Greystone.

di frances bruise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1a. ***
Capitolo 2: *** 1b. ***
Capitolo 3: *** 1c. ***



Capitolo 1
*** 1a. ***


Capitolo Primo
Greystone

All’estremo nord dell’Inghilterra, a confine con la Scozia, sorgeva un piccolo villaggio a molti sconosciuto di nome Greystone. Immerso tra il verde delle colline, il villaggio era costituito da semplicissime costruzioni in pietra grigia abitate da tutte e tre le classi sociali – borghesia, aristocrazia e clero – e gli avevano conferito il nome di “Greystone” proprio per via di questa sua peculiarità.
Al confine con villaggio, c’era una radura che in primavera e in estate era ricoperta da uno strato di erba verde, molto spesso adornato di fiori – era la gioia di ogni bambino; ma, al di là della radura, vi era una tenebrosa foresta in cui nessuno osava addentrarsi per via di stranissime leggende che parlavano di persone scomparse nei pressi dei giganteschi alberi spogli che la caratterizzavano.
Inizialmente, nessuno credeva a quella sciocca leggenda riguardante una cupa foresta, ma poi – un giorno – un giovanissimo pastore, che era andato a far pascolare i suoi ovini nei pressi della radura, era stato costretto ad inseguire una piccola capretta che si era rifugiata nei pressi della foresta. Il giovanotto vi si era addentrato e, per cause sconosciute, non era più tornato indietro.
Per mesi, al villaggio di Greystone non si era parlato altro se non del giovanotto scomparso nella foresta, poi il fatto era stato cancellato dalla mente di tutti e gli abitanti di Greystone erano tornati a vivere la solita vita monotona. Tuttavia, la foresta cupa non poteva rimanere in silenzio per troppo tempo: un giorno, una donna – che a detta di tutti era stanca del proprio marito e della propria vita matrimoniale – era fuggita nella foresta per non tornare mai più indietro. Questo avvenimento aveva suscitato un notevole scalpore, al contrario di quanto era avvenuto per il giovane pastore, perché la donna scomparsa era nientepopodimeno che la moglie del panettiere della piazza cittadina.
Il panettiere, il signor Francis Carter, era sempre stato un gran lavoratore, per tutta la sua vita: la mattina, verso le cinque, lo si poteva vedere dalla grossa finestra del suo negozio, mentre lavorava la pasta del pane su un grosso bancone. E quasi sempre si poteva percepire un delizioso profumo fuoriuscire dalla panetteria.
Poi, era sempre stato un uomo molto generoso: se un uomo con la bocca asciutta non poteva permettersi di acquistare da mangiare, egli non esitava a sfamarlo. E non chiedeva nulla in cambio!
La signora Carter, invece, era una donna graziosa cui nessuno avrebbe potuto dire un ‘no’ come risposta: gentile e premurosa, era una madre perfetta che non esitava a fare esclusivamente il bene della propria figlia. Nessuno avrebbe mai sospettato che sarebbe fuggita via dalla propria famiglia.
Invece, si diceva che fosse scomparsa nella foresta oscura e che avesse lasciato soli marito e prole.
Dunque, in seguito alla fuga della signora Carter, Francis Carter aveva dimenticato come fare economia: la sua panetteria, nel corso del tempo, aveva rammucchiato una serie di debiti che il panettiere non poteva permettersi di ripagare agli usurai; così, era stato costretto a dichiarare il fallimento.
In seguito alla chiusura del negozio, l’economia della famiglia era scesa sotto terra e sia padre che figlia rischiavano di finire in mezzo ad una strada. Ma, poi, un nuovo fattore venne in loro soccorso: il signor Berkley, grande esponente della borghesia ed anche rinomato usuraio, aveva proposto al signor Carter uno scambio equo basato su un semplicissimo contratto di matrimonio tra suo figlio William e la figlia del signor Carter, Helena.
Dunque, il patto venne stretto: il giorno in cui Helena avrebbe compiuto ventuno anni, sarebbe andata in sposa al giovane William. Così pace fu quasi fatta.

