Una serie di miserabili vicende.

di Nitrogen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando a nessuno importa se stai sanguinando. ***
Capitolo 2: *** Quando a nessuno importa se sei ubriaco. ***
Capitolo 3: *** Quando a nessuno importa se sei attraente e hai fascino. ***
Capitolo 4: *** Quando a nessuno importa se sei un genio e non ti piace uscire. ***



Capitolo 1
*** Quando a nessuno importa se stai sanguinando. ***


A Melinda Pressywig,
innamorata persa del mio Naiser.
 

[BONUS TRACK!]
Plot 0: 6 e 8 hanno una relazione clandestina. 1 li scopre.


 

Ordine personaggi: Naiser (1) , Imogen (2), Pride (3), Marianne (4), Zelo (5), Terrian (6), Seth (7), Rezwana (8 ) , Hana (9), Akira (10).

 


 

Quando a nessuno importa se
sei stai sanguinando.

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Mi fiondai in casa prima che quei tizi si accorgessero dove ero entrato: avevo di nuovo fatto tardi nel mio locale preferito e avevo di nuovo alzato troppo il gomito finendo con lo stuzzicare gente di malavita a cui, fortunatamente, ero riuscito a sfuggire dopo una lotta che mi vedeva perdente.
Mi accasciai qualche minuto dietro la porta, ansimante per la corsa fatta prima e aspettando che quegli uomini se ne andassero dal quartiere per stare tranquillo. L’avevo davvero fatta grossa quella sera, ma come al solito non mi rendevo mai conto di quanto potessero essere gravi le situazioni in cui mi cacciavo solo per diletto, e ridevo come un matto pensando a quanto era accaduto. Ero ancora vivo.
Alle due di notte passate era difficile confondere i rumori che c’erano oltre la porta, quando se ne andarono imprecando come solo degli scaricatori di porto sapevano fare, tornò il silenzio che poco mi piaceva di quel quartiere.
Gonfio e dolorante come mai prima di allora, mi spostai zoppicante dalla porta e mi trascinai fino in cucina, sporcando qualunque cosa col sangue che mi colava dalle braccia. Se non fosse stato per il troppo alcool in circolo che mi faceva girare la testa e sbattere contro ogni cosa nel corridoio, non mi sarei sentito così male e avrei anche potuto far vedere a quei vermi cosa ero in grado di fare non dandomela a gambe.
Tirai fuori dal congelatore la borsa di ghiaccio che Rezwana era solita usare per farmi sgonfiare le ferite che quotidianamente mi procuravo; la mia testa sembrava girarmi di meno con quell’affare poggiato sopra, ma se ci fosse stata lei le mie condizioni sarebbero state senza dubbio migliori.
Rezwana era sempre premurosa nei miei confronti, faceva di tutto per rendersi disponibile e mi aiutava a medicarmi quando andavo in cerca di rogne in giro per la città, a qualunque ora del giorno. Purtroppo non sono una persona molto tranquilla, e quando sono di pessimo umore mi calma solo picchiare altri miei simili. A peggiorare la mia situazione, c’era per l’appunto lei con quel suo corpo perfetto, i capelli rossi come il fuoco e i suoi occhi uguali a due pezzi di smeraldo che mi facevano impazzire. E farsi picchiare diventava fin troppo piacevole pur di ricevere quelle attenzioni.
Feci uno sforzo e tolsi la maglia insanguinata che si stava incollando alle ferite: avevo qualche taglio di poco conto sulle braccia causato da un paio di coltelli abbastanza affilati, ma non era nulla di troppo preoccupante; quella volta decisi di sbrigarmela da solo perché svegliarla a tarda notte e farla arrivare dall’altro lato della città sembrava eccessivo anche per un egoista come me.
Mi alzai per entrare in bagno alla ricerca del kit di pronto soccorso che però non riuscii a trovare: quel disgraziato di mio fratello aveva di nuovo fatto ordine spostando anche le cose di mia proprietà dove gli faceva più comodo, non capendo che io nel mio disordine trovavo qualunque cosa. Dovevo andarmene da quella casa prima che avrebbe preso sotto il suo controllo la mia camera, il mio paradiso e unico rifugio.
Un rumore mi bloccò a metà corridoio: sentivo la voce di qualcuno che non era mio fratello provenire oltre la sua porta, cosa piuttosto insolita data la sua capacità pessima di abbordare con le ragazze.
Restai immobile e in silenzio con il ghiaccio che mi raffreddava il volto bollente. Non sarebbe stata di certo la prima volta che la mia testa giocasse scherzi simili da quasi ubriaco qual ero, non volevo rovinare un’eventuale uscita finita bene di mio fratello per il mio cervello alcolizzato.
Mi appostai cauto alla porta e cercai di distinguere le voci che sentivo. Sicuramente una di loro era quella di mio fratello, eppure non riuscivo a capire quale fosse; avrei dovuto seguire il consiglio di Rezwana e smettere di bere così tanto il sabato sera.
Preso dall’indecisione sul se entrare o meno, se bussare prima di entrare o mandare un messaggio sul cellulare di mio fratello per sapere cosa stava combinando, mi appoggiai alla porta convinto fosse chiusa almeno a chiave. Imprecai e maledissi il Dio di ogni religione esistente una volta aver sbattuto la testa contro il pavimento.
Due voci distinte urlarono e non si curarono di aiutarmi a rialzarmi, per la cronaca, fu una vera e propria impresa farlo da solo per lo scarso equilibrio del momento; riuscii a stento a mettermi in ginocchio aiutandomi con la cassettiera alla sinistra della porta.
