po' spaventato, lo sai che con i bimbi non sono bravo, e in più con il mio lavoro, se mi succedesse qualcosa dovrebbe crescere senza padre… e questo mi blocca!".
"Con i bambini non sei un gran che, è vero, ma con tuo figlio sarebbe diverso, saresti un bravissimo padre, e se ti succedesse qualcosa, credo che il suo padrino, ovviamente io, sarebbe felicissimo di prendersi cura di lui… e poi a quel punto lui avrebbe un padre eroe vero e questo lo renderebbe orgoglioso e gli farebbe accettare l'assenza".
"Scherzi… te come padrino… non voglio ritrovarmi a dare la caccia al mio stesso figlio a cui tu hai insegnato a delinquere…".
"Veramente pensi che gli insegnerei ad essere un truffatore e un ladro? Però potrei insegnargli tante cose, l'arte, la letteratura, ah… poi gli insegnerei a nuotare!".
Passarono ancora molte ore a scherzare su un ipotetico piccolo Burke anche se nella testa di Peter e di Elisabeth, da un po' di tempo a questa parte, quell'idea, in fondo in fondo, stava prendendo forma e stava diventando sempre più una cosa reale che presto, molto presto, avrebbero realizzato.

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Capitolo 23
*** Always with me, always with you ***


Erano passati quindi giorni da quando Neal era uscito dall'ospedale. Da qualche giorno era senza tutore e poteva muovere il braccio, certo gli faceva ancora male e non riusciva ancora ad avere la piena funzionalità delle articolazioni ma era sulla buona strada. Faceva regolarmente gli esercizi che il fisioterapista gli aveva assegnato senza lamentarsi, voleva tornare a posto nel più breve tempo possibile.
Aveva anche provato a disegnare, voleva, doveva farlo. E alla fine il risultato era risultato abbastanza buono.
Oggi era una giornata speciale, era il giorno delle gare di qualificazione di Karl. Neal aveva chiesto a Peter il permesso di andarci, era fuori dal suo raggio, Peter ovviamente aveva detto subito di sì a patto che due agenti lo portassero fino agli impianti sportivi e poi lo riportassero a casa. Peter non aveva paura che Neal facesse chissà cosa, ma temeva ancora che Rooster volesse fare del male a Neal.
"Ma non potrò avere la scorta a vita… e neanche la voglio…".
"Sì! Se ce ne sarà bisogno avrai la scorta a vita!".
"Ma Peter…".
"No, niente ma Peter, se vuoi andare a vedere le gare è così, altrimenti stai a casa!".
"Cos'è… fai le prove con me per quando avrai un figlio… Va bene, non mi piace la cosa, ma va bene! Farò come vuoi tu!".
"Perfetto, vedi che quando sei ragionevole andiamo d'accordo!".
La discussione finì con Neal che accettava la scorta.
Ora era seduto sugli spalti a bordo vasca, le gare erano incominciate già da un po' batterie 100, 200, stile, rana, dorso. Neal, da dove era seduto, poteva vedere i genitori di Karl, erano seduti vicini, e si tenevano la mano, erano felici e sereni. Era tutto quello che a Neal importava, che sua madre fosse felice e serena. Ad un certo punto la vide alzarsi e dirigersi verso l'uscita, si alzò e la seguì. La vide entrare nei bagni delle signore, aspettò quindi fuori, che uscisse. Lo fece dopo cinque minuti. Appena uscita si bloccò subito vedendo Neal. Rimase in silenzio. Neal invece parlò.
"Grazie per le margherite".
Aspettò che lei accennasse qualcosa ma non parlò. Allora Neal continuò.
"Mi dispiace per come ti ho trattata negli uffici della White Collar. Sono stato sgarbato ma ero un po' frastornato, non mi aspettavo di rivederti e questa cosa mi ha un po' destabilizzato. Volevo solo dirti che non ho mai smesso di volerti bene e vederti insieme ad Eric, vederti felice, questo mi basta".
"Oh! Neal, non sono mai stata una buona madre per te! Io… è giusto che tu sia arrabbiato con me e non mi voglia parlare… ti ho abbandonato… e non era giusto… tu non te lo meritavi…".
Neal non la lasciò continuare. Le si avvicinò e la abbracciò forte sussurrandole "Io non ti incolpo di niente, io ti voglio bene lo so che con Eric e Karl sei felice, loro sono la tua famiglia e io non voglio rovinarla, non è giusto che io mi intrometta tra di voi".
Poi la lasciò andare, gli occhi erano lucidi. "Ora è meglio che tu vada, non devi perderti la gara di Karl, penso ormai manchi poco". Poi prese dalla tasca un biglietto, sopra c'era disegnata un margherita, e dietro vi era scritta una poesia di Charles Baudelaire.