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Capitolo 2
*** 1b. ***


Capitolo Primo
Helena Carter

Nonostante la chiusura dell’antico forno una volta appartenuto a suo padre, Helena non aveva mai perso la sua passione per la pasticceria e qualche volta – di nascosto – si recava in negozio per poter respirare ancora una volta il dolce profumo della sua infanzia e della sua prima adolescenza. Un profumo di cui erano impregnate le stesse pareti verniciate di un giallo caldo che si accostava all’ocra.
Helena passava la mano sul bancone impolverato e secco su cui un tempo suo padre aveva lavorato la pasta per il pane, proprio di fronte alla grossa finestra che oramai era sbarrata; apriva le porte di tutte le stanze e si fermava a rimirarne il mobilio, nel tentativo di ricordare come fosse quel posto quando la panetteria di suo padre era ancora attiva. E non piangeva mai, quando le capitava di ricordare, perché i vecchi ricordi felici devono suscitare gioia e non pianto. E, poi, è inutile piangere sul latte versato, sul negozio fallito.

Un giorno, Helena rimase immobile di fronte alla porta principale della sua vecchia panetteria, incapace di entrarvi. I suoi occhi chiari si spostarono in alto, nel punto in cui tempo addietro si trovava la locandina del negozio di suo padre, la scritta “Carter’s” che non c’era più. Suo padre l’aveva portata via e l’aveva custodita in cantina, dove non l’avrebbe avuta davanti agli occhi come ricordo di un’attività fallita per via delle ingiustizie della vita. Così, un lampo di indignazione guizzò nello sguardo della giovane donna e il suo odio – puro ed imperturbabile – nei confronti degli usurai che avevano ridotto sul lastrico suo padre crebbe a dismisura.
Gli uomini, così avidi e disonesti!
Gli uomini erano malvagi, corrompevano donne, bambini e anche gli ingenui, ossia coloro che non erano in grado di vedere il male nel loro sguardo, nella loro persona. Suo padre era così, ma lei no. Lei no, Helena Carter vedeva perfettamente il male nella famiglia del suo fidanzato, Berkley. Lei lo vedeva, eccome se lo vedeva!
Il male albergava nell’animo del suo futuro suocero, uomo tanto disonesto da aver consumato i beni di suo padre e da aver lasciato che la propria consorte mettesse al mondo un essere immondo come William, il suo futuro sposa che ora le stava accanto e che la teneva braccetto.
Egli era certamente desideroso di un più stretto contatto fisico con la ragazza, ma Helena era ben lungi dal concederglielo; con lui, non si sentiva mai a proprio agio, al punto che si era sempre rifiutata di dargli del ‘tu’ ed aveva continuato a dargli del ‘voi’ come si fa cogli sconosciuti.
Dicevo, William Berkley la guardava di traverso e si chiedeva che cosa avesse di così interessante un negozio andato alla malora che Helena non avrebbe mai potuto permettersi di rimettere a posto senza il suo aiuto economico. E perché mai quella ragazza guardava – anzi fissava – il punto in cui una volta c’era stata la locandina del negozio.
-Ebbene, Helena? – domandò, - che cosa guardate? Lì non c’è più nulla.
La risposta della ragazza arrivò prontamente, accompagnata da una freddezza tale da far gelare il sangue nelle vene di William;
-Una volta c’era – disse la voce di Helena, che neanche voleva rivolgergli uno sguardo che fosse uno. Parlò con calma, del resto era ben capace di nascondere il proprio odio nei confronti del fidanzato, altrimenti il suo primo istinto sarebbe stato quello di saltargli al collo e strozzarlo. In passato, nei momenti in cui avrebbe voluto commettere un omicidio, si diceva che mancava del tempo al suo ventunesimo compleanno; ma, purtroppo per lei, il tempo era passato ed Helena si avvicinava alla tanto indesiderata maggiore età.
Si trattava di un paio di settimane, durante le quali la ragazza avrebbe desiderato di fare la stessa fine della propria madre, se solo non fosse molto preoccupata per la situazione economica del proprio padre.
Dunque, sposava William Berkley solo per denaro, non certo per amore.
-Vi suggerirei di allontanarci da questo posto – stava giusto proponendo William, mentre si lisciava i baffetti biondi con aria prettamente aristocratica. Tuttavia, per quanto tentasse di sembrare un rampollo di alta società, i suoi modi di fare spesso lo tradivano: anziché incitare la ragazza con dolci parole, la trascinò – sì, la trascinò – fino ad una viuzza solitamente popolata dalla gente che vendeva la frutta e la verdura.