«N-naiser… Sei già qui?»
Mi voltai in direzione della voce che mi aveva chiamato distesa sul letto a una piazza e mezza. La botta aveva diminuito le mie facoltà psicofisiche a tal punto da non riuscire a vedere altro che una figura informe nel buio della stanza. Accesi la luce accidentalmente, poggiandomi alla parete per compiere l’ultimo sforzo che occorreva a rialzarmi.
«Dio schifo
Mio fratello scese dal letto e si infilò i boxer gettati sul pavimento insieme ad altri indumenti e biancheria femminile, che mai avrei immaginato di vedere nella sua stanza. Era imbarazzato, a disagio, in preda al panico… Insomma, avevo fatto un’entrata in scena degna di nota.
«Naiser, non reagire così per favore… So cosa stai pensando, posso spiegarti tutto.»
No, lui non sapeva cosa stavo pensando. Tutto quel che volevo era il kit di pronto soccorso e buttarmi del letto per dormire fino al giorno seguente, non mi interessava sapere perché una ragazza nascosta sotto le coperte stesse nel suo letto e cosa avessero fatto. Potevo tranquillamente immaginarlo, mi faceva anzi piuttosto piacere vederlo alle prese con una ragazza ogni tanto.
«Sì, sì, poi mi spieghi… Dove hai messo il kit del pronto soccorso?»
Terrian mi guardò spaesato, poi si voltò in direzione del suo letto dove la ragazza aveva cacciato fuori dalla coperta la parte della testa dagli occhi in su. Erano di un verde davvero bello, ma forse era l’effetto dell’alcool a renderli tanto particolari.
«È nel bagno del primo piano, se… se cerchi vicino al mobiletto lo trovi.» Fece una breve pausa per osservarmi e poi riprese. «Sei sicuro di star bene, Naiser? Vuoi io ti aiuti a medicarti e ad arrivare in camera? Perché sei messo davvero male ‘sta sera…»
Scossi la testa e per un pelo non cascai sul pavimento.
Promemoria: evita scatti improvvisi da brillo che perdi l’equilibrio.
«Tranquillo. Divertiti pure con la tua amica e fai tutto il rumore che ti pare, tanto appena arrivo al letto e mi addormento sarà difficile svegliarmi anche con una bombardata aerea. Scusate il disturbo.»
Sollevai una mano per salutare la nuova fiamma di mio fratello e spensi di nuovo la luce, uscendo dalla stanza. Finalmente lo vedevo divertirsi con una ragazza reale e non immaginando di spassarsela con una di quelle che leggeva sui libri. Ero davvero orgoglioso di lui, mi era anche passata la rabbia per la sua fissa dell’ordine.
«Naiser?»
Un’altra voce mi bloccò prima di entrare in bagno e con grande fatica mi voltai: capelli rossi, occhi verdi, fisico perfetto, il tutto nascosto a stento da una camicetta da notte in pizzo. Rezwana. L’alcool si stava davvero prendendo gioco di me, al diavolo le ferite sul braccio: era meglio buttarsi sul letto e aspettare mi passasse la sbronza prima di finire davvero col non capirci più niente.
«Naiser, fermati. Devo parlarti. Puoi medicarti dopo, tanto non morirai dissanguato.»
Quanta insistenza per essere un’allucinazione.
Non ne avevo mai avute di così pesanti e soprattutto belle. Forse avevo perso un po’ troppo la testa per Rezwana, tanto che la sentivo toccarmi la spalla e fermarmi. Mi dispiaceva interrompere la serata di mio fratello, ma avevo davvero bisogno di lui.
«Teeerrian.»
«Adesso lui si sta vestendo. Possiamo parlare?»
Quella figura non smetteva di rivolgermi parola, che diamine.
«TEEERRIAN.»
«Per la miseria, Naiser! Smettila di comportarti come un bambino e ascoltami. Mi dispiace per quello che hai visto… Tra me e tuo fratello non c’è nulla, posso giurartelo. È che mi sentivo sola e non sapevo da chi altro andare…»
L’allucinazione di Rezwana mi guardava quasi come se volesse supplicare il mio perdono. Se non fossi stato sicuro che mio fratello non era il tipo da fregarmi le ragazze che mi piacevano, avrei davvero potuto credere fosse lei in carne ed ossa. La mia testa era proprio andata.
«TEEERRIAN!»
Mio fratello si avvicinò a passo svelto fino a raggiungermi e guardò in direzione dell’allucinazione tanto carina, con quell’aria preoccupata che lo affliggeva ogni volta che non capiva cosa avessi combinato per cacciarmi nei pasticci.
«Perché mi sta chiamando? Vuole picchiarmi?»
L’allucinazione di Rezwana sbuffò e lo guardò seccata: «Tuo fratello deve aver qualche menomazione mentale. Mi ignora e non penso nemmeno abbia capito che suo fratello se la sia spassata con la ragazza che tanto venera.»
Restai imbambolato per qualche istante a osservare i due esseri di fronte a me: la testa era davvero andata a puttane per proiettare davanti ai miei occhi un teatrino simile; era meglio se andavo a dormire.
Ignorai quel che avevo visto e senza dire nulla oltre a qualche imprecazione che sapeva di persona analfabeta, zoppicai fino alla mia camera e mi gettai sul letto senza nemmeno scostare le coperte. Sentivo ancora le due paia di occhi sul mio corpo agonizzante ma lasciai stare: assecondare la mia testa chiedendo a quelle allucinazioni di smetterla sarebbe stato un gesto da idioti, o almeno lo sarebbe stato se Terrian e Rezwana sull’uscio della mia camera fossero davvero state solo delle proiezioni della mia testa.
Ma questo, lo scoprii solo il mattino seguente trovando Rezwana ancora nel letto di mio fratello.