Tristezze della luna

Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera:
come una bella donna su guanciali profondi,
che carezzi con mano disattenta e leggera
prima d'addormentarsi i suoi seni rotondi,

lei su un serico dorso di molli aeree nevi
moribonda s'estenua in perduti languori,
con gli occhi seguitando la apparizioni lievi
che sbocciano nel cielo come candidi fiori.

Quando a volte dai torpidi suoi ozi una segreta
lacrima sfugge e cade sulla terra, un poeta
nottambulo raccatta con mistico fervore

nel cavo della mano quella pallida lacrima
iridescente come scheggia d'opale.
e, per sottrarla al sole, se la nasconde in cuore.


"Me la leggevi sempre quando vivevamo insieme" disse Eveline.
"Lo so, me lo ricordo, era una delle tue preferite. Ora vado… ciao… mamma".
Detto questo Neal si girò e tornò a sedersi sugli spalti.
Guardò Eric che era seduto nello stesso posto. Dopo poco arrivò anche Eveline.
Solo più due batterie e poi sarebbe stato il turno di Karl.

Karl era agitato ma concentrato. Sapeva di potercela fare, di raggiungere la qualificazione nei 100 farfalla. Era ancora negli spogliatoi ma doveva andare, erano passati a chiamare la sua batteria, dieci minuti e sarebbe stato il suo turno. Decise di alzarsi e di dirigersi all'uscita del corridoio atleti, quello da cui accedono alla vasca. Di lì poteva vedere gli spalti. Trovò subito i suoi genitori. Erano lì, come sempre, a fare il tifo per lui. Da quando aveva iniziato a nuotare non avevano mai perso una sua gara. Il suo sguardo vagò nel pubblico, trovò alcuni suoi compagni di corso dell'università che, anche loro, erano venuti per tifarlo. Poi vide Neal. Era venuto, non sapeva perché gli importasse che Neal Caffrey ci fosse, eppure era così. Si accorse che, improvvisamente, era rilassato, tutta la tensione era svanita vedendo che Neal era venuto. Perché questa cosa? Ora però non era il momento di pensarci. Doveva concentrarsi sulla gara.
Finalmente era il suo turno, chiamarono la sua batteria, da quel momento la sua mente entrò nel loop della gara, mentalmente ripassava tutti i movimenti che avrebbe fatto in vasca. La prima parte in apnea, sott'acqua, poi il ritmo di bracciata, uno due tre … nove dieci … al quindici doveva essere abbastanza vicino alla fine vasca per effettuare la virata e poi il ritorno e lì doveva dare tutto, accelerare il ritmo fino all'arrivo.
La preparazione…
La chiamata dei giudici…
Il fischio per salire sui blocchi…
Il silenzio…
E finalmente il segnale di partenza…
In un attimo era tutto finito…
Il tabellone dava i tempi…
Karl Woods primo con 51:45. Era qualificato. Nelle batterie precedenti non erano scesi sotto il 51:50. Non solo era primo della sua batteria, ma era primo di tutte e tre le batterie dei 100 farfalla. Era qualificato, avrebbe disputato i mondiali junior. Ce l'aveva fatta. Quando uscì dalla vasca andò ad abbracciare l'allenatore, poco importava che fosse tutto bagnato, l'allenatore era al settimo cielo e lui anche. Poi si girò verso i genitori, che stavano esultando, per salutarli. Dopo cercò Neal… ma non lo vide più. Chissà se aveva visto il risultato! Certo che lo aveva visto… era venuto apposta… ma poi perché se ne era andato… e soprattutto perché a lui dispiaceva?
Poi si accorse che i suoi amici erano scesi al bordo delle gradinate e lo stavano chiamando così smise di pensare a Neal e andò a godersi i festeggiamenti.
"Grande!".
"Ce l'hai fatta!".
"Ora si va tutti a festeggiare!".
"Sì, faccio la doccia e vi raggiungo!".
Karl si diresse agli spogliatoi, prese il suo borsone e notò qualcosa di strano. Dentro c'era un biglietto che lui non aveva messa. Lo tirò fuori e vide che davanti erano disegnati a matita un bambino ed un ragazzo. Quel bambino assomigliava un sacco a lui e il ragazzo… ma si assomigliava a Danny, suo fratello. Non lo vedeva da anni ma era sicuro, il ragazzo disegnato era Danny. Dietro c'era una frase.
"Sempre con me! Sempre con te! D."