Ai fianchi della strada, si stagliavano due file di caseggiati in pietra: ai piani superiori erano ubicate le abitazioni degli abitanti del villaggio, mentre ai piani inferiori si trovavano le botteghe ed i negozi di spezie, di frutta e verdura, e di vini poco prestigiosi.
In silenzio, Helena si lasciò condurre dal fidanzato lungo la via, sotto gli occhi di tutti quelli che da una parte l’ammiravano per l’indiscutibile bellezza e che la detestavano per via del suo fidanzamento con uno dei giovanotti più ambiti dalle ragazze di Greystone: infatti, non c’era una giovinetta che non fosse segretamente innamorata di lui e delle sue maniere che lo facevano apparire quasi irresistibile. Invece, Helena era l’unica a conoscere la sua vera natura, quella arrogante ed egoista che la disgustava profondamente.
Ma mancavano davvero pochi secondi prima che parte degli abitanti di Greystone si rendessero conto di che pasta era fatto William Berkley.
Appoggiato al muro di una costruzione in pietra, un giovanotto dai capelli bruni teneva gli occhi chiusi e respirava a fatica; un braccio, stretto attorno alla vita, premeva contro lo stomaco e la lingua quasi biancastra spuntava leggermente dalla bocca. In quello stato di agonia, il giovanotto fece appena in tempo ad incontrare lo sguardo di William, che quest’ultimo non decidesse di allungare il passo per privarsi una volta per tutte di uno spettacolo tanto penoso.
-Andiamo via, Helena – disse, rivolto alla fidanzata, - vostro padre potrebbe preoccuparsi per la vostra assenza.
Detto in tutta libertà, a William non importava un fico secco del signor Carter e delle sue preoccupazioni: tutto ciò che voleva era allontanare la sua fidanzata – ma soprattutto allontanarsi – da quello che era il manifesto esplicito della miseria. Un giovanotto, forse un ubriacone, steso su un marciapiede senza alcuna possibilità di tirarsi in piedi.
Al tempo stesso, se tutto ciò disgustava l’animo poco nobile di William Berkley, Helena non provò le stesse emozioni cariche di scherno: non appena voltò leggermente il viso e vide il giovanotto steso sul marciapiede, liberò il proprio braccio dalla stretta del fidanzato in un tempo così breve, che quello non si accorse della sua assenza per diversi istanti. William seguì con lo sguardo l’elegante figura di Helena, che correva in direzione del giovanotto, e tentò perfino di fermarla e di costringerla ad abbandonare quel folle tentativo di aiutare il prossimo.
La ragazza giunse alla distanza di pochi centimetri dal giovane ed immediatamente si chinò al suo fianco, sfiorandogli la fronte e i capelli bruni. Non passò molto tempo, che già si era tirata in piedi e stava pagando una donna affinché quella le desse qualcosa da mangiare per il malcapitato.
-Una pagnotta, per piacere – disse, e protese le mani.
La donna non fiatò, ma si sporse fuori dal negozio per poter essere spettatrice della situazione alquanto insolita che le si prospettava davanti: una ragazza borghese che si stava prendendo cura di un ubriacone in astinenza.
Ma a Helena non importava di sembrare solo una buona Samaritana, le importava di più assicurarsi che il giovane stesse meglio e che quel pezzo di pane lo stesse allontanando dalla morte certa. Accostò un boccone alle labbra del giovanotto, che però lo respinse. –Acqua! – esclamò Helena, e si volse a guardare William.
Voleva che almeno una volta nella vita le dimostrasse di non essere un egoista e di provare almeno un po’ di sensibilità verso il prossimo. Alla fine, gli stava semplicemente chiedendo gli procurarle dall’acqua per il giovanotto semi-svenuto; ma William non si mosse da dove si trovava, esattamente a dieci metri dal luogo in cui il ragazzo coi capelli bruni stava accasciato. L’odio di Helena nei confronti di quell’essere spregevole crebbe a dismisura e, sebbene volesse fargliela pagare per il torto, si rese conto di non trovarsi nella situazione più adeguata ad una ripicca. Così, si alzò lei stessa e raggiunse la fontanella dall’altra parte della strada e, senza avere un bicchiere a portata di mano, portò con sé dell’acqua servendosi di entrambi i palmi delle mani.
La gente, che assisteva affascinata alla scena, non si era mossa per aiutarla.
Helena diede da bere al poveretto, che riprese immediatamente conoscenza. Aprì gli occhi azzurro cielo e la prima persona su cui li posò fu proprio Helena, che gli stava di fronte e che gli protendeva il pezzo di pane. Quello lo prese con le proprie mani sporche di fango e lo mandò giù in un sol boccone, senza masticare.
-Voi verrete a stare da me qualche notte – gli disse la ragazza