 


 

──Note dell'autore──
Questa è la prima volta che partecipo a una challenge, quindi chiedo venia nel caso in cui io non abbia capito qualcosa.
Fatto sta che devo seguire i numeri assegnati per ogni plot e alcune già non so come riuscirò a farle. Per rendervi più semplice il collegamento numero-personaggio, pubblicherò ogni volta l'elenco mettendo in grassetto i personaggi richiesti dalla plot stessa come ho fatto a inizio pagina.

Ci tengo a dire che sono tutti personaggi inventati di sana pianta dalla sottoscritta, non ho mischiato nessuna fandom con un'altro né tanto meno ho pensato a che nomi assegnare a ogni soggetto. Ho semplicemente scelto i nomi che più mi piacevano e vi ho creato un personaggio sopra, optando per la parità dei sessi.
ATTENZIONE! I nomi, come avete notato da soli, sono sei maschili e quattro femminili: sarebbe dunque un controsenso con la frase detta poco sopra. Seth (7) è una ragazza, come potrete anche constatare voi stessi nel capitolo successivo. Detto questo, vedete che i conti tornano e si hanno effettivamente cinque donne e cinque uomini.
Edit: ho sbagliato più volte il nome del fratello di Naiser. Non è "Tristan" e nemmeno "Taric" ma "Terrian". Non chiedetemi come ho fatto. L'indecisione. (?)



「Nitrogen」

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Capitolo 2
*** Quando a nessuno importa se sei ubriaco. ***


Plot 1: 1 e 7 sono ubriachi, e 5 ne approfitta.
 
Ordine personaggi: Naiser (1), Imogen (2), Pride (3), Marianne (4), Zelo (5), Terrian (6), Seth (7), Rezwana (8), Hana (9), Akira (10).

 


 

Quando a nessuno importa se
sei ubriaco.