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Capitolo 24
*** Non oggi e forse non domani ***


BIP! BIP! BIP!

"No...".
La sveglia suonava, Neal però non aveva voglia di aprire gli occhi, ma dopo circa quindici BIP il rumore era diventato così fastidioso che Neal si decise ad alzarsi e a spegnere la sveglia. Erano le sette e trenta. Oggi era il primo giorno di ritorno al lavoro. Il braccio ormai era a posto, e da dieci giorni era tornato a casa da June. Peter gli passava i fascicoli dei casi da esaminare per poi discuterne insieme, ma fino ad oggi non gli aveva permesso di tornare in ufficio.
Neal si alzò, fece la doccia, si vestì ed uscì di casa. Non voleva arrivare tardi proprio oggi. Aveva deciso di andare a piedi e lungo la strada si fermò a fare colazione con caffè espresso e croissant francese.
Da quando era tornato a casa Neal aveva rifiutato la scorta, con grande disappunto di Peter che però sapeva benissimo quanto fosse bravo Neal a far perdere le proprie tracce e che sarebbe quindi servita a poco. D'altro canto Rooster era ormai fuori dagli Stati Uniti e sebbene avesse sicuramente diversi contatti, per lui, al momento, era meglio stare tranquillo.
Neal arrivò agli uffici dell'FBI, era contento di tornare al lavoro. A casa, sebbene tutti cercassero di tenerlo occupato, si annoiava parecchio.
Entrò nell'edificio e si diresse agli ascensori. Schiacciò il pulsante del ventunesimo piano.
In ufficio tutti erano già al lavoro, occupati, chi a leggere, chi sul computer, ottenne solo qualche ciao e qualche ben tornato, certo non si aspettava una festa ma gli sembrò un po' fredda l'accoglienza. Forse c'era un caso grosso e per questo erano tutti così impegnati. Jones gli fece ciao ciao con la mano e continuò nel suo lavoro. Diana era in ufficio con Peter.
Neal si andò a sedere alla sua scrivania, non pensava che potesse succedere, ma era felice di essere lì, all'FBI pronto per una nuova giornata di lavoro. Sulla scrivania c'erano dei faldoni di casi che probabilmente o Peter o Diana gli avevano lasciato, dei biglietti di ben tornato e alcune lettere. Iniziò a leggere i biglietti e a sistemarli in un cassetto, dentro un contenitore, dove archiviava le cose importanti, o meglio quelle che per lui erano importanti, ricordi, pensieri, pezzi della sua storia all'FBI.
Poi passò alle lettere, pensò che i faldoni li avrebbe lasciati per ultimi. La prima che aprì era una lettera di encomio del capo dell'FBI per i servizi resi, ne aveva già collezionate diverse di queste lettere, peccato che insieme non ci fossero sconti di pena, così da poter togliere prima la cavigliera. Anche questa finì archiviata nella scatola insieme ai biglietti di auguri. La seconda lettera invece catturò la sua attenzione, era senza mittente e senza francobollo e timbro, era quindi stata consegnata a mano. Aprì la busta, dentro c'era una cartolina della Monument Valley* con una scritta sul retro:

"Non oggi e forse non domani ma io e te ci rivedremo e quando questo avverrà chiuderemo i nostri conti in sospeso!".