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Capitolo 3
*** 1c. ***


Capitolo primo
Fuggire via

La proprietà di Francis Carter non poteva certo esser comparata a quella di un ricco borghese: era una piccola costruzione in pietra, che si ergeva su due piani; sulla parte frontale, era stata intagliata solo una coppia di finestre per piano e questa sistemazione conferiva all’intero edificio un aspetto più ristretto rispetto a quanto non lo fosse veramente. Sempre sulla parte frontale, si estendeva un giardino poco curato, al momento spoglio per via della stagione invernale. E l’albero su cui Helena era solita arrampicarsi era privo delle proprie foglie.
Ogni volta che la ragazza gli passava accanto, aveva l’impressione che quell’albero potesse percepire il freddo molto più di quanto potesse percepirlo lei stessa, e rimaneva estasiata a contemplarne le forme per interi minuti.
Invece, sul retro, vi era un piccolo capannone in cui suo padre aveva riposto la locandina della panetteria. Nessuno vi entrava mai, proprio perché sia padre che figlia temevano che i ricordi potessero rifarsi vivi. Vivi per tormentare ancora le loro notti invernali, e per non far dimenticare loro quanto il dolore fosse potente. Più potente dell’amore.

Per quanto Helena provasse ancora dolore per la scomparsa di sua madre e per la chiusura del negozio, non si era certo tirata indietro, quando aveva soccorso il giovanotto dai capelli bruni.
Dopo averlo rifocillato per bene (quel giovanotto tutto sporco aveva davvero un appetito notevole!) ed averlo aiutato ad alzarsi, lo aveva condotto verso la propria casa per potersi prendere cura di lui. Tutto ciò era accaduto sotto lo sguardo pieno di scherno di William Berkley, che fin dal primo istante non nascose il proprio disappunto per il comportamento della signorina Carter.
Ahimè, William aveva avuto poco da obiettare: per quanto avesse cercato di convincere Helena a non introdurre nella propria dimora un ragazzo tanto sporco, non ci era riuscito. Neanche le solite minacce avevano funzionato, dato che la giovane donna era decisa a fare la buona Samaritana con quel poveretto.
-Helena, vi pentirete amaramente di ciò che state facendo! – esclamò William, alle spalle della ragazza, - voi non potere introdurre in casa vostra un simile pezzente! Non posso permettervelo! “Voi siete una fanciulla onesta, Helena, e lo stato sociale di questo individuo certo non si addice alla vostra persona. Per cui, se non volete farmi questo piacere, fatelo almeno per voi stessa: lasciate che se ne prenda cura una delle anziane del villaggio ed evitare di insudiciare la vostra casa.
In fondo, Helena, avete già aiutato questo giovanotto. Lo avete fatto, ed è stato abbastanza! E’ ora che impari come cavarsela da sola in questo mondo pieno di ingiustizie e ad evitare di abusare dell’alcool e ad imparare a sperperare il proprio denaro...”
A quel punto, Helena non lo stava più ascoltando: William le diceva quelle cose, ma fortunatamente non gliele stava dicendo in faccia, cosicché fosse costretta ad ascoltarlo. Nulla le importava della stima che i suoi compaesani avevano di lei, nulla le importava dell’opinione di William sul povero malcapitato che aveva incrociato lungo la via, nulla le importava della reazione che avrebbe avuto suo padre alla vista del giovanotto; era realmente risoluta a fare del bene per quel ragazzo.
Erano giunti entrambi presso l’ingresso principale della casa e William aveva deciso di tornare dalla sua famiglia per trascorrere del tempo assieme ai parenti. Era ovvio che non volesse essere testimone del comportamento della propria fidanzata.
Il giovanotto dai capelli bruni, dopo diversi giorni di vagabondaggio lungo le vie del villaggio, percepì nuovamente il calore che solo un caminetto acceso avrebbe potuto rilasciare. Così, non appena Helena richiuse la porta, il giovanotto tentò di camminare sulle proprie gambe, senza l’ausilio della ragazza.
-Non ci provate – lo ammonì Helena, - siete troppo debole per poter camminare da solo. Lasciate che vi aiuti e che vi faccia fare un bagno caldo, dopodiché vi preparerò una minestra. Poi, se lo vorrete, potrete raccontarmi il motivo per cui giacevate sul marciapiede.
Il ragazzo continuò ad annuire col capo, ma non sembrava intendere le parole di Helena, che intanto lo conduceva al piano superiore e gli indicava la porta del bagno. Gli diede qualche indicazione circa gli asciugamani di cui servirsi e circa la vasca da bagno, che supponeva il ragazzo sapesse usare, dopodiché tornò al piano inferiore per preparargli una minestra calda.