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Quando si è piccoli, tutti ti dicono di non aprire la porta agli sconosciuti perché vogliono rapirti, di non avvicinarti agli alcolizzati perché ti faranno del male. Nessuno, però, ti prepara psicologicamente a poter affrontare un pazzo sanguinante che ti supplica in lacrime di farlo entrare in casa e, ubriaco fradicio come il barbone dietro l’angolo della strada, ti abbraccia per ringraziarti e ti bacia i piedi una volta fatto entrare.
«PORCA PUTTANA, ‘CAZZO TI BUTTI ADDOSSO?!»
Con un calcio ben assestato nello stomaco, lo spinsi dall’altro lato della stanza facendogli lanciare un urlo di dolore che quasi fu musica per le mie orecchie: quelle lezioni di autodifesa impartitemi dal mio buono e caro Akira erano servite più di quanto potessi immaginare.
Lo vidi riaffiorare goffamente dal divano capovolto sventolando un suo calzino bianco in segno di pace, lasciandomi in pratica senza parole per quanto sapeva essere stupido. Se avessi saputo prima che era lui ad aver bussato, non avrei di certo aperto la porta d’ingresso.
«Che hai combinato questa volta? Chi hai fatto arrabbiare?», gli domandai seccata cercando di mettere a posto il divano.
Lui, ancora seduto sul pavimento e con lo sguardo perso chissà dove, non rispose. Era solito cacciarsi nei guai anche per i motivi più stupidi sin da adolescente, vederlo coperto di sangue non poteva più considerarsi una novità da anni; ma quella sua espressione così cupa sul volto non gli si addiceva per niente, era solito ridere come un’idiota pensando alla gente che voleva picchiarlo.
Gli sollevai il volto con un piede cercando di decifrare i suoi pensieri, cosa piuttosto complicata per una che non è stata empatica nemmeno una volta nella sua vita.
«Hey, che è successo?»
Prima di rispondere esitò un istante. «Sai che non parlo dei miei problemi se non bevo niente. Spero tu abbia qualcosa da tracannare o ti scordi la mia storia strappalacrime.»
Io e i miei coinquilini non eravamo soliti affogare i dispiaceri nell’alcool, però conoscevo Naiser da anni e tenevo sempre conservata una bottiglia di Whisky per quando veniva a trovarmi, fortunatamente non troppo spesso: avevamo imparato ad accettarlo per l’alcolizzato che era sempre stato, ma non potevamo spendere tutta la nostra paga in alcolici che avrebbe bevuto solo lui.
Ci accomodammo sul divano rimesso a posto e gli consegnai direttamente la bottiglia perché sapevo che un bicchiere non gli sarebbe bastato. Ma forse nemmeno due o tre.
«Forza, sputa il rospo adesso.»
Scolò un quarto del contenuto tutto d’un fiato e fissò i suoi occhi scuri nei miei; più che cupi come prima, sembravano preoccupati.
«È meglio se bevi anche tu, oggi.»
Questo suo “consiglio” mi turbò per qualche istante, tanto che fui titubante su cosa fare. Non mi attirava l’idea di sentire il sapore amaro del Whisky in bocca, ma se questa era una sua richiesta potevo anche accontentarlo. Feci a stento un sorso e tossii: faceva davvero schifo quella roba, non mi spiegavo come potesse piacergli.
«Ora però parla, Nas. Mi scoccia tutta questa attesa.»
«Ho beccato Rez nel letto di mio fratello.»
Le parole uscirono dalla sua bocca di getto e si scontrarono con il mio apparato uditivo bloccandomi con la bottiglia a mezz’aria. Quando dopo qualche secondo di paralisi dovuta all’elaborazione della notizia ricevuta lasciai che il whisky scivolasse ancora una volta nella mia gola, capii che affogare i dispiaceri nell’alcool non era tanto una brutta cosa.
Io e Rezwana non eravamo mai andate d’accordo, e quando ci era possibile facevamo di tutto per darci fastidio a vicenda: era una situazione che andava avanti da anni, io ne avevo anche dimenticato l’iniziale motivo –sicuramente stupido– continuando a farle dispetti ad ogni sua minima provocazione.
Questa volta, però, aveva superato il limite della decenza.
Rezwana sapeva che Naiser era innamorato perso di lei –non c’era persona che non l’avesse notato– e purtroppo sapeva anche che lui era un mio caro amico: se voleva davvero farmi irritare non esisteva cosa migliore che ferire Naiser facendogli avere una pugnalata sia da lei che da suo fratello.
Lei era una predatrice in grado di far cadere sotto il suo fascino chiunque, ma non credevo che Terrian fosse quel tipo di uomo che alla vista di un paio di curve ben messe avrebbe dimenticato i sentimenti di Naiser per quella ragazza. Mai l’avrei perdonato per la debolezza che aveva mostrato, e se solo ne avessi avuto le forze sarei corsa da lui per tranciargli di netto ciò che aveva di più caro.
Sciaguratamente non potevo in quanto il mio grado di alcool nel sangue era già superiore al limite concesso dal mio corpo per non essere considerata ubriaca.
Naiser era caduto in un sonno profondo in seguito a un pianto più che disperato dove lo si vedeva implorare una sua illusione di Rezwana di amarlo e sposarlo; io non avevo fatto altro che pianificare un’amara vendetta nei confronti di quest’ultima, sempre più atroce ogni qual volta il whisky finiva col bagnare le mie labbra e scendermi in gola.
«Vuoi forse ammazzarti il fegato?»
Inclinai la testa all’indietro con un movimento piuttosto lento e osservai la figura capovolta del mio coinquilino; si avvicinava con la solita disinvoltura che l’aveva sempre caratterizzato. Non gli rivolsi parola: era ovvio che con tutto quell’alcool volessi mandare in tilt il fegato e anche qualche altro organo.
«Lui è andato, probabile si svegli direttamente ‘sta sera.», commentò guardando lo stato pessimo in cui si trovava Naiser.
Si portò avanti al divano e prese la bottiglia di Whisky dalla mia mano; non feci storie solo perché era vuota.
«Meglio così, da sveglio non farebbe altro che piangere.»
«Lui? Piangere? Non sono molte le cose che fanno piangere uno come lui.»
Si fece un po’ di spazio sulla poltrona oltre il tavolino e aspettò tranquillo che io parlassi. Di voglia non ne avevo –la mia mente era concentrata solo a pensare un modo per uccidere Rezwana– e a momenti me ne mancava totalmente la forza, ma se Zelo voleva sapere, io non potevo non parlare.
«Rez se l’è spassata con Terrian. Naiser sta male per questo.»
Fece un suono simile a una ”h” aspirata e si voltò a guardare Naiser con un’espressione che suggeriva pena per il triste destino del ragazzo. Era stato decisamente sfortunato.
«E a te, invece, che cosa è successo? Non ti ho mai visto ridotta in questo stato.»
«Secondo te perché quella stronza ha fatto una cosa simile? Si diverte a farmi incazzare, non lo sapevi?»
«Non essere tanto scurrile, Seth. Ricordati che sei una ragazza anche se hai un nome da uomo.»
Odiavo quando Zelo se ne usciva con quella precisazione che mi rendeva intrattabile. Il mio essere sempre piuttosto volgare non dipendeva da quel nome, era solo una bella coincidenza.
«Ah, stai zitto figlio di…»
Niente, non mi reggevo in piedi quanto speravo: barcollai nell’intento di alzarmi per andare in bagno a svuotare la vescica e lui mi prese prima che io potessi far compagnia al pavimento. Lo cacciai non appena fui in grado di reggermi da sola; era troppo vicino, e cosa peggiore odiavo il contatto fisico.
«Nemmeno da ubriaca ti lascia avvicinare?»
«Non sono del tutto ubriaca, idiota.»
Sorrise, e prima che io potessi di nuovo tentare di raggiungere il bagno mi tirò a se bloccandomi in un abbraccio. Era uno di quelli che ti prendevano alle spalle, fatti per mozzarti il fiato e coglierti di sorpresa, lasciandoti una sensazione che nemmeno tu sapevi spiegarti. Evitavo così spesso quelle attenzioni che quell’unica volta in cui qualcuno riusciva a farmi una carezza io mi scioglievo e arrossivo, diventando una ragazza amorevole e desiderosa di affetto, quasi come se cambiassi totalmente carattere.
Mi voltò lentamente nella sua direzione per regalarmi un altro sorriso e mi baciò: com’era bello adesso che l’alcool misto all’adrenalina non mi facevano capire più niente.
«Ho passato notti insonni pensando a quale sarebbe stata la tua reazione in seguito a un approccio così intimo… Se avessi saputo che non mi avresti rifiutato mi sarei dichiarato prima, piccola mia.»
Io potevo essere ubriaca quanto voleva, ma lui era un emerito idiota.
Gli avevo sentito ripetere quella frase ad almeno la metà delle ragazze in città, credevo che se fosse mai stato intenzionato ad approfittarsi della mia stupidaggine avrebbe avuto almeno l’accortezza di cambiare registro da rifilarmi.
Chiunque mi conoscesse sapeva che se volevano sopravvivere in mia compagnia dovevano risparmiarsi gesti affettuosi e quant’altro, e anche farmi complimenti o dirmi cose eccessivamente romantiche non faceva altro se non irritarmi.
Io ero ubriaca, lo ammetto, ma il pugno glielo diedi comunque.