Era senza dubbio stata mandata da Rooster che oltretutto gliela aveva fatto recapitare a mano. Questo voleva dire che Rooster ha agganci anche all'interno dell'FBI. Stava per alzarsi e andare da Peter a mostrargliela quando Peter uscì dall'ufficio e disse "Riunione in sala conferenze, è urgente. Vieni anche tu Neal!".
Neal si alzò e andò da Peter "Senti devo dirti una cosa…".
"Me la dirai dopo la riunione…".
"È importante!".
"Anche questo, dai entra!".
Così dicendo Peter spinse quasi a forza Neal dentro la sala. Tutti quelli che erano già dentro urlarono insieme "BEN TORNATO!".
C'era uno striscione di benvenuto, una torta sul tavolo insieme ad alcune bibite.
Neal era stordito, un po' per la cartolina di Rooster, un po' perché veramente non si aspettava una festa di benvenuto. Disse solo "Grazie… grazie a tutti!".
Erano tutti felici e in vena di festeggiare, decise che della cartolina ne avrebbe parlato con Peter più tardi. Non cambiava molto adesso o dopo e in ogni caso non voleva rovinare la festa. Rooster ora non era un problema, era lontano, prima o poi si sarebbero rivisti ma non ora, ora era il momento di festeggiare il suo ritorno. E poi, come aveva detto Peter, "è solo questione di tempo, prima o poi lo troveremo" e quando Peter ti si mette alle calcagna, non c'è scampo perché Peter è dannatamente bravo in quello che fa.
Sorrise quindi a tutti e insieme brindarono al suo rientro. Questa era una bella giornata e Neal non lasciò che una stupida cartolina gliela rovinasse!

FINE

* La Monument Valley è il set dove John Ford ha girato l'epico inseguimento alla diligenza in Ombre Rosse, film che ha lanciato un giovane John Wayne, e che è, di fatto, la bibbia del genere western, da cui tutti i registi del genere hanno tratto ispirazione.


Note dell'autrice

Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito e che mi hanno recensito. Spero di non deludere nessuno nell'aver concluso questa storia.
Diciamo che la storia è nata prima di tutto perché sono in crisi di astinenza da nuove puntate di WC e scrivere mi serve a riempire il vuoto.
Poi volevo aprire uno spaccato della vita passata di Neal, e soprattutto del rapporto con sua madre, che nella serie non è ancora stato toccato. Anzi Neal si rifiuta sempre di fornire dettagli di sua madre, l'unica cosa che si è venuta a sapere è che, dopo la separazione con James, è caduta in depressione e di lì sono partita.
Mi è piaciuta anche l'idea di introdurre un fratello minore, perché così rendeva più complessi i rapporti familiari.
Tutto il resto della storia, il rapimento, Rooster, sono venuti di conseguenza, erano più che altro un accessorio che all'inizio neanche pensavo diventassero così complessi e articolati. All'inizio, infatti, pensavo che sarei stata brava se fossi riuscita ad arrivare al decimo capitolo e come niente invece me ne sono usciti ventiquattro. Anche per questo ho deciso che era meglio chiudere.
Questo però non vuol dire che non scriverò più di Rooster, mi stanno già venendo in mente un po' di idee che, appena avrò un po' di tempo, butterò giù.

Neil: Se vuoi un lieto fine, questo dipende da dove interrompi la storia. Credo che la nostra finisca qui...

Mozzie: Direi che finisce bene... fino al prossimo capitolo.

Neil: Fino al prossimo capitolo.


So stay tuned for the next chapter

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