Circa mezz’ora dopo, il ragazzo si presentò nuovamente. Questa volta, al posto degli stracci che Helena meditava di bruciare nel caminetto, indossava una vestaglia maschile – appartenente al signor Carter – che la giovane donna gli aveva lasciato di fronte alla porta del bagno. Ma non fu tanto questo a colpire Helena. La bellezza del giovane era indiscutibile: aldilà degli intensi occhi azzurri, la cui luminosità era visibile anche quando il ragazzo era ancora ricoperto di fango, a colpire Helena fu la delicatezza della sua mascella, che gli conferiva un aspetto regale. Aveva proprio una faccia d’angelo.
E la giovane donna rimase a guardarlo, come costretta da una calamita invisibile, e si dispiacque molto, quando il buonsenso le suggerì di volgere lo sguardo altrove per non mettere in imbarazzo l’altro.
-Spero che vi sentiate a vostro agio qui, signor... Signor...? – farfugliò Helena, confusa per la vicinanza del giovane, che immediatamente venne in suo soccorso.
-Thomas, solo Thomas – rispose.
Dunque, il nostro Thomas fece qualche passo attorno alla tavola circolare e si mise a studiare attentamente l’ambiente che lo circondava: nell’angolo in cui Helena lasciava cuocere il brodo di carne, oltre al piano cucina vi era un mobile in legno scuro tendente al bordeaux, sul quale erano poggiate le stoviglie ormai asciutte e un paio di bottiglie di vino rosso non ancora aperte. Le pareti, tinteggiate di marrone chiaro, quasi beige, suggerivano un’atmosfera calda, ma forse un po’ triste e monotona. Lo sguardo azzurro di Thomas si posò su un altro mobile dalla parte opposta della stanza e gli si avvicinò, incuriosito con sincerità: all’interno della credenza dalle ante in vetro erano custodite delle stoviglie ben curate, anzi immacolate.
Si chinò leggermente, mentre Helena si voltava e scostava le lunghe chiome dal petto stretto nel corpetto. Non si soffermò a chiedere perché mai il giovanotto – Thomas, si chiamava Thomas! – fosse tanto interessato al servizio di piatti della domenica, e si servì di un panno bianco per sollevare la pentola dal fornello; verso il brodo in una scodella in coccio e la poggiò sulla tavola, affianco ad un cucchiaio, un tovagliolo e ad un bicchiere d’acqua.
-Prego, mangiate – disse a Thomas, - nel frattempo, io sistemerò per voi la camera degli ospiti.
Thomas si accostò alla sedia e fu in procinto di sedersi, ma poi gli venne un dubbio: alzò lo sguardo e lo puntò sulla ragazza dalle bionde chiome, infine chiese: -E voi? Voi non mangiate?
Quella era una domanda da poco per ogni essere mortale presente sulla faccia della Terra, ma per Helena non si poteva dire lo stesso: nessuno si curava di lei, a nessuno importava se mangiasse o meno, o se dormisse abbastanza per poter affrontare la giornata con prontezza. Nessuno.
Il cuore le sembrò improvvisamente molto pesante, al punto che temette che potesse scoppiarle dalla gabbia toracica, dato che il suo respiro era tanto affannato. E, poi, sentiva un qualcosa nascere all’altezza del suo petto. Un qualcosa che lentamente si arrampicava nella gola e che le faceva bruciare le narici, al punto che la sua vista si fece sfocata tutto d’un tratto e due grossi lacrimoni le rigarono le guance.
Dunque, a qualcuno importava. A qualcuno importava di lei!
-Io... Io mangerò più tardi – affermò, sebbene con voce tremante.
Lasciò che il ragazzo mangiasse in pace e salì al piano superiore, dove aprì la porta della camera di fronte alla sua ed accese la luce: il letto, una volta scoperto dal telo bianco che serviva a non farlo impolverare, aveva ancora un bell’aspetto e si poteva affermare con sicurezza che l’abat-jour sul comodino funzionasse alla perfezione. Helena si mosse in direzione dell’armadio e ne spalancò le ante per prelevare gli asciugamani ivi conservati, così li piegò nuovamente e li pose accanto alla bacinella per la toeletta. Ancora, con una pezza ripulì lo specchio appeso alla parete, proprio sopra al cassettone in cui poteva essere riposta la biancheria intima. Infine, si dedicò completamente al letto: tolse le coperte e le lenzuola e le lasciò cadere a terra, radunandole in un cumulo, poi diede diversi colpi al materasso col battipanni e infine rifece il letto con lenzuola e coperte pulite.
Siccome voleva che nulla mancasse al giovanotto, ripulì anche il pavimento e spolverò i mobili, in modo che Thomas potesse sentirsi a proprio agio all’interno della camera.
Per ultimo, dopo che il giovanotto si fu chiuso nella camera a lui destinata, Helena mandò giù due bocconi di pane sesso e un bicchiere di latte, che costituivano la sua cena.