 


 

──Note dell'autore──
Mi rendo conto di quanto misera possa essere questo "capitolo", ma essendo una challenge non sempre capitano plot con cui riesci a scrivere qualcosa di decente. Il plot numero 1 è uno di questi infatti, e per questo chiedo scusa. Mi rendo anche conto che 5 non se ne approfitta più di tanto, purtroppo davvero più di questo non penso di saper fare.
Chiedo umilmente perdono.


「Nitrogen」

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Capitolo 3
*** Quando a nessuno importa se sei attraente e hai fascino. ***


Plot 2: 3 vuole chiedere un appuntamento a 8,
ma qualcuno o qualcosa gli metterà i bastoni tra le ruote.

 
 
Ordine personaggi: Naiser (1), Imogen (2), Pride (3), Marianne (4), Zelo (5), Terrian (6), Seth (7), Rezwana (8), Hana (9), Akira (10).

 


 

Quando a nessuno importa se
sei attraente e hai fascino.

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Se qualcuno mi chiedesse di descrivermi, oserei dire che sono intelligente, controllato, amorevole, simpatico, altruista, magari me ne uscirei anche dicendo che sono un supereroe senza genitori –e chiedo scusa a Batman per avergli fregato la vita, ma le ragazze amano questo tipo di storie. In sintesi, descriverei l’uomo perfetto e tutti mi amerebbero.
La realtà? Io sono Pride, e sono un casanova senza né arte né parte che, in quanto tale, passa le proprie giornate spezzando cuori a destra e a manca. E le persone mi amano comunque, o almeno così credevo.
Pensate a un ragazzo con i capelli al vento e il passo fiero di chi si piace e sa di essere piacente; pensate a questo ragazzo che cammina per strada adocchiato da ogni persona –ragazze e non, purtroppo–, a questo bell’imbusto che sorride e fa l’occhiolino un po’ a chi capita; pensate a me, con lo stesso portamento di un principe, che arrivo nel cuore della piazza e mi siedo su una panchina.
Ero fermo su quelle assi di legno guardandomi in giro, respirando quell’aria fresca e primaverile per cui le ragazze vanno fuori di testa: passeggiano per la piazza cercando qualcuno che le faccia un complimento, che le chieda il numero con la scusa di un innocente caffè.
Io sarei stato la persona giusta, ma per quel giorno non ero in vendita alla prima che passava.
Il mio obiettivo di quella mattina era trovare l’ago in un pagliaio, pescare il pesce più grosso del lago, scovare la perla in un mare di cozze; e quest’ultima metafora potete anche prenderla alla lettera perché, in quanto casanova, è proprio quello che faccio di solito.
La cosiddetta “perla” di cui vi parlo stava raggiungendo la mia panchina alle dieci e sette minuti, proprio come mi aveva detto il mio informatore.
Mi passò davanti, mi superò, non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Che classe, una vera regina. Come potevo non amarla?
Qualcun altro al mio posto avrebbe perso le speranze, avrebbe pensato che ogni azione non sarebbe servita a conquistarla. È inutile dirvi che questo discorso per me non vale: avevo già scommesso troppi soldi con il mio caro amico informatore che sarei riuscito ad averla tra le mie braccia a vita, non se ne parlava di dargli questa soddisfazione.
Mi alzai e la seguii a passo moderato con la disinvoltura tipica di chi ha imparato a non badare agli occhi a cuoricino delle ragazze per strada, lisciai i pantaloni, portai i capelli all’indietro e feci un colpo di tosse. Bellamente lo ignorò, continuando a camminare a testa alta verso la palestra nella quale aveva passato i tre quarti delle sue giornate da quando era diventata maggiorenne.
Tossii ancora, questa volta chiamando anche il suo nome. Niente da fare, il mio amore platonico per lei sembrava non corrisposto.
Decisi dunque di aumentare il passo per piombarle davanti e farle notare la mia esistenza: «Rezwana!»
Spalancò gli occhi e portò rapidamente la borsa al petto come se volesse proteggerla da un eventuale scippatore; quando capi che ero io, sbuffò quasi impercettibilmente e mise le mani sui fianchi.
«Pride, che piacere…»
«Buongiorno, mia cara. Questa mattina sei incantevole.»
E non lo dissi di certo solo perché volevo abbordarla: quella maglia aderente e quei pantaloncini rosa, accompagnavano le sue splendide forme che tutti i ragazzi –e nel caso, anche le lesbiche– della città avrebbero riconosciuto tra mille.
«Grazie… Comunque scusami, ma io devo…»
«…andare in palestra? Lo so, lo so. Infatti vorrei offrirmi per accompagnarti.»
Le sorridevo, le mostravo quel sorriso che tanto piaceva alle persone che avevano modo di vederlo e lentamente mi avvicinavo.
«Grazie, ma non…»
«Fantastico, andiamo!»
E la presi sottobraccio trascinandola per la via che portava alla palestra. Era fatta, dovevo solo parlare e lei avrebbe accettato, l’avrei portata a casa mia e…
«Pride, ma che ti prende?!»
«Mia regina, posso chiederle un appuntamento?»
«No!»
Si fermò di colpo, allontanandosi di qualche passo da me. La negazione me l’aspettavo, di fatti non mi feci scoraggiare: una regina non si sarebbe mai concessa al primo che passava, dovevo solo insistere.