Verso le nove e mezzo, sia Helena che Thomas si erano ritirati nelle proprie stanze ed avevano chiuso le porte, dopo essersi scambiati un augurio di buonanotte. Ed entrambi si erano addormentati.
Il piccolo orologio sul comodino di Helena aveva appesa segnato le tre e un quarto del mattino, quando la porte della sua camera venne aperta silenziosamente. Con passi furtivi, Thomas si avvicinò al letto di Helena per assicurarsi che la fanciulla stesse dormendo: passò ripetutamente una mano di fronte al suo viso e, una volta certo che si trovasse tra le braccia di Morfeo, poggiò un pezzo di carta sul comodino. Tuttavia, nel buio urtò il piccolo orologio, che cadde a terra e si ruppe in mille pezzi, generando un fracasso che svegliò Helena.
Quella trasalì e tirò su le coperte all’altezza del petto; sbarrò gli occhi verdi e grandi alla vista del giovane, mentre le guance già le ardevano per via del pudore virginale. Un uomo nella sua camera alle tre di mattina. Un uomo che non era né un fidanzato, né un marito e né un amico. Che cosa avrebbe detto papà Francis, se fosse venuto a conoscenza della presenza di Thomas nella stanza della propria figlia ancora vergine?
-Che cosa ci fate qui? – domandò, allora.
-Sto per andarmene a volevo lasciarvi una lettera per ringraziarvi – rispose lui tranquillamente.
-E... E dove andate?
Thomas tirò su le spalle ed assunse una postura molto rigida. Poi, senza guardare negli occhi la donna, disse con voce fiera: - Torno nel mio mondo, signorina.
A sentirsi dire una baggianata del genere, Helena scostò le coperte – oramai incurante dello stupido pudore virginale che le impediva di comportarsi con tanta sfacciatezza – e si alzò in piedi, ponendosi proprio di fronte al giovanotto. Il suo sguardo si indurì.
-Vi ho accolto in casa mia e voi mi mentite tanto spudoratamente! – esclamò, - dovreste vergognarvi delle bugie che mi state raccontando, signor Thomas, perché sono bugie che non dovrebbero neanche essere pensate in presenza di una signorina.
-Io non vi sto mentendo – la interruppe Thomas.
Con una semplice occhiata, Helena mostrò tutta la sua perplessità, ma ancor più il suo scetticismo. Quel Thomas! Che vergogna mentire ad una ragazzina!
Si allontanò da lui e fece qualche passo avanti e dietro lungo la stanza, aggrottando le sopracciglia e poggiando il dito indice sotto il mento in segno di riflessione. Cominciò a chiedersi se, in fondo, il signor Thomas non avesse ragione: del resto, era un ragazzo alquanto insolito per il piccolo villaggio di Greystone e lei stessa doveva ammettere che fin dalla prima volta in cui lo aveva visto, aveva pensato che fosse un essere proveniente da un altro pianeta. Così, ad un tratto, si volse di scatto e si strinse al petto del giovane.
In tono supplichevole, gli disse: -Portatemi con voi, vi prego!
-Voi... Voi mi credete? – domandò allora Thomas, che fino ad allora aveva creduto che non sarebbe mai riuscito a convincere la ragazza della veridicità delle proprie affermazioni.
-E perché non dovrei credervi? – si interrogò Helena, - se state dicendo la verità, non avrete nulla da temere, giusto?
Thomas annuì con un semplice cenno del capo.

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