«Suvvia, Rezwana, pensaci. Siamo due ragazzi bellissimi, popolari, che fanno impazzire uomini e donne indistintamente. Io sono il re dei Playboy e tu la regina della città, non saremmo una coppia da urlo?»
«Dio, tu sei il re dei cretini, non dei Playboy.»
Questa era un’offesa della serie “Chi disprezza vuol comprare”; non potevo che essere ancora più felice di quanto già non lo fossi per le sue attenzioni.
«Guardami: le ragazze mi amano.»
«Io no.»
«Faremmo rosicare un sacco di persone con la nostra relazione.»
«Come se mi importasse.»
«Ma ci meritiamo a vicenda!»
«Ti prego, io merito di meglio.»
«Non esiste nessuno migliore di me in questa città, sono l’unico che potrebbe starti affianco!»
«Sarai pure un Playboy, ma non sei di certo il migliore di questa città.» Spostò una ciocca di capelli ribelle come la sua anima e sorrise. «Solo perché sei attraente, Pride, non vuol dire tu sia riuscito a conquistarti il mio rispetto. Il podio è mio e di Naiser, sai che significa? Che lui è l’unico uomo esistente sulla faccia della Terra a potermi chiedere un appuntamento e ricevere una risposta positiva. E per inciso, due leoni nello stesso branco non possono convivere pacificamente, dunque torna nel tuo buco, novellino, che non sei assolutamente al nostro livello.»
Il mio cuore era a pezzi, il mio orgoglio distrutto e il mio animo offeso. Rezwana non si rendeva conto di cosa stesse perdendo, non capiva il mio potenziale.
Ero il principe azzurro moro voluto da ogni ragazza, l’oscuro desiderio degli uomini dell’altra sponda, la perfezione da sempre bramata dagli artisti per i loro dipinti, una delle cose più belle che il buon Dio avesse mai creato. Eppure lei non mi voleva, lei non desiderava la mia presenza al suo fianco.
Ma le sue parole affilate come coltelli non riuscirono a fermare il mio ardente desiderio di averla, e per questo continuai a discutere, a persuaderla con le mie parole. Probabilmente sarei riuscito anche a convincerla se non fossi stato assalito dalle tre oche che speravo di aver eliminato dalla mia esistenza.
«Coglione!», mi chiamò la prima.
«Stronzo!», urlò la seconda.
«Puttaniere!», esordì infine la terza.
Mi voltai e vidi le tre dell’Ave Maria cacciare fumo dalle orecchie e agitare le borsette nella mia direzione. Avevano graffi qua e là per le braccia e il viso, e i capelli scompigliati; evidentemente era accaduto ciò che temevo.
Rezwana, perplessa, si avvicinò a Ragazza Numero 3: «E voi chi siete?»
«Delle sfigate.»
«Ti pare una risposta?»
«Quel pervertito ci ha usate!»
L’affermazione improvvisa di Uno fece voltare Rezwana nella mia direzione. Stavo per finire in guai seri, quelle tre si erano coalizzate contro di me.
«Raccontatemi cosa è successo, ragazze.»
«Lui mi aveva detto di essere il mio ragazzo!»
«E anche il mio!»
«E il mio!»
«Mi tradiva con queste due anche se diceva di amarmi, che ero bellissima e…»
«Aspetta.», dissi interrompendo quella che credevo fosse Uno, «Io non sono un bugiardo, non ho mai detto di amarti.»
«Fai schifo lo stesso!»
E le altre due le fecero coro quasi immediatamente. Sospirai rassegnato: stavano rovinando il mio momento di intimità con Rezwana, dunque tutto il mio lavoro per farla diventare la mia fidanzata stava sparendo nel nulla.
Due prese la parola: «Capisci perché siamo tanto arrabbiate? Lui stava con tutte noi contemporaneamente e oggi, per lasciarci, ci ha fatte incontrare allo stesso posto e ci ha detto –testuali parole– “Tu, tu e tu, sappiate che vi lascio. Buona giornata” e se n’è andato!»
Tre continuò il discorso: «Noi, poi, abbiamo iniziato a litigare stupidamente tra noi quando invece la colpa è sua!»
«Sì, esatto, proprio sua.»
«Solamente sua!»
Iniziava a girarmi al testa. Quelle tre disgraziate non smettevano di parlare in coro, continuavano a starnazzare senza sosta con Rezwana dandomi colpe su colpe di cui mi importava veramente poco; io volevo la regina, non le tre cozze.
Mi avevano circondato, mi urlavano contro le peggiori offese e io non potevo fare altro che evitare i loro lanci di borsette che minacciavano pericolosamente di deturpare il mio bellissimo viso.
«Penso proprio che questo bel giovanotto lo lascerò alle vostre amorevoli cure.»
«No, Rez, non puoi farlo, NON PUOI LASCIARMI SOLO.»
Rise, e anche di buon gusto: «Ti manca un po’ di esperienza per essere un playboy, ma avere tre relazioni contemporaneamente non è semplice, bisogna rendertene atto. La prossima volta ti consiglio di fare più attenzione. Ciao ciao!»
Rezwana e il suo bel corpo mi lasciarono davvero da solo al mio triste destino, a prendere schiaffi dalle oche che avrebbero fatto la stessa cosa se solo mi avessero rivisto per strada. Era una situazione orrenda per una del mio calibro, ma a farmi più male delle borsate e degli schiaffi erano state le parole di Rezwana che, senza ripensamenti, aveva deciso io non fossi alla sua altezza.
Naiser era l'unico che potesse chiederle un appuntamento. Era il migliore sulla piazza. Il re indiscusso dei Playboy della città.
Naiser, Naiser, Naiser. Ma chi cazzo è questo Naiser?!

 


 

──Note dell'autore──
Nella speranza che Melinda Pressywig -a cui dedico l'intera storia- possa gradire questo capitolo, vi ringrazio per aver letto e mi scuso per non essermi attenuta probabilmente più di tanto al plot datomi dalla challenge. Ma io volevo scrivere questo, dunque, per quanto possa essere una vicenda banale e piena di errori perché non revisionata a causa di mancanza di tempo, chiedo nuovamente perdono per essere uscita "fuori traccia".

「Nitrogen」

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Capitolo 4
*** Quando a nessuno importa se sei un genio e non ti piace uscire. ***


Plot 3: 10 ha una malattia imbarazzante.
9 lo aiuterà o se ne approfitterà?

Ordine personaggi: Naiser (1), Imogen (2), Pride (3), Marianne (4), Zelo (5), Terrian (6), Seth (7), Rezwana (8), Hana (9), Akira (10).


 

Quando a nessuno importa se
sei un genio e non ti piace uscire.

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Doveva essere uno dei giorni più belli della mia vita.
Per una volta mi ero deciso a lasciar perdere i miei studi universitari e le mie ricerche su cose ─che, per inciso, sono troppo complesse da spiegare ai vostri QI inferiori al 120─ e avevo accontentato il desiderio della mia coinquilina andando con lei ad una festa.
Non ero quel tipo di persona che amava perdere tempo in quel modo anche se di inviti ne arrivavano a bizzeffe, non mi interessavo molto a queste interazioni sociali con sconosciuti, dunque per quei pochi che mi conoscevano era una vera e propria novità, una di quelle cose che per molti sarebbe stato chiamato “miracolo”.
Seth mi trascinò con lei nell’automobile -presa in prestito da Zelo- una volta vestitomi “come si deve”, che per lei non equivale al mio solito completo giacca e cravatta, ma a una canotta e un giubbino di pelle, troppi accessori e un pantalone così largo da cadermi continuamente fin sotto il sedere. Per me era imbarazzante andare in giro in quelle condizioni, ma lei era così felice di vedermi ridotto in quello stato pietoso che non osai controbattere la sua decisione sui miei indumenti.
Dopo aver sopportato la parlantina incessabile di Seth per venti minuti, giungemmo alla casa in cui si teneva questa “fantasmagorica megalattica stratosferica festa”, così come l’aveva chiamata lei; e tanto perché voi lo sappiate, quella che lei si ostinava a definire “casa” altro non era che una schifosa topaia al terzo piano di un appartamento malridotto.
La musica era forte, il fumo di sigarette e l’odore veramente forte di alcool invadevano le narici rendendo la salubrità dell’aria quasi assente e, con il mix di qualche stupefacente la lucidità dei presenti tra quelle mura non poteva che essere troppo bassa.
Ma alla fine era pur sempre una festa, non li biasimavo di certo: da quanto mi raccontavano i miei coetanei, con l’assenza di uno di questi tre elementi si poteva arrivare anche allo sfascio totale della serata, e di questo ne avrebbe risentito la reputazione di chi aveva organizzato quel bordello e altre cose che non ricordo. Onestamente la reputo una stronzata, ma ognuno deve rispettare le convinzioni altrui e dunque io mi limito solo a dire che dovrebbero impiegare il loro tempo facendo qualcosa di produttivo anziché bere come se non ci fosse un domani.
Però mi tocca ammetterlo, quella sera anche io ho dato il peggio di me: dopo aver assunto qualche psicofarmaco non identificato senza che me ne rendessi conto e aver ingerito una quantità leggermente eccessiva di alcool, ho iniziato a ballare come un idiota sul tavolo della topaia senza maglia, e per poco anche senza pantaloni; non ero un bello spettacolo, ma per fortuna nessuno lì dentro sembrava essere più lucido di me.
Vorrei potervi dare una descrizione più dettagliata della mia esperienza, ma ho un vuoto di tre ore e mezza circa che non mi fa ricordare altro se non questo e quel che accadde dopo l’essermi messo in ridicolo davanti a degli ubriaconi.
Una ragazza dai capelli biondo cenere si avvicinò lentamente, ancheggiando a ritmo d musica come se non le costasse alcuna fatica. Era bella, veramente bella, o almeno questo mi diceva in quel momento la testa: il miscuglio di alcool e droga mi aveva messo temporaneamente k.o. sia fisicamente che mentalmente; mi sentivo come se fossi andato senza riserve in cortocircuito. Eppure bastò un sorriso fatto da quel viso da angelo al me abbandonato senza forze sul divano per farmi alzare e portarla -quasi strattonandola- in una stanza per gli ospiti usata in precedenza da qualcun altro.
Credetemi, di solito non sono tanto avventato e irrispettoso, anzi, di queste cose nemmeno me ne interesso poiché la mia vita ruota solo intorno agli studi continui che faccio; ma lei mi aveva chiesto implicitamente di farla contenta... Chi si sarebbe tirato indietro a un simile invito?
Ci chiudemmo in quella camera alla svelta, guardandoci un po’ spaesati: sul suo volto leggevo divertimento e imbarazzo, un mix che mi fece avvampare per quanto sembrasse carina ai miei occhi. Non sapevo nemmeno il suo nome.
«Scusami… Come ti chiami?»
«Hana.», disse togliendomi la canotta, «E tu sei Akira, il coinquilino di Seth. Piacere.»
Sorpreso dalle sue parole, spalancai leggermente la bocca: «Tu e lei vi conoscete?»
«Io direi che potremmo anche parlarne dopo.»
Sorrise ancora, facendomi dimenticare quel che fino a un attimo prima avevo chiesto. Volevo spogliarla, dovevo toglierle quella maglia troppo corta e quel pantalone stretto che la rendevano incredibilmente sexy.
E con un rapido gesto svolsi la prima parte di quell’azione, bloccandomi però per quel che vidi in quell’istante: il mio incubo peggiore, la cosa che più temevo al mondo era lì, davanti ai miei occhi, e mi stava facendo urlare come una ragazzina sconvolta perché ha appena scoperto che i bambini non arrivano grazie a una fantomatica cicogna.
Mi staccai di colpo, caddi a terra e per poco sventai un infarto.
Hana era diventata una statua di marmo con gli occhi spalancati e i pantaloni abbandonati malamente all’altezza delle ginocchia. Sapevo cosa stesse pensando perché non era la prima volta che qualcuno assisteva a una mia reazione tanto insolita: non ne capiva il motivo, e io non la biasimavo di certo.
Come vi ho già detto, lei non aveva nulla che non andasse; evitate di immaginare cose che possano essere etichettate come orripilanti o di cattivo gusto e concentratevi invece su cose banali e stupide, che avrete visto così tante volte in vita vostra da non farci nemmeno più caso.
Non ci siete ancora arrivati?
Non preoccupatevi, se non gliel’avessi detto io, nemmeno Hana avrebbe capito nulla.
«Akira! Cosa… Che succede?»
«…Se te lo spiegassi nemmeno ci crederesti.»
Mi scrutò con il tipico sguardo di chi continuava a non comprendere cosa stesse accadendo, confusa e intenta a osservarsi intorno nel vano tentativo di dare un senso alle mie urla. Niente fuori posto, nulla che potesse essere la causa di una simile reazione, questo è quel che pensava.
«Allora?», chiese ancora facendo un passo verso di me, «Non vuoi dirmelo?»
«NON AVVICINARTI! STAI FERMA DOVE SEI!»
«Ma perc-»
«ANDATE VIA TU E QUEL CAZZO DI BOTTONE!»
Indietreggiai ancora, portando la schiena a toccare la parete alle mie spalle. Mi domandai se fosse più imbarazzante reagire in questo modo per un bottone o farsi conciare in quel modo ridicolo da Seth.
«Akira, mi stai prendendo in giro? Se non vuoi fare nulla non…»
«La mia ti sembra la faccia di uno stupido coglione che si inventerebbe una scusa tanto idiota per non fare sesso con una bella ragazza come te? Ho un quoziente intellettivo di 143, mi sarei almeno sforzato di dirne una migliore!»
Mentre parlavo, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel dannato bottone: mi stava rovinando una delle serate migliori della mia intera esistenza, stava mandando a monte tutti gli sforzi di Seth per rendermi piacente e i miei di sembrare un coglione qualunque ad una festa di alcolizzati adolescenti intenti ad inalare qualunque cosa venisse spacciata per droga, anche la farina o il gesso come è accaduto ad alcuni degli invitati.
Lei, dal canto suo e come tante altre ragazze prima d’ora, fece una smorfia disgustata al sottoscritto: intelligente, attraente e simpatico com’ero, l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata da me era proprio che io avessi una paura simile.
«Che fobia di merda.», sentenziò poco dopo facendomi sentire un idiota, «Cristo, che fobia di merda!»
«Tu non puoi capire come sia orrendo vedere bottoni pronti a saltarti addosso ovunque! Te n’è mai finito uno in un occhio? Hai mai rischiato di ingoiarne uno? Eh? SAI COSA VUOL DIRE DOVER VIVERE TUTTI I GIORNI A CONTATTO CON DEI BOTTONI ASSASSINI?!»
Hana ignorò le mie lagne e, sbuffando, alzò i pantaloni e rimise la maglia, privandomi di vedere quell’orribile bottone ma anche il suo bel fisico che avrei tanto voluto ammirare ancora un po’. Mi ero giocato la mia occasione e dovevo solo rassegnarmi: lei non l’avrei rivista mai più, e Seth mi avrebbe ucciso dopo aver saputo di questa reazione.
Seduto su quel pavimento, afflitto e ancora attaccato al muro, Hana mi guardò per l’ultima volta con disprezzo e velocemente si fece verso la porta intenta ad uscire.
«La prossima volta mi ricorderò della tua fobia di merda. Chiederò il tuo numero a Seth. Buonanotte, fifone.»
E sorridendo, uscì dalla stanza lasciandomi solo.

 


 

──Note dell'autore──
Non aggiornavo da un pezzo, ma a voi non interessa, dunque non mi scuserò. Onestamente, penso questo stralcio di vita di Akira non sia allo stesso livello dei precedenti, però la fobia dei bottoni era carina e non mi andava di buttare il mio lavoro nel cestino. Ah, curiosità: l'idea di questa vùfobia (che non so se copra effettivamente il plot) mi è venuta in mente osservando la mania di una mia amica per i bottoni; lei li ama.


「Nitrogen」

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